CARLENE THOMPSON COME SEI BELLA STASERA (The Way You Look Tonight, 1995) In memoria di Margie Un grazie a Janice Daniels...
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CARLENE THOMPSON COME SEI BELLA STASERA (The Way You Look Tonight, 1995) In memoria di Margie Un grazie a Janice Daniels, Dick Young, Dave Sizemore e George Lucas Prologo Quando entrò da Kelly's alle dieci, il bar era affollato, cosa prevedibile per un sabato sera. Ogni pochi minuti la porta si apriva, proiettando a terra una lama di luce e diffondendo nella notte fredda e tranquilla lo strepito del juke-box e il fumo delle sigarette. Ecco com'erano tutti quei luoghi: chiassosi, pieni di luci, saturi di fumo. Lui tollerò qualche sigaretta, sorseggiò tre bicchierini di un whisky incredibilmente cattivo, diluito in una soda che aveva perso ogni traccia di effervescenza, schivò diplomaticamente le attenzioni di una barista sulla cinquantina dalla figura grassoccia e dagli occhi carichi di preoccupazioni e riuscì a parlare in fretta con sole due altre persone per più di un'ora e mezzo, quindi se ne andò. Fuori, una folata d'aria fredda lo ripulì dell'odore di rancido che aveva accumulato nel locale. Tirò un profondo sospiro. Aria pura, pensò. La neve cadeva fitta velando le luci della strada, ricoprendo il marciapiede e formando piccoli cumuli davanti ai negozi. Scosse leggermente la testa, accese una sigaretta e tornò a fissare il bar. Ne uscì una coppia, che cominciò a ridere fragorosamente mentre la donna scivolava sulla neve. I due si diressero a nord, lontano da lui. Nei pochi minuti successivi, non uscì nessun altro. Quasi spronata da un richiamo lontano ma irresistibile, la gente aveva cominciato ad abbandonare il bar mezz'ora prima e adesso l'orda dei festaioli si era notevolmente ridotta. Forse si stava approssimando l'orario di chiusura. L'insegna blu al neon di Kelly's splendeva. Era stata proprio l'insegna che lo aveva attratto, all'inizio: quel bagliore blu che il mistico velo di neve formatosi nel frattempo rendeva spettrale. A lui piacevano le insegne, e quella era adorabile. Si domandò quanta gente fosse sensibile alla loro bellezza impressionistica. Non molta, pensò. Aveva scoperto col tempo che la gente percepiva il mondo in maniera
del tutto arida e prosaica, anche se lui rammentava sempre che non doveva paragonare i comuni esseri mortali con se stesso. Dopotutto, lui era speciale, intelligente, sensibile... cose che la gente sosteneva di essere in quei patetici annunci personali sui quotidiani, ma che probabilmente non era. Comunque, lui non poteva fare a meno di sentirsi costantemente consapevole della propria superiorità. Era un fatto di vita. Aveva quasi finito di fumare la sigaretta quando una donna uscì dal locale. L'aveva vista prima, seduta davanti al bancone. Doveva essere una cliente regolare, perché la barista l'aveva salutata chiamandola per nome. Sally? Si chiamava così? Non aveva importanza. I nomi danno un'identità alle persone, così a lui non faceva piacere richiamarli alla memoria, nemmeno i nomignoli. La donna rimase in piedi davanti alla porta con aria incerta, guardando prima da una parte della strada e poi dall'altra, dove c'era lui. Non si era nascosto molto bene, ma quello non era un elemento importante. Nonostante la sua giovinezza e la sua bellezza, lei non possedeva la spiccata capacità di vedere che aveva lui. L'uomo ricordava che gli occhi di lei erano grandi e gentili, e il viso della donna di una perfezione pura e innocente. Quel viso gli aveva fatto venire in mente la Olivia Hussey del film Giulietta e Romeo. Una rosa tra le spine. In momenti del genere, lui pensava sempre alla canzone The Way You Look Tonight. La cantava piano, le parole che svanivano lentamente nel vento gelido. "Un giorno, quando sarò terribilmente giù / Quando il mondo sarà freddo / Mi scalderò il cuore solo pensando a te / E a come mi appari stanotte." Anche sua madre cantava quella canzone. Nel bagliore della luce bluastra, vide la ragazza battere in fretta le palpebre contro la neve che le sferzava il bel viso. Il cuore dell'uomo prese a pulsare più in fretta mentre lui la fissava desiderando che venisse dalla sua parte. Ogni nervo nel suo corpo parve fremere mentre lui attendeva e sperava che quel desiderio si realizzasse. La ragazza svoltò verso nord, fece due passi e si volse di scatto. "Ecco cos'era il Potere!" pensò lui con esultanza. Nessuno era immune dal Potere, il potere della sua volontà, specie la mente informe di una giovane donna. Gettò via la sigaretta e lentamente, tranquillamente, scivolò giù fino a quando non si trovò a sedere sulla neve. Lei camminava di buon passo, poi si fermò quando sentì il gemito dell'uomo echeggiare nel vicolo. «Signorina» chiamò debolmente lui. «Signorina!» Lei si irrigidì, pronta a correre
via, anche se continuava a fissarlo. «Qualcuno mi ha derubato» disse lui con voce strascicata, spostando un fazzoletto macchiato di rosso dalla tempia, in un punto coperto dai capelli. «Mi hanno colpito. Non credo di farcela a camminare.» Lei esitò mentre la neve cadeva sui suoi lunghi e lucidi capelli neri. Sembrava una bambina spaventata. Non sapeva nemmeno lei se prestare ascolto alle suppliche dell'uomo o scappare via da lì il più presto possibile. Poi aggrottò le sopracciglia. «La conosco?» disse. «Non credo» rispose lui in uno slancio istintivo verso l'anonimato, anche se si rese subito conto del suo errore. Lei era disposta a dare una mano, e sapere che a chiedere aiuto era una persona nota avrebbe potuto rafforzarla nella sua determinazione, cancellando la paura che provava. E se adesso lui si fosse contraddetto, dichiarando che la donna lo conosceva, quella sarebbe apparsa una bugia e lei se la sarebbe data a gambe levate. Meglio non strafare. Doveva tentare di impietosirla. Parlò più chiaramente, facendo risuonare nella sua voce una nota di innocenza oltraggiata. «Signorina, la prego. Se mi aiuta ad alzarmi, troverò un telefono e chiamerò un'ambulanza.» Tentò di tirarsi in piedi, ma cadde in avanti. «Oh, Dio!» Lei gli fu accanto in un attimo. Una donna di una grande città non sarebbe stata tanto ingenua, pensò lui, ma in un posto come Wheeling, West Virginia, la gente tendeva a bersi un po' di tutto. Lui contava sempre su quel fatto. Si tirò via il fazzoletto dalla tempia e gemette. «Non immaginavo che la ferita sanguinasse così tanto. Oh, be', in qualche modo me la caverò, anche se la testa mi gira tremendamente» borbottò con un flebile sorrisino, notando come la fioca luce del vicolo si rifletteva sugli orecchini di filigrana dorata della donna. Lei si era rianimata e adesso sembrava avere la situazione sotto controllo. O così credeva. «Mi metta il braccio intorno al collo, signore» disse. «La porto in quel bar in fondo alla strada e lì chiederemo aiuto.» La mano destra inguantata dell'uomo scivolò nella tasca del cappotto e si chiuse intorno a un qualche oggetto mentre lui le sorrideva mostrandole tutta la sua gratitudine. «Lei è proprio un angelo, mia cara signorina. Che il cielo la ricompensi per la sua bontà.» Venti minuti dopo, quello che era rimasto di Sally Yates aprì gli occhi. Dolore. Un dolore che le comprimeva qualunque senso di consapevolezza. C'erano solo la sofferenza e una specie di nastro crudele e soffocante intorno alla gola. Cercò di artigliarlo. Una corda. Una corda con dei nodi. In-
torno alla corda, qualcosa di caldo e vischioso. Tirò su la mano e si toccò la testa. Il lato sinistro sembrava strano... come intaccato. Da quel punto sgorgava il sangue, che le copriva il viso e le saturava i capelli, gocciolando sul cappotto di finta lana che lei credeva essere tanto elegante. La mano passò su un occhio chiuso e gonfio, su una guancia scorticata e, un po' più in giù, sull'estremità frastagliata di un osso che sporgeva nella zona mascellare. Che cosa le avevano fatto al viso, in nome di Dio? Poi ricordò... il martello. L'aveva visto dopo che lui si era messo a ridere strappandole brutalmente gli orecchini dai lobi. Il dolore era quasi insopportabile. Stordita, rotolò di fianco, cercando di mettersi in equilibrio mentre il cervello le vorticava. "Non è il caso che esci, stasera." Le parole della madre le echeggiavano nella testa. "Jack ti scuoierà viva, se lo scopre." "Ho ventidue anni" aveva protestato Sally. "Lui è sempre via e non vuole mai che mi diverta. E poi, si tratta solo di andare a vedere un film." "Sì, un film! Tu hai intenzione di andare in quel bar, Kelly's. Mentre dovresti startene a casa a badare alla tua bambina." Amy. Lei era al sicuro a casa con la madre irritante ma premurosa di Sally. Ma se Sally non fosse sopravvissuta a quel trauma? Allora Amy sarebbe stata allevata da Jack, che era sempre pronto a urlare, a colpire e a scalciare quando le cose non andavano come desiderava lui. Il pensiero della piccola, che aveva appena otto mesi, infuse a Sally un nuovo vigore. Combattendo l'impulso di starsene sdraiata nella neve in attesa che l'oscurità calasse, sommergendo la pena e l'orrore, si costrinse a guardare all'insù. Con l'occhio destro, vide qualcosa che incombeva su di lei. Sporse il braccio all'infuori. Metallo. Un bidone della spazzatura, pensò, cercando di snebbiarsi le idee. L'uomo l'aveva trascinata dietro un bidone della spazzatura, prima di tenderle la corda intorno al collo in modo da farle perdere quasi i sensi. Poi l'aveva violentata e picchiata. Lei tentò di inghiottire e per poco non soffocò. Cos'aveva in bocca? Sputò qualcosa... forse delle foglie o un ramoscello. Non riusciva a vedere nel buio. Altri pezzetti le galleggiarono in bocca, alloggiati accanto all'osso fratturato della mandibola, ma lei non aveva né la forza né la sopportazione del dolore per espellerli con la lingua. Col respiro affannoso, cercando di allentare la pressione della corda, si mise in ginocchio e prese a strisciare, ma subito provò un conato di vomito. Il dito medio della mano sinistra le faceva male e pendeva con una strana angolazione. Era rotto, lo sapeva, e la fede nuziale era scomparsa. "Che
strano" pensò. "Il bastardo mi ha rubato la fede!" La neve le copriva i capelli e premeva contro le ginocchia nude. Le mutandine erano a brandelli, ma lei non sentiva più il freddo come le era successo la prima volta che aveva aperto gli occhi. La neve scricchiolò sotto il corpo della donna mentre lei si trascinava fino alla strada... la strada dove poteva esserci gente, la strada dove le luci brillavano e dove forse qualcuno l'avrebbe aiutata. Cadde su un fianco un paio di volte. Le unghie, a cui aveva fatto la manicure proprio quella sera, si spezzarono mente lei si trascinava carponi, cercando di tanto in tanto di allentare la pressione della corda intorno al collo, la corda conficcata in profondità nella pelle giovane e morbida. Aveva perso le scarpe, si rese conto in una specie di incubo cosciente. Delle ottime scarpe. Le migliori che aveva. Di vero cuoio. Avrebbe dovuto tentare di trovarle, in seguito. La strada. Usando l'occhio buono, passò in rassegna la zona. Non c'era nessuno in giro, ma lei continuò egualmente ad avanzare. Metro dopo metro. Dopo un'eternità, sentì qualcuno che gridava: «Ma che diavolo è successo?» Dopo un po', si rese debolmente conto che c'era della gente intorno a lei. Un uomo la rigirò, poi disse: «Cristo santo, no!» Lei provava un assurdo imbarazzo, un desiderio irrazionale di coprirsi la faccia devastata, ma le mani non volevano più saperne di spostarsi. «È Sally!» «Come fai a dirlo?» balbettò una donna. «Dai capelli. Sally, cos'è successo?» Hank, il barista. Lei tentò di parlare, ma senza successo. La gola, gonfia, sembrava renderle impossibile la parola. L'uomo cercò di allentare la pressione della corda, goffamente. Il corpo di Sally si afflosciò. Lei era sopravvissuta allo strangolamento, allo stupro, alle percosse, ma stava accadendole qualcosa nel cervello. La capacità di provare sensazioni si stava affievolendo. Un danno cerebrale. Lo sapeva, dato che faceva l'infermiera. Si mise disperatamente a lottare per provare di nuovo quel dolore che avrebbe significato il recupero di un normale funzionamento cerebrale. «Chi è stato a farti questo?» domandò Hank. La voce della donna salì lugubremente di tono. «Oh, mio Dio, mio Dio! Guardale la faccia! Sembra che gliel'abbiano schiacciata!» Emise un gemito. «Credo di stare per svenire. Non ce la faccio più a reggermi in piedi.» «Piantala di pensare a te e vai a cercare aiuto!» le gridò Hank.
«Non posso. Mi sento male. Sto tremando come una foglia.» «Dannazione, Belle, smettila di comportarti come una stupida. Stai spaventando a morte questa poverina.» «Ah, sono io che la spavento? Stammi bene a sentire, qui non si tratta di essere più o meno spaventati. Non vedi che sta morendo?» "Sto morendo" pensò Sally in un estremo, debole flash. "Sto morendo su un marciapiede freddo, coperto di neve, e tutto perché un uomo in un vicolo ha domandato aiuto." 1 «Un grande party, come al solito.» Deborah Robinson guardò Pete Griffin arrossire. La fronte dell'uomo era leggermente sudata sotto i radi capelli castani. Lei aveva pensato anche prima che la stanza stesse diventando un po' surriscaldata, e le condizioni di Pete mostravano che non si era sbagliata. Il fuoco che crepitava nel camino non faceva che aggiungere altro calore. «Sono felice che ti piaccia, Pete» disse, annotandosi mentalmente di abbassare il termostato. «Non abbiamo mai dato un party così grosso.» «Mi sento un po' fuori posto con tutti questi avvocati. Sono l'unico non avvocato che tu e Steve conoscete?» Deborah sorrise e disse: «Certo che no.» Poi si diede un'occhiata in giro per la stanza. I presenti, in effetti, erano o avvocati, o persone che li accompagnavano. «Ma sai com'è con queste feste natalizie, no? Sono l'occasione buona per invitare la gente con cui Steve lavora nell'ufficio del procuratore distrettuale.» «Be', comunque è stato carino da parte vostra invitarmi.» «Noi ti invitiamo sempre. Sei uno dei più vecchi amici di Steve.» Pete sorrise. «Steve spera solo che prima o poi mi decida a compilargli la dichiarazione delle tasse gratis.» «È comodo avere un commercialista dalla tua parte, specie uno che possiede la più grande società di commercialisti della città. Tra parentesi, dov'è tuo figlio?» «A quindici anni, Adam si considera troppo fuori luogo per una festa come questa. È andato in casa di un amico, a sentire qualche brano di musica heavy-metal... roba da spaccare timpani... e a lamentarsi perché non gli compro la macchina.» «Ma se non ha ancora la patente!»
«Adam lo considera un punto secondario» disse Pete. «Secondo lui, dovremmo già pianificare la situazione e cominciare a risparmiare. Vuole una Viper.» «Non mi sembra la macchina ideale per un principiante.» «Sono d'accordo. Un quindicenne con un'auto sportiva che vale cinquantamila dollari. Mi viene il voltastomaco al solo pensarci.» Deborah sorrise. Capiva perché Pete fosse l'amico più intimo di Steve. A prescindere dai ricordi che i due condividevano dall'età della loro infanzia, Pete era un tipo intelligente, modesto e sempre disponibile quando si aveva bisogno di lui. Deborah gli era sempre stata particolarmente affezionata. Ne ammirava i modi schivi, che nascondevano una sottile ironia, e la ferrea dedizione al figlio, che aveva cresciuto da solo dopo che la moglie lo aveva abbandonato tre anni prima. L'ultima volta che aveva avuto notizie di lei, Hope Griffin era in Montana e lavorava alla difesa dell'ambiente. "Salva i lupi e abbandona tuo figlio" aveva commentato amaramente Steve, il marito di Deborah. "Quella è una donna che ha delle chiare priorità in testa." «Personalmente, credo che sia fantastico avere quindici anni e poter ancora sognare» disse Deborah. «Ricordo che, a quell'età, contavo di poter diventare la futura Karen Carpenter.» Pete sorrise. «E io volevo diventare il futuro Frank Lloyd Wright. Adam, comunque, è ancora in quello stadio mentale. Cambia idea quasi ogni settimana riguardo ai suoi progetti di vita. La settimana scorsa, per esempio, ha rivisto per l'ennesima volta Top Gun, e adesso dice che vuole fare il pilota di jet. Aspetta che il piccolo Brian cresca ancora un po' e vedrai tu stessa.» Deborah lo guardò con un'espressione di divertito orrore. «Lui ha solo cinque anni. Spero di avere ancora qualche annetto di tranquillità davanti a me.» Pete lanciò un'occhiata all'orologio. «Mi dispiace di fare il guastafeste... anche se credo che nessuno si accorgerà della mia assenza... ma ho detto ad Adam che doveva rincasare alle undici. E siccome vorrei essere là ad aspettarlo, è meglio che vada.» «Potresti chiamarlo da qui e accertarti che torni a casa presto.» «E magari umiliarlo davanti ai suoi amici?» Pete scosse mestamente la testa. «Deborah, hai un mucchio di cose da imparare sugli adolescenti. Se mi comportassi come hai suggerito tu, lui mi terrebbe il muso per parecchi giorni. No, non credo che sia la scelta più saggia. Preferisco essere in casa
ad aspettarlo, quando arriverà. Se fosse in ritardo, potrei rifilargli la solita predica sulla fiducia, la responsabilità e la considerazione che bisogna riservare alla gente, specie al povero vecchio paparino.» «Sei un uomo crudele e senza cuore» disse Deborah sorridendo. «Il peggiore. Ma è la gioia più grande della mia vita.» Deborah fece un gesto a Steve, che stava parlando con Evan Kincaid. Steve, un uomo dall'espressione seria, anche se capace di prorompere occasionalmente in qualche sorriso infantile, si affrettò verso la moglie, la fronte madida di sudore e le guance arrossate. «Allora, come andiamo?» chiese tranquillamente. «Pete vuole tornare a casa per controllare Adam.» «Non è malato, vero?» «No. È uscito con qualche amico.» «Tutto qui? In questo caso, che ne diresti di un drink con me prima di andartene? Credo che ci sia della roba buona in cucina. Chivas Regal, dodici anni di invecchiamento.» «Questa è un'offerta difficile da rifiutare» disse Pete. «Ma Adam...» «Ehi, dai un po' di briglia al ragazzo, d'accordo? Un quarto d'ora non è la fine del mondo.» Pete parve combattuto, poi sorrise. «Va bene. Un goccetto rapido e poi levo le tende.» «Puoi fare a meno di me per qualche minuto?» chiese Steve a Deborah. «Cercherò di cavarmela, ma voi due non cominciate a rivangare i bei tempi andati.» «Tenteremo.» Steve sorrise voltandosi mentre i due si avviavano in direzione della cucina. "No, non lo faranno" pensò Deborah. Pete era troppo preoccupato riguardo ad Adam per fermarsi a lungo. Era iperprotettivo col ragazzo e, secondo Steve, lo era stato dal momento del divorzio. Aveva perso la moglie e temeva di perdere anche il figlio... il che era improbabile, tutto sommato, perché, sotto la maschera da duro che portava, Adam era profondamente attaccato al padre. Deborah sospirò e fece correre lo sguardo intorno al grande salotto che un tempo era diviso in due stanze più piccole le cui diverse funzioni lei non aveva mai saputo determinare. Steve aveva mostrato qualche accenno di resistenza quando lei aveva proposto di abbattere la parete divisoria, ma alla fine si era rassegnato. Adesso le due stanzette formavano una camera spaziosa con una grande finestra sul davanti, invece delle quattro piccole
finestre a pannelli che risultava quasi impossibile pulire. Deborah era compiaciuta del risultato e credeva che lo fosse anche Steve, nonostante lui non parlasse mai molto degli sforzi della moglie, perché ovviamente sperava di non incoraggiarla a effettuare altri cambiamenti. L'odore del cibo le arrivò dal tavolo del buffet. Il suo stomaco prese a gorgogliare, ma era stata talmente assorbita a preparare il menù per due giorni che l'idea di mangiare aveva perso del tutto il suo fascino estetico. Stomaco vuoto o no, Deborah non se la sentiva di mandare giù nemmeno un boccone. Inoltre, provava una grande stanchezza. Le sembrava che ogni anno il party natalizio diventasse sempre più elaborato, e a lei piaceva cucinare tutto, non ordinare le vivande da un fornitore. Ormai le feste erano diventate più un peso che un divertimento, e la famiglia continuava a consumare avanzi per giorni e giorni. Deborah fece il giro della stanza, chiedendo se poteva offrire nuovi drink e dolci. Un avvocato di cui lei non riusciva a rammentare il nome stava ricordando un caso che aveva discusso l'anno prima. La moglie lo interrompeva costantemente correggendo tutto quello che diceva, ignara dello sguardo sempre più gelido sul viso dell'uomo. La fidanzata di un altro avvocato stava parlando rumorosamente con una donna dai capelli tinti di blu e dall'aria matronale su un serial killer denominato da un quotidiano locale, con espressione colorita, lo "Strangolatore dei vicoli bui". «Mi spaventa a morte pensare che abbia colpito solo sabato notte, e stavolta qui in Virginia» stava dicendo. «Questa è stata la settima volta in tre anni. E quella ragazza! Poverina. Faceva l'infermiera e aveva un bambino piccolo. È ancora viva, per la verità, ma i medici non si aspettano che duri molto.» Deborah rabbrividì. Era naturale che l'argomento del serial killer venisse toccato al party, ma quella doveva essere un'occasione festiva, e la menzione di una morte violenta gettò un velo di mestizia sulla serata. Deborah continuò ad avanzare, abbassò il termostato di cinque gradi e cercò di fare in modo che gli ospiti fossero a loro agio. Erano pochi i suoi amici. La maggior parte della gente proveniva dal mondo di Steve e, secondo lei, molti di loro pensavano che Steve si fosse sposato con una donna non del suo livello. Steve le ripeteva sempre che quell'impressione era erronea, ma lei si rendeva ben conto della distanza della gente nei suoi confronti. In parte, quella era colpa sua, comunque, visto che non riusciva mai a essere il centro della festa. Col tempo, in effetti, era giunta a detestare i party natalizi, un piacevole rituale che lei e Steve avevano cominciato il primo anno del loro matrimonio, ma che in seguito si era rivelato una ve-
ra ordalia. Forse quello sarebbe stato l'ultimo, rifletté Deborah. Forse l'anno successivo sarebbe riuscita a convincere Steve a invitare solo pochi amici scelti prima di Natale. Si ritirò in un angolo del salotto con in mano un bicchiere di Campari e soda. Nonostante avesse smesso di fumare due anni prima, ora Deborah sentiva il bisogno impellente di una sigaretta. Avrebbe continuato a provare la tentazione di fumare per almeno un altro paio di giorni, fino a quando la stanza non si fosse liberata completamente dai miasmi del fumo degli ospiti. Grazie al cielo, lei e Steve davano solo un party all'anno. Se in casa l'odore di fumo fosse ristagnato troppo spesso, Deborah non avrebbe saputo controllare il suo bisogno di nicotina. Sapeva che sarebbe dovuta andare in mezzo agli ospiti e socializzare, ma la testa le doleva, era stanca morta dopo tutto quel cucinare e stava cominciando a provare un disagio sempre più forte verso quel vestito di lana bianca, dall'ampia scollatura e dalla cintura dorata, che prima Steve aveva salutato con uno sguardo censorio. "Non credi che sia un po'... osé?" aveva domandato gentilmente. "Perché non ti metti l'abito di velluto nero, quello che ti ho comprato l'anno scorso?" Ma come faceva a dirgli che quel vestito la fasciava troppo, aveva le maniche troppo strette e la gonna troppo lunga persino per il suo metro e settanta di altezza? In ogni caso, Deborah lo avrebbe indossato comunque per renderlo felice, se il campanello non fosse squillato in quel momento segnalando l'arrivo dei primi ospiti. Deborah sorrise a Barbara Levine, sua amica e collega di Steve nell'ufficio del procuratore distrettuale. Aveva conosciuto Barbara il primo anno in cui Deborah lavorava come segretaria nell'ufficio. Una cupa domenica di novembre si erano incontrate in un negozio di videocassette, entrambe alla ricerca del Dottor Zivago. Barbara aveva già trovato il film e stava per pagare il noleggio quando Deborah si era diretta al bancone chiedendo se la cassetta fosse disponibile. La commessa le aveva detto che ne avevano solo una copia. "Oh, allora credo che cercherò qualcos'altro" aveva detto lei, delusa. Ma Barbara aveva suggerito all'improvviso: "Perché non vieni a guardarlo a casa mia?". Sorpresa per un tale invito, specie perché veniva da un'avvocatessa dall'aria dura e professionale, tutta dedita al suo lavoro, Deborah aveva indugiato, ma Barbara non si era data per vinta. Avevano visto il film nell'appartamento di Barbara, mangiando pop-corn cotti nel forno a microonde ("l'unica cosa che sappia cucinare" le aveva confidato Barbara) e alla fine della cassetta, quando Zivago cadeva morto sulla strada inseguendo la sua amata Lara, erano scoppiate a piangere tutte due. In
seguito, erano andate a cenare in un ristorante italiano e, da quel giorno, Deborah aveva perso ogni senso di paura nei confronti di Barbara. Erano diventate amiche, condividendo un profondo amore per gli animali, le pellicole romantiche e i gialli di Agatha Christie. Barbara attraversò la stanza e si portò vicino all'amica. «Steve ci ha lasciato?» «È in cucina a bersi un drink insieme a Pete» disse Deborah con un sorriso. «Pete è una persona molto simpatica. Mi chiedo perché non si sia mai risposato.» «Forse perché la prima volta è rimasto molto scottato. So che dedica un mucchio di tempo ad Adam e alla nonna a Wheeling, che lo ha allevato dopo che i genitori di Pete morirono entrambi. Lei ha più di ottant'anni e un mucchio di problemi di salute.» «Nessuna di queste ragioni può spiegare fino in fondo come mai Pete abbia rotto i legami con la vita sociale» disse Barbara. «Avrebbe bisogno di una ragazza, qualcuno con cui vivere e che gli rinnovi il guardaroba. Gli abiti che indossa sono tutti troppo grandi, oltre che antiquati. Io non sono una patita della moda, ma pare proprio che Pete faccia di tutto per sembrare più vecchio di dieci anni.» «Stai attenta che se continui a essere così cattiva, Babbo Natale non verrà a farti visita.» Barbara sorrise, e la sua risata le addolcì i lineamenti angolosi, quasi da falco. A trentotto anni, molti dei quali passati a lavorare dodici ore al giorno senza molto curarsi della sua bellezza, lei aveva un aspetto smagrito, reso ancora meno salutare dall'assenza di qualunque traccia di make-up sul viso, tranne un leggero filo di rossetto sulle labbra. «Sei uno schianto, stasera» disse Barbara. «Ho capito subito che quel vestito faceva per te non appena l'ho visto nella vetrina del negozio.» «A Steve non piace.» «No, forse non gli piace. Lui è una persona molto dolce, ma fa di tutto perché tu appaia come una zitella sessantenne, invece che una ventottenne molto sexy. Chissà, magari non desidera che tu finisca nelle braccia di qualche altro uomo.» «Eventualità del tutto improbabile. Secondo me, tu fai Steve molto più machiavellico di quanto non sia in realtà.» «Se lo dici tu... Ti hanno fatto il lavaggio del cervello per indurti a credere che non sei niente di speciale in fatto di bellezza femminile. Io, d'altro
canto, sto cominciando a somigliare a mia madre, e lei ha davvero sessant'anni.» In mano aveva un dolce alla mandorla che stava mangiucchiando. «E questi non aiutano a mantenere la linea.» «Barbara, tu sei magra come un chiodo.» «Abbastanza magra, sì, ma non sottile come te.» «Be', non devi correre tutto il santo giorno dietro due gemelli di cinque anni e dietro un cane. In ogni caso, comunque, non mi sembri proprio una zitella sessantenne.» «Però dimostro ogni anno che ho e magari anche qualcuno in più.» Sì, dimostrava davvero tutti i suoi anni, pensò Deborah con rimpianto. Non c'era da meravigliarsi che gli amici si fossero sorpresi quando Barbara aveva cominciato a frequentare Evan Kincaid, di sette anni più giovane di lei e considerato il maschio più appetibile nell'ufficio del procuratore distrettuale. Secondo Steve, alcune delle segretarie più giovani trattenevano a stento la loro gelosia e non riuscivano a evitare di fare osservazioni malevole alle spalle di Barbara su quella relazione. "Ma a me non pare un mistero" aveva detto Steve. "Barbara è una donna brillante e molto intelligente. Inoltre, Evan non è uno che giudica in base alle apparenze." "Da questo punto di vista, è come te." Steve sorrise. "Tesoro, tu sei una donna davvero carina." "Carina sì" pensò tristemente Deborah "ma non una bellezza come alcune delle ex fiamme di Steve." «A cosa pensi?» chiese Barbara. «Alle donne che uscivano con Steve prima di me.» «E com'è che ti è venuto un pensiero simile proprio adesso?» «Ricordi quelle che avevano l'abitudine di venire in ufficio? Erano delle vere meraviglie. Mi domando sempre come mai abbia scelto me.» «Forse perché quelle erano tutto fumo e niente arrosto. Ricordo di avergli fatto un bel discorsetto in merito, tempo fa.» «Sono sicura che l'avrà apprezzato.» «Mi ha detto di badare ai fatti miei. Poco dopo, però, ha cominciato a farti la corte. La mossa più intelligente di tutta la sua vita.» «Questo sì che si chiama parlare da vera amica. Alcune di quelle donne, comunque, erano piene di soldi.» «Soldi?» disse Evan Kincaid, avvicinandosi e passando il braccio intorno alla vita di Barbara. «Voi due stavate discutendo della radice di tutti i mali?» Barbara fece una smorfia. «Lui non è solo molto carino. È anche un let-
tore del pensiero.» «Un lettore delle labbra, piuttosto.» Evan sorrise. «La verità è che stazionavo qui vicino, anche se voi due eravate troppo assorte nei vostri discorsi per accorgervi di me.» «Deborah continua a torturarsi. Si chiede perché Steve non abbia sposato qualche donna molto vistosa e magari anche ricca.» Evan scosse la testa. «A volte, credo proprio che voi donne cerchiate a bella posta qualcosa di cui preoccuparvi.» Barbara lanciò a Deborah uno sguardo ironico. «Perché gli uomini, naturalmente, non si preoccupano mai di nulla.» Evan sorrise. «Non come vi preoccupate voi. Ogni giorno, il qui presente cuore del mio cuore ha almeno una ventina di crucci su cui arrovellarsi.» «Non è vero!» protestò Barbara con collera simulata, non riuscendo però a nascondere il piacere provato nel sentire Evan chiamarla "cuore del mio cuore". I due si vedevano assiduamente da nove mesi, e Barbara le aveva confidato che gli ultimi due non erano stati molto tranquilli. "Lui crede che lo tiranneggi perché sono più vecchia" le aveva detto Barbara. "E mi sembra che lo tiranneggi davvero" le aveva risposto francamente Deborah. Allora Barbara aveva assunto un'aria un po' sperduta. "Lo so. Mi rendo conto che lo faccio, ma è più forte di me." Ora, comunque, Barbara aveva uno sguardo adorante mentre alzava lo sguardo per fissare Evan, biondo e dagli occhi azzurri. Deborah pensava che assomigliasse al giovane Robert Redford. Evan corrugò la fronte con aria interrogativa, e Deborah si accorse che la stava fissando. «Posso portarvi un drink?» domandò in fretta. «Per me no, grazie. Ho già superato il limite» disse Evan, alzando un bicchiere mezzo vuoto. «E tu, Barbara?» «Questo vin brulé è delizioso, ma anche molto forte. Un altro bicchiere e comincerò a raccontare barzellette oscene.» «E questo bisogna assolutamente impedirglielo, Deborah» disse di colpo Evan. «Lei non riesce a raccontare bene una barzelletta, oscena o no che sia, nemmeno se da questo dipendesse la sua vita.» «Non è vero» replicò Barbara. «Ne ho sentita una divertente giusto oggi. Allora, c'era questo...» «Oh, Dio» gemette Evan, fingendo di disperarsi. «Devo controllare alcune cose in cucina» disse Deborah sorridendo, poi si volse e si allontanò dai due. «Fifona» borbottò Evan.
Steve stava chiudendo la porta alle spalle di Pete quando lei entrò in cucina. «Tutto a posto?» Lui la guardò con una nota di sollievo negli occhi verdi, che negli ultimi tempi sembravano spesso stanchi e arrossati. «Sì. Vorrei che Pete non fosse così ossessivo riguardo ad Adam. A volte, si comporta come una vecchia zia con quel ragazzo. Mi chiedo che cosa gli succederà, quando il figlio se ne andrà da casa e lui non avrà più nessuno da accudire.» «Barbara crede che dovrebbe trovarsi una bella ragazza.» «Questa sarebbe una soluzione perfetta, ma il fatto è che lui è rimasto solo da un mucchio di tempo. E non è mai stato un dongiovanni, nemmeno quando eravamo giovani tutti e due. E poi, c'è da considerare che con gli anni è diventato un uomo di successo. Il rischio è quello che finisca per essere concupito da qualche donnina a caccia di soldi. Comunque, credo che anche un'unione su basi puramente sentimentali sia un rischio.» «È questo che pensi del nostro matrimonio?» Steve le strinse le braccia intorno ai fianchi. «No. Sapevo che noi l'avremmo spuntata.» Nonostante il marito avesse un forte odore di fumo di sigaretta, cosa che fece rinascere in Deborah il desiderio di fumare, lei apprezzò enormemente quell'abbraccio. Steve non era un uomo che amasse palesare i propri sentimenti, e se non avesse bevuto qualche drink, molto probabilmente non si sarebbe mai sognato di abbracciarla in cucina, con una ventina di ospiti in salotto. Lei si alzò sulla punta dei piedi e lo baciò delicatamente. «Sono felice di averti sposato.» «Davvero?» chiese Steve. Deborah si scostò dal marito, guardandolo. Sembrava turbato. «Ma certo. Perché me lo chiedi?» «Perché credo che, a volte, tu ti senta delusa da me.» E talora le capitava, in effetti, pensò Deborah con aria colpevole. A volte, desiderava di aver sposato un uomo che l'amasse appassionatamente, invece di badare semplicemente a lei nel modo secco e distaccato che era tipico di Steve. Ma avrebbe dovuto lasciarsi quei sogni alle spalle già dall'età dell'adolescenza, si disse. Quella era la vita vera, non uno dei film romantici che lei tanto apprezzava. Steve non era il poeta Yuri Zivago e lei non era la tragica, splendente Lara. Come suo padre le aveva fatto spesso notare, lei non era né particolarmente bella né particolarmente intelligente. Era solo una donna ordinaria il cui unico dono consisteva nel saper tenere una casa e nel cucinare bene. Il padre non era stato d'accordo quando lei
aveva scelto di fare la segretaria nell'ufficio del procuratore distrettuale di Charleston, invece di sposare Billy Ray Soames, il predicatore battista della Virginia del sud. In seguito, la rabbia paterna per il fatto che Deborah avesse sposato un uomo con cui si vedeva da soli due mesi era stata del tutto sproporzionata. Lui e la madre, in effetti, erano venuti a trovare gli sposi solo due volte dopo il matrimonio: quando erano nati i gemelli, Brian e Kimberly, e l'anno precedente, quando i genitori erano passati da Charleston per una rara vacanza. E Deborah, dal canto suo, aveva portato i bambini in visita dai genitori solo tre volte. Risultato, Brian e Kimberly erano quasi ignari dell'esistenza dei nonni. «Non mi sento delusa da te» disse Deborah, cercando di scacciare quei pensieri dalla mente. «Tu sei un uomo meraviglioso.» Agli angoli degli occhi di Steve si formarono sottili rughe mentre lui le sorrideva. «E tu sei una donna meravigliosa.» Deborah lo guardò. «Dobbiamo smetterla con queste moine, visto che abbiamo ospiti.» Steve sorrise, e Deborah provò un immenso sollievo per il fatto che il marito sembrasse più sollevato. Negli ultimi due giorni, le era parso sempre immusonito, distratto, irritabile. Deborah capiva che c'era qualcosa che non andava, ma lui non voleva saperne di discutere il problema con la moglie. Deborah lo abbracciò vigorosamente. «Ehi, vuoi spezzarmi le costole?» «Scusami.» Lei allentò la stretta. «Sai che a Natale divento sempre molto sentimentale.» «Tu diventi sentimentale durante ogni festa comandata. L'entusiasmo è uno dei tuoi tratti salienti. Ed è molto importante anche per i bambini. Per loro le feste sono un evento con te.» Il telefono squillò proprio in quel momento e Steve rispose dalla derivazione sul bancone della cucina. «Ci penso io. A proposito, ho notato che siamo a corto di ghiaccio. Non ce n'è più in frigo.» «Ma ce n'è dell'altro nel freezer che si trova in garage. Mentre rispondi al telefono, io mi occupo del ghiaccio.» Aprendo la porta della cucina per recarsi in garage, Deborah fu colta di sorpresa dalla differenza di temperatura. Poi cominciò a respirare con un senso di gratitudine l'aria fresca e pulita. Accese la luce del garage e diede un'occhiata all'orologio: le undici e un quarto. Il party sarebbe terminato entro una mezz'oretta. Anzi, alcuni degli ospiti se n'erano già andati, grazie al cielo. Si sentiva esausta e avrebbe avuto voglia di dormire fino a mezzogiorno dell'indomani.
