COLPO DI MANO A MOSCA di SVEN HASSEL Traduzione dall'edizione francese Je les ai vus mourir di Giovanna Rosselli Io vi g...
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COLPO DI MANO A MOSCA di SVEN HASSEL Traduzione dall'edizione francese Je les ai vus mourir di Giovanna Rosselli Io vi guido verso un radioso avvenire. Hitler, discorso del 3 giugno 1937 Un tac-tac metallico e sordo risuonava ritmico nel silenzio gelido e uniforme. Il rumore dei grossi stivali era simile a delle salve di fuoco. Un cane gemeva, molti uomini si lamentavano e dei bimbi gridavano; delle donne giacevano inerti al suolo, lambite dall'ultimo raggio del sole che stava per cadere. Il sangue si raggelava in questo freddo quasi inumano. Ma si dimentica mai il ricordo del sangue di chi è stato assassinato? Era la guerra, purtroppo, la guerra.
2 Noti appena i tedeschi avranno adottato la dottrina bolscevica, io trasferirò il mio quartier generale da Mosca a Berlino; in vista della rivoluzione mondiale imminente, infatti, giudico questo popolo ben più capace dei russi, sotto il profilo militare. Lenin. All' Ambasciatore di Turchia Ali Fouad Pacha. 14 gennaio 1921
Nel corso del 1930, l'SS Obergruppenführer Heydrich immaginò un piano machiavellico per spezzare alle radici la struttura dell'Armata Rossa. Per il tramite di agenti della Gestapo infiltrati all'interno della GPU, infatti, fece sì che Stalin venisse avvertito che molti traditori occupavano posti di alto livello nello stato maggiore dell'esercito russo. Si puntava sulla diffidenza patologica di Stalin, sua caratteristica predominante, e il risultato superò tutte le aspettative. Un'ondata di terrore passò lentamente su tutta la Russia, lasciandovi pesantemente i segni. Stalin e il suo ministro Seria fecero giustiziare degli eminentissimi capi di stato maggiore dell'esercito, come il maresciallo Toukhachevsky, Blucher, Je-gorov, ad esempio, il comandante di corpo d'armata Oborewitsch, e Jakir, comandante in capo della flotta russa, e i suoi due ammiragli Orlof e Wiktorov. Oltre ai comandanti di quasi tutte le circoscrizioni territoriali, almeno l'ottanta per cento dei capi di corpo d'armata e di divisione e quasi tutti i comandanti dì reggimento e di battaglione vennero destituiti, e inviati ai lavori forzati sotto accusa di essere nemici del popolo. Heydrich poteva essere più che soddisfatto a questo punto. Stalin, infatti, dopo aver eliminato in modo totale e drastico tutti i veri cervelli, dell'Armata Rossa, li aveva rimpiazzati con degli incapaci o degli adulatori altrettanto incapaci, in grado, come massimo limite delle loro possibili-
3 tà, di comandare una sezione di mitragliatori. Nello spazio di una sola notte, molte migliaia di mediocri capitani e di maggiori furono promossi generali. La maggior parte di essi non aveva mai nemmeno frequentato una vera scuola militare, e nessuno aveva mai messo piede nell'Accademia Frunse. Non si contarono nemmeno più le violazioni di frontiera sul fronte, fino alla fine del giugno 1941, tanto erano frequenti. Gli aerei tedeschi facevano chiaramente dei voli di ricognizione molto all'interno del territorio russo, e Stalin proibiva che si aprisse il fuoco su di loro. Sulla stessa linea di frontiera, la minima provocazione da parte delle truppe russe veniva punita con la pena di morte e, praticamente, Stalin rifiutava alla propria armata il diritto dì difendersi. « Perché? » chiedeva il maggior generale Grigorenko. « Ma per quale ragione, infine? » Purtroppo coloro che sarebbero stati in grado di rispondere erano morti nel corso dei due primi mesi di guerra, liquidati dalle pallottole dei plotoni di esecuzione, e Berla e Stalin eliminarono in un secondo tempo anche i testimoni e gli esecutori del più monumentale errore militare della storia. O forse si trattava di tradimento? mormorava sempre più sconcertato Piotr Grigorenko.
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IL SERGENTE: UNA DONNA « Perché sei così restia? » chiede il tenente. « Non posso », risponde la donna in divisa di sergente. « Non vuoi? » « Ti dico che non posso. » « Confessa invece che non vuoi, ecco tutto », insiste il tenente accarezzando i lunghi capelli della donna, e facendole cascare per terra il berretto. « Si può, e anche se si è feriti gravemente. L'ho già fatto una volta, io, e avevo tutte e due le gambe ingessate. » « Quando sei stato ferito? » « Nella zona della Lapponia sovietica. Il giorno in cui i finlandesi ci sono piombati addosso. » « Toh! Non sapevo che eri stato di guarnigione a Leningrado. Ma in ogni caso piantala adesso, Oleg. Ti ho già detto che non posso! » « Forse non ti piace? Ho ricevuto anche la medaglia dell'Ordine della Bandiera Rossa, se questo ti può far riflettere in proposito. » « Non si va a letto con un uomo unicamente perché è stato una volta decorato, capisci? E dove l'hai presa, quella medaglia? » « A Suomussalmi. » « Dove diavolo è? » « Nell'Est, in Finlandia, quando abbiamo schiacciato e distrutto i fascisti finlandesi. » « Intendi dire la famosa, grande battaglia dei mezzi corazzati? » « Abbiamo costretto alla resa tutto il corpo d'armata, e il nostro comandante ha distribuito sei decorazioni al valore, di cui una personalmente a me, cara », replica lui, tentando di far scivolare la mano dentro la scollatura della camicetta della giovane donna, e poi sollevandole
5 la gonna. Lei si divincola e i due rotolano nell'erba alta. « Eh via, basta ora! » fa lei. « Dopotutto sono un soldato esattamente come lo sei tu. E per questo tipo di cose si deve aspettare fino... alla vittoria finale. » « Quante storie, ragazza! » replica lui sghignazzando. « Se credi che sia divertente starsene* sempre soli la sera dentro a un maledetto carro armato! » « Come sei sempre insistente e volgare! » sbotta la donna risistemandosi la cintura cui era agganciato il nagan. « Certo sei proprio un vero soldato, Jelena Vladimirovna, e telegrafista di un carro armato, per di più! » La stringe alla nuca e, mentre lei si difende a calci, la gonna le si alza mettendo in mostra uno splendido paio di cosce velate dalle calze color kaki regolamentari. . « Smettila, o ti segnalerò al Sampolit, cafone! » « Se credi che io abbia paura di quei porci! Nel caso non vengano liquidati tutti prima dell'entrata a Mosca dei nazi, quei pochi rimasti saranno impiccati, stai pur certa. Tremano già di paura, e ne hanno ben donde, ovviamente. Non riusciremo, noi, a battere i fascisti, sai? » « Sei impazzito, Oleg? Dubiti della vittoria, adesso? Ti costerebbe la testa se solo volessi denunciarti! » « Anche tu, anche tu ne dubiti, Jelena, sii sincera. Dal mese di giugno quei mostri di Hitler non fanno che darci la caccia, come fossimo solo dei poveri polli terrorizzati. Migliaia di soldati sono già morti, e altre migliaia sono prigionieri in Germania. E sul nostro fronte, dei punti chiave di difesa che sembravano inespugnabili sono caduti come fossero dei giocattoli per bambini, in un baleno! Prima di Natale, Hitler sarà dentro il Cremlino, te lo dico io. E cosa ne è del resto del generale Bagramia e della sua invincibile divisione della Guardia? La guerra è
6 cominciata solo da tre mesi e i carri armati tedeschi si trovano già a trecentosessanta chilometri da Mosca, capisci? Se il bel tempo continua, il Cremlino cadrà nel giro di otto giorni, non un giorno di più. Non hai sentito la radio nemica l'altra sera? 'Distruggete fino alle radici il comunismo internazionalel ' I tedeschi sono dei demòni, è inutile, nessuno riuscirà mai a batterli. Li hai visti i loro carri armati? Contro uno solo dei loro che va in fiamme, cento dei nostri vengono distrutti; per ben cinque volte la nostra brigata di mezzi corazzati è stata formata, distrutta, rimessa insieme, ridistrutta, e così via; ti par possibile che possa continuare cosi, questa situazione? Ho sentito questa mattina delle voci che al Cremlino stanno sbaraccando tutti, per tagliare la corda in tempo, loro. Stalin ha deciso di sacrificare noi per potersi salvare lui e la sua bella brigata, perché quanto a ferocia e distacco assomiglia a Hitler sputato, quell'uomo, te lo dico io. Lo sai l'ordine che è stato diramato? Se si indietreggia si sarà fucilati, se ci si arrende le nostre famiglie saranno giustiziate, dalla prima persona all'ultima. Bella prospettiva, vero? » « Preferirei morire piuttosto che arrendermi, ti giù ro », mormorò Jelena a bassa voce. « Non far tanto la spavalda, ragazza mia! Chi può dire, in ogni caso, che ci sarà data quest'alternativa? Noi non ci siamo ancora imbattuti nelle loro SS, ma dicono tutti che sono mille volte peggio dei nostri NKVD. » « Non è possibile », balbettò quasi piangendo la giovane donna terrorizzata. « Nessuno può essere più crudele di Berla, nessuno. » « Aspetta di vedere con i tuoi occhi gli uomini con la testa di morto sull'elmetto. Uccidono per il piacere di uccidere, quelli. Si dice che tutte le mattine viene somministrata loro una razione di mezzo litro di sangue, di
7 sangue sovietico, naturalmente, Jelena. » « È vero quello che dicono, che mangiano i bambini ebrei? » « Non credo, ma semplicemente perché non si degnerebbero nemmeno di mangiarli, le SS! Ma per quanto riguarda la guerra, è perduta, Jelena, credimi. Che Dio ci assista! » « Credi in Dio, Oleg? Tu, un ufficiale dell'armata sovietica? » « Ci credo, sì, dal giorno della battaglia di Minsk credo in Dio. È. la nostra sola e ultima speranza. Ma Jelena, via, io ti amo, ti ho amata dal primo istante in cui ti ho vista. Vieni, su, non dirmi più di no. Siamo in guerra, capisci, chissà se domani saremo ancora vivi! » « No, non posso! Sono fidanzata. » « Sciocchezze », ribatté il tenente con spregio. « La verità è un'altra, invece! C'è qualcosa sotto tra te e la capitana Anna Skarjabina, tutta la brigata ne parla, sai? Si dice anche che dalla vostra unione nascerà uno splendido T 34 », sghignazza. « Sei la pollastra della capitana, quella strega che corre dietro alle ragazze e poi le fa sparire quando se ne è stancata! Ma questa faccenda finirà, stai pur certa, ragazza mia, perché il colonnello Botapof la detesta. » « Non può niente lui, contro Anna. Ha degli appoggi ben più importanti, lei. » « Allora ne sei innamorata, non è così? Mi fai ribrezzo, Jelena, a questo punto. » « Allora lasciami andare, una volta per tutte, Oleg! E tu puoi benissimo denunciarmi al colonnello, se vuoi, ma sappi che se mi metteranno al muro tu sarai di fianco a me, capisci? » « Oh, ma tu te la saprai cavare sempre, questo e certo! Non hai che da nasconderti dentro il letto di Anna, e
8 qualsiasi denuncia non avrà alcun seguito, non è vero cara? » « Porco! Sei un vero porco, Oleg! » « Perdonami, ma tu mi fai diventare pazzo, Jelena! Se anche fosse l'ultimo gesto della mia vita, io ti voglio, capisci? J Fritz saranno qui prima del tramonto, ormai, e poi sarà la fine. » Le strappa la camicétta. « E dopo sarai finalmente liberissima di andare a riferire alla tua capitana che è molto più bello fare l'amore con un uomo. » « Ma guarda un po' », bisbiglia Fratellino, dalla postazione avanzata dalla quale osservano i carri armati russi. « Farebbe venir la fregola a un agnello castrato! Quel traditore sovietico la sta baciando e non crede più alla vittoria di Stalin! Dovrebbero metterlo al muro, quello! » « Sarà la ragazza che sarà messa al muro, invece », ride Porta. « E di punto in bianco eccoci trasformati in due voyeur! Decisamente, la guerra ti riserva sempre delle sorprese, e ogni volta quando meno te lo aspetti! » « Piantatela voi due cialtroni, sporchi cialtroni che non siete altro», li rimprovera il Vecchio puntando contro di loro il suo LMG nuovo modello, munito di baionetta, da usare nei corpo a corpo. Barcelona scoppia anche lui in una risata, e decapsula una granata a mano. <( Sarà il suo ultimo colpo sulla terra, poi andremo a presentarci ufficialmente, cosa ne pensate?» La giovane donna, a seno scoperto, respira affannosamente e schiaffeggia il suo aggressore, e questo naturalmente non fa che accrescere l'eccitazione dell'uomo. Li si sente mentre lottano dentro l'erba alta, e si intravede anche il grosso revolver da spalla di lei, grottesco e comico sulla sua pelle candida. Tutti ridiamo, insieme, salvo il Vecchio e il Legionario, e Porta ora emette un lungo profondo sospiro, simile a
9 un fischio sottile. « Cosa c'è? » fa Jelena inquieta, interrompendo la lotta. « Un uccello di palude che chiama la sua compagna », risponde Oleg. « Via, una volta sola, per farmi piacere, Jelena. » Un istante di silenzio, poi si ode sommesso un gemito nel campo di grano, un grido soffocato, delle parole incomprensibili. Siamo tutti muti e immobili, tesi e con il respiro mozzo come in attesa, con gli occhi concupiscenti. « Santa Maria di Kazan! » mormora Porta. « Che bella faccenda! Noi siamo venuti fin qui per fregare l'Armata Rossa, ma bisogna riconoscere che Ivan ha molto più buon senso di noi, perdio! Lui almeno imbarca anche delle belle pollastre in uniforme. Ecco cosa vuol dire battersi per una causa santa, amici: si mischia Dio al Diavolo e così si arriva a sera, mica come la nostra fottuta Armata di Adolfo! » « Li lasciamo finire, prima di cominciare noi? » chiede Stege. Il Vecchio, che si sta strofinando nervosamente un orecchio, non risponde. Quello che succede davanti ai nostri occhi non lo interessa assolutamente, per la verità. La ragazza ora si rimette in piedi, e con un certo disagio si riordina i capelli e si riassetta l'uniforme sgualcita. Ritorna sergente. « lo filo via », dice con un sorriso che mette in evidenza i suoi denti bianchissimi, « ma ritorno, dopo l'appello, intesi?» « Sicuramente no », sghignazza il tenente. « Non tornerai da me! » « Tornerò davvero, invece », ribatte la ragazza ri dendo, e scompare fra le alte spighe di grano verso il gruppo
10 dei quattro BT russi, appostati dietro il campo dei girasoli. Se li avessero dipinti in giallo come i nostri carri, non li avremmo nemmeno visti, per la verità. Tutto è giallo in Russia, in questa stagione; anche la gente ingiallisce lievemente, qui, quando l'autunno sta per finire. Ma il loro colore verde acceso li rivela immediatamente in questo paesaggio giallo-bruno piatto e uniforme. « Dovrebbero ridipingere quattro volte all'anno i loro carri, come facciamo noi », dice Porta. « Due volte solo non basta, quando si fa la guerra, è chiaro. » « Si dovrebbe farlo ogni mese, invece », interviene a dire Stege. « La neve in gennaio è ben diversa che in dicembre, e quella farinosa di novembre non ha niente a che vedere con quella già un po' vecchia di fine febbraio, e in marzo poi ha un altro colore ancora, per cui sono ben cinque le differenti sfumature di bianco. Anche in inverno, perciò, quando il bianco sembra bianco, non serve molto ridipingere un carro una volta sola. E in primavera, poi, il verde cambia sfumatura ogni settimana, puntualmente. A cosa serve andarsene in giro dentro una macchia dipinta con i colori della primavera in mezzo al verde scuro e intenso dell'estate piena? A niente. Se si sapesse come mimetizzarsi in un modo migliore, si riuscirebbe a prolungare la vita della bassa truppa come noi, per esempio. Guardate le nostre uniformi! Grigioverde! Salvo nella polvere delle strade sconnesse, dove troveresti tu un colore come questo? E anche i ragazzi di Ivan vanno ancora in giro in primavera nei loro kaki di autunno. Sono proprio dei gran coglioni quei burocrati che hanno inventato il colore delle uniformi! » « A suo tempo erano rosse e blu », commenta Fratellino. « Era per mettere paura al nemico », sghignazza Barce-
11 lona. « Una truppa che avanza, baionetta al fianco, in uniforme rosso vivo,* faceva venire le emorroidi anche ai più coraggiosi! Sembrava quasi un'ondata di sangue. » Il tenente russo si è steso nell'erba, tenendo fra i denti una spiga di grano, e ride fra sé, soddisfatto e appagato. Con la camicia aperta, e una piccola chiocciola che zampetta sulla stella della sua decorazione al valore, preso da sopimento chiude gli occhi. Ed è solo nell'istante in cui l'ombra del Legionario piomba su di lui, che intuisce il pericolo. Ma è troppo tardi, ormai, per lui, che ora è morto, inerte a terra con la gola squarciata. Il Legionario, senza alcuna apparente emozione, asciuga la lama del suo coltello sporco di sangue sulla camicia estiva della sua vittima, mentre il profumo del caffè che i carristi russi stanno preparando arriva fino a lui. « Buon Dio! » bisbiglia Porta, sempre il primo a sentire e a capire, « Del caffè, del vero caffè! Questi comunisti proprio non si privano di niente, però!» Porta adora il caffè, e molte volte ha già rischiato la vita per impadronirsi di un sacchetto di caffè; il Vecchio poi afferma che sarebbe sicuramente disposto a vendere l'intera sua compagnia, carri compresi, in cambio di un etto di quella polvere bruna. Fratellino che procede in testa al gruppo, il bazooka sotto il braccio, a un tratto si ferma e si appiattisce a terra indicando con la mano tra le spighe un soldato russo, seduto davanti a un piccolo fuoco sul quale è posato in qualche modo un bricco di metallo nero che emette vapore e aroma. Porta aspira con delizia questo odore inebriante. « Guardate! » mormora Julius Heide. « Qualtro BT5! » « Cinque! » lo corregge Porta. Vi è anche un KW, infatti, dietro un covone di fieno, quello del comandante della compagnia. « Tutta questa bella roba va distrutta seduta stante »,
12 dichiara Fratellino accarezzando la sua granata magnetica. « A questi coglioni passerà tutta in una volta la voglia di fornicare con le belle soldatesse. Se Giuseppe ci vedesse ci decorerebbe al valore, ve lo dico io. » « È proibito portare le decorazioni sovietiche », dichiara dogmatico e ottuso come sempre Heide. « Basta sciocchezze, ragazzi », taglia corto il Vecchio. « Calma. Nessuno spari prima di un mio ordine, chiaro? » Dal piccolo campo sovietico si sentivano venire delle risate. Una voce di donna, più alta e squillante delle altre, superava di tono il brusio uniforme, una voce forte e perentoria. « Il capitano senza... la verga », dice il Legionario estraendo di tasca il suo coltello moresco. « Quella è mia, vi avverto subito. » « Basta, ho detto! » ribadisce il Vecchio. « Siamo ancora troppo lontani dai veicoli, e quelle cinque scatolette devono saltare in aria contemporaneamente. Tu, Barcelona, 'ramazzerai' per terra con la tua MG e farai fuori tutti, chiaro? Nessuno di loro deve avere il tempo e la possibilità di arrivare al ponte, perché se ci arrivano e lo fanno saltare, c'è il Consiglio di Guerra per noi, bello e pronto. È determinante quel ponte maledetto, e deve essere minato, due tonnellate di esplosivo come minimo. » « Che bella scorreggia che farebbe! » sogna ad occhi aperti Fratellino. « Una tonnellata di polvere, e lo sentirebbero anche gli esquimesi, il botto! » I russi si raccolgono insieme per il caffè. « Speriamo che ce ne lascino un po' », geme Porta. « Mi domando da dove se lo fanno arrivare! » « Quelli fanno parte della Guardia », spiega Heide che sa sempre tutto, « razioni speciali, ovviamente. » « Come lo sai? » « Uniforme estiva verde con le spalline d'argento, do-
13 vresti saperlo anche tu, del resto. Fa parte del regolamento conoscere alla perfezione tutte le uniformi del nemico. Sabotaggio degli ordini, dunque, come sempre! » « Piantatela », tronca il Vecchio, « e partiamo, via! » I russi, seduti in cerchio, stanno inghiottendo delle grosse fette di pane intinte nel caffè profumato. È il tramonto, e il cielo è rosso come il sangue, al di là del fiume. Uno dei soldati raccatta da terra la sua balalaika ed ecco che si alza un canto, cui tutti si uniscono in coro. Da mollo tempo ormai, tuo padre è seppellito, e il tuo caro fratello è esiliato. Pena camminando nel ghiaccio siberiano con le catene ai piedi ed alle mani, sotto i colpi crudeli della nagajka... Da alcuni decenni si canta in Russia questa canzone melanconica e struggente... dal giorno in cui esistono i campi di concentramento in Siberia. « Che canto terribile! » mormora Fratellino. In lontananza, si ode crepitare l'artiglieria. Noi veterani del fronte sappiamo che dalle linee sparano con degli « Opslagsspringerer », i cannoni pesanti tedeschi, e che questo significa : « Attacco ». Sarebbe meglio non farsi trovare sul posto in quel momento, e proviamo compassione per quei poveretti delle linee nemiche, che si interrano immediatamente nel foro di granata che hanno più vicino, e che rappn senta il solo incerto riparo contro la morte. Il fuoco dei carri armati russi provoca una luminosità fantastica e non c'è niente di più impressionante di una scura foresta di pini illuminata dal bagliore di queste deflagrazioni gigantesche. « Passami il cognac dei poveri », dice Porta a Bar-
14 celona che gli tende la grossa gavetta da campagna usata dall'armata francese. Il tiro aumenta di intensità e la luminosità diventa folgorante. I russi, come noi, guardano verso nord. Amici o nemici, le granate non fanno differenza per nessuno, purtroppo! « Avanti! Per cosa credete di essere a questo mondo? » Con i motori ringhianti, i carri avanzano, mentre i fanti corrono lungo il loro fianco, quasi malati dal terrore, lanciati dentro a quest'inferno da degli uomini politici irresponsabili. Avanzano. I carri devono attraversare i campi minati, l'ordine è questo, e non ci si preoccupa dei granatieri che corrono affannati, che si riparano di tanto in tanto contro le alzaie, cadono, si fanno trascinare, si rialzano, sparano contro la vaga ombra di un elmetto che appare al di sopra del parapetto della trincea. È questa, la guerra! Uccidi il figlio di un'altra mamma prima che questi uccida te, e hai guadagnato un punto nella grottesca lotteria della morte. Se non diventi pazzo, ritorni in patria come un eroe, certo, ma cerca di non dimenticare mai che niente al mondo scompare più rapidamente della figura di un eroe. Due mesi dopo la fine della guerra, non se ne parla già più, ed è un bene, forse. Sopra le nostre teste, i razzi lasciano una scia luminosa e sibilante nel cielo, e poi cadono al di là del fiume. Il grano ormai secco dopo il sole dell'estate prende immediatamente fuoco. Questi dannati razzi lanciafiamme, non c'è niente al mondo che noi odiamo di più. Fabbricati con il pelo del culo del diavolo, afferma Porta, seminano ovunque distruzione, istantanea. « Preparatevi a partire », esclama una dura voce russa. Degli ordini precisi e secchi vengono pronunciati da un ufficiale. « Che cosa diavolo starà dicendo? » dice il Vecchio che
15 non è ancora riuscito ad imparare una sola parola di russo. « Ha detto che devono sbrigarsi a raggiungere i loro mezzi », traduce Porta con tranquilla disinvoltura. Noi deviamo lievemente per metterci in una migliore posizione di tiro, e io imbraccio il mitragliatore e punto al carro più vicino. Fratellino sospira d'impazienza, come Heide, del quale ogni gesto è esattamente conforme al regolamento, come sempre. È un automa vivente quest'uomo, imbottito di regolamenti, questo nazi. Non uccide degli uomini come lui, bensì qualche cosa di anonimo che lo lascia perfettamente indifferente. Taglierebbe la gola a chiunque se ne ricevesse l'ordine, dal momento che non discute mai, in modo assoluto, nessun ordine. Se gli venisse detto di marciare fino alla luna, preparerebbe le sue cose con la stessa meticolosa cura di una recluta, prenderebbe delle razioni per otto giorni, e battendo i tacchi si metterebbe in riga sull'attenti. Diritto come il manico di una scopa, prenderebbe la direzione della luna e marcerebbe fino al momento in cui crollerebbe a terra morto o fino a quando non arrivasse un contrordine. Malauguratamente per noi, nell'esercito ci sono un sacco di sottufficiali come lui, ma Porta afferma che non si può fare a meno di questi individui ossessionati dal regolamento, in caso contrario tutta l'armata se ne andrebbe a carte quaranta. La fifa è una componente indispensabile per quelli che debbono obbedire. « Pronti! » ordina secco il russo. In fermento, la guarnigione dei carri s'istalla nei propri mezzi. « Motori in moto. » I motori partono. Una donna alta e vigorosa in uniforme verde inveisce contro il comandante del carro di testa.
16 « Attenzione! », bisbiglia il Vecchio. Le cinque mitragliere sono puntate. « Vieni, dolce morte, vieni! » canticchia il Legionario. « Dawai, dawai! » urla il comandante del primo carro ai ritardatari, che raccolgono ancora i vari utensili di cucina. I soldati, tutti i soldati del mondo, non amano mai essere strappati via dall'atmosfera di pace domestica di un accampamento, dove anche per poco si riesce a dimenticare la guerra. « Dov'è Oleg? » chiede la donna in uniforme di sergente, guardandosi intorno inquieta. « Già, dov'è Oleg? » ripete l'ufficiale del terzo carro. « Fuoco! » grida il Vecchio, alzando e poi lasciando ricadere il braccio. Cinque comete incandescenti sibilano via, dirette verso i mezzi blindati, e una mostruosa esplosione rimbomba nella foresta. Un'esplosione che assomma cinque esplosioni insieme. Alla distanza di trenta metri, infatti, questa carica è sempre fatale, per qualsiasi tipo di carro. Dei brandelli di acciaio incandescente si abbattono sugli alberi, gli uomini della torretta, proiettati nell'aria, sembrano come oscillare sull'estremità di una lingua di fiamma, poi, con le membra dilaniate, sono ridotti quasi a polvere dalla pressione fortissima dell'aria. La giovane donna sergente ruota su se stessa, trasformata in torcia umana, e il giovane soldato che preparava il caffè corre, privo della testa, verso il bosco. Ci siamo più volte chiesti quanto ancora può muoversi e camminare un corpo privo della testa, e quest'immagine in fondo non provoca più in noi uno speciale stupore. Dopo un certo numero di mesi in cui si vive la guerra, come noi la stiamo vivendo minuto per minuto, tutto appare come un fatto consueto. L'altro giorno un nazi correva senza gambe, urlando atrocemente; era un grosso comandante della ri-
17 serva, comico a vedere, per la verità, anche se sembra mostruoso solo il dirlo. Heide, naturalmente, ci ha subito fatto un discorsetto appropriato, descrivendo i nervi particolarmente solidi ed elastici del popolo tedesco, grazie, naturalmente alla dietetica nazi. Un soldato russo, per non parlare di un ebreo, ovviamente, non avrebbe mai potuto correre senza gambe come questo comandante tedesco; ma che un russo possa correre senza testa non è poi un fatto così stupefacente, affatto, perché anche i polli fanno, questo è innegabile. Ci spingiamo dentro al campo dei girasoli in fiamme, ed ecco che un piccolo cane bianco si mette ad abbaiare con tale evidente disperazione, che Barcelona lo raccatta e se lo mette sotto il braccio. Pessima idea, purtroppo, perché il piccolo animale di pura razza russa, evidentemente, lo morde con tale accanimento che Barcelona imprecando lo lancia in mezzo alle fiamme. Ben inteso, Heide ha nel suo tascapane, in base al regolamento diffuso in tutta l'armata tedesca nel 1936, una piccola scatola di metallo che contiene una pinza e i sei metri di garza regolamentari. Il naso di Barcelona è così in buone mani, e si può scommettere la propria pelle che appena finito l'attacco, Heide si farà rifornire dei pochi metri di garza mancanti dopo la medicazione! La capitana cade viva nelle nostre mani, e come una lupa si avventa su Stege, crolla a terra per uno sgambetto fattole da Porta, e si sforza di prendere a pugni Fratellino con il suo grosso pugno caucasico, innegabilmente forte. Un colpo alla nuca di quella megera non è sufficiente, però, per neutralizzarla; si rialza d'un botto, si butta sul Vecchio, ma a questo punto i nostri sei revolver sparano insieme. La donna ricade a terra, urlante, il sangue le esce a fiotti dalla bocca, ed è molto lenta, pur-
18 troppo, a morire. Nessuno di noi osa avvicinarsi, perché potrebbe avere nascosto in una manica dell'uniforme uno di quei piccoli revolver a grilletto automatico Bowden micidiale; se uno di noi, infatti, avesse la malaugurata idea di chinarsi per tamponarle il sangue o darle da bere, lei riuscirebbe ancora a sparargli nel petto, istantaneamente. Ci è capitato sovente di assistere a cose di questo tipo. La guerra dell'Est non ha niente a che vedere con le altre guerre, proprio cosi. Qui, anche da morti si riesce ad uccidere. La donna tuttavia si torce sopraffatta da tali dolori che Fratellino estrae il suo nagan. « No », interviene a dire il Vecchio. « Altrimenti sono costretto a denunciarti come assassino di un prigioniero. » « Ma giova anche a lei e io non posso sopportare di vedere una bella donna che soffre a questo modo. Lasciami fare e poi ce la filiamo. » « Chi spara, lo ammazzo », ribadisce il Vecchio. « Badate a voi. » « Avresti dovuto essere l'abate superiore di un convento, tu », replica Fratellino riponendo la sua arma. Ma la donna si incarica lei stessa di porre fine alle proprie sofferenze; aveva proprio, come tutti avevano supposto, il piccolo revolver Bowden infilato nella manica. « E io che ero quasi sul punto di darle una sorsata di vodka! » esclama Stege terrorizzato. « Non fare mai una cosa di questo tipo, ragazzo », lo ammonisce il Legionario. « Spara su un cadavere prima di avvicinarti a lui, se ci tieni alla tua vita da cane. » I nostri compagni sono già lontani e noi ci affrettiamo dietro di loro; Porta, naturalmente, ha sulle spalle un grosso sacchetto di caffè. Al di sopra degli alberi, i razzi folgoranti passano sibilando, senza sosta, ed ecco intervenire ora anche l'inferno dei lanciarazzi multipli, le fa-
19 mose « canne d'organo di Stalin »! « Meglio non farsi, trovare dove quelli vanno a cadere », commenta Fratellino. « Una bella invenzione, però, far volare un affare enorme come quello e poi farlo esplodere dove e quando si vuole, proprio non c'è niente da dire. » « È stato calcolato e fatto proprio con questo scopo. » «È pazzesco pensare a cosa bisogna avere nel cervello per riuscire a mettere insieme un meccanismo come quello, che cade, a comando, proprio sulla testa di un generale, per esempio. Sensazionale, veramente! »
20 Un uomo curioso, questo Hitler, ma Cancelliere o Comandante in capo, non lo sarà mai. Al massimo potremmo affidargli il Ministero delle Poste. Parte di un colloquio del presidente del Reich von Hindenburg con il generale von Schleicher. 4 ottobre 1931
Fu il maresciallo Malinovski, personalmente, a scrivere net 1961, sul giornale « Wojenno-Istrischesski » queste frasi memorabili: « L'errore più grave commesso da Stalin è stato il preciso ordine alle truppe di non abbandonare le guarnigioni di stanza, dislocate molto lontane dalla linea di frontiera, anche quando lo stato maggiore russo stesso aveva in mano le prove inconfutabili di un imminente attacco predisposto da Hitler. « Nel corso dei tre mesi precedenti il giorno ' J ', un milione di soldati tedeschi era già allineato sulla frontiera russa della Polonia. Il piano di difesa sovietico, messo a punto meticolosamente in tutti i dettagli dallo stato maggiore generale, e ben noto a Stalin, non fu mai, e per suo personale ordine, messo in* atto; e i vari corpi d'armata erano stati ripartiti in modo cosi sciocco e irrazionale, che i mezzi corazzati tedeschi furono in grado di distruggerli senza alcuna difficoltà e in un brevissimo arco di tempo. Ma il punto culminante dell'aberrazione avvenne il sabato sera che seguì il 21 giugno 1941. Quel giorno vennero ritirati dalle divisioni di fanterie tutti i reparti di mezzi corazzati, con il pretesto di raggrupparli e formarne nuove brigate. I carri di vecchio modello vennero fatti allineare sulle piazze d'armi (BT5 e BT7), mentre gli equipaggi addestrati venivano fatti partire verso altre guarnigioni. Così, quando giunsero sul posto i tedeschi, il lunedì immediatamente successivo, que-
21 sti soldati di élite non avevano ancora alcun carro a disposizione, e furono fatti prigionieri con estrema facilità. « Nei primi tre giorni dell'attacco sferrato su tutti i fronti da parte dell'armata tedesca, il novanta per cento delle forze dell'aviazione russa, che aveva la proibizione assoluta di alzarsi in volo e di contrattaccare, venne annientato sui campi dai bombardieri tedeschi. E durante le prime sei ore del 22 giugno, Stalin proibì alle divisioni dell'Armata Rossa di frontiera di dare inizio al fuoco ma, come con amara ironia riferi Piotr Grigorenko: 'Dio ci ha assistiti, perché molti soldati indisciplinati infransero l'ordine dei loro superiori!' <( Stalin si rifiutava ostinatamente di credere che le truppe tedesche avessero superato la linea di frontiera per ordine diretto di Hitler, e fino all'estate dello stesso anno, rimase persuaso che era stato un errore, provocato sprovvedutamente dagli Junkers tedeschi. Continuava a ripetere, infatti: ' Non può essere vero. Hitler non rinnega la parola data. ' Il ministro degli Affari Esteri, von Ribbentrop, non l'aveva forse più volte rassicurato della fedeltà del Führer nei suoi con-frontif « In ogni caso, anche se con molta lentezza, a Mosca si cominciò a prendere coscienza della realtà delle cose. Il ministro della Guerra, Timotchenko, illudendosi di trovarsi ancora e sempre nel 1917, all'epoca della rivoluzione, ordinò la più folle delle cose, cioè l'attacco all'arma bianca, f comandanti del fronte supplicavano tutti, invano, di non avventurarsi sulle strade e sui percorsi militari prima del calar della notte, ma Stalin ordinò di attaccare, e tutti perciò partirono diretti ad una morte certa. Una preda ben facile, ovviamente, per le squadriglie tedesche! E quello che ancora era rimasto dei mezzi corazzati russi venne così consacrato senza scampo al massacro. « Nella fornace di Kiev, la V armata corazzata si batté
22 con disperazione cieca nell'intento di evitare la distruzione totale, e avrebbe in effetti potuto evitarla, se non fossero giunti altri ordini insensati impartiti dal Cremlino. Migliaia e migliaia di eccellenti soldati russi vennero a questo modo uccisi stupidamente, e in seguito, quando finalmente degli individui più chiaroveggenti ebbero risistemato la situazione sul fronte, apparve indispensabile e urgente trovare i capri espiatori, ovviamente. Si cominciò scegliendo alcuni ufficiali del distretto militare dell'Ovest. Uno dei più giovani e dei più dotati fra i comandanti d'armata russi venne passato per le armi, e il suo capo di stato maggiore, il coraggioso tenente generale Tupikov seguì la stessa sorte. Dal nord al sud dell'immenso impero, i plotoni di esecuzione presero a crepitare senza sosta. » II maggior generale Grigorenko afferma che ottantottomila ufficiali superiori vennero giustiziati in quindici giorni. E non appena furono fatti scomparire anche i testimoni oculari di questa follia del Cremlino, Stalin si fece nominare generale in capo.»
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LA VIA CRUCIS DI HERR NIEBELSPANG Poco prima del nostro arrivo, nel grande castello dalle alte pareti bianche era insediato lo stato maggiore della GPU. Nelle sue buie cantine giacevano duecento cadaveri, tutti uccisi con un colpo nella nuca, e l'indomani di quel giorno tutto il personale addetto alla propaganda arrivò in massa per le classiche foto da diffondere nel paese. Terminato questo primo compito, tutti i cadaveri vennero seppelliti nelle aiole destinate ai fiori, dato che il terreno qui era molto più friabile che altrove. Il parco era cosi pesantemente nutrito di cadaveri, ma il castello doveva essere comunque ancora ben affollato se, alla nostra partenza, proprio in quel luogo nacque la celebre brigata speciale delle SS Heydrich; e tutto il mondo sa cosa essa abbia rappresentato nella storia. La maggior parte di noi era molto giovane, a quel tempo, e non aveva ancora mai conosciuto l'allegro e spensierato periodo dell'adolescenza. Fummo mandati in guerra ancor prima di aver cominciato a vivere. Ma evidentemente qualche cosa di molto importante si stava preparando in quel momento: addestramento regolare su strada ogni dodici ore, cosa indispensabile trattandosi dei nuovi motori Maybach, per la verità: se rimangono fermi troppo a lungo, infatti, ripartono con molta difficoltà, e i mezzi corazzati invece non possono mai sapere quando scocca l'ora X. Ci si distrae con il pensiero, si dimentica momentaneamente la guerra, e improvvisamente risuona l'ordine: « Avanti, in marcia! » A questo punto, inaspettatamente, comincia l'inferno, e il granatiere con il quale si stava tranquillamente chiacchierando è già una mummia calcihata. Il peggio, poi, è l'olio dei lanciafiamme; i malaugurati anche solo sfiorati
24 da queste armi demoniache cuociono lentamente, e sono ancora vivi, a volte, quando si arriva vicino a loro, ma se solo li si sfiora la loro carne vi resta fra le mani, come macerata. Muoiono in ogni caso, e Sarebbe molto più opportuno lasciarli dove si trovano, ma il regolamento esige invece il loro trasporto all'infermeria del campo, e i soldati sprovveduti seguono i regolamenti, naturalmente. « Nell'esercito ci vuole l'ordine », afferma Porta, <( altrimenti addio guerra e addio vittoria finale! E un grande popolo come il nostro ha bisogno di tanto in tanto di fare la guerra per dimostrare al suo vicino di casa che è sempre in piena forma. Dove saremmo adesso se ogni coglione facesse quello che gli pare? Tutti taglierebbero la corda il primo giorno stesso, e cosa avrebbero da fare più i nostri uomini politici? Con tutto il daffare che hanno avuto per combinare una bella guerra, pianificata come si deve! » conclude facendo scattare il portello della torretta. È sempre verso notte che si parte. Piove a dirotto e l'odore di gas bruciato vi prende alla gola. La fanteria addetta ai carri arriva sul posto, già inzuppata di pioggia, congelata di freddo, le tende arrotolate in spalla e gli elmetti cacciati il più possibile in avanti fino sopra le orecchie. I veterani, carichi di esperienza in queste cose, hanno di loro iniziativa avvolto le loro armi automatiche dentro a grandi fogli di carta oliata, ma nessun capo sezione ve lo suggerirebbe mai. Molto spesso, si tratta di falsi allarmi, e perché allora trovarsi poi con le armi inutilmente imbrattate e scivolose? È proibito, perdipiù, ma quante cose proibite si fanno, ormai! La violazione agli ordini è punita con l'impiccagione, ma è molto raro che ciò avvenga, per la verità. Una volta, nel villaggio di Drogubosch trovammo una bella ragazza, molto mal ridotta per la verità: affermava di essere stata violentata
25 nel giro di un'ora da ben venticinque uomini successivamente. Il medico dichiarò che effettivamente era possibile questo caso, e tutto finì lì. Non uno di quei dannati poliziotti si fece avanti, o volle mettere in chiaro la cosa, e nell'interesse dell'armata tutto fu messo a tacere. « Infermiere! » grida una voce nel buio. « Aiuto, non ho più una mano! » È proprio così. Ogni volta che viene dato l'allarme, uno sciocco senza volerlo, mette la mano sulla bocca di un'arma. Un fischio, un sibilo... immediatamente si sente il tipico odore di carne bruciata, e della mano non resta che un moncone d'osso. L'uomo verrà naturalmente punito per la sua sbadataggine, ma sei settimane di ospedale sono una vacanza meravigliosa paragonata al fronte! L'infermiere infatti impreca violentemente contro di lui, e parla subito di Consiglio di Guerra. « Invalidità volontaria. » Se è scarognato gli va male del tutto, però. Domenica scorsa, per esempio, una recluta si è trovata con tutte e due le gambe amputate per una sbadataggine di questo tipo, e le autorità l'hanno subito sistemato in qualche modo su una sedia perché potesse morire eretto. Le esecuzioni, infatti, si devono sempre fare secondo i regolamenti! « Quello lì avrà i suoi guai », predice Fratellino, inghiottendo la sua razione nella frazione di un solo secondo, come un Gargantua. « Come diavolo fai a ingollare tutto a quel modo? » chiede il Vecchio stupefatto. « So mica, io. Già da quando avevo otto anni, inghiottivo un pollo intero in una boccata sola, con tutte le sue brave ossa e le interiora. Lo si impara quando si deve mangiare di nascosto, credo. Ti ricordi le anitre di Natale del sergente capo Edels? » Ah, certo che quelle anitre non era possibile di-
26 menticarle! Quando la polizia segreta comparve sul posto per constatare, secondo i regolamenti, il furto di otto anitre ingrassate da mesi e destinate ai capi, venne distribuito un emetico a tutta la compagnia per scoprire i colpevoli. Le anitre vennero restituite a chi di dovere, immangiabili per la verità, ma fortunatamente il capo degli uomini dall'uniforme nera era un amico di Porta, e anche l'interrogatorio regolamentare finì in una gigantesca partita a carte, talmente ben giocata che tutta la squadra della polizia se ne ripartì dopo la missione senza nemmeno un cappotto di cuoio! « Blindo, in avanti! » urla la radio. I motori Maybach cominciano a ringhiare, il Vecchio inforca i suoi occhiali speciali di protezione, dalla foresta provengono deboli rumori: i nostri granatieri devono aver contattato la fanteria nemica. La mitragliera lavora incessante sulla posizione, che diventa dopo pochi minuti un magma informe. « Non avremmo dovuto mai entrare in Russia », commenta Stege, pessimista. Vede sempre tutto nero, lui, quando l'atmosfera comincia a farsi rovente. Gli MG miagolano come gatti arrabbiati, dei mortai calibro 80 sputano delle granate in direzione degli MG, la terra ribolle come un geyser, tanto che la pista bitumata che porta a Pocinok sparisce dentro a una specie di ovatta biancastra. Non siamo mai stati a Pocinok, ma ne conosciamo tuttavia tutti i punti chiave. Sappiamo dove è stata sistemata la loro PAK, anche se nessuno l'ha ancora vista; e se hanno dei carri, sono sicuramente mimetizzati dietro la scuola elementare che è, come sempre, il posto ideale. Non avrebbero nemmeno la necessità di mimetizzarli, per la verità, perché con i nostri fucili mitragliatori a canna corta non possiamo far nulla noi contro i loro pesanti KW1 e KW2. La PAK, invece, deve trovarsi vici-
27 no alla sede del Partito, sicuramente, perché normalmente l'ultima cosa che si abbandona è la sede del Partito, nella grande Russia. Signore, come piove! La pioggia si infiltra dentro le sottili fessure d'evacuazione del gas di scarico, che non devono essere più in efficienza come prima, evidentemente. Ispeziono minuziosamente la mia maschera a gas e i due filtri; del primo ci siamo serviti per fabbricare clandestinamente dell'alcool e, Dio come puzza! Alla fine decido che un attacco coi gas non sarà poi una cosa così spaventosa, perché saremo già ubriachi fradici prima di renderci conto di essere buttati dentro al cloro! Sul ciglio della strada, a metà dentro un fosso, troviamo un camion rovesciato: uno di quelli molto massicci dell'artiglieria pesante; le portiere sono sconquassate e lontane sul prato, una delle ruote deve essere volata via stroncando molti rami di un albero, e sparpagliate intorno, un po' dappertutto, vediamo una quantità di mele molto mature. L'autunno del 1941 è stato una stagione fortunata per il raccolto, solo per il raccolto ovviamente, e le donne addette alla raccolta della frutta erano in pieno lavoro. La scala, tranciata di netto, sembra sia stata tagliata da una sega elettrica circolare, e una delle donne giace a terra inerte, la gonna e la camicia strappate, ancora una scarpa su un piede e una sottile catenina intorno al collo. Il troncone di un gradino della scala le è penetrato nello stomaco e l'estremità terminale le esce dalla schiena. Intorno al camion, diversi artiglieri morti, e uno di questi trattiene ancora stretta nella mano una bottiglia di vino; è morto bevendo, quasi un'estrema fortuna, per lui, dopotutto. Sul lato della barriera di siepe che si snoda lungo la strada giace un fantaccino tedesco, un ragazzo di non più di diciassette anni. Le sue due mani sono affondate dentro il ventre come in un estremo
28 tentativo di trattenere gli intestini dopo lo squarcio del suo addome, e le sue costole, a nudo, sembrano di avorio. In una grossa buca provocata dall'esplosione della granata, dell'acqua cola portando con sé del sangue e dei brandelli di carne umana. « È strano, però », mormora Porta. « La guerra comincia quasi sempre in autunno e termina in primavera. Perché poi? » È vero, ed è strano anche. Le prime scaramucce della fanteria cessano, trascorre un breve intervallo di tempo senza scosse, poi, notte dopo notte, si cominciano a sentire sempre più vicini i motori dei mezzi d'assalto... e improvvisamente, qualche minuto dopo l'alba, ecco che tutto ha inizio! Il primo giorno è sempre il peggiore. Si muore, si muore, non si fa che morire. Poi la morsa si attenua; no, non si attenua, invece, è solo una sensazione; la realtà è che ci si abitua fin troppo presto a vivere in compagnia della morte. Da tre settimane, ormai, non fanno che arrivare delle truppe fresche, che passano, notte e giorno, davanti al castello dalle alte pareti bianche. Compagnie, battaglioni, reggimenti, divisioni. All'inizio, guardavamo con una certa curiosità questo costante avvicendarsi di uomini, questa singolare sfilata. Questa gente veniva dalla Francia, e come era piena di denaro! Porta e Fratellino erano riusciti a combinare dei grossi affari, naturalmente. In combutta con un <( Obermaat » di marina erano riusciti perfino a vendere un controsilurante, nuovo di zecca, pronto per entrare in servizio! Fratellino sognava una bella decorazione inglese a fine guerra, per questo massiccio baratto, e infatti i due uomini che comperavano quel mezzo l'avevano promessa... Senza incontrare alcuna resistenza attraversiamo il villaggio, e il forte calore del tubo di scappamento lenta-
29 mente ci assopisce. Porta ha delle grosse difficoltà nel guidare, nell'intento di mantenere il grosso mezzo al centro dello stuolo delle truppe in marcia. Un solo istante di distrazione, infatti, e si schiaccia sotto i cingoli una intera compagnia... dietro le sue spalle, la fanteria addetta ai carri è quasi asfissiata per l'ossido di carbonio che il carro butta fuori, ed è un rischio mortale per l'imprudente che si distende sul motore ai due lati dello scappamento, ma chi non lo farebbe? Si sente un cosi delizioso tepore, in quella posizione così comoda! Fratellino dorme, sdraiato sulle sue granate, e russa talmente forte che quasi supera il rumore sordo del motore. Quattro grosse pulci percorrono il suo corpo, una razza speciale con una piccola croce sul dorso. Devono essere molto rare e pericolose, se si arriva a farsi dare in cambio quasi un marco per ognuna di esse che si riesce a consegnare viva all'infermiere, che poi le infila tutte dentro a un tubetto di vetro e le spedisce in Germania. Porta sostiene che le lasciano poi libere in un campo di concentramento per pulci dove si sta allevando una razza speciale di pulci ariane, purissime, che alzano la zampa destra su comando, in un saluto nazi perfetto... Heide, ascolta questa battuta, poi si alza indignato. Il Vecchio sveglia Fratellino e attrae la sua attenzione sulla fortuna che sta zampettando sul suo corpo, e che ovviamente gli spetta di diritto. Il gigante ne acchiappa tre ma la quarta riesce a salvarsi saltando dentro l'apertura del collo di Porta, che naturalmente ne rivendica la proprietà. Le si fissa con uno spillo sulla guarnizione di gomma dell'optometro, per averle subito a portata di mano nel caso il sergente si presentasse a richiederle, e Porta reinnesta, la marcia. Improvvisamente, una colossale palla di fuoco piomba nel fossato davanti al carro di testa. Gli uomini si butta-
30 no freneticamente fuori del veicolo, pazzi di terrore, con il cuore che batte all'impazzata. Restano distesi dentro la mota, come aspettando la morte, ma qualcosa d'altro sembra spazzare il suolo che hanno davanti; dei proiettili rimbalzano sulle lamiere d'acciaio, un muro di fiamma si alza compatto davanti a noi. Arriva dal bosco, si alza nel cielo come un lugubre arcobaleno, si snoda in una curva e ritorna verso di noi. « Le ' Canne d'organo di Stalin ' », mormora Heide, che involontariamente si appoggia sul Funker MG, e con un fragore d'Apocalisse, tutto, in un istante, viene rasato al suolo. « Blindo, in avanti! » grida la radio, ma ancora prima di aver cambiato marcia, arriva le seconda salva. Porta innesta pieno gas, e spinge il mezzo dentro l'acqua e il fango. I motori Maybach urlano a piena forza, i cingoli macinano il fango che schizza altissimo nel cielo. Il rogo del villaggio di Spas Demensk provoca una vera pioggia di scintille e proietta delle travi incandescenti sulla colonna dei carri armati in marcia. Una fabbrica di zucchero brucia con un bagliore chiarissimo e accecante, e proprio mentre noi passiamo, esplode proiettanto una massa di liquido bollente molto lontano. Esplosioni, bracieri umani, fuoco di artiglieria, lanciagranate, mitragliatrici, rombo di motori dei carri armati, tutto ciò assommato è una realtà agghiacciante di distruzione e di morte. Lentamente il nostro carro avanza attraverso muri pericolanti e strutture metalliche contorte, dentro una nube di fumo soffocante. I carri di testa ci guidano per mezzo della radio, e per la verità, nessun esercito del mondo è stato addestrato a mantenere un coller gamento continuo e così perfetto come il nostro. Riusciamo infatti a rimanere in contatto pur avendo l'artiglieria pesante alle spalle, ma quando arriviamo davanti ai mo-
31 struosi KW2 russi, di fronte ai quali non possiamo far nulla con i nostri inefficaci 7,5, ci diamo da fare per spezzare o demolire i loro cingoli, immobilizzandoli e chiamando poi l'artiglieria pesante che può intervenire pesantemente contro questi colossi. Il primo battaglione è già in contatto con la fanteria di trincea e la PAK del nemico, ma vediamo orde di soldati inondati di sangue venire verso di noi, e pensiamo che ì nostri devono aver subito perdite immani. Avanziamo al passo, con Porta che mantiene la direzione fissando la fiamma del tubo di scappamento del carro che ci precede, mentre bombe traccianti filano via sibilando, ininterrotte, verso le posizioni nemiche. Improvvisamente, un grosso BT6 compare da un sentiero di traverso alla strada, oscilla un poco nell'accedere al percorso principale più elevato, ricade pesantemente sulla strada, si butta su un Pili, lo rovescia, vira come una trottola e si dirige proprio verso di noi. Precipitosamente, sparo senza nemmeno prendere la mira. In uno sfolgorio di scintille, la granata atterra sulla torretta, ma i due mezzi corazzati cozzano violentemente uno contro l'altro, e l'impatto durissimo ci fa rotolare tutti nel fondo del carro. Il Vecchio sblocca il portello e il comandante del carro nemico esegue esattamente lo stesso gesto, simultaneamente, ma il Vecchio è stato più rapido di qualche frazione di secondo e il suo fucile mitragliatore crepita prima di quello del nemico. Fratellino salta fuori con un balzo, nella mano tiene stretta una mina S. Come un folle si arrampica sul cofano del nostro carro e lancia la sua mina all'interno della torretta aperta del carro russo. Nell'intervallo di pochi secondi, cbsì, del colosso gigantesco che poteva sopraffarci, non resta che una struttura contorta e carbonizzata. Dal relitto svincoliamo il nostro carro, mentre siamo
32 tallonati dai comandi del capo della compagnia, l'Oberleutnant Moser, che ci grida: « Altezza quattro metri, PAK nemico a 125 metri, granate esplosive. Fuoco! » Il cannone PAK riprende a sparare ma, per la verità, è come se lanciasse su di noi dei piselli. Il fragore del nostro tiro e quello dell'esplosione ci giungono quasi simultaneamente, e non resta più nulla, nulla, del cannone PAK, ora. Inaspettatamente il nostro carro sprofonda in avanti, dentro a una grossa buca provocata da una granata, e la parte anteriore viene in parte sommersa da un terriccio molle e avvolgente. Porta innesta la marcia indietro ma i cingoli slittano. Cerca allora di districarsi ruotando un po' a destra e un po' a sinistra, ma senza successo. Fratellino durante questa manovra precipita sul ripostiglio delle munizioni, mentre Heide si è incastrato tra il Funker MG e il blocco radio. Gemendo sostiene di essersi dilaniata una mano ma si è solo rotto un dito, per sua sfortuna però, perché un dito rotto non è sufficiente per essere inviato a riposo per qualche giorno, lontano da questo inferno. Il Vecchio è scivolato su una cassa di munizioni e si è ferito malamente a un braccio; quanto a me sono caduto addosso a Porta e mi si è incastrato nell'inguine il pedale della frizione. Soffro in maniera atroce, ma l'infermiere si rifiuta di farmi ospedalizzare, purtroppo. Ci occorre una buona mezz'ora per riuscire tutti ad uscire in qualche modo dal carro mentre Moser tuona delle feroci imprecazioni, e sembra sempre più convinto che la nostra manovra sia stata premeditata. « Se si ripete un'altra faccenda come questa, c'è il Consiglio di Guerra per tutti, chiaro?! » Ci mettiamo in posizione nei pressi dell'ospedale incendiato. I ventidue carri della compagnia sono già alli-
33 neati, con i cannoni puntati in perfetta regola, e vicino alla fabbrica di zucchero in fiamme il resto del battaglione si apposta in attesa di ordini. L'alba giunge portando con sé una fitta e pesante nebbia grigia, e questa è la costante di rischio quando ci si accampa nei pressi di un fiume: non si riesce a vedere né a sentire nulla. Le armi pesanti tacciono, e solo qualche mitragliatrice crepita dall'altra sponda del fiume. Dov'è }a fanteria? È riuscita a penetrare nelle linee nemiche? Abbiamo tutti la sensazione angosciante di essere stati volutamente dimenticati qui soli, nell'immensa Russia. A poco a poco la nebbia si alza, e appaiono indistinte delle sagome di case e di alberi altissimi. La fanteria addetta ai carri arriva incolonnata, procedendo lungo i muri delle case, e si raggruppa intorno ai grossi veicoli. Cannoni è mitragliere pesanti tuonano, la terra trema. Delle immense lingue di fiamme escono dalle bocche dei cannoni e uno « stormo » di granate traccianti si alza sul campo di battaglia. La fanteria di linea avanza a balzi, mentre noi spariamo al di sopra delle loro teste con un fuoco intenso di copertura molto ben calcolato, ma certo non è allegro avanzare a balzi verso la morte con sopra la testa quello stormo che ugualmente porta la morte. Se il tiro è troppo corto, infatti, i proiettili ti arrivano nella nuca, ed è già accaduto purtroppo e sovente. Che poi noi si sia spediti al Consiglio di Guerra per questa inesatta valutazione di tiro, a quei poveretti non serve più a niente, purtroppo! Molto lontano e all'indietro, delle sagome scure appaiono e scompaiono in mezzo alla nuvola densa deHa nebbia. Sono più di cento i carri che avanzano ringhiando verso le linee nemiche, e i russi fuggono presi dal panico verso le posizioni arretrate. Noi siamo schierati .tutti in fila perfetta come in una piazza d'armi per una
34 parata, ma qui i bersagli sono esseri viventi, non fantocci! All'improvviso, tutto cambia! Una lunga fila di cacciatori russi sorge come dal nulla proprio davanti ai musi dei nostri carri immobili. Che duello! All'Ottava compagnia, jl primo carro salta in aria, e Barcelona annuncia a gran voce che la sua torretta è stata raggiunta da una granata e il cannone perciò è fuori uso, almeno temporaneamente. Bisogna ripararlo, e ripararlo d'urgenza per di più, ma un secondo più tardi arriva fino a noi una granata, in pieno sul davanti del carro. Un fragore tale che per qualche minuto ci sembra di essere diventati sordi, poi un condotto dell'olio si spezza, e se tempo addietro non avessimo, durante un'esperienza del tutto simile a questa, incastrato dei rottami di cingoli sopra tutta la parte anteriore del carro, la granata avrebbe trapassato la corazza d'acciaio, e noi ora saremmo già morti tutti, ormai! A sua volta, il Legionario annuncia che anche uno dei suoi cannoni leggeri è deteriorato, e deve ripararlo. Tre carri della 4a sezione esplodono in fiamme, e tutto l'equipaggio muore carbonizzato all'interno. Un nuovo tipo di granata, che questa volta ci manda all'aria tutto il blocco dello sterzo e delle marce, e ora non è più possibile fare alcuna manovra. Rischio mortale per un carro, purtroppo, perché se non si riesce a cambiare di continuo posizione con delle sterzate costanti, il PAK vi distrugge nell'intervallo di qualche secondo. In qualche modo, superando se stesso come sempre, Porta riesce a portare il carro dietro una bassa collina, e con degli attrezzi di fortuna, riusciamo, imperlati tutti di sudore dalla testa ai piedi, a cambiare in blocco la scatola del cambio e lo sterzo. Anche un cingolo deve essere riparato alla meglio ma, per nostra fortuna arriva in aiuto un carro-attrezzi, e ripartiamo in tempo per assistere alla di-
35 struzione quasi simultanea di sette dei nostri carri! Lontano, al limite del bosco, vediamo comparire dei veicoli grigi che a una prima occhiata prendiamo per degli anticarro su affusto motorizzato. Ma tre sezioni virano per contrattaccare, e ci accorgiamo subito che è ben altro che quello che pensavamo... Cinque T 34 e dieci T 60. Alla distanza di circa ottocento metri, i primi T 60 saltano in aria in un geyser di fuoco e di fumo, ma noi viriamo come dei pazzi, nel tentativo di sfuggire ai T 34 e alle loro granate mortali. È il carro più pericoloso che esista, in questa guerra, la miglior arma, in effetti, dell'Armata Rossa. Tre dei nostri PIV bruciano, altri due sono talmente in avaria che devono abbandonare il campo di battaglia, e un Pili semplicemente si volatilizza, preso in pieno da ben due granate che gli piombano addosso simultaneamente. Una batteria Flak calibro 8 arriva in nostro soccorso e molto rapidamente distrugge i carri nemici che abbiamo davanti, con le.sue micidiali granate di nuovo modello, e, infine, anche la 27a sezione blindata attacca a sua volta, e poco dopo l'artiglieria russa è chiaramente sopraffatta e tace. Il nostro carro esige delle riparazioni urgenti : la torretta è immobilizzata, essendosi inceppato il meccanismo che la fa ruotare, molti cingoli vanno cambiati, ma ciononostante la radio non cessa di urlare: k Attaccate! Attaccate! Non lasciate il tempo al nemico di riorganizzarsi! Stategli sotto, non mollate un minuto! » Sfiniti dalla fatica, sfiniti per la lunga mancanza di un vero riposo, soffriamo tutti di nevralgie quasi intollerabili, con una sistema nervoso ormai a pezzi. Nessuno sa nemmeno più quello che dice e tutti abbiamo i nervi a fior di pelle. I villaggi e.le città che attraversiamo sono un ammasso di rovine fumanti, e la pista bitumata che percorriamo è co-
36 steggiata di relitti, di carri e di cadaveri. Dei cani scheletrici divorano quei poveri corpi, e dei polli bisticciano fra di loro per impadronirsi delle intestina ancora tiepide; si lanciava loro addosso dei sassi le prime volte, poi nemmeno questo li spaventava più e continuavano la loro orrenda occupazione, e noi ora non interveniamo più. Tutti i pali del telegrafo sono abbattuti e i fili si attorcigliano intorno ai nostri cingoli, le case vengono abbattute a file intere, e i russi che ne escono furtivi vengono ridotti in poltiglia. Indietro, mugiki! Arrivano i liberatori! Diventerete tutti tedeschi, per vostra grande fortuna, proclama la propaganda di Berlino. Breve pausa per riparazioni, per fare il pieno dell'olio, per far pulire i filtri d'aerazione, e riparare le catene. "Ma non ci viene consentito un solo secondo per dormire e non appena il carro è pronto, risuona l'ordine: «In avanti, blindo!» Qualche centinaio di metri, ed ecco ora arrivare i Jabos! Scendono in picchiata, la mitraglia crepita sul suolo duro, la prima compagnia è spazzata via nell'intervallo di pochi istanti, altri carri bruciano, i granatieri terrorizzati fuggono, quando di punto in bianco, un'ondata di soldati russi appare e riempie come una marea tutto il campo di battaglia. « Urrà Stalin! Urrà Stalin! » Sono i giovani della KPU con gli elmetti dalla croce verde acceso, dei politici fanatici che attaccano baionetta in canna. Trecento metri prima di arrivare in contatto con quest'orda, la voce della radio grida e ordina : « Con granate esplosive e tutte le armi automatiche a disposizione, fuoco! » Duecento fucili mitragliatori e cento cannoni sparano sull'onda russa che si schianta, ma eccone altri, che sembrano sbucare dal suolo ed altri ancora, dietro di loro. Tutto si distrugge, in questo inferno di fer-
37 ro e fuoco. Anche il cielo stesso brucia, e se ancora un sopravvissuto resiste viene schiacciato e spappolato sotto i cingoli, e questo combattimento atroce forse non verrà nemmeno menzionato nel comunicato tanto è insignificante, anche se è costato la vita a migliaia di giovani e di adulti. Sembra che l'atmosfera si plachi. Ora stiamo marciando diritto verso nord-est e raggiungiamo l'autostrada Smolensk-Mosca che serpeggiando attraversa paludi, foreste, passa sopra il fiume e intorno a città con belle curve molto ben costruite in cemento armato. Superiamo interminabili colonne di fanteria e di artiglieria trainata da cavalli; le unità motorizzate, infatti, sono molto più avanti di qui, ce ne accorgiamo dalla quantità enorme di relitti che gia-ciono sui due bordi della strada. A un certo punto, ci imbattiamo in un intero reggimento, chiaramente distrutto in un sol colpo. ce Bombe ad aria compressa », commenta il Vecchio. Questi meccanismi demoniaci vi strappano i polmoni, in senso letterale. Tutto il reggimento è là, disteso in ordine, come se un ordine di questo tipo fosse stato dato: « In marcia verso la morte» e fosse stato puntualmente eseguito. Un solo albero, dai rami spogli, è rimasto in piedi e serve da forca per un cavallo, anch'esso morto. Una nebbia bassa, collosa, acre, simile a una coltre umida, ovatta tutto questo paesaggio che odora di morte. La fanteria marcia in colonna lungo l'auto strada, ma gli uomini dormono camminando. La palude ha spinto la nebbia fin sulla strada, e non si vede alla distanza di un metro, in questa caligine bianca. Le colonne sembrano delle lunghe serpi in marcia, e quando la strada ha un declivio scompaiono, totalmente, per poi riapparire poco dopo. I carri ringhiano, tutti con la torretta aperta, ma non si vede nulla e siamo guidati per mezzo della radio.
