CHET WILLIAMSON ALI NELLA NOTTE (Clash By Night, 1998) A Mac e Robin. Non lasciate che la musica e la danza si fermino... Ringraziamenti L'autore desidera ringraziare John Douglas, Rich Miller, Jimmy Vines, Jeff Conner e Edward R. Pressman per la loro cortese assistenza nella realizzazione della presente incarnazione del Corvo. E qui noi siamo, come su un'oscura prateria Spazzata da confusi segnali di lotta e fuga, Dove eserciti ignari si scontrano di notte. MATTHEW ARNOLD, Dover Beach Parte prima Ah, amore, restiamo fedeli L'uno all'altro!... MATTHEW ARNOLD, Dover Beach 1 «È tempo di saldare i debiti, amici. Di rimettere le cose a posto.» Dovunque si girasse lo sguardo, nella stanza, c'era immondizia. Immondizia e armi. Tra l'immondizia c'erano vecchi cartoni da pizza, con il pomodoro da tempo seccato in chiazze molto più rosse del sangue e il formaggio indurito come carne ustionata e incrostata. Le lattine vuote di birra e le bottiglie sparse sui tavoli davano all'aria un odore di muffa. I presenti guardavano la scena attraverso una nuvola di fumo di sigarette, come avessero gli occhi annebbiati dalla cataratta. La luce delle due lampade a stelo, coperte da paralumi rappezzati, proiettava un'ombra morbida nelle rughe e nei rilievi dei volti degli uomini, alcuni emaciati, altri pieni e carnosi.
«Devono pagare per Waco...» Su due tavolini stavano pile di riviste con titoli come Il patriota cristiano, Orgoglio bianco, Tempi d'America. «Pagare per Ruby Ridge...» C'era un piccolo scaffale con qualche decina di volumi dall'aria stanca e molto usata, come I diari Turner, Mein Kampf, e altri libri su armi e munizioni; un ripiano portava una raccolta di manuali, pubblicati da un piccolo editore, su come fabbricare una bomba o come compiere un attentato, più una serie intitolata Come si uccide e un'altra chiamata Il James Bond dei poveri. «Pagare per Tim McVeigh...» La musica che si sentiva in sottofondo era abbastanza forte perché l'ascoltatore distinguesse le parole sul massiccio ritmo country and western: Gli ebrei scompariranno e anche i negri, Avremo un'America per te e me. Sì, quei bastardi taglieranno la corda Quando ogni americano si alzerà e punterà il fucile... «E cominceremo a rifarci con il senatore Robert King.» Ma quello che richiamava subito l'attenzione nella stanza calda e fumosa erano le armi. L'accuratezza con cui erano conservate ed esposte contrastava nettamente con il disordine del resto della stanza. Molti fucili erano raccolti ordinatamente nelle rastrelliere, mentre altri erano appesi alle tavole di compensato fissate ai due lati di una grande bandiera americana. «Quel figlio di puttana liberale, innamorato di giudei e negri, nemico dei patrioti...» Alcune armi erano legali, ma non molte. Parecchie tra loro erano automatiche, come diversi AK-47, due Jati-Matic finlandesi, un paio di Ingram, una obsoleta ma ancora funzionante Linda Wilkinson e due mitra MK Arms 70. Tutte le armi erano pulite e oliate, e su piccole scansie o appesi al muro c'erano i caricatori pieni. Queste nella stanza erano le armi per uso immediato in caso di incursione. Le altre erano nell'armeria, molto più numerose. «E lo beccheremo quando verrà a Hobie.» Virgil Withers, noto ai suoi confratelli, i Figli di una Libera America, come Rip, si appoggiò allo schienale e sorrise. Il bianco dei denti lampeggiò tra le labbra sottili. Il resto del viso era tutt'altro che sottile, ma gonfio e rugoso, segnato dall'odio
e ingrassato da una dieta di carne e formaggio e carboidrati in quantità. Ma, mantenendosi attivo, Rip più che grasso era massiccio. «King viene qui?» La domanda era uscita, in una nuvola di fumo, dalla bocca di Junior Feeley, un fascio di muscoli alto un metro e novanta e largo in proporzione. I Figli di una Libera America gli avevano assegnato l'incarico di tesoriere, perché nessuno avrebbe mai osato tentare di rubargli i fondi dell'associazione, e perché era troppo stupido per rubarli lui stesso. «Proprio così, King viene qui. Chip», spiegò Rip accennando a Chip Porter, che confermò agitando la bottiglia di birra, «è entrato nel loro sito su Internet, e adesso sappiamo che sarà in città, sappiamo quando e dove. Leggi l'itinerario, Chip.» Chip lesse da uno stampato. «Martedì tredici aprile, arriva a Hobie alle nove, si incontra con il sindaco in municipio. Alle dieci, visita al luogo dell'inondazione...» «Quel bastardo ha dato via i soldi delle nostre tasse in modo che quei maledetti topi di fiume possono ricostruire», disse Sonny Armitage. «E ora viene qui a prendersi il merito, a raccattare altri dannati voti per la sua dannata campagna presidenziale.» «Anche tuo zio si ricostruirà la casa con quei soldi, Sonny», gli ricordò Ace Ludwig. «Be', mio zio è stato un coglione a suo tempo a comprarsi una casa qui, quel dannato senatore è stato un altro coglione a dargli i soldi per essere stato così idiota, e mio zio è tre volte coglione a prendersi quei soldi e ricostruire esattamente nello stesso punto dove tra un anno o due ci sarà un'altra inondazione.» «Amen», annuì Junior Feeley. «Com'è che ti metti a difendere King, Ace?» «Mica lo difendo, è un traditore di merda, e gli farei saltare le cervella come a Reno o a Billary o a Ted Kennedy. Dico solo che lo zio di Sonny si è beccato i soldi grazie a quella testa di cazzo e alla sua dannata legge.» «Va bene», intervenne Rip. «Adesso chiudete il becco e lasciate leggere Chip. Avanti, continua.» «Allora, il senatore resterà lì a farsi fotografare per un paio d'ore, poi a mezzogiorno mangiano al Barney's Diner, poi strette di mano, bagno di folla.» «Magari potremmo farlo avvelenare da Barney», propose Ace Ludwig, e gli altri scoppiarono a ridere. «All'una e mezzo, parlerà alla camera di commercio, domande, risposte
e palle varie fino alle tre e mezzo, poi comincia la visita delle piccole aziende della zona.» «Cinque a uno», disse Sonny Armitage, «che al Peters' Gun Shop non ci va. Potremmo dire a Jimmy Peters di dargli gratis un adesivo 'Death to the King', morte al re.» Di nuovo risero tutti, anche Chip, che continuò a leggere con un sorriso. «Queste visite non sono ancora fissate: non sappiamo in quali uffici e negozi andrà, né quando, ma sappiamo quale sarà l'ultima azienda prima di riprendere l'aereo alle nove di sera. È quella più vicina all'aeroporto, alla periferia di Hobie.» «Dobbiamo indovinare?» chiese Sonny Armitage, interrompendo la pausa di silenzio. «E un istituto per bambini», spiegò Chip. «Il Centro Diventiamo Amici, si chiama così.» «Chip ha controllato per bene», disse Rip Withers. «Funziona da circa sei mesi, lo dirigono due donne, più una terza che dà una mano. È la nostra occasione migliore. Gli altri posti sono tipo centri di computer, magazzini di apparecchi elettronici, e sono tutti pieni di impianti di allarme o si trovano in palazzi con sistemi di sicurezza ancora più stretti. Questo posto invece non ha proprio niente.» «Come mai?» domandò Will Standish. «Non c'è niente da rubare», spiegò Rip. «Probabilmente un paio di videoregistratori, magari uno o due computer per far giocare i bambini. E poi giocattoli e basta. E il più bello è che è in periferia, con intorno soprattutto abitazioni, in un bell'isolato tranquillo con quasi niente traffico dopo le dieci di sera. Sì, fratelli, è il posto ideale per far saltare in aria un bastardo.» *** Amy Carlisle riappese il ricevitore e si guardò attorno, con la testa che le girava quasi per la notizia. Poi, per riaversi, si raffigurò la stanza com'era poche ore prima e come sarebbe stata di nuovo tra qualche ora, affollata di bambini allegri e vivaci che lei voleva solo rendere più allegri e più vivaci. Certo, non tutti i cinquantatré bambini a cui lei, Nancy e Judy badavano in momenti diversi nel corso della settimana possedevano quozienti di intelligenza da genio, ma ognuno di loro aveva qualcosa di speciale, dai piccolini di un anno che cominciavano appena a formare le prime parole ai
bimbi di prima e seconda elementare che passavano qualche ora da loro dopo la scuola, in attesa che i genitori passassero a prenderli di ritorno dal lavoro. Ognuno di loro aveva qualcosa di diverso da offrire, ognuno di loro era speciale. Amy li conosceva tutti per nome, e conosceva i loro gusti. Cosa più importante, sapeva che cosa li faceva sorridere. Quando vedeva che i loro visi si illuminavano - i più piccoli alla vista di un giocattolo colorato o rumoroso, i più grandicelli quando capivano che lei stava per cominciare a leggere il loro libro preferito - Amy aveva la certezza che quello che stava facendo era più che guadagnarsi lo stipendio. Non aveva mai voluto essere una semplice baby sitter: il suo doveva essere un vero centro didattico, dove i bambini potessero non solo passare il tempo ma impadronirsi di nuove idee e capacità, e imparare a socializzare e a farsi degli amici. Lei ne era responsabile e li sentiva come i suoi bambini, dal primo all'ultimo. Quello che glieli rendeva ancora più cari era il fatto che non avrebbe mai potuto avere figli. Compiuti ventisette anni, lei e Rick avevano deciso che era il momento, e lei aveva smesso di prendere la pillola. Ma dopo un anno di tentativi, il suo ginecologo era arrivato alla certezza che il problema era suo, non di Rick. Avevano pensato a un'adozione, ma la lista di attesa era lunghissima e loro non volevano diventare genitori a trentacinque o quarant'anni. Era stato allora che le era venuta l'idea del centro. Era diplomata in pedagogia e aveva anche insegnato, l'anno che lei e Rick avevano finito il college. Ma benché amasse il contatto con i bambini, presto si era sentita frustrata per l'incapacità del sistema di affrontare i problemi che le capitava di vedere nel suo lavoro. Quando un bambino aveva una difficoltà, di udito, di linguaggio, di vista, di apprendimento, ci volevano mesi per organizzare i test adatti, e più ancora, una volta ottenuta la diagnosi, per assegnare lo studente a un programma speciale. C'erano anche altri problemi. Amy aveva avuto diversi alunni che era certa fossero vittime di violenze, ma lo sforzo per mettere in moto la burocrazia su questi sospetti faceva apparire uno scherzo i ritardi nei test Quei bambini erano tristi e sofferenti e lei poteva farci ben poco. Nonostante ogni sforzo a poco a poco divenne sempre più depressa. La depressione, più l'enorme quantità di tempo extraorario che dedicava a prepararsi per la classe l'avevano portata a un passo dalla crisi, e alla fine dell'anno, con gran sollievo di Rick, si era licenziata.
Per sette anni aveva lavorato nell'amministrazione di una ditta di forniture scolastiche, e aveva imparato a gestire una piccola azienda; in quel periodo aveva coltivato l'idea di aprire un centro per bambini, ma solo quando aveva saputo che non poteva avere figli aveva cominciato a pensarci seriamente. Dopo tanti sacrifici, sei mesi prima il Centro Diventiamo Amici aveva finalmente aperto i battenti; da tutti i punti di vista, tranne da quello finanziario, era stato un gran successo. Amy riusciva comunque a essere in pari con le spese, ma con la notizia che aveva appena ricevuto, la situazione poteva anche migliorare. «Se n'è andata anche l'ultima bestiolina?» Amy si voltò. Nancy Fowler era sulla porta della stanza. «Sì», rispose. «Megan è appena andata via.» «E tu sei ancora qui?» «Ero al telefono.» Amy sorrise, cercando di non scoprire subito il segreto. «Nancy, stavo pensando una cosa. Sai che cosa sarebbe magnifico per questo posto? Se andassimo in TV: copertura locale piena e anche qualcosa a livello nazionale. Non credi che ci aiuterebbe a portare le iscrizioni al punto che vorremmo noi?» «Come no», rispose Nancy. «E come pensi di fare, comprare per un centinaio di migliaia di dollari qualche minuto all'ABC?» «Tutti e quattro i network, compresa la Fox», continuò Amy, alzando gli occhi al soffitto come formulando mentalmente la strategia. «Il notiziario delle sei e mezzo sarebbe perfetto, credo... I genitori sono tornati dal lavoro, guardano il telegiornale prima o dopo cena... saturazione sulla stazione di Hobie, alle sei e alle undici, con copertura statale...» «Amy, di che diavolo parli?» Amy sorrise. «Della telefonata. Conosci qualche senatore che sta lucidando la sua immagine presidenziale per le prossime elezioni?» «King? Il senatore King?» «Proprio lui. Viene a vedere i danni dell'alluvione del mese scorso, e in più visiterà qualche piccola azienda dell'area, probabilmente per ricevere qualche appoggio per la sua proposta di legge Business 2000 che sta per essere votata... E sai qual è una di queste piccole imprese?» «No... stai scherzando!» «Uno dell'ufficio stampa mi ha appena chiesto se mi dispiacerebbe - dispiacermi, capisci? - se si fermasse qui e girassero qualcosa per la televisione!»
«Oh, Dio mio, Dio mio!» Nancy saltellava dall'eccitazione. «Quando?» «Tra quattro giorni. Martedì prossimo. Verso le otto di sera, si fermeranno da noi sulla strada per l'aeroporto. Novak, quello con cui ho parlato, è stato molto sincero, ha detto che avevano intenzione di fare qualche ripresa del senatore King con i bambini e con i proprietari di piccole imprese, e Diventiamo Amici era una combinazione perfetta.» Nancy aggrottò la fronte. «Alle otto? I bambini alle sette sono già tutti via.» «Non è detto. Potremmo offrire ai genitori un'ora e mezza gratis, così magari possono andare a cena fuori, o... be', fare qualcosa che non si può fare con i ragazzini tra i piedi. Comunque, spiegheremo come stanno le cose, e sono certa che molti di loro saranno felici di vedere i loro piccoli in TV con il senatore. E basta che ce ne siano una decina. I genitori possono venire a prenderli verso le otto e mezzo, e magari riescono a vedere il senatore anche loro.» «Mi sembra magnifico. Ascolta, però», e Nancy gettò un'occhiata all'orologio, «ora devo andare a prendere Karin da mia madre. Chiamami a casa, così ci mettiamo d'accordo sui genitori da chiamare, va bene? » Amy seguì con lo sguardo Nancy che usciva, sentendosi un po' in pena per lei. Nancy aveva una figlia, una bambina deliziosa, ma quello che non aveva era un marito. Quando finalmente aveva avuto il divorzio da John Fowler («Quel figlio di puttana», diceva, «lo ficcherebbe dentro qualsiasi cosa che si muova e abbia un buco», e a giudicare dalla documentazione raccolta dagli avvocati probabilmente non esagerava), aveva ottenuto una buona sistemazione finanziaria e l'affidamento di Karin, e a John era concesso un solo weekend al mese con la bambina. Ma ormai Nancy era divorziata da oltre un anno, e non era più uscita con nessuno. Aveva ricevuto molti inviti, compreso qualche padre single di frequentatori di Diventiamo Amici, ma lei aveva sempre declinato gentilmente, spiegandone il motivo ad Amy. «Sono tutti divorziati. L'unico divorziato che conosco io è John, e non voglio correre il rischio di finire intrappolata con un altro John.» Avrebbe accettato solo se fosse stata certa che la causa del divorzio era la moglie che tradiva il marito, e non viceversa. E anche in quel caso, la cosa non avrebbe deposto a favore della capacità di quell'uomo di far felice una donna. Forse Amy non era stata tanto fortunata da avere un figlio, ma si considerava fortunatissima ad avere un marito come Rick. In dodici anni di ma-
trimonio non c'era mai stato uno screzio che non si fosse chiarito in giornata. Lui le era stato fedele come lei era stata fedele a lui, e non le aveva mai dato motivo di dubitare del suo amore. Era stato uno di quegli amori a prima vista che si erano poi rivelati eterni. A conti fatti, quindi, poteva dirsi una donna fortunata, e forse con questa visita del senatore King la sua fortuna sarebbe ancora cresciuta. La pubblicità avrebbe portato nuovi clienti, e questo significava la possibilità di ingrandirsi e assumere altro personale, e forse procurare profitti imprevisti. Per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare un solo lato negativo in quella visita. 2 «Ehi, aspetta un momento», esclamò Will Standish, che fungeva da storico ufficiale dei Figli di una Libera America. «Rip, stai dicendo che facciamo saltare un asilo con dentro i bambini? Perché se è questo che stai dicendo, io mi oppongo formalmente. Sono contrario, assolutamente contrario. Pensa a come farebbe apparire McVeigh. Non va bene, Rip, non va bene proprio per niente...» «Calmati, Will», lo interruppe Rip Withers. Per certi versi per lui Will Standish era una specie di beniamino. Will era il più anziano dei Figli e decisamente il più moderato del consiglio che prendeva le decisioni. Di loro era quello che parlava meglio, e sapeva anche scrivere meglio di tutti gli altri, motivo per cui lo avevano nominato storico, qualifica che preferivano a quella di segretario, che suonava troppo femminile per i loro gusti. «A quell'ora tutti i bambini sono fuori dell'edificio, già dalle sette. Gli unici sul posto saranno quelli che lo dirigono, il senatore Quisling e i suoi leccaculo, e un branco di rossi, giornalisti e fotografi.» Will scosse la testa. «I bambini ci saranno. Rip, lo sai che li faranno restare. Che ci andrebbe a fare King in un asilo se non può farsi fotografare con i piccoli?» «E allora secondo te come fanno, Will?» intervenne Sonny Armitage. «Noleggiano dei bambini proprio per quella sera?» «E poi, Will, che importa se qualcuno ce n'è?» disse Rip. «Potrebbero essere ovunque decidessimo di colpirlo.» «Che importa? Te lo dico io che importa, Rip. Qual è l'immagine che la gente più ricorda di Oklahoma City? E non dico noi patrioti, dico il pubblico americano.» Nessuno rispose, e Will proseguì. «Non lo dite perché lo
sapete benissimo. È quel pompiere con in braccio il bambino morto. Una sola immagine come quella e la nostra causa fa un passo indietro di vent'anni. Diavolo, amico, anche se nessun bambino resta ucciso, avremo sempre bombardato un giardino d'infanzia, Cristo! Che immagine è?» «A te interesserà l'immagine, Willie», disse Sonny. «Io penso ai risultati, e un Robert King morto sarebbe un gran bel colpo. Sarebbe un avvertimento del calibro massimo a ognuno di quei figli di puttana. Guarda che ci sono state vittime civili in ogni guerra che si è combattuta, e quando si combatte una guerriglia come la nostra, la cosa è inevitabile. E non siamo solo noi a uccidere gli innocenti: non ti ricordi il bambino su a Ruby Ridge?» «Dipendesse da me», intervenne Ace Ludwig, «preferirei farlo fuori con una sola pallottola, e potrei anche farlo.» «Ci abbiamo pensato, Ace», disse stancamente Rip, «ma è troppo rischioso. Per avere una via di fuga pulita dovresti piazzarti troppo lontano, e poi lateralmente non lo riusciresti a beccare, ha troppe guardie del corpo intorno. Si dovrebbe fare dall'alto, e intorno a quel centro non ci sono edifici alti più di tre piani.» «Prendiamolo in città, allora.» «Maledizione, Ace, in città ti ritroveresti pieno di testimoni fino al culo. Lo so che hai voglia di sparare, e presto avrai la tua occasione, ma questa volta no. Questa spetta a Powder.» Ace guardò l'uomo magro e pallido seduto nell'angolo della stanza e fece un verso sprezzante. Ralph «Powder» (polvere) Burns era chinato in avanti, con i gomiti sulle ginocchia e le mani ciondolanti piene di cicatrici. «Quello lì?» chiese Ace. «Quello lì non ha mai fatto saltare nessuno.» Powder alzò gli occhi su Ace, inespressivi dietro gli occhiali con la montatura di metallo. «Mai avuto l'occasione. Ma non preoccuparti. Posso farlo senza problemi.» «Come no?» rispose Ace. «Tutte quelle bruciature e cicatrici ci dimostrano in che mani sicure siamo.» «Adesso il nostro armiere ci dirà che cosa useremo», tagliò corto Rip facendo cenno a Sonny Armitage. «È un anno che stiamo mettendo da parte esplosivo al plastico. Ora ce n'è più che a sufficienza per le due bombe.» «Due?» proruppe Junior Feeley. «Chi altro facciamo saltare?» «Solo King», disse Sonny. «Ma il centro è diviso in due sezioni, a seconda dell'età dei bambini. C'è un corridoio che taglia a metà l'edificio.
Non sappiamo dove sarà il nostro obiettivo, e allora piazzando due bombe da una parte e dall'altra, non possiamo sbagliare.» «Quanto sarebbero grandi queste bombe?» domandò Will Standish. Powder alzò le spalle. «Piccole. Potrebbero sembrare due libri incartati. Per la detonazione ci saranno due timer puntati sullo stesso momento.» «Non si può fare con un telecomando?» chiese Will. «Meno affidabile.» «D'accordo», insisté Will, «ma tanto per dire, non potresti collegarle al timer e avere anche un telecomando che può bloccare la cosa, casomai, per esempio, sapessimo che la visita è stata annullata? Tutto sommato il nostro obiettivo è King, no? Non avrebbe senso far saltare quel posto se lui non ci va, giusto?» Rip Withers annuì e guardò Powder. «Puoi farlo?» «Direi di sì. Però bisogna trovarsi abbastanza vicini. Duecento metri, diciamo, questo è il raggio d'azione.» «Allora d'accordo, Powder, procedi a piazzarle. Dovrai entrarci domani sera a sistemarle. Non so quand'è che manderanno gli uomini del servizio di sicurezza, ma prima le mettiamo più facile è la cosa. Okay? Dunque, siamo intesi. Powder, voglio vedere te e Sonny tra dieci minuti nella mia baracca. E fate venire qualcuno a pulire questo schifo. Questa è una sala riunioni, non un porcile.» L'assemblea si sciolse. Fuori, una dozzina di miliziani se ne stava appoggiata agli alberi o seduta ai tavoli fatti con i tronchi dove talvolta servivano il rancio. Nel complesso vivevano venti uomini a tempo pieno, mentre altri dieci abitavano in famiglia ma passavano i weekend e molte serate lì. Non facevano parte del consiglio, ma avevano giurato ugualmente di mantenere il segreto. La punizione per chi infrangeva il giuramento era l'esecuzione immediata. In passato era capitato un paio di volte, ma ora, mentre passava accanto ai suoi uomini, Rip Withers sentiva di potersi fidare di tutti. Erano al cento per cento votati alla libertà che i loro antenati avevano conquistato con il sangue. Rip si considerava un jeffersoniano, anche se avrebbe avuto qualche difficoltà a spiegare esattamente che cosa intendesse. Le parole a cui aderiva, però, erano quelle di Jefferson stampate sulla T-shirt di Timothy McVeigh, sull'albero della libertà che andava di tanto in tanto annaffiato con il sangue dei tiranni. Ma il problema era che a essere versato non era il sangue dei tiranni ma
quello del popolo. E non solo in episodi come Waco e Ruby Ridge. Diavolo, la gente comune si stava dissanguando a goccia a goccia senza accorgersene, fino a diventare zombie pronti a fare tutto quello che il governo gli ordinava. La scuola non insegnava più i veri valori di Dio, patria e famiglia, ma creava tanti piccoli radicali che pensavano solo a salvare quelle foreste del cazzo. La televisione e i film erano diventati un cesso, infestati da froci e lesbiche presentati ora come gente normale, mentre chi aveva il senso della religione appariva come un deficiente ritardato. I politici di Washington erano tutti delle gran teste di cazzo. I Democratici cercavano di spillarti quattrini per darli ai tossici e alle troie dello «stato sociale», i Repubblicani volevano darli ai ricchi bastardi che con una mano ti pagavano e con l'altra te li riprendevano. Molto volentieri Rip Withers gli avrebbe piazzato una pistola alla nuca facendogli saltare il cervello sopra la cupola del Campidoglio. Quegli stronzi non erano americani, nessuno di loro. Avevano dimenticato anche il significato della parola. Ma Rip Withers no, non lo aveva dimenticato, e nemmeno suo fratello Ray, né lo avrebbe dimenticato suo figlio Karl. Ray non era il più sveglio del mondo, ma era sempre suo fratello, e Rip gli voleva bene e sapeva perfettamente che il cuore di Ray batteva dalla parte giusta. E poi non era scemo come lo era Junior Feeley, che aveva quella sorta di cattiveria che ti sfidava a ridere di lui. No, Ray era lento e lo sapeva, e se lo sapevi anche tu, bene lo stesso. Non c'era un briciolo di cattiveria in suo fratello, e per questo lo aveva nominato vicepresidente dei Figli. In realtà il vicepresidente non aveva niente da fare, solo occuparsi delle cose se il presidente non c'era, ma Rip c'era sempre, e sempre ci sarebbe stato. Se fosse morto, o qualcosa del genere, Ray non gli sarebbe succeduto automaticamente. Ci sarebbe stata un'elezione, e Rip era sicuro che l'avrebbe vinta Sonny Armitage. Benissimo. Sonny per molti versi era uno forte, e avrebbe portato avanti le cose per bene. Tra qualche anno, se fossero sopravvissuti fin lì senza farsi spazzare via dalle truppe armate di Clinton, Rip sperava che suo figlio Karl sarebbe stato pronto per mettersi alla testa del movimento. Il ragazzo era diventato un vero patriota da quando Rip lo aveva strappato alle grinfie di sua madre, quella troia. Lei avrebbe voluto mandarlo in uno di quei dannati college statali liberali, dove lo avrebbero trasformato in un coglione salva-alberi o in un giovane clone repubblicano.
Ma questo non gli dava più pensiero. Karl aveva diciotto anni e quella troia aveva dovuto mollare la presa su di lui, anche se la presa non l'aveva mollata sul conto in banca di Rip dopo il divorzio. Qualche giudeo di avvocato le aveva sistemato le cose per bene, probabilmente prendendosene una bella parte, e non solo di soldi, con quel pistolino circonciso. Be', buon per lei. Comunque tutte le donne erano uguali, buone solo per procreare, e peggio per il povero imbecille che pensava fossero qualcosa di più che un buco bagnato in un letto asciutto. Nossignore, non c'erano donne tra i Figli di una Libera America. Se a qualcuno veniva voglia, poteva andare a Hobie o alle Twin Cities a scaricare le palle, e che badassero a usare il preservativo, perché chi si beccava qualcosa di peggio delle piattole veniva radiato con disonore. Quelli sposati che non vivevano per tutto il tempo in sede potevano sfogarsi a casa, ma più tempo passavano nei Figli, più aumentavano le probabilità di rottura con le loro donne. Il patriottismo, come Rip amava ripetere, è un'amante gelosa. Con orgoglio, Rip notò che nessuno degli uomini che si trovava all'esterno chiedeva a nessuno del consiglio quale fosse stato l'ordine del giorno della riunione. Certo, erano curiosi, ma erano bravi soldati, e sapevano quanto era necessario che sapessero. Al momento opportuno sarebbero stati informati, per farli partecipare alla gioia dell'operazione. Ma fino ad allora, bocche cucite: c'è sempre il rischio che venga fuori qualcosa accidentalmente, soprattutto nelle chiacchiere a letto. Ecco un altro motivo per stare ben alla larga dalle donne. La baracca di Rip era un locale di appena tre metri per tre, con un divano, un paio di sedie, un baule, un treppiede con un catino, e un telefono. Per la doccia, la barba e il resto, Rip spartiva con i suoi uomini la latrina della comunità. Ma il telefono c'era perché gli serviva una linea privata, e a volte aveva bisogno di parlare con un numero ristretto dei suoi camerati. A questo servivano le sedie pieghevoli appoggiate alla parete. Ne aprì due, quindi si sedette sulla sua sedia di legno e si mise a pregare. Non pregava mai abbastanza, e questo gli dispiaceva. Era stato Jahvé a portarlo a quel punto, così come aveva portato Randy Weaver e la sua famiglia a Ruby Ridge nell'Idaho. È vero che Vicki e il loro figlio Samuel erano stati uccisi da quei bastardi delle truppe del governo, ma Jahvé opera attraverso vie misteriose. Quelle vittime erano state la scintilla che aveva acceso il movimento patriottico, e Waco era stata la fiamma che aveva dato fuoco alla mìccia che aveva fatto saltare l'edificio federale di Oklahoma
City. Era tutto collegato, ogni cosa una parte del progetto di Dio. Bussarono alla porta e Rip disse ai ragazzi di entrare. Sonny Armitage e Powder Burns si sistemarono sulle sedie pieghevoli, Sonny a cavalcioni con le braccia appoggiate alla spalliera. «Per questo lavoro voglio voi due», annunciò Rip senza preamboli. «Abbiamo tre giorni prima che King si presenti, e un giorno e una notte prima che le piazziamo. Comincia a prepararle, Powder, e io ti darò tutto l'aiuto di cui hai bisogno.» «Non mi serve nessuno. La gente non sa quel che sta facendo, farebbe un cratere di questa foresta. Posso farle entro domani sera.» «Okay. Se i telecomandi sono un problema, fregatene.» «Posso fare anche i telecomandi. Ma come ho detto, non garantisco che funzionino.» «Basta che garantisci che funzionino le bombe.» «Esatto.» «Benissimo, allora. Facciamo contento Will e diamogli i suoi telecomandi. Domani notte voi due andate sul posto e le piazzate. Dovete sistemarle dove non le trovano, ma dove possono fare il massimo del danno. E dovete entrare e uscire senza lasciare traccia.» «Nessun problema», garantì Sonny con la sicurezza frutto di decine di missioni portate felicemente a termine. Molto si doveva alle visite notturne di Sonny alle Twin Cities se i Figli continuavano a essere riforniti di cibo e munizioni. Sonny aveva fatto parte dei servizi speciali: in una notte fortunata, era capace di penetrare in un drugstore, mettere fuori uso il sistema d'allarme, far saltare una cassaforte e uscirsene con svariate migliaia di dollari. Vero è che gran parte dei finanziamenti ai Figli arrivavano attraverso tortuosi canali da un paio di imprenditori di St. Paul, ma era grazie a Sonny che disponevano di un'armeria che sarebbe stata l'invidia di ogni altro gruppo paramilitare, ammesso che qualcuno al di fuori dei Figli ne avesse notizia. E questo era maledettamente improbabile, visto che nessuno esterno al gruppo era al corrente anche solo della sua esistenza. «D'accordo allora. Fissa l'esplosione per le otto e dieci. King si è sempre fatto un punto d'onore di essere puntuale. Non c'è motivo che cambi adesso.» 3 «Ciao, scimmia», disse Rick Carlisle quando la moglie entrò nella stan-
za. Era seduto al tavolino della colazione, davanti a una tazza di caffè e al giornale della sera. Amy si chinò a dargli un bacio, e a riceverne uno in cambio. «Questa scimmia vuole una banana», disse Amy. «Sta morendo di fame.» «Be' sono rimaste tre fette di pizza, sono in caldo nel forno.» «Tre?... Vuoi dire che ne hai fatte fuori cinque!» Amy scosse la testa. «La scimmia e il maiale.» «Come mai così tardi?» domandò Rick alzandosi e tirando fuori la pizza dal forno. Dopo averne presa una fetta, lei lo rimise a sedere e gli si accoccolò in grembo, raccontandogli nel modo più calmo possibile della telefonata e della visita imminente del senatore King. «Dio mio, ma è magnifico!» esclamò lui. «Una pubblicità fantastica per il centro. Una cosa del genere non avresti mai potuto comprarla.» «Lo so... ma tornando a casa ci ripensavo, e mi sembrava un po' strano mettere in scena una cosa del genere, chiedere ai genitori di... come dire, usare i loro figli, capisci? Mi sembra un po' una mercificazione.» «Senti, so bene che sei coinvolta con i bambini a un livello molto alto e puro, ma questi sono innanzitutto affari, no? I genitori ti vogliono bene. Sono sicuro che non avranno niente in contrario a mercificare i pargoli per un'oretta. Voglio dire, ogni quanto tempo capita un'occasione così? Una volta nella vita, forse. E per come hai faticato per arrivare a questo punto, mi sembra che te lo meriti...» Il sabato Amy e Nancy fecero le loro telefonate, chiedendo il permesso di trattenere alcuni bambini dopo le otto il martedì sera seguente. Conosciuto il motivo, tutti i genitori acconsentirono, e in serata Amy cominciò a ricevere telefonate di genitori che chiedevano addirittura se i loro figli potevano restare a partecipare alla visita del senatore. Amy fu lieta di accettare, e alla fine della giornata calcolò che avrebbe avuto dieci bambini della classe prescolare e dodici nella sezione asilo-elementari, con la promessa da parte di tutti i genitori che sarebbero andati a prenderli per le nove. Non poteva proprio immaginare che le cose potessero andare meglio di così. «Vuoi fare piano, Cristo santo?» ringhiò Sonny Armitage. Gli piaceva fare quel genere di lavoro, ma da solo, specie se chi doveva aiutarlo era
uno grosso e imbranato come Powder Burns. Chissà come aveva fatto quel tizio a non saltare già per aria, lui con tutto il complesso chi sa quanto tempo prima. Se c'era qualcosa sul pavimento, si poteva stare sicuri che la scarpaccia di Powder l'avrebbe intercettata inciampandovi puntualmente. Meno male che le bombe le portava Sonny, tutt'e due, avvolte in carta da pacchi, nello zainetto. Era da anni che non lavorava con il plastico, e quella merda aveva la stabilità di una recluta che si trova per la prima volta sotto il fuoco. Entrare nel centro era stato facile come convincere una puttana vietnamita a farti un pompino. La serratura aveva ceduto in modo così liscio che probabilmente non aveva lasciato nemmeno un graffio nel meccanismo. E a facilitare le cose, tutte le tapparelle erano abbassate: avrebbero potuto usare le normali torce elettriche anziché i visori agli infrarossi, ma i visori davano una visuale illimitata, e non c'era il rischio che un raggio di luce trapelasse dalle persiane allertando un poliziotto di passaggio. Anche se quel quartiere sembrava completamente privo di vita, a quell'ora di notte. Avevano parcheggiato a sei isolati di distanza e non avevano visto una sola finestra illuminata, una sola auto in transito, una sola anima viva. La pace e la tranquillità dei sobborghi. Una pace e una tranquillità che sarebbero state rumorosamente disturbate di lì a quarantott'ore. Lungo le pareti della sala di ingresso erano disposti gli attaccapanni e alcuni banchi, più due bagni ai lati del corridoio che portava verso l'interno dell'edificio. Sulla sinistra del corridoio, a giudicare dall'arredamento, si trovava il settore dei bambini più piccoli. C'erano giocattoli dappertutto, come presto Powder scoprì a sue spese. I pannelli forati forniti di ganci, dove i bambini appendevano le loro cose, mostravano le targhette con i nomi, nomi che, notò Sonny con disgusto, comprendevano l'intero spettro delle razze inferiori: ebrei, negri, ispanici, musi gialli... Dall'altro lato dell'edificio c'era l'area delle elementari, con oggetti e giochi destinati ai più grandicelli. Ogni settore aveva un paio di bagni e in fondo una zona cucina con frigorifero, lavello doppio e un forno a microonde. Nella zona prescolare c'era anche una piccola vasca e un fasciatoio. I nomi del settore elementare mostravano lo stesso miscuglio di razze e religioni. «Hai qualche idea?» chiese Sonny a Powder. L'altro si grattò il mento ispido, poi si diresse verso i lavandini, aprì lo
sportello del mobiletto sottostante e allungò la mano nello spazio buio. «Direi qua sotto, nello spazio tra i due lavelli. Piazziamole qui.» «Sì, così qualcuno riempie la vaschetta di acqua calda e il nastro adesivo si stacca. Il pacco cade con un tonfo e i ragazzini dicono, 'Ehi, maestra, che cosa è stato?' No, non mi pare una buona idea, Powder.» Powder si voltò, scrutando in giro con il suo visore. «Allora qua sotto», disse, dando una pacca al frigorifero. «Qua dietro.» «Non è che il frigo riduce l'impatto? Dico, è piuttosto pesante e...» Sonny si interruppe. Anche dietro la maschera colse l'espressione inequivocabilmente divertita di Powder. «Guarda, Sonny», disse, «che quando la bomba scoppia, se quel frigorifero c'è o non c'è è la stessa cosa.» Piazzarono le bombe all'interno delle serpentine dei due frigoriferi, ma in modo che non fossero in contatto per evitare vibrazioni sospette. I punti erano caldi ma non scottavano. «Le hai sincronizzate?» domandò Sonny. «Il più possìbile. I timer potranno non essere assolutamente perfetti, ritardare o anticipare di un paio di secondi su quarantott'ore. Ma è più che probabile che la prima esplosione inneschi l'altra.» «Boom, boom», disse Sonny. «Esatto, boom, boom.» Mentre si avviavano verso l'ingresso lungo il corridoio Sonny chiese a Powder: «Non ti dà fastidio l'idea che potresti far saltare in aria dei bambini? Voglio dire, anche se è un incidente». «No. Non me ne frega niente. Hai visto i nomi... Una scuola o un giardino d'infanzia cristiano non li toccherei, ma questo... questo è pieno di canaglie. Se ci sono anche bambini cristiani, perché le loro mamme non stanno a casa a badare a loro? Perché devono portarli in questo posto?» Raggiunta la porta interruppero la conversazione finché non furono usciti, ebbero richiuso con cura e furono tornati sul furgone di Sonny diretti al complesso. 4 La notte prima della visita del senatore King, Amy Carlisle ebbe difficoltà ad addormentarsi. Mezzanotte era passata da un pezzo quando si alzò in silenzio, cercando di non svegliare Rick, e andò in cucina a prepararsi una tisana. Accese la radio ma a quell'ora l'unica stazione che arrivava chiaramente era quella che Nancy chiamava «il canale degli squilibrati», in
cui un certo Wilson Barnes snocciolava le sue farneticazioni razziste da mezzanotte alle sei del mattino. Anche a basso volume quella voce rabbiosa sembrava riempire la cucina, e Amy, con una smorfia, finì per spegnere la radio. Aveva bevuto appena qualche sorso quando comparve sulla soglia Rick. «Cosa c'è?» chiese, poi alzò una mano. «No, non me lo dire. Lasciami usare i miei poteri parapsichici. Sei preoccupata. Vedo un uomo dai capelli bianchi in abito scuro, circondato da altri uomini vestiti di scuro... Quest'uomo ha un'aria vagamente... sì, ecco, senatoriale.» «Accidenti, è così evidente?» «Perché non te ne torni a letto?» disse Rick, ponendosi dietro di lei e massaggiandole le spalle. «Potrei farti rilassare...» «Con quel metodo speciale che hai tu?» «Io e il mio piccolo amico.» Lei sentì qualcosa spingerle contro la schiena. «Il tuo piccolo amico si sta facendo grande.» «E promette di diventarlo ancora di più, se gli si mostra l'adeguato apprezzamento ed entusiasmo.» Rick si chinò a baciarla vicino all'orecchio. «Ti amo, Amy. Scherzi a parte, ti amo. Non pensare a domani. Vieni a letto, sì?» Lei andò, e fecero l'amore, dapprima dolcemente e con delicatezza, e a mano a mano che il suo corpo si rilassava cresceva il suo desiderio, finché raggiunse il punto in cui la tensione della giornata fu dimenticata, trasformata nella tensione della notte, la sensazione di essere spinta verso il bordo di un'ampia scogliera aperta sull'abisso, e poi, finalmente, di cadere, spezzando la tensione, arrendendosi al momento, lasciando che il rosso del sangue dilagasse in ogni parte del suo corpo, riempiendone i fianchi, il ventre, il seno, e poi su, le spalle e il viso, e lungo le braccia, finché il sangue bruciante erompe fuori formando rosse ali che la sostengono riportandola fuori dell'abisso, su su dal buio del baratro fino al profondo e più nero velluto del cielo, librandosi nel sonno... E Amy, saziata dal piacere, dormì e sognò di volare, ancora di volare, ma come un uccello. Sentiva il vento che sibilava tra le penne delle sue ali, che le baciava gli occhi neri, occhi lucidi e insensibili come onice, aperti contro il flusso dell'aria. Le sue ali forti la portavano a grande velocità attraverso il cielo notturno. In alto, i puntini delle stelle luccicavano, luci fisse e costanti, vaste ed eterne. In basso, le luci artificiali degli uomini, fugaci come la loro vita,
sfumavano al suo passaggio veloce, svanendo appena colte con lo sguardo, nate e morte in un solo momento, in un solo alito di eternità. E con quell'eternità si sentì una cosa sola. Era una fissa e costante stella nera, e si muoveva in una sua orbita attorno alla terra, vedendo le fioche luci baluginare sotto di sé, cercando quelle che in un lampo erano estinte ma che continuavano a mandare un riverbero rosso spento ma rabbioso. Erano queste quelle a cui poteva parlare, a cui il suo verso rauco avrebbe parlato all'infinito. Queste anime rosse, che rifiutavano di morire, avevano bisogno del suo sapere, del suo potere. Sì, ce n'era una laggiù in basso, come un mozzicone di sigaretta tremolante in qualche vicolo pericoloso. Piegò leggermente le ali e iniziò a scendere, giù verso quell'occhio rosso. Ma più gli si avvicinava, più l'aria si ispessiva e si ingrigiva, e ora le sembrava di volare attraverso una fitta cenere che aderiva alle sue penne, appesantendole. Le correnti d'aria che la portavano svanirono, e si trovò a cadere anziché planare. Distese completamente le ali, cercò di sbatterle, cercò di rialzarsi per poggiarsi di nuovo sulla corrente, ma la polvere grigia, la cenere pesante sulle sue penne non glielo permetteva. E cadde. Cadde verso il puntino rosso, ancora visibile ai suoi occhi neri come il carbone tra la morta aria grigia. Cadde, e mentre si avvicinava al suolo e all'anima rossa che si rifiutava di morire, il punto rosso si fece più nitido, divenne una figura umana il cui volto era rivolto in alto verso di lei, un viso morto imbiancato di cenere, tagliato da lacrime di rabbia e odio e dal rifiuto di accettare il destino, lacrime che scorrevano dagli occhi di quell'essere e lungo le sue guance e sulle labbra, così da fare apparire il viso una maschera bianca, con gli occhi e le labbra cerchiati di nero. E un attimo prima di cadere proprio su quel viso, subito prima di colpirlo con tanta forza e terrore da porre fine al sogno e ritornare, madida di sudore e atterrita, alla realtà, vide che quel voltò era il suo. Il mattino dopo Amy aveva quasi completamente dimenticato il sogno, se ne sarebbe ricordata solo molto più tardi. C'era troppo da fare per pensare ai sogni. Lavorò con Nancy Fowler e Judy Croft nella zona prescolare quasi tutto il giorno, spostandosi di tanto in tanto nella sezione elementare per controllare il lavoro dell'impresa di pulizia, impegnata a tirare a lucido il centro per la visita del senatore. Nel pomeriggio, quando i bambini delle ele-
mentari cominciarono ad arrivare e molte delle mamme vennero a prendere i più piccoli tornando dal lavoro, la squadra di pulizia passò nell'altra sala mentre Judy controllava che i lavori proseguissero senza infastidire i bambini. Judy era una perla di donna, e Amy era stata fortunata a trovarla. Poco più che sessantenne, da vent'anni era infermiera diplomata, e fino a qualche anno prima aveva lavorato nello studio del dottor Garber, ormai in pensione. Anche se al centro non avevano mai avuto un'emergenza medica, era rassicurante l'idea che ci fosse qualcuno che sapeva cosa fare, in caso di bisogno. Alle quattro, la maggioranza dei bambini rimasti erano quelli delle elementari. Judy, con la sua stazza imponente, era rimasta con i più piccoli mentre Amy e Nancy si occupavano degli altri. Amy stava facendo un gioco con Ashley Corcoran, DeMarole White, Polly Phelps e Pete Grissom, mentre altri bambini giocavano a turno con il Gameboy che uno di loro aveva appena ricevuto in regalo. Brenda Tran era al computer con il fratellino, Charlie, che stava a guardare, aspettando il suo turno con gli occhi fissi sullo schermo. Che bambini svegli, pensò Amy con una punta di orgoglio. Dovevano la loro intelligenza ai geni dei loro genitori, originari vietnamiti che avevano fatto fortuna con una catena di negozi di software che, iniziata a Hobie, ora si stava estendendo in tutta l'area delle Twin Cities. Ma guardandosi intorno pensò che poteva trovare qualcosa di speciale e di meraviglioso in ognuno dei suoi bambini. Per un'ora, per due, per sei ore al giorno, era una mamma che si occupava dei suoi figli, curandoli, insegnando, facendoli crescere, proteggendoli dai pericoli. Era orgogliosa di loro tutti. Li amava tutti. Alle cinque e mezzo arrivarono le pizze per tutti e fu una specie di festa. Amy sperò soltanto che la salsa di pomodoro e i peperoni non si impastassero troppo profondamente nei tappeti appena puliti. Finito di mangiare, giocarono ancora un po', ma alle sei squillò il telefono. Era un collaboratore del senatore King. «Signora Carlisle, sono spiacente di chiamarla così tardi, ma c'è stato un contrattempo imprevisto.» Amy sentì che il cuore le batteva più forte. Aveva capito che cosa le avrebbe detto quell'uomo nell'istante in cui si era presentato. «Il senatore King è impossibilitato a venire al vostro centro questa sera. È dovuto partire immediatamente per Washington per una votazione improvvisa. Mi ha chiesto di farle le sue scuse e di assicurarle che le telefonerà personalmente
domani mattina.» «Oh, va bene», rispose Amy. «Capisco.» Ed era vero, ma questo non alleviava la sua delusione. «Le assicuro che la prossima volta che il senatore verrà nella zona di Hobie - e le prometto che verrà - il centro sarà la prima tappa della sua visita. Mi scusi se adesso la lascio, ma devo fare ancora una dozzina di telefonate. Devo dirle, però, che abbiamo avvertito i mezzi di informazione, così non avrà il fastidio di trovarseli tutti davanti alla porta.» «La ringrazio», disse Amy, pensando che sarebbe stato tutt'altro che un fastidio, trovarsi giornalisti e telecamere davanti alla porta. «E grazie per aver chiamato.» «Grazie a lei per la comprensione. Alla prossima volta.» «Alla prossima.» I bambini, e Nancy, capirono subito che c'era qualcosa che non andava quando videro l'espressione di Amy. «Amy...?» disse Nancy. Amy si sforzò di sorridere. «Be', la buona notizia è che non dovremo dividere il dessert con i giornalisti.» Spiegò in breve la situazione ai bambini, che non nascosero la loro delusione, e passò nell'altro settore a dare la notizia a Judy Croft. «Mi dispiace molto», commentò Judy, «ma non posso dire di essere sorpresa. Con i politici, non credo mai a niente finché non lo vedo. Pensi di avvertire i genitori?» «E come faccio? Sicuramente molti di loro hanno preso altri impegni.» «Forse verranno a sapere del cambiamento di programma del senatore dal notiziario del pomeriggio.» Fu così per diversi genitori, che appresero la notizia dall'unica stazione di Minneapolis che la diede. Gli altri non ne seppero niente. E neanche i Figli di una Libera America. 5 Quella sera, alle sette e mezzo, Powder Burns, Sonny Armitage, Will Standish e Rip Withers entrarono a Hobie a bordo della Plymouth Acclaim verde scuro di Rip, un'auto scelta per le sue caratteristiche sfuggenti. Con una certa illuminazione il verde scuro appariva blu e in pieno sole, nero. Lo stile della carrozzeria era indistinguibile da decine di altri modelli. Proprio quello che serviva a Rip. L'intenzione, arrivati a Hobie, era di fermarsi a qualche isolato di distan-
za dall'asilo aspettando l'esplosione, ma prima Rip volle passarci davanti per accertarsi che la visita procedesse secondo i piani. Quando videro che c'erano solo tre auto, e nessuna limousine né mezzi della televisione, capirono che c'era qualcosa che non andava. «Hai capito bene il giorno?» chiese Powder dal sedile posteriore mentre Rip accostava al marciapiede e fermava l'auto. «Certo che ho capito bene», esclamò Rip. «Non dire idiozie.» «Be', qualcuno deve aver cannato alla grande», disse Will, e Rip sentì che gli tremava la voce. «Oppure hanno trovato le bombe e hanno annullato la visita. Dio, forse in questo momento ci stanno osservando! Forse è una trappola...» «Maledizione», lo interruppe Rip, «se fosse una trappola ci sarebbero più auto. Su questa fottuta strada ci siamo solo noi! No, hanno semplicemente annullato. Non ci posso credere... Quella testa di cazzo, quel fottuto frocio bastardo faccia di merda vigliacco!» «Va bene», disse Will. «E adesso che cosa facciamo? Rip, dobbiamo fermare questa cosa. Guarda quelle macchine, c'è gente là dentro, forse dei ragazzini.» «Non ti agitare, Will», rispose Rip, cercando di mantenere la calma. A scombussolarlo non era la prospettiva che le bombe sarebbero esplose ugualmente, ma il fatto che avevano mancato il loro bersaglio e potevano volerci dei mesi prima che King tornasse nei paraggi, degli anni prima che capitasse un'occasione così liscia di farlo fuori. «Cazzo», esclamò riflettendo ad alta voce. «Avrei dovuto lasciare che Ace gli sparasse questo pomeriggio.» «Rip», disse Will, «lascia perdere questo, riguarda il futuro; qui abbiamo un problema, e lo abbiamo ora. Dobbiamo fermare quelle bombe. Forza, Powder, tira fuori quel telecomando.» «Ma sì, ma sì, ce l'ho qua, non aver paura.» Dall'interno della giacca Powder estrasse un aggeggio simile a un antiquato telecomando da televisore, con un'antenna retrattile. «Siamo abbastanza vicini?» chiese Will. «Certo, certo...» Powder estrasse l'antenna per tutta la lunghezza. «Basta che lo punto attraverso il finestrino. Stacca i contatti, e potremo tornare là dentro a riprendercele quando diavolo ci pare.» Schiacciò il pulsante, poi aggrottò la fronte. «Oh, cazzo.» «Cosa?» chiese Will. «Che cosa c'è?» «Be', questa lucetta rossa, mi pare, si dovrebbe accendere.»
«Si dovrebbe? Non ne sei sicuro?» «Sì, ne sono sicuro, sono sicuro che dovrebbe.» «E che significa se non si accende?» «Significa che non ha funzionato...» Powder scosse la testa perplesso, poi chiuse l'antenna e capovolse l'aggeggio. «Magari le batterie non sono buone.» «Le batterie? Vuoi dire che non hai messo delle pile nuove?» «Be', erano nuove, ma erano dentro da un bel po'. Succede che poi non funzionano.» «E non possiamo procurarne di nuove, Cristo?» Rip rimise in moto. «C'era un supermercato qualche isolato fa», disse stancamente. «Di batterie ne avranno. Ora rilassati, Will. Sono puntate sulle otto e dieci, e mancano venticinque minuti, abbiamo tutto il tempo.» Raggiunsero il negozio e Powder ricaricò l'apparecchio. «Adesso funzionerà?» chiese Will. «Non lo so. Non siamo ancora nel raggio.» «E allora andiamoci», incalzò Will. «Muoviamoci, forza!» Rip si voltò verso Will appoggiando un braccio sul volante e l'altro sullo schienale. «Will, stammi bene a sentire. Nessuno mi dice che cosa devo fare, né tu né nessuno dei miei uomini. Io sono il tuo ufficiale superiore e tu sei tenuto a rivolgerti a me con tutto il rispetto dovuto al grado.» Will deglutì e fece di sì con la testa più volte. «Va bene, scusami Rip, cioè, colonnello, chiedo scusa.» «Ti ho detto che abbiamo tutto il tempo per annullare la missione, e come soldato devi obbedire al tuo comandante, che ora ti ordina di non aprire bocca se non per rispondere a domande dirette, con signorsì e signornò, finché non saremo fuori da Hobie.» Sollevò un sopracciglio. «Chiaro?» «Signorsì», rispose Will. Rip appoggiò le mani sullo sterzo e rimise in marcia. Si fermarono di nuovo nei pressi della scuola. «Okay», acconsentì Rip. «Dieci minuti. Più che sufficiente. Forza, Powder.» Powder di nuovo allungò l'antenna puntandola dal finestrino, di nuovo schiacciò il pulsante, e di nuovo mormorò: «Cazzo...» «E adesso che diavolo succede?» disse Sonny. «Le pile non c'entravano niente», rispose Powder, «Adesso ho capito.» «Che cos'è?» domandò Rip, mentre Will sembrava lì lì per farsela addosso. «Il segnale. Attraverso le finestre passa benissimo, ma il problema sono
i frigoriferi. C'è troppo metallo perché arrivi dove le abbiamo piazzate.» «Oh, Cristo!» esclamò Will nonostante il silenzio impostogli. Date le circostanze, Rip non lo riprese. Rip guardò dal finestrino il Centro Diventiamo Amici, mordendosi un labbro. Otto minuti. E con i timer approssimativi di Powder, forse anche meno. E poi Rip vide che la tapparella di una finestra si apriva, e una figura guardava fuori. Era una donna, e dietro di lei vide altre piccole figure che si muovevano, e capì che quella donna e quei bambini erano già morti. Otto minuti. Appena il tempo di allontanarsi dalla zona. Distolse lo sguardo dalla donna. Che lo vedesse pure, pensò. Che li vedesse tutti. Che vedesse la macchina, il numero di targa. Di lì a otto minuti non avrebbe più avuto importanza. «Che cosa fai?» disse Will, disobbedendo di nuovo agli ordini. Nemmeno quello aveva importanza. Otto minuti e Will non avrebbe più detto una parola sull'argomento. Tutti loro sarebbero stati legati da quel sangue versato. Lo volessero o no, i Figli di una Libera America stavano per compiere la loro prima azione. Amy riabbassò la veneziana quando l'auto si allontanò. Aveva pensato che si trattasse di un genitore venuto a prendere il figlio, invece erano quattro uomini che probabilmente si erano persi. Era diventata attenta alle auto che gironzolavano attorno al centro. C'era sempre la possibilità di un rapimento, se non per soldi, per motivi più oscuri a cui Amy non voleva nemmeno pensare. E c'erano delle procedure precise da seguire ogni volta che a prendere un bambino era una persona che non fosse il genitore. Si riscosse dai suoi pensieri quando si sentì toccare la spalla. «Ti dispiace dare tu un'occhiata?» le chiese Nancy. «Devo scappare a prendere Karin alla lezione di nuoto.» Amy annuì sorridendo. Il centro sportivo di Hobie era a due passi: Nancy sarebbe andata e tornata in dieci minuti. «Sta' attenta», l'avvertì Amy. «Di fuori c'era una macchina con quattro uomini - probabilmente si erano solo persi, e quando mi sono affacciata sono andati via - ma tienili d'occhio lo stesso.» Nancy annuì e uscì salutandola con un cenno della mano. Amy non doveva preoccuparsi troppo per la sua amica. Avevano seguito insieme un corso di autodifesa, e Nancy portava sempre con sé nella borsa uno spray
irritante. Amy rivolse l'attenzione ai bambini. Nella sala ne erano rimasti solo sei: Brenda e Charlie Tran, che erano di nuovo occupati con il computer, Mary Alice Shearer, che sonnecchiava su una poltrona, Pete Grissom e Ashley Corcoran, impegnati in un gioco da tavolo, e DeMarole White, che trafficava con la cucina giocattolo, infilando pentole e tegami nel piccolo forno di plastica. «Un giorno farò lo chef, come il mio papà», le aveva detto innumerevoli volte. «Avvertimi quando è pronto quello che stai cucinando, che vengo a fare un assaggio», le disse Amy, ricevendone in cambio il lampo di un sorriso che spiccò bianchissimo sulla sua pelle scura. Per un attimo pensò di andare a vedere se Judy aveva bisogno di qualcosa, me non le andava l'idea di lasciare da soli i suoi piccoli. E poi sicuramente Judy se la stava cavando benissimo. Di là ora c'erano quattro bambini. Due, Mark Dreyfus e Shannon Pierce, erano molto piccoli, ed erano due tesori. Dormivano senza problemi ed erano deliziosi quando erano svegli. Frank Boone aveva due anni: si appisolava sempre alle sei e continuava a dormire fino alle sette, quando la mamma veniva a prenderlo. Annabel Jorgensen, di tre anni, invece era un terremoto, o almeno lo era stata finché Judy non l'aveva messa in riga. Probabilmente, pensava Amy, era stata l'età di Judy a colpire Annabel, i cui genitori erano entrambi poco più che ventenni. Bastava uno sguardo di Judy e la bambina smetteva immediatamente di correre, urlare o dimenarsi. La reazione aveva lasciato sbalordita la giovane signora Jorgensen, che per scherzo, ma non tanto, aveva proposto a Judy di trasferirsi da loro come governante notte e giorno. Visto che tutti i suoi bambini erano felicemente occupati, Amy decise di dare un colpo di telefono a Rick al suo studio di architetto. Solo raramente lo disturbava, ma erano diverse settimane che lavorava fino a tardi a un progetto e le aveva detto che sentire la sua voce era una graditissima distrazione. Erano proprio fortunati, pensò per l'ennesima volta, a essere ancora così innamorati dopo dodici anni di matrimonio. «Ciao, sono io», disse quando lui le rispose. «Allora, come va il blitz dei media?» «Ci hanno tirato il bidone, non lo hai saputo?» Gli raccontò della visita annullata e lui si mostrò deluso quanto lei. «Mi dispiace, piccola. Accidenti, quest'occasione sarebbe stata dinamite, per l'attività...»
