Wilbur Smith COME IL MARE
Nick Berg è stato spodestato. Era presidente e azionista di una grande compagnia di navigazio...
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Wilbur Smith COME IL MARE
Nick Berg è stato spodestato. Era presidente e azionista di una grande compagnia di navigazione, tutti lo chiamavano «il Principe d'Oro». Ora Duncan Alexander gli ha portato via tutto: le navi, la moglie, il figlio. Gli rimane solo un rimorchiatore oceanico: il Warlock. Quando ne assume il comando, nel porto di Città del Capo, sa di avere di fronte a sé una sfida per la vita. E con lui lo sanno gli uomini della sua nave. Poi, dalle distese gelide dell'Antartide arriva l'invocazione di soccorso della Golden Adventurer, gioiello della flotta che Duncan gli ha sottratto: è alla deriva con seicento persone a bordo. Nick sa che è la grande occasione per rimontare la china. Vale qualsiasi rischio. L'eroico salvataggio in una tremenda burrasca tra i ghiacci gli restituisce tutto il suo potere, gli regala l'amore di Samantha, dà inizio all'ultima battaglia con Duncan che può concludersi solo con la distruzione di uno dei due avversari. Così, nel mondo di ghiaccio dell'Antartide, nel tuonare delle maree sudafricane, nella tremenda tensione di una corte di giustizia inglese, nell'imperversare di un uragano al largo della Florida, si svolge la lotta senza quartiere di Nick contro le forze della natura, contro il destino, contro gli intrighi dei potenti, contro la minaccia di una catastrofe ecologica, contro chi gli ha sottratto il figlio. Al suo fianco c'è Samantha, la giovane donna che ha ridato un senso alla sua vita. Wilbur Smith Come il mare Titolo originale: Hungry as the Sea Traduzione di: Jimmy Boraschi Copyright 1978 by Wilbur Smith by arrangement with William Heinemann, Ltd., London Longanesi & C., 1980 Edizione CDE spa - Milano su licenza della Longanesi & C. A mia moglie Danielle Nicholas Berg scese dal tassì sul molo illuminato dai riflettori e sostò a guardare il Warlock. Sollevato dalla marea, galleggiava alto presso la banchina, cosicché le gru che gli torreggiavano accanto non riuscivano a farlo apparire piccolo. Sebbene fosse stanco, confuso e indolenzito, Nicholas sentì rinascere un senso d'orgoglio e di soddisfazione. Il Warlock sembrava una nave da guerra, agile e spavalda, con l'alta prua svasata e la linea snella che le
permettevano di affrontare qualsiasi mare. Le sovrastrutture erano d'acciaio e di scintillante cristallo corazzato, dietro il quale le luci di bordo brillavano festose. Le alette della plancia, elegantemente ricurve, offrivano riparo agli uomini che dovevano lavorare sul ponte anche durante le burrasche e i fortunali. La seconda plancia dominava l'ampio ponte di poppa. Dal suo interno, un marinaio esperto poteva manovrare i grandi argani e i verricelli, prendere e guidare le gomene con i passacavi ad azione idraulica, portare in salvo una piattaforma per ricerche petrolifere spazzata dalle onde o un transatlantico in difficoltà. Le torri gemelle che si ergevano nel cielo notturno, dominando le altre strutture sostituivano il fumaiolo tozzo dei rimorchiatori di vecchio tipo, e l'aspetto da nave da guerra era completato dai cannoni antincendio sulle piattaforme superiori, che potevano rovesciare millecinquecento tonnellate di
acqua all'ora su una nave in fiamme. Dalle torri si potevano gettare passerelle di abbordaggio e in mezzo a esse erano dipinti i cerchi concentrici che contrassegnavano il minuscolo eliporto. Tutta la struttura, dallo scafo ai ponti, era a prova di fuoco, costruita per resistere nell'inferno di una petroliera in fiamme o nel rogo di un mercantile. Mentre si avviava verso la passerella, Nicholas Berg si sentì un po' meno stanco e un po' meno triste, benché avesse ancora il corpo indolenzito e le gambe rigide come quelle d'un vecchio. «Al diavolo», pensò. «L'ho costruita io. É bella e forte.» Erano già le undici, ma l'equipaggio del Warlock lo guardava da ogni possibile punto di osservazione. Perfino gli ingrassatori erano saliti dalla sala macchine non appena si era sparsa la voce, e adesso si aggiravano sul ponte di poppa cercando di non farsi notare. David Allen, il primo ufficiale, aveva mandato un marinaio presso il cancello del porto, con una fotografia di Nicholas Berg e una monetina per il telefono pubblico. Adesso tutta la nave era sul chi vive. David Allen si trovava con il direttore di macchina nell'aletta vetrata della plancia anteriore. Entrambi videro la figura solitaria che procedeva fra le ombre del molo con la valigia. «Eccolo.» La voce di David esprimeva un timore reverenziale. La zazzera di capelli schiariti dal sole gli dava l'aria di uno studentello. «Sembra un attore del cinema», sbuffò Vin Baker, il direttore di macchina, tirandosi su i pantaloni con i gomiti mentre gli occhiali gli scivolavano sul lungo naso. «Un fottuto attore del cinema.» «É stato il primo ufficiale di Jules Levoisin», osservò David, pronunciando il nome con il massimo rispetto. «Ha passato parecchio tempo sui rimorchiatori.» «Sì, quindici anni fa.» Vinny Baker lasciò andare i pantaloni per aggiustarsi gli occhiali. I pantaloni cominciarono subito una lenta ma inesorabile discesa. «Da allora è divenuto un damerino... e un armatore.» «Già», convenne David Allen, con una smorfia al pensiero di quelle due leggendarie creature, il comandante e l'armatore, riunite in un mostro solo. Un mostro che si accingeva a imboccare la passerella per salire a bordo del
Warlock. «Be', scendi e va' a baciarlo sul di dietro», borbottò Vinny, quindi lasciò la plancia. Nelle viscere del rimorchiatore c'era la sala macchine, il suo regno, dove né i comandanti né gli armatori potevano disturbarlo. Baker vi si rintanò. Rosso e ansante, David Allen giunse al boccaporto d'ingresso. Il nuovo comandante era già arrivato a metà della passerella. Mentre saliva a bordo, alzò la testa e guardò il primo ufficiale. Benché fosse di taglia appena superiore alla media, Nicholas Berg sembrava un gigante. Aveva spalle possenti, e i capelli corvini lasciavano scoperta una fronte priva di rughe. Il viso era angoloso, il naso leggermente aquilino, un'ombra di barba gli scuriva il mento pronunciato. Gli occhi, profondamente infossati, erano cerchiati da aloni bluastri. Pareva che fossero stati presi a pugni. Ma David Allen fu colpito soprattutto dal pallore. Il viso del comandante era esangue come se gli fosse stata recisa la carotide. Era il pallore di una malattia mortale o di uno sfinimento estremo, accentuato dal nero delle occhiaie. Non era il leggendario Principe d'Oro della Christy Marine che David si aspettava. Non era il viso che aveva visto sui giornali e sulle riviste di tutto il mondo. Restò senza parole per lo stupore, e Nicholas Berg si fermò, abbassando lo sguardo su di lui. «Allen?» chiese. La voce era sommessa e incolore, senza il minimo accento, ma con un timbro e una sonorità sorprendenti. «Signorsì. Benvenuto a bordo, signore.» Quando Nicholas Berg sorrise, ogni traccia di stanchezza e di malattia scomparve dal suo viso. La mano era liscia e fredda, ma la forza della stretta fece sussultare Allen.
«Le mostro il suo alloggio, signore.» Gli tolse di mano la valigia. «So dov'è», replicò Nick Berg. «Questa nave l'ho progettata io.» Si fermò al centro del salotto privato del comandante, sentendo il ponte inclinarsi sotto i piedi sebbene il Warlock fosse ormeggiato al molo. Gli tremavano i muscoli delle gambe. «Com'è andato il funerale?» chiese Nick. «É stato cremato, signore», rispose David. «Secondo la sua volontà. Ho disposto che le ceneri vengano inviate a Mary. Mary è sua moglie, signore», si affrettò a spiegare. «Sì, lo so», disse Nick Berg. «L'ho vista prima di lasciare Londra. Mac e io siamo stati compagni di bordo.» «Me l'aveva detto. Se ne vantava sempre.» «Avete portato via la sua roba?» chiese Nick, girando lo sguardo per la cabina. «Signorsì, l'abbiamo impaccata. Non c'è più niente qui.» «Era un brav'uomo.» Nick barcollò ancora e guardò con desiderio il divanetto. Ma si accostò all'oblò e fissò la banchina. «Com'è successo?» «Il mio rapporto...» «Me lo dica!» ingiunse Nicholas Berg.
«Il cavo di rimorchio è saltato, signore. Lui era sul ponte di poppa. Gli ha troncato la testa di netto.» Nick tacque un momento, pensando alla succinta descrizione della tragedia. Aveva già visto un cavo spezzarsi sotto la tensione. Quella volta aveva ucciso tre uomini. «Capisco.» Nick esitò. La stanchezza lo aveva illanguidito, e per un attimo fu tentato di spiegare perché aveva assunto personalmente il comando del Warlock, invece di mandare un altro al posto di Mac. Aveva bisogno di parlare con qualcuno, adesso che era prostrato nella mente e nel fisico. Vacillò ancora, ma si riprese e vinse la tentazione. In vita sua non aveva mai pianto sulla spalla del prossimo. «Capisco», ripeté. «La prego di scusarmi con gli ufficiali. Ultimamente ho dormito poco e il volo da Londra è stato massacrante, come al solito. Li vedrò domani mattina. Dica al cuoco di portarmi qui la cena.» Il cuoco era un omone con movenze da ballerino. Indossava un grembiule candido e ostentava un teatrale cappello a tubo. Nick Berg lo osservò mentre gli deponeva il vassoio accanto al gomito. I capelli erano legati con cura in una lucida coda di cavallo che gli cadeva sulla spalla destra, lasciando scoperto l'orecchio sinistro, al cui lobo brillava un piccolo orecchino di brillanti. Sollevò il tovagliolo dal vassoio con una manaccia pelosa da gorilla, ma la voce era melodiosa come quella di una fanciulla, e lunghe ciglia nere gli ombreggiavano le guance. «Una deliziosa minestrina e il pot-au-feu, una delle mie specialità. Si leccherà le dita», aggiunse indietreggiando. Guardò Nick Berg con le mani sui fianchi. «L'ho vista mentre saliva a bordo e ho capito subito di cosa ha bisogno.» Con un gesto da prestigiatore, cavò una bottiglietta di Pinch Haig dalla tasca del grembiule. «Ne beva un goccetto durante il pasto e poi fili subito a nanna, povero caro.» Nessun uomo aveva mai chiamato Nicholas Berg «caro» prima di allora, ma Nick aveva la lingua troppo torpida per replicare. Guardò il cuoco lasciare il salotto in uno svolazzar di grembiule e scintillio di orecchino, poi abbozzò un sorriso e scrollò la testa. «Accidenti, se ne ho bisogno», borbottò, andando a cercare un bicchiere. Lo riempì per tre quarti e sorseggiò il liquore mentre tornava a sedersi sul divanetto. Sollevò il coperchio della zuppiera. L'aroma che ne uscì gli fece venire l'acquolina in bocca. Il cibo caldo e il whisky risucchiarono le sue ultime energie. Nicholas Berg si tolse le scarpe ed entrò barcollando nella cabina. ^ Si svegliò pieno di rabbia. Erano quindici giorni che non si sentiva in collera, ciò che dava la misura del suo stato di prostrazione.
Ma quando si fu sbarbato, lo specchio gli rimandò l'immagine di un estraneo pallido e smunto. Le rughe che gli contornavano la bocca erano troppo profonde. La luce che penetrava dall'oblò gli cadde sulla tempia, e vide le striature argentee fra i capelli neri. Si avvicinò allo specchio. Era la prima volta che le notava; forse non aveva mai guardato bene, o forse erano nuove. «Quaranta», pensò. «In giugno avrò quarant'anni.»
Aveva sempre pensato che un uomo deve fare il colpo grosso prima dei quaranta, altrimenti non lo fa più. Era la sua regola. E lui era salito sulla cresta dell'onda prima dei trent'anni, l'aveva cavalcata con spavalda sicurezza fino a toccare il cielo, ma era scivolato prima dei quaranta per ritrovarsi in un calderone ribollente di spuma bianca. Era un uomo finito, dunque? Mentre si guardava allo specchio, Nick sentì la rabbia che lo pervadeva cambiar forma, divenire motivata e funzionale. Andò nello sgabuzzino della doccia e lasciò che gli aghi di acqua bollente gli pungessero il torace. Sotto la stanchezza e lo sconforto sentì, per la prima volta da varie settimane, la forza latente che temeva di avere perso. La sentì affiorare e pensò nuovamente di essere un vero figlio del mare: gli bastava calcare un ponte e respirare il salino. Uscì dalla doccia e si asciugò in fretta. Finalmente si trovava nel luogo giusto. Soltanto lì poteva riprendersi; aveva fatto bene a non mandare un altro comandante al posto di Mac. Doveva sostituirlo lui stesso. Aveva sempre saputo che, per cavalcare la cresta dell'onda, bisogna prima trovarsi nel luogo dove l'onda comincia a incresparsi. E adesso si trovava in quel luogo, ne era sicuro. Insieme con le forze, sentì rinascere in sé l'eccitazione di un tempo, l'antico spirito ribelle. Si vestì in fretta e salì sul ponte superiore, passando per la scaletta privata del comandante. Subito lo investì il vento, scompigliandogli i capelli, buttandoglieli sul viso. Soffiava a forza cinque da sudest, veniva dalla gran montagna con la cima piatta che dominava la città e il porto. Nick alzò lo sguardo e vide la nube bianca che i locali chiamano «tovaglia» avvilupparne la cima, turbinando lungo i contrafforti di roccia grigia. «Il Capo delle Tempeste», mormorò. Perfino le acque riparate del porto danzavano e s'impennavano in creste bianche che volavano via come sbuffi di vapore. La punta meridionale dell'Africa si protende in uno dei mari più pericolosi del globo. Là due oceani si scontrano davanti alle scogliere del Capo di Buona Speranza, per poi andare a rompere sui bassifondi delle Agulhas. Là, in un conflitto perenne, il vento si oppone alla corrente. Là nasce l'onda anomala, quella che i marinai chiamano «onda dei cent'anni» perché, secondo le statistiche, si forma solamente una volta ogni secolo. Ma sui banchi delle Agulhas è sempre in agguato, aspetta solo la giusta combinazione di venti e di correnti, aspetta che una sequenza di onde di riflusso la gonfi a trenta metri d'altezza in una muraglia scoscesa come le pareti rocciose della montagna stessa che le guarda. Nick aveva letto le testimonianze dei marinai scampati all'onda. A corto di parole, avevano descritto un immenso buco nel mare che risucchiava le navi. Quando il buco si chiudeva, la tremenda forza delle acque le seppelliva completamente. Forse la Waratah Castle era una delle navi cadute in quella voragine. Non si sarebbe mai saputo con certezza: una grande nave, con duecentoundici uomini di equipaggio era scomparsa in quei mari senza lasciare traccia. Eppure di là passa una delle rotte più battute del globo. Una processione di petroliere giganti arranca faticosamente davanti al Capo nell'interminabile spola fra il mondo occidentale e il Golfo Persico. Nonostante la mole, le superpetroliere sono forse i veicoli più vulnerabili mai costruiti dall'uomo. Giratosi, Nick ne vide una di là dalle acque, stracciate dal vento, del molo Duncan. Ne lesse il nome sulla poppa che si ergeva dal mare, alta come una
casa di cinque piani. Apparteneva alla Shell, dislocava 250.000 tonnellate a pieno carico e, priva di zavorra, mostrava ora gran parte della sua carena rugginosa. Era in corso di riparazione, mentre nella rada di Table Bay altri due mostri aspettavano pazientemente il loro turno di attraccare al moloospedale.
Così grande, pesante, vulnerabile... e preziosa. Involontariamente Nick si passò la lingua sulle labbra. Tra scafo e carico valeva almeno trenta milioni di dollari. Era una montagna di quattrini galleggiante. Ecco perché aveva dislocato il Warlock a Città del Capo, all'estremità meridionale dell'Africa. Sentì crescere le forze e l'impazienza. E va bene, era scivolato dall'onda. Non la cavalcava più. Si dibatteva nelle acque spumeggianti. Ma stava arrivando un'altra onda, lo sapeva. Aveva appena cominciato a incresparsi e lui aveva ancora le forze per prenderla, farsi portare in alto e cavalcarla. «L'ho già fatto e lo rifarò, maledizione», disse. Poi scese nella mensa. Quando fu entrato, per un lungo momento nessuno si accorse della sua presenza. Gli ufficiali si scambiavano commenti e congetture, e un brusio eccitato riempiva la sala. Il direttore di macchina leggeva ad alta voce una vecchia copia del Lloyd's List che teneva piegata sopra un piatto di uova fritte. Chissà dove l'aveva trovata. Gli occhiali gli erano scivolati sulla punta del naso, cosicché doveva inclinare la testa all'indietro per guardare attraverso le lenti. Il suo accento australiano vibrava come le corde di una chitarra. «'In una dichiarazione congiunta, il nuovo presidente e i membri del consiglio di amministrazione hanno reso omaggio a Nicholas Berg per i quindici anni di fedele servizio nella Christy Marine.'» I cinque ufficiali ascoltavano avidamente, ignorando la colazione. A un tratto David Allen scorse la figura sulla soglia. «Signor comandante!» esclamò. Balzò in piedi, strappò il giornale dalle mani di Vinny Baker e lo gettò su una sedia. «Mi permetta di presentarle gli ufficiali del Warlock.» Imbarazzati, i cinque ufficiali strinsero frettolosamente la mano al comandante e poi si concentrarono sulla colazione senza più parlare. Nel silenzio di tomba, Nick Berg prese posto a capotavola mentre David Allen si sedeva sul giornale spiegazzato. Il cameriere di bordo porse la lista delle vivande al nuovo capitano e tornò quasi subito con un piatto di frutta cotta. «Veramente ho ordinato uova sode», osservò gentilmente Nick. Una figura candida emerse dalla cambusa, con il cappello da cuoco sulle ventitré. «La stitichezza è la maledizione del marinaio, comandante. Io ho cura dei miei ufficiali. La frutta è squisita, le farà bene. Le preparo subito le sue uova, caro, ma prima mangi la frutta.» Svanì facendo scintillare l'orecchino. Nel silenzio atterrito, Nick fissò la porta della cambusa.
«É un cuoco eccezionale», balbettò infine David Allen con il viso in fiamme, mentre il Lloyd's List gli scricchiolava sotto il sedere. «Potrebbe trovare lavoro su qualsiasi nave di linea, il nostro Angel.» «Se dovesse lasciare il Warlock, metà degli uomini lo seguirebbe», borbottò il direttore di macchina, tirandosi su i pantaloni sotto il tavolo. «E io sarei con loro.» «É quasi un medico», continuò David Allen, rivolto al direttore di macchina. «Cinque anni alla facoltà di medicina di Edimburgo», convenne gravemente il direttore. «Ricordi come ha sistemato la gamba del terzo ufficiale? Sì, è proprio comodo avere un medico a bordo.» Nick prese il cucchiaio e assaggiò un boccone di frutta. Gli ufficiali lo scrutarono mentre masticava. Nick prese un'altra cucchiaiata. «Deve sentire le sue marmellate, signore.» Per la prima volta, David Allen si rivolgeva direttamente a Nick. «Roba da Cordon Bleu.» «Grazie per il consiglio», disse Nick. Il suo sorriso non si estese alla bocca, ma gli raggrinzì leggermente gli angoli degli occhi. «Però informate Angel che, se mi chiamerà ancora 'caro', gli calcherò il suo ridicolo cappello fin sotto le orecchie.»
Mentre gli altri ridevano di sollievo, Nick si rivolse a David Allen e lo fece nuovamente arrossire chiedendogli: «Credo che quella vecchia copia del List non le serva più, signor Allen. Me la darebbe un momento?» David si alzò con riluttanza e gli porse il giornale. Vi fu un altro silenzio carico di tensione, mentre Nick Berg sistemava le pagine spiegazzate e leggeva i vecchi titoli con viso impassibile. SPODESTATO IL PRINCIPE D'ORO DELLA CHRISTY MARINE Nicholas detestava quel soprannome. Il vecchio Arthur Christy aveva il vezzo di battezzare tutte le sue navi con il prefisso «Golden», d'oro; e dodici anni prima, quando Nick aveva coronato la sua folgorante carriera diventando il direttore della Christy Marine, un bello spirito gli aveva appioppato quell'etichetta. ALEXANDER NUOVO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DELLA CHRISTY MARINE Nicholas non aveva mai odiato nessuno così intensamente. Avevano lottato come due tori per il dominio sulla mandria, e la tattica di Duncan Alexander si era rivelata vincente. Una volta Arthur Christy aveva detto: «Oggigiorno la gente se ne infischia della lealtà e della correttezza. Conta soltanto aver successo e farla franca». Gli intrighi di Duncan avevano avuto successo e lui aveva trionfato. Come direttore generale, Nicholas Berg ha trasformato la Christy Marine da una flottiglia di piccolo cabotaggio in una delle più grandi società di navigazione esistenti. Dopo la morte di Arthur Christy, avvenuta nel 1968, Nicholas Berg gli è succeduto come presidente, dando nuovo impulso alla spettacolare espansione della compagnia. Attualmente la Christy Marine possiede undici fra navi mercantili e
petroliere, per un totale di duecentocinquantamila tonnellate di stazza lorda, mentre ha in costruzione la petroliera gigante Golden Dawn che dislocherà 1.000.000 di tonnellate. Sarà la più grande nave mai varata. Era, in sintesi, una vita di lavoro. Oltre un miliardo di dollari di navi, progettate, finanziate e costruite quasi completamente con l'energia, l'entusiasmo e la fede di Nicholas Berg. ^ Nicholas Berg aveva sposato Chantelle Christy, figlia unica di Arthur Christy. Nel settembre dell'anno scorso, i coniugi hanno però divorziato e l'ex signora Berg ha successivamente sposato Duncan Alexander, il nuovo presidente della Christy Marine. Nick sentì un vuoto allo stomaco, e gli balenò alla mente la vivida immagine della donna. Non voleva più pensare a lei, ma non riuscì a scacciare l'immagine. Era bella e fulgida come una fiamma; e, come una fiamma, non si poteva tenere. Quando fuggiva, portava via tutto. Avrebbe dovuto odiarla. Tutto, pensò ancora, la società, il lavoro di una vita e loro figlio. Al pensiero del ragazzo, quasi gli riuscì di odiarla. Il giornale gli tremò nella mano. Si sentì osservato dai cinque uomini, e si accorse con stupore di non aver tradito la minima emozione. Quando si partecipa per quindici anni a una delle più grandi partite a poker del mondo, l'impassibilità diventa una seconda natura. In una dichiarazione congiunta, il nuovo presidente e i membri del consiglio di amministrazione hanno reso omaggio... Duncan Alexander gli aveva pagato quel tributo per un solo motivo. Voleva le centomila azioni della Christy Marine in possesso di Nick Berg. Con quelle azioni non si poteva certamente esercitare un controllo sulla società: Chantelle ne possedeva un milione, e nel lascito di Arthur Christy ce n'era un altro milione. Ma per quanto insignificante, la quota di Nick gli permetteva di tenere un piede negli affari della società. Nick aveva pagato ogni azione di tasca sua; nessuno gli aveva mai regalato niente. Aveva approfittato di ogni opzione nel suo contratto, per le opzioni aveva rinunciato a stipendio e percentuali, e le centomila azioni erano giunte a valere tre milioni di
dollari: una magra ricompensa per la fatica che aveva procurato sessanta milioni di dollari alla famiglia Christy. Duncan Alexander aveva impiegato quasi un anno per mettere le mani sulle azioni. Lui e Nicholas avevano patteggiato con gelido odio. Si erano odiati fin dal primo giorno che Duncan era entrato nella sede della Christy in Leadenhall Street. Era venuto come ultimo enfant prodige del vecchio Arthur Christy: il mago della finanza, reduce dal trionfo come direttore amministrativo dell'International Electronics. L'odio era scoccato all'istante, profondo e reciproco, come una reazione chimica repressa a stento. Alla fine Duncan Alexander aveva vinto. Aveva conquistato tutto meno quelle azioni, e aveva trattato con forza irresistibile per ottenerle. Aveva trattato con pazienza e perizia, sfibrando il suo uomo nel corso di lunghi mesi. Aveva usato tutte le risorse della Christy Marine per bloccare e sconfiggere
Nicholas, costringendolo a cedere terreno, fiaccandolo, obbligandolo infine ad accettare una rischiosa transazione. In cambio delle azioni, Nick aveva rilevato la branca sussidiaria della Christy Marine, la Christy Tow and Salvage, capitale e debiti compresi. Si era sentito come un pugile tartassato per quindici riprese che si aggrappa disperatamente alle corde, con le gambe molli, accecato dal sudore e dal sangue, incapace di vedere da quale parte arriverà il prossimo pugno. Ma aveva resistito abbastanza a lungo. Aveva ottenuto la Christy Tow and Salvage. Se n'era andato con qualcosa che gli apparteneva completamente. Abbassò il giornale, e subito gli ufficiali si gettarono sulla colazione con un gran tintinnare di posate. «Manca un ufficiale», osservò Nick. «Oh, è soltanto Trog, signore.» «Trog?» «Il marconista, signore. Si chiama Speirs, ma tutti lo chiamano Troglodita.» «Vorrei che tutti gli ufficiali fossero presenti.» «Non esce mai dalla sua tana», spiegò Vinny Baker. «Non importa», disse Nick. «Gli parlerò più tardi.» Attesero, cinque giovani impazienti. Nemmeno Vin Baker riusciva a dissimulare completamente il suo interesse dietro gli occhiali e la spessa corteccia australiana. «Vorrei spiegarvi la nuova organizzazione della società. Il direttore di macchina è stato gentile a leggervi quell'articolo. Si vede che qualcuno non è stato capace di leggerselo da solo, un anno fa.» Nessuno parlò, ma Vin Baker giocherellò con il cucchiaio. «Dunque, sapete che non ho più niente a che fare con la Christy Marine. Ho rilevato la Christy Tow and Salvage. Diventerà una società autonoma e indipendente. Anche il nome sarà cambiato.» Nicholas aveva resistito alla vanità di chiamarla 'Berg Tow and Salvage'. «Diventerà la 'Ocean Tow and Salvage'.» L'aveva pagata cara, forse troppo. Aveva rinunciato ai suoi tre milioni di dollari in azioni Christy per Dio sa che cosa. Ma era giunto al limite della resistenza. «Abbiamo due rimorchiatori, il Golden Warlock e la sua unità gemella che fra poco sarà pronta per i collaudi in mare, il Golden Witch.» Sapeva esattamente quanto la compagnia doveva ancora pagare per i due rimorchiatori, aveva passato notti insonni pensando alle cifre. Sulla carta, il valore netto della società era di quattro milioni di dollari; e sulla carta, il suo affare con Duncan Alexander gli aveva fruttato un utile di un milione di dollari. Ma soltanto sulla carta, perché la società aveva debiti per quasi quattro milioni di dollari in più del suo valore. Se lui avesse interrotto il pagamento degli interessi sui debiti per un solo mese... Scacciò subito il pensiero, perché in un'asta pubblica la sua parte residua nella società non avrebbe avuto alcun valore. Sarebbe stato letteralmente spazzato via. «Saranno cambiati anche i nomi dei rimorchiatori. Diventeranno semplicemente Warlock e Sea Witch. D'ora in poi, nella Ocean, 'Golden' sarà considerata una parolaccia.»
I cinque diedero in una risata liberatoria. Nick sorrise a sua volta, poi tolse un sigaro dall'astuccio di coccodrillo e l'accese mentre gli altri tornavano seri. «Io comanderò questa nave finché il Sea Witch non sarà pronto a navigare. Non ci vorrà molto tempo, e allora ci sarà qualche promozione.» Mentre parlava, Nick toccò per superstizione il legno del tavolo. Da varie settimane i lavoratori portuali minacciavano uno sciopero. Il Sea Witch era quasi pronto, ma costava fior d'interessi, e un ritardo avrebbe potuto risultare fatale. «Ho un contratto per rimorchiare una piattaforma per ricerche petrolifere. Viene dall'Australia e va in Sud America. Ci darà tutto il tempo di prendere confidenza con la nave. Siete uomini da rimorchiatori. Quando arriverà il colpo grosso, lo capirete da soli. Gli avvertimenti saranno superflui.» Gli ufficiali si agitarono impazienti. Era bastata un'allusione al denaro del premio per entusiasmarli. «Capo?» Nick guardò il direttore di macchina, e Vin Baker sbuffò come se la domanda fosse un insulto. «Pronto per il mare», rispose, cercando di aggiustarsi simultaneamente i pantaloni e gli occhiali. «Signor Allen?» Nick guardò David. Non si era ancora abituato all'aria fanciullesca del primo ufficiale. Sapeva che comandava mercantili da dieci anni, che aveva poco più di trent'anni e che lo aveva scelto MacDonald, perciò doveva essere un buon elemento. Eppure il viso quasi imberbe sotto la zazzera di arruffati capelli biondi e la facilità ad arrossire lo facevano sembrare uno studente. «Sto ancora aspettando del materiale, comandante», rispose David. «Oggi dovrebbero arrivare le candele, ma non manca niente d'indispensabile. Possiamo salpare anche fra un'ora, se è necessario.» «Bene.» Nick si alzò. «Ispezionerò la nave alle nove in punto. Nel frattempo fate sloggiare le signore.» Durante la colazione, dagli alloggi dell'equipaggio era venuto un cicaleccio di voci femminili punteggiato da scrosci di risa. Nick lasciò la mensa e Vin Baker alzò la voce perché lui lo sentisse. Era una grottesca imitazione dell'accento in uso nella Marina britannica. «Alle nove in punto, ragazzi. E che tutto sia in ordine, chiaro?» Nick proseguì senza girarsi, con un lieve sorriso. Era una vecchia usanza australiana: punzecchiare e punzecchiare finché non succede qualcosa. Non c'era perfidia, era soltanto un mezzo per conoscere il prossimo. Dopo una buona scazzottatura, si restava definitivamente amici o nemici. Da parecchio tempo Nick non si trovava a contatto con quegli uomini rudi che odiavano i sotterfugi, e la novità gli riusciva stimolante. Forse era la medicina che gli serviva: il mare e la compagnia di veri uomini. Affrettò il passo, sentendosi euforico alla prospettiva del confronto. Salì la scaletta che conduceva in plancia, superando i gradini tre per volta. A un tratto la porta di fronte al suo alloggio fu socchiusa. Ne uscì un tanfo di pessimo sigaro e una testa che avrebbe potuto appartenere a un rettile preistorico, grigia, piena di rughe e solchi: sembrava la testa di una tartaruga o di un'iguana, con gli stessi occhietti neri e lucenti. La porta era quella della cabina radio, che si trovava a due passi dal salotto del comandante e comunicava direttamente con la plancia.
Nonostante le apparenze, la testa era umana; e Nick ricordò come Mac gli aveva descritto il radiotelegrafista. «É il bastardo più asociale con cui abbia mai navigato, ma è capace di ascoltare otto frequenze per volta, in chiaro e in morse, anche mentre dorme. É un figlio di puttana tetro come un funerale, ma probabilmente è il miglior radiotelegrafista di tutta la marina.» «Comandante», disse Trog con una vocetta petulante. «Comandante, ho un "a tutte le navi".» Nick sentì caldo alla base della spina dorsale e un formicolìo alla nuca. Non basta trovarsi nel luogo giusto, quando la grande onda s'increspa: bisogna anche saperla riconoscere fra centinaia d'altre.
«Coordinate?» chiese seccamente, percorrendo il corridoio verso la cabina radio. «72° 16' sud e 32° 12' ovest.» Ebbe un tuffo al cuore, mentre il calore gli risaliva lungo la spina dorsale. Le alte latitudini, là nelle distese immense e solitarie. Perfino nelle cifre c'era un che di sinistro. Cosa faceva una nave, laggiù? Era a sud ovest del Capo di Buona Speranza; ma molto, molto a sud, oltre le isole Gough e Bouvet, nel mare di Weddell. Nick seguì Trog nella cabina radio. Benché il mattino fosse ventoso e soleggiato, la cabina era scura come una caverna, con le spesse tende verdi accostate sugli oblò; unica sorgente di luce, i quadranti degli apparecchi, l'attrezzatura più sofisticata che la ricchezza della Christy Marine aveva potuto acquistare, centinaia di migliaia di dollari di magia elettronica. Ma il tanfo di sigaro dominava su tutto. Oltre la cabina radio c'era la cabina del marconista, con la cuccetta sfatta e un vassoio di piatti sporchi sul pavimento. Trog balzò sul seggiolino girevole e scostò con il gomito il bossolo di ottone che fungeva da portacenere, spargendo sulla mensola fiocchi di cenere grigia e vari mozziconi di sigaro ancora umidicci. Simile a uno gnomo rugoso, trafficò con le manopole. Vi fu una cacofonia di scariche statiche ed elettroniche, miste al pigolìo del morse. «La copia?» chiese Nick, e Trog gli porse un taccuino. Nick vi diede una rapida scorsa. «CTMZ. 0603 GMT. 72° 16' S. 32° 12' W. A tutte le navi in grado di prestare assistenza, prego identificarsi. CTMZ.» Non ebbe bisogno di consultare il manuale di radiotelegrafia per riconoscere il nominativo CTMZ. Con uno sforzo di volontà, ignorò la morsa che gli aveva attanagliato il petto. Gli sembrava di aver già vissuto quel momento. Era troppo bello. Ma si costrinse a diffidare del suo istinto, a pensare con la testa e non con le viscere. Sentì le voci degli ufficiali sulla plancia, voci sommesse ma venate di tensione. Avevano già lasciato la saletta. Cristo! pensò con ira. Come hanno fatto a saperlo? E così presto? Sembrava che la nave stessa gli si fosse svegliata sotto i piedi e vibrasse d'impazienza. La porta scivolò sulle guide scorrevoli e David Allen si stagliò nel vano.
Aveva una copia del Registro dei Lloyd's. «Comandante, CTMZ è il nominativo della Golden Adventurer. Ventiduemila tonnellate, registrato a Bermuda nel 1975. Società armatrice: Christy Marine.» «Grazie, signor Allen», disse Nick. Conosceva bene la nave. Ne aveva ordinato personalmente la costruzione prima che il traffico dei grandi transatlantici entrasse in crisi, e l'aveva adibita alla rotta Europa-Australia. Era costata ventidue milioni di dollari ed era una nave stupenda, con sovrastrutture alte e slanciate. Il lusso dei saloni la faceva rivaleggiare con la France o la United States, ma si era rivelata uno dei pochi calcoli sbagliati di Nick. Quando la gestione sulla rotta prevista si era rivelata infruttuosa, sia a causa dei costi in ascesa che della minor domanda, Nick aveva mutato la sua destinazione. Era così, con la fantasia, la flessibilità e l'improvvisazione, che aveva trasformato la Christy Marine in un colosso. Aveva lanciato la moda delle crociere d'avventura, e ribattezzato la nave Golden Adventurer. Ora portava ricchi passeggeri negli angoli più esotici e selvaggi del globo, dalle Galapagos all'Amazzonia, dalle isole del Pacifico all'Antartide, alla ricerca di nuove emozioni. Ai viaggi partecipavano come ospiti conferenzieri esperti delle varie regioni che la nave doveva visitare, e i passeggeri venivano portati a terra, a studiare i monoliti dell'isola di Pasqua o a osservare l'accoppiamento degli albatros nelle isole Falkland. Probabilmente era uno dei pochi transatlantici ancora redditizi, e adesso si trovava in difficoltà.
Nicholas si rivolse a Trog. «Ha già trasmesso qualche messaggio, prima dell"a tutte le navi"?» «Trasmette da mezzanotte nel codice della società. C'è stato un fitto scambio di comunicazioni. Per questo l'ho curato.» Alla luce fioca dei quadranti, l'ometto appariva verdognolo con i denti neri. Sembrava sbucato da un film dell'orrore. «Ha registrato?» gli chiese Nick. Trog avviò il registratore automatico, facendo ripetere ogni messaggio che la nave in difficoltà aveva inviato o ricevuto da mezzanotte in poi. I confusi messaggi in codice si riversarono nella cabina, mentre la striscia di carta veniva stampata con un ticchettio. Se Duncan Alexander avesse cambiato il codice della Christy Marine? si domandò Nick. Sarebbe stato un procedimento logico. Nessun marinaio si sarebbe stupito. Se si perde un uomo che conosce il codice, quest'ultimo va modificato. Ma Duncan Alexander non era un marinaio. Era un amministratore, un uomo d'affari. Pensava in termini di cifre, non di acciaio e di acqua salata. Se Duncan aveva cambiato il codice, non l'avrebbero mai decifrato. Nemmeno con il Decca. Nick stesso aveva ideato le basi del codice. Esprimeva l'alfabeto come una funzione matematica fondata su una variabile di sei cifre, cambiando il valore di ogni lettera in una progressione che era impossibile identificare. Nick lasciò l'oscurità pestilenziale della cabina radio, portando con sé le striscioline di carta.
La plancia del Warlock scintillava di vetro e acciaio, illuminata e funzionale come una sala operatoria. Il quadro dei comandi occupava tutta la larghezza della plancia, sotto le ampie finestre corazzate. Al posto della tradizionale barra del timone c'era una leva di acciaio, che si poteva manovrare anche a distanza per mezzo di un lungo cavo, cosicché il timoniere poteva dirigere la nave da ogni posizione. I quadranti e le spie digitali ragguagliavano istantaneamente il comandante sulle condizioni della nave: velocità rispetto al fondo a poppa e a prua, velocità attraverso l'acqua a poppa e a prua, direzione e forza del vento; inoltre gli fornivano ogni informazione tecnica su funzioni e disfunzioni. Nick aveva costruito la nave con il denaro della Christy Marine, senza badare a spese. Il retro della plancia fungeva da sala nautica, e il tavolo da carteggio la divideva in due parti. Contro le paratie erano allineati gli scaffali che reggevano i 106 grossi volumi blu del Portolano Mondiale e quasi altrettanti volumi di altre pubblicazioni marittime. Sotto il tavolo c'erano i cassetti multipli, ampi e piatti, contenenti le carte dell'Ammiragliato che descrivevano ogni angolo di acqua navigabile del globo. La batteria degli strumenti elettronici di navigazione era collocata contro la parete di fondo. Sembrava una fila di macchinette per il gioco d'azzardo in una sala di Las Vegas. Nick commutò il Decca in computer: le spie lampeggiarono, si spensero e si riaccesero rosse. Poi introdusse il numero chiave di sei cifre, un numero che variava secondo le fasi lunari e la data del messaggio. Il computer lo assimilò all'istante, e Nick introdusse l'ultima proporzione aritmetica a lui nota. Il Decca era pronto a decodificare e Nick gli sottopose il blocco dei messaggi in codice... aspettandosi che glielo restituisse con un borbottìo di protesta. Duncan aveva sicuramente modificato il codice. Guardò la strisciolina di carta. A Christy centrale da comandante Adventurer. 2216 GMT. 72° 16' S. 32° 05' W. Grave danno a mezzanave dritta causa ghiaccio sommerso. Chiuse paratie principali. Generatori ausiliari attivati durante ispezione danno. Passo. Così Duncan non aveva modificato il codice. Nick prese il portasigari di coccodrillo e accese il sottile cilindro nero con mano ferma. Sentì l'impulso di gridare, ma invece aspirò nei polmoni il fumo fragrante. «Rilevamento effettuato», annunciò David alle sue spalle. Aveva già segnato la posizione sulla grande carta dell'Antartico. La metamorfosi era completa: il primo ufficiale era divenuto un professionista serio e competente.
Nick diede un'occhiata alla carta, vide la linea frastagliata del ghiaccio sopra la posizione dell'Adventurer, vide il continente antartico protendere verso la nave i suoi spietati artigli di roccia e di ghiaccio. Il Decca decodificò la risposta al messaggio: A comandante Adventurer da Christy centrale. Ricevuto. Passo. Il messaggio successivo era stato inviato circa due ore dopo, ma il computer lo decodificò e stampò quasi senza interrompersi.
A Christy centrale da comandante Adventurer. 0005 GMT. 72° 18' S. 32° 05' W. Acqua bloccata. Riavviati generatori principali. Nuova rotta diretta verso Città del Capo. Velocità 8 nodi. Passo. Dave Allen fece un rapido calcolo con le parallele e il rapportatore. «Mentre aveva le macchine ferme, è andato alla deriva per trentaquattro miglia nautiche in direzione sud-sudest... Là c'è un inferno di venti e di correnti», disse. Gli altri ufficiali rimasero in silenzio. Sebbene nessuno di loro osasse accostarsi al comandante presso il Decca, avevano occupato in ordine di grado i migliori posti d'osservazione e ora seguivano il dramma della grande nave in difficoltà. Il messaggio successivo scaturì quasi subito dal computer, benché fosse stato trasmesso varie ore dopo. A Christy centrale da comandante Adventurer. 0546 GMT. 72° 16' S. 32° 12' W. Esplosione in zona allagata. Chiuse tutte paratie. Imbarchiamo acqua. Chiedo autorizzazione trasmettere 'a tutte le navi". Passo. A comandante Adventurer da Christy centrale. 0547 GMT. Autorizzazione accordata. Divieto contrattare rimorchio o recupero senza interpellare Christy centrale. Dare conferma. Duncan non aveva nemmeno aggiunto il solito «salvo in caso di pericolo per vite umane». Il motivo era evidente. La Christy Marine assicurava la maggior parte delle sue navi con una delle sue consociate, la London and European Insurance. Lo schema di autoassicurazione era stato una trovata dello stesso Duncan Alexander, poco dopo il suo arrivo alla Christy Marine. Nick Berg si era opposto tenacemente al progetto e adesso, forse, si sarebbe visto che aveva avuto ragione. «Rispondiamo?» chiese David Allen con calma. «Silenzio radio», rispose seccamente Nick. Si mise a passeggiare avanti e indietro per la plancia. Il rivestimento di sughero del ponte attutiva i suoi passi. «É questa la mia onda?» si chiedeva. La Golden Adventurer andava alla deriva fra i ghiacci oltre duemila miglia a sud di Città del Capo, e per superare una distanza simile il Warlock avrebbe impiegato cinque giorni e cinque notti. Se decideva di andare, nel frattempo la nave avrebbe potuto effettuare le riparazioni e ripartire con le sue macchine. E anche se l'avaria si fosse protratta, c'era il rischio che un altro rimorchiatore battesse il Warlock sul tempo. Così, era il momento di fare l'appello. Si fermò davanti alla cabina radio e disse a Trog: «Apra la linea del telex e trasmetta un messaggio a Bach Wackie alle Bermude: virgolette appello virgolette.» Si girò, congratulandosi con se stesso per la sua previdenza nell'installare il sistema ausiliario di telex via satellite. Gli permetteva di comunicare con il suo agente alle Bermude o con qualsiasi altra stazione telex senza che il messaggio fosse trasmesso sulle frequenze aperte, venendo magari captato da un concorrente o da un'altra parte interessata. I suoi messaggi rimbalzavano
nell'alta stratosfera, dove nessuno poteva intercettarli. Mentre aspettava, rifletté. Se fosse andato, avrebbe dovuto abbandonare la
piattaforma della Esso, e il denaro che avrebbe incassato per il rimorchio era indispensabile al suo bilancio. Senza le duecentoventimila sterline, non avrebbe potuto far fronte al pagamento trimestrale degli interessi, che scadeva fra sessanta giorni. A meno che, a meno che... Fece un rapido calcolo mentale, ma il rischio gli parve eccessivo, e poi i conti non tornavano. La Esso gli serviva. Cristo, se gli serviva! «Bach Wackie sta rispondendo», annunciò Trog, sovrastando il ticchettìo del ricevitore telex. Nick si girò di scatto. Aveva scelto Bach Wackie come agente a causa della sua nota efficienza. Sbirciò l'orologio, calcolando che alle Bermude erano le due del mattino; eppure la risposta alla sua domanda sulle posizioni dei maggiori concorrenti era arrivata in pochi minuti. Per comandante Warlock da Bach Wackie ultime posizioni riferite. John Ross in secca molo Durban. Woltema Wolteread rimorchio Esso in stretto Torres per Alaska... Così i due giganteschi rimorchiatori della Safmarine non gli avrebbero dato noia. Metà della concorrenza più pericolosa era fuori gioco. Wittezee rimorchio Shell da Galveston per Mare del Nord. Graotezee fermo Brest... Fuori anche i due olandesi. I nomi e le posizioni degli altri grossi rimorchiatori, ognuno dei quali rappresentava una minaccia per il Warlock, scaturirono rapidamente dall'apparecchio. Nicholas mordicchiava il sigaro socchiudendo gli occhi contro il fumo azzurrognolo, con un crescente senso di sollievo man mano che i rapporti situavano i concorrenti in acque lontane, da cui non avrebbero potuto raggiungere la nave in difficoltà. «La Mouette», Nick serrò i pugni quando il nome comparve sul foglio, «La Mouette lasciato rimorchio Brazgas Golfo San Jorge il 14, riferito in rotta Buenos Aires». Nick grugnì come se avesse ricevuto un colpo basso e si scostò dall'apparecchio. Andò sull'aletta aperta della plancia. Il vento gli fece svolazzare gli abiti e i capelli. La Mouette, il gabbiano. Un nome ridicolo per quello scafo nero e tozzo, dalle antiquate sovrastrutture e il tradizionale fumaiolo singolo. Nick chiuse gli occhi e gli parve di vederselo di fronte. Non aveva dubbi; Jules Levoisin era già in rotta per il sud a tutta forza, come un segugio sulla pista. Jules aveva lasciato il rimorchio nell'Atlantico meridionale tre giorni prima. Si era sicuramente rifornito a Comodoro. Nick conosceva bene le abitudini di Jules: non era contento se non aveva i serbatoi colmi. Gettò via il mozzicone del sigaro, e il vento lo portò lontano. Sapeva che, un anno e mezzo prima, La Mouette era stata raddobbata e munita di macchine nuove. Aveva letto un breve articolo sul Lloyd's List, con un senso di nostalgia. Ma nemmeno novemila cavalli potevano spingere quel tozzo scafo a più di diciotto nodi, Nick ne era sicuro. Però, anche se il Warlock era più veloce, La Mouette era più vicina all'obiettivo di almeno mille
miglia. Non c'era da stare allegri. E se La Mouette, dopo aver lasciato il rimorchio, si fosse diretta verso capo Horn, invece di risalire a nord nell'Atlantico? Se le cose stavano così, e con la fortuna di Jules Levoisin non c'era da dubitarne, allora La Mouette aveva parecchio vantaggio. «Chiunque, tranne Jules Levoisin», pensò. «Perché proprio lui? E perché proprio adesso, Dio santo? Adesso che sono così vulnerabile... fisicamente e finanziariamente? Oh, accidenti, perché?» Sentì che l'euforia e il benessere, da cui si era lasciato illudere quel mattino, gli scivolavano di dosso lasciandolo nudo e malato come prima. «Non sono ancora pronto», pensò. Non si era mai detto una cosa simile, in vita sua. Era sempre stato pronto per tutto. Ma non adesso, in un momento così delicato. All'improvviso fu pervaso dallo sgomento. Si sentiva vuoto. In lui non c'era più nulla, né l'energia, né la fiducia, né la determinazione. L'amarezza per la sconfitta inflittagli da Duncan Alexander, la disperazione per l'abbandono della donna che amava, lo avevano schiantato. Sentì la paura
trasformarsi in panico: l'onda era arrivata, finalmente, ma lui non aveva la forza di cavalcarla e gli sarebbe sfuggita. L'istinto gli disse che era l'ultima onda, non ne sarebbero arrivate altre. O adesso o mai più. Ma non poteva rischiare, non l'avrebbe mai spuntata contro Jules Levoisin, non poteva sfidare il suo ex comandante. Non poteva rifiutare il sicuro pagamento della Esso, non aveva il coraggio di rischiare tutto in un colpo solo. Aveva appena perso un colpo grosso... non poteva rischiare ancora. Non era pronto, non aveva la forza. Avrebbe voluto andare in cabina, stendersi sulla cuccetta e dormire, dormire. Si sentì cedere le ginocchia sotto il peso della disperazione, e desiderò l'oblio del sonno. Tornò nell'aletta coperta della plancia, al riparo del vento. Era finito, vinto, sconfitto. Mentre si avviava verso il rifugio della sua cabina, passò accanto al quadro dei comandi e si fermò involontariamente. Gli ufficiali lo guardarono in un silenzio carico di tensione. Allungò la destra e toccò il telegrafo di macchina, facendo scivolare l'indicatore dalla posizione di «fermo» a quella di «pronto». «Sala macchine», disse nel microfono una voce così calma e incolore che non gli parve la sua. «Avviare le macchine principali.» Da una distanza immensa, vide i visi degli ufficiali illuminarsi di perfida gioia. Sembravano pirati che pregustano il bottino. La strana voce continuò: «Signor Allen, chieda alla capitaneria di porto l'autorizzazione a salpare immediatamente. Timoniere, rotta per l'ultima posizione conosciuta della Golden Adventurer.» Con la coda dell'occhio, notò che David Allen sferrava un allegro pugno sulla spalla del terzo ufficiale prima di precipitarsi al radiotelefono. Sentì l'improvviso bisogno di vomitare, ma rimase rigido e immobile davanti al quadro dei comandi reprimendo l'ondata di nausea che lo aveva assalito, mentre gli ufficiali si disponevano ai posti di navigazione. «Plancia, parla il direttore di macchina», gracidò una voce metallica nell'altoparlante sopra la testa di Nick. «Macchine principali in funzione.»
Tacque un momento, poi manifestò la sua esultanza con la tipica espressione australiana: «Beauty!» ^ La prora svasata del Warlock era concepita per fendere i marosi e in quelle acque, a una latitudine inferiore a quaranta gradi, il rimorchiatore filava verso sud veloce, guizzante e lustro come una lontra. Non ostacolato da terre emerse, il ciclo delle grandi depressioni atmosferiche imperversa liberamente in quei mari, e le onde si gonfiano sino a divenire una successione di montagne d'acqua. Il Warlock le tagliava obliquamente, penetrando ogni cresta con uno scoppio candido che s'innalzava a prua come l'esplosione di un siluro. Verde e limpida, l'acqua si riversava sul ponte spazzandolo da prua a poppa mentre il rimorchiatore s'impennava per poi piombare a capofitto nella valle che gli si era spalancata davanti. Allora le sue eliche gemelle di bronzo emergevano dall'acqua ma la squassante vibrazione veniva subito controllata dal sofisticato meccanismo del passo variabile; poi il Warlock giungeva in fondo alla valle e le eliche mordevano nuovamente l'acqua, mentre i due diesel Mirrlees lo spingevano verso la parete della prossima onda. Ogni volta sembrava che non potesse rialzarsi in tempo per affrontare la montagna d'acqua. Il mare era nero sotto il cielo plumbeo. Nei Caraibi, Nick aveva visto molti uragani, ma mai un'acqua così minacciosa. Brillava come la colata di acciaio che si riversa dall'altoforno di una fonderia, e raffreddandosi diventa di un nero iridescente. Nelle profonde valli fra le creste non tirava il vento. Piombavano in una quiete innaturale, in un silenzio pauroso, che ingigantiva la minaccia dell'incombente parete d'acqua. Nel cavo dell'onda, il Warlock sbandava e s'impennava, arrampicandosi sulla parete in una salita che comprimeva le viscere e piegava le ginocchia. Mentre il rimorchiatore saliva il ponte s'inclinava all'indietro e una visione di nubi tumultuose riempiva le finestre anteriori della plancia.
Il vento stracciava la cresta dell'onda davanti al Warlock strappandone lembi di spuma e spiaccicandoli sui vetri corazzati. Poi il Warlock affondava nell'onda l'affilato muso di acciaio. Sussultava all'impatto, s'inclinava sulla cresta e piombava in caduta libera per ripetere il ciclo. Nick era incastrato nella poltroncina del comandante, nell'angolo della plancia. Sotto le spallate del mare, oscillava come un cammelliere e fumava i suoi sigari, girandosi continuamente verso ovest quasi si aspettasse di vedere da un momento all'altro lo sgraziato scafo nero della Mouette. Ma distava ancora un migliaio di miglia, lo sapeva. Filava lungo il lato opposto del triangolo che aveva per vertice il piroscafo in difficoltà. «Ammesso che stia arrivando», pensò Nick, ma si disse che non c'erano dubbi. La corsa della Mouette era frenetica come quella del Warlock... e altrettanto silenziosa. Jules Levoisin aveva insegnato a Nick il trucco del silenzio. Non usava la radio se non aveva il piroscafo a portata di radar. Poi comunicava: «Posso gettarvi un cavo fra due ore. Accettate il contratto standard dei Lloyd's?» Il comandante della nave in difficoltà, che già si credeva abbandonato senza soccorsi, avrebbe accettato con entusiasmo la promessa di salvataggio; e
quando La Mouette sarebbe comparsa all'orizzonte con le luci accese e le bandiere al vento in una delle teatrali esibizioni che erano la specialità di Jules, probabilmente il comandante avrebbe accettato il contratto standard dei Lloyd's... una decisione che sarebbe stata sicuramente rimpianta dagli armatori tra le pareti fredde e austere della corte arbitrale. Quando Nick aveva dato le direttive per il progetto del Warlock, aveva preteso che fosse bello quanto funzionale. Il comandante di una nave in difficoltà è quasi sempre in preda all'agitazione. Nel dubbio fra due rimorchiatori, può sceglierne uno in base al suo aspetto. Il Warlock era bellissimo: perfino nell'oceano cupo e corrucciato, era spavaldo come una nave da guerra. Il comandante della Golden Adventurer doveva assolutamente vederlo, prima di accordarsi con La Mouette. Nick era troppo impaziente per starsene inattivo nella poltroncina di tela. Valutò la distanza della prossima onda e, con sei o sette rapidi passi, attraversò la plancia approfittando della momentanea stabilità del Warlock nel cavo dell'onda. Si aggrappò alla ringhiera cromata che correva sopra il Decca. Batté sulla tastiera il numero di codice che avrebbe commutato la macchina in sistema elettronico di navigazione, coordinando le trasmissioni che giungevano dai satelliti in orbita sopra la terra. Per mezzo dei satelliti si poteva determinare la posizione esatta del Warlock sulla superficie del globo, con uno scarto massimo di venticinque metri. Nick immise la posizione della nave e il computer la confrontò con il rilevamento che Nick aveva chiesto quattro ore prima. Stampò rapidamente la distanza percorsa e la velocità del rimorchiatore. Accigliato, Nick si girò a guardare il timoniere. Nella furibonda corsa sul mare, un uomo esperto poteva tenere il Warlock sulla rotta meglio di qualsiasi marchingegno elettronico. Un uomo poteva prevedere ogni valle e ogni cresta, impedire alla nave di puggiare mettendosi di traverso alle onde, per poi scalciare quando saliva, sprecando tempo prezioso e allungando la rotta. Nick osservò l'opera del timoniere, valutando le onde che s'innalzavano davanti alla prora e controllando la rotta sul ripetitore della bussola. In dieci minuti capì che non c'erano sbandamenti: il Warlock procedeva diritto quanto glielo permettevano le condizioni del mare. La leva del telegrafo di macchina era tirata all'indietro sulla massima velocità di sicurezza, la rotta era buona, eppure il Warlock non guadagnava quei pochi nodi in più su cui Nick aveva contato decidendo di gareggiare con La Mouette. Aveva contato su ventotto nodi contro i diciotto del francese, ma non li aveva. Quando il Warlock salì sulla cresta successiva, Nick guardò involontariamente verso ovest. Attraverso i vetri solcati da rivoli d'acqua, in cui i tergicristalli aprivano due semicerchi trasparenti, vide soltanto una distesa di acqua nera. Non c'era traccia di navi. Si accostò bruscamente al citofono.
«Sala macchine, confermate che siamo al massimo del verde.» «Massimo del verde, comandante.» La voce indifferente del direttore di macchina sovrastò lo scroscio dell'onda che si riversava a bordo.
Il «massimo del verde» era la velocità massima di sicurezza raccomandata dai costruttori dei giganteschi diesel Mirrlees, alla quale le macchine sviluppavano una potenza assai superiore alla massima potenza economica, bruciando carburante a una rapidità prodigiosa. Nick stava spingendo il rimorchiatore alla massima velocità consentita senza sconfinare nella zona «rossa» di pericolo, oltre l'ottanta per cento della potenza totale, che in una navigazione prolungata avrebbe rovinato le macchine. Nick tornò alla sua poltroncina e vi cadde di schianto. Cavò il portasigari ma si fermò con l'accendino a mezz'aria. Aveva la bocca arida e la lingua impastata. Da quando avevano lasciato Città del Capo aveva fumato senza interruzione durante ogni minuto di veglia, e Dio sapeva se aveva dormito poco. Con un senso di ripugnanza, si passò la lingua nella cavità della bocca, poi fissò davanti a sé, chiedendosi come mai il Warlock andasse così adagio. Si raddrizzò di scatto, considerando un'ipotesi che gli accese un lampo d'ira negli occhi. Scivolò dalla poltroncina, fece un cenno al terzo ufficiale che era di turno e imboccò la porta in fondo alla plancia, entrando nel suo salotto. Era una manovra diversiva: non voleva che la sua visita sottocoperta fosse annunciata. Uscì subito dal suo alloggio per imboccare la scaletta che scendeva ai ponti inferiori. La vista della sala macchine era impressionante perfino per Nick, che aveva progettato il rimorchiatore e l'aveva visto costruire. I due motori diesel Mirrlees occupavano quasi tutta la caverna dipinta di bianco: c'era appena lo spazio per passare in mezzo. Ognuno era lungo come quattro Cadillac parcheggiate in fila, e infossato in un pozzo profondo come quattro Cadillac accatastate una sull'altra. I trentasei cilindri di ogni blocco erano coronati da una foresta semovente di valvole e di bielle. Ciascuno era un'enorme fabbrica di energia capace di sviluppare undicimila cavalli vapore. La consuetudine richiedeva che ogni visitatore, compreso il comandante, annunciasse il suo arrivo nella sala macchine al direttore. Ignorandola, Nick passò in silenzio oltre le porte scorrevoli di vetro, lasciando l'odore di olio bruciato della sala macchine per l'aria condizionata della sala di controllo. Era moderna e scintillante come la plancia del Warlock, completamente isolata da doppi vetri per escludere il frastuono dei diesel. Il quadro dei comandi correva sotto le finestre che davano sulla sala macchine, e tutti i dati sulle condizioni del rimorchiatore comparivano in cifre rosse e verdi alla semplice pressione del dito. Vin Baker stava confabulando con un elettricista. Entrambi erano inginocchiati davanti alle ante spalancate di un armadio d'acciaio che conteneva un groviglio di cavi colorati e di interruttori a transistor. Nick giunse al quadro dei comandi prima che il direttore di macchina avesse dipanato il suo lungo corpo e si fosse girato a fronteggiarlo. Quando Nick era realmente furibondo, stringeva le labbra in una linea sottile, e le sue sopracciglia nere parevano congiungersi sopra gli occhi verdi. «Mi ha raccontato una balla», accusò con una voce atona che non tradiva la sua ira. «Mi sta dando appena il settanta per cento della forza.» «Per me è il massimo del verde», ribatté Vin Baker. «Con un mare simile, non voglio forzare i motori all'ottanta per cento; si scasserebbe tutto.» In quel momento la poppa fu proiettata bruscamente verso l'alto, mentre il Warlock
scavalcava l'ennesima onda. La sala di controllo tremò per le vibrazioni delle eliche che roteavano pazzamente nell'aria prima di mordere ancora il mare. «Ha sentito? E vuole che dia altra potenza?» «Il rimorchiatore può sopportarla. É costruito apposta.» «Storie. Nessuno può forzare le macchine a lungo, in una burrasca così.» «Voglio tutta forza», insisté Nick, additando il ripetitore del telegrafo di macchina e la maniglia cromata, con cui il direttore poteva annullare la
quantità di potenza richiesta dalla plancia. «Me la dia quando le pare... purché lo faccia entro cinque secondi.» «Esca dalla mia sala macchine. Vada a giocare sulla plancia.» «E va bene.» Nick annuì. «Lo farò io.» Allungò la mano verso la leva. «Giù le mani dalle mie macchine», strepitò Vin Baker, raccogliendo una spranga di ferro dal ponte. «Se osa toccare le mie macchine le spacco i denti, merluzzo surgelato di un inglese.» Nonostante la sua collera, Nick batté le palpebre. L'insulto lo faceva ridere, se pensava alle emozioni e alle passioni che ribollivano in lui. Merluzzo surgelato, pensò. Mi vede così. «Stupido cacatua ubriaco di Bundaberg», disse con flemma afferrando la leva. «Avrò l'ottanta per cento, a costo di farti la pelle.» Vin Baker batté a sua volta le palpebre dietro gli occhiali. Non si era aspettato un insulto. Lasciò cadere la pesante spranga che rimbalzò sul ponte con fragore. «Non mi serve», dichiarò. Si ficcò gli occhiali nella tasca posteriore e si tirò su i calzoni. «Sarà più bello farla a pezzi con le mani.» Soltanto allora Nick notò la statura del capo macchinista. Nelle sue braccia guizzavano muscoli sodi, plasmati dal duro lavoro. I suoi pugni, quando li serrò, erano grossi come mazze. Si mise in guardia come un pugile, compensando il beccheggio della nave con agili flessioni delle gambe. Non appena Nicholas toccò la maniglia cromata, Baker sferrò un fulmineo montante. Nick ebbe appena il tempo di ritrarsi. Il pugno gli sfiorò il mento, graffiandogli la pelle vicino all'occhio, e lui passò al contrattacco, sparando un diretto sotto l'ascella di Baker. Colpì così forte che il cozzo dei suoi stessi denti gli rintronò nella testa. Il direttore di macchina sbuffò, ma replicò con un sinistro. Il pugno nodoso rimbalzò sulla spalla e colse Nick sulla tempia. Sebbene la botta fosse deviata, Nick ebbe l'impressione che gli fosse piombata una porta in testa. Una coltre nera gli calò sugli occhi. Cadde in avanti, aggrappandosi all'avversario per reggersi in piedi. Cinse il corpo solido e asciutto in una morsa mentre cercava di snebbiarsi la mente. Sentì il direttore di macchina spostare il proprio peso e fu stupito dalla sua forza. Dovette penare per trattenerlo. A un tratto capì cosa sarebbe successo. Sulla fronte di Baker c'erano piccoli lembi di tessuto cicatrizzato, seminascosti dai capelli color sabbia, e le cicatrici, sicuramente dovute ad altre zuffe, misero in guardia Nick. Vin Baker indietreggiò, simile a un cobra che si appresti all'attacco, poi chinò la testa e si slanciò avanti. Era il classico cozzo, diretto alla faccia di Nick. Se ci fosse arrivato, gli avrebbe spiaccicato il naso e spaccato i
denti. Ma Nick l'aveva previsto: abbassò la testa a sua volta, cosicché i crani si scontrarono, con un rumore simile a quello d'un grosso ramo che si spezzi. L'impatto ruppe la presa di Nick, ed entrambi rotolarono sul ponte instabile. Vin Baker ululava come un lupo ferito, stringendosi il cranio fra le mani. «Non vale, bastardo di un inglese», sbraitò. Si appoggiò a uno degli armadi di acciaio allineati contro la paratia di fronte. Atterriti, gli elettricisti si tuffarono sotto il cruscotto dei comandi, abbandonando gli attrezzi. Vin Baker rimase immobile per un momento, come per rimettere insieme il suo corpo allampanato. Poi, mentre il Warlock rollava con violenza, sfruttò l'inclinazione per caricare a testa bassa, risoluto a fracassare le costole dell'avversario. Nick si girò come un cow-boy alle prese con un vitello. Cinse il collo di Vin Baker con un braccio e lo accompagnò nella corsa, tenendogli giù la testa e accelerando mentre attraversavano la sala di controllo in tutta la sua lunghezza. Giunsero alla parete di vetri corazzati e la testa di Vin Baker vi urtò per prima, con dietro il peso d'entrambi i loro corpi. ^ Il capo macchinista rinvenne alla puntura dell'ago che Angel gli infilava in
un lembo di carne viva sul cranio. Rinvenne sferrando pugni come un ubriaco, ma il cuoco lo tenne giù con l'enorme braccio peloso. «Sta' calmo, caro.» Ritirò l'ago dalla pelle sanguinante e annodò il punto. «Dov'è? Dov'è il bastardo?» farfugliò il direttore di macchina. «É tutto finito, caruccio», lo informò gentilmente Angel. «E sei fortunato che ti abbia colpito sulla testa... altrimenti ti avrebbe fatto male.» Gli diede un altro punto. Il capo macchinista fece una smorfia, mentre Angel tirava il filo e lo annodava. «Ha cercato di scassarmi i motori. Gli ho dato una lezione, a quel bastardo.» «Lo hai fatto morire di paura», convenne Angel con dolcezza. «Adesso bevici su un goccio e non muoverti. Resta nella cuccetta per dodici ore. Più tardi verrò a rimboccarti le coperte.» «Io torno alle mie macchine», annunciò Vin Baker. Vuotò il bicchierino di liquore e fischiò al bruciore dell'alcool. Angel lo lasciò per accostarsi al telefono. Parlò rapidamente, mentre il capo macchinista scendeva dalla cuccetta. Nick Berg entrò nella cabina e fece un cenno d'assenso al cuoco. «Grazie, Angel.» Angel uscì dalla cabina e li lasciò a fronteggiarsi. Il capo macchinista scoprì i denti e ringhiò all'indirizzo di Nick. «Jules Levoisin avrà guadagnato almeno cinquecento miglia su noialtri, mentre lei giocava a fare la prima donna», osservò Nick con calma. La bocca di Vin Baker rimase aperta, sebbene non ne uscisse più nessun suono.
«Ho costruito questa nave perché corra veloce anche con il mare grosso. E adesso lei sta cercando di farci perdere i soldi del premio.» Nick girò sui tacchi e risalì la scaletta verso la plancia. Sprofondato nella poltroncina di tela, cominciò a tastarsi delicatamente la bozza purpurea sulla fronte. Gli sembrava di avere una fune strettamente annodata intorno alla testa. Era tentato di andare in cabina a prendere un antidolorifico, ma voleva essere presente quando sarebbe giunta la chiamata di Baker. Accese un altro sigaro. Sapeva di corda incatramata e bruciata. Lo gettò nella vaschetta di sabbia e in quel momento ronzò il citofono sopra la sua spalla. «Plancia, qui sala macchine.» «Mi dica, capo.» «Adesso siamo all'ottanta per cento.» Nick non rispose, ma sentì il cambiamento nelle vibrazioni delle macchine e la spinta più poderosa dello scafo. «Nessuno mi aveva detto che siamo in gara con La Mouette. Quel bastardo di un mangiarane non sarà il primo a gettare il cavo», dichiarò fieramente Vin Baker. Poiché il comandante rimase in silenzio, si sentì in dovere di aggiungere qualcosa. «Scommetto una sterlina contro una merda di canguro», lo sfidò, «che lei non sa che cos'è un cacatua e che non ha mai assaggiato il rum Bundaberg.» Nick si sorprese a sorridere, nonostante la feroce emicrania. «Be-au-ty!» disse, sillabando la parola e sforzandosi di non scoppiare in una risata. La voce di Dave Allen era contrita. «Mi rincresce di svegliarla, signor comandante, ma la Cold Adventurer sta trasmettendo.» «Vengo», borbottò Nick, gettando le gambe fuori della cuccetta. Era piombato nel sonno senza sogni dello sfinimento, ma in pochi secondi si snebbiò la mente. Era un'abitudine acquisita durante innumerevoli turni di guardia. Scacciò le ultime tracce di sonno stropicciandosi gli occhi, e si sentì sotto le dita la barba ispida mentre si dirigeva verso il bagno. In quaranta secondi si lavò il viso e si pettinò i capelli arruffati, decidendo con rammarico che non aveva il tempo di radersi.
Quando lasciò la cabina per andare in plancia, capì subito che la velocità del vento era aumentata. Calcolò che soffiava a forza sei, adesso: il rollìo del Warlock era più violento e disordinato. Oltre il tepore della plancia fiocamente illuminata, la furia dell'acqua e dei venti faceva della notte un gelido inferno ululante. Trog era ingobbito sui suoi apparecchi, grigio, rugoso e insonne. Quasi non si degnò di girarsi mentre porgeva a Nick il foglietto con il messaggio. «Comandante Golden Adventurer a Christy centrale», decodificò rapidamente il Decca, e Nick grugnì quando lesse il rapporto sulla nuova posizione. Qualcosa era drasticamente mutato nella situazione del piroscafo. «Macchine principali ancora fuori uso. Corrente verso est aumentata a sette nodi. Vento crescente forza sei da nordovest. Pericolo di ghiacci. Su quale assistenza posso contare?»
Nell'ultima frase c'era una nota di panico. Nick ne comprese il motivo quando vide la nuova posizione della nave sulla carta. «Va diritto a terra», borbottò David, lavorando veloce sulla carta. «L'azione combinata del vento e della corrente lo spinge verso terra.» Sfiorò con la punta del dito i minacciosi promontori frastagliati della Terra di Coats. «É a ottanta miglia dalla costa, adesso. A questa velocità di deriva s'incaglierà fra dieci ore.» «Sempre che prima non vada a sbattere contro un iceberg», osservò Nick. «A giudicare dall'ultimo messaggio del comandante, pare che siano già arrivati fra i ghiacci.» «Una prospettiva allegra», convenne David, raddrizzandosi. «Fra quanto tempo la raggiungeremo?» chiese Nick. «Fra una quarantina di ore, comandante.» David esitò, respingendo dalla fronte una ciocca di capelli biondo chiaro. «Se potessimo mantenere questa velocità. Ma dovremo ridurla, quando arriveremo ai ghiacci.» Nick si diresse verso la sua poltroncina di tela. Sentiva il bisogno di passeggiare avanti e indietro, di dar sfogo alle energie represse. Ma con un mare simile, ogni movimento risultava difficile e rischioso; così barcollò verso la poltroncina e vi si sprofondò, gli occhi fissi nella notte nera. Pensò alla drammatica situazione in cui si trovava il comandante dell'Adventurer. La sua nave era in grave pericolo, come le vite dell'equipaggio e dei passeggeri. Quante vite? Nick si spremette la memoria e cominciò a far calcoli. Fra equipaggio e ufficiali, il personale di bordo della Golden Adventurer assommava a 235 effettivi; poiché c'era posto per 375 passeggeri, in totale la nave poteva portare oltre seicento persone. «Be', signor comandante, in fin dei conti volevano l'avventura.» Sembrava che David Allen gli avesse letto nel pensiero. «Non si lamenteranno d'aver buttato via i soldi.» Nick lo guardò annuendo. «Devono esserci molte persone anziane. Una cabina per quella crociera costa una fortuna, e di solito solamente gli anziani sono così ricchi. Se la nave dovesse incagliarsi, ci scapperebbe qualche morto.» «Con tutto il rispetto, comandante.» David esitò, arrossendo per la prima volta da quand'erano partiti. «Se il capitano dell'Adventurer sapesse che i soccorsi sono in arrivo, forse eviterebbe di commettere imprudenze.» Nick rimase in silenzio. Il secondo aveva ragione, naturalmente. Era crudele lasciare che quella gente si credesse sola in mezzo ai terribili banchi di ghiaccio. Nel panico, il capitano dell'Adventurer poteva prendere una decisione avventata, mentre se avesse saputo che il soccorso era vicino avrebbe agito con più prudenza. «La temperatura esterna è di cinque gradi sotto zero. Con il vento che soffia a trenta miglia all'ora, è una combinazione micidiale. Se calano le scialuppe...» La voce di Trog, dalla cabina radio, interruppe David. «Gli armatori stanno rispondendo.» Fu un lungo messaggio, quello che la Christy Marine inviò al capitano. Conteneva le stesse rassicurazioni pietose che il medico dà a un malato di
cancro, ma soltanto una frase colpì Nick. «Facciamo il possibile per contattare rimorchiatori operanti in Atlantico meridionale.» David Allen lo guardava aspettando una decisione: la decisione giusta, umana - comunicare che erano a ottocento miglia e sarebbero presto arrivati. Nick balzò su dalla poltroncina e attraversò il ponte inclinato fino all'aletta di dritta della plancia. Aprì la porta e uscì nella burrasca. L'aria gelida gli mozzò il fiato; boccheggiò come se stesse annegando. Si sentì lacrimare gli occhi e la spuma gelata gli punse il viso con milioni di aghi. Inspirò con cautela, e le sue narici si dilatarono quando fiutò il ghiaccio. Era l'inconfondibile odore di muschio che aveva già sentito nei mari dell'Artico. Sembrava l'odore di un gigantesco mostro marino, e raggelava il marinaio fin nell'anima. Non poté resistere alla bufera per più di qualche secondo, ma quando rientrò nella calda intimità della plancia, la sua mente era tersa, i suoi pensieri scattanti. «Signor Allen, davanti a noi c'è il ghiaccio.» «Ho già ordinato i turni al radar, comandante.» «Benissimo», disse Nick, «ma ridurremo la potenza al cinquanta per cento». Esitò un attimo, poi aggiunse: «E manterremo il silenzio radio». Era una decisione difficile, e Nick vide l'espressione d'accusa negli occhi di David Allen prima di girarsi per ordinare la riduzione di potenza. Sentì l'insolito impulso di spiegargli il motivo. Non sapeva perché; forse gli occorreva la comprensione del secondo. Capì all'istante che era un sintomo della propria debolezza. Non aveva mai chiesto comprensione a nessuno, e si costrinse a non chiederla nemmeno adesso. La sua decisione di mantenere il silenzio radio era giustificata. Aveva a che fare con due ossi duri. Non poteva concedere nulla a Jules Levoisin: lo avrebbe costretto ad aprire i contatti radio per primo, quel vantaggio gli serviva. L'altro duro era Duncan Alexander, un uomo astioso, infido e vendicativo. Un tempo aveva tentato di distruggere Nick... e forse c'era riuscito. Nick doveva essere prudente, adesso, doveva scegliere con la massima cura il momento d'aprire le trattative con la Christy Marine e con l'uomo che lo aveva spodestato dalla presidenza. E al momento cruciale, avrebbe dovuto disporre di tutte le sue energie. Non poteva aprire i contatti se non si trovava in vantaggio. Jules Levoisin doveva essere costretto a dichiararsi per primo, decise Nick. L'incertezza avrebbe tormentato il capitano della Golden Adventurer un poco più a lungo. Nick si consolò dicendosi che ogni improvviso peggioramento nella situazione della nave, o la decisione del capitano di calare le scialuppe, sarebbe stata annunciata sulle frequenze aperte, dandogli modo d'intervenire. Nick avrebbe voluto consigliare a Trog di curare specialmente il canale 16 per la prima trasmissione della Mouette, ma si trattenne. Non dava mai ordini superflui. La testa grigia e grinzosa di Trog era avvolta in pestilenziali nubi di fumo, ma china sulla massa di apparecchi elettronici. Il marconista stava regolando una manopola con scrupolo quasi amoroso, i suoi occhietti erano vivaci e attenti come quelli di una testuggine marina.
Nick andò alla sua poltroncina e si sedette ad aspettare che la breve notte estiva dell'Antartico volgesse al termine. Fra i disturbi provocati dalla burrasca, lo schermo del radar mostrava strani capi e promontori, isole sconosciute, anomalie che non risultavano sulle carte dell'Ammiragliato. Fra le masse estranee brillavano miriadi di altri piccoli contatti, luminescenti come lucciole. Ognuno avrebbe potuto essere l'eco rimandata da un transatlantico in difficoltà... ma non lo era. Mentre il Warlock procedeva cautamente in quel mare incantato, l'alba, che non era mai stata lontana dall'orizzonte, s'imporporò, traendo barbagli iridescenti dagli iceberg. Davanti a loro, l'orizzonte era una crosta di ghiaccio. Alcuni blocchi, non più grandi di una tavola da biliardo, strisciavano sulla fiancata del Warlock
e poi ballonzolavano nella sua scia. Altri erano grandi come una casa, forme bizzarre e fantastiche di candido ghiaccio traforato che torreggiavano sopra il Warlock. «Il ghiaccio bianco è ghiaccio morbido», mormorò Nick a David Allen, ma si riprese subito. Era un discorso superfluo, un invito alla familiarità, e prima che Allen potesse rispondergli, Nick si girò verso il ripetitore radar. Studiò per un minuto buono le immagini del ghiaccio nello strumento, poi tornò a sedersi e fissò con impazienza davanti a sé. Il Warlock correva troppo, Nick lo sapeva; ma fidava nella vigilanza dei suoi ufficiali di coperta perché la corsa non risultasse fatale. Eppure la velocità non bastava a placare la sua impazienza. Un'altra linea di costa sovrastava l'orizzonte, una fila ininterrotta di pareti che riflettevano il sole con lampi di smeraldo e ametista, un tavolato di ghiaccio vagante largo quaranta miglia e alto sessanta metri. A mano a mano che si avvicinavano a quell'isola massiccia eppure diafana, aumentava la bellezza dei suoi colori. Le pareti erano squarciate da profonde insenature, spaccate in crepacci dalle cupe profondità di zaffiro che impallidivano in molteplici sfumature di verde. «Dio mio, che meraviglia», mormorò David Allen, con il tono reverente di un uomo inginocchiato in una cattedrale. Dalle creste delle pareti di ghiaccio sprizzavano lampi color rubino. Sopravvento, il mare montava e s'infrangeva contro le pareti, aggredendole con esplosioni di spuma bianca. Ma l'iceberg era saldo e immobile come una roccia, nonostante la furia delle onde. «É un riparo formidabile», osservò David Allen. «Là dietro si può navigare tranquillamente anche con il mare a forza dodici.» Sul lato sottovento, la montagna di ghiaccio proteggeva dalla burrasca le acque, che verdi e docili lambivano le misteriose pareti azzurre. Il Warlock si addentrò nella zona di calma, passando nello spazio di pochi metri dalla furia del mare alla tranquillità irreale di un laghetto alpino. Approfittando della calma, Angel servì vassoi con vol-au-vents croccanti e tazze di densa cioccolata. Fecero colazione alle tre del mattino, ammirando la pallida luce del sole e l'incredibile bellezza delle torri di ghiaccio. Gli ufficiali più giovani gridarono e risero quando cinque orche nere passarono così vicine che fu possibile scorgere, attraverso l'acqua cristallina, i
disegni bianchi ai lati della testa e le grandi bocche sogghignanti. I grossi mammiferi girarono intorno al rimorchiatore, poi si tuffarono sotto lo scafo per emergere dall'altra parte, fendendo l'acqua con le pinne dorsali mentre soffiavano con gli sfiatatoi al sommo della testa. Scomparvero dopo avere impestato il ponte con il fetore del loro alito. Il Warlock proseguì al riparo del ghiaccio come un battello di gitanti domenicali. Nicholas Berg non partecipò all'allegria generale. Sbocconcellò uno dei deliziosi vol-au-vents di Angel ripieni di carne e sugo, ma non lo finì. Il suo stomaco era troppo contratto. Si accorse di essere seccato dall'euforia dei suoi ufficiali. L'ilarità lo offendeva, adesso che tutta la sua vita era in precario equilibrio. Fu tentato di riprenderli con un'osservazione brusca, sapendo di poterli annichilire all'istante. Ascoltò gli schiamazzi e si sentì tanto vecchio da poter essere loro padre, nonostante la piccola differenza d'età. Lo irritava che riuscissero a ridere quando la posta in gioco era così alta: seicento vite umane, una grande nave, decine di milioni di dollari, il suo futuro. Probabilmente non avrebbero mai saputo che cosa significa giocarsi una vita di lavoro a testa o croce; ma all'improvviso, inspiegabilmente, li invidiò. Non riuscì a comprendere il suo sentimento. Non capì per quale motivo, di punto in bianco, desiderasse ridere con loro, dividere il cameratismo del momento, sentirsi per un breve istante libero dalla tensione. Erano quindici anni che non si permetteva neanche una così piccola vacanza. Non l'aveva mai voluta, del resto. Scattò in piedi e la plancia si fece immediatamente silenziosa. Tutti gli ufficiali si concentrarono sulle proprie mansioni, nessuno lo guardò mentre attraversava lentamente la plancia. Non aveva dovuto parlare, per raggelare
l'ambiente. Nick provò un senso di colpa. Era troppo facile, troppo scontato. Si riprese. Scacciò la debolezza, strinse i denti, chiamò a raccolta tutte le sue risorse per affrontare l'impresa che lo attendeva e si fermò davanti alla porta della cabina radio. Trog alzò la testa dai suoi apparecchi e si scambiarono un'occhiata d'intesa. Erano due uomini assorti nel loro compito, senza tempo per le frivolezze. Nick fece un cenno d'assenso e proseguì a passi misurati; ma quando si fermò davanti alle finestre laterali della plancia e guardò la stupenda parete di ghiaccio, fu nuovamente assalito dal dubbio. Quanto aveva sacrificato per conquistare ciò che possedeva? A quante gioie aveva rinunciato per seguire la strada della sfida? Quanta bellezza aveva trascurato nella sua fretta, quanto amore, quanta amicizia? Pensò con una stretta al cuore alla donna che era stata sua moglie, e che lo aveva abbandonato portandosi via loro figlio. Perché se n'erano andati? E che cosa gli avevano lasciato... dopo tutte le sue fatiche? Alle sue spalle, la radio gracchiò e ronzò mentre il fascio d'onde invadeva il canale 16. Poi il ronzio si fece più forte, mentre una voce umana giungeva attraverso l'etere. «Mayday. Mayday. Mayday. Qui la Golden Adventurer.» Nick si girò di scatto e corse nella cabina radio, mentre la calma voce maschile dava le coordinate della nave. «Siamo in imminente pericolo di urtare. Ci accingiamo ad abbandonare la
nave. Ci sono navi in grado di prestarci assistenza? Ripeto, ci sono navi in grado di prestarci assistenza?» «Dio santo.» La voce di David Allen era roca per l'ansia. «Sono in balia della corrente, stanno andando diritto contro capo Alarm a nove nodi. Si trovano a sole cinquanta miglia dalla costa e noi siamo ancora a duecentoventi miglia da loro.» «E La Mouette dov'è?» ringhiò Nick Berg. «Dove diavolo è?» «Dobbiamo aprire il contatto, comandante.» David Allen alzò lo sguardo dalla carta. «Non possiamo lasciarli scendere nelle scialuppe con questo tempo. Sarebbe un omicidio.» «Grazie, primo», disse pacatamente Nick. «Il suo consiglio è sempre gradito.» David avvampò, ma il suo rossore era di collera e non d'imbarazzo. Nonostante la tensione del momento, Nick se ne accorse e corresse la propria opinione sul primo ufficiale. Aveva fegato, oltre che cervello. E aveva ragione, naturalmente. C'era soltanto una cosa da considerare, adesso: la salvezza delle vite umane. Nick guardò la cima della parete di ghiaccio e vide la bassa nube che vi s'impigliava turbinando nel vento, riversandosi oltre l'orlo come latte bollente che trabocchi da un'enorme casseruola. Doveva aprire il contatto. La Mouette aveva vinto la gara del silenzio. Fissò la nube e pensò al messaggio da inviare. Doveva rassicurare il capitano, convincerlo a rimandare la decisione di abbandonare la nave e a dare al Warlock il tempo di avvicinarsi, forse anche di raggiungere la nave prima che urtasse contro capo Alarm. Il silenzio della plancia era accentuato dall'assenza del vento. Tutti lo guardavano, ora, aspettando la sua decisione. Nel silenzio, l'onda del canale 16 ronzò e pulsò. All'improvviso una voce dal marcato accento francese si riversò nella plancia. Una voce pastosa e vibrante che Nick ricordava bene, anche dopo tanti anni. «Capitano della Golden Adventurer, parla il comandante del rimorchiatore La Mouette. Sto accorrendo in vostro aiuto a tutta forza. Accettate il contratto standard dei Lloyd's niente recupero, niente pagamento?» Nick si sforzò di non tradire l'emozione, ma il cuore prese a martellargli contro le costole. Jules Levoisin aveva rotto il silenzio radio. «Rilevi la posizione che ha riferito», disse con calma. «Accidenti! É in vantaggio.» David Allen appariva costernato, mentre segnava sulla carta la posizione riferita da La Mouette. «Ci precede di cento miglia.» «No.» Nick scosse la testa. «Racconta balle.»
«Come ha detto, signor comandante?» «Mente. Come al solito.» Nick accese un sigaro, aspirò qualche boccata e si rivolse al marconista. «Hanno comunicato la rotta?» Trog alzò lo sguardo dal radiogoniometro su cui rilevava le trasmissioni de La Mouette. «Ho soltanto una coordinata, ci manca il...» Nick lo interruppe. «Come punto, useremo la rotta più breve dal golfo San Jorge.» Si rivolse
ancora a David Allen. «Faccia il rilevamento.» «C'è una differenza di oltre trecento miglia marine.» «Sì.» Nick annuì. «Quel vecchio pirata si guarda bene dallo strombazzare la sua vera posizione a mezzo mondo. Siamo noi in vantaggio, e filiamo a cinque nodi in più. Getteremo il cavo alla Golden Adventurer prima ancora che lui arrivi in contatto radar.» «Adesso aprirà il contatto con Christy centrale, comandante?» «No, signor Allen.» «Se non trattiamo subito, si accorderanno con La Mouette.» «Non credo», ribatté Nick. Fu tentato di aggiungere: «Duncan Alexander non accetterà il contratto standard dei Lloyd's, dal momento che l'assicuratore è lui stesso e la sua nave sta ancora a galla. Si batterà per il noleggio a giornata più la percentuale, ma Jules Levoisin non accetterà queste condizioni. Terrà duro per il colpo grosso. Non si accorderanno finché le due navi non saranno a contatto visuale; ma allora io avrò già preso l'Adventurer a rimorchio, e poi lotterò contro quel bastardo nella corte arbitrale per il venticinque per cento del suo valore...» Ma non lo disse. «Avanti così, signor Allen», si limitò a dire, e lasciò la plancia. Entrò nel suo salotto e si addossò alla porta chiudendo gli occhi. Era stata questione di secondi. Per poco non si era dichiarato regalando quel vantaggio alla Mouette. Venne dalla plancia la voce di David Allen. «Hai visto? É fatto di pietra. Avrebbe lasciato che quei poveretti scendessero nelle scialuppe. Scommetto che piscia acqua ghiacciata.» La voce arrivava attutita, ma Nick capì che all'ira si mescolava il rispetto. Tenne gli occhi chiusi per un momento, poi si scostò dalla porta. Avrebbe voluto cominciare subito. La tensione dell'attesa lo snervava. «Dio mio, fa' che arriviamo in tempo.» Non sapeva se pregava per le vite umane o per il premio di recupero. ^ Il capitano Basil Reilly, comandante della Golden Adventurer, era un uomo alto, con una costituzione asciutta e nervosa che prometteva ingenti riserve di energia. Nel viso abbronzato, con macchie più scure dovute a una malattia della pelle, i folti baffi erano argentei come la pelliccia di una volpe delle nevi, gli occhi calmi e penetranti dentro a un fine reticolo di rughe. Si trovava nell'aletta sopravvento della plancia e guardava le enormi onde nere avventarsi contro la sua nave inerme. Le riceveva sulla fiancata, adesso. A ogni mazzata, lo scafo rollava con un moto torpido. Le onde si rovesciavano sopra le ringhiere, spazzando i ponti da un capo all'altro, per poi defluire fuori bordo in una cascata bianca che si rompeva in schiuma e pulviscolo. Reilly si aggiustò il giubbotto salvagente, accomodandosi la ruvida tela sulle spalle mentre controllava la posizione per l'ennesima volta. La Golden Adventurer aveva urtato il ghiaccio durante il turno di guardia dalle otto a mezzanotte, tradizionalmente riservato agli ufficiali più giovani. L'impatto era stato quasi impercettibile, ma aveva ugualmente svegliato il capitano: un lieve sussulto che lo aveva riempito di sgomento. Il ghiaccio era un growler, il più pericoloso che si potesse incontrare. É facile evitare i grandi iceberg, che si ergono alti e solidi a riflettere il fascio d'onde del radar. Ma il ghiaccio basso che galleggia a fior d'acqua,
con la grande mole quasi completamente celata dalla turbolenza dei flutti, è insidioso come una tigre in agguato. Il growler si rivela soltanto nella profondità di un cavo d'onda o nel
vortice di un gorgo, come un gigantesco mostro marino in attesa della preda. Di notte può sfuggire all'occhio più esperto. Il moto ondoso erode la massa del growler, trasformandolo in una lama orizzontale che pesca però sott'acqua per settanta o cento metri. Con il terzo ufficiale di guardia, procedendo alla velocità di appena dodici nodi, la Golden Adventurer aveva strisciato contro uno di quei mostri; e sebbene quasi nessuno a bordo si fosse accorto dell'urto, il ghiaccio aveva squarciato la nave come un coltello che sventri un'aringa. Era il classico danno del Titanic, una falla lunga tre metri e mezzo, tre metri sotto la linea di galleggiamento. L'acqua aveva invaso due compartimenti stagni, uno dei quali era la sala macchine. I compartimenti avevano contenuto facilmente l'acqua fino al momento dell'esplosione seguita al corto circuito, e da allora il capitano aveva lottato per tenere la nave a galla. Passo per passo, battendosi strenuamente, aveva dovuto cedere al mare. Tutte le pompe di sentina erano ancora in funzione, ma il livello dell'acqua continuava a salire. Tre giorni prima aveva fatto sloggiare i passeggeri dal ponte principale e ordinato di chiudere ogni paratia stagna. Adesso l'equipaggio e i passeggeri erano sistemati nei saloni e nelle sale per fumatori, in condizioni di sovraffollamento e di sudiciume, che avevano trasformato la lussuosa nave in qualcosa di simile a una città assediata. Gli ricordava le stazioni della metropolitana di Londra trasformate in rifugi durante i bombardamenti. Non avrebbe mai dimenticato la notte che vi aveva passato nel corso di una licenza. A bordo, ora, c'era la stessa atmosfera. La situazione sanitaria era tragica. Quattordici gabinetti per seicento persone, di cui molte afflitte dal mal di mare e dalla diarrea. Non c'erano bagni né docce, e mancava la corrente elettrica per scaldare l'acqua dei lavabi. I generatori d'emergenza producevano appena l'energia sufficiente per azionare le pompe, fornire un minimo d'illuminazione e alimentare gli strumenti di comunicazione e di navigazione. Nella nave non c'era riscaldamento e la temperatura esterna era scesa a venti sotto zero. Negli ampi saloni, il freddo era brutale. I passeggeri erano infagottati nelle pellicce e nei giubbotti salvagente, sotto cumuli di coperte. Per cucinare, venivano usati i fornelletti a gas normalmente impiegati nelle escursioni a terra. Non c'erano forni né griglie, e quasi tutto il cibo veniva consumato direttamente dalle scatole, freddo e congelato. Soltanto le zuppe e le bevande fumavano nell'aria gelida, come il fiato della moltitudine disperata. L'urto contro il ghiaccio aveva danneggiato gli impianti di dissalazione, e la riserva d'acqua potabile si andava esaurendo; perfino le bevande calde venivano razionate. Di 360 passeggeri paganti, soltanto quarantotto avevano meno di cinquant'anni, eppure il morale era straordinariamente alto. Uomini e donne che, prima dell'incidente, si lamentavano per un vestito non perfettamente
stirato o per un vino troppo freddo, ora accettavano una tazza di brodo come se fosse un Chateau Margaux d'annata; ridevano e chiacchieravano nel gelo, mortificando con il loro coraggio i pochi che si sarebbero lamentati. Erano un insolito campione d'umanità; uomini e donne di elevata condizione sociale venuti in quel remoto angolo del mondo in cerca di nuove esperienze, disposti all'avventura, e perfino al pericolo, tanto che quel diversivo «tutto compreso» era quasi il benvenuto. Eppure, mentre vigilava in plancia, il comandante non si illudeva sulla gravità della situazione. Attraverso il finestrino gocciolante guardò una squadra di lavoro, diretta dal primo ufficiale, affannarsi eroicamente a prua. Quattro uomini con tute impermeabili di plastica gialla e stivali, investiti dalle onde gelide, lavoravano con torpidi movimenti di automi. Cercavano di filare un'ancora galleggiante per tenere la nave con la prua rivolta contro le onde, in modo da aumentarne la stabilità e forse rallentare la deriva verso gli scogli della costa. Due volte, nei giorni precedenti, le onde, il vento e il peso morto della nave avevano strappato le ancore. Tre ore prima, aveva richiamato i suoi ufficiali di macchina da
sottocoperta, dal momento che difficilmente sarebbero riusciti a riparare le macchine principali e là sotto il rischio era troppo grande. Si era arreso al mare e adesso si accingeva a compiere l'ultimo passo: abbandonare la nave e condurre seicento esseri umani dallo scafo ormai condannato alle impervie sponde del capo Alarm, dove li attendevano pericoli e stenti anche maggiori. Capo Alarm è una delle poche lingue di roccia nera che spuntano da sotto la bianca cappa antartica. Libero dal ghiaccio, rintrona come un'incudine sotto il martellìo perenne delle onde e del vento. Il promontorio si allunga per quasi cinquanta miglia nell'estremità orientale del mare di Weddell; nel punto più largo misura quasi cinquanta miglia e termina in una biforcazione che forma una baia piccola ma riparata. Questa prende nome dall'esploratore polare Sir Ernest Shackleton. La baia di Shackleton, con le sue spiagge scoscese di ciottoli neri e rossicci, ospita una folta colonia di pinguini. Perciò la Golden Adventurer vi faceva regolarmente scalo. In ogni crociera, la nave gettava l'ancora nelle acque calme della baia, mentre i passeggeri sbarcavano per osservare e fotografare l'accoppiamento degli uccelli e le formazioni geologiche scolpite dagli elementi in forme fantastiche e bizzarre. Solo dieci giorni prima, la Golden Adventurer era salpata dalla baia di Shackleton per addentrarsi nel mare di Weddell. Il tempo era mite, con appena un po' di maretta e un sole fulgido. Ora, in una burrasca forza sette, con quasi venti gradi di meno e in balìa delle correnti, la nave veniva ricacciata verso la spiaggia rocciosa. Il capitano Reilly non aveva dubbi: sarebbero andati a incagliarsi presso il capo Alarm; con un vento e un mare simili non c'era modo di evitarlo. A meno che il rimorchiatore francese non fosse arrivato prima. La Mouette avrebbe già dovuto essere in contatto radar, se la posizione riferita dal rimorchiatore era corretta. Una ruga solcò la fronte bruna di Basil Reilly, mentre il suo sguardo si rannuvolava. «Un altro messaggio dalla direzione, signor comandante.» Il primo ufficiale gli era venuto accanto. Il giovane sembrava un
orsacchiotto, infagottato com'era in pesanti maglioni di lana sotto il giaccone blu. Le severe disposizioni di Basil Reilly riguardo all'abbigliamento erano state abbandonate da un pezzo, e il loro fiato fumava nell'aria gelida della plancia. «Benissimo.» Reilly sbirciò il foglietto. «Lo ritrasmetta al comandante del rimorchiatore.» Dalla sua voce traspariva lo sdegno per quel mercanteggiamento fra armatori e salvatori, mentre una grande nave e seicento vite erano in pericolo nel mare. Sapeva ciò che avrebbe fatto, se il rimorchiatore fosse arrivato prima che la Golden Adventurer urtasse gli spuntoni di roccia. Avrebbe trascurato gli ordini dell'armatore ed esercitato i suoi diritti di comandante, accettando immediatamente l'offerta di assistenza alle condizioni del contratto standard dei Lloyd's. «Ma che arrivi presto», mormorò fra sé. «Dio mio, fa' che arrivi presto.» Alzato il binocolo, perlustrò lentamente l'orizzonte frastagliato dalle onde nere. Si fermò con un tuffo al cuore vedendo ammiccare qualcosa di bianco; ma poi, con un sospiro, capì che era soltanto il riflesso del sole sul pinnacolo di un iceberg. Abbassò il binocolo e andò sul lato sottovento della plancia; il binocolo non gli occorreva più, adesso. Il capo Alarm si profilava nero e minaccioso sotto il cielo grigio. Le sue creste e le valli biancheggiavano di ghiaccio e neve gelata. Il mare si avventava contro l'erta sponda e balzava in esplosioni candide. «Sedici miglia, signor comandante», disse il primo ufficiale. «Sembra che la corrente ci spinga leggermente verso nord.» Rimasero entrambi in silenzio, mentre si bilanciavano nel violento rollio del ponte. Poi l'ufficiale domandò con amarezza: «Dov'è quel maledetto mangiarane?» Guardarono la notte antartica che cominciava ad avvolgere la sponda
sottovento in un sudario grigio e viola chiazzato di bianco. ^ Era molto giovane, venticinque anni al massimo, e nemmeno gli strati di pesanti indumenti con sopra un giaccone da uomo riuscivano a dissimulare la snellezza del suo corpo, l'eleganza delle membra affusolate, dei muscoli tonificati dall'attività fisica. Sopra il collo lungo e sottile la testa sembrava un girasole dorato; i capelli, schiariti dal sole in striature color platino, argento e rame, erano raccolti in una treccia grossa come il polso di un uomo, fissata alla bell'e meglio al sommo della testa; ma alcune ciocche le sfuggivano sulla fronte solleticandole il naso. Lei gonfiò le guance e le soffiò via. Aveva le mani occupate da un pesante vassoio, e lo porgeva bilanciandosi sul ponte come un'esperta cavallerizza. «Prenda, signora Goldberg», disse in tono suadente. «La scalderà.» «Sarà difficile, mia cara», borbottò la donna dai capelli bianchi. «Lo faccia per me, allora», insisté la ragazza. «Va bene.» La donna prese una delle tazze e assaggiò il liquido. «É buono»,
disse. Poi bisbigliò furtivamente: «Samantha, è già arrivato il rimorchiatore?» «Arriverà da un momento all'altro. Il capitano è un affascinante francese, più o meno della sua età. Ha un magnifico paio di baffi. Glielo presenterò appena possibile.» La donna era una vedova sulla sessantina, grassoccia e spaventata; ma sorrise e si raddrizzò un poco. «Impertinente», disse. «Appena ho finito», Samantha indicò il vassoio, «verrò a sedermi con lei. Giocheremo a scacchi, d'accordo?» Samantha Silver sorrise rivelando una chiostra di denti diritti e candidi che spiccavano nel viso abbronzato e continuò il suo giro. I passeggeri l'accoglievano con gioia, tanto gli uomini che le donne, disputandosi le sue attenzioni, perché Samantha era una delle rare creature che irradiano calore e innocenza come un bimbo o un gattino. Lei rideva, celiava e li stuzzicava, lasciandoli sorridenti e rincuorati ma nello stesso tempo gelosi, a seguirla con lo sguardo. La maggior parte la considerava un proprio possesso personale. Reclamava il suo tempo e la sua presenza, ricorrendo a domande e pretesti d'ogni genere per trattenerla. «Poco fa c'era un albatros che ci seguiva, Sam.» «Sì, l'ho visto dalla finestra della cambusa...» «Era un albatros vagabondo, vero?» «Oh, andiamo, signor Stewart! Lo sa benissimo. Era un Diomedea melanophris, l'albatros dalle sopracciglia nere. Anche lui porta fortuna. Tutti gli albatros portano fortuna... è dimostrato scientificamente.» Samantha aveva una laurea in biologia ed era una delle guide specializzate della nave. Godeva di un congedo dall'università di Miami, dove aveva una borsa di studio per compiere ricerche di ecologia marina. I passeggeri di trent'anni più anziani di lei la trattavano come una figlia, ma alla minima difficoltà si rivolgevano a lei come bambini, fidando nella sua forza. Per loro era una via di mezzo fra la madre e il gattino di casa. Il tanfo di umanità sudicia e di fumo era tremendo, ma Samantha sentì uno slancio di affetto per i passeggeri. Si comportavano bene, era orgogliosa di loro. «Bravi ragazzi», pensò. Non le accadeva spesso di sentire affetto per una massa di esseri umani. Più volte si era chiesta come una creatura bella, nobile e importante come l'essere umano potesse, in condizioni di massa, diventare così poco attraente. Pensò alle moltitudini umane nelle città affollate. Odiava gli zoo e le gabbie. Da bambina aveva pianto, vedendo un orso che si gettava incessantemente contro le sbarre, reso pazzo dalla prigionia. Le gabbie di cemento delle città inducevano i loro prigionieri a comportamenti altrettanto bizzarri. Lei riteneva che ogni creatura dovesse essere libera di muoversi, vivere e respirare; eppure l'uomo, il predatore per eccellenza, che aveva negato tale diritto a tante altre creature, ora distruggeva se stesso, avvelenandosi e imprigionandosi in una follia suicida.
Anche Samantha, nel profondo del cuore, aveva paura. Amava e capiva il mare, ma conosceva la sua potenza immane; sapeva che cosa li aspettava, là fuori nella burrasca. Con uno sforzo di volontà, gettò indietro le spalle, atteggiò
le labbra a un sorriso radioso e prese il pesante vassoio. In quel momento gli altoparlanti emisero un gracidio preliminare poi riversarono la voce colta e misurata dal comandante nella nave fattasi improvvisamente silenziosa. «Signore e signori, parla il comandante. Mi rincresce informarvi che non abbiamo ancora stabilito il contatto radar con il rimorchiatore La Mouette. Purtroppo ritengo necessario trasferire gli ospiti della nave nelle zattere di salvataggio.» Un sospiro si levò dai saloni affollati, udibile anche nella burrasca. Samantha vide uno dei suoi passeggeri preferiti attirare a sé la moglie e appoggiarsi sulla spalla la testa grigia della donna. «Avete già fatto parecchie esercitazioni con le zattere di salvataggio, conoscete i vostri posti e le squadre. Credo che sia superfluo raccomandarvi di andare ordinatamente ai vostri posti e di obbedire agli ordini degli ufficiali.» Samantha depose il vassoio e corse accanto alla signora Goldberg. La donna piangeva smarrita. Samantha le cinse le spalle. «Su, su», le bisbigliò. «Non si faccia veder piangere dagli altri.» «Resterà con me, Samantha?» «Sicuro.» La fece alzare. «Andrà tutto bene, vedrà. Pensi, quando tornerà a casa, che avventura avrà da raccontare ai suoi nipotini.» Il capitano Reilly ricapitolò le sue disposizioni per lasciare la nave, riesaminandole una per una nella mente. Ormai conosceva a memoria la lunga lista che aveva compilato vari giorni prima, attingendo alla sua vasta esperienza dell'Antartico e del mare. La considerazione più importante era che nessuna persona doveva cadere in mare e neppure bagnarsi durante il trasferimento. Nelle acque gelide, un essere umano poteva sopravvivere quattro minuti al massimo; anche se veniva ripescato immediatamente, a meno che gli indumenti bagnati venissero tolti e la vittima portata in luogo caldo. Con il vento che soffiava a forza otto e la temperatura di venti gradi sotto zero, il fattore gelo era allo stadio sette: in pratica significava che pochi minuti di esposizione avrebbero intirizzito un uomo fino alla morte, e che la stessa sopravvivenza dipendeva dalle precauzioni adottate. La seconda considerazione importante era il trauma fisico dei passeggeri, quando avrebbero lasciato tepore e comodità, sia pur relativi, della nave per i disagi di una zattera di salvataggio nella burrasca antartica. Erano stati istruiti e preparati psicologicamente. Un ufficiale aveva controllato gli indumenti e l'attrezzatura d'emergenza di ogni passeggero, tutti avevano ricevuto tavolette di zucchero per combattere il freddo, e l'assegnazione dei posti sulle zattere era stata calcolata con cura per favorire l'equilibrio. Ogni zattera era comandata da un membro esperto dell'equipaggio. Il comandante non poteva fare di più, e ora pensò alle modalità del trasferimento. Le lance sarebbero state calate per prime. Erano sei, tre su ogni lato della nave, ciascuna con l'equipaggio composto da un ufficiale e cinque marinai. Mentre l'ancora teneva controvento la prora della nave, le lance sarebbero state sporte fuori bordo dalle gru idrauliche, e i verricelli le avrebbero calate nel mare temporaneamente placato dall'olio sparso dalle pompe di prua. Sebbene fossero provviste di ponte, motorizzate e munite di radio, le lance non erano le imbarcazioni ideali per affrontare la burrasca antartica. In
poche ore, il freddo avrebbe sfinito i loro occupanti. Per questo motivo, i passeggeri non sarebbero saliti sulle lance. Sarebbero andati, invece, sulle zattere di salvataggio gonfiabili, che non si ribaltavano nemmeno nelle peggiori burrasche ed erano protette da una doppia calotta d'isolamento. Munite di razioni d'emergenza e di un faro di posizione a batteria, avrebbero affrontato meglio le onde. Ciascuna poteva contenere venti esseri umani, e il calore dei corpi avrebbe reso l'interno abitabile, se non altro il tempo necessario per rimorchiare le zattere fino a terra.