Sollevò il pesante coperchio del freezer. Mentre si chinava sull'apertura, notò qualcosa di rosso sopra i pezzi di carne avvolti in una sottile pellicola di carta stagnola. Il camioncino dei pompieri di Brian. Lo tirò fuori, allarmata. Ovviamente, i bambini si erano messi a giocare lì e avevano aperto il freezer. Ma cosa sarebbe successo, se uno dei due avesse deciso di scalare le pareti e fosse caduto all'interno? Non ci voleva molto a soffocare, se l'aiuto non fosse arrivato immediatamente. E lei non poteva tenere costantemente d'occhio i piccoli, specie perché doveva sbrigare dell'altro lavoro a casa. Ultimamente, stava battendo a macchina il manoscritto di un cosiddetto autore che conteneva errori grammaticali quasi in ogni frase. Trascorreva ore e ore consultando i testi di grammatica, in modo da dimostrare allo scrittore che non si stava inventando nuove regole mentre procedeva alla correzione. Decise che avrebbe messo un lucchetto al freezer. Lo avrebbe comprato l'indomani. Posò il camioncino giocattolo, coperto da un leggero strato di brina, sul pavimento e prese la busta del ghiaccio. Mentre lei tornava in cucina, Steve le lanciò uno sguardo rapido, quasi apprensivo. «Certo. Grazie per aver chiamato» disse seccamente parlando nel ricevitore, poi riagganciò. «Ecco, lascia che ti aiuti con il ghiaccio.» «Chi era?» Deborah gli passò la busta di plastica. Le mani del marito tremavano leggermente. «Joe.» «Joe?» Joe Pierce era un investigatore che lavorava per l'ufficio del procuratore distrettuale. «Perché ha chiamato a quest'ora?» «C'erano delle novità su un certo caso.» «Lui lavora anche di sabato fino alle undici passate? È per questo che non è venuto al party?» «No. Credo che avesse un appuntamento galante.» «Le donne sono ammesse alle feste, no?» «Non credo che per stasera lui avesse proprio in mente di chiacchierare con la gente che lavora nell'ufficio del procuratore. Comunque, sai com'è fatto» disse distrattamente Steve, posando la busta del ghiaccio sul lavandino. «Lui lavora con noi, ma non è disposto a socializzare molto.» «Be', ma perché ha chiamato? Per fornirti un resoconto sulle sue avventure sentimentali?» «Non direi. Gli è solo venuto in mente qualcosa che poteva servirmi.» «E lui pensa al lavoro anche durante gli appuntamenti? Le cose non devono andargli troppo bene, immagino» scherzò Deborah. Steve non repli-
cò. Aveva la fronte aggrottata e prese a manipolare la busta del ghiaccio con immotivata bruschezza. Il sorriso gli scomparve dal volto. «A quale caso state lavorando?» «Ho bisogno del secchiello del ghiaccio.» Deborah lo fissò, perplessa. Era diventato più pallido? L'espressione del marito era persino più preoccupata di quanto non lo fosse stata negli ultimi due giorni? «Steve, si tratta di qualcosa...» «Ho detto che mi serve il secchiello del ghiaccio. Non è in salotto?» «Ti ho sentito. Per quale motivo ti comporti in modo così strano?» «Non mi comporto affatto in modo strano» sbottò Steve. «Questa roba è gelata. È ghiaccio, sai. Perciò ti dispiacerebbe portarmi il secchiello?» Deborah si astenne dal replicare. Non faceva domande sui casi di Steve, di solito, ma lui si era comportato in modo piuttosto nervoso negli ultimi tempi, e qualcosa che gli aveva detto Joe lo aveva agitato ulteriormente. Era chiaro che non aveva alcuna intenzione di confidarsi con lei. "Probabilmente, non si tratta di nulla di importante" si disse mentre tornava in salotto per recuperare il secchiello del ghiaccio. "È solo che negli ultimi tempi ha lavorato troppo e ora si sente nervoso. Tra un paio di settimane, alla fine delle vacanze, tutto si sistemerà e torneremo alla nostra solita routine." Purtroppo, però, non credette ai suoi stessi pensieri neppure per un istante. 2 Nonostante si sentisse stanca dopo il party, Deborah ebbe qualche problema ad addormentarsi. Steve era sdraiato accanto a lei e russava tranquillamente. Dopo diciotto anni passati ad ascoltare il russare sonoro del padre, che sembrava scuotere tutte le volte la loro modesta casetta dalle fondamenta, lei aveva apprezzato con tutto il cuore la tranquillità trovata nel piccolo appartamento di Charleston. Dopo aver sposato Steve, però, aveva scoperto con rammarico che anche lui russava. Perlomeno, tuttavia, il marito non faceva quel genere di rumori assordanti emessi dal padre, e col tempo lei aveva imparato a non badarci più. Quella sera, comunque, il russare di Steve le dava sui nervi. Resistette all'impulso di dare al marito una gomitata nelle costole. Lui avrebbe prodotto solo qualche incomprensibile gorgoglio e poi si sarebbe messo tranquillamente a russare dopo due minuti. Sospirando, Deborah si girò su un
lato e si sistemò il cuscino intorno alla testa. "Molto comodo" pensò amaramente. "E riesco a sentirlo persino così". Cosa c'era che non andava?, si domandò, sdraiandosi sulla schiena e togliendosi il cuscino dalle orecchie. Era come i bambini, che non riescono a dormire quando sono troppo stanchi? O si trattava di qualcosa di più complicato? Si sentiva offesa per come Steve l'aveva zittita dopo quella telefonata? Sì, era proprio quella la risposta. Non si aspettava che il marito le confidasse tutto ciò che succedeva nell'ufficio del procuratore distrettuale, ma quella chiamata era una cosa diversa. Quella chiamata sembrava personale, pensò all'improvviso. E lui aveva riagganciato in fretta. L'idea di una possibile amante le balenò nella mente, ma la scacciò subito. Mai, nemmeno per un istante durante il loro matrimonio, aveva dubitato della lealtà di Steve. No, doveva trattarsi di una telefonata di lavoro, proprio come aveva detto lui. Però non doveva essere qualcosa di molto ordinario. Aveva visto Steve esprimere frustrazione e persino rabbia per un caso, ma mai quella tensione smarrita a cui lei aveva testimoniato prima. E nonostante ora il marito stesse dormendo, per tutta la sera aveva bevuto più pesantemente del solito, e ancora di più dopo la telefonata. Steve non stava dormendo il sonno del giusto. Stava dormendo il sonno dell'ubriaco. Con impazienza, Deborah gettò all'indietro le coperte e si diresse alla finestra, sbirciando tra le veneziane. Sembrava tutto freddo nella luce cupa della lampada alogena, in funzione dal crepuscolo all'alba, che si trovava sul retro del garage. Alberi spogli si stagliavano su un tappeto di erba brunastra indurita dal gelo. Il giardino fiorito sembrava morto. Le uniche cose che conservassero un minimo di vitalità erano i sempreverdi piantati lungo il recinto posteriore. Deborah sorrise. Era stata un'idea di Steve quella di comprare un albero a ogni Natale e piantarlo nel giardino sul retro non appena le feste terminavano. Quello che avevano acquistato per il primo Natale dei bambini era il più grande di tutti e si trovava nell'angolo sinistro del giardino, sul fondo. In lontananza, lei sentì tintinnare le campanelle per segnalare il vento che aveva appeso sul tetto del piccolo portico sul retro. Una brezza gentile le fece suonare allegramente. Deborah guardò di nuovo verso i sempreverdi e vide che le folte chiome cominciavano a ondeggiare, agitate dal vento. Qualcosa si mosse vicino all'albero più alto. Sorpresa, Deborah aggrottò le sopracciglia e batté le palpebre, tendendo la mano verso gli occhiali a poca distanza da lei, sul comodino. Li inforcò e cercò di guardare meglio.
La figura sembrava essere non più alta di una novantina di centimetri. Un cane? Deborah non riusciva a pensare a nessun cane nel vicinato così alto o con un pelo tanto folto da formare una sagoma così massiccia. In realtà, da quando i Vincent, che abitavano lungo la strada, si erano trasferiti in Florida per Natale portandosi dietro il loro vecchio barboncino, Pierre, non c'erano affatto cani in zona tranne quello di famiglia, Scarlett. Inoltre, il cortile posteriore era circondato da una recinzione a maglie metalliche, e il mese precedente, dopo che Scarlett aveva imparato ad aprire il chiavistello, Deborah aveva comprato una chiusura di sicurezza dal ferramenta per impedire che il cane uscisse. Perciò era impossibile che il cancelletto si fosse aperto senza l'ausilio di mani umane. La figura si drizzò. Deborah ebbe un sussulto. Si trattava di un uomo che indossava un berretto e una giacca pesante. Stava osservando la loro casa. Una luce si accese alle spalle di Deborah. «Che cosa c'è?» farfugliò Steve. Lei si girò. «C'è qualcuno fuori! Un uomo si è nascosto in mezzo ai sempreverdi.» Steve sfrecciò fuori dal letto e, pochi secondi dopo, stava già scendendo le scale. Deborah gli corse dietro. «Steve, che cosa vuoi fare? Dovremmo chiamare la polizia!» Lui la ignorò, continuando a scendere come un uomo posseduto dal demonio. Quando raggiunsero la cucina, Deborah era già senza fiato. «Steve, dobbiamo chiamare...» Si interruppe con un'espressione di orrore mentre Steve apriva la porta sul retro. «Potrebbe avere una pistola!» gridò. Steve non si fermò e, travolta da un'ondata di panico, lei lo seguì automaticamente. Uscirono entrambi sul portico posteriore e si fermarono lì, a piedi nudi e praticamente svestiti. Deborah rabbrividì. «Steve, è una follia» disse. «Abbiamo due bambini al piano di sopra. Se quello ci uccidesse ...» «Va' dentro» sospirò Steve. «Ma...» «Ti ho detto di andare dentro!» Lei tornò in casa, guardando con sgomento il marito lasciare il portico e dirigersi verso i sempreverdi. Steve li passò tutti in rassegna, guardando in mezzo e dietro agli alberi, e lei ebbe la sensazione che il marito avesse detto qualcosa. Deborah rabbrividì, in attesa si udire un colpo d'arma da fuoco o il grido di Steve mentre un coltello gli squarciava lo stomaco, ma, dopo un paio di minuti, lui riemerse e alzò le spalle. «Non c'è niente là fuori.» «Ma c'era» insistette lei.
«Sarà stato qualche animale» disse Steve, incrociando le braccia sul petto mentre tornava indietro attraversando il prato. «Non era un animale» replicò Deborah, uscendo di nuovo sul portico e impedendo a Steve di entrare dall'ingresso posteriore. «Era un uomo. Dev'essere corso via quando ha visto accendersi la luce in camera da letto.» «Ne dubito. Avrebbe dovuto muoversi molto in fretta, e non c'è traccia che qualcuno sia stato intorno ai sempreverdi.» «Vuoi dire che non ha lasciato il classico accendino e nemmeno la pistola?» chiese lei in tono brusco, irritata dal comportamento di Steve. «E da quando in qua gli animali sono alti quasi un metro e ottanta? O credi forse che si trattasse di un orso?» Steve stava spostando il peso del corpo da un piede all'altro. «Deb, non dire sciocchezze. Torniamo dentro prima di buscarci una polmonite e rallegriamoci del fatto che non c'era nessuno fuori. Come dicevo, probabilmente sarà stato un cane randagio.» Lei non si spostò, fissando il viso infastidito del marito coi i suoi occhi furenti e preoccupati. Che cosa diavolo stava succedendo a Steve? Poi lei sentì il debole rumore del metallo che tintinnava contro dell'altro metallo. Lo sguardo di Steve andò subito alla recinzione, e Deborah non ebbe bisogno di dirgli che il cancelletto che aveva chiuso col fermo quello stesso pomeriggio adesso era aperto e sbatteva nella notte gelida e ventosa. 3 Quando Deborah si svegliò, trovò Brian, Kimberly e il loro cane sul letto con lei. Kim aveva chiamato il cane Scarlett dopo aver visto Via col vento in televisione, l'anno prima. Nonostante avesse capito poco del film e le fosse parso che risalisse all'epoca in cui papà e mamma erano piccoli, era rimasta molto colpita dalle gonne femminili e dal nome Scarlett O'Hara. Brian, che voleva chiamare il cane Lassie, aveva ceduto dopo una violenta disputa con la sorella durante la quale lei lo aveva minacciato di rivelare tutte le brutte cose che sapeva di lui. Deborah, divertita, dubitava che il bambino avesse davvero tanti orribili segreti, ma la minaccia aveva funzionato. «Insomma, ti vuoi decidere ad alzarti?» domandò Brian. Deborah chiuse gli occhi per ripararli dalla luce che filtrava dalla grande finestra in camera da letto. «Che ora è?» borbottò.
«Mezzogiorno.» Kimberly diceva sempre mezzogiorno, qualunque ora della giornata fosse. Deborah aprì di nuovo gli occhi e sorrise alla bambina dai capelli biondi e gli occhi verdi che assomigliava tanto a Steve. Brian aveva i capelli castani e gli occhi seri, di un blu grigio, della madre. «Non è mezzogiorno» disse solennemente Brian. «Sono le nove e trentuno.» Brian era estremamente orgoglioso della sua abilità nel leggere l'orologio, un'abilità che Kim non possedeva e che gli invidiava enormemente. «Dov'è papà?» gemette Deborah. «In cucina, a bere il caffè» annunciò Brian. «Noi vogliamo il pane fritto, ma lui ha detto che non è capace di farlo bene, così ha cercato di sbolognarci dei cereali.» «Ma noi non li vogliamo» aggiunse caparbiamente Kim. «Come mai sei rimasta tanto a letto? Ti sei ubriacata, ieri notte?» Deborah la guardò sbigottita. «No di certo. Chi ti ha messo in testa un'idea del genere?» «Terry dice che i suoi genitori si ubriacano sempre alle feste. Cosa si prova a ubriacarsi?» Deborah spinse gentilmente i bambini di lato e lottò per drizzarsi a sedere. «Ci si sente male e si finisce per vomitare.» Kim sembrava disgustata. «Vogliamo il pane fritto» ripeté. «Va bene. Se non ci sono intoppi, ora mi alzo e sarò giù tra una decina di minuti.» «Può avere un po' di pane anche Scarlett?» chiese Kim. «Di solito, lei riesce ad avere sempre un po' di tutto quello che mangiamo, anche se il veterinario dice che non dovrebbe.» Kim arricciò il naso. «Ci scommetto che non le piacerebbe mangiare cibo per cani tutte le volte.» Brian le lanciò un'occhiata sprezzante. «Lei non è un cane.» «Bambini, per favore» disse Deborah. «Ora andate di sotto. Brian, tira fuori le uova e il latte dal frigo. E tu, Kim, prendi il pane, il cinnamomo e la noce moscata. Mettete tutto sul bancone della cucina.» I bambini saltarono giù dal letto, felici per aver ricevuto degli incarichi così importanti. Uscirono subito dalla stanza e si precipitarono giù per le scale con Scarlett alle calcagna. «Non correte sulle scale!» gridò Deborah, sospirando. Mancava meno di una settimana a Natale e i bambini erano così eccitati che correvano, ride-
vano e saltavano continuamente. Lei sì domandò se fosse stata una bambina così vivace a cinque anni, ma non ne era convinta. Saltò giù dal letto e coi piedi impattò contro quella moquette che non avrebbe mai voluto. La casa che lei e Steve avevano comprato poco dopo il loro matrimonio aveva più di cento anni. Il pavimento di assi di quercia era in condizioni deplorevoli, e lei avrebbe voluto ristrutturarlo, ma il marito aveva respinto l'idea. "Troppi problemi" aveva detto, proponendo subito dopo la soluzione della moquette. "Oltre tutto, avevo già un pavimento simile nella casa dei miei genitori e lo detestavo." Deborah era rimasta molto delusa. Steve sembrava odiare qualunque cosa riguardasse la sua adolescenza trascorsa a Wheeling. Ma i sentimenti del marito erano comprensibili, considerando il modo in cui era culminata la situazione quando lui aveva diciotto anni. Era stato allora che il giardiniere, Artie Lieber, aveva violentato e picchiato con un tubo la sorella minore di Steve, Emily. La ragazzina, che aveva appena sedici anni, aveva subito un danno cerebrale e, nonostante i dottori dicessero che il danno era più di natura psicologica che organica, Emily aveva trascorso il resto della sua vita in una casa di cura, dove si trovava ancora adesso. I genitori di Steve erano fuori, quel fine settimana, e lui aveva ricevuto dal padre l'incarico di badare alla sorella più piccola e di non lasciarla mai sola, perché Lieber era stato licenziato dopo aver fatto delle avance alla ragazza appena un paio di settimane prima. Con la trascuratezza tipica dell'età adolescenziale, comunque, Steve aveva lasciato la sorella sola un paio d'ore per recarsi in casa della fidanzata. E quando era tornato, aveva visto Lieber chino su Emily, le labbra premute in modo osceno contro quelle della ragazza, ormai priva di sensi. Grazie alla testimonianza di Steve, Lieber era stato condannato a trent'anni di carcere per aggressione a sfondo sessuale, ma purtroppo il danno era stato fatto. Emily aveva continuato a vivere in uno stato poco più che vegetativo, e i genitori di Steve non erano mai riusciti a perdonarlo, anche se avevano fatto lo sforzo di tenersi in contatto con lui, di tanto in tanto. Comunque, quell'evento aveva rappresentato la svolta decisiva nella vita di Steve, convincendolo a diventare un avvocato della procura. E lo aveva anche trasformato nell'uomo serio e un po' triste che era diventato. Deborah si tirò i capelli all'indietro e prese la vestaglia. Non aveva senso piangere sul latte versato, pensò. Ormai aveva imparato ad accettare quel fatto. Deborah cercava solo di rendere la vita del marito la più felice possibile, anche se i suoi sforzi erano talora deludenti. Steve era un buon mari-
to, lei lo amava teneramente e sapeva che lui amava lei e i bambini. Avevano una vita gradevole, libera da infedeltà e litigi seri. In effetti, paragonata alla vita che aveva dovuto sopportare la madre, quella di Deborah era quasi perfetta. Si lavò il viso, si spazzolò denti e capelli e si passò sulle labbra un filo di rossetto per contrastare il pallore che di solito aveva al mattino. Quando lei arrivò al piano di sotto, Steve era seduto al tavolo della cucina, intento a sorseggiare il caffè e a leggere il giornale. Brian e Kimberly erano in piedi accanto al bancone, raggianti. «Abbiamo preso tutta la roba» disse orgogliosamente Brian. «Per poco, lui non faceva cadere le uova» disse Kim. Brian lanciò un'occhiataccia alla sorella, ma Deborah sorrise. Nonostante i loro frequenti battibecchi, i due bambini erano molto attaccati l'uno all'altra e quasi inseparabili. «Allora è meglio che ci mettiamo al lavoro» disse Deborah. Guardò Steve. «Quante fette ne vuoi, tesoro?» Lui alzò lo sguardo dal giornale con un sorriso assente. «Non credo di avere molta fame, oggi.» «No?» gridò Kim. «Ma papà, questo è pane fritto! E ormai siamo quasi a Natale.» Steve aprì la bocca e Deborah capì che, con la sua abituale logica, il marito si stava accingendo a chiedere cosa avesse a che fare il pane fritto col Natale. Ma poi Steve parve ripensarci. «Be', hai ragione, Kimmy. Ne prendo due fette.» «Io otto» disse Brian. «Otto!» esclamò Deborah. «Che ne diresti di partire con due e poi vedere?» «D'accordo, però posso mangiarne almeno otto.» Mentre Deborah versava il latte in una ciotola e cominciava a sbattere le uova, Brian chiese al padre: «Possiamo mettere il trenino intorno all'albero, stasera?» L'albero di Natale era stato decorato il venerdì sera, ma siccome temevano che uno degli ospiti potesse inciampare sul trenino che Brian amava sempre mettere sotto i rami, avevano rimandato quell'operazione dopo il termine del party. «D'accordo, figliolo. Lo tiro giù dalla soffitta oggi pomeriggio.» «Ti do una mano io» si offrì Brian. Deborah scosse la testa. «No. I gradini della soffitta sono troppo ripidi.
Tu verrai con me e Kim, questo pomeriggio. Usciamo a fare spese.» «Ma io aiuto sempre papà a mettere il trenino» protestò Brian. «Non ho detto che non puoi aiutarlo. È solo che non puoi portare le scatole giù dalla soffitta. Ci hai tentato l'anno scorso e sei caduto.» Kim sogghignò e Brian arrossì di colpo al ricordo di quel ruzzolone sugli ultimi cinque gradini che aveva costretto i genitori a portarlo in ospedale. I medici gli avevano dato sei punti sulla fronte. «Quella è stata colpa di Scarlett. Mi si è messa in mezzo ai piedi» sbottò il ragazzino. «Non avevamo ancora Scarlett, l'anno scorso» osservò Kim. «È che sei maldestro.» «Non è vero!» «E invece sì!» «Bambini!» disse seccamente Steve. «Ricordatevi che Babbo Natale sta ancora guardando per vedere chi si comporta bene e chi male. E mettersi a litigare non è una bella cosa.» I piccoli smisero all'istante, terrorizzati all'idea di poter perdere i regali. Deborah sorrise mentre spruzzava il cinnamomo e la noce moscata nella miscela di uova e latte. «C'era qualcuno che si nascondeva nel cortile, ieri notte» annunciò all'improvviso Brian, cercando di fare un aeroplanino col suo tovagliolo di carta. Deborah e Steve si lanciarono a vicenda un'occhiata apprensiva. «Come ti è venuta in mente quest'idea?» chiese Steve. «Scarlett stava ringhiando. È uscita dalla nostra stanza, è andata in quella degli ospiti e si è messa a guardare dalla finestra. Io mi sono alzato per dare un'occhiata, ma quel tipo è corso via. Poi ho visto te, papà. Sei corso fuori senza metterti nemmeno la vestaglia!» Il viso di Kim si accigliò, turbato. «Era un ladro che voleva rubare i nostri regali di Natale?» «No, tesoro. Era solo qualcuno che cercava di fare uno scherzo» disse Deborah. «Che specie di scherzo?» chiese Kim. Deborah esitò. «Be', magari voleva solo giocare a nascondino.» Brian parve perplesso. «Ma i grandi giocano ancora a nascondino?» Steve tentò di non mettersi a ridere mentre Deborah cercava una risposta. «Qualche volta, anche se ammetto che è una cosa sciocca da fare.» Lanciò un'occhiataccia al marito. «E anche papà è stato molto sciocco a uscire senza vestaglia. Probabilmente, si buscherà un raffreddore.»
«Sei sicura che non fosse un ladro?» chiese di nuovo Kim. «Certo. Sta' tranquilla, non c'è niente di cui preoccuparsi.» Ma Kim sembrava ancora turbata. Volendo cambiare argomento, Deborah si voltò verso Steve e gli chiese in fretta: «Vuoi venire al centro commerciale con noi? Ci divertiremo un mondo.» Steve tornò a dedicarsi al giornale con ostentata indifferenza. «Detesto i centri commerciali. E poi, oggi ci saranno circa un milione di persone laggiù.» «È questa la cosa divertente» disse Kim. «Lo stare in mezzo a tanta gente.» «Forse per te, zuccherino, ma non certo per me. Io non sopporto la folla.» «Oh, ma hai già comprato i regali?» Steve sorrise. «Tranquilla, Kimmy. Ho già preso tutto con molto anticipo.» «Bene» disse Kim, ovviamente sollevata. «I nonni verranno, quest'anno?» chiese Brian. Deborah vide Steve irrigidirsi. A volte, lei credeva che una delle cose che li avevano convinti a stare insieme fosse la loro solitudine. Lei non aveva né fratelli né sorelle; lui aveva solo una sorella, che però aveva smesso di essere una persona normale quindici anni prima. Inoltre, entrambi erano del tutto estraniati dai loro genitori. La differenza era che Deborah non si era mai sentita vicina al padre o alla madre, perciò non soffriva per la loro freddezza nei suoi confronti. Steve, invece, non era mai riuscito a riprendersi per aver perso l'affetto e la stima dei suoi genitori. «Non credo che i nonni verranno» disse con una miscela di dolore e rimpianto. «Meglio» osservò Brian. «Jimmy dice che i suoi nonni fanno sempre dei guai.» Deborah portò il primo piatto di pane fritto sul tavolo. «Be', ci divertiremo di più, visto che siamo solo noi quattro.» «Cinque» disse Brian. «Non dimenticare Scarlett.» «Come potrei dimenticare Scarlett?» disse Deborah con un sorriso. Più tardi, quando lei e i bambini erano ormai pronti per il loro viaggio al centro commerciale, Deborah entrò in salotto, dove Steve se ne stava seduto a fissare una partita di football. Conosceva bene quello sguardo, però. E così capì subito che il marito non era affatto concentrato sulla partita. «Steve, cosa ti preoccupa?» «Niente.» "Dopo sette anni di matrimonio, non si decide ancora a confi-
darsi con me" pensò Deborah. Sapeva che il marito diventava irritabile quando lei insisteva, ma stavolta non poté farne a meno. «Sono giorni che ti comporti in modo strano. Per quanto riguarda ieri notte, poi, non ti ho mai visto così avventato.» «Era solo un cane.» Deborah si irrigidì. «Vuoi piantarla con questa ridicola insistenza sul fatto che avrei visto un cane? Non credi che conosca bene la differenza tra un cane e un uomo?» «Era buio e tu sei miope.» «Il cortile è illuminato e io portavo gli occhiali. Davvero, a volte ti comporti come un bambino.» «Non è vero.» «E invece sì. Cosa mi dici del cancello che sbatteva?» «Non lo so.» «Tu sai bene che c'era qualcuno là fuori. Te lo aspettavi. Ecco perché sei corso fuori come hai fatto, a piedi nudi e senza armi.» «Già, sono un veggente. Ero sicuro che avrei trovato un ladro, ieri notte.» Il sorriso che indirizzò alla moglie non tolse la nota di asprezza presente nelle sue parole. Lei lo fissò gelidamente e lui abbassò lo sguardo. «Senti, lo so che ti ho offeso. Scusami. E sì, mi sono comportato come un pazzo, ieri notte, ma avevo bevuto troppo.» «Steve, piantala di parlarmi come se fossi una stupida.» Lui le scoccò un'occhiata stanca. «Va bene, forse c'era davvero un ladro, ma non ha senso insisterci all'infinito. I bambini ti sentiranno e si spaventeranno a morte.» «Io credo che dovremmo fare qualcosa.» «Per esempio? Chiamare la polizia e raccontare che hai avuto l'impressione di vedere qualcuno al buio, qualcuno che non ha cercato di fare irruzione in casa e non ha lasciato la minima traccia della sua presenza? Non serve, tesoro. Questa non è la televisione. La polizia non metterà nessun agente di guardia e tu finirai solo con lo spaventare i bambini. Se quello dovesse farsi vedere di nuovo, chiameremo, ma adesso stattene buona, d'accordo?» «Va bene» disse lei con una certa riluttanza. «Ma se stanotte vedo qualcuno...» «Chiameremo il Settimo Cavalleggeri.» «E se non lo fai tu, ci penso io.» «Faremo tutto quello che vuoi» disse lui con voce atona.
«Bene.» Poi, per allentare la tensione, Deborah chiese: «Sei sicuro che non vuoi venire con noi?» «Deb, sai che io...» «Odi la folla, lo so. Ma per i bambini sarebbe una festa, se venissi anche tu.» «È assolutamente necessario che andiate?» Deborah lo fissò. «In che senso?» «Non sarebbe meglio fare shopping in un giorno feriale?» «Sì, ma il divertimento è oggi. E sai quanto piaccia ai bambini.» Aggrottò le sopracciglia. «Perché non vuoi che andiamo?» «Non ho detto questo.» Un senso di irritazione la invase. «Stai di nuovo menando il can per l'aia. Steve, si può sapere cosa c'è che non va, in nome del cielo?» «Niente.» «Non ci credo. Se sei preoccupato per noi, dimmi perché o accompagnaci.» «Non sono preoccupato.» «Non vali un gran che come bugiardo.» Steve si irrigidì. «Deborah, piantala di tormentarmi. Ho un appuntamento, oggi pomeriggio, ma se sei assolutamente decisa ad andare al centro commerciale, allora vacci. Pensavo solo che fosse meglio fare la spesa quando quel posto è un po' meno affollato.» Deborah pensò alla strana telefonata che il marito aveva ricevuto la sera prima. «Posso chiederti con chi hai appuntamento?» «No, non puoi.» Deborah socchiuse gli occhi. «E non guardarmi così. Si tratta di... di una sorpresa natalizia. Perciò, per favore, non facciamone una questione di stato, va bene?» Già, proprio una sorpresa natalizia, pensò stizzita Deborah. Ma quella conversazione non stava andando da nessuna parte, e lei sapeva quando era il caso di gettare la spugna. «D'accordo, vai al tuo misterioso appuntamento. Ma sarebbe grande per i bambini, se decidessi di venire con noi.» «Magari un'altra volta» disse Steve, come se il Natale arrivasse ogni due settimane. «Divertitevi.» «Già. Sarà facile, date le premesse.» Deborah gli lanciò un'occhiataccia, infuriata per il fatto che lui l'avesse di nuovo esclusa dalle sue confidenze. C'era qualcosa che lo turbava, ma Steve non voleva parlarne. Bene, che si tenesse pure i suoi segreti. «Torniamo verso le cinque» sbottò. «E non dimenticare di prendere il trenino dalla soffitta... sempre che questo non in-
terferisca col tuo misterioso appuntamento, si capisce.» 4 Sforzandosi di mandare giù la collera, Deborah mise la cintura di sicurezza ai bambini nella station wagon, uscì dal vialetto e imboccò la strada. Woodbine Court era sempre tranquilla, anche perché c'erano solo quattro case in quel piccolo cul-de-sac. Comunque, sembrava strano che il posto fosse così deserto. I Vincent, che stavano due case più in giù, erano andati in California per le vacanze, e l'abitazione degli O'Donnell, uno splendido edificio in mattoni a due piani dall'altra parte della strada, con un'ampia finestra a bovindo che dava sul prato, era in vendita da quando il proprietario si era trasferito, tre anni prima. Deborah credeva che non fosse stata ancora venduta perché era troppo grande e forse eccessivamente costosa per quella zona. Si era incuriosita quando il cartello dell'agenzia immobiliare era scomparso, diversi mesi prima, ma fin lì nessuno aveva ancora preso possesso dell'abitazione. Come Steve aveva predetto, il Town Center Mall era stipato all'inverosimile. Deborah aveva fatto la maggior parte delle sue spese prima, cosa di cui fu grata, ma i bambini volevano fare le loro proprio in quel fine settimana. «Li avete portati i soldi?» chiese mentre entravano con l'auto nel parcheggio sotterraneo del centro, accodandosi dietro una lunga fila di macchine i cui autisti erano tutti alla ricerca di un posto. «Io i miei li ho portati» disse Kim, tirando fuori la borsetta di plastica rossa. Deborah aveva deciso che, per quel Natale, avrebbe permesso ai bambini di portare i loro soldi. «Quanto hai detto che ho, mamma?» «In base all'ultimo conteggio, diciotto dollari e settantacinque.» Durante l'anno, Deborah li aveva pagati con qualche cent per i lavoretti che i due svolgevano a casa. «E tu, Brian?» «Venti dollari e dieci» disse orgogliosamente lui. «Io ho lavorato più di Kim.» «Non è vero!» gridò la bambina. «E invece sì. Ho persino tirato su quelle foglie alla signora Dillman.» Deborah sorrise, al ricordo. La signora Dillman, la loro vicina di casa novantaduenne, un giorno si era messa in testa che Brian fosse il ragazzo dei Vincent, che aveva diciassette anni e che abitava lungo la strada. Così, senza che Deborah lo sapesse, aveva chiesto al piccolo di pulirle il prato e
di rastrellare le foglie. Ben presto, Deborah aveva scoperto Brian lottare contro il grosso e rugginoso rastrello mentre lui cercava di raccogliere le migliaia di foglie che coprivano il grande prato della donna. Allora era andata da lei e aveva cercato gentilmente di spiegarle che Brian era solo un bambino e che poteva farsi male, se fosse caduto usando il rastrello. La signora Dillman si era subito infuriata e aveva lanciato un biglietto da un dollaro in faccia a Deborah, dicendole di portare via quel marmocchio dal suo giardino. Il giorno seguente, la vecchia si era già dimenticata della faccenda e aveva portato un piatto di biscotti all'avena mezzi crudi a Deborah. Deborah aveva accettato il dono, aveva ringraziato la signora Dillman a profusione e si era chiesta perché mai la famiglia non facesse niente per quella poverina, che non era in grado di vivere da sola ancora per molto. Una volta che si trovarono finalmente dentro il centro commerciale, i bambini rimasero estasiati dalle decorazioni elaborate e dai canti natalizi intonati dal coro di una scuola locale. Però aggrottarono le sopracciglia con diffidenza quando videro un Babbo Natale che teneva dei bambini in grembo e chiedeva loro cosa desiderassero per Natale. «Non è quello vero» annunciò Brian. Kim concordò. «Non è abbastanza grasso.» Poi cominciarono a esplorare le vetrine e ci furono subito dei guai. Kim non sapeva decidere se regalare al padre un set di mazze da golf o una cartella nuova. Quando Deborah le spiegò che entrambi i regali erano al di fuori della sua portata, la piccola optò per un gattino. «Kimberly, papà non vuole gattini» le disse Deborah. «Comunque, sarebbe meglio prenderne uno dal centro per gli animali abbandonati, non ti pare?» «Già. Possiamo andare lì?» «Adesso no. Ormai siamo al centro commerciale, perciò tanto vale comprare qualcosa qui. Che ne diresti di una bella penna?» «Una penna!» si lamentò Kim. «Gli regalo sempre delle penne.» «L'anno scorso, gli hai regalato quella brutta candela che avevi fatto all'asilo» disse Brian. «Non era brutta!» «Be', però continuava a cadere. E poi, cosa se ne faceva papà di una candela? Lui ha le sue lampade, no?» «Allora gli regalo una lampada.» «Kim, una bella lampada costa troppo» le spiegò Deborah. «Tutto costa troppo!» Gli occhi della bambina si riempirono di lacrime. Si annunciava una giornata molto lunga, pensò Deborah.
Il deejay sull'autoradio annunciò che erano le sei e dieci quando i tre tornarono finalmente a casa. Deborah e i bambini erano esausti, ma almeno avevano acquistato i regali. L'unico acquisto che era riuscita a fare Deborah era da Waldenbooks, dove il giovane e dinamico gestore di cui lei si fidava ciecamente l'aveva trascinata al tavolo in cui un'autrice locale stava autografando il suo ultimo giallo. La donna di mezz'età sembrava un po' timida e stanca, ma aveva firmato allegramente una copia del suo libro che Deborah intendeva regalare a Barbara. L'oscurità aveva già cominciato a scendere, e Deborah provò una certa sorpresa nel notare che dentro casa tutte le luci erano spente. Entrambe le porte del doppio garage erano sollevate e la Chevrolet Cavalier bianca di Steve non si vedeva. Doveva essere uscito nel pomeriggio e loro erano tornati a casa prima di lui. Ma dov'era andato? si chiese Deborah mentre apriva la porta che conduceva dal garage alla cucina. Sperava che si fosse ricordato di prendere il trenino dalla soffitta prima di uscire, altrimenti ci sarebbe stata un'altra battaglia con Brian. Scarlett li stava aspettando con ansia. Entrambi i bambini salutarono il cane con grande trasporto, poi quest'ultimo si diresse verso la porta sul retro. Ovviamente, doveva andare fuori per i suoi bisogni fisiologici, e questo significava che Steve era uscito già da tempo. Deborah aprì la porta e Scarlett sfrecciò verso il cortile posteriore. «Perché ciascuno non porta i regali che ha comprato nella sua stanza?» suggerì Deborah, attraversando la casa e accendendo varie luci. «Li impacchetteremo più tardi e li metteremo sotto l'albero.» «Ci serviranno la carta e il nastro» disse Kim. «Sì, lo so. Avete fame?» «Abbiamo mangiato due volte al centro commerciale.» "Non è il caso che me lo ricordiate" pensò Deborah, sentendo ancora il sapore dell'hamburger che avevano preso alle due e della ciambella fritta nel burro che avevano consumato alle cinque. I bambini erano rimasti deliziati dal cibo. Deborah sentiva il bisogno di una forte dose di antiacido. «Toglietevi i cappotti e scendete subito. Vi farò trovare del latte con qualche biscotto.» «Io voglio una Coca» disse Kim. «Ne hai già bevute due, oggi. O prendi il latte oppure niente.» Kim emise un gemito. «Va bene, berrò il latte. Ma non molto.» «Mezzo bicchiere» disse Deborah, che poi tornò in cucina, guardando la
lavagnetta accanto al telefono a muro. Nessuna nota da parte di Steve. Be', non c'era da meravigliarsi. Lei non era mai riuscita a persuaderlo a lasciare qualche messaggio. In effetti, spesso Steve non chiamava quando pensava di fare tardi... un'abitudine che Deborah trovava irritante, specie quando lo aspettavano per cenare insieme. «Però ti sarebbe potuto capitare qualcuno di molto peggio, ragazza mia» disse ad alta voce. «Almeno, sai che ora non si sta sbronzando in un bar o che non si sta vedendo con un'altra donna.» La rettitudine morale di Steve era una delle cose che lo avevano più colpito in lui. Deborah riempì una scodella d'acqua per Scarlett e aprì una lattina di Alpo, poi posò due bicchieri di latte e qualche biscotto sul vecchio tavolo della cucina. Pochi minuti dopo, i bambini e il cane furono di ritorno, e tutti presero a mangiare voracemente. «Credevo che voi due non aveste fame» disse Deborah. «Infatti» disse Brian «ma i biscotti sono diversi. Tu fai degli ottimi biscotti, non come quelli della signora Dillman.» «Lei è molto vecchia» disse Deborah. «Probabilmente, era una buona cuoca da giovane.» «Ha dei pronipoti» disse orgogliosamente Kim tra un biscotto e l'altro. «Significa che i suoi nipoti hanno dei bambini.» Deborah sorrise. «Molto bene. Sai quanti ne ha?» «Molti. Ha le loro foto sparse dappertutto per casa.» «Lo so.» «I nostri nonni hanno dei pronipoti?» «No. Non potranno averli fino a quando voi due non farete dei bambini.» «Ah. Be', io non avrò mai dei bambini. Voglio fare l'equilibrista, da grande» la informò Kim. «Davvero?» chiese Deborah, sorseggiando del caffè solubile. Odiava il caffè solubile. «Credevo che volessi fare la cassiera dal fornaio.» «Questo prima. Ora voglio fare l'equilibrista e mettermi quei bei costumi che luccicano.» Brian inghiottì il resto del latte. «Io, invece, voglio fare l'avvocato come papà.» «Questo richiede un mucchio di studio.» «Per me va bene. Io sono bravo a scuola.» Strano, pensò Deborah. Anche a cinque anni, i due bambini sembravano avere le idee chiare sulle attività in cui eccellevano. Brian nelle mansioni
intellettuali, Kim nelle attività atletiche. La ragazzina aveva una grazia e un senso dell'equilibrio incredibili, come la maestra di danza aveva fatto notare a Deborah. Dopo che avevano mangiato, Deborah cercò il trenino e provò un enorme sollievo nel vederlo sul divano in salotto, insieme alla busta di cotone decorato coi lustrini che adoperavano per la neve e a un'altra scatola di casette, animali e alberi che formavano la campagna in mezzo alla quale sarebbe dovuto passare il trenino. «Quando arriva papà?» chiese Brian, guardando le scatole con un misto di gioia e di ansietà. «Deve aiutarci a mettere tutto insieme.» Non avevano mai assemblato il trenino senza il padre. Deborah lanciò un'occhiata all'orologio. Le sette. Era sceso il buio da oltre un'ora, Steve non aveva lasciato nessun messaggio e Scarlett era chiusa in casa da un bel po' di tempo, quando erano rientrati loro. Seccata che il marito fosse sparito senza lasciare alcuna parola sulla sua destinazione, Deborah chiamò Evan Kincaid. «Ciao, Deborah. Cosa posso fare per te?» chiese allegramente Evan. «Pare che abbia perso mio marito» disse lei, lottando per mantenere un tono di voce tranquillo e gradevole. «I bambini lo aspettano per farsi aiutare a costruire il trenino. Non l'hai visto?» «No, oggi no. Da quanto è via?» «Non lo so. Io e i bambini siamo andati al centro commerciale verso l'una, e lui non era qui quando siamo tornati un po' dopo le sei. Ho la sensazione che fosse uscito da parecchio. Non ci sono piatti sporchi nel lavandino... nemmeno un bicchiere. E il cane non vedeva l'ora di uscire per i suoi bisogni.» «Non ha lasciato un messaggio?» «No, ma questa è una cosa che fa raramente.» Deborah sentì che, in sottofondo, Barbara chiedeva informazioni. Evan coprì il microfono con una mano e le disse che Deborah stava cercando Steve. «Non l'ho visto» disse Evan, tornando a lei, e Deborah notò una sfumatura di cautela nella voce dell'amico. «Forse è uscito a fare spese natalizie.» «A me ha detto che aveva un appuntamento riguardo al Natale.» «Che genere di appuntamento?» «Non ne ho la più pallida idea, specie dal momento che aveva già comprato i regali, anche se non so dove li abbia nascosti.» «Forse da Pete. Lui ha un mucchio di stanze.»
