Titolo originale
Antimatter
© 2009 Frank Close. Antimatter was originally published in English in 2009 This translation is published by arrangement with Oxford University Press © 2010 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino www.einaudi.it ISBN 9 7 8 - 8 8 - 0 6 - 2 0 3 6 1 - 0
Frank Close
Antimateria Traduzione di Giorgio P. Panini
Giulio Einaudi editore
Indice
p. vn
Ringraziamenti
Antimateria Premessa L'inizio
I.
Antimateria: realtà o invenzione? C i sono state o potranno esserci collisioni tra l'antimateria e la Terra ? G l i enormi poteri dell'antimateria Segreti sull'antimateria L'antimateria in natura
II.
Il mondo materiale Materia e antimateria Spettri atomici e comportamento quantistico dell'elettrone L'elettrone gira come una trottola E , come Einstein e come E = me2
III.
Pietre miliari Paul Dirac Due al prezzo di uno II mare infinito C h e cos'è questo elettrone positivo ?
IV.
Scoperta nel cosmo La scoperta del positrone Blackett alle prese con la creazione I positroni sul pianeta Terra
V.
Annichilazione Né materia né antimateria Q u a n t e antiparticelle!
Quark e wtiquark Q u a n d o i quark incontrano gli antiquark
VI.
Confinare l'antimateria La sostanya che distrugge tutto Domare gli antiprotoni La trappola di Penning Antiprotoni in gabbia L'anti-idrogeno e la fabbrica di antimateria IL
VII.
L'Universo allo specchio Indietro nel tempo ? II comportamento strano delle particelle "strane" Non stringete la mano a un anti-alieno VIII.
Perché mai esistono le cose?
II mistero dell'antimateria mancante II bis del Big Bang Neutrini Apocalisse, ma non proprio
IX.
Vero e falso Antimateria. Realtà romanzesca. Fattoidi Energia spesa, energia utile e antimateria Antimateria in quantità Fantasie. L e b o m b e ad antimateria Per arrivare all'ultima frontiera Finzioni trasformate in f a t t i L'antimateria che produce verità
Appendice I costi dell'antimateria II « C o d i c e D i r a c » Bibliografia Indice
analitico
LEP
Ringraziamenti
In trent'anni di attività, durante i quali ho tenuto lezioni o conferenze e partecipato a trasmissioni radio e televisive, le domande che più spesso mi sono state poste riguardavano l'antimateria, superando, per numero, quelle relative a tutti gli altri temi. Il 4 ottobre 2007 ho partecipato insieme a Melvyn Bragg, Val Gibson e Ruth Gregory a una trasmissione della serie In Our Timeo
re Rolf Landua, per aver controllato i dati numerici da me presentati, correggendo vari errori presenti nelle prime stesure del testo, e per le lunghe conversazioni in cui abbiamo discusso dell'antimateria. Betsy Devine, George Kalmus, Michael Marten e Latha Menon, cui si deve la cura dell'edizione, hanno letto, in parte o interamente, i miei abbozzi, e i loro suggerimenti sono stati quasi sempre integrati nel testo definitivo. Sono debitore anche a Gerald Smith, per avermi fornito copie dei suoi opuscoli relativi a ricerche condotte nel campo dell'antimateria, a Stan Brodsky e a Thornton Greenland, per le argomentazioni che mi hanno proposto discutendo del positronio eccitato, a Kathryn Maris, per avermi iniziato alla poesia insita in queste ricerche descrivendo cosi, con una suggestiva analogia, materia e antimateria: «Sono fratelli, come Caino e Abele, figli dei progenitori (il Big Bang), e uno dei fratelli uccide l'altro», e ai numerosi colleghi, presso il CERN e a Oxford, i cui commenti, anche se non citati, hanno esercitato un'importante influenza su ciò che ho scritto.
Antimateria
Premessa
L'inizio. In principio non c'era nulla: «... e tenebre erano sopra la faccia dell'abisso». Poi ci fu uno scoppio di energia: «Sia la luce. E la luce fu», per quanto non si sappia di dove essa sia venuta. Ciò che sappiamo è ciò che è accaduto in seguito: questa energia si è raggrumata, formando la materia e un suo misterioso contrario, l'antimateria, a controbilanciarla perfettamente. La comune materia è la "cosa" con cui abbiamo sempre a che fare. Costituisce l'aria, le rocce, gli esseri viventi. Ma l'esatto opposto della materia, identica a essa per ogni caratteristica, se non per il fatto che dentro ai suoi atomi ogni cosa è "rovesciata", non ci è affatto familiare. È l'antimateria, il contrario della materia, la sua antitesi. Oggi, in condizioni normali, l'antimateria non esiste, per lo meno sulla Terra: una scomparsa che costituisce uno dei misteri irrisolti dell'Universo. Ma sappiamo che l'antimateria c'è davvero perché i ricercatori sono riusciti a fabbricarne, in laboratorio, piccolissime porzioni. L'antimateria distrugge qualunque forma di materia con cui venga a contatto in una sorta di lampo da fuoco d'artificio, una liberazione esplosiva di tutta l'energia che è stata racchiusa, bloccata, in essa per miliardi di anni. Dunque l'antimateria potrebbe diventare una straordinaria fonte d'energia e la chiave della tecnologia del x x i secolo. O , al contrario, la sua capacità di cancellare la materia e trasformarla in un semplice ricordo può farne l'arma definitiva della distruzione di massa.
Questo almeno è ciò che credono, e ci fanno credere, la letteratura popolare, coloro che riempiono delle loro opinioni i siti della rete informatica e anche qualche membro della us Air Force (l'aeronautica militare statunitense). Ma le cose stanno proprio cosi?
Capitolo primo Antimateria: realtà o invenzione ?
«Che cosa accade quando una forza irresistibile incontra un oggetto inamovibile ?» Mio padre non aveva l'abitudine di procedere con cautela quando si metteva a parlare dei misteri dell'Universo. E, come Newton che non si era accontentato di una sola legge per descrivere il moto, o Beethoven, cui non era bastata una sinfonia, papà non si limitava a una domanda; e aggiungeva: «Come puoi conservare una sostanza che distrugge qualunque cosa con cui venga in contatto?» L'idea di qualcosa che, come prima manifestazione, potrebbe distruggere il proprio contenitore ha inquietanti conseguenze: perché si dovrebbe fermare a quel punto, dopo quella prima distruzione ? Avendo distrutto la propria prigione e riuscendo cosi a fuggire, tale "cosa" potrebbe esser libera di divorare tutto ciò che la circonda, condannando a scomparire nell'oblio qualunque oggetto e infine ciascuno di noi. Questa sarebbe davvero una forza irresistibile, materiale perfetto per incubi e racconti dell'orrore. Decidevo allora che la risposta giusta era questa: la domanda di mio padre riguardava una cosa inventata, non vera. Mi sbagliavo. Forze irresistibili che incontrano oggetti inamovibili: questa invenzione presuppone il concetto di infinito. I filosofi potrebbero prendere seriamente in considerazione i paradossi che sorgono dall'idea di due infinità in contesa una con l'altra, ma questi sono risolvibili con battute come: «Il mio infinito è più grande del tuo!» Comunque, la sostanza capace di distruggere tutto è una cosa concreta: un'altra materia, letteralmente e totalmente "altra", detta antimateria. Per quanto sia amata da-
gli autori di storie fantascientifiche, è nondimeno reale: esiste sul serio e le implicazioni della sua esistenza sono importanti e complesse. L'antimateria è una sorta di misteriosa ombra della materia, degna di un "mondo alla rovescia"; è il gemello speculare della materia, come Tweedledum lo è di Tweedledee (Alice incontra i due personaggi nel quarto capitolo di Attraverso lo specchio di Lewis Carroll), con il lato sinistro che diventa il lato destro e il positivo che diventa negativo. Come lo stampo che rimane, quando da esso si estrae l'oggetto che è stato modellato, materia e antimateria sono lo yin e lo yang della realtà. Quando un bimbo vuole costruire un castello di sabbia scava un grosso buco nella superficie indurita della sabbia umida: il castello di sabbia può essere visto come una metafora della materia e il buco come metafora dell'antimateria. Se una qualunque sostanza materiale incontra il suo "doppio", la sua ombra, le rispettive caratteristiche complementari si cancellano reciprocamente in una danza di morte. La capacità dell'antimateria, a dir poco pirotecnica, di distruggere la materia in un lampo di luce è all'origine del fascino che essa esercita. L'antimateria è davvero, come dice il nome, nemica della materia. Sono passati ottant'anni da quando è stata per la prima volta proposta l'esistenza di una "cosa" cosi bizzarra e sinistra e tre quarti di secolo da quando se ne è osservato il primo minuscolo esemplare, il «positrone». E siamo ancora oggi allo stesso punto, perché l'antimateria è estremamente rara, quasi come se non ci fosse affatto; e quando, al suo contatto, un pezzo di materia del nostro mondo sprofonda nell'oblio del nulla, esso pure viene distrutto. Il pezzetto di antimateria che per primo si è fatto vedere è da tempo scomparso, provocando l'annichilazione (letteralmente, «riduzione al nulla», da nihil, in latino) di un singolo elettrone in un atomo. In tutto l'Universo, per quanto siamo in grado di sapere, la norma è rappresentata dalla materia e non dall'antimateria. Sembra infatti che la distruzione dell'antimateria sia uno dei primi eventi verificatisi dopo il Big Bang.
L'universo della materia, il nostro Universo "materiale", che oggi sopravvive contiene tutti i residui di una Grande Annichilazione avvenuta tanto tempo fa tra antimateria e materia, la cui traccia è la radiazione elettromagnetica indicata come «radiazione cosmica di fondo a microonde», che ancora riempie il cosmo quattordici miliardi di anni dopo quello straordinario evento. La strega cattiva è morta; la materia ha vinto; tra le due infinità di materia e di antimateria che si potevano equilibrare a vicenda, l'infinità "maggiore" è stata quella della materia. Ma se qualche frammento scampato al massacro sta ancora acquattato da qualche parte, nell'enormità dell'Universo, e se a noi capita di incontrarlo nel nostro vagabondare in lungo e in largo nello spazio; oppure se uno di questi pezzetti piove giù dai cieli con i raggi cosmici, che cosa può accadere ? Un volume non più grande di quello del portabagagli di un'auto, pieno di antimateria, potrebbe provocare un'esplosione visibile in tutto il pianeta. Se un evento del genere si verificasse davvero, l'antimateria fornirebbe un esempio concreto di quanto costituiva la risposta alla domanda di mio padre, ma per fortuna non avrebbe le spaventose conseguenze dell'espansione distruttiva, come una sorta di esercito conquistatore che distrugge tutto al suo passaggio in un'inarrestabile avanzata: proprio l'idea che si era imposta nella mia immaginazione. L'antimateria distrugge sul serio la materia, ma il prezzo dell'operazione è la distruzione di se stessa: è come un cancro che, uccidendo il suo ospite, si sia autodistrutto. Per ogni pezzo della materia del nostro mondo che si annichila, il costo per l'antimateria è rappresentato dalla scomparsa anche di un suo pezzo. Il risultato dell'evento potrebbe essere un lampo esplosivo di radiazioni elettromagnetiche, di raggi gamma (y) in particolare, che fugge via dal campo di battaglia alla velocità della luce, ma con esso se ne andrebbe anche la minaccia costituita dall'antimateria. Ecco perché non resta alcuna quantità di antimateria, almeno qui intorno a noi: essa è stata tutta distrutta dalla materia, che ha vinto la battaglia. L'antimateria non è dunque una sorta di orrenda versione del «ghiaccio nove», l'immaginario stato fisico dell'acqua de-
scritto nel romanzo fantascientifico Cat's Craàlé di Kurt Vonnegut, pubblicato nel 1963. Questo stato dell'acqua aveva la proprietà di trasformare istantaneamente in ghiaccio solido qualunque liquido con cui venisse a contatto: prima qualche pozza, poi torrenti, fiumi e infine tutti gli oceani del mondo che congelarono «in un enorme boato». Il raggio d'azione dell'antimateria è limitato e comunque piccolo; ciononostante qualunque cosa essa tocchi e distrugga scatena un evento esplosivo la cui energia è più grande di quella liberata in qualunque altro fenomeno a noi noto.
Ci sono state 0 potranno esserci collisioni tra l'antimateria e la Terra? Se l'antimateria esiste in qualche altro posto dell'Universo, potreste aspettarvi che una sua porzione colpisca o abbia colpito la Terra. Se ciò è accaduto in una qualche fase dei quattro miliardi di anni della storia del nostro pianeta, ogni segno di un simile evento è da tempo scomparso: i meteoriti lasciano, cadendo sulla superficie terrestre, crateri intorno ai quali si possono ancora rintracciare materiali d'origine extraterrestre, ma l'antimateria dovrebbe essersi sempre distrutta in un lampo di energia. La sola testimonianza di un impatto di antimateria potrebbe essere stata la devastante esplosione prodottasi nel momento della collisione, ma fino agli ultimi milioni di anni nessun testimone simile a noi può esserci stato per raccontarcene la storia. Tuttavia, appena un centinaio di anni fa, nel 1908, è accaduto qualcosa che non è mai stato spiegato esaurientemente e che gli appassionati continuano a considerare come il più recente esempio di collisione tra antimateria extraterrestre e il nostro pianeta.
E questa la denominazione inglese [«culla di gatto»] del gioco che si fa in due intrecciando con le dita un filo legato a formare un ampio anello, trasferito alternativamente da un giocatore all'altro, noto in varie regioni italiane come "ripiglino" o "filetto". La prima "figura" del gioco è detta "culla". La traduzione italiana del libro di Vonnegut (dovuta a Delfina Vezzoli, Feltrinelli, Milano 1963), aveva il titolo più esplicito Ghiaccio nove, che riprendeva il nome della terribile sostanza. [N.¿.T.]
Oltre gli Urali, la catena montuosa a più di un migliaio di chilometri da Mosca, verso est, esiste una vastissima e scarsamente abitata regione, assai più grande di tutta l'Europa occidentale, che si estende dal Mare Glaciale Artico, a nord, fino alla Mongolia, a sud, e appunto dagli Urali fino alla Manciuria: è la Siberia. Nel cuore di questa remota area continentale si snoda la valle del fiume Tunguska, affluente dello Enisej, il cui nome deriva da quello dei Tungus, un gruppo di popolazioni locali, sopravvissute cacciando orsi e cervidi nelle foreste dove d'estate le renne pascolano tra conifere sempreverdi. Il 30 giugno 1908, all'alba, il Sole splendeva in un cielo senza nubi. Poco dopo le 8 del mattino, Semen Semenov, un fattore, sedeva sui gradini della sua casa quando ci fu un'enorme esplosione in cielo. Più tardi l'uomo raccontò ai ricercatori che la palla di fuoco apparsa in cielo era tanto luminosa da far apparire oscuro il disco del Sole e che il calore fu enorme («sembrava che la camicia mi bruciasse addosso») e fece fondere certi oggetti d'argento di un suo vicino 1 . G l i studiosi che indagarono sul fenomeno scoprirono altre caratteristiche ancor più notevoli. L'esplosione si era verificata a una sessantina di chilometri dal luogo dove si trovava Semenov. Un altro contadino, Vasilij Ilich, disse che c'era stato un enorme incendio: esso «aveva distrutto la foresta, le renne e tutti gli altri animali». Quando, insieme a vari suoi vicini, andò nella zona devastata, Ilich potè vedere i resti carbonizzati di alcune renne, ma tutti gli altri animali erano completamente scomparsi, senza lasciare tracce. L'abbagliante palla di fuoco aveva attraversato il cielo da sud-est a nord-ovest in pochi secondi. In tutto il mondo furono rilevate onde sismiche e l'ondata di pressione nell'atmosfera si diffuse in tutta la Russia e in Europa. Il bagliore fu visibile a 700 km di distanza; l'esplosione produsse una tale quantità di fumo e di polveri nella stratosfera da provocare una diffusione anomala della luce solare dall'emisfero illuminato del globo ' I r e s o c o n t i s o n o r i p o r t a t i n e l l ' a r t i c o l o d i C L Y D E C O W A N , CHANDRA R. A T L U R I e W I L L A R D
FRANK LIBBY, Possible anti-matter content of the Tunguska Meteor of 1908, in «Nature», voi. C D X L I , 1965, pp. 861 sgg.
alla parte ancora nell'oscurità. A Londra, la cui distanza dal luogo dell'evento è pari a un quarto della circonferenza terrestre, la luce del giorno fu visibile ben prima dell'alba e il cielo di mezzanotte apparve chiaro come all'inizio di un tramonto. Se l'evento si fosse verificato negli USA, a Chicago, il lampo luminoso sarebbe stato visibile nel Tennessee, in Pennsylvania e a Toronto, mentre il boato sarebbe stato udibile, sulla costa orientale, a sud fino ad Atlanta, e a ovest fino alle Montagne Rocciose. Passarono due mesi prima che la situazione ritornasse normale. Qualcosa che proveniva dallo spazio aveva colpito l'atmosfera della Terra. Eventi di questo tipo si sono verificati nel passato, come dimostrano varie "tracce" presenti sulla superficie terrestre, ad esempio il grande cratere dell'Arizona, prodotto dall'impatto di un blocco di roccia, un piccolo asteroide, che ha colpito il nostro pianeta. Tuttavia l'evento della Tunguska aveva caratteristiche diverse, come si è potuto accertare parecchi anni dopo, quando i primi avventurosi esploratori, guidati dallo studioso ceco Leonid Kulik, raggiunsero, soltanto nel 1927, la remota località. Se si fosse trattato di un asteroide, un frammento di roccia appartenente al Sistema Solare schiantatosi sulla Terra, il suolo della zona avrebbe dovuto presentare una qualche cavità, testimonianza dell'avvenuto impatto. Non esisteva invece alcuna traccia di un possibile cratere. Gli esploratori scoprirono che nella zona immediatamente sottostante al punto in cui era avvenuta l'esplosione si estendeva una vasta pianura fangosa come se migliaia di bulldozer avessero eliminato la foresta e spianato il terreno per preparare le fondazioni di una città delle dimensioni di Londra. Tutt'attorno a questo desolato scenario c'era un anello di ceppi di alberi carbonizzati. Oltre il perimetro di questa zona circolare, i tronchi degli alti alberi erano disposti radialmente come fiammiferi, abbattuti da un violento uragano, che evidentemente era stato l'effetto dell'onda d'urto dell'esplosione. Ogni forma vivente era stata completamente distrutta e la situazione non era cambiata per quasi un quarto di secolo. A partire dall'anno di queste prime indagini, si sono effettuati molti scavi raggiungendo profondità di una trentina di metri, ma non si è mai potuto rin-
venire un segno indicante la presenza di materiali meteorici o individuare una qualsiasi traccia fisica dell'intruso. Qualunque sia stata la cosa che ha colpito la Terra in quel giorno, è del tutto svanita nell'aria. Nel 1965, un terzetto di ricercatori, costituito da un fisico, un chimico e un geofisico, ha esaminato la totalità delle testimonianze disponibili, sperando di accertare una volta per tutte che cosa era effettivamente accaduto. L'esame di qualche raro albero rimasto in piedi ha permesso di individuare i segni dovuti all'onda d'urto che l'aveva investito. Si è cosi potuto valutare l'intensità del vento; si è inoltre potuto calcolare l'energia che aveva innescato la combustione degli alberi. Esistevano registrazioni indicanti le perturbazioni del campo magnetico terrestre e si avevano anche quelle dei sismografi i cui tracciati avevano registrato la magnitudine di ciò che era stato interpretato come un terremoto. Si è proceduto poi a valutare in termini quantitativi la luminosità del lampo e la sua durata: i ricercatori hanno dedotto che in pochi secondi si era liberata un'energia di un milione di miliardi di joule (IO15 J), una quantità analoga a quella impiegata in un'ora in tutto il Regno Unito e paragonabile a quella di un'esplosione termonucleare 2 . Oggi sospettare, in base alle caratteristiche del disastro, che la causa sia stata un'esplosione nucleare prodotta dall'uomo potrebbe essere naturale, ma certamente non è possibile farlo per un evento del 1908, un periodo in cui, per quanto ne sappiamo, la fisica nucleare era ancora lontana, qualche decina d'anni nel futuro. Se i "semi nucleari" della materia erano davvero implicati nella catastrofe della Tunguska, si doveva poter chiamare in causa un qualche fenomeno naturale; ma quale ? In prima istanza le prove costituite dall'esplosione e dalla singolare mancanza di qualsiasi resto materiale sulla scena dell'evento erano tutte coerenti con la presenza di antimateria, nella forma di un blocco di "anti-roccia" non più largo di un metro che poteva essere responsabile della distruzione di ogni cosa, ivi 1 II rapporto Energy Consumption in the UK fornisce i consumi in kilogrammi di petrolio. Lo si può consultare online all'indirizzo http://www.berr.gov.uk/files/filei 1250.pdf.
compresi i nuclei degli atomi. Prenderò in esame più tardi prove e testimonianze come elementi da valutare in sede di giudizio, dopo che avrò illustrato tutto ciò che sappiamo dell'antimateria.
Gli enormi poteri dell'antimateria. Le dimensioni del catastrofico evento della Tunguska ci ricordano l'enormità dell'energia che è latente nell'antimateria. Se un grumo di materia è il combustibile di cui possiamo disporre, l'antimateria sarebbe la scintilla capace di liberarne energia nel modo, almeno teoricamente, più efficiente. In natura non ne esiste uno migliore. La formazione della materia nel Big Bang ha comportato la concentrazione di enormi quantità di energia per formare le particelle di cui sono fatti gli atomi costituenti ogni cosa che esiste sulla Terra. Le reazioni chimiche e quelle nucleari sono dovute a un riassetto di questi minuscoli oggetti in processi che liberano una certa parte dell'energia trattenuta al loro interno (tra atomo e atomo, in aggregati vari, per i processi chimici; all'interno dei nuclei atomici, per le reazioni nucleari) ma, anche nella più violenta esplosione, se ne liberano soltanto quantità insignificanti se confrontate a quelle che sono state sigillate nella materia, quando essa è nata molti miliardi di anni fa. G l i esseri viventi sono impianti chimici che liberano energia da reazioni tra atomi di carbonio, di ossigeno e di altri elementi che li costituiscono. La differenza tra il vostro calore corporeo e l'energia di un'esplosione è prima di tutto data dalle rispettive scale temporali, cioè dalla durata degli eventi. Nel nostro corpo l'energia viene liberata gradualmente sotto forma di calore che mantiene una temperatura di circa 37 ° C in un individuo sano, o appena un po' più elevata, quando le reazioni si svolgono più rapidamente per combattere, durante un accesso di febbre, indesiderati intrusi come i virus. Un'esplosione chimica non è un fenomeno sostanzialmente diverso, anzi è lo stesso, ma si svolge assai più in fretta. Un buon pasto vi permetterà di essere attivi per varie ore; se invece la scala tempo-
rale viene compressa e ridotta in modo che l'energia venga rilasciata in un millisecondo, il risultato sarà, letteralmente, esplosivo. Per quanto possano essere impressionanti, i normali razzi e anche le più potenti esplosioni chimiche liberano soltanto un miliardesimo dell'energia che è racchiusa all'interno degli atomi. La maggior parte di questa energia è stivata all'interno del nucleo degli atomi, e quando si accende la scintilla nucleare otteniamo l'energia liberata a Hiroshima e a Nagasaki, che fa apparire minuscola quella degli esplosivi chimici. Anche cosisi libera però soltanto un millesimo dell'energia disponibile. E perfino le reazioni di fusione nucleare (che alimentano il Sole o le bombe termonucleari all'idrogeno e sono le più potenti reazioni esplosive oggi note) impiegano approssimativamente soltanto un centesimo dell'energia contenuta nella materia. Per liberare l'intera partita dell'energia, dobbiamo rovesciare i processi che l'hanno concentrata nella materia tanto tempo fa. E proprio questo che l'antimateria può fare. L'annichilazione di 1 kg di antimateria fornirà una quantità di energia circa dieci miliardi di volte più grande di quella liberata dall'esplosione di 1 kg di tritolo. Un altro confronto: la quantità di energia liberata dall'annichilazione di 1 kg di antimateria è mille volte più grande di quella ottenibile da una reazione nucleare di fissione e cento volte più grande di quella prodotta da una fusione nucleare. A queste caratteristiche è dovuto il fascino che l'antimateria esercita sugli autori e sui fruitori (lettori o spettatori) di opere di fantascienza, dove può costituire una sorgente energetica super-efficiente per le astronavi, come accade negli episodi di Star Trek. Essa è stata un tema che ha spronato gli studiosi della NASA, impegnati in programmi di ricerca sulle fonti energetiche, a percorrere nuove vie, ripartendo da zero e senza preconcetti. Ma ha anche evocato lo spettro dell'ordigno "definitivo", la bomba ad antimateria. Se Hiroshima e l'atollo di Bikini ci hanno dimostrato che cosa possono fare un millesimo e un centesimo dell'energia contenuta nella materia (con pratiche applicazioni dell'equazione E = me2), le conseguenze dell'impiego totale di questa energia sono inimmaginabili.
Non dovremmo dunque essere sorpresi dalla comparsa, nell'ottobre 2004, di un articolo sul «San Francisco Chronicle» che rivelava come la us Air Force stesse «tranquillamente spendendo milioni di dollari per indagare su nuovi modi di impiegare una fonte energetica del tutto nuova (l'antimateria, strano e spaventoso "specchio" della comune materia) in future armi di distruzione». La storia si diffuse in tutto il mondo e in India si arrivò a dichiarare che non soltanto l'aeronautica militare statunitense ma «anche i ricercatori operanti in molte altre nazioni» stavano lavorando «per le rispettive forze armate su sistemi di ordigni ad antimateria» che erano «abbastanza piccoli da poter essere tenuti in una mano». Assai diffusa nei racconti di fantascienza, l'antimateria è anche decisamente reale e sembra dunque che i militari stiano sul serio studiando ordigni che l'utilizzano. Uno dei principali risultati che mi propongo di raggiungere con questo mio libro è tentare di distinguere i fatti dalle fantasie in tutta la faccenda dell'antimateria.
Segreti sull'antimateria. Se i resoconti sui pili recenti tentativi compiuti dall'esercito sono esatti, l'aeronautica militare degli USA sta studiando la possibile realizzazione di armi ad antimateria. Queste notizie sembrano essersi sviluppate partendo da un discorso tenuto il 24 marzo 2004 da Kenneth Edwards, direttore del gruppo di lavoro per lo sviluppo di "armi innovative" presso il Munitions Directorate nella base della us Air Force di Eglin, in Florida. Edwards era stato uno dei principali relatori durante la conferenza del NIAC (NASA Institute for Advanced Concepts, «Istituto di Studi Avanzati della NASA») svoltasi ad Arlington, Virginia e, in tale occasione, aveva trattato del possibile uso di positroni, particelle elementari dell'antimateria. Senza dubbio Edwards era del tutto consapevole delle potenzialità dell'antimateria e ne era impressionato. Nel suo intervento, il cui contenuto, secondo alcuni resoconti della stampa e degli altri media, «quasi sfidava la possibilità di credergli», ribadì che anche
granelli di antimateria tanto piccoli da non essere visibili potevano produrre effetti devastanti. A titolo di esempio, un cinquantamilionesimo di grammo (0,00000002 g) di positroni potrebbe bastare per provocare un'esplosione equivalente a quella che nel 1995 uccise 168 persone, ferendone più di 500, all'Alfred P. Murrah Federai Building di Oklahoma City (prodotta, secondo le stime dell'FBI, da un po' meno di 250 kg di tritolo). Ai lettori degli articoli comparsi sui giornali si ricorda che armi di questo tipo «sono devastanti», che il loro «potere distruttivo è inimmaginabile»; non esistono "saranno", "potrebbero essere", ma soltanto "sono" ed "è", senza sfumature o mezzi termini, come se tali apparati fossero già in fase di sviluppo. Le armi ad antimateria vengono presentate come strumenti di modesto impatto ambientale: diversamente dalle classiche bombe nucleari, le bombe a positroni «non emetterebbero nubi di detriti radioattivi» 3 e il prodotto primario dell'annichilazione di positroni ed elettroni viene pubblicizzato come un lampo di raggi gamma, invisibile ma estremamente pericoloso, che «può uccidere un grande numero di soldati senza danneggiare la popolazione civile». Quando i giornalisti del « San Francisco Chronicle» incominciarono a porre domande in proposito, l'aeronautica militare, a quanto si dice, «proibì ai propri dipendenti di discutere in pubblico il programma di ricerche sull'antimateria». Per i teorici delle cospirazioni (sempre disposti a rilevarne prove ovunque) si tratta di una prova della verità di queste storie, cioè del fatto che armi strategiche ad antimateria di potenza devastante sono a portata di mano (almeno metaforicamente!) Che cosa c'è di vero dietro queste affermazioni ? Sono attendibili in linea di principio anche se non in pratica? C ' è qualcosa di più di quanto ci fosse nel sostenere che Saddam Hussein ' KEAY DAVIDSON, in «San Francisco Chronicle», 4 ottobre 2004. La propaganda svolta da Edwards citava, in varie occasioni, più volte lo slogan Non Nuckar Residue («nessun residuo nucleare»), evidenziandolo in rosso, come si può constatare nei materiali presentati all'indirizzo ivww.niac.usra.edu/files/library/meetings/fellows/mar04/Edvvards Kenneth.pdf. Un esempio dello stato di paranoia indotto da questo episodio si trova all'indirizzo http://www.cirding.org/archives/000022.html, che fornisce anche altri indirizzi con notizie sul tema.
stava svolgendo ricerche su armi a fusione fredda ai tempi della prima Guerra del Golfo* ? L'aeronautica militare e le altre armi delle forze armate statunitensi godono in effetti della fama di finanziare ricerche su varie idee bizzarre, con la speranza di ottenere comunque qualche risultato, ritenendo che «se ciò è possibile, è meglio che siamo noi a farlo». Avendo maturato una certa esperienza nel campo della fisica delle alte energie, sarei reticente e insincero se non ammettessi che, dopo la realizzazione del radar e della bomba "atomica", il sostegno dello stato alla radioastronomia e alla fisica nucleare e delle particelle negli anni Cinquanta, non era soltanto motivato dal puro interesse scientifico. Dopo aver visto quali immense quantità di energia la scienza era riuscita a scatenare dal nucleo atomico e dopo che già si erano sviluppate le bombe a fusione ("all'idrogeno"), nel periodo della guerra fredda si finanziarono ricerche su idee nuove, senza vincoli, in campo scientifico e tecnologico, nel timore che I ' U R S S riuscisse per prima a realizzare «la prossima cosa grossa». Insieme a idee relativamente sobrie e ragionevoli, ce ne furono altre che deviavano verso la ciarlataneria. Telepatia, psicocinesi, vernici "antigravità": sono soltanto tre esempi, ma è plausibile che il governo abbia preso in considerazione anche le possibilità di utilizzare l'antimateria come fonte d'energia e di realizzare ordigni ad antimateria. Diversamente da quanto si può dire per i tre esempi appena citati, esistono consistenti prove scientifiche della realtà dell'antimateria, proprio come ce n'erano della fissione del nucleo nel 1939: lo sviluppo successivo della bomba "atomica" fu il risultato di un vero tour de force della scienza applicata e della tecnologia. Per gli strateghi militari degli USA, il successo ottenuto con la costruzione delle armi nucleari confermava la validità del metodo basato sul "si può fare". Dunque anche strumenti ad antimateria sembravano a prima vista essere adatti. Questa affermazione circolava nel periodo in cui ho pubblicato il mio libro che denunciava la truffa relativa alla fusione fredda: esso, per una sfortunata coincidenza, giunse nelle librerie proprio il giorno in cui la guerra ebbe inizio. La BBC cancellò alcune interviste temendo che l'argomento fosse troppo delicato. Più coraggioso, il «New York Times» ne diede un sommario in prima pagina.
Si è sostenuto che l'aeronautica militare statunitense ha finanziato numerose ricerche scientifiche sui principi fondamentali dell'antimateria per quasi cinquant'anni. E però più probabile che siano stati i progressi conseguiti in questo campo nei grandi laboratori di ricerca, come quello del CERN in Europa e il Fermilab negli USA, a suscitare l'interesse dei militari, quando, a partire dal 1996, notizie sui risultati incominciarono a comparire nei titoli di testa dei giornali e nei programmi televisivi. Nei capitoli dal secondo all'ottavo ci occuperemo della natura dell'antimateria, della sua storia e delle opportunità che offre, e ovviamente anche dei suoi limiti. Con queste conoscenze potremo, nel capitolo conclusivo, riprendere in esame le affermazioni sui progetti di armi strategiche ad antimateria.
L'antimateria in natura. Per quanto intorno a noi, nel mondo, l'antimateria non sia comune, neppure in quantità estremamente piccole, alcuni processi naturali possono per brevissimi istanti dare origine ai suoi più semplici esemplari, i positroni, le particelle che, nell'antimondo, sono speculari degli elettroni. Come l'elettrone, la particella con la massa più piccola, dotata di carica elettrica, è presente in tutti gli atomi della materia, il positrone, sua controparte nell'antimateria, è potenzialmente una parte essenziale degli anti-atomi dell'anti-mondo. Nel nostro mondo, molti elementi chimici sono radioattivi: i nuclei dei loro atomi espellono spontaneamente energia, mentre le varie particelle costituenti si sistemano formando insiemi più stabili. Gli atomi di alcuni elementi sono noti come «emettitori di positroni»*. In realtà il positrone non è preesistente all'interno dell'atomo da cui viene emesso, come un guaito non è preesistente all'interno di un cane: esso si forma per effetto dell'emissione di energia.
* L'energia si materializza come una coppia di particelle, l'elettrone, che fa parte della materia, e il positrone, che appartiene all'antimateria.
Il positrone, uscendo dall'atomo, vola via e vive finché riesce a evitare di incontrare un elettrone. Poiché il nostro mondo è fatto di atomi, che contengono tutti elettroni in varie quantità, il positrone molto presto urta contro una di queste particelle e i due opposti, del tutto equivalenti come masse, scompaiono in un lampo di raggi gamma che sono una sorta di "luce" in una regione dello spettro delle onde elettromagnetiche ben lontana da quella visibile ai nostri occhi. Con adatti strumenti questi raggi possono però essere rilevati: il fenomeno è utilizzato in medicina diagnostica dagli scanner PET (Positron Emission Tomography, «tomografia a emissione di positroni»)*. Anche se sembra un paradosso, l'antimateria può distruggere, ma in circostanze particolari, sotto controllo, diventa strumento per salvare vite. In quantità maggiori, la natura produce positroni nel cuore del Sole. La luce solare che ci illumina oggi è in parte il risultato dell'esistenza di positroni che si sono formati all'interno del Sole circa i o o o o o anni fa, soltanto per essere quasi immediatamente annichilati. Il Sole è costituito principalmente da idrogeno, il più semplice degli elementi chimici; nel centro della nostra stella, dove la temperatura supera i dieci milioni di gradi, gli atomi di idrogeno sono scissi nei loro principali componenti, elettroni e protoni, che, divenuti indipendenti, sciamano in modo casuale. I protoni occasionalmente urtano uno contro l'altro e, in una sequenza di processi concatenati, si legano fra loro, formando infine nuclei di elio, l'elemento più semplice dopo l'idrogeno. L'elio è, per cosi dire, la cenere, il residuo, di questa reazione (una fusione nucleare) e ha una massa inferiore a quella dell'insieme dei protoni coinvolti nella sua formazione. La perdita, in termini di massa (specificamente si usa la dizione «disavanzo di massa») si è trasformata in energia (un'applicazione pratica dell'equazione E = me2), che emerge infine come luce solare. Che cosa hanno a che fare i positroni con questo fenomeno ? Un nucleo di elio è formato da due protoni e da due neutroni. Nelle Se vi siete sottoposti a un esame tomografico PET, avete ingerito antimateria e l'avete ospitata nel vostro corpo.
condizioni adatte, un protone si può trasformare in un neutrone ed emettere energia; una parte di tale energia si materializza in un positrone, in modo analogo a quanto accade in uno degli emettitori di positroni utilizzati, qui sulla Terra, dai medici nelle indagini tomografiche. Il positrone si trova nel cuore del Sole, dove abbondano gli elettroni, e istantaneamente viene distrutto, annichilato, con l'emissione di raggi gamma. Questi raggi tentano di fuggire alla velocità della luce, ma la loro fuga è ostacolata da una vera folla di particelle elettricamente cariche (elettroni e protoni) che formano la ribollente massa della stella. Respinti in una direzione e in un'altra, più e più volte assorbiti e riemessi, con una quantità di energia minore di quella precedente, i raggi gamma in un centinaio di migliaia di anni riescono infine a raggiungere la superficie dell'astro, centinaia di migliaia di chilometri al di sopra del nucleo. In questo lungo e tortuoso percorso, i raggi perdono una grande quantità di energia e cambiano frequenza (e lunghezza d'onda) diventando prima raggi X , poi raggi ultravioletti e infine percorrendo tutta la gamma dello spettro visibile, tutti i colori dell'arcobaleno che appaiono ai nostri occhi. Dunque la luce del giorno è il risultato di quanto accade all'antimateria che si forma nel nucleo del Sole e, in parte, della sua annichilazione. Ciò che ho appena descritto non è un episodio della lunga storia dell'antimateria, avvenuto tanto tempo fa: i processi di fusione stanno producendo positroni proprio adesso, mentre state leggendo queste pagine, e si annichilano prima che abbiate completato la lettura di questa frase. I raggi gamma prodotti in questo preciso momento stanno già seguendo la loro strada che li porterà a emergere dalla superficie del Sole e a illuminare la Terra tra un migliaio di secoli. Come vedremo nella storia di cui ci stiamo occupando, l'antimateria, sotto forma di positroni, è assai più diffusa di quanto molti credano. Viene utilizzata, come abbiamo visto, a fini pratici in medicina, in varie tecnologie e nella ricerca scientifica. E stata portata a velocità altissime, inferiori soltanto di una cinquantina di metri all'ora rispetto alla più alta velocità possibile in natura, quella della luce. E si è anche potuto concentrar-
la in fasci guidati da campi elettrici e magnetici e fatti collidere con fasci di materia ottenendo lampi d'energia che riproducono, in un volume ridotto e per un intervallo di tempo molto breve, le condizioni che devono essere state quelle di tutto l'Universo nella prima fase dopo il Big Bang. Cosi l'antimateria ci permette di imparare qualcosa sui grandi problemi relativi alla provenienza di tutto ciò che esiste. Occorrerebbero più di un miliardo di atomi di un esplosivo chimico per ottenere tanta energia quanta può essere liberata dall'annichilazione di un singolo elettrone. L'annichilazione di un solo grammo di antimateria vi potrebbe fornire tanta energia quanta ne potreste ottenere dal combustibile contenuto nei serbatoi di due dozzine di comuni navette spaziali. La conversione dell'energia ottenuta dai positroni potrebbe interessare i guerrafondai poiché mezzo grammo di questi equivale, come esplosivo, a una ventina di chilotoni, l'energia di una bomba come quella di Hiroshima 4 . Non c'è dunque da stupirsi se l'antimateria è considerata con estremo interesse per le applicazioni nella tecnologia spaziale, o per la realizzazione di armi che susciterebbero entusiasmo negli ambienti militari. Si deve però preliminarmente ammettere che si riesca a produrla in quantità e a immagazzinarla fino al momento di usarla. Non dubito che si stia indagando attivamente su tali possibilità. In questo libro racconterò la storia dell'antimateria, ne descriverò in dettaglio le caratteristiche, dirò come la si è scoperta, come possiamo produrla, e quali notevoli opportunità essa offra, ma anche come possa costituire una minaccia. E darò una valutazione sull'effettiva possibilità di un impiego dell'antimateria come combustibile per lunghi viaggi nello spazio o per la fabbricazione di armi. ' Si veda l'Appendice: «I costi dell'antimateria».
Capitolo secondo Il mondo materiale
Se dovesse capitarvi di vedere un pezzo di antimateria, non la riconoscereste: per quanto riguarda tutte le caratteristiche esterne, essa non appare diversa dalle "cose" normali. E camuffata tanto perfettamente da apparire come qualcosa di comune, o qualcuno di famiglia; la sua capacità di distruggere tutto ciò che tocca, la rende un perfetto "nemico tra le nostre file", una "quinta colonna". Chiediamoci dunque: che cos'è in effetti l'antimateria? Dire che «si tratta dell'opposto della materia» è certamente una frase facile per l'orecchio, ma che cosa, in essa, è effettivamente "opposto" al resto del nostro mondo? Sapere che un contatto, anche estremamente breve, con l'antimateria potrebbe far sparire qualunque oggetto, cancellandone il ricordo, incute un certo timore reverenziale, ma vien fatto di chiedersi quali proprietà le conferiscano un tale potere. Per "capire" l'antimateria è bene incominciare con un viaggio all'interno della materia ordinaria, quella di cui noi stessi siamo fatti. Le nostre caratteristiche personali sono codificate nel nostro DNA, un insieme di complesse molecole che formano catene avvolte in una minuscola ma lunghissima elica (la curva costituita da una linea retta avvolta obliquamente su un cilindro). Le molecole del DNA sono, a loro volta, costituite da atomi, definiti come le più piccole porzioni di un elemento chimico (ad esempio, carbonio, o idrogeno, o ferro) che possono esistere indipendentemente in natura conservandone le proprietà chimiche distintive e caratteristiche. Gli atomi di idrogeno sono i più leggeri (cioè dotati della massa più piccola) e tendono a fluttuare nell'atmosfera terrestre fino agli strati più alti e a sfuggire, disperdendosi nello spazio. Per questa ragione l'idrogeno libero è relativamente raro sulla Terra, mentre è di gran lunga l'elemento più diffuso nel-
l'Universo. La stragrande maggioranza dell'idrogeno si è formata poco dopo il Big Bang e ha un'età di quasi 14 miliardi di anni. Enormi palle d'idrogeno scoppiano diventando altrettante fonti di luce: sono le stelle; il nostro Sole è una di queste. All'interno delle stelle si formano tutti gli altri elementi chimici, nella loro grande varietà. Quasi tutti gli atomi di ossigeno, che gli esseri umani inalano con la respirazione, e del carbonio, che si trova nella nostra pelle o nell'inchiostro con cui sono stampate le lettere sulla carta di questa pagina, hanno avuto origine in qualche stella circa 5 miliardi di anni fa, quando il pianeta Terra stava prendendo forma. Dunque tutti noi siamo polvere di stelle o, se vogliamo essere meno romantici, scorie nucleari, perché le stelle sono fornaci nucleari il cui principale combustibile è l'idrogeno, mentre la luce è una forma dell'energia da esse prodotta e gli elementi chimici, in tutto il loro assortimento, sono le ceneri, i rifiuti, i materiali di scarto del processo. Per farvi un'idea di quanto siano piccoli gli atomi, guardate il punto con cui si chiude la frase che state leggendo: esso contiene circa 100 miliardi di atomi di carbonio, un numero di gran lunga più grande di quello che corrisponde alla quantità di tutti gli uomini vissuti sulla Terra. Per vedere uno qualunque di questi atomi dovreste ingrandire la macchiolina del punto in modo da ottenere un disco del diametro di un centinaio di metri. Singoli atomi di carbonio possono legarsi in forme diverse: diamante, grafite, nerofumo, carbonella, carbone. Anche l'antimateria è formata da molecole e atomi. Gli atomi di anti-carbonio dovrebbero formare "anti-diamanti", altrettanto duri, splendenti e belli dei diamanti che conosciamo. L'"anti-nerofumo" sarebbe altrettanto nero del nerofumo e gli "anti-punti" in un "anti-libro" sarebbero uguali a quelli che vedete in questa pagina. E anch'essi dovrebbero essere ingranditi fino ad avere un diametro di un centinaio di metri perché fosse possibile osservare gli anti-atomi di anti-carbonio che li formano. Se davvero riuscissimo a compiere questa operazione constateremmo che tali minuscoli granelli di anti-carbonio sono indistinguibili
da quelli del comune carbonio. Dunque perfino al livello fondamentale, basilare, degli atomi, materia e antimateria appaiono uguali: la ragione della differenza che le oppone una all'altra va ricercata a un livello ancora più profondo. Gli atomi sono piccolissimi, ma non sono gli oggetti più piccoli del mondo. Soltanto penetrando negli atomi e individuando le fondamentali e minuscole parti che li costituiscono, si riesce a scoprire l'intima natura del dualismo che distingue la materia dall'antimateria. La struttura interna di ogni atomo è una sorta di labirinto. A l centro c'è un nucleo denso e compatto, in cui è presente tutta (esclusa una piccolissima percentuale) la massa dell'atomo. Se l'ingrandimento del punto, che ne porta il diametro a 100 m, ci consente di vedere i singoli atomi, per vedere il nucleo dovremmo ingrandirlo a un diametro pari a quello della Terra: 12000 km. Il rapporto tra gli ingrandimenti necessari è 10 stesso anche per "anti-punti" e anti-atomi. Soltanto quando 11 si osserva con un cosi grande dettaglio, si incomincia a distinguere la fondamentale, ma apparentemente sottile ed elusiva, differenza tra materia e antimateria. Quando il quasi insondabile intreccio di spazio e tempo, proposto dalla teoria della relatività di Einstein, viene coniugato con il mondo, effimero come un fuoco fatuo, dell'indeterminazione, le cui leggi valgono all'interno degli atomi, ci si trova di fronte a straordinarie conseguenze: è impossibile che la natura possa "funzionare" soltanto con i pezzetti fondamentali della materia che ci sono noti. Per ognuna delle particelle subatomiche, la natura è obbligata ad accettare come esistente un'immagine negativa, un "contrario" speculare che si attiene alle stesse rigide leggi seguite dalle particelle convenzionali. Come le comuni particelle formano gli atomi e la materia, cosi queste versioni speculari e contrarie possono formare strutture che, a prima vista, sembrano essere uguali alla normale materia, ma in realtà sono profondamente differenti.
Materia e antimateria. All'interno degli atomi esistono correnti elettriche che circolano vorticosamente, potenti campi magnetici e forze di natura elettrica attrattive e repulsive. Anche negli atomi di antimateria esistono correnti, campi e forze elettriche, ma hanno polarità opposte a quelle presenti negli atomi di materia: ai "poli" positivi corrispondono "poli" negativi; alle cariche elettriche positive corrispondono cariche elettriche negative. Immaginate ora il punto e l'"anti-punto" di cui abbiamo parlato ingranditi fino ad avere il diametro di 100 m, in modo da permettere di osservare i singoli atomi e anti-atomi. Spingete delicatamente un piccolo magnete verso le regioni periferiche di un atomo, poi puntatelo verso un anti-atomo e osservate che cosa accade. Una lieve deviazione con una traiettoria ad arco verso sinistra per il primo caso diventa una speculare deviazione incurvata verso destra per l'altro caso; se prima il magnetino era spinto verso l'interno, nel secondo caso è spinto verso l'esterno; se prima il magnetino veniva invece respinto, ora è attratto; mentre prima sfuggiva, fuori pericolo, ora è risucchiato e coinvolto nell'annichilazione. La fonte di queste forze risiede nel nucleo atomico, che è elettricamente carico: come i magneti hanno un Polo Nord magnetico e un Polo Sud magnetico e perciò sono in grado di attrarsi o respingersi reciprocamente, cosi le cariche elettriche uguali si respingono e le cariche opposte si attraggono. Nella comune materia il nucleo atomico è dotato di una carica elettrica positiva (si tratta di una convenzione, ovviamente); gli elettroni, alla periferia dell'atomo, sono dotati di una carica opposta, dunque (per la stessa convenzione) negativa. Un atomo dell'elemento chimico più semplice, l'idrogeno, è costituito da un unico elettrone che si muove, a una distanza assai grande (in proporzione alle minuscole dimensioni di questa particella), intorno al nucleo formato da un unico protone. La reciproca attrazione tra le due cariche elettriche di segno opposto trattiene gli elettroni, dotati di carica negativa, che sono quindi obbligati a ruotare intorno al nucleo, la cui carica è
positiva, situato al centro dell'atomo. Sono proprio queste forze elettromagnetiche, che operano in profondità all'interno dell'atomo, a fornire i legami, anzi i tentacoli, per mezzo dei quali sono organizzate e stanno insieme le molecole e le strutture macroscopiche come cristalli, tessuti organici, rocce, esseri viventi. La gravitazione è responsabile dei moti delle galassie e dei pianeti; sulla Terra, fa cadere le mele e tiene i nostri piedi appoggiati al suolo. Comunque la nostra forma e le nostre strutture sono il risultato di forze elettromagnetiche. La forza elettromagnetica (il termine corretto è interazione elettromagnetica) è assai più intensa della forza (interazione) gravitazionale, ma tra grandi ammassi di materia gli effetti di attrazione e repulsione dovuti alle cariche elettriche positive e negative tendono a essere meno evidenti e lasciano prevalere la gravitazione, che provoca unicamente attrazione. Perciò, malgrado le intense forze elettriche che interagiscono negli atomi e tra gli atomi del nostro corpo, non ci accorgiamo più di tanto della loro esistenza e non siamo, come corpi, elettricamente carichi. L'effettiva presenza di questa intima struttura può tuttavia essere dedotta da un sacco di indizi, rilevabili nelle situazioni in cui gli effetti delle cariche elettriche positive e negative non si elidono a vicenda. Un accumularsi di cariche opposte in numero disuguale provoca scintille, come accade nei fulmini; un magnete può attirare un pezzo di metallo, superando in intensità la forza gravitazionale esercitata dalla massa di tutta la Terra sull'oggetto, che lo tira verso il basso. Su scala assai più grande, scariche elettriche che circolano, formando correnti elettriche, nel nucleo della Terra, trasformano tutto il pianeta in un immenso magnete: evidente indizio di questo è lo spostamento dell'ago di una bussola, che gira per allinearsi alla direzione del campo magnetico terrestre, puntando le due estremità rispettivamente verso il Polo Sud magnetico e il Polo Nord magnetico. Tutti questi fatti erano ben noti nel 1928, quando ebbe inizio la storia dell'antimateria, anzi della sua scoperta. Gli atomi, secondo quanto capirono Paul Dirac, Cari Anderson, Robert Millikan, i principali attori nel primo atto della saga dell'antimateria, erano costituiti da grumi di protoni dotati di massa
relativamente grande, la cui carica elettrica positiva riusciva a intrappolare gli elettroni, con carica negativa e massa straordinariamente piccola, in un valzer cosmico*. Disponendo di queste conoscenze, possiamo incominciare a valutare correttamente il concetto di antimateria. Le leggi fisiche dell'elettromagnetismo, che sono alla base dell'esistenza di grandi masse di materia, non si curano di quali pezzi della materia stessa portino una carica negativa e quali ne portino una positiva. Se cambiassimo, in una certa situazione, tutte le cariche positive in negative e tutte le negative in positive, le forze risultanti rimarrebbero le stesse che agivano prima dello scambio e anche le strutture cui esse dànno origine rimarrebbero invariate. Se immaginassimo che tutti gli elettroni avessero carica positiva e che, in modo complementare, tutti i protoni fossero dotati di carica negativa, nell'apparenza esterna non si noterebbe alcuna differenza. Un tale cambio delle cariche elettriche trasformerebbe ciò che conosciamo come materia, in ciò che indichiamo come antimateria. Un anti-atomo di anti-idrogeno sarebbe formato da un "antiprotone" negativo intorno al quale gira un "positrone" con carica positiva. Paul Dirac, che fu il primo a prevedere l'esistenza di una tale immagine speculare della materia, cosi sintetizzò le caratteristiche essenziali dell'enigmatica sostanza nel discorso pronunciato quando ricevette (insieme a Erwin Schròdinger) il premio Nobel per la fisica nel 1933: S e a c c e t t i a m o l ' i p o t e s i d i u n a c o m p l e t a s i m m e t r i a t r a c a r i c h e e l e t t r i c h e pos i t i v e e n e g a t i v e c o s i c o m e f a c c i a m o p e r q u a n t o r i g u a r d a le l e g g i f o n d a m e n t a li d e l l a n a t u r a , d o b b i a m o c o n s i d e r a r e p r e f e r i b i l m e n t e c o m e u n c a s o il f a t t o c h e sulla T e r r a (e, si p u ò p r e s u m e r e , n e l l ' i n t e r o S i s t e m a S o l a r e ) , s i a n o p r e p o n d e r a n t i gli e l e t t r o n i n e g a t i v i e i p r o t o n i p o s i t i v i . E s e n z ' a l t r o p o s s i b i l e c h e p e r alc u n e d e l l e altre s t e l l e la s i t u a z i o n e sia o p p o s t a , e c h e q u e s t i a s t r i s i a n o c o m p o sti d i p o s i t r o n i [ e l e t t r o n i d o t a t i d i c a r i c a e l e t t r i c a p o s i t i v a ] e d i p r o t o n i n e g a tivi.
