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MARY HIGGINS CLARK DOMANI VINCERÒ (The Lottery Winner, 1994) Ai miei fratelli acquisiti e amici: June M. Clark e il compianto Allan Clark Ken e Irene Clark Agnes Partel e il compianto George Partel. Cari compagni della mia gioventù, non vi sentite ancora ventiduenni? Indice Ringraziamenti Il cadavere nell'armadio Morte al Capo Willy di nuovo idraulico Colpo di spugna Un ladro di gioielli a Cypress Point Arrivederci, piccolina Nota dell'autrice Ringraziamenti Alvirah Meehan ha debuttato, se così si può dire, nel mio romanzo Non piangere più, signora. Una donna delle pulizie più che cinquantenne, che ha vinto con il marito Willy, idraulico, quaranta milioni di dollari alla lotteria dello stato di New York. Subito, Alvirah decide di soddisfare un suo vecchio sogno e di recarsi a Cypress Point per mescolarsi alle celebrità che frequentano la famosa stazione termale. Sfortunatamente per lei, la sua mente acuta la mette sulle tracce di un assassino, del quale rischia di divenire a sua volta vittima. Nella prima bozza di Non piangere più, signora, la povera Alvirah non sopravviveva. Poi mia figlia, Carol Higgins Clark, lesse il manoscritto e protestò: «Non
puoi farlo. Alvirah è troppo simpatica. E comunque, non hai fatto fuori già abbastanza persone in questo libro?» «Deve morire», replicai io con fermezza. Ma Carol si mostrò così persuasiva che alla fine decisi di far tornare Alvirah dal regno dei morti. Sono felice di averlo fatto, perché ora lei e Willy sono diventati dei cari amici. Sono anche gli unici tra i miei personaggi a tornare più volte sulla scena e spero che vi divertiate a leggere le loro avventure almeno quanto io mi sono divertita a scriverle. Grazie, Carol. Il cadavere nell'armadio Se quella sera di luglio Alvirah avesse saputo che cosa l'aspettava nel suo nuovo, lussuoso, appartamento di Central Park Sud, non sarebbe mai scesa dall'aereo. Invece, nella sua mente acuta non avvertì nessuna sensazione di catastrofe incombente mentre l'apparecchio si preparava all'atterraggio. Benché dopo la vincita di quaranta milioni di dollari alla lotteria Alvirah e Willy avessero scoperto il piacere di viaggiare, lei era sempre contenta di tornare a New York. C'era qualcosa che le scaldava il cuore nella vista delle silhouette dei grattacieli che si stagliavano contro le nubi e delle luci del ponte gettato sull'East River. Quando Willy le allungò un colpetto sulla mano, Alvirah si girò a rivolgergli un sorriso affettuoso. Lui stava divinamente con la sua nuova giacca di lino blu che si accordava con il colore degli occhi. Perché con quegli occhi e quella folta massa di capelli bianchi, Willy era tale e quale a Tip O'Neill. Alvirah si lisciò i capelli che aveva fatto tingere di una bella sfumatura rossiccia da Dale, a Londra. Il celebre parrucchiere era rimasto stupefatto quando era stato informato che lei aveva quasi sessant'anni. «Mi prende in giro», aveva ansimato. Lei sapeva che quello era un complimento interessato, ma ne era rimasta comunque lusingata. Sì, rifletté Alvirah mentre guardava la città sottostante, la vita era stata generosa con lei e Willy. Oltre a permettere loro di viaggiare a volontà e di comprare tutti i comfort che uno possa desiderare, quella ricchezza recentemente acquisita le aveva aperto le porte di una nuova opportunità in un modo del tutto inatteso: facendola entrare in rapporto con uno dei principa-
li quotidiani della città, il New York Globe. Tutto era cominciato quando quelli del Globe avevano intervistato lei e Willy dopo la loro vincita alla lotteria. Alvirah aveva dichiarato che avrebbe realizzato il suo vecchio sogno di trascorrere un periodo come ospite dell'elegante stazione termale di Cypress Point; per lei sarebbe stato non solo un piacevole cambiamento d'ambiente, ma anche l'occasione per mescolarsi a tutte quelle celebrità di cui le piaceva leggere sui giornali. Il direttore, intuendo in Alvirah un talento speciale per scovare notizie, nonché la sua determinazione nel perseguire uno scopo, l'aveva persuasa a svolgere un incarico per conto di lui. Le aveva chiesto di tenere occhi e orecchie bene aperti, per raccogliere il materiale necessario per scrivere un articolo di costume sulla sua esperienza nell'esclusiva stazione termale. Per agevolarle le cose, le aveva dato una spilla a forma di sole raggiato da mettere sul risvolto della giacca, che in realtà conteneva un microfono. In quel modo avrebbe potuto fissare le sue impressioni quando erano ancora fresche e registrare di nascosto alcune conversazioni di quei personaggi famosi che era così ansiosa di incontrare. I risultati avevano drammaticamente superato le più audaci aspettative di Alvirah e del direttore, dato che nella stazione termale lei era addirittura riuscita a documentare il tentativo da parte di uno sconosciuto di ucciderla, un'aggressione dovuta al fatto che aveva cominciato a investigare su un omicidio avvenuto in quella località. Grazie alla sua intraprendenza - e al piccolo dispositivo nascosto azionabile a mano - Alvirah non solo aveva contribuito a risolvere il delitto, ma aveva dato inizio a una sua nuova e imprevedibile carriera di occasionale giornalista di costume e detective dilettante. Quel giorno, mentre era seduta al suo posto in aereo con la cintura allacciata, ripensò a quel loro ultimo viaggio, e toccando istintivamente con le dita la spilla a forma di sole - che ormai era diventata un'abitudine per lei appuntare su qualsiasi vestito - considerò che stavolta il suo direttore sarebbe rimasto deluso. «Un viaggio magnifico», osservò rivolta al marito. «Ma non così avventuroso da poterne scrivere. Il momento più eccitante è stato quando la regina si è fermata a prendere il tè allo Stafford Hotel e il gatto del direttore ha aggredito il suo cagnolino gallese.» «A me non dispiace di aver fatto una vacanza tranquilla», replicò Willy. «Sono stufo di vederti rischiare la vita per indagare su questo o quel crimine.»
La hostess della British Airways stava percorrendo il corridoio della cabina di prima classe per controllare che i passeggeri avessero allacciato le cinture di sicurezza. «È stato un piacere avervi a bordo», disse ai due. Willy le aveva spiegato di aver lavorato come idraulico, e che Alvirah era stata una donna delle pulizie finché non avevano vinto quaranta milioni di dollari alla lotteria. «Mio Dio», disse la ragazza ad Alvirah. «Guardandola, è impossibile credere che una volta sia stata a servizio.» In un lasso di tempo misericordiosamente breve, erano a terra e salivano su un taxi con le loro valigie Vuitton impilate nel bagagliaio. Come al solito, New York in luglio era calda, appiccicosa e imbronciata. L'abitacolo del taxi era una specie di sauna e Alvirah pensò con desiderio al suo nuovo appartamento di Central Park Sud, che naturalmente sarebbe stato meravigliosamente fresco. Conservavano tuttora il tre locali di Flushing dove avevano vissuto per trent'anni, fino a quando il biglietto vincente non aveva cambiato la loro vita. Come Willy aveva osservato un giorno, non si poteva escludere che New York finisse in bolletta e ai vincitori delle varie lotterie venisse comunicato che di assegni non ne sarebbero arrivati altri. Quando il taxi si fermò davanti allo stabile, il custode, in livrea rossa e oro e con un imponente berretto di pelo nero, corse ad aprire loro la portiera. «Si starà sciogliendo, immagino», lo commiserò Alvirah. «Non capisco perché l'abbiano costretta a mettersi in tiro prima della fine dei lavori di ristrutturazione.» Quando avevano acquistato l'appartamento, in primavera, l'agente immobiliare aveva assicurato loro che gli interventi di ristrutturazione sarebbero stati completati di lì a poche settimane. Ma a giudicare dai ponteggi ancora installati nell'atrio, era evidente che la sua era stata una previsione a dir poco ottimistica. Stavano aspettando l'ascensore quando furono raggiunti da un'altra coppia: un uomo alto, sulla cinquantina e una donna snella con indosso un abito da sera di seta bianca e un'espressione che a Alvirah ricordò quella di chi, aprendo il frigorifero, viene aggredito dal tanfo delle uova andate a male. Li conosco, pensò, mettendo subito in moto la sua prodigiosa memoria. Lui era Carlton Rumson, il leggendario produttore di Broadway, ed era accompagnato dalla moglie Victoria, che lavorava saltuariamente come attrice e, trent'anni prima, era stata una delle candidate al titolo di Miss A-
merica. «Signor Rumson!» Con un caldo sorriso, Alvirah tese la mano. «Sono Alvirah Meehan. Ci siamo conosciuti alla stazione termale di Cypress Point, a Pebble Beach. Che bella sorpresa! Questo è mio marito Willy. Anche voi abitate qui?» Il sorriso di Rumson balenò e subito disparve. «Abbiamo un appartamento, sì. È molto comodo.» Rivolse a Willy un cenno di saluto, poi, con una certa riluttanza, presentò la moglie. Le porte dell'ascensore si aprirono proprio mentre Victoria Rumson concedeva ai due un lieve sbattere di palpebre. Che razza di pesce freddo, pensò Alvirah, prendendo nota del profilo perfetto ma altezzoso della donna e dei capelli biondo chiaro raccolti in uno chignon. Lunghi anni di lettura di People, US e National Enquirer, nonché di tutte le rubriche mondane, avevano trasformato il suo veloce cervello in uno stupefacente ricettacolo di informazioni sui ricchi e famosi. Si erano appena fermati al loro piano, il trentaquattresimo, quando rammentò altri particolari sui Rumson. Lui era noto per la sua propensione per le belle donne, e la capacità della moglie di ignorare certe indiscrezioni le aveva guadagnato il soprannome di «Vicky la Candida». Una combinazione perfetta, pensò Alvirah. «Signor Rumson», attaccò prima di scendere, «il nipote di Willy, Brian McCormack, è un bravissimo commediografo. Ha appena terminato la sua seconda commedia, e mi farebbe tanto piacere se lei la leggesse.» Il produttore pareva infastidito. «I numeri telefonici del mio ufficio sono in elenco.» «Il suo primo lavoro è in scena Off Broadway proprio in questi giorni», insistette lei. «Un critico lo ha definito 'il nuovo Neil Simon'.» «Tesoro», cercò di tacitarla Willy, «stai trattenendo i signori.» Inaspettatamente, l'espressione glaciale di Victoria Rumson si sciolse in un sorriso carico di affabilità. «Caro, ho sentito parlare di Brian McCormack. Perché non leggi la sua commedia finché siamo qui? Sai benissimo che nel tuo ufficio finirebbe sepolta sotto una marea di scartoffie.» «È davvero gentile da parte sua, Victoria», la ringraziò di slancio Alvirah. «Ve ne farò avere una copia domani.» Erano in corridoio quando Willy le chiese: «Tesoro, non credi di essere stata un po' troppo insistente?» «Certo che no», protestò lei. «Chi non risica non rosica. Farei qualunque cosa per favorire la carriera di Brian.»
Dal loro appartamento si godeva una vista mozzafiato su Central Park. Alvirah non vi entrava mai senza pensare che fino a poco tempo prima la casa della signora Chester Lollop, a Little Neck, dove lavorava il giovedì pomeriggio, le sembrava un palazzo in miniatura. Ma, ragazzi, poteva ben dire che quegli ultimi anni le avevano aperto gli occhi! Avevano acquistato l'appartamento da un agente di cambio che era finito nei guai con la giustizia. L'interno era opera di un arredatore che, secondo l'ex proprietario, andava per la maggiore a Manhattan. Alvirah, però, nutriva qualche dubbio in proposito. Soggiorno, sala da pranzo e cucina erano tutti bianchi. C'erano bassi divani bianchi da cui lei aveva qualche difficoltà ad alzarsi, folti tappeti pure bianchi su cui risaltava la minima traccia di sporco, armadietti, scaffali e marmi bianchi, e accessori e sanitari che le ricordavano gli innumerevoli water, lavabi e vasche da bagno da cui aveva cercato di eliminare la ruggine. E quella sera c'era una novità: un grande cartello era affisso alla porta che dava sul terrazzo. Alvirah si avvicinò e cominciò a leggere: Un'ispezione compiuta nel fabbricato ha rivelato che questo è uno dei pochi appartamenti in cui sono state rinvenute gravi debolezze strutturali nel parapetto e nei divisori della terrazza. La stessa terrazza può essere utilizzata senza alcun rischio, ma si raccomanda agli inquilini di non appoggiarsi al parapetto e di non consentire a terzi di farlo. Le riparazioni saranno effettuate nel più breve tempo possibile. Dopo aver letto in silenzio, la donna riferì quelle parole al marito, poi scrollò le spalle. «Be', non sono così stupida da sporgermi da un parapetto, che sia o no sicuro.» Willy fece un sorrisetto impacciato. L'altezza lo spaventava moltissimo, e non aveva mai messo piede in terrazza. Come aveva osservato all'acquisto dell'appartamento: «Tu ami i terrazzi, io la terraferma». Mentre lui passava in cucina per mettere il bollitore sul fuoco, Alvirah aprì la portafinestra e uscì all'aperto. L'aria afosa la colpì come un'ondata, ma non se ne curò. C'era qualcosa di eccitante nello starsene lì, a guardare il panorama, a osservare il parco ricco di animazione festiva, con gli alberi decorati intorno alla Taverna nel Verde, i nastrini sui fanali delle macchine e la luce delle carrozzelle in lontananza. Oh, è bello essere tornata, pensò di nuovo mentre rientrava e con occhio esperto esaminava il soggiorno. Sapeva che gli addetti alle pulizie erano venuti il giorno prima, e la sorprese vedere delle ditate sul tavolino davanti
al divano. Senza riflettere, prese un fazzoletto e cominciò a strofinare con vigore il piano di vetro. Fu allora che notò la scomparsa di uno dei bracciali delle tende della portafinestra. Speriamo che non sia finito nell'aspirapolvere, pensò. Io, almeno, ero una buona donna delle pulizie, o meglio una che va a servizio, come aveva detto la hostess della British Airways. «Ehi, Alvirah», la chiamò in quel momento Willy. «Brian ha per caso lasciato un biglietto? Sembra quasi che aspettasse qualcuno.» Brian era l'unico figlio di Madaline, la sorella maggiore di Willy. Sei delle sue sette sorelle si erano ritirate in convento, Madaline, invece, sposatasi intorno alla quarantina, aveva partorito Brian quando era già prossima alla menopausa, e ora il ragazzo aveva ventisei anni. Era stato allevato nel Nebraska, dove aveva cominciato a scrivere commedie per una compagnia di repertorio e due anni prima, dopo la morte della madre, si era trasferito a New York. Gli istinti materni di Alvirah, mai prima venuti alla luce, avevano finalmente trovato l'occasione di esprimersi nei confronti del nipote acquisito, che, con il suo viso sottile e intenso, i capelli biondi sempre arruffati e il sorriso timido, costituiva senz'altro il candidato ideale. Come lei diceva spesso al marito: «Se me lo fossi portato dentro per nove mesi, non potrei amarlo di più». Quando in giugno erano partiti per l'Inghilterra, Brian stava terminando la prima bozza della sua nuova commedia ed era stato ben lieto di accettare le chiavi del loro lussuoso appartamento. «Sarà molto più comodo scrivere qui che a casa mia», era stato il suo riconoscente commento. Viveva infatti in un palazzo senza ascensore dell'East Village, circondato da famiglie rumorose. Alvirah andò in cucina e si guardò intorno, perplessa. Su un vassoio d'argento c'erano due flûte e una bottiglia di champagne infilata nell'apposito secchiello, riempito per metà d'acqua. Lo champagne era un dono dell'agente che si era occupato della vendita dell'appartamento, e che ne aveva più volte sottolineato il pregio: costava cento dollari a bottiglia ed era della marca preferita dalla regina d'Inghilterra. Willy aveva l'aria preoccupata. «È quella bottiglia costosissima, vero? Impossibile che Brian avesse deciso di stapparla. È molto strano...» Alvirah, che aveva aperto la bocca per rassicurarlo, la richiuse di scatto. Era davvero strano, e le sue antenne captaguai vibravano furiosamente. Suonò il campanello della porta; era il custode con i loro bagagli. «Mi scusi se ci ho messo tanto, signor Meehan. Ma da quando è iniziata la ristrutturazione, sono talmente numerosi gli inquilini che usano l'ascensore
di servizio che noi dobbiamo metterci in coda.» Dietro richiesta di Willy, depositò le valigie in camera da letto, poi uscì sorridendo, le dita strette intorno a una banconota da cinque dollari. Willy e Alvirah bevvero il tè in cucina, ma lui non riusciva a staccare gli occhi dalla bottiglia di champagne. «Chiamo il ragazzo», disse infine. «Sarà ancora a teatro», mormorò Alvirah, a cui bastò chiudere gli occhi e concentrarsi un momento per ricordare il numero telefonico della biglietteria. Willy lo compose, poi rimase in ascolto. «C'è una registrazione. Hanno sospeso le rappresentazioni della commedia di Brian, e spiegano la procedura da seguire per il rimborso dei biglietti.» «Oh, povero ragazzo», ansimò Alvirah. «Cercalo a casa.» «C'è la segreteria telefonica», mormorò Willy pochi istanti dopo. «Vorrà dire che gli lascerò un messaggio.» Alvirah si rese improvvisamente conto di essere stanchissima. Mentre raccoglieva le tazze, calcolò che in Inghilterra erano le cinque del mattino e che quindi aveva ogni diritto di sentirsi indolenzita fin nelle ossa. Infilò le tazze nella lavastoviglie e, dopo una breve esitazione, fece lo stesso con i flûte puliti. La baronessa Min von Schreiber, proprietaria della stazione termale di Cypress Point e sua amica, le aveva detto che le bottiglie di vino pregiato non devono stare in piedi. Con una spugna umida, diede una vigorosa strofinata alla bottiglia di champagne ancora chiusa e la distese sul piano di lavoro. Poi pulì il vassoio e il secchiello, li mise via, spense le luci e si trasferì in camera. Willy aveva cominciato a disfare i bagagli. Ad Alvirah, quella stanza piaceva molto. Il mobilio originariamente scelto per l'agente di cambio era costituito da un letto enorme, una grande toilette, comodini abbastanza larghi da potervi appoggiare libri, occhiali e il ghiaccio necessario per le sue ginocchia che soffrivano di reumatismi, e delle comode poltrone vicino alla finestra. La scelta cromatica, tuttavia, l'aveva convinta che il famoso arredatore doveva essere stato svezzato a candeggina. Copriletto bianco. Tende bianche. Tappeto bianco. Il custode aveva adagiato sul letto la valigia piatta che conteneva i suoi vestiti. Alvirah la aprì e cominciò a estrarne abiti e tailleur. La baronessa von Schreiber la supplicava sempre di non andare a fare shopping da sola. «Tesoro», diceva Min, «tu sei la vittima predestinata delle commesse a cui è stato ordinato di smaltire gli errori del compratore. Fiutano la tua presenza quando sei ancora nell'ascensore. Io sono spesso a New York e tu vieni
a Cypress Point parecchie volte all'anno. Ti accompagnerò io.» Alvirah si chiese se Min avrebbe approvato il tailleur scozzese arancio e rosa che la commessa di Harrod's le aveva tanto decantato. Era certa di no. Con le braccia cariche di indumenti, aprì le ante del suo ampio guardaroba, guardò dentro e strillò. Sdraiato sul fondo moquettato, tra file e file di scarpe femminili di grossa taglia fatte su misura, con gli occhi verdi rivolti verso l'alto, i capelli biondi arruffati, la lingua che sporgeva leggermente fra i denti e intorno al collo il bracciale della tenda, c'era il cadavere di una giovane donna. «Santa madre», gemette Alvirah, spalancando le braccia. I vestiti rovinarono a terra. «Che c'è, tesoro?» In un lampo, Willy le fu accanto. «Mio Dio», ansimò. «Ma chi diavolo è?» «È... è... lo sai. L'attrice. La protagonista della commedia di Brian. Quella di cui lui era innamorato pazzo.» Alvirah chiuse gli occhi, lieta di non vedere più quel volto cereo. «Fiona, ecco come si chiamava. Fiona Winters.» Appoggiandosi al marito che la abbracciava stretta, raggiunse uno dei divani del soggiorno, quello basso che le dava l'impressione di urtarsi il mento con le ginocchia, e ci si lasciò cadere. Mentre Willy telefonava al pronto intervento, Alvirah si sforzò di calmarsi. Non ci voleva una grande intelligenza per capire che la presenza del cadavere in casa loro metteva Brian in una situazione a dir poco incresciosa. Devo cercare di ricordare tutto quello che so di Fiona, si disse. Era talmente scortese con il mio povero ragazzo! Potrebbero aver litigato... Willy le si sedette accanto e le prese la mano. «Andrà tutto bene, tesoro. La polizia sarà qui tra pochi minuti.» «Prova di nuovo a chiamare Brian.» «Sì, buona idea.» Ma anche quel secondo tentativo andò a vuoto. «Di nuovo quella maledetta segreteria. Lascerò un altro messaggio. Tu intanto cerca di riposare.» Con un cenno d'assenso, Alvirah chiuse gli occhi e concentrò i propri pensieri sul debutto della commedia di Brian, avvenuto una sera d'aprile. La sala era affollata, ma il nipote aveva riservato per loro due posti centrali in prima fila, e per l'occasione Alvirah aveva indossato il suo nuovo abito di paillette nere e argento. La commedia, Ponti caduti, era ambientata nel Nebraska e descriveva una riunione di famiglia. Fiona Winters interpretava una ragazza brillante e snob, che si annoiava in compagnia dei suoi
poco sofisticati parenti acquisiti, e Alvirah dovette riconoscere che era assolutamente convincente. Tuttavia, le piaceva molto di più la seconda attrice, Emmy Laker, una graziosa ragazza con i capelli rossi e gli occhi azzurri, che recitava alla perfezione il suo personaggio, divertente ma venato di malinconia. La rappresentazione aveva ottenuto un successo clamoroso e Alvirah si era sentita piena di orgoglio nel momento in cui le grida di «fuori l'autore» avevano portato Brian sul palco. Quando poi lui si era sporto dal proscenio per tenderle un mazzo di fiori che qualcuno gli aveva messo in mano era scoppiata addirittura in lacrime. Alla cena che era seguita, organizzata al piano superiore della Gallagher's Steak House, Brian si era seduto fra la zia e Fiona Winters, mentre Willy e Emmy Laker si erano accomodati di fronte a loro. Alvirah non aveva impiegato molto a capire come stessero le cose. Brian tempestava la Winters di sguardi sciocchi e innamorati mentre lei, che si divertiva a ignorarlo, si vantava dell'elevata posizione sociale della sua famiglia con frasi del tipo: «I miei erano sconvolti quando dopo Foxcroft decisi di dedicarmi al teatro». Quindi aveva comunicato a Willy e a Brian, che addentavano con aria soddisfatta i loro sandwich con bistecca e contorno di patatine fritte, che erano dei probabili candidati all'infarto. Personalmente, lei non toccava mai carne. Riservava frecciate a tutti, rifletté Alvirah. A me chiese addirittura se sentivo la mancanza delle faccende domestiche. Commentò che Brian avrebbe dovuto imparare a vestirsi meglio. Perché noi non lo aiutavamo? Di denaro ne avevamo a sufficienza. Ed era saltata letteralmente addosso alla povera Emmy quando questa era intervenuta dicendo che Brian aveva cose più importanti da fare che pensare al suo guardaroba. Mentre tornavano a casa, Alvirah e Willy avevano gravemente concordato sul fatto che Brian aveva ancora molto da imparare, se non si rendeva conto di che tipo fosse Fiona. «Mi piacerebbe vederlo con Emmy Laker», aveva detto Willy. «Se facesse funzionare nel modo giusto quel suo grosso cervello, capirebbe che lei non aspetta altro. E che Fiona è una che dev'essersela spassata un bel po'. Avrà almeno otto anni più di lui.» Il campanello della porta la fece trasalire. Santa madre dei cieli, pensò Alvirah, deve essere la polizia. Come vorrei poter parlare con Brian! Le ore successive passarono come in sogno, cosa che tuttavia non impe-
dì ad Alvirah di prendere nota dei vari personaggi che a ondate invasero l'appartamento. Per primi arrivarono gli agenti in uniforme, poi gli agenti investigativi, i fotografi, il medico legale. Lei e Willy rimasero in silenzio a osservare. Vennero anche dei funzionari dagli uffici amministrativi delle Torri di Central Park Sud. «Ci auguriamo che questa storia non si traduca in pubblicità negativa», disse il direttore. «Questa non è l'Organizzazione Trump.» La polizia aveva raccolto da un pezzo le deposizioni di Alvirah e di Willy quando, alle tre del mattino, la porta della loro camera da letto si spalancò. «Non guardare, tesoro», fu il consiglio di Willy, ma lei scoprì di non riuscire a staccare gli occhi dalla lettiga che due inservienti gravi in volto stavano portando fuori. Notò con sollievo che il cadavere era stato coperto. Che riposi in pace, pregò, rivedendo con gli occhi della mente i capelli biondi e le labbra imbronciate di Fiona. Non era una persona simpatica, ma non per questo meritava di morire. Un uomo sulla quarantina, con delle lunghe gambe, andò a sedersi davanti a loro. «Sono l'agente investigativo Rooney», si presentò. «Leggo sempre i suoi articoli sul Globe, signora Meehan, e devo dire che li apprezzo moltissimo.» Willy lo ringraziò con un sorriso, ma Alvirah rimase sulle sue. Sapeva benissimo che l'agente Rooney la stava adulando nella speranza di indurla a confidarsi con lui. Intanto, la sua mente lavorava a pieno ritmo: doveva però esserci un modo per proteggere Brian! Quasi automaticamente sollevò la mano per attivare il minuscolo registratore nascosto nella spilla. Più tardi le sarebbe tornato utile per poter riascoltare quanto era stato detto. Rooney stava consultando i suoi appunti. «Secondo le vostre deposizioni, siete arrivati qui verso le ventidue, di ritorno da una vacanza all'estero. Avete trovato la vittima, Fiona Winters, poco dopo. L'avete riconosciuta perché era la protagonista della commedia di vostro nipote, Brian McCormack.» Alvirah annuì, e accorgendosi che Willy stava per parlare, gli posò una mano sul braccio. «Esatto.» «Da quanto capisco, avete incontrato la signorina Winters una volta soltanto. Secondo voi, com'è finita nel vostro armadio?» «Non ne ho idea», rispose Alvirah. «Chi ha le chiavi di questo appartamento?»
Di nuovo Willy fece per rispondere e di nuovo Alvirah gli pizzicò il braccio. «Le chiavi dell'appartamento...» cominciò con aria meditabonda. «Vediamo un po'... ne hanno una quelli dell'One-Two-Three Cleaning Service... be', non è del tutto vero. Si limitano a ritirarla in portineria e a lasciarcela di nuovo a lavoro finito. Poi la mia amica Maude. Viene sempre in occasione della festa della mamma per andare con il figlio e la nuora al Radio City. Hanno un gatto e dato che lei è allergica, preferisce dormire qui. Poi la sorella di Willy, suor Cordelia. E anche...» «Vostro nipote, Brian McCormack, ha una chiave?» la interruppe Rooney. Alvirah si morse il labbro inferiore. «Sì, Brian McCormack ha una chiave.» Questa volta l'agente investigativo alzò leggermente la voce. «Stando a quel che dice il custode, è venuto qui spesso durante la vostra assenza. A proposito, benché sia impossibile stabilirlo con assoluta certezza prima dell'autopsia, il medico legale calcola che la morte sia sopravvenuta fra le undici e le quindici di ieri.» Il suo tono si fece riflessivo. «Sarebbe interessante sapere dov'era il signor McCormack in questo lasso di tempo.» Li informò quindi che la polizia avrebbe dovuto prendere temporaneamente possesso della casa, per la rilevazione delle impronte digitali e di altri eventuali indizi. «Tutto è come lo avete trovato al vostro arrivo?» «A parte...» cominciò Willy. «A parte il fatto che ci siamo preparati il tè», lo interruppe Alvirah. Ci sarà tempo per parlargli dei flûte e dello champagne, pensò, ma questo non è il momento. Lui scoprirà comunque che Brian era pazzo di Fiona Winters e deciderà che si è trattato di un delitto passionale. Dopodiché farà il possibile per adattare ogni circostanza alla sua teoria. Rooney richiuse il taccuino. «Mi risulta che la direzione vi ha messo a disposizione un altro appartamento per la notte», concluse. Un quarto d'ora dopo, Alvirah era a letto accoccolata contro Willy, che sonnecchiava già. Benché fosse stanchissima, aveva difficoltà a rilassarsi in quell'ambiente sconosciuto. Soprattutto, la assillava il pensiero che le cose si stavano mettendo male per Brian. Eppure doveva esserci una spiegazione. Lui non avrebbe mai tirato fuori quella bottiglia di champagne da cento dollari, e di sicuro non avrebbe mai ucciso Fiona Winters. Ma allora chi aveva nascosto il cadavere nell'armadio? Sebbene fossero andati a letto molto tardi, la mattina dopo alle sette Al-
virah e Willy erano già in piedi. A mano a mano che si riprendevano dallo choc del ritrovamento, si scoprirono sempre più preoccupati per Brian. «Insomma, è inutile che ci tormentiamo in questo modo», disse a un certo punto Alvirah, fingendo una convinzione che non sentiva. «Sono sicura che sarà in grado di spiegare tutto. Chiediamo piuttosto se è possibile tornare a casa nostra.» Si vestirono in fretta, uscirono e trovarono Carlton Rumson in attesa davanti agli ascensori. La sua carnagione, di solito rosea, aveva una sfumatura giallastra e le occhiaie lo invecchiavano di dieci anni. Automaticamente, Alvirah si portò la mano alla spilla. «Signor Ramson! Ha saputo la terribile notizia dell'omicidio avvenuto nel nostro appartamento?» L'altro stava premendo vigorosamente il pulsante di chiamata. «In effetti sì, ho saputo. Ci hanno telefonato degli amici, anche loro inquilini del palazzo. Una vera tragedia per quella giovane signora, e anche per voi, naturalmente.» Arrivò l'ascensore ed erano già saliti quando disse: «Signora Meehan, mia moglie stamattina mi ha ricordato la commedia di suo nipote. Domani mattina partiamo per il Messico e sarei lieto di poterla leggere oggi». Alvirah era stupefatta. «Oh, è stata davvero gentile sua moglie a rammentarglielo. Con quello che è successo! Faremo in modo di mandarle al più presto una copia.» «Questa potrebbe essere la grande occasione di Brian», sussurrò tutta eccitata quando fu di nuovo sola con Willy. «Purché...» Si interruppe a metà frase nel vedere l'agente di guardia davanti alla porta del loro appartamento. Dentro, non c'era superficie che gli agenti non avessero imbrattato con la polvere per rilevare le impronte, e seduto davanti a Rooney, con un'espressione sconcertata e desolata sul viso, c'era Brian. Balzò in piedi nel vederli. «Alvirah, mi dispiace tanto! Dev'essere stato terribile per te.» In quel momento, secondo lei, non dimostrava più di dieci anni. La Tshirt e i pantaloni kaki erano gualciti; se si fosse vestito per fuggire da un edificio in fiamme non sarebbe apparso più in disordine. Gli scostò dalla fronte un ciuffo di capelli biondi mentre Willy gli afferrava la mano. «Stai bene?» Il nipote riuscì ad abbozzare un sorriso tremulo. «Credo di sì.» «Brian è appena arrivato e stavo appunto per comunicargli che è sospettato dell'omicidio di Fiona Winters», intervenne l'agente investigativo.
«Naturalmente, ha diritto a chiamare un avvocato.» «Sta scherzando?» Il tono di Brian era incredulo. «Le assicuro di no.» Rooney estrasse dal taschino un foglio di carta e, dopo avergli letto i suoi diritti, lo porse a Brian. «La prego di dirmi se le è tutto chiaro.» Guardò poi Alvirah e Willy. «Noi abbiamo finito. Potete riprendere possesso dell'appartamento. Brian, però, deve venire con me al commissariato per rilasciare la sua deposizione.» «Brian, non dire una sola parola finché non ti avremo trovato un avvocato», intervenne Willy, ma il ragazzo scosse la testa. «Non ho nulla da nascondere, zio. Non mi serve un avvocato.» Alvirah lo baciò. «Torna qui non appena avrai finito», gli raccomandò. Almeno, il disordine dell'appartamento le dava qualcosa da fare. Spedì via Willy con una lunga lista di acquisti e la raccomandazione di usare l'ascensore di servizio per evitare i giornalisti, poi si mise all'opera. Mentre passava l'aspirapolvere, strofinava e spolverava, Alvirah realizzò con crescente sgomento che la lettura dei propri diritti veniva fatta solo quando la polizia aveva buone ragioni per sospettare di qualcuno. Non le fu facile passare l'aspirapolvere all'interno del guardaroba. Le sembrava di rivedere gli occhi sbarrati di Fiona Winters fissi su di lei. Inevitabilmente, a quel pensiero ne seguì un altro. Naturalmente la povera ragazza non era stata uccisa nel guardaroba, ma allora dove era avvenuto lo strangolamento? Lasciò cadere il tubo dell'aspirapolvere ricordandosi delle impronte digitali sul tavolino del soggiorno. Se Fiona Winters era seduta sul divano, magari leggermente protesa in avanti, e il suo assassino l'aveva avvicinata da tergo, facendole scivolare il bracciale della tenda intorno al collo e torcendolo, lei non doveva aver istintivamente cercato un appoggio con la mano? «Santi del paradiso», bisbigliò Alvirah. «Scommetto che ho distrutto una prova.» Il telefono squillò proprio mentre stava appuntandosi la spilla al risvolto della giacca. Era la baronessa Min von Schreiber che la chiamava dalla stazione termale di Cypress Point, a Pebble Beach, in California. Aveva appena saputo la notizia. «Come diavolo è saltato in mente a quell'orribile ragazza di farsi ammazzare nel tuo armadio?» furono le sue prime parole. «Credimi, Min, l'ho incontrata una volta sola, alla prima della commedia di Brian. Ora la polizia lo sta interrogando e io sono preoccupata a morte. Credono che l'abbia uccisa lui.»
«Ti sbagli, Alvirah. Fiona Winters l'hai conosciuta qui da me.» «Mai più.» Alvirah era sicurissima di avere ragione. «Dava sui nervi in un modo tale che mi sarebbe stato impossibile dimenticarla.» Seguì una breve pausa. «Forse hai ragione», osservò alla fine Min. «Tu non c'eri quando venne. Era con un uomo, e passarono l'intero fine settimana nel cottage. Si facevano addirittura servire i pasti lì. Il suo amico era quel grosso produttore su cui lei stava cercando di mettere le mani. Carlton Rumson. Te lo ricordi, vero? Lo incontrasti qui in un'altra occasione, quando era solo.» Alvirah andò in soggiorno. Willy diventa nervosissimo quando vengo qui fuori, pensò, mentre usciva in terrazza. Ma è stupido da parte sua. Basta ricordare di non appoggiarsi al parapetto e non c'è alcun pericolo. L'aria era carica di umidità e gli alberi del parco erano immobili, ma lei fece comunque un sospiro di piacere. Nessuno che fosse nato a New York poteva starne lontano troppo a lungo. Arrivò Willy con i giornali. OMICIDIO IN CENTRAL PARK SUD, strillava un titolo di testa; e un altro: IL CADAVERE SCOPERTO DALLA VINCITRICE DI UNA LOTTERIA. Alvirah lesse con attenzione gli articoli traboccanti di dettagli sensazionali. «Io non ho affatto gridato e neppure sono svenuta», borbottò. «Dove diavolo hanno pescato un'idea simile?» «Secondo il Post, stavi appendendo il nuovo, favoloso guardaroba che avevi appena comperato a Londra», disse Willy. «Favoloso, figurarsi! L'unico acquisto importante che ho fatto è stato quel tailleur scozzese arancio e rosa... e so già che Min riuscirà a convincermi a darlo via.» Prevedibilmente, gli articoli parlavano moltissimo di Fiona. Il contrasto con la famiglia quando aveva scelto di darsi alla recitazione, la carriera contrassegnata da alti e bassi... Aveva vinto un Tony ma si era fatta la reputazione di un'attrice difficile, e il suo brutto carattere le era costato parecchi ruoli importanti. Infine, la recente rottura con il commediografo Brian McCormack, quando aveva accettato una parte in un film piantando improvvisamente in asso la commedia Ponti caduti, e costringendo il teatro a sospendere le rappresentazioni. «Ecco il movente», fece Alvirah con voce piatta. «Entro domani, i giornali istruiranno un vero e proprio processo e Brian sarà riconosciuto colpevole.»
Brian tornò alle dodici e mezzo. Alvirah lanciò un'occhiata al suo viso pallidissimo e gli intimò di sedersi. «Ti preparo una tazza di tè e un hamburger», borbottò. «Sembri sul punto di svenire.» «Credo che un po' di scotch andrebbe meglio», osservò Willy, guadagnandosi un sorriso tirato da parte del nipote. «Mi sa che hai ragione, zio.» Mentre mangiava gli hamburger e le patatine fritte, raccontò loro quello che era successo. «Lo giuro, a un certo punto ho temuto che non mi avrebbero lasciato venir via. Sono certi che sia il colpevole.» «Ti dispiace se accendo il registratore?» chiese Alvirah. «Vorrei che ci ripetessi esattamente quello che gli hai raccontato.» Il ragazzo si accigliò. «Be', ho parlato molto dei miei rapporti personali con Fiona. Ero stufo di quel suo pessimo carattere e mi stavo innamorando di Emmy. Ho spiegato che il suo abbandono della commedia è stato l'ultima goccia.» «Ma come è arrivata nel mio guardaroba?» Alvirah non riusciva a capacitarsi. «Devi essere stato per forza tu a farla entrare nell'appartamento.» «Infatti. Ho lavorato molto qui da voi. Poi, l'altro ieri, sapendo che stavate per tornare, ho portato via la mia roba. Ieri Fiona mi ha telefonato per dirmi che era di nuovo a New York e che voleva vedermi. Per sbaglio, avevo lasciato i miei appunti per l'ultima stesura in questa casa, insieme con la copia di riserva. Le ho risposto di non stare a sprecare tempo, perché stavo tornando a prendere la mia roba e dopo mi sarei messo alla macchina per scrivere e non avrei risposto né alla porta né al telefono. Lei però si è fatta trovare qui sotto, e per evitare una scenata in pubblico ho preferito farla salire.» «Che cosa voleva?» chiesero Alvirah e Willy all'unisono. «Oh, niente di che. Solo la parte di protagonista in Notti nel Nebraska.» «Dopo che ti aveva mollato in quel modo!» «Oh, è stata la migliore recitazione della sua vita. Mi ha supplicato di perdonarla. Ha detto che era stata una sciocca a lasciare Ponti caduti. La sua parte nel film era stata considerevolmente ridotta e il fatto di aver abbandonato la commedia si era ritorto contro di lei. Voleva sapere se avevo finito Notti nel Nebraska e... insomma, sono umano anch'io. Ho cominciato a vantarmi, e le ho detto che ci sarebbe voluto del tempo per trovare il produttore giusto, ma che sarebbe stata il mio grande successo.» «Lei l'aveva letta?» volle sapere Alvirah.
Brian guardava le foglioline di tè depositatesi in fondo alla tazza. «Conosceva a grandi linee la trama e sapeva che c'era un ruolo interessantissimo per un'attrice giovane.» «Certo non glielo avrai promesso!» Brian scosse la testa. «Zia Alvirah, so che mi ha fatto fare la figura dello sciocco, ma neppure lei poteva giudicarmi idiota a tal punto. Mi ha proposto un accordo. Stando a quel che mi ha detto, conosceva uno dei maggiori produttori di Broadway, e se fosse riuscita a contattarlo e lui avesse acconsentito a finanziare il progetto, lei si sarebbe presa la parte di Diane... di Beth, voglio dire.» «Che sarebbe...» fece Willy. «Il nome della protagonista. L'ho modificato ieri sera, nell'ultima stesura. Le ho risposto che non le credevo, ma che se davvero ci fosse riuscita... ebbene, forse avrei preso in considerazione la sua proposta. Dopodiché ho preso i miei appunti e ho cercato di portarla fuori di qui. A quel punto, lei ha detto che aveva un'audizione al Lincoln Centre e che le sarebbe piaciuto fermarsi ancora un'oretta. È stata molto insistente, e alla fine ho ceduto, pensando che dopo tutto non c'era nulla di male a lasciarla qui e andarmene finalmente a lavorare. L'ultima volta che l'ho vista era quasi mezzogiorno; era seduta proprio lì, su quel divano.» «Lei sapeva che avevi qui una copia della nuova commedia?» chiese Alvirah. «Certo. L'ho tirata fuori dal cassetto del tavolo per recuperare gli appunti.» Indicò l'ingresso. «È lì.» Alvirah si alzò e a passi frettolosi passò di là. Come aveva previsto, il cassetto era vuoto. Emmy Laker sedeva immobile sulla poltroncina del suo monolocale nel West Side. Da quando il notiziario delle sette l'aveva informata della morte di Fiona, aveva cercato più volte di mettersi in contatto con Brian, ma senza esito. Forse lo avevano arrestato? Dio, non lui, pregò. Che cosa devo fare? si chiese. Lanciò un'occhiata disperata al bagaglio accatastato in un angolo della stanza. Il bagaglio di Fiona. Il giorno prima, il campanello di casa sua era squillato alle otto e trenta. Quando aveva aperto, Fiona si era precipitata dentro. «Come diavolo fai a vivere in una casa senza ascensore?» era stato il suo saluto. «Grazie a Dio, c'era un ragazzo che doveva effettuare una consegna e le valigie me le ha portate su lui.» Dopo averle depositate in un angolo, si era accesa una siga-
retta. «Me ne sono andata. Che idiota sono stata ad accettare quel ruolo. Ho mandato il regista a quel paese e lui mi ha licenziata. Sto cercando di raggiungere Brian. Tu sai dov'è?» A quel ricordo, Emmy si sentì nuovamente travolgere dalla collera. Quasi le sembrava di rivederla, con i capelli biondi arruffati, infilata in una tuta che delineava i contorni del suo corpo perfetto, gli occhi da gatta insolenti e sicuri. Era sicura di potersi riprendere Brian perfino dopo il modo in cui l'aveva trattato, pensò Emmy, ricordando quanto avesse sofferto quando lui e Fiona stavano insieme. Possibile che tutto ricominciasse? Il giorno prima lo aveva creduto. Fiona aveva continuato a telefonare a Brian finché non lo aveva trovato. «Ti dispiace se lascio qui la mia roba?» aveva chiesto a Emmy, dopo aver riattaccato. «Brian deve fare un salto a casa di quella tizia, la donna delle pulizie. Mi farò trovare lì.» E con un'alzata di spalle aveva aggiunto: «È un ragazzo maledettamente provinciale, ma ti sorprenderebbe sapere quanta gente lo conosce sulla West Coast. Devo ammettere che, da quanto ho sentito dire di Notti nel Nebraska, la commedia ha tutti i numeri per sfondare... e io intendo recitare la parte della protagonista». Emmy si alzò. Si sentiva il corpo irrigidito, dolente. Il vecchio condizionatore d'aria faceva del suo meglio, ma la stanza restava calda e umida. Una doccia fredda e una tazza di caffè, decise. Forse mi schiariranno la mente. Aveva bisogno di vedere Brian. Di sentire le sue braccia intorno al corpo. Non mi dispiace che Fiona sia morta, ammise con se stessa, ma oh, Brian, come hai potuto pensare di farla franca? Aveva appena indossato una T-shirt e una gonna di cotone, e si era raccolta i lunghi capelli in uno chignon quando il citofono ronzò. Era l'agente investigativo Rooney che voleva parlarle. «Stiamo cominciando a capirci qualcosa», disse Alvirah. «Brian, hai per caso dimenticato qualche particolare importante? Per esempio, sei stato tu a mettere lo champagne della regina nel secchiello d'argento, ieri?» Lui le lanciò uno sguardo perplesso. «No di certo. Perché avrei dovuto?» «Non lo credevo, infatti.» Santo cielo, che razza di pasticcio! pensò Alvirah. Fiona aveva un'audizione, quindi non poteva trattenersi a lungo. Scommetto che ha telefonato a Carlton Rumson per invitarlo qui. Ecco il motivo dei flûte e dello champagne. Gli ha consegnato il copione, poi però devono aver litigato. Ma come posso dimostrarlo? La donna rifletté per un
attimo poi guardò il nipote. «Voglio che tu vada a casa a prendere la versione definitiva della commedia. Ho parlato con Carlton Rumson, e desidera leggerla oggi.» «Rumson!» esclamò Brian. «E il più importante produttore di Broadway, e anche il più inaccessibile. Cos'è, sei diventata una maga, per caso?» «Ti spiego tutto più tardi. Lui e sua moglie stanno per partire, quindi vediamo di battere il ferro finché è caldo.» Brian lanciò un'occhiata al telefono. «Sarà meglio che chiami Emmy. Di sicuro ormai avrà saputo di Fiona.» Fece il numero, attese e lasciò un messaggio: «Emmy, ho bisogno di parlarti. Sono da mia zia Alvirah e sto andando a casa». «A quanto pare è fuori», dichiarò deluso, mentre riattaccava. Quando sentì la voce di Brian al telefono, Emmy non accennò a sollevare la cornetta. L'agente investigativo Rooney, che le sedeva di fronte, le aveva appena chiesto di descrivere nei particolari ciò che aveva fatto il giorno prima. Ora stava inarcando il sopracciglio. «Poteva rispondere. Non mi secca aspettare.» «Parlerò con Brian dopo», disse Emmy. Fece una pausa, scegliendo con cura le parole. «Sono uscita di casa verso le undici per andare a fare jogging nel parco. Sono rientrata verso l'una e mezzo e sono rimasta a casa per il resto della giornata.» «Sola?» «Sì.» «Dunque ieri non ha visto Fiona Winters?» Gli occhi di Emmy si posarono involontariamente sulle valigie accatastate in un angolo. «Io...» Si azzitti subito. «Emmy, credo sia doveroso da parte mia avvertirla che è nel suo interesse dirmi la verità.» Rooney consultò i suoi appunti. «Fiona Winters è arrivata in volo da Los Angeles verso le sette e mezzo del mattino. Ha preso un taxi per venire qui. Un fattorino che l'ha aiutata a portare su i bagagli l'ha riconosciuta. A lui, la Winters ha detto che lei non sarebbe stata troppo contenta di vederla, dato che stava dietro al suo ragazzo. Quando la signorina Winters è uscita, lei l'ha seguita. Uno dei portieri di Central Park Sud l'ha riconosciuta. Si è seduta su una panchina sull'altro lato della strada e da lì ha sorvegliato il palazzo per quasi due ore; dopodiché è entrata dalla porta di servizio, lasciata aperta per gli imbianchini.» Il tono di Rooney si
fece confidenziale. «È salita nell'appartamento dei Meehan, vero? La signorina Winters era già morta?» Emmy si guardava le mani. Brian la prendeva sempre in giro per la loro piccolezza. «Piccole, ma forti», diceva ridendo quando per gioco la sfidava a braccio di ferro. Brian. Qualsiasi cosa lei avesse detto lo avrebbe comunque danneggiato. Alzò gli occhi sull'agente investigativo. «Voglio parlare con un avvocato.» Rooney si alzò. «È un suo diritto, naturalmente. Vorrei però ricordarle che se Brian McCormack ha ucciso la sua ex amante, lei potrebbe venire accusata di favoreggiamento per aver nascosto elementi utili alle indagini. E le assicuro che questo non gioverebbe alla posizione di lui. Prevediamo che ci sarà un'imputazione formale da parte del Gran Giurì.» Di ritorno a casa, Brian trovò un messaggio di Emmy sulla segreteria. «Richiamami. Per favore.» Lui compose il numero quasi con frenesia. «Pronto?» La voce di lei era appena un bisbiglio. «Emmy? Che sta succedendo? Prima ti ho cercato, ma non c'eri.» «Ero qui, ma stavo parlando con un agente investigativo. Brian, devo vederti.» «Prendi un taxi e vai a casa di mia zia. Sto andando là anche io.» «Voglio parlarti da sola. Si tratta di Fiona. Ieri è venuta qui. L'ho seguita fino all'appartamento.» Brian si sentì improvvisamente la bocca asciutta. «Non dire altro al telefono.» Alle quattro del pomeriggio, il campanello della porta squillò insistentemente. «È Brian che ha dimenticato la chiave», disse Alvirah saltando in piedi. «L'ho vista sul tavolo nell'ingresso.» Ma sulla porta c'era Carlton Rumson. «La prego di scusarmi per l'intrusione, signora Meehan», disse entrando. «Ho accennato a uno dei miei assistenti che intendevo dare un'occhiata al copione dell'ultima commedia di suo nipote. Lui ha visto la prima e l'ha giudicata molto buona. Intendevo andare a vederla, ma non ho fatto in tempo.» In soggiorno, Rumson si sedette e cominciò a tamburellare con le dita sul tavolino davanti al divano. Sembrava nervoso. «Posso offrirle qualcosa da bere?» fece Willy. «Magari una birra?» «Oh, Willy», lo rimproverò Alvirah. «Sono sicura che il signor Rumson beve solo champagne della miglior qualità. Devo averlo letto su People.»
«In effetti è proprio così, ma non adesso, la ringrazio.» L'espressione del produttore era affabile, ma Alvirah notò una vena che pulsava sulla sua gola. «Dove posso trovare suo nipote?» «Sarà qui a momenti. Le telefonerò non appena arriva.» «Io sono un lettore rapido. Se è così gentile da mandarmi su il copione, lui e io potremmo incontrarci dopo un'ora o poco più.» «Che te ne pare?» domandò Alvirah quando Rumson si fu congedato. «Per essere un grosso produttore, è maledettamente nervoso. Detesto le persone che tamburellano sui tavoli. Mi dà sui nervi.» «Di certo lui è nervoso, e non ne sono sorpresa», replicò lei, accompagnando con un sorriso quelle misteriose parole. Meno di un minuto dopo, il campanello squillò di nuovo. Era Emmy Laker, con un paio di occhiali scuri che le coprivano mezza faccia, una Tshirt troppo larga per il suo corpicino snello e una gonna di cotone larga e colorata. Ad Alvirah sembrò che non avesse più di sedici anni. «L'uomo che se n'è appena andato...» balbettò la ragazza. «Chi è?» «Carlton Rumson, il produttore. Perché?» «Perché...» Emmy si tolse gli occhiali, rivelando gli occhi gonfi. Alvirah le posò le mani sulle spalle in un gesto rassicurante. «Qualcosa non va?» «Non so cosa fare», gemette lei. «Non so cosa fare.» Quando rientrò nel suo appartamento, Carlton Rumson aveva la fronte imperlata di sudore. Quell'Alvirah Meehan non era una sciocca, e sicuramente il suo accenno allo champagne non era stato casuale. Quanto sospettava? Victoria era in terrazza; le sue mani sfioravano con leggerezza il parapetto. «Ma Cristo santo», alitò lui, raggiungendola. «Non hai letto gli avvisi? Basta una spinta come si deve e quel parapetto va giù.» Quel giorno, Victoria indossava pantaloni larghi bianchi e una maglia candida come la neve. Cupamente, Rumson pensò che era un vero peccato che quella giornalista mondana avesse scritto che, con la sua bionda bellezza, Victoria avrebbe dovuto vestirsi solo di bianco. Lei aveva preso il consiglio alla lettera. Il suo conto della tintoria avrebbe mandato in rovina qualsiasi uomo. Lei si voltò a guardarlo. «Ho notato che, quando qualcosa ti turba, finisci sempre per prendertela con me», osservò in tono pacato. «Sapevi che Fiona Winters si trovava in questo edificio? Forse l'avevi chiamata tu.»
«Vic, non vedevo Fiona da quasi due anni. Peggio per te se non mi credi.» «L'importante è che tu non l'abbia vista ieri, tesoro. A quanto pare, la polizia sta facendo un sacco di domande. Prima o poi scopriranno che tu e lei eravate 'in intimità', come dicono i giornalisti. Ti sei procurato una copia della commedia di McCormack? Ho una delle mie sensazioni a proposito di quel lavoro.» Rumson si schiarì la gola. «Quella signora, la Meehan, me ne farà portare una da lui. Dopo che l'avrò letta, scenderò a parlargliene.» «Vorrei leggerla anch'io. Magari potrei accompagnarti giù a casa loro. Mi interessa vedere quali sono i gusti di una donna delle pulizie in fatto di arredamento.» Infilò il braccio sotto quello del marito. «Povero tesoro. Si può sapere perché sei così nervoso?» Quando Brian arrivò, con la commedia sotto il braccio, Emmy era sdraiata sul divano, coperta da un plaid. Alvirah, che aveva aperto la porta, rimase a osservare il nipote inginocchiarlesi accanto e prenderla tra le braccia. «Vi lascio soli, avrete da parlare», disse. Willy era in camera da letto. «Quale, tesoro?» le chiese mostrandole due giacche sportive. Alvirah aggrottò la fronte. «So che vuoi essere elegante per la festa di pensionamento di Pete, ma non devi dare l'impressione di volerti mettere in mostra. La giacca blu, direi, con i pantaloni bianchi sportivi.» «Non mi piace l'idea di lasciarti sola stasera», borbottò Willy. «Be', non puoi mancare alla cena di Pete. E, Willy, lascia che telefoni per prenotare una macchina con l'autista.» «Cara, paghiamo un sacco di soldi per tenere qui la nostra auto in garage. È inutile buttare via il denaro.» «Va bene, allora, ma se dovesse capitarti di bere un po' troppo, promettimi di non tornare a casa in macchina. Fermati a dormire nel nostro vecchio appartamento. Lo sai che cosa ti succede quando ti vedi con i ragazzi.» Willy fece un sorriso mortificato. «Se mi scopro a cantare 'Danny Boy', quello sarà il segnale che ho esagerato.» «Esattamente», approvò Alvirah. «Tesoro, dopo il viaggio e quello che è successo ieri notte, sono così stanco che berrò qualche birra con Pete e poi mi precipiterò a casa.» «Non sarebbe carino da parte tua. Alla festa che organizzammo dopo la
vincita, Pete si fermò fino al mattino. Piuttosto, andiamo a parlare con i due colombi.» Trovarono Brian ed Emmy seduti vicini, le mani intrecciate. «Avete chiarito tutto?» indagò Alvirah. «Non proprio», sospirò Brian. «A quanto pare, quando Emmy si è rifiutata di rispondere alle sue domande, l'agente Rooney l'ha strapazzata ben bene.» Alvirah accese il minuscolo registratore. «Voglio sapere tutto quello che ti ha chiesto.» Emmy era un po' esitante, ma, a mano a mano che raccontava, si rilassò. «Brian, ti accuseranno dell'omicidio», concluse. «Quell'uomo ha cercato di farmi dire cose che ti avrebbero danneggiato.» «Il che significa che tu hai cercato di proteggermi.» Brian sembrava sorpreso. «Ma non ce n'era bisogno. Io non ho fatto nulla. Credevo che...» «Credevi che fosse lei a trovarsi nei guai», concluse Alvirah per lui. Con Willy, andò a sedersi all'altro capo del divano. Brian ed Emmy erano proprio di fronte al punto del tavolo su cui lei aveva scorto le impronte. La tenda si trovava leggermente sulla destra e a chi sedeva sul divano il bracciale sarebbe apparso in piena vista. «Ho una cosa da dirvi», annunciò. «Ciascuno dei due pensa che l'altro possa essere coinvolto in questo delitto... ma vi sbagliate entrambi. È indispensabile, però, che mi raccontiate tutto quello che sapete o pensate di sapere. Brian, c'è qualcosa che hai taciuto del tuo incontro di ieri con Fiona Winters?» «Nulla», asserì lui. «Molto bene. E tu, Emmy?» La ragazza si alzò e andò verso la finestra. «Adoro questo panorama», mormorò. Si volse verso i Meehan. «Sono stata qui qualche volta, sapete. Ieri, quando Fiona è uscita da casa mia per incontrarsi con Brian, avevo perso la testa. Solo pochi mesi fa era così preso da lei! Fiona è... era il tipo di donna che attira gli uomini. E io avevo una gran paura che Brian ci ricascasse.» «Non avrei mai...» cominciò a protestare il ragazzo, ma Alvirah lo interruppe: «Zitto, Brian». «Sono rimasta seduta a lungo su una panchina del parco», riprese Emmy. «Ho visto Brian uscire. Quando Fiona non è comparsa, inizialmente ho pensato che lui le avesse detto di aspettare. Alla fine ho deciso di raggiungerla per chiarire le cose una volta per tutte. Sono salita con l'a-
scensore di servizio perché non volevo che qualcuno mi vedesse. Ho suonato il campanello più volte ma dopo un po', vedendo che nessuno veniva ad aprire, me ne sono andata.» «Tutto qui?» si stupì Brian. «Perché avevi paura di riferirlo all'agente Rooney?» «Perché, dato che Fiona non ha aperto, quando ha saputo dell'omicidio ha pensato che tu l'avessi uccisa», disse semplicemente Alvirah. «Emmy, perché mi hai chiesto di Carlton Rumson, poco fa? L'hai visto ieri, vero?» «Era davanti a me in corridoio, diretto all'ascensore principale. Aveva un'aria familiare, ma non l'ho riconosciuto che poco fa, quando l'ho rivisto.» Alvirah si alzò. «Io dico che dovremmo chiamare il signor Rumson e chiedergli di scendere, e credo che dovremmo anche avvisare l'agente investigativo Rooney. Prima, però, dai a Willy la tua commedia, Brian. La porterà lui su dai Rumson. Vediamo... sono quasi le cinque. Willy, chiedi al signor Rumson di telefonarci non appena l'avrà letta.» Suonò il citofono. Fu Willy a rispondere. «Rooney», annunciò. «Sta cercando te, Brian.» Non c'era traccia di cordialità nei modi dell'agente investigativo. «Signor McCormack, deve tornare con me al distretto per rispondere ad alcune domande. Le ho già letto i suoi diritti e vorrei ricordarle ancora una volta che tutto quello che dirà potrà essere usato contro di lei.» «Lui non va da nessuna parte», intervenne Alvirah con decisione. «Signor Rooney, ho un rimprovero da farle.» Erano quasi le sette quando Carlton Rumson telefonò. I Meehan avevano raccontato a Rooney dello champagne e dei bicchieri, delle impronte sul tavolino del soggiorno e dell'incontro di Emmy con Carlton Rumson, ma ad Alvirah non era sfuggita l'indifferenza del poliziotto. Si rifiuta di ascoltare qualunque cosa possa scagionare Brian, pensò. Fu con una certa meraviglia che, pochi minuti dopo, vide entrare i due Rumson. Victoria inalberava un sorriso radioso mentre prendeva fra le sue le mani di Brian. «Ho letto la sua commedia», disse. «Lei è davvero un nuovo Neil Simon. Congratulazioni.» Quando gli fu presentato l'agente Rooney, Carlton Rumson impallidì. Rivolgendosi a Brian farfugliò: «Mi dispiace moltissimo di avervi interrotti. Sarò breve. La sua commedia è magnifica, vorrei un'opzione su di essa. Se il suo agente fosse così cortese da telefonare al mio ufficio, domani...»