«Che cosa stai facendo?» esclamò Will Standish. «Rip, che cosa stai facendo?» «Me ne sto andando. Credi a me, non vorresti trovarti nei paraggi quando le bombe scoppieranno.» Will sentì il cuore che gli scoppiava nel petto. «Non possiamo permetterlo... Ci sono dei bambini là dentro!» «Già. Li ho visti anch'io. Ma ora è troppo tardi.» «No, non è tardi. Troviamo un telefono, avvertiamoli... diciamogli di uscire subito!» «Will, quando quelle due bombe saltano, ci saranno poliziotti, ambulanze, camion dei pompieri in tutte le strade del quartiere. E se ci vedono che ci allontaniamo alla svelta, gli verranno dei sospetti. Ora io sono pronto a sacrificarmi, come tutti qui, ma solo se il martirio produce qualcosa. E far saltare quell'edificio non ci dà nessun risultato.» «Edificio?» replicò Will. «Quello non è solo un edificio... facciamo saltare in aria dei bambini, dei bambini piccoli!» «Dei bambini negri», precisò Powder. «Bambini gialli. Quel posto del cazzo è una specie di ONU in miniatura.» «Accosta, Rip», disse Will, cercando di non mostrare tutta la paura che sentiva. «Voglio chiamarli.» «Cabine in giro non ce ne sono, Will. Cerca di controllarti.» «Rip, guarda che salto giù in corsa se non fermi.» Will impugnò la maniglia della portiera. Il proiettile inserito in canna fece un rumore assordante. Will sussultò a quel suono e sentì il peso freddo dietro l'orecchio. «Provaci, Will», disse Sonny Armitage, «e sull'asfalto ci arrivi da morto.» Will conosceva abbastanza Sonny da sapere che non stava scherzando. Lasciò la maniglia e si appoggiò le mani in grembo, sperando che le dita smettessero di tremare così forte. «Va bene. Va bene, non vado da nessuna parte. Metti via la pistola, Sonny, sì?» Con sollievo sentì che Sonny abbassava lentamente il cane dell'arma. «D'accordo, Will.» «Quel che è fatto è fatto, Will», disse Rip. «Lo so che sei sconvolto, ma devi rassegnarti. Abbiamo cercato di fermarlo, non ci siamo riusciti. Ora dobbiamo accettarlo.»
Superarono diversi isolati prima che Rip parlasse di nuovo. «Però una cosa c'è. Dopo questo, sapranno che facciamo sul serio. Sapranno che non ci fermiamo davanti a niente. Nessuno è al sicuro. Nessuno.» Un minuto dopo, lontano alle loro spalle, udirono l'esplosione. Will sentì lo stomaco stringersi in una morsa e le viscere allentarsi. Cristo, no, non poteva farsela addosso. Strinse lo sfintere, cercò di resistere, di respingere indietro i pensieri, di non vedere quello che stava succedendo là dietro, di pensare a tutto tranne a quello che avevano fatto. Ma non ci riuscì. Nella sua mente vide tutto, e si chiese se lo stessero vedendo anche gli altri, e se si erano spinti così in là sul loro buio percorso che non vedevano altro e non sentivano che la loro sinistra soddisfazione. La prima esplosione si verificò nella zona dei più piccoli. Amy parlava al telefono con Rick quando ci fu uno scoppio assordante e la parete che separava la sua stanza dalla sala andò in briciole come fosse di vetro, piovendo in schegge grandi e piccole su lei e i bambini. Per un attimo fu come trovarsi in un tornado, con un vento così forte che nulla poteva resistergli. Amy fu scaraventata all'indietro, verso la parete opposta, e la colpì così forte che per un momento perse i sensi. Ma continuava a sentire i detriti che la tempestavano. Il dolore la riportò istantaneamente alla realtà. Riusciva a vedere a stento attraverso la nuvola di polvere e fumo, ma guardando verso l'origine dell'esplosione le parve di vedere un lontano lampione stradale là dove si sarebbe dovuto trovare il muro. Quindi non solo la parete tra lei e la sala era distrutta, ma tutte le pareti. L'intera area prescolare era scomparsa. Judy. I bambini. Amy si guardò attorno freneticamente cercando i suoi piccoli e si trascinò strisciando sulle macerie, gridando: «Bambini! Bambini! Dove siete?» Sentì qualcuno che si lamentava, qualcun altro che piangeva, e si diresse verso quelle voci. A un certo punto vide un braccio che spuntava da un cumulo di detriti, un braccio dalla pelle scura, con dei braccialetti di plastica al polso. DeMarole. Amy afferrò la mano, e il braccio cedette, troppo facilmente. Non c'era niente attaccato. I braccialetti tintinnarono lungo il braccio e si sfilarono dall'altra estremità perdendosi nel buio. Un urlo eruppe dalla gola di Amy, un suono inarticolato, privo di parole e di pensiero, un verso primordiale. I miei bambini, voleva dire. Che cosa è successo ai miei bambini... Si issò in piedi e avanzò barcollando verso le altre voci. C'era Brenda
Tran, che perdeva sangue da una dozzina di brutte ferite, ma era viva. La afferrò, cercando di ignorare i suoi lamenti di dolore. Non pensò neppure che potesse essere pericoloso muoverla. Sapeva solo che quello era un brutto posto, un posto che aveva fatto del male ai suoi bambini e lei doveva trovarli, trovarli e portarli fuori. Ora seguì i singhiozzi che venivano dal fondo della stanza. Trascinando e sostenendo Brenda con il braccio destro, Amy allungò il sinistro per trovare a tentoni il bambino tra le rovine di quell'incubo. Finalmente, all'orecchio che le ronzava, le urla divennero parole. «Mamma... mamma...» Eccomi, pensò. Mamma sta arrivando. Lo trovò incastrato sotto un pezzo di quello che era stato il muro interno. Mise giù Brenda quanto più delicatamente possibile, e scostò i pannelli metallici dal corpo di Pete Grissom, con la forza della disperazione, della rabbia e dell'amore materno. Le gambe di Pete erano entrambe spezzate, e Amy se lo pose in spalla cercando di far piano, poi sollevò Brenda e guardò, attraverso la polvere, verso il buio. In fondo alla stanza c'era l'uscita di emergenza. Il percorso era relativamente sgombro, e una volta lì non doveva far altro che spingere il maniglione, e si sarebbero trovati fuori, via da quel brutto posto. Poi avrebbe potuto deporre i bambini e tornare dentro a cercare gli altri. Barcollò verso la porta, reggendo e trascmando i bambini, e si fermò un attimo a riprendere le forze per la spinta finale verso la libertà. Si fermò un secondo soltanto, accanto al frigorifero. In quell'attimo sul secondo timer di Powder Burns scattarono le 8:00:00. La bomba esplose con più forza della prima. Amy non udì il suono della propria morte, non ebbe il tempo di sentire più dolore di quello che già provava. Morì sentendo solo la pena della perdita, la pena dell'amore distrutto. Lei e i bambini che erano con lei si disintegrarono, trasformati in una umida nuvola rossa che nello stesso istante si prosciugò in polvere secca. Dell'edificio, quanto la prima esplosione aveva lasciato in piedi era scomparso. Quanto era rimasto di Amy era scomparso. 6 Rick non sentì la prima esplosione al telefono: la linea cadde prima. Ma ne udì il boato, da otto chilometri di distanza.
Lì nel suo ufficio non fu in grado di capire da quale direzione venisse, ma il fatto che si fosse verificato nell'attimo in cui era caduta la comunicazione lo mise in allarme. Quando provò a richiamare, una voce registrata lo informò che il numero da lui formato era fuori servizio. E allora udì la seconda esplosione. Afferrò al volo la giacca e si precipitò giù per le scale senza aspettare l'ascensore, corse alla macchina nel parcheggio e puntò verso il centro. Cominciò a sentire le sirene prima che avesse percorso un chilometro. L'agente David Levinson fu il primo poliziotto ad arrivare sul posto. Si trovava di pattuglia a meno di un chilometro di distanza quando sentì la prima esplosione e vide il lampo. Invertì immediatamente la marcia, accese il lampeggiatore e la sirena e schizzò verso la zona. Era a un isolato dal centro quando gli parve di vedere alcune sagome che si muovevano tra la polvere dell'edificio sventrato. Ma poi il bagliore della seconda esplosione lo accecò, il boato gli colpì i timpani e sul tetto dell'auto piovvero detriti. Fermò subito in mezzo alla strada finché non gli tornò la vista. Una massa di fumo e polvere saliva verso il cielo, e Levinson smontò dalla macchina e proseguì a piedi verso l'edificio. Il suo primo pensiero fu per le persone che gli era sembrato di vedere muoversi. Ma più si avvicinava e meno gli sembrava possibile trovarle ancora vive. L'edificio era raso al suolo. Non rimaneva altro che polvere e macerie, e poche fiammelle sparse qua e là, che tremolavano incerte, come deluse per non trovare niente da bruciare. Lì, si rese conto, c'era il Centro per bambini Diventiamo Amici, davanti al quale passava tre volte al giorno. Abitava nello stesso quartiere in cui vivevano Amy Carlisle e il marito, li vedeva spessissimo. E quello era il centro di Amy, distrutto, quasi disintegrato. Dio, che cosa era successo? Tornò di corsa all'autopattuglia e fece per lanciare l'allarme, ma già sentì le sirene e vide le luci dei veicoli di emergenza in arrivo. I riflettori illuminarono il cielo prima di scendere sull'edificio distrutto, e quando lui alzò gli occhi sulla nuvola di fumo, gli parve che questa salisse muovendosi in modo strano, allargandosi e formando una vaga sagoma nel cielo. La sagoma di un uccello, un uccello ad ali spiegate. Per un momento Levinson rimase senza fiato. Non poteva far altro che seguire con gli occhi l'ombra dell'immenso uccello nero che saliva sempre più in alto, ricordando la storia che gli aveva raccontato sua nonna...
Ma poi a un soffio di vento la nuvola nera ondeggiò e cominciò a disfarsi slabbrandosi, e Levinson non fu più sicuro neanche di averla vista. Forse se l'era immaginata. Lo sperava. Il primo automezzo dei vigili del fuoco accostò e si fermò, e il comandante corse da lui, ingigantito dai panni impermeabili, e gli chiese se c'era qualcuno dentro. «Non lo so», rispose Levinson. «Mi sembrava di aver visto qualcosa che si muoveva nell'edificio... ma poi è arrivata la seconda esplosione, e... non c'era più nemmeno l'edificio.» Il capo si rivolse ai suoi uomini mentre arrivavano altre auto della polizia, seguite da un'ambulanza. «Squadra Uno, cercare eventuali superstiti. Due e Tre, collegare gli idranti.» «Potrebbe essere stata una conduttura del gas?» chiese Levinson. L'altro fece una smorfia. «Sente puzza di gas?» Levinson scosse la testa. «Io nemmeno. No, questo non era gas.» Levinson si fece da parte mentre i pompieri si inoltravano tra le macerie. Poi informò gli altri poliziotti di tutto quello che aveva visto, tranne che dell'ombra nera che si era alzata dal luogo dell'esplosione. Dan Trotter, un detective più anziano che aveva fatto parte della squadra artificieri della polizia di Los Angeles prima di venire nel Minnesota, scosse la testa. «Non è stato un incidente. Due esplosioni, a due minuti di distanza... E lo sai che cosa doveva succedere qui, stasera?» Levinson lo sapeva, e anche tutti gli altri. «Il senatore King. Ma la visita è stata annullata.» «Ma purtroppo non hanno annullato anche questo», disse Trotter. «O forse hanno semplicemente pensato: chi se ne frega. Questa è la tua zona, vero Dave?» Levinson annuì. «Sai se di solito c'era qualcuno a quest'ora?» A Levinson non sembrava di aver visto auto nel piccolo parcheggio nei suoi giri delle otto e mezzo. «Di norma no, che io ricordi. Ma stasera ci sono delle macchine.» Indicò lo spiazzo dove due veicoli giacevano ribaltati e accartocciati dalla violenza dell'esplosione. Improvvisamente videro arrivare di corsa una donna verso di loro. Il suo volto era pallidissimo sotto le luci artificiali, e la sua voce lasciava vedere lo sforzo che faceva per controllarla. «Dov'è Amy?» chiese. «E Judy... e dove sono i bambini?» «Amy...» disse Levinson. «Amy Carlisle era là dentro?» «Oh, Gesù...» mormorò la donna, quindi cominciò a singhiozzare sull'orlo di una crisi isterica. «Dio mio, erano in dieci lì dentro.»
«Dieci bambini?» chiese il comandante dei pompieri, che era tornato appena aveva visto la donna. «O dieci in tutto?» «Dieci bambini. Più Amy... e Judy.» Ora la situazione stava diventando caotica. Tre auto arrivarono quasi contemporaneamente, con i genitori venuti a prendere i figli, seguite da altre a distanza di pochi minuti. Il personale medico, pur non avendo feriti da soccorrere, aveva il suo da fare per occuparsi dei genitori sbigottiti, e in alcuni casi isterici, a cui bisognò impedire fisicamente di precipitarsi tra le macerie a scavare alla ricerca dei propri figli. «Era plastico», annunciò Trotter a David Levinson. «E in quantità.» Levinson guardò i vigili del fuoco che avevano cominciato a rimuovere i detriti. «Troveranno niente? Almeno dei resti?» «Può darsi, ma è poco probabile. Hai visto che effetto ha avuto sull'acciaio, il legno e il vetro. Carne e ossa sono assai più vulnerabili. L'unica speranza è che qualcuno, o qualche pezzo di qualcuno, sia rimasto sotto un pezzo di muro dopo la prima esplosione. Quanto a trovare qualcuno ancora in vita, puoi scordartene. La potenza di quella roba è incredibile, è capace di vaporizzare un essere umano.» Trotter scosse la testa. «L'unica cosa che si può dire è che l'azione è immediata. Nessuno avrà sofferto. E se...» Trotter si interruppe e guardò al di là della spalla di Levinson. Levinson si voltò e vide un uomo che scendeva da un'auto. Era sconvolto. Riconobbe subito Rick Carlisle. «Rick», disse, andandogli incontro. Non sapeva cosa dire. Lo spazio devastato davanti a loro era fin troppo eloquente. «Rick...» ripeté. «Mi dispiace. Mi dispiace infinitamente.» 7 La giornata di lavoro di David Levinson terminò alle undici. Era rimasto sul posto facendo il possibile per dare una mano. C'era tanto da fare. I genitori e i familiari erano stati il problema principale, ma i media avevano reso le cose ancora più difficili. Alle nove gli studi mobili delle televisioni erano calati sul quartiere solitamente tranquillo come corvi sulla carcassa di un animale. Sotto la luce violenta dei riflettori dei cameramen, i cronisti assediavano con i loro microfoni i poveri familiari affranti, domandando cosa provassero. Alcuni si sottraevano alle interviste, mentre altri cercavano di collaborare, tentando di trovare le parole che esprimessero il dolore e l'orrore che sentivano.
Levinson si sentiva nauseato. La goccia che fece traboccare il vaso fu un giornalista che continuava a tallonare una donna asiatica che aveva chiarito che non aveva intenzione di parlare. L'uomo non smetteva di insistere. «Signora, la prego, aspetti, vogliamo parlare con lei, ci dica cosa sente... Ehi, ma non parla inglese?» La seguì con l'operatore anche oltre il nastro giallo della polizia, stringendola tra due auto. «Signora, per favore, ci dica come si sente.» Quel bastardo ora era nel territorio di Levinson; l'agente si avvicinò all'uomo, mise la mano sull'obiettivo della telecamera e gli strappò di mano il microfono, staccandolo dal cavo. «Come diavolo pensa che si senta? Adesso porti immediatamente il culo dall'altra parte di quel nastro altrimenti la arresto.» «Ehi, amico, io sto solo facendo il mio lavoro!» «Non sono suo amico, e io sto facendo il mio. Adesso si muova!» Fece accomodare la donna in un'auto della polizia e la tenne stretta mentre lei continuava a piangere. «Tutti e due i miei figli», singhiozzò, e Levinson sentì lo stomaco e la gola farsi di ghiaccio. Che cosa si poteva dire, che cosa si poteva rispondere a tanto dolore, a una perdita che non si sarebbe mai attenuata, anche nel pieno di un momento di allegria? Un pugno si era stretto attorno al cuore di quella donna, e l'avrebbe serrato fino al suo ultimo giorno di vita. Alle dieci e mezzo erano arrivati gli investigatori federali, non essendoci più dubbi che la distruzione era stata provocata da una bomba. I piccoli focolai d'incendio erano stati spenti e i pompieri avevano frugato con ogni cura tra le macerie, ma non avevano trovato nessuno vivo. Come aveva previsto Trotter, non si erano trovati nemmeno i resti delle vittime. Un'altra mezz'ora e i familiari erano andati a casa o erano stati portati all'ospedale per la notte, e messi sotto sedativo. Levinson aveva sentito che il marito di Judy Croft era stato colpito da un attacco di cuore ed era in condizioni critiche. Ora Levinson guardava gli investigatori che raccoglievano campioni di detriti e di polvere e prendevano misure sotto la luce abbagliante dei riflettori. «Finito il turno?» gli chiese Dan Trotter. Levinson annuì. «Ordine di rimanere?» Lui scosse la testa. «E allora perché non te ne vai a casa?» «Non lo so», rispose Levinson, ma invece lo sapeva. La sua casa vuota gli avrebbe fatto pensare ancora di più al vuoto di quel posto spaventoso. «Prendiamo un caffè? Magari con una ciambella?»
«Sì, volentieri.» Salirono sull'auto di Levinson e raggiunsero un locale aperto tutta la notte, dove le cameriere erano cordiali ma mai troppo curiose. Questa notte, pensò Levinson, la loro discrezione sarà messa alla prova. Ma loro si limitarono a sorridere e a salutare con un cenno i due poliziotti, presero l'ordinazione e non fecero domande. Levinson si sedette al tavolo e bevve un lungo sorso di caffè. «Lo sai perché me ne sono andato da Los Angeles?» chiese Trotter. «Stava diventando troppo violenta. Ogni volta che ti giravi attorno c'era qualche bastardo che metteva una bomba in banca o in un ufficio pubblico, diavolo, perfino le scuole. E allora ho detto a mia moglie, che cazzo, andiamocene di qui prima che ti lascio vedova. Ho due figli, stava diventando un posto di merda per crescerli. «E così sono venuto a Hobie, ho avuto una promozione, anche se lo stipendio è diminuito, ma con la differenza del costo della vita non me ne sono quasi accorto. Ero contento, qui le cose erano molto meno violente.» Si strinse nelle spalle. «E adesso questo.» Tirò fuori un taccuino dalla tasca e lo sfogliò. «Due donne, dieci bambini, e quattro non andavano ancora a scuola. Spariti in un lampo. La cosa peggiore che mi sia mai capitata. Il crimine più odioso, orrendo, disgustoso che abbia mai visto commettere. E non so neanche se riusciremo mai a scoprire chi è stato.» Chiuse gli occhi e scosse la testa. «Io ho lasciato Detroit per lo stesso motivo», disse Levinson. «Tutti quegli omicidi dopo un po' cominciavano a essere troppi. Quella puzza... ti si ferma nel naso, non riesci più a liberartene. È come un pescatore che puzza di pesce, o un allevatore che puzza di letame per tutta la vita. Io puzzavo di cadaveri, capisci. Ha cominciato a risentirne... be' la mia vita privata.» E la conseguenza era stata che lui e sua moglie avevano cominciato ad allontanarsi, e quella distanza lui la detestava. Avrebbe voluto che il rapporto con Carol fosse perfetto, e questo a Detroit non era possibile. Lei era sembrata contenta di andare con lui a Hobie, e lui aveva sperato che le cose si mettessero per il meglio, ma ormai la situazione era irrecuperabile. Tre mesi dopo il trasferimento lo aveva lasciato ed era tornata a Detroit. Ma di questo non aveva voglia di parlare a Trotter. «E quindi volevano uccidere il senatore King», disse Trotter, guardando dal finestrone, «e non gliene importava niente se intanto ammazzavano un mucchio di ragazzini. Hai idea di chi potrebbero essere?»
«No. Ma conosco la mentalità. So come pensano.» Fece un sorrisetto. «So chi odiano.» «Chi?» «Me. Gli ebrei. Ma odiano anche i neri e i chicani e i vietnamiti e i giapponesi e chiunque abbia pelle o religione diversa dalla loro. Odiano chiunque è diverso.» Arrivò la cameriera e Trotter masticò a lungo un boccone della sua torta al caffè prima di fare la domanda. «Hai avuto problemi del genere in servizio?» Levinson non rispose, e Trotter proseguì. «Detto tra noi, ho sentito delle voci. Voglio solo capire se sono vere.» «Qualche collega c'è», rispose lentamente Levinson, «che, ho l'impressione, non ama particolarmente gli ebrei.» Trotter grugnì. «Ma perché non si dimettono e se ne vanno con quei dannati paramilitari?» Fece una smorfia. «Il nome da ragazza di mia moglie è Rachel Rabinowitz. Lei frequenta la sinagoga, io no. Ma vedo lo stesso come mi guarda qualcuno dei ragazzi. E così...» il suo tono si fece più serio, «credi che ci siano coinvolti quei miliziani?» «Può darsi. Da queste parti ce ne sono parecchi.» «Sembra che gli piacciano i boschi del nord, vero? Solo che se ne stanno buoni e tranquilli come sorci in chiesa. So di quasi una dozzina di diverse milizie nel raggio di centosessanta chilometri da Hobie, e non fanno altro che addestrarsi e reclutare gente e accumulare armi. Ma quei figli di puttana, per quello che ne so, fanno tutto legalmente.» «E anche se non fosse così», disse Levinson, «dopo Ruby Ridge e Waco tutte le autorità, locali e federali, ci pensano due volte prima di mettere piede in uno di quei campi armati e di fare qualche arresto.» «Ci puoi scommettere. Quegli sballati sono contenti quando la tensione sale. Per loro è un'occasione di diventare martiri della causa della confraternita dei cristiani bianchi.» «Dunque credi che sia stata una di quelle milizie?» «Di certo nessun privato può disporre di tanto esplosivo plastico da radere al suolo un edificio in quel modo. No, questo è stato organizzato da qualcuno che sapeva bene che cosa stava facendo e aveva tutti i mezzi per farlo. Dei veri professionisti.» «Quindi pensi che i federali indagheranno sui gruppi paramilitari della zona?» «No, non credo. Non credo che ne avranno il fegato perché non vorranno creare l'occasione per un altro incidente. Se avessero le prove certe del
coinvolgimento di una milizia, allora forse agirebbero. Ma fare domande? Perquisizioni? Esaminare arsenali? No, non lo faranno. Anzi, a meno che non succeda qualcosa, non mi stupirebbe se la faccenda fosse liquidata definitivamente come opera di ignoti.» «L'ho sentita morire», disse Rick Carlisle. «Al telefono, appena è caduta la linea, è stato allora che è morta.» Lui e Nancy Fowler erano seduti nel soggiorno di Nancy. Erano le due del mattino. Quando non aveva avuto più dubbi che Amy fosse rimasta uccisa nell'esplosione, Rick era riuscito a imporsi una certa calma e aveva soffocato lo strazio del dolore collaborando con le autorità in ogni modo possibile. Erano rimasti, lui e Nancy, seduti nel furgone della polizia per mezz'ora a rispondere alle domande, prima con il capo dei detective di Hobie e poi con un investigatore federale. Nancy era stata in grado di fornire i nomi di tutti i bambini che si trovavano nel centro quando c'era stato lo scoppio e Rick aveva riferito la telefonata finale e il suono dell'esplosione che aveva sentito subito dopo l'interruzione della comunicazione. Non avevano potuto dire altro, se non che Amy aveva visto un'auto con quattro uomini davanti all'edificio pochi minuti prima che Nancy uscisse. No, non c'era niente che avesse fatto pensare che fosse stato messo qualcosa nell'edificio... No, non avevano notato alcun segno di effrazione... No, non era successo niente di insolito... No... no... no... Quando l'interrogatorio era finito e loro due erano rimasti soli, Nancy aveva detto che doveva portare Karin a casa. La bambina era stata con una agente da quando Nancy era arrivata. «Senti», aveva detto a Rick, «se stanotte non hai voglia di tornare a casa, posso sistemarti nella camera degli ospiti.» L'offerta era stata fatta in tutta semplicità, e Rick l'aveva accettata annuendo stancamente. E ora che sedevano davanti a due tazze di tè, gli eventi della sera sembravano quasi un sogno. Com'è possibile, pensò Rick, che un simile cataclisma ti sconvolge la vita e poche ore dopo puoi startene con tutta calma a bere un tè come se non fosse successo niente? Eppure, non c'era altro a cui potessero pensare o di cui potessero parlare. Arrivarono ben presto alla conclusione che il bersaglio era il senatore King. «Troveranno chi è stato», disse Nancy. Chiuse gli occhi e aggrottò la fronte. «Amy probabilmente li ha visti. Vorrei averle chiesto di più su di loro: che aspetto avevano, com'era la macchina. Vorrei...»
«Se non la trovano», disse Rick a voce bassa, «è quasi come se non fosse morta, che sia solo andata da qualche parte, e un giorno o l'altro magari tornerà.» Guardò Nancy e vide l'espressione di sorpresa e di pena sul suo viso. «No, lo so che non è così. Non sono impazzito, lo so che cosa è successo. Ma così, senza... senza il corpo, è come se fosse ancora lì fuori, ancora... ancora viva in un certo senso, anche se so bene che se n'è andata.» Rimasero in silenzio per un po', e poi lui riprese: «Lo sai che cosa spero? Spero solo che la cosa sia stata immediata. Spero che non abbia capito niente. Perché se ha capito... se ha capito dei bambini... Non so come potrebbe essere morta sapendo questo. «Non credo che sarebbe potuta morire. Sapendo questo.» Voglio... voglio tornare... Aspetta No... non è giusto... Devo riparare al torto. Non posso riposare finché non avrò riparato. Non ancora. Aspetta. Non posso aspettare! Fa troppo male aspettare! Mi fa male, fa male a loro... Oh Dio, il suono delle loro urla... Aspetta, Amy, aspetta. Il pianto, la voce che chiamava mamma... Presto. Presto. 8 «Amici, bentornati alla seconda ora del Wilson Barnes Show. Se già eravate in ascolto, saprete di che cosa ho parlato questa notte. Delle esplosioni che hanno scosso la sede stessa del Wilson Barnes Show, la splendida Hobie, nel Minnesota. Un centro per bambini, amici miei. Sì, proprio così, un centro per bambini è stato distrutto. Due adulti e dieci piccoli hanno perso la vita, sono stati fatti in briciole, amici miei. «Le autorità federali sono già sul posto... e dico 'già' con un pizzico di ironia, perché in uno scenario tutt'altro che improbabile, qualcuno che la sa lunga potrebbe dire che erano lì già prima. Guardiamo i fatti... «Il senatore Robert King, dio degli ultraliberali, doveva visitare il centro alle otto di ieri sera. Ma il senatore non è arrivato: se n'è tornato in quella fogna che va sotto il nome di Washington. Alle otto e dieci, amici, due
bombe sono esplose nel centro per bambini. Ora, che cosa dovrebbe pensare la persona comune? Che cosa i media vorrebbero farvi pensare? «Vorrebbero farvi pensare che qualche brutto e cattivo reazionario conservatore, magari una di quelle terribili milizie, amici, è il responsabile. Questa gente è così carogna, così priva di scrupoli, che è capace di far saltare in aria dei bimbi pur di assassinare uno dei suoi avversari politici! E allora diamo la caccia a questi mostri! Non diamoci pace finché queste organizzazioni di fanatici di destra non saranno distrutte fino all'ultima, finché non gli avremo tolto tutte le loro armi così pericolose e non avremo messo in galera i loro capi, che quello è il loro posto! «Questo è ciò che vorrebbero farvi pensare, amici miei. Ma noi siamo americani, noi queste stronzate non ce le beviamo, giusto? Guardiamo i fatti... «Se questo era un complotto per uccidere il senatore King, come complotto faceva proprio schifo. C'erano decine di opportunità per farlo oggi. Si è trovato allo scoperto in una mezza dozzina di occasioni. Si sarebbero potute piazzare bombe dappertutto, o un cecchino avrebbe potuto farlo fuori senza difficoltà... non è che sto dicendo che sarebbe stato una buona cosa. «E invece dove l'hanno messa la bomba questi terribili reazionari? In un centro per bambini, nell'ultima tappa della giornata, la tappa che aveva più probabilità di essere annullata! E quando la bomba scoppia, King non c'è nemmeno! Dicono che è dovuto andarsene per una votazione, ma sarà vero, amici? «O forse sapeva fin dall'inizio che là c'era una bomba? «Sapeva chi l'ha piazzata? «Non faceva per caso parte di una cospirazione per macchiare la reputazione della destra conservatrice, e dei movimenti della milizia in questo paese, al punto che non potessero mai più sperare di rialzarsi dalla polvere del Centro Diventiamo Amici? «Ha forse dato il suo contributo alla messa in scena di un'attentato inteso a screditare la destra, sacrificando dieci bambini innocenti? Non è capace il governo di fare una cosa del genere? «Be', è stato capace di sparare in faccia a Vicki Weaver quando l'unica arma che impugnava era la sua creatura... È stato capace di provocare una tempesta di fuoco a Waco, in cui sono morti oltre venti bambini... Diavolo, che cosa volete che siano altri dieci? «Ditemi voi, amici, di che cosa non sono capaci Bill Clinton e Teddy
Kennedy e Janet Reno e Robert King! «E badate che non si è trattato di una bomba casalinga fatta con il fertilizzante. No, questa bomba, stando agli esperti che hanno visto la distruzione, era al plastico. Lo stesso tipo di esplosivo plastico, potrei aggiungere, che i militari degli Stati Uniti hanno in abbondanza. «E i bambini? Tutta una coalizione arcobaleno, amici miei. Ebrei, gentili, orientali, neri... quasi come se fosse programmato così, come se questi bambini fossero sacrificati per essere sicuri che grazie ai media ebrei liberali tutti negli Stati Uniti odiassero i responsabili di questo atto orrendo. «E infatti orrendo è stato questo atto, e non solo per l'uccisione di bambini innocenti, ma in un senso più profondo. Sto accusando qualcuno, amici? No, sto solo facendo delle domande. Di accuse ne sentirete in quantità, nelle prossime settimane, da parte del governo e dei media ebrei liberali. E quando le sentirete, non dimenticate che c'è una possibilità molto concreta di un coinvolgimento del governo, di gente così assetata di potere che è disposta a sacrificare tutto, anche la vita di piccole creature, pur di raggiungere i suoi fini atroci...» Lasciata la radio alle sei del mattino, Wilson Barnes tornò nell'attico in centro dove viveva da solo. Si versò tre dita di whiskey del Tennessee e lo sorseggiò mentre componeva al telefono un numero familiare. «Sì?» rispose una voce assonnata. «Sono io», disse Barnes. «Dormivi? Hai sentito, prima?» «Ho sentito.» «Ti sembrava buono?» «Sì.» «Ci credo, che lo era. Io continuo così. Passo la linea ai fratelli delle altre radio. E mi aspetto un segno di apprezzamento.» «Solito posto.» «È un piacere fare affari con te», concluse Wilson Barnes, e riappese prima che Rip Withers potesse aggiungere altro. 9 Quello seguente fu un giorno di altri discorsi ed esercizi retorici. La notizia dell'esplosione fu data in apertura di ogni notiziario di tutte le reti nazionali, e al mattino già si sapeva che gli investigatori federali avevano trovato tracce di ciclonite, l'ingrediente attivo dell'esplosivo plastico C-4.
La grande stampa arrivò presto alla conclusione che la distruzione del Centro Diventiamo Amici era stata la tragica conseguenza di un tentativo di estremisti di destra di assassinare il senatore Robert King. In una dichiarazione diramata in mattinata, il presidente prometteva l'impegno totale di ogni autorità federale di polizia nella ricerca degli autori di questo «attacco spietato e terribile». I commentatori della stampa, però, non erano altrettanto sicuri, condividendo i timori che Dan Trotter aveva espresso a David Levinson sulla riluttanza del governo a entrare nei campi fortificati che ospitavano la gran parte dei gruppi paramilitari. I mezzi di comunicazione ultraconservatori seguirono un'altra strada, quella suggerita da Wilson Barnes. I conduttori radiofonici meno estremisti, con un pubblico più ampio, invitarono i loro ascoltatori a non saltare subito alla conclusione che se di cospirazione si trattava, era una cospirazione della sinistra. Che vi fosse coinvolto il governo, dicevano, sembrava improbabile ma non impossibile. Ma c'erano sempre gli estremisti di sinistra, ed erano molto più pericolosi perché operavano da soli. Era possibilissimo che uno di questi «cani sciolti», fornito di informazioni sui programmi del senatore, avesse voluto screditare la destra organizzando un simile attentato. Ma i commentatori più estremisti adottarono in pieno la tesi di Wilson Barnes, suggerendo in termini inequivocabili che Hobie era stata un'altra Oklahoma City, un atto terroristico voluto dal governo per distruggere il suo nemico più forte, i patrioti delle milizie cristiane bianche. Questa teoria fu rafforzata nel pomeriggio, quando trapelò la notizia che una delle vittime aveva visto un'auto con quattro uomini a bordo, immediatamente trasformati dai commentatori radicali negli odiati «uomini in nero» del governo federale. Ma in tutti gli Stati Uniti, solo nel campo dei Figli di una Libera America si poteva sentire la verità. All'una, subito dopo il rancio di mezzogiorno, Rip Withers aveva radunato tutti i membri dei Figli nella palestra coperta, dove oltre agli esercizi di addestramento si tenevano i discorsi. E in questa attività ora era impegnato Rip. «Ormai avete sentito tutti la notizia alla radio. Per quanto ne so potreste aver sentito anche altro. Ma ora sono qui io a dirvi la verità.» Guardò i suoi uomini, tutti soldati duri e fidati, che lo ascoltavano attentamente seduti sulle panche.
«La verità è ciò che ci rende diversi da loro», proseguì. «Loro mentono alla gente, si mentono a vicenda. Io non intendo mentirvi. Vi dirò la verità. Il vostro stato maggiore ha preso la decisione di mettere fine alla vita del traditore antiamericano Robert King. Il nostro servizio di informazioni ci aveva comunicato che ci sarebbero state scarse probabilità che nell'attacco venisse messa a repentaglio l'incolumità dei bambini. Ma come sapete non sempre le informazioni sono precise. Erano presenti dei bambini e, cosa altrettanto dannosa per la nostra causa, non lo era il nostro bersaglio principale.» La reazione fu quella, indesiderata, che aveva previsto. La maggior parte degli uomini ascoltò senza mostrare alcuna emozione, ma alcuni apparivano turbati, se non scioccati. «È stata una tragedia, ma ha mandato un messaggio. Nessuno è al sicuro. Nella nostra lotta, dobbiamo essere altrettanto spietati del governo che ha abbattuto a colpi di fucile e di bombe incendiarie bambini innocenti. E se l'unico modo per dimostrarlo era qualcosa come quello che è accaduto ieri sera, così sia. «Vorrei che non fosse successo. Vorrei che fosse possibile cancellare quello che è stato, ma non è possibile. È finito, è passato, e ora non dobbiamo soltanto rassegnarci, ma trovare un modo per utilizzare la cosa a nostro vantaggio. Se avete sentito Wilson Barnes questa notte, sapete che lui ha mostrato un modo. «Ora, se c'è qualcuno tra noi che non può sopportare l'idea di quello che è successo, me lo faccia sapere subito e... troveremo un modo.» Rip guardò Will Standish, seduto in fondo alla sala con la testa china e lo sguardo fisso a terra. Quindi guardò gli altri che si erano mostrati a disagio alla notizia, ma anche loro sembravano riluttanti a parlare. «Bene, allora. Conoscete le regole. Per chi tradisce i fratelli, con parole o azioni, la sola punizione è la morte. Ora abbiamo un altro segreto che ci unisce, come ci uniscono le nostre convinzioni e la nostra dedizione alla causa. Siate fedeli. Siate leali. E il giorno della vittoria verrà, per volontà di Jahvé.» Si sentì risuonare qualche amen isolato, quindi altri si unirono, e presto tutti gli uomini erano in piedi nel gesto del saluto dei patrioti cristiani bianchi. Anche Will Standish era sull'attenti e salutava, anche se Rip vide scarso entusiasmo nel gesto. E infine Rip Withers sorrise e restituì il saluto con fierezza.
Passarono settimane, mesi, e non accadde assolutamente nulla. Gli investigatori non avevano il minimo indizio da cui partire, se non i residui di C-4, e le autorità erano comunque poco propense a forzare la situazione, con il rischio di provocare reazioni violente che potevano provocare un bagno di sangue. L'apparente successo dell'attentato al Centro Diventiamo Amici portò Rip Withers a credere davvero che Jahvé fosse con loro, e il fatto che non avevano ricevuto alcun fastidio era un Suo segno che era giunto il momento di fare qualcosa di più. Era giunto il tempo di un'altra esplosione, tale che avrebbe scosso il governo empio e traditore fin nel suo stesso cuore. Parte seconda Ah, amore, restiamo fedeli L'uno all'altro! Perché il mondo, che sembra Aprirsi davanti a noi come una terra di sogno, Così vario, così bello, così nuovo, Non ha in realtà né gioia, né amore, né luce, Né certezza, né pace, né sollievo alla pena... MATTHEW ARNOLD, Dover Beach 10 Intanto, la polvere era rimasta. Quando gli investigatori ebbero raccolto gli ultimi campioni, quando i pochi frammenti di resti umani furono recuperati, quando i mezzi di informazione ebbero fatto le loro foto e le loro riprese, la polvere era rimasta, variegata mappa in rilievo di un villaggio scomparso. Grigia come cenere in alcuni punti, o del pallore d'avorio delle ossa, o rossiccia come ruggine o sangue secco. Sottile come cipria, grossa come ghiaia, luogo e persone si erano mescolati, diventando una sola cosa in una spessa coltre di vite morte e morti sogni. I nastri di plastica disposti dalla polizia erano rimasti, ormai, a brandelli e stinti dal sole che aveva ridotto il loro vivido giallo al colore della pelle itterica. A un tempo cimitero, monumento e luogo d'esecuzione, quel posto continuava a richiamare gente. Dopo quasi sei mesi, portavano ancora fiori e peluche. Pregavano, piangevano, guardavano la polvere.
Qualcuno si chinava a raccoglierne una manciata, lasciando poi ricadere tra le dita quella polvere che era stata luogo d'amore e i soggetti d'amore che l'avevano occupato. Le voci che avevano riso, le gambe che avevano corso, i volti che avevano sorriso, le mani che avevano accudito, tutto ora era polvere, granelli che aderivano alle dita come altrettanti ricordi. *** Nessuno, tranne Rick Carlisle, ricordava che quel giorno di fine ottobre era l'anniversario della fondazione del centro. Il ricordo lo aveva colto di sorpresa, suo malgrado, perché stava cercando di dimenticare tutto ciò che riguardava il centro, l'esplosione. Aveva tentato, con tutto il cuore, di dimenticare quello che era successo a Amy. Ma era nel profondo del suo cuore che Amy rimaneva. Quella sera, la sera di Halloween, i bambini giravano mascherati per le case a chiedere dolciumi. Ma quelli che abitavano nei dintorni del Centro Diventiamo Amici si tenevano alla larga dal sito, facendo lunghi giri per evitarlo. Ogni bambino sapeva che era abitato dai fantasmi di quelli che vi erano morti, e la situazione era sicuramente ancora peggiore nel periodo di Halloween. Il pattugliamento della polizia era stato raddoppiato per le due notti di «dolcetto o scherzetto», e David Levinson si era offerto di svolgere doppi turni. L'idea di un supplemento di paga non gli dispiaceva, e poi dava agli agenti del secondo turno l'opportunità di andarsene in giro con i loro figli. Aveva appena finito il turno serale, e si sentiva come uno spirito buono che vigila su tutti i ragazzini travestiti da vampiri o da clown o dai personaggi dei fumetti del momento. Alle dieci, però, erano tutti al sicuro in casa, probabilmente nelle loro camerette a rimpinzarsi di nascosto. Che differenza con Detroit, pensò mentre si avviava verso la caffetteria per fare una pausa. La Notte del Diavolo era ben più attiva di un Halloween a Hobie. Qui il massimo che gli era toccato di fare quella sera era stato ammonire un ragazzetto più grande che voleva portar via il bottino a uno dei più piccoli. Non una sola auto in fiamme, non uno stupro, non un omicidio. Eppure c'era buio e male dappertutto, pensò mentre passava lentamente accanto al luogo dell'esplosione. Chi sa quando si sarebbero decisi ad asfaltare quel dannato lotto pieno di polvere e macerie. Halloween era suffi-
ciente per far venire la pelle d'oca, anche senza avere tra i piedi quel buco dell'inferno. In ogni caso, quello era tutt'altro che il periodo dell'anno che Levinson preferiva. Quando era piccolo aveva sempre odiato Halloween. Di solito coincideva con la fiera più importante a cui partecipava suo padre, che si teneva in Florida. Sua madre lo seguiva per prendersi una vacanza e questo significava che David e suo fratello dovevano passare cinque giorni e quattro notti con nonno e nonna Levensohn. Il nonno non aveva mai voluto cambiare la grafia del cognome dalla forma tradizionale russa, adducendo un legame della famiglia con lo scrittore ebreo russo Michal Levensohn. Lui e la nonna erano venuti dalla Russia e tra loro usavano lo yiddish, un'abitudine che David trovava strana e molto sgradevole. Non gli piaceva non capire quello che gli altri dicevano, sapendo che loro invece riuscivano a capire lui. Gli sembrava una cosa ingiusta e molto egoista. Ma quello che gli faceva venire i brividi, nei nonni, erano le storie che raccontavano del paese. A spaventarlo non era tanto l'antisemitismo delle truppe dello zar e i cosacchi. Tutto sommato a quello era abituato, anche se quelli che odiavano gli ebrei nella sua scuola e nel quartiere non gli andavano contro armati di sciabole. Era il racconto di Abraham Levensohn, lo zio di suo nonno, e del corvo che lo guidava. Ancora adesso, quando ci ripensava, gli venivano i brividi. Ci sono cose che non dovrebbero accadere nella vita reale. Alcune, come i pregiudizi, sono sbagliati ma si sopportano e si cerca di cambiarli. Altri, come quell'attentato, sono abomini, atrocità spaventose. Contro queste cose ci si batte con tutta la forza. Ma altre ancora sono inimmaginabili, come un morto che torna in vita, quale che sia la ragione. O anche quello era vero? C'erano abomini ancora più inimmaginabili di un morto che ritorna per uccidere? E se il morto risorgeva per vendicare quegli abomini, così come aveva fatto lo zio Abraham? Levinson scosse la testa. Lascia perdere, si disse. Quella dannata storia gli tornava alla mente ogni Halloween, e probabilmente non era più vera delle altre leggende che nonna Levensohn gli raccontava, quelle leggende che lui più tardi aveva trovato nei libri sul folclore ebraico. Però la storia del corvo non l'aveva mai trovata, ed era proprio quella che lei gli raccontava con più convinzione. Vide davanti a sé le luci della caffetteria. Per il quarto d'ora che gli era
consentito di starsene seduto senza avere un volante davanti a sé, forse una bella tazza di caffè e una fetta di torta avrebbero mandato via le vecchie favole della nonna. Solo a mezzanotte si sarebbe dovuto rimettere in strada. E la polvere rimaneva. Aspettava, mentre i lampioni viravano in un grigio uniforme tutte le sue ondulazioni, come un mare in un giorno di soffocante bonaccia. Ma quando gli orologi degli uomini batterono l'annuncio che era mezzanotte, che la notte era al centro della propria oscurità, che il pendolo tra tramonto e alba toccava il punto più basso della sua corsa, qualcosa di nero cadde dal nero del cielo, planando e roteando nell'avvicinarsi alla terra, nell'avvicinarsi alla polvere che rimaneva, in attesa del suo arrivo. Rallentò la discesa, come posato per un attimo sull'aria, e dal suo corpo nero, dalle penne lucide come laccate, o come scolpite nel giaietto, emersero due zampe, alla ricerca di un appoggio. Lo trovarono su uno dei paletti che sostenevano il nastro lacero della polizia, e i pugnali di ossidiana dei suoi artigli si conficcarono nel legno. Il corvo restò immobile nel vento che faceva svolazzare il nastro ma non aveva effetto sulle sue piume. Il corvo osservava con occhi di carbone splendente, osservava la danza del vento nella polvere grigia, le onde di quel mare asciutto sollevarsi e abbassarsi. Poi il vento passò sul mare di polvere in attesa e lo lasciò, passando oltre a scuotere le foglie morte, a far tremare i vetri delle finestre. Sopra la polvere, l'aria si fermò, morta. Ma la polvere continuò a muoversi. Era come se il vento continuasse a soffiare, ma da tutti i lati, verso il centro dell'oceano di polvere. E la polvere cominciò ad ammucchiarsi, a crescere in una forma che prima suggerì, quindi replicò, una sembianza umana. Una testa, due braccia, un tronco, due gambe, tutto si levò lentamente dalla polvere come se fosse sempre stato lì, aspettando solo il momento di sorgere per essere riconosciuto dall'essere posato lì sopra, che osservava la donna reclina cui la sua buia volontà dava forma, o la volontà dell'anima che ancora la abitava. L'immagine prese forma come, nell'antico racconto, Dio aveva formato Adamo dalla polvere della terra. Ma questa non era Adamo, e nessun creatore soffiò l'alito della vita nelle sue narici. Il respiro, invece, eruppe con un urlo di nascita e rinascita, mentre la polvere diventava carne e muscolo. La cenere divenne osso, sangue
che divampò come un incendio, dando vita all'essere in un sussulto di dolore, con un'esplosione di agonia, e il ricordo di come era morto e perché ora ritornava. 11 E mentre il corpo di Amy Carlisle si riformava dalle proprie particelle e dal proprio desiderio, Rick Carlisle sognò questa ricostruzione, mentre la sua anima, ancora un'unica cosa con quella di lei, assisteva alla rinascita da quell'utero di polvere. Vide il suo volto emergere dai detriti del lotto deserto come una donna che si leva dalla sabbia in cui è stata sepolta. Vide la sua bocca piena di polvere, e vide quella polvere esplodere dalle sue labbra in una nuvola cinerea, vide i suoi occhi spalancarsi in dolore e orrore, e pensò che stava vedendo l'istante prima della fine della sua vita, il momento in cui aveva capito che lei e, soprattutto, i suoi bambini, sarebbero morti. Rick aprì gli occhi e si drizzò a sedere di scatto nel letto, vedendo ancora l'immagine di Amy nell'ombra delle pareti e del soffitto. Era sveglio, sapeva di essere sveglio, ma Amy era ancora lì davanti a lui, con polvere e cenere che le cadevano di dosso, mostrando una carne intatta, una pelle nuda e rosea, le spalle e i seni non toccati dall'esplosione che l'aveva fatta a pezzi. Era integra, ma il suo viso era ancora preda dell'angoscia che doveva aver sentito nei suoi ultimi momenti. Come è potuto succedere? sembrava dire. Come ho potuto permettere che succedesse? Era lì, nuda, contro il muro della sua camera, e guardava il proprio corpo, dolce e forte come lui l'aveva sempre visto; poi si guardò attorno, e infine guardò lui. «No...» mormorò lui, e poi lo ripeté con più forza: «No!» Quello era un sogno, una visione, una tortura della mente nata dal suo desiderio di averla ancora viva. Non c'era alcuna realtà in quello. Era solo un sogno infantile del suo desiderio, e chiuse gli occhi, li strinse con forza, e li riaprì. Ma lei non era scomparsa. Era ancora lì, solo leggermente più sfocata, più lontana, che arretrava sotto i suoi occhi finché, ancora pochi secondi, e la sua forma era svanita ed era rimasto solo il buio. No. Era impossibile. Lei se n'era andata. Lui l'avrebbe amata per sempre, ma lei se n'era andata e lui sapeva che quello era uno scherzo crudele del
suo amore. Non c'era ritorno. La vita e gli «ignoti» che avevano piazzato i loro ordigni di odio nel cuore di Amy gliel'avevano insegnato. Non c'era ritorno in un mondo che ammazza l'amore. Qualcosa si mosse nel letto accanto a lui. Si riadagiò lentamente dalla sua parte e cinse sua moglie con un braccio. «Stai bene?» gli chiese lei con voce assonnata. «Sì... un sogno.» «Mmm.» Lei gli prese la mano e se la strinse al petto. «Stai tranquillo... Riaddormentati. Ti amo.» Lui chiuse gli occhi, sforzandosi di non scoppiare a piangere, cercando di mettere verità nelle parole. «Ti amo, Nancy...» Per un momento lo aveva visto, aveva visto Rick che la guardava negli occhi, e poi era svanito e lei era rimasta sola, con una sofferenza che così forte non l'aveva mai sentita in tutta la vita, più forte di quando era morta. Allora, il dolore fisico non era stato nulla. Un lampo di luce, un momento di strappo dalla terra, dalla vita, dal pensiero, dal suo corpo stesso. Ma non dal dolore, non dalla pena di sapere che cosa era accaduto, che cosa aveva perso. Quella pena sola era sopravvissuta, forse mista a qualcosa d'altro. Forse all'amore. Ma ora, ritta lì nella polvere, sentiva non solo lo strazio del sapere, la tortura della perdita, ma anche il più atroce dolore fisico che avesse mai provato. Ogni atomo del suo corpo si contorceva, si scuoteva. Si era alzata in piedi, pensando che il fresco della notte potesse darle refrigerio. Non riusciva a credere che la sua carne apparisse così intatta mentre i sensi urlavano che la pelle le era stata strappata di dosso, che il corpo era un'unica ferita spalancata, stillante marciume come una bolla purulenta. Lentamente il dolore si attenuò, cominciò a passare come evaporando nell'aria notturna. E alla fine respirò e non le faceva più male. Si mosse, si toccò: era scomparso. Ma che cosa rimaneva? Lei era viva, ma come era accaduto? C'era stata una bomba... L'esplosione le aveva strappato gli abiti di dosso lasciandola illesa? Ma allora quel dolore da dove era venuto? E i bambini, i bambini erano morti... Quel pensiero le trafisse l'anima come una pugnalata. Oh Dio, se un Dio c'era, erano tutti morti, morti, scomparsi. Erano stati portati via o erano mescolati a quella polvere? Si guardò intorno, vide tutti i suoi sogni, le cose che aveva amato, ridotte
in polvere e cenere. Ma lei era lì, nuda e viva. Perché? Che cosa era accaduto? Chi aveva fatto questo? E allora scorse l'uccello, enorme e nero, posato sul paletto. Le perle dei suoi occhi erano fisse su di lei, e la sua testa si piegò prima da un lato e poi dall'altro, come se stesse aspettando che lei parlasse, facesse una domanda, piangesse, urlasse, chiedesse se erano in cielo o all'inferno. E lei rimase lì a guardare il corvo, senza capire, persa tra le rovine della sua prima vita, nella follia della seconda. Era da poco passata la mezzanotte quando David Levinson ricevette il messaggio alla radio. Si era appena rifocillato con diverse tazze di caffè e una fetta di torta quando gli arrivò la comunicazione che una donna nuda era stata vista nelle vicinanze di North Spruce e Oak Street. L'aveva segnalata un'anziana signora che stava portando a spasso il cane, e Levinson era l'agente più vicino. North Spruce e Oak. Dio, pensò. Quello era il sito del Centro Diventiamo Amici. Non gli mancava altro che una madre impazzita dal dolore tornata sul luogo della morte del suo bambino, una donna nuda che fruga tra le ceneri. Bene. Aveva una coperta nel portabagagli, e se necessario un paio di manette. Non c'era da meravigliarsi che dei genitori perdessero la testa. La cosa più frustrante al mondo doveva essere sapere benissimo a quali gruppi appartenevano i responsabili della morte del proprio figlio, sapendo anche che nessuno se ne stava occupando. La strada più sicura per la follia. Incrociando North Spruce Street la vide. Completamente nuda, nel mezzo della zona devastata. Non poteva vederla in viso, ma era lì, a gambe leggermente aperte, le braccia lungo i fianchi. Quel corpo snello e agile sembrava percorso da una tensione elettrica. Almeno non impugnava una pistola o un coltello, e che nascondesse un'arma era fuori discussione. Accostò l'auto al marciapiede, deciso ad andarle incontro a piedi. Se avesse visto l'auto della polizia avrebbe potuto cercare di scappare, e non gli andava di inseguire una donna nuda per le strade addormentate di Hobie. Smontò dalla macchina e prese dal bagagliaio una pesante coperta marrone. Quindi si diresse verso la donna avvicinandosi a lei dalle spalle, avanzando piano tra la polvere. Era a pochi passi quando vide il corvo. L'uccello era appollaiato su un palo a una ventina di metri. Ma nonostante la distanza tra lei e il corvo,
Levinson ebbe la sensazione netta, per quanto assurda, che i due fossero in comunicazione. I lunghi capelli neri della donna impedivano a Levinson di vedere il suo viso, e per un attimo si chiese che cosa avrebbe fatto se si fosse voltata mostrandogli la faccia di un teschio di Halloween, osceno nella sua nudità. Respinse quella fantasia, e fermandosi a breve distanza da lei, disse piano: «Signora?» porgendo la coperta. Quella che si voltò verso di lui e lo guardò fu molto peggio della faccia di un teschio. Era la faccia di Amy Carlisle. Una patina grigia le impolverava il viso e il corpo, ma i suoi occhi viola erano limpidi. Improvvisamente la coperta gli parve tanto pesante da non poterla più reggere. Ma temeva che se l'avesse lasciata cadere quel delicato equilibrio di immobilità tra lui e Amy Carlisle e il corvo si potesse dissolvere. Era come se formassero la scena di un sogno. Non può essere vero, si disse, e se la composizione si fosse mossa, se la linea che congiungeva loro tre si fosse spezzata, chi sa quale altro sogno, più strano, più terribile, avrebbe rimpiazzato quello. Ma poi Amy Carlisle aprì la bocca e gli parlò, con la voce di Amy Carlisle. «Che cosa... che cosa è questo?» Appariva spaventata, disarmata, sperduta, e lui tornò a essere un poliziotto e non più un bambino terrorizzato che sta sognando; le si avvicinò e le appoggiò delicatamente la coperta sulle spalle. Poi guardò di nuovo il corvo, che se ne stava tranquillo ma li osservava con un'intensità che diceva più di tante parole, e improvvisamente pensò che aveva capito che cosa era successo e che cosa sarebbe successo ancora. Ricordava fin troppo bene la storia di nonna Levensohn sul vecchio zio Abraham e il corvo. 12 «Che cosa mi sta succedendo?» chiese Amy Carlisle. «Non... non capisco.» «Dimmi come ti chiami», disse il poliziotto che la teneva tra le braccia. Le sembrò di riconoscerlo, ma la sua mente... Era tutto così confuso che non era certa neppure di ricordare il proprio nome. «Mi...» Guardò l'uomo che la fissava, poi il corvo che la scrutava dal palo. «Mi chiamo Amy Carlisle. E questo posto è mio... o almeno lo era.» Scosse la testa, ricordando. «Hanno ucciso i miei bambini. E hanno cercato
di uccidere anche me. Ma non ci sono riusciti... Non so come...» «Amy», disse il poliziotto. «Dimmi una cosa. Dimmi l'ultima cosa che riesci a ricordare.» Lei puntò lo sguardo nel buio e si sforzò di rammentare. «È stato... è stato stasera. C'è stata una tremenda esplosione... Le pareti hanno ceduto e le luci si sono spente e i bambini piangevano.» Ricordò il braccio di DeMarole, il piccolo braccio staccato, e si morse il labbro respingendo il ricordo. «Ne ho trovati due. Cercavo di portarli fuori quando ho visto delle luci, lontano, e poi... non ricordo nienf altro.» «Amy, sono David Levinson. Noi ci conosciamo. Sono un poliziotto. Vuoi venire con me? Prendi qualcosa da metterti, mangia qualcosa.» «Va bene», annuì, anche se non aveva fame. «E poi mi aiuterai a trovarli, sì?» L'espressione di David Levinson si fece ancora più triste. «Andiamo», disse, e la guidò verso l'auto di servizio, facendola accomodare sul sedile anteriore. Si mise al volante e avviò il motore. «Ti porto a casa mia», le spiegò. «Via di qui.» «Mi aiuterai a trovarli?» chiese ancora lei. «Amy, non posso. I bambini non ci sono più... Sono morti. Tutti quanti.» «Lo so. Voglio dire, a trovare quelli. Vedi, sono sopravvissuta. Io soltanto, sono la sola. E quindi devo... rimettere le cose a posto.» Guardò nello specchietto e vide che il corvo li seguiva, sbattendo lentamente le ali. «Credo che dovrei tornare a casa. Credo che dovrei... Mio marito, Rick, deve sapere che sono... che sto bene.» «Ce ne occuperemo più tardi.» Dopo qualche isolato Levinson accese la ricetrasmittente. «Jean, a proposito di quella segnalazione», disse. «Era uno scherzo. Ragazzini con una bambola gonfiabile. Li ho fatti sloggiare.» Dall'altra parte arrivarono delle parole che Amy non capì, e poi Levinson parlò ancora. «Jean, c'è un'altra cosa. Ho un problema... viscerale. Mi sto fermando ogni dieci minuti, e sono a pezzi. C'è un'altra auto che può sostituirmi fino alle sei? Poi ricambierò.» Jean disse ancora qualcosa e Levinson concluse: «Magnifico, grazie. Allora vado a casa». Continuò a guidare fino a una fila di costruzioni in una strada senza uscita in un quartiere tranquillo. Mentre entravano nel garage Amy vide il corvo posarsi su un lampione davanti alla casa. Quando furono in cucina, Levinson abbassò le tendine prima di accende-
re le luci. «Ti trovo qualcosa da mettere», disse, e la condusse a una camera da letto in fondo a un breve corridoio. Anche qui chiuse le tende prima di accendere il lume. «Questi erano di mia moglie», le disse, porgendole una camicetta, un maglione e un paio di jeans. «Dovrebbero andarti. Là c'è un bagno se prima vuoi toglierti di dosso la polvere. Fa' con comodo, cambiati e poi vieni. Dobbiamo parlare.» Quando fu uscito, Amy lasciò cadere la coperta ed entrò nella piccola stanza da bagno, dove fece una doccia. La sensazione dell'acqua non era né di caldo né di freddo. Sentiva a malapena che la bagnava, anche se vedeva che portava via la polvere. Quindi si asciugò e infilò i vestiti. Anche di questi avvertiva a stento il peso sulla pelle, che sembrava appartenere a un altro. Si guardò allo specchio, studiando con attenzione il volto e i capelli. Le parve che, guardando bene, distinguesse un minutissimo reticolo di linee sul viso, perfino sulle guance e sulla fronte, dove non aveva mai avuto una sola ruga. La sua pelle sembrava la pagina inferiore di una foglia, un mosaico di minuscole cellule messe insieme così delicatamente che si notava solo a un esame estremamente ravvicinato. E poi vide che anche gli occhi mostravano lo stesso tipo di superficie, e quando esaminò le altre parti del suo corpo, si accorse che era lo stesso anche per le unghie e la pelle più liscia all'interno delle braccia e delle cosce. Quei segni quasi invisibili erano dappertutto. Quando raggiunse David Levinson in soggiorno vide che aveva preparato un vassoio con sandwich, biscotti e frutta, e una teiera. «Qualcosa da mangiare?» le chiese, ma lei scosse la testa. «No, grazie, non ho fame. Di cibo no, ma di risposte sì.» Si sedette accanto a lui sul divano. «Che cosa è successo? Perché sono viva? Perché sono tutti morti e io no? Puoi dirmelo, David Levinson?» Lui la guardò per un momento, come se non sapesse cosa dire. Poi scosse la testa e distolse lo sguardo. Quando tornò a guardarla, la sua espressione era determinata, quasi dura. «Posso dirti qualcosa, Amy Carlisle. Posso dirti cose che non renderanno la questione più chiara, che potranno lasciarci ancora più disorientati. Ma sul perché tu sia viva... Amy... mi dispiace... ma tu non sei viva. Sei morta sei mesi fa.» Che diavolo stava dicendo? «Sei... mesi?» «Sì. Ora sei morta. Ti muovi, pensi, sì, ma non sei... realmente viva. Sei stata riportata qui con uno scopo.» Avrebbe voluto reagire, dargli uno schiaffo, dirgli che era pazzo, e inve-
ce era come se sentisse la conferma di qualcosa che nel profondo già sapeva, qualcosa che le era stata comunicata in silenzio e segretezza, da qualcosa di oscuro e nascosto. Il corvo. Il corvo aveva qualcosa a che fare con questo. «Conosco la tua ansia», riprese Levinson. «So che vuoi sapere che cosa è successo e chi ne è responsabile e tutto il resto. Ma prima, ti prego, lascia che ti racconti una storia che mi raccontava mia nonna. Credo che potrà aiutarti a sapere chi sei. «E che cosa devi fare.» 13 «La mia famiglia, i Levensohn», cominciò a raccontare David, «viveva a Kishinev in Moldavia, sotto il dominio russo. L'inizio del secolo fu un periodo tremendo per gli ebrei russi. Avevamo minori diritti degli altri, e le autorità non facevano nulla per impedire i pogrom, le aggressioni in massa alle nostre comunità. «Al tempo del pogrom di Kishinev del 1903 mio nonno era un ragazzo. Una folla attaccò la comunità ebraica e la devastò per due giorni di seguito. A istigare l'aggressione furono i capi locali, e i soldati dello zar non finsero neppure di contrastarla. Molti ebrei rimasero uccisi, moltissimi feriti. La famiglia Levensohn fu una delle più sfortunate, e il più sfortunato di tutti fu forse Abraham, lo zio di mio nonno. «Perse moglie e tre figli. Mio nonno riuscì a scamparla: la madre lo tenne nascosto in una latrina per due giorni. Ogni tanto sbirciava dalle crepe del muro, e così vide tutto e sopravvisse per raccontarlo. «Zio Abraham era un omone sui cinquant'anni, che aveva cominciato a lavorare come candelaio e adesso possedeva una sua fabbrica. Era un imprenditore energico e instancabile. Quando iniziarono i disordini, i concorrenti non ebrei videro un'occasione per mettere fine al suo successo commerciale... e alla sua vita. «Lo bastonarono, lo accoltellarono, ma lui sopravvisse nonostante le ferite. Alla fine soldati e polizia vennero fuori a disperdere i rivoltosi, e mio nonno poté uscire dalla latrina e vide quello che accadde poi. Zio Abraham era probabilmente già moribondo, ma abbastanza lucido da cogliere la verità di quello che era successo. Afferrò le redini del cavallo di un capitano dei cosacchi e accusò lui e i suoi uomini di collusione con gli aggressori. 'Avete ucciso la mia famiglia, più di questi stupidi e avidi bastardi', disse.