La legge sulla proprietà delle cariche elettriche ci porterebbe a immaginare che un affollato insieme di protoni non possa esistere: le particelle dovrebbero infatti schizzar via respingendosi a vicenda per la forza repulsiva dovuta alle cariche di segno uguale. Osservazioni ed esperimenti dimostrano che entra in gioco un 'altra forza, un centinaio di volte più intensa di quella di repulsione: questa forza, attrattiva, agisce sui protoni (e anche sui neutroni, essi pure presenti nei nuclei), ma non sugli elettroni e tiene insieme i protoni (e i neutroni) stessi in stretti ammassi, formando i nuclei atomici. E l'interazione nucleare forte.
Con la sua notevole capacità di previsione e del tutto consapevole della profonda simmetria tra cariche positive e cariche negative, aggiunse dunque che una metà delle stelle poteva essere di un tipo e l'altra metà del tipo opposto. Questi aggregati di particelle sono proprio ciò che oggi indichiamo come materia e antimateria: mentre guardiamo nel cielo notturno le stelle, non c'è, per noi, alcun modo di distinguerle, di capire cioè di quale tipo siano.
Spettri atomici e comportamento quantistico
dell'elettrone.
Queste due forme opposte delle sostanze si rivelano soltanto nel mondo subatomico: un ambiente le cui leggi appaiono bizzarre a noi, abituati alle nostre esperienze con gli oggetti che in genere incontriamo ogni giorno nel mondo. Proprio nel tentativo di comprendere le conseguenze di tali leggi, la scienza è incappata inevitabilmente nella necessità di riconoscere l'esistenza dell'antimateria. Le leggi della dinamica, formalizzate da Newton, che descrivono il comportamento delle cose visibili, in cui innumerevoli miliardi di atomi operano coordinatamente insieme, permettono di prevedere come rimbalzano le palle di un biliardo. Ben diversa è la situazione per quanto riguarda i singoli atomi e le particelle che li costituiscono: questi oggetti si muovono in un mondo nel quale domina l'indeterminazione e dove è possibile prevedere soltanto la probabilità relativa del verificarsi degli eventi. Mentre le palle da biliardo rimbalzano una contro l'altra in un modo ben determinato, i fasci di atomi si distribuiscono più in una direzione che in un'altra, dando origine a zone in cui gli atomi stessi abbondano e altre in cui scarseggiano, come picchi o avvallamenti nelle onde dell'acqua che, attraversando una fenditura, subiscono una diffrazione. Il comportamento dei singoli atomi può sembrare casuale, ma in realtà non lo è. La descrizione di questi comportamenti è data dalla «meccanica quantistica», che indica con quale probabilità un atomo "fa questo o invece fa quello". Proprio come non posso prevedere con certezza se una singola moneta lancia-
ta in aria cadrà dando testa o croce, posso nondimeno affermare con certezza che, se lancio un milione di monete, il rapporto tra i risultati testa o croce sarà, con buona approssimazione, uguale a uno e che, tanto più grande sarà il numero dei lanci, tanto più precisa sarà la determinazione del valore del rapporto. Per gli atomi è proprio cosi. Le leggi fondamentali della meccanica quantistica si applicano a ogni singolo atomo: non posso prevedere con certezza come risponderà un particolare atomo quando sarà colpito, cioè se darà, per usare ancora la metafora, testa oppure croce, ma se gli atomi coinvolti sono milioni, le probabilità di un risultato o dell'altro (o testa o croce) per gradi diventeranno le stesse. Quando il numero degli atomi considerati è molto grande, le leggi newtoniane emergono dalle sottostanti leggi quantistiche. Le leggi della meccanica newtoniana prevedono che il moto delle palle da biliardo fatte di materia sia identico a quello delle palle di antimateria: milioni di atomi si comportano come milioni di anti-atomi. E tuttavia tra i singoli atomi che salta fuori il "bipolarismo" della materia ed è qui che valgono le leggi quantistiche. Proprio queste leggi, quando le si combina con la teoria einsteiniana della relatività, fanno capire che una sola forma di materia non è sufficiente: l'evento iniziale del Big Bang deve aver prodotto due varianti in grado di controbilanciarsi. In molte descrizioni, ancora assai diffuse, gli atomi sono spesso descritti come sistemi solari in miniatura, con gli elettroni che, come pianeti, ruotano intorno al nucleo "solare": oggettini minuscoli che ronzano intorno a qualcosa di grosso che sta al centro. E bene comunque dire che quando questa immagine venne proposta per la prima volta, molti ne furono subito infastiditi, anzi turbati. La Terra ci mette un anno a compiere un giro completo intorno al Sole, e lo ha fatto ormai da più di quattro miliardi di anni senza alcun problema o pericolo. Consideriamo per contro l'elettrone di un atomo di idrogeno: esso apparentemente orbita intorno al protone centrale con una velocità pari a circa l ' l % di quella della luce, e compie dunque alcuni milioni di "giri" in ogni secondo. Detto altrimenti: in un milionesimo di secondo un elettrone compie più giri intorno al protone di quanti la Ter-
ra ne abbia compiuti, intorno al Sole, in tutta la sua storia. Secondo la teoria accettata all'inizio del x x secolo, quando queste idee incominciarono a delinearsi, un elettrone, dotato di una velocità cosi grande, avrebbe dovuto emettere una tale quantità di radiazioni elettromagnetiche da dover immediatamente assumere una traiettoria a spirale dirigendosi verso il nucleo e scomparendo in un lampo di luce. Come mai gli atomi sopravvivono ? Come possono dunque esistere tutte le "cose" materiali? La risposta è venuta dalla teoria dei quanti. Quando ci si spinge, nel piccolo, a distanze minori di un milionesimo di millimetro, cioè alla scala degli atomi, le nostre esperienze con oggetti ed eventi della vita d'ogni giorno servono a ben poco come guida per capire ciò che ci aspetta. Nel 1900 Max Planck ha dimostrato che le onde elettromagnetiche costituenti la luce sono emesse dalle sorgenti in microscopici "pacchetti" d'energia o quanti {quanta, plurale di quantum, in latino), detti fotoni; nel 1905 Einstein ha dimostrato che la luce rimane in tali "pacchetti" mentre viaggia attraversando lo spazio. Sono questi i primi passi della teoria dei quanti, con l'attribuzione alle particelle della proprietà di comportarsi come fuochi fatui, non essendo mai qua o là, ma sempre e soltanto «molto probabilmente qua, forse là». Nella meccanica quantistica la certezza è rimpiazzata dalla probabilità, con avvallamenti e picchi, alti e bassi, come nelle onde. Il primo immediato successo della teoria fu la spiegazione di come gli atomi riescano a sopravvivere. Le onde quantistiche della probabilità possono essere immaginate come le onde osservabili in una corda che abbia una certa lunghezza. Se la corda è chiusa in modo da formare un anello (come in un lazo da cowboy), la lunghezza delle onde dovrà essere tale da "stare" esattamente un numero intero di volte nella lunghezza della circonferenza. Pensate all'anello di corda come al disco con le ore di un orologio: se un picco dell'onda coincide con le 12 e l'avvallamento, il ventre dell'onda coincide con le 6, il nuovo picco coinciderà esattamente con le 12. Se però l'onda ha un picco alle 12 e il seguente ventre alle 5, il successivo picco sarà alle 10, e la tacca delle 12 risulterà esse-
re "fuori tempo" con il ritmo dell'onda. Il fisico danese Niels Bohr intuì, nell'estate del 1912, che le onde di probabilità degli elettroni circolanti negli atomi dovevano adattarsi perfettamente a ogni "anello". G l i elettroni non possono andare in qualunque posto "a piacere", ma devono seguire soltanto orbite alle quali si adattano esattamente le loro onde. In particolare gli elettroni non possono seguire un percorso a spirale per distruggersi nel nucleo: l'atomo è dunque stabile (si veda la fig. 1). La quantizzazione delle onde ha permesso di venire a capo di un altro mistero vecchio di due secoli: il fenomeno degli spettri atomici. E relativamente facile tirar fuori luce dagli atomi e
Figura 1. Le o n d e , per conservare la propria c o n f i g u r a z i o n e , d e v o n o adattarsi alla l u n g h e z z a della traiettoria ad anello che d e v e contenerne un n u m e r o intero.
rivelarne lo spettro caratteristico. Se aggiungete una piccola quantità di un dato elemento chimico, ad esempio di sodio, a una fiamma e osservate la luce attraverso un prisma o un reticolo di diffrazione che la suddividono nei vari colori componenti, potrete vedere lo spettro relativo all'elemento. Lo spettro comprenderà una serie di righe chiare, due delle quali, nel caso del sodio, di un giallo-arancione molto intenso (è questa l'origine del colore delle lampade comunemente usate per l'illuminazione stradale, perché tale colore è ben visibile all'occhio umano anche attraverso la nebbia). In modo analogo, una lampada a vapori di mercurio emetterà luce verdazzurra, mentre la luce rosata che domina in molte immagini fotografiche di stelle è dovuta alla tendenza dell'idrogeno a emettere una certa quantità di luce visibile nella regione dell'estremità rossa dei colori dell'arcobaleno. Queste bellissime sequenze di colori dovevano essere spiegate: quale poteva essere la causa del fenomeno ? Oggi sappiamo che sono il risultato dei moti quantistici degli elettroni. La luce viene emessa unicamente quando un elettrone si sposta da un'orbita a un'altra. Se l'orbita di partenza accoglieva soltanto elettroni dotati di un'energia molto alta e un elettrone si sposta su un'orbita in cui l'energia è più bassa, la differenza tra i due livelli di energia è "acquisita" da un fotone, un quanto di luce, che viene emesso. Complessivamente l'energia è rimasta la stessa: è soltanto stata ridistribuita. Dunque questi elettroni possono essere dotati soltanto di una certa quantità discreta di energia, esattamente correlata con i salti che la particella può compiere. I valori discreti, cioè nettamente distinti, delle energie dei vari fotoni sono "visti" dai nostri occhi come colori diversi: ne risulta che la luce emessa ci fornisce uno spettro di colori che è unico e caratteristico per ciascun elemento chimico. Da tali "firme autografe" è possibile sapere quali elementi chimici siano presenti nel cosmo quando la luce emessa dai relativi atomi giunge fino a noi. Queste sequenze colorate costituiscono una prova visibile dell'esistenza della quantizzazione delle onde di probabilità, le cui leggi valgono nel mondo subatomico delle particelle elementari.
L'elettrone gira come una trottola. Doveva toccare proprio all'elettrone il merito di annunciare l'esistenza del mondo dell'antimateria, ombra o "doppio" misterioso del nostro mondo materiale. Da quando, nel 1897, Joseph John Thomson riuscì a isolare, per la prima volta, un elettrone, liberandolo dalla sua prigione atomica, abbiamo saputo che gli elettroni esistono e che la loro presenza all'interno degli atomi è la causa del prodursi degli spettri. Anche prima che Thomson lo dimostrasse senza ombra di dubbio, gli studiosi avevano (e non da poco tempo) ritenuto che questi componenti dell'atomo dovessero esistere e avevano anche dedotto che essi dovevano essere dotati di una carica elettrica e di una sorta di magnetismo a due facce, simile a quello caratterizzato dal dualismo Polo Nord/Polo Sud di un comune magnete a barra. Mezzo secolo più tardi Paul Dirac avrebbe spiegato questa proprietà con un ragionamento che lo portava a prevedere l'esistenza dell'antimateria. Nel 1896 Pieter Zeeman, ricercatore olandese, conducendo esperimenti con lo spettroscopio, rilevò che le righe gialle degli spettri luminosi emessi dal sodio si modificavano leggermente se in prossimità erano attivi potenti magneti. Queste linee in genere sono molto sottili e ben definite; Zeeman notò che, in un intenso campo magnetico, esse si facevano più spesse, si allargavano. Più tardi, utilizzando nuovi e più potenti apparati, fu possibile dimostrare che l'allargamento delle righe era soltanto apparente: in realtà si aveva una suddivisione delle righe che diventavano due o più di due. Tale separazione era troppo piccola perché Zeeman potesse osservarla e dava dunque origine a un'immagine apparente più larga e confusa, come quella che vede una persona miope se si toglie gli occhiali. Fu comunque possibile dedurre che il fenomeno si verificava perché l'elettrone "rispondeva" al campo magnetico, aveva cioè un comportamento simile a quello di un minuscolo magnete. Come due magneti si attraggono o si respingono secondo la posizione reciproca dei poli magnetici alle estremità (il Polo Nord di un magnete respinge l'omologo Polo Nord dell'altro,
mentre ne attira il Polo Sud, e viceversa), cosi il moto dell'elettrone in un campo magnetico ne modifica l'energia. Di conseguenza vengono lievemente modificate le quantità di energia dei singoli fotoni che sono emessi e ne risulta quindi alterata la distribuzione delle righe dello spettro. Il fenomeno, detto «effetto Zeeman», ha dimostrato che un elettrone può comportarsi come un magnete di dimensioni piccolissime, con un proprio «Polo Nord magnetico» e un proprio «Polo Sud magnetico». Tutto ciò si verifica come se l'elettrone fosse animato di un intrinseco moto di rotazione, detto spin, il quale può assumere, in un campo magnetico, due opposti orientamenti, cioè, se preferite, due opposti versi di rotazione: verso orario o verso antiorario. L'idea che l'elettrone, le cui dimensioni sono tanto ridotte da non essere di fatto misurabili, possa girare su se stesso, come una trottola, non sembra avere alcun senso nella nostra esperienza quotidiana, ma il termine «spin» per indicare questa bizzarra caratteristica è ormai codificato nel linguaggio della fisica moderna. L'ipotesi secondo cui l'elettrone presenta un tale dualismo consente certamente di spiegare un gran numero di dati sperimentali rilevabili con la spettroscopia degli atomi, tuttavia il concetto di spin è rimasto, per anni, poco più dell'espressione di un disperato tentativo di conferire plausibilità a un sacco di risultati altrimenti inspiegabili. C i si chiedeva di dove questa proprietà traesse la sua origine e perché esisteva: due misteri che avrebbero trovato una spiegazione soltanto con l'integrazione tra la teoria della relatività e la meccanica quantistica proposta, come già sappiamo, da Dirac.
E, come Einstein e come E = me1. Spin e antimateria emergono ambedue come proprietà indispensabili del mondo fisico quando si coniugano la teoria dei quanti e la teoria einsteiniana della relatività ristretta. Einstein fu il primo a dimostrare che cosa sia in realtà l'energia, con la stupefacente conseguenza del considerare la materia come energia "intrappolata". Quando l'energia si coagula in particelle ma-
teriali, lascia una sorta di stampo negativo, che è l'antimateria. Spetta a Paul Dirac il merito di aver scoperto, per primo, questa fondamentale verità. Le leggi della meccanica classica (cinematica e dinamica) sono state enunciate da Isaac Newton più di trecento anni fa. La prima è la legge d'inerzia: i corpi materiali rimangono "pigramente" in quiete o nello stato di moto uniforme (senza accelerazione e dunque con velocità costante) se non intervengono forze esterne. I corpi sembrano essere "riluttanti" a farsi spostare dal loro stato di torpore o di «moto uniforme» (cioè non accelerato); l'esperienza dimostra inoltre che è più facile (meno faticoso) mettere in moto una foglia che un blocco di piombo. Newton affermava che, applicando una forza della stessa intensità a due corpi, le rispettive accelerazioni ottenibili erano inversamente proporzionali alla loro specifica inerzia, ovvero alla loro massa. Un oggetto inamovibile, il personaggio principale del primo rompicapo che proponeva mio padre, dovrebbe avere massa infinita. Un tale concetto appare impossibile e senza senso, almeno nell'ambito della meccanica newtoniana, perché tutta la massa dell'Universo, per quanto enorme, non è infinita. Comunque, poiché Albert Einstein ha di fatto riscritto la nostra visione del mondo con la sua teoria della relatività, nella quale lo spazio si deforma e il tempo si distorce, l'idea di una massa infinita, in grado di opporsi del tutto a qualsiasi movimento, è diventata qualcosa che può corrispondere alla realtà. Se a un oggetto materiale in quiete (o a riposo, come più spesso si dice) applicate una certa forza per 1 s (un secondo), la sua velocità cambierà diventando, diciamo, 10 m/s (dieci metri al secondo). Applicate ora di nuovo la stessa forza allo stesso corpo, già in moto, per lo stesso intervallo di tempo. Secondo le leggi newtoniane, e in accordo con le esperienze d'ogni giorno, la velocità aumenterà di nuovo di 10 m/s. Continuando a ripetere più e più volte questa operazione, il corpo diventerà sempre più veloce, senza limiti. Einstein però ci dice, misurando con estrema precisione l'aumento di velocità, per quanto l'aumento sia stato esattamente di 10 m/s quando è stata applicata la forza al corpo fermo (portandolo dunque dalla velo-
cita di 0 m/s alla velocità di 10 m/s), l'aumento, man mano che si procede con spinte successive, sarà sempre, di una piccola percentuale, inferiore a 10 m/s e progressivamente questa diminuzione diventerà sempre pili evidente. Diventerà insomma sempre più difficile accelerare il corpo, man mano che la sua velocità aumenta. Quando il corpo avrà raggiunto una velocità prossima a quella della luce, anche con l'applicazione di una forza grandissima, risulterà estremamente difficile aumentarne, sia pur di una percentuale minima, la velocità. Le leggi newtoniane rappresentano un'eccellente approssimazione delle leggi esatte che descrivono i moti dei corpi, se questi si muovono con velocità assai più basse di quella della luce. Poiché la velocità della luce è di 300000 km/s (anzi, usando come unità di misura della lunghezza il metro, 300000000 m/s), la precisione delle leggi della meccanica newtoniana è più che soddisfacente per descrivere gli eventi della nostra vita quotidiana; se però ci si occupa del comportamento degli elettroni in un acceleratore di particelle, in cui le velocità sono soltanto per una piccola percentuale inferiori a quella della luce, si deve utilizzare la descrizione più completa e acclarata proposta da Einstein^ Nell'ambito della teoria della relatività ristretta la massa di un corpo aumenta progressivamente al crescere della sua velocità. Mentre questa velocità si approssima a quella della luce, la massa del corpo cresce estremamente in fretta facendo aumentare la resistenza che l'oggetto oppone all'accelerazione. Infine, se si tenta di raggiungere la velocità della luce, la massa tende a diventare infinita. E perciò impossibile accelerare un oggetto dotato di massa fino alla velocità della luce; le sole "cose" che si spostano a tale velocità sono prive di massa, come la luce stessa! Per quanto l'idea di un mutamento dell'inerzia al variare della velocità del corpo appaia assai strana al "senso comune", essa corrisponde alla realtà come dimostrano anni di esperienze condotte nei laboratori su particelle ad alta energia. Mentre le particelle materiali corrono sulle "piste da corsa" dei grandi laboratori come quelli del CERN, per incontrare i fasci di antimateria che si scagliano contro di esse procedendo nel verso opposto, diventa critico il coordinamento dei tempi ed è necessario ricorrere alle leggi della relatività per arrivare nell'attimo giusto.
Ecco un'immediata conseguenza: la relazione tra energia e moto, a tutti nota dopo le definizioni di Newton e che era stata accettata dagli studiosi impegnati a condurre i primi pionieristici lavori della meccanica quantistica con risultati iniziali positivi nella descrizione di atomi ed elettroni, è nella realtà della natura assai più elusiva.
Figura 2. Einstein, l'energia e il teorema di Pitagora. S e c o n d o la teoria einsteiniana della relatività ristretta la quantità complessiva di energia E posseduta da un corpo materiale in m o t o è proporzionale all'area del quadrato costruito sull'ipotenusa di un triangolo rettangolo nel quale i quadrati costruiti sui cateti sono rispettivamente proporzionali all'entità dell'energia del c o r p o allo stato di quiete (me') e all'entità dell'energia d o v u t a al m o t o , d a t a dal p r o d o t t o pc della quantità di m o t o p del c o r p o (a sua volta data dal p r o d o t t o della sua massa per la velocità con cui si muove) per la velocità della luce c.
La teoria della relatività ristretta porta a una deduzione sorprendente e di vasta portata: un oggetto materiale, anche in stato di quiete, "contiene" una certa quantità di energia la quale è vincolata all'interno degli atomi che lo costituiscono. La quantità di energia in questione (E) può essere calcolata utilizzando la notissima equazione E = me2, in cui m è la massa del corpo e c (iniziale di celeritas, «velocità», in latino) è la velocità della luce. Essa è latente nella materia, anche se questa, macroscopicamente, non si muove. Per calcolare l'energia totale di un corpo in moto, occorre aggiungere l'energia cinetica (dovuta appunto al movimento) all'energia che esso ha a riposo. Siamo tutti portati a immaginare che in questo calcolo basti semplicemente aggiungere l'energia cinetica all'energia rappresentata da me2. Ciò è tuttavia vero soltanto se teniamo conto del fatto che il moto provoca un aumento della massa dell'oggetto e dunque un notevole aumento del prodotto me2 (il valore numerico del fattore c2 è [usando come unità di lunghezza il metro] 9 seguito da sedici zeri). Per quanto sia un po' complicato svolgere per esteso e in dettaglio il calcolo, la risposta corrispondente all'energia totale di un corpo in moto si ottiene abbastanza facilmente (si tratta infatti di un'applicazione del teorema di Pitagora). Si sommano il quadrato (cioè la seconda potenza) dell'energia cinetica e il quadrato dell'energia dovuta alla massa {me2) e si estrae la radice quadrata di tale somma. Se, ad esempio, l'energia a riposo è 4 J (joule, unità di misura dell'energia) e l'energia cinetica è 3 J, l'energia totale risulterà essere 5 J (42 + 32 = 16 + 9 = 25; la radice quadrata di 25 è 5). La rappresentazione geometrica dell'operazione (fig. 2) indica che abbiamo di fatto applicato il teorema di Pitagora. Tracciamo un triangolo rettangolo il cui cateto orizzontale ha una lunghezza proporzionale all'entità dell'energia me2 mentre la lunghezza del cateto verticale è proporzionale all'energia cinetica: la lunghezza dell'ipotenusa è, nella stessa scala, proporzionale all'energia totale. Adottando un maggior rigore sul piano della fisica e della matematica si dovrebbe dire che il cateto verticale rappresenta una quantità che è proporzionale al prodotto della quantità di moto del corpo per la velocità della luce. La quantità di moto è una
grandezza fisica vettoriale definita come prodotto della massa (grandezza scalare, cioè rappresentata con un numero puro) per la velocità del corpo (essa pure espressa con un vettore). Convenzionalmente la quantità di moto è indicata con il simbolo letterale p, dunque la componente che ci interessa può essere indicata come pc. In definitiva la relazione diventa E2 = (me2)2 + (pc)2. Solitamente le grandezze vettoriali sono indicate con lettere minuscole cui è sovrapposta una piccola freccia; nel nostro testo per semplicità non adottiamo questa convenzione e, ove occorra, specificheremo se le grandezze in gioco sono vettoriali (come velocità v , velocità della luce c , accelerazione a , quantità di moto p) o sono invece scalari (come massa m, intervallo di tempo t, energia E oppure e). Le conseguenze della teoria einsteiniana sul modo di interpretare l'energia non finiscono di stupire. Passiamole in rassegna. La prima: gli oggetti dotati di massa posseggono, anche fermi, un'ingente quantità di energia, intrappolata e latente, al proprio interno. La seconda: anche qualcosa che non ha massa, come un fotone che si sposta alla velocità della luce, possiede energia; questa è dovuta al suo moto. Poiché complessivamente l'energia si conserva, è possibile che l'energia presente in un raggio di luce si trasformi nell'energia intrappolata nella materia. Possiamo allora chiederci come fa un elettrone, che è dotato di una carica elettrica (negativa), a emergere da un lampo di luce che non ha alcuna carica. E proprio a questo punto che le due forme possibili della «sostanza delle cose» fanno la loro comparsa nella storia. L'elettrone, con carica elettrica negativa, esiste anche in una forma che ha carica positiva, il positrone. L'energia di un fotone («particella» di luce [in effetti, un quanto]; il nome deriva dal greco pbos, appunto «luce») rimane "intrappolata" in questi due pezzetti complementari di sostanza dotata di massa. Il processo può anche svolgersi in senso inverso: un elettrone e un positrone possono annichilarsi a vicenda e le quantità di energia possedute da entrambi sono acquisite dal fotone che si allontana, alla velocità della luce, da questa scena di distruzione. L'emergere di sostanze materiali dall'energia pura (la cui forma più pura è la luce) produce risultati dai connotati quasi bi-
blici. Incontrando, nella vicenda che stiamo seguendo, l'antimateria, immagine negativa della materia, ci sembra di venire a contatto con gli dèi creatori. E incominciamo cosi a intravedere come il nostro Universo sia sorto dal Big Bang. Calore e luce di straordinaria intensità con una quantità enorme di energia si sono coagulate in pezzi quasi simmetrici di materia e antimateria. La teoria di Einstein, con le notevoli implicazioni che propone per descrivere la natura dell'energia, indica come si è formata la materia all'inizio della nostra sequenza temporale. Una parte essenziale di questa indicazione è costituita dall'idea che la materia abbia un'immagine speculare, l'antimateria. Se è vero che la teoria della relatività ristretta ci consente di valutare le energie in gioco, è però soltanto la sua integrazione con la meccanica quantistica che ci può rivelare del tutto le enormi potenzialità del mondo naturale. L'idea dell'antimateria non poteva nascere che dall'unione delle due grandi teorie scientifiche del x x secplo.
Capitolo terzo Pietre miliari
Paul Dirne. Quando ero adolescente e prima di concentrare i miei interessi sulla scienza, ero un avido lettore di qualsiasi cosa mi potesse offrire la biblioteca pubblica di Peterborough, la città del Cambridgeshire dove vivevo. A l momento di prendere in prestito un volume, che si poteva tenere in lettura per due settimane, il bibliotecario stampigliava, su un cartoncino inserito in una tasca incollata all'interno della copertina, la data della restituzione. Per alcuni libri, molto amati dal pubblico, erano stati riempiti di timbri parecchi cartoncini e, in quei giorni ancora lontani dalla nascita dei siti come Amazon.com, il numero dei timbri e dei cartoncini stessi forniva la migliore indicazione del fatto che un libro valesse la pena di esser letto. Era un criterio semplice per scegliere che cosa chiedere in prestito, ma a un certo momento incominciai a stufarmi di leggere i libri che tutti avevano già letto e a cercare di trovare i libri che erano stati letti di meno. Molti erano stati prestati soltanto una o due volte, solitamente perché il loro acquisto era recente, ma riuscii a trovarne uno che era stato scelto soltanto una volta e molti anni prima. Diventai il secondo lettore che prendeva in prestito quel volume, anche se (accadde proprio cosi) ne lessi soltanto il primo paragrafo della prefazione. Vi si utilizzava più volte la parola «ortogonalità», di cui non capivo il significato, e mio padre non riusciva a spiegarmi di che cosa trattava il testo. Questo era dunque uno di quei memorabili punti di svolta della vita: la prima volta in cui i nostri genitori sono del tutto sconcertati, in difficoltà nel dare una risposta. Il libro doveva essere qualcosa di veramente speciale.
Un decina di anni più tardi, mentre frequentavo il mio ultimo anno come studente universitario nel corso di fisica teorica, sono incappato di nuovo in quel libro. Questa volta ero in grado di seguire la maggior parte del testo, ma le difficoltà che dovevo affrontare per leggerlo e capirne tutte le affermazioni erano considerevoli. Si trattava di The Principles of Quantum Mechanics del matematico di Cambridge Paul Dirac ed ebbi modo di scoprire che non soltanto mio padre e io stesso, ma anche quasi tutti gli altri lettori avevano incontrato qualche problema nel seguirne i ragionamenti nella prima versione, pubblicata nel 1930. La sua seconda edizione, completamente riscritta e pubblicata nel 1935, è diventata, rimanendolo poi per più di settant'anni, il libro di testo classico per qualunque serio studente di meccanica quantistica, pur senza riuscire, neppure in questa versione, a diventare un'opera di facile lettura. Il libro costituisce un esempio paradigmatico di concisione e rigore, zeppo di formule matematiche, alternate a testi esplicativi, in cui Dirac descrive il suo unico e rivoluzionario modo di affrontare la fisica, ivi compresa anche l'eponima equazione che prevede l'esistenza del positrone, la più semplice particella costituente dell'antimateria*. Il primo sguardo sull'anti-mondo non ci è offerto dal risultato di un esperimento o da una scoperta casuale, ma dalle bellissime strutture e corrispondenze che Dirac aveva "visto" ed era riuscito a rappresentare con le sue equazioni. Come semiminime, minime e semicrome su un pentagramma sono semplici simboli finché non vengono interpretate da un esecutore e trasformate in una sublime melodia, cosi aride equazioni possono, quasi per miracolo, rivelare l'armonia presente nella natura. Ed è proprio nel linguaggio della matematica che Dirac era un maestro supremo. Quando nel 1995 si è posata una lapi* Nel successivo periodo di vacanza ritornai alla biblioteca pubblica di Peterborough e cercai la copia del testo che avevo chiesto in prestito dieci anni prima. D o p o aver verificato che si trattava davvero della stessa copia mi affrettai a cercare, all'interno della copertina, la scheda con i timbri delle date di lettura. I timbri erano soltanto due, uno dei quali era quello del mio prestito: non sono mai riuscito a scoprire chi mai fosse stato l'altro lettore che aveva preso in prestito il libro in tutti quegli anni.
de commemorativa a suo nome nell'Abbazia di Westminster (fig. 3), presso il monumento in memoria del più grande degli uomini di scienza, Isaac Newton, si è potuto vedere che, nell'iscrizione, essa riportava la famosa equazione con cui era stata rivelata l'esistenza dell'anti-mondo. La lastra, a forma di losanga, ha una sua schietta bellezza, anche per i visitatori cui non è noto il significato dei simboli che vi compaiono. Per chi ha imparato a leggere i geroglifici della matematica, la creatività, la potenza e l'eleganza dell'equazione di Dirac invitano a stabilire un paragone con Shakespeare o con Beethoven. iy • òip = mip Il padre di Dirac era svizzero, del Vallese, e si era trasferito a Bristol dove lavorava come insegnante di lingue. Il francese e l'inglese erano le lingue usate correntemente in casa dei Dirac e Paul crebbe come bilingue, anche se in entrambe le lingue era insolitamente taciturno. Esistono legioni di aneddoti sulla sua parsimonia linguistica e sulla sua scarsa capacità di comunicare a parole. Questa caratteristica era in contrasto con le sue abilità matematiche, che erano immense. Le sue lezioni, matematicamente brillanti e semanticamente assai precise, potevano intimidire anche gli esperti. Durante una conferenza che tenne presso l'Università di Toronto uno dei presenti tra il pubblico chiese molto educatamente: «Non capisco come ha dedotto la formula scritta sulla lavagna». Ci fu un lungo silenzio e soltanto dopo che il presidente lo ebbe invitato a dare una risposta, Dirac disse: «Quella che lei ha espresso non è stata una domanda; è stata un'affermazione» 1 . Nei pranzi accademici si presentava sempre la delicata questione di decidere chi avrebbe avuto l'ambivalente (per i prò e i contro) privilegio di sedere presso il silenzioso matematico. In una occasione, era stato invitato come ospite il romanziere Edward Morgan Forster e la direzione del college decise di far sedere i due vicini. Anche Forster era maggiormente a proprio agio con le ' The Longman Literary Companion to Science, Longman, Harlow 1989. La battuta è citata nel libro di PETER COVENEY e ROGER HIGHFIELD, La freccia del tempo, Rizzoli, Milano 1991.
parole scritte di quanto lo fosse con la conversazione, e Dirac era un avido lettore delle opere dello scrittore. Secondo la leggenda, che è probabilmente apocrifa, ma potrebbe anche, dati i personaggi, corrispondere alla verità, la serata si svolse nel modo seguente. Mentre veniva servita e consumata la prima portata non venne detto nulla ma, quando si passò al piatto principale del menu, Dirac si girò leggermente verso Forster e, riferendosi a un famoso episodio di Passaggio in India, chiese: «Che cosa è accaduto nella grotta?» Questo fu l'unico contributo di Dirac alla conversazione, in tutta la serata. Forster considerò con attenzione la domanda di Dirac, ma rimase in silenzio. Continuava a mangiava e a ruminare. Infine arrivò in tavola il dessert e Forster rilasciò la risposta: «Non lo so». Per quanto potesse essere conciso, proprio come Forster, nelle comunicazioni interpersonali, Dirac si esprimeva bene attraverso i simboli della scrittura. Nella sua grande opera del
Figura 3. La lapide posta in memoria di Dirac n e l l ' A b b a z i a di W e s t m i n s t e r riporta la sua equazione. Il simbolo y si riferisce a ognuna delle matrici gamma che v e n g o n o descritte n e l l ' A p pendice (Il « C o d i c e Dirac»).
1928, con la quale riunì i vari concetti della teoria dei quanti e li fuse con l'altro opus magnum del secolo, la teoria einsteiniana della relatività speciale, Dirac inventò un linguaggio matematico del tutto nuovo. Allora sembrò strano e bizzarro, ma oggi quel linguaggio fa parte delle istruzioni di base degli studenti di fisica teorica ed è utilizzato da tutti i professionisti attivi in questo campo della ricerca.
Due al prezzo di uno. La meccanica è la scienza del moto e delle forze che ne sono la causa. Questa parte della fisica descrive quantitativamente come si muovono le cose da un punto all'altro dello spazio mentre il tempo passa: maggiore è la distanza che viene percorsa in un dato intervallo di tempo (ad esempio 1 s, un secondo), maggiore è la velocità dell'oggetto. Se qualcosa che si muove vi colpisce, l'effetto dell'impatto non dipenderà soltanto dalla velocità con cui l'oggetto vi ha colpito, ma anche dalla massa dell'oggetto stesso. Ciò che conta è dunque la quantità di moto: il prodotto della massa per la velocità. Descrizioni e calcoli che implicano velocità e massa sono argomento della cinematica (disciplina che fa parte della meccanica). La meccanica si occupa anche di energia, e in particolare dell'energia legata al moto, detta «energia cinetica». Descrizioni e calcoli che trattano dell'energia come causa ed effetto del moto sono argomento della dinamica (una seconda disciplina che fa parte della meccanica). Nell'esperienza quotidiana l'energia cinetica aumenta con il quadrato della velocità: proprio per questa ragione è cosi faticoso fare un servizio giocando a tennis: per raddoppiare la velocità della palla, dovete impiegare un energia quattro volte più grande e trasmetterla, con la racchetta, alla palla. Non si può conoscere con esattezza la posizione di una particella subatomica e la sua quantità di moto, ma l'entità dell'indeterminazione è talmente piccola, quasi insignificante, da renderne difficile la misurazione quando si ha a che fare con oggetti abbastanza grandi da essere visibili, costituiti da mi-
liardi e miliardi di atomi. Se però gli oggetti sono piccolissimi, come gli atomi e le particelle che li costituiscono, l'importanza di questa "indeterminazione" diventa prevalente. Le leggi fondamentali della meccanica tradizionale devono essere accuratamente riscritte per tener conto dell'indeterminazione: il risultato dell'operazione è la disciplina che indichiamo come meccanica quantistica. In essa il concetto di indeterminazione è fondamentale e trova una sua codificazione nel «principio di indeterminazione», formulato nel 1925 dal fisico tedesco Werner Karl Heisenberg, insignito nel 1932 del premio Nobel per la fisica. Le equazioni della meccanica quantistica, al pari di quelle della meccanica tradizionale, stabiliscono relazioni tra energia, quantità di moto, intervalli di tempo e posizioni nello spazio, che sono formalmente uguali. Fino a quando si conoscono le relazioni esistenti tra energia, massa, quantità di moto di una particella, le equazioni della meccanica quantistica permettono di calcolare ciò che accade in ogni istante a questo minuscolo oggetto. La difficoltà sta nel definire tali relazioni. La nozione di «quanto», in base alla quale possiamo dire che le onde luminose "si comportano" come fasci di "particelle", dette fotoni, e che le vere particelle, quali gli elettroni, possono avere un comportamento ondulatorio, ha fatto la sua comparsa all'inizio del x x secolo. E tuttavia passato un quarto di secolo prima che venissero scritte le equazioni della meccanica quantistica. Erwin Schródinger le ha risolte nel 1926 per le particelle "lente", dotate cioè di una velocità "bassa" rispetto a quella della luce nel vuoto. L'«equazione di Schródinger» poteva spiegare il comportamento degli elettroni negli atomi e dimostrava che, in un atomo d'idrogeno, l'elettrone si sposta davvero a una velocità di circa 2000 km/s. Una velocità enorme per i nostri sensi: essa è però meno dell' 1% della velocità della luce. La teoria di Schródinger era valida ed è tuttora largamente utilizzata nei problemi della fisica atomica. Schródinger ha condiviso con Dirac il premio Nobel per la fisica nel 1933. L'equazione di Schródinger spiegava anche come il moto orbitale degli elettroni fosse la causa della moltiplicazione delle
righe spettrali per effetto di un campo magnetico. Non forniva tuttavia alcuna spiegazione per la presenza dello spin intrìnseco dell'elettrone. Questa proprietà dell'elettrone, ormai a tutti nota, non trovava una sua collocazione nella teoria di Schròdinger. Una meccanica quantistica più completa, che desse conto anche della presenza dello spin e che fosse applicabile a velocità elevatissime, doveva essere scoperta. La sfida nasce dalla strana ed elusiva natura dell'energia nella teoria einsteiniana della relatività. Ricordiamo che un corpo dotato di massa "contiene" energia (E = me2) latente all'interno degli atomi che lo costituiscono, anche quando esso è a riposo, e che possiede un'energia cinetica quando è in moto. Come abbiamo già visto supra, pp. 37-38, l'energia totale del corpo può essere calcolata applicando la relazione pitagorica che lega i lati di un triangolo rettangolo. Per un corpo dotato di massa in movimento, il quadrato dell'energia totale equivale alla somma del quadrato dell'energia a riposo e del quadrato dell'energia cinetica. Oskar Benjamin Klein ha tentato di generalizzare la teoria di Schròdinger utilizzando il quadrato dell'energia E2 e la relazione pitagorica deducibile dalla teoria di Einstein. Consideriamo il numero 25: la sua radice quadrata è + 5 o - 5 (entrambi i numeri, elevati al quadrato, dànno 25); cosi la radice quadrata di E2 può essere negativa o positiva. Poiché l'ipotenusa di un triangolo rettangolo ha una lunghezza positiva e non negativa, la soluzione negativa per l'energia che l'equazione pitagorica di Einstein sembra avere, è stata considerata (badando alla sola coerenza geometrica: un triangolo è fatto di segmenti, non di quadrati) come priva di senso. Una conclusione che lasciava comunque perplessi e a disagio. Il problema nasceva dal fatto che l'equazione, in origine, aveva soltanto termini quadratici, dunque conteneva il «quadrato» dell'energia. Dirac decise di evitare le difficoltà che nascevano da questa contraddizione imponendosi, dall'inizio del calcolo, di operare su £ e non su E2. Una scelta abbastanza naturale e semplice, ma limitativa e non tanto facile da mettere in pratica. Il problema consisteva nell'individuare una relazione tra la lunghezza dell'ipotenusa (rappresentante l'energia E) e le lunghezze dei due cateti (rap-
presentanti rispettivamente l'energia a riposo, md, e l'energia cinetica), tutte alla potenza 1 e non al quadrato. Proprio con questo procedimento, da lui proposto come base per la meccanica quantistica, ogni cosa finiva al posto giusto. Per far tornare i conti, a Dirac serviva trovare due entità matematiche che, moltiplicate tra loro, dessero come risultato 0 e che, elevate al quadrato, dessero come risultato 1. Era impossibile soddisfare queste condizioni con i soliti numeri naturali. Infatti perché il prodotto di due numeri sia nullo, uno dei due deve essere 0; ma il quadrato di 0 è 0 e non potrà mai essere 1. A questo punto del ragionamento, se non prima, molti avrebbero gettato la spugna, convinti che soddisfare le richieste fosse impossibile. Esisteva invece un modo ingegnoso per venire a capo del problema, e Dirac lo scopri. Se vi interessa il trucco matematico messo in opera da Dirac per sciogliere il dilemma, leggete l'Appendice (Il «Codice Dirac») infra, pp. 173-80. Dirac aveva immediatamente capito che non era possibile utilizzare per il calcolo enti matematici che fossero semplici numeri; si poteva invece ricorrere agli strumenti matematici detti matrici, «numeri bidimensionali», costituiti da schemi formati da due colonne ognuna con due numeri. I matematici hanno elaborato le regole con cui si possono addizionare e moltiplicare le matrici: questi strumenti sono impiegati in moltissimi problemi che si presentano nelle applicazioni della tecnologia e in vari rami della fisica, ad esempio nell'elettrologia e negli studi sui fenomeni magnetici. Le matrici hanno una curiosa e affascinante proprietà che costituisce la chiave con cui Dirac è venuto a capo del suo problema: se si moltiplicano due matrici a e b il risultato dell'operazione a x b non è necessariamente e sempre lo stesso dell'operazione b x a. La moltiplicazione delle matrici non gode della proprietà commutativa. Per quanto tale proprietà possa, a prima vista, apparire curiosa, esistono molte "cose" del mondo reale in cui l'ordine con cui si presentano gli elementi è importante. Chiunque abbia giocato con il cubo di Rubik sa che ruotare lo strato superiore in senso orario e poi lo strato laterale destro in senso antiorario non porta allo stesso risultato se le operazioni sono eseguite in ordine inverso. E ancora più semplice con-
statare queste realtà con un comune dado (si veda la fig. 4). Se fate ruotare un dado in senso orario intorno all'asse verticale e poi in senso antiorario, verso di voi, intorno a un asse orizzontale, vi trovate di fronte una certa faccia (quella con il cinque, nella parte superiore della figura); se cambiate l'ordine delle operazioni, prima la rotazione antioraria intorno all'asse orizzontale, poi la rotazione oraria intorno all'asse verticale, non ottenete la stessa faccia (nella parte inferiore della figura, la faccia con il tre). Queste constatazioni ci permettono di capire perché le matrici si sono rivelate utilissime per seguire le tappe di ciò che accade quando un oggetto ruota nello spazio tridimensionale, dove è importante tener conto dell'ordine delle tappe stesse. Se dunque le "quantità" (anzi, meglio, i moltiplicatori) a e b che Dirac stava cercando di individuare sono matrici, con esse è possibile risolvere il problema. Possono infatti soddisfare
Figura 4. U n dado fatto ruotare di 90° in senso orario intorno all'asse verticale, poi di 9 0 ° in senso antiorario intorno all'asse orizzontale (in m o d o che la faccia superiore diventi frontale) mostra una faccia diversa se si cambia l'ordine con cui sono eseguite le d u e operazioni.
le due relazioni a2 = 1, b2 = 1 e, per quanto il prodotto di a per b non sia uguale a zero, cioè, in simboli, a x b * 0 e sia anche b x a* 0, la somma dei due prodotti è nulla: a x b + b x a = 0. Utilizzando le matrici, Dirac è riuscito a scrivere un'equazione lineare che dà l'energia totale di un corpo materiale come somma della sua energia a riposo e della sua energia cinetica e che è coerente con la teoria einsteiniana della relatività ristretta. Il fatto che le matrici possano tener conto di ciò che accade quando i corpi sono in rotazione forniva un'opportunità in più, quasi una gratifica: la matematica sembrava apparentemente asserire che un elettrone poteva girare su se stesso, che poteva cioè avere uno spin intrinseco! Inoltre l'aver sostituito, per trovare la soluzione, i singoli numeri con matrici del tipo più semplice (con due colonne di due soli numeri) implicava che lo spin avesse una sua "duplicità", cioè proprio la caratteristica necessaria per spiegare l'effetto Zeeman (citato supra, p. 32). L'ingrediente che mancava nella teoria di Schròdinger era saltato fuori, quasi per miracolo, dalla matematica delle matrici che Dirac era stato obbligato a usare per soddisfare i requisiti della teoria della relatività ristretta di Einstein. Un insieme di risultati per se stesso notevole; ma Dirac fu allettato anche da un'altra caratteristica del procedimento. Tutto funzionava bene fintantoché si consideravano le soluzioni in cui venivano accettati come reali i valori dell'energia positivi e quelli negativi. Tentando di aggirare il problema dell'energia negativa che sorgeva quando gli altri studiosi avevano operato su E2, Dirac era stato obbligato a utilizzare le matrici ed era cosi riuscito a spiegare lo spin dell'elettrone, ma era incappato nella conseguenza, in un certo senso ironica se non assurda, di dover accettare le soluzioni con l'energia negativa come altrettanto legittime di quelle con il valore positivo. Considerare validi entrambi gli insiemi di soluzioni significava che esistevano due insiemi di matrici "due-per-due" (con due colonne di due numeri). In effetti, sostituendo i normali numeri con matrici per esprimere matematicamente la propria ipotesi, Dirac si era trovato a utilizzare matrici con quattro colonne e quattro righe (cioè con quattro colonne ognuna costituita da quattro numeri).
Queste matrici a quattro colonne sono oggi note come matrici y (gamma). Ecco perché la terza lettera dell'alfabeto greco è uno dei simboli presenti nell'equazione eponima incisa dopo la qualifica (physicist, «fisico») di Dirac sulla lastra posta in suo onore nell'Abbazia di Westminster. In apparenza Einstein poteva essere soddisfatto: l'elettrone aveva il suo spin e poteva essere dotato di energia negativa oppure positiva. Dirac si era accinto all'impresa nella speranza di evitare l'enigma dell'energia negativa, ma era stato obbligato ad accettarne l'esistenza. Quale poteva essere il significato di questa situazione ?
Il mare infinito. Quando premete il pedale dell'acceleratore di un'auto, il veicolo aumenta la sua velocità: aumenta la sua energia cinetica. Ciò non viene dal nulla: è stato necessario consumare ("bruciare") una certa quantità di combustibile, che ha rilasciato energia dal suo interno (energia chimica proveniente dalle sue molecole), che si è trasformata in una (quasi) uguale quantità di energia cinetica dell'auto. Premete il pedale del freno e l'auto rallenta e infine si ferma: la sua energia cinetica diminuisce e infine si annulla. Questa energia non è scomparsa: si è convertita in calore, nei freni e nei pneumatici e forse anche in suono (lo stridore dei freni e della gomma che striscia sull'asfalto). Infine tutto si ferma. L'energia cinetica dell'auto (e di ciò che essa trasporta, voi compresi) è ora nulla, ma esiste ancora moltissima energia potenziale (chimica) chiusa nel serbatoio del combustibile. Anche se il serbatoio è vuoto, esiste un sacco di energia "congelata", come me1, negli atomi che costituiscono il vostro corpo e ogni parte dell'auto e potete benissimo utilizzare un po' della vostra me2 per fornire energia cinetica al veicolo, con il semplice espediente di spingerlo. L'idea di scambiare una forma di energia positiva in un'altra è alla base di tutta la società industriale. Nelle esperienze di ogni giorno, non ci sono tracce di energia negativa: possiamo perciò chiederci che cosa significhino le soluzioni dell'equazione che indicano un'energia negativa dell'elettrone.