Le lance a motore erano semplicemente i pastori delle zattere. Le avrebbero radunate e poi rimorchiate in fila indiana fin tra le braccia protettrici della baia di Shackleton. Nonostante le spaventose condizioni, il tragitto non sarebbe durato più di dodici ore. Ogni lancia avrebbe rimorchiato cinque zattere, e anche se le calotte delle zattere, fungendo da vela, frenavano le lance a motore, non c'erano difficoltà insormontabili. Il capitano Reilly sperava in una velocità di rimorchio fra i tre e i quattro nodi. Le lance erano stipate d'attrezzature, carburante e provviste. Queste ultime avrebbero assicurato la sopravvivenza ai passeggeri e all'equipaggio per un mese, forse due a razioni ridotte; e una volta arrivati nelle acque più calme della baia, le zattere sarebbero state trascinate a riva, le calotte rinforzate con lastre di neve compressa e trasformate in capanne simili a iglù per accogliere i superstiti. Sarebbero rimasti per parecchio tempo nella baia di Shackleton: anche se fosse arrivato il rimorchiatore francese, non avrebbe potuto caricare a bordo seicento persone. Qualcuno avrebbe dovuto restare in attesa di un'altra nave. Il capitano Reilly diede un'ultima occhiata alla terra. Era vicinissima, ormai, e anche nell'oscurità della notte incipiente i picchi di ghiaccio scintillavano come le zanne d'un mostro. «E va bene», disse al primo ufficiale con un cenno d'assenso. «Cominciamo.» L'ufficiale si accostò alle labbra la ricetrasmittente. «Ponte. Qui plancia. Potete cominciare a spargere l'olio.» Dai lati della prora, le maniche di gomma spruzzarono argentei ventagli di olio per diesel, simili alle ali d'un drago. Il peso viscoso del liquido resistette alla furia del vento. Cadde in una spessa coltre sulla superficie del mare, illuminato dai riflettori. Il mare si placò immediatamente. La superficie lacerata dal vento si appiattì sotto il peso dell'olio, cosicché le onde presero a passare grevi e maestose lungo la fiancata della nave. I due ufficiali in plancia sentirono la pigra risposta dello scafo, appesantito dall'acqua imbarcata. «Ammainare le lance», disse il capitano, e il primo ufficiale comunicò pacatamente l'ordine per radio. I bracci idraulici delle gru sollevarono le sei lance dalle calastre e le sporsero dalla fiancata della nave, tenendole sospese; poi, mentre la nave scendeva nel cavo dell'onda, la cresta striata di olio passò a poche decine di centimetri dalle loro chiglie. L'ufficiale di ogni lancia doveva valutare il mare e manovrare il verricello per calare la lancia sul dorso di un'onda appena passata; poi, istantaneamente, disinserire i ganci automatici e
staccarsi dalla minacciosa fiancata della nave. Alla luce dei riflettori, le piccole lance gialle brillavano, lucide d'acqua, decorate da ghirlande di ghiaccio come giocattoli di Natale. Anche i visi degli ufficiali brillavano, imperlati di sudore per la tensione, mentre ciascuno cercava di valutare il moto delle onde nere. A un tratto lo spesso cavo di nylon che tratteneva l'ancora galleggiante si spezzò con una detonazione simile a uno sparo. Il cavo sibilò nell'aria, una frusta micidiale che avrebbe tagliato un uomo in due. Fu come togliere la cavezza a uno stallone selvaggio. La Golden Adventurer alzò la prua di scatto, felice di sentirsi libera. Si mise di traverso alle onde e fu immediatamente inchiodata in tale posizione, con il lato di dritta sopravvento e le tre lance ancora penzolanti. Un'enorme onda prese lo slancio nel buio. Mentre si avventava sulla nave, i cavi di una lancia si spezzarono e l'imbarcazione cadde di schianto sull'acqua, con le piccole eliche che giravano freneticamente, cercando di farla virare per incontrare l'onda; ma i flutti la presero scagliandola contro la fiancata della nave. La lancia si spaccò come un cocomero maturo, riversando le sue viscere. Dalla plancia, gli ufficiali videro l'equipaggio trascinato lontano, nel buio. Le piccole lampade di posizione sui loro giubbotti di salvataggio brillarono fiocamente come lucciole, poi scomparvero nella burrasca. La lancia davanti venne sbatacchiata contro la nave come il battente di una
porta. Il cavo anteriore si spezzò, e l'imbarcazione penzolò con la poppa all'insù. Investita da un'onda dopo l'altra, si fracassò contro lo scafo. Le grida degli uomini giunsero fin sulla plancia, un patetico suono portato dal vento. Si protrassero per vari minuti, mentre il mare riduceva l'imbarcazione a un groviglio di rottami. Anche la terza lancia andò a sbattere contro lo scafo. I suoi ganci furono disinseriti ed essa cadde nell'acqua ribollente da sette metri di altezza. Affondò completamente e poi riaffiorò come il sughero giallo di una lenza dopo il lancio. Imbarcando acqua dalle crepe e inclinandosi rapidamente, si trascinò via nella notte ululante. «Oh Dio mio», bisbigliò il capitano Reilly. Alla luce cruda della plancia, il suo viso apparve improvvisamente vecchio ed emaciato. Aveva perso metà delle sue lance in una volta. Non pianse gli uomini presi dal mare, ci sarebbe stato tempo più tardi. Adesso era la perdita delle lance che lo sgomentava. Minacciava la vita di quasi seicento persone. «Le altre lance...» Il primo ufficiale aveva la voce strozzata. «Le altre lance sono riuscite ad allontanarsi, signor comandante.» Al riparo dello scafo, protette dal vento e dal mare, le altre tre lance erano scese piano sull'acqua per poi staccarsi rapidamente. Ora incrociavano nella notte nera, con i riflettori che frugavano il buio come lunghe dita bianche. Una accostò per salvare l'equipaggio della lancia fracassata. Poi i resti dello scafo furono lasciati affondare. «Tre lance», sussurrò il capitano. «Per trenta zattere.» Aveva pastori insufficienti per il suo gregge, eppure la nave doveva essere abbandonata, perché anche nell'ululato del vento si udivano le esplosioni tonanti delle onde che s'infrangevano sulle scogliere. «Calate le zattere», mormorò e poi, sottovoce: «Che Dio abbia pietà di noi».
«Venga, numero 16», gridò Samantha. «Siamo qui, numero 16.» Li radunò intorno a sé, i diciotto passeggeri che dovevano salire sulla zattera a lei assegnata. «Ecco, adesso ci siamo tutti. Non manca nessuno.» Si accalcavano davanti alle grandi porte di mogano che si aprivano sul ponte prodiero. «Tenetevi pronti», ammonì. «Quando riceveremo l'ordine dovremo muoverci in fretta.» Con la fiancata esposta alle onde che spazzavano il ponte e defluivano dal lato sottovento, era impossibile scendere nelle zattere ballonzolanti con le reti da sbarco. Le zattere erano state gonfiate sul ponte aperto. Ogni gruppo di passeggeri veniva condotto alla sua zattera e fatto entrare negli intervalli fra un'onda e l'altra, poi gli argani calavano l'imbarcazione carica fuoribordo, deponendola sulle acque più calme del lato sottovento. Una lancia la prendeva subito a rimorchio e la conduceva al largo della nave per formare il patetico convoglio. «Adesso!» Il terzo ufficiale irruppe dalle porte di mogano e le tenne aperte. «Presto!» gridò. «Tutti insieme.» «Andiamo, gente!» gridò Samantha. I passeggeri corsero goffamente sul ponte bagnato e sdrucciolevole. Soltanto una trentina di passi li separavano dalla zattera che li attendeva come un mostruoso rospo giallo con le fauci spalancate, ma il vento era tagliente come una scure e Samantha udì i loro gemiti. Alcuni di loro barcollarono al gelo improvviso. «Forza», esortò Samantha, spingendo i passeggeri che la precedevano, mentre sorreggeva il corpo grassoccio della signora Goldberg che a un tratto sembrava divenuta inerte come un sacco di farina. «Non fermatevi.» «Ti dò una mano», gridò il terzo ufficiale. Prese l'altro braccio della signora Goldberg e fra tutt'e due riuscirono a scaricarla nell'ingresso della zattera. «Bravissima, tesoro», disse il giovanotto con un sorriso. Il sorriso era virile e cattivante, il giovane si chiamava Ken e aveva cinque anni più di lei. In altre circostanze sarebbero presto diventati amanti, perché lui le faceva una corte serrata da quando era salita a New York. Samantha non era innamorata, ma Ken era riuscito ugualmente a turbarla, e lei stava lentamente cedendo al suo fascino e alla propria natura focosa. Ma
adesso, con una stretta al cuore, capì che forse quel momento non sarebbe mai venuto. «Ti aiuto a portare gli altri.» Alzò la voce per sovrastare l'urlo del vento. «Entra», ribatté Ken, e la spinse bruscamente verso la zattera. Samantha entrò nella calca e si girò a guardare il ponte vividamente illuminato che brillava sotto le lampade ad arco. Ken era andato a soccorrere una donna che era scivolata. L'anziana signora si dibatteva sul ponte viscido, mentre il marito, curvo su di lei, cercava disperatamente di tirarla in piedi. Ken giunse presso la coppia e sollevò la donna senza sforzo. Non c'era più nessuno sul ponte; i due uomini sorressero la donna, barcollando per il rollio
dello scafo appesantito dall'acqua. Samantha vide l'onda avventarsi sulla nave e gridò. «Torna indietro, Ken! Torna, per amor del cielo!» Ma il giovane sembrò non udirla. L'onda si riversò sul ponte: superò la ringhiera sopravvento come un nero mostro marino e proseguì la sua corsa silenziosa. «Ken!» urlò Samantha. Il terzo ufficiale si voltò un attimo prima che l'onda lo investisse. La cresta era più alta di lui. I tre non poterono giungere né alla zattera né alle porte di mogano. Samantha udì lo strepito dell'argano e la zattera fu sollevata dal ponte con un violento strattone. L'operatore non poteva rischiare che l'onda investisse la fragile imbarcazione scagliandola contro le sovrastrutture o squarciandole il ventre contro le ringhiere della nave: l'involucro di plastica si sarebbe lacerato e la zattera si sarebbe sgonfiata in un batter d'occhio. Samantha guardò in basso. Vide l'onda trascinare con sé tre figure, separarle e disperderle. Per un attimo vide Ken aggrappato alla ringhiera mentre l'acqua si riversava su di lui, seppellendo la sua testa sotto una furiosa cascata bianca. Ken scomparve, e quando la nave rollò torpidamente dalla parte opposta, scrollandosi dall'acqua, il ponte era deserto. Al successivo rollio della nave, l'operatore appollaiato nella sua cabina di vetro sporse fuori bordo la zattera penzolante e la calò con destrezza sulla superficie del mare, dove una lancia incrociava pronta a rimorchiarla. Samantha chiuse e serrò la copertura di plastica della porta, poi si fece strada tra i passeggeri ammassati finché non giunse presso la signora Goldberg. «Piangi, cara?», chiese l'anziana signora con la voce tremante, aggrappandosi a lei. «No», rispose Samantha, cingendole le spalle con un braccio. «No, non piango.» Con la mano libera, si asciugò le lacrime di ghiaccio che le rigavano le guance. ^ Trog si tolse la cuffia e guardò Nick attraverso una pestilenziale nube di fumo. «Il loro marconista ha inserito l'automatico. Trasmette un segnale ininterrotto.» Nick capì che cosa significava: avevano abbandonato la Golden Adventurer. Annuì, ma rimase in silenzio. Era venuto sulla soglia della cabina radio dalla plancia. L'inquietudine che lo rodeva non gli permetteva di restarsene inattivo per più di pochi secondi. Cominciava ad afferrare la realtà del disastro. La sorte gli era stata avversa, e lui aveva rischiato tutto nel gioco. Era sicurissimo che la Golden Adventurer si sarebbe incagliata e la burrasca l'avrebbe ridotta un cumulo di rottami. Poteva aspettarsi un'indennità dalla Christy per l'assistenza prestata alla Mouette nel trasporto dei superstiti a Città del Capo, ma sarebbe stata una cifra di gran lunga inferiore al compenso per il rimorchio Esso, che lui aveva abbandonato per la disperata corsa verso sud. Aveva giocato e perduto. Era un uomo finito. Naturalmente sarebbe occorso qualche mese perché si manifestassero gli effetti della sua follia, ma la
restituzione dei prestiti e il pagamento dei costi di costruzione per l'altro rimorchiatore lo avrebbero gradualmente affondato. «Possiamo ancora raggiungerlo prima che s'incagli», disse all'improvviso Dave Allen. Sulla plancia, nessuno fiatò. «Vicino a riva dev'esserci un riflusso di correnti. Forse lo terrà al largo abbastanza tempo perché noi...» Gli mancò la voce. Nick lo guardò aggrottando la fronte. «Arriveremo fra dieci ore. Se Reilly ha deciso di abbandonare la nave, significa che erano vicinissimi a terra. Reilly è un tipo in gamba.» Nick stesso gli aveva assegnato il comando della Golden Adventurer. «Durante la guerra è stato comandante di caccia nell'Atlantico settentrionale, il più giovane della Marina. Poi è stato dieci anni con la P & O, e quelli scelgono soltanto il meglio...» S'interruppe bruscamente. Stava diventando troppo loquace. Si accostò al radarscopio e lo regolò sul massimo del raggio e dell'illuminazione prima di guardare nell'oculare. C'erano parecchi disturbi, ma sull'estremo margine meridionale dello schermo comparve il fermo bagliore delle scogliere e dei picchi del capo Alarm. Con il bel tempo, sarebbero occorse appena cinque ore di navigazione ma adesso avevano lasciato il riparo del colossale iceberg e procedevano a fatica nella notte furibonda. Il Warlock avrebbe potuto filare più in fretta, perché era costruito per il mare grosso, ma c'era sempre la minaccia del ghiaccio e Nick doveva mantenere la velocità di sicurezza: perciò sarebbero passate altre dieci ore prima che giungessero in vista dell'Adventurer... sempre che fosse ancora a galla. Alle sue spalle, la voce di Trog gracidò eccitata. «C'è un contatto; intensità uno, debole e intermittente. Una delle lance sta comunicando con una ricetrasmittente a pila.» Si premette la cuffia sulle orecchie e ascoltò. «Stanno rimorchiando una fila di zattere di salvataggio con i superstiti verso la baia di Shackleton. Ma hanno perso una zattera», aggiunse. «Si è staccata dal convoglio e non hanno abbastanza lance per cercarla. Chiedono alla Mouette di fare una perlustrazione.» «La Mouette ha risposto?» Trog scosse la testa. «Probabilmente è ancora troppo lontana per ricevere una trasmissione così debole.» «Benissimo.» Nick tornò in plancia. Non aveva ancora rotto il silenzio radio e percepiva la disapprovazione degli ufficiali, silenziosa ma quasi tangibile. Sentì nuovamente il bisogno di un contatto umano, del calore di una conversazione e di un incoraggiamento. Non aveva la forza di reggere da solo il peso del fallimento. Si fermò presso David Allen e disse: «Ho studiato le istruzioni di navigazione dell'Ammiragliato per il capo Alarm, David». Fingendo di non notare che l'uso del nome di battesimo aveva fatto arrossire d'imbarazzo il primo ufficiale, continuò: «La sponda è molto ripida ed è esposta a occidente, in direzione del maltempo. Ma ci sono spiagge di ciottoli e il barometro sta salendo di nuovo». «Sì, signor comandante», disse David con calore. «Ho visto le carte.» «Invece di sperare che una corrente di riflusso tenga la nave al largo, le consiglio di pregare che vada ad arenarsi su una di quelle spiagge e che la burrasca si calmi. C'è ancora la possibilità che riusciamo a prenderla prima
che si sfasci.» «Dirò dieci Ave Maria, signore», disse David sogghignando. Era sorpreso per l'improvvisa gentilezza del comandante. «Ne dica altre dieci perché manteniamo il nostro vantaggio sulla Mouette», consigliò Nick, e sorrise. Era una delle prime volte che David Allen lo vedeva sorridere, e fu stupito del cambiamento. I lineamenti del comandante si illuminavano, il viso diventava incredibilmente simpatico, David non aveva mai notato come fossero verdi i suoi occhi e candidi i denti. «Tenga la rotta», soggiunse Nick. «Mi chiami se ci sono novità.» E si voltò per andare verso la sua cabina. «Signorsì», disse David Allen con un nuovo accento nella voce. ^
Le luci strane e meravigliose dell'aurora boreale tremolavano all'orizzonte in strisce di fuoco rosso e verde, formando uno sfondo incongruo per l'agonia della grande nave. Il capitano Reilly guardò dagli oblò posteriori della lancia di testa e vide la nave andare verso il suo destino. Non gli era mai sembrata così bella. Aveva amato molte navi, come se ognuna fosse una creatura vivente, ma nessuna come la Golden Adventurer. Sentiva una parte di se stesso morire con lei. La vide cambiare movimento. Il mare sentiva la terra, ora, l'erta sponda del capo Alarm; e la nave sembrava spaventata dal nuovo assalto delle onde e del vento, quasi presagisse il destino che l'attendeva. Rollava di trenta gradi, mostrando il rosso bruno del ventre. Più avanti si ergeva un promontorio, alte scogliere nere che scendevano a picco nelle acque turbolente, e pareva che la Golden Adventurer vi stesse andando contro diritta; invece all'ultimo momento vi scivolò accanto, respinta dal riflusso della corrente, evitando le scogliere e addentrandosi nella profonda baia oltre il promontorio, che la celò alla vista del capitano. Reilly rimase davanti all'oblò per vari minuti, fissando le onde; nella luce irreale, il suo viso era verdognolo e scavato dal dolore. Esalò un profondo sospiro e si girò, concentrandosi sul compito di condurre il suo pietoso convoglio verso la salvezza della baia di Shackleton. Pareva che la sorte fosse divenuta più benigna, concedendo loro una corrente favorevole che li trascinava verso la costa. Le lance erano distanziate di tre miglia l'una dall'altra, ciascuna con il suo convoglio di goffe zattere che ballonzolavano nella scia. Il capitano Reilly si teneva in contatto radio con ogni lancia; nonostante la morsa del gelo, i passeggeri stavano bene e il progresso era più rapido del previsto. Cominciò a sperare che sarebbero bastate tre o quattro ore. Avevano già perso troppe vite, e non voleva perderne altre prima dello sbarco. Forse la sfortuna aveva smesso di perseguitarli, pensò prendendo la piccola ricetrasmittente a onde corte. Forse il rimorchiatore francese era finalmente giunto entro la portata della radio. Cominciò a chiamarlo. «La Mouette, mi sentite? Rispondete, La Mouette...» La lancia era bassa sull'acqua, e la portata della piccola radio assai ridotta nell'immensità del mare e del ghiaccio; ma il capitano continuò a chiamare.
Si erano abituati al movimento del piroscafo danneggiato, al suo maestoso rollio, regolare come un gigantesco metronomo. Si erano abituati al freddo nell'interno della grande nave, ai disagi provocati dal sovraffollamento e dalla mancanza di servizi igienici. Si erano fatti coraggio, cercando di prepararsi psicologicamente ad affrontare altri pericoli e altre privazioni, ma nessuno dei superstiti nella zattera di salvataggio numero 16 aveva previsto nulla di simile. Nemmeno Samantha, la più giovane, probabilmente la più robusta e certamente la meglio preparata dal suo addestramento, dalle sue conoscenze e dall'amore per il mare, aveva immaginato che cosa significasse trovarsi su una zattera. Era buio pesto. Nemmeno il più fioco barlume filtrava dalla calotta di protezione, dopo che l'ingresso era stato serrato contro il mare e il vento. Samantha capì subito che il buio avrebbe fiaccato il morale e che, peggio ancora, avrebbe prodotto vertigini e disorientamento. Così ordinò che due passeggeri per volta accendessero le minuscole lampadine di localizzazione sui loro giubbotti di salvataggio. Era soltanto un barlume, ma sufficiente perché potessero vedersi in viso e trarre un poco di conforto dalla vicinanza di altri esseri umani. Poi li fece sedere in circolo lungo la parete della calotta, con le gambe allungate verso il centro; sia per favorire la stabilità della zattera, sia perché ciascuno avesse lo spazio sufficiente per stendersi. Dopo che il mare si era preso Ken, lei aveva assunto il comando e gli altri si erano rimessi alla sua guida. Era uscita attraverso l'apertura, affrontando la furia degli elementi, per issare a bordo la fune di traino della lancia e assicurarla. Era rientrata tremante e intirizzita, con il viso e le mani intorpiditi dal gelo. Le era occorsa mezz'ora di massaggi per ricuperare il senso del tatto. Per miracolo non era rimasta assiderata.
Poi era cominciato il rimorchio, e il movimento della zattera, già sfrenato, era divenuto un incubo di beccheggi e rollii disordinati. Ogni capriccio del mare e del vento si trasmetteva direttamente al circolo dei superstiti, e ogni volta che la zattera deviava, la fune di rimorchio la richiamava con un violento strattone. Le creste delle onde, sferzate dal vento e gonfiate dai fondali bassi, erano alte sette od otto metri; la zattera s'inerpicava su di esse per poi precipitare nel cavo successivo. Non avendo una chiglia a darle stabilità laterale, ruotava sul proprio asse finché la fune di rimorchio non la faceva ruotare nel senso opposto. La signora Goldberg fu la prima a vomitare, sporcando il fianco del giaccone di Samantha. La calotta era pressoché a tenuta pneumatica, a parte i piccoli fori d'aerazione alla sommità; e subito il tanfo dolciastro del vomito impestò la zattera. Nel giro di pochi minuti, altri sei o sette passeggeri presero a vomitare. Ma Samantha temeva soprattutto il freddo. Il freddo era l'assassino. Penetrava il doppio strato di plastica flessibile del ponte, comunicandosi alle loro gambe e alle natiche. Penetrava la calotta e congelava il vapore del fiato, congelava perfino il vomito sugli indumenti e sul ponte. «Cantate!» disse Samantha. «Su, cantate! Cominciamo con Yankee Doodle. Forza, signor Stewart. Batta le mani, le batta con il suo vicino.» Li stimolava senza sosta, per impedire che qualcuno cadesse nello stato
soporoso che non è vero sonno, ma una catalessi provocata dal rapido abbassamento della temperatura corporea. Strisciò fra i passeggeri, costringendoli a restare svegli, cacciando nelle loro bocche caramelle d'orzo tolte dalle razioni d'emergenza. «Succhiate e cantate!» ordinò. Lo zucchero avrebbe combattuto il freddo e il mal di mare. «Battete le mani. Non state fermi, arriveremo presto.» Quando non ebbero più la forza di cantare cominciò a raccontare delle storie, se pronunciava la parola «cane» tutti dovevano abbaiare e battere le mani, o fare chicchirichì come il gallo, o ragliare come l'asino. Samantha aveva la gola secca per il gran cantare e parlare, si sentiva esausta e intirizzita. Avvertiva in sé i primi sintomi dell'abulia e della catalessi, il preludio al crollo. Si riscosse, rizzandosi a sedere. «Cercherò di accendere il fornello, così potremo bere qualcosa di caldo», annunciò vivacemente. Le rispose soltanto qualche lieve movimento. Due o tre persone furono colte da conati di vomito. «Chi vuole una tazza di brodo...» S'interruppe bruscamente. C'era un cambiamento. Le occorse un lungo momento per capire di che cosa si trattava. Il sibilo del vento si era smorzato e ora la zattera galleggiava più liberamente, il suo saliscendi aveva un ritmo più regolare, senza i tremendi strattoni della fune di rimorchio che la richiamava. Strisciò fino all'ingresso della zattera e disinserì i ganci con le dita intorpidite dal gelo. All'esterno, l'alba aveva striato il cielo di eteree sfumature rosa e malva. Sebbene il vento fosse caduto, riducendosi a un tenue sussurro, le onde erano ancora gonfie, e da nera l'acqua si era fatta verde bottiglia, come vetro fuso. La fune di rimorchio si era spezzata all'anello di giunzione, lasciando soltanto un mozzicone di plastica. La numero 16 era l'ultima zattera della fila rimorchiata dalla lancia numero tre, ma Samantha non vide traccia del convoglio, sebbene si fosse aggrappata precariamente all'orlo della zattera per scrutare sopra le creste delle onde. Non c'era segno di lance, non si scorgevano nemmeno i picchi incappucciati di neve di capo Alarm. Durante la notte erano andati alla deriva nell'immensità solitaria del mare di Weddell. La disperazione le attanagliò i muscoli del ventre. Sentì l'impulso di urlare la sua protesta contro la crudeltà del destino, ma lo represse. Rimase fuori, respirando l'aria tersa e ghiacciata con cautela perché non le congelasse i polmoni. Scrutò le onde finché non le lacrimarono gli occhi per il freddo e il vento. Finalmente il freddo la respinse nell'interno fetido e
buio della zattera. Si accasciò stancamente fra i corpi supini, stringendosi sulla testa il cappuccio del giaccone. Sapeva che di lì a poco avrebbero cominciato a morire, e in un certo senso non le importava. La sua disperazione era troppo grande. Cominciò a sprofondare nella palude di sconforto che avviluppava gli altri, mentre il gelo le risaliva lungo le braccia e le gambe. Chiuse gli occhi; poi li riaprì con uno sforzo supremo. «Non voglio morire», si disse con fermezza. «Mi rifiuto di morire senza far
niente.» Si rizzò in ginocchio. Il peso della disperazione era tale che le pareva d'aver addosso uno zaino pieno di piombo. Strisciò fino alla cassetta che conteneva le razioni di emergenza e le attrezzature. Il segnalatore radio d'emergenza era impacchettato in poliuretano. Le sue dita erano intorpidite dal freddo e impacciate dai guanti, ma finalmente Samantha riuscì a estrarlo. Non era più grande di un pacchetto di sigarette, e le istruzioni erano stampate su un lato. Non ebbe bisogno di leggerle. Girò l'interruttore e tornò a deporre l'apparecchio nel suo incastro. Adesso, per quarantott'ore, o finché la batteria non si fosse esaurita, avrebbe trasmesso un segnale di localizzazione su 121,5 megahertz. Era possibile, soltanto possibile, che il rimorchiatore francese captasse quel debole fascio d'onde e ne rintracciasse l'origine. Samantha smise di pensarci e si dedicò all'impresa sovrumana di scaldare mezza tazza d'acqua sul fornelletto a carburante solido, stando attenta a non scottarsi mentre lo teneva in grembo per bilanciare il moto della zattera. Nel frattempo cercò il coraggio e le parole per informare gli altri della loro situazione. ^ La Golden Adventurer, abbandonata da ogni essere umano, con le macchine fuori uso ma le luci del ponte ancora accese, la barra bloccata e l'automatico inserito perché trasmettesse un segnale ininterrotto, andava velocemente alla deriva lungo gli scogli neri di capo Alarm. La roccia era un tipo di formazione così dura che le scogliere erano quasi verticali e, benché esposte al perenne assalto del mare, recavano scarse tracce d'erosione. Avevano ancora gli spigoli a piombo e le superfici liscie delle faglie fratturate di netto. Il mare le martellava incessantemente. L'impatto lacerava l'aria come l'onda d'urto di un'esplosione, e il mare s'impennava in una bianca furia contro la roccia, prima di ritrarsi formando l'onda di riflusso. Erano queste onde a tenere la Golden Adventurer al largo della scogliera. La costa era così scoscesa che affondava per ottanta metri; non c'erano fondali su cui una nave potesse incagliarsi. La scogliera faceva da paravento, e nell'immobilità spettrale dell'aria la nave si avvicinò sempre più, sfiorandola col suo rollio quando un'onda la investiva sulla fiancata. Una volta giunse perfino a toccarla con la sovrastruttura, ma l'onda di riflusso la respinse nuovamente. L'onda successiva la spinse più vicino, e il suo rimbalzo più debole la scostò di nuovo. Un uomo, a questo punto, avrebbe potuto balzare da una cengia della scogliera sul ponte. La scogliera terminava in tre alti pilastri di serpentino, leggiadri come le colonne di un tempio greco. La Golden Adventurer toccò uno dei pilastri, urtandolo lievemente con la poppa, un po' di vernice graffiata, qualche ringhiera contorta; ma la nave passò. Il lieve urto fu sufficiente a far ruotare la poppa, e la Golden Adventurer puntò la prora verso l'ampia baia oltre le scogliere. Là il mare aveva eroso rocce più morbide e malleabili, formando un'ampia spiaggia di ciottoli nero-purpurei, ognuno grosso quanto una testa umana e arrotondato dall'acqua come una palla di cannone.
Ogni volta che le onde scrosciavano sulla spiaggia, i ciottoli cozzavano gli uni contro gli altri con fragore. Le lastre di ghiaccio che riempivano la baia tintinnavano mentre salivano e scendevano con il mare. Lontano dalla scogliera, la Golden Adventurer era di nuovo in balia del
vento che, sebbene fosse calato, aveva tuttavia la forza di sospingere la nave nella baia, con la prora puntata verso la spiaggia. A differenza della costa rocciosa, la baia digradava dolcemente fino alla spiaggia, ciò che permetteva alle onde di gonfiarsi in enormi gobbe. Non s'increspavano per rompersi in spuma bianca, perché lo spesso strato di ghiaccio le schiacciava con il suo peso, cosicché aiutavano il vento a sospingere la nave verso la spiaggia con dolce impeto. L'Adventurer toccò il fondale con uno stridore di lamiere ma la massa dei ciottoli si conformò subito alla chiglia, cedendo gradualmente, mentre le onde e il vento spingevano la nave sempre più avanti, finché non fu completamente arenata; poi, mentre spuntava l'alba, il vento cadde del tutto e anche le onde scemarono con il ritrarsi della marea. L'Adventurer si stabilizzò definitivamente. A mezzogiorno, era profondamente incagliata di prua sulla spiaggia purpurea, inclinata a un angolo di dieci gradi. Soltanto la parte poppiera galleggiava ancora, salendo e scendendo come un'altalena sulle onde che continuavano a sospingerla; ma la temperatura precipitava, congelando i frammenti di ghiaccio circostanti in una solida coltre. La nave si ergeva alta sulla spiaggia scintillante. Festoni di brina decoravano le sue sovrastrutture, e lunghe stalattiti simili a spade di ghiaccio pendevano dagli ombrinali e dall'ancora. I generatori di emergenza erano ancora in funzione. Sebbene a bordo non vi fossero esseri umani, brillavano le luci e la musica suonava in sordina nei saloni deserti. A parte la falla nella fiancata, in cui il mare spumeggiava e vorticava, non c'erano tracce esterne del danno. Sopra la nave, le selvagge creste frastagliate del capo Alarm facevano risaltare l'eleganza delle sue forme quasi a sottolineare la ricchezza della preda: una succulenta prugna matura pronta per essere colta. Nella cabina radio, l'automatico continuava a trasmettere un segnale ininterrotto che poteva essere captato nel raggio di cinquecento miglia. ^ Due ore di sonno senza sogni, poi Nick Berg si svegliò di soprassalto, sentendo che stava per succedere qualcosa d'importante. Ma gli occorse una decina di secondi per ricordarsi dov'era. Si buttò dalla cuccetta e capì subito di non aver dormito abbastanza. Gli sembrava di avere la testa imbottita di cotone. Barcollò mentre si radeva sotto la doccia, cercando di tenersi desto con l'acqua bollente. Quando andò in plancia, Trog trafficava ancora con i suoi apparecchi. Sbirciò Nick con gli occhietti cisposi orlati di rosso; era palese che non aveva dormito affatto. Nick si vergognò un poco per la propria debolezza. «Siamo ancora in vantaggio sulla Mouette», annunciò Trog, girandosi verso il suo apparecchio. «Di un centinaio di miglia, direi.» Angel comparve in plancia con un gran vassoio. Come fiutò l'aroma, Nick si
sentì l'acquolina in bocca. «Ho preparato una cosina speciale per la sua colazione, comandante», disse Angel. «Si chiama 'Uova su ali d'angelo'.» «Ci sto», dichiarò Nick, poi si rivolse a Trog con la bocca piena. «L'Adventurer?» «Manda ancora un segnale DF, ma è sempre nella stessa posizione da tre ore.» «Che cosa significa?» chiese Nick, deglutendo. «Non si muove più.» «Si è incagliata», borbottò Nick, dimenticandosi della colazione. In quel momento David Allen irruppe nella plancia, terminando di abbottonarsi il giaccone. Aveva gli occhi gonfi e i capelli pettinati alla meglio, ancora ritti sulla nuca per il contatto con il cuscino. Aveva sentito arrivare il comandante. «Dev'essere tutta intera se la radio trasmette ancora», osservò. «Pare che le sue Ave Maria abbiano proprio funzionato, David.» Nick sfoderò uno dei suoi rari sorrisi e David diede una manata sul lustro piano di mogano della tavola. «Tocca legno e non sfidare il diavolo.»
Nick sentì la propria disperazione svanire con la stanchezza. Assaporò un altro boccone mentre si accostava alle finestre anteriori e guardava fuori. Il mare si era appiattito, ma il debole sole color burro, ancora basso sull'orizzonte, non irradiava alcun calore. Nick sbirciò il termometro e lesse che la temperatura esterna era di trenta gradi sotto zero. A oltre 60° di latitudine sud, il tempo è così instabile, nel vortice perenne delle depressioni atmosferiche, che una burrasca può scatenarsi in pochi minuti e placarsi con altrettanta rapidità. La norma è comunque il maltempo. Per oltre cento giorni all'anno, il vento soffia con la violenza di una bufera o di una tempesta. Le fotografie dell'Antartide danno spesso una falsa impressione di giornate radiose con il sole che trae barbagli dalla neve gelata e dagli iceberg. La verità è che non si possono riprendere fotografie in una tormenta o nell'«oscurità bianca». Nick diffidava di quella calma, ma si scoprì a pregare che durasse. Voleva aumentare la velocità; e già si accingeva a correre il rischio, quando udì l'ufficiale della guardia ordinare un brusco cambiamento di rotta. Davanti a loro, Nick vide il vortice del ghiaccio sommerso, simile a un mostro in agguato; e mentre il Warlock virava per evitarlo, il ghiaccio affiorò. Era ghiaccio nero, solcato da strisce di fango glaciale, orrendo e minaccioso. Nick non diede l'ordine di aumentare la velocità. «Dovremmo avvistare capo Alarm entro un'ora», disse David Allen. «Sempre che duri la visibilità.» «Non durerà», ribatté Nick. «Fra poco troveremo la nebbia.» Indicò la superficie del mare, che cominciava a fumare, esalando turbini e spirali di vapore marino con l'aumentare della differenza fra la temperatura dell'aria e quella dell'acqua. «E in altre quattro ore, arriveremo alla Golden Adventurer», stava dicendo David Allen con rinnovata eccitazione. Diede un'altra manata sulla tavola di mogano. «Con il suo permesso, comandante, scendo a controllare i cavi e l'attrezzatura di rimorchio.»
Mentre l'aria intorno a loro s'ispessiva in una spettrale nebbia bianca, riducendo la visibilità a poche centinaia di metri, Nick passeggiò per la plancia come un leone in gabbia, con le mani dietro la schiena e un sigaro fra i denti. Si fermava ogni volta che Trog intercettava una trasmissione della Christy, di Jules Levoisin o del capitano Reilly sulla sua radio ad alta frequenza. A mattino inoltrato, Reilly riferì che il suo lento convoglio era arrivato nella baia di Shackleton senza altre perdite. Approfittavano del bel tempo per accamparsi. Terminò pregando La Mouette di esplorare la frequenza di 121,5 megahertz per individuare la zattera che si era dispersa durante la notte. La Mouette non rispose. «Non ascoltano l'alta frequenza», borbottò Trog. Nick pensò agli sventurati naufraghi: con un freddo simile, sarebbero morti prima di sera, a meno che la temperatura non fosse salita bruscamente. Poi scacciò il pensiero per concentrarsi sulle comunicazioni fra la Christy e La Mouette. Le due parti si erano scambiati i rispettivi termini di contrattazione. Quando la Golden Adventurer andava alla deriva nel mare aperto, e per salvare la nave sarebbe bastato lanciarle una sagola unita a un cavo messaggero, issare a bordo il grosso cavo principale e infine prenderla a rimorchio, Jules Levoisin aveva insistito per il contratto standard dei Lloyd's «niente recupero, niente pagamento». Dal momento che il «recupero» era praticamente sicuro, il «pagamento» sarebbe seguito automaticamente. L'entità della somma sarebbe stata fissata dal comitato arbitrale dei Lloyd's, e sarebbe consistita in una percentuale del valore recuperato. La percentuale decisa dagli arbitri sarebbe dipesa dalle difficoltà e dai rischi affrontati dai salvatori. Un salvatore furbo, nella corte arbitrale, avrebbe dipinto un tal quadro di rischi e di pericoli che la ricompensa sarebbe ammontata a milioni di dollari. La Christy aveva fatto il possibile per evitare un contratto «niente recupero, niente pagamento». Aveva cercato di strappare a Levoisin un contratto di noleggio giornaliero più una piccola percentuale, dal momento che
ciò avrebbe limitato il costo totale dell'operazione, ma si era scontrata con la cupidigia francese... fin quando era divenuto evidente che la Golden Adventurer si era incagliata. Allora le parti si erano invertite. Jules Levoisin, con una nota di panico nella sua trasmissione, aveva immediatamente ritirato la sua offerta del contratto standard dei Lloyd's. Perché adesso il «recupero» non era affatto sicuro. Sbatacchiata contro le scogliere di capo Alarm, l'Adventurer poteva già essere un cumulo di rottami, e in tal caso non ci sarebbe stato «pagamento». Ora Levoisin era ansioso di spuntare un contratto di noleggio giornaliero, comprendente la corsa dal Sudamerica e il trasporto dei superstiti alla civiltà. Offriva le sue prestazioni per 10.000 dollari al giorno più una percentuale del due e mezzo per cento sul valore recuperato della nave. Erano condizioni oneste, perché Jules Levoisin aveva rinunciato al miraggio dei milioni ed era tornato alla realtà. Tuttavia la Christy, che prima aveva offerto una somma principesca per il
noleggio giornaliero, aveva subito ritirato la proposta. «Accettiamo il contratto standard dei Lloyd's compreso il trasporto dei superstiti», dichiarò sul canale 16. «Le condizioni sul posto sono cambiate», ribatté Jules Levoisin, e Trog poté nuovamente rilevare la sua posizione. «Stiamo aumentando il vantaggio», annunciò soddisfatto, ammiccando con gli occhietti rossi mentre Nick segnava sulla carta le nuove posizioni. La plancia del Warlock era nuovamente affollata da tutti gli ufficiali che avevano un pretesto per starvi. Indossavano la tenuta di lavoro, pesanti completi blu, maglioni, passamontagna e grossi stivali da marinaio. Assistevano affascinati ai rilevamenti, discutendo sottovoce fra di loro. David Allen sopraggiunse con un fagotto d'indumenti. «Le ho trovato una tenuta di lavoro, comandante. L'ho presa in prestito dal capo macchinista. Avete più o meno la stessa taglia.» «Il capo lo sa?» domandò Nick. «Non esattamente. L'ho presa dalla sua cabina...» «Ben fatto, David», ridacchiò Nick. «Portala nel mio salotto, per favore.» Il giovanotto gli riusciva sempre più simpatico. «Signor comandante», disse Trog all'improvviso. «Sto ricevendo un'altra trasmissione. É appena d'intensità uno, su 121,5 megahertz.» «Oh, merda!» David Allen si fermò sulla soglia del salotto del comandante. «Oh, merda!» ripeté con aria costernata. «É quella maledetta zattera dispersa.» «Rilevamento polare!» ordinò rabbiosamente Nick. «280° a sinistra e 45° magnetico», rispose subito Trog, e Nick si sentì avvampare di collera. La zattera di salvataggio si trovava da qualche parte sulla sinistra del Warlock, a ottanta gradi dalla sua rotta verso la Golden Adventurer. In plancia, la costernazione si manifestò in un'esplosione di voci che Nick zittì con un'occhiata. Gli ufficiali tacquero, gli occhi fissi sulla carta. La posizione di ogni rimorchiatore era segnata con uno spillo colorato, e a indicare la posizione della Golden Adventurer c'era una bandierina rossa. Era così vicina, adesso, e il loro vantaggio sulla Mouette così piccolo, che uno degli ufficiali giovani non riuscì a contenersi. «Se andiamo a cercare la zattera, serviremo l'Adventurer su un piatto d'argento a quel maledetto mangiarane.» Le parole sbloccarono gli ufficiali e tutti ripresero a discutere, ma con minore animazione. Nick non alzò gli occhi. Rimase chino sulla carta, serrando convulsamente il pugno fino ad avere le nocche bianche. «Cristo, ormai saranno morti. Buttiamo via tutto per qualche cadavere surgelato.» «Non sappiamo quanto distano dalla nostra rotta. Quegli apparecchi hanno una portata di centinaia di miglia.» «La Mouette andrà a nozze.» «Potremmo raccoglierli quando avremo preso a rimorchio la Golden
Adventurer.» Raddrizzatosi, Nick si tolse il sigaro di bocca. Guardò David Allen e parlò
con voce incolore, senza alcun mutamento di espressione. «Signor Allen, la prego di rammentare ai suoi ufficiali subalterni la prima regola del mare.» David Allen rimase in silenzio per un momento, poi mormorò: «La salvezza della vita umana ha la precedenza su ogni altra considerazione». «Benissimo, signor Allen», disse Nick annuendo. «Cambi la rotta per 80° a sinistra e la mantenga orientata sul segnale di emergenza.» Si girò, dirigendosi verso la sua cabina. Riuscì a dominare la rabbia finché non fu solo; e allora sferrò un pugno sul pannello sopra lo scrittoio. In plancia, tutti rimasero immobili e silenziosi per mezzo minuto buono. Poi il terzo ufficiale abbozzò una protesta. «Ma siamo così vicini!» David Allen si riscosse e parlò irosamente al timoniere. «Nuova rotta per 45° rilevamento magnetico.» Mentre il Warlock virava, scaraventò tristemente la bracciata d'indumenti sulla tavola delle carte e andò presso Trog. «Hai intercettato correzioni di rotta?» gli chiese. «Vira per 50°», rispose Trog, poi ridacchiò cupamente. «Prima hai detto che piscia acqua ghiacciata... e adesso frigni perché risponde a un S.O.S.» David Allen rimase in silenzio mentre il Warlock virava nella nebbia. Ogni giro delle eliche lo allontanava dalla preda, e le trionfanti trasmissioni della Mouette sembravano sbeffeggiarli mentre il francese attraversava l'ultimo tratto di mare che lo separava da capo Alarm, contrattando a tutto spiano con la società armatrice di Londra. La nebbia era così densa che si poteva tagliare a fette. Dalla plancia del Warlock non si scorgeva nemmeno la prora. Nick procedeva tastoni come un cieco in una stanza sconosciuta, e intorno a lui si accalcavano i ghiacci. Si trovavano nuovamente in una zona di enormi iceberg piatti. Gli echi delle isole di ghiaccio ammiccavano verdi e maligni sullo schermo del radar. A ogni respiro fiutavano il terribile odore del ghiaccio. «Marconista?» chiese Nick con voce tesa, senza distogliere gli occhi dalle turbinanti cortine di nebbia a proravia. «Ancora nessun contatto», rispose Trog, e Nick spostò il peso da un piede all'altro. La nebbia lo aveva ipnotizzato, e le vertigini gli giocavano strani scherzi. Per un attimo gli parve che la nave fosse coricata sul fianco come un veicolo spaziale. Lottò contro l'allucinazione e fissò risolutamente davanti a sé, attento ad avvistare l'eventuale affiorare di un iceberg dalla nebbia davanti alla prua. «É quasi un'ora che non riceviamo niente», borbottò David Allen. «O la batteria del loro segnalatore si è scaricata, o hanno urtato il ghiaccio e sono affondati...» disse il terzo ufficiale, abbastanza forte perché Nick lo udisse. «...Oppure il segnale è schermato da un iceberg», finì Nick per lui. La plancia rimase silenziosa per altri dieci minuti, a parte le pacate richieste di cambiamento di rotta che facevano procedere il Warlock a zig-zag fra gli iceberg invisibili ma onnipresenti. «E va bene.» Finalmente Nick prese la decisione. «Dobbiamo pensare che la zattera è affondata e abbandonare la ricerca.» Vi fu una scintilla di rinnovato interesse e di entusiasmo. «Pilota, nuova rotta per la Golden
Adventurer. Aumentare la potenza al cinquanta per cento.» «Possiamo ancora battere il mangiarane.» I giovani ufficiali si aggrappavano a un filo di speranza. «Se La Mouette ha incontrato ghiacci, potrebbe aver ridotto la velocità...» Augurarono tutta la scalogna del mondo alla Mouette e al suo comandante. Perfino la nave sotto i piedi di Nick parve tornata viva e vibrante, mentre virava nella corsa disperata verso la preda. «Bene, David», disse Nick con calma. «Una cosa è sicura: non arriveremo all'Adventurer prima di Levoisin. Così è venuto il momento di giocare il
nostro asso...» Fu interrotto dalla voce eccitata di Trog. «Nuovo contatto su 121,5», gridava e la costernazione piombò di nuovo sulla plancia. «Cristo!» sbottò il terzo ufficiale. «Perché non crepano senza romperci l'anima?» «La trasmissione era schermata da quel grande iceberg a nord», arguì Trog. «Sono vicini, adesso. Non ci vorrà molto tempo.» «Abbastanza per perdere la preda.» L'iceberg era così grande che attorno a sé formava la propria zona climatica, provocando correnti d'acqua e d'aria sufficienti a rimuovere la nebbia. La nebbia si aprì come il sipario d'un teatro, rivelando una impressionante distesa di ghiaccio blu e verde con le pareti solcate da strisce di fango glaciale. I pinnacoli scomparivano negli strati superiori di nebbia come se toccassero il cielo. Le onde avevano scavato maestosi archi di ghiaccio e profonde caverne alla base della parete. «Eccoli là!» Nick tolse il binocolo dalla custodia di tela e mise a fuoco i puntolini neri che spiccavano sullo sfondo del ghiaccio luminescente. «No», borbottò. Quindici pinguini reali si accalcavano su un banco di ghiaccio, grossi come uccelli neri alti quasi come un uomo; perfino attraverso le lenti, avevano un aspetto umanoide. Il Warlock passò vicino a essi. Spaventati, i pinguini si stesero a pancia in giù scivolando sul banco con le corte ali, e si tuffarono nelle acque sotto la parete di ghiaccio. Il banco oscillò alle onde suscitate dal passaggio del Warlock. Il Warlock procedette cautamente fra i densi banchi di nebbia e gli improvvisi spazi d'aria limpida. Là, i miraggi e le illusioni ottiche dell'aria antartica li fecero impazzire con le loro beffe, trasformando le colonie di pinguini in branchi di elefanti o in gruppi di uomini gesticolanti, collocando sulla rotta del Warlock scogli e iceberg che sparivano al suo avvicinarsi. Il segnale d'emergenza che veniva dalla zattera svanì e tacque, poi tornò a pigolare sonoramente nella plancia silenziosa. Pochi secondi dopo tacque ancora. «Che il diavolo se li porti», imprecò David fra sé, con le guance rosse di stizza. «Dove si sono cacciati? Perché non accendono un bengala o non sparano
un razzo?» Nessuno gli rispose, mentre un altro mostro bianco avviluppava la nave soffocando ogni rumore. «Proviamo a scrollarli con la sirena, comandante?» chiese, quando il Warlock emerse nuovamente all'abbagliante luce del sole. Nick borbottò il suo permesso senza abbassare il binocolo. David afferrò la maniglia rossa della sirena da nebbia sopra la sua testa. Gli ululati cupi e rimbombanti, la caratteristica voce di un rimorchiatore oceanico, risonarono nella nebbia e parvero farla vibrare con il loro volume. Le pareti degli iceberg ne rimandarono gli echi simili a tuoni. Samantha teneva in grembo il fornelletto a carburante solido, usando il coperchio smontabile del contenitore a mo' di vassoio. Stava scaldando mezzo litro d'acqua nel pentolino di alluminio, mantenendolo accuratamente in equilibrio nel disordinato sguazzare della zattera. La fiamma blu del fornelletto rischiarò la caverna di plastica, irradiando un debole alone di calore insufficiente a conservare la vita. Avevano già cominciato a morire. Gavin Stewart si teneva sul petto la testa di sua moglie. Doveva essere morta da quasi due ore. Il suo corpo si era già raffreddato, il suo viso era cereo e sereno. Samantha non aveva il coraggio di guardarli. Rannicchiata sul fornello, lasciò cadere un dado di manzo nell'acqua, mescolandola lentamente e sbattendo
le palpebre per scacciare le lacrime di freddo. Sentiva rivoli di muco acquoso gocciolarle dalle narici. Dovette fare uno sforzo per alzare il braccio e asciugarsele con la manica. La temperatura del brodo era appena superiore a quella corporea, ma lei non sprecò tempo e combustibile per farlo bollire. Il pentolino di metallo passò lentamente da una mano inguantata e intirizzita all'altra. Bevvero il liquido caldo e lo passarono con riluttanza, sebbene qualcuno non avesse né la forza né l'interesse per prenderlo. «Su, signora Goldberg», sussurrò a fatica Samantha. Aveva l'impressione che il freddo le avesse serrato la gola, e l'aria mefitica nella calotta le faceva dolere la testa. «Su, beva...» Samantha sfiorò il viso della donna e s'interruppe. La pelle sembrava diventata di gesso e andava raffreddandosi rapidamente. Le occorse qualche minuto per riprendersi dal colpo; poi, con delicatezza, calò sul viso dell'anziana signora il cappuccio del giaccone. Nessun altro parve notarlo. Erano tutti sprofondati in una specie di letargo. «Ecco», sussurrò Samantha all'uomo accanto. Gli ficcò il pentolino fra le mani, piegandogli le dita rigide intorno al metallo per assicurarsi che non lo lasciasse cadere. «Beva, prima che si raffreddi.» L'aria intorno vibrò all'improvviso in un'esplosione di suono, simile al muggito di un bue moribondo o al rugghio delle palle di cannone nel cielo. Per un attimo Samantha temette che i suoi sensi le avessero giocato una beffa atroce. Soltanto quando il suono venne ancora, alzò la testa. «Oh, Dio mio», sussurrò. «Sono arrivati. Andrà tutto bene. Ci salveranno.» Strisciò fino all'armadietto, goffa e rigida come una vecchia. «Sono arrivati.
Va tutto bene, gente. Andrà tutto bene, vedrete», farfugliò, e accese la lampadina del suo giubbotto di salvataggio. Il fioco barlume l'aiutò a trovare il pacco delle torce al fosforo. «Forza, ragazzi. Facciamoci sentire.» Cercò di riscuoterli mentre armeggiava con i fermagli della calotta. «Una bella ovazione», bisbigliò, ma erano tutti apatici e inerti; e mentre si trascinava fuori nella gelida nebbia, le lacrime che le rigavano le guance non erano soltanto di freddo. Alzò lo sguardo senza capire. Sembrava che dal cielo intorno a lei piombassero immani cascate di ghiaccio, cortine di ghiaccio verde, diafano e minaccioso. Le occorse un momento per comprendere che la zattera era giunta presso lo scosceso lato sottovento di un iceberg tabulare. Si sentì piccola e insignificante sotto quella immensa, colossale montagna di ghiaccio. Per un tempo che le parve lunghissimo, rimase immobile a guardare in alto. Poi, di nuovo, il profondo muggito della sirena risuonò nell'aria. Riempì i banchi di nebbia di un rumore solido che percosse la parete di ghiaccio per frantumarsi in echi rimbombanti che rimbalzarono da una parete all'altra, riecheggiando nelle caverne e nei crepacci che spaccavano la superficie del grande iceberg. Samantha alzò una torcia al fosforo e le occorse tutta la forza del suo braccio intirizzito per strappare la linguetta d'accensione. La torcia crepitò ed esalò acre fumo bianco, poi esplose nell'abbagliante fiamma scarlatta che in mare significa «aiuto». Lei restò con il braccio alzato, simile a una minuscola statua della libertà, scrutando i banchi di nebbia, con gli occhi lacrimanti. Il muggito della sirena rimbombò ancora nell'aria lattiginosa, così vicino che scosse il corpo di Samantha come una raffica di vento, poi proseguì per scontrarsi con la parete di ghiaccio che incombeva su di lei. L'azione del mare e del vento, e la naturale erosione dovuta al mutare della temperatura, avevano scatenato forze tremende entro la scintillante massa dell'iceberg. Queste forze avevano trovato un punto debole, una faglia verticale che correva come un colpo d'ascia dal tavolato piatto della sommità per centocinquanta metri, fino al ventre muschioso dell'iceberg. Le onde sonore della sirena del Warlock trovarono una risonanza nell'interno della montagna, che fece vibrare il ghiaccio ai lati della faglia in due frequenze diverse. Allora la faglia s'incrinò con un'esplosione crepitante di ghiaccio compresso, e quindi si aprì. Cento milioni di tonnellate di ghiaccio
cominciarono a muoversi mentre si staccavano dall'iceberg madre. Il blocco partorito dall'iceberg era anch'esso una montagna, una lastra di ghiaccio compatto grande due volte la cattedrale di San Pietro... e mentre lottava per liberarsi, altre pressioni e altre forze si scatenarono al suo interno, trovando faglie secondarie e incrinature, cosicché il ghiaccio esplose dentro il ghiaccio e la montagna si dilaniò come sventrata da tonnellate di esplosivo ad alto potenziale. L'aria stessa era piena di ghiaccio, alcuni pezzi grandi quanto una locomotiva, altri piccoli, affilati e micidiali come una spada d'acciaio. Sotto la pioggia di frammenti, la piccola zattera di plastica gialla ballonzolava indifesa.
«Là», gridò Nick. «A dritta.» La torcia al fosforo aveva acceso i banchi di nebbia di un vivido rosso ciliegia, proiettando grotteschi disegni di luce sul ventre delle nubi. David Allen fece ululare la sirena per l'ultima volta. «Nuova rotta per 150°», ordinò Nick al timoniere, e il Warlock virò docilmente, emergendo quasi subito dal banco di nebbia in n'altra zona di aria limpida. Mezzo miglio più in là, la zattera saltellava come un grosso rospo giallo alla base di una verde parete di ghiaccio. La sommità dell'iceberg si perdeva nella nebbia, e la minuscola figura umana che stava eretta sulla zattera, reggendo alta la torcia scarlatta, era un puntino insignificante nell'immensa distesa di nebbia, di mare e di ghiaccio. «Prepararsi a raccogliere i superstiti, David», disse Nick. Il secondo corse via mentre Nick si avviava verso l'ala della plancia, da dove poteva assistere al salvataggio. A un tratto Nick si fermò, alzando la testa sbigottito. Per un attimo credette di udire delle cannonate, poi il crepitio esplosivo del suono divenne un urlo lacerante, simile al gemito della fibra vivente quando una gigantesca sequoia cade sotto la scure. Il volume del suono crebbe fino a divenire un ruggito, l'inconfondibile ruggito di una montagna che precipita. «Dio santo!» sussurrò Nick, vedendo che la parete di ghiaccio cominciava a cambiar forma. Curvandosi lentamente in avanti, parve ripiegarsi su se stessa. Cadeva sempre più in fretta, e le schegge di ghiaccio formarono una densa nube, mentre la parete s'inclinava, superava il punto di equilibrio e crollava suscitando enormi onde verdi; onde che s'inseguirono sollevando alta la prora del Warlock per poi farla precipitare nel cavo. Dopo l'esclamazione di Nick, nessuno aveva più parlato. Ciascuno si aggrappò all'appiglio più vicino per reggersi in piedi, fissando con riverente timore lo straordinario spettacolo di forza bruta. L'acqua ribolliva e biancheggiava. I blocchi di ghiaccio frastagliato, alcuni grandi quanto una villa, ballonzolavano sulla superficie rivoltandosi lentamente e assestandosi mentre si urtavano a vicenda. «Avvicinarsi», ordinò Nick «Avvicinarsi il più possibile.» La zattera gialla era scomparsa. Spuntoni di ghiaccio avevano lacerato il suo fragile involucro e i blocchi l'avevano sommersa nelle profondità marine. «Più vicino», insisté Nick. Se, per miracolo, qualcuno fosse scampato alla valanga, nell'acqua gelida gli restavano solamente quattro minuti di vita. Nick condusse il Warlock fra le masse di ghiaccio ancora rotolanti, dove il rimorchiatore si aprì un varco con la sua prora rompighiaccio. Nick aprì le porte della plancia e uscì nell'aria gelida. Ignorò il freddo, pervaso com'era dalla rabbia e dalla delusione. Aveva pagato il prezzo più alto per effettuare quel salvataggio, aveva rinunciato alla Golden Adventurer per le vite di un pugno di sconosciuti; e adesso, all'ultimo momento, il mare glieli aveva strappati. Il suo sacrificio era risultato vano, e quel terribile spreco lo atterrì. Dato che non poteva sfogarsi, si abbandonò all'ira e gridò al gruppetto di Dave Allen sul ponte prodiero: «Tenete gli occhi aperti. Voglio che quella gente...» Qualcosa di rosso attirò la sua attenzione. Una vivida chiazza purpurea, visibile attraverso l'acqua verde, che diventava più nitida e più accesa man
mano che veniva a galla. «Indietro a mezza forza», urlò. Il Warlock si fermò di colpo, mentre le eliche gemelle cambiavano passo e mordevano l'acqua, cominciando quasi subito a tirarlo indietro. Nel piccolo specchio d'acqua sgombra, l'oggetto rosso affiorò in superficie. Nick vide una testa incorniciata da un cappuccio rosso e sostenuta dal giubbotto di salvataggio. La testa era arrovesciata, rivelando un viso bianco come il ghiaccio che lo circondava. Era il viso di un adolescente, liscio e imberbe, di straordinaria bellezza. «Prendetelo», gridò Nick. Al suono della sua voce, gli occhi nel bel viso si spalancarono. Nick notò che erano verdi, nel pallido ovale incorniciato dal cappuccio scarlatto. David Allen stava accorrendo con un salvagente e una fune. «Presto, maledizione.» Il ragazzo era ancora vivo, e Nick lo voleva. In vita sua non aveva mai desiderato nulla con tanta intensità. Voleva almeno quella giovane vita in cambio di tutto ciò che aveva perso. Vide che il ragazzo lo guardava. «Presto, David», urlò di nuovo. «Ecco!» gridò David, aggrappandosi alla ringhiera del ponte. Scagliò il salvagente. Lo scagliò con un'esperta torsione del braccio che lo fece volare per quindici metri, fino alla testa incappucciata che ballonzolava a fior d'acqua. Lo lanciò con tanta precisione che il salvagente colpì la figura sulla spalla e poi le cadde vicino, quasi dandole di gomito. «Prendilo!» urlò Nick. «Aggrappati!» Il viso si girò lentamente e il ragazzo protese dall'acqua una mano inguantata. Ma il movimento era impacciato e privo di coordinazione. «Forza. Ce l'hai vicino», lo incoraggiò David. «Prendilo!» Il ragazzo era in acqua già da due minuti. Aveva perso il controllo delle membra. Fece due tentativi, e con il secondo giunse a toccare il salvagente ma non riuscì ad afferrarlo. L'anello di sughero si allontanò lentamente. «Maledetto idiota», tuonò Nick. «Prendilo!» I grandi occhi verdi si volsero nuovamente a lui, lo fissarono con la rassegnazione della sconfitta. Il braccio rigido era ancora alzato, quasi in un gesto di addio. Nick non si rese conto delle proprie azioni finché non si fu tolto la giacca e le scarpe; poi capì che, se si fosse soffermato a pensare, non l'avrebbe fatto. Si tuffò in piedi, prendendo lo slancio per evitare la ringhiera. E quando l'acqua si chiuse sopra la sua testa, la sua prima reazione al freddo fu una terrorizzata incredulità. Gli strinse il petto in una morsa che gli strizzò l'aria dai polmoni, gli conficcò aghi lancinanti nella testa e lo accecò di dolore quando riemerse. Il freddo penetrò i suoi leggeri indumenti, gli schiacciò i testicoli, gli riempì lo stomaco di nausea. Il midollo delle ossa gli doleva, e Nick stentò a coordinare il movimento delle membra; ma nuotò verso la figura galleggiante. Erano appena quindici metri, ma dopo cinque metri cominciò a temere di non farcela. Strinse i denti e lottò contro il mare gelido come se fosse un nemico mortale; ma con il calore del corpo, l'acqua gli risucchiava le forze.
Colpì la figura galleggiante con il braccio proteso, e solo allora si accorse di averla raggiunta. Si avvinghiò disperatamente al ragazzo, sbirciando verso il ponte del Warlock. David Allen aveva recuperato il salvagente. Ora lo scagliò di nuovo. Il freddo aveva intorpidito Nick, al punto che non riuscì a evitare il salvagente e questo lo colpì sulla fronte. Ma non sentì dolore. Il viso, i piedi, le mani, erano del tutto insensibili. I secondi fuggivano, misurando la vita che restava a entrambi. Nick lottò con la figura inerte, perdendo progressivamente il controllo delle membra mentre cercava d'infilare il salvagente intorno al corpo del ragazzo. Non completò l'opera. Riuscì a farvi passare solamente la testa e un braccio, poi capì di non poter fare altro. «Tirate», urlò con un crescente senso di panico. La sua voce gli parve remota, e gli risuonò stranamente alle orecchie.
Si attorcigliò la fune intorno al braccio, perché non era in grado di stringerla con le dita, e restò aggrappato con le ultime forze mentre gli uomini li tiravano verso la nave. Gli spuntoni di ghiaccio li graffiavano cercando rabbiosamente di trattenerli, ma Nick strinse a sé il ragazzo con il braccio libero. «Tirate», sussurrò. «Oh, per amor del cielo, tirate!» Finalmente cozzarono contro la fiancata d'acciaio del Warlock e furono tratti dall'acqua. Le spire della fune gli morsero la pelle bagnata dell'avambraccio, macchiandogli la manica di sangue che l'acqua marina scolorì istantaneamente. Non sentì dolore. Sorresse il ragazzo con l'altro braccio, impedendogli di scivolare dal salvagente. Non sentì le mani che lo afferravano. Anche le sue gambe erano insensibili, e cadde a faccia in giù, ma David lo sostenne prima che stramazzasse sul ponte. Lo portarono nel caldo umido della cambusa di Angel, strascicando le sue gambe sulla tolda. «Tutto bene, comandante?» gli chiedeva continuamente David. Quando Nick cercò di rispondere, si accorse di avere le mascelle bloccate dal gelo. Violenti brividi gli scuotevano il corpo. «Spogliateli», ordinò Angel. Afferrato il ragazzo con le braccia muscolose, lo sollevò senza sforzo e lo depose supino sulla tavola della cambusa. Con un solo fendente del suo coltellaccio da macellaio, lacerò il giaccone scarlatto dal collo all'inguine e lo strappò via. Nick trovò la voce. Era rauca e rotta dagli spasmi dei muscoli intirizziti. «Che cosa fa qui, David? Fili in plancia e metta la nave in rotta per la Golden Adventurer», articolò a fatica. Avrebbe voluto aggiungere qualcos'altro, ma fu colto da un nuovo brivido, e comunque David Allen si era già eclissato. «Lei si rimetterà subito, comandante.» Angel non alzò nemmeno lo sguardo mentre lacerava gli indumenti del ragazzo, uno strato dopo l'altro. «É un vecchio lupo di mare... ma qui abbiamo un perfetto caso d'ipotermia.» Due marinai aiutarono Nick a togliersi gli indumenti fradici. La stoffa scricchiolava a causa della sottile pellicola di ghiaccio che si era già formata. Nick fece una smorfia di dolore, mentre il sangue riprendeva a
circolare nelle mani e nei piedi semiassiderati. «Bene», disse. Era nudo in mezzo alla cambusa e si massaggiava con un asciugamano ruvido. «Fra poco starò meglio di prima. Tornate pure ai vostri posti.» Si accostò alla cucina economica vacillando come un ubriaco e si crogiolò al calore irradiato dai fornelli. Si massaggiò vigorosamente, ancora scosso dai brividi, con il corpo chiazzato di viola dal freddo e i genitali contratti nel folto cespuglio nero dell'inguine. «Il caffè sta bollendo. Prenda una bevanda calda, comandante», consigliò Angel, sbirciandolo. Lo avvolse in un'occhiata di stima, apprezzando le spalle ampie, i riccioli di peli bagnati che gli coprivano il torace, i contorni dei muscoli che gli modellavano il ventre e i fianchi. «Ci metta parecchio zucchero... è l'ideale per scaldarsi», suggerì ancora, quindi si dedicò nuovamente al corpo steso sulla tavola. Angel aveva abbandonato ogni leziosaggine e lavorava con la brusca efficienza di uomo che sa il fatto suo. A un tratto si fermò e si ritrasse. «Chi l'avrebbe mai detto! Non ha il pisellino!» esclamò con un sospiro. Nick si girò mentre Angel stendeva una pesante coperta di lana sul corpo nudo e cominciava a massaggiarlo vigorosamente. «É meglio che lasci sole noi ragazze, comandante», disse Angel con un ineffabile sorriso e uno scintillio dell'orecchino. A Nick restò impressa la visione di un leggiadro corpo femminile, di un viso cereo e di una chioma fradicia color rame e oro. ^ Nick Berg era avvolto in una coperta di lana grigia sopra vari strati di pesanti maglioni. Calzava spessi calzettoni norvegesi e stivaloni di gomma. Teneva fra le mani una tazza di caffè quasi bollente, e stava chino a fiutarne
l'aroma. Era la terza tazza che beveva in un'ora, ma i brividi continuavano a scuoterlo ogni pochi minuti. David Allen aveva spostato la poltroncina del comandante, in modo che Nick potesse tenere d'occhio Trog e comandare la nave nello stesso tempo. Sulla sinistra, Nick vedeva profilarsi le scogliere brune del capo Alarm. A un tratto il pigolio del morse pervase la plancia, un lungo messaggio in codice che tutti ascoltarono con attenzione; ma dovettero aspettare la traduzione di Trog. «La Mouette ha raggiunto l'Adventurer.» Sembrò godere delle loro facce mogie. «Ci ha battuto, ragazzi. Il dodici per cento del calore ricuperato al suo equipaggio...» «Voglio il messaggio parola per parola», lo interruppe Nick. Trog gli rivolse un sogghigno velenoso e si curvò sul suo taccuino. «'La Mouette a Christy centrale. Golden Adventurer arenata, trattenuta da ghiaccio e deflusso marea. Apparenti danni carena sotto linea galleggiamento. Stop. Scafo allagato e aperto al mare. Stop. Contratto standard Lloyd's assolutamente inaccettabile. Di capitale importanza immediato inizio operazioni ricupero. Stop. Tempo e mare in peggioramento. Mia ultima offerta noleggio 8000 dollari al giorno più 2% valore ricuperato valida fino alle
14,35 ora di Greenwich. Passo.'» Nick accese un sigaro e decise che avrebbe conservato gli altri per il futuro. Quel mattino aveva aperto la sua ultima scatola. Si accigliò nella nube di fumo azzurrognolo e si strinse la coperta sulle spalle. Ora Jules Levoisin stava facendo il gioco duro. Stabiliva le condizioni e dettava l'ultimatum. La politica del silenzio di Nick cominciava a fruttare. Jules doveva essere certissimo che il suo fosse l'unico rimorchiatore nel raggio di duemila miglia, e puntava una pistola di grosso calibro contro la testa della Christy. Jules aveva visto le condizioni dello scafo dell'Adventurer. Se fosse stato sicuro di ricuperarlo... No, se appena ci fosse stato il cinquanta per cento di probabilità di effettuare un buon recupero, Jules avrebbe preferito il contratto dei Lloyd's. Dunque Jules nutriva forti riserve sul successo; ed era il più esperto fra tutti i comandanti di rimorchiatori. L'operazione si presentava difficile, dunque. Probabilmente la Golden Adventurer era prigioniera della spiaggia e del ghiaccio come se fosse sprofondata nelle sabbie mobili, e La Mouette poteva sviluppare soltanto novemila cavalli di potenza. Bisognava alleggerire lo scafo, mettere in funzione le pompe dell'Adventurer... Nick passò mentalmente in rassegna i problemi e le soluzioni. Era una brutta gatta da pelare, ma il Warlock possedeva ventiduemila cavalli di potenza utile e parecchie altre risorse. Sbirciò il suo Rolex Oyster e vide che Jules aveva dettato un ultimatum di due ore. «Marconista», disse con calma. Gli ufficiali sulla plancia si sporsero per non perdere una parola. «Apra la linea telex diretta con Christy centrale, Londra, e comunichi fra virgolette: Personale per Duncan Alexander da Nicholas Berg comandante del Warlock. Stop. Sarò presso Golden Adventurer fra un'ora e quaranta minuti. Stop. Propongo ricupero secondo contratto standard dei Lloyd's. Stop. Offerta chiusa alle 13,00 ora di Greenwich.» Trog lo guardò sbigottito, sbattendo rapidamente le palpebre orlate di rosso. «Rilegga», gli ingiunse seccamente Nick. Trog lesse con voce alta e un po' stridula. Quando ebbe finito, attese con un'espressione canzonatoria, come aspettandosi che Nick annullasse il messaggio. «Lo spedisca», ordinò Nick alzandosi. «Signor Allen.» Si rivolse a David. «Voglio immediatamente lei e il direttore di macchina nella mia cabina.» Il brusio eccitato delle congetture cominciò prima che Nick si fosse chiuso la porta alle spalle.
David bussò tre minuti dopo, e Nick alzò lo sguardo dagli appunti che stava scrivendo. «Che cosa dicono?» gli domandò. «Che sono impazzito?» «Sono soltanto dei ragazzi», rispose David con una scrollata di spalle. «Non sanno niente.» «Sanno un mucchio di cose, invece. E hanno ragione. Sono pazzo a proporre il
contratto dei Lloyd's senza nemmeno aver visto la nave! Ma è la pazzia di chi si trova con le spalle al muro. Sieda, David. Quando ho deciso di lasciare Città del Capo... allora sì che ho commesso una follia.» Nick non poteva più contenersi. Doveva dirlo, doveva sfogarsi. «Ho rischiato tutta la baracca. Quando ho abbandonato la piattaforma della Esso, ho messo in gioco tutta la società, compresi il Warlock e il suo gemello. La nostra sopravvivenza dipendeva dal pagamento della Esso...» «Capisco», mormorò David, rosso fino alla radice dei capelli. L'improvvisa confidenza di Nick Berg lo metteva in imbarazzo. «Adesso non rischio più niente. Se fallisco, se non riesco a disincagliare la Golden Adventurer, non perderò niente che non sia già perso.» «Avremmo potuto proporre il noleggio giornaliero per una cifra inferiore a quella della Mouette», osservò David. «No. Duncan Alexander mi è nemico. Posso ottenere il contratto soltanto se lo rendo così vantaggioso da non lasciargli scelta. Se rifiuta la mia offerta del contratto dei Lloyd's lo trascinerò davanti al comitato dei Lloyd's e agli azionisti della Christy. Farò un cappio con le sue budella e glielo metterò al collo. Sarà obbligato ad accordarsi con me. Invece, se gli avessi proposto il noleggio giornaliero a due o tremila dollari in meno...» Nick s'interruppe e fece per prendere la scatola di sigari sull'angolo dello scrittoio, ma ritrasse la mano e si girò, udendo bussare pesantemente alla porta. «Avanti!» La tuta di Vin Baker era di un blu immacolato, ma la benda che gli fasciava la testa era macchiata di grasso di macchina. Aveva ricuperato la spavalderia che Nick gli aveva fatto sputare sbatacchiandolo contro le vetrate della sala macchine. «Gesù!» disse. «Ho sentito che sta dando i numeri. Ho saputo che è saltato in mare... e quando l'hanno ripescata, lei si è messo in mente di ricuperare con il contratto dei Lloyd's un bombardiere che precipita in picchiata su capo Alarm.» «Le darei una spiegazione», dichiarò solennemente Nick, «ma purtroppo non conosco abbastanza parolacce.» Il direttore di macchina sogghignò, e Nick aggiunse subito: «Non gioco con i miei gettoni, mi creda. Non ho più niente da perdere». «Questi si chiamano affari», convenne l'australiano, e prese uno dei preziosi sigari di Nick. «La sua parte del dodici e mezzo per cento del noleggio giornaliero è noccioline e marmellata», continuò Nick. «Verissimo», convenne Vin Baker, armeggiando con i gomiti per tirarsi su i calzoni. «Ma se disincagliamo la Golden Adventurer, se riusciamo a tapparla e a pompar fuori l'acqua, e se riusciamo a tenerla a galla per tremila miglia, ci saranno un paio di milioncini... ciò che significa bistecca con patate.» «Se ne intende, lei», grugnì Vin Baker. «Per essere un inglese, comincia a farsi capire.» Lo disse con riluttanza, come se nutrisse ancora qualche dubbio. «Adesso», continuò Nick, «voglio sapere i suoi piani per rimettere in funzione le pompe della Golden Adventurer e l'argano dell'ancora. Se la nave è sulla spiaggia, dovremo tonneggiare e non abbiamo molto tempo». «Tonneggiare» significa usare l'ancora di una nave e il suo stesso argano per aiutare il rimorchiatore a disincagliarla.
Vin Baker agitò pomposamente il sigaro. «Non si preoccupi, ci penso io.» In quel momento Trog fece capolino senza bussare. «Ho un messaggio urgente e personale per lei, comandante.» Brandì il foglietto del telex come una scala reale di picche.
Nick lo guardò un istante, poi lesse ad alta voce: «'A comandante del Warlock da Christy centrale. Sua offerta contratto standard dei Lloyd's "Niente ricupero, niente pagamento" accettata. Stop. Da ora si consideri il principale contraente per ricupero relitto Golden Adventurer.' Chiuso.» La dentatura di Nick biancheggiò in uno dei suoi rari e irresistibili sorrisi. «E così, signori, sembra che siamo ancora in affari... ma Dio sa fino a quando.» Il Warlock doppiò il promontorio, dove i tre pilastri neri di serpentino si ergevano dal mare verde, appena corrugato da onde basse che marciavano in file ordinate per andare a lambire dolcemente le scogliere. Doppiata la punta, giunsero improvvisamente in vista dell'ampia baia ghiacciata. Lo scafo abbandonato della Golden Adventurer era così maestoso, così alto, così bello che nemmeno le selvagge montagne riuscivano a immeschinirlo. Sembrava l'illustrazione di un libro di favole, una leggiadra nave di ghiaccio scintillante al sole. «É una bellezza», sussurrò il direttore di macchina. Il suo commento esprimeva il dolore che tutti loro sentivano per la grande nave ferita. Per ogni uomo sulla plancia del Warlock, una nave era un essere vivente che poteva ispirare amore e ammirazione; perfino le vecchie bagnarole suscitavano un ruvido affetto. Ma la Golden Adventurer era come una bella donna, una creatura rara e speciale. Per Nick Berg, il vincolo era ancora più forte. Quella nave era figlia della sua ispirazione. L'aveva vista prender forma sul tavolo da disegno dell'ingegnere navale, aveva visto costruire la chiglia e fasciare il nudo scheletro con lamiere d'acciaio, aveva visto la donna che un tempo era stata sua moglie pronunciare la formula di rito e quindi infrangere la bottiglia contro la prora, ridendo alla luce del sole mentre lo champagne schizzava e spumeggiava. Era la sua nave... E adesso, chi l'avrebbe mai detto, il suo destino dipendeva da lei. Distolse lo sguardo dalla Golden Adventurer e guardò La Mouette che aspettava davanti alla baia, al margine del ghiaccio. In contrasto con il piroscafo, era piccolo, tozzo e sgraziato, simile a un lottatore con tutto il peso accentrato nelle spalle. Una colonna di denso fumo nero saliva diritta verso il cielo dal suo unico fumaiolo, e lo scafo pareva dipinto dello stesso nero. Attraverso il binocolo, Nick notò l'improvviso fermento sul ponte alla vista del Warlock. Il promontorio doveva aver schermato il radar della Mouette, e
dato lo stretto silenzio radio di Nick, era probabile che Jules Levoisin si accorgesse soltanto ora della presenza del Warlock. Nick poté immaginare la costernazione dei francesi, e vide con un sogghigno che Jules Levoisin non si era nemmeno preoccupato di gettare un cavo sulla Golden Adventurer. Evidentemente si era sentito del tutto sicuro di sé, una presenza incontrastata. Secondo la legge marittima, un cavo agganciato a uno scafo conferisce certi diritti. Jules avrebbe dovuto eseguire quella formalità. «Chiamare La Mouette in chiaro», ordinò. Prese il microfono, mentre Trog annuiva. «Salut, Jules, ça va? Vecchio pancione di un pirata, non ti hanno ancora preso e impiccato?» chiese gentilmente Nick in francese. Vi fu un silenzio lungo e incredulo sul canale 16, prima che il pastoso accento francese rimbombasse nell'altoparlante. «L'ammiraglio James Bond, suppongo?» Jules ridacchiò, ma in modo poco convincente. «La tua bagnarola è una corazzata o un bordello galleggiante? Sei sempre stato un ragazzo in gamba, Nicholas, ma come mai ci hai messo tanto tempo? Dovevi arrivare prima, se volevi fregarmi.» «Tre cose mi hai insegnato, mon brave: primo, non dare niente per scontato; secondo, tenere il becco chiuso quando si è in corsa per una preda; terzo,
gettare un cavo appena si arriva. Sei venuto meno alle tue regole, Jules.» «Il cavo non significa niente. Sono arrivato.» «Anch'io sono arrivato, vecchio mio. Ma la differenza è che ho ricevuto l'incarico dalla Christy.» «Tu rigoles! Stai scherzando!» Jules sembrava sconvolto. «Non ho sentito niente!» «Non scherzo affatto», disse Nick. «Le mie attrezzature da 007 mi permettono di parlare in privato. Non ci credi? Prova a chiamare Christy centrale... e nel frattempo toglimi dai piedi quella specie di bidone. Ho da fare.» Nick rese il microfono a Trog. «Registri ogni sua comunicazione», ordinò, poi parlò a David Allen. «Dobbiamo spaccare il ghiaccio prima che stringa troppo la Golden Adventurer. Metta alla barra il pilota più esperto.» Nick sembrava diventato un altro. Non era più il tetro misantropo che tentennava su ogni decisione, che subiva ogni scacco con ira impotente. «Quando si muove, fa scintille», pensò David Allen, ascoltandolo mentre parlava al citofono della sala macchine. «Voglio potenza da entrambe le macchine, direttore. Dobbiamo spaccare il ghiaccio. Poi si metta la muta e l'elmetto, andiamo a bordo della nave per dare un'occhiata alle macchine.» Si rivolse di nuovo a David Allen. «Signor Allen, si prepari a rilevare il comando.» Era un uomo d'azione che gioisce per la fine dell'inattività. Sembrava un pugile alla campana della prima ripresa. «Dica ad Angel di servirci un pasto caldo. Con molto zucchero.» «Lo chiederò al cameriere di bordo», disse David. «In questo momento Angel è occupato. Sta giocando alla bambola con la ragazza che lei ha tirato su dall'acqua. Ci manca solo che la porti a spasso in carrozzina...» «Dica ad Angel che voglio mangiare. E bene», ringhiò Nick, girandosi per studiare il ghiaccio che ostruiva la baia. «Altrimenti scenderò in cambusa e lo prenderò a calci nel sedere.» «Probabilmente ne sarà felice», borbottò David.
Nick si voltò a guardarlo. «Quante volte ha controllato l'attrezzatura di ricupero, da quando abbiamo lasciato Città del Capo?» «Quattro.» «Faccia un altro controllo. Avviate i diesel ausiliari e fateli girare per un po', poi lasciateli raffreddare e imbracateli per il trasporto. Dovranno essere sull'Adventurer entro domani a mezzogiorno.» «Signorsì.» Prima che David uscisse, Nick gli chiese: «Qual è la pressione barometrica?» «Non lo so...» «Da adesso sino alla fine del ricupero, lei dovrà sapere in ogni momento la pressione esatta. E mi informerà immediatamente delle variazioni di un solo millibar.» «La pressione è 1018», si affrettò a riferire David consultando il barometro. «Troppo alta», disse Nick. «E c'è troppa calma. Non può durare. Tenga gli occhi bene aperti.» «Signorsì.» Trog gridò: «Christy centrale ha appena informato La Mouette che noi siamo i contraenti principali, ma Levoisin ha accettato il noleggio giornaliero per imbarcare un carico di superstiti nella baia di Shackleton e portarlo a Città del Capo. Adesso Levoisin vorrebbe parlarle ancora». «Gli dica che sono occupatissimo.» Nick non distolse l'attenzione dalla baia ostruita dal ghiaccio, poi cambiò idea. «No, gli parlerò.» Prese il microfono. «Jules?» «Non sei stato leale, Nicholas. Hai tramato alle spalle di un vecchio amico, di un uomo che ti ama come un fratello.» «Sono molto occupato. Non hai altro da dirmi?» «Temo che tu abbia commesso un errore, Nicholas. Sei pazzo ad affrontare questo ricupero con il contratto dei Lloyd's. La nave è imprigionata dal ghiaccio... e il tempo! Non hai letto il bollettino dell'isola Gough? Ti sei preso una brutta gatta da pelare, Nicholas. Da' retta a un vecchio marinaio.»
«Jules, ho ventiduemila cavalli di potenza.» «Ritengo ugualmente che tu abbia commesso uno sbaglio, Nicholas. Ti scotterai le dita... e qualcos'altro.» «Au revoir, Jules. Vieni a vedermi alla corte arbitrale.» «Continuo a credere che il tuo sia un bordello, non un rimorchiatore. Mandaci un paio di bionde e una bottiglia di vino.» «Ciao, Jules.» «Buona fortuna, mon vieux.» «Ehi, Jules... hai detto 'buona fortuna', ma significa scalogna nera. Me l'hai insegnato tu.» «Oui, lo so.» «Allora buona fortuna anche a te, Jules.» Per un minuto, Nick seguì con lo sguardo il rimorchiatore in partenza. Sculettava sulle onde, piccolo, grasso e insolente, in tutto simile al suo comandante; eppure qualcosa nella sua andatura rivelava l'abbattimento.
Nick sentì una punta di affetto per il piccolo francese. Era stato un amico e un maestro. La sua esultanza fu oscurata da un'ombra di rimorso. Ma subito la scacciò. Era stata una competizione dura ma leale, e Jules non aveva avuto scrupoli. Nick aveva imparato da un pezzo che ogni concorrente è un nemico da odiare e sconfiggere, e dopo sconfitto da disprezzare. Gli scrupoli vanno banditi: fiaccano la determinazione. Ma non riusciva a disprezzare Jules Levoisin. Il francese sarebbe ricomparso, probabilmente soffiandogli il prossimo lavoro sotto il naso, e comunque aveva stipulato un lucroso contratto per raccogliere i superstiti nella baia di Shackleton. Con il compenso avrebbe ricuperato il costo della lunga corsa verso sud, e gli sarebbe avanzata una bella sommetta. Il problema di Nick era molto più complesso. Scacciò di mente Jules Levoisin, girandosi prima che il rimorchiatore francese avesse doppiato il promontorio, e studiò la baia ostruita dal ghiaccio con gli occhi socchiusi e un crescente senso di apprensione. Jules aveva ragione, era proprio una brutta gatta da pelare. La marea che aveva spinto la Golden Adventurer sulla spiaggia si era ritirata, lasciando la nave profondamente arenata. Inoltre le onde avevano spostato lo scafo, cosicché il piroscafo non formava un angolo retto con la spiaggia. Il Warlock non avrebbe potuto tirarlo diritto in mare, avrebbe dovuto trascinarlo per traverso. Nick lo vide con chiarezza, ora che si stavano avvicinando. Quando furono ancora più vicini, vide che il greve scafo di acciaio, appesantito dall'acqua, era sprofondato nella ghiaia cedevole. Poi guardò il ghiaccio. Non erano lastroni piatti, bensì grossi blocchi, frammenti di iceberg disgregati dalle intemperie che il vento aveva soffiato nella baia come un cane pastore che sospinga il gregge. Il gelo aveva saldato i ghiacci in un'unica massa, che come una mostruosa piovra, protendeva tentacoli scintillanti verso la poppa dell'Adventurer. Non si era ancora solidificata del tutto, e la prora del Warlock era corazzata in previsione di simili eventualità, ma Nick aveva troppa esperienza per sottovalutare la durezza del ghiaccio. «Il ghiaccio bianco è ghiaccio morbido», diceva un vecchio adagio, ma nella massa c'erano gibbosità verdi e striate ognuna delle quali avrebbe potuto sfondare lo scafo del Warlock. Sarebbe stata bella dover lanciare un S.O.S. a Jules Levoisin. Nick si volse con calma al timoniere. «Cinque gradi a dritta... barra a mezzanave.» Allineò il Warlock con una frattura nella banchisa. Era essenziale affrontare il ghiaccio ad angolo retto per fenderlo con il tagliamare. Un urto di striscio avrebbe fatto deviare la prora, esponendo il vulnerabile scafo al ghiaccio affilato come un rasoio. «Sala macchine, tenersi pronti», avvisò. Il Warlock navigò verso il ghiaccio alla velocità di dieci nodi, e Nick previde al secondo il momento dell'impatto. Quando furono a mezza lunghezza dalla banchisa, diede un ordine tempestivo. «Pari indietro mezza.» Il Warlock rallentò, avvicinandosi al ghiaccio mentre decelerava, con un
ruggito stridente che parve squassare la nave. La prora s'impennò sopra la
banchisa. Con un lacerante scricchiolio, enormi lastre di ghiaccio si rizzarono in verticale per poi piombare fragorosamente. «Pari indietro tutta.» Le grandi eliche gemelle cambiarono passo e l'acqua ribollì tra i frammenti di ghiaccio spezzato, allontanandoli, mentre il Warlock retrocedeva nello specchio sgombro e Nick lo rimetteva in linea. «Avanti tutta pari.» Il Warlock caricò come un ariete, rallentando all'ultimo momento, e ancora i lastroni di ghiaccio si spezzarono strisciando lungo la carena del rimorchiatore. Nick impresse alla poppa un movimento verso dritta, poi verso sinistra, servendosi destramente delle eliche gemelle per spazzar via i frammenti di ghiaccio. Poi fece retrocedere il Warlock e lo allineò di nuovo. Cozzando e frantumando il Warlock s'inoltrò nella baia, disegnando una ragnatela di crepe sulla superficie del ghiaccio circostante. David Allen irruppe in plancia con il fiato mozzo. «Attrezzature controllate e pronte, comandante.» «Rilevi il comando», disse Nick. «Ormai il ghiaccio è spezzato... basta tenerlo in movimento.» Avrebbe voluto avvisarlo che le grosse eliche a passo variabile erano la parte più vulnerabile del Warlock, ma adesso si fidava pienamente del suo secondo. Così si limitò ad aggiungere: «Io scendo a mettermi la muta». Vin Baker era nella sala a poppa. Aveva quasi finito di mangiare e Angel incombeva su di lui; ma mentre Nick scendeva la scaletta, il cuoco sollevò il tovagliolo da un altro vassoio fumante. «Squisito», disse Nick, sebbene stentasse a deglutire. I nervi del suo stomaco erano troppo aggrovigliati. Eppure il cibo è una delle migliori difese contro il freddo. «Samantha desidera parlarle, comandante.» «Samantha? E chi diavolo sarebbe?» t «La ragazza. Vuole ringraziarla.» «Usa il cervello, Angel. Non vedi che ho altro per la testa?» Nick stava già indossando la muta di gomma da sommozzatore sopra una maglia di lana. Gli occorse l'aiuto di un marinaio per infilarsela. Mentre si allacciava il doppio gancio, aveva già dimenticato la ragazza. Poi, sopra i calzettoni e gli stivali a tenuta stagna, indossò un'altra muta di poliuretano. Lui e Vin Baker sembravano una coppia di uomini Michelin. I marinai li aiutarono a infilarsi gli elmetti muniti di microfoni radio incorporati e valvole per l'aria. «Tutto bene, capo?» chiese Nick. La voce di Vin Baker gracchiò troppo forte negli auricolari. «Pronto per il ballo.» Nick regolò il volume e si caricò sulle spalle l'apparato di respirazione. Non sarebbero scesi a più di dieci metri, così aveva preferito usare l'ossigeno invece delle ingombranti bombole di aria compressa. «Andiamo», disse, e si diresse barcollando verso la scaletta. ^ Lo Zodiac fu calato in mare con quattro uomini: i due sommozzatori e due marinai adibiti al governo del gommone. Vin Baker spinse da parte uno di loro e avviò personalmente il motore fuoribordo. «Forza, bellezza», ordinò, e il grosso Johnson Seahorse rombò al primo strappo.
Procedettero cautamente fra i ghiacci in un canale sgombro. I due marinai respingevano con un palo i frammenti appuntiti che avrebbero lacerato il tessuto dello Zodiac. La voce di David Allen risuonò all'improvviso negli auricolari di Nick. «Comandante, parla il primo ufficiale. La pressione è 1021. Sembra che voglia sfondare il cielo.» Si stavano preparando guai. Tutto ciò che sale, prima o poi scende... e più la pressione saliva, più in basso sarebbe caduta. «Ha sentito l'ultimo bollettino dell'isola Gough?» «Pressione caduta a 1005. Il vento soffia a trentacinque nodi da 320°.»
«Benone», disse Nick. «Sta arrivando una burrasca in piena regola.» Attraverso la visiera del suo elmetto guardò il sole pallido. Non sfolgorava abbastanza per ferire l'occhio, ed era circondato da un'aureola dorata come le teste dei santi nei dipinti medievali. «Non possiamo avvicinarci di più, comandante», avvertì Vin Baker, mettendo il motore in folle. Lo Zodiac abbrivò dolcemente in una piccola pozza nella banchisa, a cinquanta metri dalla poppa della Golden Adventurer. Una solida coltre di ghiaccio li separava dalla nave, e Nick la studiò con cura. Non voleva far accostare il Warlock prima di dare un'occhiata al fondale. Voleva sapere in quale profondità avrebbe dovuto manovrare, se c'erano spuntoni nascosti e rocce frastagliate che avrebbero lacerato la chiglia del Warlock, oppure un fondale piatto. Voleva sapere il grado di pendenza del fondo e se questo offriva buona presa alle ancore ma, più di tutto, voleva ispezionare i danni sotto la linea di galleggiamento della Golden Adventurer. «É pronto, capo?» domandò. Vin Baker sogghignò dietro il visore. «Ehi, mi sono ricordato una cosa... La mia mammina mi ha raccomandato di non bagnarmi i piedi. Io torno a casa.» Nick sapeva come doveva sentirsi. Fra loro e l'Adventurer si stendeva una spessa coltre di ghiaccio: dovevano immergersi e nuotarvi sotto. Chissà quali correnti fluivano là sotto e com'erano le condizioni di visibilità. Un uomo in difficoltà non poteva affiorare immediatamente, sarebbe dovuto tornare verso l'acqua libera. Con i muscoli del ventre contratti per qualcosa di simile a un attacco di claustrofobia, Nick ispezionò rapidamente l'attrezzatura d'immersione, aprì la valvola della bombola d'ossigeno per gonfiare la sacca respiratoria, controllò la bussola e il Rolex Oyster al suo polso e agganciò la fune guida allo Zodiac: l'avrebbe seguita per tornare, come Teseo nel labirinto del Minotauro. «Andiamo», disse, e si tuffò di schiena. Il freddo penetrò quasi all'istante i molteplici strati di gomma, lana e poliuretano. Nick attese che il direttore di macchina scendesse accanto a lui in una nube di vorticose bollicine d'argento. «Dio buono!» La voce di Baker era distorta dagli auricolari. «Fa un freddo tale che si creperebbero i coglioni a una statua di marmo.» Srotolandosi la funicella alle spalle, Nick scese nel caliginoso abisso verde, cercando il fondo. Finalmente lo intravide: era formato di grossa rena
e ciottoli. Sbirciò l'indicatore di profondità - quasi undici metri - e nuotò verso la spiaggia. La luce che scendeva dall'alto, filtrata dal ghiaccio, era verde e spettrale, e Nick si sentì preso da un irragionevole panico. Cercò d'ignorarlo e di concentrarsi sul suo compito, ma il panico covava, pronto a divampare. Una forte corrente fluiva sotto il ghiaccio in direzione contraria alla loro, rimuovendo i sedimenti e così riducendo ulteriormente la visibilità. A un tratto si videro davanti la carena della Golden Adventurer. Le eliche gemelle brillavano come gigantesche ali di bronzo nella penombra. Giunsero a un metro dallo scafo e nuotarono lentamente lungo di esso. Era come volare vicino alla parete di un alto palazzo, una parete d'acciaio imbullonato... solo che questa parete si muoveva. La poppa della Golden Adventurer oscillava al flusso della risacca, battendo sul fondale come un colossale martello. Nick capì che la nave si stava scavando una fossa in cui si sarebbe incuneata sempre più a fondo. La sua impresa diventava più ardua col passare delle ore. Si diede una spinta con le pinne, superando Vin Baker. Sapeva con precisione dove individuare il danno; Reilly l'aveva riferito a Christy centrale in ogni particolare. Pareva che una mostruosa scure avesse colpito orizzontalmente lo scafo, praticandovi un taglio netto di forma oblunga. Il metallo circostante era stato piegato all'interno e la vernice scrostata, cosicché l'acciaio brillava come se qualcuno lo avesse lucidato. La falla era lunga cinque metri. Nel suo punto più ampio, le labbra
distavano circa un metro. La falla respirava come una bocca, perché irrompendo nella breccia, la risacca accresceva la pressione dell'acqua all'interno dello scafo; e quando l'onda rifluiva, l'acqua compressa veniva espulsa dalla pressione interna. «É un buco netto», gracidò la voce di Vin Baker. «Ma troppo lungo per riempirlo di cemento.» Aveva ragione, Nick l'aveva visto subito. Il cemento liquido non avrebbe tappato uno squarcio simile; e comunque non c'era il tempo di usarlo, con la burrasca in arrivo. Un'idea cominciava a formarsi nella sua mente. «Vado dentro.» Nick prese la decisione ad alta voce. Il direttore di macchina rimase in incredulo silenzio per qualche secondo, poi cercò di dissimulare l'apprensione dicendo: «Guardi, amico, ogni volta che sono entrato in un buco del genere mi sono trovato nei guai. Mi ricorda la mia prima moglie...» «Lei resti qui», l'interruppe Nick. «Se non torno fra cinque minuti...» «Vengo anch'io», replicò Vin Baker. «Voglio dare un'occhiata alla sala macchine. Tanto vale che la veda adesso.» Nick preferì non discutere. «Entro per primo», annunciò, dandogli un colpetto sulla spalla. «Stia a vedere e poi faccia come me.» Si scostò di un metro dallo squarcio, remigando con le pinne per mantenersi in posizione. Vide il turbine d'acqua irrompere nell'apertura e rifluire in un'eruzione di
bolle d'argento. Poi, mentre la bocca iniziava un nuovo respiro, si slanciò avanti. La corrente lo colse e Nick fu scagliato verso l'apertura. Ebbe appena il tempo di abbassare la testa protetta dall'elmetto e di incrociare le braccia sulla fragile sacca respiratoria. Uno spuntone d'acciaio gli graffiò una gamba. Non provò dolore, ma quasi subito sentì l'acqua filtrare dallo strappo nella muta. Il freddo lo bruciava come una lama rovente, ma varcò la breccia e si trovò nelle tenebre dello scafo, scagliato in mezzo a un groviglio di tubi d'acciaio. Si aggrappò a qualcosa con una mano e brancolò per accendere la lanterna subacquea appesa alla cintura. «Tutto bene?» La voce del direttore di macchina gli risuonò negli auricolari. «Benissimo.» La lanterna di Vin Baker spandeva un chiarore spettrale nelle acque nere. «Sbrighiamoci», disse Nick. «Ho uno strappo nella muta.» Entrambi sapevano esattamente che cosa fare e dove andare. Vin Baker nuotò rapidamente verso i portelli a tenuta stagna e controllò le guarnizioni. Lavorava nel buio, in una sala macchine del tutto sconosciuta, ma trovò immediatamente le pompe e ispezionò le valvole; poi emerse in superficie, procedendo a tastoni fra gli enormi blocchi delle macchine principali. Nick lo aveva preceduto. La sala macchine era allagata fin quasi al ponte superiore. La superficie era uno strato maleodorante di olio e nafta, in cui fluttuava una massa disordinata di oggetti per la maggior parte indefinibili, ma nell'alone della lanterna, Nick distinse uno stivale di gomma e un barattolo d'olio che gli galleggiavano vicino alla testa. La spessa poltiglia saliva, scendeva e ondeggiava sotto la spinta della corrente che irrompeva dalla falla. Le lenti delle lanterne, sporche d'untume, proiettavano ombre grottesche nei recessi cavernosi; ma Nick riuscì a distinguere il ponte sovrastante e il buco nero del pozzo d'aerazione. Ripulì il visore dell'elmetto, vide ciò che voleva vedere e sentì il freddo risalirgli lungo la gamba. Chiese bruscamente: «Ha finito, capo?» «Sì, leviamoci di torno.» Ci fu un momento di panico quando Nick temette di aver perso la funicella che lo avrebbe guidato all'apertura; ma si era solo attorcigliata attorno a un tubo. La liberò e scese con il suo compagno verso la luce tenue che filtrava
dallo squarcio. Scelse il momento con cura: l'uscita era ancora più pericolosa dell'entrata. Il ghiaccio aveva piegato il metallo verso l'interno, e le protuberanze aguzze sembravano i petali di un girasole... o i denti di un pescecane. Sfruttò il riflusso dell'acqua e fu sparato fuori senza neppure sfiorare i margini dello squarcio. Giratosi, remigò con le pinne per aspettare Vin Baker. L'australiano giunse con il riflusso successivo, ma la corrente lo aveva girato per traverso e urtò contro l'orlo frastagliato della falla. L'ossigeno eruppe in una gorgogliante nube di bollicine dalla sua sacca respiratoria squarciata dall'acciaio. Per un momento, il direttore di macchina fu celato
dalla nube argentea del gas che doveva tenerlo in vita. «Oh Dio, sono fregato», gridò, stringendo la sacca vuota, mentre affondava nell'abisso verde a causa della mutata spinta di galleggiamento: la sua cintura piombata era stata appesantita per bilanciare il galleggiamento della sacca respiratoria, e adesso lui scendeva come un aereo in picchiata. Nick afferrò la situazione in un lampo. La corrente aveva preso Baker e lo trascinava verso lo scafo, lo risucchiava sotto la chiglia martellante, dove ventiduemila tonnellate di acciaio lo avrebbero schiacciato contro la roccia. Scese a capofitto, battendo disperatamente le pinne per raggiungere il corpo che turbinava come una foglia al vento. Vide per un attimo il viso di Baker, stravolto dal terrore e dai primi spasmi di soffocamento, con l'elmetto già allagato mentre la pressione spingeva l'acqua gelida attraverso la valvola. Il microfono dell'australiano trasmise un ultimo urlo e poi fu zittito dall'acqua. «Si tolga la cintura», gridò Nick. Baker non rispose. Non poteva sentire, la sua cuffia era inservibile. Si dibatteva nella corrente, sprofondando verso una morte brutale. Nick riuscì ad afferrarlo e con tutte le sue forze tentò di nuotare verso l'alto per rallentare la discesa; ma continuarono ad affondare inesorabilmente. Nick cercò il dispositivo di sgancio della cintura di Baker, ma la sua mano era intorpidita dal freddo e impacciata dai guanti. Urtò contro la grande carena con la spalla, e sentì che venivano trascinati sotto, dove il movimento della chiglia sollevava nubi di sedimenti simili a fumo. Avvinti in un grottesco valzer, ruotarono su se stessi e Nick vide la chiglia incombere su di loro come la lama di una smisurata ghigliottina. Non era riuscito a sganciare il fermaglio dell'australiano. Aveva poche frazioni di secondo per giocare la sua ultima carta. Sganciò il proprio fermaglio e la cintura appesantita da quindici chili di piombo cadde dai suoi fianchi; ma insieme cadde anche la funicella che li avrebbe guidati allo Zodiac in attesa, perché era agganciata alla cintura. La brusca perdita di peso frenò la loro discesa, e lottando con tutta la forza delle sue gambe Nick riuscì a tenersi fuori dalla traiettoria della chiglia che piombava sul fondo. A tre metri da loro, l'acciaio percosse la pietra con un tonfo che risuonò ai suoi timpani come un colpo di gong; ma ormai stringeva saldamente l'australiano, e finalmente la sua destra trovò il fermaglio della cintura. Lo sganciò, e furono alleggeriti di altri quindici chili. Cominciarono a salire lungo l'instabile scafo d'acciaio, sempre più rapidamente man mano che l'ossigeno di Nick si espandeva per il calo della pressione. Ma la loro situazione era ancora disperata: salivano verso un tetto di solido ghiaccio con velocità sufficiente a rompersi un osso o spaccarsi il cranio. Nick si vuotò i polmoni con una lunga espirazione e nello stesso tempo aprì la valvola di sfogo della sacca, disperdendo il prezioso gas nel tentativo di frenare la salita. Ma urtarono contro il ghiaccio con una violenza che li avrebbe storditi, se Nick non avesse attutito l'impatto con la spalla e il braccio proteso. Rimasero là, inchiodati al ghiaccio dalla spinta delle loro mute di gomma e del gas restante nella sacca di Nick. Con distaccato stupore, Nick vide che la parte inferiore della banchisa non era levigata, ma si corrugava in vene e protuberanze, in forme bizzarre simili a sculture astratte di vetro verde. La sbirciò per un solo istante, perché accanto a lui Baker stava annegando.
L'elmetto dell'australiano era allagato, il suo viso era purpureo, la bocca
contorta in un orribile ghigno; i suoi movimenti già si facevano spasmodici e disordinati mentre lottava per respirare. Nick capì che la precipitazione li avrebbe uccisi entrambi. Doveva agire in fretta ma razionalmente. Trattenne Baker e aprì la valvola d'ossigeno, rigonfiando la propria sacca. Con la destra, cominciò a svitare il tubo di connessione dell'elmetto di Baker. Era un'operazione lenta, troppo lenta. Gli serviva il senso del tatto, per un lavoro così delicato. Pensò: «Questo potrebbe costarmi la mano destra», e si strappò lo spesso guanto con un gesto rabbioso. Ora poté sentire... ma solo per pochi secondi, finché il freddo non gli paralizzò le dita. Riuscì a svitare il tubo di connessione e intanto si riempì i polmoni come mantici, iperventilandosi il sangue con ossigeno puro fino a sentirsi leggero e stordito. Dopo un ultimo respiro, svitò il proprio tubo di connessione. L'acqua gelida fluì dalla valvola, ma Nick piegò la testa per intrappolare l'ossigeno nella parte superiore dell'elmetto tenendo il naso e gli occhi all'asciutto; quindi avvitò il tubo all'elmetto di Baker, con le dita ormai insensibili. Si strinse il corpo di Baker al petto e diede sfogo all'ultimo ossigeno della propria bomboletta. La pressione fu appena sufficiente a espellere l'acqua dall'elmetto di Baker. Uscì dalla valvola con un sibilo, e Nick scrutò attentamente l'australiano, accostando il viso a pochi centimetri dal suo. Il direttore di macchina tossiva, singhiozzava e ansimava alla ventata di ossigeno, con gli occhi torbidi e gli occhiali di sghembo, ma finalmente Nick sentì il suo torace sollevarsi e abbassarsi. Baker stava respirando di nuovo, «meglio di me», pensò Nick; e in quel momento si accorse che, con la cintura piombata, aveva perso anche la fune guida. Ignorava dove fosse la sponda e da che parte nuotare per giungere allo Zodiac. Era completamente smarrito. Cercò disperatamente lo scafo della Golden Adventurer per orientarsi, ma non riuscì a vederlo, perso com'era nella caliginosa penombra verde, e sentì il primo spasmo dei polmoni che chiedevano aria. La paura, fin allora latente, divampò in terrore. Fu quasi sopraffatto da un desiderio suicida di percuotere con i pugni il tetto verde e gelido di quella tomba subacquea, nel tentativo di aprirsi un varco con le mani nude. Poi, un attimo prima che il panico gli oscurasse completamente la ragione, si ricordò della bussola che aveva al polso. Ma ormai la sua mente era torpida, offuscata dalla mancanza di ossigeno, e gli occorsero preziosi secondi per stabilire la sua posizione relativamente allo Zodiac. Mentre si chinava in avanti per consultare la bussola, altra acqua marina irruppe nel suo elmetto, conficcandogli aghi di gelo nelle guance e nella fronte, facendogli dolere i denti. Inalò senza rendersene conto e si sentì subito soffocare. Senza lasciare Baker, unito a lui dal sottile cordone ombelicale del manicotto di respirazione, Nick nuotò nella direzione indicata dalla bussola. Immediatamente i suoi polmoni cominciarono a contrarsi in spasmi involontari, come quelli dei bimbi appena venuti alla luce. Continuò a nuotare. Alzando un poco la testa, vide che la coltre di ghiaccio si muoveva lentamente sopra di lui; a volte, quando la corrente li tratteneva, non si
muoveva affatto, e Nick doveva ricorrere a tutta la sua forza di volontà per continuare a nuotare. Poi la corrente allentava la sua morsa e avanzavano di nuovo, ma con lentezza esasperante. Ebbe il tempo di notare, allora, la squisita bellezza del tetto di ghiaccio, meravigliosamente cesellato e scolpito... e a un tratto si rivide accanto a Chantelle, sotto la volta gotica della cattedrale di Chartres, lo sguardo rivolto in alto con deferente ammirazione. Il dolore nel suo petto si era placato, non sentiva più il disperato bisogno di respirare; ma Nick non riconosceva i sintomi del soffocamento, né riconosceva le immagini che si formavano davanti ai suoi occhi come le fantasie di una mente ormai moribonda per mancanza di ossigeno. Il viso di Chantelle era davanti a lui, con i capelli soffici, leggeri e lucenti come le ali di una farfalla, i grandi occhi scuri, le labbra tumide che promettevano amore. «Ti ho amata», pensò. «Ti ho amata tanto.»