'La vostra colpa è più grande.' «Era la verità; per tutta risposta il cosacco estrasse la sciabola e la calò sul collo di zio Abraham, mozzandogli quasi la testa. Zio Abraham cadde a terra morto. Degli astanti, nessuno disse niente. Chi voleva un altro pogrom? «E così seppellirono lo zio e la sua famiglia nel cimitero sulla riva del fiume Byk. I suoi concorrenti ripresero il controllo del commercio delle candele, e i soldati, la polizia e i cosacchi aspettarono il prossimo pogrom, quando avrebbero voltato la testa dall'altra parte lasciando che altri ebrei morissero. Ma non sarebbe andata così. «Il cimitero fu molto frequentato nelle settimane seguenti. La gente andava a rendere omaggio ai congiunti, ma dopo un po' cominciarono a limitarsi a recitare il Kaddish in sinagoga. Mio nonno, però, continuò le sue visite al cimitero, spesso di notte, quando aveva finito il lavoro. Sua madre era rimasta uccisa, e lui sedeva accanto alla sua tomba quasi tutte le sere, finché gli veniva sonno e tornava a casa dal padre. «Una sera era seduto presso la tomba della madre quando sentì un verso venire dall'alto; alzò gli occhi e vide un corvo che calava verso di lui. Atterrò sulla lapide dello zio Abraham, qualche fossa più in là. Allora mio nonno vide che la tomba dello zio cominciava a scuotersi e a spaccarsi, e zio Abraham uscì dalla terra. La ferita che lo aveva ucciso sembrava risanata, era rimasta solo una cicatrice biancastra nel punto in cui la sciabola aveva colpito. «Mio nonno, naturalmente, era terrorizzato, ma rimase impietrito, incapace di fuggire. Zio Abraham guardò il corvo, e il corvo guardò lui, e stettero così a lungo. Quindi il risuscitato vide mio nonno e sorrise, un sorriso che voleva rassicurarlo ma che lo atterrì ancora di più. «Allora il corvo si levò in volo e si avviò lentamente verso la zona dove vivevano i russi e dove si trovavano le caserme dei soldati e dei poliziotti. Zio Abraham lo seguì. Mio nonno, che voleva vedere cosa sarebbe successo, gli andò dietro. «Mentre lo zio passava per le strade, tutti gli ebrei che lo vedevano fuggirono urlando e si chiusero in casa, dove rimasero a pregare fino all'alba. Ma loro non avevano nulla da temere dallo zio Abraham, né dal corvo. «L'uccello guidò il morto e il ragazzo fino alla casa del mercante di candele che con l'aiuto dei figli aveva bastonato e accoltellato lo zio e contribuito a uccidere la famiglia. Con un calcio, zio Abraham sfondò la porta ed entrò. Mio nonno sentì urla e spari, e altri suoni indescrivibili.
«Dopo un po' arrivò la polizia e vi furono altre grida e rumori di lotta. Diversi poliziotti uscirono di corsa e continuarono a fuggire. Uno degli uomini, vide mio nonno, aveva una parte del viso strappata via. «Poi si fece silenzio e zio Abraham uscì dalla casa, con i vestiti grondanti di sangue e di brandelli di carne, terribile in volto. Alcuni poliziotti che si erano appostati all'esterno gli spararono con i fucili. Le pallottole lo raggiunsero ma lui non cadde, non si fermò nemmeno. «Né cadde quando un soldato lo colpì con la sciabola nello stesso punto in cui era piovuto il colpo che lo aveva ucciso. Gli strappò la sciabola di mano e con un solo colpo gli mozzò la testa. Allora il corvo si mise di nuovo in volo, diretto verso la caserma dei soldati, e zio Abraham lo seguì. «Qualcuno doveva aver avvertito i soldati, perché erano tutti fuori in forze, con uno schieramento di fucilieri. Il capitano dei cosacchi, a cavallo, li comandava, e quando zio Abraham avanzò verso di loro, il cosacco attese fino a che era a pochi metri e ordinò di aprire il fuoco. «Due dozzine di proiettili raggiunsero il corpo dello zio, che per un momento barcollò, ma non cadde. Allora i fucilieri gettarono le armi e fuggirono. Il capitano dei cosacchi non era scappato, e nemmeno i suoi uomini a cavallo. Sguainarono tutti le sciabole, e il capitano caricò al galoppo con la spada alzata. Ma quando la abbassò, il morto afferrò la lama e con uno strattone disarcionò il capitano. Lo tenne fermo con un piede a terra e gli conficcò negli occhi le due sciabole che ora impugnava, uccidendolo sul colpo. «I cavallerizzi attaccarono, e zio Abraham si trasformò in un derviscio folle di distruzione, falciando le zampe dei cavalli e azzoppandoli, quindi calando fendenti sui cavalieri, troncando teste e braccia e gambe, ricevendo innumerevoli ferite, nessuna delle quali però poteva fermare la sua carneficina. «In pochi minuti i cavalieri erano tutti morti, la strada era deserta. Nessuno più osò affrontare il morto. Allora zio Abraham mozzò la testa del capitano dei cosacchi, la conficcò nella sua stessa sciabola e si avviò lungo le ampie strade deserte verso la cattedrale, la sede dell'arcivescovo di Bessarabia. Qui zio Abraham piantò la sciabola con la testa del cosacco nella porta di legno della chiesa, lasciando un messaggio inequivocabile per l'arcivescovo e lo zar. «Il corvo tornò volando verso la città vecchia e zio Abraham e mio nonno - sempre più stupefatto - si diressero al cimitero sulla riva del fiume. E qui il morto si distese sulla sua tomba. Mio nonno vide la terra aprirsi e
suo zio sprofondare, scomparendo. Allora il corvo mandò un richiamo e volò via al di là del fiume.» 14 «Mio nonno raccontò questa storia alla moglie. Fu lei a raccontarla a noi - lui non l'avrebbe mai fatto - all'inizio forse con un certo orgoglio, ma poi, credo, per spaventarci.» «È... è solo una storia», disse Amy, sperando che fosse così. «Anch'io lo credevo. Ma l'espressione che si dipingeva sul volto di mio nonno ogni volta che mio fratello o io gliene parlavamo, mi ha fatto capire che era vera. Quello era lo sguardo di chi ha guardato in fondo all'abisso.» «E credi che il corvo che abbiamo visto mi abbia riportato in vita? È ridicolo. Non è possibile.» «E allora perché sei qui?» «Perché sono viva! Non sono mai morta. Ho... ho perso conoscenza, non so come, mi sono allontanata dal luogo dell'esplosione...» «E sei stata in giro per sei mesi senza che nessuno ti notasse anche se la tua foto era su tutti i giornali e i telegiornali. E poi sei tornata lì, nuda e coperta della polvere del centro. Con un corvo che a quanto pare ti accompagna dovunque tu vada...» Scostò le tende della finestra, e il corvo era lì fuori, appollaiato sul lampione. Levinson tornò a sederle accanto, le prese la mano e gliela girò, per poter vedere l'interno del braccio. «Guardati», disse. «Vedi queste? Sai cosa sono queste linee sottili che ti segnano la pelle? Sono i segni dei tuoi pezzi, Amy. Le briciole del tuo corpo disperse e poi riunite. I pezzi che sono tornati insieme questa notte, dalla polvere, quando è apparso il corvo.» Amy spinse via Levinson con tanta forza che lo mandò a sbattere con violenza contro il bracciolo del divano. «No!» esclamò. «No, non è vero...» «Sei molto forte, Amy. Hai visto con quanta facilità hai allontanato uno grande e grosso come me? Sei mai stata così forte?» «Non sono morta», mormorò Amy con la testa che le girava. «Sì, Amy, sono sicuro che lo sei», disse lui, spostandosi dall'altra parte della stanza. «Ne sono così sicuro che adesso farò una cosa che, se ho torto, distruggerà la mia vita. Vedi come ne sono sicuro. E poi non ci saranno più dubbi.»
Con un unico movimento ruotò su se stesso, estrasse la pistola dalla fondina, alzò il cane e schiacciò il grilletto. Amy si mosse per gettarsi su Levinson e aveva coperto metà della distanza quando sentì il proiettile colpirla al petto. L'impatto la rallentò solo per un attimo, e subito gli fu addosso, gli strappò l'arma di mano e lo spinse all'indietro. Levinson sbatté contro la parete con la testa, strabuzzò gli occhi e scivolò a terra privo di sensi. Amy fissò la pistola ancora fumante che aveva in mano, quindi la lasciò cadere e si portò le mani al petto per toccare il punto in cui era stata raggiunta dalla pallottola. In rapida successione c'era stata in quel punto una sensazione di caldo bruciante, poi di freddo, e infine più niente. Vide il buco nella camicia, annerito agli orli. La sbottonò, sentendosi come in sogno; era stata colpita al petto e non sentiva dolore. Aprì la camicia. La ferita si stava ancora chiudendo, un cerchio che si faceva sempre più piccolo fino a svanire del tutto, lasciando solo una traccia più chiara, una lieve infossatura, che scomparve anch'essa sotto i suoi occhi. Era stata colpita, colpita al cuore, ed era ancora viva. O morta. Allora la verità la travolse, la verità di cui aveva avuto il sospetto, e ora aveva la certezza. La sensazione che i milioni di frammenti si disperdessero di nuovo nella silenziosa esplosione della sua presa di coscienza durò un tempo che le parve infinito, ma poi riprese il controllo di sé. Aveva aperto gli occhi: non su che cosa lei fosse, ma sul perché. Era una figlia della morte, tornata per dar vita non ad altra vita, ma ad altra morte. Non le era stato possibile essere madre, ma ora lo sarebbe stata: la Madre della Vendetta. I suoi figli, quelli che lei poteva vedere come suoi figli, erano morti con lei, ma il suo cuore era sopravvissuto, il suo cuore selvaggio di madre, un cuore che conosceva il dolore più nero e profondo, più innaturale, quello del genitore che sopravvive al proprio figlio. La storia del vecchio ebreo le aveva mostrato la via. Il Corvo lo aveva riportato in vita per eseguire la vendetta. No, per la giustizia. Per ridare ordine alle cose. Ma il vecchio ebreo sapeva chi aveva ucciso sua moglie, i suoi figli, lui stesso. Lei non aveva questo vantaggio. Lui poteva percorrere le strade sapendo dove andare, chi cercare: lei no. Prima avrebbe dovuto conoscere i nomi dei mostri che avevano ammazzato i suoi bambini. Forse quel poliziotto avrebbe potuto aiutarla.
Si inginocchiò accanto a Levinson e ascoltò il suo respiro regolare. Dietro la testa aveva un grosso bernoccolo, ma non perdeva sangue, e l'espressione era tranquilla. Le fece venire in mente il viso di Rick addormentato accanto a lei, quando le prime luci del mattino cominciavano appena a delineare i suoi tratti. Oh, Dio, che cosa poteva fare per Rick? Se davvero era morta, non poteva esserci più posto per lei nella sua vita. Eppure, lo amava come sempre, come per sempre, oltre la morte, lo avrebbe amato. Ma non era Rick il motivo per cui era tornata. Era tornata per i suoi bambini, e per quelli che li avevano uccisi. «Svegliati», disse piano, scuotendolo gentilmente per la spalla. Lui si mosse e mormorò qualcosa, quindi aprì gli occhi e la guardò. «Ehi», sussurrò. «Sei svelta...» Guardò la camicia semiaperta con il foro del proiettile bruciacchiato. «E viva.» Fece un sorrisetto. «E questo dimostra che...» «Che sono morta. Sì, avevi ragione. Adesso lo so. Il Corvo mi ha riportato qui perché ci sono dei conti da saldare. Giustizia per i miei bambini.» Levinson annuì, poi fece una smorfia e si massaggiò la nuca. «E non ho alcun dubbio che ci riuscirai. Forte e veloce come sei... insensibile alle pallottole, l'incubo di ogni milizia.» «Milizia? Che cosa intendi dire?» «Che a quanto sembra un gruppo paramilitare - o qualcuno coinvolto con esso - ha piazzato due bombe per eliminare il senatore King.» «Mi aiuterai a trovarli?» «E come? Io sono un poliziotto, non posso uscire dai confini della legge, non posso adattarla alla mia idea di giustizia.» «Ma io sì.» Cercò di sorridergli. «Avrò bisogno di un posto dove stare.» Toccò il buco nella camicia. «E di altri vestiti.» «E di molto altro ancora.» Rifletté per un momento, poi annuì. «Va bene. Ma non dovrai dire niente di me, a nessuno. E sia chiaro che se io metto le mani per primo su questi bastardi, sono miei. La legge e i tribunali faranno la tua vendetta. A questo non rinuncio. È in base a questo codice che io vivo.» Lei strinse le labbra e annuì lentamente. «Allora è una gara...» «Se è così che vuoi vederla.» «Sì.» «Bene. Qui c'è una camera in più, mi sistemerò lì. Avrai bisogno di dormire?»
Lei ci pensò su, cercando di valutare le esigenze del suo corpo. «Non lo so. Adesso non ho sonno.» «Puoi prendere comunque la mia camera da letto. Tutti i vestiti che ha lasciato la mia ex moglie sono in quell'armadio.» «Come farò per muovermi? Il Corvo può volare, io no.» «Vieni, ti faccio vedere.» La condusse di nuovo nel garage. Prima, al buio, Amy non aveva notato la lunga sagoma coperta da un lato del locale. Levinson accese la luce e tolse il telo di protezione, rivelando le snelle linee nere di un'auto sportiva. «È una Studebaker Avanti del 1964. Un classico, una gemma. Ho lavorato per anni su questa bimba, e ho finito giusto una settimana fa. Non l'ho ancora nemmeno registrata. È un'auto fantasma. Ora, se peschi da qualche parte un paio di targhe, sei a cavallo.» Indicò alcune vecchie targhe del Minnesota fissate al muro. «Guarda guarda che cosa ha lasciato il precedente proprietario.» «Dio», esclamò Amy, «è stupenda. Grazie... Te la terrò con la massima cura.» «Fa' quello che devi.» Con un cacciavite fissò alla Avanti un paio di targhe di tre anni. «Forse è per questo che ho passato tutti questi anni a lavorarci su... perché fosse pronta quando tu ne avessi avuto bisogno. Ormai, dopo questa notte posso credere a tutto. Torniamo dentro. C'è un'altra cosa che voglio farti vedere.» La condusse in un ampio scantinato fornito di scaffalature. C'erano scatoloni etichettati sul pavimento e su un lato tre classificatori a cassetti. «La mia piccola fortezza di solitudine», spiegò. «Uno dei miei hobby è rintracciare i gruppi antisemiti, e tra loro ci sono molte organizzazioni paramilitari.» Ridacchiò. «Forse un giorno o l'altro ci scriverò un libro. Qui ci sono tonnellate di dati, ma è tutta roba che non ho mai avuto il tempo di correlare o ordinare, ho potuto solo raccoglierla.» Accarezzò sorridendo un computer sistemato su una grande scrivania accanto agli schedari. «Con questo ho accesso a una quantità di siti che non mi sarebbe permesso contattare a casa. Non dirlo in giro. Ma potrebbe esserti utile.» «Francamente», rispose Amy, «non so se ho voglia di starmene seduta al computer. Intanto non so nemmeno quanto tempo ho. E poi... Sento che devo agire. Dimmi, se tu fossi in me, da dove cominceresti?» Levinson stava per rispondere quando si sentì bussare alla finestra del seminterrato. «Credo che ci sia qualcun altro in grado di risponderti. Forse
dopo tutto potrai fare a meno della mia documentazione.» Tolse un mazzo di chiavi dalla tasca. «Farai meglio a cambiarti prima di metterti in strada», disse. «Quel foro di proiettile ha un'aria un po' sospetta.» Sola nella camera da letto di Levinson, Amy passò in rivista il guardaroba, cercando qualcosa di scuro e poco appariscente. Verso il fondo trovò un abito che sarebbe stato perfetto per entrare e uscire dall'ombra inosservata. Una custodia di plastica copriva un paio di calzoni neri e un top con le maniche lunghe, anch'esso nero, di un materiale sintetico elastico totalmente opaco. A completare l'abbigliamento infilò un paio di stivaletti bassi neri, e uscì in soggiorno. Levinson spalancò gli occhi quando la vide, e lo sguardo gli corse al seno, messo in evidenza dal materiale aderente del top. «Forse avrai bisogno... di una giacca, o qualcosa del genere.» Prese da un armadio un giubbotto di pelle nera. «Questo ti... terrà più calda», spiegò con un po' d'imbarazzo, porgendoglielo. «Grazie», disse lei, compiaciuta e turbata al tempo stesso, vedendosi ancora in grado di suscitare l'interesse di un uomo. Infilò il giubbotto ma non chiuse la lampo. «E adesso?» chiese Levinson. «Adesso vado.» «Avrai bisogno di qualcosa, qualcosa per... difenderti. Non posso darti una pistola, ma magari questo potrà esserti utile.» Le porse un coltello in un fodero da caviglia. Lei lo estrasse e vide che si trattava di una lama di una dozzina di centimetri leggermente ricurva. Il manico aveva una serie di fori per le dita, come un tirapugni. «Grazie» ripeté Amy, sistemandoselo alla caviglia e riabbassandovi sopra la gamba del pantalone. Quindi si girò e attraverso la cucina si avviò al garage. Qui alzò la porta e montò in macchina. Avviò il motore e uscì in retromarcia. Il motore, contrariamente a quanto si era aspettato, era silenziosissimo. Bene. La sorpresa sarebbe stata una delle sue armi. Il Corvo era ancora appollaiato sul lampione; si voltò verso di lei, aprì le ali, sollevò una zampa, poi l'altra, come se fosse pronto e ansioso di spiccare il volo. Amy lo fissò. «Vai avanti», disse. «Sono pronta anch'io.» Il grosso uccello spalancò le ali e si lanciò nel cielo notturno, volando sopra le case della strada. Amy lo seguì. 15
Il Corvo sorvolava la distesa delle case di Hobie, ignorandole, con le nere perle degli occhi fisse su una luce rossa davanti a sé, come il bagliore rosso che era stato lo spirito della donna misto a polvere, il bagliore rosso che aveva attirato il suo sguardo. Volava alto sopra la terra, il Corvo, alla continua ricerca delle anime brucianti che non avevano riposo, quelle che avevano bisogno di giustizia prima di poter procedere, di poter passare nel territorio della Morte. Ma la luce che seguiva ora il Corvo non era il riverbero irradiato da un'anima tormentata, ma un bagliore artificiale, la luce rossa più alta di una serie che punteggiava l'antenna di una radio, luci che ascendevano come le parole di odio che emanavano da quella torre di metallo e poi esplodevano come lava da un vulcano, spargendo veleno bruciante nell'aria che lo trasmetteva ovunque una macchina potesse raccogliere le onde e ritradurle in parole. Le ali si muovevano in un battito lento, sempre uguale, avvicinandosi all'edificio che ospitava la stazione e la trasmittente che portava il messaggio di Wilson Barnes a una nazione di odio, a menti pronte all'odio. *** «... è arrivato il momento di alzarsi in piedi, di farsi sentire, e se le parole non bastano, se non riescono a convincere quelli che vanno convinti, ci sono altri modi di parlare, amici miei, altri modi di farsi sentire, di gridare con voce di tuono contro questo governo malvagio, oppressivo, filogiudaico, liberaloide, senza Dio, contro gli uomini che lo dirigono, sìa i fantocci alla Casa Bianca e al Congresso sia quelli che nell'ombra, dietro le quinte, ne reggono i fili. «Ma i fili li tirano forse per i cristiani americani bianchi? Dio, no. Voi siete i dimenticati, quelli da oberare di tasse, a cui togliere i soldi da dare ai tossici neri e alle ragazze madri e ai messicani che varcano clandestinamente il confine per rubarvi il lavoro e ai vietnamiti che hanno rovinato il loro paese e ora vogliono distruggere il nostro! Ebbene, è ora di fermare questi traditori dell'America, questi traditori del cristianesimo, e sono sicuro che voi sapete come fare! «Ho visto che l'avete fatto! So chi siete e so in che cosa credete, ed è ciò in cui dovremmo credere noi tutti. Jefferson stesso l'ha detto: l'albero della libertà va innaffiato con il sangue dei tiranni. E quando lo fate, dovete es-
sere spietati. «Ora, amici miei, quando curate i vostri orti - e so che moltissimi dei miei ascoltatori hanno il loro orto, vivono della loro terra - cercate di sradicare le erbacce. E a volte, quando spargete il veleno per uccidere i parassiti, vi capita anche di uccidere insetti buoni e inoffensivi. Ma se i vostri ortaggi sono invasi dai pidocchi, dite forse: 'Oh, meglio lasciarli vivere perché potrei accidentalmente far male a una bella farfalla o a un'innocente coccinella o ai lombrichi che arricchiscono il suolo'? «Certamente no. Voi uccidete gli invasori, sradicate ciò che va distrutto, e se uccidete qualche innocente, questo è il prezzo che si deve pagare per assicurare un buon raccolto! Io so che siete disposti a fare il sacrificio, perché conosco i vostri cuori e le vostre anime... So chi siete, voi veri patrioti, e avete il mio appoggio e le mie preghiere...» *** So chi siete... Amy Carlisle ascoltava la voce dì Wilson Barnes e seguiva con lo sguardo il volo del Corvo. Al di sopra dei tetti vide le luci rosse della torre della radio e capì dove la stava portando. Le lancette dell'orologio sul cruscotto segnavano le due e tre quarti. Wilson Barnes era a metà del suo programma, e incalzava gli ascoltatori con i loro temi preferiti. Bene, pensò Amy, questa notte ci sarebbe stato un tema nuovo. Se il pubblico voleva sangue, l'avrebbe avuto. Era ovvio che Wilson Barnes era al corrente delle milizie, e molto probabilmente conosceva i responsabili dell'attentato. Era il loro eroe. Il Corvo si posò su un'insegna sopra l'ingresso dell'edificio, con il logo della radio e le parole SEDE DEL WILSON BARNES SHOW. Amy superò l'ingresso e parcheggiò a un isolato di distanza, quindi tornò indietro a piedi per la strada deserta. Attraverso la porta a vetri vide il corpulento guardiano che, seduto al suo bancone, leggeva un giornale. Suonò il campanello e l'uomo alzò lo sguardo, inizialmente sospettoso. Ma quando la vide sorrise, annuì e schiacciò un pulsante sulla console. Con un ronzio la serratura scattò; Amy spinse la porta ed entrò. «Come va?» La guardia, stando alla targhetta che aveva sul petto, si chiamava Donald. «Un po' in anticipo, eh?» Lei lo guardò incuriosita.
«Magari prima vorresti fare un po' di riscaldamento con me?» continuò Donald con un ghigno. «Il boss ha ancora dieci minuti prima che il network mandi il notiziario.» Accennò alla radiolina che aveva accanto, da cui la voce di Wilson Barnes continuava a vomitare invettive. Adesso capiva. L'uomo l'aveva presa per una delle puttane di Barnes, che evidentemente a metà della notte si concedeva una piccola distrazione. «Come no?» rispose. «Mi fa piacere riscaldarmi un poco.» Mentre girava attorno al bancone, Donald spalancò gli occhi. «Dio santo», esclamò. «Una di voi finalmente ha detto di sì. Cavoli, non ci posso credere. Dio sia ringraziato per questa novità.» Con una risata cominciò a trafficare con la lampo dei calzoni. «Però non dirlo a Mr. Barnes, eh?» «Labbra cucite. Lascia fare, ci penso io», proseguì, inginocchiandosi di fronte a lui. Portò la mano alla caviglia, trovò l'impugnatura del coltello e colpì con forza la faccia del grassone. Il pesante manico di ottone lo raggiunse alla tempia e Amy sentì un crac e lo vide crollare come un pesce morto, scivolare sulla poltroncina e finirle addosso. Senza difficoltà sgusciò da sotto quell'ammasso di carne. Rimesso il coltello nel fodero, sollevò Donald e lo rimise seduto alla scrivania. Non ancora abituata alla propria forza, lo aveva colpito molto più forte di quanto intendesse. Non sapeva, né le importava, se fosse moribondo o soltanto svenuto. Lo sistemò in modo che sembrasse appisolato, e poi consultò la guida dell'edificio affissa accanto all'ascensore. Le sale di riunione erano al piano terra, gli uffici al primo piano e lo studio al secondo. Usò le scale, non volendo preannunciare il proprio arrivo. Percorse lentamente il corridoio del primo piano finché arrivò davanti alla parete di vetro di uno studio illuminato. Wilson Barnes era lì, seduto a un tavolo coperto di velluto nero. Un unico lume a stelo illuminava la zona di lavoro. Un altro tavolo, ingombro di giornali, riviste e libri, era alla sua sinistra. Un microfono pendeva davanti a lui e una cuffia gli copriva le orecchie. Le dava parzialmente le spalle, rivolto verso un altro finestrone al di là del quale si vedeva una serie di luci colorate. Probabilmente lo studio della regia. La sua voce, calda e profonda per quella corporatura sorprendentemente macilenta, risuonava dagli altoparlanti disposti lungo il corridoio. Non c'era via di scampo, qui, da Wilson Barnes. Né ci sarebbe stata via di scampo per Wilson Barnes. Amy aspettò che l'orologio sopra il vetro della regia segnasse le due e
cinquantanove, quando al notiziario mancava solo un minuto. Donald aveva detto che sarebbe andato in onda dal network, e questo significava che molto probabilmente non c'era nessun altro oltre a Barnes e a chi si trovava nella saletta di controllo. Dal finestrino successivo nel corridoio, quello della regia, vide che c'era un solo uomo alla console dei comandi. Quando Barnes finì di parlare e il tecnico stabilì il collegamento con il network, Amy aprì la porta ed entrò nella sala di regia. Il tecnico si voltò sorpreso verso di lei. «Sei nuova? Dove diavolo è finita Marie?» chiese irritato. «Hai cinque minuti, vedi di sbrigarti e di fare le cose per bene, okay?» Ignorandolo, Amy si sporse sopra la console e guardò nello studio attraverso il vetro. Wilson Barnes la stava scrutando. Inizialmente sembrò incerto, ma poi sul suo viso si dipinse un ghigno spaventoso che, pensò Amy, doveva essere un sorriso. Spense il microfono, si tolse la cuffia e si alzò. Sorpresa, e poi immediatamente divertita, Amy vide che non portava né calzoni né mutande. Il suo piccolo pene era eretto, benché debolmente. Lo impugnò con la destra, e con l'altra mano le fece cenno di entrare. Non lo avrebbe deluso. Amy si rivolse al tecnico. «Gli seccherà se mi faccio prima te?» chiese. Senza aspettare risposta, lo afferrò per i capelli e gli sbatté la faccia sulla console una volta, due, tre volte, finché il suo corpo si afflosciò e scivolò sotto il banco. Quando riportò gli occhi su Barnes lui la stava fissando a bocca aperta, con il misero uccello a mezz'asta, come in onore del camerata caduto. Con un unico gesto Amy si abbassò a impugnare il coltello, lo alzò, e con il pugno di ottone mandò in frantumi il doppio vetro che la separava dall'altro. Barnes mandò un'esclamazione di sorpresa, ma esitò solo un attimo mentre Amy attraversava il finestrone sfondato, scostando con le mani nude le schegge taglienti di vetro. L'uomo con un balzo raggiunse il tavolo alla sua sinistra, gettò all'aria dei fogli e afferrò una 357 magnum; impugnandola a due mani cominciò a far fuoco. Lei sentì le pallottole che una dopo l'altra le penetravano nel petto e la spingevano all'indietro. Ma con due passi avanti per ogni passo indietro a cui la costringevano i proiettili, afferrò la pistola per la canna e la strappò dal pugno di Barnes. Per un momento i due rimasero immobili a fissarsi negli occhi, poi Amy infilò la pistola nella cintura dei calzoni. «Hai altri
proiettili?» chiese. «Mi serviranno.» Con la bocca sempre più spalancata per lo stupore, Barnes si girò e fece per fuggire verso la porta, ma lei lo agguantò per la collottola. Con un braccio lo fece voltare verso di lei, e lo trascinò, scalciante e annaspante, con l'uccello penzolante come un palloncino scoppiato, verso il tavolo ricoperto di velluto. Ce lo sbatté su con violenza, inchiodato sulla schiena tenendolo per la gola, e brandendo con l'altra mano la lama scintillante. «Lo vedi questo? Potrebbe essere l'ultima cosa che vedi, Wilson Barnes. Ma non perché penso di ucciderti. No. Perché se non mi dici quello che sono sicura che sai, ti cavo gli occhi. «Te lo chiederò una sola volta. E se non mi rispondi, comincio a tagliare.» Portò il coltello sopra i testicoli di Barnes e vi appoggiò la punta. Lui ebbe un sussulto e si immobilizzò. «Esatto. Proprio qui. E se non mi rispondi la seconda volta, ti taglio la lingua, Wilson Barnes, così non ti sarà più possibile pronunciare quelle parole, quelle menzogne che spingono a uccidere.» Barnes emise un guaito di paura e umiliazione, e quando lei abbassò lo sguardo, vide un rivolo di orina che si allargava sul tavolo. «La terza volta ti mozzerò le dita, tutte, così non potrai scrivere le tue menzogne. La quarta volta gli occhi, così non potrai vedere parole e lettere per rispondere a domande scritte. E infine ti bucherò i timpani, così nessuno potrà dirti batti i moncherini una volta per dire sì, due per dire no. «Ti taglierò fuori per sempre, Wilson Barnes. Non ti ucciderò ma ti bandirò dal regno dei viventi così che non potrai comunicare mai più.» Si fece così vicina che i loro volti si toccavano quasi. «È più di quanto abbiano avuto i miei bambini, Wilson Barnes. Te li ricordi? Ricordi?» «Ch... chi?» rantolò Barnes con la gola secca per la paura. «I miei bambini. Ti ricordi gli innocenti? Gli innocenti che talvolta devono morire se vuoi ripulire il terreno dai parassiti? Voglio sapere chi è stato a ripulire il terreno, Wilson Barnes. Voglio sapere chi ha ucciso i bambini con quelle bombe.» «Non... non lo so, davvero non lo so, lo giuro sulla Bibbia, lo giuro su Gesù Cristo onnipotente...» Amy sentì i propri lineamenti indurirsi, e schiacciò la lama di piatto contro lo scroto di Barnes, finché l'uomo emise un gemito. Quindi rivoltò il coltello in modo che la lama affilata intaccasse la carne. Il gemito si trasformò in un urlo. «Che cosa facciamo?» chiese Amy.
«Se devo fare a pezzi un innocente per ottenere quello che voglio, lo farò.» Gli mise sotto gli occhi il coltello macchiato del suo sangue. Poi allungò il braccio e con la punta della lama accese il microfono. «Chi è stato, Wilson Barnes?» chiese. «La lingua. Te l'ho promesso.» L'uomo continuava a guaire, tenendo con forza gli occhi chiusi. Allora Amy gli toccò le labbra con la punta del coltello, spingendogliela lentamente e delicatamente in bocca, così che potesse sentire il sapore del proprio sangue. Wilson Barnes spalancò gli occhi e rispose quasi urlando. «I Figli! I Figli di una Libera America! Ti prego... ti scongiuro, non farmi del male... È la verità!» Amy aveva sentito l'eco della sua voce proveniente dalla sala regia. Gli mise di nuovo il coltello davanti agli occhi e lo costrinse a richiuderli. Poi spostò il microfono direttamente sopra il viso contorto dalla paura di Wilson Barnes, e gli posò la lama di piatto sugli occhi chiusi. «Chi? Dimmelo di nuovo. Dimmi chi sono quei bastardi.» «I Figli... di una Libera... America», ansimò lui. «È la verità. Sono stati loro, sono stati loro, lo giuro...» Continuò a farfugliare mentre lei gli toglieva il coltello dagli occhi e allentava la presa alla gola. Alla fine tacque e comindò a respirare più profondamente. E poi aprì gli occhi e vide il microfono a un palmo dalle sue labbra, con l'interruttore in posizione di acceso. «Questa confessione vi è stata offerta da Wilson Barnes», annunciò Amy in tono formale. Barnes afferrò il microfono e lo spense. Si guardò intorno in preda al panico. «Tu... l'hai acceso tu», l'accusò. «Sì. E farai meglio a non lasciarlo spento troppo a lungo. Se c'è una cosa che gli ascoltatori odiano sono i buchi nelle trasmissioni. I buchi e le spie. Ho il sospetto che di buchi ne vedrai presto.» Mosse un po' di carte sulla scrivania e ne prese una scatola di pallottole .357. «Grazie per le informazioni. Ora, se fossi in te cercherei di aggiustare i rapporti con i tuoi amici.» Si girò e uscì dallo studio, percorse il corridoio, scese le scale e attraversò l'atrio passando accanto a Donald ancora privo di sensi. Per tutto il tragitto la seguì attraverso gli altoparlanti la voce, scossa ma persuasiva, di Wilson Barnes. «Ecco che cosa potrebbe accadere, amici miei, se questo governo va avanti sulla strada che sta battendo. Come ha dimostrato questa drammatizzazione, agenti governativi - anche di sesso femminile, ispirate dalle fem-
ministe abortiste - potrebbero fare irruzione in uno studio radiofonico - e perfino nelle vostre case! - e torturarvi fino a farvi confessare... fino a farvi raccontare cose che non volevate rivelare, come per esempio il nome di gruppi con cui siete in contatto, come questa organizzazione fittizia che il personaggio che interpretavo io è stato costretto a nominare... Potrebbe accadere qui, amici miei, e quindi badate bene a proteggere le vostre libertà, e...» Amy doveva riconoscerglielo, quell'uomo sapeva come pararsi il culo. Ma non credeva che quella storia gli sarebbe servita a rimettere tranquilli i Figli di una Libera America, chiunque essi fossero. Mentre apriva la porta esterna una ragazza dai capelli rossi e dal seno prominente cercò di entrare. Amy la prese per l'impermeabile e la tirò fuori con sé, richiudendo la porta fino a sentire lo scatto della serratura. «Lascia perdere», disse alla donna. «Credimi, sei l'ultima persona al mondo che Wilson Barnes vorrebbe vedere in questo momento.» Poi le vennero in mente i Figli di una Libera America e sorrise, un sorriso che fece indietreggiare di qualche passo la puttana. «Cioè», si corresse, «forse la penultima persona che vorrebbe vedere.» Il Corvo era appollaiato sul parchimetro accanto alla Avanti e Amy gli fece un cenno con la testa. «Ho avuto un nome», gli disse. «Ora mi servono solo le persone che lo usano...» 16 Il turno dì notte toccava a Junior Feeley. Odiava fare la guardia di notte. C'erano mille rumori strani nei boschi che circondavano il complesso, per non parlare delle mine antiuomo disposte nell'interno immediato del perimetro. Se qualcuno fosse riuscito a superare il reticolato alto tre metri sormontato di filo spinato, avrebbe dovuto affrontare le sorpresine di Powder Burns. A Junior non toccava fare il giro del perimetro né lo avrebbe fatto se glielo avessero ordinato, per paura delle mine. Ma grazie alla fitta fascia boscosa che circondava il complesso, l'unico punto che preoccupava Rip Withers era l'ingresso principale, a cui si accedeva da uno stretto sterrato, raggiungibile a sua volta da una strada statale poco battuta, nota soprattutto ai cacciatori. E quindi Junior se ne stava al cancello limitandosi a sorvegliare la strada di terra battuta. Per avere altro da ascoltare oltre a quei rumori così inquie-
tanti, si era portato un piccolo transistor che ascoltava a basso volume. Stava sentendo Wilson Barnes quando accadde una cosa stranissima. Finito il notiziario, vi fu un lungo silenzio, e Junior pensò che forse le pile si erano scaricate. Ma poi sentì la voce di una donna che diceva qualcosa a proposito di una lingua, che gli fece drizzare le orecchie. E improvvisamente Barnes urlò il nome dei Figli di una Libera America e Junior quasi se la fece addosso. Quel nome era un segreto, maledizione, nessuno doveva sentirlo. Loro erano il Campo di Caccia della Quercia Bianca, così diceva il cartello a chi arrivava tanto vicino da leggerlo. E ora quello stronzo di Wilson Barnes, con migliaia e migliaia di ascoltatori, lo gridava, quel nome. Poi la donna disse ancora qualcosa e cazzo se Wilson Barnes non ripeté di nuovo il nome e disse che erano stati loro, loro a fare chi sa che cosa. E poi la donna disse che quella era una confessione. Junior Feeley non sapeva che cosa diavolo stava succedendo laggiù ma sapeva maledettamente bene che Rip e gli altri dovevano essere informati, anche se gli avrebbero fatto il culo perché ascoltava la radio in servizio. Quando arrivò di corsa alla baracca di Rip e bussò, non fu lui ad aprirgli ma suo fratello Ray. E dentro c'erano Rip, Will e Sonny Armitage tutti attorno alla radio di Rip, ad ascoltare il programma di Wilson Barnes. Ray zittì Junior con un gesto. Sapevano già tutto: aveva abbandonato il posto inutilmente. Adesso si sarebbe messo nei guai seri, a meno che non avesse inventato qualche altra cosa per giustificare il suo arrivo. Wilson Barnes stava parlando, ma ora aveva il tono di sempre. Però non pareva affatto che Rip, Will e Sonny fossero molto contenti di quello che sentivano. Rip e Sonny erano furibondi, e Will appariva spaventato. Ray aveva la sua solita espressione. Ci fu un'interruzione pubblicitaria e loro si misero a discutere. «Quel fottuto coniglio», disse Sonny. «Maledizione, Rip, ci ha sputtanati.» «Altro che», annuì Rip. «Quel pezzo di merda.» «Ma che cosa è successo?» chiese Will. «Chi era quella donna?» «Non lo so, quella la troveremo presto. Ma ora dobbiamo occuparci di Barnes. Ray, chiama Ace, digli che abbiamo un lavoro per lui.» Solo adesso Rip parve accorgersi di Junior Feeley. «Che diavolo vuoi, tu?» «Io, ecco...» Junior pensò alla svelta. «Ho sentito qualcosa, ho pensato di venire a riferire.»
«Sentito che cosa?» «Qualcuno che camminava attorno... fuori del recinto.» «Come!» Rip balzò in piedi. «Perché non hai sparato?» «Be'... non volevo farli fuggire, e così sono venuto a chiamare qualcuno.» «Andiamo!» ordinò Rip, afferrando un'arma dal muro, e gli altri lo seguirono. Junior Feeley era un vigliacco, e lo sapeva. Aveva partecipato a molti scontri, aveva picchiato una quantità di uomini, un paio ne aveva anche uccisi con le sue mani, ma non gli andava l'idea che potesse farsi male lui. Grande e grosso com'era, trovava sempre qualcuno che lo sfidava. Ma odiava il dolore, anche se gli piaceva infliggerlo. Soprattutto alle donne, perché di loro non aveva paura. Solo con loro poteva fare il duro senza doversi preoccupare di una reazione. Purtroppo le donne erano escluse dal campo dei Figli, non ce n'erano. Sapeva che quella era una decisione giusta, ma questo non gli impediva di sentirsi sempre arrapato come un riccio. Ma ora Rip si sarebbe infuriato con lui: di questo doveva preoccuparsi. Tutti i riflettori accesi illuminavano a giorno la zona davanti al cancello, e Rip, sulla torre di guardia armato del suo AK, scrutava tra la boscaglia circostante. «Mandate una squadra di ricerca!» gridò. Junior aprì il cancello mentre Sonny raggiungeva il dormitorio per raccogliere una mezza dozzina di uomini, che uscirono di corsa dal recinto con le loro armi e si dispersero. Tornarono dopo dieci minuti, scuotendo la testa e guardando dubbiosi Junior. «Là fuori non c'era nessuno, Junior», disse Sonny. «Io qualcosa l'ho sentita», insisté Junior. «Sarà stato un cervo.» «Cazzo», esclamò Rip, «come se non avessimo già abbastanza problemi. La prossima volta usa quella cazzo di testa, Junior, fai un segnale con una cazzo di torcia, capito?» Wilson Barnes si chiese se ce l'avrebbe fatta a raggiungere la macchina. Non tanto per il dolore ai testicoli, anche se gli facevano ancora male e il taglio, pur se limitato, gli bruciava. Ma le gambe gli tremavano così forte che non sapeva se lo avrebbero retto per l'intero percorso. Cristo, che notte da incubo. Non solo quella pazza, ma anche continuare a parlare per altre tre ore, fino alla fine del programma. Grazie a Dio anche Phil, il tecnico, si era ripreso. Aveva il naso rotto e probabilmente una lie-
ve commozione cerebrale, ma era riuscito a portare lo show fino alla fine, tamponandosi il naso con del cotone finché aveva smesso di sanguinare. Donald, quel custode incapace, l'aveva licenziato durante un'interruzione pubblicitaria, e aveva trovato argomenti molto persuasivi per convincerlo a tacere sull'episodio, così come era sicuro del silenzio del tecnico. E così, malfermo sulle gambe, Wilson Barnes si dirigeva verso la porta d'ingresso, passando accanto al banco vuoto del custode, chiedendosi chi diavolo fosse quella donna. Della polizia no, ma forse davvero un'agente federale, come aveva raccontato lui alla radio. Avrebbe dovuto parlare al più presto con Withers, convincerlo che non era successo niente di grave, che sapere il nome di un'organizzazione non significa che... E a metà di questo pensiero, mentre stava per aprire la portiera dell'auto, il primo proiettile lo raggiunse, penetrandogli nella schiena, dritto attraverso il rene destro e uscendo da un foro che gettò uno spruzzo di sangue e piscio sulla lucida Buick di Wilson Barnes. Rimase lì in piedi per qualche attimo, senza capire che cosa stesse succedendo, e poi sentì il secondo colpo che lo prendeva alla spalla, facendolo ruotare su se stesso e sbattere contro la portiera. Scivolò a terra e si trovò seduto sull'asfalto del parcheggio. Allora vide l'uomo, affacciato al finestrino di un'auto verde scuro, a cento metri di distanza. Imbracciava un fucile, puntato su Wilson Barnes, che non poté far altro che scuotere la testa e mormorare parole che quello non avrebbe mai potuto sentire. L'uomo fece nuovamente fuoco e Barnes sentì esplodergli lo stomaco. Barnes mosse flebilmente le dita, cercando di non staccare gli occhi dall'uomo, di dirgli con lo sguardo che non c'era bisogno che facesse questo. Ma allora l'uomo sollevò la testa dal mirino telescopico del fucile e gli sorrise. Disse una sola parola, ma abbastanza forte perché Barnes la udisse. «Chiacchierone.» Tra il momento in cui Barnes assimilò la parola e quello in cui l'uomo mirò di nuovo, Barnes concluse che non avrebbe avuto modo di spiegare nulla a Rip Withers, che Withers aveva già preso la sua decisione. Wilson Barnes non udì lo sparo che lo uccise, né vide la pallottola che lo raggiunse in mezzo agli occhi. 17 Amy Carlisle non era ancora tornata a casa di David Levinson. Dopo la stazione radio era risalita in macchina e aveva raggiunto il sito del Centro
Diventiamo Amici; qui era rimasta a vegliare finché le prime luci dell'alba avevano mutato in grigio il nero della polvere e della cenere. Non era mai scesa dall'auto. Non aveva neppure aperto lo sportello né il finestrino, finché da oriente non era cominciata ad arrivare un po' di brezza, come portata dai raggi del sole nascente, muovendo la polvere, sollevandola da terra. Allora aveva abbassato il vetro del finestrino, respirando a fondo, come assorbendo gli atomi dell'essenza dei suoi bambini. Riempitemi. Siate con me. Venite dentro di me e non andate più via. Datemi forza. Ora erano in lei, una sola cosa con lei, i figli che non aveva mai avuto, i figli che non sarebbero mai diventati grandi. Aveva sulla lingua il sapore amaro del loro dolore e del loro amore e della loro mancanza, i mariti e le mogli e i padri e le madri che non sarebbero mai stati, le vite che mai sarebbero state vissute. A causa di quelli. A causa dei Figli di una Libera America, che proclamavano la loro libertà ammazzando bambini, rubando non solo anni ma generazioni future. Chinò la testa e pianse, ma le lacrime non vennero. Forse, pensò, le era rimasta dentro solo polvere. E forse chi l'aveva fatta sapeva che non di lacrime c'era bisogno adesso, ma di sangue. Ne aveva versato e molto ancora ne avrebbe versato prima di poter finalmente riposare. Ma prima di rimettersi sulle loro tracce, c'era una cosa che doveva fare. Sapeva che non avrebbe dovuto, ma impedirselo le era impossibile, sarebbe stato come cercare di impedire alla gialla sfera del sole di spuntare dall'orizzonte. Rick Carlisle amava la casa che si era costruito con Amy. Annidata tra gli alberi, era a pochi minuti dal centro cittadino ma sembrava isolata, tanto che era possibile lasciare le tendine aperte e girare per casa nudi senza essere visti da nessuno. L'unico piano si spingeva fin sotto gli alberi, e quando sedevano insieme sulla piccola veranda sul retro potevano avere l'impressione di vivere nel cuore di una foresta. Ora Rick vi abitava con la seconda moglie, Nancy, che di Amy era stata amica, e con sua figlia Karin. A volte gli sembrava strano, come se stesse tradendo Amy, ma dopo la sua perdita sia lui sia Nancy avevano avuto bisogno di qualcuno, ed era stato più che naturale che trovassero conforto nella reciproca compagnia. Inizialmente Rick avrebbe voluto vendere la casa e trasferirsi altrove.
Dovunque guardasse pensava ad Amy. Le sue cose, la sua influenza, la sua presenza erano dappertutto. Ma Nancy lo aveva dissuaso. «Non è una cosa tanto fisica», gli aveva ricordato, «quanto mentale. Devi prenderne atto, Rick, Amy sarà con te per sempre. Il senso di perdita lo avvertirai sempre, solo che con il tempo diventerà meno doloroso.» Dopo il matrimonio con Nancy, aveva tenuto solo una fotografia di Amy su uno scaffale nel soggiorno, in un punto non troppo in vista. Quando lei l'aveva vista, aveva solo notato che quel ritratto della sua amica le era sempre piaciuto. Rick era stato contento che non si fosse mostrata contrariata. Ora che, dolorosamente, aveva messo via tutte le sue cose, aveva bisogno di qualcosa di Amy per ricordarla. Aveva fatto mettere una piccola lapide in un cimitero fuori città, ben sapendo che sotto non c'era niente. La lapide diceva AMY CARLISLE - MOGLIE ADORATA, e sotto c'erano gli anni di nascita e di morte, ma lui sapeva che lei non era lì. Era stato a visitarla una sola volta. Sarebbe stato il suo cuore il memoriale di Amy. Suonò la sveglia, risparmiandogli altri ricordi dolorosi. Diede un bacio a Nancy che si svegliava e insieme si prepararono per la giornata, e prepararono Karin per la scuola. Quel giorno Rick contava di lavorare in casa. Dopo colazione, quando Nancy e Karin furono uscite, rimase solo al tavolo della cucina con il suo caffè, e ripensò all'ultima volta che era stato seduto lì con Amy. Erano tutti e due emozionati per la visita del senatore, ma da allora non era passato un solo giorno che Rick non avesse maledetto quell'uomo. Se solo non avesse annullato la visita, le guardie del corpo sarebbero forse riuscite a trovare le bombe. E invece quell'annullamento aveva spezzato il cuore di Amy, aveva messo fine alla sua vita. Allontanò la mente da quell'ultimo giorno e ripensò alla sua gentilezza, al suo garbo, a quanto lo aveva amato. E come tanto spesso accadeva quando i suoi pensieri andavano a lei, si accorse che stava piangendo, dolcemente, con le lacrime che gli scorrevano lungo le guance, fino agli angoli della bocca, dove poteva sentirne il sapore. E allora sentì che doveva vederla, doveva vedere, toccare quello che rimaneva di lei in quella casa; si alzò, andò in soggiorno, prese la fotografia incorniciata. Amy, in piena luce, con i suoi capelli castani risplendenti, i suoi occhi viola semichiusi per il sole, il suo sorriso solo per lui. Le lacrime gli offuscarono la vista e distolse lo sguardo dalla foto alla finestra. L'immagine rimase. Il viso di Amy, non più alla luce ma nell'ombra, lo guardava dall'altra parte del vetro.