Victoria Rumson si era accostata alla portafinestra. «È stata molto saggia a non nascondere il panorama», disse ad Alvirah. «Il mio arredatore ha messo tante di quelle tende e veneziane che adesso l'impressione è di trovarsi di fronte a un vicolo.» In previsione di quella visita, doveva aver preso una dose massiccia di pillole della cortesia, pensò acida Alvirah. «Perché non vi sedete?» suggerì in quel momento Rooney. E subito dopo chiese: «Signor Rumson, lei conosceva Fiona Winters?» Alvirah cominciò a pensare di aver sottovalutato l'agente investigativo, che ora scrutava attentamente il produttore. «Sì», rispose Carlton. «La signorina Winters ha recitato in parecchie delle mie produzioni... anni fa.» Si era seduto accanto alla moglie e Alvirah notò che la sbirciava con fare ansioso. «Non mi interessa il passato», replicò l'agente. «Ma quello che è successo ieri. L'ha vista?» «No.» Ad Alvirah, Rumson parve inquieto e stranamente sulla difensiva. «Per caso Fiona le ha telefonato da questo appartamento?» domandò allora. «Signora Meehan, se non le dispiace vorrei essere io a condurre l'interrogatorio», la tacitò il poliziotto. Aveva parlato in tono brusco, e Willy arruffò subito le penne. «La prego di mostrarsi più rispettoso con mia moglie.» Victoria Rumson allungò un colpetto al braccio del marito. «Tesoro, se stai cercando di non urtare i miei sentimenti, ti prego di non preoccuparti. Se quell'impossibile Winters aveva ricominciato a tormentarti, ti prego, non avere paura di dire esattamente che cosa voleva da te.» Rumson sembrava invecchiare a vista d'occhio. Quando parlò, la sua voce era stanchissima. «Come ho appena detto, Fiona Winters ha recitato in parecchie delle mie produzioni. Lei...» «Avevate una relazione», lo interruppe Alvirah. «Frequentavate insieme la stazione termale di Cypress Point.» «Non ci vedevamo da molti anni», riprese il produttore. «Ma, sì, ieri verso mezzogiorno mi ha telefonato. Per dirmi che aveva una commedia che dovevo assolutamente leggere. Era un successo sicuro, ha detto, e lei voleva la parte della protagonista. Io aspettavo una telefonata dall'Europa e ho accettato di scendere a incontrarla di lì a un'ora.» «Dunque Brian era già uscito, quando Fiona le ha telefonato», esultò
Alvirah. «Ecco il motivo dei flûte e della bottiglia di champagne. Erano per lei.» «È entrato in questa casa, signor Rumson?» chiese Rooney. Di nuovo il produttore esitò. «Coraggio, tesoro», lo esortò la moglie. Evitando lo sguardo del poliziotto, Alvirah annunciò: «Era l'una passata da poco quando Emmy l'ha vista qui fuori, in corridoio». Questa volta Rumson non si trattenne. «Signora Meehan, l'avverto che non tollererò altre insinuazioni! Temevo che Fiona avrebbe continuato a tormentarmi, se non avessi messo subito le cose in chiaro. Così sono sceso e ho suonato il campanello. Ma nessuno è venuto ad aprirmi. Dato che la porta non era completamente chiusa, sono entrato e l'ho chiamata. Volevo solo farla finita e andarmene.» «Dunque è entrato?» lo incalzò Rooney. «Sì, ho attraversato questa stanza e ho dato una guardatina in cucina e in camera da letto. Lei non c'era. Allora ho supposto che avesse cambiato idea, e le assicuro che è stato un bel sollievo. Quando però stamattina ho saputo della sua morte, tutto quello che sono riuscito a pensare è che forse al mio arrivo il suo cadavere era già nel guardaroba, e che sarei finito nei guai.» Guardò la moglie. «A questo punto immagino di esserci, e fino al collo, ma ti giuro che ho detto la verità.» Victoria gli sfiorò la mano. «Non riusciranno a trascinarti in questa storia», lo rassicurò. «Che impudenza quella donna! Pensare di poter aspirare al ruolo di protagonista in Notti nel Nebraska!» Si voltò a guardare Emmy. «La parte di Diane dovrebbe essere interpretata da una ragazza della sua età.» «E infatti toccherà a Emmy», intervenne Brian. «Solo che non glielo avevo ancora detto.» Rooney chiuse il taccuino. «Signor Rumson, devo chiederle di accompagnarmi alla stazione di polizia. Emmy, vorrei anche da lei una deposizione dettagliata. E, Brian, avremmo bisogno di parlarle ancora e le consiglio caldamente di procurarsi un avvocato.» «Un minuto!» Alvirah era indignata. «Non può dare credito al signor Rumson a scapito di mio nipote.» Ecco che se ne va l'opzione sulla commedia, pensò, ma la salvezza di Brian è molto più importante. «Lei sta insinuando che Brian ha fatto per andarsene, e che poi però è tornato indietro per dire a Fiona di levare le tende e ha finito per ucciderla. Invece, io credo che sia andata in tutt'altro modo. Rumson è venuto qui e ha litigato con
Fiona. L'ha strangolata, ma è stato abbastanza intelligente da portarsi via il copione che lei gli aveva mostrato.» «È una menzogna!» esplose Rumson. «Ora basta!» ordinò Rooney. «Emmy, signor Rumson, Brian, ho la macchina di sotto.» Quando la porta si chiuse alle loro spalle, Willy si accostò ad Alvirah e la prese tra le braccia. «Tesoro, non vado alla festa di Pete. Non posso lasciarti in queste condizioni. Sembri sul punto di crollare.» Lei ricambiò il suo abbraccio. «Niente affatto. Ho registrato la nostra conversazione, e ho bisogno di un po' di tempo per ascoltare tutto da capo e riflettere con calma. Tu vai e divertiti.» Ad Alvirah l'appartamento sembrò terribilmente silenzioso dopo che Willy fu uscito. Decise che un bagno caldo nella Jacuzzi le avrebbe tolto un po' di rigidità dalle membra e schiarito la mente. Dopo, indossò la sua camicia da notte preferita e l'accappatoio a righe del marito. Posò sulla tavola della sala da pranzo il costoso registratore regalatole dal direttore del New York Globe, tolse dalla spilla la minuscola cassetta e, inseritala, premette il tasto rewind. Non dimenticò neppure di infilarne una nuova nella spilla, nel caso avesse voluto fare ad alta voce le sue riflessioni. Quindi si sedette a riascoltare le conversazioni avute con Brian, con Rooney, con Emmy e con i Rumson. C'era qualcosa in quanto diceva Carlton che la disturbava, ma che cosa? Metodicamente, riesaminò il suo primo incontro con la coppia. Lui quella sera era stato piuttosto freddo, ma, quando si erano rincontrati il mattino seguente, l'aveva trattata con estrema cortesia, arrivando a ricordarle il proprio interesse per la commedia di Brian. Eppure, proprio Brian le aveva detto che Carlton Rumson era uno dei produttori più inaccessibili. È questo, pensò allora. Lui sapeva già che la commedia era buona. Naturalmente, però, non l'avrebbe mai ammesso. Lo squillo del telefono la colse di sorpresa. Si affrettò a rispondere. Era Emmy. «Signora Meehan», bisbigliò la ragazza. «Stanno ancora interrogando Brian e il signor Rumson, ma sono convinti che il colpevole sia Brian.» «Ho appena capito tutto», la informò Alvirah, trionfante. «Quando hai incontrato Rumson nell'atrio, l'hai guardato bene?» «Sì.» «In questo caso ricorderai se aveva il copione. Insomma, se ha detto la
verità, non poteva avere nulla con sé. Ma se lui e Fiona hanno parlato della commedia e lui ne ha letto almeno una parte prima di ucciderla, doveva per forza averlo preso. Emmy, credo di aver risolto il caso.» La voce della ragazza era appena udibile. «Signora Meehan, posso giurarle che Rumson non aveva nulla con sé quando l'ho visto. E se Rooney mi facesse la stessa domanda? Dirgli la verità potrebbe danneggiare Brian.» «Devi dirgliela comunque», mormorò tristemente Alvirah. «Ma non preoccuparti. Non ho alcuna intenzione di darmi per vinta.» Riappese e si rimise al lavoro con i suoi nastri. Ascoltò parecchie volte la conversazione avuta con il nipote. Qualcosa continuava a sfuggirle. Finalmente si alzò, pensando che una boccata di aria fresca le avrebbe fatto bene. Anche se l'aria di New York non poteva definirsi esattamente fresca, pensò mentre apriva la portafinestra. Questa volta andò diritta al parapetto e vi posò sopra con cautela le mani. Se Willy fosse qui gli verrebbe un colpo, si disse; ma non ho nessuna intenzione di appoggiarmici con tutto il peso. Il fatto è che questa vista sul parco è talmente riposante! Credo che uno dei ricordi più felici della mamma fosse quello del giorno in cui, a sedici anni, la portarono qui a fare un giro in slitta. Ne parlava sempre. Fu la sua amica Beth a invitarla in occasione del suo compleanno. Beth! Beth! Ecco cos'era, pensò Alvirah. Risentì Brian che raccontava come Fiona Winters avesse preteso il ruolo di Diane. Subito dopo, lui si era corretto e aveva detto: Beth. Alla domanda dello zio, aveva spiegato che era il nome della protagonista della nuova commedia e che lo aveva modificato nell'ultima stesura. Alvirah accese il registratore e si schiarì la gola. Quando avesse scritto l'articolo per il Globe, il resoconto fedele delle sue prime impressioni le sarebbe stato utile. «Non è stato Rumson a uccidere Fiona Winters», cominciò con voce sicura, «bensì sua moglie, Vicky la Candida. È stata lei a insistere perché il marito leggesse la commedia. È stata lei a dire a Emmy che la parte di Diane avrebbe dovuto essere sua. Non sapeva che Brian aveva cambiato il nome. Era sicuramente in ascolto quando Fiona ha telefonato al marito, e l'ha raggiunta qui mentre lui aspettava quella chiamata dall'Europa. Non voleva che Fiona tentasse di portarglielo via una seconda volta, così l'ha uccisa e ha sottratto il copione. Era quella la copia che ha letto, non l'ultima stesura.» «Davvero intelligente da parte sua», disse una voce alle sue spalle.
Alvirah sentì due mani forti sulla nuca, ma quando cercò di girarsi, Victoria la schiacciò contro il parapetto. Come aveva fatto a entrare? Poi rammentò le chiavi dimenticate da Brian sul tavolo dell'ingresso. Con tutte le forze cercò di respingere la sua assaltatrice, ma un colpo alla nuca la stordì. Piroettò su se stessa e crollò contro il parapetto. Fu solo vagamente consapevole di un forte scricchiolio. La festa di pensionamento di Pete fu molto vivace. La stanza del piccolo appartamento di Flushing era piena di vecchie conoscenze di Willy. Gli aromi delle salsicce e dei peperoni, della carne sotto sale e del cavolo si mischiavano insieme in un modo che faceva venire l'acquolina in bocca. La prima cassa di birra era stata aperta e Pete, raggiante, passava da un amico all'altro sollecitando tutti a bere. Ma Willy non riusciva a partecipare allo spirito della serata. Qualcosa lo tormentava, gli rodeva dentro, una vocina interiore continuava a suggerirgli che doveva rientrare. Dopo la cena, qualche birra e poche parole di congratulazioni a Pete, si era scoperto troppo inquieto per rimanere alla festa a cantare «Danny Boy» ed era tornato a casa. Quando arrivò al suo appartamento, vide che la porta d'ingresso era semiaperta; immediatamente lo assalì un senso di panico, mettendolo in allarme. «Alvirah», chiamò con voce tesa. Per un istante, la vista delle due figure appoggiate al parapetto del terrazzo lo impietrì, ma si riscosse subito. Gridando di nuovo il nome della moglie, attraversò la stanza e si precipitò verso la portafinestra. «Torna dentro, tesoro», supplicò. «Ti prego.» Solo allora si rese conto di quello che stava cercando di fare l'altra donna. Avanzò di un passo sul terrazzo, e in quel momento vide un pezzo di recinzione staccarsi e cadere, lasciando un ampio varco accanto ad Alvirah. Willy fece un secondo passo e svenne. Emmy era seduta nel corridoio della stazione di polizia. Stava aspettando che finissero di battere a macchina la sua deposizione, e intanto si tormentava per Brian. Sapeva che l'agente Rooney aveva creduto alla versione di Carlton Rumson, il quale sosteneva di avere suonato alla porta dell'appartamento di Alvirah e, non avendo ottenuto risposta, di essersene andato. Ovviamente Rooney era convinto della colpevolezza di Brian. Perché non capiva che lui non aveva motivo di uccidere Fiona? Emmy
era angosciata. Brian le aveva detto che Fiona gli aveva fatto un favore andandosene dalla commedia. Che aveva rivelato che tipo di persona fosse. Non avrei dovuto essere così sconvolta quando ieri Fiona è venuta a casa mia, pensò Emmy. Sicuramente Brian non si sarebbe più lasciato coinvolgere da quella donna. Ma quando aveva cercato di persuadere l'agente Rooney, lui le aveva chiesto: «Allora, se lei era così convinta che Brian non volesse più saperne di Fiona, perché l'ha seguita nell'appartamento della zia?» Emmy aggrottò la fronte. Che mal di testa! Era difficile credere che solo poche sere prima Brian le avesse fatto leggere la sua nuova commedia, chiedendole un parere sul cambiamento del nome della protagonista da Diane in Beth. «Diane è un bel nome, deciso», aveva detto, «Io vedo il personaggio come qualcuno che appare vulnerabile, persino ansioso; poi, mentre l'azione si sviluppa, diventa chiaro quanto in realtà lei sia forte. Che ne dici di chiamarla invece Beth?» «Mi piace», aveva risposto. «Bene», aveva detto Brian. «Perché sei stata il suo modello. E voglio che tu sia contenta del nome. Lo cambierò nella stesura definitiva.» Emmy si raddrizzò sulla sedia e sbarrò gli occhi, non più consapevole delle abbaglianti luci al neon della stazione di polizia, della frenetica attività e della confusione che la circondavano. Beth... Diane... Ci sono! pensò improvvisamente. Questa sera Victoria Rumson mi ha detto che avrei dovuto recitare la parte di Diane. Ma la stesura definitiva, quella che si supponeva lei avesse letto, aveva il nome cambiato. Quindi lei doveva invece aver visto il copione che era sparito dall'appartamento. Ciò significa che era là con Fiona. Naturalmente, tutto coincide! Forse la capacità di Victoria di sorvolare sulle avventure del marito si era esaurita quando aveva rischiato di perderlo un paio di anni fa... a causa di Fiona Winters! Corse fuori. Doveva parlarne con Alvirah immediatamente. Non rispose ai richiami dell'agente e si affrettò a salire su un taxi in attesa. Arrivata a destinazione, attraversò l'atrio precipitosamente, sotto lo sguardo allibito del custode, per raggiungere l'ascensore. Sentì le grida di Willy quando era ancora in corridoio. La porta dell'appartamento era aperta. Lo vide uscire in terrazzo e quindi accasciarsi a terra. Poi distinse la silhouette delle due donne e capì che cosa stava accadendo. In un lampo fu fuori. Alvirah le stava di fronte, vicinissima all'orlo del-
l'abisso. Si teneva stretta al tratto di parapetto ancora in piedi con la mano destra, la stessa mano che Victoria le stava tempestando di pugni. Emmy afferrò Victoria per le braccia e gliele torse dietro la schiena. L'urlo di dolore e di collera della donna risuonò più alto dello schianto del pezzo di recinzione che precipitava in strada. Spingendola da parte, Emmy riuscì ad afferrare la cintura dell'accappatoio di Alvirah, le cui pantofole scivolavano sempre di più verso il vuoto. Il suo corpo oscillava, sospeso a trentaquattro piani di distanza dal marciapiede sottostante. Con un ultimo strattone, Emmy la tirò a sé e insieme le due donne caddero sul corpo inerte di Willy. Alvirah e Willy dormirono fino a mezzogiorno, e poi lui insistette perché la moglie restasse a letto ancora un po'. Sparì in cucina e ricomparve un quarto d'ora dopo con una caraffa piena di succo d'arancia, una teiera e un piatto di toast. Dopo la seconda tazza di tè, Alvirah aveva riguadagnato il suo abituale ottimismo. «Ragazzi, è una fortuna che l'agente investigativo Rooney si sia precipitato all'inseguimento di Emmy e abbia beccato Victoria mentre cercava di fuggire. Sai che cosa penso, Willy?» «Io non so mai che cosa pensi, tesoro», disse lui con un sospiro. «Bene, scommetto quello che vuoi che Carlton Rumson ha ancora intenzione di produrre la commedia di Brian. Puoi star sicuro che non verserà nessuna lacrima nel vedere Victoria andare in prigione.» «Probabilmente hai ragione», concesse Willy. «Quelli non sono certo due piccioncini.» «E, Willy», concluse Alvirah, «voglio che tu parli seriamente con tuo nipote e gli dica che farebbe meglio a sposare quel tesoro di Emmy prima che qualcuno gliela porti via.» Sorrise raggiante. «Ho già in mente il regalo perfetto per loro... un mobilio completo tutto bianco.» Morte al Capo Era un pomeriggio d'agosto, poco dopo il loro arrivo al cottage preso in affitto nel villaggio di Dennis, a Cape Cod, quando Alvirah Meehan si accorse che c'era qualcosa di molto strano nella loro vicina, una giovane donna prossima alla trentina e penosamente sottile. Dopo essersi guardati intorno, commentando con piacere il letto a baldacchino in legno d'acero, gli arazzi, la cucina allegra e l'aria profumata di
mare, lei e Willy aprirono il set di valigie Vuitton e ne estrassero i loro costosi abiti nuovi. A lavoro finito, si concessero una birra gelata sulla veranda che dava sulla Cape Cod Bay. Willy, il corpo rotondo allungato sulla chaise-longue in vimini, osservò ad alta voce che si preparava un tramonto fantastico e che finalmente avrebbero goduto di un po' di pace. Da quando avevano vinto quaranta milioni di dollari alla lotteria dello stato di New York, secondo lui sua moglie si era trasformata in una specie di parafulmine ambulante. Durante il loro soggiorno presso la celebre stazione termale di Cypress Point, in California, si era quasi fatta ammazzare. In seguito erano andati in crociera e... pensate un po'... l'uomo che sedeva accanto a loro alla tavola comune era rimasto stecchito come un baccalà. Ma con la saggezza che gli veniva dai suoi cinquantanove anni, Willy era certo che a Cape Cod avrebbero finalmente trovato la tranquillità che cercavano. Se Alvirah avesse scritto un articolo per il New York Globe su quella vacanza, sarebbe stata costretta a incentrarlo sul tempo e la pesca. Mentre lui parlava, Alvirah se ne stava seduta al tavolo da picnic, a pochi metri da lui. Rimpiangeva di non aver preso un cappello per proteggersi dal sole. L'estetista di Sassoon l'aveva messa in guardia sull'effetto del sole sui capelli. «Adesso hanno una sfumatura ruggine così bella, signora Meehan. Non vorrà che si riempiano di quelle brutte striature giallastre, vero?» Mentre si riprendeva dall'attentato che aveva subito, Alvirah aveva riguadagnato i chili che le era costato tremila dollari perdere, ed era tornata a essere una comoda taglia calibrata. Ma come Willy diceva sempre, quando la abbracciava sentiva una donna, non una di quelle zombie anoressiche che campeggiavano nei servizi di moda a cui lei si mostrava tanto interessata. Dopo quarant'anni, Alvirah aveva imparato ad ascoltare il marito con un orecchio solo. Ora, mentre guardava i cottage tranquilli appollaiati sull'erba, il terrapieno sabbioso che fungeva da diga e più in basso l'acqua verdeazzurra e la striscia di sabbia costellata di sassi, si scoprì a pensare con una punta di inquietudine che forse Willy aveva ragione. Per quanto bello fosse il Capo, e benché lei desiderasse da tempo recarvisi, c'era il pericolo che non le fornisse nessuna storia interessante da mandare al suo direttore, Charley Evans. Due anni prima Charley aveva inviato uno dei suoi collaboratori a intervistare i Meehan subito dopo la loro sensazionale vincita. Quali erano i lo-
ro progetti? Alvirah avrebbe continuato a lavorare come donna delle pulizie e Willy a fare l'idraulico? Alvirah, che non aveva peli sulla lingua, aveva ribattuto dicendo che non era così idiota. Se mai avesse ripreso in mano una scopa, sarebbe stato per vestirsi da strega a una delle feste in costume dei Cavalieri di Colombo. Poi aveva snocciolato tutte le cose che progettava di fare, prima fra tutte un soggiorno a Cypress Point... dove contava di stringere amicizia con le celebrità di cui da sempre leggeva sui giornali. Era stata la sua vivace risposta a indurre Charley Evans, direttore del Globe, a chiederle un articolo sul suo soggiorno presso la famosa stazione termale. Fu in quell'occasione che lui le regalò la spilla a forma di sole raggiato, che nascondeva un microfono, con cui registrare le conversazioni per poterle riascoltare durante la stesura del pezzo. Ancora oggi, il pensiero di quella spilla accendeva un sorriso sul volto di Alvirah. Come Willy aveva detto, a Cypress Point si era cacciata in guai grossi e aveva rischiato di farsi ammazzare. Alvirah, nondimeno, l'aveva trovata un'avventura eccitante e ora era in ottimi rapporti con la direzione della stazione termale, dove era sempre considerata un'ospite graditissima. E grazie al suo contributo alla risoluzione del caso di omicidio verificatosi un anno addietro a bordo della nave, lei e Willy avevano un invito sempre valido per una crociera in Alaska. Cape Cod era un bellissimo posto, ma Alvirah cominciava a temere che la sua sarebbe stata una vacanza banale e che non le sarebbe stato possibile ricavarne alcunché per il Globe. Proprio in quel momento, lanciò un'occhiata al di là delle siepi che delimitavano sulla destra la loro proprietà, e vide la giovane donna che, in piedi sulla veranda adiacente, fissava la baia con aria cupa. Tensione, pensò Alvirah. Ecco che cosa suggeriscono le sue mani strette intorno alla ringhiera. Quella ragazza trabocca letteralmente di tensione. Il modo in cui ha girato la testa verso di me, prima di distogliere nuovamente lo sguardo... non mi ha nemmeno vista, si disse Alvirah. I quindici, diciotto metri che le separavano non le impedivano di percepire la disperazione che la giovane emanava. Decise che era arrivato il momento di scoprire qualcosa di più. «Penso che andrò a presentarmi alla nostra vicina», annunciò a Willy. «C'è qualcosa in lei che non mi convince.» Scese i gradini e si avviò verso la siepe. «Salve», esordì nel suo tono più affabile. «Poco fa l'ho vista arrivare con
l'auto. Noi siamo qui da due ore, come a dire che siamo vecchi residenti. Sono Alvirah Meehan.» Quando la ragazza si voltò, Alvirah provò una fitta di compassione. Forse era stata ammalata? Quel pallore quasi spettrale, l'evidente mancanza di tono muscolare nelle braccia e nelle gambe. «Sono venuta qui per stare da sola, non per fare amicizia con i vicini», fu la quieta risposta della donna. «La prego di scusarmi.» E, come ebbe a dire Alvirah in seguito, la cosa si sarebbe probabilmente conclusa lì, se girando sui tacchi la ragazza non fosse inciampata su un poggiapiedi, rovinando a terra. Alvirah, naturalmente, si precipitò ad aiutarla e insistette per accompagnarla in casa dove, sentendosi in qualche modo responsabile dell'incidente, le applicò un impacco di ghiaccio sul polso che andava rapidamente gonfiandosi. Il tempo di appurare che si trattava di una semplice distorsione e di preparare una tazza di tè, e Alvirah sapeva che la ragazza si chiamava Cynthia Rogers e che era un'insegnante dell'Illinois. Informazioni del tutto inutili, perché, come raccontò a Willy un'oretta più tardi, non aveva impiegato più di dieci minuti per riconoscere la vicina. «Può anche farsi chiamare Cynthia Rogers», confidò al marito, «ma il suo vero nome è Cynthia Lathem. Dodici anni fa venne giudicata colpevole di avere assassinato il patrigno. Lui era pieno di soldi. Mi ricordo del caso come se fosse successo ieri.» «Tu ricordi tutto come se fosse successo ieri», fu il commento di lui. «Ma è la verità. Sai che gli omicidi mi hanno sempre interessata. Comunque, accadde proprio qui, a Cape Cod. All'inizio lei si professò innocente, insistendo col dire che c'era una testimone in grado di dimostrare la sua assenza da casa al momento del delitto, ma la giuria non le credette. Chissà perché è tornata... devo chiamare il Globe e chiedere a Charley Evans di mandarmi il materiale sul caso che abbiamo in archivio. Sono sicura che ha appena lasciato il carcere... quella carnagione grigiastra... Forse», aggiunse, e i suoi occhi si illuminarono, «è qui per cercare quella fantomatica testimone. Mio Dio, Willy, sento che sarà una vacanza interessantissima.» E con grande sgomento di lui, aprì il primo tiretto del cassettone e ne estrasse la spilla a forma di sole raggiato. Dopodiché compose il numero del suo direttore. Quella sera, Willy e Alvirah cenarono al Red Pheasant Inn. Alvirah indossava un abito stampato beige e blu acquistato da Begdorf Goodman ma
che, come disse a Willy, non sembrava poi tanto diverso da quello, pure stampato, che aveva comprato nel negozietto vicino a casa poco prima della grande vincita. «Colpa dei chili in più», si lamentò lei mentre spalmava di burro un muffin ai mirtilli. «Dio, come sono buoni. E, Willy, sono proprio contenta che tu abbia preso quella giacca di lino giallo. Mette in risalto i tuoi occhi blu e la tua bella testa di capelli.» «Io mi sento un canarino da ottanta chili», replicò lui. «Ma contenta tu...» Dopo cena, si recarono alla Cape Playhouse, dove si godettero la recitazione di Debbie Reynolds in una nuova commedia che sarebbe stata rappresentata a Broadway. Durante l'intervallo, mentre sorseggiavano un ginger ale sul prato antistante il teatro, Alvirah spiegò a Willy che aveva sempre ammirato Debbie Reynolds, fin da quando era una ragazzina che recitava nei musical con Mickey Rooney, e non era terribile che Eddie Fisher l'avesse mollata con due bambini ancora piccoli? «E che bene glien'è venuto?» filosofeggiò mentre rientravano in sala per il secondo tempo. «Da allora non ha più avuto fortuna. Le persone che si comportano scorrettamente di solito finiscono per pagarla.» Quel commento la spinse a chiedersi se Charley le avesse spedito per espresso le informazioni che gli aveva chiesto. Non vedeva l'ora di leggerle. Mentre Alvirah e Willy si godevano Debbie Reynolds, Cynthia Lathem cominciava finalmente a rendersi conto di essere libera, di nuovo libera dopo dodici anni di prigione. Dodici anni... Lei stava per cominciare il suo terzo anno presso la Rhode Island School of Design quando il suo patrigno, Stuart Richards, era stato trovato morto nello studio della sua abitazione, una delle imponenti case padronali del diciottesimo secolo, a Dennis. Quel pomeriggio, Cynthia ci era passata davanti mentre si recava al cottage. Chi ci abitava, ora? si era chiesta. La sua sorellastra Lillian l'aveva forse venduta? La casa apparteneva ai Richards da tre generazioni, ma Lillian non era mai stata un tipo sentimentale. A quel punto, aveva premuto il piede sull'acceleratore, raggelata da un'ondata di ricordi tutti incentrati su quella terribile notte e i giorni che erano seguiti. L'accusa. L'arresto, l'imputazione formale, il processo. La sua iniziale tranquillità. «Posso dimostrare di essere uscita di casa alle otto e di non essere tornata che a mezzanotte passata. Avevo un appuntamento.» Ora Cynthia rabbrividì e si avvolse più strettamente intorno al corpo
magro la vestaglia di lana azzurra. Quando era entrata in carcere, pesava cinquanta chili, e i quarantaquattro chili di adesso non erano abbastanza per il suo metro e settantaquattro di altezza. I capelli, una volta biondo dorato, col passare degli anni si erano scuriti e a quel punto avevano una tonalità castana... squallida, pensò lei mentre se li spazzolava. Gli occhi, nocciola come quelli di sua madre, erano spenti, privi di lucentezza. Quell'ultimo giorno, a colazione, Stuart Richards le aveva detto: «Assomigli sempre di più a tua madre; avrei dovuto avere il buonsenso di restare con lei». Stuart era stato sposato con sua madre da quando Cynthia aveva otto anni fino al compimento dei dodici, e quello era stato il più lungo dei suoi due matrimoni. Lillian, la sua vera figlia, era di dieci anni più vecchia di Cynthia, e all'epoca viveva con la madre a New York e andava al Capo solo di rado. Depose la spazzola sulla toilette. Era stata una pazzia tornare lì? Era uscita dal carcere da due settimane soltanto, il denaro che aveva le sarebbe bastato per non più di sei mesi, e ancora non sapeva che cosa fare della propria vita. Era saggio aver speso tutto quel denaro per affittare il cottage e l'auto? Che cosa sperava di ottenere? Un ago in un pagliaio, pensò ancora. Mentre passava nel salottino si disse che, paragonato alla dimora di Stuart, il cottage era davvero minuscolo, ma, dopo anni di vita in cella, a lei sembrava quasi un palazzo. Fuori, la brezza marina agitava le acque della baia. Uscì sulla veranda, solo vagamente conscia del dolore al polso, e si abbracciò per proteggersi dal freddo. Ma, Dio, respirare di nuovo l'aria fresca, sapere di potersi alzare all'alba, se solo lo desiderava, per andare a passeggiare sulla spiaggia come faceva da bambina, senza che nessuno la fermasse... La luna, piena per tre quarti, strappava barbagli luminosi all'acqua che tuttavia, dove i suoi raggi non arrivavano, restava scura e impenetrabile. Cynthia indugiò a fissare la distesa buia e intanto pensava alla notte in cui avevano sparato a Stuart. Poi scosse la testa. Basta con i ricordi, decise. Era arrivato il momento di lasciarsi vincere dalla tranquillità di quel luogo e andare a dormire. Avrebbe tenuto le finestre spalancate per far entrare l'aria della notte. E l'indomani mattina si sarebbe alzata presto per fare una passeggiata sulla spiaggia, per sentire di nuovo la sabbia umida sotto i piedi e cercare le conchiglie, come da bambina. Domani. Si sarebbe concessa l'intera mattinata per ritemprarsi, e dopo avrebbe dato inizio alla ricerca, probabilmente inutile, dell'unica persona che avesse sempre saputo la veri-
tà. La mattina seguente, mentre Alvirah preparava la colazione, Willy andò in auto a comprare i giornali. Tornò con un sacchetto di muffins alle more ancora caldi. «Ho chiesto in giro», raccontò a un'Alvirah deliziata, «e tutti dicono che il Mercantile, vicino all'ufficio postale, fa i muffins migliori di tutto il Capo.» Mangiarono sulla veranda, al tavolo da picnic. Mordicchiando il suo secondo muffin, Alvirah guardava i pochi mattinieri che correvano sulla spiaggia. «Guarda, eccola lì!» esclamò a un certo punto. «Chi?» «Cynthia Lathem. È uscita almeno un'ora e mezzo fa. Scommetto che sta morendo di fame.» Quando Cynthia salì i gradini che dalla spiaggia portavano alla sua veranda, si vide accogliere da Alvirah, sorridente, che la prese con familiarità sottobraccio. «Ho preparato dell'ottimo caffè e spremuto qualche arancia. E aspetti di assaggiare i muffins alle more!» «Sul serio, non credo che...» Inutilmente Cynthia cercò di divincolarsi; l'altra la stava già trascinando attraverso il prato. Nel vederle arrivare, Willy si precipitò a prendere una sedia. «Come va il polso?» si informò, sollecito. «Alvirah era così mortificata al pensiero che fosse caduta per colpa sua.» Ben presto, il calore genuino dei suoi ospiti ebbe la meglio su Cynthia. Willy, con le sue guance rotonde, l'espressione tranquilla e quella folta criniera di capelli bianchi, le ricordava Tip O'Neill. Lui sorrise raggiante quando glielo fece sapere. «Un tizio mi ha detto la stessa cosa in pasticceria. La sola differenza è che mentre Tip era il presidente della Camera, io ero il re dei bagni. Sono un idraulico in pensione.» Mentre sorseggiava il caffè e la spremuta e addentava un muffin, Cynthia ascoltò, all'inizio con incredulità, poi quasi con reverenza, quanto Alvirah le raccontava sulla vincita alla lotteria e i due assassini che aveva contribuito a smascherare, a Cypress Point prima e quindi durante la crociera in Alaska. «Ha un motivo per raccontarmi queste cose, vero?» disse accettando una seconda tazza di caffè. «Ieri mi ha riconosciuta.» Alvirah si fece seria. «Sì.»
Cynthia si alzò, spingendo indietro la sedia. «Siete stati molto carini, e credo che lei desideri davvero aiutarmi, signora Meehan, ma la cosa più gentile che può fare è lasciarmi in pace. Ho un sacco di questioni da risolvere, ma devo farlo da sola. Grazie per la colazione.» Alvirah la seguì con gli occhi mentre si allontanava lungo il prato. «Stamattina ha preso il sole», osservò. «E ha già un aspetto migliore. Quando si sarà riempita un po', sarà davvero una bella ragazza.» «Forse dovresti lasciarla al suo sole e alla sua tranquillità», commentò Willy. «Hai sentito quello che ha detto.» «Oh, che importanza vuoi che abbia? Non appena Charley mi avrà mandato il materiale, troverò pure il modo di aiutarla.» «Oh, mio Dio», gemette lui. «Avrei dovuto saperlo. Ecco che ci risiamo.» «Charley non finirà mai di stupirmi», dichiarò Alvirah poche ore dopo. Avevano appena finito di fare colazione quando era arrivato l'espresso. «Mi ha mandato tutto quello che è stato scritto sul caso.» Fece un suono di disapprovazione. «Guarda la foto di Cynthia al processo. Era solo una ragazzina spaventata.» Metodicamente, Alvirah distribuì i ritagli sul tavolo; poi tirò fuori il suo blocco di fogli a righe e la penna e cominciò a prendere appunti. Willy se ne stava sdraiato sulla chaise-longue imbottita di cui si era appropriato, e aveva quasi finito di leggere la pagina sportiva del Cap Code Times. «Mi sento quasi pronto ad ammettere che i Mets non vinceranno mai il campionato», commentò tristemente, ma lei non lo udì. All'una Willy uscì di nuovo per ritornare poco dopo con una zuppa di aragosta. Durante il pranzo Alvirah gli riassunse quello che era venuta a sapere. «Per venire al nocciolo, questi sono i fatti: la madre di Cynthia era vedova quando sposò Stuart Richards. Allora Cynthia aveva otto anni e i due divorziarono quattro anni dopo. Richards aveva avuto una figlia dal suo precedente matrimonio, Lillian, che era di dieci anni più vecchia della sorellastra e che viveva a New York con la madre.» «Perché la madre di Cynthia ha divorziato da Richards?» chiese Willy mentre sorbiva la zuppa. «Secondo la testimonianza di Cynthia al processo, Richards era uno di quegli uomini che sminuiscono sempre le donne. Sua moglie si vestiva per
uscire e lui ridicolizzava il suo abbigliamento... quel genere di cose. Sembra che le avesse fatto venire un esaurimento nervoso. Comunque pare che lui fosse davvero affezionato a Cynthia; la portava fuori per il suo compleanno e le faceva regali. «Dopo la morte della madre, lui invitò la giovane a venire a trovarlo al Capo. A quel punto lei non era poi così giovane: stava per cominciare il terzo anno alla Rhode Island School of Design. Sua madre era stata malata per un certo periodo e sembra che non fossero rimasti molti soldi; Cynthia ha sostenuto che pensava di lasciare la scuola e di mettersi a lavorare per un anno o due. Secondo lei, il patrigno le disse che aveva sempre pensato di lasciare metà del suo patrimonio alla figlia Lillian e l'altra metà al Darmouth College; ma che era rimasto così scandalizzato quando il Darmouth aveva aperto le iscrizioni alle donne che aveva invece deciso di cambiare il proprio testamento e di lasciare a lei quella parte di eredità, il cui valore ammontava a circa dieci milioni di dollari. Il procuratore distrettuale ha fatto ammettere a Cynthia che il patrigno le disse anche che avrebbe dovuto aspettare la sua morte per avere i soldi; gli dispiaceva che lasciasse l'università, ma sua madre avrebbe dovuto preoccuparsi in tempo per la sua istruzione.» Willy lasciò cadere il cucchiaio. «Ecco il movente, giusto?» «Secondo l'accusa, Cynthia voleva i soldi subito. Comunque, un tizio che si chiama Ned Creighton arrivò a far visita a Richards e ascoltò la loro conversazione. Era un amico di Lillian e Cynthia l'aveva conosciuto al Capo da piccola, così le chiese di uscire a cena con lui e Richards la esortò ad accettare. «Secondo la testimonianza della ragazza, i due cenarono al Captain's Table di Hyannis, poi lui la invitò a fare un giro con la sua barca, ormeggiata lì vicino. Erano al largo di Nantucket Sound quando il motore si fermò; niente funzionava più, neanche la radio. Rimasero lì fino a circa le undici, quando lui riuscì a far ripartire il motore. Sembra che lei a cena avesse mangiato solo un'insalata, così sulla strada del ritorno gli chiese di fermarsi a prendere un hamburger. «A detta della ragazza, Ned era infastidito dall'idea di fare una sosta ma alla fine posteggiò vicino a un fast-food nei pressi di Cotuit; al processo Cynthia non seppe dire esattamente dove, perché era tanto tempo che non veniva da quelle parti, si ricordava solo che c'era una musica rock assordante e che il posto era frequentato da numerosi adolescenti. Ned le disse bruscamente di aspettare in macchina mentre lui andava a prendere gli
hamburger. A un certo punto una donna posteggiò lì accanto e, spalancando la portiera, urtò la fiancata della macchina di Creighton.» Alvirah porse al marito un ritaglio di giornale. «Quella donna è la testimone che non si è più riusciti a trovare.» Mentre Alvirah mangiava distrattamente la zuppa, Willy diede un'occhiata all'articolo. La donna si era profusa in scuse, e dopo aver constatato che non c'erano danni, era entrata nel locale. Secondo Cynthia era sulla cinquantina, robusta, con i capelli scalati rosso-arancio, una maglia sformata e pantaloni di fibra sintetica con l'elastico in vita. Secondo la testimonianza di Cynthia riportata nell'articolo, Creighton era ritornato lamentandosi della coda, e del fatto che i ragazzi davanti a lui avessero impiegato un sacco di tempo a decidere le ordinazioni. Siccome lui sembrava scocciato, lei non gli aveva raccontato della donna incontrata nel parcheggio. Durante i quarantacinque minuti del tragitto di ritorno a Dennis, attraverso strade che lei non conosceva, Ned le aveva a stento rivolto la parola. Arrivati a casa di Stuart Richards, l'aveva fatta scendere ed era ripartito. Dopo essere entrata, Cynthia aveva trovato il patrigno nel suo studio: giaceva a terra vicino alla scrivania, con il sangue che gli sgorgava dalla fronte, gli imbrattava il viso e macchiava il tappeto sotto il suo corpo. Willy finì di leggere l'articolo: «La difesa sostiene che la ragazza pensò che lui avesse avuto un malore e fosse caduto, ma che quando gli scostò i capelli dalla fronte si accorse che c'era un foro di proiettile e notò la sua pistola per terra. Così telefonò alla polizia». «Cynthia ha dichiarato che credeva che lui si fosse suicidato», intervenne Alvirah. «E senza pensarci ha raccolto la pistola, lasciando le sue impronte. L'armadio dello studio era aperto e lei ha ammesso di sapere che lui teneva nascosta lì l'arma. In seguito Creighton ha contraddetto quasi tutte le dichiarazioni della ragazza sostenendo che, sì, l'aveva condotta al ristorante, ma che l'aveva riportata indietro alle otto e che per tutta la cena lei aveva continuato ad accusare il patrigno della malattia e della morte di sua madre, dicendo che una volta tornata a casa intendeva avere un chiarimento con lui. Fu stabilito che la morte era avvenuta intorno alle nove, il che non depose a favore di Cynthia, data la testimonianza di Creighton. E nonostante i suoi avvocati avessero messo annunci per rintracciare la donna incontrata nel parcheggio del fast-food, nessuno si presentò per confermare la sua versione,» «Così tu ti fidi di Cynthia?» chiese Willy. «Lo sai quanti assassini non
riescono ad affrontare la realtà di quello che hanno fatto e finiscono per credere alle loro stesse bugie, o comunque continuano a sostenere la propria innocenza. Lei potrebbe stare cercando questa misteriosa testimone solo per convincere la gente che è innocente, anche se ha già scontato la pena. Perché mai Ned Creighton avrebbe dovuto mentire su questa storia?» «Non lo so», disse Alvirah scuotendo la testa. «Qualcuno sta mentendo, questo è chiaro, e scommetto fino al mio ultimo dollaro che non è Cynthia. Se fossi in lei, sarei venuta qui per scoprire per quale ragione Creighton ha mentito; che cosa ci guadagnava.» Detto questo, Alvirah si concentrò sulla zuppa, finendola tutta. «Caro, era proprio buona. Che splendida vacanza stiamo per fare, Willy. E non è fantastico che Cynthia sia proprio nel cottage vicino al nostro e che ci sia qui io per aiutarla?» Willy lasciò cadere il giornale. «Oh, mio Dio», sospirò. La tranquilla notte di sonno, seguita dalla passeggiata mattutina, aveva contribuito a diradare almeno parzialmente la paralisi emotiva che teneva Cynthia prigioniera da ben dodici anni, dal momento in cui aveva sentito il capo della giuria pronunciare il verdetto di colpevolezza. Ora, mentre faceva la doccia e si vestiva, si disse che quegli anni erano stati un incubo a cui era riuscita a sopravvivere solo congelando le proprie emozioni. Era stata una detenuta modello; rifiutando ogni offerta di amicizia, aveva seguito tutti i corsi messi a disposizione dalla direzione del carcere, e dopo aver lavorato in lavanderia e nelle cucine, si era assicurata prima un posto di bibliotecaria e poi di assistente dell'insegnante di tecniche artistiche. E con il tempo, dopo aver finalmente accettato l'atroce realtà di quanto era accaduto, aveva cominciato a disegnare tutto quello che si ricordava. Il viso della donna nel parcheggio. Il fast-food. La barca di Ned. A lavoro ultimato, si era ritrovata con i disegni di un locale uguale a centinaia di altri negli Stati Uniti, e di una barca identica a qualunque Chris Craft di quell'anno. Il ritratto della donna diceva qualcosa di più, ma non poi così tanto. Era buio quando si erano incontrate e tutto si era concluso nello spazio di una manciata di secondi. Ma lei restava pur sempre la sua unica speranza. Con queste parole il procuratore distrettuale aveva concluso la sua arringa: «Signore e signori della giuria, Cynthia Lathem tornò a casa di Stuart Richards in un momento compreso fra le venti e le venti e trenta della sera del 2 agosto 1981. Entrò nello studio del patrigno. Proprio quel pomerig-
gio, il signor Richards l'aveva informata del fatto che aveva cambiato il proprio testamento. Ned Creighton ascoltò quella conversazione, sentì Cynthia e Stuart litigare. Quella sera Vera Smith, la cameriera del Captain's Table, udì Cynthia dire a Ned che, se il patrigno si fosse rifiutato di continuare a pagare le sue spese, avrebbe dovuto abbandonare la scuola. «Cynthia Lathem era arrabbiata e piena di paura. Così, quella stessa sera decise di affrontare il patrigno. Lui era un uomo cui piaceva giocare con le persone e i loro sentimenti. E aveva effettivamente modificato il testamento. Per salvarsi la vita, gli sarebbe bastato rivelare alla figliastra di averle lasciato, non poche migliaia di dollari, ma la metà del suo patrimonio. Invece, aveva voluto prolungare il gioco, e la rabbia che lei nutriva nei suoi confronti per come aveva trattato la madre, rabbia che la prospettiva di dover lasciare la scuola e ritrovarsi sola e senza un soldo aveva rinfocolato, la spinse a prendere la pistola dall'armadio in cui lui la teneva e a sparargli per ben tre volte a distanza ravvicinata... a sparare all'uomo che l'amava al punto da farne la sua erede. «È un paradosso. Una tragedia. Ma è anche un omicidio. In seguito, Cynthia supplicò Ned Creighton di dire che avevano trascorso la serata insieme sulla sua barca, ma nessuno li aveva visti uscire in mare. Ci ha parlato di una sosta presso un fast-food, ma non ha saputo indicarcelo. Ammette inoltre di non essere entrata nel locale. Ha parlato di una sconosciuta con i capelli rosso-arancio con cui avrebbe parlato nel parcheggio. Ma, a dispetto della sensazione suscitata da questo caso, la donna non si è mai presentata. E voi tutti sapete il perché. Perché non esiste. Perché, come il fast-food e le ore trascorse sull'imbarcazione a Nantucket Sound, non è che un parto della fantasia di Cynthia Lathem». Cynthia aveva letto i verbali del processo talmente tante volte che ormai sapeva quelle parole a memoria. «Invece quella donna esiste», disse ad alta voce. «Esiste.» Grazie alla piccola assicurazione lasciatale dalla madre, poteva contare su sei mesi di tempo per trovarla. Certo, a quell'ora poteva essere morta, o essersi trasferita in California, pensò mentre si raccoglieva i capelli in uno chignon. La camera da letto del cottage si affacciava sul mare. Cynthia andò alla porta scorrevole e la aprì. Sulla spiaggia sottostante, vide delle coppie che passeggiavano in compagnia di bambini. Se anche lei voleva avere una vita normale, un marito, dei figli, doveva cancellare ogni ombra dal suo passato. Jeff Knight. Lo aveva incontrato l'anno prima, quando lui era stato al
carcere per un servizio televisivo. L'aveva invitata a partecipare, e al suo rifiuto aveva insistito mostrando un'autentica preoccupazione. «Ma non capisce, Cynthia? Questo programma verrà visto da almeno un paio di milioni di persone nel New England. E fra loro potrebbe esserci la donna che la vide quella sera.» Così, alla fine lei era comparsa nel servizio, aveva risposto alle domande di lui e mostrato alle telecamere il ritratto della donna su cui si concentravano tutte le sue speranze e il disegno del fast-food. Ma nessuno si era fatto avanti. Da New York, Lillian aveva consegnato alla stampa un comunicato in cui diceva che la verità era stata stabilita al processo e che lei non aveva altri commenti da fare. Ned Creighton, ora proprietario del Mooncusser, un celebre ristorante di Barnstable, si era limitato a ripetere di essere molto, molto dispiaciuto per Cynthia. In seguito, Jeff era tornato a trovarla più volte, e solo quelle visite avevano impedito a Cynthia di sprofondare nella disperazione dopo che la messa in onda del programma non aveva sortito alcun effetto. Jeff, con quella sua aria sempre un po' trasandata, i riccioli scuri arruffati, gli occhi castani pieni di gentilezza, le lunghe gambe che lo impacciavano nell'angusta e affollata stanzetta dei colloqui... Quando le aveva chiesto di sposarlo, una volta scontata la pena, Cynthia lo aveva esortato a dimenticarla. Gli si prospettava una brillante carriera televisiva, e non aveva bisogno di complicarsi la vita sposando un'ex detenuta per omicidio. Ma se fosse riuscita a provare la propria innocenza... pensò Cynthia allontanandosi dalla finestra. Si avvicinò al cassettone di legno d'acero, tirò fuori il portafoglio e uscì per prendere l'auto che aveva noleggiato. Era già sera quando tornò a Dennis. Le ore sprecate avevano suscitato in lei una frustrazione che le riempiva finalmente gli occhi di lacrime. Si era spinta fino a Cotuit, aveva girovagato per la strada principale e all'edicolante, che aveva l'aria di un indigeno, aveva chiesto di un fast-food frequentato prevalentemente da adolescenti. Dove poteva trovarne uno del genere? La risposta era stata una stretta di spalle e un: «Quei posti vanno e vengono. Un imprenditore compera un appezzamento e ci costruisce un centro commerciale o un condominio, ed ecco che i fast-food spuntano come funghi». Cynthia era andata anche in municipio con la speranza di trovare le registrazioni di licenze concesse per locali addetti alla ristorazione che erano state emesse o rinnovate in quel periodo. Due fast-food erano ancora in attività, mentre un terzo non esisteva più. Nessuno dei due aveva solleti-
cato la sua memoria, e naturalmente non poteva neppure essere certa che il locale che cercava fosse davvero a Cotuit. Ned poteva aver mentito anche su questo. Quanto alla misteriosa testimone, com'era possibile chiedere a degli sconosciuti se conoscevano una donna di mezza età, robusta e con i capelli rosso-arancio che aveva vissuto o trascorso l'estate al Capo per quarant'anni e odiava il rock-and-roll? Mentre attraversava Dennis, d'impulso Cynthia ignorò la svolta che portava al cottage e passò di nuovo davanti alla casa dei Richards. Proprio in quel momento una donna snella e bionda stava scendendo i gradini, e malgrado la distanza lei riconobbe Lillian. Rallentò fin quasi a fermarsi, ma quando la donna girò la testa verso l'auto, si affrettò ad accelerare e ad allontanarsi in direzione del cottage. Aveva appena inserito la chiave nella serratura della porta quando sentì il telefono squillare. Contò dieci squilli prima che tornasse il silenzio. Di sicuro era Jeff e lei non voleva parlargli. Pochi minuti dopo, gli squilli ripresero. Se era davvero Jeff, era evidente che non aveva alcuna intenzione di rinunciare. Rassegnata, Cynthia sollevò la cornetta. «Pronto?» «Ho il dito indolenzito a forza di schiacciare i tasti», disse Jeff. «Simpatico da parte tua, sparire così.» «Come hai fatto a trovarmi?» «Non è stato difficile. Sapevo che saresti tornata al Capo con l'ostinazione di un piccione viaggiatore, e il funzionario che ti segue me lo ha confermato.» Le sembrava quasi di vederlo, appoggiato all'indietro sulla sedia, mentre faceva roteare una matita con un'espressione seria che smentiva la leggerezza del tono. «Jeff, ti prego, fai un favore a tutti e due e dimenticami.» «Non contarci, Cindy. Ti capisco, sai: ma a meno che tu non trovi quella donna, non hai alcuna speranza di provare la tua innocenza. E credimi, tesoro, io ho cercato di trovarla. Non te l'ho mai detto, però durante la realizzazione del programma ho ingaggiato degli investigatori. E se loro non sono riusciti a rintracciarla, come puoi pensare di farlo tu? Cindy, io ti amo e so che sei innocente. Lo so. Ned Creighton ha mentito, ma non riusciremo mai a dimostrarlo.» Cynthia chiuse gli occhi; per quanto fosse difficile da accettare, Jeff diceva la verità. «Ti prego, dimentica questa storia», insistette lui. «Fai i bagagli e torna qui. Passo a prenderti a casa stasera alle otto.»