Trascorse qualche secondo di silenzio e Deborah provò un improvviso brivido di ansia. «Evan, c'è qualcosa che tormenta Steve da un paio di giorni. Tu sai di cosa si tratta?» «Io... be', anch'io ho notato che è un po' strano, ultimamente.» «Però non ne conosci la ragione?» Evan tirò un profondo sospiro. «Deborah, sono sicuro che Steve è uscito per sbrigare qualche commissione... che so, comprare qualcosa di speciale per Natale... e ha fatto tardi.» La voce dell'uomo suonava falsa. Lei era certa che Evan sapesse qualcosa, ma l'amico non era più comunicativo di quanto non lo fosse stato Steve qualche ora prima. «Mi fai sapere quando arriva?» chiese Evan. Sì, c'era qualcosa di strano, pensò Deborah. Evan non si sarebbe preoccupato tanto, se non avesse avuto la convinzione che qualcosa non andava. Lei avrebbe voluto porre altre domande, ma per qualche ragione Evan non voleva parlare, cosi rinunciò. «Sicuro, Evan. Salutami Barbara e grazie.» «Di che? Non ti sono stato di grande aiuto. Comunque, tieni le porte e le finestre ben chiuse. Verso Natale, ci sono spesso un mucchio di furti in giro.» Evan era sempre stato amichevole, ma mai così apertamente protettivo. Deborah venne assalita da un senso di apprensione. «Evan, che sta succedendo?» domandò, del tutto frustrata. «Niente. Richiamami tra breve» disse bruscamente lui. «Se Steve non toma, io e Barb verremo a tenerti compagnia.» Deborah riagganciò e guardò fuori dalla finestra, più turbata adesso di quanto non lo fosse stata prima di chiamare Evan. Un pesante strato di nuvole copriva la luna e le stelle. Solamente la luce esterna, in funzione dal crepuscolo all'alba, forava la completa oscurità. Poi, con grande disappunto da parte di Deborah, la luce lampeggiò un paio di volte e si spense. Lei emise un sospiro di angoscia prima di ricordare che la luce era in quelle condizioni da settimane. La lampadina si stava consumando e lei avrebbe dovuto cambiarla parecchio tempo prima. «Evan sapeva dov'è papà?» chiese Brian, facendola sobbalzare. Il bambino le era giunto improvvisamente alle spalle. «No, tesoro, non lo sapeva. Credo che dovremmo procedere a spacchettare il trenino. Così, quando arriva papà, avremo tutto pronto.» Ma per le otto e un quarto, quando i vagoni, i binari, la neve, le case e
gli animaletti erano stati disposti alla rinfusa intorno all'albero di Natale, Steve non era ancora ricomparso. Furente e preoccupata, Deborah mise un altro album di canti natalizi sullo stereo. Le parole di God Rest Ye Merry, Gentlemen riverberarono nel salotto. «Conosco quella canzone» disse Kim. «Voglio Jingle Bells.» «Quella l'abbiamo ascoltata mille volte» si lamentò Brian. «Io voglio vedere qualche programma sulla MTV.» A Steve non piaceva che i bambini guardassero i film, spesso sessualmente espliciti, sulla MTV, ma quella sera Deborah era certa che i due avevano troppo da fare col trenino per guardare veramente la TV. Si sarebbero limitati ad ascoltare la musica rock. Inoltre, pensava che si sarebbe messa a gridare, se avesse dovuto ascoltare un altro canto natalizio. Spense lo stereo e accese il televisore. Steven Tyler, degli Aerosmith, stava cantando Janie's Got a Gun. Immagini di sangue e di un corpo coperto da un lenzuolo lampeggiarono dallo schermo. Lei rabbrividì, ma, come si aspettava, i bambini non stavano guardando. D'impulso, chiamò la signora Dillman. La voce della vecchia sembrava flebile all'altro capo della linea. «Spero di non averla svegliata» disse Deborah. «Stavo facendo un pisolino.» «Capisco. Mi scusi se la disturbo, signora Dillman, ma volevo sapere se aveva visto mio marito uscire di casa, oggi pomeriggio.» «Alle due e mezzo.» La voce della donna si era fatta improvvisamente più nitida. «Per caso, guardavo da quella parte e ho visto suo marito uscire.» La signora Dillman guardava sempre da quella parte quando non dormiva. «Alle due e mezzo. Ne è certa?» «Sì.» Deborah però ne dubitava, anche se c'erano occasioni in cui la signora Dillman si mostrava sveglia e osservatrice come Sherlock Holmes. «Mio marito era solo?» «Sì. Lei e i bambini eravate già usciti. Almeno un'ora prima di lui.» «Noi siamo andati a fare qualche spesa natalizia.» «Lo supponevo.» La signora Dillman fece una pausa, poi chiese in tono premuroso: «Mia cara, non crede mica che suo marito l'abbia abbandonata, vero?» Deborah batté le palpebre. «Oh, signora Dillman, non credo proprio!» «Gliel'ho chiesto perché mio marito mi ha abbandonato, sa. Ha detto che usciva a comprare il pane e non è più tornato. Da allora sono passati qua-
rant'anni.» Deborah sapeva che non era vero. Alfred Dillman era morto otto anni prima in un incidente stradale. «È scoppiato uno scandalo incredibile» continuò la signora Dillman, dando sfogo alla sua fantasia. «Tutti si sono dichiarati molto spiacenti per me. Che stupido che è stato, dicevano, a lasciare una bella donna come quella. Non so come ho fatto a sopportare tanto dolore, mia cara, ma certo non sono una smidollata. È quello che mi diceva sempre anche la mamma.» Sospirò. «Be', gli uomini sono tutti uguali.» Deborah avrebbe voluto discutere su quel punto, ma era inutile. L'acquiescenza era l'unica chiave per tenere quella donna buona e tranquilla. «Suppongo che abbia ragione.» «Suo marito potrebbe essere a Las Vegas» aggiunse la signora Dillman. «Magari è col mio Alfred a bere, a giocare a carte e a ballare con le donnacce.» Nonostante la sua apprensione, per poco Deborah non si mise a ridere al pensiero che due persone come Alfred Dillman, un ex ministro presbiteriano, e Steve avessero potuto commettere le nefandezze di cui la signora Dillman li accusava. «È possibile» disse gentilmente. «Magari controllerò.» «Bene. Ma se trova Alfred, gli dica di non tornare a casa. Non ce lo voglio più qui, anche se fosse pentito per il suo comportamento!» «Glielo dirò. E grazie ancora, signora Dillman.» Riagganciò e si strofinò le tempie, che stavano cominciando a dolerle. L'ultima telefonata non l'aveva portata da nessuna parte, quello era certo, e le altre case della zona erano tutte deserte. Cosa poteva fare? Se Steve era davvero uscito alle due e mezzo, come sosteneva la signora Dillman, era fuori da sei ore. Ma se era uscito molto più tardi... Tornò in salotto. Kim e Brian si erano stravaccati sul divano. «Vorrei essere così» disse Kim, indicando una donna dal seno incredibilmente prosperoso e dai capelli arruffati che faceva capolino dallo schermo. «Tu sei molto più bella» disse distrattamente Deborah, che poi tornò in sé. Steve sarebbe andato su tutte le furie, se fosse entrato all'improvviso e avesse visto quello che guardavano i bambini. «Vediamo che cos'altro c'è.» Deborah schiacciò i pulsanti sul telecomando fino a quando non trovò un film dall'apparenza innocua sul canale Disney. I due bambini persero
subito interesse alla televisione. «Dov'è papà?» chiese Brian. «Non sono sicura. Forse dovremmo cominciare a mettere insieme i binari del trenino. O preferite andare a letto?» «A letto!» dissero all'unisono i bambini con voce disgustata, come se Deborah avesse appena chiesto se volevano essere bruciati sul rogo. «Noi andiamo a letto alle otto e mezzo.» Brian guardò l'orologio sopra il divano a righe grigie e marroni. «E ora sono solo le otto e tredici» annunciò in tono trionfale. I piccoli erano esausti dopo la giornata al centro commerciale. Avevano bisogno di dormire, ma nessuno dei due voleva ammettere di essere stanco e accettare di andarsene a letto. La voce di Deborah era tesa. «D'accordo, stasera potete restare alzati fino a tardi. Cominciate a mettere insieme i binari. Sapete come fare?» «Sicuro» disse Brian. «Bene. Io vado a fare qualche altra telefonata.» Ascoltò i bambini litigare in salotto mentre si rifugiava in cucina, dove loro non potevano sentirla. Non erano ancora preoccupati, a differenza della madre. Erano solo delusi. Telefonò all'ufficio del procuratore distrettuale, sperando che Steve fosse andato lì per lavoro e non si fosse accorto dell'ora tarda. Nessuna risposta. D'impulso, prese a frugare in un cassetto finché non trovò un pacchetto di Salem pieno a metà. Lo guardò per qualche istante e annusò persino l'odore rancido delle sigarette all'interno. «No, non voglio» disse in tono determinato. Gettò dentro il pacchetto e chiuse il cassetto. Tamburellò con le dita sul bancone, chiedendosi cosa dovesse fare. Poi gli occhi le caddero sull'indirizzario accanto al telefono. Prese a sfogliarlo e trovò il numero della casa di cura di Wheeling dove risiedeva Emily, la sorella di Steve. L'infermiera parve sorpresa quando Deborah si annunciò e le chiese se Steve fosse lì. «No, non c'è. Il signor Robinson è stato qui nell'ultimo fine settimana. Viene a trovarci ogni due mesi, e mai di domenica sera.» Il tono dell'infermiera mostrò una certa curiosità. «Non riesce a trovarlo?» Stanca e preoccupata, Deborah avrebbe voluto dire: "Avrei chiamato, in caso contrario?", ma poi disse con una certa calma: «No. Pensavo che fosse venuto lì da voi a trovare Emily un'ultima volta prima di Natale.» «Non l'ho più visto dal pomeriggio di domenica scorsa. Comunque, gli riferisca che Emily sta piuttosto bene. Ha persino parlato, oggi.» «Davvero?» chiese Deborah, stupita.
«Sì. Ha detto "Steve" in modo molto chiaro.» «Fantastico! Non sapevo che avesse ripreso a parlare.» L'infermiera parve di nuovo sorpresa. «Oh, sì, signora. Non accade spesso, ma di tanto in tanto si verifica. Curioso che suo marito non gliel'abbia detto. La maggior parte delle volte in cui parla, è proprio quando c'è lui.» Deborah aveva fatto visita a Emily solo una volta. Ci era andata insieme a Steve, poco prima di sposarsi. Emily sembrava un'adolescente, allora, non la ragazza di ventitré anni che ormai era. Aveva dei capelli color mogano, molto più scuri di quelli di Steve. Ma erano gli occhi della ragazza che Deborah ricordava con maggiore intensità. Occhi di un verde chiaro, dalle lunghe ciglia, che sarebbero stati stupendi se non avessero continuato a fissare senza espressione chi si trovava lì davanti. Deborah aveva chiesto di fare un'altra visita a Emily, ma Steve l'aveva scoraggiata. «Non ha senso» aveva detto. «Lei non saprebbe nemmeno che ci sei.» «Però tu vai» aveva replicato Deborah. «Io sono suo fratello. Inoltre, è per colpa mia che lei è ridotta così. Glielo devo.» Deborah sollevò il ricevitore. Naturalmente, Steve non si sarebbe sognato di andare fino a Wheeling senza prima informarla. Wheeling si trovava a circa centosessanta miglia da loro. Pensò di chiamare i genitori di Steve, ma era inutile. Loro trascorrevano il Natale alle Hawaii. Inoltre, Steve non andava a trovarli da almeno dieci anni. Provò con Pete Griffin. A rispondere al telefono venne il figlio di Pete, Adam. Con un brano di musica assordante in sottofondo, il ragazzo le spiegò che il padre era uscito di corsa per andare in un supermercato. Doveva comprare una renna con le luci da mettere nel cortile anteriore. «Adam, oggi non hai visto per caso Steve? Non riesco a trovarlo» disse Deborah. «No, e pensare che sono rimasto a casa tutto il giorno. Chiederò a papà, quando ritorna. Ma lui non ha fatto che andare e tornare da casa sin da stamattina. È successo qualcosa?» «Non credo. Però è strano che Steve sia scomparso così... Oh, non importa. Probabilmente, mi sto preoccupando per nulla. Di' solo a Pete di chiamarmi, quando torna.» «Certo.» «Oh, e per favore, fagli una grande festa appena arriva con la renna. Sai che lui ci tiene molto a queste cose.» Adam sorrise. «Lo so. E non preoccuparti, gli dirò che è l'animale finto
più carino che abbia mai visto, anche se so già che sarà una vera schifezza.» Be', non aveva avuto fortuna a chiamare Pete. La sensazione di inquietudine che l'aveva tormentata tutto il giorno stava diventando opprimente. Disperata, richiamò Evan. «Non riesco a trovare Steve» disse «e ormai sono le nove meno un quarto.» «Non è in ufficio.» «Lo so. Ho già provato anche lì. Evan, hai idea di dove potrebbe essere finito?» «No, ma farò qualche telefonata. Tu stattene buona lì.» Deborah prese a sfogliare l'indirizzario alla ricerca del numero di Joe Pierce. Dopotutto, era stato Joe a chiamare la sera prima e a gettare Steve in uno stato di agitazione. Avrebbe dovuto telefonargli prima, pensò mentre componeva il numero. La linea era occupata. Sbatté giù il ricevitore. E adesso? Tornò di nuovo in salotto. «Stai sparpagliando i brillantini dappertutto» sbraitò Brian mentre Kim tirava fuori il cotone decorato dalla scatola. «Non è vero. Quelli cadono da soli.» «Non è ancora tempo per il cotone! Mamma, dille che prima dobbiamo preparare il trenino!» «Lo so» disse Kim, furiosa. «Stavo solo cercando di togliere le pieghe, ma adesso non toccherò più il tuo stupido cotone!» «Bambini, piantatela» disse Deborah, strofinandosi una mano lungo la fronte. Il dolore dietro gli occhi era lancinante. «Dov'è papà?» domandò di nuovo Brian. «Non lo so.» Il viso del bambino divenne improvvisamente rosso, come capitava sempre quando lui voleva piangere ma cercava di trattenersi. Agitò un binario in aria. «Come facciamo a montare il trenino da soli?» «Tenteremo» disse Deborah, andando da lui e prendendogli il binario dalla mano. Persino Kim sembrava contrita mentre riponeva il cotone nella scatola e si sedeva sul pavimento accanto al fratello. Anche Scarlett, al fianco di Brian, pareva capire. Si era accucciata per terra con il muso sulle ginocchia del bambino, e lo osservava con una tale devozione e sofferenza che tutti e tre scoppiarono a ridere. «Guardate cos'avete fatto» disse Deborah. «Ora anche Scarlett si metterà a piangere.» «I cani non piangono» disse Brian, asciugandosi la lacrima che gli era
caduta da un occhio. Kim annuì. «Sì che piangono, invece. Ma dentro, dove noi non possiamo vedere.» Deborah accarezzò la testa dei bambini con entrambe le mani. «Perché non lasciamo perdere il trenino, per ora? È tempo di andare a nanna.» I bambini le lanciarono un'occhiata ostile, e lei non aveva l'energia per sostenere una discussione con loro. «Ve lo dico io cosa facciamo. Ora vi preparo una bella tazza di cioccolata calda. E quando avrete finito di berla, papà sarà già di ritorno.» Ma venti minuti dopo, mentre i bambini avevano i baffi di cioccolato alle labbra, Steve non era ancora riapparso. «Ho sonno» ammise alla fine Kim. Grazie al cielo, pensò Deborah con sollievo. Se avesse potuto fare in modo che i bambini andassero a letto e fosse riuscita a ritagliarsi un po' di tempo per riflettere... In quel momento, il campanello squillò. Scarlett si mise ad abbaiare freneticamente, e per un attimo Deborah venne assalita da un senso incontenibile di esultanza. Steve! Poi la sua felicità svanì. Steve usava sempre la porta che dal garage portava in cucina. Non sarebbe mai passato dalla porta d'ingresso suonando il campanello. Lei accese la luce del portico e guardò da uno dei pannelli di vetro sulla parte alta del battente. Evan e Barbara. E c'era qualcun altro dietro di loro, qualcuno appena fuori dalla zona illuminata. Mentre Brian teneva Scarlett al guinzaglio per impedirle di uscire, Deborah aprì la porta. Evan fece un sorriso teso. «Steve non è ancora tornato?» «No. Entrate, vi prego. Oh, Joe, non ti avevo notato!» Joe Pierce, con i suoi capelli castano chiaro e il viso smagrito entrò dicendo qualcosa a voce talmente bassa che lei non udì. «Cos'è successo?» chiese Deborah, consapevole che i bambini si erano riuniti alle sue spalle, improvvisamente muti mentre la televisione vociava in sottofondo. «Abbiamo pensato di fare un salto da te» disse Evan in tono controllato. Deborah lanciò un'occhiata ai figli. «Bambini, vi va di mostrare a Joe e a Barbara il vostro trenino?» «Lo hanno già visto» rispose Brian. Joe passò davanti a Evan. «Io no. Forza, Brian, voglio vedere se è come quello che avevo quando ero piccolo anch'io.» Brian sembrava dubbioso. «Vuoi che ce ne andiamo, eh? Così Evan può
dire alla mamma quello che è successo a papà. È qualcosa di brutto, vero?» «Se è successo qualcosa al tuo papà, noi non ne sappiamo niente. Siamo venuti solo per una visita» disse Joe. «Coraggio, bambini. E anche tu, Scarlett.» Deborah provò una certa sorpresa che Joe ricordasse il nome del cane. Era stato a casa loro solo un paio di volte. «Vediamo questo trenino.» Barbara sorrise in modo incoraggiante con le labbra pallide. «Per favore, bambini. Il vostro papà non sarebbe contento, se sapesse che vi comportate male con gli ospiti.» Con una certa riluttanza, i bambini scortarono i due adulti in salotto, con Scarlett che si accodò sospettosamente. Deborah condusse Evan in cucina, poi disse con voce soffocata: «Allora, di cosa si tratta?» Evan intrecciò le mani. Tra i luminosi occhi azzurri gli apparve una ruga. Sembrava stanco e profondamente preoccupato. «Deborah, tu sai di Artie Lieber, vero?» «Artie Lieber?» ripeté lei con aria assente. «L'uomo che aggredì la sorella di Steve? Cosa dovrei sapere di lui?» «Ha ottenuto la libertà sulla parola due mesi fa.» «Così presto? Sono passati solo quindici anni.» «Ma lui si è comportato da furbo, Deborah. Ha domandato consiglio agli avvocati e ha interpretato alla perfezione il ruolo del detenuto modello. Comunque, tutto è andato avanti tranquillamente fino alla scorsa settimana.» Deborah continuava a lanciargli sguardi imploranti. «Non sapevo che Lieber fosse uscito dal carcere, ma ti prego, Evan, non costringermi a tirarti fuori le parole. Che sta succedendo? Dov'è Steve?» «Non sappiamo. Dopo che avevi telefonato per la seconda volta, ho chiamato Joe e da allora ci siamo messi alla ricerca. Poi Barbara ha detto che avremmo fatto meglio a venire da te e a lasciare alla polizia il compito di trovare Steve.» Deborah sussultò. «Alla polizia?» «Sì.» «Non capisco.» Il viso abbronzato di Evan parve irrigidirsi. Distolse lo sguardo da Deborah, provando un evidente disagio, e poi tornò a fissarla. «Stammi bene a sentire, Deborah, è stata la testimonianza di Steve a incastrare Lieber.» «Sì, questo lo so.» «Ma forse non sai che Lieber ha sempre sostenuto che Steve stava men-
tendo... che era stato Steve ad aggredire Emily.» «Ma questo è ridicolo!» scoppiò Deborah, turbata dall'accusa ma egualmente sorpresa che Steve non le avesse mai detto nulla. «Steve non farebbe mai del male a nessuno, figuriamoci poi a sua sorella!» «Lo so... come lo sai bene anche tu. Ma Lieber si è sempre mantenuto fedele a questa versione dei fatti durante gli anni. E Deborah... quell'uomo è stato visto a Charleston, ieri. È per questo che Joe ha telefonato, ieri sera. Voleva avvisare Steve che Lieber era qui in città... solo a mezzo miglio da casa tua, per essere esatti.» «Oh, Dio.» Deborah chiuse gli occhi. «Ma c'è dell'altro, vero? Forza, continua. Dimmi tutto» fece con voce incolore. «Be', una volta Lieber ha detto a un compagno di cella che l'avrebbe fatta pagare a Steve per averlo incastrato, non appena fosse stato libero. E adesso Steve è scomparso.» 5 "Steve non è scomparso, ha solo avuto un contrattempo" fu quasi sul punto di dire Deborah, poi cominciò a ridere. Evan le lanciò un'occhiata carica di sconcerto. «Mi spiace» disse lei, boccheggiando. «È solo che... che...» La stanza parve oscurarsi e Deborah si afflosciò. Evan fu lesto ad afferrarla prima che lei cadesse a terra. «Buon Dio, non ero mai svenuta in vita mia» farfugliò. Lui la fece sedere sulla panca del tavolo, poi si diresse verso l'armadietto dei liquori. Deborah lo vide versare del liquido scuro in un bicchiere. «Bevi questo» le ordinò Evan. «Detesto il whisky.» «Bevi!» Deborah svuotò il bicchiere e sì sentì soffocare mentre il liquore le bruciava la gola e lo stomaco. Barbara entrò correndo in cucina. «Deborah, stai bene?» «È tutto a posto» disse Evan. «Scommetto che Steve passerà da quella porta entro i prossimi dieci minuti» disse Barbara. Deborah la guardò attraverso un velo di lacrime. «No, non è vero. L'ho capito non appena sono tornata dal centro commerciale. Dentro di me, sapevo già tutto.» «Non dire così» affermò Evan, come se stesse parlando a una bambina.
«Sei solo spaventata. Potrebbe essere successa qualunque cosa. Steve potrebbe essere fermo da qualche parte con una gomma sgonfia.» «Lui sa cambiare un pneumatico, Evan.» «Be', avrà avuto un'altra specie di problema.» «Non ci credi nemmeno tu, altrimenti non mi avresti parlato di Lieber.» «Forse sono stato precipitoso. Avrei dovuto tenere la bocca chiusa riguardo a Lieber.» «Lieber?» Deborah alzò lo sguardo e vide Pete Griffin in piedi sulla porta, il viso arrossato dal freddo e i radi capelli arruffati. «Spiacente di essere piombato qui in questo modo, ma Adam mi ha detto che eri preoccupata riguardo a Steve, e tutte le volte che ho tentato di chiamarti, il telefono era sempre occupato. Così ho deciso di venire a controllare di persona. Credevo di dover presentare il documento d'identità a quel tizio che ha aperto la porta. Allora, che diavolo sta succedendo e cosa c'entra Lieber?» «Artie Lieber è in città. Temo che sia riuscito a prendere Steve.» Il viso di Pete si afflosciò. «Come? Quando?» «Oggi pomeriggio. Ma non so come.» «Deborah, potrebbe anche essersi trattato di qualche altra cosa» disse Evan. «Hai menzionato il fatto che Steve aveva un appuntamento, oggi pomeriggio. Non sai con chi ce l'avesse, vero?» «No. Non sono nemmeno sicura che fosse un appuntamento. Non mi è sembrato che Steve dicesse la verità. Credo fosse solo una scusa per evitare che lo convincessi a venire con noi al centro commerciale.» «Voi due non vi eravate messi per caso a litigare, vero?» «No. Abbiamo avuto sì e no cinque litigi da quando ci siamo sposati. E tutti su cose molto stupide. Oggi abbiamo fatto qualche parola perché lui si stava comportando in modo misterioso su questo cosiddetto appuntamento.» L'espressione di Evan si irrigidì. «Quindi, oggi c'è stata una baruffa in famiglia?» «No. Eravamo solo un po' irritati, tutto qui. Non abbiamo mai avuto un vero alterco. Solo qualche raro battibecco.» Gli occhi le si riempirono di lacrime. Barbara l'afferrò per le spalle. «Non avremmo dovuto venire qui e spaventarti per nulla.» «Però dovevo sapere che Lieber era in città e che forse è riuscito a prendere Steve» disse Deborah con voce stridente. «Oh, Dio, ora capisco! Abbiamo notato un intruso nel giardino, ieri notte. Qualcuno che si nascondeva tra i sempreverdi. Steve si è comportato come un macho, uscendo fuori
a piedi nudi. Ora capisco perché. E so anche cosa stava dicendo mentre faceva il giro degli alberi: Lieber. Credeva che Artie Lieber fosse lì. E c'era di sicuro. Ha aspettato di poter prendere Steve quando era solo, e poi...» «Senti, Deborah, la polizia è già stata avvisata» disse seccamente Evan. «Di norma, una persona non viene dichiarata scomparsa per almeno ventiquattrore, ma Steve è un avvocato della procura, e date le circostanze... be', la polizia non ha intenzione di attendere fino a domani pomeriggio per avviare le indagini.» «Mi fa piacere, ma credo che sia troppo tardi.» «Non dire così» le ordinò Pete. «Non è successo nulla, probabilmente. Forse Steve è andato al cinema.» «Oh, Pete, sai bene che lui non va mai al cinema. Dice sempre che non sopporta i rumori della gente che mastica pop-corn e beve bibite durante la proiezione. Lui è un uomo molto serio e riservato, e a volte un po' sconsiderato anche senza volere. Tuttavia non è mai stato crudele, mai. Siamo sposati da sette anni, e non è mai scomparso in questo modo. Se conta di fare tardi, telefona.» «Sempre?» domandò Evan. «Be', in un paio di volte...» «E questa potrebbe essere benissimo una di quelle.» Deborah scosse la testa. «Le due uniche volte in cui non ha avvisato è stato per ragioni di lavoro, ma oggi non era in ufficio. La signora Dillman mi ha detto che l'ha visto uscire alle due e mezzo.» «La signora Dillman?» ripeté Barbara. «Quell'anziana signora un po' tocca che sta qui vicino?» «Sa essere molto precisa, quando vuole.» «Ma la maggior parte delle volte non lo è. Deborah, Steve sarebbe potuto uscire poco prima che tu tornassi dallo shopping. In questo caso, mancherebbe da casa...» «Appena da tre ore, lo so» disse Deborah. «Ma se è uscito davvero alle due e mezzo, manca da oltre sette ore. Potrebbe essere uscito persino poco dopo di noi, e in questo caso sarebbe assente da otto ore. Avete controllato con gli ospedali?» «Sì» rispose Evan. «Nessun ricoverato che corrisponda alla descrizione di Steve.» Joe entrò in cucina. Era più alto e più magro di Evan, con un viso segnato dalle intemperie, una fronte solcata da una sottile cicatrice lunga circa cinque centimetri sopra il sopracciglio destro e un sorriso meno disinvolto
ed effervescente di quello di Evan. Aveva una leggera barbetta, e Deborah notò le rughe agli angoli degli occhi grigi, come se l'uomo avesse guardato il sole troppo a lungo. «Joe, Steve ti ha detto niente ieri sera che potrebbe spiegare tutto ciò?» chiese Deborah. «No, niente. Io gli ho solo comunicato che Lieber era stato avvistato a Charleston.» Deborah si passò una mano sulla fronte. «Non capisco. Se pensava che Lieber fosse qui e avesse cattive intenzioni, perché non me l'ha detto?» «Perché non voleva turbarti.» «Turbare me?» disse sonoramente Deborah. «Io e i bambini siamo stati fuori, oggi, e lui non è venuto con noi. Perciò immagino che non fosse poi tanto preoccupato per la nostra sorte.» «Lo era molto, invece» disse fermamente Joe. «Evan mi ha detto che tu e i bambini siete andati al centro commerciale, oggi pomeriggio. Probabilmente, Steve pensava che lì foste al sicuro, con tutta quella gente. Mi aveva già chiesto di mettermi in contatto con un mio amico di un'agenzia investigativa locale. E l'agenzia doveva proteggervi tutti e tre ventiquattrore su ventiquattro a partire da domani mattina. Steve era più preoccupato per te e per i bambini che per se stesso. Non voleva che quell'uomo avvicinasse sua moglie e i suoi figli.» «Così sapevi tutto anche tu?» «Sì.» «E tu?» Deborah guardò Pete. «Io sapevo che Lieber era uscito sulla parola, ma non che era in città o che Steve aveva cominciato a preoccuparsi. Mi sembrava di buonumore al party.» «Non posso credere che Steve non ti abbia detto niente di Lieber» dichiarò Evan, rivolto a Deborah. Joe lanciò un'occhiata di sbieco a Evan. «Sai cos'ha detto.» La sua voce roca e penetrante era molto diversa da quella sonora e perentoria di Steve e di Evan, abituati ai toni melodrammatici degli avvocati durante le perorazioni davanti alla corte. «Non voleva spaventarla. Ed è esattamente quello che stai facendo tu.» «Meglio spaventarla che tenerla all'oscuro.» Evan si spostò i capelli dalla fronte. «Deborah, abbiamo bisogno di qualche informazione da te.» «Tipo?» «La targa dell'auto di Steve, il numero della patente, il numero della car-
ta di credito... cose del genere. E ci serve anche sapere se qualcuna delle sue cose risulta mancante.» «Le sue cose?» gli fece eco Deborah. «Già. I vestiti, per esempio.» «E perché mai dovrebbero mancare i suoi vestiti?» Evan parve a disagio. «È la normale procedura. La polizia vorrà saperlo.» «Vorranno accertare se ci sono indicazioni che potrebbero far supporre una fuga volontaria» disse Joe. Deborah era stupefatta. «Una fuga volontaria? Ma si capisce che non se n'è andato di sua spontanea volontà! Perché avrebbe dovuto?» Fece una pausa e aggiunse con voce tremante: «I numeri sono scritti su un foglio nella scrivania di Steve. Sai quanto è meticoloso. Barbara, mentre tu cerchi quel foglio... credo che sia nel primo cassetto a destra... io vado di sopra e controllo se gli abiti ci sono tutti.» La casa aveva armadi a muro stretti e un po' antiquati. Quando Deborah aprì quello di Steve, per poco non scoppiò a piangere. Meticoloso. Sì, Steve era fatto così. Anche quando si trattava dei suoi abiti. Era tutto in ordine... le camicie impilate luna sopra l'altra, i pantaloni ripiegati sulle grucce, le giacche appese con precisione, le scarpe lucide e perfettamente allineate. Il vestito grigio di lana che lei aveva ritirato dalla tintoria venerdì era ancora avvolto nel cellophane, come se dovesse restare per sempre così. Deborah chiuse gli occhi, cercando di pensare cosa indossava Steve quella mattina. Dei jeans, un maglione a girocollo blu e un paio di scarpe da ginnastica marca Nike. Naturalmente, nessuno di quegli articoli si trovava nello stanzino, ma tutto il resto c'era. Si diresse al cassetto della toletta. Lì c'erano gli indumenti intimi del marito, anch'essi in perfetto ordine. Guardò il ripiano del comò. L'orologio di Steve non c'era, ma la fede giaceva abbandonata vicino a una confezione di dopobarba che lui non usava mai. Dapprima Deborah provò un certo stupore, ma poi ricordò che lui aveva sviluppato un'eruzione cutanea sotto l'anello qualche giorno prima, e da allora non se l'era più messo. Però la presenza di quella fede sembrava avere un significato più grande, come se in qualche modo indicasse la fine del loro matrimonio. Tornò di sotto e trovò Pete, Evan e Barbara in cucina. Joe e Adam erano con i bambini in salotto. «Non manca nulla tranne la roba che portava oggi.» «C'era molto denaro in casa?» chiese Evan.
«Forse duecento dollari.» «Dove li teneva?» «Nel cassetto della scrivania.» «Ho esaminato ogni cassetto di quella scrivania» disse con riluttanza Barbara «ma non ho trovato soldi.» Pete aggrottò le sopracciglia. «Magari ha speso il denaro per i regali di Natale.» Evan non replicò mentre guardava il foglio con i numeri dattiloscritti. «Ora vado dalla polizia con questo.» «Grazie» mormorò Deborah provando una sensazione curiosa, come se parlasse sott'acqua. Tutto sembrava confuso e irreale. «Io passo la notte qui» disse Barbara. «Oh, Barbara, non ce n'è bisogno» disse automaticamente Deborah. «Non mi dispiace, davvero. E poi, tu e i bambini non dovete restare soli.» «Certo che non devono restare soli.» Joe era apparso di nuovo sulla porta. «Mi fermo anch'io.» Barbara, Deborah e Pete lo guardarono stupiti, ma lui continuò a parlare con la sua voce roca e misurata: «Voi donne non potete restare sole, con due bambini e Lieber in libertà, perciò non cominciate con la solita solfa del femminismo, perché non attacca. Io resto qui. Anche Steve lo avrebbe voluto.» Evan gli lanciò un'occhiata tagliente. «Anch'io posso restare con loro.» «Oppure io» si offrì Pete. Deborah sorrise, rivolgendosi a Pete. «Grazie, ma so che non ti piace lasciare solo Adam, di notte.» «Lui non è più un ragazzino, Deborah. Credo che possa tranquillamente cavarsela, se resta solo per una notte.» Joe s'intromise. «Non si preoccupi, signor...» «Griffin» disse Pete. «Ma mi chiami pure Pete.» «Non si preoccupi, Pete. Ho detto che mi fermo io» insistette Joe. «Lei badi a suo figlio ed Evan penserà a chiamare la polizia.» «Non intendo sprecare tempo a discutere con te» replicò bruscamente Evan. «Tu e Barbara state pure qui. Io chiamerò dopo aver avvisato la polizia.» "Io conosco appena Joe, Evan non si fida di quell'uomo e lui passerà la notte in casa mia" pensò Deborah. Ma Steve apprezzava Joe. E tanto bastava.