Sentì il cuore farsi di ghiaccio, e strinse gli occhi convulsamente per schiarirsi la vista. Colse un movimento, ma ora quella cosa che lo guardava non c'era più. Corse alla finestra e guardò fuori, ma non vide nulla, se non forse un vago agitarsi dei cespugli che nascondevano la sua casa alla strada. Si precipitò alla porta, la spalancò e corse fuori, ma c'era solo un grosso corvo nero che planava tra gli alberi calando verso la strada. Aprì le labbra per chiamare Amy, poi esitò e le richiuse. Amy era morta. Quello che aveva visto era solo l'immagine della fotografia che si era fermata sulla sua retina. Di sicuro. Doveva essere così. Eppure aveva visto i suoi occhi. Anche se le lacrime gli velavano lo sguardo, quegli occhi viola lo avevano fissato con amore e nostalgia, e qualcos'altro. No, non era stato un fenomeno ottico. Era proprio Amy quella che aveva visto fuori della finestra. O il suo fantasma. Forse quella era la spiegazione, visto che non riusciva a trovarne un'altra che avesse senso. Che cosa gli chiedeva quello sguardo? C'era qualcosa di più profondo, un'emozione che non era solo tristezza. Allora capì. Perché tornano i fantasmi? Per un'infelicità che non li lascia riposare. Per un'ingiustizia non sanata. Per un omicidio non risolto. Il fantasma di Amy era tornato per dirgli che cosa doveva fare per darle pace. Se la polizia non era capace di farlo, lo avrebbe fatto lui. Doveva farlo, per Amy. Continuò a spingere a fondo l'acceleratore, benché avesse gli occhi pieni di lacrime. Ora che aveva visto Rick circondato dall'affetto della sua nuova famiglia, doveva toglierselo dalla mente. Non era suo marito, era il suo vedovo, un vedovo che si era risposato con una donna a cui Amy aveva voluto bene come a una sorella. Il tempo avrebbe guarito il dolore di Rick. Aveva una famiglia che lo amava, avrebbe superato la sua perdita. Arrivata a casa di David Levinson lo trovò in cucina, in accappatoio, con una tazza di caffè. «Dammi le mani», le disse. Lei gliele porse e lui le annusò le dita. «Bene. Niente cordite. Allora non hai ammazzato tu Wilson Barnes.» Lei cercò di non mostrarsi sorpresa. «Chi è Wilson Barnes?» «Come prevedevo. Non so niente, non ho visto niente... Chi sto ospitando? Una fuggitiva?» Lei annuì. «Dalla morte. Devo usare il tuo computer.» Dopo una ricerca di mezz'ora trovò una traccia. Figli di una Libera A-
merica non compariva, ma Libera America l'aveva condotta a un messaggio Usenet da alt.militia.freedomfight, spedito da un certo W.J. Standish. Diceva tra l'altro: Troppe volte le nostre libertà e, in qualche caso, le nostre preziose vite, sono state schiacciate dall'attuale governo. Dobbiamo impegnarci tutti perché vi sia ancora una Libera America, e a essere Figli di una Libera America, a costo di pagare con il sangue. L'indirizzo di Standish era
[email protected]. Dopo altre ricerche Amy scoprì che Rangenet era un server con sede a Grand Rapids che copriva la zona settentrionale e centrale del Minnesota. Era il momento di localizzare Standish. Con una ricerca sulle guide telefoniche della regione trovò un William J. Standish a Hobie. Ma quando formò il numero, un messaggio registrato le comunicò che il numero non era in servizio. C'era un altro Standish soltanto nell'area di Hobie, Dorothy J., a Kilton, una cittadina a otto chilometri da Hobie. Amy provò a chiamare ma non ebbe risposta. Decise di andare a Kilton quella sera. Il resto della giornata lo passò a studiare il materiale raccolto da Levinson. Il nome di William Standish spuntò ancora in qualche lettera al direttore che aveva scritto a diverse riviste di «patrioti». L'indirizzo era semplicemente Hobie, MN, e la lettera più recente era stata pubblicata oltre un anno prima. Era quasi buio alle cinque, e Amy partì per Kilton senza vedere Levinson che, immaginò, doveva essere uscito di pattuglia. Non l'aveva disturbata per tutto il giorno, salvo per chiederle se aveva voglia di mangiare qualcosa. Lei aveva declinato l'invito. Mentre guidava, il Corvo la precedeva volando, come facendole strada. Anche se sapeva dove stava andando, trovava rassicurante la sua presenza. Lo stesso conforto che un cristiano prova alla presenza della croce. Dorothy Standish viveva in un trailer sistemato in un piccolo appezzamento al margine del bosco. Mentre si avvicinava alla porta della casa mobile dopo aver lasciato l'auto sul vialetto di accesso, Amy notò che la struttura metallica mostrava segni di ruggine in più punti, mentre la lamiera ondulata che copriva la base del trailer era qua e là addirittura marcia. Prima ancora di bussare alla porta vide l'anziana donna che la guardava dal vetro opaco della finestra. La porta fu socchiusa e Amy vide il locale interno pieno di fumo di sigarette. Con una voce bassa e catarrosa la donna
chiese ad Amy chi fosse. «Sono Margaret Evans della Publishers' Clearance», rispose. «Cerco William Standish. È suo parente?» «Per che cosa lo cerca?» chiese l'altra. «Ha vinto un premio a una delle nostre lotterie, ma non siamo riusciti a rintracciarlo presso l'indirizzo che abbiamo.» Il viso della vecchia si rischiarò appena un poco. «Cos'è che ha vinto?» «Be'», esitò Amy, «per poterlo rivelare, dovrei parlare personalmente con il signor Standish o con un suo incaricato con delega.» «Io sono la madre», disse Dorothy Standish, togliendosi finalmente la sigaretta di bocca. «Non basta?» «Mi dispiace, signora Standish, ma posso trattare con terzi solo se il signor Standish ci fornisce un'autorizzazione scritta. Sa dove possiamo trovarlo?» «Ora non c'è. Non può raggiungerlo. Cos'è che ha vinto?» «Gliel'ho detto, non posso. Forse potrebbe mettersi lui in contatto con noi. Pensa di vederlo presto?» L'altra annuì. «Domani. Viene a trovarmi domani.» «Bene, allora se le do il mio numero di telefono potrà chiamarmi, e ci metteremo d'accordo per la consegna del premio.» «Senta, mi dica prima di che si tratta. Come faccio a sapere che non è una di quelle cose dove vinci un appartamento in Florida, che poi però devi pagarlo, uno di quei trucchi lì?» Amy annuì e sorrise, come dichiarandosi vinta. «Vedo che non c'è modo di convincerla, signora Standish. Va bene: suo figlio ha vinto cinquecento dollari.» «Cinquecento?» La sua espressione era un misto di avidità e di irritazione. «Pensavo che voialtri davate dieci milioni di dollari. Così dice la pubblicità.» «Ah, quella è di Ed McMahon. Noi siamo una società molto più piccola. Ma il nostro primo premio era di cinquantamila, l'ha vinto una signora di St. Paul.» «Aspetti qui», disse la signora Standish, chiudendo la porta. Quando tornò aveva una penna e un foglio e una sigaretta nuova, e scrisse il nome e il numero che le diede Amy. Poi, senza aggiungere altro, richiuse la porta definitivamente. Amy aveva inventato il numero, come il nome. Se Standish avesse provato a chiamare, avrebbe pensato che la madre aveva sbagliato a scriverlo.
Ma a quel punto Amy lo avrebbe avuto. E allora avrebbe ottenuto tutte le informazioni che le servivano, i nomi degli altri killer, e dove trovarli, questi Figli di una Libera America. E allora la loro sola libertà sarebbe consistita nel decidere se urlare o no nel momento della morte. 18 La mattina seguente, alle otto, Amy Carlisle tornò a Kilton e parcheggiò a quattro isolati dal trailer della signora Standish. Si nascose tra gli alberi dietro la casa mobile, in un punto da cui poteva tener d'occhio la via d'accesso. E attese, seduta su un tronco caduto nella penombra del bosco. Accanto a lei il Corvo era posato immobile su un ramo ritorto. Così poteva anche riposare, anche se non sapeva neppure se ne aveva bisogno. Non aveva idea di cosa fosse capace il suo corpo, ma visto che dalla sua risurrezione non aveva mangiato un solo boccone né chiuso gli occhi per un solo minuto di sonno, sospettava che i suoi poteri fossero formidabili. Rimase lì mentre il sole raggiungeva lo zenit e poi iniziava la sua discesa ricadendo verso il buio. Solo verso le sei un'auto si fermò nella stradina e qualcuno ne scese. Amy vide chiaramente un uomo alto, magro, dal colorito quasi cadaverico, che camminava a capo chino, come se portasse sull'anima il peso di un grande peccato. Amy si spostò attraverso il prato con la leggerezza del vento e si accoccolò sotto il finestrone della casa mobile. Le voci provenienti dall'interno producevano un mormorio sulle prime indistinguibile, ma quando lei sintonizzò l'udito sui loro ritmi, si accorse che poteva capire perfettamente quello che madre e figlio si stavano dicendo. Quando sbirciò all'interno li vide seduti nella stanza piena di fumo e di disordine. La signora Standish era in poltrona davanti alla TV, con gli occhi su un filo di perle che un venditore andava offrendo da un canale di vendite a domicilio, ma con l'audio spento. Suo figlio doveva avere sui quarantacinque anni, andava su e giù per quello spazio angusto e ingombro di cose. «Adesso non posso più rimanere», diceva William Standish alla madre. «Voglio dire, non bastavano le bombe, hanno dovuto pure sparare a Barnes in pieno giorno? E non è niente a paragone di quello che hanno in mente. Non posso assolutamente entrarci, mamma, non posso.» Sembrava sul punto di mettersi a piangere ma la vecchia manteneva lo
sguardo fisso sullo schermo. Era come se non sentisse affatto le sue parole. «Dico, in quello che ho detto e scritto in passato ci credo, ma così... Non avrei mai immaginato come sarebbe finita, tutti quei bambini morti, e per niente...» Se il sangue morto di Amy si era mai infiammato dopo il suo ritorno, ora si fece di ghiaccio. Quello era uno degli uomini, quei Figli di una Libera America, quelli che avevano ucciso i suoi bambini. Le sue stesse parole lo condannavano. Trionfo, collera, odio, questo sentiva Amy. Avrebbe voluto irrompere dalla finestra e spezzargli il collo. Ma doveva aspettare. Non era la vendetta quello che le serviva adesso, ma informazioni. «Devo tirarmi fuori. Lo so che i Figli cercheranno di ammazzarmi ma forse ce la faccio. Se dico quello che so, mi proteggeranno.» «Chi è che ti proteggerà?» chiese finalmente la signora Standish. «I... il governo», rispose William Standish con una voce così bassa che Amy la udì a malapena. «O la stampa... Oh, Dìo, mamma, non lo so, non so proprio che fare...» L'uomo scoppiò in singhiozzi ma la madre non disse nulla per confortarlo. Staccò gli occhi dallo schermo e lo guardò. «Lo sai che cosa vuol dire essere uno Standish? Avere nelle vene il sangue dei patrioti?» Lui si strofinò gli occhi. «Lo so, mamma. Lo so...» Poi corse alla porta e la spalancò. Amy scattò subito ma era già troppo tardi. Quando svoltò l'angolo del trailer vide che era già montato in macchina, e stava percorrendo in retromarcia il vialetto di accesso. L'unico mezzo per seguirlo era l'Avanti. Protetta dal buio, corse verso la sua auto, con una velocità che la stupì. Quando raggiunse l'Avanti non aveva neppure il fiato grosso. Mise subito in moto e partì nella direzione in cui era scomparso Standish. C'erano diverse vie per uscire dalla cittadina, ma non dovette fare congetture, il Corvo volava alto, sempre in vista, muovendosi senza sforzo, così come Amy aveva corso. C'erano dei vantaggi, pensò, nella morte. Raggiunse l'auto di Standish, una Ford Tempo bianco sporco, in pochi isolati. Tra lei e la Tempo c'era un furgone, ma lei non cercò di superarlo, pensando che le avrebbe fatto da copertura. Quando si immisero sulla strada a quattro corsie che portava a Hobie, Amy notò che il furgone seguiva Standish ogni volta che lui faceva un sorpasso, e poi rientrava restandogli dietro. La cosa si ripeté, finché lei concluse che anche il camioncino lo stava pedinando. Chi erano? Poliziotti? O forse i Figli di una Libera America non si fida-
vano di uno di loro al punto da farlo pedinare? Più probabile. Il paraurti portava un adesivo con IMPEACHMENT PER CLINTON, e i finestrini posteriori la bandiera americana in decalcomania. Presto avrebbe scoperto se William Standish era pedinato dai suoi amici. Entrarono in città, che ora sembrava addormentata. Alle sei di sera chiudevano quasi tutti i negozi e gli uffici, e le strade erano quasi deserte. Un semaforo passò al giallo e Amy si preparò a scattare se Standish avesse cercato di bruciarlo. Ma la Tempo si fermò, e così il furgone: grazie all'illuminazione stradale Amy poté vedere nello specchietto retrovisore del veicolo la parte superiore del viso dell'uomo al volante. Guardava diritto davanti a sé, ma lei riconobbe all'istante la faccia. Si irrigidì, strinse i denti in una smorfia. Era una delle facce che aveva visto nell'auto scura affacciandosi alla finestra del centro, uno dei quattro uomini che erano stati là quella notte fatale. Resistette all'impulso di piantare l'Avanti nel retro del furgone con tanta violenza da spezzare il collo a quell'uomo. Non c'era fretta, si disse. Ora ne aveva due. Uno dei due avrebbe parlato, e poi tutti e due sarebbero morti. Tornò il verde e si rimisero in moto. Davanti a loro sorgeva l'edificio dell'Hobie Sentinel, il palazzo più alto del centro cittadino, con i suoi undici piani. Gli uffici andavano dal quarto all'ottavo piano, mentre le rotative occupavano i primi tre. Amy vi aveva portato in visita i bambini l'anno prima. Un garage sotterraneo si apriva sul lato dell'edificio, e William Standish vi si inoltrò. Questo significava una sola cosa, che intendeva mettere in pratica la minaccia di raccontare tutto ai giornali. E questo significava che Amy doveva mettergli prima le mani addosso. Quindi, quando fu sicuro che Standish non si sarebbe accorto di essere seguito, anche il furgone si immise nello stretto ingresso del garage. Amy lo seguì, ma l'uomo, anziché proseguire fino all'area di parcheggio, si fermò alla fine di quell'angusto corridoio di cemento, bloccandole la strada. La portiera dalla parte del passeggero si aprì e il guidatore saltò giù scomparendo di corsa dietro l'angolo. Quel figlio di puttana l'aveva incastrata. La rampa era così stretta che non avrebbe potuto neppure aprire lo sportello abbastanza da scivolare fuori. Di furia, abbassò il vetro e cominciò a sgusciare dal finestrino. L'aveva fregata, pensò Sonny Armitage mentre saliva di corsa le scale verso l'ascensore del piano superiore. Chi sa chi diavolo era quella troia
che lo stava seguendo da quando era entrato in città. Magari era solo una che faceva il turno di notte al giornale, ma con quello che stava per fare di testimoni non ne voleva, e il furgone, rubato quella sera, poteva anche sacrificarlo. Rip aveva fatto bene a non fidarsi di quello lì, pensò mentre schiacciava il pulsante dell'ascensore perché si fermasse al suo piano durante la salita, con Will a bordo. Aveva fatto bene, soprattutto per come si era comportato quella sera che avevano fatto saltare il centro. Avrebbero dovuto farlo fuori lì per lì, e si sarebbero risparmiati un sacco di rogne. Quando un uomo dava segni di debolezza, bisognava metterlo a tacere, e se si trattava di uno che sapeva tutto quello che sapeva Will Standish, bisognava farlo «con estremo pregiudizio». A Sonny Armitage piacevano molto quelle parole. Estremo pregiudizio, sì, contro negri, ebrei, mangiafagioli, musi gialli, e tutti i rammolliti liberali per cui erano tutti fratelli sotto il sole del cazzo. No, vaffanculo, Sonny ne aveva pieni i coglioni di quelle stronzate. In Vietnam ci aveva combattuto insieme, con i «fratelli neri», più interessati a vedere da dove veniva il prossimo povero cristo da fregare che a uccidere i nemici. Erano animali, subumani, e lo erano anche i musi gialli. Se i negri erano scimmioni, i gialli erano bertucce, scimmiette dagli occhi a mandorla che schizzavano fuori dalla giungla come fantasmi. Sonny non lo aveva mai ammesso, ma gliene avevano data di strizza. Si fossero battuti da uomini, allo scoperto, invece di nascondersi tra le foglie o nelle loro gallerie da sorci, un po' di rispetto per loro lo avrebbe avuto. E poi, tornato a casa, se li era ritrovati pure lì. Gli piaceva tanto ammazzare gli americani, che ora erano venuti ad ammazzare anche la loro economia. Finalmente Sonny sentì che l'ascensore si fermava e le porte si aprivano. Ed eccolo lì. Will Standish, in tutta la sua gloria di senza palle, che lo guardava come chi non sa più dove si trova. «Ehi, Will», esclamò Sonny, facendo lampeggiare un sorriso e la lama del coltello. «Vai a comprare il giornale?» Will cercò di scartarlo ma Sonny senza difficoltà lo scaraventò con uno spintone contro la parete della cabina. Le porte si richiusero e Sonny bloccò l'ascensore. Poi infilò la lunga lama del coltello tra le costole di Will Standìsh. «Fottuto pezzo di merda traditore liberale finocchio di un coniglio», gli sussurrò all'orecchio, reggendolo perché non cadesse, e trascinando lateralmente il coltello finché urtò contro la cassa toracica di Will. Allora lo
estrasse. Sentì il sangue colargli caldo sulle nocche e pensò che era una sensazione piacevole. Era il sangue di un traditore, un traditore che leccava il culo e succhiava l'uccello ai tiranni. «I traditori non devono morire facilmente», disse, e immerse di nuovo la lama, questa volta nella pancia, e lo ruotò in piccoli cerchi. Will non aveva neppure la forza di gridare, ma aprì la bocca come per dire qualcosa. Sonny sentì puzza di piscio e di merda e si mise a ridere. «Mammina dovrà lavarti le mutande, Will», ghignò, quindi schiacciò il pulsante dello stop e premette il bottone dell'ultimo piano del garage. Will lo avrebbe lasciato lì. Nessuno lo avrebbe trovato prima dell'indomani mattina. Ridacchiò mentre l'ascensore saliva. «Il viaggio è lento, Will, ma è divertente, no?» Rigirò ancora il coltello, godendo della smorfia incredula di Will, e lo estrasse nel momento in cui la porta si apriva al piano. «Non sa giocare con i compagni.» La morbida voce femminile fece girare di scatto Sonny, che si trovò davanti a una donna, quella che era al volante dell'auto sportiva che lui aveva bloccato. Era vestita tutta di nero, e i suoi occhi viola erano stretti in un'espressione letale, ma sorrideva mostrando una dentatura bianca e regolare. Le mani, abbandonate lungo i fianchi, erano vuote. Sonny non capiva di cosa diavolo stesse sorridendo. Era lui ad avere il coltello. Lo alzò, ancora gocciolante di sangue, incerto sul da farsi. La donna guardò la lama e scosse la testa. «Corre con le forbici in mano», disse, e improvvisamente il sorriso si spense come la fiamma di una candela. «E uccide i bambini. Sono tre infrazioni. Bisognerà punirti.» «Vaffanculo anche tu», ringhiò Sonny, gettandosi su di lei con il coltello, ma lei era veloce, più di quanto lui avrebbe immaginato, e si fece da parte mandandolo a rotolare sul cemento spinto dal suo stesso slancio. Il calcio nelle costole gli svuotò i polmoni. Faceva male, più di qualsiasi calcio avesse mai ricevuto in uno scontro finora, ed erano stati tanti. Basta con questa stronzata, pensò mentre stringeva i denti per il dolore e rotolava su un fianco, portando la mano dietro la schiena dove teneva la pistola, lascia perdere i giochetti, è troppo veloce, spara, spara subito, spara adesso. Fece fuoco da terra, tre colpi in rapida successione che la presero in pieno - uno all'addome, uno al petto e l'altro sotto il mento - e la ributtarono all'indietro. Ma non cadde. Rimase in piedi, per un attimo come frastornata. I fori dei proiettili si vedevano benissimo sugli abiti, e quindi doveva averla colpita
di sicuro, ma quello dove la pallottola le era entrata sotto il mento - e lui l'aveva visto, maledizione! - non c'era più. Si era semplicemente richiuso. L'attimo di sconcerto le bastò a togliergli la pistola di mano come fosse un bambino. La gettò verso il buio e la si sentì a lungo che scivolava sul cemento. Quindi sfilò il coltello da sopravvivenza dal fodero alla caviglia, inserì le dita nei fori dell'impugnatura e si acquattò accanto a Sonny. «Guardami», gli disse. «Lo sai chi sono?» «Sì», disse Sonny, terrorizzato, ma ancora più terrorizzato di darlo a vedere. «Sei una puttana di merda.» Lei alzò il pugno e lo colpì allo stomaco, così forte che si udì il rumore di una costola che si spezzava. Boccheggiò per il dolore. «No.» Scosse la testa. «Guarda meglio. Ti ricordi di me? Probabilmente hai visto la mia foto sui giornali.» Gesù Cristo. Non poteva essere vero. E invece lo era. «Tu sei... quella», balbettò. «Quella che abbiamo...» «Quella che avete ucciso», completò lei. «Ma non ero solo io. Avete ucciso anche i miei bambini. Io dovevo proteggerli e voi li avete uccisi. Tu e gli altri. I Figli di una Libera America.» Il nome le uscì dalle labbra come uno sputo. «Adesso voglio sapere chi sono gli altri e dove sono.» «Non ci credo», ansimò Sonny, con la testa che gli girava. «Non è vero, non sta succedendo. Sto sognando, o è un trucco.» «Be', se non sta succedendo, se stai sognando, non ti farà differenza dirmelo o no e...» Lo percosse di nuovo, questa volta alla mandibola. Quando la prima fitta di dolore fu passata, sentì che diversi denti si muovevano nelle gengive. «...E risparmierai un bel po' di dolore al tuo sogno.» «Se è un sogno», disse Sonny, inghiottendo una boccata di sangue, «allora fottiti. Puoi anche uccidermi. Tanto poi mi sveglio. E sai che cosa faccio, allora? Mi vado a trovare qualche altro negretto, qualche piccolo ebreo, e gli faccio schizzare quegli occhi da porci, e me li...» Non finì la frase. Il coltello calò di nuovo, questa volta non dalla parte dell'impugnatura ma della lama, diritto nella sua bocca aperta, sanguinante, urlante. 19 «E allora svegliati», sussurrò Amy. «Svegliati all'inferno.» La furia con cui aveva calato il coltello era stata tale che la lama aveva trapassato le vertebre del collo dell'uomo piantandosi nel pavimento. Lo
strappò via e si alzò. William Standish respirava ancora, con gli occhi sbarrati e le mani, rosse di sangue, premute sulle micidiali ferite. Amy entrò nell'ascensore e bloccò le porte, poi lo guardò dritto negli occhi. «Stai morendo», gli disse. «Ma hai l'occasione di aiutare a fare giustizia. Lo so che vorresti farlo. Dimmi, allora: dove sono?» Le ultime parole che Will Standish era riuscito ad articolare erano state: «Perdonami» e «Di' a mia madre che ci ho provato». Se indicare il luogo gli era stato impossibile, con uno sforzo e una sofferenza indicibili qualche nome aveva potuto farlo. Rip Withers. Junior Feeley. Powder Burns. Chip Porter. «Sì, ti perdono», aveva risposto Amy. «Sì, glielo dirò.» Gli aveva tenuto la mano insanguinata ancora per un minuto, finché il respiro era cessato e gli occhi non si erano più mossi. Allora lo aveva trascinato fuori dall'ascensore, componendolo sul pavimento di cemento con le braccia lungo i fianchi. Si era fermata vicino all'altro cadavere, aveva tolto i soldi dal suo portafoglio, e gli aveva sputato in faccia. Quindi aveva fatto di corsa le scale fino alla strada. Era quasi mezzanotte quando parcheggiò l'auto a diversi isolati dal trailer della signora Standish. Arrivata alla porta bussò piano, e dall'interno la voce della televisione tacque. Bussò di nuovo. Sentì un passo strascicato che si avvicinava alla porta e la luce della veranda si accese. La faccia della signora Standish comparve al di là del vetro, poi la porta si aprì di uno spiraglio e Amy avvertì il puzzo del fumo e dell'alito della donna. «Ancora lei? Che viene a fare a quest'ora? Gli ho detto dei soldi, e non gliene importa, ha altro per la mente.» «Lo so», replicò Amy. L'altra la guardò sospettosa. «Lo sa?» «Credo che sia meglio che mi lasci entrare, signora Standish. Suo figlio è morto.» Il viso della donna per un attimo perse la sua durezza. Amy la spinse da parte ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle. Le uniche luci provenivano da un lumetto da tavola e dal televisore, più il riverbero rosso di una malridotta stufetta elettrica. «Si sieda, signora», disse Amy, e aspettò che la Standish si accomodasse
su una piccola sdraio, tirasse fuori una sigaretta, l'accendesse e aspirasse una lunga boccata di fumo. «William è morto coraggiosamente. Onorevolmente. Mi ha chiesto di dirle che ci ha provato.» «Lei non è della Publishers' Clearance.» «No.» «Come è morto?» «Era andato a dire la verità. Ai giornali. Ma un uomo l'ha fermato. L'ha ucciso. Prima di morire mi ha detto chi sono gli altri killer, quelli che... che hanno fatto saltare il centro per bambini.» Per un lungo momento la donna non disse nulla. Poi lentamente il suo viso si torse in un'espressione di profondo disgusto, e scosse la testa con ira. «Quel piccolo frocio», disse in un tono tanto aspro che Amy si sentì bruciare la mente. «Quella maledetta femminuccia, avrei dovuto farlo morire quando ce l'avevo nella pancia. Lo sapevo, lo sapevo che avrebbe rovinato tutto quello in cui si fosse messo... Piccolo vigliacco...» Amy sentì in bocca un sapore di sangue e metallo. «È morto cercando di dire la verità.» «È morto tradendo i patrioti! Voleva denunciarli tutti, vero? Tutti quei bravi ragazzi. Il suo stesso padre, pace all'anima sua, lo avrebbe ammazzato con le sue mani se avesse saputo una cosa del genere!» «Lei è dalla loro parte...» mormorò Amy. «Li appoggia...» «Be', e dove diavolo pensa che le aveva prese certe idee, all'inizio, Will? Alla televisione? Suo padre lo ha fatto entrare nei Figli. Suo padre era del Klan, e prima ancora il padre di lui, e non c'era uno solo di noi che non ne fosse orgoglioso.» La vecchia pestò il mozzicone in un portacenere e si alzò in piedi. «E tu pensi di andare a spifferare quello che ti ha raccontato? Col cavolo, finché avrò fiato in corpo...» La signora Standish infilò la mano tra i cuscini del divano, e ne trasse un revolver, piccolo ma di grosso calibro. Nell'attimo in cui premeva il grilletto, Amy afferrò la pistola a due mani. Il rumore dello sparo fu assordante, e fu come se qualcuno avesse colpito con una mazza le mani di Amy, ma strappò via l'arma e la gettò a terra. Poi tese le mani in modo che la donna vedesse. C'era un buco e una bruciatura nera sul palmo sinistro, ma in pochi secondi si era richiuso sotto gli occhi della signora Standish, e la bruciatura era stata come riassorbita nel bianco della carne. La donna guardò sgomenta la mano di Amy, poi alzò lo sguardo. «Tu sei il diavolo», bisbigliò. Amy le prese il viso tra le mani. «Sì. Sono un diavolo. E un angelo. So-
no tornata dal regno dei morti per i miei bambini, e adesso ci andrai tu a chiedere misericordia per il tuo.» Con le mani fece scattare all'indietro la testa della donna, finché il collo si spezzò. Rovesciò gli occhi all'insù e il suo volto divenne vuoto e morto come il suo cuore. La lasciò cadere con un tonfo sordo e rimase in ascolto per qualche momento per capire se lo sparo era stato udito. Non sentì alcuna reazione, e cominciò a frugare il trailer, aprendo cassetti, leggendo lettere e fogli per vedere se c'era qualcosa che l'aiutasse a trovare i Figli di una Libera America. Dopo una ventina di minuti concluse che quella sostenitrice dei Figli copriva con cura le sue tracce. Non c'era il minimo cenno ad alcuno dei nomi che aveva fatto Will Standish. Niente neppure nell'altra piccola camera da letto, che ospitava un'agghiacciante collezione di oggetti ricordo del Ku Klux Klan e una piccola biblioteca di libri e opuscoli razzisti. In fondo a un armadietto c'erano due scatoloni di libri per ragazzi, segno che la famiglia Standish aveva vissuto lì da molti anni. Quel trailer, pensò Amy, era stato il luogo in cui era cresciuto Will, in cui un ragazzino amante dei libri di avventura si era trasformato in un uomo addestrato a odiare, e che si era fermato solo quando aveva visto dove aveva portato quell'odio. Forse era entrato nella milizia solo per dimostrare la propria virilità a se stesso e al mondo. Di questa gente che viveva per odiare, già due erano morti, più la vecchia. Questo li avrebbe gettati nella paura. E presto lei li avrebbe distrutti tutti, avrebbe fatto terra bruciata di quel nido di vipere. L'idea del fuoco le ricordò la stufetta che aveva visto. Quello sarebbe stato un buon inizio. Quella tana, almeno, non avrebbe più prodotto mostri. Spostò la stufa accanto al divano, sul cui bracciolo era appeso un assortimento di scialli e vestaglie. La rovesciò, e rimase a osservare mentre la serpentina arroventata della resistenza toccava i filamenti dei panni. Dopo pochi secondi il bracciolo del divano fumava. Ancora pochi minuti e avrebbe preso fuoco. Amy uscì dal trailer, chiudendosi la porta alle spalle. Che diventi una fornace, pensò. Che faccia scoppiare via porte e finestre. Che il regno del fuoco e della morte cominci. Che il fuoco divori. E che la paura discenda. 20
Amy rientrò in casa di David Levinson alle tre del mattino. Pochi minuti dopo lui uscì dalla camera degli ospiti, in vestaglia. «Be', almeno questa volta ho avuto qualche ora di sonno», disse, e le guardò le mani. «Lì c'è del sangue. Potrei sapere da dove viene?» «No, perché?» «Se dovessi scoprire che stanotte è stato commesso qualche omicidio, diventerei molto sospettoso.» «E allora? Che cosa potresti farci? Conti di arrestare una che è morta? Di spiegare ai tuoi superiori che è stata Amy Carlisle, disintegrata sei mesi fa in un'esplosione, a commetterli?» «Amy Carlisle esiste. Quindi non si è disintegrata. Evidentemente è sfuggita all'esplosione e ora si sta vendicando. Ecco che cosa gli spiegherò.» «Levinson, o sei con me o contro di me. Se sei contro di me, dimmelo subito, che me ne vado e non mi rivedrai mai più. Ma se sei con me, allora lasciami fare. Lasciami fare quello per cui sono tornata. Che cosa mi rispondi?» Levinson rimase in silenzio per qualche momento, poi annuì. «Fai solo in modo che sia soltanto chi lo merita a essere colpito.» «Così sarà. E così è stato.» «È quello che temevo. E bada che se nessuno sa che esisti, sono tanti ad aver sentito la tua voce.» «Che cosa intendi dire?» «Il programma di Wilson Barnes. I notiziari radio fanno risentire il nastro ogni mezz'ora. L'ho imparato a memoria: 'Chi è stato, Wilson Barnes? La lingua. Te l'ho promesso'. E poi: 'Dimmi chi sono quei bastardi'. E infine: 'Questa confessione vi è stata offerta da Wilson Barnes'. Barnes ha cercato di bluffare, ma evidentemente i Figli di una Libera America non l'hanno presa bene. Io - e tutto il mondo - sospettiamo che siano stati loro a farlo fuori.» «Chi sono i Figli di una Libera America?» chiese Amy cercando di non mostrare alcuna emozione. «Nessuno lo sa. Non c'è la minima traccia, nemmeno una voce su di loro. Potrebbero essere un gruppo paramilitare, ma chi lo sa? Questo stato ha così tanti boschi su suoli privati che potresti addestrarci un intero esercito e nessuno ne saprebbe niente. E anche se la polizia o l'FBI scoprisse dove si trovano? Non sono collegabili a niente di particolare, tranne forse alla
morte di Wilson Barnes. No, solo qualcuno di non ufficiale potrebbe fare materialmente qualcosa.» Levinson inclinò la testa. «Ti ricorda qualcuno di nostra conoscenza?» Amy non rispose. «Vado giù nello scantinato.» Già il primo tentativo di trovare uno dei nomi che le aveva dato Will Standish fu un gran successo. Chip Porter aveva un suo sito in rete e quando ebbe finito di esaminarne il contenuto, Amy sapeva di aver trovato quello giusto. Oltre alla fotografia di un giovanotto magro che si era evidentemente cancellato elettronicamente una quantità di foruncoli dal viso, il sito conteneva materiale disgustoso da ogni punto di vista, con brevi scritti di Porter sulle virtù della supremazia bianca, le solite stronzate sulle mani degli ebrei sul governo, e dozzine di collegamenti con altri siti antisemiti e suprematisti. Oltre che un razzista e un esperto telematico, Porter mostrava anche una vera e propria passione per la musica dei gruppi skinhead. C'erano ampie sezioni di profili di «artisti» skinhead e recensioni di CD evidentemente acquistabili solo per posta o in manifestazioni speciali. Non solo, ma Amy ebbe la sorpresa di scoprire che Chip Porter faceva anche parte di un gruppo musicale, gli Shoktrupz. La band non aveva inciso album, ma nel sito era disponibile il testo della loro canzone evidentemente più nota, White the Power, che li confermava inetti e ignoranti quanto Amy aveva sospettato. C'era anche una foto degli Shoktrupz, vestiti di pelle, tutti ariani dalla testa rasata, accompagnata dal programma delle attività, per così dire, della band: una serata in novembre, nessuna a dicembre e un'altra a gennaio. La data di novembre era per la domenica successiva, un festival della «Confraternita dei Cristiani Bianchi» che si teneva in una fiera a nord di Eau Claire, Wisconsin, a breve distanza dalle Twin Cities. Vi avrebbero partecipato oratori di fama nazionale, bande su due palchi, venditori, e cibo in due diversi edifici. Chiunque odiasse «ebrei, razze bastarde e tutti gli anticristiani» era invitato. Come rifiutare un simile invito? Ma mancavano ancora due giorni: intanto non poteva starsene con le mani in mano, e così si mise a cercare il nome che seguiva nella sua lista mentale, quello di Junior Feeley. La ricerca di «Feeley, Jr.» diede buoni risultati: il nome Clarence Feeley Jr. compariva su una lista di commercianti di armi. Ancora qualche minuto di ricerca e spuntò fuori una fiera di armi che si sarebbe tenuta il sabato al-
l'Holiday Inn di Hobie. La manifestazione si teneva ogni tre mesi ed era indicato un numero da contattare per le informazioni. Amy decise di aspettare il mattino dopo, poche ore ancora, per telefonare. Nel frattempo fece qualche ricerca su Rip Withers e Powder Burns, ma senza risultati. I nomi erano probabilmente dei soprannomi; Burns era un nome comunissimo nella zona e anche di Withers ce n'erano a dozzine. Quando ebbe finito, chiamò il numero per la fiera delle armi. «È mio marito che mi ha detto di telefonare», disse con una voce concitata e ansiosa. «Voleva sapere se Junior avrà un banco alla fiera di domani.» «Junior?» ripeté l'uomo che aveva risposto. «Sì, Junior qualcosa. Il cognome me l'ha detto, ma mi ricordo solo Junior. C'è uno Junior che vende armi?» «Junior Feeley, forse?» «Ecco! Sì, grazie mille, proprio quel nome. Sì, voleva sapere mio marito, ci sarà?» «Sì, penso che Junior abbia un banco. Di solito ce l'ha.» «Oh, grazie, grazie davvero. Non riuscivo proprio a ricordarmelo, il nome, e mio marito si sarebbe infuriato perché si prende un giorno di ferie per venire lì se questo Junior c'è, e se lei non capiva che Junior, quello se la prendeva con me. Dice che mi dimentico tutto e magari ha ragione.» «Va bene, va bene. C'è altro?» chiese l'uomo con impazienza. «No, no, grazie, solo questo.» L'altro riappese senza neppure salutarla, probabilmente pensando che aveva appena salvato una stupida dalle ire del marito. Ottimo. Che fosse pure contento finché poteva, perché la sua fiera delle armi l'indomani avrebbe fatto un bel botto. Ormai l'appuntamento era fissato tra lei e Junior Feeley. Luogo e ora ce l'aveva già. Non le restava che decidere cosa mettersi. 21 Doveva assorbire bene la parte se voleva essere accettato. Tollerato, forse, più che accettato, almeno all'inizio. Rick sapeva che quella gente sarebbe stata la più diffidente che lui aveva mai conosciuta, e a ragione. Dai libri che aveva letto nel suo corso accelerato sul movimento paramilitare aveva appreso degli agenti del governo che si stavano infiltrando in molti gruppi per raccogliere prove e informazioni. Quindi la sua
copertura doveva essere solidissima. E forse avrebbe dovuto mettersi alla prova compiendo atti che gli ripugnavano. Ma avrebbe fatto quello che c'era da fare: tutto tranne che uccidere. Rick aveva avvertito i soci dello studio che intendeva prendersi un paio di settimane di ferie, e loro non avevano fatto difficoltà. Nancy non si era mostrata altrettanto tollerante. Ora era sua moglie e lui era deciso a essere totalmente sincero con lei: le aveva detto quello che aveva taciuto ai soci, che voleva prendersi del tempo per vedere che cosa potesse venire a sapere su quelle bombe. Ma non le aveva detto che aveva visto Amy alla finestra. Questo lo tenne per sé. La reazione di Nancy era stata assolutamente negativa, tra la paura che potesse succedergli qualcosa e la sostanziale inutilità del tentativo. Era uscita sbattendo la porta, ma lui non l'aveva seguita, anche se lo desiderava. Sapeva che se lo avesse fatto, se avesse ceduto alla debolezza di un solo momento, le avrebbe consentito di persuaderlo a desistere, e questo non lo voleva. Capì di aver preso la decisione giusta un'ora dopo, mentre tornava da un negozio di seconda mano dove aveva comprato degli indumenti, quando udì la voce di Amy alla radio. Era stata registrata in studio la notte in cui Wilson Barnes era stato ucciso, e quando la sentì entrò a far parte del numero ristretto di quelli che sapevano come stavano le cose. I Figli di una Libera America sapevano che la cosa riguardava le bombe, ma solo lui, Amy e David Levinson sapevano chi era in realtà quella donna misteriosa. Il suono della sua voce fu un tale trauma che dovette accostare l'auto, e rimase fermo e tremante mentre ascoltava il resto della storia. Che diavolo poteva significare? La voce era quella di Amy, su questo non c'erano dubbi. Era dunque apparsa anche altrove - in quello studio radiofonico - in carne e ossa? E perché? Perché lui sapesse, perché tutto il mondo sapesse chi aveva messo le bombe? Ma lui era l'unico ad averla vista, e solo lui sapeva perché il suo spirito era ritornato. L'idea lo consolidò nel suo progetto; rimise in moto preparandosi a travestirsi, a cambiare aspetto, atteggiamento, desideri, a odiare quel governo oppressivo e tutti quelli che per il governo lavoravano. Sarebbe diventato uno di loro, e così avrebbe trovato quelli che l'avevano uccisa. «Hanno ammazzato Sonny», annunciò Junior Feeley con il pianto nella
voce. Rìp Withers alzò gli occhi dal pranzo. «Che cosa?» «Sonny è morto», ripeté Junior con un tono alto e sconvolto che richiamò l'attenzione di tutti gli altri presenti in mensa. Rip sentì una vampata di calore nelle viscere, e il sangue salirgli al viso. «La polizia?» «No... non si sa. L'ho sentito alla radio, hanno...» La porta della sala mensa si aprì con fragore e Chip Porter si precipitò dentro con un foglio. «Dall'agenzia stampa locale», disse, e lo porse a Rip, che lo scorse in fretta, poi lo rilesse più lentamente prima di rivolgersi agli uomini seduti ai tavoli. «Uomini, questa notte è successa una cosa orribile. Innanzitutto devo dirvi che tra noi c'era un traditore. Il nostro fratello Will Standish non era affatto un fratello. Ci ha traditi. È andato ai giornali.» Vi fu un improvviso vociare pieno di collera, e Rip alzò la mano imponendo il silenzio. «Non c'è niente da temere», continuò. «Non c'è arrivato. Sonny lo seguiva, con l'ordine di liquidarlo immediatamente se Standish avesse mostrato qualche segno di capitolazione. E così è stato. «Ma poi qualcosa è andato male. Sonny è stato ucciso, pugnalato. Non dicono chi è stato, ma Standish e Sonny sono entrambi morti. Possiamo presumere che Sonny ha sacrificato la vita per i Figli di una Libera America.» Guardò gli uomini in faccia, uno per uno. «Non lo dimenticheremo, e non dimenticheremo che ciascuno di noi potrebbe dover fare lo stesso sacrificio per le nostre libertà. È un momento rischioso e ora che le nostre attività stanno crescendo, ora che i nostri tentativi di abbattere questo governo empio e malvagio cominciano a toccare queste canaglie in casa loro, abbiamo bisogno più che mai dell'aiuto di Jahvé per conservare vivo il nostro coraggio e ardente la fiamma dei nostri cuori. Preghiamo.» Dopo la preghiera collettiva, Rip convocò Ray, Junior, Powder Burns e Chip Porter nella sua baracca. «Bene», esordì Rip. «Una cosa che non ho detto, perché per molti degli uomini non avrebbe avuto un gran significato, e francamente io stesso non so bene che cosa potrebbe significare, è che è morta anche la vecchia signora Standish.» All'espressione di sorpresa degli altri, Rip proseguì. «Era una donna eccellente. Ci mandava venti dollari al mese per la causa. Ci ho parlato un paio di volte e non ho mai capito come abbia fatto una donna come lei a mettere al mondo uno smidollato come Will Standish.» «Era bravo a scrivere», disse Ray. Il commento non meritava risposta e Rip continuò. «L'hanno trovata nel
suo trailer. Completamente bruciato, ma dai suoi resti si è visto che aveva il collo spezzato. I giornali non hanno alcuna ipotesi su tutto quello che è successo, ma potrebbero esserci due possibilità. Uno, Sonny ha pugnalato Will e poi Will ha accoltellato lui.» «Impossibile», disse Junior Feeley. «Sonny non gliel'avrebbe mai lasciato fare, soprattutto dopo averlo colpito. Lo conoscevate Will, un solo taglietto e si sarebbe messo a guaire come un cucciolo aspettando di morire.» «Hai ragione», annuì Rip. «Ed è per questo che non mi sembra uno scenario troppo credibile. Probabilmente c'era qualcun altro. Sonny uccide Will e l'altro uccide Sonny. E poi, sapendo che la madre di Will era con noi, questo tizio uccide anche lei.» Improvvisamente Rip si ricordò della voce della donna alla radio. «O forse non è un tizio... forse è una tizia.» «Come?» esclamò più d'uno. «Ricordate quella donna che era con Barnes l'altra notte? Quella che lo ha costretto a fare il nostro nome?» «Stai dicendo che una donna ha fatto fuori Sonny Armitage?» chiese Powder incredulo. «Sto dicendo solo che è una possibilità», rispose Rip. «Non bisogna escludere niente se si vuole restare vivi.» Junior ghignò. «Il giorno in cui mi vedrai guardarmi alle spalle perché ho paura di una donna...» «...sarà il giorno in cui sarai diventato molto più furbo, Junior», finì per lui Rip. «È più sensato temere una pazza scatenata che un cerbiatto che corre nel bosco. Sto solo dicendo che dobbiamo stare all'erta. Potrebbe essere chiunque. Forse qualche madre è andata fuori di testa e ha deciso di mettersi a dare la caccia a quelli che secondo lei hanno qualcosa a che fare con le bombe.» «Aspetta un minuto, Rip», disse Powder. «Una mammina dà fuori di matto, irrompe nello studio di Wilson Barnes, elude la sorveglianza, lo costringe a fare il nostro nome in onda, poi accoltella Sonny, spezza il collo della madre di Will e dà fuoco alla casa. Ma chi è, Wonder Woman?» «Basta così!» gridò Rip. Era ora di riassumere il comando. «Sto dicendo che niente va dato per scontato, capito? Potrebbe essere un uomo, una donna, una banda di ragazzini, la vostra fottuta nonna, capito? Potrebbe essere l'ultimo uomo con cui avete bevuto, l'ultima donna che avete scopato, l'ultima signora dell'Esercito della Salvezza a cui avete dato un nichelino, questo sto dicendo, e solo questo! Sono stato chiaro?»
Un mormorio di sì e signorsì riempì la stanza per qualche secondo, poi tornò il silenzio. «Questo non cambia niente», riprese allora Rip. «Quanto al grande colpo, faremo esattamente quello che avevamo programmato, secondo i tempi già decisi. Per tutto il resto... Junior, anche se non c'è più Sonny, domani andrai lo stesso alla fiera delle armi.» «Ma ho bisogno di qualcuno che mi aiuti», protestò Junior. «Non ce la faccio da solo a portare tutta quella roba.» «E avrai qualcuno. Ti mando Karl.» «Karl? Cribbio, Rip, lo so che è il tuo ragazzo e tutto, ma sarà capace di...» «Sarà capacissimo di fare tutto quello che deve, Junior. Se la caverà benissimo con quelle casse di fucili. E se ti prenderai cura di lui lo considererò un favore personale.» Junior Feeley annuì e cercò di sorridere, ma non gli fu facile. Maledizione, Sonny Armitage gli sarebbe mancato. Erano amici. E Sonny era bravissimo a mettere i clienti a loro agio, a farli parlare, e non solo di armi. E a capire al volo chi poteva essere un probabile affiliato. E poi lo capiva, accettava i suoi difetti, e la sua sola presenza era un aiuto per agganciare qualche tipa, una di quelle che facevano le dimostrazioni con le armi: un campo in cui Junior aveva le sue difficoltà. E ora si ritrovava alle costole il ragazzo di Rip, un diciottenne pelle e ossa che aveva l'aria di farsela addosso se solo gli facevi bù. Be', avrebbe fatto il possibile. Magari dopo la fiera poteva scaricarlo da qualche parte, in sala giochi, e poi andarsi a cercare una puttana. Questa volta gli sarebbe toccato pagare, e l'idea lo faceva incazzare, perché quando era con Sonny non aveva mai dovuto farlo. Maledizione, gli sarebbe proprio mancato. Sì, c'era sempre la possibilità che il ragazzo fosse disposto a fare qualcosa. Un uomo deve essere uomo, su questo erano tutti d'accordo tra i Figli. Più ci pensava, più gli piaceva l'idea di mettere sotto il ragazzino una di quelle gnocche che frequentavano la fiera. Anzi, gli stava venendo duro, immaginandosi i particolari. Sicuro, il ragazzo di Rip gliel'avrebbe riscaldata per bene, e quando fosse stata bagnata a dovere, gliel'avrebbe passata e Junior se la sarebbe goduta. Tutto sommato la fiera non sarebbe stata poi male. Certo, Sonny gli sarebbe mancato lo stesso. Lui era suo amico. 22
«Arnie, devo chiederti un favore.» Arnie Bailey fece un'espressione che voleva dire Cristo, cos'altro c'è? e la guardò. «Che cosa?» «Non mi sento molto bene», disse Cyndi. «Devo aver mangiato qualcosa che non era buono ieri sera a cena.» Arnie trattenne una rispostaccia e le fece cenno di entrare nella sua stanza. «Cioè, mi stai dicendo che siamo arrivati fin qui da St. Paul e ora non vuoi fare quello che sei venuta a fare? Ti ho già pagato la metà della somma, Cyndi, e anche la camera dell'hotel e la diaria. E ora dovrei avere una sola ragazza a mostrare le armi?» «Ma no, non farei mai uno scherzo simile a Tracy. Ce n'è un'altra.» «Come, dell'agenzia? A quest'ora del mattino?» «No, è di Hobie. Si chiama Arlene. L'ho conosciuta ieri sera, diceva che le sarebbe piaciuto fare qualche volta una di queste presentazioni, e non è niente male, forse un po' più anziana, sarà sui trenta. Ma ha un corpo magnifico, Arnie, ti giuro. E così stamattina l'ho chiamata e mi ha detto che sarebbe felicissima di farlo. Posso pagarla di tasca mia, prelevando dai soldi che mi dai tu.» «Be', questi sono affari vostri. Quello che voglio io e che stia bene in due pezzi, belle tette, bel culo.» «Oh, il seno è a posto, non enorme ma a posto. Anche il sedere va bene.» «Questo lascialo giudicare a me. Dove sta questa Arlene?» «Giù in camera mia.» «Falla venire qui. Cristo, la fiera comincia tra mezz'ora.» Amy Carlisle si stava studiando nello specchio della camera di Cyndi Rose quando la ragazza la chiamò dalla stanza di Arnie. Quello che vedeva non le piaceva particolarmente. Gli short rossi molto sgambati e il reggiseno argentato che le copriva poco più dei capezzoli lasciavano esposto di Amy molto più di quanto avesse mai mostrato in pubblico. Ma non era questo che preoccupava Amy, quanto piuttosto la carne in sé. Forse quelle linee sottilissime che lei scorgeva, i segni del suo corpo ricostruito, erano visibili solo a un esame molto, molto ravvicinato. Alla distanza giusta, non solo nessuno si sarebbe accorto di niente, ma nessuno l'avrebbe neppure riconosciuta: con quella parrucca rossa e il viso
pesantemente truccato forse anche il Corvo si sarebbe lasciato ingannare. No, il Corvo no: lui l'aveva riconosciuta perfino quando era ridotta in polvere. Amy rispose al telefono. Come aveva previsto era Cyndi che chiamava dalla stanza di Arnie. Le assicurò che sarebbe salita subito. Cyndi sembrava proprio una brava ragazza. Peccato che dovesse mettere in mostra (e non solo) il proprio corpo per quattro soldi a un branco di fanatici delle armi. Sotto la scorza di dura, la ragazza era un'ingenua: si era bevuta senza difficoltà la storia che Amy le aveva raccontato la sera prima, quando aveva saputo che lavorava come «modella» allo show per un mercante d'armi proprietario di una catena di negozi nell'area delle Twin Cities. «Senti, tesoro», le aveva detto, «potresti farmi un gran favore... Il mio ragazzo arriva domani, e ci vediamo alla fiera delle armi perché è per questo che viene, certo, anche per vedere me, ma va pazzo per le armi, tanto che in occasioni come questa di me si dimentica addirittura. E allora pensavo che se mi vede con poca roba addosso, sai com'è, e che maneggio un buon vecchio fucile bello grosso, be', credo che lo manderebbe così su di giri che non solo non penserà più a tutte quelle armi, ma potrebbe perfino decidersi a farmi la domanda... Oh, no, non voglio farmi assumere dal tuo boss, dico solo che potrei prendere il tuo posto per qualche ora, magari in mattinata. Ti potrebbe anche convenire, perché posso pagarti io anziché prendere i tuoi soldi. Così incassi due volte e non devi far niente. Che te ne pare?» Cyndi aveva accettato così prontamente i suoi cento dollari per darsi ammalata che Amy (ora Arlene) si pentì di non averle offerto di meno, ma d'altra parte erano soldi che uscivano dal portafogli del fu Sonny Armitage, e a lei ne rimanevano altri trecento. Arnie l'accolse senza cerimonie, andando subito al sodo. «Okay, vediamo quello che hai», disse accennando al giubbotto. Fu contenta che nella stanza ci fosse anche Cyndi, che la incoraggiò con un sorrisetto. Amy abbassò la lampo del giubbotto e lo tolse, poi si sfilò i pantaloni, Arnie la studiò dalla cima dei capelli alla punta dei piedi, poi fece un gesto con l'indice perché girasse su se stessa. Lei lo fece, lentamente, finché tornò a trovarsi di fronte a lui, che accennò con la testa la sua approvazione. «Okay, vai bene. Cyndi, spiegale quello che deve fare e non fare, poi tornatene a letto. Hai un'aria di merda.» Quest'ultimo commento spense il sorriso sulle labbra di Cyndi, ma ese-
guì ugualmente la dimostrazione con diversi fucili che Arnie teneva in camera, mostrando ad Amy come tenerli, come armarli e come inserire i caricatori nei semiautomatici. «Fallo più rumorosamente che puoi. Richiama l'attenzione dei ragazzi, loro adorano vedere una ragazza che manovra un fucile, è una cosa fallica, o qualcosa del genere.» «Vuoi dire che è come se gli maneggiassimo il...» «Esatto», rise Cyndi. «Proprio quello. Non ti preoccupare delle domande. A tutte le domande risponde Arnie, e pensa lui a vendere.» «Ma li carichiamo per davvero i fucili?» «No, no. È illegale, mi pare. Ma le munizioni le vendiamo sottobanco. Se ti viene in mente altro da chiedere, domanda a Tracy, lei è l'altra ragazza, d'accordo?» Tracy era molto meno cordiale di Cyndi, forse perché era meno giovane e più di Cyndi vedeva in Amy una rivale. Ma per come era fatta, considerò Amy, non aveva assolutamente niente da temere. Meglio così: che si prendesse tutta l'attenzione, così lei sarebbe stata libera di fare quello che aveva da fare. «Ehi», mormorò Junior Feeley. «Guardiamo un po' cosa c'è qua.» Junior aveva lasciato Karl allo stand mentre lui faceva un giretto di esplorazione tra le ragazze. Con oltre duecento banchi nel padiglione dell'esposizione, doveva esserci anche una discreta scelta di passere. Ma mentre percorreva i corridoi tra gli stand si rese conto che le aveva già viste in precedenza quasi tutte: e anche loro lo riconoscevano, se appena lo vedevano guardavano da un'altra parte. Era inutile tentare un approccio con loro: il modo di fare di Junior lo conoscevano, o per esperienza diretta o per averne sentito parlare in termini che non lasciavano dubbi. Quello che cercava lui era carne fresca. Fresca e stupida. E credette di averla trovata, al padiglione di Arnie Bailey, in fondo alla vasta sala. Ci lavoravano due ragazze, vestite del minimo indispensabile. Una era una mora che Junior aveva già visto. Stacy, si chiamava, o Tracy, o qualcosa del genere, e una volta aveva tirato fuori un coltello quando lui aveva cercato di inchiodarla al muro per una cosa alla svelta. Poco raccomandabile, da starci alla larga. Era la rossa a richiamare la sua attenzione, quella sì che prometteva interessanti possibilità. Era un po' più anziana della media delle modelle, ma aveva tutte le sue cose a posto, alta e snella come piacevano a lui: e si vide
già con il suo culo grasso piazzato sopra quelle tette. E poi adorava le rosse, soprattutto quelle naturali. I capelli di questa qui avevano l'aria di una parrucca, ma che diavolo, andava bene lo stesso. Decise di non dirle niente subito ma di tornare più tardi. Erano quasi le nove; le porte si sarebbero aperte di lì a poco, lasciando entrare centinaia di fanatici delle armi e potenziali proseliti. Junior sapeva che Karl da solo non sarebbe stato in grado di sbrigarsela con tutta quella gente. La rossa avrebbe dovuto aspettare. Rick Carlisle cercò di mettersi a suo agio in mezzo alla folla che aspettava di entrare nel padiglione della fiera. Alcuni degli uomini in attesa parlavano tra di loro, ma molti se ne stavano in silenzio guardando le porte. In piccoli gruppi erano raccolti i cacciatori, in genere più anziani, con l'aria seria e professionale, come se si aspettassero di trovare qualcosa che li aiutasse a recuperare quella mira che l'avanzare dell'età rendeva più imprecisa. A Rick ricordavano i compagni di battute del padre. Rick non aveva niente contro le armi. Suo padre andava a caccia, e anche lui, da ragazzo, c'era stato spesso; crescendo, però, aveva perso interesse per la cosa. Molti dei compagni del padre erano brave persone, che rispettavano le regole e portavano in tavola le prede abbattute. L'impressione che aveva era che i cacciatori più anziani che aveva intorno seguissero quello stesso modello. Per i più giovani il discorso era diverso. Molti di loro erano ragazzotti chiassosi con la testa rasata, Doc Martens e giacconi militari, gente che molto probabilmente si divertiva di più a prendere di mira un essere umano che non un cervo. Si vedevano diversi distintivi e spillette del potere bianco, e Rick vide anche un'insegna delle SS cucita su una manica. C'era anche un contingente di uomini tra i trenta e i quaranta, dall'aria meno esagitata dei più giovani, vestiti per lo più in tute mimetiche e berretti militari. Alcuni avevano mostrine che li identificavano come appartenenti a un gruppo paramilitare, e sotto una giacca mimetica Rick vide una Tshirt che diceva NO AL GOS. Uno dei cacciatori più anziani, notata anche lui la scritta, chiese al proprietario che cosa significasse. «Governo occupato dai sionisti», rispose l'altro in tono irato. Gesù, che razza di accozzaglia, pensò Rick. Le armi mettono insieme la gente più strana, dai cacciatori ligi alle leggi ai neonazisti, ai fanatici paramilitari, tutti alla ricerca di qualcosa che faccia bang. E poi dalla doppia porta venne un rumore sferragliante, come se qualcu-
no stessè sfilando il catenaccio, e nello stesso momento dal tetto si staccò una sagoma nera, gettando la sua ombra sulla folla sottostante. Rick, come molti altri, sobbalzò al movimento improvviso, quindi vide che si trattava solo di un corvo, grosso come un falco e nero come la notte, che evidentemente era posato sul tetto e si era spaventato al rumore delle porte. Sghignazzando, alcuni degli uomini presero di mira con un fucile o una pistola immaginari l'uccello, che veleggiava placido verso gli alberi in fondo al parcheggio. Fecero «bang!», «blam!», con la bocca, facendo scattare con le dita i loro grilletti inesistenti, poi risero di nuovo. Allora il corvo virò e planò verso di loro, muovendo le ali con grande agio ed economia di movimenti, finché si trovò giusto sopra di loro, con le ali spiegate, sostenuto dal vento, senza andare né avanti né indietro. Rimase sospeso nello spazio come per magia, mentre il sole spariva all'improvviso dietro le nuvole nere. Era una scena inquietante, che aveva del soprannaturale, e sulla folla cadde il silenzio. Poi qualcuno fece una risata nervosa, e un giovane skinhead alzò le braccia miniando un'altra fucilata, aprendo la bocca per imitare lo sparo. Ma qualcosa nel corvo librato sopra di loro, con le ali aperte come braccia che impartiscono una benedizione o una maledizione, lo bloccò, e abbassò le mani con un'altra risata di disagio. Allora le porte si aprirono cigolando, e il corvo si allontanò scomparendo alla vista. La folla, dimenticando subito quell'apparizione, si riversò nell'edificio. Mentre attraversava il padiglione, Rick fu stupito dalla quantità e dalla varietà di strumenti di morte messi in vendita, molti dei quali con la caccia non avevano nulla a che fare. Un'altra cosa che lo meravigliò fu la presenza di diverse donne poco vestite, che nei vari stand esibivano se stesse e le armi in vendita, muovendosi su e giù, con un fucile o una pistola, nello scarso spazio a disposizione. Era un'attrazione efficace, visto che i tavoli forniti di modelle richiamavano la maggior parte dei visitatori. Rick, imbarazzato dai movimenti e gli atteggiamenti fortemente allusivi delle ragazze, evitava i loro sguardi, concentrando l'attenzione sulle armi in vendita sui banchi e cercando qualche indizio che gli facesse fare un passo avanti nella sua ricerca. Quando Amy vide Rick, per un attimo si paralizzò. Poi, sapendo che quell'improvvisa immobilità avrebbe solo attirato l'attenzione su di lei, continuò il lavoro assegnatole, incastrando e sfilando caricatori dalle armi
che imbracciava. Che cosa ci faceva Rick lì? Non era un cacciatore. Se pensava di comprare una pistola per difendere la casa che ora divideva con Nancy, per proteggere la sua nuova famiglia, perché non era andato semplicemente in un'armeria? E il modo in cui era vestito, con quegli abiti usati e logori, non era affatto quello suo consueto. Sembrava quasi che si fosse travestito... Ecco, forse era proprio così. Era travestito esattamente come lo era lei. Erano tutti e due a caccia, a fare da esca per i predatori che sarebbero diventati loro preda. Anche lui era qui per trovare i responsabili delle bombe. Solo che Rick non aveva le difese che aveva lei, e quelli non avrebbero esitato un attimo a ucciderlo se avessero pensato che costituiva un pericolo. Per fortuna non stava guardando nella sua direzione, né le altre donne seminude sparse qua e là tra gli stand. Tipico di Rick, pensò, e sorrise. Aveva sempre avuto un'imbarazzante vena di puritanesimo. Le passò accanto senza rivolgerle lo sguardo, mantenendo gli occhi fissi sui fucili esposti sul tavolo, e proseguì lungo la corsia, verso il fondo del padiglione. «Ti piace tanto caricare e scaricare, bella?» le chiese un tale alto e magro fissandole le tette. «O quel sorriso era per me?» «Quel sorriso», rispose lei, «è per chiunque compra una nuova arma da Arnie.» «Scarse probabilità», disse quello. «Ho anch'io uno stand laggiù in fondo. Ma non ho gnocche da guardare.» Si mise a ridere e diede una pacca sulla spalla a quello che era con lui. Poi, con un ultimo sguardo di apprezzamento ad Amy, che si sentì nuda sotto i suoi occhi, se ne tornò verso il suo banco. La mattina proseguì in quel modo opprimente: mai Amy si era sentita così esposta, come un pezzo di carne sotto gli occhi vogliosi dei lupi. Ma mentre era esaminata dalla folla di passaggio, lei esaminava a sua volta la folla, leggendo i nomi che comparivano sulle targhette dei venditori, sperando di trovarne uno che le dicesse qualcosa: Rip Withers, Chip Porter, Powder Burns, chiunque fossero quei bastardi, e soprattutto Junior Feeley. Durante le pause di cinque minuti, si preparava per loro. Arnie aveva sistemato una tenda sul fondo dello stand che dava a una delle ragazze un piccolo spazio dove sedersi e rilassarsi mentre l'altra attirava gli sguardi. Dietro la tenda erano stivate anche armi e munizioni, e Amy aveva occupato tutti i suoi intervalli a caricare le armi, rimettendole poi nei loro contenitori.