Casa sua. La stanza arredata che l'assistente sociale l'aveva aiutata a trovare. Ti presento la mia ragazza. È appena uscita dal carcere. Cos'è che faceva tua madre prima di sposarsi? Era in prigione. «Addio, Jeff», mormorò Cynthia. Interruppe la comunicazione, lasciò la cornetta staccata e girò le spalle al telefono. Alvirah aveva notato il ritorno di Cynthia, ma non tentò in alcun modo di mettersi in contatto con lei. Nel pomeriggio, Willy aveva partecipato a una gita in barca ed era tornato esibendo con aria trionfale due pesci azzurri. Durante la sua assenza, Alvirah si era concentrata sui ritagli di giornale che parlavano del delitto Richards. Durante il soggiorno presso la stazione termale di Cypress Point, aveva imparato l'utilità di formulare a voce alta le proprie riflessioni, e quel pomeriggio il suo registratore rimase quasi sempre acceso. «L'interrogativo su cui ruota questo caso è: perché Ned Creighton mentì? Lui e Cynthia quasi non si conoscevano. Per quale motivo volle incastrarla? Stuart Richards aveva molti nemici. Anche il padre di Ned aveva fatto affari con lui, affari che non erano andati a buon fine, ma a quel tempo Ned era solo un ragazzo. Ned era amico di Lillian Richards. Al processo Lillian giurò di non sapere che il padre progettava di modificare il testamento, e che, per quanto le risultava, era convinta che lei avrebbe ereditato mezza proprietà, mentre l'altra metà sarebbe andata al Dartmouth College. Certo, era a conoscenza del fatto che lui era rimasto sconvolto quando il Dartmouth aveva deciso di aprire le iscrizioni alle donne, ma ignorava che lo fosse stato al punto di cambiare il testamento a favore di Cynthia.» Alvirah spense il registratore. Qualcuno doveva aver pur pensato che, una volta condannata, Cynthia avrebbe perso ogni diritto all'eredità e l'intero patrimonio sarebbe andato a Lillian. Poco dopo la fine del processo, la donna aveva sposato un tipo di New York e da allora aveva già divorziato tre volte. Era quindi improbabile che lei e Ned avessero avuto una relazione sentimentale. Restava solo il ristorante. Chi c'era alle spalle di Ned? Il motivo che aveva Ned per mentire, pensò. Chi gli aveva dato i soldi per aprire il locale? Comparve Willy, con i filetti di pesce che aveva preparato. «Stai ancora lavorando?» «Uh-huh.» Alvirah prese uno dei ritagli e si rivolse al marito. «Capelli rosso-arancio, corporatura tozza, sulla cinquantina. Che ne dici, dodici an-
ni fa questa descrizione avrebbe potuto adattarsi a me?» «Sai benissimo che io non ti avrei mai definito tozza», protestò Willy. «Mai detto il contrario. Torno subito. Voglio scambiare due parole con Cynthia. L'ho vista rientrare nel cottage pochi minuti fa.» Il pomeriggio seguente, dopo aver nuovamente spedito Willy in barca, Alvirah appuntò la spilla a forma di sole raggiato sul suo nuovo abito color porpora e in compagnia di Cynthia si recò al Mooncusser Restaurant di Barnstable. Durante il tragitto, istruì con cura la ragazza. «Se Creighton c'è, me lo indichi subito, mi raccomando. Io farò in modo di fissarlo con una certa insistenza. Lui non potrà non riconoscerla e sarà costretto ad avvicinarsi. Ricorda quello che deve dire, vero?» «Certo.» Possibile, si chiedeva Cynthia, che Ned cadesse nella loro trappola? Il ristorante era un imponente edificio bianco in stile coloniale, raggiungibile attraverso un lungo viale. Con un'occhiata Alvirah abbracciò la casa e i prati perfettamente curati che digradavano verso l'acqua. «Un posticino piuttosto costoso», commentò. «È evidente che il nostro amico non ha cominciato con due soldi.» L'interno era arredato in blu Wedgwood e bianco. Alle pareti erano appesi quadri di valore. Per vent'anni, ogni martedì Alvirah aveva lavorato per la signora Rawlings, proprietaria di una casa-museo. Alla signora Rawlings piaceva raccontare la storia dei suoi quadri, quanto li aveva pagati e soprattutto qual era il loro attuale valore. Alvirah aveva pensato spesso che, grazie alla Rawlings, con un po' di pratica sarebbe potuta diventare un'ottima guida di museo. «Osservate l'uso della luce, lo splendido dettaglio dei raggi di sole che incendiano la polvere sul tavolo.» Nel corso degli anni, infatti, si era appropriata del linguaggio specialistico della sua datrice di lavoro. Intuendo l'agitazione della sua compagna, Alvirah tentò di distrarla parlandole della Rawlings dopo che il maître le ebbe accompagnate a un tavolo vicino alla finestra. Cynthia sentì un sorriso riluttante salirle alle labbra quando Alvirah le disse che, con tutto il suo denaro, la signora Rawlings non le aveva mai regalato neppure un biglietto di auguri a Natale. «La più spregevole vecchia gallina che abbia mai conosciuto, anche se per un certo verso mi faceva pena», concluse. «Nessuno voleva lavorare per lei. Ma quando verrà la mia ora, ho intenzione di far notare al Padreterno che grazie alla Rawlings ho
accumulato un certo credito.» «Se la sua idea funziona, ne accumulerà uno enorme anche grazie a me», commentò Cynthia. «Può scommetterci. E ora continui a sorridere, mi raccomando. Deve avere l'aria del gatto che ha appena mangiato il canarino. Lo vede?» «Non ancora.» «Bene. Quando quella specie di manichino tornerà con il menu, gli chieda di lui.» Il maître arrivò poco dopo, con un sorriso professionale sul viso neutro. «Posso portarvi qualcosa da bere?» «Due bicchieri di vino bianco. Il signor Creighton c'è?» «Credo che sia in cucina a parlare con lo chef.» «Sono una sua vecchia amica», disse Cynthia. «Lo preghi di fare un salto da noi appena si sarà liberato.» «Certamente.» «Avrebbe dovuto fare l'attrice», bisbigliò Alvirah, coprendosi il viso con il menu. Viveva nel costante timore che qualcuno potesse leggerle sulle labbra. «Sono contenta d'averla convinta a comprarsi quel vestito, stamattina. Quelli che ha nell'armadio sono a dir poco desolanti.» Cynthia portava una giacchina corta di lino color limone su una gonna di lino nero. Su una spalla si era gettata una sciarpa di seta fantasia con grandi chiazze gialle, nere e bianche. Alvirah in persona l'aveva scortata dal parrucchiere e ora i capelli, lunghi fino alle spalle, le ondeggiavano morbidamente intorno al viso. Un fondotinta molto chiaro nascondeva l'estremo pallore del suo viso e ravvivava il nocciola degli occhi. «È un amore», disse ancora Alvirah. Quanto a lei, seppure con una certa riluttanza, si era sottoposta a una metamorfosi di ben altro genere. La raffinata sfumatura di colore creata da Sassoon era stata coperta da una tinta di un violento rosso-arancio e il taglio non era più impeccabile. Aveva tolto lo smalto dalle unghie che ora erano corte, e dopo aver aiutato Cynthia nella sua scelta, era passata al reparto saldi dove per ottimi motivi c'era l'abito color porpora che indossava in quel momento e che costava solo dieci dollari. Il fatto che fosse di una taglia troppo piccola metteva in risalto i rotoli di grasso che, diceva Willy, erano l'unico strumento che la natura avesse inventato per proteggerci contro l'ultima, fatale caduta. Alle proteste di Cynthia, Alvirah aveva risposto soltanto: «Lei ha sempre descritto la teste scomparsa come una donna tozza, con i capelli tinti di
arancio e vestita come se abitualmente facesse i suoi acquisti negli ipermercati. È così che dovrò apparire, se voglio essere credibile». «Per la verità, io ho detto soltanto che era vestita in modo poco costoso», la corresse Cynthia. «È la stessa cosa.» Alvirah vide il sorriso della giovane sbiadire lentamente. «Sta arrivando?» bisbigliò. Cynthia annuì. «Mi sorrida e si rilassi. Coraggio! Non deve fargli capire che è nervosa.» L'altra la ricompensò con un sorriso pieno di calore e appoggiò i gomiti sul tavolo. Un uomo si era fermato accanto a loro. Aveva la fronte imperlata di sudore e continuava a inumidirsi le labbra con la lingua. «Cynthia. Che piacere vederti.» Le tese la mano. Alvirah studiava con attenzione Ned Creighton. Non brutto, decise, anche se con una certa debolezza di tratti. Occhi stretti che quasi si perdevano nelle guance troppo paffute. In quei dodici anni, era ingrassato almeno una decina di chili, a giudicare dalle foto sui giornali. Uno di quegli uomini molto belli da giovani, ma per cui il declino comincia presto. «Davvero ti fa piacere, Ned?» chiese Cynthia, sempre sorridendo. «È lui», annunciò con enfasi Alvirah. «Ne sono sicurissima. Era in coda davanti a me in quel posto dove vendono gli hamburger. Lo notai perché era incavolato nero con i ragazzi che lo precedevano e che non si decidevano a ordinare.» «Ma di che sta parlando?» sibilò Ned Creighton. «Perché non ti siedi, Ned?» intervenne Cynthia. «So che questo è il tuo ristorante, ma ho quasi la sensazione di dover fare io gli onori di casa. Dopotutto, tanti anni fa mi offristi una cena.» Brava ragazza, pensò Alvirah con approvazione. «Sono certissima che è lui», riprese in tono indignato. «Anche se da allora ha messo su un bel po' di chili. È una vergogna che per colpa delle sue bugie questa ragazza abbia dovuto passare dodici anni in prigione.» Il sorriso svanì dal volto di Cynthia. «Dodici anni, sei mesi e dieci giorni», la corresse. «Gli anni in cui avrei dovuto finire l'università, trovare lavoro, uscire con i ragazzi.» Il viso di Creighton si era indurito. «Stai bluffando. È un trucco da poco, il tuo.» Arrivò il cameriere con i due bicchieri di vino. «Signor Creighton?» domandò.
Lui gli scoccò un'occhiata dura. «Per me niente.» «Un posticino davvero delizioso, Ned», riprese Cynthia con voce quieta. «Devi averci investito un sacco di soldi. Dove te li sei procurati? È stata Lillian? La mia quota della proprietà di Stuart era di quasi dieci milioni di dollari. Lei quanto ti ha dato?» Non attese la risposta. «Ned, questa signora è la testimone che allora non riuscii a rintracciare. Ricorda di aver parlato con me quella notte. Nessuno mi credette quando raccontai della donna che aveva sbattuto la portiera della sua auto contro la fiancata della tua. Ma lei rammenta di averlo fatto. E ricorda anche di averti visto. Ha tenuto un diario per tutta la sua vita e quella sera vi annotò ciò che era accaduto nel parcheggio.» Mentre annuiva, Alvirah scrutava il viso di Ned. Era scosso, pensò, ma non ancora persuaso. Era arrivato il momento di intervenire. «Lasciai il Capo proprio il giorno dopo», raccontò. «Ora vivo in Arizona. Mio marito era malato, molto malato, è questo il motivo per cui non tornammo più da queste parti. L'ho perduto l'anno scorso.» Scusami, Willy, pensò, ma è una faccenda importante. «La settimana scorsa stavo guardando la televisione, e lei sa quanto siano noiosi i programmi estivi. Avevano riproposto quel servizio sul carcere e, diavolo!, avreste potuto sbattermi a terra con un soffio quando ho visto il mio ritratto sullo schermo.» Cynthia si chinò a prendere la busta che aveva posato accanto alla sedia. «Questo è il ritratto della donna con cui avevo parlato nel parcheggio.» Quando Ned Creighton allungò la mano, lei si ritrasse. «Lo tengo io», disse. Lo schizzo raffigurava un volto di donna incorniciato in un finestrino d'auto. I lineamenti erano in ombra e lo sfondo era scuro, ma la somiglianza con Alvirah era a dir poco stupefacente. Quando Cynthia spinse indietro la sedia, anche Alvirah si alzò. «Non puoi restituirmi dodici anni di vita, Ned. Oh, so a che cosa stai pensando. A dispetto di questa nuova prova, una giuria potrebbe non credermi. Come non mi credettero dodici anni fa. Ma potrebbero anche farlo. E non penso che ti convenga correre un simile rischio. Ti consiglio di parlare con chi ti pagò per incastrarmi quella notte; gli dirai che voglio dieci milioni di dollari, la cifra che Stuart aveva deciso di lasciarmi.» «Sei pazza.» La collera aveva spazzato via la paura dal viso di Ned Creighton. «Dici? No, non credo.» Cynthia si frugò in tasca. «Ecco il mio indirizzo e il numero di telefono. Alvirah starà da me. Chiamami stasera entro le set-
te. Se non avrò tue notizie, assumerò un avvocato e farò riaprire il caso.» Posò sul tavolo una banconota da dieci dollari. «Dovrebbero bastare per il vino. Vedi? Non ho ancora smesso di pagare per la cena che mi offristi.» Puntò verso la porta, tallonata da Alvirah, che era ben consapevole del brusio che accompagnava la loro uscita. Gli altri clienti hanno capito che deve essere successo qualcosa, pensò. Bene. Lei e Cynthia rimasero in silenzio fino a che non furono in auto. Solo allora la ragazza chiese con voce tremante: «Come sono andata?» «È stata fantastica.» «Ma, Alvirah, non funzionerà. Basterà che vadano a rivedere lo schizzo che Jeff ha mostrato nel programma per accorgersi dei dettagli che ho aggiunto per renderlo più somigliante a lei.» «Già, ma non ne hanno il tempo. È proprio sicura di aver visto la sua sorellastra a casa Richards, ieri?» «Sicurissima.» «Ebbene, la mia idea è che Ned Creighton stia andando a parlarle proprio adesso.» Cynthia guidava in modo automatico, senza notare la brillante luminosità del pomeriggio. «Erano tante le persone che detestavano Stuart. Come fa a essere così certa che ci sia di mezzo Lillian?» Alvirah era impegnata ad abbassare la cerniera dell'abito porpora. «È talmente stretto che rischio di soffocare», si lamentò. Si passò una mano tra i capelli tagliati alla meno peggio. «Ci sarà bisogno di tutte le lavoranti di Sassoon per rimettermi in sesto. E, chissà, forse dovrò perfino tornare a Cypress Point. Che cosa mi aveva chiesto? Oh, Lillian. Be', deve essere necessariamente coinvolta. Guardi le cose da questo punto di vista: c'era un sacco di gente che detestava il suo patrigno, sì, ma non era gente che avesse bisogno di un Ned Creighton per incastrare lei. Lillian aveva sempre saputo che il padre contava di lasciare metà del suo denaro al Dartmouth College, vero?» «Sì.» Cynthia sterzò per imboccare la stradina che portava ai cottage. «Ecco. Non importa quanta gente odiasse il suo patrigno, Lillian è stata la sola a beneficiare della sua condanna. E conosceva Ned. Il quale Ned, dal canto suo, stava cercando i soldi per aprire un ristorante. Con ogni probabilità, Stuart aveva detto a Lillian che intendeva lasciare la metà del suo patrimonio a lei e non più al Dartmouth e, come lei stessa mi ha detto, Lillian la odiava. Ecco perché decise di ricorrere a Ned. Lui la porta fuori in
barca e a un certo punto finge un guasto al motore. Nel frattempo, qualcuno uccide Stuart Richards. Lillian ovviamente ha un alibi. Quella sera era a New York. Con ogni probabilità, ha ingaggiato un sicario. Insistendo per mangiare un hamburger, lei rischiò di mandare all'aria il loro piano, e naturalmente Ned non poteva sapere che durante la sua breve assenza lei aveva parlato con qualcuno. Deve aver sofferto le pene dell'inferno temendo che la fantomatica testimone potesse farsi avanti.» «E se qualcuno l'avesse riconosciuto e avesse riferito di averlo visto al fast-food?» «In tal caso, Ned avrebbe spiegato di essere uscito in barca e poi di essersi fermato a mangiare un hamburger e che lei, ansiosa di costruirsi un alibi, l'aveva supplicato di dire che era in sua compagnia. Ma nessuno si fece avanti.» «Mi sembra talmente rischioso», protestò Cynthia. «Non rischioso. Semplice», la corresse Alvirah. «Mi creda, ci ho pensato su parecchio. Rimarrebbe sorpresa nel sapere quante volte colui che versa più lacrime al funerale in realtà è l'assassino.» Erano arrivate. «E ora?» volle sapere Cynthia. «Ora aspettiamo che la sua sorellastra le telefoni.» Alvirah scosse la testa. «Vedo che ancora non mi crede. Ma aspetti e vedrà. Nel frattempo, preparerò una bella tazza di tè per tutte e due. È un peccato che Creighton sia arrivato prima che avessimo avuto il tempo di mangiare qualcosa. Il menu era davvero interessante.» Stavano mangiando sandwich con insalata di tonno sulla veranda, quando il telefono squillò. «Lillian», predisse Alvirah, seguendo Cynthia in cucina. «Pronto?» La voce della ragazza era appena un bisbiglio. «Salve, Lillian.» Vedendola sbiancare, Alvirah la prese per un braccio e annuì più volte vigorosamente. «Sì, ho appena parlato con Ned. No, non sto scherzando. Non ci vedo nulla di divertente... Sì, verrò questa sera. Non preoccuparti per la cena. La tua presenza mi chiude lo stomaco. E, Lillian, ho già detto a Ned quello che voglio. Sappi che non cambierò idea.» Cynthia riappese e si lasciò cadere su una sedia. «Le mie accuse sono ridicole, dice, ma lei sa quanto poteva essere esasperante suo padre. È in gamba, la nostra Lillian.» «Forse, ma questo non basterà. Le presterò la mia spilla per registrare di
nascosto la conversazione. Dovrà indurla ad ammettere che lei, Cynthia, non ha avuto assolutamente nulla a che fare con il delitto, e che è stata una sua iniziativa coinvolgere Ned per metterla in trappola. A che ora la aspetta?» «Alle otto. Ci sarà anche Ned.» «Bene. Willy l'accompagnerà. Si nasconderà sul fondo della macchina. Dietro. Per essere così grosso, riesce a diventare sorprendentemente piccolo quando si acciambella, e così potrà tenerla d'occhio. Anche se sono sicura che non tenteranno di fare nulla in casa. Sarebbe troppo rischioso.» Alvirah staccò la spilla dal vestito. «Dopo Willy, è il mio tesoro più grande», disse. «Ora le mostro come usarla.» Per tutto il resto del pomeriggio Alvirah istruì Cynthia su quanto avrebbe dovuto dire alla sorellastra. «Deve essere stata per forza lei a fornire il denaro per il ristorante. Probabilmente tramite una di quelle finanziarie di copertura. Le dica che, se non accetta la sua proposta, lei si metterà in contatto con un famoso commercialista che conosce e che in passato ha lavorato per il governo.» «Lillian sa che non ho denaro.» «Ma non sa se c'è qualcuno interessato al suo caso. L'autore di quel programma televisivo lo ha fatto, no?» «Sì, Jeff lo ha fatto.» Negli occhi di Alvirah si accese una luce. «C'è qualcosa tra voi?» «Ci sarà, se riuscirò a provare la mia innocenza. In caso contrario, non ci sarà mai nulla tra me e Jeff, o chiunque altro.» Il telefono squillò di nuovo alle sei. «Mi lasci rispondere», disse Alvirah. «È bene che sappiano che sono qui anch'io.» Il suo tonante «Pronto» fu seguito da un torrente di parole. «Jeff, stavamo proprio parlando di lei. Cynthia è qui accanto a me. Che ragazza graziosa! Se vedesse come sta bene, vestita a nuovo. Mi stava giusto raccontando di lei. Aspetti, gliela passo.» Rimase tranquillamente ad ascoltare mentre Cynthia spiegava: «Alvirah abita nel cottage accanto. Mi sta dando una mano. No, non torno. Sì, c'è un motivo per cui rimango qui. Forse stasera riuscirò ad avere la prova della mia innocenza. No, non venire. Non voglio vederti, Jeff... non adesso... Jeff, sì, sì, ti amo. Sì, se riuscirò a discolparmi ti sposerò». Quando riappese, Cynthia era prossima alle lacrime. «Alvirah, non sa quanto desideri avere una vita con lui. Sa che cosa ha detto? Ha citato
l'Highwayman. 'Verrò da te con il chiaro di luna anche se l'inferno dovesse sbarrarmi la strada.'» «Mi piace», dichiarò Alvirah senza mezzi termini. «La voce mi basta per capire una persona. Viene stasera? Non vorrei che la turbasse, o addirittura la convincesse a tirarsi indietro.» «No. L'anno appena nominato anchorman del notiziario delle dieci. Ma scommetto qualunque cosa che arriverà domani.» «Be', ci penseremo allora. Più gente si mette in mezzo, più probabilità ci sono che Ned e Lillian mangino la foglia.» Lanciò un'occhiata fuori della finestra. «Oh, ecco Willy. Dio del cielo, ha preso degli altri pesci azzurri. Mi fanno venire l'orticaria, ma naturalmente non posso dirglielo. Oh, pazienza.» Aprì la porta a un Willy raggiante che faceva dondolare con aria orgogliosa una lenza da cui penzolavano due pesci azzurri. Il suo sorriso svanì nell'attimo in cui prese nota della massa arruffata di riccioli rossi di Alvirah e dell'abito color porpora da cui debordavano rotoli di ciccia. «Ah, cavolo», borbottò. «Sono venuti a riprendersi i soldi?» Alle sette e trenta, dopo una cena a base di pesce, Alvirah posò davanti a Cynthia una tazza di tè. «Non ha mangiato nulla», la rimproverò. «Ha bisogno di mandare giù qualcosa, se vuole conservarsi lucida. Allora, è sicura di aver capito tutto?» Cynthia sfiorò con la punta delle dita la spilla a forma di sole. «Credo di sì. Mi sembra tutto chiaro.» «Ricordi, tra quei due c'è stato un passaggio di denaro e, per quanto siano stati furbi, un modo per individuare la transazione ci dev'essere. Se accettano di pagarla, si offra di ridurre la cifra a condizione che le diano la soddisfazione di confessare la verità. Chiaro?» «Chiaro.» Alle sette e cinquanta, Cynthia partì con Willy nascosto sul fondo del sedile posteriore. La giornata piena di sole si era trasformata in una serata nuvolosa. Rimasta sola, Alvirah uscì sulla veranda posteriore. Il vento frustava la baia e le onde si abbattevano con fragore sulla spiaggia. In lontananza, si udiva il brontolio del tuono. La temperatura era calata di colpo e improvvisamente sembrava più ottobre che agosto. Rabbrividendo, si chiese se non fosse il caso di fare un salto a casa a prendere un maglione, ma decise di no. Se qualcuno avesse telefonato, voleva essere lì a rispondere.
Si preparò una seconda tazza di tè e andò a sedersi al tavolo del tinello, dando la schiena alla porta che dava sulla veranda. Cominciò a stendere una prima bozza dell'articolo che, ne era certa, di lì a poco avrebbe inviato al New York Globe. Cynthia Lathem, diciannovenne condannata a dodici anni di carcere per un delitto che non aveva commesso, poteva ora dimostrare la propria innocenza. Una voce alle sue spalle disse: «Oh, non credo proprio che succederà». Alvirah si girò di scatto e si trovò a fissare il viso cupo e irato di Ned Creighton. Cynthia aspettava sui gradini della veranda di casa Richards. Attraverso la massiccia porta di mogano, sentì echeggiare all'interno il suono melodioso del campanello. Assurdamente, pensò che aveva ancora le chiavi di quella casa e si chiese se Lillian avesse mai deciso di cambiare la serratura. La porta si spalancò e Lillian comparve sulla soglia. La luce della lampada Tiffany che pendeva dal soffitto accentuava i suoi zigomi alti, i larghi occhi azzurri, i capelli biondo cenere. Guardandola, Cynthia si sentì attraversare da un brivido freddo. In quegli anni, Lillian era diventata una sorta di clone del padre. Più piccola, naturalmente, e più giovane, ma nondimeno la versione femminile di Stuart, e con la stessa luce crudele negli occhi. «Entra, Cynthia.» La voce non era cambiata. Limpida, bene impostata, ma brusca e tagliente com'era stata anche quella di Stuart Richards. In silenzio, Cynthia la seguì nel soggiorno fiocamente illuminato. Era identico a come lo ricordava. La disposizione dei mobili, i tappeti orientali, il quadro appeso sul camino... non era cambiato nulla. L'imponente sala da pranzo che si apriva sulla sinistra aveva conservato l'aspetto poco vissuto che l'aveva sempre contraddistinta. All'epoca, loro di solito mangiavano nel tinello adiacente alla biblioteca. Aveva immaginato che Lillian la conducesse lì, invece la donna puntò verso lo studio del padre. Stringendo le labbra, Cynthia tastò brevemente la spilla a forma di sole. Stava forse cercando di intimidirla? si chiese. Lillian andò a sedersi alla massiccia scrivania. Cynthia ripensò per l'ennesima volta alla sera in cui era entrata in quella stanza e vi aveva trovato Stuart che giaceva sul tappeto. Sentiva le mani gelide e umide di sudore. Fuori, il vento si era fatto più forte e gemeva intorno alla casa. Lillian incrociò le mani e la guardò. «Tanto vale che ti sieda.» Cynthia si morse il labbro inferiore. Ciò che restava della sua vita di-
pendeva da quello che avrebbe detto nei minuti successivi. «Credo di essere l'unica ad avere il diritto di decidere chi deve sedersi e chi no», replicò. «Tuo padre lasciò a me questa casa. Al telefono hai parlato di un accordo. Ora non metterti a fare giochetti. E non cercare di intimidirmi. In prigione la timidezza si dimentica in fretta. Ned dov'è?» «Sarà qui da un minuto all'altro. Cynthia, le accuse che gli hai mosso sono pazzesche, e lo sai.» «Credevo di essere venuta per discutere della mia quota del patrimonio di Stuart.» «Sei venuta perché io sono addolorata per te e perché voglio darti la possibilità di trasferirti altrove e cominciare una nuova vita. Sono pronta a istituire un fondo fiduciario che ti garantirà un reddito mensile. Non molti sarebbero altrettanto generosi con l'assassina del loro padre.» Cynthia la fissava, pensando che doveva trovare il modo di frantumare quella gelida calma. Andò alla finestra e guardò fuori. La pioggia batteva sui vetri e i tuoni laceravano il silenzio. «Mi chiedo se quella sera Ned mi avrebbe comunque portata a fare un giro se avesse piovuto come adesso», disse. «Ma il tempo era dalla sua parte. Era una notte calda e nuvolosa e in mare non c'erano altre imbarcazioni. Ma c'era quella testimone, e ora finalmente l'ho trovata. Ned non ti ha detto che lei lo ha identificato con certezza?» «Quanti sarebbero disposti a credere a una persona che dichiara di riconoscere uno sconosciuto dopo quasi tredici anni? Cynthia, io non so chi tu abbia ingaggiato per questa messinscena, ma, ti avverto, lascia perdere. Accetta la mia offerta o chiamerò la polizia e ti farò arrestare per molestie. Non dimenticare che è molto facile far revocare il rilascio sulla parola a un criminale.» «A un criminale, certo. Ma io non sono una criminale e tu lo sai.» Cynthia si accostò all'armadio in stile Rinascimento inglese e aprì il cassetto più in alto. «Sapevo che Stuart teneva qui la pistola. Ma lo sapevi certamente anche tu. Hai dichiarato di non essere a conoscenza del fatto che lui aveva cambiato il testamento lasciando a me la parte originariamente destinata al Dartmouth. Mentivi. Stuart mi aveva mandato a chiamare per parlarmene, e certo non ti aveva nascosto i suoi propositi.» «Ignoravo la sua decisione. Non lo vedevo da tre mesi.» «Forse non lo vedevi, ma gli parlavi, giusto? Eri disposta ad accettare di dividere l'eredità con il Dartmouth, ma l'idea che invece fossi io a beneficiarne ti riusciva insopportabile. Mi odiavi per tutti gli anni che avevo passato in questa casa.
Mi odiavi perché a lui piacevo. E voi due eravate sempre in urto. Avevate lo stesso brutto carattere.» Lillian si alzò. «Non sai neppure di cosa stai parlando.» «Oh, sì che lo so», ribatté Cynthia, richiudendo con forza il cassetto. «E tutte le circostanze che hanno portato al mio arresto si dimostreranno perfino più probanti, se applicate a te. Io avevo una chiave di questa casa, e tu pure. Sulla scena del delitto non furono riscontrati segni di lotta e io non credo che tu abbia ingaggiato un sicario. Credo invece che l'abbia ucciso tu, con le tue mani. Sulla scrivania di Stuart c'era un pulsante collegato al sistema d'allarme. Ma lui non lo premette. Come poteva pensare che sua figlia volesse fargli del male? E perché Ned decise di passare di qui proprio quel pomeriggio? Tu sapevi che Stuart mi aveva invitata per il weekend; sapevi che mi avrebbe incoraggiata a uscire con Ned. Tuo padre amava la compagnia, ma non per periodi troppo lunghi. Forse Ned non ti ha spiegato bene la situazione. Quella donna tiene un diario. Me l'ha mostrato. Lo aggiorna ogni sera da quando aveva vent'anni, e nessuno potrebbe dimostrare che quanto ha scritto in quell'occasione è falso. C'è la mia descrizione, e quella dell'auto di Ned. Parla perfino dei ragazzetti noiosi che stavano in coda e di come tutti fossero impazienti con loro.» Ci sto riuscendo, pensò nel vedere Lillian impallidire. Deliberatamente, tornò accanto alla scrivania in modo che il microfono nascosto nella spilla fosse puntato direttamente verso la sorellastra. «Siete stati in gamba, certo», riprese. «Ned non cominciò a investire denaro nel ristorante finché io non fui dietro le sbarre. E sono certa che, in caso di necessità, potrebbe fare il nome di investitori rispettabilissimi. Ma oggigiorno il governo è diventato molto abile nell'individuare le fonti di denaro riciclato. In questo caso il tuo denaro, Lillian.» «Non puoi dimostrare nulla.» La voce della donna si era fatta stridula. Dio, se solo riuscissi a farglielo ammettere, pensava Cynthia. Strinse con forza i bordi della scrivania e si chinò in avanti. «Forse no. Ma ti consiglio di non correre il rischio. Lascia che ti racconti come ci si sente quando ti prendono le impronte digitali e ti stringono le manette intorno ai polsi. Come ci si sente a stare seduti in un'aula di tribunale mentre il procuratore distrettuale ti accusa di omicidio. Come ci si sente a studiare i volti dei giurati. È gente normale, sai. Vecchi. Giovani. Neri. Bianchi. Ben vestiti. Trasandati. Ma nelle loro mani tengono il tuo destino. E, Lillian, non ti piacerà. L'attesa. Le prove che si adatteranno a te molto meglio di come si siano mai adattate a me. Non hai né il temperamento né il fegato per af-
frontare tutto questo.» Lillian si alzò. «Tieni a mente che le tasse di successione sono state molto pesanti. Un buon avvocato probabilmente distruggerebbe quella tua presunta testimone, ma non voglio uno scandalo. Va bene, ti darò la tua metà», concluse con un sorriso. «Sarebbe dovuta rimanere in Arizona», disse Ned Creighton ad Alvirah. Teneva la pistola puntata direttamente contro il petto di lei. Alvirah tornò lentamente a sedersi, valutando le sue possibilità di fuga. Non ce n'erano. Lui quel pomeriggio le aveva creduto, e ora era tornato per ucciderla. Inconsciamente aveva sempre saputo di essere un'ottima attrice. Doveva provare a dirgli che suo marito sarebbe tornato di lì a qualche minuto? No, al ristorante aveva dichiarato di essere vedova. Quanto tempo sarebbero rimasti fuori, Willy e Cynthia? Troppo. Lillian di certo non avrebbe lasciato andare la sorellastra finché non avesse avuto la certezza che la scomoda testimone era morta; ma forse, se fosse riuscita a far parlare Ned, nel frattempo le sarebbe venuto in mente qualcosa. «Quanto ha avuto per recitare la sua parte?» chiese. Creighton sorrise, un sorriso beffardo che gli incurvò appena le labbra. «Tre milioni. Appena sufficienti per avviare un ristorante di classe.» Era un vero peccato che avesse dovuto prestare la spilla a Cynthia. Ecco la prova, la prova certa della sua colpevolezza, e lei non poteva registrarla. E se le fosse accaduto qualcosa, nessuno l'avrebbe mai saputo. Una cosa è sicura, pensò. Se esco indenne da questo pasticcio, Charley Evans dovrà regalarmi una spilla di riserva. Magari d'argento. No, di platino. Creighton agitò su e giù la pistola. «Si alzi, forza.» Alvirah spinse indietro la sedia, appoggiò le mani sul tavolo. Davanti a lei c'era la zuccheriera. Doveva tentare di scagliargliela contro? Sapeva di avere una buona mira, ma una pistola era senz'altro più veloce di una zuccheriera. «In soggiorno.» Mentre lei faceva il giro del tavolo, Creighton si protese a prendere la bozza dell'articolo e se la ficcò in tasca. Di là, le indicò una sedia a dondolo collocata davanti al camino. «Si sieda.» La teneva ancora sotto mira. Alvirah obbedì sedendosi a fatica, e rimase a guardarlo mentre prendeva una chiave lunga e stretta appesa alla mensola del camino e la inseriva in un cilindro incassato in uno dei mattoni. Con un
sibilo, il gas cominciò a fuoriuscire. Creighton si raddrizzò. Estrasse dalla scatola un fiammifero che accese sfregandolo su un mattone; poi soffiò sulla fiammella e gettò il fiammifero spento nel focolare. «Si stava facendo freddo», disse, «e lei ha deciso di accendere il fuoco. Ha aperto il gas. Poi ha gettato un fiammifero che però si è spento subito. Quando si è chinata per chiudere il gas e accenderne un altro, ha perso l'equilibrio ed è caduta. Cadendo, ha battuto la testa contro la mensola e ha perso conoscenza. Un incidente terribile. Cynthia resterà sconvolta nel trovarla.» Già l'odore del gas permeava la stanza. Alvirah inclinò il più possibile in avanti la sedia a dondolo. La sua sola speranza stava nel colpire Creighton con la testa e fargli cadere di mano la pistola. Ma era già troppo tardi. Una stretta ferrea le serrò le spalle. Si sentì trascinare in avanti, poi la testa le venne sbattuta con violenza contro la pietra. Un istante prima di svenire, Alvirah sentì l'odore nauseante del gas aggredirle le narici. «Ecco Ned», disse Lillian quando il campanello della porta trillò. «Vado ad aprire.» Cynthia era sulle spine. Lillian non aveva ancora ammesso nulla. Avrebbe avuto più fortuna con Ned? Aveva la sensazione di avanzare su una corda sospesa su un abisso. Se avesse fallito, la sua vita avrebbe perso ogni significato. Tornò Lillian seguita da Creighton. «Cynthia.» Il cenno di lui fu impersonale, ma non sgradevole. Accostò una sedia alla scrivania su cui la donna aveva posato una cartella piena di tabulati. «Stavo giusto spiegando a Cynthia che le tasse di successione hanno inciso pesantemente sul patrimonio», esordì Lillian. «Poi bisognerà calcolare la sua quota.» «Da cui non dovrai dedurre quello che hai versato a Ned», disse la ragazza, e intercettando l'occhiata irosa che lui scoccò a Lillian, scattò: «Che diavolo, tanto vale dire le cose come stanno». «Ti ho già detto che voglio aiutarti, e anche che mio padre sapeva essere esasperante», replicò Lillian con freddezza. «E faccio tutto questo perché sono addolorata per te. Ora esaminiamo le cifre.» Per un quarto d'ora buono, Lillian si dedicò all'esame dei bilanci. «Calcolando le tasse e gli interessi accumulatisi sul capitale rimanente, la tua quota attualmente ammonterebbe a cinque milioni di dollari.» «Più questa casa», interloquì Cynthia. Ma era perplessa. A mano a mano
che il tempo passava, Lillian e Ned sembravano più rilassati, più sicuri. «Oh, la casa no», protestò l'altra. «I pettegolezzi si sprecherebbero. La faremo valutare da un perito e io te ne corrisponderò il valore. Ricorda, Cynthia, che mi sto comportando con estrema generosità. Mio padre amava giocare con le vite altrui. Era crudele. Se tu non l'avessi ucciso, ci avrebbe pensato qualcun altro. Ecco perché ho deciso di venirti incontro.» «Lo fai perché non vuoi finire in tribunale con il rischio di venire condannata per omicidio, ecco perché.» Ma no, pensò Cynthia in un empito di disperazione. Non serve. Se non riesco a indurla a parlare, sarà tutto inutile. Il giorno dopo Lillian e Ned avrebbero avuto la possibilità di fare tutti i necessari controlli su Alvirah e la verità sarebbe venuta a galla. «Puoi tenerti la casa», disse. «Solo, dammi la soddisfazione di sentirti dire la verità. Ammetti che io non ho avuto alcuna responsabilità nella morte di tuo padre.» Lillian guardò Ned, poi l'orologio. «Credo che a questo punto possiamo soddisfare la tua richiesta.» Cominciò a ridere. «Cynthia, io sono come mio padre. Mi piace giocare con gli altri... Sì, lui mi telefonò per dirmi di aver modificato il testamento. Potevo sopportare che il Dartmouth si prendesse metà del patrimonio, ma non che questo andasse a te. Mi disse che ti aveva invitata qui per il weekend... Il resto fu facile. Mia madre era una donna magnifica, e fu anche troppo felice di confermare che quella sera ero con lei a New York. E Ned, naturalmente, fu ben lieto di beccarsi un sacco di soldi solo per portarti a fare un giro in barca. Sei in gamba, Cynthia. Più in gamba dell'ufficio del procuratore distrettuale. Più in gamba perfino di quello stupido avvocato che ti eri procurata.» Fa' che il registratore funzioni, pregava Cynthia. Fa' che funzioni. «E abbastanza in gamba da trovare l'unica testimone che potesse confermare la mia versione», aggiunse. Sgomenta, li vide scoppiare a ridere. «Quale testimone?» chiese Ned. «Esci di qui», disse Lillian. «Esci di qui immediatamente e non tornare mai più.» Jeff Knight procedeva velocemente lungo la Route 6, sforzandosi di leggere i cartelli attraverso la cortina di pioggia che si abbatteva sul parabrezza. L'uscita non doveva essere lontana. Il produttore del notiziario delle dieci si era mostrato inaspettatamente comprensivo. Ma non per puro altruismo. «Vai pure, Jeff. Se Cynthia Lathem è davvero al Capo e crede di essere sulle tracce dell'assassino del patrigno, potrai ricavarne una storia
sensazionale.» Ma a Jeff non interessava lo scoop, bensì Cynthia. Strinse più forte il volante con le sue lunghe dita. Dall'assistente sociale che si occupava del suo caso era riuscito a farsi dare, oltre al suo numero di telefono, anche l'indirizzo. Lui stesso aveva trascorso molte estati al Capo e questo era il motivo per cui si era sentito così frustrato quando aveva inutilmente cercato le prove che corroborassero la versione di Cynthia. D'altro canto, lui aveva sempre soggiornato a Eastham, a una settantina di chilometri da Cotuit. L'uscita, finalmente. Girò in Union Street e puntò verso la Route 6A. Tre o quattro chilometri ancora. Lo tormentava una sensazione di catastrofe incombente. Se Cynthia aveva trovato una traccia autentica, allora forse era in pericolo. Dovette inchiodare i freni all'altezza di Nobscusset Road, quando un'auto, ignorando il segnale di stop, gli sfrecciò davanti senza rallentare. Razza di idiota, pensò Jeff mentre si dirigeva verso la baia. Doveva essersi verificato un guasto sulla linea elettrica, perché l'intera zona era immersa nel buio. In fondo al cul-de-sac girò a sinistra. Il cottage di Cynthia si trovava lungo quel vialetto tortuoso, al numero sei. Guidò lentamente, aguzzando gli occhi per leggere i numeri alla luce dei fari. Due. Quattro. Jeff si infilò nel vialetto, spalancò la portiera e corse fuori sotto la pioggia battente. Aveva già il dito sul campanello quando si ricordò del blackout. Bussò con forza, ma la porta rimase ostinatamente chiusa. Cynthia doveva essere fuori. Stava già tornando sui suoi passi, quando una paura improvvisa quanto irragionevole lo spinse a risalire di corsa i gradini e a saggiare la maniglia. La sentì abbassarsi sotto la sua mano. Spalancò la porta. «Cynthia!» gridò, ed ebbe un sussulto quando l'odore del gas lo aggredì; il sibilo veniva dal caminetto. Mentre si precipitava a fermare la fuoriuscita, inciampò nel corpo inerte di Alvirah. Willy cominciava a spazientirsi. Cynthia era in quella casa da più di un'ora, ormai, e il tizio arrivato successivamente vi si trovava da almeno quindici minuti. Non sapeva bene che cosa fare. Alvirah non gli aveva dato istruzioni precise, limitandosi a raccomandargli di restare nei paraggi e accertarsi che Cynthia non lasciasse la casa in compagnia di qualcuno. Mentre rifletteva, sentì un ululato di sirene che si avvicinavano. Autopattuglie. Attonito, Willy le guardò imboccare il lungo viale che portava alla proprietà dei Richards. Alcuni agenti balzarono a terra, salirono di corsa i gradini
d'ingresso e bussarono alla porta. Un istante più tardi, una berlina andò a fermarsi dietro le autopattuglie. Ne scese un tizio robusto con indosso un impermeabile che affrontò gli scalini a due a due. A questo punto, Willy si districò con una certa fatica dalla sua scomoda posizione e scese a sua volta. Arrivò giusto in tempo per precipitarsi in aiuto di Alvirah che, un po' incerta sulle gambe, stava emergendo dalla berlina. Era buio, ma a Willy non sfuggì la ferita che aveva sulla testa. «Che cosa è successo, tesoro?» «Te lo racconto dopo. Ora aiutami a entrare. Non voglio perdermi la scena.» Nello studio del defunto Stuart Richards, Alvirah visse una delle sue più grandi soddisfazioni. Con il dito puntato contro Ned e la voce vibrante dichiarò: «Mi ha minacciato con una pistola. Ha acceso il gas. Mi ha sbattuto la testa contro il camino. E mi ha detto che Lillian Richards lo aveva pagato tre milioni di dollari perché incastrasse Cynthia». La ragazza non staccava gli occhi da Lillian. «E a meno che le batterie del registratore di Alvirah non siano esaurite, la polizia potrà ascoltarvi mentre vi riconoscete colpevoli.» Era già tardi quando, la mattina seguente, Willy preparò la colazione e la servì in veranda. Il temporale era passato e il cielo aveva riacquistato la sua gioiosa limpidezza. I gabbiani volavano rasenti le onde in cerca li prede. La baia era tranquilla, e i bambini si divertivano a costruire castelli con la sabbia umida della battigia. Alvirah, che si era ripresa egregiamente dalla sua brutta esperienza, aveva terminato l'articolo e lo aveva dettato per telefono a Charley Evans. Charley le aveva promesso la più bella spilla d'argento a forma di sole che fosse possibile comperare, e dotata di un microfono così sensibile da registrare lo starnuto di un topo nella stanza vicina. Ora, mentre masticava ciambelle ricoperte di cioccolato e sorseggiava il caffè, disse: «Ah, ecco Jeff. È un vero peccato che ieri sera sia dovuto tornare a Boston. Ma è stato magnifico da parte sua raccontare tutto quanto durante il notiziario di stamattina. Credimi, quel ragazzo andrà lontano». «Quel ragazzo ti ha salvato la vita, tesoro», le ricordò Willy. «E di conseguenza non potrebbe essermi più simpatico. Santo cielo, ancora quasi non riesco a crederci: io me ne stavo acciambellato come un pupazzo a molla in quell'auto, mentre tu rischiavi di morire asfissiata!» Videro Jeff scendere dall'auto e Cynthia precipitarsi fra le sue braccia.
Alvirah si alzò. «Penso che andrò a salutarlo. Fa bene al cuore il modo in cui si guardano. Sono talmente innamorati!» Willy le posò una mano gentile ma ferma sulla spalla. «Alvirah, tesoro», la pregò. «Solo per questa volta, per cinque minuti, pensa agli affari tuoi.» Willy di nuovo idraulico Se Alvirah Meehan avesse potuto leggere in una sfera di cristallo gli eventi dei dieci giorni successivi, avrebbe preso Willy per mano e si sarebbe precipitata fuori della sala verde. Invece, rimase seduta a chiacchierare con gli altri ospiti del programma di Phil Donahue. Quel giorno, l'argomento trattato non erano le orge né le mogli violentate, ma le persone la cui vita era stata sconvolta da una grossa vincita alla lotteria. Il Gruppo di sostegno per i vincitori era stato contattato dagli organizzatori del programma di Donahue, che si erano premurati di selezionare i casi più significativi. Alvirah e Willy avrebbero fatto da contrappunto agli altri, aveva specificato l'intervistatrice. «Qualunque cosa voglia dire», fu il commento che Alvirah rivolse al marito al termine del primo colloquio. Per la sua apparizione in tivù, Alvirah si era fatta tingere i capelli di una morbida tonalità fragola, che attenuava l'eccessiva angolosità del suo viso. Proprio quella mattina, Willy le aveva detto che non era minimamente cambiata da quando l'aveva vista per la prima volta, a un ballo dei Cavalieri di Colombo di quarant'anni prima. Per l'occasione, la baronessa Min von Schreiber aveva lasciato la stazione termale di Cypress Point in modo da poterla accompagnare a scegliere il vestito. «Non dimenticare di dire che il primo regalo che ti sei concessa dopo aver vinto è stato un soggiorno presso di noi», le aveva raccomandato. «Con questa maledetta recessione, gli affari non vanno esattamente a gonfie vele.» Alvirah indossava un tailleur di seta azzurra con una camicia bianca e la spilla a forma di sole raggiato da cui non si staccava mai. Le dispiaceva non essere riuscita a perdere i cinque chili che aveva messo su in agosto, durante il viaggio in Spagna, ma sapeva di avere ugualmente un bell'aspetto. In senso relativo, naturalmente. Perché Alvirah non si era mai fatta illusioni sulla sua mascella sporgente e il viso troppo largo, e sapeva che non avrebbe mai potuto aspirare al titolo di Mrs. America. Gli altri ospiti erano tre uomini e una coppia. I tre, dipendenti di una fabbrica di collant, sei anni prima avevano condiviso una vincita di dieci
milioni di dollari. Incoraggiati da quel colpo di fortuna, si erano dati al commercio di cavalli da corsa, e ora erano sul lastrico. Il resto della vincita che spettava loro apparteneva già alle banche e allo Zio Sam. I due coniugi, invece, avevano acquistato un hotel nel Vermont dopo aver vinto sedici milioni di dollari, e ora lavoravano come schiavi sette giorni alla settimana nel tentativo di far fronte alle spese. E spendevano un'infinità di denaro in sofisticate inserzioni con cui speravano di riuscire a liberarsi dell'albergo. Arrivò un assistente per accompagnarli in studio. Alvirah si era ormai abituata a comparire in televisione. Per esempio, sapeva che sedendosi leggermente di sbieco sembrava più magra. Non portava bigiotteria che potesse frusciare spiacevolmente e stava attenta a pronunciare frasi concise e chiare. Willy, invece, non ci aveva mai fatto il callo. Benché Alvirah continuasse ad assicurargli che aveva un aspetto fantastico e che la gente lo scambiava spessissimo per Tip O'Neill, si sentiva molto più a suo agio con una chiave inglese in mano e una conduttura da riparare. Perché Willy era un idraulico nato. Donahue esordì con la sua consueta voce un po' ansante, appena venata di incredulità. «Ve l'immaginate? C'è chi, dopo aver vinto milioni di dollari alla lotteria, ha bisogno di un gruppo di sostegno. E, pensate, ci si può ritrovare ridotti in bolletta anche quando nella cassetta della posta si accumulano pingui assegni. Riuscite a crederci?» «Naaa», strillò obbediente il pubblico in studio. Alvirah si ricordò di tirare in dentro la pancia quando allungò la mano verso Willy e intrecciò le dita a quelle di lui. Ci teneva che il marito apparisse tranquillo e rilassato, soprattutto perché parenti e amici avrebbero visto il programma. Suor Cordelia, la sorella maggiore di Willy, aveva addirittura invitato un gruppo di religiose ormai a riposo a guardarlo con lei. Oltre agli spettatori abituali di Donahue, tre uomini stavano seguendo il programma con avido interesse. Sammy, Clarence e Tony erano stati rilasciati dal carcere di massima sicurezza nei pressi di Albany proprio quel giorno, dopo aver scontato una condanna a quindici anni per aver partecipato a una rapina a mano armata a un furgone della Brink. Sfortunatamente per loro, non avevano mai avuto il tempo di spendere i seicentomila dollari che costituivano il loro bottino. Mentre fuggivano in macchina si erano ritrovati con una gomma a terra a un isolato di distanza dal luogo del crimi-
ne. Ora, dopo aver pagato il loro debito alla società, stavano cercando un nuovo modo per arricchirsi. L'idea di sequestrare un parente del vincitore di una qualche lotteria era stata partorita da Clarence, e questo era il motivo per cui stavano seguendo il programma di Donahue in una squallida stanza del Lincoln Arms Hotel, un alberghetto tra la Nona Avenue e la Quarantesima Strada. Trentacinquenne, Tony era di dieci anni più giovane degli altri due, e come il fratello Sammy era un uomo dal torace ampio e le braccia nerborute. Gli occhi piccoli quasi scomparivano sotto le palpebre pesanti, e i folti capelli scuri avevano un taglio dozzinale. Tony obbediva ciecamente al fratello, che a sua volta dipendeva in tutto e per tutto da Clarence. Quest'ultimo era diversissimo da loro. Piccolo, magro, con una voce morbida, aveva qualcosa di raggelante, ed erano in molti, e con ottimi motivi, ad avere paura di lui. Clarence era infatti un uomo privo di coscienza, e, se gli fosse capitato di parlare nel sonno durante la detenzione, la polizia avrebbe potuto riaprire parecchi casi di omicidio ancora irrisolti. Sammy non aveva mai confessato a Clarence che, la sera prima della rapina, suo fratello se n'era andato in giro con la macchina che dovevano usare per il colpo, ed era passato per una strada piena di vetri. Se lo avesse fatto, Tony non sarebbe sopravvissuto il tempo sufficiente per dirsi dispiaciuto di non aver controllato i pneumatici. «In tutto il mondo non c'è denaro sufficiente a mantenere quei cavallini», stava piagnucolando uno dei tre allevatori di purosangue, e i suoi soci annuivano con vigore. «Quegli imbecilli non saprebbero spendere in modo intelligente due lire», sbuffò Sammy. Allungò la mano per spegnere, ma Clarence lo fermò: «Un minuto». Aveva preso la parola Alvirah. «Non eravamo abituati ad avere tanto denaro», stava spiegando. «Non che vivessimo male. Abitavamo a Flushing in un appartamento di tre stanze, e lo teniamo ancora nell'eventualità che lo stato faccia bancarotta e non ci versi più nulla. Ma io lavoravo come donna delle pulizie e Willy faceva l'idraulico, e naturalmente non c'era troppo da scialare.» «Ma se gli idraulici guadagnano una fortuna», protestò Donahue. «Non Willy.» Alvirah sorrise. «Passava metà del suo tempo a lavorare gratis per conventi, rettorati e famiglie con poche possibilità. Lo sa anche lei, è costoso mantenere efficienti gli impianti idraulici, e per Willy quello
era il modo per rendere la vita più facile agli altri. Lo fa ancora.» «Ma sicuramente il denaro vi avrà permesso di togliervi molte soddisfazioni», insistette il conduttore. «Lei, per esempio, è molto elegante.» Alvirah si rammentò di nominare la stazione termale di Cypress Point mentre spiegava che, sì, in effetti se l'erano goduta. Avevano acquistato un appartamento in Central Park Sud, viaggiavano molto e si occupavano di beneficenza. Lei scriveva anche articoli per il New York Globe ed era stata così fortunata da contribuire a risolvere alcuni casi. Aveva sempre desiderato diventare un detective. «Tuttavia», concluse con fermezza, «nei cinque anni trascorsi dalla vincita, abbiamo messo da parte più della metà della cifra di ogni assegno. Denaro che adesso è in banca.» Clarence, subito imitato da Sammy e Tony, si unì al fragoroso applauso che scoppiò fra il pubblico in sala. Ora Clarence sorrideva, un sorriso privo di allegria. «Due milioni di bigliettoni l'anno. Ammettiamo pure che quasi il cinquanta per cento se ne vada in tasse; rimane un gruzzoletto di oltre un milione l'anno, di cui circa la metà finisce in banca. Dovrebbero bastare a tenerci a galla per un po', voi che ne dite?» «Prendiamo lei?» fece Tony, indicando lo schermo. L'altro lo fulminò con un'occhiata. «No, cretino. Guardali! Lui pende letteralmente dalle sue labbra. Se sequestrassimo la moglie, crollerebbe subito e si precipiterebbe urlando dagli sbirri. No, rapiremo il marito. Lei eseguirà gli ordini e pagherà per riaverlo.» Si guardò intorno. «Spero che Willy si troverà bene qui da noi.» Tony sembrava preoccupato. «Bisognerà tenerlo sempre bendato. Non voglio che poi mi riconosca in qualche confronto.» Questa volta fu Sammy a sospirare. «Tony, non ti preoccupare per questo. Nell'attimo stesso in cui avremo il denaro, Willy Meehan finirà diritto a cercare infiltrazioni nell'Hudson.» Due settimane dopo, Alvirah si trovava da Louis Vincent, il parrucchiere vicino al loro appartamento di Central Park. «Da quando il programma è andato in onda, riceviamo un sacco di lettere», stava raccontando a Vincent. «Ci ha scritto perfino il presidente. Voleva congratularsi con noi per la saggezza con cui gestiamo la nostra fortuna. Ha detto che siamo un perfetto esempio di prosperità ben amministrata. Vorrei che ci avesse invitato a cena alla Casa Bianca. L'ho sempre desiderato. Ma chissà, forse un gior-
no...» «Quel giorno, si ricordi di venire a farsi pettinare da me», la ammonì Vincent, dando gli ultimi ritocchi alla sua acconciatura. «Vuole che chiami la manicure?» In seguito, Alvirah si disse che avrebbe dovuto dare ascolto alla strana inquietudine che le suggeriva di tornare direttamente a casa. Se l'avesse fatto, avrebbe intercettato Willy prima che salisse in macchina con quegli uomini. Il custode dello stabile la accolse con un sorriso di sollievo. «Dunque si è trattato di un errore. Mi fa tanto piacere, signora Meehan. Suo marito era talmente preoccupato!» Perplessa, lei ascoltò José che le raccontava di come Willy si fosse precipitato fuori in lacrime, gridando che Alvirah aveva avuto un attacco cardiaco sotto il casco e che era stata ricoverata al Roosevelt Hospital. «Ad aspettarlo davanti al passo carraio c'era un tizio con una Cadillac nera», concluse l'uomo. «Evidentemente il dottore aveva mandato la sua auto a prenderlo.» «Mi sembra strano», replicò Alvirah, lentamente. «Meglio che vada subito all'ospedale.» «Le chiamo un taxi.» In quel momento squillò il telefono. Rivolgendole un sorriso di scusa, José sollevò la cornetta. «Central Park Sud, 2-11.» Rimase in ascolto poi, sorpreso, si girò a guardarla. «È per lei, signora.» «Per me?» Alvirah si accostò la cornetta all'orecchio, e il suo cuore perse un battito quando sentì una voce sussurrare: «Mi ascolti attentamente, Alvirah. Dica al custode che suo marito sta bene; c'è stato un malinteso, ma la raggiungerà a casa più tardi. Poi salga nel suo appartamento e resti in attesa di istruzioni». Willy era stato rapito, comprese lei, sgomenta. «Naturalmente», riuscì a bisbigliare. «Dica a Willy che ci vediamo tra un'ora.» «È una donna in gamba, signora Meehan», si complimentò il suo misterioso interlocutore. Un clic. La comunicazione era stata interrotta. Alvirah si rivolse a José. «Solo uno sbaglio. Povero Willy, come dev'essersi preoccupato.» Si sforzò di ridere. «Ah... ah... ah...» José era raggiante. «In Portorico, non ho mai sentito di un dottore che mandasse la propria macchina a prendere i parenti di un malato.» L'appartamento era al trentaquattresimo piano, e aveva un'ampia terrazza che guardava su Central Park. Di solito, Alvirah vi entrava sorridendo: l'in-
terno le piaceva e, benché non se ne facesse un vanto, pensava di avere un certo gusto per l'arredamento. Tutti quegli anni passati a pulire le case altrui non erano stati inutili! Dopo aver vissuto per qualche mese con l'asettico mobilio ereditato dal precedente proprietario - tappezzeria bianca, tappeti, tavoli e divani, tutto bianco - le era sembrato di abitare in una bottiglia di disinfettante. Così, aveva regalato ogni cosa al nipote e aveva riarredato la casa di testa sua. Quel giorno, tuttavia, non trasse alcun conforto dalla vista del sofà e del divanetto a due posti color avorio, della comoda poltrona di Willy completa di appoggiapiedi, del tappeto orientale color cremisi e blu reale, del tavolo da pranzo laccato di nero, e neppure del sole del pomeriggio che danzava tra le foglie gialle nel parco. Quale piacere poteva mai ricavare da tutto questo, se Willy era nei guai? In quel momento, avrebbe voluto con tutto il cuore essere di nuovo con il marito nell'appartamento di Flushing, sopra la sartoria di Orazio Romano. A quell'ora lei sarebbe rientrata dopo le pulizie in casa O'Keefe, e scherzando avrebbe detto a Willy che la signora doveva essere stata vaccinata con una puntina da giradischi. «Non chiude mai la bocca. Grida perfino mentre faccio andare l'aspirapolvere. È un bene che in fondo sia una persona ordinata, perché in caso contrario non mi basterebbe tutta la giornata per fare il mio lavoro.» Squillò il telefono. Alvirah si precipitò verso l'apparecchio del soggiorno, poi cambiò idea e corse in camera, dov'era installata la segreteria telefonica. Premette il pulsante record mentre sollevava la cornetta. La stessa voce bisbigliante: «Alvirah?» «Sì. Dov'è Willy? Qualunque cosa vogliate, non fategli del male.» Sullo sfondo si sentiva un rombo d'aerei. Willy era forse prigioniero nei pressi di un aeroporto? «Non gli succederà nulla, a condizione che lei paghi e non chiami gli sbirri. Non l'ha fatto, vero?» «No. Voglio parlare con mio marito.» «Fra un minuto. Quanto denaro avete in banca?» «Poco più di due milioni di dollari.» «Lei è una donna onesta, Alvirah. Questa è più o meno la cifra che avevamo calcolato. Se rivuole Willy, sarà meglio che cominci a effettuare qualche prelievo.» «Potete prenderveli tutti.» Una risatina bassa. «Mi è simpatica, Alvirah. Due milioni basteranno. In
contanti. Quelli della banca non devono accorgersi di nulla. E niente banconote segnate, piccola. Soprattutto, non vada alla polizia. Si ricordi che la teniamo d'occhio.» Il frastuono era diventato assordante. «Non riesco a sentirla!» proruppe Alvirah, disperata. «E non vi darò neanche un soldo finché non avrò la certezza che Willy è ancora vivo.» «Glielo passo.» Qualche istante di silenzio, poi una voce mortificata disse: «Ciao, tesoro». Un'ondata di sollievo sopraffece Alvirah. Il suo brillante cervello, che era rimasto quasi paralizzato dal momento in cui José le aveva detto che Willy era salito «sull'auto del dottore», riprese a funzionare con la consueta efficienza. «Tesoro», gridò in modo che anche i sequestratori potessero sentirla. «Di' a quella gente che si prendano buona cura di te. In caso contrario, non vedranno neppure un dollaro.» Willy aveva mani e piedi legati. Non poté quindi fare nulla quando il capo, Clarence, posò il dito sulla forcella interrompendo la comunicazione. «Una donna in gamba, la tua, Willy», disse l'uomo. Poi spense il dispositivo che simulava il rombo degli aerei. Willy si sentiva un perfetto imbecille. Ora capiva che, se Alvirah si fosse effettivamente sentita male dal parrucchiere, Louis Vincent gli avrebbe telefonato. Che idiota sono stato! pensò mentre si guardava intorno. Si trovavano in una squallida stanza d'albergo. Quando era salito in macchina, il tizio nascosto dietro gli aveva premuto una pistola sul collo. «Un gesto, e ti faccio saltar via la testa.» Lo aveva tenuto sotto mira mentre attraversavano a passi frettolosi l'atrio e si infilavano in un vecchio ascensore. L'albergo distava solo un isolato dal Lincoln Tunnel e, a dispetto delle finestre chiuse, l'odore dei gas di scarico era soffocante. Sembrava quasi di vedere gli autobus, i camion e le auto che attraversavano rombando la galleria. Willy non aveva impiegato molto a valutare Tony e Sammy. Di materia grigia non doveva essercene molta in quelle loro testone e, chissà, si era detto, forse sarebbe riuscito a infinocchiarli. Poi però era arrivato Clarence e per la prima volta lui aveva avuto paura. Clarence gli ricordava Nutsy, un tizio che conosceva da ragazzo. A Nutsy piaceva sparare ai nidi degli uccelli con il suo fucile ad aria compressa. Clarence era evidentemente il capo. Era stato lui a chiamare Alvirah e a
comunicarle la cifra del riscatto. Era stato lui a consentirle di parlare con Willy. Ora disse: «Rimettetelo nell'armadio». «Ehi, un minuto», protestò lui. «Io ho fame.» «Stavamo giusto per ordinare hamburger e patatine fritte», brontolò Sammy mentre gli rimetteva il bavaglio. «Avrai anche tu la tua parte.» Dopo avergli legato le gambe con una corda in modo da costringerlo a tenerle piegate, Sammy lo ficcò nell'angusto armadio. Un'anta non chiudeva perfettamente e Willy fu quindi in grado di ascoltare la conversazione che si svolse fra i tre. «Due milioni di dollari significano che dovrà recarsi in una ventina di banche. È troppo in gamba per lasciarne più di centomila su un solo conto. Per via della copertura assicurativa, capite. Calcolando che dovrà riempire dei moduli, contare il denaro e tutto quanto, avrà bisogno di tre, quattro giorni di tempo. Diciamo quattro.» Era Clarence a parlare. «L'appuntamento sarà per venerdì notte. Le diremo che potrà andare a riprendersi Willy dopo che avremo contato anche noi il malloppo.» Rise. «A quel punto le manderemo una cartina con una X che segna il punto in cui dovranno cominciare a dragare il fiume.» Da ore Alvirah sedeva sulla poltrona di Willy, guardando, senza vederlo, il sole del tardo pomeriggio che proiettava ombre oblique su Central Park. Si allungò ad accendere la lampada, poi lentamente si alzò. Era sciocco e controproducente restarsene lì a rivivere i momenti felici che aveva diviso con il marito in quei quarant'anni, o a pensare che proprio quella mattina avevano esaminato dépliant e brochure per decidere se attraversare l'India a dorso di cammello o intraprendere un safari fotografico nell'Africa occidentale. Farò in modo che torni, decise, serrando con forza la mascella leggermente prominente. Per prima cosa, stabilì, ci voleva una bella tazza di tè. Poi avrebbe tirato fuori i libretti degli assegni e stabilito come muoversi tra le varie banche. Gli istituti bancari presso cui lei e Willy avevano il conto erano sparpagliati fra Manhattan e il Queens. Depositi di centomila dollari ciascuno e da cui, a fine anno, prelevavano gli interessi con cui accendere un nuovo conto. Quando qualcuno aveva cercato di convincerla ad acquistare obbligazioni riscuotibili di lì a dieci o quindici anni, Alvirah aveva risposto: «Alla nostra età non si fanno investimenti a lungo termine». Ora sorrise, ricordando l'intervento di Willy. «Non compriamo neppure
banane verdi.» Deglutì nella speranza di sciogliere il nodo che le chiudeva la gola. Decise che l'indomani mattina avrebbe cominciato con la Chase Manhattan, sulla Cinquantasettesima Strada, per poi proseguire fino alla Chemical e quindi alla Citibank, in Park Avenue, per raggiungere infine Wall Street. Preoccupata com'era per Willy, quella notte non dormì. Esigerò che mi facciano parlare con lui tutte le sere finché non avrò messo insieme i soldi, si disse. In questo modo non potranno fargli del male mentre io escogito qualcosa. All'alba, la tentazione di mettersi in contatto con la polizia era fortissima, ma quando si alzò, alle sette, aveva preso la grave decisione di non farlo. Non era escluso che i rapitori avessero una spia nel palazzo, e, se così era, l'arrivo degli agenti non sarebbe certamente passato inosservato. No, non poteva correre un rischio simile. Willy passò la notte nell'armadio. I sequestratori avevano allentato la fune in modo da permettergli di allungarsi, ma non gli avevano dato né coperte né cuscini, e la sua testa poggiava sulle scarpe di qualcuno. Impossibile allontanarle, l'armadio era troppo ingombro. Di tanto in tanto si appisolava, e allora sognava di avere il collo incassato sul fianco del monte Rushmore, proprio sotto la scultura che raffigurava il viso di Teddy Roosevelt. Le banche non aprivano prima delle nove. Alle otto e trenta, Alvirah, nel tentativo di scaricare la tensione, stava finendo di pulire l'appartamento già splendente. I libretti degli assegni erano tutti nella voluminosa tracolla di plastica a forma di würstel, un residuo dei tempi in cui lei e Willy trascorrevano le vacanze girando per le Catskills a bordo di un autobus della Greyhound. L'aria del mattino di ottobre era frizzante e lei indossò un tailleur verde chiaro acquistato durante una delle sue periodiche diete. La gonna non voleva saperne di chiudersi in vita, ma una grossa spilla di sicurezza risolse il problema. Automaticamente, appuntò sul risvolto della giacca la spilla a forma di sole che nascondeva un minuscolo registratore. Era ancora troppo presto per uscire. Sforzandosi di mantenere l'ottimismo che ogni momento minacciava di abbandonarla, rimise sul fuoco il bollitore e si sintonizzò sul notiziario mattutino della CBS. Per una volta, i titoli erano rincuoranti. Non erano in corso processi sensazionali, la mafia non aveva compiuto vendette e nessuno era stato arre-
stato per aver venduto titoli-spazzatura falsi. Stava per spegnere quando il cronista annunciò che da quel giorno per i newyorkesi residenti nella zona con il prefisso 212 sarebbe divenuto operativo il dispositivo che registrava automaticamente i numeri telefonici delle chiamate in arrivo. Alvirah impiegò qualche minuto a comprendere il significato della notizia, e poi balzò in piedi e corse nel ripostiglio. Fra i molti congegni elettronici che lei e Willy si erano divertiti a comperare da Hammacher Schlemmer, c'era una segreteria telefonica dotata appunto di questa funzione; l'avevano acquistata ignorando che a New York non sarebbe stato possibile utilizzarla. Dio del cielo e Vergine santa, pregò mentre lacerava la scatola di cartone, ne estraeva la segreteria telefonica e con mani tremanti la sostituiva a quella installata in camera da letto. Fa' che Willy rimanga in città. Fa' che telefonino dal posto in cui lo tengono nascosto, ovunque sia. Ebbe anche la presenza di spirito di registrare un messaggio. «Risponde la segreteria telefonica di Alvirah e Willy Meehan. Dopo il segnale acustico siete pregati di lasciare un messaggio. Sarete richiamati al più presto.» Quando lo riascoltò, tuttavia, capì che non poteva funzionare. La sua voce suonava tesa, preoccupata. Ma, rammentò a se stessa, non aveva forse vinto una medaglia durante la recita di fine anno alla St. Francis Xavier School, nel Bronx? Recita, si impose, e dopo un profondo sospiro ricominciò: «Salve. Vi risponde la segreteria...» Così andava molto meglio, decise dopo aver ascoltato la nuova versione. Prese la tracolla e uscì diretta alla Chase Manhattan Bank, la sua prima sosta. Finirò per impazzire, pensò Willy mentre cercava inutilmente di flettere le braccia, ormai intorpidite dalla lunga immobilità. Quanto alle gambe, erano ancora strettamente legate, e aveva rinunciato a sgranchirle. Alle otto e mezzo, sentì qualcuno bussare piano: probabilmente l'addetto a ciò che passava per servizio in camera in quello squallido posto, dove il cibo era servito in piatti di carta. Nondimeno, il pensiero di una tazza di tè e di un toast gli fece venire l'acquolina in bocca. Un istante dopo l'armadio venne aperto. Mentre Sammy lo teneva sotto mira, Tony gli tolse il bavaglio. «Dormito bene?» chiese con un sorriso che rivelò un canino spezzato.