Qualche secondo dopo, la porta d'ingresso sbatté. Nonostante Pete ed Evan fossero usciti insieme, Deborah sapeva chi era stato a produrre quel rumore. Barbara alzò lo sguardo su Joe; agli angoli della bocca, la preoccupazione che provava le accentuò le rughe. «Vorrei che non lo avessi fatto» disse. «Fatto cosa? Badare a voi quattro mentre Evan e Steve non ci sono?» «Hai capito bene quello che volevo dire.» Joe si appoggiò contro l'intelaiatura della porta. «Sei arrabbiata perché non ho permesso a Evan di dare gli ordini?» disse. «Be', Barbara, non voglio essere noioso, ma il fatto che il tuo ragazzo proviene da una ricca famiglia e si è laureato in legge non gli dà il diritto di comandare in tutte le situazioni. Ho notato che anche tu gli dai qualche ordine, di tanto in tanto.» Barbara arrossì e Joe addolcì le parole che aveva appena detto con un piccolo sorriso. «Inoltre, io sono un ex poliziotto, conosco le arti marziali e ho una pistola addosso. Sono io il macho qui, perciò lascia che faccia la mia parte senza interferire, va bene?» Deborah capì all'improvviso perché Evan non si fidava di lui. C'era qualcosa di impudente, quasi di selvaggio negli occhi grigi di Joe, e questo a prescindere dal suo sorriso. Lei aveva la sensazione che sotto il tranquillo aspetto esteriore dell'uomo, ci fosse qualcosa di pericoloso. Provò di nuovo un certo disagio all'idea che Joe avrebbe trascorso la notte da lei. Che cosa ne sapeva di quell'uomo? Molto poco, tranne il fatto che era un bravo investigatore. «D'accordo, Joe, hai ragione» disse Barbara, sorridendogli. «Sono felice che tu sia qui.» «Anch'io» disse Brian, in piedi alle spalle di Barbara e di Joe. «Mamma, sai che ha montato il trenino? Vieni a vedere.» L'ultima cosa che Deborah aveva in mente era il trenino, ma si fece forza e andò in salotto. Il trenino avanzava sbuffando tra batuffoli di cotone, villaggi in miniatura e uno specchietto che dava l'idea di un lago circondato dalla neve. «Non è stupendo?» disse Brian. «Stupendo» ripeté Deborah con voce roca. Quello era il primo anno in cui qualcuno che non fosse Steve aveva montato il trenino, e lo spettacolo era più bello che mai. Quel pensiero la fece sentire in colpa, così si sporse sull'interruttore che lo azionava e lo spense. «È ora di andare a letto.» Kim si era già raggomitolata in un angolo del divano e dormiva tranquillamente. Brian era ancora in piedi, ma era chiaro che non ce la faceva più. Le palpebre gli si chiudevano. Joe fece per prendere il corpicino di Kim dal divano, poi guardò Debo-
rah. «Posso portarla su?» Deborah si irrigidì alla vista di quell'uomo che non faceva parte della famiglia e che toccava Kim, ma in fondo la teneva con gentilezza e la bambina non si era svegliata. «Sì, grazie» disse. «Non credo che potrei farcela da sola, stanotte.» I bambini dormivano ancora insieme nella stanza di fronte alla camera da letto di Deborah e di Steve. Quella situazione sarebbe cambiata la prossima estate, quando avevano intenzione di ristrutturare per Brian la stanzetta in fondo al corridoio, sopra la cucina. Secondo i proprietari precedenti, la stanza non era più stata rinnovata dal 1930. Un pomeriggio, la signora Dillman le aveva detto in tono confidenziale che quella camera era infestata dagli spiriti. «Un giovanotto si è ucciso là dentro» le aveva sussurrato con voce cupa. «Ha preso l'arsenico perché la sua fidanzata lo aveva lasciato. Era cattolico e non poteva avere una sepoltura cristiana, così il suo spirito infesta quel luogo. A volte, lo si sente ancora gemere dal dolore per il veleno.» Deborah non aveva mai saputo se quella storia fosse vera o semplicemente un altro parto della fantasia sempre più malata della signora Dillman. Tutto ciò che sapeva era che la stanza era piccola e buia. Adesso la usavano come ripostiglio, entrandoci però molto di rado e tenendo sempre la porta chiusa. Dopo aver spogliato Kimberly e averla depositata nel lettino più in basso, Deborah lasciò che Brian si preparasse da solo per andare a dormire. Scarlett riposava sempre nella stanza dei bambini; il cane dormiva già sul suo cuscino a quadri quando Deborah chiuse la porta della camera da letto e scese per raggiungere Barbara e Joe. «Novità da Evan?» chiese. I due sedevano tranquillamente davanti all'albero di Natale, le cui luci intermittenti gettavano riflessi multicolori sui loro visi solenni. «Ha telefonato circa dieci minuti fa» disse Barbara. «La polizia vuole una foto recente di Steve. Hanno anche chiesto il passaporto.» «Il passaporto?» «Non hanno ancora eliminato del tutto l'ipotesi che Steve possa essere fuggito» disse Joe. «E se ha lasciato il paese, avrebbe dovuto portarsi dietro il passaporto.» «Ma questo è incredibile! Lui non ha lasciato il paese» disse con trasporto Deborah. «Come possono credere che Steve se ne sia andato di punto in bianco abbandonando la sua famiglia?» «Gli uomini lo fanno, a volte» rispose tranquillamente Joe. «E pure le
donne, anche se non così spesso.» «Be', Steve non l'ha fatto. Oltre tutto, non ha nemmeno il passaporto. Non ha mai lasciato il paese in vita sua.» «Hai una sua foto recente?» «A Steve non piacevano molto neppure le foto. Darò un'occhiata all'album domani mattina, comunque, e vedrò cosa posso trovare.» All'improvviso, Deborah provò una tale stanchezza che si sarebbe messa a dormire per terra. Ma c'erano due ospiti di cui occuparsi. «Temo che ci sia solo una stanza per gli invitati» disse. «Chi se la prende?» disse Joe con una sfumatura di umorismo nella voce, guardando Barbara. «Dobbiamo lanciare in aria la monetina?» Barbara gli diede un colpetto scherzoso sulla mano. «Prima hai detto che stasera non volevi sentir parlare di femminismo, così me la prendo io. Tu puoi dormire sul divano.» «Le coperte e i cuscini sono al piano di sopra» disse Deborah. Barbara si alzò. «Lo so dove sono. Ora vattene a letto prima di crollare.» Deborah le sorrise. «Grazie, Barb. Non so cosa farei senza di te.» «Non è il caso di scoprirlo.» Di sopra, nella sua stanza, Deborah si sfilò stancamente calzoni e pullover e si mise la prima camicia da notte che la sua mano incontrò nel cassetto... una camicia da notte di flanella, a fiori, che Steve le aveva regalato per il suo compleanno. Si diresse alla finestra della stanza e guardò fuori in direzione del cortile posteriore. L'altalena dei bambini, la cuccia per il cane che Scarlett usava di rado, il piccolo capanno col tetto di lamiera per gli attrezzi... sembrava tutto scolorito sotto la fievole luce lunare che si mostrava da una fessura nel cielo nuvoloso. Alla fine, Deborah si sdraiò nel letto e si tirò la coperta imbottita fino al mento. Esausta com'era, non dubitava che avrebbe dormito. Rimase tranquillamente sdraiata per un po', pregando in cuor suo che il sonno profondo avrebbe cancellato quella tenibile sera, e dopo un po' cominciò ad appisolarsi. Sognò di stare in una sedia a dondolo piazzata davanti a una grande finestra schermata da tende di pizzo polverose. Stava scendendo la sera, e la temperatura si era abbassata. Deborah non si dondolava; se ne stava perfettamente immobile nell'aria gelida della notte incombente. Alla fine, le immagini svanirono e lei divenne consapevole solo dei rumori: suoni striduli e cigolii. Il legno che scricchiolava, pensò. Borbottò "no" un paio di volte nel dormiveglia, sperando che quei suoni cessassero e lei potesse addor-
mentarsi profondamente. Poi si svegliò di soprassalto. Dapprima si mise a sedere sul letto, tenendo la schiena rigida. Era spaventata, ma non capì il perché fino a quando non sentì di nuovo un debole cigolio sulle assi. Stavolta non dormiva. Era completamente sveglia e il rumore proveniva dalla stanza accanto alla sua: il ripostiglio sopra la cucina. "Steve?" pensò all'istante. Era possibile che Steve fosse stato per tutto il tempo nel ripostiglio? Che fosse entrato lì dentro per prendere qualche decorazione natalizia e si fosse sentito male? Era rimasto a giacere in quella stanza, privo di sensi, per ore? Ma quell'improbabile scenario non spiegava l'auto mancante. La storia della signora Dillman sulla stanza infestata fece capolino nella mente di Deborah. "Non essere assurda" pensò. Non aveva mai creduto ai fantasmi nemmeno nella sua giovinezza, e nei sei anni in cui avevano occupato la casa, non si era mai accorta che nella cameretta ci fosse qualcosa di insolito. Però non aveva mai sentito cigolare le assi, in precedenza. Artie Lieber? La stanza si trovava al primo piano e Joe era sotto. Nessuno avrebbe potuto passargli davanti senza che lui lo vedesse. Scivolò fuori dal letto e andò alla porta senza preoccuparsi di mettersi la vestaglia e le pantofole. Aprì il battente e scese lungo il corridoio, diretta alla camera dei bambini. Sbirciando all'interno, vide che stavano dormendo entrambi, anche se Brian si era raggomitolato sul cuscino a scacchi con Scarlett, una coperta gettata su entrambi. "È davvero spaventato per quello che può essere successo al suo papà" pensò Deborah con una fitta di dolore, vedendo le piccole braccia del bambino strette intorno al cane, che si era drizzato sulle gambe e sembrava in ascolto. Così anche Scarlett aveva sentito qualcosa. Deborah si avvicinò al cane, che prontamente si sciolse dall'abbraccio di Brian e trottò verso di lei. «Stai buona» mormorò. «Dobbiamo fare un controllo senza spaventare nessuno.» Scarlett le lanciò un'occhiata intelligente, come se avesse capito tutto. Deborah chiuse la porta della camera dei bambini, dopo di che lei e il cane discesero lungo il corridoio fino alla stanza degli ospiti. Deborah socchiuse la porta e provò un enorme sollievo nel constatare che Barbara dormiva. Era sdraiata sulla schiena, con la bocca leggermente aperta, e respirava regolarmente. Tutto bene, pensò Deborah, ma subito sentì un altro rumore, questa volta un passo, provenire dal ripostiglio. Scarlett si irrigidì e il pelo le si drizzò lungo la spina dorsale.
C'era qualcuno lì dentro. Provando una certa riluttanza a lasciare gli altri da soli al piano di sopra, Deborah andò verso la ringhiera e chiamò Joe, ma non ci fu risposta. Dannazione. Forse si era addormentato profondamente, proprio come Barbara. Incerta, Deborah entrò nella sua stanza, prese un pesante trofeo che Steve aveva vinto al college, adesso usato come fermo per la porta, e scese di nuovo lungo il corridoio. Premette l'orecchio contro la porta del ripostiglio. Niente. Girò la maniglia e aprì lentamente la porta. Notò subito una luce... il raggio di una torcia... prima di sentire dei movimenti e di scorgere il luccichio di un qualcosa che sembrava una pistola puntata direttamente contro di lei. Scarlett si mise ad abbaiare furiosamente ed entrò nella stanzetta. A Deborah sfuggì un piccolo grido, poi una voce maschile disse: «Gesù, per poco non mi facevi prendere un colpo!» Era Joe. Il cuore di Deborah, che per un attimo si era fermato, riprese a battere. «Cosa ci facevi qui dentro?» gemette, stringendo il trofeo. Grazie al cielo, Scarlett aveva cessato immediatamente di abbaiare. Come se si fosse reso conto all'improvviso che stava ancora puntandole la pistola contro, Joe abbassò l'automatica, tenendola dietro la gamba destra in modo che risultasse invisibile. «Non riuscivo a dormire, così sono andato in cucina a bere quando mi è parso di sentire dei rumori quassù.» Deborah accese la luce... quella di una lampadina polverosa che pendeva nuda dal soffitto... e poi fece correre lo sguardo intorno alla stanzetta piena all'inverosimile di scatole e valigie. «Anch'io ho sentito dei rumori, ma devi averli fatti tu, perché Barbara e i bambini dormono ancora.» «Dormivano» disse Barbara, comparsa improvvisamente alle spalle dell'amica. «Che succede?» «È il fantasma di quel ragazzo che non è mai stato sepolto perché ha fatto un peccato!» esclamò Kim. E così la signora Dillman aveva raccontato ai bambini la storia del ragazzo che si era suicidato. Accidenti. «Non c'è nessun fantasma» disse Deborah, fingendo un'indifferenza che non provava. «E tu come lo sai?» «Fa troppo freddo per i fantasmi» disse Joe. «Tua madre pensava di aver sentito qualcosa.» «Cosa?» chiese timorosamente Kim. «Niente di brutto... solo un'imposta che sbatteva.» Quella goffa spiegazione fu la prima cosa che venne in mente a Deborah, ma poteva funzionare con un paio di bambini di cinque anni. «Mi spiace di avere svegliato tut-
ti.» «Ci penso io a riportare i piccoli a letto» mormorò Barbara, guardando Deborah come a farle capire: "Dopo voglio sapere quello che è successo veramente". Ma per il momento si limitò a sorridere. «Forza, bambini, la festa è finita.» «Io non credo ai fantasmi, però non voglio tornare a letto senza Scarlett» annunciò Brian. Non appena il cane e i bambini si allontanarono nel corridoio insieme a Barbara, Deborah si rivolse a Joe. «Devo aver sentito te quando ero a letto. Cosa cerchi?» «Cerco chiunque stesse aggirandosi quassù poco fa.» «Ma tu eri sveglio.» Deborah sentì la sua voce crescere di tono. «Nessuno sarebbe potuto salire senza che tu te ne accorgessi.» «C'è più di un punto d'accesso a questa stanza.» Joe spense la torcia e indicò una finestrella sulla parte posteriore della casa. Era aperta. «Credi che qualcuno sia passato da quella finestra?» Joe annuì. «No» disse Deborah, cominciando a rabbrividire. «Qui siamo al primo piano. Forse Steve è entrato in questa stanza, oggi pomeriggio, e ha aperto la finestra.» «In una stanza non riscaldata, quando fuori c'era una temperatura da gelo? Inoltre, c'è una scala appoggiata contro il muro, proprio sotto la finestra.» «Una scala?» ripeté ottusamente Deborah. «Sì. Dai un'occhiata, se non mi credi.» Deborah gli credeva, ma andò lo stesso a controllare. Vide un'alta scala di legno la cui punta distava solo pochi centimetri dal davanzale. «Ne abbiamo una che è proprio come questa.» «È la vostra scala, Deborah. Lo so perché l'estate scorsa me la sono fatta prestare e ho notato che ha una grande intaccatura nel primo piolo.» «Sì. Steve l'aveva fatta cadere contro la recinzione metallica» disse distrattamente Deborah. «Ma cosa ci fa qui?» «Be', è stata messa per fornire una comoda via d'accesso alla casa» disse Joe, scuro in viso. «Vorrei solo sapere chi è stato a entrare e perché si è nascosto in questa stanza vicino alla tua.» 6
Deborah non dormì per il resto della notte, girandosi nel letto senza sosta e sentendosi piena di paura e di disperazione. Sapeva che Joe era sveglio. Ogni mezz'ora circa, lo sentiva camminare avanti e indietro per la casa mentre l'investigatore controllava stanze e finestre come una sentinella. Alle sei del mattino, Deborah scese a preparare il caffè. Barbara si svegliò poco dopo e, per le sette, lei, Deborah e Joe erano già al loro secondo bricco di caffè mentre Brian e Kim guardavano i cartoni animati alla TV e mangiavano biscotti all'avena dopo aver chiesto in continuazione: "Dov'è papà?". Deborah aveva gli occhi gonfi e i capelli tirati indietro e raccolti frettolosamente in un elastico. A Steve lei piaceva così, ma all'improvviso Deborah trovò quell'acconciatura insopportabile e si sfilò l'elastico, lasciando liberi i capelli. Joe la guardò con un misto di curiosità e sorpresa nei suoi occhi grigi, e lei si accorse che non l'aveva mai vista così prima. Gli lanciò uno sguardo di sfida. «Lo so che sembro orribile» sbottò. «Non sembri affatto orribile; sei solo diversa» replicò con prontezza lui. «Non immaginavo che avessi i capelli così lunghi.» Imbarazzata dalla sua precedente diffidenza, Deborah mormorò: «Sono cresciuti un po' troppo, sì. Ma ora conto di farli tagliare.» Joe scosse la testa. «Quando ero piccolo, la nostra governante al ranch, Ramona, a volte portava i capelli sciolti. Erano neri e lunghi come i tuoi. E a me piacevano molto.» «Non sapevo che fossi cresciuto in un ranch» disse Deborah, che aveva colto il complimento. «Già. Trecento acri vicino al confine messicano. Allevavamo cavalli e piantavamo cotone.» «Ti manca?» «Qualche volta.» Alle otto, arrivò Evan. Sembrava che non avesse dormito tutta la notte. Aveva gli occhi leggermente incavati, e anche la pelle non aveva il solito colore abbronzato. Posò il soprabito su una sedia in cucina, accettò una tazza di caffè da Barbara e lanciò un'occhiata cupa a Deborah. «I bambini sono di sopra?» chiese. «Sì. Si stanno preparando per andare all'asilo. Li porta Joe, stamattina.» «Allora non possono sentirci, vero?» Deborah si irrigidì. «No. Cos'è successo?» «La polizia di stato ha trovato la macchina di Steve verso le cinque di stamattina. Era parcheggiata vicino all'aeroporto di Yaeger.» Esitò. «C'era
del sangue all'interno.» Barbara emise un gemito e a Deborah ebbe la sensazione che le scoppiasse il cuore. Non riusciva nemmeno a mettere bene a fuoco la vista. «Sangue?» Evan annuì. «Non molto. Solo un rivolo sul sedile posteriore.» «Oh, Dio.» «Sta' calma. Ora non ti agitare. Conosci il gruppo sanguigno di Steve?» «B positivo. Lo so perché ho perso un mucchio di sangue quando sono nati i gemelli. Steve voleva donarmelo... temeva sempre che l'AIDS potesse trasmettersi con le trasfusioni, nonostante tutti i controlli che vengono fatti oggigiorno... ma i nostri gruppi sanguigni erano diversi. Il mio è AB positivo, il tipo più raro. Non eravamo compatibili.» Deborah restò a corto di parole e di fiato nello stesso momento. All'improvviso, l'aria le tornò nuovamente nei polmoni e lei gemette, poi rovesciò il caffè. Barbara le fu subito accanto, asciugò il caffè con un tovagliolo di carta e le sussurrò dolcemente, come se l'amica fosse una bambina: «Deb, va tutto bene. Sta' calma, tesoro. Questo non significa niente.» «Non significa niente?» gridò Deborah, ignorando la mano che le si arrossava per la scottatura e il caffè bollente che le gocciolava sulla vestaglia bianca. «Mio marito manca da quasi ventiquattrore, la sua macchina viene trovata con del sangue sul sedile e questo non significa niente?» «Quanto dista l'aeroporto dalla macchina?» chiese improvvisamente Joe, rivolgendosi a Evan. «Mezzo miglio.» «C'erano segni di effrazione?» «Nemmeno un graffio.» «Hanno controllato i voli?» «Sicuro, ma finora non hanno scoperto niente.» «Hanno controllato i voli?» sbottò Deborah. «Ma cosa credono? Mio marito ha lasciato l'auto a mezzo miglio dall'aeroporto, ha sporcato di sangue il sedile e quelli pensano che sia scappato a bordo di un aereo?» Evan parve addolorato. «Deborah, controllare i voli in partenza è...» «La solita procedura, lo so. Però i suoi abiti sono tutti qui, a parte quelli che indossava quando è scomparso.» «Ma i soldi sono spariti dalla scrivania.» «Duecento dollari. Dove vuoi che possa andare con quelli? A Rio? Parigi, Roma? E poi, perché sarebbe dovuto scappare?» «Deborah, ti prego, calmati» disse Evan.
«Perché dovrei calmarmi?» La voce di Deborah salì di tono. «Non è ovvio quello che è successo a Steve? Artie Lieber lo ha preso. E può già averlo ucciso!» «Qualcuno ha ucciso papà!» Tutti si girarono a guardare, sconvolti, Brian e Kim in piedi sulla porta, vestiti per andare all'asilo. I piccoli avevano la bocca aperta e gli occhi spalancati. «Oh, mio Dio, no, bambini» disse in fretta Barbara. «Nessuno ha ucciso il vostro papà. La mamma è solo un po' scossa.» «Chi è Artie Liter?» domandò Brian. «Nessuno che abbia una qualche importanza.» «Lui è una persona cattiva e ha ucciso il nostro papà!» gridò Kim. «Solo che voi non volete dircelo.» Deborah era troppo terrorizzata da quello che aveva detto e dallo sguardo sul viso dei bambini per muoversi. Comunque, Evan si chinò e li cinse con le braccia. «Nessuno ha ucciso il vostro papà.» «Come lo sai?» chiese timorosamente Brian. «Lo so e basta. Ho una specie di sesto senso per queste cose e, credetemi, non mi sbaglio mai.» «Esatto» disse Barbara. «Il vostro papà è uno dei migliori amici di Evan. E gli amici sanno cose l'uno dell'altro che la gente non capisce. Non sappiamo dove si trova il vostro papà in questo momento, ma prima o poi tornerà e ci racconterà dov'è stato.» Kim si infilò un pollice in bocca, come faceva fino all'anno prima, quando finalmente era riuscita a liberarsi di quell'abitudine. «Papà sarà qui per Natale?» chiese poi. Barbara prese di nuovo in mano la situazione. La sua voce esprimeva una nota di sicurezza. «Tesoro, non succhiarti il pollice come una bambina appena nata. Non c'è ragione di avere paura. Sono sicura che il tuo papà sarà di ritorno per Natale. E ora, siete pronti per l'asilo, voi due?» I bambini erano pallidi e Deborah non avrebbe voluto mandarli all'asilo, quella mattina, ma Barbara le aveva ricordato che tenerli a casa avrebbe avuto l'effetto di spaventarli ancora di più. "Lascia che seguano la normale routine" le aveva detto. "Staranno via solo mezza giornata, in ogni caso, e quando Joe li porterà, stamattina, avviserà il direttore in modo che le maestre li tengano bene d'occhio. Oggi chiederò una giornata di ferie e, a mezzogiorno, andrò a prenderli personalmente." Deborah aveva accettato con una certa riluttanza, e ora pensava che la normalità della routine sarebbe stata un bene per i piccoli se loro non l'a-
vessero sentita accennare alla possibilità che il loro padre fosse morto. Si sarebbe presa a calci, ma ormai il danno era fatto. Tentò di sorridere con una sembianza di normalità e disse: «Non c'è niente di cui preoccuparsi. Ora andate e pensate a come vi divertirete quando arriverà Natale. Al vostro ritorno, vedrete che ne sapremo un po' di più su dove si trova papà e su quando verrà a casa.» I bambini si accorsero subito dell'insincerità del tono e la guardarono con gli occhioni carichi di dubbio, ma non dissero nulla. Il mattino era burrascoso, col vento che scuoteva i rami degli alberi e scompigliava i capelli dei bambini mentre Joe li portava alla sua jeep. Erano innaturalmente mogi e a Deborah faceva male il cuore vederli così, ma adesso non sarebbe stata in grado di confortarli. Dopo che Joe si fu allontanato con loro, Deborah parlò a Evan dell'intruso che forse si era nascosto nel ripostiglio la sera prima. «A che ora?» domandò Evan. «Verso luna. Ho sentito le assi cigolare.» «Il cane ha abbaiato?» Deborah scosse la testa. «No, ma anche Scarlett ha sentilo qualche cosa, perché era sveglia. Avrebbe abbaiato, in effetti, se il cigolio non fosse stato così debole. E se fossi stata addormentata, non lo avrei sentito neppure io.» «Ma Joe lo ha sentito, e lui era al piano di sotto» disse Evan, aggrottando le sopracciglia. «Joe era in cucina» spiegò Deborah. «Il ripostiglio era proprio sopra di lui.» «Hmmm...» Evan bevve un sorso di caffè. «La scala appoggiata contro il muro della casa era la vostra?» «Sì. Era quella che teniamo nel capanno degli attrezzi.» «E il capanno era chiuso a chiave?» «No. Questa è una zona molto tranquilla, Evan. Non è mai stato rubato niente. Non abbiamo mai avuto il minimo problema fino all'altra notte, quando quell'uomo si è nascosto tra i sempreverdi. Ma lui non ha rubato niente, o almeno non credo. Non abbiamo controllato nel capanno, ma mi pare difficile credere che l'intruso fosse interessato agli attrezzi da giardinaggio.» «E stanotte non mancava nulla dal ripostiglio?» «Che io abbia notato, no. Ma la luce era fioca e io non vado lassù molto spesso, così qualcosa potrebbe effettivamente mancare... anche se però non credo.»
«Comunque, sei convinta di aver sentito quel cigolio per almeno dieci minuti e Joe sostiene di averlo sentito anche più a lungo.» Evan alzò lo sguardo dal caffè, gli occhi sospettosi. «Perché qualcuno dovrebbe darsi la pena di mettere una scala contro il muro di casa e poi limitarsi semplicemente a nascondersi dentro al ripostiglio?» Deborah si passò le mani tra i capelli. «Non lo so. Non ha senso.» «Già, non ha senso» disse Evan con enfasi. «Informerò la polizia. Verranno a cercare le prove, se Joe non ha contaminato troppo il luogo, stanotte.» «Joe è un investigatore di professione» replicò seccamente Barbara. «Si capisce che è stato molto attento. E ha già avvisato la polizia.» «Be', chiedo scusa» disse Evan, gelido. Barbara arrossì, rendendosi conto che aveva esagerato con i suoi rimproveri, e Deborah aggiunse in fretta: «Ci hanno detto di non toccare nulla e che sarebbero arrivati in mattinata. Naturalmente, allora non sapevano della macchina di Steve.» La sua voce s'incrinò. «Dovrei andare di sopra e vestirmi prima che arrivi la polizia. Se dovessero arrivare mentre sono di sopra...» «Penserò io a tutto» disse Barbara. «Come al solito.» Evan le scoccò uno sguardo risentito. Litigio imminente, pensò Deborah mentre usciva dalla cucina. In quel momento, però, non riusciva a preoccuparsi dei conflitti tra Evan e Barbara. C'era la sua situazione, molto più seria, a turbarla. Indossò in fretta un paio di jeans e un maglione pesante, dimenticandosi completamente del trucco. Quando tornò di sotto, vide che Barbara stava già parlando con un poliziotto in uniforme. Apparteneva alla polizia di stato, visto che l'auto di Steve era stata trovata fuori dei limiti cittadini. «La scala è ancora appoggiata contro la casa, proprio come l'abbiamo trovata» stava dicendo lei. «Non abbiamo lasciato uscire nemmeno il cane, per paura che imbrogliasse le cose.» «Ora diamo un'occhiata fuori» disse l'uomo, sorridendo in modo falso verso Deborah. «E lei chi è?» «Io sono la signora Robinson» disse Deborah, rendendosi conto che l'agente doveva aver pensato che la padrona di casa fosse Barbara. «Mio marito è scomparso.» «Capisco. Be', voi due restate dentro. Fa freddo oggi, vero?» Barbara rispose di sì e chiuse la porta non appena il poliziotto uscì. «Grazie a Dio che sei qui» sospirò Deborah. «Io non sono molto brava
ad affrontare situazioni del genere.» Barbara sorrise. «Quanta gente è costretta ad affrontarle? E poi, non è mio marito che è scomparso. Smettila di criticarti. Te la stai cavando a meraviglia, tutto sommato.» Cara Barbara, pensò Deborah, che poi chiese all'amica: «Dov'è Evan?» «È andato a lavorare. Anche Joe ha preso un giorno di ferie, e non era possibile lasciare sguarnito l'ufficio. Inoltre, Evan ha un processo alle dieci. Qualcuno deve pur perseguire i cattivi, no?» «Vorrei che qualcuno perseguisse Artie Lieber» disse cupamente Deborah. Barbara si avvicinò all'amica e le mise le mani sulle spalle, guardandola. «Non correre troppo. Non sappiamo ancora se Lieber è coinvolto nella sparizione di Steve.» «E chi può essere stato, se non lui?» «Possono essere successe centinaia di cose. E Steve potrebbe entrare da quella porta in qualunque momento.» «Tu continui a ripeterlo, ma non è così. Lo sai tu e lo so anch'io.» Barbara distolse lo sguardo dall'amica. «Vado a fare dell'altro caffè» disse all'improvviso. «La miscela che hai tu è davvero ottima. Che roba è?» «Caffè svedese» rispose Deborah con aria assente. «Lo ordino.» «Credo che ne ordinerò un po' anch'io. Evan lo apprezza molto. Sai, lui non passa la notte con me molto spesso. Dice che ho un materasso pessimo. E nemmeno io passo molte notti con lui.» Barbara sembrava turbata e Deborah temette che l'amica fosse sul punto di rivelarle i particolari intimi della sua relazione con Evan, ma per fortuna le cose non andarono cosi. Barbara si mise a preparare il caffè mentre fuori i poliziotti controllavano il cortile posteriore. Cinque minuti dopo, Barbara, che sembrava avere i nervi a fior di pelle, balzò su dalla sedia e annunciò con disperata allegria: «Il caffè è pronto!» Deborah prese la tazza che l'amica le offriva e sorrise mentre la miscela forte e un po' amara le scendeva nella gola. Barbara ne bevve un sorso e disse: «Forse avrei dovuto aggiungere dell'altra acqua.» «No, va bene così.» Dopo un po', i poliziotti tornarono in casa. Erano in due. Il più giovane si presentò come Muller. L'altro, il più anziano, un tipo alto dai lineamenti immobili, disse di chiamarsi Cook. «Ora andiamo di sopra, signora» disse Muller mentre Scarlett danzava in mezzo alle gambe dell'agente, sperando di attirare la sua attenzione. L'uomo si chinò per accarezzare il cane. «È
proprio carino. È di qualche razza particolare?» «È una femmina» disse Deborah. «La madre era un incrocio tra un beagle e un terrier, e il padre un pastore tedesco.» «Mica male come miscuglio» disse l'agente più giovane, sorridendo. «Io preferisco i cani di razza pura» annunciò sonoramente Cook, come se gli altri fossero molto interessati all'argomento. «E non mi piace tenerli dentro casa.» «Affascinante» sbottò Barbara. «Forza, ora vi faccio vedere dov'è il ripostiglio.» L'agente più anziano lanciò un'occhiata severa a Deborah. «Bisognerà che tenga questo cane alla larga. Potrebbe inquinare le eventuali prove.» «Ora lo chiudo in garage.» Scarlett le lanciò un'occhiata risentita mentre lei allargava una vecchia coperta sul pavimento freddo del garage e faceva segno al cane di accucciarvisi sopra. Joe arrivò qualche minuto dopo. «I bambini sono all'asilo e il direttore è stato avvertito» disse in fretta. «Lui ha detto che potevano restare per la festa natalizia, ma preferirebbe che non finissero la settimana lì. Troppa responsabilità per l'asilo.» «Non posso certo dargli torto» disse Deborah. «I poliziotti sono di sopra?» «Sì.» «Sai chi sono?» «Cook e Muller» rispose Barbara. «Muller è un tipo a posto. Diciamo che è quasi un mio amico. Ma Cook è una spina nel fianco.» Senza aggiungere altro, Joe se ne andò e Deborah sentì il rumore degli stivali dell'uomo su per le scale. Si sedette davanti al suo abominevole caffè, la mente che girava senza sosta. "Steve, dove sei?" pensava. "Dio, ti darei dieci anni della mia vita se tu ce lo restituissi sano e salvo." Ma sua madre le aveva detto molto tempo prima che non era lecito fare patti con Dio. "Tutto quello che succede in questo mondo è per volere di Dio" ripeteva sempre. "Lui ha un suo progetto sul mondo e noi non possiamo cambiarlo." "Ma se c'è un progetto divino e noi non possiamo cambiarlo, allora perché preghiamo?" le chiedeva Deborah. A quel punto, la madre le lanciava sempre uno sguardo turbato. "Tu non capisci." "No, non capisco. Spiegamelo tu." "Non posso. È troppo complicato. Però non farti sentire da tuo padre,
quando parli così." "Che c'è di sbagliato nel fare domande?" "Tieni le tue domande per te, Deborah. Papà non vuole che si facciano domande." "Specie se a farle sono io" aveva pensato Deborah, l'unica dei figli che fosse sopravvissuta. I suoi due fratelli maggiori erano morti ancora in fasce. Il padre aveva serbato del rancore verso di lei, come se fosse colpa della figlia che i due bambini fossero nati troppo prematuri per vivere. Lei era sempre stata consapevole di quel risentimento, anche quando era troppo piccola per analizzarne le cause. Così Deborah si era tenuta quelle domande per sé, ma non aveva mai smesso di interrogarsi su una simile contraddizione. E anche ora, mentre sedeva al tavolo della cucina, si rendeva conto che da un lato doveva pregare per il marito scomparso, ma che dall'altro le preghiere erano inutili. I suoi pensieri vennero interrotti dagli agenti che scendevano le scale, seguiti da Joe. «Lascia sempre la finestra del ripostiglio aperta?» chiese Muller, guardando Deborah. «No, certo che no. Non di proposito, perlomeno. Perché?» «Perché non ci sono segni di effrazione.» «Così la finestra era aperta... Be', credo che sia possibile. Non andiamo quasi mai là dentro. Forse uno di noi l'ha aperta d'estate e poi ha dimenticato di chiuderla, anche se mio marito, di solito, era molto attento a queste cose...» «Però prima hai detto che la porta del capanno non veniva mai chiusa a chiave» osservò Joe. «La porta del capanno sì, ma le porte e le finestre di casa sono un altro paio di maniche. No, Steve era molto attento al riguardo. Dopo quello che era successo a Emily...» «Chi è Emily?» chiese Cook. «La sorella di mio marito» rispose Deborah. «È stata picchiata e violentata quando era adolescente. Il suo stupratore ha ottenuto la libertà sulla parola un paio di mesi fa ed è stato notato a Charleston solo due giorni fa. Credevo che Evan Kincaid vi avesse già messi al corrente.» Cook arrossì. «Lui ha parlato con la polizia cittadina, non con noi. Nessuno ha menzionato il nome della sorella in nostra presenza, e noi non siamo lettori del pensiero.» Joe alzò le mani, come a voler placare gli animi. «Va bene, va bene. La signora Robinson non è un'esperta in questioni giurisdizionali.»
«Avete trovato qualche impronta?» chiese all'improvviso Deborah. «Aspettiamo i tecnici» rispose Cook. «Dovrebbero arrivare entro un'ora. Penso che saranno costretti a prendere anche le sue impronte digitali, signora Robinson. Purtroppo, il signor Pierce ci ha detto che quelle di suo marito non sono in archivio.» «Ma le impronte di Lieber sì» disse Joe. «Se stanotte c'era lui nel ripostiglio ed è stato tanto stupido da lasciare le sue impronte in giro, lo incastreremo.» «Però non capisco come mai Artie Lieber abbia fatto irruzione in casa nostra» disse Deborah. «Steve è scomparso da ore. Che senso aveva per Lieber entrare qui dentro se aveva già preso Steve?» «Non sappiamo ancora se questo Lieber sia veramente coinvolto nella sparizione di suo marito» disse Muller. Cook lanciò un'occhiata gelida a Deborah. «A meno che Lieber non sia soddisfatto di poter disporre solo del signor Robinson.» Deborah si irrigidì. «Vuol dire che potrebbe cercare di far del male anche ai bambini e a me?» Cook si strinse nelle spalle. «Perché no? Probabilmente, Lieber nutre un enorme odio verso l'uomo che l'ha fatto condannare e che, nel frattempo, ha svolto una brillante carriera in campo legale, ha sposato una bella donna e ha avuto due bambini, mentre lui marciva in prigione.» «Oh, mio Dio» mormorò Deborah, sentendosi debole. «Allora siamo tutti in pericolo. In grande pericolo.» Joe le lanciò un'occhiata penetrante. «Voi sareste tutti in pericolo se Lieber fosse assetato di sangue e se avesse fatto davvero qualcosa a Steve. Ma non abbiamo assolutamente nessuna prova in tal senso.» «Lieber è comparso a Charleston questa settimana e Steve è svanito nel nulla proprio ieri notte» disse cupamente Deborah. «Per me, questa è una prova più che sufficiente.» Trenta minuti dopo, i poliziotti se ne andarono. Deborah, a cui erano state prese le impronte digitali, aveva trovato una foto piuttosto recente di Steve e aveva consegnato agli agenti una maglietta e il pettine del marito. La maglietta sarebbe servita perché i cani annusassero l'odore dello scomparso, e il pettine per consentire agli esperti di ricavare dai capelli di Steve il suo DNA, che in seguito sarebbe stato confrontato con il sangue trovato nella macchina. Poco dopo, il campanello squillò. «Vado io» si offrì Barbara. Deborah scosse la testa. «Non sono ancora del tutto a pezzi. Apro io.»