38 Non c'è niente di peggio al mondo che la nebbia per un'armata costretta ad avanzare in luoghi ignoti. Col respiro mozzo, siamo in costante tensione per il rischio di imbatterci all'improvviso nel nemico, che può piombarci addosso da un momento all'altro, e infilzarci con il suo coltello, ancora prima di avere il tempo di aprir bocca. Tre carri si tamponano, proprio davanti a noi, uno dei tre si rovescia e, naturalmente, subito si sente il grido: «Sabotaggio! Consiglio di Guerra!» e tutta la colonna diventa un inestricabile groviglio. Vi sono ben due morti nel carro rovesciato, e ora arriva dalla parte opposta un camion dell'Armata dell'Aria che frena ovviamente, derapa ovviamente, e spazza via dentro il fossato un'intera compagnia. « L'aviazione ne ha piene le tasche di queste bestialità », urla l'aviatore inferocito. « L'esercito ci rompe i coglioni dal primo giorno di guerra, perdio! Radiotelegrafista! Chiamate immediatamente il capo di stato maggiore di stanza presso il maresciallo del Reich! » « Riferisco al signor tenente che la radio è inutilizzabile. » « Sabotaggio! » grida il tenente, sempre più inferocito, che si agita come una marionetta, nella nebbia. « Esigo che chiamiate il maresciallo del Reich, e se la nostra radio è stata sabotata, allora gridate o andate a piedi a Berlino; è un ordine, chiaro? » « Sì, signor tenente », risponde il radiotelegrafista, che gira i tacchi e parte in direzione ovest. Si ferma davanti al nostro carro dove Porta, disteso tranquillamente sul suo piano anteriore, sta nutrendosi con piena soddisfazione di una gelatina di frutta dall'aspetto molto invogliante. « Sai la strada che porta a Berlino, camerata? » « Ci metteresti un mucchio di tempo se vai a piedi, a-
39 mico! Vieni piuttosto con noi fino a Mosca, sono solo circa 160 chilometri da qui. Da laggiù telegraferai, cosa ne pensi? » « Sarebbe proprio una buona idea, certo, ma il mio tenente vuole che vada a Berlino ad avvertire il maresciallo del Reich che il mio tenente desidera parlargli. » « Allora vacci, a Berlino. Un ordine è un ordine, lo si insegna a tutti i buoni tedeschi fin da quando sono ancora in culla. Prendi l'autostrada fino a Smolensk, poi quella fino a Minsk. A Minsk cerca la fontana dalla scritta : « La Signora che Piscia » tutti la conoscono. E proprio lì vicino potrai dormire presso il mercante di grano Ivan Dornasliki, un cecoslovacco esiliato, in via Ramash. Ma sforzati di non aver l'aria del barbone perché in ogni caso tu sei noto, denunciato regolarmente sia presso quei cialtroni della polizia, sia presso i partigiani. Ti avrà quello che paga ai più, ecco tutto; e sarà una cifra che va dai 50 ai 150 marchi. In qualità di caporale di una certa esperienza in cose di questo tipo, penso che saranno i partigiani ad offrire di più. Noi, dell'esercito, non valiamo mai più di cinquanta marchi, uno per l'altro, e un SS non lo vogliono di solito, perché può dare delle noie, capisci? Creare delle grane. » « Credi veramente che gli aviatori valgano cosi tanto? » « Certo, siete una rarità in guerra, in certo senso. Non vi si vede mai, salvo alle consegne delle decorazioni o delle razioni supplementari. » « È vero. » « Dopo Minsk, passa per Drohobitz, vicino a Lemberg. Di là, prendi l'autostrada verso Berlino via Monaco e Plon. Potresti anche prendere la strada del nord, lungo il Baltico, ma laggiù sei costretto a passare da Reval, che formicola di SS e di ebrei. Te lo sconsiglio nel modo più assoluto. Se, nella tua qualità di aviatore cadi nelle loro
40 mani, sei fottuto, dai retta a me! Né quelli dal naso lungo, né le SS hanno alcuna simpatia per il maresciallo del Reich. » « Si è sempre in pericolo di vita, su questa maledetta terra!» « È proprio così. Guarda, ti voglio raccontare la storia di un mio amico, M. Niebelspang, che trafficava in bottiglie vuote a Berlino. Un giorno, ha dovuto recarsi a Bielefeldt perché era morta una sua zia e il notaio gli aveva spedito una lettera così concepita: « ' Molto Onorato Signor Niebelspang, « ' Vostra zia, la Signora Leopoldina Schluckebier, si è impiccata annodandosi, molto solidamente per la verità, la corda del bucato appartenente al suo vicino di casa intorno al collo, un istante prima di saltar giù dallo sgabello della sua personale cucina. In qualità di suo unico erede, vogliate immediatamente farmi sapere se accettate il patrimonio e i debiti della defunta. Con la presente lettera, vi segnalo in ogni caso che il vicino di casa esige, in modo assoluto, una nuova corda per stendere il suo bucato. ' « ' Urrà! ' gridò il trafficante di bottiglie di Berlino, che non pensava che all'eredità, ma parte della sua gioia svanì quando un amico, che faceva lo straccivendolo nei quartieri alti, il signor Puppermann, gli sottolineò la breve parola ' debiti ' del documento notarile. Ciononostante il signor Niebelspang, senza por mente a questo saggio consiglio, si precipitò alla stazione e prese il primo treno che da Berlino lo portò a Bielefeldt. Dunque; era notte e.nevicava fitto quando giunse a destinazione, un mercoledì, e lui doveva rientrare a Berlino il venerdì per una consegna di bottiglie che arrivavano da Lipsia. Così, filò dritto dal notaio senza lontanamente pensare che l'ora non era molto adatta. ' Chi è quell'idiota che suona alla
41 porta alle tre del mattino, perdio? ' gridò furiosa infatti una voce col tono caratteristico della autentica maleducazione tedesca. M. Niebelspang si ritirò nell'ombra rapido, e si sdraiò su una panchina in un parco del vicino convento, per tirare mattina. All'alba, mezzo assiderato dal freddo, si presentò al notaio dove, in piena fiducia, firmò tutti i documenti che gli venivano presentati. Non appena ebbe siglato l'ultima firma, però, gli venne spiegato che tutta la sua eredità consisteva in un enorme cumulo di debiti, e fu rovinato. « L'unica via di salvezza per questi sfortunati è l'esercito, naturalmente, e lui chiese l'ingaggio e l'ottenne dunque nel 46° fanteria, entrando in Francia con il grado di sergente. Ma Dio, colà, chiaramente, lo proteggeva. Avendo l'artiglieria tedesca regolato il suo tiro di sbarramento lievemente più corto del dovuto, massacrò il povero reggimento di fanteria quasi per intero e rimasero ben pochi sopravvissuti cui attribuire la Croce di Ferro. Il superstite signor M. Niebelspang la ricevette, inviatagli per posta dal X corpo d'armata. Poi venne trasferito al IX corpo, come staffetta motorizzata, e fu da quel giorno fatidico che ebbero inizio le sue grane. « Una magnifica motocicletta che filava come il vento, e che portava dei plichi di un'importanza considerevole, per la verità. Era un incarico affascinante in estate, un po' meno in inverno però: la neve, il fango, il freddo e tutto il resto. Un giorno, la staffetta di cui parliamo venne inviata a Berlino in missione segreta, munita di una bella bandiera nera con l'aquila del Reich ricamata sopra in rosso vivo, perché fosse ben chiaro che si trattava di una missione molto segreta. « Dei buoni amici gli consigliarono di passare per Stoccarda, dove la gente non pensa che a una sola cosa, possedere una bella Mercedes. Ma quell'imbecille preferì
42 passare per Amburgo, e mal gliene incolse. A Brema, infatti, venne fermato dagli schupos, che dopo delle meticolose investigazioni durate ben quattro giorni scoprirono che era necessario avere un'autorizzazione del Reich per avere il diritto di soffiarsi il naso, e venne invitato, molto severamente, per la verità, a rallentare l'andatura della sua staffetta, sempre munita dell'aquila del Reich, naturalmente. Il mio povero amico continuò dunque la sua Via Crucis sulla sua magnifica macchina, con marcia indietro e cilindri verticali. Vicino ad Amburgo si imbatté in un blocco, una schiera di uomini dall'uniforme nera del reggimento SS del Führer. Consideravano Amburgo un loro feudo personale, quelli, naturalmente. Venne condotto alla caserma di Lan-gehorn, dove passò tre giorni interi a farsi prendere a calci nel culo da tutte le SS della suddetta caserma. « Poi, sempre con, la sua motocicletta e la sua bandiera, prese l'autostrada di Lubecca, dove ricevette un'altra dose massiccia di calci in culo dalla polizia di Sicurezza, sotto l'accusa di non aver alzato sufficientemente il braccio nel regolamentare saluto hitleriano. Finalmente, raggiunse l'autostrada vicino ad Halle dove non avendo niente di meglio da fare commise l'imprudenza di far accomodare sul sellino una bella puttana, che aveva alle sue calcagna, ma non glielo aveva detto, tutta la squadra del Buoncostume della città. Proprio prima di Willmanstadt, là dove si erge il vecchio patibolo, i gendarmi erano in attesa della loro preda. ' Fermi, o spariamo! '. gridò un Unterwachmeister, un tipo strano di individuo, al quale nel 1916 sul fronte della Somme, un proiettile francese gli aveva fatto saltar via... una certa cosa. Veniva chiamato Muller II perché un altro Muller si trovava in quell'ospedale. ' Spia! ' grida Muller II. ' Ti consiglio di confessare, e immediatamente anche, perché c'è ben po-
43 co da sperare da me, ti avverto! Sono rUnterwachmeister Muller II, Herbert Cari, della polizia di Halle, e ho schiaffato dentro ben altra gente prima di te: due assassini, quattro ladri, tre loschi trafficanti e un traditore. Tutti decapitati ', aggiunse tutto soddisfatto. ' Dunque, tu devi essere amico dei sovietici e nemico del Reich, non è così? Camerati, picchiate sodo! ' « La sua squadra si armò di grossi pesanti bastoni, e il mio amico era in uno stato di salute che credo immagini quando venne trasportato di peso all'ambulanza di polizia n. 7. Seguì una terribile litigata tra il capitano Sauerfleish e Muller II, dopo una lunga telefonata che il primo dei due ricevette, sudando sempre di più e parlando sempre meno, dal quartiere generale III a Berlino. » « Perché mi racconti queste cavoiate? » chiese l'aviatore. « Lo faccio per prepararti alla tua marcia su Berlino e alle situazioni terribili che dovrai affrontare in questo nostro grande Reich nazionalsocialista. » « Protesto! » grida Heide. « Alto tradimento, propaganda sovversiva! » « Chi è quel tipo? » chiese ancora l'aviatore stupito. « Non badargli, ogni circo ha i suoi clown. Alla 5a compagnia il clown è il sottufficiale Julius Heide. » « Cosa se ne vede, di questi tempi! D'altronde... » « Cosa state facendo qui, a chiacchierare? » urlò una voce stentorea alle spalle dell'aviatore. « Vi ho ordinato o no di andare dal maresciallo del Reich? Venti piegamenti sulle ginocchia, la carabina ben stretta sotto il braccio, presto! » « Non scendere troppo in basso col tuo culo, amico », suggerisce Porta, « fai troppa fatica poi a farlo ritornare in su. » « Rimettetevi in piedi, Obergefreiter », borbotta il te-
44 nente, nel rendersi conto dell'atmosfera ironica che lo circonda. Un breve istante, l'aviatore simula uno svenimento, il che ha sempre il suo effetto in circostanze di questo tipo. Questo tipo di vessazione, infatti, che normalmente impongono gli anziani alle reclute, è proibita nell'armata tedesca, perché è costata troppe lacerazioni muscolari e rotture vascolari, e una storia di questo genere fatta davanti a testimoni, porta al Consiglio di Guerra, di questi tempi. Faccenda sgradevole, in effetti. « Il tuo signor tenente ti ha ordinato di metterti sull'attenti », lo ammonisce Porta con la bocca piena di gelatina. Il tenente furioso si volge ora a Porta. « Sull'attenti voi, caporale! Non vedete davanti a voi un tenente dell'aviazione? » ce Segnala al signor tenente che non vedo assolutamente nulla, perché sto dormendo. In base al regolamento, infatti, è proibito disturbare gli autisti dei mezzi corazzati, o impiegarli in un compito improduttivo, qualsiasi esso sia. Come il carro armato si ferma, il suo autista deve riposare, anzi mettersi a dormire immediatamente. Ordine del mio capo, il colonnello Hinka. » Il tenente, con gli occhi fuori delle orbite ma ammutolito, si gira e si avvia verso il suo camion rovesciato. « Sempre così », commenta Porta, tranquillamente. « Arrivano come dei leoni inferociti, e poi se ne ripartono come agnelli castrati. Se fossi ufficiale, non vorrei mai avere a che fare con dei caporali, farei la guerra senza di loro, assolutamente. » « E la perderesti », sghignazza Barcelona. « Lo è già, in ogni caso. Sopprimendo i caporali la perderesti lo stesso, naturalmente, ma senza che i caporali ti
45 abbiano preso per il culo per tutta la sua durata. Sarebbe già qualcosa, non credi? » Il sergente capo Edel si avvicina lentamente, alla esatta maniera dei sergenti capo, vale a dire con tutte e due le mani appoggiate sui fianchi. Si ferma davanti al nostro carro e lancia a Porta uno sguardo omicida. « Porta », gli dice facendo sibilare le parole attraverso le labbra sottili e terree, « tu finirai i tuoi giorni appeso a una forca, e mentirei se dicessi che la cosa non mi riempirebbe di gioia. La cosa più intelligente che potresti fare a questo punto, sarebbe di cercare disperatamente di fare la morte dell'eroe, e al più presto, anche. Caporale capo Porta, sei la vergogna e l'onta più bieca di tutta la grande armata tedesca. Se il Führer sapesse della tua presenza al fronte, darebbe immediatamente le dimissioni. » « Segnalo al mio sergente capo, che sarebbe forse il caso di farglielo sapere, tramite una cartolina postale. » Il sergente capo Edel sparisce; sapeva per esperienza personale che era sempre un errore attaccar briga con un tipo come Porta. Per sopramercato poi, dopo qualche minuto anche i gendarmi fanno la loro apparizione, ma non sono ancora arrivali in contatto con i carri, che i mortai russi riprendono a tuonare e l'ordine di riprendere la marcia risuona stentoreo. Con una colossale risata, Porta si arrampica sulla torretta e si infila nel carro, i motori Maybach prendono a ringhiare e i cingoli scricchiolano sull'asfalto. La guerra si è di nuovo ricordata di noi.
46 Ho spesso provato una profonda tristezza nel pen-
sare al popolo tedesco, del quale ogni individuo è una persona rispettabile, mentre nell'insieme è tanto... penoso. Goethe
Il commissario di divisione Malanijin passò lentamente attraverso le corsie dell'ospedale. A dispetto delle proteste dei medici di turno, strappò quasi tutte le bende ai feriti che spinse brutalmente verso il grande atrio dove in un angolo erano ammucchiate molte uniformi e vario materiale di equipaggiamento militare. « Non siete che degli scansafatiche e dei porci! Meritereste di essere tutti liquidati sul posto ma io non sono crudele per natura, e lascio questi mezzi di coercizione un po' pesanti ai fascisti. Dunque, farò solo una scelta, a caso, in questa massa di buoni a niente che siete, e i prescelti pagheranno anche per gli altri ecco tutto. » Designò a caso, infatti, una decina di soldati giovanissimi che avevano delle ferite sanguinanti ormai a nudo. « Cialtroni! Ve ne state a riposare in un letto d'ospedale tranquilli e beati, mentre i vostri concittadini sovietici lottano per la patria di Stalin. » « Sono ferito, signor maggiore », rispose timidamente il soldato Andrei Rutych, che compiva proprio quel giorno diciott'anni. a Non hai forse una testa sulle spalle, due braccia e due gambe? » « Sì, ma sono stato ferito al torace e ho perduto un polmone. » « Te ne basterà uno solo, ragazzo», e si voltò verso il medico capo. « Questi dieci banditi sono condannati a morte. » Si allacciò ben stretto il cinturone e si rimise in capo l'elmetto. « Filare! Liquidate questa faccenda immediatamente e
47 all'incrocio di due strade; voglio il massimo dei testimoni presenti al fatto. » « È finita! » pensò disperato Andrei Rutych, il cui padre era ufficiale superiore dell'armata dislocata al fronte. « Nessuno ritroverà la mia tomba, mi butteranno dentro a una buca come un cane, e pigeranno poi sopra la terra con gli scarponi per cancellare il loro crimine. » All'alba, i dieci condannati vennero condotti all'incrocio prescelto delle due strade. Avevano fatto allineare in precedenza lungo i muri delle case tutti i feriti dell'ospedale; fra loro molti dovevano essere sorretti dagli infermieri. Venne afferrato per la camicia il primo giovane soldato e gli si buttò sul viso un pezzo di stoffa. La salva crepitò dieci volte, consecutive; l'ultimo fu il soldato Andrei Rutych, ma dal momento che era caduto svenuto al suolo venne portato di peso in infermeria. E dato che tutto doveva avvenire in modo assolutamente e meticolosamente regolamentare, un dottore gli fece riprendere conoscenza e lo ricondusse poi dove erano stesi a terra gli altri, e gli tese il pezzo di stoffa con cui coprirsi il viso. Tre ore più tardi, il comandante del reggimento, colonnello Kubyschef, apprese che il commissario Ma-lanijin era stato ucciso. « Un vero suicidio », commentò stupito l'aiutante di campo. « Quel demonio si è buttato contro un carro senz'altra arma in mano che. il suo MPI e sicuramente è stato schiacciato sotto i cingoli. » « Che orrore! » grugnì il colonnello. « In ogni caso, forse è una buona cosa! Ripiegheremo; perché restare sarebbe una vera follia, dato che grazie a questo coglione abbiamo perduto almeno la metà dei nostri e,jettivi. Ordine di ripiegare, e in fretta, intesi?» La colonna si mise in marcia al suo seguito, ma venne a imbattersi questa volta nelle truppe di sicurezza sovietiche
48 che, senza alcun preavviso e in base agli ordini, falciarono al completo i fuggitivi del 436" reggimento dei cacciatori di Omsk. Pochissimi riuscirono a sfuggire al massacro, e questi pochissimi qualche giorno dopo vennero tutti giustiziati con un colpo alla nuca. « Nitchevo! » commentò un veterano della sezione dei miliziani. « Avrebbero dovuto immaginarlo, quelli; è sempre così che va a finire quando si ripiega. »
49
CACCIATORI CORAZZATI Risistemo di fretta il mio microfono sull'occipite dato che i cannoni PAK, giunti nel corso della notte, cominciano già a sparare. Un muro di fuoco si leva, rosso sangue, verso il cielo. Sparano con delle granate alla nafta munite di molla di reinnesto, ora! La foresta brucia, il fuoco si estende ai campi di grano maturo e i soldati investiti dal getto di nafta corrono in tutti i sensi all'intorno, trasformati in allucinanti torce viventi. Un fragore assordante! Due PIV saltano in aria, e i resti carbonizzati dei cacciatori, impigliati dentro a un altissimo abete, oscillano come impiccati al vento, mentre una colonna di fumo nero e sporco sale a fungo verso il cielo. «Blindo, in marcia! » comanda il colonnello Hinka per radio, dal suo carro. I duecentosessanta carri si mettono in formazione, in testa e alle due ali i PIV; dietro i Pili, con i loro calibro 5 di vecchio modello; seguono come dei fox-terrier astiosi i PII e gli Skoda. L'aria non è che un ruggito di motori, alcune postazioni russe vengono annientate, centinaia di soldati nemici sono ridotti in poltiglia, e un fetore di fumo bluastro e venefico segue i colossi d'acciaio. Arresto brusco. I cannoni rinculano, vomitano lingue di fuoco, tiro e impatto son una cosa sola, una colonna di fiamme si alza dalla parte opposta, là dove si schiantano al suolo le granate al fosforo; si sparano alternativamente granate al fosforo e granate esplosive, e poi tutto si annienta, feriti e morti. Di colpo una muraglia di fuoco, proveniente dall'artiglieria russa, ci costringe a frenare. « Indietro tutti », comanda il Vecchio, che con cautela
50 ora si affaccia al bordo della torretta e preme Porta con un piede. « A tutto gas, presto. » I PIV ringhiano sulla strada, ma d'un tratto vedo un T 34 sbucare da un folto d'alberi. La sua torretta vira, il lungo cannone si impiglia dentro a un ramo ed evidentemente il tiratore cerca di riuscire a liberarlo. A tutta velocità faccio ruotare la torretta, varie cifre e linee danzano dentro lo schermo ottico; se il T 34 rincula infatti sarà in grado di sparare, e noi saremo perduti. La nostra salvezza, perciò, dipende solo dalla nostra velocità. I russi hanno commesso un errore imperdonabile, per fortuna; ci sono solo quattro. uomini in un T 34, il quinto, l'osservatore, evidentemente manca, il che fa perdere del tempo molto prezioso al tiratore della torretta, che deve contemporaneamente mettere a fuoco l'obiettivo e azionare i comandi del carro. « T 34 a duecento metri. Granate », comanda il Vecchio. Una fiamma giallastra si alza a fungo, e un'esplosione gigantesca lo fa saltare in aria. Un corpo umano, proiettato contro il nostro carro, esplode come un frutto troppo maturo; ancora una granata al fosforo per assicurarci contro un eventuale agguato, poi sotto i nostri cingoli schiacciamo del tutto il relitto. Ora arriviamo sull'argine della strada, e il carro vi si arrampica sopra, un po' di traverso, mentre una granata PAK ci sfreccia sopra la torretta. Porta impreca, e manovra in velocità dando tutto gas al motore. Con i cingoli che addentano il terreno scricchiolando, ci issiamo sulla strada mentre colpo dopo colpo, tuona il cannone calibro 75. Una sezione di fantaccini viene spazzata via nell'intervallo di pochi secondi, mentre i feriti tentano di sfuggire al massacro nascondendosi dove possono, il tutto nell'alone di luminosità accecante dei proiettori.
51 « Caricare, chiudere la calotta di sicurezza », mormora meccanicamente Fratellino. Nello stesso istante gli sfugge un urlo di dolore; aveva dimenticato di non aver in testa l'elmetto, e il colpo gli arriva diretto sulla frontel « Perdio! » urla, asciugandosi cpn la mano il sangue che gli cola dalla ferita. « Come mi fa male, accidenti! » « Non stare a pietire troppo », borbotta Porta, « il tuo grosso crapone è incapace di soffrire, credimi. La sola cosa che contiene è un passero che ci ha fatto il nido, prendendolo per un tronco vuoto. » « Distanza, 500 metri », comanda il Vecchio. « Granate esplosive, fuoco! » Come un animale da preda l'otturatore si richiude sulla granata. « Caricare, togliere la sicura », ripete meccanicamente Fratellino dando un calcio a Heide, che casca proprio sopra il blocco radio. « L'hai fatto apposta, cretino! » « Non sono io, è solo il mio piede. In tutto me stesso vige la democrazia, per cui tutto è libero, amico. » I carri avanzano dentro una nube di fetore pesante, il PAK nemico è annientato e una ruota atterra sulla torretta del nostro veicolo. Dei serventi al pezzo non resta più nulla, ma dal cannone vicino un'ultima palla di fuoco parte in direzione di un PLV. Questo cannone russo non comporta più di due serventi al pezzo, il soldato e un comandante. È un cannone di modello recente, di cui Piotr Waska è molto fiero. Il suo reggimento della milizia, formato solo otto giorni fa, è «comunque già stato annientato. « Bravo Alex! » grida Piotr. « È già il quarto di questi demòni fascisti che fai saltare! Dacci dentro ancora con questi porci! » grida ancora, ben deciso a seguire alla let-
52 tera le istruzioni del commissario: « Non ritirarsi di un solo passo, mai. » I due serventi al pezzo russi, inondati di fango, colpiscono ancora due bersagli. La testa di un tedesco con ancora sul capo l'elmetto atterra ai loro piedi, facendoli scoppiare in una risata. Un buon augurio! « Spaccagli il culo! » grida Piotr fanatico. I due soldati, bisogna riconoscerlo, si battono come demòni; né l'uno né l'altro pensano a fuggire, e d'altronde chi lo proponesse sarebbe subito abbattuto. Nelle loro orecchie, infatti, risuona sempre il grido dei commissari politici : « È dovere di ogni soldato russo aver ammazzato almeno cento fascisti prima di lasciarsi ammazzare. Colui che non raggiunge que sta cifra è un traditore e la sua famiglia pagherà per lui. Viva Stalin, viva l'Armata Rossa! » « Diritto sul PAK nemico », dice la voce pacata del Vecchio, nell'individuare il cannone anticarro di Piotr. « Individuato », dico anch'io, facendogli eco. Il cannone PAK ci appare come fosse pieno giorno, in un brevissimo lampo di luce; il comandante russo è proiettato lontano, il servente al pezzo ruota su se stesso poi cade stritolato, e il nostro carro lo trascina per qualche metro ancora; il braccio si stacca da una parte, una gamba dall'altra, mentre il torso resta impigliato al veicolo. « Se solo tutto questo sangue non sporcasse così tanto! » impreca Porta irritato. « Non c'è modo di pulire questo benedetto veicolo. Se Dio avesse pensato ai carri armati nel creare il mondo, avrebbe inventato del sangue che non si appiccica e che si potrebbe lavare via con la pompa! » Lentamente, avanziamo attraverso il villaggio. Due compagnie del 41° fanteria giacciono a terra, uccise con
53 un colpo alla nuca. La propaganda hitleriana dichiara che è opera della NKVD, ma una quantità di bossoli di marca tedesca sono sparpagliati a terra attorno ai cadaveri. Si sussurra che le SD hanno ucciso dei disertori, ed è perciò proibito esaminare più attentamente i cadaveri. Una granata di mortaio cade proprio nel mezzo di un gruppo di SD e un braccio strappato dal corpo con ancora la rivoltella in pugno atterra davanti a Porta, che si affretta a raccattare l'oggetto sanguinante e a mostrarlo a tutti, agitandolo come un trofeo. « Camerati! Guardate che cos'è di straordinario la grande armata di Adolfo! Perfino un braccio strappato dal corpo tiene ancora ben salda la rivoltella! Questo mi ricorda l'epoca in cui mio padre partì in guerra con il 67° fanteria di Potsdam, che nell'entusiasmo di morire per la patria si era tutto infiorato di rose. Già al terzo giorno tutti l'avevano capita e filavano, ma non prima di aver frustato a sangue un sacco di viennesi che gridavano proditoriamente : ' Morte ai prussiani! ' In quel 67° c'era anche un sergente alcolizzato, di nome Mateka, e tutti sostenevano di non aver mai conosciuto un simile idiota. » « Da dove veniva? » chiede Fratellino. « Da Praga. Sua madre era polacca, di Lemberg, e andava a letto con un sensale di cavalli ebreo. Questi comperava i cavalli delle steppe per trasferirli poi in Scandinavia, dei ronzini talmente vecchi che si era costretti a tinger loro le ciglia prima di imbarcarli; durante il tragitto si dava loro del fieno ben salato perché avessero un piccolo bel ventre rotondo; e ai più decrepiti si metteva del pepe nel culo, ciò che ridava loro una illusoria piena giovinezza, quando venivano presentati all'acquirente. Se poi una bestia era talmente fottuta che nemmeno il pepe gli faceva più nulla, allora veniva mischiato dell'alcool a
54 dell'arsenico e questo miscuglio ridava loro un po' di forze! » « Ma il tuo sergente Mateka? » chiede il Vecchio. « Già, l'avevo dimenticato. Si presentò al capitano dei dragoni che lo presentò a Giuseppe Malan, gendarme altrettanto cretino. Dopo la prima bottiglia si accusarono reciprocamente di essere dei traditori, ma alla terza cantavano già in coro dei canti patriottici, poi, sottobraccio, infilarono la via Libjatka e qui incontrarono la moglie del comandante e... infilarono anche lei con una manata sul culo! Lei si lamentò, ovviamente, con il colonnello, che telefonò al capitano di gendarmeria tuonando contro la totale mancanza di disciplina del distretto. Questo capitano, ubriaco fradicio anche lui, imprecò per l'incidente ma dopo un'altra bottiglia di Tokai radunò la squadra di gendarmi che suddivise in tre gruppi. I primi ricevettero delle scudisciata, come era consuetudine quando i signori ufficiali s'imbattevano nella truppa. I secondi dei calci nel culo regolamentari, i terzi un paio di ceffoni in faccia, perché non erano che i terzi. Questo capitano era universalmente conosciuto come un debole di spirito, che vomitava ingiurie quando era ubriaco, ciò che d'altronde era il suo stato abituale. Dopo un torrente di ingiurie dichiarò: « ' Quei maiali che in pubblico mettono le mani sul culo delle mogli degli ufficiali dovranno essere portati ai posti comando ammanettati. Le signore anche, ma senza manette, in quanto sono testimoni. Bassa forza, circolare ora, al comando per il rapporto. Si procederà alla ricostruzione dei fatti. « Questo capitano di gendarmeria del distretto di Zagrabria, era un onorevole idiota, come ho già detto, e regolarmente si svestiva completamente nel corso dei festini del sabato sera degli ufficiali. Ci mancò poco che
55 finisse tutto molto male per lui, quando si sdraiò tutto nudo davanti alla statua di Thihomil, sulla piazza Hierre, con un'aguglia nel culo, spiegando ai passanti di essere una sirena in escursione nel Montenegro. Sarebbe stato ancora nulla se l'idiota non si fosse appeso la sciabola con il budriere alle anche nude, e appeso il suo berretto a... quello che sapete. Più tardi si scusò dicendo che non era una questione di pudore, ma lo fecero ugualmente mettere ai ferri. L'indomani il capoguardia della prigione fu retrocesso di due gradi per aver mancato di rispetto a un ufficiale, ovviamente. Non gli servì a niente protestare dichiarando che il capitano, essendo completamente nudo, assomigliava come una goccia d'acqua a un qualsiasi dannato civile, perciò... » « Porta! » grida il Vecchio esasperato. « Ci rompi le tasche con le tue maledette storie. Piantala una buona volta e mettiti in marcia; se continui ti faccio saltare il cervello. Chiaro?! » « Perché, razza di imbecilli, non volete sapere la storia che capitò al 7° Ulani, il cui colonnello disprezzava in blocco tutte le armi di nuovo modello? ' I fucili mitragliatori non significano niente, spiegò infatti al suo aiutante, e lo dimostreremo facendo avanzare tutto il reggimento a ranghi serrati come a una parata militare. Quando i francesi vedranno le nostre belle uniformi blu scure, avranno una tale fifa che si dimenticheranno totalmente dei loro fucili mitragliatori... ' » « Se aggiungi ancora una sola parola », dice il Vecchio fuori di sé, ce ti arriva una palla nella nuca, Porta. Non ne possiamo più, perdio! » Accanto a noi, un cannone PAK tedesco è interrato nel fossato dietro uno sbarramento fatto di vario materiale agricolo. La sua granata vola proprio al di sopra del T 34 di testa, per cui leggera correzione di tiro, il colpo va di-
56 ritto al bersaglio, e i serventi al pezzo applaudono al tiratore. È un tiratore vete rano dai nervi d'acciaio, dote indispensabile per un artigliere anticarro, d'altronde. Il tiro ha colpito il bersaglio, ma l'esito è solo una pioggia di scintille, perché la granata scoppia contro la torretta. « Fuoco! » grida l'ufficiale furioso. Medesimo risultato, senza successo. Il cannone tuona ma è come se sparasse dei piselli. « Che cos'è questo mostro? » grida l'artigliere. È la prima volta nella sua vita che vede un T 34. Finora non se ne vedevano che isolati, e raramente, ma eccoli ora in formazione completa. E ci raccontano che Ivan è fottuto! Con terrore, i serventi al pezzo contemplano i giganti, i loro stupefacenti cingoli, i loro fianchi inclinati, e l'enorme cannone che si drizza dalla torretta rotonda, sulla quale scintilla la Stella Rossa. « Fuoco a volontà! Sempre nella medesima direzione! » grida la voce disperata del tenente. Nessun successo. I colpi piovono sul mostro che vira e ringhia, e un camion fermo è ridotto in polvere. Di colpo, il portello si apre e una sagoma vestita di cuoio appare minacciosa con il pugno chiuso teso verso la batteria anticarro. I serventi al pezzo del PAK aspettano il colpo di grazia, uno dei due caricatori preso dal panico fugge in direzione del bosco, ma un proiettile sparato dal T 34 lo stende al suolo, e i quattro uomini del carro russo scoppiano in una risata; vendicano in questo momento tutti i loro BT5 schiacciati come gusci d'uovo all'inizio della guerra. « Perché non vengono avanti, e la facciamo finita? » geme il comandante della batteria. « Gioiscono della loro suprema superiorità », replica il tiratore, un caporale che combatte dal lontano 1939.
57 Il T 34 ruota lentamente, il grande cannone cali bro 7,65 si abbassa, un urlo, delle fiamme, un mare di fuoco sul margine della foresta, e un nido di mitragliatrici tedesche viene volatilizzato. Medesima sorte per una batteria di mortai. I motori Diesel girano a tutto gas, delle lingue di fuoco escono dai tubi di scappamento, e un fetore di olio bruciato soffia il suo alito venefico verso lo sbarramento anticarro. Il tiratore tedesco accende una sigaretta con un ramoscello infiammato, lancia un'occhiata verso le nubi grigie che corrono nel cielo e con un ghigno torvo indica con il pollice il T 34 al suo comandante. « Hans, hai perso la guerra ormai. Fra poco la grande nazione dei signori sarà inghiottita da questa razza di schiavi », tende la borraccia all'amico. « Tieni, bevine, bevine sempre. Quando si è ubriachi non si fa più caso alla morte, anche se ti arriva a cavalcioni di un carro nemico. » « Tu credi che morire faccia molto male? » chiede l'ufficiale, fissando con terrore il T 34, il cui proiettore fruga nel bosco. « Mai provato », sghignazza l'uomo. « Se i colleghi laggiù nelle loro tombe di ferro ci afferrano con correttezza, allora non ci accorgeremo neanche di morire, forse... in caso contrario credo che può essere molto sgradevole. » « Mi occuperò io stesso della mia morte », dice l'ufficiale togliendo la sicurezza della sua P 38. « Adolfo non lo apprezzerebbe, certamente. Due anni fa eri l'eroe del reggimento e sei stato citato nell'Ordine del Giorno. Ora ti fai saltare il cervello per la fifa che ti mettono questi sottosviluppati. Sei la vergogna della tua patria, amico. » « Piantala! Questi demòni sovietici ci faranno fuori in un istante, capisci? » « Speravi che andasse diversamente, forse? » ride
58 l’artigliere. « Anche tu credevi che Ivan avrebbe subito capitolato davanti al primo elmetto d'acciaio tedesco? E se noi la facessimo finita con la guerra, in un bel campo di concentramento di quelli di faccia; cosa ne pensi tu? » « I bolscevichi ci liquiderebbero. » « Balle. Non deve poi essere così terribile, in fondo. Mio padre è stato prigioniero per otto anni dopo l'ultima guerra, per cui lo so per certo. Ne è uscito perfino comunista! » « E cosa ne hanno detto gli amici di Adolfo? » « Hanno spedito il vecchio a Fühlsbuttel. Un giorno gli riuscì di saltare i fili spinati, ma l'Oberscharführer Zack gli sguinzagliò dietro il cane. Che importa, pensò, troverò bene il modo di piombargli proprio sul sedere. » « Io non sapevo che i cani da pastore divorassero gli uomini. » « Gli si fa fare qualsiasi cosa, a quelli. Sono i soli animali cui si è potuto insegnare a correre con delle mine anticarro agganciate sul dorso. Con i dogues inglesi non ha funzionato, ma i nostri pastori tedeschi corrono come frecce, con le mine sulla schiena. » Il T 34 è a pochi metri, ormai, dallo sbarramento, e si ferma un istante. Come una montagna d'acciaio, il mostro domina il cannone PAK e l'odore pesante di olio rovente avviluppa i serventi al pezzo, paralizzati dal terrore. Tutto si schianta sotto i larghi cingoli, ma il veicolo ora oscilla in avanti; i cingoli non fanno presa, e in un fragore assordante il T 34 si tuffa in avanti, e il suo cannone si tuffa anch'esso in avanti, in un miscuglio di acqua, sangue e mota. Il tiratore si lascia rotolare su un fianco. Con calma, poi, aggancia tre granate insieme a una bottiglia di benzina, e si arrampica dietro il carro russo, folle di vendetta e di odio. Con i denti strappa la sicura alle granate, lan-
59 cia l'esplosivo e si appiattisce a terra. Due catene di cingoli saltano, il carro si ferma, il motore brontola, ma il T 34 ora non può che girare su se stesso, come una mosca cui siano state strappate le zampe. Con il fucile mitragliatore puntato, il tiratore si nasconde dietro il relitto di un camion, vede aprirsi il portello della torretta, e tre uomini vestiti di cuoio che saltano a terra nel tentativo di riparare il guasto. Solo il conducente è rimasto a bordo. L'arma crepita, e i tre russi son già morti. A questo punto il cacciatore estrae dal suo stivale una granata a mano, svita la capsula, e aspetta. Non molto. Dopo un istante, infatti, l'ultimo russo compare, in cerca dei suoi compagni. La granata vola ed è la fine del T 34 in una colonna altissima di fuoco. Lentamente il cacciatore si dirige verso la foresta vicina, ma non ha individuato in tempo un PIV tedesco che sventra il sottobosco e schiaccia l'uomo sotto i suoi cingoli! Di un eroe non resta ormai che una pozza di sangue e un elmetto d'acciaio appiattito. I nostri cadono in ranghi serrati sotto il fuoco dei russi, che sparano all'altezza del ventre. Le prime postazioni sono annientate, si combatte alla baionetta, corpo a corpo, e chi colpisce per primo ha ancora una possibilità di sopravvivenza; i guastatori lanciafiamme arrivano alla riscossa, e un nastro di fuoco passa rasente il suolo; l'odore di carne bruciata dà la nausea, e dalla fessura di una cava abbaia ancora una mitragliatrice. I granatieri attaccano l'edificio del Partito in fiamme, da dove esce un gruppo di uomini con le mani al di sopra della testa, ma vengono falciati senza pietà. Non siamo più degli uomini, ormai hanno fatto di noi dei mostri assetati di sangue e affamati di cadaveri. I carri ringhiano attraverso delle rovine in fiamme. Vediamo una fila di soldati appiattirsi contro un muro, e
60 due fucili mitragliatori prendono a sparare nello stesso istante. Uno di essi è nelle mani di Heide, che ride come un folle. « Ma sono i nostri, pezzo di fesso! Non sai più distinguere il grigio dal kaki? » « Gesù, cosa ho fatto! » geme Heide. « Al tuo Führer non piacerebbe quest'invocazione a un ebreo. » « Gesù non era ebreo, l'ha detto Rosemberg. Era tedesco! » «Questa è bella!» grida il Vecchio dall'alto della torretta, scoppiando a ridere. Una detonazione ci interrompe;. il carro, sollevato pericolosamente, oscilla sulla strada; un tubo di scarico della benzina si è incrinato, e la benzina filtra all'interno. « Avaria al cingolo sinistro », dice Porta, calmo come sempre. « Veicolo in panne. » Ferma il motore e beve una lunga sorsata di vodka, mentre il Vecchio apre il portello con precauzione. Ai nostri lati, bruciano due PIV in volute di fumo molto acre, e l'equipaggio carbonizzato giace inerte per metà al di fuori del portello. Nel villaggio, vicino al pozzo, un gruppo di granatieri uccisi. Sembrano addormentati, hanno solo un filo di sangue che cola dalla giuntura del labbro. Morti per quelle dannate bombe ad aria compressa, arnesi micidiali che sono appena stati messi in uso, purtroppo. « Un vero giorno di morte, questo », brontola Stege. Dalla sua torretta, il colonnello Hinka osserva col binocolo i T 34 che si stanno predisponendo a un nuovo attacco. È la prima volta che subiamo un attacco vero e proprio di questi carri; non si vedevano che a gruppi isolati, prima, come supporto della fanteria pesante. Il colonnello prende il microfono e chiama tutti i carri del
61 reggimento. « Ascoltate », dice la sua voce tranquilla. « La nostra sola speranza di sopravvivenza sta nella mobilità. Non perdete la testa. Avanti a tutta forza! Bisogna accostarsi a quattrocento metri, poi virare *e dar loro un colpo di cannone nel posteriore. I punti sensibili dei T 34 sono la torretta e i cingoli, ma rauo-vetevi, soprattutto muovetevi! Non fermatevi per sparare, sparate in movimento, sempre. » Proprio dietro a uno sbarramento abbattuto incontriamo i primi T 34, che avanzano ad angolo; manovra che hanno imparato da noi, d'altronde. In giugno attaccavamo dei dilettanti storditi, ma ora, in settembre, abbiamo a che fare con degli esperti, ormai. « Più in fretta, più in fretta », comanda il tenente colonnello Moser. Gli equipaggi russi giubilano vedendo avvicinarsi i tedeschi così, a portata di cannone. Il capitano Gorelik si vede già vittorioso nel suo T 34 tutto nuovo, il miglior carro del mondo senza alcun dubbio, grazie alla sua meravigliosa concezione, assolutamente all'avanguardia. Gli ingegneri che costruirono questo emissario di morte avevano pensato alla stagione del disgelo, e di qui i cingoli così larghi da apparire quasi comici, ma quest'idea venne presto copiata dai costruttori stranieri. Oltre a questa caratteristica, la sua sagoma di tartaruga senza spina dorsale e questo cannone calibro 75 di una lunghezza smisurata erano veramente una trovata! Quattrocento metri prima di arrivare a contattare i T 34, ecco dei carri tedeschi che s'impantanano nella melma. Con disperazione crescente, gli equipaggi manovrano per cercare di uscire dal fango, ma non fanno che sprofondare sempre di più. Accorrono dei guastatori con dei bulldozer, i russi sparano, ma per ogni guastatore ca-
62 duto, un altro si lancia fuori del bosco e aiuta a trascinare dei tronchi abbattuti fin davanti ai carri. Tarsis, capò sezione della compagnia del capitano Gorelik, trepida di gioia. È un vecchio soldato decorato con la Zolostaya Zvezda, e aveva lasciato volontariamente un incarico sedentario alla guarnigione, tre giorni dopo la dichiarazione di guerra. Con evidente soddisfazione, contempla i carri nemici impantanati nel fango, e si pavoneggia. « Abbiamo tutto il tempo che vogliamo, amici! Lasciamo quei porci di fascisti a faticare, non saranno che una preda più facile, dopo. » È l'ora della sua personale rivincita, lui che era stato catturato nel suo carro a Kiev. Che umiliazione, che vergogna! Quattro giorni di campo tedesco dove frustò con le proprie mani tre dei suoi soldati che avevano accettato di lavorare per il nemico. Poi era riuscito a evadere, era rientrato nelle linee russe e aveva denunciato i tre sciagurati collaborazionisti. Buoni per una palla nella nuca, se mai fossero tornati! « Honig! » grida il colonnello Hinka al capo del primo battaglione. « Ho ordinato di attaccare ad angolo, ed eccoci là tutti ammucchiati. » « Signor colonnello, è questo dannato fango, tutto il battaglione è impantanato. I carri sprofondano. Solo la seconda compagnia è riuscita a far manovra, ma in qualsiasi momento Ivan può sparare, e ridurci in poltiglia. » « Un po' di sangue freddo, via, vi mando dei carri da montagna. Il secondo battaglione vi coprirà, mentre voi adoprerete le granate fumogene. Il nemico spara solo a colpo sicuro, capite? » Il primo battaglione sparisce in una cortina di fumo gialla e venefica, ma ecco il nemico che attacca come un cuneo d'acciaio, senza preoccuparsi minimamente del fango sul quale sembra volare grazie ai suoi larghi cingo-
63 li. A quattrocento metri lanciamo granate su granate, ruotiamo, avanziamo, rinculiamo, siamo in perpetuo movimento. I tedeschi sono superiori ai russi in mobilità e rapidità. Risultato insperato! I carri russi sono presto in un folle disordine. « Demòni! » urla il capitano Gorelik, folle di rabbia. Sa che per lui si tratta o del plotone di esecuzione o di trasferimento in un reggimento disciplinare. « Caricate più svelto, cani! » grida ai suoi uomini. Proprio davanti al nostro periscopio, in pieno nella linea di puntamento, una nube esplosiva rosso sangue: il carro del tenente Sinewirskij è colpito e tre altri dei temibili T 34 saltano in aria. L'aiutante Tarsis è sempre più furioso. Per una ventina di volte, infatti, ha mancato il bersaglio perché il nemico non è mai sufficientemente captabile con la mira! « Tarsis, cosa proponete di fare? » grida attraverso la radio il capitano, tesissimo. L'umore dell'aiutante rimonta alle stelle, ovviamente. È la prima volta, infatti, che un ufficiale superiore chiede il suo consiglio. Inghiotte lo sputo che aveva pensato di schiaffare sulla nuca del suo conducente, evita tre fantaccini che fuggono davanti alla sua mitragliatrice, apre il portello e si issa premendo sui gomiti. Sotto il suo elmetto di cuoio nero, sorride. Che questo capitano, abitualmente cosi sicuro di sé, abbia chiesto il suo consiglio, è un fatto incredibile, il più bel giorno dejlla sua vita, in effetti. « Tovarisch Kamandìr, impieghiamo finalmente i nuovi lanciafiamme! Li terrorizzeremo, quei cani. Entriamo nella foresta e viriamo di bordo. Loro sono abituati a vedere che il nemico si salva allontanandosi, e questa manovra sarà una bella sorpresa invece. »
64 Ma il capitano Gorelik ha molte ragioni per essere teso. Qualche metro alle spalle di ognuno dei T 34 piroetta infatti un carro tedesco, che sputa delle lingue di fuoco. « Come diavolo fanno, quelli? » si chiede il capitano. « Queste pulci sanno quello che fanno, perdio! » Dà ordine di ritirarsi sotto la copertura della foresta, ma i PIV li tallonano da dietro. Ora il terreno è solido sotto i cingoli, e se un carro va in fiamme l'equipaggio ne esce, fucile mitragliatore imbracciato, e il combattimento continua. Il nostro prende fuoco proprio qualche metro prima di arrivare al fiume, e sento a malapena l'ordine del comandante. « Carro in fiamme, uscite, presto! » Ci appiattiamo a qualche metro dal carro che brucia, ma non osiamo abbandonarlo, finché non lo vedremo calcinato del tutto. Il Vecchio sa molto bene, infatti, che verrà impiccato se il carro non sarà stato giudicato inequivocabilmente un relitto dopo essere stato abbandonato, o se per caso non brucia bene; fuma, infatti, ma non brucia. « Diavolo! » impreca Porta. « Normalmente questa merda brucia ancora prima che si abbia il tempo di uscirne! » Fratellino impugna una mina T e la lancia all'interno attraverso il portello laterale e questa volta non resta più nulla del nostro mezzo, e noi ce la filiamo verso il sottobosco dove troviamo due cavalli a terra, morti. Che bistecche eccezionali, per Porta! All'improvviso, nuovo rumore di cingoli! Chi va là? T 34! Ci voltiamo di scatto e con disperazione crescente e panico io mi butto dentro il pantano. Riesco a individuare nella torrretta il comandante, la cui uniforme nera luccica inumidita dalla pioggia, mentre una fitta nebbia scende e avvolge tutto.
65 Porta salta come un furetto sul posteriore del carro russo e lancia una granata a mano attraverso il portello aperto, proprio dietro le spalle del comandante. Fragore terrificante. Il comandante è proiettato in aria all'altezza di almeno una quarantina di metri, l'equipaggio salta a terra trasformato in torcia vivente, e si rotola frenetico nel terreno umido sperando così di spegnere le fiamme che carbonizzano all'istante tutti gli indumenti. « A morte! » grida il Vecchio, sparando con il suo 08. Non ne resta uno solo vivo. Noi ci ritiriamo dietro un nido di mitragliatrici abbandonato, e Fratellino sta già prendendo possesso di una delle armi quando il Vecchio grida, terrorizzato: « Indietro! » Dietro di noi, infatti, un T 34 avanza nel sottobosco. Il mostro verde oscilla in avanti, e interrato quasi del tutto nel pantano, tremando di paura, io vedo il suo ventre d'acciaio che scivola lentamente proprio verso di me... il mio cuore cessa di battere, soffoco. Poi vedo ancora il cielo grigio, sento le gocce di pioggia che bagnano il mio viso... Sono ancora vivo!
66 I tedeschi hanno forti principi. Se un'idea entra nei loro cervello, vi credono con tale accanimento che solo con molto sforzo vi rinunciano. Lenin, all'Ambasciatore di Turchia Ali Fouad Pacha. Mosca, 3 aprile, 1921
I capi di corpo d'armata e di divisione erano riuniti nel grande salone dove l'imponente lampadario a gocce di cristallo si rifletteva luminosissimo sulle decorazioni e sui bottoni di metallo delle uniformi. Il fumo dei sigari serpeggiava a volute verso il plafone, e l'atmosfera era rumorosa e gaia; si beveva champagne, brindando fiduciosi a una fine rapida della guerra in corso. Il generale in capo Guderian si spolverò un velo di polvere dal lungo cappotto di cuoio nero, strinse la mano del maresciallo von Back, suo vecchio camerata, e a voce bassa i due ufficiali presero a commentare le ultime notizie. Poi il maresciallo si diresse al suo tavolo da lavoro e si diede a sfogliare alcuni documenti. « Signori, il Führer ha dato ordine di attaccare la città di Mosca », iniziò a dire con voce chiaramente emozionata, « e attraverso questa impresa di grande portata, noi apriamo così la definitiva ed ultima fase della guerra. La presa di Mosca sarà la più grande vittoria della storia mondiale, ed è un immenso onore per noi e per la nostra armata il compito di schiacciare e distruggere del tutto il mostro comunista. » L'ufficiale si volse ora alla grande carta geografica appesa alla parete. « L'Operazione Tifone verrà realizzata in due tempi. La prima azione sarà la penetrazione del fronte nord nemico, a nord e a sud dell'autostrada Smolensk-Mosca cioè. Poi il raggruppamento di tutti t reggimenti dei mezzi corazzati a
67 Viasma. In seguito, inseguimento e distruzione immediata delle unità nemiche in fuga, pressione diretta verso Mosca, accerchiamento e presa della città. Un piano molto ardito, signori. In totale 24 divisioni blindate e 46 divisioni di fanteria, saranno allineate insieme in funzione dell'ultimo e definitivo attacco alla città di Mosca. L'armata dispone di tre settimane per percorrere questi 300 chilometri, ha dunque tutto il tempo di predisporre e mettere in allo il piano. Entro quattro settimane, grande parata militare davanti al Führer sulla Piazza Rossa, che verrà ribattezzata Adolfo Hitler. » // vecchio maresciallo, dal lungo naso aquilino, si eresse sulla punta dei suoi stivali lucidissimi. «Il Führer è un genio! » concluse con occhi scintillanti di fanatismo. « Dio solo sa se lo è », bisbigliò il generale in capo dei mezzi blindati von Hunersdorff all'orecchio del generale Hoepner. « Se lo fosse », rise sommesso Hoepner, « non avrebbe rinunciato questa estate alla presa di Smolensk, quando Mosca si presentava senza difesa davanti ai nostri carri armati. Clausewitz afferma che non si deve mai deflettere dal proposito originale, se non in caso estremo. » « Il Führer ha studiato attentamente tutti i saggi di Clausewitz! » intervenne a dire il generale Conradi. « Quando'ha ordinato alle truppe di entrare in Ucraina invece di .continuare l'aggressione su Mosca, aveva le sue buone ragioni. Io credo nel Führer», ribadì fissando il generale Hoepner così minacciosamente da metterlo molto a disagio. « Cosa ne pensate del piano di attacco? » chiese Hunersdorff al generale Strauss. « Ufficialmente, riusciremo a realizzarlo, come potrebbe del resto essere altrimenti?» replicò questi, scoppiando in una risata. « E non ufficialmente? » insiste a chiedere Hu-nersdorff con un sorriso freddo.
68 « Se esprimessi quello che penso, sarei spedito al Consiglio di Guerra, signore », rispose il generale di artiglieria. « Così, lei dubita del suo buon esito? » « Questo ' caporale della Boemia ' ha aspettato troppo a lungo », mormorò Strauss. « Un piano può essere ardito... ma anche idiota. Siamo già in autunno e la pioggia minaccia, e se piove non possiamo predisporre le cose. I russi, quelli, sanno molto bene di cosa si tratta e sono coriacei a tutto questo. Se Mosca è perduta, il loro prestigio è fottuto. Perciò si batteranno come dei demòni, fino all'ultimo uomo.» « La nostra armata è la migliore del mondo! » dichiarò con fermezza von Hunersdorff. « Se il tempo si mantiene così, potremo benissimo arrivare a Mosca, ma dobbiamo sbrigarci e correre giorno e notte prima della stagione delle piogge e delle nevi. » « E per quanto riguarda l'equipaggiamento per l'inverno? » chiese prudentemente il generale Hibe. « Il Führer ne ha bloccato la fabbricazione », rispose il feldmaresciallo con aria condiscendente. « Parlare e di equipaggiamento d'inverno è puro disfattismo, capite? La guerra sarà terminata molto prima che se ne abbia bisogno. L'equipaggiamento invernale già distribuito ad alcune divisioni deve quindi essere ritirato e rinviato ai depositi. È l'ordine.del Führer, signori. » Un certo numero di generali si scambiò lunghe occhiate, ma nessuno azzardò un solo commento.
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PORTA »CANTORE ALLE ARMI« Siamo tutti sdraiati con le mani in mano sotto grandi alberi da frutta. Le foglie cadono, ed è una tiepida, dolce giornata di autunno, come non ne esistono che in Russia, credo. Il reggimento, notevolmente indietro rispetto alle linee, aspetta di essere riformato. Dei nostri duecento carri, infatti, non ne rimangono che sedici: il 68 per cento dell'effettivo, dunque, è stato annientato. I nuovi cominciano ad arrivare, ma ci spettano di diritto ben cinque giorni di riposa, e alcuni di noi insistono nel dire che sono i più bei giorni della guerra; l'Intendenza infatti ha commesso un errore... meraviglioso nei nostri confronti! La compagnia ha ricevuto razioni per duecentoventi uomini, mentre non siamo che sessantatré, e il furiere sembra non capire più nulla quando si vede arrivare davanti solo sessanta uomini. « Cosa devo fare, Dio buono? » geme quello. « Ho firmato per 220 persone, io! E perché poi voi, razza di culi, che non siete altro, vi fate ammazzare d'urgenza prima che io abbia il tempo di consegnare le razioni? Dovrebbe essere proibito, dal regolamento, questo casino. » Si comincia a discutere, il furiere esita perfino davanti a Fratellino che lo minaccia, ma grazie a Dio il colonnello Hinka che sta passando per caso di lì ordina che ci venga consegnato il tutto. Eccoci dunque distesi sotto i meli, e nel giro di solo due ore ognuno di noi è certamente ingrassato più di un chilo. Porta non solo ha già ingollato la propria razione, ma è riuscito ad appropriarsi di tutte quelle destinate alla 4ª compagnia. È seduto su un fusto d'olio vuoto, cosa che gli risparmia altresì la noia di recarsi alle latrine, e insomma tutto si svolge nel
70 modo più rilassante e piacevole: fumiamo dei grossi sigari, e beviamo cognac dentro a grossi boccali. Dal momento che è una giornata speciale e importante, Porta si è infilato il suo monocolo, e Fratellino due ali di pollo dalle due parti del suo famoso cappello color melone. È anche la prima volta, dopo ben sei settimane, che ci è consentito di toglierci gli stivali; insomma, è una vera deliziai « Il prete del battaglione è un ubriacone! » dichiara Fratellino tra una sorsata e l'altra di cognac, che inghiotte mista a birra. « Quel sant'uomo era talmente saturo di vino l'altra sera che quasi stava per fare la corte a quella vecchia gobba, là vicino alla capanna del traghettatore. La tastava proprio come farebbe un ebreo con una manciata di pepite d'oro. Purtroppo era buio e ho sentito più che visto, ma beveva come un otre. D'altronde era ben noto a Lipsia, dove nessuno dei cittadini voleva riceverlo. Durante il suo ultimo sermone è cascato dalla sedia sulle ginocchia del comandante, proprio nel momento in cui raccontava la parabola del paralitico! » « Toh », dice Porta, « questa storia mi fa venire in mente il periodo in cui ero primo cantore nel coro del cappellano militare Kurt Wienfuss a Monaco. Questo monaco era un vero coglione, che aveva per di più il vizio di mettere sempre il naso nelle cose che non lo riguardavano. Un giorno, decidemmo di controllare personalmente l'esattezza di alcune dicerie a proposito dei costumi molto depravati della città, e avevamo iniziato la nostra missione dalla Hofbrauhaus, dove abitualmente alcune persone come si deve, i borsaioli ad esempio, si ritrovavano per farsi una bella mangiata. Arrivammo verso le otto, quando il banchetto era in pieno ritmo. C'eravamo tutti, cappellano militare compreso, e ci mettemmo in un angolo per organizzare i nostri piani. ' Porta ', mi dice il
71 sant'uomo, ' scelgo lei, che è svelto, intelligente e modesto, e riesce anche a capire le attitudini degli ecclesiastici in missione. Non l'ho mai vista bere né fumare, non ha mai una sola volta rubato anche soltanto un sorso del vino della messa, e a quanto lei stesso afferma, non ha intrighi fastidiosi con donne. Inoltre lei è un buon compagno, e il contabile mi ha assicurato che non ha mai chiesto un anticipo di paga. E ancora, ho notato personalmente che economizza la carta igienica e che rivolta i colli delle camicie che possono così essere usate due volte. Nessun cantore la supera nei vocalizzi e lei non fa mai una sola stecca. Perciò ora le affido una missione importante e rischiosa, ma non si lasci tentare! Vada dentro a questo covo di borsaioli, e dia un'occhiata. Eccole dieci marchi perché non debba rimetterci del suo. Io andrò sopra, alla sala Ludwig dove sono gli ufficiali, e domani stenderemo un rapporto su quello che abbiamo visto. Appuntamento questa sera, alle nove, al presbiterio. ' « Io scesi dal contabile, sottufficiale Balko, che mi aspettava di buon umore. Mi estorse un recipiente da quattro galloni di birra, però, prima di ridarmi la somma di 700 marchi, che avevo depositato presso di lui. » « Il tuo monaco non sapeva davvero niente, di te? » chiede il Vecchio. «No, sapeva di me solo quello che volevo sapesse, ecco tutto. Dunque, per riprendere la mia storia, sappiate che, entrato nella sala Ludwig, il mio santo superiore era capitato in una pessima compagnia. Un gruppo di ufficiali lo aveva costretto a bere del sugo di lampone benedetto, perciò era proprio pieno fino all'orlo quando ci siamo ritrovati al presbiterio, mentre scoccavano puntualmente le nove. Al punto da offrirmi la suora, assicurandomi che lui non l'aveva mai nemmeno sfiorata, naturalmente! Più tardi mi fece delle proposte anche, e alla fine si mise a
72 piangere, reclamando una punizione perché aveva peccato col pensiero. Pena che gli somministrai con vero piacere ovviamente. Purtroppo lo colpii così forte che dovette essere trasportato di peso all'ospedale con un rapporto al reggimento. Mi accusò di aver cagato dentro le sue scarpe di gala, cosa invece che aveva fatto lui stesso; la banda degli ufficiali alla Hofbrauhaus aveva fatto ingoiare per scherzo delle pillole lassative al poveretto! Mi affibbiarono tre settimane di arresto semplice, e il colonnello si oppose a che mi dessero di più, per mia fortuna. Durante quell'intervallo di tempo, il monaco, cui era passata la sbronza, si ristabilì e mi regalò un pacchetto di sigarette, pregando il carceriere che mi trattassero con umanità. Ero un ragazzo che temeva Dio, solo depravato dalle cattive compagnie, disse accorato. L'indomani del mio arresto mi mandò la sua ordinanza con un paniere pieno di viveri, e una Bibbia rilegata nel più bel verde speranza. Sulla copertina aveva scritto a mano: 'Soldato, volgiti a Dio; non dimenticare di pregare, e la stella della speranza brillerà dentro la tua buia cella '. In ogni caso la luce non mancò mai grazie ad una lampada ad acetilene, così Gesù fu in grado di economizzare anche lui un po' di corrente. Il mio compagno di cella, un soldato della bassa truppa, sapeva imitare in modo perfetto tutti i rumori degli animali. Ne aveva fatto il suo mestiere, prima di entrare nell'esercito, soprattutto nei villaggi dove i contadini si divertivano molto a sentire un borghese cittadino che grugniva come un maiale o chiocciava come una pollastra. Occupavamo tutti e due la cella dei condannati a morte, le cui pareti, coperte di graffiti, erano molto interessanti. Uno degli ultimi che l'aveva occupata aveva scritto brevemente e in gergo militare: Addio banda di culi! Sergente Paul Schluntz.
73 Sono nato il medesimo giorno in cui è nato il Führer, 20 aprile. Purtroppo però, lui non crepa con me. 3.5.38 « E un politico filosofo, anche lui ospite della cella, aveva scritto sul plafone: Che cos'è in fondo il marxismo? la nonna non ariana del nazionalsocialismo. « Il quarto giorno il monaco venne a farci una visita, e per fargli piacere acconsentimmo a fare la comunione. Il tutto fu così solenne e commovente che il mio compagno soldato scoppiò in singhiozzi, e questo gli costò altri otto giorni di arresto, perché il comandante si ostinò ad affermare che ci eravamo presi gioco di lui. » Esposione improvvisa, e tutti scattiamo in piedi. Finito, purtroppo, il nostro dolce far niente! A ranghi serrati infatti la fanteria russa vestita in kaki sta inondando tutta la pianura. Migliaia e migliaia di uomini arrivano come enormi onde, dentro l'erba fluttuante delle steppe. La fanteria tedesca, in grigioverde, sembra una piccola goccia d'acqua a paragone di queste orde, che senza preoccuparsi minimamente del fuoco nutrito che le accoglie avanzano baionetta in canna. In una fuga precipitosa i nostri fantaccini abbandonano le postazioni; gli ufficiali,cercano di fermarli, e armi tedesche sparano sui soldati tedeschi, ma gli uomini, presi dal panico, passano ugualmente sopra i corpi dei loro ufficiali. La patria, certo, ma la pelle è la prima cosa da salvare. Nel cielo si alza il segnale per l'artiglieria; un tiro di sbarramento terrificante si abbatte sui russi e spezza quest'orda selvaggia. Lentamente i carri armati avanzano, arrampicandosi sulla collina dalla quale la vista si estende, per chilometri, verso est: non si vedono che russi, russi dappertutto, un mare!
74 A sostegno della fanteria i carri avanzano lentamente in larga formazione, attraverso delle rovine. L'acciaio freme: siamo come presi dalla febbre della caccia, sghignazziamo frenetici quando ci capita di centrare il bersaglio, senza nemmeno pensare che stiamo uccidendo un essere umano. Il tempo si arresta, il calore è infernale in questi giorni di autunno. Ci stiamo battendo da un'ora, o da cinque ore? Non lo sappiamo nemmeno più. Alcuni cacciatori di carri, nascosti dentro alle rovine, cercano di farci saltare in aria con le loro granate magnetiche, ma con gioia selvaggia noi li carbonizziamo con i lanciafiamme. « Attacco di carri nemico! » grida la radio. Tre o quattrocento T 34 appaiono sulla sommità delle colline, e in un tuono da Apocalisse, i carri aprono il fuoco tutti insieme. La terra trema sotto questo inferno; i primi T 34 vanno in fiamme ma, a tempo di record, innumerevoli PIV esplodono con bagliori biancastri e fumo nero e densissimo sale verso il cielo. Degli equipaggi, ben pochi si salvano, la grande maggioranza si dissolve in questo oceano di fiamme, e questa è la sorte abituale dei soldati addetti ai carri. Improvvisamente, tutti i T 34 virano e scompaiono dietro il dosso delle colline. Un istante di sosta, speriamo per qualche minuto che fuggano, ma no, purtroppo! È solo una manovra. Ritornano in forze e penetrano senza nemmeno fermarsi attraverso la nostra sottile linea di fantaccini dislocata qualche chilometro verso nord. Questi porci adottano la stessa tattica tedesca, accerchiare e quindi annientare tutto quello che è rimasto dentro le sacche. Il colonnello Hinka intuisce immediatamente il pericolo e dà ordine di ripiegare istantaneamente. È necessario abbandonare alla loro sorte i compagni delle trincee per
75 salvare quelli delle autoblindo! Un minuto ancora "ci fermiamo per raccogliere dei feriti, caricandoli di furia attraverso il boccaporto posteriore, ma non c'è tempo di fare complimenti, purtroppo! Quei poveretti si attaccano dove possono: sulle placche frontali, sulla torretta, lungo le barre del veicolo, dove sono costretti a degli sforzi sovrumani per non cadere quando il veicolo oscilla sul terreno accidentato. Si levano delle grida laceranti. «Compagni, portateci con voi! Non abbandonateci! » Mani tese ci supplicano. Siamo costretti a voltare il capo, Porta innesta a tutto gas, e fatalmente se proseguirà l'attacco, quelli che si sono abbarbicati sulla struttura esterna del carro saranno falciati dalle mitragliatrici nemiche. A piena velocità filiamo attraverso il bosco e le forre, e il carro da 25 tonnellate oscilla come una nave sopra un mare agitato. Una vera corsa contro la morte! Se riescono a chiudere la sacca prima che noi ne siamo fuori, siamo fottuti, infatti. « Più presto! Più presto! » grida la radio, senza sosta. Breve sosta per prendere a rimorchio il veicolo avariato di Barcelona, ma il cavo stride, salta e decapita un sergente che si era abbarbicato sull'esterno posteriore del nostro carro. Imprecando e sudando, ne agganciamo un secondo agli anelli di rimorchio e ri partiamo a velocità ridotta attraverso villaggi in fiamme. Qui, l'artiglieria ha provocato grossi danni: monconi di corpi insanguinati, milioni di mosche in nubi ronzanti, un fetore di carogna che mette a tutti nausea. Non appena attraversato il villaggio un T 34, avariato lui stesso, ci lancia addosso una granata che volatilizza i cingoli del carro di Barcelona. Allora, senza più pensare ai nostri feriti a bordo, faccio virare il cannone e tiro sul carro nemico. Un'esplosione... e niente più rimane del carro nemico. Purtroppo però il PII è colpito in pieno, ed è inutile perciò conti-
76 nuare a rimorchiarlo. Fratellino lo liquida con qualche granata e l'equipaggio di Barcelona monta sul nostro carro. Corriamo, corriamo sema sosta, perché solo la velocità ci può salvare. Nella radio di bordo sentiamo il colonnello Hinka imprecare contro il comandante di compagnia che si è impantanato con il suo Skoda da 38 tonnellate. Pensava di poter abbreviare il percorso passando lungo il fiume, e avrebbe potuto riuscirci, per la verità, se avesse avuto un PIV meno pesante e cingoli più larghi. « Domani cercheremo di venirvi a recuperare con del materiale adatto. Passerai la notte vicino al carro, Moser, intesi? » « Condanna a morte », commenta tranquillamente Porta. « Non avrebbe mai dovuto dirlo, che aveva il culo nella palude. Della gente più intelligente avrebbe fatto saltar in aria tutto il carro, e inviato poi un bel rapporto relativo a una granata di un T 34 che li aveva presi in pieno. Non siamo ancora arrivati a controllare con esattezza le munizioni del nostro Ivan! Arriveremo anche a questo? » « Che senso del dovere! » grida Heide indignato. « Non si fa mai saltare il proprio carro, se non in caso estremo! » « Ne prendo nota, amico, ma se ci si impantana, caro Eroe del Partito, sarebbe divertente starti a guar dare, quando te li vedi arrivare proprio in faccia. Toh, questa merda di macchina ho l'impressione che stia mollando. Non si può nemmeno più fidarsi di un motore! Di questi tempi è tutto un tradimento. » « Che cosa c'è? » chiede il Vecchio, teso. « Sterza male, come un ebreo diretto a una caserma delle SS », risponde Porta dando un calcio al volante. Ci fermiamo, dobbiamo alzare il cofano, ma non ve-
77 diamo niente; sembra tutto in perfetto ordine. « Vieni qui tu! » mi grida Porta tirandomi per un piede. « Ma guai a te se mi demolisci la scatola del cambio. » Brutalmente mi spinge sul sedile perché lo sostituisca al volante e preso dal nervosismo, io lascio andare il veicolo dentro a una forra, dove per poco non si ribalta. Porta e Heide si danno da fare sul motore. « Che merda! » dice il Vecchio furioso. « E proprio quando cerchiamo di passare attraverso le linee di Ivan. Proprio niente di peggio ci poteva capitare. » « Non sono del tuo parere », replica Porta, « e un motore in panne è molto meglio di due granate di un T 34 nel culo. » « Chiama il Legionario perché ci rimorchi! » Ma il Legionario è già lontano su una cresta, non sente la radio e un istante dopo, con terrore, vediamo una fiamma bluastra uscire dal suo carro. Due uomini saltano fuori dalla torretta. Grazie a Dio! Il Legionario e il « professore ». Gli altri tre devono essere già alla griglia. Porta è fino a metà busto dentro il motore, pesta, avvita, impreca, maledice i russi, il Partito, e soprattutto Julius Heide. « È colpa tua, merdoso! Se voialtri, disgraziati coglioni di nazisti, non vi foste impicciati di niente, non ci sarebbe adesso questa lercia guerra e non avrei mai fatto conoscenza con un motore Maybach. Vai a farti fottere, perdio, eunuco fallito! » Un ventilatore calcinato viene lanciato sulla testa di Heide, e il motore ora fa le fusa come un gatto beato. Ripartiamo... e, senza fermarci, acciuffiamo passando il Legionario e il « professore », e li issiamo dentro il veicolo. « I russi ammazzano i feriti », ci annunciano. « Ci dobbiamo fermare per raccattarli? » chiede il Vec-
78 chio esitante. « Impossibile. Ti avverto che io tengo schiacciato l'acceleratore fino a che non ne vedo almeno una, di testa quadrata tedesca. » Nello stesso istante, un lampo folgorante esplode dentro il carro, e fa saltare in aria le torrette. Vengo proiettato verso il basso, incastrato sotto il cannone, mentre un grosso fiotto di sangue mi acceca. Fratellino cade senza conoscenza in mezzo alle sue granate. Barcelona ha una guancia talmente dilaniata che gli si vedono i denti, come fosse una testa di morto. Quanto al Vecchio, ha l'impressione di avere la schiena spezzata, ma per fortuna, non è cosi. Cerchiamo di rimettergli in sesto le ossa, ma le sue urla di dolore ci assordano! « Questa volta, è fottuta la gondola », dice Porta, ce facciamo saltare il carro e si rientra a piedi. » « Uscite », ordina il Vecchio. « Fate saltare! » « E tagliate la corda in velocità », conclude Porta, indicando i russi che ci osservano da lontano. Barcelona è già sparito con altri equipaggi appiedati. Noi seguiamo a passo di corsa, il sangue pulsa nelle orecchie, i polmoni dolgono, le mucose sono ir-ritatissime dopo tanto gas e polvere che respiriamo senza sosta. I russi ci vedono benissimo, e allora cosa aspettano, perdio? « Più presto », grida il Vecchio. « Dobbiamo passa re le colline, gli altri sono già lontani! » « Mi chiedo perché Ivan non spara », dice Porta, col respiro corto. « Potrebbe prenderci come tanti conigli. » Heide incespica su un elmetto, cade, e sbatte contro una pietra. Lo rimettiamo in piedi con una certa brutalità, ma non ce la fa più. « Restiamo qui », dice asciugandosi il sangue dal viso. « In tutti i casi saremo ammazzati. Mica si può pensare che
79 ci lascino scappare. » « Sbrigati, nazi del cavolo! Al di là della cresta della collina, ti aspetta di diritto una croce gammata, una bella svastica, non sei contento? » « Io non ne posso più », geme il Vecchio accasciandosi. « Sono troppo vecchio, non posso più correre così a lungo come voi. » « Guardati solo dietro la schiena », gli dice Porta, ridendo. « E ti spunteranno le ali, per volare fino a raggiungere il nostro caro Adolfo! » Comprendiamo solo ora perché i russi non ci sparano addosso. Ci vogliono vivi e sono a soli 500 metri da noi. Il Vecchio si raddrizza come una molla, tutta la sua stanchezza sembra cancellata. Corriamo come dei campioni in uno stadio, ed ecco che piombiamo addosso ad un tenente ferito che giace nell'erba alta. Lo trasciniamo. Dalla gamba spezzata spuntano le ossa. « Grazie, compagni », dice singhiozzando. Ma i russi ci sono alle calcagna, e non abbiamo altre armi che le baionette e i coltelli da combattimento. Le armi automatiche sono rimaste nel carro. Solo il tenente ha una rivoltella, ma a cosa serve contro una sezione di cauri? « Se solo avessimo un MG », geme Porta. « Non abbandonatemi, ragazzi », supplica il lenente che Heide e io trasciniamo. Ha solo diciannove anni e deve essere da poco sul fronte. Nessuna decorazione, seppure nel Partito ne siano molto prodighi. « Fritz, Fritz! Venire! » gridano i russi. « Belle ragazze da noi còme cuscini per dormire! » Vorrebbero lusingarci... guardo Heide che fa un'aria indifferente, e tutti e due abbandoniamo la presa del ferito. Grida il poveretto, e fa qualche passo zoppicando, poi si affloscia a terra.