Willy avrebbe voluto avere le mani libere per due minuti, il tempo necessario per fargli saltare via anche l'altro. «Come un bambino», mentì. Poi, indicando il bagno con la testa: «Che si fa?» «Cosa?» Tony ammiccò, la grossa faccia carnosa atteggiata a un'espressione di perplessità. «Deve andare al cesso», interloquì Clarence. Attraversò la stanzetta e si chinò su Willy. «Vedi questa pistola? Ha il silenziatore. Una mossa falsa e sarà tutto finito. Sammy ha il dito nervoso. Dopo, naturalmente, ci verrà voglia di sfogarci con qualcuno, e con chi se non con tua moglie? Chiaro il concetto?» Willy era assolutamente certo che Clarence dicesse la verità. Tony poteva essere ottuso e Sammy poteva avere il dito nervoso sul grilletto, ma non avrebbero fatto nulla senza l'autorizzazione di Clarence. E Clarence era un assassino. «Chiaro», rispose, sforzandosi di apparire calmo. Raggiunge il bagno a saltelli e Tony gli permise anche di sciacquarsi il viso. La stanza da bagno era perfino più squallida e malandata della camera. Le piastrelle scheggiate erano ricoperte da uno strato di sporcizia e di grasso. Lo smalto della vasca e del lavabo era corroso e arrugginito in più punti. Ma la cosa peggiore era il costante sgocciolio dei rubinetti, della doccia e dello sciacquone del water. «Sembra di essere alle cascate del Niagara», commentò rivolto a Tony che lo osservava in piedi sulla porta. Quand'ebbe finito, fu ricondotto in camera, dove Sammy e Clarence sedevano a un tavolo ballerino, su cui erano radunati bicchieri di plastica pieni di caffè e qualcosa di vagamente commestibile. Clarence indicò la sedia pieghevole accanto a quella di Sammy. «Mettiti lì.» E a Tony sibilò: «Chiudi quella porta! Quel maledetto sgocciolio mi sta tirando scemo. Mi ha tenuto sveglio per metà notte». Un pensiero improvviso colpì Willy. «Immagino che resteremo qui almeno un paio di giorni», cominciò, sforzandosi di adottare un tono indifferente. «Se mi procurate gli attrezzi, posso riparare la perdita.» Allungò la mano verso il caffè. «Sono il miglior idraulico che abbiate mai rapito.» Alvirah stava scoprendo che era molto più facile depositare denaro in una banca che prelevarne. Quando presentò la distinta al cassiere della Chase Manhattan, lo vide strabuzzare gli occhi e quindi chiederle di ac-
compagnarlo da uno dei direttori. Un quarto d'ora dopo, Alvirah stava ancora ripetendo che, no, non era affatto scontenta dal servizio offertole dalla banca. Sì, era sicura di volere quel denaro in contanti. Sì, sapeva benissimo che cosa fosse un assegno circolare. In ultimo esplose: «Sono o non sono soldi miei?» «Ma certo, certo.» Bisognava però che riempisse alcuni moduli... le solite formalità previste per i prelievi superiori ai diecimila dollari. Poi i cassieri dovettero contare le banconote, e strabuzzarono ancora una volta gli occhi quando Alvirah li informò che voleva mille banconote da cinquanta dollari più cinquecento da cento. Era quasi mezzogiorno quando salì sul taxi che doveva riportarla a casa; lì depositò i soldi in un cassetto e uscì di nuovo diretta alla Chemical Bank, sull'Ottava Avenue. Al termine della giornata lavorativa, era riuscita a mettere insieme solo trecentomila dei due milioni di dollari di cui aveva bisogno. A quel punto tornò a casa e si sedette accanto al telefono. Doveva pur esserci un modo per accelerare le procedure. Il mattino seguente, decise, avrebbe prima telefonato alle altre banche per annunciare la sua visita. Potete cominciare a contare subito, ragazzi! Il telefono squillò alle sei e mezzo. Alvirah sollevò la cornetta tenendo d'occhio il piccolo display della segreteria telefonica, su cui stava comparendo un numero. Un numero che conosceva. Era quello della formidabile suor Cordelia. Willy aveva sette sorelle, sei delle quali si erano ritirate in convento. La settima, ormai defunta, era la madre di Brian, il giovane commediografo che Alvirah e Willy amavano come un figlio. Al momento Brian si trovava a Londra, ma, se fosse stato a New York, pensava lei, gli avrebbe certamente chiesto aiuto. Sapeva di non poter parlare a Cordelia del sequestro. Col suo temperamento, la religiosa sarebbe riuscita a mettersi in contatto con la Casa Bianca, esigendo che il presidente facesse scendere in campo l'esercito. Cordelia sembrava un po' irritata. «Aspettavamo Willy per oggi pomeriggio. Una delle vecchie signore di cui ci occupiamo ha il water che non funziona. Non è da lui dimenticare certi impegni. Passamelo.» Alvirah si esibì in una poco convincente risata che alle sue stesse orecchie suonò terribilmente simile alle registrazioni usate in certe squallide trasmissioni. «Dev'essergli passato di mente», disse. «Willy è... Willy è...» Un'improvvisa ispirazione le venne in aiuto: «È a Washington per parlare
dei sistemi più economici di rifacimento dell'impianto idraulico nelle case popolari ristrutturate a spese del governo. Sai che nel suo settore lui può fare miracoli. Il presidente ha letto da qualche parte che è una specie di genio e l'ha mandato a chiamare». «Il presidente!» Il tono incredulo di Cordelia fece rimpiangere ad Alvirah di non aver nominato il senatore Moynihan, oppure un membro del Congresso. Non mento mai, pensò scoraggiata. Non so come si fa. «Willy non sarebbe mai andato a Washington senza di te», stava dicendo la cognata. «Hanno mandato un'auto a prenderlo.» Questo, almeno, era vero. Un ostentato colpo di tosse dall'altra parte del filo le rammentò che non era facile imbrogliare Cordelia. «D'accordo», brontolò la religiosa. «Ma quando torna, digli di venire subito qui.» Due minuti dopo, il telefono squillò di nuovo, e questa volta il numero che comparve sul display non le era familiare. Sono loro, pensò, mentre con mano tremante sollevava la cornetta. Il suo «Pronto» fu pronunciato con voce sicura. «Spero che abbia sistemato tutto, signora Meehan.» «Sì. Mi passi Willy.» «Tra un minuto. Vogliamo i soldi per venerdì sera.» «Venerdì sera! Siamo già a martedì, il che mi lascia solo tre giorni di tempo. Ce ne vorranno di più per mettere insieme il denaro.» «Questo è un problema suo. E ora parli pure con Willy.» «Ciao, tesoro.» La voce di lui era sottomessa, ma un istante dopo proruppe: «Ehi, lasciatemi parlare!» Alvirah sentì il tonfo della cornetta che cadeva. «La saluto, Alvirah», riprese la voce bisbigliante. «Non la richiameremo fino a venerdì sera, alle sette in punto. Allora potrà parlare nuovamente con Willy e le verrà comunicato il luogo dell'appuntamento. Una mossa sbagliata, e dovrà pagarsi tutti i lavori di idraulica. Perché non ci sarà più Willy a occuparsene.» Un clic e la comunicazione si interruppe. Willy. Willy. Con la mano ancora stretta intorno alla cornetta, Alvirah abbassò gli occhi sul numero comparso sul display: 555-7000. Doveva provare a richiamare? Ma rischiava di far capire ai rapitori che era riuscita a rintracciarli. Telefonò invece al Globe. Come aveva sperato, Charley, il suo direttore, era ancora in ufficio. Gli spiegò quello di cui aveva bisogno. «Certo che posso farlo per te, Alvirah», assentì lui dopo averla ascoltata.
«Mi sembra tutto un po' misterioso, però. Stai lavorando a un caso? Credi che ne verrà fuori qualcosa di interessante per noi?» «Ancora non lo so.» Charley la richiamò dieci minuti dopo. «Ehi, Alvirah, che razza di posti ti sei messa a bazzicare! Il numero corrisponde a quello del Lincoln Arms Hotel. È sulla Nona Avenue, vicino al tunnel. E dire che è una sporca topaia sarebbe poco.» Il Lincoln Arms Hotel. Alvirah lo ringraziò frettolosamente prima di riattaccare per precipitarsi fuori. Nell'eventualità che i rapitori la tenessero d'occhio, uscì dalla parte del garage e fermò il primo taxi libero. Stava per comunicare al conducente l'indirizzo dell'albergo, poi ci ripensò. E se uno dei sequestratori l'avesse vista lì? Decise allora di farsi condurre alla stazione degli autobus, distante solo un isolato dal Lincoln Tunnel. Con i capelli nascosti sotto un foulard e il bavero del cappotto tirato su, passò davanti all'hotel, valutandone un po' sgomenta le dimensioni. Alzò gli occhi sulle file di finestre. Willy era forse dietro una di quelle? L'edificio sembrava anteriore alla guerra civile, ma era alto almeno dieci o dodici piani. Come avrebbe fatto a trovare suo marito? Ancora una volta si chiese se non fosse il caso di avvertire la polizia, ma le tornò alla mente un caso in cui una moglie aveva fatto proprio quello. Gli agenti erano stati individuati sul luogo dell'appuntamento, i sequestratori se la erano data a gambe e il rapito era stato ritrovato solo tre settimane più tardi, morto. No, non poteva rischiare. Lei doveva riportare a casa Willy. Seminascosta nelle ombre che si addensavano intorno all'hotel, Alvirah pregava san Giuda, il santo dell'impossibile. E poi vide un cartello appeso alla porta d'ingresso. CERCASI CAMERIERA. TURNO DI LAVORO DALLE SEDICI ALLE VENTIQUATTRO. Servizio in camera? Quell'inserzione era forse la risposta ai suoi problemi, ma naturalmente non poteva presentarsi vestita in quel modo. Ignorando i camion e gli autobus che le sfrecciavano intorno rombando, Alvirah si precipitò in strada, fermò un taxi e si fece portare a Flushing. Il suo cervello lavorava a pieno ritmo. Il vecchio trilocale che era stato la loro casa per ben quarant'anni non era minimamente cambiato dal giorno in cui avevano vinto alla lotteria. Il logoro divano rivestito di velluto grigio con la poltrona uguale, il tappeto arancio e verde scartato dalla signora per cui lavorava il martedì, la camera da letto impiallicciata in mogano un tempo appartenuta alla madre di
Willy. Nell'armadio, c'erano ancora i suoi vecchi vestiti. Vistosi abiti di tessuto stampato acquistati da Alexander; felpe e pantaloni in fibra sintetica. Scarpe da tennis e a tacco alto comperate in saldo. Nell'armadietto del bagno, trovò la confezione di henné che dava ai suoi capelli la stessa sfumatura del sole nascente sulla bandiera giapponese. Un'ora più tardi, non era rimasta traccia della sofisticata signora di Central Park Sud. Ciocche di capelli rosso fuoco le incorniciavano il viso truccato nei colori violenti che aveva amato un tempo, prima che la baronessa Min le insegnasse l'arte della misura. Il vecchio rossetto si intonava perfettamente alla nuova tinta dei capelli, e le palpebre erano generosamente coperte di ombretto color porpora. Pantaloni di tela grezza troppo stretti sul sedere, caviglie nascoste da calze pesanti e scarpe da ginnastica logore, più una felpa imbottita con il profilo dei grattacieli di Manhattan stampato sulla schiena, completavano la trasformazione. Alvirah era piuttosto soddisfatta quando si guardò allo specchio. Sembrava proprio la candidata ideale a un posto di cameriera in un albergo di quart'ordine. Fu con una certa riluttanza che si tolse la spilla a forma di sole, ma il contrasto sarebbe stato stridente. Comunque, se ne avesse avuto bisogno, teneva la spilla di riserva che le aveva dato Charley nel suo appartamento di New York. Mentre infilava il vecchio cappotto, buono per tutte le stagioni, si ricordò di trasferire il denaro e le chiavi nella voluminosa tracolla nera e verde che portava sempre con sé quando ancora lavorava. Quaranta minuti dopo era di nuovo al Lincoln Arms Hotel. La hall era costituita da un bancone malconcio collocato davanti a una fila di cassette per la posta e da quattro sedie rivestite in finta pelle nera in avanzato stato di degrado. La moquette marrone era costellata di buchi che rivelavano la precedente pavimentazione in linoleum. Altro che servizio in camera, pensò Alvirah con una smorfia; qui avrebbero bisogno soprattutto di una donna delle pulizie in gamba. L'addetto alla reception, un tizio dalla carnagione giallastra e con gli occhi cisposi, alzò la testa quando lei si accostò al banco. «Sì?» «Sono qui per l'inserzione. Sono una brava cameriera.» Qualcosa di più simile a un sogghigno che a un sorriso torse le labbra dell'uomo. «Che sia brava conta poco; a noi serve soprattutto veloce. Quanti anni ha?»
«Cinquanta», mentì Alvirah. «Certo. E io ne ho dodici. Oh, se ne vada.» «Ho bisogno di lavorare», insistette lei con il cuore in gola. Le pareva quasi di avvertire la presenza di Willy, e sarebbe stata pronta a giurare che lo tenevano nascosto lì, in quel brutto albergo. «Mi dia una possibilità. Lavorerò gratis per tre o quattro giorni. E se per... sabato, diciamo, non avrà deciso che sono la migliore che abbia mai avuto, potrà licenziarmi.» «Quand'è così... non ho niente da perdere. Torni domani alle quattro in punto. Come ha detto che si chiama?» «Tessie», rispose Alvirah, decisa. «Tessie Magink.» Il mercoledì mattina, la tensione era quasi palpabile nella stanzetta del Lincoln Arms Hotel. Clarence rifiutò a Sammy il permesso di uscire e tagliò corto alle lamentele di lui dicendo seccamente: «Dopo quindici anni in cella, non dovresti avere difficoltà a startene un po' tranquillo». Nessuna cameriera si presentò per le pulizie, ma d'altra parte, pensò Willy, quella camera aveva l'aria di non vedere una scopa da chissà quanto tempo. Oltre che dall'armadio, il mobilio era costituito da tre lettini affiancati con la testata contro la parete del bagno, un cassettone stretto con il piano coperto da un vecchio foglio di carta adesiva, un televisore in bianco e nero e un tavolo rotondo con quattro sedie. La sera prima, Willy aveva persuaso i suoi guardiani a farlo dormire sul pavimento del bagno. Quella stanza era comunque più grande dell'armadio e, come fece rilevare, la possibilità di sgranchirsi le gambe gli avrebbe permesso di muoversi senza difficoltà al momento dello scambio. Non gli sfuggirono le occhiate che i tre si scambiarono. Era chiaro che non avevano alcuna intenzione di lasciarlo libero, e ciò significava che aveva circa quarantott'ore di tempo per filarsela da quella tana. Alle tre del mattino, mentre Sammy e Tony russavano in sintonia e Clarence respirava in modo leggermente affrettato ma regolare, Willy era riuscito a mettersi seduto, poi in piedi e quindi a salire sul water. La corda che lo legava ai rubinetti della vasca era lunga quanto bastava per permettergli di arrivare al coperchio della cassetta dell'acqua. Lo sollevò un po' a fatica, e, dopo averlo deposto sul lavabo, infilò la mano nell'acqua rugginosa. Il risultato fu che pochi minuti dopo lo sgocciolio si era fatto più sonoro, più frequente e molto più insistente. Il fastidioso rumore aveva finito per destare Clarence, e Willy sorrise fra sé e sé nel sentirlo abbaiare: «Finirò per impazzire. Sembra un cammello
che piscia». Quando arrivò la colazione, Willy era di nuovo legato e imbavagliato nell'armadio, questa volta con la pistola di Sammy alla tempia. Da lì, udì la voce debole e gracchiante del vecchio che era, apparentemente, l'unico addetto al servizio in camera. Inutile cercare di attirarne l'attenzione. Quel pomeriggio, Clarence appoggiò alcuni asciugamani sul pavimento contro la porta del bagno, ma sembrava che nulla potesse soffocare l'ininterrotto sgocciolio. «Mi sta venendo uno dei miei mal di testa», si lamentò buttandosi sul letto disfatto. Pochi minuti dopo, quando Tony cominciò a fischiettare, Sammy lo azzitti con un'occhiata. «Bisogna stare attenti quando Clarence ha uno dei suoi mal di testa», lo sentì bisbigliare Willy. Tony era chiaramente annoiato e i suoi occhi avevano un'espressione vacua mentre sedeva davanti al televisore. Willy gli stava accanto, con il bavaglio allentato quanto bastava per permettergli di articolare qualche parola. Seduto al tavolo, Sammy faceva un solitario dopo l'altro. Nel tardo pomeriggio, Tony si stancò anche della televisione e la spense. «Avete figli, tu e tua moglie?» chiese a Willy. Lui sapeva che, se aveva qualche speranza di uscire vivo da quella fogna, sarebbe stato solo grazie a Tony. Sforzandosi di ignorare i crampi e la rigidità delle membra, gli raccontò che, no, non erano stati benedetti dalla nascita di bambini, ma avevano un nipote, Brian, che consideravano come un figlio, soprattutto da quando la madre, una sua sorella, era stata chiamata al riposo eterno. «Ho altre sei sorelle», raccontò. «Tutte suore. Cordelia è la più anziana. Ha sessantotto anni.» Tony lo guardò con la mascella pendula per la meraviglia. «Dici sul serio? Da ragazzo, quando vivevo per strada e rimediavo qualche bigliettone fregando i borsellini alle donne che andavano a fare la spesa, le suore non le infastidivo mai, neppure quando erano dirette al supermercato, e allora di soldi dovevano averne per forza. E quando facevo un buon colpo, lasciavo sempre un paio di bigliettoni nella cassetta della posta del convento... come ringraziamento, sai.» Willy si sforzò di mostrarsi impressionato dalla munificenza di Tony. «Perché non chiudete il becco», latrò Clarence dal suo letto di dolore. «La testa mi si sta spaccando.» Willy indirizzò una silenziosa preghiera al cielo prima di dire: «Mi basterebbero un cacciavite e una chiave inglese per sistemare la perdita».
Se solo potessi mettere le mani su quella cassetta dell'acqua, pensava. Sarebbe stato uno scherzo inondare il bagno, e come avrebbero fatto a sparargli in presenza della gente che sarebbe sicuramente accorsa? Suor Cordelia era sicura che qualcosa non andasse per il verso giusto. Per quanto ammirasse Willy, proprio non riusciva a credere che il presidente lo avesse mandato a prendere con un'auto privata. E non era tutto: sua cognata era sempre stata una donna aperta, schietta, ma quando lei l'aveva cercata, il mercoledì mattina, non aveva avuto risposta. Riprovò verso le tre e mezzo del pomeriggio, e questa volta ebbe più fortuna. Alvirah era in casa, ma sembrava senza fiato e si limitò a dirle che era appena rientrata e che doveva uscire di nuovo. Certo che Willy stava bene, borbottò in risposta alla sua domanda. Perché non avrebbe dovuto? Sarebbe tornato il fine settimana. Il convento occupava parte di un vecchio fabbricato tra Amsterdam Avenue e la Centesima Strada. Lì, suor Cordelia viveva con quattro anziane sorelle e l'unica novizia, la ventisettenne suor Maeve Marie, che prima di abbracciare lo stato monacale aveva lavorato nella polizia per tre anni. Dopo aver salutato Alvirah, Cordelia si lasciò lentamente cadere su una delle robuste sedie della cucina. «Maeve, dev'essere successo qualcosa a Willy. Me lo sento dentro.» Suonò il telefono. Era Arturo Morales, il direttore della banca di Flushing, distante poche decine di metri dal vecchio appartamento di Willy e Alvirah. «Sorella», cominciò in tono preoccupato, «detesto doverla disturbare, ma sono preoccupato.» Con il cuore in gola, Cordelia lo ascoltò spiegarle che Alvirah aveva cercato di ritirare centomila dollari dal suo conto corrente. Loro erano stati in grado di dargliene solo ventimila, ma avevano dovuto promettere di farle trovare il resto venerdì mattina. Alvirah era stata molto insistente sulla necessità di avere l'intera somma per quella data. Cordelia ringraziò il direttore per l'informazione, promettendogli di non rivelare mai a nessuno quella violazione del segreto bancario e, non appena ebbe riappeso, disse a Maeve Marie: «Andiamo a parlare con Alvirah». Alvirah si presentò al Lincoln Arms Hotel alle quattro in punto. Si era cambiata d'abito alla Port Authority e ora, di fronte all'impiegato della reception, si sentiva perfettamente sicura della sua trasformazione. Con un
cenno della testa, lui le fece capire che doveva percorrere il corridoio fino alla porta contrassegnata dalla scritta VIETATO ENTRARE. Dava nella cucina, dove il cuoco, un settantenne ossuto e straordinariamente somigliante a Gabby Hayes, il protagonista di tanti film western degli anni Quaranta, stava cuocendo degli hamburger. Nuvole dense di fumo si levavano dagli schizzi di grasso che costellavano la griglia. «Sei Tessie?» Alvirah annuì. «Io mi chiamo Hank. Puoi cominciare subito le consegne.» Il servizio in camera del Lincoln Arms non prevedeva particolari raffinatezze. I vassoi marrone erano del tipo di quelli che si trovano nelle mense degli ospedali, i tovaglioli di carta, le posate di plastica e le confezioni di senape e di ketchup minuscole. Hank fece scivolare degli hamburger dall'aria poco appetitosa sui panini. «Versa il caffè, e occhio a non riempire troppo le tazze. Metti nei piatti le patatine fritte.» Alvirah obbedì. «Quante stanze ha l'albergo?» «Cento.» «Così tante!» Hank sogghignò, rivelando i denti falsi ingialliti dalla nicotina. «Ma solo quaranta occupate per tutta la notte. I clienti delle camere a ore non chiedono il servizio in camera.» Quaranta stanze occupate, pensò Alvirah. La situazione non era poi così nera. Il buonsenso le diceva che nel sequestro dovevano essere coinvolti almeno due uomini. Uno al volante dell'auto e uno per impedire a Willy di reagire. E forse un terzo per fare la prima telefonata. Di conseguenza, avrebbe dovuto concentrarsi sulle ordinazioni di una certa consistenza. Non era molto, ma era pur sempre un inizio. Si mise al lavoro. Gli hamburger andavano al bar, dove ciondolavano una dozzina di tipacci che non le avrebbe fatto piacere incontrare in una notte buia. La seconda ordinazione era stata fatta dal direttore dell'albergo e dall'addetto alla reception, che presiedevano alle attività dell'hotel da un ufficietto soffocante. Ovviamente, non pagavano i loro sandwich. Il vassoio successivo, contenente una ciotola di fiocchi d'avena e due bicchieri di whisky e birra, era destinato a un tipo anziano con la barba lunga e gli occhi iniettati di sangue. Alvirah si sentì certa che i fiocchi d'avena fossero un'aggiunta dell'ultimo minuto. Poi, fu mandata a portare un vassoio a quattro uomini che giocavano a
carte al nono piano. Un altro gruppo di giocatori, al settimo, ordinò delle pizze. All'ottavo, venne accolta sulla porta da un tizio robusto che borbottò: «Ah, sei nuova. Lo prendo io. Fai piano, quando bussi. Mio fratello ha un brutto mal di testa». Alle sue spalle, Alvirah distinse un uomo sdraiato sul letto con un panno sugli occhi. Un insistente sgocciolio proveniente dal bagno le ricordò Willy. Lui avrebbe riparato la perdita in un batter d'occhio. Era chiaro che nella stanza non c'era nessun altro. Il tizio alla porta aveva tutta l'aria di poter far fuori da solo il contenuto del vassoio. Dal suo nascondiglio, Willy percepì solo una voce indistinta la cui cadenza gli ricordò Alvirah. Il servizio in camera tenne Alvirah impegnatissima dalle sei fino alle dieci circa. Grazie alle proprie osservazioni e alle spiegazioni di Hank, che si faceva più loquace a mano a mano che scopriva e apprezzava l'efficienza della nuova cameriera, accumulò parecchie informazioni utili sull'albergo. I piani erano dieci, ciascuno dei quali ospitava dieci stanze. I primi sei erano riservati ai clienti che si fermavano per poche ore, mentre le stanze degli ultimi quattro erano più grandi, tutte con bagno, e la direzione tendeva ad affittarle per più giorni di fila. Alle dieci, mentre mangiava un robusto hamburger cotto da lei, Hank le raccontò che al Lincoln Arms Hotel nessuno si registrava con il suo vero nome e tutti pagavano in contanti. «Come quel tizio che ha in affitto alcune cassette della posta. Pubblica riviste pornografiche. Poi ce n'è un altro che organizza partite a carte. Sapessi quanti si rintanano qui a giocare, mentre dovrebbero essere in viaggio d'affari! Robe così; niente di male. È una specie di club privato.» La testa cominciò a ciondolargli subito dopo che ebbe scolato la sua terza birra e pochi minuti dopo dormiva della grossa. In silenzio, Alvirah si accostò al tavolo che fungeva al contempo da scrivania e da tagliere. Il denaro riscosso dai clienti era finito, secondo le istruzioni del cuoco, in una vecchia scatola per sigari che faceva da cassa. In una seconda scatola, venivano gettate le ricevute. Hank le aveva spiegato che il servizio in camera terminava a mezzanotte, ora in cui l'addetto alla reception spuntava le ricevute e, dopo aver controllato l'incasso, lo chiudeva nella cassaforte, nascosta sul fondo del frigorifero. Le ricevute venivano quindi scaricate in uno scatolone che stazionava sotto il tavolo e che al momento ne conteneva già parecchie.
Partendo dal presupposto che le ricevute in cima fossero le più recenti, Alvirah ne prese una bracciata che infilò nella sua grossa borsa. Tra le undici e le dodici, eseguì altre tre consegne al bar e, negli intervalli, incapace di restare senza far nulla in quella cucina tetra e fuligginosa, puliva e riordinava sotto gli occhi divertiti di Hank. Dopo una breve sosta alla Port Authority per cambiarsi, lavarsi il viso e nascondere i capelli fiammeggianti sotto un turbante, Alvirah salì su un taxi, ed era l'una meno un quarto quando arrivò finalmente a casa. Ramon, il portiere di notte, la informò che era venuta a cercarla suor Cordelia. «Mi ha fatto un sacco di domande; voleva sapere dov'era.» No, Cordelia non era stupida, pensò Alvirah con una punta di ammirazione. Un piano stava cominciando a formarsi nella sua mente e la religiosa vi aveva una parte importante. Prima ancora di concedersi un bagno nella Jacuzzi in cui aveva versato un po' dell'olio profumato di Cypress Point, Alvirah cominciò a fare la cernita delle ricevute. Di lì a un'ora aveva stabilito che ordinazioni di una certa consistenza venivano effettuate quotidianamente solo da quattro camere. Con uno sforzo, scacciò la paura che fossero tutte occupate da gruppi di giocatori e che Willy si trovasse ormai chissà dove, magari in Alaska. Nell'attimo stesso in cui aveva messo piede in albergo, l'istinto le aveva detto che lui era nelle vicinanze. Erano quasi le tre e, stanca com'era, pensava che non sarebbe riuscita a prendere sonno. Per addormentarsi, dovette immaginare di averlo lì, accanto a lei. «Buona notte, Willy carissimo», disse ad alta voce e quasi le sembrò di sentirlo: «Dormi bene, tesoro». Suor Cordelia arrivò giovedì mattina alle sette. Alvirah, che la aspettava, era in piedi da una mezz'ora avvolta nella vestaglia di Willy, e aveva già messo il caffè sul fuoco. «Si può sapere che cosa sta succedendo?» esordì subito la religiosa. Alvirah glielo spiegò mentre bevevano il caffè e mangiavano una fetta di torta. «Avrei preferito non raccontarti nulla. Non dirò che non c'è da avere paura, perché sarebbe una bugia», concluse. «La verità è che sono preoccupata da morire per Willy. Ma se qualcuno tiene d'occhio l'appartamento e si accorge di un insolito viavai, per Willy sarà la fine. Cordelia, ti giuro che è in quell'albergo, e ho già un piano per liberarlo. Maeve ha ancora il suo porto d'armi, vero?» «Sì.» I penetranti occhi grigi di suor Cordelia non si staccavano dal viso
della cognata. «Ed è ancora in buoni rapporti con i tizi che ha mandato in carcere?» «Certamente. Tutti le vogliono bene. Lo sai anche tu che danno sempre una mano a Willy quando ne ha bisogno, e che fanno a turno per consegnare i pasti ai nostri ammalati.» «Proprio come pensavo. E si intoneranno perfettamente al Lincoln Arms. Voglio che questa sera tre o quattro di loro vadano là. Per una partita a carte, diciamo. Di gente che gioca ce n'è sempre un sacco. Domani sera alle sette, i rapitori mi telefoneranno per dirmi dove lasciare il denaro del riscatto. Sanno che non mollerò neppure un centesimo se non mi faranno parlare con Willy. Per impedirgli di portarlo fuori di lì, voglio che i ragazzi di Maeve Marie tengano d'occhio tutte le uscite. È la nostra unica chance.» Per qualche istante, Cordelia rimase in silenzio a fissare il vuoto con aria severa. «Willy mi ha sempre incoraggiata a fidarmi del tuo sesto senso», brontolò alla fine. «Credo che sia arrivato il momento di farlo.» Il giovedì mattina, l'emicrania di Clarence era peggiorata al punto che gli sembrava di avere la testa spaccata da orecchio a orecchio. Perfino Tony stava attento a non andargli fra i piedi; non accese neppure il televisore, ma andò a sedersi vicino a Willy per raccontargli a bisbigli la storia della sua vita. Gli stava spiegando come, all'età di sette anni, avesse scoperto che era facilissimo fare man bassa nel negozio di dolci, quando Clarence abbaiò: «Hai detto che sapresti riparare quella maledettissima perdita?» Willy fece il possibile per non mostrarsi troppo eccitato, ma aveva la gola chiusa mentre annuiva vigorosamente. «Che ti serve?» «Una chiave inglese a rullino», farfugliò lui da dietro il bavaglio. «Un cacciavite. Filo metallico.» «Va bene. Sammy, l'hai sentito. Fai un salto a comprargli la roba.» Sammy era come sempre impegnato nei suoi solitari. «Mandaci Tony.» «Voglio che ci vada tu», sibilò l'altro, mettendosi a sedere. «Quell'imbecille di tuo fratello spiffererebbe alla prima persona che passa dove sta andando, perché ci va e che cosa ha in mente di fare. E adesso muoviti.» Sammy scattò come un pupazzo a molla, ricordandosi di quello che aveva combinato Tony con la macchina. «Sicuro, Clarence, sicuro», mormorò in un tono che voleva essere suadente. «E senti un po', che ne diresti se mi fermassi al ristorante cinese? Tanto per cambiare.» Il cipiglio di Clarence si attenuò. «Sì, okay. Fatti dare un bel po' di salsa
di soia, però.» Erano le quattro meno venti quando Alvirah tornò dall'aver effettuato l'ultimo prelievo della giornata; era appena in tempo per precipitarsi alla Port Authority, cambiarsi e presentarsi al lavoro. Mentre attraversava trotterellando l'atrio del Lincoln Arms, notò una suora dal viso dolce e con un cesto in mano che si muoveva silenziosa tra i clienti del bar. Le sembrò che tutti le dessero qualcosa. In cucina, chiese lumi a Hank. «Oh, quella», borbottò il cuoco. «Sì. Lavora con i bambini della zona. Tutti si sentono buoni quando le danno un bigliettone o due. Si mettono a posto con la coscienza, capisci?» Dopo tutti quegli hamburger, il clow mein fu un gradito cambiamento. Dopo cena, Clarence ordinò a Willy di riparare la perdita sotto la sorveglianza di Sammy, e il cuore dell'anziano idraulico perse un colpo nel sentire il suo guardiano dire : «Io non so riparare nulla, ma so come non si riparano le cose, quindi attento a quello che fai». E con questo il mio bel piano va a farsi friggere, pensò Willy. Ma forse riuscirò a tirarla in lungo finché non mi verrà in mente qualcos'altro. Cominciò a grattar via la ruggine che negli anni si era accumulata sul fondo della cassetta. Quella notte, il lavoro fu meno frenetico, e Alvirah ne approfittò per offrirsi di fare la cernita delle ricevute. La richiesta sbalordì il cuoco. «Perché mai dovresti voler fare una cosa del genere?» chiese Hank, attonito. Alvirah cincischiava nervosamente con il lembo della felpa che indossava quel giorno e che portava sul davanti la scritta HO PASSATO LA NOTTE CON BURT REYNOLDS. Era uno scherzo di Willy, che gliel'aveva comperata dopo una serata al teatro di Reynolds, in Florida. Si sforzò di assumere un'aria misteriosa. Già, perché mai qualcuno dovrebbe desiderare di mettere ordine in un cumulo di vecchie ricevute inutili? «Non si sa mai», bisbigliò, e stranamente la sua risposta parve soddisfarlo. Alvirah nascose le ricevute già controllate in fondo alla pila che scaricò sul tavolo. Sapeva già che cosa cercare: ordinazioni consistenti e regolari dal lunedì in poi.
A lavoro ultimato, si ritrovò con le stesse quattro stanze già individuate a casa. L'albergo si animò improvvisamente verso le sei, e alle otto e mezzo Alvirah aveva già effettuato consegne a tre delle quattro stanze sospette. In due si giocava a carte, in una a dadi ma, sfortunatamente, nessuno dei loro occupanti aveva l'aria del sequestratore. Dalla camera 802 non telefonò nessuno. Forse il tizio con il mal di testa e suo fratello avevano lasciato l'albergo. A mezzanotte, un'Alvirah scoraggiatissima era sul punto di andarsene quando Hank borbottò: «Si lavora bene con te. Il tizio nuovo che fa il turno di giorno si è licenziato, e il ragazzo che lo sostituisce è un casinista: confonde tutte le ordinazioni». Sollevata, Alvirah si offrì immediatamente per il turno del mattino, dalle sette all'una, oltre a quello che già faceva dalle quattro del pomeriggio a mezzanotte. Avrebbe avuto comunque il tempo di effettuare gli altri prelievi, dato che le varie banche le avevano promesso di farle trovare il denaro pronto tra le dodici e un quarto e le tre. «Sarò qui alle sette», promise a Hank. «E così io», si lamentò lui. «Se ne va anche il cuoco di giorno.» Mentre usciva, Alvirah notò delle facce familiari. Louie, cintura nera di karate che aveva scontato sette anni per una rapina in banca; Al, un tempo gorilla del proprietario di un banco di pegni e successivamente condannato a quattro anni per aggressione; Lefty, specializzato in auto che scottavano. Erano ragazzi in gamba e, benché l'avessero certamente vista, nessuno dei tre mostrò in alcun modo di averla riconosciuta. Willy aveva ridotto lo sgocciolio al suo originario e pur sempre fastidioso livello quando Clarence, irritato, gli gridò di piantarla con quel martello. «Tutto sommato, credo che ce la farò a resistere per altre ventiquattr'ore.» E dopo? si chiese Willy, con una fitta di inquietudine. Gli restava una sola speranza: Sammy si era annoiato a guardarlo armeggiare intorno alla cassetta dell'acqua e l'indomani si sarebbe mostrato certamente meno zelante. Quella notte, Willy si assicurò che i suoi servizi fossero ancora necessari, arrampicandosi sul water e aumentando di nuovo la frequenza dello sgocciolio. La mattina dopo, negli occhi di Clarence c'era una luce febbrile. Tony cominciò a parlare di una sua ex ragazza con cui contava di mettersi in
contatto una volta che avessero raggiunto il loro nascondiglio nel Queens, e nessuno gli disse di chiudere il becco. E questo, pensò Willy, la diceva lunga sul trattamento che avevano in serbo per lui. Quando arrivò la colazione, Willy, che era stato nuovamente cacciato nell'armadio, sussultò con tanta violenza che Sammy rischiò di far cadere la pistola. Perché la voce che sentiva non era semplicemente simile a quella di Alvirah: era proprio sua moglie che si informava con Tony del mal di testa di suo fratello! «Sei pazzo o che?» gli sibilò Sammy all'orecchio. Alvirah lo stava cercando, pensò Willy, felice. Doveva trovare il modo di aiutarla. Doveva tornare in bagno e mettersi a picchiare con la chiave inglese al ritmo di «And the Band Played On», la canzone che suonavano la sera in cui, quarant'anni addietro, avevano ballato insieme per la prima volta. Ebbe la sua occasione quattro ore più tardi quando, con chiave inglese e cacciavite in mano, e un Sammy estremamente nervoso al suo fianco, venne nuovamente spedito in bagno da un urlo di Clarence. Poteva proseguire nella sua opera di sabotaggio della cassetta dell'acqua, ma doveva stare attento a non esagerare. Quando Sammy protestò per il rumore, lui rispose in tono ragionevole che non ne stava facendo poi molto, e che comunque all'albergo sarebbero stati felici di avere almeno un bagno funzionante. Grattandosi la barba di quattro giorni, a disagio negli abiti ormai sudici e spiegazzati, Willy ricominciò a trasmettere il segnale che inviava ogni tre minuti. Tap/tap/taaap/tap... «e la banda suonava». Alvirah stava consegnando delle pizze alla 702 quando lo sentì. Oh Dio, pregò, oh Dio. Posò il vassoio sul tavolino incerto. L'occupante della stanza, un bel ragazzo sui trent'anni, si stava riprendendo da una sbronza colossale. «Non è da impazzire?» brontolò, indicando il soffitto. «Non si capisce se sono i festeggiamenti di Capodanno o le cascate del Niagara.» Dev'essere la 802, decise Alvirah, pensando al tizio sdraiato sul letto, alla porta del bagno aperta, all'uomo che non l'aveva mai lasciata entrare. Evidentemente, quando aspettavano qualcuno, nascondevano Willy nell'armadio. Benché eccitatissima e con il cuore che batteva forte sotto la felpa con la scritta NON SPORCARE LE STRADE DELLA TUA CITTÀ, si concesse il tempo per predire con gravità al giovane bevitore che l'alcol sarebbe stata la sua rovina. Nella hall, vicino al bar, c'era un telefono a gettoni. Sperando di non far-
si notare dall'addetto alla reception, Alvirah fece una rapida telefonata a Cordelia. «Mi chiameranno alle sette», concluse prima di riattaccare. Quella sera, alle sette meno un quarto, i clienti del bar del Lincoln Arms Hotel rimasero esterrefatti nel vedere sei suore molto anziane, complete di tonaca lunga, velo e sottogola, fare il loro ingresso nell'atrio. Esagitato, l'addetto alla reception fece loro segno di uscire. Con le braccia cariche di vassoi, Alvirah rimase a guardare Maeve, la portavoce designata, avvicinarsi al bancone. «Il proprietario ci ha autorizzate a raccogliere le offerte ai piani», disse. «Non vi ha autorizzato proprio a far nulla.» La voce di lei si abbassò fino a diventare un bisbiglio. «In realtà, ad autorizzarci è stato il signor...» L'impiegato impallidì. «Voi chiudete il becco e tirate fuori il grano», strillò ai clienti del bar. «Queste sorelle sono qui per ricevere un'elemosina.» «No, cominceremo dai piani alti», lo corresse gentilmente Maeve, «e termineremo qui.» Alvirah coprì le spalle al drappello di suore che, guidate da Cordelia, entravano in ascensore. Salirono direttamente all'ottavo piano e si affollarono nel corridoio dove Lefty, Al e Louie le stavano aspettando. Alle sette in punto, Alvirah bussò con decisione alla porta. «Servizio in camera», gridò. «Non abbiamo ordinato niente», ringhiò una voce. «Be', qualcuno lo ha fatto e io devo ritirare i soldi», sbraitò lei di rimando. Si sentì un rumore di passi strascicati, poi il cigolìo di un'anta. Stavano nascondendo Willy nell'armadio. Infine la porta venne socchiusa. «Lascia il vassoio in corridoio», intimò Tony, palesemente nervoso. «Quant'è?» Ma Alvirah aveva già infilato il piede nella fessura e, come per incanto, le anziane religiose si materializzarono alle sue spalle. «Stiamo raccogliendo offerte per il Signore», mormorò una di loro. «Che cosa diavolo sta succedendo là fuori?» gridò Clarence, che aveva la cornetta del telefono in mano. «Ehi, non è il modo di parlare a queste sante donne», protestò subito Tony, che si fece da parte con aria rispettosa mentre le suore entravano. Chiudeva la fila suor Maeve, le mani nascoste dentro le ampie maniche della tonaca. In un lampo, si portò alle spalle di Clarence e gli puntò una pistola alla testa. «Fermo o sei morto», sibilò nel tono secco che un tempo
aveva fatto di lei un agente con i fiocchi. Tony aprì la bocca per lanciare un avvertimento, ma il suo grido fu soffocato da Lefty che lo atterrò con un colpo di karate. Lo stesso Lefty ridusse al silenzio anche Clarence, assestandogli un colpetto al collo che lo mandò al tappeto vicino a Tony. Poi, lui e Al spinsero di nuovo una riluttante suor Cordelia e le sue compagne al sicuro nel corridoio. Era arrivato il momento di pensare a Willy. Lefty si preparò a colpire. Suor Maeve sollevò la pistola. Alvirah spalancò l'armadio urlando: «Servizio in camera!» Sammy teneva sotto tiro l'idraulico. «Fuori di qui, tutti quanti», ringhiò. «E tu, sorella, molla quella pistola.» Dopo una breve esitazione, Maeve obbedì. «Fuori!» gridò ancora l'uomo. È in trappola ed è disperato, pensò Alvirah, in preda al panico. Ucciderà il mio Willy. «La mia macchina è davanti all'hotel», disse con una calma che non provava. «E a bordo ci sono due milioni di dollari. Porta me e Willy con te. Potrai lasciarci da qualche parte dopo aver controllato il denaro.» Si rivolse a Lefty e a Maeve. «Non cercate di fermarci, o farà del male a Willy. E ora andate.» Trattenendo il fiato, tornò a guardare Sammy. Lui esitò un istante, poi puntò la pistola verso la porta. «Spero per te che sia la verità, vecchia. Forza, slegagli i piedi.» Obbediente, lei si inginocchiò e cominciò a sciogliere i nodi che serravano le caviglie di Willy. Alzò gli occhi solo quando ebbe finito, e allora vide che la pistola era ancora puntata contro la porta. Di colpo, ripensò ai giorni in cui era solita infilare la spalla sotto il pianoforte della signora O'Keefe per sollevarlo e raddrizzare il tappeto. Uno, due, tre. Scattò in piedi e urtò con la spalla la mano di Sammy. Il colpo che partì strappò schegge di intonaco dal soffitto. Willy gettò le mani ammanettate intorno al collo di Sammy, stringendolo in un abbraccio da orso finché, richiamati dal frastuono, gli altri non si precipitarono nuovamente nella stanza. Come in sogno, Alvirah guardò Lefty, Al e Louie liberare il marito e quindi usare corda e manette per ridurre all'impotenza i tre malviventi. Maeve andò al telefono e compose il numero della polizia: «Qui è l'agente Maeve O'Reilly, cioè, suor Maeve Marie... devo riferire un sequestro di persona, un tentato omicidio e il successivo arresto dei rapitori». Poi le braccia di Willy circondarono Alvirah. «Ciao, tesoro.» La gioia di lei era così intensa che non riuscì a spiccicare parola. Si
guardarono: lui con gli occhi iniettati di sangue, la barba ispida e i capelli aggrovigliati, lei con il viso vistosamente truccato e la felpa colorata. «Sei meravigliosa», sussurrò Willy con fervore. «Io invece devo sembrare un bandito.» Alvirah accostò il viso a quello di lui. Il nodo di pianto che le serrava la gola si sciolse mentre cominciava a ridere. «Oh, carissimo», sussurrò. «Per me sarai sempre uguale a Tip O'Neill.» Colpo di spugna Il telefono squillava, ma Alvirah lo ignorò. Nel tempo che lei e Willy avevano impiegato a disfare i bagagli, la segreteria telefonica aveva già registrato sei messaggi. Di comune accordo, avevano deciso di rimandare all'indomani la ripresa dei contatti col mondo esterno. È bello essere a casa, pensò Alvirah con un sospiro di felicità, mentre usciva sul terrazzo del loro appartamento di Central Park Sud. Nel parco sottostante, le foglie di fine ottobre si erano tramutate in un abbagliante arcobaleno di arancio e cremisi, giallo e ruggine. Rientrò per andare a sedersi sul divano. Willy le tese un cocktail... un Manhattan, per festeggiare il loro ritorno in città... poi col suo bicchiere andò a installarsi nella grande poltrona che prediligeva. «A noi due, tesoro.» Alvirah gli rivolse un sorriso pieno d'affetto. «Devo ammettere che fare il turista può finire col diventare stancante. Ho intenzione di tenere mani e piedi a riposo per almeno due settimane.» «D'accordissimo», fece Willy e dopo una breve esitazione aggiunse: «Tesoro, sono ancora dell'idea che quella gita a dorso di mulo in Grecia sia stata un po' troppo. Mi sentivo come Hopalong Cassidy messo KO». «Be', assomigliavi di più al Cavaliere Solitario», lo confortò Alvirah. «Ci siamo divertiti, vero, Willy? Se non fosse stato per la lotteria, io sarei ancora lì a pulire salotti e tu a riparare tubature scoppiate.» E ancora una volta sprofondarono nel ricordo dell'incredibile avvenimento che aveva fatto piazza pulita della loro vita di un tempo. Le date dei loro compleanni e dell'anniversario del matrimonio erano i numeri che avevano sempre giocato... un dollaro a settimana per dieci anni... fino allo stupefacente momento in cui quei numeri erano stati estratti e loro si erano scoperti gli unici vincitori dei quaranta milioni di dollari di premio. Come Alvirah diceva spesso: «Willy, per noi la vita è cominciata a sessant'anni...
be', non proprio a sessanta». Da allora, erano stati in Europa tre volte, una volta in Sudamerica, avevano viaggiato sulla Transiberiana dalla Cina alla Russia e adesso erano appena tornati da una crociera nelle isole greche. Il telefono squillò di nuovo. Alvirah gli scoccò un'occhiata. «Non cedere», la supplicò Willy. «Abbiamo bisogno di tirare il fiato. Probabilmente è Cordelia che vuole chiedermi di andare a riparare l'impianto idraulico del convento o qualcosa del genere. Potrà bene aspettare un giorno.» Rimasero in ascolto del messaggio. Era Rhonda Alvirez, segretaria della sezione di Manhattan del Gruppo di sostegno per i vincitori della lotteria. Rhonda, uno dei membri fondatori dell'associazione, aveva vinto sei milioni di dollari ed era stata persuasa da un cugino a investire la prima rata della vincita in una sua invenzione, un liquido sgorgalavandini ad azione rapida. Il tempo aveva rivelato che l'unica cosa che quel prodotto riuscisse a mandare giù per i tubi erano i soldi di Rhonda. Fu allora che lei fondò il Gruppo di sostegno, e dopo aver letto dell'abilità con cui Alvirah e Willy gestivano la loro inaspettata fortuna, li aveva supplicati di diventarne membri onorari e di tenere regolarmente delle conferenze. Rhonda aveva già lasciato un messaggio e questa volta andò subito al punto. «Alvirah, so che è in casa. La limousine vi ha scaricati lì davanti un'ora fa. Me lo ha detto il portiere. La prego, risponda. È importante.» «E tu che parlavi male di Cordelia», borbottò Alvirah mentre, obbediente, sollevava la cornetta. Dalla poltrona, Willy vide la sua espressione passare rapidamente dall'incredulità alla preoccupazione. «Certo che le parleremo», la sentì dire. «Domattina alle dieci. Qui da noi. D'accordo.» Alvirah riattaccò. «Willy, domattina riceveremo la visita di una certa Nelly Monahan. A quanto mi dice Rhonda, è una donna molto simpatica, ma, ancora più importante, è una vincitrice che l'ex marito sta cercando di imbrogliare. Non possiamo permetterglielo.» La mattina seguente alle nove, Nelly Monahan si preparava a lasciare il suo trilocale di Stuyvesant Town, il centro residenziale dell'East Side dove si era trasferita più di quarant'anni addietro, quand'era una sposina di appena ventidue anni. Benché in quell'arco di tempo l'affitto iniziale di cinquantanove dollari fosse stato decuplicato, l'appartamento era ancora un ottimo affare... a condizione, naturalmente, che ci si potesse permettere di
spendere seicento dollari al mese solo per avere un tetto sopra la testa. Ma ora che non lavorava più e viveva di una minuscola pensione e dell'assegno mensile della previdenza sociale, per Nelly la necessità di lasciare l'appartamento e trasferirsi da sua cugina Margaret a New Brunswick, nel New Jersey, si era fatta penosamente ovvia. Per lei, newyorchese doc, la prospettiva di trascorrere gli ultimi anni di vita lontana dalla Grande Mela era sconvolgente. L'abbandono di Tim, suo marito, era stata un'esperienza tragica; ma rinunciare all'appartamento le avrebbe spezzato il cuore. E poi, la scoperta che la nuova moglie di Tim aveva tirato fuori il biglietto vincente della lotteria! No, era troppo. Era stato allora che Nelly aveva ascoltato il consiglio del suo vicino e deciso di rivolgersi al Gruppo di sostegno. Il risultato era un appuntamento con Alvirah Meehan che, le aveva assicurato Rhonda, era abilissima nel risolvere certi problemi. Nelly era una donnina piccola, rotonda e all'apparenza insignificante, con lineamenti vagamente graziosi e qualche traccia di castano tra i capelli grigi naturalmente ondulati che le circondavano il viso, addolcendo le rughe che il tempo e il duro lavoro le avevano scavato intorno agli occhi e alla bocca. Con la sua voce esitante e il sorriso timido, Nelly aveva l'aria di una sempliciotta, ma nulla avrebbe potuto essere più lontano dal vero. Quelli che cercavano di approfittarne non tardavano a scoprire in lei una vena di irascibilità e un implacabile senso della giustizia. Fino al pensionamento, avvenuto a sessant'anni, Nelly aveva lavorato come contabile per una piccola azienda produttrice di veneziane, e alcuni anni prima era stata proprio lei a scoprire che il nipote del proprietario attingeva regolarmente alla cassa. Aveva inoltre persuaso il principale a costringere il ladro a vendere la propria casa, così da restituire fino all'ultimo soldo la cifra sottratta ed evitare un lungo soggiorno nelle patrie galere. In un'altra occasione, quando un adolescente aveva cercato di scipparle il portafoglio, Nelly non aveva esitato a infilare l'ombrello tra i raggi della bicicletta del ragazzo, mandandolo a capitombolare per terra con una caviglia slogata. Dopodiché, aveva alternato grida di aiuto a rimproveri al potenziale scippatore fino all'arrivo della polizia. Ma quegli episodi impallidivano davanti alla realtà di quello che stava accadendo: l'uomo che era stato suo marito per quarant'anni e la sua nuova moglie, Roxie, volevano truffarla della sua quota di circa due milioni di dollari della vincita alla lotteria.