Se gli elettroni possono davvero avere energia negativa vien fatto di pensare che queste particelle, presenti nella materia, siano in grado di perdere spontaneamente energia cadendo in uno degli stati dell'energia negativa. Considerando che ciò renderebbe instabile la materia e che noi siamo invece qui a discuterne, dovremmo dedurne che la teoria di Dirac a proposito degli elettroni è sbagliata e che l'esistenza di una tale energia negativa sia assolutamente impossibile ? Notiamo, prima di decidere, la notevole scelta di Dirac, il quale ha utilizzato proprio il fatto, a tutti evidente, che la materia è stabile, per dare un'interpretazione degli stati energetici negativi. Consideriamo, per comprendere il suo ragionamento, un'altra importante caratteristica del mondo fisico: la straordinaria regolarità riscontrabile nella struttura atomica dei vari elementi chimici, scoperta, nel xix secolo, dallo studioso russo Dmitrij Ivanovic Mendeleev, che la codificò nella nota Tavola Periodica. Alcuni elementi chimici presentano proprietà molto simili; queste somiglianze si ripresentano "periodicamente" in un elenco ordinato nel quale essi compaiono uno dopo l'altro per masse atomiche crescenti. Alcuni esempi delle proprietà che ricorrono periodicamente: la scarsissima reattività dei gas detti appunto inerti: i primi quattro sono elio, neon, argon, kripton; l'affinità di alcuni metalli con l'acqua: tipici il sodio e il magnesio; la grande reattività degli elementi fluoro, cloro e iodio, la cui affinità con l'idrogeno dà origine ad acidi forti. Queste somiglianze dei comportamenti erano note da secoli: la Tavola di Mendeleev ne ha rivelato la periodicità, ma soltanto la meccanica quantistica ha potuto dar conto del perché le somiglianze esistono e, fornendone la spiegazione, ha anche risolto il dilemma di Dirac. Gli elettroni sono identici in tutti gli atomi. La differenza tra un elemento chimico e un altro è data dal numero di elettroni che orbitano intorno al nucleo centrale (e dunque dal numero, ovviamente uguale, dei protoni presenti nel nucleo stesso). Come abbiamo già visto, gli elettroni periferici non possono andare ovunque a piacere: le leggi della meccanica quantistica li obbligano infatti a seguire pochi specifici cammini o «stati quantici». Le disposizioni schematiche dei cammini disponibi-
li, mentre via via si aggiungono elettroni e dunque si avanza, passando da una casella a un'altra, nella tavola degli elementi, si ripetono secondo una ciclicità regolare che è simile a quella con cui si ripetono le caratteristiche che accomunano gli elementi. La teoria quantistica spiega il fenomeno come conseguenza di una fondamentale legge detta «principio di esclusione», la cui enunciazione venne data nel 1925 dal fisico austriaco Wolfgang Ernst Pauli (un contributo che, più tardi, nel 1945, venne riconosciuto con l'attribuzione del premio Nobel per la fisica). Gli elementi si comportano di fatto come i cuculi: due nello stesso nido vuol dire uno di troppo o, nel linguaggio certamente più "asciutto" della meccanica quantistica, due elettroni nello stesso gruppo non possono occupare lo stesso stato quantico. Avendo constatato che le soluzioni della sua equazione implicavano per gli elettroni la possibilità di avere energia negativa, Dirac utilizzò il principio di esclusione come punto di partenza per un'idea a dir poco brillante. Ecco la sua ipotesi: ciò che abitualmente indichiamo come "vuoto" non è effettivamente uno spazio privo di qualunque oggetto, ma una sorta di pozzo senza fondo nel quale scende una scala in cui ciascuno dei gradini corrisponde a uno stato quantico, cioè a un "posto" dove può stare un elettrone. Il punto più alto della scala corrisponde all'energia nulla, al suo valore zero, e ogni gradino che si incontra scendendo corrisponde a uno stato dotato di energìa negativa per un elettrone. Dirac prevedeva che, se tutti questi stati quantici fossero stati già occupati, nessun elettrone avrebbe avuto la possibilità di cadere in uno scalino/stato a energia negativa e la materia sarebbe rimasta stabile. Ciò che viene indicato con il termine "vuoto" potrebbe essere simile a un mare profondo e calmissimo, di cui non ci si accorge neppure, se nulla lo perturba. La superficie di questo mare costituisce il livello di base rispetto al quale sono definite tutte le energie con cui abbiamo a che fare: il «livello del mare» di Dirac corrisponde dunque al valore zero dell'energia. Nell'interpretazione del vuoto proposta da Dirac, se in questo mare manca un elettrone, al suo posto deve esserci una lacuna. L'assenza di un elettrone dotato di carica negativa, la cui
energia è negativa rispetto al livello del mare, verrà rilevata come presenza di una particella carica positivamente con energia positiva, dunque precisamente con tutte le caratteristiche di ciò che, in seguito, verrà indicato come positrone. Un'idea strana per l'epoca ma, occorre ammetterlo, la meccanica quantistica appare "strana" ancora oggi, dopo ottant'anni. Questa disciplina era bambina quando Dirac formulò la sua proposta, che dunque ci appare, a ragione, come un vero e radicale colpo di genio. Come può accadere che un elettrone con energia negativa venga fatto sloggiare in modo tale da rendere "visibile" la lacuna, il buco, da esso lasciato nel mare di vuoto ? La risposta non può che essere: fornendo energia, ad esempio con un raggio gamma altamente energetico. Se il raggio gamma ha abbastanza energia può dare un calcio a un elettrone in uno stato di energia negativa, spingendolo cosi in uno stato a energia positiva. Ed ecco il risultato: il raggio gamma ha prodotto sia un elettrone con energia positiva, sia (contemporaneamente) una lacuna in ciò che indichiamo come il vuoto. La lacuna è data dall'assenza sia dell'energia negativa (che si rivelerà come comparsa di uno stato a energia positiva) sia di una carica negativa (che può essere vista come comparsa di una carica positiva). In conclusione risulta che l'energia di un raggio gamma si è trasformata in un elettrone, con carica negativa per convenzione, accompagnato da un «elettrone con carica positiva», entrambi dotati di energia positiva (si veda la fig. 5).
Che cos'è questo elettrone positivo? La previsione dell'esistenza di un anti-elettrone è apparsa a molti, negli anni in cui è stata formulata, come un argomento da relegare nel campo della fantascienza. Allora le sole particelle note erano l'elettrone e il protone, per mezzo dei quali si poteva, apparentemente, descrivere tutto ciò che è materiale. Si riteneva inoltre che queste particelle fossero immutabili, mentre la proposta teorica di Dirac comportava che le particelle fondamentali potessero formarsi o essere distrutte a volontà. Non era neces-
sario che ci fossero altre particelle e nessuno le desiderava, se si esclude il neutrone, la cui esistenza era in genere accettata (per quanto non fosse ancora stato scoperto sperimentalmente) allo scopo di far tornare i conti, incrementando la massa del nucleo atomico e contribuendo quindi a renderlo stabile. I tempi della grande proliferazione delle particelle con nomi fantastici, come conseguenza delle scoperte dovute alle ricerche sui raggi cosmici e agli esperimenti condotti con gli acceleratori di particelle, appartenevano ancora a un lontano futuro. Nel 1928, il quadro delle particelle era semplice: la materia era costituita da elettroni, carichi (per convenzione) negativamente, e da protoni, con carica positiva. In questa visione del mondo, relativamente rassicurante e gradevole, non c'era posto per l'anti-elettrone. Durante ogni conferenza tenuta da Dirac nei mesi successivi alla pubblicazione della sua teoria, qualcuno dei presenti immancabilmente chiedeva: «Dov'è l'anti-elettrone ?» Tali domande provocavano risatine nervose e ben presto Dirac si stufò di sentirle. Il fatto che pochi dei suoi contemporanei avessero studiato sul serio le sue equazioni o fossero in grado di seguire i suoi ragionamenti rendeva particolarmente irritante questa domanda ormai "alla moda". Infine Dirac tentò di prevenire le domande ipotizzando che, poiché il protone è dotato di carica positiva, l'anti-elettrone poteva di fatto essere il protone. La proposta ebbe, come conseguenza, l'ampia diffusione di questa interpretazione: Dirac aveva davvero considerato seriamente il protone come un possibile candidato per il ruolo della particella dotata di carica positiva che era saltata fuori dalle sue equazioni come un coniglio dal cilindro o da sotto il mantello di un prestigiatore. Per i fisici d'oggi, che ben conoscono la profonda simmetria tra materia e antimateria, l'idea che il protone potesse essere identificato come l'anti-elettrone sembra assurda, poiché la massa del protone è quasi duemila volte più grande di quella dell'altra particella. Queste caratteristiche delle particelle possono sembrare tutte ovvie oggi, ma non dobbiamo dimenticare come siano aumentate le nostre conoscenze sulla simmetria tra materia e antimateria rispetto a quelle disponibili nel 1928; gli storici giustamente si chiedono se l'enorme divario tra le masse potesse
Figura 5. Il " v u o t o " è riempito da u n mare infinitamente p r o f o n d o di livelli energetici, che vanno da una negatività infinita a un dato valore massimo. A s s u m i a m o tale configurazione, Io stato di minima energia, c o m e livello zero. Il cerchietto nero rappresenta un elettrone dotato di energia p o s i t i v a rispetto al v u o t o . U n o stato mancante, una lacuna (rappresentato dal cerchietto bianco), con energia negativa e carica negativa, apparirà come se fosse uno stato a energia positiva e con carica positiva. Q u e s t o ente, nella descrizione di Dirac, è l'antiparticella dell'elettrone, il positrone. Se uno stato energetico è v u o t o e uno positiv o è c o n s e g u e n t e m e n t e pieno, q u e s t ' u l t i m o p o t r e b b e essere un elettrone con energia positiva e la lacuna, o " b u c a " , p o t r e b b e essere rilevata come un positrone con energia positiva. Per produrre una tale configurazione, d e v e inizialmente essere fornita energia al vuoto; questa energia p u ò essere data da un fotone che si trasforma in un elettrone e un positrone o, se vogliamo, c h e dà origine a un elettrone e a un positrone.
davvero far apparire assurda la strana interpretazione del protone come antiparticella. Secondo Pétr Leonidovic Kapica, noto fisico sovietico che in quegli anni operava in Inghilterra (e che vinse il premio Nobel per la fisica soltanto nel 1978), l'osservazione espressa da Dirac doveva essere interpretata come una battuta ironica, nonostante il carattere riservato dell'autore, che di solito lo rendeva taciturno e poco propenso agli scherzi. Dirac in effetti aveva soltanto voluto scoraggiare chi lo tempestava di domande, permettendosi cosi di proseguire con la dettagliata esposizione delle sue idee, di grande profondità, e apparentemente accantonando il problema della massa come un "dettaglio" da risolvere più tardi. L'equazione di Dirac aveva aperto la strada delle indagini sull'antimateria, ma in realtà spetta a Robert Oppenheimer, destinato a diventare famoso come coordinatore del Progetto Manhattan per la fabbricazione della prima bomba "atomica", il merito di aver tracciato un quadro davvero completo della questione. Oppenheimer fece notare che la particella con carica positiva non poteva essere il protone, perché, se fosse stato cosi, gli atomi di idrogeno si sarebbero autodistrutti. Il ragionamento secondo cui un elettrone e la sua controparte positiva emergevano dal vuoto poteva essere condotto anche in senso inverso; supponiamo infatti di proiettare alla rovescia il film di questo evento: si vedranno le due particelle annichilarsi una con l'altra e, al posto della coppia che scompare, apparire un raggio gamma. Dunque se la particella positiva fosse davvero identificabile con il protone, gli atomi di idrogeno sopravviverebbero soltanto fino a quando il protone non incontra l'elettrone. E ciò non si verificherebbe per il solo idrogeno, ma per tutta la materia, che svanirebbe in un enorme lampo di luce. Dirac riconobbe immediatamente la forza dell'argomento critico di Oppenheimer e fu pronto ad ammettere che il suo elettrone positivo era in effetti una "cosa" del tutto nuova. Nel mese di settembre del 1931 rese pubbliche le sue conclusioni: la lacuna doveva essere una «particella di nuovo tipo, finora sconosciuta alla fisica sperimentale, avente la stessa massa e la stessa carica elettrica [in valore assoluto] di un elettrone. Potremmo assegnare a una tale particella il nome di anti-elettro-
ne» 2 . Le sue impressionanti caratteristiche sarebbero la capacità di produrre la pirotecnica distruzione di un elettrone dotato, per convenzione, di carica elettrica negativa, e la possibilità inversa di formarsi, in coppia con l'elettrone, da pura energia. Il protone ha grande massa ed è una "bestia" completamente diversa: l'equazione di Dirac implica che esso pure abbia un'antiparticella come controparte. Nel testo del 1931 Dirac dice anche chiaramente che, in base alla sua teoria, «esiste una completa e perfetta simmetria tra una carica elettrica positiva e una negativa». E prosegue con rigore logico (si nota soltanto una lieve sfumatura di prudenza) affermando: «se questa perfetta simmetria è davvero una proprietà fondamentale della natura, dovrebbe essere possibile, per ogni tipo di particella, averne un'altra con carica opposta». Prevedeva cosi che dovesse esistere anche un antiprotone, cioè una particella di grande massa con carica negativa, speculare del protone. Questa ipotesi di Dirac (l'esistenza per ogni tipo di particella di un'antiparticella che ne è la controparte) è oggi riconosciuta come una fondamentale verità e ci permette di gettare lo sguardo su una profonda simmetria presente nel grande arazzo dell'Universo. L'idea del mare senza fondo pieno di elettroni identici suggerita da Dirac ci offre la possibilità di spiegare anche perché gli elettroni e i positroni che «si creano uscendo dal vuoto» hanno tutti proprietà identiche invece di presentarsi con una gamma continua e casuale di possibili caratteristiche. Secondo un'altra proposta teorica di Dirac, anche i protoni riempiono il "mare" e oggi riconosciamo che i quark (con cui faremo conoscenza nel capitolo v) soddisfano il principio di esclusione e dunque riempiono un mare senza fondo. E proprio il magazzino infinitamente profondo del mare di Dirac a fornirci le particelle e le antiparticelle che possiamo materializzare. Sul piano teorico non c'è altro da dire sull'antimateria. Ma che cos'è la realtà? Per ora occupiamoci della storia del positrone. 1 PAUL-ADRIEN-MAURICE DIRAC, in «Proceedings of the Royal Society», settembre 1931, citato nel libro di GORDON FRASER, Antimateria, trad. it. di Maurizio Dapor e Monica Ropele, M c G r a w Hill, Milano 2001.
Capitolo quarto Scoperta nel cosmo
Migliaia di metri al di sopra delle nostre teste, enormi torrenti di particelle subatomiche e di raggi gamma provenienti dallo spazio si schiantano di continuo contro gli strati superiori dell'atmosfera. Queste collisioni producono (come un mollusco che espelle milioni di uova nell'acqua) un ulteriore diluvio di particelle, molte delle quali vengono assorbite dall'aria prima di raggiungere la superficie della Terra: conseguentemente, a livello del suolo, rimane soltanto una sottile e innocua pioggerellina di radiazioni. Si è da tempo scoperto che questi "raggi cosmici" contengono, oltre ai normali elettroni, protoni e nuclei atomici, anche qualcosa di "esotico", mai rilevato, in precedenza, sul nostro pianeta. E proprio cosi che si è, per la prima volta, scoperta l'esistenza del positrone. In poche parole, ecco la storia. Già nel 1923 le primissime fotografie di raggi cosmici hanno permesso di vedere immagini dovute al passaggio di positroni, ma nessuno in quegli anni ha capito esattamente con che cosa si aveva a che fare. Più tardi, dopo le previsioni di Paul Dirac, formulate nel 1928, sulla possibile esistenza di una versione dell'elettrone carica positivamente, nel giro di quattro anni si è avuta l'individuazione della particella nella radiazione cosmica. Inizialmente si reagì riconoscendo nel positrone una qualche sorta di "cosa" extraterrestre, fino a quando i ricercatori scoprirono che esso si produceva di continuo qui sulla Terra, e faceva parte dei residui di vari fenomeni radioattivi. La ragione per cui nessuno li aveva notati è una sola: per i positroni il nostro è un mondo alieno e ostile, che li distrugge con estrema rapidità.
La scoperta del positrone. I positroni erano stati visti, ma non riconosciuti, cinque anni prima della pubblicazione di Dirac che presentava la sua teoria. Nel 1923, a Leningrado, il fisico sovietico Dmitrij Vladimirovic Skobeltsyn stava indagando sulla natura dei raggi gamma: per renderli visibili si serviva di una camera a nebbia. Tutti conosciamo bene la scia di vapori lasciata da un jet, che può rimanere visibile in cielo per parecchi minuti, fornendo una traccia della traiettoria lungo la quale si sposta il velivolo. La scia è costituita da minuscole goccioline d'acqua che si condensano per effetto dei gas caldi espulsi e formano una nube lunghissima e sottile. Un principio simile viene applicato nella camera a nebbia, il primo apparato messo a punto per rendere visibili, come immagini fotografiche, le tracce delle particelle subatomiche. Si tratta in pratica di una scatola dalle pareti di vetro contenente aria umida a bassa pressione, dotata di un pistone che permette di far entrare istantaneamente aria nella cavità. Il vapore acqueo presente nell'aria si condensa intorno a ogni particella elettricamente carica che passi nella camera e ne rivela la presenza e la traiettoria con una sottilissima scia di goccioline. Nei primi decenni del x x secolo, la camera a nebbia è stata per i fisici delle particelle ciò che è per gli astronomi il telescopio: ha permesso infatti di osservare oggetti non alla portata della nostra vista. I raggi gamma non lasciano direttamente una scia visibile; si comportano però come l'uomo invisibile dell'omonimo romanzo di Herbert George Wells, che si rivelava facendosi largo a gomitate tra la folla. E, sfruttando un analogo meccanismo, Skobeltsyn si era proposto di "acchiapparli": gli invisibili raggi gamma avrebbero dovuto colpire gli elettroni strappandoli agli atomi nella camera a nebbia. Dalle scie lasciate dagli elettroni, ben visibili, Skobeltsyn sperava di poter dedurre la prova dell'esistenza e degli effetti dei raggi gamma. L'apparato funzionò come previsto, anzi meglio. I raggi gamma erano tanto energetici da non limitarsi a strappare gli elettroni dagli atomi dei gas presenti nella camera a nebbia, ma da
espellerli anche dalle pareti della camera stessa. Il fenomeno interferiva con le misurazioni che il ricercatore tentava di eseguire. Skobeltsyn ebbe allora la brillante idea di togliere di mezzo gli elettroni indesiderati collocando la camera a nebbia tra i due poli di un grosso elettromagnete. Questo accorgimento rendeva più sottili le traiettorie di nebbia e la visione più nitida rivelò qualcosa di completamente inaspettato: il campo magnetico sembrava incurvare «nel verso sbagliato» le traiettorie di alcuni "elettroni". Oggi sappiamo che Skobeltsyn stava guardando tracce di positroni, la versione speculare e carica positivamente dell'elettrone, ma nessuno nel 1923 poteva prevedere qualcosa di simile. Le tracce anomale lo lasciavano perplesso, ma si trattava di un disturbo e di qualcosa che poteva distrarlo dallo scopo della sua ricerca. Cionondimeno lo avevano infastidito. Notizie su queste strane immagini si diffusero nella grande famiglia del mondo scientifico e cinque anni più tardi Skobeltsyn decise di presentarle ufficialmente durante un convegno internazionale a Cambridge. Tutti si stupirono, come era accaduto a lui, ma nessuno fu in grado di proporre una spiegazione. Sembra quasi uno scherzo, ma Skobeltsyn faceva vedere le sue immagini nel 1928, a Cambridge, nello stesso anno e nello stesso luogo in cui Dirac avrebbe enunciato la sua previsione sull'esistenza dei positroni, le cui traiettorie sarebbero proprio state come quelle degli elettroni ma incurvate «nel verso sbagliato». Comunque, poiché nessuno aveva allora una buona ragione per sospettare l'esistenza dei positroni, se non per il fatto che erano comparsi "in incognito" nell'esperimento di Skobeltsyn, lo studioso russo non raccolse l'importante frutto in cui si era imbattuto*.
Non sono riuscito a scoprire se Dirac fosse presente alla conferenza di Skobeltsyn. Comunque, considerando che in quel periodo l'interesse di .Dirac si concentrava sullo studio degli strumenti matematici adatti a interpretare le proposte della fisica teorica e che soltanto più tardi si sarebbero rese evidenti le implicazioni del suo lavoro con l'osservazione dei raggi cosmici, è verosimile che non fosse al corrente di questi sviluppi sperimentali. V a inoltre detto che la presentazione di Skobeltsyn avrebbe potuto produrre un effetto duraturo soltanto se interpretata come risultato di ciò che doveva trapelare in seguito. Si veda DAVID WILSON, Kutherford, Sìmpk Genius, Hodder & Stoughton, London 1983, p. 562.
Un campo magnetico può deflettere le traiettorie delle particelle dotate di carica elettrica. L'entità della curvatura delle traiettorie è minore per le particelle che hanno massa piccola o che si muovono lentamente rispetto a quella delle traiettorie delle particelle di grande massa o più veloci; il verso della deviazione dipende dal segno della carica, ad esempio verso sinistra per cariche negative e verso destra per cariche positive. Comunque, alcune delle traiettorie attraversavano la camera a nebbia di Skobeltsyn seguendo un tracciato rettilineo. Esse erano prodotte da elettroni la cui velocità era tanto alta che il campo magnetico a stento le deformava prima che uscissero di scena, dopo aver attraversato la camera. Questi elettroni erano assai più veloci di quelli provenienti dalle sorgenti di radioattività note nei primi decenni del x x secolo. Di fatto a cacciarli fuori dagli atomi erano stati i raggi cosmici. Per quanto allora non se ne fosse reso conto, Skobeltsyn è stato il primo studioso a osservare le tracce di questi raggi. Siamo quasi certi che le tracce non fossero lasciate dai soli elettroni, ma anche da positroni, tuttavia le curvature non erano abbastanza accentuate da poter essere rilevate e Skobeltsyn non ne trasse alcuna conclusione, perdendo per la seconda volta l'opportunità di cogliere il frutto della sua osservazione. La lasciò cosi a Cari David Anderson, statunitense di origini svedesi, che scopri formalmente il positrone nel 1932: una convalida, dalle importantissime conseguenze, venuta quattro anni dopo la teoria proposta da Dirac, in cui se ne prevedeva l'esistenza. Robert Andrews Millikan, docente al Caltech (California Institute of Technology), insignito del premio Nobel per la fisica nel 1923 per la misurazione della carica elettrica dell'elettrone, aveva coniato la definizione «raggi cosmici» e proponeva una sua teoria sull'origine di questa radiazione extraterrestre. Pensava che i raggi cosmici fossero in realtà raggi gamma, le «doglie della creazione», come spesso li definiva, anche se non è ben chiaro che significato attribuisse a tale affermazione: le tracce fotografate nella camera a nebbia di Skobeltsyn potevano esserne la prova. Per scoprire, quasi passandoli al pettine fine, che cosa contenevano questi raggi si doveva, prima di tutto, incurvarne le traiettorie in modo da rilevare quali ne fossero le cari-
che elettriche e l'energia: un risultato ottenibile soltanto impiegando magneti di grande potenza. Con campi magnetici sufficientemente intensi, si sarebbe riusciti a deflettere anche le particelle più veloci, incurvandone le traiettorie. Millikan, nel 1930, suggerì al ricercatore Anderson, suo allievo, di utilizzare un magnete abbastanza potente da deflettere i raggi cosmici. Anderson lo fece con l'aiuto dei tecnici di un laboratorio di aeronautica situato non lontano dal Caltech. I campi magnetici che si potevano ottenere erano dieci volte più intensi di quelli usati da Skobeltsyn: applicandoli, Anderson riuscì a incurvare le traiettorie delle particelle. E, sorpreso, constatò che i raggi cosmici contenevano sia particelle con carica elettrica negativa sia particelle con carica positiva, praticamente in numero uguale. Poiché Millikan credeva che i raggi cosmici contenessero raggi gamma, che non potevano lasciare tracce, essendo radiazioni, dovette concludere che le particelle cariche erano state espulse da atomi colpiti dagli stessi raggi gamma. Nella sua interpretazione, le particelle con carica negativa erano elettroni, quelle con carica positiva protoni. Tuttavia le immagini ottenute fotograficamente da Anderson non si accordavano con una tale interpretazione. Le particelle di massa molto piccola come gli elettroni lasciano sottili tracce a spirale, simili a riccioli, ben diverse da quelle, più spesse, dei protoni la cui massa è grande. Tutte le tracce presenti nelle fotografie sembravano esser state lasciate da elettroni, perciò Anderson ipotizzò che quelle avvolgentisi «nel verso sbagliato» non fossero dovute a elettroni dotati di carica positiva, ma a elettroni che si spostavano controcorrente, nel verso opposto rispetti agli altri, andando in su, invece che in giù. A Millikan tale ipotesi non piaceva; seguendo un ragionamento distorto dai suoi preconcetti sulla natura dei raggi cosmici, continuò a sostenere che, per quanto sottili e non spesse, le tracce dovevano essere prodotte da protoni, con carica positiva, percorrenti la propria traiettoria andando in giù. Anderson pose fine alla discussione inserendo una piastra di piombo a metà della camera a nebbia. Una particella, attraversando la piastra, avrebbe dovuto perdere energia e, conseguentemente, la sua traiettoria avrebbe dovuto assumere una curva-
tura più accentuata di quella che aveva prima del passaggio. Con questo accorgimento equivoci e incertezze sul verso di percorrenza (in su o in giù) sarebbero state eliminate e si sarebbe inoltre potuto determinare, una volta per tutte, il segno ( + o - ) delle relative cariche elettriche: le particelle con carica positiva in giù e le negative in su. In effetti l'operazione consenti di risolvere la questione ma dimostrò che Anderson e Millikan avevano entrambi torto ! Le tracce non erano state lasciate da protoni con la loro carica positiva, ma neppure da elettroni che si spostavano verso l'alto: rivelavano infatti il cammino seguito da "elettroni positivi" che si spostavano verso il basso. Anderson poteva dirsi soddisfatto, per quanto gli fosse difficile convincere il suo mentore Millikan a cambiare opinione, come vedremo in seguito. Non è, per altro, privo di ironia il fatto che il primissimo positrone osservato da Anderson si spostasse in realtà verso l'alto. Fu infatti possibile accertare, a posteriori, che si trattava di una particella vagante, prodotta dall'impatto di un raggio gamma contro un atomo presente nell'aria aldi sotto della lastra di piombo; la particella era poi rimbalzata verso l'alto attraversando la lastra stessa. La confusione indotta da questa circostanza nei ragionamenti di Anderson fu notevole, ma presto il giovane ricercatore trovò il primo, splendido e ben riconoscibile, esempio di una particella, dotata di carica positiva e chiaramente con una massa ben più piccola di quella di un protone, che si spostava verso il basso attraversando la lastra di piombo. In seguito individuò numerosi altri esemplari di tali "elettroni positivi" che si spostavano in giù, scendendo dall'alto. Sentendosi ormai sufficientemente sicuro dell'attendibilità dei dati raccolti, decise di pubblicare i suoi risultati. Il periodico «Science News Letter» pubblicò una fotografia di una delle tracce nel fascicolo di dicembre del 1931; contemporaneamente veniva coniato il nome positron. Da quel momento la denominazione «positrone» è rimasta*. In realtà, a varie riprese, è stato proposto il nome positene, e non sono mancati anche suggerimenti favorevoli all'adozione di "antielettrone", per analogia con antiprotone, antineutrone, antineutrino, antiquark. In assenza di delibere formali, positrone rimane la denominazione "d'uso più comune". [N.d.T].
Nel 1931 erano comunemente accettate come vere soltanto due affermazioni: la materia è costituita da atomi e il menu atomico è molto semplice (con due sole "portate": protoni ed elettroni). I positroni non trovavano posto nel menu ed era dunque naturale chiedersi di dove venissero e che cosa fossero in realtà ? Anderson e Millikan operavano in laboratori situati sulla costa occidentale degli USA e, non potendo contare sulle comunicazioni istantanee che oggi sono normali, avevano soltanto poche notizie, senza dettagli, dei lavori di Dirac e delle relative implicazioni. Se è vero che Anderson fu il primo a identificare un positrone, toccò all'inglese Patrick Blackett e all'italiano Giuseppe Occhialini confermarne, senza ombra di dubbi, l'esistenza; utilizzando i dati ottenuti con le camere a nebbia del Cavendish Laboratory di Cambridge (UK), i due ricercatori riuscirono anche a spiegarne la provenienza.
Blackett alle prese con la creazione. I positroni non esistono all'interno degli atomi, o almeno non degli atomi costituenti la materia che conosciamo sulla Terra. Stando cosile cose, dove si sono formati i positroni presenti nei raggi cosmici ? Anderson non lo sapeva. La risposta venne data, nello stesso anno della sua scoperta, da Blackett e Occhialini: i positroni non erano invasori extraterrestri, ma venivano "creati" nell'atmosfera dalla radiazione cosmica (fig. 6). Blackett lavorava da tempo a Cambridge con un gruppo di collaboratori usando una camera a nebbia del laboratorio di fisica intitolato a Henry Cavendish, il famoso fisico e chimico del XVIH secolo (che, tra l'altro, calcolò la densità del pianeta Terra). Nutriva una vera passione per strumenti e marchingegni e aveva progettato una camera a nebbia che poteva scattare fotografie approssimativamente ogni dieci secondi su normali pellicole usate per il cinema. Tra il 1921 e il 1924 aveva raccolto più di 20000 immagini di tracce dovute all'azione di particelle alfa (prodotte del decadimento radioattivo di nuclei atomici instabili) impiegate per bombardare gli atomi del gas, l'azoto, immesso nella camera. Occasionalmente una particella alfa colpi-
va un nucleo di azoto e vi si integrava in modo tale che dava origine al nucleo di un nuovo elemento chimico. Documentando fotograficamente queste trasmutazioni su film, Blackett aveva incominciato a farsi un nome. Nel 1931, giunse al Cavendish Giuseppe Occhialini. La specialità di questo fisico italiano era la rilevazione della radiazione dei nuclei mediante l'impiego dei contatori Geiger. Confrontando i risultati ottenuti con le rispettive attività, Occhialini e Blackett compresero che la combinazione delle loro capacità e specialità poteva trasformare la camera a nebbia, rimasta fi-
Figura 6. F o r m a z i o n e ( " c r e a z i o n e " ) di elettroni e positroni. U n raggio cosmico altamente energetico ha colpito un elettrone di un atomo, f a c e n d o l o uscire dalla propria orbita e spingendolo lungo una traiettoria lievemente incurvata che si estende dall'alto dell'immagine verso il basso a sinistra. L ' e n e r g i a è stata s u f f i c i e n t e a " c r e a r e " anche una coppia elettronepositrone: queste d u e particelle lasciano le due tracce spiraliformi che si a v v o l g o n o in d u e versi opposti visibili nella parte alta dell'immagine. Più in basso, circa alla metà dell'immagine, d u e tracce c h e si d i p a r t o n o f o r m a n d o una V rovesciata sono state lasciate da un'altra coppia elettrone-positrone.
no a quel momento una sorta di aggeggio poco affidabile perché era quasi aleatorio ottenerne risultati soddisfacenti, in uno strumento davvero efficiente. L'idea era brillante nella sua semplicità. La camera a nebbia di Blackett operava automaticamente continuando a scattare fotografie una dopo l'altra, nell'attesa che, per un caso fortunato, accadesse qualcosa: nella maggior parte delle immagini non si vedeva nulla di interessante e soltanto una su venti conteneva qualche traccia. Gli alti e bassi nell'efficienza pratica del contatore Geiger erano quasi complementari rispetto a quelli della camera a nebbia: esso emette scintille accompagnate dal ticchettio quando una particella elettricamente carica lo investe e lo attraversa, ma dice poco o nulla su che cosa l'ha fatto scattare. Ecco la grande idea dei due ricercatori: disporre un contatore Geiger al di sopra della camera a nebbia e disporne un altro al di sotto. Se entrambi i contatori scattavano simultaneamente era molto probabile che un raggio cosmico avesse attraversato la camera a nebbia. Collegando i contatori Geiger a un interruttore a relais, l'impulso elettrico dovuto alle due scariche simultanee faceva partire la camera a nebbia e il lampo di un flash catturava su un film le tracce lasciate dai raggi cosmici. Caratteristica essenziale dell'apparato era il permanere delle tracce dopo che il raggio era passato: quando veniva scattata la fotografia il raggio era sparito da tempo, ma le importantissime goccioline erano ancora li, nel gas, come testimoni dell'avvenuto passaggio. Se in precedenza il tasso di successi nelle osservazioni di Blackett era di uno su venti, ora era saltato a quattro su cinque ! Le prime fotografie realizzate con questa procedura risalgono al mese di giugno del 1932; entro l'autunno dello stesso si erano venute accumulando quasi mille immagini. Blackett e Occhialini notarono come alcune tracce a prima vista attribuibili a elettroni fossero state in realtà incurvate «nel verso sbagliato» dal campo magnetico. Blackett parlò a Dirac di questa particolarità. Tutto era pronto per il momento dell'«Eureka! », in cui Dirac avrebbe, con un gran colpo di scena, detto che la particella era un positrone: la prova concreta della validità della sua
teoria. Ma non fu cosi. Per qualche ragione Blackett e Dirac non riuscirono a tirare le conclusioni. D i certo una delle ragioni dell'insuccesso può esser stata l'inclinazione per la prudenza di Dirac nelle argomentazioni logico-dialettiche: non era di certo una persona disponibile alla promozione di un'idea con le tecniche aggressive oggi in voga non soltanto in campo commerciale. O forse Blackett non apprezzava la profondità della teoria di Dirac, o anche, più semplicemente, non la prese sul serio. Qualunque sia stata la ragione, Blackett e Dirac si separarono senza che nessuno dei due si fosse reso conto della preziosa verità che avevano avuto entrambi sotto gli occhi. Proprio come Skobeltsyn non aveva raccolto il grande premio che gli spettava, cosi Dirac e Blackett si lasciarono sfuggire l'occasione della straordinaria scoperta che li aveva sfiorati. E fu soltanto quando ebbero saputo della scoperta di Anderson che Blackett e Occhialini capirono finalmente che cosa avevano avuto per le mani. Tuttavia per loro fortuna essi avevano qualcosa di più, qualcosa su cui Skobeltsyn e Anderson, con i loro esperimenti dai risultati incerti e soltanto occasionalmente interessanti, non avevano potuto contare. In molte delle immagini ottenute al Cavendish si vedevano numerose tracce di particelle (talvolta fino a venti) che si irradiavano da certi punti di una piastra di rame posta appena al di sopra della camera a nebbia, come le gocce spruzzate da una doccia. L'intenso campo magnetico, attraversando la camera, incurvava le tracce e, dal loro andamento, si poteva dedurre che circa la metà delle particelle era dotata di carica negativa e l'altra metà di carica positiva. Poiché, sulla Terra, i positroni non sono comuni in natura, Blackett e Occhialini capirono che la comparsa di un numero uguale di positroni ed elettroni implicava che essi fossero prodotti (in coppie) da una qualche invisibile radiazione cosmica ad alta energia. Il messaggio era chiaro: i positroni si formavano come risultato di collisioni tra i raggi cosmici e gli atomi presenti nella camera a nebbia. Le pareti di vetro della camera a nebbia erano inserite in lastre di rame: le piogge di particelle erano protette dall'impatto dei raggi cosmici su questo metallo. Un singolo elettrone presente nei raggi cosmici era sufficiente a produrre, con tale prò-
cesso, una cascata di elettroni e positroni. Gli intensi campi elettrici esistenti negli atomi di rame costringevano gli elettroni "di passaggio" a emettere raggi gamma dotati, proprio a causa della notevole intensità dei campi elettrici, di un'energia cosi grande da produrre, a loro volta, coppie di elettroni e positroni. L'equazione einsteiniana E = me2 implica che l'energia (E) possa convertirsi in massa (m), cioè che una radiazione, un'onda, possa trasformarsi in materia; Blackett e Occhialini avevano per la prima volta dimostrato che potevano formarsi materia e antimateria da una radiazione e avevano provato che la nuova particella osservata da Anderson non era un qualche misterioso intruso extraterrestre. L'ultimo tocco ironico di questa vicenda, fitta di colpi di scena, è dato dal fatto che Blackett e Occhialini hanno quasi battuto Anderson nel riconoscimento della scoperta. In effetti quest'ultimo aveva perso un sacco di tempo cercando di convincere il suo superiore, Millikan, di aver davvero scoperta una versione positiva dell'elettrone e di non aver visto semplicemente un protone. Il lavoro compiuto da Blackett e Occhialini provava oltre ogni ragionevole dubbio che ciò era vero, e perfino Millikan, pur riluttante, è stato costretto ad ammettere che Anderson aveva ragione. L'articolo di Blackett e Occhialini fu spedito ai «Proceedings of the Royal Society» nel febbraio 1933. Fortunatamente Anderson aveva avuto abbastanza fiducia in se stesso da render pubblica, malgrado lo scetticismo di Millikan, la sua ipotesi interpretativa dell'immagine dopo la pubblicazione del documento nella «Science News Letter» del dicembre 1932. E proprio vero che la fortuna aiuta gli audaci.
I positroni sul pianeta Terra. Dirac aveva indicato la strada per la scoperta e, dalle ricerche di Anderson, Blackett e Occhialini, si era avuta una conferma della sua teoria. Le notizie relative si diffusero rapidamente in tutto il mondo scientifico e assai presto i positroni saltarono fuori ovunque. I fisici si misero subito a guardare con attenzione le loro vecchie fotografie ottenute con camere a nebbia e tro-
varono prove del passaggio di positroni in tracce che precedentemente avevano trascurate. Molti ricercatori, se fossero stati abbastanza audaci, avrebbero di certo potuto vedere il proprio nome immortalato negli annali della scienza al posto di quello di Anderson. Tra coloro che avevano "mancato" il positrone, c'erano Irène e Frédéric Joliot-Curie. Irène Curie (figlia di Marie Curie, nata Sklodowska) e suo marito Frédéric Joliot avevano già mancato un Nobel, essendo stati i primi a produrre neutroni nel gennaio 1932 1 e avendoli però "scambiati" per raggi gamma (tratti in inganno dalla mancanza di tracce, dovuta all'assenza di carica elettrica). Ora i due compresero di non aver riconosciuto neppure il positrone, pur avendolo "visto": il premio Nobel per la fisica venne attribuito ad Anderson nel 1936. La fortuna dei Joliot-Curie era comunque cambiata già un anno prima: essi infatti vinsero entrambi, nel 1935, il Nobel per la chimica: la motivazione era la produzione di nuclei atomici radioattivi di vita brevissima, dunque la scoperta della radioattività artificiale. Una delle applicazioni del loro lavoro è proprio la produzione di nuclei che spontaneamente emettono positroni. Quando, nel 1896, il fisico francese Henri Becquerel si era imbattuto nella radioattività, aveva scoperto che i nuclei degli atomi di uranio potevano trasformarsi spontaneamente: oggi sappiamo che il fenomeno è dovuto alla trasformazione di un neutrone in un protone. Questa particella ha carica elettrica positiva, dunque, nel momento in cui si forma, dovendosi conservare la carica complessiva, deve essere emesso un elettrone, con carica negativa. In seguito alla scoperta del positrone, è stato naturale ipotizzare che potessero esistere decadimenti nucleari in cui un protone dava origine a un neutrone con la scomparsa di una carica positiva portata via da un positrone. Si fece dunque strada l'ipotesi di una possibile produzione di elettroni dovuta alla radioattività e di una, altrettanto semplice, produzione di positroni. La più importante differenza tra le due particelle riguarda ciò che accade in seguito. Un elettrone espulso in un decadimento radioattivo può scorrere via come corrente elettrica (di fatto un flusso ordinato di elettroni è ' DAVID WILSON, Rutherford, Simple Genius cit.
una corrente elettrica), oppure unirsi alla danza di altri elettroni orbitanti negli atomi in prossimità, dando poi inizio a reazioni chimiche e a innumerevoli altre avventure nel futuro dell'Universo. Per contro il positrone è uno straniero nel nostro paese e non è adatto a viverci. Si trova circondato dalla materia che contiene orde di elettroni con la propria carica negativa. In un attimo uno di questi elettroni invita il positrone a un'apocalittica danza cosmica; si stringono reciprocamente in un microsecondo, si annichilano in un lampo di luce. Proprio questo fenomeno è diventato, in tempi recenti, la chiave per un uso pratico dei positroni. L'emissione dei positroni è un evento naturale e comune; alcune varietà di nuclei (ogni nucleo può presentarsi con piccole differenze nel numero di neutroni presenti: ognuno di questi diversi aggregati è un isotopo dell'elemento) possono emettere positroni e questa caratteristica è diventata utilissima per applicazioni in campo medico e tecnologico. Citiamo come esempi di questi nuclei: il carbonio-n, l'azoto-13, l'ossigeno-15 (usando i simboli ufficiali: rispettivamente n C , 13 N, 15 0); si tratta delle forme radioattive di alcuni elementi chimici, i quali sono, nella forma normale (non radioattiva), abbondantemente presenti in ogni parte del nostro corpo. Sfruttando l'emissione di positroni, questi elementi sono utilizzati per seguire lo svolgimento delle funzioni fisiologiche di un individuo, come, ad esempio, quelle del cervello. Questo metodo d'indagine sfrutta appunto il fatto che, quando il positrone è emesso dal nucleo e, poco dopo, si annichila con un elettrone, possono emergere due raggi gamma che partono in direzioni divergenti, quasi opposte: la coppia di raggi può essere rivelata con apparecchiature elettroniche, messe a punto per le ricerche di fisica delle particelle, che consentono di localizzare con estrema accuratezza la posizione del nucleo emettitore. Vediamo ora le applicazioni. Quando pensiamo, varie parti del cervello sono attive, con intensità diverse. L'energia che permette questa attività è fornita da composti chimici, del gruppo dei carboidrati, cioè degli zuccheri, presenti nel flusso sanguigno. Se si riesce a misurare la concentrazione degli zuccheri nel cervello se ne può ottenere un'indicazione sull'attività di questo organo. I chimici
sono in grado di integrare atomi radioattivi nelle molecole di zuccheri e questi zuccheri possono essere ingeriti e distribuiti nel corpo raggiungendo, con il sangue, gli organi che sono in attività, come il cuore, i polmoni, i muscoli e il cervello. L'idea fondamentale, che si è rivelata utilissima per le applicazioni nella diagnostica, è quella di utilizzare zuccheri che emettono positroni. Queste particelle sono immediatamente annichilate dagli onnipresenti elettroni di qualche atomo che si trova nelle vicinanze. Siamo in grado di identificare il punto in cui si è avuta l'annichilazione e dunque dove si trova lo zucchero, semplicemente usando speciali apparecchi fotografici adatti a "vedere" i raggi gamma che fuggono via.
Figura 7. Positroni e p r o d u z i o n e di energia nel Sole. a) D u e protoni (simbolo p) si uniscono per f o r m a r e un deuterone d (costituito da un neutrone [cerchietto bianco] e da un p r o t o n e [cerchietto nero], insieme a un positrone e* e a un neutrino v (privo di massa apparente, simbolo v , la lettera greca ni minuscola); b) un altro p r o t o n e colpisce il deuterone, trasformandolo in un nucleo di elio-3, ' H e , e in un f o t o n e (la freccia ondulata); c) il risultato di d u e dei processi precedenti: due nuclei di ' H e si c o m b i n a n o f o r m a n d o un nucleo di elio-4, ''He, e d u e protoni.
a)
b)
c)
P
Circondando il capo del paziente con serie di apparecchi fotografici focalizzati a varie distanze si possono ottenere immagini stratigrafiche del cervello, come tante fette sovrapponibili. La tecnica è indicata, come abbiamo già visto, con l'acronimo PET (Positron Emission Tomography, «tomografia a emissione di positroni»), I particolari isotopi interessanti per queste applicazioni tendono ad avere una "vita" molto breve* e devono perciò essere preparati vicino al paziente. E possibile ottenerli bombardando con protoni gli elementi chimici adatti in un piccolo acceleratore di particelle. Oggi dunque le previsioni quasi arcane di Dirac si concretizzano in qualcosa che può salvare vite umane. L'annichilazione dei positroni è anche usata per eseguire indagini non distruttive sui materiali. Un esempio: la valutazione dell'annichilazione nei metalli può fornire dati sull'insorgere di un logoramento nei materiali con un forte anticipo rispetto ad altri sistemi di controllo. Queste tecniche sono state usate per controllare le lamelle delle turbine dei turboreattori montati sugli aerei, aumentando l'affidabilità e ampliando i limiti di sicurezza con una riduzione dei tempi di sosta e un conseguente aumento dei profitti nella gestione degli apparecchi. Gli studiosi sono impegnati nell'indagine sulle proprietà dell'antimateria legando i positroni ai comuni atomi. Come un elettrone e un protone, unendosi, formano un atomo di idrogeno, cosi un elettrone e un positrone possono formare un atomo di "positronio", che vive meno di un milionesimo di secondo prima di annichilarsi. E stato possibile formare perfino molecole di positronio e si ipotizza che densi insiemi di queste molecole potrebbero servire come base per la realizzazione di un laser a raggi gamma2.
A d esempio l'ossigeno-15, " O , utilizzato per l'indagine sul metabolismo dell'ossigeno, ha un tempo di dimezzamento di soli due minuti. (Il tempo di dimezzamento dell'isotopo radioattivo di un elemento chimico è definito come l'intervallo di tempo necessario perché la metà degli atomi di un dato campione decadano in atomi di un altro elemento.) 1 CLIFFORD M. SURKO, Atomic physics : A whiffofanùmatter soup, in «Nature», voi. C D X L I X , 2007, pp. 153-55.
Le antiparticelle, in forma di positroni, non sono dunque rare e vengono quotidianamente usate in varie applicazioni pratiche. Sono meno diffuse degli elettroni soltanto perché questi ultimi costituiscono la stragrande maggioranza delle particelle di piccola massa e rapidamente li eliminano per annichilazione. E, come abbiamo già detto (supra, p. 19), la luce è il prodotto finale dei positroni, i semi dell'antimateria prodottisi nella fornace nucleare del Sole centinaia di migliaia di anni fa, e la luce che splenderà nel più lontano futuro è "in preparazione", in questo preciso momento, per l'assiduo lavoro dei positroni* (si veda la fig. 7). In realtà, nei processi di fusione nucleare che avvengono all'interno del Sole, quattro protoni si fondono dando origine a un nucleo di elio, due positroni e due neutrini. I positroni si annichilano producendo fotoni. La massa dell'elio risultante è inferiore alla somma delle masse dei quattro protoni: questo disavanzo di massa, me', è l'energia che emerge essa pure dall'astro come luce visibile. Circa il 1 0 % della luce visibile è derivata dall'annichilazione di positroni.