Sul portico d'ingresso c'era un uomo di media statura con dei capelli castano chiaro molto corti e delle profonde zampe di gallina intorno agli occhi azzurri e risoluti. «La signora Robinson?» domandò. Lei annuì. «Sono Charles Wylie dell'FBI.» «FBI?» ripeté lei, confusa. L'uomo le mostrò la tessera. «È qui per mio marito?» «Sì. Posso entrare?» Joe e Barbara erano seduti in salotto. «Questo è il signor Wylie dell'FBI» disse Deborah. L'espressione di Barbara non era meno smarrita della sua, ma sul viso di Joe apparve uno sguardo diffidente. «Lui è qui per Steve. Signor Wylie, le presento Barbara Levine e Joe Pierce. Lavorano tutti e due nell'ufficio del procuratore distrettuale con mio marito.» Wylie annuì ai due, poi si rivolse a Deborah. «Vorrei parlarle da solo per qualche minuto.» «Non c'è nulla sulla scomparsa di mio marito che Joe e Barbara non sappiano» disse lei. «Comunque, ho bisogno di rivolgerle qualche domanda. E preferirei che fossimo soli.» «Ha qualche prova che Steve abbia passato il confine?» chiese Barbara. «Ho saputo solo un paio d'ore fa della scomparsa del signor Robinson» rispose Wylie «e non ho ancora nessuna prova in mano.» «Come avete scoperto che mio marito è scomparso?» chiese Deborah. «La polizia dello stato della Virginia ha trasmesso un messaggio per telescrivente riguardo all'auto di suo marito, e noi l'abbiamo visto.» «Però non capisco ancora come mai lei sia qui.» «Come ho detto, devo rivolgerle qualche domanda, signora Robinson.» «Va bene» disse Deborah. «Barbara, Joe, dato che il signor Wylie vuole parlarmi da solo, vi dispiace attendere in cucina?» Joe e Barbara si alzarono simultaneamente. Barbara sembrava ancora perplessa e sospettosa, ma dall'espressione che aveva il viso di Joe era chiaro che lui sapeva qualcosa. Lui ed Evan sapevano entrambi qualcosa che non volevano rivelare, qualcosa che Evan, almeno in apparenza, non aveva detto nemmeno a Barbara. Deborah si mosse verso il divano. L'agente Wylie si sedette ed estrasse di tasca un piccolo taccuino mentre con lo sguardo passava in rassegna la stanza. «Da quanto ne so, suo marito è scomparso ieri pomeriggio, è così?» domandò. «Sì. Io e i bambini siamo usciti per le spese natalizie verso luna. La no-
stra vicina di casa ha visto Steve lasciare la casa verso le due e mezzo, ma lei non è sempre affidabile.» Wylie alzò le sopracciglia. «Ha novantadue anni, sa. A volte si confonde o inventa storie, ma non sempre.» «Capisco. Questa signora ha detto che suo marito è uscito da solo?» «Sì.» «E non manca nessuna delle sue cose?» «Nulla, a parte gli abiti che indossava. E l'auto, naturalmente.» Non menzionò il denaro scomparso dalla scrivania di Steve. «L'auto è stata trovata vicino all'aeroporto stamattina sul presto.» «Sì» disse Deborah, un po' a disagio. «Ho saputo che c'era del sangue sul sedile posteriore.» Wylie annuì. «Suo marito faceva visita alla sorella ricoverata in una casa di cura a Wheeling circa una volta ogni due mesi, è esatto?» «Sua sorella?» ripeté Deborah, sorpresa. «Sì, andava a trovarla. Ma questo cosa c'entra?» «Suo marito andava a trovarla il sabato e passava la notte a Wheeling?» «Sì. Il viaggio è lungo e a lui faceva piacere vederla due volte, sabato pomeriggio e domenica mattina.» «Lei lo accompagnava spesso?» «No. Sono andata solo una volta, poco dopo il nostro matrimonio, circa sette anni fa.» «Perché non è più tornata?» «Steve non voleva. Diceva che era deprimente, anche perché Emily non si muoveva e non apriva bocca. Ieri sera, però, un'infermiera mi ha detto che Emily parla, qualche volta. Comunque, c'erano i bambini da accudire. E io stavo sempre a casa con loro.» «Di solito, suo marito la chiama da Wheeling, il sabato sera?» «No. Be', qualche volta lo ha fatto, ma per lo più quando ero incinta.» «Non l'ha più chiamata da Wheeling, il sabato sera, da oltre cinque anni? Perché è questa l'età dei gemelli, vero?» Come mai l'agente Wylie sapeva così tante cose sulla famiglia e sulle sue abitudini? «Sì, i miei figli hanno cinque anni. Ne compiranno sei ad aprile. E mio marito ha telefonato anche dopo la loro nascita.» «Ma non molto spesso.» «Be', non tutte le volte che è andato a trovare Emily.» «Lei non l'ha mai chiamato al motel di Wheeling dove alloggiava in quei sabati notte?» «Forse tre o quattro volte. Di solito, lui è piuttosto depresso dopo che ha
visto la sorella e non ha voglia di chiacchierare. E poi, non alloggia sempre nello stesso posto. Signor Wylie, vuole dirmi per favore perché mi fa tutte queste domande?» Wylie la ignorò, proseguendo con determinazione spassionata. «Suo marito faceva visita ai propri genitori durante questi viaggi a Wheeling?» «No. Lui si è allontanato dai genitori. Non li vede da anni.» «Non si sono mai incontrati per caso in clinica?» «Che io sappia, no. I Robinson sanno in quali periodi lui fa visita a Emily e si tengono alla larga.» «Qual è il motivo di questa freddezza di rapporti?» Deborah esitò. «Emily venne aggredita da un certo Artie Lieber. Lui era il factotum dei Robinson, ma aveva una brutta reputazione e loro lo avevano licenziato quando Lieber aveva mostrato troppo interesse nei confronti di Emily. Durante un fine settimana, loro andarono via affidando a Steve il compito di badare alla sorella, solo che lui uscì di casa per un paio d'ore. E Lieber colpì proprio in quel lasso di tempo. Violentò Emily, la percosse e per poco non la strangolò.» «Le ferite erano gravi?» «Lieber la colpì in testa con un tubo e lei subì un danno cerebrale, o almeno credo.» Wylie le lanciò un'occhiata interrogativa. «Voglio dire questo: Steve mi riferì che, secondo i medici, c'era un danno cerebrale, ma non irreparabile. Loro erano convinti che i problemi di Emily fossero più di natura psicologica che fisica. Ma lei tutte queste cose le sa già, vero?» «Vorrei sentirle da lei.» Sentendosi sempre più stizzita e frustrata a ogni istante che passava, Deborah lo fulminò con lo sguardo. «Be', le ha sentite. E ora vorrei sentire io qualcosa da lei. Perché è venuto qui, per esempio?» «Non posso dirglielo seduta stante.» La mascella di Deborah si afflosciò. «Vuole che risponda a tutte queste domande, ma io non posso sapere il perché?» «Apprezzerei molto la sua collaborazione.» «Collaborerò in ogni modo possibile pur di trovare mio marito, ma non vedo come possano servirci a rintracciarlo tutte queste domande. Lei saprà già tutto di Lieber e della promessa fatta di vendicarsi di mio marito perché lui l'aveva fatto finire in carcere testimoniando.» «Lieber sa che tornerà dritto filato in carcere, se minaccia suo marito. Perché dovrebbe rischiare una cosa del genere?» «Non lo so. Quell'uomo è pazzo, ma non vedo come questo riguardi
l'FBI.» «Non ci riguarda, infatti... se è successo proprio questo e se Lieber non ha portato suo marito in un altro stato, come ha suggerito la signorina Levine.» «Se è successo proprio questo? E cos'altro sarebbe potuto succedere?» «Un mucchio di cose.» «Cose che riguardano l'FBI?» «Sì.» «Tipo?» chiese Deborah. «Perché cercate mio marito?» «Ora non posso risponderle, come le ho già detto.» Wylie aggrottò le sopracciglia, guardando una pianta posta sull'ampia mensola del camino. «Si tratta di un oleandro?» «Cosa?» «Quella pianta è un oleandro?» Deborah gli indirizzò un'occhiata carica di stupore. «Be', sì.» «Chi ha il pollice verde in famiglia?» «Mio marito.» «Gli piacciono particolarmente gli oleandri?» «Sì, penso di sì. Non è una pianta che cresca facilmente in questa zona. E lui era orgoglioso di esserci riuscito.» «Capisco.» «Io no. Si può sapere cosa diavolo c'entra...?» «Lei mi è stata di grande aiuto» disse improvvisamente l'agente Wylie, alzandosi. «Forse avrò bisogno di parlarle di nuovo.» La pazienza di Deborah, che era già stata messa a dura prova, alla fine si esaurì. «Non intendo più rispondere a nessuna delle sue domande se prima lei non risponde alle mie.» «Grazie per la sua collaborazione, signora Robinson» disse tranquillamente Wylie. «Non si disturbi ad accompagnarmi. Esco da solo.» Sconcertata dalla visita di Wylie, Deborah andò in cucina, dove Barbara e Joe erano seduti davanti al tavolo. Barbara guardò l'amica con aria d'attesa. «Allora? Cosa voleva?» «Non lo so» rispose tranquillamente Deborah. «Ma Joe lo sa.» Il suo sguardo incrociò quello di Joe. Lui abbassò il suo per un attimo, mettendosi a tamburellare con le dita sul tavolo. «Joe, sai qualcosa che noi non sappiamo?» chiese Barbara con stupore. Joe tirò un profondo sospiro e disse: «Deborah, forse è meglio che ti sie-
di.» «Preferisco restare in piedi.» «Come vuoi» disse Joe con aria assente. «Steve non voleva che tu sapessi, però ha informato Evan e me perché era spaventato a morte e voleva il nostro aiuto.» Deborah inghiottì. «Che cosa ti ha detto?» Joe intrecciò le braccia e, per la prima volta, Deborah notò l'anello con turchese che portava al dito. «Hai sentito parlare dello Strangolatore dei vicoli bui?» Deborah batté le palpebre. «Lo Strangolatore dei vicoli bui?» «Il serial killer?» chiese Barbara. «Già. Negli ultimi tre anni, ha ammazzato otto donne nell'Ohio e in Pennsylvania. Sabato scorso, ha aggredito una certa Sally Yates a Wheeling.» «Ho letto qualcosa su questa Sally Yates» disse Deborah. «Se non ricordo male, era in coma, ma i medici non si aspettavano che potesse sopravvivere. Però non capisco ancora. Tutto questo come c'entra con la scomparsa di Steve?» «Le donne sono state assassinate in un raggio di cento miglia da Wheeling. Sono state picchiate, violentate e strangolate sempre nei fine settimana, quando Steve andava a Wheeling per far visita a Emily.» Deborah sospirò, poi cominciò a ridere. «Vuoi dirmi che l'FBI crede che questo Strangolatore dei vicoli bui sia Steve? Questa è la sciocchezza più incredibile che abbia mai sentito in vita mia! Mio Dio, sembra una di quelle storielle inventate di sana pianta dalla signora Dillman!» Joe abbassò lo sguardo. «Un agente dell'FBI è venuto a parlare con Steve, venerdì mattina. Sembra che giovedì si sia fatto avanti un testimone. Questa persona si trovava in un bar che si chiama Kelly's, lo stesso bar dove era stata Sally Yates quel sabato sera prima di venire aggredita. Il teste non ha visto materialmente l'aggressione, ma lui o lei... non si sa se sia un maschio o una femmina... ha notato un uomo che usciva da un vicolo lì vicino subito dopo che Sally Yates era stata aggredita e violentata. L'uomo era stato nel bar in precedenza e, quando è stato visto dal teste, sembrava avere molta fretta, anche se parlava tra sé e sé e ridacchiava. Il teste non sapeva ancora niente della Yates, ma ha pensato che il comportamento dello sconosciuto fosse molto strano, così, giusto per curiosità, lo ha guardato bene. Il tizio è salito su un'auto bianca. Il teste non è stato in grado di identificare il tipo di auto, ma è riuscito a leggere parzialmente la targa, una targa della Virginia: 8E-7.» Joe alzò lo sguardo. «E Steve guida una Cava-
lier bianca, il cui numero di targa è 8E-7591.» 7 Deborah fissò Joe, stupefatta. La bocca le si era improvvisamente seccata, e le mani le erano diventate di ghiaccio. Alla fine, riuscì a farfugliare con voce flebile: «Non puoi dire sul serio.» «Non è appena venuto un agente dell'FBI?» chiese dolcemente Joe. «Ma lui può essere venuto per un'altra ragione. Forse pensava che la scomparsa di Steve concernesse un crimine federale o...» Joe stava scuotendo la testa. «No, Deborah, non è questo che pensa l'FBI.» Deborah si lasciò cadere sulla panca di fronte al tavolo. Lo shock le aveva conferito un'espressione ebete. «Non ci credo.» «Nemmeno io» le fece eco debolmente Barbara. «Perché Steve non me lo ha detto?» chiese Deborah. «Era attonito. E spaventato.» «Però si è confidato con te e con Evan.» «Credeva che avremmo potuto aiutarlo. Deborah, le prove contro di lui sono solo indiziarie, ma nonostante quello che si vede nei film, una persona può venire condannata anche con prove simili.» Barbara si sporse in avanti, la voce tornata di nuovo forte e sicura. Non era più l'amica sconvolta; era l'avvocato. «Questa persona che sostiene di aver visto uscire un uomo dal vicolo, lo ha guardato bene?» «Quanto basta per identificarlo come un tipo che era entrato da Kelly's in precedenza» rispose Joe. «Perché il teste ha aspettato così tanto prima di farsi avanti?» chiese Deborah. Joe la guardò. «Queste cose succedono sempre. Per una ragione o per l'altra, i testimoni non vanno subito dalla polizia a riferire quello che hanno visto. Forse hanno qualcosa da nascondere, o forse non vogliono essere coinvolti. Poi la coscienza ha il sopravvento.» «Tu non sai il nome di questo teste?» «La polizia non è così sconsiderata da divulgare questa informazione e mettere in pericolo un'altra vita. Comunque, questa persona ha detto che il tizio sbucato fuori dal vicolo era magro, alto circa un metro e ottanta e con i capelli castano scuro. Sembrava vicino ai quarant'anni ed era in buona forma. Aveva i baffi e non era un cliente regolare del bar.»
«E il colore degli occhi?» chiese Barbara. «Aveva gli occhiali scuri.» «Steve non porta occhiali» disse Deborah. «E non ha né i baffi né i capelli castano scuro.» «L'FBI crede che possa essersi mascherato mettendosi baffi finti e un paio di occhiali. Forse ha persino usato una parrucca o si è tinto temporaneamente i capelli per acquistare quella tonalità.» «Sono assolutamente certi che l'aggressore della Yates sia lo Strangolatore dei vicoli bui?» «Sì. Di solito, lui attira in un vicolo le donne che ha appena conosciuto al bar, poi le picchia, le strangola e le violenta, anche se la polizia non ha mai trovato tracce di liquido seminale per un esame del DNA.» «Eventuali capelli?» «Niente nemmeno in quel senso.» Barbara sembrava perplessa. «Be', se si mette il profilattico, non può lasciare tracce di seme, ma come è possibile che stupri le donne senza che si trovino campioni dei suoi capelli?» «L'ipotesi più accreditata è quella che usi un qualche oggetto per favorire lo stupro.» «Vuoi dire che...» «Già» disse seccamente Joe. «Come fa a essere certo di non lasciare né liquido seminale né capelli? È possibile solo se il tizio stordisce le sue vittime immediatamente, in modo che non abbiano la possibilità di reagire. Tutto quello che la polizia ha trovato sono poche fibre di abiti. Questo assassino è molto furbo. E forte. Un'altra parte del suo rituale è che porta via alle donne aggredite i loro gioielli, strappando spesso gli orecchini con violenza dai lobi delle malcapitate.» Deborah ebbe un sussulto, ma Barbara stava aggrottando le sopracciglia. «La macchina» cominciò. «Non può essere che il testimone si sia sbagliato a leggere la targa?» «Forse, ma devi ammettere che sarebbe una bella coincidenza se l'errore avesse portato a identificare proprio la targa di Steve tra tutte le altre possibili e immaginabili. E non dimenticare che l'auto era bianca, lo stesso colore di quella di Steve.» Deborah gli scoccò uno sguardo di incredulità. «A sentire te, si direbbe che Steve sia proprio il serial killer ricercato dalla polizia. Ma non puoi credere che Steve sia capace di assassinare qualcuno!» «Qui non stiamo parlando di quello che credo io» disse tranquillamente
Joe. «Stiamo parlando di quello che crede l'FBI. Ed è un brutto segno che le vittime siano state violentate, picchiate e strangolate, proprio come la sorella di Steve.» «Oh, Dio» disse Deborah, sentendosi mancare. «Ma è stato Lieber ad aggredire Emily!» «Secondo Steve. E lui era l'unico testimone.» Deborah si coprì il viso con le mani. «Mi pare tutto un incubo.» «È per questo che Steve non voleva dirti niente.» Barbara sembrava stizzita. «Perché gli uomini devono sempre giocare a fare gli eroi? Non poteva pensare che sarebbe riuscito a tenere all'oscuro Deborah per sempre.» «Che tu ci creda o no, io sono convinto che lui lo pensasse. Ecco perché si è rivolto a Evan e a me... voleva che lo aiutassimo a discolparsi prima che Deborah venisse a saperlo. Ma ora, con la sua scomparsa...» «Già, la sua scomparsa» disse lentamente Deborah. «L'FBI non crede che c'entri qualcosa Artie Lieber, vero? No, loro credono che Steve sia scappato perché sentiva la rete chiudersi intorno a sé.» «Non penseresti la stessa cosa anche tu, se guardassi la situazione dall'esterno?» chiese Joe. «Questa sparizione lo fa sembrare più colpevole che mai. Loro hanno persino cominciato a sorvegliare la casa.» «Ma se stavano sorvegliando la casa, perché non hanno visto dove andava Steve, ieri?» «Probabilmente, la sorveglianza è cominciata solo stamattina. Almeno, questo è ciò che credeva Steve. E pare proprio che avesse ragione.» «Accidenti» borbottò Barbara. «Steve dice a te e a Evan che si aspetta di venir sorvegliato a partire da lunedì e scompare la domenica. Non mi pare una situazione molto bella.» Joe stava ancora guardando Deborah. «Loro sono convinti che tu sappia più di quello che sei disposta ad ammettere. Credono che Steve potrebbe telefonare o persino tornare qui.» La voce di Deborah divenne aggressiva. «Se Steve si fosse dato tutto questo gran daffare per simulare una sparizione, non credo che tornerebbe a casa il giorno dopo. Ma non ha inscenato nessuna sparizione, lo so. Mio Dio, se era sospettato di essere questo strangolatore, perché ne ha parlato con te e con Evan? Perché ha chiesto il vostro aiuto?» «Noi eravamo lì quando Wylie è venuto in ufficio per interrogare Steve. Era ovvio dalla reazione di Steve alla visita che Wylie non era andato lì per un normale lavoro di routine. L'FBI direbbe che lui credeva di non po-
terci nascondere la cosa, e avrebbe ragione.» «Però è riuscito a nascondermi le sue paure» disse Deborah in tono desolato. «Mi nascondeva sempre un mucchio di cose. A volte, mi pare quasi di non conoscerlo affatto.» Joe le lanciò uno sguardo intenso. «Deborah, non dire all'FBI che hai la sensazione di non conoscere tuo marito. Loro balzerebbero subito alle conclusioni sbagliate.» «Io... certo che non lo farò» disse Deborah, sentendosi sciocca. Che cosa sarebbe successo, se si fosse lasciata sfuggire una dichiarazione simile con l'agente Wylie? Quel pensiero la raggelò e subito lei cominciò a passare mentalmente in rassegna la sua conversazione con l'agente. Aveva detto qualcosa di sbagliato? Qualcosa che poteva nuocere a Steve? Non ricordava. L'intero colloquio con l'agente dell'FBI sembrava un sogno. A dire la verità, erano gli ultimi due giorni che sembravano un sogno. O, meglio, un incubo. Guardò Joe. «Avevi intenzione di aiutare Steve?» «Sì.» «Allora né tu né Evan credevate, nemmeno per un istante, che Steve potesse essere un assassino?» «No.» Lei annuì. «In questo caso, ho bisogno di voi. Non so cosa fare. Non so come aiutare Steve. Dio, non so nemmeno se è ancora vivo!» Le lacrime le premevano contro gli occhi. «Non so niente!» Barbara mise una mano sulla spalla di Deborah. «Vedrai che si aggiusterà tutto. Le cose si sistemeranno e la tua vita con Steve riprenderà a essere quella che è sempre stata.» Ma Deborah sapeva che, qualunque fosse la spiegazione della scomparsa di Steve, le cose non sarebbero mai più state le stesse. Il forte vento di dicembre pizzicava le dita di Kimberly mentre la bambina era nel cortile per la ricreazione. Aveva perso i suoi nuovi guanti blu. Aveva già perso quelli rossi, e la mamma le aveva detto che i blu sarebbero stati gli ultimi per quell'anno. Lei non credeva che la mamma avesse parlato sul serio, ma non voleva dirle che ne aveva dimenticato un altro paio a scuola e che qualche bambino li aveva presi. La mamma si sarebbe arrabbiata cominciando a parlare di responsabilità e dicendole che i soldi non crescevano sugli alberi, cosa che lei sapeva già molto bene. Guardò alcuni dei suoi amichetti che saltavano con la corda. Le avevano
chiesto di giocare, ma lei non voleva. Si sentiva troppo triste per papà. La mamma pensava che qualcuno l'avesse ucciso. Poi si era corretta e aveva detto che non parlava sul serio, ma Kim non ci credeva. La mamma doveva sbagliarsi, però. Papà non si sarebbe mai lasciato uccidere da qualcuno, specie prima di Natale. Comunque, la mamma si era messa a piangere. E lei non piangeva mai. Con gli occhi che le si riempivano di lacrime, Kim si guardò intorno e vide Brian. Il fratello era appeso a testa in giù sul castello di tubi. La mamma non glielo permetteva, perché di solito lui si faceva male. Strofinandosi via le lacrime, Kim si diresse verso di lui. «Scendi» gli ordinò. «Fila via» replicò Brian. «Non dovresti essere lì sopra» insistette Kim, imitando la voce di rimprovero degli adulti. «La mamma dice che potresti cadere e romperti la testa.» Brian lanciò un'occhiataccia alla sorella. «Se non mi lasci in pace, dirò alla mamma che hai perso i guanti nuovi.» Kim considerò quella possibilità e decise che era inutile insistere. Non valeva la pena di essere sgridata dalla madre per preservare la testa di Brian. Gli fece una smorfia e si diresse verso il grande albero dove secondo la loro maestra, la signorina Hart, i pettirossi avrebbero fatto il nido in primavera. Si volse in direzione del cancello del cortile e sussultò. C'era un uomo lì, un uomo che le faceva segno di avvicinarsi. Indossava un giaccone blu come quello del padre, ma aveva il cappuccio tirato su e Kim non riusciva a vederlo bene in faccia. Batté le palpebre come a volte faceva la mamma. Si trattava davvero di papà? Da così lontano non poteva esserne certa. Si avvicinò lentamente alla figura. L'uomo era alto come papà e aveva i capelli quasi dello stesso colore, ma portava gli occhiali scuri, così lei non riuscì a vederlo negli occhi. «Kimberly, vieni qui.» La sua voce sembrava morbida e gentile, ma il vento la portò via e lei non poté avere la certezza che fosse quella del padre. Il vento le pungeva anche gli occhi, facendoli lacrimare. Lui le fece di nuovo segno. Lei esitò, mettendosi a pensare. Se quell'uomo era davvero papà, se l'aveva trovata, tutto si sarebbe aggiustato. Ma se si trattava di papà, perché non era andato subito a casa? La piccola era confusa. Sembrava proprio papà, ma lui non sarebbe mai venuto a scuola restando fuori dal cancello con un cappuccio calzato così saldamente in testa che lei non riusciva a scorgere la maggior
parte del viso. «Kimberly, vieni qui, ti prego» chiamò di nuovo l'uomo. «Vieni da me, tesoro. Voglio farti un regalo di Natale, anche se è presto.» Kim sorrise. «Papà!» Si mise a correre verso il cancello dove l'uomo si chinò, tendendo le braccia. Era a soli pochi centimetri da lui quando, all'improvviso, la signorina Hart gridò: «Kim, no!» Sorpresa, la bambina rallentò. L'uomo si mise subito in posizione eretta, girando il capo verso la maestra. «Kim, non andare vicino a quell'uomo!» gridò la signorina Hart col volto pallido e gli occhi spalancati. Kimberly si fermò, confusa. La signorina Hart sembrava impaurita, e pure l'uomo, anche se le sue mani si tendevano per afferrare la piccola. Un moto di improvvisa e istintiva paura invase Kim mentre le dita dell'uomo le sfioravano il cappotto. Indietreggiò, incespicando. «Vieni qui» sibilò lui, che adesso non sembrava più tanto gentile. Kim cadde a terra e l'uomo scattò in avanti. Era quasi su di lei quando la signorina Hart raggiunse la bambina, prendendola tra le braccia. «La lasci stare!» gridò. «Aiuto! Qualcuno mi aiuti!» L'uomo si volse e scappò di corsa allontanandosi lungo la strada. Correva così in fretta che il cappuccio gli cadde all'indietro, ma ormai gli altri non potevano più guardarlo in viso. Kim scoppiò a piangere mentre una folla di bambini eccitati si raccolse intorno a lei. Dopo che gli agenti della polizia di stato lasciarono la casa di Deborah, Joe fu pronto a seguirli. «Devo sbrigare un paio di commissioni» disse bruscamente «ma tornerò in tempo per prendere i bambini da scuola.» Venti minuti dopo, il telefono squillò e Deborah si precipitò a rispondere. «La signora Robinson?» La voce femminile all'altro capo della linea le era vagamente familiare, ma tremava. Non pareva quella di una giornalista o di una poliziotta. «Sì, sono io» disse Deborah in tono guardingo. «Qui parla Lois Hart, la maestra di Kim e Brian.» Il panico invase Deborah. «Cosa c'è?» chiese ad alta voce. «I bambini stanno bene?» «C'è stato un incidente durante la ricreazione...» «Oh, Dio, uno di loro si è fatto male?»
«No, stanno bene. Kim è un po' sottosopra. Vede, c'era un uomo... Io stavo guardando due bambini che litigavano e a tutta prima non mi sono accorta di niente... Ho distolto lo sguardo solo per un paio di minuti, e poi...» «La sta spaventando a morte! Lasci che le parli io.» Deborah riconobbe la voce impaziente di Howard Morton, il direttore. Il cuore le martellò in petto durante i pochi attimi di silenzio prima che l'uomo attaccasse a parlare con una risata falsa. «Signora Robinson, l'uomo che oggi ha portato i bambini a scuola... credo che si chiami Pierce... mi ha informato sulla sua sfortunata situazione. Ci ha chiesto di tenere d'occhio Kimberly e Brian, ed è una fortuna che l'abbia fatto. Io ho informato subito la signorina Hart. Durante l'intervallo, un uomo si è presentato al cancello dell'asilo e ha cercato di portare via Kimberly.» «Cosa?» strillò Deborah. «Le assicuro che è tutto sotto controllo. La signorina Hart ha visto quello che stava succedendo e ha raggiunto Kimberly appena in tempo.» «Appena in tempo?» ripeté ottusamente Deborah. «Poco prima che l'uomo mettesse le mani su Kimberly e la portasse via.» «Kim sta bene?» chiese Deborah con voce tremante. «Certo, signora Robinson. È solo un po' scossa, ma, date le circostanze, noi pensiamo sia meglio che lei e Brian tornino a casa per oggi.» «Arrivo lì tra dieci minuti.» «Bene. Vorrei anche dirle che abbiamo avvisato la polizia. La signorina Hart ha fornito una descrizione completa dell'uomo.» «Lo ha riconosciuto?» «No, ma Kimberly pensava che fosse suo padre. Adesso, però, non ne è più certa. La signorina Hart non ha mai incontrato il signor Robinson, perciò non è in grado di dire nulla al riguardo.» Lentamente, Deborah riagganciò. Un uomo aveva cercato di rapire Kimberly, un uomo che la ragazzina aveva scambiato per il padre. Era possibile? O si trattava di qualcun altro, arrivato lì per fare del male ai suoi bambini? Artie Lieber appoggiò il capo sui cuscini che aveva spinto contro la testiera del letto e fissò intensamente le immagini sul televisore portatile davanti a sé. Erano le dodici e venti e stava terminando il notiziario di mezzogiorno. Non era stato detto nulla riguardo a Steve Robinson. Artie serrò
la mascella. Non riusciva nemmeno a pensare al nome dell'uomo senza essere scosso da un profondo moto di repulsione. Robinson non era più rientrato e la polizia si era presentata a casa sua, quella mattina. Comunque, era troppo presto perché lo si potesse considerare ufficialmente una persona scomparsa. Ecco perché non era stato detto niente su di lui nel notiziario. Artie respirava affannosamente, pensando a quanto aveva visto in casa quella mattina. C'era altra gente, a parte la polizia. Aveva notato una donna con dei corti capelli neri e due uomini. La moglie di Robinson doveva aver chiamato aiuto. Artie aveva anche visto i due bambini, Brian e Kimberly. Conosceva i loro nomi come se fossero stati figli suoi. Gli erano sembrati un po' scossi mentre uno dei due uomini li faceva salire su una jeep e li portava via. La figlioletta di Artie, Pearl, non era molto diversa da loro. Anzi, a dire la verità, assomigliava molto a Kimberly l'ultima volta che l'aveva vista prima di andare in prigione, quando la sua ex moglie, che adesso lui chiamava sempre la Troia, aveva portato Pearl in tribunale per fare in modo che lo condannassero. Lui non aveva mai dimenticato la confusione e la paura nei grandi occhi marroni di Pearl mentre lo trascinavano via dall'aula. Adesso Pearl aveva ventidue anni, ma lui non l'aveva più rivista da quel giorno. La Troia l'aveva portata via con sé in Florida. Lui aveva saputo che la figlia si era sposata e aveva avuto un bambino. Gesù, era diventato nonno! Aveva provato a contattarla quando era uscito di prigione, ma lei gli aveva sempre sbattuto il ricevitore in faccia dopo avergli detto che non lo riconosceva più come padre. Lui si era sentito distrutto lì per lì, ma poi si era detto che Pearl aveva bisogno di tempo. Però lui non aveva intenzione di rinunciare tanto facilmente. Forse, con un po' di pazienza, poteva riparare al danno che aveva prodotto la madre, facendo rivoltare la figlia contro di lui e riempiendole la testa di spazzatura. E non appena fosse riuscito a sistemare le cose con Pearl e a conoscere suo nipote, avrebbe fatto i conti con la Troia. Ma adesso la sua unica preoccupazione era Steve Robinson. Che diavolo stava succedendo in quella casa? I suoi familiari sapevano che era scomparso, quello era un dato di fatto. Ma lui voleva conoscere ogni più piccolo dettaglio. Cosa credevano che gli fosse successo? Avevano trovato la sua auto. Pensavano che fosse stato assassinato? Sapevano che lui, Artie, era a Charleston? Era sospettato di aver causato lui la sparizione di Robinson? Qualcuno aveva parlato con la persona che vigilava su di lui e aveva sco-
perto che Artie non si era presentato all'appuntamento, quella mattina? Diavolo, avrebbe dato qualsiasi cosa pur di poter installare qualche microspia in quella casa. Così avrebbe potuto avere un quadro molto più accurato della situazione. Voleva sapere quanto sapevano su di lui. Doveva saperlo, per sentirsi più al sicuro. Non intendeva restare a Charleston così a lungo; non pensava nemmeno di dover mancare anche solo a uno dei suoi incontri con il funzionario incaricato della vigilanza su di lui. E, di sicuro, non intendeva farsi notare proprio sabato, quando aveva preso quella multa. Perché non se n'era tornato subito a casa? Perché aveva lasciato che la sua ossessione prendesse il sopravvento su di lui, anche se in cuor suo sapeva che non era quello il momento adatto per acciuffare Steve Robinson? Adesso non poteva più andarsene. La polizia lo avrebbe preso prima che potesse avvicinarsi a Wheeling. Pensò improvvisamente alla giovane moglie di Robinson, Deborah. Quella sì che era una bellezza; non come la tipa più anziana dai capelli corti. Bastardo. Robinson lo aveva derubato della figlia e lo aveva mandato in carcere per quindici fottuti anni mentre lui faceva carriera e sposava una puttana giovane e sexy. Provando un'improvvisa furia, Artie balzò su dal letto e spense la TV. Aveva avuto una brutta mattinata, ma in ogni caso doveva riprendere la sorveglianza, sempre che gli sbirri non fossero in giro. Quelli lo avrebbero sbattuto di nuovo dentro, se lo avessero sorpreso a gironzolare nei pressi di casa Robinson. Era stato un idiota a venire, ma ormai non poteva più scappare. E non poteva nemmeno starsene tutto il pomeriggio dentro quella squallida stanza di motel. Sentiva un formicolio in tutto il corpo. Non riusciva a stare tranquillo per più di pochi minuti alla volta. Un tic che aveva sviluppato l'anno prima cominciò a fargli contrarre la palpebra destra. Aveva i nervi a fior di pelle. Aprì una bottiglia di vodka e ne versò un po' nel bicchiere da cui aveva bevuto nell'ultima ora. Un goccetto per calmarsi, poi avrebbe fatto un'altra capatina dai Robinson. Se si fosse messo un cappotto col bavero sollevato, quello stupido cappello e gli occhiali da sole che aveva comprato il giorno prima, non lo avrebbero mai riconosciuto al volante del macinino bianco che aveva preso in prestito un paio d'ore prima, nel garage di una casa vuota vicino all'asilo dei Robinson. Almeno, Artie sperava che non l'avrebbero riconosciuto. Sperava altresì che non avessero ancora denunciato il furto dell'auto. Andare in giro con quella era rischioso, ma era un rischio che doveva correre. Non poteva sopportare di non sapere cosa stava succe-
dendo in casa dei Robinson. Dannazione, non poteva sopportarlo. 8 Barbara era andata a casa per impacchettare un po' di roba; aveva insistito a fermarsi con Deborah fino a quando non fosse "saltato fuori qualcosa", come si era espressa con tatto. I bambini giocavano a palla con Joe e Scarlett nel cortile posteriore. Deborah si accasciò sul tavolo della cucina, sentendosi abbandonata e compiangendosi per la sua stessa paura. Perché Steve non le aveva detto nulla di quella faccenda del serial killer? Perché non le aveva parlato di Artie Lieber? Si era confidato con Evan e Joe, ma non con lei, sua moglie. E anche se le avevano ripetuto tante volte che Steve aveva preferito tacere per non turbarla, lei si sentiva ferita ed esclusa. Sospirò, si passò le mani nei capelli per quella che sembrava la centesima volta, provò un desiderio bruciante di mettersi a fumare e controllò gli spaghetti che bollivano sul fornello. Kimberly le aveva parlato dell'incidente a scuola per oltre un'ora, senza sosta, dopo essere tornata a casa. Subito aveva detto che l'individuo che aveva cercato di afferrarla era papà, ma poi si era corretta precisando che l'uomo assomigliava a papà, ma non era lui. Infine era andata di sopra a giocare con le bambole e non aveva più parlato dell'uomo. Deborah si diresse alla finestra del salotto che dava sul cortile posteriore. I bambini ridevano mentre Joe lanciava la palla. Kimberly la prendeva ripetutamente e Brian la mancava, anche quando Joe la lanciava direttamente a lui. Deborah vide la frustrazione farsi largo nel visino del figlio. Forse aveva bisogno degli occhiali. In effetti, erano mesi che lei si interrogava riguardo alla vista del bambino, e presto avrebbe dovuto portarlo da uno specialista per un esame. Non era sicura di come avrebbe reagito il piccolo se fosse stato costretto a mettersi gli occhiali. Dopotutto, aveva solo cinque anni. Lei ne aveva dieci quando aveva cominciato a portarli... un paio di orribili occhiali blu pavone che aveva scelto sua madre... e si era sentita piccola piccola per i dispetti che le avevano fatto a scuola, l'improvvisa nomea di essere una quattrocchi e il rifiuto di un fidanzatino il quale aveva detto che non poteva amare una ragazza che non vedeva bene e che aveva bisogno di mettersi quegli stupidi occhiali. Ma Brian era un bambino pieno di risorse e, probabilmente, non avrebbe risentito molto della cosa. Deborah si allontanò dalla finestra e guardò il muro dove erano allineate le piante che Steve teneva dentro. All'improvviso, rabbrividì. Prese a fissa-
re i due oleandri in vaso vicino alle violette. Perché l'agente Wylie aveva mostrato una tale curiosità per quelle piante? Forse anche lui aveva il pollice verde, ma Deborah non ne era convinta. Il suo sguardo si posò sul filodendro dalle foglie a forma di cuore, l'edera inglese e la grande Stella di Natale. I genitori di Steve gliene mandavano sempre una per le feste. Non venivano mai a trovarli e telefonavano solo di rado, ma ogni anno, una settimana prima di Natale, puntualmente arrivava una stella di Natale spedita da un fiorista con cui loro avevano un conto aperto. Deborah aveva già notato che quella non era una pianta di cui Steve si prendesse amorosamente cura. Per marzo, infatti, la stella di Natale di solito era già morta. Guardare la pianta le fece venire in mente che i genitori di Steve non sapevano ancora niente del figlio. Prima aveva avuto un'ispirazione e aveva chiamato la casa di cura. Pensava che loro avessero lasciato di sicuro l'indirizzo del loro albergo, nel caso fosse successo qualcosa a Emily, e non si era sbagliata. Aveva telefonato all'albergo, ma al numero della stanza non aveva ricevuto nessuna risposta. Alla reception le avevano comunicato che i due erano partiti per un viaggio in barca intorno alle Hawaii e che non sarebbero tornati prima di due o tre giorni. Joe e i bambini entrarono di corsa dalla porta della cucina. «Dov'è la cena?» chiese Brian, togliendosi la giacca. «Arriva tra cinque minuti. E adesso, tutti a lavarsi le mani!» «Vieni, Joe» disse Brian. «Noi ci laviamo le mani al piano di sopra.» Joe fece una smorfia ironica a Deborah, che gli sorrise. Se la cavava davvero a meraviglia con i bambini, molto meglio di lei. Non avrebbe mai immaginato che potesse essere così paziente. Sapeva che non si era mai sposato e che non aveva figli. Forse aveva dei nipoti da qualche parte, però, perché di sicuro ci sapeva fare con i piccoli. Si era appena accodato scrupolosamente dietro Brian e Kim quando Scarlett s'intrufolò in mezzo a loro. Era un miracolo che nessuno dei due bambini l'avesse più interrogata sul padre. "Papà non è ancora tornato?" Le avevano ripetuto quella domanda almeno una ventina di volte, dopo che erano rincasati dall'asilo, a mezzogiorno. E, probabilmente, gliel'avrebbero chiesto altre venti volte prima di andare a letto. Quando ridiscesero, Deborah mise davanti a tutti un piatto fumante di spaghetti e un filone di pane italiano appena tirato fuori dal forno. «Mamma» disse a un certo punto Kim «e se quell'uomo all'asilo era papà? Potrebbe prendermi e portarmi via?»
«Quello non era il tuo papà» disse Joe. «Lui non ti avrebbe mai spaventato così. Quell'uomo era solo qualcuno che gli assomigliava.» «Sei sicuro?» «Sì, sono sicuro. Ma tu non devi mai più avvicinarti a uomini del genere, hai capito?» «Non lo farò più» rispose con fervore Kim. «E non preoccuparti. Il tuo papà sarà a casa presto.» «Speriamo.» Brian posò la forchetta. «Però è da tanto che è via.» «Non direi» intervenne Deborah. «Ci sembra tanto solo perché a noi manca molto, ma vedrete che tornerà.» Il viso di Brian assunse all'improvviso un'espressione cupa e sconsolata, come se il bambino fosse diventato molto più maturo dell'età che aveva. «Non credo. Non credo che papà tornerà da noi.» Pete Griffin passò davanti alla porta aperta della camera da letto del figlio e sbirciò all'interno. Il ragazzo, con i suoi lunghi capelli neri, il viso magro e gli occhi azzurri, sedeva sul letto e stringeva in mano una cornice dorata. Aveva un'espressione malinconica. Pete provò di nuovo quella sensazione di sconforto così familiare in lui. Dopo tre anni, il ragazzo non aveva ancora dimenticato la madre, Hope, che lo guardava dalla foto con due occhi azzurri sorridenti, eguali a quelli del ragazzo, e un sorriso perfetto. «È tanto che non la sentiamo più» disse Pete. Adam sussultò, assunse un'espressione colpevole e poi sorrise al padre in modo disarmante. «Assomiglia un po' a Deborah Robinson, non ti pare?» Pete guardò la foto con aria da esaminatore. «Be', qui aveva solo ventitré anni. Ma era più vivace di Deborah e credo che fosse molto più carina di lei, anche se il colorito è piuttosto simile. Sì, noto una leggera rassomiglianza. Forse è per questo che tu hai sempre trovato così simpatica Deborah.» «Credo di sì. Però non ci ho mai pensato sul serio.» Pete ne dubitava. Si era chiesto spesso se il ragazzo nutrisse una passione segreta per Deborah. Lui non era preoccupato per quella eventualità... Deborah aveva tredici anni più di Adam e di certo non era il genere di donna che incoraggia un ragazzino. Però l'indifferenza così smaccata con cui il figlio aveva liquidato Deborah era commovente. Adam provava imbarazzo per la sua passione segreta.
Adam esaminò con attenzione la foto. «Non sembra il tipo di persona che abbandona la sua famiglia, vero?» «Tua madre aveva un modo diverso di vedere le cose rispetto alla maggioranza della gente» disse tranquillamente Pete, sedendosi sul letto accanto al figlio. «Era molto gentile. Amava i fiori, le poesie, gli animali...» Fece una pausa e sorrise. «E Judy Collins. Hai mai sentito parlare di lei?» «Sicuro. La cantante. Ho trovato qualche suo vecchio album di sotto. L'ho suonato e ho apprezzato in particolare una canzone, Suzanne.» Pete gli lanciò un'occhiata di stupore. «Anche tua madre preferiva quella. Non avrei mai creduto che ti sarebbe piaciuto quel genere di musica.» Adam si strinse nelle spalle e disse: «Cosa posso dire, papà? Che sono un tipo molto versatile?» «In apparenza. Una specie di uomo del Rinascimento. Comunque, Hope era una brava donna, a modo suo. Voleva fare grandi cose. Lasciare un segno, sai. E aveva i suoi pallini: per l'ambiente, le balene, i cuccioli di foca...» «E adesso per i lupi.» Pete e Adam si sorrisero a vicenda. «Credi che potrei andare a trovarla in Montana?» Una nota di allarme passò sul viso di Pete. «Non penso che questa sia la stagione più adatta.» «Non intendevo subito. Quest'estate, diciamo.» Pete frugò la stanza con gli occhi, come in cerca d'ispirazione. Prese a torcersi le mani, come faceva sempre quando era a disagio. Portava ancora la fede. «Papà, cosa c'è?» «Be', a dire la verità, non sono più sicuro che sia in Montana.» Adam lo fissò. «Come sarebbe a dire? Lei mi manda sempre biglietti di auguri per il mio compleanno e per Natale. E anch'io le scrivo, ogni qualche mese.» Pete abbassò lo sguardo. «Lo sapevo che questo momento sarebbe arrivato, prima o poi. Pensavo che sarei riuscita a cavarmela meglio, ma la diplomazia non è mai stata il mio forte. Tutto quello che posso fare è essere schietto. Le tue lettere sono stare rispedite al mittente per anni, con la scritta INDIRIZZO SCONOSCIUTO. Io sono sempre riuscito a intercettarle.» Adam boccheggiò. «Ma i biglietti d'auguri...» «Ho chiesto a un suo amico in Montana di spedirteli negli ultimi due anni. Eri tanto giovane e non volevo che soffrissi.» Gli occhi di Pete sembravano supplicare comprensione e perdono. «Mi spiace molto, figliolo.»