80 « Non lasciatemi, qui! Non lasciatemi qui, vi prego! Ivan mi prenderà. » Ma si tratta della nostra pelle, ormai. Il poveretto cerca di arrampicarsi, ci rinuncia, e poi si rannicchia dentro la buca di una granata sperando di non essere visto. Senza quasi più respiro, morti di stanchezza, raggiungiamo finalmente la cima della collina, dalla quale parte un pendio di tre o quattro chilometri di larghezza, e vediamo con sorpresa un centinaio di mucche che vi pascolano tranquillamente. Presto, presto! Di corsa verso le mucche! Se non siamo ancora morti, è quasi un miracolo! Alcuni spari crepitano in lontananza, dei proiettili ci sibilano sopra la testa proprio quando raggiungiamo il branco, ma per nostra fortuna occorrerebbe dell'artiglieria pesante per distruggere questo sbarramento vivente. Sulla cresta della collina, vediamo i russi che danzano intorno al tenente ferito, urlano, poi udiamo degli spari e dei lunghi scoppi di risa. « L'hanno finito », commenta Porta. « Poveretto », geme il Vecchio, « non era che un ragazzino. » « Un ragazzino volontario », ritorce secco Porta, fissandolo duramente negli occhi. « Come lo sai? » « Così giovane e già tenente? Ha messo il casco in testa a sedici anni, quello, come tutti quelli che vogliono diventare ufficiali, di loro iniziativa e mica aspettano di essere richiamati. » Là, in alto, i russi si dimenano ancora, allegrissimi. Hanno tagliato la testa del tenente e la brandiscono verso di noi infilzata all'estremità di un ramo. « Siberiani », dichiara Porta. « Be', così siamo avvisati se ci mettono per caso le mani addosso. Dove diavolo sono gli altri? »
81 « Alla velocità a cui corrono, saranno già a Berlino! » Un fucile mitragliatore abbaia, delle pallottole sibilano vicino a noi e ci ributtiamo a galoppare. « Attaccatevi al volante! » urla. Porca, afferrando con le due mani la coda di una mucca. Idea meravigliosa! Filiamo come il vento, ma Fratellino ha un'idea ancora migliore, e riesce a saltare in groppa alla sua mucca che, atterrita, corre al galoppo verso ovest. Tutti lo imitano, e si gioca ai cowboy. Heide viene disarcionato diverse volte, e quasi muore dalla paura nell'accorgersi di essere in sella a un toro. Barcelona viene sbalzato in aria dal suo animale che non ne vuole sapere di lui. Quanto ai russi, sempre sulla cresta della collina, si tengono la pancia dal ridere e sparano in aria per spaventare ancora di più le mucche. Evidentemente è uno spettacolo insolito, anche per loro! La velocità aumenta. Nessuno di noi, per la verità, aveva cognizione idi come può correre una mucca! Facciamo un'enorrne fatica a restare in groppa di questi proiettili viventi che saltano i muretti, sfondano le aie e i covoni di fieno, passano attraverso i rovi, facendoci strappare tutta l'uniforme e brandelli di pelle, che trestano attaccati alle spine! Il gruppo passa come un razzo attraverso una sezione di fantaccini russi, talmente stupefatta davanti a questo spettacolo che si dimentica di spararci addosso, poi in una nuvola di polvere atterriamo finalmente nelle linee tedesche. Lo stato maggiore di un reggimento tedesco sta discutendo un piano, ma l'arrivo del branco a testa bassa butta tutto all'aria, e le mappe volano da ogni parte. L'orda muggente è già scomparsa però verso un villaggio dove è accampata una compagnia, che si mette a scappare all'impazzata credendo di avere a che fare con i rusi. Porta giubilante sventola il suo grande cappello giallo,
82 ma in quello stesso istante la sua mucca si blocca, solleva le due zampe posteriori, e Porta fila in aria come un razzo per atterrare con un tonfo sordo dentro a un enorme mucchio di letame!
83 Vi sbagliate! Non sono un uomo finito come voi credete. Vi sbagliate tutti, ripeto! Voi mi sottovalutate perché provengo dal popolo, perché non ho cultura e non mi so comportare con quella compitezza di gesti che simula così bene il genio nei vostri cervelli di gallina. Hitler, nel corso di una conversazione con il presidente del Senato, Hermann Rauschning.
Dentro l'altoparlante, la voce diabolica di Hitler tuonava rauca. « Tedeschi! Camerati tedeschi! Sappiate tutti che il nemico è totalmente annientato, ormai, dalla mia armata invincibile. E quel bieco popolo di razza inferiore non potrà più rialzare la testa... » Gli « Urrà » di migliaia di gole ben innaffiate di birra facevano tremare i muri della sala. « Davanti alle mie gloriose truppe si prostra ora una nazione vinta, quattro volte più grande della grande Germania del 1933, anno nel quale ho preso il potere. E posso assicurarvi già fin da ora che la nostra Patria diventerà ancora cento volte più grande. Niente e nessuno può più fermarci. Abbiamo bisogno di spazio vitale, e quelli che si metteranno contro di noi saranno schiacciati sotto i nostri piedi, tutti e senza alcuna pietà. » Gli applausi scoppiarono frenetici dai fedelissimi del Partito, assiepali nella Burgerbraukeller: «Heil! Heil! Heil Hitler! » « Saluto con sincero rispetto i coraggiosi soldati e gli ufficiali che si apprestano a realizzare la più grande battaglia della storia. Io vi prometto, miei fedeli camerati, che fra non più di tre mesi tutto sarà finito. A Natale le nostre truppe rientreranno nella loro Patria e ai loro focolari, e mille anni passeranno prima che sopraggiunga una nuova
84 guerra, sempre che questo possa ancora accadere! » Il delirio stava toccando il suo parossismo: « Sieg Heil! Prosit! Sieg Heil! Prosit! » Milioni di tedeschi stavano ascoltando per radio questo frenetico discorso. Segretamente tutti erano pessimisti, ma nessuno osava parlare. Le denunce piovevano a fiumi, in quel Terzo Reich, e l'occhio dell'SS Obergruppenführer Heydrich era dappertutto, giungeva perfino fra le coltri del letto coniugale. « Noi ora daremo il colpo di grazia a questo nemico aborrito », urlava Hitler, preso lui stesso da una autentica trance. Il sudore gli colava sul viso, gli occhi iniettati di sangue erano fìssi e vitrei, e con i due pugni picchiava frenetico sul piano del pulpito. Aveva la cravatta di traverso, i bottoni della camicia tutti strappati. « Mai più le orde di Stalin si rimetteranno da questa disfatta, e se anche chiederanno la capitolazione, noi non l'accorderemo. Questa è una guerra santa, e io giuro di continuarla fino al totale annientamento del bolscevismo. » Il generale von Hunersdorff camminava in su e in giù ascoltando questo discorso folle. 'Divagazioni frenetiche di un malato di mente', disse fra sé. Non un solo soldato della grande armata tedesca sottovalutava il valore del soldato russo, e nessuno credeva a questo nemico ormai vinto. L'avvenire era carico di avvenimenti terribili, purtroppo. Von Hunersdorff sollevò dal piano della sua scrivania un foglio così redatto che lesse a voce sommessa al suo capo di stato maggiore, il colonnello Laut: « Qualsiasi soldato, di qualsiasi grado, che dopo questo mio ordine scritto, abbandona il suo posto, deve essere immediatamente condotto davanti al Consiglio di Guerra, e in seguito condannato a morte. » Il generale ricordò ora le parole del grande Moltke: « Non si può realizzare nessuna operazione militare sen-
85 za tener conto della stagione. È determinante la sua importanza per il buon esito di qualsiasi piano bellico. » E l'Operazione Tifone stava per svolgersi in autunno e in un paese come la Russia, rifletteva fra sé, intravedendo all'orizzonte una tremenda disfatta.
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I TEPLUSCHKA Le celebri tempeste autunnali russe imperversavano su tutta la steppa, coprendola di giganteschi cumuli di neve, e l'inverno faceva così la sua entrata in scena in tutta la sua maestà. Le prime nevi erano cadute già intorno al 10 di ottobre, molto in anticipo per la verità, sul consueto. Si sarebbe potuto dire che il cielo si era messo dalla parte dei senza Dio, questa volta! Le armate tedesche non erano che a 145 chilometri da Mosca, e se il tempo avesse retto, vi saremmo entrati entro una decina di giorni. Le divisioni russe invece, molto provate finora, vedevano avvicinarsi con sollievo un periodo di sosta, molto propizio in effetti per rimettersi in assetto. Vennero loro distribuite magnifiche uniformi invernali nuove fiammanti, mentre noi non avevamo nemmeno un berretto di pelo, e ci stavamo artigianalmente fabbricando noi stessi qualcosa alla meglio, utilizzando le divise dei morti. A guisa di pelliccia adottammo carta di giornale a più strati, a contatto diretto con la pelle; e la paglia premuta dentro i grossi stivali era diventata preziosissima e di conseguenza una rarità. Lo stato maggiore tedesco dichiarò che l'inverno ci aveva sorpresi, naturalmente, ma era proprio su questo che i russi puntavano. Se quei signori con le spalline d'oro avessero studiato un po' meglio la storia e le consuetudini del popolo russo prima di piombargli addosso alla cieca, avrebbero intuito subito quali sarebbero state anche le sole premesse del loro inverno. Quando le nuvole grigio-azzurre filano all'orizzonte verso est e l'acqua dei fiumi comincia a sobbollire, il contadino russo ritira subito dentro casa gli ultimi pezzi di legno che è riuscito a trovare nel bosco e che rappresentano il solo combustibi-
87 le reperibile per quanto il clima diventerà terribile. E questo può succedere da un istante all'altro, purtroppo, ma loro lo sanno. Allora Babushka blocca ermeticamente tutte le fessure delle finestre con delle strisce di carta « Nuova Russia » distribuite gratuitamente a tutti, e che i cittadini sono ben lieti di mostrare quando il Soviet del distretto viene in visita. Dopo due giorni consecutivi di gelo, gli alberi cominciano a « scoppiare », come si suol dire, e il rumore che producono è simile allo sparo del cannone calibro 75, mentre orde di lupi si buttano ad inseguire la sprovveduta armata tedesca. I primi giorni li avevamo presi a fucilate e sembrava una distrazione, nella lunga tediosa marcia, ma ora la cosa non ci diverte più. Quando la colonna è in marcia essi non osano avvicinarsi, ma guai a chi distrattamente si distanzia un poco, anche se armato; vi saltano addosso prima ancora che voi abbiate il tempo di sparare il primo colpo. Il freddo cresce di ora in ora. Dappertutto vediamo animali e uomini morti assiderati; tutta la natura sembra ibernarsi in attesa della primavera, ma chi riesce a pensare alla primavera con 50 gradi sotto zero e il vento della steppa che urla travolgendovi e coprendovi tutti di piccoli cristalli di ghiaccio! L'equipaggiamento è assolutamente inadeguato e anche gli approvvigionamenti di viveri fanno difetto; il caffè sintetico si ghiaccia dentro le gavette, e l'armata tedesca si trova totalmente impreparata, in ogni dettaglio, a questo clima terribile. Non abbiamo olio antigelo per le armi, e l'olio comune peggiora le cose bloccando i meccanismi. A questo punto intere colonne di mezzi motorizzati giacciono abbandonate sui bordi delle strade, tutto scoppia a causa del gelo, e un motore fermo anche per sole due ore diventa inutilizzabile per sempre.
88 « Napoleone ne ha già prese a suo tempo, di fregate, davanti a Mosca, ma vedrai l'inculata che prenderà il nostro Adolfo! » grida Porta, rivolto a tutta la compagnia. « Come mai non protesti, Heide? » Julius Heide lo fissa con uno sguardo vitreo, ancora più cupo del consueto per il freddo intenso. « Rispondi qualcosa, su », lo punzecchia Fratellino, ostinato come sempre. « Porta ha detto che il tuo grande Adolfo ha perso la guerra, Heide. » «Ti segnalerò al comando», borbotta Heide con voce spenta e gutturale. « Cantate! » ordina una voce. « È la. disfatta totale », urla Porta, « vienimi un po' più vicino, Heide, che te lo soffio nelle orecchie, in modo che il vapore gelato ti svegli il cervello! » Un maggior generale arriva a passo di corsa, e vuole sapere chi ha osato protestare e imprecare. «Non auguratevi di sapere chi sono!» grida in mezzo alla tormenta. « Nessuno ne ha la minima voglia », mormora Porta. « Cantate! » ordina Moser con stanchezza. Stendiamo il braccio sinistro in avanti per mantenere la distanza regolamentare che dobbiamo sempre rispettare, anche all'inferno, e prendiamo a cantare: Lungo è il cammino che ci riporta al paese, lungo, oh così lungo! Là dove le stelle segnano il limitare delle foreste Cominciano i giorni felici, Sì, i giorni felici! Ogni coraggioso granatiere pensa a te in segreto, Lungo è ti cammino per ritrovare il focolare, lungo, ho così lungo! Corrono le nuvole al di sopra dei mari,
89 Ma l'uomo non vive che una volta, e muore per sempre. Quattro volte di seguito risuona questo canto melanconico, e solo ora il maggior generale sembra soddisfatto, e ci caccia d'autorità dentro la foresta a maggior scorno dei lupi che rifuggono i luoghi dove non si trovano maggior generali che amano i cori! Trascorsa un'ora, quell'imbecille ne ha abbastanza di noi e sparisce nella sua Kubel, scortato dai suoi intendenti e dalle nostre maledizioni. La grande armata tedesca diventa poco a poco un lungo serpente grigio-verde di anime morte, che si trascinano stancamente verso nord-est. Mosca, dove batte il cuore più vivo della grande Russia, è l'amante che l'ha attirata fin qui. Il volto coperto di brina, ognuno degli uomini in marcia fissa la schiena di chi lo precede. Si muove meccanicamente articolando le proprie gambe, calcolando che fa duemila passi per chilometro, e che mancano ben 140 chilometri a Mosca. Non sarebbe gran che, in contingenze normali, ma nell'inverno russo è un inferno inimmaginabile. Il diavolo stesso fuggirebbe senza nemmeno pensarci un istante, e i pochi sopravvissuti all'Operazione Tifone, rientreranno con la colonna vertebrale così profondamente provata che rimarranno paralizzati per sempre. Durante le soste si deve dare il cambio alle sentinelle ogni quarto d'ora, in caso contrario li si ritrova stecchiti, allo stato di cadaveri irrigiditi. E a poco a poco, mentre il freddo diventa sempre più pungente, svanisce del tutto la nostra fede in Hitler e in Dio. « È l'anticamera dell'inferno questa », dichiara Porta, inghiottendo un pezzo di pesce congelato. « Invidio i dissidenti d'Africa o di Spagna, perché là almeno, la guerra la si fa al caldo tutto l'anno. Arrivo quasi a rimpiangere
90 la Lapponia che è già fredda; lì almeno, si trovavano le ostriche. » « Delle ostriche in Lapponia? » chiede Stege sorpreso. Non era ancora con noi nel '39-'40 ai tempi in cui, soldati tedeschi in uniforme finlandese, indossavano uniformi russe per seguire il tenente Guri, lappone, dietro le linee nemiche. C'erano giorni nei quali non sapevamo nemmeno più cosa eravamo, da tante uniformi cambiavamo di continuo! « Ce ne sono poche nel fiume Koda, ma è facile trovarne parecchie nell'Umba. Erano splendide, ovali, e qualcuna era di un argento quasi azzurro. I lapponi le chiamavano con un nome impronunciabile, per la verità. Si andava alla ricerca di quei molluschi in mezzo alla tormenta e al freddo più glaciale, e ci dimenticavamo poi di raccattare il fucile e l'elmetto, ma un giorno Ivan ci ha scoperto e da quel giorno ci è passata la voglia delle ostriche, te lo dico io! » « Sì, era molto bello davvero in Finlandia », interviene a dire anche il Vecchio con un sorriso. « La sera mangiavamo delle meravigliose trote che riuscivamo a pescare con degli uncini. Un trucco che abbiamo imparato dal tenente Guri, ricordate? » « Ma la cosa più bella era il ritorno », evoca nostalgico Porta. « Dovevamo essere puntuali come un treno espresso del Reich, rientravamo in camion, e avevamo poi diritto a una sauna, per poterci liberare di tutta la sporcizia che avevamo accumulato da Ivan. E bevevamo dei piccoli calici di latte, proprio come i finlandesi. Ma come faceva freddo quel giorno che siamo stati costretti a buttarci in mare!. Ci si è quasi congelato il culo. » « E ci trattavano come fossimo dei veri colonnelli, con tutte le decorazioni annesse », rincara a sua volta Fratellino, ripensando con rimpianto a quel periodo beato. «
91 L'armata finlandese, ecco una vera armata con delle uniformi che vi stanno a pennello! » « Mi sto chiedendo cosa sarà successo del tenente Guri », dice il Vecchio come parlando fra sé. « Deve essere stato richiamato allo stato maggiore e poi fatto capitano. » Durante questa nostra marcia tormentosa, molti soldati si lasciano cadere sfiniti nella neve, mezzi assiderati. Ma cosa importa ormai! Prima ancora che la colonna sia scomparsa in avanti, la neve farinosa li avrà ricoperti completamente, e dopo pochi istanti saranno nelle mani di Dio. Non è poi così terribile, d'altronde, morire congelati, il peggio invece' è essere rianimati, e solo chi ha passato questa esperienza ne conosce l'atroce sofferenza, questo fetore orrendo, questa progressiva cancrena delle carni. Niente puzza di più di un arto congelato, infatti. Ci fermiamo vicino a un villaggio in rovina, che prima dell'inizio della guerra doveva essere un piccolo nodo ferroviario; ora tutto è bruciato. Ci diamo da fare per riuscire a estrarre un po' di mais dal deposito carbonizzato, ma Fratellino si rompe addirittura un dente nell 'assaggiarlo, perché sembra quasi di mordere del granito. Ed ecco su un binario morto, una lunga fila di Tepluschka! Tutti ci giriamo attorno con precauzione, guardinghi. Come mai questi vagoni non sono stati bruciati come gli altri? Cosa potrebbe esserci dentro? I portelli sono tutti chiusi con un grosso, pesante catenaccio. Porta picchia con il calcio della sua rivoltella sulla serratura, ma è fortissima e solida, come tutte le serrature dei treni. Si gratta la testa e riflette. « Devono esserci delle cose di valore dentro a queste scatole così ben chiuse. E perché non il tesoro del Cremlino a questo punto? È tutta la vita che sogno di possedere una verga d'oro. Non avete mai pensato a quante cose
92 si potrebbero fare con un pezzetto anche piccolo così? » , « Io, la sola cosa che vorrei trovarci dentro sarebbe qualcosa da mettere sotto i denti », mormora Stege. <( Ho una fame tale che comincio a capire le strane abitudini dei cannibali! » Dato che l'immaginazione ha sempre le ali, non ci sono più limiti alle nostre supposizioni sul contenuto di questi Tepluschka. « E se fossero tutti pieni di avena?» « Santa Maria di Kazan! Allora per cagare non avremmo più problemi! » Ma nessuno osa attaccarsi seriamente alle serrature, perché sappiamo che i Tepluschka vanno avvicinati con molta precauzione. Dal giorno in cui sono entrati in uso i treni, la Russia ha adottato i Tepluschka. In un primo tempo questi vagoni erano stati destinati al trasferimento della truppa, sono infatti dei solidi vagoni merce fabbricati in legno massello siberiano e al centro di ognuno è sistemata una piccola stufa in ferro il cui tubo esce dal tetto. Di fianco alla stufa un foro nel piancito, che funge da rudimentale gabinetto senz'acqua, elementare, pratico, come tutto in Russia del resto! Il vagone è stato calcolato per contenere 30 soldati più 12 cavalli, oppure 70 prigionieri, avviati ai campi di internamento: Kolyma, Novosibirsk, e molti altri ancora. Il capolinea per i contestatori del Cremlino, dunque. Quando vi viaggiavano dei soldati, attraverso la meravigliosa e infinita Russia, il vagone imbarcava anche paglia e fieno; ma quando invece vi erano caricati dei prigionieri, il fumaiolo puzzava a distanza di chilometri, perché il tubo di scarico del vvc si congelava con molta rapidità e la zuppa di pesce marcio distribuita ai prigionieri provocava a tutti quei poveretti una tremenda diarrea. A suo tempo, i Tepluschka trasportavano o i soldati dello zar o i prigionieri, e quello
93 che lo zar comandava di fare era un ordine sacro e assoluto, almeno fino a quel terribile famoso giorno dell'ottobre del 1915; ora era il turno degli uomini liberi di ieri di viaggiare in Tepluschka, la stella zarista essendo stata rapidamente sostituita con quella rossa, e tutti i Tepluschka avevano qualcosa in comune; le persone che vi viaggiavano morivano tutte per la Patria, o su un campo di battaglia, o nelle miniere di piombo di Stalin e dei suoi successori! Porta decide alla fine di brandire un fucile mitragliatore, e lo fa cadere con tutta la sua forza e tutto il suo peso sulla serratura, poi con una barra di ferro, tutti insieme con molto sforzo riusciamo finalmente a scardinare la dannata serratura e ad aprire il portello. « Scommetto il mio elmetto che là dentro c'è della carne congelata! » grida Fratellino pieno di speranza. Da cinque giorni, infatti, non mangiamo nulla. Ma, di solito i russi fanno saltare in aria tutto, ritirandosi; tattica della terra bruciata, vecchia come il mondo, d'altronde, e questo fatto insolito ci lascia molto perplessi. Lentamente, le porte del primo vagone si aprono, e indici reggiamo tutti con orrore nel vedere un cadavere congelato che ci rotola ai piedi... « In fondo è proprio carne congelata come pensavo », commenta Fratellino. « Ma grazie tante, non ho più fame, io! » Scoraggiati, ci dividiamo quello che resta della « razione di combattimento », quando nella foresta sentiamo abbaiare una mitragliatrice tedesca. È un'arma di nuovo modello che viene sperimentata, e il rumore che provoca è molto simile a quello di un motore mal regolato. Barcelona al limite dei nervi e disilluso in quanto ai Tepluschka, si mette a piangere in silenzio, ed ecco un'altra cosa inaspettatamente molto pericolosa, per la verità. Le
94 lacrime, infatti, nell'intervallo di pochi secondi si congelano, ed è così che si perde la vista. Prima almeno questi candidati alla cecità potevano essere trasferiti agli ospedali di campagna, ma ora gli infermieri non vogliono neanche saperne di dar loro un'occhiata! E se non si hanno degli amici che vi aiutino, si è fottuti! Tutto diventa bianco, e si comincia a girare su se stessi come ubriachi. Il poveretto che si infila dentro una colonna di soldati a lui sconosciuti, perché ha perduto il contatto col suo reggimento, viene brutalmente spinto lontano, dimenticato, e agonizza solo. Se gli resta un minimo di energia barcolla ancora per qualche metro ma poi cade nella neve e vi muore. Una voce molto diffusa sostiene che più di centoventimila soldati tedeschi sono morti assiderati sulla strada che conduce a Mosca, ma, in base agli ordini del Führer, è proibito censire i cadaveri dei tedeschi morti a questo modo. Solo i lazzaroni muoiono, un soldato tedesco non si lascia morire... Come ne abbiamo riso, di questa battuta! Il « professore » che tiene il suo diario quotidiano non vuole, a dispetto delle nostre ammonizioni, esimersi dal prenderne nota. Ma la cosa è molto rischiosa. Può avere delle grosse noie se la gendarmeria viene a saperlo, e ci sono delle spie dappertutto, o anche solo persone che vengono forzate ad esserlo. Non si può mai essere sicuri al cento per cento del comportamento del proprio vicino, anche se questi si protesta amico, e soprattutto se questo supposto vicino ha qualche parente in un campo di concentramento; è ormai assodato infatti che dal 1933 ci si serve degli ostaggi per ottenere delle rivelazioni. Quando il « professore» è arrivato alla compagnia, credeva fermamente alle dottrine del nazional-socialismo, ma non più ora. Non crede che a quello che vede, ed è orribile quello che vede.
95 « Con dei Tepluschka come questi, si potrebbe comodamente fare il giro del mondo », geme il Vecchio, lasciandosi cadere sfinito nella neve. Poi cerca di distrarsi accendendo la sua pipa. « Copriremmo tutto il piancito di paglia fresca e morbida, installeremmo una pentola sempre in funzione e piena di zuppa sulla stufa... » sogna, ad occhi chiusi, con le ciglia e le sopracciglia coperte di brina. « Ivan ha più cura dei suoi schiavi, però. Avete mai incontrato un mugiko con la gavetta vuota? Ma gli eroi prussiani, che cosa sono invece? Migliaia di pagine di sporche menzogne di propaganda sul paradiso che sarà tutto nostro, quando avremo vinto la guerra », riesce finalmente ad accendere la sua grossa pipa, a dispetto della neve e del gelo che gli rattrappisce le dita. «È bene che lo sappiate, ragazzi. La guerra è perduta e dobbiamo gioirne, noi, dopotutto. » « Alto trad... » Julius Heide non riesce a concludere la sua solita dogmatica frase, Fratellino infatti l'ha « addormentato » con un colpo di canna di fucile sulla testa. Quando parla il Vecchio, infatti, tutti tacciono, perché quell'uomo non parla mai tanto per parlare, e la 2* sezione si è già resa conto chiaramente che Adolfo Hitler ha perduto la guerra, a soli 115 chilometri da Mosca. Era evidente, e avremmo potuto e dovuto rendercene conto già da tempo, ma i discorsi alienanti del Führer ci avevano resi ciechi e le interminabili colonne di prigionieri russi che ingombravano le strade e che incontravamo di continuo ci avevano ancora fatto illudere di una possibile vittoria. Ma per la verità, cosa significavano per Stalin quelle migliaia di prigionieri? Perderne qualche centinaio di migliaia o anche di milioni, che peso poteva avere per lui? Equivalgono come rapporto numerico a una nostra divisione, e per ogni russo ucciso lui ne recluta altri cento.
96 « L'armata tedesca sta correndo verso la sua distruzione », riprende il Vecchio, « Guardate noi stessi, soldati carristi con i nostri mezzi corazzati così vistosi e tanto costosi come sappiamo, eccoci a piedi come dei volgari fantaccini. Ivan è molto più furbo di noi, conosce il valore di un soldato di un mezzo corazzato, ma il suo caso è ben diverso. Quando uno dei suoi carri viene distrutto l'equipaggio ne riceve quasi immediatamente un altro, uno splendido T 34 nuovo di zecca. Figlioli miei, finiremo con l'impararne tante di Ivan, sempre che riusciamo a uscirne vivi da questo inferno di Russia ». « Disfattista, quello che dici offende il nostro Führer capisci? » grida Heide che ha ripreso conoscenza. Fratellino alza di nuovo il fucile. « Lascia perdere, va'! » gli dice il Vecchio, scrollando le spalle. « E perché, poi? È nostro preciso dovere castrarlo, amico, altrimenti c'è il rischio che metta al mondo tanti bei bambini nazi come lui! » « 5ª compagnia in marcia! » ordina il tenente colonnello Moser. Tristemente, ci rimettiamo in piedi. « Avanti, su », dice Stege, scuotendo per le spalle Barcelona disteso su un cumulo di neve. « Non rompermi le balle! Andateci pure voi a Mosca visto che ne avete tanta voglia, io non sono un tedesco! » « Questo vigliacco vuole abbandonare i compagni? » chiede Fratellino. « Adesso lo vedremo. » Afferra per il collo Barcelona e gli appioppa un violentissimo pugno proprio sul viso bluastro di freddo. « In marcia, culo di pietra, il grande Adolfo ordina a tutti noi di andare a Mosca, si obbedisce agli ordini, chiaro? » Barcelona faticosamente si rimette in piedi e si asciuga
97 il sangue che gli cola dalle labbra. « Buono per Torgau! » gli risponde, cupo. « Ci farei la firma, amico, e ti prometto fin da ora di abbracciare per te Gustavo di Ferro, e di baciarlo sulla bocca. Gli leccherei il culo anche, pur di andare a Torgau, stai pur sicuro! » « Imparerai finalmente a conoscermi, maledetto! » urla Barcelona, fuori di sé. « Ti conosco già abbastanza, se è per quello, vecchio coglione! » Barcelona fa scattare la sicura della sua pistola e noi vediamo apparire nei suoi occhi quello strano bagliore, segno inequivocabile della malattia che inaspettatamente colpisce i soldati, quando troppo a lungo e costantemente sono in prima linea. « Osa mettere la mano su un sergente », grida, « e io... » si volta di scatto, come volesse accertarsi di avere dei testimoni e lentamente alza la sua pistola, mentre ad alta voce pronuncia delle parole completamente prive di senso. Ci buttiamo dietro l'incerto riparo di un tronco d'albero... fra un istante, infatti, potrebbe scambiarci per dei russi e cominciare a sparare all'impazzata facendoci correre il rischio di crepare. « Toh! Un diavolo russo si permette di alzare la mano su un sergente tedesco! » farnetica aggressivo infatti. In un batter d'occhio la compagnia sembra essere sparita, volatilizzata. Fratellino si è buttato per terra coii il suo MPI pronto a sparare, e gli sarebbe facile, per la verità, liquidare una volta per tutte questo pazzo, ma nessuno di noi ama sparare a un compagno, anche se questi è diventato improvvisamente un pericolo mortale per tutti e ci scambia per dei nemici. « Andiamo, sergente Blom », interviene il Vecchio, « la
98 pace è stata firmata. » Si avvia apparentemente calmo verso Barcelona. « Deponi le armi. Vedi bene che anch'io sono disarmato», gli dice allargando le braccia, come in segno di resa. « Sei un traditore, tu, un infame comunista », ruggisce Barcelona. « Ma ti metterò a posto io, adesso! » Con un balzo da tigre, Fratellino scatta in avanti, si butta su quel pazzo e lo fa crollare a terra, proprio un secondo dopo che la raffica del suo mitragliatore si scarica quasi ai piedi del Vecchio. Barcelona emette delle grida animalesche, tutti urlano insieme, e alcuni propongono addirittura di giustiziare il poveretto sul posto, prima che diventi pazzo del tutto, ma per sua fortuna ecco avvicinarsi il medico in seconda che gli inietta immediatamente una puntura calmante: Barcelona riprende lentamente coscienza, e non appena si rende conto di quello che stava per commettere nei confronti dei suoi compagni, tende la mano a tutti noi e si scusa. Che strana malattia! Tutti quelli che sono presi da queste crisi, immediatamente dopo si comportano in questo stesso modo. Qualche tempo fa, abbiamo visto un sottufficiale che blaterava in delirio di angeli neri dalle ali gialle e sosteneva di essere garagista in cielo. Lo si sorvegliava per cogliere l'istante nel quale i suoi occhi avrebbero cominciato a luccicare frementi, ma improvvisamente le cose si misero molto male. Riuscì infatti ad ammazzarne sei, dei suoi compagni, prima che si avesse il tempo di renderlo inoffensivo disarmandolo, e anche lui fece il giro di tutti i compagni tendendo loro le mani e scusandosi, perfino con i morti, assicurandoli con calore che non ce l'aveva con nessuno. La stessa sera la sua crisi riprese, e questa volta si diede a correre verso le linee di Ivan, per far la pace con loro, diceva. Non l'abbiamo più rivisto, ovviamente.
99 Ripartiamo. Davanti a noi il cielo è rosso come il sangue, e di continuo si alzano lampi vicini e lontani di forti esplosioni. Un reggimento di carri SS ci supera, ma qualche ora dopo lo ritroviamo. I carri sono distrutti, e tutti gli equipaggi impiccati, cadaveri congelati ormai, appesi alle torrette. Fra gli alberi, alcuni relitti di carri armati russi distrutti, molti cadaveri di soldati nemici, dei quali una buona metà chiaramente uccisi con una palla alla nuca. Probabilmente dei fuggiaschi, che volevano disertare, pensiamo. Come dei rapinatori, tutti noi frughiamo loro nelle tasche, ma senza successo, purtroppo! Evidentemente sia il nostro esercito sia quello russo hanno qualcosa in comune: la fame. In una piccola capanna, troviamo cinque civili uccisi. « Palla nella nuca anche a questi, e nagan », diagnostica Stege. « Dunque devono essere stati dei traditori. » « Non rompermi più i coglioni con questo dannato termine di traditore », gli dice il Vecchio, irritato. « È veramente la parola più usata di questi tempi che io conosca, perdio. Chiunque abbia urgente bisogno di un capro espiatorio per i suoi crimini, ecco che taccia qualcuno di traditore, e di preferenza si sceglie quasi sempre un disgraziato che non è in grado di difendersi. » Indica con la mano una giovinetta morta> inerte a terra vicino alla legnaia, il viso completamente spappolato da una raffica, chiaramente : « Pensate che quella poveretta possa aver tradito, forse? E tradito chi? » « Ma in una guerra ci sono sempre dei traditori», protesta Fratellino. « A scuola abbiamo imparato tutti che i nostri antenati alsaziani erano dei traditori. Ci sparavano addosso nel 1914, non è stato così? Il mio professore, che era maledettamente bravo nel distribuire delle sberle potenti, lo era anche lui a sua volta, e uno di quei diavoli di alsaziani infatti gli aveva sparato una bella
100 pallottola dentro la sua bella spalla tedesca... » « E piantala! » gli grida il Legionario. « Gli alsaziani erano francesi, ed era loro preciso dovere sparare sui tedeschi. Ma gli abitanti di una regione sulla frontiera sono sempre come un pidocchio preso fra due unghie. Nel '17 gli alsaziani sono diventati tedeschi dopo la disfatta della Francia e sono stati costretti a obbedire agli ordini di Berlino. Nel '18 erano tornati ad essere francesi ed era Parigi che comandava. Nel '40 sono tornati a essere tedeschi e quando finalmente avremo perduto la guerra, ritorneranno francesi. Credi che sia così facile sapere dove si è al mondo? » « Ma », insiste a dire Barcelona, indicando con un gesto della mano i cinque cadaveri, « quelli erano russi, perciò non ci dovrebbero essere problemi in quanto a nazionalità. » « Per me », interviene a sua volta il Vecchio, aspirando dalla sua pipa con gli occhi semichiusi, « devono averli costretti a sparare su di noi, devono essere sorte delle difficoltà o delle discussioni in proposito, e come ben sappiamo gli NK.VD queste faccende le liquidano in un modo solo. » Troviamo un po' di grano e ciascuno di noi ha una razione di sole due cucchiaiate; la fame perciò diventa sempre più intollerabile e il freddo sempre più intenso. Sfiniti, decidiamo di fermarci tfa le rovine di una fornace, in mezzo a dei cadaveri di soldati russi carbonizzati e congelati. « Lanciafiamme », commenta Stege. Tutti ci buttiamo per terra, a caso, stravolti dalla stanchezza; i nostri piedi, dentro agli stivali grossi e resi rigidi dal gelo, sembrano di piombo; nessuno apre bocca, anche Porta tace. Mi sistemo vicino a lui che si è infilato dentro la bocca del forno, ed è un buon riparo, consta-
101 tiamo subito, e ancora un po' tiepido. Qualcuno si addormenta, il tenente colonnello Moser si è arrotolato sopra un mucchio di cenere ancora calda dopo aver indossato il cappotto di pelo di un capitano russo morto. Molto rischiosa la sua iniziativa, per la verità, nel caso venissimo sorpresi e fatti prigioneri! Il Vecchio si mette vicino a noi e ci tende qualcosa che ha estratto dalla tasca interna della sua giacca foderata di pelo. Un po' di zucchero, e un pezzetto, molto piccolo per la verità, di salsiccia di montone. « Dove diavolo hai trovato questa roba? » « Mangia e taci. Ce n'è solo per tre, come vedi, e se gli altri se ne accorgono...! » « Ne hai dell'altro? » « Ancora un po' di salsiccia, un pezzo di pane, e una bustina di zuppa in polvere. » « Che banchetto! Passami il pane, su, e la zuppa la teniamo per domani. » « Hai molto freddo? » mi chiede il Vecchio, mettendomi un braccio intorno alle spalle, tutte ingobbite per il freddo. « Terribilmente. » Tremo infatti dentro il mio cappotto leggero, non abbiamo mai ricevuto un solo indumento invernale, noi. « Voltati e mettiti di schiena », mi dice. Mi soffrega la nuca con forza e mi soffia addosso il suo caldo respiro, lungo tutto il dorso. Lentamente il calore mi invade, e non appena mi sento meglio, faccio la stessa cosa con lui. Poi lo facciamo tutte e due a Porta e Porta lo fa a noi, questo miracoloso massaggio. Ora ci sentiamo ben caldi tutti e tre, e ci arrotoliamo per terra stretti uno all'altro, per cercar di dormire. Nel corso della notte, nove del nostro reggimento muoiono congelati. Un gran peccato per quei poveretti,
102 perché l'alba ci porta il giorno più bello della nostra vita. Il sottufficiale cuciniere ci ha raggiunti con la sua meravigliosa cucina volante! Un'aringa a testa e metà gavetta per ciascuno di zuppa bollente; e come sorpresa finale 250 grammi di pane per ognuno di noi! Di cosa ci si lamenta più, ora? Ma se ci sentiamo dei nababbi! « Ragazzi! » giubila il Vecchio mettendosi a ballare sul piancito. « Non siamo stati completamente dimenticati come credevamo! Evviva! » Quello che resta della 2ª sezione è seduto in cerchio per terra, e ognuno ha una splendida aringa congelata in bocca. Certo non perdiamo un minuto, ma ci vuole il suo tempo a inghiottire un'aringa congelata. Se ne spezza un piccolo pezzo e lo si infila dentro la guancia dove lentamente comincia a scongelarsi. Dio, come sembra buono! Plana su di noi un silenzio quasi sacro. Stretti uno all'altro come degli uccellini dentro a un nido, il calore che emana dal vicino aumenta il nostro e siamo finalmente un po' rilassati e ottimisti: è tanto tempo che non ci sentiamo così allegri, per la verità, e ogni boccone viene gustato come qualcosa di meravigliosamente prelibato. Non ne sprechiamo nemmeno un grammo, e nessun gatto ripulirebbe la lisca meglio di noi. Spargiamo un velo di zucchero sopra il pezzetto di pane e poi a piccoli bocconi ce lo infiliamo nella guancia, dove lo assaporiamo a lungo prima di inghiottirlo. La saliva infatti lo fa gonfiare e così ci si illude che il boccone sia molto più grosso di quanto in effetti non sia, poi lo zucchero ci scivola in gola, ravvivando tutte le nostre forze in modo quasi miracoloso. « Pane e zucchero è veramente la cosa più buon.t che esista al mondo », dichiara Porta, tendendone un piccolo mòrso al Vecchio. Il Vecchio non è solo il nostro capo sezione, ma è per
103 noi anche il sostituto di un padre e di una madre, questo piccolo fabbro dalle gambe arcuate, che proviene dai quartieri poveri di Berlino e che indossa un'uniforme di sergente. Per noi avere al nostro fianco il Vecchio è veramente questione di vita o di morte, e se lo perdessimo, tutto sarebbe finito; e tutti noi lo sappiamo bene. Il tenente colonnello Moser si avvicina. Ha del tè. Una grande teiera piena, e ciascuno di noi ha diritto a una lunga sorsata di quella bevanda caldissima e dolce! Poi Porta si toglie di tasca tre « papyross » (sigari) con i quali si riescono a fare tre giri completi di boccate, e nessuno di noi manca il suo turno, o cede il suo diritto a una lunga aspirata così densa di profumo. Che bella, indimenticabile mattina!
104 Non capiscono nulla, questi incapaci, questi burocrati dall'animo gretto, tutti questi ufficiali superiori dell'Armata, quel branco di bestiame dello stato maggiore che non merita che una sola qualifica: sporchi caporali! Avete notato come tremano e chinano la testa, tutti, davanti a mei Hitler, nel corso di una conversazione privata con l'Obergruppenführer Heydrich. 23 dicembre 1936
« Signori, domani di buon'ora, attaccheremo Borodino », esordì il tenente generale Weil. « In questo stesso luogo ormai storico Napoleone, il 7 settembre 1812, sconfisse il generale russo Koustousov. E io sono felice al pensiero che con questa nuova vittoria la Germania entra gloriosamente nella leggenda. Quando Borodi-no cadrà, la via sarà libera fino al Cremlino, e vi saranno solo pochi e deboli ostacoli da superare. » Il generale tacque qualche istante per accendersi un sigaro, e una foresta di accendisigari si protese sollecita verso di lui. Fuori e in lontananza si sentiva tuonare il cannone, il piccolo castello quasi ne vibrava alte radici e le gocce di cristallo del grande lampadario al soffitto tintinnavano. Il generale guardò la cerchia dei suoi ufficiali con aria motto, molto soddisfatta di sé e del proprio successo, e sorrise. « Signori, quasi oso dire che sarebbe bello morire su questo suolo bagnato dalla storia... » Un tuono assordante spense di colpo la sua verbosità ampollosa e sembrò quasi che il sole entrasse esplodendo nella grande sala. Il plafone sprofondò, il colonnello Gabelsberg, comandante di fanteria, si chinò sul corpo del generale e aiutato dal capo di stato maggiore, lo trasportò con tutta la cautela che gli fu possibile, fino al grande divano accostato a una parete. Lo scoppio di una granata aveva
105 squarciato il petto del grande uomo, e il medico capo, accorso a precipizio, non potè fare più nulla per lui. « Signori, il nostro grande generale è morto », esclamò con voce pacata il colonnello. « Rendiamogli dunque gli onori che gli sono dovuti. » Batté i tacchi, si portò la mano destra alla tesa del berretto e tutti gli ufficiali lo imitarono. « Il tenente generale Weil è stato un soldato di un coraggio veramente fuori del comune. Per molti anni ha portato la nostra divisione di vittoria in vittoria, e grazie a lui, noi tutti abbiamo sempre avuto l'onore insostituibile di combattere in prima linea. Grazie a lui, per di più, dall'inizio di questa guerra abbiamo potuto allineare sulla nostra bandiera ormai storica, che garriva al vento già dai tempi di Waterloo, molte altre medaglie e decorazioni. Il nostro capo ha avuto la morte che in cuor suo certo sognava, sempre sulla breccia, e nelle alte sfere della più bella e grande armata del mondo. Camerati, Sieg Heil! Onore ai nostri croi morti per la Patria! » Gli ufficiali, tutti con il berretto nella mano destra premuto contro il fianco e irrigiditi in questo omaggio colmo di rispetto, assentivano tristemente, come era loro preciso dovere fare. « In qualità di più anziano fra gli ufficiali, prendo personalmente il comando della divisione », continuò rapido e fluente il colonnello, che per la verità dissimulava molto male la sua intima gioia davanti a questa promozione inattesa. « La nostra divisione corazzata conserva le più alle tradizioni gloriose di tutta la grande armata tedesca, e nella mia nuova funzione di capo di questa divisione saprò continuare a percorrere questa strada già seminata di tanti onori. Non attardiamoci a piangere i morti, ma ringraziamoli invece per la consegna che ci affidano di poter morire noi stessi per l'onore della divisione. Signori, io stesso sarei fiero disperdere la mia vita oggi stesso
106 per il Führer, per il popolo e per la Patria. » Il gruppo si separò con solennità e in dignitoso silenzio. La contingenza infatti esigeva del tatto, e nessuno osò accendersi un sigaro o parlare di donne; gli ufficiali sanno sempre essere all'altezza della situazione in cui si trovano! Il nuovo comandante di divisione si allontanò a bordo della sua Kubel, che schizzava fango dappertutto passando veloce nella grande piazza sottostante il palazzo, gremita di soldati. La grossa automobile slittava e sbandava a destra e a sinistra tra due pareti di nette sporca e semisciolta. « Finalmente! » sospirò di sollievo il conducente sentendo sotto le ruote il terreno ridiventato compatto. Il nuovo comandante si arrotolò in tre coperte di caldissima lana, appoggiò i piedi sopra un cuscino a sacco foderalo di pelo, rialzò il bavero del suo cappotto dal collo ampio di pelo d'orso, e si abbandonò all'ìndietro per farsi un buon sonno. Avrebbe affidato il reggimento al lenente colonnello Renff e se ne sarebbe ritornato allo stato maggiore, e soprattutto se ne sarebbe ritornato finalmente a un buon letto morbido. La guerra stava finalmente diventando un po' più comoda, e lui meritava bene questo mutamento in meglio della sua vita. Sorbì una lunga sorsata di cognac dalla sua fiaschetta e sospirò dì soddisfazione. Povero generale Weil, pensa fra sé, non avrebbe mai potuto vedere Mosca con i suoi occhi, mentre fra pochi giorni lui, colonnello Gabelsberg, sarebbe invece entrato nel Cremlino, e non vi erano più dubbi ormai sulla sua promozione a generale. In fondo, una guerra come questa non era poi tanto infame come si sarebbe potuto credere. In quello stesso momento, una detonazione terribile fece esplodere la macchina in corsa. Il colonnello, il suo aiutante di campo e il conducente vennero proiettati in aria, e dopo un lungo volo i loro corpi sanguinanti ricaddero al suolo e vennero, sommersi dalla neve. Sagome indistinte scomparvero all'interno del bosco che
107 fiancheggiava la strada. Partigiani, naturalmente, che avevano posto qualche ora prima delle mine a questo preciso scopo, e adesso avevano constatato personalmente il successo della loro missione.
108
IL DEPOSITO DI CARNE Il sergente capo sta fissando il vuoto, tutti e due i gomiti appoggiati al piano della sua scrivania. Indossa un cappotto foderato di pelliccia, e un vistoso berretto di astrakan gli copre la grossa testa. Porta e Fratellino si mettono sull'attenti, fanno battere tre volte i tacchi a ritmo alternato, sollevano il braccio destro in un impeccabile saluto hitleriano, e avanzano maestosamente verso l'uomo seduto. Con un gesto fermo e perfettamente sincrono poi, lo sollevano di peso dalla sedia dove sta seduto e lo scaraventano con un volo molto grazioso, per la verità, attraverso la finestra aperta dentro a un grosso cumulo di neve. Il sergente capo ricade in modo da assumere una posa molto naturale, bisogna riconoscerlo, e dieci fantaccini si mettono immediatamente sull'attenti davanti al suo cadavere, che rapidamente si sta congelando, mentre Porta e Fratellino perquisiscono il suo ufficio dal primo cassetto all'ultimo. Prelevati tutti i documenti e dei blocchi di carta intestata, sono ormai in grado di poter distribuire a tutto il reggimento permessi speciali e biglietti di viaggio tanto da fare il giro completo dell'Europa. I nostri due sono già lontani di qualche metro, quando Porta si batte una mano sulla fronte : « Dio, come si perde la memoria facilmente di questi tempi! Pensa che mi sono scordato di controllare se aveva dei denti d'oro; è il colmo, proprio! » I due soldati fanno un rapido dietro-front, e con la canna del loro fucile mitragliatore ribaltano il corpo inerte del grosso sergente capo, e immediatamente, con un gesto veloce e perfettamente calibrato, Porta gli estirpa due denti.
109 « Come bisogna sempre tenere gli occhi aperti, in tempo di guerra! Ci sono valori dappertutto, proprio dappertutto. Quel tipo qui per esempio ben foderato di lardo si lascia gelare ben bene del tutto, così la sua mascella diventa come una serratura bloccata. E credimi, per me l'ha fatto apposta, sai, per evitare che della gente perbene come te e me, per esempio, possano scoprire che ha del metallo nobile nella sua lurida bocca. » « Tu credi che riusciremo a uscirne da questa maledetta guerra, come dei veri capitalisti? » chiede Fratellino sorridendo, e infilando dentro la camicia il sacchetto ormai quasi pieno di denti d'oro e di intarsi. « Potrebbe essere, certo. Siamo entrati nell'esercito senza un soldo, ma quando torneremo a casa forse saremo come due splendidi ebrei tutti d'oro, in divisa da ufficiale. » « No! Davvero credi che diventeremo anche ufficiali? » « È abbastanza probabile, ma è sempre meglio non farsi troppe illusioni. Certo che quando si è al servizio di Adolfo, tutto è possibile, in effetti. » « Già mi vedo, sai, come quei generali che hanno quelle belle strisce rosa sui fianchi dei pantaloni. Spedirei subito il capitano Hofmann dentro un mucchio di merda, e quanto a Heide, lo costringerei a gridare 'Sieg Heil! ', con sulla faccia la maschera a gas, naturalmente, dall'alba alla notte. » « Toh! Cos'è questa roba? » dice all'improvviso Porta, indicando una grande scritta, quasi per metà coperta di neve. Raschiata via la neve, i due leggono queste parole: III Armata. Deposito Viveri. Proibito l'ingresso a chi non è addetto ai servizi. « Credo proprio che questa faccenda dobbiamo invece esaminarla più da vicino. »
110 « Speriamo che non ci sparino addosso qualche fucilata, però. Non mi fido molto, io, di quei tipi che hanno il vizio di sparare su della gente come si deve che vorrebbe mettere il naso nella loro dispensa. » « Ascolta, figlio mio; Mosè è riuscito a condurre tutto il suo popolo attraverso il mare, con i carri armati del faraone dietro al culo, figurati un po' se noi non siamo capaci di mettere le mani dentro a un deposito di lardo tedesco. Tieni la bocca chiusa e lascia fare a me. Tu, gioca a fare l'SS implacabile e feroce, con la mano sinistra sul tuo fucile automatico, la mitra-glietta sotto il braccio destro e con il dito sul grilletto. » « Allora, devo sparare? » chiede Fratellino tutto beato alla sola idea. « Ma no, perdio, no, coglione che non sei altro! Quei macellai di bassa lega sono capacissimi di risponderti sparando anche loro, da tanto che sono pazzi. Bisogna paralizzarli dal terrore, e tu dovrai anche grugnire come un gorilla roteando gli occhi, esattamente come quella volta che abbiamo regolato definitivamente i nostri conti ai cessi, per farci dare una locomotiva, ricordi? » « La cosa mi piace molto, proprio molto. » E cantando a squarciagola, i due allegramente marciano verso il deposito. « Andiamo, su », dice Porta, con un gesto ampio della mano, come se tutto quello che ha davanti ai suoi occhi gli appartenesse. Eccoli all'interno dei reticolati che circondano l'enorme deposito, a suo tempo campo militare russo. Senza il minimo timore passeggiano all'interno del campo per prendere meglio conoscenza del luogo, quando improvvisamente un sergente si fa avanti per impedir loro il passo. « Cos'è che vi ha fottuti fin qui, razza di cialtroni? » urla brandendo il revolver. « Non lo sapete, cretini, che è
111 zona interdetta?» Porta si pianta davanti all'uomo a gambe divaricate, con Fratellino alle spalle come fosse la sua guardia del corpo, e prende a oscillare sui piedi imitando perfettamente le SS e sputando con spregio sui piedi del sergente. « Ascoltami bene, brutto figlio di puttana; aspetta che trovi una enorme merda sovietica da cacciarti in gola prima di spedirti da Gustavo di Ferro a Torgau, amico, e poi cominceremo a discutere. » Il sergente non è un eroe e la situazione gli appare subito difficilissima. Non sa più cosa fare, per la verità: se urlare ancora o sparire. Ma una cosa sa, però, per diretta esperienza; un caporale che osa parlare di merda da fare inghiottire a un sergente non può essere un caporale comune, perciò si appresta a sparire, senza ribattere una sola parola. « Vedi? » constata Porta, mentre si insinuano nel mezzo dei baraccamenti strettamente interdetti al pubblico. « Basta parlargli come una puttana della zona, e subito la gente se la fa addosso dalla paura. E ora mostreremo a questi cialtroni che il tempo non ha nessuna importanza, per noi due. » « Proprio come la Gestapo che va a caccia d'uomini soli nella notte nera », dice Fratellino la cui gioia è al colmo. « Esattamente. In fondo non sei poi così cretino come sembra. » « Ma cosa ci facciamo qui? Perché ci diamo tanto da fare solo per mettere paura a un soldato di merda? » Porta si ferma stupito. « Caporale Wolfgang Creutzfeldt, ma tu non hai fame, perdio? » « Io? Sempre, Non sono mai riuscito a saziarmi del tutto neanche una sola volta in vita mia. » « Ci troviamo dentro la pentola di bollito dell'armata
112 tedesca e tu mi chiedi cosa ci facciamo? Ci foraggiamo, caporale Creutzfeldt, e dal momento che non abbiamo purtroppo dei buoni di prelevamento, dobbiamo agire con intelligenza. » I fili telefonici che raggiano nel cielo hanno già diffuso questa incredibile notizia: «Controllo improvviso al deposito! » Tutti vengono presi da un'attività febbrile. Dei barattoli di marmellata che erano spariti misteriosamente, misteriosamente ricompaiono, delle bilance sfalsate son riportate a piombo perfetto, dei registri vengono corretti di furia. Cinque camion che sembravano spariti riappaiono come per incanto, pronti per la consegna immediata. Il deposito dei pastrani di pelo che era vuoto, si riempie di nuovo a una velocità record. Degli sguardi inquieti seguono questi due «controllori », che procedono lentamente lungo i due percorsi innevati. Una catastrofe viene evitata di una sola giustezza allorché Fratellino riempie il suo accendino al deposito benzina. Il capo afferra la sua valigetta, già pronta da tempo per il caso di emergenza, e sparisce in una Mercedes. « Una visita di controllo imprevista è molto peggio di una decina di pulci sulla pancia », nota Porta, indicando un gruppo di soldati armati di scope che chiaramente sono stati mandati in ricognizione. Ma tutti finalmente respirano con sollievo quando i due malandrini spariscono dentro al deposito della carne, e tutti concordemente compiangono il povero sergente Brunirne, che è costretto a star dietro a quei due merdosi. « Dio ci protegga! » esclama il gigante addetto al pane, il sergente Wilinsky. « Quel grosso maiale è tutto sudato. E avete visto il rossiccio che gli vien dietro? Deve essere senz'altro lui il capo. Puzza di Gestapo alla distanza di chilometri, quello. Anche se non hanno l'uniforme rego-
113 lamentare si capisce subito che sono delle SS. » Brunirne, il sergente di stato maggiore dell'Intendenza, è il solo che ancora ignora l'arrivo dei controllori segreti della Gestapo. « È fottuto, quello », dichiara Wilinsky con gioia maligna. « Buono per Torgau, se non sarà liquidato sul posto, ovviamente », aggiunge raggiante al solo pensiero. Ecco Fratellino e Porta che entrano in un enorme locale dove centinaia di carcasse di animali sono appese per la coda tutte in fila. « Dov'è il tuo capo? » chiede brusco Porta al sottufficiale grasso e tozzo seduto sopra a uno sgabello, che ignaro dell'ingresso dei due, si sta mangiando tranquillamente un bel pezzo di salsiccia. L'uomo contempla questi due estranei con uno sguardo freddo da pesce, persuadendosi sempre di più che non valgono nemmeno una risposta di due parole. La sua salsiccia indica una porta dall'altra estremità del locale, ma con la velocità di un lampo Fratellino gliel'ha già strappata di mano e la inghiotte come farebbe un pitone con un coniglio. « Cala le arie, soldato », dice minaccioso. « La tua salsiccia è sparita e anche se mi ritornasse fuori dalla gola, non la mangeresti più, mio caro! » « Bel colpo. E adesso questo buco del culo credo che abbia imparato un minimo di educazione, e risponderà con coerenza alle domande. In ogni caso, dove lo spediamo, Creutzfeldt? A Glatz o a Torgau? » « Gemersheim andrebbe meglio », risponde Fratellino, concludendo con un fragoroso rutto la sua proposta. Il sottufficiale inebetito riesce tuttavia a riprendere quel tanto di spavalderia che gli consente di lanciare contro la schiena di Fratellino un enorme pesante osso di animale, ma nello stesso istante si sentono dei rumori
114 provenienti dall'ufficio del magazzino. Il sergente di stato maggiore dell'Intendenza, Brunirne, non è un timido, per la verità. Alto due metri, con un giro di petto non inferiore a quello di uno stallone belga, un cranio enorme completamente calvo, e un paio di occhi di una perfidia al di fuori del comune che luccicano come due proiettori ai due lati di un naso da pugilatore rosso bluastro. È distéso su una tavola lunga e alta da squartamento di animali macellati, si è messo un cuscino sotto la nuca, e si sta nettando tranquillamente i denti con la punta della sua baionetta. Trascorrono ben dieci interi minuti prima che si accorga di una presenza estranea, a pochi metri da lui. « Cosa vogliono questi due maiali? » chiede con spregio. « Una brevissima chiacchierata, sergente », articola Porta, impadronendosi contemporaneamente di una enorme bistecca, posata su un piano laterale. « Mi hanno detto che sei un gran brav'uomo e che adori fare un piacere a un amico. » Brumme si alza seduto, sbatte un quarto di libbra di carne contro il muro, dove il pezzo sanguinolento si spiattella rumorosamente proprio sotto il ritratto del Führer, e fissa Porta con degli occhi crudeli scoppiando poi in una grossa risata. « Questa è bella! » grida con voce stridula, da ubriaco. <( Dei vermi della terra che chiedono udienza al sergente Brumme! Chi diavolo vi ha mandati da me, scimmie che non siete altro? Cacciatevi bene in testa che io non sono affatto un brav'uomo, e non mi sogno nemmeno di fare un piacere a nessuno, mai. D'altra parte non lo potrei nemmeno, sono il diavolo in persona, io. » Si alza in piedi e spinge il suo grosso pugno fin sotto il naso di Porta, un pugno enorme, per la verità.
115 « Cosa ne pensi di questo? » chiede con una risata rauca. « Quando tutti i cacciatori di carri saranno stati liquidati, arriverò io e con questo pugno che vedi li polverizzerò tutti i famosi T 34 che vi mettono tanto paura! » « In effetti è un bel pugno », replica Porta calmo, « ma lo sai tu, piccolo padre, che nessuno è mai riuscito a vincere una guerra con una risata e con un pugno, anche se grosso come il tuo? Abbiamo avuto un comandante addetto alle prigioni che ti assomigliava molto a Gemersheim, un certo Liebe. Aveva delle manone così grosse e così forti che riusciva a tenerci dentro al completo un gatto adulto, e quando faceva questo scherzo chiamava uno schiavo detenuto e gli chiedeva : ' Sai cosa c'è qui, dentro la mia mano, coglione? Se lo indovini ti trasferirò al reparto calafataggio, se invece ti sbagli ti taglio la gola con la mia sciabola. ' Questo giochetto funzionò benissimo per due anni, fino al giorno in cui un controllore mascherato da caporale capo arrivò a Gemersheim per vedere un po' quello che vi succedeva. Ordine del Reichsführer. Era un lunedì proprio come fosse oggi e nevicava anche. Il tenente Liebe che era ben lungi da questo pensiero, gridava e impazzava come suo solito a dispetto del suo dolce nome, 1 ma ancor prima di accorgersi di quello che gli stava capitando si ritrovò in strada diretto come una freccia al fronte est, e venne ucciso pochi giorni dopo il suo arrivo in una postazione avanzata. Sergente di stato maggiore, desiderate voi morire per il Führer, il popolo e la Patria? » Il sergente inghiotte la saliva prima di rispondere perché non capisce chi siano questi due sconosciuti: o due veri uomini della Gestapo o dei mistificatori o anche dei burloni. È necessario fare molta attenzione, dunque, 1
Liebe: amore.
116 perché se fossero della Gestapo sicuramente le cose si metterebbero molto male per lui, e subito anche. Indica con la mano il muro dove troneggia il grande ritratto di Hitler e grida con fierezza: « Heil Hitler! » « Ma certo, amico, certo, ma qui non si respira affatto l'aria dell'eroismo patriottico, mi sembra! Ci si approfitta della vita tranquilla e beata fin che si può, ben lontano dal cannone, vero? Dubitate forse della vittoria finale? » dice Porta, puntando contro il sergente il suo grosso dito accusatore. « Certamente no! » mente Brumme (che domanda idiota, dice fra sé, soltanto un coglione risponderebbe si). « Avete ascoltato l'ultimo discorso del Führer? » « Naturalmente! Ha parlato in modo stupendo, affascinante... (e si chiede quale idiozia Hitler abbia potuto dire nel suo ultimo discorso). « Avete degli ebrei nella cerchia della vostra famiglia?» continua Porta con degli occhi feroci e inquisitori, mentre Fratellino grugnisce come era stato in precedenza stabilito. « Il mio certificato di ' arianismo ' è regolare », risponde Brumme visibilmente inquieto, dato che il suo certificato risale fino alla razza di sua nonna. Proveniva infatti da una provincia esterna dove bastava avere una sola nonna ariana per essere in regola. Dannati ebrei! « E questa nonna, non si chiamava per caso Rachele? » « No, Ruth », mormora Brumme che credeva che questo nome fosse assolutamente e solidamente ariano. « Molto interessante », sghignazza Porta allegramente. « È dovere di ognuno di noi dare delle informazioni alla Commissione della Razza, se si sospettano degli antenati ebrei nella nostra grande armata. Abbiamo scoperto proprio l'altro giorno il generale Hosenfelder che si era
117 fatto rifare il naso, un perfetto naso ariano per la verità, ma un caporale si era accorto che non mangiava mai della carne di maiale. Era suo dovere riferirlo e una bella mattina sono arrivati degli ' esperti razziali ', che sono poi ripartiti portando con sé il naso ariano del generale. Una menzogna di questo peso da parte di un personaggio di così alto grado avrebbe potuto contaminare tutta l'armata, e noi non saremmo mai arrivati fin quasi a Mosca. » «Sieg Heil! » urla Brumme con voce alterata, alzando il braccio teso in un perfetto saluto nazi. « I nostri coraggiosi soldati non devono assolutamente mancare di quanto loro abbisogna, nel corso della più grande crociata della storia. Lo scopo del nazionalsocialismo è la distruzione di tutti i demòni bolscevichi, "nell'intento di procurare al popolò tedesco oppresso lo spazio vitale di cui ha diritto e bisogno. » « Deve essere uno di quei dementi iscritti al Partito », si dice tristemente Brumme, « ma questi tipi di fanatici, però, sono estremamente pericolosi. » « Un popolo, uno stato, un Führer! » grida Fratellino entusiasta ed eccitatissimo. Silenzio di morte nel locale, mentre i tre uomini si guardano l'un l'altro. In lontananza risuonano i rumori della battaglia in corso, e insieme anche un coro di soldati in marcia. In alto la bandiera! In ranghi serrati SA in marcia...! « Sergente, voi dirigete il deposito della carne », dice bruscamente Porta, posando una mano sulle cartelle colme di documenti e fogli, allineati sulla scrivania. Il
118 sergente impallidisce e si fa indietro come gli fosse comparso davanti lo spettro del Consiglio di Guerra. « Un deposito di questa importanza non è uno scherzo », aggiunge Porta burbero, « non lo si affida a un uomo qualsiasi. Avete degli esperti, almeno come collaboratori? » « Tutti i miei subordinati sono degli esperti, usciti dalla scuola macellatori di Dresda. » « Per squartare delle carcasse di animali », commenta Porta con il tono compunto dell'istitutore, « occorre avere della gente che abbia del cervello e sappia altresì di matematica. » « Di matematica? » ripete Brumme, la cui fronte si imperla di sudore. « Ma io dirigo un deposito militare di carni e non un istituto di statistica! So tutto della carne ma non mi interesso nel modo più assoluto di matematica. So che una compagnia deve ricevere 175 porzioni, di cui il cinquanta per cento della carne deve essere senz'osso. Non mi è stato mai chiesto niente di più da parte del servizio di vettovagliamento. Ho il mio pallottoliere: 175 palle rosse a destra, e la compagnia ha ricevuto la sua razione in base ai regolamenti, ecco tutto. » « È proprio qui che vi sbagliate », replica seccamente Porta. « Prima di cominciare a tagliare le porzioni nella carcassa, si deve calcolare il calo. Vi è una percentuale d'acqua molto forte sia nel corpo dei soldati sia in quello degli animali. Se vogliamo fare un esempio, voi avete nel depòsito 400 chilogrammi di carne di maiale, con una determinata percentuale di acqua e di ossa, che un soldato affamato certo non apprezzerebbe come voi forse credete. Ma voi, voi avete ricevuto 400 chilogrammi di carne, e pensate che ridistribuendone altri 400, sia tutto regolare, non è così? Nel frattempo arrivano i controllori che constatano la sparizione criminale del 35 per cento del peso. Allora siete voi il capro espiatorio, amico, per-
119 ché non avete calcolato il calo. I cadaveri poi, anche quelli saranno pesati, e alle grane si aggiungeranno altre grane. Lo so per esperienza perché ho dovuto pesare uno per uno i cadaveri dell'ospedale di questa zona, prima di tagliarli a pezzi. » « Non ho mai esaminato sotto questo profilo il taglio della carne », balbetta Brumme, oscillando sulle gambe per non rivelare il proprio crescente disagio. « Ho sempre pesato le porzioni sulla bilancia del reggimento, e con un controllore al mio fianco. Qui non si tiene una contabilità a partita doppia », aggiunge con fierezza. « Tanti chili di carne senza osso, tanto di ossa, e infine un tanto di pezzi di muscolo e di carne non consumabile. Non ci si può sbagliare! » « Ecco, che ci siamo », grida Porta trionfante. « Voi ricevete 50 tonnellate di carne proprio prima della chiusura serale del deposito, avete fretta, e firmate una ricevuta per 50 tonnellate. Mi seguite, fin qui? » « Naturalmente », risponde Brumme che ripensa a tutte le volte che ha fatto scivolare una scarpa sotto la bilancia, perché segnasse più del doppio. « Gli aghi che segnano il peso non sbagliano mai. » « Eccoci finalmente al punto », dichiara Porta altero. « Gli aghi della bilancia e i moduli di consegna dicono sempre la verità? Che prova lampante per il Consiglio di Guerra! È stato qualche giorno fa che ho fatto fucilare il sorvegliante al deposito della IV Armata. Vi assicuro, signor sergente, che tutti lo credevano innocente, e lui stesso era convinto di esserlo. Dodici palle nel petto, ugualmente. » « Ma allora voi avete comandato una sezione di... liquidatori! » « E come no! Ce ne sono stati mica male di soldati dell'Intendenza che io ho graziosamente spedito in un mon-
120 do migliore. Ma ritorniamo alle 50 tonnellate di carne il cui arrivo avete verificato e firmato in modo molto sprovveduto, per non dire irregolare. Voi vi sdraiate a dormire su due guanciali, mentre i vostri subalterni imbecilli si mettono a tagliare le porzioni. Risultato, 45 tonnellate. Si verifica la bilancia, ma la bilancia della grande Germania è sempre esatta, sempre. Voi avete ricevuto 50 tonnellate, ma i soldati affamati non ne ricevono che 45, dato che la carne nel frattempo, sorniona e ipocrita, ha avuto un calo di liquido di ben 5 tonnellate. E dal momento che né voi né i vostri subalterni cretini sapete nulla a proposito di questi processi chimici, riceverete una bella lavata di testa, se non peggio naturalmente, quando la Commissione Segreta scopre le vostre coglionerie. Dal momento però che voi, personalmente intendo dire, siete molto furbo, di questo fatto ve ne accorgete ben prima della Commissione, della sparizione misteriosa di 5 tonnellate di merce cioè, e dal momento altresì che sapete, per esperienza direi, che ogni uomo è un ladro in potenza, piombate sui vostri schiavi come un uragano. Se fra i componenti del vostro personale ci sono degli imbecilli, voi naturalmente siete salvo. Si può persuaderli con la forza, ovviamente, a confessare che hanno tagliato la corda durante la notte con un bel carico di 5 tonnellate di carne; ma se invece di imbecilli non ce ne sono, Gustavo di Ferro, a Torgau, sarà senz'altro in grado di prendersela con voi direttamente e con i sistemi che tutti noi conosciamo. £ uno specialista in questo ramo, e non gli occorrono che nove minuti e ventun secondi per sistemare una questione in modo definitivo. Io stesso, che ora vi parlo, ho visto con i miei occhi Gustavo di Ferro occuparsi di un intendente della 5a divisione blindata. L'imbecille non aveva riferito nulla al Consiglio di Guerra, anche se Vjebada, ufficiale della Giustizia Mi-
121 litare molto celebre per i suoi metodi di persuasione, aveva cercato di fargli capire che avrebbe avuto tutto l'interesse a parlare. Con Gustavo di Ferro la sua versione non ha funzionato. L'intendente confessò che durante la notte, essendo molto affamato, aveva divorato personalmente 5 tonnellate di carne, ma l'indomani stesso venne fucilato. Sergente, siamo chiari, solo chi riesce a sfuggire con la pelle intatta a Gustavo di Ferro ha il diritto di fare il solletico al buco del culo del diavolo. In ogni caso, io vi suggerisco di rimandare di fare la sua conoscenza, se appena vi è possibile; lo sapete che dorme con l'elmetto in testa? » Il sergente Brumme va in sudore sempre di più. « Dunque, ora diciamo che ben cinque tonnellate sono sparite misteriosamente », dice Porta, assumendo il tono di un giudice severo e implacabile. Il cervello di Brumme ora lavora come un meccanismo che si sta guastando. Non gli occorre molto, però, per rendersi conto con disagio crescente che nella sua organizzazione ci sono molti punti deboli! Ma all'improvviso un'idea gli attraversa il cervello frastornato: perché non farla finita con una bella schioppettata su questi due Gestapo della malora? Nella nuova macchina per trinciare, c'entrerebbero poi perfettamente, e verrebbero a far parte delle porzioni per l'esercito eliminando altresì il problema del calo... un delitto perfetto! E gli si illuminano gli occhi nel guardare la grande macchina tritacarne, a tre metri da lui. Ma Fratellino ha seguito il suo sguardo, e si dirige verso la macchina con un sorriso d'intesa. Il nervosismo di Brumme cresce ora visibilmente; il sudore gli cola sulle sopracciglia. « Ma infine, chi siete voi due, e da dove venite? » dice sospettoso, asciugandosi col fazzoletto la fronte madida. « Caporale Josef Porta, di Berlino Moabitt », risponde
122 Porta in tono educato, « e il mio collega caporale Wolfgang Creutzfeldt, Kònigin Allee, Amburgo. » « Getta la maschera questo porco», pensa Brumme, cercando di impadronirsi della mazza che teneva appesa a un gancio sotto la scrivania. « Kònigin Allee è la polizia degli Interni, e Berlino Moabitt, il servizio di controllo dell'Intendenza! Un bel paio di pulci mi hanno spedito addosso! Dio, se è un giorno scarognato, questo! » « Sergente, quanti uomini dell'Intendenza avete per il servizio di ripartizione delle porzioni? » « Quaranta uomini. » « Sono specialisti, in questo settore? » « I migliori che si possano trovare. Lavorano come dei robot. » « Ecco un termine schiacciante! Dei robot! Dei robot che hanno scelto l'Intendenza per mettersi a sedere beati e tranquilli ed evitare le prime linee, non è così? » grida Porta indignato. « Qui non si corre il rischio di ricevere una pallottola nella nuca, il solo rischio che si corre è di ricevere un quarto di maiale sulla nuca, se si sfila da un gancio! Ma tutta questa gente si sbaglia, amico, tutti questi grandi eroi del lardo la faranno finita, perdio! Tagliare a pezzi della carne è un mestiere molto serio e difficile, e rischioso anche, non è vero? Sergente, sia sincero, quando si deve fare un sanguinaccio, l'impasto lo si gira a destra o a sinistra? » « Girare, cosa? » geme Brumme stordito. « Nemmeno un culo di un tedesco lo girerebbe a sinistra. Soltanto gli inglesi lo girano a sinistra, ma a questa velocità ridotta si formano spesso dei grumi di sangue. Ma per tornare ai vostri robot, siete voi, personalmente, che ne portate la responsabilità, siete voi, personalmente, che dovreste dirigere il lavoro. Ditemi un po', amico, mi auguro che fosse Mein Kampf quel libro
123 che,stavate beatamente leggendo quando siamo entrati qui », chiede Porta con voce dura. « Ma certamente », balbetta Brumme mentendo e cercando di infilare il suo romanzo porno sotto un pezzo di lardo. (E l'autore si chiama anche Levy, per sopramercato! Questo tipo di lettura può portarmi diritto alla Commissione della Razza, e poi a Torgau!) « E ora vediamo se sapete eseguire i tagli correttamente », dice Porta dirigendosi verso il grande locale adibito appunto al taglio della carne. « Vi mostrerò, sergente, che ci vuole una certa intelligenza per questo tipo di lavoro. C'è in giro una quantità di cretini che sognano di potersi comprare uh negozio di macellaio, come fosse il lavoro più facile del mondo. Che coglionil Anche se la carne vi viene servita coperta di mostarda francese vi accorgereste subito se è stata tagliata da un calzolaio che ha voluto cambiare mestiere e crede di essere un perfetto macellaio, non è vero? E questo cos'è? » grida poi, fingendo un raptus di furore e dando un violentissimo pugno sopra un grosso pezzo di carne, con uno sguardo omicida che fa fremere il povero intendente. « Un quarto posteriore », risponde Brumme, cupo. È infatti proprio il pezzo che abitualmente mette da parte per il colonnello dell'Intendenza, che sempre chiude un occhio durante i controlli regolamentari. . «Vergogna! Chiunque vedrebbe e affermerebbe che questa è carne avariata. Sergente, sono molto dispiaciuto per lei, ma devo essere, molto severo e rigido nell'espletamento del mio incarico. Se il Führer esigesse un arrosto un po' speciale, non ne uscireste bene, ho ragione di credere. » « Pensavo che il Führer fosse vegetariano, per la verità », protesta Brumme, stupefatto. « Tutti gli imbecilli hanno il pieno diritto di credere quello che vogliono. Ma sarebbe forse proibito al nostro
124 grande capo di amare l'arrosto, forse? » « Certamente no », balbetta Brumme, terrorizzato e sempre più stordito. « Se il Führer richiedesse un arrosto, io glielo taglierei dal pezzo con le mie stesse mani », dichiara con nerezza, impadronendosi di un grosso coltelllo da trancio. La lama d'acciaio brilla e in un tempo record, per la verità, il più bel trancio di arrosto del mondo si rivela splendidamente scelto e tagliato, sullo spesso piano di legno massello. Porta, con spregio, si toglie di tasca una lente e la posa sulla carne sanguinolenta, poi si volge a Fratellino e gli chiede : « Cosa ne pensi di questa carne, che sembra di avvoltoio? » « Assolutamente impropria alla consumazione », risponde il gigante che sbava di desiderio, e si sforza di non darlo a vedere. « Voi lo vedete bene, con i vostri occhi, sergente! Il caporale Creutzfeldt se ne intende; dirigeva prima della guerra una sezione speciale sulla Reparbahn. La sua circoscrizione si estendeva fino dall'altra parte della Kònigstrasse, ad Altona. » « IV2 A, sezione Gestapo! » dice a se stesso Brumme, che a suo tempo aveva in gestione un piccolo ristorante proprio nella Heyn Hoyer Strasse. Due « visite » inaspettate della IV2 A gli erano costate infatti ben sette mesi di prigione. Bisognava fare attenzione, la massima attenzione, Dio santissimo! Ma Signore che stai nei cieli, fa' sì che la Germania perda questa guerra, ti prego! « Non dico che questo sia un pessimo trancio di arrosto, ma per delle bocche un po' speciali e viziate sotto questo profilo, devo dire che a voi manca la formazione anatomica del competente, del profondo conoscitore del problema. Decisamente la nostra società militare è un
125 po' difficile da accontentare, ma c'è molta, troppa gente in giro che avrebbe bisogno di un bel calcio nel culo per imparare a vivere. Il confort genera pigrizia e indifferenza, ognuno cerca di trovare un buon posto comodo e tranquillo e aspetta il momento della pensione senza muovere un dito. Questo tipo di vita non può che generare dei traditori, e questa è la strada più sicura e diretta verso la disfatta totale. E lo si chiama socialismo, questo paradiso dei fannulloni! » Brumme non crede alle sue orecchie. Questa critica dello Stato nazional-socialista è molto caustica, ma pur essendo dello stesso parere di Porta, si guarderebbe bene dall'ammetterlo ufficialmente. Nella pausa di silenzio che segue, Porta si è impadronito del coltello e con gesto molto professionale si appresta a tagliare un enorme pezzo di carne di prima scelta. « Ecco qui un vero splendido arrosto al trancio », dice accarezzando il gigantesco pezzo di carne. « Sì, veramente perfetto, un vero arrosto », consente Brumme stupefatto. « Figurerebbe molto bene sulla tavola del Feldmaresciallo, ma poiché lui non ne conosce l'esistenza, potremmo mangiarlo noi, come piatto di mezzo di una buona cena; che ne dite? » « Mentirei a me stesso se rifiutassi », dice Porta sorridendo. « La fame è un problema chiave, anche intorno a una tavola ben imbandita dove ci si può credere sazi. Sergente, ne reclamerò una porzione doppia, quando ci siederemo a tavola per festeggiare questo nostro primo incontro imprevisto. » Brumme scoppia in una risata stentorea, senza bene sapere perché in verità, ma pensa che a questo punto sia la miglior cosa da fare. « Ho anche qualche buona bottiglia del 1936. » « L'anno della mia classe! Evviva! »
126 Il sergente afferra l'immenso arrosto, se lo stringe al petto e fila come un razzo alle cucine per ordinare un pasto degno della Commissione Segreta. E man mano che il pasto si svolge, l'atmosfera diventa sempre più cordiale. Dopo quasi due ore, non sono ancora arrivati alla prima metà del banchetto, e divorano tutto alla maniera dei Vichinghi. Si sbrana la carne tenendola fra le dita e si buttano le ossa dietro le spalle. Porta si rimpinza e beve come un otre, e così fanno Fratellino e Brumme. Ma ecco che a.Brumme un boccone va di traverso e poco manca che non muoia soffocato; un infermiere accorre sollecito, e dopo aver rimediato in qualche modo alla vita del suo sergente, riceve una razione speciale tutta per sé. « È giusto che anche la truppa possa avere qualcosa da mettere sotto i denti », dice Brumme, « anche se mai nessuno ha ordinato che venisse saziata. Noialtri graduati, dobbiamo domarla questa gente, però, altrimenti è finita per noi, non credete? Il grido ' Proletari unitevi ' a me non calza affatto, in ogni caso, il solo posto dove forse potremmo unirci è la fossa comune, a mio parere. » « Un vero orrore, purtroppo, ma è la verità », afferma Porta accompagnando il tutto con un peto sonoro. « A me poi i distinti padreterni che piazzano la parola coglione ogni tre parole, non mi piacciono affatto», aggiunge Fratellino. « Hai proprio ragione », dice Brumme con aria cupa. « Il mio capo, l'intendente Blankenschild, è di quelli che pensano che bisogna sempre prendere a calci in culo i propri sergenti. Se voi riusciste a tirargli la pelle del culo fin sopra alle orecchie, avreste di diritto sempre un posto, alla mia tavola. » « Un gioco da ragazzi per noi », risponde Porta, lanciando un osso nella direzione dove è scomparso l'infermiere.