Capitolo quinto Annichilazione
Né materia né antimateria. Esiste la materia, come ad esempio l'elettrone; esiste l'antimateria, come il positrone; ci sono poi cose che non sono né materia né antimateria. L'esempio più comune di qualcosa che è "altro" dalla sostanza degli oggetti è dato dalle radiazioni elettromagnetiche. Tutte le radiazioni elettromagnetiche, dai raggi gamma alle microonde e alle onde radio, passando dai raggi X , agli ultravioletti, alla luce visibile e ai raggi infrarossi sono formate da fotoni dotati di quantità diverse di energia. Materia e antimateria si cancellano reciprocamente e la loro annichilazione lascia la non-sostanza sotto forma di fotoni; se le condizioni sono adatte, la sequenza può svolgersi anche in senso inverso: i fotoni si trasformano in pezzi di materia e antimateria. L'energia pura, concetto caro agli studiosi (basta dare un'occhiata ai resoconti dei processi che avvengono in natura), è dunque una non-sostanza; essa può cambiare aspetto, passando da uno all'altro, da energia elettrica a magnetica, da chimica a cinetica, e può "transustanziarsi" in materia e antimateria. Einstein ci dice quanta sostanza può condensarsi dall'energia: il significato dell'equazione E = me2 è tutto qua. La quantità minima di energia necessaria per "fabbricare" un elettrone e un positrone sarà dunque 2 me2: una quantità di energia pari a me2 è sufficiente per fare un elettrone in riposo e altrettanta per fare un positrone in riposo. E quasi certo che, essendosi formati "in riposo", cioè fermi, i due oggetti istantaneamente si annichileranno l'un l'altro, liberando l'energia che, per un breve tempo, è stata in essi intrappolata. Per dare al positrone una qualche possibilità di sopravvivere dovreste disporre di una quan-
tità di energia superiore a tale valore minimo; l'energia in eccesso diventerà energia cinetica, dunque moto, e cosi elettrone e positrone, appena "nati" potranno fuggire in due diverse direzioni, salvandosi. Il fotone, quanto di luce, è soltanto un esempio delle molte "particelle" (più di un centinaio) non-materiali. Queste entità fisiche sono dette bosoni, dal cognome del fisico indiano Satyendranath Bose. Per contro le particelle che costituiscono i pezzi fondamentali della materia e dell'antimateria sono dette fermioni, dal cognome del fisico italiano Enrico Fermi. Il comportamento dei fermioni è descritto dalle equazioni di Dirac. I bosoni seguono leggi diverse. In un certo senso si può dire che Dirac è stato fortunato. Il suo scopo era quello di costruire un'equazione adatta a descrivere il comportamento delle particelle dotate di massa e ad affrontare il problema delle energie positive e negative. Come sappiamo dalla storia, nel 1928 le sole particelle dotate di massa note erano l'elettrone e il protone, ognuna delle quali è un fermione; la sola altra particella allora già identificata, il fotone, era un bosone, privo di massa. Vent'anni dopo la rivoluzione scientifica rappresentata dall'equazione di Dirac, è stato scoperto, nei raggi cosmici, un bosone dotato di massa, il pione. E se questo oggetto fosse già stato scoperto nel 1928 ? Possiamo soltanto chiederci se Dirac avrebbe continuato il suo lavoro con tanto accanimento, o addirittura se l'avrebbe continuato*. L'Universo è costituito da particelle fondamentali, avvinte in una danza infinita dalle forze della natura; di queste forze, le più comuni e a tutti note sono la forza gravitazionale e la forza elettromagnetica. Esse agiscono anche a distanze enormi, che si possono considerare, a tutti gli effetti, infinite, se poste a confronto con le distanze tipiche della scala degli atomi. La distanza a cui sono avvertibili gli effetti di una forza è il suo * Le cosiddette "particelle alfa", emesse in alcuni processi di decadimento radioattivo, sono esse pure, formalmente [viste cioè dall'esterno, valutandone soltanto il comportamento], bosoni. Tuttavia si sapeva che questi oggetti, di grande massa, erano in realtà nuclei di elio (composti da due protoni e due neutroni disposti simmetricamente) e non erano dunque singole particelle fondamentali come le altre. I fasci di "particelle alfa" venivano indicati agli inizi del x x secolo, soprattutto negli studi della radioattività, come "raggi alfa".
raggio d'azione. La forza gravitazionale (più propriamente i fisici usano la dizione interazione gravitazionale) trattiene i pianeti che girano, sulle rispettive orbite, intorno al Sole, mentre le vorticose correnti elettriche che percorrono il nucleo fluido della Terra danno origine ai campi magnetici in grado di orientare il piccolo ago di una bussola la cui direzione indica ai naviganti sperduti la via verso casa. O almeno cosi accadeva una volta: oggi più probabilmente i naviganti si fidano del sistema GPS (Global Positioning System, «sistema di posizionamento globale»), ma la forza naturale in gioco è la stessa: chi usa il GPS comunica con un satellite per mezzo di onde radio, cioè di radiazioni elettromagnetiche, cioè utilizzando la forza elettromagnetica (più propriamente «interazione elettromagnetica»), mentre il satellite sta in orbita per effetto della forza gravitazionale. Le forze della natura si manifestano ovunque, sono ubiquitarie. Guardando un magnete che attira qualche pezzo di ferro, o l'ago di una bussola che punta verso il Polo Nord, potete chiedervi quale sia l'"agente" che mette in comunicazione questi oggetti. Se diciamo che è il "campo elettromagnetico", non diamo in effetti una spiegazione: stiamo soltanto applicando un'etichetta a un bizzarro e misterioso fenomeno di azione a distanza. Uno dei risultati notevoli del lavoro di Dirac è l'aver scoperto che il campo elettromagnetico segue le leggi della meccanica quantistica. Comportandosi in qualche modo come particelle, i fotoni sono pacchetti di radiazioni elettromagnetiche che trasmettono la forza elettromagnetica mentre volteggiano tra una particella carica e l'altra. Un elettrone che oscilla avanti e indietro in un'antenna emittente a Londra può provocare, in risposta, un'analoga oscillazione nell'apparecchio radio a casa vostra: la comunicazione è assicurata dalle onde elettromagnetiche. Anche le onde radio sono costituite da fotoni in movimento. Il moto in un certo luogo ha fatto si che si avesse un moto anche altrove; i fotoni si spostano nello spazio interposto: insomma, «la forza è con voi». Nella recente «teoria quantistica dei campi» (spesso indicata con l'acronimo QFT, da Quantum Field Theory) i bosoni non trasmettono soltanto la forza elettromagnetica, ma tutte le forze. Il compito svolto dal fotone per la forza elettromagnetica è
eseguito dal «gravitone» per la forza gravitazionale. Nessuno ha finora identificato il gravitone, ma ben pochi dubbi sussistono sul fatto che esso esista e che, prima o poi, lo si scoprirà. Esistono altre due forze (anche queste dette, pili propriamente, interazioni) veicolate da bosoni. Per questa proprietà di trasmettere, di trasportare le interazioni, i bosoni sono spesso indicati come «vettori», cioè trasportatori (tale accezione della parola non deve essere confusa con il nome degli enti matematici vettori associati alle grandezze misurabili che hanno un'intensità, una direzione e un verso, quali ad esempio, come abbiamo visto, la velocità, l'accelerazione e la quantità di moto). Le due interazioni in questione sono meno note perché operano principalmente all'interno dei nuclei atomici e vengono rilevate soltanto con strumenti in grado di indagare su una scala cosi piccola. Si tratta dell 'interazione nucleare forte e d&W! interazione nucleare debole: il secondo aggettivo ne indica l'intensità apparente in rapporto all'intensità della più nota forza elettromagnetica. Le due interazioni nucleari hanno un raggio d'azione piccolissimo, non più grande delle dimensioni di un nucleo atomico (IO"15 m, un milionesimo di miliardesimo di metro). L'interazione nucleare forte "costruisce" i protoni e i neutroni mettendo insieme alcune parti più elementari, i quark (sui quali daremo altre notizie tra poco), e li "incolla" tra loro per formare i nuclei atomici. L'interazione debole fa splendere il Sole ed è essenziale per la costruzione degli elementi chimici, senza i quali la Terra e noi stessi non esisteremmo. E questa la forza che, lentamente, erode dall'interno i nuclei atomici, trasformandone i componenti e infine disponendoli in modo da formare strutture via via più stabili. I protoni sono il "combustibile" del Sole: al suo interno l'interazione nucleare debole unisce quattro protoni e, per gradi, li trasforma in un nucleo di elio, che è formato da due protoni e due neutroni. L'interazione debole ha trasformato due dei quattro protoni in due neutroni: le cariche elettriche positive dei due protoni sono state portate via da due positroni. In cinque miliardi di anni quasi la metà del combustibile del Sole, cioè dei suoi protoni, è stata interessata da questa trasformazione. Da questa descrizione ci si può fare un'idea di come agisca, nella fornace solare, l'intera-
zione debole, cui dobbiamo essere grati: infatti l'astro è certamente durato abbastanza perché, qui sulla Terra, si sviluppasse una forma di vita intelligente, ma per arrivarci esso ha anche dovuto consumare il suo combustibile tanto in fretta da fornire molto presto le condizioni adatte a sostenere lo sviluppo di tutto il fenomeno vita, o forse addirittura la sua comparsa. Da quando ne è stata accertata l'esistenza, oltre mezzo secolo fa, le interazioni nucleari forte e debole hanno affascinato i fisici. Oggi siamo in grado di capire come operano e, nel capitolo vi, vedremo che i loro segreti sono stati svelati utilizzando, spesso indirettamente, l'antimateria. Anche queste due forze della natura si trasmettono per mezzo di bosoni. Per l'interazione forte, i gluoni legano tra loro i quark per formare i protoni e i neutroni e i pioni fanno stare insieme, nei nuclei atomici, i protoni e i neutroni (il nome «gluone» è suggestivo: deriva da glue [colla, in inglese]; «pione» vale semplicemente «bosone n»: è stato infatti indicato, quando se ne è teorizzata l'esistenza, come «bosone pi greco»). L'interazione debole si manifesta in due modi distinti e ognuna delle due forme è trasmessa da un bosone specifico. Una forma è, per vari aspetti, simile all'interazione, o forza, elettromagnetica, ma ha un'intensità enormemente (100 miliardi di volte) più debole ed è trasmessa da un bosone elettricamente neutro detto «bosone Z°» [il piccolo zero in apice denota la mancanza di carica elettrica]. Questo bosone è simile a un fotone, ma ha una massa notevole (un centinaio di volte più grande di quella di un protone o, se vogliamo, quasi il doppio di quella di un atomo di ferro); è stato fantasiosamente descritto come «luce pesante». La seconda modalità con cui agisce l'interazione debole consiste nello spostare, con una sorta di baratto, la carica elettrica delle particelle coinvolte. A d esempio, trasformando un protone in un neutrone all'interno del Sole, l'interazione debole prende la carica positiva del protone e la passa a un positrone. Vien fatto di chiedersi di dove venga il positrone. Esso è prodotto dall'energia trasportata dal bosone "vettore" di questa forma di interazione debole, che è indicato come bosone W* [il segno + in apice denota questa volta la carica elettrica positiva; il simbolo letterale « W» è l'iniziale di weak, «debole»]. Il bosone d e s i s t e
anche nella versione con carica negativa, W~, che entra in gioco quando il neutrone decade. La carica nulla del neutrone n° viene trasformata in una carica positiva (del protone p*) e in una negativa (del bosone W~); la carica negativa del bosone W~ viene quindi passata a un elettrone, e'. Tutti questi enti che trasmettono le forze sono non-sostanza, non sono né materia né antimateria: sono tutti bosoni "vettori". Essi agiscono sulle particelle di materia, o di antimateria e possono trasformarsi, per ristabilire gli equilibri, in pezzi di queste due forme speculari della sostanza, che sono tutte fermioni. Sembra dunque che la natura offra due varietà di "particelle": quelle aventi la funzione di vettori (o trasmettitori) delle forze (interazioni), che sono bosoni, e i mattoni fondamentali delle "cose", che sono fermioni. I bosoni possono andare e venire; i fermioni possono decadere, via via fino alla forma più stabile che loro compete, elettroni e combinazioni di protoni e neutroni: raggiunta la forma stabile questi devono soltanto temere i loro sosia o doppi dell'antimateria. La battaglia tra materia e antimateria nell'Universo è stata combattuta quattordici miliardi di anni fa e ha vinto la materia. I fermioni fanno sorgere strutture, sono stabili e portano allo sviluppo della vita. Siamo costituiti da atomi che esistono da miliardi di anni: soltanto oggi essi, gli atomi, si sono configurati in combinazioni che pensano di essere noi. Inspiriamo ossigeno, espiriamo diossido di carbonio, cresciamo, moriamo, ma i nostri atomi non si fermeranno. I loro pezzi fondamentali si ricombineranno in infinite varianti fino al lontano futuro, fino a quando non incontreranno l'antimateria.
Quante antiparticelle! Dirac ha scritto inizialmente la sua equazione per spiegare le proprietà dell'elettrone. Comunque le prescrizioni date dall'equazione sono seguite da tutti i fermioni e funzionano altrettanto bene per un protone o per un neutrone. Poiché l'equazione comportava l'esistenza di una versione a energia negativa dell'elettrone - un suo "contrario", che Dirac correttamente in-
terpretò come una particella, il positrone, dalla carica elettrica positiva e con energia positiva - essa comportava che anche per il protone e il neutrone esistessero controparti antimateriche, l'antiprotone e l'antineutrone. L'antiprotone ha la stessa massa del protone, ma carica elettrica negativa; l'antineutrone ha la stessa massa del neutrone e, come questo, ha carica nulla. Dato che la carica dell'antineutrone è uguale a quella del neutrone, qual è la caratteristica che li distingue ? Per quanto il neutrone abbia carica elettrica complessivamente nulla (si potrebbe dire che essa, "vista dall'esterno", appare nulla), al suo interno contiene cariche elettriche. Come vedremo, sia il protone sia il neutrone hanno una certa dimensione spaziale misurabile, benché piccola: in questo "spazio interno" esistono cariche, positive e negative, che girano vorticosamente e, sommandosi, danno il valore e il segno delle cariche che attribuiamo alle due particelle. Pur essendo uguale a zero la carica complessiva del neutrone, il moto delle cariche al suo interno produce correnti elettriche ed effetti magnetici che è possibile rilevare e valutare osservando come si sposta un neutrone in un campo magnetico. All'interno di un antineutrone ognuna di queste cariche ha segno opposto e le singole correnti hanno un andamento speculare rispetto a quelle esistenti dentro il neutrone. Ne risulta che l'orientamento magnetico (il Polo Nord e il Polo Sud magnetici, se volete) è rovesciato, capovolto. In un campo magnetico le traiettorie di un neutrone e di un antineutrone hanno la stessa curvatura ma sono speculari. Come vedremo in seguito, i "punti" di carica elettrica che si combinano per formare protoni e neutroni sono essi stessi piccole particelle, dette quark. Un protone o un neutrone sono costituiti da quark; le relative antiparticelle, antiprotone e antineutrone, sono costituite da antiquark. Dopo la scoperta del positrone, la sfida per i ricercatori diventava una sorta di verifica: accertare se l'altro "pezzo" di un atomo di anti-idrogeno, l'antiprotone, esisteva davvero. Il problema era però rappresentato dal fatto che la massa del protone è quasi duemila volte più grande di quella dell'elettrone e dunque la massa di un antiprotone doveva essere nello stesso rapporto con quella del positrone: occorreva dunque una gran-
de quantità d'energia per "produrlo". Se è vero che gli antiprotoni sono effettivamente presenti nei raggi cosmici, essi sono assai più rari e difficili da identificare dei positroni. Prima degli anni Cinquanta del x x secolo, nei raggi cosmici erano già state scoperte varie altre particelle del tutto "nuove". Tra queste: il muone, una versione dell'elettrone, dotata però di notevole massa; A pione (cui già abbiamo accennato), un bosone la cui massa è pari a quasi un settimo di quella del protone; particelle come il kaone, cui subito si applicò la qualifica di "strane" perché inaspettatamente apparivano dotate di lunga "vita", prima del decadimento. Ma un antiprotone non si era mai rilevato. Tutti erano d'accordo sulla sua esistenza, soprattutto per la grande fiducia riposta dai fisici nella previsione di Dirac. A Berkeley, in California, incominciò a concretizzarsi un ambizioso progetto per la costruzione di un acceleratore di particelle: la macchina avrebbe dovuto essere in grado di imprimere ai protoni una velocità tanto alta che, scagliati contro un bersaglio, essi avrebbero prodotto un antiprotone. La sfida diventava tecnologica: si trattava di progettare la macchina adeguata e l'apparato adatto a rivelare e identificare inequivocabilmente l'antiprotone. La macchina ricevette il nome di «bevatrone» (BeV è l'abbreviazione di billion elettronvolt, miliardo di elettronvolt; 1'«elettronvolt» [simbolo eV], è l'unità di energia utilizzata nelle misure relative alle particelle, definita come «l'energia acquistata da un elettrone libero quando è sottoposto alla differenza di potenziale elettrico di 1 V (volt) nel vuoto»: il rapporto con l'unità di energia joule, J, è dato dall'equivalenza 1 eV = 1,602176487(40) x 1019J). Si riteneva che l'energia legata in un antiprotone fosse di quella entità. Quando l'energia viene convertita in particelle dotate di massa, queste si formano sempre in coppie: ogni particella appare insieme alla propria antiparticella. Il bevatrone venne perciò progettato per concentrare, in un intervallo di tempo brevissimo, una quantità di energia sufficiente a produrre un antiprotone insieme a un protone. Si pensava che le cose sarebbero andate proprio cosi. Tutte le ipotesi devono comunque passare al vaglio di una prova sperimentale: l'impresa appariva difficile e complessa perché gli antiprotoni dovevano essere mol-
to rari e sarebbero stati sommersi dalla produzione di particelle di massa piccola o piccolissima, con piogge di elettroni e positroni, nonché di pioni. L'ago nel pagliaio, insomma. Numerose idee su come isolare l'"ago" antiprotone dal "pagliaio" delle altre particelle vennero presentate a un comitato di studiosi e ricercatori che avrebbe deciso quale delle proposte fosse più convincente. Un piccolo gruppo, di cui facevano parte O w e n Chamberlain, Emilio Gino Segrè, Clyde Wiegand e Tom Ypsilantis, risultò vincitore e potè compiere il primo turno di lavoro sul bevatrone appena completato. La loro ipotesi operativa funzionava, l'esperimento ebbe successo e i quattro annunciarono i risultati della loro scoperta nel 1955. Uno degli altri gruppi partecipanti alla selezione, guidato da Oreste Piccioni, ottenne indipendentemente un risultato notevole con la scoperta, nel 1957, dell'antineutrone. In tal modo, trent'anni dopo le fondamentali e fruttuose previsioni di Dirac, l'insieme dei "pezzi" essenziali dell'anti-mondo si presentava in ordine perfetto, completo. Q u i finisce la parte iniziale della storia dell'antimateria. Da questo momento in poi, si sarebbero però avuti anni di disaccordi che portarono ad aspre controversie. Nel 1959 il premio Nobel per la fisica venne condiviso da Chamberlain e Segrè, che avevano diretto l'esperimento, per il ruolo da essi sostenuto nella scoperta dell'antiprotone. Un vero putiferio venne sollevato da Oreste Piccioni, che era stato tra gli scopritori dell'antineutrone. La sua opinione circa il fatto che anche la scoperta di questa antiparticella meritasse un premio si scontrava con il parere di molti cui sembrava invece che l'individuazione dell'antineutrone fosse semplicemente la ciliegina sulla torta. Piccioni sosteneva che il premio relativo all'antiprotone dovesse essere condiviso anche con lui; considerando che non aveva fatto parte del quartetto degli scopritori non si capisce bene perché. Quando il comitato incominciò a selezionare le proposte per scegliere a chi dovesse toccare la prima opportunità di lavorare con il bevatrone, Piccioni si era fatto avanti illustrando alcune idee ingegnose a proposito della cattura dell'elusivo antiprotone e le aveva incluse nella propria presentazione. Comunque, nella comparazione, la proposta del gruppo di Chamberlain e Segrè
sembrò essere la migliore e venne scelta come prima da mettere alla prova. A quella di Piccioni venne attribuito il secondo posto, venne cioè valutata come seconda possibile opportunità. Se la storia fosse finita qui, si sarebbe trattato soltanto di un caso sfortunato. Tuttavia, almeno secondo quanto sosteneva Piccioni, le sue idee erano state integrate nell'esperimento condotto dai rivali e si erano rivelate essenziali per riuscire a far centro. Questo risentimento di Piccioni ha continuato a roderlo per anni, al punto che, nel 1972, intentò una causa richiedendo i danni per essere stato escluso ingiustamente dall'assegnazione di un premio Nobel, attribuito ben tredici anni prima. Davvero un tredici sfortunato: il tribunale giudicò che erano passati troppi anni tra l'azione legale e il fatto in questione e la causa fu tolta dai registri appunto per superamento dei termini di tempo. Tale fu l'esito dell'iniziativa; non ci è dato sapere se l'azione avrebbe invece avuto esito positivo nel caso fosse stata intentata nei tempi accettabili. Nell'ambiente scientifico le opinioni erano divise. Alcuni ritenevano che a Piccioni spettasse una parte del riconoscimento; altri, con un'opinione diametralmente opposta, pensavano che non lo meritasse, o forse lo meritava il comitato che aveva accordato un certo tempo per gli esperimenti, oppure era giusto assegnarlo a coloro che avevano progettato la macchina avendo ben presente l'impiego cui era destinata, cioè l'individuazione dell'antiprotone, perché alla loro «capacità di previsione» spettava il merito di aver riconosciuto la singolare importanza dell'impresa. Almeno per la comunità scientifica le antiparticelle non rimasero a lungo oggetto di uno speciale interesse. Questa situazione stava comunque per cambiare con la scoperta di uno strato più profondo della materia (i quark) e dell'antimateria (gli antiquark) che avrebbe infine portato a spiegare come la materia sia emersa dal Big Bang.
Quark e antiquark. Nel periodo in cui propose la sua ipotesi sull'antimateria, Dirac conosceva soltanto l'elettrone e il protone. Anche dopo la scoperta del neutrone, avvenuta, vale la pena di sottolinearlo,
nello stesso anno della scoperta del positrone, il menu delle particelle era ancora relativamente povero e semplice. Nel giro di una trentina di anni si sono scoperte tante particelle nei raggi cosmici e negli ambienti artificiali dei nuovi acceleratori che, se la previsione di Dirac fosse stata formulata in questa fase più recente, non avrebbe suscitato grande scalpore: un'altra particella; beh, e allora? L'acceleratore di Berkeley, progettato per ottenere e identificare l'antiprotone, ha dato un consistente contributo alla lista delle particelle note. Tutte queste nuove particelle erano instabili; alcune sopravvivevano per un intervallo di tempo non più lungo di quello impiegato da un raggio di luce per attraversare un nucleo atomico. In effetti una tale affermazione equivale a dire che la particella "moriva" praticamente nello stesso istante in cui "era nata", perché la teoria einsteiniana della relatività ristretta comporta che l'informazione non possa spostarsi a una velocità maggiore di quella della luce e proprio quel breve istante era necessario per il formarsi e il disgregarsi dell'intera particella. Si scoprirono anche altre particelle che vivevano più a lungo, anche se questo intervallo di tempo era inferiore a un miliardesimo di secondo (1 x IO"9 s) ovvero all'incirca il tempo impiegato dalla luce per percorrere la vostra mano. Potreste chiedervi come si riesca a sapere qualcosa su oggetti tanto effimeri. La risposta è semplice: sfruttando le possibilità offerte dalla elettronica moderna senza dimenticare che tali particelle, spostandosi a velocità prossime a quella della luce, percorrono comunque lunghezze misurabili nella loro pur breve vita. Ogni particella dotata di carica elettrica urterà un qualche atomo presente nell'aria, strappandone qualche elettrone, cioè ionizzandolo (ogni struttura atomica che perda una carica elettrica, perdendo un elettrone, è ionizzata). Se l'aria è umida si formerà una sottile scia di vapore acqueo lungo il tragitto della particella. La camera a nebbia ha prodotto una vera rivoluzione nella ricerca sulle particelle subatomiche e nell'interpretazione della loro natura; tra le scoperte rese possibili da questo strumento nella prima metà del x x secolo, si conta quella del positrone. In seguito, l'invenzione di altre apparecchiature più potenti ha trasformato la camera a nebbia in un pezzo da museo.
Nel 1952 Donald Glaser, insegnante presso l'Università del Michigan, stava riflettendo sul modo con cui si formano le bollicine in un boccale di birra. Da queste riflessioni trasse ispirazione per inventare la camera a bolle, che rapidamente diventò un notevole strumento per rilevare la danza delle particelle subatomiche. Mentre nella camera a nebbia le particelle davano origine a goccioline di liquido in un miscuglio di gas, nella camera a bolle esse formavano bollicine di gas in un liquido. Le immagini di queste scie di bollicine, incurvate a spirale dai campi magnetici, divise in due quando una particella decade, generanti una progenie di altre linee, come genitori che trasmettono ai figli i propri geni, si presentano con l'aspetto di bellissime opere d'arte e, al tempo stesso, rivelano fondamentali verità a chi ha imparato a decifrarle. La rivoluzione dovuta alla camera a bolle ha rivelato l'esistenza di intere famiglie di nuove particelle. Sono passati poi quasi dieci anni prima che si incominciasse a vedere un certo ordine in tale insieme di oggetti. A l protone e al neutrone si sono presto affiancate altre particelle che, per vari aspetti, sembravano esserne una versione di maggior massa, ma che erano dotate di proprietà tali da farle denominare «particelle strane». Alcune erano più strane delle altre. C'erano inoltre particelle non aventi caratteristiche di stranezza, pur essendo curiose e, diciamolo pure, intriganti. Per attribuire i nomi a tali oggetti si è attinto all'alfabeto greco (usando le maiuscole): lambda (A), omega (£2), sigma (1), csi (E), delta (A); temendo di esaurirle se non si volevano usare le maiuscole greche uguali a quelle dell'alfabeto latino, si è passati all'uso di altre lettere greche, in carattere minuscolo: phi (
secolo precedente, per gli elementi chimici. Mendeleev aveva notato una regolare distribuzione periodica di certe proprietà che era poi riuscito a codificare nella Tavola Periodica. Più tardi era venuta la spiegazione di tale periodicità: gli atomi erano tutti costituiti da pochi comuni componenti: elettroni orbitanti attorno a un nucleo formato da protoni e neutroni. Una prima prova del fatto che gli atomi erano fatti di parti più piccole si ebbe quando, nel 1906, Joseph John Thomson riuscì a liberarne gli elettroni; l'esistenza del nucleo atomico venne accertata da Rutherford tre anni dopo. La vicenda del protone e della moltitudine di particelle dalla vita breve è simile, nelle grandi linee, a quella delle scoperte sulla struttura dell'atomo, ma diversa nei dettagli. Rutherford aveva capito che al centro dell'atomo c'era un solido nucleo perché le particelle alfa, scagliate contro gli atomi, in genere li attraversavano, ma talvolta rimbalzavano, come se avessero colpito qualcosa di solido e duro all'interno degli atomi stessi. Un'analoga serie di eventi si è innescata, assai più tardi, e su scala più ampia, quando si è scoperto che il protone, il neutrone e i loro molti parenti non erano pezzi fondamentali e indivisibili di materia, ma erano, a loro volta, costituiti da parti più piccole: i quark. Mentre Rutherford e i suoi assistenti erano riusciti a scoprire il nucleo atomico con un esperimento condotto sul tavolo di un laboratorio all'Università di Manchester, per entrare nei protoni e nei neutroni, che costituiscono il nucleo, è stato necessario utilizzare un acceleratore di particelle lungo 3 km. Quando un fascio di elettroni esce dall'acceleratore del laboratorio di Stanford (meno di 50 km a sud-est di San Francisco), colpisce un bersaglio costituito da atomi di idrogeno, e penetra a fondo nei protoni che si trovano, nei nuclei, al centro degli atomi stessi. Occasionalmente gli elettroni rimbalzano deviando in modo brusco dalle loro traiettorie e il rimbalzo è più violento di quello prevedibile se i protoni fossero soltanto pallottole dotate di carica elettrica. Come era stato nel caso del nucleo, all'interno dell'atomo, cosi accade per il protone: la sua carica elettrica non è distribuita uniformemente in tutto il suo volume, ma è invece concentrata su tre particelle assai più piccole presenti all'in-
terno, dette quark. In effetti ciò che indichiamo come protone non è altro che questo insieme di tre quark sfreccianti tutt'attorno, intrappolati per sempre in una prigione larga non più di un milionesimo di miliardesimo di metro (1 x IO"15 m). Come un formicaio che, a prima vista, sembra essere un blocco brunastro ben definito e compatto, ma che, se lo si guarda con maggior attenzione e da vicino, si rivela per quello che è, una massa frenetica di minuscoli animali, cosi il protone sembra, visto "da lontano", una pallina compatta dotata di carica, ma, quando lo si osserva da vicino, rivela di essere un confuso miscuglio di quark. I quark "si incollano" saldamente uno con l'altro in terzetti formando protoni, neutroni e molti altri membri di una zuppa alfabetica di particelle. Protone e neutrone, le due varietà nucleari (comunemente li si indica entrambi come nucleoni), sono fatti, a loro volta, di due varietà di quark, dette up e down (cioè su e giù, ma i nomi inglesi sono correntemente usati in tutte le lingue). Questi "semi" di materia hanno cariche elettriche la cui entità è pari a una frazione della carica del protone, assunta come unitaria e positiva. Mentre il protone ha carica + 1, dunque espressa da un numero intero, il quark up ha carica + 2/3 e il quark down ha carica -1/3. Conseguentemente due up e un down dànno una carica unitaria e costituiscono un protone (2/3 + 2/3 -1/3 = 3/3 = 1) e due down e un up dànno una carica nulla e costituiscono un neutrone (-1/3 -1/3 + 2/3 = 0). Le cariche elettriche frazionarie (semintere) spiegano dunque la mancanza di carica apparente del neutrone. Esistono combinazioni di tre quark up o di tre quark down che dànno le particelle di vita breve, dette delta (¿1). Se a queste due varietà se ne aggiunge una terza, detta quark strano, che ha la stessa carica elettrica del quark down (-1/3) e a esso è uguale per tutte le caratteristiche, esclusa la massa che è più grande del 2 0 % circa, si dispone di tutto l'occorrente per spiegare le proprietà delle particelle dotate di stranezza: maggiore è la quantità di quark strani nei rispettivi terzetti, maggiore è la stranezza della particella risultante. Protone e neutrone non contengono, come abbiamo visto, quark strani; le particelle di massa maggiore e lievemente strane sono la lambda (A) e la sigma (Z), che
ne contengono uno solo; la particella csi (£) ne contiene due; la più strana di tutte è la omega (£2), che è formata da tre quark strani. L'equazione di Dirac è applicabile ai quark come agli elettroni e ai protoni, con le stesse conseguenze per quanto riguarda l'antimateria. Come il positrone è l'antiparticella speculare dell'elettrone, cosi un antiquark lo è per un quark: ha la stessa massa, le stesse dimensioni e differisce soltanto per la carica elettrica, che ha segno opposto. Dunque la versione "anti-" del quark up (potete sbizzarrirvi con il nome, perché non esiste una convenzione codificata: antiquark up, oppure quark antiup, o ancora antiup antiquark) ha carica -2/3 invece di + 2/3 e l'antiquark down ha carica + 1/3 invece di - 1 / 3 . Poiché due quark up e un quark down formano il protone, positivo, due antiquark up e un antiquark down formano un antiprotone, negativo. Ognuna delle particelle strane denominate con le lettere greche, come lambda, sigma, csi, omega, ha la propria controparte, nella quale ogni quark è sostituito dal corrispondente antiquark: esistono dunque l'anti-lambda, l'anti-sigma e cosi via. Tutti questi oggetti sono stati prodotti, in laboratorio, durante esperimenti in cui l'eccesso di energia dovuto alle collisioni di un fascio di protoni uscente da un acceleratore contro un bersaglio ha dato origine a particelle e antiparticelle. Osserviamo con la massima accuratezza gli oggetti che siamo riusciti a ottenere: ognuno di essi si presenta come l'esatta e speculare controparte della rispettiva particella, come lo yin del suo yang.
Quando i quark incontrano gli antiquark. L'interazione forte che lega quark o antiquark in terzetti può anche unire, per la reciproca attrazione, un singolo quark all'antiquark. Molte delle particelle rilevate nei raggi cosmici e negli acceleratori, come il pione o il kaone "strano", sono piccoli grumi costituiti da un quark e da un antiquark. Una simile combinazione non è materia, ma non è neppure antimateria; contiene infatti "campioni" di ciascuna delle due: un quark di materia e un antiquark di antimateria. Un quark e un antiquark,
quando sono confinati in un mini-universo le cui dimensioni sono di un millesimo di miliardesimo di metro (1 x IO"12 m), si incontrano e si annichilano quasi immediatamente. Quindi il pione e il kaone non sopravvivono per più di un breve momento. Gli esperimenti hanno permesso di constatare ciò che accade quando un protone incontra un antiprotone. In qualche caso essi scivolano, quasi alla deriva, uno nell'altro; altre volte sbattono velocemente uno contro l'altro e i prodotti finali dell'evento possono essere vari. Maggiore è la velocità quando si ha la collisione, e dunque maggiore è l'energia in quel momento, più grande è il numero dei pioni o la quantità di raggi gamma che si producono nell'esplosione. Da questi esperimenti i ricercatori hanno ottenuto tante informazioni da poter prevedere con buona approssimazione le conseguenze dell'impiego di una fonte energetica che sfrutti l'antimateria, o di una bomba antimaterica o dell'impatto di un masso di anti-roccia piovuto dallo spazio. Questi esperimenti hanno dimostrato che l'annichilazione non è istantanea. A d esempio un protone e un antiprotone eseguono una breve danza di corteggiamento prima del loro fatale accoppiamento. Immaginate i protoni presenti in un blocco di materia mentre l'antiprotone si avvicina: la carica positiva del protone dà origine a un campo elettrico che si irradia in uno spazio delle dimensioni di un atomo. Se tali distanze, dell'ordine di circa un decimiliardesimo di metro (1 x IO"10 m), a noi sembrano piccolissime, esse sono diecimila volte più grandi di quelle degli stessi protoni e antiprotoni. Se la velocità dell'antiprotone, mentre si avvicina al protone, è relativamente bassa, esso potrà rimanere intrappolato dalle cariche opposte che si attirano e incomincerà a girare intorno al protone proprio come potrebbe farlo un elettrone in un comune atomo. Inizialmente l'orbita percorsa sarà molto ampia, ma per gradi, l'antiprotone perderà energia, saltando da orbite periferiche ad altre, via via più interne, ed emettendo raggi gamma a ogni salto. Questi raggi gamma possono essere rilevati e se ne può misurare l'energia: dai dati cosi ottenuti è possibile dedurre la sequenza degli eventi, proprio come dall'esame delle strisce lasciate sull'asfalto si può ricostruire la dinamica di un incidente d'auto.
L'antiprotone precipita infine in un'orbita ristretta e penetra entro il raggio d'azione dell'interazione forte, irresistibile per le particelle e le antiparticelle nucleari. La durata di tutta questa danza può essere stata di un centesimo di secondo (1 x 10"2s), ma una volta che i due oggetti sono catturati dall'interazione forte l'annientamento è quasi istantaneo. L'informazione relativa alla catastrofe si trasmette con la velocità della luce attraverso protone e antiprotone e, in meno di un miliardesimo di miliardesimo di secondo (1 x IO"18 s), i due sono scomparsi lasciando raggi gamma e pioni. Anche questi spariscono presto: i pioni, strutture instabili formate da un quark e un antiquark, si autodistruggono, trasformandosi in altri raggi gamma oppure in elettroni, positroni e negli spettrali neutrini, ognuno dei quali porta via un po' dell'energia prodotta dall'annichilazione. L'opportunità, davvero unica, offerta dall'annichilazione per rendere disponibile energia presenta vantaggi e svantaggi. Nel nostro mondo fatto di materia, l'antimateria è distruttiva. Per poter utilizzare praticamente l'antimateria dovremmo essere in grado di isolarla da qualsiasi pezzo di materia e per un tempo abbastanza lungo, fino a quando non siamo pronti per impiegarla utilmente. La prossima parte della nostra storia ci dirà come si sia trovata la soluzione per venire a capo di una tale sfida.
Capitolo sesto Confinare l'antimateria
La sostanza che distrugge tutto. La soluzione del quesito che proponeva mio padre, su come si possa conservare una sostanza distruttiva è stata trovata dal fisico austriaco Bruno Touschek. Dato che l'antimateria distrugge ogni oggetto fatto di materia, la si deve conservare in un contenitore che non abbia pareti fatte di materia. Ed ecco la soluzione: un vuoto più spinto di quello dello spazio interplanetario con campi elettromagnetici in grado di confinare le antiparticelle (positroni o antiprotoni) facendole circolare in fasci. L'impresa è stata effettivamente compiuta in laboratori di fisica come quello del CERN, a Ginevra, dove una fitta serie di elettromagneti disposti lungo una circonferenza di 27 km guidava mucchi di positroni facendoli girare per settimane e settimane all'interno di una cavità tubolare (formante un anello cavo, come un'enorme ciambella vuota; propriamente questa forma geometrica è la superficie chiusa detta «toro») in cui era stato fatto il vuoto. Spostandosi a una velocità assai prossima a quella della luce (per la precisione, inferiore al valore limite di soli 0,01527 m/s o, se preferite, di 55 m/h), questi positroni sarebbero sopravvissuti fino a quando l'energia elettrica fornita agli elettromagneti, producendo il campo, li avesse tenuti lontani dalle pareti del tubo o fino a quando avessero avuto una collisione con qualche atomo di gas comunque presente nella cavità per quanto il vuoto fosse molto spinto. Approfondiremo questi aspetti in seguito. Il problema che ci interessa ora è quello di capire come si possa raccogliere e conservare, trasportare e utilizzare l'antimateria. Evidentemente non è facile costruire una cavità a forma di toro lunga 27 km e
circondata da magneti, senza contare i problemi da affrontare in seguito, per il trasporto. Ma non è necessario farlo. L'enorme anello del CERN rappresenta, come realizzazione, una delle vette della tecnologia applicata alla ricerca scientifica: è stato costruito espressamente per produrre e controllare fasci di antimateria circolanti a velocità il più possibile vicine al valore limite della velocità della luce nel vuoto (300000 km/s). L'idea originale e i principi tecnologici che sono alla base di questo settore della fisica risalgono a parecchi anni fa, precisamente al i960. In quell'anno Bruno Touschek inventò un interessante apparecchio di cui nessuno al momento (neppure l'inventore) poteva prevedere le potenzialità. Di fatto la realizzazione di quella macchina può essere interpretata come la nascita dell'antenato di tutti i contenitori di antimateria. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Touschek si era occupato, ad Amburgo, di ricerche sulla radiolocazione, analoghe a quelle che avevano prodotto il radar. Uno dei suoi colleghi era il norvegese Rolf Wideroe, che già una ventina di anni prima aveva lavorato al progetto di una macchina per accelerare le particelle cariche con un campo elettrico di potenziale relativamente basso che forniva una serie di impulsi. Nel prototipo di Wideroe il campo elettrico accelerava le particelle lungo un percorso rettilineo. In seguito, lo statunitense Ernest Lawrence si servi di campi magnetici per incurvare le traiettorie rendendole praticamente circolari in modo che le particelle attraversassero più e più volte la feritoia dove venivano accelerate*. La macchina di Lawrence, detta ciclotrone, ha dato inizio alla fisica delle alte energie e ha fruttato al suo inventore il premio Nobel per la fisica nel 1939. L'idea fondamentale di Wideroe è tuttora alla base del principio di funzionamento dei più moderni acceleratori di particelle. Fu una nuova intuizione di Wideroe a produrre il successivo passo avanti nella storia del contenitore senza pareti. Nei fenomeni elettromagnetici, il campo elettrico è sempre orientato perpendicolarmente al campo magnetico: variando le intensità dei due campi, si possono deformare a volontà, e per gradi, le traiettorie degli oggetti dotati di carica elettrica che sono in moto nello spazio ove i campi agiscono. I raggi delle traiettorie circolari possono essere progressivamente ampliati o ridotti producendo varie traiettorie spiraliformi. (N.d.T).
Nel 1943 Wideroe depositò la richiesta di un brevetto relativo a un contenitore di particelle in grado di farne collidere due fasci che si spostavano rapidamente sulla stessa traiettoria circolare, ma in versi opposti. La richiesta venne respinta con la motivazione della "ovvietà", anche se ci vollero altri quindici anni perché qualcuno utilizzasse praticamente l'idea. Se si sparano una contro l'altra due particelle è assai più bassa la probabilità che si "centrino" reciprocamente di quella che si "manchino". Comunque se accumulate un sacco di particelle e le "confinate" fino al momento di usarle, poi ne sparate due fasci uno contro l'altro, esiste una ragionevole probabilità che alcuni degli oggetti dei due fasci opposti si trovino esattamente nello stesso punto allo stesso istante. La prima applicazione concreta dell'idea «ovvia» si è avuta nel 1959. Un gruppo di ricercatori statunitensi costruì due «anelli di accumulazione» impiegando elettromagneti per far ruotare fasci di elettroni in percorsi circolari. In uno degli anelli i campi magnetici obbligavano gli elettroni a girare in senso orario, nell'altro, campi di verso opposto li facevano girare in senso antiorario. A questo punto Touschek si ricordò delle conversazioni con Wideroe risalenti al periodo della guerra ed ebbe una grande idea, tutta sua: poiché i positroni hanno la stessa massa degli elettroni, ma carica elettrica di segno opposto, il campo magnetico che faceva ruotare il fascio di elettroni diciamo in senso orario avrebbe fatto girare i positroni in senso antiorario. Invece di due serie di elettromagneti per far ruotare i due fasci di particelle in versi opposti, perché non usarne una sola che avrebbe spinto gli elettroni in un verso e i positroni nell'altro? Se avessero ricevuto la stessa quantità di energia da un'unica serie di magneti, i due fasci avrebbero seguito esattamente le stesse traiettorie, ma in versi opposti. Touschek e un gruppo di collaboratori operanti, all'inizio degli anni Sessanta, nel Laboratorio dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare a Frascati, presso Roma, progettarono e costruirono l'apparecchio detto ADA (Anello di Accumulazione). Il diametro della macchina non superava il metro. Gli sperimentatori riuscirono a confinare elettroni e anche positroni: per la prima
volta venivano "addomesticate" le antiparticelle. L'apparecchio, facile da trasportare, venne trasferito nei Laboratori di Fisica Teorica di Orsay, a sud di Parigi, dove già esisteva un acceleratore che poteva produrre fasci di elettroni dotati di maggior energia. Qui, nel 1963, si ottenne l'accumulazione di fasci molto densi di positroni e si riuscì anche a farli transitare "a testa prima" attraverso fasci di elettroni. Occasionalmente un singolo elettrone collideva con un positrone: quando ciò accadeva, le particelle sparivano annichilandosi in un lampo di luce. Erano dunque disponibili due opportunità: accumulare antiparticelle, oppure, a scelta, farle collidere con le particelle e provocandone l'annichilazione. Nei tre decenni successivi i fisici hanno costruito anelli di accumulazione sempre più grandi per elettroni e positroni: di pari passo diventava sempre più alta l'energia con cui venivano accelerati i fasci di particelle. Le collisioni producevano annichilazioni e i ricercatori scoprirono che questi eventi costituivano un mezzo formidabile per ottenere informazioni sull'origine e sulla natura della materia. Alcune delle scoperte hanno portato all'assegnazione di non pochi premi Nobel. La più grande macchina di questo tipo mai costruita è il LEP Collider (Large Electron Positron, «grande apparecchio per collisioni [collisore] di elettroni e positroni») del CERN, cui abbiamo accennato all'inizio del capitolo. Il lavoro dei ricercatori e dei tecnici non consiste soltanto nella realizzazione di macchine sempre più gigantesche. In tempi recenti sono stati costruiti apparecchi di minori dimensioni negli USA, a Stanford, in Giappone e anche a Frascati, dove la storia aveva avuto inizio: si tratta di acceleratori progettati per far collidere elettroni e positroni in condizioni particolari espressamente selezionate, nelle quali si spera di poter rivelare le più piccole differenze tra materia e antimateria. Il capitolo vili fornirà altri dettagli su queste ricerche. Il fatto stesso che macchine di questo tipo funzionino dimostra chiaramente la notevole simmetria esistente tra materia e antimateria. I fasci di elettroni e di positroni, che circolano nel LEP compiendo innumerevoli giri, arrivano sempre perfettamente in orario al loro appuntamento: una valida testimonianza del-
l'assoluta uguaglianza delle risposte date dai due tipi di particelle alle forze magnetiche che le guidano. Si tratta del risultato del preciso equilibrio tra le due cariche opposte e tra le rispettive masse che impone appunto a elettroni e positroni di seguire i cammini predefiniti in un senso e nel senso contrario. Analogamente si possono confrontare i tempi impiegati da un protone e da un antiprotone per percorrere un'intera circonferenza nel campo magnetico e verificare sperimentalmente che essi sono uguali con una possibile differenza di una parte su un miliardo.
Domare gli antiprotoni. Touschek è riuscito ad addomesticare i positroni: nell'URSS Gers Itskovic Budker si impegnò a cercare di scoprire se era possibile fare lo stesso con i protoni e, in seguito, con gli antiprotoni. Queste due particelle hanno una massa circa duemila volte più grande di quella degli elettroni e dei positroni e l'energia necessaria per "fabbricarle" è anch'essa, proporzionalmente, molto più grande. Produrre antiprotoni non è comunque un problema, purché sia disponibile l'energia sufficiente. L'operazione è stata compiuta la prima volta nel 1955, come abbiamo già visto supra, p. 82. Controllare queste antiparticelle, una volta che le abbiamo prodotte: ecco la grande sfida da vincere. Come primo atto si spara un fascio di protoni contro un blocco di metallo. Mediamente ogni 250000 collisioni, una sola ha come esito la conversione dell'energia cinetica in massa sotto forma di una nuova coppia protone-antiprotone. Questi antiprotoni si spostano a una velocità prossima a quella della luce sfrecciando in tutto lo spazio disponibile. I campi magnetici, efficaci per focalizzare i positroni su orbite stabili calibrandone i fasci, non sono in grado di controllare gli antiprotoni che volano selvaggiamente allontanandosi dalle traiettorie incurvate, e si schiantano contro le pareti interne dell'anello, annichilandosi. Occorre trovare un qualche mezzo per domarli e addomesticarli: era necessario, per usare una metafora, metterli al passo;
per farlo occorreva "raffreddarli" (termine del gergo scientifico per indicare la diminuzione dell'energia). Il ricercatore sovietico Budker ebbe l'idea di far passare gli antiprotoni attraverso nubi di elettroni "freddi". Per quanto gli elettroni siano oggetti materiali, non costituiscono un pericolo per gli antiprotoni che fanno parte dell'antimateria, né gli antiprotoni lo sono per gli elettroni. L'elettrone deve temere soltanto la sua antiparticella, il positrone, da cui viene distrutto; l'antiprotone corre rischi soltanto con i protoni e i neutroni. In effetti le oscillazioni erratiche degli antiprotoni venivano per gradi ridotte e le traiettorie diventavano più regolari perché la loro energia (il loro "calore") si trasferiva agli elettroni. Nel 1974 Budker era riuscito a produrre gli antiprotoni e a raffreddarli, ma sempre in piccolissime quantità, insufficienti per formare un fascio abbastanza denso e di sezione apprezzabile. Nel 1979 il Comitato per l'attribuzione dei premi Nobel ha deciso di attribuire il riconoscimento per la fisica a Sheldon L. Glashow, Abdus Salam e Steven Weinberg per la loro teoria che unifica le forze elettromagnetica e nucleare debole in una singola «interazione elettrodebole», malgrado la mancanza, fino a quel momento, di prove sperimentali convalidanti la loro più impressionante previsione, cioè l'esistenza delle particelle W e Z. Il progetto del CERN, elaborato grazie all'energia e alla genialità di sperimentatore di Carlo Rubbia, prevedeva la produzione di tali particelle. Per riuscire nell'impresa era indispensabile utilizzare una tecnica del tutto nuova basata sull'annichilazione di protoni e antiprotoni. I teorici avevano potuto calcolare che in tali eventi non si sarebbe ottenuta soltanto energia sotto forma di radiazioni elettromagnetiche, ma che sarebbero comparsi anche i grumi di quanti noti come W e Z, i vettori cui si deve la trasmissione dell'interazione debole nei fenomeni dovuti alla radioattività. Rubbia aveva progettato di ottenere questi risultati facendo ruotare fasci di protoni e antiprotoni in sensi opposti nel tubo a forma di toro dell'SPS (Super Proton Synchrotron) del CERN. Era l'ultima mano della partita. Nelle prime fasi del lavoro, si erano fatti ruotare fasci di protoni in una macchina più vecchia, di minori dimensioni, meno "super" insomma: il prò-
tosincrotrone (PS) del CERN, in funzione dagli inizi degli anni Cinquanta. La seconda fase comportava l'estrazione dei protoni, la loro accelerazione per aumentare l'energia dei fasci, e infine la loro immissione nell'sps. Questa era la parte facile. Ora veniva la vera sfida. Domare gli antiprotoni e immetterli con successo nella cavità toroidale dell'SPS. L'intricato problema è stato risolto dal ricercatore olandese Simon Van der Meer. L'impresa lo ha portato a condividere, appunto con Rubbia, il Nobel per la fisica nel 1984. Van der Meer osservò che, quando le particelle si muovono seguendo traiettorie curve, l'intervallo di tempo da esse impiegato per percorrere una semicirconferenza è maggiore di quello impiegato dalla luce per percorrere, lungo il diametro, la distanza tra le due estremità dell'arco. A l CERN si tentava di rendere pili evidente questo fatto utilizzando una piccola macchina detta AA (acronimo di Antiproton Accumulator, «accumulatore di antiprotoni»). Come indica la denominazione, I'AA accoglieva gli antiprotoni e li raffreddava in un fascio obbediente e capace di comportarsi bene, e li raccoglieva e accumulava finché fossero abbastanza da essere utilizzati con profitto. E qui l'idea di Van der Meer dava i suoi frutti. Rivelatori elettronici, in punti diametralmente opposti dell'anello, monitoravano le posizioni degli antiprotoni nel fascio mentre passavano. Il segnale raggiungeva un computer che calcolava l'entità della deviazione del fascio e conseguentemente quella del calcio da imprimere al fascio stesso per migliorarne l'allineamento; veniva allora inviato un altro segnale, con la velocità della luce, agli elettrodi sul lato opposto dell'anello. In accordo con il dato geometrico (rapporto tra semicirconferenza e diametro) l'intervallo di tempo impiegato dagli antiprotoni per percorrere la semicirconferenza era del 5 0 % più lungo di quello impiegato dalla luce per percorrere il diametro; ecco dunque l'acuta intuizione dei progettisti: se l'anello era di grandi dimensioni, questo "tempo in più" poteva essere sufficiente agli apparati elettronici per fare ciò che doveva esser fatto, prima dell'arrivo degli antiprotoni. In un miliardesimo di secondo (cioè un nanosecondo, 1 ns) il tragitto coperto dalla luce è di 1/3 di metro (cioè un piede, 1 ft, foot)\ una preci-
sione da svizzeri, proverbiale, ma vera. Ogni due secondi i protoni fuoriuscivano dal PS, si schiantavano sul bersaglio e producevano antiprotoni. Con la stessa cadenza, tra una fuoriuscita e la successiva, le antiparticelle venivano raffreddate per due secondi prima che ne arrivassero altre con una nuova immissione dal PS. L'accumulatore di antiprotoni era di fatto simile a due anelli in uno, entrambi toroidali e concentrici, messi in comunicazione da paratie che potevano essere aperte e chiuse a volontà. Nell'anello all'interno delle paratie circolavano schiere di antiprotoni, mentre all'esterno delle paratie circolavano i protoni appena immessi dal PS e ancora sottoposti al processo di raffreddamento. Un istante prima dell'arrivo di nuovi protoni da raffreddare, le paratie si aprivano e quelli già raffreddati si trasferivano nell'anello più interno. Una volta che gli antiprotoni erano giunti nel gruppo più interno, le «istruzioni elettroniche» impartite da Van der Meer attraversavano, seguendo il diametro, l'anello e raffreddavano ulteriormente le particelle. Occorreva poco più di un giorno per accumulare e raffreddare cento miliardi di antiprotoni. Il giochetto di Van der Meer produceva densi fasci di antiprotoni ad alta energia pronti per essere usati negli esperimenti. Con la loro ingente massa, gli antiprotoni erano più difficili da addomesticare dei positroni, ma una volta che erano posti sotto controllo, potevano colpire con ben più grande vigore. Questa caratteristica stimolava i fisici. Con l'annichilazione di antiprotoni e protoni, diventava possibile riprodurre sperimentalmente condizioni estreme come quelle che si sono avute nei primi istanti dopo il Big Bang. Per i tecnologi il notevole tour de force costituito dal raffreddamento delle antiparticelle, dalla decifrazione di una grande varietà di tracce specifiche, dalla strumentazione elettronica e dai programmi relativi era affascinante e dimostrava che l'antimateria può essere addomesticata. Si: è possibile fabbricare e domare gli antiprotoni, l'operazione richiede molto tempo e le cifre sul cartellino del prezzo sono dell'ordine di milioni di dollari.