L'immagine cambiò. Rivisse la nascita di suo figlio, udì il primo vagito mentre il corpicino penzolava dalla mano inguantata, roseo e umido. Risentì lo stupore e la gioia di quel momento. «Un uomo che annega...» Finalmente Nick tornò al presente. Capì di essere moribondo, ma il panico era passato, come il freddo e il terrore. Trasognato, continuò a fluttuare nella caligine verde. Si accorse che le sue gambe avevano smesso di muoversi; giaceva rilassato, senza sentire né respirare. Era Baker che lo sospingeva. Nick sbirciò attraverso la visiera a pochi centimetri dai suoi occhi e vide l'espressione risoluta sul viso di Baker. L'australiano inalava ossigeno puro e riacquistava le forze a ogni respiro, nuotando con determinazione. «Beauty», sussurrò Nick. L'acqua gli invase la gola, ma non sentì dolore. Un'altra immagine si formò davanti a lui, uno yacht Arrowhead con lo spinnaker rigonfio che filava agilmente sul Mediterraneo indorato dal sole, e suo figlio alla barra, con i riccioli biondi scompigliati dal vento, gli stessi occhi neri e vellutati di sua madre nel visetto abbronzato. «Non farlo andare sottovento, Pete», volle gridare Nicholas a suo figlio, ma l'immagine svanì nel buio. Per un attimo si credette svenuto, ma poi si accorse all'improvviso che il fondo di gomma nera dello Zodiac era a pochi centimetri dai suoi occhi, che mani brusche lo sollevavano e gli toglievano l'elmetto. Non era una fantasia. Appoggiato alla soffice murata dello Zodiac, sostenuto dai due marinai, Nick inalò le prime boccate di aria ghiacciata. Ma era troppo ricca per i suoi polmoni. Tossì e vomitò debolmente sul davanti della muta. ^ Nick uscì dallo sgabuzzino della doccia. Il bagno era pieno di vapore, e il suo corpo arrossato dall'acqua quasi bollente. Si avvolse l'asciugamano intorno ai fianchi ed entrò nella cabina. Baker era sprofondato nella poltroncina ai piedi della cuccetta. Indossava una tuta pulita, i suoi capelli erano ritti in ciocche bagnate intorno alla chiazza dove i punti di Angel tenevano ancora unite le labbra della ferita. La montatura dei suoi occhiali si era rotta in un punto, durante
i tremendi minuti sotto la poppa della Golden Adventurer, e lui l'aveva riparata con nastro isolante. Teneva due bicchieri in una mano e una bottiglia di liquore marrone nell'altra. Versò due dosi abbondanti nei bicchieri, mentre Nick sostava sulla soglia del bagno. L'aroma dolce e pieno rievocava le piantagioni di canna da zucchero nel Queensland settentrionale. Baker porse un bicchiere a Nick e gli mostrò l'etichetta gialla della bottiglia. «Rum Bundaberg», annunciò. «Il migliore del mondo, amico.» Probabilmente non era mai stato così espansivo in vita sua, pensò Nick, né mai più lo sarebbe stato. Fiutò il liquore color miele; ne bevve una sorsata, se lo rigirò in bocca, lo ingollò, rabbrividì come un cane che si scrolli l'acqua di dosso, esalò un sospiro e convenne: «É sempre il migliore». E avendo detto quel che ci si aspettava da lui, porse il bicchiere. «Il primo ufficiale mi ha incaricato di riferirle un messaggio», disse Baker, versando un'altra dose per entrambi. «La pressione è salita a 1035 e adesso sta scendendo come un dingo nella tana; è già calata a 1020. Fra poco scoppierà l'inferno, c'è da scommetterci!» Lo guardò sopra le lenti. «Abbiamo sprecato quasi due ore, Beauty», disse Nick. Baker sbatté le palpebre all'inusitato nomignolo, poi lo accettò con un sogghigno. «Come intende tappare lo scafo?» «Ho già messo dieci uomini al lavoro. Stanno facendo un paglietto.» Baker sbatté di nuovo le palpebre, poi scrollò la testa con aria scettica. «Questa è roba da capitano Hornblower...» «La Strega di Endor», convenne Nick. «Sicché sa leggere?»
«Non ha abbastanza pressione per spingerlo dentro», obiettò Baker. «L'aria intrappolata nella sala macchine lo soffierà via.» «Farò passare un cavo di ferro per il pozzo di ventilazione della sala macchine, poi lo farò uscire dalla falla. Fisseremo il paglietto all'esterno dello scafo e il cavo lo tratterrà al suo posto.» Baker lo fissò per cinque secondi, assimilando l'idea. Il paglietto si ottiene cucendo alla tela di una vela migliaia di fiocchetti di filaccia di canapa, finché non sembra un enorme zerbino. Quando viene premuto contro una falla, la pressione lo schiaccia nell'apertura e l'acqua gonfia la massa fibrosa fino a trasformarla in un tappo a tenuta stagna. «Potrebbe funzionare.» Beauty Baker non voleva sbilanciarsi. Nick bevve d'un fiato anche la seconda dose di rum, lasciò cadere l'asciugamano e prese i suoi indumenti dalla cuccetta. «Veda di dare energia all'Adventurer prima che arrivi la burrasca», gli suggerì gentilmente. Baker si srotolò dalla poltroncina, ficcandosi la bottiglia di Bundaberg nella tasca posteriore dei calzoni. «Stia a sentire, comandante», disse. «Tutte le sciocchezze che ho detto
sugli inglesi... be', non le prenda alla lettera.» «Non c'è pericolo», lo tranquillizzò Nick. «In effetti sono nato e cresciuto in Inghilterra, ma mio padre è americano. E così sono americano anch'io.» «Cristo!» Beauty si tirò su i calzoni con aria disgustata. «Se c'è qualcosa di peggio di un inglese è un maledetto yankee.» ^ Avendo visto che il fondale della baia era liscio e senza scogli, Nick manovrò la nave con audace e insieme delicata perizia, sotto gli occhi ammirati di David Allen. Spavaldo come un gallo da combattimento, il Warlock attaccò la spessa banchisa lungo la sponda, frantumandola in blocchi e lastre che spazzò via con le eliche. Così si creò lo spazio per lavorare presso la poppa della Golden Adventurer. La calma irreale del mare e dell'aria facilitava l'opera, sebbene la perfida corrente che fluiva sotto la poppa dell'Adventurer complicasse il trasferimento del grosso alternatore. Nick fece gettare due parabordi Yokohama sulla fiancata del Warlock. I due palloni rigonfi attutirono il contatto dell'acciaio contro l'acciaio quando Nick accostò al piroscafo arenato, mantenendo il Warlock in posizione con delicate correzioni di forza, barra e passo d'elica. Beauty Baker e la sua squadra di lavoro, infagottati nel pesante abbigliamento antartico, erano già nel cestello della gru a cavalletto del Warlock, a venti metri sopra la plancia. Quando Nick fece accostare il Warlock, calarono la scaletta d'abbordaggio e vi si avviarono in fila indiana con Beauty alla testa. Sembravano un branco di scimmie sul ramo di un albero. «Sono passati tutti», disse il terzo ufficiale a Nick, poi aggiunse: «Il barometro è sceso ancora, signore. Siamo a 1005». «Benissimo.» Nick fece scostare delicatamente il Warlock dalla poppa del piroscafo e lo mantenne alla distanza di quindici metri. Soltanto allora alzò gli occhi al cielo. Il sole di mezzanotte l'aveva tinto di un giallo sinistro, e il sole stesso era una satanica palla rosso cupo sopra le guglie del capo Alarm. Pareva che i ghiacci fossero bagnati di sangue. «É stupendo.» La ragazza gli era comparsa accanto. Con la testa gli giungeva appena alla spalla, e nella luce rossastra la sua grossa treccia rifulgeva come oro; la voce era bassa, un po' velata dalla timidezza. Quando la ragazza alzò il viso, lui vide che era giovanissima. «Sono venuta a ringraziarla», disse la ragazza con dolcezza. «É la prima occasione che ho.» Indossava indumenti maschili troppo larghi, che la facevano sembrare una bambina mascherata; sul viso senza trucco la pelle era liscia come quella d'un
frutto. La sua espressione era grave; sotto gli occhi e agli angoli della bocca erano visibili le tracce della sua terribile esperienza; si sentiva che era ancora tesa e nervosa. «Angel non mi ha lasciata venire prima», disse lei, e a un tratto sorrise.
Era il sorriso spontaneo e innocente di una bimba che non ha mai conosciuto il rifiuto. Nick fu turbato dall'intensità del proprio desiderio fisico. Sentì il cuore martellare furiosamente contro le costole. Il turbamento si trasformò in collera, perché la ragazza dimostrava non più di quattordici o quindici anni, doveva avere all'incirca l'età di suo figlio, e Nick si vergognò di quell'impulso perverso. Dai tempi di Chantelle, non aveva più sentito un'attrazione così forte e immediata per una donna. Al pensiero di Chantelle, le sue emozioni si confusero in una ridda da cui emersero con chiarezza soltanto il desiderio e l'ira. Protesse la collera come un fiammifero in una giornata ventosa; gli ridava forza. La forza di respingere il desiderio, perché sapeva di essere ancora vulnerabile e non voleva lasciarsi attirare su una rotta pericolosa da quella donna-bambina. A un tratto si accorse di essersi avvicinato alla ragazza e di averla fissata per parecchi secondi. Notò che lei sosteneva impavidamente lo sguardo e che qualcosa cominciava a muoversi nei suoi occhi, simile all'ombra di una nube sulla superficie di un laghetto verde. Non poteva affrontare il rischio di ciò che stava accadendo; e finalmente si accorse che due ufficiali di coperta li guardavano con palese curiosità. Sfogò la collera su di lei. «Signorina», disse. «Lei ha la specialità di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato.» Il tono era ancor più gelido e distaccato di quanto intendesse. Prima di girarsi, vide l'incredulità della ragazza divenire mortificazione. I suoi occhi verdi si rannuvolarono un poco. Nick s'irrigidì, fissando il castello di prua dove la squadra di Dave Allen stava aprendo la cala. La collera di Nick sbollì quasi subito, lasciando il posto al rimorso. Capì di essersi inimicato la ragazza e desiderò dirle qualche parola gentile per salvare la situazione, ma non gli venne in mente nulla. Si portò il microfono alle labbra e parlò a Baker con la radio ad alta frequenza. «Come va, capo?» Passò una decina di secondi. Nick sentiva la presenza della ragazza accanto a lui. «I generatori di emergenza sono bruciati. Ci vorranno due giorni per rimetterli in funzione. Bisognerà portare qui l'alternatore», rispose Beauty. «Siamo pronti», disse Nick. Chiamò David Allen sul ponte prodiero. «Pronto, David?» «Tutto a posto.» Nick fece nuovamente accostare il Warlock alla poppa del piroscafo, e finalmente si girò. Stranamente, adesso voleva l'approvazione della ragazza. Sorrise... ma lei era già andata via. La voce di Nick era leggermente velata, quando disse al primo ufficiale: «Vediamo di sbrigarci, primo». Il Warlock urtò la poppa dell'Adventurer, i grossi parabordi Yokohama attutirono l'urto, il verricello di prua prese a strepitare, i cavi cigolarono sulle pulegge e l'alternatore pesante quattro tonnellate emerse oscillando dal boccaporto. Era montato su un carrello perché fosse più facile maneggiarlo. I serbatoi diesel erano colmi e il grande motore già iniettato, pronto a partire. Salì rapidamente, penzolando dal paranco. Nel momento più critico, quando fu sporto oltre la prora del Warlock, dodici uomini sincronizzarono i loro sforzi. Una perfida onda sollevò il rimorchiatore e lo spinse per traverso,
mentre il fardello penzolante lo faceva inclinare; e l'alternatore sarebbe andato a fracassarsi contro la fiancata d'acciaio della nave, se Nick non avesse invertito la rotazione delle eliche scostando bruscamente il Warlock. Come l'onda fu passata, accostò di nuovo quasi a passo zero, schiacciando leggermente i parabordo della prora contro la fiancata dell'Adventurer. «Ci sa fare, accidenti!» Dave Allen seguiva la manovra di Nicholas. «É
ancora più bravo del vecchio Mac.» Mackintosh, il precedente comandante del Warlock, non aveva difettato di esperienza né di perizia; ma Nicholas Berg manovrava la nave con il tocco sensibile e istintivo di un artista del mare. David Allen scacciò il pensiero e fece un segnale all'operatore dell'argano. La gran macchina penzolante calò sulla tolda del piroscafo con la delicatezza di un gabbiano che si posa. La squadra di Baker vi balzò subito accanto, sganciando il cavo dell'argano per trascinare via la macchina sul suo carrello. Il Warlock si ritirò, e quando la squadra di Baker fu pronta, accostò ancora per scaricare un altro fardello... stavolta una pompa centrifuga ad alta velocità che si sarebbe aggiunta a quelle dell'Adventurer... se Baker fosse riuscito a rimetterle in funzione. Uscì dalla cala di prua del Warlock, seguita dieci minuti dopo dalla sua gemella. «Pompe assicurate.» Nella voce di Baker c'era una nota di trionfo, ma in quel momento un'ombra passò sulla nave, come se un avvoltoio le ruotasse sopra ad ali spiegate. Nick alzò lo sguardo, notando con la coda dell'occhio che anche gli uomini sul ponte prodiero guardavano in alto. Era una nuvola solitaria. Non sembrava più grande di un fazzoletto, veleggiava a quattro o cinquecento metri d'altezza; ma per un attimo aveva oscurato il sole, prima di proseguire verso le guglie del capo Alarm. «Abbiamo ancora tante cose da fare», pensò Nick. Aprì la porta della plancia e uscì sull'ala esterna. Non tirava un alito di vento e il freddo pareva meno pungente, sebbene a Nick bastasse un'occhiata al ghiaccio per capire che c'erano ancora trenta gradi sotto zero. Non tirava vento, ma fra poco si sarebbe scatenato il finimondo. «Signor Allen», disse Nick al microfono. «Che cosa state combinando laggiù? Crede che siamo in crociera?» La squadra di David Allen si precipitò a chiudere il boccaporto anteriore, poi corse alle cale di poppa. «Trasferisco il comando nella plancia di poppa», annunciò Nick ai suoi ufficiali di coperta. Attraversò la zona intermedia ed entrò nella seconda plancia, dove c'erano i duplicati di tutti gli apparecchi di navigazione e di controllo: una caratteristica dei rimorchiatori, in cui gran parte del lavoro si svolge sul ponte di poppa. Con le gru di poppa posarono le casse delle attrezzature di ricupero sul ponte del transatlantico: altre otto tonnellate di materiale furono caricate sulla Golden Adventurer. Poi il Warlock si scostò e David Allen chiuse nuovamente i boccaporti. Quando entrò in plancia, pestando i piedi e dandosi manate sulle spalle, rosso e ansante per il freddo, Nick gli disse subito:
«Rilevi il comando, signor Allen. Io vado a bordo dell'Adventurer». Non si sentiva di aspettare nell'incertezza mentre Baker avviava l'alternatore e le pompe. Le questioni meccaniche competevano a Baker, come quelle marinare a Nick, ma l'opera poteva durare parecchie ore, e Nick non voleva starsene con le mani in mano così a lungo Dall'alto della gru a cavalletto, Nick lasciò spaziare lo sguardo sulle acque calme e minacciose. La mezzanotte era passata da poco e il sole era un disco di metallo scarlatto, seminascosto dalle montagne. Il mare aveva preso un cupo color porpora e gli iceberg sprizzavano scintille rosso sangue. Da quell'altezza, Nick vide che una serie regolare di piccole onde si allargava sulla superficie delle acque, come le increspature prodotte da un sasso lanciato in uno stagno. Erano senza dubbio originate da una turbolenza lontana. Sentì il movimento del Warlock che rollava sulla maretta. Un'improvvisa raffica di vento gli sferzò il viso, simile al colpo d'ala di un pipistrello. La lucentezza metallica del mare fu solcata dall'unghia del vento. Si strinse sotto il mento il cappuccio del giaccone e imboccò la passerella di abbordaggio, procedendo in equilibrio sopra l'instabile castello di prua del Warlock.
Saltò sul ponte dell'Adventurer e salutò con un gesto la plancia lontana del rimorchiatore. ^ «Ho cercato di avvisarti, carina», disse gentilmente Angel, quando la ragazza entrò nel caldo umido della cambusa. Aveva notato subito l'aria avvilita di Samantha. «Ti ha trattata male, vero?» «Non dire sciocchezze.» Lei alzò il mento con aria spavalda, ma il suo sorriso fu troppo pronto e troppo smagliante. «Posso aiutarti?» «Sguscia le uova», rispose Angel. Tornò a chinarsi su dieci chili di carne bovina, con le maniche arrotolate fino ai gomiti sulle braccia pelose, stringendo un coltellaccio nel pugno enorme. Lavorarono in silenzio per una decina di minuti, prima che Samantha tornasse sull'argomento. «Volevo solamente ringraziarlo...» «É un mostro.» «Nemmeno per sogno», ribatté lei con calore. «Tutt'altro che un mostro.» «Allora è un bastardo egoista e senza cuore afflitto da megalomania.» «Come puoi parlare così?» Ora gli occhi di Samantha sprizzavano scintille. «Non è egoista. Si è tuffato in acqua per salvarmi...» Vide il sorriso sulle labbra di Angel e la luce ironica che gli brillava negli occhi. Tacque confusa e si rimise a sgusciare uova, con le ciglia aggrottate. «É abbastanza vecchio per essere tuo padre», la stuzzicò Angel. Adesso lei era arrabbiata sul serio. Una vampata di rossore fece brillare le sue lentiggini come polvere d'oro. «Dici un mucchio di stronzate, Angel.» «Santo cielo, bambina, dove hai imparato quel linguaggio?»
«Be', mi hai fatta uscire dai gangheri.» Ruppe un uovo con tanta forza che il contenuto le schizzò sui calzoni. «Oh, merda!» esclamò, fissandolo con aria di sfida. Angel le gettò uno strofinaccio e ripresero a lavorare. «Quanti anni ha?» gli domandò lei a un tratto. «Centocinquanta?» «Trentotto...» Angel rifletté un momento. «O trentanove.» «Perfetto», disse Samantha. «L'età ideale di una donna è la metà degli anni di un uomo più sette.» «Tu non ne hai ventisei, bella», le rammentò Angel. «Li avrò fra due anni», replicò lei. «Sei proprio cotta, eh? Ardi di desiderio?» «Non dire sciocchezze, Angel. Si dà il caso che abbia un debito di riconoscenza con lui... mi ha salvato la vita. Ma da qui a volerci andare a letto!» Scacciò l'idea con una sbuffata sdegnosa e una scrollata di capo. «Sono contento per te», disse Angel annuendo. «É un tipo da non fidarsi. Ha certi occhi...» «Ha dei bellissimi occhi!» ribatté lei, poi tacque bruscamente, vide il suo sogghigno e si accasciò sul bancone con un uovo spiaccicato in mano. «Oh, Angel, sei un bruto e ti odio. Come hai il coraggio di prendermi in giro?» Angel vide che stava per piangere. Parlò in tono vivace. «Prima di tutto, dovresti sapere qualcosina su di lui...» Le riepilogò la biografia di Nicholas Berg, arricchita dalla sua vivida immaginazione e dal suo caustico umorismo, insieme con un gusto quasi femminile per il pettegolezzo. Samantha lo ascoltò avidamente, con sporadiche esclamazioni di stupore. «Se sua moglie è scappata con un altro, deve aver perso la testa, non credi?» gli chiese infine. «Ogni tanto bisogna pur cambiare, cocca.» «É l'armatore della nave, allora? Non soltanto il comandante?» «Possiede la nave, la sua unità gemella e tutta la società. Un tempo lo chiamavano il Principe d'Oro. É un tipo ambizioso, non te ne sei accorta?» «No.» «Credo di sì, invece. Sei troppo donna per non notarlo. Il successo e il
potere sono gli afrodisiaci più potenti. Da che mondo è mondo, il tintinnìo dell'oro scatena gli ormoni delle ragazze.» «Questo è ingiusto, Angel. Non sapevo niente di lui. Non sapevo che fosse ricco e famoso. Il denaro non m'interessa...» «Oh, oh!» Angel scosse i riccioli, e l'orecchino scintillò. Vide che la ragazza si stava arrabbiando di nuovo. «D'accordo, bella, sto scherzando. Ma vuoi sapere che cosa ti ha attratto in lui? La sua forza, la sua aria risoluta. Il fatto che gli altri uomini gli obbediscano, lo seguano e lo temano. Hai sentito il potere. E il potere è sempre accompagnato dal successo.» «Io non...» «Sii onesta con te stessa, tesoro. Non c'entra il fatto che ti abbia salvato la vita, non c'entrano i suoi begli occhi e nemmeno il rigonfiamento nei suoi calzoni...»
«Adesso diventi volgare, Angel.» «Sei giovane e bella, non è colpa tua. Sei come una cerbiatta, tutta voglie e ritrosia, e hai appena individuato il maschio della mandria. Non è colpa tua, cara. Sei semplicemente una donna.» «Che cosa dovrei fare, Angel'» «Ci penseremo, tesoro, ma ascolta il mio consiglio: non ronzargli intorno vestita come uno spaventapasseri, non guardarlo come se fosse un dio. Guai se dovesse sbatterti contro ogni volta che si gira.» Samantha rifletté un momento. «D'accordo, Angel. Ma non voglio nemmeno sfuggirlo di proposito. Mi capisci, vero?» ^ Beauty Baker aveva preso il lavoro in pugno. L'operazione procedeva più in fretta di quanto Nick avesse osato sperare. L'alternatore era stato spinto attraverso le doppie porte fin nella sovrastruttura del ponte B, quindi assicurato a una paratia d'acciaio e avvitato al ponte stesso. «Non appena avrò l'energia, faremo un foro nel ponte e lo caleremo», spiegò Baker a Nick. «Ha già trovato i cavi della corrente?» «Useremo una derivazione dalla scatola di raccordo principale del ponte C. E nella scatola di raccordo provvisoria sceglierò...» «Ma ha trovato il circuito dell'argano anteriore e le pompe?» «Santo cielo, perché non pensa al suo battellino e non mi lascia lavorare in pace?» Sul ponte superiore, una delle squadre di Baker era già all'opera con la fiamma ossidrica. Stava aprendo un accesso al pozzo di ventilazione della sala macchine principale. La fiamma sibilava minacciosamente e scintille rosse sprizzavano dalla lamiera d'acciaio del fumaiolo, che serviva semplicemente per dare alla Golden Adventurer la linea tradizionale. Finalmente la fiamma ossidrica recise gli ultimi centimetri di lamiera. La lastra cadde nella profonda caverna, lasciando una breccia quadrata di due metri per due, che dava direttamente accesso alla sala macchine allagata, diciotto metri più in giù. Nonostante il consiglio di Baker, Nick assunse il comando della squadra intenta a guarnire i bozzelli in cui avrebbero fatto scorrere il cavo del paglietto dalla falla nella carena. Quando Nick sbirciò nuovamente il suo Rolex Oyster, vide che era passata quasi un'ora. Il sole era tramontato e il cielo verde, acceso dai fuochi dell'aurora boreale, rendeva la notte magica e misteriosa. «Va bene, capo, per adesso non possiamo fare altro. Porti la sua squadra a prua.» Gli uomini correvano sul ponte prodiero e il vento li investì. Fu una raffica urlante che li fece barcollare in cerca di appiglio; poi il vento si ruppe in una serie di raffiche mentre Nick dirigeva le operazioni presso i due enormi argani delle ancore. Il mare cominciava a martellare la banchisa, facendola stridere e ringhiare. Bisognava distendere le ancore gemelle dell'Adventurer; due uomini
assicurarono la maniglia di una pesante catena alla cicala di ciascuna ancora. Adesso il Warlock poteva portarle verso il mare aperto. Quando le catene fossero giunte al massimo della tensione, il Warlock avrebbe dato fondo alle due ancore: le patte avrebbero immediatamente fatto presa, e così ancorata l'Adventurer avrebbe resistito anche agli sforzi di un vento forza dodici che avesse cercato di spingerla verso riva. Poi, quando le macchine della nave fossero state rimesse in funzione, gli argani delle ancore sarebbero stati usati per tonneggiare, in modo che la Golden Adventurer si disincagliasse con i suoi stessi mezzi. Nick faceva molto conto sulla forza dei colossali argani in aggiunta alle macchine del Warlock; da solo il Warlock forse non ce l'avrebbe fatta, l'Adventurer era imprigionata troppo saldamente. Fu una fatica improba, perché avevano a che fare con l'enorme peso delle catene d'acciaio e delle maniglie. Soltanto la maniglia che univa la catena alla cicala dell'ancora pesava centocinquanta chili, e sei uomini lavoravano al paranco che la manovrava. Quando ebbe finito, il vento soffiava a forza sei e fischiava fra le sovrastrutture. Gli uomini erano stanchi, irascibili e intirizziti. Nick li condusse al riparo della sovrastruttura principale. Gli pareva che i suoi stivali fossero fatti di piombo, e i suoi polmoni bramavano il fumo di un buon sigaro. Pensò di sfuggita che non dormiva da oltre cinquanta ore... ossia da quando aveva salvato la ragazzina. Scacciò subito il pensiero, perché lo distraeva dai suoi propositi. Mentre entrava nel salone principale del piroscafo, gelido ma protetto dal vento, cavò l'astuccio dei sigari. Si fermò di colpo e batté le palpebre per lo stupore: all'improvviso la nave si era illuminata sfarzosamente. Brillavano tanto le luci dei ponti che le luci interne, cosicché la Golden Adventurer fu pervasa da un'atmosfera festosa. Nick udì la musica uscire dagli altoparlanti del ponte superiore, mentre l'impianto di radiodiffusione tornava a funzionare. Era la voce di Donna Summer, cristallina e squillante, ma quanto mai incongrua in quel luogo e in quelle circostanze. «Abbiamo l'elettricità!» Con un grido di gioia, Nick attraversò di corsa il ponte B. Accanto all'alternatore ruggente, Beauty Baker sorrideva trionfante. «Che cosa gliene pare?» domandò. Nick gli diede una manata sulla spalla. «Complimenti, Beauty.» Prese uno dei suoi preziosi sigari e lo ficcò fra le labbra di Baker; poi fece scattare l'accendino. Entrambi fumarono per una ventina di secondi in amichevole silenzio. «Bene», disse infine Nick. «Le pompe e gli argani, adesso.» «Le due pompe portatili d'emergenza sono già pronte. Fra poco controllerò le pompe principali della nave.» «Così non resta che sistemare il paglietto nella falla.» «Questo spetta a lei», ribatté Baker. «Stavolta in acqua non ci vengo. Ho perfino smesso di fare il bagno.» «Non ha notato che mi tengo sopravvento?» celiò Nick. «Ma qualcuno deve pur scendere per far passare il cavo.» «Perché non manda Angel'» chiese Baker con un sogghigno. «Mi scusi, ma io ho da fare.» Fissò la punta del sigaro. «Quando avremo disincagliato questo accidente, spero che potrà permettersi dei sigari migliori.»
Sparì nelle viscere della nave, lasciando Nick con il solo compito che lo preoccupava sul serio. Qualcuno doveva scendere nella sala macchine. Poteva cercare un volontario, naturalmente; ma un'altra delle sue regole era non chiedere agli altri quello che si può fare da soli. «Posso affidare a David il controllo dell'ancoraggio, ma non incaricare qualcun altro di inserire il paglietto nella falla.» Ora lo sapeva. Avrebbe dovuto affrontare di nuovo il gelo, il buio e il pericolo della sala macchine allagata. L'ancoraggio disposto da David teneva a meraviglia, anche ora che il mare ingrossava sotto la spinta di un vento sempre più gagliardo. David si era dimostrato degno della fiducia di Nick, portando al largo con
perizia le ancore gemelle della Golden Adventurer e quindi dando fondo con le catene tese, all'angolazione migliore per far presa. Baker aveva installato e controllato le due grandi centrifughe e rimesso in funzione due pompe del piroscafo che le paratie stagne avevano protetto dall'acqua. Adesso era pronto ad avviare quel considerevole apparato di pompe. Calcolava che, se Nick fosse riuscito a tappare la falla nella carena, avrebbe svuotato lo scafo del piroscafo in meno di quattro ore. Nick aveva nuovamente indossato la muta d'immersione, ma stavolta s'era munito di una bombola Drager; con le sacche respiratorie a ossigeno aveva chiuso per sempre. Prima di immergersi, sostò sul ponte con l'elmetto sotto il braccio. Il vento strappava lembi di spuma dalle creste delle onde; il cielo greve di tempestose nuvole grigie aveva oscurato il sole nascente, celando le guglie del capo Alarm. Era un'alba gelida e buia, che prometteva una giornata anche peggiore. Nick gettò un'occhiata al Warlock. David Allen lo teneva abilmente in posizione. La squadra di Nick era pronta, raggruppata intorno alla breccia appena praticata nel fumaiolo dell'Adventurer. S'infilò l'elmetto e controllò la radio, mentre i suoi aiutanti serravano i fermagli e avvitavano i tubi per la respirazione. «Warlock, mi sentite?» La voce di Allen rispose immediatamente. Il primo ufficiale confermò che erano pronti, poi aggiunse: «Il barometro è precipitato, comandante. É a 996 e scende ancora. Il vento soffia a forza sei con raffiche di forza sette. Sembra che si stia scatenando una bufera». «Grazie, David», scherzò Nick. «Sono notizie che consolano il cuore.» I marinai lo aiutarono a sedersi nella braga; lui controllò per l'ultima volta l'attrezzatura d'immersione, poi fece cenno che lo calassero. L'interno della sala macchine non era più buio, perché Baker aveva situato dei riflettori nel pozzo di ventilazione, ma l'acqua era nera d'olio di macchina, e si agitava furiosamente avanti e indietro come un mostro in preda al panico che cerchi di fuggire dalla sua gabbia d'acciaio. Le onde spinte dal vento s'infrangevano contro la fiancata della Golden Adventurer e penetravano attraverso la falla, formando nuove onde e correnti che balzavano a lambire le paratie d'acciaio. «Piano», disse Nick nel microfono. «Ferma!»
La sua discesa fu arrestata tre metri sopra la macchina principale di dritta. Il moto ondoso la spazzava come se fosse un banco corallino, coprendola completamente un istante per rivelarla l'istante dopo. L'impeto dell'acqua poteva scagliare un uomo contro la macchina con tale forza da fracassargli le ossa. «Fate scendere il bozzello principale», ordinò. L'enorme bozzello d'acciaio emerse dall'ombra e penzolò alla luce dei riflettori. «Ferma.» Nick cominciò a mettere il bozzello in posizione. «Ancora mezzo metro. Ferma!» Immerso fino alla cintola nell'acqua turbolenta e oleosa, lottò per inserire il perno e assicurare il bozzello a una delle armature dello scafo. Ogni pochi minuti, un flusso d'acqua più violento gli copriva la testa, costringendolo a cercare un appiglio, finché l'acqua non calava di nuovo e la finestrella dell'elmetto si schiariva abbastanza da permettergli di lavorare. Dopo quaranta minuti, dovette farsi tirar su e riposare. Sedette il più vicino possibile all'alternatore in funzione, crogiolandosi al calore emanato dalla macchina e bevendo il caffè che Angel gli aveva portato nel thermos. Gli sembrava di essere un pugile nell'intervallo fra una ripresa e l'altra: gli doleva il corpo, i muscoli erano logorati dallo sforzo di lottare contro la fetida emulsione di acqua e olio, i fianchi e il petto erano contusi dagli urti contro gli spigoli dei macchinari sommersi. Ma venti minuti dopo si alzò. «Andiamo», disse, e si rimise l'elmetto. La pausa gli aveva permesso di riflettere sui problemi che lo aspettavano. Ora gli parve di lavorare più in fretta, sebbene nell'infernale caverna
risonante avesse perso il senso del tempo. Quando fu pronto a far uscire il cavo messaggero dalla falla, non sapeva nemmeno se fosse giorno o notte. «Mandatelo giù», ordinò nel microfono. Il rotolo scese, oscillando e roteando sotto i riflettori al movimento della nave, proiettando ombre grottesche nei recessi della sala macchine. Il cavo era fatto di dacron strettamente intrecciato, elastico e robusto in rapporto alla sua sottigliezza e leggerezza. Un capo era assicurato al ponte, e Nick lo passò con cura nei bozzelli, affinché potesse scorrere liberamente. Poi si agganciò il rotolo alla cintola, svolgendosi il cavo sul fianco in modo che non s'impigliasse quando sarebbe passato attraverso la falla. Era esausto, e considerò l'idea d'interrompere il lavoro per riposare ancora un poco; ma il movimento del mare e dello scafo lo dissuase dal perdere tempo. Fra un'ora l'operazione sarebbe stata impossibile; bisognava andare subito. Fece appello alle sue ultime riserve di energia... e si stupì di trovarle, perché il gelo dell'acqua gli era penetrato fin nell'anima, appannandogli i sensi e appesantendogli le ossa. Fuori doveva esser giorno, perché un po' di luce fluiva dalla breccia nello scafo, una luce oscurata dalla fanghiglia oleosa che copriva l'acqua. Si aggrappò a una ringhiera della sala macchine, con la testa a due metri dalla falla, respirando con il ritmo lento e regolare del sommozzatore esperto, sballottato dal flusso e riflusso nello scafo. Cercò d'individuare una qualsiasi regola nell'azione dell'acqua, ma il movimento sembrava del tutto casuale: una gorgogliante inspirazione era seguita da tre o quattro
deboli deflussi, poi da tre sbuffi così violenti che avrebbero scagliato un uomo diritto contro il mortale bordo frastagliato dello squarcio. Doveva affidarsi a un'onda di media forza, abbastanza potente da portarlo con dolcezza attraverso la falla, ma senza il pericoloso impeto delle onde maggiori. «Sono pronto, David», disse nell'elmetto. «Mi confermi che il battello mi aspetta vicino allo scafo.» «Siamo tutti pronti.» La voce di David Allen era tesa. «Vado», annunciò Nick.
Era arrivata la sua onda. Inutile indugiare ancora. Controllò il rotolo agganciato alla cintura, assicurandosi che il cavo scorresse senza intoppi. Vide che la falla risucchiava acqua verde e chiara, piena di bollicine argentee, piccoli brillanti che volarono presso la sua testa ad avvisarlo della tremenda potenza dell'onda. Il flusso rallentò fino a cessare, mentre lo scafo si riempiva al massimo della capacità accumulando un'enorme pressione di aria e di acqua; poi, con il ritirarsi dell'onda esterna, iniziò bruscamente il deflusso e l'acqua intrappolata ricominciò a uscire. Nick allentò la presa sulla ringhiera e l'acqua lo trascinò subito con sé. In quella corsa turbinosa, nuotare era fuori questione, Nick poté solamente tenere le braccia aderenti ai fianchi e le gambe unite per affilare la propria sagoma, cercando di dirigersi con le pinne. La velocità a cui l'acqua lo trascinava lo riempì di sgomento. Mentre veniva scagliato a capofitto verso la bocca d'acciaio, sentiva la fune scorrergli contro la gamba e il rotolo appeso alla sua cintola frullare vorticosamente, come se un pesce gigantesco fosse uncinato all'altro capo. La forza dell'accelerazione gli compresse le viscere, poi un buffetto della corrente gli impresse un movimento rotatorio e Nick si dibatté disperatamente per ritrovare l'assetto. In quel momento urtò. La violenza del colpo lo accecò per un istante. Aveva urtato con le spalle, ed ebbe l'impressione che l'acciaio, affilato come un rasoio, gli avesse mozzato il braccio sinistro. Poi si trovò a girare su se stesso, perdendo la nozione dell'alto e del basso. Non sapeva nemmeno se era ancora nell'interno della Golden Adventurer e il cavo di nylon gli si stava avvolgendo intorno al petto e alla gola, intorno
ai preziosi tubi dell'aria, privandolo della sua riserva d'ossigeno come un feto strangolato dal suo stesso cordone ombelicale. Urtò nuovamente, stavolta con la parte posteriore della testa, e soltanto l'elmetto gli impedì di spaccarsi il cranio. Protese le braccia e sentì la ruvida calotta di ghiaccio. Il terrore lo colse di nuovo, e Nick cacciò un grido nella maschera; ma improvvisamente emerse alla luce e all'aria, tra i frammenti di ghiaccio frantumato misti a blocchi più grossi, uno dei quali lo aveva colpito. Su di lui torreggiava la fiancata d'acciaio della nave, che pareva
sfiorare le nubi; e mentre armeggiava per districarsi dal groviglio del cavo, capì due cose. La prima, che aveva ancora tutt'e due le braccia attaccate al corpo, sane e funzionanti, la seconda, che il battello del Warlock era a sette metri da lui e stava venendo a raccoglierlo. Il paglietto sembrava un gigantesco terrier accovacciato sulla prua del battello. Era altrettanto irsuto e informe, del medesimo colore marrone grigiastro. Nick, con un giaccone polare indossato direttamente sulla muta, si bilanciava sulla prua del battello che rollava e beccheggiava nella maretta. Blocchi di ghiaccio gli strisciavano contro, scheggiando la vernice; ma lo scafo era d'acciaio, ampio e robusto. Il timoniere sapeva il fatto suo, e pilotava destramente il battello obbedendo alle segnalazioni di Nick. Lo fece accostare alla poppa della Golden Adventurer. Il sottile cavo bianco di dacron era l'unico collegamento fisico con gli uomini sulla nave, il messaggero che avrebbe portato il cavo più pesante; ma poteva venire reciso da un'affilata lastra di ghiaccio o dai denti delle mascelle d'acciaio che si spalancavano sotto la linea di galleggiamento della nave. Nick lo filava tra le mani intirizzite, pronto a sentire il minimo strappo o sussulto che indicassero una rottura o un impedimento. Con opportune segnalazioni al timoniere, mantenne il battello in posizione affinché il cavo corresse diritto nella falla, quindi nei bozzelli che aveva sistemato con tanta fatica nella sala macchine, e da là nel pozzo di aerazione, per passare attraverso l'apertura quadrata nel fumaiolo e finalmente avvolgersi intorno all'argano, accanto al quale Baker osservava il ricupero del messaggero. Il vento non dava requie, cosicché Nick dovette chinarsi per proteggere la piccola ricetrasmittente. La voce di Baker giunse nitida e sottile tra le raffiche sibilanti. «Il cavo messaggero scorre liberamente.» «Bene, ora srotoliamo l'altro», disse Nick. Spesso come il dito indice di un uomo, il cavo d'acciaio era un gioiello dell'industria scandinava. Nick controllò la giunzione fra i due cavi; quello di dacron era abbastanza robusto da reggere il peso dell'acciaio, ma la giunzione era il punto debole. Fece un cenno all'equipaggio e gli uomini lo lasciarono scorrere oltre il bordo; il nero cavo d'acciaio cominciò a svolgersi dal rullo. Nick sentì lo strappo quando la giunzione colpì il bozzello nella sala macchine. Il cuore prese a martellargli nel petto. Se s'impigliava, era la fine: nessuno poteva penetrare nuovamente nello scafo, il mare era troppo agitato. Avrebbero perso l'ancoraggio e con esso la Golden Adventurer, che sarebbe stata fracassata dalle onde. «Dio mio, fa' che scorra», sussurrò Nick nell'ululato del vento. Il rullo si fermò, fece ancora mezzo giro e si bloccò. Da qualche parte, il cavo si era impigliato. Nick segnalò al timoniere di accostare un poco per cambiare l'angolazione della fune. Quando l'argano riprese a tirare, i suoi nervi vibrarono come corde di violino. Gli parve di udire le fibre del dacron gemere sotto la tensione. «Fa' che scorra! Fa' che scorra!» pregò. A un tratto vide che il rullo riprendeva a girare, mentre il cavo si srotolava dolcemente e fluiva nel mare.
Con enorme sollievo, udì la voce trionfante di Baker nella ricetrasmittente. «Cavo assicurato.»
«Attenzione», disse Nick. «Adesso uniamo il cavo principale.» Lo snervante procedimento fu replicato, mentre il massiccio cavo d'acciaio spesso cinque centimetri veniva tirato dal più debole battistrada. Occorsero altri quaranta preziosi minuti, con il vento e il mare sempre più minacciosi, prima che Baker urlasse: «Cavo principale assicurato. Siamo pronti a tirare il paglietto!» «Un momento», disse Nick. «Tendiamo noi il cavo. Voi aspettate.» Se il paglietto a prua si fosse impigliato nella murata del battello, Baker avrebbe tirato anche l'imbarcazione sommergendone la prua e riempiendola d'acqua. Nick fece un segnale all'equipaggio e cinque uomini vennero verso di lui, goffi e impacciati negli impermeabili gialli e gli stivaloni da lavoro. Nick li fece disporre intorno all'ispida catasta del paglietto, poi segnalò al timoniere di far marcia indietro per scostare il battello dalla fiancata della Golden Adventurer. La massa di stoppa sussultò e oscillò mentre il grosso cavo si tendeva. La spinsero per rovesciarla fuori bordo. Pesava quasi cinque tonnellate, e sarebbe stato impossibile scaricarla a braccia se non li avesse aiutati la forza del battello in retro marcia. Lentamente, fecero scivolare la massa e il battello s'inclinò sotto lo spostamento del peso. Affondava di prua ed era inclinato di venti gradi, il motore diesel urlava furibondo e l'elica rotava freneticamente' cercando di sottrarre il battello al suo ingombrante fardello. Il paglietto scivolò ancora un poco e s'impuntò contro la murata. Il battello imbarcò acqua che si raccolse sul fondo, alta fino alla caviglia, mentre gli uomini si affannavano intorno alla riluttante massa di fibra. Un istinto provvidenziale indusse Nick a guardare il mare. Il Warlock si trovava al margine della banchisa, distante un quarto di miglio; e oltre il rimorchiatore, Nick vide gonfiarsi una grande onda che alterava la linea dell'orizzonte. Era solamente l'avanguardia delle onde che il fortunale spingeva alle sue spalle, come cani all'inseguimento della preda, ma bastò a sollevare bruscamente la poppa del Warlock. L'acqua spumeggiò sulla prua del rimorchiatore e rifluì dagli ombrinali. Entro venticinque secondi, l'onda avrebbe investito il battello inclinato. L'avrebbe colto sulla fiancata mentre la prua era quasi sommersa, ancorata dal paglietto e dal cavo. E se il battello si fosse rovesciato, i cinque uomini dell'equipaggio sarebbero morti in pochi minuti, impacciati dai pesanti indumenti, intirizziti dalle acque verdi. «Baker!» urlò Nick nel microfono. «Tirate, maledizione, tirate!» Quasi all'istante il cavo cominciò a scorrere, tirato dal potente argano della Golden Adventurer. La tensione fece affondare maggiormente il battello e l'acqua irruppe sopra la murata. Nick afferrò un remo e lo ficcò sotto il paglietto, usandolo come leva. Vi si appoggiò con tutto il suo peso. «Aiutami», gridò all'uomo più vicino. Fece forza finché non gli si oscurò la vista, con i muscoli tesi allo
spasimo. Il battello continuava a imbarcare acqua. Erano immersi fin quasi al ginocchio, adesso, e l'onda si avventava verso di loro in una corsa silenziosa e irresistibile, sollevando i frammenti di ghiaccio e scagliandoli da parte come fuscelli. A un tratto il paglietto si sbloccò e la montagna di canapa scivolò in mare. Il battellino balzò via, liberato dall'insopportabile fardello, e Nick gesticolò freneticamente perché il timoniere virasse. Affrontarono l'onda con un balzo che li fece ruzzolare sul fondo del battello allagato, quindi scivolarono oltre la cresta. Alle loro spalle, l'onda investì la poppa della Golden Adventurer, impennandosi in un'esplosione d'acqua bianca e furibonda che divenne subito spuma stracciata dal vento. Il timoniere stava già dirigendo il battello fra i ghiacci, verso il Warlock in attesa. «Ferma», gli segnalò Nick. «Macchina indietro.»
Cominciò a sfilarsi il giaccone mentre tornava barcollando a poppa. Gridò in faccia al timoniere: «Scendo a dare un'occhiata». Vide un'espressione incredula, quasi implorante, dipingersi sul viso dell'uomo: avrebbe voluto togliersi di lì al più presto, rifugiarsi nella sicurezza del Warlock. Ma Nick si rimise l'elmetto e inserì il tubo per la respirazione. Il paglietto galleggiava presso la fiancata della nave, sostenuto dall'aria rimasta intrappolata sotto la massa fibrosa. Nick nuotò fin là sotto, a sei metri dal vortice creato dalla falla nello scafo. Gli bastarono pochi secondi per assicurarsi che il cavo era libero e benedisse silenziosamente Baker: fermando tempestivamente l'argano, aveva lasciato il paglietto in superficie. Adesso Nick poteva dirigere l'ultima fase dell'operazione. «Mi sembra tutto a posto», disse a Baker. «Ma tiratelo giù piano. Cinque metri al minuto sull'argano.» «Cinque metri», ripeté Baker. Lentamente, il paglietto fu tirato sotto la superficie. «Bene, tenetelo così.» Era come comprimere del cotone in una ferita aperta e sanguinante. La pressione dell'acqua schiacciò il paglietto nella falla, mentre il cavo lo attirava dall'interno tenendolo solidamente al suo posto. La ferita fu stagnata quasi all'istante. Nick nuotò cautamente sopra la falla tappata. Il terribile ciclo di risucchio e deflusso ad alta pressione era cessato. Intorno all'orlo del paglietto, Nick vide soltanto un lieve movimento dell'acqua; ma le fibre della stoppa si sarebbero gonfiate e in poche ore il tappo sarebbe divenuto ermetico. «É fatta», annunciò Nick nel microfono. «Date al cavo venti tonnellate di trazione e avviate le pompe. Bisogna svuotare questo accidente.» Il fatto che Nick definisse «accidente» una bella nave dava la misura della sua stanchezza. Ma rimpianse subito di averla chiamata così.
^ Aveva un bisogno disperato di sonno. Ogni muscolo implorava una tregua, e nello specchio del bagno gli occhi gli apparvero iniettati di sangue, irritati dalla salsedine, dal vento e dal freddo. Gli aloni che li cerchiavano erano lividi come ammaccature. Le spalle, il torace e le cosce erano coperti di escoriazioni. Le mani gli tremavano per lo sfinimento, e le gambe lo reggevano a malapena quando si diresse verso la plancia del Warlock. «Congratulazioni, comandante», disse Dave Allen. La sua ammirazione era palese. «Come va il barometro, David?» chiese Nick, cercando di celare la propria stanchezza. «994 e continua a scendere, signore.» Nick guardò la Golden Adventurer. Massiccia come un molo, resisteva alle onde che la investivano in una processione senza fine e si scrollava di dosso ogni esplosione di spuma, profondamente arenata e appesantita dall'acqua ancora nel suo ventre. Le pompe di Baker stavano però funzionando a piena forza riversando acqua dai giardinetti di dritta e di sinistra. Sembrava che fossero state aperte le cateratte di una diga, tant'era la pressione dell'acqua espulsa. L'olio e la nafta misti allo scarico formavano una sottile pellicola iridescente intorno alla nave, scurendo il ghiaccio e i ciottoli. Il vento investiva i getti di scarico delle pompe e li allargava in ventagli scintillanti, simili a enormi piume di struzzo. «Capo», chiese Nick nel microfono della ricetrasmittente, «qual è la velocità di scarico?» «Procediamo a tre milioni e mezzo di litri l'ora.» «Mi chiami non appena l'assetto della nave sarà cambiato», disse, poi osservò l'indicatore dell'anemometro sopra il pannello di controllo. Adesso il vento soffiava a forza otto, ma Nick dovette battere le palpebre doloranti per
leggere la scala. «Signor Allen», disse con la voce roca, «passeranno quattro ore prima che possiamo arrischiarci a disincagliare la nave. Ma cominci agganciare il cavo di rimorchio principale, così saremo pronti quando la nave sarà svuotata». «Signorsì.» «Usi il lanciasagole», consigliò Nick. Cercò di pensare agli altri ordini che doveva impartire, ma la gente rifiutava di obbedirgli. «Si sente bene, comandante?» domandò David sollecito, e Nick sentì immediatamente una punta d'irritazione. Non aveva mai chiesto compassione in vita sua, e ritrovò la voce immediatamente; ma non proferì le parole aspre che gli erano salite alle labbra. «Sa che cosa fare, signor Allen. Non le darò altri consigli.» Si girò come un ubriaco verso il suo alloggio. «Mi chiami quando ha finito, se Baker riferisce qualche variazione nell'assetto, o se ci sono altre novità.» Riuscì a entrare nella cabina un attimo prima che gli cedessero le ginocchia. Lasciò cadere l'accappatoio mentre crollava sulla cuccetta.
«A 60° di latitudine sud corre l'unica via marina che circonda il globo non interrotta da terre emerse. L'ampia cintura d'acqua passa a sud del capo Horn, dell'Australasia e del capo di Buona Speranza, ed è tristemente celebre come la zona più burrascosa del mondo. Là s'incontrano due enormi masse d'aria, quella gelida dell'Antartide e la più mite aria subtropicale, spinte l'una contro l'altra dalle forze centrifughe provocate dalla rotazione della terra sul suo asse. Il loro movimento è poi complicato dalla cosiddetta accelerazione di Coriolis e quando si scontrano si frantumano in turbini minori che conservano le loro caratteristiche. Continuano a turbinare, giganteschi vortici di aria, e man mano che avanzano acquistano forza e velocità. Il sistema di alte pressioni che aveva portato l'illusoria bonaccia sul capo Alarm aveva fatto balzare la pressione a 1035 millibar, mentre la depressione che lo seguiva a ruota misurava al centro appena 985 millibar. Un contrasto così violento significava che i venti lungo il gradiente delle pressioni soffiavano con una forza spaventosa. La depressione stessa aveva un diametro di quasi centocinquanta miglia e un'altezza di diecimila metri. Conteneva venti di velocità superiore a forza 12, ossia il massimo della scala Beaufort, che soffiavano a oltre 200 chilometri all'ora, ruggendo sul mare furibondo, senza trovare ostacoli sulla loro strada, a parte la barriera frastagliata del capo Alarm. Mentre Nicholas Berg, esausto, dormiva un sonno senza sogni, e Beauty Baker curava le sue macchine, spremendole al massimo della potenza per svuotare la Golden Adventurer, la tempesta li investì. ^ Samantha bussò alla porta, e non ottenendo risposta attese incerta, bilanciando il pesante vassoio contro il movimento del Warlock che rollava all'ingresso della baia. La sua incertezza non durò più di tre secondi, perché era una ragazza abituata a decidere in fretta. Tentò la maniglia, e visto che girava aprì lentamente la porta ed entrò nel salotto del comandante. «Ha ordinato da mangiare», pensò, per giustificare l'intrusione. Si chiuse la porta alle spalle e girò lo sguardo per il salotto deserto. Era arredato nello stile lussuoso dei vecchi transatlantici White Star. I pannelli erano di palissandro, le sedie e il divano di autentico cuoio di vitello, lustri e borchiati, il ponte era coperto da una spessa moquette verde. Samantha depose il vassoio sulla tavola situata sotto gli oblò di dritta e chiamò sottovoce il comandante. Non ricevendo risposta, varcò la soglia della cabina. Un accappatoio bianco giaceva a terra, e per un attimo lei temette che il corpo steso sul letto fosse nudo; ma poi vide che indossava un paio di pantaloncini di seta bianca. «Capitano Berg», bisbigliò di nuovo, abbastanza piano per non svegliarlo.
Con un gesto tipicamente femminile, raccolse l'accappatoio, lo piegò e lo depose su una sedia. Così facendo, si accostò alla cuccetta. Con un moto d'apprensione, vide le escoriazioni che spiccavano sulla pelle chiara; e l'apprensione divenne timore quando notò che Nick giaceva scomposto
come un cadavere, con le gambe penzolanti dalla cuccetta, un braccio di traverso sul petto, la testa oscillante al rollìo del Warlock. Allungò la mano e gli sfiorò una guancia, respirando di sollievo quando sentì il calore della carne. Al suo tocco, le palpebre del comandante tremolarono. Gli sollevò delicatamente le gambe ed egli rotolò su un fianco, rivelando la profonda abrasione che gli solcava la schiena e le spalle. Doveva essere medicata, pensò Samantha; ma non ora, ora il comandante aveva bisogno soprattutto di riposo. Si ritrasse e per un lungo momento si abbandonò al piacere di guardarlo. Il corpo era asciutto, con il ventre piatto e i fianchi snelli. I muscoli delle braccia, non grossi ma ben modellati, attestavano che il corpo era irrobustito dall'esercizio fisico. Ma c'era anche pesantezza, specie intorno al collo e alle spalle, e i capelli avevano le tipiche striature della maturità. Certo Nicholas Berg non era aggraziato come i ragazzi che Samantha aveva conosciuto, ma appariva più possente del più forte dei giovanotti che fino ad allora avevano popolato il suo mondo. Pensò a uno di loro, che aveva creduto di amare. Avevano passato due mesi a Tahiti nella medesima spedizione di ricerca. Avevano praticato il surf, danzato, bevuto, lavorato e dormito assieme per sessanta giorni di fila; e nello stesso periodo si erano fidanzati, avevano litigato e si erano lasciati. Stranamente, Samantha non aveva sofferto per nulla... ma quel ragazzo aveva il più bel corpo che lei avesse mai visto, abbronzato e scultoreo. Ora, guardando la figura addormentata sulla cuccetta, capì che nemmeno lui avrebbe potuto competere con il comandante in forza e determinazione. Non aveva mai conosciuto un uomo simile. Le incuteva soggezione. Non solo a causa della leggenda che lo circondava, non a causa delle imprese che Angel le aveva raccontato, non solo per la forza fisica che aveva appena dimostrato mentre tutto l'equipaggio del Warlock, e lei insieme, ascoltava avidamente l'apparecchio ad alta frequenza. Si chinò ancora su di lui e vide che, anche nel riposo, la mascella esprimeva una incrollabile determinazione. Le piccole rughe e i solchi che la vita aveva scavato in quel viso, intorno agli occhi e agli angoli della bocca, accentuavano l'effetto. Era il viso di un uomo che detta le sue condizioni alla vita. Lo voleva, Angel aveva ragione. Dio, se lo voleva! Qualcuno sosteneva che l'amore a prima vista è impossibile. Doveva essere pazzo. Prese il piumino in fondo alla cuccetta, glielo stese sopra e si chinò ancora una volta, scostandogli una ciocca di capelli dalla fronte con un gesto materno. Nick non si era destato mentre lei lo sollevava e lo copriva, e ora invece quel leggerissimo tocco lo richiamò alla soglia della coscienza. Si mosse ed esalò un sospiro, poi bisbigliò con la voce velata: «Chantelle, sei tu?» Samantha si ritrasse di scatto, assalita dalla gelosia al sentire il nome di un'altra donna. Gli girò le spalle e lo lasciò ma quando fu nel salotto si fermò nuovamente. Sul piano dello scrittoio erano sparsi alcuni oggetti personali: una molletta d'oro che stringeva banconote di varie nazioni, cinque sterline, cinquanta dollari americani, vari marchi tedeschi e franchi francesi; inoltre c'erano un Rolex Oyster d'oro, un accendino d'oro con un brillante incastonato e un portacarte di cuoio. Descrivevano chiaramente l'uomo che li possedeva.
Sentendosi una ladra, lei prese il portacarte e lo aprì. Conteneva una dozzina di tessere infilate nelle loro bustine di plastica: American Express, Diners, Bank American, Carte Blanche, Hertz N. 1, Pan American VIP e così via. Ma nella tasca opposta c'era una fotografia a colori. Tre persone: un uomo, Nicholas, con un maglione a coste, il viso abbronzato e i capelli scompigliati dal vento; un ragazzetto vestito da yachtman con i capelli ricci e lo sguardo troppo serio... e una donna. Una delle donne più
belle che Samantha avesse mai visto. Chiuse il portacarte, tornò a deporlo sullo scrittoio e lasciò la cabina in silenzio. ^ David Allen fece suonare il citofono per tre minuti nella cabina del capitano senza ricevere risposta, diede una rabbiosa manata sulla tavola delle carte e guardò il mondo esterno che sembrava impazzito. Per quasi due ore il vento aveva soffiato da nordovest a poco più di trenta nodi; e sebbene grosse onde si fossero riversate nella baia, il Warlock le aveva affrontate con disinvoltura, per quanto fosse collegato alla Golden Adventurer dal cavo di rimorchio principale. David aveva lanciato sulla poppa del piroscafo un cavo messaggero, sparando la fune di nylon con un cannoncino lanciasagole; gli uomini di Baker avevano ricuperato la fune, tirando a bordo prima il cavo battistrada e finalmente il cavo principale. Questo usciva da un occhio di cubia, sotto la plancia di poppa, dalla quale David poteva controllare ogni centimetro dello scorrimento ed eventualmente correggerlo con lievi tocchi ai comandi. Un uomo esperto poteva manovrare quel cavo come un pescatore la lenza nelle acque di un torrente, filandolo, ricuperandolo; oppure, in caso d'emergenza, poteva premere il pulsante di trancio e spezzare all'istante la flessibile fibra d'acciaio, abbandonando il rimorchio, e salvando il rimorchiatore dal pericolo di essere tirato sott'acqua o speronato dalla nave rimorchiata. Era occorsa un'ora di lavoro, ma finalmente il cavo era stato sistemato con un doppio cappio intorno alle bitte di poppa, una sul giardinetto di dritta e l'altra su quello di sinistra. Il cappio era a forma di Y e penzolava dalla poppa per unirsi alla molla di nylon, spessa tre volte una coscia umana e abbastanza elastica da assorbire uno strattone improvviso che avrebbe spezzato il rigido cavo d'acciaio. David Allen aveva portato il rimorchiatore a un centinaio di metri dalla riva, mantenendo il cavo sufficientemente teso perché non s'incurvasse fino a toccare il fondo, dove poteva impigliarsi. Teneva la posizione con lievi correzioni di passo e potenza delle eliche gemelle, controllandola sui quadranti elettronici che gli indicavano la velocità rispetto al fondo in ogni direzione, con l'approssimazione di mezzo metro al minuto. Mezz'ora prima, aveva ceduto all'impazienza: le rabbiose raffiche di vento gli dicevano che la burrasca era vicina. Aveva chiamato Baker per chiedergli come progrediva il lavoro sul piroscafo. Era stato un errore. «E mi rompi le scatole per farmi queste domande? Quando sarò pronto te lo dirò io, non preoccuparti. Se ti annoi va' a dare un bacetto ad Angel, ma lasciami in pace, per amor del cielo.» Baker stava lavorando con due uomini nella fetida gabbia d'acciaio, situata nelle viscere della poppa, che conteneva il dispositivo di comando del timone.
Il timone era bloccato a sinistra. Se non si fosse rimesso in funzione il dispositivo di guida, la nave sarebbe stata quasi ingovernabile durante l'operazione di rimorchio, specialmente se fosse stata tirata in mare di poppa. Era essenziale che la grande nave rispondesse alla barra, quando il Warlock avrebbe tentato di disincagliarla. Il vento cadde a forza quattro, una brezza sostenuta che soffiò per venti minuti, il tempo necessario perché le creste delle onde smettessero di biancheggiare. Poi, lentamente, la direzione del vento mutò e la burrasca li investì senza altro preavviso. Venne ruggendo come una fiera affamata, sollevando la superficie del mare in cortine di spuma. Pareva che un enorme ferro rovente fosse stato immerso nelle acque. Investì in pieno il Warlock. Il rimorchiatore fu scagliato in alto con tale violenza che il cavo tirò la poppa sott'acqua. David fu colto di sorpresa. Il Warlock si traversò pericolosamente prima che egli potesse avviare l'elica di sinistra e far ruotare in senso inverso quella di destra. Mentre il rimorchiatore virava, chiamò il comandante con il citofono, guardando incredulo il mondo che sembrava dissolversi intorno a lui. Il cicalino del citofono parve lontanissimo a Nick. Il ronzio penetrò a fatica nella sua mente ubriaca di stanchezza. Cercò di riscuotersi, ma gli sembrò che il suo corpo fosse oppresso da un enorme peso e la sua mente torpida come un rettile in letargo.
Il cicalino continuò a ronzare. Nick tentò di aprire gli occhi, ma le palpebre non gli obbedirono. Poi, vagamente, si accorse che il rimorchiatore era come scrollato da una mano gigantesca; il frastuono che gli riempiva le orecchie non era uno scherzo dei suoi sensi, ma il ruggito della tempesta sulle sovrastrutture della nave. Si puntellò su un gomito, sentendo fitte dolorose in tutto il corpo. Non riuscì ad aprire gli occhi, ma brancolò in cerca del ricevitore. «Comandante sulla plancia di poppa!» Qualcosa, nella voce di David Allen, lo indusse ad alzarsi. Quando entrò barcollando nella plancia, il primo ufficiale si girò a guardarlo con gratitudine. «Grazie al cielo è venuto, signore.» Il vento sollevava e lacerava il mare, stracciando ogni onda in una nebbia urlante di spuma bianca, mischiandola al nevischio che fondeva l'aria sopra la baia. Nick sbirciò il quadrante dell'anemometro e distolse subito lo sguardo. L'ago era incollato al massimo della scala. Non aveva senso, non si poteva accettare un vento a 120 miglia all'ora, l'apparecchio era stato sicuramente danneggiato dalle raffiche iniziali e Nick rifiutò di prestarvi fede; altrimenti avrebbe dovuto dichiararsi sconfitto, perché era impossibile ricuperare un piroscafo con un vento di velocità superiore al massimo della scala Beaufort. Trattenuto dal cavo, il Warlock si rizzò sulla coda come un delfino ammaestrato. La plancia divenne una parete verticale e Nick, scaraventato in basso, andò a sbattere contro il quadro dei comandi. «Dobbiamo tranciare il cavo e mettere la prua al mare.» La voce di David Allen suonò troppo forte e troppo stridula, perfino nel
tumulto della tempesta. C'erano degli uomini a bordo della Golden Adventurer, pensò Nick, Baker e sedici altri, ed era impossibile che le ancore tenessero, in un finimondo simile. Aggrappandosi alla ringhiera, Nick sbirciò fuori. La schiuma, la neve e la pioggia gelata sferzavano il rimorchiatore con la violenza di una scarica di doppietta sparata a bruciapelo crepitando sui vetri corazzati della plancia e accumulandosi in spessi strati che vanificavano gli sforzi del tergicristallo. A un migliaio di metri dal Warlock, lo scafo della nave si distingueva appena, una chiazza più compatta nella furia bianca e vorticosa. «Baker?» chiese nel microfono. «Come vanno le cose, lì da voi?» «La nave sta girando, il vento l'ha presa. L'ancora di dritta ara.» Mentre Nick assimilava le sue parole, Baker aggiunse: «Non potrete imbarcarci sul rimorchiatore, in questo inferno». Era una pura e semplice constatazione. Baker accettava il fatto che il suo destino e quello dei suoi sedici uomini era inesorabilmente vincolato alla nave. «Già», convenne Nick. «Non potremo.» Il tentativo d'avvicinarsi alla nave si sarebbe risolto in un sicuro disastro per tutti. «Tagli il cavo e stia alla larga», consigliò Baker. «Cercheremo di scendere a riva mentre la nave si sfascia sugli scogli.» Poi, con una cupa risata: «Si ricordi di venire a prenderci, quando la tempesta sarà finita... sempre che sia rimasto qualcuno da raccogliere». La rabbia di Nick sovrastò di colpo la stanchezza. Era furibondo perché avevano rischiato inutilmente, perché avrebbe perso la Golden Adventurer e probabilmente diciassette uomini, di cui uno era diventato suo amico. «É pronto ad avviare gli argani delle ancore?» domandò. «Cercheremo di disincagliare quella maledetta nave.» «Gesù!» esclamò Baker. «É ancora allagata...» «Tenteremo lo stesso», replicò Nick con calma. «Il timone è bloccato, non potremo governare. Ci rimetterà anche il Warlock, e...» Nicholas lo interruppe. «Chiudi il becco, stupido tosapecore, e metti in moto gli argani.»
Mentre parlava, la Golden Adventurer sparì, celata dai turbini della tormenta. «Sala macchine», disse Nick al primo ufficiale di macchina. «Voglio il massimo della forza e mi dia il controllo diretto delle macchine e del passo dell'elica.» «Controllo trasferito in plancia, signore», confermò il primo ufficiale di macchina. Nick toccò le leve d'acciaio con dita sensibili come quelle di un pianista. La risposta del Warlock fu immediata. Il rimorchiatore girò su se stesso, suscitando un'esplosione d'acqua verde che si riversò sul ponte e scrosciò sulle sovrastrutture. «Argani delle ancore pronti.» Il tono di Baker era quasi noncurante.
«Restate pronti», disse Nick, e procedette lentamente nell'inferno bianco. Era impossibile orientarsi a occhio, il mondo esterno era un'unica massa bianca e vorticosa, perfino la superficie del mare era divenuta una serie di strisce bianche e serpeggianti. La stessa forza di gravità, che avrebbe dovuto definire l'alto e il basso, si confondeva nel beccheggio disordinato del ponte. Nick sentì che la sua mente esausta cominciava a tradirlo sotto i primi attacchi di vertigine. Si concentrò subito sulla bussola e sull'indicatore di rotta. «David», ordinò, «prenda la barra». Voleva che il timone fosse governato da un uomo svelto e sveglio. All'improvviso il Warlock beccheggiò con tale violenza che Nick si ammaccò le costole urtando contro il cruscotto dei comandi. Il Warlock sentiva il cavo. Si era arrestato quasi di colpo. «Dieci gradi a dritta», ordinò Nick a David, per puntare la prora contro il vento. «Capo», disse nel microfono, con la voce ancora rotta dal dolore al torace. «Avvii l'argano di dritta a tutta forza.» «Tutta forza a dritta.» Nick mise l'elica a passo zero e poi aprì lentamente le valvole a farfalla, scatenando ventiduemila cavalli di forza. Trattenuto dalla sua coda, spinto dalla bufera, tormentato dal mare e frustato dalle enormi eliche, il Warlock s'inferocì. Scartò e sgroppò con furia, mentre ogni lamiera dello scafo tremava sotto le vibrazioni delle eliche che rotavano pazzamente nell'aria. Nick dovette stringere le mascelle, perché le vibrazioni minacciavano di spaccargli i denti. Quando sbirciò gli indicatori di velocità vide che il viso di David Allen era rigido e cereo come quello di un cadavere. Il Warlock cedeva al vento, descrivendo un lento circolo sulla sinistra all'estremità del cavo, spinto dalla bufera e dalle macchine. «Venti a dritta», ordinò seccamente Nick, correggendo la virata. Nonostante la sua espressione tesa, David Allen rispose all'istante. «Venti a dritta, signore.» Nick vide la deriva laterale arrestarsi sull'indicatore di velocità rispetto al fondo; poi, con un senso di esultanza, vide l'indicatore della velocità d'avanzo illuminarsi di verde. Le cifre sul quadrante elettronico mutavano rapidamente... Il Warlock procedeva alla velocità di cinquanta metri al minuto. «La nave si muove», gridò Nick, e afferrò il microfono. «Argani di dritta e di sinistra a tutta forza.» «A tutta forza», rispose subito Baker. Nick osservò il quadrante della velocità d'avanzo rispetto al fondo: 50, 35, 20 metri al minuto. L'impeto iniziale del Warlock si era esaurito, e Nick capì con un tuffo al cuore che soltanto l'elasticità del cavo-molla di nylon aveva fornito quei dati. La molla si era allungata al massimo. Per due o tre secondi, il quadrante indicò velocità zero. Il Warlock era immobile e il cavo teso in tutta la sua lunghezza; poi, bruscamente, il quadrante s'illuminò di rosso: andavano indietro, attirati da una forza superiore a quella dei diesel e delle grandi eliche di bronzo: la forza della molla che si ritirava. Il Warlock era trascinato verso la sponda.
Per altri cinque minuti, Nick strinse febbrilmente le leve di controllo, spingendole con tutte le sue forze, facendo urlare le grandi macchine. Gli aghi dei quadranti balzarono nei settori rossi con la scritta «non superare». Lacrime di rabbia e di delusione gli bruciarono le palpebre, mentre il rimorchiatore tremava, sussultava e gemeva sotto di lui, trasmettendogli la sua sofferenza attraverso le suole delle scarpe e le palme delle mani. Il Warlock era trattenuto dal cavo e dalla sua stessa energia, cosicché non poteva impennarsi per affrontare le onde che sbucavano dal biancore ruggente. Si avventavano sul rimorchiatore, accavallandosi una sull'altra, schiacciando la prora con il loro peso. «Per amor del cielo, comandante.» David Allen non riuscì più a contenersi. I suoi occhi sembravano enormi nel viso pallidissimo. «Così ci fa affondare.» «Baker», disse Nick, ignorando il suo secondo. «Sta guadagnando?» «Gli argani non ricuperano», rispose Beauty. «La nave non si sposta di un millimetro.» Nick tirò indietro le leve di acciaio. Gli aghi ricaddero in fondo ai quadranti e il Warlock, grato per il sollievo, si scrollò l'acqua che l'aveva sommerso. «Dovrà tranciare il cavo.» La voce senza corpo di Baker era soffocata dall'urlo della tempesta. «Correremo il rischio.» Accanto a lui, David Allen allungò la mano verso la scatoletta rossa che proteggeva il pulsante di trancio. Aprì la scatoletta e guardò Nick con un'espressione di speranza, quasi di supplica. «Lasci stare!» ringhiò Nick, poi disse a Baker: «Accorcio il cavo. Preparatevi a tirare di nuovo, quando sarò in posizione». David Allen lo fissò con la mano sospesa sul pulsante. «Chiuda quel coperchio della malora!» gli ingiunse Nick, e si dedicò ai controlli del cavo principale. Spostò la leva verde sulla posizione di ricupero e sentì vibrare il ponte mentre, nel deposito dei cavi, i grandi rulli cominciavano ad avvolgersi ritirando il cavo incrostato di ghiaccio. Cedendo con riluttanza, simile a un cavallo selvaggio trattenuto dalle redini, il Warlock fu tirato indietro dai suoi stessi argani. Inorriditi, gli ufficiali videro emergere dalla tormenta la gran mole coperta di ghiaccio della Golden Adventurer. Era così vicina che il cavo principale non s'incurvava più sotto la superficie del mare, ma si tendeva diritto dalla poppa del piroscafo al rullo del rimorchiatore sul giardinetto di poppa. «Finalmente possiamo vedere quel che facciamo», disse cupamente Nick. Ora capiva che il Warlock aveva sprecato gran parte della potenza non esercitando una trazione diretta, in linea con la chiglia della Golden Adventurer. Disorientato dalla tormenta, aveva lasciato che il Warlock tirasse obliquamente. Ora non sarebbe successo. «Direttore», disse. «Tiri, tiri, tiri, a costo di spaccare gli argani!» Girò completamente le manopole delle valvole a farfalla, scatenando tutta la potenza delle macchine. Il Warlock balzò avanti, tendendo il cavo elastico. Nick vide l'acqua sprizzare dalle fibre strizzate e congelarsi all'istante in cristalli di ghiaccio. «Non si muove, signore», gridò David accanto a lui.
«Gli argani non ricuperano», confermò quasi simultaneamente Baker. «La nave è immobile come una roccia!» «C'è dentro ancora troppa acqua», disse David. Nick si avventò verso di lui come se volesse stenderlo sul ponte. «Mi dia la barra», ingiunse, con la voce tremante d'ira e di frustrazione. Mentre le due eliche stracciavano il mare in spuma bianca e le macchine ruggivano come belve ferite, Nick girò la barra tutta a sinistra. Il Warlock virò rabbiosamente e nel rollio l'acqua si riversò a bordo. Immediatamente Nick girò la barra tutta a dritta e il rimorchiatore balzò di nuovo avanti, aggiungendo un'altra tonnellata alla forza di trazione. Il gemito della Golden Adventurer si udì perfino nel tumulto della tempesta. L'acciaio del suo scafo protestava per il peso dell'acqua che conteneva, per
l'intollerabile forza di trazione degli argani e del cavo del Warlock. Il gemito divenne un sibilo crepitante mentre i ciottoli sul fondo cedevano e rotolavano sotto la chiglia. «Cristo, sta scivolando!» urlò Baker. Nick girò ancora la barra tutta a sinistra, facendo precipitare il Warlock in un profondo ventre fra due onde; poi una montagna d'acqua lo seppellì e Nick temette che non potesse resistere all'assalto furibondo del mare. Verde e viscida, l'acqua giunse al livello della sovrastruttura; il rimorchiatore sussultò stancamente. Poi alzò la prora e si scrollò l'acqua di dosso come un cagnolino, ridiventando agile e leggero. «Tira, tesoro, tira», lo scongiurò Nick. Con un rombo, lo scafo della Golden Adventurer cominciò a scivolare sul fondo. «Gli argani ricuperano», esultò Baker. Gli indicatori di velocità del Warlock passarono al verde, mentre le cifre si succedevano in rapida progressione elettronica. Il Warlock avanzava. Tutti videro la poppa della Golden Adventurer oscillare all'impatto con la montagna d'acqua che le esplodeva intorno. La nave galleggiava, e per un momento Nick l'ammirò commosso tornare alla vita: diveniva una creatura animata, mentre si congiungeva con il mare e si alzava ad accogliere le onde. «Ce l'abbiamo fatta, Cristo, ce l'abbiamo fatta!» urlò Baker. Ma era troppo presto per cantare vittoria. Mentre la Golden Adventurer scivolava e avanzava di poppa al rimorchio del Warlock, il suo timone fece presa nell'acqua ponendo la poppa di traverso al vento. La nave girò, esponendo la massa della sua fiancata di dritta alla violenza della tempesta. Era come un'enorme vela. Il vento la spingeva verso il promontorio e i due pilastri di roccia che si ergevano all'ingresso della baia. Il primo istinto di Nick fu di trattenerla, di opporsi direttamente all'impeto del vento. Mise il Warlock all'opera, sperando che i diesel e le due ancore impedissero al piroscafo di arenarsi nuovamente; ma il vento lo sospinse, finché le ancore non furono strappate dal fondo. Il Warlock venne trascinato di poppa verso le scogliere frastagliate del promontorio. «Salpi quelle ancore, direttore», gridò Nick nel microfono. «Non possono tenere in questo inferno.» ^
Vent'anni prima, mentre nuotava al largo di una spiaggia solitaria delle Seychelles, Nick era stato preso da una delle correnti che fluiscono intorno ai promontori delle isole oceaniche. La corrente lo aveva trascinato in mare aperto, e in pochi minuti la terra era quasi scomparsa all'orizzonte. Nick aveva lottato contro la corrente, nuotando direttamente in senso opposto, e per poco tale scelta non gli era costata la vita. Era già stremato quando aveva cominciato a riflettere; e invece di opporsi, si era abbandonato alla corrente, nuotando lentamente in senso obliquo, sfruttando l'impeto dell'acqua invece di contrastarlo. Aveva imparato la lezione: mentre guardava Baker salpare le ancore gocciolanti, fece virare il Warlock in modo che il vento non lo investisse più di prua, ma sul giardinetto di poppa. Ora il vento e le eliche del Warlock non tiravano più in sensi opposti: la rotta del rimorchiatore formava con la direzione del vento un angolo di due gradi, una rotta che, a giudizio di Nick, l'avrebbe portato a sfiorare la più avanzata delle sentinelle di roccia; tuttavia il timone bloccato teneva la Golden Adventurer esposta al vento, contrastando il Warlock che cercava di allontanarla obliquamente dalla terra. Era un problema di vettori di forza. Nick rifletté, cercando di ridurlo in termini di fisica, mentre valutava l'angolazione del rimorchio e la direzione del vento, confrontandole con l'enorme resistenza offerta dal timone bloccato, il timone che avrebbe condotto la nave a sfasciarsi contro le scogliere. Guardò avanti. Le scoscese pareti di roccia erano ancora celate dalla tormenta, ma lo schermo del radar rivelava la loro presenza. Spinti dalle macchine e dal vento, correvano troppo; e se la Golden Adventurer avesse urtato gli scogli a quella velocità, si sarebbe spaccata come un cocomero
fradicio scagliato contro un muro. Passarono altri cinque minuti, prima che Nick fosse sicuro di non farcela. Il radar indicava che erano a sole due miglia dalle scogliere. Avrebbero dovuto tirare la Golden Adventurer per almeno mezzo miglio di traverso al vento, per allontanarla definitivamente dalla terra. Non ci sarebbero riusciti. Disperato, Nick aguzzò gli occhi nella tempesta, aspettandosi di vedere da un momento all'altro le rocce nere attraverso le cortine vorticose di neve e di spuma gelata. Con la morte nel cuore, allungò la mano verso il pulsante di trancio per liberare la Golden Adventurer e abbandonarla al suo destino. Intorno a lui, gli ufficiali erano tesi e silenziosi. Il Warlock vibrava e sussultava, spinto dal mare e dalle macchine; ma la terra continuava a risucchiarli. «Guardi!» gridò all'improvviso David Allen. Nick si girò di scatto, colpito dall'eccitazione del suo tono. Non capì subito che cos'era successo. Per un momento vide solo che la sagoma della Golden Adventurer si era leggermente defilata. «Il timone», gridò ancora David Allen. «Lo hanno sbloccato.» Nick lo vide ruotare lentamente, mentre una grossa onda sollevava la nave. Quasi subito, sentì il Warlock alleggerito dallo sforzo e virò di un altro punto nel vento. La Golden Adventurer rispose più docilmente al rimorchio, mentre il suo timone continuava a ruotare.
«Ho sbloccato il dispositivo di comando», annunciò Baker. «Timone a mezzanave», ordinò Nick. «A mezzanave», ripeté Baker. Adesso la nave veniva rimorchiata con la poppa in avanti, quasi ad angolo retto con il vento. I pilastri di roccia si stagliarono all'improvviso nell'inferno bianco. Il mare li investiva con rombi tonanti. «Cristo, se sono vicini», mormorò Dave Allen. Si poteva sentire il ritorno del vento che rimbalzava sulle pareti di roccia moderando la tremenda forza che li spingeva: tanto da permettere loro di doppiare le tre rocce. E finalmente si spalancarono davanti a loro tremila miglia di mare aperto. «Ce l'abbiamo fatta! Stavolta ce l'abbiamo proprio fatta», disse Baker incredulo. Nick regolò i comandi delle valvole a farfalla, prima che scoppiassero. «Con le ancore e tutto», osservò. Era un punto d'onore ricuperare anche le ancore. Riportavano la Golden Adventurer sana e salva con le ancore e tutto. «Capo», disse, «invece di starsene seduto sugli allori, che cosa ne direbbe di riempire la nave di Tannerax?» Il liquido anticorrosivo avrebbe risparmiato alle macchine e a gran parte delle attrezzature più importanti i danni della salsedine, accrescendo enormemente il valore ricuperato. «Non gliene scappa una, eh?» borbottò Baker. «Aspetti a dirlo», ribatté Nick, sentendosi sciocco e frivolo per la stanchezza e la gioia. Perfino la tempesta sembrava meno violenta. «Adesso me ne vado a dormire per dodici ore, e se qualcuno si azzarda a svegliarmi lo spello vivo.» Riagganciò il microfono e posò la mano sulla spalla di David Allen, dicendogli: «Si è comportato bene, come gli altri. Adesso rilevi il comando, signor Allen. Abbia cura della nave». Poi lasciò la plancia barcollando. ^ Passarono otto giorni prima che rivedessero la terra. Affrontarono la tempesta nel mare aperto, e furono otto giorni di lavoro massacrante. Per prima cosa agganciarono il cavo di rimorchio alla prora della Golden Adventurer. Nella burrasca, occorsero quasi ventiquattro ore e tre tentativi prima che riuscissero a mettere controvento la prora del piroscafo. Ora offriva meno resistenza, e il Warlock poteva rimorchiarlo con comodo,
ricorrendo a tutta la forza solo quando passavano vicino a un iceberg ed era necessario trascinar via la nave. Tuttavia il disastro era sempre in agguato. Nick passò la maggior parte del tempo in plancia, ossessionato dal timore che il tappo nella falla non tenesse. Baker usò la riserva di legname della nave per rinforzare la pezza provvisoria, ma non poté mettere in opera lamiere d'acciaio con la Golden Adventurer che rollava e beccheggiava sul mare infuriato; e Nick non poté salire a bordo per dirigere i lavori.
Lentamente, il gran vortice di bassa pressione passò su di loro. I venti cambiarono direzione e soffiarono verso ovest, mentre l'epicentro si spostava verso l'Australasia... e finalmente la tempesta finì. Il Warlock poté aumentare la velocità di rimorchio. Perfino fra le onde torreggianti che la tempesta aveva lasciato dietro di sé, procedeva alla considerevole velocità di quattro nodi. Finalmente, un mattino soleggiato e ventoso, rimorchiò la Golden Adventurer nelle acque tranquille della baia di Shackleton. Sembrava un minuscolo cane guida al guinzaglio di un gigante cieco. Mentre le due navi si addentravano nelle acque calme oltre il promontorio della baia, i superstiti scesero dal loro accampamento fino alla sponda, allineandosi sulla ripida spiaggia di ciottoli neri. Le loro ovazioni, unite alle grida di benvenuto, furono portate dal vento fin sulla plancia del Warlock. Ancora prima che le ancore gemelle della nave affondassero nell'acqua verde e limpida, la lancia del comandante Reilly si dirigeva verso il Warlock; quando il comandante salì a bordo, tutti videro nei suoi occhi gli stenti e le difficoltà che aveva affrontato, il dolore per il comando perduto e per le vite che non era riuscito a salvare. Ma strinse con fermezza la mano a Nick. «I miei ringraziamenti, signore. E congratulazioni!» Aveva conosciuto Berg come presidente della Christy Marine, e più di chiunque altro apprezzava la sua ultima impresa. «Sono lieto di rivederla», disse Nick. «La radio del Warlock è a sua disposizione, se vuole comunicare con gli armatori.» Fece accostare subito il Warlock alla Golden Adventurer, affinché si potessero issare lamiere d'acciaio dalla stiva del rimorchiatore al ponte della nave. Passò un'ora prima che il capitano emergesse dalla cabina radio. «Beve qualcosa, capitano?» Nick lo condusse nel proprio salotto e cominciò con tatto a sottoporgli le molte piccole questioni che dovevano essere definite. Era una situazione delicata, perché Reilly non era più il comandante della sua nave: il comando era passato a Nick, nella sua qualità di comandante del ricupero. «Le cabine della Golden Adventurer sono ancora in perfette condizioni. Credo che i suoi passeggeri si troveranno molto meglio sulla nave, piuttosto che nell'accampamento.» Nick lo mise a suo agio, pur non mancando di sottolineare la propria autorità. Reilly si dimostrò grato e comprensivo. In mezz'ora presero gli accordi per trasferire i superstiti a bordo dell'Adventurer. Levoisin aveva potuto imbarcare sul suo piccolo rimorchiatore soltanto centoventi passeggeri, scelti fra i più vecchi e deboli. La Christy Marine stava predisponendo un charter da Città del Capo alla baia di Shackleton per raccogliere gli altri. Ora il charter era superfluo, ma il suo costo sarebbe andato a ingrossare il premio di ricupero chiesto da Nick. «Non voglio rubarle altro tempo.» Reilly vuotò il bicchiere e si alzò. «Avrà parecchio da fare.» Occorsero ancora quattro giorni e quattro notti di lavoro. Nick salì a bordo della Golden Adventurer e vide la cavernosa sala macchine illuminata dal barbaglio blu delle fiamme ossidriche, mentre Baker sistemava la placca d'acciaio sulla falla e la saldava. Ma né lui né Nick furono soddisfatti finché non ebbero rinforzato il rappezzo con un'armatura di legname. Li attendeva un tratto d'oceano tempestoso, e finché la Golden Adventurer non
avesse dato fondo alle ancore nella rada di Città del Capo, il ricupero era incompleto. Si sedettero spalla a spalla fra i macchinari unti di grasso, nel tanfo acre
degli anticorrosivi, e bevvero caffè fumante corretto con rum Bundaberg. «Ormeggeremo questa bellezza al molo Duncan... e lei diventerà ricco sfondato», disse Nick. «Sono già stato ricco, ma i quattrini non mi durano. Mi sento sempre meglio quando li ho scialacquati.» Baker si fece gorgogliare in gola il caffè al rum e aggiunse maliziosamente: «Stia tranquillo, non perderà il miglior direttore di macchina della marina». Nick rise di gioia. Baker gli aveva letto nel pensiero. Non voleva perdere quell'uomo. Lasciatolo, Nick andò a controllare l'assetto del transatlantico, studiandolo con cura e ricorrendo alla sua recente esperienza per determinare i migliori punti di trazione. Infine ordinò a David Allen di sollevare un poco la prora della nave. Quindi i serbatoi del Warlock furono colmati con una riserva di nafta prelevata dai serbatoi della Golden Adventurer, perché il rimorchiatore potesse affrontare il lungo sforzo senza trovarsi a corto di carburante. Per tutto il tempo, l'agenzia Bach Wackie continuò a mandare telex dalle Bermude ritrasmettendo i messaggi fra gli assicuratori marittimi e i Lloyd's, con i primi cauti sondaggi della Christy Marine. Duncan Alexander cercava già di smussare gli angoli, mirando a un accordo pacifico senza la spesa, così lui diceva, per la corte arbitrale. «Ditegli che lo spellerò vivo», rispose Nick con acre soddisfazione. «Ricordategli che, quand'ero presidente della Christy Marine, gli ho sconsigliato di assicurarci con una consociata... e adesso vedrà se avevo ragione.» I giorni e le notti si confondevano, e l'illusione era completata dallo squilibrio del tempo. Spesso Nick non credeva né ai suoi sensi né all'orologio, quando lavorava per diciotto ore di fila e il sole continuava a brillare, mentre l'orologio gli diceva che erano le tre del mattino. E, allo stesso modo, non gli sembrò vero quando gli ufficiali, riuniti intorno alla tavola di mogano nel suo salotto, riferirono che il lavoro era terminato: avevano ultimato le riparazioni, il carico del carburante e l'imbarco dei passeggeri. Il Warlock era pronto a rimorchiare la grande nave in quel mare infido, migliaia di miglia a sud della punta dell'Africa. Nick fece circolare la sua scatola di sigari fra gli ufficiali, e mentre il fumo azzurrognolo si spandeva nel salotto, lasciò che per qualche minuto si crogiolassero nella soddisfazione per l'opera compiuta. «Ventiquattr'ore di riposo a tutta la compagnia», annunciò in uno slancio di generosità. «Cominceremo il rimorchio alle otto di lunedì mattina. Spero in una velocità di otto nodi... ventun giorni per Città del Capo, signori.» Mentre gli altri cominciavano a uscire, David Allen indugiò con aria imbarazzata. «La saletta ufficiali sta organizzando una festicciola di Natale per stasera, signor comandante. Gradiremmo averla come ospite.» Nella saletta l'accoglienza fu inequivocabilmente calorosa. C'era perfino
Trog. All'ingresso di Nick, tutti balzarono in piedi applaudendo, ed era evidente che la maggior parte aveva già alzato il gomito. David Allen fece un discorso, leggendolo da un foglietto che cercava di nascondere nel palmo della mano. Era un discorso pieno d'iperboli, luoghi comuni e superlativi, e quando ebbe finito, David parve sollevato. Angel portò una torta preparata per l'occasione. Aveva la forma della Golden Adventurer, un piccolo capolavoro di scultura gastronomica, con le cifre «12½ %» che spiccavano in oro sullo scafo. Il significato di quel 12½ % fece sorridere tutti gli ufficiali. Poi esortarono Nick a parlare, e il suo discorso fu rilassato e disinvolto. In pochi secondi li fece gridare di gioia... gli bastò menzionare la cifra che avrebbero incassato per il ricupero della Golden Adventurer. La ragazza era incastrata in un angolo, quasi nascosta in un capannello di giovani ufficiali che cercavano di avvicinarsi il più possibile senza soffocarla. Rideva gaiamente, e la sua voce squillava fra gli scrosci di risate maschili, cosicché Nick continuava suo malgrado a sbirciarla.
Indossava un vestitino verde, aderente, Nick si chiese dove l'avesse trovato, finché non ricordò che le cabine della Golden Adventurer erano intatte. Quel mattino aveva notato la ragazza presso David Allen, a poppa del battello ausiliario che tornava dal piroscafo, con una grossa valigia ai suoi piedi. Era andata a prendere le sue cose e a rigor di logica avrebbe dovuto rimanere a bordo del transatlantico, ma Nick fu contento che fosse venuta. Finì il suo discorsetto, dopo aver citato ogni ufficiale per nome senza risparmiare elogi a nessuno. David Allen gli ficcò un bicchiere di whisky in una mano e una gran fetta di torta nell'altra, poi lo lasciò frettolosamente per infilarsi nella ressa che circondava la ragazza. Gli altri ufficiali si scostarono con riluttanza, cedendo al suo grado, e Nick si trovò praticamente abbandonato. Osservò con indulgenza l'aperta competizione per i favori della ragazza. Era la più piccola di tutti, e Nick vedeva soltanto i suoi magnifici capelli striati dal sole, che sotto la lampada scintillavano come oro quando lei annuiva o rideva. David Allen le stava a fianco, arrossendo ogni volta che lei gli rivolgeva la parola, offrendole di continuo torta e liquore. Nick si accorse che la propria indulgenza andava trasformandosi in irritazione. Lo irritava la presenza del quarto ufficiale; evidentemente aveva ricevuto l'incarico di intrattenerlo, ma la responsabilità gli aveva mozzato la lingua. Lo irritavano le buffonate degli ufficiali. Nella loro competizione per i favori della ragazza sembravano un branco di foche ammaestrate. La ressa intorno a lei si aprì per un istante e Nick ne ebbe una fugace visione. Il verde del vestito si accordava mirabilmente al verde degli occhi. I denti erano candidi, e quando rideva, la lingua era rosea come quella di un gattino. Non era la ragazzina che gli era sembrata tempo addietro; con il rossetto sulle labbra e il filo di perle al collo, appariva ancora giovanissima, ventuno o ventidue anni al massimo, ma tuttavia adulta. Lei guardò in fondo al quadrato e i loro occhi s'incontrarono. Lo fissò con le labbra ancora increspate dal sorriso. Fu uno sguardo grave, enigmatico, e
Nick si scoprì a rammaricarsi per averla maltrattata. Abbassò gli occhi e notò che, sotto il vestitino aderente, il suo corpo era snello e sinuoso, con una grazia agile da atleta. Ricordò vividamente di averla vista nuda per pochi secondi. Sebbene il vestito fosse accollato, vide che i suoi seni erano sodi e sviluppati: nessun indumento intimo li sosteneva. La giovane carne risaltava come se fosse nuda. La sua impudicizia lo rese furibondo. Anche se tutte le ragazze di Londra o di New York circolavano senza reggiseno, lo irritava che lei facesse altrettanto. La guardò negli occhi. Nel suo sguardo brillava una luce diversa, adesso... di sfida? O forse Nick vedeva il riflesso della propria collera? Non riuscì a capirlo. Lei reclinò leggermente la testa sulla spalla. Era un invito... o no? Nick aveva avuto a che fare con innumerevoli donne, ma quella ragazza gli infondeva un senso d'incertezza. Solo perché era giovanissima, oppure c'erano altri motivi? Brancolava nel buio, e la sensazione non gli piaceva affatto. David Allen sopraggiunse con l'ennesima fetta di torta, interponendosi fra di loro. Nick si trovò a fissare la schiena del primo ufficiale e udì nuovamente la risata argentina della ragazza. Ma stavolta ebbe l'impressione che lei volesse provocarlo. Disse al giovane ufficiale che gli stava accanto: «Preghi il signor Allen di riservarmi un minuto del suo tempo». Con visibile sollievo, l'ufficiale andò a chiamarlo. «Grazie per l'ospitalità, signor Allen», disse Nick, quando Allen fu arrivato. «Se ne va così presto, signor comandante?» Nick colse una sfumatura di piacere nel tono costernato del primo ufficiale. ^ Sedette allo scrittoio del salotto e cercò di concentrarsi. Finalmente aveva l'occasione di sbrigare le sue pratiche. Ma i rumori della festa lo distraevano e Nick si scoprì a tendere l'orecchio per udire le risate della ragazza, mentre avrebbe dovuto stendere la relazione da affidare ai suoi
avvocati di Londra, affinché la sottoponessero agli arbitri dei Lloyd's. Era un documento d'importanza vitale, la base delle sue richieste agli assicuratori della Golden Adventurer. Eppure non riusciva a concentrarsi. Scostò la sedia e si mise a passeggiare avanti e indietro. A un tratto si fermò, udendo le allegre grida della ragazza. Le parole erano inintelligibili, ma il tono inequivocabile. Stavano ballando, oppure giocando a un gioco chiassoso che provocava continui tonfi e scrosci di risa. Nick riprese a passeggiare, e a un tratto si sentì solo. Il pensiero lo bloccò di colpo. Era una novità inquietante, per un lupo solitario come lui. Prima di allora, la solitudine non gli era mai pesata, ma adesso sentiva il bisogno di spartire il suo trionfo con qualcuno. Accostatosi a un oblò, guardò la Golden Adventurer alla fonda nella rada. La nave sfolgorava di luci, aveva un aspetto gaio e festoso. Lo avevano detronizzato, privato delle sue conquiste, di sua moglie e di suo figlio... eppure gli erano bastati pochi mesi per risalire al vertice. Con il ricupero della Golden Adventurer, aveva risolto i problemi della Ocean Salvage, trasformandola in una solida azienda. Finalmente era tornato in
corsa, aveva uno scopo e i mezzi per ottenerlo. Ma non gliene importava più nulla. Perché? Considerò l'idea di tornare nella saletta, e fece una smorfia pensando alla costernazione dei suoi ufficiali per la raggelante intrusione del comandante. Si distolse dall'oblò; versò due dita di whisky in un bicchiere, accese un sigaro e si accasciò nella poltrona. Il whisky sapeva di dentifricio e il sigaro era amaro. Prima di andare in plancia, lasciò il bicchiere sullo scrittoio e spense il sigaro nel portacenere. La lampada notturna sembrava ancora più fioca, dopo la vivida illuminazione della cabina. Nick non notò subito Graham, il terzo ufficiale, finché i suoi occhi non si furono abituati alla penombra rossastra. «Buona sera, signor Graham.» Si accostò al tavolo da carteggio e controllò il giornale di bordo. Graham gironzolava come un'anima in pena, e Nick cercò qualcosa da dire. «Andrebbe volentieri alla festa?» chiese infine. «Signorsì.» Come inizio di una conversazione, non era molto promettente. Benché poco prima avesse patito la solitudine, Nick desiderò essere nuovamente solo. «Lasci a me il resto del suo turno di guardia. Vada a divertirsi con gli altri.» Il terzo ufficiale lo fissò a bocca aperta. «Vada, prima che cambi idea», lo esortò Nick. «Grazie per la sua gentilezza, signore», disse Graham mentre usciva di corsa. La festicciola era degenerata in una lotta senza esclusione di colpi per attirare l'attenzione di Samantha. David Allen, con un paralume in testa e la mano infilata sotto il bavero come Napoleone, era ritto sul banco del bar e declamava il discorso di Enrico Quinto prima della battaglia di Agincourt, scivolando sui passaggi che aveva dimenticato con un «bla-bla». All'ingresso di Tim Graham, tuttavia, ridiventò all'istante il comandante in seconda. Si tolse il paralume e disse gelido: «Se non sbaglio, signor Graham, lei è l'ufficiale di guardia. In questo momento il suo posto è in plancia...» «É venuto il vecchio e si è offerto di sostituirmi», replicò Tim Graham. «Santo cielo!» David si rimise in testa il paralume e versò un'abbondante dose di gin al terzo ufficiale. «Il vecchio bastardo dev'essersi rammollito all'improvviso.» Beauty Baker, che penzolava dal soffitto come una bertuccia, rimise i piedi sul ponte, mosse qualche passo incerto, si tirò su i calzoni e annunciò minacciosamente: «Se qualcuno osa dare del bastardo al vecchio bastardo, gli faccio sputare i denti». Fissò gli altri ufficiali con aria bellicosa, poi il suo sguardo cadde su Samantha e si raddolcì. «Questa non conta, Sammy!» disse. «Oh, no», convenne Samantha. «Puoi ricominciare.» Beauty tornò al punto di partenza della corsa a ostacoli, tracannò una
sorsata di rum, si aggiustò gli occhiali con il pollice e si sputò sulle palme. «Uno, due, tre... via!» disse Samantha, avviando il cronometro.
Beauty Baker si aggrappò al soffitto con un balzo e fece il giro della saletta senza toccare il ponte, incitato dalla compagnia. «Sei secondi e otto decimi!» Samantha arrestò il cronometro mentre Baker concludeva il giro sul banco del bar. «Nuovo record mondiale.» «Un gin per il campione del mondo!» «Adesso tocca a me, Sammy. Controlla il tempo!» Sembravano scolaretti. «Ehi, Sammy, guardami!» Dopo una decina di minuti, lei porse il cronometro a Tim Graham. Essendo arrivato per ultimo, era l'unico ancora lucido. «Torno fra poco», mentì. Prese un piatto con una fetta di torta e uscì prima che gli altri se ne rendessero conto. ^ Nick Berg stava lavorando al tavolo da carteggio. Era così assorto che non si accorse di lei per vari secondi. La luce fioca dell'unica lampada accentuava la forza dei suoi lineamenti. Il naso era leggermente aquilino, come quello di un indiano o di un beduino, la luce spiovente faceva risaltare le rughe agli angoli della bocca e intorno agli occhi. Concentrato sulle carte, Nick teneva leggermente socchiusa la bocca, di solito stretta in una linea severa. Samantha notò che le sue labbra erano carnose senza essere flaccide, con un che di sensibile, di voluttuoso, che non aveva mai notato prima. Rimase incantata a guardarlo, finché Nick alzò gli occhi all'improvviso e colse la sua espressione rapita. Samantha cercò di non arrossire, ma le tremò un poco la voce. «Mi scusi se la disturbo. Ho portato una fetta di torta per Timmy Graham.» «Graham? L'ho mandato alla festa. Non è con voialtri?» «Oh, non ho fatto caso. Credevo che fosse qui.» Restò con il piatto in mano, senza accennare a andarsene. Per un lungo momento, nessuno dei due parlò. «Facciamo metà per uno», propose lui. Samantha si avvicinò al tavolo da carteggio. «Le devo delle scuse», disse Nick, e si rese conto di parlare con asprezza. Odiava chiedere scusa, e lei se ne accorse. «Avevo scelto un momento inopportuno», mormorò, staccando un pezzetto di torta. «Ma adesso mi sembra un momento migliore. Grazie ancora. Mi rincresce per il disturbo che le ho dato. Adesso so che per un pelo non le sono costata la Golden Adventurer.» Si girarono a guardare la nave attraverso i grandi vetri. «É bella, vero?» chiese Nick. La sua voce si era raddolcita. «Sì, è bella», convenne Samantha, e a un tratto si sentirono straordinariamente vicini nell'alone rossastro della lampada notturna. Nick cominciò a parlare, dapprima imbarazzato; ma lei lo esortò a continuare, e notò con gioia che si rilassava. Soltanto allora cominciò a parlare liberamente anche lei. Nick fu stupito e un po' sconcertato dalla sua maturità. Si era aspettato le esitazioni, le risatine, l'incoerenza e l'egocentrismo di un'adolescente, ma si era sbagliato; e all'improvviso la differenza d'età non ebbe più importanza. Erano vicini nella notte, del tutto ignari del tempo. Parlarono del mare, perché si erano scoperti entrambi creature marine.
Dal ponte sottostante, veniva la voce stonata di Vin Baker che guidava il coro degli ufficiali: «La classe lavoratrice può baciarmi il culo Finalmente ho avuto il mio dodici per cento!» Più tardi, Tim Graham comparve sulla soglia e disse tutto d'un fiato: «Signor comandante, è sparita la dottoressa Silver. Non è nella sua cabina e l'abbiamo cercata per...» Finalmente la vide seduta nella poltroncina del capitano, e la sua apprensione divenne imbarazzo. «Oh, capisco. Non sapevamo
che... insomma, non immaginavamo... Mi scusi, comandante. Buona notte.» Scappò via dalla plancia. «Dottoressa?» chiese Nick. «Già», rispose lei con un sorriso, e gli parlò dell'università, illustrandogli il suo programma di ricerche e i progetti che avrebbe voluto realizzare. Nicholas ascoltò in silenzio. Come tutti gli uomini abituati alla competizione e al successo, ammirava l'ambizione e le conquiste. Si rese conto che nessun abisso li separava, come aveva invece temuto: e quando il turno di guardia ebbe termine, guardò l'orologio con rammarico. L'ufficiale di guardia per il turno successivo ruppe l'incanto, privandoli del pretesto per restare insieme. «Buona notte, capitano Berg», augurò lei. «Buona notte, dottoressa Silver», disse Nick con riluttanza. Fino a quella sera, aveva ignorato perfino il suo nome. Adesso voleva scoprire parecchie altre cose, ma Samantha aveva già lasciato la plancia. Quando rientrò in cabina, Nick si sentì ancora più solo. Il giorno dopo, mentre assicuravano il cavo di rimorchio alla Golden Adventurer, controllando l'assetto e la tenuta della nave in previsione del lungo viaggio, Nick pensò continuamente a lei. La sera, diversamente dal solito, scese a cenare nella saletta invece di farsi portare il vassoio in cabina: quando vide la ragazza circondata da un nugolo di giovanotti, fu assalito da una bruciante gelosia. Per due volte, durante il pasto, represse gli aspri rimbrotti che gli erano saliti alle labbra e che avrebbero mortificato lo sfortunato destinatario. Nick non prese la frutta e bevve il caffè nel suo salotto. Avrebbe gradito la compagnia di Baker, ma l'australiano curava le macchine della Golden Adventurer. Nonostante la tensione e le fatiche della giornata, la cuccetta non lo tentava per nulla. Sbirciò l'orologio nel pannello sopra lo scrittoio e vide che erano le otto passate. D'impulso, andò in plancia e Tim Graham balzò in piedi rosso come un peperone. Si era seduto nella poltroncina privata del comandante, una libertà che poteva costargli come minimo una severa reprimenda; ma Nick fece finta di niente e si aggirò lentamente per la plancia, controllando la tensione del cavo di rimorchio, la potenza delle macchine del Warlock, le luci di posizione di entrambe le navi e l'ultima nota sul libro di bordo. «Signor Graham», disse infine, e il giovanotto s'irrigidì sull'attenti come un condannato davanti al plotone d'esecuzione, «lasci a me il suo turno di guardia. Vada pure a cenare». Il terzo ufficiale rimase così sconcertato che gli occorse una buona dose di
gin per rivelare agli altri la sua fortuna. Samantha non alzò gli occhi dalla scacchiera, ma mise un invitante alfiere davanti alla regina; e quando David se lo prese con un mugolio di gioia, lei liberò la torre dichiarando: «Matto in tre mosse, David». «Un'altra partita, Sam, dammi la rivincita», la scongiurò David. Ma Samantha scosse la testa e lasciò la saletta. Nicholas sentì il suo profumo. Era una fragranza non troppo sofisticata ma esuberante, perfettamente in carattere con lei. Si girò, e soltanto allora ebbe il coraggio di confessarsi che aveva esonerato il terzo ufficiale dal turno con il preciso scopo di attirare Samantha sulla plancia. «Ci sono delle balene, più avanti», le disse, rivolgendole un sorriso. «Speravo che sarebbe venuta.» «Dove? Dove sono?» chiese lei con genuino interesse. Videro lo zampillo: una piuma dorata al sole notturno che rosseggiava basso sull'orizzonte. «Baluenoptera musculus!» esclamò Samantha. «Le credo senz'altro, dottoressa, ma per me è ancora una balena azzurra.» Nick continuava a sorridere, e per un attimo lei parve contrita. «Mi scusi, non volevo impressionarla con la mia scienza.» Fissò il mare gonfio e ostile mentre la balena soffiava un'altra colonna di spuma. «Una», mormorò. «Una sola.» L'eccitazione svanì dalla sua voce. «Ne sono rimaste così
poche... forse è l'ultima che vediamo.» «Non riescono nemmeno a incontrarsi nell'immensità dell'oceano per riprodursi.» Anche il sorriso di Nick era svanito. Parlarono nuovamente del mare, del loro dolore per le interferenze dell'uomo nell'equilibrio naturale. «Quando il governo comunista del Mozambico è subentrato ai colonialisti portoghesi, ha lasciato che i russi mandassero delle draghe... non dei pescherecci, delle draghe. I russi hanno dragato i fondali dove vive il gamberetto del Mozambico. Hanno pescato mille tonnellate di gamberi e rovinato i fondali per sempre. In sei mesi hanno condannato una specie all'estinzione.» Il tono di Samantha era indignato. «Due mesi fa, gli australiani hanno catturato un peschereccio giapponese nelle loro acque territoriali. Nei frigoriferi c'era la carne di centoventimila conchiglie che l'equipaggio aveva divelto dalla barriera corallina. La popolazione di un banco non supera le ventimila conchiglie. Questo significa che in una sola spedizione hanno spogliato addirittura sei banchi corallini...» «Sono i giapponesi che hanno inventato la 'lunga fune'», disse Nick. «Una lunghissima fune galleggiante, munita di ami speciali e tesa attraverso le rotte dei tonni e dei pescispada. Spazzano via i branchi man mano che avanzano. Li distruggono fino all'ultimo pesce.» «Non si può ridurre una popolazione animale oltre un certo limite.» Samantha sembrava invecchiata, quando alzò il viso a guardare Nick. «Guardi che cos'hanno fatto alle balene.» Si rivolsero alla finestra, sperando di rivedere l'innocuo mostro condannato all'estinzione. «Tutta colpa dei russi e dei giapponesi», disse Nick. «Non hanno firmato il
trattato per la conservazione delle balene finché non sono quasi scomparse e la caccia è diventata poco rimunerativa. Allora hanno firmato, quando sono rimaste soltanto due o tremila balene azzurre in tutti i mari.» «Adesso daranno la caccia alla balena Fin, alla Sei e alla Minke finché non si saranno estinte.» Mentre guardavano l'irreale notte illuminata, cercando invano la scintilla della vita nell'immensità del mare, Nick alzò il braccio senza riflettere. Stava per cingerle le spalle in un gesto protettivo, ma si trattenne un attimo prima di toccarla. Samantha dovette sentire il movimento e si accostò un poco, ma Nick abbassò il braccio e andò a chinarsi sullo schermo del radar. Soltanto allora Samantha capì quanto aveva desiderato che lui la toccasse; ma per tutta la sera Nick evitò di andarle nuovamente vicino. La sera seguente, Samantha rifiutò gli inviti degli ufficiali e dopo cena attese nella propria cabina, lasciando la porta socchiusa. Udì Tim Graham uscire dalla plancia e scendere la scaletta di corsa, esonerato ancora una volta dal suo turno. Come entrò nella saletta, Samantha sgusciò dalla cabina e corse in plancia. Un attimo dopo gli era accanto, e Nick fu stupito dall'intensità della propria gioia. Si sorrisero maliziosamente, come scolaretti che abbiano combinato una marachella. Poco prima che finisse il turno, passarono davanti a un grande iceberg piatto. Samantha indicò la linea scura che correva intorno al ghiaccio come l'anello di sudiciume in una vasca. «Paraffina», disse, «e idrocarburi non degradati». «Macché», ribatté lui. «É soltanto una striatura del ghiaccio.» «É petrolio grezzo», insisté Samantha. «L'ho analizzato. É uno dei motivi che mi hanno spinta a farmi assumere come guida sulla Golden Adventurer. Volevo studiare questi mari.» «Ma siamo duemila miglia a sud dalla rotta seguita dalle petroliere.» «La spiaggia della baia di Shackleton è piena di paraffina e di grezzo. A capo Alarm abbiamo trovato dei pinguini tutti coperti di petrolio, morti o moribondi. Si sono imbattuti in una chiazza di petrolio a meno di cinquanta miglia dalla spiaggia.» «Non riesco a credere che...» cominciò Nick, ma lei lo interruppe. «É sempre così!» esclamò. «Nessuno ci crede. La gente tira diritto, come quando vede un incidente sull'autostrada.»