127 « Portate le bistecche alla tartara », ordina Brunirne a due suoi schiavi addetti agli approvvigionamenti. La maggioranza di questa gente fa il cameriere nella vita civile; uno che a suo tempo lavorava da Kamin-ski è il coppiere privato di Brumme. Una assicurazione a vita contro l'invio al fronte, in cambio della morte di un ipotetico eroe. « Ci occuperemo del tuo capo », promette Porta, coprendo la grossa bistecca con una larga e spessa fetta di lardo. « Dove andrebbe a finire la patria se li lasciano scorrazzare liberi come l'aria questi porci? » « Non vi capitano mai delle faccende sgradevoli, durante le vostre ispezioni? » chiede inaspettatamente Brumme, dando una manata sulla spalla di Fratellino. « Oh, no. Sappiamo tutti i trucchi, noi. Non si deve mica cercare di farci passare per fessi, e in ogni caso nessuno ci è mai riuscito, per la verità. » «Vi arrivano spesso delle ispezioni, qui?» chiede Porta con aria noncurante. « È vero che da molto non viene nessuno? » « Be', non è poi molto tempo che sono venuti, l'ultima volta. Quei dritti di ispettori mettono il loro naso dappertutto. Ci vorrebbe una bella rivoluzione... Oh, scusate », conclude rapido, nel rendersi conto che si è lasciato sfuggire un pensiero molto intimo, per la verità, un sogno proibito. « Accordate le scuse », sorride amabilmente Porta. <( E dimmi un po', amico. Non sei mai stato preso per il naso, tu? Volevo dire, non è mai venuto qualche burlone qui a recitare la parte della Commissione di Controllo? » Un istante di silenzio pesante di minaccia plana su tutto il locale. Brumme impallidisce, poi a poco a poco il volto gli diventa paonazzo. « Cristo di un Dio! Se qualcuno osasse fare una cosa
128 simile al sergente Brumme, filerebbe al fronte passando prima sotto la macchina tritacarne e riuscendone fuori sotto forma di razione individuale! » « Io ti consiglierei comunque di diffidare della gente », lo mette in guardia amichevolmente Porta. « Tu non sai come si può essere straordinariamente capaci nell'imitare quei funzionari. Ne abbiamo già colto qualcuno sul fatto, noi. » « Qui, impossibile! » tuona Brumme. « Quei tipi lì io li spedisco lontano dei chilometri, con uno dei miei calci! Si dovrebbe condannarli tutti a morte. » Dopo quattro ore buone di un banchetto senza paragone, arriva in tavola una enorme torta di mele freschissima. L'ex cameriere del ristorante Kaminski fa girare lo champagne, in ragione di una bottiglia a testa circa. Non si può far di meno in un pranzo da signori, in Germania. Tutti si abbracciano e si giurano amicizia eterna. « I sigari, e subito! » ordina Brumme all'infermiere che obbedisce all'istante. Cosa non si farebbe infatti pur di evitare il fronte? « Ecco cosa vuol dire la disciplina », confida Brumme a Fratellino, e aggiunge a mezza voce: « Io so come si uccide un nemico facendolo soffrire a lungo e atrocemente, sai? » « Anche noi. » « È una bella cosa saper comandare », sorride Porta, malizioso. « Così non si teme mai una visita improvvisa e inaspettata di qualcuno che vuole mettere il naso nei documenti e nel magazzino. Ma tu sembri proprio un uomo onesto, camerata Brumme. » Silenzio improvviso e opprimente. I tre si guardano, scrutandosi con un misto di sospetto e di odio. « Vi farò preparare un bellissimo piccolo pacchetto,
129 una sorpresa, che vi darò al momento della vostra partenza », dice sollecito il sottufficiale. « Io mi sono subito reso conto che voi eravate come minimo, delle vere ' teste di ferro '. Al primo momento, devo confessarlo, avevo dei sospetti », aggiunge chinandosi verso Porta e guardandolo fisso negli occhi. « Ben lecito, mi pare, avere dei sospetti, non sei d'accordo con me? » « Caro amico », esclama untuosamente Porta, « e chi non dubiterebbe, dal gennaio '33? O si è dei pericolosi irresponsabili uomini politici o degli ancora più pericolosi patrioti. Noi viviamo in un'epoca piena di disagi e di pericoli, tutto il mondo la vive. Quello là per esempio è un bandito e sembrerebbe una persona esemplare. Come ti dicevo, Brunirne, evita di invitare chicchessia alla tua tavola, credimi. » « Sei volontario dell'esercito, tu? » « Volontario è una parola grossa, ma per la verità non ho nulla contro questo tipo di ' club di cannoni ' che è la guerra, almeno fino a quando la vita civile non mi sembrerà più invidiabile di questa. Per il momento, in ogni caso, l'uniforme mi protegge e mi va benissimo. » Dopo il caffè e il cognac tutti escono per andare ad ammirare la nuova macchina per impastare le salsicce. « Cosa ne pensate? » chiede Brunirne molto fiero davanti a questo congegno che lavora a pieno ritmo e produce chilometri di salsiccia seduta stante. « Si direbbe proprio che è una vacca che caga a una tavola calda », risponde Porta, sorpreso suo malgrado. « Il mio intendente di stato maggiore è un porco », confida Brunirne ai suoi nuovi amici, pregandoli di rimettersi a tavola per gustare un'enorme porzione di salsiccia fresca, che naviga nel vino rosso. » È possibile, certo », dice Fratellino. « È sempre meglio fare un bel giro ampio e starsene alla larga dai capi;
130 è cosa ben nota, d'altronde. » Il punto culminante della festa avviene verso le due del mattino. Urla, canti a squarciagola, melange di vodka e di birra. Il personale femminile del campo viene invitato al completo, e lo strip-tease non tarda, e avviene in piena regola. Si lavora, a pieno ritmo, in tutti i sensi. Al mattino la conversazione si svolge con una tale franchezza di termini da far impallidire il Consiglio di Guerra. Si parla infatti del Führer e dei suoi sbirri come fossero già morti dopo una serie di torture atroci che, del resto, tutti gli augurano. È solo molto più tardi, addirittura il giorno dopo, che i tre uomini cominciano a riprendere il controllo di sé. Sono tutti e tre distesi sopra il grande letto a due piazze di Brumme, un'eredità sua personale della guerra in Bulgaria. Porta afferra la bottiglia di vino che è posata sul pavimento accanto a lui e riprende a bere. Fratellino si dirige a tentoni verso un secchio pieno d'acqua per cacciarvi dentro la testa e insieme bere, come farebbe un cammello assetato nel deserto, e non si ferma se non quando il secchio è completamente vuoto. Brumme, già per metà fuori del letto, emette degli strani rumori. « Questi due tipi sono dei falsi Gestapo », farfuglia vomitando. « Farli fucilare, bisogna », gli fa eco Fratellino. « Fucilarli, si! » geme Brumme. Spara con la sua pistola e tre pallottole si conficcano nel plafone, ma è solo il consueto segnale per la prima colazione. Qualche ora più tardi i tre si separano molto commossi. Era nata una vera amicizia, che sarebbe sicuramente durata tutta la vita. Porta e Fratellino si avviano per rientrare al battaglione e ognuno porta sulla spalla un sacco pesante e pienissimo Brumme, dalla soglia li vede scomparire inghiottiti dalla tormenta di neve, e an-
131 cora si chiede perplesso se è stato preso in giro molto bene da due sciacalli, o se veramente è riuscito felicemente a sfuggire dalle grinfie di due vere « teste di ferro ». « Se mi hanno fottuto, guai a loro! Dodici palle a testa non gliele leva nessuno a quei due! » dice fra sé con uno strano inesplicabile senso di odio. Poi con la mano fa un ultimo gesto di saluto a Porta ormai lontano e si mette meccanicamente sull'attenti.
132 Esigiamo la pena di morte per tutti coloro che si oppongono al nostro conflitto, destinato all'unione totale dei nostri popoli. Chiediamo ugualmente la pena di morte per tutti i criminali che agiscono contro il popolo; gli usurai, i traditori, i disfattisti, i parassiti della società, che non rispettano né la nostra fede né la nostra razza. Estratto del programma nazional-socialista.
Il maggiore russo Michael Gostonow, capo dei partigiani del distretto di Minsk, era un uomo grosso e brutale, odiato da tutti i suoi subalterni. Era un uomo, costui, che amava « sdraiarsi sopra i cadaveri », come si suol dire. I suoi piccoli occhi cattivi guardavano uno per uno i presenti nell'isbà dove stagnava un fetore pesante di abiti umidi e di corpi non lavati da tempo. « Domani, durante la notte, attaccheremo il villaggio », disse asciutto. Indicò con la canna del fucile un vecchio gobbo, vestito di indumenti molto lisi, con i piedi tutti avvolti di fasce, come migliaia di contadini russi usano fare durante l'inverno per evitare di congelarsi le estremità. « Rasin, tu ti occuperai di appiccare il fuoco al tuo villaggio, dopo la mezzanotte. Quando tutto sarà in fiamm.e e i nazi si butteranno fuori dalle capanne per correre via, allora attaccheremo noi e li ammazzeremo tutti, quei cani. » Il vecchio, segnato da una vita intera di lavoro e di miseria, si torse le mani disperato. « Tovarisch Gospodin, e i nostri figli e le nostre donne? I vecchi, i malati? Fa un freddo terribile, che aumenta di giorno in giorno. Sono anni che non ricordo un inverno simile. » « Piantala, mugik, la guerra è la guerra. Tutti devono soffrire, è inevitabile. Le vostre vite non hanno alcun valore
133 rispetto alla lotta per la nostra patria sovietica. Che il diavolo ti protegga, vecchio, se il tuo dannato villaggio non sarà in fiamme esattamente due ininuti dopo mezzanotte, chiaro? » Estrasse il suo nagan e con quello colpì duramente il volto grinzoso dell'uomo. Due denti gli schizzarono fuori dalle labbra e il sangue gli colò dal naso. « Tu sei uno starotz, non dimenticarlo. Fai dunque il tuo dovere nei confronti di Stalin che ti dà di che vivere e di che nutrirti. La patria esige dei martiri, e non mi sembra che tu ne dubiti, almeno voglio crederlo. Brucia la tua stalla per porci in base ai miei ordini, fila! » Il maggiore ora si volse ai suoi accoliti. « Bisogna far sentire il polso duro, a questi fannulloni! » sghignazzò. « Permettono ai fascisti di dormire nei loro letti, mangiano con loro, si rimpinzano dei loro approvvigionamenti invece di morire di fame ma con onore. » Si cacciò in bocca un grosso pezzo di prosciutto e lo inghiottì senza quasi masticarlo, mentre una bottiglia di cognac francese passava di mano in mano. Era il bottino di un attacco ben riuscito a una colonna tedesca, messo in atto il giorno prima. « È solo con il pugno di ferro che si riesce a tenerli, questi cani. E ora non vi sono che due alternative, amici, la vittoria o la morte. Non dimenticatevi che tutti i prigionieri catturati dai tedeschi vengono orrendamente torturati prima di essere impiccati, è bene che lo sappiate. Non possiamo contare su nessun aiuto, di nessun tipo, e la nostra vita non ha alcun valore. Per noi, la sola cosa cui dobbiamo pensare è il preciso dovere nei confronti di Stalin e della nostra grande e gloriosa patria. »
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DAVANTI A MOSCA Il freddo è disumano, se così si può dire, e soltanto durante la notte usciamo dalle nostre buche per raggiungere le nuove postazioni ai fianchi della foresta. Come dei puri folli, e non possiamo che esserlo per la verità, serpeggiamo come una colonna che avanza disordinata, gonfi sotto la divisa di strati di giornali a contatto diretto della pelle. Questa è l'ultima novità ideata dalle nostre autorità competenti. Secondo loro, infatti, il giornale messo a strati scalda esattamente quanto una pelliccia. Gli sprovveduti che hanno avuto il coraggio insensato di addormentarsi nella neve sono morti. Noialtri, che non siamo per nulla arditi, abbiamo proseguito affidandoci solo alla buona sorte, ma naturalmente siamo alla mercé di qualsiasi cosa possa accadere, purtroppo. Il compagno che vi ha camminato al fianco da tempo sprofonda nella neve e vi rimane, immobile, la mano aggrappata al suo fucile. Se vi resta ancora un soffio di energia, vi chinate sul poveretto, strappate dal collo la sua catenina di identità e ve la cacciate nella tasca. Eviterete cosi che i parenti perdano il loro tempo in mutili sempre più disperate ricerche. La nebbia sale dal fiume e, nel nostro stato di semiincoscienza, vediamo immagini di sogno. Porta, naturalmente, vede gigantesche tavole imbandite. Fratellino un enorme pezzo di lardo, ma la sola cosa che la sua grossa mano riesce a sfiorare è il sacco da montagna sulle spalle di Heide che lo precede, bianco e gelido di brina. Stupito e sconcertato, si contempla la mano vuota. Come, davvero non esiste quel lardo? La visione era stata così simile al vero che aveva sentito perfino l'odore appetitoso di
135 quel lardo di sogno e la bocca gli si era riempita di saliva, che adesso gli cola da un angolo delle labbra. « Caramba! Avete visto le cupole fatte come cipolle? » grida Barcelona. « Siamo arrivati, dunque! Questa sera dormiamo al Cremlinol » grida Stege con sollievo. « Cosa diavolo è, quella sarebbe Mosca? » mormora il Vecchio radioso, tirando una lunga boccata alla sua pipa. « Sentite lo scampanio? Ma perché hanno acceso tanti fuochi nelle strade? » Non sono le campane che il Vecchio ha sentito, e non si è nemmeno nelle vie di Mosca. Sono invece delle fontane di fuoco e il tuono delle granate di un violentissimo tiro di sbarramento, che quasi dissipa del tutto la nebbia fitta. La compagnia piega subito su un lato, diretta verso il limite del bosco, disordinata e affannata in mezzo agli scoppi delle granate che sibilano nelle orecchie di tutti. Questi minuscoli oggetti traccianti vi spezzano le ossa come fossero fatte di vetro, e gli scoppi delle granate poi sono un inferno, provocano ferite orribili, e con questo freddo una morte certa, senza discussione. « Avanti », grida il tenente colonnello Moser, con voce rauca. Si ferma un istante e si appoggia pesantemente al suo fucile mitragliatore. « Sta male », dice a bassa voce il Vecchio. « L'infermiere mi ha detto che ha pisciato sangue ieri, come dire che i suoi reni sono fottuti, ma bisogna avere almeno la testa spaccata in due perché vi spediscano all'ospedale. » « Avanti! » grida Moser, il cui volto esangue è imperlato di sudore. Con un gesto stanco e come astratto, alza un braccio e ci indica la direzione da seguire.
136 « 5ª compagnia, avanti! » A gruppi, la compagnia prosegue. Ogni passo è una tortura, perché gli scarponi sono gelati, e duri come fossero di legno; questi scarponi, di dotazione dell'esercito, non sono stati fabbricati in previsione dell'inverno russo, ma Porta, naturalmente, già da tempo ha scambiato i suoi con un paio di pesanti ma splendidi stivaloni di grossa pelle chiara dei soldati lapponi. Lui possiede sempre tutto quello che si sognerebbe di possedere quando si esce scoraggiati da un deposito dove vi hanno consegnato quanto vi spetta, e tutto quello che indossa, o quasi, proviene dai depositi dell'armata russa; nessuno riesce a capire come faccia quell'uomo, ma è un fatto che trova sempre e al momento opportuno quello che gli abbisogna. L'altro giorno, proprio mentre passavamo da Djil, dopo aver seguito a lungo la strada ferrata, Porta a un tratto si ferma: «Aspetta un po'! Ho la netta impressione che ci sia qualche cosa da recuperare in quel granaio! » Ed ecco che si infila come una lepre dentro al corpo più basso della struttura di legno, che evidentemente era una piccola stalla, e ne esce poco dopo con un agnello sotto il braccio e un bidone di vodka in mano. Ed eccoci subito tutti- dentro a una buca a rimpinzarci e a bere. « Se non ci si riempie un po' », commenta Porta, « non si può sopravvivere a una guerra mondiale, mai. » Siamo sempre affamati, è proprio cosi. L'armata tedesca rappresenterà sempre per noi un luogo dove si ha avuto perennemente fame e dove si muore dal sonno, se non peggio. Ci viene detto che dobbiamo solo passare il fiume, dopo di che potremo finalmente goderci un po' di ore di riposo. Sarà vero? Non desideriamo altro, in verità. Ancora qualche notte di questo freddo mortale e sarà la line
137 per noi. È inutile, non abbiamo quasi più energie, siamo al limite estremo, tutti. Il percorso è disseminato di corpi di cavalli morti, irrigiditi nelle posizioni più strane. Un reggimento di cavalleria deve essere stato falciato in un solo istante dalle micidiali « canne d'organo di Stalin » che fanno scoppiare i polmoni. Si soffoca così rapidamente che non si diventa nemmeno bluastri, ma per la verità noi preferiamo quest'arma micidiale e diabolica alle granate. Si sente il sibilo del razzo in arrivo, ma prima ancora che si abbia il tempo di mettersi in qualche modo al riparo, eccole già sulla vostra testa. Il sibilo del loro arrivo è esattamente uguale al sibilo di partenza, e ora hanno anche uno scatto a molla, in aggiunta. Heide afferma che questo modello di granata è stato interdetto all'uso dalla Convenzione di Ginevra, ma anche i lanciafiamme lo sono, se è per quello, senza parlare dei proiettili esplosivi che vi strappano d'un sol colpo la metà della testa. Heide naturalmente possiede un piccolo libretto rosso dove sono indicate tutte le armi proibite e ogni volta che constata qualcosa di irregolare, annota il luogo, l'ora e i testimoni in un piccolo taccuino nero. Più tardi, afferma, lo consegnerà nelle mani di una Commissione Internazionale, che giudicherà i criminali di guerra. « Sei proprio nato per pisciare controvento, tu », sghignazza Porta. « Credi veramente, amico, che ci si occuperà di un piccolo sottufficiale nazi che tutta la sua vita ha pensato solo alla croce uncinata e ha fatto gli scongiuri per il timore di non mettere al mondo dei veri piccoli nazi come lui? » Questo orribile freddo riempie la foresta di strani rumori, come di cristalli che si spezzano. Il vento soffia e la neve e la nebbia ci inghiottiscono di nuovo. Non si fa che cadere in enormi buche dalle quali i compagni devono
138 poi tirarci fuori con enorme sforzo. Il « professore » sembra quasi stia per impazzire, perché senza gli occhiali praticamente è cieco, e dal momento che la neve posandosi di continuo sopra le sue lenti le appanna, non riesce più a camminare in una direzione precisa, e cosi decidiamo di attaccarlo con un cinturone a Barcelona. Siamo tutti molto affezionati a questo piccolo studioso norvegese, che in un primo tempo avevamo tanto odiato, ed era stato oggetto dei nostri scherzi pesanti e crudeli, perché proveniva dalle SS. Come mai è arrivato in mezzo a noi? Nessuno lo sa. Si dice che per un quarto sia ebreo, e questa è di solito una ragione molto valida nelle sfere delle SS per fbtterlo altrove. Abbiamo anche fra noi dei « tre quarti » ebrei, e Porta stesso sostiene di essere almeno per metà ebreo anche lui, ma lo dice unicamente per mandare Heide fuori dei gangheri. Siamo costretti ad appiattirci a terra in mezzo a un campo, perché il tiro di sbarramento diventa sempre più pesante e implacabile. I russi sembra facciano di tutto per impedire che noi si raggiunga il fiume, e quando le loro granate raggiungono il suolo, sentiamo uno strano rumore, in effetti, come un tonfo sordo nella neve, che poi viene sollevata in aria, altissima, come un immenso spruzzo candido. Nelle linee opposte, questi demòni hanno giustiziato tre dei nostri, e l'indomani l'hanno annunciato solennemente e a gran voce, di prima mattina, come sempre fanno quando impiccano un soldato nemico. Nei primi tempi questi annunci ci scoraggiavano terribilmente e ci riempivano di sgomento, poi ci abbiamo fatto l'abitudine, naturalmente, perché a tutto ci si abitua, in guerra. « Le esecuzioni sono necessarie in tempo di guerra », spiega Porta, quando il nostro gruppo raggiunge il luogo
139 e l'albero dove oscillano i tre corpi al vento. « I raffinati definiscono una faccenda di questo tipo con il termine di ' pedagogia militare '; in effetti, alla massa dei soldati uno spettacolo simile fa passare la voglia di schermare, non c'è dubbio. Credetemi, molti patiboli testimoniano di una grande armata! » « In marcia, in marcia! » grida Moser. « Più presto! » gridano anche i capi di sezione eccitatissimi, minacciando il cielo con i loro pugni chiusi, il che significa « andatura accelerata ». Pare che si debba superare la postazione dell'artiglieria, ma non è così facile come sembra! Si raccolgono le forze sotto il suo fuoco intenso e avanzando rapidamente ci si sottrae al tiro. Niente di più semplice, in effetti. I manuali militari vi insegnano un sacco di cose di questo tipo e il grosso HDV è la Bibbia del soldato tedesco. C'è della gente che anche nella vita privata e civile adotta i sistemi imparati su questa sacra Bibbia, e uno di questi è sicuramente Gustavo di Ferro di Torgau, non c'è dubbio! Sappiamo che ha fatto quasi diventar pazza sua moglie, costringendola a una vita assolutamente folle. Si cambiano le lenzuola solo ogni sei settimane, in base ai dogmi dell'HDV; un bagno solo il sabato tra le dieci e mezzogiorno, l'acqua a diciotto gradi esatti, e il cosiddetto bagno consiste in una doccia di sette minuti precisi, non un secondo di più. Dopo vent'anni di matrimonio, sua moglie infatti ancora non capisce perché non si possa servirsi di una vasca avendola installata in casa, benché suo marito le abbia cento volte spiegato che la vasca può essere solo usata dagli ufficiali. Sopra la porta della casa di Gustavo di Ferro, un'insegna a lettere gotiche annuncia : « Ich Diene » (Io servo), e tutta la famiglia deve conformarcisi. Mezzo sepolti nella neve noi camminiamo, e stiamo percorrendo il cammino che ci porta alla morte. Il peso
140 delle armi accresce la nostra tortura, il percorso diventa ripido e si è costretti a aggrapparsi ai rami dei cespugli per issarsi. Proprio davanti a me un fantaccino si ferma eretto e rigido come fosse davanti a un muro, poi crolla nella neve dove resto per qualche minuto a contemplarlo. Il fuoco degli MG diventa sempre più nutrito e mortale, sparano su di noi dall'alto della cresta, infatti. Le salve lacerano e squarciano le cime degli alberi, e pietre e blocchi di ghiaccio si infrangono su di noi. La 5ª compagnia cerca di interrarsi precipitosamente, ma è urgente installare le mitragliatrici in posizione per coprire la 7ª compagnia che è passata in testa. Sul pendio della collina anche l'artiglieria ha preso posizione e ben presto il rumore rassicurante dei nostri mortai si diffonde. È terribile quando si tratta delle mitragliatrici nemiche, ma è una musica deliziosa questo fragore se si tratta dei nostri! « Baionetta al cannone! Pronti per il corpo a corpo! » « Fai attenzione alla tua pancia, Ivan il puzzolente! » grida Fratellino, che esce in quello stesso istante dalla sua buca e balza in avanti, coperto dal fuoco di Heide. Quanto a me, devo distruggere un nido di mitragliatrici pesanti russe, e lancio cinque granate che non raggiungono il bersaglio, però. « Presto! » grida il Vecchio. « Bisogna farlo tacere del tutto quel dannato nido! » ma anche un moscerino verrebbe ammazzato se si azzardasse ad uscire sulla neve, davanti a un MG. « In avanti, e dove ti segnalo io! » grida il Vecchio inferocito. Decapsulate le mie granate a mano, le lancio correndo, e la mitragliatrice nemica salta in aria insieme ai suoi serventi al pezzo. A testa bassa tutti ora ci lanciamo verso la trincea nemica e in certo qual modo ora il pericolo è quasi diminuito della metà, a condizione che nessuno
141 di noi si precipiti come un imbecille dentro il camminamento, che può nascondere ancora qualche russo che ci aspetta al varco. « Ripulire » una trincea con le granate, è un lavoro che conosciamo bene, ma è necessario che il nemico non abbia il tempo di dire « a » nei primi tre secondi. Passando, lancio le mie granate dentro tutti i bunker che vedo, e questi saltano immediatamente alle mie spalle. Un gruppo di soldati russi si trova ancora interrato nell'ultimo cui arrivo correndo, e la mia ultima granata è per loro; la neve diventa scarlatta, mi strappo di spalla la mitragliatrice leggera, ne vuoto tutto il nastro su qualsiasi cosa vedo anche solo lievemente muoversi, e finalmente crollo a terra in mezzo a tutti questi corpi dilaniati. « Ben fatto », commenta il Vecchio soddisfatto. « Verrà citato come eroe del giorno nel comunicato di questa sera », ride Fratellino. « Poi si renderanno conto che è un ebreo, e allora lo impiccheranno con una stella di David attaccata al culo! » « Riposo », ordina finalmente il tenente colonnello Moser, « cinque minuti. » Quasi tutti si addormentano quasi istantaneamente e anch'io sto per assopirmi, ascoltando lontana la voce di Porta che racconta qualcosa a proposito di un asino che... « 2ª sezione, in testa. Si parte. Sbrighiamoci, fannulloni», ordina Moser. Le granate nemiche piovono tutt'intorno, e buttando un'occhiata alle nostre spalle ci congratuliamo con noi stessi per non essere più dentro quella trincea, perché ora è tutta una pesante cortina di fuoco. « Ecco il fiume », annuncia il Vecchio con sollievo, indicando con la canna del suo fucile una specie di largo fossato in cui scorre dell'acqua sporca. Anche il ghiaccio
142 che la ricopre è mperto di uno strato di polvere grigiastra. « E pensare che sono settimane che corriamo dietro a questa specie di latrina da campo! Capisco finalmente perché nessuno ne aveva mai sentito parlare! » « Il fiume si chiama Nara », mormora Moser. « Allora ci siamo, se Dio vuole! E non deve essere ormai molto lontano da Mosca, a quanto dicono. » « Non ci sarebbe un tram? » chiede Porta. « Le mie ginocchia cominciano a diventare un po' troppo dolenti. » Tutto è stranamente scoraggiante, da qualche tempo: Anche se siamo passati di vittoria in vittoria, almeno ufficialmente, e anche se abbiamo visto passare davanti a noi interminabili colonne di prigionieri, solo l'ostinato Heide crede ancora in una fine gloriosa della nostra guerra. La 3ª compagnia si appresta ad attraversare la sponda ghiacciata, sotto la protezione delle nostre armi automatiche, ma non è ancora a metà del percorso che tutto il fiume sembra esplodere. L'acqua giallastra e maleodorante sprizza in aria a getti altissimi, una colonna di fuoco fa scoppiare tutti insieme i blocchi di ghiaccio che ricoprivano la superficie, e la 3ª compagnia sparisce, corpi, armi e tutto dentro l'acqua che ribolle. E ora le «.canne d'organo di Stalin » cominciano a tuonare. Tutti i pianeti dell'universo ricadono con fragore sul suolo e il cielo si copre di lapilli incandescenti che escono senza sosta dai razzi e sembrano stelle filanti. E, dove vanno a cadere, anche la più piccola ombra di vita scompare d'acchito. «Porci!» grida Heide inferocito. « E perché mai? » risponde Porta. « Loro adoperano lutto quello che si trovano sottomano per cercare di fermarci, e non la smetteranno se non quando ci avranno
143 incastrati. Io credo proprio che il tuo grande Führer si è preparato con le sue mani una bella sorpresa, là. Del resto gli austriaci hanno sempre una tale inventiva! » « Joseph Porta, è mio preciso dovere segnalarti al NSFO. Tientelo per detto, chiaro? » « Basta con queste storie, su », interviene il Vecchio irritato. « 2ª sezione, avanti tutti, dietro di me. » Porta inciampa nel corpo di un maggiore tedesco che porta ancora al collo la croce di cavaliere. « Gli eroi crepano tutti », commenta Fratellino mettendosi a cavalcioni sul cadavere, per sfilarne una grossa borraccia piena di vodka che poi fa passare ad ognuno di noi. « L'hai fregata al diavolo questa roba, perdio? » tossisce Porta mettendosi una mano al collo che si sente bruciare. « È vetriolo puro! » « Cosa state combinando, fannulloni? » grida un sergente sconosciuto. « A rapporto, sergente. Stiamo cercando di rianimare il maggiore! » « Sbrigatevi e via », ordina il sergente correndo verso la foresta. « Hai guardato bene? » mormora Porta. « Mi ero quasi dimenticato, merda! » risponde sgomento Fratellino aprendo impassibile la mascella del morto. « Tre denti d'oro purissimo. » « Ma cosa avete distribuito da bere, è un vero orrore! » dice a sua volta il Vecchio. All'improvviso una mitragliatrice comincia a crepitare; vediamo delle sagome scure poco lontane e sentiamo delle parole incomprensibili. Butto una granata, rispondono delle grida. « Razzo illuminante », ordina il Vecchio. Il razzo fosforescente si alza in cielo e tutto si illumina
144 di una luce bianca e accecante e noi sembriamo spettri in un cimitero. « Fermi, fermi tutti! » urla il Vecchio con angoscia, e per radio grida: «Qui reggimento di blindo 27 ZBV ». « Qui cacciatori 106. Parola d'ordine? » « Mela bacata », risponde il Vecchia Ci rimettiamo in piedi e ci incamminiamo verso il bosco ceduo. Toh! Ecco arrivare il sergente di poco prima." « Ancora voi! » grida quello. « Andate a farvi fottere, Cristo! » e raggruppa i suoi uomini. «Che coglioni!» commenta Fratellino. «Farsi sparare addosso dai camerati, per pura imbecillità! » « Eccovi qui, felicemente », grugnisce avvicinandosi a noi un colonnello cieco da un occhio, rivolto al Vecchio. « I Rossi hanno minato tutte le sponde del fiume, ma non sono riusciti a far saltare il ponte, che bisogna attraversare seduta stante. Passate prima voi con la vostra sezione e stabilite una testa di ponte, io vi seguo con la mia compagnia. Filare, sergente. » « Sì, signor colonnello », risponde il Vecchio, apatico, dirigendosi verso il ponte. A cosa servirebbe far osservare a questo colonnello che non siamo ai suoi ordini? Ci considera un dono del cielo quello, e ci adopererà per poter stabilire una testa di ponte. Si rallegreranno con lui dopo, ma siamo noi a pagare, naturalmente. « Vai avanti tu », ordina il Vecchio a Porta che ha sottobraccio il suo MPI. « Sei un po' tocco, amico », risponde Porta, senza alcun imbarazzo. « Se Adolfo in persona mi ordinasse di mettere un piede su quel ponte, io gli direi di no. Rivolgiti a Julius. » « Mi credi matto, forse? » ribatte Heide, col volto contratto dall'ira.
145 « Il fatto che tu sia membro del Partito, lo dimostra, se è per quello. » « Basta! » grida il Vecchio. « Vada avanti Porta con te. Si tratta di Mosca ora. Ti metterai in posizione al terzo pilone, mentre Sven ti copre, e lancerai da laggiù le granate, chiaro? » Con mille precauzioni procediamo malfermi lungo una putrella d'acciaio talmente scivolosa che rischiamo parecchie volte di precipitare. Non ho solo da portarmi appresso le granate ma anche la sacca delle munizioni, e i russi ci sparano addosso, senza sosta. « Il nostro vicino ci accoglie fra le sue tenere braccia! » dice Porta, sollevando all'indietro il suo cilindro giallo. Molto lentamente, carica la mitragliatrice e versa sul congegno una mezza bottiglia di olio russo. « Chi bene ingrassa, bene procede », dice. « L'ho imparato da un cinese che faceva il ruffiano nel 1937. Forniva un chilo di vaselina alla settimana alle sue puttane, perché non si accorgessero di quello che veniva loro infilato dentro! » Un rumore sordo, è Fratellino che si butta a terra con il suo MG vicino a noi. « Salute, ragazzi! » « Hombre! » geme Barcelona. « Questo mi ricorda altri tempi, quando eravamo sull'Ebro, insieme agli spaghetti in camicia nera. » Una granata di mortaio russo fa saltare la metà del pilone, due uomini feriti cadono dentro il fiume sotto di noi, e un cannone automatico tuona dalla parte opposta. Queste piccole granate sono odiose. Fan saltar via delle schegge di cemento dai piloni, che sibilano passando vicino alle nostre orecchie. Ed ora ecco due Maxim pesanti che ci sparano addosso con rabbiosa insistenza. « Indietro! » ordina il Vecchio, tesissimo.
146 Ma se noi ci apprestiamo a ritirarci, sarà il colonnello cieco da un occhio che si appresterà a sparare su di noi, e tutto sommato preferiamo ancora rimanere sul posto. « Tenete duro, ragazzi! » grida una voce dall'argine. « Arrivano i lanciafiamme! » È vero. Eccoli là i guastatori con i loro lanciafiamme e le cariche esplosive che volano al di sopra del fiume. Attacco su tutta la linea dei primi bunker dove i soldati si difendono con ferocia inaudita. Sono dei komsomol della regione industriale, coraggiosissimi. Mi è stata data una sacca piena delle atroci granate a mano di nuovo modello. Jl tenente guastatore mi aveva messo in guardia, consegnandomele : « Anche solo una goccia di questo liquido su una mano, divora la carne ». E la prova su un cane ci aveva fatti restare allibiti. Il povero animale infatti aveva accennato due o tre salti, aveva urlato, e quasi subito non ne era rimasto che lo scheletro. Sono tutto solo con la mia sacca, mentre gli altri si tengono a prudente distanza. Appoggiato da due guastatori attacco il primo bunker, uno di quelli grandi muniti di ascensore, la cui cupola sporge dal terreno come una grossa tana di talpa. Lancio tre granate, e lo spesso strato corazzato sembra fondersi, mentre il fumo acre brucia gli occhi e i polmoni, a dispetto delle nuove maschere che portiamo in viso. « Me la batto, io », dice uno dei guastatori, « Restare è pura follia. » « Tu resti qui, invece», lo minaccia il compagno con il suo lanciafiamme. « Non dimenticarti che sei con noi per punizione, perché avresti dovuto essere liquidato a Gemersheim, traditore! Il capo esige che tu stringa il culo qui, ma tu non vedrai mai Mosca, te lo dico io. » Io taccio. Non mi riguarda affatto che un tenente degradato sia stato trasferito nel corpo dei guastatori lan-
147 ciafiamme. Ne facciano pure ciò che vogliono i suoi compagni. Corro verso la buca più vicina, lancio ancora due granate e mi appiattisco sul fondo. I guastatori mi raggiungono, delle lunghe lingue di fiamma si dirigono sibilanti contro il bunker, e nel medesimo istante l'ex tenente si alza dalla buca e si precipita verso la trincea russa, con tutte e due le braccia alzate. « Fottigli una granata! » grida il suo compagno pieno di odio. « Fatevi i fatti vostri, se bisogna ucciderlo non tocca a me. » « Tovarisch, tovarisch! nicht schiessen! (compagni, compagni! non sparate!) » urla il tenente a qualche metro dalla trincea russa. Mi auguro di cuore che ci arrivi, perché è una morte orribile altrimenti per lui, a Gemersheim, in fondo a una cella! Noi lo sappiamo, noialtri della 5ª compagnia, che ci trovavamo là di guardia, appena dopo la campagna di Francia. Il capo della sezione speciale, l'Oberfeldtwebel Schòn, era insopportabile, per la verità. Per poco non aveva rotto la schiena a Fratellino che a sua volta gli aveva tirato uno scrittoio di quercia addosso. Il gigante ne è uscito un po' sciancato per sempre, dopo questo scambio di gesti di amicizia... Prima di tutto bisognava cercare di evitare di essere chiamati dal comandante della prigione, il tenente colonnello Ratcliffe, che era il più odiato fra gli ufficiali, ma tutti per la verità si odiavano a più non posso, e l'intera Gemersheim viveva veramente con il coltello fra i denti, mentre la povera compagnia di guardia se la cavava come poteva. Le varie compagnie restavano solo qualche mese, ma molto più disgraziato era il personale permanente, condannato a vita, anche se possedeva le chiavi delle celle! Nessuno osava uscire da solo dalla pri-
148 gione, per paura di imbattersi in un prigioniero liberato, che tornava a « rivedere » la sua prigione durante un permesso. Porta ed io abbiamo incontrato una volta un tenente, talmente decorato da sembrare una cartolina postale, che una notte, in trincea, ci raccontò che desiderava ardentemente ritornare a Gemersheim, per regolare i conti con tre tipi del personale permanente. « Ma mi ammazzeranno prima, forse! » gridava folle dal desiderio di vendetta. Non riuscì mai, comunque, a tornare a Gemersheim, perché i cacciatori russi su sci lo ammazzarono la notte stessa. Strano, però! I seviziatori se la cavano quasi sempre, di solito! Assassinano legalmente giorno dopo giorno, e ogni mattino reca loro nuovi nemici da uccidere; e si può incontrarli, pensionati, che tengono i nipotini sulle ginocchia! Il guastatore alza il suo lanciafiamme, prende di mira con estrema cura il tenente disertore, che ora è molto vicino alle linee russe. « Maledetto traditore! » borbotta il soldato, la cui voce suona cupa e sorda sotto la maschera a gas. La lingua di fuoco passa radente il terreno sconvolto, e del tenente non resta che una macchia nera, proprio a pochi metri dalla trincea nemica. Due secondi ancora, e si sarebbe salvato. Io non compiango chi si comporta come un imbecille, perché se si vuole veramente disertare e cavarsela, occorre una minuziosa preparazione. Quel cretino ha avuto quello che gli spettava, tanto più che essendo stato a Gemersheim, avrebbe dovuto sapere come ci si protegge dalla morte! L'attacco continua, si demoliscono i bunker uno ad uno, opere imponenti predisposte dalla organizzazione di difesa di Mosca; villaggi che sono già stati fatti saltare
149 una volta, saltano di nuovo, ci si batte per ogni metro di terra, mentre dei ponti vengono gettati senza soste sul fiume, per le lunghe colonne di carri e di batterie pesanti che avanzano verso la capitale russa, di cui ora si distingue nettamente il profilo, non lontano. Tutta la notte ci battiamo contro dei nemiti sfiniti ma indomiti, che applicano alla lettera la tattica della terra bruciata. Non si riesce dunque a recuperare niente, e il freddo aumenta di ora in ora. Gela a 52 gradi sotto zero, e il peggio è che non abbiamo olio antigelo per le armi. Arriviamo al punto di agganciare delle pietre surriscaldate intorno agli ingranaggi per evitare che si inceppino, dato che la nostra sopravvivenza dipende solo dall'efficienza delle nostre armi automatiche. Per di più, dal calar della notte, ecco i « macinini da caffè », vecchi bimotori che portano piccole bombe agganciate sotto la fusoliera. Finché si sentono i motori in moto si può ancora sperare, ma quando sopravviene il silenzio, nascondetevi, e al più presto! Un sibilo, un'ombra sulla neve, e tosto il fragore della bomba e le grida dei feriti. L'altra notte Porta è riuscito ad abbatterne uno, ma il pilota ha ucciso tre dei nostri prima di uccidersi lui stesso, così ci è passata la voglia all'istante, di avvicinare un pilota russo a terra. Fa talmente freddo che, nonostante il tremendo rischio, che ne consegue, non resistiamo alla tentazione di accendere grandi falò, e questo ci procura almeno delle pietre calde. Dal momento in cui i fuochi cominciano ad ardere, però, tuonano le demoniache calibro 75; gli osservatori russi infatti non possono non vedere i fuochi, e dove c'è un fuoco c'è un nemico, è ovvio. « Che freddo, Dio che freddo! » piange Stege disperato. « Se soltanto si potesse rimaner feriti e farsi evacuare! Darei una gamba per un buon letto d'ospedale. »
150 Barcelona si strofina freneticamente il viso, per salvare il suo naso già pericolosamente bianco, ma Porta lo mette in guardia. Lui se ne intende e sa che cosa bisogna fare in questi casi. « Non troppo forte, amico, se no il tuo bel nasone ti salta via. Fregati con la neve, è il solo mezzo pei scongelare una protuberanza congelata. » Barcelona non sarebbe il primo, in effetti, a perdere il nasol Ce lo si ritrova inaspettatamente fra le mani, e al suo posto c'è solo un foro. « Sono ben energiche le cimici, però! » grida Porta, grattandosi come un cane pieno di pulci. « Solo quando gli si gela il pungiglione quelle tagliano la corda! Ma è sufficiente riscaldarsi un poco e appallottolarsi per dormire, e loro si mettono subito a fare casino. » « È la guerra », replica il Legionario, « anche le cimici si battono contro gli invasori fascisti. » « Io non sono mai stato fascista; che marcino tutte contro Julius Heide, che è pieno di sangue nazi, perdio! » « È ben strano però, essere quasi a Mosca! » esclama Stege. « Sei mesi fa non ci si pensava neppure, ma ora si tratta di penetrare nella città e in quindici giorni avremo firmato la pace, finalmente. Quando saremo sulla Piazza Rossa, Stalin sarà fottuto, amici. » « È più lontano di quello che crede, il Cremlino! » dice Porta che batte i piedi per terra per scaldarsi. « Il Cremlino? Ma se si vede di qui! » «Abbiamo anche visto l'Inghilterra, se è per quello, ma non ci abbiamo mai messo i piedi sopra. I Lord non avevano che da comportarsi bene, credevamo, ed ecco fatto tutto. Noialtri tedeschi abbiamo proprio la mania dì grandezza, però! 'Che Dio punisca l'Inghilterra! ' diceva il Kaiser! Perché non l'ha fatto lui stesso, maledizione? Ora è la volta di Adolfo, ma io temo proprio che non ce
151 la faccia neanche lui, anche mettendocela tutta. » All'alba, tiro micidiale da parte dei russi. Le cannonate si succedono senza interruzione, e scavano enormi crateri nel suolo ghiacciato. Dalla foresta, ecco che si vede la fanteria nemica! Spossate, le sezioni tedesche escono dalle rovine, mentre dei razzi illuminano le orde sovietiche che arrivano come una marea, gettando urla selvagge. Con rapidità febbrile si installano le mitragliatrici, le baionette luccicano, si predispongono le granate sul bordo della trincea, ma se arrivano fin qui, certo è la fine. Siamo troppo pochi ormai per un corpo a corpo, e non ne sono rimasti molti di quelli che partirono all'attacco il famoso 22 giugno! La maggior parte di loro è una lunga fila di cadaveri fra Minsk e Brest-Litowsk, e da Kiev a Mosca. A migliaia navigano nel Volga e nel Dniepr, gloriosi morti immolatisi per la grande Germania e il suo Führer. Un fantaccino esce da questa nube di vapore nera e rossa, scoppiando a ridere come un folle; getta il suo fucile e annaspa come un animale ferito sul suolo, frustato da una pioggia di ferro e di fuoco. Nessuno pensa a fermarlo, perfino uno di quei cani delle gendarmerie si accorgerebbe che è impazzito, perché le sue grida sono inequivocabili; non è certo un simulatore, purtroppo. I gendarmi lo spedirono all'ospedale, ma possono ugualmente abbatterlo, per sbarazzarsene. Il tiro tedesco non è meno terribile, ma i russi procedono impassibili verso questo fuoco mortale. Una nuova fila di vivi rimpiazza subito la fila dei morti. È come un flusso di marea di uomini in uniforme kaki, tra i quali si riconoscono subito i commissari politici, con i loro berretti di pelo dalla falce e martello. Aggiungete la croce verde, segno di potere implacabile! Guai al soldato sovietico che esiti anche solo un istante ad avanzare, i
152 commissari se ne incaricano immediatamente. Le granate volano, i contatti con la nostra retroguardia sono interrotti e quelli attaccano, baionetta in canna, in ranghi compatti falciati dalle nostre armi. « Che massacro! » dice Heide. « Sono veramente dei fanatici. » « Mica poi tanto. Da loro, l'uomo costa molto meno caro di una munizione. E prima ancora di averne ammazzato la metà, noi non avremo più niente da sparare. Non siamo i primi ad aver tentato, del resto. La Russia non la si può prendere, è inutile. » Di colpo, due russi saltano dentro la trincea e se Fratellino non si trovasse sul posto il tenente colonnello Moser e il Vecchio ora sarebbero già stati infilzati. Ma con il suo gigantesco pugno lui li prende per il collo, e li strozza. Proprio nel medesimo istante in cui risuona l'ordine di ritirarsi, arriva in appoggio una batteria di artiglieria. Fuoco nutrito di granate al fosforo sul nemico, e le ondate umane in un batter d'occhio sono mutate in torce. Le successive esitano, infatti, e i commissari sparano nel gruppo, ma invano; i loro uomini si ritirano, presi dal panico, ad intere colonne, e all'improvviso ecco che la terra di nessuno è di nuovo deserta... no, non deserta, tutt'intorno giacciono dei monconi, dei cadaveri, e dappertutto nel fitto sottobosco relitti umani si dondolano al vento. Puliamo le armi, riempiamo di nuovo i caricatori, lavoriamo come pazzi. Chissà quando ritorneranno, quelli? Le slitte motorizzate di approvvigionamento arrivano alle nostre spalle, e aiutiamo i soldati del convoglio a scaricare le munizioni. Sono dei vecchi fanti dell'ultima guerra, che lo stato maggiore ha destinato a questo compito per risparmiar loro il fronte, ma hanno da combattere
153 contro i partigiani e le mine, in compenso. Dei poveri fossili, che non parlano più di donne e si accontentano di scrivere lunghe lettere a delle mogli dal viso sciupato, terrorizzate dalle incursioni aeree sulla Germania. E molti di loro hanno figli della nostra età, che sono in prima linea, purtroppo. Subito dopo il calar della notte, nuovo attacco dei russi, che marciano ora spalla contro spalla. Per fortuna la nostra artiglieria li falcia, e per tutta la notte questo macello umano prosegue sulla piana. Avanziamo su cumuli di cadaveri, aggrappandoci alle loro braccia irrigidite per non scivolare sul terreno gelato, ma verso il mattino, nuovo attacco. Questa volta, sfondano il tiro di sbarramento é noi ci prepariamo al nostro ultimo combattimento. Ma, cosa straordinaria, il maltempo ci salva! Una tempesta di neve arriva sopra il fiume e ricopre la terra come un piumino di neve. Impossibile riconoscere l'amico dal nemico. Si marcia alla cieca, si grida la parola d'ordine, e se la risposta non giunge nell'intervallo di qualche istante la baionetta si ficca dentro a un corpo. Solo chi è più rapido riesce a prolungarsi la vita, ma spesso si prende un abbaglio e si apre il ventre di un compagno. Che cosa importa, pur di sopravvivere! Questo tipo di guerra non ce l'hanno insegnato -alla guarnigione; però, questa è la guerra delle bestie feroci e selvagge, e durante le brevi pause affiliamo i coltelli da trincea, la cui lama ora potrebbe fungere da rasoio. Per proteggerci dalla tempesta furiosa ci siamo avvolti il viso con degli stracci, solo gli occhi sono lir beri, ma l'olio delle armi gela e le mitragliatrici rischiano di diventare inutilizzabili, ed è il corpo a corpo, ora, dove coltelli e pale sono le nostre armi migliori. Abbiamo, per nostra fortuna, le pale dei soldati russi uccisi, e quelle di Ivan sono molto migliori delle nostre. Nelle mani di Fratellino
154 una pala tedesca si rompe al primo colpo, mentre quelle rozze dei russi resistono e tagliano di netto la testa che salta via come una palla, sempre che si colpisca proprio sotto l'orecchio, naturalmente. Non bisogna colpire la gola infatti, perché è sovente protetta dal tessuto molto spesso del bavero del cappotto. Pala in una mano e revolver nell'altra, si salta di buca in buca, pronti a balzare di nuovo quando si è ripresa un po' di lena, e quando il cuore che batte all'impazzata si è un po' calmato. L'artiglieria pesante ha piazzato uno sbarramento, ed è un inferno. Dalla foresta escono immense fiamme bianche e gli alberi cadono come sotto una falce gigantesca. Si vedono i russi che si rifugiano dietro ai morti usandoli come schermo, poiché un cadavere è ugualmente efficace di un sacco di sabbia. Per quel che riguarda la sensibilità, al fronte non c'è più posto per essa; ma non lo rimproverate ai disgraziati soldati, bensì ai criminali che provocano le guerre! Spari e attacco cessano, lentamente. Quello che si sente ora sono le grida dei feriti, e proprio davanti alle nostre linee c'è un uomo che grida da tutta la mattina e che ci rende folli. Gettiamo delle granate verso il punto dove pensiamo si trovi, ma ogni volta che la neve ricade e noi pensiamo di averlo raggiunto, quello riprende i suoi atroci gemiti. Il Vecchio pensa che abbia ricevuto una carica esplosiva nel ventre, e la sua morte avverrà perciò con molta lentezza; non può essere infatti un proiettile penetrato nel polmone, che rapidamente soffoca il malcapitato che ne è stato colpito; si soffre terribilmente, certo, ma almeno la morte è quasi istantanea. La cosa migliore è ancora lo scoppio di una granata nella coscia, perché l'arteria sezionata vi svuota del sangue, prima che abbiate il tempo di accorgervene. Le ferite al ventre e alla testa sono le peggiori, e anche se si andasse alla ri-
155 cerca di quei poveretti rischiando la propria pelle, cosa si potrebbe fare per loro? Sono fottuti. Chi sarà? Un tedesco, poiché grida costantemente: « Mutti, mutti! Hel miri » (mammina, mammina, aiutami!) Un russo griderebbe « Matj! » e sicuramente poi deve essere giovane perché in caso contrario non Chiamerebbe sua madre. I più adulti chiamano le loro mogli, infatti. Non se ne può più, e al crepuscolo il Vecchio chiede volontari per andare alla ricerca del ferito. Nessuno si fa avanti. « Razza di coglioni! » dice, issandosi sulla spalla la barella della fanteria. Moser vuole fermarlo, ma senza alcun rispetto per il grado, il Vecchio gli da uno spintone. « Merda! » dice Porta, levando la barella dal dorso del Vecchio. « Andiamo noi a cercare quello sciagurato che non fa che gridare! Ma al ritorno gli rompiamo il collo, a quello. Forse è un volontario anche, che si illudeva che la guerra è un gioco da signori! » Piegati in due corrono nella terra di nessuno. Fratellino agita uno straccio bianco, cosa che non è d'altronde così indispensabile perché i vicini devono soffrire quanto noi di queste urla. Gli spari si arrestano, infatti, come per incanto. I due spariscono nella buca di una granata, ma non è certo piacevole per nessuno trovarsi così a tiro di fuoco. Moser spedisce di furia una staffetta alla retroguardia e il comandante russo dalle linee nemiche agita una bandiera bianca. La loro artiglieria si è zittita, così come la nostra. Porta esce dalla buca, molto vicina alla trincea nemica, e raggiunge il ferito, che non ha che diciassette anni e come diceva il Vecchio, una carica di esplosivo nel ventre lo aveva dilaniato. Porta e Fratellino l'hanno ora ricondotto indietro, ma muore poco dopo e
156 noi gli abbiamo sacrificato una preziosa dose di morfina. Non c'è tempo per sotterrarlo e lo ricopriamo di neve. A turno, ognuno si avvicina al fuoco per scongelare le armi e riscaldare alla meglio le ossa ghiacciate I russi hanno in dotazione delle maschere contro il freddo, mentre noi dobbiamo accontentarci di sciarpe, e deprediamo i cadaveri nemici per toglier loro quelle eccellenti maschere e gli stivali di feltro. « Oggi è il primo dicembre », dice Heide, « la guerra sarà presto finita, amici. » Stupefatti, cessiamo di battere i piedi per terra vicino al fuoco. « Come fai a saperlo? Stalin ti ha telefonato, forse? » « Il Führer ha dichiarato che questa sporca razza di vermi sarà sterminata a Natale», afferma fiero Heide. Lo scoppio di risa è tale che i membri del Partito non devono certo essere in forte maggioranza al fronte, evidentemente! « Dio, che freddo che fa! » geme il Legionario, buttando un pezzo di legno sul fuoco che si va spegnendo. All'interno delia foresta abbaia una mitragliatrice, e il suo crepitio sommesso appare comicamente anodino rapportato a quello delle granate. Accendiamo dei fuochi, molti fuochi, per riuscire a sopravvivere a questo freddo mortale, mentre alcuni mortai crepitano, delle granate filano sopra le nostre teste in lunghe sottili traiettorie, ma sono abbastanza lontane e non ci sentiamo inquieti, a parte Stege che non riesce a non guardare costantemente nella direzione di partenza del tiro. «Calma, ragazzi», dice il Vecchio, « non perdiamo il controllo dei nervi senza ragione. Avranno bisogno di tempo ancora, prima di arrivare fin qui. Sarà solo quando la neve comincerà a sciogliersi che bisognerà stare con le orecchie tese e non chiudere mai tutti e due gli
157 occhi. » « Ma perché aspettare proprio qui? » chiede Barcelona inquieto. « Perché gli ordini sono gli ordini. La guerra è fatta così, non è lecito fare di testa propria. » « Oh, che merda! Da quando abbiamo messo piede in questa stramaledetta marcia armata, non si sente che questo ' verbo indiscutibile '. Gli ordini sono gli ordini! E tutto perché un cretino col bavero della divisa pieno di nastri ricamati l'ha deciso. » « Le tue stellette di tolla devono pesarti molto, sergente Blom », ride Porta. « Ma non è difficile, sai, sbarazzartene. Devi solo dichiarare di averne le balle piene, e a Gemersheim ci sono un sacco di specialisti nello scucire le stellette dalle spalline. » Una granata di mortai scoppia al limite della foresta; ne seguono altre, poi un sibilo seguito da gemiti e grida. Ora bisogna sbrigarsi perché nell'area di 50 metri tutto fra qualche istante sarà distrutto. Prima ancora che noi si sia riusciti a correre sotto un riparo, infatti, ecco un'esplosione enorme, e scoppi susseguenti che sibilano come draghi infuriati. Il panico che ci ha invaso tutti è a malapena svanito, quando ne arriva una seconda, e mi sono appena alzato per correre a un riparo, che la bomba scoppia proprio davanti ai miei piedi, e una valanga di neve mi ricopre. Trasformato in una palla di neve, cerco di avvicinarmi allo squarcio del terreno provocato dall'esplosione, dove già Porta e Stege si stanno appiattendo. Con stupore sento molto calore dentro la cavità, e la neve infatti cola in acqua lungo i bordi del cratere. Ancora un sibilo prolungato poi un'altra spaventosa detonazione, e un'ondata di aria calda passa sopra di noi simile a un fiato mortale. Come una foglia morta durante un uragano, vengo
158 proiettato lontano, proprio nella terra di nessuno, ma qui il mio volo viene bruscamente arrestato dai fili spinati, e quando poco dopo riprendo conoscenza sento degli spari che provengono da un folto di alberi scuri. Disperato e sgomento, mi butto a scavare con le mani una buca per interrarmi in qualche modo ma una nuova granata sembra stia per cadere proprio sopra di me. L'esplosione è così violenta che quasi mi mozza il respiro, e ne segue dopo qualche istante un'altra. Mi butto a correre verso la nostra postazione, e correndo sento un sibilo che corre anch'esso sopra la mia testa, e piombo dentro la trincea proprio mentre l'esplosione scoppia alle mie spalle, inondandoci completamente di neve. All'improvviso, il fuoco dei mortai sembra cessare. Ci raggruppiamo dentro le rovine del villaggio e qui il Vecchio, di umore pessimo, reclama il controllo delle piastrine di identità perché, a suo avviso, non ha alcuna importanza per le autorità e le alte sfere dell'esercito, se verremo tutti uccisi o meno. Prima di tutto è necessario fare un conteggio preciso delle perdite, per poter provare in modo indiscutibile che siamo morti. Tutto questo, ovviamente, al fine di potersi accertare che nessuno ha disertato, e in caso contrario invece, al fine di poterne riferire alla gendarmeria. Durante la prima guerra mondiale, vennero conteggiati ben 8916 disertori dei quali solo sette uscirono indenni, fatto questo che colmò di giòia la gendarmeria stessa. Un buon esempio, dunque, per ispirare a noi il terrore di agire allo stesso modo di quei poveracci! L'ultimo di quelli che avevano tentato di disertare l'abbiamo tenuto noi sotto stretta sorveglianza per ben sette giorni, prima che la gendarmeria finalmente se lo accollasse e se ne occupasse personalmente. Sua moglie gli aveva scritto che il mare aveva rotto gli argini e che il fieno bagnato aveva cominciato a marcire. « Se
159 solo tu potessi essere qui, Herbert!» aveva scritto la donna, senza sapere che questa frase avrebbe significato la morte certa del marito. Il contadino Herbert Damkul infatti si era messo in viaggio, ina era stato riacciuffato nei pressi di Brest-Litowsk. Era stato segnalato mancante all'appello da sole diciannove ore; e, seduta stante, condannato a morte al campo di Paderborn, fu fucilato qualche giorno dopo a Scnnclager. Pioveva, e il suo fieno continuava a marcire in Frisia, al di là della diga che si era squarciata. Il Legionario tiene pazientemente la sua fiaschetta al disopra della fiamma del fuoco, per cercare di scongelarne il contenuto. Ogni tanto la scuote e tutti noi sentiamo il rumore cristallino dei pezzi di ghiaccio all'interno della borraccia di metallo, e seguiamo in silenzio ogni suo gesto. Si toglie di tasca una tazza di porcellana, vi versa dentro il caffè che ora è caldo e emana un vapore invogliarne, con gli stessi gesti educati con cui i francesi eseguirebbero questo delicato compito. Il nostro compagno ha condiviso per tanto tempo la vita con loro che ne ha assimilato molto più di noi le consuetudini. « Sembra quasi di essere seduto al Cafè di rue de la Paix a Parigi, in una sera di maggio », fantastica nostalgico arrotolandosi una sigaretta, cui inserisce un piccolo' filtro russo che produce un aroma speciale. « Dio sia ringraziato! Domani siamo a Mosca », grida Heide, che si sta lucidando freneticamente gli stivali, a dispetto della loro già notevole lucentezza. Si pettina con cura e pulisce meticolosamente il suo revolver. Sempre ligio ai regolamenti, quello, perfino a letto, senza dubbio. Il Legionario contempla i pini scuri che delimitano il bosco con aria nostalgica. « Dovreste vedere Parigi in una sera di maggio. Le ragazze hanno addosso abiti così leggeri che sembra quasi che si possano soffiar via con
160 un sospiro e alla minima brezza di vento infatti tutte le loro gonne si sollevano. Il mondo intero si dà appuntamento al Café de la Paix. È uno spettacolo straordinario, e chi non l'ha mai visto, non ha mai visto niente, dovete credermi! » « Io ci sono stato, a Parigi », ribadisce Fratellino, per nulla scosso da queste eteree descrizioni. « Ma mi hanno fottuto e messo alla porta da tanto che ero ubriaco. Dopo una pioggia di sberle tanto tedesca quanto francese, per la verità, sono arrivati quei disgraziati della gendarmeria e il divertimento è finito, immediatamente. Sono stato accusato di aver ' insudiciato la reputazione dell'armata tedesca ' agli occhi di tutta la Francia! Come fosse possibile fare altrimenti! Io l'ho dichiarato al capo di quei cretini a Fre-sne, e allora mi hanno raddoppiato la pena, soprattutto quando ho aggiunto che eravamo tutti dei coglioni, ma che alcuni erano più bravi di altri a nasconderlo. I più furbi, infatti, si facevano cucire delle stellette fasulle sulle spalline, e vi giuro che la cosa ha funzionato benissimo, per un po'. Ma il capo guardiaciurma mi ha accollato otto giorni supplementari di arresto, per aver osato offendere gli ufficiali della grande Germania con un sospetto di questo tipo. Sono guarito subito cosi dalla voglia di sedermi al Café de la Paix dove i culatoni e le puttane si danno appuntamento, come tu sostieni, caro Barcelona. » Un violento, improvviso tiro di granata interrompe il suo racconto. È la quarta volta che il « professore » viene proiettato lontano, contro i reticolati, e impreca come un pazzo quando lo recuperiamo. Ha perso gli occhiali, infatti, è cieco ora, e questo lo rende folle di rabbia e di impotenza. « Cretino », commenta Fratellino. « In guerra non non c'è nessun bisogno di vedere. Si marcia diritti verso il
161 cannone di Ivan, e basta. Dove lo senti tuonare accorri, ecco tutto. » Il nostro comandante in seconda, tenente Jansen, geme nel fondo della trincea. L'abbiamo coperto con tutti i pastrani dei morti, ma rabbrividisce di freddo ugualmente con una febbre da cavallo e terribili dolori alle reni. A dispetto del suo grado, è molto più giovane di quasi tutti noi. Arrivato qui direttamente dalla « fabbrica degli ufficiali », come si suol dire, tutto quello che sa l'ha imparato da noi, e ci guarda sempre con flebile timore infantile. È abbastanza intelligente per capire che non è che un peso per noi, e che se appena lo volessimo lo faremmo fuori e nessuno di noi se lo rimprovererebbe. Se si è in postazione, infatti, la cosa ancora regge, ma se siamo costretti a muoverci, è chiaro che rappresenta una grossa palla al piede per tutti, in quello stato. Il poveretto intuisce che per-sto o tardi saremo costretti ad abbandonarlo nella neve, ben avviluppato nelle coperte, con un pacchetto di sigarette stretto fra le mani e una pistola, dove passerà tranquillamente, ce lo auguriamo tutti, dalla vita alla morte, assiderato. « Camerati », grida Porta, « quando dirò tre... » Dato che ci sentiamo addosso gli occhi di Jansen, ci sentiamo tutti a disagio e ci vediamo costretti ad allontanarci di qualche metro da lui per occuparci delle nostre armi. Il Vecchio viene a sedersi vicino a lui e gli getta un'occhiata affettuosa. « Come va? » chiede, sistemando il fodero di una maschera a gas sotto la nuca del giovane ufficiale febbricitante. « Male », risponde Jansen con stanchezza e palese sofferenza, asciugandosi con uno straccio sporco la fronte madida di sudore. « Mi hanno condannato. » « Che sciocchezza state dicendo? E perché mai lo fa-
162 rebbero? » « Porta ha fatto una scommessa, e mi ha dato solo tre giorni. » « Ma stanno giocandosi una bottiglia di vodka quelli! » dice il Vecchio, fingendo uno scherzo. « Hanno scommesso quanti giorni durerò ancora, invece, e Porta ha detto tre giorni », mormora il giovane con ostinazione. « Cercate di riprendervi un po', tenente, ricordate che siete il comandante in seconda. È un dovere farsi forza, sapete? » « Metterei fine ai miei giorni da solo, se lo potessi », dice con fermezza il tenente mostrando il suo revolver. « Sono molto malato e vi procuro solo disturbo e peso. » « Andiamo, su, un po' di coraggio », replica il Vecchio, « non siete poi così grave come credete. Che mestiere facevate prima di essere richiamato? » « Impiegato di banca », risponde il giovane con aria stanca, «e non posseggo alcuna delle doti necessarie per essere un buon ufficiale, un militare nel senso esatto della parola. Voi sì, sergente, dovreste essere ufficiale, non io che non ne ho la stoffa. » Il Vecchio scoppia in una risata. Ufficiale, lui! Quasi non riesce a capire come ha fatto a diventare sergente, sebbene, anche se non vuole riconoscerlo, è realmente nato per una posizione di comando. « Cosa sta facendo Ivan? » chiede il giovane tenente. « Sono stato alla 3ª sezione ieri, per assistere all'interrogatorio dei prigionieri. Il nostro vicino di casa sta raccogliendo tutto quello che può, dicono, e truppe fresche equipaggiate magnificamente di novità in fatto di indumenti invernali e armi. Innumerevoli battaglioni di siberiani, dei fanatici cui è stata promessa la luna se riescono a schiacciare sotto i piedi i fascisti. Centinaia di T
163 34 sono già sotto pressione, con il motore in moto, pronti a partire alla carica. Se tutto quello che dicono è vero, noi potremmo cominciare subito a fare i bagagli... » Il Vecchio accende la pipa, poi estrae il caricatore del suo fucile mitragliatore per esaminarlo con occhio critico. « Sempre nessun ordine per noi dallo stato maggiore del reggimento? » « Non ancora », conferma il tenente preso da un nuovo attacco di febbre. « Ma succederà certamente qualcosa! Non possono piantarci qui a questo modo e tagliare la corda! » « Certo che la cosa li metterebbe in un certo imbarazzo », replica il Vecchio, con sarcasmo. « Ma cosa conta una pulciosa compagnia davanti alla possibilità di poter salvare un intero reggimento? La maggioranza passa davanti alla minoranza, è la legge del Partito, questa. » « Che il demonio maledica il Partito, il Führer e tutta questa maledetta guerra », borbotta il tenente battendo i denti. Un tiro violento rompe il silenzio, e ogni cosa intorno è avvolta in un fumo acre e bruciante. Uomini proiettati fuori dalle loro buche saltano e ricadono sulla neve, e alcuni di essi tentano di rialzarsi ma vengono nuovamente proiettati contro gli alberi che bruciano anch'essi come tutto quanto ci circonda. In un istante, la neve e la terra cuociono insieme, colpite dal metallo infuocato. Fuggiamo indietro attraverso un vapore soffocante, quasi impenetrabile, ma che almeno ci protegge dalla vista dei russi. Un colonnello è stato lanciato contro un albero, le labbra aperte in uno strano sorriso di morte. Ha perduto tutte e due le braccia che sono cadute lontano e sanguinano sulla neve candida. Alcuni cosacchi corrono, con la sciabola sguainata, poi spariscono inghiottiti dal fumo. Un tiro a quattro tedesco che galoppa via si
164 schianta ed è ridotto in poltiglia sanguinante, e davanti a noi, il terreno si apre, come stesse avvenendo un terremoto; le pietre, la terra, la neve, lutto è ' violentemente spinto lontano, non resta che un enorme cratere profondo, dove una casa di quattro piani non raggiungerebbe la superficie col suo tetto! Un camion vola in aria, sopra le nostre teste, con il conducente seduto al volante che sembra stia tuttora guidando, e poi atterra dentro la cavità del cratere riducendosi in un ammasso di ferraglie contorte. Poco lontano un soldato, i cui intestini colano sanguinando dal ventre, grida a squarciagola e poi si ripiega su se stesso per poi sparire in un geyser di fuoco. Grandi tronchi d'albero, cui sono appesi brandelli di corpi umani, filano nello spazio con una forza da titani e uh impulso che sembra soprannaturale, e si conficcano lontano nel suolo come enormi lance puntute di giganti. Porta e io trasportiamo faticosamente la mitragliatrice. Fratellino si è caricato sulle spalle il tenente Jansen, e in qualche modo prendiamo posizione tra le rovine, guardando atterriti un nugolo di Jabos che invade il cielo grigio.