La trappola di Penning. L'accumulo e il confinamento delle antiparticelle dotate di alta energia, corrispondente a temperature assai più grandi di quelle esistenti nel nucleo del Sole, richiede l'impiego di potenti acceleratori. E possibile conservarle al freddo, alle medie temperature ambientali o a temperature inferiori? Nel 1984 Hans Georg Dehmelt è riuscito a confinare un singolo antiprotone per tre mesi sotto vuoto in un cilindro non più grande di un pollice umano. Per farlo ha utilizzato un'ingegnosa combinazione di campi elettrici e magnetici in un apparecchio che, con lodevole correttezza, denominò «trappola di Penning», in quanto l'idea originale da lui abilmente seguita per costruirlo si ispirava al principio di funzionamento del manometro (vacuometro) a catodo freddo realizzato, negli anni Quaranta, dal fisico olandese Frans Michel Penning. In realtà l'idea della trappola di Penning si può far risalire agli anni Trenta del x x secolo, quando gli apparecchi radiofonici dotati di "valvole" e i tubi a raggi catodici dei televisori rappresentavano le frontiere più avanzate dell'elettronica. La corrente elettrica fluisce nei fili come un fluido in un tubo (non a caso i fili elettrici vengono ancora detti «cavi»). Si collega l'elettrodo positivo di una potente batteria a un terminale detto «placca» {anodo) all'interno di un tubo di vetro pieno di gas inerti e l'altro elettrodo della batteria a un terminale che può essere reso incandescente, sempre all'interno dell'ampolla (catodo). Con una tale installazione si può ottenere che l'elettricità attraversi il gas. Quando ciò accade, nel tubo di vetro appare una fantastica luminosità bluastra. I primi esperimenti con tali apparati risalgono al tardo xrx secolo: la società vittoriana ne fu affascinata. Le ricerche condotte in quegli anni per dare un'interpretazione del fenomeno hanno portato Joseph John Thomson a scoprire l'elettrone, il portatore della carica elettrica che dava origine alla corrente. Lo studioso utilizzò il campo elettrico e il campo magnetico per dirigere il fascio luminoso e, dai risultati ottenuti, ha potuto dedurre che esso era costituito da minuscoli e leggerissimi oggetti, più piccoli degli atomi: gli elettroni appunto.
Se il campo magnetico è sufficientemente intenso può obbligare gli elettroni a seguire traiettorie circolari sempre più strette, intrappolandoli in orbite da cui non possono sfuggire verso la parte estrema del tubo. O almeno ciò dovrebbe accadere se nel tubo il vuoto fosse perfetto; se in esso sono presenti tracce di gas, gli elettroni, urtandone gli atomi, rimbalzeranno, sfuggendo dalle orbite e la corrente elettrica potrà fluire. Penning aveva avuto la brillante idea di utilizzare questo effetto per costruire un manometro adatto a verificare lo stato di vuoto in un ambiente. L'effettivo scorrere della corrente elettrica in un circuito dipende dalla tensione, dall'intensità del campo magnetico e dalla quantità di gas rimasta nel tubo in cui è stato "fatto il vuoto". Dehmelt regolò la tensione in modo che la corrente non potesse comunque scorrere: gli elettroni dunque continuavano a vagare nel campo magnetico. L'anodo del suo apparecchio aveva la forma di un cilindro cavo come una lattina da bibite, "fondo" e "coperchio" della lattina, staccati, diventavano il catodo. In pratica Dehmelt aveva realizzato un contenitore chiuso, non più grande di una vera lattina, le cui pareti non erano fatte di metallo ma costituite dall'energia dei campi elettrici e magnetici. La prima struttura di questo tipo intrappolava un singolo elettrone e permetteva di misurarne le proprietà magnetiche. L'elettrone in movimento era equivalente a una minuscola stazione radiotrasmittente che emetteva onde elettromagnetiche sulle quali Dehmelt riusciva a sintonizzarsi con un radioricevitore. E, misurando con estrema precisione le frequenze delle onde radio, riusciva a misurare il campo magnetico indotto dal moto dell'elettrone con la precisione di uno su dieci milioni. La precisione era di gran lunga superiore alla migliore mai ottenuta in precedenza e Dehmelt fu cosi in grado di scoprire che l'intensità era maggiore di quella prevista dall'equazione di Dirac. Peraltro la deviazione era piccolissima, di circa una parte su mille; perciò nessuno l'aveva mai osservata in precedenza, ma il risultato era estremamente importante. Di certo non lo era per aver evidenziato un "errore" nell'equazione di Dirac; esso anzi la confermava come accurata e approfondita descrizione del mondo fisico. Dirac non aveva infatti fornito soltanto uno
strumento teorico per "capire" la natura dell'elettrone, ma anche per interpretare le risposte della particella ai campi elettromagnetici. Richard Feynman e altri hanno dimostrato che lo stesso campo elettromagnetico può trasformarsi in elettroni e positroni virtuali: si tratta di una delle tante proprietà bizzarre dell'indeterminazione quantistica. Queste particelle e antiparticelle virtuali nel vuoto fanno si che, nelle loro immediate vicinanze, lo spazio non sia "privo di qualunque oggetto", ma sia in realtà brulicante di attività. L'estrema precisione dell'esperimento di Dehmelt consentiva di sottoporre a misure non soltanto l'elettrone, ma anche gli effetti della particella sul vuoto circostante. Non si deve qui temere di sconfinare nella filosofia discutendo dell'esatta essenza o natura di un elettrone: tutto ciò che diciamo è conseguenza dell'attenzione e dell'accuratezza con cui guardiamo questa realtà. Se si è abbastanza accurati si vedrà come la particella dia origine a un certo "disturbo", trasformando il vuoto in una sorta di alveare contenente antiparticelle in frenetica attività. Le ricerche sperimentali hanno provato ciò che i teorici sospettavano: viviamo in un mondo di materia, ma il vuoto è pieno zeppo sia di antimateria "virtuale", sia di materia "virtuale", nel senso che questi oggetti non si materializzano (forse l'affermazione si dovrebbe leggere «non si izwtómaterializzano»), ma la loro presenza può essere comunque dedotta dagli effetti, misurabili, sulle particelle di passaggio. Gli esperimenti ora descritti sono stati condotti nel 1973. Una decina di anni più tardi, Dehmelt riuscì a prendere in trappola un positrone. Tenendolo rinchiuso per tre mesi ha potuto misurare anche il campo magnetico da esso prodotto: per ottenere questi dati non doveva far altro che invertire il campo in modo che il positrone, carico positivamente, venisse coinvolto nelle stesse vicende e seguendo le stesse leggi già osservate per l'elettrone con la sua carica negativa. E quando Dehmelt misurò il campo magnetico del positrone trovò che l'intensità, proprio come era accaduto per l'elettrone, risultava più grande rispetto al valore teorico di una parte su mille. Non si era dunque limitato a confinare un singolo positrone, ma aveva dimostrato che esso è davvero, anche per gli effetti
elettrici e magnetici, il perfetto, speculare, "doppio" dell'elettrone*.
Antiprotoni in gabbia. Gli interessi del CERN per le indagini sulla fisica del Big Bang ha spinto gli studiosi che vi lavorano a produrre fasci di antiprotoni ad altissima energia e dunque a costruire macchinari e apparati accessori immensi. Se volete confinare antiparticelle in contenitori di dimensioni modeste dovete esser certi che questi oggettini stiano, per quanto possibile, fermi. I ricercatori e i tecnici del CERN si sono dunque serviti della loro esperienza e hanno costruito un anello di accumulazione in cui gli antiprotoni fossero sufficientemente rallentati. L'apparato è stato denominato LEAR (acronimo di Low Energy Antiproton Ring, « anello per antiprotoni di bassa energia»). Uno dei collaboratori di Dehmelt, lo statunitense Gerald Gabrielse, ha accettato la sfida di estrarre gli antiprotoni dal LEAR e di immetterli in una trappola di Penning. Il vero problema con gli antiprotoni, se li si confronta con i positroni, è dato dalla loro mole: la grande massa richiede, per produrli, ingenti energie, con il conseguente manifestarsi di un indesiderato tremolio, di una continua agitazione. Gli esperti del CERN hanno concisamente descritto la natura del problema: occorrevano temperature altissime (superiori a quelle esistenti nel cuore del Sole) per produrre gli antiprotoni, poi, per stivarli nella trappola di Penning, era necessario raffreddarli a temperature inferiori a quelle dello spazio interplanetario in un vuoto più spinto di quello che si può trovare sulla Luna. Il procedimento tradizionale per ottenere simili temperature prevede l'impiego di elio liquido (questo gas è liquido a circa 4 K, cioè a - 2 6 9 °C). Non si può però dimenticare che l'elio è coHans Dehmelt, che operava presso l'Università di Washington, D. C., USA, ha ricevuto, insieme a Wolfgang Paul dell'Università di Bonn, il premio Nobel per la fisica nel 1989. La motivazione era la seguente: «per aver introdotto e sviluppato la tecnologia della trappola ionica che ha reso possibile lo studio di un singolo elettrone o un singolo ione con estrema precisione».
stituito da neutroni e protoni: queste particelle avrebbero annichilato gli antiprotoni. Gabrielse si proponeva di confinare gli antiprotoni e certamente non di annichilarli! Quindi, invece dell'elio liquido, utilizzò, come refrigerante, un gas di elettroni freddi, proprio come aveva fatto Budker una dozzina d'anni prima. La trappola era lunga circa 15 cm. Quando l'antiprotone era entrato, si aumentava la tensione elettrica e si innalzava cosi una barriera come per la chiusura di una botola. Gabrielse ha catturato i suoi primi antiprotoni nel 1986 e nei tre anni successivi è riuscito a intrappolarne sessantamila per quattro giorni. Ma lo scopo del lavoro era in effetti di accumulare pochi antiprotoni, ma per un lungo periodo. Nel 1991 un centinaio di antiprotoni sono stati confinati e conservati per parecchi mesi. Infine nel 1995 si è riusciti a intrappolare e conservare un singolo antiprotone. Ecco il procedimento seguito. In una prima fase si imprigionavano diecimila antiprotoni e un mucchio di elettroni del gas di raffreddamento. Poi la tensione elettrica veniva fatta lievemente oscillare: l'effetto era simile a quello dell'apertura di una finestra che lasciava uscire gli elettroni, mentre gli antiprotoni con la loro grande massa rimanevano bloccati. Si proseguiva con un nuova variazione della tensione lasciando ora uscire dalla trappola una certa quantità di antiprotoni, finché all'interno ne rimaneva soltanto una dozzina. Ognuna delle dodici antiparticelle girava in tondo per effetto dei campi magnetici, ma con velocità diverse. Un raggio laser è stato allora calibrato per colpire gli antiprotoni più veloci estirpandoli come fili d'erba uno dopo l'altro fino a che ne è rimasto uno solo. A questo punto si è innalzata la tensione chiudendo del tutto la trappola. L'antiprotone danzava da solo in una "bottiglia magnetica". Essendo infine riusciti a mettere in trappola un singolo antiprotone i ricercatori del gruppo di Gabrielse hanno potuto indagare a volontà sulle sue caratteristiche. Hanno confrontato il suo comportamento nei campi elettrici e magnetici con quello del protone. Gli esperimenti hanno dimostrato che anche antiprotone e protone sono esattamente ognuno l'immagine speculare dell'altro: le cariche elettriche sono di segno opposto e l'in-
tensità di tali cariche per unità di massa è la stessa per entrambi con un margine di precisione di nove parti su un milione di milioni. Un altro filone di ricerca sugli antiprotoni confinati si è occupato di possibili connessioni con l'"tf«ft'-gravità". Sappiamo che gli oggetti materiali cadono al suolo per effetto della forza di gravità, cioè dell'interazione gravitazionale, dunque a causa dalla simmetria tra materia e antimateria si dovrebbe verificare che l'antimateria stessa cade verso Vanti-Terra. Vien fatto di chiedersi: nel campo gravitazionale della Terra l'antimateria cade al suolo o si leva verso l'alto? Per quanto nessuno se la senta di scommettere sulla seconda opzione, la possibilità che l'antimateria sia soggetta all'anti-gravitazione non può, in base alle conoscenze attuali, essere del tutto scartata. Se si deve procedere a una verifica sperimentale, un'indagine sugli antiprotoni potrebbe rappresentare la scelta migliore, perché la loro massa è quasi duemila volte più grande di quella dei positroni. Ho fatto parte del comitato del CERN incaricato di esaminare i primi progetti presentati, in relazione a questo problema, da un gruppo di ricercatori operanti a Los Alamos. Nessuno di noi si aspettava che la prova potesse essere condotta a termine perché la sensibilità richiesta era ben più alta di quella offerta dagli strumenti disponibili; l'impegno era però tanto forte da renderci sicuri che il lavoro avrebbe comunque consentito di compiere notevoli passi avanti nello sviluppo di tecnologie adatte a trattare con l'antimateria. Oggi, a quasi ottant'anni dalla scoperta del positrone e mezzo secolo dopo quella dell'antiprotone, tutti i dati confermano quanto si è da tempo sospettato: le antiparticelle sono lo "specchio" naturale delle particelle, sono lo yin del loro yang. Tuttavia non sappiamo ancora se, per effetto della forza di gravità, l'antimateria cade oppure va in su*. O , almeno, non lo sappiamo per osservazione diretta. Gli esperimenti dimostrano che le diverse sostanze (fatte di materia) cadono tutte con la stessa accelerazione (qui, sulla Terra, al livello del mare, tale accelerazione, indicata con g , vale da 9,78 m/s' a 9,82 m/s', secondo la latitudine). Se la teoria einsteiniana della «relatività generale» fornisce un'interpretazione corretta della gravitazione, si può dedurne che l'antimateria cade al suolo con la stessa accelerazione.
L 'antì-idrogeno e la fabbrica di antimateria. Le quantità di antimateria che possono essere conservate in bottiglie magnetiche sono molto piccole. Le dimensioni di tali contenitori per soli elettroni o soli positroni non possono superare certi limiti perché le forze repulsive dovute alle cariche elettriche uguali diventano, se la quantità delle particelle è notevole, cosi intense da rendere impossibile il controllo dei campi magnetici. In pratica la bottiglia incomincerà a "perdere" e le antiparticelle si distruggeranno. Si è tentato di superare questo inconveniente ponendo nella stessa bottiglia antiprotoni e positroni per formare atomi di anti-idrogeno; ma sorgeva un altro problema. Gli atomi sono strutture elettricamente neutre e i campi elettrici e magnetici non hanno alcuna "presa" su particelle o oggetti neutri: gli atomi di anti-idrogeno non trattenuti in modo efficace venivano in contatto con la normale materia delle pareti del contenitore e si annichilavano. E possibile che prima del 1995 non sia mai esistito, in tutta la storia dell'Universo, neppure un atomo di antimateria. Quando, nei raggi cosmici, antiprotoni e positroni si avvicinano gli uni agli altri, sono solitamente animati da una velocità cosi alta da proseguire lungo i rispettivi, e distinti, cammini, senza attardarsi e, combinandosi, formare atomi. Tutto è cambiato quando, appunto nel '95, un gruppo di ricercatori del CERN è riuscito a fabbricare una manciata di atomi di anti-idrogeno. Si è ottenuto che gli antiprotoni circolanti all'interno del LEAR fossero coinvolti in incontri ravvicinati con nuclei di elementi di elevata massa atomica. Qualche antiprotone, passando abbastanza vicino alla periferia elettronica di questi atomi, poteva formare una coppia elettrone-positrone che riusciva a sopravvivere oppure, in una piccolissima frazione di questi casi, l'antiprotone poteva legarsi con il positrone formando un atomo di anti-idrogeno. L'annuncio della produzione di nove anti-atomi nei laboratori del CERN è stato dato agli inizi del 1996 e la notizia ha fatto il giro del mondo sui giornali, alla radio e nei programmi televisivi. La fugace esistenza degli anti-atomi dimostra che essi non pos-
sono essere utilizzati per ulteriori ricerche. Il valore del risultato è dato però dal fatto stesso che si sia riusciti a produrli, anche se questi oggetti sopravvivono soltanto per una frazione di secondo prima di essere distrutti dalla materia circostante. Le operazioni condotte con il LEAR si sono concluse nel 1996 e questo anello è stato sostituito da una nuova macchina specificamente destinata alla produzione e al rallentamento di antiparticelle per la produzione di antimateria. In questo «deceleratore di antiprotoni» (Antiproton Decelerator, indicato con l'acronimo AD) i magneti incurvano le traiettorie degli antiprotoni e potenti campi elettrici li rallentano, fino a che essi raggiungono una velocità relativamente bassa, pari a circa il 1 0 % della velocità della luce. L'AD è di fatto una "reincarnazione" dell'accumulatore di antiprotoni che è stato già descritto. Le sole importanti modifiche riguardano il sistema che produce il vuoto e l'integrazione con il sistema di raffreddamento usato precedentemente nel LEAR. Da ogni insieme di antiprotoni che arriva dall'AD, le apparecchiature dell'esperimento detto ATHENA (da AnTiHydrogEN Apparatus, «apparato per l'anti-idrogeno») ne catturano circa diecimila in una gabbia magnetica dove vengono ulteriormente e drasticamente rallentati fino a velocità pari a qualche milionesimo della velocità della luce. Nella fase seguente questi antiprotoni vengono mescolati con circa settantacinque milioni di positroni freddi, che sono raccolti dal decadimento di isotopi radioattivi, catturati e confinati in una seconda gabbia. Infine i positroni e gli antiprotoni sono trasferiti in una terza trappola "di miscelazione". E qui si formano gli atomi freddi di anti-idrogeno. Come fanno gli sperimentatori a sapere che il loro lavoro con I ' A T H E N A ha avuto successo? Quando un positrone e un antiprotone si legano, formando un atomo, elettricamente neutro, di anti-idrogeno, quest'ultimo sfugge dalla gabbia formata dei campi magnetici. L'anti-atomo urta ciò che lo circonda: positrone e antiprotone si annichilano indipendentemente, ma nello stesso istante, con le rispettive antiparticelle: un elettrone e un protone. Proprio rilevando questa simultanea annichilazione di positrone e antiprotone si può essere certi della precedente formazione di un atomo di anti-idrogeno.
Nel 2002 I ' A D è comparso nei titoli di testa dei giornali perché I'ATHENA e un altro esperimento, I ' A T R A P , hanno permesso di produrre, per la prima volta, decine di migliaia di atomi di anti-idrogeno: un numero sufficiente per incominciare a studiare un gas di antimateria. Con I'ATHENA i primi indizi sicuri dell'avvenuta formazione di anti-idrogeno si sono avuti nell'agosto 2 0 0 2 , molto appropriatamente in coincidenza con il centenario della nascita di Paul-Adrien-Maurice Dirac. Un mese più tardi i partecipanti al lavoro dell'ATRAP hanno annunciato di aver gettato il primo sguardo "dentro" un anti-atomo. Si sperava di potere infine confrontare i comportamenti dell'idrogeno e dell'anti-idrogeno in campi elettromagnetici e in campi gravitazionali. Qualsiasi differenza tra materia e antimateria, osservata e descritta, anche se piccola, avrebbe avuto conseguenze capitali per le nostre conoscenze delle caratteristiche fondamentali della natura e di tutto l'Universo. Sarebbe però necessario produrre anti-atomi in quantità molti miliardi di volte più grandi e anche confinarli in modo sicuro, se si volesse utilizzare l'antimateria per estrarne energia utilizzabile, realizzando cosii sogni di qualche appassionato di voli spaziali. Il deceleratore di antiprotoni è la miglior fabbrica di antimateria del pianeta: la distinzione tra fattibilità e invenzione fantastica sarà l'argomento dell'ultimo capitolo del libro.
Il
LEP.
Nell'ultimo decennio del x x secolo, l'antimateria è stata regolarmente prodotta, confinata e quindi annichilata all'interno del più grande apparato scientifico del mondo. Questa macchina, il LEP (Large Electron Positron collider) era davvero grande, come vuole il suo nome. A una cinquantina di metri di profondità nel sottosuolo al confine tra Svizzera e Francia, in una galleria lunga come la Circle Line della metropolitana londinese, potenti magneti costringevano fasci di elettroni e positroni a percorrere traiettorie circolari fino ai relativi bersagli. I nudi dati statistici forniscono un'idea delle meraviglie tecnologiche necessarie per realizzare una tale domesticazione del-
l'antimateria. L'enorme cavità toroidale era costituita da otto sezioni, ognuna lunga circa 3 km e da otto sezioni intermedie lunghe circa mezzo chilometro. Tremilacinquecento magneti davano ai fasci la voluta curvatura e altri mille contribuivano a focalizzare i fasci stessi rendendo altissima, in essi, la concentrazione delle cariche elettriche. Gli elettroni erano ottenuti strappandoli da atomi per poi aumentarne la velocità in un piccolo acceleratore. Si producevano i positroni sparando il fascio di elettroni contro un piccolo bersaglio di tungsteno: per l'alta energia delle collisioni si formavano sia positroni sia altri elettroni. I positroni erano confinati in un anello di accumulazione simile, per il principio fondamentale, al primo apparecchio progettato da Simon Van der Meer dimostratosi tanto efficiente nello stivare gli antiprotoni. Quando la quantità dei positroni era diventata sufficiente, essi venivano deviati in una serie di acceleratori che ne aumentavano l'energia cinetica, come avviene in un'auto cambiando le marce, fino a quando la velocità era abbastanza alta per introdurli nell'anello principale del LEP. La cavità toroidale in cui correvano le antiparticelle si allungava passando nella sezione centrale degli elettromagneti e costituiva il più lungo degli apparati ad altissimo vuoto fino a quel momento costruiti. La pressione nella cavità era abbassata dalle pompe in modo da ottenere valori inferiori a quelli esistenti sulla superficie della Luna: dopo le enormi difficoltà incontrate per produrre, confinare, focalizzare fasci di positroni altamente energetici era questa la qualità del vuoto necessaria per impedire che potessero essere distrutti dagli eventuali atomi di gas ancora presenti all'interno del toro. Nel tubo cavo lungo 27 km, sepolto sotto i vigneti svizzeri, a una profondità media di un centinaio di metri, i positroni correvano veloci attraversando il confine con la Francia undicimila volte al secondo, sotto la statua di Voltaire a Fernay, la cittadina dove il grande illuminista visse in tarda età, un sobborgo di Ginevra, ma in territorio francese, passando sotto campi coltivati, foreste, villaggi ai piedi dei rilievi del Giura. Simile era la vicenda degli elettroni: i campi magnetici guidavano infatti elettroni e positroni nella stessa cavità sugli stessi
cammini ma in versi opposti. I cammini erano mantenuti distinti e lievemente distanziati gli uni dagli altri, ma in quattro punti della grande circonferenza, impulsi elettrici e magnetici di piccola entità deflettevano un po' le traiettorie in modo che i percorsi si incrociassero. Anche in queste zone le particelle erano talmente rarefatte che quasi tutti gli elettroni e i positroni non si "centravano" a vicenda e continuavano a circolare. Talvolta però si verificava una collisione diretta di un positrone contro un elettrone con immediata annichilazione in un lampo d'energia. Era questo il momento chiave. Il potere dell'antimateria di distruggere la materia liberando tutta l'energia in essa contenuta veniva utilizzato dalla scienza per riprodurre, per un brevissimo istante e in una minuscola regione dello spazio, una versione miniaturizzata di ciò che l'Universo, nel suo insieme, è stato pochi istanti dopo il Big Bang. Agli studiosi interessava saperne di più sulle fasi successive: osservando quali forme di particelle e antiparticelle emergevano dal "mini Bang" simulato potevano apprendere come l'energia si sia inizialmente convertita in oggetti materiali nel vero Big Bang e nel giovanissimo Universo. Complessi apparati elettronici avvolgevano le zone dove avvenivano le collisioni: con questi strumenti si poteva rilevare e registrare l'emergere, apparentemente dal nulla, di questi primordiali pezzi di materia e antimateria, mentre il LEP Collider ripeteva più e più volte il remotissimo atto della "creazione". Questa serie di eventi erano il risultato della produzione e del controllo di fasci di positroni in grado di sopravvivere per vari giorni di seguito. La precisione degli strumenti tecnologici necessari era tale da essere influenzata, come si è scoperto, dagli effetti gravitazionali del moto della Luna. In un primo tempo i ricercatori avevano notato che talvolta elettroni e positroni arrivavano lievemente in anticipo e in altre occasioni lievemente in ritardo rispetto alla fase in cui era previsto il loro reciproco annientamento. L'imprecisione era di meno di 1 ns (un nanosecondo), ma il LEP poteva rilevarla. L'intervallo di tempo tra l'inizio del ritardo e il successivo analogo fenomeno si ripeteva ciclicamente ogni ventotto giorni. Gli studiosi hanno cosi avuto modo di verificare la stupefacente sensibilità del-
la loro enorme macchina di precisione. L'attrazione esercitata dalla Luna che provoca, con ciclo mensile, maree di vari metri negli oceani, influisce anche sulle rocce della crosta terrestre, deformandole sia pur in modo quasi trascurabile. I ventisette chilometri del LEP si allungavano e si accorciavano di qualche millimetro ogni mese e dunque i fasci di particelle dovevano percorrere un tragitto un po' più lungo in qualche momento e un po' più corto due settimane più tardi. Centinaia di ricercatori provenienti da tutto il mondo hanno collaborato a questi esperimenti. La necessità di disporre istantaneamente dei dati e di comunicare facilmente gli uni agli altri i risultati delle analisi compiute ha posto i partecipanti di fronte a grandi sfide che sono state raccolte nelle fasi preparatorie del vasto progetto, durante gli anni Ottanta. La rete informatica mondiale, www, è di fatto stata inventata al CERN a questo scopo: se è vero che l'antimateria distrugge la materia, è vero anche che l'antimateria ha indirettamente fatto nascere la World Wide Web. Dopo dieci anni di esperimenti, il LEP ha dimostrato come la materia si è formata quando l'Universo aveva l'età di un solo miliardesimo di secondo. Dal "mini Bang" sono emerse particelle e antiparticelle, come elettroni e positroni o quark e antiquark. Molti di questi "oggetti" erano già noti prima degli esperimenti con il LEP, ma questi hanno permesso agli studiosi di comprendere meglio quali siano i reciproci rapporti di interazione delle diverse forme di particelle e antiparticelle. Oltre al comune elettrone e alle due varietà di quark che si uniscono per formare i protoni e i neutroni e dunque la materia che tutti conosciamo, esistono altre varietà di oggetti particellari, rari o quasi del tutto assenti oggi sulla Terra, ma comuni nella tempesta di fuoco del caldissimo Universo primordiale. Sembra che la natura non si accontentasse dell'elettrone come unico possibile occupante delle regioni più esterne dell'atomo, e ne costruisse altre due versioni di massa maggiore. Una, con una massa circa duecento volte più grande di quella dell'elettrone (il muone, simbolo la lettera greca mi, o mu, minuscola), e un'altra (il tauone, simbolo r, la lettera greca tau minuscola), la cui massa è quattromila volte più grande. Queste
particelle sono identiche all'elettrone, per quanto riguarda la carica elettrica e, secondo le nostre attuali conoscenze, per ogni altra caratteristica, eccetto la massa. E, proprio come l'elettrone ha un'antiparticella gemella, il positrone, cosi anche il muone e il tauone hanno la propria antiparticella dotata di carica positiva. Lo stesso accade per i quark. Come abbiamo già visto, protoni e neutroni (indicati, come abbiamo già detto, complessivamente con il termine nucleoni) sono costituiti da combinazioni di quark up e quark down. Figura 8. Il M o d e l l o Standard delle particelle elementari e dei bosoni. L e particelle elementari materiali si d i v i d o n o in leptoni (dalla parola greca leptos, che vale sottile, leggero) e quark. L e p t o n i e quark sono descritti dalla statistica di Fermi-Dirac e sono detti fertnionì. I bosoni sono i v e t t o r i delle interazioni; non sono materiali e sono descritti dalla statistica di Bose-Einstein. Il fotone (dal greco phos, luce) è v e t t o r e dell'interazione elettromagnetica; i bosoni W * , W " , Z° sono v e t t o r i dell'interazione nucleare debole. Q u e s t e d u e interazioni sono u n i f i c a t e nell'unica interazione elettro-debole. II gluone (dall'inglese glue, colla) è il v e t t o r e dell'interazione nucleare forte che interessa t u t t e le particelle di grande massa d e t t e adroni (dal greco badros, massiccio). F a n n o parte degli adroni (costituiti da varie c o m b i n a z i o n i di quark) il p r o t o n e e il neutrone (detti nucleoni).
F E R M I O N I (materia) elettrone
e-
neutrino
neutrino
up
u
tauone
muone
charm
v
v
c
T-
carica elettrica - i leptoni
neutrino
"T
top
t
carica elettrica o
carica elettrica + 2/3 quark
down
d
strange
s
bottom
b
carica elettrica + 1/3
B O S O N I (vettori delle interazioni) fotone 7
interazione elettromagnetica
W+, W", Z°
interazione nucleare debole
gluone
interazione nucleare forte
interazione elettro-debole
Del quark up esistono due versioni di massa più grande, dette charm e top. Analogamente anche il quark down esiste in due versioni di massa più grande, dette strange e bottom (fig. 8). Ognuna di queste sei versioni dei quark, indicate come "sapori" iflavour, in inglese: la traduzione italiana del termine è usata nelle pubblicazioni ufficiali, dunque è "scientifico") ha un suo corrispondente antiquark. Il LEP ha permesso di dare un'occhiata a ciò che l'Universo era quando l'energia si è "congelata" in materia e antimateria in quantità perfettamente uguali*. Tuttavia, tra le molte centinaia di versioni diverse di particelle e antiparticelle, se ne sono individuate alcune, non più di una manciata, in cui materia e antimateria, per quanto formatesi simmetricamente e contemporaneamente, hanno comportamenti non simmetrici nelle loro brevissime vite e nelle loro "morti". Se riuscissimo a spiegare come si produce tale fenomeno potremmo trarne indizi per capire come mai materia e antimateria non si siano annichilate immediatamente dopo la loro formazione nel remotissimo passato e quindi anche perché ne rimanga "qualcosa", piuttosto che niente, nell'Universo attuale. Le ricerche sulla profonda e intima relazione tra materia e antimateria e la rilevazione delle più piccole differenze tra esse saranno i prossimi temi del nostro intreccio e li esamineremo nel capitolo seguente.
" Il LEP è stato recentemente sostituito da un nuovo gigantesco apparato, I'LHC (Large Hadron Collider, grande collisore per adroni) che opera su protoni. La macchina rappresenta la postazione di frontiera della tecnologia attuale. L'immissione di antiprotoni in una futura versione dell'LHC è attualmente da considerare argomento da fantascienza.
Capitolo settimo L'Universo allo specchio
Indietro nel tempo? Richard Feynman, uno dei più grandi fisici teorici del x x secolo, è famoso per i diagrammi che da lui hanno preso il nome. Questi disegni illustrano il passaggio delle particelle attraverso lo spazio e il tempo, seguendone le tracce per capire come esse assorbono o emettono radiazioni, sotto forma di fotoni, per interagire le une con le altre. Estremamente efficaci sul piano visivo, i disegni forniscono anche, e in prima istanza, una codificazione di espressioni matematiche indispensabili per prevedere, con il calcolo, i comportamenti dei fondamentali componenti della materia. Feynman, giovanissimo, partecipò alle ricerche del Progetto Manhattan per la progettazione e la costruzione della bomba "atomica" durante la Seconda Guerra Mondiale. Mentre la guerra infuriava in Europa, lo svizzero Ernst Cari Gerlach Stueckelberg, fisico e matematico, lavorando nella sua nazione, rimasta neutrale, aveva avuto un'idea analoga, per quanto meno utile sul piano delle applicazioni pratiche, a quella, sviluppata più tardi e indipendentemente, da Feynman. Una delle immediate conseguenze dei diagrammi di Stueckelberg era la possibilità di considerare un'antiparticella come una particella che «si sposti indietro nel tempo». L'ipotesi di Stueckelberg venne pubblicata in un periodico svizzero nel 1941, in un periodo dunque scarsamente favorevole alla diffusione di notizie su scala internazionale. Otto anni piti tardi Feynman ha elaborato un ragionamento simile con il quale (è questo il fattore cruciale) poteva descrivere le particelle e gli eventi studiati nella fisica dell'atomo con modalità che non erano mai state utilizzate in precedenza. Le potenzialità euristiche delle tecniche usate nei diagrammi di Feynman sono ta-
li che essi costituiscono oggi la dieta di base di tutti gli studenti di fisica e di chiunque si occupi di calcoli in questa disciplina. Stueckelberg era comunque convinto che la sua proposta non avesse ricevuto l'attenzione che meritava. A chi gli chiedeva come mai non avesse pubblicato le sue ipotesi su periodici a diffusione internazionale, come la statunitense «Physical Review», che aveva lettori ovunque, Stueckelberg rispondeva che in tempo di guerra era stato impossibile trovare un grafico in grado di tracciare i diagrammi. E difficile credere a questa scusa perché i diagrammi sono poco più di un insieme di rette connesse da linee ondulate. In ogni caso, sembra che la prima proposta di interpretare le antiparticelle come particelle che retrocedono nel tempo debba essere attribuita a lui. Questa ipotesi dà origine a immagini mentali in cui l'antimateria appare come qualcosa di veramente esotico: osservando i positroni percepiamo gruppi di elettroni che provengono dal futuro. Chi ha tempo non aspetti tempo; certamente il tempo non può "tornare indietro": dedurre questa verità per mezzo di ciò che abbiamo indicato come antimateria, in modo tale che i mondi dell'antimateria in qualche modo inseguano il nostro presente emergendo non visti dal futuro, può far il paio con l'idea di anti-alieni che diventano sempre più giovani mentre scorre l'anti-giorno. Ma forse non è cosi. Per capire come l'antimateria e il rovesciamento del tempo possano essere in relazione con la materia, dobbiamo prima comprendere come le leggi fondamentali della fisica tengano conto del tempo e anche come si forma la nostra percezione del tempo. Per la maggior parte della materia (comprendendo in essa le forme viventi), il tempo è un'illusione, che coinvolge le leggi del caso quando le si applica a un numero enorme di atomi. Mentre i fiori che appassiscono, i nostri corpi che invecchiano, le uova che si rompono e non si ricostruiscono spontaneamente, e una comune percezione del fatto che l'ordine si trasforma in disordine ci fanno intuitivamente "sentire" il passare del tempo, il concetto vero e proprio è tutt'altro che ovvio, non appena si considerano le leggi fisiche. Il moto, a qualunque scala lo si consideri, e indipendentemente dagli oggetti coinvolti, dai pianeti alle palle da biliardo,
segue le leggi formalizzate da Isaac Newton, che non evidenziano differenze tra futuro e passato. Se dovessimo tornare indietro nel tempo e osservassimo i pianeti muoversi in un moto retrogrado intorno al Sole e dunque andando verso il passato, nulla apparirebbe diverso da ciò che vedremmo osservando le vicende normali in uno specchio. Se facessimo entrambe le cose, cioè se guardassimo in uno specchio e rovesciassimo il corso del tempo, ciò che vedremmo sarebbe identico a ciò che vediamo nella realtà. Per usare la terminologia specifica, diciamo che le leggi newtoniane sono invarianti rispetto alla P, la parità (cioè la simmetria speculare) e a T (il tempo, irreversibile). Esiste un'evidente «freccia del tempo» anche se le equazioni fondamentali non tengono conto di come si svolge il «moto dell'orologio»*. I singoli atomi potrebbero non far caso alla freccia del tempo, ma le interazioni tra un atomo e l'altro, dalle quali sono spinti a muoversi, fa si che un insieme di questi oggetti tenda a diventare sempre più disordinato. Ciò accade perché sono disponibili e possibili diverse circostanze: esiste soltanto un modo in cui gli atomi possono costituire un particolare uovo, ma ci sono innumerevoli modi in cui possono cadere e sparpagliarsi i pezzi del suo guscio quando si spezza. Un unico esempio. Immaginate di giocare una partita di biliardo: all'inizio le dieci palle rosse sono perfettamente disposte a formare un triangolo equilatero. La palla battente le disturba, ne altera l'ordine. Ogni partita da questo momento in poi diventa praticamente unica, diversa da tutte le altre possibili, perché esistono moltissimi modi in cui le palle possono disporsi appena un attimo dopo il colpo di stecca iniziale. E possibile, ma poco probabile, che la palla battente, all'inizio del gioco, non cambi assolutamente la posizione delle palle e ritorni esattamente nel punto in cui si trovava quando l'abbiamo colpita. Soltanto in questo caso non potreste, guardando una ripresa cinema" Se si osservano i pianeti per un intervallo di tempo sufficientemente lungo, è possibile, anche in questo caso, rilevare l'esistenza della freccia del tempo. A causa dell'attrito dovuto alle forze marcali, la Luna si sta progressivamente allontanando dalla Terra e i sensori lasciati sulla superficie del nostro satellite naturale dagli astronauti delle missioni Apollo hanno già potuto dimostrare che questo moto è irreversibile. Tra qualche miliardo di anni, il Sistema Solare a noi noto scomparirà.
tografica della mossa, capire se state vedendo l'evento reale o una sua versione rovesciata nel tempo. Escludendo questa circostanza del tutto improbabile, potrete sempre distinguere la realtà da ciò che si vede in un film proiettato a ritroso perché le palle distribuite casualmente non tendono a riavvicinarsi e a formare un perfetto triangolo equilatero. Basta il disordine di dieci palle da biliardo per rendere avvertibile la freccia del tempo. Per gli oggetti macroscopici il numero degli atomi coinvolti per qualsiasi evento è tanto grande che non è comunque possibile avere dubbi. Tuttavia per singole particelle elementari all'interno degli atomi, la freccia del tempo viene meno, come accade nel gioco del biliardo se sono presenti soltanto due palle. Alla fine della partita sul tavolo sono rimaste la palla nera e la palla battente bianca. E possibile, con un colpo "in pancia", colpire la palla nera, ferma, con la palla bianca in modo che questa si fermi e trasferisca integralmente la propria quantità di moto all'altra. Proiettando "a rovescio" il filmato di questo colpo, il solo dettaglio indicativo del rovesciamento sarebbe il fatto che la palla battente, sempre nera, colpisce la palla ferma, bianca. Dipingete entrambe le palle di bianco e non potrete dire se state vedendo un film proiettato normalmente, oppure "all'indietro". In modo del tutto analogo, al livello degli elettroni, o anche degli atomi, le leggi non sembrano tener conto della freccia del tempo. Per queste singole particelle elettricamente cariche, dovete compiere un'ulteriore modifica: invertire la freccia del tempo, guardare in uno specchio e anche cambiare ovunque il segno della carica elettrica. Ciò che otterrete alla fine si comporta esattamente come l'oggetto da cui siete partiti. Nell'analogia con le palle da biliardo, se scambiate anche il colore delle palle dal bianco al nero, non sarete più in grado di distinguere l'evento reale dal suo "rovesciamento temporale". E questa la simmetria esistente tra materia e antimateria, come appunto quella tra elettrone e positrone. La meccanica degli elettroni e le risposte di questi alle forze agenti sono uguali a quelle dei positroni quando li si vede riflessi in uno specchio e invertendo la freccia del tempo. Cosi accade che le correnti elettriche dovute ai positroni che ruotano in senso antiorario nel LEP siano uguali a quelle
dovute agli elettroni che circolano in senso orario quando li si vede in un film proiettato facendolo "andare ali'indietro". In questo senso un positrone si comporta davvero come un elettrone che vada "indietro nel tempo". I diagrammi di Feynman sono il risultato di una stenografia visiva utilissima per eseguire calcoli senza impantanarsi negli impegnativi procedimenti della meccanica quantistica, nel caso che si stiano studiando particelle cariche che interagiscono con campi elettromagnetici. I diagrammi ci permettono di elaborare le risposte giuste; tengono conto delle insidiose trappole, difficili da individuare, che si incontrano nel descrivere gli stati di energia positiva e di energia negativa: pensare che questi ultimi dipendano da un "ritorno indietro nel tempo" è un accorgimento molto utile per evitare alcune di queste trappole, ma nulla, almeno per quanto mi risulta, può "viaggiare" davvero "indietro nel tempo". Come gli elettroni sono particelle dotate di carica negativa e con energia positiva che si muovono "in avanti" nel tempo, cosi i positroni, che ne sono la versione dotata di carica positiva, hanno essi pure energia positiva e si muovono "in avanti" nel tempo. Immettete un mucchietto di positroni e un altro di elettroni nella cavità del LEP, ad esempio un lunedi, e filmateli mentre, circolando, procedono, come ogni cosa, nel futuro. Alla fine della settimana, proiettate il film "all'indietro" e fate un confronto con quanto avete visto in realtà. Il flusso di cariche dovuto al moto dei positroni appare del tutto uguale al flusso degli elettroni ora che la freccia del tempo è stata rovesciata, né più né meno di come gli elettroni appaiono come positroni in un tempo che scorre "a rovescio"*. I positroni, come ogni pezzo di antimateria, non si comportano diversamente da quanto fanno le particelle della comune materia. La nostra immaginazione è stuzzicata dal potere distruttivo di queste antiparticelle (che le rende, in accordo con l'etimologia, «contrarie alle particelle»), ma esse, per ogni altro aspetto, sono proprio uguali a componenti più familiari del mondo materiale. Stiamo però trascurando gli effetti della gravità terrestre: in questo esempio ideale, per prescindere dagli effetti gravitazionali, dovremmo compiere l'esperimento nello spazio interplanetario.
L'intima simmetria che esiste tra materia e antimateria si rende evidente soltanto quando invertiamo tutte e tre le proprietà: C (carica), P (parità), T (tempo). Più di sessantanni fa, quando Stueckelberg e Feynman portavano avanti il proprio lavoro, si riteneva che bastasse cambiare una qualunque di queste proprietà (come, ad esempio, il solo tempo) per violare la simmetria. Ma le cose non stanno cosi. Oggi sappiamo che, se si rovescia soltanto una caratteristica o anche una coppia di caratteristiche, si rivelano sottili differenze. La materia e l'antimateria possono essere distinte una dall'altra in modo assolutamente sicuro*.
Il comportamento strano delle particelle "strane". Il concetto dell'opposizione tra le forze cosmiche primordiali e della complementarità degli opposti è rappresentato nell'antica filosofia cinese da yin e yang: yin è simbolo dell'oscuro (il lato oscuro della collina), dell'infido, della mano sinistra; yang è simbolo dell'opposto chiaro (il lato soleggiato della collina), del sincero, della mano destra. Materia e antimateria condividono in parte questa misteriosa simmetria, che si scopre essere caratterizzata anche da una essenziale asimmetria come ben dimostrano i singoli di yin e di yang. Esaminiamoli. A prima vista sembra esserci una perfetta contrapposizione tra chiaro e scuro, ma guardando con maggior attenzione, si nota che la simmetria non è poi cosi ovvia, né semplice (si veda la fig. 9). Nel capitolo v ci siamo occupati dei bosoni, entità formate da un quark e da un antiquark. Tra le centinaia di bosoni oggi note, uno è risultato essere in grado di fornire un criterio assoluto per distinguere la materia dall'antimateria. Si tratta di un oggetto curioso, il kaone neutro, indicato, nella stenografia simbolica della fisica delle particelle, con il simbolo K°. Esso è coUn fondamentale strumento matematico indicato come teorema delle simmetrie CPT dimostra che materia e antimateria devono essere speculari se si conservano le tre simmetrie. L'enunciato ha tuttavia anche alcune "righe in carattere piccolo", in cui si impone un'ulteriore restrizione: l'affermazione è valida se si trascurano gli effetti dell'interazione gravitazionale. La questione circa il fatto che materia e antimateria si comportino simmetricamente subendo l'influenza della gravitazione è argomento di accesi dibattiti.
stituito da un quark e un antiquark di sapori diversi, le cui cariche, sommate, danno valore nullo. I due componenti del kaone K° sono un quark di sapore down e un antiquark di sapore strange. Se si cambia la materia in antimateria si avranno un quark strange e un antiquark down, la cui combinazione darà l'anti-kaone neutro, la versione anti- del K°. Il primo indizio delle speciali qualità del K° e della sua antiparticella si è scoperto nel 1964. Un esperimento condotto nel Brookhaven National Laboratory di New York (BNL, la sede è in effetti a Upton, in passato una base militare a Long Island) permetteva di rilevare la combinazione di simmetrie CP, cioè di simmetrie in relazione alla permutazione della carica e alla specularità. Fino a quel momento tutti ritenevano che materia e antimateria dovessero presentare un comportamento identico rispetto a queste caratteristiche: la CP doveva apparire come una simmetria delle leggi di natura. L'esperimento, tuttavia, ha dimostrato, tra lo stupore generale, che le cose non andavano cosi. Quando, nel 1980, James Watson Cronin e Val Logsdon Fitch ricevettero, per questa scoperta, il Nobel per la fisica, su un giornale svedese apparve un articolo sull'assegnazione del premio il cui titolo dichiarava «Le leggi di natura sono sbagliate! » Non è vero: non sono sbagliate, ma si è scoperto che sono assai più sofisticate di quanto chiunque si sarebbe mai aspettato. Oggi comprendiamo meglio ciò che effettivamente accade. Abbiamo perfino trovato alcuni modi per dimostrare l'asimmetria tra il K° e la sua antiparticella in presenta dell'inversione del tempo. Un quark strange, strano, ha massa maggiore di quella di un quark down, ma per altre caratteristiche i due sono assai simiFigura 9. Il simbolo di yin e yang c o n f r o n t a t o con l'immagine speculare del suo " n e g a t i v o " .
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li. Ne consegue che un quark strano può perdere una certa quantità di energia e trasformarsi in un quark down; analogamente un anti-strano può convertirsi in un anti-down. Reciprocamente, se un down o un anti-down ricevono energia possono "rimpolparsi" diventando uno strano e un anti-strano. Queste possibilità hanno fondamentali conseguenze per il K° e per l'anti-K 0 ; essi continuano a scambiarsi le rispettive identità come il dottor Jekyll e mister Hyde del breve romanzo di Stevenson. Nella forma Jekyll abbiamo la combinazione di sapori down e anti-strano. L'anti-strano perde energia e diventa un antidown; ogni tanto questa energia si disperde provocando il decadimento del kaone, ma può anche essere assorbita da un quark down che si trova nelle vicinanze e si trasforma in un quark strano. In questo caso ciò che inizialmente era un down con l'antistrano, si è trasformato in uno strano con anti-down; un K° Jekyll si è mutato in un anti-K0 Hyde (si veda la fig. io). Ecco il significato di questi avvenimenti: K° può diventare anti-iC°; anti-K° può diventare K°; Jekyll diventa Hyde e viceversa. Nella terminologia scientifica del caso specifico, si dice che si è avuta un'oscillazione. Se materia e antimateria sono simmetriche, il cambiamento di K° in anti-K° ha la stessa probabilità di verificarsi del passaggio inverso. Il film che documenta le oscillazioni appare uguale se è proiettato normalmente oppure a ritroso. Se materia e antimateria sono diverse le probabilità di questi scambi possono essere diverse. Come potete guardare dentro a una di queste "bestie rare" per vedere se oscilla più spesso in un senso che nell'altro ? La risposta: dovete guardare con attenzione e scoprire che cosa rimane quando una di esse "muore" perché in questo modo potrete accertare se il caro estinto era un K° oppure la sua versione "anti-". Se riuscite a fabbricare un fascio che sia una miscela 50/50 di K° e del suo gemello "anti-", potrete confrontare la situazione iniziale con quella della miscela dopo la "morte" dei partecipanti. Se il rapporto è diverso da 50/50 si possono dare due spiegazioni: o esiste un'asimmetria nell'oscillazione (il cambiamento di Jekyll in Hyde ha "preferito" una direzione della freccia del tempo invece di quella opposta), o una forma "muore" più in fretta del-
l'altra. Qualunque sia la vera ragione, se ne dovrà dedurre che materia e antimateria sono diverse. Una serie di esperimenti condotti al CERN nel 1998 ha permesso di scoprire che la trasformazione degli anti-K0 in K° avveniva un po' più in fretta del processo inverso. Ciò prova che esiste una direzione intrinseca della freccia del tempo, anche al livello delle particelle fondamentali. E infatti possibile accertare in quale senso "viene proiettato" il film dell'oscillazione tra anti-K° in K°: in avanti, cioè procedendo, se gli anti-iC0 tendono a scomparire, e a rovescio, cioè retrocedendo, se gli anti-K° alla fine sono prevalenti. Ne consegue che, se all'inizio si ha una miscela in parti uguali di Ka e anti-K°, al termine dell'esperimento si sarà sviluppata una lieve preponderanza di K°. Nella breve vita dei kaoni questa diversità è quasi trascurabile e da sola non costituisce un indizio sufficiente a spiegare l'enorme prevalenza, nell'Universo, della materia rispetto all'antimateria. Cionondimeno si tratta di una prova di massima del fatto che una tale asimmetria può svilupparsi. Questi indizi dell'asimmetria tra materia e antimateria si sono rivelati per quello che sono: il risultato di un regalo della naFigura 10. Il kaone K° come Jekyll e H y d e . La sopralineatura dei simboli indica le antiparticelle e gli antiquark. U n kaone e un anti-kaone sono costituiti da un quark down (d) oppure un quark strano (s) e da un antiquark rispettivamente anti-strano e anti-down. Sono illustrati l'effetto della simmetria C (carica), con la trasformazione del quark nella sua "immagine negativa", l'antiquark e l ' e f f e t t o della simmetria P (parità), con il rovesciamento speculare. In effetti il kaone è stato trasformato in un anti-kaone. s
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tura, della sua prodigalità. Oggi sappiamo infatti che la natura non si è fermata al quark down e alla sua versione strana. Gli esperimenti condotti con il LEP Collider hanno dimostrato che, agli inizi dell'Universo, ci sono state tre "generazioni" di quark, come si vede nella fig. 8 (supra, p. i n ) , ma anche tre generazioni di particelle simili all'elettrone, i leptoni, con i relativi neutrini associati. Se si amplia la portata delle ipotesi di Dirac per dar conto del fatto che la natura non utilizza una sola generazione di particelle, ma tre, si deduce che la materia e l'antimateria non devono più essere necessariamente le esatte controparti una dell'altra. La prova empirica di questa realtà si è vista nel comportamento asimmetrico del K° e dell'anti-iC0. Tale prova è diventata più convincente negli ultimi anni con la scoperta di una nuova caratteristica: il quark strano e l'antiquark strano, nel kaone e nell'anti-kaone, sono rimpiazzati da un quark e un antiquark della terza generazione, il cui sapore è bottoni. I bosoni bottom che ne risultano, B e anti-5, dimostrano che esiste una ancor più ampia asimmetria. La circostanza si accorda con quanto era previsto dalla teoria, e prova che l'esistenza di tre sapori e dunque di tre generazioni di quark nell'Universo, consente all'asimmetria tra materia e antimateria di emergere. E ci fornisce inoltre uno strumento di attendibilità assoluta per verificare se una remota galassia è fatta di materia o invece di antimateria. E sufficiente avere a disposizione un alieno intelligente cui rivolgere alcune domande.