Le mani di Adam si strinsero sulla fotografia incorniciata mentre il ragazzo abbassava lo sguardo sulla madre sorridente. Poi tornò a fissare il padre. «Mi sento da schifo, ma capisco quello che hai fatto, papà. Stavi solo cercando di proteggermi. Ma se la mamma fosse morta?» «A meno che lei non abbia distrutto i suoi documenti, lo avrei scoperto. I suoi genitori me lo avrebbero fatto sapere, così mi sarei incaricato delle spese del funerale. No, non credo che sia morta. Lo sentirei, se fosse morta, posto che tutto ciò abbia un senso.» «Tu l'amavi molto, vero?» «L'adoravo. Non credo che lei abbia mai provato gli stessi sentimenti per me. Penso che all'epoca stesse cercando solo un minimo di stabilità. Aveva avuto un mucchio di guai in famiglia. C'era una sorella che i genitori avevano cacciato di casa perché si era sposata al di fuori della Chiesa cattolica, per esempio. E il padre era un malato cronico.» «Quando ha lasciato il Montana?» «Circa due anni fa. È stata colpa mia, purtroppo. Le avevo scritto dicendole che volevo portarti da lei, per una visita. Le avevo promesso che non avrei esercitato nessuna pressione per costringerla a tornare... volevo solo farle vedere che bel figlio aveva.» Pete sorrise mestamente. «Ma sono riuscito solo a spaventarla e a farla scappare via.» «Non vuole più vederci» disse categoricamente Adam con gli occhi lucidi. «Non capisco. Io la ricordo come una persona molto divertente. Tutti credevano che avessi la madre più adorabile del mondo. Era carina, rideva molto e non brontolava mai... non come le altre madri, che trovano sempre da ridire su qualunque cosa. E sembrava che mi volesse davvero bene.» La sua espressione s'indurì. «Ma credo che non fosse così.» Il viso di Pete si contorse leggermente, poi lui disse con voce spezzata: «Non posso farti credere che non ti amasse, e forse ora sei abbastanza grande da sapere la verità. Se la vuoi, eccola.» Adam annuì. Pete distolse lo sguardo. «È una storia un po' sordida e imbarazzante, ma... ora te la racconto. Lei aveva preso a comportarsi in modo misterioso da un paio di mesi. Poi c'erano state delle telefonate. Quando rispondevo io, la persona all'altro capo della linea riagganciava. Ma questo non succedeva mai quando andava a rispondere lei. Un giorno, tornai a casa a mezzogiorno per prendere delle carte che avevo dimenticato e mi accorsi subito che c'era qualcosa che non andava. Lei era a letto, aveva il viso arrossato e... be', senza bisogno di scendere in particolari, era chiaro che era anda-
ta a letto con un uomo.» Adam strabuzzò gli occhi. «Chi?» «Non lo so. Lei non voleva dirmelo, anche se confessò tutta la storia. Ero devastato, ma dopo un po' di discorsi e di pianti, tua madre e io decidemmo di aggiustare le cose. In fondo, l'uomo che lei sosteneva di amare alla follia non voleva più vederla, dopo aver saputo che io avevo scoperto la tresca. A lui non interessava un fico secco di lei. Perciò, date le circostanze, perché non restare col vecchio Pete?» Una nota di amarezza si insinuò nella sua voce, ma lui riuscì prontamente a controllarla. «Scusami. La verità è che io non ero l'uomo giusto per lei. Ero troppo noioso, troppo privo di immaginazione per i suoi gusti...» Adam non disse nulla. «Poi scoprì di essere incinta» proseguì Pete con voce incolore. «Non poteva aver concepito il bambino con me. Noi non avevamo più... rapporti da settimane. Comunque, lei non credeva nell'aborto e neppure io ci credevo.» «Così l'hai mandata via.» «Santo cielo, no! Non sto dicendo che ho accettato la notizia con piacere. Mi sono messo a urlare e a sbraitare, comportandomi proprio come lo stereotipo del marito oltraggiato. Però non potevo mandarla via di casa nello stato in cui era, incinta, con una famiglia che non avrebbe mai capito la situazione e a cui lei avrebbe dovuto confessare la verità. Sua madre l'avrebbe costretta ad ammettere tutto, poi l'avrebbe cacciata. I tuoi nonni materni, così apparentemente cristiani, non sono esattamente le persone più comprensive di questo mondo... a differenza di mia nonna, per esempio. Inoltre, io amavo ancora Hope e lei era tua madre. Tu avevi bisogno di lei. Le cose parvero andare avanti in modo abbastanza normale per circa un mese, anche se lei era insolitamente tranquilla.» Pete parve turbato. «Be', tranquilla forse non è l'espressione più adatta. Diciamo che se ne stava seduta a fissare il vuoto. Io tentai di convincerla a consultare uno psichiatra, ma lei non volle saperne. Poi, all'improvviso, se ne andò. Un giorno, tornai a casa dal lavoro ed ebbi una brutta sorpresa... lei non c'era più.» «Ricordo quel giorno» osservò dolcemente Adam. «Ti mi dicesti che lei era andata a trovare nonno e nonna a LeBlanc, in Quebec, ma io non ti credetti. Chiamai la nonna, ma lei non capiva di cosa stessi parlando. Mi ero accorto di come fosse diventata strana la situazione da diverse settimane... lei aveva cominciato a dormire nella stanza degli ospiti... e così pensai subito che se ne fosse andata. Girai come un pazzo per la città sulla mia
bicicletta nel tentativo di trovarla.» «Tornasti qui alle dieci, quella notte, e crollasti nel cortile sul davanti. Eri troppo esausto persino per piangere. Dovetti prenderti di peso e portarti dentro. Ti ci vollero due settimane prima che ti decidessi a credere che non ero stato io a mandarla via. Non volevi nemmeno guardarmi.» «Sono stato un vero stupido.» «No, eri soltanto un ragazzino ferito che non capiva quello che stava succedendo. Io tentai di ritrovare la mamma per te, Adam, per tutti e due, ma dovetti rinunciare dopo circa sei mesi. I conti degli investigatori privati erano molto salati. Alla fine, dopo circa un anno dalla sua fuga, ricevetti un biglietto da lei. Era nel Montana. Diceva che il bambino... una bimba, per la verità... era nato morto, e lei credeva che quella fosse la volontà di Dio. Non mi sembrava un linguaggio da lei. Tua madre non era una cattolica piena di dubbi, ma un'atea convinta. Pensai che avesse avuto una specie di esaurimento nervoso, dopo di che non seppi più nulla di lei.» «E non hai mai cercato di vederla da allora?» «No, Adam. Due anni fa, lei scappò via al solo pensiero di vederci. Se il fatto di stare lontana dal figlio e dal marito significa così tanto per lei, direi che è meglio lasciarla in pace.» Pete tirò un profondo sospiro. «Stammi a sentire, figliolo, io ho rinunciato a ogni speranza. So che non è più la donna che ho sposato. È stata via così a lungo, e ha espresso un interesse tanto scarso verso il proprio figlio, che... be', spero che capirai, ma alla fine mi sono deciso a vedere altre donne. Se riuscissi mai a trovarla, le chiederei il divorzio.» Adam si sentì mancare il respiro. Fissò la parete per un attimo, il viso indurito. Non sarebbe mai più sembrato un ragazzo della sua età, pensò Pete. «Sono felice di sapere che intendi divorziare» disse alla fine Adam, in un tono di voce così roco e profondo che Pete non gli aveva mai sentito prima. Adam aprì il cassetto del comodino e mise dentro la foto incorniciata, a faccia in giù. Il sorriso raggiante della madre scomparve. «Forse è ora che tutti e due ci lasciamo alle spalle i vecchi ricordi.» Barbara lanciò gli abiti dentro una vecchia valigia mentre Evan sedeva sul letto, osservandola. «Sei sicura di volerti trasferire da Deborah mentre dura questa situazione?» Barbara lo guardò con stupore. «Certo che sono sicura. Lei è la mia migliore amica. Perché non dovrei?»
«Perché è pericoloso stare in quella casa.» «Intendi dire a causa di Lieber?» Evan annuì. «Si è sbarazzato di Steve, ma non credo che si fermerà lì.» Barbara infilò una sottoveste bianca di nylon nella valigia. «Perché sei così certo che Lieber voglia dare fastidio a Deborah e ai bambini?» «Mi sono informato sui suoi precedenti. Prima dell'aggressione a Emily Robinson, era stato arrestato dopo aver percosso la moglie perché era arrivata tardi dal lavoro. Le aveva rotto il naso e due dita. Quell'uomo ha una storia di violenza alle spalle.» «Una ragione di più per non lasciare soli Deborah e i bambini.» «E cosa conti di fare, se Lieber dovesse farsi vivo? Sparargli? Tu non hai mai usato un'arma in vita tua.» «C'è anche Joe con noi.» «Joe!» sbottò Evan, alzandosi e dirigendosi verso il tavolo da toletta in disordine di Barbara. «Mi fido di Joe tanto quanto mi fiderei di Lieber.» Barbara lo fulminò con lo sguardo. «Mio Dio, Evan, è una cosa terribile da dire!» «Non me ne importa niente. Sai perché Joe ha lasciato il dipartimento di polizia di Houston? Stava dormendo con una prostituta a cui poi hanno tagliato la gola.» «Non stava semplicemente dormendo con lei. Lui era innamorato di quella ragazza.» «Così ha detto. E ha detto anche che non aveva niente a che fare con lo sfortunato e cruento delitto della poverina, anche se lei aveva riferito a più di una persona che aveva paura di Joe.» «Quella si riempiva di cocaina e diceva un mucchio di cose senza senso. Inoltre, lui aveva un alibi. Mai sentito parlare di alibi?» «Era debole, molto debole.» «La polizia di Houston gli ha creduto, però.» «Il dipartimento stava proteggendo uno dei suoi uomini.» «Oh, Evan!» Barbara gli si avvicinò da tergo, passandogli le braccia intorno ai fianchi e posando la testa contro la schiena dell'uomo. «Evan, perché sei così turbato? Cosa pensi che stia per accadere? Credi che Joe voglia uccidere Deborah o me?» «Credo che sia perfettamente possibile, e proprio non capisco perché voi due vogliate passare una notte da sole con lui. Dio, quel tipo mi fa venire la pelle d'oca!» Barbara aggrottò le sopracciglia. «Non credo proprio. E poi, cosa vuoi
che faccia Deborah?» «Che permetta di restare anche a me, che altro? Credi che a Steve farebbe piacere sapere che quell'uomo dorme in casa sua, vicino ai suoi bambini?» «Joe e Steve erano amici. E tu devi lavorare.» «Anche tu.» «Ma Joe aveva ancora delle ferie di cui non ha goduto l'anno scorso. Perciò lui può restare lì tutto il giorno, mentre per noi questo sarebbe impossibile.» «E questa è un'altra cosa che mi preoccupa. Barb, hai mai saputo che Joe Pierce se la sia presa tanto a cuore per qualcuno?» «Cosa intendi dire?» «Intendo dire che quell'uomo è un solitario. Non gli piace farsi coinvolgere in niente. E ora si è messo a fare il cavalier servente di Deborah. Perché?» Barbara alzò le spalle. «Perché? Perché vuol bene a Steve. Perché vuole proteggere Deborah e i bambini.» «Perché vuole proteggere Deborah, o perché vuole proteggere se stesso?» Barbara inarcò le sopracciglia. «Proteggere se stesso? Cosa vuoi dire?» Evan tirò un profondo sospiro. «Barbara, noi sappiamo che c'è un serial killer in libertà, non è vero?» «Sì.» «E sappiamo anche che questo serial killer non è Steve.» «Certo che non lo è. E smettila di parlarmi come se fossi una dodicenne.» «Comunque» proseguì Evan, ignorando la protesta di Barbara «qualcuno ha fatto un ottimo lavoro cercando di incastrare Steve. Ora, chi avrebbe potuto incastrare Steve meglio di una persona che lavora con lui e ne conosce gli orari?» Barbara lo fissò, incredula. «Vuoi dire che lo Strangolatore dei vicoli bui è Joe? Ma questa è una follia! E poi, anche tu sei un amico di Steve. Anche tu lavori nell'ufficio del procuratore distrettuale.» «E conosco Steve da molto più tempo rispetto a Joe. Cosa ne sappiamo di lui, in fondo, tranne il fatto che ha lasciato il dipartimento di polizia di Houston perché conosceva una donna che è stata assassinata? Tieni presente che lui ha lavorato fianco a fianco con Steve già a partire da due mesi prima dell'inizio di questi omicidi. Inoltre, si preoccupa in modo persino
eccessivo di Deborah e dei bambini e conosce un mucchio di cose sullo strangolatore.» La fissò intensamente negli occhi. «Tu sei una donna logica. Pensaci, Barb. Pensaci bene e poi dimmi se credi ancora che i miei sospetti siano solo una follia.» 9 Joe si offrì di aiutare a rigovernare dopo cena, ma Deborah rifiutò. «Preferisco che porti i bambini in salotto e guardi la TV con loro. Tutto fuorché il notiziario serale, però. A questo punto credo che sia improbabile, ma potrebbe sempre esserci qualcosa su Steve.» «Guardano il notiziario?» chiese Joe, incredulo. «Cambiano sempre canale.» Joe annuì. «Non preoccuparti. Terrò saldamente in mano il telecomando.» Quindici minuti dopo, mentre lei stava asciugando l'ultima pentola usata per la loro semplice cena, Joe apparve in cucina. «Pete Griffin e suo figlio sono in salotto.» Deborah abbassò lo sguardo sulla maglietta informe e pensò ai capelli tirati alla belle meglio dietro le orecchie. Non era mai stata così trascurata in vita sua come negli ultimi giorni. All'improvviso, si sentì del tutto priva di controllo dal punto di vista emotivo così come lo era dal punto di vista fisico. «Preparo il caffè» disse. «Pete preferisce il tè alle erbe con il dolcificante, ma sono sprovvista di entrambi. E non ho nemmeno una Coca per Adam. O gli piace la Pepsi?» Si rese conto che stava balbettando e si interruppe di scatto, rossa in viso. «Non preoccuparti» disse in fretta Joe, capendo l'imbarazzo di Deborah. «I bambini gli stanno facendo vedere il trenino sotto l'albero e io sono tranquillamente in grado di preparare un po' di caffè e qualche drink analcolico. Vai pure dai tuoi ospiti.» Alla fine, Deborah entrò in salotto e vide che Kim stava parlando con Adam. Brian guardò la madre e spalancò gli occhi. «È un albero veramente grande» osservò Adam. «Ma ho portato qualcosa che lo farà sembrare ancora più bello.» Estrasse dalla tasca della giacca una stupenda sfera in vetro soffiato con dentro un angelo dalle ali dorate. «Oh, ma è fantastico!» esclamò Kim. Adam appese l'ornamento al centro dell'albero. Mentre Kim continuava a profondersi in una valanga di complimenti, Deborah fissò l'oggetto. Lo
riconobbe subito. Lanciò un'occhiata a Pete, il cui sguardo mostrava una fissità quasi ipnotica mentre l'angelo delicato rifletteva le luci dell'albero. Quel globo, squisito e di sicuro costoso, era appartenuto a Hope Griffin. Deborah ebbe l'impressione che il mondo intero si fosse messo a ruotarle intorno alla testa. Era successo qualcosa di spiacevole tra Pete e Adam, con riferimento a Hope? Buon Dio, che avessero avuto notizie di lei dopo tutto quel tempo? Che fosse morta? Joe sbucò fuori dalla cucina, portando in modo un po' maldestro un vassoio su cui c'erano un bricco di caffè, una lattina di Coca e varie tazze in equilibrio piuttosto precario. Deborah corse verso di lui, gli prese il vassoio e lo posò in fretta sul tavolino. «Forse mancano alcune cose» disse «ma spero che ci sia abbastanza da bere. Ho anche della roba più forte, se qualcuno la gradisce.» Con la massima serietà, Adam annunciò: «Io prendo un whisky. Doppio e senza ghiaccio.» «Vattene a casa e poi fila a letto» disse Pete. «Sei una vera disgrazia.» Padre e figlio si sorrisero a vicenda e Deborah sentì allentarsi i muscoli dello stomaco. Ancora non sapeva perché Adam avesse portato con sé il più prezioso ornamento natalizio di Hope, probabilmente costruito in Francia un centinaio di anni prima, ma, almeno in apparenza, tra Adam e Pete andava tutto bene. Mentre Deborah serviva tè e caffè, arrivarono Barbara ed Evan. Barbara guardò solennemente l'amica. «Ci sono state... delle telefonate?» In pratica, stava chiedendo se avessero ricevuto delle chiamate da Steve o dagli eventuali sequestratori, ma, in presenza dei bambini, cercava di non essere troppo esplicita. Deborah scosse la testa. Da quando era stata rintracciata l'auto di Steve, aspettava solo di ricevere la notizia, ora dopo ora, che il corpo del marito era stato finalmente ritrovato. Rendendosi conto che l'argomento di Steve sarebbe stato toccato nuovamente, in una forma o nell'altra, durante la serata, Deborah guardò con ostentazione l'orologio. «Bambini, perché non accendiamo il videoregistratore nella mia camera da letto? Così potreste vedere la cassetta di Aladdin che papà vi ha comprato. C'è giusto il tempo di vederla prima di andare a letto.» «Ma dobbiamo lasciarvi soli?» chiese Kim. «Be', non potete guardarla qui. Non potreste sentire niente mentre noi parliamo.» Brian parve combattuto per un attimo, ma Deborah sapeva quanto il fi-
glio ci tenesse a vedere quel film, che era una specie di dono prenatalizio. «Possiamo portare la Coca in camera?» chiese. «Potrei farvi anche una bella cioccolata calda, se state attenti a non rovesciarla.» I bambini si guardarono a vicenda con quel modo di comunicare privo di parole ma intenso che meravigliava sempre Deborah. «Va bene» disse Brian. «Io vado a sistemare il videoregistratore» disse Adam, cominciando già a trasferirlo dal mobiletto del televisore. «E mentre lo fai, io vado a preparare la cioccolata calda» disse Deborah. Quindici minuti dopo, i bambini erano accovacciati sul pavimento della camera da letto di Deborah mentre il film stava per cominciare. Lei chiuse la porta della stanza e scese al piano di sotto. «Ero terribilmente preoccupato per te e i bambini» disse Pete «specie dopo quello che è successo oggi all'asilo.» Deborah gli lanciò un'occhiata perplessa. «E tu come hai fatto a saperlo?» «Ti sei dimenticata che il grande Howard Morton, il direttore, è il mio vicino di casa? Mi ha fatto un rapporto esaustivo, anche se magari un po' distorto. Secondo Morton, il salvatore della patria sarebbe stato lui.» Deborah scosse la testa. «È stata la maestra, la signorina Hart, a impedire che la situazione precipitasse.» «Me lo immaginavo. Ma chi diavolo poteva essere quell'uomo? Di sicuro, non era Steve.» «Kimberly non è certa. L'uomo aveva il cappuccio e gli occhiali scuri.» «Be', ma per quale motivo Steve avrebbe cercato di rapire la figlia dall'asilo?» «A me non ne viene in mente nessuno.» «Perciò non era Steve» disse bruscamente Pete. «Steve non avrebbe mai fatto qualcosa di tanto irrazionale e spaventoso nei confronti di una bambina.» «Certo che no» interloquì Barbara. Deborah fece un sorriso stanco e si sedette sul divano. «Nemmeno io ce lo vedo fare una cosa simile, e ciò a prescindere dalle circostanze. Ma non bastava la sparizione di Steve, no. Ci mancava solo questa faccenda dell'FBI! Grazie al cielo, però, la storia del serial killer non è ancora apparsa sui telegiornali.» «L'FBI è molto abile nel tenere le cose segrete» disse Evan. «Quelli non
permetterebbero assolutamente che un'informazione del genere diventi di dominio pubblico.» «Cos'è questa faccenda dell'FBI?» chiese Pete. Gli occhi di Deborah lampeggiarono verso Evan. Aveva dimenticato che Pete e Adam non sapevano nulla dei sospetti dell'FBI su Steve. Pensando che mentire a Pete fosse ridicolo, Deborah gli raccontò l'intera storia nel modo più succinto e prosaico che le fu possibile. La reazione iniziale di Pete fu la stessa che aveva avuto Deborah. Si mise a ridere. Poi, quando si accorse che Deborah non aveva caricato il racconto, parve incredulo. «Non posso crederci» disse. «Com'è possibile che qualcuno si beva una storia tanto assurda?» «Steve Robinson, avvocato della procura di giorno e Strangolatore dei vicoli bui di notte» disse Adam. Pete gli lanciò un'occhiata severa. «Adam!» «Ha ragione» disse Deborah. «È una follia.» «Allora perché l'FBI insiste a seguire questa pista?» domandò Pete. «Ci sono degli indizi» interloquì Evan. «Se non conoscessi Steve, sarei convinto anch'io della sua colpevolezza. Prendi in esame i fatti: le date delle aggressioni coincidono con le visite di Steve a Emily; i delitti si sono verificati nei pressi di Wheeling; poi c'è il testimone che ha visto il colore dell'auto e, almeno parzialmente, il numero di targa dell'uomo che usciva dal vicolo dopo l'aggressione alla Yates; guarda caso, il numero di targa era compatibile con quello della macchina di Steve. Chiunque troverebbe difficile pensare solo a una serie di coincidenze.» «Allora tu credi che Steve sia colpevole?» chiese Pete. «No. Però si trova nei guai fino al collo.» «Posto che sia vivo» disse Deborah. «Non posso credere che sia svanito in questo modo, e ciò a prescindere dai suoi guai. Non foss'altro, lui adorava i bambini. Non li avrebbe mai abbandonati così, senza alcuna spiegazione.» «Forse voleva risparmiargli la pena di vedere il loro padre accusato di omicidio» mormorò Adam. «Adam!» sbottò di nuovo Pete. Deborah tirò un profondo sospiro. «Lui non ha detto che Steve è un assassino, ma solo che sarebbe stato accusato di omicidio. Ed è vero. Steve non avrebbe voluto un'umiliazione del genere. Inoltre, lui era sempre molto forte quando si trattava di fronteggiare situazioni spiacevoli. Un mucchio di gente nella sua posizione avrebbe evitato di far visita a Emily più
di una o due volte all'anno, ma lui andava a trovarla ogni due mesi.» «Però è paradossale che proprio quelle visite abbiano contribuito a far sì che l'FBI sospettasse di lui» disse Joe. «Diavolo, loro credono che possa aver tentato di uccidere persino Emily!» «Cosa?» chiese Pete, senza fiato. Deborah annuì. «Mi ero dimenticata di accennare anche a questo particolare, prima.» Pete parve a disagio. «Be', ci sono state delle chiacchiere all'epoca dell'aggressione subita da Emily, specie perché Lieber continuava a insistere che era stato Steve a farle del male.» «Non lo sapevo» disse Deborah, stupita. Pete le lanciò un'occhiata molto seria. «Mio Dio, Deborah, questo è successo molti anni fa e nessuno ci ha mai creduto!» «Non so» disse Evan. «Vedi, tutte le vittime più recenti sono state violentate, picchiate e strangolate, proprio come Emily. L'FBI ha solo stabilito un collegamento.» «A differenza di Emily, però, le vittime dello strangolatore erano tutte sposate» disse Joe. Una strana espressione passò sul viso di Pete. «Che c'è?» chiese nervosamente Deborah. «È che... be', vedi, Emily era sposata.» Deborah lo fissò sgomenta. «Cosa?» «Steve non te lo ha mai detto?» Deborah scosse la testa, incapace di parlare. «Oh, Dio, non intendevo certo rivelare dei segreti» balbettò Pete. «Emily aveva solo sedici anni, perciò il matrimonio non era legale. Credo che lei avesse mentito sulla sua vera età. Apparentemente, contava di tenere la cosa segreta, ma quel fine settimana, il fine settimana dell'aggressione, Steve la sentì ridere al telefono mentre Emily ne parlava con quel tizio... il marito. Ecco perché Steve la lasciò sola, quel giorno. Preso da una furia cieca, uscì per fare i conti con l'uomo che aveva sposato la sorella.» «Mi pareva incredibile che l'uomo più responsabile che abbia mai conosciuto in vita mia avesse deciso di lasciare sola la sorella per un peccato di leggerezza quando sapeva che lei correva un potenziale pericolo da parte di un individuo come Lieber» disse Barbara. Pete annuì. «Mi disse che era così sconvolto che non era riuscito a pensare con chiarezza per un paio d'ore.» «Però lui ha sempre sostenuto di essere stato dalla sua ragazza» disse Deborah. «Perché non ha detto subito la verità?»
«Perché i Robinson volevano che il matrimonio fosse tenuto segreto. A parte il fatto che era illegale e che Emily era molto giovane, l'uomo coinvolto risultava una specie di mascalzone.» Incrociando lo sguardo di Deborah, Pete aggiunse in fretta: «Questa è una cosa che Steve non mi ha mai svelato: l'identità del marito di Emily. So solo che era più vecchio di lei.» «Dovrebbe essere una faccenda di dominio pubblico» disse Evan. «Se si sapesse dove è stato celebrato il matrimonio. Ma io non ho mai saputo neppure quello.» «Però la ragazza di Steve non ha corroborato il suo alibi? Non ha detto che lui era con lei al momento dell'aggressione subita da Emily?» chiese Barbara. «Sì, l'ha detto» rispose con riluttanza Pete. «Secondo Steve, lui sarebbe passato dalla ragazza per sentire se sapeva qualcosa sulla t'accenda del matrimonio. Ma lui non andò direttamente a casa. Prima passò da un altro posto dove poteva trovarsi il marito, ma il tizio non c'era e nessuno vide Steve arrivare lì. Lieber accusò Steve dell'aggressione, ma Steve non aveva un alibi ed era l'unico testimone contro Lieber. La situazione poteva venire rovesciata tranquillamente, facendo diventare Steve un violentatore, così la ragazza mentì per lui.» «Mentì per lui» mormorò Deborah. «Steve, il mio Steve, ha incoraggiato un'adolescente a mentire per lui?» «Non l'ha incoraggiata. Lei si è limitata a farlo e lui ha lasciato correre. Dopotutto, Deborah, devi ricordare che Steve aveva solo diciotto anni all'epoca; non era l'uomo che hai sposato tu. Aveva paura ed era innocente. Inoltre, i suoi genitori dissero che siccome non era riuscito a proteggere la sorella dall'aggressione, il minimo che poteva fare era salvaguardarne la reputazione. Lui era così sconvolto dalla paura e dal rimorso che, molto probabilmente, non sapeva nemmeno quello che stava facendo. Non devi prendertela con Steve perché ha permesso a qualcuno di aiutarlo a tirarsi fuori da una brutta situazione che non aveva causato lui.» Ma quello non alterava i fatti, pensò tristemente Deborah. E i fatti erano che Steve aveva permesso a qualcuno di mentire per lui. Cosa ancora peggiore, lui non aveva nessun alibi per il lasso di tempo in cui Emily era stata quasi uccisa. 10 Quando la cassetta terminò, Deborah mise i bambini a letto, anche se lo-
ro protestarono sonoramente dicendo che non avevano affatto sonno. «Vi verrà sonno non appena vi coricherete» disse. «Non voglio» insistette Brian. Deborah sospirò. «Non intendo mettermi a discutere con voi due. Adesso è ora di andare a letto e basta.» «Va bene» disse Kim «però lascia la porta aperta. Non vado a letto, se la porta è chiusa.» Sapendo che la bambina era ancora spaventata dopo l'incontro con l'uomo all'asilo, Deborah disse che era d'accordo, anche se pensava che le voci dabbasso li avrebbero tenuti svegli. Poi diede a entrambi il bacio della buona notte. Tornata di sotto, Deborah tentò di tenere fluida la conversazione, ma non ci riuscì. Non faceva che pensare al cumulo di menzogne e di omissioni che circondavano il caso di Emily Robinson, menzogne e omissioni sanzionate proprio da suo marito. La sensazione che non conoscesse affatto Steve tornò di nuovo a impossessarsi di lei. Pete, ovviamente consapevole del turbamento della donna e sentendosi a disagio per averlo provocato, si scusò un po' goffamente e se ne andò con Adam poco dopo. Deborah si sedette con Joe, Barbara ed Evan, cercando di analizzare le nuove informazioni che le aveva fornito Pete. «Perché Steve non me l'ha mai detto?» chiese ad alta voce. «Perché non mi ha detto il motivo per cui aveva lasciato sola Emily, quel giorno?» «Perché avrebbe dovuto dirti anche che la sua ragazza aveva mentito alla polizia per lui» rispose categoricamente Barbara. «E non voleva che tu lo sapessi, è ovvio.» «Ma come ha detto Pete, aveva paura» aggiunse Evan. «Era giovane, d'accordo, ma non era certo uno stupido.» «Chi poteva credere che Steve avesse aggredito la sorella?» chiese Deborah. «Quale ragione c'era per cui si potesse credere a una cosa tanto mostruosa?» «Forse c'era una ragione, forse no» disse tranquillamente Joe. «Forse Steve stava solo facendo quello che ha detto Pete: cercava di tenere nascosta la notizia del matrimonio di Emily.» Deborah scosse lentamente la testa. «Emily era sposata con qualcuno. Ma chi poteva essere quest'uomo? E dove sarà finito adesso? Mi chiedo se vada mai a trovare Emily.» «Dubito che i Robinson lo permetterebbero» disse Barbara. «Non appurerai mai la sua identità scoprendo chi fa visita a Emily in casa di cura.»
«Comunque, mi chiedo ancora chi possa essere. Come si sarà sentito, quando Emily è stata aggredita e lui non ha potuto farsi avanti?» Evan alzò un sopracciglio. «E chi ti dice che non si sia fatto avanti? Forse i Robinson l'hanno fermato.» «No, non avrebbero potuto» disse pensosamente Deborah. «Magari lui voleva solo restare al di fuori di tutto l'imbroglio. Una cosa non molto romantica, temo.» Verso le nove, Evan dichiarò che aveva una tonnellata di lavoro da sbrigare e se ne andò a casa. Barbara lo accompagnò alla porta e gli diede un bacio. Prima di uscire, lui disse: «Se avete qualche problema, chiamatemi. Posso arrivare qui in dieci minuti.» «Lo faremo» promise Deborah. «Ma con Barbara e Joe qui, sono sicura che andrà tutto bene.» Mezz'ora dopo, Deborah inclinò il capo, in ascolto. Kim aveva cominciato a tossire, quella tosse secca e insistente che lei sviluppava sempre d'inverno. Alcuni consulti medici l'avevano convinta che, in quella fase, tutto ciò di cui la bambina aveva bisogno era uno sciroppo per la tosse. Deborah andò all'armadietto dei medicinali e scoprì che restava solo una dose di sciroppo. Quella sarebbe bastata per poche ore, ma a volte la bambina aveva violenti attacchi di tosse nel cuore della notte che richiedevano una seconda dose. «Grande» borbottò. «Proprio una serata fantastica.» Scese di sotto e parlò con Joe e Barbara del problema. «Vado a prenderle dell'altro sciroppo» disse Barbara, alzandosi dal divano. «La farmacia è aperta fino alle dieci.» «No» replicò Joe. «Non è l'ora adatta perché una donna si metta a vagare nel buio.» Barbara assunse un'espressione sarcastica. «Joe, che tu ci creda o no, le donne non vagano. Sono capaci di raggiungere una destinazione e di tornare a casa senza perdersi.» «Oh, Cristo, Barbara, vuoi piantarla di fare le pulci a ogni parola che dico?» sbottò Joe, irritato. «Sai bene quello a cui pensavo. Date le circostanze, non credo sia saggio per te o per Deborah uscire. Inoltre, fa freddo. Dimmi che sciroppo ti serve, Deborah, e me ne occupo io.» Dopo che Joe uscì, Deborah andò al piano di sopra per dare un'occhiata a Kim. «Posso scendere?» chiese la bambina. «No, voglio che resti a letto.» «Non ho sonno» replicò Kim. «Allora stattene giù buona e riposa.»
Kim tossì di nuovo e rivolse alla madre lo sguardo ostinato e scontroso che aveva spesso quando non si sentiva bene, come se pensasse che la colpevole del suo stato di salute fosse Deborah. Quest'ultima si diresse alla porta. «Non chiudere!» ordinò Kim. «Va bene. Ma ora stai giù buona.» «Era tutto a posto lassù?» chiese Barbara quando Deborah tornò in salotto. «Kim è di pessimo umore. Spero proprio che Joe arrivi presto con lo sciroppo.» «Mi sembra che ormai dovrebbe essere di ritorno.» «Forse la farmacia era piena.» «A quest'ora?» «Be', è quasi Natale e il negozio è un drugstore» disse Deborah. «La gente si ferma anche la sera a comprare decorazioni e regali.» Un gemito di terrore echeggiò lungo le scale. Deborah e Barbara si irrigidirono, spalancando gli occhi per la paura e lo stupore. Poi Deborah attraversò di corsa il salotto e si diresse alle scale accorgendosi a malapena di muoversi, come se fosse in trance. Raggiunse la camera dei bambini e rimase in piedi per un attimo sulla soglia, guardando Kimberly. La piccola giaceva a faccia in giù sul pavimento e piagnucolava. Brian si era seduto sul letto superiore e fissava la sorella con uno sguardo di orrore. Deborah corse in avanti e sollevò da terra il corpo tremante della figlia. «Kimmy, che ce?» La bambina balbettò qualcosa tra le lacrime. La luce della stanza si accese e Deborah si rese conto che Barbara era alle sue spalle. «Tesoro, non riesco a capirti» disse Deborah. «Ora sei al sicuro. Barbara e io siamo qui. Va tutto bene, Kim. Ora di' alla mamma cos'è successo.» Kim si ritrasse dalla madre e la guardò come se non la conoscesse. «Kim, sono la mamma» disse fermamente Deborah. «Guardami. Sono la mamma e tu sei al sicuro.» Gradualmente, la rigidità Kimberly si sciolse, e lo sguardo della piccola divenne più familiare. «Sei la mamma?» «Sì, Kim, certo che sono la mamma. Non devi aver paura.» All'improvviso, Kimberly cinse con le piccole braccia il collo della madre e seppellì il viso nel petto di Deborah. Deborah la tenne stretta, cullandola avanti e indietro. La piccola alzò lo sguardo verso Brian, che sedeva ancora sul letto, afferrato saldamente alla sua coperta. «Cos'è successo?»