165 È ormai del tutto inutile ricorrere alla Giustizia. Un ordine diretto del Führer sarà più che sufficiente ove si trattasse di esecuzioni capitali di criminali dello Stato. Himmler, al Capo della Polizia, SS Gruppenführer Kurt Daluege. 3 gennaio 1942
Da ben tre ore consecutive, Hitler infuriava parossisticamente al Grande Quartier Generale. « Banda di vigliacchi, traditori, miserabili! » urlava diretto a tutti i suoi ufficiali muti e immobili, seduti ai due lati della grande tavola di quercia massiccia. Il maresciallo Keitel si gingillava con una matita, mentre il generale Olbricht contemplava una mosca che zampettava sulla grande mappa delle operazioni belliche in corso. L'insetto si faceva strada in mezzo alle diverse bandierine colorate e finalmente si arrestò del tutto sopra una grossa macchia circolare colorata di rosso: Mosca. Il generale Jodl sfogliava un fascio di documenti sull'insufficiente produzione di mezzi corazzati; il maresciallo Goering schizzava dei disegni per delle nuove uniformi, e l'SS Reichführer Himmler annotava frettolosamente gli ordini confusi che uscivano a fiume dalla bocca del Führer. « Licenziate seduta stante Guderian! » urlava Hitler. « Hoepner, questo criminale dilettante, non deve nemmeno lui comparirmi più davanti. Non ho forse ordinato alle truppe di difendere fanaticamente le posizioni acquisite e di combattere fino all'ultimo uomo e l'ultima cartuccia? E cosa mi venite a dire, ora? Che appena quei trogloditi si mettono a sparare, la nostra immonda soldatesca molla tutto e scappa come una lepre! Arrossisco di vergogna pensando al popolo tedesco; e se non fossi un uomo d'onore, rassegnerei le mie dimissioni adesso, seduta stante. »
166 Accompagnò questa sfuriata con un violento calcio contro una sedia, che colpì agli stinchi il generale Fellgiebel. L'uomo osò emettere un flebile gemito di dolore e il Führer gli lanciò di rimando uno sguardo carico di odio omicida. « Il feldmaresciallo von Bock viene destituito dalla sua carica, e gli proibisco personalmente e da questo stesso istante di indossare in pubblico la divisa. Haider mi ha fatto sapere che abbiamo un milione e centomila fra morti e feriti gravi... ma, infine, cosa significa tutto questo? Catastrofe, osano dire! No, è solo una bella ripulita, perché solo i vigliacchi possono essere sopraffatti da questo branco di gente di razza inferiore che abbiamo di fronte. Proibisco nel modo più assoluto qualsiasi decorazione al merito o avanzamento fino a che tutta la nostra armata non sarà riabilitata, chiaro?» Hitler pretese anche la destituzione di trentotto generali, dei quali dodici vennero giustiziati. Model, generale in capo di tutti ì mezzi corazzati dell'armata, fece presente che Napoleone aveva invaso la Russia il 22 giugno e raggiunto Mosca il 14 settembre esattamente ottantasei giorni dopo, quindi, e ai tempi in cui i soldati della Grande Armata avanzavano praticamente a piedi. Mentre il 14 settembre 1941 le truppe motorizzate di Hitler si trovano purtroppo ancora a ben 341 chilometri da Mosca. Per cinque lunghissimi minuti Hitler, rigido e terreo come un morto, fissò il piccolo generale a bocca aperta, poi esplose in una furiosa imprecazione e gli buttò sul viso un fascio di documenti. « Osate dire che io, il Führer della Grande Germania, sono inferiore a quel ridicolo corso? Solo un popolo degenerato come quello francese pu§ andar fiero di un individuo come lui! Model siete destituito, e non comparitemi più, davanti, perché avete offeso la Grande Germania con le vostre parole. » Solo otto giorni più tardi Hitler fu cionondimeno costretto
167 a riabilitare Model, perché questi organizzasse alla meglio la ritirata. Altri sei generali prima di lui avevano rifiutato questo onore, e due di loro erano stati minacciati di invio immediato in un campo di concentramento, ma ugualmente non avevano ceduto. La crudeltà del Führer da quel giorno non conobbe più limiti. Truppe speciali furono inviate al fronte con l'ordine di sparare sui traditori che erano riusciti ad aprire, una breccia nelle linee del nemico, e vennero così giustiziati, e dagli stessi tedeschi, molti soldati che si erano battuti come eroi per evitare l'accerchiamento dei russi. Senza alcuna inchiesta anche formale, e senza alcuna reale cognizione della situazione contingente, vennero tutti fucilati. Quelli che si presentavano disarmati erano ugualmente perduti; fu loro fracassata la mascella con un colpo di canna di fucile, e furono quindi tutti allineati davanti al plotone di esecuzione.
168
IL CAPITANO MONGOLO Wolf, il sorvegliante del parco macchine, ha inaspettatamente osato avventurarsi fino alla nostra posizione, che con accanimento ci sforziamo di mantenere a dispetto del rischio costante e mortale. Bolso e asmatico, si siede in qualche modo sul relitto di un affusto di cannone, e accende con aria pensosa uno di quegli eccellenti sigari che solo lui e i fedeli del Führer hanno il privilegio di fumare. Gestisce la più grossa concessione di auto private dell'armata tedesca, e si può acquistare tutto presso di lui, a condizione che venga pagato in valute forti. Due grossi pastori tedeschi, i cui occhi gialli e lucenti ci guardano vigili, sono sdraiati ai suoi piedi. Un solo gesto del loro padrone, però, e quei molossi ci farebbero a pezzi, a piccolissimi pezzi. Wolf indossa un costoso cappotto da ufficiale foderato di pelliccia, che lo rende molto simile, per la verità, a un generale da operetta di un piccolo teatro dei quartieri bassi di Vienna. Bottoni e decorazioni sono in argento puro e un berretto di pelo e una sciabola, che non taglierebbe in ogni caso neanche un filo d'erba, completano l'abbigliamento. Chiunque verrebbe punito per questa volgare carnevalata, ma a Wolf tutto è concesso. Solo Porta osa tener testa a questa specie di bandito, nessuno di noi si azzarderebbe a farlo. «Cosa diavolo ti ha portato fin qui, vecchio bolso? » chiede infatti Porta, diffidente. Wolf sghignazza condiscendente, la mascella aperta che brilla tutta d'oro; si illude infatti di essere molto elegante, potendo ostentare una bocca carica di denti d'oro. Il giorno che mettemmo per caso le mani su una clinica
169 dentaria russa completa di tutto il personale, Wolf si fece d'autorità ricoprire tutti i denti, di una spessa placca d'oro puro. Fino a quel giorno aveva sorriso raramente, ma ora era un sole splendente. « Sono venuto per salutarti », esclama untuoso. « Parti? » « No, non io. Tu. » « Cosa vuoi dire, disgraziato? » chiede Porta, preso alla sprovvista da una sensazione molto sgradevole. Se un tipo come Wolf si è avventurato fino alle prime linee per venirgli a dire qualcosa, è certo una cattiva notizia. « Vuol dire che lo so, ecco tutto. Quando si vive nell'ambiente automobilistico-militare, si hanno delle relazioni di un certo tipo. So anche che i tre camion ZIM che hai rubato non ti serviranno affatto, dove stai andando. Allora ho pensato che potremmo fare un piccolo affare, noi due. Ti propongo un blocco massiccio di generi alimentari e di munizioni di prima scelta, sufficiente per un'intera sezione. E per te personalmente, un blocco extra di 150 chili. Ne avrai molto bisogno nei giorni a venire, te lo dico io. Ma la decisione spetta a te, naturalmente, e sei liberissimo di rifiutare. Se preferisci marciare accontentandoti della razione regolamentare della bassa truppa, senza un grammo di lardo in più, fai come vuoi, ma certo che avrai una tale fame che i brontolìi del tuo ventre si sentiranno fino a Berlino, amico! » « Su, farabutto », dice Porta sempre diffidente, ma anche un po' inquieto. « Cosa hai saputo che mi riguarda? » Wolf con aria pensosa si taglia una grossa fetta di salsiccia, senza peritarsi di nascondere che l'impazienza di Porta lo diverte enormemente. « Uno ZIM di cinque tonnellate contro il mio segreto. »
170 « Merdoso! » replica Porta con aria indifferente, giocherellando con la sicura del suo fucile mitragliatore. « Gli ZIM rappresentano per me il biglieto di ritorno a Berlino, amico; non posso separarmene, lo puoi ben capire. » « Grazie per l'informazione », sorride trionfalmente Wolf, rimettendo in mostra tutti i suoi denti d'oro. « Stai pur certo che non ne dubitavo, se è per quello. E dimmi, è vero che ti sei anche messo da parte una batteria di Haubitzer calibro 15? » « Cretino! Cosa pensi che me ne farei di un Haubitzer? Non sono mica un artigliere, io, lo sai meglio di me! » « Vorresti farmi credere che non hai previsto che la grande armata tedesca si tiene bene attaccata la pelle del culo, davanti alla imminente disfatta? La penuria dei cannoni è tale che tu potrai chiedere quello che vuoi per la tua batteria privata, e al momento che ti parrà, anche. » « Come coglione sei uno dei migliori, Wolf! Sarà semplicemente requisita. » Wolf scoppia in una risata e inghiotte una sorsata da un flacone di argento decorato, senza offrirne una goccia a nessuno naturalmente. « Non credi nemmeno tu a quello che dici, e lo sai bene. E sai bene anche come giostrare le proposte d'affari. » « Fai attenzione a non passare i limiti », dichiara Porta irritato. « Sono pronto a scommettere che quando i tedeschi qui, si metteranno a fare marcia indietro, Ivan non ti darà neanche un copeco per il tuo parco macchine! E il giorno che marcerai diretto a Kolyma, sarei proprio contento di farti una visitina e vedere coi miei occhi come crepi bene nelle miniere di piombo. Taglieranno le code dei tuoi sporchi cani e te le cacceranno dentro il buco del
171 culo, perché tu possa essere utile almeno a scopare la strada. » « Non hai una grande opinione di me, evidentemente », dice Wolf, con aria offesa, « ma puoi essere sicuro che tutte le mie macchine saranno ben lontane e al sicuro, e fuori dalle tue grinfie. In ogni caso, a me mancano solo i tuoi ZIM per completare l'ultimo carico, e se vuoi ti confido anche il nome del luogo dove si trova il mio deposito. A Libau, ragazzo mio, dove guarda caso c'è anche un bel porto efficiente. E se la nostra grande armata, sempre così vittoriosa dappertutto, rincula un po' verso casa, io potrò sempre imbarcarmi sulla nave che porta in Svezia. Sono socialdemocratici, laggiù, e accolgono sempre molto bene tutto quanto arriva dalla buona società. » « Come hai fatto a organizzare tutto così bene? » chiede Porta, suo malgrado visibilmente impressionato. « Per realizzare un colpo simile in un paese come la Santa Russia, bisogna essere sorvegliante di un parco macchine e aver frequentato la scuola di sergenti capo », risponde Wolf con orgoglio. « Ti impiccheranno un giorno o l'altro », replica amichevolmente Porta, non nascondendo che sarebbe il suo miglior augurio. « Mai », ribadisce Wolf, « mentre tu metterai fine alla tua vita da cani appeso a una corda, amico; ma ti prometto già fin da ora che verrò a tagliarla prima che ci si mettano i corvi. » « Sei la persona più ripugnante che abbia mai conosciuto», afferma Porta, energico. « Basura! (' sporca immondizia ' in spagnolo) », commenta Barcelona. « Taci, tu! » grugnisce Wolf, fissando Barcelona con i i suoi occhi verde acceso. « Se apri la bocca un'altra volta, impiccione, ti giuro che cagherai per tutto l'anno! Allo-
172 ra? » chiede ora, rivolto a Porta. « Siamo d'accordo, o no? Il più piccolo dei tuoi ZIM contro il mio segreto. » « Puzzi come un secchio di letame », dice Porta tappandosi il naso con due dita, dal disgusto. « E non riuscirebbe neanche a guadagnare un solo marco come stallone!» sghignazza Fratellino, facendo annusare a tutti il fazzoletto di Wolf impregnato di un greve profumo dolciastro. « È la tua ultima chance », dichiara Wolf, preferendo ignorare il commento pesantemente offensivo del gigante. Porta scoppia in una risata : « Se avessi avuto solo una chance durante tutta questa maledetta guerra, sarei morto e risuscitato almeno cento volte! E me ne fotto io, sai, del tuo segreto. » « Basta con le pagliacciate, Porta. Parliamo seriamente di affari, ora. Ti confesso che i tuoi ZIM mi danno molto fastidio. » « Oh, ecco finalmente qualcosa che ti dà fastidio, mentre io me ne sbatto. E questo è molto, molto importante, come prima base di contrattazione. Perché poi, dovrei venderti i miei ZIM? Lo sappiamo benissimo, tu e io, che quei signori aspirano a ritornare il più presto possibile ai loro agognati focolari domestici; il prezzo di un veicolo fornito di un certo numero di litri di benzina, perciò, cresce di giorno ih giorno, e questo è chiaro, come il sole. Ma dal momento che sono un uomo di cuore, ti concederò un favore speciale: un cinque tonnellate senza cingoli, se ti va! » « Cosa vuoi che me ne faccia di quella merda? Non parte nemmeno nella neve comunista! Per l'ultima volta: uno ZIM chiavi in mano e serbatoio pieno. Sono onesto, Porta, e fedele nelle amicizie, io. » « Tagliatene una bella bistecca, di questo tipo », sugge-
173 risce Fratellino infastidito. « Questo disgraziato di amburghese non diventerà mai una persona distinta », mormora Wolf. « È, e resterà sempre, un proletario, che crede che qualsiasi affare si possa regolare a pugni. » Dopo una lunga e segreta contrattazione, Porta e Wolf si mettono ugualmente d'accordo sullo ZIM, che Wolf esamina in tutti i dettagli per assicurarsi del tutto contro un'ipotetica bomba a scoppio ritardato. Ma tutto è in perfetta regola e l'uomo offre a tutti da bere, un bicchiere a testa, naturalmente, non un goccio di più. « Tu, per la verità, non meriti proprio niente », dice a Fratellino, « ma dal momento che molto più presto di quello che pensi creperai, offro un bicchiere anche a te. Congratulatevi tutti, amici! State per partire per un commando con il reggimento Brandeburgo », dichiara trionfalmente, accompagnando questa dichiarazione con un sorriso perverso. « Una merda di SS? » chiede Barcelona inquieto. « Idiota! » scoppia in una risata Wolf. « Le SS non vorrebbero nemmeno sfiorarvi con il loro spazzolino del cesso, neanche se vi metteste tutti in ginocchio davanti a loro. Il reggimento Brandeburgo è la cloaca dell'armata, truppe dei commando della morte, dove solo il cinque per cento di uomini parlano tedesco. La grande maggioranza sono traditori russi, quelli che hanno disertato e sono passati da noi. Quando ho saputo questa bella notizia, l'ho inghiottita insieme a una bottiglia di champagne, che in verità conservavo per la vittoria finale tedesca. » « Il colonnello Hinka non accetterà mai! » grida Porta indignato. « Siamo dei carristi, noi, e protesterà certamente con le autorità. » « L'ha già fatto, se è per questo, ma quelli l'hanno mandato a ranare », risponde Wolf. « Il buon Dio tede-
174 sco ha deciso di farvi crepare a Mosca, ragazzi. » « E cosa dovremmo andare a fare nel reggimento Brandebufgo? » chiede Porta, subito inquieto. « Hanno avuto delle tremende perdite in questi ultimi tempi », dice Wolf con tristezza di pura circostanza. « É quando si tratta di commando, si cerca di colmare i vuoti con i relitti e i rifiuti dell'armata e della flotta. È proprio per questo che hanno invitato te e il tuo esimio club. Siete comandati a partire per Mosca per far saltare in aria una fabbrica di carri armati. » «Ma questo è compito dell'aviazione! Distruggerebbero quella porcheria risparmiando un bel po' di prezioso sangue tedesco! » « Dolente, ma questa alternativa non è stata nemmeno proposta. Tu e i tuoi negri bianchi, d'altronde, non contate certo più del pene di un ebreo, amici. Dunque vi sarà messa in mano una tonnellata di plastico e avrete come guida uno strano tipo dagli occhi alla cinese. Un giallo, un piccoletto sottosviluppato che non riesce nemmeno a pronunciare correttamente la parola lardo in tedesco. Così furbo però e falso che non se ne troverebbe l'uguale nella Bibbia anche a rileggerla tutta! » Il telefono squilla a lungo, e Wolf tende il ricevitore al Vecchio. « Dunque amici, la cosa è in marcia e non avrete da aspettare molto a partire », continua in tono paterno, « e voi tutti fareste bene a prepararvi spiritualmente per l'altro mondo. Se dicessi che la cosa mi addolora mentirei, dato che dal giorno del nostro primo incontro, nel '36, aspettavo con ansia il momento in cui ti avrei visto partire per il commando del cielo, caro Porta. Non sono poi un uomo cattivo, io, sono soltanto un irriducibile uomo d'affari, una componente assolutamente indispensabile per poter sopravvivere. Qui », e si colpisce il petto con
175 un gesto teatrale, « batte un cuore grande, e per te, Porta in modo particolare. Per cui ti auguro di crepare rapidamente, senza soffrire troppo, nonostante meriteresti molto di peggio. Accenderò un cero per te, alla tua povera anima dolente. Ma sii fiero, in fondo, stai per morire per la patria e su un suolo... storico. » « Non sei altro che un mucchio di letame, tu! » gli inveisce contro Porta, furioso. « Ne ho perso già abbastanza di tempo con te, caporale Porta », conclude ora rapidamente Wolf. « E gli altri tuoi ZIM, e i cannoni? In nome della nostra vecchia amicizia, io te ne libererei volentieri. » « Non ho niente contro i tuoi intrallazzi di compra e vendita », dichiara Porta, « ma tu non sei assolutamente in grado di pagare i miei veicoli. Mettiamola in modo diverso: io ti compro la tua roba contro una cambiale, ti va? » Wolf quasi scoppia dalle risa: « Questa è bella, veramente! Avresti dovuto fare il clown, nella tua vita, non il militare! Delle cambiali, e da te proprio! A solo otto chilometri dal Cremlino, e proprio quando stai salendo sulla ghigliottina per farti l'ultima barba! Ma mi credi pazzo? Non ho mai permesso alla mia testa di caricarsi del peso di un elmetto, e non sono certo venuto in questa armata della malora per servire la patria e il Führer, sai, ma solo per farci dei buoni affari. Tratte? Non con me, amico. Al massimo un'ipoteca farei, ma solo con dei colonnelli che abbiano alle spalle dei grossi beni immobiliari. » « Nessuno ti ha mai detto che sei solo il culo di un grand'uomo, Wolf? » « Molti me l'hanno detto », sghignazza Wolf tutto soddisfatto. « E me l'hanno anche scritto, se è per quello, ma in queste cose io assomiglio decisamente agli ebrei, per
176 la verità; me ne fotto di tutto, a condizione che paghino. Allora, Porta, cosa ne facciamo dei tuoi ZIM e dei tuoi cannoni? » Il telefono squilla ancora. Porta afferra il ricevitore come fosse il direttore generale di una grossa società, ascolta con il viso impenetrabile, poi con un gesto elegante di noncuranza lascia ricadere il ricevitore sull'apparecchio. « La Borsa è chiusa », esclama tutto contento. « Finiti gli affari, tovarisch Wolf. Puoi dartela a gambe subito per Libau, se vuoi, la tua presenza qui mi mette il vomito, animale puzzolente. » « Cosa ti hanno detto al telefono? » « Gekados (segreto di Stato) », sorride Porta con aria maliziosa. « Ti verrebbe una crisi di fegato se te lo dicessi. » « Sei proprio molto più stupido di quanto non credessi! » ruggisce Wolf inviperito. « Prendi al più presto il battello che ti porta dai tuoi democratici svedesi, amico! La tua presenza mi mette schifo, te l'ho già detto. Comprati anche un bello specchio per guardarti in faccia; e ti garantisco che ti viene immediatamente una tale diarrea che stai in piedi tutta la notte dentro alla latrina. » Wolf si rimette ritto, minaccioso, come una belva defraudata di una preda sicura. « Se sogni di farti un bel magazzino di scatole ruotanti a mie spese, ti avverto, Porta! In qualsiasi posto ti vada poi a nascondere, io ti becco e ti faccio saltare il cervello, chiaro? » « Anche se credi di appartenere a una razza di signori, bello mio, stai attento a non farti attaccare una bella bomba esplosiva sotto il culo, non c'è niente di più facile, sai. »
177 « Attaccagli sotto anche solo un trappola per topi, Porta, basta e ne avanza, te lo dico io! » suggerisce Fratellino. « Proprio tu dai di questi suggerimenti! Sei forte come un bue, amico, ma stupido come un vitello, e ti schiaccerò sotto i piedi come niente, quando me ne verrà la voglia! » grugnisce Wolf allontanandosi Una sezione del reggimento Brandeburgo in uniforme da cacciatori su sci, arriva poco dopo per presentarsi al Vecchio. E non molto dopo appare anche un piccolo mongolo, strabico, ma con il viso tutto rischiarato da un grande sorriso. Indossa l'uniforme di capitano della NKVD: pastrano in cuoio nero molto lungo, cinturone con due budrieri incrociati sul petto, e il grande nagan che gli brilla lucentissimo, infilato dentro il cinturone sul fianco sinistro. Sotto il braccio stringe un Kalashnikov come una mamma stringerebbe al petto il suo ultimo nato. « Vassili! » si presenta e tende la mano a tutti noi. (e Per Konfu, avere buon odore schnaps (grappa), qui! » esclama annusando l'odore di alcool di cui siamo tutti impregnati. Vassili evidentemente ama anche lui bere! Vuota infatti in un battibaleno la gavetta di Porta e poi sempre velocissimo si arrotola tutto dentro al telone di una tenda. « Noi non attraversare linee russe prima che tutto buio, tutto buio. Meglio poi, vicino a Starodanil, dove miserabili Karabat vivere. Loro cagarsi dentro pantaloni quando tutto buio. Noi arrivare. Dire grande severo controllo NKVD. Loro molta paura. Gente di Karabat essere sempre da parte sbagliata. Trattare con traditori e vendere grifas (sigarette oppiate). » « Interessante! » dice Porta pieno di speranza. « Molto interessante! » « Ora io dormire » e Vassili si copre la testa con il cap-
178 puccio della sua giacca mimetizzata. « Due ore, voi svegliarvi tutti. Io condurvi, azione molto pericolosa, grosso salto fino a Mosca. Poi io tagliare e voi arrangiarvi. » Solo qualche secondo e Vassili russa già pesantemente. « Da dove diavolo arriva questo tipo qui? » chiede Barcelona. « Dovremmo liquidarlo », dichiara Heide con spregio. Il Vecchio svolge una grande mappa di Mosca sul piano del tavolo e discute della nostra missione con il sergente del reggimento. Ed ecco arrivare anche il colonnello Hinka. « Che Dio vi protegga! » dice. « Vedete di ritornare tutti sani e salvi, ragazzi. E soprattutto vedete di non cadere nelle mani di quegli altri, proprio mentre indossate delle uniformi come le loro. Sapete bene come trattano le spie e i soldati dei commando. » « Quando mi trovavo nel reparto corazzato 35, a Bamberg », comincia come suo solito a raccontare Porta, « ero io l'incaricato a portare l'acqua agli alloggiamenti degli ufficiali sposati. Il comandante era molto severo ed esigeva che tutti gli ufficiali si trovassero ai loro posti alle sette precise del mattino. Alle sette e mezzo io cominciavo a portare l'acqua al primo degli alloggi, del tenente Potz, della 3a compagnia, e avevo finito di... servire sua moglie circa verso le otto. Poi continuavo il mio giro e andavo dal tenente colonnello Ernst. E sua moglie aveva anche lei quello che le spettava verso le otto e mezzo. Alle dieci e mezzo circa avevo già visto tanti di quei sederi di mogli di ufficiali, che mi sembrava di essere diventato un caprone. E bisognava che facessi salotto anche dalla moglie del maggiore Linkowsky, che dicevano fosse tanto pia. Lei e suo marito venivano dal 15° cavalleria di Kònigsberg, e la poveretta mi raccontava che laggiù era stata costretta a mettersi una cintura di castità
179 ogni ora del giorno e della notte, ma che qui a Bamberg aveva deciso di farsi indennizzare di tutte le occasioni perdute. È stato proprio a Bamberg che ho cominciato a fare collezione di mutande, deliziose mutandine di tutte le virtuose mogli di uomini di alto livello dell'armata. « Ma ecco che un giorno mi piomba addosso una squadra di poliziotti ben bardati, con i loro cappotti di cuoio nero e i cappelli cacciati giù fino alle orecchie, che inseguivano però solo un ipotetico ladro. Scoprirono casualmente tutte le mie mutande e stesero un regolamentare rapporto, s'intende. Che storia che ne venne fuori, ragazzi! Tutte le mogli negarono, naturalmente, ma la cosa non funzionò come spera-ravano, perché uno di quelli dal cappotto nero era uno strano tipo di caporale che non sopportava la vista dei graduati. Era una cosa più forte di lui, proprio. Perciò misero le mani sulle mie mutande e spedirono il tutto al laboratorio della polizia del Reich, a Berlino. Appena i ragazzi di Alex vi ebbero cacciato dentro il naso, vennero chiamate a rapporto tutte le mogli. Il nostro comandante, il colonnello Kackmeister, riuscì, non si sa come, a leggere il rapporto segreto della polizia, e si dice che abbia avuto un attacco di cuore molto serio per l'effetto che «gli aveva fatto, poverino! Tutti gli ufficiali che portavano le corna furono spediti d'urgenza nei reggimenti di prima linea. Qualcuno di loro tentò di dare le dimissioni dal suo incarico, ma gli vennero rifiutate d'autorità. Questi signori ufficiali dovevano obbedire agli ordini, e come compenso vennero loro offerte cinture di castità per le rispettive consorti ormai forzatamente virtuose. » « E tu, che cos'hai fatto? » chiede Barcelona. « Sei stato spedito via anche tu? » « Si, in Vestfalia, al. 2° reparto corazzato di Paderborn. Ma lì non ho più distribuito l'acqua a nessuno però... »
180 « Chiudi quella tua" maledetta bocca », interviene il Vecchio, irritato. « Bisogna dormire, adesso. Vai al diavolo tu e le tue stramaledette pollastre spennacchiate di Bamberg! » Tre ore dopo, un fantaccino ci sveglia tutti. « Che ore sono? » chiede il Vecchio insonnolito. « Le due e mezzo. » « Ti avevamo detto di svegliarci alle due, maledizione! » lo rimprovera il nostro capo infilandosi di furia gli scarponi. « Avete dormito durante il vostro turno di guardia, soldato », dichiara asciutto Heide. « Dovrei segnalarvi per negligenza agli ordini, e può costare la testa, questa infrazione. » Barcelona si alza lentamente, stira le braccia ancora pieno di sonno, e senza accorgersi urta e fa rotolare per terra l'MPI del sergente del Brandeburgo. Solenne lavata di capo a tutti ma, finalmente pronti, ci avviamo e scivoliamo attraverso le linee, finendo diritti proprio dentro a una trincea russa. Il capitano Vassili impreca nel tono più perfetto delle NKVD contro il tenente russo di guardia e lo minaccia di confino a Kolyma. Si alza un po' di vento e nuvole grosse e scure si addensano sopra le nostre teste. Io devo avere un grosso sasso déntro a uno stivale che mi fa dolere il piede e cerco di non pensarci, col risultato che non penso che a questo. Mi sembra di averci addirittura tutta una roccia, conficcata dentro, e mi siedo per terra, infuriato e sofferente. Sono sicuro che nel piede c'è una piaga sanguinante. « Che cos'hai, maledizione? » mi chiede il Legionario. « Un sasso in uno stivale. » « Tutto qui? Vai un po' a Gemersheim, dove ti riempiono di sassi tutti e due gli stivali, solo per fare un po' di esercizio! »
181 Mi aiuta tuttavia a togliermi lo stivale, e il sasso che ne esce è così piccolo che mi accusa di aver mentito con premeditazione, ma faceva così male, veramente! « Che coglione! Piangere per così poco! » Dopo una marcia pesante e difficile, facciamo una sosta vicino al cimitero di Danilovskoye, in mezzo a una terribile tempesta di neve. Porta propone una partita ai dadi, ma dal momento che nessuno gli risponde, gioca da solo, e vince lui tutti i colpi, fortunato come sempre! « Fra poco fare grande rumore », spiega allegro Vassili. « Ma fare grande attenzione a NKVD. Se prenderci, finita la commedia. » Nell'attraversare l'ampia via Varsavskoe, una colonna di T 34 ci passa così vicino che sentiamo il calore infuocato dei loro tubi di scappamento lam birci il viso. « Perché non prendere per l'argine del fiume? » propone il Vecchio. « È più breve, e ci si può nascondere dietro gli hangar. » « Nix Karosh! » grida Vassili, con aria di superiorità, mettendo in mostra tutti i suoi denti bianchissimi in un enorme sorriso. « Zona maledettamente pericolosa. Tedeschi stupidi andarci, e lì tagliare loro teste con grandi coltelli. NKVD essere là. Generale grande armata tedesca dire a Vassili: porta sudicioni di soldati commando dentro a fabbrica, e fare bum! Io sempre fare quello che dice generale, e se tu non fare quello che dire io, io andare da generale e dire che tu porco traditore. Hitler molto contento. Io decorazione, e tutti fare grandi occhi spalancati quando io rientrare a Chita. » « Quasi quasi diventa simpatica, questa scimmia gialla», ride Porta. « A me non piace affatto, invece », dichiara secco Heide. « È sicuramente falso come Giuda. » « Cos'è che piace a te, a parte il tuo santo Führer? Gli
182 baceresti volentieri il culo tu, a quel caporale maledetto! » « Andiamo su, Vassili », interviene il Vecchio con impazienza. « Facciamo saltare in aria quella baracca e tagliamo la corda, presto! Non mi diverte affatto questo tipo di passeggiata! » « Arrivare solo momento giusto merdosa fabbrica ZIM. Konfu sempre dire andare piano andare lontano e sicuro. Noi non essere treno espresso che arrivare Pechino domani! Noi fare grande giro intorno. Se vuoi, andare tu tutto dritto e farti saltare tua testa quadrata tedesca! » « Bene, allora facciamo questa lunga deviazione, a patto che si arrivi una buona volta a questa dannata fabbrica, almeno prima di sera. » « Tu molto stupido. Noi non arrivare grande fabbrica prima di tre giorni, e poi aspettare notte buia prima di far tutto saltare. Oggi guardia molto attenta vicino a fabbrica, e NKVD sapere che tedeschi trovarsi qui. Se noi non arrivare né domani né giorno dopo domani, loro credere che noi partiti e rientrare loro caserme. » « Come fai a saperlo? » « Mongoli sapere molte cose. Noi sempre sapere cosa pensare gli imbecilli. Io aver visto spia femmina dentro linee tedesche. Quando io rientrare, a prostituta mettere lunga corda intorno a collo. » « Ma perché non l'hai denunciata subito?» chiede il Legionario. « Solo imbecilli uccidere subito spia », risponde il furbo Vassili. « Intelligente mongolo di Harbin lusingata pollastra comunista. Lei indicarci altre spie, e noi uccidere tutte insieme, più facile e svelto. Lavoro pulito. » « Pensi che dovremo rimanere dentro Mosca parecchi giorni, allora? » « Mosca bella città. Molta gente venire di lontano per
183 vedere città tanto bella. » « È veramente spiritoso », dice Porta, scoppiando a ridere. « Ma se i suoi compatrioti sono tutti come lui, io in Cina non ci andrò mai, questo è sicuro! » « Spiegami una cosa, Vassili », dice il Vecchio, chinandosi attentamente sulla mappa di Mosca, « perché non prendiamo per il viale Starodanil, e poi a sinistra, verso il lungo fiume? » « Zona strettamente interdetta! Palle comuniste dentro a cadaveri nazi prima ancora che fabbrica saltata in aria. Grande Konfu ordinato a Vassili: va' da NKVD e dire che tu aver preso cattivi tedeschi. Vassili eroe con decorazione comunista molto bella e grande. Se voi andare per lì, io più conoscervi. Mongolo non così stupido come imbecilli bianchi pensare. » « Certo che non nasconde affatto quello che pensa di noi, questo bel giallino d'Oriente! » ride Porta. Una grossa colonna di soldati ci supera e noi ci nascondiamo di furia dentro un piccolo parco alberato. « Cosa proponi di fare, Vassili? Sei tu che comandi, ho ragione di credere. » « Njet, njet, tovarisch sergente, io non amare affatto comandare. Lui generale detto: 'Vassili tu condurre commando a fabbrica e poi riportare qui sopravvissuti dopo grande bum! '. Io fottermi di cosa voi voler fare. Voi dire: 'Vassili fuori dai piedi, se noi rientrare senza ordine '. Allora, io andare da NKVD e tutto raccontare. Ricevere bellissima stella rossa su mio petto e forse anche grazia da prigione... » « Cosa stai raccontando, maledetto diavolo giallo? » grida Porta. « Hai tagliato la corda dalla prigione, forse? » « Da, da », confessa Vassili allegramente, come se per noi fosse la cosa più piacevole del mondò essere guidati,
184 nella città di Mosca, da un evaso da una prigione russa. « Tutta gente molto bene dentro prigione. Grande onore per paradiso sovietico. » « Merda, perdio! Vorresti dire che oltre a essere evaso hai alle calcagna un collimando che ti insegue per metterti le mani addosso, forse? » « Da, da, per questo io credere a Führer nazi. Lui generale non chiesto a me: 'Tu essere stato in prigione? ' Il padre di me, mongolo molto intelligente, vivere a Chita e sempre dire a suoi diciotto figli: mai dire parola prigione se non chiesto. Generale tedesco non chiesto niente. ' Tu sai trovare strada, Vassili? ' chiesto a me, invece. Io dire, sì. Se io dire no, essere bugia. » « Banda di coglioni! Un bandito che ci fa da guida, roba da pazzi! Che Allah ci protegga. » « Calma, calma, soldato. Cretini russi non avere tempo correre dietro povero piccolo mongolo, evaso senza nemmeno dire arrivederci. Doversi occupare di Hitler e molto anche. » « Ma cosa avevi combinato, per finire in prigione? Niente di molto grave, mi auguro. » « Vassili essere persona perbene, mai fare brutte cose e fare male. Solo piccola cosa. Tagliato solo testa donna imbecille che era dentro letto di altri e vendere cavalli a uomo ebreo a Chita. » « Uxoricida! » geme Porta. « Proprio solo una piccola cosa. Dio sa cosa sono le grandi, allora! » « E dobbiamo affidarci a questa merda gialla! » impreca Heide. « Non cerca nemmeno di nascondere il grosso vantaggio che trarrebbe vendendoci alle NKVD! » « Ma no, via! » dice il Legionario. « Io li conosco bene questi piccoli demòni asiatici. Ci arrivarono addosso fino in Indocina attraversando tranquillamente il deserto dei
185 Gobi, e qualcuno di loro restava con noi per qualche tempo, anche. Se non si trovavano bene, se ne ripartivano altrettanto silenziosamente come erano arrivati, e poi si cambiavano uniforme infilandosi quella dei nostri avversari. Sono molto religiosi, e quasi tutti se ne vanno a spasso con una statuetta di Budda nella tasca. È proibito dal Soviet, ed è proprio per questo che odiano qualsiasi cosa sia legata a questo regime, ma vi avverto che se non facciamo quello che vuole lui, certamente ci consegna senza l'ombra di un rimorso nelle mani delle NKVD o della Gestapo. A chi gli dà di più, ecco tutto. Strangolare una moglie infedele, non è assolutamente grave ai loro occhi, ve lo dico io. » Si rivolge a Vassili e rapidamente gli parla in lingua cinese. Vassili scoppia in una risata, estrae un kriss 1 dal gambale dei suoi stivali e lo brandisce fieramente al di sopra della sua testa. « Naturalmente è proprio così, ne ero già convinto », esclama il Legionario, «ha trascorso tre anni interi con i Gurkhas. » « E cinque in prigione! Che età potrebbe avere? » « Non saprei e anche lui lo ignora, credo. La grande maggioranza di questa gente smette di invecchiare puntualmente a venticinque anni, e anche se vive fino ai cento, sembra sempre che ne abbia solo venticinque. Anche se li si impicca sorridono sempre, a condizione di avere in tasca il loro piccolo Budda. Essere punito per aver ammazzato una moglie infedele gli parrebbe altrettanto grottesco che esserlo per aver ammazzato un maiale o una capra. Per questa gente è un fatto assolutamente incomprensibile. La donna è un oggetto di loro proprietà, come un mobile o, tut-t'al più, un cane. » 1
Pugnale malese.
186 « E siamo stati affidati a un personaggio di questo tipo, roba da pazzi! » geme Stege. « Quello ci venderà alla prima occasione, perdio! » « Il suo odio nei confronti dei sovietici lo rende automaticamente fedele, in certo senso, ai tedeschi », continua a spiegare il Legionario, paziente e tranquillo. « La Grande Germania riuscirebbe anche a fargli fare il giro del mondo a piedi, se glielo chiedesse. E poi, ragazzi miei, penso proprio che non abbiamo scelta », commenta con fatalismo arrotolandosi una sigaretta con un gualcito pezzo di carta. « Bene », taglia corto il Vecchio, rivolgendosi a Vassili, « tutti siamo d'accordo, per cui decidi cosa dobbiamo fare, amico. » « Tu intelligente, non stupido come altre teste quadrate tedesche. Noi fare grande deviazione, arrivare a bellissimo vecchio ponte che tutti turisti ammirare. Da altra parte del ponte, prigione Tanganskaye. Là, noi non incontrare tante NKVD. Sapere che tutti molta paura prigione politica. Solo cretini passare di qui loro volontà. » « In quanto ai cretini e alle prigioni, mi sembra che ragioni molto bene », dichiara Porta. « Gente di NKVD stesso parere », continua Vassili. « Quando noi, falsi russi, andare là, loro credere che noi prendere turno di guardia a fabbrica siluri Kozhukhovo, e non tendere mano per chiedere : ' Propuskì ' 1 Io camminare di fianco a voi come essere grande capo, e salutare come buono ufficiale sovietico che lecca culo di NKVD. » « Bene, e dopo, quando avremo passato la prigione? » chiede il Vecchio ansioso, sollevando il cappuccio di pelo 1
Lasciapassare.
187 che nasconde l'elmetto russo con la stella rosso fiamma. « Allora marciare verso fabbrica », spiega Vassili, come fosse la guida di un pacifico gruppo di turisti festanti. « Prendere passaggio Dubrovsky e superare blocco di guardia NKVD, poi abbreviare strada attraverso vecchi percorsi di tram fino a Ugrezhskaya. Gente di NKVD non vedere noi, sempre dormire sodo. Io con amico, un giorno, rubato camion proprio là, pieno cose meravigliose. NKVD solo scoperto tre giorni dopo. Loro sempre dormire. Strada però molto pericolosa. Loro credere che niente succedere mai, e certamente niente quasi succedere mai. Solo quando Vas-sili venire con amici, loro ridere molto e essere felici contenti. » « E allora perché non prendere la strada diretta attraverso il viale Simonovoslobodsk? » taglia corto il Vecchio, irritato dalle chiacchiere del piccolo mongolo. « La stazione Ugrezhskaya è un enorme incrocio. » « Io credevo tu intelligente, tovarisch sergente. Enorme fabbrica NKVD vicino a fiume, dove fabbricare cose molto segrete. Dunque andare tutto dritto in zona interdetta. Noi non dritto, vedere cose fabbricate da fabbrica. » « Cos'è questa storia? » chiede il sergente del reggimento Brandeburgo, molto interessato. « Amico di Chita essere NKVD, e tenente raccontare a me. » « Allora dillo anche a noi! » « Mica bene per imbecilli sapere troppo », ritorce pronto Vassili. « Io solo dire a saggi nazi. Loro pagare bene. Quando guerra finita, io dividere con amico NKVD mia casa a Chita. » « Questa gente qua, io veramente non la posso soffrire », grugnisce Barcelona. « Sono come le perle false di Maiorca. »
188 «Voi non prendere ripa del fiume. Molti cattivi NKVD laggiù e loro spaiare o prendere e torturare. Fare grosso incrocio e strada con Vassili e salvare pelle. » Eccoci dunque ancora vicino al cimitero, quando vediamo arrivare una pattuglia di NKVD composta di tre uomini. Il loro capo, un caporale dall'aria molto energica con tanto di gradi sulla manica, tende la mano nel gesto internazionale per esigere la presentazione dei documenti. Il sergente del reggimento Brandeburgo, naturalmente, non capisce una sola parola. Vassili lo spinge indietro, dà una manata amichevole sul braccio del caporale e gli tende un libretto militare russo. Una sezione di mezzi corazzati passa e sparisce avvolta dentro a una nuvola di neve. Il caporale guarda Vassili e sgualcisce con rabbia il libretto, cui evidentemente manca qualche timbro. A dispetto della pignoleria tedesca, evidentemente qualcosa è stato dimenticato, un ennesimo timbro fra i mille che sempre ci sono. I Russi e i Tedeschi hanno in comune una passione, autentica e ardente: i timbri sui documenti. » Job Tvojemadjl » impreca Vassili, indicando con un gesto perentorio il proprio distintivo con la stella rossa di commissario. « Propusk commandantura! » insiste il caporale, furioso. « Non essere ostinato, fratello », gli dice ora Vassili in tono calmo e amichevole, parlandogli in lingua russa, « altrimenti il mio comandante ti spedisce a Kolyma con dieci pedate nel culo! Tu fai ritardare una missione molto importante con tutte queste storie. » « Propusk », insiste il caporale ostinato, tendendo una mano guantata di spesso cuoio nero e lucido. Vassili fa un gesto di rassegnazione e apre il suo grosso giaccone di pelo, come volesse esibire altri documenti
189 che tiene più riposti. « L'hai voluto tu, fratello mio. Tua madre piangerà. » Il sibilo di un Kandra, e la testa del caporale rotola per terra: il corpo oscilla qualche istante, mentre un fiotto di sangue sgorga dal collo tranciato di netto. Rapidi come è rapido il lampo, il Legionario e Fratellino hanno già sgozzato gli altri due. Ma una lunga colonna di T 34 passa rumorosamente proprio non lontano da noi, e non appena vediamo le sagome dei comandanti, ognuno sulla torretta del suo mezzo, buttiamo i tre cadaveri nell'entrata di una cantina e la neve rapidamente li ricopre. Con un calcio, Vassili spedisce la testa mozzata verso la fessura di un muro, dove la sua comparsa spaventa una coppia di gatti che stanno dormendo beatamente. Filano via miagolando i due animali, mentre il piccolo mongolo ride, trovando il tutto estremamente divertente. « Filiamo, presto! » dice il Vecchio, molto teso. Gambe in spalla ci buttiamo a correre per stradine sconosciute, ed eccoci incastrati in mezzo a una folla di gente che deve passare un controllo da parte di una sezione di NKVD, schierata con le armi in posizione di tiro. La strada è bloccata da due T 34. « Diavolo », impreca a bassa voce Vassili. « Rapinatori. Fucilare gente uno su tre, per insegnare a gente non rapinare. Molto pericoloso tutto questo. » Un tenente ci richiama con molta autorità, e Vassili si presenta come ufficiale della guardia in servizio attivo. « Propusk! » ordina brusco e freddo l'ufficiale, guardando ora il documento con aria indifferente. « Vai al diavolo te e i tuoi! Presto! » Non ce lo facciamo dire due volte. Ma proprio quando stiamo per voltare l'angolo della via, sentiamo due colpi d'arma da fuoco. Ci voltiamo un istante, e constatiamo con i nostri occhi che stanno fucilando una fila di civili.
190 Questa gente non ne sa nulla dei rapinatori, ma vanno sempre a finire così, le cose. E certamente domani si leggeranno sugli angoli di tutte le strade i nomi delle vittime, come serio ammonimento a tutti. « Avete visto come quella piccola scimmia ha tranciato di netto la testa di quel russo? » dice a un tratto Fratellino, facendo schioccare la lingua come encomio di ammirazione sincera. « Nemmeno Alois L'Ascia, il famoso bandito di Amburgo, avrebbe fatto di meglio, bisogna proprio riconoscerlo. E devo dire che era sempre sotto allenamento, in quanto a questo, sempre. Aveva già fatto saltar via ben sette teste, prima che la Kripo (Polizia Criminale) gli mettesse le mani addosso. Nass e quei coglioni della gendarmeria stavano semplicemente inseguendo dei ladri di grifas (sigarette all'oppio) e stavano giusto entrando dentro l'elevatore del III° reparto del Ponte del Traghetto. All'improvviso si sente un ' flop ', e una bella testa mozzata di netto rotola davanti ai loro piedi! L'ho visto coi miei occhi, sapete, stavo proprio passando di là, per caso naturalmente, con un paniere pieno di pesce. » « E cosa ci facevi con quel pesce? » chiede Porta incredulo. « Lavoravo per la società di trasporti Grònne Gunthers. Tutte le aringhe erano farcite di grifas nel ventre e bisognava in qualche modo allontanare i sospetti dei cani da pastore tedeschi del commissario Nass, che venivano ad annusarmi sempre intorno come gatti in amore. Nass e i suoi biechi della Kripo naturalmente credevano che i loro cani annusassero le mie aringhe, perché ci sono dei doberman che, per esempio, vanno matti per le aringhe farcite, piatto tipicamente ebreo. Dunque, per farla breve, una sera tarda in cui già mi trovavo in un bistrot, compaiono ben cinque dobermann ebrei che sbavano
191 come pazzi, avendo capito dall'odore che il cuoco, per metà ebreo anche lui, stava facendo cuocere un grosso quarto di petto di bue farcito. Entrano in tromba nel bistrot e piombano sul cuoco, che era stato da poco messo alla porta della grande armata tedesca per vìa del ' cattivo ' sangue che scorreva nelle sue vene. Notate bene che a lui di essere stato fottuto dall'esercito non gli dispiaceva affatto, per la verità, e per noi il solo punto negativo era che dovevamo per forza abboffarci solo di piatti ebrei. I Kripo ritrovarono tutti i loro cani accucciati intorno al cuoco e ai suoi fornelli semiebrei, e rispedirono fuori della porta a calci nel culo questi spregevoli animali senza pensione dello stato, che dovevano considerarsi già fin troppo fortunati per non essere stati cacciati dentro una camera a gas! « ' Nel nome del führer, siete tutti in stato di arresto! ' gridò il commissario Nass a tuti i clienti dell'ebreo, che furono però rilasciati quasi immediatamente dopo che un'ascia afnlatissima gli volò sopra la testa, proprio nel momento in cui. per sua fortuna, aveva chinato il capo. Alois era là, nascosto dietro una porta. Almeno venti paia di manette gli furono infilate ai polsi, munite di catene pesantissime, e nessuno pensò più a noi, naturalmente. Era ricercato da più di quattro anni, e ora il destino lo presentava servito sopra un piatto d'argento, una vera fortuna per quei Kripo della malora! Dopo questa faccenda, il commissario Nass fu preso da manie di grandezza; tutti i giornali parlavano di lui, naturalmente, ed egli fu tanto meschino da non svelare mai come solo il caso lo avesse messo in grado di ricevere questo inaspettato regalo prezioso! Decorazioni di ogni tipo, quindi, e un ottimo posto come commissario generale di divisione con servizio esclusivamente diurno; ma anche questo incarico non durò a lungo, perché non aspettarono molto,
192 le autorità, a fotterlo di nuovo fuori! » Una lunga colonna di soldati, vestita in modo curioso, ci sfila davanti, interrompendo il racconto di Fratellino. « Compagnia suicida », spiega Vassili con un gesto di chiara indifferenza per la cosa. « Teste d'uovo venire da Tanganskaya. Graziati da Kolyma per incarichi molto pericolosi contro tedeschi. Stalin non stupido affatto. Non fare condannare sudicioni politici. Stalin dire che essere grandi eroi per loro patria. Tedeschi stupidi uccidere, e Stalin tutto contento perché sbarazzato senza grane di loro. » Nei pressi della stazione Pavlet un altro blocco, dove le NKVD formicolano ovunque. Vengono controllate tutte le unità militari di passaggio, senza alcuna esclusione, e un colonnello dall'aria minacciosa passeggia su e giù, con il suo Kalashnikov sotto il braccio. « Santa Maria, proteggici! » mormora il Vecchio, tesissimo. Non lontano di qui, in effetti, liquidano sul posto quattro ufficiali con una palla nella nuca, e ne buttano i cadaveri sopra un furgone aperto, fermo in attesa lungo il marciapiede. Il sangue cola dappertutto. Noi ci rifugiamo nell'adiacente via dei Tartari, con Vassili in testa sempre sorridente, che senza alcuna paura o disagio apparente ci guida verso un ponte irto di strutture di legno molto simili a dei patiboli. « È il colmo, andare di nostra iniziativa proprio lì! » geme Heide, spaventatissimo. « Non hanno che da pizzicare uno di noi e fargli una domanda, e siamo fritti tutti. Di soldati completamente muti non ne esistono affatto nell'armata russa, maledizione. » « Io reciterò la parte dell'idiota », dichiara deciso Fratellino. « Non farai molta fatica, caro, dato che lo sei già di na-
193 tura! » Il Vecchio e il Legionario imbracciano i loro MPI, ed evidentemente pensano che ci si dovrà battere in qualche modo, nella speranza di uscirne vivi. « Se veniamo scoperti, difendetevi fino alla morte », mormora infatti il Vecchio. « È la nostra sola possibilità, perché se ci beccano con queste dannate uniformi russe addosso, ci tortureranno bestialmente prima di concederci il diritto sacrosanto di morire. » Anche lo stesso Vassili sembra molto inquieto, ora. Ha appena finito di chiacchierare con un sergente NKVD, che dormicchia annoiato dentro il furgone. « Porci NKVD preso altro commando Brandeburgo », bisbiglia. « E essere pronti fare molti altri cadaveri. Adesso grande pericolo. Loro sapere che turisti nazi essere in Mosca. Molto pericoloso per noi essere qui con documenti falsi e uniformi rubate. » « Bella prospettiva », mormora Porta, molto poco rassicurato, ovviamente. « Non sarebbe mica meglio per noi rientrare, e mollarla a qualcun altro questa dannata fabbrica da far saltare? » Il Vecchio sta riflettendo e guarda Vassili con aria meditativa. Il mongolo gli risponde con un ampio sorriso cinese, che significa non si sa bene cosa, ma certo è molto ambiguo. « Impossibile », dice il nostro capo, « questo scimpanzé giallo non è solo la nostra guida ma anche il nostro attento guardiano. Se tentiamo di tagliare la corda, quello ci fa liquidare senza pensarci un momento, capite? » Vassili, tutto un sorriso, si avvicina al Vecchio e gli dice amichevole. « Tu molto intelligente, Feldwebel. Tu venire con Vassili e niente paura plotone tedesco; plotone tedesco non beccare mai te. »
194 « Se sei proprio così sicuro di scampare... » replica il Vecchio, cupo. « Me nessuna importanza. Io non avere vita più lunga se grande Konfu non volere. Konfu solo, decide. Quando Konfu decide, tu niente più potere fare. » Prende Fratellino per una manica. « Tu forte come orso di Siberia. Spaccare cranio comunista con un solo colpo. Tu tenerti dietro Vassili e ritornare vivo tua casa, giocare con tuoi bambini. Se tu non fare come io dico, io giuro tu morto. » Fratellino che per la verità non ha capito neanche la metà delle cose che il piccolo mongolo ha asserito con tanta sicurezza, consente comunque con un gesto della mano. Come ci sia stato possibile attraversare il blocco delle NKVD, io non lo ricordo, se devo essere sincero. Ricordo solo di essere stato schiaffeggiato da un sergente, cosa che riempì di gioia tutta la troupe dei berretti verdi. Quando finalmente approdiamo indenni a Kozhukhovo, ci accoglie subito un nugolo di Stukas, appena comparsi nel cielo grigio e coperto di nuvole molto basse. E ora sono le nuove bombe al fosforo che cadono come pioggia, e polverizzano case, stabilimenti e tutti i binari del nodo ferroviario : il suolo poi è ' spazzato ' fino all'ultimo centimetro dalle mitragliatrici degli aviatori tedeschi che passano rasoterra con spericolati voli radenti. « Stukas molto bene aiutare! » giubila Vassili. « NKVD tutte dentro rifugi per salvare loro triste pelle comunista. Ora noi mettere plastico e far saltare tutta grossa fabbrica Stalin, sotto culo di NKVD. Poi rientrare da Hitler e riposare bene, prima di prossimo altro viaggio. » All'improvviso uno dei soldati del Brandeburgo incespica e cade in avanti, fra due grossi blocchi di cemento di una casa appena abbattuta dal mitragliamento a tap-
195 peto degli aerei. Ci precipitiamo tutti per salvarlo ed estrarlo dalle macerie, ma uno dei due blocchi oscilla, poi cede del tutto e gli squarcia il ventre. Grida il poveretto nella notte buia, e il sergente è costretto ad incollargli alla nuca il suo revolver munito di- silenziatore. È un'arma speciale, questa, e tutti i soldati dei commando sono purtroppo obbligatoriamente condannati a morire, se non sono più in grado di seguire i compagni nella missione. 'Nessuno, infatti, deve cadere nelle mani del nemico, mai, nel modo più assoluto. La sua tomba occasionale e così sinistra viene dissimulata con altre pietre e blocchi di cemento perché non venga scoperta da eventuali pattuglie di guardia che passassero di lì, e noi proseguiamo in silenzio. Le bombe degli Stukas hanno già distrutto in parte vari settori del grosso stabilimento, constatiamo arrivando nella zona, e questo faciliterà la nostra missione. Proseguiamo ancora per via Lizina, anche se sarebbe stato più opportuno prendere invece la via Tyufelev, secondo il Vecchio, ma Vassili che si è inoltrato poco più oltre in ricognizione dichiara con fermezza che è impossibile. È completamente ostruita da una lunga colonna di carri armati leggeri. È una grossa fornitura pronta per l'Armata Rossa, o invece un blocco massiccio di difesa contro i sabotatori, piazzato dalle NKVD? Non lo sappiamo, almeno per il momento, ma in ogni caso vediamo che tutti gli equipaggi sono all'interno dei carri, ed è assolutamente impensabile aprire un conflitto contro di loro, con le nostre inadeguate e insufficienti armi anticarro. È giocoforza perciò passare da un'altra parte per evitarli. Vassili, d'accordo con il Vecchio e il sergente del Brandeburgo, ordina di marciare in colonna per tre, come fossimo una regolare pattuglia.
196 Il nostro piccolo mongolo sostiene che riuscirà a farla franca con la sua uniforme di capitano, e se anche gli verrà chiesto il propusk, una pattuglia in regola ha pieno diritto di ingresso dentro l'area di un impianto militarizzato. C'è evidentemente il rischio di una parola d'ordine ancora ignota, che può ugualmente essere una frase perfettamente logica o anche la più inverosimile delle imbecillità. Potrebbe essere ad esempio che vi gridino: «Ivan il Terribile» e si debba rispondere: «Topo morto»... Mentre Vassili si dà da fare per trovare l'ingresso all'interno del grosso fabbricato, noi ci appiattiamo sotto alcuni vagoni merce della vicina stazione di Kozhukhovo, dove stanno predisponendo il trasporto dei feriti all'ospedale di Kashirskaya, di cui vediamo già diversi edifici in fiamme però, dopo il bombardamento degli Stukas di poco fa. « Dovremmo almeno riuscire a trovare il tempo di farci una bella scopata di passaggio con quelle ragazze! » dice Fratellino guardando concupiscente le infermiere che salgono e scendono dai diversi vagoni. « È un bel po' che non metto le mani su nessun culo, e ne sento la mancanza, perdio! » « Maledette NKVD, assolutamente folli », dice Vassili, ritornando di corsa fino a noi con il respiro corto. « Aver perduto molti idioti comunisti per bombardamento, e noi niente poter fare subito. Loro occuparsi di feriti, e NKVD essere là con carri armati. Meglio noi aspettare un'ora. Grande Konfu dire mai fare cose di fretta. Prendere tempo e conservare molto di più nostra testa su collo, dice. Io conoscere ora parola d'ordine. Loro gridare: 'Guerra' e noi rispondere: ' Mela verde '. Imbecille di colonnello dire forte parola d'ordine mentre io disteso sotto sua vettura per ascoltare. Loro sapere che partigiani di Brandeburgo essere qui, dunque noi non farsi prende-
197 re e correre gambe levate quando grossa bomba scoppiata! Loro andare poi a caccia di sporchi tedeschi dentro tutta Mosca, casa per casa! » « Certo che taglieremo la corda, non temere in quanto a quello, ma prima bisogna che la baracca salti in aria, se non erro. » « Cosa guardare, tu? » chiede Vassili spingendo Fratellino indietro con la canna del suo revolver. « Ragazze sovietiche », risponde il gigante, con gli occhi golosi e inteneriti. « Quando montano sui gradini dei vagoni si vede benissimo sotto le loro gonne. Avrei proprio dovuto farmi ingaggiare nella Sanità, perdio. Deve essere molto più divertente che non sguazzare qui dentro e far saltare delle sudicerie. » Anche Vassili ora vuole dare un'occhiata. « Molto tempo io non avere donna, molto tempo! Quando venire pace, .tutti voi partire con Vassili lungo viaggio fino mio cugino di Hong Kong. A ristorante ' Piccola pollastra ' molti cinesi vendere a voi merce proibitissima. Cugino fare anche buona cucina; prima servire Tang-ts'u-yu, pesce agro con zucchero; poi noi mangiare delizioso Fuh-rung-chi-p-ien, crema pollo con gamberi molto, molto piccoli, poi Pao-yang-reo, giovane montone, e poi finire con Cheng-chiao-tze, bignè dolci di primavera. Poi belle ragazze arrivare da bordello vicino per giocare e bere sakè. » « E si impara anche a mangiare con i bastoncini, alla cinese? » chiede Fratellino. « Se non riesco nemmeno a infilzare una barra di ghiaccio con la baionetta, come farò a mettermi in bocca una porzione di riso? » « Basta, andiamo su! » tronca il Vecchio allacciandosi il budriere. Ci vengono distribuite delle grosse matite esplosive e delle barre di P 62, di cui sentiamo il forte odore dolcia-
198 stro di mandorla che emanano a distanza di chilometri, mentre strappiamo la carta oleata che le avvolge. « Sembra incredibile, però, che anche un solo pezzo di questa roba possa' far saltare una baracca grossa come questa che abbiamo davanti! » commenta Porta, cacciando le sue cariche dentro la sacca piena di segatura. « E adesso vedete di evitare di cascar per terra, con tutto quello che avete addosso, ragazzi », dice il Vecchio, autoritario. « Ordino perentoriamente a chi venisse ferito e non potesse seguire il gruppo, di uccidersi sul posto, chiaro? Un biglietto diretto per il cielo è molto meglio che non cadere nelle zampe delle NKVD. » « Sembri un prete che fa il suo sermone », sghignazza Heide. « Non me ne importa niente, amico, di cosa ti sembro, ma immagina un po' di essere ferito e che noi si debba abbandonarti qui. Sarà interessante vedere se avrai il coraggio di farti saltare il cervello. Il tuo Führer si aspetta proprio questo da te, sai? » « Fracasseranno a tutti i coglioni », sostiene Porta, cupo. « Ci daranno dentro una bella morsicata, te lo dico io. » « Allora si spaccheranno i denti con quelli di Fratellino », ride Stege. « Ha dei coglioni di granito, quello, dovrebbero adoperare degli attrezzi speciali. » « Stare tranquilli, NKVD avere attrezzi adatti », ride Vassili. « Mancare di niente a Lioubjanka, proprio di niente! Gente molto intelligente per far parlare traditori tedeschi. » Il corpo posteriore della fabbrica è già in fiamme, e già tre scale dei pompieri sono sul posto e in funzione mentre gli uomini srotolano di furia le loro lunghe pompe. Dappertutto regna una frenetica agitazione. « Cosa non si riesce a vedere, in guerra! » bisbiglia Fra-
199 tellino. « Io proprio li adoro, i pompieri. Sai, Porta, che avevo una voglia matta di fare quel mestiere, ma non m'hanno preso perché ero un po' piromane, secondo loro? A parte il fatto che in fondo il fuoco non aveva nemmeno preso, se vogliamo essere esatti. » « Toh! E cosa volevi incendiare? » ce Della gente della Davidstrasse, solo quella; ma mi hanno beccato, proprio mentre preparavo il colpo. Per grazia di Dio uno psicologo mi ha salvato, raccontando qualcosa a proposito di un mio complesso infantile nei confronti delle uniformi della polizia. Se avesse detto più chiaramente che il mio vero complesso era il Commissario della Criminale Otto Nass, avrebbe avuto ragione, se devo essere sincero. Gli schupos, siano quel che siano, non mi hanno mai rotto le balle e io a loro non gliene voglio, perché mi hanno spesso anche messo in guardia contro Nass. Mi hanno poi raccontato che lui è scappato in Danimarca, a Copenaghen, e spero proprio che i partigiani danesi l'abbiano fatto fuori quello, altrimenti il mio giudizio nei confronti di quei Vichinghi sarà per forza molto severo. » « Piantala! » dice il Vecchio, « Parli talmente forte che ti sentiranno fino al Cremlino, perdio; non vedi quanta gente c'è vicino a quella porta? » « È sempre il solito rischio, quando si conoscono le lingue straniere e le si parla in pubblico », borbotta Fratellino. « Se tutti al mondo parlassero tedesco, non ci sarebbe nessun problema, anche in Russia. Prova un po' a recitare il Padre Nostro in russo, però, e ti sono subito tutti sul culo. » Recitare il Padre Nostro a dei comunisti?» interviene Stege, sorpreso. « Ma è proibito! » « Proprio perché è proibito, bello mio, non c'è in Russia una sola persona che non la sappia a memoria questa
200 preghiera. L'hanno tutti imparata dalle loro nonne quando ancora non sapevano camminare. » Ritmando i nostri passi pesantemente, entriamo dentro la fabbrica, e nonostante la nostra perplessità dobbiamo riconoscere che iL passo cadenzato russo è praticamente identico al passo dell'oca tedesco. Un sergente dell'IviKVD si mette sull'attenti davanti a Vassili che marcia a serrafila, il Kalashnikov sul petto perfettamente regolamentare, e per un istante, il proiettore del turno di guardia ci coglie nel suo fascio di luce. Una pattuglia ci viene incontro e il tenente che la guida dà una pacca amichevole e cordiale a Vassili sulla spalla. « Tenente molto contento », bisbiglia poi il mongolo. « Avere catturato diversi partigiani del Brandeburgo proprio oggi e prepararsi adesso a far saltare loro coglioni con attrezzi speciali, per far sputare prigionieri tante cose segrete di Hitler. Tenente invitato me a vedere, ma io dire di non avere tempo. Lavoro importante da fare, detto io. E non essere nemmeno grossa bugia! » In un'immensa galleria coperta, ecco una fila di almeno cinquecento T 34 nuovi di zecca, pronti a partire per il fronte. « E se arraffassimo una di queste carriole per ritornarcene a casa un po' più in fretta, e più comodi? » « Mica una brutta idea », commenta il Vecchio a bassa voce. « Guardate se hanno dentro le munizioni. » Porta, come un furetto secondo il suo solito, è già dentro al carro un istante dopo e Fratellino accarezza con amore i larghi cingoli che lo affascinano. « Che macchina spettacolosa! Ne dovremmo avere anche noi qualche migliaio. E queste rotondità proprio uguali identiche a quelle di una bella pollastra francese, di quelle care, però! » « Con un materiale a disposizione di questo tipo, Ivan
201 non può che vincerla la guerra, è inutile », commenta cupo Stege. « Dubiti della vittoria, disgraziato? Alto tradimento! » interviene come suo solito Heide. «Lui, Julius, completamente idiota», afferma Vassili, « non capire proprio niente del tutto, quello. Tutti idioti politici essere come lui. » « Mica tanto facile sgraffignarlo, questo coso », annuncia Porta emergendo dal carro. « Non c'è neanche un goccio di benzina, per di più. Certo che potremo chiedere a Heide di spingerci, cosa ne dite? » Tutta la sezione scoppia in un'enorme risata. « Basta ragazzi, al lavoro adesso », ordina il Vecchio. « E nel giro di mezz'ora tutti devono essere già fuori e pronti a filare. Avete preso nota dei tempi esatti? Le prime esplosioni devono avvenire entro mezz'ora, e a questo punto tagliate la corda, perché se il colpo riesce il rumore si sentirà fino a Berlino! » « Mettiamo un po' di plastico anche sotto queste carriole? Altrimenti ce le ritroviamo tutte belle schierate in fila al fronte. » « No », dice il Vecchio, « non c'è abbastanza esplosivo per far saltare anche quelle, e dobbiamo invece piazzarlo nel montaggio a catena. Far saltare queste scatole di acciaio non presenta alcun speciale interesse, a paragone della produzione a venire. » La fabbrica ronza come un alveare, e noi passeggiamo impassibili in mezzo agli uomini dell'NKVD e agli operai, uno dei quali ci rivolge la parola. « Job Tvojemadj'. » grugnisce autoritario Porta all'uomo che sparisce all'istante. Io colo sudore in tutto il corpo dal terrore, mentre Porta si dirige tranquillamente verso il reparto imbutitura dell'officina, seguito dallo sguardo incuriosito di un ca-
202 porale russo, e cincischio febbrilmente il mio revolver in mezzo a questo fragore infernale di macchine in moto che ci spacca le orecchie. Sembra incredibile che si possa lavorare qui giorno e notte senza diventare pazzi, o sordi. Porta esce dal reparto e, con aria molto professionale, si asciuga le dita sporche di olio con uno straccio di canapa che poi lancia ridendo sulla testa del caporale, e questi glielo ributta allegramente. Io avrei una voglia pazza di mettermi a urlare invece, dal nervosismo che mi prende tutto. Devo salutarlo anch'io questo dannato caporale? Avrebbero dovuto darci maggiori informazioni sulla disciplina che vige nell'Armata Rossa, perdio... alla fine mi decido a salutarlo, con noncurante camerateria, pensando che è sempre meglio un saluto di più che uno di meno o niente del tutto. I caporali di tutte le armate del mondo sono molto sensibili e suscettibili in fatto di saluti, so per esperienza diretta. Lui mi fissa per qualche secondo con uno sguardo di ghiaccio, poi mi fa segno di filare. Un caporale dell'NKVD non risponde mai al saluto di un suo inferiore di grado, infatti; lo esige e lo accetta, ma tutto finisce qui, è la regola. Proseguiamo sempre all'interno della fabbrica, quando a un tratto Porta si ferma di botto e indica con una mano il soffitto. Un'enorme gru sta facendo calare un carro proprio sulla mia testa! Deve allinearsi a una lunga fila di carri già montati sopra dei vagoni, anch'essi già allineati all'esterno dell'immenso locale. Su ciascun vagone vengono sistemati due T 34, il cui smalto fresco verde acceso brilla come una fonte di luce sotto le enormi lampade ad arco. I consiglieri imbecilli del nostro Führer dovrebbero vedere con i loro occhi uno spettacolo come questo, e chissà poi se riuscirebbero a cambiare un po' idea riguardo all'efficienza di mezzi dell'Armata Rossa! In questa sola fabbrica c'è, è già pronto, di che attrezzare
203 di carri almeno cinque divisioni, e quando tutti questi mostri saranno messi in moto, che Dio abbia pietà, dall'alto, della povera armata tedesca! Saltiamo così velocemente sul marciapiede del carromatto per portarci al reparto n. 9 che mi sfugge di mano uno dei sacchetti con le barre di esplosivo, e un operaio servizievole e ignaro mi aiuta a raccattarlo. Al di fuori dell'immenso reparto l'improvviso silenzio totale ci colpisce come un pugno nello stomaco, ma nel reparto verifica e aggiustaggio dei cannoni, dove sono radunate in fila tutte le torrette dei carri, il fragore ridiventa allucinante. Perfino l'esplosione di uno di questi cannoni quasi non si sentirebbe, ho ragione di credere. Una locomotiva elettrica guida i diversi vagoni per portarli fin davanti al grande reparto e qui si danno da fare molti pompieri dall'elmetto di ottone lucido. Uno di questi, cui evidentemente do fastidio, mi spinge indietro con una spallata dicendomi qualcosa, che ovviamente non capisco. Gli grido: «Job Tvojemadj! » e lui mi minaccia con un pugno, ma vedendo che cincischio il mio Kalashnikov l'uomo si addolcisce subito. Una NKVD ha sempre ragione, soprattutto se ha le mani sopra un Kalashnikov, è chiaro! Non appena i vagoni rallentano, mi affretto a raggiungere Porta che sta collegando dei fili a un grosso armadio blindato. E come sempre, sono io che devo coprirlo in caso di pericolo mentre lui lavora, e ho già decapsulato tutte le mie granate a mano infatti. Lo vedo impadronirsi con impertinenza di una sigaretta che un operaio si è appena arrotolato, e vedo quest'ultimo avvicinargli servizievole e sollecito l'accendino. Porta in cambio gli regala un grosso sigaro. « Sigaro tedesco! » grida. « Grazie! » risponde grato e felice l'operaio.