Non stringete la mano a un anti-alieno. State sorvolando un qualche pianeta «in una galassia lontana lontana» e siete incerti sulla sua composizione: è di materia o di antimateria ? si può scendervi senza pericolo, o no ? Il piain italiano, la traduzione «fondo», ma anche l'altra possibile, e quasi spontanea, «sedere», non si sono per fortuna affermate; anche per top, le possibili traduzioni «coperchio», «cima» non hanno avuto fortuna. Il solo sapore che viene spesso indicato con la traduzione del termine inglese è strange, indicato come «strano»; anche il sostantivo strangeness è spesso indicato con la traduzione «stranezza». C o n l'eccezione di «strano», tutti gli altri termini sono indeclinabili. [N.d. T ]
neta è abitato da alieni amichevoli con i quali avete stabilito un contatto via radio. Sono molto intelligenti e vi capiscono quando parlate; il loro sviluppo appare notevole e sanno tutto su materia e antimateria. Naturalmente gli alieni sostengono di essere fatti di materia: dopo tutto, sarebbe davvero sorprendente se qualcuno ammettesse che la propria sostanza è "anti-". Come potreste accertare se i loro dizionari e i vostri coincidono ? Quali domande potrebbero rivelare, senza possibilità di equivoci, se essi sono fatti della stessa sostanza degli umani, o se sono alieni antimaterici ? Se materia e antimateria fossero sempre e ovunque perfettamente contrapposte, non ci sarebbe modo di dirimere la questione se non osando, come in una scommessa, un incontro ravvicinato oppure sparando una piccola sonda senza equipaggio e osservare che cosa accade quando l'oggetto colpisce l'atmosfera o l'anti-atmosfera*. Sappiamo comunque che esiste un'asimmetria, piccola ma misurabile e che essa può essere rivelata dalla varietà elettricamente neutra dei mesoni K, i kaoni K°. Il decadimento di questi mesoni dà origine a un pione che può essere positivo o negativo, accompagnati rispettivamente da un elettrone o da un positrone. Se materia e antimateria fossero perfettamente simmetriche, anche questi due decadimenti sarebbero perfettamente equivalenti, essendo del tutto uguali le rispettive probabilità. Nella realtà essi sono lievemente diversi. Il legame esistente in natura tra i mesoni K e anti-K elettricamente neutri è tale che essi talvolta "muoiono" in fretta, ma in altri casi vivono più a lungo. I due possibili comportamenti sono ben distinti e vengono dunque descritte due versioni: il K° a vita breve e il K° a vita lunga (spesso indicati rispettivamente come K°s [da short, breve] e K°L [da long, lungo]). Ognuna delle due versioni presenta un'asimmetria tra materia e antimateria, ma in quella a lunga vita l'effetto è più cospicuo: la probabilità che il decadimento dia origine a un positrone è leggermente più alta di quella relativa alla comparsa di un elettrone. Ogni 2000 Una mossa che potrebbe tuttavia rivelarsi rischiosa: gli anti-alieni, per quanto siano sembrati amichevoli nelle conversazioni via radio, forse reagirebbero in modo drastico di fronte alla dirompente annichilazione di una certa massa di materia nella loro anti-atmosfera.
eventi di questo tipo, in media 1003 danno origine a un positrone e 997 producono un elettrone. Ecco dunque un argomento su cui possiamo discutere con l'alieno. Dovremo, per prima cosa, identificare il kaone. Sarà comunque inutile dire il nome che noi abbiamo attribuito a questo mesone: certamente l'alieno lo indicherà con un nome diverso. Potremo invece identificarlo indicandone una caratteristica su cui saremo tutti d'accordo: la massa. Questa è un po' più grande della metà di quella di un protone o di un antiprotone e non esistono altre particelle con cui possa essere confuso. Perciò diremo all'alieno che ci interessa una particella la cui massa è leggermente più grande della metà di quella della particella di grande massa che esiste nel "nucleo", cioè nell'oggetto al centro del più semplice degli atomi, il protone dell'atomo di idrogeno (o l'antiprotone dell'atomo di anti-idrogeno). La definizione identifica il kaone. Oltre al kaone K°, che non ha carica elettrica apparente, esistono anche un K* e un K~, con cariche rispettivamente positiva e negativa. Dobbiamo dunque accertarci che stiamo parlando con l'alieno della versione neutra della particella. Dobbiamo dirgli che diamo il nome di "carica elettrica" alla proprietà che tiene insieme l'atomo e che ci interessa la particella K che non ha questa proprietà. L'alieno dovrà sapere che questo K° può avere due forme: una di vita breve e una con vita leggermente più lunga, la K°L. Dovremo concentrarci su quest'ultima forma. Arriviamo cosi al punto critico. Nel nostro mondo di materia, quando il K° di lunga vita decade, producendo un pione insieme a un elettrone oppure insieme a un positrone, prevale leggermente l'esito in cui appare il positrone. Chiediamo dunque all'alieno: «La particella di piccola massa che si produce più spesso è la stessa che trovate nei vostri atomi, oppure accade il contrario?» Se l'alieno risponde che è la stessa, si tratta di un positrone. L'alieno è fatto di antimateria e potremo guardarlo da lontano, ma non dovremo mai toccarlo. Se l'alieno risponde che non è la stessa, e dunque che la particella di piccola massa è un elettrone, vuol dire che siamo entrambi fatti di materia e potremo scendere senza pericoli sul suo pianeta.
Capitolo ottavo Perché mai esistono le cose ?
Il mistero dell' antimateria mancante. L'antimateria è al centro di uno dei più grandi misteri: perché l'Universo non ne contiene di più ? Secondo l'opinione più diffusa, la palla di fuoco del Big Bang, quattordici miliardi di anni fa, avrebbe prodotto materia e antimateria in quantità uguali. Questa "transustanziazione" di energia raggiante in particelle e antiparticelle non è stato un viaggio di sola andata: se, in fasi successive, questi due insiemi opposti sono venuti in contatto, si sono annichilati a vicenda e l'energia prima intrappolata, dunque latente, nei minuscoli oggetti, si è liberata sotto forma di raggi gamma. Nel calderone densissimo dell'Universo bambino queste collisioni devono essere state assai frequenti e dunque gli oggetti appena "nati" non devono essere durati a lungo. Se, in una primissima fase, materia e antimateria sono emerse in uguali quantità dal Big Bang, un istante più tardi esse devono essersi annichilate l'una con l'altra. Questa deduzione ci permette di considerare la questione secondo una prospettiva diversa. Il mistero relativo alla scomparsa dell'antimateria passa in seconda linea rispetto a un'altra immediata domanda: perché è sopravvissuta la materia? Forse la risposta può portarci ad ammettere che tra le due esista una qualche differenza, che esse non siano in realtà perfettamente speculari. Sappiamo che esistono sottili differenze nel mondo arcano dei «sapori» strange e bottom, ma i "pezzi" fondamentali (elettroni, protoni, neutroni) sembrano corrispondere perfettamente alle rispettive e opposte antiparticelle. Se esiste qualche differenza, deve trattarsi di qualcosa che va oltre la nostra capacità di vederla e misurarla. Tutto ciò che riguarda materia e
antimateria sembra seguire le previsioni di Dirac: le particelle della materia normale e le relative antiparticelle si contrappongono perfettamente. Per quanto gli atomi di anti-idrogeno siano gli aggregati antimaterici meglio conosciuti, nei più minuti dettagli, la teoria e l'esperienza comportano che tutti gli elementi chimici abbiano una forma "anti-". Come la tavola periodica comprende gli elementi i cui atomi sono costituiti da elettroni che circondano i nuclei a loro volta costituiti da protoni e neutroni, cosi deve esistere una anti-tavola periodica di anti-elementi che emergono da sciami di positroni disposti intorno ad anti-nuclei contenenti antiprotoni e antineutroni. Le leggi della meccanica quantistica spiegano la stabilità degli atomi di materia e dunque anche la stessa stabilità per gli atomi di antimateria. I segni delle cariche elettriche sono tutti opposti, ma le leggi di attrazione tra cariche di segno opposto e di repulsione tra cariche di segno uguale rimangono le stesse. Le complesse interazioni che dànno origine agli amminoacidi, al DNA e al fenomeno vita permettono analogamente agli anti-elementi di costruire ogni struttura in un anti-DNA e perfino in un'anti-vita. La chimica dell'antimateria è la stessa che vale per la materia: anti-pianeti e antimateria in tutte le possibili forme possono esistere come la più comune materia che predomina nell'Universo a noi noto. Ci sono anti-galassie di anti-stelle intorno alle quali ruotano anti-pianeti che aspettano astronauti di cui non si sospetta neppure l'esistenza, nelle zone più remote dell'Universo? Siamo proprio sicuri che non ci sia antimateria sparpagliata da qualche parte, laggiù ? La Terra non è uguale alla maggior parte dell'Universo*. Siamo atipici se si considera l'abbondanza degli elementi e lo stesso si può dire se si prende in considerazione l'antimateria. Ammettere o constatare che dalle nostre parti non c'è antimateria A d esempio, l'idrogeno è relativamente raro sul nostro pianeta, ma è l'elemento più comune nell'Universo. Esso è l'ingrediente fondamentale delle stelle simili al nostro Sole: questo elemento chimico si trasforma lentamente, nei nuclei stellari, dando origine a tutti gli altri elementi di massa atomica via via più grande. Scegliendo però a caso un certo volume dell'Universo che abbia un diametro di qualche milione di anni-luce, elementi come il carbonio, l'azoto, l'ossigeno, il ferro, l'argento, l'oro potrebbero essere quasi assenti.
è dunque tutt'altra cosa dal supporre che una tale circostanza sia vera ovunque e che tutta la sostanza dell'Universo sia costituita da materia, con la totale esclusione dell'antimateria. Come possiamo conoscere la composizione di una stella lontana, che vediamo come una debole candelina persa nell'immensità dello spazio ? Tutto ciò che riusciamo a vedere dalla Terra è la luce delle stelle e poiché non esiste alcuna buona ragione per ipotizzare che gli spettri degli anti-elementi siano in qualche modo diversi da quelli degli elementi, non siamo in grado, semplicemente guardando la volta del cielo notturno, anche utilizzando uno spettrometro, di distinguere le stelle dalle anti-stelle. Gli astronauti sono discesi sulla Luna e altrettanto hanno fatto varie sonde robotiche scendendo sul suolo di Marte senza che si sia avuta un'annichilazione, dunque possiamo dedurre che lassù non c'è antimateria. Il sistema planetario di cui facciamo parte è immerso nel vento solare, costituito da sciami di particelle subatomiche emesse dal Sole. Se il Sole fosse un'anti-stella e il vento solare fosse costituito da antiparticelle, potremmo rilevare i raggi gamma prodotti da questi minuscoli oggetti quando si annichilano con la materia dei pianeti. Ma non vediamo alcun raggio gamma di questo genere. Una tale constatazione dimostra l'insulsaggine delle affermazioni di chi crede che le comete siano costituite da antimateria 1 . Poiché un'eventuale anti-cometa dovrebbe comunque attraversare il Sistema Solare, l'emissione di raggi gamma al suo passaggio dovrebbe essere enorme, dato che ogni grammo di sostanza libera, con l'annichilazione, una quantità di energia pari a quella di un ordigno nucleare come la bomba "atomica" sganciata su Hiroshima 2 . La sonda Giotto ha trasmesso con successo immagini dalla parte interna della cometa di Halley. Se davvero esistessero anti-comete e anti-meteoriti costituirebbero tutt'al più un miliardesimo della sostanza presente nel Sistema Solare3.
' Si consulti ad esempio il sito http://www.matterantimatter.com. ' Si veda l'Appendice: «I costi dell'antimateria». ' DANIELE FARGION e MAXIM YU KHLOPOV, Antimatter bounds from antiasteroid annihilation in collhiom with planets and Sun?, in « Astroparticle Physics», voi. X I X , 2003, pp. 441-46.
Quando le stelle esplodono, i frammenti sono eiettati nello spazio e, se vengono catturati dal campo magnetico del nostro pianeta, cozzano, come raggi cosmici, contro la parte più esterna dell'atmosfera. Tenendo conto che nei raggi cosmici sono stati rilevati positroni e che in questi raggi si sono individuati anche antiprotoni, può essere suggestiva e affascinante l'idea che tali antiparticelle siano i resti di anti-stelle esplose a grandi distanze dal nostro sistema. Ma le cose non stanno cosi: questi positroni e questi antiprotoni sono i "resti" formatisi per l'impatto di raggi cosmici ad altissima energia costituiti da normale materia contro atomi di gas presenti nella parte più alta dell'atmosfera terrestre. Se un'anti-stella fosse esplosa riempiendo il cosmo di anti-elementi, anche questi ultimi sarebbero presenti, ma nessun anti-elemento o anti-nucleo è stato finora evidenziato nei raggi cosmici che entrano nell'atmosfera. Le ricerche per individuare l'antimateria nei raggi cosmici al di sopra della nostra atmosfera sono condotte attualmente dal satellite AMS (acronimo di AntiMatter Spectrometer, «spettrometro per antimateria») e con strumenti portati da palloni-sonda fino al confine tra atmosfera e spazio interplanetario al di sopra del Polo Sud4. Non è stato rilevato nulla di simile, neppure un semplice frammento di anti-elio, mentre abbondano i singoli positroni e antiprotoni. E possibile che questi anti-elementi siano stati distrutti durante il loro viaggio nello spazio ? Per quanto si possa proporre una tale ipotesi, manca qualunque prova per sostenerla. Dovrebbero infatti essere osservabili e riconoscibili i lampi di raggi gamma prodotti dalle annichilazioni di positroni con elettroni nel mezzo interplanetario o interstellare e anche l'annichilazione di antiprotoni dovrebbe produrne. Sappiamo che il mezzo interstellare è assai rarefatto e praticamente vuoto, tuttavia ciò non significa che questo spazio sia davvero e completamente vuoto, dunque se parti di antimateria viaggiassero nello spazio coprendo distanze di molti anni-luce, dovrebbero comunque prima o poi collidere con qualcosa e rivelare la propria esistenza. Con* Si veda l'articolo The Hunt/or Antihelium, 2007.
in Britannica online, Science News, 21 maggio
sideriamo inoltre che ci sono milioni di galassie distribuite in tutto lo spazio, molte delle quali sono coinvolte in incontri ravvicinati e sono deformate quando le forze mareali dovute agli effetti dell'interazione gravitazionale agiscono sulle singole stelle che le compongono. Se una qualunque di queste galassie in collisione fosse formata da anti-stelle, si dovrebbero osservare evidenti lampi di raggi gamma in corrispondenza dei loro confini, ma, ancora una volta, nessuno di questi lampi è mai stato visto o registrato. Ogni traccia dell'antimateria sembra essere dovuta alla sua transitoria formazione in seguito a collisioni in cui è coinvolta la normale materia, cosi come accade tra i raggi cosmici e l'atmosfera della Terra. Per trent'anni i raggi gamma provenienti dal centro della nostra Galassia ci hanno segnalato che in quella regione esistono nubi di positroni. Nel 2008, utilizzando il telescopio spaziale installato nel laboratorio INTEGRAL (International Gamma-Ray Astrophysics Laboratory) dell'ESA, l'Agenzia Spaziale Europea, si è scoperto che questi positroni si trovano nelle vicinanze di stelle binarie emittenti raggi X . Si tratta di stelle comuni mangiate vive (o, se preferite, fagocitate) da stelle di neutroni o da buchi neri. Il materiale gassoso della stella morente si dispone seguendo una traiettoria a spirale mentre cade verso l'astro cannibale e diventa straordinariamente caldo: da esso si formano coppie di elettroni e positroni 5 . Più vicino a casa nostra, un immenso brillamento solare ha prodotto, nel 2002, particelle dotate di altissima energia che entrarono in collisione con particelle meno veloci presenti nell'atmosfera dello stesso Sole, dando origine a positroni. Si è stimato che quell'evento abbia prodotto più di mezzo kilogrammo di positroni; se l'energia liberata dalle successive annichilazioni fosse stata ricuperata essa avrebbe potuto alimentare tutta la rete elettrica del Regno Unito per due giorni'. ' Si veda l'articolo An asymmetric dìstribution of positroni in the Gaiactic disk revealed by y-rays di George Weidenspointener, Gerry Skinner, Pierre Jean, Jürgen Knödlseder, Peter von Ballmoos, Giovanni Bignami, Roland Diehl, Andrew W . Strong, Bertrand Cordier, Stéphane Schanne, Christoph Winkler, in «Nature», vol. C D L I , 2008, pp. 159-62. ' Si veda il capitolo ix e il rapporto Energy Consumption in the UK all'indirizzo http://www. berr.gov.uk/files/filell250.pdf.
L'insieme di queste prove indica che, escludendo le antiparticelle apparse fuggevolmente nei casi appena citati, ogni cosa naturale che ci circonda, per molte centinaia di milioni di anni-luce è costituita da materia. Si tratta di un volume enorme, senza dubbio, ma soltanto di una parte dell'Universo visibile. Rimane ancora un sacco di spazio inesplorato in cui potrebbe essere predominante l'antimateria. E possibile che materia e antimateria si siano separate in due vastissime regioni indipendenti ? L'Universo che oggi vediamo è il freddo residuo di quanto ha avuto origine nel caldissimo Big Bang e, come sappiamo, quando le cose si raffreddano, cambiano aspetto e natura: le gocce d'acqua si congelano e diventano fiocchi di neve, i metalli a temperature molto basse diventano magnetici. Analogamente regioni separate di materia e antimateria possono essersi formate mentre l'Universo si raffreddava. Subito dopo il Big Bang, il neonato Universo spumeggiava di energia raggiante, mentre materia e antimateria si formavano e scomparivano annichilandosi di continuo. Poi l'Universo ha incominciato, come ogni cosa, a invecchiare, e a raffreddarsi, finché non è stato più abbastanza caldo da riuscire a rimpiazzare con nuova sostanza la materia e l'antimateria che si erano appena annichilate. Per le consuete leggi della probabilità devono essersi formate alcune regioni caratterizzate da una lieve eccedenza della materia e altre in cui c'era un'altrettanto lieve eccedenza di antimateria. L'ulteriore e continuo raffreddamento dell'Universo ha permesso alle stelle e agli elementi chimici di formarsi, partendo, nelle regioni dove era prevalente la materia, dalle particelle fondamentali che si legavano strettamente le une alle altre, mentre si formavano anti-stelle nelle regioni dove prevaleva l'antimateria. Per quanto sia possibile che una tale sequenza di eventi corrisponda alla realtà dei fatti, molti modelli interpretativi la smentiscono. E opinione comune che tutto l'Universo osservabile sia fatto di materia e non di antimateria. In media cinque metri cubi di spazio interstellare contengono un protone, nessun antiprotone e dieci miliardi di quanti di radiazioni (elettromagnetiche). Tutto ciò che sappiamo dell'Universo primordiale, in base a proposte teoriche, osservazioni e risultati degli espe-
rimenti condotti con il LEP, sembra indicare che, nella fase rovente immediatamente successiva al Big Bang, le quantità appena citate debbano esser state diverse: dieci miliardi di quanti di radiazioni, dieci miliardi di antiprotoni e, per i protoni, dieci miliardi e uno. Se ne deduce che uno dei primi eventi successivi alla comparsa di "qualcosa che prima non c'era" sia stata una Grande Annichilazione, e conseguentemente che l'Universo attuale in cui predomina la materia sia costituito dai residui di un ancor più imponente evento iniziale. Se le cose stanno proprio cosi, qualcosa deve essere accaduto ancor prima di questa annichilazione per far pendere la bilancia dalla parte dei protoni con un prevalere di questi ultimi per una parte su dieci miliardi. Qualcosa deve rendere diversa la normale materia dall'antimateria. Per scoprire di che cosa potrebbe trattarsi, dobbiamo prima fare chiarezza su come la materia che oggi conosciamo sia emersa dal Big Bang.
Il bis del Big Bang. La materia comune qui sulla Terra non è uguale in tutto l'Universo, già lo sappiamo; ma c'è di più: la materia si è evoluta nel corso degli eoni. Sulla Terra, la materia è costituita da atomi: elettroni imprigionati dalla forza elettromagnetica che li attira ed è esercitata dal nucleo atomico. All'aumentare della temperatura, gli atomi cozzano e rimbalzano uno contro l'altro sempre più violentemente e i loro elettroni vengono spostati in vari modi e talvolta strappati via. Quando la temperatura supera i 10000 ° C , gli atomi non possono più continuare a essere formati da un unico pezzo. Gli elettroni sono svincolati e fluiscono liberamente in un gas di particelle elettricamente cariche che costituisce lo stato fisico detto «plasma». Nel centro del Sole dove la temperatura supera il milione di gradi, l'idrogeno è "smontato" del tutto ed esistono un plasma di elettroni e un plasma di protoni. Possiamo condurre esperimenti con fasci di elettroni e protoni e osservare come si comportano quando collidono gli uni contro gli altri con energie tipiche di quelle altissime temperature. Ne risulta confermato che il Sole è davvero
un enorme reattore nucleare a fusione che opera realizzando il primo stadio o, se vogliamo, seguendo la prima ricetta della "cucina" chimica. Gli esperimenti dimostrano che la materia, sottoposta a ulteriori aumenti della temperatura, assume nuove inedite forme. Mentre possiamo dire che gli elettroni rimangono se stessi a tutte le temperature, dobbiamo constatare che i protoni e i neutroni non lo fanno. Nelle situazioni ambientali che si hanno sulla Terra e che vanno considerate "fredde", ma anche nel centro, caldissimo, del Sole, protoni e neutroni rimangono grumi di quark tenuti insieme dai gluoni. A temperature molto più alte, al limite delle situazioni che possono essere studiate con i più potenti acceleratori di particelle oggi disponibili, la materia dei nuclei sembra sciogliersi: come gli atomi si trasformano in un plasma elettricamente conduttore oltre i diecimila gradi, cosii protoni e i neutroni, se le temperature sono superiori a circa un milione di miliardi di gradi, si trasformano in un «plasma di quark e gluoni». Oggi in nessuna parte dell'Universo fa cosi caldo, se non si contano le situazioni transitorie realizzabili negli acceleratori ad alta energia con la collisione di particelle. Già cinquant'anni fa il bevatrone operante nel Laboratorio Lawrence di Berkeley era in grado di produrre situazioni con temperature ben più alte di quelle del centro del Sole; oggi possiamo simulare le condizioni che dovevano sussistere negli istanti immediatamente successivi al Big Bang. Ed è proprio in queste situazioni che l'antimateria, sotto forma di antiprotoni e positroni, si rivela come lo strumento d'indagine più adatto. Quando i protoni si schiantano contro bersagli di materia (come, ad esempio, altri protoni) gran parte della loro energia va sprecata nello sparpagliamento di vari oggetti e soltanto una frazione rimane disponibile per dare origine a nuove particelle. Comunque se si accelerano le antiparticelle portandole quasi alla velocità della luce e le si fa poi collidere frontalmente con un fascio di particelle che ne rappresentano la nemesi e sono dotate anch'esse di una velocità altissima, si provoca un'annichilazione totale: tutta l'energia prima legata nella E = me2 di ognuno di questi minuscoli oggetti viene liberata.
Gli esperimenti compiuti con il LEP, di cui si è parlato nel capitolo vi, hanno confermato che il Big Bang ha prodotto, sparpagliandoli ovunque, elettroni e positroni, quark e antiquark, e un sacco di fotoni e di gluoni. Tale era la situazione in quella remotissima alba quando la temperatura era di vari miliardi di gradi, ben più alta di quella attuale del Sole. Poi, mentre l'Universo diventava via via più vecchio e più freddo, i pezzi fondamentali si sono raggruppati costruendo strutture sempre più complesse. I quark si sono riuniti in terzetti legati dai gluoni, formando le strutture permanenti cui abbiamo dato il nome di protoni e neutroni e le palle di plasma che questi hanno costituito, le stelle, hanno incominciato a seguire le ricette di cucina per produrre i semi degli elementi chimici. La temperatura si è ancora abbassata, tendendo a diventare quella che oggi indichiamo come temperatura ambiente, e questi semi nucleari sono riusciti a trattenere gli elettroni di passaggio, formando gli atomi, quindi tutta la chimica, la biologia, la vita. Riusciamo a capire abbastanza bene come si è formata la materia nella forma a noi nota e come si è evoluta nel corso dei v quattordici miliardi di anni trascorsi dal Big Bang. E quasi ironico constatare che abbiamo appreso molto di questa vicenda utilizzando antiprotoni e positroni come strumenti per guidarci indietro nel tempo a vedere come si è formata la materia. Se ci fossero stati, nel cosmo, antiprotoni e positroni in abbondanza essi avrebbero avuto la possibilità di aggregarsi per effetto della gravitazione formando stelle, nelle cui cucine cosmiche si sarebbero cotti gli ingredienti per fare gli anti-elementi. Il messaggio che abbiamo decifrato ci dice che materia e antimateria si sono formate come coppie simmetriche di oggetti speculari; però soltanto la materia è riuscita a sopravvivere. Da qualche parte nei primissimi istanti dell'Universo, ancor prima che si concludesse il miliardesimo di secondo su cui abbiamo ottenuto informazione dagli esperimenti realizzati con il collisore LEP, si deve essere sviluppato uno squilibrio tra materia e antimateria.
Neutrini. Nel capitolo VII abbiamo imparato che l'asimmetria tra materia e antimateria è naturale in un Universo a tre generazioni. Quando questa realtà è stata osservata per la prima volta nelle particelle strange e bottom, la scoperta ha fatto colpo, tuttavia, con l'accrescersi dei dati disponibili, è apparso chiaramente che tali fenomeni, coinvolgenti quark e antiquark, non possono dar conto della prevalenza, in termini quantitativi, della materia, nell'Universo attuale. In tempi recenti, l'attenzione dei ricercatori si è rivolta ai leptoni, particelle simili agli elettroni, e ai loro "fratelli" privi di carica elettrica, i neutrini. Ciò che va bene per tre generazioni (e sapori) di quark, vale ugualmente per tre generazioni di leptoni e, anche in questo caso, può emergere un'asimmetria tra materia e antimateria, per lo meno in teoria. Proprio su questi argomenti si focalizza la ricerca di una possibile soluzione al problema dell'antimateria mancante. I primi a poter essere sospettati come responsabili del fenomeno sono i neutrini. Tra tutte le particelle dell'Universo, i neutrini sono le più pervasive, ma sono anche le più elusive. Si tratta degli oggetti più prossimi al nulla, tra le "cose" a noi note. Non hanno carica elettrica, hanno massa piccolissima e sono in grado di attraversare la Terra come un proiettile attraversa un banco di nebbia: sono tanto simili a fantasmi che, cinquantanni dopo la loro scoperta, sappiamo di essi meno di quanto sappiamo delle altre particelle. Ciò non toglie che, negli ultimi anni, abbia preso consistenza il sospetto che i neutrini possano fornire la chiave per risolvere il problema dell'antimateria mancante nell'Universo. I neutrini sono materia o antimateria? Essi non hanno carica elettrica, come un fotone o come uno Z°, ma diversamente da questi bosoni, che non sono né materia né antimateria (si veda supra, p. 79), i neutrini sono fermioni, cioè soddisfano la statistica di Fermi-Dirac e il loro comportamento è descritto dalle equazioni di Dirac: essi hanno dunque a che fare con le "cose", con la materia e l'antimateria. Che cosa distingue un neutrino (neutro) da un antineutrino (esso pure neutro) ?
Diversamente da quanto accade per un neutrone e un antineutrone, che possono essere distinti in base alla rispettiva struttura interna di quark e antiquark, il neutrino non ha una struttura interna: è un fuoco fatuo, costituito da un pezzo di nulla che gira come una trottola e svolazza nello spazio a una velocità prossima a quella della luce nel vuoto. Girare come una trottola è praticamente la sua unica attività, ma è proprio questa sua caratteristica a offrirci la possibilità di prendere una decisione a proposito dell'enigma «materia o antimateria»*. Per cinquantanni si è ritenuto che questa proprietà permettesse di distinguere i neutrini (materia) dai corrispondenti antagonisti, gli antineutrini (antimateria). Tuttavia, da un paio di anni, si è sviluppata l'allettante idea che, mentre il fotone non è «e materia né antimateria (lo stesso accade anche per altri bosoni), possa invece esistere una versione pili massiccia del neutrino che appartiene a entrambe le categorie! Se tali bizzarre entità si fossero davvero formate nel calderone del Big Bang, l'eredità toccata alla loro progenie potrebbe esser stata suddivisa in modo ineguale in ciò che noi oggi indichiamo come materia e antimateria. Chiediamoci dunque: qual è la vera storia del neutrino ? Queste particelle compaiono in alcune forme di radioattività. Quando un protone, in un nucleo, si trasforma in un neutrone, il disavanzo di energia dà origine a un positrone e a un neutrino. La carica elettrica si è conservata e si è conservato il numero dei fermioni "al netto" (nel senso che si è conservato il numero dei fermioni avendo già tenuto conto della sottrazione del numero dei fermioni di antimateria da quello dei fermioni di materia). Il positrone pareggia la carica elettrica: una carica unitaria positiva esiste prima dell'evento (quella del protone) e una uguale esiste dopo (quella del positrone); il numero netto dei fermioni si conserva perché l'antimateria del positrone è controbi-
* La teoria dei quanti ci dice che i neutrini possono temporaneamente dare origine (come in una "trasmutazione" eseguita da un abile prestigiatore) a un elettrone e un bosone W * e che un antineutrino può simmetricamente trasmutarsi in un positrone e in un W ' . Questa circostanza ci offre un mezzo molto sofisticato per distinguerli uno dall'altro, ma una sua rilevazione e osservazione sperimentale è al di là delle nostre possibilità.
lanciata dalla materia del neutrino. Nella reazione opposta, quando un neutrone decade, si formano un protone, un elettrone e un antineutrino. Si tratta del fenomeno detto in passato decadimento beta, perché i fasci di elettroni erano allora indicati, dai ricercatori che si occupavano di radioattività, come «raggi beta». Se poi un neutrino o un antineutrino urtano contro pezzi di materia si manifestano dando origine ai processi inversi. Un neutrino può trasformare un neutrone in un protone, accompagnato da un elettrone, e un antineutrino può trasformare un protone in un neutrone, accompagnato da un positrone. I neutrini sono dotati di spin, come gli elettroni. Come abbiamo già visto all'inizio della nostra storia, gli elettroni hanno una carica elettrica (negativa) e hanno uno spin, uno specifico moto di rotazione che li rende simili a minuscoli magneti; mentre si spostano volando incessantemente possono assumere uno di due possibili orientamenti del "magnete", possono cioè puntare il proprio Polo Nord in modo che indichi la direzione e il verso dello spostamento o, al contrario, possono indicare tali caratteristiche con il proprio Polo Sud. Per farci un'idea di queste situazioni antitetiche pensiamo a un cavatappi che si può far girare in un senso o nel senso opposto, o meglio a una vite, il cui "filo" si avvolge in senso orario, e a un'altra vite, il cui "filo" si avvolge in senso antiorario (compiendo la stessa azione, con un cacciavite, avviteremmo una delle viti e sviteremmo l'altra). Le viti dei due tipi si dicono spesso destrorsa e sinistrorsa, o destrogira e levogira, ma più correttamente sono indicate come oraria e antioraria; la stessa nomenclatura è adottata, nel gergo della fisica, per lo spin: l'elettrone può avere spin antiorario, o levogiro, oppure orario, o destrogiro. I neutrini non hanno carica elettrica e non hanno dunque un campo magnetico specifico, ma anche per essi sussiste una doppia possibilità per la caratteristica dello spin. Negli esperimenti di maggior successo condotti nell'ultimo mezzo secolo, si è sempre osservato che i neutrini avevano spin antiorario, mentre gli antineutrini "giravano su se stessi" in senso orario. Tutti sappiamo che osservando in uno specchio le lancette di un orologio le vediamo girare in senso antiorario, dun-
que un neutrino, con spin antiorario, visto idealmente in uno specchio, apparirà come un antineutrino con spin orario. Basta guardare un neutrino in uno specchio per trasformarlo in un antineutrino ? Il primo passo da compiere per sciogliere l'enigma è chiedersi: come possiamo accertare se abbiamo a che fare con un neutrino o invece con un antineutrino oltre che osservando il verso dello spin ? A meno che non esista qualche altra caratteristica per identificare il neutrino come «particella» e Tantineutrino come «antiparticella», l'unico criterio per distinguerli consiste nell'osservare il processo che li ha prodotti, rispettivamente insieme a un positrone oppure, in alternativa, insieme a un elettrone. A questo punto vale la pena di considerare con attenzione il significato che attribuiamo al termine antiparticella. Tutti noi avvertiamo il "senso" della materia ma sappiamo anche, per averlo appreso, che essa è costituita da elettroni con carica elettrica negativa e da protoni con carica positiva. La versione dell'elettrone con carica positiva è detta positrone; se la versione negativa del protone fosse indicata come «negatone», i due oggetti sembrerebbero essere semplicemente due nuove particelle. Soltanto se invece li indichiamo rispettivamente come «anti-elettrone» e «antiprotone» e concentriamo la nostra attenzione sul fatto che sono in grado di annichilare, cioè di "ridurre al nulla" (secondo l'etimologia) i loro "doppi", l'idea di una «antimateria» incomincia a sollecitare la nostra immaginazione. Se ci mettiamo a considerare i neutrini, dobbiamo ammettere che stiamo discutendo di particelle con cui non abbiamo familiarità, nel mondo di materia dove si svolge la nostra vita d'ogni giorno. Si spostano qua e là come fugaci apparizioni, raramente si rivelano e di certo non sono intrappolate dalla materia. Invece di pensare, come si è sempre fatto, per tradizione, che il neutrino e l'antineutrino sono pezzi di materia e di antimateria e che distinguiamo l'uno dall'altro in base alla loro affinità con l'elettrone o con il positrone, potremmo invece dire che esiste un unico neutrino e che il suo spin antiorario preferisce comparire con l'elettrone mentre il suo spin orario preferisce invece il positrone. Per mezzo secolo si è ritenuto che i neutrini fossero privi di massa e che spiraleggiassero attraversando lo spazio alla velo-
cita della luce. Negli ultimi cinque anni abbiamo però scoperto che questa descrizione non corrisponde alla realtà. I neutrini, emessi nei comuni fenomeni dovuti alla radioattività o nei processi di fusione nucleare che si svolgono nel cuore del Sole, hanno una piccolissima massa. E cosi piccola che nessuno finora è riuscito a misurarla esattamente; comunque, se aveste una qualche bilancia adatta al mondo subatomico, ci vorrebbero almeno diecimila neutrini su un piattello per fare equilibrio a un solo elettrone sull'altro piattello. Questo valore irrisorio di una caratteristica dell'oggetto ha conseguenze di enorme importanza. La teoria della relatività einsteiniana esige che un fermione in moto alla velocità della luce conservi le proprie caratteristiche levogire o destrogire: la particella non può cambiare passando da una caratteristica all'altra, opposta. Le particelle dotate di massa (oggi sappiamo che il neutrino è tra queste) possono avere spin levogiro oppure destrogiro ed è possibile che, per interazioni con altre particelle esse passino da uno spin all'altro. Ne consegue che i neutrini possono avere spin antiorario (levogiro) oppure orario (destrogiro). Questa possibilità vale anche per gli antineutrini. Che queste spettrali entità si adeguino alla norma «levogiro: materia» e «destrogiro: antimateria», ovvero che un neutrino appartenga a entrambe le categorie (materia e antimateria), nel senso che il neutrino e la sua antiparticella non sono oggetti davvero distinguibili e diversi, rimane una questione aperta. Una tale possibilità era stata evidenziata da Ettore Majorana, fisico teorico italiano, poco dopo la pubblicazione delle equazioni di Dirac, con la loro implicita richiesta di ammettere l'esistenza di materia e antimateria. Il fatto che la natura possa impiegare i «neutrini di Majorana» costituisce oggi uno dei più stimolanti argomenti di studio per i fisici delle particelle. Una delle ragioni di questo interesse deriva dalla possibilità che l'ipotesi assuma un ruolo fondamentale nella spiegazione dell'origine del nostro Universo in cui è dominante la materia. Se i neutrini non avessero massa, come in precedenza si credeva, il mistero che li circonda rimarrebbe comunque complesso, ma essi potrebbero trovare posto nella descrizione generale delle particelle e delle interazioni indicata come Modello Stan-
dard. Proprio cercando di capire perché i neutrini hanno masse cosi minuscole, cosi prossime al valore zero, se confrontate con quelle dell'elettrone e del positrone, e tuttavia non nulle, si sono sviluppate ipotesi radicalmente nuove. Secondo un'argomentazione teorica promettente, oltre ai neutrini noti, di massa piccolissima, ne esistono altri, i neutrini di Majorana, di massa decisamente grande, che aspettano di essere scoperti. Queste ipotetiche bestie rare sono dette majoroni. Se l'ipotesi corrisponde alla realtà, per quanto oggi siano al di fuori della nostra portata, i majoroni potrebbero essere comparsi nel caldissimo Big Bang insieme a ogni altro oggetto. Ciò avrebbe conseguenze sensazionali per la natura dell'Universo attuale. Se i majoroni si sono estinti, l'Universo "moderno" contiene la loro progenie. In base alla teoria che lo descrive, il majorone, fermione elettricamente neutro dotato di grande massa, potrebbe irradiare energia sotto forma di «bosoni di Higgs» e dare origine a un neutrino e a un antineutrino. E potrebbe farlo con tutti e tre i sapori dei neutrini o dei loro corrispondenti antineutrini, senza che esista una ragione per cui questo decadimento debba fornire un numero uguale di neutrini e antineutrini. Ecco dunque un implicito suggerimento a immaginare un processo con il quale i majoroni possono averla avuta vinta nell'apocalittica Grande Annichilazione, lasciando a noi "qualcosa", invece di nulla. Vediamo come potrebbero essersi svolti i fatti.
Apocalisse, ma non proprio. Immediatamente dopo il Big Bang, quando l'Universo era ancora caldissimo, i majoroni devono aver raggiunto l'equilibrio termico: devono cioè essersi formati nel calderone primordiale in una certa quantità, sempre decadendo, contemporaneamente, in una quantità uguale. L'Universo comunque si stava raffreddando molto in fretta e, all'abbassarsi della temperatura, è stata raggiunta una fase in cui l'energia non era più sufficiente per la formazione di nuovi majoroni e quelli che "morivano"
non potevano più essere rimpiazzati. Questi oggetti sono morti per non ricomparire mai più: ne sono sopravvissuti soltanto i discendenti. E dunque in tale fase che si è formata una popolazione sbilanciata, cioè non suddivisa in parti esattamente uguali, di neutrini e antineutrini, come residuo fossile degli ormai estinti majoroni. Si tratta del primo passo, certamente critico, utile per spiegare la produzione di neutrini, ma vien fatto di chiedersi come esso abbia potuto sostenere la produzione della materia in generale e il prevalere della stessa. La risposta è fornita dall'evento verificatosi un po' più tardi, nell'Universo in via di raffreddamento. Dall'energia si formano quark e antiquark, elettroni e positroni. Si forma anche una certa quantità aggiuntiva di quark e antiquark in un processo uguale a quello descritto prima: ora neutrini e antineutrini collidono con elettroni e positroni. Ben presto il raffreddamento è tale che questa produzione si arresta e tutto è pronto per la Grande Annichilazione. Fermiamoci comunque un attimo per considerare quale sia stato il contributo fornito dai majoroni. La loro morte ha dato origine allo sbilanciamento tra neutrini e antineutrini e, proprio nella tumultuosa fase successiva, quando miriadi di particelle e antiparticelle sono state colpite dalla miscela asimmetrica di neutrini e antineutrini, si è prodotto, nella formazione dei quark e degli antiquark, il prevalere, in termini di quantità, dei primi sui secondi. Ecco dunque la Grande Annichilazione che, in un lampo, annichila tutta l'antimateria insieme a un'equivalente parte di materia. La progenie dei majoroni ha prodotto un universo dove una manciata di quark "in più" sopravvive ogni dieci miliardi di quark che scompaiono insieme ai corrispondenti antiquark. I sopravvissuti si raffreddano ulteriormente e formano un universo, il nostro Universo, in cui predomina la materia e dove i protoni sono stabili (almeno nella scala temporale dei quattordici miliardi trascorsi) e la materia, cosi come la conosciamo, esiste. Oggi come oggi questa è la migliore proposta teorica per spiegare come si sia prodotta l'asimmetria tra materia e antimateria. G l i sperimentatori cercheranno prove dell'esistenza
dei majoroni nei dati forniti dalla serie di esperimenti appena ripresi al CERN, impiegando I'LHC. Sono anche in corso nuove indagini sui raggi cosmici. Comunque, fino a quando queste ricerche non saranno concluse, tutta la sequenza di eventi qui proposta rimarrà una teoria, certamente eccitante, ma non convalidata da prove. E però chiaro che l'asimmetria tra materia e antimateria si è manifestata quando l'Universo era molto più giovane e molto più caldo e presentava caratteristiche assolutamente eccezionali, oggi non ottenibili nei laboratori. Non è dunque possibile trasformare la materia in antimateria riproducendo tali condizioni. Per ottenere come risultato la possibilità di usare l'antimateria come fonte d'energia si deve mettere a punto qualche altro procedimento.
Capitolo nono Vero e falso
Antimateria. Realtà romanzesca. Fattoidi. Miliardi di anni fa l'energia si è concentrata o coagulata in materia e antimateria. Qui, sulla Terra, è rimasta imprigionata nella materia per vari eoni finché la società umana ha imparato a liberarne una piccola frazione dalle sostanze chimiche e dai nuclei degli atomi di uranio. E più semplice ottenere energia da alcune forme di materia che da altre: ciò che occorre è un efficiente detonatore. L'antimateria dovrebbe essere ideale per tale applicazione, perché il solo contatto con essa libera tutta l'energia latente in qualsiasi "cosa". Il problema pratico deriva dal fatto che l'antimateria è da tempo scomparsa dall'Universo, almeno qui intorno a noi, dunque prima di sfruttarne praticamente le proprietà pirotecniche dovremmo noi stessi produrne una certa quantità. A questo punto ci troviamo a dover fare i conti con le restrizioni imposte dalla natura. Ecco una verità fondamentale. Se si produce antimateria in base alla formula E = me2 si produce sempre e contemporaneamente una quantità uguale di materia. Rimettete insieme queste due quantità, annichilandole e potrete ricuperare l'energia spesa soltanto se non ne avete persa nemmeno un po'. In pratica se ne perde una quantità enorme, ma anche se si potesse rendere il processo efficientissimo, non potremo mai ricuperarne di più di quanta ne abbiamo spesa. Non serve a nulla intensificare le ricerche o costruire apparati che impieghino tecnologie più sofisticate per cercare di eludere queste limitazioni: esse corrispondono a leggi di natura. L'antimateria potrebbe diventare una fonte di energia pratica soltanto se se ne trovassero, da qualche parte, grandi quantità, analogamente a quanto accade per i giacimenti di petrolio in varie aree del pianeta Terra.
Per ammettere che l'antimateria possa ancora esistere in qualche remoto luogo dobbiamo credere a chi interpreta l'evento verificatosi nel 1908 lungo il corso della Tunguska come il risultato dell'impatto di un frammento di antimateria che avrebbe colpito la Terra. Vediamo dunque subito quali sono le nostre concrete conoscenze su questo notevole evento. Mentre la Terra e gli altri pianeti seguono le loro orbite, quasi circolari e distinte una dall'altra, corrono tutti il rischio, nel loro carosello, di imbattersi in qualche pezzo di roccia, nei residui di comete morte e in asteroidi che di continuo intersecano le orbite dei pianeti. Le comete sono probabilmente i membri più vecchi del Sistema Solare. Costituite da ghiaia e ghiaccio, ammoniaca e metano (questi due composti allo stato solido per la bassissima temperatura), le comete passano gran parte del loro periodo orbitale nello spazio profondo oltre l'orbita di Plutone e dunque solitamente non ci accorgiamo che esistono. Se però uno di questi corpi fa, come un aereo, il giro della morte e si tuffa verso il Sole, il calore dell'astro trasforma il ghiaccio in vapore. I gas e i granuli di polvere che vengono eiettati riflettono la luce del Sole e l'oggetto diventa visibile per i nostri telescopi, e talvolta anche a occhio nudo, come una chioma di capelli splendenti. Questa atmosfera è appunto detta chioma. Il centro della cometa, nella maggioranza dei casi, può essere formato da uno o due blocchi di roccia i cui diametri superano di poco il chilometro; la chioma è solitamente più grande della Terra (i diametri superano spesso i 150000 km). Il vento solare, costituito da particelle dotate di altissima velocità emesse dal Sole, spinge i minuscoli granelli di polvere della chioma e li trascina formando l'immensa coda della cometa, che caratterizza la forma di questi oggetti celesti ed è stata registrata, nel corso dei secoli, in molte rappresentazioni pittoriche o comunque visive, tra le quali l'arazzo di Bayeux. Frammenti di comete, costituiti da piccole schegge di roccia, formano sciami, molti dei quali (ma non tutti) si trovano in una cintura che si estende tra Marte e Giove. Alcuni seguono lunghe traiettorie che si avvicinano al Sole e quando la Terra, nel suo viaggio annuale, attraversa uno di questi sciami, i frammenti bruciano nell'atmosfera, per l'attrito, e noi vediamo una
pioggia meteorica, come accade verso il 12 novembre per lo sciame delle Leonidi o prima della metà di agosto per lo sciame delle Perseidi. In qualche caso frammenti più grandi della media giungono al suolo come meteoriti. I pezzi più grandi di una cometa morta possono rimanere a lungo in orbita, quando tutti gli altri si sono dispersi o si sono bruciati in collisioni varie. Alcuni asteroidi sono di fatto oggetti di questo tipo, cioè teste di comete morte. Le orbite di molti di tali asteroidi incrociano la nostra orbita: gli oggetti hanno solitamente diametri inferiori a un paio di chilometri (le forme sono raramente sferiche, perciò il termine «diametro» va inteso più propriamente come «dimensione massima»). Circa una volta ogni cento milioni di anni ci capita però di ricevere un vero mostro. Si ritiene che l'estinzione dei dinosauri, una sessantina di milioni di anni fa, possa essere la conseguenza della collisione di un meteorite delle dimensioni dell'isola di Manhattan con il nostro pianeta. Avvicinandosi alla Terra a una velocità di qualcosa come 40 km/s, l'oggetto ha sconvolto l'atmosfera, è esploso, ed è caduto con uno schianto spaventoso sulla regione che oggi è la costa settentrionale della penisola messicana dello Yucatán, lasciando il suo marchio con il cratere di Chicxulub. Un caso eccezionale, ma non unico. Crateri da impatto di diametro superiore al chilometro punteggiano tutto il pianeta Terra. Il notissimo cratere dell'Arizona ha attualmente un diametro di 1,2 km ed è stato prodotto, più di 40000 anni fa, dalla collisione tra la Terra e un blocco di roccia delle dimensioni di un'autocisterna con rimorchio. Tenendo dunque conto delle moltissime prove del fatto che la Terra è stata colpita da frammenti di rocce nel corso di tutta la sua storia e su tutta la sua superficie, che cosa, nell'evento della Tunguska, lo rende tanto notevole da suggerire la collisione con un pezzo di antimateria ? Il dato di fatto più sorprendente è questo: se non fosse per le testimonianze oculari, le registrazioni dei sismografi di tutto il mondo e i disturbi rilevati nell'atmosfera, dunque, per dirla con altre parole, se l'evento risalisse a tempi più remoti, non avremmo nessun "segno" duraturo utile per dimostrare che l'è-
vento si è davvero verificato. Non c'è un cratere, non si trovano frammenti rocciosi interpretabili come frammenti di un qualche meteorite, dunque di provenienza extraterrestre: l'invasore, chiunque fosse, si è volatilizzato svanendo nell'aria. Ecco perché sulla Tunguska è calata un'aura di mistero e i fenomeni sono tutti coerenti con quanto ci si potrebbe aspettare per l'impatto di un pezzo di antimateria con la Terra e la totale annichilazione dell'oggetto stesso. Come abbiamo già visto (supra, p. 128), l'antimateria presente nelle comete potrebbe essere al massimo pari a un miliardesimo di tutta la materia costituente il Sistema Solare, perciò la probabilità che l'oggetto di Tunguska fosse un pezzo di antimateria è molto bassa. Comunque per chi volesse appellarsi alla possibilità di un evento unico e irripetibile possiamo fornire prove ancora più circostanziate e conclusive. Come l'abilità forense può, sostenendo la dialettica con argomentazioni scientifiche, smascherare a posteriori il colpevole nella scena di un delitto, cosi essa può rivelare molti elementi su quanto è accaduto nella valle della Tunguska un secolo fa. La possibilità che si sia trattato della "botta" di un pezzo di antimateria che ha colpito la Terra non può essere immediatamente respinta come un'invenzione dei media. Gli studiosi hanno vagliato con estrema cura i prò e i contro di questa ipotesi e per farlo si sono basati su dati sperimentali, raccolti in anni di lavoro nei laboratori del CERN 1 . Gli esperimenti hanno dimostrato che, quando gli antiprotoni provocano l'annichilazione della materia, compaiono, tra i prodotti dell'evento, raggi gamma e pioni. Questo è il principale risultato che si ottiene, ma i ricercatori hanno anche potuto scoprire un effetto secondario e importante: quando i prodotti dell'annichilazione colpiscono la materia circostante, la inducono a espellere grandi quantità di neutroni. Dunque se nel 1908 l'antimateria si fosse annichilata nell'atmosfera, la foresta tutt'attorno potrebbe essere stata colpita da una raffica esplo' Le argomentazioni di taglio forense sono contenute nell'articolo di CLYDE COWAN, CHANDRA R. ATLURI e WILLARD FRANK LIBBY, Possible anti-matter content of the Tunguska Meteor of 1908 cit., pp. 861-65.
siva di neutroni, che a loro volta avrebbero prodotto notevoli quantità di carbonio-14 ( 14 C), radioattivo, negli alberi. Le indagini condotte sugli anelli di crescita degli alberi indicano ai ricercatori quanto carbonio-14 è stato prodotto e dunque assorbito in un certo anno. Negli alberi della regione della Tunguska non si è riscontrato nulla di anomalo negli anelli di crescita corrispondenti all'anno 1908: una prova a sfavore dell'ipotesi di un'esplosione provocata dall'antimateria. La conclusione che trova d'accordo la maggioranza degli studiosi attribuisce l'impatto alla collisione con un pezzo di una cometa. La coda di polveri di uno di questi oggetti celesti è sempre allineata con la retta congiungente l'oggetto stesso al Sole, ma nel senso opposto per chi guarda l'astro (i minuscoli granelli rocciosi vengono "allontanati" dal vento solare). Nel caso Tunguska, la coda dell'ipotetica cometa doveva puntare verso nord-ovest, quando l'oggetto, all'alba, colpi l'atmosfera: una circostanza che spiega l'eccezionale luminescenza nel cielo oscuro sulla Russia e sull'Europa occidentale, durante la settimana successiva all'impatto, e l'assenza del fenomeno in America (e in particolare negli USA), area situata a est. Il lampo di radiazioni che bruciò la pelle dei contadini testimoni del fenomeno e fece fondere gli oggetti di metallo è coerente con l'esplosione di una cometa. Le prime stime hanno indicato che l'energia liberata era stata pari a quella di un'esplosione nucleare, ma grandi esplosioni dovute a reazioni chimiche nell'aria possono provocare forti onde d'urto in grado di riscaldare notevolmente i corpi materiali, quando li investono, e produrre gli stessi effetti riscontrati nel caso Tunguska. Le sostanze chimiche presenti in una cometa, una volta libere, reagiscono con i gas dell'atmosfera, producendo ancora energia. Come risultato complessivo si genera una grandissima quantità di calore, un bagliore di luce molto intensa e tutto l'insieme dei fenomeni descritti dai contadini della zona. I danni sono stati provocati dall'onda d'urto, che ha abbattuto gli alberi, prodotto gli incendi, ucciso gli animali. L'esplosione di una cometa potrebbe aver liberato tutta l'energia nell'atmosfera senza lasciare tracce permanenti al suolo. Le luci, le polveri, le scosse sismiche sono manifestazioni coerenti con una ricostruzione in cui una co-
meta si fosse "sciolta" con un effetto esplosivo: in realtà la sua sostanza non sarebbe passata dallo stato solido del ghiaccio allo stato liquido, ma si sarebbe sublimata (cioè passando direttamente dallo stato solido allo stato gassoso, come fa il «ghiaccio secco», diossido di carbonio solidificato) quando l'oggetto ha colpito l'atmosfera terrestre, a una quota ben più alta del livello del suolo. Quasi certamente eventi simili si sono verificati molte volte in passato: rintracciarne indizi e prove è improbabile se nessuno ne è stato testimone. I soli eventi del remoto passato a noi noti sono quelli mostruosamente grandi e distruttivi nei quali l'oggetto responsabile, dopo aver prodotto cospicui danni nell'atmosfera, aveva ancora, al momento dell'impatto, un residuo di roccia tale da lasciare al suolo un'impronta permanente. Malgrado lo stato di eccitazione che ha prodotto e a lungo alimentato, l'evento della Tunguska può essere considerato, in relazione all'intera storia del mondo, di importanza modesta. Ci sono parecchie comete nel nostro sistema e, ogni tanto, la Terra si scontra con qualcuna di esse. Quando ciò accade le conseguenze sono assai simili a quelle riferite a proposito del caso Tunguska. E tutto già accaduto nel passato, e accadrà nel futuro. Di certo l'evento di Tunguska è stato davvero impressionante, ma non esiste alcuna buona ragione per vedere in quel dramma la prova del fatto che un pezzo di antimateria ha colpito la Terra una mattina di mezza estate di cent'anni fa e, per dirla tutta, che un tale fatto si sia mai verificato. Insomma, un fatto vero mal interpretato, un fattoide.