Aveva già caricato un Weaver Nighthawk da 9 mm e riempito quattro caricatori, per un totale di centoventicinque proiettili, e un Cobray M11/Nine, una mitraglietta semiautomatica che intendeva usare mentre cambiava caricatori al Nighthawk. Ripensandoci, caricò una vecchia Army calibro 45 da tenere a portata di mano per sicurezza nel caso che una delle altre si fosse inceppata. Ora le occorreva solo che Junior Feeley si facesse vivo, e i fanatici delle armi avrebbero assistito a una dimostrazione dal vero sul funzionamento dei loro amati giocattoli. 23 Rick rallentò all'altezza di uno degli stand. Sul tavolo c'erano diverse armi e scatole di munizioni, ma quello che richiamò la sua attenzione fu una pila di libri tascabili. Dalla copertina dallo sfondo rosso un uomo e una donna puntavano i loro fucili contro un bersaglio fuori campo, sotto il titolo I diari Turner: un libro che era considerato la bibbia dei movimenti paramilitari. Ne raccolse una copia e prese a sfogliarla, attento a non apparire troppo interessato e a non guardare le persone che si trovavano dall'altra parte del banco. «Mai letto?» gli chiese uno di loro, e Rick alzò lo sguardo. Era alto e corpulento, con una tuta mimetica sopra una camicia di flanella verde. Il cartellino sul bavero diceva: «Clarence Feeley Jr». «Sì. Qualche anno fa.» «Sì? Ti è piaciuto?» Rick sorrise. «È un gran libro. La storia è bellissima, ma quello che più mi piace è che dice le cose come stanno.» «Mi ha cambiato la vita», disse Feeley. «E tu, Karl?» chiese al ragazzo che gli stava seduto accanto, un ragazzino imberbe con un viso d'angelo e sul bavero una spilla con la foto di Bill Clinton e la scritta: «Ricercato per tradimento». «Mi è piaciuto molto», rispose, con un tono di voce morbido e timido, accennando un sorriso. «Be', io la mia copia l'ho persa tanto tempo fa», disse Rick. «Ne prendo uno.» Porse a Feeley un biglietto da venti e prese il resto. «Tu spari?» gli chiese Feeley. «Un po', sì. Non a caccia, però. Più che altro mi interessa l'autodifesa. Per la verità sono venuto all'esposizione non tanto per le armi quanto per
roba come questa.» Mostrò il libro. «Ma tu sei l'unico che vende cose del genere.» Fece per andarsene, sperando che Feeley lo richiamasse, e non fu deluso. «In che senso, cose del genere?» «Be', sai», rispose Rick fermandosi, «roba un po' più sul politico. Mi avevano detto che certi gruppi avevano degli stand in fiere come queste, milizia, cose del genere. Mi aspettavo di meglio.» «Be'», disse Feeley sorridendo, «bisogna sapere dove cercare. In genere qui la gente sta dalla parte giusta, ma è meglio non esporsi troppo.» «Perché? Per quel maledetto governo?» «Anche.» «Cazzo, mettono il naso dappertutto. Come ti giri, ti dicono loro che cosa fare e come farlo. Stronzi.» Lanciò un'occhiata al ragazzo. «Scusami, figliolo.» Il ragazzo si strinse nelle spalle, con l'aria di chi ha sentito ben di peggio. «Me ne hanno fatte, a me.» «Sì?» disse Feeley. «Tipo?» Rick lo guardò duro. «E perché devo dirtelo?» «Dovere, non devi dirmi un cazzo», scattò Feeley. «Era per parlare. Che ti credi, che sono un cazzo di federale? Ehi, stronzo, non mi devi dire proprio niente.» Rick scosse la testa. «Scusami. È che devo essere prudente.» Feeley lo guardò sospettoso e Rick fece un risolino. «C'è gente che gli piacerebbe trovarmi.» «Vorresti dire che sei ricercato?» disse Feeley con un ghigno scettico. Rick si guardò attorno a disagio. «Be', non è che sono il nemico pubblico numero uno, ma dicono che sono un criminale, se credere che si ha il diritto di essere liberi nel proprio paese è un crimine. Evidentemente sì.» Feeley gli fece cenno di avvicinarsi. «Che cosa hai fatto?» domandò sottovoce. «Senti, non ho voglia di parlarne con tutta questa gente intorno. Non si sa mai, capisci?» «Vuoi una birra? Ti offro una birra in cambio della tua storia.» Rick sorrise. «Un federale non avrebbe mai fatto un'offerta del genere. Accettato.» «Occhio al posto, Karl», disse Feeley al ragazzo, passò dall'altro lato del banco e i due si avviarono insieme al bar. Si sedettero a un tavolo in fondo. L'esterno si intravedeva appena, ma Rick vide che dalle nuvole nere, quelle che avevano cominciato a racco-
gliersi quando si era visto il corvo, ora scendeva una fitta pioggia. Feeley ordinò la birra e Rick cominciò a improvvisare usando i particolari raccolti dai libri che aveva letto sui gruppi paramilitari e il movimento patriottico. «Volevo solo uscire dalla gabbia, capisci? Avevo perso il posto, dopo sei anni, ci credi? Me lo aveva soffiato un negro. E proprio quando mia moglie stava morendo di cancro e così avevamo perso anche la copertura sanitaria. E così fece più in fretta ad andarsene. A quel punto non avevo più motivi per aspettare, e allora mi dissi: perché non ripartire da zero? Ero incazzato come una iena per come erano andate le cose. Avevo capito che l'unico su cui uno può contare è se stesso. Ma non sono in tanti a pensarla così: basta vedere quanti preferiscono spremere il governo, senza abbastanza coglioni da farcela da soli. «E allora mi dissi andate a farvi fottere, stracciai la tessera della sicurezza sociale, la patente, tutto quello che mi legava a quel governo di giudei e negri. Ma se io mi disinteressavo a loro, loro non lasciavano in pace me. Mi arrestarono perché guidavo senza autorizzazione e registrazione, ma a quel punto avevo letto molto. E sapevo com'era pieno di merda questo governo e dissi andate a farvi fottere, non avete nessuna giurisdizione su di me, e non mi presentai al processo. A questo punto le cose cominciarono a girare da pazzi...» Rick continuò il racconto della sua vicenda di uomo contro il sistema, di come aveva mezzo accoppato l'agente che era venuto a prenderlo per portarlo dal giudice, di come gli aveva rubato la macchina abbandonandola a tre stati di distanza, ed era arrivato nel Minnesota perché aveva saputo che lì c'erano molte milizie, gente che la pensava come lui, posti dove poteva sparire. Improvvisamente guardò Feeley in modo strano, poi scosse la testa. «Ma perché diavolo ti sto dicendo tutto questo? Chi mi dice che posso fidarmi?» «E che cazzo?» rispose Feeley. «Pensi che sono un traditore della mia razza? Pensi che ti consegno al GOS? E che cazzo! Vuoi conoscere della gente, forse è possibile ma non è così semplice. Eh, no. Comunque, com'è che ti chiami?» «Un nome non ce l'ho più, sono solo un guy, un tizio, capito? E allora mi faccio chiamare Guy. Guy Adams, dato che Adamo era il primo uomo e Jahvé lo ha creato. Jahvé ha anche fatto di me quello che sono. Il mio nome è in onore di Jahvé.» «Okay, Guy Adams, resta nei paraggi dopo la fiera e magari riesco a presentarti a qualcuno che può aiutarti, okay?»
«Hai dei contatti?» chiese Rick con aria dubbiosa. «Se ho dei contatti?» ridacchiò Feeley. «Aspetta, amico. Aspetta e vedrai.» Finirono la birra, discutendo per lo più di ciò che più odiavano, ma Feeley non aggiunse altro sui suoi «contatti». Bene lo stesso. Rick poteva aspettare. Aveva messo il piede nella porta. Restava da vedere se quella era la porta giusta. Fin lì la mattina era stata ottima, pensò Junior Feeley raggiungendo Karl Withers al banco. Vero, come vendite s'era fatto poco - un fucile da cervi di seconda mano, qualche scatola di cartucce e due libri - e fuori diluviava, ma Junior aveva scovato una rossa niente male e un candidato di prim'ordine per i Figli. Era così contento di quest'ultima scoperta che raccontò a Karl tutto su «Guy Adams», e il ragazzo sembrò lieto della notizia, anche se era sempre molto difficile capire che cosa gli passasse per la mente. Junior non vedeva l'ora di farlo scopare, solo per vedere un'emozione attraversare quel suo faccino dall'eterno sorrisetto. Non che il ragazzo fosse ritardato come suo zio Ray, ma sembrava distaccato, come se galleggiasse a un palmo da terra perso in un suo mondo di sogni. La qualità della razza, Junior lo sperava, sarebbe venuta fuori quando fosse iniziata la guerra contro il GOS. Queste riflessioni furono interrotte dal pensiero che anche se ora la sua pancia capace era piena di birra, da quando aveva fatto colazione non aveva mangiato niente. «Resta qua», disse a Karl. «Procuro qualcosa da mettere sotto i denti.» Junior arrivò allo snack bar e prese due porzioni di patate fritte, due lattine di Coca, due hamburger per sé e due per Karl. Se a Karl ne bastava uno, l'altro lo avrebbe mangiato lui. Sulla via del ritorno decise di fare una deviazione allo stand dove aveva visto la rossa. Magari poteva fare conoscenza. Non c'era tanta gente davanti al banco della donna. Arnie stava compilando un modulo per uno skinhead con in mano un rotolo di banconote. La bruna, Tracy o Stacy, non era in vista, ma la Gran Rossa metteva piacevolmente in mostra la sua roba per due probabili clienti. Junior li spinse da parte e si piazzò davanti al bancone. «Ehi, sei nuova qui», disse alla rossa. «Non ti avevo mai vista. E ti assicuro che mi dispiace.» La rossa continuò a sorridere, guardando lui e la targhetta con il suo no-
me. Impugnava un fucile a pompa; lo caricò e glielo puntò addosso, spalancando gli occhioni con un'aria innocente. Bene, pensò lui, una a cui piace scherzare, ma sentì anche un lieve sussulto ai testicoli mentre guardava nella bocca del fucile. «Ehi», disse. «Vacci piano, rossa.». Abbassò lo sguardo sui calzoncini aderenti. «Se sei davvero rossa.» «Non aver paura... Junior», disse lei, con una voce roca che per qualche verso gli suonò familiare. Poi puntò l'arma verso il soffitto e schiacciò il grilletto, provocando lo scatto secco dello sparo a vuoto. «Ehi, ehi, Arlene», la richiamò Arnie, alzando irritato lo sguardo dalle sue carte. «Non fare stronzate, okay? Non puntare quel cazzo di coso sulla gente, Cristo.» «Niente, amico», rispose Junior. «Non è carico.» «Sì, ma sparare a vuoto rovina le armi, Junior, lo sai bene.» «Sparare a vuoto rovina un sacco di cose», aggiunse Junior in tono allusivo, poi abbassò la voce perché solo Arlene potesse sentirlo, mentre Arnie tornava al suo lavoro. «Quando io sparo, sparo sempre con il caricatore bello pieno.» Sogghignò. «Allora, che mi dici, sei davvero rossa, dappertutto?» Arlene alzò un dito e appoggiò il fucile sul banco, poi si voltò e andò verso la tenda sul fondo dello stand. Un attimo prima di scomparirvi dietro, si girò e disse, con una voce che glielo fece venire duro all'istante: «Se vuoi vedere un po' di rosso, aspetta solo un minuto, Junior». Cazzo, pensò Junior, che aveva intenzione di fare, uscire con i calzoncini aperti davanti? O magari fargliela vedere per un attimo da dietro la tenda? Quella sì che ci sapeva fare. E sembrava che anche lui le andasse. La cosa era quasi sospetta. Ma poi lei tornò, e non era meno vestita, ma più vestita, si era infilata un giubbotto nero, e impugnava un'arma per mano, e un'altra pistola era infilata negli short. E non sorrideva più. 24 Quando Amy lesse il nome dell'uomo sentì che i denti le si serravano. Lo aveva già notato, quando l'aveva adocchiata prima che l'esposizione aprisse al pubblico, ma allora non portava ancora la targhetta con il nome. E ora eccolo lì, consegnato nelle sue mani, Clarence Feeley Junior. Le
facevano male i muscoli del viso, continuando a sorridere mentre scherzava con lui, trattenendolo lì. E ora lei era pronta. Pronta per lui. L'uomo aveva perso il sorriso, senza capire che cosa lei stesse facendo, e lei si chinò verso il suo orecchio e mormorò: «Ho sempre desiderato conoscere uno dei Figli di una Libera America». L'espressione sconvolta le confermò al di là di ogni dubbio che aveva trovato l'uomo giusto. Alzò il Nighthawk e fece fuoco ripetutamente. L'addome gli si aprì sotto la raffica e indietreggiò barcollando, agitando le braccia, con la testa rovesciata all'indietro. Gli spruzzi di sangue schizzarono dal suo corpo come diavoli che fuggono dall'inferno. Finì con il grasso didietro contro il bancone opposto, e si accasciò al suolo in posizione seduta. Gli occhi, ancora miracolosamente vivi, la guardavano. «Volevi vedere rosso», gli disse, e gli sparò in piena faccia altri sette colpi, facendogli schizzare il cervello tutt'intorno. «Prendetela!» gridò qualcuno, e il boato di un altro sparo percosse l'aria. Sentì come uno strappo alla spalla e quando guardò verso destra, vide il venditore con cui aveva parlato in precedenza. Era dietro il suo banco a diversi stand di distanza, e stava caricando di nuovo il suo fucile a pompa. Lo puntò e fece di nuovo fuoco, cogliendola in pieno petto e buttandola all'indietro, mandandola a sbattere contro lo skinhead che aveva dietro. Il ragazzo mandò uno strillo e sgattaiolò via, proteggendosi la testa con le mani. Amy si rialzò a sedere e si guardò il petto. Il reggiseno sotto il giubbotto aperto era squarciato, ma sotto i suoi occhi l'enorme foro della pallottola che le aveva aperto il petto si richiuse, e lei balzò in piedi, sparando contro l'uomo prima che lui potesse inserire un altro proiettile. Un rivolo di sangue gli comparve sulla gola, e l'uomo cadde. A questo punto si scatenò l'inferno. Rick Carlisle era vicino al banco di Junior Feeley quando cominciò la sparatoria. Aveva visto che Feeley non c'era e pensò che avrebbe sfruttato l'occasione per cercare di fare amicizia con il ragazzo. Si erano scambiati a malapena tre parole quando si erano sentiti i primi spari. Girò la testa di scatto ma non vide altro che la gente tra lui e la fonte del rumore. Molti cercarono di disperdersi, ma dato l'affollamento della corsia non c'era dove rifugiarsi. Parecchi di loro si gettarono a terra, coprendosi la testa. Ora che la visuale era più libera, Rick colse un lampo di capelli rossi e un giubbotto di pelle stracciato. Era una donna, e aveva appena colpito un
uomo con un fucile a pompa, che era stramazzato in un lago di sangue. Allora un'altra mezza dozzina di armi fecero fuoco quasi simultaneamente, tempestando la donna di pallottole. Molte la mancarono e Rick vide qualcuno dei presenti cadere, chi colpito alla testa, chi al petto. Improvvisamente una raffica di mitra serpeggiò dietro di lui, perforando la parete. Rick si tuffò al di là del tavolo verso il ragazzo, che se ne stava lì come imbambolato, e lo trascinò con sé a terra un attimo prima che una seconda raffica attraversasse il muro dietro di lui. Alzò la testa dal pavimento e guardò il ragazzo, steso accanto a lui con un'espressione di stupore. «Stiamo giù», disse, e Karl annuì, senza fiato. Amy pensò che sembrava che ogni figlio di puttana con un'arma avesse aperto una scatola di munizioni, caricato, e le stesse sparando addosso. Quando colpivano, i proiettili facevano male, ma lei riuscì a rimanere in piedi, mentre i colpi la sballottavano da una parte e dall'altra. A un certo punto vide una via di fuga, e anche un modo per indirizzare meglio il suo fuoco. I tavoli correvano per l'intera lunghezza del padiglione ed erano occupati solo dalle armi, qualche sagoma pubblicitaria di cartone e i corpi di chi era stato colpito dal fuoco dei suoi assalitori. Balzò sul tavolo più vicino e si mise a correre lungo la successione di banconi coperti di bianco, facendo fuoco in direzione delle vampate che scorgeva o di quelli che la prendevano di mira. I colpi diretti verso di lei andavano spesso a segno, ma chi la colpiva la pagava all'istante. Il tiro dei suoi oppositori non era preciso, e Amy vide molti cadere solo perché si trovavano tra lei e il branco di quelli che tiravano all'impazzata. A lei sarebbe bastato far fuori Junior Feeley per poi andarsene per i fatti suoi, ma loro le avevano negato quella opzione. Alla fine riuscì a farsi strada fino alla porta e con un balzo fu nel parcheggio, ormai in preda al caos come l'interno del padiglione. Cadeva una pioggia fredda e fitta, e le auto e i furgoncini sgommavano nell'acqua cercando di fuggire, tamponandosi a vicenda nella fretta di allontanarsi da quel macello o per portare i feriti in ospedale. Amy sfrecciò in mezzo alla confusione, sguazzando nelle pozzanghere nella sua corsa verso il retro dell'edificio, dove aveva parcheggiato l'Avanti. Ma quando stava per svoltare l'angolo, sentì qualcuno che urlava «Troia!» e si voltò a guardare. A pochi metri un uomo in piedi nel cassone di un camion le puntava contro la doppia canna di un fucile da caccia. Fece per alzare il Nighthawk,
ma lui fece fuoco, e dalle canne partirono due colpi che la presero in piena faccia. Il dolore fu atroce, al di là della sopportazione di un corpo umano. Sentì gli occhi implodere nel cranio, i denti frantumarsi, la bocca, il naso e la fronte spalancarsi verso l'interno. E in quell'attimo ricordò il dolore dell'esplosione, tutto il dolore, fisico e mentale, e ricadde nel buio, sentendo il grido di trionfo dell'uomo che l'aveva colpita. Aprì gli occhi, gli occhi ricostruiti. Alzò da terra la testa che aveva ripreso forma e lasciò che la pioggia la bagnasse. Il suo cervello rinato le disse che quell'uomo doveva morire. E si alzò. L'altro, con la doppietta scarica tra le mani, rimase a fissarla a bocca aperta, con la faccia tremante, rigata dalla pioggia come un fiume di lacrime. Le dita allentarono la presa e il fucile cadde ai suoi piedi, mandando sul fondo del cassone un rintocco profondo di campana che subito morì. Amy saltò sul retro del camioncino e agguantò l'uomo per il collo con la mano sinistra. Con la destra gli artigliò la faccia con dita forti e fredde come chiodi d'acciaio, e strinse. L'indice e il medio gli trapassarono gli occhi, il pollice e le altre due dita gli sfondarono i lati della faccia e strapparono via la carne - labbra, guance, naso, mento - lasciando scoperto l'osso. E Amy urlò. Urlò per l'uomo che aveva ucciso, per il ricordo dei suoi bambini e per il suo proprio dolore, e urlò per quello che era diventata. Le gocce di pioggia erano le sue lacrime, e inzuppavano la terra. 25 Nessuno vide dove andò la donna dopo che ebbe ucciso l'uomo sul camion. Se prima erano tutti in preda al panico, la vista di lei che si rialzava dopo che la fucilata le aveva distrutto la faccia, e che faceva a pezzi l'uomo che le aveva sparato, scatenò il finimondo. Alcuni di quelli che avevano assistito alla scena rimasero, però, per riferire alla polizia quello che avevano visto; uno degli ultimi che l'aveva vista poté solo dire che era scomparsa dietro l'angolo dell'edificio. La polizia interrogò Arnie Bailey, che sulla sua modella temporanea fu in grado di fornire scarsissime informazioni, se non la descrizione, il nome e il fatto che «questa è l'ultima fottuta volta che lascio fare un cazzo di sostituzione a quella stronza di Cyndi.» La notizia fu data in tutti i telegiornali della sera, anche se le uniche ri-
prese erano state girate dopo il fatto. L'organizzatore dell'esposizione esaminò un video che aveva fatto in mattinata, ma nell'unica scena in cui si vedeva, la presunta sparatrice compariva solo per un attimo, di spalle, e a distanza di una ventina di metri. L'unico dato su cui concordavano tutti era la sua statura approssimativa e il fatto che molto probabilmente la capigliatura rossa era in realtà una parrucca. Il bilancio finale delle vittime fu di dieci morti e quindici feriti. I proiettili dei feriti non venivano dalle armi che mancavano ad Arney Bailey. «Io ero presente», dichiarò alla stampa, «e, credetemi, se mirava a qualcosa, la colpiva.» Oltre a Clarence Feeley Jr. e a Barton Douglas, l'uomo del parcheggio, altri quattro erano stati uccisi dal Nighthawk e dal Cobray. Tutti loro stavano sparando contro la donna. Gli altri quattro morti, e tutti i feriti, erano stati raggiunti dal «fuoco amico» di quelli che cercavano di colpirla. La conclusione dell'indagine fu che si era trattato di un omicidio premeditato. La prima vittima, l'unica a cui la donna avesse sparato non per difendersi, era Clarence Feeley Jr., un muratore disoccupato trentaduenne che aveva subito una serie di arresti per reati sessuali, nessuno dei quali si era tradotto in detenzione. Ci fu chi ipotizzò che l'omicidio fosse la vendetta per una violenza carnale, subita dalla sparatrice stessa o da un'amica, e la polizia stava interrogando tutte le donne che avevano presentato denunce contro Feeley. Quello che nessuno riuscì a spiegare fu l'impressione che tutti i testimoni avevano avuto, che la donna era stata colpita innumerevoli volte, compreso un colpo di doppietta da caccia in pieno viso, ed era fuggita apparentemente illesa. Quelli che non c'erano sospettavano che indossasse un giubbotto antiproiettile. Gli altri, quelli che avevano visto, sapevano che non era così. Rick Carlisle aveva visto. Sfidando il buon senso aveva alzato la testa al di sopra del bancone dove si stava riparando con Karl, e attraverso il fuoco incrociato aveva visto la donna in fondo alla sala, che correva sopra i tavoli sparando. Aveva visto i proiettili raggiungere le sue gambe nude, piantarsi nella sua schiena, uno colpirle la testa. La testa aveva avuto uno scatto, ma lei si era fermata solo per un attimo, riprendendo subito a correre come se non fosse accaduto nulla, sparando ancora. C'era qualcosa di troppo familiare nella donna, e aveva capito appena l'aveva vista che cosa fosse. Assomigliava ad Amy, si muoveva come Amy.
Era Amy. L'immagine alla finestra, la voce alla radio, e ora questo. Se non l'avesse vista colpita da proiettili che avrebbero ammazzato chiunque, avrebbe pensato che non era mai morta, che era scampata all'esplosione ed era rimasta nascosta per sei mesi. Ma aveva visto, e sapeva che non era un essere umano. Era qualcosa di strano e alieno e sconosciuto, e stava seguendo le tracce fino a loro, a quelli che avevano distrutto il suo sogno. Anche Rick stava seguendo quella pista, e avrebbe continuato a cercare di infiltrarsi. E ora quella strage gli offriva un'opportunità perfetta. Aveva salvato la vita di Karl, e il ragazzo ne era consapevole. E quando gli spari erano cessati e avevano visto il cadavere insanguinato di Clarence Feeley, Karl aveva detto a Rick: «Dobbiamo andarcene. Non possiamo farci trovare qui quando arriva la polizia, giusto? Junior mi ha parlato di te, e... be', neanch'io dovrei trovarmi qui». Rick annuì. Si fecero strada tra la calca e Karl lo guidò fino a una berlina scura polverosa. «Sali», ordinò. «Lasci qui le armi?» chiese Rick. «Non c'è tempo.» «Grazie», disse Karl mentre uscivano dal parcheggio. «Mi hai salvato la vita. Amico, credevo di essere fatto. Non riuscivo nemmeno a muovermi.» «Di niente», disse Rick. «Mi chiamo Guy. Guy Adams.» Porse la mano e Karl gliela strinse. «Lo so. Junior me l'ha detto. Io mi chiamo Karl Withers.» «Junior? È così che lo chiamavi? Forse eravate parenti?» Karl scosse la testa. «Era solo un amico, e uno dei... be', un amico di mio padre. Vuoi che ti porti da qualche parte?» «Ecco, speravo che Junior mi mettesse in contatto con delle persone.» «Sì, me l'ha detto.» Rifletté per qualche momento, poi mise la freccia ed entrò in una stazione di servizio, parcheggiando accanto alla cabina telefonica. «Faccio una telefonata», disse. «Aspetta qui.» Parlò a lungo, ma Rick non riuscì a cogliere niente della conversazione. Quando tornò in auto, il ragazzo sorrideva. «Ti faccio conoscere della gente», annunciò, e rimise in moto. Ce l'aveva fatta. Aveva ucciso quel ciccione bastardo. Prima non sapeva se sarebbe riuscita ad ammazzare un uomo a sangue freddo, ma l'aveva fatto. Era come se qualcosa si fosse impossessato del suo corpo, trasformando il dolore e la pena in rabbia. E mentre gli stava sparando, mentre gli to-
glieva la vita, aveva sentito la sensazione più liberatoria che il suo spirito avesse mai provato, come se togliere lui dalla faccia della terra alleviasse di un peso la sua anima amareggiata. Ma dopo che lui era morto, aveva dovuto uccidere ancora. La sua era stata una reazione automatica, animale. Ed era stata la cosa più facile del mondo, mirare al petto e sparare, abbatterli uno dopo l'altro finché non avesse raggiunto il fondo della sala. Ma quando si era trovata sotto la pioggia con in mano la carne dell'uomo a cui aveva strappato la faccia, per un orribile attimo aveva avuto la sensazione di essere diventata un mostro, uguale allo zio Abraham che percorreva le vie di Kishinev a stanare le sue vittime. Allora era fuggita. E ora si trovava nel garage di David Levinson, seduta al buio. Cercò di mettere a fuoco il suo prossimo passo, la manifestazione dell'indomani, Chip Porter. La porta della cucina si aprì e vi si stagliò la sagoma di David Levinson. Era in divisa e aveva la pistola al fianco. Non le era possibile vederne il viso ma ne sentiva la voce. «Dieci cadaveri. Ti sei lasciata dietro dieci cadaveri.» Si girò e tornò dentro, chiudendosi la porta alle spalle. Dopo qualche minuto lei scese dall'auto e lo seguì in cucina. Lo trovò seduto al tavolo, con una tazza di caffè in mano. Rasato di fresco e appena pettinato, si capiva che stava per cominciare il suo turno. Le rivolse uno sguardo inespressivo, guardando il giubbotto lacero e i calzoncini sbrindellati. «Non ti sei fatta niente, vero?» «Sono stata ferita», rispose lei. «Sono stata ferita, David.» «Anche tanta altra gente si è fatta male, sai? Almeno, se quello che ho sentito è vero. Quel Feeley, era lui il tuo bersaglio, giusto?» Lei annuì appena. «E l'hai ammazzato.» «Sì.» «E poi che cosa è successo? Ti sei accorta che ti piaceva?» «No! Non è affatto così. Hanno cominciato a spararmi addosso.» «Ma davvero? Solo perché avevi fatto fuori un uomo disarmato? Dio, che indelicatezza!» «Dovevo difendermi.» «E da che cosa? Dal rischio di essere temporaneamente perforata? Ma anche presumendo che fossi giustificata a sparare contro chi ti stava sparando, ci sono andati di mezzo anche degli spettatori innocenti, Amy.» «Innocenti», ripeté lei. «Intendi dire come i miei bambini? Come me?
Come la mia amica Judy?» Si sedette di fronte a lui e lo guardò negli occhi. «Sono tornata per combattere una guerra, David. E in una guerra non ci sono spettatori innocenti. Ho ucciso quelli che volevano uccidermi, ecco tutto. Se le loro pallottole hanno colpito spettatori innocenti, be' quelli che li hanno uccisi ora sono morti per mano mia, e quindi ho già vendicato la loro morte. Se ho torto, se è tutta colpa mia, allora il Corvo li riporterà in vita per vendicarsi su di me. E così con l'aiuto di Dio, o del diavolo, combatterò contro vivi e morti se devo farlo, per fare giustizia.» Levinson la guardò per un attimo, come per scandagliare i suoi abissi. «Ricordi com'è cominciato tutto? Con lo spargimento di sangue innocente. Lo so che cos'era Junior Feeley, un pezzo di merda da tutti i punti di vista. Avresti potuto ucciderlo dieci volte mentre era solo, non avrei aperto bocca. Ma il tuo bersaglio era lui, e per quanto mi riguarda altri nove sono morti per niente.» «E allora, che intendi fare, agente, arrestarmi?» «Non credo proprio di poterlo fare.» «No, non puoi. Se solo ci provi, David, se cerchi di impedirmi di fare quello che debbo, ti ammazzo.» Lui scosse lentamente la testa. «Questo non lo credo, Amy.» «D'accordo, forse non ti ammazzo io. Ma il Corvo sì. Il Corvo sa quello che va fatto.» Alzò le mani ancora insanguinate. «Ma lo farà con le mie mani.» Levinson rimase a guardare a lungo quelle mani. Poi allungò il braccio attraverso la tavola e gliele strinse tra le dita. «Fa' quello che devi», disse. «Ma non diventare uguale a loro.» «È troppo tardi, David», disse, togliendo le sue mani dalla sua. «Credo di essere già molto peggio.» 26 Rick Carlisle non era mai stato al Dallas Diner. Non era mai stato neppure su quella strada, a venticinque chilometri a nordovest di Hobie. Stava mangiando una fetta di torta ai mirtilli a conclusione del pranzo che aveva voluto offrirgli Karl. «Il meno che possa fare per chi mi ha salvato la vita», aveva detto il ragazzo. «E poi dobbiamo aspettare qui mio padre.» Questo un'ora prima. Karl non aveva parlato molto, e avevano mangiato quasi sempre in silenzio. Rick ebbe l'impressione che il ragazzo non fosse particolarmente affranto per la morte di Feeley. Raramente la sua espres-
sione si allontanava da quella specie di benevolo disinteresse che aveva mostrato dalla prima volta che Rick l'aveva visto. Né si ravvivò visibilmente quando un furgoncino blu entrò nel parcheggio. Karl si limitò a indicarlo: «Ecco mio padre». Il padre di Karl entrò solo nel locale, ma Rick vide che un altro uomo era rimasto nel veicolo. «Rip Withers», si presentò l'uomo giunto vicino al tavolo, e strinse la mano a Rick; quindi si mise a sedere accanto al figlio. «Il mio ragazzo mi ha detto che lei gli ha salvato la pelle», disse Withers, guardando fisso Rick. «L'ho solo spinto a terra quando è cominciata la sparatoria», replicò Rick. «Ha scavalcato il tavolo con un salto, altroché», intervenne Karl probabilmente con tutta l'animazione di cui era capace. «Ci sarei rimasto di sicuro.» «Allora le devo i miei ringraziamenti», disse Withers. «Karl è il mio unico figlio.» «Non c'è di che», rispose Rick e distolse lo sguardo simulando imbarazzo. «Karl mi ha detto che avrebbe bisogno di un piccolo aiuto. Lei e il governo non andate proprio d'amore e d'accordo, eh?» «Più o meno. C'è della gente che avrebbe piacere, diciamo così, di fare due chiacchiere con me.» «È ricercato.» «Sì. Stavo dicendo a Junior che ero alla ricerca di un gruppo di persone che... la pensano come me. Un posto dove quelli che mi cercano non verrebbero, magari potrei dare una mano con quello che c'è da fare. Contribuire alla lotta, capisce?» «E il suo nome è...» «Guy Adams. Adesso il mio nome è questo.» «E quello di prima?» Rick scosse la testa. «No, mi dispiace. Ho giurato su Jahvé che non lo avrei mai più pronunciato né usato in nessun caso. Quello era il nome del GOS, per me. Quell'uomo è morto e lo è anche il nome. Sono Guy Adams e non c'è altro da sapere.» «Bene, le dirò una cosa, Guy Adams», disse Withers. «Uno che fa quello che ha fatto lei quando è cominciata la sparatoria, uno che ha tanta disciplina, può essere solo o un soldato bravo e coraggioso, ben addestrato, che vede un ragazzo nei guai e lo aiuta senza pensare alla propria sicurezza,
oppure un federale. Un poliziotto o uno dell'FBI, o qualcosa del genere, preparato a situazioni come quella. Allora, lei chi è dei due, signor Adams?» Rick prese l'espressione più severa e grave che riuscì ad assumere. Quindi si alzò in piedi. «Glielo dico subito chi sono, signor Withers: sono uno che se ne va. Grazie per il pranzo, figliolo. Lieto di esserti stato utile.» Era già nel parcheggio, e si dirigeva di buon passo verso la strada per tornare a Hobie quando Withers lo raggiunse. «Ehi», gli disse. «Ehi, andiamo, aspetta un minuto.» «Non ho bisogno di questa merda», rispose Rick. «Ne mangio da quando ho cominciato a camminare, e non me ne serve altra da te, da qualcuno che dovrebbe capire quello che sento...» «Maledizione, va bene!» Lo afferrò per una spalla e lo fece girare. «Adesso ascoltami per un minuto! Lo sai che cosa significa avere la responsabilità di decine di uomini? Lo sai quanto devo fidarmi di una persona prima di prenderla nel nostro gruppo, farle vedere dove viviamo e lavoriamo, parlarle dei nostri piani? Devo essere convinto che quella persona è un fratello, amico! Devo essere sicuro senza ombra di dubbio che quell'uomo è un vero patriota, un vero figlio di quella che un giorno sarà una libera America! Per cui non fare l'offeso con me quando cerco solo di preservare la vita dei miei uomini! «Bene, allora», riprese con più calma, quando Rick ebbe mormorato qualche parola di scusa. «Apprezzo sinceramente quello che hai fatto per mio figlio. Credo che sei una brava persona e che mi stai dicendo la verità, ma la decisione non sta solo a me. Ci sono altri con cui devo parlare. Cioè, se la cosa ti interessa.» Rick annuì. «Sì.» «Ora Karl ti riaccompagnerà a Hobie. Domani, a Eau Claire, c'è un festival della Confraternita dei Cristiani Bianchi. Trovati lì. Ci sarà un gruppo musicale che si chiama Shock Troops, o qualcosa del genere. Il bassista è uno dei nostri. Vai da lui e digli chi sei. Lui ti farà un cenno con la testa: sì o no, a seconda di quello che abbiamo deciso. Se è no, non ci vedremo più. Se è sì, quando la manifestazione sarà finita ti porterà da noi. Ma bada che se è sì, sei uno di noi. Non potrai lasciare il complesso. Sarai un soldato. Hai qualcosa in contrario?» «No. Ma avrò difficoltà ad arrivare a Eau Claire. Saranno più di duecento chilometri da qui e sono senza macchina.» «Vuol dire che vedremo come sei capace di cavartela. Soldi ne hai?»
Rick si strinse nelle spalle. «Mi sono rimasti una ventina di dollari. Mi arrangerò.» «Ne sono sicuro. L'unico su cui uno può contare in questo paese è se stesso, amico mio.» Rick fece un sorriso amaro. «A meno che non sei uno che non ha la pelle bianca.» «Parole sante. Jahvé ti protegga.» «Lo farà. E così con te e con il tuo ragazzo.» Withers tornò da Karl, che era rimasto un po' discosto dal padre ascoltando la conversazione, e disse al ragazzo alcune parole che Rick non riuscì a udire. Poi Withers salì sul suo furgone e partì. Karl sorrise e fece un cenno verso l'auto scura. Rientrati a Hobie Karl gli chiese dove poteva lasciarlo. «Non ha importanza», rispose Rick. «In centro andrà bene.» «Volevo ringraziarti ancora, Guy», disse Karl mentre Rick scendeva dall'auto. «Hai rischiato la vita per me, te ne sono veramente grato. Qualunque cosa pensi che possa fare per te, fammelo sapere.» Rick sorrise. «Potresti mettere una buona parola per me con tuo papà.» «Lo farò. Spero di rivederti. Jahvé ti benedica.» Si allontanò lasciando Rick sulla strada. La prima cosa che Rick fece fu di andarsi a sedere su una panchina a riflettere sul prossimo passo. La cosa migliore sarebbe stata farsi portare da un taxi al parcheggio dell'Holiday Inn dove aveva lasciato l'auto e andarsene a casa per una notte di sonno. Sarebbe partito l'indomani mattina di buon'ora per Eau Claire, avrebbe lasciato la macchina lontano dal festival e chiesto un passaggio. Ma quando si alzò notò una forma familiare nel riflesso di una vetrina. Era Karl Withers, sull'altro marciapiede a una certa distanza. Si muoveva furtivo, come se non volesse essere visto. Per verificarlo, Rick si voltò lentamente nella sua direzione e con la coda dell'occhio vide che il ragazzo si accucciava dietro un'auto in sosta. Era evidente che il padre gli aveva dato l'incarico di seguirlo, controllandolo senza farsi vedere. Per fortuna lo aveva notato, altrimenti tra un minuto Karl lo avrebbe visto prendere un taxi, strana mossa per uno sbandato squattrinato. E se lo avesse seguito, avrebbe scoperto subito che tutto quello che aveva raccontato erano panzane: quando avesse preso la sua macchina, e quando fosse arrivato alla sua lussuosa casa tra gli alberi. Rick sarebbe stato fortunato se non gli avessero mandato immediatamente qual-
cuno a liquidarlo, come agente del GOS. E invece doveva fare quello che avrebbe fatto Guy Adams: direttosi verso il quartiere più modesto della città, si scelse un albergo adeguato. La stanza, piccola ma abbastanza pulita, dava sul davanti, secondo la sua richiesta. Spense la luce, si avvicinò alla finestra e guardò la strada su cui cominciava a scendere il buio. Karl era lì, sul marciapiede di fronte, e guardava l'Excelsior Hotel con aria incerta. Passeggiò per un po' su e giù, poi prese la sua decisione e si avviò lungo la via da cui era venuto. Rick sorrise. Sperava di aver superato l'esame. Ma ora doveva telefonare a Nancy per tranquillizzarla, farle sapere dove si trovava e dove sarebbe andato, almeno per quanto ne sapeva. Quando uscì in strada Karl non era in vista, ma Rick percorse diversi isolati per accertarsi di non essere seguito. Quindi trovò un telefono e chiamò Nancy. 27 «Qualcuno ci sta alle costole. Qualcuno sa di noi.» Rip Withers fece scorrere lo sguardo sui presenti. Il numero del consiglio ristretto si stava riducendo sempre di più. Prima Will Standisti si era rivelato un traditore ed era stato liquidato, ma nell'operazione anche Sonny ci aveva lasciato la pelle. E ora quella stronza impazzita aveva fatto fuori Junior e quasi ammazzato anche il figlio di Rip. E chi era rimasto? Ray, che Jahvé proteggesse la sua povera anima di ritardato, Powder Burns, Chip Porter e Ace Ludwig, diventato armiere dopo la morte di Sonny. «È cominciato tutto con quel bastardo di Wilson Barnes», riprese Rip. «Non eri stato tu, Powder, a dire che non credevi in Wonder Woman? Be' forse farai bene a cominciare a crederci. Non mi sorprenderebbe affatto se scoprissimo che è la stessa troia che ha ucciso Sonny e anche la mamma di Will.» «Tu ci credi a quella storia che l'hanno colpita e non si è fatta niente?» chiese Powder, meno arrogante del solito. «No. Credo che fossero un branco di incapaci presi dal panico, che sparavano a tutto quello che si muoveva, e per questo tanta gente è stata colpita. Karl ha detto che era un dannato manicomio, e che lui non l'ha mai vista colpita. Quegli stronzi l'hanno mancata, ecco tutto. Lo sapete come fa
la gente quando si fa prendere dal panico. È per questo che insisto tanto sulla disciplina. «Ma lei cercava proprio Junior, su questo non c'è alcun dubbio. È stato il primo a cui ha sparato e l'ha ucciso con determinazione.» Squillò il telefono e Rip afferrò il ricevitore. «Sì? Non è uscito... Quanto tempo hai aspettato?... Okay, allora torna qui.» Rip riappese e guardò gli altri. «Forse qualcosa di buono da tutto questo è venuto fuori... un tizio ha salvato la vita a Karl.» Raccontò di Guy Adams e del suo oscuro passato e di come lo aveva fatto pedinare da Karl. «Sembra a posto. Gli ho detto di andare al festival di Eau Claire domani. Chip, alla fine della giornata si presenterà da te. Fagli solo segno di sì e portalo qui. Ma non parlare di niente di importante, non dire niente dei Figli. E accertati che nessuno ti segua, controlla che non abbia addosso sensori o merda del genere, frugalo fino nel culo, se ce n'è bisogno. Una volta qui vedremo se è sincero. Un altro soldato ci fa comodo. Allora, tutti d'accordo a farlo venire?» Gli uomini annuirono. «Certamente», disse Powder. «Ma la troia? Come fa a sapere chi siamo? Barnes conosceva solo te, Rip.» «Esatto, e non sapeva nemmeno il mio nome. No, sospetto che abbia avuto le sue informazioni da Will o da Sonny.» «Sonny non ci avrebbe mai traditi», replicò Powder. «Lui era uno a posto. Will sì che era un traditore, dev'essere stato lui.» Rip annuì. «Probabilmente ha fatto qualche nome prima di morire. Almeno quello di Junior.» «Ma chi diavolo sarà?» chiese Chip Porter. «Una madre impazzita, come hai detto tu, Rip? Che vuole vendicarsi?» «Impossibile. Non c'è madre capace di far fuori Sonny con un coltello o sparare a Junior e poi farsi strada a fucilate come ha fatto lei oggi a quella mostra. Questa è una professionista, una addestrata dal governo. Scommetto che se fosse catturata o uccisa non risulterebbe la sua identità. Una macchina per uccidere, ecco che cos'è. Una delle zoccole di Clinton.» «Sarà Hillary in persona!» scoppiò a ridere Powder, ma nessuno rise con lui. «Allora, che cosa dobbiamo fare?» «Guardarci le spalle, questo è tutto. Non possiamo far altro che aspettare che sia lei a cercarci di nuovo. Se rossi in voi, comunque, non rimorchierei sconosciute. «Una cosa però possiamo farla, e voglio che sia fatta.» Rip fece una pausa a effetto guardandoli uno dopo l'altro. «Possiamo anticipare il pro-
gramma del big bang. Alla settimana prossima.» Gli uomini si scambiarono delle occhiate, e qualcuno respirò a fondo. «Ma saremo pronti?» chiese Chip. «Possiamo esserlo. Vero, Powder?» Powder Burns annuì. «Per come la vedo io», continuò Rip, «se pensano di averci scovati, si aspetteranno che rimaniamo defilati, che teniamo giù la testa, che non facciamo nulla se non preoccuparci dello stato dei nostri nascondigli. E questo è il momento ideale per colpire. Lo facciamo in modo rapido e pesante e sarà la rappresaglia per gli uomini che ci hanno assassinato.» «Ho capito», esclamò Ace Ludwig, e Rip gli vide il godimento dello scontro nello sguardo. «Loro hanno gettato il fottuto guanto di sfida e noi lo raccogliamo e glielo sbattiamo in faccia, giusto?» «Giusto.» «Quando?» chiese Chip. Rip guardò Powder. «Quando pensi di essere pronto?» «Be', oggi è sabato...» Powder rifletté qualche momento, poi annuì lentamente. «Martedì.» «Cazzo, questo martedì?» disse Chip. «Già. Questo martedì. Di roba ne ho abbastanza, non devo fare altro che metterla insieme, ma devo farlo per bene. Ci vuole tempo per fare le cose come si deve.» «Lunedì è in programma il tiro agli uccelli», disse Ace. «Vuoi che lo annulliamo?» «No, gli uomini hanno bisogno dei loro svaghi», rispose Rip. «Dopo il tiro li informiamo della cosa.» Rip non aveva dubbi che sarebbero stati tutti felici di sentirlo. Il piano lo conosceva, ma ora la data era vicinissima. Era un obiettivo perfetto, occupato da tutti i peggiori farabutti che minacciavano i principi dei Figli di una Libera America: un ufficio locale dell'FBI, un ufficio dei Diritti Civili, un ufficio Sviluppo Imprenditoria delle minoranze e un ufficio dell'ente di controllo su alcol, tabacco e armi. Insomma, l'Ufficio Federale Floyd B. Olson di Hobie, Minnesota, con i suoi quattrocentocinquanta dipendenti governativi, era un bersaglio assolutamente ideale 28 Il mattino dopo il parcheggio della fiera era occupato in tutti i suoi quat-
trocento posti. Molti avevano lasciato l'auto nei campi adiacenti e lungo la strada, e Rita e Billy Joe White, gli organizzatori del festival della Confraternita dei Cristiani Bianchi, lodavano il loro Signore cristiano e bianco per la grande affluenza. Si erano impegnati per trovare un posto che permettesse a loro e a quelli come loro di riunirsi e professare insieme la loro fede e la Frontier Fairgrounds aveva il vantaggio di essere proprietà privata, per cui non c'era autorità comunale o consiglio di supervisori che potesse privarli dei loro sacrosanti diritti. Il proprietario del complesso fieristico si era limitato a dire a Billy Joe e Rita che se sborsavano i quattrini e promettevano di non ammazzare nessuno, il posto era loro per due giorni e due notti. Il primo edificio, il più ampio, costituiva la sala riunioni. Era qui che gli oratori avrebbero tenuto i loro discorsi e i musicisti si sarebbero esibiti. Accoglieva oltre mille persone e Rita e Billy Joe prevedevano di vederlo pieno quasi tutto il giorno. Il secondo edificio era la sala esposizioni, con tutti i banchi dei venditori. Era possibile vendere di tutto, tranne armi, per le quali i White non avevano la licenza. Meglio così, visto che la grande fiera delle armi del giorno prima a Hobie era stata sicuramente visitata dal demonio, che in questo caso si era presentato sottoforma di donna. Rita non era sorpresa più di tanto. Lo aveva sempre detto che armi e donne seminude davano una miscela satanica ed era per questo che ogni volta che Billy Joe andava a un'esposizione di armi Rita lo accompagnava sempre, per fargli compagnia e per tenerlo alla larga dalle grinfie di quelle puttane che lavoravano in alcuni stand. Nelle mani dei servi del Signore, le armi potevano essere una vera benedizione, ma Rita non capiva perché mai dovessero mostrarle delle sgualdrine, assieme ai loro corpi. Ma anche se al festival armi non se ne vedevano, c'era una quantità di libri su di loro, accanto a quelli sul puro cristianesimo, sui pericoli del mescolare le razze e dell'omosessualità, ai Protocolli degli Anziani di Sion, e ai Diari Turner, il libro preferito di Billy Joe subito dopo la Bibbia. Rita aveva provato a leggerlo, ma tutta quella violenza non le piaceva. Alle otto Rita e Billy Joe si aggiravano per la sala esposizioni, salutando tutti gli amici e tanta brava gente che non conoscevano ma che accoglievano come fratelli e sorelle nella Confraternita dei Cristiani Bianchi. Billy Joe, per l'occasione, indossava al posto della solita tuta mimetica un abito verde scuro stirato di fresco; l'unica concessione alla tenuta delle milizie private era un berretto verde oliva e una cravatta con una croce e il motivo
della bandiera americana. Dopo un po' Billy Joe era immerso in una piacevole conversazione con un uomo che vendeva oggetti ricordo nazisti e libri che denunciavano la montatura del cosiddetto Olocausto, mentre Rita chiacchierava con una coppia che teneva un banco di reclutamento per il Ku Klux Klan. Il padiglione era pieno di stand dei più diversi gruppi paramilitari, sette religiose e organizzazioni suprematiste bianche, ma c'erano anche banchi della mercanzia più varia, dagli adesivi per auto ai berretti e le T-shirt, tutti con scritte e immagini inequivocabili. C'erano anche stand di musica e computer, dove spiegavano come aprire un proprio sito in rete (quello che avevano i White lo gestiva un nipote di Rita: lei di quelle cose non ci capiva niente), e vendevano una quantità di CD e nastri di diverso contenuto, dal gospel vecchio stile al country bianco a questa nuova musica skinhead. Rita notò che c'erano molti più skinhead del solito. Non le piaceva come andavano vestiti e la loro musica era spaventosa, ma erano sempre beneducati e gentili con lei e Billy Joe, e molti patrioti avevano cominciato facendo gli skinhead. Erano sempre pronti a menare le mani, ma solo tra loro o con i negri o i sodomiti, per cui non c'era niente di male. I ragazzi sono sempre ragazzi. Un fischio acutissimo proveniente da un amplificatore la costrinse a tapparsi le orecchie alzando lo sguardo verso il palcoscenico in fondo alla sala. Era lì che i gruppi meno noti avrebbero suonato per tutto il giorno intrattenendo i venditori e i loro clienti. Il pubblico avrebbe votato per il complesso migliore, e alla fine i vincitori si sarebbero esibiti sul palco principale prima dei Wild White West, una band di country rock di fama nazionale, che avrebbe concluso le attività del giorno. I primi concorrenti si stavano preparando. Rita vide un banjo e un mandolino e si rammaricò di non poterli ascoltare, ma erano già le nove meno un quarto e tra un quarto d'ora nella sala accanto sarebbe iniziato il servizio religioso della domenica mattina. Poi, d'un tratto, l'intera sala parve zittirsi e Rita guardò verso l'ingresso principale per vedere chi fosse arrivato. La prima cosa che pensò fu che non aveva mai visto una donna come quella che stava entrando in quel momento, oltre tutto non accompagnata da un uomo. Era vestita tutta di nero, quasi come un motociclista, e portava un paio di occhiali scuri che le nascondevano gli occhi. Non era una skinhead - un po' troppo anziana per esserlo - ma aveva quel fare tracotante tipico di tanti di loro.