«É vero», ammise Nick con riluttanza. «Sono poche le persone che si preoccupano.» «Qualche pinguino morto, qualche grumo di catrame che si appiccica ai piedi sulla spiaggia. Sembrano cose da poco, ma la realtà è spaventosa. Milioni di tonnellate di idrocarburi velenosi si dissolvono nel mare. Uccidono lentamente ma inesorabilmente. Questa è la realtà, Nicholas!» Era la prima volta che lo chiamava per nome, ed entrambi se ne resero conto. Tacquero di nuovo, guardando il grande iceberg. Il sole lo tingeva di rosa e ametista, ma i colori eterei erano sfregiati dalla striscia di sozzura velenosa. «Il mondo ha bisogno del petrolio, e noi marinai dobbiamo trasportarlo», osservò infine Nick.
«Sicuro. Ma non a questo prezzo, non mirando solamente al profitto. Non con l'avidità ottusa che l'uomo ha già dimostrato uccidendo le balene. Non a costo di trasformare il mare in una fogna.» «Ci sono parecchi armatori senza scrupoli...» convenne lui. Samantha lo interruppe con ira. «Bandiere ombra, navi senza controllo, prive delle più elementari misure di sicurezza, munite di una caldaia sola...» Snocciolò le accuse, e Nick rimase in silenzio. «Poi hanno abolito la linea di galleggiamento invernale per le petroliere che doppiano il capo di Buona Speranza, in modo che possano trasportare cinquantamila tonnellate in più. D'inverno i banchi delle Agulhas sono il mare più pericoloso del mondo, e ci mandano le petroliere sovraccariche.» «É stata una decisione criminale», convenne Nick. «Ma lei era presidente della Christy Marine. Aveva un rappresentante nella commissione di controllo.» Capì subito d'aver commesso un errore. L'espressione di Nick divenne improvvisamente fosca. Samantha fu presa dal panico. Aveva dimenticato che uomo fosse Nicholas Berg. Nick le voltò le spalle e fece lentamente il giro della plancia, controllando con cura i manometri e gli strumenti. Poi si fermò nell'ala opposta e accese un sigaro. Samantha avrebbe voluto tentare la riconciliazione, ma capì d'istinto che sarebbe stato un altro errore. Nick era il tipo d'uomo che disprezza il compromesso. Finalmente le tornò accanto. La brace del sigaro gli rischiarava il viso, e Samantha vide che la sua ira era sbollita. «La Christy Marine mi sembra un altro mondo, adesso», mormorò, e lei sentì il dolore delle ferite ancora aperte. «Mi scusi. Quando l'ha nominata, mi ha preso alla sprovvista. Non sapevo che conoscesse la mia storia.» «Tutti la conoscono, a bordo.» «Sicuro», annuì lui. Prima di continuare, aspirò profondamente dal sigaro. «Quando dirigevo la Christy Marine, ho insistito perché su ciascuna delle nostre navi fossero adottate tutte le misure di sicurezza. Ci siamo opposti all'abolizione della linea di galleggiamento invernale, e nessuna delle mie navi ha mai doppiato il capo di Buona Speranza carica fino alla linea di galleggiamento estiva. Ogni nave della Christy Marine è stata progettata e costruita con le tecniche più avanzate, come quel transatlantico», indicò la Golden Adventurer, «o questo rimorchiatore», e batté il piede sul ponte. «Anche la Golden Dawn?» chiese Samantha sottovoce, temendo nuovamente la sua collera. Nick annuì. «La Golden Dawn», mormorò. «Un nome pretenzioso, non le pare? Ma io pensavo a quella petroliera come a un'alba d'oro, quando l'ho concepita. La prima petroliera da un milione di tonnellate, provvista di ogni artificio tecnico e di ogni misura di sicurezza che l'uomo abbia inventato fino a oggi. Dai gorgogliatori di lavaggio inerti alle tasche articolate e indipendenti, munita di quattro caldaie come i transatlantici White Star... doveva essere veramente l'alba d'oro nel trasporto del greggio. «Ma non sono più il presidente della Christy Marine e la Golden Dawn non dipende più da me, né per il progetto, né per la costruzione.» La sua voce era incolore, e alla luce fioca le sue orbite parevano cave come quelle di un
teschio. «E nemmeno per quanto riguarda la gestione.» Il loro dialogo aveva preso una brutta piega: Samantha non voleva discutere con lui e meno che mai rattristarlo. Ma capì con rammarico di avergli risuscitato ricordi dolorosi. L'istinto le disse che era giunto il momento di andarsene. «Buona notte, dottoressa Silver», la salutò freddamente Nick, quando Samantha dichiarò di sentirsi stanca e assonnata. «Mi chiamo Sam», replicò lei, desiderando poterlo confortare in qualche modo. «O Samantha, se preferisce.» «Lo preferisco», disse Nick senza sorridere. «Buona notte, Samantha.» Lei era furibonda con se stessa e con lui, perché il loro accordo si era incrinato. Ribatté d'impulso: «Non le sembra di essere un po' antiquato?» Poi lasciò in fretta la plancia. La sera seguente, decise di non andare da Nick. Si vergognava di averlo offeso, di aver sottolineato così brutalmente la loro differenza d'età. Nick ne era già abbastanza consapevole, senza che gli venisse ricordato. Lei aveva fatto del male a entrambi, e non si sentiva di rivederlo. Mentre faceva la doccia nella cabina degli ospiti, udì Tim Graham scendere la scaletta dall'altra parte della paratia. Capì che Nicholas lo aveva esonerato dal turno. «Non salgo», si ripromise con fermezza. Indugiò ad asciugarsi, a darsi il talco e a spazzolarsi. Poi, ancora nuda e arrossata dall'acqua calda, si stese sulla cuccetta. Lesse per mezz'ora un libro western che le aveva prestato Baker, ma stentava a concentrarsi, perché la sua mente vagava altrove. Finalmente, con uno sbuffo di stizza, respinse le coperte e cominciò a vestirsi. La gioia e il sollievo di Nick, quando lei comparve sulla soglia della plancia, furono evidenti. E il suo sorriso fu per Samantha la più principesca delle accoglienze. A un tratto fu felice d'essere venuta. Quella sera avrebbe cercato di non mettere il piede in fallo. Gli chiese in che cosa consisteva il contratto standard dei Lloyd's, e assimilò rapidamente le sue spiegazioni. «Se considerano i rischi e le difficoltà del ricupero», osservò infine, «può pretendere una cifra enorme». «Chiederò il venti per cento del valore dello scafo...» «Quanto vale la Golden Adventurer?» Nick glielo disse. Samantha tacque un momento, eseguendo un rapido calcolo mentale. «Sono sei milioni di dollari», bisbigliò, sgranando gli occhi. «Centesimo più, centesimo meno», convenne lui. «Ma è impossibile trovare tanti soldi!» Samantha si girò a guardare il piroscafo. «Duncan Alexander dirà la stessa cosa.» «Ma», replicò Samantha, scrollando la testa, «che cosa se ne farà di una somma simile?» «Chiederò sei milioni, ma non li avrò. Al massimo me ne daranno tre o quattro.» «É sempre una cifra enorme. Nessuno potrebbe spendere tanti quattrini.»
«Sono già spesi. Mi basteranno appena per pagare i debiti, varare l'altro rimorchiatore e mandare avanti la Ocean Salvage per qualche mese.» «Ha debiti per tre o quattro milioni di dollari?» Lo guardò sbigottita. «Io non riuscirei a dormire, passerei la notte a rigirarmi...» «Il denaro non è solo da spendere», le spiegò Nick. «C'è un limite al cibo che si può mangiare o ai vestiti che si possono indossare. Il denaro è un gioco. Il gioco più emozionante del mondo.» Samantha lo ascoltò attentamente, perché quella sera Nick era allegro e impaziente di realizzare i suoi grandiosi progetti; e perché si confidava con lei. «Sa che cosa faremo? Verremo qui con due rimorchiatori e prenderemo un iceberg.» Lei scoppiò a ridere. «Sta scherzando!»
«Niente affatto», le assicurò Nick, ridendo a sua volta. «Attaccheremo i cavi a un grande iceberg. Forse ci vorrà una settimana per trascinarlo a velocità di rimorchio... ma una volta avviato, niente lo potrà fermare. Lo porteremo nei 'quaranta ruggenti" e ci dirigeremo verso est, come i vecchi velieri in rotta per l'Australia.» N.D.t. (Zone tempestose dell'Atlantico piene di correnti, fra il 40° e il 50° parallelo di latitudine sud (N.d. Accostandosi al tavolo, prese una grande carta dell'oceano Indiano e le fece segno di avvicinarsi. «Allora dice sul serio.» Samantha smise di ridere e lo fissò. «Non mi prende in giro, vero?» Nick, continuando a sorridere, tracciò la rotta con un dito. «Poi andremo a nord, per sfruttare la corrente dell'Australia occidentale, e lasceremo che il flusso ci porti a nord in un grande arco, finché troveremo il primo monsone orientale e la corrente nordequatoriale.» Descrisse l'arco, e lei lo guardò in viso. Pur essendo vicinissimi, non si toccavano; ma Samantha si sentiva turbata dalla sua voce, come se Nick la sfiorasse con le dita. «Attraverseremo l'oceano Indiano fino alla costa orientale dell'Africa, spinti dalla corrente, e arriveremo giusto in tempo per sfruttare il primo monsone sudoccidentale... che ci spingerà diritto nel Golfo Persico.» Si raddrizzò con un sorriso. «Cento miliardi di tonnellate d'acqua dolce in uno degli angoli più aridi e più ricchi del mondo.» «Ma... ma...» Lei scrollò la testa. «L'iceberg si scioglierà!» «Lo cospargeremo di poliuretano rifrangente con un elicottero, per attenuare l'effetto del sole. E lo ormeggeremo a un molo speciale, dove raffredderà il suo stesso ambiente. Sicuro, si scioglierà, ma impiegherà almeno un paio d'anni. E allora andremo a prenderne un altro. Sarà come accalappiare i cavalli selvaggi.» «Come farete a dirigerlo?» obiettò lei. «Gli iceberg sono enormi.» «I miei due rimorchiatori sviluppano una forza di quarantaquattromila cavalli. Potremmo trascinare anche l'Everest, se volessimo.» «Sì, ma quando sarete arrivati al Golfo Persico?» «Lo sezioneremo in blocchi maneggevoli con un raggio laser, e li metteremo in un bacino di fusione con una gru.» Samantha rifletté un momento.
«Potrebbe funzionare», convenne. «Sicuro», ribadì Nick. «Ho già venduto l'idea all'Arabia Saudita. Stanno costruendo il molo e le dighe. L'acqua dolce verrà a costare cento volte meno di quella ottenuta con i condensatori nucleari, e non ci sarà il pericolo di contaminazioni radioattive.» Samantha era affascinata dai progetti di Nick, e Nick da quelli di Samantha. Mentre parlavano, durante i lunghi turni di guardia della notte, si sentivano sempre più vicini. Sebbene entrambi gioissero della compagnia reciproca, non riuscirono a superare il confine fra l'amicizia e la vera intimità. Lei percepiva istintivamente il riserbo di Nick: era un uomo che aveva le sue regole e detestava i compromessi. Non faceva nulla se non era profondamente convinto, e non gli interessava una relazione sessuale passeggera. Ultimamente aveva patito gravi delusioni; ora si stava riprendendo, ma temeva di scottarsi ancora. C'era tempo, si disse Samantha, tempo in abbondanza. Ma il Warlock procedeva speditamente verso nordest, rimorchiando la sua preda per i «ruggenti quaranta». I famigerati venti si dimostravano benigni e il rimorchiatore sviluppava i sei nodi che Nick aveva sperato. A bordo del Warlock, gli ufficiali cominciarono a guardare Samantha con rispetto. Tutti sapevano del rituale che si replicava durante il turno di guardia dalle otto a mezzanotte. «Quel maledetto ladro di turni», brontolò Tim Graham. «Ringrazi il cielo che non ho sentito la sua osservazione, signor Graham», disse gelidamente David Allen. Ma anche lui era irritato con Nicholas Berg. Era una competizione sleale, e tutti si tenevano a distanza dalla ragazza. Nessuno osava sfidare il capo della mandria.
^ Il tempo volava, e Samantha cercava di non pensarci. Perfino quando David Allen le mostrò il profilo del continente africano sullo schermo del radar, finse che la meta fosse ancora lontana. Prima o poi sarebbe accaduto qualcosa. Durante il lungo viaggio dalla baia di Shackleton, aveva calato una fitta rete dalla poppa del Warlock, raccogliendo un'incredibile varietà di piccoli molluschi, di plancton e di altre microscopiche forme di vita marina. In cambio dei suoi servigi come assistente di cucina e cameriera, Angel le aveva concesso con riluttanza un angolo della cambusa, e lei vi passava varie ore al giorno, classificando i suoi campioni. Stava lavorando in cambusa quando arrivò l'elicottero e si posò sul Warlock. Alzò lo sguardo, udendo il rotore che rallentava i giri per l'atterraggio sull'eliporto del Warlock. Fu tentata di salire in coperta come gli altri, ma stava colorando un vetrino del microscopio e quasi si irritò per quell'intrusione nella sua piccola isola di felicità. Continuò l'operazione, ma ora il suo entusiasmo era svanito. Quando udì il rombo dell'elicottero che decollava dal ponte, inclinò la testa sulla spalla, pervasa dall'inquietudine. Angel scese dal ponte asciugandosi le mani nel grembiule e si fermò sulla soglia. «Non mi avevi detto che doveva partire, cara.»
«Cosa?» domandò Samantha alzando gli occhi sconcertata. «Il tuo fidanzato, tesoro. Con i calzini, lo spazzolino da denti e tutto.» Le lanciò un'occhiata penetrante. «Non dirmi che non ti ha dato nemmeno un bacetto d'addio.» Lei lasciò cadere il vetrino nella vaschetta di acciaio inossidabile, corse sul ponte, si aggrappò alla ringhiera e guardò il goffo apparecchio giallo. Volava basso sul mare verde stracciato dal vento. Era ancora abbastanza vicino perché si potesse distinguere il nome della compagnia, «COURT», sulla fusoliera, ma svanì rapidamente verso il profilo azzurrognolo delle montagne. Nick Berg era seduto fra i due piloti del grosso Sikorsky S. 58T e guardava la mole piatta della Gran Tavola. La cima era coperta da una spessa coltre di nubi candide che il vento faceva turbinare. Da trecentocinquanta metri di altezza, poteva vedere cinque grosse petroliere che arrancavano caparbiamente. Sembravano estranee al loro elemento; non erano costruite per armonizzarsi con il mare, ma per contrastare ogni movimento delle acque. Benché il mare fosse calmo, le loro prue tozze erano ornate da enormi baffi di spuma. Nick ne vide una beccheggiare all'improvviso, sollevando una colonna d'acqua alta come il suo albero di trinchetto. In una tempesta sarebbe stata greve e inerte come un molo, le onde l'avrebbero spazzata senza pietà. Sembrava impossibile che esistessero navi simili, pensò Nick, voltandosi a guardare indietro. Il Warlock era ancora in vista. Benché fosse lontano e rimpicciolito dalla mole del rimorchio, la sua linea agile lo riempì di orgoglio. Ma nello stesso tempo sentì una fitta di rimorso. Gli parve di vedere due occhioni verdi e una chioma dorata. Il suo rimorso era acuito dal pensiero di essersi comportato da vigliacco. Aveva lasciato il Warlock senza salutare la ragazza, e sapeva benissimo perché Aveva temuto di sembrarle sciocco. Fece una smorfia, ricordando le parole di Samantha: «Non le sembra di essere un po' antiquato?». C'era qualcosa di ripugnante in un uomo di mezza età che concupiva la carne giovane; e lui adesso, probabilmente, doveva considerarsi un uomo di mezza età: fra sei mesi avrebbe avuto quarant'anni, non si aspettava di superare gli ottanta, dunque era giunto a metà strada. Aveva sempre disprezzato gli ometti grigi, rugosi e quasi calvi, con grossi sigari, seduti in ristoranti di lusso in compagnia di ragazze che fingevano di pendere dalle loro labbra, mentre in realtà sbirciavano i giovanotti. Con tutto questo era stato un vigliacco. Nel corso delle settimane erano diventati amici, e certamente Samantha non si era accorta di averlo turbato durante le lunghe veglie in plancia. Lei non ne aveva colpa. Non l'aveva incoraggiato in alcun modo, forse non lo considerava nemmeno un sostituto del padre, ma semplicemente una persona con cui passare il tempo nei momenti
liberi. A bordo del Warlock era stata gentile e cordiale con tutti, dal primo ufficiale al cuoco. Nick avrebbe potuto stringerle la mano, ringraziandola per la compagnia, ma aveva temuto di commettere qualche sciocchezza. Fece un'altra smorfia, immaginando l'aria inorridita di Samantha mentre le farfugliava una goffa dichiarazione, le proponeva di prolungare il loro rapporto o di passare a un'intimità maggiore. Immaginò la sua delusione per la
scoperta che, dietro la facciata dell'uomo maturo, lui non era altro che un vecchio libidinoso come quelli che sfogliavano furtivamente le riviste nei porno-shop. «Lasciamo perdere», aveva deciso. Anche se si sentiva più in forma adesso che a venticinque anni, per la dottoressa Samantha Silver era un vecchio. Probabilmente non si era nemmeno accorta che lui aveva lasciato la nave, al massimo si sarebbe un po' irritata per la sua maleducazione, ma fra una settimana avrebbe dimenticato anche il suo nome. Quanto a lui, lo attendevano giornate campali. L'immagine del giovane corpo, della chioma dorata, sarebbe sbiadita fino a divenire la favola che era in realtà. Si girò di nuovo e guardò risolutamente avanti. Bisognava sempre guardare avanti e lasciarsi i rimpianti alle spalle. Volarono sopra la Falsa Baia e sopra lo stretto istmo della penisola del Capo che si protendeva dalla montagna incappucciata di nubi, passando in dieci minuti dall'oceano Atlantico all'oceano Indiano. Quando l'elicottero scese all'eliporto vicino alla Baia della Tavola Nick vide la folla. Sembrava uno stormo di avvoltoi in procinto di spolpare la carcassa di un leone. Mentre saltava a terra, chinando istintivamente la testa sotto le pale ancora rotanti, la folla si slanciò verso di lui, ignorando gli sforzi del segnalatore per tenere sgombra l'area. Era guidata da un omaccione calvo e rubizzo con le braccia pelose. «Sono Larry Fry, signor Berg», bofonchiò. «Si ricorda di me?» «Salve, Larry.» Era il direttore locale della Bach Wackie. l'agenzia che rappresentava Nick. «Vuole fare qualche dichiarazione alla stampa?» I giornalisti si accalcavano intorno a Nick, subissandolo di domande, spingendosi a vicenda, facendo lampeggiare i flash. Nick sentì insorgere l'ira, ma la dominò. «E va bene, signore e signori.» Alzò le braccia ed esibì lo smagliante sorriso che teneva in serbo per quelle occasioni. Facevano un lavoraccio ingrato, si disse. Era duro sopportare ogni giorno la compagnia degli uomini di successo, stare sempre a caccia di notizie piccanti, per poi ritrovarsi con l'ulcera e la cirrosi epatica. «Siate leali con me e io lo sarò con voi.» Per un attimo pensò che sarebbe stato peggio se lo avessero ignorato. «Dove mi ha prenotato la stanza?» chiese a Larry Fry, poi tornò a volgersi verso i giornalisti. «Fra due ore sarò nel mio appartamento all'Hotel Mount Nelson. Siete invitati e ci sarà whisky per tutti.» I giornalisti risero e arrischiarono qualche domanda, ma dovettero accettare il compromesso. Se non altro avevano scattato le fotografie. Mentre percorrevano il viale fiancheggiato da palme verso l'albergo vecchiotto e civettuolo, che sorgeva in mezzo a cinque acri di parco, Nick fu assalito dai ricordi; ma li scacciò per ascoltare l'elenco di appuntamenti e di questioni urgenti che Larry Fry gli stava leggendo. La metamorfosi dell'omone era straordinaria. Quando Nick era venuto a prendere il comando del Warlock, Fry gli aveva concesso appena dieci minuti e aveva mandato un sostituto a completare le pratiche. A quell'epoca Nick portava un marchio d'infamia, era un uomo in fase discendente, da sfuggire come un lebbroso. Larry Fry gli aveva riservato allora soltanto la cortesia dovuta al comandante di una piccola nave; adesso lo trattava come un'altezza reale in visita. Era tutto ossequioso, quasi
servile. «Abbiamo noleggiato un 707 della South African Airways per portare a Londra i passeggeri della Golden Adventurer. Di là raggiungeranno le loro destinazioni con voli commerciali.»
«E per l'ormeggio della Golden Adventurer?» «La capitaneria deve mandare un ispettore a esaminare la nave prima di accettarla nel porto.» «Ha preso gli accordi?» domandò bruscamente Nick. Il ricupero non poteva considerarsi completo finché il transatlantico non veniva consegnato ufficialmente alla compagnia incaricata di effettuare le riparazioni. «L'ispettore è già partito», lo tranquillizzò Larry Fry. «Sapremo la decisione prima di sera.» «Gli assicuratori hanno già scelto un'impresa per le riparazioni?» «Andranno alle buste.» Il direttore dell'albergo accolse Nick sul portico d'ingresso. «É un piacere rivederla, signor Berg.» Rinunciò alle pratiche di registrazione. «Ci penseremo quando il signor Berg si sarà sistemato.» Poi disse a Nick: «Le abbiamo riservato lo stesso appartamento». Nick abbozzò una protesta, ma gli stavano già aprendo la porta del salotto. Se la stanza avesse mancato di gusto o di carattere, il ricordo non sarebbe stato così vivido. Ma, a differenza delle stanze di plastica e similpelle negli alberghi costruiti dalle grandi compagnie, questa era arredata con suppellettili antiche, quadri a olio e fiori. I ricordi erano freschi come i fiori, ma non altrettanto gradevoli. Appena furono entrati, squillò il telefono e Larry Fry alzò il ricevitore, mentre Nick esitava in mezzo alla stanza. Erano passati due anni dall'ultima volta che l'aveva vista, ma gli sembravano due giorni, tanto la ricordava bene. «La capitaneria ha accettato la Golden Adventurer nel porto», annunciò Larry Fry con un sorriso di trionfo, alzando i pollici in segno di vittoria. Nick annuì. Soltanto adesso poteva rilassarsi, dopo settimane di fatiche estenuanti. Andò nella camera da letto. Era decorata con una tappezzeria a fiorellini come le tende. Dal grande letto matrimoniale, ricordò Nick, lo sguardo poteva spaziare sul parco. Ricordava Chantelle seduta sotto il baldacchino, con uno scialletto trasparente sulle spalle candide, che mangiava un crostino spalmato di marmellata e poi si leccava le dita con la piccola lingua rosea. Era venuto a negoziare il trasporto di carbone sudafricano e di minerale ferroso dalle baie di Richards e di Saldanha al Giappone, e aveva insistito perché Chantelle lo accompagnasse. Forse presagiva di doverla perdere presto. «Ma l'Africa è un posto primitivo, Nick. C'è una quantità di bestiacce che mordono», aveva obiettato lei. Ma alla fine aveva acconsentito, regalandogli quattro giorni di felicità perfetta. Erano stati gli ultimi, perché, sebbene non lo sospettasse ancora, Nick divideva già il letto e il corpo di Chantelle con Duncan Alexander. In tredici anni di matrimonio, non si era mai stancato del suo corpo vellutato. Anzi, aveva goduto del suo lento e voluttuoso fiorire nella femminilità
matura, illudendosi che appartenesse solo a lui. Chantelle era una di quelle poche donne che diventano più belle con il passare degli anni. Nick era sempre stato orgoglioso di entrare in una stanza piena di famose bellezze e vederle scomparire al confronto di sua moglie. A un tratto, senza motivo, immaginò Samantha accanto a Chantelle. La grazia giovanile della ragazza sarebbe parsa goffaggine vicino alla raffinatezza di Chantelle, il suo comportamento sarebbe parso impacciato, di fronte alla gelida sicurezza di lei. Un adorabile coniglietto accanto a una pantera. «Signor Berg, Londra è in linea», lo chiamò Larry Fry dal salotto, interrompendo il corso dei suoi pensieri. Nick alzò il ricevitore con sollievo. «Guarda sempre avanti», si impose. Ma prima di parlare, pensò ancora alle due donne e si chiese se la chioma dorata di Samantha sarebbe sbiadita vicino ai lucenti capelli corvini di Chantelle, se la giovane carnagione avrebbe conservato la sua trasparenza alabastrina... «Pronto, parla Berg», disse al telefono. «Buon giorno, signor Berg. Vuole parlare con il signor Duncan Alexander della Christy Marine?» Nick rimase in silenzio per un lungo momento. Nel silenzio, udì tonfi di
porte nell'altra stanza e un crescente brusio, mentre i giornalisti si radunavano presso l'armadietto dei liquori. «É ancora in linea, signor Berg?» «Sì», rispose seccamente. «Me lo passi.» «Caro Nicholas, come va?» La voce era carezzevole e melliflua, con l'accento di Eton e di Oxford, un accento prezioso, inimitabile. Non era affettata né indolente, pareva una lama d'acciaio inguainata nel velluto. Ma Nick aveva già visto quella lama snudata. «É impossibile tenerti con le spalle a terra, a quanto pare.» «Ma tu ci hai provato, Duncan», replicò Nick. «Non avere rimpianti. Hai fatto il possibile.» «Non preoccuparti, Nicholas. La vita è troppo breve per le recriminazioni. É cominciata una nuova mano, ripartiamo alla pari.» Ridacchiò. «Accetta almeno i miei complimenti.» «Accettati», disse Nick. «Che cosa volevi dirmi?» «La Golden Adventurer è già ormeggiata al molo?» «Ha avuto il permesso di entrare nel porto. Sarà ormeggiata entro ventiquattr'ore... e tu prepara il libretto degli assegni.» «Spero che non sarà necessario ricorrere ai Lloyd's. Abbiamo già litigato abbastanza. Cerchiamo di risolvere la questione in famiglia, Nicholas.» «Quale famiglia?» «La Christy Marine, no? Tu, Chantelle, il vecchio Arthur Christy... e Peter.» Era un colpo basso. Nick cominciò a tremare come se avesse la febbre e strinse convulsamente il ricevitore. La menzione di suo figlio lo aveva sconvolto. «Non appartengo più alla famiglia.» «Ne farai sempre parte, invece. É il bene più grande che hai. E tuo figlio...» Nick lo interruppe bruscamente. La sua voce era aspra.
«Tu e Chantelle mi avete reso un estraneo. Adesso trattami come tale.» «Nicholas...» «Come principale contraente per il ricupero della Golden Adventurer, la Ocean Salvage attende un'offerta.» «Nicholas...» «Fa' un'offerta.» «Così, sui due piedi?» «Aspetto.» «E va bene. Il consiglio di amministrazione ha studiato a fondo l'operazione di ricupero. Sono autorizzato a saldare immediatamente il conto con settecentocinquantamila dollari.» Il tono di Nick non mutò. «Abbiamo fissato un'udienza ai Lloyd's per il 27 del mese venturo.» «Nicholas, entro certi limiti l'offerta è trattabile...» «Parli arabo», lo interruppe Nick. «Le nostre posizioni sono agli antipodi. Perdiamo tempo e basta.» «Nicholas, so quello che senti per la Christy Marine. Come sai, la compagnia è autoassicurata...» «Adesso mi fai perdere tempo sul serio.» «Non ci sono altre parti in causa. Nicholas, non c'è una grossa società di assicurazione. É la Christy Marine che...» Nick lo chiamò nuovamente per nome, sebbene gli scottasse la lingua. «Mi spezzi il cuore, Duncan. Ci vediamo il 27 del mese venturo alla corte arbitrale.» Riagganciò il ricevitore, andò davanti allo specchio, si ravviò i capelli e si ricompose. Aveva i lineamenti contratti e gli occhi lampeggianti. Tuttavia, quando entrò nel salotto dell'appartamento, era rilassato, affabile e sorridente. «Bene, signore e signori. Sono tutto vostro.» Una giornalista bionda, giovane e carina, ma con lo sguardo prematuramente invecchiato, lo osservò bevendo un altro sorso di whisky. Poi mormorò con la voce velata:
«Ne sono lieta, tesoro». ^ La Golden Adventurer, ormeggiata alla banchina del porto di Città del Capo, aspettava il suo turno per entrare nel bacino di carenaggio. La Globe Engineering, la compagnia incaricata delle riparazioni, aveva già firmato il contratto, rilevando la nave dal primo ufficiale del Warlock. Ma David Allen la considerava ancora una sua creatura. Dalla plancia del Warlock, poteva spaziare sul porto e vedere le candide sovrastrutture brillare al sole d'estate. La ricordò incrostata di neve e investita dalla tormenta e dalla furia del mare, rollare sulle immense onde dell'Antartico. Si gonfiò di orgoglio. Affondò le mani nelle tasche e sibilò sommessamente, guardando la nave con un sorriso. La testa grinzosa di Trog fece capolino dalla cabina radio. «C'è una chiamata per te da terra», annunciò. David prese il microfono. «David?»
«Signorsì.» Si erse sul busto, riconoscendo la voce di Nick Berg. «Sei pronto a salpare?» David sussultò, poi sbirciò l'orologio sulla paratia. «Abbiamo consegnato il rimorchio un'ora e dieci minuti fa.» «Sì, lo so. Quando potrai salpare?» David fu tentato di rispondere «anche subito», per poi barare sul tempo. Ma qualcosa gli impedì di mentire a Nicholas Berg. «Fra dodici ore», rispose. «É una piattaforma per ricerche petrolifere, va da Rio al mare del Nord. Una piattaforma semisommergibile.» «Signorsì.» David rifletté rapidamente. Per fortuna non aveva ancora lasciato sbarcare l'equipaggio. Aveva disposto la franchigia per la una. Poteva farcela. «Quando verrà a bordo, signore?» «Io non vengo», rispose Nick. «Sei il nuovo comandante. Partirò per Londra con il volo delle cinque. Ti risparmio le raccomandazioni. Il rimorchiatore è tuo, David.» «Grazie, signore», balbettò David, arrossendo fino alla radice dei capelli. «La Bach Wackie ti comunicherà per telex i particolari del rimorchio. Definiremo il tuo contratto in seguito. All'alba di domani farai rotta per Rio al massimo della velocità economica.» «Signorsì.» «Ti ho osservato, David.» Il tono di Nicholas si fece confidenziale, affabile. «Sei un bravo marinaio. Non scordartelo.» «Grazie, signor Berg.» ^ Samantha aveva aiutato per metà del pomeriggio a far scendere i passeggeri dalla Golden Adventurer e imbarcarli sui pullman che li avrebbero distribuiti in vari alberghi cittadini, in attesa del volo charter per Londra. Aveva salutato con rammarico i suoi numerosi amici, ricordando quelli che non erano tornati dal capo Alarm: Ken, che sarebbe divenuto suo amante, e i passeggeri della fatale zattera numero 16, affidati a lei. Quando l'ultimo pullman fu partito, con i passeggeri che salutavano Samantha per l'ultima volta, «Abbi cura di te, cara!», «Vieni a trovarci, hai capito?», si sentì abbandonata e derelitta come la nave. Fissò a lungo l'alta fiancata della nave, osservando i danni prodotti dalle onde e dal ghiaccio. Infine si avviò stancamente lungo il ciglio del bacino, ignorando i fischi d'ammirazione e le proposte dei marinai. Il Warlock le parve accogliente come una casa, ardito e spavaldo. A un tratto Samantha ricordò che Nick non era più a bordo e la sua tristezza aumentò. «Finalmente.» Tim Graham le venne incontro sulla passerella. «Per fortuna sei tornata. Non sapevo dove mettere la tua roba.» «Come sarebbe a dire?» chiese Samantha. «Mi sbattete fuori?» «A meno che tu non voglia accompagnarci a Rio.» Rifletté un momento, poi sorrise. «Non sarebbe una cattiva idea, no? Il carnevale di Rio, io e te...»
«Non contarci troppo, Timothy», lo interruppe lei. «Perché Rio?» «Il comandante...»
«Il capitano Berg?» «No, David Allen. É il nuovo comandante.» L'interesse di Samantha svanì. «Quando partite?» «A mezzanotte.» «Vado a far fagotto, allora.» Lo lasciò sul cassero. Angel la investì mentre passava davanti alla cambusa. «Dove ti eri cacciata?» Sembrava agitato, continuava a gettarsi indietro i capelli. «Ero fuori di me, tesoro.» «Che cosa c'è, Angel'» «Forse è troppo tardi.» «Che cosa c'è?» Percepì la sua ansia. «Dimmelo.» «Lui è ancora in città.» «Chi?» Ma aveva capito benissimo. Soltanto una persona aveva il potere di eccitarli tanto. «Non fare l'ingenua, carina. Il tuo cascamorto.» Lei detestava che Angel si riferisse così a Nick, ma stavolta non lo interruppe. «Non si tratterrà a lungo. Il suo aereo decolla alle cinque. Va a Johannesburg e là prende la coincidenza per Londra.» Samantha lo fissò. «Be', che cosa aspetti?» gemette Angel. «Sono quasi le quattro. Ci vuole mezz'ora per arrivare all'aeroporto.» Lei non si mosse. «Ma Angel», disse, torcendosi le mani, «che cosa farò, quando sarò arrivata?» Esasperato, Angel scrollò la testa con uno scintillio di diamanti. «Santo cielo, carina.» Sospirò. «Da ragazzo avevo due porcellini d'India. Nemmeno loro crescevano. Forse erano ritardati o qualcosa del genere. Le ho provate tutte, anche gli ormoni, ma sono morti lo stesso. Non hanno mai consumato il loro amore.» «Non scherzare, Angel.» «Potresti tenerlo fermo mentre gli faccio un'iniezione di ormoni.» «Ti odio, Angel.» Nonostante la sua ansia, non poté reprimere una risata. «Tesoro, il mese scorso hai cercato ogni sera di infiammarlo con la tua vocetta argentina. Risultato: zero.» «Lo so, Angel. Lo so.» «Mi sembra, dolcezza, che sia ora di finirla con le chiacchiere. Prova a infiammarlo con la tua scatoletta magica.» «Sì, nell'atrio dell'aeroporto?» Intrecciò le mani deliziata, poi assunse un atteggiamento lascivo. «Sono Sam... prendimi!» «Sbrigati, piccola, c'è un tassì sulla banchina. Aspetta da un'ora e il tassametro corre.» ^ Nell'aeroporto Malan di Città del Capo non c'è la sala d'aspetto di prima classe, così Nick si sedette fra le madri esauste con i marmocchi frignanti, i turisti carichi di souvenir come cammelli e gli uomini d'affari dai faccioni rubicondi; ma era solo in mezzo alla folla. Con inconscia deferenza, la gente gli fece un po' di spazio e lui si mise la valigetta diplomatica sulle ginocchia a mo' di scrittoio.
A un tratto pensò alla straordinaria fortuna arrisagli negli ultimi quaranta giorni, da quando lui aveva riconosciuto la sua onda ma aveva temuto di non poterla cavalcare. Un'ombra gli passò davanti agli occhi, e una ruga gli solcò la fronte quando ricordò lo sforzo che gli era costata la decisione di ricuperare la Golden Adventurer. Rabbrividì al pensiero di quello che sarebbe successo se non fosse andato. Avrebbe perso la sua onda, e non ne sarebbero arrivate altre. Scrollò la testa, scacciando il ricordo della paura. Aveva preso la sua onda, la cavalcava con sicurezza. Adesso il destino era fin troppo generoso:
il rimorchio della piattaforma per il Warlock, da Rio al giacimento Bravo Sierra, al largo della Norvegia; e subito dopo un altro rimorchio dal Mare del Nord attraverso il canale di Suez, fino al nuovo giacimento dell'Australia meridionale. Il Warlock ne avrebbe avuto per almeno sei mesi. E non bastava: lo sciopero della Construction Navale Atlantique era stato scongiurato e il nuovo rimorchiatore sarebbe stato consegnato con due mesi di anticipo. A mezzanotte gli aveva telefonato la Bach Wackie, informandolo che anche il Kuwait e il Qatar stavano considerando l'idea di ricavare acqua dolce dagli iceberg, con l'intenzione di realizzare il progetto al più presto. Avrebbe dovuto costruirsi altri due rimorchiatori, se voleva partecipare. «Non mi resta che vincere al totocalcio», pensò. A un tratto alzò gli occhi e sussultò come se avesse ricevuto un pugno nel plesso solare. Lei era sulla soglia dell'atrio. Il vento le aveva scompigliato i capelli e alcuni riccioli d'oro le sfuggivano dalla crocchia, carezzandole le guance. Era affannata come se avesse corso e si comprimeva il petto con le dita spalancate fra i seni. Era guardinga, timorosa, incerta. La sua agitazione era così palese che Nick depose la valigetta e balzò in piedi. Lei lo vide subito e si illuminò di gioia. Nick esitò, stupito, mentre Samantha gli correva incontro. Urtò un grasso turista facendolo barcollare. Una pioggia di pacchi e di sculture indigene cadde sul pavimento. Il turista sbuffò con ira, ma come le diede un'occhiata, la sua espressione si raddolcì. «Mi scusi!» Samantha si chinò a raccogliere un pacco, glielo ficcò fra le braccia, gli rivolse un luminoso sorriso e si allontanò, seguita dal suo sguardo indulgente. Ma adesso era tornata padrona di sé. Rallentò il passo e procedette con la sua tipica andatura ancheggiante. Il suo sorriso era un po' meno incerto, mentre si scostava le ciocche d'oro dal viso. «Credo di aver sentito la tua mancanza.» Si fermò davanti a lui. «É successo qualcosa?» le chiese Nick, allarmato dal suo comportamento. «Oh, no», si affrettò a tranquillizzarlo lei. «Niente di speciale.» All'improvviso ridivenne timida e impacciata. «Ho solo sentito la tua mancanza», aggiunse sommessamente. Distolse lo sguardo. «Non mi hai nemmeno salutata.» «Mi è sembrato meglio.» Ora gli occhi di Samantha lo scrutarono in viso, scintillando di fuoco
verde. «Perché?» gli chiese. Nick non riuscì a trovare una risposta. «Non volevo...» Come poteva dirglielo, senza rivelare ciò che li avrebbe imbarazzati entrambi? Gli altoparlanti dell'aerostazione cominciarono a gracidare. «La South African Airways annuncia la partenza dell'aerobus per Johannesburg, volo 235. I passeggeri sono pregati di portarsi all'uscita numero 2.» Il tempo stringeva. «Sono Sam... prendimi, ti prego!» pensò, reprimendo l'impulso di ridacchiare. Disse invece: «Nicholas, domani sarai a Londra. In pieno inverno». «É un pensiero confortante», convenne lui, e per la prima volta sorrise. Il suo sorriso le fece piegare le ginocchia. «Domani, o al massimo dopodomani, farò il surf al capo St Francis», soggiunse Samantha. Ne avevano già parlato, durante le loro veglie incantate. Nick le aveva detto d'aver praticato il surf sulla spiaggia di Waikiki, molto prima che lo sport diventasse di moda. Era una delle loro esperienze in comune, una parte del loro amore per il mare, che li faceva sentire ancora più vicini. «Divertiti», le augurò lui. Il capo St Francis si trova settecentocinquanta chilometri a nord di Città
del Capo. É uno degli innumerevoli promontori in diecimila chilometri di splendida costa, ma unico al mondo. I giovani e gli aspiranti tali vi si recano in pellegrinaggio per cavalcare le lunghe onde. Vengono dalle Hawaii e dalla California, da Tahiti e dal Queensland, perché da nessun'altra parte si trovano onde simili. Al cancello d'uscita, la coda si stava accorciando. Nick si chinò a raccogliere la valigetta, e lei gli posò una mano sul braccio. Era la prima volta che lo toccava apposta, e Nick ne fu profondamente turbato. Tutte le emozioni che aveva cercato di negare lo assalirono all'improvviso, centuplicate. Soffriva per lei. Soffriva di desiderio e di passione. «Vieni con me, Nicholas», bisbigliò Samantha. Lui non poté rispondere, aveva un nodo alla gola. Si limitò a fissarla. La hostess presso il cancello stava già sbirciando intorno, alla ricerca dei passeggeri mancanti. Doveva convincerlo. Gli strinse ansiosamente il braccio, stupita dalla compattezza dei muscoli. «Nicholas, voglio che tu mi accompagni.» Una vampata di rossore le salì al viso, facendo brillare le sue lentiggini come polvere d'oro e a un tratto, come per magia, lei si ritrovò tra le sue braccia. Cercò di seppellirsi nella sua stretta, respirando il suo odore maschio. Fu stupita dalla morbidezza della sua bocca, dalla durezza della barba che gli copriva il mento e le guance. Gli si avvinghiò mormorando più che parole, suoni dolci e inarticolati. «Passeggero Berg. Il passeggero Berg è pregato di presentarsi al cancello
d'uscita», disse l'altoparlante. «Mi chiamano», disse Nick. «Possono mettersi in coda», sussurrò lei sulle sue labbra. ^ Il sole si addiceva a Samantha. Lo indossava come un mantello tessuto per lei. Lo portava sui capelli scintillanti come gemme, lo usava per dipingersi tutta d'ambra e di miele, lo rifletteva in lentiggini d'oro sul naso e sulle guance. Si muoveva al sole con grazia, scalza sulla sabbia bianca, ostentando sfrontatamente i fianchi e le natiche sotto il triangolino verde del bikini. Si stendeva al sole come una gattina assonnata, offrendo il viso e il ventre all'astro fiammeggiante. Sembrava che facesse le fusa. Correva al sole lungo la battigia, leggera come un alcione in volo, e lui le correva accanto per miglia. Erano soli in un mondo di mare verde, di sole e di cieli sconfinati. La spiaggia si stendeva a perdita d'occhio, bianca e liscia come le nevi dell'Antartide, senza tracce di vita umana, e lei rideva alla luce del sole, tenendolo per mano mentre correvano insieme. Scoprirono una profonda pozza fra gli scogli in un luogo lontano e segreto. La luce riverberata dall'acqua le danzò sul corpo, mentre si toglieva i due pezzi del bikini, si scioglieva i capelli e scendeva nella pozza, girandosi a guardarlo. La chioma le spioveva fin quasi ai fianchi, folta e fluente, le ammantava le spalle lasciando intravedere i capezzoli. I suoi seni, risparmiati dal sole, erano bianchi e rosa, così opulenti che lui si stupì di averla considerata una bambina. Quando notò la direzione del suo sguardo, lei gettò indietro le spalle e rise. Tornò a girarsi verso la pozza, mostrando le natiche candide e rotonde. Mentre si chinava per tuffarsi, un ciuffetto di riccioli dorati fece capolino nel punto dove la profonda fessura fra le natiche si biforcava nelle cosce abbronzate. Nell'acqua cristallina, il suo corpo era caldo come il pane appena sfornato, freddo e caldo a un tempo. Quando Nick glielo disse, lei gli intrecciò le mani dietro al collo. «Sono Sam, il ghiaccio bollente. Mangiami!» rise. Le goccioline scintillavano sulle sue ciglia come brillanti. Erano soli anche in mezzo alla gente, per loro non esisteva nessun altro. Fra le persone venute da tutto il mondo per cavalcare le lunghe onde del capo St Francis, ce n'erano parecchie che Samantha aveva conosciuto in Florida e in
California, in Australia e nelle Hawaii, dove l'avevano condotta i suoi viaggi di studio e il suo amore per la vita marina. «Ehi, Sam!» gridavano, abbandonando le tavole per il surf sulla sabbia e correndole dietro. Erano giovanotti alti, muscolosi e cotti dal sole. Lei abbozzava un sorrisetto vago, stringendo più forte la mano di Nick, e rispondeva distrattamente alle loro chiacchiere, cogliendo il primo pretesto per svignarsela. «Chi era?» «É strano ma non ricordo. Non so dove e quando l'ho conosciuto.» Ed era vero. Riusciva a concentrarsi soltanto su Nick. Gli altri lo capivano
e li lasciavano subito soli. Nick non prendeva il sole da un anno. Il suo corpo era color avorio antico, in contrasto con i folti peli neri che gli coprivano il ventre e il petto. Alla fine del primo giorno di sole, l'avorio si era mutato in rosso cupo. «Ti sei scottato», osservò lei. Ma il mattino dopo, il suo corpo e le membra erano divenuti bruni come il mogano. Lei scostò le lenzuola con meraviglia, sfiorandolo con la punta delle dita. «Sono fortunato. Ho una pellaccia da bufalo», commentò lui. Divenne ogni giorno più scuro, finché non fu bronzeo come un indiano d'America. Gli zigomi pronunciati accentuavano la somiglianza. «Devi avere sangue indiano», gli disse lei, carezzandogli il naso con la punta del dito. «Conosco solo due generazioni della mia famiglia», replicò Nick sorridendo. «Preferisco non risalire oltre.» Samantha si sedette sopra di lui e cominciò a esplorarlo. Gli sfiorò la bocca e i lobi delle orecchie, gli carezzò le sopracciglia, il piccolo neo sulla guancia, le labbra, con gridolini di stupore a ogni scoperta. Lo toccava anche a passeggio, gli strisciava l'anca contro la gamba. Sulla spiaggia, si sedeva fra le sue ginocchia e gli si appoggiava al petto. Pareva che volesse continuamente assicurarsi della sua presenza. Mentre aspettavano le onde, seduti a cavalcioni delle loro tavole, gli sfiorava la spalla, bilanciandosi sull'asse come una cavallerizza. Erano spiritualmente vicini, isolati dai trenta o quaranta appassionati di surf in attesa delle onde lungo il litorale. La sponda era una lontana striscia verde scuro sopra l'acqua azzurra, le montagne erano sagome azzurrognole che si confondevano con l'azzurro del cielo, dove veleggiavano maestosi cumuli bianchi. «É il posto più bello del mondo», disse lei, accostando la tavola per toccargli la coscia con il ginocchio. «Perché ci sei tu», osservò lui. L'acqua saliva e scendeva, sembrava che respirasse come una creatura vivente. Le onde scivolavano pigre verso la spiaggia. Tradito dall'impazienza, un novellino avrebbe preso l'onda sbagliata, inginocchiandosi sulla tavola e remando con le mani, per poi rizzarsi goffamente in piedi e perdere l'equilibrio quando l'onda lo abbandonava, fra i lazzi degli altri surfisti. Finalmente venne il fatidico grido: «Tre onde!» Le tavole furono rapidamente messe in posizione. I surfisti si distanziarono fra di loro, ridendo e stuzzicandosi a vicenda mentre le onde si profilavano all'orizzonte, lontane ancora quattro miglia ma ben visibili. Filando a cinquanta miglia all'ora, sarebbero arrivate in cinque minuti, e nel frattempo Samantha eseguì i preparativi di rito. Dapprima si tirò su le mutandine del bikini che erano scivolate un poco, scoprendo l'inizio del solco fra le natiche. Poi strinse il reggipetto, sistemando i seni nelle coppe. Sorrise a Nick. «Che cos'hai da guardare?» «Hai ragione, rischio l'infarto.» Infine prese due forcine e le tenne in bocca mentre annodava più strettamente la sua treccia, lasciandola penzolare sulla schiena. Si appuntò
sopra le orecchie le ciocche sfuggenti. «Tutto a posto?» le gridò lui. Samantha chiese: «Prendiamo la terza?» La terza onda era di solito la più grossa. Lasciarono passare la prima e caddero nel cavo. Metà degli altri surfisti la prese. Le loro teste spuntavano sopra la cresta, e la terra era celata dalla parete d'acqua. Venne la seconda onda, più grossa e più potente. La maggior parte dei surfisti rimasti si lasciò portare, due o tre vacillarono sulla ripida parete, persero le tavole e furono trascinati sott'acqua quando le funicelle legate alle caviglie si tesero. «Andiamo!» esultò Samantha. Venne la terza onda, verde e ripida. Nella parete d'acqua trasparente nuotavano quattro delfini. Si dirigevano con le code piatte e sembrava che ridessero di felicità. «Oh, guarda!» gridò Samantha. «Guarda, Nicholas!» L'onda torreggiò su di loro, e remarono freneticamente con le mani. Per un attimo temettero che l'onda li abbandonasse, ma a un tratto le tavole divennero vive e cominciarono a filare inclinate verso il basso, sibilando sull'acqua. Entrambi si erano rizzati e ridevano al sole, bilanciandosi sulle tavole. La cresta li sollevò in alto, videro la distesa della spiaggia tre miglia più avanti, le file degli altri surfisti sulle due onde gemelle che erano passate poco prima. Un delfino giocò con loro sulla cresta. Si tuffò sotto le tavole e si coricò sul fianco per sogghignare a Samantha. Chinatasi, lei allungò una mano per carezzarlo, perse l'equilibrio e per poco non cadde mentre il delfino le sogghignava maliziosamente e si tuffava per riemergere dall'altra parte a pancia in su. Ora, alla loro destra, l'onda sentiva la terra e cominciava a piegarsi su se stessa. La cresta si curvò in avanti, rimase graziosamente inarcata per un lungo momento, poi crollò lentamente. «A sinistra», gridò Nick. Fecero girare le tavole e danzarono sulle prue tozze, flettendo le ginocchia per governare lo scafo in corsa. Fendettero obliquamente la parete verde dell'onda, inseguiti dalla cresta ricurva. Adesso, alla loro sinistra, l'acqua formava una parete verticale. Sbirciandola, Samantha vide il delfino che le nuotava accanto, dimenando vigorosamente la grande coda. La maestosità e la forza dell'onda la sgomentarono. «Nicholas!» strillò. L'onda si curvò sopra la sua testa, coprendo il cielo, oscurando la luce del sole. Ora filavano in una galleria d'acqua ruggente. Le pareti erano lisce come vetro, la luce era verde e magica come in una profonda caverna sottomarina. Più avanti, alla fine della galleria c'era un'apertura perfettamente rotonda, mentre alle loro spalle la galleria crollava in uno scroscio tonante d'acqua bianca. Benché fosse atterrita, Samantha non era mai stata così felice.
Nick le gridò: «Dobbiamo uscire prima del crollo». La sua voce quasi si perse nel ruggito dell'acqua, ma lei si spostò docilmente sulla punta della tavola, piegando le dita dei piedi sull'orlo. Per un lungo momento mantennero la distanza, poi, lentamente cominciarono a guadagnare. Finalmente schizzarono attraverso l'imboccatura della galleria e si ritrovarono alla luce del sole. Samantha rise pazzamente, in reazione al recente terrore. Oltrepassarono il bassofondo e l'onda si stabilizzò, lasciandosi dietro un merletto di spuma bianca. «A destra!» gridò lei, per restare nella parte più potente dell'onda. Fecero girare le tavole e tornarono indietro, fendendo la parete scoscesa. Con il ventre e le cosce bagnati dagli spruzzi, Samantha si equilibrava a braccia allargate, imitando inconsapevolmente i movimenti di una danzatrice
balinese. Il delfino le nuotava accanto come un cagnolino. Finalmente l'onda sentì la spiaggia e impazzì. Ricadde su se stessa con un boato, mordendo furiosamente la sabbia. Nick e Samantha abbandonarono l'onda, scivolarono dietro la cresta e caddero presso le tavole, ridendo e ansando per l'eccitazione, la paura e la gioia. Samantha era una creatura marina e aveva un debole per i frutti di mare. Spezzava le gambe dei crostacei e ne succhiava rumorosamente il midollo, con la bocca sporca di salsa, senza distogliere gli occhi da Nick. Al lume di candela, ingoiava le enormi ostriche Knysna e poi leccava il succo rimasto nei gusci. «Parli con la bocca piena.» «Ho troppe cose da dirti», ribatteva lei. Samantha rideva. Sapeva ridere in un'incredibile varietà di modi, dalla risatina sonnacchiosa del mattino, quando si svegliava e trovava Nick accanto a sé, alla risata selvaggia in cui prorompeva sulla cresta di un'onda in corsa. E amava. Nonostante il visetto innocente e gli occhi ingenui, usava le mani e la bocca con una perizia maliziosa che sconcertava Nick. «E pensare che volevo partire alla chetichella perché temevo di traviarti.» Scrollò la testa, ancora incredulo. «Ho scritto una tesi sull'argomento», replicò gaiamente lei, arricciandogli con l'indice i peli del petto umidi di sudore. «Ma questa era soltanto una dimostrazione. Adesso passiamo al trattamento completo.» Il corpo di Nick era per lei una continua fonte di scoperte. Lo toccava e lo esaminava centimetro per centimetro, prorompendo in gridolini di stupore, senz'ombra d'imbarazzo. Si prendeva la sua mano in grembo e la studiava, seguendo i solchi del palmo con la punta dell'indice. «Conoscerai una bellissima bionda, avrai quindici figli e vivrai centocinquant'anni.» Gli sfiorò con la punta della lingua le piccole rughe intorno agli occhi e agli angoli della bocca, lasciandogli fresche tracce di saliva sulla pelle. «Ho sempre voluto un vero uomo tutto per me.» Poi quando l'esame si fece più intimo e Nick protestò, lei gli disse severamente:
«Sta' fermo. É una questione privata fra me e lui». E più tardi: «Santo cielo! É veleno!» «Veleno?» chiese Nick offeso nella sua virilità. «Sì», sospirò lei. «Mi ha appena uccisa!» Quindi si offrì al suo tocco e al suo esame. Guidò le sue mani, esibendosi con entusiasmo. «Guarda, tocca, è tuo... tutto tuo.» Voleva la sua approvazione, non riusciva a dargli abbastanza per soddisfare il proprio desiderio di dare. «Lo vuoi, Nicholas? Ti piace? Vuoi qualcos'altro, Nicholas? Che cosa posso darti?» Quando le disse com'era bella, quando le disse come la desiderava, quando toccò e ammirò i doni che gli offriva, lei s'illuminò, si stese e fece le fusa come una grande gatta dorata. Nick non fu stupito di apprendere che il suo segno zodiacale era il Leone. Samantha era amabile alle prime luci dell'alba. Tenera e assonnata, tutta sussurri e risatine sommesse. Era amabile alla luce del sole, stesa come una stella marina al riverbero rovente delle dune di sabbia. La sabbia le ammantava il corpo come cristalli di zucchero. Guardavano estasiati i gabbiani che ruotavano sopra di loro con le ali immobili. Era amabile nell'acqua verde e fresca. Le loro teste danzavano oltre la prima linea dei frangenti quando Nick toccava appena il fondo sabbioso con la punta dei piedi e lei gli si avvinghiava ridendo di gioia. Ed era amabile di notte, con i capelli spazzolati con cura e sparsi su di lui, lucenti e fragranti, simili a un baldacchino d'oro. Gli s'inginocchiava a fianco con venerazione quasi religiosa. Ma, più di tutto, Samantha era giovane, vibrante e piena di vita. Per mezzo suo, Nick risentì le emozioni che aveva creduto spente dal cinismo
e dal pragmatismo della vita. Partecipò al suo stupore fanciullesco per le piccole meraviglie della natura, il volo di un gabbiano, la presenza di un delfino, la scoperta della conchiglia di un nautilo sulla sabbia bianca, con la rara creatura ancora viva nelle volute dell'interno. Partecipò alla sua indignazione quando anche quelle spiagge remote e solitarie furono contaminate dal petrolio. Le petroliere avevano sciacquato le cisterne nella corrente delle Agulhas e i grumi di greggio si appiccicavano alle piante dei piedi, chiazzavano gli scogli, insozzavano le carcasse dei pinguini che trovavano sulla battigia. Samantha era la vita stessa. Bastava toccarla e udirla ridere per sentirsi ringiovaniti. Camminarle accanto significava sentirsi forti e vitali. Abbastanza forti per le lunghe giornate al mare e al sole, abbastanza forti per danzare buona parte della notte alla musica assordante, e poi abbastanza forti per prenderla in braccio quando vacillava e portarla nel bungalow sulla spiaggia come una bimba assonnata. «Oh, Nicholas, Nicholas... sono così felice che vorrei piangere.» ^ Un giorno arrivò Larry Fry. Era indignato, paonazzo e furibondo come un marito tradito. «Quindici giorni», tuonò. «Londra, Bermude e St. Nazaire mi hanno fatto
impazzire per quindici giorni!» Sventolò i foglietti dei telex. «Nessuno sapeva dove si fosse cacciato. Era semplicemente sparito.» Ordinò un gin tonic al barista e si accasciò stancamente sullo sgabello accanto a Nick. «Se vuole saperlo, signor Berg, a momenti lei mi costava il posto. La gente cominciava a sospettare che l'avessi assassinata e avessi nascosto il suo cadavere. Ho dovuto assumere un investigatore privato per controllare i registri di tutti gli alberghi sudafricani.» Bevve una lunga sorsata di gin. In quel momento Samantha entrò nel bar. Indossava un ampio vestito verde come i suoi occhi e un rispettoso silenzio scese nella sala mentre gli avventori la guardavano. Larry Fry la fissò a bocca aperta, dimenticando la sua indignazione. Il suo cranio luccicante s'imperlò di goccioline. «Dio buono», borbottò. «Ecco l'antidoto per il mal di fegato.» La sua ammirazione divenne costernazione quando lei si accostò a Nick, gli posò una mano sulla spalla e lo baciò a lungo sulla bocca. Un sospiro collettivo si levò dalla sala, e Larry Fry scolò il suo gin d'un fiato. ^ «Dobbiamo partire», decise Samantha. «Non possiamo restare qui, Nicholas, altrimenti sciuperemo tutto. É stato bellissimo, ma adesso dobbiamo partire.» Nick la capì. Anche lei aveva l'istinto di andare sempre avanti. Nel giro di un'ora, prese a nolo un bimotore Beechcraft Baron. Vi salirono nella piccola spianata vicino all'albergo e scesero all'aeroporto Jan Smuts di Johannesburg un'ora prima che il volo UTA partisse per Parigi. «Finora ho sempre viaggiato nel retrobottega», disse Samantha, girando lo sguardo per la cabina di prima classe. «É vero che qui si può mangiare e bere gratis finché si vuole?» «Sì», rispose Nick. Si affrettò ad aggiungere: «Ma non considerarla una sfida». Ormai conosceva l'appetito di Samantha. Passarono la notte al George V di Parigi e il mattino dopo presero il volo TAT per Nantes, l'aeroporto più vicino a St. Nazaire. Jules Levoisin li accolse all'aeroporto Chateau Bougon. «Nicholas!» esclamò giovialmente. Si alzò in punta di piedi a baciarlo sulle guance, avvolgendolo in una nube fragrante d'acqua di Colonia e brillantina. «Sei un pirata, Nicholas, mi hai fregato la nave sotto il naso. Ti odio.» Si scostò. «Te l'avevo detto di lasciarla stare, no?» «Sicuro, Jules, sicuro.» «E allora perché mi hai menato per il naso?» chiese, arricciandosi i baffi. Indossava un costoso abito di cachemire e portava una cravatta Yves St. Laurent. Jules era sempre un damerino, a terra. «Ti offrirò una colazione alla Rotisserie, Jules», gli promise Nick.
«Ti perdono», disse lui. La Rotisserie era uno dei suoi ristoranti preferiti. In quel momento si accorse che Nick non era solo. Indietreggiò e contemplò a lungo Samantha. Sembrava che gli garrissero intorno i tricolori mentre una banda suonava la Marsigliese. Se la galanteria è lo sport nazionale francese, Jules Levoisin ne era un campione.
Si chinò a baciarle la mano, punzecchiandola con i baffoni neri. Poi disse a Nicholas: «É troppo bella per te, mon petit. Te la vorrei rubare». «Come hai fatto con la Golden Adventurer?» chiese serafico Nick. Nel parcheggio c'era la vecchia Citroen di Jules, lustra e piena di ninnoli penzolanti. Aiutò Samantha a sedersi sul sedile anteriore come se la macchina fosse una Rolls Camargue. «É simpatico», bisbigliò Samantha, mentre Jules faceva il giro per salire dall'altra parte. Non poteva concentrarsi nello stesso tempo sulla strada e su Samantha, così si concentrò solamente su di lei, pur guidando alla velocità massima. Ogni tanto si voltava per gridare «cochon!» a un altro automobilista o per mostrare il pugno con l'indice alzato. «Il suo trisavolo ha partecipato alla carica della cavalleria napoleonica a Quattre Bras», spiegò Nick. «Jules è un uomo senza paura.» «La Rotisserie le piacerà», disse Jules a Samantha. «Ci mangio solamente quando un riccone ha un favore da chiedermi.» «Chi ti ha detto che voglio un favore?» chiese Nick dal sedile posteriore, aggrappandosi alla maniglia della portiera. «Tre telegrammi, una telefonata dalle Bermude e un'altra da Johannesburg.» Jules ridacchiò, strizzando l'occhio a Samantha. «E dovrei credere che Nicholas Berg voglia solamente parlarmi dei vecchi tempi? Dovrei credere che sentiva la nostalgia del suo vecchio amico e maestro? Di un uomo che lo ha trattato come un figlio e che lui ha sfacciatamente imbrogliato?» Attraversò il ponte sulla Loira e s'ingolfò nel traffico di Nantes. Riuscì miracolosamente a trovare un varco. In place Briand, aiutò Samantha a scendere dalla Citroen. Quando si furono seduti nel ristorante, gonfiò le guance e sbuffò mentre Nick discuteva la lista dei vini con il sommelier. Ma annuì con riluttante approvazione quando si accordarono per un Chablis Moutonne e un Chambertin Clos-de-Bèze, poi si dedicò con lo stesso gusto al cibo, al vino e a Samantha. «Se una donna è fatta per la vita e per l'amore, si vede da come mangia.» Samantha gli rivolse uno sguardo lascivo sopra la trota, e Nick si aspettò di sentirlo cantare come un gallo. Soltanto quando fu servito il cognac ed entrambi ebbero acceso i sigari, Jules gli domandò: «Adesso sono di buon umore, Nicholas. Spara». «Ho bisogno di un comandante per il mio nuovo rimorchiatore», disse Nick. Jules celò il viso dietro una cortina di fumo azzurrognolo. La loro schermaglia continuò per tutta la strada da Nantes a St. Nazaire. «Le navi che costruisci non sono rimorchiatori, Nicholas. Sono giocattoli, bordelli galleggianti. Con tutti quei marchingegni...» «Quei marchingegni, Jules, mi hanno permesso di accordarmi con la Christy Marine a tua insaputa.» Jules sbuffò, borbottando fra sé: «Ventiduemila cavalli, c'est ridicule! É potenza sprecata...» «Mi sono serviti tutti, quando ho disincagliato la Golden Adventurer dal capo Alarm.» «Non ricordarmi quel vergognoso episodio, Nicholas.» Si rivolse a Samantha. «Ho fame, ma petite, e nel prossimo villaggio c'è una patisserie.» Si baciò la punta delle dita con un sospiro. «I nostri dolci la faranno impazzire.»
«Mi metta alla prova», lo invitò Samantha. Jules aveva trovato un'anima gemella. «Eliche a passo variabile... puah!» commentò, masticando una pasta. Aveva i baffi sporchi di crema. «Posso fare venticinque nodi, poi ingranare la retromarcia e fermare il
Warlock quasi di colpo.» Jules cambiò tattica e attaccò da un'altra direzione. «Non troverai mai abbastanza lavoro, per due rimorchiatori così costosi.» «Fra poco me ne serviranno quattro», ribatté Nick. «Andremo a prendere iceberg.» Jules smise di masticare e ascoltò per dieci minuti. «Un vantaggio del mio piano è che i miei rimorchiatori opereranno sulle rotte delle petroliere, le rotte più battute di tutti i mari.» «Nicholas», disse Jules, scrollando la testa con ammirazione, «ti muovi troppo in fretta per me. Sono vecchio, all'antica...» «Lei non è vecchio», replicò Samantha. «É nel pieno della maturità.» Jules allargò teatralmente le braccia. «Una bella ragazza che adula i capelli grigi.» Guardò Nick. «Non illudiamoci troppo.» ^ Il mattino dopo nevicava. La neve fioccava rada e leggera mentre si recavano a St. Nazaire da La Baule, un villaggio costiero venticinque chilometri più a nord sulla costa dell'Atlantico. Jules aveva un appartamentino a La Baule. Era una sistemazione conveniente, perché La Mouette, il suo rimorchiatore, apparteneva a una compagnia bretone e St. Nazaire era il suo porto di base. In venticinque minuti di macchina giunsero agli eleganti archi del ponte sospeso che attraversa l'estuario della Loira a St. Nazaire. Jules guidò la Citroen nelle viuzze della zona portuale sotto il ponte, dove si trovavano i cantieri della Construction Navale Atlantique, uno dei tre colossi europei nell'industria delle costruzioni navali. Gli scali di alaggio per le navi più grandi, le gru e le officine si trovavano sulla sponda del fiume, ma i cantieri delle navi più piccole erano nel porto interno. Jules parcheggiò la Citroen presso il cancello del porto interno e andarono da Charles Gras, che li aspettava nel suo ufficio prospiciente il bacino. «Sono lieto di rivederti, Nicholas.» Gras, uno degli ingegneri più importanti dell'Atlantique, era alto, un po' ingobbito, assai pallido, con la capigliatura nera e ribelle. Aveva i tipici lineamenti affilati dei parigini, e gli occhi vivaci contrastavano con la sua espressione malinconica. Conosceva Nick da anni. Quando fu presentato a Samantha, parlò in un inglese dall'accento marcato. Ma tornò al francese quando chiese a Nick: «Vuoi vedere subito la tua nave, n'est-ce pas?» Il Sea Witch si ergeva sulle armature. Sebbene fosse il gemello del Warlock, con la carena allo scoperto sembrava alto il doppio. La sovrastruttura era ancora incompleta e la vernice antiruggine gli conferiva un aspetto tetro, ma era impossibile non restare colpiti dalla bellezza funzionale e simmetrica della sua linea.
Jules sbuffò borbottando «bordello», fece qualche osservazione riguardo all'«ammiraglio Berg e la sua corazzata», ma non poté celare il brillìo dei suoi occhi quando salì sulla plancia, o quando ascoltò le spiegazioni di Charles Gras sulle attrezzature elettroniche e sugli altri strumenti che avrebbero reso la nave veloce, efficiente e manovrabile. Nick capì che doveva lasciare soli i due esperti, in modo che potessero convincersi a vicenda. Sebbene si vedessero per la prima volta, era chiaro che s'intendevano perfettamente. «Vieni.» Prese Samantha per un braccio e la condusse in coperta passando fra i ponteggi e i gruppi di operai al lavoro. Non nevicava più, ma un vento pungente soffiava dall'Atlantico. Trovarono un angolo riparato e Samantha si strinse a Nick, rannicchiandosi fra le sue braccia. Dall'alto del Sea Witch si dominava la foresta di gru e le officine che si stendevano fino alla sponda del fiume, dove venivano impostate le chiglie delle grandi navi. «Ti ho parlato della Golden Dawn», disse Nick. «Eccola.» Samantha non capì subito che stava guardando una nave.
«Dio mio», bisbigliò. «Com'è grande.» «É la più grande del mondo», convenne lui. La struttura di acciaio era lunga più di duemila metri, e lo scafo alto come un edificio di cinque piani, sovrastato dalla torretta di navigazione che si ergeva per un'altra trentina di metri. Samantha scrollò la testa. «Incredibile. Sembra una città! E dovrebbe galleggiare?» «É soltanto lo scafo principale. Le cisterne sono state costruite in Giappone. L'ultima volta che ne ho sentito parlare, erano rimorchiate verso il Golfo Persico.» Guardò la nave, socchiudendo gli occhi contro il vento gelido. «Dovevo essere uscito di senno», mormorò, «per concepire un mostro del genere». Ma nel suo tono c'era una sfumatura di orgoglio. «É immensa. Supera ogni immaginazione», osservò lei, incoraggiandolo a parlare. «Quant'è grande, precisamente?» «Non è un unico blocco», le spiegò Nick. «Nessun porto al mondo potrebbe ospitare un colosso del genere. Non potrebbe avvicinarsi agli Stati Uniti, per esempio. I fondali sono troppo bassi.» «E allora?» Samantha amava ascoltarlo, amava sentire la forza delle sue convinzioni. «Quelli che vedi sono la piattaforma di carico, gli alloggi e la sala macchine.» La strinse a sé. «A questa struttura saranno attaccate quattro cisterne, ciascuna capace di contenere duecentocinquantamila tonnellate di greggio. Ogni cisterna è grossa quasi come le più grandi petroliere attualmente in esercizio.» Quando si sedettero per fare colazione, le stava ancora spiegando il concetto. Charles Gras e Jules Levoisin pendevano dalle sue labbra. «Uno scafo rigido di tali dimensioni non potrebbe resistere ai marosi.» Le diede l'esempio con l'ampolliera dell'olio e dell'aceto.
Ma quattro cisterne snodate possono muoversi indipendentemente l'una dall'altra. Così assorbono l'impatto delle onde. É il principio fondamentale di una nave. Lo scafo deve cavalcare le onde, non contrastarle.» Charles Gras annuì gravemente. «Le cisterne sono attaccate sotto lo scafo principale come remore al corpo di uno squalo. Non usano i loro sistemi di propulsione. É lo scafo principale, con le sue caldaie multiple e le quattro eliche, che le porta attraverso gli oceani.» Spinse l'ampolliera sulla tavola e tutti lo guardarono affascinati. «Quando arriva nelle acque continentali, davanti al porto di scarico, lo scafo principale getta le ancore, quaranta o cinquanta, anche cento miglia al largo. Una o due cisterne si staccano e superano le ultime miglia con i loro mezzi. Ovviamente l'operazione dovrà essere effettuata in condizioni meteorologiche ottimali. Poi le cisterne vuote, opportunamente zavorrate, tornano ad agganciarsi allo scafo principale.» Mentre parlava, Nicholas tolse la saliera dall'ampolliera e la spinse vicino al piatto di Samantha. I due francesi rimasero in silenzio, guardando la saliera d'argento, ma Samantha osservò il viso di Nick. Era magro, bello e abbronzato, esprimeva una vitalità prorompente. Samantha fu orgogliosa di lui, orgogliosa della sua personalità che incatenava l'attenzione degli altri, orgogliosa della sua fantasia e del suo coraggio, indispensabili per concepire un progetto di tale portata. Anche se il progetto non dipendeva più da lui, era pur sempre una sua creazione. Nick riprese a parlare. «Per la nostra civiltà, il petrolio è come una droga. Guai se le venisse a mancare. La crisi di astinenza sarebbe spaventosa. Visto che ci è indispensabile, pompiamolo dalla terra e trasportiamolo con ogni precauzione per proteggerci dagli effetti collaterali...» «Nicholas», lo interruppe bruscamente Charles Gras, «quando hai visto per l'ultima volta i disegni della Golden Dawn?» Nick esitò, colto alla sprovvista. Finalmente rispose: «Ho lasciato la Christy Marine più di un anno fa». Al ricordo di quei giorni, il suo sguardo si rannuvolò. «Un anno fa non avevamo ancora firmato il contratto per la costruzione della Golden Dawn.» Charles Gras rigirò il calice di vino fra le dita. «La nave che
hai descritto è molto diversa da quella che stiamo costruendo.» «In che senso, Charles?» Nick si oscurò in viso. «Il concetto è lo stesso. La nave madre e le quattro cisterne. Ma...» Scrollò le spalle. «Sarà meglio che lo veda tu stesso. Quando avremo finito di mangiare.» «D'accord», approvò Jules Levoisin. «Purché possiamo gustarci in santa pace questo delizioso pranzetto.» Diede di gomito a Nicholas. «Se mangi così arrabbiato, mon vieux, ti verrà l'ulcera.» Vista dal basso, la Golden Dawn sfiorava il cielo come una montagna d'acciaio. Gli uomini che lavoravano ad altezza vertiginosa sulle impalcature parevano insetti. Mentre Samantha li guardava, una piccola nube grigia, soffiata dal vento verso il bacino della Loira, passò sulla nave celando per un momento la plancia. «Tocca le nuvole», disse Nick, e si rivolse a Charles Gras chiedendo con
orgoglio: «Non è bella? É proprio la nave che ho progettato...» «Vieni, Nicholas.» Il gruppetto passò attraverso la confusione del cantiere. Lo strepito delle gru, il rombo dei carrelli elevatori, il crepitio elettrico delle enormi saldatrici, uniti ai tuoni delle macchine ribaditrici, formavano una cacofonia assordante. Lo scafo era avvolto da una foresta quasi impenetrabile di ponteggi e di carrucole. L'acciaio e il cemento brillavano di umidità ed erano incrostati di ghiaccio. Dovettero camminare a lungo nel cantiere affollato. Occorsero quasi venti minuti solo per girare intorno alla poppa. A un tratto Nick si fermò bruscamente e Samantha andò a sbattergli contro. Sarebbe caduta sul cemento gelato se Nick non l'avesse sorretta mentre osservava l'immensa poppa. Sporgeva sopra di loro, simile alla volta di una cattedrale. Nick arrovesciò la testa e le strinse il braccio con tanta forza che lei protestò. Ma lui non le prestò attenzione. Continuò a guardare. «Sì», annuì Charles Gras. I capelli neri gli ricaddero sulla fronte. «Qui il tuo progetto ha subito una modifica.» L'elica era di bronzo, a sei pale, ciascuna bella e simmetrica come un'ala di farfalla, ma così gigantesca che il paragone era ridicolo. Nemmeno la mole della Golden Dawn riusciva a rimpicciolire l'elica. Ogni pala era più lunga e più larga dell'ala di un jumbo jet, una ciclopica scultura di metallo lucente. «Una», mormorò Nick. «Una sola.» «Sì», confermò Charles Gras. «Non quattro eliche, ma una. E a passo invariabile, Nicholas.» Entrarono nel montacarichi in silenzio e salirono fino al ponte principale lungo la fiancata dello scafo. Sebbene il vento li tormentasse crudelmente nella gabbia aperta, il loro silenzio non era dovuto al freddo. La sala macchine era un antro rimbombante illuminato dai riflettori. Dalla passerella d'acciaio lo sguardo spaziava sulla caldaia e sui condensatori, venti metri più in basso. Nick rimase in contemplazione per quasi cinque minuti. Non fece domande, non espresse giudizi. Alla fine si rivolse a Charles Gras e annuì seccamente. «Va bene. Ho visto abbastanza», disse. L'ingegnere li condusse all'ascensore. Salirono ancora. Sembrava di trovarsi in un moderno palazzo di uffici: l'ascensore scintillava di acciaio cromato, i corridoi erano tappezzati di moquette. Charles Gras li condusse attraverso la plancia, fino all'alloggio del comandante. Aprì la porta di mogano scolpito con una chiave attaccata alla catena dell'orologio. Jules Levoisin girò lo sguardo nell'appartamento e scrollò la testa con ammirazione. «Questa sì che è una cabina», commentò. «Nicholas, dovresti arredare così anche il salotto del comandante sul Sea Witch.» Nick non sorrise, si accostò alla finestra e guardò il ponte della petroliera, che si stendeva fino alla prua tozza. Guardò con le mani dietro la schiena, le gambe divaricate, le mascelle contratte. Nessuno parlò mentre Charles Gras apriva l'armadietto dei liquori e versava il cognac nei panciuti bicchieri di cristallo. Porse un bicchiere a Nick, che si scostò dalla
finestra.
«Grazie, Charles. Ho proprio bisogno di un goccio.» Sorseggiò il cognac e lo tenne in bocca mentre osservava la lussuosa cabina. Occupava quasi metà della plancia, ed era così grande che avrebbe potuto ospitare un ricevimento diplomatico. Duncan Alexander aveva commissionato l'opera a un buon arredatore, e senza la vista dalle finestre, ci si sarebbe creduti in un elegante appartamento della Fifth Avenue a New York o in un attico sulla collina di Montecarlo. Nick attraversò lentamente lo spesso tappeto verde decorato con le lettere C e m incatenate, le iniziali della Christy Marine, e si fermò davanti al Degas in mostra sopra il caminetto di marmo. Ricordò la gioia di Chantelle per l'acquisto del quadro. Rappresentava un balletto, il soggetto preferito di Degas. Le membra delicate e i lievi tutù delle ballerine sembravano quasi luminescenti. Chantelle non si era mai stancata di ammirarlo nel corso degli anni, e Nick si stupì che l'avesse prestato a una nave della compagnia, dove chiunque avrebbe potuto rubarlo. Valeva duecentocinquantamila sterline. Lo guardò da vicino e soltanto allora notò che si trattava di una copia. Scrollò la testa. «I proprietari sono stati avvertiti che la salsedine avrebbe potuto danneggiare l'originale», disse Charles Gras, allargando le braccia in un gesto di scusa. «Poche persone sono in grado di notare la differenza.» Era tipico di Duncan Alexander, pensò Nick con ira. L'idea era certamente sua. Riteneva di poter sempre gabbare il prossimo. Tutti sapevano che Chantelle possedeva il quadro, perciò nessuno avrebbe dubitato della sua autenticità. Questo doveva essere stato il ragionamento di Duncan Alexander. Non poteva essere un'idea di Chantelle. Non aveva mai tollerato le copie o le imitazioni. Il fatto che Alexander l'avesse convinta ad attuare quel meschino artificio era un'altra prova del potere che esercitava su di lei. Nick accennò alla copia con il bicchiere e parlò a Charles Gras. «É un inganno», disse reprimendo a stento la collera, «ma è innocuo». Quindi, con un ampio gesto che abbracciava tutta la nave, continuò: «Ma questa frode è colossale». Tacque un momento per dominarsi e riprese in tono più calmo: «É un gioco d'azzardo immorale e pericoloso. Alexander ha stravolto tutto il progetto. Un'elica invece di quattro. Non si può manovrare con sicurezza uno scafo simile in condizioni d'emergenza, non si ha spinta sufficiente per evitare una collisione, per tenere la nave al largo da una sponda sottovento, per affrontare le burrasche». S'interruppe. Quando parlò di nuovo, la sua voce era più bassa e vibrante. «Questa nave non può essere azionata da una caldaia sola. É contro ogni legge morale e naturale. Il mio progetto prevedeva otto caldaie e otto condensatori, il numero fissato per i vecchi transatlantici della White Star e della Cunard Lines. Ma Duncan Alexander ha fatto installare una caldaia sola. Manca il dispositivo di sicurezza, il sistema sussidiario. Basterebbe un po' d'acqua marina nella sala macchine per bloccare la nave.» Tacque bruscamente, folgorato da un nuovo timore. «Charles», chiese con asprezza, «Alexander ha modificato anche il progetto delle cisterne? Non ci ha messo lo zampino? Dimmi, vecchio mio, hanno ancora le loro eliche, non è vero?» Charles Gras accennò a versargli ancora un po' di Courvoisier. Al rifiuto di Nick, disse: «Prendi, Nicholas. Fra poco ne avrai bisogno». Mentre gli versava il cognac,
spiegò: «É stato modificato anche il progetto delle cisterne». Inspirò a fondo e disse tutto d'un fiato: «Non hanno più le loro unità di propulsione. Adesso non sono altro che chiatte inerti. Per manovrarle occorrono dei rimorchiatori». Nick lo fissò con le labbra strette. «No. Non ci credo. Nemmeno Duncan può...» «Duncan Alexander ha risparmiato quarantadue milioni di dollari ridisegnando la Golden Dawn, munendola di una sola elica e di una sola caldaia.» Charles Gras scrollò nuovamente le spalle. «E quarantadue milioni di dollari non sono uno scherzo.»
^ Il sole invernale penetrava le nubi, ravvivando con la sua luce pallida il verde dei campi presso il Tamigi. Confusi in una fila di genitori infreddoliti, Samantha e Nick guardavano il mucchio di ragazzi in lotta, con i loro maglioncini colorati: neroazzurri quelli di Eton, bianconeri quelli di St Paul. Ma i colori erano quasi scomparsi sotto il fango. «Che cosa fanno?» chiese Samantha, stringendosi il bavero del cappotto sulle orecchie. «Si chiama mischia», le spiegò Nick. «Serve per decidere quale squadra lancerà la palla per prima.» «Non c'è un sistema più semplice?» A un tratto il mucchio si mosse e la viscida palla ovale volò in una lunga parabola. Fu acchiappata da un ragazzo con i colori di Eton, che spiccò immediatamente la corsa. «É Peter, vero?» gridò Samantha. «Forza, Peter!» ruggì Nick. Il ragazzo corse a testa alta, stringendosi la palla al petto. Corse veloce, a lunghe falcate, evitò un gruppo di avversari e piegò verso la linea di meta, nel tentativo di arrivare all'angolo prima che un ragazzone assai più robusto di lui lo intercettasse. Samantha cominciò a saltellare, gridando come un'ossessa. Non capiva niente della partita, ma la sua eccitazione contagiò Nicholas. I due corridori convergevano a una velocità che li avrebbe portati simultaneamente sulla linea bianca, proprio davanti a Nick e Samantha. Nick vide i lineamenti contratti di suo figlio e capì che era impegnato al massimo. Sentì un empito di orgoglio mentre guardava il ragazzo correre disperatamente con i muscoli del collo tesi e i denti scoperti nello sforzo. Sin dall'infanzia, Peter Berg aveva affrontato ogni compito con tutte le sue energie. Come suo nonno, il vecchio Arthur Christy, e come suo padre, era un vincente nato. Nick lo capì d'istinto, guardandolo correre. Aveva ereditato l'intelligenza, la bellezza e il carisma, ma soprattutto l'incoercibile volontà di riuscire in qualsiasi cosa facesse, la capacità di concentrare ogni sua risorsa sullo scopo. Era un ragazzo in gamba, più che in gamba. Con uno sforzo supremo, Peter Berg aveva guadagnato un passo sul suo robusto avversario, e ora si curvava con la palla fra le mani, tendendo le braccia per deporre la palla oltre la linea e segnare la meta. Era a tre metri da Nick, a un secondo dal successo, ma il ragazzo di St Paul
si tuffò urtandolo brutalmente sul petto. Lo scaraventò fuori del terreno di gioco, mentre la palla rotolava lontano. Peter cadde sulle ginocchia, fece una capriola e rimase bocconi sull'erba bagnata. «Meta!» Samantha continuava a saltellare. «No», disse Nick. «Niente meta.» Peter Berg si rialzò. Aveva una guancia striata di fango e le ginocchia sbucciate. Non si guardò le ferite. Ignorò la mano tesagli dal ragazzo di St Paul e tornò nel campo zoppicando. Sfuggì lo sguardo di suo padre, e le lacrime che gli velavano gli occhi non erano di dolore, ma d'umiliazione e di rabbia. Suo figlio gli assomigliava, pensò Nick. Anche per lui la coscienza del fallimento era più penosa di qualsiasi dolore fisico. Dopo la fine della partita, Peter venne da Nick e gli strinse solennemente la mano. Era chiazzato di sangue e fango. «Sono felice che sia venuto, signore», disse. «Ma avrei preferito che ci vedesse vincere.» Nick avrebbe voluto dire: «Non importa, Peter, è solamente un gioco». Ma non lo disse. Per Peter Berg era una questione importante. Così gli presentò Samantha. Peter le strinse solennemente la mano e la chiamò «signora». Ma quando lei disse: «Ciao, Pete. Una partita fantastica, meritavi di batterli», il ragazzo sorrise. Il suo sorriso repentino e irresistibile le ricordò tanto quello di Nick, che lei sentì un colpo al cuore. Non appena Peter fu andato a fare la
doccia e a cambiarsi, strinse il braccio di Nick. «É un gran bel ragazzo, ma ti chiama sempre 'signore'?» «Sono tre mesi che non lo vedo. Ci occorre un po' di tempo per rilassarci.» «Tre mesi sono lunghi.» «Lo hanno stabilito gli avvocati. Il diritto di visita. L'interesse del ragazzo non coincide con quello dei genitori. Oggi ho avuto un permesso speciale da Chantelle, ma devo riportarglielo alle cinque. Non alle cinque e mezzo, alle cinque.» Andarono a prendere il tè da Cockpit e Peter stupì di nuovo Samantha aiutandola compitamente a sedersi. Mentre aspettavano di essere serviti, Nick e Peter cominciarono a conversare. Erano imbarazzati entrambi. «Tua madre mi ha mandato una copia della tua pagella, Peter. Mi congratulo con te.» «Speravo di far meglio. Sono appena il quarto nella graduatoria.» Samantha pativa per loro. Peter Berg aveva dodici anni. Lei avrebbe voluto che gettasse le braccia al collo di Nick, che gli dicesse: «Ti voglio bene, papà». Il suo affetto era evidente, anche sotto i modi compassati che la scuola gli aveva inculcato. Brillava nei suoi occhi castani, ombreggiati da folte ciglia nere, e illuminava il suo volto dalle guance morbide e lisce come quelle di una fanciulla. Sentì il bisogno di aiutarli, e d'impulso cominciò a raccontare il ricupero della Golden Adventurer, sottolineando con enfasi l'opera del comandante del Warlock, senza dimenticare il salvataggio di Samantha Silver dalle acque ghiacciate dell'Antartico.
Peter ascoltò con gli occhi spalancati. Ogni tanto chiedeva: «É vero, papà?» Quando il racconto fu finito, rimase in silenzio per un lungo momento. Finalmente annunciò: «Quando sarò grande, comanderò un rimorchiatore anch'io». Poi mostrò a Samantha come spalmare correttamente la marmellata di fragole sui dolci da tè. Mentre mangiavano di gusto, divennero rapidamente amici e Nick si unì ai loro discorsi con maggior disinvoltura. Ringraziò Samantha con un sorriso e le strinse la mano sotto la tavola. Ma alla fine venne l'ora di andare. «Senti, Peter, se dobbiamo essere a Lynwood per le cinque...» Il ragazzo si fece subito serio. «Non potresti telefonare alla mamma, papà? Forse mi lascerà passare il fine settimana a Londra con te.» «Ho già provato.» Nick scosse la testa. «Non servirebbe.» Peter si alzò, celando i suoi sentimenti sotto un'espressione rassegnata. Dal sedile posteriore della Mercedes coupé di Nick, il ragazzo sporgeva la testa fra i due sedili anteriori. Si sentivano vicinissimi e ridevano come vecchi amici. Era quasi buio, quando Nick svoltò nel viale di Lynwood. Sbirciò il quadrante luminoso dell'orologio. «Ce l'abbiamo fatta.» Il viale correva con larghe svolte fra i boschi della collina verso una grande villa di campagna neoclassica con tutte le finestre illuminate. Ogni volta che si recava là, Nick era assalito da un senso di vuoto. Un tempo era stata la sua casa. I ricordi lo tormentarono mentre parcheggiava la macchina sotto le colonne bianche del portico. «Ho finito il modello dello Spitfire che mi hai mandato per Natale, papà.» Peter cercava disperatamente di guadagnare tempo. «Vuoi venire a vederlo?» «Temo che...» cominciò Nick. Peter lo interruppe. «Non preoccuparti, zio Duncan non c'è. Venerdì sera resta a Londra fino a tardi. La sua Rolls non è ancora nel garage.» Aggiunse, con un tono che gli spezzò il cuore: «Per favore. Non ti vedrò più fino a Pasqua». «Vai», disse Samantha a Nick. «Ti aspetto qui.» Peter si rivolse a lei. «Vieni anche tu, Sam. Ti prego.» Samantha bruciava di curiosità. Voleva vedere la casa, conoscere meglio il passato di Nick. Notando la sua esitazione, scese d'impulso dalla Mercedes.
«D'accordo, Pete. Andiamo.» Nick dovette seguirli su per l'ampia scalinata, fino al portone. Si sentiva in balia degli eventi. Non era abituato a una sensazione simile. Quando fu entrata nell'atrio, Samantha si guardò intorno con il fiato mozzo. La casa era superba: non c'erano altre parole per descriverla. Lo scalone, di marmo bianco con una balaustra di marmo, saliva fino al terzo piano. Su ogni lato dell'atrio, grandi porte a vetri si aprivano sui saloni di ricevimento. Ma Samantha non ebbe il tempo di notare i particolari, perché Peter la prese per mano e la condusse sulle scale di corsa, mentre Nick li seguiva più lentamente nella stanza del ragazzo.
Lo Spitfire occupava il posto d'onore, su una mensola sopra il letto di Peter. Il ragazzo lo prese e lo mostrò con orgoglio. Nick e Samantha lo esaminarono con la debita ammirazione. Alle loro lodi, Peter s'illuminò di gioia. Quando scesero, erano tristi per l'imminente separazione. A un tratto si fermarono in mezzo all'atrio, udendo una voce che veniva dal salotto a sinistra. «Peter, caro.» Una donna si stagliava sulla soglia. Era ancora più bella di quanto Samantha la ricordasse in fotografia. Peter andò docilmente da lei. «Buona sera, mamma.» La donna si chinò su di lui, gli prese il viso fra le mani e lo baciò teneramente. Poi si raddrizzò tenendoselo al fianco, quasi a ribadire i suoi diritti sul ragazzo. «Nicholas», disse, inclinando il capo sulla spalla, «ti trovo bene. Sei abbronzato e in gran forma». Chantelle Alexander era poco più alta di suo figlio, ma la sua presenza radiosa sembrava riempire tutta la casa. I suoi capelli erano neri, vaporosi e lucenti. Aveva ereditato la carnagione candida e i grandi occhi neri della bella aristocratica persiana che il vecchio Arthur Christy aveva sposato per la sua ricchezza e amato con passione. Era leggiadra. I suoi piedini spuntavano da sotto l'orlo di una lunga gonna di seta verde cupo, e la delicata manina che stringeva quella di Peter era ornata da uno smeraldo grosso come una nocciola. Girò la testa sul collo aggraziato. Quando guardò Samantha, i suoi occhi assunsero il taglio lievemente obliquo di una moderna Nefertiti. Le due donne si studiarono per un breve momento. Con la testa fieramente eretta, Samantha scrutò gli occhi neri e liquidi. Si capirono all'istante. Fra di loro scoccò come una scintilla, poi Chantelle sorrise e l'impossibile accadde: divenne ancora più bella. «Posso presentarti la dottoressa Silver?» cominciò Nick, ma Peter tirò la mano di sua madre. «Ho mostrato il mio modellino a Sam. É una biologa marina, insegna all'università di Miami...» «Non ancora, Pete», lo corresse Samantha. «Ma dammi tempo.» «Buona sera, dottoressa Silver. Ha fatto una conquista, a quanto pare.» Chantelle lasciò in sospeso l'ambigua osservazione e si rivolse a Nick. «Ti aspettavo, Nicholas. Sono contenta di poterti parlare.» Sbirciò nuovamente Samantha. «Vuole scusarci per qualche minuto, dottoressa Silver? É una questione importante. Peter sarà felice di farle compagnia. Come biologa, troverà senza dubbio interessanti i suoi porcellini d'India.» Impartì gli ordini con tanta grazia, con tanta classe, che Peter prese Samantha per mano e la condusse via senza obiettare. A Lynwood si usava discutere le questioni importanti nella biblioteca. Chantelle precedette Nick e si accostò subito allo scaffale girevole che celava l'armadietto dei liquori, quindi cominciò a mescergli un drink. Lui ebbe l'impulso di fermarla. Il rituale gli evocava troppi ricordi, ma invece rimase a guardare in silenzio i movimenti delicati e precisi delle sue mani che versavano la giusta dose di Chivas Regal nel bicchiere di cristallo, aggiungendo la soda e un cubetto di ghiaccio.
«Che ragazza carina, Nicholas.»
Lui non rispose. Sullo scrittoio Luigi Quattordici c'era una fotografia di Duncan Alexander e Chantelle in una cornice d'argento. Nick distolse lo sguardo, poi andò davanti al caminetto, dando il dorso al fuoco come aveva fatto così spesso. Chantelle gli portò il bicchiere e restò vicina a lui guardandolo. La sua fragranza lo colmò di nostalgia. Le aveva comprato Calèche un mattino di primavera a Parigi. Scacciò il ricordo a fatica. «Di che cosa volevi parlarmi? Di Peter?» «No. Peter l'ha presa meglio di quanto sperassimo. Detesta ancora Duncan, ma...» Si scostò con una scrollata di spalle. Nick aveva dimenticato com'era snella la sua vita. Avrebbe potuto ancora stringerla nelle mani. «Non so come dirtelo, Nicholas. Si tratta della Christy Marine. Mi serve il consiglio di una persona fidata.» «Ti fidi di me?» «É strano, vero? Eppure mi fido ciecamente.» Gli tornò accanto. Era vicinissima, ora, e il suo profumo lo stordiva. Nick sorseggiò il whisky per distrarsi. «Non ho il diritto di chiedertelo, Nicholas, ma so che non rifiuterai.» Lo stava stregando. Nick sentiva l'incantesimo calare su di lui come una rete. «Sono sempre stato un debole, lo sai.» Lei gli sfiorò il braccio. «Non essere amaro, Nicholas, ti prego.» Lo guardò negli occhi. «Come posso aiutarti?» chiese Nick. Il tocco di Chantelle lo turbava. Lei se ne accorse e per un attimo gli strinse il braccio più forte. Poi ritrasse la mano e sbirciò l'orologino d'oro bianco che portava al polso. «Duncan arriverà fra poco, e devo farti un lungo discorso. Non potremmo vederci a Londra la settimana ventura?» «Chantelle», cominciò lui. «Ti prego, Nicky.» Nicky, soltanto lei lo chiamava così. Era troppo familiare, troppo intimo. «Quando?» «Martedì mattina devi vedere Duncan per discutere l'arbitrato della Golden Adventurer.» «sì.» «Vuoi chiamarmi a Eaton Square, quando avrai finito? Aspetterò vicino al telefono.» «Chantelle...» «Non posso rivolgermi a nessun altro, Nicky.» Non era mai riuscito a dirle di no, pensò con amarezza. Anche per questo, forse, l'aveva persa. ^ Il motore della Mercedes era silenzioso. Si udiva soltanto il sibilo dell'aria che scorreva lungo la carrozzeria. «Accidenti a questi sedili. Non vanno bene per fare l'amore». disse Samantha.
«Fra un'ora saremo a casa.» «Non resisto più», bisbigliò Samantha con la voce velata. «Voglio starti più vicino.» Rimasero in silenzio, mentre s'ingolfavano nel traffico di Hammersmith. «Peter è formidabile. Se avessi dieci anni, darei in cambio tutte le mie bambole.» «Ho idea che lui darebbe in cambio il suo Spitfire.» «Quanto manca?» «Ancora mezz'ora.» «Mi sento minacciata, Nicholas.» La sua voce era venata di panico. «Ho un brutto presentimento.» «Sciocchezze.» «É stato troppo bello... per troppo tempo.» ^ James Teacher era il socio anziano dello studio Salmon, Peters e Teacher,
gli avvocati cui Nick aveva affidato la tutela della Ocean Salvage. Nella City era considerato uno dei massimi esperti di diritto marittimo, e aveva fama di essere un mastino. Calvo e rubicondo, era così piccolo che i suoi piedi non toccavano nemmeno il fondo della Bentley. Lui e Nick avevano discusso nei minimi dettagli dove sarebbe avvenuto l'incontro preliminare con la Christy Marine. Alla fine avevano deciso di andare alla montagna, ma James Teacher aveva insistito per usare la sua Bentley color cioccolata, invece di prendere un tassì. «Qui si tratta di salmone affumicato, signor Berg, non di noccioline.» La sede della Christy era un vecchio edificio annerito dallo smog in Leadenhall Street, il cuore dell'industria marittima britannica. Quasi di fronte sorgeva Trafalgar House, e un centinaio di metri più in là c'erano i Lloyd's di Londra. Il portiere attraversò il marciapiede per far scendere Nick dalla macchina. «É un piacere rivederla, signor Berg.» «Ciao, Alfred. Hai avuto cura della bottega?» «Certamente, signore.» Il tassì con i due soci di James Teacher e le loro borse rigonfie si fermò dietro alla Bentley. Il gruppetto si riunì sul marciapiede, davanti all'ingresso della Christy. I tre avvocati si aggiustarono le bombette e mossero risolutamente all'attacco. Nell'atrio, il portiere li affidò a un impiegato in attesa dietro a una scrivania. «Buongiorno, signor Berg. Ha un aspetto magnifico, signore.» Salirono lentamente in un vecchio ascensore. Nick non si era mai risolto a sostituirlo con uno dei rapidi ascensori moderni. L'impiegato li fece scendere all'ultimo piano. «Prego, signori, seguitemi.» Entrarono in un'anticamera comunicante con la sala di riunione. Era una stanza grande, con le pareti coperte da pannelli di legno. Sulla parete di fondo campeggiava il ritratto del vecchio Arthur Christy, con la mascella sporgente e i penetranti occhi neri sotto le sopracciglia bianche e cespugliose. Il fuoco ardeva nel caminetto, e sulla tavola centrale c'erano
caraffe di sherry e di madera, un'usanza del vecchio. Ma James Teacher e Nick rifiutarono seccamente. Aspettarono in silenzio, presso la porta dell'ufficio del presidente. Passarono esattamente quattro minuti prima che la porta fosse spalancata e comparisse Duncan Alexander. Saettò lo sguardo per la sala e lo soffermò subito su Nick. Si fissarono a lungo senza parlare. Gli avvocati presso Nick indietreggiarono e gli uomini alle spalle di Duncan attesero, senza entrare nell'anticamera. Ma si bevvero la scena: nei giorni a venire, tutta la City avrebbe parlato dell'incontro. Duncan Alexander era un uomo di avvenenza eccezionale, assai alto, almeno cinque centimetri più di Nick, ma snello come un ballerino. E del ballerino aveva anche la coordinazione dei movimenti. Il viso era sottile, con il mento prominente e un reticolo di rughe intorno agli occhi e agli angoli della bocca. I capelli folti, di un biondo metallico, sebbene discretamente lunghi sopra le orecchie, erano così curati che ogni ciocca sembrava scolpita. Aveva la pelle liscia e abbronzata, o dalla lampada a quarzo o dalle vacanze in montagna a Gstaad, dove Chantelle aveva uno chalet. Quando sorrise, esibì una chiostra di denti smaglianti, ma gli occhi rimasero gelidi come quelli di un cecchino in agguato. «Nicholas», disse, senza avanzare né tendere la mano. «Duncan», disse Nick con calma, senza ricambiare il sorriso. Duncan Alexander si aggiustò i risvolti della giacca. Il suo abito, di lana finissima, aveva un taglio perfetto, con qualche tocco frivolo: gli spacchi laterali della giacca, i doppi risvolti delle tasche e il gilet di velluto color prugna. Sfiorò i bottoni del panciotto con la punta delle dita, un altro gesto nervoso: erano i soli segni della sua inquietudine. Nick continuò a fissarlo, cercando di inquadrarlo spassionatamente. E ora, per la prima volta, intuì com'erano andate le cose. Duncan Alexander aveva il
fascino del leopardo. Era comprensibile che le donne perdessero la testa per lui, specialmente le donne ricche e annoiate, alla ricerca del brivido e dell'avventura. Duncan aveva eseguito la sua danza del cobra e Chantelle l'aveva guardato come un uccello ipnotizzato, finché era caduta dal ramo; o almeno, così, riteneva Nick. Era divenuto più saggio, adesso. Più saggio e più cinico. «Prima di cominciare», disse, dominando la collera, «vorrei parlarti cinque minuti in privato». «Ma certo.» Duncan mosse la testa e i suoi tirapiedi si ritirarono precipitosamente, sgombrando la soglia dell'ufficio presidenziale. «Accomodati.» Si fece da parte per lasciarlo entrare. L'arredamento era stato rinnovato completamente, e Nick batté le palpebre per lo stupore: tappeti bianchi, mobili di cristallo e acciaio cromato, quadri astratti alle pareti. Il soffitto era abbassato da una grata, e una serie di faretti orientabili proiettava disegni di luce sulle pareti e sul soffitto. Non era un miglioramento, pensò Nick. «La settimana scorsa sono stato a St. Nazaire.» Si girò a fronteggiare Duncan Alexander che stava chiudendo la porta.