Energia spesa, energia utile e antimateria. Mentre guardo le mie piante che crescono, non vedo gli atomi di carbonio e di ossigeno strappati via dall'aria e trasformati in foglie; i cereali che mangio a colazione in qualche modo si trasformano in me, nel mio corpo, e quelli che mangiate voi, nel vostro corpo, perché le molecole si stanno continuamente smontando e rimontando; sono gli atomi a dettar legge e a decidere, e noi, goffi e impacciati esseri macroscopici, vediamo (e siamo)
soltanto i grossi prodotti finali di questi processi. Mentre gli atomi fanno il loro lavoro, si libera energia. Il cibo che avete mangiato qualche ora fa si sta trasformando in ciò che voi stessi siete e in materiali di rifiuto, ma sta anche producendo l'energia che mantiene caldo il vostro corpo e sostiene i vostri processi vitali. La temperatura corporea è il risultato di una serie di reazioni chimiche: l'equazione E = me2 al lavoro. Una certa quantità della massa complessiva (m) del cibo si perde: il cibo stesso si trasforma infatti in energia (E) con un rapporto pari al quadrato della velocità della luce (e2). La differenza tra la massa che avete assunta come cibo, diminuita della parte che in seguito espellerete, è davvero molto piccola: in percentuale circa una parte per miliardo, cioè un microgrammo ogni kilogrammo, dunque, per misurarla esattamente si dovrà tener conto anche delle minime parti di sudore e di DNA assortito che, in ogni azione compiuta, vengono trasferite a tutto ciò che si tocca. Questa conversione di una parte per miliardo della massa in energia è alla base della chimica, della biologia, della vita. E spiega anche la potenza della polvere da sparo e di tutti gli esplosivi chimici. (Ricordiamo che la grandezza fisica potenza è data dal rapporto tra l'energia e l'intervallo di tempo in cui si rende disponibile.) I processi in questione interessano soltanto gli elettroni disposti alla periferia degli atomi. Ben più grandi quantità di energia sono però accessibili nei nuclei degli atomi. Atomo per atomo, l'energia rilasciata dal nucleo è oltre dieci milioni di volte più grande di quella ottenibile dagli elettroni periferici. Mentre le reazioni chimiche convertono soltanto una parte per miliardo dell'energia latente nella materia, le reazioni nucleari possono liberarne fino all' 196. Se riuscissimo a trasformare grandi frammenti di materia in energia, di pari passo crescerebbero le nostre ambizioni e la nostra tracotanza. In linea di principio si può pensare di liberare tutto Ymc 2 , latente nella materia. Ciò è quanto si spera di ottenere dall'uso "pratico" dell'antimateria. La potenza di un'esplosione chimica può essere ingente anche se ogni singolo atomo ne fornisce quantità piccolissime: gli atomi in gioco sono IO24 per ogni grammo di sostanza e ognuno dà istantaneamente il proprio contributo. Analogamente nei
processi nucleari si impiegano grandi quantità di minerali di uranio che possono essere estratti dalla superficie della Terra e sottoposti a vari trattamenti; i processi naturali vi hanno imprigionato moltissimo tempo fa (vari eoni) l'energia che oggi noi liberiamo dall' 1 % di milioni di milioni di atomi. Per l'antimateria una tale possibilità non esiste: come sappiamo essa è stata distrutta quattordici miliardi di anni fa. Se si vuole usare l'antimateria, occorre preventivamente fabbricarne, una per una, ogni antiparticella: un procedimento del tutto inefficiente. Una restrizione imposta dalla natura: per quanto l'energia totale si conservi, in qualunque processo produttivo, la quantità di energia praticamente utilizzabile diminuisce a causa degli attriti e in generale di vari sprechi e dispersioni. Ciò che si ottiene come energia utilizzabile va confrontato con quanto si è speso per ottenerlo. Il rapporto tra energia ottenuta ed energia spesa è sempre inferiore a 1: tale rapporto è il rendimento del processo, indicato con il simbolo rj [la lettera greca età minuscola]; è dunque r] < 1. La quantità di energia da spendere per disporre di antimateria è enorme: soltanto una parte minima, quasi trascurabile, di essa si trasforma in particelle di antimateria; ne risulta quindi che se ne spende enormemente di più per fabbricarla di quanta se ne possa ricuperare con il successivo processo di annichilazione. L'uso "pratico" dell'antimateria è un processo che, tenendo conto di tutte le tappe che lo compongono, ha un rendimento pessimo.
Antimateria in quantità. Supponiamo di volere qualche grammo di antimateria. Che il piano preveda di far saltare il Vaticano, come nel romanzo di Dan Brown Angeli e demoni2, o di usarla come carburante per i veicoli di Star Trek, o come fonte d'energia, il problema che si pone non è soltanto quello di fabbricarla e di trovare un contenitore adatto, ma anche quello di capire in che forma essa si pre' DAN BROWN, Ange/i e demoni, trad. it. di Annamaria Biavasco e Valentina Guani, Mondadori, Milano 2004.
senterà. Non ci serve una speciale chimica dei combustibili come se si trattasse di anti-tritolo o di anti-benzene: l'energia si libera per annichilazione, dunque anche l'antimateria più "comune" servirà allo scopo. Dobbiamo però fabbricare ogni antiparticella e ogni anti-atomo nello stesso momento. Poi si pone il problema di conservare la "cosa" prodotta. E questo è il punto in cui la realtà della natura incomincia a vanificare i sogni della fantascienza. Per ottenere un grammo di antiprotoni se ne devono costruire poco meno di un milione di miliardi di miliardi (per l'esattezza, 6 x IO23); se si vogliono fabbricare positroni il numero degli oggetti si moltiplica per duemila. Sono cifre enormi. Per dare un'idea del loro significato diciamo che, dal momento della scoperta dell'antiprotone nel 1955, con il LEAR al CERN e analoghi apparati al Fermilab, tutte le antiparticelle "costruite" complessivamente hanno una massa inferiore a un milionesimo di grammo (1 x IO"6 g). Se potessimo riunire tutta l'antimateria prodotta in una cinquantina d'anni e ne provocassimo l'annichilazione con altrettanta materia, otterremmo l'energia sufficiente per alimentare una singola lampadina elettrica per pochi minuti. Per contro l'energia spesa per la fabbricazione avrebbe illuminato, per lo stesso mezzo secolo, Times Square o Piccadilly Circus. Con l'efficienza attuale, produrre un grammo di antimateria richiederebbe centomila secoli. Va da sé che queste apparecchiature sono state progettate per produrre fasci di antiparticelle da usare in specifici esperimenti, non per accumularne grandi quantità. Cionondimeno, quando anche progettassimo macchinari aventi il preciso scopo di fabbricare quantità considerevoli di antimateria, la strada sarebbe lunga per ridurre i tempi di produzione da dieci milioni di anni ai ritmi di qualche settimana, propri delle industrie. Risolti questi problemi e ottenuta l'antimateria, dovremmo affrontare quello del contenimento. Come primo requisito si deve disporre di un ambiente dove esiste un vuoto molto spinto e un contenitore costituito da campi elettrici e magnetici. E qui abbiamo una buona notizia: sappiamo come realizzare un tale contenitore e siamo riusciti a conservare nelle trappole di Penning antiparticelle per molte settimane. Esiste tuttavia un limite alla quantità di antiparti-
celle che la bottiglia può contenere perché insorgono problemi quando si raccolgono moltissime particelle elettricamente cariche in un piccolo volume. Si tratta di un'altra ineludibile legge naturale: le particelle che hanno carica dello stesso segno si respingono a vicenda, dunque più alto è il numero di quelle che abbiamo raccolte, più arduo diventa il compito di schiacciarle nella bottiglia magnetica. Il numero più grande di antiprotoni che si è riusciti a confinare con successo è un milione; prima però che vi lasciate prendere dall'entusiasmo, pensate che si tratta di un miliardesimo di miliardesimo del numero necessario per farne un grammo. Una bottiglia di antiparticelle che perde non è certamente la risposta alla provocazione di mio padre quando si chiedeva come contenere il distruttore apocalittico. Un modo per aggirare questi problemi potrebbe essere la scelta di fabbricare una miscela di positroni e antiprotoni, in forma di atomi di anti-idrogeno. Le cariche elettriche positive, dei positroni, e negative, degli antiprotoni, si annullerebbero a vicenda e le difficoltà dovute all'eccesso di cariche non dovrebbero più preoccuparci. Noi stessi siamo fatti di miliardi di atomi che contengono cariche elettriche che si elidono a vicenda e non ci accorgiamo complessivamente dell'attività elettrica che si svolge all'interno dei nostri corpi. Lo stesso dovrebbe accadere per l'antimateria. Ma c'è un inghippo: riuscite a individuarlo ? I lacci magnetici e le pareti elettriche che costituiscono la prigione possono confinare soltanto i prigionieri che hanno una carica elettrica. Se questi prigionieri si sono appaiati in modo tale che, per l'unione delle cariche opposte e la loro elisione, i singoli oggetti appaiono privi di carica, il potere di contenimento delle pareti della prigione sparisce come per magia. Perché una bottiglia magnetica funzioni come contenitore occorre che una qualche interazione residua tra le pareti e il contenuto si mantenga. Gli atomi di anti-idrogeno sono neutri rispetto ai campi magnetici ed elettrici e fluttuano dunque liberamente finché, non più trattenuti, sfuggono, incontrano la materia e vengono prematuramente distrutti. Ci sono esempi di materia solida in cui gli effetti delle cariche elettriche esistenti all'interno possono comunque essere avvertiti. Il più noto di tali esempi è offerto dai materiali ferroma-
gnetici, nei quali il moto delle cariche elettriche dà origine a fenomeni magnetici. Per quanto complessivamente la somma delle cariche elettriche positive e negative porti a un valore nullo, il movimento libero degli elettroni con le loro cariche negative ha un effetto paragonabile a quello di un esercito che marciando batta il passo: i contributi che ognuno dei singoli elettroni dà al campo magnetico, tutti concordi come minuscoli aghi di bussola, si sommano. Lo stesso dovrebbe accadere anche nell'antimateria. Poiché nel nostro mondo di materia il ferro può essere magnetizzato, un analogo effetto dovrebbe verificarsi nell'anti-mondo per l'anti-ferro. Come la collezione di moltissime particelle con cariche dello stesso segno interagisce con le forze elettriche nella bottiglia, cosi un insieme di "pezzetti" magnetici dovrebbe interagire con i campi magnetici. E dovrebbe essere possibile intrappolare alcuni atomi di anti-idrogeno in campi magnetici che oscillano, cioè cambiano rapidamente polarità, in tutto il volume disponibile in modo tale che i diversi momenti magnetici (cioè gli orientamenti dei campi magnetici) dei positroni e degli antiprotoni tengano insieme l'atomo. Purtroppo un simile risultato non è stato raggiunto neppure per qualche anti-atomo. Un'opportunità diversa potrebbe essere quella di fabbricare atomi di positronio, costituiti da un positrone e da un elettrone. Le ricerche su questo fronte hanno attirato, negli ultimi anni, l'attenzione dell'esercito degli USA3. I problemi nel caso specifico non sono legati al solo fatto che l'atomo è neutro, come quelli di anti-idrogeno, ma anche al fatto che i due costituenti si possono distruggere reciprocamente. In media un "esotico" atomo di positronio vive meno di un millesimo di secondo. Una vita decisamente troppo breve perché si possano utilizzare questi oggetti come strumenti per lo stoccaggio dell'energia in un viaggio fino a Marte. I militari statunitensi hanno dimostrato di credere nel progetto tanto da stanziare finanziamenti per le relative ricerche. Che cosa hanno intenzione di ricavarne ? Occupiamoci ora dei fatti concreti e delle fantasie in relazione al tema antimateria. ' Si consulti il sito all'indirizzo www.niac.usra.edu/files/library/meetings/fellou's/mar04/ Edwards Kenneth.pdf.
Fantasie. Le bombe ad antimateria. Nel capitolo i abbiamo esaminato i resoconti relativi allo sviluppo di programmi per armi ad antimateria da parte della us Air Force, l'aviazione militare statunitense. Ora che ne sappiamo di più sulla vera natura dell'antimateria, siamo in grado di dire che non è possibile fabbricare bombe ad antimateria. La ragione è la stessa per cui non si può usarla come fonte d'energia: non è possibile produrne abbastanza e con l'altissima densità che sarebbe necessaria. A causa del rendimento davvero mediocre dei processi che trasformano l'energia in antimateria, non dobbiamo dunque preoccuparci per le eventuali applicazioni militari e strategiche. Anche in questo caso, vediamo un esempio pratico. Prendiamo un ipotetico grammo (1 g) di antimateria'. Con la tecnologia oggi disponibile si potrebbe produrre circa un nanogrammo di antimateria ($1 x IO 9 g) all'anno, con un costo di circa dieci milioni di dollari ($10000000, cioè 1 x IO7)4. Ovviamente per fabbricarne un grammo occorrerebbero centinaia di milioni di anni con un costo di circa dieci milioni di miliardi di dollari ($10000000000000000, cioè 10 7 x IO9). Il progetto appare ambizioso persino per i militari degli USA. Oltre ai costi e ai problemi connessi con la fabbricazione dell'ordigno, quello di conservarlo presenta ulteriori difficoltà. Come abbiamo detto più volte, cariche elettriche dello stesso segno si respingono, dunque per contenere le cariche elettriche presenti in un grammo di puri protoni o di puri positroni si dovrebbe "costruire" un campo di potenza tale che, quando si volesse "smontarlo" per disporre del contenuto, l'energia esplosiva delle particelle cariche nell'atto di schizzar via sarebbe di gran lunga superiore a qualunque valore ottenibile con la loro annichilazione. Se proprio volete fabbricare bombe, a mio parere, fareste meglio a lasciar perdere l'antimateria e semmai utilizzare l'energia relativa alla tecnologia necessaria per contenerla: in * È questa la massa la cui annichilazione libera una quantità di energia pari a quella liberata da un piccola bomba nucleare a fissione. Si veda l'Appendice, infra, pp. 169-71. ' Si veda ibid.
tal modo non avreste neppure da affrontare e valutare le preoccupazioni, i costi e la pura e semplice impraticabilità della fabbricazione dell'antimateria. Che cosa dobbiamo dunque pensare del discorso tenuto nel 2004 da Kenneth Edwards che suscitò l'interesse dell'aeronautica militare statunitense per le armi strategiche ad antimateria 5 ? Dopo il discorso i cronisti dei giornali hanno preso contatto con la base della us Air Force di Eglin, in Florida, i cui responsabili avevano inizialmente risposto in modo decisamente positivo all'ipotesi. Nel luglio dello stesso anno Rex Swenson, portavoce del Munitions Directorate della base, ha confermato che tutti i presenti al discorso di Edwards erano «molto emozionati a proposito di questa tecnologia». Swenson era stato incaricato di organizzare le interviste dei vari cronisti con Edwards ma, prima che fosse trascorso un mese, è stato sollevato dall'incarico da alti ufficiali della us Air Force e del Pentagono. Secondo un articolo del «San Francisco Chronicle», Edwards si era più volte rifiutato di concedere interviste, sostenendo di aver ricevuto istruzioni strettamente riservate dai propri superiori. La citazione nel comunicato ufficiale diceva: «Non siamo ancora nelle condizioni in cui sia necessario convocare pubbliche interviste». Nel mondo romanzesco dei teorici degli intrighi e delle cospirazioni, una tale dichiarazione conferma l'esistenza dei piani, in quanto dimostra che le strutture militari stanno tentando di impedire una fuga di notizie sull'ultimo "grosso affare". In realtà la spiegazione sembra essere assai più semplice: non c'è mai stato alcun ordigno ad antimateria, il progetto era un sogno. Malgrado il discorso di Edwards nel 2004, l'aeronautica militare statunitense non stava sviluppando armi ad antimateria. A v e v a però finanziato un progetto di ricerca sugli antiprotoni, senza alcuna precauzione per la segretezza, presso la Pennsylvania State University. Conosco bene questo progetto perché qualche anno fa ho fatto parte di un comitato del CERN per la ' Si veda il capitolo I e il documento all'indirizzo www.niac.usra.edu/files/library/meetings/ fellows/mar04/Edwards Kenneth.pdf.
valutazione dei progetti sperimentali sugli antiprotoni in cui utilizzare il LEAR. Uno di questi ricercatori era Gerald A . Smith, in precedenza presidente del Dipartimento di fisica alla Penn State, e io ne avevo notato il nome, citato da Edwards nel suo intervento. Smith aveva lasciato quella struttura universitaria e aveva fondato, nel 2001, un ente di ricerca a Santa Fe, nel New Mexico, denominato Positronics Research. Come dice il nome, l'interesse degli studi si era spostato, in questa sede, dagli antiprotoni ai positroni, assai più accessibili. Le applicazioni indicate come oggetto di ricerche erano l'accumulo e la conservazione dell'energia, l'eliminazione di prodotti chimici e di materiali biologici, la medicina nucleare e la propulsione. Nel 2004, quando è stato interrogato dai cronisti, Smith ha confermato che l'aeronautica militare aveva elargito fondi per più di tre milioni di dollari al suo gruppo di ricerca. Comunque, non era mai stata data una dimostrazione né si era mai seriamente sostenuta la possibilità di fabbricare e accumulare masse di antimateria e neppure di produrne quantità del tutto trascurabili in confronto a quelle necessarie per usarla come fonte d'energia. Uno dei principali esperti in materia, Rolf Landua del CERN, ha dato un commento ironico su queste notizie, dicendo: «Gli scienziati hanno capito che la bomba atomica era davvero possibile molti anni prima che ne fosse fabbricata, e fatta esplodere, una; la gente comune cadde allora dalle nuvole, sorpresa e affascinata. Per contro la bomba ad antimateria è stata immaginata dal pubblico che vuole saperne di più, anche se noi sappiamo da molto tempo che essa non è affatto uno strumento pratico e utilizzabile». Nel complesso, un altro fattoide, non privo di risvolti grotteschi e qualche deformazione della verità.
Per arrivare all'ultima frontiera. Le enormi sfide poste dalla produzione e dalla conservazione dell'antimateria non hanno scoraggiato le ricerche sulla possibilità di utilizzarla come fonte di energia per i veicoli spaziali. L'idea essenziale è questa: l'annichilazione produce raggi
gamma che colpiscono un propellente, portandolo a temperature altissime prima di espellerlo dagli ugelli posteriori del razzo. Un'alternativa: i raggi gamma possono far sublimare carburo di silicio da una superficie che investono: ne risulta una massa di gas che, espulso dagli ugelli, dà origine alla spinta. Il vantaggio rispetto all'uso dei combustibili chimici deriva dalla possibilità di una forte diminuzione della massa necessaria. Più della metà della massa della sonda Cassini-Huygens, destinata all'esplorazione di Saturno e dei suoi satelliti, era costituita dai contenitori di combustile e di comburente e la massa del vettore era 180 volte più grande di quella della sonda stessa. La propaganda in relazione all'uso dell'antimateria per alimentare veicoli spaziali sostiene che in un veicolo con equipaggio umano per la discesa su Marte le tre tonnellate del propellente chimico potrebbero essere ridotte a meno di un centigrammo di antimateria, la massa di un chicco di riso. Chi favorisce lo sviluppo di tali speranze parla meno dell'enorme quantità di tecnologia che dovrebbe essere messa in campo per il contenimento dell'antimateria. Confinare un grande numero di antiprotoni o positroni in uno spazio limitato significa avere a che fare con un'imponente concentrazione di cariche elettriche. Anche un milionesimo della quantità teoricamente necessaria per un volo fino a Marte comporterebbe, per le pareti dei serbatoi, la capacità di resistere alle enormi pressioni dovute alla repulsione tra le cariche dello stesso segno. Malgrado i notevoli problemi, proprio su queste ricerche si concentrano le speranze della NASA per i futuri voli spaziali e della us Air Force per la realizzazione di micro-cacciabombardieri robotizzati senza pilota (UAV, Unmanned Aerial Vehicle, «veicoli aerei senza uomo», detti spesso droni). Nei tardi anni Novanta le ricerche del gruppo di Gerald A . Smith, proveniente dalla Penn State University, si erano concentrate sugli antiprotoni impiegando il LEAR. Nel 1997 il lavoro era diventato più ambizioso puntando sulla produzione, il contenimento e il trasporto di antimateria da utilizzare nella propulsione dei razzi per l'esplorazione spaziale. In un documento, i ricercatori evidenziavano la possibilità di sviluppare un programma per ottenere tali risultati con la produzione di una suf-
ficiente quantità di antiprotoni 6 . Faceva parte degli strumenti una trappola da loro progettata in grado di contenere e trasportare fino a un miliardo di antiprotoni per dieci giorni, che era annunciato come il «prototipo di una trappola [...] capace di realizzare il contenimento di IO14 antiprotoni per 120 giorni, la durata di un viaggio di andata e ritorno fino a Marte». I ricercatori dichiaravano la propria «fiducia nella possibilità di ottenere questo risultato». La strategia adottata era quella di aumentare progressivamente e sistematicamente la durata del contenimento e, pur sottovalutandola, si ammetteva che si trattava di un'operazione "non banale": in questo modo si sarebbe potuto disporre di migliaia di tali trappole per trasportare il "combustibile". Sembra che nel complesso si sia trattato di un piano di organizzazione e gestione dei lavori per affrontare una tale sfida, più che di una qualsiasi strategia, valida e di accertata efficacia, per dar vita a una nuova tecnologia. Dieci anni più tardi, nulla del genere è stato realizzato e nessuno dei lavori condotti al CERN è apparso come un tentativo in questa direzione. Il numero più grande di antiprotoni che sia mai stato conservato in una trappola è un milione e tutte le ricerche attuali si concentrano sul contenimento di piccole quantità su cui eseguire misurazioni più precise. I positroni hanno massa assai più piccola di quella degli antiprotoni, ma è più facile produrli. Negli anni Cinquanta, Eugen Sànger, ingegnere austrotedesco esperto di missilistica, aveva messo a punto il progetto di un razzo in cui la spinta propulsiva era data da fotoni. L'idea apparve esaltante per gli amanti della fantascienza, ma non fu mai sviluppata concretamente, in parte per la difficoltà, che ormai conosciamo bene, di produrre e confinare una quantità sufficiente di positroni. Tuttavia Smith, ispirandosi a una teoria proposta da tre studiosi (due operanti in Germania e uno nel Massachusetts), indaga oggi sulla possibilità di ottenere fonti d'energia dai positroni. * MICHAEL H. HOLZSCHEITER et al., Production and trapping of antimatter for space propuàion applications; l'articolo è disponibile all'indirizzo http-J/www.engr.psu.edu/antimatter/papers/ anti prod.pdf.
Per neutralizzare gli effetti delle cariche elettriche dei positroni senza impiegare gli antiprotoni, si è riusciti, in anni recenti, a inglobarle costruendo atomi di positronio nei laboratori del Positronics Research Institute di Santa Fe. Costituiti da un elettrone e da un positrone in stato legato, questi atomi esotici, come abbiamo già visto, sopravvivono in media all'autodistruzione non più di un microsecondo (1 |xs), ma Janine Shertzer (Dipartimento di fisica, Holy Cross College, Worcester, Massachusetts), Jòrg Ackermann (Istituto di biologia molecolare, Jena) e Peter Schmelcher (Dipartimento di chimica teoretica, Università di Heidelberg) hanno previsto che, con una particolare combinazione di campi elettrici e magnetici, si sarebbe potuto "eccitare" il positronio, con la conseguenza di allontanarne i due componenti come le sfere di un manubrio da ginnastica, e aumentando cosi notevolmente le probabilità di sopravvivenza della struttura 7 . Secondo Smith, da una tale previsione si potrebbe dedurre che «la vita del positronio ["migliorato" tenendone i componenti lontani] potrebbe diventare [praticamente] infinita» 8 . Fino a quando una dimostrazione pratica di questa deduzione non verrà pubblicata e confermata, sarà troppo presto per entusiasmarsi eccessivamente. La teoria è per altro chiara e ipotizza che i campi elettrici e magnetici possano espandere, allungandolo, un atomo di positronio. Il campo elettrico tende a spingere l'elettrone e il positrone in modo da allontanarli uno dall'altro e il campo magnetico contribuisce a trattenerli al loro posto. In tali circostanze (si tratta di stati diversi di eccitazione) la distanza tra i due oggetti può essere migliaia di volte più grande di quelle normalmente riscontrabili in un atomo e la probabilità che particella e antiparticella si scaglino una contro l'altra annichilandosi è molto ridotta. Fin qui, tutto bene. Tuttavia mi sembra che, anche quando questi eventi fossero verificati un qualche giorno per un solo o ' PETER S C H M E L C H E R , JÒRG A C K E R M A N N e JANINE SHERTZER, Stabilization
of
matter-antimat-
ter atoms in crossed electric and magnetic fte Idi, in «Nuclear Instruments and methods in Physics Research», Section B, voi. C X L I I I , 1998, pp. 202-8. " MARK ANDERSON, Antimatter-rocket pian fuels hope for «Star Trek» tech, in « National Geographic News», 4 maggio 2006.
per pochi atomi di positronio eccitato, non si tratterebbe di un grosso passo avanti per lo sviluppo di un'efficiente fonte d'energia che richiederebbe comunque miliardi di miliardi di positroni ed elettroni. Separare gli elettroni dai positroni in quantità cosi grandi richiederebbe una quantità essa pure enorme di energia per produrre campi elettrici e magnetici abbastanza intensi da formare e mantenere nubi separate di cariche positive e negative. Dovendo far fronte a queste necessità sul piano energetico, il nostro cerchio si chiude del tutto e dobbiamo affrontare lo stesso problema che ci ha assillato in tutti gli altri tentativi: come si possono confinare le grandi quantità di oggetti elettricamente indispensabili per ottenere una fonte d'energia di interesse pratico ? Fino a quando questo problema non sarà risolto, anche il positronio a forma di manubrio non ci offrirà nulla che sia praticamente utilizzabile. Nel frattempo le speranze dell'aeronautica militare statunitense circa la realizzazione di un aereo ad antimateria sono diventate oggetto di ricerche per molti studenti. Un progetto elaborato presso la Base di Eglin dell'us Air Force sintetizza cosi le sfide legate a una tale impresa: L ' e n e r g i a o t t e n i b i l e c o n la c o n v e r s i o n e d e i p o s i t r o n i sarà u t i l i z z a t a c o m e e n e r g i a p e r l ' a n n i c h i l a z i o n e d e l l ' a n t i m a t e r i a c h e f o r n i r à al v e l i v o l o la p r o p u l s i o n e e l e c a p a c i t à o f f e n s i v e . L a B a s e d e l l ' A i r F o r c e a E g l i n r i c h i e d e c h e , p e r le pres t a z i o n i d e l p r o t o t i p o , s i a n o s o d d i s f a t t e le s e g u e n t i s p e c i f i c h e . L ' a e r e o d o v r à a v e r e u n ' a p e r t u r a alare i n f e r i o r e a tre p i e d i [ m e n o di 1 m]. L ' a e r e o d o v r à a v e r e c a r a t t e r i s t i c h e d ' a u t o n o m i a a d e g u a t e p e r il v o l o a m e d i a q u o t a [con s o s t e n t a mento dato da d u e eliche controverse orizzontali]. Per valutare i requisiti offensivi d a l l ' a e r e o d o v r a n n o p o t e r e s s e r e s p a r a t e i n n o c u e m u n i z i o n i s i m u l a t e ' .
In poche parole avete qui, esposti senza pudore, tutti i desiderata dell'us Air Force per lo sviluppo dell'antimateria come fonte d'energia e arma strategica. Come è possibile che il discorso tenuto da un ufficiale in cerca di fondi, lontano dal centro di potere del Pentagono, abbia spinto i mezzi di comunicazione di tutto il mondo a riferire che era imminente la realizzazione di ordigni ad antimateria ? Il discorso di Edwards e le informazioni trasmesse dai media hanno dato risalto al fatto che simili armi sarebbero del tutto "pu' Si consulti il sito all'indirizzo http://www.eng.fsu.edu/ME
senior
design/2004/team7.
lite" perché non producono residui radioattivi. In quel periodo, il romanzo Angeli e demoni di Dan Brown stava attirando, tra i best-seller, l'attenzione del pubblico, e metteva al centro della vicenda una bomba ad antimateria che non produceva «inquinanti chimici o radioattivi». L'assunto generico su cui poggia il lavoro di fantasia di Brown presenta inquietanti affinità con ciò che, per tutto un anno, un portavoce dell'aviazione militare statunitense e i mezzi di comunicazione sembrano essersi impegnati a presentare come un dato di fatto.
Finzioni trasformate in fatti. Sono molti coloro che non hanno mai sentito parlare del Molti tra quelli cui il nome non è nuovo credono che sia il luogo di nascita della rete informatica World Wide Web; pochi conoscono la sua principale attività come centro europeo di ricerca sperimentale per la fisica delle particelle. Comunque, dopo la pubblicazione del romanzo di Dan Brown, il CERN è oggi famoso come un laboratorio di Ginevra in cui si fabbrica l'antimateria. Mentre queste due notizie sul CERN sono di fatto esatte, molte informazioni presenti nel resto del romanzo, che ha largamente contribuito alla diffusione di vari luoghi comuni a proposito dell'antimateria, non lo sono. Il libro di Brown si apre con una sorta di prefazione che sintetizza la situazione attuale delle ricerche in questo settore. In essa, tra l'altro, si legge che l'antimateria può fornire moltissima energia «senza produrre inquinanti chimici o radioattivi». Tuttavia «... ha un inconveniente. E altamente instabile. A l minimo contatto con la materia ordinaria, anche solo con l'aria, si trasforma istantaneamente in energia. Dal contatto fra un grammo di antimateria e un grammo di materia si sprigiona la stessa quantità di energia di una bomba atomica da 20 chilotoni». La us Air Force non aveva bisogno di leggere una riga di più. Brown informa i lettori del fatto che il CERN « È riuscito recentemente a produrre i primi esemplari di antimateria» e il sipario si alza metaforicamente su una domanda cosi formulata: «Impossibile fare a meno di chiedersi se questa sostanza altaCERN.
mente volatile salverà il mondo o verrà usata per creare l'arma più letale che sia mai esistita»". Giunti fino a questo punto del libro che state leggendo, conoscete già le possibili risposte. I "fatti" presentati da Brown sono a dir poco svianti e perfino sbagliati, ma la popolarità del suo libro ha indotto molte persone a crederli veri. Come abbiamo visto, sono ormai ottantanni che si producono antiparticelle; pochi atomi di antiidrogeno sono stati fabbricati nell'ultimo decennio; la produzione di antimateria (nel senso anti-atomi riuniti in quantità abbastanza grandi da permetterne l'osservazione), anche tralasciando il problema del contenimento, è un'operazione che tuttora appartiene al mondo della fantasia ed è probabilmente destinata a rimanere tale. Cionondimeno le preoccupazioni a proposito di possibili ordigni ad antimateria saltano fuori nelle domande poste dal pubblico in quasi tutte le conferenze che ho tenuto negli ultimi cinque anni. Mi chiedo se si riuscirà a far rientrare il genio nella bottiglia, ma spero che questo capitolo possa fornire un contributo per rispondere a quelle domande in modo tale che non sia più necessario porle. In Angeli e demoni l'equivalenza tra la produzione in laboratorio di antimateria e la Creazione (con la C maiuscola) ha un ruolo cosi centrale per la trama che uno dei ricercatori riferisce al papa questa "buona novella", anche se essa è vecchia di vari decenni. Qualunque sia l'evento che ha avuto come risultato il nostro Universo, non è di certo simile alla "fabbricazione" di materia al CERN, sia nel mondo della finzione sia in quello reale. L'antimateria non è affatto «la materia che nasce dall'energia, dal nulla. La dimostrazione pratica che la Genesi è scientificamente possibile» 11 . Questa è, nella migliore delle ipotesi, ingannevole e sciocca teologia e negazione della scienza. II Big Bang è la comparsa, l'entrata in scena di tutta l'energia, di tutta la materia e di tutto l'Universo a noi noto, compresi lo spazio e il tempo. Si tratta di un concetto molto profondo e al di là della mia capacità di comprensione*. ™ DAN BROWN, Angeli e demoni cit., p. 5. " I b i d . , p. 93.
" Ho tentato di affrontare, in una sfida dialettica, questi temi nel mio libro The Void, O x f o r d University Press, O x f o r d 2007.
Non possiamo ri-"creare" la singolarità di quell'evento, ma possiamo esaminare quanto è accaduto in seguito, nell'ambito di ciò che è diventato il nostro attuale Universo. L'energia, un sacco d'energia, è ciò che si è trasformato in materia e antimateria. L'energia non è il nulla (l'assenza di "cose"): è misurabile e quando ne "usate" una certa quantità, la società che la eroga registra questo "consumo" e ve lo fa pagare. Quando fabbricate antimateria insieme alla relativa controparte materiale, dovete utilizzare la stessa quantità d'energia che potrebbe essere liberata se esse si annichilassero reciprocamente. N o n potete ottenere materia dal nulla. Rovesciate ora il processo in modo che l'antimateria incontri la materia tornando a essere energia raggiante. E questa non è certamente il nulla, come si ammette anche in Angeli e demoni, dove l'esplosione risultante è proprio ciò che sta per distruggere il Vaticano. Per assistere a una dimostrazione del potere dell'antimateria, il protagonista del romanzo è invitato in un laboratorio del CERN dove l'antimateria galleggia dentro una bottiglia in cui è stato fatto il vuoto e gli studiosi ne illustrano le capacità distruttive mettendo appunto l'antimateria stessa in contatto con \ la materia. E a questo punto che alcuni esponenti militari statunitensi sembrano aver assunto il lavoro di fantasia come la propria guida pratica all'uso dell'antimateria, non rilevandone le molte contraddizioni. La prefazione del libro di Brown descrive l'antimateria come la fonte energetica ideale che «non dà origine a inquinamento o a fenomeni radioattivi e con una sola goccia può soddisfare i consumi di New York per un giorno». L'antimateria può in effetti non emettere radiazioni nocive fino a che non viene in contatto con la materia, ma in queste condizioni non ha nulla da offrire ai fabbricanti di bombe o alle compagnie distributrici di energia elettrica. Per sfruttare questa sostanza "volatile" (è questo uno degli aggettivi usati da Brown, ad esempio a p. 5 del suo libro), è indispensabile provocarne l'annichilazione con la materia: essa allora rilascerà l'energia latente, intrappolata sotto forma di radiazioni, ad esempio raggi gamma. Quando, nel romanzo, viene descritta la dimostrazione in laboratorio, la presenza di questa radiazione è implicitamente
ammessa perché la ricercatrice suggerisce al protagonista: «Non guardate direttamente il campione. Copritevi gli occhi» 12 . In realtà i raggi gamma sono tanto lontani, nella sequenza delle radiazioni, o onde elettromagnetiche, dallo spettro dei colori percepibili dai nostri occhi (la «finestra visibile») da essere del tutto invisibili, ma poiché essi possono di certo essere dannosi per le cellule viventi, potrebbe essere più prudente schermare tutto il corpo e non soltanto l'organo della vista. La lapidaria affermazione con cui si decantano le proprietà dell'antimateria è: «Niente scorie, niente radiazioni, niente inquinamento»". Essa suona come una battuta umoristica, considerando che viene due pagine prima dell'avvertimento sul pericolo costituito dai raggi gamma (cioè appunto una forma di radiazione). L'entusiasmo degli esponenti della us Air Force era tale che, nel sostenere il proprio interesse per l'impiego dell'antimateria come arma strategica, l'hanno caratterizzata come «priva di residui nucleari». I media hanno strombazzato che «una bomba a positroni potrebbe costituire un decisivo passo avanti verso uno dei sogni degli eserciti fin dagli inizi della Guerra Fredda: la cosiddetta superbomba "pulita" »'4. Non sono esattamente le parole di Angeli e demoni, esempio sinistramente inquietante di invenzione fantastica, scritto nel 2000; esse però, nel 2004, sono state usate per descrivere ciò che veniva presentato come una realtà di fatto. I mezzi di comunicazione citavano le armi a positroni. Com'è fatta la bomba di Angeli e demoni? La gocciolina sospesa nel contenitore usata per la dimostrazione è formata da positroni 15 ; la bomba che compare più tardi nel romanzo sembra essere costituita da anti-idrogeno*. Anche se l'interesse per l'anti-idrogeno è stato suscitato dalI'AD, il deceleratore del CERN, reinterpretato da Brown, non senza inventiva, come «un nuovo deceleratore di antiprotoni, che " " " "
Ibid., p. 91. Ibid., p. 89. KEAY DAVIDSON, «San Francisco Chronicle», 4 ottobre 2004. DAN BROMPN, Angeli e demoni cit., p. 85. «... l'antimateria non è radioattiva, ha la stessa traccia [firma] chimica dell'idrogeno puro...», ibid., p. 141.
consentirà di produrne quantità molto maggiori», dobbiamo ricordare che in realtà questo apparato produce meno antiprotoni di quanti ne produceva il LEAR. Come pietra miliare nel progresso della scienza dell'antimateria e delle tecnologie per la produzione di anti-idrogeno, I'AD è effettivamente straordinario, ma la sua produttività è quasi insignificante se la si confronta con quella che sarebbe necessaria per la fabbricazione di antimateria su scala industriale. Se pure si potessero raggiungere risultati notevoli sul piano della produttività, è ingannevole credere che «la tecnologia dell'antimateria può salvare il pianeta»". Non soltanto è necessario utilizzare molta energia per la prima fase del processo, la produzione dell'antimateria, ma anche, come già abbiamo notato, dovremo tener conto di grandi quantità di energia irrecuperabile che si perde nell'operazione. La velocità delle antiparticelle, quando si formano, è prossima a quella della luce: dobbiamo dunque domarle e rallentarle; l'intervento richiede ulteriori quantità di energia. Molte sono le particelle che comunque si disperdono: tutta l'energia spesa per fabbricarle è definitivamente perduta. Se riuscissimo a trovare grandi quantità di antimateria in qualche luogo dove la natura ha già speso energia per produrla e se dunque potessimo semplicemente utilizzarla, i nostri problemi energetici potrebbero davvero essere risolti. Ma finché noi stessi dovremo fabbricarla, non potremo far nulla di meglio di quanto facciamo costruendo batterie di accumulatori: un procedimento che "fornisce" meno di quanto "consuma", come tutti i processi industriali. Purtroppo l'antimateria non è la panacea che può «salvare il pianeta». Non è però, e fortunatamente, neppure «l'arma più letale».
L'antimateria che produce verità. Anche un'altra "applicazione pratica" dell'antimateria sembra essere improbabile: la produzione di quantità di energia abbastanza grandi da interessare le società distributrici di energia elettrica. La sostanza ha dimostrato invece di avere potenzia" Ibid., p. 93.
lità eccezionali in altri campi, come la medicina, la tecnologia e, s'intende, la fisica fondamentale. Quando fasci i cui componenti si spostano a velocità prossime a quella della luce cozzano frontalmente e si annichilano, la quantità di energia che si libera è piccola, ma la sua concentrazione in un volume più piccolo di un nucleo atomico è enorme. Tutte le culture si sono interrogate, fantasticando, sulle proprie origini e sul paradosso legato all'idea che qualcosa possa essere sorto dal nulla. Nessuno sa perché il Big Bang si è verificato, ma dall'energia allora comparsa è nato tutto ciò che noi conosciamo. E sono i fasci di antimateria, prima antiprotoni, poi positroni, che ci hanno permesso di simulare, in esperimenti, le caratteristiche dell'Universo dei primordi e di incominciare a capire che aspetto avesse quando esisteva da meno di un miliardesimo di secondo. Una stupefacente conquista dell'intelligenza umana, cioè di un gruppo di atomi ordinatamente messi insieme e capaci di pensare, di guardare e ri-guardare con meraviglia l'Universo che ci ha prodotti, di fabbricare macchine che possono indagare sulle nostre origini nel Big Bang. E lo strumento che ha reso possibile tutto questo è l'antimateria. Con una tale fonte di ispirazione offerta dai fatti, dalla realtà, chi ha bisogno di cose inventate ?
Appendice
I costi dell'antimateria
Varie volte, nelle pagine di questo libro, ho sostenuto che si deve disporre di quantità non piccolissime di antimateria se con essa si vuole fare qualcosa. Se siete interessati ai valori di tali quantità, leggete quanto segue: si tratta di alcune equivalenze e di pochi dati che ho deciso di mettere qui, considerando che avete ormai letto il resto del libro e potreste aver voglia di controllarne alcune affermazioni, eseguendo pochi calcoli aritmetici molto semplici. Un primo confronto: quello tra l'energia ottenibile dall'antimateria e quella scatenata dalla bomba di Hiroshima. Proviamo a controllare questo dato che viene citato ovunque. E vero che un grammo di antimateria può liberare l'energia di una bomba da 20 chilotoni ? Si, è vero; anzi l'energia è addirittura un po' di più. L'energia di 1 chilotone (per questa unità è spesso usato il simbolo kt) è quella che si ottiene dall'esplosione di 1000 tonnellate di trinitrotoluene (spesso usata l'abbreviazione TNT; comune anche l'uso del nome trìtolo). Questa energia equivale a quattromila miliardi di joule. Per la precisione 1 kt = 4,2 x IO12 J ss 4 TJ, circa quattro terajoule. Il joule (J) è l'unità di misura dell'energia nel Sistema Internazionale (si) ed è l'energia cinetica di un corpo materiale che ha la massa di un kilogrammo e si muove alla velocità di un metro al secondo. L'energia è data dal prodotto della massa per il quadrato della velocità: E = mx.if. Il kilogrammo (kg) è l'unità di misura della massa nel Sistema Internazionale (sì); un grammo (1 g) ne è la millesima parte (1 g = 1 x IO"3 kg). Il metro (m) è l'unità di misura della lunghezza nel Sistema Internazionale (sì). Il secondo (s) è l'unità di misura dell'intervallo di tempo nello stesso Sistema Internazionale (sì).
La velocità della luce è di 300 000 km/s = 3 x IO8 m/s. Sappiamo, dall'equazione di Einstein che E = mà dunque per ogni grammo di materia otteniamo E = IO3 x 9 x IO16 kg m2/s2, cioè E = 9 x IO13 J (novanta terajoule). Poiché 4,2 terajoule corrispondono a un chilotone, novanta terajoule corrispondono a 21,4 chilotoni. Questa è dunque l'energia intrappolata in un grammo di antimateria. La stessa quantità di energia è intrappolata anche in un grammo di materia: ne consegue che, per ottenere lo stesso effetto distruttivo della bomba di Hiroshima ci occorre soltanto mezzo grammo di antimateria. Il ragionamento si basa però sul presupposto che si riesca a liberare tutta l'energia in un solo istante. Non si può in effetti escludere che, dopo tutte le difficoltà affrontate e i costi sostenuti per la fabbricazione e il contenimento dell'antimateria, l'annichilazione di un atomo dopo l'altro provochi soltanto un po' di sibili e non un'esplosione. L'altro aspetto da prendere in considerazione è la durata del processo di produzione: quanto tempo ci vuole per produrre un grammo (g) di antimateria, o addirittura un solo nanogrammo, un miliardesimo di grammo (1 x IO"12 kg) ? Per fabbricare un grammo di antiprotoni dovreste fabbricarne 6 x IO23, mentre un grammo di positroni ne comprenderebbe IO26. La più efficiente fabbrica di antiprotoni è il Fermilab di Batavia (Illinois), circa 50 km a ovest di Chicago. Il record della produzione è stato raggiunto nel giugno 2007: IO14 antiprotoni in un mese di lavoro (centomila miliardi). Se la produzione rimanesse costante per tutti i mesi di un anno, si riuscirebbe a fabbricare IO15 antiprotoni (un milione di miliardi), corrispondenti a 1,5 nanogrammi (miliardesimi di grammo). Riuscendo a conservare e a stivare tutti questi antiprotoni e provocando, con essi, l'annichilazione di 1,5 nanogrammi di materia, l'energia complessivamente liberata sarebbe pari a circa 270 J, la quantità necessaria a tenere accesa una lampadina elettrica di media potenza per circa cinque secondi. L'AD del CERN, il «deceleratore di antiprotoni», produce mediamente 40000 antiprotoni al secondo, dunque circa IO13antiprotoni all'anno (mille miliardi), equivalenti all' 195 della produzione annua teoricamente possibile al Fermilab. Non si deve
tuttavia dimenticare che lo scopo della produzione di antiprotoni nei due laboratori è diverso: gli antiprotoni prodotti al CERN sono più freddi, una caratteristica necessaria per trattenerli e poi usarli per catturare positroni in modo da ottenere atomi di anti-elio. E possibile che, a Ginevra, il ritmo di produzione venga migliorato, arrivando infine a decuplicarlo o, eccezionalmente, a centuplicarlo, ma anche cosila produzione mondiale annua di antiprotoni sarebbe soltanto di 3 nanogrammi. Se si potessero raccogliere tutti, ma proprio tutti, gli antiprotoni finora prodotti riusciremmo a tener accesa la lampadina per pochi minuti. Una circostanza comunque non realistica perché la stragrande maggioranza di questi antiprotoni è da tempo andata perduta: il numero di antiprotoni che si è riusciti ad accumulare efficacemente è, al confronto, quasi irrisorio. Un laboratorio di fisica di Darmstadt, in Germania, è riuscito negli ultimi anni a raggiungere gli standard produttivi del Fermilab. Se anche si aggiungessero gli antiprotoni qui prodotti a quelli dei laboratori già citati si sarebbe ancora assai lontani dalle quantità necessarie a soddisfare le ottimistiche aspettative di coloro che pubblicizzano gli antiprotoni come combustibile per i veicoli spaziali. Per quanto riguarda l'anti-idrogeno, gli antiprotoni intrappolati con i positroni al CERN possono fornire parecchie centinaia di atomi di questo anti-elemento ogni secondo. Per fabbricarne un nanogrammo occorrerebbero centinaia di secoli. Per riempirne un palloncino (non vale neppure la pena di considerare la possibile produzione di un grammo), il tempo necessario sarebbe assai più grande di quello trascorso da quando esiste l'Universo.