Sapendo che Alvirah Meehan e suo marito Willy vivevano in uno dei lussuosi condominii di Central Park Sud, Nelly si vestì con cura, scegliendo un tailleur di tweed marrone che aveva comprato in saldo. E il giorno prima si era perfino concessa una messa in piega dal parrucchiere. Erano le dieci in punto quando il custode annunciò il suo arrivo. Alle dieci e mezzo, Alvirah versava una seconda tazza di caffè alla sua ospite. Per mezz'ora aveva deliberatamente mantenuto la conversazione sulle generali, chiacchierando soprattutto dei cambiamenti subentrati nella vita in città. Alvirah, che sul New York Globe teneva una rubrica di carattere investigativo, aveva appurato che le persone rilassate tendevano a dare testimonianze più credibili. «E ora parliamo d'affari», esordì a quel punto, sfiorando la spilla a forma di sole raggiato che aveva appuntata sul bavero della giacca e attivando così il minuscolo registratore nascosto al suo interno. «Sarò franca con lei. Ho intenzione di registrare questa conversazione per poterla riascoltare in seguito e avere così la certezza di non essermi lasciata sfuggire nulla.» Gli occhi di Nelly si accesero. «Rhonda Alvirez mi ha parlato del suo registratore. So che lo usa per le sue indagini sui crimini. Be', lasci che glielo dica, ho un delitto pronto per lei e il nome del colpevole è Tim Monahan. «Per tutti i quarant'anni in cui sono stata sposata con lui, non è mai riuscito a conservare un lavoro, e in compenso ha sempre trovato una ragione per intentare causa al principale del momento. Tim ha passato più tempo in procura di quanto faccia normalmente un giudice.» Nelly passò quindi a illustrare il lungo elenco delle persone che il marito aveva trascinato in tribunale; tra questi, il titolare di una lavanderia accusato di aver rovinato un vecchio paio di pantaloni, la società proprietaria dell'autobus che, frenando bruscamente, gli aveva provocato un colpo di frusta, il concessionario di auto di seconda mano che si era rifiutato di riparargli la macchina a garanzia scaduta, e il negozio Macy's, citato per una molla rotta che Tim aveva scoperto nella poltrona reclinabile La-Z-Boy regalatagli dalla moglie anni addietro. Con la sua voce gentile, Nelly raccontò come Tim si fosse sempre considerato un tipo galante, pronto ad aprire la porta per una ragazza carina, mentre lei, Nelly, camminava nella sua scia come la donna invisibile. Ancora più sgradevole era stato quando aveva cominciato a cantare le lodi di Roxie Marsh, proprietaria della ditta di catering per cui sbrigava qualche occasionale lavoretto. Nelly l'aveva incontrata una sola volta, ma le era ba-
stato per riconoscere in lei una di quelle persone che adulano i dipendenti per poter giustificare dei salari da schiavi. Continuò spiegando che, benché bevesse un po' troppo e diventasse irritante o particolarmente sciocco quando cercava di comportarsi come lord Brummel, per lei Tim era stato nondimeno una compagnia, e dopo quarant'anni si era abituata a lui. Inoltre, amava cucinare e si era sempre sentita gratificata dal sano appetito del marito. Insomma, il loro non era stato un matrimonio perfetto ma tutti e due avevano tenuto duro. Finché non avevano vinto, o forse non avevano vinto, alla lotteria. «Mi racconti», la esortò Alvirah. «Giocavamo tutte le settimane e un giorno mi sono svegliata sentendomi particolarmente fortunata», spiegò Nelly. «Era l'ultima possibilità che avevamo di vincere a una lotteria con un premio complessivo di diciotto milioni di dollari. Tim in quel periodo non lavorava, così gli diedi un dollaro e gli dissi di comprare un biglietto quando usciva per andare a prendere il giornale.» «E lo comprò?» «Certamente! Al suo ritorno glielo chiesi e lui mi rispose che, sì, l'aveva comprato.» «Lei vide il biglietto?» intervenne Willy. Alvirah sorrise al marito che guardava accigliato la loro ospite. Capitava di rado che Willy perdesse la calma, ma quando succedeva la sua somiglianza con la sorella Cordelia diventava straordinaria. Willy non nutriva alcuna indulgenza per gli uomini che imbrogliavano le proprie mogli. «No, non gli chiesi di farmelo vedere», mormorò Nelly ingoiando l'ultimo sorso di caffè. «Lui teneva sempre i biglietti nel portafoglio, e comunque non ce n'era bisogno. Giocavamo sempre gli stessi numeri.» «Anche noi», disse Alvirah. «La data dei rispettivi compleanni e quella del matrimonio.» «Per Tim e me si trattava degli indirizzi delle case in cui eravamo cresciuti: il 1802 e il 1913 di Tenbroeck Avenue nel Bronx e il 405 della Quattordicesima Strada Est, dove io abito tuttora. La serie completa era 18-2-19-13-4-5. «Comunque fosse, Tim non mi disse di averla modificata. Tutto questo avvenne il sabato. Il mercoledì successivo, ero davanti al televisore quando i nostri numeri vennero estratti, e potete immaginare come ci rimasi.» «Ah, sì», sorrise Alvirah. «Il giorno in cui vincemmo, io ero stata dalla signora O'Keefe, che aveva ricevuto la visita dei suoi nipotini. La casa era
un disastro e io ero tornata stanca morta; stavo facendo un pediluvio quando i nostri numeri vennero estratti.» «Rovesciò il secchio», interloquì Willy, «e trascorremmo i nostri primi dieci minuti da miliardari dando lo straccio in soggiorno.» «Allora mi capite», sospirò Nelly. Passò quindi a spiegare che Tim quella sera era fuori, a lavorare come barista per Roxie. Per festeggiare, Nelly aveva deciso di preparare il suo dessert preferito, una crème brûlée. Ma al suo ritorno a casa, Tim le aveva teso in lacrime il biglietto che conservava nel portafoglio. Non era quello vincente e non c'era neppure una cifra della serie fortunata. «Avevo deciso di cambiare i numeri nella speranza che ci portasse fortuna», le aveva spiegato. «Temetti di avere un attacco di cuore», sospirò Nelly. «Ma lui sembrava talmente sconvolto che finii col dirgli che non importava, che evidentemente non era destino che vincessimo.» «E scommetto che lui mangiò di gusto la crème brûlée.» Il tono di Alvirah grondava disapprovazione. «Fino all'ultima briciola. Dichiarò che qualunque uomo si sarebbe reputato fortunato ad avere una moglie come me. Poi, qualche settimana più tardi, mi lasciò per trasferirsi da Roxie. Non mi amava più, disse. Da allora è passato un anno. La sentenza di divorzio è stata pronunciata il mese scorso, e lui e Roxie si sono sposati tre settimane fa. «La televisione aveva annunciato che i vincitori della lotteria erano quattro, ma io non mi ero resa conto che uno di loro non si era ancora fatto vivo per ritirare la vincita. Poi, la settimana scorsa, proprio un giorno prima della scadenza del tempo utile, Roxie, ora seconda signora Monahan, ha fatto la sua comparsa nell'ufficio competente, sostenendo di essersi appena accorta di avere il quarto biglietto... quello con i numeri che Tim e io giocavamo sempre.» «Tim lavorava da Roxie la sera della vincita e aveva il biglietto nel portafoglio?» chiese Alvirah, tanto per avere la conferma dei propri sospetti. «Già, proprio così. Aveva un debole per lei e probabilmente le mostrò il biglietto.» «E lei capì subito che quella era la sua grande occasione», borbottò Willy. «Disgustoso.» «Se volete vedere qualcosa di realmente disgustoso, vi mostrerò la foto di loro due, felici, pubblicata sul Post.» La voce di Nelly tremò, quasi sul punto di spezzarsi. Poi una luce dura te illuminò gli occhi e i Meehan la videro serrare la mascella. «È troppo ingiusto», riprese. «Nel mio palazzo
abita un avvocato in pensione, Dennis O'Shea. Ha svolto qualche ricerca e ha scoperto che esistono un paio di precedenti... coniugi che hanno tentato lo stesso trucchetto. In entrambi i casi, il tribunale ha deciso che il vincitore era il possessore materiale del biglietto. Secondo O'Shea, è una vergogna ma legalmente io ho le mani legate.» «Com'è finita a una riunione del Gruppo di sostegno per i vincitori della lotteria?» volle sapere Alvirah. «Mi ci ha mandato Dennis. Aveva letto di certe persone che avevano perduto tutto il denaro vinto, in cattivi investimenti, e pensava che parlare con loro mi sarebbe stato di conforto.» Con la voce resa tremante dall'indignazione e un'espressione cocciuta sul viso, Nelly riprese a raccontare la sua triste storia. «Tim ha fatto i bagagli con la rapidità di un lampo, e ora loro due vivranno alla grande mentre io dovrò trasferirmi da mia cugina Margaret perché non posso permettermi di restare dove sono. Margaret mi ha proposto di andare a stare da lei solo perché apprezza la mia cucina. Ma parla troppo e probabilmente nel giro di un anno sarò già sorda come una campana.» «Dev'esserci un modo per aiutarla», decretò Alvirah. «Ma ho bisogno di pensarci su. La chiamerò domani.» Alle nove del mattino seguente, Nelly sedeva al tavolo del tinello del suo appartamento di Stuyvesant Town, e si godeva una tazza di buon caffè accompagnata da un bagel caldo. Forse non è Central Park Sud, pensava, ma resta un posto magnifico in cui vivere. Da quando Tim se n'era andato, aveva cambiato molto poco nell'appartamento. Lui aveva sempre insistito per tenere quella sua orribile poltrona reclinabile vicino alla finestra, ma, poiché se l'era portata via con sé, Nelly ne aveva approfittato per ridisporre gli altri mobili come aveva sempre desiderato fare, e per cucire nuove fodere dai colori vivaci per il divano e la sedia a dondolo. Inoltre aveva comperato, pagandolo una cifra ridicola, un delizioso tappeto all'uncinetto da alcuni vicini che traslocavano. Mentre contemplava la luce del sole d'autunno che entrava a fiotti dalla finestra, rifletté su come fosse arrivata alla conclusione che Tim era stato un autentico peso morto e che senza di lui stava molto meglio. Sfortunatamente, le sue scarse entrate non bastavano a far quadrare il bilancio, e a dispetto dei suoi tentativi non era riuscita a trovare un lavoro. Chi ha voglia di assumere una donna di sessantadue anni che non sa usare il computer? Risposta: nessuno.
Margaret aveva già chiamato quella mattina. «Perché non disdici l'appartamento per il primo? Risparmieresti l'affitto di un mese. Io ho già fatto tinteggiare la camera sul retro.» E la cucina? si chiese Nelly. Scommetto che ti aspetti che trascorra lì buona parte del mio tempo. Era un maledetto pasticcio. Nelly bevve un sorso del suo eccellente caffè e sospirò. Fu a quel punto che telefonò Alvirah. «Abbiamo messo a punto un piano», le annunciò. «Voglio che lei vada da Roxie e da Tim e li convinca ad ammettere che l'hanno imbrogliata.» «Perché mai dovrebbero fare una cosa del genere?» «Dovrà esasperarli al punto da indurii a vantarsi di averla messa nel sacco, naturalmente. Se la sente?» «Oh, so come fare uscire dai gangheri Roxie. Quando si sono sposati, il mese scorso, ho ripescato una foto di Tim scattata a Jones Beach in cui è assolutamente identico a una balena arenatasi sulla sabbia. L'ho fatta incorniciare e poi gliel'ho mandata. Sul retro ho scritto: Congratulazioni, e che liberazione!» «Lei mi piace, Nelly», disse Alvirah ridacchiando. «È proprio il mio tipo di donna. Ora le spiego il piano. In un modo o nell'altro, deve riuscire a farsi ricevere da loro: andrà all'appuntamento munita di una copia esatta della mia spilla. Il mio direttore ne ha fatto fabbricare un paio di scorta per me.» «Ma, Alvirah, dev'essere molto preziosa!» «Lo è per via del registratore che nasconde. Dovrà metterlo in funzione, costringere quei due ad ammettere di averla ingannata e quindi portare la registrazione al suo amico avvocato, perché inoltri per suo conto un esposto in cui lei dichiara di essere stata privata di parte dei beni che aveva in comune con suo marito.» Una debole speranza si agitò nell'ampio seno di Nelly. «Crede davvero che funzionerà, Alvirah?» «È più o meno l'unica possibilità che abbiamo», replicò l'altra con voce quieta. Dopo aver riattaccato, Nelly rimase a lungo immersa nei suoi pensieri. Un paio di anni prima, ormai prossima alla fine, la madre di Tim aveva pregato il figlio di dirle finalmente la verità: era stato lui ad appiccare l'incendio al garage quando aveva otto anni? Tim l'aveva sempre negato, ma quel giorno era crollato e aveva confessato ogni cosa. Sì, so come farlo ca-
dere in trappola, si disse allungando la mano verso il telefono. Fu Tim a rispondere e reagì subito con irritazione nel sentire la sua voce. «Stiamo facendo i bagagli per trasferirci in Florida, Nelly. Si può sapere che diavolo vuoi?» Lei incrociò le dita. «Brutte notizie, Tim. Ne ho al massimo per un altro mese.» Ed è proprio così, pensò poi... in Stuyvesant Town, almeno. Tim ebbe la buona grazia di mostrarsi preoccupato. «È terribile... ne sei sicura?» «Sicurissima.» «Pregherò per te.» «È per questo che chiamo. Devo confessare di aver pensato proprio male di te nelle ultime settimane, ossia da quando Roxie ha tirato fuori il biglietto vincente.» «Il biglietto era suo.» «Lo so.» «Voglio dire, le avevo spiegato che noi giocavamo quei numeri da sempre e quella settimana decise di provarci lei mentre io tentavo un'altra combinazione.» «Quella che abitualmente giocava lei?» «Non ricordo più», tagliò corto Tim. «Mi dispiace molto, Nelly, ma domani partiamo e in mattinata arriveranno quelli dell'impresa di traslochi. Ho un sacco di lavoro da fare.» «Devo incontrarti, Tim. Sto cercando di mettermi a posto con la coscienza, capisci, ho odiato te e Roxie talmente tanto che sento il bisogno di vedervi, di parlarvi. In caso contrario non morirò in pace.» È la pura verità, pensò ancora Nelly. Sentì sullo sfondo una voce stridula che gridava: «Tim, chi diavolo è?» «Noi partiamo a mezzogiorno», bisbigliò lui all'apparecchio. «Vieni qui alle dieci. Ma, Nelly, tanto vale che tu lo sappia subito: potrò dedicarti solo un quarto d'ora.» «Non mi serve altro, Tim», rispose lei con la voce più dolce del solito. Posò il dito sulla forcella e compose il numero di Alvirah. «Mi concede un quarto d'ora del suo tempo domattina», annunciò. «Dio, lo ucciderei volentieri.» «Non le servirebbe a nulla. Passi da me oggi pomeriggio, le mostrerò come attivare il registratore.» La mattina dopo alle nove, Nelly stava infilandosi il soprabito quando
qualcuno bussò alla porta. Era Dennis O'Shea, il simpatico avvocato che abitava nell'appartamento 8F. Dennis lo aveva preso in affitto circa sei mesi prima, ed era capitato parecchie volte che si incrociassero in ascensore. Piuttosto piccolo di statura, sul metro e settanta circa, aveva un fisico compatto, ben proporzionato, occhi gentili dietro gli occhiali senza montatura e un viso gradevole, intelligente. Le aveva raccontato di aver perso la moglie due anni prima e di essersi ritirato dalla professione a sessantacinque anni, quando aveva deciso di vendere la casa di Syosset per trasferirsi in città. Da allora divideva il suo tempo tra il nuovo appartamento e un cottage a Cape Cod. Col tempo Nelly aveva capito che Dennis le assomigliava molto: possedeva uno spiccato senso della giustizia e non amava vedere truffati gli innocenti. Proprio questa consapevolezza le aveva dato il coraggio di chiedergli consiglio quando Roxie aveva tirato fuori il biglietto vincente. Quella mattina Dennis sembrava preoccupato. «Nelly, sei sicura di saper maneggiare il registratore?» le chiese. «Ma certo. Devo solo sfiorare con la mano il brillante falso che sta al centro del sole.» «Fammi vedere.» Lei lo accontentò. «Ora di' qualcosa.» «Va' all'inferno, Tim.» «Questo sì che è lo spirito giusto. Ora riavvolgi il nastro.» Nelly obbedì, poi infilò la cassetta nel registratore più grande che Alvirah le aveva prestato e pigiò il pulsante play. Non accadde nulla. «Immagino che tu abbia parlato di me a quella tua amica, la signora Meehan», disse a quel punto Dennis. «Perché mi ha chiamato qualche minuto fa per dirmi che le era sembrato che tu avessi qualche difficoltà ad accendere il registratore.» Nelly si accorse che stava tremando. L'ansia l'aveva tenuta sveglia per tutta la notte. Alvirah le aveva dato una speranza, ma se il piano non avesse funzionato lei avrebbe dovuto rinunciare a vedere riconosciuti i suoi diritti. Durante quel difficile anno non aveva pianto una sola volta, ma adesso, guardando il viso preoccupato di Dennis O'Shea, sentì che gli occhi le si riempivano di lacrime. «Fammi vedere in che cosa sbaglio», sussurrò. Il trucco, constatò Nelly, stava nello spingere con decisione il piccolo in-
terruttore. «Credo di aver capito», dichiarò dopo parecchie prove. «Grazie, Dennis.» «È stato un piacere. Nelly, tu pensa a farli confessare, e io li trascinerò in tribunale così in fretta che non avranno neppure il tempo di capire che cosa gli stia succedendo.» «Ma stanno per trasferirsi in Florida.» «Gli assegni delle vincite vengono emessi a New York. Lascia che sia io a preoccuparmi dei particolari.» L'accompagnò all'ascensore. «Sai quale autobus prendere, vero?» «Non è poi così lontano. Credo che andrò a piedi, almeno all'andata.» Alvirah aveva avuto una mattinata molto piena. Alle otto si era messa a pulire l'appartamento, già scintillante. Alle nove meno un quarto aveva cercato il numero di Dennis O'Shea sull'elenco telefonico e lo aveva chiamato per spiegargli il suo timore che Nelly non avesse ben compreso il funzionamento del registratore. Dopodiché era tornata a lucidare quello che già splendeva. Per Willy, tanta energia era la prova inequivocabile della sua preoccupazione. «Che cosa ti rode, tesoro?» si decise a chiederle. «Ho una brutta sensazione», confessò lei. «Hai paura che Nelly non riesca ad accendere il registratore?» «E che non ce la faccia a convincere quei due a parlare. Ma, soprattutto, ho paura che le raccontino tutto senza che lei riesca a registrare una sola parola.» Nelly doveva incontrarsi con Tim e Roxie alle dieci. Alle dieci e mezzo, Alvirah si sedette con gli occhi fissi sul telefono. L'apparecchio squillò cinque minuti più tardi. Era Cordelia che cercava Willy. «C'è una perdita nel soffitto della cucina di una delle nostre vecchie ragazze», la informò. «E il suo appartamento sta cominciando a puzzare di muffa. Puoi mandarci Willy?» «Più tardi, Cordelia. Ora stiamo aspettando una telefonata importante.» Ma l'esperienza le diceva che non sarebbe riuscita a liberarsi della cognata senza spiegarle tutto. «Avresti dovuto parlarmene prima», fu il secco commento conclusivo di Cordelia. «Mi metto subito a pregare.» A mezzogiorno, Alvirah era ridotta a un fascio di nervi. Ritelefonò a Dennis O'Shea. «Notizie di Nelly?»
«No. Eppure mi aveva detto che Tim le avrebbe concesso solo un quarto d'ora.» «Lo so.» Erano le dodici e un quarto quando il telefono suonò di nuovo. Alvirah rispose al primo squillo. «Pronto?» «Alvirah?» Era Nelly, e la sua voce era terribilmente strana. Alvirah si sforzò di analizzarla. Era tesa? No... scioccata, piuttosto. Sì, era quello il termine giusto. Scioccata. Nelly si esprimeva come se fosse in trance. «Che cosa è successo?» le chiese Alvirah. «Hanno parlato?» «Sì.» «È riuscita a registrare tutto?» «No.» «Oh, ma questo è terribile. Mi dispiace tanto.» «Non ha sentito il peggio.» «Che intende dire, Nelly?» Una lunga pausa, poi l'altra sospirò. «Alvirah, Tim è morto. Gli ho sparato.» Cinque ore più tardi, furono Alvirah e Willy a pagare la cauzione fissata per il rilascio di Nelly dopo che Dennis O'Shea, autonominatosi suo difensore, l'aveva convinta a dichiararsi non colpevole delle imputazioni di omicidio di secondo grado e porto abusivo di arma da fuoco che erano state formulate contro di lei. La donna emerse dal suo stato di torpore solo il tempo sufficiente per mormorare in tono sorpreso: «Ma io l'ho ucciso». La portarono a casa. In cucina, sul piano di lavoro, c'era una torta margherita avvolta nel cellophan. «A Tim piaceva tanto», sussurrò Nelly. «Aveva un aspetto orribile oggi... prima che morisse, intendo. Non credo che Roxie si prendesse spesso la briga di cucinare per lui.» Alvirah era schiacciata dal senso di colpa. L'idea era stata sua ed era colpa sua se ora Nelly rischiava lunghi anni di carcere. Alla sua età, significava che non ne sarebbe più uscita. Solo ieri mi ha detto che lo avrebbe ucciso volentieri e io ci ho scherzato sopra, pensò. Le ho risposto che non le sarebbe servito a nulla, ma certo non immaginavo che parlasse sul serio. Dove diavolo si è procurata la pistola? Mise il bollitore sul fornello. «Dobbiamo parlare», disse. «Ma prima le
preparo una tazza di caffè bello forte, Nelly.» Nelly raccontò la sua storia con voce piatta, priva di emozione. «Avevo deciso di andare a piedi, per avere il tempo di mettere un po' d'ordine nei miei pensieri. Prima, però, mi sono tolta la spilla e l'ho messa nel portafoglio. Avevo paura che qualcuno tentasse di scipparla, capisce. È talmente carina! Mi trovavo all'incrocio fra la Decima e Avenue B quando ho visto quei due ragazzini. Non avranno avuto più di dieci o undici anni e... ve lo immaginate? Uno dei due stava mostrando all'altro una pistola!» Nelly parlava guardando fisso davanti a sé: «Non ci ho visto più. Non solo stavano marinando la scuola, ma maneggiavano quell'arma come se fosse un giocattolo. Li ho raggiunti e gli ho ordinato di darmela». «Tu che cosa?» fece Dennis O'Shea, sbattendo le palpebre. «Quello disarmato ha detto: 'Sparale', ma l'altro deve avere pensato che fossi un poliziotto in borghese o qualcosa del genere, perché si è spaventato e me l'ha consegnata. Li ho rimproverati spiegando che alla loro età avrebbero dovuto essere a scuola a giocare a pallone, come facevano i ragazzi quando eravamo giovani noi.» Alvirah annuì. «Questo spiega perché aveva la pistola con sé.» «Non potevo perdere tempo alla stazione di polizia. Tim mi aveva concesso solo un quarto d'ora. Anche se, alla fine, dieci minuti sono stati più che sufficienti.» Vedendo che Willy stava per chiedere qualcosa, Alvirah scosse la testa. Era evidente che Nelly stava rivivendo mentalmente i terribili istanti dell'omicidio. «E poi?» la esortò con dolcezza. «Che cosa è successo quando è arrivata a casa di Tim e di Roxie?» «Ero in ritardo di un paio di minuti. In Christopher Street stavano girando un film e un sacco di gente si era radunata a guardare gli attori. Quelli del trasloco se ne stavano andando quando sono arrivata. Roxie mi ha fatto entrare. Non credo che Tim l'avesse avvertita del mio arrivo, perché nel vedermi ha fatto una faccia strana. Il soggiorno era vuoto, fatta eccezione per la vecchia poltrona reclinabile di Tim, e come al solito lui ci stava stravaccato sopra. Non si è neppure preso la briga di alzarsi. Poi la seconda signora Monahan mi dice pari pari: 'Fuori di qui'. «Ero così nervosa che ho guardato Tim in faccia e ho snocciolato il discorsetto che mi ero preparata... che avevo solo un mese di vita e volevo il suo perdono per aver pensato tanto male di lui, che del biglietto non mi importava nulla, e che ero contenta che avesse trovato una donna disposta
a prendersi cura di lui. Ma prima di morire volevo sapere la verità. Proprio come sua madre.» «Ce l'ha fatta!» proruppe Willy. «È stata brava», rincarò Alvirah. «A quel punto Tim aveva un'espressione strana, come se stesse per scoppiare a ridere, e mi ha detto che quella faccenda non aveva mai smesso di tormentarlo. Sì, lui aveva comprato il biglietto vincente e lo aveva tenuto in una cassetta di sicurezza nella banca della Quarta Strada Ovest fino al giorno in cui non l'aveva dato a Roxie perché lo incassasse ed era davvero spiacente per i miei guai perché io ero proprio una donna generosa e di buon cuore.» «Dunque ha ammesso tutto!» esclamò Alvirah. «Così in fretta che stavo per svenire. E parlando rideva! Ora sono sicura che si stava prendendo gioco di me. Poi mi sono ricordata di non avere messo la spilla e ho aperto la borsetta per prenderla, e a quel punto Roxie ha detto qualcosa a proposito della pistola e io l'ho tirata fuori per spiegare come l'avevo avuta, ma è partito un colpo e Tim è crollato di schianto. Non ricordo bene quello che è successo dopo. Roxie ha cercato di togliermi di mano l'arma, e quando sono tornata in me ero alla stazione di polizia.» Prese la tazza che l'altra le porgeva. «A questo punto credo che non dovrò più preoccuparmi del mio appartamento e del trasloco a New Brunswick. Pensate che mi manderanno nello stesso carcere dove è detenuta quella donna che ha fatto uccidere il marito perché dopo il divorzio lui non voleva lasciarle il cane?» Posò la tazza e lentamente si alzò. Sotto lo sguardo attonito di Alvirah, di Willy e di Dennis O'Shea, il suo viso parve disintegrarsi. «Oh, mio Dio» gemette. «Come ho potuto uccidere Tim?» E svenne. La mattina seguente Alvirah andò a trovare Nelly in ospedale. «La tratterranno per qualche giorno», disse a Willy al suo ritorno. «E credo che sia meglio così. I giornali oggi si sono sbizzarriti. Dai un'occhiata.» Gli tese il Post sulla cui prima pagina campeggiava la foto del corpo di Tim che veniva portato via, salutato da una Roxie in lacrime. «Qui c'è scritto che, secondo Roxie, Nelly ha cominciato a sparare appena arrivata.» «Noi potremo testimoniare che aveva un appuntamento col suo ex marito», sospirò Willy. «Ma è stata la stessa Nelly a dirci che Roxie non era e-
videntemente stata informata della sua visita.» Aggrottò la fronte mentre considerava la situazione. «Poco fa ha chiamato Dennis O'Shea. È dell'avviso che dovrebbe accettare di venire accusata di un reato minore.» Con la mano, Alvirah spazzò via un filo dalla manica del suo elegante tailleur pantaloni. Era un capo che indossava sempre volentieri; una taglia comoda che le permetteva di allacciare il bottone in vita dei pantaloni senza tirare troppo. Ma quel giorno nulla poteva consolarla. Nelly era stata derubata della sua quota della vincita, pensava, ma sono stata io a regalarle il biglietto per il carcere. «Stavo pensando che sarebbe utile trovare quei ragazzini di cui ci ha parlato Nelly. Per dimostrare che è stato per caso che si è presentata armata all'appuntamento. Le chiederò di descrivermeli.» La prospettiva di agire la sollevò un po'. «Sarà meglio che vada a mettere qualcosa di meno elegante. Quello non è un gran quartiere e non voglio farmi notare.» Un'ora dopo, con indosso un vecchio paio di jeans, una logora felpa con l'immagine di Topolino e la sua fedele spilla, Alvirah era ferma all'angolo tra la Avenue B e la Decima Strada. In base alla descrizione di Nelly, i teppistelli erano sui dieci, undici anni. Uno era piccolo e sottile, con i capelli ricciuti e gli occhi castani; l'altro più alto e robusto. Entrambi portavano i capelli con la sfumatura alta, catenine d'oro e un orecchino. Le probabilità di vederli passare erano scarse, e dopo una mezz'ora Alvirah decise di tentare nei negozi della zona. In uno comprò il giornale, in un altro due mele, nel drugstore acquistò una confezione di aspirina. E dappertutto trovò il modo di scambiare qualche parola con commessi e titolari. Fece centro col calzolaio. «Certo che li conosco. Il piccolo è un tipo poco raccomandabile, l'altro invece non è un cattivo ragazzo. Di solito bazzicano quell'angolo.» Lo indicò attraverso la vetrina. «Stamattina però c'erano i poliziotti in giro a recuperare quelli che avevano marinato la scuola, e immagino che prima delle tre non si faranno vivi.» Felice, Alvirah lo ricompensò acquistando un assortimento di lucidi. Mentre contava il resto, il calzolaio le spiegò che in seguito a una caduta aveva rotto gli occhiali da lettura, ma che da lontano era in grado di vedere anche una pulce. Di colpo esclamò: «Ecco i ragazzi che sta cercando! Devono essere nuovamente scappati da scuola». Alvirah piroettò su se stessa. «Tenga pure il resto», gridò mentre si slanciava fuori. Un'ora dopo, molto demoralizzata, faceva il suo resoconto a Willy e a
Dennis O'Shea. «Quando gli ho parlato, avevano appena visto la foto di Nelly sul Post e l'avevano riconosciuta. Quelle due piccole canaglie stavano andando alla polizia con la loro versione dei fatti: Nelly li aveva interpellati offrendo cento bigliettoni per una pistola, ma loro naturalmente non sapevano dove procurarsela. Più tardi, però, un altro ragazzo si è vantato di avergliene venduta una.» «Ma è una menzogna», saltò su Dennis. «Ieri mattina, prima di uscire di casa, Nelly ha verificato il contenuto della sua borsetta davanti a me. Non ho potuto fare a meno di notare che non aveva più di tre o quattro dollari con sé. Com'è possibile che dei ragazzini così giovani mentano tanto spudoratamente?» «Sono arrabbiati con Nelly perché lei gli ha portato via la pistola», disse Alvirah sospirando. «E vogliono fargliela pagare.» Solo in quel momento si rese conto di non sapere ancora per quale motivo Dennis si trovasse a casa loro. Ma quando le fu spiegato, rimpianse di averlo chiesto. Erano arrivati i risultati dell'autopsia: un proiettile si era limitato a sfiorare la fronte di Tim, ma gli altri due lo avevano raggiunto al cuore e dall'angolo di entrata risultava evidente che erano stati esplosi quando lui era già a terra. Il procuratore distrettuale aveva chiamato Dennis per informarlo che ora l'accusa era di omicidio premeditato, un reato che prevedeva un minimo di quindici anni di carcere. Prendere o lasciare. «Quando gli ho parlato non sapeva ancora nulla dei ragazzi», concluse Dennis. «Nelly è stata informata?» volle sapere Alvirah. «L'ho vista stamattina. Lei era appena andata via. Ha intenzione di lasciare l'ospedale domattina per avere il tempo di mettere ordine nei suoi affari. Dice che deve pagare per il crimine che ha commesso.» «Detesto chiederlo», interloquì Willy, «ma è possibile che Nelly abbia comprato la pistola e ucciso Tim in un momento di collera?» «Puntandogli la pistola al cuore quando era già a terra?» esclamò Alvirah. «No, non ci crederò mai.» «Neanch'io credo che abbia agito deliberatamente», convenne O'Shea. «Ma è un fatto che l'ha ucciso. Sul calcio della pistola sono state trovate le sue impronte.» Si alzò. «Devo mettermi al lavoro. Cercherò di fare in modo che Nelly possa contare su qualche giorno ancora di libertà, prima di venire arrestata.» «Nelly gli piace», fu il commento di Willy quando l'avvocato fu uscito. «Ed è proprio il tipo d'uomo che lei avrebbe dovuto sposare», commentò
Alvirah, che improvvisamente si sentiva vecchia e stanca. Sono solo una maledetta impicciona, pensava. Ancora una volta le ritornò in mente il piano che aveva proposto a Nelly, e di cui era stata tanto orgogliosa. E risentì la voce della donna che diceva: «Lo ucciderei volentieri». Quando Willy le accarezzò la mano, gli scoccò un'occhiata riconoscente. Lui era il suo più caro amico, oltre a essere il marito migliore del mondo. La povera Nelly, invece, aveva dovuto sorbirsi per anni un uomo incapace di tenersi un lavoro, sempre pronto ad attaccare briga con tutti, che beveva troppo e assomigliava a una balena arenatasi sulla spiaggia. Perché diavolo Roxie lo aveva sposato? Per il biglietto, naturalmente. Quella notte Alvirah non riuscì a prendere sonno. Riesaminò più e più volte l'accaduto, ma il risultato era sempre lo stesso: quindici anni di carcere per Nelly Monahan. Erano le due quando si decise ad alzarsi, attenta a non svegliare Willy, che dormiva profondamente. Poco dopo, armata di una teiera fumante, andava a sedersi al tavolo da pranzo per ascoltare la registrazione della sua prima conversazione con Nelly, e quindi la confessione fatta dalla donna dopo il rilascio. C'era qualcosa che le sfuggiva, ma che cosa? Si alzò, andò alla scrivania e, dopo aver preso una penna e un taccuino a spirale, se ne tornò al tavolo. Ancora una volta riavvolse il nastro e si mise in ascolto prendendo appunti. Alle sette, Willy la trovò a meditare sulle sue note. Non fece domande, ma si sedette di fronte a lei. «Non riesco a immaginare che cosa tu possa aver tralasciato», commentò. «Fammi dare un'occhiata.» Passò una buona mezz'ora prima che si desse per vinto. «Zero assoluto», disse infine. «Ma mentre leggevo della poltrona reclinabile di Tim mi è venuto in mente il vecchio Buster Kelly. Anche lui ne aveva una, ricordi? Insistette per portarsela dietro anche nella casa di riposo.» «Ripetilo, Willy.» «Buster Kelly insistette per portarsi la poltrona...» «Willy, ci sono! Nelly ha trovato il marito seduto nella sua poltrona.» Con un gesto convulso, Alvirah gli strappò di mano il taccuino. «Guarda qui. Nelly dice che gli addetti al trasloco se ne stavano andando al suo arrivo. Ma la poltrona era ancora lì. Perché non l'avevano caricata col resto?» Balzò in piedi. «Ancora non capisci? Tim aveva un ottimo motivo per confessare a Nelly di averla ingannata. Scommetto quello che vuoi che Roxie gli aveva appena dato il benservito. Era rimasta con Tim il tempo
necessario per farsi consegnare il biglietto e incassare il denaro. Ma a quel punto non aveva più bisogno di lui.» Alvirah era sempre più sicura di aver colpito nel segno e la sua voce si fece eccitata mentre proseguiva: «Tim aveva cercato di impedire a Nelly di reclamare la sua parte di vincita, e neppure per un momento aveva pensato che Roxie facesse il doppio gioco. Di sicuro ha sospettato che lei volesse scaricarlo solo quando l'ha sentita dire a quelli del trasloco di lasciare lì la poltrona». «E confessando a Nelly di averla ingannata, sperava di riprendersi il biglietto e metà dei soldi. Ha senso», assentì Willy. «Nelly non ha ucciso Tim. La prima pallottola gli ha sfiorato la fronte. E Roxie non le ha afferrato la mano per portarle via la pistola, bensì per puntarla contro Tim.» Si guardarono. Negli occhi di Willy brillava una luce ammirata. «Sei la testa rossa più in gamba del mondo», disse. «Ma c'è un piccolo problema, tesoro. Come proverai tutto questo?» Già, come lo avrebbe provato? Alvirah compilò un elenco delle molte cose da fare. Doveva parlare con gli uomini che avevano sgomberato l'appartamento di Roxie. Secondo quanto Tim aveva detto a Nelly, il biglietto era rimasto per parecchio tempo in una cassetta di sicurezza di una banca vicino a Christopher Street. Doveva individuarla e scoprire sotto quale nome lui l'aveva affittata e quando era andato ad aprirla. In ultimo, doveva parlare col soprintendente dello stabile che ospitava il nido d'amore di Roxie e di Tim. Ma benché il suo cervello lavorasse a pieno ritmo, aveva la sensazione di non stare facendo abbastanza. Non c'era modo di dimostrare che era stata Roxie a guidare la mano di Nelly. Alle nove, Alvirah telefonò a Charley Evans al Globe per chiedergli di fare una ricerca. Lui la richiamò alle dieci. A occuparsi del trasloco di Roxie e di Tim era stata la ditta Stalwart Van, la informò, e i tre uomini incaricati del lavoro quel giorno erano impegnati sulla Quindicesima Est. Un anno prima, presso la Greenwich Savings Bank, sulla Quarta Ovest, era stata affittata una cassetta di sicurezza a nome di Timothy Monahan. Il contratto era stato rescisso tre settimane addietro. «Vogliono parlare con te.» Alvirah aveva preso nota di tutto. «Charley, sei un tesoro», lo ringraziò prima di riattaccare. «Muoviamoci, caro», disse al marito.
La loro prima sosta fu sulla Quindicesima Est, dove gli uomini della Stalwart Van stavano sgomberando un appartamento. Aspettarono vicino al camion il ritorno dei tre, che arrivarono barcollando sotto il peso di una credenza alta quasi tre metri. Alvirah attese che l'avessero caricata prima di presentarsi. «Non voglio farvi perdere tempo, ma ho alcune domande importanti da porvi.» Intanto, Willy aveva aperto il portafoglio ed esibiva tre banconote da venti dollari. Gli uomini non si fecero pregare. Tim, raccontarono, non era in casa quando loro erano arrivati. E quando era comparso, poco prima delle dieci, avevano capito subito che era sorpreso. «Ti avevo detto di andare a farti tagliare i capelli», si era messa a sbraitare Roxie. «Sembri un barbone.» Il più grosso dei tre ridacchiò. «A quel punto lui ha borbottato qualcosa a proposito di un appuntamento per le dieci, un appuntamento che a lei non sarebbe andato giù. 'Con chi ce l'hai, questo appuntamento?' aveva ribattuto la moglie. 'Con un bicchiere?'» «Stavamo andandocene quando l'uomo ci ha urlato di tornare indietro e di prendere anche la poltrona, ma la moglie ci ha fermati dicendo che non avevamo altro da fare lì.» Questa volta, a parlare era stato il più piccolo del gruppo. «E in tribunale tutto questo non proverebbe un bel nulla», rammentò Willy ad Alvirah un'ora più tardi, mentre lasciavano la Greenwich Savings Bank. Lì avevano avuto conferma che Tim Monahan aveva affittato la cassetta di sicurezza un anno prima, la mattina dopo l'estrazione dei biglietti vincenti, ma che l'aveva utilizzata una volta sola tre settimane addietro, ossia il giorno in cui l'aveva restituita. In quell'occasione era arrivato in banca con una donna dall'aspetto vistoso che un impiegato aveva riconosciuto nella foto di Roxie. «È sceso nella camera blindata e ha restituito la cassetta di sicurezza mezz'ora prima di presentarsi con Roxie e il biglietto all'ufficio competente», brontolò Alvirah, che ribolliva di frustrazione. «Lo so», convenne Willy, «ma...» «Ma legalmente questo non prova nulla, certo. Oh, Willy, so che è del tutto inutile, ma perché non diamo almeno un'occhiata alla casa in cui vivevano?» Svoltarono l'angolo e subito furono bloccati da una piccola folla che guardava affascinata Tom Cruise rincorrere Demi Moore e farla ruotare su se stessa. «Già, Nelly ci aveva detto che da queste parti stavano girando un film»,
ricordò Alvirah. «Be', abbiamo cose più importanti da fare che stare qui a guardare come degli allocchi.» Erano arrivati al numero 101 di Christopher Street quando una voce familiare echeggiò alle loro spalle: «Alvirah!» Si girarono di scatto: un uomo giovane e snello, con due mezze lenti appollaiate sul naso, si stava aprendo un varco tra la ressa per raggiungerli. «Brian! Che cosa ci fai qui?» Il giovane era il figlio di una delle sorelle di Willy, Madaline, morta da tempo. Commediografo di successo, per l'anziana coppia rappresentava il figlio che loro non avevano mai avuto. «Credevo che fossi a Londra», si stupì Alvirah, abbracciandolo. «E io credevo che voi foste in Grecia. Sono appena tornato e ho saputo che volevano ampliare certi dialoghi. Già, l'ho scritta io la sceneggiatura di questa epopea.» Con un cenno indicò le macchine da presa in fondo alla strada. «Ora devo scappare, vi raggiungo a casa più tardi.» Una telecamera fissata su un furgone inquadrava l'ultimo tratto dell'isolato. Alvirah ne prese inconsciamente nota mentre suonava il campanello corrispondente all'appartamento del soprintendente. Dieci minuti dopo, lei e Willy entravano nel trilocale in cui Tim Monahan aveva esalato l'ultimo respiro. «Siete fortunati», dichiarò il soprintendente. «Roxie ha chiamato proprio ieri per dire che non lo vuole più, per questo ancora nessuno sa che si è liberato. Quanto a voi, siete proprio il tipo di inquilini che piace all'amministratore», aggiunse in tono virtuoso pensando all'assegno di mille dollari firmato da Alvirah che riposava nella tasca dei suoi pantaloni. «Dunque inizialmente Roxie non progettava di lasciarlo, nonostante il trasloco in Florida?» «Proprio così. Pensava che forse ne avrebbe avuto bisogno, ma aveva girato l'affitto a nome di Tim.» Il sole del mattino illuminava la poltrona reclinabile del defunto Tim Monahan, unico mobile rimasto nella stanza. Sul pavimento erano ancora visibili i contorni del cadavere tracciati col gesso dagli agenti. Un'ombra passò sulla poltrona. Sorpresa, Alvirah si voltò in tempo per vedere il furgone della Mirage Films che passava in strada. «Ma certo!» proruppe allora. La mattina seguente, Nelly Monahan se ne stava seduta nella sua camera del Lenox Hill Hospital, in attesa di essere dimessa. Teneva sulle ginoc-
chia un taccuino su cui stava annotando le varie incombenze da sbrigare prima di entrare in carcere. Dennis O'Shea, con aria molto triste, le aveva spiegato che il procuratore distrettuale avrebbe accolto una dichiarazione di colpevolezza per un crimine meno grave solo a condizione che lei accettasse una condanna di quindici anni senza la possibilità di rilascio sulla parola. «È giusto», aveva replicato Nelly con voce quieta. «Devo pagare per quello che ho fatto.» Quando lui le aveva preso la mano, era trasalita. Il polso le doleva, probabilmente per la violenza con cui Roxie glielo aveva afferrato per strapparle la pistola, e sull'indice aveva un graffio che si era procurata nel tentativo di attivare il piccolo registratore nascosto nella spilla. Dennis le aveva detto che a suo avviso avrebbe dovuto esigere un regolare processo, ma lei aveva risposto che non aveva alcun diritto di tentare di farla franca. Si era presa una vita e adesso doveva pagare. Rescindere il contratto d'affitto, scrisse ora Nelly. Disdire quello telefonico. Alzò gli occhi. Sulla porta, elegantemente vestita, c'era Alvirah. «Com'è carina oggi!» la salutò lei in tono ammirato. «Per caso sa di che colore è l'uniforme del carcere? È strano, ma sono stata sveglia tutta la notte a pensare a sciocchezze del genere.» Alvirah sorrise. «Non si preoccupi di questo. La partita non è ancora chiusa. Ora l'accompagno a casa in taxi, e sappia che ho già chiamato Dennis per dirgli che lei non, ripeto, non si avvicinerà all'ufficio del procuratore distrettuale, né firmerà un accordo prima che io abbia messo in atto il mio piano. E il primo passo sarà un'intervista con l'inconsolabile vedova del defunto Tim Monahan. Roxie Marsh Monahan stava decidendo che cosa indossare per il suo incontro con Alvirah Meehan. Un intero articolo su di lei sul Globe! Una prospettiva eccitante. Quello pubblicato dal Post le era piaciuto molto, anche se era un peccato che lunedì non fosse potuta andare dal parrucchiere come aveva contato di fare. Nella foto aveva un aspetto un po' disordinato, ma d'altra parte stava piangendo istericamente, e i capelli arruffati erano, per così dire, il tocco finale. Si guardò intorno. La piccola suite in cui alloggiava presso l'Omni Park Hotel era molto carina. Vi si era trasferita il giorno dell'omicidio, dato che l'ufficio del procuratore distrettuale l'aveva pregata di trattenersi a New
York il tempo necessario perché il caso fosse definitivamente chiarito. Le avevano detto inoltre che Nelly avrebbe senza dubbio cercato di ottenere il patteggiamento, e che di conseguenza non ci sarebbe stato alcun processo. Per certi versi, Roxie sapeva che avrebbe sentito la mancanza di New York, ma adorava il golf e in Florida avrebbe potuto giocare tutti i giorni senza doversi preoccupare del rinfresco di orribili party. Lavorare nel catering era un inferno. Dio, da quel momento non avrebbe più cotto nemmeno un fagiolino. Aveva sopportato di vedersi intorno quella faccia da tonto un giorno dopo l'altro, l'aveva ascoltato russare di notte, lo aveva visto stravaccarsi su quella terribile poltrona con un bicchiere in mano, aveva dovuto fingersi felice mentre lui la riempiva di baci umidi e sgradevoli... insomma, si era guadagnata fino all'ultimo soldo quei duecentomila dollari o giù di lì che, una volta pagate le tasse, avrebbe incassato annualmente per i successivi vent'anni. Esaminò i due tailleur neri che aveva comprato il giorno prima. Uno aveva i bottoni d'oro, l'altro i risvolti coperti di paillette. Optò per il primo, dicendosi che le paillette avevano decisamente un'aria troppo festaiola. Si vestì senza dimenticare i braccialetti e gli anelli che portava sempre. Sapeva di non dimostrare i suoi cinquantatré anni e di essere ancora molto attraente con i capelli biondi e la figura slanciata. E ora più nulla le avrebbe impedito di mantenere quella splendida forma. E soprattutto di trovarsi un uomo interessante. Grazie, Tim Monahan. Grazie, Nelly Monahan. È incredibile il modo in cui sono riuscita a strappare la vittoria proprio mentre stavo per perdere tutto, esultò Roxie. Il suo unico errore era stato di spifferare a Tim la verità, quando lui aveva visto gli uomini del trasloco pronti ad andarsene e la sua poltrona ancora in soggiorno. Avrebbe dovuto continuare a bluffare. E certo avrebbe tenuto la bocca chiusa se avesse saputo che Nelly Monahan sarebbe arrivata pochi secondi dopo che aveva detto a Tim di andare pure a impiccarsi, perché non sarebbe partito con lei. Si stava ritoccando le labbra quando squillò il telefono. Alvirah Meehan la aspettava nella hall. «Vorremmo impostare l'articolo sulla tragicità che ha accompagnato la sua vincita», spiegava Alvirah pochi minuti dopo, guardando con simpatia Roxie che le sedeva di fronte. L'altra si asciugò gli occhi. «Non smetterò mai di rimpiangere il momento in cui ho trovato quel biglietto nel mio cassetto dei cosmetici. Casual-
mente, avevo appena letto un articolo in cui si diceva che sono molte le vincite non reclamate; c'era anche un numero telefonico a cui rivolgersi. Mi sono messa a ridere e ho detto a Tim: 'Non sarebbe buffo se questo fosse proprio uno dei biglietti fortunati?'» Alvirah alzò leggermente il volume del registratore nascosto nella spilla. Non voleva lasciarsi sfuggire neppure una parola. «E lui che cosa ha risposto?» «Oh, quel caro scioccone ha replicato: 'Non sprecare una telefonata a meno che la serie non sia di nove numeri'.» Faticosamente, Roxie riuscì a spremere qualche lacrima. «Come vorrei poter tornare indietro!» «Avrebbe preferito non scoprire nulla e continuare a fare il suo lavoro, non è vero, cara?» «Sì», singhiozzò Roxie. «Sì.» Alvirah non aveva mai adottato un linguaggio volgare, ma ora aveva una rispostaccia sulla punta della lingua. La ricacciò indietro e a denti stretti disse invece: «Ancora un paio di domande, poi il nostro fotografo le farà qualche scatto». I singhiozzi di Roxie cessarono bruscamente. «Mi dia il tempo di controllare il trucco.» Mel Levine, primo fotografo del Globe, aveva già ricevuto le istruzioni del caso: Scatta dei buoni primi piani delle sue mani. Alla più vecchia delle sorelle ancora viventi di Willy, suor Cordelia, non piaceva essere esclusa. Per questo, sapendo che Alvirah stava lavorando per aiutare Nelly Monahan, la donna che aveva sparato all'ex marito in presenza della seconda moglie di questi, aveva deciso di conseguenza di presentarsi non annunciata in Central Park Sud. Accompagnata come sempre faceva in questi casi da suor Maeve Marie, che prima di prendere gli ordini aveva lavorato nella polizia, Cordelia si era installata sulla sedia a dondolo nel soggiorno, e fu lì che Alvirah la trovò al suo ritorno. Dato che la sedia era rivestita di velluto cremisi e Cordelia portava la tonaca e il velo, lei non poté fare a meno di pensare che, se mai fosse stato eletto un pontefice donna, avrebbe avuto proprio quell'aspetto. «Cordelia è passata a trovarci», spiegò Willy, inarcando appena il sopracciglio destro. Bastò quel gesto perché la moglie capisse che non aveva informato la sorella dei loro progetti. «Non ti disturbiamo, spero», si scusò suor Maeve Marie. «Ma la supe-
riora pensava che tu potessi avere bisogno di aiuto.» Maeve aveva la struttura snella di un'atleta e un viso incredibilmente bello, dominato da due grandi occhi grigi. Come quella di Willy, la sua espressione diceva: «Scusa, Alvirah, ma sai com'è fatta Cordelia». «Allora, si può sapere che cosa sta succedendo?» interloquì la superiora, andando direttamente al punto. Non aveva scelta, comprese Alvirah, doveva dirle tutta la verità e nient'altro che la verità. Si lasciò cadere sul divano, rimpiangendo di non essersi potuta concedere una tranquilla tazza di tè in compagnia del marito, prima di quella visita. «Dobbiamo tirar fuori Nelly dai guai. È colpa mia se è andata da Tim, e non posso permettere che trascorra il resto della sua vita in prigione.» Cordelia annuì. «E che cosa intendi fare per impedirlo?» «Qualcosa che forse non ti piacerà. Brian ha scritto una sceneggiatura per la Mirage Films.» «Lo so. Credo che ci si possa fidare di lui e che non ci avrà infilato dentro troppe sconcezze. Ma che cosa c'entra questo con la povera Nelly Monahan?» «Il giorno dell'omicidio, la Mirage stava girando una scena proprio fuori dell'edificio in cui abitavano Roxie e Tim. Dobbiamo cercare di far credere a Roxie che la telecamera l'ha sorpresa proprio mentre torceva la mano di Nelly e puntava l'arma contro Tim.» «Hai intenzione di mentire!» esplose la religiosa. «Proprio così. Brian ha convinto il produttore a collaborare. Mel, il fotografo del Globe, oggi ha scattato un sacco di primi piani a Roxie, e in più abbiamo la foto pubblicata dal Post. Non dobbiamo fare altro che trovare una modella che le assomigli. La vestiremo con un tailleur pantaloni a righe simile a quello che portava Roxie, e faremo un ingrandimento della sua mano stretta intorno a quella di Nelly. Con lei devo ancora parlare, ma credo che riuscirò a convincerla a collaborare.» Willy le fece un cenno di incoraggiamento prima di continuare nella spiegazione. «Abbiamo già versato una caparra per l'appartamento. L'unico mobile rimasto era la poltrona reclinabile di Tim, e c'è ancora. Così come sono ancora visibili i segni tracciati col gesso sul pavimento. Io interpreterò Tim, e ciò significa che mi stenderò per terra vicino alla poltrona. Stando a Nelly, quel giorno lui portava una felpa grigia e i mocassini.» Gli occhi di suor Maeve Marie scintillavano di eccitazione. «Quando ero ancora un poliziotto, lo chiamavamo il 'test della menzogna'. Oh, l'idea mi
piace proprio!» Willy guardava Cordelia. Sapeva che Alvirah era decisa a seguire il suo piano a qualunque costo, ma sarebbe stato comunque preferibile che la religiosa non si mettesse in mezzo. Sua moglie era già abbastanza addolorata per aver trascinato Nelly in quel pasticcio. E quando disapprovava qualcosa, Cordelia aveva un modo specialissimo e quanto mai efficace per convincerti che la tua idea era destinata a fallire. La vide aggrottare la fronte, poi rilassarsi. «Spesso il Signore raggiunge i suoi obiettivi per vie tortuose», dichiarò finalmente la suora. «Quando si comincia?» Alvirah fece un sospiro di sollievo. «Appena possibile. Ma dobbiamo ancora trovare l'attrice che impersonerà Roxie.» Parlando, guardava suor Maeve Marie. Come Roxie, era alta e aveva una bella figura. Come Roxie, aveva mani eleganti, con dita lunghe e affusolate. «Sono proprio contenta che voi due siate venute», disse, e parlava sul serio. Due giorni dopo, la trappola era pronta. Nell'appartamento di Christopher Street in cui Tim Monahan era andato incontro al Creatore, Brian dirigeva la scena. «Zio Willy, tu sdraiati lì. Abbiamo dovuto cancellare le tracce di gesso, ma ne abbiamo ricalcato i contorni con la matita.» Obbediente, Willy si sdraiò accanto alla poltrona. Il cameraman e Brian indietreggiarono di qualche passo; il giovane controllò attraverso l'obiettivo, quindi dette un'occhiata alla foto del cadavere di Tim; il direttore del Globe era riuscito a procurarsene una copia corrompendo un inserviente dell'ufficio del medico legale. «Non sembri abbastanza grasso», stabilì in ultimo. «Questa sì che è una buona notizia.» Il problema venne risolto cacciando il maglione di Brian sotto la maglietta di cotone di Willy. Nelly era in piedi in un angolo, con indosso il tailleur blu e la camicetta stampata che portava il giorno del suo ultimo incontro con l'ex marito. Nella borsetta aveva una pistola del tutto identica a quella che aveva sottratto ai due giovani teppisti. Sono passati solo quattro giorni, pensava. Sembra quasi impossibile. Sbirciò Dennis O'Shea, che le rispose con un sorriso di incoraggiamento. Poi guardò suor Maeve, che somigliava a Roxie in modo quasi inquietante. La suora aveva messo una parrucca bionda e indossava una copia esatta
del tailleur a strisce che Roxie portava il giorno in cui era diventata vedova. Sull'indice della mano destra spiccava un anello con un enorme turchese. Unghie finte rosso sangue accentuavano la lunghezza delle sue dita e sul dorso di entrambe le mani erano state dipinte piccole rughe e macchie epatiche. Proprio come quelle di Roxie, pensò Nelly con una punta di soddisfazione, contemplandosi le mani perfettamente lisce. Suor Cordelia assisteva ai preparativi con le braccia conserte. A Nelly ricordava le suore che aveva conosciuto alla scuola parrocchiale. Quando Brian le chiese se era pronta, lei annuì. «Allora vada alla porta, Nelly. E cerchi di fare tutto esattamente come quel giorno.» Nelly guardò Willy. «Tim allora dev'essere ancora vivo.» Si diresse alla porta mentre l'idraulico si rimetteva in piedi. «Roxie mi ha fatta entrare», spiegò. «Tim era seduto sulla sua poltrona. Ho visto subito che era turbato, ma pensavo che fosse a causa della mia visita, o addirittura perché mi credeva mortalmente ammalata. Comunque, sono passata davanti a Roxie per avvicinarmi a lui e gli ho detto che volevo sapere la verità prima di morire...» «Lo faccia», la sollecitò Brian. «Maeve, tu vai alla porta.» Nelly aveva provato così tante volte il discorsetto rivolto a Tim che non le fu difficile fermarsi di fronte alla poltrona e recitarlo tutto d'un fiato. Né le fu difficile sovrapporre a quello di Willy il volto dell'ex marito. «A questo punto dovresti cominciare a sorridere», lo istruì. «È stato molto meschino da parte tua. Non avresti dovuto sorridere mentre io ti dicevo che stavo per morire.» Santo cielo, pensò Alvirah. Forse dopotutto la mia non è stata un'idea brillante. «Però ti ho perdonato perché hai ammesso subito di avermi imbrogliata.» Nelly aprì la borsetta. «Poi sono quasi svenuta nel ricordare che non avevo la spilla appuntata sul bavero, così ho aperto la borsetta e ho cominciato a cercarla e a quel punto Roxie ha visto la pistola.» Si interruppe. «No, un minuto. Roxie stava gridando a Tim di chiudere il becco, ma quando ha aperto la porta gli aveva appena detto qualcos'altro.» «Non importa», tagliò corto Brian. «Non c'è il sonoro.» Nelly aveva la sensazione di stare guardando una videocassetta. Ora ricordava tutto con estrema precisione. Recuperò la spilla dal fondo della borsetta e subito le parve di risentire le grida di Roxie. «Ho lasciato cadere la spilla e ho tirato fuori la pistola per mostrargliela. A quel punto Tim è
balzato in piedi. È partito un colpo. Tim ha urlato... ha urlato... ah, sì: 'Nelly, non fare la pazza. Ci divideremo la vincita'. Dopodiché si è buttato a terra.» Si è buttato, pensò Alvirah, non è caduto. Si è buttato. Ora per Nelly tutto era perfettamente chiaro. Sicura di averlo ucciso, si era sentita mancare, ma a quel punto una mano le aveva afferrato il polso, torcendoglielo. Ecco perché mi fa male. Ecco com'è andata. Ora ne sono certa. Ma Tim aveva aggiunto qualcosa, pensò poi. Che cosa...? Roxie, si era rivolto a Roxie. Sentì suor Maeve torcerle la mano e puntare la pistola contro Willy, che ora giaceva a terra. E allora sono svenuta. Piegò le ginocchia e si lasciò cadere sul pavimento. «Benissimo, Nelly», si complimentò Brian. «Ce l'abbiamo fatta al primo tentativo! Ne gireremo un'altra tanto per essere sicuri, dopodiché possiamo solo sperare che Roxie non capisca che si tratta di un trucco.» Alvirah stava assaporando uno di quei meravigliosi momenti in cui l'istinto le diceva che qualcosa di importante stava per accadere. «Che cosa c'è, Nelly?» chiese piano. «Proprio ora mi è parso di risentire la voce di Dennis che mi insegnava ad accendere il registratore. Diceva che dovevo premere forte con questo dito.» Nelly sollevò l'indice della mano destra. «E questo dito ha continuato a tormentarmi fin da quando sono venuta qui, l'altro giorno. Credete sia possibile che abbia acceso il registratore un istante prima di mostrare la pistola a Roxie? Non ho mai controllato. E se avessi registrato le ultime parole di Tim?» «Che i santi ci proteggano», mormorò Cordelia. Il pulsante di accensione del minuscolo registratore era ancora schiacciato. Ovviamente le batterie erano scariche, ma Alvirah impiegò solo pochi secondi a sostituirle e a riavvolgere il nastro. Le labbra di Cordelia si muovevano in una preghiera silenziosa. Si udì uno sparo, poi la voce di Tim che diceva a Nelly di non fare la pazza. Lei che gemeva: «Oh, mio Dio, mio Dio, mi dispiace». Quindi una voce dura, quella di Roxie: «Tim, bastardo». E la supplica di lui: «Roxie, no! Roxie, non sparare!» Alvirah sentì il braccio di Willy circondarle le spalle. «Ce l'hai fatta ancora una volta, tesoro.»