204 Poveretto! Avrei la tentazione di offrirgli la possibilità di salvarsi, perché è al Cremlino che avrebbero dovuto mandarci, non qui! Una lampada rossa prende ora a lampeggiare, a intervalli regolari e ravvicinati, dal grande soffitto del reparto. Che cosa sarà? Sanno che siamo qui e danno l'allarme forse? Proprio nello stesso istante una pattuglia di soldati attraversa a passo rapido tutto il reparto e scompare dietro a una piccola porta dalla struttura metallica, mentre degli NKVD, molto eccitati, corrono nella direzione opposta. Che abbiano catturato uno dei nostri? Ecco che un sergente capo ci ferma, e Porta agita una mano con aria indifferente come sempre fanno i russi intendendo dire: « Job Tvojemadj». In Russia, infatti, se un soldato risponde così a un ordine, vuol dire che ha capito, tutto qui. Ma insistere bisogna, tutti i russi in uniforme lo sanno. Parecchi T 34 escono dal reparto direttamente coi propri mezzi, e noi ci aggrappiamo ai ganci di rimorchio di uno di questi: un colonnello ne controlla il numero all'uscita e noi ci infiliamo rapidi dentro a uno stretto passaggio, che sfocia in un grande spiazzo. Qui Porta si siede su un muretto di pietra e accende una sigaretta, imperturbabile. « Credo che diventi molto rischioso vivere qui », dice con un sorriso sardonico. « Fra tre minuti partono le prime cariche di esplosivo, e poi salta tutto, in aria questo bel bordello. » « Avete piazzato la vostra merda? » chiede il Vecchio che esce in quel momento dal reparto cannoni. « Non tarderai molto a saperlo; dai, agganciati il budriere, altrimenti finirai per perderlo per strada. » « Filiamo », brontola il Vecchio, « incomincia a scottare l'aria qui. » Saltiamo dentro a un vagone in moto e abbandoniamo
205 la zona, approdando poco dopo presso la FLACK demolita, dove già sono radunati quasi tutti i nostri. « Voi sprofondare dentro a grosso buco di neve, ora », dice Vassili con il suo luminoso sorriso asiatico. « Io messo bomba vicino a granate chimiche. Tenersi bene attaccati altrimenti volare via fino a Cina. » All'improvviso, l'urlo di una sirena. Un brulicare frenetico di NKVD, risuonano grida rauche. « Stoi Koi! » si sente gridare dall'interno dell'officina. « Cosa succede? » chiede Porta inquieto. « Sono tornati tutti, i tuoi? » chiede il Vecchio al sergente del Brandeburgo. « Tutti, sì. » « Deve essere successo qualcosa se danno l'allarme. Delle corte salve infatti vengono sparate dall'alto del muro dell'officina, e anche in città stanno esplodendo delle "granate; il tiro aumenta, la notte è lacerata da un fuoco violento. « Al fiume! » grida Barcelona, ansante. « Njet, njet! » dichiara Vassili. « Ritornare a linea ferroviaria. NKVD correre verso fiume. Molto pericoloso laggiù. Molto arrabbiati, adesso. » Un razzo illuminante sale proprio sopra le nostre teste, e rischiara tutto di un livido bagliore. « Non muoverti! » grida di furia Porta. « Resta lì, anche in piedi ma fermo! » Il razzo rimane sospeso nel cielo per un intervallo di tempo che sembra un'eternità; e nonostante il terrore non oso muovermi, ma finalmente si spegne e a tutta velocità mi sprofondo nella neve. Un soldato del Brandeburgo rotola fino a noi, ansirnante, con il viso livido e macchiato di sangue. « Come ci sei venuto, in questa armata di pazzi? » chiede Porta, tendendogli una boccata della sua sigaretta.
206 « Ci hanno detto che bisognava. Si era in Polonia, in tutto c'era rimasto un battaglione solo. » « Ma certo, lo dicono sempre loro quello che bisogna fare », sospira Porta con stanchezza. D'improvviso, a ovest, il cielo si illumina di una lingua di fiamma d'un rosso giallastro e vivo, e un'esplosione enorme e prolungata, seguita da un'altrettanto enorme ondata di aria calda, si srotola come un tappeto sopra le nostre teste. Tre altre esplosioni seguono la prima, poi di nuovo ci sommerge un'ondata di calore rovente come il soffio dell'inferno. Poi il silenzio, assoluto. Una fila di proiettori si accende alla sommità del muro dell'officina, cento fasci di luce si mettono in funzione per scoprirci, e raffiche di proiettili schizzano e solcano il grande avvallamento della cloaca, dove vorremmo andare a rifugiarci, a dispetto del consiglio del Vecchio. È evidente che non sanno assolutamente dove siamo, per nostra fortuna. « Ancora due minuti », ordina il Vecchio, « poi buttatevi a terra; ci sarà un bel vulcano in eruzione fra qualche minuto, qui. » Insieme al frastuono delle fucilate si sentono degli ordini, che Vassili ascolta, rizzando un poco la testa. « Adesso NKVD non sparare più. Credere di avere beccato porci sabotatori. Indispensabile sparire tutta velocità. Loro essere matti furiosi, ora. » «A terra!» tuona il Vecchio. «Non muovetevi! » Un nuovo, ordine in lingua russa arriva fino alle nostre orecchie e una sezione di NKVD esce correndo dalla porta principale, ma soltanto un piccolo numero di essi riesce a raggiungere la strada, perché di colpo, dall'interno della fabbrica, un boato esplode gigantesco e la notte si illumina come fosse pieno giorno. Un'immensa lingua di fiamma si alza, capace di renderci ciechi con il suo fulgore, e in una frazione di secondo vediamo delle sagome
207 di soldati delinearsi contro questa luce fantastica, che diminuisce ora, e una fiamma ancora più bianca, più atroce, li fa di nuovo riapparire ai nostri occhi. Poi tutto sparisce in una catena di esplosioni, e improvvisamente la terra sembra sollevarsi come sopra il dorso di un Titano, mentre un fungo di fumo rosato prende forma e si diffonde su tutto il paesaggio. Dove siamo? Come fossimo delle foglie morte, lo spostamento d'aria ci ha proiettati fuori dalle nostre conche di neve, verso il fiume Moskova. Piangenti, sordi, ciechi, con jl sangue che ci imbratta tutto il viso, ci alziamo penosamente in piedi, e la prima cosa che vedo è Fratellino che tenta di dissotterrare il Vecchio da un gigantesco cumulo di neve. Al primo momento lo crediamo morto... ma grazie al cielo è solo svenuto! « Che scorreggia tremenda! » geme Porta, emergendo da una fossa profonda. La scheggia di una granata gli ha solcato profondamente la cute sotto la zazzera rossa e, quanto a Fratellino, non riesce a darsi pace constatando che una pallottola gli ha forato la borraccia. Niente più vodka ora, maledizione; e ne avrebbe così bisogno! Sulla sponda del fiume ritroviamo gli altri, ma ne mancano ancora otto del Brandeburgo. Eccone uno ridotto a pezzi, non lontano di qui nella neve, un contadino della Frisia al quale era stato promesso un congedo definitivo, al suo ritorno da questa missione; un altro è sparito senza lasciare traccia e senza dubbio è stato polverizzato dalla pressione dell'aria. Ma tutto quello che resta della immensa fabbrica è una gigantesca nube di fumo color fuliggine che ribolle in grosse volute, mucchi di ferraglia e blocchi di cemento. E dal lato opposto della strada, l'officina che produceva siluri non è ora che un oceano di fuoco così rovente che fonde la neve e fa colare l'acqua a torrenti.
208 Il calore è insopportabile, l'ultimo piano dell'ospedale sembra sia stato tranciato di netto dalla scure di un gigante, la stazione è sparita, come soffiata via, e la casa del traghettatore, proprio sulla sponda del fiume, è trapassata da parte a parte da un enorme palo di segnalazione stradale che assomiglia alla gigantesca lama di una lancia. Non si vede anima viva, tutto ciò che viveva deve essere stato polverizzato infatti. Come atto di sabotaggio, è un gran successo, molto ben riuscito, bisogna riconoscere. « Cosa diavolo è stato? » mormora il Vecchio, ancora stordito. « Oh merda! Dobbiamo aver fatto saltare un enorme deposito di munizioni, ma ci dovevano essere anche dei liquidi incendiari, all'interno. Questa luce di un bianco folgorante, fa subito pensare a del dannato fosforo allo stato liquido. » « Povera gente », commenta Barcelona. « Mi fa pena, sai, non amavano la guerra più di quanto non ramiamo noi, quei poveri operai. » « Lavorato bene », dice Vassili, sempre sorridente. « Io guardato dentro, e tutto Kaput! T 34, vagoni, più niente. Più grosso bum io mai visto! Grande decorazione al merito. » « Prima di pensare alla decorazione è meglio pensare a salvare la carcassa! » risponde Porta, già in testa al gruppo. « Sarebbe ora di filarsela a gambe, no? » Le sirene, ancora le sirene! Ecco ora la FLACK che prende a sparare. « Prendere noi per bombardieri! » ride Vassili. « Meglio per NKVD pensare che essere stati aerei e non Brandeburgo. Capi di Cremlino terribilmente arrabbiati contro imbecilli che non aver sorvegliato bene grande fabbrica. Molto difficile poveri imbecilli trovare scusa
209 per salvate loro pelle. » ce Ascoltate! » dice Porta tendendo l'orecchio. « JU 87, Stukas », segnala Fratellino. « No, Heinckel », ribatte Stege.
210 Cremlino più niente avere ancora in questa vita da cani. » Filiamo verso la Moskova, diretti al ponte Borodinsky, ma proprio là vediamo ferma una lunga fila di camion carichi di prigionieri. Deve essere una grossa retata, e molte uniformi, vediamo, fra i prigionieri. « Cacciatori di teste della NKVD. Non andare là, noi. Loro arrestare anche generali se volere, e io soltanto capitano miserabile, buono per calci nel culo come cane senza padrone. Io far loro solo segno frettoloso di lontano mentre voi filare subito dentro via Smolensky. Loro credere noi essere dietro il culo di gente cattiva da uccidere. » A tutta la velocità consentita alle nostre gambe, prendiamo delle stradette laterali, con Vassili sempre dietro di noi, come avesse le ali ai piedi. «Presto! Dentro cortile! NKVD arrivare con fucili mitragliatori. Loro non credere a me. » A testa bassa attraversiamo un cortile e scavalchiamo una fila di recinti in legno. Un guardiano ci intima l'alt, poi estrae la rivoltella, ma nell'intervallo di un solo secondo la corda di acciaio del Legionario l'ha già strangolato. Buttiamo in un bidone di immondizie il corpo dell'uomo e riprendiamo a correre fino a via Souvorovskyn dove ci infiliamo in una porta semiaperta. È un'agenzia dell'Intourist. « L'agenzia è chiusa! » dice una voce femminile. « Non rompermi i coglioni! » le replica il Legionario, balzando allo scoperto, e colpendola al viso con il dorso della mano. «Tedeschi!» mormora la donna, sconvolta, « Tedeschi! » ripete fissandoci con occhi da folle. Nello stesso istante passano nella strada i carri BT 5 dall'alta caratteristica torretta. Il comandante sorride e
211 sorveglia a vista la strada, attraverso il vetro appannato dal gelo. « Attenzione! Se si insospettisce, ci incolla una granata esplosiva al culo, quello! » Il vento soffia contro i vetri e li ricopre di una patina di neve, e il carro accelera sfiorando il muro nel passare. Improvvisamente, un grido acuto ci fa sussultare e, a una velocità sbalorditiva, la donna ci sfugge attraversando il locale. Il grido di terrore risuona una seconda'volta. Con un salto il Legionario si precipita su di lei, ma ella lo evita, si infila sotto la tavola e afferra una lampada di pesante metallo, che con tutta la sua forza lancia contro i vetri della finestra. « Uccidere! Lei molto pericolosa! » grida Vassili. La donna fa un balzo, si butta contro il Legionario, investe in pieno il Vecchio, cui il revolver sfugge di mano scivolando via sul pavimento, e io cerco di dominarla e prevalere su di lei ma ricevo un grosso calcio in faccia che mi lascia stordito. La donna urla per la terza volta, e se il carro armato non avesse per nostra fortuna accelerato proprio nello stesso istante, sarebbe sicuramente stata udita. Proprio quando ha già quasi raggiunto la porta Fratellino l'agguanta e le affonda il coltello fra il collo e la spalla. Costei si dimena come una belva, stretta dal pugno di ferro del gigante, e lentamente Fratellino estrae ora il coltello dalla spalla e lo riaffonda con tutta la sua forza fra i due seni. La donna emette un grido soffocato, rauco, e ricade afflosciata fra le braccia di Fratellino, che contempla un istante il cadavere, poi asciuga il pugnale sul vestito di lei. « Santa Madre di Kazan! Non ci si abitua proprio mai! » e corre a vomitare dentro un secchio appoggiato contro la parete. « Fatela sparire », dice il Vecchio, il viso chiuso e serio.
212 Porta e io la trasciniamo verso un armadio dentro il quale la chiudiamo. Su un ripiano è posato un cappello molto fuori moda, guarnito di una piuma verde. « Bestia di donna! Se non gridare vivere ancora », dice Vassili, distribuendo dei viveri trovati in un cassetto. « Io adorare formaggio di capra. » Nell'uscire, affiggiamo un grande cartello sulla porta dell'ufficio: « Chiuso per lutto ». Ci garantirà qualche momento di sollievo, di pace forse. E si riparte. Vicino alla via Smolenskaya, in un angolo protetto ci separiamo dal gruppo dei Brandeburgo, fissando loro un secondo appuntamento dietro le linee russe. Lunga marcia, ora, sul lungofiume della Lenskaya. Ci infiliamo dentro a un giardino zoologico per passare la notte. Porta, Fratellino e Vassili vengono inviati in ricognizione attraverso il parco Krasnopresnensky, devono aspettarci presso il primo laghetto, ed è là che ci riuniremo per attraversare il fiume. Passare la ferrovia in quel punto è un'impresa impossibile; bisogna andare verso sud, invece, costeggiare la stazione di Koutosov per arrampicarci poi sulle alture di Pakionnaya, e di là ritrovare la strada di Mozhai-skoe. Per parecchie ore, nessuna notizia ci arriva delle nostre staffette, e il Vecchio allora ordina a ogni sezione di dirigersi verso il parco, distanziandosi il più possibile. Il silenzio dei nostri compagni è inquietante. Sono stati, catturati, o uccisi? « Che nessuno spari senza un mio ordine preciso intesi? Se occorre battetevi all'arma bianca, ma uno sparo con questo freddo si propaga per molti chilometri, ed è troppo rischioso », dice il Vecchio, concitato. Lunga ricerca e improvvisamente eccoli seduti vicino al grande lago. Sono nascosti alla meglio dietro una immensa statua, da dove si gode una splendida vista sui dintorni.
213 « Ma cosa state facendo là, voi tre? » ruggisce il Vecchio, furioso. « E il rapporto? » « Siediti, calma », gli dice Porta, armato del suo splendido binocolo. « Il ponte è sempre occupato, neanche una pulce ariana lo attraverserebbe. Ma qui si sta da Dio, in compenso! » Fratellino geme a lungo e sorride, ma ha anche lui gli occhi incollati al binocolo. « È quasi meglio di un film porno! » « Belle puledre! » nitrisce Vassili con una risata carica di concupiscenza. « Cosa diavolo state guardando? » grida il Vecchio, strappando il binocolo dalle mani di Fratellino. « Ah, ma questo state guardando, allora! » È paonazzo. « E avete passato tutto questo tempo ad adocchiare le ragazze, mentre noi eravamo ansiosi per voi. » « Hai qualcosa di meglio, forse? A me questo basta, e ne avanza, anche », dice Porta. « Dire una cosa, sergente. Buona idea andare e prendere quelle signore soldatesse. Noi ritrovare molte forze su materassi, prima di riprendere strada molto pericolosa. » « Andate tutti al diavolo, mi fate vergogna, perdio! » sbotta il Vecchio esasperato. « E stanno facendosi una splendida doccia, anche », dice Porta, indicando una casa rossa non lontana da noi, dove tutte le luci sono accese nonostante sia ancora giorno. « Si vede proprio tutto », ridacchia Fratellino sempre attaccato al suo binocolo come una sentinella al posto di guardia. « Belle cerbiatte », dice Vassili a sua volta, « rasate pei non prendere cimici. A Chita tutte ragazze rasate. Cinesi non amare altrimenti. Vieni sergente, e vedere anche te.
214 Tua moglie essere a Berlino, e tu fottertene. » « Brutti porci! » brontola il Vecchio. « Finirò col dover chiedere a quelle donne di abbassare le tendine. » Le ragazze cantano e chiacchierano. « Che cosa dicono? » « Io non bene capire. Dialetto caucasico. Non proprio lingua umana. » « Perché poi tant'acqua? Hanno l'aria di viverci perennemente, sotto quelle docce. » « Sicuramente molto pidocchiose. Donne caucasi-che molto sporche, puzzare come caproni. Obbligate lavarsi molto. Gente di Mosca non amare ragazze che puzzano. » « Bella faccenda se quelle si accorgono di noi », dice il Vecchio, sempre irritato. « Le donne detestano, questo tipo di cose. » « Tu non essere arrabbiato, sergente. Piuttosto guardare anche tu. Non vedere tutti giorni cose così belle, durante guerra. » « Se andassimo a dar loro una controllatina? » propone Fratellino. « Non oserebbero rifiutarsi se vedono le nostre mostrine. » « Molto buona idea », rincalza Vassili. « Santa Madre di Kazan! » geme Barcelona spaventato. « Eccone una che arriva proprio qui. » « Forza ragazzi. Sta arrivando davvero. Sbottonatevi le braghe e preparatevi tutti. Non capita mica tutti i giorni di essere serviti a questo modo. » « Filiamo, presto! » insiste il Vecchio con voce dura. (( Se quella ci vede darà subito l'allarme! » « Dimentichi che siamo dei biechi e rigidi NKVD », dice Porta tranquillamente. « Tutti si paralizzano come statue, alla nostra vista. » « Dio mio, che paura! » mormora il « professore », che
215 si è buttato nella neve e come uno struzzo si illude di non essere visto. « Se una di quelle passa di qui, le facciamo una scopata collettiva! » dichiara Porta, pieno di speranza. « Si finisce per amarla questa maledetta Mosca, a questo punto! » « In piedi! » ordina il Vecchio. « Andremo subito dall'altra parte del lago. » Lentamente, a malincuore, seguiamo il nostro capo. È un vero peccato, però, si stava così bene! Dalla nostra nuova posizione vediamo certamente molto più lontano, fino alla stazione, ma certo che la sala doccia delle soldatesse non è più visibile, e tristemente ci mettiamo a nostro agio, ci sganciamo i budrieri, ci avvolgiamo freddolosamente nei lunghi cappotti russi, rialziamo i baveri di pelo, e ci barrichiamo dietno un piccolo muretto di neve per ripararci dal vento. « Lo sapete che è quasi Natale? » dice Porta. « Anche solo con qualche nastro legato attorno ai pini, avremmo l'illusione di una festa, non vi pare? » E all'improvviso, come per incanto, ecco sbucare quattro ragazze che passeggiano cantando e chiacchierando, e ridendo si avventurano sopra la lastra ghiacciata della superficie del lago. Cosa diavolo stanno facendo? Le vediamo chinarsi intorno a un foro nel ghiaccio ed estiarre una lunga fune sottile alla quale sono legati molti ami. Una dozzina di pesci hanno abboccato, e ad un'altra fune che estraggono poco dopo sono appesi altri pesci, ma questi sono così piccoli che le ragazze li staccano dagli ami e li lasciano cadere liberi dentro l'acqua. Forano altri buchi nel ghiaccio, vi infilano altre funi con altri ami e poi ricoprono il tutto con della paglia per poterli ritrovare qualche ora dopo. E ora ecco che si stanno avvicinando proprio alla conca dove siamo tutti nascosti, e quasi non osiamo respirare
216 dall'emozione! A una decina di metri di distanza si fermano e estraggono da un bunker molto basso delle cassette. Sono molto belle queste ragazze e sembrano dolci e gentili. Una di loro ha un viso bellissimo e una massa di capelli biondi che sfuggono alla calotta militare che li preme. A questo punto Fratellino, inebetito come un imbecille, lascia cadere il binocolo che rotola rumorosamente lungo il lieve pendio. Il rumore fa voltare di scatto la testa a tutte e quattro le ragazze, che non sanno, poverette, come la loro vita da questo momento sia solo legata a un tenue filo! Ancora qualche passo e ci butteremo su di loro per violentarle, prima di ucciderle: nessuno, nemmeno il Vecchio riuscirebbe a imporci di non farlo, è chiaro. « E se le catturassimo?» bisbiglia Porta. «Saremmo soltanto in due per ciascuna di loro, e non sarebbe poi tanto male in fondo. Io prendo quella con le mostrine rosse, in ogni caso, ragazzi. Sarebbe la prima volta che mi scoperei un sergente, senza essere poi. tacciato di pederasta! » dice scoppiando in una tale risata che le quattro ragazze si alzano in piedi per guardarlo meglio. « Cretino! » mormora il Vecchio. « Di bene in meglio, ora. Bloccatele però se vi sembra che abbiano intenzione di correre verso il loro alloggiamento. Guai se dessero l'allarme; saremmo fottuti, lo capite o no, teste di cavolo? » Ma non avviene nulla, almeno per il momento. Rimangono ferme e perfettamente calme, così calme e tranquille che Fratellino impasta con le sue grosse mani una palla di neve, e poi la lancia colpendo alla nuca una di loro. « Huh, huh », grida poi, lanciandone un'altra. « Io rivestirmi e alzarmi per mostrare loro uniforme
217 capitano », dice Vassili, improvvisamente molto teso. « Molto pericoloso, ora. » Si alza eretto, e agita il suo berretto di pelo, ma le ragazze allegre e ignare sorridono e lanciano verso di noi altre palle di neve. « Siete veramente la banda più schifosa di tutto il fronte dell'Est », commenta il Vecchio, esasperato. « Una battaglia a palle di neve, quando si è ancora dietro le linee nemiche e facciamo parte di un commando! Roba da pazzi; non posso nemmeno fare un rapporto su di'voi, perché nessuno ci crederebbe! » Battaglia generale, tutte e quattro le ragazze si mettono di lena, lanciano palle grosse e candide, ridono, e le loro risate sicuramente si sentono da molto lontano. La lesta termina soltanto quando viene il tramonto e le ragazze ci fanno un ultimo gentile e festoso gesto di commiato con la mano, e si allontanano. « È la più bella partita a palle di neve che ho mai fatto all'estero », dice Porta, radioso. Ancora un'ora di attesa, e poi ci azzardiamo ad attraversare il parco. Passaggio difficile sul lago gelato verso il cimitero Dorogonùlovskoy, dove scopriamo per caso un cumulo di cadaveri congelati, le vittime del bombardamento a tappeto degli Stukas. Un grido, in lingua russa! È la sentinella di guardia a un blocco, sul limitare del cimitero. « Meglio io solo parlare », dice Vassili. « Altrimenti lui molta paura e gridare. Tu Legionario fare necessario, poi. » Un secondo ancora e la sentinella, strangolata con il sottile filo di acciaio, si aggiunge al cumulo di cadaveri. « E se dessimo una guardatina ai denti, prima di andartene? » propone Fratellino. « Guardaci pure, perdio! » replica il Vecchio. « E an-
218 drai a far parte anche tu del mucchio di cadaveri; ti ritroverai proprio comodo sulla cima, cretino! » « Merda! Come sei sempre complicato e pessimista, tu! Sempre la stessa cantilena, perdio. Comincio ad averne abbastanza di te, sai? » Ci troviamo ora davanti all'edificio destinato alla programmazione dei documentari di propaganda, dove un vecchio maggiore che finge di essere un generale ci dice perentorio : « Propusk! » Per nostra fortuna questa mezza luce della sera incipiente fa sì che l'uomo non ci possa vedere che a malapena, e Vassili gli si avvicina e gli mette una paura tremenda con la sua divisa vistosa e le sue minacce di confino a Lioubjanka. Quello si mette istantaneamente sull'attenti infatti e noi proseguiamo abbastanza sollevati. Arriviamo ai binari della stazione ferroviaria, e a passo molto sostenuto prendiamo la via per Mozhai-skoe, insieme a una grossa unità di fanteria alla quale ci siamo accodati, e, non molto dopo, ci ritroviamo in piena campagna. Il vento cresce di intensità di minuto in minuto e ogni passo diventa uno sforzo sovrumano. Montagne di neve ingombrano la strada, e dobbiamo stare ben serrati uno all'altro, per non perderci in questo allucinante inferno bianco. Dopo qualche ora di riposo in una stalla abbandonata, all'alba arriviamo finalmente nella zona del fronte, dove ritroviamo i ragazzi del Brandeburgo, molto ansiosi sulla nostra sorte. Grossa sfuriata perché li abbiamo fatti aspettare troppo a lungo e sono tutti congelati dal freddo, e ora iniziamo l'ultima parte della... passeggiata, che avviene in modo abbastanza tranquillo, almeno per il momento, con rari incontri con reparti russi, molto indaffarati nei preparativi per la loro grande offensiva; ed è
219 chiaro a tutti che è imminente, ormai. Tutta la zona formicola di truppe di tutte le armi, infatti, tutti si danno un gran daffare, e non è certo un buon segno per noi, questo attivismo febbrile. « Molto bene, loro molto occupati grande offensiva », dichiara Vassili. « Niente tempo per occuparsi di pulci tedesche. » Solo quando il buio della notte è calato del tutto ci azzardiamo a raggiungere la « Terra di nessuno » e poco dopo il levar del sole approdiamo finalmente nelle prime trincee tedesche. Il sergente del Bran-deburgo è il primo a saltarvi dentro, ma le troviamo completamente deserte! I due nidi di mitragliatrici... nessuna mitragliatrice, e il terreno tutto mosso è la sola cosa che rimane di una batteria di mortai pesanti sul fianco del nido. « Fritz, Fritz, idisodar! » Questo richiamo risuona alle mie spalle e un MG prende ad abbaiare sul nostro fianco destro. In un batterdocchio siamo tutti appiattiti a terra, gli MPI sparano a raffica, un gruppo di russi cade, mentre le granate sibilano tutt'intorno. « Filate, via! » grida il Vecchio. « Presto! Rimango io a coprirvi. » Ci arrampichiamo sul bordo della trincea vuota e ci buttiamo di corsa verso sud, sentendo alle nostre spalle crepitare il fucile automatico. Inciampo in un cadavere, un ragazzo del reggimento del Brandeburgo, e arrivo per primo dentro la buca di una granata già incombra di molti cadaveri riversi in pose atroci e grottesche. Gambe e braccia, irrigidite dal gelo, si protendono con gesti allucinanti verso il cielo, e delle dita accusatrici si tendono verso di me, come volessero dire: « Osi ancora vivere, tu?» Porta scavalca con un salto la buca e io lo seguo, ma
220 scivolo e ricado lungo il pendio ghiacciato. Il ghiaccio qui è rosso: di sangue congelato, e in guerra non si vedono che queste cose purtroppo! I russi, alle nostre calcagna, continuano a gridarci frasi di invito: « Fritz, Fritz, idisodar! » ma noi galoppiamo verso sud correndo quanto ci è più possibile. Dove sono i nostri, maledizione? Vedo Fratellino che salta, poi si appiattisce, salta di nuovo, corre, mentre la sua mitraglietta spara senza sosta, e dei russi cadono non lontano da lui. Mi fermo qualche istante per lanciare delle granate a mano alle mie spalle, sistema con cui si « ripulisce )> una trincea. « Come assistessi a un film proiettato molto più veloce del dovuto, intravedo dei russi falciati dalle granate cadere a terra, e un braccio strappato dal corpo mi passa proprio davanti al viso. Una nuova corsa disperata, verso ovest, ora. Ma dove possono essersi ritirati i nostri? Devono essere stati costretti a ripiegare, evidentemente. Qualche metro davanti a me galoppa il sergente del Brandeburgo, e all'improvviso, qualcosa di simile a un gigantesco pugno ini atterra. Il suolo si apre sotto i miei piedi, mentre il corpo del sergente viene proiettato in aria e sembra volteggiare ruotando su se stesso all'estremità di una colonna di fiamme. Ricade inerte davanti a me: la mina sulla quale incautamente ha messo il piede gli ha dilaniato tutte e due le gambe. Non c'è più nulla da fare per lui, il sangue sgorga a fiume dai suoi monconi troncati di netto! È una vista raccapricciante! Corro, corro senza più voltarmi indietro, mentre le sue grida mi inseguono tormentose. Mio Dio, abbi pietà di lui, fallo morire subito, poveretto! E finalmente ecco le nostre linee. Tiro di sbarra mento istantaneo però, contro di noi. « Non sparate! Non sparate, camerati! » urla il Vecchio
221 "disperatamente. « Siamo del Brandeburgo! » Un tenente, con lo sguardo caratteristico della Gioventù Hitleriana, sporge con cautela la testa al di sopra del bordo della trincea e chiede la parola d'ordine. « Vai a farti fottere! » grida di rimando Porta, atterrando in salvo dentro, e mettendosi al sicuro. <( Bisogna essere proprio pazzi per sparare. Non c'è niente di più pericoloso che dei cretini morti di paura agli ordini di un ufficiale che non capisce un Cristo! » « Siete tedeschi? » grida una voce, dal punto dove pensiamo sia rintanato il tenente. « Vieni a vedere se non ci credi, razza di coglione! Potrai constatarlo coi tuoi occhi prima che ti strangoli con le mie mani! » Un'esplosione improvvisa ci fa sussultare tutti. È una granata a mano. Vedo Vassili sollevato molto al di sopra del suolo e ora ricade come una massa inerte. Sotto il suo corpo la neve diventa subito scarlatta. « Tedeschi, idioti! » geme. « Ammazzarli tutti, cattivi tedeschi. Ora Vassili andare presso grande Konfu. Molto triste mai sapere come guerra finire, e noi più mangiare pollo vellutato da cugino di Pechino. » Tenta di mettersi seduto e stringe la mano al Vecchio: « Dasvidanja, sergente. » È morto. Presi tutti da un furore violento, con la mitraglietta che ci crepita tra le mani corriamo dentro il cunicolo destro della trincea, verso il tenente e i suoi uomini che in un secondo sono tutti disarmati. Il piccolo ufficiale, terreo per lo sgomento, è come incollato alla parete della trincea, e il Legionario, fuori di sé, gli lacera d'un colpo tutta l'uniforme con il suo coltello da combattimento dalla lama affilatissima. «Non ucciderlo», gli dice il Vecchio. « Non è che un
222 ragazzino. » « Questo immondo sudicione ha assassinato Vassili! » E prima che il Vecchio abbia il tempo di intervenire con un gesto, il piccolo hitleriano sprovveduto è preso a calci violentissimi e buttato sul fondo della trincea. Un sergente salta su Porta, ma crolla a terra con uno squarcio alla gola. Ed eccoci tutti trasformati in bestie feroci e selvagge, pazzi di, furore, fucili e revolver puntati e pronti a sparare. « Distesi per terra a pancia in giù, mani sotto la nuca, o sparo a tutti! » ordina il Vecchio. Immediatamente tutta la compagnia è a terra, all'ordine perentorio del Vecchio, che tuttavia esclama, scoraggiato: « È a questo modo che si deve vincere la guerra, perdio? Dove è finito il tempo in cui il soldato tedesco rappresentava il modello, l'ammirazione di tutti? » Quasi subito compare il colonnello Hinka, seguito da altri ufficiali. Ci stringe la mano, dà una manata sulla spalla di Porta, e ascolta in silenzio il nostro rapporto sulla missione compiuta. Poi distribuisce a tutti da bere e da fumare. « Avete spaventato da pazzi la compagnia di guardia! » dice. E con aria molto dura, per la verità, si rivolge ora al giovane tenente, che sta appartato e chiaramente è molto a disagio. « E voi? Perché non avete obbedito agli ordini? Sapevate bene che aspettavo l'arrivo di un collimando che veniva da Mosca. » « Indossavano le uniformi russe e non hanno risposto alla parola d'ordine », risponde il giovane, terreo. « Pensavate che arrivassero in uniforme di gala, e con il permesso di libera uscita timbrato, forse? » gli risponde
223 Hinka, furioso. « Ma io credevo... » « Lo saprete molto presto quello che credevate », tronca Hinka voltandogli le spalle. Il giovane ufficiale vorrebbe ancora dire qualcosa. « Dì una sola parola », ruggisce Porta, sputando proprio davanti ai piedi dell'ufficiale, « e te la trancio, quella tua sporca piccola gola! » Vassili viene sotterrato su un piccolo poggio dal quale si possono vedere i tetti della città di Mosca che non è lontana, e un soldato canta una marcia funebre. Gli lasciamo il fucile mitragliatore e il kriss al fianco, perché solo le donne arrivano davanti a Confucio senza armi, avevamo saputo da lui stesso. La sera rientriamo tutti al 2° Mezzi Corazzati, e quel porco di Wolf non crede ai suoi occhi rivedendo Porta ancora in vita. Il suo stupore è tale che ci invita seduta stante a un festino a base di sanguinaccio alla brace, preparato da lui stesso. Ci rimpinziamo come pazzi, naturalmente, ma l'indomani tutta la sezione soffre orribilmente di male al ventre. Il sanguinaccio di Wolf, era avariato evidentemente, e forse era solo per quello che ci aveva generosamente invitati a dividerlo con lui.
224 I traditori devono tutti essere liquidati, cosi come i loro figli. Niente, assolutamente niente deve restare di questa immonda plebaglia. Adolfo Hitler, alla SS Obergruppenführer Heydrich. 7 febbraio 1942
Verso le tre del mattino dell'11 gennaio 1942 due uomini, in lunghi cappotti di cuoio ed elmetto d'acciaio, bussarono violentemente a una porta su viale Admiral von Tirpitz Ufer, proprio in faccia al Potsdamer Bruche. Non vedendo aprirsi i battenti, i due presero a pugni la grande anta di legno massiccio e pregiato. Un'altra porla ora si aprì, al piano di sopra, e un uomo in xieste da camera si affacciò alla balaustra della scala. « Che cosa desiderale, signori? Sono il consigliere di Stalo dottor Esmer, e vi dichiaro fin d'ora che domattina farò un rapporto, relativo al vostro inspiegabile comportamento. » « Sparite! » gli ordinò burbero uno dei due uomini. « Altrimenti verrete liquidato, domani slesso. » Solo ora il consigliere di Sialo notò le lettere SS che ornavano il bavero del cappotto dei due sconosciuti, e si affrettò a raggiungere la moglie in camera da letto. All'alba i dite coniugi partirono per un periodo di cure a Badgastein. Un servitore aveva appena aperto il grande portone d'entrala dell'appartamento del generale. « Vogliamo vedere subito il generale Stali! » abbaiò uno degli ufficiali delle SS, respingendo brutalmente indietro lo spaurito cameriere. « Ma signori... » « Vai a farti fottere! » replicò l'Hauptsturmführer Ernst. L'uomo si afflosciò su una sedia e stelle a guardare a bocca aperta i due ufficiali alti e sottili che entravano direttamente nello studio privato del generale. Da vent'anni era
225 il servitore fedele dell'alto ufficiale, e nessuno, mai, aveva osato introdursi a questo modo e comportarsi in modo simile. Il generale era un uomo distinto e contegnoso, infatti, e molto rigido per quanto riguardava l'etichetta. « Siete voi il generale di divisione Stali? » chiese con voce secca e dura il Sturmbannführer Lochner. « Sì », rispose il generale stupefatto, che a quest'ora tarda della notte era ancora seduto alla sua scrivania. « Il Führer vi ha condannato a morte per trasgressione ai vostri precisi compiti, e sabotaggio agli ordini. Avete dato, senza il suo permesso, ordine alle truppe di ritirarsi. » « Ma siete pazzi, se... » Il generale non riuscì a concludere la frase. Alcuni secchi colpi d'arma da fuoco risuonarono nel vasto studio, e un grido si udì, acuto e trafiggente. La signora Stali arrivò correndo e si chinò disperata sul corpo inerte del marito. « Questo porco è ancora vivo », disse uno dei due, strappando brutalmente la donna dall'abbraccio al morente. Sollevò per i capelli la testa del generale, gli appoggiò alla nuca la canna del revolver e sparò due colpi. Il cervello del poveretto schizzò via imbrattando tutta la stanza. « È fatto », constatò l'Hauptsturmführer. « Heil Hitler! » Alzò il braccio in un saluto hitleriano perfetto, e poi tranquillamente si avviò e lasciò l'appartamento senza affrettarsi. Accostata al marciapiede era pronta una grossa Mercedes nera, e un soldato era al volante, in rispettosa attesa. «Al prossimo, ora. Dove si trova?» chiese uno degli ufficiali. « A Dahlem », borbottò l'altro. E rapidamente la grande auto nera sparì sotto il Landvehrkanal.
226
LA FUGA DEI GENERALI Un fragore sordo e terribile proveniente dal fronte, interrompe il nostro sonno già agitato. « Mille diavoli! » impreca il Legionario. « Cosa succede ancora? » « Il primo colpo di centinaia di batterie », risponde il Vecchio con visibile inquietudine. «Ma chi ha avuto il coraggio di dire che Ivan era ormai fottuto? Speriamo almeno non si tratti di una grande offensiva, ma certo che ne ha l'aria, purtroppo. » « È tutta dedicata a noi », aggiunge a sua volta Barcelona, di pessimo umore. Il fragore lontano e metallico aumenta, fino a diventare un urlo potentissimo e agghiacciante. Sono centinaia di migliaia di granate che si avvicinano, in un terrorizzante crescendo. In furia ci alziamo tutti, ma siamo poi noi stessi, come il solito, a doverci appiattire al suolo a sostegno dell'artiglieria, che è chiaramente inadeguata al compito e non risponde al fuoco. Un boato che non ha nome e non ha uguale, e le granate piovono su di noi sommuovendo tutta la terra in un inferno di fiamme. Un intero mondo che nel volgere di un istante cambia volto. Le pietre, i ghiacci, e dei tronconi di acciaio affilati come dei rasoi, volano a centinaia di metri. Tutto è ridotto in briciole, e senza sosta il tuono erompe. L'aria e il suolo, il fiume e la città di Lenino appaiono come una mostruosa incudine colpita senza interruzione dal martello di un gigante. Tutto si schianta, alberi interi vengono proiettati in cielo al di sopra di cortine di fiamme scaturite da vulcani invisibili, improvvisamente risvegliati nel cuore della terra. Un denso vapore
227 tossico dilaga su tutto questo paesaggio mutilato, un miscuglio orribile a vedersi di fango, neve, sangue e brandelli di carne umana. E noi siamo nel centro di questo crogiolo demoniaco. I bunker sussultano e tremano, come fossero pezzi di sughero sopra un mare agitato, e molti sono gli uomini che in questo inferno diventano pazzi. Piovono gli schiaffi, allora, sola medicina efficace contro la follia. La foresta brucia, e sulla superficie del fiume il ghiaccio frantumato in piccoli pezzi lascia scaturire dei torrenti mortali, e questo fango nerastro diventerà la tomba di migliaia di uomini, russi e tedeschi insieme. Mi sforzo di appiattirmi al suolo come fossi una foglia morta, ma gli scoppi, continui, sconvolgono il nostro rifugio e i sacchi di sabbia sono ormai tutti sventrati. Speriamo che almeno le putrelle resistano a queste micidiali esplosioni! Un'ennesima granata, gigantesca ed erompente, fa letteralmente scoppiare la posizione, e sento un grido che mi sale dalle viscere, e so ormai che i miei nervi non potranno durare ancora a lungo! Il Vecchio si attacca al telefono, e urla nel ricevitore. « Che cosa vorresti avere qui, amico? » gli chiede Porta. » Se è per un taxi che urli tanto, divido la spesa con te, ma credo che in una notte come questa l'attesa rischia di diventare un po' lunga. « Bisogna assolutamente che riesca a mettermi in contatto con il comandante di compagnia! Esigo degli ordini precisi, è un attacco in grande stile, questo! » Lo spaventoso cannoneggiamento sembra calmarsi un poco, ma è presagio di altre cose, lo sappiamo fin troppo bene. « Tiro di sbarramento! w urlano delle voci. E tutti ci precipitiamo sulle armi.
228 « Come diavolo hanno fatto questi dannati sottosviluppati a mettere insieme tanto materiale pei scatenare un'offensiva simile? » chiede Heide stupefatto. « Il Führer aveva detto che erano distrutti e vinti ormai, e che l'ultima parte della guerra l'avremmo fatta a passo di parata! » « Ebbene, fallo subito il tuo bel passo di parata, specie di cretino che non sei altro, voglio proprio vedere chi ti verrà dietro! » Più velocemente che ci è possibile carichiamo tutte le nostre armi delle munizioni, ci riempiamo le tasche di granate e di altri proiettili con cui riempire nuovamente i caricatori, e infiliamo nel gambale degli scarponi tutte le bombe a mano possibili. L'attacco è imminente... come, riuscire a sopravvivere in un simile apocalisse? Un boato si abbatte su di noi dal cielo, e la strada che avevamo davanti sembra cancellata del tutto dal paesaggio. Cerchiamo di ritrovare dei volti noti... ma non ci sono più volti. Migliaia di cose e di brandelli umani volano in aria e tutt'intorno a noi, e come ciechi corriamo all'assalto, con le baionette che luccicano riflettendo le fiamme di questo inferno e, se il caso ci farà sopravvivere ci si ritroverà in coda davanti alla cucina volante per farci dare una zuppa acquosa ma bollente, che in qualche modo ci ristorerà. Oppure in coda davanti all'infermeria anch'essa volante per una medicazione di fortuna. Sogniamo tutti un candido letto d'ospedale, ma l'infermiere ci ride in faccia, quando ne accenniamo anche timidamente. Con tre compresse di aspirina, il « ferito leggero » deve continuare a combattere. Eccone un caso. Tutti i giovani del suo reparto sono stati uccisi e il soldato viene trasferito e arriva in una sezione, di sconosciuti, diventa agente di collegamento, corre con i dispacci attraverso la pioggia continua di granate, o sotto i tiri di sbarramento, o
229 sul terreno minato, fino a che anche lui verrà ferito in modo grave o morirà. Questi sopravvissuti a dei reggimenti annientati hanno una vita molto difficile e amara perché vengono spediti di unità in unità, raramente riescono a ricevere la posta da casa indirizzata a loro, e non riescono mai a farsi dei veri compagni. Forse il non ricevere posta da casa può anche essere una fortuna, in certo senso, perché qualsiasi notizia ravviverebbe in lui una crudele nostalgia del focolare perduto e tanto lontano, e distruggerebbe anche il più precario equilibrio di nervi che un uomo in questo tipo di vita fosse riuscita a mantenere. Un ragazzo' di vent'anni sprofonda e cade a terra. « Devo salvarmi! » dice a se stesso. « Alla patria io non devo nulla, e lei ora esige la mia vita. » A questo punto, di solito, preso da un raptus di follia si strappa di dosso tutta la bardatura militare e si incammina verso la retroguardia. Ma qui cade quasi sempre nelle mani di quei demòni della polizia; i soldati in punizione disciplinare che provengono dalla sezione Todt sono al loro agguato, e le esecuzioni in massa sono molto utili come esempio. « Vorresti filartela, vero? » chiede Fratellino al giovane aggregato. « No, per chi mi prendi? » replica lui, mentendo. « Perché rinunciare allora a questo delizioso bunker, dove si sta così bene? » gli chiede Fratellino. » Avremmo potuto passarci tutto l'inverno insieme e in allegria », dice, guardandosi intorno con uno sguardo molto molto triste. Un'esplosione terribile scuote e fa rimbalzare tutto il rifugio come fosse una palla di gomma. Il soffitto crolla, l'interno del bunker si riempie di fumo così soffocante da spegnere la lampada ad acetilene. « È necessario che vada a consultarmi col capo », dice
230 il Vecchio impugnando il fucile mitragliatore. « Ho l'impressione che sia un'offensiva colossale, quella che si prepara. » « Hamd'Allah », risponde il Legionario, « guarda che se esci di qui noi poi non ritroveremo neanche un bottone di te e della tua uniforme! » » Un'offensiva colossale », ripete il Vecchio, meccanicamente. « E questa volta credo proprio che andrà tutto a catafascio. » « È colpa degli ebrei! » grida isterico Heide. « Hanno cominciato loro, uccidendo Gesù. » Nessuno si perita di rispondergli. In un angolo il soldato Jacobo sta raccontando la sua storia coniugale. « Tua moglie è di puro sangue ariano? » gli chiede Porta. « Non del tutto, ma abbastanza. È una donna un po'... speciale, ma bisogna pur vivere, d'altronde, e se si ha una merce di qualità, perché non venderne un poco? » Estrae dal suo libretto militare una fotografia. « Guardate qui, mia moglie sembra proprio una fregata che si dirige a vele spiegate verso il candidato che intravede all'orizzonte. Voi non lo credereste, ma io ci posso giurare che in questo momento Grete ha sicuramente un ospite pagante nel nostro grande letto matrimoniale. » « E tu sopporti una cosa simile? » chiede Heide scandalizzato, « io al tuo posto la farei arrestare immediatamente dalla polizia di campagna. Il Führer ha detto che le mogli infedeli devono essere spedite tutte dentro ai bordelli, perché non sono degne della nostra società nazional-socialista. La Germania deve essere liberata anche dalle puttane, oltre che dal resto. » « Be', diciamo che la cosa non sarebbe poi così divertente! » commenta Porta ridendo.
231 Il Vecchio sta manovrando freneticamente la manovella del telefono da campo, e grida come un pazzo dentro il ricevitore. « Ma infine, con chi ce l'hai, ancora? » s'inquieta Porta. « Il risultato lo sapevamo già in partenza, ed ecco qui pronta la ritirata, lutto qui. Il viaggio di ritorno è cominciato, e se li dicessi che la cosa mi secca mentirei, amico. » » Voglio il comando del reggimento. Buon Dio! » urla il Vecchio. « Mi occorrono ordini per la mia compagnia! » « Potresti fabbricarteli benissimo da te gli ordini per la compagnia, lo sai bene! » « Idiota! La linea è interrotta », ruggisce il Vecchio, ce Secondo gruppo: ho bisogno di due uomini per riassestare il collegamento. Voglio la comunicazione, d'urgenza. » « Oh, merda, ma non la vorrai davvero e proprio adesso! Sei proprio tocco, amico. Se ti riaggiustano il collegamento, salterà subito da un'altra parte, e per concludere salteranno in aria anche i due soldati che lo devono aggiustare! È tanto chiaro, perdio! » « Filiamo via, piuttosto », propone Porta, arrotolandosi intorno alla vita un lungo nastro di cartucce. « Due uomini qui, per riparare! » tuona senza sosta il Vecchio, ci E la comunicazione subito con il reggimento! » Vengono designati due uomini del secondo gruppo. Un sottufficiale delle comunicazioni e un soldato del telegrafo si cacciano in testa senza fiatare l'elmetto e le maschere antigas. L'aria infatti è diventata così venefica che quasi pensiamo che l'attacco appena cessato sia stato sferrato coi gas. Chini in avanti, i due si inoltrano dentro questo inferno. In testa il sottufficiale che avanzando stende il filo
232 che gli scorre tra le dita. Primo contatto riparato e prova tramite il piccolo apparecchio portatile. La linea è sempre muta, come prima. Rapidi, continuano attraverso le esplosioni il loro cammino, fino al punto dove trovano la seconda rottura dei fili, e per sette volte consecutive eseguono la stessa operazione. Finalmente, il Vecchio riottiene la sua comunicazione, e tutti noi stiamo in ascolto vicino a lui. « Sì, ho capito! » grida dentro il ricevitore. « Resistere a qualsiasi costo. Scusate, signor colonnello, scusate maggiore. Credevo di essere in comunicazione con il mio capo. Qui 2ª sezione, 5ª compagnia, sergente Beier. Bunker distrutto. Quindici uomini, sì, signor maggiore... ne rispondo sulla mia testa. Che cos'ho davanti a me, dite? Non saprei dire... sembrerebbe tutto un corpo d'armata... no, non voglio essere impertinente... ho rischiato la vita di due dei miei uomini per riottenere il contatto telefonico... Coglioni! » mormora poi a bassa voce nel riagganciare il ricevitore. Lo guardiamo tutti con angoscia. È lui infatti che deve decidere cosa dovremo fare; eseguire gli ordini, oppure, sola cosa ragionevole da fare, per la verità, abbandonare la posizione il più velocemente possibile. Si mette in bocca una cicca di tabacco, stende sul piano la mappa e si concentra a studiarla attentamente, strofinandosi il naso a patata, come fa solitamente quando deve prendere delle gravi decisioni. « Ai vostri posti e raccogliete tutto il vostro equipaggiamento. » « Ah, no, maledizione », geme Porta. « Dobbiamo ancora giocare a fare gli eroi, adesso? » « Avete sentito gli ordini? Mantenere la posizione a qualsiasi costo. Noi siamo la spazzatura della Grande Germania e dobbiamo obbedire, ma sarà poi Ivan a de-
233 cidere la nostra sorte. » « Che peccato, questo bunker così meraviglioso! » si lamenta Fratellino. «Non ne troveremo uno così bello, una seconda volta. » « Nel prossimo, se ne avrai il tempo, ci farai anche la piscina! Cosa ne dici? » Proveniente da est, dalla parte opposta della strada che porta a Lenino, sentiamo un rumore crescente di motori e di cingoli. Presto, alle armi! Granate a mano, mine, nastri di cartucce, pale, coltelli di trincea, esplosivi magnetici. E rimaniamo in attesa... i nervi a fior di pelle. Un razzo illuminante proietta la sua luce livida sul terreno convulsamente accidentato, e sembra ai nostri occhi che migliaia di cadaveri si stiano alzando da terra. Lentamente il primo razzo si spegne, ma un secondo si accende nel cielo. Tutto il fronte è in fermento, un deposito di artiglieria salta in aria e illumina la foresta con un bagliore rosato. Eccoli! Arrivano in masse compatte, un nugolo d'uomini. Fantaccini nelle loro lunghe cappe bianche mimetiche, e gambe, migliaia di gambe stivalate calpestano la neve. In qualsiasi direzione si guardi, non vediamo che degli stivali che corrono verso di noi. È una marea, un oceano di soldati. « Urrà Stalin! Urrà Stalin! » In un sol colpo, tutte le nostre armi automatiche crepitano. Queste ondate umane cadono come fossero spighe di grano falciate, ma altre seguono, ed altre ancora, baionetta in canna. Questa notte, pare, il maresciallo Joukov si è presentato al fronte e ha dichiarato che non rientrerà al Cremlino se non quando avrà l'assoluta certezza della disfatta totale dell'armata tedesca. La seconda ondata di fantaccini s'impadronisce dei ca-
234 daveri a guisa di scudo, e riparte immediatamente all'assalto. Ma, usciti dalle nuvole ecco altri macellai all'attacco, e sono i nostri aerei ora, che rovesciano un tappeto di bombe sugli assaltanti. Al suolo, l'attacco diminufsce, in effetti, di intensità, mentre la neve si tinge di sangue. I russi fuggono indietro, ma vengono bloccati dalle NKVD che a sciabolate e fucilate li respingono, e li ricacciano brutalmente di nuovo in avanti, verso di noi. Pesantemente, e tristemente quei poveretti riprendono l'avanzata in mezzo alla neve e ai cadaveri, mentre le loro lunghe cappe bianche svolazzano intorno alle massicce gambe stivalate. « Urrà Stalin! Urrà Stalin! » Con le armi puntate e tenute all'altezza del ventre, noi subiamo così un nuovo attacco, l'ondata flette leggermente sotto il fuoco mortale dei nostri mitragliatori, e i ranghi nemici perdono il loro bell'ordine compatto iniziale. « Avanti, lazzaroni, vigliacchi! » urla loro il commissario politico, sparando sui propri uomini. Ma il panico si impadronisce di tutti, si muta in feroce aggressività, e i commissari vengono massacrati; non sono più dei soldati all'attacco, ora, sono delle bestie terrorizzate e selvagge che cercano di fuggire al banco dello scannatoio, mentre i loro crudeli macellai, sono senza pietà, ma terrorizzati anch'essi. All'improvviso, con un fragore lacerante, una serie di granate si abbatte sulla posizione. Vicino a me c'è un ragazzo, il solo sopravvissuto della sua compagnia; mi guarda terrorizzato, le labbra esangui, e anche se è ben poco che si trova al fronte, ha già sicuramente visto coi suoi occhi un mondo di orrori indimenticabili. Ora, il fragore è proprio tutto su di noi, la terra scoppia; urla, geme, viene dilaniata, e viene solcata come da
235 un gigantesco aratro. « Santa Madre di Dio! » prega il ragazzo, inginocchiandosi a mani giunte. Lo guardo di sottecchi... so che fra non molto i suoi nervi salteranno, e si precipiterà di sua iniziativa dentro questo inferno. Alzo lentamente il calcio del mio revolver per colpirlo e farlo svenire, la sola cosa opportuna da fare in questi casi, ma mi trattengo ancora, nel timore che il colpo possa essere troppo forte, e gli fratturi il cranio... Ma non è la stessa cosa, in fondo, se poi i russi lo prendono prigioniero o lo liquidano sul posto? L'HDV mi ordina di impedirgli di salvarsi, tuttavia. Un boato, e una colossale colonna di fuoco scaturisce dietro le nostre spalle; mi è sfuggito dalle mani il revolver e ho la sensazione che tutte le mie ossa si siano come sgretolate: il ragazzo è appiattito su di me. Sparano ora con le loro grosse granate, i russi. Visione atroce. Monconi di cadaveri sono trasformati in una poltiglia senza nome, in una massa informe di sangue e di carne. Dio, come ho paura! Ma devo cercare di dominarla. Devo sforzarmi di tenere stretto fra le mani il mio LMG con la baionetta in canna. « Mio Dio, sono ferito! » grida il giovane fantaccino, accucciandosi nel fondo della trincea come un animale braccato. Mi avvicino a lui, ma mi sfugge e, come prevedevo, si mette a correre nella « Terra di nessuno ». « Maria Vergine, sono diventato cieco! » e cade in ginocchio con le mani dove fino a poco prima aveva gli occhi. Un singhiozzo mi lacera le orecchie, ma mi butto di furia in avanti perché una granata sembra cadere su di me ed è meglio che io non mi faccia trovare dove quella andrà a cadere! Mi piove addosso di tutto, mi tocco... sono
236 stato ferito, forse? So che al primo momento non ci si rende conto di una ferita, anche se grave. Alzo prudentemente il capo e arrischio un'occhiata al di sopra del parapetto della trincea, e là dove avevo visto il giovane fantaccino non vedo ora che un enorme cratere. Non sono ferito, per fortuna, ma tutto attorno è il caos. Rimango in ascolto... l'artiglieria non è solo un enorme spaventevole rumore impossibile a capire e a descrivere, è anche tutto un mondo di piccoli rumori diversi che solo un veterano del fronte sa decifrare. Un certo tiro di artiglieria vi dice se l'attacco è imminente con l'appoggio della fanteria nemica, infatti, e col cuore che batte guardo al di sopra del parapetto. C'è qualche cosa che si muove laggiù... i russi forse? No. Non è che un dannato piccolo abete, risparmiato non si sa come, e piegato verso il suolo dalla pressione dell'aria rovente. Sicuramente è l'unico superstite. Tutti gli alberi giganteschi della foresta sono a terra e da molto, e una sciocca idea mi passa per la testa. Se questo piccolo testardo abete sopravvive, io me la caverò. « Curvati », dico all'abete nel sentir giungere una nuova granata. Sono inondato di neve, ma non resisto alla tentazione di guardare la mia mascotte; l'abete è sempre lì e oscilla ostinatamente per rimettersi diritto. Una dichiarazione di protesta verde in tutto questo bianco. Chino in avanti con il suo vecchio elmetto in testa e la pipa tra i denti, il Vecchio corre sollecito da ciascuno dei suoi uomini, e a me porta un grosso pezzo di salsiccia. « Come va? » « È terribile, Vecchio, proprio terribile. » Si toglie la pipa di bocca e guarda il cratere dove è scomparso il giovane fantaccino. « Deve essere stata dura qui da te! È successo niente di
237 grave? » « No, niente di speciale data la situazione. Un fantaccino accecato da una prima granata è stato poi polverizzato. Credo comunque sia stata la fine migliore per lui, dopotutto. » « Uno dei nostri? » « Non credo, non lo conoscevo. » « Pazienza allora, ne muoiono talmente tanti! Merda però, era un ragazzo. » E il Vecchio sparisce verso un altro che è appiattito dietro una curva. Il nostro Vecchio è vivo! Che fortuna, non può capitarci più niente di grave, se lui è con noi. Ci sentiamo sicuri e protetti. « Per fortuna, è la sezione del Vecchio che ha in mano la situazione », dice Porta, « come sempre, d'altronde. » Quando il fuoco si acquieterà un poco, andrò a cercare la piastrina del giovane fantaccino. Per i suoi parenti lontani sarà la sola consolazione, infatti. In questo momento non sparano che le batterie leggere e i lanciatori di granate. È terribile naturalmente, ma meno pericoloso e aleatorio di un tiro di grosse granate, e riflettendo un po', c'è anche modo di evitarle. Dei tipi come Porta infatti riescono a calcolare con esatta precisione dove il congegno andrà a cadere, se sentono il colpo di partenza, mentre meno esperti non distinguono il colpo di partenza da quello dello scoppio. Tra i due ho contato esattamente ventidue secondi, più che sufficiente come intervallo di tempo per gettarsi in una buca dove si è un po' al riparo, e d'altra parte è raro che due granate scoppino esattamente nello stesso punto; la seconda può scoppiare sul pendio del cratere ma non ne ho mai viste cadere proprio sul fondo e mi appiattisco allora dentro l'immensa buca provocata dalla bomba. Con un fragore infernale, i mortai ora riprendono a
238 sparare all'impazzata, proprio sopra la mia testa. Orribili, questi mortai da 80 millimetri, proiettano tutto in aria e sconvolgono completamente il suolo. Ma nella terra che ora ricade dopo lo scoppio, vedo brillare qualcosa. La piastrina di identificazione del giovane fantaccino morto. « Stammkompagnie. In fanterie, Ersatzbattaillon 89. Fenner Ewald, nato il 9.8.24. » Ora la sua famiglia potrà sapere con esattezza assoluta che il loro giovane figlio è caduto per il Führer e la Patria in un combattimento glorioso. Ma io, personalmente, non racconterò mai loro la verità. Il loro figlio, infatti, dovrà essere caduto come un eroe, e per loro sarà la sola consolazione, e tutte le famiglie dei caduti devono essere fiere di aver avuto un eroe. Mi arrampico fino alla MG mentre il fuoco dell'artiglieria riprende e gli scoppi sibilano intorno a me, ma il mio piccolo abete resiste sempre, e mi dà pace. All'improvviso il silenzio. Un silenzio raggelante, per la verità. Poi un grido sale, un lungo grido lamentoso e selvaggio. « Uih, uih, uih! Cani di tedeschi, i russi vengono a scovarvi ora, uno a uno! » Una mitragliatrice crepita, altre fanno seguito alla prima, e molti proiettili sibilano sopra la vasta « Terra di nessuno ». Poi il grido riprende di nuovo, lungo, funebre, lamentoso, ora... Che degli esseri umani riescano a gridare a questo modo è veramente una cosa allucinante, che paralizza. « Germansky! Veniamo a scovarvi, ora. Mai uscirete vivi dalla terra russa, mai! Vi mozzeremo le orecchie e i coglioni. Fritz, tremate, dunque! Questa notte stessa vi verremo a scovare, uno a uno! » Una fiammata accecante, e vengo proiettato nell'aria. Ricado in un mare di sangue, di fango e di neve, e nel
239 riprendere lentamente coscienza mi rendo conto di essere caduto non molto lontano dalle linee russe. Li sento parlare infatti... e di tanto in tanto, dei lanciagranate illuminano il suolo. Non lontano dal punto dove mi trovo disteso e immobile dev'essere piazzata una batteria di campagna, perché, incessantemente, i colpi di partenza dei tiri mi percuotono i timpani con il loro crepitio. Le ore passano, lentamente, a dispetto di questa già corta giornata, ma il freddo è veramente orribile. Intorno a me anche i cadaveri sembrano raggrinzirsi e accartocciarsi, come in un estremo tentativo di difesa. Il freddo russo divora tutto. La notte cade e distilla il freddo... questo freddo mortale. Con infinite precauzioni, serpeggiando sul suolo, striscio verso i miei compagni, ma mi prende ora un terror panico. Sarà giusta, infatti, la direzione che ho preso? Perché sono dei siberiani che ho di fronte, e la sola idea di poter cascare nelle loro mani mi terrorizza. Con i nervi a fior di pelle continuo ad avanzare strisciando, mi appiattisco quando un razzo scoppia al di sopra della mia testa, e scivolo dentro una buca se il tiro diventa troppo violento. Alla luce riflessa dei proiettili traccianti, individuo e decido dove mettermi al riparo pochi passi più in là, ma dappertutto vedo reticolati, e spesso dei corpi in essi impigliati sembra mi facciano dei cenni, con le loro braccia penzolanti e insanguinate. Sento delle voci che parlano tedesco finalmente! Sono ore ormai che striscio appiattito in questo paesaggio lunare, e quasi piango appoggiando la testa alla canna del mio fucile mitragliatore. Dalle nostre linee parte un terribile tiro di sbarramento, ma è troppo corto, purtroppo, e non mi copre... Intravedo delle ombre, e sento la voce inconfondibile di Porta e del Legionario che mi stanno cercando!