Molti occhi la seguirono mentre avanzava, ma sembrava non farci caso. Uno skinhead, di una decina d'anni più giovane di lei, la accostò, e anche se Rita non poteva sentire quello che i due si dicevano, se ne fece un'idea dal modo in cui il sorriso del ragazzo si spense e da come si allontanò rosso in viso. «Non so che cosa ha cercato di venderle», disse a Billy Joe, che aveva notato anche lui la scena, «ma lei non compra.» Rita non aveva tempo di vedere come altri cuccioli avrebbero cercato di fare colpo sulla donna misteriosa. Erano quasi le nove e per nulla al mondo avrebbe voluto perdersi il sermone del reverendo Johnny Harkins. Quello sì che era un uomo che diceva pane al pane e vino al vino. Se la casa mobile di Dorothy Standish era la tana dove venivano allevati mostri, pensò Amy, il luogo dove si trovava adesso era la scuola superiore dove si diplomavano. La cosa che più la sgomentava era l'apparente normalità della gente che si aggirava per gli stretti corridoi e sedeva ai banchi vendendo odio. Era gente sorridente, felice: ridevano, si abbracciavano incontrandosi, si stringevano le mani. Alcuni avevano perfino i figli piccoli con sé. Bambini e bambine anche di cinque o sei anni esibivano T-shirt con parole di odio che davano il voltastomaco, o cappellini con simboli suprematisti. Qualcuno mostrava addirittura una svastica. Soprattutto guardando quelle povere creature Amy riusciva a stento a controllare la rabbia e il disgusto. Ma lei era lì per i suoi bambini, non per quei disgraziati destinati a diventare crescendo le bestie in cui i loro genitori li stavano trasformando. E quelli come Amy avrebbero dovuto combattere le loro battaglie contro quei bruti imbottiti di odio che lì venivano formati. Quei genitori non erano degni di portare quel nome, pensò. Erano solo mostri che generavano altri mostri. La nausea che provava era tale che se avesse avuto qualcosa nello stomaco, sicuramente lo avrebbe vomitato lì per lì. Ma il suo stomaco era totalmente vuoto. Non aveva mangiato niente, né chiuso occhio, da quando era tornata al mondo. Aveva fame solo di vendetta, e l'unico sonno cui anelava era quel riposo eterno che sarebbe stato suo una volta soddisfatta non solo la propria anima ma anche quelle dei suoi bambini. Ora aveva l'occasione di alimentare il fuoco della vendetta che le bruciava dentro, la possibilità di entrare nella loro tana e trovare i responsabili: Powder Burns, Rip Withers e quanti altri li avessero aiutati, sostenuti. E
allora avrebbe lasciato divampare quella fiamma fino a che avesse divorato loro e lei in una sola eruzione di luce bianca. Quel giorno era il turno di Chip Porter. Chip Porter degli Shoktrupz. E quando lo avesse trovato, allora sì che sarebbe cominciato il rock and roll. Ora però era il momento di pregare: Amy lo apprese quando entrò nell'edificio dove stava per cominciare il servizio festivo. Difficilmente avrebbe ricevuto qualche indizio sui Figli di una Libera America dagli oratori, ma non poteva passeggiare tra gli stand tutto il giorno. E poi, dopo la fiera delle armi, era stufa marcia di banchi di vendita e se qualcuno era stato presente alla baraonda del giorno prima non voleva che la vedessero, anche se aveva cambiato aspetto, in un ambiente che poteva stimolare la memoria. Dando ascolto a quanto aveva detto Levinson, Amy aveva stabilito che non ci sarebbe stata nessuna sparatoria, almeno non da parte sua. Aveva il coltello alla caviglia e lo avrebbe usato per uccidere Chip Porter, a meno che non avesse trovato un modo migliore. Poi Rita White, la fondatrice di questa festa dell'odio, diede la parola al reverendo Johnny Harkins della Chiesa della Confraternita dei Cristiani Bianchi. Il reverendo, con una ridicola parrucca che sfidava la legge di gravità e un colorito rubizzo evidentemente frutto di frequenti rapporti con la bottiglia, impersonava alla perfezione il suo ruolo. Iniziò con una preghiera che auspicava la pace universale: un discorso che sarebbe stato accettabilissimo per un uomo di chiesa se non avesse aggiunto che la pace che lui preferiva si sarebbe raggiunta con lo sterminio di tutte le razze tranne la bianca e la distruzione di tutte le religioni tranne la vera fede nel Signore. Pregò anche per la rapida liquidazione degli omosessuali, i fornicatori, i traditori della razza, i tiranni - identificati con i liberali - e tutti quei governanti che volessero imporre leggi diverse dalle leggi bibliche di Mosè. Quando il buon reverendo ebbe finito la sua preghiera ed ebbe invitato a versare un obolo, pronunciò un sermone ancora più violento, pur badando a non spingere gli ascoltatori alla violenza, «a meno che tra noi non vi siano persone che appartengono a Satana e non al Signore, pronte a rivolgersi alle autorità con lo stesso spirito vile e giudeo con cui quelli che odiavano Gesù testimoniarono falsamente contro di lui presso le autorità del loro tempo». Il sermone terminò, e la congregazione cantò un inno che conoscevano tutti, ma che Amy non aveva mai sentito, e che chiedeva l'aiuto del Signo-
re per difendere i valori dell'uomo bianco. Amy non riusciva a liberarsi del senso di stupore che esistesse al mondo gente che credeva a cose del genere, capace di odiare, di usare un concetto vitale ed edificante come la fede per trascinare le persone a un livello così ignobile. Quando le farneticazioni di Harkins furono cessate, lo spettacolo indegno continuò con un quartetto di gospel. Tutti vestiti di bianco, i due uomini e le due donne intonarono i loro canti bianchi di incitazione all'odio e al linciaggio. Ascoltando quelle parole, le risate e le lodi a un dio odioso e sprezzante che non era mai stato il suo, Amy cominciò ad avvertire dentro di sé un odio che non aveva mai sentito per nessuno. Tutto ciò che aveva appreso sull'amore fu dimenticato, e anche le parole di cautela di David Levinson. Aveva pensato di avvicinare Chip Porter in un luogo appartato, dietro il suo furgone o dietro le quinte del palco improvvisato, dirgli chi era e poi tagliargli la gola. Ma ora aveva cambiato idea. Ora voleva che tutti i presenti vedessero qual era il frutto delle loro preghiere. Il canto diceva: Li guarderemo bruciare... Forse era possibile. 29 Era il primo pomeriggio quando Rick Carlisle arrivò a Eau Claire. Aveva lasciato l'Excelsior Hotel alle sei del mattino, non riuscendo più a dormire in quel letto bitorzoluto e tutt'altro che profumato, e si era avviato a piedi alla periferia di Hobie dove aveva cominciato a fare l'autostop. Aveva dovuto camminare per chilometri prima che lo caricasse un camionista che lo avrebbe lasciato a St. Paul. A Eau Claire era arrivato in una serie di piccole tappe, e ogni volta ottenere il passaggio aveva richiesto più tempo. Pagato il biglietto di cinque dollari all'ingresso, gli diedero un distintivo della Confraternita dei Cristiani Bianchi che, gli dissero, doveva portare sempre. «Serve per entrare in questo edificio e in quello accanto dove si tengono tutti i discorsi», gli spiegò l'uomo al botteghino. «E questa scheda è per votare il complesso che ti piace di più. Attento alle pozzanghere.» Quel posto gli dava la nausea. L'ignoranza e l'odio si respiravano nell'atmosfera del primo capannone in cui entrò. Ciononostante, comprò un hot dog, la prima cosa che mettesse nello stomaco quel giorno, e si sedette da solo a uno dei tavoli da picnic accanto al bancone.
In fondo al padiglione, su un palco rialzato, un gruppo country stava suonando, attorniato da una dozzina di spettatori. Non era facile distinguere le parole al di sopra dell'accompagnamento delle chitarre, e quando riuscì a cogliere qualche verso, Rick fu contento di non poter sentire tutto il testo. Masticando il suo panino gommoso, lesse la scheda della votazione e trovò Shoktrupz tra i gruppi elencati in ordine alfabetico. Quando ebbe finito di mangiare, tornò dal cassiere e gli chiese se sapeva quando avrebbero suonato gli Shoktrupz. L'uomo gli indicò un cartello scritto a mano affisso al muro. Il gruppo che gli interessava non si sarebbe esibito prima delle quattro. Merda, questo significava che gli sarebbe toccato sorbirsi altre tre ore di quell'immondizia o andarsene nell'altra sala ad ascoltare i discorsi. Sospirò e si mise a gironzolare tra i tavoli, sforzandosi di non osservare troppo attentamente la mercanzia in vendita. Amy restava seduta ascoltando pazientemente tutto, lasciando che la musica, le preghiere, i discorsi e i sermoni le marchiassero l'anima già bruciata, lasciando che il loro odio alimentasse il suo. Ma alla fine non resistette più e dovette andare a prendere una boccata d'aria fresca. Uscì all'aperto e girò sul retro dell'edificio. Dietro lo spazio fieristico si aprivano gli appezzamenti coltivati. Qui, sotto il cielo nuvoloso, sulla staccionata di legno che divideva gli edifici da un campo irto di steli secchi di granturco, stava posato il Corvo. Non poteva essere altri che il suo Corvo: il vento che faceva frusciare l'avena non muoveva neppure le sue piume. La guardava fisso mentre lei gli si avvicinava cautamente, temendo che potesse volare via. Ma no, non si sarebbe mai spaventato, sembrava incapace di provare paura. E infatti rimase immobile finché li separarono solo pochi passi. «Chi sei?» bisbigliò Amy, e il Corvo non si mosse. «Chi ti ha mandato? Dio? Il diavolo? Chi ti ha dato il potere che dai a me?» Nessuna reazione. Amy sorrise. «'Profeta comunque, se uccello o demonio'. Ma quello di Poe era un corvo imperiale, no?» Lo fissò nelle nere profondità di quegli occhi di pietra. «Uccello o demonio», ripeté. «O forse uccello... e demonio.» Si toccò il petto e disse al Corvo le parole che un tempo aveva detto a Dio nelle sue preghiere: «Usami secondo la tua volontà». Il becco del Corvo si aprì lentamente, e Amy credette quasi di sentire una parola o l'inizio di un pensiero, quando improvvisamente qualcosa le
volò al di sopra della spalla sfiorando l'ala dell'uccello. Questi si levò in aria e in un arruffio di penne nere scomparve tra gli steli del campo. Amy voltò la testa di scatto e vide, a dieci metri di distanza, uno skinhead con un lungo giaccone militare. Aveva in mano un secondo sasso. «Pensavo che stesse per beccarti», disse con un sorriso che mise in mostra i suoi denti spezzati. «E non credo che quello sia il genere di becco che piace a una donna.» Amy non rispose, ma mantenne il viso inespressivo, con appena l'ombra di un sorriso per quell'idiota che si stava avvicinando. «Ho visto che te ne andavi», disse lo skinhead, gettandosi il sasso dietro la spalla. «Ho capito che ti andava di sgranchirti le gambe e ho pensato che ti poteva essere utile la compagnia di un giovane e forte maschio ariano.» Accennò con la testa al campo dove era sparito il Corvo. «La natura selvaggia può essere pericolosa.» «Le cose selvagge... mi piacciono», rispose Amy. «Me l'immaginavo. Non hai l'aria di tutte le altre pollastre che girano qua dentro, con tutta quella storia del Padreterno, che non la danno fino al matrimonio e cose del genere. Si direbbe che sei più il tipo che è qui per spassarsela.» «Che tipo di spasso?» chiese lei, appoggiandosi all'indietro alla staccionata nella posa più provocante che riuscì a immaginare. «Be', intanto fare il culo a negri e froci, che già è un bello spasso.» Rise quasi imbarazzato, sorprendendo Amy. «E poi c'è l'altro spasso, quello tipo Adamo ed Eva. C'è anche nella Bibbia. E anche nel Cantico dei Cantici. Il sesso, ti piace?» Amy annuì. «Mi piace. Ma, ragazzo mio, qui non ne troverai gran che, con tutti quei reverendi e le ragazze vestite di bianco abbottonate fino al collo.» «Proprio così. Però appena ti ho vista ho pensato, ecco una che ha l'aria di accettare il corpo che il Signore le ha dato e che sa come usarlo per divertirsi. Ho ragione?» Amy ne aveva abbastanza. «Insomma, vuoi passare la giornata a parlare o hai voglia di scopare?» Per un momento lo skinhead rimase a bocca aperta, poi riuscì a fare un sorriso che doveva ritenere da macho. «Scopare mi sembra una buona idea.» Amy accennò al campo. «Facciamolo lì dentro.» «Eh?» Il ragazzo appariva sorpreso. «È tutto bagnato... e freddo.»
«Ti riscaldo io. E con il freddo i capezzoli mi si fanno duri come pietre. Oltre tutto il granturco è secco, e possiamo stendere a terra gli steli. Come un bel materasso.» Si leccò le labbra. «Li voglio sentire crocchiare e frusciare mentre lo facciamo... se non hai paura della natura selvaggia...» Lui fece un grugnito che voleva essere una risata. «Cazzo, no.» Poi guardò verso il capannone. «Ma, sai, ho un furgone...» «Lascia perdere», disse Amy, avviandosi verso gli edifici. «Se non sei abbastanza uomo...» Si sentì afferrare per un braccio e con uno strattone si trovò a faccia a faccia con lui. Dovette trattenersi per non stenderlo subito: lì allo scoperto non andava bene, poteva arrivare qualcuno. E quel coglione era solo una piccola anticipazione rispetto al clou della giornata, solo un modo per sfogare un po' dell'odio che aveva accumulato contro quei mostri, per scaricare il senso di frustrazione impotente. «Ti faccio vedere io se sono uomo abbastanza. Andiamo.» Sempre tenendola per il braccio, la condusse alla staccionata e l'aiutò a scavalcarla; insieme si inoltrarono tra le piante alte più della loro testa. In breve furono fuori della visuale di chiunque potesse guardare dagli edifici. Il terreno era fangoso ma il freddo lo aveva indurito e seccato in più punti. Dopo una cinquantina di metri lo skinhead si fermò. «Fanculo 'sta stronzata del campo», disse, «e fanculo pure tu.» Scostò le falde del giaccone e si sbottonò la patta, tirando fuori il pene. «E adesso mettiti in ginocchio e datti da fare.» Amy guardò l'aggeggio raggrinzito che gli spuntava dalle dita, poi guardò l'uomo in faccia. «Sarà il freddo», chiese, «o normalmente è così?» Lo skinhead alzò il braccio per schiaffeggiarla, ma quando calò la mano se la trovò stretta come in una morsa d'acciaio. Il rumore delle ossa che si spezzettavano fu accompagnato da uno strillo acuto. Immediatamente lei lasciò la mano e gli sferrò un colpo con le palme aperte sulla bocca. L'urto lo scaraventò all'indietro, gettandolo a terra così pesantemente da schizzare fango tutt'intorno. Amy gli si accovacciò sullo stomaco, gli piazzò di nuovo le mani sulla bocca e schiacciò, spingendo la testa rapata nel terreno. Continuò a schiacciare e lentamente il fango gli coprì la nuca, le orecchie, ed era arrivato alle tempie quando Amy sentì alle sue spalle un frusciare del granturco. Guardò e dietro di lei c'era il Corvo che oscillava alla brezza, stretto con gli artigli a uno stelo. Ma le sue penne erano immobili. Amy tornò a guardare l'uomo disteso nel fango e vide lo sguardo di orro-
re con cui fissava il Corvo. «È cominciato tutto quando da bambino tiravi i sassi agli uccelli», gli disse. «E da allora hai continuato a farlo.» Con un'ultima spinta la testa andò completamente sotto il terreno e il fango si insinuò negli occhi e nelle narici; solo i polsi di Amy rimanevano al di sopra della superficie. Sotto di lei il corpo dello skinhead scalciava e sussultava, ma presto rimase immobile. E quando lei tolse le mani dal fango e si alzò, vide un rivolo di orina che scorreva penosamente dal pene ancora scoperto. Anche questo cessò in breve e l'uomo rimase lì disteso, con la testa sepolta e il corpo abbandonato sul terreno. «Un tempo per seminare e un tempo per mietere», disse Amy guardando il Corvo. Questo mandò un verso, ma Amy non vi colse alcun senso, se non forse un grido di trionfo con una sfumatura di rimpianto. Perché, si chiese, provare rimpianto? Rimpianto per ciò che forse un tempo era stato quel cadavere? O rimpianto per Amy, un tempo così piena di amore, e che oggi viveva solo per la vendetta? «Ma non ha importanza, no?» domandò Amy al Corvo, e l'uccello si alzò in volo, tornando verso la fiera. Sì, era ora di tornare lì dove c'era altro lavoro da fare. Si sentiva stanca, ma era una stanchezza dello spirito, non del fisico. Altro lavoro da fare. Molte vite da spegnere. Tanta strada ancora prima di poter trovare la pace nel riposo. 30 Dopo essersi tolta il fango dalle mani con l'acqua dì una fontanella sul retro dell'edificio principale, Amy decise di non tornare nella sala dei discorsi ma di aspettare nell'altro padiglione che cominciassero a esibirsi gli Shoktrup: secondo il programma avrebbero cominciato di li a mezz'ora. Appena entrata, vide Rick; era voltato di schiena ma lei poteva vederne il profilo. La sua reazione immediata fu di esultanza, e in quell'istante capì che era inutile nascondersi che lo amava ancora. Ma un attimo dopo si defilò dietro un pannello su cui uno dei venditori aveva esposto i berretti e le felpe della sua mercanzia. Da quel punto di osservazione represse l'impulso di correre da lui e lasciò che prendesse il sopravvento la logica del predatore, ponendosi le domande più immediate. Perché era lì? Sembrava quasi che la stesse seguendo. Stava seguendo una traccia che lo aveva condotto a Porter? O forse andava a tentoni, fiutando indizi?
Però Eau Claire era troppo fuori mano perché ci si capitasse per caso. Forse c'era qualcosa che voleva che loro due fossero insieme. Qualcosa che l'aveva mandato lì per aiutarla. Le sue fantasie la fecero quasi ridere. Come era cambiata! Cominciava a vedere significati cosmici in qualcosa che un tempo avrebbe accettato come semplice coincidenza, per quanto bizzarra. Ormai, dopo essere stata riportata in vita da un grande uccello nero, che cosa poteva più apparirle impossibile? Rimase seminascosta dietro il pannello, fingendo di interessarsi ai libri religiosi esposti sul banco accanto, finché vide che Rick si avviava verso il palco. Lo seguì con lo sguardo e vide che salutava un uomo con la testa rasata quasi a zero e un basso elettrico appeso al collo. Dalla fotografia che aveva visto sul sito di Internet Amy riconobbe subito Chip Porter. Rick non gli strinse la mano ma gli si avvicinò e disse qualcosa. Porter fece cenno di sì con la testa e sorrise, quindi disse qualche parola e indicò la parete oltre la quale si trovava il parcheggio. Rick aggiunse dell'altro, si voltò e si avviò lungo il corridoio verso di lei. Amy si abbassò, si infilò sotto il pannello e passò nell'altra corsia, aspettando che Rick fosse passato. Lo seguì fino alla porta d'ingresso; quando lo vide uscire contò fino a cento e andò fuori anche lei. Rick aveva già percorso un buon tratto della strada che portava verso Eau Claire. Amy scorse un insieme di edifici e di luci a un paio di chilometri di distanza, forse un complesso commerciale. Meglio così. Era contenta che se ne stesse andando. Quello che doveva fare voleva farlo da sola. Ma non poté fare a meno di chiedersi di che cosa avessero parlato Rick e Porter. La cosa se non altro indicava che non stava cercando alla cieca: in qualche modo aveva contattato uno o più dei Figli di una Libera America e si stava avvicinando, esattamente come lei. Sperava solo di arrivare prima di lui e di tenerlo lontano dal pericolo. Tornò dentro e si fermò dietro alla serie di file di sedie pieghevoli a disposizione del pubblico per riposarsi un po' e assistere alle esibizioni dei gruppi. Il contingente degli skinhead si era riunito quasi tutto lì per il numero degli Shoktrupz. Erano una cinquantina, e Amy era l'unica donna presente. Uno di loro la notò e si avvicinò. Amy si preparò a respingere un altro approccio, ma il ragazzo disse soltanto: «Senti, hai visto in giro il mio amico Pete?»
«Pete?» «Già. Ha detto che veniva fuori a parlare con te, già un po' di tempo fa.» Amy ridacchiò. «Sì, fuori c'è venuto, ma ho idea che se la sia presa per come gli ho risposto. Non gli va se uno lo sfotte, eh?» L'amico di Pete fece una faccia perplessa. «Be', no, direi di no. Ha detto dove andava?» «Solo qualcosa a proposito di granturco arrosto, non so, ti dice niente?» Lo skinhead scosse la testa. «Okay, grazie lo stesso. Senti, hai da fare più tardi?» Amy sorrise. «Veramente avrei già dei programmi, mi dispiace.» L'altro annuì e tornò al sicuro nel branco degli amici. Amy rivolse l'attenzione al palcoscenico. La band aveva quasi finito i suoi preparativi. Oltre al basso di Porter c'era una chitarra solista, una chitarra di accompagnamento e una batteria; sulla grancassa c'era dipinto il nome del gruppo con un fulmine che formava la Z finale. Originalissimo, pensò Amy. Uno dei chitarristi si avvicinò al microfono. «Siamo gli Shoktrupz!» annunciò, e il pubblico degli skinhead applaudì e ululò ripetendo il nome. «E speriamo che quello che sentirete vi piaccia. Se vi piace, votate per noi. Se no...» Fece una breve pausa. «Se no siete un branco di ebrei negri e froci!» Seguirono venti minuti della musica più insulsa che Amy avesse mai udito, una combinazione di garage band, punk e metal, con il peggio di ciascuno stile. Il linguaggio però era, sorprendentemente, abbastanza contenuto, non c'erano esplicite allusioni sessuali né parolacce o bestemmie. Ma c'erano numerosi riferimenti a negri, ebrei e froci, come ci si poteva aspettare dal discorso di presentazione. Il pubblico seguiva entusiasta, cantando in coro, scuotendo i pugni in aria, saltando su e giù, inizialmente senza badare alle pozzanghere di acqua piovana in cui piombavano a ogni salto e poi divertendosi un mondo per gli schizzi che sollevavano. Amy si fece strada fino al lato del palco e studiò l'attrezzatura del gruppo. Quel che vide le piacque e sperò che la popolarità dì cui la band mostrava di godere portasse gli Shoktrapz sul palco principale. A giudicare dall'entusiasmo con cui il pubblico degli skinhead si precipitò a imbucare le schede del loro voto alla fine dell'esibizione, era più che probabile che quella speranza non sarebbe andata delusa. Lo spoglio dei voti si sarebbe tenuto alle sei. Questo significava che aveva a disposizione un'ora e mezzo per dare un'occhiata al palco principale e procurarsi quello che le occorreva per rendere l'esibizione degli Shoktrupz qualcosa che non
si sarebbe dimenticato facilmente. Rick Carlisle, seduto a un tavolo appartato del Neptune Diner, guardava la strada dalla vetrina. Davanti a lui c'era un piatto di polpettone, puré di patate e mais che gli era costato quasi sei dollari e che stava divorando con voracità. Teneva d'occhio la strada, casomai scorgesse il furgone di Rip Withers o l'auto che usava Karl, anche se non aveva notato nessuno che lo seguisse, né in macchina né a piedi. Comunque, se uno dei due veicoli fosse spuntato nel parcheggio del Neptune, Rick intendeva alzarsi, lasciare pochi spiccioli sul tavolo e uscire. Se qualcuno glielo avesse chiesto, aveva preso una tazza di caffè, il massimo che potesse permettersi. Ma nessuno venne e nessuno gli chiese niente, e lui poté rilassarsi, godendosi il suo pranzo e osservando le poche auto di passaggio. Tra queste vide sfrecciare un'auto nera, bassa e dalla carrozzeria affusolata, un modello che non vedeva da anni. Un professore l'aveva usata come esempio in uno dei corsi di design di Rick. Cercò di ricordarne il nome, e finalmente gli venne: un'Avanti. Era sorprendente che ce ne fossero ancora in giro. Era uno stile che doveva risalire agli anni Sessanta. E così, quando un quarto d'ora dopo la vide ripassare, nell'altra direzione, la osservò meglio. Aveva avuto solo una frazione di secondo per guardare chi era al volante dell'auto sportiva, ma gli bastò per provare un brivido che lo scuoteva dalla testa ai piedi. Il profilo della donna che guidava l'auto apparteneva a Amy. Dapprima non credette ai suoi occhi, poi seppe con sicurezza che era lei, e poi di nuovo non ci credette. Non era Amy, non poteva essere. La voce alla radio, l'immagine alla finestra, la donna alla fiera delle armi... tutto ciò doveva avere una spiegazione razionale, non era possibile che sua moglie fosse tornata dall'aldilà. Doveva essere stato lui a proiettare ogni volta l'immagine di Amy, tanto forte era il suo desiderio di rivederla viva. Doveva essere così. Era più facile pensare che il cervello gli stesse giocando degli scherzi piuttosto che accettare l'idea che era risuscitata. Sorrise amaramente alla sua immagine riflessa nel vetro. Doveva stare attento a mantenere intatta la sua sanità mentale. Altrimenti avrebbe cominciato a vedere Amy dappertutto. 31
Mentre il pubblico cominciava a disporsi per ascoltare il discorso del dottor Gary Skelton e il concerto della sera, Rita White sentiva accanto la presenza del Signore: era così che diceva quando tutto andava per il meglio, e quella era certamente una di quelle giornate. L'affluenza era stata eccellente, la reazione straordinariamente positiva e tutti erano gentilissimi, anche quei ragazzi con la testa rasata. Rita era un po' delusa perché il loro complesso aveva vinto il concorso e avrebbe suonato nell'edificio principale subito dopo il discorso del dottor Skelton e prima del concerto dei Wild White West. D'altra parte avevano vinto, e avevano vinto in modo pulito. Al prossimo festival, pensò, forse sarebbe stato meglio usare una giuria. Chi sa come l'avrebbe presa, quella musica, il dottor Skelton: certo sarebbe stato meglio che avesse vinto uno di quei bei gruppi di gospel o di country. Ma la signora Skelton si affrettò a rassicurarla: «No, andrà benissimo. Come dice sempre mio marito, i tempi cambiano, e se non rimaniamo in contatto con i giovani, tra vent'anni saremo solo un branco di dinosauri di cui rideranno tutti. Ed è per questo che mi fa piacere sentire suonare questi bravi giovanotti». La signora Skelton guardò il pubblico. «E mi fa piacere anche che tanti genitori hanno portato i bambini. Non è mai troppo presto per imparare in che direzione il Signore vuole portarci.» «Ha ragione», convenne Rita. «Perfettamente ragione: bisogna insegnare per bene ai bambini finché sono ancora piccoli.» «E prima che il sistema del GOS allunghi le mani e insegni tutto l'opposto di ciò che è giusto.» «E ringraziamo il Signore», aggiunse Rita, «che quasi tutti i genitori che sono qui mandano i loro bambini in quelle ottime piccole scuole private che insegnano i principi della Confraternita Cristiana Bianca.» «Saranno i leader del futuro», disse la signora Skelton, con tanta fierezza che anche Rita si sentì orgogliosa. Sorrise e guardò il palco, dove Billy Joe stava armeggiando con il microfono, cercando di sistemarlo all'altezza giusta per la sua introduzione. Per fortuna lui e il dottor Skelton erano della stessa statura. Dietro Billy Joe la band degli skinhead si stava preparando per il loro numero. Apparivano eccitati e felici e Rita pensò che tutto sommato andava bene così, perché il loro cuore batteva nella direzione giusta e perché la signora Skelton diceva che erano ragazzi per bene. Guardò ancora verso la sala e fu felice di vedere quanto rapidamente si stesse riempiendo. Le sedie erano tutte occupate e la gente cominciava a
disporsi in piedi lungo i lati e in fondo. Sarebbe stato un gran bell'avvenimento, una vera celebrazione della fratellanza e della superiorità bianca. Dopo pochi minuti Billy Joe pronunciò al microfono qualche parola per ringraziare il pubblico e presentare il dottor Skelton, l'uomo che, secondo una battuta ampiamente sperimentata, «sarebbe stato capace con un suo discorso di convincere Martin Luther ad autolinciarsi. Anzi», e anche questo suscitò una calorosa risata del pubblico, «saprebbe convincere Bill Clinton a essere fedele a Hillary.» Senza dubbio, pensò con fierezza Rita, il suo uomo sapeva come prendere il pubblico. A questo punto prese il microfono il dottor Skelton e tenne un discorso magistrale seguito dal pubblico con un «amen!» quasi a ogni sua frase. Rita avrebbe messo l'anima nelle mani di quell'uomo. Parlò della città risplendente sulla collina, un'America cristiana tutta bianca e pura in cui tutti gli uomini sono fratelli, un paradiso in terra in preparazione del paradiso nei cieli, un paese governato dalle leggi date a Mosè dal Signore, in cui adulteri e omosessuali e streghe vengono lapidati. Quando ebbe finito, dopo aver invitato tutti i presenti a mantenere gagliarda la propria fede e a battersi per ciò che era giusto con ogni mezzo necessario, si sedette accanto alla moglie tra gli applausi scroscianti di un'ovazione che durò cinque minuti, durante i quali si alzò a ringraziare diverse volte. Quando gli Shoktrupz si impadronirono del palco lo fecero con l'impeto di nuovi Hitler che invadono la Polonia. Una serie di accordi assordanti fece tremare le pareti e il tetto del capannone, e Chip Porter sentì che gli si faceva duro all'idea di suonare davanti a tanta gente. Gli spettatori dovevano essere quasi millecinquecento. Alle prime note gli skinhead del pubblico si accalcarono nella zona immediatamente sottostante il palco, alcuni trascinandosi dietro le ragazze che avevano conosciuto durante la giornata, trasformando in un mare di teste rasate ondeggianti ritmicamente i pochi metri che dividevano il palcoscenico dalla prima fila delle sedie. Billy attaccò a cantare il primo pezzo, «Marinai su un mare di sangue», con un'intensità che Chip non gli aveva mai sentito. Era la voce di un angelo sceso dal cielo, un angelo incazzato e armato di spada, pronto a uccidere. La batteria di Kurt rimbombava e crepitava, mandava fiamme e cannonate, e la chitarra solista di Sandy diceva tutto ciò che le parole non potevano esprimere.
Chip si sentiva rinato. Non avevano mai avuto un pubblico migliore. Anche i vecchi sembravano presi dalla loro musica. Diavolo, anche loro erano quasi tutti in piedi: tutta la dannata sala in piedi per loro. I ragazzini accorrevano al palco spingendo per farsi strada e gli skinhead li lasciavano passare, qualcuno lo avevano preso sulle spalle e da lassù, aggrappati ai crani pelati, avevano la visuale migliore di tutta la sala. Anche le ragazze erano su di giri: per Chip ci sarebbe stata una buona scelta. In realtà quella che aveva adocchiata era una più matura, vestita di nero o di blu scuro, che aveva già assistito al loro primo numero alle quattro. Si stava facendo strada in mezzo alla folla, sgusciando verso il lato del palco, probabilmente perché voleva trovarsi lì quando loro avessero finito. Proprio niente male, con quel trucco marcato che la faceva apparire perfino un po' pericolosa. Smise di guardarla, riportando l'attenzione sulla musica. Era fantastico, forse l'inizio di tutta una nuova storia per lui e i ragazzi. Sì, forse i Figli dovevano passare in secondo piano rispetto agli Shoktrupz. Sarebbe rimasto fino al big bang imminente, ma dopo, be', forse si sarebbe messo in strada con Kurt, Billy e Sandy, magari per L.A., a vedere che cosa sarebbe accaduto. Che diavolo, uno lavora per la causa nel modo migliore che può; perché doveva starsene seduto a trafficare con i computer per Rip Withers quando era capace di scatenare il pubblico e di richiamare centinaia, migliaia e forse un giorno addirittura milioni di ragazzi nel campo del potere bianco? Chip chiuse gli occhi e lasciò che la musica lo prendesse, trascinandolo nel vortice dei suoi sogni. Dio mio, pensò Rita, cercando di guardare al di sopra delle teste dei ragazzi. Stavano cominciando a scaldarsi un po' troppo, saltando su e giù nelle pozzanghere davanti al palco, tanto da schizzare l'acqua piovana sulle sue calze e, quel che è peggio, sul dottor Skelton e signora. Rivolse alla signora Skelton uno sguardo mortificato, come per scusarsi, ma lei le rispose con un sorriso di sopportazione, alzando appena gli occhi al cielo. Il dottor Skelton guardava benignamente il palco e teneva il tempo con la testa. Bìlly Joe, accanto a Rita, avvicinò la bocca al suo orecchio e gridò, al di sopra del frastuono: «Questi ragazzi sono in gamba... Ottimi testi, ottimi testi...» Il gruppo doveva essere al quarto o quinto pezzo, e Rita lanciò un'occhiata all'orologio per vedere quanto tempo ancora dovevano andare avan-
ti. Sperò che tutti quei giovanotti là davanti si sedessero quando i Wild White West avessero cominciato a suonare: era prevista un'esibizione di un'ora, e Rita sapeva che non poteva stare in piedi per tutto quel tempo, soprattutto con quei ragazzi sudati tutt'intorno. La band finì la canzone e Rita pensò che magari adesso l'avrebbero smessa, e invece ne attaccarono un'altra. Il ragazzo al basso e il cantante solista si riavvicinarono ai microfoni e si misero a cantare seguendo quella che probabilmente ritenevano un'armonia. Il testo parlava di un certo fuoco in un certo buco, qualunque cosa questo significasse, e due dei ragazzi continuavano a scandire: «Fuoco, fuoco, fuoco, fuoco» all'infinito, mentre il solista eseguiva la strofa. Probabilmente si riferivano all'inferno, ma Rita non ne era sicura. Poi, d'un tratto, ci fu un lampo dietro il palco, dieci volte più abbagliante che se qualcuno avesse fatto una foto con il flash, e gli altoparlanti fischiarono per un secondo e poi, dopo uno schiocco fragoroso, rimasero senza vita. E anche gli Shoktrupz. Si sentì un forte odore di ozono e i tre ragazzi in primo piano si misero a tremare. Gli occhi gli si rivoltarono nelle orbite e gli strumenti gli caddero di mano, restandogli appesi al collo. Poi dai loro abiti cominciò a levarsi fumo, e i capelli lunghi del chitarrista improvvisamente presero fuoco. Rita fece per urlare ma si accorse che non le era possibile, che un'intensa vibrazione le stava salendo attraverso il corpo impedendoglielo. Sentiva la vibrazione nel cuore, come se le battesse incredibilmente più forte che mai, come se vibrasse anche lui, e lei non potesse far nulla per rallentarlo, nulla se non rimanere immobile sentendo il sudore che le bagnava tutto il corpo. E poi Rita sentì i muscoli del cuore che entravano in fibrillazione e, prima ancora di capire che cosa stesse succedendo, era morta. Quando il suo corpo si accasciò al suolo la corrente continuò ad attraversarlo, più forte ora che la carne di Rita era a contatto diretto con l'acqua raccolta sul pavimento. Billy Joe rimase in piedi accanto a lei un po' più a lungo, ma poi le cadde addosso senza neppure accorgersene. Gli Skelton li seguirono e così quasi tutti quelli che si trovavano in piedi davanti al palco o seduti nelle prime file. Altri, più indietro, sentirono il tremito della scossa ma erano abbastanza lontani per poter fuggire. Tra le poltroncine rovesciate, i più lenti e deboli
furono spinti via e travolti dai più forti. Ma gli skinhead, i bambini sulle loro spalle, le ragazze che ballavano e ridevano, i più anziani che in piedi guardavano al di sopra delle teste di quelli delle prime file, quelli ancora seduti sulle sedioline metalliche, tutti i loro cuori ebbero un sussulto, esitarono, si arrestarono. Che cosa ho fatto? pensò Amy. Che diavolo ho fatto? Aveva voluto uccidere Chip Porter, certo, e non sarebbe stata una grande perdita se fossero morti anche gli altri membri di quella banda infernale. E così si era procurata in un negozio non lontano un rotolo di filo di rame e una tronchesina. Poi, mentre tutti guardavano lo spettacolo, aveva sistemato le cose, staccando le prese di terra dagli amplificatori e collegando tutti gli strumenti elettrici in un nodo mortale. La scossa l'aveva quasi mandata lunga distesa a terra. Si era subito trascinata verso la parete e immediatamente aveva sentito il pavimento di cemento mettersi a vibrare per l'elettricità. La musica sul palco era cessata, rimpiazzata dalle urla e dal rumore delle sedie metalliche che si rovesciavano a terra. Allora, con orrore, Amy si era resa conto che l'elettricità non si era fermata sul palco. Il pavimento, umido dappertutto e con diverse pozzanghere, stava funzionando come la spugna bagnata che il boia pone sulla testa rasata del condannato a morte seduto sulla sedia elettrica. La corrente si stava propagando in un reticolo di morte. Sul palco, Amy poteva vedere i componenti della band caduti che continuavano a sobbalzare per la corrente elettrica. Dai loro corpi saliva del fumo e le fiammelle guizzavano ancora tra i capelli rimasti sul cranio del chitarrista. E davanti a loro, nella sala affollata c'erano cumuli di corpi a terra e qualcuno ancora in piedi, tutti percorsi dal brivido mortale che attraversava la loro carne. Amy corse ai fili di rame e li afferrò senza badare alla corrente che l'aggrediva cercando invano di mettere in fibrillazione il suo cuore già morto. L'elettricità cercava di respingerla ma lei resistette, sciogliendo con le mani scosse dal tremito il nodo di rame, districandolo con uno strattone. L'elettricità che aveva letteralmente riempito la sala cessò e rimase solo uno spettro di ozono, ad accogliere nell'aldilà tutti quei fantasmi appena creati. Allora Amy uscì dal retro del palco e guardò quello che aveva fatto.
Tornando dal pranzo, Rick Carlisle vide decine di persone che uscivano di corsa dall'edificio principale della fiera. Qualcuno urlava di collera, altri di paura. Raggiunse correndo anche lui la porta, sperando che qualunque cosa fosse successo là dentro non vi fosse coinvolto il bassista che doveva portarlo dai Figli di una Libera America. Ma subito, da quelli che fuggivano, apprese che il suo contatto era morto. Continuò a farsi largo tra la folla finché riuscì a entrare nella sala, che trovò in preda al panico e alla confusione. Il pericolo, però, sembrava passato. C'erano decine di morti, tra le sedie rovesciate e le pozze d'acqua. Vide gli Shoktrupz che giacevano inerti sul palco, con i volti congelati nella smorfia della morte, gli occhi spalancati, le labbra tirate indietro come in un ghigno. La nausea che lo assalì si fece più acuta quando vide le sagome più piccole di alcuni bambini, ma si spinse ugualmente verso di loro nella speranza di poter fare qualcosa. Una donna stringeva tra le braccia una bambina, con la testa china, come cercando di ridarle il respiro. Sembrava che stesse piangendo, e anche prima che alzasse verso di lui gli occhi asciutti, seppe chi era. «Amy», disse. Se era in grado di fare così tanto, se era così forte, così potente, così invulnerabile, perché non riusciva a riportare in vita quell'esserino? Sentì le lacrime che cominciavano a formarsi, ma senza poter uscire; allora sentì qualcuno che la chiamava per nome e alzò lo sguardo: Rick. Appariva sorpreso di vederla, ma non stupefatto o sconvolto o terrorizzato. E, cosa che le parve la più incredibile, non le chiese che cosa facesse lì o perché fosse viva. Le domandò, molto semplicemente: «Che cosa è successo?» Ma prima che Amy potesse rispondergli, una giovane donna si fece strada tra la gente che era ancora dentro. In evidente stato di choc, fissò Amy e la bambina, poi si inginocchiò e tese le braccia. Amy vi depose la piccola e la donna, con il volto inondato di lacrime, strinse a sé la figlia sotto lo sguardo di Rick e Amy. Quindi si alzò e si avviò barcollando verso il suo nero futuro. Amy guardò Rick, che la stava fissando. Le si accostò di un passo e fece per allungare una mano verso di lei, ma lei indietreggiò. «No», disse. «Non farlo.» «Che cos'è questo?» Rick parlava come in sogno. «Che cosa sta succe-
dendo?» «Sto ammazzando dei bambini», rispose lei sottovoce, prima ancora di accorgersi di aver formulato la frase. «Oh, Rick...» Le sue parole fluivano come in una preghiera: «Sto ammazzando dei bambini». 32 Sentirono le sirene appena usciti dall'edificio. Ambulanze, camion dei pompieri, auto della polizia accorrevano verso la fiera come mosche su una lepre rimasta schiacciata sull'asfalto. I vigili del fuoco furono i primi a entrare, poi subito chiamarono il personale sanitario, che entrò di corsa con le barelle. Qualcuno staccò la corrente dall'intero edificio. Rick e Amy si allontanarono dal capannone verso il parcheggio, e salirono sulla Avanti. «Ti avevo vista su quest'auto», disse Rick. «E ti ho vista alla fiera delle armi. Ed eri tu davanti alla mia finestra, vero?» «Sì, ero io», rispose Amy guardando fuori dal parabrezza. «Come... come hai fatto a sopravvivere?» Lei attese un attimo prima di rispondere. «Non sono sopravvìssuta.» Per qualche motivo non si sentì sorpreso dalla risposta. Evidentemente lo sapeva già. E allora Amy gli raccontò tutto. Gli disse del Corvo e di David Levinson e di suo zio Abraham, di Wilson Barnes e degli altri, di quelli che aveva ucciso. «Chip Porter», mormorò Rick quando lei ebbe finito. «Avrebbe dovuto portarmi dai Figli di una Libera America. Credono che sia dei loro, che la pensi come loro e che voglia entrare nell'organizzazione. Ci sono arrivato in parte per caso. Ieri durante la sparatoria mi è capitato di salvare la vita al figlio del loro capo.» «Come si chiama?» volle sapere Amy. «Burns? Withers?» «Withers. Burns non lo conosco. Il padre del ragazzo è Rip Withers.» «Sai dove sono?» Rick ebbe la sensazione di essere sbattuto contro la portiera dalla forza della domanda; sentì che non avrebbe avuto esitazione a passare sul suo cadavere pur di mettere le mani su quella gente. «No. Mi ci avrebbe portato Porter.» «Maledizione! Se solo lo avessi saputo...» Rimasero in silenzio, mentre fuori la gente continuava a fuggire e a urlare. A Rick sembrava tutto così irreale, come se loro due si trovassero su u-
n'isola tranquilla nel mezzo di un terribile uragano. «Amy», mormorò infine. «Non so cosa dire... Non mi sarei mai aspettato di vederti ancora. Io... Nancy e io, ci...» «Lo so. Non importa. Sono contenta. Non avrei voluto che rimanessi solo.» «Ma tu ora sei qui... Sei tornata e io...» «No. Non sono tornata, Rick. Non per sempre. Sono qui per fare quello per cui sono tornata.» «E cioè?» «Fargliela pagare... Rimettere le cose a posto... Ma non lo so, non lo so...» Rick capiva benissimo quello che intendeva dire. Quello che era accaduto quella sera era sbagliato, profondamente sbagliato. «Mi dispiace, Amy. Mi dispiace per... per tutto. Quello che è successo a te, a te e ai bambini, e questa sera...» Scosse la testa. Le parole non riuscivano a trasmettere quel che sentiva, quello che avrebbe voluto dire. Forse era meglio parlare del compito che si erano dati. «Hanno un rifugio da qualche parte, ne sono sicuro, un accampamento, una sede, qualcosa del genere. E sono molti. Porter mi ci avrebbe condotto, ma forse riuscirò ad arrivarci ugualmente. E tu potrai seguirmi.» «Come?» «Sanno che sono qui e presto verranno a sapere dell'... incidente. Forse manderanno qualcun altro a prendermi. Ora, Withers ha detto che Porter aveva qui un furgoncino, con cui mi avrebbe portato da loro, probabilmente quello che usano per l'attrezzatura, per cui potrebbero venire a ritirarlo. Potrei semplicemente... aspettare, rimanere dalle parti del parcheggio. E quando verranno a prendermi tu potrai seguirci.» Lo guardò a lungo prima di rispondere. «Perché fai questo? Perché ti sei messo sulle loro tracce?» «Per lo stesso motivo per cui lo fai tu, immagino. Per poter riposare. E ora ho una ragione in più: perché voglio che anche tu possa riposare in pace, Amy.» La voce gli tremò e sentì gli occhi riempirsi di lacrime. «Oh, Dio, ti amo. Non ho mai smesso di amarti. E se non puoi tornare con me, se non puoi restare, voglio che tu sia felice e in pace.» «Non so se potrò mai esserlo, Rick, o se... mi spegnerò semplicemente come una candela quando tutto questo sarà finito. Ma sappi che anch'io ti amo. Ti amerò sempre, qualunque cosa sia di me, perché credo che l'amore non può mai morire davvero.»
Allora lui le prese la mano e lei non la ritrasse. Ma era fredda, come se il sangue non vi circolasse. «Cerchiamo il furgone», gli disse. Il veicolo era parcheggiato vicino al fabbricato. Lo riconobbero dall'adesivo con il nome del gruppo sul paraurti. «Tu aspetta qui», disse Amy. «Io ti terrò d'occhio dalla mia auto. Potrebbe volerci del tempo. Promettimi una cosa. Quando mi avrai condotta lì, potrei non entrare subito in azione. Non so che cosa mi servirà. E se l'alba è troppo vicina, non arriverò prima della sera dopo. Voglio che ci sia il buio. Ma quando... succederà qualcosa che ti farà capire che sono arrivata, voglio che tu ti tenga alla larga. Nasconditi da qualche parte, mettiti al sicuro, non cercare più di aiutarmi. Ricordati, Rick, non possono farmi niente. Mi hanno già fatto abbastanza. E quando sarà finita, fila via. Non dire a nessuno che cosa è successo. Nessuno ti crederebbe, nemmeno Nancy. «E, infine, prenditi cura di lei e di Karin. Me lo prometti?» Rick annuì. «Prometto.» Lei lo guardò ancora per un momento, poi si girò e si incamminò verso la macchina. Lui la seguì con lo sguardo; avrebbe voluto raggiungerla di corsa, abbracciarla, portarla via di lì, andare via con lei in qualche luogo caldo e pieno di sole e farla vivere, ridarle la vita con il suo amore. In un mondo in cui i morti possono risuscitare, come poteva essere impossibile una cosa così semplice? Eppure lo era. Lo sapeva con certezza, con la stessa certezza con cui sapeva che quella cosa sarebbe finita nel sangue. Ace Ludwig era al volante della Chevrolet nera diretto verso Eau Claire mentre Ray Withers continuava a passare da una stazione all'altra della radio alla ricerca di aggiornamenti su quanto era successo alla festa della Confraternita dei Cristiani Bianchi. Quando erano arrivate le prime notizie Ace aveva creduto che Rip perdesse completamente la testa. «È ancora quella troia!» aveva urlato. «Quella fottuta agente del governo! Questa volta stavano dietro a Chip... cazzo! Quei bastardi!» Le poche notizie iniziali erano bastate a Rip per arrivare a quella conclusione. Aveva ordinato ad Ace e Ray di correre immediatamente alla fiera a vedere se Chip era ancora vivo. In caso contrario, avrebbero dovuto riportare indietro il furgone e cercare quel Guy Adams. «Se qualcuno vi segue, seminatelo e fatemelo sapere. E una volta preso Adams, non perdetelo d'occhio.»
«Non ti fidi di lui?» «Non è necessariamente lui che mi preoccupa. Fate come vi ho detto.» E così lui e Ray erano partiti. Le notizie alla radio arrivavano a singhiozzo, ma al momento in cui raggiungevano la fiera sapevano che un gruppo chiamato Shoktrupz si stava esibendo quando un guasto all'impianto di amplificazione aveva provocato la morte di decine di spettatori. L'ultimo notiziario specificava che tutti i componenti della band erano rimasti uccisi. L'area della fiera era un caos totale. Sembrava che fossero sbarcati i marziani, tra i mezzi delle televisioni con le loro antenne e le luci rosse, e i lampeggianti dei camion dei pompieri e delle auto della polizia. Ace non aveva mai visto una simile quantità di poliziotti tutti insieme e non desiderava vederne mai più. Lasciò l'auto lungo la strada e lui e Ray si avviarono a piedi nel parcheggio. Ace trovò quasi subito il furgone parcheggiato dietro l'edificio principale. Seduto a terra, appoggiato con le spalle alla portiera, c'era un uomo che dormiva. Dalla descrizione di Rip poteva essere l'Adams che stavano cercando. «Ehi», disse Ace, toccandolo con la punta del piede. L'uomo aprì gli occhi e con aria insonnolita si leccò le labbra. «Come ti chiami?» «Guy... Guy Adams. Voi chi siete?» «Siamo qui al posto dell'uomo che avresti dovuto incontrare. Sai chi era?» «Sì. Chip Porter.» Adams si alzò in piedi. «È uno dei morti?» chiese, accennando con la testa all'edificio. «Sembrerebbe.» «E allora... mi portate voi dal signor Withers?» «Dal colonnello Withers», lo corresse Ray. Ace lo zittì con un gesto della mano. «Può darsi. Hai visto che cosa è successo là dentro?» Adams scosse la testa. «Ero fuori a prendere un po' d'aria. Un gruppo troppo rumoroso per me.» «Non più.» Ace lanciò un mazzo di chiavi a Ray. «Ray, riporta tu indietro il furgone. Forza, puoi muoverti.» Ray salì sul mezzo e lo portò sulla strada, diretto verso la 94. Ace fece cenno ad Adams di seguirlo e insieme uscirono dal parcheggio verso la strada dove era ferma la Chevrolet di Ace.
33 Quando l'alba cominciava a toccare il margine del cielo a oriente, il Corvo si posò. Attraverso tortuose strade secondarie che passavano in mezzo ai boschi, erano appena spuntati in cima a una collina quando l'uccello discese dal suo osservatorio volante e si appollaiò sul ramo secco di una quercia. Alla destra di Amy una strada di terra battuta, grande appena perché vi passasse un'auto alla volta, si immergeva nella foresta. Visto che il Corvo non procedeva lungo la stradina, Amy fermò l'auto tra gli alberi, in un punto in cui non era visibile, e ne scese. La luce cresceva di minuto in minuto, e lei non aveva niente con sé: quella sarebbe stata solo una spedizione di ricognizione, per assicurarsi che quello era il posto giusto, per fare una stima della forza che si trovava in fondo allo sterrato e per vedere di che cosa potesse aver bisogno per combatterla. Si avviò a piccola corsa lungo la strada, preceduta dal Corvo. Dopo un quarto d'ora si trovò davanti a un cartello che annunciava il CAMPO DI CACCIA DELLA QUERCIA BIANCA e tirò dritto, considerando che quello sarebbe stato il terreno ideale per un gruppo paramilitare. Sbucando da una curva vide davanti a sé lampeggiare qualcosa di metallico. Immediatamente uscì dal sentiero e proseguì la sua corsa in mezzo alle piante. Così avanzava più lentamente ma era sicura di non essere vista da eventuali sentinelle. Infine individuò a una certa distanza una rete metallica, alta tre metri e sormontata da filo spinato. Qualunque cosa fosse, quel posto non era certamente una riserva di caccia. Restando nascosta tra i cespugli, Amy si diresse verso sinistra seguendo il perimetro del complesso. A giudicare dall'andamento quasi rettilineo del reticolato, quel posto doveva essere enorme, e solo circondarlo di rete e filo spinato doveva essere costato migliaia di dollari. Dopo un lungo tratto, non avendo scoperto l'ingresso, tornò indietro e finalmente lo trovò alla fine della stradina in terra battuta. Anche il cancello era stretto come il sentiero e protetto da grossi alberi dai due lati. Dal punto in cui si trovava poteva vedere le costruzioni, e con sollievo individuò tra i numerosi veicoli parcheggiati la Chevrolet nera su cui Rick era stato portato via e il furgone che aveva preso l'altro. Il Corvo l'aveva guidata bene. Gli edifici, in un'ampia radura, erano strutture di tipo militare dipinte di un colore grigioverde che ben si fondeva nella vegetazione.