Due sere più tardi, Nelly insistette per invitarli a casa sua tutti e cinque a cena: Alvirah e Willy, suor Cordelia, suor Maeve Marie, e Dennis. Nella sua qualità di ex poliziotto, Maeve aveva insistito perché il procuratore distrettuale venisse informato della messa in scena, ed era stato proprio uno dei suoi migliori agenti ad andare da Roxie spacciandosi per il cameraman che aveva casualmente ripreso l'omicidio. Dopo aver visto il filmato e udito la voce di Tim che la supplicava di non sparare, Roxie si era immediatamente offerta di comprare qualunque cosa lui avesse da vendere. In seguito alle abili domande dell'agente, tuttavia, era crollata confessando tutto. Ora si trovava in carcere, accusata dell'omicidio, e Nelly era stata dichiarata la legittima proprietaria del biglietto vincente. Dennis aveva portato una bottiglia di champagne. Con gli occhi umidi, la padrona di casa si unì al brindisi generale, poi volle proporne uno lei stessa. «A voi tutti e a Brian. Mi dispiace molto che questa sera fosse impegnato a Hollywood, là dove si verificano sempre terremoti e un sacco di altre brutte cose.» «È talmente incredibile», mormorò qualche minuto dopo, mentre guardava Dennis tagliare la succulenta sella di agnello che lei aveva preparato. C'erano anche insalata di pomodori e cipolle, purè di patate, croccanti fagiolini verdi, biscotti, gelatina di menta, torta calda di mele e caffè. Nelly era raggiante mentre gli altri la subissavano di complimenti per la sua ottima cucina. Alle nove, Cordelia e Maeve si alzarono per congedarsi. «Willy, ti aspettiamo domattina presto», ordinò la religiosa più anziana, rivolta al fratello. «E porta con te gli attrezzi. Ho un sacco di lavoro da farti fare.» «Dobbiamo andare anche noi. Vi daremo un passaggio», replicò lui. «Io non esco di qui prima di aver aiutato Nelly a rimettere tutto a posto», protestò Alvirah, ma nel sentire il piede del marito contro il suo ammutolì di colpo. Si volse e seguendo il suo sguardo vide Nelly e Dennis che si sorridevano in silenzio. «Ora di andare, tesoro», dichiarò Willy con fermezza impugnando la spalliera della sua seggiola. Un ladro di gioielli a Cypress Point «Alvirah. Vieni subito. Ho un bisogno disperato di te!»
Alvirah aprì gli occhi di scatto. In una frazione di secondo era emersa da un piacevole sogno, che la vedeva ospite a cena alla Casa Bianca, per entrare nella realtà delle tre del mattino, col trillo stridulo del telefono immediatamente seguito dalla voce spaventatissima della baronessa Min von Schreiber. «Min, che succede?» gridò quasi. Accanto a lei, Willy grugnì: «Tesoro, che c'è?» Lei gli sfiorò le labbra con un dito. «Sssh.» Poi: «Min, è successo qualcosa?» Il tragico sospiro dell'altra attraversò il continente, e dalla stazione termale di Cypress Point di Pebble Beach, in California, raggiunse il lussuoso appartamento di Central Park Sud. «Siamo rovinati. Tra gli ospiti c'è un ladro di gioielli. I brillanti della signora Hayward sono scomparsi dalla cassaforte del suo cottage.» «Che i santi ci proteggano», ansimò Alvirah. «Che cosa fa Scott?» Scott Alshorne, sceriffo della contea di Monterey, aveva collaborato con Alvirah alla soluzione di un caso di omicidio verificatosi a Cypress Point qualche anno addietro. «Oh, povera me, è complicato da spiegare. Il fatto è che non possiamo chiamare Scott.» La voce di Min era tesa. «Nadine Hayward è fuori di sé. Non osa confessare al marito che l'assicurazione sui brillanti è scaduta. L'aveva persuaso a lasciar gestire le loro polizze dal figlio che lei ha avuto dal primo matrimonio, perché potesse intascare la sua commissione, ma lui si è giocato l'assegno e l'ha perduto. La responsabilità sarebbe naturalmente della società assicurativa di cui il ragazzo era agente, ma, se il furto venisse reso noto, sarebbe lui a venire denunciato, e sua madre proprio non se la sente di spedirlo in carcere. Così, sta coltivando la folle idea di far riprodurre i brillanti, in modo da ingannare il marito.» Ormai Alvirah era perfettamente sveglia. «Un trucco del genere funzionò in un racconto di Maupassant. Chissà se la signora Hayward l'ha letto.» «MOUpassant, non MOPpassant», la corresse Min, con un sospiro. «Alvirah, è ridicolo che qualcuno possa rubare gioielli per quattro milioni di dollari e farla franca. Non possiamo ignorare questa faccenda. E se si verificasse un altro furto? È necessario che tu venga subito, Alvirah. Devi trovare il colpevole. Naturalmente, sarai mia ospite. E porta con te anche Willy. Credo che qualche ora di ginnastica gli farebbe bene. Gli assegnerò un istruttore personale.» Quindici ore più tardi, la limousine su cui viaggiavano Willy e Alvirah
oltrepassava il Pebble Beach Club e le proprietà che si allineavano lungo Shore Drive. Dietro la curva svettava l'albero da cui la stazione termale aveva preso il nome. Varcato l'elegante cancello di ferro, l'auto seguì la strada tortuosa che portava al corpo principale del complesso, un lussuoso edificio di tre piani dalla pianta irregolare e con le mura color avorio. Benché fosse esausta, gli occhi di Alvirah brillavano di eccitazione. «Adoro questo posto», confidò al marito. «Spero che Min abbia fatto preparare per noi il cottage Tranquillità. È il mio preferito. Mi ricorda la prima volta che venni qui. Fu subito dopo la vincita alla lotteria, e io ero elettrizzata dalla prospettiva di passare una settimana a gomito a gomito con tutte quelle celebrità.» «Lo so, tesoro», disse Willy sorridendo. «Era la prima occasione che avevo per scoprire come viveva la parte privilegiata dell'umanità. E che lezione è stata! Perché...» Alvirah ammutolì di colpo. Se avesse continuato, avrebbe inevitabilmente ricordato al marito che lei aveva rischiato la pelle mentre indagava su un omicidio. Ma evidentemente Willy lo ricordava anche troppo bene, perché posò una mano su quella di lei, dicendo: «Tesoro, non voglio vederti finire nei guai per colpa di qualche gioiello». «Non succederà. Ma sarà divertente dare una mano. Da un po' di tempo a questa parte la nostra vita è stata anche troppo tranquilla. Oh, guarda, ecco Min.» Si erano fermati davanti all'ingresso e l'amica stava già scendendo le scale per andar loro incontro, con le braccia tese. Indossava un abito di lino blu che aderiva alla sua figura piena ma perfettamente proporzionata. I capelli, della stessa tonalità che avevano avuto vent'anni prima, erano raccolti in una foggia complicata. Portava orecchini d'oro e di perle con un girocollo uguale, e come sempre sembrava appena uscita da una pagina di Vogue. «E pensare che ha cinque anni più di me», mormorò Alvirah, in tono quasi di soggezione. Alle spalle di Min era comparso il marito, l'imponente barone Helmut von Schreiber, che grazie al portamento militare sembrava parecchio più alto del suo modesto metro e settanta. Il pizzo perfettamente regolato ondeggiò appena quando lui aprì la bocca in un sorriso di benvenuto che rivelò una chiostra di denti perfetti. Solo le minuscole rughe intorno agli occhi grigio-blu indicavano che aveva superato i cinquant'anni. L'autista saltò giù per aprire la portiera, ma Min fu più rapida. «Siete proprio dei veri amici», proruppe, abbracciandoli. Poi il suo tono mutò.
«Alvirah, dove hai comprato questo vestito? È ben tagliato, ma il beige non è il tuo colore. Ti fa troppo pallida.» Scosse la testa. «Oh, ma tutto questo può aspettare.» L'autista fu incaricato di portare i bagagli al cottage Tranquillità. «Ci penserà la cameriera a disfarli», disse ancora Min. «Noi dobbiamo parlare.» Obbedienti, gli altri due la seguirono nel suo sontuoso ufficio al secondo piano. Helmut chiuse la porta e andò alla credenza. «Tè freddo, birra o qualcosa di più forte?» chiese. Alvirah aveva sempre trovato divertente che gli alcolici fossero proibiti in tutta Cypress Point, fatta eccezione per l'alloggio privato dei proprietari. Optò per un tè freddo, mentre Willy si ringalluzzì tutto al pensiero di una birra. Davvero, pensò Alvirah, era stato crudele da parte sua tirarlo fuori del letto in piena notte, ma altrimenti non avrebbero fatto in tempo a prendere il volo delle nove del mattino. Tuttavia, non erano riusciti a procurarsi i posti in prima classe, e si erano ritrovati entrambi strizzati fra due sconosciuti. Dopo l'atterraggio, le prime parole di Willy erano state: «Tesoro, non mi ero reso conto di essermi tanto abituato al nostro nuovo tenore di vita». Mentre sorseggiava il tè, Alvirah andò diritta al punto. «Min, puoi raccontarci che cos'è accaduto esattamente? Quando è stato scoperto il furto?» «Ieri pomeriggio sul tardi. Nadine Hayward è arrivata sabato, quindi è nostra ospite da tre giorni. Il marito, che partecipa a un torneo di golf, alloggia nel loro appartamento al Pebble Beach Club. Nadine si era portata dietro i suoi gioielli più belli perché gli Hayward sono invitati a un ballo di beneficenza a San Francisco. Li conservava in cassaforte.» «Era stata già qui prima?» chiese Alvirah. «È una cliente regolare. Da quando ha sposato Cotter Hayward, viene da noi ogni volta che lui ha un torneo. Il marito è un ottimo golfista dilettante.» Alvirah aggrottò la fronte. «Non capisco una cosa, però... Durante una delle mie visite precedenti, un paio di anni fa, ho conosciuto un'altra signora Hayward.» «Era la prima moglie di Cotter, Elyse. Viene ancora a trovarci, ma di solito non quando c'è Nadine. Anche se detesta Cotter, non le ha fatto piacere venire sostituita. Soprattutto perché, sfortunatamente, è stata proprio lei a presentargli la rivale.» «Si sono innamorati sotto questo tetto», intervenne Helmut con un sospi-
ro. «Cose che capitano. Ma a complicare il tutto, questa settimana anche Elyse è nostra ospite.» «Come?» Alvirah era stupita. «Mi stai dicendo che sono qui entrambe?» «Proprio così. Naturalmente abbiamo fatto in modo che i loro tavoli in sala da pranzo fossero molto distanti e stabilito i loro orari in palestra e nelle vasche per far sì che non si trovino mai nella stessa sala.» «Alvirah, tesoro, vedi di non distrarti», intervenne Willy. «Perché non ti fai raccontare del furto? Così dopo potremo andare al cottage a schiacciare un pisolino.» «Oh, Willy, mi dispiace.» Alvirah scosse la testa. «Sono talmente poco premurosa! Willy ha più bisogno di me di sonno e in aereo non è riuscito a chiudere occhio. Era in mezzo a due ragazzini che giocavano a scacchi sul suo vassoio. I loro genitori non volevano che sedessero vicini perché litigano in continuazione.» «Già, ma perché non hanno occupato loro quel posto?» volle sapere Min. «Erano troppo impegnati a badare a due gemelli sui tre anni, e tu sai quanto sia di buon cuore Willy.» «Il furto», ripeté questi con fare supplichevole. «Certamente.» Min riprese le fila del racconto. «Alle cinque Nadine è andata dal parrucchiere per la messa in piega. Quando alle sei e dieci è tornata al suo cottage, la Quiete, ha trovato tutto sottosopra. I cassetti erano stati svuotati, le valigie tirate fuori. Qualcuno, o forse più persone, aveva perquisito il cottage centimetro per centimetro.» «Che cosa cercavano?» chiese Alvirah. «I gioielli, naturalmente. Sai che qui da noi ci si mette in pompa magna per la cena, e le signore adorano sfoggiare le loro gioie. Solo la sera prima, Nadine si era presentata con un girocollo e un braccialetto di brillanti. È chiaro che stavano cercando quelli, ma non potevano sapere che lei aveva con sé anche la tiara degli Hayward, gli anelli e altri due braccialetti.» Fece una pausa, poi esplose: «Ma perché quella stupida si è portata dietro tanta roba? Non potrà certo sciorinarla tutta al ballo di beneficenza». Helmut le allungò un colpetto affettuoso sulla mano. «Min, Min, sai che non devi farti salire la pressione. Pensa a cose piacevoli.» Fu lui a riprendere il racconto. «Lo strano è che il ladro sembra essere incappato per caso nella cassaforte, dopo aver frugato in tutti gli altri posti. La cassaforte nascosta dietro il quadro che raffigura Min e me nel soggiorno del cottage.» «Un minuto», esclamò Alvirah. «Min, hai appena detto che secondo te
ieri sera qualcuno deve aver notato i gioielli di Nadine. Per caso ieri sera lei ha lasciato il complesso?» «No. Ha partecipato a quella che scherzosamente noi chiamiamo 'l'ora del cocktail', poi è venuta a cena e quindi ha assistito al concerto di Mozart che si è tenuto nella sala da musica.» «Quindi gli unici che l'hanno vista sono gli altri ospiti e i membri del personale, e loro avrebbero saputo dove cercare, dato che c'è una cassaforte in ogni cottage.» Alvirah si lisciò le pieghe del vestito beige con cui si era illusa di incontrare l'approvazione di Min. Avevo dimenticato che secondo lei il beige non mi dona, pensò con una punta di rammarico. Oh, be', non è poi così importante. «Un'altra cosa», riprese. «La cassaforte è stata forzata?» «No. Qualcuno conosceva la combinazione scelta da Nadine.» «Oppure era un professionista e sapeva come trovarla», aggiunse Willy. «Che cosa vi fa pensare che a quest'ora il ladro non sia a mille chilometri di distanza?» Min sospirò. «La nostra unica speranza è che si tratti di qualcuno che è ancora qui e che Alvirah riesca a individuare il colpevole. Forse potremmo costringerlo, o costringerla, a restituire il maltolto. Conosciamo tutti gli ospiti presenti al momento, e la loro reputazione è impeccabile. Quanto al personale, abbiamo soltanto tre persone nuove e ne abbiamo controllato i movimenti senza riscontrare niente di sospetto.» Il furto era stato un brutto colpo per Min, che sembrava invecchiata di dieci anni. «Alvirah, episodi come questo possono mandarci in rovina. Cotter Hayward è un uomo terribilmente difficile. Non solo perseguirà penalmente il figlio di Nadine, ma sono convinta che troverà la maniera di addossare qualche responsabilità anche a noi.» «Quando partono per San Francisco?» «Sabato. Hai tre giorni di tempo per compiere il miracolo.» Dopo un sonnellino di due ore e una doccia rinvigorente, Alvirah si sentiva molto meglio. Ansiosa di guadagnarsi l'approvazione dell'amica, si sedette alla toilette per truccarsi. Non devo esagerare col fard, si disse, né oltrepassare col rossetto la linea delle labbra, rammentò a se stessa. Solo un tocco di eyeliner e un po' di cipria scura per addolcire i contorni della mascella e del naso. Fu lieta di sentire Willy cantare sotto la doccia. Anche lui evidentemente si sentiva meglio. Indossò uno splendido caffettano che Min aveva scelto per lei durante il
suo ultimo soggiorno a Cypress Point, vi appuntò la spilla a forma di sole raggiato e tirò fuori il taccuino. Mentre il marito si vestiva, prese nota delle informazioni fornitele da Min, suddividendole in categorie. Quand'ebbe finito, si trovò tra le mani parecchi interrogativi. Perché Elyse Hayward, la prima signora Hayward, si trovava lì? Era una coincidenza? Helmut le aveva assicurato che di solito Elyse evitava di incontrare la ex amica. Interessante, pensò Alvirah. Le tre nuove dipendenti della stazione termale lavoravano al Bagno Romano, la nuova attrazione del luogo; erano stati necessari due anni per completarlo, ma il risultato era una splendida copia di uno dei bagni di Baden-Baden. Due erano massaggiatrici, mentre la terza prestava i suoi servigi nello spogliatoio. Min, però, aveva detto che non c'era stato nulla di sospetto nei loro movimenti. Nondimeno, decise Alvirah, farò un salto al Bagno Romano, almeno per dare un'occhiata a quelle tre. Willy comparve sulla porta del soggiorno. «Che ne dici? Sono all'altezza dei raffinati personaggi che stiamo per incontrare?» Si era pettinato con cura i capelli bianchi e ondulati che incorniciavano alla perfezione i suoi vivaci occhi blu e il viso cordiale. Una bella giacca sportiva color blu navy nascondeva la pancetta che faceva puntualmente la sua comparsa dopo ogni crociera. «Sei meraviglioso», disse Alvirah sorridendo. «E così tu. Fai in fretta, tesoro. Non vedo l'ora di gustare uno dei cocktail analcolici di Min.» La veranda era già affollata di ospiti e dalle finestre aperte della grande casa fuorusciva un suono di violini. Mentre risalivano il vialetto, Alvirah disse: «Mi raccomando, non dimenticare che Min ci presenterà Nadine Hayward. Lei sa che siamo qui per darle una mano e che più tardi faremo un salto nel suo cottage per scambiare due parole». Da quando avevano vinto alla lotteria, Alvirah tornava a Cypress Point almeno una volta l'anno. Di solito Willy passava a prenderla al termine della settimana di soggiorno e partivano insieme per qualche località esotica, ed era quindi la prima occasione in cui lui si fermava lì a dormire. «Tesoro, di che cosa potrei mai parlare con quella gente?» ripeteva ogni volta che lei lo esortava ad accompagnarla. «Quei tizi si divertono a comunicarsi i rispettivi handicap a golf, si scambiano ricordi di quando frequentavano le loro università esclusive o discutono degli investimenti delle loro società in Asia. Che dovrei fare io? Raccontargli che sono nato a Bro-
oklyn, che ho frequentato la scuola pubblica e poi ho lavorato come idraulico finché non siamo diventati ricchi? Credi che gli importi sapere che ora il mio hobby è vagabondare per il mondo con te, e che quando siamo a New York riparo ancora lavabi e tubature per i poveri?» «Tra loro non ce n'è uno che non toccherebbe il cielo con un dito nel sapere che riceverà due milioni l'anno dedotte le tasse», era l'inevitabile risposta di Alvirah. Nondimeno, quella sera riconobbe di essere un po' preoccupata; temeva che qualcuno potesse ferire Willy con una di quelle osservazioni falsamente garbate che in realtà tagliano più di un coltello. Chi avesse tentato di farlo con lei avrebbe trovato pane per i suoi denti, ma Willy era troppo gentile per reagire agli sgarbi. Cinque minuti dopo, si rese conto che le sue preoccupazioni erano del tutto infondate. Willy era già immerso in un'animata conversazione con il presidente dell'American Plumbing e gli spiegava nei dettagli perché la nuova e tanto decantata linea di water closet lanciata dai suoi maggiori concorrenti era in realtà del tutto inadatta all'abitazione media. Sotto gli occhi di Alvirah, l'espressione del presidente si andò facendo sempre più entusiasta. Signore e signori abbronzati ed elegantemente vestiti erano raccolti in piccoli gruppi. Alvirah ridacchiò nel sentire una donna bisbigliare a un'altra: «Tesoro, non mi conosci ancora abbastanza per trovarmi antipatica». Le si avvicinò Min. «Cara, voglio presentarti Nadine Hayward.» Alvirah si voltò in fretta. Non sapeva con esattezza che cosa si fosse aspettata, ma certo non quella graziosissima bionda dal viso dolce, con gli occhi blu e la carnagione delicatamente rosata. Potrebbe passare per una trentenne, decise, mentre probabilmente ne ha più di quaranta, ma, ragazzi, se è nervosa! Ha l'aria di essersi vestita durante un'esercitazione antincendio. Nadine Hayward indossava un tailleur pantaloni di shantung color lime con i pantaloni ampi e una giacca corta in vita. Il completo era certamente costato una fortuna, ma su di lei era un disastro. Il bottone centrale della giacca non era allacciato e le scarpe nere a tacco alto stonavano con la delicata lucentezza del tessuto. I capelli biondi scuro erano raccolti in uno chignon disordinato, e un unico filo di perle spariva sotto la scollatura della giacca. Mentre Alvirah la guardava, l'espressione della donna si fece terrorizzata. «Oh, mio Dio! Sta arrivando mio marito», mormorò. «Mi sembrava che tu avessi detto che partecipava a una cena di golfisti al Club», sibilò Min.
«Così doveva essere, infatti...» Nadine non finì la frase, ma afferrò il braccio dell'amica. Alvirah si voltò a guardare un uomo alto che stava avvicinandosi alla veranda. «Quando ha saputo che Elyse era qui, mi ha detto che non l'avrei rivisto fino a sabato», riprese Nadine, bisbigliando. Intorno a loro, la gente chiacchierava e rideva, ma Alvirah si accorse che parecchi lanciavano occhiate incuriosite al loro piccolo gruppo. La tensione che emanava Nadine era quasi palpabile. «Sorrida», ordinò con fermezza, «si abbottoni la giacca e si ravvii i capelli... ecco, così va meglio.» «Ma lui ancora non sa che i gioielli sono scomparsi. Si chiederà perché non li ho messi», gemette Nadine. Cotter Hayward era già sulle scale. «Per il bene di suo figlio», sibilò Alvirah, «dovrà reggere il gioco finché non avrò trovato il modo di aiutarla.» A quell'accenno al figlio, un'espressione addolorata balenò per un istante negli occhi della donna, ma subito scomparve. «Anni fa ho recitato un po'», disse e a quel punto il suo sorriso sembrava quasi genuino. Un momento dopo, quando il marito le si avvicinò e le sfiorò il braccio, la sua reazione di gradita sorpresa avrebbe ingannato chiunque. Non mi piace quest'uomo, pensò Alvirah mentre Hayward la salutava con un secco cenno della testa. «Immagino che mi permetteranno di restare a cena», disse poi, rivolto alla moglie. «Devo tornare al Club in tempo per i discorsi, ma volevo vederti.» «Naturalmente è il benvenuto», intervenne Min. «Vuole che faccia preparare un tavolo per due o preferisce unirsi al gruppo?» «Niente tavolate, per favore», replicò Hayward in tono esageratamente brusco. Si tinge i capelli, pensò Alvirah. Il suo parrucchiere ha fatto un buon lavoro, ma io me ne sono accorta ugualmente. Nessuno a cinquant'anni può essere così biondo. Nondimeno, Cotter Hayward restava un uomo quanto mai affascinante. Una delle regole ferree stabilite da Min e Helmut era che gli ospiti dividessero tavoli da otto. Si faceva un'eccezione solo se uno di loro riceveva un visitatore e aveva la necessità di intrattenerlo in privato. In questo caso, e mai per più di una settimana, veniva messo a disposizione un tavolo per due. Quella sera, Alvirah fu felicissima di scoprire che Min aveva sistemato lei e Willy al tavolo con Elyse, la prima signora Hayward, che si rivelò essere un donnino sottile e nervoso sui quarantacinque anni, con i capelli ca-
stano dorati ed elegantissima. Con loro sedevano una bella coppia più anziana, di Chicago, i signori Jenning; una splendida donna vicino ai quaranta, Barra Snow, che Alvirah ricordò immediatamente di aver visto nelle pubblicità della Adrian Cosmetics; Michael Fields, ex membro del Congresso di New York, e per finire Herbert Green, presidente dell'American Plumbing. Grazie a qualche maneggio, Alvirah riuscì a sedersi a un solo posto di distanza da Elyse. La cena era appena iniziata quando divenne evidente che Elyse aveva parecchio da dire sul conto dell'ex marito e della sua nuova moglie. «Stasera Nadine non è esattamente sfolgorante di gemme», osservò con ironia. «Mi chiedo se sia stata un'idea sua, o se Cotter abbia già iniziato a parlarle della necessità di tenere i gioielli in banca per impedire eventuali furti. Perché, se è così, significa che ha già incontrato un'altra e che i giorni di Nadine sono contati.» Il suo sorriso non era gradevole. «Nessuno può saperlo meglio di me.» «Nadine portava alcuni dei gioielli degli Hayward ieri sera», intervenne Barra Snow. «Non l'hai vista perché ti sei fatta servire la cena in camera, Elyse.» Alvirah si affrettò ad accendere il minuscolo registratore nascosto nella spilla. Quell'accenno ai furti da parte di Elyse era solo un caso? Decise all'istante che avrebbe chiamato Charley Evans, il direttore del Globe, per chiedergli di mandarle tutto il materiale sugli Hayward contenuto nell'archivio del giornale. Vediamo, pensò mentre si serviva di un minuscolo pezzetto di lombata di agnello dal vassoio d'argento che il cameriere le porgeva; quando sono stata qui quattro anni addietro, Cotter era ancora sposato con Elyse, di conseguenza il suo matrimonio con Nadine dev'essere relativamente recente. È ovvio che Elyse è nata, come si dice, con la camicia, ma dall'accento di Nadine è facile capire che non ha studiato in una scuola esclusiva. Chissà in che modo è arrivata a conoscere gli Hayward. «Tesoro, hai ancora in mano la forchetta da portata», le fece notare Willy in quel momento. A un tavolo collocato vicino alla finestra panoramica che dava sulla piscina, Nadine e Cotter Hayward mangiavano in un silenzio quasi totale. Le poche volte che Cotter apriva bocca, era per lamentarsi. Ma infine arrivò la domanda che Nadine aveva temuto fin dall'inizio. «Com'è che non porti neanche un gioiello decente? Qui non ce n'è una che non esibisca i suoi
trofei, e i tuoi non sono certo fra i più modesti.» Non fu facile per Nadine mantenere ferma la voce. «Ho pensato che non sarebbe stato di buon gusto esibirli davanti a Elyse. Dopotutto, solo pochi anni fa era lei a indossarli.» Col cuore in gola, attese la reazione del marito e il suo sospiro di sollievo fu quasi udibile quando lo vide annuire. «Sì, hai ragione. Be', ora devo tornare al Club. Fra un po' cominceranno i discorsi.» Si alzò e, chinatosi su di lei, le sfiorò la guancia con un bacio frettoloso. Così baciava Elyse verso la fine del loro matrimonio, pensò Nadine. Oh, mio Dio, che cosa devo fare? Lo guardò attraversare a grandi passi la sala e rimase sgomenta nel vedere Elyse precipitarsi sulla sua scia. Benché potesse vedere il marito solo di spalle, la reazione di lui fu anche troppo evidente. Si fermò di colpo, irrigidendosi, e dopo che Elyse gli ebbe parlato, la spinse da parte e si affrettò a uscire. Di sicuro Elyse gli aveva rammentato che il mese successivo avrebbe dovuto versarle l'ultima rata della buonuscita da lei ottenuta col divorzio. Tre milioni di dollari che, come Nadine sapeva bene, Cotter detestava dover pagare. E ne sarò danneggiata anch'io, pensò. Con quello che gli è costata Elyse, e il contratto prematrimoniale che ho firmato, mi lascerà senza un soldo se il furto dei gioielli lo farà infuriare al punto da volere il divorzio... Che cosa diavolo aveva da dire Elyse al suo ex? si chiese Alvirah mentre mordicchiava un biscottino e cercava di far durare il più possibile il suo sorbetto arcobaleno. Da dove era seduta, non le era sfuggita l'espressione incontenibilmente soddisfatta sul viso della divorziata e la vampata di rossore affluita al viso di Cotter Hayward. «Santo cielo», mormorò in quel momento Barra Snow con un lieve sorriso. «Non sapevo che la serata prevedesse anche i fuochi d'artificio.» «Conosce bene gli Hayward?» le chiese Alvirah. «Abbiamo alcuni amici comuni e di tanto in tanto capita che ci incontriamo.» Willy fu pronto a balzare in piedi e scostare la sedia di Elyse quando questa tornò al tavolo, esibendo un sorriso trionfante. «Gli ho rovinato la serata», annunciò con palese soddisfazione. «Non c'è nulla che faccia infuriare Cotter più della prospettiva di separarsi dal suo denaro.» E rise. «I suoi avvocati stanno cercando un accordo. Invece dei tre milioni di dollari
che dovrebbe versarmi la prossima settimana, vorrebbero farmi accettare delle rate annuali per i prossimi vent'anni. Io gli ho risposto che ho divorziato da un uomo ricco, non vinto alla lotteria.» Questo lo dice per noi, pensò Alvirah. «Credo che tutto dipenda dall'entità dei versamenti annuali», obiettò con dolcezza. Herbert Green ridacchiò. «Sua moglie mi piace», disse a Willy. «Anche a me.» Willy aveva appena finito il suo sorbetto. «È stata una cena fantastica, ma devo confessare che non mi dispiacerebbe concluderla con un Big Mac.» Questa volta fu Barra a ridere. «Sono felice che la pensi così. Col divorzio mia sorella si è assicurata un franchising dalla McDonald's. Io non sono stata altrettanto fortunata.» «Né lo sarà Nadine quando Cotter si stancherà di lei», intervenne Elyse. «Ecco quale sarà la sua liquidazione.» E con la mano tagliò l'aria di piatto, in un gesto anche troppo eloquente. «Nadine è un esempio perfetto della necessità per tutti noi di obbedire al nono comandamento.» «Non desiderare la donna d'altri», recitò Willy. «O l'uomo.» Elyse rise. «Il problema di Nadine è che è stata così sfortunata da prendersi il mio.» Nadine Hayward non assistette al recital organizzato nella sala da musica, ma subito dopo cena sgattaiolò fuori della sala da pranzo e si diresse verso il suo cottage, il più lontano dall'edificio principale. È mercoledì, pensava. Sabato mattina Cotter verrà a prendermi e allora sarò costretta a dirgli del furto. Vorrà sapere perché non ho chiamato subito la polizia, e a quel punto non potrò più nascondergli che Bobby non ha pagato il premio dell'assicurazione. E lui lo denuncerà. Non posso permetterglielo. Se solo non fossi venuta qui quattro anni fa! Se non avessi conosciuto Cotter. Era quello il pensiero che da tempo la tormentava e che inutilmente si sforzava di allontanare. Mentre imboccava il vialetto del cottage, Nadine traboccava di rimpianto e di rammarico per se stessa. L'unica stravaganza che abbia mai commesso.... venire qui dopo la morte di Robert. Ma è bastata perché incontrassi Cotter. Il suo primo marito era stato Robert Crandell, un lontano cugino di Elyse; un uomo affascinante, pieno di spirito e profondamente innamorato di
lei. E un giocatore inveterato. Lei lo aveva sposato a vent'anni e il loro figlio Bobby ne aveva dieci quando avevano divorziato. Per lei era stato l'unico modo per non trovarsi invischiata nei debiti del marito. Nondimeno, erano rimasti amici. Più che amici. L'ho sempre amato, pensò ora. Robert era morto cinque anni prima in un incidente, mentre correva in macchina su un'autostrada resa viscida dalla pioggia. Al momento della morte era ancora un giocatore, ancora totalmente inaffidabile. Ma aveva lasciato una polizza assicurativa sufficiente a pagare le spese scolastiche del figlio, e il sollievo provocato da questa scoperta, assieme al trauma subito, aveva convinto Nadine della necessità di concedersi una settimana a Cypress Point. Durante il suo matrimonio con Robert, le era capitato di tanto in tanto di incontrare Cotter ed Elyse a qualche riunione familiare. Quando li ritrovò alla stazione termale, le fu subito evidente che i due quasi non si rivolgevano più la parola. Tre mesi dopo, Cotter le aveva telefonato. «Sto divorziando», le aveva annunciato. «Perché da quando ci siamo rivisti non sono riuscito a smettere di pensare a te.» Pieno di premure. Affascinante. Oh sì, quando voleva, Cotter sapeva essere davvero affascinante. «Non hai avuto una vita facile, Nadine», le aveva detto. «E ora che qualcuno si prenda cura di te. So quello che hai passato con Robert. È un miracolo che quell'uomo non si sia fatto ammazzare. Nell'ambiente del gioco d'azzardo non c'è pietà per quelli che non pagano i debiti. Di tanto in tanto è toccato anche a me cavarlo fuori dei guai. Non credo che tu lo sapessi.» Ma non era vero, non l'aveva mai fatto, pensò Nadine mentre inseriva la chiave nella serratura. In tutta la sua vita, Cotter non aveva mai alzato un dito per aiutare nessuno. In quel momento la porta si aprì e sulla soglia comparve il viso spaventato di suo figlio. Le gettò le braccia al collo. «Aiutami, mamma. Che cosa devo fare?» Nella speranza di ascoltare qualche altro pettegolezzo, Willy e sua moglie indugiarono a tavola bevendo un espresso decaffeinato, ma, con grande delusione di Alvirah, Elyse non aggiunse altro sul conto del suo ex marito. «Assisterà al recital, signora Meehan?» le chiese Barra Snow. «Temo di no. Risentiamo ancora del cambiamento di fuso orario», rispose Alvirah. Dopo il sarcastico commento di Elyse sui vincitori delle lotte-
rie, moriva dalla voglia di dire che per loro era arrivata l'ora di andare a gettarsi in branda, ma ci ripensò. «Credo che ci ritireremo», annunciò invece. Alvirah lasciò la sala da pranzo senza mostrare alcuna fretta, ma, appena fuori, accelerò il passo. «Muoio dalla voglia di parlare con Nadine», confidò al marito. «Da quello che ho sentito su Cotter Hayward e il suo rapporto col denaro, non c'è dubbio che sarà impossibile convincerlo a non denunciare il furto alla società assicuratrice.» Arrivati al cottage di Nadine, furono sorpresi di sentire un mormorio di voci uscire dalla finestra aperta. «Forse è tornato il marito», bisbigliò Alvirah, ma ad aprire fu un bel ragazzo sui ventidue anni, che, notò lei a dispetto della poca luce, assomigliava straordinariamente a Nadine. Seduti sul divano bianco e azzurro dello splendido soggiorno, Billy e Alvirah attesero che Nadine informasse Bobby del motivo della loro presenza a Cypress Point. Alvirah capì subito che il ragazzo era disperatamente preoccupato, ma non ne apprezzò i tentativi di giustificare il proprio comportamento. «Mamma, ti giuro che era la prima volta che incassavo uno di quegli assegni», disse con voce stridula. «Ma c'era in ballo una scommessa. Una cosa sicura.» «Una cosa sicura», ripeté Nadine scoppiando in singhiozzi. «Le stesse parole che usava tuo padre. Avevo diciannove anni quando le ho udite pronunciare la prima volta e non voglio sentirle mai più.» «Rimborserò i soldi del premio e reintegrerò la polizza, te lo prometto.» «La società non ha spedito una lettera di sollecito?» volle sapere Alvirah. Bobby distolse lo sguardo. «Sapevo che sarebbe arrivata.» «E l'ha distrutta?» insistette lei. «Sì.» «Anche questo è illegale, lo sa?» «Bobby», gemette Nadine. «Quando sei stato assunto come agente alla Haskill, ho persuaso Cotter a lasciar gestire a te la polizza sui gioielli. E l'ho convinto anche a mettere a tua disposizione l'appartamento di New York.» È talmente simile a suo padre, pensava intanto. L'espressione contrita, le spalle curve... Sembrò quasi che Bobby intuisse i suoi pensieri, perché disse: «Non so-
no come papà, mamma; non in quel senso. Prima d'ora avevo sempre rischiato soltanto soldi miei». «Non sempre. È toccato a me rifondere certe tue perdite.» «Ma non erano mai grandi somme. Mamma, ti giuro che non succederà mai più, se solo riesci a convincere Cotter a non denunciarmi. Non voglio andare in prigione.» E si nascose il viso tra le mani. Nadine gli si avvicinò e lo abbracciò. «Bobby», mormorò. «Non capisci? Non sono in grado di fermarlo.» Tacque un istante. «Oppure sì?» Un'ora dopo, mentre erano a letto, Alvirah cominciò a riflettere ad alta voce. «Bobby è il tipico ragazzo viziato senza spina dorsale e terribilmente egoista. Insomma, sua madre ha persuaso il marito ad affidargli la gestione della polizza assicurativa sui gioielli in modo che potesse guadagnare la sua commissione, e lui che cosa fa? Si gioca l'assegno. Non solo: ho la sensazione che sia più preoccupato dalla prospettiva del carcere che dal fatto che tutto questo potrebbe significare la fine del matrimonio di sua madre.» «Uh-uh», assentì Willy con fare sonnacchioso. «Non che Cotter Hayward valga granché», continuò Alvirah. «Mi fa venire in mente il signor Parker. Ti ricordi? Andavo da loro il venerdì e ho continuato a farlo finché non si sono trasferiti in Florida. Credo che poi lei sia morta. I migliori muoiono sempre, non è vero? Mentre i vecchi egoisti tirano avanti un'eternità. Comunque... difficile, difficile, difficile! Ecco com'era quell'uomo. È meschino. Un giorno sgridò quella poveretta della moglie perché aveva dato via un suo vecchio vestito. Ne aveva un armadio pieno, ma non sopportava che venisse gettata via neanche una vecchia calza scompagnata.» Il respiro regolare di Willy fu il solo commento che Alvirah ricevette. «Per salvare Bobby Crandell dalla prigione bisogna trovare il ladro... è il solo modo», proseguì lei. «Sfortunatamente, la notte del furto, Nadine aveva chiuso a chiave la porta d'ingresso del cottage, e dato che stasera Bobby ha detto di essere entrato attraverso la vetrata scorrevole della veranda, è evidente che chiunque avrebbe potuto fare lo stesso. Da queste parti nessuno si preoccupa più di tanto della sicurezza.» Poi un pensiero improvviso le strappò un sussulto. Bobby Crandell amava giocare, ma fino a che punto il demone si era impadronito di lui? Sapeva che la madre aveva portato con sé i gioielli. E quella sera Nadine aveva confidato che sceglieva sempre la stessa combinazione, ossia l'anno della
sua nascita, il 1953. Con ogni probabilità, suo figlio ne era al corrente. Rifletté allora sulla possibilità che Bobby si fosse cacciato in guai grossi. E se qualcuno lo avesse minacciato di morte se non avesse saldato al più presto i suoi debiti? Se avesse deciso di rubare i gioielli, pur avendo già sottratto il denaro del premio assicurativo? Forse nella sua disperazione si era illuso che la madre riuscisse a dissuadere Cotter Hayward dal denunciarne la scomparsa. C'era un'altra domanda che doveva porsi prima di concedersi un po' di sonno. Perché quella sera Cotter Hayward aveva improvvisamente deciso di raggiungere la moglie per cena? La telefonata arrivò alle undici, poco dopo che Hayward si era ritirato in camera sua. Ancora sveglio, sollevò la cornetta e abbaiò un saluto. Scese dal letto per indossare un maglione e un paio di pantaloni di cotone. Esitò un istante, poi si versò un Martini. Probabilmente dovrei farne a meno, si disse con una punta di amarezza, ma dato che posso dire addio al sonno, mi gioverà. Mancava un quarto d'ora a mezzanotte quando lasciò il suo appartamento al Pebble Beach Club per dirigersi, protetto dall'ombra, verso la sedicesima buca. Lì si fermò in attesa, nascosto dagli alberi che circondavano il green. Lo scricchiolio di un ramoscello lo avvertì dell'arrivo di qualcuno. Si voltò e proprio in quel momento le nubi si diradarono. Nell'istante prima di morire, Cotter Hayward rivisse una vita intera. Vide il suo assalitore, capì che era una mazza da golf quella che stava per abbattersi sul suo cranio ed ebbe perfino il tempo di riconoscere la propria follia. Erano le cinque e quarantacinque del mattino, e Alvirah sognava di stare imbarcandosi a Southampton sulla Queen Elizabeth 2. Poi si rese conto che il suono che udiva non era la sirena della nave, bensì gli squilli del telefono. Era Min. «Alvirah, raggiungici subito, ti prego. C'è un problema.» Sotto lo sguardo assonnato di Willy, Alvirah si affrettò a infilarsi una tuta di Dior giallo chiaro e un paio di scarpe da tennis in tinta. «Che diavolo succede ancora?» biascicò lui. «Non lo so proprio. Maledizione, ho infilato la felpa alla rovescia.» Willy lanciò un'occhiata alla sveglia. «Credevo che la gente venisse qui per rilassarsi.» «Per alcuni è così. Vorrei che tu venissi con me, tesoro. Ho un brutto presentimento.»
Pochi minuti dopo, il brutto presentimento di Alvirah trovò conferma nella vista di un'auto che sulla portiera esibiva il logo dello sceriffo della contea di Monterey, ferma davanti all'ingresso principale. «C'è Scott», disse con voce piatta. Scott Alshorne era nell'ufficio di Min la quale, come il marito, era ancora in vestaglia. Benché fossero entrambi molto turbati, Alvirah non poté fare a meno di constatare che riuscivano ad apparire elegantissimi anche a quell'ora di notte. La vestaglia di Min era una nuvola di satin rosa col colletto di pizzo, stretta in vita da una cintura intrecciata. Quella di seta marrone indossata da Helmut era più corta, e sotto si vedevano i pantaloni in tinta del pigiama. Fortunatamente, lo sceriffo Alshorne non era cambiato. Il corpo rotondo da orsacchiotto, il viso abbronzato e solcato da rughe, i capelli bianchi perennemente arruffati e gli occhi acuti erano quelli di sempre. Un uomo pieno di calore quando abbracciava un amico e implacabile quando inseguiva un criminale. Baciò Alvirah sulla guancia e strinse la mano a Willy, poi, senza perdere tempo, annunciò: «Il cadavere di Cotter Hayward è stato scoperto un'ora fa all'interno della proprietà del Pebble Beach Club da un addetto alla manutenzione». «Che i santi ci proteggano», ansimò Alvirah, benché pensasse: chi è stato? Nadine o Bobby? «Ucciso con un colpo alla testa sferrato con un oggetto pesante. Chiunque sia stato, voleva essere sicuro che non sopravvivesse.» Scott le lanciò un'occhiata di apprezzamento. «A quanto mi ha detto Min, non è qui solo per farsi coccolare un po'.» «In effetti, non solo.» La mente di Alvirah lavorava già a pieno ritmo. «Nadine è stata informata?» «Scott è venuto direttamente qui», intervenne Min. «Ma lo accompagneremo da lei non appena vorrà. Forse sarà bene che con noi venga anche Helmut. Potrebbe esserci bisogno di un medico. Vorrei tanto poter rintracciare il figlio! Per Nadine sarebbe un conforto averlo vicino.» «Bobby...» cominciò Willy, ma un'occhiata ammonitrice della moglie lo tacitò. Il breve scambio non sfuggì allo sceriffo. «Lo conoscete?» «Ci siamo incontrati», temporeggiò Alvirah, ma sapeva che sarebbe stato impossibile nascondere a Scott il fatto che verso le dieci della sera prima Bobby era nel cottage della madre. «Alloggia con la madre?» chiese infatti lo sceriffo.
«Ieri notte sì», ammise Alvirah. «Nadine occupa uno dei cottage a due camere.» Lo sceriffo si alzò. «Alvirah, amica mia, vediamo di mettere in chiaro le cose. Tre giorni fa qui si è verificato un grosso furto, un furto di cui avrei dovuto essere informato... immediatamente. Min mi ha spiegato la situazione, ma questo non giustifica la decisione di assecondare Nadine Hayward e tenere nascosto l'accaduto. Sembra che non capiate che nella cassaforte avremmo potuto trovare campioni per il test del DNA. Ma ormai è troppo tardi.» Si avvicinò un po' di più ad Alvirah. «E invece di mandare a chiamare me, Min ha cercato lei. E ora ci troviamo di fronte non solo a un furto di considerevole entità, ma anche a un omicidio di primo grado. Voglio tutte le informazioni che le sono state riferite dal suo arrivo. Sono stato chiaro?» «Sarò chiaro anch'io», osservò Willy in tono gelido. «Non mi va che faccia il prepotente con mia moglie.» «Oh, tesoro, Scott non sta facendo il prepotente», cercò di calmarlo Alvirah. «Questa è solo la sua versione della legge Miranda.» Guardò lo sceriffo. «So che cosa sta pensando... che Nadine e Bobby sono i principali sospetti. Ma so anche che ha una mente aperta e non viziata da pregiudizi. Ho conosciuto Cotter Hayward qualche anno fa, quando stava ancora con la sua ex moglie, Elyse. All'epoca non erano esattamente due colombi, e mi creda, da quanto ho visto ieri sera, quella donna lo odiava. Ma non aveva nulla da guadagnare uccidendolo, almeno per quello che ho capito. E tuttavia scommetto che Cotter Hayward aveva un sacco di nemici. Quindi, prima di saltare alle conclusioni, prenda bene le misure a quelli che hanno partecipato al torneo di golf e cerchi di scoprire chi fra loro avesse buoni motivi per volere il suo male.» Min indicò l'orologio. «Sono quasi le sei e mezzo», disse nervosamente. «La passeggiata mattutina avrà inizio tra un quarto d'ora. Bisogna assolutamente informare Nadine di quanto è accaduto.» «E io credo che dovrebbe esserne informata anche Elyse, prima che le voci comincino a circolare», suggerì Alvirah. «Se volete, andrò io a parlarle.» «Non senza di me», scattò Scott, poi aggiunse, con un sorriso riluttante: «Oh, va bene. Ci vada lei mentre noi ci occupiamo della vedova Hayward». Min e Helmut si precipitarono di sopra a cambiarsi, dopodiché la piccola processione lasciò la casa. Willy preferì tornarsene al cottage. «Vi sarei so-
lo d'impaccio», spiegò. Alcune cameriere che portavano i vassoi della colazione li superarono mentre risalivano il vialetto che portava al cottage di Nadine. Ad Alvirah non sfuggirono le loro occhiate incuriosite. L'esperienza medica di Helmut si rese effettivamente necessaria. Trovarono Nadine in soggiorno e dal suo viso era evidente che non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Alvirah notò subito che aveva infilato la vestaglia a rovescio. Doveva aver avuto una gran fretta, pensò, ma perché? La rosea carnagione di Nadine divenne cinerea nel vederli. «Che cosa è successo? Bobby?» Dunque è questo, pensò ancora Alvirah. Bobby se n'è andato e lei non sa dove. Guardò Min e Helmut accostarsi con fare protettivo a Nadine mentre Scott le annunciava la morte del marito. La donna non disse nulla, ma con un sospiro si accasciò a terra, svenuta. «Se Nadine era ridotta male, avresti dovuto vedere Bobby», raccontò Alvirah al marito, un'oretta più tardi. «È arrivato mentre Helmut stava cercando di far rinvenire la madre, e credo che per un momento abbia temuto che fosse morta. Aveva pianto, si vedeva subito, e ha spinto Helmut da parte ripetendo: 'Mamma, è colpa mia, mi dispiace. Mi dispiace'.» «Era dispiaciuto per aver rubato i soldi, o perché c'era stato un litigio?» volle sapere Willy. «È quello che sto cercando di scoprire. Dopo che Nadine si è ripresa, Helmut le ha dato un sedativo e l'ha messa a letto, e Scott ne ha approfittato per parlare con Bobby. Ma lui si è limitato a dire che, non riuscendo a dormire, era uscito a fare un po' di jogging. E ha terminato dichiarando che non avrebbe aggiunto altro se non in presenza di un avvocato.» Willy atteggiò le labbra a un fischio silenzioso. «Non è così che si comporta un innocente.» Benché riluttante, Alvirah annuì. «Si vede che di fondo non è un cattivo ragazzo e che certamente vuoi bene alla madre, ma temo sia anche il tipo che non riflette sulle cose. Insomma, detesto doverlo ammettere, ma non mi riesce difficile immaginarlo mentre si dice che, tolto di mezzo Cotter, sua madre non sarebbe stata più tenuta a denunciare il furto.» Willy le tese una tazza di caffè. «Non hai mangiato nulla. La cameriera ha lasciato un thermos e quello che voleva spacciare per un muffin. Ma per riuscire a vederlo sul piatto ci vuole la lente d'ingrandimento.» «Novecento calorie al giorno, tesoro. Ecco perché la gente riparte da qui
in splendida forma.» Alvirah divorò il suo muffin in un sol boccone. «Sai qual è stata la reazione più interessante? Quella di Elyse: quando le ho annunciato la morte dell'ex marito, si è lasciata prendere dall'isterismo.» «Credevo che non lo sopportasse.» «Anch'io. E forse non lo sopportava davvero. Ma sapeva che Cotter Hayward aveva una tale paura di morire che non aveva mai fatto testamento. E poiché non ha figli, questo significa...» «... che Nadine potrebbe diventare una vedova molto, molto ricca», concluse Willy per lei. «E suppongo che suo figlio potrà permettersi i servigi di un ottimo avvocato.» Scott tornò a Cypress Point a mezzogiorno con un mandato di perquisizione per il cottage di Nadine. A quell'ora, i giornalisti avevano già stretto d'assedio il complesso, e la polizia era stata costretta a mettere delle transenne. Tutti invocavano a gran voce una dichiarazione dello sceriffo Alshorne. Scott scese dall'auto e si fermò davanti alla selva di telecamere e microfoni. «Le indagini sono in corso», disse. «E al momento il medico legale sta effettuando l'autopsia. Verrete tenuti informati degli eventuali sviluppi.» Una raffica di domande lo assalì: «Sceriffo, è vero che il figlio della signora Hayward si è rivolto a un avvocato?» «È vero che i gioielli della signora Hayward sono stati rubati alcuni giorni fa e che lei non ne era stato informato?» «È vero che ieri sera a cena il signor Hayward ha avuto uno scontro con la sua ex moglie?» «Nessun commento», fu l'asciutta replica di Scott mentre risaliva in macchina. «A tutta birra», ordinò al suo vice che era al volante, mentre gli agenti spostavano le transenne. «Mi piacerebbe tanto sapere quanti dipendenti di questo posto venderanno la loro versione dei fatti ai giornali scandalistici», borbottò irato mentre si dirigevano verso il cottage della vedova. Nadine si era vestita e, benché mortalmente pallida, appariva dignitosamente composta. «Capisco», disse con voce piatta quando Scott le mostrò il mandato. «Non so che cosa stiate cercando e sono sicura che non troverete nulla di incriminante, ma procedete pure.» «Suo figlio dov'è?» «L'ho mandato al Bagno Romano. Un massaggio e una nuotata non potranno che fargli bene.» «Ha capito che non può lasciare la stazione?» «Credo che lei glielo ab-
bia spiegato con sufficiente chiarezza. E ora, se vuole scusarmi, devo raggiungere la baronessa von Schreiber nel suo ufficio. Mi sta aiutando a organizzare la cremazione di mio marito, una volta che il corpo mi verrà riconsegnato.» La perquisizione del cottage fu minuziosa, ma non portò a nulla. Esasperato, Scott andò a piazzarsi davanti alla cassaforte incassata nel muro. «Un ottimo modello», commentò, rivolto al suo vice. «Non è stata forzata e questo significa che chi ha preso i gioielli conosceva la combinazione. A meno, naturalmente, che non si trattasse di un professionista.» «Il figlio?» «Mercoledì mattina era a New York nel suo ufficio. I gioielli sono scomparsi martedì pomeriggio. Verificheremo gli elenchi dei passeggeri dei voli notturni, ma naturalmente potrebbe aver viaggiato sotto falso nome.» Fu nella seconda camera, quella in cui aveva dormito Bobby, che Scott trovò qualcosa che gli parve significativo... la rubrica telefonica di Nadine, incastrata sotto l'apparecchio e aperta alla lettera H. I primi cinque numeri telefonici erano tutti di Cotter Hayward: quello del suo ufficio, della sua barca, dell'appartamento di New York, del ranch nel New Mexico e dell'appartamento di Pebble Beach. «Ieri notte il figlio della signora Hayward era qui», affermò Scott. «E Cotter al Pebble Beach Club. E se il nostro Bobby gli avesse telefonato per organizzare un incontro privato?» A Cypress Point, la prima colazione era servita in modo informale, utilizzando i tavoli che circondavano la piscina. Buona parte degli ospiti era in costume e accappatoio. Quelli che invece avevano completato il programma mattutino e contavano di trascorrere il pomeriggio nel nuovo campo a nove buche erano vestiti di conseguenza. Alvirah non era lì per un programma di bellezza né di attività fisica e non aveva mai tenuto in mano una mazza da golf. Ciononostante, non aveva esitato a infilarsi il costume intero blu scuro e l'accappatoio di spugna rosa in dotazione in tutti i cottage. Era inoltre riuscita a convincere Willy a fare altrettanto, indossando i calzoncini da bagno e l'accappatoio corto destinati agli ospiti di sesso maschile. «Non dobbiamo farci notare», gli aveva spiegato. «Ed è importante che riesca ad avere un'idea di quello che si dice dell'omicidio.»