«Lo so.» «Ho visto la Golden Dawn.» Duncan Alexander aprì un portasigarette d'oro e lo offrì a Nick, e quando questi rifiutò con un cenno, prese una sigaretta per sé Erano sigarette speciali, fabbricate su ordinazione. «Charles Gras ha abusato della sua autorità», disse Duncan. «La Golden Dawn non è aperta ai visitatori.» «Non mi stupisco. Evidentemente ti vergogni della trappola mortale che stai costruendo.» «Invece tu mi stupisci, Nicholas.» Duncan sorrise di nuovo. «L'hai progettata tu.» «Sai benissimo che non è vero. Hai preso l'idea e l'hai modificata. Duncan, non puoi mandare quel...» cercò la parola, «quel mostro in mare con una sola unità di propulsione e una sola elica. É troppo rischioso». «Te lo dico solamente perché un tempo lavoravi qui», Duncan abbracciò la stanza con un gesto, «e perché voglio farti notare i difetti del tuo progetto. L'idea non era male, ma hai sciupato tutto con quelle aggiunte assurde. Cinque unità di propulsione indipendenti e una foresta di caldaie. Era antieconomico, Nicholas». «I conti tornavano.» «I costi di costruzione sono aumentati, da quando hai lasciato la Christy Marine. Ho dovuto correggere il progetto.» «Dovevi lasciar perdere tutto quanto, se non potevi affrontare la spesa.» «Oh, no, Nicholas. Ho fatto qualche modifica. Ricupererò il capitale in un anno, in barba alla crisi. E nei suoi cinque anni di vita, la petroliera frutterà duecento milioni di dollari.» «La nave che ho progettato io sarebbe durata trent'anni» replicò Nick. «Sarebbe stata l'orgoglio della flotta.» «L'orgoglio è un lusso troppo caro. Non costruiamo più dinastie, dobbiamo semplicemente vendere il trasporto del greggio.» Il tono di Duncan era paternalistico. Strascicava il suo impeccabile accento, mettendo in risalto la loro differenza d'origine. «I miei obiettivi sono cinque anni di durata e duecento milioni di profitto, poi venderemo lo scafo ai greci o ai giapponesi. Ho già previsto tutto.» «Sei sempre stato un artista del prendi-e-scappa», convenne Nick. «Ma in questo caso il lusso non c'entra. Le navi non sono frutta e verdura. Il mare non è la bancarella di un mercato.» «Non sono d'accordo. Il principio è lo stesso: c'è il venditore e l'acquirente.» «Le navi sono creature viventi. Il mare è il campo di battaglia degli elementi.» «Andiamo, Nicholas, non crederai a queste fantasie romantiche.» Duncan cavò un orologio d'oro dalla tasca del panciotto e lo aprì per leggere il
quadrante. Era un'altra delle sue affettazioni. Nick ne fu irritato. «Qui fuori ci aspettano dei signori, se non sbaglio. Il loro tempo costa caro.» «Metti in pericolo la vita dei marinai.» «Sono pagati profumatamente.» «Metti in pericolo anche la vita del mare. Dovunque vada, la Golden Dawn
sarà un potenziale...» «Per amor del cielo, Nicholas. Per duecento milioni di dollari vale ben la pena di correre qualche rischio.» «E va bene.» Nick annuì. «Lasciamo perdere le bazzecole come la vita umana e parliamo della cosa più importante: i quattrini.» Duncan scrollò la testa aristocratica con un sospiro, sorridendogli come se fosse un bambino recalcitrante. «Ho già considerato questo aspetto. In ogni particolare.» «Non avrai la qualifica A1 da parte dei Lloyd's. Non potrai assicurare quella nave, a meno che non l'assicuri tu stesso, come hai fatto con la Golden Adventurer. Se ti sembra una buona idea, aspetta che io abbia incassato i miei diritti di ricupero.» Il sorriso di Duncan Alexander divenne una smorfia, e le sue guance avvamparono sotto l'abbronzatura. «Non mi serve la qualifica dei Lloyd's. Se la volessi, l'avrei sicuramente, ma mi sono già accordato con assicuratori europei e orientali.» «Anche contro il pericolo d'inquinamento? Se quella sacca di greggio si sfascia davanti all'Europa o all'America, ti chiederanno almeno mezzo miliardo di dollari. Chi è disposto a coprire un rischio simile?» «La Golden Dawn è registrata in Venezuela e non ha un'unità gemella che le autorità possano sequestrare, come hanno fatto con la Torrey Canyon. A chi manderanno il conto? A una compagnia sudamericana defunta? No, Nicholas, la Christy Marine non sborserà un centesimo per l'inquinamento.» «Non riesco a crederci, anche se ti conosco.» Nick lo fissò. «Stai parlando come se niente fosse della possibilità... anzi, della probabilità che un milione di tonnellate di greggio finisca in mare.» «La tua indignazione è commovente. Sul serio. Comunque, Nicholas, ti ricordo che questa faccenda riguarda la famiglia e la compagnia. Tu non appartieni più né alla famiglia né alla compagnia.» «Mi sono sempre opposto, quando facevi il furbo», disse Nick. «Ho cercato d'insegnarti che, a lungo andare, la furbizia non paga.» «Tu mi hai insegnato?» Per la prima volta, Duncan lo stuzzicò apertamente. «Che cosa credi di potermi insegnare, in fatto di navi, di denaro o», strascicò le ultime parole, «di donne?» Nick ebbe l'impulso di buttarglisi addosso, ma si contenne e rilassò i pugni. Il sangue gli pulsava nelle orecchie. «Ti combatterò», disse con calma. «Ti combatterò da adesso fino alla conferenza marittima. E anche in seguito.» Lo decise in quel momento. Prima non ne aveva realmente avuto intenzione. «La conferenza marittima impiega almeno cinque anni per giudicare uno dei suoi membri. Nel frattempo la Golden Dawn sarà venduta a una compagnia giapponese o di Hong Kong e la Christy Marine avrà già incassato duecento milioni di dollari.» «Ti farò proibire l'accesso ai porti.» «Da chi? dai governi assetati di petrolio, con l'appoggio delle 'sette sorelle'?» Duncan scoppiò a ridere, poi riprese la sua maschera urbana. «Stai farneticando di nuovo. Ci siamo già scontrati una dozzina di volte, Nicholas, e sono ancora in piedi. Perché le tue minacce dovrebbero spaventarmi?» Date le premesse, non c'era alcuna speranza che l'incontro nella sala di riunione potesse risolversi in una conciliazione. L'ostilità fra i due primi attori sembrava far crepitare l'atmosfera. Pareva che sul palcoscenico ci
fossero soltanto loro. Si sedettero l'uno di fronte all'altro, separati dalla lucida superficie della tavola di palissandro, fissandosi negli occhi. Il loro sorriso sembrava il ringhio di due lupi in procinto di sbranarsi. Con uno sforzo, Nick represse la collera e cercò di riflettere. Doveva assolutamente rilassarsi, perché il suo intuito potesse captare le
fugaci impressioni, gli impercettibili indizi dei pensieri e dei progetti che si celavano dietro la bella maschera di Duncan Alexander. In mezz'ora si convinse che il suo avversario non era stimolato soltanto dalla rivalità personale e dall'antagonismo. La sua controfferta era ridicolmente bassa. Evidentemente non intendeva conciliare. Duncan Alexander voleva andare in corte arbitrale, eppure aveva tutto da perdere. Era chiaro che le pretese di Nick erano giuste e addirittura moderate. Nick si sarebbe accontentato di quattro milioni, nonostante la sua collera. Forse la corte arbitrale gliene avrebbe riconosciuti sei, ma fra ritardi e spese legali un milione sarebbe sfumato e perciò Nick preferiva concordare. Duncan Alexander offriva solamente due milioni e mezzo. Era un'offerta ridicola: Duncan non faceva sul serio, non cercava di giungere a un accordo. Non voleva scendere a patti, rischiava grosso e Nick non capiva perché. Tutti sanno che non bisogna mai andare in causa, se si può evitarlo. Era una regola che Nick recava scritta nella sua mente a lettere di fuoco; le cause servono soltanto a ingrassare gli avvocati. Perché Duncan s'impuntava? Qual era il suo gioco? Nick scacciò la tentazione di alzarsi e lasciare la stanza con un commento disgustato. Accese un sigaro e si sporse avanti, fissando Duncan negli occhi, cercando di sondarlo, di punzecchiarlo, di trovare il suo punto debole. Intanto continuò a riflettere. Che cosa poteva ricavare Duncan rifiutando l'accordo? Perché non provava con un'offerta magari bassa ma più realistica? A che gioco giocava? A un tratto ebbe una folgorazione. Ricordò il misterioso appello di Chantelle, e capì ogni cosa. Duncan Alexander voleva guadagnare tempo. Tutto qui. Gli serviva tempo. «E va bene.» Finalmente soddisfatto, Nick si appoggiò allo schienale foderato di cuoio e socchiuse gli occhi. «Le nostre posizioni sono troppo lontane. C'è soltanto un terreno d'incontro, la sala riservata dei Lloyd's. L'udienza è fissata per il 27. Sei d'accordo almeno sulla data?» «Certamente.» Anche Duncan si appoggiò allo schienale e Nick vide lo scintillio dei suoi occhi, la piccola contrazione delle mascelle, l'irrigidirsi delle lunghe dita da pianista sulla carta assorbente. «Certamente», ripeté Duncan, e si alzò, lasciando intendere che la riunione era finita. Mentiva superbamente. Se Nick non l'avesse saputo, gli sarebbero sfuggiti quegli impercettibili indizi. Nell'antiquato ascensore, James Teacher si fregò le mani paffute. «Lo conceremo per le feste!» Nick lo guardò di traverso. Che si vincesse, si perdesse o si pareggiasse, James Teacher avrebbe comunque riscosso il suo onorario. Il rifiuto di Duncan Alexander l'aveva quadruplicato. C'era qualcosa di quasi osceno nella gioia del piccolo avvocato.
«Cercheranno di giocarci», disse accigliato Nick, e James Teacher si fece serio. «Entro mezzogiorno di domani la Christy Marine chiederà che l'udienza sia rimandata», continuò Nick. «Ci vorrà il Warlock a tutta forza per trascinarli davanti alla corte arbitrale.» «Sì, ha ragione», convenne James Teacher. «Alexander mi lascia perplesso. Mi è sembrato che...» «Non la pago per essere perplesso.» La voce di Nick era sommessa ma dura. «La pago perché lo capisca e lo prevenga. Lo voglio alla corte arbitrale il 27 e lei ce lo porti, signor Teacher.» La minaccia rimase sospesa nell'aria. In un attimo, l'esultanza di James Teacher dette luogo a una profonda apprensione. ^ Nel salotto della casa di Eaton Square i colori predominanti erano il bianco e l'oro pallido, la cornice ideale per lo squisito capolavoro che conteneva, l'originale del quadro di Degas, la cui copia era appesa sulla Golden Dawn. Era il pezzo forte della stanza: sapientemente illuminato da faretti nascosti, brillava come una pietra preziosa. Perfino le rose e i garofani sul pianoforte a coda color avorio erano bianchi. I pallidi boccioli contribuivano a far risaltare il quadro. A parte il Degas, l'unica chiazza vivida nella stanza era il vestito di
Chantelle: come le donne orientali, lei aveva il dono di poter portare vestiti sgargianti senza apparire volgare. Indossava un modello di Pucci che accentuava la sua bellezza, e quando si alzò dall'ampio divano bianco per accoglierlo, Nick fu pervaso da un senso di calore, come se avesse ingerito un potente afrodisiaco. «Caro Nicky. Sapevo di poter contare su di te.» Lo prese per mano e lo guardò, poi lo condusse al divano e si sedette accanto a lui. Piegò sotto di sé le gambe che brillarono come avorio scolpito prima che le coprisse con la gonna. Quindi prese la teiera di porcellana. «Te all'arancia», disse sorridendo. «Né zucchero né limone.» Nick non poté fare a meno di ricambiare il sorriso. «Non l'hai dimenticato.» «Sei proprio in gran forma», disse Chantelle, osservandolo senz'ombra d'imbarazzo. «Il giugno scorso, quando sei venuto a Lynwood per il compleanno di Peter, ero molto preoccupata per te. Mi sembravi terribilmente stanco e sciupato. Ma adesso», concluse, inclinando la testa con aria critica, «ti trovo benissimo». Ora, pensò lui, avrebbe dovuto dirle che era bella come sempre. Poi avrebbero cominciato a parlare di Peter e degli amici comuni. «Che cosa volevi?» le chiese invece. Lo sguardo di lei si offuscò. «Sei così distante, Nicholas, così...» esitò, cercando la parola adatta. «Così distaccato.» «Recentemente un tale mi ha definito un merluzzo congelato», convenne Nick. Lei scosse la testa. «Non lo sei affatto. Ma se soltanto...» «Son le tre frasi più pericolose», egli la interruppe. «'Sei sempre', 'non sei mai, e 'se soltanto'. Chantelle, sono venuto per aiutarti a risolvere un
problema. Si può sapere qual è?» Lei balzò in piedi. Nick riconobbe subito l'ira negli scintillanti occhi neri e nei rapidi passi che la portarono davanti alla mensola del caminetto. Guardò il Degas con i piccoli pugni serrati. «Ci vai a letto, con quella ragazzina?» gli chiese. Adesso l'ira traspariva dalla sua voce. Nick si alzò a sua volta. «Arrivederci, Chantelle.» Giratasi, lei gli corse vicino e gli si appese al braccio. «Scusami, Nicholas, non so che cosa mi abbia preso. Non andartene, ti prego.» Lui cercò di respingerla. «Ti prego, Nicholas, non ti ho mai pregato. Non andartene.» Ancora furibondo, Nick tornò a sedersi sul divano. Rimasero in silenzio per un lungo momento, mentre lei si ricomponeva. «Ho sbagliato tutto. Non volevo.» «Va bene, veniamo al sodo.» «Nicholas», cominciò Chantelle, «tu e papà avete creato la Christy Marine. É più tua che sua. Il periodo più fulgido sono stati gli ultimi dieci anni, quando eri presidente. Le fantastiche conquiste di quegli anni...» Nick fece un gesto impaziente, ma lei continuò con dolcezza. «Hai passato gran parte della tua vita nella Christy Marine. Le sei affezionato.» «Adesso mi interessano solamente due cose», ribatté seccamente lui. «La Ocean Salvage e Nicholas Berg.» «Sappiamo tutt'e due che non è vero», bisbigliò Chantelle. «Tu sei un uomo speciale.» Sospirò. «L'ho capito troppo tardi. Credevo che la forza e la nobiltà d'animo fossero qualità comuni.» Scrollò le spalle. «Certa gente impara nel modo più duro.» Sorrise timidamente. Nick tacque un momento, rimuginando le parole di Chantelle. Poi disse: «Se mi vedi così, spiegami perché sei preoccupata». «Nicholas, alla Christy Marine sta succedendo qualcosa di terribile. Ma non riesco a vederci chiaro.» Distolse il viso per un attimo, poi tornò a guardarlo. I suoi occhi mutarono forma e colore, parvero più grandi e più
mesti. «Come posso spiegarti? É difficile esprimere dei dubbi, dei timori vaghi.» S'interruppe, morsicandosi il labbro. «Nicholas, ho dato le mie azioni a Duncan e l'ho delegato a rappresentarmi con diritto di voto.» Nick s'irrigidì. Cambiò posizione sul divano e la fissò incredulo. Chantelle annuì. «É stata una pazzia, lo so. Una pazzia di quei giorni pazzi, un anno fa. Ero disposta a tutto per accontentarlo.» Nick ebbe la sensazione che dovesse ancora dirgli qualcosa. Chantelle si alzò, guardò per un momento dalla finestra e finalmente tornò da lui. «Vuoi un drink?» Nick sbirciò l'orologio. «Ho poco tempo. Continua.» «In questi giorni, Duncan rincasa sempre tardi.» Prese la caraffa sul vassoio d'argento e versò il whisky voltandogli le spalle. La sua voce era
così sommessa, ora, che Nick la udiva appena. «Un anno fa ho dato le dimissioni da esecutrice del lascito.» Nick non parlò. Il lascito del vecchio Arthur Christy era la spina dorsale della Christy Marine. Un milione di azioni con diritto di voto amministrate da tre esecutori: un banchiere, un notaio e un membro della famiglia. Chantelle si girò e gli porse il bicchiere. «Hai capito o no?» Lui annuì. Sorseggiò il liquore e chiese: «E gli altri esecutori? Sono ancora Pickstone dei Lloyd's e Rollo?» Lei scosse la testa, morsicandosi nuovamente il labbro. «No, i Lloyd's non c'entrano più. C'è Cyril Forbes.» «Chi è?» «Il direttore generale della London and European Bank.» «Ma è la banca di Duncan», protestò Nick. «É regolarmente registrata.» «E Rollo?» «Rollo ha avuto un infarto sei mesi fa. Si è dimesso e Duncan lo ha sostituito con un uomo più giovane. Non lo conosci.» «Santo cielo, tre uomini e ognuno di loro è Duncan Alexander. Per più di un anno avrà carta bianca con la Christy Marine, Chantelle. Niente potrà ostacolarlo.» «Lo so», sussurrò lei. «É stata una pazzia. Ora sai tutto.» «É la più antica pazzia del mondo.» Nick la compativa, ora. Solo adesso capiva che Chantelle era stata vittima di una costrizione, di forze che non poteva dominare. «Ho paura, Nicholas. Ho paura di affrontare le conseguenze. Nel mio intimo so di aver commesso un errore spaventoso, ma ho paura della verità.» «E va bene, dimmi il resto.» «Non c'è altro.» «Se menti, non posso aiutarti», le fece osservare lui. «Ho cercato di seguire la ristrutturazione della compagnia. É tutto così complicato, Nicholas. La London and European è la nuova società finanziaria, e... e...» Le mancò la voce. «Mi sembra di girare in circolo. Non posso fare troppe domande.» «Perché?» chiese Nick. «Non conosci Duncan.» «Comincio a conoscerlo», replicò cupamente lui. «Hai tutto il diritto di chiedere e di ottenere risposta, Chantelle.» «Ti do un altro drink.» Balzò in piedi con un movimento fluido. «Non ho ancora finito questo.» «Il ghiaccio si è sciolto. So che non ti piace.» Prese il bicchiere e versò il liquore diluito in una boccia, tornò a riempirlo e glielo porse. «E va bene», disse Nick. «Allora?» A un tratto Chantelle si mise a piangere. Gli sorrideva tristemente e piangeva, senza gemiti né singhiozzi. Le lacrime sgorgavano dai suoi occhioni neri, si staccavano dalle lunghe ciglia arcuate e rotolavano sulle guance. Ma
continuava a sorridere. «La pazzia è finita, Nicholas. Non è durata molto, ma è stata un olocausto.» «Duncan rincasa tardi, adesso», disse Nick. «Sì, rincasa tardi. Alle nove o alle dieci.» Nick cavò il fazzoletto dal taschino interno e glielo porse. «Grazie.» Chantelle si asciugò le lacrime, sorridendogli con dolcezza. «Che cosa posso fare, Nicholas?» «Convoca un gruppo di revisori», cominciò Nick, ma lei scosse la testa. «Non conosci Duncan», ripeté. «Non può impedirtelo.» «Può fare tutto», ribatté lei. «Ho paura, Nicholas, una paura terribile. Non solo per me, ma anche per Peter.» Nick si rizzò di scatto. «Peter. Temi che possa fargli del male, vuoi dire?» «Non lo so, Nicholas. Sono così sola e confusa. Mi fido soltanto di te.» Lui non riuscì più a restare seduto. Si alzò e cominciò a passeggiare per la stanza con la fronte corrugata, fissando il bicchiere. «Va bene», disse infine. «Cercherò di aiutarti. Prima di tutto dovrò scoprire se i tuoi timori sono fondati.» «Come farai?» «É meglio che tu non lo sappia.» Vuotò il bicchiere. Lei si alzò, allarmata. «Non te ne vai, vero?» «Abbiamo parlato abbastanza. Quando e se avrò scoperto qualcosa, te lo farò sapere.» «Aspetto di sentirti, allora.» Nell'atrio, mandò via la cameriera indiana con un cenno della testa e tolse lei stessa il cappotto di Nick dall'armadio. «Vuoi che ti faccia accompagnare in macchina? Sono le cinque, non troverai un tassì.» «Vado a piedi», rispose lui. «Nicholas, non so come ringraziarti. Avevo dimenticato come mi sento sicura e protetta, con te.» Gli era vicinissima, con la testa leggermente arrovesciata. Le sue labbra erano tumide e lucenti. Nick capì che doveva lasciarla subito. «Adesso andrà tutto bene, non ne dubito.» Gli posò la mano affusolata sul risvolto, aggiustandogli il cappotto con sollecitudine. Si passò la lingua sulle labbra. «Siamo stati degli sciocchi, Nicholas. Ci siamo complicati la vita, mentre era così facile essere felici.» «Spesso si riconosce la felicità solo dopo averla persa.» «Mi rincresce, Nicholas. É la prima volta che te lo dico. Questa è la giornata delle prime volte, vero? Mi rincresce sinceramente per averti fatto soffrire. Vorrei che potessimo cancellare il passato con un colpo di spugna e ricominciare da capo.» «Purtroppo è impossibile.» Con uno sforzo di volontà, Nick ruppe l'incantesimo e si scostò da lei. Ancora un momento e si sarebbe chinato a baciare le seducenti labbra rosse. «Se scopro qualcosa, ti telefonerò», disse. Camminò a lunghe falcate, con le guance arrossate dal freddo. Ma l'immagine di Chantelle lo seguiva, scaldandogli il sangue. Capì che non poteva accendere e spegnere l'amore a suo piacere. «Non le pare di essere un po' antiquato?» Ricordò le parole di Samantha.
Aveva ragione. Era bloccato dalla costanza dei suoi affetti. Ora stava infrangendo una delle sue regole: invece di guardare avanti, si voltava indietro. Aveva amato Chantelle Christy con tutto se stesso e aveva dedicato quasi metà della sua vita alla Christy Marine. Non poteva ignorarlo. Era prigioniero della sua coscienza. A un tratto si trovò di fronte al Museo di Storia Naturale di Kensington, in Cromwell Road, e si diresse in fretta verso l'entrata. Ma erano già le sei meno un quarto, il portone era chiuso. Comunque Samantha non si trovava certamente nelle sale pubbliche, bensì nei sotterranei del grande edificio. In pochi giorni si era fatta parecchi amici fra i dipendenti del museo. Nick
sentì una fitta di gelosia al pensiero che Samantha fosse con altri esseri umani, che si divertisse in loro compagnia. Probabilmente si era dimenticata di lui. All'improvviso rammentò che un momento prima spasimava al ricordo di un'altra donna. Soltanto allora capì che era possibile amare due donne, in due modi diversi, nello stesso tempo. Turbato, dilaniato dagli amori in conflitto, girò le spalle al portone sbarrato del museo. ^ L'appartamento di Nick si trovava al quinto piano di un edificio restaurato in Queen's Gate. Sembrava un accampamento di zingari. Non aveva appeso i quadri alle pareti né sistemato i libri sugli scaffali. I quadri erano accatastati presso una parete dell'atrio, i libri ammonticchiati qua e là nel soggiorno. Il tappeto era ancora arrotolato in un angolo, due sedie stavano davanti al televisore e le altre due accostate alla tavola. Era un posto per mangiare e dormire, provvisto solo dello stretto necessario per vivere. In due anni, vi aveva dormito al massimo una sessantina di notti, poche delle quali consecutive. Era una casa impersonale, senza ricordi, senza calore. Si versò un po' di whisky e portò il bicchiere in camera, mentre si allentava la cravatta e cominciava a sfilarsi la giacca. Là era diverso, perché dappertutto si notavano i segni della presenza di Samantha. Sebbene quel mattino avesse rifatto il letto prima di uscire, vi aveva lasciato accanto un paio di scarpe. I suoi semplici monili erano sparsi sul comodino, accanto a un libro aperto a faccia in giù, con il dorso in imminente pericolo di spezzarsi. Le ante spalancate dell'armadio rivelavano gli abiti di Nick stipati in un angolo per lasciare spazio ai vestiti e maglioni di Samantha. In bagno erano stese due paia di collant trasparenti. Il suo talco era sparso sul pavimento e il suo profumo aleggiava per tutta la casa. Nick sentiva acutamente la sua mancanza. Quando la porta d'ingresso fu spalancata e lei arrivò come una folata di vento, con i capelli scarmigliati e le guance rosse, gridando «Nicholas, sono io!», le corse incontro e le balzò addosso. «Ehi!» protestò lei in un bisbiglio velato. «Come sei irruente.» Crollarono sul letto avvinghiati l'uno all'altra, travolti dall'intensità del bisogno reciproco.
Più tardi non accesero la luce, benché la stanza fosse ormai buia. Il soffitto rifletteva il fioco chiarore dei lampioni che filtrava fra le tende. «Che cosa ti ha preso?» chiese Samantha, rannicchiandosi contro di lui. «Non che mi lamenti, sia chiaro.» «Ho avuto una giornata infernale. Ti volevo.» «Hai visto Duncan Alexander?» «Sì.» «Vi siete accordati?» «Macché. Eravamo agli antipodi.» «Muoio di fame», dichiarò lei. «Mi viene sempre fame, quando facciamo l'amore.» Nick si vestì e andò a comprare due pizze nel ristorante italiano all'angolo. Mangiarono a letto, sorseggiando Chianti nei bicchieri da whisky. Quando ebbero finito, Samantha disse con un sospiro: «Devo tornare a casa, Nick». «Non puoi andartene», si oppose subito lui. «Devo. C'è il lavoro, fra l'altro.» «Ma», obiettò Nick, atterrito all'idea di perderla, «ma non puoi partire prima dell'udienza.» «Perché?» «Mi andrebbe tutto storto. Sei il mio portafortuna.» «Un portafortuna?» Fece una smorfia. «Non servo ad altro?» «Servi a un mucchio di cose. Vuoi che te ne dimostri una?» «Oh, sì.» Un'ora dopo Nick scese a comprare altre pizze.
«Devi restare fino al 27», disse con la bocca piena. «Ma Nicholas, caro, non so come...» «Telefona, di' che è morta tua zia, che stai per sposarti.» «Anche se ci sposassimo, non cambierebbe niente. Tengo troppo al mio lavoro, lo sai.» «Sì, lo so, ma che cosa sono due giorni in più?» «E va bene. Domani chiamerò Tom Parker.» Gli sorrise. «Non fare quella faccia. Non vado in capo al mondo, solo dall'altra parte dell'Atlantico. Saremo come vicini di casa.» «Chiamalo subito. É ora di colazione, in Florida.» Parlò per venti minuti, in tono garbato e suadente. Poco per volta, i terrificanti ruggiti all'altro capo del filo divennero borbottii rassegnati. «Un giorno o l'altro mi metterai nei pasticci, Nicholas Berg», gli disse Samantha tra il serio e il faceto, mentre riagganciava. «É proprio quello che voglio», replicò Nick, e lei lo colpì con il cuscino. Il mattino dopo, il telefono squillò alle nove e due minuti mentre facevano il bagno insieme. Nick andò a rispondere sbuffando, nudo e gocciolante. «Signor Berg?» La voce di James Teacher era formale. «Aveva ragione. Ieri pomeriggio la Christy Marine ha chiesto un rinvio dell'udienza.» «Di quanto?» chiese Nick. «Novanta giorni.» «Bastardi», grugnì Nick. «Con quale scusa?» «Vogliono tempo per preparare la relazione.»
«Li blocchi», ordinò Nick. «Alle undici ho appuntamento con il segretario. Chiederò un'immediata udienza preliminare per confermare la data fissata.» «Mi porti Duncan davanti agli arbitri», ingiunse Nick. «Lo porteremo.» Samantha lo accolse nella vasca ritirando le ginocchia sotto il mento. Aveva i capelli appuntati, ma alcune ciocche madide le ricadevano sul collo e sulle guance. Era rosea e vellutata come una bimba. «Stia attento dove mette i piedi, signore», lo ammonì. Nick si rilassò. Samantha riusciva sempre a calmarlo. «Se riesci a staccarti per un paio d'ore dal microscopio e dai tuoi campioni puzzolenti di pesce marcio, ti porto a colazione al 'Les A'.» «Les Ambassadeurs? Ne ho sentito parlare! Ci andrei anche con le gambe amputate.» «Non sarà necessario. Ma dovrai affascinare una tribù di sceicchi. Sembra che impazziscano per le bionde.» «Vuoi vendermi a un harem? Ho sempre sognato di portare i calzoni trasparenti.» «Agli arabi non vendo te, vendo gli iceberg. Be', verrò a prenderti all'una in punto davanti al museo.» Samantha uscì ridendo e sbatacchiando le porte. Nick si piazzò al telefono. «Vorrei parlare con sir Richard. Sono Nicholas Berg.» Sir Richard era un dirigente dei Lloyd's e un vecchio amico di Nick. Poi telefonò a Charles Gras. Il Sea Witch sarebbe stato ultimato entro la data prevista. «Scusami se ti ho fatto avere delle grane con Alexander.» «Ça ne fait rien, Nicholas. Buona fortuna all'udienza. Leggerò il resoconto sul Lloyd's List.» Nick si sentì sollevato. Charles Gras aveva rischiato il posto per mostrargli la Golden Dawn. Poi parlò per quasi mezz'ora con Bernard Wackie della Bach Wackie alle Bermude. Il Warlock aveva mandato un telex due ore prima. Stava effettuando una buona traversata con la piattaforma petrolifera a rimorchio, l'avrebbe lasciata a Bravo II alla data prevista e avrebbe preso subito l'altro rimorchio. «David Allen è un bravo ragazzo», disse Bernard a Nick. «Ma sei riuscito ad assumere Levoisin per il Sea Witch?» «Jules fa la prima donna, non ha ancora accettato; ma verrà.» «Avrai una squadra coi fiocchi, allora. Quando sarà pronto il Sea Witch?»
«Alla fine di marzo.» «Prima te lo danno, meglio è. Ho già contratti per tenere occupati i due rimorchiatori finché non matura il progetto degli iceberg.» «Oggi sono a colazione con gli sceicchi.» «Lo so. Molto interessante. Ho un buon presentimento. Il progetto è grandioso, ma gli arabi la sanno lunga. Con il loro sorrisetto enigmatico... Quando ci vediamo?» «Dopo che avrò trascinato Duncan Alexander davanti alla corte arbitrale. Alla fine del mese, spero.»
«Dobbiamo discutere di parecchie cose, Nicholas.» Nick fumò il primo sigaro della giornata, poi chiamò Montecarlo. La chiamata gli sarebbe costata almeno cinquemila dollari, forse settemilacinquecento. Ma ne valeva la pena, si disse, sollevando il ricevitore e parlando con una segretaria a Montecarlo. Mentre aspettava la comunicazione, pensò che la sua vita si era complicata di nuovo. Fra poco la Bach Wackie non gli sarebbe più bastata. Avrebbe dovuto aprire una filiale della Ocean Salvage a Londra, con uffici, segretarie, schedari, libri contabili. Poi una succursale a New York e un'altra nell'Arabia Saudita, replicando il ciclo. All'improvviso pensò a Samantha, alla felicità libera e serena, alla vita senza problemi e fardelli. Finalmente ebbe la comunicazione e sentì la voce sottile, acuta, quasi femminea. «Signor Berg, sono Claud Lazarus.» Niente convenevoli, niente saluti. Nick lo immaginò seduto alla scrivania nell'appartamento sopra il porto. Il grande cranio calvo, il viso bianco e infantile, il naso troppo piccolo per sostenere gli occhiali spessi; gli occhi distorti e rimpiccioliti dalle lenti, il corpiciattolo striminzito, con le spalle sfuggenti e la schiena ingobbita. «Signor Lazarus, potrebbe condurre un'indagine per mio conto?» Era un eufemismo per definire lo spionaggio industriale e commerciale. L'organizzazione di Claud Lazarus non conosceva frontiere. Protendeva i suoi delicati tentacoli in tutto il mondo. «Certamente», rispose la vocina. «Vorrei conoscere la struttura finanziaria, l'organizzazione direttiva, i nomi dei delegati e dei rappresentati e le correlazioni fra tutti gli elementi della Christy Marine e della London European Insurance and Banking, con particolare riferimento a ogni cambiamento di struttura negli ultimi quattordici mesi. Mi ha seguito?» «Ho registrato tutto, signor Berg.» «Bene. Poi voglio conoscere il paese di registrazione e gli assicuratori di tutte le navi di loro proprietà.» «Continui.» «Voglio una stima accurata dei capitali della London and European Insurance in relazione alla sua solvibilità potenziale.» «C'è altro?» «M'interessa in particolare la petroliera Golden Dawn, attualmente in costruzione nei cantieri della Construction Navale Atlantique a St. Nazaire. Voglio sapere se è già stata noleggiata o prenotata per il trasporto di greggio da qualche compagnia. E in caso affermativo, per quali rotte e a quali tariffe.» «Sì?» squittì Lazarus. «La rapidità è essenziale. E anche la discrezione, come sempre.» «Non occorre dirlo, signor Berg.» «Quando avrà le informazioni, si metta in contatto con la Bach Wackie alle Bermude.» «Le farò sapere qualcosa.» «Grazie, signor Lazarus.» «Buon giorno, signor Berg.» Era un sollievo non doversi fingere amico di un individuo che gli procurava informazioni importanti ma che in un certo senso gli ispirava ripugnanza, pensò Nick. Ed era confortante pensare che, per quel lavoro, aveva il miglior
specialista del mondo. Sbirciò l'orologio. Era ora di colazione, e si sentì improvvisamente
euforico all'idea di rivedere Samantha. ^ Lime Street è una viuzza fiancheggiata da alti edifici che sbuca in Leadenhall Street. Pochi metri prima dell'angolo, sulla sinistra, c'è la sede dei Lloyd's di Londra. Nick scese dalla Bentley di James Teacher e prese Samantha a braccetto. Sostò un momento con riverenza. Come marinaio, rispettava e stimava l'istituzione. Non che l'edificio fosse particolarmente antico o venerabile. Non restava più nulla di quello che in origine era stato un caffè, a parte alcune tradizioni: l'annunciatore che intona i nomi degli agenti di cambio come l'offertorio nel tempio di una religione esotica, i séparé in cui gli assicuratori trattano i loro affari, il nome e l'uniforme dei commessi, i «camerieri», con i bottoni d'ottone e le mostrine rosse sul colletto. Ma quello che là si custodiva era soprattutto una tradizione di ansia: ansia per la sorte delle navi e degli uomini che lavorano in mare. Più tardi, forse, Nick avrebbe condotto Samantha a visitare le sale di Nelson, per mostrarle la collezione di oggetti appartenuti al più grande marinaio inglese: il piatto, le lettere, le onorificenze. L'avrebbe sicuramente invitata a colazione nella sala da pranzo, dove una tavola era riservata ai capitani marittimi in visita. Ma per il momento pensava ad altro. Era venuto per ascoltare il verdetto sul suo futuro: fra poche ore avrebbe saputo a quale altezza l'aveva portato l'onda della fortuna. «Vieni», disse a Samantha. Salirono la breve scalinata ed entrarono nell'atrio, dove furono accolti da un commesso. «Oggi la riunione avverrà nella sala del comitato, signore.» Le prime relazioni di entrambe le parti erano già state udite in uno degli uffici più piccoli, le cui porte si aprono sulla galleria sopra il salone. Tuttavia, data la natura straordinaria del ricorso, il comitato dei Lloyd's aveva preso una decisione eccezionale: riunire la corte arbitrale in un ambiente più consono all'occasione. Salirono in silenzio, troppo tesi per parlare. Il «cameriere» li condusse lungo l'ampio corridoio, oltre l'ufficio del presidente, fino all'imponente sala progettata da Adams per Bowood House, la residenza di campagna del marchese di Lansdowne. Il salone era stato smontato pezzo per pezzo, dal pavimento al soffitto, dal caminetto agli stucchi, trasportato a Londra e ricostruito con tale meticolosità che, quando Lord Lansdowne l'aveva visto, aveva scoperto che le assi del pavimento scricchiolavano esattamente come prima. I due arbitri erano già seduti alla lunga tavola, sotto i tre enormi lampadari. Entrambi erano capitani di lungo corso, scelti per la loro esperienza e la loro conoscenza del mare. I loro visi erano cotti dal sole e dalla salsedine. Confabularono sottovoce, ignorando le file di visi attenti sulle sedie di fronte, finché le lancette dell'antico orologio sopra la
mensola del caminetto giunsero allo zenit. Allora il presidente della corte guardò il cameriere, che chiuse la doppia porta e vi rimase davanti sull'attenti. «Questa corte arbitrale è stata formata dal comitato dei Lloyd's, che l'ha autorizzata ad accogliere le deposizioni nel contenzioso fra la società di navigazione Christy Marine e la Ocean Salvage, ricuperi e rimorchi. La corte ha riscontrato i seguenti elementi comuni fra le due parti: «Primo, fra le due parti esiste un accordo stipulato secondo le modalità del contratto standard dei Lloyd's 'Niente ricupero, niente pagamento' per il ricupero del transatlantico Golden Adventurer, di ventiduemila tonnellate di stazza lorda, registrato a Southampton. «Secondo, mentre il comandante della Golden Adventurer si trovava in rotta verso sudovest, durante la notte del 16 dicembre a, oppure vicino a, 72° 16' sud e 32° 16' ovest...» Il presidente ricapitolò i fatti, senza accentuarne gli aspetti drammatici e coloriti. Li espose aridamente, riuscendo a far sembrare noiosi il dramma
della Golden Adventurer e gli sforzi disperati dei suoi salvatori. In effetti, durante l'esposizione, il suo collega parve cadere in una specie di catalessi. Aveva gli occhi chiusi e la testa ciondoloni; non russava, ma le sue labbra vibravano a ogni respiro. Occorse quasi un'ora, con sporadiche consultazioni del giornale di bordo della nave, prima che il presidente avesse finito. Allora si buttò indietro sulla sedia e infilò i pollici nella cintura. La sua espressione divenne risoluta, e mentre girava lo sguardo per la sala affollata, il suo collega si mosse, aprì gli occhi, cavò un fazzoletto e si soffiò rumorosamente il naso. L'interesse del pubblico si ridestò. Tutti capirono che era giunto il momento del verdetto. Duncan Alexander e Nicholas Berg si guardarono per la prima volta sopra le teste degli avvocati e degli accompagnatori. Rimasero impassibili senza sorridere né accigliarsi, ma fra di loro passò come una corrente di odio. Continuarono a fissarsi finché il presidente non parlò di nuovo. «Considerati i fatti, la corte ritiene che i salvatori abbiano effettuato un valido ricupero della nave. Perciò hanno diritto a un compenso adeguato al servizio reso ai proprietari e agli assicuratori.» Nick sentì le dita di Samantha cercare le sue. Le prese la mano: era piccola, fredda e asciutta. Vi intrecciò le dita e se la premette sulla coscia. «Dovendo valutare l'opera dei salvatori, la corte ha considerato in particolare le condizioni esistenti sul luogo. Dalle testimonianze risulta che il lavoro si è svolto in condizioni proibitive, con temperature di trenta gradi sotto zero, venti superiori alla forza dodici della scala Beaufort e formazioni di ghiaccio. Abbiamo poi considerato che la nave Golden Adventurer era priva di comando. Che era stata abbandonata dai passeggeri, dall'equipaggio e dal comandante. Era incagliata in una costa aspra e remota. «Abbiamo inoltre notato che i salvatori hanno intrapreso un viaggio di parecchie migliaia di miglia senza alcuna garanzia di compenso, soltanto per trovarsi in grado di offrire assistenza qualora si fosse dimostrato necessario.»
Nick sbirciò Duncan Alexander. Pareva calmissimo, nemmeno fosse all'ippodromo di Ascot. Indossava un abito grigio ferro che su di lui sembrava sgargiante. Duncan girò la testa aristocratica e guardò nuovamente Nick. Stavolta Nick notò lo scintillìo furibondo dei suoi occhi. Poi Duncan tornò a guardare il presidente, appoggiando il mento sulle dita del pugno destro. «Finalmente abbiamo considerato il trasporto dei superstiti dal luogo dell'incidente al porto più vicino, Città del Capo, nella Repubblica sudafricana.» La ricapitolazione del presidente era chiaramente a favore della Ocean Salvage. Segno pericoloso: spesso un giudice in procinto di pronunciare un verdetto sfavorevole cominciava a costruire una solida argomentazione a favore del perdente, per poi smantellarla da cima a fondo. Nick s'irrigidì. Con meno di tre milioni di dollari non sarebbe riuscito a mandare avanti la Ocean Salvage. Tre milioni erano il minimo indispensabile per tenere a galla il Warlock e per varare il Sea Witch. Mentre pensava ai suoi impegni, sentì uno spasimo allo stomaco. Anche con tre milioni, sarebbe stato alla mercé degli sceicchi, senza margine di manovra, obbligato ad accettare qualsiasi condizione gli avessero imposto. Sarebbe rimasto in ginocchio. Strinse la mano di Samantha, e lei gli si strusciò contro la spalla. Quattro milioni di dollari gli avrebbero dato la possibilità di lottare, un piccolo margine di scelta. La lotta sarebbe stata dura, senza dubbio; eppure si sarebbe accontentato di quattro, se Duncan Alexander glieli avesse offerti. Forse Duncan era stato saggio, in fin dei conti. Forse sarebbe riuscito a vedere Nick con le spalle a terra. «Tre.» Nick pensò intensamente alla cifra. «Ne voglio tre, almeno tre.» «La corte ha considerato i rapporti della Globe Engineering, la compagnia incaricata di riparare e raddobbare la Golden Adventurer, insieme con i rapporti dei due periti indipendenti, nominati separatamente dai proprietari e
dai salvatori, sulle condizioni della nave. Abbiamo anche beneficiato del giudizio di un capo ispettore dei Lloyd's di Londra. Da tali rapporti risulta che la nave ha subito solamente lievi danni. Le attrezzature sono tutte indenni, i salvatori hanno ricuperato anche le ancore principali e le catene...» Era strano come questo particolare potesse colpire una corte arbitrale. «Con le ancore e tutto», pensò orgogliosamente Nick. «Le pronte misure anticorrosive adottate dai salvatori hanno ridotto al minimo i danni riportati dalle macchine principali e dalle attrezzature ausiliarie...» Continuò per un pezzo. Perché non veniva al sodo? «Non ce la faccio più», pensò Nick. «Ascoltata l'opinione dei periti, la corte riconosce che il valore della Golden Adventurer, così com'è stata consegnata alla compagnia incaricata delle riparazioni a Città del Capo, è di ventisei milioni di dollari statunitensi o di quindici milioni e trecentomila sterline. Considerate le premesse, riteniamo che ai salvatori spetti un compenso pari al venti per cento del valore residuo dello scafo...»
Per alcuni secondi Nick dubitò delle sue orecchie, poi avvampò d'eccitazione. «In aggiunta, è stato calcolato anche il valore del trasporto dei superstiti...» Erano sei, sei milioni di dollari! Nick aveva vinto, volava libero come un albatro sull'oceano. Si girò a guardare Duncan e sorrise. Non si era mai sentito così forte ed esuberante in vita sua. Si sentiva un colosso immortale, e al suo fianco c'era un corpo vibrante che gli prometteva l'eterna giovinezza. Duncan Alexander scrollò la testa e parlò brevemente al suo legale. Non guardò Nick. Sebbene fosse imperlato di sudore, il suo viso pareva una maschera di cera. ^ «Forse fra pochi giorni avresti cominciato a trovarmi noiosa, oppure a uno di noi due sarebbe venuta una sincope.» Samantha sorrise. Fu un sorriso mesto e stentato, non il solito sorriso smagliante. «Preferisco lasciare mentre sono in vantaggio.» Erano seduti nella sala d'aspetto della Pan American, all'aeroporto di Heathrow. Nick era sconvolto e angosciato. Gli sembrava che il suo fluido vitale fosse in procinto di abbandonarlo, mentre la guardava sapendo che fra pochi minuti sarebbe partita. «Samantha», disse. «Resta con me.» «Nicholas», bisbigliò lei, «devo andare, caro. Non sarà per molto, ma devo». «Perché?» chiese lui. «Perché è la mia vita.» «Vorrei essere io la tua vita.» Lei gli carezzò una guancia e replicò: «Ho un'idea migliore. Lascia perdere il Warlock e il Sea Witch, dimentica i tuoi iceberg e vieni con me». «Non posso, lo sai.» «Sì, lo so», convenne lei. «E infatti non te lo chiedo. Ma Nicholas, amore, nemmeno io posso rinunciare alla mia vita.» «E allora sposami», disse lui. «Perché, Nicholas?» «Così non perderò il mio portafortuna. Così dovrai obbedirmi, una buona volta.» Lei diede in una risatina e gli si rannicchiò contro. «Non siamo più nell'Ottocento, mio caro. C'è un solo motivo valido per sposarsi, Nicholas: avere dei figli. Vuoi darmi un figlio?» «Anche subito.» «Perché io resti a scaldare i poppatoi e a lavare i pannolini mentre tu te ne vai a zonzo sul mare? Sarebbe già tanto se ci vedessimo una volta al mese.» Scosse la testa. «Un giorno faremo un bambino insieme, ma non adesso. Abbiamo
troppo da fare, troppa vita da vivere.» «Cristo.» Anche Nick scosse la testa. «Non mi va di saperti libera. Alla prima occasione ti prendi un bel fusto di venticinque anni, e...» «Mi hai insegnato ad apprezzare il vino d'annata», rise lei. «Vieni appena
puoi, Nicholas. Quando avrai finito il tuo lavoro vieni in Florida e vedrai la mia vita.» Arrivò la hostess. Era una bella ragazza sorridente con l'uniforme azzurra della Pan American. «Dottoressa Silver? Hanno appena chiamato il volo 432.» Si alzarono e si guardarono, imbarazzati come estranei. «Vieni presto», disse lei. Si alzò in punta di piedi e gli gettò le braccia al collo. «Vieni appena puoi.» ^ 1 La proposta di James Teacher aveva suscitato le proteste di Nick. «Non ho la minima intenzione di parlargli, signor Teacher. L'unica cosa che voglio da Duncan Alexander è un assegno di sei milioni di dollari, possibilmente di una banca conosciuta. E lo voglio entro il dieci del mese venturo.» L'avvocato lo aveva blandito e allettato. «Ma pensi al piacere di vedere la sua faccia. Si prenda una soddisfazione, signor Berg, si goda la vittoria.» «Macché piacere. L'unica faccia che non voglio vedere è proprio la sua.» Ma alla fine aveva acconsentito, a patto che l'incontro avvenisse in un luogo di sua scelta. Tanto per ricordare a Duncan chi teneva il coltello per il manico. L'ufficio di James Teacher si trovava in un pittoresco edificio nel Villaggio del Tribunale, coperto d'edera e circondato da praticelli intersecati da vialetti che univano i vari isolati del quartiere. Il complesso, grondante di storia e di tradizioni, era totalmente privo di comodità moderne. La sua austerità era calcolata ad arte per infondere fiducia ai clienti. L'ufficio di Teacher si trovava al terzo piano. Non c'era ascensore, le scale erano anguste e ripide. Duncan Alexander arrivò rosso e trafelato. L'impiegato di Teacher lo squadrò impassibilmente dalla guardiola. «Il signor...?» chiese, portandosi una mano all'orecchio. Era un uomo vecchio, grigio e pittoresco come l'edificio. Indossava un liso abito nero con il colletto duro e la cravatta nera. «Il signor...?» Duncan Alexander si fece ancora più rosso. Non era abituato a dover ripetere il suo nome. «Ha un appuntamento, signore?» domandò glacialmente l'impiegato, e consultò laboriosamente la sua agenda prima di ammettere Duncan Alexander nella spartana sala d'attesa. Nick lo fece aspettare esattamente otto minuti, il doppio di quanto lui aveva aspettato nella sala di riunione della Christy Marine. Rimase accanto al caminetto, senza ricambiare il sorriso che Duncan gli rivolse entrando. James Teacher era seduto alla sua scrivania sotto la finestra, lontano dalla linea della contesa come un arbitro di tennis a Wimbledon. Duncan Alexander lo guardò di sfuggita. «Congratulazioni, Nicholas.» Scrollò la testa leonina e il suo sorriso divenne mesto. «La tua vittoria passerà agli annali. Sul serio.» «Grazie, Duncan. Comunque ti avviso che oggi sono molto occupato. Posso darti appena dieci minuti.» Sbirciò l'orologio. «Per fortuna abbiamo un solo argomento da trattare. Entro il dieci del mese venturo, puoi scegliere fra un deposito sul conto della Ocean Salvage alle Bermude o un assegno circolare per posta aerea raccomandata alla Bach Wackie.»
Duncan fece un ironico gesto di protesta. «Sta' tranquillo, Nicholas. Avrai il tuo compenso entro i termini fissati dalla corte.» «Bene», disse Nick, senza sorridere. «Spero di non doverti citare per insolvenza.» «Vorrei ricordarti una cosa che ha detto il vecchio Arthur Christy.» «Ah, sicuro, nostro suocero», disse Nick.
Duncan finse di non sentire. Continuò senza scomporsi. «Ha detto: 'Con Berg e Alexander ho formato una coppia di assi'.» «Negli ultimi tempi era mezzo rimbambito.» Nick non aveva ancora sorriso. «Però aveva ragione. Abbiamo fatto grandi cose. Santo cielo, Nicholas, pensa se avessimo lavorato come amici, invece che come avversari. Tu sei il miglior marinaio in circolazione, e io...» «La tua stima mi commuove, Duncan. Davvero.» «Mi hai obbligato ad aprire gli occhi, Nicholas. L'avevi detto, del resto. E io sono il tipo che impara sbagliando. La mia specialità è trasformare i disastri in trionfi.» «Perché non ci provi adesso?» lo sfidò Nick. «Trasforma sei milioni di dollari in uno sciame di farfalle.» «Potresti tornare nella Christy Marine con sei milioni di dollari e la Ocean Salvage. Saremmo soci alla pari.» Nonostante il suo stupore, Nick non batté ciglio. Ma rifletté febbrilmente per precedere Duncan. «Nessuno potrebbe fermarci. La Christy Marine diventerebbe la padrona dei mari, ci espanderemmo nel campo della ricerca petrolifera e dei container.» Il fascino di Duncan era immenso, quasi irresistibile, il suo entusiasmo traboccava, la sua luce sembrava rischiarare la stanza. Nick lo studiò attentamente. A ogni secondo, imparava qualcosa di nuovo su di lui. «Santo cielo, Nicholas, tu sei l'uomo che può concepire un colosso come la Golden Dawn o ricuperare un transatlantico in una tempesta antartica, io sono l'uomo che può alzare due miliardi di dollari schioccando le dita. Saremmo inarrestabili, non avremmo limiti.» Tacque un momento e scrutò Nick, studiando l'effetto delle sue parole. Nick accese un sigaro, continuando a osservarlo da dietro la cortina di fumo azzurrognolo. «Capisco quello che pensi», riprese Duncan in tono confidenziale. «Sei a corto di fondi, hai bisogno dei sei milioni per tenere a galla la Ocean Salvage. La Christy Marine salderà i debiti della Ocean Salvage, è sottinteso. L'importante è che siamo insieme, come voleva il vecchio Arthur Christy. Berg e Alexander.» Nick si tolse il sigaro di bocca e ne fissò la punta. Poi guardò nuovamente Duncan Alexander. «Dimmi, Duncan», chiese con calma, «visto che ti piacciono le ammucchiate, anche le nostre donne vanno nel calderone?» Duncan strinse le labbra e corrugò la fronte. «Nicholas», cominciò. Nick lo zittì con un gesto. «É vero, ho urgente bisogno di sei milioni di dollari. Me ne servono tre per la Ocean Salvage e tre per impedirti di varare il mostro che hai costruito.
Anche se non ci riuscirò, li userò ugualmente per contrastarti. Se non vedo i soldi, il mattino del giorno undici alle nove e dieci ti appiopperò un ordine di pignoramento. Ti avevo detto che avrei combattuto te e la Golden Dawn. L'avvertimento è ancora valido.» «Come sei meschino», disse Duncan. «Non credevo che fossi così fanatico.» «Evidentemente non mi conosci abbastanza, Duncan. Ma imparerai a conoscermi, per la miseria. A tue spese.» ^ Poiché Nick aveva rifiutato di rivederla nella casa di Eaton Square, Chantelle aveva scelto il ristorante San Lorenzo in Beauchamp Place. Nick preferiva incontrarla in pubblico, ma nemmeno il San Lorenzo si rivelò una scelta felice. Gli ricordava i vecchi tempi. A mezzogiorno di domenica, quand'erano a Londra, mangiavano sempre al San Lorenzo. Era un rituale di famiglia. Chantelle, Peter e Nick si sedevano invariabilmente al tavolino d'angolo. Ora Mara li fece accomodare al medesimo tavolo. «Ossobuco alla milanese?» chiese Chantelle, sbirciandolo sopra l'orlo del menù. Nick prendeva sempre l'ossobuco e Peter le lasagne. Faceva parte del rito. «Preferisco la sogliola.» Nick si rivolse alla cameriera. «E da bere, bianco della casa.»
Di solito bevevano Sancerre. Ordinando la caraffa, aveva deliberatamente trasgredito al rituale. «É buonissimo.» Chantelle ne prese un sorso e depose il bicchiere. «Ieri sera ho parlato con Peter. É in infermeria con l'influenza, ma oggi si alzerà. Mi ha detto di salutarti.» «Grazie.» Parlò con imbarazzo, sentendosi osservato dagli altri avventori. Qualcuno li aveva riconosciuti. Lo scandalo si sarebbe diffuso per Londra in un baleno. «Vorrei portare Peter alle Bermude, durante le vacanze di Pasqua», dichiarò. «Mi mancherà. É così caro.» Nicholas attese che fosse servito il secondo, poi le chiese a bruciapelo: «Di che cosa volevi parlarmi?» Chantelle si sporse verso di lui. Il suo profumo era leggero, penetrante ed evocativo. «Hai scoperto qualcosa, Nicholas?» «No», pensò lui. «Niente che t'interessi.» Era proprio persiana, nel suo gusto per i segreti e gli intrighi. «Non ho scoperto niente», rispose. «Altrimenti ti avrei telefonato.» La scrutò negli occhi. «Ma non è per questo che volevi vedermi.» Lei sorrise e distolse lo sguardo. «É vero», ammise. I suoi seni erano straordinari. Sembravano piccoli, ma in realtà erano troppo grandi per il suo corpo snello. L'illusione era creata dalle loro proporzioni perfette. Chantelle indossava una blusa di seta leggera e scollata che rivelava il profondo solco fra di essi. Nick li conosceva troppo bene, e ora si sorprese a fissarli. A un tratto lei alzò gli occhi e colse la direzione del suo sguardo. Sporse
le labbra e se le umettò con la punta della lingua. Nick ebbe un senso di vertigine. Riconosceva quei segni, annunciavano la sua eccitazione, e lui sentì immediatamente la risposta del proprio corpo. «Perché, allora?» Non si accorse che la sua voce era un po' roca, ma lei sì, e ne capì subito la ragione. Allungò la mano sulla tavola, gli prese il polso, lo sentì battere precipitosamente. «Duncan vuole che tu torni nella Christy Marine», disse. «Lo voglio anch'io.» «Ti ha mandata Duncan, vero?» Lei annuì, e Nick chiese: «Perché mi rivuole? Avete fatto il diavolo a quattro per sbarazzarvi di me». Ritrasse delicatamente la mano. «Non lo so. Dice che ha bisogno della tua esperienza.» Scrollò le spalle e i seni ondeggiarono sotto la seta. Nick sentì aumentare la propria tensione. Gli confondeva le idee. «Non è il vero motivo, ne sono sicura. Però ti vuole.» «Ti ha chiesto lui di dirmelo?» «No, naturalmente.» Giocherellò con il gambo del bicchiere. «L'ho fatto di mia iniziativa.» «Perché mi vuole, secondo te?» «Ci sono due ipotesi, che io sappia.» A volte lo stupiva per la sua razionalità quasi mascolina, e tuttavia aveva commesso un errore madornale. Mentre l'ascoltava, Nick si chiese nuovamente come poteva aver ceduto il controllo della Christy Marine a Duncan Alexander; poi ricordò che, sull'onda della passione, Chantelle era capace di tutto. «La prima è che si tratti di un piano per non pagarti i sei milioni di dollari.» «Sì», annuì Nick. «E la seconda?» «Nella City corrono strane voci su di te e sulla Ocean Salvage. Si dice che tu abbia in mano qualcosa di grosso. Un affare che riguarda l'Arabia Saudita. Forse Duncan vuole partecipare.» Nick la guardò incredulo: il progetto degli iceberg era una questione fra lui e gli sceicchi. Ma poi ricordò che anche altri ne erano informati: Bernard Wackie alle Bermude, Samantha Silver, James Teacher. Evidentemente qualcuno aveva parlato. «E tu? Quali sono i tuoi motivi?» «Ne ho due, Nicholas», rispose lei. «Rivoglio il controllo sulla compagnia.
Rivoglio le mie azioni e il diritto di voto, rivoglio il mio posto nel lascito. Ero pazza, quando ho delegato Duncan a rappresentarmi. Adesso rivoglio tutto, e tu devi aiutarmi.» Nick sorrise amaramente. «Vorresti assoldare un pistolero, insomma. Come nei film western. Io e Duncan in una via deserta con le mani sospese sulle fondine.» Fece una risatina, ma intanto rifletté. Mentiva? Impossibile dirlo, era troppo misteriosa e imperscrutabile. Vide le lacrime brillare sulle sue ciglia e ridiventò serio. Erano lacrime sincere o facevano parte di una commedia? «Hai detto che hai due motivi», aggiunse con dolcezza. Lei non rispose subito, ma Nick vide la sua agitazione, il rapido sussultare dei seni sotto la seta. Poi Chantelle inspirò a fondo e parlò così piano che lui la udì appena.
«Rivoglio te. Ecco l'altro motivo, Nicholas.» Nick la fissò sbigottito, e lei continuò. «É stato un momento di follia. Non sapevo quel che facevo. Ma adesso la pazzia è finita. Dio mio, non saprai mai come mi sei mancato, come ho sofferto.» S'interruppe e agitò una mano. «Mi farò perdonare, Nicholas, te lo giuro. Peter e io abbiamo bisogno di te. Un bisogno disperato.» Nick esitò a rispondere. Lo aveva colto alla sprovvista, e adesso gli sembrava che la sua vita venisse nuovamente mischiata come un mazzo di carte. «La nostra è una strada senza ritorno, Chantelle. Possiamo solamente andare avanti.» «Ottengo sempre quello che voglio, Nicholas, lo sai», lo ammonì lei. «Stavolta non l'avrai, Chantelle.» Scosse la testa, ma sapeva che la lotta sarebbe stata dura. ^ Duncan Alexander si sprofondò nel soffice sedile della Rolls e chiamò al radiotelefono il suo ufficio in Leadenhall Street. «Siete riusciti a trovare Kurt Streicher?» chiese. «Mi rincresce, signor Alexander. Il suo ufficio non è riuscito a rintracciarlo. É andato in Africa per un safari. Non sanno quando tornerà a Ginevra.» «Grazie, Myrtle.» Sorrise senza allegria. A un tratto Streicher si era rivelato un appassionato sportivo. La settimana scorsa era andato a sciare, questa settimana era in Africa a caccia di elefanti, forse la settimana ventura avrebbe scelto il polo nord, per cacciare l'orso bianco. E la settimana ventura sarebbe stato troppo tardi, comunque. Streicher non era il solo. Da quando gli era stato ingiunto di pagare il compenso per il ricupero della Golden Adventurer molti finanzieri suoi amici erano diventati elusivi, si dileguavano tenendosi stretto il libretto degli assegni. «Oggi non torno in ufficio», disse alla segretaria. «Mi mandi le pratiche in sospeso a Eaton Square. Lavorerò stanotte. Può venire un'ora prima, domani?» «Certamente, signor Alexander.» Riagganciò il microfono e guardò dal finestrino. La Rolls stava oltrepassando Regent Park, diretta verso St John's Wood. Era la terza volta in sei mesi che percorreva quella strada, e a un tratto sentì di nuovo la fitta rovente sotto le costole. Si raddrizzò sul sedile, ma il dolore non diminuì. Con un sospiro, aprì l'armadietto dei liquori, mise un cucchiaino di polvere in un bicchiere e vi versò sopra un po' di soda. Guardò con disgusto la pozione torbida, poi la bevve d'un fiato. Gli lasciò un gusto di menta sulla lingua, ma l'effetto fu istantaneo. Il dolore si calmò e lui fece un ruttino. Non gli occorreva un medico per capire che si trattava di un'ulcera duodenale, o forse di parecchie ulcere. Doveva essercene una tribù intera. Sorrise e si ravviò con cura la chioma fluente, guardandosi nello specchietto. Il suo viso non tradiva la tensione, ne era sicuro; la facciata era intatta, senza crepe. Aveva sempre avuto il coraggio e la forza di affrontare le conseguenze delle sue decisioni. Ma stavolta era difficile. Non aveva mai penato tanto.
Chiuse gli occhi per un attimo e vide la Golden Dawn circondata dalle impalcature. Si ergeva come una montagna. La visione lo rincuorò, gli infuse nuove energie. Lo consideravano soltanto un uomo d'affari, un topo d'ufficio. Non c'era salsedine nel suo sangue né acciaio nella sua tempra, così si diceva di lui nella City. Quando aveva estromesso Berg dalla Christy Marine, lo avevano schivato e spiato, aspettando che mostrasse le sue risorse. Lo avevano costretto a vivere alle spalle della Christy Marine, a divorarsi come un cammello nel deserto. «Bastardi», pensò senza rancore. Anche lui si sarebbe comportato così, al loro posto. Avevano osservato le due regole che anche Duncan conosceva e rispettava. E in base alle stesse regole, se avesse rivelato una tempra d'acciaio, lo avrebbero compensato generosamente. Lo stavano mettendo alla prova. Mancava così poco, ormai. Solamente due mesi, ma quei sessanta giorni gli sembravano lunghi e terrificanti come l'anno passato. L'incaglio della Golden Adventurer era stato un disastro. Il valore dello scafo faceva parte delle garanzie sulle quali aveva ottenuto i prestiti. Il denaro che procurava con le sue crociere di lusso era investito nel bilancio, perché la Christy Marine potesse tirare avanti fino al varo della Golden Dawn. Adesso la situazione era drasticamente mutata. Il rubinetto dei quattrini si era bloccato e lui doveva trovare sei milioni di dollari in contanti entro il dieci del mese. Era già il sei, e il tempo gli sfuggiva fra le dita. Se solo fosse riuscito a fermare Berg... Fu pervaso da un'ondata d'odio. Doveva guadagnar tempo. La finta proposta di associazione lo avrebbe tenuto a bada per un po', ma lui l'aveva rifiutata sdegnosamente. Duncan era costretto a chiedere l'elemosina nel tentativo di rimediare i quattrini. Ma Kurt Streicher non era l'unico a schivarlo. Era strano come la gente fiutasse la vulnerabilità o la debolezza del prossimo. Del resto anche lui aveva lo stesso dono, sapeva benissimo di che si trattava. Era come recasse le piaghe della lebbra sul viso e sulle membra. Al confronto della posta in gioco, il prestito di sei milioni per due mesi era una miseria. Si vergognava a chiederlo. Fu nuovamente assalito dalla tensione e dal bruciore allo stomaco. Si costrinse a rilassarsi e guardò dal finestrino, vedendo che la Rolls aveva svoltato nel vicolo di caseggiati popolari; ammonticchiati uno sull'altro, gli appartamenti gli sembravano stie per polli. Gettò indietro le spalle e si guardò nello specchio, esercitando il suo sorriso. Erano solo sei milioni, e per soli due mesi, si ripeté mentre la Rolls si fermava davanti a un edificio. L'autista venne ad aprirgli la portiera e gli porse la borsa di cinghiale. Duncan annuì. «Grazie, Edward. Tornerò presto.» Prese la borsa e attraversò il marciapiede a lunghe falcate, con il busto eretto e il cappotto sulle spalle. L'uomo che gli aprì la porta sembrava alto la metà di lui, nonostante il cappello nero che portava calcato sulle orecchie. «Shalom, shalom, signor Alexander.» La sua barba folta copriva il colletto bianco inamidato e la cravatta bianca, la tenuta di rigore per gli ebrei ortodossi. «La sua visita è un onore, anche se mi ha lasciato per ultimo.» I suoi occhi neri brillarono di malizia.
«Perché lei ha un cuore di pietra e acqua ghiacciata al posto del sangue», disse Duncan. L'uomo rise come se avesse ricevuto un complimento. «Venga», disse, prendendo Duncan per un braccio. «Venga, le offro il tè. Intanto parleremo.» Guidò Duncan nell'angusto corridoio. Erano giunti a metà, quando si scontrarono con due ragazzini che correvano nella direzione opposta. Sulle testoline ricciolute portavano lo zuccotto. «Ah, monellacci», disse l'uomo. Si chinò ad abbracciarli, poi li spedì via con un affettuoso sculaccione. Senza smettere di sorridere, scuotendo le treccioline che penzolavano dalle sue tempie, spinse Duncan in una cameretta ingombra di suppellettili, adibita
a ufficio. Contro una parete c'era una vecchia scrivania, e contro la parete opposta un divano imbottito su cui erano ammonticchiati registri e schedari. L'ebreo li spinse da parte, facendo posto a Duncan. «Si accomodi», lo invitò, scostandosi mentre una donnetta portava il vassoio del tè. «Ho letto il verdetto della corte arbitrale sul Lloyd's List», disse quando furono soli. «Nicholas Berg è un uomo straordinario. Un tipo pieno di risorse.» S'interruppe, notando l'improvviso rossore di Duncan e lo scintillio irato dei suoi occhi. Duncan represse a stento la collera. Non sopportava di sentir lodare Nicholas Berg; ne aveva abbastanza di paragoni e di osservazioni maligne. Ebbe l'impulso di alzarsi e lasciare la stanzetta, ma non poteva permettersi di farlo. E non poteva nemmeno parlare, era troppo furioso. Rimasero in silenzio per un pezzo. Fu l'ebreo a parlare, finalmente. «Quanto?» Duncan esitò a dirgli la cifra. Era strettamente connessa alla causa della sua ira. «Oh, non molto. E per poco tempo, solo sessanta giorni.» «Quanto?» «Sei milioni», rispose Duncan. «Dollari.» «Sei milioni di dollari non sono una somma enorme, quando la si possiede. Ma se mancano, sono una fortuna.» Si carezzò la barba nera. «E sessanta giorni possono essere un'eternità.» «Ho un contratto di noleggio per la Golden Dawn», disse Duncan. «Per dieci anni.» Slacciò le fibbie d'oro della borsa di cinghiale e ne tolse un fascio di fotocopie. «É già firmato e controfirmato, come vede.» «Dieci anni» chiese l'uomo, guardando le carte nella mano di Duncan. «Dieci anni, a dieci centesimi per tonnellata al miglio, con un minimo annuo garantito di 75.000 miglia.» L'ebreo smise di carezzarsi la barba. «La Golden Dawn può trasportare un milione di tonnellate, ciò che assicura un minimo di settantacinque milioni di dollari all'anno.» Celò a fatica la sua deferenza e riprese a carezzarsi delicatamente la barba. «Chi è il noleggiatore?» Le sue sopracciglia sembravano due punti interrogativi neri.
«L'Orient Amex», rispose Duncan, porgendogli le fotocopie. «Il giacimento di El Barras.» L'uomo lesse rapidamente. «Lei è proprio in gamba, signor Alexander. Non ne ho mai dubitato.» Continuò a leggere in silenzio, scrollando lentamente la testa e facendo oscillare le treccioline. «Il giacimento di El Barras.» Piegò i fogli e guardò Duncan. «Credo che la Christy Marine abbia trovato il degno successore di Nicholas Berg. Forse le scarpe sono ancora troppo piccole, fra poco cominceranno ad andarle strette, signor Alexander.» Cambiò posizione sulla sedia, riflettendo, e Duncan lo osservò con un mezzo sorriso per dissimulare la sua ansia. «Come la mettiamo con gli ecologisti, signor Alexander? Le autorità americane e il presidente Carter sono molto sensibili ai pericoli per l'ambiente.» «Già, i fanatici», disse Duncan. «Non potranno far niente, ci sono troppi capitali in ballo. L'Orient Amex ha investito quasi due miliardi nelle nuove raffinerie di Galveston. Altri tre colossi del petrolio partecipano al progetto. Al diavolo gli ecologisti. Noi trasporteremo lo stesso il greggio.» Il suo tono era risoluto. «La posta è troppo alta, l'opposizione troppo debole. Le cassandre e i sentimentali hanno rotto le scatole a tutti.» Fece un gesto sprezzante. «La gente si è abituata a un po' di petrolio sulla spiaggia, a un po' di smog nell'aria, a qualche pesce di meno nel mare e a qualche uccello di meno nel cielo. Non farà drammi.» L'ebreo annuì. «Sì», disse. «Lei è un tipo in gamba. Il mondo ha bisogno di uomini come lei.» «La cosa più importante è il procedimento di pirolisi del cadmio che scinde le molecole di carbonio del greggio e porta la resa del carbonio al 90 per
cento invece dell'attuale 40 per cento. Il 90 per cento di resa, doppio profitto, doppia efficienza...» «E doppio pericolo.» L'uomo sogghignò sotto la barba. «Anche fare il bagno è pericoloso. Si può scivolare e spaccarsi il cranio. E nessuno ha investito due miliardi di dollari per fare il bagno.» «Concentrato in cento parti per un milione, il cadmio è più velenoso del cianuro e dell'arsenico. Il greggio di El Barras contiene duemila parti di cadmio per un milione.» «Ecco perché vale tanto», disse Duncan. «L'arricchimento artificiale del greggio con il cadmio renderebbe antieconomico il processo di pirolisi. Ma abbiamo trasformato un giacimento petrolifero che pareva irrimediabilmente contaminato in una delle esperienze più brillanti nel campo della raffinazione.» «Spero che non abbia sottovalutato le opposizioni al trasporto di...» Duncan lo interruppe seccamente. «Non faremo pubblicità. Il carico e lo scarico del greggio avverranno con discrezione, nessuno noterà la differenza. La Golden Dawn sarà una delle tante superpetroliere che attraversano i mari. Nulla lascerà capire che trasporta petrolio al cadmio.» «Se la notizia trapelasse?» Duncan scrollò le spalle.
«Ormai il mondo è vaccinato. Accetta tutto, dal DDT al Concorde. La gente se ne fotte. Qualunque cosa succeda, trasporteremo il petrolio di El Barras. Nessuno è abbastanza forte per impedircelo.» Radunò le carte e aggiunse a bassa voce: «Mi servono sei milioni di dollari per sessanta giorni. Entro domani a mezzogiorno». «Lei è un tipo in gamba», ripeté l'uomo. «Ma si è già esposto troppo. Mio fratello e io abbiamo già investito parecchio denaro nel suo coraggio. In parole povere, signor Alexander, la Christy Marine ha esaurito le sue garanzie. Anche la Golden Dawn è impegnata fino all'ultimo bullone. Il contratto di nolo con l'Orient Amex non cambia niente.» Duncan cavò dalla borsa un fascio di carte contenuto in una cartelletta marrone. L'ebreo inarcò un sopracciglio con aria interrogativa. «Il mio patrimonio personale», spiegò Duncan. L'uomo lesse rapidamente la lista dattiloscritta. «Sono valori sulla carta, signor Alexander. Il valore reale è la metà della stima. Non ci sono garanzie sufficienti per sei milioni di dollari.» Rese la cartelletta a Duncan. «Serviranno come inizio, ma ci occorre altro.» «Per esempio?» «Azioni, signor Alexander, le azioni della Christy Marine. Se dobbiamo dividere i rischi, dobbiamo anche dividere i profitti.» «Vuole anche la mia anima?» domandò Duncan con la voce roca. L'ebreo rise. «Un pezzettino, magari», disse amabilmente. ^ Due ore dopo, Duncan si accasciò stancamente sul sedile della Rolls. Gli tremavano i muscoli delle cosce come se avesse corso a lungo, e un nervo nell'angolo dell'occhio continuava a contrarsi. Aveva puntato tutto: la Christy Marine, i suoi beni, perfino la sua anima. Era tutto in gioco, adesso. «A Eaton Square, signore?» chiese l'autista. «No», rispose Duncan. Sapeva quel che gli occorreva per allentare la tensione. Gli occorreva subito, senza indugio, come la polvere al gusto di menta. «Al Senator Club in Frith Street.» Si stese bocconi sul tavolo per i massaggi nel piccolo scomparto riparato da una tenda verde. Il suo corpo snello era coperto soltanto dall'asciugamano. La ragazza gli massaggiò la schiena con le dita esperte, trovando i nodi di tensione e sciogliendoli. «Massaggio morbido, signore?» gli chiese. «Sì», rispose lui. Si rotolò sul dorso. La ragazza gli tolse l'asciugamano dai fianchi. Era una bella ragazza bionda con una tunichetta verde e il distintivo del club, una foglia di quercia dorata, sul taschino. I suoi modi erano spicci e
impersonali. «Vuole qualche extra, signore?» Il suo tono era neutro. Cominciò automaticamente a sbottonarsi la tunica. «No», disse Duncan. «Niente extra.» Chiuse gli occhi, abbandonandosi al tocco sapiente delle sue dita. Pensò a Chantelle con un'ombra di rimorso. Ma in quei giorni non si sentiva di affrontare la sua impetuosa passione persiana. Gli mancavano le forze, era stanco e depresso, voleva soltanto un rapido sollievo. Ma fra due mesi sarebbe
stato diverso. Avrebbe avuto l'energia per prendere il mondo in mano e scrollarlo come un giocattolo. La sua mente era separata dal corpo e strane immagini gli danzavano davanti agli occhi chiusi. Era passato parecchio tempo dall'ultima volta che aveva fatto l'amore con Chantelle. Si chiese che cos'avrebbe detto la gente, se lo avesse saputo. «Nicholas Berg ha lasciato un posto vuoto nel suo letto», avrebbe commentato. «Al diavolo», pensò Duncan. Ma era troppo spossato per sentirsi veramente in collera. «Al diavolo.» Si abbandonò al lampo abbacinante che gli esplose sotto le palpebre e alla buia pace che seguì. ^ Sprofondato nella vecchia poltrona di cuoio, una delle poche concessioni di James Teacher alla comodità, Nick fissava i quadretti dozzinali appesi alla parete attraverso una sottile cortina di fumo. Teacher avrebbe potuto permettersi un Gauguin o un Turner, ma l'esibizionismo era bandito dal Villaggio del Tribunale. I potenziali clienti si sarebbero spaventati pensando all'importo della parcella. James Teacher depose il ricevitore e si alzò. La sua statura aumentò di poco. «Be', credo che il nostro pollo non possa più scappare», annunciò allegramente, e cominciò a contare le notizie sulla punta delle dita. «Il messo della corte suprema sudafricana notificherà il pignoramento della Golden Adventurer a mezzogiorno di domani, ora locale. Il nostro corrispondente francese farà altrettanto con la Golden Dawn.» Parlò per tre minuti. Mentre lo ascoltava, Nick dovette riconoscere che si era guadagnato la maggior parte delle sue salatissime parcelle. «Ecco tutto, signor Berg. Se il suo sospetto è fondato...» «Non è un sospetto, signor Teacher. É una certezza. Duncan Alexander ha l'acqua alla gola. Ha girato come un pazzo per tutta la City a batter cassa. Santo cielo, mi ha perfino proposto di diventare suo socio. No, signor Teacher, non è un sospetto. La Christy Marine non può pagare.» «Non capisco, sei milioni sono un'inezia», replicò James Teacher. «Almeno per la Christy Marine. É una delle società di navigazione più ricche.» «Lo era un anno fa», disse Nick. «Ma da allora Alexander ha sempre avuto carta bianca. Non è una società pubblica. É lui che amministra le azioni.» Aspirò una boccata di fumo. «Mi servirò degli elementi in mio possesso per promuovere un'indagine capillare sugli affari della compagnia. Voglio vedere Alexander al microscopio.» Teacher ridacchiò e alzò il ricevitore al primo squillo. «Teacher», disse, continuando a ridacchiare. Poi rise fragorosamente, annuendo. «Sì.» Tacque un momento, quindi ripeté: «Sì». Riagganciò. Quando si rivolse a Nick, il suo viso paffuto era rosso d'ilarità. «Devo darle una delusione, signor Berg.» Sghignazzò. «Un'ora fa è stato effettuato un deposito alle Bermude a credito della Ocean Salvage da parte della Christy Marine.» «Quanto?» «Fino all'ultimo centesimo, signor Berg. Sei milioni e rotti di dollari in valuta corrente degli Stati Uniti d'America.» Nick lo fissò, combattuto fra due emozioni: il sollievo per l'incasso e la
delusione per la vitalità dimostrata da Duncan Alexander. L'occasione di farlo a pezzi era sfumata. «Ha ricuperato in fretta», osservò Teacher. «Non bisogna sottovalutare gli
uomini come Duncan Alexander.» «No, certamente», convenne Nick, pensando che anche lui era risalito a galla più di una volta, e sempre a caro prezzo. «Per cortesia, il suo impiegato potrebbe chiedere alla British Airways a che ora parte il primo aereo per le Bermude?» «Va alle Bermude? Allora le rincrescerebbe firmare la mia parcella e consegnarla direttamente alla Bach Wackie?» chiese delicatamente Teacher. Bernard Wackie aspettava Nick presso il cancello della dogana. Era alto, segaligno e abbronzato. Indossava una camicia aperta sul collo e pantaloni di cotone. «Sono felice di vederti, Nicholas.» La sua stretta di mano fu forte e cordiale. Aveva meno di sessant'anni e più di quaranta, era impossibile definire la sua età con approssimazione maggiore. «Ti porto subito in ufficio, dobbiamo parlare di una quantità di cose. Non c'è tempo da perdere.» Prese Nick per un braccio e lo condusse sul piazzale arroventato dal sole, fino all'aria condizionata della Rolls. La macchina era troppo grossa per le stradicciole tortuose dell'isola. Per legge, alle Bermude, una famiglia può possedere una sola automobile; ma Bernard abusava del suo diritto. Gli uomini come lui, dinamici e brillanti, non si sentivano di vivere in Inghilterra e assoggettarsi alle tasse. «É difficile essere vincitori, in una società che gratifica i perdenti», aveva detto a Nick, e quindi aveva trasferito la sua azienda in un paradiso senza tasse. Per un uomo normale sarebbe stato un suicidio, ma Bernard si era installato all'ultimo piano del palazzo della Bank of Bermuda, con una magnifica vista sul porto di Hamilton, attrezzandosi con una sala di operazioni marittime e un impianto radio che avrebbe fatto invidia a un comando della NATO. Da lassù offriva un servizio così efficiente, così scrupoloso, così personalizzato che non soltanto aveva conservato i suoi vecchi clienti, ma ne aveva conquistati di nuovi. «Niente tasse, Nicholas», disse sorridendo. «E guarda che vista.» I pittoreschi edifici di Hamilton sembravano una distesa di canditi color fragola e panna, prugna e limone. Oltre la baia, i cedri si ergevano al sole e gli yacht spiegavano vele multicolori sulle acque verdi. «D'inverno Londra è un po' diversa, eh?» «La temperatura è la stessa», ribatté Nick, sbirciando i condizionatori. «Io ho il sangue caldo», spiegò Bernard. Quando la sua segretaria, alta e nubile, venne a portare i fascicoli della Ocean Salvage, si concentrò in religioso silenzio sui suoi seni turgidi. Si muovevano come due palloncini pieni di gas, sfidando la legge di gravità. Mentre deponeva i fascicoli sulla scrivania di Bernard, la ragazza rivolse a Nick un sorriso smagliante. Poi uscì dimenando le natiche strizzate nella gonna. «Sa anche scrivere a macchina», assicurò Bernard con un sospiro, e scrollò
la testa come se volesse snebbiarsi le idee. Aprì la prima cartelletta. «Bene», cominciò. «Il deposito della Christy Marine...» Il denaro era arrivato appena in tempo. La data dell'ultimo pagamento trimestrale per il Sea Witch era scaduta da quarantotto ore, e la Atlantique cominciava a preoccuparsi. «Figlio di puttana», disse Bernard. «Non crederai che sia facile spendere sei milioni di dollari.» «Non ho nemmeno bisogno di provare», replicò Nick. «Si spendono da soli.» Poi, accigliandosi: «E questo che cos'è?». «Hanno tirato in ballo di nuovo la clausola della svalutazione, un altro tre e mezzo per cento.» I costruttori del Sea Witch avevano inserito una clausola che agganciava il prezzo convenuto all'indice del costo dell'acciaio e della mano d'opera. Avevano scongiurato lo sciopero del cantiere cedendo alle richieste del sindacato, e adesso Nick doveva sborsare. Le cifre erano salate. La clausola era come un cancro, gli succhiava i soldi e le forze. Lavorarono per tutto il pomeriggio, pagando, pagando e pagando ancora. I
rifornimenti e gli altri costi d'esercizio del Warlock, il saldo dei debiti della Ocean Salvage, le parcelle degli avvocati e quelle degli agenti assottigliarono notevolmente i sei milioni. Uno dei pochi pagamenti che fecero piacere a Nick fu il 12 e mezzo per cento del compenso per il ricupero all'equipaggio del Warlock. La parte di David Allen sfiorava i trentamila dollari. Beauty Baker ne avrebbe incassati venticinquemila, accompagnati da un biglietto di Nick: «Si beva un Bundaberg alla mia salute!». «Abbiamo finito?» chiese qualche ora dopo. «Non basta?» «Sicuro.» Gli girava la testa, a furia di far calcoli. «Che altro c'è?» «Buone notizie.» Bernard prese la seconda cartelletta. «Forse abbiamo fatto la pace con la Esso. Ti odiano, hanno minacciato di non servirsi mai più dei tuoi rimorchiatori, ma non ti hanno citato in giudizio.» Nick era venuto meno al contratto quando aveva piantato la piattaforma petrolifera della Esso per andare a ricuperare la Golden Adventurer. Da allora era vissuto sotto la spada di Damocle di un'azione giudiziaria, ma adesso la minaccia sembrava scongiurata. Bernard Wackie valeva ogni centesimo delle sue parcelle. «Bene. E poi?» Continuarono per altre sei ore, aggiunte a quelle del lungo volo attraverso l'Atlantico. «Ti senti bene?» chiese Bernard alla fine. Nick annuì, benché gli paresse di avere due uova sode al posto degli occhi. «Vuoi mangiare un boccone?» domandò Bernard. Nick scosse la testa. «Preferisci bere? Hai bisogno di un goccio, prima della prossima notizia.» «Scotch», disse Nick. La segretaria portò il vassoio e versò il liquore in un'altra pausa di rispettoso silenzio. «Non le serve altro, signor Wackie?» «Per adesso no, bellezza.» Bernard la guardò uscire, poi alzò il bicchiere in un brindisi. «Al Principe d'Oro!» Vide Nick accigliarsi e aggiunse subito:
«No, Nicholas, non sto scherzando. Hai sfondato di nuovo. Gli sceicchi si preparano a farti un'offerta. Vogliono rilevare tutta la baracca, debiti compresi. Naturalmente vogliono che tu continui a gestirla, almeno per un paio d'anni, così potrai addestrare i loro uomini. Con uno stipendio da nababbo». Nick lo guardò. «Quanto?» «Duecentomila bigliettoni più il due per cento del profitto.» «Non parlavo dello stipendio», disse Nick. «Quanto offrono per la compagnia?» «Sono arabi. La prima offerta serve soltanto a muovere le acque.» «Quanto?» ripeté Nick con impazienza. «Hanno delicatamente accennato a cinque milioni di dollari.» «A che cifra potranno arrivare, secondo te?» «Sette, sette e mezzo. Otto, forse.» Attraverso il velo della stanchezza, Nick vide l'immagine di una nuova vita, una vita simile a quella che gli aveva prospettato Samantha. Una vita semplice, felice e spensierata. «Otto milioni netti?» La voce di Nick era roca. Si strofinò gli occhi brucianti. «Forse solo sette», rispose Bernard. «Ma cercheremo di spuntarne otto.» «Vorrei ancora un goccio», disse Nick. «Ottima idea», convenne Bernard. Suonò il campanello per chiamare la segretaria, con un brillio d'impazienza negli occhi. ^ Samantha si era annodata i capelli in due lunghe trecce che cadevano sulla schiena. I pantaloncini attillati lasciavano scoperte le sue lunghe gambe, rivelando il bianco delle natiche a ogni passo. Calzava un paio di sandaletti e si era alzata gli occhiali da sole sulla fronte. «Temevo che non saresti venuto», disse mentre Nick varcava il cancello della dogana al Miami International.
Nick lasciò cadere la valigia e l'abbracciò. Aveva dimenticato la fragranza dei suoi capelli. Lei tremava come un cucciolo. Nick udì un piccolo singhiozzo e si accorse che stava piangendo. «Ehi!» Le sollevò il mento e vide che aveva gli occhi pieni di lacrime. Samantha tirò su col naso. «Qual è il guaio, piccola?» «Sono troppo felice», rispose lei. Nick invidiò la sua capacità di vivere a fior di pelle. In quel momento, poter piangere di gioia gli sembrò la più grande delle conquiste umane. La baciò e sentì il sapore salino delle lacrime. Si accorse con stupore di avere un nodo alla gola. «L'hai fatto tu?» domandò Nick. Fendettero la folla dell'aeroporto, ignorandola. Uscirono al sole della Florida, e lei lo condusse verso la macchina continuando a cingerlo con entrambe le braccia. «Santo cielo!» esclamò Nick, fermandosi davanti alla Chevy. La carrozzeria era stata completamente riverniciata. «Che roba è?»
«É un capolavoro», rise lei. «Non ti piace?» Era verniciata in tutti i colori dell'arcobaleno, con scene di fantastici paesaggi terrestri e marini. «L'hai fatto tu?» domandò Nick. Inforcati gli occhiali da sole, guardò i gabbiani, le palme e i fiori. «Non è brutto», si difese lei. «Mi sentivo triste, senza di te. Volevo un po' di colore nella mia vita.» Una scena rappresentava una grande onda ricurva con due figure umane che sciavano sulla parete verde, accompagnate da un delfino. Nick guardò meglio e nella figura maschile riconobbe se stesso. I lineamenti erano resi con scrupolo amoroso, e lui sembrava un incrocio fra Superman e Clark Gable. «L'ho dipinto a memoria», dichiarò lei con orgoglio. «Formidabile», commentò Nick. «Ma io sono più bello e più muscoloso.» Dovette ammettere che il talento non le mancava, nonostante i colori pazzi e lo stile romantico. «Non posso girare su questa macchina. Pensa se mi vedesse uno dei miei creditori!» «Metta la sua mente in libertà, signore. Ha appena comprato un biglietto per un viaggio nel paese della fantasia.» Prima di avviare il motore, lo fissò gravemente con i grandi occhi verdi. «Per quanto tempo, Nicholas? Per quanto tempo staremo insieme, stavolta?» «Dieci giorni», rispose lui. «Purtroppo devo tornare a Londra il 25. Ho un affare in ballo, un colpo grosso sul serio. Te ne parlerò.» «No.» Si turò le orecchie. «Non voglio sapere niente. Non ancora.» Guidò la Chevy a rotta di collo, ricambiando gli omaggi degli altri automobilisti con sorrisi e scrollate di trecce. Quando lasciarono l'autostrada 95 e parcheggiarono davanti a un supermercato, Nick inarcò un sopracciglio. «Cibo», spiegò lei. Scoccandogli un'occhiata maliziosa, aggiunse: «Ho il presentimento che fra un po' avremo fame». Prese alcune bistecche, varie scatolette e una fiaschetta di vino californiano. Non gli permise di pagare. «In questa città sei mio ospite.» Pagò il conto e caricò le provviste in macchina. Imboccarono la strada rialzata che attraversava le paludi in direzione di Virginia Key. «Laggiù c'è il dipartimento marino dell'università di Miami. Sulla punta del molo c'è il mio laboratorio, vicino a quella barca bianca. Lo vedi?» I bassi edifici erano riuniti in un angolo dell'isola, fra l'acquario e i pontili del porticciolo. «Non ci fermiamo?» domandò Nick. «Scherzi? Non mi occorre un'attrezzatura scientifica, per l'esperimento che voglio fare.» Senza rallentare, la Chevy attraversò il lungo ponte fra Virginia Key e Key Biscayne. Cinque chilometri dopo, Samantha svoltò bruscamente in una stradicciola che serpeggiava in una foresta tropicale di palme e banane, fino a una casetta di legno poco distante dal mare.
«Abito vicino al mio elemento», spiegò, salendo i gradini del portico con una bracciata di provviste. «É tua?» chiese Nick.
Stentava a distinguere i tetti dei grandi edifici condominiali che sorgevano nei pressi. Erano quasi nascosti dalle palme. «Me l'ha lasciata mio padre. L'ha comprata quando sono nata», spiegò Samantha con orgoglio. «Il terreno è tutto mio.» Erano poche centinaia di metri, ma Nick ne intuì subito il valore. Tutti volevano vivere vicino al mare, e i palazzi assediavano il terreno. «Vale almeno un milione di dollari.» «Non ha prezzo», replicò lei con fermezza. «L'ho detto anche a quei farabutti di agenti immobiliari. Me l'ha lasciato mio padre e non è in vendita.» Spalancò la porta con un colpo d'anca. «Non startene lì impalato, Nicholas», lo implorò. «Abbiamo solamente dieci giorni.» Nick la seguì in cucina. Lei scaricò il suo fardello nell'acquaio e si girò. «Benvenuto nella mia casa, Nicholas.» Gli cinse i fianchi, gli sfilò la camicia dai calzoni e gli carezzò la schiena. «Non immagini come sono felice di averti qui. Vieni, ti mostro la casa. Questo è il soggiorno.» L'arredamento era spartano, con tappeti indiani e terraglie. I pantaloncini di Samantha volarono in mezzo alla stanza, seguiti dalla camicia di Nick. «Sorpresa! Questa è la camera da letto.» Lo prese per mano e lo trascinò nella stanzetta. Le finestre davano sulla spiaggia. La brezza marina gonfiava le tende e il lontano scroscio della risacca sembrava il respiro di un gigante addormentato. Il letto era troppo grande per la cameretta. Aveva una testata antica, di ottone, e il materasso rigonfio. Il copriletto era fatto di pezze multicolori cucite insieme. «Non resistevo più, senza di te», disse Samantha. «Sei arrivato appena in tempo, come il settimo cavalleria.» Nick si attorcigliò intorno al polso le sue trecce dorate e la tirò delicatamente verso di sé. Di colpo la sua vita ridivenne semplice e serena. Di colpo si sentì ancora giovane e spensierato. I sotterfugi, le menzogne, l'ipocrisia non esistevano in quel piccolo universo racchiuso in una casetta di legno in riva al mare, con il grande letto d'ottone che cigolava e sferragliava. La felicità era un miracolo di nome Samantha Silver. ^ Il laboratorio di Samantha era una stanza quadrata costruita su palafitte. Il lieve ronzio delle pompe elettriche si mischiava al sussurro delle onde sottostanti e al gorgoglìo degli acquari. «Questo è il mio regno», disse. «E questi sono i miei soggetti.» C'era quasi un centinaio di acquari, sovrastati da una confusione di boccette e cavi elettrici. Nick si accostò all'acquario più vicino e guardò nell'interno. Vide solamente una grossa conchiglia con le valve aperte. Il roseo mollusco tremolava filtrando l'acqua marina. A ogni valva erano uniti sottili fili di rame. Samantha gli venne accanto, e lui le chiese: «Che cos'è?» Lei fece scattare un interruttore. Il rullo cilindrico sopra l'acquario cominciò a girare lentamente, mentre un ago tracciava una linea irregolare sulla carta che lo copriva. Samantha disse: «Lo spiamo».
«Sei un membro della CIA», celiò lui. Lei rise. «É il battito del suo cuore. Gli faccio passare un impulso elettrico attraverso il cuore, un cuoricino grande appena un millimetro. Ma le contrazioni alterano la resistenza e fanno muovere l'ago.» Studiò il grafico per un momento. «Questo soggetto è una Spisula solidissima in ottima salute.» «E che cosa c'è d'interessante, nel suo cuore?» «É lo strumento più preciso e meno costoso che abbiamo scoperto finora per
misurare l'inquinamento del mare. O meglio», si corresse senza falsa modestia, «che io ho scoperto». Lo prese per mano e lo condusse lungo la fila di acquari. «Sono sensibili, incredibilmente sensibili, alle contaminazioni dell'ambiente. Le loro pulsazioni cardiache riflettono quasi subito ogni elemento estraneo, chimico o organico che sia, anche in concentrazioni così basse che occorrerebbe uno specialista con uno spettroscopio per individuarle.» Nick sentì crescere il suo interesse, mentre Samantha preparava alcuni campioni di elementi inquinanti sul bancone del laboratorio. «Ecco qua», disse, mostrandogli una provetta. «Carboni aromatici, gli elementi più velenosi del petrolio greggio.» Indicò un'altra provetta. «Là c'è mercurio in proporzione di cento parti per un milione. Non hai mai visto le fotografie dei vegetali umani? E dei bambini giapponesi di Kiojo con la carne che si stacca dalle ossa? Effetto del mercurio. Bella roba.» Prese un'altra provetta. «PCB, un sottoprodotto dell'industria chimica, il fiume Hudson ne è pieno. E questi sono tetraidrofurano, cicloesano, metilbenzene, tutti sottoprodotti dell'industria, ma non lasciarti ingannare dai loro bei nomi. Un giorno ci perseguiteranno sui titoli dei giornali come THF o CMB. Un giorno ci saranno altri vegetali umani e bambini focomelici.» Sfiorò le provette. «Arsenico, il vecchio veleno di Agatha Christie. E qui c'è il bastardo più micidiale di tutti, il cadmio. Un solfuro che non si degrada facilmente. In cento parti per un milione è letale come la bomba atomica.» Sotto gli occhi di Nick, portò il vassoio di provette vicino agli acquari e avviò gli elettrocardiografi. Ciascuno cominciò a registrare le pulsazioni cardiache di un mollusco sano, una curva e due culmini. «Adesso sta' a vedere», disse lei. Lasciò gocciolare le soluzioni avvelenate negli acquari, una soluzione diversa per ciascuno. «Queste concentrazioni sono così basse che gli animali non si accorgono della differenza. Continuano a nutrirsi e a respirare, ma intanto si avvelenano.» Samantha non sembrava più lei. Era divenuta una gelida professionista. Il camice bianco che aveva indossato sopra la camicetta contribuiva ad alterare la sua immagine. Mentre passeggiava avanti e indietro lungo la fila di acquari, pareva invecchiata di vent'anni. «Ecco», disse con cupa soddisfazione, mentre l'ago su un rullo registrava un lieve battito doppio al primo culmine e si appiattiva sensibilmente al secondo. «Tipica reazione al carbonio aromatico.» Le pulsazioni irregolari si replicarono sul rullo che girava lentamente. Samantha passò all'acquario successivo. «Vedi la pulsazione nella curva, vedi l'accelerazione delle contrazioni cardiache? Questo è cadmio in dieci parti per un milione.
In cento parti, uccide ogni forma di vita marina, in cinquecento uccide lentamente l'uomo, in settecento parti lo fulmina.» Con crescente interesse, Nick aiutò Samantha a registrare gli esperimenti e a controllare la concentrazione dei veleni negli acquari. Aumentarono gradualmente la dose di ogni sostanza. Gli aghi registrarono impassibilmente il progressivo disagio dei molluschi e le ultime convulsioni prima della morte. Il tono di Nick tradiva l'orrore e la ripugnanza. «É macabro.» «Sì.» Samantha si scostò dagli acquari. «La morte è sempre macabra. Ma questi organismi hanno un sistema nervoso rudimentale, non sentono dolore come noi.» Rabbrividì leggermente e continuò. «Ma immagina un intero oceano avvelenato come questi acquari, immagina l'agonia di decine di milioni di uccelli marini, dei mammiferi, delle foche, dei delfini e delle balene. Pensa alla sorte dell'uomo.» Si tolse il camice. «Ho fame», annunciò. Poi, sbirciando il lucernario sul soffitto: «Non c'è da stupirsi! É già buio!». Mentre riordinavano il laboratorio, gli disse: «In cinque ore abbiamo controllato centocinquanta campioni di acqua contaminata e abbiamo ottenuto indicazioni precise su quasi cinquanta sostanze pericolose. La spesa è stata inferiore a mezzo dollaro per campione». Spense le luci. «Lo stesso esame fatto con uno spettroscopio a gas sarebbe costato diecimila dollari. E avrebbe richiesto l'opera di un gruppo di specialisti
per quindici giorni.» «Un'idea geniale», convenne Nick. «Hai intelligenza da vendere.» Samantha lo fermò davanti alla Chevy psichedelica, guardandolo contrita alla luce del lampione. «Ti rincresce se stasera usciamo, Nicholas?» «Come sarebbe a dire?» chiese lui, insospettito. «I ragazzi hanno organizzato una scorpacciata di gamberi. Poi dormiranno sul battello e domani mattina usciranno a marcare il pesce. Ma non è necessario che andiamo anche noi. Potremmo restare a casa e comprarci qualche bistecca.» Ma Nick capì che moriva dalla voglia di andare. Era lungo diciotto metri, un vecchio peschereccio con la timoneria a prua come la garitta di una sentinella. Benché fosse stato riverniciato da poco, appariva ugualmente antiquato. Era ormeggiato al molo dell'università. Quando salirono a bordo, udirono le voci e le risate che salivano dal ponte inferiore. «Tricky Dicky.» Nick lesse il nome sulla poppa sgraziata. «Gli vogliamo bene», disse Samantha, conducendolo sulla passerella stretta e traballante. «Appartiene all'università. É uno dei nostri quattro battelli per la ricerca. Gli altri sono fior di barche lunghe settanta metri, ma il Dicky è il nostro battellino per le crociere a breve raggio. E anche il ritrovo del dipartimento.» La cabina principale era arredata austeramente, con una lunga tavola circondata da panche, ma era affollata come una discoteca di ragazzi e ragazze in jeans e camiciotto. Era impossibile distinguere i sessi dall'abbigliamento e dalla lunghezza dei capelli schiariti dal sole. L'aria sapeva di gamberi alla griglia e burro fuso. Sulla tavola c'erano
grosse caraffe di vino californiano. «Ehi!» gridò Samantha sovrastando il baccano. «Questo è Nicholas.» Il gruppo si fece un po' più silenzioso e i giovani guardarono l'intruso con vaga ostilità. Nick li guardò a sua volta, comprendendo che, nonostante l'abbigliamento informale, le capigliature arruffate e la profusione di barbe, erano un gruppo d'élite. Avevano l'aria intelligente e gli occhi vivaci. Ognuno appariva orgoglioso e sicuro di sé. A capotavola era seduta una figura imponente, l'uomo più anziano della compagnia. Doveva avere all'incirca l'età di Nick, perché i suoi capelli erano striati d'argento, il suo viso cotto dal sole e dalle intemperie. «Ciao, Nick», tuonò. «Non fingerò di non conoscerti. Sam ci ha rotto per...» «Basta così, Tom Parker», lo interruppe bruscamente Samantha. Una risatina corse lungo la tavola. La tensione si era allentata, e qualcuno cominciò a salutarlo. «Ciao, Nick, io sono Sally-Anne.» Una graziosa ragazza con gli occhi azzurri dietro gli occhiali dalla montatura sottile gli mise in mano un bicchierone di vino. «Siamo a corto di bicchieri. Dovrai fare a metà con Sam.» Si spostò sulla panca, facendogli un po' di spazio. Samantha gli si sedette sulle ginocchia. Il vino era rosso e aspro, ma Samantha sorseggiò la sua parte come se fosse un Chateau Lafitte del '53 e sussurrò all'orecchio di Nick: «Tom è professore al dipartimento di biologia. É un vero tesoro. Dopo di te, è il mio uomo preferito». Una donna emerse dalla cambusa con un gran piatto di gamberi e una terrina di burro fuso. Quando depose il piatto in mezzo alla tavola, i giovani esplosero in un'ovazione e cominciarono ad abbuffarsi senza complimenti. La donna era alta e magra, con i capelli neri annodati in due trecce e i calzoni attillati. Ma era maggiore delle altre. Si fermò vicino a Tom Parker e gli cinse le spalle con un gesto affettuoso. «É Antoinette, sua moglie.» La donna udì il suo nome e sorrise. Osservò Nick con i dolci occhi neri e fece un cenno d'approvazione a Samantha prima di tornare nella cambusa. Il cibo non smorzò la conversazione, che saltava da un argomento all'altro, ora seria, ora scherzosa, mentre le dita unte di burro squartavano i gamberetti e lasciavano impronte sui bicchieri di vino. Ogni volta che qualcuno parlava, Samantha bisbigliava a Nick il suo nome e le credenziali.
«Hank Petersen, sta facendo una ricerca sul tonno azzurro. Studia la riproduzione e le rotte migratorie. Domani sarà lui a dirigere l'operazione di marcatura.» «Quella è Michelle Rand, ce l'ha prestata l'università di California. Si occupa di delfini e balene.» A un tratto si misero a parlare indignati del comandante di una petroliera che la settimana precedente aveva sciacquato le cisterne nello stretto della Florida, lasciando una chiazza oleosa lunga trenta miglia nella corrente del Golfo. Lo aveva fatto di notte, cambiando rotta non appena era arrivato nell'Atlantico. «Gli abbiamo preso le impronte digitali.» Tom Parker sembrava un orso infuriato. «Lo teniamo in pugno, non può sfuggirci.»