C'erano tre grandi costruzioni e diverse baracche di dimensioni minori. Dietro la zona disboscata, seminascosto dagli alberi, c'era un fabbricato circolare parzialmente interrato, come un bunker. Sulla destra c'era un poligono di tiro, con una serie di bersagli a un'estremità e delle panche dall'altra. Accanto al cancello si alzava una torre di sei metri, a cui si accedeva con una scala a pioli. Era molto meno alta degli alberi che la circondavano, ma da quell'altezza era facile tenere sotto tiro chi, a piedi o in auto, si avvicinasse all'ingresso. Sulla torretta c'era un uomo di guardia. Scrutava tra gli alberi, ma Amy sapeva che non avrebbe potuto individuare la sua forma scura nel fitto del sottobosco. Il rischio era che udisse i suoi passi sulle foglie secche e così avanzò con cautela, cercando di mettere i piedi sul terreno nudo o sul muschio. Nel campo non si vedeva anima viva e Amy decise di aspettare finché si fossero svegliati, per vedere quanti erano. Un'ora dopo l'alba cominciarono a uscire da uno degli edifici più grandi dirigendosi verso un'altra costruzione, probabilmente la mensa. Ne contò ventiquattro prima di vedere Rick apparire con l'uomo che l'aveva condotto lì. Con loro c'erano altre due persone, un ragazzo non ancora ventenne e un uomo di più di quaranta, il cui comportamento fece capire ad Amy che era un capo, se non proprio il capo. Dovette resistere all'impulso furibondo di scavalcare subito la rete e attaccarli a mani nude. Erano troppi, e l'avrebbero sopraffatta e ridotta all'impotenza prima che riuscisse a eliminarne più di tre o quattro. No, sarebbe ritornata di notte, li avrebbe sorpresi nel buio, quello stesso buio che nascondeva loro e i loro crimini. Sarebbe arrivata armata di una tale potenza di fuoco da farli fuori tutti. Questa volta tra le vittime non ci sarebbero stati spettatori innocenti. E una volta finito, lei avrebbe potuto trovare riposo. Lei e tutti i suoi bambini. Ma ora era il momento di agire, smettere di pensarci. Arretrò con circospezione dal reticolato finché fu dove nessuno poteva più vederla o sentirla, e allora si rimise a correre verso l'auto, fiancheggiando il sentiero di terra battuta. Erano le nove quando arrivò a casa di David Levinson. Lui era seduto sul divano del soggiorno, in vestaglia. Sul tavolino davanti a lui c'era una bottiglia di scotch quasi vuota e aveva in mano un bicchiere che aveva sul fondo dei cubetti di ghiaccio quasi completamente sciolti. Alzò su di lei un
paio di occhi gonfi e si versò un altro whisky. «Bel lavoro», disse. La sua voce era bassa ma si avvertiva la tensione. «È opera tua, vero, quella faccenda a Eau Claire?» Lei sostenne lo sguardo e annuì. «Opera mia.» «Bene.» Emise un profondo respiro e si lasciò andare contro la spalliera del divano. Accennò al tavolino. «Versati da bere. Te lo sei meritato.» Bevve un sorso e sorrise. «Diciannove persone morte, Amy. Quattro erano bambini. Più che alla fiera delle armi, e il più bello è che sono tutti tuoi, non hai avuto bisogno dell'aiuto del fuoco amico.» Lei non disse nulla e continuò a fissarlo. «E devo dirti che sono orgoglioso di esservi coinvolto. Dare aiuto e conforto a... come si dice, uno che ammazza i bambini? Sono un poliziotto, dovrei saperlo...» «Sei ubriaco.» «Sissignore, temo di sì. Ma non abbastanza, perché sono ancora incazzato. Se lo fossi abbastanza non sentirei l'incazzatura. E lo sai con chi sono incazzato?» «Con me.» «Già.» Fece una smorfia a metà tra un sorriso e un ghigno. «Perché non te ne frega niente di chi ci va di mezzo, vero?» «Vai al diavolo, David. Tu quella gente non l'hai vista, io sì. Erano mostri, dal primo all'ultimo, e stavano trasformando in mostri anche i loro figli. Ancora dieci anni e sarebbero stati pronti a mandarti al rogo perché sei ebreo!» «E come diavolo fai tu a prevedere il futuro? Sì, forse sarebbe stato così, ma forse no! Forse avrebbero incontrato un insegnante, o un predicatore, o magari un ebreo, che li avrebbe messi sulla strada giusta! Cristo, Amy, non erano predestinati! Sette anni, otto, Cristo santo! Tu avevi da combattere la tua battaglia, non quelle che potrebbero, forse, avvenire tra dieci anni...» «Ti ripeto, erano tutti, tutti quanti, pazzi, squilibrati. Quei bambini erano... precondizionati, David. Sarebbero diventati esattamente come gli adulti che erano lì.» «E con questo?» urlò quasi Levinson. «Amy, qui siamo in America, qui hai il diritto di diventare un totale stronzo razzista. Tu hai la tua battaglia da combattere. Non far finta di prendere le parti di qualcun altro. Qualcuno ha fatto del male a te, ai tuoi bambini: vendicati con loro. Ammazzali, fagliela pagare. Ma non puoi ammazzare chiunque è d'accordo con loro. E non puoi scaricarti la coscienza dicendo che grazie a quello che hai fatto ci
sarà una battaglia in meno da combattere domani.» Sorrise amaramente. «Per come la vedo io, hai regalato a tutti i fottuti rozzi estremisti della destra di questo paese tutto un bel panteon di martiri. Con questi qui ci affrescheranno i soffitti delle chiese!» Amy non riuscì più a sostenere il suo sguardo. «Non volevo che questo accadesse», disse sottovoce nel silenzio sceso tra loro. «Intendevo uccidere quelli sul palco e basta.» «Questo mi consola un poco. Non moltissimo, Amy, appena un poco. Ma non credo che faccia troppa differenza per i parenti delle vittime.» Scosse la testa come cercando di snebbiarsela. «Quando ero a Detroit», riprese più lentamente, «ho guardato troppo a lungo nell'abisso dell'orrore. È per questo che sono venuto qui. Volevo che le cose andassero meglio. Volevo vivere in una perfetta piccola città con una moglie perfetta in un matrimonio perfetto.» Chiuse gli occhi. «E ora sembra che quel vecchio abisso si stia spalancando di nuovo. Chiudilo, Amy. Fa' quello che devi e chiudilo per sempre. Basta morti innocenti, basta angeli portati prematuramente dalla terra in cielo.» Riaprì gli occhi e la guardò. «Giuramelo. Giuralo sulle loro anime.» Amy si inginocchiò accanto a lui e posò una mano sopra la sua, sforzandosi di ignorare il piccolo brivido che lo percorse al contatto. «Te lo giuro. Sulle loro anime. Non moriranno altri innocenti. Sulle loro anime.» Si rialzò, arrivò alla parete di fronte e si voltò. «Ora li ho trovati, David. So dove sono. Tutti insieme. Tornerò lì e metterò fine a tutto questo. Lo sai che niente può fermarmi: perché non mi aiuti?» Levinson sospirò. «Prima di prendere la decisione, sarà meglio bere un po' di caffè.» Quando ebbe preparato la caffettiera, mentre lei era seduta al tavolo, si diresse alla porta che dava nel garage, l'aprì e accese la luce. «C'è un bel po' di fango sulla macchina.» «Pioveva.» Fece un giro intorno all'auto e tornò in cucina. «Non ci sono graffi. Grazie.» «Prego. Cercherò di averne cura in quest'ultimo viaggio.» «Potresti portarmi con te, così io la riporterei indietro sana e salva.» Lei sorrise. «No, non credo proprio. Ti manderò per posta un biglietto per farti sapere dove trovarla.» Prese alcuni fogli e una penna da un cassetto e glieli porse. Quindi prese una busta e l'affrancò. «Se la imposti oggi, domani la riceverò. Ce la fa-
rai?» «Entro domani sarà tutto finito.» Mentre lui beveva il caffè, lei scrisse le indicazioni per raggiungere la strada che portava al complesso e descrisse il folto di alberi dove contava di lasciare l'auto. Aggiunse delle parole di ringraziamento prima di firmarla, poi piegò il foglio, lo imbustò, vi scrisse l'indirizzo e mise la lettera in tasca. «Se intendi aiutarmi», disse poi, «darmi una mano a finirla in fretta, mi serviranno alcune cose.» «Per esempio?» «Munizioni. Le armi sono nel tuo scantinato. Ho un Weaver Nighthawk, nove millimetri, e una Cobray M11/Nove. Un paio di centinaia di pallottole per ciascuno dovrebbero bastare. Poi mi serviranno degli indumenti mimetici. Scuri. E aderenti: non voglio rimanere impigliata nella vegetazione. Non importa che tengano caldo: il freddo non lo sento comunque. E anche pittura mimetica per la pelle.» Rifletté un attimo. «Portami anche del bianco. Un tubetto piccolo di bianco.» «Altro?» chiese lui prendendo appunti. «Sì. Una tronchese pesante.» «Quella ce l'ho. L'altra roba dovrò procurarmela. Mentre io sono a far spese, tu risparmia le forze. Ne avrai bisogno.» «Sì, lo so.» Amy scese nello scantinato, non perché avesse bisogno di sapere altro attraverso il computer o i fascicoli di Levinson, ma per trovare il buio. Le sembrava la condizione giusta per lei. Tutto sarebbe accaduto nell'oscurità, quella notte. Rimase a lungo seduta al buio, cercando la calma, la pace, qualcosa su cui concentrarsi e qualcosa che le desse la spinta, un nocciolo di acciaio che la sostenesse e la rafforzasse quando fosse sceso il buio. Pensò prima di tutto ai bambini, ai loro visi sorridenti che non avrebbero mai più sorriso, alle risate che nessuno avrebbe più sentito, alle vite che non sarebbero mai state vissute. Pensò a Judy Croft, alla gioia che le dava la presenza dei bambini, alla sua pazienza, l'allegria e la comprensione, tutto cancellato in un attimo. Pensò alla propria vita, al suo amore, Rick, che stava rischiando tutto per portarla dagli assassini. Pregò che sopravvivesse e tornasse alla sua nuova famiglia. La preghiera le si formò spontanea, ma quando cercò di focalizzarsi sulla divinità in cui aveva sempre creduto, quando cercò di raffigurarsela,
l'immagine tradizionale del Dio cristiano sembrò alterarsi nel suo pensiero, cominciò a farsi sempre più scura e più indistinta, fondendosi quindi con una figura nera, finché davanti agli occhi della mente vide il Corvo, assiso come una statua antica, molto più grande delle sue attuali dimensioni, che la fissava con i suoi occhi d'ebano. E quello che lesse in quegli occhi era indifferenza. Neri, privi di emozioni, brillanti della luce riflessa e nienf altro. Ma com'era possibile? Quella creatura, dio, demone o incarnazione che fosse, l'aveva riportata indietro dal regno dei morti. Perché l'avrebbe fatto se la sua stessa ragion d'essere era quell'indifferenza cosmica? No, l'aveva riportata indietro per qualche altra emozione. Se non per amore di lei, come si era sempre aspettata da Dio, forse per rispetto del suo amore e per come quell'amore era stato tradito da quelli che avevano ucciso lei e i suoi bambini. E l'aveva riportata indietro perché potesse riparare il torto. Ma era mai possibile che Dio volesse altri morti, che morissero degli innocenti, dei bambini, per quanto predestinati al male? No, sicuramente no. E allora, se non un inviato di Dio, chi era il Corvo? Amy non aveva mai creduto nell'esistenza del demonio, di un male incarnato in una figura, separato dalle azioni degli uomini. Ora non era più così sicura di sé. Eppure, se il Corvo era il male, non avrebbe voluto che uomini malvagi come i Figli di una Libera America vivessero e prosperassero? Perché l'avrebbe riportata indietro per farli morire? Forse, allora, esisteva qualcosa in mezzo tra il bene e il male, una divinità più primitiva, più remota, sopravvissuta da tempi immemorabili, una forza che esigeva giustizia e usava coloro che erano stati uccisi ingiustamente per raggiungere i suoi scopi, non un demonio ma un dio, un dio oscuro e collerico. Un dio famelico. Non ne avrebbe mai avuto la certezza, ma avrebbe lasciato che quella fosse la sua risposta. Valeva quanto qualsiasi altra. E se Amy era dannata per quanto aveva fatto finora, tanto peggio. Sarebbe andata avanti per la sua strada. Non poteva essere dannata due volte. Avrebbe alimentato la nera creatura che era il Corvo, l'avrebbe nutrita della giustizia che richiedeva imperiosamente e che lei desiderava più dell'amore, più della vita, più del riposo eterno che sperava di ricevere alla fine.
Parte terza Ah, amore, restiamo fedeli L'uno all'altro! Perché il mondo, che sembra Aprirsi davanti a noi come una terra di sogno, Così vario, così bello, così nuovo, Non ha in realtà né gioia né amore né luce, Né certezza né pace né sollievo alla pena; E siamo qui come su una pianura che si va oscurando Percorsa da confusi allarmi di lotta e di fuga, Dove eserciti ignari si scontrano nella notte. MATTHEW ARNOLD, Dover Beach 34 «Appena ci metti sopra il piede, senti un clic; allora se sai di che si tratta resti lì senza sapere cosa diavolo fare. Se invece non sai cosa significa quel clic, o, cosa più probabile, non lo senti nemmeno, continui a camminare. E appena sollevi il piede, bum. Le gambe ti scompaiono in una nuvola rossa, l'uccello e le palle ti finiscono sparati dentro la pancia, e muori che quasi non te ne accorgi. Se sei fortunato. Molti degli uomini ormai sanno dove si trovano, ma ce ne sono che non riescono a impararlo, come Ray. Lui è mio fratello, ed è una persona dolcissima, ma come zucca non è troppo fornito. Quindi se non ce la fai a ricordare dove sono, evita il perimetro. Comunque non c'è ragione per andarsene in giro da quelle parti.» Rip Withers stava mostrando a Rick Carlisle il complesso dei Figli di una Libera America, di cui sarebbe entrato a far parte ufficialmente quella sera. Quando erano arrivati, la mattina presto, Withers era lì ad accoglierlo. Era colpito per aver perso Chip Porter, il suo esperto di computer ed elettronica, ma con Rick si era mostrato abbastanza affabile. Gli aveva fatto vedere la costruzione dove gli uomini vivevano e dormivano, gli aveva dato un asciugamano e degli articoli da toeletta e gli aveva indicato una branda. Rick era riuscito a dormire per un paio d'ore prima che gli altri cominciassero ad alzarsi, e quando li aveva raggiunti, Withers lo aveva preso sotto l'ala per la visita al campo, cominciando dal cancello, il reticolato e il campo minato. Poi gli mostrò le varie stanze dell'edificio, compresa la sala ritrovo, dove
c'erano un televisore, un videoregistratore e un assortimento di cassette. C'erano anche parecchi libri, quasi tutti di storia americana, armi e politica. C'era anche un biliardo, un tavolo da ping-pong e diversi tavolini per giocare alle carte. La mensa, dove fecero colazione e dove Rick fu presentato agli uomini come la nuova recluta chiamata Guy Adams, era abbastanza grande da accogliere un centinaio di persone, anche se Withers gli spiegò che a vivere lì a tempo pieno erano una ventina, e nei weekend arrivavano a trenta. «Alcuni hanno ancora il loro lavoro, hanno una famiglia. Ma oggi sono tutti qui, per sparare e per... un'altra cosa.» «Per sparare?» Withers gli fece strada fino a un ampio locale sul retro dell'edificio della mensa. Quando aprì la porta Rick sentì le voci degli uccelli, alcuni che cantavano, altri che facevano versi più rochi. Diverse grandi gabbie contenevano un assortimento di uccelli selvatici di ogni genere, dai piccioni ai corvi ai passeri. «Lo facciamo ogni due o tre mesi. Per una settimana sistemiamo reti e trappole e mettiamo qui dentro tutto quello che catturiamo. Poi stasera li lasciamo andare e li abbattiamo. Qualcuno ce la fa a salvarsi, specie quelli più piccoli, che sfrecciano via veloci e sono un bersaglio difficile. Ma i piccioni e i corvi non hanno molte possibilità con i nostri tiratori. Sono bravi, i nostri uomini. E tu, Guy?» «Mi rincresce ammetterlo, ma non imbraccio un fucile da quando andavo a caccia da ragazzo.» «Non hai fatto il militare?» «Ho cercato di arruolarmi nei marine ma non mi hanno preso. Guarda.» Rick si sfilò la scarpa destra e la calza. «Il mignolo è rigirato verso il basso. Appena l'hanno visto mi hanno dato tanti saluti e mandato a casa.» «Be', non preoccuparti. Qui imparerai a sparare.» Il terzo grande edificio era un'area di addestramento e tiro al coperto. C'erano anche spesse stuoie sul pavimento. «Qui ci esercitiamo nel combattimento corpo a corpo. Molti dei nostri sono esperti di arti marziali. Ne pratichi qualcuna?» Rick scosse la testa. «Lo spirito è pronto ma la carne ha bisogno di un po' di addestramento.» «Lo avrai. Adesso voglio mostrarti qualcosa di davvero interessante.» Withers si avviò verso il fondo dell'area all'aperto, dove si trovava un fabbricato semisepolto nel terreno. Il tetto era di lamiera ondulata e i muri
di mattoni. Gradini di cemento portavano giù a una porta. «È quello che chiamiamo la polveriera», spiegò Withers. «Un nome simpaticamente antiquato. Potresti anche chiamarlo armeria, ma l'altro nome ci dà il senso della tradizione. Qui è dove conserviamo le armi, le munizioni, gli esplosivi...» «Gli esplosivi?» ripeté Rick. Withers sorrise. «Ci puoi scommettere. Ma ecco il responsabile della santabarbara.» Rick si voltò e vide venire verso di loro un uomo dai capelli unti e neri e con il viso segnato dalle cicatrici, alcune chiare, altre ancora rosse. «Salve, nuovo», gli disse l'uomo con un cenno della testa. «Questo è Ronald Burns», disse Withers, «ma lo chiamiamo tutti Powder. Vedi bene perché.» «Metto molto di me nel mio lavoro», ghignò Burns, alzando la mano sinistra e mostrando il mignolo e l'anulare privi dell'ultima falange. «Sei a buon punto?» gli chiese Withers. L'altro annuì allegramente. «Ancora un paio d'ore. Possiamo caricarlo stanotte dopo i tiri.» Guardò Rick. «Sei arrivato giusto in tempo per i fuochi d'artificio, amico. Gliel'hai già detto?» chiese a Withers, che fece di no con la testa. Senza aggiungere altro Burns scese per le scale che portavano alla polveriera, aprì la porta ed entrò. «Non la tieni chiusa a chiave?» si meravigliò Rick. «Qui non abbiamo bisogno di chiavi. Siamo tutti fratelli. Se cominci a pensare che non puoi fidarti di un fratello, be' la cosa non dura più molto a lungo. Vedi, una volta entrati qui, non se ne esce prima di due mesi. A quel punto abbiamo capito chi è un vero Figlio e chi non lo è.» «E che cosa succede se decidi che qualcuno non lo è?» Withers indicò un'altra scala, al di là della polveriera, che finiva sottoterra, verso un punto dove il terreno era leggermente rialzato. «Quella è l'unica cella che abbiamo nel campo. Se qualcuno si rivela un traditore, lo imprigioniamo lì dentro. Poi c'è il processo. Poi l'esecuzione.» «È mai successo?» Withers indicò un punto tra gli alberi. «Guy, laggiù c'è una zona coperta di muschio. E sotto quel muschio il terreno è molto soffice. E a un metro e mezzo di profondità ci sono tre uomini. Pensavamo che fossero bravi guerrieri, cristiani e bianchi, proprio come te. Non lo erano. Erano dei Giuda. Scomparvero e poi non è successo niente. Né sceriffi né federali né altri sono mai venuti a cercarli. Ma di te sento davvero che potrò fidarmi. O
almeno potrò fidarmi dopo che avremo discusso di una cosa.» Oh cazzo, pensò Rick. «Di che cosa?» «Ace mi ha detto che ieri sera ha avuto l'impressione che foste seguiti.» «Sì, me lo ha detto. Ma comunque lo ha seminato. Non so perché qualcuno dovesse seguire me. Forse seguivano Ace.» «Forse. Quindi non sai chi fosse?» «No, non ne ho idea. Se lo sapessi te lo direi.» Rip rimase in silenzio per un momento, poi annuì. «Okay. Okay. Bene, ora ti affido a qualcuno dei ragazzi. Un po' di istruzioni sulle armi, che ne dici?» «Come fai a dire che non è lui quello che ci sta perseguitando, Rip?» «Era una donna, Ace», gli ricordò Rip Withers. Erano riuniti nella baracca di Rip, con Ray e Powder, per discutere della scomparsa di Chip e l'arrivo di Guy Adams. «Una donna ha ucciso Junior e ha avuto a che fare con la faccenda di Wilson Barnes.» «E se sono in due?» insisté Ace. «Se sono due del governo che lavorano insieme? Non è una coincidenza incredibile che si trovasse alla fiera delle armi e poi anche alla festa dei cristiani bianchi?» «Diamine, no: gli ho detto io di andarci. Volevo vedere se riusciva a trovare il modo di arrivarci e mi serviva un po' di tempo per farlo seguire da Karl, vedere se la storia che aveva raccontato reggeva, se si incontrava con qualcuno... e non lo ha fatto. Aveva detto che era al verde ed è andato a dormire in una stamberga. E non sapeva di essere controllato.» «Eppure non mi piace. Ieri sera ho viaggiato con lui per quasi tre ore, Rip, tu no. Quando passi tre ore da solo al buio con uno, finisci per sentire com'è, e quello che ho sentito non mi piace. E poi giurerei di averlo già visto.» «Bene, quando ti sarà venuto in mente dove, vieni a dirmelo.» «Maledizione, Rip, non mi pare proprio che questo sia il momento giusto per gente nuova, con quello che ci sarà domani e...» «Ha salvato la vita a mio figlio!» sbottò Rip. «Perché cazzo avrebbe rischiato la pelle per farlo se è qui per farci fuori? Teniamolo d'occhio, va bene, non lasciamolo solo, ma glielo devo!» Un pensiero lo colpì. «Anzi. Gli diciamo che cosa succede domani. Se è veramente con noi non farà niente. Altrimenti cercherà di filarsela e di dare l'allarme, o di fregare il progetto manomettendo la bomba. Basterà tenerlo d'occhio e bloccarlo se prova a fare qualcosa. D'accordo?»
La cosa apparve sensata a tutti i presenti e Rip mandò Ace ad assegnare due uomini al controllo di Guy Adams. Quando tornò era tempo di parlare di quello che era capitato a Chip Porter. «Sappiamo tutti com'era Chip, che non avrebbe mai fatto succedere un casino simile con l'elettricità. Giusto, Powder?» Powder annuì. «Sicuramente. Il suo mestiere lo conosceva bene. Oltretutto sapeva che l'attrezzatura era vecchia, e ci stava particolarmente attento. Quello che è successo non è stato colpa sua.» «Insomma, è chiaro che ci stanno alle costole e intendono farci fuori uno per uno. Finora ne hanno eliminati tre e hanno quasi beccato Karl. Ora noi risponderemo alla grande con questa bomba, ma questo non li fermerà. Dobbiamo trovare quella troia, e chi lavora con lei, e farla finita con loro una volta per tutte.» «Come facciamo, Rip?» chiese Powder. «Non abbiamo una sezione di sorveglianza o un servizio informazioni o cose del genere.» «No, ma forse quella stronza verrà lei da noi. Ho idea che chi stava seguendo Ace e Guy Adams ieri sera era la stessa persona che ha dato la scossa a Chip. E se sono stati tanto furbi da rintracciarci uno per uno, prima o poi lo saranno abbastanza da trovare questo posto.» «E da portare i federali», aggiunse Ace. «Non necessariamente. Su questo non ci vedo chiaro: sono state delle vere e proprie esecuzioni, non hanno cercato di arrestarli per interrogarli. Adesso ci occorre un po' di fortuna. La prossima volta che lasceremo questo posto sarà domani con la bomba e partiremo con un furgone e due auto con quattro soldati ciascuna; e saremo tutti armati fino ai denti. Quindi se questa troia e chi altro è con lei intende attaccarci, deve farlo oggi. Stanotte voglio la guardia raddoppiata e nessuno a cazzeggiare in giro. Siamo arrivati troppo in là per mandare tutto a puttane.» Rick sperava che Amy arrivasse quella notte a farla finita. Si sentiva contaminato in mezzo a quella gente, come se un po' della loro follia gli fosse rimasta attaccata addosso nelle ore passate insieme. Alcuni di loro avevano parlato apertamente di quello che avevano fatto finora: le esecuzioni, come le chiamavano, di Wilson Barnes e di William Standish e - ascoltare questo racconto era stato tremendo - l'attentato all'asilo di Amy. Un uomo chiamato Ed Conover gliene aveva parlato come se niente fosse mentre gli insegnava a caricare e usare un fucile automatico. «Okay, adesso sei a posto, amico. Ora andiamo al poligono e...»
«Pronto per la caccia grossa?» lo aveva interrotto Rip Withers arrivando in quel momento. «Lo porto io al poligono, Ed.» Withers caricò un'arma in un decimo del tempo che aveva impiegato Rick. «Andiamo, Guy.» Uscirono dall'edificio diretti verso il campo di tiro. «Ed ti ha raccontato della nostra 'situazione esplosiva'?» domandò Withers ridacchiando. «Non è niente rispetto a quello che ci sarà. Sei arrivato appena in tempo, Guy. La squadra addetta alla consegna è già stata formata, ma ti sarà possibile partecipare all'onore.» «Che, ehm, che cosa intendi dire?» «Intendo dire il palazzo Olson a Hobie, dove sono tutti gli uffici pubblici. Domani ci sarà una bella sorpresa. Tutto l'esplosivo plastico che abbiamo accumulato nell'ultimo anno, meno, ovviamente, quello usato per l'asilo. Al confronto quella di Oklahoma City sembrerà un petardo. Dopo non resterà niente, assolutamente niente in piedi.» «Domani?» domandò Rick. Il cuore gli martellava nel petto. «Domani mattina entriamo in azione. Powder ha finito di mettere insieme la bomba. È nel magazzino. Se dovesse saltare credo che ci trasformeremmo tutti in gelatina.» Rise, sedendosi su una delle panche di tiro. «Okay, esercitiamoci un po' con quei bersagli...» Mentre prendeva di mira il cerchio nero, Rick pensava a cosa diavolo potesse fare. Poteva voltarsi di scatto verso Withers e ucciderlo e poi cercare di raggiungere la polveriera. Ma erano presenti diversi altri armati e lui non aveva la minima probabilità di colpirli tutti prima che lo abbattessero. E se anche fosse riuscito ad arrivare al magazzino? Ce l'avrebbe fatta a far saltare il tutto, sé compreso, prima che lo prendessero? Probabilmente no. Rick non sapeva nulla di esplosivi. No, un improvviso tentativo di sabotaggio si sarebbe concluso con la sua morte e basta. Per lo meno la polveriera non era chiusa a chiave. Forse poteva defilarsi ed escogitare un sistema per smantellare l'ordigno o trovare un telefono, anche se non ne aveva visti. E forse, solo forse, Amy sarebbe arrivata in tempo per far qualcosa che sventasse quel piano. 35 Finalmente era scesa la sera. Amy Carlisle si guardò allo specchio: la mimetizzazione era perfetta. Sarebbe stata invisibile, confusa nella notte.
Levinson le aveva procurato tutto quello che gli aveva chiesto e anche qualcosa di più. Gli stivaletti che indossava erano capolavori di ingegneria, leggerissimi e robusti, e con quelli si sarebbe potuta muovere nella foresta come un fantasma. Le aveva portato anche una cintura militare per il suo coltello e anche un secondo coltello, di riserva. Inoltre le aveva procurato dei caricatori extra per entrambe le armi, che poteva infilare nella cintura. Anche l'effetto delle tinte mimetiche era perfetto. Il colore generale del suo viso era quello del fango, ottenuto mescolando il verde e il marrone, ma aveva voluto segnare di bianco gli occhi e la linea delle labbra, curvandola lievemente all'insù come nel ghigno di uno spettro. Infine aveva aggiunto, sotto gli occhi, un ultimo tocco di bianco, come due lacrime. «Voglio confondermi con le tenebre», aveva spiegato, «ma voglio anche che qualcosa la vedano, voglio che vedano la loro morte in arrivo.» Aveva prodotto un volto terrificante, il volto della morte che faceva tutt'uno con la notte ma spiccava nel buio come una stella irata pronta a bruciare chiunque cercasse di fermarla. «Sì», confermò lui con un brivido. «Mi sembra proprio che tu sia pronta.» Poi sorrise. «Mi auguro solo che non ti fermi la stradale.» «Dirò che sto andando a una festa di Halloween un po' fuori tempo», rispose Amy sorridendo anche lei. La accompagnò all'auto e caricarono nel portabagagli le armi e la tronchese. Amy si mise al volante e guardò Levinson. «Probabilmente non ti vedrò più. Grazie, David. Non so cosa altro dire.» «Nemmeno io, Amy. Davvero. È stata... un'esperienza unica.» «Non ne abbiamo mai parlato, ma tu sei credente?» «So dov'è la sinagoga, ma da quando sono arrivato qui non ci sono mai stato. Temo di essere stato un ebreo piuttosto tiepido.» Sorrise. «Ma quello che ho vissuto ultimamente credo che mi abbia riscaldato un bel po'.» «In ogni caso, voglio chiederti un ultimo favore.» «Se posso.» «Pregheresti per me? Nel tuo tempio? Prega per la mia anima, ovunque sia e qualunque cosa sia. E per le anime di quelli che sono morti, gli innocenti.» Non specificò se intendeva quelli che erano morti con lei o quelli che aveva ucciso lei, ma per Levinson non faceva differenza. «Lo farò», disse. «Te lo prometto. Per tutti loro.» «Grazie, David. Addio.»
La porta del garage si aprì e lei uscì, diretta verso la notte, verso il suo obiettivo, verso la fine di tutto ciò. Guidò ad andatura moderata perché i poliziotti non la fermassero lungo la strada. Alla periferia di Hobie imbucò la lettera per Levinson in una cassetta postale e proseguì lasciandosi alle spalle le luci della città, spingendo la Avanti nera lungo le tortuose strade laterali e attraverso le nere foreste. Il Corvo che volava davanti a lei compariva e scompariva a tratti nella luce dei fari. Anche se non ne aveva più bisogno come guida, era contenta che ci fosse. «Profeta comunque, se uccello o demonio», sussurrò, continuando a seguirlo. Quando raggiunse il sentiero sterrato che portava al complesso, portò l'auto fuori strada e proseguì in mezzo agli alberi, fino a una piccola radura accanto a un fitto roveto. Qui sistemò la macchina coprendola con i rami divelti, quindi prese dal portabagagli le armi e la tronchese, infilò nella cintura i caricatori pieni e tornò sul sentiero. La luna piena le facilitò il compito di trovare la strada. La sua luce cadeva tra i rami spogli sul fondo della foresta, disegnandole una pallida pista. C'era vento, e lei pensò che l'avrebbe aiutata a coprire il rumore dei passi sulle foglie secche. Con un po' di fortuna non si sarebbero accorti che arrivava finché non si fossero trovata lei accanto, e il suo coltello piantato nella schiena. Ace Ludwig era incazzato. Sapeva benissimo che quel Guy lo aveva già visto da qualche parte. Se solo gli fosse venuto in mente... Quella storia del fuggiasco non se la beveva proprio. Quello lì era troppo rifinito, quasi come se fosse mascherato da barbone, come in un film. E quando gli aveva parlato in auto andando al campo, gli aveva dato tutte le risposte giuste, ma c'era qualcosa che non quadrava. Le parole erano giuste ma era come se non credesse veramente a quello che diceva. Ma dove lo aveva visto? Era troppo giovane perché avessero fatto insieme il servizio militare, e poi con le armi era così imbranato che Ace aveva l'impressione che non avesse mai avuto il minimo addestramento. Cazzo, probabilmente non aveva mai fatto nemmeno a botte in tutta la vita. Aveva un'aria troppo da yuppie per questo. Anche le mani le aveva troppo morbide. Qualunque cosa avesse raccontato a Rip, quello lì non era un lavoratore. Guy Adams era un tipo da scrivania, con una bella moglie, due auto in garage, un paio di marmocchi in un asilo privato carissimo...
Ace sì immobilizzò. Ecco. L'asilo. Andò difilato alla sala ritrovo e cominciò a esaminare le videocassette del materiale che Rip aveva registrato sull'attentato. Dopo venti minuti di ricerca trovò quello che gli serviva e andò a cercare Rip. Ormai era buio ma i riflettori illuminavano a giorno il campo e la stradina che arrivava al cancello. Nei pressi dell'area di tiro stavano piazzando le gabbie degli uccelli. Trovò Rip nella sala mensa, che stava parlando con alcuni degli uomini davanti a una tazza di caffè. Si chinò a parlargli all'orecchio. «Dov'è Adams?» «Non lo so», rispose Rip. «Ma non preoccuparti, è setto controllo.» «Bene. Ho una cosa da farti vedere sul nostro nuovo amico.» Si rialzò e si incamminò di nuovo verso la sala ritrovo. Powder e Ray li seguirono. «Guarda un po' qua», disse Ace, e spinse il pulsante del registratore. Una cronista era davanti alle macerie fumanti del Centro Diventiamo Amici. L'esplosione era avvenuta da poco. La reporter stava spiegando che probabilmente tutti quelli che si trovavano all'interno erano rimasti uccisi; quindi si girò e disse: «Credo che questo sia il marito di una delle vittime. Signore? Signore, vuole dirci come si...?» Un uomo apparve sullo schermo dietro la giornalista, assieme a una donna. Guardò verso l'obiettivo per una frazione di secondo e distolse lo sguardo così in fretta che il suo volto sotto la cruda luce dei riflettori apparve sfocato e distorto dal movimento prima di scomparire. Ace azionò il telecomando e la scena tornò indietro, bloccandosi sull'immagine dell'uomo. «Vi ricorda qualcuno?» chiese Ace. Non c'era alcun dubbio, per nessuno di loro, che l'uomo davanti alla telecamera era Guy Adams. Ace fece proseguire il nastro. «Non intende commentare», riprese la reporter, tornando a voltarsi verso l'obiettivo. «Si trattava, crediamo, di Richard Carlisle, il marito della proprietaria del centro, che si ritiene perita nell'esplosione.» Ace spense l'apparecchio e guardò Rip. «Quel pezzo di merda!» urlò quasi, balzando in piedi paonazzo in volto. «Troviamolo! Bisogna trovarlo immediatamente!» Uscì seguito dagli altri, ma appena fuori videro l'uomo, che ormai sapevano essere Carlisle, venire con i due uomini che gli erano stati assegnati dalla direzione della polveriera. I due gli tenevano le pistole puntate alla testa. «Che cosa?» domandò freneticamente Rip. «Che cosa ha fatto?» «Niente, spero», rispose uno dei due. «Era entrato nel magazzino, e
quando lo abbiamo raggiunto stava trafficando con la bomba.» «Cazzo!» abbaiò Powder Burns, e scattò verso la polveriera. Rip si avvicinò a Carlisle e lo guardò negli occhi. «Richard Carlisle, eh?» Carlisle sorrise. «Gli amici mi chiamano Rick. Tu puoi chiamarmi Richard.» Rip gli diede un manrovescio che lo fece barcollare. Indietreggiò di qualche passo ma non cadde. «Viscida testa di cazzo!» sibilò Rip. «Traditore di merda!» Intorno cominciavano a raccogliersi gli uomini. Ace vide Karl che arrivava di corsa, con un'espressione preoccupata. Rip guardò il ragazzo, poi gli altri. «Abbiamo un bel regalo, ragazzi. Una spia!» Karl si avvicinò inquieto a Rip. «Papà... lui, be', mi ha salvato la vita...» «Ti ha salvato la vita per arrivare qui, imbecille! Era tutto organizzato, era in combutta con la stronza!» Tornò a fissare Carlisle con uno sguardo omicida. «Bene, portiamo questa merda amico dei negri e degli ebrei in cella e facciamo due chiacchiere con lui.» In quel momento tornò Powder Burns, pallido e con un'aria esausta. «Tutto a posto. Ha solo tirato via un paio di fili, ha cercato di scassare il timer, ma non ha avuto il tempo di fare molto.» «Non avrebbe dovuto avere il tempo di fare un cazzo!» ringhiò Rip, rivolto ai due uomini che dovevano tenerlo d'occhio. «Adesso è a posto?» chiese a Powder. «Sì, ho risistemato tutto. Nessun pericolo.» «Stanotte voglio sentinelle extra», ordinò Rip. «Non solo al cancello ma quattro in più a coprire il perimetro. Karl, tu sei uno di loro. Vai all'estremità nord. Ace, assegna tu gli altri. Forza, portatelo», indicò Carlisle e si avviò a grandi passi verso la cella semisepolta nel fondo della foresta. Ora l'unica speranza di salvezza per Rick era Amy. Se non arrivava era morto; e molto probabilmente era morto comunque. Dopo il fallimento con la bomba, ora stavano portandolo nella cella. Come aveva temuto, non era solo una prigione ma anche una camera di tortura. Lo legarono mani e piedi a una sedia di legno con delle cinghie, mentre un'altra cinghia gli immobilizzava la testa. Nella cella erano in quattro: Ray, Powder, Withers e Ace, che li aveva raggiunti dopo aver assegnato i turni di guardia. Tutti erano armati, con le pistole nelle fondine, ma quello che Withers teneva davanti al viso di Rick era un coltello.
Rick cercò di continuare a sorridere ma era terrorizzato. Sperò che qualsiasi cosa accadesse non se la facesse addosso, ma temeva che fosse una vana speranza. «Vedi questo coltello?» domandò Withers. Prima che Rick potesse rispondere, gliel'aveva infilato nell'orecchio squarciando con uno strappo laterale la carne e la cartilagine. Rick mandò un breve grido, ma si trattenne e strinse immediatamente i denti. Il sudore cominciò a imperlargli la fronte e sentì il caldo del sangue che gli scorreva lungo la guancia. «Non perderai molto sangue», disse Withers. «Volevo solo farti capire che faccio sul serio. Se non mi dici quello che voglio sapere, prima ti sfiguro, poi ti mutilo, poi ti ammazzo. Tu sei peggio del nemico, sei una spia e un traditore. Per me sei meno di un pezzo di carne. Morirai comunque ma ti è possibile renderlo più facile... relativamente più facile. Ora la prima cosa che voglio sapere è: con chi lavori?» Questa era facile. «Con la mia partner.» Compagna nella vita, compagna nella morte. «Non i federali? La polizia?» «Non sanno nemmeno che esisto. Te l'ho detto, siamo solo io e la mia compagna.» «Bene... chi è la troia?» Rick fece una pausa. «Tua mamma», ghignò. Evidentemente Withers era pratico di interrogatori. Non perse le staffe come Rick aveva sperato, abbreviando la cosa. Mostrò appena un fremito delle narici, quindi spostò il coltello nell'altro orecchio e tagliò di nuovo. «Non mi piace quando fai lo spiritoso, Richard. Nemmeno un poco. Non mi diverto, e neanche i miei amici. Ora posso tagliarti le orecchie facendoti assomigliare a un cane. Posso lavorarti il petto con il coltello e procurarti un paio di tette cascanti. E posso trasformarti in una donna anche in altri modi. Intendi?» «Ci credo», ansimò Rick. «Bene. Ora voglio sapere chi è quella donna. La donna che ha ammazzato Junior, quella che ha fatto cantare Wilson Barnes.» Afferrò la cinghia che gli stringeva la testa e diede uno strattone scoprendogli la gola. «Chi è? Voglio sapere chi cazzo è!» «Come, non lo sai?» gracidò Rick con la gola tesa. «Dovresti saperlo. Dopo tutto sei tu che l'hai uccisa.» «Che cosa?» Il coltello si allontanò dalla gola e la cinghia si allentò.
Rick abbandonò la testa all'indietro e guardò Withers, che lo stava fissando, confuso. «Come sarebbe, l'ho uccisa?» «Mia moglie, Amy... Amy Carlisle.» Withers continuò a fissarlo. Quindi un angolo della bocca si incurvò in un sorriso e scoppiò in un'orribile risata catarrosa. «Che cosa stai dicendo? È morta!» «Esatto. E poi è tornata.» Per un lungo momento un'espressione di terrore si impadronì di Rip Withers. Poi i suoi lineamenti si fecero decisi e sollevò il coltello a meno di due dita dall'occhio destro di Rick. «Sei un fottuto bugiardo e ai bugiardi capita di perdere cose importanti.» «Non sono un bugiardo», ribatté Rick con tutto il calore possibile. «Tuo figlio ha visto che la colpivano e continuava a camminare. Ha bruciato il tuo chitarrista, ha preso anche lei la scossa e se n'è andata con le sue gambe. Non puoi ucciderla, Withers.» Riuscì a sorridere. Withers deglutì con forza e il coltello si allontanò lentamente dall'occhio di Rick. Quando parlò, la sua voce aveva un tremito che Rick non ebbe difficoltà a cogliere. «Non m'importa chi diavolo è. Se viene qui, morirà. Se cerca di fermarci morirà.» «Sarà difficile. Come ho detto, è già morta.» «E tu la seguirai!» disse Withers alzandosi in piedi. «Subito dopo i tiri, chi ne avrà presi di più ti finirà, miserabile frocio! Entro domani mattina sotto il muschio ci sarà un'altra fossa!» «Entro domani mattina di morti ce ne saranno un sacco, Withers.» «Metti qualcuno di guardia a questo stronzo», ordinò Rip ad Ace e lasciò la cella seguito da Powder e Ray. Non poteva rimanergli vicino un altro secondo di più. Aveva paura che quel pezzo di merda lo spingesse troppo in là e si facesse uccidere. No, lo voleva ancora vivo per un po', perché pensasse alla morte, all'idea di finire abbattuto come un cane in presenza della gente che più odiava al mondo. «Che cosa ne pensi, Rip?» chiese Powder. «Che te ne pare di quello che ha detto?» Si girò su se stesso e si mise a faccia a faccia con Powder. «Che cosa ne penso? Ne penso, bene, Amy Carlisle risusciti pure. Se lei è capace di maneggiare un'arma noi siamo capaci di spararle e spararle ancora, e ancora, finché sarà ridotta in tanti pezzi che quella troia non sarà mai più in grado di rimettersi insieme!»
Ray abbassò lo sguardo per un momento, formulando faticosamente il pensiero, poi rialzò gli occhi. «Ma questo lo abbiamo già fatto.» Rip strinse i denti. Non trovò le parole per rispondere. Era furioso, ansioso e spaventato, per la spia, per la donna, per l'attentato dell'indomani. C'era troppo a cui pensare e di cui preoccuparsi. E così decise di non pensare affatto. Meglio piuttosto uccidere qualcosa. «Ehi!» esclamò, fingendo allegria con gli uomini che circondavano le gabbie nella zona del poligono. «Chi ha voglia di tirare a qualche uccello?» 36 Amy aveva stabilito che il punto migliore per entrare nell'area, illuminata a giorno, era il lato opposto del cancello. Niente faceva pensare che i Figli di una Libera America sapessero che qualcuno aveva scoperto la loro tana e se in fatto di sicurezza quei bastardi erano inetti quanto apparivano in tutto il resto, non avrebbe avuto problemi a entrare; e una volta dentro la cosa migliore sarebbe stata attaccarli e farli fuori uno per uno, o comunque pochi alla volta. Si chiese come se la stesse cavando Rick. La sua missione aveva richiesto più coraggio di quanto ne era occorso a lei: lui aveva da perdere molto più di lei. Se solo fosse riuscita a smettere di pensare a lui, di stare così in ansia per lui. Se solo fosse riuscita a smettere di amarlo così tanto. Pur restando al di fuori della zona illuminata, si avvicinò al reticolato in modo da tenerlo bene in vista. A un certo punto vide qualcosa muoversi dall'altra parte e in un primo momento pensò che fosse un cervo. Ma quando si immobilizzò e guardò più attentamente vide che si muoveva con l'andatura inequivocabile di un uomo che si aggira con lentezza e precauzione. Dunque c'erano sentinelle in più, quella notte. Allora occorreva maggiore prudenza. Quando udì il primo sparo si gettò a terra, anche se il rumore non era vicino. Seguì un altro sparo, poi altri ancora, e capì che provenivano dall'area illuminata vicino ai capannoni. Forse Levinson e altri poliziotti l'avevano seguita e c'era in corso una sparatoria. Ma non era possibile, gli spari si susseguivano a intervalli troppo distanziati: probabilmente era un addestramento o una gara. In ogni caso, visto che in giro armati non c'erano solo gli uomini di guardia, la sua cautela doveva aumentare ancora di più.
Infine raggiunse il punto in cui la recinzione cominciava a curvare verso est, e avanzò lentamente tra le foglie secche fino a raggiungere il reticolato metallico. Il filo spinato in cima brillava alla luce della luna. In pochi minuti praticò un varco sufficiente. Abbandonò la tronchese ed entrò: di lì in avanti non avrebbe avuto bisogno di altro che delle sue armi. Una volta dentro si fermò tendendo l'orecchio, ma udì soltanto il vento e gli spari provenienti da sud. Frugò tra gli alberi con lo sguardo ma non colse alcun movimento. Avrebbe potuto puntare direttamente verso le costruzioni, attraverso gli alberi nel centro della zona recintata, ma pensò che se avesse seguito il perimetro si sarebbe imbattuta nelle sentinelle e avrebbe potuto eliminarle una per una. La loro attenzione era sicuramente rivolta verso l'esterno del reticolato, non verso l'interno. Cominciò dunque a seguire la rete tenendosene a distanza di qualche metro. Le armi erano entrambe a tracolla e questo le lasciava le mani libere. Non era ancora il momento di richiamare l'attenzione: il coltello sarebbe stato l'ideale. Vide la prima sentinella dopo aver percorso duecento metri. Era un uomo grande e grosso, e imbracciava un fucile da assalto avanzando ignaro verso di lei tra gli alberi. Come previsto, guardava in direzione della rete. Estratto il coltello, si nascose dietro un tronco e aspettò che venisse più vicino. Fu quasi fin troppo facile. Dovette fare solo un passo per raggiungerlo appena fu passato. Bloccargli la testa con un braccio e tagliargli la gola fu questione di un attimo. Ripulì la lama sulle foglie secche, la rimise nel fodero e prese l'arma del morto. Decise di usare quella per prima e buttarla via appena scarica. Le avrebbe risparmiato un cambio di caricatore. Dall'altra parte del complesso continuavano ad arrivare gli spari mentre lei trascinava il cadavere tra i cespugli. Ripreso il cammino, aveva percorso una cinquantina di metri quando sentì che il suo piede si posava su qualcosa che non era il terreno del fondo della foresta. Prima che avesse il tempo di chiedersi cosa potesse essere, il mondo eruppe in una fiammata attorno a lei e un dolore intenso le aggredì il corpo. Sentì squarciarsi piedi e gambe e come pugni di fuoco penetrarle fin nel torace, stracciandole le viscere come fossero di carta. Fece un volo, con le carni devastate, verso il cielo notturno, vedendo l'arco di sangue che schizzava dal suo corpo mutilato. Ricadde pesantemente sulla schiena e rimase a fissare la luna attraverso i rami scheletrici di un albero.
Il suo cervello martellante sapeva che si era trattato di una mina. Una mina che le era esplosa sotto i piedi e l'aveva fatta a pezzi. Allora i suoi occhi videro posarsi su un ramo il Corvo, così nero che la sua sagoma eclissò la luna. Sembrava che la guardasse, anche se i suoi occhi erano in ombra, e lei capì che la sua missione non era finita. Non fece domande. Non sollevò la testa a guardare il proprio corpo per vedere se era capace di alzarsi. Semplicemente si mise a sedere e si levò in piedi. Gli indumenti le pendevano a brandelli sopra la carne, che si era ricomposta come se la mina non fosse mai esplosa. Le armi che portava addosso erano state scaraventate lontano dalla forza della deflagrazione, ma quando le raccolse sembravano ancora funzionanti. Anche il coltello, notò con piacere, non aveva perso l'affilatura. Un fruscio sopra la sua testa le fece alzare lo sguardo; il Corvo aveva ripreso il volo verso sud, verso il rumore degli spari e le luci. Amy si rimise in marcia. 37 Powder Burns alzò gli occhi allarmato. «Hai sentito?» domandò a Rip Withers che gli stava accanto assistendo ai tiri. «Che cosa?» «Mi sembrava qualcosa su verso nord, uno sparo o un'esplosione, qualcosa.» «Ma no, hai sentito un'eco, ecco tutto», lo rassicurò Withers. Powder ci pensò su. Il suono era arrivato subito dopo una fucilata, Forse aveva ragione Rip, si era trattato solo di un'eco. Eppure aveva qualcosa... e più Powder ci pensava più si sentiva sicuro che non fosse il rimbombo dello sparo ma una mina antipersona che era saltata. Ogni tanto succedeva, ma era sempre un cervo che aveva la sfortuna di fare il passo sbagliato. Con le sentinelle verso nord, dove non erano abituate ad andare di pattuglia, tutto era possibile, anche se li si avvertiva continuamente di non avvicinarsi alla rete. Powder cercò di allontanare il pensiero concentrandosi sugli uomini che sparavano agli uccelli. C'era una certa bellezza nella cosa, con l'uccello che, lasciato libero, sfrecciava nel cielo illuminato dai riflettori, poi il rumore dello sparo e l'animale che o volava via mentre gli uomini si facevano beffe rumorosamente della mancanza di mira del compagno o, come accadeva nove volte su dieci, esplodeva in una nuvola di sangue e piume.
Ed Conover prese posto e gridò: «Via!» Un piccione schizzò nel cielo, zigzagò per un paio di secondi e poi Ed lo disintegrò al primo colpo. Mentre guardava l'uccello dissolversi in aria, Powder pensò all'effetto che avevano le mine antiuomo e gli venne in mente che lì, attorno al perimetro, a pochi metri da quegli ordigni, c'era anche Karl Withers, il ragazzo più simpatico, se non il più sveglio, che avesse mai conosciuto; ed era quell'aspetto, la sua intelligenza non particolarmente vivace, che ora lo impensieriva. Ma sì, non c'era niente da perdere a controllare. Poteva andare e tornare in una mezz'oretta. Avrebbe portato una torcia e fischiettato una delle loro canzoni per tutto il percorso, così le sentinelle avrebbero capito che era lui. Meglio prendere anche una pistola, non si sa mai. Phil Riley, che era molto più vicino di Powder Burns, sapeva maledettamente bene che cos'era quel rumore. Qualcuno, o qualcosa, era incappato in una mina, e solo a pensarci gli venne la pelle d'oca. Si avviò a passo svelto verso l'esplosione pregando che non fosse stato uno dei fratelli. Phil non temeva le mine. Non che ricordasse esattamente dov'erano piazzate una per una, ma sapeva a quanta distanza doveva tenersi dal reticolato per evitare di farsi saltare le palle. Ma qualcuno tra i fratelli era molto meno prudente di lui. Se doveva morire, lui voleva farlo per un motivo, per una causa. Voleva andarsene portandosi dietro quanti più ebrei e negri possibile. Fargliela pagare a quei bastardi. Rallentò il passo quando arrivò nelle vicinanze del punto da cui era venuto lo scoppio. E allora lo vide, alla luce della luna. C'era un piccolo cratere nel terreno, sicuramente là dove era esplosa una mina, ma non c'era nessun corpo in giro. Che cazzo succedeva? Appoggiò il fucile a un tronco e avanzò cautamente verso il cratere. Era inginocchiato a guardare la buca, cercando segni di carne o sangue, quando sentì un crepitio di foglie secche alle sue spalle. Si voltò, e tra sé e il suo fucile vide il peggior incubo che potesse immaginare. La figura era tutta scura. La sua pelle appariva nera sotto la luna, e dalla sua struttura esile pendevano a brandelli gli abiti. La sua faccia era quasi nera tranne gli occhi, due cerchi bianchi con un punto oscuro nel mezzo, e la bocca, un pallido sorriso dipinto. Sembrava una maschera di carnevale impazzita. E in mano aveva un grosso coltello. Phil non riuscì nemmeno a parlare. La sua bocca si mosse ma non ne u-
scì alcun suono. Finalmente la sua mente si schiarì un po', abbastanza da fargli raggiungere il coltello che aveva alla cintura ed estrarlo dal fodero. La sagoma nera non si muoveva. Phil le si avventò addosso e cercò di urlare: «Muori, negro di merda!» ma le parole uscirono strozzate e incomprensibili. Comunque, la lama entrò nella pancia del negro e Phil diede uno strappo di lato e arretrò di un passo. Il negro non si mosse. Si limitò a sorridere; Phil poté vedere anche il bianco dei denti circondato dal bianco dipinto delle labbra. Poi parlò, con la voce di una donna. «Non sta bene dire le parolacce.» Il braccio del negro scattò e affondò il coltello nello stesso punto in cui lui l'aveva pugnalato. «Buzzurro», disse, e strappò il coltello lateralmente, esattamente come aveva fatto Phil. Su Phil l'effetto fu molto più visibile. Si portò la mano al fianco per cercare di trattenere le viscere che gli si riversavano sopra la cintura, ma senza grandi risultati. Quindi cadde a sedere, provando a rificcarsi in corpo la massa calda che si spandeva sopra le mani e gli avambracci. Ma, maledizione, non ci riusciva, così non funzionava: possibile che dovesse morire in quel modo, per niente, e per giunta per mano di un negro di merda? Era assurdo che dovesse morire così. Morì così. *** Amy raccolse l'arma del morto, buon rimpiazzo per quella che la mina aveva distrutta, e si mise a correre con passo leggero attraverso gli alberi. Non aveva fatto venti metri che vide un'altra forma che avanzava verso di lei. Bene, pensò. Un altro. Sgusciò dietro un troncò e attese. La figura arrivò alla sua altezza e quando lei sbirciò da dietro l'albero vide che era appena un ragazzo, di non più di diciotto anni. Nei suoi occhi spalancati si poteva leggere la paura. L'arma che aveva tra le mani appariva smisurata. Non era più alto di Amy, e forse pesava di meno. Aveva un'aria innocente. Giovane e incolpevole e innocente. Non c'era altra parola per descriverlo. E lei che cosa aveva promesso a Levinson? Che non ci sarebbero stati morti innocenti. Ma che cosa poteva fare? Il ragazzo era armato, e se avesse sparato avrebbe messo in allarme gli altri. Il suo piano di prenderli alla sprovvista
uno per uno finora aveva funzionato, e non c'era motivo per cambiarlo adesso. Doveva impedirgli di sparare senza fargli del male. Vediamo quanto è innocente davvero, pensò Amy, posando a terra le sue armi. Uscì barcollando dal suo nascondiglio a pochi metri dal ragazzo, tenendo il capo chino così che lui non vedesse il volto dipinto, e gemendo: «Aiuto... ti prego, aiutami». Sì, era realmente innocente. Accorse subito, abbassando il fucile. Appena fu abbastanza vicino lei glielo strappò dalle mani, lo scagliò lontano e gli puntò il coltello alla gola. «Non voglio farti del male», disse, «ma posso farlo. Ho già ucciso altri due uomini.» A queste parole il ragazzo si fece prendere dal panico, indietreggiò con passo malfermo, si girò e si mise a correre. Lei lo raggiunse in un attimo e gli fu addosso, facendolo cadere sul fondo morbido della foresta. Tremava, sotto di lei, e cercò di divincolarsi; voltando la testa il suo viso finì a contatto con quello di lei, guancia a guancia, carne contro carne... E un flusso di immagini, più vivide che nel più intenso dei sogni, passò dalla mente di lui in quella di Amy, che subito conobbe il suo nome, seppe chi era suo padre, vide la sua anima, ciò che aveva fatto di lui, quello che era... Il viso arrossato e furente di un uomo che incombeva sopra di lui, pugni chiusi, palme, mani aperte, dita dure come bacchette. Sii uomo, maledizione, sii uomo, non lasciarti mettere sotto da quei negri di merda. Le mani, quelle mani grandi che piovevano come tuoni e fulmini, che lo spingevano via. Basta, papà, basta, non picchiarla! Una donna in singhiozzi, il viso inondato di lacrime, un labbro sanguinante, gli occhi pesti. Ti ho vista, come guardavi quello stallone negro, come sbirciavi il cazzo di quel gorilla, puttana, troia, troia da negri! Un gioco nel cortile, e papà, papà che viene fuori urlando, Fuori dal mio cortile, maledetto marmocchio giudeo, e un incerto Ma lui è mio amico, e le mani di papà e 1 giudei non sono tuoi amici, schifose sanguisughe che infestano questo cazzo di paese, negri, luridi negri ed ebrei, ne sono piene le scuole! Ebrei, dannati ebrei, tutta colpa loro, e i froci e i negri e gli spagnoli e i cinesi e gli italiani... Sii uomo. Sii uomo. Ti insegnerò io a essere uomo! Le mani di papà. Le mani di papà. Le mani di papà. E poi la pace, un luogo di calma, le braccia della mamma e la sua voce,
tenera come un bacio, che piange e gli dice: Non è tuo padre, non è tuo padre, non devi dirglielo mai, ma non è tuo padre... E poi un nome, il nome del suo vero padre, il nome che la madre gli ha detto di dimenticare ma che lui non potrà mai... Amy sentì tutto l'amaro della vita del ragazzo, i segreti e l'odio e il veleno che gli avevano instillato giorno per giorno finché non aveva ceduto, soccombendovi, e lasciato che la sua anima morisse. Si staccò da lui come se prolungare il contatto potesse avvelenare anche lei. Lui rimase lì sul fianco e lentamente si tirò a sedere, con le spalle curve e scoppiò a piangere. «Non aver paura», gli disse, «sta' tranquillo, non ti farò niente.» Poi lo portò vicino a un albero e lo legò al tronco, cercando di non fargli male, con strisce di tela strappate alla tuta e con le cinghie delle armi. Poi lo imbavagliò facendo attenzione che non avesse difficoltà a respirare. «Quando sarà finita tornerò a liberarti.» Quindi riprese la sua marcia verso sud. Correva sul tappeto di foglie secche quando improvvisamente le apparve davanti il Corvo. Calò svolazzando e si posò a terra come per sbarrarle la strada. Lei si fermò e il Corvo disegnò camminando un cerchio sul suolo. Allora capì, si tolse di dosso le armi e le poggiò a terra, prese il coltello e si chinò davanti all'uccello che si alzò di nuovo in volo. Usando il coltello come una sonda, lo affondò delicatamente nel terreno a più riprese finché udì un clic metallico e sentì la punta toccare qualcosa di duro. Era un'altra mina, e continuò a infilare il coltello finché non seppe con certezza dove si trovava; quindi cominciò a scavare per estrarla. Non era certa dell'uso che ne avrebbe fatto, ma già si vedeva mentre la lanciava come un frisbee nel mezzo dei Figli di una Libera America: un'immagine che la fece quasi ridere. Si era appena rialzata tenendo la mina con una mano per l'impugnatura da trasporto e l'altra sotto la base, quando udì una voce alle sue spalle. «Ferma lì dove sei... Girati lentamente.» Fece come le era stato ordinato e si trovò davanti a un uomo alto e magro con il volto segnato dalle cicatrici e un paio d'occhi sbarrati dietro gli occhiali dalla montatura metallica. «Salve», lo salutò, tenendo la mina davanti a sé in modo che la piastra di pressione fosse orientata verso l'uomo. Lui cominciò a indietreggiare, ma lei lo seguì, riducendo lentamente la
distanza di tre metri che li separava. «Aspetta un minuto!» esclamò l'uomo. «Fa' piano! Se quella cosa scoppia siamo morti tutti e due.» «Ne sei proprio sicuro?» chiese Amy con un tono leggero molto poco consono alla gravità della situazione. Non aveva voglia di subire un'altra esplosione, ma non ne aveva paura. «Sì, sì», balbettò l'altro. «Ne sono fottutamente sicuro. Le mie trappole le conosco, capito?» «Le tue trappole...?» Un'idea attraversò la mente di Amy. «Sei tu che le hai piantate?» Si fece più vicina. L'uomo cercò di arretrare ancora ma finì contro un albero. Il contatto lo fece sobbalzare. «Sì, è mia...» Si guardò in giro freneticamente alla ricerca di una via di scampo. «Tu sei l'esperto di bombe», disse lentamente Amy. «Quello che le ha messe nel centro.» L'uomo non rispose, troppo impegnato a riflettere su come togliersi da quel guaio. Allora le venne in mente. «Polvere da sparo... Powder...» Studiò più attentamente le cicatrici su quella faccia terrorizzata. «Tu sei Powder Burns.» Lui non lo ammise né lo negò, ma cominciò a scivolare di schiena attorno al tronco. «No», disse Amy, avvicinandosi a un passo da lui e facendolo immobilizzare. «Non te ne andare. Conosco qualcuno che avrebbe piacere a vederti, Powder. Vorranno darti il benvenuto...» Si strinse contro di lui e per la terza volta nella sua vita il mondo esplose. Questa volta vide i risultati dell'esplosione su qualcun altro, non solo su se stessa. La carica esplosiva sfondò il torace di Powder Burns, lasciando l'arco cavo delle spalle, da cui pendevano come festoni i muscoli lacerati. Per un attimo Amy guardò la testa che sormontava quell'arco, una faccia strappata via dalle schegge, che gli avevano sparato le lenti nelle orbite e nel profondo del cervello. Poi la faccia crollò, assieme alle spalle, finendo al suolo con un tonfo umido e Amy crollò anche lei, squarciata e smembrata ancora una volta. E ancora una volta, miracolosamente, fu sanata. Raccolse le armi e riprese a camminare, muovendosi verso il folto della foresta. Ne aveva abbastanza di mine; il rumore dell'ultima poi, non attutito dal terreno, era sicuramente arrivato alle orecchie degli altri presenti nel complesso. Ora lo sapevano. Sapevano che era entrato qualcuno. E che uccideva.