Sapeva che la spilla a forma di sole sarebbe apparsa incongrua sull'accappatoio... neppure le ospiti che ai cocktail party sembravano alberi di Natale portavano gioielli in piscina... ma non se la sentiva di rinunciarci. Accese il registratore mentre si avvicinavano alla piscina. Non voleva perdere neppure uno dei commenti che certamente sarebbero circolati a proposito dell'assassinio. Alvirah rimase sorpresa nel vedere Elyse in compagnia di Barra Snow e di altri ospiti. «Vieni, tesoro», sibilò a Willy, notando che al tavolo c'erano ancora due posti liberi. Ormai completamente rimessasi, Elyse aveva scartato costume e accappatoio in favore di una camicetta di cotone a righe, una gonna bianca e scarpe da golf. «Uno choc terribile», stava dicendo a una donna che si era avvicinata per parlarle. «Dopotutto, sono stata sposata con Cott, e per ben quindici anni, e almeno i primi sono stati felici. È lui che mi ha iniziato al golf, e di questo gli sarò sempre grata. È stato un maestro eccellente. È stato proprio il golf a tenerci insieme così a lungo. Credo che, anche quando eravamo già stanchi l'uno dell'altra, ci piacesse ancora giocare insieme.» «Sei sicura di voler giocare oggi pomeriggio? Possiamo sempre trovare qualcun altro, se non te la senti.» L'interlocutrice di Elyse le assomigliava; come lei era abbronzata, sottile, e parlava con un accento quasi inglese. Mi sembra familiare solo perché è identica a metà delle presenti, decise Alvirah, dopo averla esaminata per qualche istante. Fu Barra Snow a rispondere per Elyse. «Sono sicura che Elyse si sentirà meglio dopo una partita. Ho già prenotato un caddy perché vada a prendere il suo sacco in macchina. Non deve starsene seduta qui a rimuginare.» «Non sto rimuginando», la contraddisse in tono secco Elyse. «Sul serio, Barra, se proprio avverti la necessità di fare sfoggio della tua compassione, risparmiala per Nadine. Ho sentito che Bobby era da lei ieri sera, e credo che il suo arrivo sia stato del tutto inaspettato. Mi piacerebbe moltissimo sapere in che razza di pasticcio si è cacciato stavolta. L'ultima volta lei ha dovuto supplicare Cotter perché versasse la cauzione fissata per il rilascio. Quel ragazzo diventerà come suo padre.» Alvirah rammentò che Elyse era una lontana cugina del padre di Bobby. Come aveva fatto a sapere che Nadine aveva pagato perché il figlio ottenesse la libertà provvisoria? Lo aveva saputo da Cotter? Ripensò alla reazione quasi isterica di Elyse alla notizia della morte dell'ex marito. Era do-
vuta alla consapevolezza che Nadine avrebbe ereditato un sacco di soldi, o piuttosto a un rapporto di amore e odio con l'ex coniuge? Un quesito interessante. Si avvicinò la signora Jenning, che aveva cenato al loro tavolo la sera prima. «Ho appena sentito in televisione che giorni fa sarebbero stati rubati i gioielli di Nadine. Non è incredibile?» «I gioielli!» ansimò Elyse. «I gioielli degli Hayward! Mio Dio, ma Cotter lo sapeva? Appartengono alla sua famiglia da tre generazioni. Non sono mai stati regalati alle mogli, sapete; loro erano solo autorizzate a portarli. Suo padre si era sposato quattro volte, e tutte e quattro le signore si erano fatte pateticamente ritrarre con addosso gli stessi monili. Ma credevo che Nadine sarebbe stata la fortunata... Cotter non aveva figli.» La notizia l'ha elettrizzata, pensò Alvirah; oppure è un'ottima attrice. Comparve un uomo con indosso l'uniforme dei portamazze. Portava una sacca sulle spalle. «Ho qui la sua sacca, signora Hayward», disse. «Ma credo che dovrò dare una ripulita al ferro da sabbia. Manca il fodero ed è un po' appiccicoso.» «Figurarsi!» scattò Elyse. «Tutte le mazze sono state ripulite prima di essere rimesse a posto.» Appiccicoso? Le antenne di Alvirah cominciarono a vibrare. Balzò in piedi. «Vorrei dare un'occhiata, se non vi dispiace.» Afferrò la sacca e sotto gli occhi dell'attonito caddy ci guardò dentro. Attenta a non toccare nulla, si chinò a esaminare l'unica mazza che era senza fodero. La testa d'acciaio ricurva era costellata di macchie scure. Perfino a occhio nudo era possibile distinguere brandelli di pelle e capelli che aderivano al metallo. «Qualcuno chiami lo sceriffo Alshorne», disse a quel punto Alvirah con voce quieta. «Ditegli che credo di aver trovato l'arma del delitto.» Due ore dopo, Alvirah e Willy ricevettero la visita dello sceriffo Scott Alshorne. «Ha fatto un buon lavoro, Alvirah», riconobbe l'uomo con una certa riluttanza. «Se quel ragazzo avesse pulito la mazza, sarebbe andata perduta una prova importante.» «DNA?» chiese Alvirah. L'altro scrollò le spalle. «Forse. Sappiamo che è l'arma del delitto e che proviene dalla sacca dell'ex moglie della vittima. Inoltre, sappiamo che la sacca era nel bagagliaio della sua auto, lasciata aperta nel parcheggio.»
«Il che significa che chiunque avrebbe potuto impadronirsene», commentò Willy. Alvirah annuì. «Chiunque sapesse che la sacca era lì. Giusto, Scott?» «Giusto.» «Io non l'ho toccata, ma mi ha dato l'impressione di essere un arnese micidiale. Mi sbaglio?» La fronte aggrottata di Alvirah indicava che, com'era solita dire, si era idealmente ritirata nel suo pensatoio. «No, è davvero un'arma formidabile», assentì di nuovo Scott. «Il ferro da sabbia è la mazza più pesante di tutte.» «Non lo sapevo. Credo che, se mi venisse la voglia di ammazzare qualcuno con una mazza da golf, prenderei la prima che mi capitasse sotto mano.» «Forse dovrei assumerla, Alvirah», borbottò Scott, scuotendo la testa. «Sì, sono arrivato anch'io alla stessa conclusione. È stato un golfista, o qualcuno che si intende di golf, a scegliere quella mazza per il suo incontro con Cotter Hayward.» «Ma se non sbaglio lei sta concentrando i suoi sospetti su Bobby Crandell.» Un'altra stretta di spalle. «O su sua madre, per le ragioni che già conosce.» Alvirah pensò a Bobby, al suo viso giovane e spaventato, al tentativo che aveva fatto per giustificarsi sostenendo di aver sempre onorato i suoi debiti. Probabilmente sarebbe stato più giusto dire che Nadine lo aveva sempre tirato fuori dei guai, e che lui si era abituato a vederla correre in suo soccorso. Ma la sera prima il ragazzo aveva finalmente capito che questa volta la madre era impotente a salvarlo. Eppure Nadine avrebbe fatto qualunque cosa pur di tenere suo figlio fuori di prigione. L'aveva praticamente detto... «Già, sono tutti e due in una brutta posizione», commentò. «Ma sa una cosa, Scott? Sono innocenti tutti e due. Me lo sento nelle ossa.» Sedevano nel soggiorno del cottage e dalla porta scorrevole, lasciata aperta, entrava una brezza rinfrescante che alleviava la calura del giorno. Fuori, si sentì un rumore di passi in corsa nel patio, e un istante dopo Nadine irruppe nella stanza. «Mi aiuti, Alvirah», singhiozzò. «Bobby vuol confessare di aver ucciso Cotter. Lo fermi, la prego! Deve fermarlo!» Solo allora si accorse dello sceriffo. «Oh, mio Dio», gemette allora. Scott si stava già alzando. «Signora Hayward, sarà meglio che io vada
da suo figlio per sentire quello che ha da dire. Quanto a lei, le suggerisco di guardare nel proprio cuore per capire perché all'improvviso lui ha avvertito il bisogno di confessare.» Affiancato da Scott Alshorne e dai suoi due vice, Bobby Crandell fu scortato alla stazione di polizia della contea di Monterey. Pochi minuti dopo, Nadine, accompagnata da Alvirah e da Willy, li seguì a bordo della limousine di proprietà del centro termale. Nadine non piangeva più. Rimase in silenzio durante il breve tragitto, ma appena a destinazione chiese di vedere lo sceriffo. «Ho una cosa molto importante da dirgli», spiegò. Alvirah credette di intuire quali fossero le sue intenzioni. «Voglio che lei veda un avvocato prima di pronunciare anche una sola parola», l'ammonì. «Un avvocato non potrebbe aiutarmi. Nessuno può.» Furono condotti in una sala d'attesa, dove rimasero per più di un'ora. A quel punto, Alvirah era talmente preoccupata che per poco non si dimenticò di attivare il registratore quando furono finalmente ammessi nell'ufficio dello sceriffo. «Dov'è Bobby?» fu la prima domanda di Nadine. «Sta aspettando che la sua confessione venga battuta a macchina.» «Ma non ha nulla da confessare», gridò la donna. «Sono stata io.» «Signora Hayward», la interruppe lo sceriffo, «non aggiunga altro prima di avermi ascoltato. Ha mai sentito parlare della legge Miranda?» «Sì.» Alvirah sentì la mano di Willy stringere la sua mentre Scott leggeva a Nadine i suoi diritti e quindi le chiedeva se aveva capito tutto. «Sì, certo, e so di avere diritto all'assistenza di un avvocato.» «Molto bene.» Scott si rivolse al vice. «Chiama lo stenografo. Alvirah, lei e Willy dovete aspettare fuori.» «Oh, no, per favore, li lasci restare.» Nadine stava tremando. Alvirah le passò un braccio intorno alle spalle. «Ci lasci rimanere, Scott.» La donna parlò senza apparenti incertezze. «Ho telefonato a Cotter nel suo appartamento. Gli ho detto che dovevo parlargli.» «Che ore erano?» «Non... non ne sono sicura. Ero già a letto, ma non riuscivo a prendere sonno.» «Di che cosa voleva parlargli?» domandò Scott. «Volevo informarlo del furto dei gioielli e pregarlo di non sporgere de-
nuncia. Alvirah, lei è talmente intelligente che pensavo che forse... ma solo forse, avrebbe scoperto il colpevole. L'altra notte portavo alcuni pezzi, e sono stati in parecchi ad ammirarli, tutte persone che sono ancora a Cypress Point. Chissà, forse sono nascosti nella cassaforte di uno dei cottage.» «Lui ha acconsentito a incontrarla?» domandò lo sceriffo. «Sì, sul campo da golf.» «Perché non a casa?» interloquì Alvirah. «Dopotutto è sua moglie.» «Ha detto... ha detto che aveva voglia di fare una passeggiata e che il campo si trovava più o meno a metà strada. Mi ha spiegato esattamente dove raggiungerlo.» «Perché ha portato con sé una mazza da golf?» chiese lo sceriffo. Nadine si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore. «A volte Cotter diventava violento. Temevo che si arrabbiasse... e infatti è andata proprio così. Quando gli ho detto del furto e dell'assicurazione scaduta, è andato su tutte le furie. Ha cercato di colpirmi. Io allora sono indietreggiata, ho sollevato la mazza e...» La voce le morì in gola. Finalmente riuscì a bisbigliare: «Non ricordo di averlo colpito, ma un istante dopo lui era a terra, e ho capito che era morto». «Ha riportato la mazza nell'auto della sua ex moglie, Elyse?» «Sì. Avevo fretta di liberarmene.» «Ma perché nella sua auto?» «Sapevo che teneva nel bagagliaio le mazze da golf. L'avevo vista una volta. Nel lasciare la stazione termale, ho tagliato per il parcheggio.» Scott era cupo in faccia. «La sua confessione è molto più credibile di quella di suo figlio», mormorò. «Mi dispiace per lei, signora Hayward. Avrebbe fatto a Bobby un favore più grande lasciandolo affrontare le conseguenze del furto di quell'assegno. Ce l'avrebbe fatta, sa. Non avrebbe esitato neppure davanti alla camera a gas pur di evitare che lei venisse arrestata per l'omicidio di suo marito. Ora posso dirle che la deposizione di Bobby faceva acqua da tutte le parti.» Si alzò. «Non appena la sua confessione sarà stata battuta a macchina e lei l'avrà firmata, procederemo all'imputazione formale. Per il momento la dichiaro in arresto per sospetto omicidio di primo grado.» Alvirah e Willy erano andati al comando di polizia con Nadine, ma tornarono indietro con Bobby. Autentico ritratto dell'infelicità, il ragazzo sedeva in macchina con le spalle ingobbite, il mento posato sulle mani in-
trecciate e gli occhi semichiusi. Per un momento Alvirah si sentì travolgere dall'istinto materno. Soffre, pensò, e si attribuisce la colpa di tutto. Finalmente si decise a parlargli. «Bobby, ti trasferisci nel cottage di tua madre, vero?» «Sì, se la baronessa von Schreiber me lo permette. Mia madre sarebbe dovuta ripartire sabato.» «Sono sicura che Min ti troverà un posto.» Alvirah si rivolse a Willy. «È meglio che Bobby non rimanga solo. Portalo in palestra, oppure in piscina.» Serrò le labbra, riluttante a promettere ciò che forse non avrebbe potuto mantenere. Ma mentre la limousine procedeva lungo la Seventeen Mile Drive, si decise a parlare. «Bobby, io so che non hai ucciso Cotter Hayward, e sono sicura che anche tua madre è innocente. Confessando, lei ha voluto proteggerti, proprio come tu speravi di proteggere lei. Ma ora voglio la verità. Che cosa è successo dopo che Willy e io vi abbiamo lasciato, ieri sera?» Un debole lampo di speranza balenò sul viso del ragazzo. Si ravviò all'indietro i capelli biondo scuro, così simili a quelli della madre. «La mamma e io eravamo molto tesi. A cena lei aveva avuto la netta impressione che Cotter si fosse stupito di non vederle addosso neanche un monile. Era sicura che avrebbe cominciato a rimuginarci sopra e a quel punto, ha aggiunto, tanto valeva dirgli subito quello che era accaduto, senza aspettare sabato. Dopo siamo andati a letto. L'ho sentita piangere per un po', ma non ero sicuro che desiderasse la mia compagnia. Poi mi sono addormentato.» Lanciò un'occhiata nervosa al sedile anteriore, prima di rendersi conto che Alvirah aveva chiuso il tramezzo che li separava dall'autista. «Mi sono svegliato verso le cinque e ho fatto un salto in camera sua. Lei non c'era. Ho trovato però la sua rubrica telefonica e ho chiamato a casa di Hayward, ma non ho avuto risposta. A quel punto ero spaventato e ho deciso di fare un salto da lui: temevo che la mamma fosse andata a parlargli e che le fosse successo qualcosa. Sono corso laggiù, ma quando sono arrivato ho visto l'autopattuglia e un addetto alla manutenzione mi ha raccontato che cosa era successo. A quel punto credo di essermi lasciato prendere dal panico. Ecco perché ho confessato l'omicidio. Perché, se è stata mia madre a ucciderlo, lo ha fatto per me.» Alvirah guardò il suo giovane volto angosciato. «Io non credo che sia stata lei, Bobby. Ho fatto notare allo sceriffo Alshorne che potrebbero es-
serci altre persone con ottimi motivi per uccidere il tuo patrigno. Ora tocca a me scoprire chi lo ha effettivamente fatto.» Nel cottage, Alvirah trovò ad aspettarla una grossa busta di carta di Manila. Era il materiale che aveva chiesto a Charley Evans, ritagli di quotidiani e riviste che parlavano di Cotter Hayward. Mentre sprofondava nella lettura, quasi dimenticò di aver saltato il pranzo, ma il ricordo del minuscolo muffin ingoiato a colazione le fece capire che il mal di testa che la tormentava già da un po' non era dovuto solo alla tensione. Chiamò il servizio in camera. Dieci minuti dopo fece la sua comparsa una cameriera sorridente; portava un bicchiere di acqua naturale, una teiera di infuso alle erbe e un'insalata di carote e cetrioli... il pranzo del giorno. Mentre Alvirah pensava con desiderio a un grosso hamburger sugoso, le tornò in mente ciò che Barra Snow le aveva detto in merito al franchising ottenuto dalla McDonald's da sua sorella dopo il divorzio. Fece un mezzo sorriso, riflettendo che in quel momento sarebbe riuscita a mangiarsi in una sola volta tutti i guadagni di quella sconosciuta signora. Alvirah scoprì che il materiale su Cotter J. Hayward costituiva una lettura assolutamente affascinante. L'uomo era nato a Darien, nel Connecticut, ed era il nipote dell'inventore di un circuito a frequenze portanti per telefonate interurbane che la AT&T aveva acquistato per sessanta milioni di dollari. Una cifra enorme per quei tempi, pensò Alvirah mentre prendeva un appunto. Era stato allora che il primo Cotter aveva regalato i gioielli alla moglie. Poiché era un noto taccagno, l'acquisto aveva fatto scalpore. I gioielli vennero quindi ereditati dal figlio, Cotter secondo, un playboy che si era sposato quattro volte. Ma mentre le gioie erano rimaste in famiglia, il suo dispendioso tenore di vita e le liquidazioni pretese dalle ex mogli avevano gravemente intaccato il patrimonio. Cotter terzo, marito prima di Elyse e quindi di Nadine, sembrava avere preso qualcosa da entrambi i suoi ascendenti. C'erano decine di sue fotografie in compagnia di dive del cinema e debuttanti. Aveva sposato Elyse a trentacinque anni e, come il nonno, era noto per la sua parsimonia. Si occupava di persona dei suoi investimenti e si diceva che valesse cento milioni di dollari, ma dati certi non ce n'erano. Doveva essere stato un golfista magnifico, decise Alvirah. Molte delle foto lo ritraevano infatti sui campi da golf, in compagnia di personaggi del
calibro di Jack Nicklaus e dell'ex presidente Ford. Foto più vecchie lo mostravano sotto braccio a Elyse, entrambi vestiti da golf, a volte nell'atto di ricevere un premio. Nelle più recenti, invece, compariva al fianco di Nadine in varie occasioni sociali, ma sui campi da golf lei non c'era mai. Una foto in particolare attrasse l'attenzione di Alvirah. Raffigurava Elyse e Barra Snow mentre ricevevano due identici trofei presso il Country Club di Ridgewood, nel New Jersey: in mezzo alle due donne, c'era un sorridente Cotter Hayward, evidentemente incaricato di consegnare i premi. La fotografia risaliva a solo sei settimane prima. Il sorriso di Cotter sembrava genuino ed Elyse, girata verso di lui, sorrideva a sua volta. Amore e odio... erano questi i sentimenti che nutriva per il suo ex. Ma la lettura della didascalia che accompagnava la foto le fece inarcare un sopracciglio. Oh, santo cielo, pensò. Oh, santo cielo. Si attaccò al telefono per chiamare Charley al Globe, e dopo averlo ringraziato gli chiese di spedirle al più presto dell'altro materiale. «So che a New York sono le otto, ma se tu potessi incaricare subito qualcuno, mi farò dare da Min la chiave del suo ufficio in modo da ricevere il fax stasera stessa. Te ne sono grata, Charley.» Subito dopo, riavvolse i nastri registrati durante la cena della sera prima, poi nel cottage di Nadine e quel giorno a pranzo. Mentre li ascoltava, prese alcuni appunti. Willy era esausto quando ricomparve, alle sei. «Abbiamo nuotato, abbiamo lavorato in palestra. Bobby conosce tutte le macchine che ci sono. Poi abbiamo preso un bicchiere di succo d'arancia e abbiamo parlato. È un bravo ragazzo, tesoro, e sa bene che sua madre si trova in quella situazione per colpa sua. Sai, credo che, se si riuscisse a trovare il vero colpevole e Nadine tornasse in libertà, Bobby non comprerebbe più nemmeno un biglietto della lotteria.» Solo allora notò i ritagli sul tavolo. «Hai avuto fortuna?» «Temo di no, ma ancora non è detta l'ultima parola. E in ogni caso, credo che la cena sarà interessante.» Con grande sollievo di Alvirah, erano tutti presenti. Aveva temuto che Elyse decidesse di usufruire del servizio in camera, ma la prima signora Hayward, perfettamente composta ed elegantissima in una guaina blu lunga fino alla caviglia, era al suo posto. Barra Snow indossava invece un tailleur pantaloni di seta bianca che faceva risaltare la sua bellezza bionda. Ma non era splendida come appariva
nelle pubblicità, pensò Alvirah... intorno agli occhi e alla bocca erano visibili minuscole rughe. Prevedibilmente, la discussione si incentrò sull'arresto di Nadine. «Spero si renda conto che, se viene condannata, non erediterà un soldo da Cotter», disse Elyse, con un'inequivocabile nota di soddisfazione nella voce. «Come ha detto lei stessa, bisognerebbe rispettare il nono comandamento», rincarò Alvirah. «A pensarci, se lei e il signor Hayward aveste ricomposto le cose quattro anni fa... immagino che siate andati avanti parecchio, no? A litigare e a fare pace, a litigare e a fare pace. Ora sarebbe lei la vedova. Invece, lui si è rivolto a Nadine. È un peccato anche per lei, Elyse. Perdere il proprio marito è sempre terribile, ma non c'è niente di male nell'essere una ricca vedova.» «Non credo di apprezzare le sue osservazioni, signora Meehan», replicò seccamente l'altra. «Sono al corrente della sua reputazione di investigatrice dilettante, ma la prego di risparmiarmi le sue elucubrazioni.» Alvirah si finse turbatissima. «Oh, mi dispiace tanto, non intendevo offenderla. È solo che sono tanto addolorata per Nadine. Voglio dire, lei non è una golfista. Ha una carnagione talmente chiara, e suo figlio ha detto a Willy che come atleta è un vero disastro. È più il tipo artistico, direi. Comunque, volevo soltanto dire che è stata una vera sfortuna che lei e Cotter non vi siate rimessi insieme. E una sfortuna che Nadine si sia portata dietro la sua mazza da golf, quando è andata a parlargli. Naturalmente non credo che volesse gettare su di lei la colpa. Ma d'altra parte, si sa, a volte gli assassini sono talmente nervosi che commettono degli errori.» Elyse la ignorò ostentatamente e si rivolse ai Jenning mentre Barra flirtava, con poca convinzione, con l'ex membro del Congresso. Al dessert, Alvirah rimase sgomenta nel sentire che Elyse sarebbe ripartita il sabato. «Ho voglia di andarmene lontanissimo da qui», stava dicendo la donna. «Questo posto è deprimente e non ho mai giocato peggio a golf. Oggi me lo sentivo che non avrei combinato nulla.» «Parto anch'io», intervenne la Snow. «Ha telefonato la mia agenzia. Pare che mi aspetti un nuovo servizio fotografico per la Adrian, a New York. Dovrò cancellare la mia prenotazione per la seconda settimana.» Ad Alvirah riuscì difficile non piantarle gli occhi addosso. Il registratore era acceso, e più tardi avrebbe potuto riascoltare con comodo l'intera conversazione. La Snow aveva appena detto qualcosa di importante, ne era certa, ma che cosa? La serata prevedeva una conferenza sull'arte spagnola del quattordicesi-
mo secolo corredata di diapositive. Mentre gli ospiti si spostavano nel salottino preparato per l'occasione, Alvirah ne approfittò per chiedere a Min la chiave del suo ufficio. «Aspetto degli altri fax, e voglio leggerli stasera.» Il sorriso cordiale di Min era chiaramente a beneficio di eventuali osservatori, perché quando parlò il suo tono era teso. «Sei ospiti hanno cancellato la prenotazione per la prossima settimana. Sono furiosi per l'insistenza dei giornalisti. Perché diamine Nadine non ha ucciso Cotter con una delle mazze di lui? Perché ha dovuto prenderne una qui da noi? Credi che volesse stornare i sospetti su Elyse?» «È quello che continuo a chiedermi anch'io», disse Alvirah con un sospiro. «Ma non riesco a darmi una risposta. Perché rimettere al suo posto una mazza sporca di sangue a meno che non la si voglia far trovare?» La mattina seguente, invitato da Alvirah, Scott Alshorne li raggiunse al cottage Tranquillità per colazione. «Soddisfatto?» lo aggredì quasi lei. «È assolutamente certo che sia Nadine la colpevole?» Lo sceriffo stava esaminando con eccessiva attenzione il contenuto della sua tazza. «Un ottimo caffè.» «Non ha risposto alla domanda di mia moglie», intervenne Willy. Alvirah sorrise tra sé. Sapeva che Willy era ancora un po' irritato con Scott per il modo in cui le aveva parlato il giorno prima. «Non sono certo di poterlo fare», si decise ad ammettere l'uomo. «Nadine ha confessato, e di sicuro aveva un movente, e di tutto rispetto. Abbiamo dimostrato che dal suo cottage sono partite due telefonate. Locali. Una è stata fatta il 9, cioè mercoledì, e l'altra il giorno successivo, ossia ieri. Questo sembrerebbe confermare quanto lei ci ha detto, ossia che aveva parlato con Cotter Hayward mercoledì sera, e conferma anche le parole di Bobby, che sostiene di aver telefonato a Cotter giovedì mattina sul presto. Quindi perché dovrei dubitare della sua confessione?» «Sceriffo, non le è mai capitato di mettere deliberatamente in circolazione una voce con l'intento di indurre un assassino a scoprirsi?» chiese Alvirah. «In California gli avvocati difensori lo fanno in continuazione per proteggere i loro clienti, quindi perché non tentare? Potrebbe sortirne qualcosa di buono.» Nel vederlo scuotere la testa, riprese in tono persuasivo: «Scott, tutto ruota intorno ai gioielli, non lo ha ancora capito? E i gioielli non sono ancora ricomparsi. Supponiamo pure che Nadine, sapendo che Cotter si pre-
parava a scaricarla, abbia inscenato il furto in modo da poterseli tenere anche dopo il divorzio. Quando però ha chiamato Bobby per comunicarglielo e ha scoperto che lui aveva lasciato scadere l'assicurazione, non doveva far altro che rinunciare all'idea. Non dimentichi che ha parlato col figlio prima di riferire tutto a Min. E lasci che glielo dica, quando l'ho incontrata Nadine era assolutamente frenetica». «D'accordo, non è stata lei a far sparire i propri gioielli. Di questo sono convinto anch'io.» «È sicuro che Bobby fosse ancora a New York il pomeriggio del furto?» «Sì. Ne abbiamo fatto controllare i movimenti.» «In questo caso, l'autore del furto è qualcun altro, e scommetto cento a uno che lui e l'assassino sono la stessa persona. Mi dia retta, Scott. La prego.» Era una bella giornata. Il sole del mattino splendeva caldo e vivido sulla piscina olimpionica e gli ombrelloni colorati aperti fra i tavoli. Su uno di questi era posata una radio portatile sintonizzata su una frequenza locale. Un'attenzione quasi spasmodica aveva sostituito tra gli ospiti il languore provocato da una mattinata trascorsa fra ginnastica, massaggi e impacchi di alghe. Stando al radiocronista, circolava la voce che lo sceriffo avesse per le mani una prova importante. Parecchie impronte erano state scoperte tra gli alberi circostanti la sedicesima buca, là dove Cotter Hayward era stato ucciso. Lo sceriffo era stato sentito dire che quelle erano impronte dell'assassino, evidentemente nascostosi lì in attesa della sua vittima. A rendere particolarmente significativa la scoperta era il fatto che le orme, chiaramente femminili, non corrispondevano al numero di scarpa della donna arrestata, ma a un numero molto più grande. «E c'è una seconda notizia altrettanto sensazionale», continuò la voce. «I gioielli rubati erano in realtà delle copie, commissionate da Cotter Hayward prima di girare le polizze al figliastro. Pare infatti che avesse sempre temuto che Bobby Crandell facesse quello che poi ha effettivamente fatto... incassare l'assegno lasciando scadere la polizza. Un brutto scherzo per il ladro!» Quel pomeriggio Alvirah non riuscì a sedersi al tavolo di Elyse, ma ebbe la fortuna di catturare un angolino di quello adiacente. Accese il registratore e, girata parzialmente la sedia verso la donna, disse a voce abbastanza alta da farsi udire: «Questa in realtà non è tutta la storia. Sapete tutti che mi piace ficcanasare in giro, e ho sentito dire che secondo la polizia l'as-
sassino è uno degli ospiti di Cypress Point; lo sceriffo Alshorne sta aspettando un mandato del tribunale che gli consentirà di controllare il numero di scarpa di tutte le signore presenti. E se ne troverà una con quel numero, potrà perquisire anche il suo cottage e guardare tra i suoi effetti personali». «Ma è illegale!» protestò qualcuno. «Questa è la California», ribatté Alvirah. Si appoggiò all'indietro sullo schienale quanto più poteva senza rischiare di cadere, e così facendo riuscì a sentire Elyse mormorare a bassa voce: «Tipico di Cotter. Davvero tipico». Poi la donna allontanò la sedia dal tavolo mormorando una scusa. Alvirah sapeva che un'agente femminile con indosso l'uniforme dei dipendenti di Cypress Point l'avrebbe seguita. Lei però aveva messo a punto anche un altro piano. Quando arrivò per gli ospiti l'ora di recarsi agli appuntamenti pomeridiani, seguì Barra Snow fino al suo cottage, e fatto il giro del patio si appiattì accanto alla vetrata scorrevole per sbirciare dentro. Si affrettò a ritirare la testa quando la ragazza si guardò intorno, poi tornò a sporgersi quanto bastava per vederla staccare dal muro il ritratto di Min e di Helmut per aprire la cassaforte. Ed estrarne un sacchetto di plastica pieno di oggetti sfavillanti. «Lo immaginavo!» disse Alvirah in un soffio. «Lo immaginavo! Ora dovrà liberarsene.» Si ritrasse. Come quello di Nadine, anche il cottage di Barra era tra i più lontani dal complesso principale, e il retro si affacciava su un tratto boscoso. Dove nasconderà la refurtiva? si chiese Alvirah. Ero sicura che fosse Elyse, rifletté poi, ma quando ho chiesto a Charley Evans di mandarmi le foto relative al torneo del Country Club di Ridgewood, ho cominciato a pensarla diversamente. In un paio di foto, Cotter e Barra si guardavano in un modo che non lasciava adito a dubbi. E dalla registrazione è risultato evidente che è stata Barra a persuadere Elyse a giocare a golf, ieri. È stata lei a mandare il caddy a prendere la sua sacca, sapendo già che cosa vi avremmo trovato. Evidentemente le era indifferente che i sospetti ricadessero su Elyse o che Nadine restasse la principale indiziata. In un modo o nell'altro, nessuno avrebbe pensato di attribuire a lei l'omicidio. I sospetti di Alvirah si erano fatti più forti quando Barra aveva annunciato la sua imminente partenza per motivi di lavoro. Lei infatti sapeva che era una menzogna: la didascalia che accompagnava la fotografia della premiazione parlava della Snow come dell'ex modella della Adrian. E proprio quel particolare aveva attirato la sua attenzione.
Oltre alla frase sul franchising ottenuto dalla McDonald's dalla sorella all'epoca del divorzio... Che cosa aveva detto di preciso la Snow? «Io non sono stata altrettanto fortunata.» Scommetto che lei non ne ha ricavato neppure un soldo, si disse Alvirah. Restava però una questione cruciale: era stata materialmente lei a commettere il furto? E se sì, come aveva fatto a scoprire la combinazione della cassaforte di Nadine? C'era una sola persona che avrebbe potuto dargliela, comprese finalmente... Cotter Hayward. E se fosse stato proprio lui a rubare i gioielli, in modo da ottenere dall'assicurazione il denaro necessario a liquidare Elyse? L'interno del cottage era silenzioso. Di certo Barra sta lambiccandosi il cervello alla ricerca di un nascondiglio sicuro, pensò Alvirah, ma le sue riflessioni furono bruscamente interrotte da qualcosa di piccolo e duro premuto contro la sua schiena. Subito dopo sentì la modella mormorare: «Lei è troppo intelligente per mantenersi in buona salute, signora Meehan». Scott Alshorne era di cattivo umore. Non gli piaceva l'idea che durante le indagini su un omicidio circolassero voci infondate. Di conseguenza, non gli fu difficile assumere un'aria gelidamente furiosa mentre ancora una volta affrontava i giornalisti radunati davanti al cancello della stazione termale. «Non ho commenti da fare riguardo alle presunte impronte rinvenute nelle vicinanze del luogo del delitto», esordì con voce dura. «Né intendo discutere la voce secondo cui i gioielli rubati erano soltanto delle copie. Ma farò di tutto per individuare la fonte di eventuali fughe di notizie dal mio ufficio.» Questo almeno è vero, si disse mentre si faceva largo tra i microfoni e le telecamere per tornare all'auto. La stazione termale appariva deserta; come lui sapeva, dopo il pranzo la grave questione della riconquista della bellezza veniva affrontata con rinnovato vigore. Min insisteva sempre per offrirgli un'intera giornata di trattamenti. Proprio quello che mi serve, pensò irritatissimo: farmi avvolgere in un impacco di alghe marine. Andò direttamente nell'ufficio di Min, dove lei lo aspettava in compagnia di Walt Pierce, uno dei suoi vice, di Helmut e di Willy. «Alvirah dov'è?» «Sarà qui da un momento all'altro», rispose Willy evasivo. «Il che significa che sta seguendo qualche pista», replicò Scott, congratulandosi con se stesso per aver incaricato Liz Hill, una delle sue collabo-
ratrici, di tallonare Alvirah. Si rivolse a Pierce. «Nessuna novità?» «Ha chiamato Darva. Ha seguito Elyse Hayward fino al suo cottage. Adesso la tiene sotto sorveglianza. Pare che sia andata diritta alla cassaforte, ma dentro c'era solo una bottiglia di gin.» «Gin!» proruppe Min. «I nostri ospiti sanno che non devono tenere alcolici in camera. Le cameriere hanno l'obbligo di riferire la presenza di eventuali bottiglie sospette, ma naturalmente non hanno accesso alle cassaforti.» «Come faranno i nostri ospiti a dimagrire se si ostinano a tracannare alcolici?» disse Helmut con un sospiro. «Come possono conservare la freschezza della gioventù?» Tu ci riesci, pensò Willy. «Darva sta seguendo i movimenti di Elyse Hayward con un cannocchiale. Dice che non fa che piangere e ridere. In altre parole, si sta prendendo una sbronza coi fiocchi», proseguì Pierce. «E questo smantella la teoria di Alvirah», dichiarò Scott. «Se la ladra fosse stata Elyse, ora starebbe di sicuro cercando un modo per liberarsi dei gioielli. E non perderebbe tempo a ubriacarsi. Liz che cosa ti ha detto, Walt?» «La signora Meehan si è nascosta nel patio di Barra Snow. Liz non riesce a vedere all'interno, ma fino a questo momento è tutto tranquillo.» «Da quanto tempo si trova lì?» «Un quarto d'ora circa.» Il walkie-talkie di Pierce stava ronzando. Lui lo accese. «Sì?» Il suo tono cambiò di colpo. Guardò Min. «Liz vuol sapere se c'è un altro ingresso al cottage di Barra Snow.» «Sì», rispose lei. «Una vetrata scorrevole che dalla camera matrimoniale dà sul patio posteriore.» Scott si impadronì del walkie-talkie. «Che sta succedendo?» Rimase in ascolto per qualche istante, poi: «Hai addosso l'uniforme da cameriera, vero? Bene... trova una scusa per entrare, allora. Resto in attesa». Willy avvertì la familiare fitta allo stomaco che sempre lo aggrediva quando cominciava a temere per l'incolumità di Alvirah. Un istante più tardi, il walkie-talkie tornò a ronzare. Questa volta la voce della Hill risuonò forte e chiara: «Barra Snow e la signora Meehan sono scomparse. Devono essere uscite dal retro. Il bosco è a pochi metri di distanza. Credo che la Snow abbia aperto la cassaforte, perché il quadro che la nasconde è stato
spostato». «Arriviamo», tagliò corto Scott. «Tu nel frattempo cerca di raggiungerle.» Willy lo afferrò per il braccio. «Dove finisce il bosco?» «Al Pebble Beach Club.» Era stata Min a rispondere. «Se è Barra ad avere i gioielli, probabilmente conta di nasconderli nel bosco da qualche parte. Lì sarebbe impossibile ritrovarli. Sono più di ottanta acri di alberi molto fitti e in certi punti il terreno è paludoso.» Poi vedendo l'espressione di lui, aggiunse in fretta: «Ma probabilmente Alvirah si è limitata a seguirla. Sono sicura che sta bene». Sollecitata dalla pistola che le premeva nella schiena, Alvirah avanzava arrancando attraverso il fitto sottobosco. Gli arbusti le frustavano le caviglie e innumerevoli insetti le ronzavano intorno al viso. Ho sempre attirato le zanzare, pensava. Se ce ne fosse una sola in tutto il mondo, sicuro come l'oro che mi troverebbe. «Più in fretta», ordinò Barra. Se solo potessi distrarla, si disse ancora Alvirah, mentre si guardava intorno in cerca di qualcosa da usare come arma, qualunque cosa che le permettesse di difendersi. Finse di inciampare e cadde sulle ginocchia, approfittandone per tirare il fiato. «Dove mi sta portando?» chiese. Guardava Barra Snow, ma le fu difficile riconoscere in quella donna dagli occhi duri e con le labbra serrate la ragazza sofisticata e divertente con cui aveva chiacchierato a tavola. È come se Barra avesse messo una maschera, o forse, pensò Alvirah, la maschera era quella che portava nei giorni precedenti. «È stata lei a uccidere Cotter Hayward, vero?» domandò ancora. «Ed è sempre lei che ha rubato i gioielli.» L'altra le puntò contro la pistola. «In piedi», ordinò. «A meno che non voglia morire qui.» A fatica Alvirah si rialzò, ma ebbe la presenza di spirito di mettere in funzione il registratore. Poi, sperando che Barra non se ne accorgesse, fece scivolare lungo il braccio la tracolla della borsa e la lasciò cadere lentamente a terra. «Coraggio, si muova», ripeté l'altra. «Va bene, va bene.» La donna camminava trascinando i piedi, nella speranza di lasciare qualche traccia. Nel bosco l'aria era soffocante, e neppure
un alito di brezza penetrava attraverso il denso fogliame. Ma a dispetto del disagio, Alvirah non dimenticava l'assoluta necessità di procurarsi una confessione registrata. «Mi dica una cosa», ansimò. «È stata lei a uccidere Cotter?» «Alvirah, lei è troppo intelligente per non avere già capito tutto. Ora chiuda il becco e SI MUOVA!» Di nuovo, Alvirah sentì la pressione della canna della pistola, questa volta sulla nuca. «In base alla mia ricostruzione, lei ha rubato i gioielli e lasciato il cottage nel caos per far credere all'intrusione di qualcuno di esterno al centro. Dopo però dev'essersi lambiccata il cervello nel tentativo di capire perché Nadine non avesse denunciato il furto. «Non posso camminare più in fretta di così», ansimò. «E inutile che continui a premermi quella pistola sul collo.» «La questione», continuò, «è: perché ha ucciso Hayward? Avevate appuntamento sul campo da golf, vero? Scommetto che lei avrebbe dovuto consegnargli i gioielli. Ho ragione?» «Sì, ha ragione.» Rabbia e frustrazione trasparivano dalla voce di Barra Snow. Qualche istante dopo, gli alberi cominciarono a diradarsi e le due donne si ritrovarono in una zona paludosa. Alvirah sentì il terreno cedere pericolosamente sotto il suo peso. Proprio di fronte a loro si stendeva uno stagno di acqua limacciosa, semisoffocato dalla vegetazione. Dobbiamo essere vicino alla proprietà del Pebble Beach Club, pensò Alvirah. Che cosa ha in mente di fare la Snow? «Scommetto che è stato lui a darle la combinazione della cassaforte di Nadine, con l'intenzione di usare l'indennizzo dell'assicurazione per liquidare Elyse», riprese. «Indovinato su tutta la linea», ridacchiò l'altra. «Ora può fermarsi.» Alvirah si girò. «Ma perché lo ha ucciso? Lo ha forse deciso dopo aver sentito Elyse descriverlo come un uomo tirchio, e dire che Nadine sarebbe rimasta senza un soldo se avessero divorziato? Forse ha pensato che fosse più sicuro sgraffignare i gioielli?» Indicò il sacchetto che Barra teneva in mano. «Ha indovinato di nuovo, Alvirah.» Questa volta, la Snow le puntò la pistola al cuore. «E quando racconterò di averla vista passare correndo davanti al mio cottage, sulla scia di un uomo che sembrava un caddy del Pebble Beach Club, cominceranno a darsi da fare per cercare l'assassino fuori di Cypress Point. E io sarò di ritorno in tempo per il mio massaggio
facciale. «Quando la troveranno... se la troveranno, dato che lo stagno è parecchio profondo e il fango trascina verso il basso più delle sabbie mobili... io sarò lontana. «Ora stringa questa paccottiglia nelle sue manine sudate. Voglio liberarmi di tutto in un colpo solo.» Mentre Alvirah obbediva, la Snow fece un passo indietro e tornò a puntarle la pistola al cuore. Mentre si precipitava verso il cottage di Barra, Scott ordinò ai suoi vice di iniziare subito le ricerche. «Potrebbero essere dappertutto», sbraitò. «Walt, dovremo dividerci mentre aspettiamo i rinforzi. Min, lei, il barone e Willy ve ne starete tranquilli.» Ma Willy si era già precipitato tra i cespugli gridando il nome della moglie. Quella donna è un'assassina, pensava, ed è disperata. Se sa che Alvirah la sta seguendo, è meglio farle capire che c'è anche altra gente sulle sue tracce e che uccidendola non la farebbe franca. Solo allora si rese conto che lo sceriffo e il suo vice si erano allontanati nella direzione opposta a quella che l'istinto gli diceva essere quella giusta. Forse dovrei puntare verso il mare, pensò allora, incerto. Forse la Snow cercherà di portare Alvirah giù alla spiaggia. Fu allora che la vide. La borsetta di Alvirah. Fu subito certo che lei l'avesse fatta cadere di proposito. Poco dopo individuò dei ciuffi d'erba calpestati. Sì, la direzione giusta era quella. Affrettò il passo e raggiunse la radura in tempo per vedere quanto stava accadendo, ma non per impedirlo. Quando la Snow premette il grilletto, Alvirah si spostò bruscamente, e un istante dopo sentì una fitta dolorosa vicina al punto in cui era appuntata la spilla a forma di sole. Mentre cadeva all'indietro nell'acqua, pensò: mio Dio, mi ha sparato. Con un tuffo, Willy si buttò con tutte le sue forze su Barra, afferrandole il braccio e torcendoglielo proprio nel momento in cui lei stava prendendo nuovamente di mira Alvirah, che cominciava lentamente ad affondare. Echeggiò un'altra esplosione, poi lui riuscì a strapparle la pistola di mano e la lanciò in acqua. Con uno spintone, gettò a terra Barra e senza esitare si tuffò. «Sei al sicuro», ansimò, sollevando la testa di Alvirah. «Ci sono qui io.» Alvirah avvertiva un vago dolore alla spalla. La spilla, pensò. È stata la spilla a deviare il proiettile. Sconcertata dal suo movimento improvviso, la
Snow aveva mancato il colpo; il proiettile si era limitato a sfiorare il sole raggiato. Sentiva il dolore irradiarsi dal punto dell'impatto, ma ancora una volta, piena di meraviglia, pensò: avevo ragione. Sì, avevo ragione. E ho in mano i gioielli. Riuscì a non svenire finché non vide Scott irrompere nella radura e afferrare la Snow, che si dibatteva furiosamente nel tentativo di uscire dal fango. «Credo che l'occasione meriti la violazione di una delle regole cardinali di Cypress Point», annunciò Helmut, entrando nel cottage Tranquillità seguito da una cameriera che portava un vassoio con una bottiglia di champagne e dei bicchieri. Alvirah aveva il braccio al collo e se ne stava comodamente installata sul divano del soggiorno sorridendo ai suoi ospiti: Min, Scott, Nadine e Bobby. Willy, ancora pallido per lo choc, le girellava continuamente intorno col fare ansioso di una chioccia. «Io credo che tu abbia bisogno di riposo, tesoro», ripeté per la quindicesima volta nelle ultime cinque ore. «Sto bene», ribadì Alvirah. «Ti sarò sempre grata per aver insistito perché mettessi la spilla, 'giusto in caso'. Perché proprio non avevo previsto che il 'giusto in caso' includesse il rischio di beccarmi una pallottola. La spilla è andata in pezzi, ma il registratore funziona ancora. Barra Snow non ha più scampo.» E sorrise di nuovo al pensiero. Ma Scott Alshorne scuoteva la testa. Ancora una volta si scopriva a ringraziare il cielo che Alvirah Meehan abitasse in un altro stato perché, non c'era dubbio al riguardo, quella donna attirava i guai. Nondimeno, dovette ammettere con se stesso che il suo piano di far circolare certe voci su impronte e gioielli falsi aveva funzionato. Se non l'avesse assecondata, Nadine Hayward sarebbe stata ancora in carcere, decisa a restarci per proteggere il figlio. E Barra Snow se ne sarebbe tornata tranquillamente a casa, lasciandosi alle spalle un uomo assassinato e portando con sé gioielli rubati per un valore di quattro milioni di dollari. Accettò il bicchiere di champagne che gli veniva offerto e quando Helmut propose un brindisi ad Alvirah, Scott fu felice di unirsi agli altri. Non per questo, tuttavia, rinunciò a dire quello che doveva. «Alvirah, amica mia, ancora una volta ci ha salvato dai guai, ma devo supplicarla di rendersi conto che se non l'avessi fatta seguire da uno dei miei agenti...» «Sì, è stato davvero intelligente da parte sua, Scott», lo interruppe lei.