Il «Codice Dirac»
Dirac si proponeva di scrivere un'espressione matematica in grado di rappresentare l'energia di cui è dotato un elettrone come somma di due soli addendi: la sua energia a riposo mà e una componente dovuta al moto della particella. Questa seconda componente è indicata tradizionalmente con il prodotto pc, ove p è la quantità di moto dell'oggetto (grandezza vettoriale data dal prodotto della sua massa m per la sua velocità v : dunque p = mv) e c è la velocità della luce nel vuoto. Tale convenzione non è importante per le descrizioni che fornisco in questo libro, ma l'adotterò per risparmiare al lettore qualche incertezza nel caso leggesse anche altri testi. Einstein aveva dimostrato che i due addendi e l'energia erano legati dalla relazione che rappresenta il teorema di Pitagora (in un triangolo rettangolo, il quadrato dell'ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati dei due cateti): E = (me2)2 + (pc)2 Dirac voleva esprimere il legame con una relazione tra termini lineari e non tra termini quadratici, voleva cioè che l'energia (E) venisse espressa come semplice somma di due addendi, una "certa quantità" di {me2) e una "certa quantità" di (pc), e non come radice quadrata di una somma di due quadrati. Due soli addendi e nient'altro. Ciò che doveva ottenere era la rappresentazione corretta e completa di quelle "certe quantità" di ognuna delle due grandezze nel secondo membro dell'equazione. Un facile modo per capire come mai Dirac volesse proprio tentare di ottenere qualcosa di apparentemente impossibile ci può essere fornito dalla considerazione del comune esempio di un triangolo rettangolo i cui lati sono proporzionali ai numeri
3, 4, 5, valori che possiamo assegnare rispettivamente a mà, pc ed E. L'elevazione al quadrato ci dà i numeri 9 e 16, la cui somma è 25. Ciò che a Dirac premeva ottenere era l'espressione dell'effettivo valore dell'energia, 5 (cioè la radice quadrata di 25) come somma degli addendi "una certa quantità di" 3 e "una certa quantità di" 4 e poi elevare al quadrato tutta l'espressione e confrontarla con la classica relazione "pitagorica" (legata alla geometria del triangolo) di Einstein 25 = 9 + 16. Possiamo indicare le "quantità" incognite, cioè i coefficienti delle grandezze qui rappresentate dai numeri «4» e «3», rispettivamente con le lettere a e b. Il nostro indovinello matematico si può quindi scrivere 5 = 4a + 3b.
(1)
Successivamente possiamo elevare al quadrato gli elementi di entrambi i membri 25 = 16a2 + W + 12axb+12bxa
(2)
e confrontare poi questa uguaglianza con quella del ragionamento di Einstein E2 = (me2)2 + (pc)2 e il suo equivalente in numeri 25 = 16 + 9.
(3)
Ne otteniamo le seguenti uguaglianze: a2 = 1;
P=1
e
12a x b + \2b x a = 0
che ci pongono subito di fronte all'inghippo: non esistono numeri il cui quadrato sia 1 e i cui prodotti, sommati, diano come risultato 0. Ciò non dipende dalla nostra scelta particolare dei tre numeri 3, 4, 5: si tratta di un risultato che è vero per qualsiasi altro numero si assuma come valore di me2, pc ed E.
In termini generali stiamo cercando di porre a sistema le due equazioni E2 = b'imc2)2 + a2(pc)2 + axb [(pc) x (me2)] + bxa [(me2) x (pc)]
(4)
E2 = (me2)2 + (pc)2
(5)
e
E la soluzione comporta che sia sempre at-b + b*a = 0. Se ne deduce che l'energia dell'elettrone non può essere espressa come semplice somma di me2 e della componente pc, dovuta al moto, e contemporaneamente soddisfare alla relazione di Einstein che dà E 2 rappresentando le grandezze con i lati di un triangolo rettangolo e utilizzando il teorema di Pitagora. O almeno che ciò non è possibile se a e ¿sono soltanto numeri. Non si può risolvere il rompicapo con i numeri, ma si può farlo con le matrici. Se volete sapere che cosa sono e come si utilizzano questi strumenti matematici, leggete la sezione seguente. Se siete soprattutto o principalmente interessati ai risultati ottenibili impiegandoli nel problema che stiamo considerando, saltatelo.
Come le matrici risolvono il problema di Dirac. Per la descrizione in termini matematici di molti fenomeni fisici non sono sufficienti le semplici operazioni condotte di solito con i numeri, ma si devono utilizzare altri accorgimenti. Tra questi strumenti, che di fatto costituiscono una generalizzazione o, se vogliamo, un ampliamento del concetto di numero, si contano le matrici. Si tratta di particolari tabelle in cui vari numeri sono ordinati in righe e colonne; per eseguire sulle matrici le operazioni aritmetiche, in particolare l'addizione e la moltiplicazione, occorre attenersi a regole particolari. Con le matrici si possono anche rappresentare i numeri tradizionali. Una matrice che abbia cifre uguali in tutta la diagonale che va dall'alto a sinistra al basso a destra rappresenta un numero normale.
Il comune numero 1 è rappresentato dalla matrice a due righe e due colonne che ha la cifra 1 in alto a sinistra e la cifra 1 in basso a destra.
meri normali. Le matrici che hanno tante righe quante colonne sono dette matrici quadrate. Una volta apprese le regole per l'addizione e la moltiplicazione possiamo operare con le matrici come quando eseguiamo le operazioni aritmetiche con i numeri consueti, e altrettanto facilmente. Per l'addizione non ci sono sorprese: si sommano le cifre che in una matrice e nell'altra occupano la stessa posizione nelle righe e nelle colonne: le prime cifre delle prime colonne si sommano; le seconde cifre delle prime colonne si sommano, e cosi via per tutte le posizioni: a
b
A
B
a +A
c+C
e
d
C
D
c +d
d+D
La regola per la moltiplicazione è meno ovvia: essa comporta che gli elementi di una matrice vengano moltiplicati per quelli dell'altra incrociando le corrispondenze (ad esempio il primo elemento della prima riga della prima matrice con quelli della prima riga della seconda matrice; il secondo elemento della prima riga della prima matrice con quelli della seconda riga della seconda matrice, e cosi via); poi questi prodotti vengono sommati a due a due per ottenere i valori della matrice risultante. (Risulta subito evidente una limitazione: due matrici possono essere moltiplicate soltanto se il numero delle righe di una è uguale a quello delle colonne dell'altra). la
b\
\c
djX\C
(A
B\laA
+ bC
D/ ~~ \cA + dC
aB + bD\ cB + dDl
Conoscendo queste caratteristiche delle matrici possiamo affermare che le due matrici seguenti soddisfano le condizioni necessarie a risolvere il problema di Dirac:
Eseguendo infatti le operazioni con le regole enunciate si può verificare che a2 e b2 sono entrambe uguali a 1; si possono allora calcolare i prodotti axbebxae d ecco che cosa si ottiene
Cosi, s e a e b sono queste matrici risulta axb+bxa= la teoria di Dirac può "funzionare".
Oe
Energia negativa. In realtà la sfida implicita nella proposta teorica di Dirac si rivela un po' più ardua, perché la quantità di moto (come la velocità) è una caratteristica tridimensionale, nel senso che è misurabile in tre distinte direzioni. (Queste grandezze dipendono dalla direzione e dal verso: sono dunque grandezze vettoriali). Potete muovervi verso nord o verso est, ma anche verticalmente oppure, combinando variamente queste componenti, in qualunque altra direzione. Per descrivere esattamente il vostro moto è necessario conoscere l'entità della velocità in ognuna di queste tre direzioni o dimensioni indipendenti. Il termine pe con cui aveva a che fare Dirac era in realtà costituito da tre componenti, ognuna rappresentante l'entità di pe in ciascuna delle tre distinte dimensioni. Dunque invece della semplice quantità a, dovremo di necessità considerarne tre. Se indichiamo le tre dimensioni con x, y e z, dovremo avere a(x), a(y) e a{z), ognuna delle quali dovrà soddisfare la condizione che il suo quadrato
abbia valore 1 e che i prodotti di ognuna per le altre, sommati a due a due, diano sempre come risultato 0: queste somme di prodotti devono insomma sparire. Per comprendere la straordinaria importanza dell'operazione condotta da Dirac, immaginiamo inizialmente che l'elettrone non abbia massa e che dunque per completare il calcolo si debbano trovare soltanto i valori di a(x), a{y) e a{z). Le tre matrici che risolvono questo problema "semplificato" sono quelle che abbiamo appena incontrato:
Tutto sarebbe dunque perfetto se non fosse per il particolare prima trascurato: l'elettrone ha una massa e nel calcolo non abbiamo tenuto conto del termine me2. Si è allora portati ad accettare, come ovvia, la proposta di considerare anche il fattore b, per cui si moltiplica me2, come una matrice e tale proposta è legittima. Ecco però scattare un'altra trappola: usando matrici "quadrate" a due righe e due colonne siamo riusciti ad affrontare e risolvere il problema di definire le tre componenti a(x), a(y) e a(z) del moltiplicatore a, ma cosi facendo abbiamo impiegato tutte le matrici indipendenti disponibili (la connotazione «indipendenti» significa che tutti gli altri fattori in gioco possono essere soltanto numeri comuni oppure prodotti o somme di queste tre). In particolare, la nostra a{z) non è altro che il moltiplicatore indicato precedentemente come b: che cosa può ora ricoprire il ruolo di moltiplicatore di me2 ? Non può essere che un numero, come 1, e ci troviamo dunque ad affrontare la difficoltà che ci aveva bloccati all'inizio: come possiamo sbarazzarci degli indesiderati termini {me2) x (pc) e rimanere con i due soli addendi {me2)2 + (pc)2della combinazione di Einstein?
Il lettore attento noterà che la matrice qui indicata come a(y), se elevata al quadrato, dà come risultato - l e non + 1. La soluzione di Dirac richiede dunque che essa venga moltiplicata per -i (dove i è la radice quadrata di - 1 , ed è detta unità immaginaria: si ha, per definizione, i' = - 1 ) ; soltanto cosi si otterrà il valore 1, infatti ? ( - 1 ) = - 1 * - 1 = + 1 .
Per riuscirci non abbiamo scelta: b deve essere una matrice, ma le matrici a due righe e due colonne hanno esaurito tutte le proprie possibilità, tutto il loro "campionario". Dirac capi che era necessario raddoppiare ogni elemento, usando matrici a quattro righe e quattro colonne. Siamo cosi arrivati al punto in cui l'energia negativa entra nella storia: un passo fondamentale per arrivare all'antimateria. Ci serve soltanto un'uguaglianza ben nota agli studenti delle scuole medie superiori: j
[{a + b)2 + (a - b)2] = a2 + b2
(6)
Poiché in essa non compare alcun termine comprendente il prodotto axb, nella relazione j
[(pe + me2)2 + (pe - me2)2] = (pc)2 + [me2)2
(7)
non compariranno i termini {me2) x {pe) e, particolare ancora più interessante, essa comprende la combinazione {pe)2 + {me2)2 dell'equazione di Einstein. Dirac ha allora preso le matrici a due colonne da lui elaborate per la situazione in cui mà = 0 e le ha moltiplicate, una volta assumendo b = + 1 e una volta assumendo b = -1. Scritti come matrici due-per-due (con due righe e due colon/I ne) questi numeri sono rispettivamente I
0\
le
- 1 , 0
0 ' - 1
Combinandole poi per ottenere matrici quattro-per-quattro (con quattro righe e quattro colonne), Dirac ha ottenuto questo tipo di disposizione 1
0
0
0
0
1
0
0
0
0
- 1
0
0
0
0
- 1
che certamente non è più un semplice numero.
Trovandosi di fatto costretto a valersi di matrici quadrate a quattro colonne, Dirac le ha strutturate con una simmetria che appare per lo meno intrigante. Sono dette matrici gamma (y) di Dirac. Gli elementi a(x), a(y) e a(z) avrebbero dovuto trovar posto negli angoli opposti, ma con la metà inferiore della struttura di segno opposto a quello della metà superiore (ciò consentiva di tener conto del contrapporsi dell'energia positiva e dell'energia negativa); ovunque, altrove, non c'era niente: cioè 0 nelle varie posizioni. Nella quarta delle matrici gamma b diventa + 1 nella metà superiore e - 1 in quella inferiore, esattamente come abbiamo scritto qui sopra. E più facile rendersi conto degli schemi guardandoli con attenzione e confrontandoli gli uni con gli altri. Se poi volete sapere come le matrici di Dirac sono state e sono applicate praticamente, iscrivetevi al corso di fisica dell'università più vicina a casa vostra! Constaterete che alla fine tutto ha funzionato perfettamente.
Matrici gamma di Dirac esplicitate 0
0
0
1
0
0
1
0
Y(*) =
v(y)
0
0
0
-i
0
0
i
0
=
0
- 1
0
0
0
i
0
0
- 1
0
0
0
-i
0
0
0
(dove i è la radice quadrata di - 1 )
0 0 Y (z) =
0
0
10 0
- 1
-10 0
0
0
0
1 0
' 1 0 Y(4) =
0 10 0 0
0 0
0
0
0
0
1
0 - 1
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Indice analitico
AA, accumulatore di antiprotoni, 97, 98, 106. acceleratori di particelle, 35, 54, 72, 8 i , 84, 88, 92, 94, 99, 108, 132: dimensioni, 86, 94; effetti della gravitazione sugli - , 109. accelerazione, 34, 35, 38, 77, 97, 104 n. acidi forti e idrogeno, 5 1 . Ackermann, Jorg, 158. AD, deceleratore di antiprotoni, 106, 107, 163, 164, 170. adroni, 1 1 1 fig, 1 1 2 n. alfa, particelle, 64, 75 n, 86. alfa, "raggi", 75 n. Alice, 6. alieni, 122-24. AMS (AntiMatter Spectrometer), 128. Anderson, Cari David, 25, 61-64, 67-69. anelli di accumulazione, 93, 94, 102, 108. annichilazione, 6, 7, 13, 15, 19, 20, 24, 7 1 , 72, 73 e n , 74-90, 94, 96, 98, 106, 109, 123 n, 127, " 8 , 1 3 1 , 132, 139, 140, 145, 149, ' 5 ° . r 5 3 e n> J 55> ! 59> ' 6 2 , 170. anno-luce, 126 n, 128, 130. anti-alieni, 114, 123 n. anti-atomi, 17, 22-24, 26, 28, 105-7, ' i 0 .
- ed energia, 3, 8, 12, 13, 16, 20, 107, 109, 141,142,149,153,155,159,162,169,170; - e fantascienza, 5, 6, 13, 14, 160-62; - e gravitazione, 104; - e materia, vili, 3, 6, 7, 14, 23, 27, 28, 32, 39. 54. 68, 74, 75, 79, 83, 88, 90, 9 1 , 94, IOI, 104, 107, 109, n o , 112, 117-27, 130, I 3 I > I33'35> I 4°"42, 160, 162; I37> l3&> - e tempo, 114, 116; extraterrestre, 122-24; in natura, 17-20; proprietà chimiche della - , 126; proprietà fisiche della - , 24, 126; raggio d'azione della - , 8; quantità prodotte, 3, 107, 150; tempi per la produzione, 150, 170. anti-meteoriti, 127. anti-mondo, 17, 4 1 , 42, 82, 152. antineutrini, 63 n, 134-40. antineutroni, 63 n, 80, 82, 126, 135. antiparticelle, 55 fig, 56, 5 7 , 73, 80, 8 1 , 83, 88, 90, 9 1 , 94-96, 98, 99, 101-6, 108-10, m - 1 4 , 1 1 7 , 1 1 9 , 121 fig, 125-28, 130, 132, 1 3 7 , 138, 140, 1 4 9 - 5 1 , 158, 1 6 1 , 164.
152, 161. anti-comete, 127. anti-elettrone, 53, 54, 137. anti-galassie, 126. anti-gravità, 104. anti-idrogeno, 26, 80, 105-7, I 2 4 , I 2 f >, 1 5 1 , 152, 163, 164, 1 7 1 . anti-kaone, 119, 121 fig, 122. antimateria, VII, vili, 3, 5-8, 11-28, 32-35, 39, 56, 5 7 . 72, 73. 78, 79. 82, 83, 88, 125130, 132, 134, 137, 143-47. 149. 1 5 0 . 1 5 2 156, 159-65, 169, 179: applicazioni pratiche della - , VII, 14, 18, 20, 90, 148, 149, 164; bombe e ordigni ad - , VII, 13-17, 20, 89, 133-55. 159-61, 163; confinamento, 90-112, 150, 1 5 1 , 156, 162; costi per la produzione, 98, 153; definizione, 26, 27;
antiprotoni, 26, 63 n, 81-84, 88, 90, 1 0 4 , 1 0 7 , 112 n, 126, 1 3 7 , 145, 154-56, 158: confinamento, 91, 97-99, 103-5, IQ 8> 1 5 1 , 156, 157; - e anti-idrogeno, 80, 105, 106, 124, 152; - e Big Bang, 131-33, 165; - e protoni, 80, 81, 89, 90, 95, 96, 98, 103, 124, 130, 131; massa, 80, 95, 98, 102-4, 124, 157; nei raggi cosmici, 81, 105, 128; produzione, 95, 102, 150, 1 5 1 , 156, 157, 163, 164, 170, 1 7 1 ; raffreddamento, 96-98, 102, 103, 106. antiquark, 63 n, 80, 83, 88, 90, 110, 1 1 2 , 118, 1 1 9 , 121 fig, 122, 133-35, 140. anti-stelle, 126-30. arcobaleno, colori e lunghezze d'onda, 19, 31. argento, elemento chimico, 126 n. argon, elemento chimico, 5 1 .
armi: ad antimateria, VII, 14-17, 20, 153, 154, 159, 160, 163. a fusione fredda, 16; a positroni, 163; ATHENA ( A n T i H y d r o g E N Apparatus), 106, 107. atmosfera, 9, 58, 64, 123, 128, 129, 143-47; terrestre, 10, 21, 128, 129, 147. atomi, 3, 6, 12, 13, 17, 18, 20-25, 2 7"33> 36, 37, 45, 46, 50, 5 i , 5 6 - 59, 61-64, 65 /zg, 67-72, 75, 78-80, 84, 86, 89, 9 1 , 99, 100, 105-8, n o , 1 1 3 - 1 6 , 1 2 4 , 126, 1 2 8 , 1 3 1 - 3 3 , 142, 1 4 7 - 4 9 , 1 5 I > r 5 2 > ' 5 8 , I 6 i , 165, 170, 171: comportamento, 21, 27; decadimenti, 72 n; struttura, 23, 86; si veda anche anti-atomi. ATRAP, esperimento, 107. attrito, 1 1 5 , 149: - e calore, 143. azione a distanza, 76: - e interazioni, 77. azoto, elemento chimico, 64, 65, 70, 126 n. Bayeux, arazzo di, 143. Becquerel, Antoine-Henri, 69. Beethoven, Ludwig van, 5, 42. beta, decadimento, 136. Bevatron, 81, 82, 132. Big Bang, vili, 20, 102, 132, 133, 135, 139, 161, 165: conseguenze, 6, 12, 22, 28, 39, 83, 125, 130, 133; cronologia d e l - , 98, 130, 131; - e "mini Bang", 109, n o . Bikini, atollo, 13. Blackett, Patrick Maynard Stuart, 64-68. Bohr, Niels Henrik David, 30. bomba: ad antimateria, VII, 13, 89, 153-155, 160, 169, 170; termonucleare (all'idrogeno), 13, 16; a positroni, 15, 163. "atomica", 15, 16, 20, 56, 1 1 3 , 127, 153 n, 155, 160, 169, 170; Bose, Satyendranath, 75. Bose-Einstein, statistica, 1 1 1 fig. bosoni, 75-79, 81, i n fig, 118, 122, 134, 135 e n; di Higgs, 139. bottiglie magnetiche, 103, 105, 1 5 1 , 152. brillamenti solari, 129. Brookhaven National Laboratory (New York), 119.
Brown, Dan: Angeli e demoni, VII, 149, 160-63. buchi neri, 129. Budker, Gerii Itskovic, 95, 96, 103. bussola magnetica, 25, 76, 152. Caltech (California Institute of Technology), 6 1 , 62. camera a bolle, 85: interpretazione delle tracce, 85. camera a nebbia, 59-62, 64-68, 84, 85. campi, 9 1 , 153: caratteristiche, 158; elettrico, 19, 20, 68, 89, 92 e n, 99, 100, 103, 105, 106, 150, 1 5 1 , 158, 159; elettromagnetico, 76, 9 1 , 101, 107; - e teoria quantistica, 76; gravitazionale, 104, 107, 1 1 7 ; magnetico, n , 19, 20, 24, 25, 32, 33, 45, 46, 60-62, 66, 67, 76, 80, 85, 92 e n, 93, 95, 9 9 _ I ° i , 103, 105, 106, 108, 109, 128, 136, 150-52, 158, 159. campo magnetico terrestre, 25, 128: perturbazioni, n . carboidrati, 70. carbonio, elemento chimico, 12, 21-23, 7 ° , 126 n, 147: composti del - , 22, 79, 147; radioattivo (carbonio-14), 146. carica elettrica, 17, 3 2 , 5 6 , 6 1 , 69, 78, 80, 84, 86-88, 92 n, 93, 99, n i e fig, 1 1 6 , 124, 134-36, 1 5 1 : negativa, 38, 57, 62, 80, 136, 137; positiva, 24, 26, 5 7 , 69, 78, 80; semintera, 87, i n fig. Carroll, Lewis: Attraverso lo specchio, 6. Cassini-Huygens, sonda spaziale, 156. catodici, raggi: tubi a - , 99. Cavendish, Henry: - Laboratorio (Cambridge, UK), 64, 65, 67. CERN (Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire), vili, 92, 94, 96, 97, 102, 104, 105, 110, 1 2 1 , 1 4 1 , 154, 1 5 5 , 1 5 7 , 160, 161, 1 7 1 : laboratori (Ginevra), VII, 17, 35, 9 1 , 105, 145, 162; AA, accumulatore di antiprotoni, 9 7 , 9 8 , 1 0 6 ; AD, deceleratore di antiprotoni, 106-7, *(>}• 164, 170; LEAR, anello per protoni di bassa energia, 102, 105, 106, 150, 155, 156, 164; LEP Collider, grande collisore per elettroni e positroni, 94, 107-11, 112 e n, 116, 1 1 7 , 122, 1 3 1 , 133;
LHC, grande collisore per adroni, 112 n, 141; SPS, Super Proton Sychrotron, 96, 97. cervello, 70-72: tomografia PET sul - , 18, 72. Chamberlain, O w e n , 82. charm, i n fig, 1 1 2 . Chicxulub, cratere da impatto, 144. chilotone, unità di misura, 20, 160, 169, 170. ciclotrone, 92. cinematica, 34, 44. cloro, elemento chimico, 5 1 . cometa, 127, 143-47: chioma, 143; dimensioni della - , 143; coda, 143; direzione della - , 146; effetti del vento solare sulle - , 146; struttura, 143. commutativa, proprietà, 47. confinamento, 98, 157: dell'antimateria, 150, 1 5 1 , 136, 157, 170; delle antiparticelle, 98, 161; delle particelle cariche, 98. contenitore non materiale, 98, 99 corrente elettrica, 99, 100: come flusso di elettroni, 69, 70. cosmici, raggi, 54, 60 n, 6 1 , 62, 64, 65 fig, 66, 67, 128, 129, 141: antiparticelle presenti nei - , 7, 58, 62, 64, 81, 105, 128; - e raggi gamma, 6 1 , 62; particelle presenti nei - , 58, 62, 75, 81, 84, 88. CP, simmetria, 119. CPT, simmetrie: teorema delle - , 1 1 8 n. Cronin, James Watson, 119. csi (,E), particella, 85, 88. Curie, Marie Sklodowska, 69. decadimento radioattivo, 64, 69, 75 n, 106. Dehmelt, Hans Georg, 99-101, 102 e n. delta (4), particella, 85, 87. deuterone, 71 fig. dimezzamento, tempo di, 72 n. dinamica, 27, 34, 44. diossido di carbonio, 79, 147. Dirac, Paul-Adrien-Maurice, 23, 26, 32-34, 40-54, 55 fk. 56-61, 64, 66-68, 72, 75, 76, 79, 81-84, I 0 0 > I 0 7> I 2 2 > I 2 6 : codice, 47, 173-80; equazioni di, 47-50, 56, 57, 75, 88, 100, 134, 138; lapide commemorativa, 50. disavanzo di energia, 135.
disavanzo di massa, 18, 73 n. DNA, 21, 126, 148. "doglie della creazione", 6 1 . droni, 156. Edwards, Kenneth, 14, 15 n, 154, 155, 159. Eglin Air Force Base, USA, 14, 154, 159. Einstein, Albert, 23, 29, 33-35, 3 6 f i g , 38, 46, 49, 50, 74, 170, 173-75. 178, 179elementi chimici, 12, 17, 18, 21, 22, 5 1 , 70, 126 e n: elettroni negli - , 24, 5 1 , 52, 126; formazione degli - , 77, 126 n, 130, 133; isotopi degli - , 70, 72 e n; nuclei, 24, 65, 105, 126; spettri, 3 1 , 127; Tavola Periodica degli - , 5 1 , 52, 86, 126. elettricità, 99; si veda anche corrente elettrica, elettrodebole, interazione, 96, 1 1 1 fig. elettrologia, 47. elettromagneti, 60, 9 1 , 93, 108. elettromagnetica, interazione, 25, 7 6 , 1 1 1 fig. elettromagnetismo, 26. elettroni, 18, 19, 26 n, 28-33, 36, 38, 45, 46, 49-64, 66, 68-70, 72, 74, 76, 79, 81, 83, 84, 86, 88-90, 93, 94, 96, 99-101, 102 n, 103, 105, 108, 110, i n , 1 1 4 , 1 1 6 , 1 1 7 , 122-26, 128, 131-34, 135 n, 136-38, 148, i5 2 > 173. 1 7 5 . 178: annichilazione, 6, 15, 20, 38, 70, 7 1 , 73, 94, 106, 109; carica elettrica, 24, 26, 38, 53, 5 7 , 58, 6 1 , 62, 69, 93, 136; come fermioni, 75, 79, n i fig, - e atomi, 18, 28, 86; - e bosoni, 79, 135 n; - e calore, 96; - e positroni, 17 e n, 38, 55 fig, 57, 60, 6 1 , 65 fig, 67, 68, 72, 75, 82, 93-96, 101, 102, 105, 107-11, 116, 1 1 7 , 129, 133, 1 3 7 , 1 3 9 , 140, 152, 158, 159; fasci di - , 93, 94, 107, 1 3 1 , 136; flusso ordinato di - , 69, 70; isolamento, 32, 100; massa, 17, 80, 81, 93; scoperta, 32, 99; spin, 33, 46, 49. 50, 136, i 3 7 : intrinseco, 46, 49; velocità, 28, 29, 35, 45. elettronvolt (eV), unità di misura, 81. elica, curva, e DNA, 21. elio, 18, 5 1 , 102, 103: nuclei di - (particelle alfa), 75 n; produzione di - nel Sole, 73 n, 77. elio-3, 71 fig.
elio-4, 71 fig. energia: cinetica, 37, 44, 46, 47, 49, 50, 74, 75, 95, 108, 169; - e calore, 12, 39, 50, 96, 146; latente, 142, 148, 162; negativa, 46, 49-53, 55 n, 7 9 , 1 1 7 , 177-80; positiva, 46, 50, 53, 55 n, 80, 1 1 7 , 180; pura, 39, 57, 74; quanti di - , 29; raggiante, 125, 130, 162; solare, 18; unità di misura, 37, 169. ESA (Agenzia Spaziale Europea), 129. esplosioni, confronti tra energie, 12, 13, 146. estinzione dei dinosauri, 144. fantascienza, 13, 14, 53, 112 n, 150, 157. Fermi, Enrico, 75. Fermi-Dirac, statistica, i n fig, 134. Fermilab (Batavia, Illinois, USA), 1 7 , 150, 170, 1 7 1 . ferro, elemento chimico, 21, 78, 126 n, 152. Feynman, Richard, 1 0 1 , 1 1 3 , 1 1 7 , 1 1 8 . finestra visibile, 163. Fitch, Val Logsdon, 119. fluoro, elemento chimico, 5 1 . Forster, Edward Morgan, 42, 43. forze, si veda interazioni, fotoni, 29, 3 1 , 33, 38, 45, 55 n, 71 fig, 73 n, 74. 76, 1 1 3 , 133-35, 157: comebosoni, 75, 78, i n fig. freccia del tempo, 1 1 5 - 1 7 , 120, 1 2 1 . frequenza delle onde elettromagnetiche, 19, 100. Gabrielse, Gerald, 102, 103. Galassia, 129. galassie, 25, 122, 129: - e anti-galassie, 126. gamma, raggi si veda raggi gamma, gas inerti, 99. Geiger, contatore, 65, 66. ghiaccio secco, 147. Giotto, sonda, 127. G i o v e , pianeta, 143. Glaser, Donald, 85: camera a bolle, 85. Glashow, Sheldon Lee, 96. gluoni, 78, i n fig, 132, 133. GPS (Global Positioning System), 76. Grande Annichilazione, 7, 1 3 1 , 139, 140. gravità, 25, 104 e n, 1 1 7 n, 1 1 8 n, 133. gravitazionale, interazione, 25, 75-77, 104, 118 n, 129. gravitoni, 77.
Guerra del G o l f o , prima, 16. guerra fredda, 16, 163. Heisenberg, Werner Karl, 45: principio di indeterminazione, 45. Higgs, Peter Ware: bosone di - , 139. Hiroshima, 13, 20, 127, 169, 170. idrogeno, elemento chimico, 13, 16, 18, 21, 22, 3 1 , 5 1 , 56, 107, 126 n, 1 3 1 , 163 n: atomo di, 18, 21, 24, 28, 45, 56, 72, 86, 124. Ilich, Vasilij, 9. indeterminazione, 23, 27, 43-45: principio di - , 45. inerzia, legge di, 34, 35; INTEGRAI., laboratorio spaziale e telescopio, 129. interazioni, n o , 1 1 5 , 126, 138, 1 5 1 : - e adroni, i n fig; - e bosoni, 77-79, n i fig; elettrodebole, 96, i n fig; elettromagnetica, 25, 76, i n fig; gravitazionale, 25, 76, 104, 1 1 8 n, 129; nucleare debole, 77, 78, 96, 1 1 1 fig; nucleare forte, 26 n, 77, 78, 88, 90, 1 1 1 fig; vettori delle - , 79, 96, i n fig. intervallo di tempo, grandezza fisica, 38, 44, 148. iodio, elemento chimico, 5 1 . ionizzazione, 84. isotopi, 70: radioattivi, 72 e n, 106. Joliot-Curie, Frédéric, 69. Joliot-Curie, Irène, 69. joule (J), unità di misura, 1 1 , 37, 81, 169. kaoni, 81, 88, 89, 118-20, 121 e fig, 122-24. Kapica, Petr Leonidoviò, 56. kilogrammo, unità di misura, 169. Klein, Oskar Benjamin, 46. kripton, elemento chimico, 5 1 . Kulik, Leonid Alekseeviì, 10. lacune nei livelli energetici, 5 2 , 5 3 , 55 fig, 56. lambda (A), particella, 85, 87, 88. Landua, Rolf, VILI, 155. laser a raggi gamma, 72. Lawrence, Ernest Orlando, 92: laboratorio, 132. LEAR (Low Energy Antiproton Ring), 102, 105, 106, 150, 155, 156, 164. Leonidi, sciame meteorico, 144. LEP Collider, grande collisore di elettroni e po-
sitroni, 94, 107-11, 1 1 2 e n , 1 1 6 , 1 1 7 , 122, 131.133leptoni: classificazione, i n fig\ definizione, i n fig; generazioni d i - , 122, 134. LHC, grande collisore per adroni, 112 n, 141. luce: finestra visibile, 163; "pesante", 78; quanti di - (fotoni), 29, 31, 38, 43, 75; velocità, 7, 19, 28, 35, 36 fig, 37, 38, 45, 84, 90-92, 95, 9 7 , 1 0 6 , 132, 135, 137, 138, 148, 164, 165, 170, 173. Luna, 102, 108, n o , 1 1 5 n, 127; effetti gravitazionali sugli acceleratori, 109; forze mareali, 1 1 5 n. lunghezza, grandezza fisica, 169. lunghezza d'onda, 19: delle onde elettromagnetiche, 29. magnesio, elemento chimico, 5 1 . magneti, 24, 25, 32, 62, 91-93, 76, 106-8, 136: Polo Nord magnetico, 24, 32, 33, 136; Polo Sud magnetico, 24, 32, 33, 136. magnetismo, 32. Majorana, Ettore, 138: neutrini di, si veda majoroni. majoroni, 138-40. mari infiniti, 32, 53, 53 fig, 57. Marte, pianeta, 127, 143, 152, 156, 1 5 7 . massa, 17-19, 21, 23, 25, 26, 34, 35, 36 fig, 37, 38, 44-46, 5 4 , 5 6 , 57, 61-63, 68, 71 fig, 73 e n, 75 e n, 78, 80-82, 85, 87, 88, 93, 95, 98, 102-4, 110, i n e fig, 1 1 2 , 1 1 9 , 123, 124, 134, 137-39, 148, 1 5 ° , J 5 3 n, 156, 157, 169, 173, 178: a riposo, 46, 173; atomica, 34, 103, 124, 126 n; disavanzo di - , 18; - e inerzia, 34. massa, grandezza fisica, 169. materia, vili, 3, 1 1 - 1 4 , 17 e n, 20, 21, 23-26, *8, 33, 37-39, 5 1 . 5 * . 54, 56, 64, 68, 70, 86, 87, 89, 9 1 , 104 n, 105, 106, 109, 1 1 4 , 123 e n, 124, 130-32, 136, 137, 140, 142, 145, 148, 1 5 1 , 152, 153, 170: caratteristiche fondamentali, 11-14, 1 7 , 8 3 , 94, 113; comportamento, 113; - e antimateria, vili, 3, 6, 7, 14, 23, 27, 28, 3 2 , 3 9 , 5 4 , 6 8 , 7 4 , 7 5 , 79,83, 88, 9 0 , 9 1 , 9 4 , 101, 104, 107, 109, n o , 112, 117-27, 130, 131, 133-35, J37> ' 3 8 , 140-42, 160, 162; - e calore, 39;
formazione, 83, 94, 110, 1 3 1 , 133, 140, 161, 162; prevalenza sull'antimateria, 6, 7, 79, 125, 130, 1 3 1 , 133, 134, 138, 140. matrici, 47-50: - e proprietà commutativa, 47; nel Codice Dirac, 43 fig, 175-80. meccanica, 28, 1 1 6 : definizione, 44; grandezze fisiche, 35; leggi della - , 34, 45; quantistica, 27-29, 33, 36, 39, 41, 45-47, 51-53, 76, 1 1 7 , 126. Mendeleev, Dmitrij Ivanovii, 5 1 , 86: Tavola Periodica degli elementi, 5 1 , 52, 86, 126. mercurio, elemento chimico: lampade a vapori di, 31. mesoni, 123, 124. metalli, 25, 72, 130: affinità con l'acqua, 5 1 . meteoriti, 8, 144, 145: - e crateri, 8; impatto di - , 144. Millikan, Robert Andrews, 25, 61-64, 68. Modello Standard, m fig, 138. momenti magnetici, 152. moto, 33, 36 e fig, 37, 38, 44-46, 75-77, 80, 92 n, 100, 109, 1 1 5 - 1 7 , 136, 138, 152, 173, 175, 177: in senso antiorario, 33; in senso orario, 33; leggi del - , 5, 28, 34; uniforme, 34. muoni, 81, n o , n i efig. Nagasaki, 13. NASA (National Aeronautics and Space A d ministration), 13, 14, 156. «Nature», 9 n, 72 n, 129 n. neon, elemento chimico, 5 1 . neutrini, 71 fig, 73 n, 90, m fig, 122, 134-40: caratteristiche dei - , 133; spin dei - , 136-38. neutroni, 18, 19, 26 n, 54, 69, 70, 71 fig, 75 fig, 7 7 - 7 9 , 8 3 , 8 5 , 8 6 , 9 6 , 1 0 3 , n o , i n fig, 125, 126, 132, 136, 145, 146: assenza di carica elettrica, 69, 80; - e antineutroni, 80, 126, 135; - e quark, 77, 80, 86, 87, i n , 132, 135; stelle di - , 129, 133. Newton, Isaac, 5, 34, 36, 42: leggi della dinamica, 27, 28, 34, 35, 1 1 4 , 115; legge di gravitazione universale, 25. « N e w Y o r k Times», 16 n.
NIAC (NASA Institute for Advanced Concepts), i4Nobel, premi: per la chimica, 69; per la fisica, 26, 45, 52, 56, 6 1 , 69, 82, 92, 96, 97, 102 n, 1 1 9 . nucleare debole, interazione, 77, 78, 96, n i fit, si veda anche elettrodebole, interazione, nucleare forte, interazione, 26 n, 77, 78, 88, 90, i n fig. nuclei atomi, n - 1 3 , 1 6 , 28-30, 54, 58, 70, 77, 78, 84, 86, 105, 124, 126, 1 3 1 , 132, 135, 148, 165: dimensioni dei - , 23, 77; - e radioattività, 17, 65, 69; instabili, 64. nucleoni, 87, m e fig.
Occhialini, Giuseppe, 64-68. omega (W), particella, 85, 88. onde, 9, 29, 30 e fig, 3 1 , 45, 74, 76, i o o , 146: elettromagnetiche, 18, 29, 76, 163. Oppenheimer, Julius Robert, 56. oro, elemento chimico, 126 n. oscillazioni e reversibilità dei processi, 120. ossigeno, elemento chimico, 12, 22, 70, 72 n, 79, 126 n, 147. parità nelle particelle, 1 1 5 , 118, 121 fig. particelle, 12, 14, 16-19, 2 3 , 2 4 . 2 6 , 27, 29, 31. 33, 35, 38, 41, 44, 45, 5 ' , 53, 54, 56, 59, 61-73, 75, 76, 78-82, 84-88, 90, 9298, 101, 103-105, 109-114, 1 1 6 - 1 1 8 , 1 2 1 , 122, 1 2 4 - 1 2 7 , 129-132, 134, 135, 1 3 7 , 138, 140, 143, 149, 1 5 1 - 5 3 , 158, 160, 164, 1 7 3 . Paul, Wolfgang, 102 n. Pauli, Wolfgang Ernst, 52: principio di esclusione, 5 2 , 5 7 . Penning, Frans Michel: vacuometro a catodo freddo, 99; trappola di, 99 100, 102, 150. Pennsylvania State University, 154. Perseidi, sciame meteorico, 144. PET (tomografia a emissione di positroni), 18, 72«Physical Review», 114. Piccioni, Oreste, 82, 83. pioni, 78, 81, 82, 90, 123, 124, 145: nei raggi cosmici, 75, 88, 89. Pitagora, teorema di, 36 fig, 37, 173, 175. Planck, Karl Ernst Ludwig Marx, detto M a x , 29: teoria dei quanti, 29, 33, 44, 135 n.
plasma, stato fisico della materia, 131: di quark e gluoni, 132, 133. Plutone, pianeta nano, 143. positroni, 6, 14, 15, 17-20, 26, 38, 53, 55 fig, 57-61, 63, 64, 66-70, 71 fig, 72-75, 77, 78, 80-82, 88, 90, 9 1 , 93-96, 98, 1 0 1 , 102, 104-11,114,116,117,123,124,126,128, I 2 9> i 3 2 , 133, 135-37, 139, 140, I 5 I - 5 3 , 155-59. 165, 1 7 1 : annichilazione, 15, 19, 38, 72, 73 n, 106, 109, 128, 129; applicazioni in diagnostica industriale, 72; applicazioni in diagnostica medica, 18, 7072; bombe a, 15, 163; - e kaoni, 123; - e raggi gamma, 15, 18, 19, 70, 128, 129; massa dei - , 93, 157; nei brillamenti solari, 129; nei raggi cosmici, 58, 64, 65 fig, 67, 68, 81, 105, 128, 129; nella Galassia, 129; nome, 63 e n; previsione teorica, 4 1 , 60, 72. produzione, 17-19, 55, 65, 67-69, 108, I 2 9> : 33> r 3 7 , I 4 ° , JS 0 , 5 > I 7 ° i scoperta, 6, 58, 6 1 , 69, 80, 84, 104. positronio, 72, 152, 158, 159: eccitato, vili, 158. potenza, grandezza fisica, 148. Progetto Manhattan, 56, 1 1 3 . protoni, 18, 19, 24-25, 2 6 e n, 28, 29, 5 1 , 53, 54, 56, 62-64, 68, 69, 71 fig, 72, 73 n, 75 e n, 77-81, 83, 85-89, 95-98, 102, 103, 106, i n efig, 112 n, 124-26, 130-33, 135137, 140, 153: carica unitaria, 87; - e antiprotoni, 57, 80, 81, 89, 90, 95, 96, 98, 103; - e quark, 78, 80, 86, 87, n o ; massa, 57, 62, 73 n, 80; nei raggi cosmici, 58; struttura, 86, 87. protosincrotrone (PS), 96, 97. I
I
QFT (Quantum Field Theory), 76: si veda anche campi, quanti, 29, 96, 130, 131: teoria dei, 29, 33, 44, 135 n. quantità di moto, 36 fig, 37, 38, 44, 45, 77, 116, 173, 177. quark, 57, 77, 78, 80, 83, 86-88, 90, n o , n i efig, 118, 121 fig, 132-35, 140: bottom, 1 1 2 , 122; charm, 112; come fermioni, 1 1 1 fig;
down, 87, 88, n i , 1 1 9 , 120, 121 fig, 122; sapori dei - , 1 1 2 , 1 1 9 , 120, 122, 125, 134; strano, 87, 88, 112, 1 1 9 , 120, 121 fig, 122; top, 112; up, 87, 88, i n , 1 1 2 . radiazione cosmica di fondo a microonde, 7. radiazioni, 58, 6 1 , 62, 64, 63, 67, 68, 1 1 3 , 1 3 1 , 146, 162; elettromagnetiche, 7, 29, 74, 76, 96, 130, 163. radioattività, 6 1 , 6 9 , 75 n, 96, 1 3 5 , 1 3 6 , 1 3 8 : artificiale, 69. "raggi alfa", 75 n. "raggi beta", 136. raggi cosmici, 7, 54, 60-62, 64, 65 fig, 66, 67, 84, 103, 141: composizione, 58, 73, 81, 88; impatto sull'atmosfera, 128, i2;9 positroni nei - , 62, 63. raggi gamma, 19, 53, 58, 59, 61-63, 69, 74, 129, 156: annichilazione e - , 7, 15, 18, 19, 56, 70, 7 1 , 90, 1 2 5 , 1 2 7 , 128, 1 4 5 , 1 5 5 , 1 5 6 , 162; - e antiprotoni, 145; - ed energia dei positroni, 19, 70, 129; effetti sulle cellule viventi, 163; - e forme di vuoto, 56; - e raggi cosmici, 58, 6 1 , 62; lampi di - , 7, 128, 129; produzione, 68, 89, 90. raggi infrarossi, 74. raggio d'azione, 8, 75-77: delle interazioni, 90. raggi ultravioletti, 19, 74. raggi X , 19, 74, 129. reazioni chimiche, 70, 148: energia prodotta dalle - , 12, 146. relatività, teoria della, 23, 28, 33-35, 44, 46, 104 n, 138: generale, 103, 104 n; ristretta, 33, 35, 36 fig, 37, 39, 49, 84. rendimento, 149. reversibilità del tempo, 114-16: - e simmetrie, 1 1 7 . righe negli spettri degli elementi, 31-33, 46. Rubbia, Carlo, 96, 97. Rubik, Ernó: cubo di - , 47. Rutherford, Ernest, 85, 86. Saddam Hussein, 15. Salam, Abdus, 96. «San Francisco Chronicle», 14, 15, 154. Sanger, Eugen, 157.
sapori, 122 n, 125: dei neutrini, 139; dei quark, 1 1 2 , 1 1 9 , 120, 122, 134. Saturno, pianeta, 156. Schmelcher, Peter, 158. Schròdinger, Erwin Rudolf Josef Alexander, 26, 45, 46, 49: equazione di - , 45. «Science News Letter», 63, 68. Seconda Guerra Mondiale, 92, 1 1 3 . secondo, unità di misura, 169. Segrè, Emilio G i n o , 82. Semenov, Semen, 9. Shakespeare, William, 42. Shertzer, Janine, 158. sigma (2), particella, 85, 87, 88. simmetrie: CP, 119; CPT, 1 1 8 n. singolarità nell'Universo, 162. Sistema Internazionale (si), 169. Skobeltsyn, Dmitrij Vladimiroviò, 59-62, 67. Smith, Gerald A . , VILI, 155-58. sodio, elemento chimico, 3 1 , 32, 5 1 : lampade al - , 31. Sole, 9, 28, 29, 76, 78, 99, 102, 1 1 5 , 132, 133. 143. 146: brillamenti, 129; formazione dell'elio nel - , 18, 73 n, 77; fusione nucleare nel - , 13, 18, 19, 73 n, 1 3 1 , 132, 138; produzione di elementi chimici nel - , 22, 77, 126 n; produzione di energia n e l - , 18, 1 9 , 7 1 fig; vento solare, 127, 143, 146. sonde spaziali, si veda veicoli spaziali, specularità, 6, 23, 24, 26, 39, 1 1 5 , 118 n, 1 1 9 e fig, 125, 133; tra particelle e antiparticelle, 17, 5 7 , 60, 79, 80, 88, 102, 103, 121 fig. spettri atomici, 30. spettrometro, 127: per antimateria (AMS), 128. spettro visibile, 19. spin, 33, 46, 49, 138: degli elettroni, 33, 46, 49, 50, 136, 137; dei neutrini, 136-38. SPS (Super Proton Synchrotron), 96, 97. stati quantici, 5 1 , 52: - e principio di esclusione, 52, 57. stelle di neutroni, 129. Stevenson, Robert Louis, 120. strane, particelle, 8 1 , 8 5 , 87,88, l I I f ' Z > I I 2 > 1 1 9 , 120, 121 fig, 122 e n, 134. stranezza, 85, 87, 122 n. Stueckelberg, Ernst Cari G . , 1 1 3 , 1 1 4 , 1 1 8 .
sublimazione, 147, 136. Swenson, Rex, 154. tauone, n o , 1 1 1 e fig. Tavola Periodica degli elementi chimici, 5 1 , 52, 86, 126. telescopi, 59, 129, 143. tempo: di dimezzamento degli elementi radioattivi, 72 n; - e teoria della relatività ristretta, 33, 35, 36 fig, 37. 39. 49. 84; freccia d e l - , 1 1 5 - 1 7 , 120, 121; rovesciamento del - , 114, 116. tensione elettrica, 103. teoria quantistica dei campi, 76. Terra, pianeta, 3, 10-12, 19, 21-23, 25> 2 6 , 28, 58, 64, 67, 77, 78, 104 n, n o , 1 1 5 n, 126, 127, 129, 1 3 1 , 132, 134, 1 4 2 - 4 4 , 1 4 7 , 149: campo magnetico, 25, 76; densità della - , 64; - e antimateria, 8, 104, 143, 145, 147; orbita, 143, 144; velocità orbitale, 28. Thomson, Joseph John, 32, 86, 99. toro, forma geometrica, 9 1 , 96-98, 108. Touschek, Bruno, 91-93, 95. traiettorie: delle particelle, 24, 29, 30 fig, 59, 60-62, 80, 86, 92, 93, 95-97, 100, 106, 107, 109; interpretazione, 62, 84; spiraliformi, 65 fig, 92 n. trappola ionica, 102 n. trappole magnetiche, 99. tungsteno, elemento chimico, 108. Tunguska, fiume e valle: evento della - , 9, 10, 12, 144, 146, 147; ipotesi sulla causa, 1 1 , 143, 145, 146; testimonianze, 9, 144. Tiveedledum e Tweedledee, 6. unità di misura: Sistema Internazionale (si), 169. United States Air Force e ricerche sull'antimateria, 14, 153, 156, 159. Universo, 3, 5-8, 20, 22, 34, 70, 79, 105, 107, 109, n o , 1 1 2 , i n , 1 1 2 , 125-27, 130-34, 138-42, 162, 165, 1 7 1 : età, n o ; formazione, 39, 109, 122, 139, 140, 161; struttura, 57, 75, 130, 1 3 1 , 165. uranio, elemento chimico, 69, 142, 149. vacuometro a catodo freddo, 99. Van der Meer, Simon, 97, 98, 108.
veicoli spaziali, 123, 127, 156: combustibili per, 149, 155; propulsione ad antimateria, 156, 1 7 1 . velocità, 19, 28, 29, 34, 35, 36 fig, 37, 38, 4446, 50, 6 1 , 77, 81, 84, 89, 9 1 , 92, 95, 103, 105, 106, 108, 132, 135, 143, 144, 164, 165, 169, 173, 177: - della luce, 7, 19, 28, 35, 36 fig, 37, 38, 84, 90-92, 95, 97, 106, 132, 135, 137, 138, 148, 165, 170, 173. vettori: - delle interazioni, 77-79, 96, 1 1 1 fig, 156; enti matematici, 38, 77. vita: biologica, 78, 79, 126, 133, 148; - delle particelle, 69, 72, 81, 84, 86, 87, 1 2 1 , 123, 124, 152, 158. Voltaire (François-Marie Arouet), 108. Vonnegut, Kurt:
Cat's Cradle (Ghiaccio nove), 8 e n. vuoto, 45, 56, 81, 100, 101, 135, 173: confinamento dell'antimateria e, 9 1 , 92, 99, 100, 102, 106, 108, 150, 162; mari infiniti e - , 52, 53, 55 fig, 57. W, particella, 78, 79, 96, m fig, 135 n. Weinberg, Steven, 96. Wells, Herbert George, 59. Westminster, abbazia, 42, 43 fig, 50. Wideroe, Rolf, 92, 93. Wiegand, Clyde, 82. World W i d e W e b , n o , 160. X , raggi, 19, 74, 129. yin e yang, 6, 88, 104, 118, 1 1 9 fig. Ypsilantis, T o m , 82. Yucatân, penisola, 144. Z, particella, 96, n i fig. Zeeman, Pieter, 32: «effetto Zeeman», 33, 49. zuccheri, 70, 7 1 .