Nick capì che si riferiva all'analisi dei residui di petrolio mediante la spettroscopia a gas. I campioni sarebbero risultati identici a quelli prelevati dalla guardia costiera. La prova era sufficiente per promuovere una causa davanti a una corte internazionale. «Ma il problema sarà trascinare quel figlio di puttana in giudizio», continuò Tom Parker. «Era cinquanta miglia al largo delle acque territoriali, quando la guardia costiera lo ha beccato. Ed è registrato in Liberia.» «Nel pacchetto di proposte che ho presentato all'ultima conferenza marittima, abbiamo cercato di prevedere anche casi del genere.» Nick si unì alla conversazione per la prima volta. Parlò delle difficoltà di legiferare su scala internazionale, di scoprire e assicurare alla giustizia i trasgressori. Poi elencò quello che era stato fatto, quello che si stava facendo e finalmente quello che secondo lui si sarebbe dovuto fare per proteggere i mari. Parlò con calma, in termini asciutti e concisi. Con un empito di orgoglio, Samantha notò ancora come ascoltava la gente quando Nicholas Berg parlava. Appena tacque, tutti lo bersagliarono di domande acute e tendenziose. Nick rispose nello stesso modo, con prontezza e precisione, forte della sua perfetta conoscenza dell'argomento. Vide che l'atteggiamento del gruppo si modificava, sbocciava il rispetto, le file si aprivano per accoglierlo: aveva pronunciato la parola d'ordine e lo riconoscevano come uno dei loro, un membro dell'élite. A capotavola, Tom Parker annuiva gravemente, cingendo la vi-ta snella di Antoinette che giocherellava con una ciocca dei suoi capelli. ^ Tom Parker trovò il pesce quaranta miglia al largo, dove l'azzurra corrente del Golfo fluiva rapida verso nord. I gabbiani piombavano in picchiata dalla massa di nembo-cumuli forieri di tempesta che oscurava l'orizzonte. Visti da lontano, erano puntolini luccicanti che suscitavano minuscole esplosioni di spuma bianca all'impatto con l'acqua. S'immergevano profondamente e riaffioravano pochi secondi dopo, allungando il collo per ingoiare un altro pesce, poi spiccavano il volo, salendo a spirale per riprendere la caccia. Ce n'erano centinaia. Turbinavano e cadevano come fiocchi di neve. «Acciughe», grugnì Tom Parker. Vedevano la turbolenza dell'acqua sotto lo stormo, dove il pesce si agitava terrorizzato. «Forse ci sono dei tambarelli, più sotto.» «No», ribatté Nick. «Dei tonni azzurri.» «Sei sicuro?» Tom sogghignò con aria di sfida. «A giudicare da come danno la caccia ai pesciolini, sono tonni azzurri», ripeté Nick. «Cinque dollari?» chiese Tom girando la barra. Il motore diesel del Tricky Dicky strepitava al massimo dei giri. «Accettato», disse Nick. In quel momento videro un pesce balzare fuori dell'acqua. Era un siluro luccicante, lungo quanto un braccio. S'innalzò per due metri, si girò in volo e ricadde in acqua con un tonfo udibile anche nello strepito del diesel. «Tonni azzurri», confermò Nick. «Un banco di tonni azzurri. Valgono venti sterline l'uno.» «Cinque dollari», brontolò Tom disgustato. «Figlio di puttana, mi hai
fregato.» Assestò sulla spalla di Nick un pugno scherzoso che gli fece sbattere i denti, poi si voltò verso la finestra aperta della timoneria e tuonò: «Bene, ragazzi, sono tonni azzurri». Corsero a prendere le funi e le lenze con grida eccitate. La questione riguardava Hank: era l'esperto del tonno azzurro, ne conosceva alla perfezione le abitudini sessuali, le rotte migratorie e il ciclo alimentare. Ma quando si trattava di pescarlo, pensò Nick, non valeva una cicca. Nemmeno Tom Parker era un pescatore. Pilotò il Tricky Dicky diritto in mezzo al banco, mettendo in fuga pesci e uccelli. Ma per puro caso, un giovane a prua prese un pesce all'amo, e dopo parecchi sforzi, incitato dai compagni, issò sopra la murata un piccolo tonno azzurro. Si dibatteva sulla tolda, sbatacchiando la coda sulle assi, inseguito da una banda urlante di scienziati che scivolavano nella sua mucillagine urtandosi a vicenda. Finalmente riuscirono a incastrarlo contro la ringhiera. I primi tre tentativi di applicargli la targhetta di plastica andarono a vuoto. Frustrato dall'insuccesso, Hank cominciò a brandire forsennatamente la marcatrice. Per poco non marcò il sedere di Samantha, che cercava di prendere il pesce fra le braccia. «Lo fate spesso?» chiese Nick con calma. «É la prima volta, con questa squadra», confessò Tom Parker imbarazzato. «Speravo che non si capisse.» La banda trionfante stava ributtando il pesce in mare, con l'uncino della targhetta di plastica confitto pericolosamente vicino agli organi vitali. Se non l'avesse ucciso quello, probabilmente il povero tonno sarebbe morto comunque: aveva battuto la testa sulla tolda e gli sprizzava sangue dalle branchie. Galleggiò a pancia in su nella corrente, mentre Samantha gridava: «Nuota, pesce, nuota!» «Vi rincresce se proviamo a modo mio?» domandò Nick. Tom gli cedette il comando senza esitare. Nick scelse quattro giovani fra i più robusti e coordinati. Mostrò rapidamente come maneggiare le lenze e come gettare l'esca piumata giapponese, ricuperandola con un movimento dal basso in alto che portava la lenza a depositarsi fra i piedi. Poi assegnò a ogni giovane un posto lungo la ringhiera di dritta, con il secondo membro di ogni squadra pronto con la marcatrice e Hank Petersen sul tetto della timoneria per registrare i pesci marcati e i numeri delle targhette. Un'ora dopo trovarono un altro banco. Nick lo aggirò, accostando a velocità moderata, aiutando i tonni a sospingere in superficie le acciughe spaventate. Poi bloccò la barra del Tricky Dicky tutta a dritta, lasciando che il battello descrivesse calmi circoli intorno al banco, e corse sul ponte. Le acciughe intrappolate e circondate affiorarono in superficie e l'acqua ribollì di lampi argentei. Sotto di loro nuotavano i tonni affamati. Nick fece lavorare i suoi pescatori con ritmo regolare e sostenuto. Gettavano le lenze nella schiuma, i tonni abboccavano quasi subito all'amo piumato. Allora, con la tecnica appena appresa, le ricuperavano in fretta e senza sforzo, issavano il pesce, se lo ficcavano sotto l'ascella sinistra e lo stringevano saldamente per quanto si dibattesse. Nick insegnò loro a togliere l'amo dal palato senza danneggiare le vulnerabili branchie, a tenere il pesce con delicata fermezza mentre l'assistente piantava l'uncino della targhetta
nello spesso muscolo dietro la pinna dorsale. Quando venivano rigettati in mare, i pesci quasi non risentivano del trauma. Riprendevano subito a pascersi di acciughe. Ogni targhetta di plastica era numerata e recava scritta in cinque lingue la richiesta di spedirla all'università di Miami con la data e il luogo della cattura. Così si sarebbero potuti ricostruire i movimenti del banco nella sua circumnavigazione attuale del globo. Dalle loro acque di riproduzione, nel Mar dei Caraibi, i tonni seguivano la corrente del Golfo verso nordest attraverso l'Atlantico, poi piegavano a sud girando intorno al capo di Buona Speranza, con sporadiche escursioni nel Mediterraneo, per quanto l'inquinamento di quel mare soffocato stesse mutando le loro abitudini. Dal capo di Buona Speranza, procedevano a est verso l'Australia e risalivano nel Pacifico, sfidando le lenze multiple giapponesi e i tonnari californiani. Quindi piegavano
nuovamente a sud, attraversavano le acque tempestose del capo Horn e tornavano nel Mar dei Caraibi a riprodursi. Al tramonto, mentre il Dicky tornava a casa, si sedettero sul tetto della timoneria a bere birra e chiacchierare. Nick li osservò senza dare nell'occhio, pensando che possedevano parecchie qualità: erano intelligenti, schietti e dediti alla loro causa. Tom Parker accartocciò una lattina di birra nell'enorme pugno, quasi fosse stata un bicchierino di cartone. Ne prese altre due dalla cassetta e ne lanciò una a Nick. Pareva che il gesto avesse un significato speciale. Prima di bere, Nick abbozzò un brindisi con la lattina. Stanca e felice, Samantha gli si stringeva contro la spalla. Il sole tramontava in un tripudio di fiamme purpuree. Nick pensò oziosamente che gli sarebbe piaciuto passare il resto della sua vita con gente simile. ^ L'ufficio di Tom Parker era pieno di scaffali con boccette di campioni e pubblicazioni scientifiche. Tom Parker era seduto nella poltroncina girevole, con le caviglie incrociate in mezzo alla scrivania. «Mi sono permesso d'indagare sul tuo conto, Nick. Ho avuto un bel coraggio, vero? Ti faccio le mie scuse.» «É stato interessante?» gli chiese Nick. «Non è stato difficile. Hai lasciato una pista come un...» Tom cercò un paragone efficace. «Come un orso in una fattoria. Accidenti, Nick, hai un curriculum di tutto rispetto.» «Mi sono dato da fare», convenne Nick. «Birra?» Tom si accostò a un frigorifero nell'angolo che recava l'etichetta: «Campioni zoologici. NON APRIRE». «Per me è troppo presto.» «Non è mai troppo presto», ribatté Tom. Aprì una lattina di birra. «Sì, ti sei dato da fare. É strano, ma certi individui sono sempre al centro degli avvenimenti.» Nick rimase in silenzio, e Tom continuò. «Qui ci serve un uomo che sappia fare. Di pensatori ne abbiamo fin troppi. Manca un elemento capace di trasformare il pensiero in azione.» Tom bevve un po' di birra e si leccò via la schiuma dai baffi. «So quello che hai fatto. Ti ho sentito parlare, ti
ho visto agire, ma soprattutto so che hai passione. Ti ho osservato, Nick. Hai una profonda passione, come noi.» «Si direbbe che tu mi stia offrendo un lavoro, Tom.» «Non voglio menare il can per l'aia, Nick. Sì, ti sto offrendo un lavoro.» Agitò la grossa mano. «Al diavolo, so che sei occupatissimo, ma vorrei proporti una cattedra universitaria aggiunta. Vorremmo un po' del tuo tempo quando ci sarà da trattare a Washington. Vorremmo rivolgerci a te quando avremo bisogno di un tipo in gamba che sostenga la nostra causa, quando ci serviranno le conoscenze giuste. Ci occorre una persona nota e stimata che ci schiuda le porte, una persona che conosca il mare, la gente che lo usa e che ne abusa. «Ci occorre un uomo d'affari che conosca gli aspetti economici del commercio marittimo, che sappia chi costruisce e gestisce le petroliere, che conosca le necessità energetiche del genere umano, ma nello stesso tempo sia consapevole del pericolo di trasformare gli oceani in deserti d'acqua.» Tom si lubrificò la gola con una sorsata di birra e attese la reazione di Nick. Non ricevendo alcun cenno d'incoraggiamento, continuò in tono suadente. «Noialtri siamo specialisti, forse i nostri orizzonti sono un po' limitati. Ci considerano dei sentimentali, dei fanatici, dei profeti di sventura, degli hippies intellettuali. Ci serve un uomo con un piede nel sistema. Per la miseria, Nicholas, se tu parli con una Commissione del Congresso, si riscuoteranno dalla loro catalessi senile e ti ascolteranno.» Nick rimase in silenzio. Disperato, Tom aggiunse: «Che cosa possiamo offrirti in cambio? Il denaro non ti manca, lo so. E del resto potremmo darti appena dodicimila dollari all'anno. Ma avresti il titolo di professore aggiunto, un bel titolo. Potremmo cominciare così. In seguito diventeresti docente di ruolo, con una cattedra di oceanologia applicata o qualcosa del genere. Non abbiamo altro da offrirti,
Nick, a parte la gratificante consapevolezza di compiere una missione dura e necessaria». Tacque di nuovo, a corto di parole. Scrollò tristemente il testone. «Non t'interessa, vero?» chiese. Nick si riscosse. «Quando posso cominciare?» domandò. Mentre un largo sorriso illuminava il volto di Tom, tese la mano. «Berrei volentieri una birra, adesso.» ^ L'acqua era fresca e tonificante. Nick e Samantha si spinsero al largo, finché la terra quasi scomparve nell'oscurità incipiente. Poi tornarono indietro, nuotando affiancati. La spiaggia era deserta. Nel loro stato d'animo, le luci dell'edificio più vicino non erano più importune delle stelle; il lieve suono di musica e risate non dava più fastidio delle strida dei gabbiani. Era il momento giusto per dirglielo. E Nick le riferì tutto in ogni particolare, cominciando dall'offerta degli sceicchi di rilevare la Ocean Salvage. «Accetterai?» chiese lei. «Accetterai, non è vero?» «Per sette milioni di dollari?» domandò lui. «Una cifra enorme, te ne rendi conto?» «Non riesco nemmeno a concepirla», disse Samantha. «Ma che cosa farai, se
vendi? Non ti vedo a giocare a bowling o a golf per il resto della vita.» «Vorrebbero che dirigessi la Ocean Salvage per altri due anni. Poi mi è stato offerto un incarico a tempo ridotto. Così non resterò con le mani in mano quando avrò finito.» «Quale incarico?» «Professore aggiunto all'università di Miami.» Lei lo costrinse a girarsi e lo scrutò in viso. «Stai scherzando!» lo accusò. «Sarebbe solamente un inizio», ribadì Nick. «Entro due anni, quando avrò lasciato la Ocean Salvage, forse avrò una cattedra di oceanologia applicata.» «Non è vero!» esclamò Samantha. Lo prese per le braccia, scrollandolo con forza sorprendente. «Tom vuole che mi occupi degli aspetti pratici della ricerca ambientale. Dovrò dar filo da torcere ai legislatori e al congresso marittimo. Sarò una specie di pistolero al soldo degli ecologisti.» «Oh, Nicholas, Nicholas!» «Dio santo!» disse lui. «Stai piangendo di nuovo.» «É più forte di me.» Era tra le sue braccia, ancora fredda, bagnata e incrostata di sabbia. Si avvinghiò a lui, tremando di gioia. «Lo sai che cosa significa, Nicholas? Lo sai, non è vero? No, non capisco». «Prova a dirmelo», la invitò Nick. «Che cosa significa?» «Significa che in futuro faremo ogni cosa insieme, non solo l'amore e le scorpacciate. Tutto, il lavoro e lo svago. E vivremo insieme, come un uomo e una donna che si rispettino!» Pareva incredula. «La prospettiva non mi dispiace affatto», mormorò lui con dolcezza, e le sollevò il mento. Fecero la doccia, accalcandosi nello sgabuzzino fumante, poi si stesero sul letto. La risacca del mare faceva da sottofondo ai loro piani e ai loro sogni. Ogni volta che uno di loro cominciava ad assopirsi, all'altro veniva in mente qualcosa d'importante e lo svegliava per dirglielo. «Martedì dovrò essere a Londra.» «Non rovinare tutto», mormorò lei con voce assonnata. «Il sette aprile vareremo il Sea Witch.» «Non t'ascolto», bisbigliò lei. «Sto turandomi le orecchie.» «Vuoi essere la madrina? Infrangere la bottiglia di champagne e benedirlo?» «Continuo a non sentirti.» «Jules ne sarebbe felice.» «Nicholas, non posso passare la vita a far la spola attraverso l'Atlantico, nemmeno per te. Troppo lavoro.» «Ci sarà anche Peter. Lo inviterò per tentarti.»
«Questo è un colpo basso», protestò lei. «Verrai, allora?» «Lo sai che verrò, canaglia. Non mancherei per tutto l'oro del mondo.» Gli si strinse vicino e lo baciò su un orecchio. «Sono molto onorata.» «Sei come il Sea Witch, una strega del mare.» «E tu sei uno stregone, come il Warlock.» «La strega del mare e lo stregone», ridacchiò lui. «Insieme faremo
miracoli.» «Forse sono indiscreta, ma visto che siamo svegli ed è appena l'una del mattino, ti sarei grata mi facessi uno dei tuoi piccoli miracoli.» «Con molto piacere», disse Nick. ^ Nick era in anticipo, se ne accorse quando guardò l'orologio uscendo dal consolato americano. Così attraversò lentamente place de la Concorde, nonostante la pioggerella che gli imperlava di goccioline le spalle dell'impermeabile. Lazarus era già arrivato sul luogo dell'appuntamento, sotto una delle statue vicino al quartier generale della marina francese, nell'angolo della piazza. Era infagottato contro il freddo. Indossava un cappotto blu con una sciarpa sulla gola, e si era calato sugli occhi il cappello blu per celare il cranio calvo. «Cerchiamo un posto caldo», propose Nick, senza salutarlo. «No», ribatté Lazarus, guardandolo attraverso le spesse lenti degli occhiali. «Camminiamo.» Lo precedette nel sottopassaggio del lungofiume, fin sulla banchina della Senna. Quindi si avviò in direzione del Petit Palais. Con un tempaccio simile, la banchina era deserta. Camminarono in silenzio per tre o quattrocento metri, mentre Lazarus cercava di adattare i suoi passetti alla falcata di Nick. Era come accompagnare a passeggio ToulouseLautrec, pensò Nick sorridendo fra sé. Finalmente Lazarus cominciò a parlare, sbirciando continuamente indietro. Quando due barbuti studenti algerini li superarono, attese che fossero lontani prima di proseguire. «Non ho relazioni scritte, lo sa?» chiese. «Ho un registratore in tasca», disse Nick. «Benissimo, ne ha il diritto.» «Grazie», mormorò seccamente Nick. Lazarus fece una pausa. Quando riprese a parlare, la sua voce aveva un timbro diverso, monocorde. Sembrava un automa. Dapprima gli elencò i movimenti azionari nelle trentatré compagnie che formavano il complesso della Christy Marine, ogni movimento degli ultimi diciotto mesi. Li elencò con sicurezza, quasi stesse leggendo i registri delle compagnie. E doveva essere riuscito a sfogliarli, per possedere dati così precisi. Conosceva la data, il numero delle azioni, il cedente e il cessionario, perfino la cessione delle azioni della Ocean Salvage a Nick e la sua relativa cessione delle azioni della Christy Marine. Tutto ciò confermava la credibilità delle informazioni successive. Fu un'impressionante dimostrazione di memoria e di arte investigativa, ma Nick non ne afferrò subito il senso. Capì soltanto che qualcuno stava alzando una cortina fumogena. Lazarus si fermò all'angolo fra gli Champs Elysées e rue de la Boetie. Nick notò che aveva il naso arrossato dal freddo e il respiro affannoso. Probabilmente era asmatico, pensò. Quasi a confermarlo, l'ometto cavò di tasca una scatoletta d'argento e si mise in bocca una compressa rosa. Poi condusse Nick nell'atrio di un cinematografo e acquistò due biglietti. Era un film porno, la versione francese di Gola Profonda, dal titolo Gorge Profonde. La pellicola era graffiata, il doppiaggio privo di sincronia. Il locale era semivuoto, così non ebbero difficoltà a trovare due posti isolati in fondo alla platea.
Lazarus fissò lo schermo, attaccando la seconda parte del suo rapporto. Era un resoconto particolareggiato di ogni movimento finanziario nel consorzio della Christy Marine, e Nick fu nuovamente stupito per l'abilità dell'investigatore.
Parlò della concentrazione di enormi capitali, incanalati in flussi regolari da un maestro della finanza. Le operazioni recavano chiaramente l'impronta di Duncan Alexander. Ma a un tratto il flusso di denaro era divenuto incostante e capriccioso, c'erano piccoli ammanchi e discordanze che disturbarono Nick come note stonate. Lazarus concluse questa parte del rapporto con un breve riassunto della situazione economica del gruppo alla data di quattro giorni prima, e Nick capì di non essersi sbagliato: Duncan aveva condotto la società sul ciglio di un baratro. Rimase seduto con le mani in tasca sul logoro sedile di velluto, guardando le incredibili gesta della signorina Lovelace senza realmente vederla. Lazarus tolse di tasca una bomboletta di aerosol e si spruzzò in gola la sottile nebbiolina. Gli giovò immediatamente. «Assicuratori delle navi di proprietà della Christy Marine.» Ricominciò a elencare nomi, cifre e date. Finalmente Nick riuscì a raccapezzarsi. Duncan usava la sua compagnia sussidiaria, la London and European Insurance and Banking, per assicurare i rischi delle navi, poi le riassicurava sul mercato: così scaricava parte del rischio, ma ne sopportava la maggior percentuale. Era il principio di autoassicurazione che Nick aveva combattuto con tanto vigore, e che si era ritorto contro Duncan con il ricupero della Golden Adventurer. L'ultima nave della litania di Lazarus fu la Golden Dawn. Quando udì il nome, Nick si agitò sul sedile e capì subito che stava accadendo qualcosa di strano. «La Christy Marine non l'ha fatta ispezionare dai Lloyd's.» Nick lo sapeva. «Ma è stata classificata come nave di prima categoria dagli ispettori continentali.» Era la qualifica più facile da ottenere, e perciò meno valida della prestigiosa «A1» dai Lloyd's. Lazarus continuò, abbassando la voce perché un nuovo spettatore si era seduto due file più avanti. «E l'assicurazione è stata fatta all'esterno dei Lloyd's.» Il rischio era sostenuto dalla London and European Insurance. Duncan si riassicurava, pensò cupamente Nick, ma non era tutto. «Altre assicurazioni sono state sottoscritte da...» Lazarus elencò le compagnie che sostenevano parte del rischio. Ma la situazione non era chiara. A Nick sarebbe occorso un accurato esame delle cifre per capire le manovre di Duncan, quanto era autentica assicurazione e quanto fumo negli occhi per convincere i finanziatori che il rischio era completamente coperto e il loro investimento protetto. I nomi di alcuni riassicuratori gli erano familiari. Risultavano già nell'elenco dei cessionari che avevano rilevato le azioni della Christy Marine. Duncan si assicura con il capitale?» si chiese Nick. Si assicurava a prezzi disperati. Doveva mettersi al riparo, naturalmente, altrimenti le finanziarie,
le banche e le istituzioni che avevano fatto prestiti alla Christy Marine per costruire la mostruosa petroliera si sarebbero rivoltate contro Duncan. I suoi azionisti avrebbero fatto il diavolo a quattro. No, Duncan Alexander abbisognava di una copertura, sia pure soltanto sulla carta, senza sostanza. Era un circolo vizioso, un serpente che si mangiava la coda. Ma la pista era stata cancellata con cura. Una squadra di investigatori avrebbe impiegato anni a scoprire l'inghippo. Se Nick lo fiutava, era perché conosceva perfettamente la Christy Marine. Dapprima aveva creduto che il miglior modo per fermare Duncan Alexander fosse mettere una pulce nell'orecchio ai suoi creditori, i finanziatori della Golden Dawn. Ma non bastava. Mancavano le prove, si trattava soltanto di illazioni e sospetti. Nel tempo necessario per fare luce sulla vicenda, la Golden Dawn sarebbe stata in mare con un milione di tonnellate di greggio. Duncan avrebbe incassato i profitti per poi venderla a una fantomatica compagnia greca o cinese, come del resto aveva dichiarato. Non sarebbe stato semplice fermare Duncan Alexander. Anche se i creditori fossero stati informati della traballante assicurazione della Golden Dawn, forse si erano già sbilanciati troppo. Avrebbero accettato i rischi, scaricandoli dove potevano, accontentandosi di stringere
ulteriormente la corda finanziaria al collo di Duncan Alexander. No, così non poteva fermarlo. Duncan doveva essere obbligato a rimodificare lo scafo della superpetroliera, obbligato a renderla un rischio moralmente accettabile, obbligato ad accettare le misure di sicurezza che Nick aveva previsto per la nave. Lazarus concluse la parte assicurativa del suo rapporto. Tacque bruscamente, proprio mentre la signorina Lovelace si accingeva a tentare l'impossibile. Nick lo seguì con sollievo fuori, nel freddo della sera parigina. Respirarono le esalazioni della città formicolante di macchine, mentre Lazarus lo conduceva attraverso l'Ottavo Arrondissement, elencandogli i particolari sui noli delle navi della Christy Marine, i noleggiatori, le tariffe, la durata dei contratti. Nick ne riconobbe la maggior parte. Era stato lui stesso a negoziare o a rinnovare i contratti. Fidava nel registratore che teneva in tasca, ascoltando distrattamente mentre rifletteva su ciò che aveva appena appreso dallo straordinario omino. E così, quando venne la notizia, non ne afferrò subito il significato. «Il 10 gennaio, la Christy Marine ha stipulato con l'Orient Amex un contratto di trasporto per la Golden Dawn. La tariffa è dieci centesimi americani per tonnellata al miglio, con un minimo annuale garantito di 75.000 miglia marine.» Nick colse subito la parola magica, Golden Dawn, e poi assimilò il resto. Il prezzo, dieci centesimi per tonnellata al miglio, ecco che cosa non quadrava. Era un prezzo alto, ridicolmente alto nel mercato corrente. Poi il nome, Orient Amex. Che cosa gli rammentava? Si fermò di botto, e un pedone andò a sbattergli contro. Nick lo scostò distrattamente e continuò a riflettere, sforzandosi di ricordare. Anche Lazarus si era fermato, e aspettava pazientemente. Nick gli posò una mano sulla spalla. «Vorrei bere un goccio.» Lo portò in una birreria fumosa e lo fece sedere a un tavolino presso la
finestra. Lazarus ordinò affettatamente dell'acqua minerale e la sorseggiò con aria virtuosa, mentre Nick aggiungeva la soda al whisky. «Orient Amex», disse, non appena il cameriere se ne fu andato. «Me ne parli.» «Non riguarda il mio incarico», protestò Lazarus. «Mi metta tutto in conto», lo invitò Nick. Lazarus esitò un momento, inserendo la nuova bobina nel computer della sua mente. Poi cominciò a parlare. «L'Orient Amex è una compagnia registrata negli Stati Uniti, con un capitale di venticinque milioni di azioni attualmente quotate dieci dollari l'una», recitò. «La compagnia sta effettuando ricerche petrolifere in terraferma nell'Australia occidentale e in Etiopia, e in mare nelle acque territoriali della Norvegia e del Cile. Ha costruito una raffineria a Galveston, nel Texas, per attuare il nuovo procedimento di pirolisi atomica, già sperimentato nella sua raffineria principale, nella stessa località. La raffineria entrerà in funzione nel giugno di quest'anno, e sarà pienamente produttiva nel giro di cinque anni.» A Nick era tutto vagamente familiare: i nomi, il processo di sottoporre a pirolisi le molecole ad alto contenuto di carbonio, di poco valore, separando gli atomi di carbonio e riunendoli in molecole volatili a basso contenuto di carbonio, di alto valore. «La compagnia possiede pozzi produttivi nel Texas e al largo di Santa Barbara, in Nigeria, e ha riserve di greggio nel giacimento di El Barras, nel Kuwait, che saranno utilizzate dalla nuova raffineria a Galveston.» «Santo cielo.» Nick lo fissò. «Il giacimento di El Barras. É contaminato dal cadmio, è stato condannato da...» «Il giacimento di El Barras è ricco di cadmio, l'elemento necessario per il nuovo processo.» «Qual è la percentuale di cadmio?» chiese Nick. «Nell'area occidentale del giacimento di El Barras ne sono state riscontrate duemila parti per un milione. Nell'anticlinale nord ed est ne sono state
riscontrate quarantaduemila parti per un milione», riferì Lazarus. «I greggi americani e nigeriani verranno miscelati con il greggio di El Barras durante il nuovo processo di pirolisi. Si prevede che il rendimento dei volatili del carbonio aumenterà dal 40 all'85 per cento. Il greggio così trattato sarà da cinque a otto volte più redditizio, e la durata delle riserve petrolifere mondiali sarà allungata di dieci o quindici anni.» Mentre ascoltava, Nick rivide con chiarezza l'ago nel laboratorio di Samantha che registrava gli ultimi spasimi di un mollusco avvelenato dal cadmio. Lazarus continuò, impassibile. «Durante il processo di pirolisi, il solfuro di cadmio verrà ridotto al suo puro stato metallico, non tossico, e sarà un prezioso sottoprodotto che ridurrà il costo della raffinazione.» Nick scrollò la testa incredulo e rifletté ad alta voce. «Duncan lo farà. Spedirà un milione di tonnellate per volta nel suo mostro di latta, attraverso due oceani. Duncan farà quello che nessun armatore ha mai osato fare: trasporterà il petrolio al cadmio di El Barras!»
^ Dalle finestre del suo appartamento al Ritz, Nick poteva vedere la colonna nel centro di place Vendome, con il bassorilievo a spirale, ottenuto dalla fusione dei cannoni russi e austriaci, che commemora le vittorie di Napoleone contro quei paesi. Mentre osservava la colonna e aspettava la linea, calcolò rapidamente che sulla costa orientale degli Stati Uniti erano le tre del mattino. L'avrebbe trovata a casa, se non altro. Poi sorrise fra sé. Se non era a casa, preferiva non saperne il motivo. Il telefono squillò. Alzò il ricevitore senza distogliersi dalla finestra. Udì un borbottio confuso e chiese: «Chi parla?». «Sono Sam Silver. Che ora è? Chi è? Santo cielo, sono le tre del mattino. Che cosa vuole?» «Di' al tuo amico di mettersi i calzoni e filare a casa.» «Nick!» Vi fu uno strillo di gioia, seguito da un tonfo che lo fece sussultare. «Oh, accidenti, ho rovesciato il comodino. Ci sei ancora, Nick? Di' qualcosa, per amor del cielo!» «Ti amo.» «Ripetilo, ti prego. Dove sei?» «A Parigi. Ti amo.» «Oh.» La sua voce si fece triste. «Mi sembravi così vicino.» Tornò allegra. «Anch'io ti amo. E lui come sta?» «É in cassa integrazione.» «Che roba è?» «Il sussidio per i disoccupati.» Cercò il corrispondente americano. «Significa che per il momento non lavora.» «Formidabile. Tienilo così. Ti ho detto che ti amo, l'hai dimenticato?» «Svegliati. Apri le orecchie. Ho una domanda da farti.» «Sono sveglia... be', quasi.» «Samantha, che cosa succederebbe se qualcuno rovesciasse un milione di tonnellate di greggio arabo con quarantamila parti di solfuro di cadmio nella corrente del Golfo, diciamo trenta miglia marine al largo di Key West?» «Ti sembra una domanda da farsi, alle tre del mattino?» «Che cosa succederebbe?» insisté lui. «Il greggio agirebbe come veicolo di trasporto.» Nonostante il sonno, Samantha cercò di figurarsi la scena. «Si spanderebbe sulla superficie con uno spessore di circa mezzo centimetro, formando una chiazza lunga qualche migliaio di miglia e larga quattro o cinquecento. E continuerebbe a muoversi.» «Con quali conseguenze?» «Ucciderebbe la maggior parte della vita marina alle Bahamas e sulla costa orientale degli Stati Uniti. Anzi, spazzerebbe via ogni forma di vita marina, compresi i capodogli, le zone di riproduzione del tonno e le anguille d'acqua dolce. E contaminerebbe...» Ormai era completamente sveglia e le tremava la voce per l'orrore. «Sei macabro, Nicholas. É un quadro terrificante, specialmente alle tre del mattino.» «La vita umana?» chiese lui. «Sì, ci sarebbero moltissimi morti», rispose Samantha. «Come solfuro,
verrebbe assorbito immediatamente. E in una concentrazione simile sarebbe velenoso al semplice contatto. Avvelenerebbe i pescatori, i villeggianti,
chiunque cammini su una spiaggia contaminata.» Cominciò ad afferrare l'enormità della catastrofe. «Decimerebbe la popolazione costiera. Centinaia di migliaia di esseri umani, Nicholas. E se fosse portato dalla corrente del Golfo, avvelenerebbe i Banchi di Terranova, l'Islanda, il Mare del Nord, le zone di pesca del merluzzo. Ucciderebbe tutti, uomini, pesci, uccelli e mammiferi. Poi la coda della corrente del Golfo gira intorno alle isole britanniche e all'Europa settentrionale... Ma perché me lo chiedi, Nicholas? É uno scherzo?» «La Christy Marine ha firmato un contratto decennale per portare un milione di tonnellate di greggio per volta dal giacimento di El Barras alla raffineria dell'Orient Amex a Galveston. Il greggio di El Barras ha una componente di solfuro di cadmio fra le duemila e le quarantamila parti per milione.» Lei sussurrò indignata: «Un milione di tonnellate! É una specie di genocidio, Nicholas. Non c'è mai stato un carico così letale in tutta la storia del trasporto marittimo». «Fra poche settimane la Golden Dawn sarà varata a St. Nazaire, e allora sarà gettato il seme della catastrofe.» «La rotta dal Golfo Persico passa davanti al capo di Buona Speranza.» «Uno dei mari più infidi del mondo. La tana dell'onda dei cent'anni», convenne Nick. «Poi attraversa l'Atlantico meridionale...» «E s'infila nella strettoia della corrente del Golfo, fra Key West e Cuba, il Triangolo della Morte, la culla degli uragani.» «Devi impedirlo, Nicholas», disse lei con calma. «A qualunque costo.» «Non sarà facile, ma tenterò. Conosco una dozzina di strade da questa parte dell'Atlantico, ma tu dovrai darti da fare dalla tua parte», disse Nick. «Avverti Tom Parker, Samantha. Tiralo giù dal letto, se è il caso. Deve dare la notizia a Washington e a tutti i mezzi d'informazione, la televisione, la radio e la stampa. Bisogna provocare la Orient Amex, sfidarla a fare una dichiarazione.» Samantha capì al volo che cosa intendeva Nick. «Faremo picchettare dai Green Peacers la raffineria della Orient Amex, che tratta il petrolio al cadmio. Metteremo all'opera tutti i gruppi ecologici della regione. Faremo un baccano d'inferno», gli promise. «Bene», disse lui. «Fa' tutto quanto, ma non dimenticarti di venire qui per il varo del Sea Witch.» Sogghignò. «Ho già organizzato il servizio dei pasti in camera con un camion ribaltabile.» Nick passò il resto della giornata al telefono. Si fece servire la colazione in camera, mentre scorreva la lista che aveva compilato ascoltando la registrazione del rapporto di Lazarus. La lista cominciava con coloro che sembravano aver prestato capitali alla Christy Marine per la costruzione della Golden Dawn, poi continuava con i sottoscrittori delle assicurazioni sullo scafo e contro i rischi d'inquinamento. Durante le telefonate, Nick si limitò a riassumere brevemente i fatti, senza addentrarsi in particolari: non voleva dare a Duncan Alexander l'opportunità di alzare una cortina fumogena di cause per diffamazione. Comunque parlò con i pezzi grossi. Era in rapporti confidenziali quasi con tutti, e fece capire che conosceva i loro rapporti con la Christy Marine e che avrebbero fatto meglio a riconsiderare l'accordo, specie per quanto riguardava l'assicurazione della Golden Dawn e il suo contratto di trasporto con la Orient Amex.
Negli intervalli fra le telefonate, o mentre un dirigente veniva rintracciato dalla segretaria, Nick fissava place Vendome e rifletteva sui motivi che lo inducevano ad agire. Era facile, per un uomo, attribuirsi gli scopi più nobili. Il mare gli aveva dato una vita meravigliosa, la fama e la ricchezza. Adesso era venuto il momento di pagare il debito, doveva usare parte della sua ricchezza per proteggere il mare. Era bello pensarlo, ma sotto la superficie Nick vedeva agitarsi ombre inquietanti, simili agli squali e ai barracuda negli abissi. C'era l'orgoglio. La Golden Dawn era una sua creazione, l'apice di una vita
di lavoro, la corona d'alloro della sua carriera. Ma gliel'avevano sottratta, modificata, e il fallimento della nave avrebbe recato la firma di Nick. Il mondo avrebbe ricordato che era lui l'autore del grandioso progetto. Poi c'era l'odio. Duncan Alexander gli aveva rubato sua moglie e suo figlio, gli aveva tolto quella che allora era la sua vita. Duncan Alexander era un nemico spietato e senza scrupoli: secondo le regole di Nick, andava combattuto altrettanto spietatamente. Si versò un'altra tazza di caffè e accese un sigaro. Mentre meditava, si chiese: «Se un altro uomo volesse trasportare il greggio di El Barras con un altra nave, mi comporterei nello stesso modo?» Inutile perdersi in «se». Il nemico era Duncan Alexander. Alzò il ricevitore e compose il numero della casa di Eaton Square. Non aveva bisogno di consultare l'agenda per ricordarlo. «La signora Chantelle Alexander, per favore.» «Mi rincresce, signore. La signora Alexander è a Cap Ferrat.» «Ah, già», borbottò lui. «Grazie.» «Vuole il numero?» «No, grazie, ce l'ho.» Aveva perso il senso del tempo. Telefonò di nuovo, e stavolta chiamò la costa del Mediterraneo. «Casa della signora Alexander. Sono suo figlio Peter Berg.» Nick sentì la consueta emozione. Gli fece bruciare le guance pizzicare gli occhi. «Ciao, Peter, come va?» La sua voce gli suonò artefatta, ampollosa. «Papà!» esclamò il ragazzo con gioia. «Come stai, papà? Hai ricevuto le mie lettere?» «No. Dove le hai mandate?» «A casa tua, in Queens Gate.» «É quasi un mese che non passo da casa», pensò Nick. «Ho ricevuto le tue cartoline, papà. Una dalle Bermude e una dalla Florida. Ti ho scritto per dirti che...» Seguì un elenco di trionfi e disastri scolastici. «Formidabile, Peter. Sono fiero di te.» Gli parve di vedere il viso di suo figlio, ed ebbe una stretta al cuore. Avrebbe voluto potergli dedicare più tempo. «Fantastico, Peter.» Il ragazzo cercava di dirgli tutto nello stesso tempo, saltava da un
argomento all'altro. Finalmente venne l'inevitabile domanda: «Quando posso venire da te, papà?» «Dovrò mettermi d'accordo con tua madre, Peter. Ma verrai presto, te lo prometto.» Cambiamo discorso, pensò disperatamente. «Come va l'Apache? Hai già fatto qualche regata?» «Oh, sì. La mamma mi ha lasciato comprare delle vele nuove, rosse e gialle. Ieri ho fatto una gara.» L'Apache non era arrivata prima, ma Nick ebbe l'impressione che la colpa non fosse tanto del comandante quanto dei capricci del vento, delle scorrettezze degli altri concorrenti e del direttore di gara che aveva minacciato di squalificare l'Apache perché era partita in anticipo. «Ma domenica farò un'altra regata», continuò Peter. «Dov'è la mamma, Peter?» «Nella rimessa delle barche.» «Puoi passarle la linea? Devo parlarle, Peter.» «Va bene.» Il ragazzo celò quasi perfettamente il suo disappunto. «Ehi, papà, mi prometti che ci vediamo presto?» «Promesso.» «Ciao.» Nick udì un «clic» e un ronzio. Poi, all'improvviso, la voce di lei. Era melodiosa e serena come sempre. «C'est Chantelle Alexander qui parle.» «C'est Nicholas ici.» «Oh, caro, che bello sentire la tua voce. Come stai?»
«Sei sola?» «No, ho degli amici a colazione. C'è anche la Contessa con il suo nuovo amico del cuore, nientedimeno che un torero!» La «Contessa» era un ricco omosessuale che faceva parte della corte di Chantelle. A Nick parve di vedere la scena sulla grande terrazza, celata alle scogliere soprastanti dai pini e dalla rimessa per le barche con le torrette e le tegole color ruggine. Un'allegra compagnia doveva essere riunita sotto gli ombrelloni colorati. «Sono arrivati Pierre e Mimi da Cannes. Passeranno la giornata qui.» Pierre era il figlio del maggior industriale aeronautico europeo. «E Robert...» Sotto la terrazza c'era il molo privato e un grazioso porticciolo. I visitatori dovevano avere ormeggiato là i loro yacht. Nick udiva le risate e il tintinnio dei bicchieri. Troncò bruscamente l'elenco degli ospiti. «C'è Duncan?» «No, è ancora a Londra. Verrà la settimana ventura.» «Ho delle novità da riferirti. Puoi venire a Parigi?» «É impossibile, Nicky.» Era strano come il vezzeggiativo non stridesse, in bocca a lei. «Domani devo andare a Montecarlo. Aiuto Grace a organizzare il suo ballo di beneficenza.» «É importante, Chantelle.» «E poi c'è Peter, non voglio lasciarlo. Non potresti venire tu? C'è un volo diretto domani alle nove. Mi sbarazzerò degli ospiti, così potremo parlare tranquillamente.» Nick rifletté un istante, poi disse: «E va bene. Prenotami un appartamento al Negresco.»
«Non dire sciocchezze, Nicky. Qui ci sono tredici bellissime stanze da letto, siamo tutt'e due persone civili e Peter muore dalla voglia di vederti.» ^ Quando Nick scese all'aeroporto di Nizza, la Costa Azzurra lo accolse con il suo splendore primaverile. Peter lo aspettava al cancello della dogana, saltellando e sbracciandosi come un matto. Ma quando Nick varcò il cancello, si ricompose e gli strinse formalmente la mano. «Sono felice di vederti, papà.» «Giurerei che sei cresciuto di dieci centimetri», disse Nick, e si chinò impulsivamente ad abbracciarlo. Rimasero avvinti per un momento, e fu Peter che si staccò per primo. Erano entrambi imbarazzati per quello slancio. Ma poi Nick cinse deliberatamente le spalle del ragazzo con un braccio. «Dov'è la macchina?» Mentre attraversavano l'atrio, continuò a cingergli le spalle. Man mano che si abituava all'insolita affettuosità di suo padre, Peter gli si stringeva contro. Sembrava scoppiare di orgoglio. Nick si chiese come mai, ora, riusciva a comportarsi in modo così naturale con le persone che amava. La risposta era ovvia: merito di Samantha Silver. Gli aveva insegnato ad abbandonarsi. «Lasciati andare, Nick.» Gli parve quasi di udire la sua voce. L'autista era nuovo, un tipo silenzioso e discreto. C'erano soltanto loro due sul sedile posteriore della Rolls, che attraversava Nizza, diretta verso la strada costiera. «La mamma è andata a Montecarlo. Tornerà per cena.» «Sì, me l'ha detto. Abbiamo tutta la giornata per noi.» Nick sorrise, mentre l'autista apriva il cancello elettrico e la Rolls passava fra le colonne bianche all'ingresso della proprietà. «Che cosa facciamo?» Nuotarono, giocarono a tennis e bordeggiarono fino a Mentone con l'Apache, la barca a vela di Peter. Poi tornarono indietro, con lo spinnaker gonfio e gli spruzzi di schiuma sul viso. Risero e chiacchierarono per tutto il giorno. Mentre si cambiava per cena, Nick si scoprì malinconico per la troppa felicità: era una felicità transitoria, sarebbe finita presto. Non riusciva a scrollarsi la tristezza di dosso. Indossò un maglioncino a collo alto, una giacca blu a doppio petto e scese nel soggiorno. Peter lo aveva preceduto, impaziente come un bimbo il mattino di Natale, con i capelli ancora bagnati dalla doccia, il viso rosso di sole e di gioia. «Ti preparo un drink, papà?» chiese speranzoso, accostandosi al vassoio dei
liquori. «Lasciane un po' nella bottiglia», gli raccomandò Nick. Non voleva negargli il piacere di comportarsi da adulto, ma aveva imparato a diffidare delle dosi smisurate che Peter mesceva per malintesa generosità. Sorseggiò il drink, sussultò e aggiunse un po' di soda. «Buonissimo», disse. Peter si gonfiò d'orgoglio, e in quel momento Chantelle comparve sullo scalone che scendeva nella stanza. Nick non poté fare a meno di ammirarla. Possibile che fosse diventata ancora più bella dal loro ultimo incontro? Oppure si era vestita e truccata con cura particolare?
Indossava un fluttuante vestito di seta color avorio. Mentre attraversava il soggiorno, passò controluce davanti alla finestra aperta e il riverbero sanguigno del sole al tramonto penetrò il leggero indumento, rivelando per un attimo la sagoma delle sue gambe. Quando gli fu vicina, Nick notò che il vestito era ornato di ricami di seta, avorio sull'avorio. I seni risaltavano leggermente, gli stupendi seni che lui ricordava così bene, lasciando indovinare i bottoncini rosa dei capezzoli. Distolse subito lo sguardo, e lei sorrise. «Nicky», disse. «Mi rincresce di averti lasciato solo.» «Peter e io ce la siamo spassata», replicò lui. Aveva accentuato il taglio e la grandezza degli occhi, la forma degli zigomi e del mento; ma con tale maestria che non sembrava truccata. I suoi capelli erano un'aureola vaporosa, il sole aveva tinto di miele la pelle nuda delle spalle e delle braccia. Nick aveva scordato come poteva essere dolce e serena. La splendida villa nella pineta, che dominava il mare e le luci della costa, era la sua cornice ideale. Chantelle irradiava luce e gaiezza nella vasta stanza. Aveva in comune con Peter un malizioso senso dell'umorismo, e tutti e tre risero insieme come una volta. Nell'atmosfera familiare, Nick non riusciva a serbarle rancore per il tradimento, così celiarono e chiacchierarono spensieratamente. Più tardi andarono in sala da pranzo e si sedettero a tavola, come in passato, ed ebbero l'impressione di essere tornati ai vecchi tempi. Chantelle aggirò con tatto ogni possibile causa d'imbarazzo. Trattò Nick come un ospite d'onore, non come il padrone di casa. Invece assegnò tale ruolo a Peter. «Peter, caro, vorresti tagliare il pollo?» Il ragazzo si mise all'opera con entusiasmo, ma alla fine il pollo sembrò uscito da una trebbiatrice. Chantelle servì il cibo e il vino, pollo alla creola e Chablis. Quanto alla musica, la scelse Peter. «Musica per l'ulcera», disse sottovoce Nick a Chantelle. Peter cercò di restare con loro il più a lungo possibile, ma dovette rassegnarsi quando Nick disse: «Va' a letto, ti accompagno». Si lavò i denti con vigore impressionante. Avrebbe continuato fino a mezzanotte se suo padre non avesse protestato. Quando fu sotto le coltri, Nick si chinò su di lui e il ragazzo gli cinse il collo. «Sono tanto felice», gli bisbigliò sulla guancia. Lo baciò con forza, poi chiese: «Non sarebbe bello se continuasse così per sempre? Se tu non dovessi più partire?». ^ Al posto della musica pop, Chantelle aveva messo un disco di Liszt. Quando Nick tornò nel soggiorno, lei stava versando il cognac nei bicchieri. «Si è calmato?» gli chiese, poi si rispose da sola: «É esausto, anche se non vuole ammetterlo». Gli diede il cognac e uscì sul terrazzo. Nick la seguì e si affacciarono al parapetto. L'aria era tersa e pungente. «Guarda che meraviglia», mormorò lei. La luna tracciava un ampio sentiero d'argento sulla superficie del mare. «L'ho sempre considerato la strada dei miei sogni.» «Duncan», disse Nick. «Parliamo di Duncan Alexander.» Lei rabbrividì leggermente e incrociò le braccia sul seno.
«Che cosa vuoi sapere?» «A che titolo gli hai dato il controllo delle tue azioni?» «Come agente. Il mio agente personale.» «Con pieni poteri?» Chantelle annuì e lui le chiese: «Non hai una scappatoia? In quali circostanze potresti rivendicare il controllo?». «In caso di scioglimento del matrimonio», rispose lei, poi scosse la testa. «Ma credo che il giudice non considererebbe valido un simile contratto di cessione, se volessi impugnarlo. É anacronistico. Posso chiedere anche subito che l'incarico di Duncan venga revocato.» «Sì, forse hai ragione», convenne Nick. «Ma ci vorrebbe più di un anno, a meno che tu non possa provare la sua malafede. Dovresti dimostrare che ha tradito la tua fiducia.» «Posso provarlo, Nicky?» Ora chiedeva il suo aiuto, lo guardava con ansia. «Ha tradito la mia fiducia?» «Non lo so ancora», rispose cautamente Nick. Chantelle lo interruppe con enfasi. «Sono stata una sciocca, vero?» Nick rimase in silenzio, e lei continuò con voce tremante: «So che non potrai mai perdonarmi per quello che ho fatto, Nicholas. Ma credimi, ti scongiuro: lo rimpiango amaramente». «É tutto finito, Chantelle. Non serve guardare indietro.» «Nessun uomo al mondo si comporterebbe come te, Nicholas. Nessuno ripagherebbe l'inganno e il tradimento con l'aiuto e il conforto. Tenevo a dirtelo.» Gli era vicinissima, e nel fresco della sera lui sentiva il calore della sua pelle. «Comincia a far freddo», disse bruscamente. Presala per un braccio, la condusse nel soggiorno, lontano dalla pericolosa oscurità della terrazza. «Dobbiamo ancora discutere di parecchie cose.» Passeggiò avanti e indietro sullo spesso tappeto verde, dalla finestra del terrazzo alla statua senza testa di un atleta greco, situata presso la porta. Intanto le riferì le informazioni che aveva appreso da Lazarus. Seduta sul divano, lei lo ascoltava con gli occhi spalancati, girando la testa per seguire i suoi movimenti. Nick non ebbe bisogno di spiegarle la situazione in termini semplificati. Era la figlia di Arthur Christy. Capì al volo quando lui le riferì i suoi sospetti: che Duncan Alexander avesse autoassicurato lo scafo della Golden Dawn, che per riassicurarlo sul mercato avesse usato le azioni della Christy, azioni che probabilmente aveva già impegnato per finanziare la costruzione della nave. Ricostruì il castello delle macchinazioni di Duncan Alexander, e lei capì subito che poggiava su fondamenta di argilla. «Ne sei sicuro?» bisbigliò alla fine. Il suo viso era divenuto esangue. Nick scosse la testa. «Ho ricostruito il tirannosauro partendo da un osso», confessò. «Forse la bestia vera è un po' diversa, ma senza dubbio è grossa e pericolosa.» «Duncan può distruggere la Christy Marine», sussurrò Chantelle. «Completamente!» Girò lo sguardo sui tesori della stanza, i simboli della sua
vita. «Ha rischiato tutto quello che appartiene a me e a Peter.» Nick rimase in silenzio. Si fermò davanti a lei e capì che aveva afferrato l'enormità del disastro incombente. Vide la sua indignazione divenire confusione, paura e finalmente terrore. L'aveva già vista atterrita, ma ora, di fronte alla prospettiva di venire spogliata dalla corazza che l'aveva sempre protetta, sembrava un animaletto smarrito. Chantelle rabbrividì di nuovo. «C'è la possibilità che Duncan perda tutto, Nicholas? Non ci sono speranze?» Voleva essere rassicurata, ma lui poteva soltanto compatirla. Era la prima volta che gli faceva pena, da quando la conosceva. «Che cosa posso fare, Nicholas?» lo implorò. «Aiutami, ti scongiuro. Oh, Dio mio, che cosa posso fare?» «Puoi impedire a Duncan di varare la Golden Dawn finché non siano stati modificati lo scafo e la propulsione, finché non sia stata ispezionata e
assicurata. E finché tu non abbia ripreso il controllo della Christy Marine.» Il suo tono era gentile. «Per oggi basta così, Chantelle. Abbiamo già parlato troppo. Stasera hai saputo che cosa potrebbe accadere, domani parleremo di come impedirlo. Hai un Valium?» Lei scosse la testa. «Non ho mai cercato di sfuggire alla realtà con i tranquillanti.» Era vero, Nick lo sapeva. Il coraggio non le mancava. «Fino a quando ti fermi?» «Ho prenotato un posto sull'aereo delle undici. Devo essere a Londra entro domani sera. Avremo tempo domani mattina.» ^ L'appartamento degli ospiti dava sul balcone al primo piano che correva lungo la facciata dell'edificio, di fronte al mare e al porticciolo privato. Le cinque camere si aprivano tutte sul balcone: la villa era stata costruita cinquant'anni prima, quando il pericolo di furti e di sequestri non era così grande. Nick decise che il mattino dopo ne avrebbe parlato a Chantelle. La vittima più probabilmente di un rapimento sarebbe stato Peter, e lui inorridiva al pensiero che suo figlio potesse cadere in mano ai banditi. La ricchezza e il successo hanno un prezzo, oggigiorno; il profumo del denaro attira le iene e gli avvoltoi. Peter doveva esser più protetto. Nel salotto dell'appartamento c'era un semplice armadietto di liquori nascosto dietro una specchiera, nulla di pacchiano e borghese come un bar privato. Sul tavolino del televisore, erano ammonticchiati i quotidiani inglesi, francesi e tedeschi. France Soir, Times, Allgemeine Zeitung, e perfino l'edizione su carta velina del New York Times. Nick aprì il Times e scorse rapidamente il listino di borsa. Le azioni della Christy Marine erano quotate 5 sterline e 32 pence, 15 pence più della quotazione di ieri. Il mercato non aveva ancora fiutato gli intrighi. Si tolse il maglioncino. Sebbene avesse fatto il bagno tre ore prima, si sentiva sudaticcio per la tensione. Il bagno era stato riarredato con pannelli di onice verde e rubinetti d'oro a forma di delfino. Bastava sfiorarli perché dalle loro bocche sgorgasse l'acqua fumante. Non c'era nulla di volgare in tanto lusso, perché il gusto infallibile di Chantelle vi aveva conferito un tocco di opulenza orientale.
Fece la doccia, aprendo i rubinetti al massimo perché l'acqua bollente sciogliesse la sua stanchezza. Nell'armadio riscaldato c'era una mezza dozzina di accappatoi di spugna. Ne indossò uno e andò in camera, stringendoselo sui fianchi. Nella sua valigetta c'era la bozza del contratto per la vendita della Ocean Salvage agli sceicchi. James Teacher e la sua squadra di giovani avvocati l'avevano letta, preparandogli uno spesso fascio di appunti. Nick doveva leggerli prima dell'indomani sera, quando li avrebbe incontrati a Londra. Prese i fogli e li portò nel salotto. Scorse il primo e lasciò il fascio sul tavolino per versarsi una piccola dose di whisky con parecchia soda, poi si sprofondò con il bicchiere nella poltrona di cuoio, prese i fogli e cominciò a leggere. Sentì il suo profumo prima ancora di vederla. Il cuore gli martellò nel petto e i fogli gli frusciarono in mano. Alzò lentamente la testa. Era venuta in silenzio, a piedi nudi. Si era tolta i gioielli e sciolta la chioma sulle spalle. Sembrava più giovane, più vulnerabile. Indossava una camicia da notte con le maniche e il collo orlati di pizzo. Avanzò lentamente verso la poltrona, incerta e timorosa, con gli occhi spaventati. Quando Nick si alzò, lei si fermò con una mano sulla gola. «Nicholas», sussurrò. «Ho paura. Mi sento sola.» Mosse un altro passo e lo vide stringere le labbra. Si fermò subito. «Ti prego», lo implorò sommessamente. «Non mandarmi via, Nicky. Non stasera. Non mi sento di stare sola. Ti prego.» Lui sapeva che sarebbe finita così, anche se per tutta la sera aveva cercato di non pensarci. E adesso si sentiva smarrito. Gli sembrava d'aver perso la volontà, di essere ipnotizzato. La sua corazza si fuse alla fiamma della bellezza di Chantelle, della passione che lei sapeva suscitare a comando. I
suoi pensieri divennero incoerenti e confusi. Chantelle se ne accorse e riprese ad avanzare. Non commise l'errore di parlare, mentre gli appoggiava il viso sul petto che l'accappatoio lasciava scoperto. Dilatò le narici al sentore maschio della sua pelle. Nick resisteva ancora. S'irrigidì con le braccia lungo i fianchi. Oh, lei lo conosceva bene. Era difficile indurlo ad agire contro i suoi ferrei principi; difficile, ma non impossibile. Anche lui era fatto di carne, ed era l'unico uomo che fosse mai riuscito a soddisfarla. Conosceva le difese che Nick aveva eretto intorno a sé, l'intensità delle sue passioni, la forza con cui le reprimeva; ma sapeva come aggirare le difese, sapeva che cosa fare e che cosa dire. E ora, mentre cominciava, scoprì che infrangere le sue resistenze la eccitava. Si costrinse a non avanzare troppo in fretta, a non respirare troppo affannosamente, a sostenere la parte della bambina spaventata. Doveva stimolare la sua gentilezza, la sua cavalleria, altrimenti l'avrebbe respinta. Dio, come le bruciava il corpo. Era tutta uno spasimo di desiderio, i suoi seni erano divenuti così sensibili che non sopportavano la costrizione della seta e del merletto. «Oh, Nicky, ti prego. Un momento solo. Abbracciami. Non ce la faccio più a star sola. Un momento solo, ti prego.» Lo sentì alzare le braccia, toccarle le spalle, e fu travolta dal desiderio.
Le sfuggì un gemito soffocato e sentì subito la sua reazione. Aveva calcolato perfettamente il tempo, il suo istinto femminile non l'aveva tradita. Le dita di Nick, prima gentili e delicate, ora le artigliavano la carne. Nick inarcò involontariamente la schiena e lei lo sentì irrigidirsi. Riconobbe la forza, la forza deliziosa e sconvolgente che lei poteva ancora scatenare. E finalmente, con gioia e una punta di panico, sentì la spinta poderosa dei suoi fianchi. Le parve di essere scrollata da una mano gigantesca. Gridò di nuovo, stavolta forte. Ora poteva sfogare gli istinti repressi così a lungo. Non aveva più bisogno di dominarli. Sapeva esattamente come condurlo oltre le frontiere della ragione. Le dita di Nick lacerarono freneticamente il merletto sulla sua gola, mentre lei cercava di liberare i seni turgidi. Gridò per la terza volta e gli slacciò la cintura dell'accappatoio, rivelando il suo corpo muscoloso. «Oh, Dio, sei così forte e virile. Oh, Dio mio, come mi sei mancato.» Per la raffinatezza e le sfumature dell'amore ci sarebbe stato tempo più tardi. Ora il suo bisogno era troppo impellente. Doveva appagarlo subito, altrimenti sarebbe morta di desiderio. ^ Nick emerse dal sonno con un vago senso di rimorso. Poco prima di giungere alla soglia della coscienza, ebbe una vivida immagine mentale e rivisse un momento del lontano passato. Aveva trovato un tritone presso il versante oceanico della barriera corallina, oltre la laguna Anse Baudoin dell'isola Praslin. Era grosso come una noce di cocco, e Nick si ritrovò a scrutare le misteriose profondità madreperlacee della conchiglia. Poi, bruscamente, l'immagine cambiò. L'apertura della conchiglia si allargò, prese la forma di una bocca spalancata, e lui vide le fauci di una orribile creatura marina orlate di denti triangolari. Lanciò un grido e si svegliò di soprassalto, puntellandosi sul gomito. La sua pelle odorava ancora del profumo di lei misto al suo stesso sudore, ma accanto a lui non c'era nessuno, sebbene il letto fosse ancora caldo. Un raggio di sole filtrava fra le tende. Sembrava una spada, una spada d'oro. Gli ricordò Samantha Silver. La rivide indossare la luce del sole come un mantello, a piedi nudi sulla sabbia. Scese dal letto e andò in bagno. Gli dolevano gli occhi per il sonno e il rimorso. Mentre lasciava scorrere l'acqua nel lavabo, si guardò allo specchio appannato dal vapore. Aveva gli occhi cerchiati e la pelle tesa sulle ossa. «Bastardo», sussurrò al viso nello specchio. «Maledetto bastardo.» Lo aspettavano per far colazione, sotto gli ombrelloni colorati della terrazza. Peter era ancora nello stato d'animo della sera prima e gli corse incontro. «Papà, ehi, papà!»
Lo prese per mano e lo condusse a tavola. Chantelle indossava una lunga vestaglia e aveva i capelli sciolti, così soffici che ondeggiavano come seta al più lieve alito di vento. Era certamente un calcolo, Chantelle non faceva niente per caso. La sua eleganza e la chioma sciolta servivano a creare un'impressione di intimità domestica. Nick si sorprese a resistere con tutte le sue forze.
Peter sentì il suo cambiamento d'umore e lo guardò addolorato, quindi cominciò a mangiare in silenzio. Nick rifiutò di toccar cibo, prese soltanto una tazza di caffè e accese un sigaro senza chiedere il permesso a Chantelle, sapendo di irritarla. Attese che Peter avesse finito di mangiare, poi disse: «Vorrei parlare con tua madre, Peter». Il ragazzo si alzò docilmente. «Ci rivedremo, prima che tu parta?» «Sì.» Nick ebbe una stretta al cuore. «Certamente.» «E andremo ancora in barca?» «Oggi non c'è tempo, ragazzo mio. Mi rincresce.» «Bene.» Peter attraversò lentamente la terrazza. A un tratto spiccò la corsa, scese i gradini due per volta e sparì oltre la rimessa delle barche, nella pineta. «Ha bisogno di te», disse Chantelle sottovoce. «Dovevi pensarci due anni fa.» Lei gli versò dell'altro caffè. «Siamo stati sciocchi. No, non sciocchi, egoisti. Io ho avuto il mio Duncan e tu quella ragazzina americana.» «Non farmi arrabbiare», l'ammonì lui. «Ne hai già combinate abbastanza.» «Vedi, Nicholas, il fatto è che ti amo. Ti ho sempre amato, fin da quand'ero una goffa scolaretta.» Non lo era mai stata, ma Nick lasciò correre. «Fin dalla prima volta che ti ho visto sulla plancia del Golden Eagle, l'ardito comandante...» «Dobbiamo parlare della Golden Dawn e della Christy Marine, Chantelle.» «No, Nicholas. Siamo fatti uno per l'altra. Papà lo ha capito subito, e anche noi lo abbiamo capito. Per un momento ne ho dubitato, è vero. Ma è stato un momento di follia.» «Basta, Chantelle.» «Duncan è stato uno stupido errore, un'avventuretta da niente.» «É qui che ti sbagli. Ha cambiato tutto. Non sarà mai più come prima. E poi...» «E poi che cosa? Continua, Nicky.» «E poi mi sto costruendo un'altra vita. Con una persona molto diversa da te.» «Santo cielo, Nicky, stai scherzando.» Scoppiò a ridere, sinceramente divertita. «Potrebbe essere tua figlia. É la sindrome dei quarant'anni, il complesso della Lolita.» Lo vide oscurarsi in viso e capì di avere esagerato. Si affrettò a rimediare. «Scusami, Nicky. Non avrei dovuto dirlo.» Tacque un momento, poi continuò. «Sì, è graziosa, deve avere un buon carattere. A Peter è molto simpatica.» Liquidò Samantha in tono condiscendente, come se fosse un capriccio passeggero di Nick. «Ti capisco, Nicholas, sul serio. Ma quando vorrai, quando sentirai venuto il momento, Peter, la Christy Marine e io siamo pronti ad accoglierti. Questo è il tuo mondo, Nick.» Fece un ampio gesto. «É il tuo mondo, non potrai mai lasciarlo.» «Ti sbagli, Chantelle.» «No.» Scosse la testa. «Mi sbaglio di rado, e stavolta non mi sbaglio. La notte scorsa ne ho avuto la prova. Ma ora parliamo della Golden Dawn e della Christy Marine.» ^ Chantelle Alexander alzò il viso al cielo e guardò volare il grande uccello
d'argento. Saliva rapidamente, scintillando al sole e lasciando due strisce di fumo scuro mentre i motori ruggivano al massimo della potenza. Il vento ne portava il rombo fino a Cap Ferrat. Accanto a Chantelle, alto quasi come lei, anche Peter guardava. Lei gli prese il braccio.
«Si è fermato pochissimo», osservò Peter, mentre l'aereo virava. «Tornerà presto e resterà con noi», gli promise Chantelle, poi gli domandò: «Dove ti eri cacciato, Peter? Ti abbiamo cercato dappertutto, prima che papà partisse». «Ero nella pineta», rispose lui evasivamente. Aveva udito i loro richiami, ma si era rifugiato nel suo nascondiglio segreto, la grotta dei contrabbandieri nella scogliera. Sarebbe morto, piuttosto che farsi vedere in lacrime da Nicholas Berg. «Non sarebbe bello se ogni cosa tornasse come una volta?» chiese Chantelle con dolcezza. Il ragazzo si mosse, senza distogliere gli occhi dall'aereo. «Soltanto noi tre?» «Senza zio Duncan?» chiese Peter incredulo. L'aereo rifletté un ultimo bagliore e scomparve in un banco di cumuli. «Senza zio Duncan?» ripeté. «Ma è impossibile.» «No, caro, se tu mi aiuti.» Prese il suo viso fra le mani. «E mi aiuterai, vero?» gli chiese. Peter annuì con forza. Lei si chinò a baciarlo teneramente sulla fronte. «Sei il mio ometto», sussurrò. ^ «Il signor Alexander è occupato. Devo riferirgli qualcosa?» «Sono la signora Alexander. Dica a mio marito che è urgente.» «Oh, la prego di scusarmi, signora Alexander.» Il tono della segretaria si fece subito ossequioso. «Non avevo riconosciuto la sua voce. La linea è disturbata. Le passo subito il signor Alexander.» Chantelle attese, guardando con impazienza dalla finestra. A metà mattina il tempo era cambiato. Ora soffiava un vento gelido e la pioggia tamburellava sui vetri. «Chantelle, mia cara.» La voce carezzevole e vibrante che un tempo l'aveva affascinata. «É la mia chiamata?» «No, ti ho chiamato io, Duncan. Ho urgente bisogno di parlarti.» «Bene», disse lui. «Anch'io volevo parlarti. Gli avvenimenti incalzano. É necessario che tu venga martedì prossimo a St. Nazaire. Non ci vedremo a Cap Ferrat.» «Duncan...» Lui la interruppe. Il suo tono era sicuro e fiducioso. Da oltre un anno non lo sentiva così esuberante. «Sono riuscito a risparmiare quasi un mese sui tempi di costruzione della Golden Dawn.» «Ascoltami, Duncan.» «La vareremo martedì. Purtroppo sarà una cerimonia alla buona, con un preavviso così breve.» Il suo orgoglio infastidì Chantelle. Non aveva alcuna voglia di ascoltarlo. «Ho disposto che le cisterne siano portate direttamente nel Golfo Persico dai cantieri giapponesi, con quattro rimorchiatori
americani. Varerò lo scafo qui, con gli operai ancora a bordo. Finiranno l'opera in mare, durante la navigazione per il capo di Buona Speranza. Così la nave potrà imbarcare le cisterne e il carico a El Barras. Risparmieremo quasi sette milioni e mezzo di...» «Duncan!» ripeté Chantelle. Stavolta fu colpito dal suo tono. «Che cosa c'è?» «Non posso aspettare fino a martedì. Voglio vederti subito.» «É impossibile», rise lui. «Devi aver pazienza per cinque giorni.» «Sono troppi.» «Dimmelo subito, allora», la esortò. «Di che si tratta?» «E va bene», disse seccamente Chantelle. «Dato che insisti. Voglio il divorzio, Duncan. E rivoglio il controllo delle mie azioni della Christy Marine.» Seguì un lungo silenzio, rotto soltanto dai disturbi della linea. Chantelle attese. «É una decisione un po' improvvisa.» La voce di Duncan era divenuta atona e incolore. «Sappiamo tutt'e due che non lo è», replicò lei.
«Non hai un motivo valido.» Sembrava inquieto, ora. «Non è facile ottenere il divorzio, Chantelle.» «Vuoi un motivo, Duncan?» chiese lei. «Se non vieni entro domani a mezzogiorno, manderò a Leadenhall Street i miei revisori dei conti e sarai citato in tribunale per...» Non ebbe bisogno di continuare. Duncan la interruppe con una nota di panico nella voce. Era la prima volta che lei lo sentiva spaventato. Disse: «Hai ragione. É meglio che ne parliamo subito». Tacque di nuovo per ricomporsi. Aggiunse in tono più calmo: «Posso noleggiare un Falcon ed essere a Nizza prima di mezzogiorno. D'accordo?» «Manderò la macchina a prenderti», disse lei, e interruppe la comunicazione premendo la forcella con un dito. La tenne giù per un istante, poi alzò il dito. «Voglio fare una chiamata internazionale», disse nel suo fluente francese, quando la centralinista rispose. «Non conosco il numero. Vorrei parlare personalmente con la dottoressa Samantha Silver all'università di Miami.» «Dovrà aspettare più di due ore, madame.» «J'attendrai», disse lei, e riagganciò. ^ La Bank of the East si trova in Curzon Street, quasi di fronte al White Elephant Club. Ha una stretta facciata di bronzo, marmo e vetro. Nick era là con i suoi avvocati dalle dieci del mattino e stava imparando per esperienza diretta l'antico rituale arabo della contrattazione. Stava vendendo la Ocean Salvage e in più due anni del suo futuro lavoro. Cominciava a dubitare che sette milioni di dollari fossero un prezzo adeguato, anche se erano ancora lontani dall'accordo. Le parole correvano liberamente, le cifre danzavano in una ridda quasi irreale. L'unica costante era la figura del principe, seduto sul basso divano. Indossava un impeccabile completo europeo, ma portava il copricapo di cotone bianco fermato sulla testa da un
cordoncino dorato, che incorniciava i suoi bei lineamenti bronzei. Alle sue spalle si agitava un mutevole sfondo di figure servili e bisbiglianti. Quando Nick aveva l'impressione che un punto fosse stato definitivamente stabilito, un'altra Rolls-Royce rosa o gialla con targa araba depositava tre o quattro nuovi arabi davanti all'ingresso. Costoro si precipitavano a baciare il principe sulla fronte, sulla radice del naso e sul dorso della mano quindi la sommessa discussione ricominciava e i nuovi venuti riprendevano dal punto in cui si trovavano un'ora prima. James Teacher non dimostrava la minima impazienza. Sorrideva, annuiva e si conformava al rituale come un vero arabo sorseggiando il caffè nelle minuscole tazzine e aspettando che gli interminabili bisbigli fossero tradotti in inglese. Quindi faceva la relativa controproposta. «Va tutto a gonfie vele, signor Berg», assicurò a Nick. «Ancora qualche giorno e avremo finito.» Nick aveva il mal di testa per il caffè troppo forte e il fumo di tabacco turco, cosicché stentava a concentrarsi. Oltre a tutto era in pensiero per Samantha. Da quattro giorni non riusciva a comunicare con lei. Alla fine dovette uscire un momento. Si scusò con il principe e andò nell'atrio, al banco delle informazioni. La ragazza disse: «Mi rincresce, signore. I numeri non rispondono». «É impossibile», ribatté Nick. Uno era il numero della casetta di Samantha a Key Biscayne, l'altro il suo numero privato del laboratorio. La ragazza scosse la testa. «Ho provato ogni ora.» «Può spedire un telegramma?» «Certamente, signore.» Gli diede un modulo e lui vergò il testo. «Chiamami urgentemente con addebito al destinatario a...» Scrisse i numeri del suo appartamento a Queens Gate e dello studio di James Teacher, poi rifletté con la penna a mezz'aria, cercando le parole per esprimere la sua ansia. Ma non riuscì a trovarle. «Ti i amo», scrisse.
Da quando Nick le aveva telefonato nella notte, informandola del trasporto di petrolio al cadmio, Samantha Silver si era trovata presa in un vortice di eventi. Dopo una serie di incontri con i capi dei Green-Peacers e degli altri gruppi ecologici, per pubblicizzare e contrastare la nuova minaccia agli oceani, lei e Tom Parker erano andati a Washington per parlare con il vicedirettore del Dipartimento della Conservazione Ambientale e con due giovani senatori che guidavano il movimento ,ecologico', ma i loro sforzi avevano cozzato contro il formidabile baluardo degli interessi petroliferi. Perfino le organizzazioni di solito più sensibili all'argomento andavano con i piedi di piombo, quando si trattava di condannare la nuova tecnica di piroscissione del carbonio. Come aveva detto un giovane senatore democratico: «Non si può sparare a zero contro una tecnologia che accrescerà la resa del petrolio del cinquanta per cento». «Non ce l'abbiamo con la tecnologia», aveva ribattuto Samantha, esacerbata dalla stanchezza e dalla delusione. «Vogliamo impedire che il petrolio al
cadmio venga trasportato in modo irresponsabile per rotte estremamente delicate.» Ma quando aveva illustrato lo scenario della possibile catastrofe, dipingendo gli effetti provocati da un milione di tonnellate di greggio velenoso nell'Atlantico, aveva visto l'incredulità negli occhi del senatore, il sorriso condiscendente del savio al cospetto di un demente. «0h, cielo, possibile che il buon senso sia una merce così difficile da vendere?» si era lamentata. Lei e Tom avevano incontrato i capi dei Green-Peacers al nord e all'ovest. Avevano ricevuto consigli e promesse di appoggio. La sezione californiana aveva consigliato l'intervento fisico come estrema risorsa. Alcuni suoi membri si erano già interposti con piccole barche fra le baleniere russe e le balene nel Golfo di California. L'operazione era riuscita. A Galveston incontrarono i giovani texani che avrebbero picchettato la raffineria dell'Orient Amex non appena sarebbe giunta la notizia che la superpetroliera era entrata nel Golfo del Messico. Ma non riuscirono a provocare un confronto con l'Orient Amex. La grande compagnia petrolifera ignorò ogni invito a controbattere le accuse alla radio o alla televisione ed eluse le domande della stampa. Samantha scoprì che era difficile suscitare l'interesse intorno a una discussione a senso unico. Organizzarono una trasmissione presso una stazione televisiva texana; ma dato che mancava il pepe della polemica, il produttore ridusse il tempo di Samantha a quarantacinque secondi e poi cercò d'invitarla a cena. La crisi energetica, le petroliere e l'inquinamento erano argomenti tediosi. Nessuno aveva sentito nominare l'inquinamento da cadmio, il capo di Buona Speranza si trovava agli antipodi, un milione di tonnellate era una cifra inimmaginabile, e tutta la faccenda si risolveva in una gran noia. La stampa smise di occuparsene. «Dobbiamo far uscire allo scoperto i pezzi grossi dell'Orient Amex», ringhiò Tom Parker furibondo, «e prenderli a calci nel sedere. Ma i nostri unici alleati sono i Green-Pescers.» Tornarono all'aeroporto di Miami, esausti e delusi ma non ancora sconfitti. «Abbiamo appena cominciato la battaglia», borbottò cupamente Samantha, mentre guidava la sua macchina sgargiante nel traffico cittadino. Ebbe soltanto poche ore per darsi una rinfrescata e riposarsi. Poi dovette rivestirsi e tornare di corsa all'aeroporto a ricevere un ospite australiano. Questi aveva già passato la dogana e si guardava intorno nell'atrio con aria smarrita. «Salve, sono Sam Silver», lo salutò scacciando la stanchezza e sfoderando il suo smagliante sorriso. Si chiamava Dennis O'Connor ed era un'autorità nel suo campo. Svolgeva un lavoro affascinante sulla popolazione animale della barriera corallina nelle acque dell'Australia orientale. Veniva da lontano per vedere lei e i suoi esperimenti. «Non la credevo così giovane.» Samantha aveva firmato la corrispondenza come «dr. Silver», e lui reagì nel solito modo. Ma lei era troppo stanca e furibonda per lasciar correre.
«E sono una donna. Non si aspettava nemmeno questo, vero?» disse. «Una
povera donnicciola. Ma scommetto che fra i suoi migliori amici ha delle donne.» Era australiano fino al midollo. Le sorrise, le strinse la mano e disse: «Non ci crederà mai, ma lei mi piace così com'è». Era alto e snello, abbronzato, con una spruzzata d'argento sulle tempie. Fecero amicizia in pochi minuti, e lui ammirò l'opera di Samantha. O'Connor aveva portato con sé, in un contenitore ossigenato, cinquemila campioni vivi di E. digitalis, la comune lumaca marina australiana, perché fossero inclusi negli esperimenti di Samantha. Aveva scelto questo animaletto per la sua abbondanza e la sua importanza nell'ecologia delle acque costiere australiane. Entrambi erano assorti nell'applicare le tecniche di Samantha alla nuova creatura, quando la sua assistente fece capolino e gridò: «Ehi, Sam, c'è una chiamata per te». Lei rispose: «Fatti dire cosa vogliono. Se hanno fortuna, li richiamerò». «É internazionale e personale!» Il cuore di Samantha cominciò a martellare. Dimenticò all'istante le lumache marine. Quando alzò il ricevitore, era senza fiato per l'emozione. Si premette una mano sul cuore, come per rallentare i battiti. «La dottoressa Silver?» «Sì! Sono io.» «Resti in linea, prego», disse la centralinista. Samantha udì un «clic» e un ronzio. «Nicholas!» esultò. «Nicholas, caro, sei tu?» «No.» La voce era serena e limpida come se l'interlocutrice fosse accanto a lei. Era stranamente familiare, e Samantha fu assalita da un'inspiegabile inquietudine. «Sono Chantelle Alexander, la madre di Peter. Ci siamo viste un momento.» «Sì.» La voce di Samantha era fioca e ancora ansante. «Ho pensato di dirglielo personalmente, prima che lei lo apprenda da altre fonti. Io e Nicholas abbiamo deciso di risposarci.» Samantha si accasciò sullo sgabello dell'ufficio. «É ancora in linea?» chiese Chantelle dopo un momento. «Non ci credo», sussurrò Samantha. «Mi rincresce», disse affabilmente Chantelle. «Ma vede, c'è Peter, e ci siamo riscoperti. In realtà non abbiamo mai smesso di amarci.» «Nicholas non...» Le mancò la voce e non poté continuare. «Deve comprenderlo e perdonarlo, cara», spiegò Chantelle. «Dopo il divorzio si è sentito molto solo. Sono sicura che non intendeva approfittare di lei.» «Ma, ma... avevamo deciso di...» «Lo so. Non è facile per nessuno, mi creda. Per il nostro bene...» «Avevamo deciso di vivere insieme.» Samantha scosse la testa e una ciocca le ricadde sul viso. Se la scostò dagli occhi. «Non ci credo. Perché non me l'ha detto lui? Lo crederò solo quando me l'avrà detto.» La voce di Chantelle era gentile e compassionevole. «Non volevo addolorarla, mia cara, ma mi costringe a dirle che Nicholas ha passato la notte scorsa nella mia casa, nel mio letto, fra le mie braccia. Nel suo vero mondo.»
Seduta sullo sgabello rotondo, Samantha Silver ebbe l'impressione che la sua giovinezza le scivolasse di dosso come la pelle di un rettile. Rimase fuori del tempo, dilaniata da tutte le sofferenze che le altre donne avevano patito prima di lei. Si sentì vecchia, saggia e disincantata. Alzò le dita a sfiorarsi la guancia e si stupì che non fosse avvizzita. «Ho già preso accordi per divorziare dal mio attuale marito, e Nicholas tornerà a capo della Christy Marine.» Era vero, Samantha lo capì. Non aveva più dubbi. Riagganciò lentamente e fissò la parete nuda dello scomparto. Non pianse. Le pareva che non sarebbe mai più riuscita a piangere e a ridere.
^ Chantelle Alexander osservò suo marito, cercando di vederlo spassionatamente. Non le fu difficile, adesso che la fiamma si era spenta. Era un bell'uomo, alto e slanciato, con la fluente chioma biondo rame. I polsi che spuntavano dai polsini bianchi della camicia erano coperti di peluria rossiccia, e lei sapeva bene che il suo petto era coperto di riccioli dorati. Gli uomini glabri non l'avevano mai attirata. «Posso fumare?» le chiese. Lei assentì. La sua voce l'aveva attratta subito. Era profonda e sonora, con l'accento coltivato, le vocali arrotondate e le consonanti pigramente strascicate. Le avevano insegnato ad apprezzare la voce e la raffinatezza; eppure, sotto la «classe» della facciata, c'era un'eccitante vena di perversità. Traspariva dal suo sorriso lupesco, dallo scintillio dei suoi occhi d'acciaio. Accese la sigaretta con l'accendino d'oro che lei gli aveva regalato: il suo primo dono, la notte che erano diventati amanti. Il ricordo era ancora vivido, e lei si mosse inquieta sulla sedia. Sì, la sua follia era giustificata, più che giustificata; e anche adesso che era finita, non se ne sarebbe pentita mai. In quel periodo della sua vita non era stata capace di negarsi. La grande passione illecita, l'ultimo sprazzo di gioventù, lo spensierato autunno che precede la mezza età. Un'altra donna si sarebbe accontentata di sordidi brancicamenti in anonime stanze d'albergo, ma non Chantelle Christy. Lei plasmava il mondo a suo capriccio, prendeva quel che voleva. L'aveva detto anche a Nicholas. Molto tempo prima, suo padre le aveva insegnato che le uniche regole di Chantelle Christy erano quelle che lei stessa si imponeva. Era stato meraviglioso. Rabbrividì un poco al ricordo della sensualità di quei giorni, ma adesso era finito tutto. Nei mesi passati aveva paragonato i due uomini. La sua non era una decisione superficiale. Aveva visto Nicholas risorgere dalle ceneri. Aveva risalito la china senza l'aiuto di nessuno, armato soltanto di forza e di determinazione. La forza e il potere l'avevano sempre impressionata, ma nel corso degli anni si era abituata a Nicholas. La familiarità aveva reso insipido il loro rapporto. Ma ora, grazie al suo interludio con Duncan, lo vedeva con occhi nuovi. Nicholas aveva tutto il fascino di un nuovo amante, con in più le doti derivate dalla lunga intimità. Duncan Alexander rappresentava una parentesi. Il futuro era Nicholas Berg. Tuttavia non avrebbe mai rimpianto l'interludio. L'aveva ringiovanita. E non
avrebbe rimpianto nemmeno l'avventura di Nicholas con la ragazzina americana. In seguito, avrebbe aggiunto un pizzico di eccitante perversione alla loro vita sessuale. Sentì un brivido correrle lungo le cosce, mentre la sua carne fremeva segretamente. Duncan le aveva insegnato parecchie cose, giochi d'amore bizzarri e proibiti. Ma purtroppo fidava soltanto nei giochi, e nessuno di essi l'aveva soddisfatta. Fece una smorfia disgustata. Forse era questo che aveva spento la fiamma. No, Duncan Alexander non era riuscito a reggere alla sua sessualità primitiva e selvaggia; soltanto un uomo c'era riuscito. Duncan era servito a uno scopo, ma adesso il loro rapporto non aveva più ragione di essere. Forse si sarebbe trascinato ancora per qualche tempo, sennonché ora Duncan Alexander aveva messo a repentaglio la Christy Marine. Lei non aveva previsto una simile eventualità. La Christy Marine era una parte della sua vita, immensa e immutabile come il cielo, e adesso il cielo veniva scosso dalle fondamenta. Notò il disagio di Duncan. Continuava ad agitarsi sulla poltrona, ad accavallare e riaccavallare le gambe; rigirava la sigaretta fra le dita, fissando la spirale di fumo azzurrognolo per evitare gli occhi neri di lei. Chantelle lo guardava, ma vedeva un altro uomo. Ora, con uno sforzo, si concentrò su di lui. «Grazie per essere venuto subito», disse. «Mi è sembrata una questione urgente.» Sorrise per la prima volta. Fu un sorriso smagliante e formale, ma nei suoi occhi grigi si leggeva la paura, le sue mascelle contratte tradivano la tensione.
Guardandolo attentamente, come non faceva da mesi, lei vide quant'era smagrito. Le lunghe dita erano ossute e irrequiete. Nuove rughe, più dure, contornavano la sua bocca, gli solcavano la fronte; agli angoli degli occhi, la pelle si era increspata in centinaia di grinze che l'abbronzatura celava a un'osservazione distratta. Duncan la esaminò a sua volta. «Da quello che mi hai detto ieri...» Lo interruppe con un gesto. «C'è tempo. Volevo semplicemente farti capire la gravità della situazione. Per il momento, m'interessa sapere che cosa hai fatto delle mie azioni e di quelle del lascito.» Le mani di lui s'irrigidirono. «Che cosa significa?» «Voglio mandare dei revisori di mia nomina a...» Lui scrollò le spalle. «É un'operazione lunga, Chantelle. E temo di non essere pronto a lasciare il controllo.» Era freddo e noncurante, ora. La sua paura era svanita. Lei sentì un'ombra di sollievo. Forse la terribile storia che le aveva raccontato Nicholas era falsa, forse il pericolo era solamente immaginario. La Christy Marine era così grande, così invulnerabile. «Non subito, comunque», riprese Duncan. «Dovrai dimostrarmi che agisci nel miglior interesse, della compagnia e del lascito.» «Non devo dimostrare niente a nessuno», ribatté seccamente lei. «Stavolta sì. Mi hai nominato...»
«Nessun giudice riterrebbe valido il nostro accordo.» «Può darsi, Chantelle. Ma perché vuoi portare tutto quanto in tribunale? In un momento simile?» «Non ho paura, Duncan.» Balzò agilmente in piedi, con le lunghe gambe inguainate negli ampi calzoni di seta nera. Una catenella d'oro accentuava la snellezza della sua vita. «Non ho paura di niente, lo sai.» Gli puntò contro l'indice. «Sei tu che dovresti aver paura.» «Di che cosa mi accusi, precisamente?» Lei glielo disse. Parlò delle ipoteche gravanti sul lascito, del trasferimento delle azioni, dell'emissione di nuove azioni già ipotecate all'interno delle compagnie associate. Riassunse i dati sull'assicurazione della Golden Dawn che Nicholas aveva scoperto. «Quando i revisori avranno finito, Duncan caro, non soltanto il tribunale mi ridarà il controllo della Christy Marine, ma probabilmente ti condannerà a cinque anni di galera. In queste faccende sono piuttosto severi.» Duncan sorrise. Aveva il coraggio di sorridere! Lei avvampò d'ira. «Osi ridermi in faccia», sibilò. «Te la farò pagare.» «No.» Lui scosse la testa. «Non farai un bel niente.» «Vorresti negare che...» cominciò. Duncan la interruppe con un gesto. «Non nego niente, amore mio. Al contrario, sono disposto ad ammettere questo e altro.» Gettò la sigaretta nelle acque del porticciolo. Mentre lei lo fissava ammutolita, lasciò che il silenzio facesse il suo effetto, come un attore consumato. Intanto tolse un'altra sigaretta dall'astuccio d'oro e l'accese. «So che da un po' di tempo qualcuno ficca il naso nei miei affari e in quelli della compagnia.» Esalò una nube azzurrognola e inarcò ironicamente un sopracciglio. «Ho scoperto subito che la pista parte da un omino di Montecarlo che vive di spionaggio industriale e finanziario. Lazarus è un asso, nel suo campo. Anch'io sono ricorso alle sue prestazioni, sono io che l'ho presentato a Nicholas Berg.» Ridacchiò, scrollando la testa con indulgenza. «Si fanno certe sciocchezze, a volte. Ho capito subito ogni cosa. Berg e Lazarus. Sono io che ho guidato le loro scoperte. Ho fatto in modo che Lazarus trovasse solamente un quarto delle risposte.» Si sporse avanti, e a un tratto la sua voce divenne tagliente. «Vedi, Chantelle, anch'io sono un asso. Non potranno mai scoprire tutto.» «Non neghi, allora.» Chantelle si accorse di balbettare e si detestò. Lui fece un gesto
sprezzante. «Taci e ascoltami, sciocchina. Ti dirò fino a che punto sei coinvolta. Ti spiegherò perché non manderai i revisori, perché non mi liquiderai e perché farai esattamente quello che ti dico.» Tacque un momento e la fissò negli occhi. Lei distolse lo sguardo. Era confusa e smarrita, per una volta in balia degli eventi. Duncan annuì soddisfatto. «Benissimo. Ascolta, adesso. Ho investito ogni sostanza della Christy Marine nella Golden Dawn.» Chantelle ebbe un capogiro e si sentì ronzare le orecchie. Indietreggiò,
andando a urtare il parapetto. Si accasciò sulla poltroncina. «Di che cosa stai parlando?» bisbigliò. Lui le riferì tutto, a partire dall'inizio. Dall'impostazione della chiglia della Golden Dawn, all'epoca in cui c'era una grande richiesta di petroliere. «I miei calcoli erano fondati sulla richiesta e sui costi di costruzione di due anni fa.» Ma poi la crisi energetica e la caduta della domanda, insieme con l'inflazione, avevano raddoppiato i costi di costruzione. Duncan aveva risposto modificando il progetto della gigantesca petroliera: aveva ridotto le quattro unità di propulsione a una sola, aveva ridotto del venti per cento le strutture di rinforzo dello scafo, aveva eliminato le complesse misure di sicurezza previste da Nick. Aveva tagliato troppo, e così si era giocato la qualifica A1 dei Lloyd's ossia l'approvazione della venerabile istituzione. Senza la copertura del mercato facente capo ai Lloyd's, aveva dovuto assicurarsi altrove per soddisfare i suoi finanziatori. I premi erano proibitivi. Aveva dovuto impegnare le azioni della Christy Marine, le azioni del lascito. Poi la spirale dei costi di costruzione lo aveva sopraffatto di nuovo. Gli occorreva denaro, altro denaro. Lo aveva preso dove l'aveva trovato, al tasso d'interesse che gli era stato chiesto. E aveva dato in pegno altre azioni della Christy. Ma l'assicurazione si era rivelata insufficiente a coprire l'enorme aumento del costo della superpetroliera. «Quando ci si mette la sfortuna...» Si strinse nelle spalle e continuò. «Ho dovuto impegnare altre azioni. Tutte. É tutto in gioco, Chantelle, ogni pezzo di carta, perfino le azioni che abbiamo ricuperato dal tuo Nicholas. E non basta. Ho dovuto cercar copertura tramite compagnie di paglia, una copertura fasulla. E poi», Duncan sorrise di nuovo, calmo e rilassato, «e poi è successo il disastro, quando la Golden Adventurer ha urtato il ghiaccio e ho dovuto trovare sei milioni di dollari per pagare i diritti di ricupero. É stata l'ultima goccia. Ho messo in gioco tutto quanto. Il lascito, la Christy Marine». «Ti distruggerò», sussurrò lei. «Ti schiaccerò. Lo giuro su Dio.» «Ma non capisci?» Scrollò la testa con rammarico, quasi si trovasse davanti a una bambina un po' ottusa. «Non puoi schiacciarmi senza schiacciare la Christy Marine e te stessa. Ci sei dentro anche tu, Chantelle, molto più di me. I tuoi beni, il tuo denaro, questa casa, lo smeraldo che hai al dito, il futuro del tuo marmocchio sono investiti nella Golden Dawn.» «No.» Chiuse gli occhi. Il suo viso era divenuto esangue. «Purtroppo sì, invece», replicò lui. «Non l'avevo previsto. Miravo a un profitto di duecento milioni di dollari, ma purtroppo siamo rimasti vittime delle circostanze.» Tacquero entrambi. Chantelle si sentiva vacillare, sopraffatta dall'enormità della minaccia. «Se chiami i tuoi cani, i tuoi revisori, avranno parecchio da fare.» Rise di nuovo. «Siamo nella merda fino al collo. E i miei finanziatori tireranno i remi in barca, la Golden Dawn non sarà mai varata. Non è completamente assicurata, te l'ho detto. É tutto appeso a un filo, Chantelle. Se il varo della Golden Dawn viene ritardato di un mese, o anche di una settimana, sarà il disastro totale.» «Sto per vomitare», mormorò Chantelle.
«Rimediamo subito.»
Duncan balzò in piedi e le andò davanti. Le allentò due violenti ceffoni con il palmo e il dorso della mano, sballottandole la testa e imprimendole sulle guance il segno delle dita. Era la prima volta che un uomo la schiaffeggiava, ma lei non ebbe la forza di protestare. Si limitò a fissarlo. «Ricomponiti», le sibilò. Afferratala per le spalle, la scrollò con violenza. «Ascolta. Ti ho prospettato le eventualità peggiori. Adesso ti dirò le migliori. Se stiamo insieme, se non mi metti i bastoni fra le ruote, farò per te il colpo finanziario del secolo. Con un solo viaggio della Golden Dawn saremo a cavallo. Un solo viaggio, poche settimane, e avrò raddoppiato la tua fortuna.» Lei lo fissò, sconvolta e smarrita. «Ho firmato un contratto di noleggio con l'Orient Amex che ci toglierà dai guai con un solo viaggio. Quando la Golden Dawn avrà calato le ancore al largo di Galveston e scaricato le sue cisterne, potrò venderla ad almeno una dozzina di acquirenti.» Indietreggiò, aggiustandosi la giacca. «La gente ricorderà il mio nome. In futuro, quando si parlerà di petroliere, si parlerà di Duncan Alexander.» «Ti odio», disse lei. «Sapessi come ti odio...» «Oh, non ha importanza.» Fece un gesto evasivo. «Quando questa storia sarà finita, potrò permettermi di andarmene e tu potrai permetterti di lasciarmi andare. Non un momento prima.» «Quanto ricaverai, se ogni cosa andrà per il verso giusto?» chiese Chantelle. Si era ripresa. La sua voce non tremava più. «Parecchio. Una somma enorme, ma il mio vero guadagno saranno la fama e il successo. Sarò io a fissare il mio prezzo.» «E finalmente potrai reggere il confronto con Nicholas Berg. É questo il tuo traguardo, vero?» Lo vide accigliarsi e infierì, bramosa di offendere e distruggere. «Ma io e te sappiamo la verità. La Golden Dawn è un'idea di Nicholas. Lui non si sarebbe mai abbassato all'inganno e alla frode.» «Mia cara Chantelle...» «Non sarai mai un uomo come Nicholas.» «Va' all'inferno!» L'ira li sopraffece all'improvviso. Chantelle cominciò a gridare. «Sei un bugiardo e un truffatore. Ti dai un mucchio di arie, ma hai l'animo del rubagalline. Sei meschino e vanitoso.» «Ho sempre battuto Nicholas Berg.» «Storie. Sono io che l'ho battuto per te.» «E io ti ho preso.» «Sì, per un momento», lo schernì lei. «Solo per un momentino, Duncan caro. Ma quando lui mi ha voluta, mi ha ripresa subito.» «Che cosa vuoi dire?» chiese lui. «L'altra notte Nicholas era qui. Mi ha amata in un modo che tu non ti sogni nemmeno. Torno da lui e dirò a tutti perché.» «Puttana.» «É così forte, Duncan. É forte, mentre tu sei un debole.» «E tu sei una gran puttana.» Accennò a girarsi, poi si fermò. «Trovati martedì a St. Nazaire.» Lei capì che era offeso. Finalmente era riuscita a penetrare la sua
corteccia e a toccarlo sul vivo. «Mi ha amata quattro volte in una notte. É stato divino, Duncan. Tu non ci sei mai riuscito.» «Martedì dovrai essere a St. Nazaire per sorridere ai creditori.» «Anche se ti va bene con la Golden Dawn, entro sei mesi Nicholas sarà al tuo posto.» «Ma fino ad allora dovrai obbedirmi.» Duncan cominciò ad allontanarsi, dominandosi a stento. «Sarai tu il perdente, Duncan Alexander», lei gli urlò dietro con la voce stridula di rabbia. «Ci penserò io, te lo giuro.» Lui s'impose di non affrettare il passo e attraversò la terrazza con le spalle erette, inseguito dalle sue contumelie. «Torna nel fango, torna nelle fogne dove ti ho trovato», gridò Chantelle. Duncan salì la scalinata e finalmente si portò fuori tiro. Ora poteva affrettarsi, ma si accorse che gli tremavano le gambe. Respirava con affanno,
aveva le viscere aggrovigliate per l'ira e la gelosia. «Quel bastardo», borbottò. «Quel bastardo di Berg.» ^ «Tom? Tom Parker?» «Sì. Chi parla?» La voce era chiara e forte, benché li separasse l'oceano Atlantico. «Sono Nicholas, Nicholas Berg.» «Come stai, Nick?» tuonò il vocione con genuino piacere. «Sono felice di sentirti. Ho cercato di mettermi in contatto con te. Ho buone notizie. Ottime.» Nick si sentì allargare il cuore. «Samantha?» «No, accidenti», rise Tom. «Il lavoro. Il tuo lavoro. Ieri ne ho parlato al consiglio superiore dell'università. Ho dovuto penare, te l'assicuro, ma alla fine hanno approvato. Sei dei nostri, Nick. Non è formidabile?» «Magnifico, Tom.» «Sei nella facoltà di biologia come aggiunto. É appena l'inizio, Nicholas. Entro la fine dell'anno avrai una cattedra, vedrai.» «Ne sono felice.» «Cristo, non si direbbe», ruggì Tom. «Si può sapere che cos'hai, ragazzo?» «Tom, che cosa diavolo è successo a Samantha?» Percepì il suo cambiamento d'umore. Il silenzio durò un istante di troppo, poi Tom parlò con franchezza. «É partita per un viaggio di studio nelle Keys. Non te l'ha detto?» «Nelle Keys?» Nick alzò la voce, costernato e furibondo. «Ma accidenti, Tom, avrebbe dovuto essere in Francia. Mi ha promesso di venire per il varo della mia nuova nave. É una settimana che cerco di telefonarle.» «É partita domenica», disse Tom. «A che gioco sta giocando?» «Te lo chiederà lei, un momento o l'altro.» «Che cosa vuoi dire, Tom?» «Be', prima di partire è venuta qui e ha fatto un piantarello con Antoinette, mia moglie. Antoinette fa la mamma a tutte le donne in crisi nel
raggio di cento chilometri.» Stavolta fu Nick a restare in silenzio, pervaso da un senso di gelo. «Ma perché?» domandò infine, costernato. «Dio buono, Nick, vuoi che sappia i particolari della sua vita sentimentale?» «Posso parlare con Antoinette?» «Non c'è, è andata a Orlando per un congresso. Tornerà alla fine della settimana.» Cadde di nuovo il silenzio. «Respirare nel microfono ti costerà un patrimonio, Nicholas. Sei tu che paghi la telefonata.» «Cosa le ha preso, a quella ragazza?» Ma lo sapeva benissimo. Il rimorso continuava a tormentarlo. «Ascolta, Nick. Un consiglio da amico. Vieni al più presto. Bisogna che le parli. Sempre che tu voglia, naturalmente.» «Sicuro che voglio», disse Nick. «Ma fra due giorni devo varare un rimorchiatore. Ho i collaudi in mare e una riunione a Londra.» Il tono di Tom era asciutto. «Tutti abbiamo i nostri impegni.» «Tom, verrò appena posso.» «Va bene.» «Se la vedi, diglielo.» «Glielo dirò.» «Grazie, Tom.» «Il rettore vuole conoscerti, Nicholas. Vieni al più presto.» «Promesso.» Nick depose il ricevitore e guardò dalla finestra dell'ufficio. La vista del porto interno era quasi completamente celata dalla mole del rimorchiatore. Si ergeva alto sulle armature, con lo scafo già verniciato di bianco. Sull'ampia
prua era scritto il nome Sea Witch, e più sotto il porto di registrazione: «Bermude». Era bello, stupendo, ma Nick non lo vedeva nemmeno. Aveva un senso di vuoto, la gelida premonizione di un disastro. Solo adesso, di fronte alla prospettiva di perderla, capiva quant'era importante per lui quella deliziosa ragazza bionda, quanta parte aveva nei suoi progetti per il futuro. Samantha non poteva aver saputo di quell'unica notte di debolezza, del tradimento che gli dava ancora fitte di rimorso. Doveva esserci un altro motivo. Serrò il pugno e lo pestò sul davanzale della finestra. Si sbucciò le nocche, ma non sentì dolore: soltanto la rabbia per essere trattenuto a St. Nazaire, inchiodato dagli impegni, mentre avrebbe voluto inseguire la sua felicità. L'altoparlante sopra la sua testa gracidò all'improvviso. «Monsieur Berg. Monsieur Berg è atteso in plancia.» Contento del diversivo, Nick corse fuori al sole di primavera. Vide Jules Levoisin sull'ala della plancia, una figura tondeggiante che si stagliava contro il cielo; sembrava un galletto bellicoso. Stava davanti all'ingegnere elettronico responsabile del sistema di comunicazione del Sea Witch, e i suoi «Sacré bleu», «Merde» e «Imbécile» erano chiaramente udibili nel frastuono del
cantiere. Nick affrettò il passo, vedendo che l'ingegnere cominciava a sbracciarsi mentre le sue grida si univano alle imprecazioni del nuovo comandante del Sea Witch. Era già la terza volta che Jules Levoisin si spazientiva, quel giorno, e non erano ancora le dodici. Man mano che si avvicinava l'ora del varo, il piccolo francese diventava più nervoso: sembrava una prima ballerina che attenda l'alzarsi del sipario. Se Nick non fosse arrivato in plancia al più presto, avrebbe avuto bisogno di un nuovo comandante o di un nuovo ingegnere elettronico. Dieci minuti dopo, Nick aveva ficcato un sigaro in bocca a entrambi. L'atmosfera era ancora tesa ma non più esplosiva. Nick prese l'ingegnere a braccetto, cinse le spalle di Jules Levoisin e li condusse nell'ala coperta della plancia. Le installazioni erano complete, e Jules Levoisin doveva approvare l'attrezzatura speciale. Era un negoziato laborioso come il trattato di Versailles. «Ho autorizzato io stesso la modifica del trasformatore MK IV», spiegò pazientemente Nick. «Sul Warlock abbiamo avuto dei problemi con questa unità. Avrei dovuto dirtelo, Jules.» «Già», convenne stizzosamente il piccolo comandante. «Ma sei stato abile a scoprire il cambiamento», lo blandì Nick. Jules gonfiò il petto e rigirò il sigaro fra le labbra. «Sarò vecchio, ma conosco tutte le diavolerie moderne.» Si tolse il sigaro di bocca e soffiò un perfetto anello di fumo. Come Dio volle, Nick li lasciò a conversare amabilmente presso la schiera di sofisticati apparecchi in fondo alla plancia. Proprio allora l'altoparlante lo chiamò in ufficio. «Che cosa c'è?» chiese entrando. «É una donna», rispose il caposquadra, indicando il telefono sulla scrivania sotto la finestra. «Samantha», pensò Nick, e alzò il ricevitore. «Nicky.» Come udì la voce, fu assalito da un senso di colpa. «Dove sei, Chantelle?» «A La Baule.» La graziosa cittadina sulla costa atlantica era per Chantelle Alexander una cornice migliore del porto squallido e rumoroso. «Ho preso alloggio al Castille. Avevo dimenticato che è un albergo terribile.» Vi avevano soggiornato molto tempo prima, in un'altra vita. «Ma la cucina è ancora buona, Nicholas. Vieni a far colazione con me. Devo parlarti.» «Non posso muovermi.» Non voleva cadere di nuovo nel trabocchetto. «É importante. Devo vederti.» Nick udì la sua voce velata, immaginò il battito sensuale delle sue ciglia. «Per un'ora, un'ora soltanto. Non dirmi che
non puoi liberarti per un'ora.» Nick senti la tentazione, il rimescolio alla base del ventre. La odiò per il potere che riusciva ancora a esercitare su di lui. «Vieni qui, se è importante», disse bruscamente. Lei sospirò.
«D'accordo, Nicholas. Dove ci vediamo?» ^ La Rolls era parcheggiata davanti al cancello del porto. Nick attraversò la strada e vi salì, mentre l'autista teneva spalancata la portiera. Chantelle alzò il viso. I suoi capelli erano neri e lucenti come una massa di seta, le labbra rosse, umide e socchiuse. Nick ignorò l'invito e la baciò leggermente sulla guancia, poi si sedette nell'angolo opposto. Lei fece una smorfietta e lo guardò con aria divertita. «Come siamo casti, Nick.» Nick premette un bottone e il vetro divisorio salì silenziosamente fra loro e l'autista. «Hai mandato i revisori?» le chiese. «Mi sembri stanco, caro. Stanco e nervoso.» «L'hai data vinta a Duncan?» insisté lui. «I lavori sulla Golden Dawn continuano. I riflettori la illuminano tutta la notte e nel cantiere si dice che sarà varata domani a mezzogiorno, con quasi un mese di anticipo. Che cos'è successo, Chantelle?» «A Mindin c'è un piccolo bistrot, subito dopo il ponte...» «Insomma, Chantelle, non ho tempo di andare a spasso.» Ma la Rolls stava già scivolando per le viuzze del porto, fra gli alti edifici dei magazzini. «Solo cinque minuti. La specialità locale è l'aragosta armoricaine, da non confondersi con l'aragosta américaine. La preparano con salsa alla panna, è superba», cicalò lei gaiamente. La Rolls emerse sul lungomare. Nel piccolo specchio d'acqua del porto spuntavano le gobbe sgraziate delle rimesse per i sottomarini nazisti. Le loro armature di cemento erano così spesse che avevano resistito alle bombe della RAF e agli sforzi dei demolitori nel corso degli anni. «Peter mi ha pregato di salutarti. É entrato nella squadra junior di rubgy. Sono così orgogliosa.» Rassegnato, Nick ficcò le mani in tasca e si appoggiò al soffice schienale di cuoio. «Ne sono felice», disse. Rimasero in silenzio, mentre l'autista fermava la Rolls alla barriera, pagava il pedaggio e poi accelerava sulla rampa del ponte di St. Nazaire. La grande campata del ponte si inarcava maestosamente, cento metri sopra la Loira. In quel tratto, il fiume era largo quasi cinque chilometri, e dal punto più alto del ponte lo sguardo spaziava sui moli e sui magazzini del porto. Lungo la sponda del gran fiume limaccioso era in costruzione una mezza dozzina di navi, una foresta di impalcature d'acciaio, di gru e di scafi incompleti, ma tutti scomparivano di fronte alla mole della Golden Dawn. Senza le sue cisterne, sembrava sventrata. Pareva impossibile che una struttura del genere potesse galleggiare. Dio, se era brutta, pensò Nick. «Stanno ancora lavorando, là», disse. Una gru si muoveva lungo la nave. In una cinquantina di punti brillavano le vivide fiamme azzurre delle saldatrici autogene, mentre sullo scafo strisciavano minuscole figure umane. Sulla colossale nave sembravano formiche. «Stanno ancora lavorando», ripeté come un'accusa. «La vita è difficile, Nicholas...» «Hai parlato a Duncan?» «... tranne che per gli uomini come te.»
«Non gli hai parlato, allora?» chiese con ira. «Per te è facile essere forte. Per questo mi hai affascinata.» Per poco Nick non scoppiò a ridere. Come poteva parlare di forza, dopo tutte le prove di debolezza che le aveva dato? «Hai detto a Duncan di mostrare le sue carte?» insisté. Lei sorrise.
«Aspettiamo di avere il nostro vinello.» «Adesso», ribatté lui. «Dimmelo adesso, Chantelle. Non ho tempo per i tuoi giochetti.» «Sì, gli ho parlato», disse lei. «L'ho fatto venire a Cap Ferrat e l'ho accusato... di quello che tu sospetti.» «Ha negato? Se ha negato, ho delle altre prove.» «No, Nicholas. Non ha negato niente. Mi ha detto che conosco soltanto una parte dei fatti.» D'improvviso alzò la voce e proruppe in un torrente di parole indignate. La sua calma si era dissolta al ricordo. «Ha giocato con la mia fortuna, Nicholas. Ha rischiato la mia quota della Christy Marine, la quota del lascito. Mi ha riso in faccia, quando me l'ha detto. Si è vantato del suo tradimento.» «Lo teniamo in pugno, ormai.» Nick si era raddrizzato sul sedile. La sua voce era cupamente soddisfatta. «Fermeremo la Golden Dawn così.» Pestò il pugno nel palmo dell'altra mano. «Lo trascineremo in tribunale.» All'improvviso tacque e la guardò. Chantelle scuoteva lentamente la testa. I suoi occhi s'inumidirono, divennero più grandi e lucenti. Una lacrima brillò sulle folte ciglia nere come una goccia di rugiada. La Rolls si era fermata davanti al piccolo bistrot. Si trovava sul lungofiume, dirimpetto ai cantieri navali sull'altra sponda. A ovest il fiume sfociava nel mare, e a est l'elegante arco del ponte si profilava nel cielo azzurro di primavera. L'autista aprì la portiera e Chantelle scese con grazia. A Nick non restò che seguirla. L'oste venne dalla cucina e si dedicò subito a Chantelle. La fece accomodare vicino alla finestra e discusse con lei la lista delle vivande. «Muscadet, Nicholas?» Era sempre stata straordinariamente lesta a riprendersi. I suoi occhi erano asciutti, adesso. Gli sorrideva sopra l'orlo del bicchiere, bella, gaia, brillante. Il sole che filtrava dalla finestra danzava sul vino biondo e sui suoi capelli neri. «A noi, Nicholas caro. Siamo gli ultimi dei grandi.» Era un brindisi dei vecchi tempi, dell'altra vita, e Nick ne fu irritato. Ma bevve in silenzio, quindi depose il bicchiere. «Chantelle, quando e come intendi fermare Duncan?» «Non rovinare la nostra colazione, caro.» «Fra trenta secondi mi arrabbio.» Lei lo studiò un momento e capì che era vero. «E va bene», acconsentì con riluttanza. «Quando lo fermerai?» «Non lo fermerò.» Lui la fissò incredulo.
«Che cos'hai detto?» chiese con calma. «Farò tutto quello che posso per aiutarlo a varare e a gestire la Golden Dawn.» «Ma non capisci, Chantelle. Vuoi rischiare che un milione di tonnellate di veleno...» «Non essere ingenuo, Nick. Conserva i discorsi eroici per i giornali. Per quanto mi riguarda, Duncan può anche versare un milione di tonnellate di cadmio nella riserva d'acqua di Londra. Basta che tolga dai guai me e il lascito.» «C'è ancora tempo per modificare la Golden Dawn.» «No, non c'è. Cerca di capire, tesoro. Duncan ci ha sbilanciati troppo. Basterebbero pochi giorni di ritardo per farci affondare. Ha prosciugato le casse, Nicky. Non c'è denaro per le modifiche, non c'è tempo per niente, tranne che per varare la Golden Dawn.» «Una soluzione si può sempre trovare.» «Sì. E l'unica soluzione è riempire le cisterne della Golden Dawn di greggio.» «Ti ha spaventata con...» «Sicuro», convenne lei. «Ho paura. Non ho mai avuto tanta paura, Nicky. Sto rischiando di perdere tutto, sono terrorizzata.» Rabbrividì. «Se succedesse,
mi ucciderei.» «Cercherò ugualmente di fermare Duncan.» «No, Nicky, lascia perdere. Te lo chiedo per amor mio, per amore di Peter. Stiamo parlando della sua eredità. Lascia che la Golden Dawn faccia un viaggio, un solo viaggio e sarò salva.» «A costo di mettere in pericolo un oceano e Dio sa quante vite umane?» «Non urlare, Nicky, la gente ci guarda.» «Che guardi pure. Voglio fermare quel mostro.» «No, Nicholas. Senza di me hai le mani legate.» «Lo dici tu.» «Caro, ti prometto che venderemo la Golden Dawn dopo il primo viaggio. Allora saremo salvi e potrò liberarmi di Duncan. Torneremo insieme, Nicky, io e te. É questione di settimane.» Nick stentò a dominare la collera. Strinse i pugni sulla tovaglia e parlò con voce gelida. «Un'ultima domanda, Chantelle. Quando hai telefonato a Samantha Silver?» Lei parve perplessa per un momento, come se cercasse di dare un volto al nome. «Ah, sì, Samantha, la tua amichetta. Perché avrei dovuto telefonarle?» A un tratto cambiò espressione. «Oh, Nicky, non crederai che abbia fatto una cosa simile? Non crederai che abbia parlato in giro di quella meravigliosa...» I suoi occhi luccicarono di nuovo. Gli carezzò il dorso della mano. «Non giudicarmi male. Non sono così meschina. Non ho bisogno di ricorrere a mezzucci del genere, per ottenere quello che voglio. Non ho bisogno di far soffrire inutilmente il prossimo.» «Già», convenne pacatamente Nick. «Al massimo ammazzi un milione di persone e avveleni un mare.» Respinse la sedia. «Siediti, Nicky. Mangia la tua aragosta.»