«Grazie. Vorrei sottolineare che oggi lei si è trovata a un passo dalla morte, e soltanto perché non ha voluto chiedere aiuto quando si è messa sulle tracce di Barra Snow.» L'espressione pentita di Alvirah non convinse nessuno. «Voglio essere sincera: ero quasi sicura che fosse Elyse la colpevole. Quadrava tutto, capisce? E su un punto non mi sbagliavo: c'era davvero un rapporto di amore e odio tra lei e Cotter Hayward.» «Ripensandoci ora, credo di essere d'accordo», mormorò Nadine con voce quieta. «Apparentemente, una delle cose che Cotter apprezzava di me era che non giocavo a golf. Lui ed Elyse non facevano che litigare quando giocavano. Ma dopo quattro anni, ho l'impressione che si fosse annoiato del nostro rapporto e cominciasse a sentire la mancanza di quel tipo di compagnia.» «Solo che questa volta l'aveva cercata in Barra, non più in Elyse», interloquì Scott. «E quando ha saputo quello che è accaduto oggi pomeriggio, Elyse ha ammesso di aver creduto che l'interesse di Cotter per lei stesse rinascendo. Solo in seguito ha capito che c'era un'altra, che però non aveva individuato in Barra.» Scott si rivolse a Nadine e non poté trattenere un mezzo sorriso nel vedere l'espressione tranquilla di lei e l'assoluta felicità che irradiava dal viso di suo figlio. Nondimeno, si sforzò di mostrarsi severo. «Nadine, lei e Bobby avete mentito per proteggervi l'un l'altra. I tentativi di Bobby sono stati abbastanza maldestri, ma deve capire che un giudice e una giuria avrebbero potuto facilmente credere alla sua versione e condannarla a morte. Per fortuna non ci ha creduto Alvirah, e confesso che anch'io avevo dei dubbi.» «Eppure lei, Nadine, ha effettivamente lasciato il cottage dopo che noi ce ne siamo andati», intervenne Alvirah. «Ecco perché Bobby era uscito a cercarla. Dov'era andata?» Nadine parve imbarazzata. «Ho chiamato Cotter, proprio come vi avevo detto, ma quando ho sentito la sua voce mi è mancato il coraggio di parlargli e ho riappeso. Poi sono uscita e sono andata a sedermi su una sdraio vicino alla piscina. Sapevo che lì nessuno sarebbe venuto a cercarmi, e non volevo che Bobby mi sentisse piangere. Ero talmente esausta che alla fine mi sono addormentata.» «Questo spiega la coperta che abbiamo trovato su una delle sdraio», esclamò Min. «Sono contenta che sia tutto qui, perché quando me l'hanno riferito non sapevo proprio che pensare.» «Ho ancora una cosa da dire», continuò Alvirah, con un'espressione se-
ria. «Nadine, adesso lei è una donna molto ricca, ma sappia che non farà il bene di Bobby se continuerà a pagare i suoi debiti di gioco.» «Sono d'accordo», asserì il ragazzo, guardando la madre. «Mamma, non ti merito.» Min si alzò. «È meglio che torni a casa. Stasera devo tenere una conferenza sulla necessità della meditazione come parte del processo di raggiungimento della bellezza.» «Col dovuto rispetto, Min....» fece Willy, «le sono grato per la sua splendida ospitalità, ma spero non le dispiaccia sapere che, come parte del raggiungimento di un po' di pace, Alvirah e io ripartiamo per New York questa mattina. Dica pure ai clienti in lista d'attesa che il cottage Tranquillità è di nuovo libero.» Arrivederci, piccolina Era il 20 dicembre e, benché in seguito Alvirah lo avesse definito il giorno peggiore della sua vita, cominciò nel migliore dei modi. Alle sette del mattino, il telefono squillò per informarla che Joan Moore O'Brien aveva dato alla luce il suo primo figlio, una bambina. «Si chiama Marianne», esultò Gregg O'Brien. «Pesa due chili e otto ed è bellissima.» Nel Queens, Joan Moore aveva vissuto nella casa accanto a quella di Alvirah e di Willy, che l'avevano vista crescere e nel corso degli anni si erano avvicinati sempre di più a lei e alla sua famiglia. Come Alvirah diceva spesso: «È la ragazza più dolce che abbia mai camminato sulla faccia della terra». Erano rimasti costantemente in contatto con Joan anche dopo il loro trasferimento a Central Park Sud e avevano partecipato pieni di orgoglio al suo matrimonio con Gregg O'Brien, un affascinante giovane ingegnere. Andavano regolarmente a trovare la coppia di sposini nell'appartamento di Tribeca e avevano festeggiato insieme le varie fasi della brillante carriera di Gregg e le promozioni di Joan, che lavorava in banca. Avevano anche condiviso il loro grande dolore per il fatto che la ragazza non fosse riuscita a portare a termine per ben tre volte la gravidanza. «Ma ora, sia ringraziato il Signore, hanno la loro bambina», chiocciò Alvirah, mentre ammucchiava cialde sul piatto di Willy. «Sai, me lo sentivo nelle ossa che questa volta sarebbe andato tutto bene. Avevo addirittura già comprato dei regalini per la piccola, anche se naturalmente devo prendere ancora parecchie cose. Me ne occuperò prima di andare a far visita in
ospedale. Dopotutto, siamo i suoi nonni adottivi.» Willy lanciò un'occhiata affettuosa alla donna con cui aveva trascorso gli anni migliori della sua vita. Gli occhi azzurri di lei erano accesi per la felicità e la carnagione era piacevolmente rosea. Proprio il giorno prima Alvirah era andata dal parrucchiere, cosicché i suoi capelli avevano di nuovo una morbida tonalità rossa. Emanava calore e affabilità nella vestaglia di ciniglia che seguiva i contorni del suo corpo generoso. Willy sorrise; lui la vedeva bellissima. «Avremmo dovuto avere sei bambini», disse. «E venti nipoti.» «Be', Willy, il buon Signore non ha voluto mandarceli, ma ora potremo divertirci a viziare la piccola Marianne. È quasi un obbligo, dato che i genitori di Joan non ci sono più.» Quel pomeriggio alle tre, i due facevano il loro ingresso nell'atrio affollato dell'Empire Hospital, sulla Ventitreesima Strada Ovest. «Sono ansiosissima di vedere la bambina», si entusiasmò Alvirah mentre passavano davanti alle infermiere dell'accettazione, troppo occupate per notarli. «E io non vedo l'ora di scaricare tutta questa roba», brontolò Willy. «Perché diavolo devono usare scatole così grandi per vestitini tanto piccoli?» «Perché non conoscono il vecchio adagio secondo cui le cose migliori stanno in pacchetti piccolissimi. Ma guarda che aspetto gradevole ha questo atrio! Mi piacciono le decorazioni natalizie, mettono una tale allegria!» «Non avrei mai pensato che un palloncino raffigurante Rudolph la Renna dal Naso Rosso a grandezza naturale potesse essere carino», osservò meditabondo Willy mentre oltrepassavano una grande slitta di compensato, completa di renne e di Babbo Natale. «Gregg ha detto che la camera di Joan è la 1121.» Alvirah sollevò uno dei sacchetti che aveva in mano. «Gli ascensori sono là.» «Non dovremmo ritirare il pass per i visitatori?» chiese Willy, dubbioso. «Joan ha detto di salire direttamente. Nessuno pensa a fermarti se dai l'impressione di sapere dove stai andando.» Un ascensore era appena partito e furono gli unici a salire in quello adiacente. Nella fretta, Alvirah quasi si scontrò con una donna che ne usciva stringendo fra le braccia un neonato. In testa aveva una pesante sciarpa che le nascondeva il viso e indossava una giacca a vento e pantaloni larghi. Sempre materna, Alvirah si chinò a sbirciare il piccolo, avvolto in un porte-enfant giallo. Un paio di occhi azzurri si aprirono per guardarla, poi
si richiusero. Un enorme sbadiglio alterò la faccina bianca e rosa e due pugnetti cominciarono ad agitarsi. «Una bambina bellissima», commentò Alvirah commossa, mentre la donna si affrettava ad allontanarsi. Willy teneva aperta la porta dell'ascensore con la spalla. «Sbrigati, tesoro.» Durante la lenta salita, Alvirah pensò fuggevolmente che in quasi tutti gli ospedali c'era la consuetudine di accompagnare all'uscita la neomamma e il figlio su una sedia a rotelle. Evidentemente le cose sono cambiate, decise. Arrivati che furono alla camera 1121, Alvirah non si preoccupò neanche di bussare. Ignorando Joan che sedeva sul letto e Gregg, in piedi accanto a lei, si precipitò verso la piccola culla appoggiata contro la parete. «Oh, ma non c'è», si lamentò. Gregg rise. «L'hanno portata via per sottoporla al test dell'udito. Posso già anticiparvi che lo supererà a vele spiegate. Quando stamattina ho involontariamente sfregato la sedia sul pavimento, lei ha fatto un salto tra le braccia di Joan e si è messa a strillare.» «Oh, be', se è così, tanto vale che mi dedichi agli orgogliosi genitori.» Alvirah si chinò ad abbracciare Joan. «Sono tanto felice per te», sussurrò; qualche lacrima luccicava sulle sue guance paffute. «Ma perché le donne piangono sempre quando sono felici?» chiese Gregg a Willy, che stava ammonticchiando le borse in un angolo. «Condotti lacrimali deboli», grugnì lui mentre afferrava la mano del giovane e la stringeva con vigore. «Io non piangerò, ma posso dirti che sono incredibilmente felice per tutti e due.» «Aspetta a vederla», si vantò Gregg. «È bellissima, proprio come sua madre.» «Ma ha la tua fronte e il tuo mento», intervenne Joan. «E i tuoi occhi azzurri e la pelle di porcellana e...» «Scusatemi, signori», li interruppe una voce. Si voltarono tutti a guardare l'infermiera che sorrideva sulla soglia. «Ma devo portarvi via la piccola per qualche minuto.» Gregg era stupito. «È già passata a prenderla una sua collega, pochi minuti fa.» Ad Alvirah bastò vedere l'espressione allarmata sul viso dell'infermiera per capire che era successo qualcosa di terribile. Anche Joan se n'era accorta. «Che cosa è successo?» gridò, sbiancando
in faccia. «Dov'è la mia bambina? Chi l'ha presa?» Per tutta risposta l'infermiera si precipitò fuori, e un istante più tardi una voce dal tono urgente echeggiò dagli altoparlanti: «Codice arancio! Codice arancio!» Alvirah conosceva il significato di quel concitato allarme, ma sapeva anche che era troppo tardi. Il suo pensiero tornò alla donna che usciva dall'ascensore mentre loro vi entravano. Non si era sbagliata... le neomamme con i loro bambini non lasciavano l'ospedale senza un accompagnamento di qualche sorta. Mentre Joan crollava svenuta tra le braccia del marito, lei si precipitò fuori; doveva parlare col personale addetto alla sicurezza. Un'ora più tardi, alle quattro, in un ingombro appartamentino sulla Nona Strada Ovest, la settantenne Wanda Brown se ne stava comodamente seduta su un vecchio divano e guardava con occhi lacrimosi la nipote. «Che bella sorpresa», esclamò. «Una visita di Natale. E sei venuta fin da Pittsburgh con la tua piccola! Ti sei finalmente lasciata alle spalle tutti i guai, Vonny.» «Credo proprio di sì, nonna.» La voce che le rispose era giovane, ma monotona. Gli occhi di Vonny, di un limpido castano chiaro, guardavano lontano. «È una bambina bellissima. È anche buona?» «Lo spero proprio.» «Come si chiama?» «Vonny, proprio come me.» «Oh, che carino. Quando mi hai scritto di essere incinta, ho pregato perché tutto andasse bene. Nessuna donna merita di perdere il proprio figlio, e due volte di fila, poi!» «Lo so, nonna.» «Hai fatto bene a lasciare New York, anche se sento la tua mancanza, Vonny. È chiaro che la degenza in ospedale ti ha giovato. Parlami del tuo nuovo marito. Ti raggiungerà qui?» «No, nonna. Ha troppo da fare. Io resterò solo qualche giorno, poi dovrò tornare a Pittsburgh. Ma, ti prego, non parlare più dell'ospedale, non voglio sentirlo neanche nominare. E non farmi domande. Detesto le domande.» «Vonny, sai bene che non ho mai, mai, detto niente a nessuno. Abito qui da cinque anni e neanche uno dei miei vicini è al corrente di quello che è successo. Le suore che vengono a trovarmi sono meravigliose e io gli racconto sempre che cara ragazza sei. Quando ho detto che eri incinta, loro mi
hanno assicurato che avrebbero pregato per te.» «Un pensiero carino.» Vonny fece un breve sorriso, ma in quell'istante la bambina cominciò a piagnucolare. «Chiudi il becco!» scattò lei, scrollandola forte. «Mi hai sentito? Chiudi il becco!» «Dalla a me, Vonny», la pregò Wanda Brown. «E vai a scaldare il biberon. Dove sono i suoi vestiti?» «Mi hanno rubato la sua valigetta in autobus», replicò la ragazza con fare imbronciato. «Mi sono fermata a comprare qualcosa in uno di quei negozi di abiti usati, ma credo che avrà bisogno di altra roba.» Quella sera alle undici, tristemente seduti a fianco a fianco nel soggiorno del loro appartamento che dava su Central Park, Willy e Alvirah guardavano il notiziario locale della CBS. La notizia più importante era proprio il sequestro di Marianne O'Brien, di otto giorni, avvenuto all'Empire Hospital. Willy sentì Alvirah irrigidirsi quando il giornalista disse: «Si crede che la rapitrice sia stata vista poco prima di lasciare l'ospedale da amici della famiglia O'Brien, i signori Willy e Alvirah Meehan, che si recavano a trovare gli orgogliosi genitori. «La descrizione della signora Meehan lascia ben pochi dubbi sull'identità della bambina rapita. Sfortunatamente, né lei né il marito sono stati in grado di fornire particolari significativi riguardo alla rapitrice, che sembra si sia travestita da infermiera. Secondo gli O'Brien, è sui trent'anni, di altezza media, con i capelli biondi...» «Com'è che non dicono nulla del porte-enfant giallo?» si stupì Willy. «Tu lo hai descritto con precisione.» «Probabilmente la polizia preferisce tenere per sé questo particolare, in modo da poter distinguere tra le telefonate autentiche e quelle dei mitomani.» Serrò forte la mano del marito; Joan O'Brien, stava spiegando il giornalista, si trovava sotto l'effetto dei sedativi e la direzione ospedaliera aveva annunciato una conferenza stampa nel corso della quale il padre di Marianne avrebbe inviato un messaggio alla rapitrice. Quando il giornalista disse: «Sta per andare in onda un servizio dall'Empire Hospital», Alvirah si protese in avanti e di nuovo strinse la mano del marito. Una breve pausa, poi le telecamere inquadrarono il viso di un cronista; alle sue spalle era visibile l'atrio dell'ospedale. «Le autorità ospedaliere ri-
feriscono il ritrovamento di un'uniforme da infermiera e di una parrucca bionda nel contenitore per rifiuti collocato in uno dei bagni del piano da cui la piccola Marianne è stata rapita. La toilette è riservata al personale ed è possibile accedervi solo digitando uno speciale codice.» E dopo una pausa a effetto: «Si teme di conseguenza che il rapimento sia stato organizzato dall'interno». O forse la donna conosceva l'ospedale, pensò Alvirah. Forse ci ha lavorato o vi è stata ricoverata. O magari, è semplicemente andata a trovare qualcuno e ha osservato i movimenti delle infermiere. Portava una parrucca bionda e questo significa che non sappiamo neppure di che colore siano i suoi capelli. Quella sciarpa non mi ha permesso di vederlo. Il servizio terminava con una breve intervista a un medico e quindi al capo della polizia, che prometteva indulgenza alla rapitrice se la bambina fosse stata restituita alla madre legittima. Chiunque avesse informazioni utili era pregato di chiamare il numero in sovrimpressione. Willy azionò il telecomando e passò un braccio intorno alle spalle di Alvirah, che scuoteva la testa con aria sconsolata. «Non hai nulla da rimproverarti, tesoro. Se quella donna ha agito spinta dal disperato bisogno di avere un figlio, si prenderà buona cura di Marianne finché la polizia non la ritroverà.» «Oh, Willy, come non posso non sentirmi in colpa? Lo sai anche tu, se qualcosa non quadra io me ne accorgo subito. Ma ero così eccitata, così ansiosa di vedere la piccola e di abbracciare Joan e Gregg! Sapevo che c'era qualcosa di strano, un particolare che ho inconsciamente registrato nei pochi secondi che sono stata a contatto con quella donna.» Di nuovo scosse la testa, esasperata. «Ma non riesco a capire che cosa.» Di colpo sussultò e i suoi occhi si accesero. «Sì, invece! Ora ricordo! Il porte-enfant! Il porte-enfant giallo! L'avevo già visto prima!» Molto dopo che si erano coricati, Alvirah era ancora sveglia e si sforzava di ricordare dove avesse visto il porte-enfant e di capire perché le fosse rimasto impresso, ma una volta tanto la sua prodigiosa memoria parve venirle meno. Aveva cominciato a fare acquisti per la bambina quando Joan era entrata nell'ottavo mese senza che si presentassero complicazioni. Era stato talmente divertente vagabondare per i negozi e scegliere le minuscole camicie, le cuffiette e i marsupi! Non credo di essere mai passata davanti a un negozio premaman senza farci almeno una capatina, pensava. Ma dove ho
visto quel porte-enfant, o almeno uno molto simile? Nessuno dei regali che lei e Willy avevano portato all'ospedale era stato aperto; si erano limitati a infilarli nell'armadietto di Joan. Devo dargli un'occhiata e compilare un elenco dei negozi in cui sono stata, decise in ultimo Alvirah. Stabilito così un piano d'azione, poté rilassarsi e scivolò nel sonno. Il mattino dopo, a colazione, ne parlò con Willy. «I porte-enfant non sono più comuni come un tempo», spiegò. «Sembra che molta gente non li utilizzi più. E quello era decisamente insolito, giallo e con un ampio bordo di satin bianco che lo rendeva inconfondibile.» «Sembrerebbe un oggetto costoso», fu il commento del marito. «Non ho fatto molto caso alla donna, ma dal suo abbigliamento direi che frequenta più i negozi dove vendono i vestiti usati che le boutique.» «Proprio così. Rammento benissimo che portava una giacca a vento di nylon blu piuttosto logora e un paio di pantaloni sempre blu di quelli che si comprano alle svendite. Sfortunatamente, ero troppo interessata alla bambina per guardarla bene. Ma hai ragione, un porte-enfant con il bordo di satin è certamente un oggetto costoso.» Poi un pensiero inquietante la colpì. «Willy, credi che abbia rapito la piccola per conto di qualcun altro? Se così fosse, ora Marianne potrebbe essere ovunque.» Scostò la sedia e si alzò. «Non ho tempo da perdere.» A dispetto della slitta di compensato e dei suoi occupanti, l'atrio dell'Empire Hospital aveva perso tutta la sua allegria. Ora il corridoio che portava agli ascensori era sorvegliato da un addetto alla sicurezza e nessuno poteva accedervi se non era munito di regolare pass. Quando Alvirah fece il nome di Joan O'Brien, venne informata che la signora non poteva ricevere visite, ma riuscì a convincere la centralinista a telefonare a Gregg, dal quale apprese che Joan non era più ricoverata nel reparto maternità. «Sì, i regali sono ancora nell'armadietto della 1121», confermò il giovane quando Alvirah gli ebbe spiegato ciò di cui aveva bisogno. «Possiamo incontrarci lì.» Alvirah rimase sgomenta nel vedere Gregg. Sembrava invecchiato di dieci anni in una notte, aveva gli occhi iniettati di sangue e la fronte e il viso segnati da rughe profonde. Benché commossa, non perse tempo in espressioni di simpatia che non lo avrebbero minimamente confortato. Gregg sapeva che lei gli era vicino, e questo bastava.
«Aiutami ad aprire questi pacchetti», gli ordinò invece. «Io leggerò ad alta voce le etichette dei negozi da cui provengono e tu ne prenderai nota.» I negozi erano dodici in tutto, dato che Alvirah aveva fatto acquisti da Saks e da Bloomingdale, ma anche incetta di golfini lavorati a mano venduti in una boutique di Madison Avenue, così come di camicine da notte e pigiamini scoperti in oscuri negozietti del Greenwich Village e dell'Upper West Side. Quando l'elenco fu completato, Alvirah raccolse frettolosamente i piccoli indumenti e li accatastò nelle scatole più grosse. Aveva appena finito quando entrò un funzionario della polizia in cerca di Gregg. «Ci sono novità, signor O'Brien», annunciò. «È arrivata una telefonata sulla linea che abbiamo predisposto. Un tizio ci ha detto che ieri la moglie di suo cugino è arrivata a casa con una bambina che sostiene essere sua. Solo che non era incinta.» Una luce di speranza si accese sul viso di Gregg. «Chi è? Da dove chiama?» «Dice di essere di Long Island e ha promesso di ritelefonare. C'è un intoppo, però. Pensa che la sua informazione valga ventimila dollari.» «Questo non è un problema», intervenne Alvirah con voce secca, benché avesse il presentimento che quella pista non avrebbe condotto a nulla. «Vonny, la bambina ha assolutamente bisogno di vestitini nuovi», azzardò timidamente Wanda Brown. Era mercoledì pomeriggio, la nipote era da lei ormai da un'intera giornata e aveva cambiato la piccola una volta soltanto. «Questo appartamento è pieno di spifferi e le è rimasta solo una tutina. Per avere due settimane, è proprio piccolina e se prende un raffreddore potrebbe ammalarsi seriamente.» «I miei bambini sono sempre stati piccoli», borbottò allora Vonny, esaminando il biberon che aveva in mano. «Beve così lentamente», si lamentò poi. «Perché si sta addormentando. Devi avere pazienza. Se vuoi, finisco io di darle il biberon, mentre tu vai a fare qualche spesa. Dove sei andata a rifornirti dopo che ti hanno rubato la valigia?» «In quel negozio di vestiti usati di fronte alla Port Authority. Non avevano molto per neonati, però; solo il porte-enfant e quelle.» Vonny indicò con la mano la tutina e la camiciola messe ad asciugare sul termosifone. «Però aspettavano altra roba. Sì, forse potrei farci un salto.» Si alzò e tese la bambina alla nonna. Dopo una breve esitazione, le porse
anche il biberon. «Si sta raffreddando, ma non preoccuparti. E, soprattutto, non metterti a girare per casa con lei in braccio, d'accordo?» «Certo che no.» Wanda Brown si sforzò di non mostrare il proprio sgomento quando prese in mano il biberon. Era gelido. Vonny non si era affatto preoccupata di riscaldarlo. «Un'altra cosa, nonna. Non voglio che altri la prendano in braccio mentre non ci sono.» «Ma, Vonny, sai bene che non viene mai nessuno a trovarmi, a parte le suore che fanno un salto una volta alla settimana o giù di lì. Ti piacerebbero, sai. Suor Cordelia e suor Maeve Marie sono quelle che vengono più spesso. Si preoccupano che le persone sole come me abbiano sempre abbastanza da mangiare, che non si ammalino e stiano al caldo. Proprio l'altro mese suor Cordelia mi ha mandato suo fratello Willy, che è idraulico, perché c'era una perdita sotto il lavello della cucina. Che brav'uomo! Suor Maeve Marie è passata lunedì, ma torneranno solo la vigilia di Natale, per portarmi un pranzo speciale. Sono sicura che ce ne sarà abbastanza per due.» «Ma la bambina e io non saremo più qui.» «Certo, dimenticavo. È normale che tu voglia passare il Natale con tuo marito.» Vonny si infilò la giacca a vento. I capelli scuri le ricadevano arruffati sulle spalle. Sulla porta si girò. «Le prenderò delle cose carine, vedrai. Voglio bene alla mia bambina. Volevo bene anche agli altri.» Una smorfia di dolore le alterò il viso. «Non è stata colpa mia.» «Lo so, tesoro», la rassicurò Wanda. Attese qualche minuto, e quando fu sicura che Vonny non sarebbe tornata indietro, depose la piccola sul divano e la coprì col suo logoro plaid. Col biberon in mano e sostenendosi al bastone, si diresse zoppicando verso la cucina. Una bambina così piccola non può bere il latte freddo, pensava. Riempì d'acqua un pentolino, lo posò sul fornello e prima di accenderlo vi mise dentro il biberon. Mentre aspettava, contemplava con una certa apprensione il lungo viaggio in pullman fino a Pittsburgh che Vonny e la piccola avrebbero dovuto affrontare. Poi un altro pensiero la colpì. Durante la sua ultima visita, suor Maeve Marie le aveva detto che le suore stavano per aprire un negozio di abbigliamento usato sull'Ottantaseiesima. Lì la gente avrebbe potuto procurarsi abiti a basso costo, e i più indigenti li avrebbero avuti gratis. Forse avrebbe dovuto telefonare alle suore e spiegare che Vonny aveva perso gli indumenti della bambina. Non era escluso che
loro potessero aiutarla. Quando il biberon fu caldo, tornò in soggiorno e dette il latte alla piccola, solleticandola gentilmente sotto il collo per impedirle di riaddormentarsi. Intanto, valutava i pro e i contro di un'eventuale telefonata a suor Maeve Marie. Alla fine decise di aspettare. Forse Vonny sarebbe tornata con qualche capo grazioso, e dopotutto le aveva detto di non volere estranei intorno alla figlia. Un divieto che probabilmente riguardava anche le religiose. Non male, pensò soddisfatta quando il biberon fu vuoto. Poi un leggero rumore le fece drizzare le orecchie. La bambina respirava forse con un po' di fatica? Oh, speriamo che non si prenda un raffreddore, si augurò Wanda. È talmente piccola, e se le capitasse qualcosa Vonny ne avrebbe il cuore spezzato... Dato che il televisore era rotto, Wanda accese la radio per ascoltare il notiziario di mezzogiorno. La notizia più importante era ancora il rapimento O'Brien. Lo sconosciuto aveva telefonato di nuovo e gli era stata promessa una ricompensa di ventimila dollari. Le autorità aspettavano che si facesse vivo per la terza volta così da poter prendere gli accordi necessari: se avesse accompagnato la polizia a casa della cugina, avrebbe ricevuto il denaro. Che cosa terribile, pensò Wanda mentre cullava la bambina di Vonny. Con quale coraggio si poteva rapire il figlio di un'altra donna? Alvirah dedicò il resto del mercoledì e l'intero giovedì a visitare i negozi presso cui aveva fatto acquisti. «Avete o avevate un porte-enfant giallo con un bordo di satin bianco?» era la domanda che ripeteva a tutti, ma la risposta era sempre negativa. Molte commesse le spiegarono che i porte-enfant non erano più molto richiesti, soprattutto se gialli. E un bordo di satin bianco, aggiungevano, sarebbe stato decisamente poco pratico. Verissimo, pensava Alvirah sempre più frustrata. Ma quello era giallo e bianco. Evidentemente proviene da un negozio che vende articoli esclusivi. Forse l'ho semplicemente visto in una vetrina. Decise di prendere in considerazione anche questa possibilità e, dopo qualche altro inutile tentativo, cominciò a gironzolare tra le strade del quartiere nella speranza che una vetrina risvegliasse i suoi ricordi. Nel tardo pomeriggio iniziò a nevicare, falde leggere accompagnate da un vento umido, freddo. Oh, Signore, pregò Alvirah mentre tornava verso
casa, fa' che la bambina sia al caldo e ben nutrita. L'atrio dello stabile di Central Park Sud, gaiamente decorato in vista delle feste di Natale e del Hannukka, sembrava quasi farsi beffe della sua desolazione. Appena in casa, si preparò una bella tazza di tè, poi telefonò all'ospedale e chiese di parlare con Gregg. «Sono qui con Joan», disse lui. «Ha detto che non prenderà altri sedativi. Ha saputo della telefonata e della ricompensa che hai offerto e vuole parlarti.» Col cuore gonfio, Alvirah ascoltò Joan ringraziarla in un bisbiglio per la sua generosità e promettere di restituirle l'intera cifra fino all'ultimo soldo. «Non pensare ai soldi», le rispose, fingendo una gaiezza che non provava. «L'importante è che il secondo nome di Marianne sia Alvirah.» «Ma certo, è una promessa», disse Joan. «Stavo solo scherzando, Joanie. È un nome troppo antiquato per una bambina.» Willy entrò mentre stava riattaccando. «Buone notizie?» chiese lui con fare speranzoso. «Come vorrei poterti rispondere di sì. Willy, se tu sapessi che la moglie di tuo cugino ha rapito la bambina di qualcun altro e ti venisse garantita la ricompensa che hai chiesto, non ti verrebbe naturale riferire subito alla polizia dove possono trovarla?» «Forse quell'uomo ha paura che la donna impazzisca se le portano via la bambina.» «Dovrebbe preoccuparlo di più la possibilità che accada qualcosa alla piccola. Perché la ricompensa verrà pagata solo se ci verrà restituita sana e salva, e questo lui non può non saperlo. No, Willy, sono sicura che voglia imbrogliarci. Credo che stia cercando il modo di mettere le mani sulla ricompensa per poi sparire.» Aveva un'espressione terribilmente infelice e Willy capì che si stava ancora biasimando per quanto era accaduto. «Ho informato Cordelia», disse. «Tu eri uscita da poco quando ha telefonato. Lei e le sue consorelle stanno pregando ventiquattro ore su ventiquattro, e ha chiesto ai suoi protetti di fare altrettanto.» Alvirah fece un mezzo sorriso: «Se la conosco, probabilmente starà dicendo: 'Ora ascoltami bene, Signore...'» «Più o meno», concordò Willy. «Sta di fatto che prega e lavora contemporaneamente. La sua idea di aprire a scopi benefici un negozio di abiti usati sta avendo un gran successo. Ci sono passato ieri; c'era un sacco di
gente che era lì a comprare.» «Be', Cordelia non è tipo da accettare indumenti in cattivo stato», commentò Alvirah. «E fa bene... solo perché una persona attraversa un periodo sfortunato, questo non significa che debba andare in giro vestita di stracci.» «Ora ha esposto un cartello in cui chiede giochi da tavolo e giocattoli. E ha incaricato alcuni volontari di impacchettare con carta da regalo gli acquisti destinati ai bambini. Dice che tutti i bambini dovrebbe avere qualche pacchetto da scartare la mattina di Natale.» «Una volontà di ferro e un cuore d'oro, ecco com'è la nostra Cordelia», disse Alvirah con un sospiro. Poi esplose: «Willy, mi sento così impotente, così maledettamente impotente. Pregare è importante, ma io ho la sensazione di dover fare di più. Qualcosa di più... attivo. Questa attesa mi sta facendo impazzire». Willy si chinò ad abbracciarla. «Dovresti tenerti occupata. Perché domani non vai a dare una mano a Cordelia? Mancano solo due giorni a Natale, e ci sarà di sicuro una gran folla.» La mattina del 23 dicembre, alla stazione centrale di polizia la tensione degli investigatori che si occupavano del rapimento ormai tra loro noto come «il caso del porte-enfant» raggiunse il suo acme. A quel punto l'intera squadra dubitava dell'attendibilità delle telefonate del misterioso individuo. Erano riusciti infatti a rintracciare le sue due ultime chiamate, che provenivano entrambe dal Bronx, e non da Long Island, e da cabine telefoniche poco distanti l'una dall'altra. In quel momento degli agenti in borghese pattugliavano l'area compresa tra Fordham Road e Grand Concourse, e tenevano sotto sorveglianza i telefoni pubblici, pronti a mettere le mani sullo sconosciuto millantatore. Alcuni esperti stavano studiando le videocassette registrate il 20 dicembre dalle telecamere a circuito chiuso dell'Empire Hospital, dedicando particolare attenzione a quelle che mostravano l'atrio e la zona degli ascensori. Nella registrazione in cui comparivano anche Alvirah e Willy, la sospetta si intravedeva appena, e solo il porte-enfant risaltava, proprio a causa del bordo di satin bianco. Nella squadra si discuteva ancora animatamente dell'opportunità di rendere pubblico o no quel particolare. Naturalmente, tutti i poliziotti di New York avevano ricevuto la descrizione del porte-enfant giallo ma, come fece notare un agente investigativo: «Se la rapitrice dovesse sentirne la descrizione per radio o per televisione, si affretterebbe a
buttarlo in un cestino dei rifiuti. Tacendo, invece, ci resta la speranza che lo utilizzi quando esce con la bambina, e uno di noi potrebbe identificarla». La telefonata del presunto informatore era attesa per le dieci del 23 mattina. Ma con grande angoscia di Joan e di Gregg O'Brien, le dieci arrivarono e passarono. Le undici, le dodici, e ancora nessuna telefonata. L'uomo si fece vivo alle tre. Aveva cambiato idea. «Li ho visti, i poliziotti, che cosa credete?» ringhiò. «Non rivedrete mai più la bambina. Che se la tenga la moglie di mio cugino.» Stava mentendo, nessuno ne dubitava più. Il suo era stato solo un bluff. Oppure no? E se invece si erano lasciati sfuggire l'unica possibilità di riavere indietro la piccola sana e salva? Pochi minuti dopo, i media trasmettevano suppliche frenetiche. Richiama. Ristabilisci il contatto. Non ti verrà fatta alcuna domanda. Se sei ricercato per qualche crimine, ti promettiamo clemenza. I genitori di Marianne stanno per crollare. Abbi pietà di loro. Gli abitini acquistati da Vonny nel negozio vicino alla Port Authority erano decisamente troppo grandi per la neonata. «Quelli della misura giusta se li era già accaparrati qualcun altro», si era difesa con aria irritata. Aveva già dato alla piccola la poppata di mezzogiorno e ora, armata di una spilla da balia, Vonny stava cercando di impedire alle spalline della canottiera di scivolare lungo le braccine sottili. «Stai ferma!» scattò a un certo punto, spazientita. «Lascia che faccia io», si affrettò a intervenire Wanda. «Perché tu non scendi a prendere un caffè e un bagel nel negozio qui sotto? È da stamattina che non mangi nulla e i bagel ti sono sempre piaciuti.» «Forse lo farò.» Non appena la porta si chiuse alle spalle della nipote, Wanda si avvicinò zoppicando al telefono e compose il numero dell'appartamento, distante dieci isolati, in cui suor Cordelia e suor Maeve Marie abitavano con altre quattro consorelle. Scherzosamente, le religiose lo definivano il loro mini convento. Le rispose una delle suore più anziane. Cordelia e Maeve Marie erano andate al negozio. Stavano ricevendo delle donazioni estremamente generose e volevano completare al più presto la cernita degli indumenti. Ah, sì, Maeve Marie le aveva detto che avevano un ottimo assortimento di capi per neonati. «Le conviene mandare sua nipote a dare un'occhiata. Sono
certa che troverà tutto quanto le serve.» Ma quando Vonny rientrò, il suo umore sembrava perfino peggiorato, e temendo che si arrabbiasse con lei per aver parlato ad altri della bambina, Wanda preferì tacere. Forse l'indomani sarebbe tornata la dolce Vonny di sempre, si augurò con un sospiro. Dall'arrivo della nipote, dormiva sul divano, e le molle rotte avevano aggravato i dolori artritici di cui soffriva e che le rendevano tanto difficile la deambulazione. Nondimeno, era contenta di aver ceduto il suo letto a Vonny, benché la preoccupasse sapere che dormiva con la bambina. E se nel sonno l'avesse schiacciata con il suo peso, com'era successo con il primo figlio, sei anni prima? Wanda non aveva mai dimenticato quella terribile notte all'Empire Hospital, quando le avevano detto che il piccolo era morto soffocato. E se Vonny avesse avuto uno dei suoi svenimenti mentre le faceva il bagno? Perché questa era stata la fine del secondo... era affogato. Non è bene che ne abbia avuto un terzo subito dopo essere uscita dall'ospedale psichiatrico, pensò ancora. Non è ancora in grado di prendersi cura di una neonata. Per un certo verso, scoprì Alvirah, il lavoro le era di aiuto. Sotto un altro aspetto, tuttavia, le riusciva estremamente penoso maneggiare quei minuscoli indumenti per bambini, tutti gaiamente decorati con immagini di Topolino, Barney il Dinosauro e Cenerentola. La costringevano a pensare continuamente che forse nulla di simile sarebbe mai entrato nella casa di Gregg e di Joan. «Preferisco occuparmi degli indumenti per adulti», finì col dire a Cordelia. Gli occhi grigio acciaio della religiosa si addolcirono. «Alvirah, perché non affidi ogni cosa al Signore e preghi, invece di continuare a biasimare te stessa?» «Ci proverò.» Ma aveva gli occhi pieni di lacrime mentre si avvicinava al tavolo su cui erano impilati gli indumenti femminili. Cordelia aveva ragione. Signore, pregò mentalmente, questa volta non sono abbastanza serena per mettere a frutto le mie capacità di investigatrice. Questa volta tocca a Te. Di solito, chiacchierare con la gente le piaceva e riusciva sempre a trovare qualcosa di interessante nei suoi interlocutori. Ma quel giorno se ne rimase con la testa china sul lavoro, dividendo gli indumenti secondo le taglie e disponendoli negli appositi contenitori. Tuttavia, benché non parlas-
se, le era comunque di sollievo vedere la folla che riempiva il negozio e ascoltare le esclamazioni ammirate dei clienti. Mentre stava ordinando una pila di magliette e di top per adolescenti, sentì una donna esclamare: «Tutto ha l'aria talmente nuova! Proprio non sembrano vestiti usati. Mia figlia sarà al settimo cielo. Ero sicura che non avrei potuto permettermi di prenderle nulla per le vacanze, ma qui i prezzi sono così ragionevoli. Questo qui, per esempio, sembra uscito da una boutique della Quinta Avenue!» «Hai proprio ragione.» Alvirah rimase in negozio fino alle otto. Willy aveva visto giusto... tenersi occupata le aveva fatto bene, ma non riusciva a liberarsi dalla sensazione di essersi lasciata sfuggire qualcosa. E quel pensiero continuò a tormentarla durante tutto il tragitto di ritorno. Willy aveva preparato la cena, ma lei aveva poco appetito e riuscì a malapena a ingoiare qualche boccone dello spezzatino di maiale che era la specialità di suo marito. «Finirai per ammalarti», si preoccupò lui. «Forse non è stata una buona idea quella di andare al negozio, oggi.» «Mi ha aiutata moltissimo, invece. Se avessi sentito come decantavano la nostra merce! Una donna ha comperato un vestito per la figlia e ha detto che sembrava appena uscito da una boutique della Quinta Avenue.» Di colpo posò la forchetta. «Oh, mio Dio», alitò. «Ma certo!» «Certo che cosa?» «Willy, io sono stata nel negozio di Cordelia anche la settimana scorsa. È lì che ho visto il porte-enfant. Ne sono certa. Io mi occupavo dei vestiti da uomo, ma una delle volontarie stava riordinando i capi per bambini e quando ha ripiegato il porte-enfant non ho potuto fare a meno di notarlo.» Balzò in piedi, di nuovo pronta all'azione. «La rapitrice dev'essere stata lì. Chiamo subito la polizia.» L'alba della vigilia spuntò grigia e tetra e i bollettini meteorologici avvertirono la cittadinanza che erano previsti almeno diciotto centimetri di neve. Sarebbe stato un bianco Natale. Per Alvirah, la notte era stata lunga e carica di preoccupazione. La squadra addetta al caso aveva accettato di incontrarla nel negozio di Cordelia alle otto del mattino, orario di apertura, ma la sua telefonata alla cognata era stata a dir poco scoraggiante. La religiosa le aveva detto che la settimana precedente avevano inviato parecchi indumenti, tra cui anche capi
per bambini, ad altri punti vendita patrocinati dal convento. Due erano nel Bronx e un terzo vicino alla Port Authority, in piena Manhattan. Finché non fosse stato possibile radunare le volontarie e interrogarle a una a una, Alvirah non avrebbe potuto stabilire con certezza dove era stato venduto il porte-enfant. «Domattina chiederò a tutte di passare da noi», le aveva promesso Cordelia. «Speriamo che una di loro si ricordi del porte-enfant. Tu continua a pregare, Alvirah. Vedi che le risposte cominciano già ad arrivare?» Durante le lunghe ore di insonnia, Alvirah aveva discusso della situazione col marito. «Se scopriamo che il porte-enfant è finito nel Bronx, allora forse quell'uomo diceva la verità e sa dove si trova la piccola Marianne. D'altro canto, se è stato mandato nel negozio della Port Authority, quella donna potrebbe aver preso un autobus subito dopo il rapimento e a quest'ora trovarsi chissà dove.» Alle sei del mattino, Alvirah era certa di essersi lasciata alle spalle la notte più lunga della sua vita. «Oggi parto, nonna», annunciò Vonny quando alle otto rientrò con in mano un sacchetto con due tazze di caffè e due bagel. Era di buon umore, Wanda lo capì subito. Il fatto che avesse portato caffè e bagel anche per lei ne era la prova. Quando voleva, Vonny sapeva essere talmente dolce! Durante la notte aveva sbraitato contro la bambina, poi però si era alzata e le aveva riscaldato il biberon. Evidentemente cominciava ad abituarsi alle sue nuove responsabilità. Decise così di azzardare una protesta: «Il tempo non promette bene, e alla vigilia di Natale si mette in viaggio talmente tanta gente!» Vonny fece un sorriso tirato. «Lo so. Ma a me piace. Mi diverte stare in mezzo alla gente.» «Vonny, ti ho vista troppo delusa dopo la visita al negozio del centro, e ho preferito non dirti nulla... ma nel quartiere ce n'è un altro gestito dalle mie amiche suore.» E concluse con una piccola bugia: «La settimana scorsa una di loro mi ha detto che hanno delle cosine deliziose per bambini e neonati. Perché non fai un salto a comprare qualcosa prima di partire? La bambina è un po' raffreddata, e sarebbe consigliabile farla viaggiare ben coperta.» «Forse lo farò. Per che ora aspetti il tuo pranzo di Natale?» «Non prima delle tre.» «Io devo prendere il pullman delle due.»
Non vuole incontrarle, pensò Wanda. Vonny era sempre stata una solitaria. Alle nove, gli agenti investigativi avevano parlato con tutte le volontarie che suor Cordelia era riuscita a radunare in negozio, e una di loro ricordava perfettamente che la scatola contenente il porte-enfant giallo era stata spedita qualche giorno prima al negozio vicino alla Port Authority. «Non poteva andar peggio», ammise uno degli agenti parlando con Alvirah. «Se fosse stato venduto qui, avremmo potuto setacciare la zona. Se invece fosse stato mandato nel Bronx, allora forse il nostro misterioso interlocutore parlava sul serio e non stava cercando solo di mettere le mani sulla ricompensa. Cercheremo di scoprire chi ha venduto il porte-enfant, ma, anche se riuscissimo a farci dare una descrizione della donna, la mia ipotesi è che lei e la bambina non siano più a New York.» «Sono d'accordo con lei», mormorò Alvirah. «Ma devo continuare a sperare e a pregare. Qualcuno ha parlato con Gregg, stamattina?» «L'ispettore. Sembrava che oggi avrebbero rimandato a casa la moglie, ma il medico che la segue ha deciso di non farla uscire. È molto depressa e lui teme che possa fare qualcosa di avventato. La terrà sotto osservazione fino a domani. Natale sarà una giornata terribile per Joan O'Brien.» «Ma con lei ci sarà Gregg.» «Quel pover'uomo è esausto; secondo il dottore finirà per addormentarsi in piedi.» L'agente rispose con un cenno di assenso al richiamo del tenente. «Ora dobbiamo andare in centro. La terremo informata, signora Meehan. E grazie.» Ci vado anch'io, decise Alvirah, ma in quel momento vide Cordelia che si avvicinava. «Detesto dovertelo chiedere», esordì la religiosa, «ma non potresti restare fino a mezzogiorno? Ho proprio un gran bisogno del tuo aiuto.» «Sicuro. Che cosa devo fare?» «Dividere i capi per bambini. Sono di nuovo tutti sottosopra. C'è gente che non si da pensiero degli altri.» Poi, dopo una breve esitazione, aggiunse: «Dopo la tua telefonata di ieri sera, abbiamo discusso a lungo del rapimento, e suor Bernadette ha detto qualcosa che mi ha colpito. Qualcuno ha telefonato per chiedere se in negozio tenevamo abiti per bambini. Era una donna; sua nipote, ha detto, era andata a trovarla con la figlia appena nata e durante il viaggio qualcuno le aveva rubato la valigia con gli indumenti della piccola».
«Ha detto come si chiamava?» «No. Suor Bernadette sostiene che era una voce familiare, ma non è riuscita a identificarla.» Cordelia alzò le spalle. «Chissà, forse ci stiamo solo illudendo...» Seppure a fatica, nell'ora successiva Alvirah riuscì a mantenere il sorriso mentre divideva e impilava gli indumenti per bambini. Ma ebbe un tuffo al cuore quando si trovò tra le mani una minuscola giacchina di lana gialla, con il cappuccio ornato da una balza di satin bianco. Le ricordava moltissimo il porte-enfant. Di colpo sbarrò gli occhi. Possibile che la giacchina fosse abbinata al porte-enfant? Ma sì, doveva essere per forza così! La stessa ottima qualità di lana, il bordo di satin... i due capi dovevano essere stati inavvertitamente separati e solo per questo la giacca non era finita nei pacchi destinati al negozio di Manhattan. Doveva portarla subito alla polizia; in questo modo avrebbero identificato l'esatto colore dell'indumento che cercavano. «Posso vederla, per favore?» Alvirah si voltò; davanti a lei c'era una donna sulla trentina, con indosso un paio di jeans e una comune giacca a vento. Tra i capelli neri spiccava un'ampia striatura bianca. Lo stomaco le si serrò. La donna era dell'età e dell'altezza giuste e senza la parrucca e la sciarpa chiunque avrebbe notato la sua bizzarra capigliatura. Finalmente si rese conto che l'altra la stava guardando con aria incuriosita. «Qualche problema?» In silenzio, Alvirah le tese la giacchina. Non voleva parlare, per timore di essere riconosciuta. Ma improvvisamente la vide fare un gesto brusco e quindi affrettarsi verso l'uscita. Dunque è proprio lei, pensò Alvirah. E mi ha riconosciuta. Si precipitò verso la porta, ma nella fretta inciampò nel giocattolo che un bambino si trascinava dietro e cadde. «Aspetti!» gridò. Delle mani si protesero ad aiutarla. La madre del bambino tentò di scusarsi, ma senza darle retta Alvirah le passò accanto e uscì in strada. La donna bruna era già a metà isolato. «Aspetti!» gridò lei di nuovo. L'altra si voltò a guardarla, poi spiccò la corsa. I passanti sbirciavano incuriositi Alvirah che si apriva un varco tra la ressa. Incurante del vento gelido e della neve che era cominciata a cadere, continuò a correre, gli occhi fissi sulla donna, e intanto pregava di imbat-
tersi in un poliziotto. La vide voltare a sinistra sull'Ottantunesima, e riuscì a raggiungerla quando fu all'altezza di un'auto parcheggiata davanti al Museo di storia naturale. Il conducente saltò giù. «Che succede, Dorine?» «C'è una pazza, Eddy! Mi sta seguendo.» L'uomo si accostò ad Alvirah, che ansimava per lo sforzo. «Qualche problema, signora?» Ma a lei era bastata un'occhiata al sedile posteriore dell'auto, dove due bambini sedevano nei loro seggioloni. Il più piccolo aveva una gran massa di capelli scuri. «In effetti sì, la stavo seguendo», mormorò rivolta alla giovane donna. «Ma temo di aver commesso un errore. Mi dispiace. Quando ha preso quella giacchina di lana, l'ho scambiata per un'altra e poi, vedendola uscire così di corsa, ho creduto che mi avesse riconosciuta.» «L'ho messa giù perché mi sono accorta subito che era troppo piccola per mio figlio», replicò l'altra. «Quanto a lei, non l'ho mai vista prima, ma aveva una tale espressione che l'ho presa per pazza.» Sorrise. «Ma non si preoccupi. È la vigilia di Natale, e siamo tutti un po' tesi.» Lentamente, Alvirah tornò sui suoi passi. Si sentiva gelata fin nelle ossa. Decise che avrebbe telefonato alla polizia per informare gli agenti della giacchina e poi sarebbe andata direttamente a casa sua. In negozio, arginò in qualche modo le domande delle altre volontarie. «Nulla di importante; pensavo di conoscere quella donna, tutto qui.» Ma quando fece ritorno al suo tavolo, la piccola giacca di lana gialla non c'era più. Oh, no... pensò, sopraffatta dalla disperazione. Si rivolse alla ragazzina che lavorava lì accanto. «Tara, per caso hai visto chi ha comperato una giacchina di lana gialla da neonato col cappuccio?» «Sì, una ragazza. Pochi minuti fa. L'ho aiutata a scegliere anche altra roba, vestiti e coperte. Quando ha notato la giacchina era tutta contenta. Pare che facesse parte di un completo che aveva acquistato in un altro dei nostri negozi. Una tutina o qualcosa del genere, credo.» Alvirah sentì che le ginocchia le cedevano. «Che aspetto aveva?» «Oh, non saprei», replicò l'altra con una stretta di spalle. «Capelli scuri. Alta più o meno come lei. Vicino alla trentina. Indossava una giacca a vento grigio scuro... no, blu. Al posto suo, già che c'ero, avrei dato un'occhiata anche all'abbigliamento per signora.» Ma Alvirah non l'ascoltava più. Per un istante pensò di cercare aiuto, ma
non poteva sprecare tempo prezioso. Anche un secondo poteva essere vitale. Afferrò la mano di Tara. «Tu vieni con me.» «Ehi, ma io ho da fare!» «Vieni, ho detto!» Stavano uscendo quando Cordelia emerse dalla stanza sul retro. «Alvirah!» gridò. «Qualcosa non va?» «Chiama la polizia», rispose lei senza fermarsi. «La rapitrice era qui pochi minuti fa.» Columbus Avenue era affollatissima. Disperata, Alvirah si guardò intorno. Quanta gente! «Hai detto che quella donna ha comperato altre cose. Aveva una borsa, qualcosa con sé?» «Due dei nostri sacchetti bianchi, quelli grandi.» «Se sono pieni, non potrà camminare molto in fretta», mormorò Alvirah fra sé e sé. Improvvisamente Tara sembrò capire che cosa aveva scatenato la sua reazione. «Signora Meehan, crede che la giacca fosse abbinata al porteenfant giallo che interessa tanto ai poliziotti? Perché, in effetti, le borse erano così pesanti che mi è venuto spontaneo chiederle se andava lontano. Lei ha detto di no, che doveva solo risalire la Diciannovesima e quindi percorrere qualche isolato.» Alvirah l'avrebbe baciata volentieri; invece disse seccamente: «Ora ascoltami bene. Torna in negozio e racconta tutto a suor Cordelia. Dille che i poliziotti devono perlustrare la zona tra qui e la Diciannovesima. Dille che ci stiamo avvicinando al porte-enfant!» Il buon umore di Vonny non era durato a lungo. La bambina aveva cominciato ad agitarsi subito dopo la poppata delle dieci, e non c'era stato verso di calmarla. Temendo di provocare una scenata, Wanda aveva preferito non affrontare di nuovo la questione del suo scarso guardaroba. Vonny aveva imprecato e borbottato e in ultimo, esasperata dal piagnucolio della piccola, era uscita per andare al negozio di abiti usati. Ora tornava a casa trascinando i due pesanti sacchetti, e i sette isolati che separavano l'Ottantaseiesima dall'incrocio fra la Diciannovesima e West End Avenue cominciavano a sembrarle infiniti. Era arrabbiata e con i nervi a fior di pelle. «Maledetta marmocchia», brontolò. «È una peste, proprio come gli altri.» La bambina piangeva ancora quando rientrò. Wanda, col viso stanco e segnato, la teneva tra le braccia cullandola. «Che diavolo le prende, ora?» sibilò Vonny.
«Ho la sensazione che non si senta bene.» Il tono di Wanda era quasi di scusa. «Ho paura che abbia un po' di febbre. Non credo che oggi dovresti portarla fuori. Potrebbe essere pericoloso.» Senza farle caso, Vonny si chinò sulla piccola. «Chiudi il becco!» urlò. Era accigliata, con un'espressione dura negli occhi, e guardandola Wanda si sentì stringere il cuore. L'aveva già vista così in passato, sapeva quanto poteva essere pericolosa in quelle condizioni. E nondimeno, doveva dirglielo. «Vonny, cara, eri uscita da poco quando ha telefonato suor Maeve Marie. Sarà qui tra pochi minuti col pranzo di Natale. Hanno cominciato prima del solito la distribuzione per via del brutto tempo.» Le sopracciglia della ragazza si inarcarono a formare un'unica linea scura. «Le hai chiesto tu di venire prima, nonna?» «No, cara.» Wanda allungò un colpetto gentile sulla schiena della piccina. «Zitta, zitta... Oh, Vonny, ha il catarro.» «Starà bene una volta che saremo a Pittsburgh.» Vonny sparì in camera con i sacchetti, ma ricomparve subito. «Non voglio parlare con quella suora, né farle vedere la mia bambina. Dammela. Ce ne staremo di là finché non se ne sarà andata.» Alvirah si dirigeva frettolosamente verso il centro città, perlustrando con gli occhi gli incroci che attraversava. Più volte si fermò a chiedere a un passante se aveva visto una donna con indosso una giacca a vento blu e con due grosse borse della spesa. All'incrocio tra l'Ottantaseiesima e Broadway ebbe fortuna. Un edicolante le disse di aver visto una donna corrispondente a quella descrizione solo pochi minuti prima. «Si dirigeva verso West End», aggiunse. Fra l'Ottantottesima e West End Avenue, fu un vecchio che spingeva un carrello per la spesa a fornirle la seconda traccia. Aveva notato la ragazza, spiegò, perché si era fermata un momento per appoggiare a terra le borse e riposare le braccia. «Borbottava fra sé e sé e sudava», concluse in tono di disapprovazione. «Che razza di spirito natalizio!» Le prime autopattuglie raggiunsero Alvirah all'altezza dell'Ottantanovesima. Tara doveva aver fatto un racconto convincente. «Batteremo a tappeto la zona», la informò in tono brusco un sergente. «Se necessario, perquisiremo le case una per una. Perché lei non va a riposare, signora Meehan?» «Non posso», rispose Alvirah. L'altro la guardò con una punta di compassione. «Finirà per prendersi una polmonite. Vada almeno a sedersi in macchina, lì starà al caldo. Alla
donna penseremo noi.» Fu in quel momento che comparve suor Maeve Marie con un grosso cesto infilato nel braccio. Come suor Cordelia, portava una tonaca lunga alla caviglia e il vento le gonfiava il velo. Parve sorpresa di vedere Alvirah e i poliziotti. Si accostò al sergente, che conosceva. «Salve, Tom», lo salutò. E ad Alvirah: «Qualcosa non va?» «La rapitrice della bambina è qui, in questo quartiere?» proruppe non appena fu informata della situazione. «Grazie a Dio!» Poi il poliziotto che era ancora in lei prese il sopravvento: «Avete isolato la zona, Tom?» «Ce ne stiamo occupando proprio adesso, Maeve. Effettueremo una ricerca a porta a porta. Ma, ti prego, cerca di persuadere la signora Meehan ad aspettare in macchina. Ha l'aria di stare per svenire da un momento all'altro.» «Non sverrà», replicò brusca Maeve, mentre altre autopattuglie si fermavano lì vicino con uno stridio di freni. «Piuttosto aiutami a consegnare i cestini, Alvirah; in due faremo molto prima. Alcune delle persone che mi aspettano parleranno sicuramente più volentieri con noi che con gli agenti. Il nostro furgone è parcheggiato lì all'angolo.» Guardò il sergente. «In sosta vietata.» Qualcosa da fare, finalmente! Alvirah sapeva che Maeve aveva ragione. Per timore di ripercussioni, i vecchi e gli ammalati erano spesso riluttanti a collaborare con la polizia e a volte non esitavano a nascondere informazioni anche importanti. Annuì. «Andiamo.» Maeve aveva quattro consegne da fare in quell'isolato. Il primo cesto era destinato a una coppia anziana che non metteva il naso fuori di casa dal giorno del Ringraziamento. Era una vicina a fare la spesa per loro e fu a lei che si rivolse Alvirah. «No», disse la donna. «Entro ed esco tutto il giorno e vedo tanta gente, ma nessuno mi ha parlato dell'arrivo di un bambino in questo edificio.» E neppure aveva visto una donna con un neonato avvolto in un porte-enfant giallo. La seconda consegna, tre edifici più avanti, era per due anziane signore: madre e figlia, rispettivamente di novanta e settant'anni. Sapevano tutto di Alvirah, dato che Willy era stato da loro a riparare il water. «Un uomo magnifico», dissero. Sfortunatamente, non avevano visto né sentito parlare di una ragazza bruna con un neonato. Nella terza casa trovarono una donna con tre bambini riuniti intorno a un albero di Natale sotto cui erano impilati alcuni pacchetti. «Tutta roba che
ho comprato nel vostro negozio», confidò la madre. «I ragazzi muoiono dalla voglia di scartare i regali.» Ma neppure lei poté aiutarle. «Con la prossima abbiamo finito», disse Maeve ad Alvirah quando furono di nuovo in strada. «Wanda Brown è una vecchina simpaticissima. È devastata dall'artrite e non ha parenti, fatta eccezione per una nipote che vive da qualche parte in Pennsylvania. Non ne parla spesso, ma, da quanto ho capito, la povera ragazza è stata molto sfortunata. Due bambini, morti entrambi poco dopo la nascita.» Stavano per entrare nello stabile all'angolo tra West End Avenue e la Diciannovesima. Di colpo si voltarono a guardarsi. «Maeve, stai pensando anche tu quello che sto pensando io?» sussurrò Alvirah. «La telefonata che ha ricevuto suor Bernadette! Una donna che voleva sapere se in negozio tenevamo indumenti per neonati... sua nipote aveva avuto una bambina. Oh, mio Dio, Alvirah, vado a chiamare Tom.» Un impulso a cui non seppe dare un nome spinse Alvirah a trattenerla. «No! Occupiamocene noi.» Dalla finestra, Vonny sorvegliava l'attività della polizia. La bambina era sul letto e le sue grida si erano ridotte a uno stanco piagnucolio. In quel momento vide la suora e un'altra donna entrare nel palazzo. Portavano un grosso cesto. Saettò in soggiorno. «Credo che il tuo pranzo di Natale stia arrivando, nonna», annunciò con voce piatta. «Ricordati, non una parola su di me e la bambina.» Wanda fece un sorriso timido. «Come vuoi tu, cara.» Vonny tornò in camera. La bambina si era addormentata. «Buon per te», bisbigliò lei. «L'appartamento ha tre stanze», sussurrò Maeve ad Alvirah mentre suonava il campanello. Poi gridò forte: «Sono io, Wanda: suor Maeve Marie». Alvirah annuì, i muscoli di tutto il corpo irrigiditi dalla tensione. Ti prego, Signore. Ti prego! Il trillo rauco del campanello echeggiò in tutta la casa, svegliando la piccola che subito scoppiò in pianto. Con un gesto irato, Vonny afferrò una calza e si chinò su di lei. Lentamente, Wanda Brown andò alla porta. Il sorriso che rivolse a suor Maeve era inquieto. «Ah, è troppo buona, sorella», disse sospirando.
«Questa è la signora Meehan», spiegò la religiosa. «Mi dà una mano a effettuare le consegne.» Alvirah passò accanto all'anziana padrona di casa, scandagliando con lo sguardo il piccolo ingresso e il soggiorno ingombro di mobili. Attraverso la porta semiaperta della cucina, vide dei piatti impilati sul tavolo e alcune pentole sui fornelli. Nulla però che indicasse la presenza di un neonato. Anche l'uscio della camera da letto era socchiuso e la stretta fenditura le permise di intravedere un letto sfatto e due pareti. No, sembrava proprio che la vecchia signora fosse sola in casa. «Wanda, è stata lei a telefonarci per via di sua nipote che aveva bisogno di vestiti per la figlia?» stava chiedendo Maeve. «A suor Bernadette è parso di riconoscere la sua voce.» Wanda impallidì. Di sicuro in quel momento Vonny era dietro la porta a origliare, come faceva un tempo. Si sarebbe arrabbiata con lei, e quando Vonny era arrabbiata... «Oh, no», mormorò con voce tremula. «Perché avrei dovuto farlo? Non vedo Vonny da quasi cinque anni. Abita a Pittsburgh.» L'espressione delusa negli occhi di Maeve rifletteva la sua, pensò Alvirah. «Be', buon Natale, allora», disse la religiosa. «Le lasciamo il cesto in cucina. Il tacchino è ancora caldo, ma se non lo mangia tutto stasera, si ricordi di surgelarlo.» Il senso di urgenza che animava Alvirah minacciava di sopraffarla. Sentiva che la piccola Marianne era in pericolo, un pericolo che cresceva di minuto in minuto. Doveva uscire di lì, doveva continuare le ricerche. Si affrettò in cucina, ma mentre si voltava, la manica del suo maglione si impigliò nella maniglia del frigorifero, che si aprì. Stava per richiuderlo quando i suoi occhi si posarono su un biberon semipieno, posato sul ripiano più in alto. «È stata lei a telefonare!» gridò, precipitandosi di là. «Sua nipote è qui! Dov'è? Che cosa ha fatto a Marianne?» L'occhiata terrorizzata che Wanda gettò alla camera fu una risposta più che eloquente. Con Maeve alle calcagna, Alvirah puntò decisa verso la porta. In quel momento comparve Vonny. Teneva la bambina nelle braccia tese davanti a sé. Le aveva legato una vecchia calza intorno alla bocca e gli occhi della piccola sporgevano minacciosamente. «La vuoi?» gridò Vonny. «Prendila, allora!» Alvirah ebbe appena il tempo di sollevare le braccia per raccogliere la bambina che volava verso di lei. La strinse a sé. Un istante dopo, Maeve
slacciava il bavaglio e un pianto acuto riempì l'appartamento. Non avevano mai sentito nulla di più bello. L'ambulanza correva lungo la Nona Avenue, diretta all'Empire Hospital. Un medico era chino su Marianne che, assicurata alla lettiga, lo fissava senza capire. «Piccolina ma resistente», osservò lui in tono soddisfatto. «Ha un leggero raffreddore, ma per il resto sembra in ottima forma, soprattutto se pensiamo a quello che ha passato.» Alvirah sedeva lì accanto, gli occhi fissi sul volto della piccola, e accanto a lei c'era una raggiante suor Maeve Marie. Alvirah non riusciva ancora a credere che tutto fosse finito, che Marianne fosse salva. Continuava a rivivere il terribile momento in cui aveva teso le braccia per riceverla e quello, pieno di inesprimibile sollievo, in cui aveva sentito i battiti di un cuoricino sotto le proprie dita. Di quanto era accaduto dopo ricordava solo frammenti... Vonny che correva dalla nonna, gridando che non aveva mai pensato di fare del male alla bambina, che non aveva voluto far del male a nessuno dei suoi figli. Maeve che si sporgeva dalla finestra per chiamare i poliziotti. Gli agenti che si precipitavano nell'appartamento; la folla di curiosi e le telecamere e i giornalisti che si erano materializzati in strada nel giro di pochi istanti. Un caos di immagini, simili a brandelli di un sogno folle, sconcertante, meraviglioso. L'ambulanza entrò nel piazzale dell'ospedale e due inservienti si affrettarono a spalancarne gli sportelli. Già parecchie mani si protendevano verso Marianne, quando Maeve si alzò e con voce ferma disse: «C'è solo una persona che ha il diritto di restituire la bambina a sua madre, ed è Alvirah Meehan». Meno di un minuto dopo, tra i lampi dei flash e gli applausi dei presenti, Alvirah entrava con passo trionfante nell'atrio dell'Empire Hospital, stringendo a sé Marianne avvolta nel porte-enfant giallo. Di lì a pochissimo, consegnava il suo piccolo, ma prezioso carico, a una radiosa Joan O'Brien. «Non ci hai messo molto a riprenderti», osservò Willy, mentre lui e Alvirah percorrevano sottobraccio la Quinta Avenue. Erano appena usciti dalla chiesa di San Patrizio dove avevano assistito a una messa di Natale che mai era parsa loro così gioiosa. «Proprio così», replicò lei in tono gaio. «Oh, Willy, non ho mai passato
un Natale più bello. Ho recitato una preghiera anche per quella ragazza, Vonny. È malata e ha bisogno di aiuto. Invece, mi si chiudeva la gola al pensiero di mettere una buona parola per quel truffatore che ha cercato di trascinarci su una falsa pista. Ma, dato che i poliziotti l'hanno rintracciato e che pagherà per quello che ha fatto, ho deciso che ne parlerò comunque nell'articolo.» Si guardò intorno. «Non trovi che New York sia bellissima con le strade piene di neve e le vetrine decorate a festa? Domani mattina dovrò fare altre spese per Marianne... naturalmente, dopo aver scritto il mio pezzo sul 'caso del porte-enfant' per il Globe. Oggi però...» Alvirah sorrise. «Oggi ho voglia soltanto di gustarmi il miracolo.» «Cioè che Marianne sta bene?» «Prova a pensarci, Willy... ho capito che era in quell'appartamento solo perché la manica mi si è impigliata nella maniglia del frigorifero e la maniglia era allentata. E questo il miracolo. Se lo sportello non si fosse aperto con tanta facilità, non avrei visto il biberon e se non avessi visto...» Willy sorrise. «Non dimenticare di parlarne a Cordelia, stasera a cena. Il mese scorso, quando ho riparato la perdita nella cucina di Wanda Brown, mi ero accorto che la maniglia del frigo si era allentata, e le avevo promesso di tornare a ripararla. Non più di una settimana fa Cordelia mi ha tormentato a non finire perché lo facessi. Ma tu mi avevi coinvolto a tal punto nella tua orgia di acquisti che non ne ho avuto il tempo.» Fece una pausa. «Sì, capisco che cosa intendi dire. E stato davvero un miracolo.» FINE