38 Era la notte in cui David Levinson era libero dal turno, ma non stava riposando. Sintonizzato sulle frequenze della polizia, era alla ricerca di eventuali notizie che potesse mettere in relazione con Amy Carlisle o con i gruppi paramilitari. Incendi nei boschi, spari non spiegati, esplosioni, una qualsiasi cosa del genere e si sarebbe trovato sul posto nel giro di un minuto. Ma a Hobie e dintorni era una notte tranquilla. Non c'era assolutamente nulla fuori dell'ordinario e la cosa lo stava facendo impazzire. Più di qualsiasi altra cosa desiderava aiutare Amy Carlisle a mettere fine alla faccenda. Era stato suo complice, l'aveva aiutata più di una volta a infrangere la legge, contribuendo perfino alla morte di innocenti; sapeva che si sarebbe portato quel peccato fin nella tomba, dove avrebbe dovuto risponderne a... a qualcosa. Prima che tutto questo avesse inizio Levinson pensava che i morti erano morti e basta. Lo Sheol dei suoi antenati era proprio questo, l'oltretomba, il luogo sotterraneo dove i corpi marcivano e si disfacevano. Ma ora sapeva che c'era qualcosa di più, qualche altro luogo da cui Amy era tornata per fare quello che doveva. Voleva aiutarla perché voleva vedere realizzata la giustizia. Ma c'era anche un altro motivo. Per quanto assurdo, impossibile, perfino blasfemo sembrasse, era un po' innamorato di quella donna. Forse era proprio per questo che ne era affascinato: era una cosa impossibile, inaccessibile, e quindi sicura. Pensò di versarsi da bere, ma decise che era meglio di no, nel caso gli arrivasse qualche notizia e dovesse muoversi in fretta. Piuttosto, mise una cassetta nel videoregistratore. Era la copia di una ripresa fatta alla fiera delle armi, quella da cui era stata ricavata la breve scena in cui si intravedeva Amy. La guardò soprattutto per vedere lei, solo per rivedere la fuggevole immagine di lei ripresa di spalle. Sì, era proprio lei. La riconosceva dal modo in cui si muoveva. La vide per due secondi e poi la telecamera passò oltre. Tornò indietro e fece partire di nuovo il nastro, pensando a lei, accorgendosi a stento di quello che gli passava davanti agli occhi, almeno finché vide Rick Carlisle che attraversava l'inquadratura da destra a sinistra, uscendo poi di scena. Levinson afferrò il telecomando e tornò indietro. Sì, era proprio Carlisle.
Non c'era il minimo dubbio. Che diavolo ci faceva, lì? E allora gli venne l'idea che i vigilanti fossero non uno ma due, uno vivo e l'altro morto. Cercò il numero di Carlisle e lo compose. Se risultava che aveva interesse per le armi, cosa di cui lui dubitava, la cosa si spiegava. In caso contrario, o se negava di essere stato lì... Rispose una donna, e quando Levinson si presentò come l'agente Levinson, avvertì immediatamente un momento di panico all'altro capo del filo. Prima che potesse dire altro, la donna chiese: «Sta bene? Ha trovato Rick?» Oh cazzo, pensò Levinson, ma disse solo: «Mi scusi, signora, lei chi è?» «Sono Nancy, sua moglie. Sa dove si trova?» «No, non lo so, ma credo che sia opportuno che facciamo due chiacchiere. Posso venire da lei?» Prima di uscire prese con sé il revolver di servizio e un Winchester 1300 Defender, un fucile a pompa a sette colpi, che infilò sotto il sedile dell'auto. Non pensava che gli sarebbe servito per la nuova signora Carlisle, ma solo Dio sapeva in che cosa si era cacciato il signor Carlisle. 39 Quando esplose la seconda mina, quella che uccise Powder Burns, Tom Danvers aveva appena mancato un piccione che era stato abbattuto da Ace Ludwig al secondo colpo di pistola, un attimo prima che scomparisse tra gli alberi. Mentre partivano i fischi per Danvers e le congratulazioni per Ace e mentre Rip Withers stava pensando di rimproverarlo perché nessuno doveva sparare al bersaglio di un altro, si sentì il boato. «Che cazzo è stato?» esclamò Rip guardandosi intorno alla ricerca di Powder Burns e pensando che forse Burns aveva avuto ragione e che quella che avevano sentito prima era davvero una mina. Ma di Powder non c'era traccia. Oh, cazzo, e di guardia laggiù c'era Karl. «Ace», ordinò. «Vai con qualcuno laggiù a vedere che cosa sta succedendo e occhio a dove mettete i piedi.» Ace annuì e scelse cinque uomini, il fior fiore dei Figli. Ace non protestò per essere stato allontanato dalla gara. Aveva raggiunto un dieci su dieci pieno, punteggio che finora nessuno aveva uguagliato e molto difficilmente lo sarebbe stato in seguito. A quanto pareva sarebbe toccato a lui il piacere di far fuori quel fottuto liberale legato in cella. E si-
curamente l'avrebbe resa un'operazione interessante. Rip sperava solo che non fosse stato Karl a mettere il piede su una delle mine di Powder. Se gli era successo qualcosa, avrebbe fatto a pezzi Powder con le sue mani. Poi gli venne in mente il programma dell'indomani e decise che lo avrebbe fatto a pezzi dopo. Meglio ancora, lo avrebbe lasciato legato e imbavagliato dentro il furgone a godersi da vicino il risultato del suo lavoro. Ma che diavolo, pensò Rip. Probabilmente non era affatto Karl. Come a tutti, cento volte gli era stato detto di non avvicinarsi a più di tre metri dal reticolato. Forse anche questa volta era stato un cervo. Erano tutti un po' tesi, sapendo quello che li aspettava il giorno dopo. Li sentì arrivare tra gli alberi. Se credevano di avanzare furtivamente, avevano bisogno di un bel po' di addestramento supplementare. Si muovevano in linea, cinque o sei a giudicare dal rumore; Amy si acquattò tra i tronchi estraendo il coltello e ponendosi nel punto in cui sarebbe passato l'ultimo a destra. Udì un fruscio in alto sopra di sé e immaginò il Corvo, il suo compagno, il suo collaboratore, che si posava su un ramo. Quando l'uomo passò uscì dal nascondiglio alle sue spalle, gli cinse la testa con il braccio e gli tagliò la gola. Ma a differenza delle altre vittime, l'uomo aveva il dito sul grilletto e una contrazione spasmodica della mano mandò una raffica a scheggiare i tronchi e a riempire la foresta del ruggito dell'arma automatica. Ace Ludwig era stato ben addestrato dal governo che odiava. Appena sentì il primo sparo, si gettò immediatamente a terra, gridando: «Giù!» al resto della squadra. Gli spari venivano dal fianco destro, dove si trovava Tannahill. Il rumore cessò e Ace vide, alla luce della luna, Tannahill crollare al suolo e una figura in ombra sgusciare via al riparo tra gli alberi. «Tre colpi!» gridò ad Andy Brett, intendendo che doveva sparare tre volte per avvertire il campo base. Quindi si alzò e si tuffò tra gli alberi verso quello che aveva abbattuto Tannahill. Vide la forma che compariva e scompariva tra i tronchi, ma senza lasciargli una linea di tiro libera; aumentò l'andatura. Ora che era più vicino, si appoggiò a un albero e puntò l'arma, aspettando di scorgere un movimento. Il movimento venne, ma fu più alto di quanto si aspettasse. Per un attimo pensò che forse l'intruso si era arrampicato su una pianta, ma prima che il
pensiero si formasse completamente stava già sparando a raffica contro l'indistinta sagoma nera che si muoveva. Sentì i primi proiettili piantarsi nel legno, ma il suo cuore fece un balzo quando li udì penetrare con un suono più morbido in qualcosa di umido e cedevole. Cessò il fuoco. Nel silenzio che seguì ci fu un grido, un grido umano che sembrava venire da dietro l'albero dove gli era parso di vedere un movimento. Quindi udì qualcosa che cadeva sfarfallando. Dal rumore che fece quando toccò terra tra le foglie secche, pensò che se era una persona doveva trattarsi di una persona maledettamente piccola. Quando raggiunse la cosa morente, la luce della luna era abbastanza forte da mostrargli a che cosa aveva sparato. «Merda», disse quando lo vide. «Un fottuto corvo.» L'uccello appariva colpito due volte. Un proiettile gli aveva troncato di netto un'ala, che penzolava attaccata a un tendine, mentre l'altro lo aveva raggiunto tra il ventre e il petto, lasciando un grosso buco rosso. Gli parve di vedere il cuore che pulsava, nero sotto la luna. «Vaffanculo», ringhiò, e gli piazzò il piede sulla testa, schiacciandola nel tappeto di foglie morte. «Ace?» Era Andy Brett, che si avvicinava con cautela. «Che cos'era?» «Solo un fottuto negro di uccello. Un maledetto corvo. Ma ora è morto. Tannahill?» Brett scosse la testa. «Lo hanno sgozzato. È morto.» «Cazzo!» Si stavano avvicinando anche gli altri. Ace ne contò quattro con Brett. Quindi Tannahill era l'unico fuori combattimento. Ma dov'erano le sentinelle? «Qui c'è qualcuno», disse guardandosi attorno. «Qualcuno che sta ammazzando i nostri e si sta dirigendo verso il campo.» Si misero in marcia verso sud, in direzione degli edifici e delle luci. Quando Amy udì gli spari credette di essere stata colpita. Una fitta atroce al braccio destro la costrinse a lasciar cadere l'arma che aveva preso al morto, e una morsa allo stomaco, come un pugno di fuoco, la fece cadere in ginocchio e accasciare al suolo. Il dolore era così forte che non poté far altro che rimanere lì immobile desiderando di morire. Ma era solo l'inizio. Improvvisamente sentì aumentare la pressione nel cranio, come se il cervello si stesse espandendo contro la scatola d'osso, come se l'unico sollievo potesse venire nel momento in cui la testa si fosse spaccata. La pressione aumentò ancora di più. Sentiva gli occhi premere verso l'esterno, come a voler schizzare dalle orbite; le orecchie ronzavano per il sangue
che pulsava dietro i timpani, cercando un'uscita. Poi la testa scoppiò e vi fu solo buio. Quando si svegliò non aveva idea di quanto tempo fosse passato. Del dolore insostenibile alla testa restava solo una sensazione di peso. Si sentiva come se avesse preso un colpo violento allo stomaco e il braccio era ancora intorpidito e dolorante. C'era anche dell'altro, qualcosa di diverso che non riusciva a identificare. Si sentiva differente, forse più debole. Sì, era questo. Era stanca, stanchissima, sfinita. Doveva cercare di arrivare alla fine perché potesse finalmente riposare. Udì qualcosa che arrivava da nord e si alzò faticosamente in piedi. Il fucile del morto era a terra e lei lo raccolse, ma rimase sconcertata da quanto più pesante le apparisse adesso. Si mise a correre. Sempre più stanca. Incespicava nelle radici, si impigliava nei rovi. L'intera foresta sembrava si fosse alleata con i suoi inseguitori, determinata a ostacolarla. Imprecò sottovoce e tirò avanti. Le luci del campo brillavano tra gli alberi; puntò il fucile in avanti, verso tutti quei Figli di una Libera America che ben presto avrebbe messo a riposo nella terra d'America. Ormai era solo questo, un'ultima sparatoria, lei contro tutti loro. Ma i suoi proiettili avrebbero ucciso, mentre i loro l'avrebbero solo trapassata lasciandola illesa. Le avrebbero fatto male, ma di sofferenze ne aveva già fatto una scorta sufficiente a tutta l'eternità. Avrebbe sopportato anche queste. Ora arrivava a distinguere i capannoni in mezzo agli alberi, a vedere qualcosa che si muoveva, uomini che camminavano, scrutando verso la sua direzione, dove lei era nascosta. Dietro di lei i passi dei suoi inseguitori sulle foglie secche si facevano più vicini. Era il momento. Schizzò fuori del suo riparo, puntò l'arma verso gli uomini che aveva davanti e schiacciò il grilletto, abbattendone due. Ma gli altri risposero con prontezza al fuoco. Improvvisamente qualcosa le colpì il braccio e la sua arma cadde a terra. Rimase lì ferma per un momento, a mani vuote, senza capire cosa fosse successo, mentre altre pallottole le passavano accanto fischiando. Quindi gli spari cessarono, senza che lei sapesse perché. Sapeva solo che aveva il fuoco nel braccio e che il sangue inzuppava i brandelli rimasti della manica. Qualcosa si mosse dietro di lei ma le mancò la forza per girarsi e vedere cosa fosse.
La sua testa esplose in una sfera di dolore e tutta la scena intorno tremolò davanti ai suoi occhi. E mentre crollava al suolo le parole le attraversarono la mente: Sono un essere mortale, soggetto a cadere... 40 Nancy Carlisle era in preda all'angoscia quando Levinson arrivò alla casa dove viveva con Rick. Quando l'ebbe calmata lei gli raccontò tutto di Rick e dell'ossessione che l'aveva preso di trovare i killer di Amy, aggiungendo che nell'ultima telefonata, due giorni prima, le aveva detto di essere entrato in contatto con i Figli di una Libera America. «Signora Carlisle», disse Levinson, «credo che debba venire alla centrale per la denuncia. Dobbiamo cominciare a cercare suo marito al più presto possibile.» «Pensa che sia in pericolo?» chiese lei con la voce che le tremava. «Sì, direi che è molto probabile. Prima lo troviamo e meglio è.» Sì, questo era il modo più sensato. Avrebbe messo alla ricerca l'intera forza, chiamato i federali e trovato non solo Rick Carlisle ma anche i bastardi a cui tanto lui che Amy davano la caccia. Probabilmente la polizia avrebbe potuto solo contare le vittime quando lei avesse finito, ma così almeno Levinson aveva la possibilità di non starsene con le mani in mano. La strada per la stazione di polizia passava accanto al lotto vuoto dove un tempo sorgeva l'asilo. Come sempre appariva tragico e desolato sotto la luce dei lampioni posti ai due angoli. Levinson lanciò un'occhiata allo spesso strato di polvere che copriva il terreno e poi, senza riflettere, inchiodò i freni. «Cosa c'è? Cosa succede?» chiese Nancy sorpresa. Levinson indicò le macerie finché anche lei lo vide. La polvere si muoveva, anche se il vento era cessato e non agitava più le ultime foglie secche rimaste sugli alberi. La polvere biancastra, la pallida cenere che un tempo era stata il Centro Diventiamo Amici e le persone che vi erano morte, si andava raccogliendo a onde in tanti piccoli cumuli. I mucchi crescevano in altezza, si allungavano in cilindri arrotondati, sormontati da mucchietti più piccoli. Sotto gli occhi di Levinson e di Nancy stavano prendendo la forma di uccelli. Erano dieci; il loro colore si scurì progressivamente passando dal grigio della cenere a un nero così fondo che sarebbero stati invisibili nel buio del-
la notte se non fosse stato per il riflesso dell'illuminazione stradale sulle loro lucide penne. Allora gli uccelli spiegarono le ali e anche attraverso i finestrini chiusi Levinson udì il loro rumore, come carta strappata, quando quelle creature appena create si mossero per la prima volta. Si staccarono da terra all'unisono, battendo l'aria notturna con le loro grandi ali, e puntarono verso nord. Senza una parola, Levinson cominciò a seguirli. Nancy Carlisle non protestò. «Sveglia, troia fottuta!» Lo schiaffo sul viso le fece riprendere conoscenza. Aveva freddo, più di quanto ne avesse mai avuto da quando era tornata tra i vivi. Il dolore al braccio era diventato insopportabile e quando cercò di muoverlo, di metterlo in una posizione più comoda, si accorse che aveva i polsi legati dietro la schiena. Sbatté più volte le palpebre e vide che era legata a una sedia. Tre uomini che non conosceva le stavano di fronte. Quello che l'aveva schiaffeggiata ansimava, aveva i denti stretti e i pugni serrati. Nella fondina alla cintura era infilata una calibro 45 e un coltello nel fodero gli pendeva sul fianco sinistro. Anche gli altri due indossavano una tuta mimetica. Uno di loro era armato di un fucile d'assalto. Sotto i baffi scuri si notava un accenno di sorriso. Il terzo era rasato di fresco e assomigliava vagamente al primo. L'espressione assente fece pensare ad Amy che doveva essere un po' ritardato. «Allora, sei sveglia?» disse il primo. «Guardati intorno, stronza, vedi qualcuno che conosci?» Amy voltò la testa. Al suo fianco, legato come lei su una sedia, c'era Rick. Istintivamente pronunciò il suo nome. «Rick... oh Dio.» «Rick, eh?» fece il primo uomo. «Allora, Ricky, a quanto pare conosci la nostra amichetta. Perché non ci presenti?» Rick aveva un aspetto spaventoso. Tutt'e due le orecchie erano tagliate e il sangue rappreso gli incrostava il collo. Aveva il volto pieno di lividi e un occhio nero. Ma le sorrise lo stesso. «La conoscete già. Ma se vi piacciono le formalità... Questi sono Ace Ludwig, Ray Withers e quel simpaticone di suo fratello Rip.» Rip Withers. Il primo nome che le aveva fatto William Standish. Ce l'aveva di fronte e non poteva fargli assolutamente nulla.
«E la stronza, come si chiama la stronza?» si informò Rip Withers. Rick continuò a sorridere, ma ora sorrideva a Rip Withers. «Come ti ho detto, la conosci già. L'hai uccisa. E mia moglie Amy.» Rip Withers lo guardò come se lo credesse pazzo, ma poi la sua espressione si rischiarò. «Ho capito», disse. «Adesso ho capito. Non hanno trovato il tuo corpo ma non perché ti eri disintegrata, ma perché non eri là dentro. Evidentemente sei uscita prima che la cosa cominciasse e da allora ti sei data per morta, eh?» «No», rispose Amy. «Sono morta. E sono tornata. Per te.» Tentò di divincolarsi ma le corde erano strette e sentì un'altra fitta dolorosa alle braccia. Le sembrò che tutta la sua forza fosse svanita, come se fosse diventata un'altra, completamente diversa da quella che il Corvo aveva riportato in vita. «Bene, finora te la sei spassata», disse Rip. «Ma il gioco finisce qua. Dov'è mio figlio?» «Chi?» «Non prendermi per il culo! Il mio ragazzo era laggiù di sentinella! Mio figlio, Karl! Che cosa gli hai fatto?» Il coltello uscì dal fodero e Withers lo brandì davanti ai suoi occhi. «Dimmelo o giuro su Jahvé che ti taglio le tette e le faccio mangiare a Ricky!» «Tuo figlio è vivo. L'ho legato.» «Che devi morire lo sai già, ma se gli hai fatto del male sarà una faccenda lunga e dolorosa.» Si rivolse all'uomo con il fucile. «Ace, potrebbe aver portato qualcuno con sé e un'intera squadra fa troppo rumore. Tu che sei il più silenzioso, vai a cercare Karl.» «E se trovo qualche suo amico?» domandò Ace. «Ammazzali.» «Benissimo», rispose Ace. «Mi farà piacere di inchiodare qualcosa di più di un maledetto corvo, stanotte», e uscì. Ecco cosa era successo, pensò Amy. Il Corvo era morto. Per questo la sua forza era finita, per questo era stata ferita al braccio e aveva perso conoscenza. E adesso che cosa sarebbe accaduto? Sarebbe morta una seconda volta per mano di quel folle? Se così doveva essere, avrebbe fatto in modo che non si dimenticasse mai più di lei: se non poteva ucciderlo poteva almeno farlo vivere nella sofferenza. «Allora, puttana», riprese Withers. «Dimmi chi altro sa che sei qui.» «Il generale Custer, la Sesta Flotta, Terminator, Superman...» Stava per
continuare la lista ma Withers la colpì violentemente con il dorso della mano. «Non hai ancora capito che non devi prendermi per il culo?» disse agitandole il coltello davanti al naso. «Posso prometterti un mondo di dolore, troia.» «Sai», rispose Amy, guardandolo intensamente negli occhi, «tuo figlio è molto più gentile di te. Non ti ha mai fatto riflettere, questa cosa?» Rip strinse gli occhi. «Che vuoi dire?» «Sarà davvero figlio tuo? Dico, per come trattavi tua moglie, non pensi che avrà cercato un po' di... conforto da qualcun altro? Qualcuno più simpatico, più gentile? Qualcuno che era sempre presente alle riunioni di famiglia, alle feste, ai picnic?» «Chiudi il becco», la interruppe Rip. «Chiudi quella fogna...» Ma Amy sapeva che Rip suo malgrado voleva sentire di più e così continuò a parlargli, ma rivolgendo lo sguardo al fratello Ray, usando le informazioni che aveva ottenuto attraverso il contatto psichico con il ragazzo nella foresta. «Personalmente mi sembra che Karl per aspetto e comportamento sia molto più somigliante al vero padre che a te, Rip. Tu che ne pensi, Ray? Sei fiero del tuo ragazzo?» Ray Withers appariva confuso e spaventato, sul punto di scoppiare a piangere. Rip guardava ora Amy ora Ray; quando il suo sguardo stravolto si fermò su Ray, Amy seppe con certezza che la dose di angoscia che aveva appena iniettato nella sua anima lo avrebbe divorato finché fosse vissuto. «Ray?» disse Rip, con un tono di collera e di paura, vicinissimo a perdere il controllo. «Diglielo a questa troia che è piena di merda...» Sembrava una preghiera, ma non trovò alcuna misericordia in Amy. «Lo sai che è vero, Rip... È per questo che Karl non è mai stato intelligente come te. Per questo che non è altrettanto rapido di mani o di mente e mai lo sarà. Perché non è tuo. E di Ray. È il figlio del tuo fratello scemo. Ma tuo fratello non è tanto scemo da rifiutare un po' di amore quando gli viene offerto.» «Ray?» ripeté Rip. «Dimmi che sta mentendo... basta che me lo dici e va tutto a posto.» Afferrò il fratello per un braccio e lo girò con uno strattone, fissandolo negli occhi pieni di lacrime. Ray scosse la testa, come non sapendo cosa dire o cosa fare. «Ray», disse ancora Rip, e questa volta la sua voce era più minacciosa. «Ti sei scopato Elizabeth? Dimmi di no... Dimmi la verità, Ray!»
«Io... io...» balbettò Ray e Amy sentì pena per lui, ma non tanto da cercare di interrompere, se mai avesse potuto, la cosa che aveva iniziato. «Io...» «Tu che cosa?» lo incalzò Rip, e Ray rispose con due parole che dicevano tutto. «Chiedo scusa...» Rip rimase a fissarlo per quella che parve un'eternità. Poi l'immobilità della scena si animò e la mano destra di Rip, quella che impugnava il coltello, scattò verso il ventre del fratello. Ray ebbe un sussulto, spalancò gli occhi e cominciò ad ansimare. Fissando con aria incredula il fratello maggiore gli posò le mani sulle spalle. «Chiedo scusa...» mormorò, come un bambino. «Io...» Ma quello che intendeva aggiungere non si udì. Il suo corpo massiccio si accasciò tra le braccia del fratello e Rip lo accompagnò al suolo, sfilando il coltello. «Ho toccato un tasto delicato?» chiese Amy in tono gentile. La sua forza ormai era quella di un comune mortale, ma il fuoco della vendetta divampava vivo più che mai dentro di lei, facendola esultare per la ferita che aveva inferto all'uomo che la teneva prigioniera, all'uomo che aveva assassinato i suoi bambini. Rip Withers si alzò lentamente, e la faccia che mostrava era di quelle che si vedono solo negli incubi. «Tu... maledetta... puttana!» sibilò a denti stretti. Sollevò il coltello insanguinato e parve sul punto di piantarglielo negli occhi. Doveva reagire in fretta. «Sei proprio quello che sospettavo», disse sprezzante, senza mostrare paura, che peraltro non provava. «Non sei un soldato, sei un sadico. Dovresti vergognarti a chiamare milizia questo branco di squilibrati. Ma guardati. Non c'è niente di militare né in te né nella tua operazione. Ora probabilmente ci pugnalerai, vero? O prima ci torturerai per sentirti meglio?» Rise di scherno. «Siete dei malati di mente.» Il discorso ebbe l'effetto desiderato. L'espressione di Rip Withers non era meno carica di odio, ma lo sguardo di follia sembrava attutito. «Non siamo malati», protestò. «E non siamo sadici... siamo patrioti!» «E allora perché hai ammazzato tuo fratello?» «Era un traditore!» Rip si sforzò di controllare la collera. «Ha tradito me e prima o poi avrebbe tradito anche i Figli. Doveva morire. E anche voi. I pazzi siete voi, a difendere un governo che vuole solo schiacciare voi e ogni cittadino che non sia ebreo o di una di quelle razze inferiori che usa
contro di noi. Ma si avvicina il tempo della guerra aperta: il primo vero attacco lo sferreremo domani.» «Come?» chiese Amy. Alla domanda rispose Rick, stanco dei comizi deliranti di Withers. «Nel bunker tengono una bomba che domani mattina farà saltare mezza Hobie.» «Esatto», confermò Withers. «Dal palazzo del governo. Peccato che voi non lo vedrete. Morirete adesso, come spie.» Si affacciò alla porta della cella e ordinò: «Preparate il plotone di esecuzione! Jackson e Anders, portate i prigionieri al campo di tiro!» Due miliziani apparvero armati sulla soglia. Vedendo Ray Withers a terra guardarono Rip interdetti. «Un altro traditore», spiegò lui con un tono fermo che non ammetteva repliche. «Portate via i prigionieri.» L'area esterna era ancora illuminata a giorno. Amy vide che i corpi dei due uomini che lei aveva ucciso nell'assalto finale erano stati rinchiusi nei sacchi di plastica e sistemati accanto a uno degli edifici, circondati da diversi uomini. Altri erano seduti sulle panche del poligono con i fucili sulle ginocchia, o tornavano dalle camerate dove erano andati ad armarsi per formare il plotone di esecuzione. Quando Amy e Rick comparvero tutti li guardarono con la medesima espressione di odio aperto. 41 Rip Withers condusse Amy e Rick e le loro guardie al poligono, ma non li portò sul lato di fondo, dove si trovavano i bersagli. Si fermò dopo venti metri e si girò verso di loro. «Non intendo farvi legare ai pali. Potete stare qui in piedi ad aspettare le pallottole. Se cadete prima, vi spariamo a terra. Avete più probabilità di farvi uccidere in modo pulito se rimanete in piedi. Non ho altro da dire se non che sono sicuro che finirete a bruciare all'inferno e io un giorno guarderò giù dal cielo e mi godrò lo spettacolo.» Fece dietrofront e si avviò verso gli altri uomini, seguito dalle due guardie. «Plotone di esecuzione, schierarsi!» ordinò, e gli uomini si precipitarono a eseguire il comando. Rick guardò Amy. «Credo proprio che siamo arrivati alla fine.» «Per ora», rispose lei. «Non ho idea di quello che ci aspetta dopo.» «Magari torniamo tutti e due.» «No», disse Amy, guardando le due file di uomini armati in formazione. La prima fila si inginocchiò. Erano più di una ventina. «Non credo che
tornerò mai più. Aver ricevuto una occasione per rimettere le cose a posto è già abbastanza miracoloso.» «Hai ragione», annuì Rick assorto. «È stato davvero un miracolo. Ma forse i miracoli non sono ancora finiti, Amy. Devi credere.» Le sorrise mentre gli uomini preparavano i fucili. «Ti amo, Amy. Non ho mai smesso di amarti. Sono felice di trovarmi con te adesso. Ho rimpianto mille volte che allora non ero assieme a te.» «Non devi. Non si deve mai desiderare la morte. La vita è troppo preziosa.» «Non lo è quando chi la rende preziosa non c'è più.» Amy si girò verso il plotone. Non avrebbe detto a Rick che lo amava. Non poteva. Era ancora il marito di Nancy nonostante l'intreccio di realtà provocato dal Corvo. «Anch'io sono felice di essere con te»: solo questo riuscì a dire. Rip Withers ringhiò il suo comando: «Pronti a far fuoco!» Amy alzò gli occhi verso il cielo buio, molto al di là del raggio delle loro luci e desiderò, pregò, sperò, volle che qualcosa ne scendesse, un gigantesco uccello nero dall'oscurità che li divorasse tutti, un unico immenso Corvo che ponesse definitivamente riparo al torto. Non a tutto il torto del mondo, ma a quello creato da quegli esseri distorti tutti lì riuniti all'interno di quel reticolato. Sì, quello era il momento della giustizia. Quello più che mai era il momento del Corvo. La sua preghiera fu esaudita. Li udì prima ancora di vederli. In un primo momento sembravano le grida lontane di bambini che giocano. Vide i militari che si irrigidivano sull'attenti e lentamente abbassavano i fucili in posizione di tiro. Le voci si facevano più forti. Sì, pensò, erano proprio grida di bambini, la risata acuta di Brenda Tran, il verso beffardo di Pete Grissom, il risolino trattenuto di DeMarole White. Ma crescendo di intensità le voci cambiarono, diventando grida di uccelli, rauchi versi che si facevano sempre più forti, esigendo di essere ascoltati. Infine li vide, lunga fila di perle nere sullo sfondo di topazio della luna. Volavano in fila, uno dietro l'altro: la loro unità era subito evidente, come certa era, per Amy, la loro intenzione. Discesero, nella stessa formazione in cui volavano, nello spazio tra loro due e il plotone di esecuzione. Toccarono terra rivolti agli uomini armati. Amy ne contò dieci. Dieci corvi, uno per ciascun bambino morto. Il suo cuore balzò per l'emozione, ma il freddo della paura corse lungo le sue
membra. Poi davanti agli occhi suoi, di Rick e di quei soldati fasulli, i corvi cominciarono a trasformarsi, crescendo, allungandosi in un punto, allargandosi in un altro, finché con un brivido di orrore Amy vide i suoi bambini schierati in fila tra lei e i soldati. L'immagine di loro che cadevano crivellati dai proiettili come erano caduti straziati dalle bombe la fece scattare verso di loro per proteggerli con il suo corpo. Ma rimasero bambini solo per un attimo, appena il tempo che Amy corresse da loro e vedesse i loro volti. Erano volti pieni di tristezza, volti di bambini carichi della consapevolezza adulta che non sarebbero mai cresciuti, che mai avrebbero visto i propri figli correre e giocare. Erano volti di tragedia con le fattezze delicate dei bimbi, e per questo ancora più terribili. Ma quei visi cambiarono, divennero più adulti e salirono in alto mentre i corpi sotto di loro crescevano. Invecchiavano sotto gli occhi di Amy, vivendo nell'arco di qualche secondo quegli anni dì cui erano stati privati, finché furono dieci giovani uomini e donne, pienamente cresciuti, in possesso di tutta la forza che una cura amorosa avrebbe dato loro, dieci corpi robusti, nudi senza sensualità, creature non di vita ma di una qualche vita oltre la morte, di una qualche oscura giustizia piumata che vietava che le cose finissero con due cadaveri legati giacenti nel proprio sangue in un freddo campo del disonore. Non la guardarono. Mossero i loro passi silenziosi e decisi verso le due file di soldati. Camminavano a testa alta, a pugni chiusi, con gli occhi, vivi per quella sola notte, pieni della collera del giusto. «Fuoco!» urlò Rip Withers, ma la sua voce si spezzò in un singhiozzo di terrore. «Sparate! Colpiteli!» Gli uomini puntarono le armi contro le figure che si avvicinavano e fecero fuoco. Le pallottole raggiunsero la loro carne ma senza neppure rallentarli; pochi secondi e quei giovani corpi erano sui loro assassini. I fucili furono strappati dalle mani tremanti dal terrore e gettati via. I soldati caddero in ginocchio mentre i pugni di una forza soprannaturale piovevano su di loro. Qualcuno cercò di fuggire ma i loro inseguitori, rapidi come il vento, li raggiunsero e strinsero dita d'acciaio attorno alle loro gole. Nel mezzo dell'attacco Rip Withers rimase impietrito per lo sbalordimento e lo choc, finché un giovane uomo dai tratti asiatici e la pelle dorata lo afferrò per il collo e cominciò a strozzarlo. E nel viso irato di quel gio-
vane Amy vide gli occhi di Charlie Tran, tornato dall'aldilà per compiere la vendetta che lei non aveva potuto eseguire. «No!» gridò Amy, e fu stupita lei stessa nel vedere che tutti i suoi ragazzi si voltavano verso di lei. I loro pugni, pronti a sferrare colpi mortali, si arrestarono a mezz'aria. Le loro dita, affondate nella carne delle gole, allentarono la presa, lasciando che l'aria tornasse a riempire i polmoni, il sangue a irrorare i cervelli agonizzanti. «Fermi! Non potete far questo, questa è la mia battaglia. Non potete sporcare le vostre anime con la morte di questi... dementi. Sono io, non voi, quella tornata per fare giustizia. La loro morte deve restare sulla mia anima.» Li guardò tutti, uno per uno, con gli occhi imploranti. «Non sono tornata per vedervi trasformati in assassini... sono tornata per amore. Vi prego, non lo fate. Date a me la vostra forza. Lasciate che sia io ancora la vostra giustizia...» Uno alla volta, i dieci si raddrizzarono, lasciarono cadere al suolo i loro avversari. Nessuno di questi, tremanti e terrorizzati, sembrava pronto a combattere ancora, dopo questo attacco degli invincibili morti viventi. Le dieci figure si diressero lentamente verso Amy, ignorando totalmente gli uomini accasciati a terra. Sul volto di ognuno di loro Amy riconobbe gli occhi risplendenti di un bambino. La circondarono, cingendo ciascuno con le braccia le spalle di quelli vicini, avvicinando le teste alla sua, tanto che ne poteva sentire l'alito, profumato ed etereo come il più puro degli incensi. L'amore che sentiva per loro era così travolgente e profondo da darle le vertigini. Allora i ragazzi cominciarono a svanire e sulle prime Amy pensò che stessero andando via. Ma poi vide che si stavano trasformando in polvere, polvere pallida e leggera che cadeva come neve al suolo raccogliendosi in pace in mucchietti ai suoi piedi, I suoi bambini. I suoi dolci bambini. In alto risuonò un grido; quando alzò la testa vide, posato sul tetto dell'edificio semisepolto, il Corvo. Il Corvo. Vivo. Se era così, allora... Tese i lacci di cuoio che le legavano i polsi e sentì che si spezzavano come fossero stati di carta. La forza era di nuovo con lei. L'amore per i suoi bambini, il loro amore per lei, l'avevano ristorata, avevano ridato vita al Corvo.
42 In un lampo Amy liberò Rick e raccolse l'arma più vicina, un fucile da assalto con tanta potenza di fuoco da falciare tutti e venti gli uomini che, malconci e atterriti, si stavano lentamente rialzando da terra. Anche Rick trovò un'arma, con cui tenne sotto tiro i soldati sconfitti, disarmandoli. Amy si unì a lui nel raccogliere tutte le armi; quando ebbero ammucchiato tutti i fucili sentì il rumore di un motore proveniente dall'esterno del cancello. Altri pochi secondi e vide le luci di un veicolo che si avvicinava al complesso lungo l'unica via di accesso. «Tienili d'occhio», disse a Rick, accennando ai miseri resti dei Figli di una Libera America. Corse al cancello raggiungendolo appena in tempo per vedere David Levinson che scendeva dal suo furgoncino, con un fucile a pompa in mano, pronto allo scontro. Quando vide Amy armata abbassò il fucile. «Come sei arrivato qui?» gli domandò lei aprendo il cancello. «Abbiamo seguito i corvi. Ma cosa...» «Abbiamo?» La domanda di Amy ricevette risposta quando lo sportello del passeggero si aprì e dal veicolo scese guardinga Nancy. Il loro sguardo si incontrò e lei vi scorse prima un senso di sorpresa, poi di gioia, quindi di choc. Nancy impallidì e parve barcollare. In quel momento uno sparo spezzò il silenzio che era tornato a coprire la notte. Sulle prime Amy credette che Nancy fosse stata colpita, ma poi si rese conto che il proiettile aveva colpito lei, entrandole nella schiena e uscendo dallo stomaco. Sentì appena una leggera fitta di dolore. Amy si girò di scatto, sentì un'altra raffica e vide il ragazzo, Karl Withers, che correva uscendo dalla foresta, illeso, guardandosi alle spalle, gridando a qualcuno di fermarsi, di non sparare più. Ma l'altro non gli diede ascolto. Una pallottola della raffica seguente raggiunse Karl. Amy vide il sangue schizzare dalla gamba sinistra del ragazzo, che cadde a terra. Un'altra raffica spazzò il terreno accanto a lui e improvvisamente tutti si misero a correre. Amy scattò verso gli alberi da cui erano arrivati gli spari e sentì i passi di Levinson risuonare alle sue spalle. Alla sua sinistra Rick accorse verso il ragazzo, sparando alla cieca, in corsa, verso il bosco. Quindi si inginocchiò, coprì Karl con il suo corpo e cercò di farlo rialzare. Un'altra raffica scosse la notte e Rick si irrigidì e crollò sopra il ragazzo. Amy lanciò un grido di rabbia e aprì il fuoco verso gli alberi, ma cessò il
fuoco quando una sagoma, enorme e nera, entrò nel suo campo visuale. Il Corvo volò come una freccia nel folto delle piante, lanciando il suo verso roco; Amy vide Ace Ludwig che usciva barcollando allo scoperto mentre il Corvo si allontanava. Amy e Levinson spararono all'unisono. La raffica di Amy raggiunse Ace allo stomaco e il colpo di fucile di Levinson lo colpì in pieno collo, spezzandoglielo di netto e strappando via la testa. Immediatamente Amy portò la bocca della sua arma verso il resto dei miliziani, ma nessuno di loro si muoveva. Solo Rip Withers si stava avvicinando lentamente a Karl e Rick. Amy si mise a correre verso Rick, sempre puntando l'arma contro i soldati inebetiti. Karl era uscito strisciando da sotto Rick e non badava alla propria gamba ferita, preoccupato com'era per l'uomo che per la seconda volta aveva cercato di salvargli la vita. «Traditore!» gridò Rip Withers avvicinandosi al ragazzo e a Rick. «Traditore bastardo!» ripeté più piano, con le lacrime agli occhi. «Non un altro passo», intimò Levinson, puntando il fucile contro Withers. L'uomo si fermò, respirando affannosamente. Era svanito tutto, suo figlio, il suo esercito, il suo sogno, tutto. Nancy e Amy arrivarono da Rick contemporaneamente. Un rivolo di sangue gli scorreva dalle labbra e Amy capì che gli restavano da vivere solo pochi momenti. Fece un cenno a Nancy che, come se avesse ricevuto il permesso, si inginocchiò accanto a Rick. Amy rimase in piedi a guardarli. Nancy strinse il marito tra le braccia senza badare al sangue che usciva dal foro di uscita del proiettile nella schiena. Rick mosse appena la testa per guardarla. Accennò un sorriso e Nancy, con le lacrime che le rigavano le guance, gli baciò la fronte, poi le labbra insanguinate. Rick voltò debolmente la testa e guardò Amy. Ora il sorriso era scomparso dal suo viso e dopo un istante anche la vita lo abbandonò. I suoi occhi spenti erano fissi in quelli di Amy, ma lei non poté leggervi nulla, né l'amore né la promessa che si sarebbero incontrati ancora. Non erano altro che gli occhi di un morto, muti ed enigmatici come sempre sono e saranno gli occhi dei morti. Nancy fu scossa da un singhiozzo e guardò Amy, ignorando cosa fosse accaduto, come e perché, sapendo solo che non avrebbe mai capito fino in fondo. Si sforzò ugualmente di domandare. «Che cosa... è successo? Che cosa... hai... fatto?» «Sono tornata», rispose Amy, «per riparare a un torto.» Guardò di nuovo
il volto di Rick, poi il ragazzo che si era mostrato capace di redenzione, il figlio del suo assassino, che Rick aveva cercato di salvare a costo della propria vita. «Ma è stato Rick a farlo.» Scosse la testa. «Io non posso far altro che farla finita adesso.» Guardò Levinson, che aveva raccolto un fucile da assalto dal mucchio e con questo e la sua arma teneva a bada il gruppo di prigionieri. «David», disse, «porta via di qui Nancy e il ragazzo. Vai a cercare aiuto.» «E quelli?» chiese Levinson indicando gli uomini che se ne stavano seduti a terra o in piedi con aria sconfitta ma con gli occhi ancora pieni di rabbia. Lei gli si avvicinò perché gli altri non sentissero. «Li chiudiamo in quel bunker», rispose accennando con la testa all'edificio semisepolto. Quindi si rivolse al gruppo e alzò la voce. «Ascoltatemi! Per il momento vi imprigioneremo. Poi l'agente Levinson tornerà con altri...» Forse era stato il pensiero di essere imprigionato, o forse l'idea di essere arrestato da un ebreo, ma uno degli uomini tentò con un balzo di raggiungere il mucchio delle armi. Amy lo aveva previsto e sparò, raggiungendolo al torace prima che fosse arrivato a metà del percorso. Cadde senza un grido. «Nessun altro ci riprovi», ammonì Amy con calma. «Ora muovetevi. Entrerete tutti in quel bunker». «Signora», disse Karl Withers, mentre Nancy lo aiutava a rimettersi in piedi. «Là dentro ci sono dei fucili, e...» «Lo so che cosa c'è. Non ci saranno problemi. Intendo tenere compagnia a questi gentiluomini fino all'arrivo delle autorità.» Agitò la canna dell'arma in direzione del bunker e gli uomini si misero in moto. «Il primo che tenta di fuggire è morto prima di aver fatto cinque passi. Attenti a come vi muovete.» Amy notò che mormoravano tra loro ed ebbe la certezza che stavano pensando che una volta dentro potevano impadronirsi delle armi e ribaltare la situazione. Mentre Amy e Levinson portavano i miliziani al bunker Nancy accompagnò Karl oltre il cancello e alla macchina di David. Amy precedette gli uomini giù per la scala di accesso. L'interno della costruzione era molto più ampio di quanto si potesse pensare guardandolo da fuori. Lungo una parete erano allineate le rastrelliere con una varietà di armi da fuoco, mentre accanto all'altra erano sistemate le casse delle munizioni. Su altre casse di legno, più in fondo, spiccava la
parola GRANATE e accanto a esse erano disposti contenitori carichi di candelotti di dinamite. C'erano anche diversi vasi di vetro pieni di un materiale grigio, e dei pacchetti di carta sigillati. Ma quello che cercava Amy era su un tavolo accanto all'ingresso, vicino alle rastrelliere dei fucili. Badò che nessuno degli uomini vi si avvicinasse mentre li conduceva verso il lato della stanza dove si trovavano le munizioni. Si prendano tutte le pallottole che vogliono, pensò. Senza un'arma non erano di grande utilità. «Avanti, signori. Ecco. Se volete potete sedervi su quelle casse. Sono sicura che siete piuttosto stanchi. Solo, per favore, non azzardatevi ad avvicinarvi ai fucili.» «Amy», disse sottovoce Levinson, «intendi restare qui con loro?» «Esatto.» Non perdeva d'occhio gli uomini, che apparivano nervosi e pericolosi. Rip Withers era in piedi, come molti di quelli che non erano stati feriti alle gambe nell'attacco. «Ma nessuno di noi uscirà.» Lo guardò e vide che la stava osservando preoccupato, forse con un po' di paura. «Non temere, non sentiranno niente.» Indicò una chiave appesa a un chiodo sulla porta. «Chiudi dall'esterno. Subito. E porta Nancy e quel ragazzo il più lontano possibile, al più presto. Grazie, David.» Sorrise. Levinson cercò di ricambiare il sorriso, ma aveva un groppo alla gola. Si girò, prese la chiave e salì di corsa i pochi gradini, chiudendosi la porta alle spalle. Amy sentì girare la chiave. Aspettò quanto più poté. Si raffigurò Levinson che correva attraverso la radura e fuori del cancello, che aiutava Nancy a far salire il ragazzo sul veicolo, se non l'aveva già fatto. Avrebbe armeggiato con le chiavi per qualche istante, poi avrebbe fatto manovra e si sarebbe immesso sulla strada da cui era arrivato, aspettandosi da un momento all'altro di sentire qualcosa dietro di sé. Ecco. Il tempo passato era sufficiente. Ora lui era al sicuro. La vita era assicurata. Tempo di pensare alla morte. Gli uomini cominciavano a muoversi. Era inevitabile che tentassero di sopraffarla, pur sapendo che qualcuno di loro sarebbe finito sotto i suoi colpi. Quindi avrebbero abbattuto la porta e sarebbero fuggiti prima che l'ebreo tornasse con i federali. Così pensavano. Muovendosi con decisione, sempre tenendoli sotto tiro, si accostò a una cassa di bombe a mano, infilò le dita sotto il coperchio e lo sollevò con uno strappo. Al cigolio dei chiodi che si sfilavano dal legno gli uomini la guardarono sbigottiti: per aprire una cassa loro avrebbero dovuto usare un
piede di porco. Le granate erano disposte ordinatamente come uova in una confezione di plastica e Amy ne prese una. Schiacciò la sicura con la sinistra e con la destra tolse l'anello. Ora la bomba era armata. Non doveva fare altro che lasciarla andare e nessuno avrebbe potuto fermarla. «Ora», riprese tornando a voltarsi verso i prigionieri che la guardavano con tanto d'occhi. «Se qualcuno di voi si sta chiedendo come intendo mantenere la disciplina...» Sollevò le due mani, la destra con la bomba e la sinistra con il fucile. «Ecco. E non perdete tempo a correre alla porta. È chiusa.» Tornò lentamente verso l'entrata e si fermò accanto al tavolo su cui era posata la cassa. «Sono stufa di tutto questo», disse, con una stanchezza infinita. Aveva voglia di dormire per un tempo lunghissimo. Avrebbe voluto addormentarsi tra le braccia di Rick e poi svegliarsi e vedere i loro bambini intorno a lei, ma non sapeva se questo sarebbe mai accaduto. Lo sperava. «Sono morta per causa vostra», riprese. «E per causa vostra sono qui. Vi porto giustizia. Ma prego per la salvezza delle vostre anime.» Abbassò lo sguardo sulla granata. «Perché se voi siete dannati lo sono anch'io.» Amy guardò dentro la grande cassa di legno che conteneva l'ultima bomba di Powder Burns. Quindi lasciò andare la leva di sicurezza della granata e la piazzò nella giungla multicolore di fili e interruttori che circondavano il carico esplosivo della bomba. Ci fu solo il tempo perché gli uomini urlassero e Amy chiudesse gli occhi, sperando che il buio rimanesse con lei. Levinson vide il lampo prima di sentire il boato e sentì il boato prima di avvertire l'urto. Sembrò che l'intera foresta esplodesse dietro di lui, come se il suolo fosse un'immensa coperta che qualcuno avesse deciso improvvisamente di scuotere. Inchiodò i freni finché l'onda d'urto fu passata, ma anche a quella distanza di quasi un chilometro arrivò una pioggia di detriti sul tetto della Blazer. «Amy, è...» mormorò Nancy quando il suo tremito si fu un po' calmato. «Sì, se n'è andata. Se ne sono andati tutti.» Guardò il ragazzo. «Tutti i tuoi amici.» Gli occhi del ragazzo erano pieni di lacrime. «Non erano miei amici. Nessuno di loro... nessuno di loro...»
Mentre si dirigevano verso Hobie e il suo ospedale, incrociando le auto della polizia che correvano nella direzione opposta, Levinson raccontò a Nancy tutta la storia, o meglio quanto sapeva lui della storia. Quando ebbe finito lei rimase in silenzio per un po'. Poi disse: «Non ci credo. Amy non era morta. Lei e Rick... loro due hanno progettato tutto». La sua voce era gonfia di dolore e umiliazione. «Rick... Rick non mi ha mai amato.» «Quello che ho detto è vero», rispose Levinson. «E credo che invece ti amasse, tanto quanto poteva. Ma amava anche Amy.» «Adesso è con lei», disse Nancy, e lui sentì dolore e rabbia, e qualcosa che sperò potesse essere amore, nella sua voce. Non rispose, ma pensò: lo spero. Dio, Corvo, chiunque sia a prendere queste decisioni, ti prego fa' che sia così. 43 Il mattino dopo, poco prima dell'alba, David Levinson stava salendo sulla sua Blazer parcheggiata davanti alla stazione di polizia. Karl Withers era all'ospedale, fuori pericolo, Nancy Carlisle dormiva con l'aiuto dei sedativi e Levinson aveva riferito ai suoi superiori e a diversi agenti federali molto meno di quanto sapesse in realtà. C'erano volute ore per dipanare il suo racconto. Aveva dichiarato che, per quello che ne sapeva lui, Amy Carlisle era sopravvissuta all'esplosione, probabilmente si era allontanata subito dopo in stato di amnesia e quando aveva recuperato la memoria si era messa in contatto con il marito. Loro due, senza che la nuova moglie di quest'ultimo ne sapesse nulla, avevano cominciato a dare la caccia ai terroristi e avevano concluso la loro ricerca morendo nell'esplosione nel campo del gruppo paramilitare. La storia probabilmente aveva più buchi di una fetta di formaggio svizzero, ma quello che appariva il suo nucleo era abbastanza consistente: la stessa banda di estremisti armati che aveva fatto saltare un asilo, poi ucciso Wilson Barnes, William Standish e sua madre, era a sua volta saltata in aria per l'esplosione di una bomba di sua stessa fabbricazione. Secondo la ricostruzione di Levinson, Amy o Rick potevano essere responsabili della morte di Sonny Armitage e Junior Feeley. Un'ipotesi più probabile per le morti avvenute a Eau Claire poteva però essere una vendetta eseguita dai capi dei terroristi contro un membro, Chip Porter, ritenuto per qualche motivo colpevole di tradimento. Bene, aveva fatto di tutto per conservare il più possibile integra la me-
moria di Amy Carlisle. Mise in moto e puntò verso casa, pensando che avrebbe chiesto a Trotter di aiutarlo a recuperare la Avanti. Trotter non avrebbe fatto domande. Il sito dove sorgeva il Centro Diventiamo Amici non era sulla strada per la casa di Levinson, ma volle passare di lì ugualmente, solo per vedere se era cambiato qualcosa. Non rimase deluso. La luce dell'alba cominciava a illuminare la strada quando accostò il furgone al marciapiedi e ne discese. Faceva freddo, ma la sola vista dei raggi del sole che si affacciavano all'orizzonte bastò a riscaldarlo. C'erano delle piantine, tre, che erano spuntate tra la polvere e la cenere, tre alberelli cresciuti dai semi portati dal vento. Alti poco più di un palmo, formavano gli apici di un triangolo a qualche metro l'uno dall'altro. Mentre si avvicinava, notò qualcosa che non riuscì a spiegarsi. Benché fosse novembre, con la temperatura prossima allo zero, le pianticelle stavano germogliando minuscole gemme verdi. Nella polvere, all'interno del triangolo, erano spuntati anche diversi fiorellini. Erano dieci, tutti di colore diverso. Erano radicati nella polvere e nella cenere, bellezza nata dalla distruzione. Dieci fiori. Dieci bambini perduti. Tre alberi. Judy Croft. Amy Carlisle. E il marito di Amy. Con il suo sacrificio, Rick Carlisle aveva fatto non meno di loro due. Si era guadagnato quel posto. Quell'albero. Forse ora che i colpevoli erano stati identificati e una volta sistemate le faccende legali, qualcuno poteva fare ciò che la natura aveva già cominciato: trasformare quel luogo in un parco, un memoriale, con qualche attrezzatura da gioco, così che vi si potessero ancora sentire le risate dei bambini. Alzò gli occhi verso il cielo che si rischiarava, sperando di vedere un corvo spuntare da oriente. E invece scese sul marciapiedi un gruppetto di passeri, che si misero a beccare qualche briciola di pane. Rimase a osservarli finché non volarono via. E allora, mantenendo la promessa che aveva fatto ad Amy Carlisle, andò al tempio per la prima volta dopo tanti anni. Lì recitò il Kaddish, non solo per lei, ma per quelli che erano morti con lei, per quelli che erano morti per lei. Colui che fa la pace nell'alto del suo regno,
Possa fare la pace per noi. FINE