«Non lo so» disse Brian, sulla difensiva. «Io stavo per addormentarmi. Non le ho fatto niente.» «Lo so che non sei stato tu, Brian.» Deborah si sciolse dall'abbraccio di Kimberly e tenne il viso della piccola a qualche centimetro di distanza dal suo. «Kim, voglio che tu mi dica cos'è stato a spaventarti.» Kim tirò su col naso, poi disse con una vocina tremante: «Mi sono alzata per guardare dalla finestra e ho visto...» «Cos'hai visto?» «Una cosa» sussurrò Kim. «Una cosa con gli occhi grandi, che brillavano. Occhi d'argento. E quella cosa stava guardando proprio me. Mi stava guardando e voleva prendermi, mamma!» 11 La signora Dillman continuò a rigirarsi la saponetta tra le mani per produrre un po' di schiuma, poi cominciò a strofinarsi il viso. Dopo essersi risciacquata con l'acqua fredda, si asciugò il viso con un asciugamano sbiadito. Aveva letto su una rivista femminile che era meglio non usare la saponetta per lavarsi il volto, perché asciugava troppo la pelle. Sciocchezze. Lei l'aveva usata per novant'anni e la cosa non le aveva provocato il minimo fastidio. Si diresse in camera da letto e iniziò ad armeggiare con i bottoni della maglietta. L'appese a un gancio dietro la porta e si sfilò l'abito di cotone che era troppo sottile per una giornata così fredda. Infine fu la volta di una sottoveste, anch'essa di cotone, il cui bordo, fatto di pizzo, era piuttosto logoro. Con addosso solo il reggiseno e le mutandine, si inginocchiò accanto al letto e giunse le mani. «Ora mi corico per dormire» disse, poi aggrottò le sopracciglia. «Oh, che stupida, questa è una preghiera per bambini! Quello che volevo dire, mio Dio, è che Ti ringrazio per avermi concesso un altro giorno. Benedici i miei figli, anche se non vengono mai a trovarmi. Benedici anche Alfred e digli che lo amo.» Fece una pausa. «Però non può tornare a casa. Accertati che lo sappia. Non gli permetterò di strisciare da me, e sono sicura che anche Tu mi capirai per questo.» Restò in silenzio, aggrottando più ferocemente le sopracciglia. «Ah, sì, ora ricordo! Benedici quella povera donna qui accanto e i suoi bambini. So che il marito li ha lasciati. Non l'ho visto per tutto il giorno, però ho visto la polizia. Proprio una vergogna. Non si meritavano questo. Ah, gli uomini! Non so perché
Tu non possa indurli a comportarsi un po' meglio.» Scosse il capo, addolorata. «Oh, be', grazie e buona notte.» Gemette mentre si alzava. Poi abbassò lo sguardo sulle mutandine. «Santo cielo, stavo pregando quasi nuda! Dove ho messo la camicia da notte?» Alzò lo sguardo al soffitto. «Buon Dio, un poscritto. Ti prego di far migliorare la mia memoria. Questa continua sbadataggine è umiliante.» Si diresse verso il comò e, mentre passava accanto alla finestra, colse una specie di lampo. Voltò la testa verso destra e lo vide. Era illuminato dalla luce e la fissava. L'uomo della casa accanto, l'uomo che risultava scomparso, stava guardandola muoversi in camera da letto praticamente senza vestiti addosso. E mentre lei se ne restava lì pietrificata, le guance mortalmente pallide, l'uomo girò all'indietro la testa e rise. «Un sogno» disse Barbara mentre sedevano sul divano. Kim aveva posato la testa sulle ginocchia di Deborah. «No» disse Kim. «Non dormivo nemmeno.» «E lei non è una bambina che soffra d'incubi» osservò Deborah. «Ma dopo oggi...» Barbara lasciò la frase in sospeso, riferendosi ovviamente all'incidente che era capitato a scuola. «Non dormivo» insistette Kim. «Forse si trattava di un animale che ha riflesso la luce con gli occhi» disse Barbara. «No» disse testardamente Kim. «Non era un animale. Era una cosa.» Deborah scosse la testa e guardò Barbara, come a farle capire che quelle domande dovevano cessare. Non credeva che Kim avesse sognato. Era possibile che un gatto fosse salito su un albero e che i suoi occhi avessero brillato sinistramente nella luce, ma lei non era sicura nemmeno di quello, nonostante Kim avesse insistito sul fatto che gli occhi erano "in alto, per aria". La bambina cominciò a tossire di nuovo. «Dove diavolo è finito Joe con la medicina?» chiese Barbara. «Non lo so» rispose stancamente Deborah. «Mi chiedo se non sia meglio chiamare il Pronto soccorso.» «Non voglio andare fuori» disse Kim. Deborah sospirò. Un viaggio fino al Pronto soccorso sarebbe stato sciocco, con tutta probabilità. La tosse era una malattia piuttosto comune, e trascinare fuori Kim, al freddo, poteva solo far peggiorare la situazione. «Buon Dio, ecco la signora Dillman!» disse all'improvviso Barbara,
guardando dalla finestra. Un attimo dopo, dei colpi furiosi presero a risuonare alla porta d'ingresso. Barbara si alzò. «Vado io.» Qualche secondo dopo, l'anziana donna si trovò in salotto. «Signora Dillman, venga a sedersi» disse Deborah. «È successo qualcosa?» «Non voglio sedermi» annunciò la signora Dillman con gli occhi che sprizzavano scintille. «Sono qui riguardo a suo marito.» «Sì? Cosa può dirmi di Steve?» chiese Deborah, perplessa. «Suo marito mi stava spiando mentre mi preparavo ad andare a letto. Ero in reggiseno e mutandine! Oh, mio Dio, in tutta la mia vita non mi era mai successo una...» Si batté sul seno, respirando affannosamente. «Signora Dillman, ora si sieda e mi permetta di prepararle qualcosa di caldo» disse Deborah, notando che la donna aveva la pelle d'oca. «Mio marito non c'è.» «Lo so che non c'è! È fuori a spiare.» Kim si drizzò a sedere. «Papà è qui?» «Zitta, tesoro» disse Deborah, desiderando che la figlia non fosse nella stanza, ma tentando ancora di tirare fuori un qualche senso dalle parole della donna. «Signora Dillman, non capisco. Quando sarebbe successo tutto questo?» «Gliel'ho detto. Stavo preparandomi per andare a letto e ho recitato le preghiere. Sarà successo non più di dieci minuti fa.» «Credevo che avesse la camera da letto al primo piano» disse Deborah. «Infatti. Quel demonio! Neanche i suoi occhi scintillanti sono riusciti a ingannarmi.» «Occhi scintillanti?» ripeté Deborah. «Sembravano proprio così, all'inizio. Per poco non mi è venuto un colpo dalla paura.» «Signora Dillman, lo so che una persona l'ha spiata, ma perché è convinta che questo tizio debba essere proprio Steve? Era buio, no?» «Lui aveva una luce dietro, naturalmente» disse con stizza la signora Dillman, come se Deborah fosse particolarmente ottusa a capire. «Lei sa della luce, no?» «Quale luce?» «Oh, per l'amor del cielo, lei vuole proteggerlo, vero? Be', io non intendo tollerarlo, glielo dica! Ho un fucile e sono intenzionata a usarlo.» Deborah tirò un profondo sospiro. «Signora Dillman, mio marito è scomparso da domenica...» «Ecco perché va in giro a spiare le povere donne come me! Quell'uomo
è un pervertito! Credo che dovrebbe chiedere subito il divorzio. Parlerò con un giudice e lei non dovrebbe avere nessun problema a riottenere la sua libertà.» Deborah alzò rapidamente lo sguardo. Ci mancavano solo gli attacchi isterici della signora Dillman, dopo quanto era già successo quella sera! «Forse ha visto un riflesso alla finestra» disse stancamente. «Le assicuro che mio marito non la stava guardando.» «Lei è proprio com'ero io riguardo al mio Alfred» disse mestamente la signora Dillman. «Ero sempre disposta a credere il meglio quando si parlava di lui. Ma poi è scappato in Europa con quella cantante lirica e allora ho dovuto affrontare la verità.» Povero Alfred Dillman, pensò Deborah. Prima era stato accusato di essere fuggito a Las Vegas, e adesso si trovava in Europa con una cantante. In realtà, sospettò Deborah, la cosa più eccitante che avesse mai fatto il vecchio e gentile pastore era stata quella di concedersi una occasionale partita a golf. «Signora Dillman, può dirmi qualcos'altro su quest'uomo?» domandò Deborah. «Era in piedi sul suo prato?» «Non era sul mio prato» rispose la signora Dillman, esasperata. «Non avrebbe potuto spiarmi in camera da letto, se fosse stato sul prato.» «Ma allora dov'era?» «Oh, lei è proprio impossibile!» sbottò l'anziana donna, poi si volse e fece per tornarsene a casa. «Signora Dillman, aspetti un attimo!» chiamò Deborah. «L'accompagno io.» «So trovare la strada da sola, grazie!» E mentre la donna se ne andava, Deborah guardò Barbara, che era tornata in salotto. «Sembra che Steve abbia imparato a librarsi in aria come un vampiro» disse ironicamente Deborah, anche se le mani le tremavano leggermente. «Lei ha visto quella cosa!» esclamò Kim, il corpicino tremante. «Te l'ho detto anch'io che non stava per terra!» Deborah si morse il labbro inferiore, sentendosi formicolare la nuca. Quante probabilità esistevano che una bambina di cinque anni e una vecchia di novantadue, le quali abitavano in case diverse, avessero visto entrambe qualcosa che volteggiava per aria? Qualcosa con degli occhi scintillanti ben sopra il livello del terreno? Venti minuti dopo, arrivò Joe. «Mi si è bucata una maledetta gomma»
borbottò prima che Deborah e Barbara potessero rivolgergli la minima domanda. «E in farmacia avevano finito lo sciroppo per la tosse che volevi, così sono dovuto andare in centro.» «Mi spiace averti creato tanti problemi» disse Deborah. Joe sembrava infuriato. «Però sarebbe stato meglio se avessi chiamato per farci sapere della gomma. Eravamo preoccupate.» «Scusa. Non mi è neanche venuto in mente. È che ho vissuto da solo troppo a lungo, credo.» Porse a Deborah il flacone di sciroppo. «Se mi dici che non va bene, mi farò venire le convulsioni.» «Risparmia il fiato, va bene. E sei arrivato giusto in tempo» disse Deborah mentre Kim riprendeva a tossire. «Ora le do una seconda dose.» Non appena portò Kim in cucina, sentì Barbara chiedere con studiata indifferenza: «Hai sostituito il pneumatico da solo, Joe?» «Sì. Non si è fermato nessuno per darmi una mano. Perché me lo chiedi?» «Oh, niente. È soltanto che mi sembri molto pulito. Credevo che cambiare i pneumatici fosse un vero lavoraccio.» "Cosa le è preso?" pensò Deborah. E dal tono seccato della risposta di Joe, capì che anche lui si era posto la stessa domanda. 12 La mattina dopo, Deborah fu svegliata dal rumore di Scarlett che abbaiava freneticamente nel cortile posteriore. Aprì gli occhi, che le dolevano per la mancanza di sonno, e sbirciò in direzione dell'orologio sul comodino: le sei e dieci. Di solito, Scarlett non usciva finché i bambini non si svegliavano, intorno alle sette. C'era qualcosa di strano. Deborah scese dal letto, tirandosi dietro una vestaglia mentre usciva dalla camera. Joe non era sul divano quando lei entrò in salotto. Corse in cucina e vide che la porta di servizio era aperta. Una tenue luce stava cominciando a fugare l'oscurità della notte. Uscì sul portico e vide Scarlett nel cortile della signora Dillman. Il cane correva avanti e indietro vicino a quella che nelle tenebre sembrava una pila di stracci. Poi vide Joe scavalcare lo steccato e chinarsi accanto agli stracci. Dopo averli toccato gentilmente, alzò lo sguardo verso Deborah. «È la signora Dillman!» gridò. «Chiama un'ambulanza!» «È morta?» chiese Deborah. «No, ma c'è molto vicina. Presto.»
Deborah fece la telefonata, sorprendendosi lei stessa di sembrare tanto calma, prese una coperta dal divano dove si era coricato Joe e uscì nel cortile posteriore, dove l'investigatore era ancora inginocchiato accanto alla donna. «Cosa diavolo è successo?» «Sei scalza» disse Joe, spiegando la coperta sulla signora Dillman. «Cammino sempre scalza, ultimamente» rispose Deborah con un tono assente. «Ti ho chiesto cose successo.» «Non lo so. Scarlett è scesa di sotto e mi ha svegliato. Continuava a correre verso la cucina e poi tornava indietro. Ho pensato che dovesse uscire per fare un bisogno, così ho aperto la porta. Sono tornato in cucina e ho preparato il caffè, pensando che Scarlett si sarebbe messa ad abbaiare quando fosse stata di ritorno. E ha abbaiato, in effetti. Ho guardato fuori e ho visto che stava scavando come una matta, cercando di passare in questo cortile. Quando sono arrivato qui, lei aveva già aperto una piccola galleria. Stava leccando il viso della signora Dillman e continuava ad abbaiare. Ed è più o meno a questo punto che sei uscita tu.» «Cosa le è successo?» «Ha un grosso bernoccolo e una ferita in cima alla testa. Chissà da quanto era stesa qui fuori al freddo.» «Mio Dio. Lo sapevo che prima o poi sarebbe caduta.» Joe alzò lo sguardo su di lei. «Deborah, non si è fatta questo bernoccolo cadendo sul terreno. Non sono un medico, ma direi che gliel'ha provocato qualcuno colpendola con un qualche arnese... forse una mazza da baseball. Questa donna è stata aggredita.» «Aggredita?» ripeté Deborah. «Credo di sì.» Deborah tornò in fretta dentro casa e corse di sopra, dove si mise i jeans, una maglietta e un paio di mocassini. La signora Dillman le era parsa sconvolta, poco prima. Era convinta di essere spiata. Che fosse uscita a indagare e... e cosa? Joe non poteva essere certo che fosse stata colpita. Forse era solo caduta. Ma se Joe aveva ragione? Se esisteva davvero uno sconosciuto che aveva colpito la donna in testa? "Aveva colpito la donna in testa." Quelle parole echeggiarono nella mente di Deborah. L'avevano colpita in testa come Emily? Come tutte le vittime dello strangolatore? Ma le altre erano state anche violentate e strangolate. Non aveva visto il collo della signora Dillman. Che fosse stata strangolata pur riuscendo a sopravvivere? Ed era stata anche violentata? Molti credono che lo stupro sia un atto di lussuria, ma Deborah sapeva che
si trattava in realtà di un atto di dominio. L'età avanzata della signora Dillman non la metteva automaticamente al riparo da una tale brutalità. Mentre Deborah scendeva lungo il corridoio, la porta di Barbara si aprì. Lei fissò Deborah con gli occhi annebbiati. «Cos'è successo?» «La signora Dillman è stata aggredita. È priva di sensi nel cortile sul retro. Joe è con lei e ho appena chiamato l'ambulanza.» «Mio Dio! Cos'è successo?» «Non sappiamo. Joe crede che sia stata colpita in testa.» Barbara spalancò gli occhi. «Ma chi potrebbe mai fare una cosa del genere? Oh, Deborah, tu non credi che avesse ragione sul fatto di essere spiata, vero?» «C'era qualcosa là fuori. L'hanno visto sia Kim che la signora Dillman.» «Mi vesto» disse Barbara. «Posso essere d'aiuto?» «Fai in modo che i bambini non escano, se dovessero svegliarsi» rispose Deborah, scendendo di sotto. Cinque minuti dopo, arrivò l'ambulanza. Deborah osservò gli infermieri controllare se la signora Dillman fosse ancora in vita. Poi vide che verificavano se la donna presentasse altre ferite, oltre a quella che aveva in testa. Deborah trattenne il fiato fino a quando non apprese che l'unica ferita era proprio quella al capo. La donna non era stata strangolata. «Ma ha subito un brutto shock» disse un'infermiera. «Dobbiamo trasportarla in ambulanza per tenerle i piedi sollevati e tentare di alzarle la pressione sanguigna.» Guardò Joe e Deborah. «Uno di voi può venire in ospedale?» «Vengo io» rispose Deborah. «Suo figlio mi ha lasciato una chiave di casa, qualche mese fa. Vado a prendere i dati sull'assicurazione e torno subito.» «Ti accompagno» disse Joe. «C'è una possibilità molto lieve, ma qualcuno potrebbe trovarsi all'interno. E non credo che avrai bisogno della chiave. Quando è uscita in camicia da notte per dare un'occhiata, la signora Dillman non avrà fatto in tempo a chiudere a chiave la porta.» Joe aveva ragione. La porta di servizio era aperta. «Be', ora sappiamo che non è rimasta chiusa fuori» disse Deborah. «Deve aver sentito o visto qualcosa e sarà uscita a controllare.» Entrarono in cucina, dove la luce era ancora accesa, e da lì si diressero in salotto. Nonostante la stanza fosse pulita, il mobilio era vecchio e diffondeva nell'aria un odore di muffa. «Questo posto sembra in rovina» disse Joe. «Ha un assoluto bisogno di venir ridipinto. Alla signora Dillman mancano i soldi?»
«Non credo che sia proprio a corto di soldi, anche se di sicuro non se la passa molto bene. Semplicemente, è che non ha più la testa per pensare a queste cose. Steve le dava una mano, ma l'anno scorso lei gli ha detto che era compito di suo marito Alfred prendersi cura della casa e lo ha mandato via. Steve ha parlato con uno dei figli della signora Dillman che sta a Huntington, accennandogli alla possibilità di ricoverare la madre in una casa di cura. Ma l'unica cosa che ha fatto il figlio è stata quella di lasciarci la chiave di casa. Questo è successo tre mesi fa, e da allora non si è più visto nessuno.» «Hai il numero di telefono del figlio?» chiese Joe. «Così almeno potresti informarlo dell'accaduto.» «No, ma sono sicura che sarà nell'indirizzario che la signora Dillman tiene sul tavolo accanto al telefono. Lui si chiama Fred Dillman. Vuoi controllare tu, per favore, mentre io do un'occhiata alla sua borsetta? La tessera dell'assicurazione dovrebbe essere lì, probabilmente. O almeno lo spero.» Fu sollevata di trovare la tessera quasi subito. «Ecco il numero di telefono» disse Joe. «Bene. Ti spiace chiamare Fred da casa mia, così puoi dare un'occhiata ai bambini mente Barbara si prepara? Vorrei andare all'ospedale immediatamente.» «D'accordo. Questo farà risparmiare alla signora Dillman il costo di un'interurbana.» Venti minuti dopo, Deborah stava tentando di compilare alcuni moduli all'ospedale. Dovette lasciare molti spazi vuoti perché non conosceva bene la signora Dillman. Un membro della famiglia li avrebbe riempiti in seguito. Mentre aspettava notizie sulle condizioni dell'anziana donna, telefonò a Joe. Lui le disse che aveva chiamato Fred Dillman, il quale gli aveva assicurato che sarebbe arrivato lì nel primo pomeriggio. «Viene di pomeriggio?» chiese Deborah. «Ma se abita solo a un'ora di distanza!» «Mi spiace. Questo è il massimo che sono riuscito a ottenere.» Deborah era già intenta a bere il terzo bicchiere di caffè amaro dalla macchinetta quando comparve un medico. «La signora Dillman soffre per i postumi dello shock e dell'ipotermia» la informò. «E il colpo ricevuto in testa è stato piuttosto forte. Ha una commozione cerebrale ed è ancora priva di sensi.» «Se la caverà?» «Francamente, a questo punto non sono sicuro. Lei sa cos'è successo?»
«No. L'abbiamo trovata stesa a terra nel cortile di casa.» Deborah esitò. «Qualcuno ha suggerito che la signora è stata colpita con una mazza di qualche specie, piuttosto che aver battuto la testa in una caduta.» «Il colpo è stato ricevuto in cima alla testa. E le ferite al capo provocate da una caduta, di solito, sono ai lati, di fronte, o sulla nuca. Abbiamo trovato anche delle schegge di legno nel taglio.» «Ma lei non era vicino a qualcosa di legno» disse lentamente Deborah. «Non è possibile che abbia battuto la testa contro qualcosa e poi sia andata a cadere nel cortile?» Il medico scosse il capo. «Non credo. La ferita alla testa è molto seria e, probabilmente, ha causato l'immediata perdita dei sensi.» Così Joe aveva ragione, pensò Deborah con un senso di gelo. Qualcuno aveva aggredito l'anziana e fragile signora Dillman, lasciandola poi a terra in modo che morisse per congelamento. Deborah tornò a casa e trovò i bambini e Joe intenti a compone un puzzle. Kim stava ancora tossendo, anche se non così spesso com'era accaduto la notte precedente. Brian guardò la madre. «La signora Dillman è morta?» domandò. «Hanno visto l'ambulanza che se ne andava» disse Joe. «No, tesoro, non è morta. Ha solo preso una brutta botta in testa.» Kim sembrava eccitata. «Joe dice che è stata Scarlett a trovarla.» «Esatto.» «Però ha fatto un buco scavando sotto lo steccato» disse Kim, esprimendo preoccupazione. «Forse la signora non le vorrà più bene.» Deborah accarezzò i capelli della figlia. «E invece credo di sì, tesoro. Le diremo che Scarlett stava solo cercando di aiutarla.» Apparentemente soddisfatti di quella risposta, i bambini tornarono a dedicarsi al puzzle, che terminarono ben presto, quindi scesero in cantina dove tenevano altri giochi. Joe pose qualche altra domanda a Deborah riguardo alla signora Dillman. «Il medico concorda con te sul fatto che lei sia stata colpita di proposito» gli disse Deborah. «Hanno trovato delle schegge nella ferita, anche se nel cortile non c'erano né mazze né altri oggetti di legno.» «Chiunque sia stato a colpirla, non era così stupido da lasciare l'arma in giro.» «Quando penso che qualcuno ha colpito deliberatamente quella povera donna in testa...» Deborah chiuse gli occhi. «Perché? A che scopo aggre-
dirla?» «Forse lei ha guardato fuori e ha visto che c'era qualcuno nel cortile. Un intruso, esattamente come quello che hai visto tu la sera del party.» «E sarebbe uscita per affrontarlo? Assurdo. Una vecchia di novantadue anni?» «Deborah, lei non si comporta sempre in modo razionale. Credeva che Steve stesse spiandola, ma questo non le ha impedito di piombare qui da noi praticamente in camicia da notte.» «Hai ragione. Però sono sicura che ha visto qualcosa. Proprio come Kim, anche se loro sostengono che questo strano fenomeno era sospeso in aria.» «Lo so. Barbara ha pensato molto a questo particolare, in mattinata. Ha detto che aveva un'idea su quello che poteva voler dire la signora Dillman e intendeva verificarla.» «Non ti ha detto qual era quest'idea?» «No, ma credo che lo scopriremo stasera.» Barbara lasciò l'auto nel parcheggio della Capitol Realty. Dentro l'edificio, una giovane segretaria le scoccò un sorriso smagliante. «Siamo a caccia di case, oggi?» «In un certo senso.» Il sorriso della ragazza sbiadì leggermente di fronte alla risposta incerta di Barbara. «Roberta Mitchell è libera?» «Ora controllo. Posso chiederle come si chiama?» «Barbara Levine.» «Bene.» La segretaria compose il numero interno dell'ufficio di Roberta e, dopo pochi secondi di conversazione sussurrata, annunciò che Roberta era occupata su un'altra linea e che si sarebbe liberata entro una decina di minuti. Barbara entrò in una piccola sala d'attesa a un muro della quale era stata appesa una grande bacheca con fotografie di case in vendita. Meno di dieci minuti dopo, la segretaria le scoccò un altro sorriso smagliante. «La signorina Mitchell ha detto che è pronta a riceverla. Scenda lungo il corridoio, terza porta sulla destra.» Barbara bussò alla porta, prima di entrare. Roberta sedeva dietro una bella scrivania di noce elegantemente intagliata. Era un'attraente donna di colore che dimostrava molto meno dei suoi cinquant'anni. Sorrise a Barbara e si alzò. «Barbara Levine! Era da più di un anno che non ti vedevo. Hai deciso finalmente di lasciare quell'appartamento spartano e trasferirti in
una casa come si deve?» «Temo di no. Almeno non per ora. Sono venuta qui perché ho bisogno di qualche informazione.» Roberta si sedette sull'orlo della scrivania. «Cosa vuoi sapere?» «C'è una casa a Woodbine Court che un tempo trattavate voi. È una bella casa su due piani con le finestre a bovindo...» «La casa degli O'Donnell» disse subito Roberta. «Sì. So che la casa era rimasta nei vostri elenchi per quasi tre anni, ma all'improvviso il cartello con la scritta VENDESI è scomparso e dell'alloggio non si è più saputo niente. Com'è la storia?» «Si tratta di una informazione ufficiale?» «No, ma è molto importante scoprire qualcosa sia per me sia per una mia amica che abita proprio di fronte. Ho la sensazione che lì stia succedendo qualcosa di strano.» Roberta la guardò. «Ti conosco abbastanza bene da sapere che non mi stai facendo questa richiesta per mera curiosità. A dire la verità, di recente quella casa ha dato qualche preoccupazione anche a me.» «La casa?» «Be', non proprio la casa. L'inquilino, diciamo. O il supposto inquilino.» «Cos'è successo?» Roberta tornò a sedersi dietro la scrivania. «Come sai, stavamo trattando quella casa. Circa quattro mesi fa, un uomo mi ha avvicinato dicendo che voleva prenderla in affitto per sei mesi. Io gli ho fatto presente che era in vendita, non in affitto. Lui mi ha chiesto di presentare comunque la sua offerta ai proprietari. Con mia grande sorpresa, loro hanno accettato. Naturalmente, la casa era rimasta da tanto tempo sul mercato e io sapevo che gli O'Donnell avevano bisogno di soldi, ma una delle richieste dell'uomo era che l'edificio non dovesse venir mostrato a nessun possibile compratore durante la sua permanenza. Io mi sono espressa contro l'accordo, ma gli O'Donnell hanno insistito e così la casa è stata affittata a settembre.» «Roberta, non c'è alcun segno che quella casa sia davvero occupata.» «Lo so. È questo che mi preoccupa. Che senso ha prendere in affitto una casa come quella e poi non abitarci? La somma pagata dall'uomo non era certo economica, questo posso assicurartelo.» Barbara si piegò in avanti. «Come si chiamava lui?» Roberta esitò. «Edward J. King.» «Sai come si guadagna da vivere?» «Ha detto che lavorava per conto proprio, ma personalmente ne dubito.
Volevo effettuare un controllo bancario su di lui, ma quando ha pagato tutti e sei i mesi d'affitto in anticipo, gli O'Donnell erano così contenti che me lo hanno impedito. Erano convinti che potesse comprare la casa e non volevano offenderlo con un controllo bancario.» «Come ha pagato Edward King?» «Con un assegno sul conto di una banca di Charleston.» Roberta inclinò il capo. «Barbara, che sta succedendo in quella casa? Quel tipo la sta mica usando per spacciare droga?» «In questo caso, deve avere una clientela molto limitata. La mia amica non ha mai visto nessuno lì vicino.» «Allora di che si tratta?» Un'anziana signora che abita dall'altra parte della strada e la bambina della mia amica hanno visto tutte due qualche cosa, ieri notte. Da quanto hanno detto, credo che abbiano visto qualcuno al primo piano di quella casa. «Se si tratta del signor King, lui ha tutto il diritto di essere lì.» «Il marito della mia amica è scomparso da un paio di giorni. La bambina, che ha cinque anni, ha visto solo quella che lei definisce una cosa con gli occhi d'argento. L'anziana signora sostiene di aver visto il marito della mia amica che la spiava e aveva gli occhi scintillanti.» «Stai cercando di propinarmi una storia di fantasmi?» «No. Personalmente, credo che abbiano visto il riflesso di un paio di binocoli.» Roberta si appoggiò allo schienale della poltrona. «Pensi che fosse il marito scomparso? O sei convinta che abbia affittato la casa a un pervertito che la sta usando come osservatorio?» «Non ne ho idea, ma voglio sapere qualcosa di più su questo signor King. Parlami di lui.» Roberta parve a disagio. «Non mi ha fatto una gran bella impressione, anzi. Non si tratta tanto di quello che ha detto o fatto, ma della sensazione che ci fosse qualcosa che non andava in lui. Hai mai provato qualcosa del genere riguardo a una certa persona?» «Molte volte. Che aspetto aveva?» «Lo ricordo perché provavo una certa apprensione quando stavo insieme a lui, anche se apparentemente non ce n'era motivo.» Roberta chiuse gli occhi, concentrandosi. «Era alto, circa un metro e ottanta, e magro. Vestiva in modo elegante, anche se non costoso. Aveva capelli bruni e un paio di baffi. Portava anche occhiali con le lenti scure. Poteva essere sui quaranta,
anno più anno meno. Niente d'insolito, comunque.» Barbara rovistò nella borsetta e prese l'istantanea scattala la scorsa estate che rappresentava lei, Evan, Deborah e Steve. La porse a Roberta. «Vedi Edward King qui?» Roberta mise la foto sotto la lampada della scrivania nell'ufficio già abbastanza luminoso, poi si morse un labbro. «Non sono sicura, ma con gli occhiali scuri e i baffi, potrebbe essere tranquillamente uno di questi due.» 13 Artie Lieber sedeva sulla sponda del letto. Tirò un profondo sospiro, trattenne il fiato fino a quando non arrivò a dieci e poi lo lasciò andare. Si sentiva davvero stressato. Molto stressato. Non era riuscito a impedirsi di passare di nuovo davanti alla casa dei Robinson, quella mattina, ma i poliziotti che tenevano d'occhio il posto e che sedevano in una macchina senza scritte l'avevano notato. Lui sapeva che erano poliziotti. Era persino in grado di annusarne l'odore. Quello dal lato del passeggero si era drizzato a sedere e aveva guardato fisso in direzione dell'auto di Lieber. Lui si era fatto prendere dal panico, certo che i due lo avrebbero inseguito, ma per fortuna non era andata così. Quella era stata la terza volta dalla sparizione di Steve in cui era passato lentamente in auto davanti alla casa dei Robinson, facendo insospettire gli sbirri. Probabilmente, a quell'ora stavano già effettuando tutti i controlli di rito sulla macchina. Come minimo, si erano annotati la targa. Certo, lui l'aveva sostituita con quella di un'altra auto, ma loro non ci avrebbero messo molto a scoprire la manovra. Aveva lasciato la vecchia Buick Regal bianca in un parcheggio a quattro isolati di distanza e sapeva bene che avrebbe dovuto rubare un'altra macchina, quella notte. Ma quello non sarebbe stato un problema. Sembrava incredibile, ma c'era un mucchio di gente che lasciava sbadatamente le chiavi inserite nel cruscotto. E se i poliziotti fossero riusciti a guardarlo bene in viso? si chiese. Si era fatto crescere la barba nell'ultimo mese e si era messo quello stupido berretto che gli scendeva fino alle orecchie. Avrebbe dovuto dominarsi, se gli fosse venuto un altro impulso di andare a controllare la casa dei Robinson. La teneva sottocchio da una settimana, ma adesso era tempo di smetterla. I poliziotti stavano già cercandolo... non poteva che essere così, ora che Robinson era scomparso. Lunedì Lieber non era andato a conferire con il funzionario che vigilava sulla sua li-
bertà, come avrebbe dovuto, ed era stato visto a Charleston. Perciò era meglio presentarsi spontaneamente alla polizia, non lasciare che fossero loro a trovarlo. "Spiegherò tutto" disse al suo riflesso nello specchio. "Io sono bravo a mentire, e mi crederanno." Ma mentre si fissava gli occhi arrossati, sapeva che stava solo prendendosi in giro. Non poteva presentarsi alla polizia con qualche storiella zoppicante per spiegare come mai era andato a Charleston. E non poteva uscire. Non ancora. Deborah sentì squillare il campanello, andò ad aprire e vide l'agente Wylie in piedi sul portico. Lei si irrigidì non appena i freddi occhi azzurri dell'uomo si fissarono nei suoi. «Signora Robinson, dovrei parlarle. Posso entrare?» Deborah fece un passo indietro e invitò l'agente a entrare. Quando li vide arrivare in salotto, Joe alzò lo sguardo da una rivista. «Wylie? Che c'è?» «Devo parlare con la signora Robinson, da solo.» «Signor Wylie, Joe non può restare?» chiese Deborah, nervosa. La presenza dell'agente poteva significare solo brutte notizie. «Preferirei che se ne andasse.» «D'accordo, Wylie» disse Joe, posando la rivista con un'espressione poco conciliante. «Faccia un po' come crede, tanto la signora mi riferirà tutto non appena avrà finito di parlarle.» «Questo dipende da lei» replicò Wylie con voce monotona. Joe si strinse nelle spalle e lasciò la stanza. Deborah si sedette sul divano. «Cosa c'è, signor Wylie? Avete trovato Steve?» Wylie si accomodò su una poltrona di fronte a lei. «No, ma abbiamo appurato qualcosa d'importante. Abbiamo controllato i vostri conti bancari.» «I nostri conti?» Lui annuì, estrasse di tasca un piccolo taccuino e lo aprì. Ci diede una rapida occhiata e disse: «Avete milletrentatré dollari e quarantacinque cent nel vostro conto corrente. Le pare esatto?» «Non conosco l'ammontare esatto, ma sì, mi pare abbastanza accurato. È importante?» «L'ammontare in sé no.» Wylie fece una pausa. «Ma questa circostanza sì. Essendo il vostro un conto intestato a entrambi, non servono le firme di tutti e due per effettuare un prelevamento.» «Lo so» disse Deborah, cercando di stare calma. «Qual è il problema?» «Che venerdì, all'ora di chiusura della banca, il conto ammontava a settemilatrentatré dollari e cinquantuno cent.» La guardò. «Ma sabato suo
marito ha prelevato seimila dollari.» Deborah lo fissò. «Seimila dollari?» «Esatto.» «Ma non è possibile!» «Temo di sì, invece. Non sapeva nulla del prelevamento?» «No» rispose debolmente lei. «Perciò non era per una qualche riparazione domestica o altre cose del genere, no?» «No. Ma cosa può significare tutto questo?» «Che suo marito ha ritirato i soldi perché aveva bisogno in fretta di molto contante.» «E lei crede che ne avesse bisogno per scappare?» «Sembrerebbe.» Deborah si girò l'anello nel dito senza guardare Wylie, anche se sentiva lo sguardo dell'agente fisso su di lei. «Non m'importa delle apparenze. Non è quella la ragione per cui ha prelevato il denaro.» «E allora qual è? Lui non è sparito fino a domenica. Perché non le ha parlato del prelievo? O teneva per sé le faccende economiche?» «A volte. Non è che mi rendesse conto di tutti i dollari che spendeva. Però ogni spesa rilevante era sempre discussa in comune. Non capisco perché non mi abbia detto che aveva prelevato quella somma. So solo che deve aver avuto una buona ragione, e sicuramente quei soldi non gli sono serviti per darsi alla fuga. Mio marito non farebbe mai una cosa simile.» «Ne è sicura?» «Assolutamente.» Wylie chiuse il taccuino. «Be', almeno ora sa di avere seimila dollari di meno sul conto.» «Cercherò di cavarmela lo stesso» disse seccamente lei. «Almeno finché Steve non ritorna a casa.» Quando Wylie se ne andò, Deborah rimase in piedi nell'ingresso, scossa e turbata. Aveva detto a un agente dell'FBI che il marito non avrebbe mai svuotato il conto in banca per scappare. Eppure, fino alla notte prima, non avrebbe mai creduto che Steve potesse convincere una ragazza a mentire per fornirgli un alibi. Ora si chiedeva fino a che punto potesse sentirsi sicura di quello che poteva o non poteva fare la persona che aveva sposato da sette anni. «Ho un segreto» annunciò Kim mentre Deborah si abbottonava la giacca
del pigiama. «Vuoi dirmelo?» chiese Deborah. «No.» Brian sembrava imbronciato. «Non vuole dirlo neppure a me.» «È un grande segreto» insistette Kim mentre andava a letto e Deborah le rimboccava le coperte. «Ne sono sicura, tesoro.» Deborah baciò la figlia sulla fronte e osservò Brian che si arrampicava sulla scaletta per salire sino al letto superiore. Due mesi prima, il bambino aveva deciso che era troppo grande per i baci, così la madre si limitò ad arruffargli i capelli. «Stasera lascio la porta aperta, così potrò sentire Kim, se dovesse tossire. Buona notte.» Guardò Scarlett accucciarsi ai piedi del letto. «A tutti e tre.» Quando scese al piano di sotto, vide che Joe apriva la porta per far entrare Evan e Barbara. «Vi ho visti mentre accostavate» disse lui. Barbara si tolse il cappotto. «Pensavamo di arrivare prima, ma siamo andati a mangiare fuori e il servizio è stato incredibilmente lento. Evan voleva addirittura alzarsi e andare via.» Deborah notò che Evan sembrava stanco e irritabile, e si chiese quanto del suo cattivo umore fosse dovuto al fatto che ultimamente Barbara passava un mucchio di tempo lontano da lui. «Novità?» chiese Evan mentre Deborah faceva accomodare tutti in salotto. Lei e Joe si scambiarono uno sguardo. «Sì. È venuto l'agente Wylie, dell'FBI. Sembra che sabato mattina Steve abbia ritirato seimila dollari dal nostro conto in banca. Lo ha quasi prosciugato.» «Oh, mio Dio» sussurrò Barbara «ma è terribile! L'idea è che abbia preso i soldi per scappare, vero?» «È quello che ha detto Wylie. E forse crede che io sappia qualcosa al riguardo. Magari sarebbe stato meglio per Steve se avessi mentito dicendo che, in effetti, ero al corrente del prelievo.» «No, è stato un bene che tu non abbia mentito» disse con veemenza Evan. «Wylie avrebbe voluto sapere com'era stata spesa quella somma, così tu avresti dovuto imbarcarti in un'altra bugia che sarebbe servita solo a peggiorare la situazione. Ma ciò non significa che Steve non abbia ritirato la somma per un motivo legittimo. Un motivo che non c'entra niente con la fuga, voglio dire.» «Tipo?» chiese Joe. «Tipo un regalo di Natale molto costoso.»
«Domenica, prima di scomparire, ha detto che non poteva accompagnarci al centro commerciale perché doveva partecipare a una specie di sorpresa natalizia» disse Deborah. «Ma io non ci ho creduto allora e non ci credo neppure adesso. Era solo una scusa. E posso garantirti, Evan, che lui non spenderebbe mai tutti i nostri risparmi per un regalo di Natale.» «Accidenti» borbottò Evan. «Le cose si mettono proprio male.» Dopo qualche secondo di silenzio, Barbara disse lentamente: «Per quanto detesti suggerirlo, forse Steve è veramente scappato. Forse l'enormità di tutto ciò gli ha dato alla testa e lui ha perso il controllo della situazione.» «Un paio di giorni fa, avrei detto che questo era impossibile» disse Deborah. «Ma ora non so.» Qualcuno bussò leggermente alla porta d'ingresso. Deborah andò ad aprire. Pete Griffin era sul portico, le mani piene di buste. «Non ho suonato perché pensavo che i bambini fossero a letto. Mi è venuto in mente che, con tutto il trambusto degli ultimi giorni, forse non avevi avuto il tempo di fare la spesa, così ti ho portato qualcosa.» «Oh, Pete, sei stato gentilissimo!» esclamò Deborah. «C'è dell'altra roba in macchina. Forse Joe può darmi una mano.» «Arrivo» disse Joe, mettendosi il giaccone. Deborah ripose le provviste in cucina e poi raggiunse gli altri in salotto. Barbara stava raccontando a Pete della signora Dillman. «Buon Dio, ma chi potrebbe mai fare una cosa del genere a una povera vecchia?» chiese Pete. «Quando penso che qualcuno potrebbe aggredire anche mia nonna in questo modo, mi sento male. Ha ripreso i sensi?» «Fino a due ore fa, no» rispose Deborah. «Ma è possibile che non torni mai più in sé, Pete. I medici non sembrano nutrire molte speranze.» Pete aggrottò le sopracciglia. «Così non sarà in grado di rivelare chi l'ha aggredita.» «Be', anche se riprendesse conoscenza, non è detto che possa rivelarci un gran che. La sua mente non è più molto chiara. L'altra notte, era convinta che Steve stesse spiandola sospeso in aria.» «Ma probabilmente può aver avuto ragione, almeno sul fatto che la persona che la spiava fosse sospesa in aria» disse Barbara. «È probabile che la signora Dillman e Kimberly l'abbiano vista da una finestra del primo piano.» «Ci abbiamo pensato anche noi, ma in questa casa non ci sono finestre che danno sulla camera da letto della signora Dillman» disse Deborah. «Non mi riferivo a questa casa, ma a quella degli O'Donnell. Ha due
piani, è di fronte alla casa della signora Dillman e tu, Deborah, hai detto che la camera da letto della signora Dillman è sul davanti, proprio come quella di Kim e Brian. Perciò da una finestra al piano superiore della casa degli O'Donnell si potrebbe guardare tranquillamente nella camera da letto della signora Dillman e anche in quello di Kim e Brian, sia pure un po' più di sghembo. I binocoli avrebbero potuto riflettere la luce della strada, che avrebbe fatto sembrare le lenti due grandi occhi d'argento.» «Ma quella casa è vuota» disse Deborah. «Sbagliato. Ho controllato oggi. Tu mi avevi parlato del cartello dell'agenzia immobiliare che era sparito dal prato, qualche tempo fa. Io conosco la donna che possiede l'agenzia a cui era stata ceduta la casa, e oggi sono andata a trovarla. Lei mi ha detto che i proprietari erano disperati e che hanno deciso di affittarla. Il cartello è stato portato via quattro mesi fa, perché la casa è stata affittata per sei mesi a un certo Edward King.» Deborah le lanciò un'occhiata carica di stupore. «Ma lì dentro non è mai entrato nessuno. Chi potrebbe prendere in affitto una casa grande e costosa come quella per poi lasciarla vuota? E dov'è quest'uomo?» Barbara si strinse nelle spalle. «La mia amica, Roberta, non ne ha idea, ma il tizio ha pagato i sei mesi di affitto in anticipo con un assegno emesso da una banca di Charleston.» «Vuoi scherzare» disse Pete. «La tua amica ti ha detto qualcosa su quell'uomo?» «Solo che lui ha ammesso di essere un lavoratore autonomo.» Barbara esitò. «Ricordava anche che era più o meno sui quarant'anni, alto, magro e con i capelli scuri.» Deborah inghiottì. «Proprio come Steve.» 14 Alle nove e mezzo Pete se ne andò, seguito poco dopo da Barbara e da Evan. Barbara voleva fermarsi, ma Deborah l'aveva presa da parte. «Evan è teso come una corsa di violino.» «Certo che lo è» aveva detto Barbara. «È preoccupato da morire per Steve e adesso ci sono stati questi spiacevoli sviluppi sul conto in banca e sulla signora Dillman.» «Lo so, però credo che tu gli manchi. Passa la notte con lui... fagli dimenticare tutto questo pasticcio per un po'.» Barbara aveva cominciato a protestare. «Non discutere. Noi ce la caveremo bene comunque. La polizia
e l'FBI, se non entrambi, ci sorvegliano, e Joe resterà qui.» «Già, proprio Joe...» Barbara era parsa preoccupata. «Che c'è?» «Qualcosa che Evan ha detto su Joe.» «Cosa?» «Nulla di preciso. Solo che lui non si fida troppo di Joe. Sai... quella storia che è successa a Houston.» «Steve me ne ha parlato. Joe è stato prosciolto da ogni accusa, perciò qual è il problema?» «Non lo so. Suppongo che quei due non si vogliano molto bene l'un l'altro. Dimentica quello che ho detto.» Esasperata, Deborah era stata sul punto di dire che non le sembrava molto corretto da parte di Barbara sollevare dubbi sull'uomo che si era offerto di fermarsi in casa sua, ma poi si era rimangiata le parole proprio mentre Evan si era fatto avanti con il soprabito di Barbara. «Potremmo restare entrambi» aveva detto a Deborah con i suoi solenni occhi azzurri. «Di' solo la parola magica e potrai contare su altri due cani da guardia.» Per un attimo, Deborah aveva pensato di rispondere affermativamente. Le parole di Barbara l'avevano scossa, ma solo un po'. E non voleva che i diversi punti di vista tra Evan e Joe condizionassero in senso negativo la sua crescente fiducia nei confronti dell'investigatore. Se avesse cominciato a dubitare di tutti, avrebbe perso il controllo della situazione, e non poteva permetterselo. Aveva i bambini da proteggere. Evan si fermò davanti alla finestra dell'appartamento di Barbara, guardando fuori verso la fredda notte di dicembre. «Dovremmo fare l'albero di Natale» disse. «Te lo sei dimenticato?» Barbara gli arrivò alle spalle e lo abbracciò. «Io non celebro il Natale.» «Pensi che avere un albero di Natale in casa ti farebbe finire all'inferno?» «Io sono ebrea. Non credo all'inferno.» «Allora dove credi che vada uno come lo Strangolatore dei vicoli bui, quando morirà?» Barbara lo costrinse a voltarsi e gli lanciò uno sguardo accigliato. «Com'è che ti è venuta in mente quest'idea? Noi due ci frequentiamo da quasi un anno e non abbiamo mai discusso di religione.»