240 « Sei ferito, vecchio? Ti abbiamo cercato, dappertutto sai! » dice il Legionario appena mi individua nel buio, ansante ed emozionato. Porta mi tende una borraccia piena fino all'orlo. » Dove diavolo sei andato a nasconderti? Il Vecchio ti considerava già disperso e ci ha promesso un banchetto coi fiocchi, se ti ritrovavamo vivo. » Alla luce violenta e rapida di un'esplosione, vediamo qualcosa muoversi dentro a una breccia nel reticolato, e stiamo già per puntare le armi quando vediamo Fratellino ruzzolare fino a noi, con una barella sotto il braccio. « Coglioni che non siete altro, perdio! » grugnisce furioso. « Io striscio centimetro per centimetro in questa terra che scotta e rischio la mia ' unica ' vita, per voi, e voi state chiacchierando qui beati come se niente fosse! » Qualche ora dopo siamo seduti su delle casse di margarina ammonticchiate sul fianco della cucina volante, e ci guardiamo l'un l'altro contenti, congratulandoci vicendevolmente di essere ancora vivi e sani. Cosa si può desiderare di più, in effetti? Stiamo giocando ai dadi, abbiamo davanti una bella marmitta di fagioli in umido caldi e profumati, un bel fuoco con cui riscaldarci, e soprattutto la pioggia di granate è a una distanza... di piena sicurezza. Fratellino mi porge un grosso sigaro, e lui ne fuma due insieme, avendo avuto l'insperata fortuna di un furto ben riuscito di un'intera cassa, quando l'altro giorno guidava la macchina del nostro generale di divisione. Ma io mi sento a disagio, continuamente ossessionato dal pensiero del giovane fantaccino, e mi sento colpevole della sua morte perché non l'ho protetto abbastanza. L'indomani non resisto più e mi confido al Vecchio che mi ascolta in silenzio, aspirando delle lunghe boccate alla sua pipa. Il Vecchio è la sola persona al mondo che rie-
241 sca a ridarmi fiducia ed equilibrio. Mi porta con sé dai tiratori scelti, questi « esecutori di morte» dalle stellette dì sergente, e per qualche istante osserviamo con il binocolo questi loro allucinanti assassina inconsulti. " Uccidere », mi dice il Vecchio, « finisce per diventare un fatto del tutto naturale, come vedi. Ogni volta infatti che si mira a qualcuno dall'altra parte delle linee, automaticamente sarà uno di meno per noi da uccidere, e che ci ucciderebbe. Si dice anche che la guerra è indispensabile per mantenere un equilibrio possibile tra i vivi e i morti, e non a torto, in fondo. » Tutta la notte, mentre ci rimpinziamo di zuppa di cavoli, sentiamo la terra tremare in continuazione sul fronte nemico, un rumore ininterrotto come di veicoli in moto. « Ivan sta facendo scaldare i motori dei suoi T 34 », dice Porta, asciutto. « E ci arriveranno addosso fra due ore, circa », aggiunge il Vecchio, con aria meditativa e, dopo una pausa di silenzio, ci ordina di riunire tutte le mine e le cariche magnetiche, e di tenerci pronti. Il tempo passa... poi un improvviso inaspettato tiro di artiglieria distrugge, dietro le nostre linee, alcune batterie anticarro. Arrivano! Arrivano a un'andatura pressante, i larghi cingoli che sollevano nuvole di neve, e la loro artiglieria spara senza sosta sull'esile schieramento delle trincee tedesche. « Non lasciatevi prendere dall'orgasmo, ragazzi », dice il Vecchio. « Appiattitevi a terra e lasciate passare tutti i carri. Immediatamente dopo lanciate le mine e le cariche magnetiche, intesi? » Nel volgere di qualche minuto, tutto il fronte tedesco è sfondato, e profondamente all'interno anche, ma dall'altra parte del fiume una FLACK ruggisce, e im-
242 mediatamente di seguito diciotto T 34 saltano in aria. La fanteria di appoggio ai carri viene falciata da una terribile sequenza successiva di raffiche, e come conseguenza momentanea avviene una pronta conversione dei carri rimasti nel punto dove le linee tedesche sono più deboli nel contrattaccare. Ma in più punti, purtroppo, le truppe d'assalto russe hanno anch'esse penetrato il fronte sparpagliandosi nella campagna, e dei T 34, accompagnati da reparti di sciatori, filano veloci verso ovest martellando le posizioni tedesche di sostegno. A Schalamowo, un intero stato maggiore si prepara a sbaraccare in tutta fretta, e una lunga fila di camion ha già tutti i motori in moto. Il comandante della divisione, un generale in un lungo vistoso capr potto di pelo, affida nelle mani del suo capo di stato maggiore la consegna del comando : « Le posizioni devono essere mantenute, e devono resistere fino all'ultimo uomo », ordina, abbottonandosi il cappotto. « Sono gli ultimi sussulti del nemico prima della fine », spiega all'ufficiale sgomento, un giovane appena uscito dall'Accademia di Guerra. « Sì, signor generale, capisco; si tratta di una ritirata strategica messa in atto per attirare il nemico in una sacca, e quindi annientarlo. È una manovra molto ingegnosa e molto efficace », risponde il giovane ufficiale pieno di entusiasmo. « Esattamente. Conto su di voi per la realizzazione di questo piano durante la mia assenza. Siate severo, e mantenete una rigida disciplina, perché ci sono state inviate negli ultimi tempi delle truppe pessime, direi, sotto questo punto di vista. E se ve la sbrigherete bene, come io mi auguro, sarete promosso tenente colonnello fra non molto, ragazzo. »
243 Si stringono solennemente la mano, e l'ufficiale novellino è ben deciso a mostrarsi al più presto in prima linea, subito dopo la partenza del generale. Farà certo una buona impressione, questa sua presenta costante, alle truppe in combattimento. Il generale se ne va dentro la sua pelliccia e dentro la sua lustra Mercedes, soddisfatto di lasciare in questa zona così pericolosa un imbarazzante testimone della sua fuga estemporanea e improvvisa. Qualche chilometro più lontano, nei pressi di una foresta, ordina al suo autista di fermare la macchina, estrae dal fodero il suo prezioso binocolo e contempla con interesse i T 34 che sparano senza sosta sulla postazione che l'ufficiale difende strenuamente. Sorride soddisfatto. È la terza divisione che fa massacrare in conflitti eroici, ma questa volta otterrà finalmente la croce di cavaliere, che allineerà vicino alla croce al merito, ricevuta quale valoroso capo di stato maggiore di un divisione di fanteria nel 1917, nelle lontane Fiandre. La gendarmeria lo precede. Il capitano di questo reparto, un duro fra i più duri, sicuramente se la sbrigherà benissimo a far passare in testa la grossa Mercedes del suo comandante di divisione, a dispetto del traffico che è intensissimo e caotico. L'aiutante di campo, un capitano che parla con una dolce voce in falsetto volta il capo, ossequioso e servile, e gli chiede: « Signor generale, non siamo forse stati un po' troppo impazienti di partire? Vogliate scusarmi, ma forse con la nostra divisione avremmo potuto predisporre una bella linea di difesa, in questa zona. » Il generale non risponde, ma mentalmente prende nota di trasferire ai mezzi corazzati questo giovane omosessuale, non appena gli si presentasse un'occasione opportuna. Gli aiutanti di campo che... « pensano » sono molto
244 pericolosi, dovrebbero solo obbedire e tacere, invece. Si accende un grosso sigaro, ma già la prima boccata gli si blocca in gola. Proprio davanti a lui non c'è forse un villaggio in fiamme? La macchina si ferma, l'aiutante gli tende il binocolo, muto e agghiacciato il generale vede dei T 34 fermi vicino al villaggio, e riesce anche a leggere una scritta sulla torretta che lo raggela ancora di più, sempre che sia possibile: «Uccidete gli invasori, la bieca teppaglia fascista! » e sempre muto, lascia cadere in grembo il binocolo. « Datemi il vostro fucile automatico, capitano », dice poi. « Sono dei carri tedeschi, senza dubbio delle unità del 2° Panzer. Prendete la macchina e andate un po' a vedere cosa succede. Soldato Stolz, tu resti con me ad aspettare qui. Guidate voi personalmente la macchina, capitano, ma sbrigatevi a ritornare a prendermi. » Il soldato Stolz, un vecchio caporale in servizio permanente, scende sorridendo dalla Mercedes. Si è reso perfettamente conto che i carri sono russi, ma naturalmente preferisce tacere. Se questi signori vogliono, ma forse non lo sanno, suicidarsi con le proprie mani, la cosa non lo riguarda. In silenzio, si mette nelle tasche diverse granate a mano. « Cosa volete farne? » chiede il capitano sempre con la sua voce in falsetto. « Buttarle in grembo al vicino, eventualmente », risponde il caporale ridendo sotto i baffi. « Mi sembra che siate da troppo tempo allo stato maggiore », gli dice asciutto il capitano. « Sarà opportuno farvi trasferire, credo. » « Anche tu cambierai di posto per sempre, signorina », dice fra sé il caporale, mettendosi sotto il braccio il suo LMG. Prima di essere trasferito al reparto conduttori e di seguito destinato alla Mercedes del generale, era noto
245 per essere stato un eccellente tiratore, e impugna infatti strettamente la sua arma, sempre guardando con aria meditativa il generale. « Pezzo di vigliacco, dovresti finire diritto davanti al Consiglio di Guerra, tu », dice fra sé, « ma non si può nemmeno sfiorarti con una mano, perché tutta la società dalla quale provieni vacillerebbe, allora. Sei un generale, e quando diserti il tuo atto viene definito ' ritirata strategica ' e verrai decorato, anche per sopramercato », e sputa per terra con disprezzo. La Mercedes non ha fatto nemmeno un chilometro che è già sparita e distrutta da un T 34, ma l'aiutante di campo sicuramente deve essere morto felice di « cadere da eroe », un eroe della Grande Germania. Il generale è condotto lontano e al sicuro da un altro ufficiale, ma il caporale, accucciato dentro il fossato, osserva tutte le unità che sfilano davanti a lui e aspetta pazientemente una divisione di convogli, per essere più esatti, quella di approvvigionamento viveri destinati al corpo d'armata. Su questi convogli si può girare in perfetta sicurezza l'intera Europa, infatti! Si distende per dormire in un camion che trasporta carne macellata, e niente riuscirebbe più a svegliarlo; solo se il motore avesse una panne, sarebbe costretto a muoversi. Un camion immobile, durante una ritirata è un pericolo mortale, infatti. Ventidue giorni dopo ritrova il suo generale, e i due a mezzavoce si intendono subito perfettamente. Dopo la stesura di un rapporto totalmente redatto sulla fantasia, il generale riceve la sua croce di cavaliere e il caporale una EKI (croce di ferro di lª classe). Il generale viene promosso generale di divisione, il caporale è gratificato di un nuovo nastrino sulle mostrine della sua uniforme, ripartono tutte e due su una nuova Mercedes, e fanno dei progetti per la prossima ritirata strategica da mettere
246 in atto. Con un nuovo capo di stato maggiore, un nuovo aiutante di campo e un nuovo castello, molto all'interno delle linee ovviamente, come sede stabile di accantonamento, il rumore di eventuali cannonate non riuscirà a disturbare il sonno di nessuno dei due. « La guerra, in fondo, non è poi così terribile come si vuol far credere. L'importante è sapersela sbrigare nelle situazioni di emergenza, credimi », dice il caporale a un amico. Altrove, naturalmente, non è la stessa cosa. Vicino a Lokotnja dei T 34 sorprendono tutto uno stato maggiore della 78ª ID che si sta ritirando, e ancor prima che lo stato maggiore stesso se ne sia reso conto tutti vengono massacrati, e i T 34, imperterriti, proseguono la loro avanzata. Molto indietro rispetto al fronte, risuona il grido terrificante: « Ivan ha sfondato il fronte! I T 34 sono già sull'autostrada! » Il capo di una batteria isolata della 232ª B spara sempre, senza sosta, e con vero eroismo. Raccoglie una banda di fuggiaschi presi dal panico, li costringe a costruire di furia un riparo tutt'intorno ai suoi cannoni calibro 105, e lancia le sue granate esplosive sulle orde di siberiani che si fanno avanti. Ma a dispetto del suo coraggio, è costretto ugualmente a ritirarsi con l'aiuto dei suoi soldati già carichi come bestie da soma, i cannoni vengono trascinati indietro. Sforzi sovrumani che dilaniano i muscoli. E sull'angolo di una foresta l'ufficiale di artiglieria piazza la sua batteria in posizione, per l'ultima volta. « Fuoco! » grida. Per un'ora la batteria tuona, senza sosta, ma le munizioni vengono a mancare. Il cannone viene ribaltato e funge da irrisorio sbarramento anticarro, e fa fronte ai T 34 ancora per qualche minuto. E ora brandelli di carne
247 umana intrisi di sangue sono il solo ricordo di quello che è stato un vero « pugno di uomini eroici ». La fanteria russa marcia dietro e affiancata ai mezzi corazzati, mentre i cingoli cantano una canzone di vittoria. Distruggono nel passare un deposito della cavalleria tedesca i cui animali terrorizzati fuggono ancora per qualche metro perdendo gli intestini, e quale delizia sono ora per gli sciatori siberiani queste grosse fette di carne fresca, che quei selvaggi in-ghiottono cruda, come gli esquimesi. Ridono, mostrando tutti i loro denti resi scarlatti dal sangue; la carne cruda dà forza, infatti. 150 chilometri alle spalle della linea del fronte, i T 34 avanzano verso l'ospedale di riserva 243: una zona tranquilla dove non si pensa nemmeno lontanamente a un attacco da parte dei russi. Ma all'improvviso eccoli arrivare, ed è una vera carneficina quello che avviene, e che tutti i comandanti dei carri dall'alto delle loro torrette contemplano impassibili. I siberiani violentano, uccidono, bevono l'alcool delle farmacie a litri, depredano il deposito dei viveri, e prima di abbandonare il campo, pisciano di proposito su tutto quello che non sono riusciti a inghiottire o a rubare. In questa notte di orrore del 15 dicembre 1941, assistiamo alla distruzione completa della grande armata tedesca, alle porte di Mosca. Le truppe russe formicolano all'interno della città; i T 34, con la vernice ancora fresca escono di continuo dagli stabilimenti di produzione, in file ininterrotte. Gli artiglieri russi, cronometro alla mano, sono in attesa degli ordini per il più formidabile tiro di sbarramento che mai sia stato predisposto nel corso delle due ultime guerre. Migliaia e migliaia di cannoni, una concentrazione gigantesca di artiglieria, superiore di gran lunga, a quelle di tutte le offensive della Prima guerra mondiale. Non c'è un solo russo che non
248 tremi di sgomento, e questo inverosimile, costante tuono fragoroso sembra scaturire da Satana in persona. La notte diventa luminosa come il giorno, rischiarata dalle espio sioni che escono a migliaia da tutte le bocche di fuoco dei cannoni. E all'alba appaiono anche gli aerei, a sciami, e volano così bassi che sembra sgretolino i comignoli delle case di Mosca. Nessuno osa aprire bocca, nessuno osa ugualmente gridare di entusiasmo, tutti si guardano l'un l'altro con terrore. Il 5 dicembre, alle dieci e mezzo del mattino, un milione e mezzo di uomini si buttano all'attacco. Un milione e mezzo contro seicentomila tedeschi. Tre ore più tardi un quarto di questo oceano di uomini è già caduto, ma a ritmo incessante gli altri avanzano. La seconda sezione tedesca di mezzi corazzati demolisce in venti minuti ben 223 T 34, ma la divisione ne esce con il 90 per cento di perdite, e tutti i nostri carri sono distrutti. Su altri settori del fronte, i mezzi corazzati russi avanzano senza praticamente incontrare alcuna resistenza, e si incuneano molto profondamente nelle retrovie. Dappertutto risuona il grido: « I carri! I carri! » E tutti vengono presi da raptus di follia; i medici, i cappellani militari, gli intendenti, i soldati dei convogli, i burocrati, tutti insomma coloro che (inora non avevano conosciuto del fronte che il lontano borbottio dell'artiglieria. Tutti imballano di furia materiali e documenti, i camion vengono caricati di tutto il caricabile, e si fugge verso ovest. I carri! Il grido terrificante fa fremere di sgomento tutti coloro che non hanno mai visto un T 34, e si auguravano di non vederne nemmeno uno, per la verità. Ma ancora più velocemente dei T 34, delle voci si ripercuotono
249 dappertutto, seminando il panico. Molti ufficiali che blateravano tronfi di una guerra mai veramente vissuta, ora vengono colti da crisi di nervi, e devono essere evacuati per, come essi asseriscono, chiedere e ottenere dei rinforzi dallo stato maggiore ». Un ufficiale di alto grado deve sempre correre a rivolgersi a un' altro ufficiale di alto grado, per dimostrargli personalmente che i rinforzi sono indispensabili e urgenti. Un tenente non arriverebbe mai da solo a questo semplice ragionamento. Altri, più affascinati dal gusto del teatrale, si suicidano ma solo al momento in cui la ritirata diventa chiaramente inattuabile, e lasciano sulla loro scrivania la lettera di congedo obbligatoria, diretta personalmente al Führer: « Mio Führer, ho fatto il mio dovere. Heil Hitler! » È raro, comunque che la lettera in questione giunga a destinazione. La grande maggioranza servirà come carta igienica di fortuna ai soldati russi, per la verità. « Il fronte è rotto! Il fronte è rotto! » È la breve, angosciosa frase sulla bocca di tutti. « Il 50° corpo d'armata è stato liquidato», bisbiglia in tono sommesso e confidenziale un colonnello a un generale di divisione, che si appresta di furia a fuggire verso ovest. Il panico si propaga con la stessa velocità con cui un incendio si propaga nella steppa, e nel volgere di pochi giorni, non ci sono praticamente pili riserve tedesche, a soli cento chilometri dietro il fronte di Mosca. Non si ha nemmeno quasi il tempo di fermarsi a raccogliere i feriti, e così vediamo dei ciechi con sulle spalle un compagno mutilato di tutte e due le gambe che si trascinano pietosamente sulle strade: e dei folli alzano il braccio e gridano » Heil! » ogni volta che un generale carico di galloni rossi passa davanti a loro in Mercedes, senza nemmeno degnarli di uno sguardo. Nessuno pensa più ai soldati delle prime linee che an-
250 cora combattono una battaglia disperata, isolati, lontano a est, alle porte di Mosca. Tutte le linee di rifornimento sono state troncate e questi poveretti sopravvivono di quanto i russi buttano via, questi russi che per loro e nostra fortuna sono ben provvisti sia di viveri sia di munizioni. Alcune sezioni si battono ancora, piccole isole su di un mare scatenato, braccati da tutte le parti dalle truppe nemiche. « Buon Dio! » urla il colonnello Moser, dentro il ricevitore. « Ma la linea è interrotta, allora! » « No, signor colonnello, il collegamento è intatto ma nessuno risponde più dall'altro capo del filo. » Fratellino non si occupa che dei suoi denti d'oro, e sostiene di essere stato derubato, ma Porta sa benissimo che nasconde sotto la camicia ben due sacchetti colmi di quel metallo che adora. Il telegrafista tenta ancora una volta di mettersi in contatto con il comando del battaglione, ma senza successo. « Hanno tagliato la corda », afferma Porta. « Buona notte, Rosina mia! » « Offendi l'onore degli ufficiali tedeschi! » grida Heide. « Un comandante tedesco non fugge mai davanti a degli schiavi sovietici. Signor colonnello, ho il dovere di segnalare il caporale Porta. » « Tacete, sottufficiale Heide! Mi date sui nervi ben di più della fanteria russa, perdio! Andate a controllare le sentinelle, piuttosto. » « E cerca anche di metterti giusto sulla strada di una bella granata», sghignazza Porta. «Ci sarà un contagioso di meno, forse! Bisogna saper difendersi dalle epidemie, ragazzi miei! » « Cosa intendi dire con la parola epidemia, cretino? » « La peste nera. » « Basta! » urla il colonnello Moser, « ne ho abbastanza
251 di voi e non voglio che siate sempre alle prese con Heide. Non è colpa sua se vive in mezzo a dei credenti. » « Quali credenti? » chiede Fratellino a occhi spalancati. <( Io credevo lui un vero nazi! » « Proprio così », dice Porta. « Ma smettila di pensare, amico, altrimenti ti viene l'emicrania. » Due terribili colpi di granata... un agente di collegamento si precipita dentro il bunker. « Rapporto al signor colonnello: il comandante del battaglione è caduto con tutto il suo stato maggiore. Il battaglione era composto di l60 uomini. Ordine del comando del reggimento: la compagnia ripiega su una posizione arretrata. A Nivgorod, signor colonnello, troverà altri ordini. » Batte i tacchi e scompare; salta da una buca di granata all'altra, e scivola come un serpente in mezzo ai proiettili, ma non l'abbiamo più rivisto, purtroppo, e la vita è corta per gente come lui, sappiamo. « Ritirata », ordina il colonnello Moser, « porteremo tutto il possibile con noi. Sergente Beier, predisponete le cariche di esplosivo, Ivan non deve trovare nulla, assolutamente nulla qui, intesi?! » Porta aggancia al portello del bunker un blocco di esplosivo, e una ben misera fine farà il russo che ignaro aprirà la porta. Fratellino caccia una cartuccia di dinamite dentro un ceppo di legna che posa bene in vista vicino alla stufa, e che rappresenterà una grande tentazione per chi vorrà accendere un bel fuoco! Posiamo sulla tavola un pezzo di carne avariata attaccata a un filo, e se qualcuno la toccherà tutto il bunker salterà in aria. Sotto un cadavere, una manciata di granate e sotto la fotografia di Hitler, altre granate. Nessun sovietico sopporta la sola vista di una foto come quella, e la tentazione di strapparla via dalla parete sarà troppo forte, forse! Barcelona in-
252 chioda una piccola croce su una porta e la collega con una carica di esplosivo. « Ben trovato! Nessun commissario politico permetterebbe di lasciarla, e allora... Bum! Più commissario, tutto è finito. » « Vieni, Stege, che ti metto in guardia », dice Porta conducendomi verso la latrina. « Se tu ti siedi su una di queste assi e caghi, ti garantisco che avrai il culo pulito come mai ti è successo in vita tua, e ti verranno le emorroidi ancora prima di aver finito di cagare! Ho collegato l'asse con un detonatore Bowden. Ma il più divertente è che anche quelli che faranno la coda davanti al cesso salteranno in aria, perché ho collegato là sotto il piancito il resto delle munizioni. Dovranno aspettarne del tempo per dimenticare la loro colica, poverini! » « Presto! » grida il Vecchio. « Ivan sta arrivando. Porta, per amor del cielo, pianta lì subito quel tuo dannato sacco di viveri e raccatta piuttosto quello delle bombe a mano. » « Non posso mica mangiarle, quelle, e ho sempre un gran vuoto allo stomaco, io. » « Ma almeno con quelle potrai difenderti! » « Perché difendermi se poi crepo di fame? » risponde Porta ben deciso a non abbandonare il suo sacchetto. La testa della compagnia ha già attraversato il fiume, quando all'improvviso sentiamo tuonare le « canne d'organo di Stalin ». « Più presto, più presto! » urla il colonnello. « Comincerà a piovere, di qui a non molto. » Quasi tutti siamo già passati oltre quando cominciano a piovere, infatti, le prime granate. L'acqua nera del fiume schizza in cielo, e degli enormi spezzoni di ghiaccio vengono proiettati verso la foresta. Un grido di terrore. È Barcelona! La pressione dell'aria l'ha buttato dentro un
253 foro dell'acqua, e sparisce dentro quel liquido mortale. In un batter d'occhio Porta si infila il fucile dentro il cinturone e si avventura sulla superficie ghiacciata fino al foro dove si dibatte il nostro compagno. Fratellino e io facciamo la catena dietro di lui, che cerca di afferrare Barcelona per le braccia. Invano, putroppo; e anche lui ora cade dentro quest'acqua ghiacciata, talmente ghiacciata che sembra vi strappi la pelle. «Coglioni!» urla Fratellino, «ci vuole un cavo!» « E dove vuoi che l'attacchi, il cavo? » « Ai tuoi coglioni, se non hai nient'altro di meglio! I miei sopporterebbero il peso di un T 34, se è per quello! » Io salto indietro per uscire dal fiume, mentre dei lastroni di ghiaccio si spezzano, ma riesco ugualmente a non cadere nell'acqua. Il Vecchio mi issa sulla terra ferma, mentre Fratellino disteso a pancia in giù sul ghiaccio riesce con la sua forza sovrumana ad estrarre Porta dall'acqua, e tutti e due poi faticosamente estraggono anche il povero Barcelona, che ha tutte e due le gambe dure e pesanti come un sacco di piombo. Di furia accendiamo un piccolo fuoco e costringiamo Barcelona a rotolarsi nudo nella neve per ristabilire il flusso della circolazione del sangue. Non si può fare un bagno in un'acqua a meno di 52 gradi sotto zero senza poi fare un trattamento energico di questo tipo, per poter sopravvivere, perché, anche se al primo momento si ha l'impressione di esserne usciti indenni, l'interno del corpo è congelato. Barcelona piange, singhiozza, impreca, ma noi teniamo duro, e finalmente dopo una mezz'ora di questa tortura, siamo certi che è sicuramente salvo, che anche questa volta se l'è cavata! Porta, naturalmente, se l'è sbrigata da solo; si è messo
254 addosso l'uniforme di un maggiore ucciso, e pretende che tutti noi ci si metta sull'attenti ogni volta che si alza in piedi. Alla fine, questo scherzo provoca la rabbia furiosa di Fratellino, che sostiene che al 6° reparto blindo si saluta un po' troppo! Arriviamo a un burrone molto profondo. Non esiste un ponte, solo de rami a strapiombo, e dobbiamo attraversarlo aggrappandoci ad essi. Il soldato Kuno è il primo ad avventurarsi... il suo ramo si spezza e l'ultima visione che noi abbiamo di lui è un corpo che cade nell'abisso. « Avrebbero potuto proteggerci in qualche modo però, invece di pensare soltanto a salvare la loro pelle. Chi pensa a noi, adesso? » « Il soldato tedesco impara solo ad attaccare, e basta », risponde il colonnello Moser. « La parola ' Ritirata ' non esiste nel vocabolario dell'Accademia di Guerra. » » Certo, è giudicata una parola ' immorale ' », ribadisce il Vecchio, stancamente. « Proprio così », ribadisce Porta a sua volta, sdegnoso, « potrebbe ' infrangere l'ardore al combattimento ', ma arriva poi quel giorno in cui gli eroi sono talmente stanchi che si può pisciar loro sulla testa senza alcun timore di ritorsioni. » « Parlate proprio come dei topi di biblioteca, voi », dice Fratellino, « ne ho abbastanza, parliamo un po' di donne, su. » « Se proprio vuoi... com'era quell'infermiera russa che hai violentato l'altro giorno? » chiede Porta, grattandosi freneticamente sotto l'ascella, punto d'incontro favorito delle sue pulci. « Secca come un prosciutto appeso per cent'anni ad affumicare, dentro a un camino! D'altra parte non hanno assolutamente alcuna idea di quello che si può fare in due, quelle; lo sapevo già, in ogni caso. »
255 « Ah, sì? E come? » « Io e un amico avevamo una casa che affittavamo metà per ciascuno, segreta, naturalmente, nella Hein Hoyer Strasse, al numerò 19. Questo appartamentino apparteneva al pellicciaio ebreo Leon, ma come tutti gli altri anche lui aveva tagliato la corda quando Adolfo cominciò a render la vita dura a quelli della sua stessa razza. In un primo momento, non sapevamo ancora fare le cose molto bene e avevamo soltanto delle clienti e dei clienti di passaggio, ma poi l'esperienza ci ha insegnato. C'erano anche dei tipi incredibili, fìssati che noi si facesse loro credito, figuratevi: un giorno uno che veniva dalla Bolivia arrivò fresco come una rosa; uscito dalla sua foresta vergine, credeva che tutto fosse gratuito naturalmente, e altrettanto naturalmente io l'ho sbattuto fuori. ' Cerdo! cerdo! ' gridava quello dall'altro bordo della strada, e a noi sembrava un grido un po' ' polìtico ', per la verità. Quando abbiamo saputo che voleva solo dire ' inaiale ' abbiamo subito telefonato ai ragazzi della Davidstrasse: 'C'è qui un tipo che grida Adolfo cerdo! ' abbiamo detto loro, e quelli che non avevano capito niente, hanno risposto: ' Molto educato, certo, lasciatelo fare; sicuramente vuol dire Heil Adolfo! ' Ma poi hanno guardato dentro a un dizionario spagnolo, e dopo solo sette minuti sono piombati sul posto; ma il boliviano che gridava 'cerdo' aveva tagliato la corda con la rapidità di una lepre, intanto, per sua fortuna. Figuratevi allora se dopo l'esperienza che ho fatto in quella casa non me ne intendo di puttane, io!» « Attenzione! » grida il colonnello Moser. « In fila tutti dietro di me! » Qualche chilometro più in là ecco che prendono a spararci dall'interno di un piccolo bosco di pini, e le granate solcano tutto il terreno duro come il ghiaccio; la luna si
256 nasconde dietro a una nuvola ma l'oscurità si rischiara ad ogni esplosione. Fratellino che sì è messo al riparo dietro un abete spara con il suo MG nella direzione da dove vede scaturite la luce, e lentamente il tiro nemico cessa. Dei passi rapidi si inoltrano più all'interno del bosco, e sentiamo il rumore secco di rami spezzati. « Sparpagliatevi », ordina il colonnello, « 2ª sezione in testa. Il nemico intende tagliarci la ritirata al limitare del bosco, penso, ma noi dobbiamo in ogni caso penetrare attraverso il loro blocco. Tutti i feriti devono essere portati a spalla. Se ne abbandonate anche uno solo, vi faccio passare tutti al Consiglio di Guerra, chiaro? Mi auguro che abbiate capito, ragazzi. » Avanziamo in ordine sparso, cercando senza sosta delle protezioni contro le raffiche nemiche che ci inseguono. Arrenderci? Nessuno ci pensa, assolutamente, sul fronte non ci si arrende mai. Tre uomini della 3ª sezione sono stati feriti; il sottufficiale Lehnart ha tutte e due le ginocchia squarciate da una granata, ma gli fabbrichiamo una stampella di fortuna usando un fucile la cui canna funge da piede, una protesi che inventiamo sul momento, ed egli geme ad ogni passo, ma è sempre meglio che non morire assiderati. È incredibile ciò che un uomo sopporta! Lo constatiamo tutti i giorni, con i feriti; il tenente Gilbert cammina per diversi chilometri trattenendo con le mani gli intestini che gli escono dal ventre per la scheggia di una grossa granata; l'Oberschutze Zobel attraversa arrancando la « Terra di nessuno », a dispetto dell'anca che è ridotta a brandelli di carne e di ossa frantumate. Il guastatore Blaske arriva fino all'infermeria con metà del viso mancante e una gamba rotta. E non dimentichiamo il sergente Bauer che si trascina fino alla tenda
257 del medico chirurgo con ì due piedi appesi alla spalla e legati con una corda! Pensava che riuscissero a riattaccarglieli... e il portabandiera West, il cui padre era stato generale, resiste per ben tre giorni interi in trincea, aggrappato a due baionette, con i polmoni che gli escono dal petto. Porta e io lo portiamo in spalla, e per altri quattro giorni resiste... potrei continuare all'infinito con descrizioni di questo tipo. Nonostante la grande maggioranza del nostro gruppo abbia a malapena superato i vent'anni, che esperienza sta vivendo! Sappiamo tutto sul modo di uccidere e di morire, conosciamo ogni tipo di ferita; un polmone trapassato da una pallottola, o da una baionetta, una pallottola o una granata nel ventre, una ferita provocata da una carica di esplosivo, una ferita alla testa... le nostre cognizioni anatomiche sono ormai quasi perfette. Breve pausa in una radura per raggruppare per intero la compagnia. Il sergente telegrafista Bloch ha una spalla trafitta da un colpo di baionetta, e sanguina copiosamente. Arriva di corsa l'infermiere Tafel, arresta l'emorragia e lavora con stupefacente abilità e velocità, in modo decisamente professionale. Aiutato da Fratellino che gli tende gli strumenti chirurgici, le sue dita incredibilmente abili dal lungo esercizio, ricuciono la carne dilaniata. « Te la caverai, sergente », gli dice, avvolgendo le bende intorno alla sua spalla. « Sei un riparatore di scheletri di professione, tu? » gli chiede Fratellino stupito. « Sì », replica Tafel, asciutto. È arrivato qui da noi diretto da Gemersheim. « Intendo dire un vero medico chirurgo che ha il diritto di farsi pagare salato, che ha tutti i documenti in regola dell'Università, e tutto il resto? » insiste Fratellino, sempre più stupito e ammirato.
258 « Sì te l'ho già detto, e con questo? E adesso sono soldato semplice, infermiere, dovrebbe bastarti, penso. » « Porta! » grida Fratellino, « il nostro infermiere è un vero pastrugnatore di intestini, sai? Vieni a vedere, presto! Siamo veramente dei tipi ' chic '. » « Se sei un dottore con tutte le carte in regola, come mai non sei ufficiale?» chiede Porta, stupito anche lui. « E come mai esci da quella galera di Gemersheim? » « Bene », risponde Tafel di malavoglia. « Lo sapevo che un giorno o l'altro, si sarebbe saputo, ma proprio non avevo nessuna voglia di confessarmi con voi. Vi curo perché fa parte dei miei compiti, ma me ne fotto di voi, sia ben chiaro. » « Signor colonnello! » grida Fratellino, con finta indignazione, n il nostro infermiere dichiara ufficialmente che se ne fotte di noi. » « Bene, visto che questa faccenda ti sta tanto a cuore, ti risponderò : sono stato dottore, a suo tempo. » « Allora lo sei sempre », risponde il Vecchio, dando una lunga boccata alla sua pipa. « Non ho più il diritto di esercitare come dottore, è già molto che possa fare l'infermiere. » « E perché? Hai ammazzato uno dei tuoi clienti, forse? » « Bah », taglia corto Fratellino. « La gente ' chic ' è sempre piantagrane Noi alla Reperbahn ci accontentavamo di un bel colpo sulla testa. » « In effetti avevo un gabinetto e una clientela elegante », racconta Tafel. « Tutta gente più o meno nevrastenica, capite, e questo ha finito per scocciarmi. Una signora dell'alta borghesia si era scoperta delle strane malattie, e io per sbarazzarmene l'ho spedita a Badgastein, a fare una cura generica, consegnandole una lettera all'attenzione di un collega amico, che esercitava laggiù. »
259 « E la lettera l'aveva data proprio a lei, dici? » chiede Porta. « Come idea è stata una gran bella idea! » « Ho capito », dice Fratellino. « La pollastra se ne è ritornata a casa sua, e subito ha aperto la lettera mettendola sopra il vapore di una pentola di minestra che bolliva. Non è andata così? E chi d'altra parte non ha una voglia pazza di sapere fino a che punto è ammalato grave? » « E tu cosa vi avevi scritto? » « Confesso che è stata una grossa sciocchezza, ma quella megera mi aveva dato proprio suoi nervi. Dicevo al mio amico : ' Ti mando la peggior simulatrice di tutta l'Europa centrale, non ha assolutamente niente, solo troppo denaro. Fottila dentro i tuoi bagni con cinque chili di sale da cucina e poi falla rotolare dentro ai tuoi fanghi puzzolenti. Quella e suo marito appartengono ai parassiti di questa nostra triste epoca della storia. Falle poi una fattura esorbitante, così ti prenderanno per un genio. » « Ah, è andata così! Il seguito è chiaro e lo si capisce anche senza mettersi gli occhiali. Una notte bussano alla tua porta, e coglione come sei, vai ad aprire invece di filartela attraverso il balcone. Un neonato avrebbe capito, ma tu no. Due tipi in mantelli lunghi di cuoio e cappelli flosci neri... » « Proprio così. » « E lo stallone della tua pollastra, chi era? » « Una SS Brigadenführer », risponde Tafel come avesse pronunciato la parola « morte ». « Se mi dicessero che sei vergine, lo crederei, amico », dice Fratellino, « avresti dovuto andartene a letto con lei, e t'avrebbe anche pagato, quella, stai pur certo! » « Lasciatelo in pace », interviene a dire il colonnello Moser. « In marcia, ora. Le posizioni tedesche non pos-
260 sono essere ancora molto lontane. Al massimo un giorno di cammino. » « Un corno! » dice Stege, pessimista coinè sempre. « Quei maiali sono già a Berlino, per conto mio! » Il terzo gruppo viene spedito in ricognizione, e imprecando gli uomini spariscono in mezzo alla neve alta. « Magari stiamo andando nella direzione sbagliata », geme Barcelona scoraggiato. « Per noi l'ovest è sempre la direzione giusta », dice Porta che cerca di addentare un pezzo di pane russo, duro come l'acciaio. Lo divide con i più vicini del nostro gruppo ed ecco che una recluta si fa avanti e tende timidamente la mano. Riceve solo un colpo di baionetta sulle dita. « Nella Grande Germania di Adolfo, ci sono ben novanta milioni di uomini, e io non posso nutrirli tutti. Chiama il tuo amato Führer al telefono, e digli che hai fame. » « Ovest, sempre ovest », dice Stege esasperato. « Ora non si sente parlare che di quello, mentre prima era sempre est. » « Ci farai l'abitudine a marciare verso ovest, alla fine », dice Fratellino accompagnando questa affermazione con una pernacchia gigante. » Può darsi anche che lo spazio vitale del Partito sia sul Reno, adesso, se ne vedono tante di questi tempi! » Una risata folle lo scuote tutto, tanto l'idea della disfatta gli sembra comica, ora. La ritirata continua, si attraversano paludi ghiacciate, pianure, foreste. Si liquidano volta a volta gruppi isolati di russi e bande di partigiani. « Occorre passare a qualunque costo », dice il Vecchio al colonnello Moser, durante una breve sosta. « Almeno fintantoché avremo delle munizioni. »
261 « E quando si sarà fatta saltare tutta la polvere, si solleva il culo di Ivan e poi lo si schiaccia per terra », brontola Fratellino al buio. « E se ci arrendessimo? » butta là il maresciallo d'alloggio Bloch. « Strapperei la coda al diavolo, piuttosto », grida Porta. « Che bella idea abbiamo avuto a finire in questa armata di merda », dichiara a sua volta Fratellino. « È così che si diventa militaristi. » « Andiamo, su! » ordina Moser. « Adunata. I collegamenti in coda e il primo gruppo in testa. » Ma ecco il gruppo di ricognizione che ritorna a gran furia. « Ci sono delle spie arrampicate sopra ogni albero della foresta », dicono, abbandonandosi poi sfiniti nella neve, « e a quattro chilometri di qui c'è un villaggio dove è accantonata una sezione di mezzi corazzati. » Moser impreca. « E dall'altro lato del villaggio? » « Non sappiamo. » « E allora, per cosa credete di essere stati mandati in ricognizione, se sapete così poco? » « Signor colonnello, la foresta sembra finire solo pochi chilometri più in là. Due T 34 proteggono il villaggio dalle due parti. » « E dicevate di non sapere niente? » ruggisce Moser, paonazzo di rabbia. Durante questa sosta, Fratellino ci racconta una delle sue storie noiosissime e sconclusionate, a proposito di un suo falso matrimonio. « Verso sera, eravamo arrivati a una specie di albergo, dove era possibile affittare un letto per una sola notte. Dato che avevamo fregato una Mercedes tutta bianca sulla Reperbahn, si trattava di una cosa molto chic, ovviamente. Svegliandomi ancora ubriaco fradicio l'indo-
262 mani mi stavo domandando se ero capitato in un bordello. Ma no, la puttana al mio fianco mi dice, improvvisamente: 'Buon giorno marito mio. Come è bello essere sposati!' 'Non lo so', rispondo io, ' non ho mai provato, per la verità ', e ricominciamo a far l'amore mentre il caffè si sta raffreddando. Tuttavia ero sempre più perplesso e stupito, e chiedo: ' Cosa intendi dire con questa storia del matrimonio? ' ' Come sei buffo! ' dice lei. ' Non sai che noi due ci siamo sposati proprio ieri sera? ' ' Io? ' grido. ' Io, incatenato per sempre? ' ' Proprio un bel matrimonio, tutto il villaggio deve essere ancora sbronzo marcio, adesso. ' ' E ce ne sono stati altri che sono stati incatenati come me? ' ' Tutta la compagnia ', mi risponde lei, ' anche Emil, il più arrabbiato amatore di Amburgo. ' A furia di ridere perdeva i denti nel caffè e poi se li rimetteva a posto, facendo un rumore del tutto simile a quello di un ippopotamo che soffia fuori l'acqua dalla bocca. Appena ripresa un po' di coscienza ho capito che si trattava di uno scherzo, e abbiamo discusso insieme con i compagni tutta la faccenda. Per liberarci di queste maledette puttane, abbiamo dato loro la chiave della Mercedes rubata, dicendo che ci aspettassero alla Banca di Commercio della Kaiser Platz. Emilio, che rideva come un beota, chiamò per telefono gli schupos e disse loro che un sacco di belle ragazze erano in viaggio dentro a una splendida Mercedes bianca, rubata naturalmente. » « In piedi! » dice Moser con impazienza. « A rischio di dover tagliare la gola a chiunque troveremo sul nostro cammino, bisogna passare, ragazzi. » « Alla vostra salute », replica Porta. « Informo il signor colonnello che ho finalmente finito di mangiare. » « Nella Bernhard Nocht Strasse », continua Fratellino imperterrito, « c'era un pazzo che tagliava la gola a tutte le puttane. Tutti i grossisti di puttane, ovviamente, re-
263 clamavano a gran voce la morte di quel sabotatore... » « Piantala, con quella lingua! » dice il Vecchio esasperato. « Lasciaci fiatare, e poi ti si sente a chilometri di distanza, perdio! » Poco dopo il bosco si rischiara, e la luce proviene da un punto dove ci sono molti alberi rinsecchiti e stenti. Deve esserci stato un grosso incendio da quelle parti. Cala un silenzio greve di minaccia, e ogni albero sembra spiarci. Con tutti i nervi tesi all'estremo, scivoliamo in avanti, pronti ad uccidere. « Un villaggio! » sussurra Stege, atterrito, buttandosi nella neve. Non si vede nessuno, ma il vento ci porta un rumore sordo di motori e di cingoli in moto. La nebbia sembra un sudario, in alcuni punti rasenta il suolo, e non si vede che qualche cima degli alberi che ci circondano. « È l'anticamera della morte », dice il Vecchio, guardando il villaggio con il binocolo. « Se ci avviciniamo ci spareranno addosso, proprio come a dei conigli. » « La nostra sola speranza è riuscire a passare », risponde secco il colonnello, « e la nebbia ci nasconde e ci protegge. » Osserva attentamente la compagnia, raggomitolata a gruppi nella neve, e alza il suo pugno chiuso, segnale di partenza. Infinitamente stanchi ci alziamo lentamente in piedi. Moser e il Vecchio sono già in testa. La neve scricchiola sotto i nostri passi, le armi urtano una contro l'altra, e ogni rumore sembra riempire il mondo intero. La nebbia diventa più fitta, il soldato di lesta sembra scomparire avvolto in questo sudario umido, il rumore dei motori aumenta, e ora sembra molto vicino. « Che orrore! » dice Barcelona. « Come se il boia affilasse la sua scure per l'ultimo colpo. » Tanto rapidamente quanto lo permette questa neve
264 profonda, noi corriamo, uno dietro l'altro. « Merda! » dice Fratellino. « A questo modo andiamo diritti a finire nelle braccia del vicino! » « Più a destra », sussurra il Vecchio. Il colonnello cammina penosamente e il suo respiro è affannoso. Occorre avere una forza erculea in questa neve profonda, e ogni volta che si solleva un piede si crede sia per l'ultima volta. Si piange, si vorrebbe sostare abbandonati dentro a questi alti cumuli di neve. Con i giacconi da sci al vento, degli sciatori russi ci passano molto vicini, come fantasmi, ci ricoprono di una nube polverosa e sono già spariti quando ancora non ci siamo resi conto del tutto della loro presenza. Tutta la compagnia si butta in ginocchio, con le armi puntate. « Non credo ci abbiano visto », sussurra il Legionario, comunque molto teso. « Non ne sarei poi così sicuro », replica il Vecchio, strofinandosi il naso. « E allora perché sono passati a quel modo? Cosa staranno pensando di fare? » « Sanno quello che fanno, te lo dico io. Metà della compagnia muore già al solo vederli, in ogni caso.» « In marcia », ordina Moser, sollevando il pugno. « Finché non saremo attaccati dobbiamo proseguire. » Un gruppo di commando è inviato in avanti, e trascina con sé una LMG su una piccola slitta; è molto meno pesante che portarla sulle spalle, infatti. « Non ci vorrà ancora molto, a ritrovare le nostre linee, spero », dice il colonnello. « Non si sa mai », replica Porta, scettico. << Quando un'armata coi suoi generali comincia a tagliare la corda, è uno sfacelo generale. Forse formeranno un nuovo fronte vicino a Berlino. Sarebbe una cosa incredibile,
265 meravigliosa! Che senso ha infatti far la guerra così lontano da casa propria, quando la si potrebbe fare sull'uscio! » « Io ho una paura terribile », dice Barcelona, « questi dannati cacciatori sugli sci ci spiano da qualche parte, e sono vicini, anche. Non è possibile che non ci abbiano visto, perdio, ci sono passati a meno di cinquanta centimetri! » Arriviamo a un crinale. Ma da un folto d'alberi dove i russi hanno preso posizione, ecco una pioggia di pallottole, e il nostro commando è massacrato, fir-> all'ultimo uomo. « Li prendo di lato, io, quei maiali! » grida il sergente telegrafista. « 4ª sezione dietro a me, in marcia! » Porta ci copre con la sua LMG, e le sue raffiche perfettamente dirette, costringono gli sciatori ad appiattirsi. Con le granate strette fra le mani, attraversiamo il folto d'alberi dove giacciono dei cadaveri, e ci affrettiamo a togliere loro le giacche di montone e i mantelli mimetici. « Presto, avanti! » grida Moser. « Quando quelli torneranno alla carica, è meglio essere lontani, e il più possibile anche! » I nostri morti restano dietro di noi, e fissano con i loro occhi spalancati il cielo grigio e freddo. Di colpo esplode una granata proprio davanti a me... Ci buttiamo tutti a terra nella neve polverosa, che è un buon rifugio contro questi congegni infernali. E all'improvviso, muggendo, un enorme T 34 esce dalla nebbia, procedendo lentamente, diritto proprio contro di noi! Nemmeno la neve attutisce il rumore atroce dei suoi cingoli, poi con uno scossone si ferma, e prende a sparare. La granata è già esplosa alle nostre spalle, il soldato Loli urla orrendamente, e questo grido sappiamo bene cosa significa: deve aver la schiena squarciata e aperta,
266 fino ai polmoni! « Questa volta è finita », geme il « professore », e asciuga le sue grosse lenti appannate, mentre delle lacrime congelano sulle sue guance. « Delle gran coglionate dici sempre, tu! » replica Fratellino, « spicciati e passami una mina magnetica. Stammi dietro, vedrai come aprirò bene questo enorme uovo à la coque! » « Non vorrai mica che torni indietro a prenderle? » chiede il « professore » terrorizzato. « Mi farei ammazzare! » « Fai quel che ti dico, aringa affumicata! » grida Fratellino. « Quando c'è una guerra, ci sono per forza dei morti, lo capisci o no? » Mentre il « professore » indietreggia di qualche metro, arrancando verso le mine, il mostro d'acciaio avanza lentamente e la sua mitragliatrice solca la neve, non molto lontano da noi. Ed ecco il povero norvegese che ritorna portando con sé due mine. « Bene », gli dice Fratellino, « me ne bastava anche una, se è per quello. A meno che non voglia far saltare anche tu un T '54, prima di ritornartene a casa! Ti beccheresti una bella croce di Adolfo. » « No, no di sicuro! » geme il norvegese, « Sono già stato il più grande imbecille della terra, ad arruolarmi nel vostro fottuto esercito! » « Non sono certo io che ti costringo a dirlo, amico. Ma allora, che cosa sei venuto a fare dai prussiani, che non ti considerano più di una scoreggia? Tutto ciò che non è prussiano non ' esiste ' neanche per i prussiani, lo sai o no? » Il T 34 si avvicina, sempre sparando in direzione del crinale, dove ci troviamo tutti appiattiti come aringhe congelate.
267 « Fatti piccolo, come una mosca che si infila nel buco del culo di una vacca! » consiglia Fratellino al « professore », « e soprattutto non dartela a gambe! È proprio quello che si aspettano da te, quelli della carriola. E questa volta ci avrebbero tutti in un mazzo, un'occasione meravigliosa. » Fratellino si piega su una gamba, si stringe vicino la mina T, e come una molla tesa, aspetta pazientemente che il mostro si trovi alla sua portata. Poi con la mina sotto il braccio, arranca nella neve profonda che quasi lo copre tutto. Il T 34 fa saltare in aria grossi pezzi di ghiaccio, e le pallottole della sua mitragliatrice cadono proprio nel punto esatto dove il nostro gigante era fino a un secondo fa. Lo vedo, ora, pronto a un successivo balzo in avanti. « Proteggilo! » grido disperato a Porta. « Con che cosa? Hai forse un PAK. in tasca, tu? Cosa posso fare contro quei maiali, con questa porcheria da due soldi! » grida, e furioso dà un calcio alla sua LMC « Vorrei essere un topo », geme il « professore ». « Basta che muoviamo gli occhi, e quelli ci scoprono, Dio santissimo! » Premo le mani contro le orecchie, perché questo ruggito di cingoli mi rende pazzo. Implacabile, il mostro si avvicina e il suo fragore è simile a un coro, un canto di morte. Vorrei scavare una galleria come una talpa, ma non oso far nulla, non oso fare il minimo movimento perché gli occhi agghiaccianti che ci scrutano dalla torretta non ci scoprano. Con dei gesti da felino, Porta afferra e avvicina a sé una mina magnetica e la decapsula. « Ma insomma, dov'è Fratellino? » chiede Stege, teso. « Forse dorme, e sarebbe proprio da lui fare una cosa simile. » Ma Fratellino non dorme, contempla anzi il colosso d'acciaio che si avvicina diritto verso di lui, oscil-
268 lando lentamente. Calmo e freddo come un iceberg, osserva l'immensa torretta e i larghi fianchi del carro, e scivola sopra l'ultima piega del terreno dietro la quale noi siamo appiattiti. Ad ogni secondo attendo la morte, e quale morte! Sono costretto a mordermi i pugni per dominare il desiderio folle di fuggire! Fratellino si appresta al grosso salto, vediamo. Chi crederebbe che è un poveraccio della Reperbahn, una nullità nella società, quest'uomo che ora si prepara invece ad un atto incredibilmente coraggioso ed eroico, davanti al quale anche dei generali arretrerebbero? I poveri sono sempre i migliori soldati, in tutto il mondo, proprio così. Il carro è ora a circa dieci metri da noi. Fratellino arranca verso di esso, e la sua pesante mina T lascia un largo solco dietro le sue spalle. Ansante, ogni uomo della compagnia, segue con gli occhi questo conflitto mortale. Ora ha legato la mina e la trascina. Un balzo da belva, è in piedi e si precipita dietro il mostro, in questo spazio di non più di sei metri, nel quale il T 34 è obbligatoriamente cieco! Come un discobolo, fa oscillare la mina al disopra della sua testa, e nessun altro se non questo gigante sarebbe in grado di realizzare una simile impresa. La mina vola portandosi dietro la corda, e atterra esattamente sotto la torretta. Fratellino saluta, comicamente e allegramente e poi rapido sparisce dentro a un mucchio di neve. Il carro ha una scossa come avesse urtato contro una parete di cemento invisibile, si leva un uragano di fuoco, un'esplosione gigantesca proietta nel bosco le cose più disparate, mentre un fungo nero prende forma al di sopra della colonna di fuoco, e la MG di Fratellino crepita. I tiratori cascano come fossero birilli, e il gigante spara, spara, fino a che la sua arma si inceppa. « Porcheria di propaganda tedesca! » impreca, « se solo
269 avessi una Maxim russa, perlomeno sparerebbe tanto da doverci pisciare dentro per raffreddarla! » « Filiamo! » grida Moser, « prima che arrivino altri carri! » Attorniamo il villaggio dal fianco nord, tagliando la gola a tre sentinelle prima che queste possano dare l'allarme, e disperatamente marciamo, corriamo attraverso spine e rovi, con la paura che ci mette le ali. Abbiamo con noi cinque feriti, uno di questi muore e lo abbandoniamo addossato a un albero, con gli occhi che fissano quell'ovest tanto desiderato da lui e da tutti. « Adolfo lo dovrebbe vedere, quel poveraccio! » commenta Porta. Con il respiro mozzo, ci precipitiamo dentro la foresta, che ci dà più sicurezza della pianura in cui siamo sempre allo scoperto. La nebbia ci incolla una poltiglia ghiacciata su tutti gli indumenti, sentiamo degli ordini, in lingua russa, dei rumori di cingoli, la paura ancora ci mette le ali, ma ognuno dei nostri muscoli è talmente dolorante che finalmente il colonnello Moser decide di fermarsi e ordina un quarto d'ora di riposo. Spossati, crolliamo al suolo, e a dispetto del freddo inumano, il sudore ci cola sul viso, e le uniformi si incollano ai nostri corpi. « Maledette pulci! » impreca Porta, « appena fa un po' caldo si mettono anche loro a fare una specie di miniguerra mondiale. » « Son forse queste? » dice Fratellino, contemplandone due esemplari particolarmente grossi. « Quella con la croce rossa sulla schiena è sicuramente comunista, quella grigia una nazi. Ma si mettono d'accordo sempre, quelle, per sbafare! Molto più furbe di noi, in effetti! » Tendiamo l'orecchio... nulla, nessun rumore, solo il vento che sibila nei pini. Moser spiega sulle ginocchia la
270 mappa ormai sudicia e spiegazzata, e chiama il Vecchio. « Mi dica, Beier, questo villaggio che abbiamo appena passato è certamente Nievskojo; e là », dice mostrando un altro punto, « ecco il villaggio dov'era accantonato secondo le informazioni, lo stato maggiore della divisione. Non penso assolutamente che ancora si trovino là, in ogni caso! » « È molto dubbio, infatti », sorride il Vecchio. « Gli stati maggiori si trovano sempre molto a disagio, dove fischiano le granate. » « Se solo sapessimo dov'è il fronte tedesco! » « Si parla sempre di fronte tedesco », dice Porta. « Chi diavolo può sostenere che esiste ancora un fronte tedesco? » « Non vorrai mica pensare che il fronte è stato sfondato dappertutto! » grida Barcelona con angoscia. « Non è certo impossibile, amico. La Germania si sfonda sempre, un momento o l'altro. È quasi diventata un'abitudine! Davanti a Mosca, o forse più tardi, verrà sicuramente il momento però in cui molta gente cambierà volentieri i galloni di generali con quelli di caporale, te lo dico io! » « E allora perché hanno impresso il ' GOT MIT UNS ', su tutte le fibbie dei nostri cinturoni? » « Perché è il solo che può capirci », spiega Porta placido. « Fa sempre in modo che non se ne esca vincitori noi, altrimenti peccheremmo di orgoglio. Quando ci appioppano una bella sventola sulla testa, noi poi rimaniamo tranquilli almeno per una ventina d'anni, non è così, forse? » « In ogni caso», conclude Fratellino, «noi tedeschi siamo proprio dei gran culi, è inutile! » « Grazie », dice Porta. « Non capisci mai quello che voglio dire, perdio! Non
271 te o me, naturalmente, ma certo che è un gran casino, se ci si mette a pensar troppo a queste cose. » « Prendete le vostre armi, in fila indiana dietro di me, presto », ordina il colonnello Moser ripiegando la mappa. « Prima dell'alba dovremmo essere in porto! » Il vento soffia gelido nella foresta, sollevando enormi cumuli di neve; gli alberi scricchiolano per il gelo, e di tanto in tanto si spezzano con un colpo secco. Tutta la notte e tutto il giorno seguente, marciamo. Marciamo e ci trasciniamo ora nel crepuscolo di questa strana tipica giornata russa, che insinua un debole sole in mezzo alle nuvole grigie. Il vento ci sferza picchiettandoci il viso con mille piccoli cristalli di ghiaccio e il freddo, questo terribile freddo senza pietà, trasforma i nostri volti in immagini mostruose. Ma il terrore della vendetta russa ci stimola, e ci spinge in avanti. Continuiamo, e a volte sommersi nella neve cerchiamo di riscaldarci stringendoci gli uni agli altri, rimanendo in ascolto, pieni di angoscia per tutti questi rumori agghiaccianti della notte. Gli immensi abeti si rizzano minacciosi tutt "intorno a noi. « Che ore sono? » chiede il Legionario completamente sommerso in una nuvola di neve turbinosa. « Le due », risponde Porta stringendosi sempre piti stretto a Fratellino e al Vecchio. È talmente magro che nemmeno una cellula di grasso può proteggerlo da questo freddo polare. « Naldinah Zubanamouck », borbotta il Legionario. Un artigliere chiama sua madre; il poveretto ha tutte e due i piedi congelati, e noi ci diamo il cambio per portarlo in spalle, per evitargli di doverli posare a terra. Molti altri soffrono di congelature e imprecano, e Porta sostiene che noi siamo già tutti morti da due giorni e che assomigliamo in modo perfetto a quei volatili che ancora volano per molti metri pur avendo il capo mozzato. Ab-
272 biamo talmente camminato, in quest'ultima parte della nostra vita, che effettivamente forse continuiamo meccanicamente, anche dopo la nostra morte... « Credete che bisognerà camminare ancora, quando dovremo andare in cielo? » chiede Fratellino, soffregando con precauzione le sue congelature che stanno suppurando. « Eh no, amico mio! » gli risponde il Legionario. « Là saremo tutti in pace, finalmente! Viva la morte, ragazzi! » « Merda! » geme Fratellino. « Credi almeno che avremo il permesso di riposarci per l'eternità? » « Ma certo. » « Allora ci sto. Che gioia, come lo aspetto il giorno in cui la morte mi piglierà in braccio, ragazzi! »
273 I morti sono abbandonati nei fango e gli assassini hanno un alibi. Il carnefice non fa che uccidere, e se ne gloria. Vecchia Germania, non hai certo meritato un simile destino! Die Zeit, 3 Luglio 1034 (Dopo l'eccidio del 30 giugno)
In quel mattino di domenica del maggio 1942 il grande viale Bellevue era deserto. Tra le foglie verde tenero degli alberi cominciavano a sbocciare i primi fiorì, e la città sembrava rivivere dopo il lungo inverno. Una Horch grigia si immise sul viale, seguita da tre Mercedes. Si arrestarono al centro della strada, davanti ad un vecchio albergo dall'aspetto aristocratico. Degli uomini dai lunghi cappotti di pelle nera e berretti grigi da SS scesero rapidamente dalle automobili e salirono a quattro a quattro i gradini della scala. In testa al gruppo era un uomo in uniforme grì-giatzurra: Adolfo Hitler. Bussarono a una porta del terzo piano, dove su una piccola targa di rame, si leggeva il nome Berger, e non venendo questa aperta all'istante, uno degli uomini la sfondò a calci. Hitler si precipitò dentro, pistola in pugno, proprio mentre un uomo alto e robusto, in vestaglia, usciva da una delle camere. « Mio Führer! » esclamò questi stupito. « Traditore! » urlò Hitler agguantando Berger alla gola. « Traditore, vigliacco! Siete in arresto! » Per due volte schiaffeggiò il generale sbalordito; gli vomitò addosso gli epiteti più immondi, poi alzò lentamente la rivoltella, mirò e sparò una serie di colpi, e solo ora lasciò l'alloggio, col cappotto che gli svolazzava intorno all'esile corpo. L'SS Hauptsturmführer Rochner confidò più tardi a un amico che in quel momento Hitler era incredibilmente si-
274 mile a un pipistrello, ma questa arguta espressione gli costò la vita, ed egli morì dopo poche settimane di internamento a Dachau. I vicini avevano udito i colpi di pistola, e spiavano con terrore quello che stava accadendo attraverso le loro porte socchiuse. Furono brutalmente ricacciati dentro, e il consigliere Walther Blume che aveva avuto l'impudenza di protestare apertamente, fu selvaggiamente ucciso sotto gli occhi dei tre figli e della moglie. Quest'ultima che si era precipitata per difenderlo morì anch'essa colpita da una pallottola alla nuca.
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LA PARTIGIANA « Siamo al quindicesimo giorno di ritirata », riferisce il Vecchio al colonnello Moser. « Se non ritroviamo i nostri, e presto, siamo perduti, signore. Più della metà della compagnia soffre di congelamento agli arti e molti presentano già sintomi di cancrena. Ventitré uomini sono feriti, e quattro non passeranno la notte. » « Lo so », risponde Moser. « E anch'io sono spacciato, temo. Ma se ci catturano i russi saremo torturati, prima di essere fucilati. Dobbiamo passare, passare ad ogni costo, Beier. » « Se ce la faremo », brontola cupo il Vecchio. « Tra non molto nemmeno le randellate riusciranno più a rimettere in piedi gli uomini. » « Che ritirata! » geme Moser avvolgendosi nel lungo cappotto. Porta mi dà una gomitata. Stanco e intirizzito dal freddo, mi sollevo un po' da terra per vedere cosa vuole. Stavo così bene in questo cumulo di neve ammassata dal vento, rannicchiato contro Barcelona! Mi passa una patata nera e gelata e una sardina dura come il legno. Abbozzo un sorriso riconoscente che si muta subito in un gemito di dolore. Non si riesce nemmeno più a sorridere con una bocca diventata dura come il ghiaccio. Adagio adagio, spingo la sardina fin sulla lingua, dove lentamente si scongela. Che delizia! Un boccone come questo può durare a lungo se ci si sa fare, e si imparano solo in Russia questi trucchi. Ficco nella tasca la patata, che mi servirà più tardi, quando di nuovo sarò assalito dalla fame. « Ma dov'è il fronte? » chiede il Legionario. « Non può più essere molto lontano, ormai! »
276 «È da tanto che lo dicono», brontola Fratellino mentre rompe i ghiaccioli che gli si sono formati sulla barba. Anche lui ha i piedi congelati, e da tre giorni ha perduto la sensibilità delle dita. È così che inizia la cancrena, la terribile cancrena che corrode tutto dall'interno. Nessuno osa più togliersi le scarpe per curarsi i piedi malati, si rischia di veder la pelle staccarsi insieme ad esse, e molti potranno dire addio ai loro piedi se non saranno curati al più presto. L'odore tipico e greve della cancrena non inganna nessuno. « Questa puzza mi rivolta lo stomaco », impreca Fratellino nauseato. « Io non mi muovo di qui », dichiara improvvisamente il sergente telegrafista. « Sei matto? » grida il Vecchio. « Hai veramente perso la testa, e sarebbe un'idiozia mollare proprio adesso. » « Un po' di coraggio su », dice Stege dal fondo della sua buca. « Domani sera saremo certamente tra i nostri, e sarai trasferito all'ospedale; letti bianchi ben puliti, pasti più volte al giorno e caldi, anche. » « No », geme il sergente telegrafista. « Ne ho fin sopra i capelli, e le vostre bugie pietose mi fanno ridere. Io resto qui, e senza di me avanzerete più in fretta. D'altronde se sopravvivessi non sarei che un mutilato, e questo proprio non mi va. » « Si abbandonano solo i morti », decide il tenente colonnello risoluto. « Finché si respira si deve camminare, chiaro? » « E dopo? » domanda il sergente in tono provocatorio. « Spetterà ai medici decidere cosa fare. » Ma l'indomani riusciamo ad avanzare solo di poco e a piccole tappe, costretti come siamo a riposarci continuamente. Ben otto uomini sono rimasti nella neve dietro di noi. All'ultima sosta il sergente Loewe si è infilato
277 silenziosamente, non visto, la baionetta nel ventre. Un grido, un rantolo, ed è già morto. Stege febbricitante, delira e le bende che gli fasciano la testa sono intrise di sangue congelato; batte i denti dal freddo nonostante sia coperto da due cappotti russi. « Dell'acqua », supplica con un filo di voce. Il Vecchio gliene fa colare qualche sorso tra le labbra sanguinanti e il poveretto la deglutisce con avidità. « Purché riusciamo a salvarlo », dice Barcelona cupo ficcandogli in bocca un pezzo di pane duro come il ghiaccio. « Certo, che ci riusciremo », borbotta il Legionario. « Ascoltatemi tutti! » grida Moser rialzandosi di scatto in piedi. « Fatevi coraggio e rimettetevi tutti in cammino perché se rimaniamo qui, nel migliore dei casi moriremo assiderati. In piedi, raccogliete le armi e in marcia; in marcia, presto! » Ci rimettiamo in piedi con enorme difficoltà, ma qualcuno di noi ricade nella neve. Tutto sembra ruotare intorno a noi come una giostra, e Fratellino sghignala come un idiota: « Sulla Reperbahn, la notte a mezzanotte... » canticchia con aria vaga. « Se solo riesco a ritornare vivo », dice parlando tra sé a mezza voce, « Otto Nass, quel bandito, si beccherà una stangata tale da ricordarsela fin che campa. » « A dire la verità », dice il Legionario, « non sono per niente sicuro che tu e il tuo Kripo Nass possiate fare a meno uno dell'altro, la Reperbahn sarebbe ben noiosa se, di tanto in tanto, Otto non uscisse dalla Davidstrasse in cappotto di cuoio e cappello abbassato sugli occhi! » « Allora vi invito tutti a venire a vedere un autentico e bell'assassinio a Sankt Pauli. Tutta la banda della Kripo è sul piede di guerra e Otto si dimena già come una merda
278 fredda dentro a un vaso da notte pieno di acqua bollente. Ma si tira quasi sempre indietro, quello, all'ultimo momento e chiede aiuto ai grandi della Stadthausbrucke. A questo punto, per noi è meglio darsela a gambe e starcene tranquilli e beati in campagna finché non abbiano acchiappato l'assassino o chiuso il caso, altrimenti Otto si offre subito di fare una bella retata per beccare due o tre cattivi soggetti della Reperbahn. ' Eccoti in trappola! ' grida sputando dalla finestra. ' Questa volta ti costerà la testa, a Fühlsbuttel. ' Ma quando poi salta fuori che non siamo stati noi, e ci deve rilasciare, ne fa una vera malattia e minaccia persino di dimettersi, dalla rabbia. Che cinema! Otto morirebbe senza la sua Davidstrassc! » Il Vecchio e Moser aiutano il telegrafista ad alzarsi e gli porgono due fucili che gli serviranno da stampelle. « Vieni », ordina il Vecchio, sputando una grossa cicca nella neve. Il sergente telegrafista fa il saluto militare e si avvia zoppicando, appoggiandosi alla spalla del Vecchio. Lentamente, la compagnia si mette in moto con alla testa il sergente maggiore con l'MPI, ma ad ogni passo qualcuno crolla a terra. Lo si rimette in piedi, lo si carica di insulti, lo si picchia, lo si schiaffeggia, ma un poco più in là, ne cade un altro e la faccenda si ripete. Alcuni poi crollano come statue di sale, e sono già morti prima ancora di toccare la neve. Poco prima di notte, un giovane fantaccino impazzisce. È l'ultimo di una sezione che si è unita a noi da qualche giorno. Fino a qualche momento fa divertiva gli altri con le sue storie comiche, ed ecco che di colpo ruota su se stesso, sparando colpo dopo colpo col suo fucile mitragliatore. I suoi occhi allucinati non vedono più niente. « Venite dunque! » grida il ragazzo, continuando a spaiare.
279 Dei soldati si buttano su di lui e gli strappano l'arma, ma il giovane si impadronisce di un MPI russo e scompare nella foresta prima che si sia potuto fare un gesto per fermarlo. Si odono delle grida sempre più lontane, poi la foresta lo inghiotte. Inutile inseguirlo, e d'altra parte non ne abbiamo certo la forza. « Compagnia, seguitemi, in marcia! » ordina Moser. Continuiamo ancora per qualche ora e poi ci risiamo, dobbiamo fermarci, non riusciamo più nemmeno a camminare. « Breve sosta », concede Moser a malincuore. « Ma che nessuno si sdrai, appoggiatevi agli alberi, o sostenetevi a vicenda; ci si riposa perfettamente anche così, credetemi. I cavalli che sono molto più grandi di voi. dormono in piedi, lo sapete bene. » « Hanno anche quattro zampe, però », dice Porta appoggiandosi al tronco di un abete. « Se vi coricate, nell'intervallo di pochi minuti siete già morti », insiste Moser. Le braccia ciondoloni, ci appoggiamo agli alberi cercando di rimanere in piedi, sostenendoci gli uni agli altri. Lentamente, molto lentamente, la spossatezza mortale scompare per lasciare il posto ad un singolare torpore agitato. La fatica e il freddo ci rendono però sempre più simili a dei pezzi di legno! Prendo un tozzo di pane duro come ghiaccio trovato addosso ad un cadavere, lo avvicino alla bocca, ma poi ci ripenso e lo ripongo nella mia tasca, inghiottendo solo un po' di neve. Può passare ancora molto tempo prima che mi riesca di trovare qualche cosa di commestibile, e il sapere che ho già del pane nella tasca sicuramente attenuerà la mia fame. Due uomini muoiono in piedi, congelati e tra poco li abbandoneremo cosi come si trovano, appoggiati agli alberi come rigidi burattini, dopo che il Vecchio avrà tolto loro le piastrine
280 di riconoscimento e se le sarà messe nella tasca insieme a quelle di tanti altri. Li invidiamo. Non uno di noi che non sogni, infatti, di lasciarsi cadere e finirla una volta per tutte con questo inferno di sofferenze atroci, nel quale ci hanno buttato in nome della patria! « Andiamo », grida furioso Moser. « Sbrigatevi! Chi non cammina, lo ammazzo... » Nessuno si muove. « Miro al ventre », dice alzando la pistola verso Barcelona che giudica il meno coraggioso della sezione di Beier. « Andiamo, in marcia », ripete più dolcemente, ma con fermezza. « Mi scocci, sai! » risponde insolente Barcelona. « Va' tu da solo a vincere questa sporca guerra, io ne ho abbastanza, Cristo! » Barcelona si appoggia mollemente a un albero e si concentra a pulirsi le unghie con la baionetta. « Sparo! » urla Moser tremante di rabbia. « Non oserete », replica fermo Barcelona. « Io rimango qui e aspetto il mio vicino. Ne ho le balle piene della grande patria di Hitler, e se voi foste furbo, signor colonnello, fareste come me. » « Ammazzatelo! » urla Heide fuori di sé. « Liquidate questo traditore. » « Chiudi il becco, fottuto imbecille di un nazista! » grida Porta fuori di sé buttando a terra Heide con un grosso pugno. Un mormorio minaccioso si alza da tutta la compagnia che per la maggior parte, ovviamente, approva Barcelona. « Metto una pietra sopra quest'atto di indisciplina se prendete le vostre armi e mi obbedite», promette Moser con tono cameratesco.