«Mi è passata la fame.» Tolse due banconote da cento franchi dal portafoglio e le depose accanto al piatto. «Ti proibisco di andartene», sibilò lei con ira. «Mi stai umiliando, Nicholas.» «Ti rimanderò la macchina», disse Nick, e uscì alla luce del sole. Si accorse di tremare, di avere le mascelle serrate con tale forza che gli dolevano i denti. ^ Durante la notte, il vento aveva cambiato direzione. La mattina era freddo, e nel cielo s'inseguivano bassi nuvoloni grigi forieri di pioggia. Nick alzò il bavero per proteggersi dal vento, mentre le falde del cappotto gli svolazzavano intorno alle gambe. Si trovava nel punto più alto del ponte di St. Nazaire. Altre migliaia di persone sfidavano il vento, schierate in due o tre file lungo la campata settentrionale. Il traffico si era arrestato e sei o sette gendarmi cercavano di riavviarlo a suon di fischietto. Si udiva la musica di una banda, più o meno forte secondo i capricci del vento, e Nick vedeva anche a occhio nudo i festoni di bandierine colorate che sventolavano sull'alta poppa della Golden Dawn. Guardò l'orologio: mancavano pochi minuti a mezzogiorno. Un elicottero strepitava sotto la pancia grigia delle nubi, librandosi sui cantieri della Construction Navale Atlantique. Nick alzò il binocolo e sentì il freddo degli oculari contro la pelle. Attraverso le lenti, riuscì quasi a distinguere le singole figure nel gruppo sulla piccola tribuna sotto la poppa della petroliera. La piattaforma era decorata con il tricolore francese e con la bandiera inglese. A un tratto la banda tacque e i suonatori deposero gli strumenti. «É il momento del discorso», mormorò Nick. Vide Duncan Alexander. Un fugace raggio di sole gli accese la testa biondorossa, mentre alzava lo sguardo sulla poppa torreggiante della Golden Dawn. La sagoma di Duncan quasi celava la figuretta femminile al suo fianco. Chantelle indossava un vestito verde malachite, il suo colore preferito. Intorno a lei fremeva un'attività confusa: sei o sette signori l'assistevano nella cerimonia cui aveva partecipato così spesso. Chantelle aveva tenuto a
battesimo quasi tutte le navi della Christy Marine, la prima volta a quattordici anni, accanto a suo padre Arthur Christy. Era una tradizione della compagnia. Nick strizzò le palpebre, credendo per un attimo che la vista lo ingannasse. Sembrava che la terra avesse cambiato forma e si stesse muovendo. Poi vide che l'immenso scafo della Golden Dawn aveva cominciato a scivolare. La banda attaccò la Marsigliese. Le note marziali giunsero attutite dal vento e dalla distanza, mentre la Golden Dawn acquistava velocità. Era uno spettacolo straordinario e commovente. Suo malgrado, Nick si sentì accapponare la pelle e rizzare i capelli sulla nuca. Era un marinaio, e assisteva al battesimo della più grande nave mai costruita. Benché grottesca e mostruosa, era una parte di lui. Non importava che gli altri avessero alterato il grandioso progetto; il disegno originale era suo, e si scoprì a reggere il binocolo con le mani tremanti.
Guardò gli enormi puntelli staccarsi dalla massa scivolante, controllandone la discesa. I cavi d'acciaio saltavano e guizzavano tutt'intorno, e finalmente la poppa della Golden Dawn entrò in mare. L'acqua limacciosa dell'estuario le si spalancò davanti, squarciata dall'immane peso e dalla velocità irresistibile. Lo scafo s'immerse, suscitando cavalloni crestati di bianco che si allargarono nel canale per infrangersi sulle sponde con un ruggito cupo che giunse fino a Nick. La folla schierata sul ponte esplose in un'ovazione. Accanto a lui, una madre alzò il suo bambino a guardare. Entrambi gridavano di gioia. Mentre la prua della Golden Dawn era ancora sullo scivolo del cantiere, la poppa si era già addentrata nel fiume per quasi un miglio. Costretta verso il basso dalla prua sollevata, doveva ormai sfiorare la fanghiglia del fondo, poiché l'onda si rompeva all'altezza dei giardinetti. Dio, se era grande! Nick scrollò la testa con meraviglia. Che nave sarebbe stata, se avesse potuto costruirla come voleva. Che magnifica ispirazione! Ora la prua lasciò gli scivoli e l'acqua le esplose intorno, lambendola in vortici spumeggianti. La poppa cominciò a sollevarsi, guadagnando velocità in seguito alla sua stessa spinta di galleggiamento, e balzò su come una balena che affiori per sfiatare. L'acqua si riversò dalle fiancate, scrosciando fra le strutture d'acciaio dei ponti, ribollendo nelle aperture cavernose che avrebbero alloggiato le cisterne. Si fermò di colpo, trattenuta dalle centinaia di cavi che le impedivano di abbrivare nel fiume. Lottò contro le pastoie come se, avendo sentito l'acqua, fosse impaziente di correre. Rollò e beccheggiò maestosamente, mentre la folla sul ponte continuava ad acclamarla. Poi, lentamente, si stabilizzò e galleggiò tranquilla. Sembrava colmare la Loira da una sponda all'altra ed ergersi alta come le campate del ponte. I quattro rimorchiatori del porto accorsero per aiutarla a girare la sua formidabile mole e a puntare la prora verso il mare aperto. Avanzarono e indietreggiarono, lavorando in perfetta sincronia, e poco per volta fecero girare la Golden Dawn. Il suo moto laterale creò un'immensa distesa di acque agitate nell'estuario. Poi, a un tratto, vi fu un ribollire sotto la poppa e Nick vide il lampo bronzeo dell'unica elica che girava lentamente sott'acqua. Girò sempre più in fretta, e Nick fremette di commozione vedendo la nave sbocciare alla vita. L'acqua s'increspò intorno alla prua e la petroliera cominciò impercettibilmente a muoversi, trascinando il suo peso immane mentre rispondeva al timone, finalmente sotto governo. I rimorchiatori si ritrassero rispettosamente. Quando ebbe puntato la prua verso il mare aperto, la nave procedette con più determinazione. Sbuffi di vapore sprizzarono alti dalle sirene dei rimorchiatori, e poco dopo il muggito rimbombante del loro saluto fece rintronare il cielo. La folla si era dispersa e Nick rimase solo al vento che soffiava sul ponte. Guardò le torrette d'acciaio della Golden Dawn confondersi con la caligine grigia dell'orizzonte. La vide virare, immettersi sulla lunga rotta che l'avrebbe portata seimila miglia a sud, fino al capo di Buona Speranza. Quando tornò al Sea Witch, erano le sei passate e l'ufficio del cantiere era
deserto. Si lasciò andare su una sedia e accese un sigaro, mentre sfogliava rapidamente la sua agenda. Trovato quel che cercava, compose il prefisso telefonico di Londra e quindi il numero. «Sunday Times, buona sera. Desidera?» «C'è il signor Herbstein?» chiese Nick. «Attenda, prego.» Mentre aspettava, Nick diede un'occhiata all'agenda cercando un altro possibile interlocutore, nel caso assai probabile che il giornalista stesse scalando l'Himalaya o visitando un campo di addestramento per guerriglieri nell'Africa centrale. Ma pochi secondi dopo udì la sua voce. «Denis», disse, «sono Nicholas Berg, come stai? Ho una storia sensazionale per te». ^ Nick cercava di sopportare stoicamente l'oltraggio, ma lo spesso strato di cerone gli ostruiva i pori. Si agitò nella poltrona con impazienza. «Stia fermo, signore», disse stizzosamente la truccatrice. Sulla panca in fondo allo stanzino c'era una fila di malcapitati in attesa della sua opera. Uno di loro era Duncan Alexander. Colse lo sguardo di Nick nello specchio e inarcò un sopracciglio in un saluto ironico. Nella poltrona accanto sedeva il presentatore del programma televisivo «Oggi e domani», alto e azzimato, con capelli ondulati, un garofano all'occhiello, modi camerateschi e un'aria ostentatamente imparziale. «Le ho assegnato il primo intervento. Se sarà interessante, le darò quattro minuti e quaranta secondi, altrimenti la interromperò dopo due.» Denis Herbstein aveva scritto un articolo molto professionale, nonostante il poco tempo a disposizione. Vi aveva inserito interviste con i rappresentanti dei Lloyd's di Londra, delle compagnie petrolifere, dei gruppi ecologici in Inghilterra e in America, e perfino con la guardia costiera degli Stati Uniti. «Cerchi di essere sintetico e incisivo», consigliò il presentatore. «Non divaghi.» Voleva la sensazione, rivelazioni raccapriccianti o straordinarie, non cifre e particolari. L'articolo del Sunday Times aveva messo in agitazione tanto l'Orient Amex che la Christy Marine. Non avevano potuto ignorare la sfida, perché un deputato laburista ai Comuni aveva presentato un'interrogazione, e un minaccioso malumore serpeggiava nei quadri della guardia costiera americana. Il caso aveva suscitato tanto scalpore da destare l'interesse di «Oggi e domani». I responsabili del programma avevano invitato le parti, e sia la Christy Marine che l'Orient Amex avevano mandato in campo i loro uomini migliori. Duncan Alexander, con tutto il suo carisma, avrebbe parlato per la Christy Marine, mentre l'Orient Amex aveva scelto un suo dirigente che assomigliava a Gary Cooper. Con la faccia onesta e angolosa e le tempie spruzzate d'argento, era il tipo che chiunque avrebbe voluto come pilota del suo aereo o custode dei suoi risparmi. La truccatrice spolverò di cipria il viso di Nick. «La inviterò a parlare per primo. Parli di quella roba... come si chiama, cadmio?» Il presentatore controllò il testo. Nick annuì. Non poteva rispondere, perché stava subendo l'estremo oltraggio. La ragazza gli dipingeva le labbra. Lo studio televisivo era vasto come un hangar, con il pavimento percorso da
un intrico di cavi neri e il soffitto perduto nel buio; ma nel piccolo guscio del palcoscenico era stata creata un'illusione d'intimità, sotto gli obiettivi delle grosse telecamere mobili. Nelle poltroncine a forma di guscio d'uovo era impossibile stendersi o sedere diritti, e l'implacabile bagliore bianco dei riflettori faceva friggere lo spesso strato di cerone sulla pelle di Nick. Duncan, seduto di fronte a lui, sembrava un danzatore giapponese, con la faccia troppo bianca per la sua chioma color rame; ma era una magra consolazione. Un aiutoregista in jeans e camiciotto agganciò il piccolo microfono al risvolto della giacca di Nick, sussurrandogli: «Fagliela veder brutta, amico».
Qualcun altro, nell'oscurità dietro i riflettori, proclamò solennemente: «Quattro, tre, due, uno... siete in onda!» Sulla telecamera al centro si accese la spia rossa. «Benvenuti a 'Oggi e domani'.» La voce del presentatore divenne improvvisamente melliflua e confidenziale. «La settimana scorsa, nel cantiere navale francese di St. Nazaire, è stata varata la più grande nave del mondo...» Riassunse i fatti in una dozzina di frasi. Sui monitor dietro le telecamere, Nick vide comparire una ripresa del varo della Golden Dawn. Ricordò l'elicottero che si librava sul cantiere, e rimase così affascinato dalla vista aerea dell'enorme nave, che fu colto di sorpresa quando le telecamere lo inquadrarono. Si vide sussultare sul monitor, mentre il presentatore tracciava brevemente il suo curriculum e poi concludeva: «Il signor Berg ha qualcosa da dire sulla nave». «Nella sua versione attuale, non può trasportare in condizioni di sicurezza nemmeno il normale petrolio greggio», disse Nick. «E invece trasporterà del greggio contaminato da solfuro di cadmio, una delle sostanze più tossiche della natura.» «Qualcuno condivide i suoi dubbi riguardo alla sicurezza della petroliera, signor Berg?» «Non ha la qualifica A1 degli ispettori dei Lloyd's di Londra», rispose Nick. «Ora ci parli del carico che porterà, il cosiddetto greggio al cadmio.» Nick sapeva di avere appena quindici secondi per dare un quadro dell'oceano Atlantico ridotto a un deserto sterile e contaminato. Il tempo era troppo breve, e Duncan intervenne due volte, spezzando abilmente il filo della logica di Nick. Prima che avesse finito, il presentatore guardò l'orologio e lo interruppe. «Grazie, signor Berg. Il signor Kemp è un condirettore della compagnia petrolifera.» «La mia compagnia, l'Orient Amex, ha stanziato l'anno scorso due milioni di dollari per lo studio scientifico dei problemi ecologici mondiali. Posso dirvi, amici, che noi dell'Orient Amex siamo perfettamente consapevoli dei problemi della tecnologia moderna...» A sentir lui, sembrava che la compagnia petrolifera fosse una benefattrice dell'umanità. «Il profitto netto della sua compagnia, l'anno scorso, è stato di
quattrocentoventicinque milioni di dollari», lo interruppe Nick. «Significa che ha stanziato lo zero virgola quarantasette per cento per la ricerca ecologica, il tutto detraibile dalle tasse. Congratulazioni, signor Kemp.» L'uomo assunse un'espressione addolorata e continuò: «Noi dell'Orient Amex», calcò sul nome della compagnia, «lavoriamo per migliorare la vita di tutti i popoli. Ma ci rendiamo conto che è impossibile spostare indietro l'orologio di un secolo. Non possiamo lasciarci accecare dai sogni romantici degli ecologisti dilettanti, dagli scienziati della domenica e dalle Cassandre che...» «Che hanno previsto il disastro della Torrey Canyon», suggerì ironicamente Nick. L'uomo della compagnia represse un brivido e proseguì la sua tirata «... che vorrebbero farci abbandonare le ricerche sul rivoluzionario procedimento di piroscissione del cadmio, che potrebbe aumentare di oltre il quaranta per cento la resa dei carburanti fossili e prolungare di oltre vent'anni la durata delle riserve petrolifere mondiali.» Il presentatore guardò nuovamente l'orologio, interruppe il dirigente a metà di una frase e centrò la sua attenzione su Duncan Alexander. «Signor Alexander, la sua superpetroliera trasporterà il petrolio al cadmio. Che cosa risponde al signor Berg?» Duncan fece un sorrisetto furbesco. «Quando il signor Berg era al mio posto, a capo della Christy Marine, la Golden Dawn era l'idea migliore del mondo. Da quando è stato licenziato, è diventata improvvisamente la peggiore.» Tutti risero, perfino un cameraman dietro i riflettori. Nick avvampò di
collera. «La Golden Dawn ha la qualifica A1 dei Lloyd's?» chiese il presentatore. «La Christy Marine non ha richiesto la qualifica dei Lloyd's. Ci siamo assicurati presso altri mercati.» Nonostante la sua ira, Nick dovette ammettere che Duncan ci sapeva fare. La sua mente sembrava argento vivo. «La sua nave è sicura, signor Alexander?» Duncan girò la testa e guardò Nick, seduto di fronte a lui. «Ha tutta la sicurezza che i migliori architetti e ingegneri navali del mondo hanno potuto darle.» Tacque un momento. Ora nei suoi occhi brillava una luce malevola. «É così sicura che ho deciso di mettere fine a questa assurda polemica mostrando la mia fiducia personale.» «E come avverrà la sua dimostrazione di fiducia, signor Alexander?» chiese il presentatore. Aveva fiutato il sensazionale, e si sporse avanti con interesse. «Nel viaggio inaugurale della Golden Dawn, quando la nave tornerà dal Golfo Persico caricata del greggio di El Barras, io e la mia famiglia, mia moglie e il mio figliastro, saremo a bordo per le ultime seimila miglia: da Città del Capo, sul capo di Buona Speranza, a Galveston nel Golfo del Messico.» Mentre Nick lo guardava a bocca aperta, aggiunse: «Sono convinto che la Golden Dawn possa navigare in perfetta sicurezza». «Grazie.» Il presentatore sapeva riconoscere una buona chiusura. «Grazie, signor Alexander. Mi ha convinto, e ha certamente convinto anche gran parte
del pubblico. Ora ci colleghiamo via satellite con Washington, dove...» Come la spia rossa si spense sulla telecamera, Nick balzò in piedi e affrontò Duncan Alexander. Era furibondo per essersi lasciato surclassare dalla sua abilità istrionica e ansioso per il rischio che avrebbe corso Peter sulla Golden Dawn. «Ti proibisco di portare Peter su quella trappola mortale», disse seccamente. «É una decisione di sua madre», ribatté Duncan. «Come figlia di Arthur Christy, ha deciso di dare alla compagnia tutto il suo appoggio.» Calcò sulla parola «tutto». «Non vi permetterò di mettere in pericolo la vita di mio figlio per una bravata pubblicitaria». «Oh, cercherai d'impedirlo, non ne dubito.» Duncan annuì e sorrise. «Ma farai un buco nell'acqua, come quando hai cercato di fermare la Golden Dawn». Girò le spalle a Nick e parlò al dirigente dell'Orient Amex «Abbiamo fatto faville», disse. «Non le pare?» ^ James Teacher diede una dimostrazione pratica di come poteva esigere le parcelle più alte di Londra e avere ugualmente una quantità di clienti. In meno di settantadue ore fece pervenire al magistrato competente l'istanza di Nick, dove si diffidava Chantelle Alexander, a portare il figlio nato dal loro precedente matrimonio, Peter Nicholas Berg, dell'età di dodici anni, nel viaggio da Città del Capo, Unione Sudafricana, a Galveston, Texas, a bordo della petroliera Golden Dawn e a permettere al ragazzo d'intraprendere altri viaggi a bordo di detta nave. Il giudice ascoltò l'istanza durante una sospensione del processo a un giovane impiegato postale accusato di violenza carnale plurima. Ancora in toga e parrucca, appena reduce dall'udienza pubblica, il magistrato lesse rapidamente le dichiarazioni scritte delle due parti, ascoltò la breve allocuzione di James Teacher e la confutazione del suo avversario, quindi si rivolse a Chantelle. «Signora Alexander.» Il suo cipiglio si attenuò un poco, quando vide la leggiadra creatura contegnosamente seduta davanti alla scrivania. «Lei ama suo figlio?» «Lo amo più di me stessa.» Chantelle lo guardò fermamente con i grandi occhi neri. «É contenta di condurlo con sé in questo viaggio?» «Sono figlia di un marinaio. Se ci fosse pericolo, lo capirei subito. Sono felice di andare e di portare mio figlio.»
Il giudice annuì e guardò per un momento le carte sulla scrivania. «Se non erro, signor Teacher, la custodia del ragazzo è stata affidata alla madre.» «Sì, signor giudice. Ma il padre è il tutore.» «Lo so, grazie», replicò il giudice acidamente. Tacque di nuovo, poi continuò in tono pacato: «Qui ci stiamo occupando esclusivamente del benessere e della sicurezza del ragazzo. Il viaggio dovrebbe aver luogo durante le vacanze estive, e quindi la frequenza scolastica non sarà compromessa. D'altra parte non mi sembra che l'istante abbia giustificato i suoi dubbi riguardo
alla sicurezza della nave su cui avverrà il viaggio. Pare che sia una nave moderna e sofisticata. Accogliere l'istanza significherebbe, secondo me, porre un'irragionevole limitazione alla madre del ragazzo.» Si girò sulla poltroncina per fronteggiare Nick e James Teacher. «Mi rincresce, ma non ho sufficienti motivi per accogliere la vostra istanza.» Sul sedile posteriore della Bentley di James Teacher, il piccolo avvocato mormorò in tono di scusa: «Il giudice aveva ragione, signor Berg. Al suo posto avrei fatto lo stesso. Queste dispute domestiche sono sempre...» Nick non gli diede retta. «Che cosa succederebbe se prendessi Peter e lo portassi alle Bermude o negli Stati Uniti?» «Rapimento!» La voce di James Teacher salì di un'ottava. Prese Nick per un braccio, palesemente allarmato. «Non ci pensi nemmeno, la prego. Al suo ritorno, troverebbe la polizia ad aspettarla. Dio mio!» Si agitò sul sedile. «Non voglio pensare alle conseguenze. A parte il fatto che lei finirebbe diritto in galera, la sua ex moglie potrebbe proibirle di rivedere il ragazzo, potrebbe toglierle la tutela. Se lo facesse, signor Berg, perderebbe il ragazzo. Se ne guardi bene!» Gli diede un colpetto sul braccio. «Si metterebbe nelle loro mani.» Poi, con sollievo, dedicò la sua attenzione alla valigetta che teneva sulle ginocchia. «Vogliamo rileggere l'ultima bozza del contratto di vendita?» chiese. «Il tempo stringe.» Senza aspettare la risposta, cominciò a leggere il preambolo del contratto che avrebbe trasferito attivi e passivi della Ocean Salvage and Towage ai direttori della Bank of the East, quali delegati per parti anonime. Nick si rannicchiò nell'angolo opposto del sedile e guardò meditabondo dal finestrino, mentre la Bentley lasciava lo Strand, girava intorno a Trafalgar Square con i suoi voli di piccioni e gruppi di turisti, quindi svoltava in Pall Mall e accelerava lungo il viale che conduceva a Buckingham Palace. «Guadagni tempo», disse a un tratto Nick. Teacher s'interruppe a metà di una frase e lo guardò incredulo. «Come ha detto?» «Cerchi di temporeggiare con gli sceicchi.» «Santo cielo.» James Teacher era scandalizzato. «Ho impiegato quasi un mese, quattro settimane di fatica per portarli alla firma.» Gli tremò la voce al ricordo dei negoziati estenuanti. «Ho scritto ogni riga del contratto col mio sangue.» «Voglio il controllo dei miei rimorchiatori. Voglio essere libero di agire.» «Signor Berg, sono in ballo sette milioni di dollari.» «É in ballo mio figlio», replicò Nick con calma. «Può prendere tempo, allora?» «Sì, posso, se proprio ci tiene.» James Teacher chiuse stancamente la valigetta. «Quanto?» «Un mese e mezzo. Abbastanza perché la Golden Dawn finisca il suo viaggio inaugurale, in un modo o nell'altro.» «Si rende conto che l'affare potrebbe andare a monte, vero?» «sì.» «Si rende conto che non ci sono altri acquirenti?» «sì.»
Rimasero in silenzio finché non scesero davanti alla banca in Curzon Street. «Ha proprio deciso?» chiese Teacher sottovoce.
«Faccia come le dico», rispose Nick. Il portiere spalancò la porta per farli entrare. ^ Come Nick uscì dall'aereo al sole radioso, sentì subito l'influenza rilassante delle Bermude. Ad accoglierlo c'era la formosa segretaria di Bernard Wackie, con un leggero vestitino di cotone e il suo sorriso smagliante. «Il signor Wackie l'aspetta in ufficio, signor Berg.» «Sei impazzito, Nicholas?» lo investì Bernard. «Jimmy Teacher mi ha detto che hai dato una pedata nel sedere agli arabi. Dimmi che non è vero, ti prego.» «Oh, andiamo, Bernard.» Nick scrollò la testa e gli batté sulla spalla. «La tua commissione sarebbe stata un miserabile zero milioni virgola sette, comunque.» «Allora, l'hai fatto!» gemette Bernard, cercando di liberare la mano dalla stretta di Nick. «Hai buttato tutto all'aria.» «Gli sceicchi ci hanno fatto dannare per più di un mese, Bernie caro. Adesso li ripago della stessa moneta, e vuoi saperlo? Ne saranno contenti. Finalmente il principe si dimostrerà interessato. Finalmente parleremo la stessa lingua. Fra un mese e mezzo li avremo ancora fra i piedi, non preoccuparti.» «Ma perché? Non capisco. Spiegami perché lo hai fatto.» «Andiamo nella sala nautica e ti spiegherò tutto.» Nella sala nautica, Nick studiò la mappa degli oceani per cinque minuti senza parlare. «Qual è l'ultima posizione del Sea Witch? La traversata procede bene?» Il disco verde di plastica con il numero del rimorchiatore era situato in mezzo all'Atlantico. «Ha comunicato due ore fa», annuì Bernie. Poi chiese con interesse professionale: «Come sono andati i collaudi in mare?» «C'erano le solite magagne, ecco perché sono rimasto tanto tempo a St. Nazaire. Ma l'abbiamo messo a posto e Jules se n'è innamorato.» «É un ottimo comandante.» Ma Nick aveva già spostato altrove la sua attenzione. «Il Warlock è ancora a Mauritius», osservò seccamente. «Ho dovuto spedire una nuova armatura per il generatore principale. Proprio in capo al mondo, doveva guastarsi.» «Quando sarà pronto?» «Domani a mezzogiorno, Allen l'ha promesso. Vuoi chiedergli la conferma per telex?» «Più tardi.» Nick inumidì la punta del sigaro, senza distogliere gli occhi dalla mappa. Calcolò le distanze, le correnti e le velocità. «La Golden Dawn?» chiese, e accese il sigaro mentre aspettava la risposta di Bernard. «Venti giorni fa le sue cisterne sono arrivate al nuovo deposito della Orient Amex a El Barras.» Bernie prese la bacchetta e indicò l'ansa superiore del Golfo Persico. «Hanno caricato il greggio e aspettano l'arrivo della Golden Dawn.»
Per un momento Nick pensò alla difficoltà di rimorchiare le quattro gigantesche cisterne dal Giappone al Golfo Persico. Poi ascoltò Bernard. «La Golden Dawn è arrivata giovedì scorso Secondo il mio agente a El Barras, si è accoppiata con le cisterne e ha invertito la rotta in meno di tre ore.» Bernie fece scivolare la punta della bacchetta verso sud, lungo la costa del continente africano. «Da allora non ho più ricevuto rapporti, ma dato che sviluppa ventidue nodi, dovrebbe trovarsi al largo del Mozambico. Fra pochi giorni dovrebbe doppiare il capo di Buona Speranza. Allora riceverà un rapporto. Imbarcherà della posta, quando passerà davanti a Città del Capo.» «E anche dei passeggeri», disse cupamente Nick. Sapeva che Peter e Chantelle erano già a Città del Capo. Aveva telefonato a Peter la sera prima. Il ragazzo non stava più nella pelle alla prospettiva del viaggio sulla superpetroliera. «Sarà fantastico, papà», aveva detto tutto eccitato. «Andremo sulla nave in elicottero.» Bernard Wackie cambiò argomento. Prese un fascio di messaggi telex e li
sfogliò rapidamente. «Ho confermato il contratto di sosta per il Sea Witch.» Nick annuì. Era il contratto per Jules Levoisin. Avrebbe dovuto tenere il nuovo rimorchiatore presso tre piattaforme per ricerche petrolifere nella Baia della Florida, l'ansa di fondali bassi formata dalle Keys e dalle paludi delle Everglades. «É assurdo usare un rimorchiatore oceanico con ventiduemila cavalli di potenza come balia di una piattaforma petrolifera.» Bernard depose la cartelletta e diede sfogo alla sua irritazione. «Jules non sopporterà di starsene là a fare la bambinaia. Finirà per ammutinarsi, e comunque ci rimetterai un mucchio di soldi. Il noleggio giornaliero non basterà a coprire le spese.» «Il Sea Witch resterà esattamente dove voglio io», disse Nick, e si concentrò nuovamente sull'isoletta in mezzo all'oceano Indiano. «Il Warlock, adesso.» «Bene, il Warlock.» Bernard prese un'altra cartelletta. «Ho fatto un'offerta per un rimorchio d'altomare.» «Annullala», disse Nick. «Appena Allen avrà riparato il generatore, voglio che faccia rotta al massimo del verde per Città del Capo.» «Per Città del Capo... al massimo del verde?» Bernard lo fissò. «Cristo, Nicholas. Perché?» «Non riuscirà a raggiungere la Golden Dawn prima che doppi il Capo, ma voglio che la segua.» «Sei impazzito, Nicholas? Lo sai quanto ti verrà a costare?» «Se la Golden Dawn dovesse trovarsi in difficoltà, il Warlock sarà a un giorno o due di navigazione. Di' ad Allen che dovrà essere la sua ombra fino a Galveston.» «Hai perso il senso delle proporzioni, Nicholas. Quella nave è diventata la tua ossessione, santo cielo!» «Dato che il Warlock è più veloce, potrà raggiungerla prima che entri nel...» «Ascoltami, Nicholas. Cerchiamo di ragionare. Quante probabilità ci sono che la Golden Dawn abbia un incidente durante il viaggio inaugurale? Una su cento, al massimo. Non è così?»
«Più o meno», convenne Nick. «Una su cento.» «E allora quanto ti costerà tener fermo un rimorchiatore oceanico per millecinquecento miserabili dollari al giorno? E mandarne un altro per mezzo mondo al massimo del verde?» Bernard corrugò la fronte. «Ti costerà duecentocinquantamila dollari, se consideri il mancato guadagno dei due rimorchiatori. Al minimo. Insomma, non hai più rispetto per il denaro?» «Adesso capisci perché devo temporeggiare con gli sceicchi», disse Nick sorridendo. «Non posso investire il loro denaro in una probabilità su cento. Ma i quattrini non sono ancora i loro, sono i miei. Il Sea Witch e il Warlock sono miei, non loro. Peter non è loro figlio, è mio figlio.» «Non stai scherzando, allora», disse Bernard incredulo. «Stai proprio parlando sul serio.» «Sicuro», confermò Nick. «Spedisci un telex a David Allen e chiedigli fra quanto tempo potrà arrivare a Città del Capo.» ^ Samantha Silver si era avvolta un asciugamano intorno alla testa a mo' di turbante. I suoi capelli erano ancora bagnati per lo shampoo. Portava un asciugamano avvolto sotto le ascelle come una specie di sarong. Era arrossata dall'acqua calda, profumava di sapone e di talco. Dopo il lungo viaggio di studio, le erano occorsi due o tre bagni per togliersi l'odore delle mangrovie dalla pelle e il fango delle Everglades da sotto le unghie. Versò il composto in padella, facendo sfrigolare l'olio. Intanto gridò: «Quante frittelle riesci a mangiare?» Lui emerse dal bagno con un asciugamano umido intorno ai fianchi. Si fermò sulla soglia sorridendo. «Quante ne farai?» le chiese. Era abbronzato come lei. I capelli gli spiovevano sul viso, schiariti dal sole e bagnati dalla doccia. Si erano affiatati subito sul lavoro, e lui le aveva insegnato parecchie
cose. Poco per volta era sbocciata l'intimità. Samantha si era rivolta a lui in cerca di conforto, e anche per ripicca verso Nick. Ma adesso, se si voltava dall'altra parte, non riusciva nemmeno a ricordare i lineamenti del collega. Stentava perfino a ricordare il suo nome... Dennis, naturalmente, il dottor Dennis O'Connor. Si sentiva isolata, come se una lastra di vetro la separasse dal mondo. Lavorava e si svagava, mangiava e dormiva, rideva e faceva l'amore, ma era tutta una commedia. Dennis la guardava dalla soglia con aria perplessa. Pareva consapevole di non poterla aiutare. Samantha si girò di scatto. «Saranno pronte fra due minuti», disse. Lui andò in camera a vestirsi. Lei mise le frittelle su un piatto e versò dell'altro composto nell'olio. Squillò il telefono. Si pulì le dita con una leccatina e alzò il ricevitore con la mano libera. «Sam Silver», disse. «Finalmente. Ero fuori di me. Che cosa ti è successo, cara?»
Samantha si sentì piegare le ginocchia. Dovette sedersi sullo sgabello. «Mi senti, Samantha?» Lei aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. «Dimmi che cosa sta succedendo.» Le parve di vedere il suo viso, ne ricordava ogni particolare. I limpidi occhi verdi, le folte sopracciglia, la forma degli zigomi e del mento. Il suono della sua voce la fece rabbrividire. «Samantha...» «Come sta tua moglie, Nicholas?» chiese sommessamente. Lui non parlò. Samantha si premette il ricevitore contro l'orecchio con entrambe le mani. Il silenzio durò solo pochi secondi, ma fu abbastanza lungo. Qualche volta, nel corso degli ultimi quindici giorni, aveva cercato di convincersi che non era vero, che quella donna aveva mentito per ferirla. Ma adesso capì di non essersi sbagliata, il silenzio equivaleva a una confessione. Attese la fatale menzogna. «Può servire se ti dico che ti amo?» le chiese dolcemente Nick. Samantha non poté rispondere. Nonostante le sua amarezza, sentiva un immenso sollievo. Nicholas non aveva mentito. In quel momento non le importava altro. Non aveva mentito. Ma la verità era troppo dolorosa. Cominciò a rabbrividire. «Vengo da te», disse lui nel silenzio. «Non ci sarò», sussurrò lei. Aveva un nodo alla gola. Non aveva pianto, prima, si era tenuta tutto dentro. Ma ora le sfuggì il primo singhiozzo, e sbatté il ricevitore sulla forcella. Rimase seduta, scossa dai singulti. Le lacrime le rigavano le guance e stillavano dal mento. Dennis entrò in cucina ficcandosi la camicia nei calzoni, con i capelli appena pettinati. «Chi era?» le chiese allegramente. Si fermò di colpo. «Che cosa c'è tesoro?» Avanzò ancora. «Su, non fare così.» «Non toccarmi, ti prego», mormorò Samantha con la voce roca. Lui si fermò di nuovo, incerto. «É finito il latte», disse lei senza voltarsi. «Vorresti andare a prenderlo?» Quando Dennis tornò, si era vestita, rinfrescata il viso e coperta i capelli con un foulard. Cominciarono a mangiare le frittelle ormai fredde. Finalmente lei ruppe il silenzio. «Dennis, dobbiamo parlare...» «No», ribatté lui sorridendo. «Va tutto bene, Sam. Non dirmi niente. Sarei dovuto partire comunque.» «Grazie», mormorò Samantha. «Era Nicholas, vero?» Lei rimpianse di avergliene parlato. Ma al momento aveva dovuto confidarsi con qualcuno. Annuì. Dennis disse con ira:
«Gli darei un pugno sul muso, a quel bastardo». «Abbiamo la stessa idea, a quanto pare», mormorò lei, abbozzando un sorriso. Ma non fu un sorriso convincente, e morì quasi subito. «Sam, voglio solo dirti che per me non è stata una semplice avventura.»
«Lo so.» Gli carezzò impulsivamente una mano. «Grazie per la comprensione. Ti rincresce se non ne parliamo più?» ^ Peter si era divincolato nella cintura di sicurezza, per poter schiacciare il viso sull'oblò del grosso elicottero Sikorsky. La notte era nera come la pece. Dall'altra parte della cabina, il motorista si stagliava nel vano della porta aperta sul vuoto, con la tuta arancione svolazzante al vento. Si girò a sorridere al ragazzo, poi fece un gesto circolare con la mano e puntò il pollice in basso. Era impossibile parlare nel sibilo del vento e nel rombo pulsante del rotore. L'elicottero virò dolcemente e Peter fremette d'eccitazione quando la grande nave giunse in vista. Sfolgorava di luci. I piani illuminati del castello di poppa si ergevano uno sull'altro fino all'altezza del Sikorsky, e il ponte era contornato da file di lampade schermate. Sembrava una città. Si stendeva fino all'orizzonte e torreggiava fino al cielo. L'elicottero calò verso il circolo bianco che contrassegnava l'eliporto. Guidato dai cenni del motorista, il pilota regolò espertamente la discesa sul movimento della superpetroliera (ventidue nodi al massimo della velocità economica: Peter aveva studiato avidamente le cifre), e del ponte che rollava maestosamente sotto la spinta dei cavalloni del Capo. Il pilota tenne l'elicottero sospeso, valutando l'avvicinamento contro il vento da nordest, e da venti metri Peter notò che il ponte era quasi allo stesso livello del mare, poiché la nave affondava sotto il peso del carico. Ogni pochi secondi, un'onda si riversava a bordo e si allargava come una macchia di latte, bianca e spumosa sotto le luci del ponte, prima di rifluire fuori bordo. Arrogante e incrollabile grazie alla sua enorme mole, la Golden Dawn non corteggiava il mare come le altre navi. La sua grande prua schiacciava le onde, infrangendole o respingendole. Peter bazzicava le navi fin da quando aveva imparato a camminare; anche lui era una creatura marina. Ma sebbene avesse l'occhio fino, era ancora inesperto. Non colse il movimento dell'immenso ponte. Il movimento non sfuggì invece a Duncan Alexander, seduto accanto a lui sull'elicottero. Vide lo scafo contorcersi e serpeggiare, così impercettibilmente che batté le palpebre e guardò di nuovo. Da prua a poppa, la nave era lunga un miglio e mezzo. In sostanza consisteva di quattro cisterne tenute insieme da un flessibile ponte d'acciaio, il tutto spinto dalla possente unità di propulsione a poppa. Ogni cisterna tendeva a muoversi per proprio conto, cosicché il ponte si contorceva durante il rollio; ricevendo le onde sulla fiancata, la nave si fletteva come un lungo arco. Le creste delle onde distavano fra loro un quarto di miglio. Quattro onde per volta investivano lo scafo della Golden Dawn: le loro creste spingevano in su, i loro ventri attiravano in giù l'enorme peso morto del carico. L'acciaio elastico gemeva e cedeva allo scontro con le forze contrastanti. Nessuno scafo è completamente rigido, e l'elasticità era prevista nel progetto originale della superpetroliera. Ma il disegno era stato modificato. Duncan Alexander aveva risparmiato quasi duemila tonnellate d'acciaio riducendo l'armatura del pilastro centrale che teneva unite le quattro
cisterne, e aveva eliminato anche il doppio fasciame delle cisterne stesse. Gli architetti della Golden Dawn avevano rifiutato di assottigliarla oltre i limiti di sicurezza, così aveva assunto degli architetti giapponesi per correggere i disegni. Costoro avevano dichiarato che lo scafo era sicuro, pur osservando rispettosamente che nessuno aveva mai trasportato un milione di tonnellate di greggio in una volta. L'elicottero scese ancora e urtò delicatamente il ponte, che era rivestito
di vernice isolante per impedire che scoccassero scintille. La squadra della nave accorse sollecita, piegandosi sotto le pale rotanti. I bagagli contenuti nella rete sotto la fusoliera furono portati via, mani robuste deposero Peter sul ponte. Il ragazzo ammiccò al bagliore delle lampade e arricciò il naso sentendo il tipico odore della petroliera. Ogni cosa ne è impregnata, a bordo: il cibo, le suppellettili, i vestiti dell'equipaggio, perfino la cute e i capelli. É l'odore acre delle esalazioni che salgono dalle cisterne. L'ossigeno e il gas di petrolio sono esplosivi solo se combinati in una determinata proporzione: troppo ossigeno impoverisce la miscela, troppo gas di petrolio la rende sovraccarica. In entrambi i casi la miscela è inesplosiva e incombustibile. Chantelle Alexander fu successivamente deposta dalla cabina dell'elicottero. Con un giaccone verde scuro e un foulard di Jean Patou sui capelli, portò un immediato tocco di eleganza nello squallido scenario di acciaio e macchinari. Due ufficiali della nave le si affiancarono premurosamente e la condussero verso il castello torreggiante, lontano dal vento e dal ruggito dell'elicottero. Duncan Alexander scese sul ponte per ultimo e strinse subito la mano al primo ufficiale. «Le porto i saluti del capitano Randle, signore», disse costui. «Si scusa di non poter lasciare la plancia, dato che stiamo navigando nel canale costiero.» «Capisco.» Duncan scoccò il suo smagliante sorriso. La grande nave pescava quasi venti braccia a pieno carico, e si era avvicinata il più possibile alla costa montuosa del capo di Buona Speranza, tristemente famoso per i venti e le correnti. Chantelle Christy non doveva sopportare i disagi dell'elicottero un istante più del necessario; e così la Golden Dawn aveva imboccato il canale interno di acque profonde, pericolosamente vicino agli scogli dell'isola Robben che si trova davanti alla baia della Tavola. Ancora prima che l'elicottero decollasse per virare verso la lontana luminescenza di Città del Capo sotto la tenebrosa montagna quadrata, la petroliera puntò la prua a ovest. Duncan immaginò il sollievo del capitano Randle, che finalmente poteva ordinare di far rotta per le profondità dell'Atlantico aperto. Sorrise di nuovo e cercò di prendere per mano Peter Berg. «Vieni, ragazzo mio.» «Sì, signore.» Peter sfuggì la mano e il sorriso, e trattenendo la sua impazienza infantile andò avanti a passi misurati. Duncan Alexander strinse i denti, furibondo per quell'ennesimo rifiuto del marmocchio di Berg.
Non era riuscito a conquistarlo, per quanto all'inizio avesse fatto il possibile. Ma ora si calmò pensando che, per mezzo del ragazzo, aveva dato uno schiaffo morale a Berg, spuntandogli simultaneamente gli artigli. Berg si sarebbe talmente preoccupato per quel moccioso che non avrebbe pensato ad altro. Duncan seguì Chantelle e Peter lungo gli scintillanti corridoi di acciaio cromato e plastica del castello poppiero. Sembrava di trovarsi fra pareti e pavimenti, piuttosto che fra ponti e paratie. Pareva di essere in un palazzo moderno; l'ascensore che li portò rapidamente cinque piani più in alto, fino alla plancia, contribuì a darne l'impressione. Visto dalla plancia, il mare sembrava un elemento estraneo. Le luci del ponte erano state spente dopo il decollo dell'elicottero, e il buio della notte, insieme con i doppi vetri delle finestre, accentuava la sensazione di pace e d'isolamento. Le luci di posizione a prua erano remote come le stelle e il movimento dell'immenso scafo si percepiva appena. Era stato Duncan Alexander a scegliere il comandante. Il comando dell'ammiraglia della Christy Marine avrebbe dovuto essere assegnato a Basil Reilly, il comandante più anziano della flotta, ma Reilly era un uomo di Berg, e Duncan aveva sfruttato il disastro della Golden Adventurer per indurre il vecchio marinaio a ritirarsi. Randle era un po' giovane per una responsabilità simile. Aveva superato da
poco la trentina, ma le sue credenziali erano impeccabili e si era diplomato con lode alla scuola delle petroliere in Francia. Là gli allievi venivano addestrati a manovrare i giganti del mare in laghi artificiali con porti ricostruiti in scala ridotta, usando modelli lunghi qualche decina di metri che avevano tutte le caratteristiche delle navi vere. Da quando Duncan gli aveva assegnato il comando, Randle era divenuto un fervente alleato. Quando i giornalisti lo avevano intervistato, stimolati da Nicholas Berg, aveva difeso a spada tratta il disegno e la costruzione della nave. Era fedele, ciò che per Duncan compensava la giovinezza e l'inesperienza. Andò incontro agli importanti visitatori non appena giunsero nella plancia scintillante. Era un uomo tozzo, con il collo taurino, e la mascella sporgente esprimeva una caparbia determinazione. La sua accoglienza fu calorosa e servile in giusta misura, e Duncan notò con approvazione che trattava rispettosamente perfino il ragazzo. Randle era abbastanza sveglio per capire che un giorno Peter sarebbe stato il capo della Christy Marine. Duncan apprezzava la diplomazia e la previdenza, ma Randle non era del tutto pronto ad affrontare Peter Berg. «Posso vedere la sala macchine, comandante?» «Subito?» «Sì.» La domanda era superflua, per Peter. «Se non le rincresce, signore», si affrettò ad aggiungere. La realtà era oggi, il domani si perdeva nelle nebbie del futuro. Voleva vederla subito. «Be'...» Il comandante capì che la richiesta andava presa sul serio, quel ragazzo non si lasciava intimidire facilmente. «Durante la notte inseriamo il controllo automatico. In sala macchine non c'è nessuno, e non sarebbe gentile
svegliare il direttore, non ti pare? Ha avuto una giornata dura.» «Già, credo anch'io.» Deluso ma convinto, Peter annuì. «Ma sarà certamente felice di averti come suo ospite domattina subito dopo colazione.» Il direttore di macchina era uno scozzese con tre figli a Glasgow, il minore suppergiù dell'età di Peter. Si dimostrò addirittura entusiasta. In ventiquattr'ore Peter divenne il beniamino della nave, con la tuta blu della compagnia adattata alla sua taglia e il suo nome, PETER BERG, ricamato sulla schiena dal cameriere indiano. Portava il casco giallo di plastica sulle ventitré, come il direttore, e dalla tasca posteriore gli spuntava lo straccio con cui si era pulito le mani dopo aver aiutato un fuochista a lavare i filtri della nafta: il lavoro più sudicio a bordo, e di gran lunga il più divertente. Sebbene Peter avesse un debole per la sala macchine, con il suo ruvido cameratismo, le interminabili riserve di panini, di cioccolata, di grasso e di olio che davano subito a un uomo l'aspetto del professionista, non trascurava il resto della nave. Ogni mattina accompagnava il primo ufficiale nell'ispezione. Percorrevano la Golden Dawn da prua a poppa, esaminando ogni cisterna, ogni valvola e ognuna delle pesanti grappe idrauliche che tenevano le cisterne unite allo scafo principale. Ma soprattutto controllavano i manometri dei compartimenti, che fornivano ogni dato sulle miscele di gas contenute negli spazi d'aria sotto il ponte. Per mantenere le esalazioni in condizioni di sicurezza, ossia sovraccariche, la Golden Dawn fidava nel sistema «inerte». Il fumo di scarico delle macchine veniva aspirato, filtrato e gorgogliato, al fine di toglierne i corrosivi elementi sulfurei; quindi, allo stato di diossido e monossido di carbonio quasi puro, veniva immesso negli spazi d'aria delle cisterne. Le esalazioni degli elementi volatili del greggio si combinavano con le esalazioni dello scarico, formando un gas sovraccarico, povero di ossigeno e inesplosivo. Tuttavia sarebbe bastata una fessura in una delle centinaia di valvole e di giunzioni perché l'aria penetrasse nelle cisterne. Vari sistemi di controllo prevenivano una simile eventualità: andavano dalla costante sorveglianza elettronica di ogni cisterna all'ispezione fisica, cui ora assisteva Peter. Di solito Peter lasciava la squadra del primo ufficiale quando arrivavano al
castello di poppa; allora scendeva nella sala di controllo centrale delle pompe, presidiata da due uomini. Da là si poteva controllare e sorvegliare le cisterne, riempirle e vuotarle, regolare il flusso di gas inerte; si poteva trasferire il greggio da una cisterna all'altra mediante le gigantesche pompe centrifughe per bilanciare l'assetto della nave durante lo scarico parziale, o quando una o più cisterne venivano staccate e rimorchiate a riva per lo scarico. Nella sala delle pompe c'era una mostra che affascinava Peter. Era un armadio con file di flaconi dal coperchio a vite, ciascuno contenente campioni di greggio prelevati durante il carico. Poiché tutte le quattro cisterne della Golden Dawn erano state riempite nel medesimo luogo, con greggio dello stesso giacimento, ogni flacone recava la medesima etichetta. GREGGIO Di EL BARRAS
CISTERNA «C» AD ALTA PERCENTUALE Di CADMIO Peter amava prendere i flaconi e guardarli controluce. Si era aspettato che il petrolio greggio fosse denso e torbido, invece era fluido come il sangue umano. Quando agitava il flacone, il liquido si spandeva sul vetro e appariva rosso scuro. «Certi greggi sono neri, altri gialli e quelli nigeriani sono verdi», gli disse il capo delle pompe. «Non ne avevo mai visto uno rosso.» «Dev'essere il cadmio», osservò Peter. «Probabile», convenne gravemente il capo. Tutti, a bordo, avevano imparato subito a non trattarlo come un bambino: Peter Berg voleva essere considerato uno di loro. A mattino inoltrato, Peter cominciava a sentire appetito e faceva una puntatina in cambusa, dov'era accolto come un sovrano in visita. In pochi giorni, imparò a orientarsi nel dedalo di corridoi quasi sempre deserti. Nelle grandi petroliere si può vagare per ore senza incontrare nessuno. Data l'immensa mole e i piccoli equipaggi, l'unico posto costantemente abitato è la plancia, all'ultimo piano del castello di poppa. E Peter faceva regolarmente tappa in plancia. «Buon giorno, 'Rimorchiatore'», gli diceva l'ufficiale di guardia. Peter era stato soprannominato così un mattino a colazione, quando aveva dichiarato: «Le petroliere sono formidabili, ma io voglio fare il comandante di rimorchiatori, come mio padre». A volte, in plancia, veniva disinserito il pilota automatico, in modo che Peter potesse sostituire per un po' il timoniere; oppure aiutava gli ufficiali di coperta a fare un rilevamento solare per controllare l'efficienza del sistema di navigazione Decca. Finalmente, dopo aver chiacchierato per qualche minuto con il capitano Randle, era pronto a riprendere servizio nella sala macchine, il suo vero posto. «Ti stavamo aspettando, 'Rimorchiatore'», lo salutava il direttore. «Mettiti la tuta, si scende nella galleria dell'albero motore.» L'unico momento sgradevole della giornata era quando sua madre pretendeva che si ripulisse dal grasso e dall'olio, si agghindasse come un damerino e facesse da cameriere durante il cocktail nel lussuoso salotto dell'armatore. Soltanto allora Chantelle Alexander fraternizzava con gli ufficiali. Era un rito artefatto e noioso, di cui Peter pativa più di tutti; ma per il resto del tempo riusciva a evitare le opprimenti restrizioni che gli imponeva la madre e l'odiata presenza di Duncan Alexander, il suo patrigno. Ma sentiva la nuova tensione fra sua madre e Duncan Alexander. Di notte li udiva discutere e tendeva l'orecchio per distinguere le parole. Una volta, sentendo che sua madre gridava, scese dalla cuccetta e bussò alla loro porta. Gli aprì Duncan Alexander. Indossava una vestaglia di seta ed era paonazzo di collera. «Torna subito a letto.» «Voglio vedere mia madre», aveva replicato Peter. «Hai bisogno di una buona sculacciata», era esploso Duncan. «Obbedisci.» «Voglio vedere mia madre.»
Peter non si era mosso. Chantelle era venuta in camicia da notte e l'aveva abbracciato. «Non preoccuparti, caro. Sto benissimo.» Ma aveva gli occhi rossi di pianto. In seguito, Peter non aveva più udito discussioni notturne. Chantelle restava quasi sempre nel suo alloggio. Si faceva servire i pasti in cabina e mangiava in silenzio, seduta presso la finestra panoramica. Si animava soltanto all'ora del cocktail, quando sosteneva la parte della moglie dell'armatore con gli ufficiali; e usciva solamente il pomeriggio per nuotare nella piscina, che per l'occasione veniva preclusa agli ufficiali e all'equipaggio. Duncan Alexander, invece, sembrava una belva in gabbia. Passeggiava in coperta, elaborando lunghi messaggi che venivano spediti per telex nel codice della compagnia a Christy centrale, in Leadenhall Street. Poi usciva sull'ala aperta della plancia e fissava l'orizzonte a nord, aspettando la risposta all'ultimo telex, irritato per dover guidare gli affari della compagnia da lontano, assillato dai dubbi, dall'impazienza e dalla paura. Sembrava che volesse far accelerare l'immenso scafo con la forza della sua volontà. ^ Nell'angolo nordoccidentale del bacino caraibico c'è una zona d'acqua tiepida e poco profonda, compresa fra l'arcipelago delle Grandi Antille, le isole di Cuba e di Hispaniola e la penisola dello Yucatán, che si protende dall'America centrale. É una zona di fondali bassi e di aria tropicale, soffocata da masse di terra che arrostiscono al sole rovente dei tropici. Il clima è mitigato dai benigni alisei, venti così costanti nella forza e nella direzione che, nel corso dei secoli, i marinai hanno affidato la vita e la fortuna alle loro ali balsamiche. Ma il vento è traditore. Senza preavviso, e senza apparente ragione, cade a volte per un paio d'ore, più raramente per giorni e settimane. A sudest di tale zona, la Golden Dawn navigava lentamente nella bonaccia afosa, poco a nord dell'equatore, correggendo spesso la rotta per mantenere l'itinerario circolare che l'avrebbe tenuta lontana dalle isole del Mar dei Caraibi. I canali e i pericolosi passaggi fra le isole non si addicevano a una nave con la mole, il pescaggio e la manovrabilità limitata della Golden Dawn. Doveva portarsi parecchio sopra il Tropico del Cancro; a sud della Gran Bermuda avrebbe virato a ovest per entrare nelle acque più ampie e sicure dello Stretto di Florida, sopra le Grandi Bahamas. Su questa rotta, avrebbe attraversato solo poche miglia di acque basse e anguste, prima di sbucare nel mare aperto del Golfo del Messico. Mentre procedeva verso nord, fuori della zona di calma equatoriale, avrebbe dovuto trovare le fresche brezze degli alisei; invece non le trovò. Giorno dopo giorno, la bonaccia persisteva e l'afa gravava sulla nave. Non che ciò compromettesse la traversata, ma il comandante disse a Duncan Alexander: «Ancora un giorno di bonaccia, a quanto pare». Poiché non ricevette risposta dall'aggrondato presidente, si ritirò con discrezione, lasciando Duncan solo sull'ala aperta della plancia. Tuttavia la calma non era limitata alla zona. Si stendeva verso ovest in una
cintura rovente attraverso le migliaia di isolette e il bacino d'acqua poco profonda che racchiudevano. L'afa opprimeva il mare, e il sole dardeggiava sulle masse di terra circostanti. Scaldandosi, l'aria risucchiava vapore acqueo. Una bolla cominciò a gonfiarsi: il primo movimento dell'aria da parecchi giorni. Non era grossa, aveva un diametro di appena cento miglia; ma mentre si alzava, la rotazione della superficie terrestre la fece girare come una trottola. Le telecamere del satellite meteorologico, centinaia di miglia più in alto, registrarono una piccola spirale bianca, simile a un fiorellino di zucchero candito su una torta nuziale. La fotografia fu diramata per vari canali, finché giunse sulla scrivania del direttore del servizio prevenzione uragani, presso l'ufficio meteorologico di
Miami, nella Florida meridionale. «Sembra maturo», grugnì al suo assistente, riconoscendo le condizioni favorevoli per un uragano tropicale. «Chiederemo all'aeronautica di dare un'occhiata.» Volando a quindicimila metri, il pilota del B52 dell'US Air Force vide la cupola dell'uragano a duecento miglia di distanza. In sole sei ore, si era dilatata enormemente. Man mano che l'aria calda veniva spinta verso l'alto, il freddo della troposfera condensava il vapore acqueo in dense nubi argentee che salivano turbinando. La cupola di aria torbida e turbolenta era già più alta dell'aereo. Sotto si era formato un relativo vuoto, e l'aria circostante cercava di muoversi per riempirlo. Ma era spinta in senso antiorario intorno al centro dalle misteriose forze della rotazione terrestre. Costretta a compiere il percorso più lungo, la massa d'aria continuava ad accelerare e tutto il sistema diventava di ora in ora più instabile, rotando all'impazzata e creando ripidi gradienti di pressione. La nube alla sommità dell'enorme cupola si trovava a una temperatura di trenta gradi sotto zero. Le gocce di pioggia, divenute cristalli di ghiaccio, furono soffiate via dalle correnti superiori. Leggiadri riccioli di cirri nel cielo blu annunciavano la tempesta a centinaia di miglia. Il B52 dell'US Air Force incontrò la prima turbolenza a centocinquanta miglia dall'occhio dell'uragano. Parve che un predone invisibile avesse afferrato la carlinga scuotendola con violenza. Di colpo, l'aereo si trovò innalzato di millecinquecento metri. «Violenta turbolenza», riferì il pilota. «Vento verticale alla velocità di oltre trecento miglia.» Il direttore dell'ufficio meteorologico di Miami prese il telefono e chiamò il programmatore del computer al piano di sopra. «Chiedi a Charlie un nome di codice per l'uragano.» Un momento dopo il programmatore lo richiamò. «Charlie dice di chiamare quella puttana 'Lorna'.» Seicento miglia a sudovest di Miami, la tempesta cominciò ad avanzare, dapprima lentamente, ma acquistando forza e turbinando a velocità spaventosa. Adesso la sua cupola si trovava a diciottomila metri d'altezza e continuava a salire. Nel centro l'uragano era aperto come un fiore. L'occhio di calma
s'innalzava in una galleria verticale. Le pareti di nubi giungevano alla sommità della cupola, ora a ventimila metri dalla superficie del mare in burrasca. L'uragano si mosse sempre più in fretta verso est, in direzione contraria a quella dei gentili alisei. Turbinando e ruggendo, divorandosi sulla sua strada, la furia di nome «Lorna» si lanciò per il Mar dei Caraibi. Nick Berg si girò a guardare l'impressionante profilo di Miami Beach. Il fronte degli alberghi si snodava lungo la curva della spiaggia. Alle loro spalle, la città si stendeva in un groviglio di quartieri e di svincoli autostradali. L'aereo della Eastern Airlines proveniente dalle Bermude virò verso il suo scalo base, cominciando a scendere su Biscayne Bay e sulla spiaggia. Nick era tormentato dall'ansia e dall'incertezza. Si sentiva in colpa per due motivi. Primo, perché aveva abbandonato il suo posto in un momento molto delicato. I due rimorchiatori della Ocean Salvage si trovavano da qualche parte nell'Atlantico. Il Warlock attraversava l'Atlantico a tutta forza nel disperato tentativo di raggiungere la Golden Dawn, mentre Jules Levoisin, sul Sea Witch, era diretto verso la costa orientale americana per far rifornimento prima di condurre il rimorchiatore presso il giacimento petrolifero nel Golfo del Messico. Da un momento all'altro, i comandanti di entrambi i rimorchiatori potevano aver bisogno di istruzioni urgenti. Poi c'era la Golden Dawn. Aveva doppiato il capo di Buona Speranza quasi venti giorni prima. Da allora nemmeno Bernard Wackie era riuscito a rilevare la sua posizione. Non risultava che altre navi l'avessero avvistata, e doveva aver comunicato con Christy centrale per telex via satellite, dato che
manteneva un rigoroso silenzio radio. Ma si stava sicuramente avvicinando al tratto più critico della sua rotta, quando avrebbe virato a ovest per accostarsi al continente nordamericano e allo Stretto di Florida. Peter Berg era a bordo di quel mostro, e Nick sentì una fitta di rimorso. Il suo posto era al quartier generale, nella sala di controllo della Bach Wackie, all'ultimo piano del palazzo della Bank of Bermuda, a Hamilton. Il suo posto era là, dove avrebbe potuto seguire gli sviluppi della situazione e impartire immediatamente gli ordini per coordinare i suoi rimorchiatori. Ma aveva disertato. Benché si fosse accordato con Bernard Wackie per mantenere i contatti, gli sarebbero occorse ore, forse giorni, per tornare alle Bermude in caso d'emergenza. Ma c'era anche Samantha. L'istinto gli suggeriva di vederla subito. Ogni ora, ogni giorno di ritardo avrebbe potuto alienargliela irreparabilmente. La coscienza gli rimordeva per il tradimento. Inutilmente continuava a ripetersi che non le aveva parlato di matrimonio, che quella notte di debolezza con Chantelle gli era stata praticamente imposta, che chiunque altro si sarebbe comportato come lui, che in definitiva l'episodio si era rivelato una catarsi, uno sfogo che l'aveva liberato di Chantelle per sempre. Samantha lo considerava un tradimento, e lui sapeva d'aver sciupato tutto. Gli rimordeva la coscienza, non tanto per l'atto in sé, un insignificante rapporto sessuale senza amore, ma per il tradimento e le sue conseguenze. Adesso si dibatteva nell'incertezza. Non sapeva quanto aveva distrutto e
quanto era rimasto per la ricostruzione. Sapeva soltanto d'aver bisogno di lei, un bisogno disperato. Samantha era ancora la promessa dell'eterna giovinezza, della nuova vita. Se amare significa aver bisogno, Nick amava Samantha Silver con tutto se stesso. Gli aveva detto che lui non l'avrebbe trovata, al suo arrivo. Sperò che avesse mentito. La prospettiva di non trovarla era intollerabile. Aveva soltanto una valigetta ventiquattr'ore come bagaglio a mano, così non perse tempo alla dogana. Mentre si dirigeva verso la fila di cabine telefoniche, guardò l'orologio. Erano le sei passate. Samantha doveva essere già rientrata. Aveva composto le prime quattro cifre del numero, quando si fermò. «Perché diavolo le telefono?» si chiese. «Per dirle che sono qui, in modo che possa squagliarsela?» Un innamorato timido è sconfitto in partenza. Riagganciò il ricevitore e andò al banco dell'Hertz, presso l'uscita dell'aerostazione. «Qual è la macchina più piccola che avete?» chiese. «Una Cougar», rispose la graziosa biondina con l'uniforme gialla. «Piccolo», in America, è un termine relativo. Era già tanto che non gli avessero dato un carro armato Sherman. La Chevy variopinta era nella rimessa sotto le fronde del fico. Nick parcheggiò la Cougar a ridosso del suo paraurti. Adesso Samantha non poteva più scappare, a meno che non sfondasse la parete della rimessa. Ed era capacissima di farlo, pensò Nick con un cupo sorriso. Bussò alla porta della cucina ed entrò senza aspettare risposta. Sulla tavola c'era il bricco del caffè. Nick lo toccò al suo passaggio: ancora caldo. - Andò nel soggiorno e chiamò: «Samantha!» La porta della camera era socchiusa. La spalancò. Un vestitino leggero e alcuni capi di biancheria erano sparsi sul letto. La casetta era deserta. Nick scese i gradini del portico e andò sulla spiaggia. La marea aveva lisciato la sabbia, e sulla superficie spiccavano solamente le impronte di lei. Aveva lasciato l'asciugamano sopra la linea dell'alta marea, e per scorgerla Nick dovette schermarsi gli occhi contro il riverbero rosso del sole al tramonto. Si era spinta cinquecento metri al largo. Si sedette sulla sabbia asciutta presso l'asciugamano, accese un sigaro e attese. Attese, mentre il sole tramontava in un tripudio di fiamme. Nick perse di vista la testa galleggiante nel mare ormai viola. Era lontana quasi un chilometro, adesso, ma lui non aveva fretta. Era quasi buio quando emerse
all'improvviso dalla risacca, venne a riva e attraversò la spiaggia strizzandosi la treccia sulla spalla. Con un balzo al cuore, Nick gettò via il sigaro e si alzò. Lei si fermò di colpo e rimase immobile, fissando incerta la sagoma scura. Era giovane, snella e leggiadra. «Che cosa vuoi?» balbettò. «Te», rispose lui. «Perché? Vuoi metter su un harem?»
La voce era dura. Nick non vedeva l'espressione dei suoi occhi, ma notò che stava fieramente eretta. Mosse avanti, l'abbracciò e la sentì rigida. Cercò di baciarla, ma le sue labbra erano fredde e ostili. «Sam, non so come dirtelo. Ho le idee confuse, ma so che ti amo, che senza di te la mia vita sarebbe triste e vuota.» Lei non si rilassò. Le sue braccia penzolavano rigidamente lungo i fianchi, il suo corpo era freddo, teso e gocciolante. «Vorrei essere perfetto, Samantha, ma non lo sono. Ho una sola certezza: non posso stare senza di te.» «Non potrei sopportarlo di nuovo. Impazzirei», mormorò lei con la voce strangolata. «Ho bisogno di te. Ne sono sicuro», insisté Nick. «Cerca di esserlo, canaglia. Fammene un'altra e ti ritroverai a mani vuote. Tronco tutto e addio per sempre.» Poi si avvinghiò a lui. «Oh, Nicholas, come ti ho odiato, come mi sei mancato... e come ti ho aspettato!» Le sue labbra erano morbide, sapeva di mare. Lui la prese in braccio e la portò verso casa. Non si fidava a parlare. Temeva di rompere l'incanto. ^ «Era ora che telefonassi, Nicholas.» La voce di Bernard Wackie era tesa, tradiva la sua agitazione. «Quando vieni?» «Che cos'è successo?» «É cominciato il ballo. Hai fiuto, ragazzo mio, devo riconoscerlo. L'avevi previsto.» «Vuoi spiegarti, Bernie?» lo esortò seccamente Nick. «Questa telefonata passa attraverso tre centralini», lo ammonì Bernie. «Vuoi che ti spifferi ogni cosa dall'a alla zeta? Non sai che il tuo è un gioco duro? La concorrenza non dorme. Le teste di formaggio ne hanno uno a portata di mano.» Probabilmente il Wittezee o uno degli altri grossi rimorchiatori olandesi, rifletté subito Nick. «Potrebbero lanciare un cavo fra due giorni. E anche i mangiagomma sono ben piazzati. McCormick ne ha uno nell'Hudson.» «Bene.» Nick lo privò del gusto di riferirgli l'ubicazione dei concorrenti. «Domani mattina alle sette c'è un volo diretto. Se non ce la faccio, prenderò la coincidenza della British Airways a Nassau a mezzogiorno. Vieni a prendermi», gli ordinò. «Hai fatto male a squagliartela», disse Bernard Wackie, dimostrando uno straordinario senno del poi. Nick tagliò corto posando il ricevitore sulla forcella. Samantha era seduta in mezzo al letto. Era nuda, ma si abbracciava le ginocchia raccolte sul petto. Sotto la chioma scarmigliata, aveva l'espressione di una bimba smarrita. «Mi lasci di nuovo», mormorò. «Sei appena arrivato e adesso parti. Oh, Nicholas, amarti è troppo faticoso. Ho paura di non essere abbastanza forte.» Si avvinghiò a lui, seppellendo il viso nel suo petto villoso. «Devo assolutamente andare. Credo che sia la Golden Dawn», disse Nick. Samantha ascoltò in silenzio il resoconto della telefonata. Cominciò a fargli domande soltanto alla fine. Parlottarono fin dopo mezzanotte, abbracciati nel grande letto d'ottone. Lei insisté per preparargli la colazione, sebbene morisse di sonno e fuori fosse ancora buio. Accese la radio perché la musica la tenesse sveglia.
«Buon giorno, amici mattinieri, questa è la W.W.O.K., con un'altra bella giornata per voi. Ventisei gradi previsti a Fort Lauderdale e sulla costa, e ventotto nell'entroterra con il dieci per cento di probabilità di pioggia.
Abbiamo anche un rapporto sull'uragano 'Lorna'. Si sposta verso sud, in direzione delle Piccole Antille. Potete stare tranquilli, amici. Rilassatevi e ascoltate Elton John...» «Mi piace Elton John», disse Samantha con la voce impastata di sonno. «E a te?» «Chi è?» chiese Nick. «Visto? Ho capito subito che sei la mia anima gemella. Mi hai dato il bacio del buon giorno? Non ricordo più.» «Vieni qui», le ordinò lui. «Questo non lo dimenticherai.» Più tardi Samantha disse: «Perderai l'aereo, Nicholas». «No, se salto la colazione.» «Tanto si è raffreddata.» Era quasi sveglia, adesso. Gli diede l'ultimo bacio attraverso il finestrino aperto della Cougar. «Hai un'ora di tempo, puoi farcela.» Nick avviò il motore, ma lei non si staccò dal finestrino. «Un giorno vivremo insieme, Nicholas? Sempre insieme, come abbiamo progettato? Faremo le nostre cose, a modo nostro?» «Te lo prometto.» «Corri», disse lei. Nick avviò la Cougar sul vialetto sabbioso senza voltarsi. ^ Erano in otto nell'ufficio di Tom Parker. Sebbene vi fosse posto a sedere solo per tre, gli altri si erano accomodati sugli scaffali dei campioni biologici e sulle pile di libri lungo le pareti. Samantha era seduta su un angolo della scrivania di Tom, con le lunghe gambe penzoloni, e rispondeva al bombardamento di domande. «Come fai a sapere che passerà per lo Stretto di Florida?» «É molto probabile. Non può passare fra le isole, è troppo grossa e pesante.» Le risposte di Samantha erano fulminee. «Nicholas è pronto a giurarlo.» «Sono d'accordo», grugnì Tom. «Lo Stretto di Florida è largo cento miglia...» «So dove vuoi arrivare.» Samantha sorrise e si rivolse a una delle ragazze. «Ti risponderà Sally-Anne.» «Come sapete, mio fratello lavora nella guardia costiera. Tutte le navi che passano per lo stretto devono dichiararsi a Fort Lauderdale», spiegò. «E la pattuglia aerea della guardia ha la base alla Grande Bahama. Saremo informati non appena entrerà nello stretto. La guardia costiera terrà gli occhi aperti.» Discussero per altri dieci minuti, poi Tom Parker li zittì con una manata sulla scrivania. «Se ho ben capito», disse, «proponete che la sezione locale di Green-Peace intercetti e ostacoli la petroliera con il greggio al cadmio prima che entri nelle acque territoriali americane. É così?» «Precisamente», rispose Samantha, guardandosi intorno in cerca di appoggio.
Tutti annuirono, dichiarandosi d'accordo. «Dove vogliamo arrivare? Siamo veramente convinti di poter impedire che il greggio tossico venga consegnato alla raffineria di Galveston? Definiamo i nostri obiettivi», insisté Tom. «I cattivi trionfano solo quando i buoni se ne stanno con le mani in mano. Ma noi ci diamo da fare.» «Sciocchezze, Sam», sbuffò Tom. «Lascia perdere la retorica, non serve a niente. Ti screditi prima ancora di cominciare.» «D'accordo.» Samantha sorrise. «Stiamo dando pubblicità ai pericoli e alla nostra opposizione.» «Bene», approvò Tom. «Così mi piace. Quali sono i nostri obiettivi?» Discussero per altri venti minuti, poi Tom Parker prese nuovamente la parola. «Ma come facciamo ad andare nello stretto per affrontare la nave? A nuoto?» Perfino Samantha parve imbarazzata, ora. Si guardò intorno, ma gli altri si fissavano le unghie o guardavano dalla finestra. «Be'», cominciò timidamente, «pensavamo di...»
«Continua», la incoraggiò Tom. «Non crederai di usare le imbarcazioni dell'università, spero. In questo paese la legge proibisce di prendere le navi degli altri. La chiamano pirateria.» «A dire il vero...» Samantha scrollò tristemente le spalle. «Come membro anziano e stimato della facoltà, non mi renderò complice di un atto criminale.» Tutti guardarono Samantha. Era la loro guida, ma per una volta si trovava chiaramente in difficoltà. «D'altra parte, se una squadra di ricercatori fa regolare richiesta attraverso i canali appropriati, sarò lieto di autorizzare una spedizione di studio nello stretto fino alla Grande Bahama a bordo del Dicky.» «Sei un tesoro, Tom», disse Samantha. «Bel modo di rivolgerti al tuo professore», brontolò scherzosamente Tom, aggrottando la fronte. ^ «Sono arrivati da Heathrow ieri pomeriggio, con le British Airways. Sono in tre, ecco la lista dei nomi.» Bernard Wackie gettò un taccuino sulla scrivania e Nick lesse rapidamente. «Charles Gras, lo conosco, è capo ingegnere alla Construction Navale Atlantique», spiegò. «Sì», confermò Bernard. «Ha dichiarato i suoi dati all'ufficio immigrazione.» «Non sono informazioni riservate?» Bernard sogghignò. «Ho orecchie dappertutto, io.» Poi tornò serio. «Bene. I tre ingegneri avevano una valigetta ciascuno e una cassa pesante trecentocinquanta chili con la scritta 'macchinario industriale'.» «Continua», lo esortò Nick. «Un elicottero Sikorsky S61N li aspettava sulla pista dell'aeroporto. Era stato noleggiato dalla Christy Marine con sede a Londra in Leadenhall Street.
I tre ingegneri sono saliti in gran fretta con la cassa e l'elicottero è decollato per il sud.» «Il pilota ha lasciato il piano di volo?» «Sicuro. Volo di servizio, rotta per 196° magnetico. Destinazione da riferirsi.» «Qual è il raggio del 61N? Cinquecento miglia nautiche?» «Bravo», si complimentò Bernard. «Cinquecentotrentatré, per essere precisi, ma questo modello ha serbatoi di grande capienza, può farne settecentocinquanta. Comunque è un viaggio a senso unico. L'elicottero non è ancora tornato alle Bermude.» «Può rifornirsi a bordo della nave, oppure restarci fino alla destinazione finale», osservò Nick. «Che cos'altro sai?» «Come, non ti basta?» Bernard parve sorpreso. «Non sei ancora soddisfatto?» «Non hai spiato le comunicazioni fra la torre di controllo alle Bermude, l'elicottero e la nave?» «No.» Bernard scosse la testa. «Mi hanno tagliato fuori.» Fece un viso avvilito. «Può succedere a tutti.» «Risparmiami i particolari. Puoi chiedere alla torre di controllo a che ora l'elicottero ha chiuso il piano di volo?» «Santo cielo, Nicholas, cerca di ragionare. É già un reato ascoltare sulle frequenze dell'aviazione, figuriamoci far domande.» Nick balzò in piedi e andò presso la mappa. La studiò meditabondo, appoggiandosi sui pugni. «Secondo te che cosa significa tutto questo, Nicholas?» Bernard gli andò a fianco. «Significa che una nave di proprietà della Christy Marine ha chiesto alla sede centrale d'inviare al più presto pezzi di ricambio e tecnici specializzati, senza badare a spese. Non hai pensato alla tariffa aerea di una cassa di trecentocinquanta chili?» Raddrizzatosi, Nick estrasse il suo portasigari di coccodrillo. «Significa che la nave è in avaria o in imminente pericolo di avaria in una zona a sudest delle Bermude, nel raggio di
quattrocentocinquanta miglia. Probabilmente meno ancora, altrimenti avrebbe fatto venire un elicottero dalle Bahamas. É improbabile che abbiano impiegato il Sikorsky al limite dell'autonomia.» «Giusto», convenne Bernard. Nick accese un sigaro e rimasero in silenzio un momento. «Un ago in un pagliaio», commentò Bernard. «Lascia che me ne occupi io», borbottò Nick, senza distogliere gli occhi dalla mappa. «Sei pagato per questo», convenne amabilmente Bernard. «É la Golden Dawn, vero?» «La Christy Marine ha altre navi, nella zona?» «No, che io sappia.» «Allora perché mi fai domande idiote?» «Non arrabbiarti, Nick.» «Scusami.» Nick gli toccò il braccio. «Mio figlio è su quella trappola.» Aspirò una boccata dal sigaro, la tenne un momento, poi la esalò lentamente. Quando parlò di nuovo, la sua voce era calma e professionale. «Condizioni del
tempo?» «Vento da 60° di quindici nodi. Tre ottavi di stratocumuli a milletrecento metri. Previsioni a lunga scadenza, nessuna variazione.» «Ancora gli alisei», approvò Nick. «Grazie a Dio.» «É stato annunciato un uragano, come sai. Ma a giudicare dal suo itinerario, si scatenerà in mare mille miglia a sud della Grande Bahama.» «Bene.» Nick annuì di nuovo. «Chiedi al Warlock e al Sea Witch di riferire posizioni, rotta, velocità e condizioni del carburante.» Venti minuti dopo, Bernard gli porse due telex. «Il Warlock ha fatto una bella corsa», mormorò Nick, mentre la posizione del rimorchiatore veniva riportata sulla mappa. «Ha attraversato l'equatore tre giorni fa», disse Bernard. «E il Sea Witch arriverà a Charleston domani sera», osservò Nick. «C'è qualche concorrente in vantaggio?» Bernard scosse la testa. «McCormick ha un rimorchiatore a New York e il Wittecee è a metà strada per Rotterdam.» «Siamo ben piazzati», decise Nick, confrontando le velocità e le distanze dei rimorchiatori. «Sull'isola c'è un altro elicottero disponibile? Vorrei andare sul Warlock.» «No.» Bernard scosse la testa. «Il 61N è l'unico di stanza alle Bermude.» «Puoi combinare un rifornimento per il Warlock? Un rifornimento immediato, qui a Hamilton.» «Avrà i serbatoi pieni un'ora dopo il suo arrivo.» Nick rifletté un momento, poi decise. «Manda un telex a David Allen sul Warlock: A COMANDANTE WARLOCK DA BERG URGENTE E IMMEDIATO NUOVA VELOCITA MASSIMO DEL VERDE NUOVA ROTTA DIRETTA HAMILTON BERMUDE RIFERIRE ORA ARRIVO PREVISTA FINE.» «Ti metti in gara, allora?» chiese Bernard. «Con i due rimorchiatori?» «Sì», rispose Nick. «Gioco tutte le mie carte.» ^ La Golden Dawn sguazzava con il peso morto di un milione di tonnellate di greggio. Il suo era il movimento di uno scafo allagato. Lungo la fiancata esposta alle onde, i ponti affioravano appena. I flutti s'infrangevano contro i parapetti di dritta. Ogni tanto una cresta si riversava sulla tolda allargandosi in un reticolo di spuma bianca. Andava alla deriva da quattro giorni. La bronzina principale dell'unica elica aveva cominciato a surriscaldarsi quarantott'ore dopo il passaggio dell'equatore, e il direttore di macchina aveva chiesto l'arresto per ispezionarla ed effettuare eventuali riparazioni. Duncan Alexander aveva proibito di fermare le macchine, opponendosi al parere del comandante e del direttore. Concesse solamente una riduzione di velocità. Ordinò al direttore di scovare il guasto e di ripararlo. In quattro ore, il direttore trovò la guarnizione incrinata nella pompa che lubrificava la bronzina; ma la navigazione, benché a velocità ridotta, aveva danneggiato
gravemente la bronzina principale, e ora le vibrazioni scuotevano perfino il massiccio scafo della Golden Dawn.
«Devo smontare la pompa, altrimenti fonderemo la bronzina», disse il direttore a Duncan Alexander. «E allora dovrà fermare le macchine, e non solo per un paio d'ore. Ci vogliono due giorni per sostituire una bronzina.» Il direttore era pallido e teso. Conosceva la reputazione di Alexander. Sapeva che toglieva di mezzo chiunque lo contrastasse, e anche in seguito lo perseguitava senza pietà. Il direttore aveva paura, ma nello stesso tempo era preoccupato per la nave. Duncan Alexander cambiò tattica. «Qual è la causa del guasto alla pompa? Perché non se n'è accorto subito? Evidentemente non è stato attento.» Punto sul vivo, il direttore si spazientì. «Se su questa nave ci fosse una pompa di riserva, avremmo potuto inserire l'impianto sussidiario e provvedere alla manutenzione con comodo.» Duncan Alexander divenne paonazzo e si girò. Ordinando di modificare il progetto della Golden Dawn, aveva eliminato la maggior parte delle attrezzature sussidiarie per risparmiare sui costi. «Quanto tempo le occorre?» Si fermò in mezzo alla cabina e guardò il direttore. «Quattro ore», rispose subito lo scozzese. «Le do quattro ore esatte», disse minacciosamente Duncan. «Se non mi ripara il guasto in tempo, se ne pentirà.» Mentre l'ingegnere fermava le macchine, smontava, riparava e rimontava la pompa di lubrificazione, Duncan rimase in plancia con il comandante. «Stiamo perdendo tempo, troppo tempo», disse. «Dovremo ricuperarlo.» «Bisognerà superare la massima velocità economica», lo avvisò il capitano Randle. «Capitano Randle, il carico vale 85 dollari alla tonnellata. Abbiamo a bordo un milione di tonnellate. Esigo che il tempo sia ricuperato», disse seccamente Duncan. «Abbiamo un appuntamento al largo di Galveston. Questa nave, questo sistema di trasporto del greggio sono alla prova e lei lo sa benissimo. Voglio essere puntuale a qualsiasi costo.» «Va bene, signor Alexander», cedette Randle. «Cercheremo di ricuperare.» Tre ore e mezzo dopo, il direttore di macchina salì in plancia. «Be'?» lo aggredì Duncan, appena lo vide uscire dall'ascensore. «La pompa è riparata, ma...» «Ma che cosa?» «Ho un brutto presentimento. L'abbiamo forzata troppo. Temo che la bronzina sia danneggiata. Non mi fiderei a farla funzionare oltre il cinquanta per cento della potenza, finché non l'avremo smontata ed esaminata.» «Volevo ordinare 25 nodi», disse Randle imbarazzato. «Io non lo farei.» Il direttore scosse lugubremente la testa. «Il suo posto è nella sala macchine», tagliò corto Duncan. Fece segno a Randle di riprendere la navigazione e andò come sempre sull'ala aperta della plancia. Guardò l'acqua ribollire oltre la gran poppa rotonda e poi placarsi in una lunga scia bianca che ben presto giunse all'orizzonte. Restò là fin dopo il tramonto, e quando scese Chantelle lo stava aspettando. Si alzò dal divano sotto le finestre anteriori del salotto. «Siamo ripartiti.» «Sì», disse lui. «Andrà tutto bene.» Quella sera alle nove fu inserito il controllo automatico delle macchine.
Gli addetti alle macchine andarono a cenare e quindi si coricarono, tutti meno il direttore, che si attardò per un paio d'ore, scrollando la testa e borbottando, accanto al massiccio complesso della bronzina nella lunga galleria dell'albero di propulsione. Ogni tanto tastava la calotta di protezione, per sentire il calore e le vibrazioni che l'avrebbero avvisato di un danno alla struttura. Alle undici sputò sull'albero rotante, grosso come un tronco di quercia, che brillava sotto le luci bianche della galleria, e se ne andò. Nella sala di controllo, si accertò per l'ennesima volta che tutti i sistemi
della nave fossero efficienti, che i circuiti funzionassero e si replicassero sul grande pannello di controllo. Quindi entrò nell'ascensore e salì. Trentacinque minuti dopo, un minuscolo transistor sul pannello saltò come un tappo di champagne, con uno sbuffo di fumo grigio. La sala di controllo era deserta, nessuno se ne accorse. Il sistema non aveva duplicato, non c'era un impianto di emergenza che entrasse automaticamente in azione. Così, quando la temperatura della bronzina salì di nuovo, nessun impulso giunse al sistema d'allarme, le macchine non furono bloccate automaticamente. L'enorme albero motore continuò a girare mentre la bronzina surriscaldata stringeva nella sua morsa il metallo ruvido, già danneggiato dalla frizione precedente. Una sottile striscia di metallo si staccò dalla superficie dell'albero arricciandosi come un nastro d'argento e fu trattenuta dalla bronzina. L'impianto divenne incandescente, mentre la vernice antiossidante che proteggeva le parti esterne della bronzina cominciava a ribollire e ad annerirsi. Ma la forza immane delle macchine costringeva l'albero a girare. L'olio che restava fra la superficie rovente dell'albero e i semigusci della bronzina si assottigliò istantaneamente al calore, poi giunse alla temperatura di combustione ed esplose in una vampa, riversandosi in rivoli fiammeggianti sulla calotta della bronzina principale, incendiando la vernice. La galleria dell'albero si riempì di fumo chimico, e soltanto allora i rivelatori d'incendio entrarono in funzione. L'allarme fu ripetuto sulla plancia e nelle cabine del comandante, del primo ufficiale e del direttore di macchina. Ma le grandi macchine funzionavano ancora al settanta per cento della potenza e l'albero continuava a girare nella bronzina disintegrata, fondendo il metallo già ammorbidito dal calore, deformandosi e torcendosi sotto la pressione. Il direttore di macchina arrivò per primo al pannello centrale della sala di controllo. Senza chiedere istruzioni alla plancia bloccò immediatamente ogni impianto. La squadra guidata dal primo ufficiale domò le fiamme in un'ora. Usarono diossido di carbonio per soffocare il fuoco dell'olio e della vernice, perché l'acqua sul metallo incandescente avrebbe aggravato le deformazioni prodotte dal calore. La calotta della bronzina principale era ancora così calda quando il direttore di macchina cominciò ad aprirla, che scorticò i suoi spessi guanti di cuoio e amianto. I semigusci della bronzina si erano disintegrati, l'albero era solcato e butterato. Il direttore sapeva che era impossibile distinguere a occhio un'eventuale distorsione. Tuttavia anche una deformazione di un decimillimetro
sarebbe stata pericolosa. Mentre lavorava, imprecava sottovoce, lanciando una sequela di oscenità nel tono di una nenia. Maledisse i costruttori della pompa di lubrificazione, gli uomini che l'avevano installata e collaudata, la guarnizione danneggiata e la mancanza di un impianto ausiliario; ma soprattutto maledisse l'ostinazione e il caratteraccio del presidente della Christy Marine, la cui imprevidenza aveva ridotto quella bella macchina a un groviglio di metallo contorto e fumante. Era mattino inoltrato, quando il direttore estrasse i semigusci di ricambio dalle casse che gli erano state portate dal magazzino; ma quando si accinsero a montarli, si accorsero che le casse recavano diciture errate. I semigusci che contenevano erano obsoleti, non del tipo decimale, ed erano di cinque millimetri troppo piccoli per l'albero motore della Golden Dawn. La minuscola differenza li rendeva completamente inservibili. Soltanto allora Duncan Alexander perse il suo ferreo autocontrollo. In plancia inveì, per venti minuti, senza sognarsi di cercare una soluzione. Strapazzò Randle e il direttore di macchina con ogni genere di contumelie. La sua sfuriata ebbe l'effetto di paralizzare gli ufficiali della Golden Dawn, che lo guardavano pallidi e silenziosi. Peter Berg aveva sentito il trambusto ed era venuto a vedere. L'ira del suo patrigno lo affascinava. Non aveva mai visto uno spettacolo simile. A un certo punto ebbe l'impressione che gli occhi di Duncan Alexander schizzassero fuori delle orbite.
Finalmente Duncan smise di sbraitare e si ravviò i capelli. Due ciocche gli sprizzavano ai lati della testa come un paio di corna. Ansava ancora, ma era tornato padrone di sé. «Be', lei che cosa propone?» chiese a Randle. Nel silenzio generale, si udì la vocetta di Peter Berg. «Puoi farti mandare dei semigusci dalle Bermude, è soltanto a trecento miglia. Abbiamo controllato stamattina.» «Che cosa fai qui?» Duncan si girò di scatto. «Torna da tua madre.» Spaventato, Peter se la diede a gambe. Quando ebbe lasciato la plancia, il direttore parlò. «Potremmo far spedire i pezzi di ricambio da Londra alle Bermude...» «Dev'esserci una nave», intervenne subito Randle. «Oppure potremmo farceli portare da un aereo...» «O da un elicottero...» «Chiamate Christy centrale via telex», ordinò Duncan Alexander. ^ Era bello sentirsi ancora un ponte sotto i piedi, pensò Nick con gioia. Gli pareva di rinascere. «Sono un figlio del mare», disse sorridendo. «E continuo a dimenticarlo.» Si voltò a guardare il basso profilo della Gran Bermuda, il lontano porto di Hamilton e le casette multicolori fra i cedri. Poi tornò a studiare le carte di navigazione spiegate sul tavolo. Il Warlock procedeva ancora con cautela. Sebbene il canale fosse ampio e delimitato da gavitelli, i banchi corallini ai lati erano aguzzi e insidiosi. David Allen era occupato a guidare il Warlock nel mare aperto. Quando ebbero
superato la linea delle 100 braccia, diede l'ordine all'ufficiale di coperta: «Avanti tutta alle nove». Quindi corse da Nick. «Non ho avuto il tempo di darle il benvenuto a bordo, signore.» «Grazie, David. Sono contento di essere qui.» Lo guardò e sorrise. «Faccia rotta per 240° magnetici e aumenti la potenza dell'80 per cento.» David trasmise l'ordine al timoniere, poi guardò Nick imbarazzato, arrossendo sotto l'abbronzatura. «Signor Berg, gli ufficiali mi fanno impazzire. Mi tormentano da quando abbiamo lasciato il capo di Buona Speranza. Questo è un lavoro o una crociera?» Nick scoppiò a ridere. Sentiva l'eccitazione della caccia e la vicinanza della preda. Adesso che aveva il Warlock sotto i piedi, era più tranquillo sul conto di Peter. In caso d'emergenza, sarebbe potuto accorrere subito. Si sentiva euforico. «Siamo a caccia, David», disse. «Non è ancora sicuro, ma...» Esitò un momento, poi decise. «Mi porti Beauty Baker in cabina e dica a Angel di mandarmi un bricco di caffè con una montagna di panini, non ho ancora fatto colazione. Mentre mangiamo, vi spiegherò tutto.» Beauty Baker accettò uno dei sigari di Nick. «Ancora 'sta robaccia», commentò fiutando il sigaro da quattro dollari, ma ammiccò dietro le lenti. Poi, incapace di contenersi, sogghignò. «Il comandante mi ha detto che siamo in caccia. É vero?» «Adesso vi spiego.» Nick cominciò a illustrare la situazione, pensando con indulgenza: «Sto diventando vecchio e sentimentale, non ho mai parlato tanto». Entrambi lo ascoltarono in silenzio. Quando ebbe finito, lo bombardarono di domande come si era aspettato. «Sembrerebbe l'armatura di un generatore», borbottò Beauty Baker, riflettendo sul contenuto della cassa che era stata portata sulla Golden Dawn. «Non credo che la Golden Dawn abbia ricambi per ogni pezzo.» Mentre Baker ponderava sugli aspetti meccanici della situazione, David Allen si concentrò sui problemi della navigazione. «Qual è l'autonomia dell'elicottero? É già tornato alla base? Con il suo pescaggio, la nave preferirà passare per lo Stretto di Florida. Ci converrebbe far rotta per Matanilla Reef, all'imboccatura dello stretto.» Fu bussato perentoriamente alla porta della cabina degli ospiti, e fece capolino la testa grinzosa di Trog. Sbirciò Nick ma non lo salutò.
«Comandante, Miami ha diffuso un nuovo allarme d'uragano. 'Lorna' si dirige verso nord. Si prevede una rotta a nord-nordovest alla velocità di venti nodi.» Chiuse la porta. I tre si fissarono in silenzio. Finalmente Nick parlò. «I disastri non sono mai provocati da un errore solo», disse. «Occorre sempre una serie di errori concomitanti, magari non gravi. Ma se ci si mette la scalogna...» Tacque un momento, poi mormorò: «E la scalogna potrebbe essere l'uragano 'Lorna'». Alzatosi, passeggiò per la piccola cabina degli ospiti. Si sentiva in gamba e rimpiangeva lo spazioso alloggio del comandante, ora occupato da David
Allen. Guardò nuovamente Beauty Baker e David, e a un tratto capì che volevano il disastro. Gli parvero due lupi con il sentore della preda nelle narici. Sentì insorgere l'ira. Auguravano il disastro a suo figlio. «C'è una cosa che non vi ho detto», sbottò. «Mio figlio è sulla Golden Dawn.» ^ L'immensa tempesta turbinante battezzata «Lorna» si era ormai dilatata al massimo. La sua cresta si ergeva ad altitudini eccelse, cosicché una splendida criniera di ghiaccioli si protendeva per trecento miglia, soffiata dalle correnti della troposfera superiore. Ora aveva un diametro di centocinquanta miglia e al suo interno si scatenavano forze di potenza incalcolabile. I venti che vorticavano intorno al centro risucchiavano l'acqua del mare portandola con sé a oltre centocinquanta miglia all'ora, e provocando precipitazioni che nulla avevano in comune con la pioggia. L'acqua colmava i densi banchi di nuvole, non c'era più confine fra il mare e l'aria. Pareva che la follia si nutrisse di se stessa. Come un mostro cieco e infuriato, l'uragano vagò negli angusti confini dei Caraibi, dilaniando gli alberi, le case e perfino la terra delle isole che trovava sulla sua strada. Ma c'erano forze che governavano ciò che sembrava incontrollabile, che determinavano ciò che sembrava casuale. Mentre turbinava sul globo rotante, l'uragano soggiaceva alla legge principale dell'inerzia giroscopica: la sua direzione nello spazio sarebbe rimasta costante finché un'altra forza non fosse intervenuta. Obbedendo alla legge naturale, la perturbazione si spostò verso est a velocità e altitudine costanti, finché il lembo settentrionale investì la lunga teoria di isole che forma le grandi Antille. Subito entrò in gioco un'altra legge giroscopica, la legge della precessione. Quando una forza deviante agisce sull'orlo di un giroscopio rotante, il giroscopio non si allontana da tale forza, ma si muove direttamente verso di essa. L'uragano «Lorna» sentì la terra e, come un toro furioso alla vista della cappa, mutò direzione e la caricò, attraversando Haiti in un'orgia di distruzione e terrore. Poi, superato lo Stretto del Vento, sboccò nel mare aperto. Continuava a turbinare e a procedere. Ora, appena trecento miglia più avanti, oltre le scogliere e i bassifondi battezzati «Banchi degli Uragani» a causa delle migliaia di tempeste che avevano seguito lo stesso itinerario, c'erano le acque più profonde dello Stretto di Florida e la costa degli Stati Uniti d,America. A venti miglia all'ora, la massa di venti impazziti e di nubi turbinanti rotolò verso nordovest. Duncan Alexander stava sotto il falso Degas appeso nel salotto dell'armatore. Si bilanciava disinvoltamente sui talloni con le mani allacciate dietro la schiena, ma aveva la fronte aggrondata e gli occhi pesti. Sul lungo divano e sulle poltroncine Luigi Quattordici presso il caminetto erano seduti gli ufficiali superiori della Golden Dawn: il comandante, il primo ufficiale e il direttore di macchina; e nella poltrona di cuoio dall'altra parte dell'ampia cabina era seduto Charles Gras, l'ingegnere dell'Atlantique. Pareva che avesse scelto quel posto per tenere le distanze dall'armatore e dagli ufficiali della superpetroliera in avaria.
Ora parlò con il suo accento marcato, lasciandosi sfuggire qualche parola in francese che Duncan si affrettava a tradurre. I quattro uomini lo ascoltarono attentamente, senza mai distogliere lo sguardo dall'affilato viso parigino e dagli occhietti vivaci. «Entro mezzogiorno, i miei uomini avranno completamente rimontato la bronzina principale. Ho esaminato e controllato l'albero motore. Non ho trovato danni strutturali, ma non significa che non ce ne siano. Nel migliore dei casi, le riparazioni devono considerarsi provvisorie.» Fece una pausa. Mentre gli altri aspettavano, si rivolse al capitano Randle. «Le consiglio di far eseguire una riparazione adeguata nel porto più vicino. Nel frattempo proceda a velocità minima, così potrà governare meglio la nave.» Palesemente imbarazzato, Randle si agitò sulla poltroncina e sbirciò Duncan. Il francese colse l'occhiata e la voce s'indurì un poco. «Se l'albero motore si è deformato, una velocità eccessiva lo danneggerebbe irreparabilmente. Desidero ribadirlo.» Duncan intervenne con fare conciliante. «Siamo a pieno carico e peschiamo venti braccia. Sulla costa orientale americana non ci sono porti idonei, ammesso che ci autorizzino a entrare nelle acque territoriali con le macchine guaste. Gli americani non ci vedranno di buon occhio. L'ancoraggio più sicuro è nella rada di Galveston, sulla costa texana del Golfo del Messico. E soltanto dopo che i rimorchiatori avranno portato le nostre cisterne oltre il limite delle cento braccia.» Il primo ufficiale della petroliera era giovanissimo, dimostrava meno di trent'anni; ma fino ad allora si era comportato egregiamente in ogni situazione d'emergenza. Aveva il viso quadrato e l'occhio fiero, era stato il primo a entrare nella galleria dell'albero piena di fumo. «Con tutto il rispetto, signore», cominciò, e tutti si girarono a guardarlo, «Miami ha diffuso un nuovo allarme d'uragano che comprende lo stretto e la Florida meridionale. La nostra rotta ci porterebbe diritti sul percorso dell'uragano.» «Anche a quindici nodi, attraverseremo lo stretto ed entreremo nel golfo con ventiquattr'ore di anticipo», ribatté Duncan, guardando Randle per la conferma. «Alla velocità attuale della tempesta, sì», convenne gravemente Randle. «Ma se le condizioni cambiassero...» Il primo ufficiale insisté. «Ancora con tutto il rispetto, signore. L'ancoraggio più sicuro è al riparo della Gran Bermuda...» «Ma lei lo sa quanto vale il carico?» sbottò Duncan. «Macché, non sa niente, lei. Be', glielo dirò io. Vale ottantacinque milioni di dollari. Gli interessi ammontano a venticinquemila dollari al giorno.» La sua voce salì di tono, si fece stridula. «E la Gran Bermuda non è attrezzata per effettuare riparazioni così complesse.» La porta dell'alloggio privato fu spalancata silenziosamente e Chantelle Alexander entrò nella cabina. Non portava gioielli, indossava una semplice blusa color madreperla e una gonna di lana, ma si era truccata leggermente gli occhi e la sua carnagione era dorata dal sole. Gli uomini la guardarono ammirati e lei se ne accorse mentre andava al fianco di Duncan.
«É necessario che la nave proceda direttamente per Galveston», disse con calma. «Chantelle...» cominciò Duncan, ma lei lo zittì con un gesto. «Non ammetto obiezioni sulla rotta e sulla destinazione.» Charles Gras guardò il capitano Randle, aspettandosi che facesse valere l'autorità conferitagli dalla legge. Poiché il giovane comandante non aprì bocca, il francese sorrise ironicamente e scrollò le spalle. «Allora io e i miei due assistenti lasceremo la nave non appena avremo ultimato la riparazione provvisoria.» Calcò sulla parola «provvisoria». Duncan annuì. «Se riprenderemo la navigazione quando avete previsto, domani mattina all'alba l'elicottero potrà raggiungere la costa della Florida. Bisogna considerare che è a corto di carburante.»
Nel frattempo Chantelle non aveva distolto gli occhi dagli ufficiali della Golden Dawn. Ora continuò senza alzare la voce: «Sono disposta ad accettare le dimissioni di ogni ufficiale che voglia partire con l'elicottero». Duncan aprì la bocca per protestare contro l'ingerenza, ma lei lo guardò a testa alta. Qualcosa, nella sua espressione, gli ricordò il vecchio Arthur Christy. Vide la stessa fermezza, la stessa caparbietà. Strano che non se ne fosse accorto prima. «Forse non l'ho mai osservata», pensò. Chantelle capì che si era arreso e fissò gli ufficiali della Golden Dawn. Uno per uno, gli uomini abbassarono gli occhi. Randle fu il primo ad alzarsi. «Se vuole scusarmi, signora Alexander, devo disporre per la ripresa della navigazione.» Charles Gras indugiò a guardarla e sorrise di nuovo, come solo un francese può sorridere a una bella donna. «Magnifique!» mormorò. La salutò galantemente e lasciò il salotto. Quando rimase sola con Duncan, Chantelle non si curò di celare il suo disprezzo. «Quando avrai fifa di nuovo, fammelo sapere.» «Chantelle...» «Sei tu che hai cacciato me e la Christy Marine in questo guaio. Adesso devi tirarcene fuori, a costo di lasciarci la pelle.» Strinse le labbra, con uno scintillio d'odio negli occhi... «E non sarebbe un male», aggiunse sommessamente. ^ Il pilota del Beechcraft Baron mise le eliche al passo minimo e virò planando verso la straordinaria nave che emergeva dalle brume mattutine esalate dalle isole. La caligine celava a ovest il basso profilo della Florida. Perfino l'acqua verde e gli scogli dei Banchi delle Bahamas erano offuscati dai vapori, e parzialmente celati dalle formazioni di stratocumuli a milleduecento metri d'altezza.
Il pilota del Baron alzò di venti gradi i deflettori per dare all'aereo un assetto inclinato, ciò che avrebbe migliorato la visuale, e continuò a planare attraverso la nube. Dopo un ultimo sbuffo grigio sul finestrino, si ritrovarono alla luce del sole. «Che cosa vedi?» chiese al secondo pilota. «É un colosso.» Il secondo pilota cercò di tener fermo il binocolo. «Non riesco a leggere il nome.» L'immensa prua sollevava una montagna d'acqua ribollente e i ponti verdi si stendevano a perdita d'occhio, prima d'innalzarsi nel castello di poppa. «Accidenti.» Il pilota scrollò la testa. «Sembra la fabbrica dei missili a Cape Kennedy.» «Già», convenne il secondo pilota. Tozza e sgraziata, la plancia della nave sembrava una replica in scala ridotta dell'enorme edificio. «La chiamo sul canale 16.» Abbassò il binocolo e si accostò il microfono alle labbra, facendone scattare l'interruttore. «Petroliera diretta a sud, parla la guardia costiera November Charlie Uno Cinque Nove sopra di voi. Mi sentite?» Seguì l'attesa prevista. Quelle grosse bastarde non avevano una guardia efficiente nemmeno in acque ristrette e piene di traffico. Il secondo pilota fremette in silenzio. «Guardia costiera Uno Cinque Nove, qui è la Golden Dawn. Vi riceviamo male. Passiamo al canale 22.» A duecento miglia di distanza, Trog fece cadere il bossolo che fungeva da portacenere, spargendo mozziconi di sigaro sul ponte, nella fretta di passare al canale 22 come aveva detto il marconista della Golden Dawn. Nello stesso tempo mise in funzione il registratore e il radiogoniometro. Più in alto, sulla torretta del Warlock, la grossa antenna circolare del
radiogoniometro girò lentamente, orientandosi sulla trasmissione che perveniva dall'etere, e ripeté il rilevamento relativo sul quadrante dell'apparecchio sul banco di Trog. «Buon giorno, Golden Dawn», disse la cadenzata voce meridionale del secondo pilota. «Vorrei conoscere il vostro porto di registrazione e la vostra nota di carico.» «Questa nave è registrata in Venezuela.» Trog regolò destramente la sintonia, annotò il rilevamento sul taccuino, strappò il foglietto e schizzò nella plancia del Warlock. «La Golden Dawn trasmette in chiaro», gracidò con maligna allegria. «Chiama il comandante», disse l'ufficiale di coperta. Esitò, poi aggiunse: «E prega il signor Berg di venire in plancia». La conversazione fra la guardia costiera e la superpetroliera era ancora in corso, quando Nick irruppe nella cabina radio allacciandosi la vestaglia. «Grazie per la gentile collaborazione, signore.» Il navigatore della guardia costiera non risparmiava la sua cortesia del Sud, sapendo che la nave era fuori delle acque territoriali statunitensi e ufficialmente oltre la giurisdizione del suo governo. «Gradirei conoscere la vostra destinazione finale.» «Siamo in rotta per Galveston, dove consegneremo tutto il carico.»
«Grazie ancora, signore. Avete ricevuto l'allarme d'uragano?» «Sì.» David Allen comparve sulla soglia. Era rosso e teso. «Deve aver ripreso la navigazione», disse. Nick fu irritato dalla sua aria delusa. «É già entrata nel canale.» «Metta questa nave in rotta per lo stretto e si avvicini il più possibile alla Golden Dawn», disse seccamente e Nick. David Allen batté le palpebre e corse in plancia, ordinando il cambiamento di rotta e l'aumento di velocità. Nell'altoparlante della radio, il guardacoste insisteva educatamente. «É informato, signore, che nell'ultimo allarme è previsto il passaggio dell'uragano sul principale canale navigabile alle dodici di domani, ora locale?» «Sì.» Le risposte della Golden Dawn erano divenute laconiche. «Mi perdoni, signore, ma considerando il suo carico e le condizioni del tempo, vorrei sapere a che ora suppone di arrivare al traverso del faro del banco delle Dry Tortugas. E anche quando prevede di lasciare il canale e virare a nord, lasciando la probabile rotta dell'uragano.» «Un momento.» Seguì un breve ronzio di fondo, mentre il marconista consultava l'ufficiale di coperta. Poi la Golden Dawn comunicò di nuovo. «L'ora prevista per l'arrivo al banco delle Dry Tortugas è l'1,30 di domani.» Vi fu una lunga pausa, mentre il guardacoste consultava il suo quartier generale in una frequenza chiusa. Poi: «Sono stato pregato di farvi notare con rispettosa fermezza che una violenta perturbazione precede il nucleo dell'uragano e che la vostra rotta attuale per il banco delle Dry Tortugas vi lascia uno scarso margine di sicurezza, signore». «Grazie, guardia costiera Uno Cinque Nove. La vostra trasmissione sarà registrata sul giornale di bordo della nave. Questa è la Golden Dawn, passo e chiudo.» La riluttanza del guardacoste era palese. Avrebbe chiaramente voluto ordinare alla petroliera d'invertire la rotta. «Seguiremo attentamente la vostra navigazione, Golden Dawn. Buon viaggio, qui è la guardia costiera Uno Cinque Nove, passo e chiudo.» Charles Gras aveva il suo basco blu in una mano e la valigia nell'altra. Corse piegato in due, cercando istintivamente di sfuggire al rombo pulsante dell'elicottero. Gettò la valigia nella fusoliera, esitò un momento, si girò e tornò dal direttore di macchina della nave, al margine del cerchio bianco che contrassegnava l'eliporto sul ponte verde della Golden Dawn. Prese il direttore per un braccio e gli gridò all'orecchio:
«Ricordi, amico mio, la tratti come una bambina, come una verginella. Se dovete aumentare la velocità, lo faccia con delicatezza, molta delicatezza». Il direttore annuì. I suoi radi capelli grigi svolazzavano al vento delle pale. «Buona fortuna», gridò il francese. «Bonne chance!» Gli diede una manata sulla spalla. «Spero che non ne abbiate bisogno!»