281 « Puoi fottertele tutte sulla schiena, se vuoi », urla con voce stridente Barcelona, di nuovo esasperato e fuori di sé, « e quando ti sarai stancato, vai pure al Gran Quartiere Generale a pisciare sul culo di Adolfo, con tutti i miei più cari saluti. » « Conto fino a tre », dice Moser. « Uno... » « Ecco il tipico modello del lurido eroe tedesco », dice Barcelona con voce ormai fioca. « Minacciare una porcheria simile a un soldato disarmato! » « Due... » Porta a sua volta alza la pistola, ma la punta sul colonnello Moser. Se Barcelona non cede, infatti, tra poco avverrà una strage; che il colonnello sia deciso a sparare nessuno ne dubita, certo, ma nello stesso istante anche lui sarà morto, e anche di questo nessuno dubita. « Avete deciso, sergente? » « Se vi diverte, fate pure. » « L'avete voluto... », Moser mette il dito sul grilletto. Nello stesso momento, uno sparo! Qualcuno, nessuno sa chi, ha forato il berretto di pelliccia del colonnello con un proiettile. « Vieni, dolce morte, vieni », canticchia il Legionario che gioca sorridendo col suo MPI. Senza una parola, Barcelona si mette l'arma in spalla e si incammina con fare confuso, mentre Moser respira, visibilmente sollevato. « Andiamo, sbrighiamoci! » grida Moser senza degnare di uno sguardo Barcelona. Lentamente la compagnia si mette in moto, ma Fratellino sembra che non ce la faccia; vacilla sulle sue povere gambe malandate. « Quanto male fanno, perdio. Non avrò pace fin quando non mi avranno tagliato via questi dannali piedi! » « Non potrai più ballare sulla Reperbahn, però. »
282 « Non ne sono mai stato capace, se è per quello. Tutto quello che sono capace di fare coi miei piedi è di camminare, e in fondo posso benissimo farne a meno da oggi in avanti. » « E credi che le ragazze verranno ancora a letto con te quando non avrai più piedi? » « Inventerò una storia talmente eroica che tutte sbaveranno d'ammirazione, e dopotutto, non è coi piedi che si bacia! » « Mica stupido, però », ridacchia Porta. Occorrono più di due ore per fare solo due chilometri, anche Moser è agli estremi e crolla come un sacco vuoto accanto agli altri. Io mi tolgo di tasca il pezzo di pane gelato, ma non appena comincio a rosicchiarlo vedo che gli altri mi osservano. Subito, lo tendo a Porta che poi lo passa a tutti gli altri, e spetta un morso ad ognuno di noi. Avrei dovuto mangiarlo di nascosto, forse? No, è impensabile! Dopo una simile azione non avrei più potuto guardare in faccia un camerata, e tutto quello che ci rimane al mondo è questo nostro autentico cameratismo, nostra sola possibilità di sopravvivere. « Cosa faresti tu Porta, se la guerra terminasse? » chiede il « professore ». « Non finirà. Durerà ancora mille anni e una sola estate. » « Tu scherzi! Sii serio, ti chiedo cosa faresti se finisse. » « Mi troverei una donna russa smobilitata e le farei un trattamento tale da farle credere che la guerra è ricominciata. » « Veramente? » dice il « professore » stupito. « Niente di più? » « E non ti basta? Ti giuro che il mio ' trattamento ' metterebbe in ginocchio anche una regina.» « E tu, Fratellino? »
283 « Farei come Porta », risponde il gigante che sta succhiando un pezzetto di ghiaccio. « Le puttane sono la sola cosa che ha una certa importanza a questo inondo, ve lo dico io. » « Quanto a me », dice Barcelona, con gli occhi che già gli brillano alla sola idea, « prenderei l'appartamento reale dell'Albergo Vier Jahreszeiten (Grand Hotel di Monaco), mangerei a crepapelle, e me la spasserei un mondo a vedere poi le loro facce quando si rendono conto che non sono in grado di pagare. » « Io, mi iscriverei immediatamente come allievo all'Accademia di Guerra », dice Julius Heide. « Non riuscirai mai a diventare tenente senza la laurea, amico mio », dice il Legionario. « Voglio i gradi e li avrò », afferma Heide furibondo. « Mio padre era un disgraziato che passava la maggior parte del suo tempo nelle prigioni prussiane; mia madre lavava la biancheria sporca dei ricchi e lucidava i loro pavimenti. Io sono deciso a salire più in alto possibile nella scala sociale, per vendicarmi in blocco di tutte le umiliazioni subite da quei privilegiati. Li odio, capite? » « Ma dove troverai il denaro per fare l'Università? » domanda Porta. « Metto da parte il 75 per cento del mio stipendio con cui compero le obbligazioni del Prestito di Guerra al 20 per cento; e lo faccio già dal '37. » « Ma a quel tempo non c'era ancora nessun Prestito di Guerra. » « Avevamo il Piano Quinquennale che è lo stesso e quando mi avranno pagato, avrò una bella somma. » Orgogliosamente mostra un librétto della Cassa di Risparmio. « Puoi vedere coi tuoi occhi : solo cifre nere. » « Mio Dio! » esclama Porta, stupefatto. « Nemmeno una soia cifra rossa di debito! Se guardassimo il mio, ci
284 vorrebbero gli occhiali da sole per non rimanere abbagliati da tutto il rosso che c'è! » « E come puoi sapere che riuscirai a laurearti? » domanda Fratellino a Julius. « Lo so », risponde Heide categorico. « Quando sarete richiamati, dieci anni dopo la fine di questa guerra, io sarò capo di stato maggiore di divisione. » « Non contarci su di me quanto a essere salutato secondo i regolamenti, però! » sghignazza Fratellino. « E poi, se dovesse succedere, sarai tu che non ci riconoscerai più. » « Non lo potrei più », risponde Heide altezzoso. « Apparterrò finalmente ad un'altra classe sociale. Arriva un momento nella vita nel quale bisogna dimenticare tutto il passato! » « E ti metteresti anche il monocolo, come tutti quegli inetti dagli stivali lucidi? » « Se la mia vista si sarà abbassata, cosa di cui dubito, avrò un monocolo come tutti i prussiani, certo. Non approvo assolutamente gli ufficiali che portano gli occhiali; sono adatti solo a delle bestie come voi. » Attraversiamo una palude gelata, ed ecco arrivare un piccolo plotone di fantaccini guidati da un sergente di lª classe. « Da dove venite? » chiede Moser stupito. « Siamo ciò che rimane del 37° reggimento di fanteria, 1° battaglione », risponde cupo il sergente sputando nella neve. « E voi chi siete? » replica secco Moser. « Avete dimenticato come ci si presenta per un rapporto? E quando parlate a un ufficiale, vogliate mettervi sull'attenti, signore. » Il sergente fissa il nostro capo senza dire una parola, ma nel suo sguardo brutale si legge chiaramente il furore
285 represso. Poi batte i tacchi, raddrizza il cinturone, e preme; secondo il regolamento, la mano destra sulla cucitura del pantalone. « Signor colonnello », grida con voce sguaiata da caserma. « Sergente capo Klockdorf e diciannove uomini, ciò che resta del 37° reggimento di fanteria, 1° battaglione. Chiedo ordini. » « Finalmente », dice il colonnello soddisfatto. « Anche noi siamo ' ciò che resta ', in ogni caso; evidentemente si sta liquidando l'armata tedesca. » « Ti aspettavi qualcos'altro? » sussurra Porta. « Anche un deficiente avrebbe potuto indovinare che sarebbe finita così. » Moser, che ha sentito tutto, volta il capo verso di lui. « Sapreste, dirmi, allora, cosa sta succedendo? » « Segnalo al signor colonnello la sola cosa che io sappia con assoluta certezza, che Ivan sta prendendoci a calci nel culo. » « Voi proprio non sapete niente », risponde ironico il colonnello. « Non leggete la Gazzetta dell'Armata? Pure è vostro dovere, è un ordine preciso emanato dai superiori. » Tutti scoppiano in una grossa risata mentre il sergente capo guarda stupito Moser. Si trova davanti ad un pazzo, forse? Decisamente si sarà visto di tutto in questa guerra, ma i soldati tedeschi sanno ormai bene come comportarsi con i pazzi; respira perciò profondamente, e batte di nuovo i tacchi, gesto che fa sempre piacere ai graduati prussiani. « Signor colonnello, nel mio plotone un sottufficiale di stato maggiore di divisione afferma che si sta creando un nuovo fronte più ad ovest. » « Siete veramente carico di informazioni, a quanto vedo », ride il colonnello. « Un nuovo fronte più ad ovest,
286 dite? A Berlino, forse? » « È in effetti possibile, signor colonnello, a meno che non si tratti di Parigi », risponde l'uomo che non ha minimamente percepito l'ironia. Cade la notte, allorché appare proprio davanti a noi un villaggio, che sembrerebbe deserto. Le piccole capanne sono per metà sepolte dalla neve, ma Porta è il primo a scoprire un sottilissimo filo di fumo che sale da un camino verso il cielo ugualmente grigio come il fumo. Un segno di vita, forse. « C'è anche qualcuno che parla », mormora Fratellino che sta sempre con l'orecchio teso. « Davvero? » chiede Moser incredulo. « Quando Fratellino dice che sente qualche cosa, è assolutamente e matematicamente certo », risponde Porta. « Sentirebbe un colibrì nel nido, a venti chilometri, e contro vento. » « Parlano russo o tedesco? » « Russo, è una banda di ragazze che chiacchierano. » « Cosa dicono? » « Non capisco il russo, io; dovremmo piombar loro addosso e insegnare subito il tedesco a tutte quante. È sempre una fregata parlare un'altra lingua, in tutti i casi. » « Bene », dice il colonnello, « Facciamo una bella ripulita e restiamo qui per la notte. » Questa frase galvanizza tutti! Passare una notte al caldo con qualche cosa da mettere sotto i denti, perché ci deve ben essere qualche cosa da mangiare nel villaggio! Rivoltella in pugno, eccoci pronti, e tutti d'intesa che al minimo rumore spareremo. Ammazzeremo persino i bambini se ci sentissimo minacciati e, nelle foreste russe, anche i bambini sono pericolosi. Già parecchie volte è successo che un bimbo di cinque anni abbia lanciato del-
287 le granate su una compagnia distesa addormentata, ma in quanto a questo non vi è alcuna differenza tra i russi e i tedeschi, bisogna riconoscere. « Attenzione! » grida Moser allorché penetriamo in una fornace, il Vecchio in testa, come sempre. « Sì », dice Porta. « È scuro come il buco del culo di un negro, qui. » « Silenzio! » sussurra Fratellino. « Qualcosa qui puzza. » « Mi fai cagare addosso dalla paura », risponde il Legionario rannicchiandosi dietro un mucchio di tegole. « Ti dico che c'è qualcuno che ha appena tolto la sicura alla sua pistola, pronto a sparare », insiste Fratellino. « Davvero? » chiede Heide che ha già decapsulato una granata. « Puoi sempre andare a vedere, se non ci credi. » Stiamo in guardia, e ci corichiamo per terra. « Chiudete gli occhi », dice il Vecchio, « che lancio un razzo. » Ci tappiamo tutti gli occhi subito, perché la luce provocata dal fosforo è così forte che provoca dolore oltre ad essere molto dannosa. Porta si rialza un poco e lancia una salva, e da un angolo della fornace arrivano fino a noi delle grida acute di donna, così acute da soffocare quasi, il crepitio della mitraglia. Una granata a mano rotola ai piedi di Fratellino che con un calcio la spedisce fin sul soffitto. Io lancio la mia granata a mano... e poi, tutto tace. Sei donne in uniforme giacciono morte in un angolo. Una di esse ha avuto la testa come tranciata da un coltello, è coperta da un mare di sangue, ma i suoi occhi ci fissano ancora straordinariamente vivi. « Bella! » dice Fratellino che raccoglie la testa e ne annusa la chioma. « E ha un buon odore di shampoo, an-
288 che. Che peccato dover ammazzare una così bella ragazza per colpa della patria! Una vera sudiceria! » E con precauzione sistema la testa sotto il braccio della morta. « Una volta, quando si tagliava la testa a qualcuno », commenta Heide, « gli si metteva la testa tra le gambe. » « All'Isola del Diavolo », spiega il Legionario, « il boia prende la testa mozzata per le orecchie, e dice: ' La giustizia ha operato in nome del popolo francese '. » « Che orrore! » grida Porta, « Credevo i francesi un popolo più civile. » « Certo che lo è, ma nel caso che ti ho detto si trattava di criminali », risponde il Legionario che difende sempre la sua Francia. « I criminali... » medita ad alta voce il Vecchio. « Di questi tempi non si sa quasi più chi è un criminale e chi è un eroe. Cambia ogni giorno, il modo di pensare della gente. » « Proprio così, ma in questo momento siamo costretti ad essere criminali », sussurra Porta guardando bieco Julius. « Sono veramente contento di non essere iscritto al Partito. » « Cosa vuoi dire? » grida Heide, subito minaccioso. « Quello che ho detto. » « Andiamo! » grida il colonnello. « Sergente Beier, presto! » « Arriviamo », risponde il Vecchio. « Avanti, voialtri, non crederete sia già stata firmata la pace. » In pochi minuti il villaggio è rastrellato a fondo e dei civili escono dai loro nascondigli, piangendo, strillando, assicurando ovviamente che odiano i comunisti e che ci adorano. « Quasi si direbbe che erano nazisti ancora prima della nascita di Adolfo », dice Porta interrogando una donna
289 di mezza età. « Tu Matj (Madre) », dice in russo. « non comunista? Ami i nazisti? Alza la mano destra e ripeti: 'Heil Hitler, grosse Arschloch!' » 1 Tutti si mettono a strillare, felici, senza naturalmente capire una sola parola di quello che vien fatto loro dire. «Non ho mai udito niente di più infamante!» urla Heide. « Sentiremo poi cosa ne dirà il Führer! » « Basta, ora », taglia corto il colonnello. « Dite a loro piuttosto di far cuocere delle patate e di non economizzare la legna. » Il Vecchio insulta un artigliere che è stato così sciocco da togliersi gli stivali, e che ora osserva attonito e sgomento i propri piedi erosi e consumati dal congelamento. L'infermiere Tafel ci fa un cenno di disperata impotenza. « Bisogna amputarlo d'urgenza. Portatemi dell'acqua bollente », dice. « Qui? » dice Moser sbalordito. « Impossibile fare in altro modo. Non può seguirci in questo stato, e noi non possiamo ucciderlo. » « Che nessuno si tolga gli stivali! » grida Moser. « È un ordine. » Leghiamo l'artigliere a un tavolo usando le cinghie dei fucili. Una donna porta dell'acqua calda e aiuta Tafel meglio che può, una povera donna che ha il marito e due figli nell'Armata Rossa. Un'ora dopo quest'operazione di fortuna è terminata, ma all'alba, il soldato muore senza nemmeno aver ripreso conoscenza. Lo seppelliamo in una buca di neve; sopra a un piolo il suo elmetto e nella tasca del Vecchio scivola una nuova piastrina di riconoscimento. Si dimentica presto il dolore e la morte davanti a delle meravigliose patate caldissime. Un vero banchetto! Tutti 1
« Heil Hitler, gran buco di culo! »
290 si sentono rivivere, al punto che nessuno protesta per il suo turno di guardia, doppia pei ogni postazione; trenta soli minuti a testa, d'altronde, perché nessuno sopporterebbe questo freddo spaventoso più a lungo. Moser ha dato ordine di partire alle sette, perciò avremo ancora tre ore di luce piena per coprire un buon tratto di strada, preziose nel caso gli abitanti del villaggio avessero avvisato i partigiani della nostra presenza. Per loro è un dovere vitale se non vogliono essere fucilati come collaborazionisti, e ne sono talmente terrorizzati che il sergente maggiore Klockdorf cinicamente propone di ammazzare tutti i civili prima di andarcene. « I cadaveri non parlano », afferma. « Sei matto », dice Porta. « Perdiana, non vorremo mica ammazzare anche le vecchie matjes! (madri)» « E perché no? O loro o noi, e d'altra parte non servono a niente, ormai. Quando una persona ha superato cinquantanni, bisogna eliminarla, anche Heydrich lo ha detto. » « Bene a sapersi. Verrò a cercarti quando avrai cinquant'anni, e sarò curioso di sapere cosa ne penserai. » Poco dopo mezzanotte, siamo noi al turno di guardia. Fa un freddo bestiale, ha ripreso a nevicare e non ci si vede a due metri. Porta e io restiamo di sentinella nella zona nord del villaggio, e Fratellino è dispensato per i suoi piedi dolenti, ordine dell'infermiere. È già trascorsa circa la metà del nostro turno, quando dall'ombra spunta il sergente maggiore Klockdorf, accompagnato da due uomini che sostengono a braccia una giovane donna. « Hai trovato un bordello? » chiede Porta, guardando la donna con vivo interesse. « Una partigiana, sì! » sghignazza Klockdorf con espressione sadica, mentre con il mitra le punzecchia il ventre.
291 « E la porti dal capo? » indaga Porta, sornione. « Certamente no e poi non ti riguarda. L'ammazziamo all'istante questa strega. » « È troppo carina per morire, regalamela piuttosto. » « Prova un po' a toccarla e vedrai! Questa sgualdrina è vetriolo puro. » Si china ora sulla ragazza che non ha più di vent'anni. « Baldracca! Creperai stai sicura, ma lentamente, però. Cominceremo con l'affibbiarti una pallottola nel ventre. » « Cane di un nazista », urla la donna sputandogli in faccia. « Non riuscirai mai a uscire vivo dalla Russia! » Klockdorf la colpisce con un durissimo pugno sotto la vita e lei, gemendo si piega in due. « Sporcacciona! » grida il sergente verde di rabbia. « Vedrai, ora! Schiaccerò sotto i miei piedi ogni osso della tua carcassa comunista prima di farti crepare! » « Dalle dei calci nel ventre, di modo che il culo le esca dalla bocca », ridacchia un lubrico guastatore. « Conosco questo genere di puttane, a Minsk mettevamo loro una corda al collo, poi le trascinavamo dietro le nostre auto all'impazzata. » Il suo vicino, un Oberschutze, scoppia in una risata. « A Riga, le appendevamo per i piedi, e quando gridavano troppo forte, ordinavamo al fabbro di toglier loro la lingua con le sue pinze. » « Qualcuno ha una corda sottile? » chiede Klockdorf con una espressione perversa negli occhi. «Io», dice il guastatore mostrando un pezzo di cavo del telefono. « Perfetto! » sghignazza il sergente passando quasi teneramente il filo di rame attorno al collo della giovane donna. « Laggiù c'è una trave », dice il suo camerata tutto contento, mostrando una capanna vicina. « Si arriva appena
292 a toccare per terra con le dita dei piedi, così ne avrà da sgambettare quella! Io adoro questo tipo di spettacolo, proprio non c'è cosa che mi diverta di più! » « Andiamo, vieni figliola », dice Klockdorf sorridente, spingendo la prigioniera col calcio del fucile. Hanno appena finito di far passare il cavo del telefono attorno alla trave, quando entra nella capanna il colonnello Moser, seguito dal Vecchio. « Vorrei proprio sapere, sergente, cosa state facendo qui? » dice il colonnello con gli occhi che sprizzano scintille. «Abbiamo catturato una partigiana», risponde Klockdorf ridendo in maniera forzata. « Una vera donna selvaggia, che morde. » Questo bruto non era mai riuscito a capire il temperamento del colonnello, e lo detestava. Nella sua vita militare non aveva mai incontrato un tipo simile di ufficiale. « Veramente? » dice il colonnello. « E cosa intendete voi col termine di donna selvaggia? Non ho mai letto questo termine in un testo militare, e non sarebbe invece il momento di fare il vostro rapporto al comandante di compagnia? » A malincuore, con l'odio che gli sprizza da tutti i pori, il sergente batte i tacchi e sputa, quasi, le sue parole. « Signor colonnello, il sergente capo Klockdorf riferisce che ha catturato una partigiana. » « Bene », risponde Moser con esasperazione a stento repressa. « E contro tutti i regolamenti voi vi istituite giudice e carnefice? Andate, filate via, mascalzone, fintanto che ancora riesco a trattenermi! Levatevi di torno, o vi farò giudicare dal Consiglio di Guerra, e il sergente maggiore Beier testimonierà a vostro carico. Via! » « Permettete che io la liquidi, colonnello », insinua
293 Porta felice, impugnando già il suo fucile mitragliatore. » Sarebbe l'azione di guerra che mi ha dato più soddisfazione! » « Mi avete sentito, sergente! » grida Moser schiumando di rabbia. « Altrimenti do ordine al caporale Porta di abbattervi sull'istante, da quel bruto che siete. » Mentre l'uomo si eclissa seguito dai suoi due scherani, il Vecchio libera la ragazza che guarda il colonnello a bocca aperta e non capisce più nulla. Lei avrebbe agito come Klockdorf, in effetti, se le parti fossero state invertite. « Beier », riprende Moser, « guardate a vista quel mascalzone, e al minimo accenno di indisciplina, liquidatelo. » « Sarà una ghiottoneria », dice il Vecchio. « Hai sentito Porta, è una faccenda che riguarda te e Fratellino. » « Prima che passino ventiquattr'ore, avrai in dono i suoi coglioni dentro a una bella custodia », sghignazza Porta. « Fra dieci minuti Fratellino sarà sulle sue piste e sai già bene come andrà a finire. » « Ho detto: al minimo cenno di indisciplina», taglia corto il colonnello in tono asciutto. « E di quella, cosa ne facciamo? » domanda il Vecchio indicando la ragazza che ha ancora attorno al collo il filo di rame. « Fucilatela! » grida Heide. « In base alle leggi internazionali di guerra, è permesso uccidere i civili trovati in possesso di armi. Si devono combattere i bolscevichi con tutti i mezzi, l'ha proclamato il Führer in persona. » « Un calcio in culo, perdio », dice Porta senza precisare se intende Heide oppure il Führer. « Sono dolente di quanto è successo », dice il colonnello alla ragazza, che abbiamo nel frattempo fatta entrare nella capanna dove Moser è acquartierato. « Ov-
294 viamente sarete giudicata da un Consiglio di Guerra regolare, ma non vi accadrà nulla, linché rimarrete nella mia compagnia. » Porta traduce nel suo caotico russo, ma è chiaro che la ragazza conosce molto bene il tedesco e non ha bisogno di nessuna traduzione. « Rapporto al signor colonnello », dice Porta battendo i tacchi. « La partigiana chiede che il colonnello venga preso a calci nel culo e aggiunge che sicuramente non uscirà vivo dalla Russia. » Moser alza le spalle e si allontana col Vecchio. Il nostro colonnello è un uomo che dissente dai fanatismi della politica, è un idealista ed è ancora convinto che la guerra si combatte tra gentiluomini! Nella stufa bruciano grossi ceppi di legna e il calore si espande benefico nella capanna dal soffitto molto basso; Porta e disteso, tome si deve, dietro la stufa, e tutto addossato alla ragazza; se lei volesse fuggire dovrebbe prima passare sul corpo del suo guardiano! Ma ecco che all'improvviso la porta viene socchiusa, e appare il Legionario al colmo dell'agitazione. « Porta! » chiama a mezza voce. « Sono sulla stufa. » « Vieni di corsa pezzo d'idiota! Ho trovato un deposito di viveri. » « Kraft durch Freude! Die Strasse frei! (Il vigore attraverso il piacere! La via è libera!) » mormora Porta ruzzolando velocemente dalla stufa, « Andiamo subito a vedere questa meraviglia! » « Vengo anch'io! » grida felice Fratellino che non è stato invitato, ma si affretta ugualmente a districarsi dal telo-tenda in cui è avvolto. Silenziosamente usciamo dalla capanna per penetrare poi in una specie di vasto capannone, aperto sui due lati.
295 « Cosa ne dite? » fa il Legionario spostando delle assi. Gli occhi sbarrati, contempliamo delle casse che hanno sul coperchio delle scritte in lingua inglese: « Il popolo americano saluta il popolo russo. » Sono piene di scatole che tocchiamo con religioso rispetto. « Conserve », dice Fratellino. » Corned beef, ananas, pere sciroppate! Troppo bello per essere vero. » Ma di colpo mentre noi lo guardiamo stupefatti, getta la scatola che stringeva con amore, corre lontano con due balzi e si appiattisce nella neve profonda. « Filate! » urla. « Filate, vi dico, sento il ticchettio! » « Dove? » domanda Porta sempre fermo in contemplazione delle casse. « Non sarà nella tua testa? » « Bombe a scoppio ritardato! » urla ancora il gigante. In un baleno, Porta salta fuori dal capannone, e si butta a terra vicino a un deposito di barbabietole. « Continua a ticchettare? » grida a Fratellino. « Non ti sei confuso con un passero che vuole aprire la gabbia? » « Pezzo di cretino! Salterà tutto tra poco, ti dico! » « È pericoloso solo quando non fa più rumore », esclama Porta, « Avrò sempre le pere, almeno. » In un secondo si impadronisce di una cassa. Ma è appena arrivato oltre un cumulo di neve, che la terra sembra spaccarsi. Una colonna di fuoco di inaudita potenza sprizza verso il cielo e proietta le casse sventrate in tutte le direzioni. Piovono frutta sciroppata, pezzi di corned beef e scatole di alluminio dai bordi taglienti come rasoi sprizzano ovunque come schegge di granate. « Che fottuta commedia! » dice Porta indignato. « Non la perdonerò tanto presto a Ivan. » Fratellino raccoglie un pezzo di corned beef che ha un disgustoso odore di salnitro, ma aprendo la cassa di Porta quasi sveniamo dalla gioia, trovandovi dentro una trentina di scatole di frutta sciroppata. Ma improvvisa-
296 mente... « Attenzione! » urla il gigante. « Ricomincia il ticchettio! » Imbecilli! Appena il tempo di svignarcela e si scatena un inferno, un boato molto più forte del primo, e tutto il deposito salta in aria. Delle bottiglie Molotov si sparpagliano nell'aria, e scoppiano molte granate al fosforo. Quando è quasi terminato tutto ci affrettiamo a raggiungere la compagnia che è morta di paura. Ma ancora prima di aver potuto spiegare loro cos'è accaduto, si sente l'urlo della sentinella: « Attenti! Partigiani! » Le armi crepitano nella notte, le grida dei feriti lacerano le nostre orecchie, delle sagome scure saltano di capanna in capanna, delle esplosioni gigantesche, delle fiamme. L'incendio avvolge ormai tutto il villaggio. « Vieni, dolce morte, vieni! » canticchia il Legionario facendo scattare la sicura della sua LMG. Ombre nere corrono attraverso il villaggio in fiamme, e subito il pesante fucile mitragliatore di Fratellino ne falcia ranghi interi. Ma ve ne sono una quantità; formicolano, queste ombre, nelle piccole stradine che ci circondano. Un commissario grida e brandisce un mitra sopra la sua testa. Miro, con tutte le mie forze lancio una granata a mano che' esplode proprio ai suoi piedi, e il russo dilaniato viene proiettato fino all'altro capo del villaggio. « Bel colpo! » ammira Porta. Corro in avanti col « professore » che porta in spalla le sacche colme di granate, lui me le porge dopo aver tolto la sicura, ma ho dato tanta forza al mio primo lancio che le braccia ora mi dolgono, e non arrivo più a lanciare oltre i 70 metri. Per un granatiere dilettante, non sarebbe male, in effetti. 1 partigiani sono fuggiti. In Russia, è sempre così; appena i commissari spariscono, tutto crolla, sia che si tratti di commando, sia di partigiani o di
297 soldati. Per maggior sicurezza il Legionario butta una mina T in una capanna ancora intatta, che si spacca in due come una mela matura. E torna il silenzio, ma si sentono correre dei passi nella foresta. Vediamo Klockdorf abbattere due prigionieri con un colpo alla nuca, e spaccar loro la testa a colpi di calcio di fucile. « Cosa vi piglia? » urla Moser, con rabbia. « Riferisco al signor colonnello che eseguo gli ordini del Consiglio di Guerra. Ho appena colto questi due nell'istante in cui stavano tagliando la gola dello staraste, (sindaco), che protestava perché i partigiani gli incendiavano il villaggio. » « Vi segnalerò per sabotaggio agli ordini », rimbrotta il colonnello, reso più furioso dall'aria ironica con la quale il bruto accoglie la sua minaccia. Abbiamo perduto dodici uomini, due sentinelle hanno il cranio spaccato, cinque uomini sono feriti in modo grave, uno di essi con una raffica di mitra nel ventre. « Pronti a partire», comanda Moser. «Ritorneranno, dopo essersi raggruppati; in marcia, dunque! » Siamo in cammino da ormai mezz'ora, quando il colonnello si ricorda improvvisamente della partigiana. « Dov'è? » chiede a Porta. « È tornata a casa, pregandomi di salutare tutti », risponde Porta, tranquillamente. « Non mi starete dicendo che ve la siete lasciata scappare! » esclama il colonnello, stupito di tanta disinvoltura. « Affatto! La trovavo anche di mio gusto se è per quello e le ho proposto la direzione del mio futuro bordello sulla Friedrichstrasse. Allora lei è diventata sprezzante e volgare e ha cercato di rubarmi il fucile; le ho mollato uno schiaffo e sono uscito per cercare una corda con la quale legarla. Ma nel frattempo lei se l'era svignata, e
298 quando l'ho raggiunta, mi ha affibbiato una randellata con una pala ed è filata via nella foresta. Le ho gridato di ritornare per non farvi arrabbiare, ma quella puttana mi ha mandato al diavolo. » « Siete un fenomeno, veramente! » dice Moser sbigottito. « Mi auguro che le nostre strade divergano, un giorno o l'altro perché ne ho fin sopra i capelli di tutti voi, maledizione! » « Stia tranquillo colonnello, non durerà ancora a lungo, gli ufficiali da noi non invecchiano, è una strana tradizione », replica Porta sorridendo, fissandolo con aria candida. Tre giorni dopo eccoci in un villaggio distrutto, dove solo dei comignoli dall'aspetto sinistro si stagliano contro il cielo. « Là », dice il Vecchio indicando l'orizzonte. « Proiettili traccianti russi. » La notte è scura, senza stelle, e delle pesanti nuvole si rincorrono sopra di noi. Di tanto in tanto nevica, e per qualche minuto rimaniamo in contemplazione davanti a quei fuochi lontani. Come sono belli, visti da qui! I proiettili tracciano nel crepuscolo archi luminosi, lasciano delle scie che esplodono in getti multicolori. « Sono i nostri », osserva Moser. « Si tratta solo di far presto, ormai. Domattina forse potrebbe essere troppo tardi, visto che i russi ci tallonano senza requie. » È vero. L'orizzonte prende fuoco e immediatamente dopo un boato tremendo arriva fino a noi. Senza dubbio stiamo capitando in mezzo ad un poderoso duello di artiglieria. « Mi chiedo cosa sta succedendo al fronte », dice Moser dubbioso dopo aver contemplato l'incendio del cielo con il suo binocolo. « Sparano forse le loro ultime cartucce », mormora
299 Porta con una smorfia che sembra un sorriso. « I capi sezione a rapporto da ine. Fra dieci minuti partenza, e tutti pronti per uno scontro », ordina Moser aggiustandosi la cinghia dell'elmetto sotto il mento. « Adesso? Con questo buio? » chiede sbigottito il sergente Kramm, che con undici uomini si è unito a noi qualche giorno fa. « Ci sono russi ovunque. » « Vorreste dirmi dove non ci sono russi? » risponde Moser sarcastico. « Partenza tra dieci minuti, ho detto. E bisogna passare, assolutamente, dovessimo batterci con la pala e la baionetta. » La breve sosta è servita a rifornire di caricatori e di nastri le mitragliatrici, tutti brontolano, e ormai vicini alla meta sembra che il morale vacilli, in tutti noi. « Ascoltatemi », dice il colonnello quando tutti sono allineati e pronti a partire. « Siamo diventati una compagnia abbastanza completa e presentabile; unità decimate si sono unite a noi, dal personale d'ufficio alle cucine volanti, fino agli esperti in fatto di razzi e di esplosivi. Le linee tedesche sono a cinque o sei chilometri da qui, dunque con un ultimo sforzo saremo presto tra i nostri. Dobbiamo partire subito. Domattina il nemico può aver sfondato ancora il fronte e i nostri possono essersi ritirati ancora. Preparatevi a un combattimento furioso, ma è la nostra sola possibilità di salvezza. Per quanto è possibile si porteranno con noi i feriti, ma disgraziatamente per essi ciò non ci deve far ritardare. E prima di tutto mantenete sempre il collegamento! La compagnia avanza in fila indiana, con la 2ª sezione in testa. Conto su di voi, sergente Beier. » « E se il nostro sfondamento fallisce? » domanda Klockdorf. « Moriremo, ecco tutto. » Fratellino ha scovato un fucile mitragliatore russo nuo-
300 vo fiammante, e lo accarezza amorevolmente, e Porta mi getta una scatola di composta di pere, che inghiotto avidamente e che mi rimette in forze. Ci incamminiamo attraversando una regione meno boscosa e non siamo che a metà percorso quando udiamo degli spari provenienti da un folto di alberi. Porta avanza isolato, spara, e poi copre la sezione che avanza in direzione del boschetto. Moser ci supera col gruppo del collimando, tiro intenso di granate, Fratellino balza come un felino oltre a noi e la sua arma crepita. Dal boschetto arrivano alle nostre orecchie grida e imprecazioni. « Job Tvojemadj, Germanski, Germanski! » La neve stride sotto dei passi rapidi, e una salva abbatte due guastatori sui quali si china l'infermiere. « Avanzate! » grida il colonnello spingendo davanti a sé Tafel. La 2ª sezione travolge e sgomina un gruppo di russi che viene liquidato all'arma bianca, e con un sol colpo del suo terribile pugno Fratellino spezza la nuca a una donna-capitano la cui testa ora è piegata all'indietro come in un tentativo di guardarsi alle spalle. Senza più fiato in corpo, corriamo nella neve polverosa, e spesso sprofondiamo fino alle spalle e i camerati sono costretti a risollevarci per le braccia. Questa neve assomiglia a una palude fangosa senza fondo che vi aspira verso i suoi abissi, come in una voragine. Tre fantaccini russi ne vengono inghiottiti, e il sergente Klockdorf li liquida con un colpo alla nuca. Bieve sosta. Mancano all'appello ventitré uomini, e un gruppo di mitraglieri sono scomparsi senza lasciare traccia. Il colonnello Moser è furibondo. « Non sarebbe mai successo se aveste mantenuto il collegamento come avevo ordinato. Chi è che manca? » Nessuno lo sa. Sono unità di altri battaglioni che si so-
301 no aggregate a noi da qualche giorno. « Niente da fare », decide Moser, asciutto. « Impossibile andare a ricercarli, ma per l'amor di Dio, badate costantemente a mantenere il collegamento! È la nostra sola possibilità di riuscire ad attraversare le linee nemiche. La morte è ovunque, lo capite o no? » Quattro volle consecutive Fratellino cade nella neve molle e profonda, e per estrarle una massa pesante come la sua lo sforzo è uguale a quello che si farebbe per estrarle un cavallo. La quarta volta diventa quasi folle di rabbia e stanchezza, spara nella neve, e fa saltare a pedate due cadaveri. « Uscite di là, morti cretini! Non ostruite il passaggio, proprio dove io faccio la guerra! » Estenuato, il « professore » si trascina, ultimo della fila, penosamente, finisce per stramazzare a terra singhiozzando, e il Legionario è costretto a prenderlo sotto braccia per sostenerlo. Ma di colpo si accorge di aver perduto le sacche delle munizioni, ed è il portatore di Fratellino per giunta! « Devo ritornare indietro! » piange. « Fratellino mi ammazza se si accorge che ho perso le sue dannate munizioni! » « Chiudi il becco! » grida il Legionario trattenendolo stretto. « Ne troverai un mucchio di sacche piene di munizioni quando ci imbatteremo nei vicini, e non tarderà poi molto. » La rabbia di Fratellino nei confronti della neve si è appena placata, quando si accorge della sparizione delle sue preziosissime munizioni. « Non avrai buttato via le mie polveri spero! » mugola puntando il suo sudicio dito sul « professore ». « Le ho perdute! » geme il poveretto. « Perdute! » urla il gigante con un tono di voce tale che
302 ne risuona tutta la foresta. « Perdute! E nel bel mezzo di una guerra! Bisogna essere pazzi! Niente polveri, niente guerra! Torna indietro! » urla alzando ancora il tono della voce, « e ritrova le munizioni! Come posso ammazzare i ' vicini ' senza i miei arnesi del mestiere? Ecco cosa capita a mescolare degli stranieri prussiani! Riportami quello che ti ho detto, e presto! » » No », dice il Legionario, « lui rimane qui. » « Cosa? » borbotta Fratellino sbalordito. « Cosa dici tu, soldato delle sabbie? Osi sabotare la Seconda guerra mondiale? Dovevi restare nel tuo Sahara... » « Non dimenticare che sono un sottufficiale, Creutzfeld. Ordino che lui rimanga qui, chiaro? » « Ma come! » urla il gigante furente. « Ecco che ora non ho più portatore. Tientelo pure il tuo straniero, del resto! » » Puoi anche incollartelo al tuo culo da deserto, se vuoi! Ne ho abbastanza dei norvegesi, preferirei dei veri guastatori e delle vere strade per camminarci sopra fino in Russia! » Sparisce nella foresta, col fucile sotto il braccio come fosse una pala, e per un bel po' lo si sente tuonare contro la Norvegia, il Marocco e la Legione, che rende in blocco responsabili della perdita delle sue munizioni. « Ma chi sbraita in questo modo? » chiede Moser. «Fratellino», risponde Porta, « Forse ha morsicato un commissario. » « Ancora la vostra sezione, Beier? Decisamente mi farà impazzire! O sparite tutti dalla 5ª compagnia, o esplodo, non ne posso più! » « Quei crumiri di comunisti sono ad un chilometro da qui, dall'altra parte della miniera di carbone! » È la voce tonante di Fratellino che risuona di nuovo, mentre lo vediamo spuntare tra gli abeti. » Hanno cagato tutto un ca-
303 rico di esplosivi quando ho sparato sotto ai loro culi! » E brandisce sopra la testa due sacchi rigonfi. « Propongo di andare ad ammazzarli subito! Sono solo dei miliziani e hanno solo una mitragliatrice; un bel po' di pedate nel culo, e via! » « Andate al diavolo! » urla Moser. « E’ veramente il colmo! » « Colmo cosa, un barile? » domanda il gigante veramente stupito, « Se troviamo dell'acquavite prima di rientrare a casa, ho ben diritto a doppia razione, spero!» « Sentite », dice Moser esasperato, muovendo un passo verso di lui, « se aprite la bocca ancora una sola volta, sarà l'ultima parola che pronuncerete nella vostra vita, chiaro? » Fratellino si rifugia vicino a Porta. « Questa guerra diventa ogni giorno più impossibile », dice offeso. « Non si può più nemmeno chiacchierare, e tra un po' non si potrà nemmeno andare al cesso. » Il tiro dell'artiglieria è ora simile al rombo del tuono. Le posizioni russe non sono lontane, e fiammate si alzano di continuo e altissime sopra le cime degli alberi. Improvvisamente Porta alza una mano in silenzio, segno d'allarme, e la compagnia si appiattisce a terra. Uno scoppio tremendo: è un cannone russo a qualche metro da noi. Le riamine provocate dalla partenza del colpo illuminano la scena come fossimo in pieno giorno, e vediamo gli artiglieri affaccendarsi per il tiro successivo. « Diavolo », dice il Legionario, » calibro 38. Basta un quarto d'ora per ricaricare, possiamo ammazzarli tutti prima che parta il secondo colpo. Non si accorgeranno neanche di esser morti. 'Vive la mort! » L'acciaio tintinna contro l'acciaio, si odono ordini brevi e secchi e dei cigolìi quando issano il grosso proiettile in posizione di tiro.
304 « Pronti? » sussurra il Vecchio, togliendosi dallo stivale il coltello da trincea. « Come tanti uccellini affamati », dice Porta che intanto punta la sua LMG. Nell'istante preciso in cui parte il tiro del cannone, una granata lanciata da Moser cade proprio in mezzo ai serventi al pezzo e nello stesso istante tutte le nostre armi crepitano. Ci precipitiamo. Inciampo in un cadavere, mi rimetto in piedi e rotolo in fondo a un leggero pendio, delle spine mi lacerano la pelle delle mani e del viso. Porta mi è alle calcagna. Come un serpente rotola e spara simultaneamente su delle sagome che vengono verso di noi risalendo il pendio e che vediamo accasciarsi a terra. Fratellino ruzzola giù a valanga agguantando un ufficiale russo al quale fracassa la testa contro una pietra. Avanti! Avanti! Da una trincea una mitragliatrice spara su di noi. Pioggia di granate di rimando, che distruggono il nido di mitragliatrici. Più presto, più presto! La nostra salvezza dipende solo da questa corsa contro la morte. Il sergente telegrafista è colpito al collo e un fiotto del suo sangue mi spruzza sul viso. Il poveretto grida, e cerca di tamponarsi la ferita con della neve, ma non c'è più nulla da fare per lui, l'arteria è troncata. Due SS precipitano in un fosso e restano infilzati a delle baionette allineate in senso verticale, con urla laceranti. Anche per loro non c'è più nulla da fare. Col fiato mozzo ci avviciniamo a delle baracche, delle stalle per il bestiame e i pastori. Fratellino è in testa. Lancia una granata a mano in una porta socchiusa e balza di lato per ripararsi. Una granata esplode con un tonfo sordo. Poi, silenzio. « Senti qualcosa? » gli chiede Porta. « Non vola una mosca. » « Strano», replica Porta insospettito.
305 « Non c'è nessuno, ti dico. Sai bene che sentirei volare una mosca. » Lancio un razzo che ridiscente lentamente illuminando' una zona dove effettivamente non vedo nulla di anormale, mentre il colonnello e il Vecchio arrivano di corsa. « Che diavolo aspettate? » esclama Moser. « Distruggete tutto! Non c'è un minuto da perdere. » Fratellino si butta in avanti e lo trattiene per il braccio. « Aspettate, signor colonnello, altrimenti temo che non ci rivedremo proprio più. Un gatto nero è uscito da. una baracca. » « E con ciò? » « Niente, era solo un gatto nero. » Arrivano, anch'essi di corsa, altri soldati dei quali non sappiamo nemmeno i nomi, che abbiamo raccattato mezzi morti di paura in un bunker tre giorni fa. « Fermatevi! » urla il colonnello. Ma gli uomini, estenuati, hanno evidentemente perso la testa, completamente disorientati, cominciano a gridare: « Tovarisch, nicht schiessen! (Compagni, non sparate!) » Ci hanno forse scambiato per dei russi? Con le mani alzate, si precipitano urlando verso le baracche. « Fermatevi, fermatevi! ho detto! » grida ancora Moser agitando le braccia. Ma per tutta risposta non sente che: « Nicht schiessen, nicht schiessen, Tovarisch! » Ed eccoli davanti a una baracca pronti a sfondarne la porta a pedate. « Tutti a terra! » grida Porta con voce angosciata. In quello stesso istante si sente un boato, e tutto salta in aria. Le esplosioni si succedono una all'altra e dei poveri soldati sconosciuti non resta neppure l'ombra. « Mio Dio! » mormora Moser esterrefatto. « Cosa è stato? » « Un regalo di Stalin », ride Porta. « Nelle ritirate è
306 sempre meglio stare molto attenti prima di aprire una porta. » « Hai visto », dice Fratellino trionfante, « avevo ragione io col mio gatto nero! I novellini si fanno sempre fregare al primo colpo. Bella coglionata ficcarsi così alla cieca in un posto simile, si capiva subito che era uno scherzetto di Ivan! » « Filiamo ora », ordina Moser. « Un attimo ancora, signor colonnello », risponde Porta. « Gli ' amici ' stanno venendo a vedere chi ha ricevuto il regalo del loro Stalin. » « Eccoli! » grida Fratellino facendo immediatamente fuoco, e un gruppetto di russi cade, falciato dai suoi colpi. « Questa volta sì che ce la filiamo », urla Porta. Con le ultime forze rimasteci, ci buttiamo a correre nella neve. I russi giacciono a terra in una pozza di sangue e uno di loro geme guardandosi attonito il corpo orrendamente mutilato. Il colonnello Moser fa l'appello, mancano quattordici uomini. Siamo rimasti in settantatré, e questo significa che abbiamo perduto più di trecento uomini. Visibilmente teso e scoraggiato il nostro capo, giocherella cupo con la sua rivoltella. Fratellino si concentra e arrotola fra le dita qualcosa che assomiglia a una sigaretta, ne aspira una profonda boccata, trattiene a lungo il fumo in bocca, poi la passa a Porta. Una tirata per ognuno della 2ª sezione, come sempre. Tuona di nuovo l'artiglieria, fischiano le granate, a ovest è tutto un bagliore di fuoco. « Chi e quel coglione che ha detto che l'esercito di Ivan era fottuto? » domanda Porta. « Sta' zitto! » risponde il Vecchio. « Mi viene da vomitare, se ci penso. » « Se continua così, prima di aver attraversato le linee
307 nemiche potrai anche cancellare il nome di Joseph Porta, dalla grande armata tedesca. » Il « professore » è al limite, e scoppia a piangere ad ogni passo. « Via! » gli dice Porta. « Certo non hai molte possibilità essendo straniero, te ne do atto, ma stai incollato a me per tutto il resto della guerra, che non è poi molto ancora, e vedrai che te la caverai. E poi alla fine riuscirai a ritornare dai tuoi, e più presto di quanto non credi, anche. » Gli caccia d'autorità una mezza pera allo sciroppo di grappa in bocca, e gli dice, paterno: « Mastica lentamente e inghiotti prima il sugo. È come il pepe nel culo di un cavallo, vedrai. » Io resto più volte sommerso dentro a dei cumuli di neve, dai quali i miei compagni devono estranili con molta fatica e molte imprecazioni. Questa neve molle è un inferno, purtroppo. Sono talmente stanco che supplico che mi abbandonino, e piango anche, proprio come il « professore ». Ma tutti, per la verità, sono al limite delle forze. Dopo il forzato passaggio attraverso un cespuglio di rovi che ci strappa le uniformi già di per sé lacere da tempo, la pelle a nudo è tutta intrisa di sangue e di sudore, ma finalmente la nevicata piano piano diminuisce, e poi cessa del tutto. La luna appare in mezzo alle nuvole, è quasi chiaro, e questa luce sulla neve è talmente bella, che dimentichiamo per qualche istante le nostre sofferenze. Ma questa atmosfera fantasmagorica può far si che i russi ci individuino con più facilità, e i nostri passi sono rumorosi, purtroppo! Ci fermiamo di tanto in tanto per ascoltare questi scricchiolii sinistri, e abbiamo la sensazione di camminare sopra un abisso. « Presto! » dice il Vecchio. « Non pisciatevi addosso dalla paura; siamo sopra una palude senza fondo, ma
308 ringraziate il cielo che è così ben ghiacciata! » Delle canne dell'altezza di un uomo ci danno una certa sensazione di sicurezza, ma la palude termina improvvisamente, ed eccoci invece davanti a un piccolo agglomerato di case. « Sloi kto! » si sente dire nella notte; un'arma crepita, appare una lunga lingua di fiamma, e una salva squarcia il viso del soldato Bohle. «Avanti!» grida Moser. « Fuoco a volontà.» Tutto sembra scoppiare. Spazziamo d'un sol colpo le sentinelle, la compagnia parte all'attacco, lancia delle granate attraverso le piccole finestre, apre la porta con un calcio, e svuota i caricatori sui soldati addormentati. Un deposito di munizioni... Porta senza riflettere, lancia una granata che atterra proprio nel mezzo del mucchio delle casse! Esplosione fantastica che, letteralmente, ci proietta fuori dal villaggio, e tutto brucia in un apocalisse di fuoco e di calore. « Siete il più gran cretino che abbia mai visto, maledizione! » grida Moser, rialzandosi in piedi inondato di sangue e di neve. « È stato proprio un bel fracasso », replica Porta, con indifferenza. « I vicini, qui, devono aver pisciato sulla testa dei loro commissari, dalla paura. » Per un certo numero di ore, marciamo su una strada solcata da tracce di cingoli, niente di rassicurante, perciò. « Carri! » bisbiglia infatti Fratellino, appiattendosi d'acchito a terra. Una lunga fila di T 34 si intravede sotto l'ombra degli abeti. « Questo è il gran momento per il cappellano militare », dite Porta ansioso. « Siamo stati tutti dei buoni figli di Maria Vergine, credo. » « Sì, ma lei non ha mai avuto la disgrazia di capitare in
309 una guerra mondiale, però! » Lunga deviazione per evitare i T 34, attraversiamo un vivaio di abeti, ed eccoci ora in una radura. Davanti a noi vediamo un piccolo crinale, un po' più elevato rispetto al piano dove ci troviamo, ed evidentemente dobbiamo superarlo. Su una strada laterale, vediamo una fila di camion russi i cui fari sono smaltati di blu e che si dirigono lentamente verso ovest; delle pallottole traccianti sibilano in tutte le direzioni, Klockdorf e il Vecchio si arrampicano sulla cima della cresta, mentre la compagnia rimane in attesa, mimetizzata alla meglio nella neve. « Bisogna passare attraverso una posizione russa che è piazzata proprio davanti al crinale », dice il Vecchio ritornando sui suoi passi. « In marcia! » ordina Moser, sostituendo il caricatore del suo MPI. La compagnia si sparpaglia e coniatilo, tutti piegati in due. verso la cresta. Del fosforo fluttua raso terra, illuminando tutto di uno strano chiarore di morte, e ora possiamo individuare con precisione le trincee e i bunker del nemico, mentre i razzi traccianti formano come delle collane al di sopra del suolo, scavato e solcato. Breve sosta per raggrupparci di nuovo, e il tenente Moser posa ora una mano sulla spalla del Vecchio. « Questo è l'ultimo ostacolo, e questa volta, ce la faremo: ma, ancora una volta vi ripeto, sergente Beier, fate la massima attenzione e mantenete costantemente i collegamenti. » « E i feriti? » « Fate quello che potete », risponde Moser evasivo. A balzi successivi, avanziamo verso la posizione. Se veniamo scoperti prima di riuscire a raggiungere le nostre linee, siamo finiti, morti, non c'è altro da dire. « Dove diavolo è Ivan? » bisbiglia Porta, stupito e per-
310 plesso, nell'appiattirsi proprio a pochi metri dalle linee russe; non vediamo in effetti nessuno, non una sola ombra di soldato. « La posizione deve sicuramente essere difesa », mormora Klockdorf, tesissimo. « Laggiù, sul lato del bosco ci sono gli avamposti tedeschi », dice Moser, a bassissima voce. « Allora gli ' altri ' devono proprio essere vicini anche loro », bisbiglia Fratellino. « Si aggrappano sempre al culo dei tedeschi, quelli! » « Tutti presenti? » « Sì. Gli eventuali ritardatari avranno una multa e una nota di biasimo », dichiara Fratellino. Nel silenzio più assoluto, arranchiamo strisciando verso le trincee. «Ah, eccolo lì, un Ivan! Caro vecchio mio! Avevo proprio paura che preso dallo scoraggiamento fosse rientrato a casa sua! » dice Porta. Ora li vediamo distintamente. Sono allineati contro il parapetto della trincea, ma tutti mimetizzati sotto teloni bianchi. Strano e poco credibile, che non ci abbiano ancora individuati... « Granate a mano », mormora Moser. « Tutti insieme, via. » L'effetto è molto simile a un attacco di artiglieria, nella stretta trincea in cui tutti sono stati presi alla sprovvista; e come conseguenza semina il panico generale. « Ripuliamo » tutto all'arma bianca, e corriamo con tutta la velocità che ci è consentita dalle nostre gambe tanto provate dalle lunghissime marce, nella « Terra di nessuno ». Molte mine esplodono, e corpi umani vengono proiettati in aria. Chi? Non lo sappiamo ancora, ma non abbiamo il tempo né la possibilità di saperlo, perché il fuoco ci brucia gli occhi e molte teste dei nostri compagni scoppiano
311 come conchiglie che si schiudono. Porta e Barcelona tranciano i reticolati, ma ecco che ci imbattiamo in un ricognitore russo che prende a sparare. D'un balzo Porta lo afferra e lo strangola, ma ci è già costato cinque uomini, e anche Stege è ferito. Trasciniamo il nostro compagno dentro al telone di una tenda, insensibili ai suoi gemiti, ma può dirsi fortunato perché è uno dei pochi feriti che siamo riusciti a salvare; gli altri sono rimasti indietro, al di là dei reticolati, soli a morire. Ma i russi hanno superato il momento di panico, e sentiamo ora degli ordini che vengono impartiti con voci secche e autoritarie; subito prendono a sibilare delle granate, le mitragliatrici crepitano, dei razzi illuminanti, a centinaia, si alzano verso il cielo, e noi ci appiattiamo a terra più che possiamo. Continuare a correre con questa luce accecante sarebbe una follia, infatti. Per quanto tempo siamo rimasti immobili in quella posizione? Un mese, un giorno, un'ora? Saremmo stupefatti se ci dicessero che fu solo questione di secondi. Furiosamente cerchiamo di appiattirci e di sommergerci del tutto dentro la neve, io mi volto verso il mio vicino per aiutarlo ma la sola cosa che vedo ormai di lui è una macchia di sangue. Era lì un secondo prima ed era allegro anche, illuso di essere ormai al sicuro, ed è toccata a lui purtroppo. L'avevo sentita venire quella granata di 80 millimetri, una granata di mortaio, terribile, ed ecco che ora prendono a tirare con i loro Katiusha, e il terreno si alza come una parete davanti e dietro di noi. Moser si precipita in avanti; il Legionario lo segue, ma è ricacciato indietro da una lingua di fuoco. Urla, si porta le mani agli occhi, e vedo del sangue che cola attraverso le sue dita. Mi butto su di lui, lo prendo per i piedi e lo tiro dentro la mia buca. Ma metà del suo viso non la vedo più!
312 « Non vedo, non vedo », geme, « sono cieco. Dammi il revolver. » « Balle », gli dico. « I tuoi occhi non hanno niente, è la medicazione che ti sto facendo che li copre. La tua guancia destra è partita del tutto, invece, e questo ti varrà almeno due mesi di ospedale. Una vera fortuna! » Ma non mi crede. Devo sollevare una parte della benda con cui gli ho avvolto tutto il viso, perché si convinca di non essere diventato cieco ma, per prudenza, gli tolgo dal fodero la pistola. I feriti alla testa a volte hanno idee molto lugubri. « Avanti! » grida Moser. Tengo stretta la mano del Legionario per correre con lui; e vicino a me corre anche il « professore », che ha perduto il suo fucile mitragliatore e teme il Consiglio di Guerra. E lo sento arrivare, il sibilo mortale... arrivo giusto in tempo per buttare il Legionario insieme a me dentro a una buca profonda, ma il « professore » è così concentrato nel pensiero della perdita della sua arma, che non ha sentito in tempo il sibilo della granata. Il suo braccio viene strappato dal corpo, proiettato in aria, e poi ricade di nuovo, quasi addosso a lui. Stupefatto lo raccoglie, e non capisce al momento che questo moncone era parte del suo stesso corpo, e che il sangue che sprizza è il suo; tendo fino allo spasimo un laccio emostatico di fortuna fatto con la cinghia della sua maschera a gas, e spolvero dei sulfamidici sulla ferita aperta. Non sente alcun dolore, dice stupito lui stesso, mentre io chiamo gli altri a raccolta: ma nessuno mi può sentire. Così ne ho ben due da trascinarmi appresso e mi auguro di non imbattermi in un russo, perché prima ancora che mi sia possibile estrarre la mia arma, sarei già morto cento volte. Improvvisamente « il professore » si mette a urlare, in
313 modo atroce; l'anestesia del primo choc è svanita e il poveretto soffre come un dannato. Come solo compenso può sentirsi liberato dei suoi complessi di mancata disciplina, perché se gli chiedessero dove è il suo fucile, può sempre rispondere che se n'è partito insieme al suo braccio! E anche il più severo e rigido dei Consigli di Guerra non sarebbe in grado di provare il contrario. O forse esigeranno che lui riconsegni regolarmente fucile e braccio? Porta sostiene che la perdita di un braccio può essere giudicata un atto di sabotaggio, ma la sua tesi non mi sembra plausibile, per la verità. Se perdete un braccio non servite più a niente, in ogni caso, mentre se avete tutte e due le gambe amputate potete in qualche modo ancora servire alla patria, fornito di protesi, nel reparto convogli e approvvigionamenti, i prussiani vantano dei sergenti istruttori che riescono a ottenere cose inaudite da questi infelici grandi invalidi! L'urlo orrendo dei 10,5 è proprio sopra le nostre teste, ed è molto simile al fragore che migliaia di tamburi di ferro farebbero precipitando uno sull'altro dentro a una buca profonda. Un gruppo di artiglieri che correva proprio davanti a me, sparisce come d'incanto avvolto in una fiamma folgorante. Geyser di neve e di terra si alzano verso il cielo, nerastri, Porta si aggrappa al reticolato sempre trascinando con sé Stege ferito, ma a un tratto lancia un grido! Abbandona il suo fucile automatico, si comprime tutte e due le mani sul ventre e cade in avanti, inerte. Mi butto vicino a lui, e singhiozzo convulso; Porta, il mio caro compagno, forse è morto, l'ho visto cadere in modo strano, innaturale, arrotolandosi su se stesso e con una gamba come disarticolata dal corpo. Anche il Vecchio si affretta ad avvicinarsi a noi, seguito da Fratellino. Ma, grazie al cielo, vediamo che Porta apre gli occhi.
314 « Devo aver messo un piede su un elmetto, deve essere stato proprio così », dice. « Ma dove mi ha colpito quella dannata granata? » « A una gamba », gli dice il Vecchio, dolcemente. « Una gamba? » fa Porta stupito. « Ma io ho un gran male al petto e al ventre! » Il Vecchio, ansioso, lo tasta tutto, ma non trova niente, nessuna scalfittura né al petto né al ventre. « Non mettermi troppo le mani addosso, sai che non lo sopporto! » gli dice Porta, sorridendo con malizia. Ma le dita agili del Vecchio continuano a percorrere veloci il corpo del compagno. Mi guarda e poi guarda l'anca di Porta. Una brutta ferita, e ci diamo tutti da fare usando le bende che abbiamo in dotazione per medicarlo alla meglio. « Come va? » È il colonnello, che è balzato dentro la nostra buca e si china su Porta. Tace, le sue labbra tremano, e intuiamo tutti che è al limite di una crisi di nervi. Butta per terra il fucile e accarezza paternamente la testa dai capelli rossicci del suo soldato ferito. « Non è così grave, compagno. Ti varrà il ricovero all'ospedale e la vita tranquilla di guarnigione per tutto il resto della guerra. Quando saremo tutti rientrati ti menzionerò per la EKI (croce di guerra), e se vorrai essere promosso ufficiale, lo sarai, intesi?» » Grazie, signor colonnello », risponde Porta sorridendo. « Vada per la EKI, ma in quanto alla guarnigione, quel tipo di vita non mi calza affatto; e poi cosa ne sarebbe della 2ª sezione senza di me? » Mi allontano strisciando, alla ricerca del Legionario e del « professore ». « Anche loro, Dio buono! » geme Moser. « Ma ci sarà qualcuno di noi che ritornerà a casa indenne? »
315 Ripartiamo. Fratellino si è caricato sulle spalle Porta, il Vecchio trascina Stege. Moser prende con sé il « professore » e io il Legionario, e abbiamo già percorso un lungo tratto, quando con sgomento mi accorgo che ho dimenticato dentro la buca il mio fucile mitragliatore. È impossibile rientrare nelle linee senza armi, troppo rischioso! Se perdete un braccio o qualsiasi altro membro, forse ve lo si perdona, ma il fucile automatico... si rischia la testa, non c'è dubbio. Consegno il legionario a Barcelona, e ritorno indietro strisciando attraverso le brecce aperte nei reticolati; ma improvvisamente mi chiedo dove sono. Non è la direzione giusta quella che ho preso... devo aver sbagliato strada, Dio buono! Sento che mi coglie una crisi di nervi, e tremo tutto dal terrore, proprio come una giovanissima recluta. Sono su un campo minato, maledizione! Proprio davanti a me, infatti scorgo dei sottilissimi fili che corrono sul terreno, e se uno di questi salta, ne saltano altre centinaia, tutt'intorno... L'orrore mi trattiene immobile, come mutato in una statua di sale. Se solo sfioro uno di questi fili non rimarrà più nulla di me, e mio malgrado mi scaturisce dall'intimo una flebile preghiera a Dio. Lentamente, lentissimamente, indietreggio, un lembo del mio cappotto rimane impigliato nel reticolato, tiro, riesco a liberarmi, e sto per rintanarmi dentro una buca per prendere un po' fiato, quando mi accorgo con rinnovato terrore che c'è qualcosa... un « dono di Stalin », tutto dedicato a me! Un luccichio metallico... e sul fondo della buca ora vedo delle baionette puntute... se mi fossi precipitato dentro di furia in cerca di riparo, mi avrebbero infilzato, quelle! Indietreggio ancora, e poco dopo mi perdo in un labirinto di reticolati. Altro gioco di astuzia anche questo: se uno sventurato vi entra non è più in grado di uscirne, infatti. Ma grazie a Dio e a Porta, ho con me un trincetto a
316 pinza, con cui mi appresto a praticarne una breccia... e se fosse collegato a un'alta tensione? Se fosse così, mi dissolverei in un lampo accecante... ma non ho alternative; chiudo gli occhi, trancio il filo metallico che saltando di netto mi sfregia il viso, ma ancora una volta non so dove sono. Dov'è la breccia fatta da Porta? Dove ritrovare un indizio che me la indichi? Cammino avanti e indietro, mi fermo un istante per calmare i nervi tesi allo spasimo, e per cercare di intuire cosa intende fare l'artiglieria e dove è piazzata, ma è molto arduo riuscire a farsene un'idea razionale, in questo caos. Improvvisamente un Maxim prende a crepitare a pochi metri da me, e solo ora mi accorgo che se avessi fatto ancora qualche passo in avanti, sarei caduto proprio dentro a un nido di mitragliatrici russe... avventura molto più facile che non si creda ai soldati che si sono perduti nella « Terra di nessuno ». Sono al limite dei nervi... sul punto di rinunciare a salvarmi, quando ecco proprio davanti ai miei occhi un fucile automatico. Anche se non è il mio, è comunque un'arma simile alla mia, ma per maggior sicurezza lo tasto bene, per vedere se entra nel fodero del mio 08. Quasi non credo alla mia fortuna, ormai posso considerarmi salvo. Un'ora dopo, al mio rientro, violenta strapazzata di Moser nei miei confronti, che subisco senza fiatare. « Buon Dio, dove eravate finito? Ancora qualche minuto e vi avrei segnalato mancante! » Non replico e rimango irrigidito sull'attenti, pensando fra me che solo fra qualche minuto saremo finalmente tutti al sicuro, nelle nostre linee; e già si intravedono le trincee tedesche al limitare del bosco! Non è lontano, ma Porta ha perduto conoscenza purtroppo. Come « stecca » di fortuna leghiamo strettamente un fucile contro la sua gamba e la sua anca molto mal ridotta per la verità; il
317 Legionario è preso da una terribile sete e gli facciamo succhiare una manciata di neve. « Andiamo! » ordina Moser. « Siamo alla fine del viaggio, ormai! » Kiockdorf si alza per primo, e corre contemporaneamente al suo compagno, quello che ama veder la gente impiccata. Volano... eccoli quasi giunti in salvo, ma Kiockdorf non raggiungerà mai la trincea tedesca tanto agognata, perché è caduto diritto dentro una zona minata. Una eruzione vulcanica, il suo corpo salta in aria, ricade, fa esplodere altre mine, e il suo compagno che ha tutte e due le gambe amputate in un sol colpo, muore dissanguato, ancor prima che noi si possa raggiungerlo e far qualcosa per lui. E ora anche ì tedeschi prendono a sparare, e le loro mitragliatrici e le loro granate ci costano un'altra decina dì morti, purtroppo! È allucinante quest'ultima tappa. Io mi appresto a saltare sopra una larga buca di granata quando mi sento colpito come da un violentissimo pugno nel ventre. Cos'è accaduto? Non mi sono reso conto di nulla, per la verità. La sola sensazione che mi invade tutto è una furia violenta contro l'idiota che mi ha colpito così bruscamente, ma immediatamente sento un dolore acutissimo, una coltellata nel petto... « Cos'hai? » mi chiede il Vecchio, chinandosi su di me. « Perché sei finito proprio dov'ero io? » « Credo di essere ferito », rispondo sgomento. « Puoi ben sentirti fiero di essere stato colpito da un proiettile tedesco! Sfattene lì tranquillo e non aver paura, ragazzo, ti torneremo a raccattare, appena avremo ristabilito i contatti con i nostri. » «Dove mi hanno ferito, quelle vacche? Dio, dime mi sento stanco! » « Una fortuna, che sei stato colpito da un proiettile te-
318 desco. Sei sfuggito a una mina russa, capisci? È solo una palla di fucile, non vale neanche la pena di parlarne. » « Si fa presto a dire, ma mi fa un male pazzesco, Dio santissimo! Sei sicuro che non è qualcosa di peggio? Mi sento bruciare tutta la schiena. » « Si sarà conficcata dentro a un osso, ecco tutto, ma mi raccomando di non metterti a mangiare della neve, mentre ci aspetti qui. Se hai una palla nel ventre, sai bene che non devi né mangiare né bere. » E lo vedo impadronirsi furtivamente della mia pistola. « No, ridammela, ti prego! » lo supplico. « Se arrivano i russi non voglio essere preso prigioniero! » Il Vecchio riflette per qualche istante, poi me la restituisce e mi aiuta a trovare una posizione più comoda, appoggiandomi contro la parete della buca e nella sua cavità. È una posizione un po' pericolosa, oserei dire, se a qualcuno venisse in mente di saltarci dentro di schianto! Le fucilate sibilano sopra la mia testa e tutto il fronte ora è in piena attività. Da tutte e due le parti si preparano a un attacco imminente e definitivo, e io sono solo, tutto solo nella « Terra di -nessuno », proprio nel mezzo delle postazioni russe e di quelle tedesche. Dove si troveranno ora Porta, Fratellino, Stege, il Legionario e gli altri feriti? Il Vecchio ha detto che ci lascia qui, in attesa, che ritornerà a riprenderci fra poco, e la cosa è molto ragionevole, in effetti. Le LMG tedesche potranno coprire con la massima sicurezza chi verrà a portarci in salvo, e soprattutto non rischieremo di essere massacrati proprio dai nostri stessi compagni! Un dolore bruciante mi passa da parte a parte, lo sgomento mi fa quasi delirare e mi rendo conto di impugnare la mia pistola manovrandola in modo febbrile. « Job Tvojemadj! » sento dire a pochi metri da dove sono accucciato.
319 Qualcuno ride! Cerco di coprirmi alla meglio con la neve che mi avvolge, ma ogni mio gesto è così difficile! Il minimo movimento mi provoca dei dolori lancinanti, e quando mi tasto il ventre e ritiro la mano la vedo intrisa di sangue... Mi fingo morto, anche se forse già lo sono veramente, e attraverso le ciglia semichiuse vedo un berretto di pelo e degli occhi sottili che mi guardano. Della neve viene gettata sopra il mio corpo mentre io mi sforzo di rimanere perfettamente immobile, e se la buca non fosse stata casualmente così profonda, a quest'ora il mongolo mi avrebbe infilzato con la sua baionetta, anche solo per divertirsi. Sento i suoi passi vicino alla mia testa e la sua frase: « Njet Germanski. » « Job Tvojenadj », risponde un altro. « Pìestre, piestre! (presto, presto!) » urla una voce autoritaria. Poco dopo, sento qualcuno che grida a lungo e pietosamente, e dai suoi lamenti immagino sia stato colpito al ventre. Chi sarà? Un russo? Una MG tedesca crepita e abbaia a corte raffiche, ed ecco improvvisamente apparire il Vecchio, che scivola rapido dentro il cratere, mi prende di peso e mi lancia in avanti come fossi un sacco di farina. Vedo degli stivali di cuoio scuro che corrono, poi degli stivali neri tedeschi, proprio mentre un violentissimo tiro di sbarramento si scatena sull'intera linea del fronte. Una granata fa schizzare in aria neve e terra proprio a pochi centimetri da me, mentre un proiettile perfora il mio elmetto. Dove sono? Nella trincea tedesca, e come in un sogno vedo un fantaccino che mi avvicina alle labbra una borraccia e bevo avidamente, finché la mano del Vecchio allontana bruscamente la gavetta dalla mia bocca arsa. « Una palla nel ventre », dice asciutto al sergente di
320 stato maggiore. « Ah, ho capito! » replica il veterano che ha già conosciuto e vissuto ben due guerre, e altrettante inesorabili disfatte. Le nostre barelle vengono portate dentro il bunker dove il comandante del reggimento viene a stringere la mano ad ognuno di noi e distribuisce a tutti delle sigarette Juno. « Vi avevamo scambiati per Ivan », dice a Moser un tenente anziano, mortificato. « Poco importa! » replica Moser con stanchezza. « Quasi non riesco a capire 'come' siamo arrivati fin qui, e ' se ' siamo veramente qui, in salvo. Siamo usciti dall'inferno, in effetti. » Al posto di soccorso, il Vecchio e Barcelona vengono a salutarci e a porgerci un caloroso arrivederci, prima di vederci evacuare. In quello stesso istante, il colonnello Moser lancia un'occhiata al di sopra del parapetto della trincea, seguendo con uno sguardo infinitamente stanco un razzo illuminante che saetta nel cielo. Il sole sta levandosi dietro le linee russe, e il gelo rende tutto brillante il paesaggio in questo impreveduto, splendido mattino dell'inverno russo. Si accende una sigaretta, e non sente lo scoppio, non sente l'esplosione della granata che gli dilania completamente il viso. Le sue mani si lasciano sfuggire l'MPI, il suo corpo si china in avanti lentamente, e una nuova granata lo ricopre completamente di neve. Un mucchio informe, bianco. « Pioprio prima di partire ho visto con i miei occhi morire il nostro capo », racconta Fratellino nel trenoospedale che lo porta lontano. « Aveva detto che non voleva più vedere le nostre facce, e per la verità, è stato esaudito. » » La guerra è fatta così, amico », dice il Legionario, in
321 tono filosofico. « Mi aveva promesso la croce di ferro », dice Porta, la cui "amba stesa e rigida, segue il movimento del treno e tutti i suoi scossoni. « Pazienza! » « Il medico non vuole assolutamente segarmi via i piedi », dice Fratellino, mostrando un colossale bendaggio che li avvolge tutti. « Così sarò costretto a tornare a marciare per tutta la vita. Ho proprio e sempre ben poca fortuna, io! » « E io, ho un serpente dentro la pancia », dico, mettendo in mostra un tubo di drenaggio che mi esce dalla piaga. E quanto al « professore », quello piange. Rientrare in Norvegia come un uomo monco di un braccio, è un pensiero che lo fa impazzire, e per rabbonirlo il medico capo gli ha promesso il trasferimento in una caserma di reclute, ma quasi non osa crederci, il poveretto. Dopo molte ore di viaggio, ci scaricano alla stazione di Lemberg, per essere rimessi in salute in Polonia prima del definitivo rientro in Germania. « Da dove venite? » ci chiede un'infermiera, dalla mascella molto dura e maschile. « Da Mosca », sghignazza Porta con insolenza, « ma guarda un po' se si deve faticare tanto ad arrivare fin qui per essere accolti dalla più brutta e dalla più scostante delle lavoratrici in grembiule bianco che abbia mai visto! » « Farò rapporto sulla vostra sfacciataggine! » protesta la donna molto offesa. « E io ti presterò il mio pene, per scriverlo meglio il tuo rapporto! » risponde Porta, scoppiando in una grossa risata. E prorompe in una rumorosa scorreggia, che conclude la nostra campagna di Russia.
322 FINE
323 INDICE Il sergente: una donna............................................ La via crucis di Herr Niebelspang ......................... I cacciatori corazzati............................................... Porta « cantore alle armi »..................... I Tepluschka............................................................ Il deposito di carne ................................................. Davanti a Mosca ..................................................... Il capitano mongolo................................................ La fuga dei generali ................................................ La partigiana ...........................................................
5 24 51 71 88 110 Ì36 170 229 278