Tornò indietro e salì sul Sikorsky. Il suo viso comparve in un oblò. Fece un gesto di saluto, poi la gran macchina si alzò lentamente, si librò un istante e virò bassa sull'acqua, dirigendosi nel suo tipico assetto inclinato verso la terra ancora invisibile. ^ La dottoressa Samantha Silver, con gli stivaloni impermeabili e le maniche arrotolate fino ai gomiti, barcollava per il peso dei due secchi pieni di conchiglie mentre saliva le scale posteriori del laboratorio. «Sam!» gridò Sally-Anne, dall'altra parte del lungo corridoio. «Stavamo per lasciarti qui!» «Che cosa c'è?» Sam depose i secchi, schizzando acqua marina sui gradini. «Ha telefonato Johnny. La pattuglia antinquinamento ha parlato un'ora fa con la Golden Dawn. É nello stretto, quando l'hanno avvistata era all'altezza della scogliera di Matanilla. Se non facciamo presto, passerà davanti a Biscayne Key prima ancora che partiamo.» «Vengo.» Sam riprese i pesanti secchi e corse goffamente. «Ci vediamo sul molo. Hai telefonato alla televisione?» «Stanno arrivando», gridò Sally-Anne mentre usciva. «Sbrigati, Sam!» ^ L'ufficiale di coperta della Golden Dawn si fermò presso lo schermo del radar, lo sbirciò distrattamente e subito si chinò a guardare con attenzione. Rilevò la posizione di un puntolino fosforescente che spiccava con chiarezza nelle dieci miglia di portata del fascio. Borbottò qualcosa, si raddrizzò e andò nella parte anteriore della plancia, di dove perlustrò con il binocolo il mare verde e lacerato dal vento davanti alla prua della petroliera. «Un peschereccio», disse al timoniere. «Si muove.» Aveva visto un minuscolo baffo di spuma biancheggiare presso la prua. «É in mezzo al canale navigabile, ormai devono averci visto, stanno virando per incrociarci a dritta.» Abbassò il binocolo, lasciandoselo penzolare sul petto. «0h, grazie.» Prese la tazza di cioccolata offertagli dal cameriere di bordo sorseggiò la bevanda di gusto, tornando a concentrarsi sulle carte nautiche. Un ufficiale subalterno emerse dalla cabina radio sul retro della plancia. «Ancora zero a zero», annunciò. «Ormai siamo alla fine del secondo tempo.» Cominciarono a discutere animatamente della partita di coppa del mondo che si giocava in notturna allo stadio di Wembley. «Se pareggiamo, la Francia sarà...» Un urlo eccitato venne dalla cabina radio. L'ufficiale subalterno corse sulla soglia e si girò con un sogghigno. «L'Inghilterra ha segnato!» L'ufficiale di coperta ridacchiò. «Così il conto è chiuso.» Si fece subito serio e tornò ai suoi doveri. Ma quando guardò lo schermo del radar, sussultò per lo stupore. «Che cosa diavolo stanno combinando?» disse irosamente, e si precipitò a perlustrare il mare con il binocolo. Il peschereccio aveva continuato a virare e adesso puntava su di loro. «Che il diavolo se li porti. Diamogli una scrollata.» Afferrò la maniglia della sirena per la nebbia e lasciò partire tre ululati
che risuonarono lugubremente sull'acqua verde dello stretto. Gli ufficiali corsero a guardare dalle finestre anteriori della plancia. «Dormono, quelli là.» L'ufficiale di coperta pensò di chiamare in plancia il comandante. Non voleva assumersi la responsabilità di manovrare la nave in così poco spazio.
Anche a velocità ridotta, la Golden Dawn avrebbe impiegato mezz'ora per fermarsi, percorrendo nel frattempo varie miglia; e una virata in qualsiasi direzione avrebbe coperto un arco di parecchie miglia prima che la nave cambiasse la rotta per 90°. Poi c'era l'effetto del vento contro la superficie del castello di poppa e l'azione contraria della corrente del Golfo che sboccava con impeto dallo stretto. All'idea di manovrare la nave, l'ufficiale sentì un principio di panico; ma il peschereccio era in rotta di collisione, la distanza scemava rapidamente. Si accinse a premere il bottone del citofono che collegava la plancia con l'alloggio del comandante al ponte inferiore, ma proprio allora il capitano Randle giunse dalla scala privata della sua cabina. «Che cosa c'è?» chiese. «Perché avete suonato la sirena?» Il sollievo dell'ufficiale era evidente. Randle si attaccò alla maniglia della sirena. «Cristo, sono impazziti?» «Il ponte brulica di gente», esclamò un ufficiale, senza abbassare il binocolo. «Pare che ci siano anche degli operatori cinematografici.» Randle valutò ansiosamente la distanza. Il peschereccio era già troppo vicino perché la Golden Dawn potesse fermarsi in tempo. «Meno male», disse qualcuno. «Stanno virando.» «Hanno spiegato uno striscione. Riuscite a leggerlo?» «Si mettono in panna», gridò a un tratto l'ufficiale di coperta. «Si mettono in panna proprio davanti a noi.» Samantha Silver non si era aspettata che la petroliera fosse così gigantesca. Vista di fronte, la sua prora sembrava stendersi da un estremo all'altro dell'orizzonte, e sollevava un'onda che si inarcava spumeggiando come le lunghe ondate del surfing a capo St Francis. Oltre la prua, la torre della plancia si ergeva alta come un grattacielo di Miami Beach. Non le piaceva per niente trovarsi sulla rotta di una simile valanga d'acciaio. «Credi che ci abbiano visto?» chiese Sally-Anne. Notando che anche la ragazza era a disagio, Samantha si fece coraggio. «Sicuro», rispose forte, in modo che la sentissero tutti. «Perciò hanno suonato la sirena. Ci toglieremo di mezzo all'ultimo momento.» «Non rallentano», osservò Hank Petersen, il timoniere, con voce strozzata. Samantha si rammaricò che Tom Parker non fosse a bordo. Ma aveva dovuto tornare a Washington, e loro avevano condotto il Dicky in mare con un equipaggio raccogliticcio, senza nemmeno l'autorizzazione scritta di Tom Parker. «Che cosa facciamo, Sam?» Tutti la guardavano. «Non faranno in tempo a fermare quel colosso», osservò Sally-Anne. «Ma li costringeremo a rallentare.» «I ragazzi della TV stanno riprendendo?» chiese Samantha, per rimandare il momento della decisione. «Sali a vedere, Sally-Anne.» Poi, agli altri: «Preparate lo striscione, glielo sventoleremo sotto il naso».
«Ascolta, Sam.» Il viso abbronzato di Hank Petersen era teso. Il suo campo erano i tonni, e fin allora aveva pilotato il battello soltanto in acque calme e sgombre. «Non mi va, siamo troppo vicini. Quell'affare potrebbe maciullarci senza nemmeno sentire l'urto. Voglio virare subito.» Con un ululato improvviso, la sirena della petroliera coprì la sua voce. «Cristo, Sam, ti sembra il caso di scherzare, con un mostro simile?» «Non preoccuparti, ci toglieremo di mezzo all'ultimo momento. Va bene!» decise Samantha. «Vira di 90° a sinistra, Hank. Gli mostreremo lo striscione. Salgo a dare una mano.» Il vento faceva svolazzare il leggero striscione di tela, mentre cercavano di stenderlo sulla fiancata della tuga. Il peschereccio rollava con violenza e il regista della TV gridava confuse istruzioni dal tetto della timoneria. Samantha avrebbe voluto che vi fosse una persona in grado di comandare, una persona come Nicholas Berg. Lo striscione cercava di avvilupparsi intorno alla sua testa. Il Dicky stava virando rapidamente. Samantha diede un'occhiata alla petroliera e la paura le mozzò il fiato. Era gigantesca e vicinissima. Troppo vicina, dovette riconoscerlo. Finalmente riuscì a legare la funicella dello striscione alla ringhiera di
poppa, ma la tela si era attorcigliata, cosicché si poteva leggere una sola parola dello slogan: «AVVELENATORI». Era rozzamente dipinta a lettere scarlatte, seguite da un teschio con tanto di ossa incrociate. Samantha attraversò il ponte in un balzo e lottò contro la tela svolazzante. Sopra di lei, il regista gridava come un ossesso. Due ragazzi cercarono di aiutarla, mentre Sally-Anne si sbracciava all'indirizzo della petroliera, strillando: «Tornate indietro! Tornate indietro! Non avvelenate il nostro mare!» La situazione degenerava. Il Dicky puntò la prua controvento e beccheggiò violentemente, un giovane perse l'equilibrio e rovinò addosso a Samantha. In quel momento lei sentì il cambiamento nelle pulsazioni delle macchine. Il diesel del Tricky Dicky aveva ruggito furioso, mentre Hank lo forzava al massimo dei giri per sottrarre il peschereccio alla minaccia della montagna d'acciaio. Lo strepito del tubo di scappamento, che saliva verticalmente presso la tuga, era stato assordante, ma ora morì, e all'improvviso si udì solo il sibilo del vento. Tutti tacquero e s'irrigidirono, fissando la Golden Dawn che si avvicinava senza rallentare., Samantha fu la prima a riscuotersi. Corse nella timoneria. Hank Petersen era inginocchiato presso la paratia e armeggiava con il tubo che conteneva i cavi di raccordo con la sala macchine, nel ponte inferiore. «Perché ti sei fermato?» gridò Samantha. Lui alzò lo sguardo. Sembrava ferito a morte. «Il collegamento della valvola a farfalla», rispose. «Si è rotto di nuovo.» «Puoi ripararlo?» La domanda suonò beffarda. La Golden Dawn distava meno di un miglio e si avventava verso di loro. Silenziosa, minacciosa, inarrestabile. Randle rimase rigido per dieci secondi, stringendo convulsamente la sbarra
sotto le finestre della plancia. Il suo volto era pallido e teso, mentre guardava la poppa del peschereccio sperando di rivedere la schiuma dell'elica. Sapeva che la sua nave non poteva virare né fermarsi in tempo per evitare la collisione. Il peschereccio doveva avviare subito le macchine e virare a dritta a tutta forza. «Che il diavolo se li porti», pensò con rabbia. Era colpa loro. Lui aveva dalla sua parte la legge e le consuetudini marinare. La collisione avrebbe lasciato indenne la Golden Dawn, al massimo avrebbe scheggiato un po' di vernice dalla prua. Se l'erano voluta. Non aveva dubbi sul motivo della folle bravata. C'erano state abbastanza polemiche, prima che la Golden Dawn fosse varata. Aveva letto le critiche e aveva visto gli ecologi alla televisione. Lo striscione con le parole scarlatte e il ridicolo teschio parlava chiaro: era un battello di pazzoidi che volevano impedire alla Golden Dawn di entrare nelle acque americane. Fu assalito dall'ira. I fanatici lo rendevano furioso. A sentir loro, le petroliere avrebbero dovuto scomparire. E adesso minacciavano la sua carriera. Aveva già la responsabilità di condurre la nave fuori dello stretto prima che si scatenasse l'uragano. Ogni secondo era prezioso... ed erano arrivati quei maledetti piantagrane. Avrebbe mantenuto volentieri la rotta e la velocità per colarli a picco. Lo sfidavano a farlo. Se lo meritavano, per la miseria. Ma era un marinaio, e rispettava la vita umana. Il suo istinto gli imponeva di fare un tentativo per evitare la collisione per disperato che fosse. Un ufficiale lo strappò alle sue riflessioni. «Guardi, ci sono delle donne a bordo!» Era abbastanza. Senza curarsi di verificare, Randle ordinò seccamente al timoniere: «Barra tutta a sinistra!» In due falcate giunse al telegrafo di macchina e tirò la leva sulla posizione «indietro tutta», facendo tintinnare la campanella. Percepì quasi subito il cambiamento delle pulsazioni attraverso le suole delle scarpe, mentre le grandi macchine sette ponti più in basso ruggivano all'improvviso sotto la potenza di emergenza, e la rotazione dell'elica veniva
bruscamente invertita. Randle guardò avanti. Per quasi cinque minuti la prua rimase puntata nella stessa direzione senza rispondere alla barra. L'inerzia di un milione di tonnellate di greggio, il profondo pescaggio dello scafo, le forze combinate del vento e della corrente la tennero sulla rotta. Sebbene l'unica elica mordesse l'acqua in senso inverso, al massimo dei giri, la petroliera non rallentò. Randle tenne la mano sul telegrafo di macchina, stringendo convulsamente la maniglia cromata quasi sperasse di fermare la corsa della petroliera. «Vira!» sussurrò alla nave. Guardò il peschereccio che rollava sulla rotta della Golden Dawn. Notò che alcune figure lungo la ringhiera gesticolavano freneticamente, che lo striscione con l'accusa scarlatta si era staccato a un'estremità e ora sventolava sulle teste dell'equipaggio come una bandiera. «Vira», ripeté.
Vide la prima risposta dello scafo. L'angolo fra la prua e il peschereccio stava mutando. Dapprima la variazione fu quasi impercettibile, ma aumentò rapidamente. Un'occhiata al quadro dei comandi gli disse che la velocità della nave era diminuita. «Vira, maledizione, vira.» Fra poco il peschereccio sarebbe sparito alla vista sotto la prua della Golden Dawn. Ormai Randle aveva invertito la rotazione dell'elica da quasi sette minuti, e a un tratto sentì un cambiamento nella Golden Dawn. Non aveva mai sentito niente di simile. Una vibrazione squassante scaturì dalle viscere della nave. L'immenso scafo cominciò a sussultare con violenza, ma Randle non allentò la stretta sul telegrafo di macchina. Il peschereccio era vicinissimo. All'improvviso, come per incanto, le vibrazioni del ponte cessarono. Lo scafo abbrivò dolcemente fra le onde, senza più la spinta delle macchine. Per un marinaio era una sensazione più inquietante della vibrazione che l'aveva preceduta. Simultaneamente vi fu un'eruzione di luci rosse sul quadro comandi principale, accompagnata dallo stridore assordante dell'allarme acustico. Soltanto allora il capitano Randle spostò la leva del telegrafo di macchina sulla posizione di «fermo». Fissò il mare, mentre il peschereccio spariva alla vista, celato dalla prua un miglio più avanti. Un ufficiale fece tacere l'allarme acustico. Nell'improvviso silenzio, tutti gli ufficiali s'irrigidirono aspettando l'impatto della collisione. Il direttore di macchina della Golden Dawn passeggiava lentamente accanto al quadro dei comandi delle macchine, senza mai distogliere gli occhi dalle spie elettroniche che fornivano ogni dato sulle funzioni meccaniche ed elettriche della nave. Quando giunse davanti al pannello d'allarme, si fermò accigliandosi. Il guasto di un transistor, un oggetto del valore di pochi dollari, era stato la causa del danno alle sue amate macchine. Si chinò a schiacciare il pulsante del «controllo» per mettere alla prova i circuiti d'allarme. Era troppo tardi, lo sapeva. Stava coccolando la nave, mentre le macchine e l'albero motore erano sicuramente danneggiati, e soltanto la velocità ridotta impediva che il danno si manifestasse. Ma più a sud c'era un uragano. Forse, entro breve tempo, le macchine avrebbero dovuto affrontare una situazione d'emergenza. Gli venivano i brividi a pensarci. Frugò nella tasca posteriore, cavò una scatoletta di mentini e se ne ficcò qualcuno in bocca, succhiando rumorosamente mentre riprendeva a passeggiare. I fuochisti e gli ingrassatori lo guardavano furtivamente. Quando il vecchio aveva le paturnie, era meglio non farsi notare. «Dickson!» disse a un tratto il direttore. «Mettiti il casco. Torniamo nella galleria dell'albero.» L'ingrassatore sospirò, guardò rassegnato un suo collega e si mise il casco. Lui e il direttore erano scesi nella galleria un'ora prima. Non aveva nessuna voglia di replicare l'esperienza. Richiuse lo sportello a tenuta stagna della galleria, inserendo i ganci sotto lo sguardo gelido del direttore. Poi entrambi si chinarono
nell'imboccatura per infilarsi nella galleria illuminata.
L'albero rotante nella fossa produceva un ronzio stridulo che faceva vibrare la galleria d'acciaio come la cassa armonica di un violino. Stranamente, il rumore era più forte a velocità ridotta. All'ingrassatore sembrava di essere sotto il trapano di un dentista. Ma il direttore pareva immune. Si fermò presso la bronzina principale per quasi dieci minuti, tastandola per sentire il calore e le vibrazioni; aggrondato, succhiava i suoi mentini e scrollava cupamente la testa. Finalmente procedettero nella galleria. Quando giunse alla guarnizione principale, il direttore si accosciò all'improvviso e la scrutò attentamente, schiacciando i mentini fra i denti e corrugando la fronte. Un rivoletto d'acqua marina filtrava dalla guarnizione e colava nelle sentine. Il direttore la toccò col dito. Qualcosa si era mosso, qualche equilibrio era compromesso, la guarnizione non era più a tenuta stagna. Il piccolo sintomo, pochi decilitri d'acqua marina, poteva essere il primo avviso di un grave danno. Il direttore si chinò poi a osservare l'albero rotante. Chiuse un occhio e inclinò la testa, cercando nuovamente di decidere se la lieve deformazione dell'albero motore fosse reale o immaginaria. A un tratto l'albero si bloccò. La decelerazione fu così brusca che la forza torcente si comunicò al suo alveo. Le pareti metalliche gemettero e scricchiolarono sotto la tensione. Il direttore si ritrasse di scatto e quasi subito l'albero riprese a rotare, ma stavolta in senso inverso. Il ronzio divenne rapidamente un urlo stridulo. Dalla plancia avevano scatenato la potenza d'emergenza. Era una pazzia, una pazzia suicida. Afferrò l'ingrassatore per le spalle e gli gridò all'orecchio: «Torna in sala controllo, chiedi che cosa combinano in plancia». L'ingrassatore risalì la galleria. Gli occorsero dieci minuti per arrivare in fondo al lungo passaggio, aprire il portello a tenuta stagna e giungere nella sala controllo; e ne impiegò altrettanti per tornare. Il direttore considerò l'idea di seguirlo, ma non si sentiva di lasciare l'albero. Chinò di nuovo la testa per osservarlo in prospettiva, e stavolta vide con chiarezza che tremolava. Non era uno scherzo della sua fantasia: c'era un accenno di movimento. Si turò le orecchie per non essere assordato dall'urlo dell'albero rotante, ma colse una nota nuova, lo stridore del metallo contro il metallo. Vide accentuarsi il tremolio dell'albero, vide sussultare i macchinari mentre il ponte cominciava a vibrargli sotto i piedi. «Dio mio! Qui scassano tutto!» gridò balzando in piedi. Ora il ponte oscillava e sgroppava. Si avviò lungo l'albero, ma la galleria tremava con tale violenza che dovette aggrapparsi alla paratia per non cadere. Annaspò come un ubriaco, sballottato dagli scossoni. Più avanti vide la calotta della bronzina torcersi e sussultare. Le vibrazioni gli risalivano lungo la spina dorsale facendogli battere i denti. Inorridito, vide l'enorme albero saltellare nel suo alveo, mentre la bronzina si staccava dai supporti. «Fermate le macchine!» urlò. «Per amor del cielo, fermate le macchine!» La sua voce si perse fra i gemiti e le urla del metallo torturato, dei macchinari che si dilaniavano con frenesia suicida. La bronzina esplose e l'albero balzò contro la paratia, squarciando l'acciaio come se fosse carta.
L'albero cominciò a serpeggiare e a contorcersi. Il direttore si rannicchiò contro la paratia, turandosi le orecchie per proteggersi dal frastuono intollerabile. Una scheggia della bronzina lo colpì in faccia, squarciandogli il labbro superiore, maciullandogli il naso e strappandogli i denti anteriori. Barcollò in avanti e l'albero impazzito lo afferrò come una belva furiosa, lo fece a pezzi, lo schiacciò nel suo alveo e lo spiaccicò sulle pareti. L'albero motore si spezzò come un fuscello nel punto dov'era stato arroventato e indebolito. Non più bilanciato, il peso dell'elica strappò via il mozzicone attraverso la guarnizione di poppa.
Il mare irruppe nell'apertura, allagando in un attimo la galleria e investendo il portello a tenuta stagna. L'enorme elica di bronzo, con attaccato il mozzicone dell'albero motore, il tutto pesante centocinquanta tonnellate, cadde a piombo per quattrocento braccia e si seppellì nel fango molle del fondale. Finalmente libera dalla tortura nel suo ventre, la Golden Dawn si fece silenziosa. Procedette d'abbrivo, con i ponti immobili, perdendo lentamente velocità mentre l'acqua frenava il suo scafo. Per un terribile momento, Samantha fu sopraffatta dal rimorso. Si sentiva responsabile d'aver condotto quella gente in un pericolo mortale. Guardò la Golden Dawn oltre la murata del battello. La petroliera si avvicinava senza rallentare. Forse aveva virato di qualche grado, perché la prua non era più puntata direttamente su di loro, ma la velocità era costante. Maledisse la propria inesperienza, la propria incapacità. Cercò di riflettere, di riscuotersi dall'annichilimento. «Giubbotti di salvataggio!» pensò. Gridò a Sally-Anne, sul ponte: «I giubbotti di salvataggio sono nell'armadio dietro la tuga». Tutti i visi si girarono verso di lei, improvvisamente sconvolti. Fino ad allora era stata una bravata, il vecchio gioco di sfidare gli speculatori, di provocare il sistema. Ma a un tratto il gioco era divenuto un rischio mortale. «Presto!» gridò Samantha. Tutti corsero a poppa. «Rifletti!» Samantha scrollò la testa per snebbiarsi le idee. «Rifletti!» si impose. Ora udiva la petroliera, il fremito dell'acqua sotto lo scafo, lo scroscio dell'onda di prua che si piegava. Il collegamento della valvola a farfalla del Dicky si era già rotto un anno prima, mentre navigavano al largo di Key West. Si era roto fra la plancia e le macchine. Samantha aveva osservato Tom Parker trafficare con le macchine, reggendogli la lanterna per rischiarare l'angusto locale. Non ricordava bene che cos'aveva fatto; le pareva che avesse controllato a mano i giri delle macchine, toccando qualcosa su un lato del blocco motore, sotto la grossa coppa del filtro dell'aria. Scese precipitosamente in macchina. Il diesel era in funzione, ma non generava abbastanza potenza per muovere il peschereccio. Scivolò sul ponte viscido di grasso e cadde. Mentre si rialzava, sfiorò il tubo di scarico rovente e gridò di dolore. Girò intorno al blocco e brancolò sotto il filtro dell'aria, spingendo e
tirando tutto quel che toccava. Trovò una molla a spirale e s'inginocchiò per esaminarla. Cercò di non pensare all'enorme scafo d'acciaio che incombeva sul peschereccio, mentre lei era intrappolata nel piccolo locale della macchina che puzzava di grasso, di scarichi e di sentina. Cercò di non pensare che non aveva il giubbotto di salvataggio, che la petroliera poteva schiacciare il Dicky come una scatoletta di fiammiferi. Scoprì che la molla era unita a una leva in posizione verticale. Abbassò la leva contro la pressione della molla e il diesel cominciò istantaneamente a ruggire. Colta di sorpresa, Samantha abbandonò la leva. Il pulsare del diesel morì in un borbottio pigro e lei sprecò secondi preziosi per riafferrare la leva e abbassarla di nuovo. Il motore ruggì, e Samantha si accorse che il battello acquistava velocità. Cominciò a pregare. Non udiva le parole, nel baccano delle macchine. Non era sicura che avessero senso, ma tenne aperta la valvola a farfalla e pregò. Non sentì le grida sul ponte superiore. Ignorava a che distanza fosse la Golden Dawn, ignorava se Hank Petersen fosse ancora nella timoneria per togliere il peschereccio dalla rotta della petroliera. Tenne aperta la valvola e continuò a pregare. All'improvviso il peschereccio sussultò sotto un urto squassante, seguito dallo scricchiolio del legname fracassato e dal rollio pazzo dello scafo che cedeva all'impatto. Samantha fu scagliata contro l'acciaio rovente delle macchine, batté la fronte e fu accecata da un lampo. Cadde all'indietro stordita dalla botta, e
giacque rannicchiata sul ponte. Non seppe per quanto tempo rimase priva di sensi, ma dovette passare solamente qualche secondo. Uno spruzzo d'acqua gelida la richiamò alla coscienza. Si rizzò in ginocchio. Alla luce dell'unica lampadina, vide l'acqua infiltrarsi fra le travi della paratia accanto a lei. I suoi indumenti erano fradici, l'acqua salata le appannava la vista, le sembrava d'avere il cranio spaccato e sentiva un dolore lancinante fra gli occhi. Capì confusamente che il diesel girava a vuoto, che il ponte era allagato mentre il peschereccio rollava sfrenatamente in balia di una violentissima turbolenza. Temette che la petroliera lo avesse schiacciato sott'acqua. Poi capì che era stata l'onda del gigantesco scafo a sballottarli. Ma galleggiavano ancora. Cominciò a strisciare sul ponte inclinato. Sapeva dov'erano le pompe di sentina, Tom lo aveva insegnato a tutti. Era il momento di usarle. Hank Petersen fece capolino dalla timoneria, agitando le braccia per assestarsi il giubbotto di salvataggio. Non sapeva se gettarsi in mare e allontanarsi a nuoto dalla rotta della petroliera o restare a bordo e correre il rischio della collisione imminente. Intorno a lui, gli altri si dibattevano nella stessa incertezza. Si accalcavano in silenzio contro la ringhiera, fissando la montagna d'acciaio che celava metà del cielo. Solo l'operatore della televisione, un maniaco sprezzante del pericolo, era rimasto sul tetto della timoneria e continuava a
riprendere imperterrito. Le sue esclamazioni di giubilo e il ronzio della cinepresa si mischiavano allo scroscio dell'onda di prua della Golden Dawn. Era alta cinque metri e si allargava come un incendio nella prateria. Il tubo di scarico sopra la testa di Hank diede in un ruggito rauco e poi riprese a borbottare. Hank alzò lo sguardo senza capire. Ora ruggiva di nuovo e il ponte vibrava sotto i suoi piedi. Da poppa venne il gorgoglio dell'acqua agitata dall'elica. Il Dicky si riscosse dal suo letargo e alzò la prua contro la corrente del Golfo. Hank rimase paralizzato per un attimo, poi balzò nella timoneria e girò la barra in una brusca virata. Guardò dall'oblò laterale. Adesso la prua della Golden Dawn riempiva tutta la visuale, ma il peschereccio sgusciava via mentre la prua della petroliera piegava maestosamente nella direzione opposta. Ancora pochi secondi e sarebbero stati in salvo. Ma l'onda di prua li investì e Hank fu scagliato in fondo alla timoneria. Sentì qualcosa schiantarsi nel petto e subito dopo udì un crepitio di legno fracassato, come se due navi cozzassero fra di loro. Fu sballottato dall'altra parte e ruzzolò sul ponte annaspando. Cercò di rialzarsi, ma il pazzo rollio del peschereccio lo fece cadere di nuovo. Vi fu un altro urto squassante, mentre il peschereccio strisciava contro la fiancata della petroliera e poi se ne scostava ballonzolando come un tappo di sughero. Finalmente riuscì a rimettersi in piedi. Si piegò in due, comprimendosi le costole rotte, e sbirciò attraverso l'oblò della timoneria. Mezzo miglio più oltre, la petroliera cedeva pigramente al vento. Sotto la poppa non c'era la schiuma dell'elica. Hank andò barcollando sulla soglia e guardò. La coperta era ancora allagata, ma l'acqua defluiva dagli ombrinali. La ringhiera era maciullata, vari tratti penzolavano fuori bordo, il fasciame era scheggiato e sconnesso. Samantha emerse alle sue spalle dalla botola della sala macchine. Aveva una contusione purpurea in mezzo alla fronte, era fradicia e sporca di grasso. Quando si scostò i capelli dal viso, Hank vide l'ustione rossa sul dorso della sua mano. «Stai bene, Sam?» «Imbarchiamo acqua», disse lei. «Non so fino a quando basterà la pompa.» «Hai riparato le macchine?» domandò Hank. Samantha annuì. «Ho tenuto aperta la valvola a farfalla», rispose. Poi, accalorandosi: «Giuro che laggiù non ci torno. Che scenda qualcun altro, il
mio turno l'ho fatto». «Ci penso io», disse Hank. «Tu prendi la barra. Prima torniamo a Key Biscayne, meglio è.» Samantha guardò la mole della Golden Dawn che si allontanava. «Dio mio!» Scrollò la testa, ancora incredula. «Dio mio! Siamo stati fortunati!» ^ «Quando il cielo si fa a pecorelle ammaina le vele che arrivan le procelle» Nick Berg recitò fra sé la vecchia filastrocca dei marinai, mentre guardava in su schermandosi gli occhi. La nube era leggiadra come un merletto. Alta nella cappa azzurra del cielo,
si allargava rapidamente in volute sfumate. I contorni cangiavano e si dilatavano a vista d'occhio, rivelando la tremenda forza del vento. La nube si trovava ad almeno diecimila metri d'altezza, l'aria sottostante era tersa e serena; ma a ovest si addensavano nembocumuli rigonfi, scaturiti dalla massa ancora invisibile della Florida. Navigavano da sei ore nella corrente del Golfo: si distingueva nettamente dal resto del mare a causa delle onde brevi e ravvicinate, del particolare brillio dell'acqua. Si riscaldava nel bacino caraibico aumentando di volume, poi attraversava il Golfo del Messico, assorbendo altro calore e gonfiandosi sino a formare una collinetta d'acqua che correva per lo Stretto di Florida; quindi piegava a nordest in un ampio ventaglio che mitigava il clima dell'Europa, riscaldando le zone di pesca dell'Atlantico settentrionale. Da qualche parte, davanti alla prua del Warlock, la Golden Dawn arrancava verso sud, lottando contro la corrente che riduceva la sua velocità di ottanta miglia al giorno. Puntava diritto verso uno degli uragani più funesti che si fossero mai scatenati. Nick rifletté nuovamente sulla psicologia dell'uomo che correva un rischio simile, un uomo che puntava tutto in una sola giocata. Poteva comprenderlo, anche lui si era trovato con l'acqua alla gola; ma lo odiava. Duncan Alexander rischiava la vita di suo figlio, rischiava la vita di un oceano e di milioni di persone. Duncan Alexander puntava gettoni che non gli appartenevano. Nick aveva un solo desiderio: raggiungere la Golden Dawn e portar via suo figlio. L'avrebbe fatto, a costo di abbordare la petroliera come un pirata. Nell'alloggio del comandante c'era un armadio chiuso e sigillato con le armi: due doppiette automatiche con pallini calibro 12 e sei pistole Walther PK 38. Il Warlock era attrezzato per ogni emergenza, compresi la pirateria e l'ammutinamento a bordo di una nave durante le operazioni di ricupero. Nick era pronto a condurre una squadra armata sulla Golden Dawn e a subirne le conseguenze. Il Warlock filava nella maretta della corrente del Golfo, fra alti spruzzi di spuma; ma per Nick era troppo lento. Si girò con impazienza e cominciò a passeggiare per la plancia. David Allen lo guardò. Il suo viso fanciullesco era accigliato. «Il vento è calato un poco. Adesso soffia verso ovest», disse. Nick ricordò un'altra strofa della filastrocca: «Quando il vento contro sole tira stai attento che poi si rigira» Ma non la recitò. Disse invece: «Stiamo entrando nelle propaggini di 'Lorna'. Quando saremo vicini al centro, il vento soffierà nella direzione opposta». Andò nella cabina radio e Trog alzò gli occhi. Nick non ebbe bisogno di chiederglielo, Trog scosse la testa. Dopo la lunga conversazione con la guardia costiera, avvenuta di primo mattino, la Golden Dawn non aveva più comunicato. Nick si accostò al radarscopio e studiò lo schermo per alcuni minuti; la rotta, di solito assai battuta, era stranamente deserta. Qualche barca attraversava il canale principale, forse erano pescherecci o yacht che correvano a ripararsi dall'uragano incombente. Gli abitanti delle isole e della costa della Florida stavano sicuramente mettendo in atto le misure d'emergenza contro l'assalto dell'uragano. Da quando le innumerevoli isolette che formano le Florida Keys erano state collegate con l'autostrada, più di trecentomila persone si erano stabilite là,
trasformando le isole vergini in un termitaio. Se l'uragano le avesse
investite, i danni materiali e le perdite umane sarebbero stati incalcolabili: probabilmente era il luogo più vulnerabile di tutta la costa. Nick cercò di figurarsi che cosa sarebbe successo se un milione di tonnellate di greggio tossico avesse contaminato il litorale già devastato dall'uragano. La fantasia rifiutò di obbedirgli. Lasciato il radar, andò nella parte anteriore della plancia e scrutò l'orizzonte dello stretto: pareva celare ogni orrore immaginabile. La porta della cabina radio era spalancata e nella plancia regnava il silenzio, così tutti udirono chiaramente. Colsero ogni sibilo del respiro, mentre il marconista taceva tra una frase e l'altra. La lieve distorsione della sintonia non alterò l'ansia del suo tono. «Mayday! Mayday! Mayday! Qui è la petroliera Golden Dawn. La nostra posizione è 79° 50' ovest e 25° 43' nord.» Prima ancora d'arrivare al tavolo da carteggio, Nick capì che era cento miglia più avanti. Ne ebbe la conferma non appena si chinò sul tavolo. «Abbiamo perso l'elica in seguito alla rottura dell'albero motore. Andiamo alla deriva.» Nick girò la testa di scatto. Non poteva concepire una situazione più pericolosa, per una nave così grande, E Peter era a bordo. «Qui è la Golden Dawn. Chiamiamo la guardia costiera degli Stati Uniti, o qualsiasi nave in grado di offrire assistenza...» Nick giunse nella cabina radio in tre falcate, e qui Trog gli porse immediatamente il microfono. «Golden Dawn, qui è il rimorchiatore Warlock. Fra quattro ore sarò in grado di prestarvi assistenza.» Al diavolo la consegna del silenzio. C'era suo figlio, là. «Dite ad Alexander che offro il contratto standard dei Lloyd's. Esigo che sia accettato immediatamente.» Gettò il microfono e irruppe in plancia come una furia. Prese David Allen per un braccio e gli parlò con voce rauca. «Rotta d'intercettamento al massimo della potenza», ordinò. «Dica a Beauty Baker di aprire tutti i rubinetti.» Lasciò il braccio di David e tornò nella cabina radio. «Mandi un telex a Jules Levoisin sul Sea Witch. Voglio sapere quanto tempo impiegherà per raggiungere la Golden Dawn alla massima velocità possibile.» Si chiese se i due rimorchiatori sarebbero riusciti a controllare la mole inerte della Golden Dawn nel vento dell'uragano. Jules rispose quasi subito. Aveva fatto rifornimento a Charleston e lasciato il porto quasi sei ore prima. Filava a tutta forza, adesso, e dichiarò che avrebbe raggiunto la Golden Dawn alle dodici del giorno seguente. Secondo il bollettino meteorologico che avevano appena ricevuto da Miami, pensò Nick, l'uragano «Lorna» avrebbe attraversato lo stretto proprio a quell'ora. Si rivolse a David Allen. «David, che io sappia non ci sono precedenti. Ma dato che mio figlio è a bordo della Golden Dawn, devo assumere il comando della nave. Solo per adesso, naturalmente.» «Sarò onorato di essere ancora il suo primo ufficiale, signore», disse David.
Nick capì che era sincero. «Se faremo un buon ricupero, avrà la parte del comandante», gli promise, e lo ringraziò sfiorandogli il braccio. «Vuole predisporre ogni cosa per lanciare un cavo alla petroliera?» David si girò per lasciare la plancia, ma Nick lo fermò. «Fra poco troveremo un vento da incubo. Lo tenga a mente.» «Telex», gracidò Trog. «La Golden Dawn risponde.» Nick andò nella cabina radio e lesse il messaggio mentre veniva stampato. OFFERTA CONTRATTO DI NOLEGGIO GIORNALIERO PER RIMORCHIARE QUESTA NAVE DA POSIZIONE ATTUALE A BAIA DI GALVESTON «Bastardo!» ringhiò Nick. «Si permette il lusso di mercanteggiare, con un uragano in vista e mio figlio a bordo.» Pestò con ira il pugno sulla palma
della mano. «E va bene!» disse seccamente. «Se vuole il gioco duro, l'avrà! Mi chiami il direttore della guardia costiera al quartier generale di Fort Lauderdale. Lo chiami sulla frequenza d'emergenza della guardia costiera. Gli parlerò in chiaro.» Trog stabilì il contatto con maligna soddisfazione. «Colonnello Ramsden», disse Nick. «Qui parla il comandante del Warlock. Il mio rimorchiatore è l'unico che possa raggiungere la Golden Dawn prima del passaggio di 'Lorna', e probabilmente l'unico in tutta la costa orientale che sviluppi 22.000 cavalli. Se il comandante della Golden Dawn non accetta il contratto standard dei Lloyd's entro un'ora, farò rotta per l'ancoraggio più vicino perché non voglio mettere inutilmente a repentaglio la mia nave e l'equipaggio. E voi avrete un milione di tonnellate di greggio tossico nelle acque territoriali in condizioni d'uragano.» Il direttore della guardia costiera parlò con la voce profonda e misurata di un uomo abituato a esercitare l'autorità. «Restate in linea, Warlock. Mi metto in contatto con la Golden Dawn sul canale 16.» Nick fece segno a Trog di alzare il volume sul canale 16. Ascoltarono Ramsden parlare direttamente con Duncan Alexander. «Se la sua nave entrerà nelle acque territoriali degli Stati Uniti senza governo o senza un rimorchiatore in grado di governarla, sarò costretto a sequestrare la nave e a fare i passi necessari per impedire l'inquinamento delle nostre acque. L'avviso che tali passi potranno comprendere anche la distruzione del carico.» Dieci minuti dopo, Trog copiò un telex personale per Nicholas Berg da Duncan Alexander. Accettava il contratto standard dei Lloyd's e gli chiedeva di prendere a rimorchio la Golden Dawn al più presto. «Prevedo che fra due ore entreremo nelle acque territoriali americane, oltre il limite delle 100 braccia», concludeva il messaggio. Mentre Nick leggeva il telex, ritto sull'ala esterna della plancia del Warlock, il vento gli fece improvvisamente svolazzare il foglio fra le mani, incollandogli la camicia al petto. Alzato lo sguardo, vide che adesso il vento soffiava verso est e cominciava ad artigliare le creste delle onde. Il sole al
tramonto era un globo di sangue fra i cirri che ora coprivano il cielo da un orizzonte all'altro. Nick aveva fatto tutto il possibile. Il Warlock filava al massimo della potenza, l'equipaggio si preparava a lanciare il cavo alla petroliera. Non restava che attendere, ed era la parte più snervante. L'oscurità calò in fretta, ma all'ultima luce Nick scorse una massa nera e montagnosa all'orizzonte occidentale. La fissò affascinato, finché la notte misericordiosa celò il volto terribile di «Lorna». Il vento sconvolgeva la corrente del Golfo, suscitando una ridda di onde confuse. Non era costante, soffiava in raffiche tempestose, e la pioggia sferzava rabbiosamente le finestre della plancia. La notte era buia come la pece, non brillava una sola stella. Il Warlock beccheggiava e scalciava sulle onde invisibili. «Il barometro sale», annunciò a un tratto David Allen. «É saltato su di tre millibar. Adesso indica 1005.» «La saccatura», disse cupamente Nick. Era una tipica formazione d'uragano, la stretta cintura di pressione più alta che delimitava la fascia esterna del gran vortice di aria tormentata. «Ci stiamo entrando.» Mentre parlava, le tenebre si squarciarono all'improvviso, il cielo si fece di brace e il mare si tinse di rosso. Pareva che fosse stata aperta una fornace. Sulla plancia del Warlock, nessuno fiatò. Alzarono il viso con timore riverenziale e guardarono il cielo. Le nubi si accavallavano basse, riverberando la sinistra vampa rossa. La luce scemò lentamente e cambiò colore, divenne verdastra e fosforescente come la carne putrida. Nick fu il primo a parlare. «Il Faro del Diavolo», mormorò. Volle darne una spiegazione razionale, per esorcizzare il terrore superstizioso che si era impadronito di loro. Erano semplicemente i raggi del
sole sotto l'orizzonte occidentale che illuminavano il tetto di nubi della tempesta, venendo riflessi in basso attraverso le nubi più rade della depressione. Ma non riuscì a trovare le parole adatte per sminuire il fenomeno. Era una leggenda dei marinai: il fuoco maligno che guidava una nave condannata al suo destino. La luce spettrale svanì lentamente, lasciando la notte più buia e più paurosa di prima. «David», disse Nick, per distrarre gli ufficiali, «siamo già arrivati a contatto radar?» Il primo ufficiale si riscosse e andò al radarscopio. «Lo schermo è molto confuso», rispose, in tono ancora sgomento. Nick gli andò a fianco. Il fascio rotante rivelava una massa vorticosa di disturbi marini e gli strani echi prodotti dalla tempesta in arrivo. I contorni della Florida e delle Bahamas erano fermi e chiari. Ricordarono a Nick che c'era poco spazio in cui manovrare i suoi rimorchiatori e la loro mostruosa preda. Poi, nella confusione di disturbi, il suo occhio esperto colse un segnale più definito al limite estremo della portata dell'apparecchio. Lo osservò per sei o sette giri del fascio. Comparve ogni volta con maggior chiarezza.
«Contatto radar», annunciò. «Avvisare la Golden Dawn che siamo in contatto a sessantacinque miglia nautiche. Li prenderemo a rimorchio prima di mezzanotte.» Aggiunse sottovoce le tradizionali precisazioni del marinaio: «Dio volendo e tempo permettendo». Le luci sulla plancia del Warlock erano state attenuate perché fosse più facile avvistare la Golden Dawn. Quattro ufficiali scrutavano il buio in direzione della petroliera. Sullo schermo del radar, la sua immagine era ferma e nitida entro l'anello delle due miglia, ma dalla plancia era invisibile. Nelle due ore trascorse dal primo contatto, il barometro si era impennato brevemente durante l'attraversamento della saccatura, per poi precipitare: da 1005 era caduto a 990 e continuava a scendere, mentre il vento soffiava verso est con un urlo sempre più stridulo. La pioggia riduceva la visibilità a poche centinaia di metri: nemmeno i due riflettori del Warlock, situati venticinque metri sopra la coperta, alla sommità della torre antincendio, riuscivano a perforare le solide cortine di pioggia. Nick brancolava nella nebbia d'acqua come un cieco, regolando la potenza e il passo dell'elica per avvicinarsi cautamente alla Golden Dawn. Il suo tono calmo e impersonale, mentre impartiva gli ordini al timoniere, contrastava con il suo pallore e con l'espressione vigile degli occhi. Un'altra raffica investì bruscamente il Warlock. Con un urlo isterico, fece sbandare il grosso rimorchiatore lacerando le cortine di pioggia, e per un attimo Nick scorse la Golden Dawn. Era proprio dove si aspettava che fosse, ma l'alta struttura della plancia fungeva da vela e la nave scarrocciava velocemente. Tutte le luci di coperta e degli oblò erano accese; sulla testa dell'albero brillavano i due fanali rossi che segnalavano una nave alla deriva. Un'onda sospinta dal vento si riversò sulla coperta, spandendosi in un ventaglio di spuma fumante e la nave parve uno scoglio sommerso. «Pari avanti mezza», disse Nick al timoniere. «Accostare a dritta.» Il Warlock si avvicinò rapidamente alla petroliera. Era visibile, adesso; anche quando si richiusero le cortine di pioggia, si poteva distinguere la sagoma spettrale della nave e il brillio delle luci. David Allen la guardava con impazienza. Senza distogliere gli occhi dal colosso alla deriva Nick gli chiese: «Profondità?» «Centosessanta braccia e diminuisce.» Stavano uscendo dal canale principale e si avvicinavano ai bassifondi della costa. «La rimorchierò di poppa», annunciò Nick. David ne capì subito il motivo. Era impossibile assicurare un cavo alla prora spazzata da onde alte quattro o cinque metri. «Vado a prua», cominciò David, ma Nick lo interruppe.
«No, David, resti qui. Io salgo a bordo della Golden Dawn.» «Ma signore...» David avrebbe voluto dirgli che bisognava lanciare il cavo senza indugio: la sponda sottovento era troppo vicina. «É la nostra ultima opportunità d'imbarcare passeggeri, prima che c'investa
l'uragano vero e proprio», replicò Nick. David capì che era inutile protestare. Nick Berg voleva prendere suo figlio. Dalla plancia della Golden Dawn si vedeva chiaramente il ponte del rimorchiatore. Peter Berg stava accanto a sua madre, alto quasi come lei. Indossava il giubbotto di salvataggio e portava un berrettino calcato sulle orecchie. «Andrà tutto bene», disse a Chantelle. «É arrivato papà. Possiamo stare tranquilli.» Rollando e beccheggiando, il Warlock accostò alla fiancata sottovento della petroliera. La pioggia lo avvolgeva come un denso fumo bianco. Ogni tanto la sua prora affondava e una verde valanga d'acqua marina si riversava sul ponte. In confronto al movimento sfrenato del rimorchiatore, la Golden Dawn sguazzava pesantemente, gravata da un milione di tonnellate di petrolio greggio. Le onde la investivano con furia sempre maggiore, quasi fossero irritate dalla sua indifferenza. Il Warlock continuò ad accostare. Duncan Alexander emerse dalla cabina radio in fondo alla plancia. Si bilanciava con disinvoltura nel greve rollio della Golden Dawn, ma era stravolto e paonazzo di collera. «Berg vuole salire a bordo», esplose. «Spreca tempo prezioso. Gli ho detto che deve rimorchiarci subito in acque più profonde.» Peter Berg lo interruppe indicando il Warlock. «Guarda!» gridò. Fino ad allora, la notte e la tempesta avevano celato gli uomini sulla torretta anteriore del Warlock. Indossavano impermeabili luccicanti di pioggia e giubbotti di salvataggio. Stavano calando la passerella d'abbordaggio. «C'è papà!» gridò Peter. «Eccolo là, davanti a tutti!» Al limite estremo di un rollio, la passerella del Warlock toccò l'orlo del cassero della petroliera, tre metri sopra la coperta inondata. La figura in testa corse agilmente sulla passerella, rimase per un attimo in equilibrio sopra le acque ruggenti e poi superò con un balzo lo spazio aperto. Si aggrappò alla battagliola e si issò a bordo della Golden Dawn. Il rimorchiatore si scostò all'istante, portandosi a una cinquantina di metri dalla fiancata di dritta della petroliera. Fu quasi celato dalle cortine di pioggia, ma tenne saldamente la posizione, benché il vento e il mare si adoperassero per separare le due navi. La manovra fu eseguita con tale maestria che una persona inesperta non ne avrebbe mai potuto capire la difficoltà. «Papà sta tendendo una cima», disse Peter con orgoglio. Chantelle abbassò lo sguardo e vide che due marinai assicuravano al cassero un cavo bianco di nailon. Poi una braga di tela venne fatta scorrere con l'argano dalla torre antincendio del rimorchiatore. Le porte dell'ascensore si aprirono ronzando e Nick Berg entrò nella plancia della petroliera. L'acqua stillava copiosa dal suo impermeabile, formando pozze ai suoi piedi. «Papà!» Peter gli corse incontro e Nick si chinò ad abbracciarlo. Poi si raddrizzò, cingendogli le spalle. Affrontò Chantelle e Duncan Alexander. «Non illudetevi», disse con calma, «non ho molte speranze di salvare la nave. Così porto via chiunque non debba restare a bordo per manovrarla». «Come sarebbe a dire?» gridò Duncan Alexander. «Hai ventiduemila cavalli di potenza. Puoi benissimo...»
«C'è un uragano in arrivo», lo interruppe freddamente Nick, volgendosi a guardare la notte tumultuante. «Questo è solo l'inizio.» Si rivolse a Randle. «Quanti uomini vuole tenere a bordo?» Randle rifletté un momento. «Resteremo io, un timoniere e cinque marinai per manovrare i cavi di rimorchio e governare la nave.» Fece una pausa, poi aggiunse: «E il personale
delle pompe per tenere il carico sotto controllo». «Lei farà il timoniere e io mi occuperò delle pompe. Mi serviranno solo tre uomini. Mi procuri dei volontari», decise Nick. «Faccia trasbordare tutti gli altri.» «Ma signore...» protestò Randle. «Capitano Randle, le ricordo che nella mia qualità di comandante del ricupero, la mia autorità prevale sulla sua.» Nick non attese la risposta. «Chantelle», disse, «porta Peter sul cassero. Voi andrete per primi». «Insomma, Berg.» Duncan non riuscì più a contenersi. «Che cosa aspetti a lanciare il cavo di rimorchio? La nave è in pericolo.» «Scendi con gli altri», replicò seccamente Nick. «Alle procedure ci penso io.» «Dagli retta, caro.» Chantelle sorrise sarcasticamente a suo marito. «Hai perso. In questo momento Nicholas è l'unico vincitore.» «Chiudi il becco, accidenti a te», sibilò Duncan. «Scendete sul cassero, ho detto.» La voce di Nick rintronò come uno sparo. «Io resto qui», annunciò bruscamente Duncan. «Ho preso un impegno. Ho detto che sarei rimasto a bordo per tutto il viaggio e ci rimarrò, maledizione.» Nick lo osservò per un lungo momento, poi sorrise cupamente. «Non sei un codardo», disse con riluttanza. «Tutto, ma non un codardo. Resta pure, forse un uomo in più ci verrà utile.» Poi, a Peter: «Vieni, ragazzo mio». Lo condusse verso l'ascensore. Presso la battagliola di dritta, Nick abbracciò il ragazzo e lo tenne stretto a sé, mentre il vento urlava sopra di loro. «Ti voglio bene, papà.» «Anch'io, Peter. Non so dirti quanto. Ma devi andare, adesso.» Raddrizzatosi, imbragò il ragazzo, indietreggiò e agitò il braccio destro. La squadra al verricello del Warlock obbedì, e un attimo dopo la braga ondeggiava nel vuoto fra le due navi; il cavo di nailon sembrava tenue e delicato come il filo di una ragnatela. Le due navi rollavano e beccheggiavano, facendo tendere e allentare il cavo. A tratti la braga rasentava la superficie del mare e le onde si protendevano a sfiorarla con i gelidi artigli verdi, a tratti la fune si tendeva minacciando di spezzarsi e di lasciar cadere il ragazzo. Ma finalmente giunse sul rimorchiatore e quattro paia di mani robuste lo trassero al sicuro. Peter fece un gesto di saluto a Nick e fu condotto via. La braga vuota venne rimandata indietro. Soltanto allora Nick si accorse che Chantelle gli stringeva il braccio. Si voltò a guardarla. Le sue ciglia erano imperlate di pioggia, il suo viso solcato da rivoletti d'acqua. Infagottata nell'impermeabile e nel giubbotto di
salvataggio, sembrava una bimba. Era bella come sempre, ma i suoi occhi erano sgomenti. «Ho sempre avuto bisogno di te, Nicholas», disse fiocamente. «Ma mai come adesso.» Il vento si portava via la sua vita, e lei aveva paura. «Mi restate solamente tu e questa nave.» «No. Solo la nave», ribatté bruscamente lui. Si accorse con stupore che l'incantesimo era spezzato. Il suo punto debole, che Chantelle aveva sempre colpito senza fallo, era adesso corazzato contro di lei. Con un improvviso senso di sollievo, capì di essere finalmente libero. Era tutto finito. Là, nella tempesta, si sentiva libero e leggero. Anche lei se ne accorse. La paura nei suoi occhi divenne terrore. «Nicholas, non puoi abbandonarmi in un momento simile. Oh, Nick, che cosa sarà di me, senza di te e senza la Christy Marine?» «Non lo so», rispose lui. Afferrò la braga non appena giunse sopra la battagliola della Golden Dawn. Sollevò Chantelle senza sforzo, come aveva sollevato suo figlio, e la depose sul sedile di tela. «E per essere sincero, non mi interessa», aggiunse. Indietreggiò e diede il segnale. La braga fu attirata nel vuoto e oscillò al vento come un pendolo. Chantelle gli gridò qualcosa, ma Nick si stava già dirigendo verso poppa, dove lo aspettavano i tre volontari.
Capì subito che erano uomini forti e competenti. Controllò rapidamente la loro attrezzatura, dagli spessi guanti di cuoio alle gaffe per manovrare il cavo. «Bene», disse. «Useremo la teleferica della braga per tirare a bordo un cavo messaggero. Ma prima la nave dovrà essere sgombrata.» Poiché gli uomini non erano pratici del lavoro e il tempo peggiorava rapidamente, occorse quasi un'ora perché il cavo principale del Warlock fosse assicurato alle bitte poppiere della Golden Dawn con il suo gran cappio di nailon. Ma per Nick il tempo era volato, e sussultò di stupore quando guardò l'orologio. Ormai il vento doveva averli spinti vicino alla costa. Entrò nel castello di poppa, lasciando un rivolo d'acqua marina lungo il corridoio che portava agli ascensori. In plancia, il capitano Randle manovrava cupamente la barra. Come vide Nick, Duncan Alexander disse in tono d'accusa: «Ci hai quasi portato in secca». A Nick bastò un'occhiata al manometro di profondità per averne la conferma. Sotto la chiglia c'erano solamente trentotto braccia d'acqua, e la Golden Dawn pescava venti braccia. La bufera li aveva sospinti a velocità prodigiosa. Erano quasi in secca, Nick doveva ammetterlo, ma non tradì la minima ansia mentre si accostava a Randle e prendeva il microfono. «David», disse con calma, «pronto a rimorchiarci?» «Signorsì», rispose la voce di David Allen dall'altoparlante. «Giriamo il timone tutto a sinistra per aiutarvi a virare controvento», disse Nick, quindi fece un cenno a Randle. «Tutta a sinistra.» «Quaranta gradi a sinistra», riferì Randle. Sentirono il lieve sussulto quando il cavo di rimorchio si tese. Il Warlock iniziò con prudenza a far virare l'enorme nave contro le raffiche sempre più impetuose, per rimorchiarla di poppa nelle acque profonde del canale, dove
avrebbe potuto affrontare l'uragano in condizioni migliori. Ormai era evidente che la Golden Dawn si trovava sull'itinerario di «Lorna», e l'uragano si scatenò su di loro con tutta la sua furia. Il sole sorse sul mondo sano e razionale, ma là non vi fu alba, poiché il cielo e l'orizzonte erano scomparsi. Imperavano la pazzia, il vento e l'acqua, mischiati in un unico elemento. Un'ora prima, un'ora che sembrava un'eternità, il vento aveva strappato via l'anemometro e gli altri apparecchi meteorologici dalla sommità della plancia. Nick non poteva più valutare la forza e la direzione delle raffiche. Fuori, oltre le finestre della plancia, il vento lacerava la superficie del mare, sollevando spesse cortine d'acqua salata che sferzavano la plancia in una nebbia rugghiante, riducendo la visibilità ai soli vetri delle finestre. La coperta della petroliera era sparita nell'emulsione turbinosa d'acqua e vento, non si scorgeva nemmeno la battagliola della plancia esterna a due metri dalle finestre. Ogni sovrastruttura gemeva, scoppiettava e vibrava sotto l'assalto del vento, le paratie d'alluminio si gonfiavano e si torcevano, il ponte stesso si fletteva sotto il peso della tempesta. Una sinistra luce plumbea filtrava fra i vortici d'acqua e aria. Ogni pochi secondi, gli impulsi elettrici generati dall'immensa montagna d'aria turbinante esplodevano in scoppi di tuono e folgori abbaglianti. Il Warlock era invisibile. Le scariche elettriche e la turbolenza della tempesta avevano ridotto la portata del radar a poche miglia, e l'apparecchio era pressoché inutilizzabile. Le scariche impedivano il contatto radio con il rimorchiatore. Giungeva soltanto qualche parola smozzicata di David Allen. Imprigionato nella gabbia gemente e vibrante della plancia, accecato e assordato dalle forze scatenate della natura, Nick era impotente. Tutti loro erano in balia dell'uragano. Randle aveva bloccato la barra della superpetroliera a mezzanave. Adesso era curvo sul tavolo da carteggio con Duncan e tre marinai. Dovevano aggrapparsi per non cadere, e i loro visi parevano scolpiti nel gesso. Ma Nick si muoveva senza sosta per la plancia. Dalle finestre posteriori, dove cercava invano di scorgere il cavo di rimorchio e la sagoma del rimorchiatore, si portava nella parte anteriore, aggrappandosi alla sbarra che
correva lungo la paratia, e studiava le file di spie luminose sul quadro comandi, che rivelavano ogni funzione della nave e la situazione delle cisterne. Non c'erano perdite di petrolio e la natura del gas inerte era costante in ogni cisterna: quindi erano ancora intatte. Nick aveva voluto rimorchiare la petroliera di poppa, fra l'altro, perché la torre della plancia affrontasse l'urto più violento del vento e del mare, offrendo una relativa protezione alle vulnerabili cisterne. Ma avrebbe voluto vedere il ponte, fosse anche per un solo istante. Non si sentiva tranquillo. Poteva esserci qualche disfunzione negli strumenti di controllo delle pompe, la tempesta poteva aver danneggiato una cisterna; e in tal caso un'emorragia velenosa si sarebbe riversata dalle viscere della Golden Dawn nel mare. Purtroppo il ponte era celato dalla tempesta, e Nick si chinò sul radarscopio. Immagini spettrali baluginavano e danzavano sullo schermo.
Nemmeno l'immagine del Warlock era costante: la distanza sembrava aumentata come se si fosse spezzato il cavo di rimorchio. Si raddrizzò bilanciandosi sui piedi, e capì dal movimento del ponte che la Golden Dawn era ancora a rimorchio. Lo sentiva dalla sua resistenza al vento e alle onde. Ma era impossibile determinare la loro posizione. Il sistema di navigazione via satellite era completamente oscurato, le onde radio erano distorte dalle scariche elettriche, e le stesse scariche oscuravano i radiofari sulla costa americana. Le uniche indicazioni erano il solcometro della nave, che dava a Nick la velocità della nave attraverso l'acqua e la velocità sopra il fondo, e lo scandaglio elettronico che misurava la profondità dell'acqua sotto la chiglia. Per le prime due ore di rimorchio, il Warlock aveva potuto tirare la nave verso il canale a tre nodi e mezzo. L'acqua era divenuta sempre più profonda, finché avevano avuto centocinquanta braccia sotto di loro. Ma la velocità del vento era aumentata, la sovrastruttura della Golden Dawn aveva agito da vela e la tempesta aveva preso il sopravvento. Adesso, nonostante tutta la potenza delle grandi eliche gemelle del Warlock, il rimorchiatore e la petroliera venivano risospinti verso il limite delle cento braccia e la costa americana. «Dov'è il Sea Witch?» si chiese Nick con ansia, fissando gli indicatori. Andavano verso riva alla velocità di due nodi e il fondo saliva rapidamente. Il Sea Witch avrebbe potuto essere la carta decisiva, se fosse riuscito a raggiungerli nell'uragano e a trovarli nella furia degli elementi. Nick tornò barcollando nella cabina radio e si aggrappò alla paratia con una mano mentre faceva scattare l'interruttore del microfono. «Sea Witch, Sea Witch, qui è la Golden Dawn, Sea Witch, rispondete.» Rimase in ascolto, curvo sull'apparecchio, cercando di escludere il crepitio delle scariche. Gli parve di udire una voce umana, un sussurro appena udibile nei disturbi. Chiamò ancora, ascoltò, chiamò di nuovo. Udì di nuovo la voce, ma era così confusa che non afferrò una parola. Sopra la sua testa vi fu uno stridore lacerante di metallo straziato. Nick lasciò il microfono e andò in plancia. Vi fu un altro tonfo assordante e tutti alzarono gli occhi sul soffitto della plancia. Sussultava e si insellava. Udirono un nuovo tonfo, poi, con fragore un groviglio di metallo, fili e cavi rovinò sull'orlo anteriore della plancia e sbatacchiò al vento. Nick capì quasi subito di che cosa si trattava. «L'antenna del radar!» gridò. Riconobbe il disco ovale, penzolante da un groviglio di cavi. Poi il vento ghermì la massa e la portò via. Scomparve all'istante nelle cortine turbinanti della tempesta. Nick si accostò al radarscopio in due falcate. Gli bastò un'occhiata. Lo schermo era diventato nero. Avevano perso i loro occhi, e, incredibilmente, la furia della tempesta aumentò. Infieriva contro la plancia, sgomentando gli uomini nell'interno. A un tratto Duncan gridò qualcosa a Nick, indicandogli il quadrante principale del quadro comandi. Nick, che era ancora curvo sul radarscopio, si rizzò a fatica e guardò. La velocità sopra il fondo era aumentata drasticamente. Adesso sfiorava gli otto nodi, e la profondità era di
novantadue braccia. Nick fu assalito dalla disperazione. Anche il movimento della nave era cambiato, Nick la sentiva in pericolo. La raffica che aveva strappato l'antenna del radar aveva prodotto altri danni. Sapeva qual era il danno, gli veniva da vomitare al solo pensiero; ma doveva accertarsene. Si avviò verso le porte dell'ascensore, aggrappandosi alla ringhiera. Gli uomini dall'altra parte della plancia lo guardavano attentamente, ma nel clamore della tempesta Nick non poteva farsi udire nemmeno a sei metri. Un marinaio intuì improvvisamente le sue intenzioni. Lasciò il tavolo da carteggio e si diresse verso Nick strisciando lungo la paratia. «Bravo ragazzo!» Nick gli afferrò un braccio per sorreggerlo e insieme entrarono barcollando nell'ascensore, mentre la Golden Dawn rollava pesantemente e il ponte s'inclinava sotto i loro piedi. Durante la discesa, furono sballottati nello spazio angusto; e perfino nelle viscere della nave, dovettero gridare per udirsi. «Il cavo di rimorchio», urlò Nick nell'orecchio dell'uomo. «Dobbiamo ispezionare il cavo.» Usciti dall'ascensore, andarono verso poppa lungo il corridoio centrale. Quando giunsero alla doppia porta, Nick cercò di aprire la porta interna, ma la pressione del vento la teneva chiusa. «Aiutami», gridò al marinaio. Vi si addossarono con tutto il loro peso. Come schiusero la porta di uno spiraglio, la pressione si allentò di colpo. Il vento s'impadronì delle spesse porte di mogano, le scardinò e le portò via come due carte da gioco. Nick e il marinaio rimasero allo scoperto sulla soglia. Il vento li ghermì scagliandoli sulla tolda, soffocandoli con un diluvio d'acqua gelida e tagliente. Nick ruzzolò sulla coperta e andò a sbattere contro la battagliola di poppa con tale forza che temette di essersi fracassato le costole. Il vento lo tenne inchiodato là, accecandolo e soffocandolo con l'acqua salata. Giacque contro la battagliola, del tutto impotente. Nel tumulto della tempesta, udì le grida fioche del marinaio. Il suono gli infuse nuove energie, e si mise faticosamente in ginocchio aggrappandosi alla ringhiera per resistere al vento. L'uomo continuava a gridare. Nick strisciò avanti sulle mani e sulle ginocchia. Era impossibile stare in piedi, con un vento simile, e Nick riusciva a procedere solamente carponi. Due metri più avanti, al limite estremo della sua visuale, la battagliola era stata lacerata. Una lunga sezione penzolava sulla fiancata della nave, e il marinaio vi era appeso. Spinto dal vento, doveva aver sfondato la ringhiera. Adesso penzolava con un braccio infilzato in uno spunzone, mentre l'altro, disarticolato dalla spalla, oscillava in un saluto folle sotto le sferzate delle raffiche. Quando alzò la testa, Nick vide che la sua bocca era maciullata. Pareva che avesse masticato delle more. Il succo arrossava i mozziconi dei suoi denti fracassati. Nick si stese sul ventre e allungò una mano ma in quel momento una raffica più violenta afferrò la battagliola danneggiata con l'uomo ancora appeso e la strappò via. Sparirono all'istante nell'oscurità bianca della tempesta, e Nick si sentì sospinto verso l'orlo. Si aggrappò disperatamente alla sezione superstite della ringhiera. Si accorse che cominciava a cedere. Rizzatosi in ginocchio, si scostò dalla breccia fatale e fronteggiò la
tempesta. Il vento lo investì in faccia, accecandolo e soffocandolo. Strisciò a tentoni, finché il suo braccio proteso toccò il metallo gelido della bitta poppiera di sinistra. La cinse con entrambe le braccia, scosso da conati di vomito e convulsi di tosse, perché il vento gli aveva cacciato acqua salata nel naso, nella bocca e nella gola. Ancora accecato, cercò l'acciaio del cavo principale di rimorchio. Lo trovò e fu pervaso da un immenso sollievo. Il cavo era assicurato. Aveva rinforzato il cappio con una dozzina di funi di nailon, e teneva ancora. Strisciò avanti lungo il cavo e capì subito che il suo sollievo era stato prematuro. Non era teso, e quando giunse sull'orlo del ponte, scoprì che penzolava. Non si allungava nel buio, verso il Warlock che
avrebbe dovuto frenarli come una grande ancora. Capì che le sue peggiori previsioni si erano avverate. La tempesta era troppo violenta. Aveva spezzato il cavo d'acciaio come un filo di cotone e la Golden Dawn era abbandonata a se stessa, senza governo. Il vento la spingeva implacabilmente verso terra. Nick fu assalito dallo sconforto. Giacque sulla tolda, chiuse gli occhi e si aggrappò debolmente al cavo spezzato. Il vento cercava di scaraventarlo fuori bordo, gli gonfiava l'impermeabile e gli artigliava il viso. Sarebbe stato così facile aprire il pugno e lasciarsi andare. Gli occorse tutta la sua volontà per resistere all'impulso. Strisciò faticosamente indietro, varcò la soglia dilaniata ed entrò nel corridoio nel castello poppiero, ma il vento lo seguì. Ruggiva nel corridoio, spingendovi torrenti di pioggia e di acqua salata che allagavano il ponte, costringendo Nick ad aggrapparsi come un ubriaco. Dopo la furia della tempesta, l'ascensore gli parve silenzioso e tranquillo come una chiesa. Si guardò nello specchio sulla parete: gli occhi erano arrossati dal sale e dal vento, le labbra scorticate e contuse. Si toccò il viso: il naso e le labbra erano divenuti completamente insensibili. Le porte scorrevoli dell'ascensore si aprirono e Nick entrò nella plancia. Gli uomini, ancora intorno al tavolo di carteggio, si voltarono a guardarlo. Nick si accostò al tavolo e vi si aggrappò. Gli altri rimasero in silenzio, fissandolo in viso. «Ho perso un uomo», annunciò. La sua voce era arrochita dal sale e dalla stanchezza. «É caduto in mare. Il vento lo ha preso.» Nessuno si mosse, nessuno parlò. Nick tossì, i polmoni gli dolevano per l'acqua che aveva respirato. Quando il convulso fu passato, disse: «Il cavo di rimorchio si è spezzato. Siamo alla deriva. Il Warlock non potrà riprenderci a rimorchio. In questo inferno è impossibile». Tutti si voltarono verso le finestre, verso l'impenetrabile biancore acceso dai bagliori dei lampi. Nick ruppe l'incanto che li aveva paralizzati. Si accostò all'armadietto dei segnali, sopra il tavolo da carteggio, e ne tolse una scatola di torce. Ruppe i sigilli e rovesciò le torce sulla tavola. I cilindri di cartone impermeabile sembravano candelotti di dinamite. Una volta strappata la linguetta di accensione a un'estremità, avrebbero sprizzato fiamme scarlatte anche sott'acqua. Nick si ficcò una mezza dozzina di torce nelle tasche interne
dell'impermeabile. «Ascoltate», dovette gridare, benché fossero a meno di un metro, «entro due ore ci incaglieremo. La nave comincerà a sfasciarsi subito dopo l'urto». Tacque un momento e studiò le loro espressioni. Sembrava che Duncan non avesse capito. Aveva preso una manciata di torce e fissava Nick con aria interrogativa. «Vi darò l'ordine: non appena giungeremo al limite delle venti braccia e la chiglia toccherà il fondo, voi vi porterete presso la ringhiera. Cercheremo di calare una zattera. C'è il caso che il vento vi spinga fino a riva.» Fece un'altra pausa. Era evidente che Randle e i due marinai non contavano su una simile possibilità. «Vi darò venti minuti per allontanarvi. Nel frattempo le cisterne cominceranno a perdere.» Non voleva sembrare melodrammatico, e cercò di esprimersi con semplicità. «Quando si sfascerà la prima cisterna, incendierò il petrolio con una torcia.» «Cristo!» L'imprecazione di Randle si perse nel tumulto della tempesta. Alzò la voce. «Un milione di tonnellate di greggio. Salterà in aria tutto quanto.» «Sempre meglio che versare un milione di tonnellate nella corrente del Golfo», replicò stancamente Nick. «Moriremo tutti. Un milione di tonnellate... Esploderanno come una bomba atomica.» Randle era divenuto pallidissimo e tremava. «Non può farlo!» «Ha un'alternativa da propormi?» chiese Nick. Lasciato il tavolo, andò nella cabina radio. Gli uomini lo seguirono con lo sguardo. Duncan guardò le torce che teneva in mano e se le mise nella tasca della giacca.
Nella cabina radio, Nick parlò con calma nel microfono. «Sea Witch, rispondete. Qui è la Golden Dawn.» Gli risposero solamente le scariche. «Rispondete, Sea Witch», ripeté Nick con gelida disperazione. «Qui è la Golden Dawn. Mi sentite?» Il vento investì la nave, ruggendo come un mostro. La petroliera gemette e sussultò sotto l'urto. «Rispondete, Warlock.» Randle andò presso le finestre anteriori e, aggrappandosi alla sbarra, si curvò sui quadranti che rivelavano le condizioni del carico. Controllava se c'erano danni alle cisterne. «Riflette ancora, se non altro.» Nick lo guardò. Sopra la testa di Randle, lo scandaglio indicava sessantotto braccia. Randle si raddrizzò lentamente, cominciò a girarsi e il vento colpì di nuovo. Nick sentì la botta nello stomaco. Era una massa solida come una valanga. Con un fragore assordante, la finestra anteriore della plancia esplose verso l'interno. Una nube di schegge di vetro investì il capitano Randle, che si trovava davanti alla finestra. Inorridito, Nick lo vide quasi decapitato da una ghigliottina di vetro volante. Randle si accasciò sul ponte, e il suo sangue divenne subito rosa nel torrente d'acqua che il vento soffiava nell'apertura. Le carte e i libri furono strappati dagli scaffali. Svolazzarono come
uccelli in gabbia mentre il vento infuriava nei ristretti confini di vetro e acciaio. Nick si avvicinò al corpo del capitano, proteggendosi il viso con il braccio. Non c'era più niente da fare. Lasciò Randle sul ponte e gridò agli altri: S «State lontani dalle finestre». Li radunò in fondo alla plancia, presso il Decca e gli strumenti di navigazione. Si strinsero gli uni agli altri, come per trarre conforto dalla vicinanza reciproca. Ma il vento non dava requie. Irrompeva dalla finestra infranta e imperversava nella plancia, stracciando i loro indumenti e impregnando l'aria di nebbia acquosa. In breve l'acqua sul ponte giunse alle caviglie. Ondeggiava e sciabordava al rollio della petroliera. Il corpo di Randle slittava avanti e indietro nell'acqua e nel rollio. A un tratto Nick lasciò la precaria sicurezza della paratia posteriore, afferrò il cadavere, lo trascinò nella cabina radio e lo stese sulla cuccetta del marconista. Il sangue macchiò il lenzuolo. Nick ne piegò un lembo sopra Randle e tornò in plancia. Intanto la violenza del vento aumentava. Un oggetto metallico, forse un pezzo d'alluminio della sovrastruttura, o un tubo strappato dal ponte inferiore, colpì il tetto della plancia come una palla di cannone e rimbalzò via nella tempesta, lasciando un buco frastagliato che il vento allargò immediatamente, lacerando le lamiere. Un diluvio d'acqua si riversò nell'apertura. Nick capì che la sovrastruttura della nave cominciava a cedere. Come un gigantesco avvoltoio, il vento avrebbe presto spolpato la carcassa fino alle ossa. Sapeva che doveva condurre i superstiti presso la battagliola, perché quando sarebbe venuto il momento di lasciare la nave, potessero farlo senza indugio, ma la sua mente era intontita. Rimase dov'era, resistendo all'impeto del vento e al rollio della petroliera. Notò vagamente che adesso c'erano appena ventisette braccia di profondità sotto la chiglia, e il barometro indicava 955 millibar. Nick non aveva mai letto una pressione così bassa. Non poteva scendere ancora, dovevano essere quasi nel centro dell'uragano. Con uno sforzo, alzò il braccio e lesse l'ora. Erano soltanto le dieci del mattino. Si trovavano nell'uragano da due ore e mezzo. D'improvviso una luce abbagliante penetrò dal buco sul tetto, e Nick alzò le mani per ripararsi gli occhi. Non capiva che cosa stesse accadendo. Temette di essere diventato sordo, perché all'improvviso il tumulto infernale della
tempesta era cessato. A un tratto capì. «L'occhio», disse. «Siamo nell'occhio.» La sua voce gli suonò estranea. Andò nella parte anteriore della plancia. Sebbene la Golden Dawn rollasse ancora pesantemente, descrivendo un arco di quasi quaranta gradi da un estremo all'altro, era libera dalla pressione del vento e illuminata dal sole. L'astro brillava come un riflettore puntato sul palcoscenico, in fondo a un imbuto nero di nubi turbinanti. Le nubi sembravano scaturire dal mare e avvolgevano l'orizzonte in
un'ininterrotta parete circolare. Ma più in alto il cielo era sgombro, di un innaturale color porpora, trafitto dal disco implacabile del sole. Il mare era ancora agitato, le onde si accavallavano disordinatamente e una spessa coltre di schiuma copriva la superficie, ma le acque si stavano già placando nella calma dell'occhio e la Golden Dawn rollava con minore violenza. Nick si voltò a guardare la muraglia di nubi turbinanti. Chissà quanto tempo avrebbe impiegato l'occhio per passare su di loro. Non molto, ne era sicuro. Mezz'ora, un'ora al massimo. Poi la tempesta li avrebbe investiti con furia rinnovata. Ma stavolta il vento avrebbe soffiato in direzione contraria, dal momento che stavano attraversando il centro verso la parete opposta dell'immenso vortice. Nick distolse gli occhi dalla montagna di nubi e guardò il ponte della petroliera. Capì subito che la Golden Dawn era ferita a morte. La cisterna anteriore di sinistra era quasi staccata dalle sue grappe idrauliche. Teneva soltanto di prua e sporgeva di venti gradi rispetto alle altre tre cisterne. Il ponte delle cisterne era contorto, rollava e beccheggiava indipendentemente dal resto dello scafo. Il dorso della Golden Dawn si era spezzato, proprio dove Duncan aveva assottigliato lo scafo per risparmiare acciaio. Solamente la spinta di galleggiamento del petrolio contenuto nelle quattro cisterne le impediva di sfasciarsi, adesso. Nick si aspettava di veder sgorgare da un momento all'altro il lucente liquido nero; non poteva credere che tutte e quattro le cisterne fossero rimaste indenni, e guardò la spia elettronica del carico. Il petrolio e il gas contenuti in ogni cisterna erano ancora normali. Finora la fortuna li aveva assistiti, ma quando sarebbero giunti dall'altra parte dell'uragano, la spina dorsale della Golden Dawn avrebbe ceduto completamente e, torcendosi, avrebbe lacerato le sottili lamiere delle cisterne. Nick prese la decisione, costringendo la sua mente a lavorare. Non era sicuro di aver deciso per il meglio, ma era risoluto ad agire. «Duncan», gridò nella plancia allagata e dilaniata, «tu e gli altri lascerete la nave su un canotto di salvataggio. Non avremo un'altra opportunità di lanciarlo. Io resto a bordo per incendiare il carico quando ritroveremo la tempesta.» «L'uragano è finito.» A un tratto Duncan si era messo a urlare come un invasato. «La nave non corre più pericolo. Vuoi distruggere la mia nave, stai cercando di distruggermi.» Gli si avventò contro. «Lo fai apposta. Sai che ho vinto e non sai più come fermarmi.» Gli sferrò un goffo diretto. Nick si curvò per schivarlo e afferrò Duncan in una morsa. «Ascoltami», gridò, cercando di calmarlo. «Siamo solamente nell'occhio...» «No, tu vuoi fermarmi. L'hai giurato.» «Aiutatemi», disse Nick ai due marinai. Afferrarono Duncan per le braccia. Si dibatteva e urlava con il viso stravolto dall'ira. I capelli bagnati gli spiovevano negli occhi. «Vuoi distruggermi, vuoi distruggere la mia nave...» «Portatelo sul ponte dei canotti», ordinò Nick ai marinai. Ormai era impossibile ragionare con Duncan. Si girò e si irrigidì all'improvviso. «Aspettate!» Fermò i marinai sulla plancia. Sentì la stanchezza e la disperazione scivolargli di dosso, sentì la forza risorgere in lui, insieme con il coraggio e la determinazione: a un miglio di
distanza, il Sea Witch era sbucato al sole dalla muraglia sfuggente di nubi grige e avanzava bravamente fra le onde alte quanto la sua plancia.
«Jules», sussurrò Nick. Jules pilotava il Sea Witch come un vecchio lupo dei rimorchiatori, forzando le macchine per battere sul tempo la parete opposta della tempesta. Nick sentì un nodo alla gola, e all'improvviso lacrime di commozione gli velarono gli occhi: alla sinistra del Sea Witch, distante meno d'un cavo, a poppavia, anche il Warlock era sbucato dalle nubi tempestose e navigava a tutta forza come la sua unità gemella. «David», mormorò Nick. «Anche David.» Solo allora capì che dovevano essere rimasti in contatto radar con la Golden Dawn durante il passaggio dell'uragano, in attesa della prima opportunità d'intervenire. La voce di Jules Levoisin rimbombò nell'altoparlante sopra il crepitio delle scariche. Era abbastanza vicino per poter stabilire un contatto radio, favorito dalla calma dell'occhio. «Golden Dawn, qui è il Sea Witch. Rispondete, Golden Dawn.» Nick andò nella cabina radio e afferrò il microfono. «Jules.» Non si perse in convenevoli e congratulazioni. «Dobbiamo staccare le cisterne e abbandonare lo scafo. Hai capito?» «Staccare le cisterne», rispose subito Jules. La mente di Nick era tornata lucida. Adesso sapeva il da farsi. «Il Warlock prenderà le due cisterne di sinistra. In coppia.» Le due cisterne sarebbero state rimorchiate come perline su un filo. Erano costruite apposta. «Poi tu prenderai quelle di dritta.» «Devi salvare anche lo scafo.» Duncan cercava ancora di svincolarsi dalla stretta dei due marinai. «Maledizione, Berg, non ti permetterò di distruggermi.» Nick ignorò le sue urla finché non ebbe finito d'impartire le istruzioni ai comandanti dei due rimorchiatori. Poi depose il microfono e afferrò Duncan per le spalle. Ora si sentiva straordinariamente forte, e scrollò Duncan come un bambino, sballottandogli la testa e facendogli battere i denti. «Pezzo d'idiota», gli gridò in faccia, «non capisci che la tempesta ricomincerà fra poco?» Lo strappò ai marinai e lo trascinò davanti alle finestre della plancia. «Il tuo mostro è spacciato! Ha perso l'elica, ha la schiena spezzata, la sovrastruttura volerà via appena il vento riprenderà a soffiare.» Lo fece girare e lo fissò negli occhi. «É tutto finito, Duncan. É già tanto se salviamo la pelle e il carico.» «Ma non capisci, dobbiamo salvare lo scafo. Altrimenti...» Duncan cominciò a lottare. Era fuori di sé, fra poco sarebbe divenuto pericoloso. Ma non c'era tempo, il Warlock stava già accostando a sinistra della Golden Dawn per prendere le cisterne a rimorchio. «Non ti permetterò di...» Duncan si svincolò dalla stretta di Nick. Una luce folle gli brillava negli occhi. Nick si mise di traverso, puntò i piedi sul ponte e sferrò un diretto verso la mascella di Duncan, mirando sotto l'orecchio e la basetta biondo rame. Duncan girò la testa e il pugno gli sfiorò la tempia. La Golden Dawn rollò nel
senso opposto e Nick perse l'equilibrio, andando a finire contro il quadro comandi. Duncan gli fu davanti in un balzo e sferrò un calcio verso il suo corpo piegato. «Ti ammazzo, Berg», strepitò. Nick ebbe appena il tempo di girarsi di fianco e alzare la gamba per proteggersi l'inguine. La pedata di Duncan lo colse sulla coscia. Un dolore lancinante s'irradiò nel suo ventre intorpidendogli la gamba, ma Nick si puntellò sul quadro comandi e sulla gamba sana per sferrargli sotto le costole un montante che lo fece piegare in due. Nick si bilanciò delicatamente sulla gamba contusa e gli sparò un sinistro in faccia. Fece un tonfo molle, come se avesse colpito un cocomero fradicio. Duncan fu catapultato contro la paratia e vi rimase incollato dal rollio della nave. Nick lo seguì, zoppicando sulla gamba contusa, e lo colpì ancora due volte. Sinistro e destro, pugni corti e secchi che gli sbatacchiarono la testa contro la paratia. Il sangue sgorgò dalla bocca e dal naso di Duncan. Quando cominciò ad afflosciarsi, Nick lo afferrò per la camicia con la
sinistra, lo tenne in piedi, lo scrutò negli occhi per vedere se resisteva ancora, pronto a colpire di nuovo. Ma Duncan aveva perso ogni velleità di combattere. Nick lo lasciò andare e andò all'armadietto dei segnali. Prese tre ricetrasmittenti portatili e ne diede una per ciascuno ai due marinai. «Sapete come si fa a staccare le cisterne per un rimorchio in coppia?» chiese. «Abbiamo fatto delle esercitazioni», rispose uno di loro. «Andiamo», disse Nick. Il lavoro avrebbe richiesto una dozzina di uomini, ed erano soltanto in tre. Su Duncan non si poteva contare. Nick lo lasciò nella sala di controllo delle pompe, sul ponte inferiore del castello poppiero della Golden Dawn, dopo aver chiuso le pompe del gas inerte, sigillato gli sfoghi del gas e predisposto i comandi idraulici di sgancio delle cisterne per il distacco. Durante il lavoro, l'acqua che si riversava sul ponte anteriore della petroliera li sommergeva a volte fino al collo. Trassero a bordo e assicurarono il cavo principale del Warlock, sganciarono le grappe idrauliche della cisterna anteriore e, mentre David Allen la scostava dallo scafo avariato, andarono a poppa percorrendo la stretta passerella contorta dal vento, impacciati dagli stivaloni, dagli impermeabili e dalle onde che spazzavano il ponte. Replicarono il faticoso procedimento sulla cisterna di poppa ma stavolta dovettero anche agganciare la catena che univa le due cisterne, lunghe quasi un chilometro ciascuna. Con la radiotrasmittente, Nick coordinò l'opera dei suoi marinai con quella di David Allen alla barra del Warlock. Finalmente, quando il Warlock mise in moto le sue grandi eliche e si allontanò dallo scafo sguazzante, aveva entrambe le cisterne di sinistra a rimorchio. Galleggiavano a fior d'acqua, non avrebbero opposto resistenza all'uragano che fra poco li avrebbe investiti di nuovo. Aggrappato alla ringhiera della passerella, Nick le guardò per due minuti con occhio professionale. Era uno spettacolo incredibile: due enormi balene nere e lucenti, con il dorso che compariva soltanto nei cavi delle onde,
condotte da un battellino spavaldo. Lo seguivano docilmente, e Nick si sentì un pochino più tranquillo. Era troppo presto per cantar vittoria, bisognava ancora affrontare l'uragano; ma adesso c'era speranza, se non altro. «Sea Witch», disse nella radio portatile. «Siete pronti per il rimorchio?» Jules Levoisin sparò personalmente la sagola. Nick riconobbe la sua figura tondeggiante ma agile sulla torre antincendio. Il razzo della sagola lasciò una sottile scia di fumo bianco sullo sfondo delle nubi tumultuose dell'uragano. Il leggero cavo di nailon descrisse un arco sul ponte e cadde sulla passerella a tre metri da Nick. Si misero febbrilmente all'opera, e Jules Levoisin accostò a tal punto che Nick vide brillare un dente d'oro nel suo sorriso d'incoraggiamento. Poi si girò a guardare l'uragano. La parete di nubi era liscia, grigia e compatta come il guscio di un enorme proiettile, una linea bianca e lucente orlava la sua base, dove il vento lacerava la superficie del mare. Ormai era vicinissima, dieci miglia al massimo, e i vortici di nubi plumbee oscuravano il sole. Lo stretto imbuto di calma era già sovrastato da un cielo tetro e corrucciato. Nelle grappe della cisterna anteriore di dritta non c'era pressione idraulica. Da qualche parte, nello scafo contorto e danneggiato, il tubo idraulico doveva essersi rotto. Nick e uno dei marinai dovettero azionare il dispositivo d'emergenza a mano. Fu un'operazione lunga e laboriosa. Ma lo sgancio non avvenne. Lo scafo era distorto, le grappe non allineate. «Tira», ordinò disperatamente a Jules. «Tira via tutto quanto.» Il fronte dell'uragano era a cinque miglia. Già si udiva il lugubre sussurro del vento. Una raffica gelida sferzò il viso di Nick. Quando Jules avviò entrambe le eliche, il mare ribollì sotto la poppa del Sea Witch. Il cavo di rimorchio si tese. Per mezzo minuto, nulla cedette, nulla si mosse, tranne la muraglia di nubi turbinose che torreggiava su di loro. Poi, con un clangore metallico, le grappe scivolarono e la cisterna slittò
pesantemente fuori del suo alloggio nello scafo della Golden Dawn. Non appena fu libera, lo scafo, fino ad allora tenuto insieme dalla massa delle cisterne e dalla loro spinta di galleggiamento, cominciò a sfasciarsi. La passerella su cui stava Nick si contorse e s'ingobbì, costringendolo a cercare un appiglio, ma lui rimase dov'era, immobilizzato dall'orrore, a guardare l'agonia della Golden Dawn. Il ponte delle cisterne, ridotto a uno scheletro sventrato, cominciò a insellarsi nel centro, piegandosi come un enorme schiaccianoci, e la cisterna poppiera di dritta fu stretta fra le sue ganasce. Era una noce grossa come la cattedrale di Chartres, piena di liquido, con il guscio spesso appena una spanna. Nick corse barcollando lungo la passerella contorta, gridando nella radio. «Troncate!» urlò ai marinai, lontani quasi un chilometro sulla superficie ondulata del ponte. Le due cisterne di dritta erano unite dalla pesante catena di accoppiamento, e la cisterna anteriore era unita al Sea Witch dal cavo di rimorchio principale. Così il Sea Witch e la Golden Dawn erano inesorabilmente vincolati, a meno che le due cisterne non venissero separate in modo che il
Sea Witch potesse allontanarsi con la sola cisterna anteriore. Il pulsante di trancio si trovava nella cabina di controllo a metà della petroliera, e in quel momento il marinaio più vicino distava duecento metri. Nick lo vide correre barcollando sulla passerella sussultante. L'uomo si accorse del pericolo, ma la fretta gli fu fatale, perché quando saltò dalla passerella il ponte si spalancò sotto di lui, aprendosi come le fauci di un mostro d'acciaio, e il marinaio precipitò fino alla cintola nello spazio fra due lamiere. Mentre si dibatteva debolmente, il sussulto successivo dello scafo fece accostare le lamiere. Scivolarono una sopra l'altra come le lame di una forbice. L'uomo poté gridare una volta sola. Un'onda spazzò il ponte, coprendo d'acqua verde il suo corpo mutilato. Quando defluì fuori bordo, non c'era più traccia del marinaio. Il ponte era lavato e scintillante. Nick giunse nello stesso punto, valutò le dimensioni dello spacco, il movimento a tenaglia delle lamiere e la distanza dell'onda successiva; quindi superò l'apertura con un balzo. Arrivò alla cabina di controllo, fece scivolare il chiavistello, entrò nel piccolo scompartimento d'acciaio e sollevò il coperchietto rosso che proteggeva il pulsante di trancio. Lo schiacciò con la palma della mano. Le quattro pesanti catene d'accoppiamento si trovarono fra gli elettrodi del dispositivo di trancio. I generatori della nave diedero un potentissimo impulso di corrente elettrica, e gli anelli massicci della catena si spezzarono con una vampa azzurra come se fossero di burro. Mezzo miglio più lontano, il Sea Witch sentì allentare la tensione e balzò avanti con tutta la forza delle sue eliche, rimorchiando la cisterna anteriore. Nick sostò sulla soglia della cabina di controllo e guardò la cisterna rimasta, intrappolata nel groviglio semovente delle lamiere. Lo scafo della Golden Dawn continuava a piegarsi e a contorcersi. All'improvviso un acre odore chimico si sparse nell'aria e Nick si sentì soffocare. Era l'odore del petrolio greggio che sgorgava da una falla nella cisterna. «Nicholas! Nicholas!» La ricetrasmittente che portava appesa alla spalla cominciò a gracchiare. Se l'accostò alle labbra senza distogliere gli occhi dalle ultime convulsioni della Golden Dawn. «Che c'è, Jules?» «Torno a prenderti.» «Non puoi virare, con un rimorchio simile.» «Accosterò di prua alla ringhiera di dritta del cassero, sotto l'ala anteriore della plancia. Tienti pronto a saltare.» «Sei impazzito, Jules!» «Sì, da cinquant'anni», convenne Jules. «Preparati.» «Prima abbandona il rimorchio, Jules», lo scongiurò Nick. Era pressoché impossibile manovrare il Sea Witch, con quel mostruoso peso morto attaccato
alla coda. «Lascialo andare. Più tardi lo riprenderemo.» «Vuoi insegnare il mestiere al tuo maestro?» replicò allegramente Jules. «Ascolta, Jules, la cisterna numero quattro si è rotta. Chiudi il rimorchiatore contro il fuoco. Hai capito? Chiusura completa d'emergenza.
Quando sarò a bordo, spareremo un razzo contro la cisterna e incendieremo il carico.» «Ti ho sentito, Nicholas. Purtroppo.» Nick lasciò la cabina di controllo, balzò di nuovo sopra lo spacco nel ponte e s'arrampicò sulla scaletta d'acciaio verso la passerella centrale. Guardando sopra la spalla, scorse la colossale muraglia di nubi; la vista lo sgomentò, ed esitò un attimo prima di spiccare la corsa verso il castello di poppa, un chilometro più oltre. L'unico marinaio superstite era sulla passerella, cento metri davanti a Nick, e si dirigeva risolutamente verso il punto di raccolta. Anche lui aveva udito l'ultima trasmissione di Jules Levoisin. A un quarto di miglio dalla nave, sulle acque torbide e turbolente, Jules Levoisin stava facendo virare il Sea Witch. In un altro momento, Nick avrebbe notato la superba perizia messa in mostra dal piccolo francese nel manovrare la sua nave e l'ingombrante rimorchio; ma adesso aveva tempo e energia per una cosa sola. L'aria era mefitica. Le esalazioni del greggio bruciavano i polmoni di Nick e gli ostruivano la gola. Tossì e sputò mentre correva, sentendo il sapore del petrolio in bocca. Sotto la passerella, la cisterna era stata rotta in più punti dalle lamiere sfrangiate dello scafo contorto, e il petrolio rosso scuro sprizzava, gocciolava e sgorgava come sangue velenoso dalla carcassa di un drago ferito a morte. Nick giunse al castello di poppa, irruppe nel ponte inferiore e andò nella sala di controllo delle pompe. Duncan Alexander si girò di scatto, il viso ammaccato dai pugni di Nick. «Abbandoniamo la nave», disse Nick. «Il Sea Witch ci porta via.» «Ti ho odiato a prima vista.» Duncan era calmo, adesso. La sua voce era profonda e incolore. «Lo sapevi?» «Ti sembra il momento di parlarne?» Nick lo prese per un braccio e Duncan lo seguì nel corridoio senza opporsi. «Il potere, il denaro e le donne. Ecco la posta della nostra partita.» Nick non gli diede retta. Erano usciti sul cassero e aspettavano presso la battagliola di dritta sotto la plancia, il punto di raccolta stabilito da Jules. Il Sea Witch stava virando a soli cinquecento metri, e stavolta Nick ebbe il tempo di osservare la manovra. Jules stava svolgendo il pesante cavo di rimorchio, lasciandone un lungo tratto fra il rimorchiatore e il suo enorme fardello; e sfruttava l'allentamento della tensione per virare verso lo scafo semisfasciato della Golden Dawn. In meno di un minuto avrebbe accostato per la raccolta. «Ecco la partita che abbiamo giocato, io e te.» Duncan era ancora calmo. «Il potere, il denaro e le donne.» Sotto di loro, la Golden Dawn riversava in mare il suo contenuto in un flusso viscido e denso. Percuotendo la fiancata, le onde trasformavano il petrolio in una spessa emulsione. Il veleno mortale si spandeva sulla superficie e la corrente del Golfo l'avrebbe diffuso per tutto l'oceano. «Ho vinto», continuò pacatamente Duncan. «Ogni volta.» Si frugò in tasca, ma Nick non lo ascoltava, non lo guardava. «Finora ho sempre vinto.» Cavò di tasca una torcia per segnalazione e se la strinse al petto con entrambe le mani. Infilò l'indice nell'anellino della linguetta d'accensione.
«E ho vinto anche stavolta, Nicholas», disse. «Gioco, set e partita.» Strappò la linguetta e indietreggiò, reggendola alta. Crepitò un istante e subito divampò in una vivida fiamma rossa, esalando un fumo bianco e fosforescente. Nick si voltò bruscamente, e l'orrore lo paralizzò per un attimo. Poi balzò verso la mano protesa, ma Duncan fu troppo svelto. Si girò e scagliò la torcia in un'alta parabola verso il ponte delle cisterne.
La torcia colpì la cisterna, rimbalzò, quindi rotolò sulle lamiere coperte di petrolio. Nick lo guardò impietrito. Si aspettava una violenta esplosione, ma non accadde nulla. La torcia rotolò tranquillamente sul ponte continuando ad ardere e a brillare. «Non brucia», gridò Duncan. «Perché non brucia?» Il gas era esplosivo soltanto in uno spazio ristretto: sarebbe bastata una scintilla. Ma all'aria aperta il petrolio ha una soglia di deflagrazione più alta: dev'essere scaldato, per liberare i suoi volatili. La torcia cadde in un ombrinale, crepitò e sibilò in una pozza di greggio, e soltanto allora il petrolio prese fuoco. Divampò in una fiamma rossa che si diffuse per tutto il ponte, in fretta ma senza esplodere. Nere volute di fumo si levarono in una nube soffocante. La prua del Sea Witch toccò la fiancata della petroliera, proprio sotto Nick. Il marinaio vicino a Nick spiccò un balzo e atterrò sulla prua del rimorchiatore, poi corse sul ponte. «Nicholas», tuonò la voce di Jules nell'altoparlante. «Salta, Nicholas.» Nick si girò verso la battagliola e si preparò a saltare. Duncan lo prese alle spalle, passandogli un braccio intorno alla gola, e lo strappò dalla battagliola. «No, amico mio», gridò. «Tu non vai da nessuna parte. Resti qui con me.» Una nube di fumo nero e acre li avvolse. La voce amplificata di Jules rintronò nelle orecchie di Nick. «Non posso tenere la posizione, Nick. Salta, presto!» Duncan lo aveva colto alla sprovvista, e adesso lo trascinava lontano dalla ringhiera. A un tratto Nick capì che cosa doveva fare. Invece di resistere al braccio di Duncan, si lasciò andare all'indietro ed entrambi barcollarono contro la sovrastruttura. Ma Duncan fu schiacciato dal peso di Nick. Allentò un poco la stretta e Nick gli sferrò una gomitata nel fianco. Poi si chinò ad afferrargli le caviglie e si raddrizzò di scatto, sbilanciandolo. Nello stesso istante si lasciò cadere all'indietro con tutto il suo peso. Duncan abbandonò la presa, mentre Nick balzava in piedi, tossendo nelle soffocanti volute di fumo, e correva verso il bordo della nave. Sotto di lui, la distanza fra la prua del Sea Witch e la fiancata della petroliera aumentava rapidamente. Le onde e la trazione del rimorchio impedivano al rimorchiatore di mantenere la posizione. Nick salì sulla battagliola, prese lo slancio e saltò. Cadde sul ponte e i suoi denti cozzarono all'impatto. La gamba contusa cedette sotto il suo peso e Nick ruzzolò sulla tolda, quindi si sollevò carponi. Alzò lo sguardo sulla Golden Dawn. Era completamente avvolta dal fumo nero.
Il petrolio s'incendiava sempre più rapidamente, man mano che il fuoco lo scaldava. Ora le fiamme guizzavano altissime nelle volute di fumo. Mentre il Sea Witch virava a tutta forza, la prima raffica della tempesta li investì. Per un attimo soffiò via il fumo, rivelando il cassero della Golden Dawn. Duncan Alexander era ritto presso la ringhiera, sopra il rogo ruggente del ponte. Aveva le braccia allargate e bruciava, i suoi vestiti ardevano, la sua testa era una torcia fiammeggiante. Sembrava una croce di fuoco. A un tratto parve rattrappirsi, si piegò e cadde oltre la ringhiera, precipitando nelle fiamme della mostruosa nave che aveva costruito. Le cortine di fumo si chiusero su di lui come paramenti funebri. Il greggio che sgorgava dalla cisterna dilaniata alimentava le fiamme, cosicché il calore aumentava rapidamente; ma bruciava soltanto gli elementi volatili che costituivano quasi la metà del volume del carico. I pesanti elementi di carbonio, che non erano ancora abbastanza caldi per bruciare, evaporavano nelle dense colonne di fumo nero. Il vento dell'uragano investì nuovamente la Golden Dawn, cosicché il fumo si mischiò all'aria e salì fino alle nubi della tempesta, settemila metri sopra la superficie del mare. La Golden Dawn continuava a bruciare. La temperatura del gas e del greggio contenuti nello scafo crebbe vertiginosamente. L'acciaio divenne incandescente, si fece bianco, colò come cera fusa, poi come acqua; e a un
tratto, nella fornace, la miscela di carbonio, aria e acqua giunse alla soglia della deflagrazione. La Golden Dawn e il suo carico si trasformarono in una palla di fuoco. L'acciaio, il vetro e l'alluminio della sua struttura sparirono nella combustione esplosiva, la cui temperatura era prossima a quella sulla superficie del sole. Il carico, duecentocinquantamila tonnellate di greggio, arse in un istante, sviluppando una rosa di calore puro così intenso che balzò nella stratosfera superiore e bruciò la cappa del suo stesso fumo. L'aria esplose in una vampa. La superficie del mare fiammeggiò nella bianca palla di fuoco. Perfino le nuvole di fumo s'incendiarono, mentre esplodevano l'ossigeno e l'idrocarburo in esse contenute. Anni prima, un'intera città aveva conosciuto il fenomeno della palla di fuoco. La pietra, la terra e l'aria erano esplose, cinquemila abitanti della città tedesca di Colonia erano stati vaporizzati, e il loro vapore era bruciato al suo stesso calore. Ma questa palla di fuoco era provocata da duecentocinquantamila tonnellate di liquido volatile. «Non puoi portarci più lontano?» gridò Nick nel tumulto della tempesta. La sua bocca era a pochi centimetri dall'orecchio di Jules Levoisin. Si aggrappavano alla sbarra sopra la loro testa per non perdere l'equilibrio nel beccheggio sfrenato del ponte. «Se aumento la velocità, spezzerò il cavo di rimorchio», gridò Jules in risposta. Il Sea Witch si rizzava alternativamente sulla prua e sulla poppa. Dalla plancia si vedevano solamente pareti verdi d'acqua marina e banchi di spuma. L'uragano li aveva nuovamente investiti con tutta la sua violenza. Il radarscopio mostrava l'immagine dello scafo contorto e dilaniato della Golden
Dawn. Era soltanto mezzo miglio a poppavia. A un tratto il buio divenne totale. La plancia fu rischiarata soltanto dal barlume delle lampade di sicurezza e delle spie elettroniche sul quadro comandi. Jules Levoisin si volse verso Nick. Nell'ombra verdognola nella plancia, il suo viso paffuto era spettrale. «É un banco di fumo», gridò Nick. Nella plancia non si sentiva l'odore dell'idrocarburo, perché il Sea Witch era chiuso ermeticamente contro il fuoco, con i boccaporti e i ventilatori sigillati e il condizionamento d'aria in circuito chiuso. L'aria veniva depurata e riarricchita di ossigeno dal grosso apparecchio Carrier situato sopra la sala macchine. «Siamo sottovento alla Golden Dawn.» Una raffica più violenta fece coricare il Sea Witch sul fianco, la battagliola sottovento sprofondò sotto le onde. La raffica lo tenne inclinato per vari minuti. L'equipaggio si aggrappò a ogni appiglio, mentre il fardello del rimorchio faceva inclinare maggiormente la nave. Le eliche scoperte non trovavano presa e le macchine urlavano d'angoscia. Ma il Sea Witch era stato costruito per affrontare qualsiasi evenienza. Approfittando di una pausa del vento, si scrollò di dosso l'acqua e cominciò a raddrizzarsi. «Dov'è il Warlock?» chiese Jules con ansia. Temeva una collisione. Le due navi e i loro colossali rimorchi manovravano in acque ristrette, sotto la furia dell'uragano. Era un incubo in più. «A dieci miglia da noi.» Nick colse l'immagine dell'altro rimorchiatore fra i disturbi sul radarscopio. «Sono partiti prima che arrivasse il vento, e...» Avrebbe continuato, ma il banco di fumo che avvolgeva il Sea Witch irradiò un'abbagliante luce bianca, una luce che accecò tutti gli uomini sulla plancia come il flash di una macchina fotografica. «Palla di fuoco!» gridò Nick. Completamente accecato, andò ai comandi dei cannoni ad acqua, venti metri sopra la plancia, nella torre antincendio del Sea Witch. Pochi minuti prima, aveva allineato i quattro cannoni ad acqua, puntandoli al massimo grado d'inclinazione. E ora, quando premette i grilletti, il Sea Witch s'inondò con una cascata d'acqua marina. Ma si trovava in una fornace d'aria in fiamme. Nonostante i torrenti d'acqua che riversava su se stesso, la sua vernice fu vaporizzata in un istante a una
temperatura tale che la combustione divorò il suo stesso fumo; e quasi subito, il metallo scorticato delle sovrastrutture cominciò a rosseggiare. Il calore trapassò l'isolamento dello scafo, le doppie lastre corazzate degli oblò, abbrustolendo le ciglia di Nick e ustionandogli le labbra. Il vetro delle lastre ondeggiò mentre cominciava a fondersi... e a un tratto l'ossigeno venne meno. La palla di fuoco si estinse. Nei suoi venti secondi di vita aveva divorato tutto ciò che si trovava sulla superficie del mare a diecimila metri d'altezza, in un breve orgasmo di distruzione. Lasciò un vuoto, un punto debole nella sottile pellicola d'aria del globo terrestre. Formò un altro sistema di basse pressioni, più piccolo ma più intenso e più impaziente d'essere riempito di quanto lo fosse l'occhio dell'uragano «Lorna». Sventrò la grande tempesta turbinante, creando venti contrari e un vortice
che dilaniò la perturbazione preesistente. Nuove raffiche soffiarono da ogni direzione intorno al vuoto prodotto dalla palla di fuoco, cominciando a turbinare. A venti miglia dalla costa della Florida, l'uragano «Lorna» interruppe la sua carica folle, si afflosciò su se stesso, si disintegrò in una miriade di raffiche e di mulinelli che si scontrarono per dividersi ancora, sfacendosi lentamente nel nulla. ^ Un mattino d'aprile, nella rada di Galveston, il rimorchiatore Sea Witch affidò la cisterna n. 4 della Golden Dawn a quattro rimorchiatori portuali. L'avrebbero portata alle installazioni di scarico dell'Orient Amex sotto Houston. La sua unità gemella, il Warlock, agli ordini del capitano David Allen, aveva affidato quarantott'ore prima le cisterne n. 1 e n. 2 agli stessi rimorchiatori. Fra tutt'e due, il Warlock e il Sea Witch avevano ricuperato sotto il contratto standard dei Lloyd's settecentocinquantamila tonnellate di petrolio greggio valutato 85 dollari americani a tonnellata. Al prezzo si sarebbe aggiunto il valore delle tre cisterne: in tutto, calcolò Nick, non meno di sessantacinque milioni di dollari. Come armatore di entrambi i rimorchiatori, gli spettava tutto il compenso di ricupero. Non aveva ancora venduto la sua compagnia agli sceicchi, benché per tutta la durata del rimorchio dallo Stretto di Florida al Texas avesse ricevuto frenetici messaggi da James Teacher a Londra. Adesso gli sceicchi chiedevano in ginocchio di firmare, ma Nick li avrebbe fatti aspettare ancora qualche tempo. Uscì sull'ala aperta della plancia del Sea Witch e guardò i quattro piccoli rimorchiatori portuali affaccendarsi pomposamente intorno al loro gigantesco fardello. S'infilò delicatamente il sigaro fra le labbra, ancora tumefatte per il calore della palla di fuoco, e rifletté su quello che aveva conquistato, a parte l'enorme somma di denaro. Aveva ridotto la perdita di greggio al cadmio da un milione a duecentocinquantamila tonnellate, e le aveva bruciate in una palla di fuoco. Tuttavia non aveva potuto evitare l'inquinamento. Il vento aveva sollevato le tossine sopra la palla di fuoco. Si erano sparse per depositarsi su tutta la Florida, da Tampa a Tallahassee, avvelenando i pascoli e uccidendo migliaia di capi di bestiame. Ma le autorità americane avevano diffuso subito l'allarme. Non si lamentavano vittime umane, ed era merito suo. Aveva consegnato le cisterne ricuperate all'Orient Amex. Il mondo avrebbe beneficiato del nuovo procedimento di piroscissione, e Nick non poteva impedire che gli uomini trasportassero il greggio venefico di El Barras attraverso gli oceani. Ma lo avrebbero fatto con la cecità irresponsabile di Duncan Alexander? Capì con certezza qual era il vero scopo della sua vita: d'ora in poi si sarebbe dedicato alla difesa del mare. Sapeva come intraprendere l'opera. Aveva il denaro necessario, e Tom Parker gli avrebbe fornito gli altri strumenti. E sapeva, con altrettanta certezza, chi l'avrebbe aiutato nella sua impresa. Mentre se ne stava affacciato alla plancia scorticata dal fuoco, ebbe la
nitida visione di una ragazza bionda che avrebbe camminato per sempre al suo fianco, ridendo gioiosamente alla luce del sole. «Samantha.» Mormorò il nome, e all'improvviso fu ansioso di cominciare. FINE