«È il nostro primo Natale insieme, e date le circostanze...» «Quali circostanze?» «Be', pensavo a questa faccenda di Steve.» «Cosa c'entra Steve con gli alberi di Natale?» «Non lo so. Niente.» Barbara mise le mani sulle spalle di Evan e lo fissò negli occhi. «Sì, c'è qualcosa. Dimmelo.» «È solo che tutto è estremamente complicato, e forse sento il bisogno di tornare a qualcuna delle vecchie tradizioni.» «Credi che Steve sia morto?» «No. Temo che sia colpevole, al contrario.» «Evan! Come puoi dire una cosa del genere?» «Come posso? Guarda gli indizi. Se ne aggiungono di nuovi ogni giorno.» «Sono tutte coincidenze.» «Sicuro. Una coincidenza dopo l'altra. No, grazie, non la bevo.» «Prima sospettavi di Joe e adesso sospetti di Steve?» Gli tolse le mani dalle spalle. «Evan, lo so che Joe non ti è simpatico e ammetto che le sue improvvise attenzioni per Deborah mi hanno dato da pensare. Ma non posso credere che tu parli in questo modo di Steve dopo che lo conosci da così tanto tempo. Come puoi credere Steve Robinson capace non di uno, ma di una serie di brutali omicidi?» «Lui non è al di sopra di ogni sospetto, Barbara. Considera gli eventi che circondano l'aggressione subita da sua sorella.» «Steve era solo un ragazzino.» «Non era un ragazzino. Aveva diciotto anni.» «E tu eri una persona del tutto matura a diciotto anni?» «Probabilmente più di Steve.» «Chissà. Lui aveva paura, Evan. E si sentiva a disagio per la pressione che i suoi genitori esercitavano su di lui.» Evan si diresse verso il divano in similpelle marrone. I cuscini cigolarono non appena si sedette. «Quando ti deciderai a comprare qualche mobile decente?» chiese con irritazione. «L'appartamento era ammobiliato, Evan.» «Allora perché non ti trovi un appartamento che sia vuoto e non lo arredi tu?» Barbara serrò le labbra. «Sai che non potrebbe importarmi di meno dell'aspetto estetico di una casa, a patto che sia pulita. Perché vuoi che mi
trasferisca? Perché vuoi venire a stare con me?» Evan parve sorpreso. «No. Barb, ora come ora non è possibile che andiamo a vivere insieme o che ci sposiamo.» «Perché no?» Barbara era consapevole della nota brusca che aveva assunto la sua voce, ma non poté farne a meno. «Dovremmo fare un progetto in tal senso. Finora non ne abbiamo mai discusso.» «Un matrimonio in chiesa richiede tempo.» «Evan, io non intendo sposarmi in chiesa.» «Oh, per l'amor del cielo!» esplose lui. «Cos'è questa mania religiosa che ti ha preso tutto d'un colpo?» «E parli di mania religiosa proprio tu? Non ho mai saputo che andassi in chiesa. Sei preoccupato dei tuoi genitori, certo. So che loro non approverebbero mai una cerimonia civile. Ma in fondo si tratta del nostro matrimonio, non del loro.» «Loro sono anziani, Barb. E ci tengono molto a queste cose.» «Ci tiene anche la mia famiglia.» «E poi dovremmo discutere anche il problema dei bambini. Se pensiamo di averne, voglio dire, dovremmo deciderlo in fretta. Non ti resta molto tempo.» «Grazie infinite per avermelo ricordato» disse Barbara in tono acido. Evan roteò gli occhi azzurri. «Non intendevo offenderti. Se la tua età fosse stato un problema per me, non ti avrei mai fatto la corte, tanto per cominciare. Ma i fatti sono fatti.» «Già. E qui il fatto principale è che tu non sei interessato a sposarmi.» «Ci sono delle cose da sistemare, prima. Sarebbe una pessima mossa per tutti e due sposarci adesso.» Barbara si mise le mani ai fianchi. «E allora quando?» Evan la fissò, poi si mise in piedi e prese il soprabito sul bracciolo del divano. «È ora che vada.» «Vuoi andartene? Ma Evan, dovevamo passare la notte insieme!» «Be', non mi sembra che tu sia in vena di romanticherie.» «Evan, ho lasciato sola Deborah in modo che potessimo passare un po' di tempo insieme.» «Lei non è sola. C'è il prode cavaliere Joe Pierce con lei.» «Evan, ti prego» supplicò Barbara mentre lo seguiva alla porta d'ingresso. «Non andartene così.» «Meglio che me ne vada così, piuttosto che trattenermi e peggiorare solo la situazione.»
Barbara gli strinse un braccio. «Evan...» «Lasciami stare» sbottò lui, liberando il braccio. «Ci vediamo domani. Buona notte.» Barbara chiuse la porta e vi si appoggiò contro, gli occhi che le si riempivano di lacrime. Cos'era successo? Cos'aveva fatto per rovinare la serata? O Evan cercava semplicemente una scusa per andarsene? Evan uscì dall'edificio in cui stava Barbara e si diresse alla sua Toyota Camry rossa. Restò seduto per qualche secondo in auto, la mano stretta sul volante. Si aspettava di vedere Barbara sbucare fuori dal portone e correre all'impazzata verso di lui, perciò decise che era meglio mettere subito in moto e allontanarsi da lì. Accese la radio e la sintonizzò sulla stazione che diffondeva musica classica. Barbara odiava la musica classica, e quella era solo una delle loro differenze. Inoltre, lei non aveva alcun interesse per i film d'arte, il buon cibo e i cavalli. Quando l'aveva portata nella imponente casa dei genitori a Fairfax, in Virginia - una villa con venti stanze, circondata da quindici acri di verde - lei si era sentita come persa. E i genitori di Evan, anche se non avevano detto una sola parola contro di lei, non erano stati in grado di celare la loro disapprovazione. Ma avevano davvero tentato di celarla? si chiese Evan. I suoi genitori erano maestri nell'arte di pensare male della gente senza dirlo in modo esplicito. Per esempio, non avevano mai detto di essere delusi per il fatto che lui avesse scelto di lavorare come pubblico ministero, invece di entrare nello studio legale fondato dal nonno, eppure, in qualche modo, glielo avevano fatto capire egualmente. E se li aveva delusi con la sua camera, loro almeno si aspettavano che il figlio sposasse un buon partito, una donna ricca, che avesse viaggiato in Europa, che avesse frequentato le scuole giuste e che sapesse lasciare il lavoro in ufficio per trasformarsi in una adorabile e tenera padrona di casa. Soprattutto, una donna abbastanza giovane da poter mettere al mondo numerosi figli che portassero il nome dei Kincaid. In fondo, Evan era il solo figlio maschio. La discendenza sarebbe finita con lui, se non avesse avuto un figlio. Imprecando, Evan spense la radio. Quello che gli ci voleva era una serata al bar, dove il fumo, l'alcol e il rumore avrebbero lenito, almeno temporaneamente, il conflitto che gli agitava i pensieri. "Mi ucciderà" pensò Toni Lee Morris mentre usciva dal bar. Si fermò
sul marciapiede per un attimo, afferrò una ciocca dei suoi lunghi capelli neri, se la mise sotto il naso e annusò. C'era ancora l'odore del fumo di sigaretta. Poteva togliersi gli abiti e magari farsi una doccia prima di infilarsi a letto con Daryl, ma non avrebbe potuto spiegargli perché doveva lavarsi i capelli a mezzanotte. E lui se ne sarebbe accorto, pensò amaramente Toni Lee. Non avrebbe mancato di notare l'odore mentre nei capelli indugiava ancora il fumo delle due sigarette che aveva acceso mentre faceva la babysitter ai due bambini della sorella Brenda. E poi c'era il problema dei soldi. Brenda la pagava sempre quando andava da lei a fare la baby-sitter. Aveva promesso di mentire, nel caso avesse telefonato Daryl ("Sì, Daryl, sono tornata presto ma sono stanca morta, così ho chiesto a Toni di andarmi a prendere una pizza. Ti farò chiamare da lei non appena torna") e di avvisarla subito al bar. Ma il problema era che Toni Lee non aveva soldi che potessero giustificare la serata trascorsa a fare la baby-sitter. E forse Daryl le avrebbe chiesto di farglieli vedere. Sì, certo, pensò Toni Lee. La mattina, lui le avrebbe chiesto cinque dollari per le sigarette, e dopo i drink che aveva bevuto in serata a Toni Lee ne restavano solo un paio. Doveva inventarsi qualcosa. E se avesse detto che Brenda era a corto di soldi e che l'avrebbe pagata in seguito? Non era una cattiva scusa. Ma non era nemmeno buona. Merda. Sposare Daryl poco dopo la scuola superiore era stato il suo più grande sbaglio. Lei era carina. Anzi, più che carina. Lo dicevano tutti. Avrebbe potuto avere chiunque. Forse persino qualche ricco playboy. E invece aveva sposato Daryl Morris, perché pensava di essere incinta. Non lo era, in effetti, ma ormai si era messa in trappola da sola. Lui non le avrebbe mai dato il permesso di andarsene. Inoltre, Toni Lee non aveva mai avuto un lavoro vero. Cos'avrebbe fatto per vivere? Aveva lasciato l'auto in un vicolo, giusto nel caso che Daryl si fosse insospettito correndo fuori a cercarla. Il che era sciocco, pensò mentre imboccava il vicolo malamente illuminato. Sarebbe stato meglio uscire domani sera, dopo che Daryl fosse andato a lavorare. Ma lei aveva incontrato al bar quel rappresentante carino, lunedì sera, e lui le aveva detto che di solito usciva tutti i lunedì. Ma non quel lunedì, come poi era saltato fuori. Aveva corso un grosso rischio per nulla. Non aveva nemmeno visto qualcuno che fosse anche solo vagamente interessante. Be', c'era quel tizio che sedeva al bancone, però le era sembrato un po' timido. Se n'era andato dopo che la bionda dai capelli ossigenati aveva cercato di attaccare bottone. Toni Lee armeggiò nella borsetta alla ricerca delle chiavi della macchi-
na. A parte il camioncino vuoto parcheggiato accanto al bar, la Ford Escort blu della ragazza era l'unico veicolo presente. I suoi tacchi alti echeggiavano sul marciapiede. I piedi le facevano un male da morire, ma aveva rifiutato di sedersi per tutta la sera perché si era messa la gonna nera, quella corta, e i tacchi alti facevano sembrare ancora più belle le sue gambe già da sballo. Naturalmente, non appena fosse salita in auto, si sarebbe tolta la gonna e le scarpe per mettersi i jeans e le Keds di pelle bianca, perché se Daryl fosse stato sveglio al suo rientro, non avrebbe mai creduto che lei fosse andata a fare la baby-sitter con la minigonna e i tacchi alti. Aveva appena inserito la chiave nella portiera quando un uomo sbucò fuori dalle tenebre accanto al camioncino. Toni Lee s'irrigidì. L'uomo si diresse verso di lei, ma con fare casuale, senza alcun segnale minaccioso. «Salve» disse con voce cordiale. «Un posto un po' pericoloso per lasciare l'auto, non le pare?» «No, se ci si porta dietro una pistola, come faccio io» replicò Toni Lee, cercando di tenere sotto controllo il tremito alla voce. «È una donna poliziotto o un'investigatrice privata?» «Eh?» borbottò Toni, mettendosi a frugare nella borsetta come se stesse cercando la pistola. «Le serve una licenza per le armi.» «Oh, certamente. Ma io sono una poliziotta. Una detective.» L'uomo sorrise. Il suo era un sorriso aperto e schietto. «Non credo. Credo che lei abbia paura, invece. Ma non c'è ragione. L'ho vista al bar.» Toni batté le palpebre nella cattiva luce, poi lo riconobbe. «Stavo cercando di trovare il coraggio di parlarle quando è arrivata quella bionda.» Scosse la testa, sorridendo. Toni Lee si rilassò un po'. «Ma com'è che si è nascosto in questo vicolo?» «Non mi sono nascosto. È una notte così bella e serena che pensavo di fumarmi in santa pace una sigaretta. E, a essere del tutto onesti, mentre fumavo tenevo d'occhio la porta del bar. Pensavo di tornare per tentare di fare due chiacchiere con lei, se la bionda ossigenata se ne fosse andata prima. Non mi aspettavo certo che lei uscisse per venire da me. È stata proprio una fortuna incredibile.» Toni Lee arrossì di piacere, anche se nella fioca luce della notte il suo rossore non era visibile. «Capisco. Ma perché voleva parlare con me?» «Si è mai guardata allo specchio? E poi, non mi pare che una della sua classe stesse molto bene in un posto simile. Oh, quello è un bar che va be-
ne per la maggior parte della gente, ma non per lei. Lei lì era un po' come una rosa tra le spine.» Toni Lee era estasiata. «Una rosa tra le spine?» «Sì. Lei è troppo bella per un posto simile. La vedrei molto meglio in un locale come il TriBeCa Grill.» «E cosa sarebbe?» «Un ristorante di Manhattan il cui proprietario è Robert De Niro.» «Adoro Robert De Niro» disse Toni. «Lei è mai stato lì?» «Un paio di volte.» «Lo conosce?» «Ci siamo salutati, ma lui è un tipo piuttosto riservato. Un po' timido, forse.» «Dev'essere grandioso conoscere una star cinematografica.» "Gesù, questo tipo mi pare a posto!" rifletté Toni Lee. Aveva qualche anno in più di lei... forse una decina... ed era difficile essere precisi sulla sua corporatura, perché indossava un impermeabile foderato di pelliccia, ma aveva dei bei capelli bruni e il suo sorriso era rassicurante. A Toni Lee ricordava qualcuno. Se avesse potuto vederlo bene negli occhi, forse avrebbe indovinato chi le rammentava, ma il tizio portava degli occhiali scuri dalla montatura in corno. «Lei è di New York?» «No, ma viaggio parecchio.» «Fa il rappresentante?» Lui sorrise. «Grazie a Dio, no. Non sono abbastanza aggressivo da poter svolgere un lavoro simile. Sono un medico... un pediatra, a dire la verità... ma i miei genitori sono morti l'anno scorso e mi hanno lasciato qualche soldo, così ho deciso di prendermi un po' di ferie e di godermi la vita. È bello non dover vedere bambini malati tutti i santi giorni.» "Un medico" urlò in cuor suo Toni Lee. Un medico che era pieno di soldi e aveva un bell'aspetto. Che fosse sposato? Lanciò un'occhiata alle mani dell'uomo, ma lui portava i guanti. Lui intercettò lo sguardo di Toni Lee, comunque, e disse: «Sono divorziato ormai da due anni. E lei?» Toni Lee pensò di dire che anche lei era divorziata, ma alla fine optò per un compromesso. «Sono separata. Ma ho già chiesto il divorzio e dovrei averlo presto.» «Capisco. Mi spiace.» «A me no. È stato un grosso errore sin dall'inizio.» Voleva andare in qualche posto e parlargli per ore, ma bisognava pensare a Daryl. Daryl, il marito da cui non era separata. Tornò alla realtà con un brusco scossone.
«Be', ora devo proprio scappare.» «Immagino che stia congelando.» «Già, fa piuttosto freddo stanotte, però mi piacerebbe rivederla.» Lui sorrise. «Sarebbe fantastico. Ha un locale che preferisce nei dintorni?» «Hmmm... be', c'è un ristorante che adoro. Si chiama Fifth Quarter» disse in tono esitante. «Lo conosco» disse lui. «Una scelta eccellente. Quale sera facciamo?» «Che ne direbbe di domani?» «Vada per domani. Alle otto?» «Perfetto.» «Bene» disse entusiasticamente lui. «Allora ci vediamo domani.» «Sì, domani.» Toni Lee avrebbe voluto aggiungere qualcosa d'intelligente, ma lei non era una persona intelligente, perciò dovette accontentarsi di ricorrere a un sorriso smagliante. Mentre la ragazza inseriva la chiave nella portiera, si rese conto che non aveva chiesto all'uomo come si chiamasse. «A proposito» disse, voltandosi. «Io mi chiamo Toni Lee. E lei...?» Una corda le scivolò intorno al collo e la strattonò così bruscamente che lei perse l'equilibrio. Un grido pietoso le sfuggì dalle labbra prima che la corda le tagliasse la gola. Si mise a scalciare e tentò di afferrare inutilmente la cosa orribile che la soffocava, ma la corda le era penetrata così profondamente nelle carni che nemmeno le unghie lunghe della ragazza erano in grado di artigliarla. Poi qualcosa le sbatté contro la tempia. Delle luci bianche le lampeggiarono dietro gli occhi. Si postò la mano al viso, ma prima un altro colpo le devastò lo zigomo. Sentì il rumore dell'osso che si fratturava. Mentre lei barcollava per l'effetto dei colpi, l'uomo le afferrò le mani, gliele bloccò dietro la schiena e gliele legò saldamente. Poi la trascinò via dall'auto. Lei emise dei suoni gorgoglianti mentre tentava di respirare. Ma non riusciva a far entrare l'aria nei polmoni. L'uomo la portò dietro il camioncino e le rifilò un ultimo, devastante colpo alla mascella. Lei proruppe in un muto grido di agonia mentre lui le apriva la mandibola fratturata e le infilava qualcosa in bocca, qualcosa che sembrava un mucchietto di ramoscelli e di foglie. Poi le sollevò la gonna e cominciò a lacerarle le mutandine. "Mi spiace, Daryl" pensò lei prima che la sua mente cominciasse a chiudersi contro il dolore insopportabile e l'atrocità di quanto sarebbe presto seguito. "Daryl, mi spiace, mi spiace tan-
to." Deborah abbassò il tascabile dell'autobiografia di Michael Caine e diede un'occhiata all'orologio: l'una e venti. Sospirò e mise il libro sul comodino. Non aveva sonno, anche se era sveglia da quando Scarlett aveva trovato la signora Dillman nel cortile. Continuava a vedere il corpo delicato della donna che giaceva sull'erba gelata. E continuava a pensare al conto corrente che Steve aveva quasi prosciugato il giorno prima di scomparire. La vita tranquilla di Deborah era stata sconvolta domenica notte, e lei si sentiva la mente satura per quel diluvio di strani e paurosi eventi degli ultimi giorni. Non sapeva nemmeno lei quanto ancora sarebbe stata in grado di sopportare. Tirò indietro le coperte e s'infilò la vestaglia. Forse un bicchiere di latte caldo le avrebbe fatto bene. Un bicchiere di latte caldo con una generosa dose di bourbon. La porta della stanza degli ospiti era aperta. Deborah sperava che Barbara stesse godendosi la sua serata con Evan. Lui le era sembrato molto nervoso, come se non fosse esattamente felice per tutto il tempo che Barbara trascorreva da lei. Ma quell'esperienza doveva avere i suoi effetti negativi anche su Barbara. Dopotutto, lei passava le sue solite dieci ore in ufficio, e la casa di Deborah non le forniva certo una rilassante atmosfera serale. Sbirciò nella stanza dei bambini. Entrambi dormivano profondamente, Scarlett aprì gli occhi assonnati, ma non diede l'impressione di voler seguire la padrona di casa. Scendendo in punta di piedi, Deborah si strinse nella vestaglia. Una settimana prima, non si sarebbe mai sognata di dover camminare vicino a Joe in veste da camera. Ma adesso un tale pudore sembrava persino sciocco. Joe aveva rifiutato di dormire nella stanza degli ospiti in assenza di Barbara. "Ho bisogno di stare giù" aveva detto. "Se qualcuno si aggira qui intorno, lo sentirò." Ma mentre Deborah passava davanti al salotto, vide che il divano era vuoto. In effetti, non sembrava che qualcuno ci avesse dormito. Entrò in cucina, aspettandosi di trovarlo lì, magari intento a bere un caffè, ma la stanza era vuota. Venne presa da un senso d'allarme. Che Joe avesse sentito qualcosa e fosse uscito a controllare? Le sue mani cominciarono a tremare. Tirò un profondo sospiro e si diresse alla porta sul retro. Il battente era chiuso saldamente a chiave, come quello che dava sul garage. Guardò fuori dalla finestra della cucina. Era chiusa col fermo. Scostando le tende, sbirciò verso il cortile anteriore. Era
vuoto come la strada, anche se lei sapeva che un'auto di sorveglianza della polizia doveva essere appostata da qualche parte. Ma quella consapevolezza non la fece sentire più tranquilla. Dov'era Joe? Be', lei non se la sentiva di uscire per svolgere qualche indagine, ma non poteva nemmeno andarsene a letto. Tornò in cucina e versò il latte in un bicchiere, poi lo mise nel forno a microonde. Il latte non l'avrebbe aiutata molto, ma il fatto di prepararlo le dava qualcosa da fare. Poi squillò il telefono. Lei rispose dalla derivazione in cucina, aspettandosi di sentire la voce roca e familiare di Joe. Invece, una voce maschile incredibilmente distorta e profonda disse: «Deborah?» Lei esitò. «Sì?» «Mi piace come mi appari stanotte.» Lei rimase ferma per un istante di panico, poi sbatté giù il ricevitore. Si strinse nelle braccia, sentendosi piccola e vulnerabile. Che cosa poteva fare? Correre fuori cercando di trovare la macchina della polizia? Ma il pensiero di uscire nella notte la terrorizzava. Qualcuno là fuori stava osservandola. «O forse no» disse ad alta voce, giusto per spezzare il silenzio della cucina. «Lui non ha detto niente di specifico sul mio aspetto. Forse non era nemmeno in grado di vedermi.» Perciò chiamare la polizia sarebbe stato inutile. Loro avrebbero pensato molto probabilmente alla telefonata di un pazzo. E nonostante lei sapesse che la linea era sotto controllo, la telefonata era durata meno di trenta secondi. Meno di quanto bastava per rintracciarne l'origine. Era stata una sciocca a sbattere giù il ricevitore così in fretta. Deborah prese il bicchiere di latte dal forno a microonde. Adesso era tiepido, ma non valeva la pena scaldarlo. Trovò una bottiglia di bourbon nell'armadietto e ne versò una buona dose nel latte. Poi si sedette al tavolo, ancora scossa, gli occhi che guardavano irresistibilmente il telefono. E, in quell'esatto momento, il telefono squillò di nuovo. Deborah era divorata dall'incertezza. Doveva lasciarlo squillare? Doveva rispondere e cercare di far parlare lo sconosciuto per qualche minuto? Chiuse gli occhi. Il telefono squillò di nuovo. E di nuovo. Si alzò e corse verso il ricevitore, sollevandolo. «Pronto?» disse quasi urlando. «Mi sembri tesa» disse la voce. «Sei preoccupata di essere sola in casa con i bambini?» «Chi è?» chiese scioccamente Deborah.
«Un tuo ammiratore.» La linea venne interrotta. Con le mani tremanti, Deborah si sedette al tavolo, aspettando un'altra chiamata. Passarono dieci minuti. Aveva terminato il latte senza nemmeno gustarlo. La maniglia della porta sul retro si abbassò leggermente. Deborah trattenne il respiro, poi si immobilizzò, attaccata alla sedia. Aveva lo sguardo fisso sulla maniglia. Un leggero cigolio. Poi la porta si aprì. Fu Joe a entrare. «Dove diavolo sei stato?» chiese lei con voce roca. «Fuori.» «Questo lo so» sbottò Deborah, scagliandosi su Joe per averla fatta spaventare tanto. «Fuori dove?» Joe si chiuse la porta alle spalle. «Credevo di aver visto una luce nella casa degli O'Donnell, così sono andato a controllare.» «E?» «E niente. Quando sono arrivato lì, la luce non si vedeva più. Posto che ci fosse mai stata. Non ne sono sicuro. Forse era solo un riflesso.» «Ho ricevuto due telefonate mentre non c'eri. Un uomo ha detto: "Mi piace come mi appari stanotte".» Joe aggrottò le sopracciglia, guardandola. «Cosa diavolo poteva voler dire?» Nonostante il terrore di poco prima, Deborah non poté fare a meno di prorompere in un sorrisino. «Evidentemente, non condividi la sua opinione.» «Scusami. Non intendevo dire che...» «Va bene, va bene. Che tu ci creda o no, non mi vesto sempre così. In ogni modo, la prima telefonata è giunta circa un quarto d'ora fa. Ho sbattuto giù il ricevitore, cosa che non avrei dovuto fare.» Joe si sedette di fronte a lei. Non si era ancora tolto il giaccone di pelle. «Hai riconosciuto la voce?» «No. Era una voce dal timbro profondo, ma ovviamente distorta e contraffatta. La seconda volta, ha detto che sembravo tesa e che dovevo essere preoccupata per il fatto di trovarmi da sola in casa con i bambini. L'uomo si è definito un mio ammiratore.» Fece una pausa. «Joe, ritieni che quello sia in grado di vedere dentro casa?» «No» rispose pensosamente Joe. «Però sapeva che eri sola e ha scelto proprio quel momento per spaventarti. Forse non è in grado di vedere dentro casa, ma mi ci gioco la camicia che stava tenendo d'occhio l'abitazione.»
«Ma da dove?» «Non lo so. Forse in una delle case vicine alla tua, che al momento sono tutte vuote. Chissà, forse ti ha chiamato usando un cellulare. Di questi tempi, è molto facile rintracciare la provenienza delle telefonate. Ora controllo.» E il controllo andò a buon fine. La chiamata era stata fatta da un telefono pubblico nell'area di parcheggio di una stazione di servizio a circa un isolato di distanza. Alla stazione, nessuno ricordava chi avesse fatto la telefonata. Più tardi, dopo che Deborah era tornata a letto e si era messa una coperta supplementare per placare i brividi che le squassavano il corpo, si chiese come mai Joe fosse rientrato dalla porta di servizio, invece che da quella principale, e dove avesse preso la chiave. 15 La mattina dopo, Deborah si svegliò presto e scese di sotto. Trovò Joe che era già intento a bere una tazza di caffè. «Ma tu non dormi mai?» gli chiese. «Quando mi alzo, qualsiasi ora sia, tu sei sempre sveglio.» «Quando stavo al ranch, dovevo alzarmi sempre alle cinque di mattina» rispose lui. «Per mungere le mucche?» Joe sorrise. «Non avevamo mucche. Coltivavamo cotone e allevavamo cavalli, Deborah.» «Già, ora ricordo.» Si versò del caffè e si sedette. «Erano purosangue?» «No, cavalli da corsa. Mai cavalcato uno?» «Non sono mai stata su un cavallo in vita mia. Non sopporto nemmeno di guardare le corse in televisione, perché ho sempre paura che un cavallo cada e si rompa una gamba. È terribile pensare che debbano sparargli.» «Ma oggigiorno non si spara più ai cavalli.» «Meno male. Uccidere quelle stupende creature mi è sempre sembrato un sacrilegio.» Joe sogghignò. «Mia madre ti troverebbe simpatica. Siete due spiriti gemelli.» «Davvero? Parlami un po' di lei.» "Parlami di tutto fuorché di mio marito" pensò disperatamente Deborah. Joe si appoggiò allo schienale della sedia. «Mia madre si chiama Amanda e viene dal Massachusetts. Dopo la morte di mio padre, quando avevo
nove anni, tutti credevano che avrebbe venduto il ranch. Vedi, io ho un fratello minore, Bob, e due sorelle, anche loro più giovani di me. La mamma decise di tenere duro. Fu difficile, all'inizio, ma alla fine le cose si aggiustarono. Lei ha un carattere di ferro, sotto la sua superficie delicata. Una volta, quando mio fratello Bob aveva dieci anni, era stato morso da un serpente a sonagli. Anche se in famiglia ci era stato insegnato come comportarci di fronte a evenienze simili, lui si fece prendere dal panico e tornò a casa. Avevamo gente, quel giorno. Sedevano tutti in veranda e Bob entrò all'improvviso, gridando: "Mamma, credo di stare per morire", poi stramazzò a terra. Le altre signore del gruppo cominciarono a urlare. Persino gli uomini non sembravano molto tranquilli. Ma mia madre, perfettamente lucida e padrona di sé, mandò la governante a chiamare il medico, poi afferrò un coltello, praticò una piccola incisione alla gamba di Bob e cominciò a succhiare il veleno.» «E lui se la cavò?» «Certo. Vive ancora al ranch con la moglie e figlia.» Lei passò le dita sul bordo della tazza. «Joe, dove hai preso la chiave della porta di servizio?» «Dal gancio accanto alla porta» disse lui in tono indifferente. «Hai dimenticato che era appesa lì?» «Sì, in effetti me n'ero dimenticata» disse lei con un certo imbarazzo. «Ma eri anche un po' sospettosa.» «Un po', sì. Scusami.» «Non scusarti. È perfettamente legittimo che tu me lo chieda.» «E c'è anche qualcos'altro che volevo chiederti. Come ti sei fatto quella cicatrice sulla fronte?» Lui si toccò la sottile cicatrice sopra le ciglia. «Me la sono fatta quando avevo dieci anni. Mentre ero a cavallo, sono caduto sopra l'unica pietra nel raggio di un miglio.» «Perché non sei rimasto al ranch insieme alla tua famiglia?» Joe abbozzò un sorriso. «Prima che mio padre comprasse il ranch, in Texas, lui faceva il ranger. Io sono cresciuto sentendo i racconti delle sue imprese. Sognavo chissà cosa, e invece sono finito nelle braccia di una ragazza squillo e ho dovuto lasciare la polizia.» Deborah lo guardò per qualche secondo. «Joe, ti dispiacerebbe parlarmi di quella ragazza di Houston?» «Non ti ha detto tutto Steve?» «Solo i fatti essenziali. Mi ha detto che nei sei uscito assolutamente puli-
to.» Lui cominciò a raccontare lentamente, senza nemmeno guardarla. «Quando facevo le superiori, mi ero innamorato follemente di una ragazza che si chiamava Lisa. La corteggiai per un paio d'anni. Durante l'anno del diploma, però, i suoi genitori si separarono e la madre la portò via con sé. Ci scrivemmo per un po', poi le sue lettere cessarono. Provai un grande stupore quando la rividi a Houston dieci anni dopo. Cominciammo a frequentarci di nuovo. Lei mi disse che era diventata una consulente finanziaria.» «E tu le credesti.» «Non avevo motivo di non farlo. Lei era sempre stata molto sveglia, e pensai che ovviamente aveva avuto successo nella vita. Indossava abiti eleganti e viveva in un bell'appartamento. Poi, dopo alcune settimane, mi accorsi che non parlava mai del suo lavoro. Quando le ponevo qualche domanda, lei menava il can per l'aia. Inoltre, sembrava spesso soggetta a forti cambiamenti d'umore. Mi chiesi se facesse uso di droghe.» «Così ti insospettisti.» Joe annuì. «Non ci misi molto a scoprire di che cosa si occupava veramente. Avrei dovuto portarla via, ma l'amavo. Cercai di persuaderla a cambiare vita, ma lei non ne voleva sapere. Poi scoprii che uno dei suoi clienti era uno spacciatore di droga di grosso calibro a cui stavamo dando la caccia da mesi. Io non mi occupavo di quel particolare caso, ma all'improvviso mi accorsi che lei mi aveva chiesto un mucchio di volte di parlarle di affari collegati con le indagini di polizia. In breve, mi stava spremendo informazioni. Non avevo più scuse per non allontanarmi completamente da lei, e invece decisi di fare la parte del salvatore. Le consigliai energicamente di liberarsi di quello spacciatore, ma lei divenne davvero ostile. È chiaro che la usavano come informatrice e si aspettavano da lei che facesse bene il suo lavoro. Per qualche ragione, cominciò a spargere la voce che aveva paura di me. Forse temeva che la stessi usando come lei usava me e che avessi già scoperto troppo. Comunque, alla fini mi costrinsi a lasciarla. Non la vedevo da quasi due settimane quando la trovarono con la gola squarciata.» La voce di Joe era fredda e impersonale, ma Deborah notò un leggero tremore nelle mani dell'uomo. «Hanno mai scoperto il colpevole?» chiese. «Dopo avermi messo sulla graticola, anche se in fondo me lo meritavo, arrestarono un povero disgraziato che era ossessionato da lei e che la seguiva dappertutto. Però io so che non è stato lui a ucciderla. L'ha uccisa lo
spacciatore, perché lei si imbottiva di coca e parlava troppo.» «Però non lo arrestarono.» «No. Riuscì a coprire le sue tracce anche sin troppo bene. Così l'assassino di Lisa è ancora a piede libero e io ho lasciato il corpo di polizia con un sospetto infamante, come si dice. Fine della tragica, stupida storia.» Un senso di forte disagio calò nella stanza. «Hai preso il giornale?» chiese in fretta lei per nascondere le sue emozioni. «No. Vado a prenderlo adesso.» Joe si alzò e si diresse alla porta principale mentre Deborah si versava una tazza di caffè. Quando lei si sedette nuovamente, dopo un po', Joe rientrò in cucina, pallido in viso. Aveva gli occhi pieni d'angoscia. «Oh, mio Dio!» esclamò Deborah. «Hanno trovato Steve?» «No. In questo caso, avrebbero dato la notizia a te, prima di passarla ai giornali.» «Allora cos'è successo?» «Lo strangolatore ha colpito di nuovo, ieri notte, stavolta proprio qui a Charleston.» Deborah fissò Joe, anche se le sembrava di non riuscire a mettere bene a fuoco. «Leggimi l'articolo.» Mentre lui leggeva, Deborah apprese i particolari. La vittima era Toni Lee Morris. Aveva ventidue anni ed era sposata. Era stata aggredita nel vicolo dietro a un bar e poi violentata, picchiata e strangolata. Non le era andata bene come a Sally Yates. Un ubriaco aveva inciampato sul cadavere della ragazza verso l'una di notte. Gli orecchini le erano stati strappati con violenza dalle orecchie. Il medico legale collocava il decesso tra le undici e mezzanotte. I gestori del bar avevano detto che lei era una cliente regolare e che era uscita dal locale verso le undici e mezzo. Lasciava il marito, Daryl, e una sorella, Brenda Johnson. Joe alzò lo sguardo verso di lei. «Lo strangolatore ha modificato le sue abitudini. Ha sempre fatto passare qualche mese tra un delitto e l'altro, e ha sempre colpito il sabato notte.» «Ma stavolta ha aggredito la sua vittima dopo solo due settimane dall'ultima violenza e lo ha fatto in una notte feriale. Come mai questo cambiamento?» «A volte, i serial killer si comportano così. Cominciano lentamente, con cautela, poi diventano più fiduciosi e agiscono con maggiore velocità.» «Maggiore velocità?» «Uccidono più frequentemente.»
«Perché? Perché vogliono essere presi?» Joe fece un sorriso triste. «Forse qualcuno di loro vuole essere preso, Deborah, ma questo assassino è uno psicopatico, e gli psicopatici non hanno coscienza. Comunque, può sempre perdere il controllo.» Lesse l'articolo su Toni Lee Morris altre due volte durante la mattinata, e ogni volta la paura si insinuò in lei al pensiero che lo Strangolatore dei vicoli bui uccidesse proprio lì a Charleston. Alla fine, Joe le prese il giornale. «Basta così, Deborah. Continuare a rileggere quella roba non cambierà niente. Quasi mi spiace di avertelo fatto sapere.» «E credi che non me ne sarei accorta, altrimenti? E poi, dovevo sapere. In fondo, almeno per quanto riguarda l'FBI, io sono coinvolta a pieno titolo in questa storia. Forse l'agente Wylie crede che stia proteggendo mio marito, il serial killer.» Joe non disse nulla, e Deborah capì che per lui non c'era niente da dire. Non era solo l'agente Wylie a credere che lo Strangolatore dei vicoli bui fosse Steve. Stava cominciando a pensarlo anche Joe. Più tardi, mentre Deborah risciacquava l'ultimo piatto del pranzo, il telefono squillò e lei alzò il ricevitore con la mano ancora umida. «Deborah?» chiese una donna. Quella voce brusca e in qualche modo imperiosa le parve sconosciuta, e Deborah temette che potesse trattarsi di una giornalista. «Sì, sono Deborah Robinson» disse con cautela. «Sono Lorna Robinson, la madre di Steve.» Deborah si era sempre chiesta come avrebbe reagito se uno dei genitori di Steve l'avesse chiamata all'improvviso. Ora lo sapeva. Rimase senza parole. «Sei ancora lì?» chiese la donna. «Sì. Salve, signora Robinson.» «Ciao. Io e mio marito siamo alle Hawaii. Ieri sera, abbiamo saputo da amici che Steve è scomparso da alcuni giorni. Perché non ci hai informati?» «Ho cercato» disse Deborah, seccata dal fatto che la signora Robinson avesse pensato a rimproverarla prima ancora di chiederle se c'erano novità su Steve. «Ma voi eravate in viaggio.» «Avresti potuto lasciar detto a qualcuno.» «Signora Robinson, non volevo che tornaste in albergo e scopriste la notizia da un messaggio riferito da chissà chi. Inoltre, non ero sicura che mi avreste ritelefonato e non credevo che foste veramente preoccupati.»
«Questa non è una cosa molto bella da dire.» «Qui la situazione è parecchio brutta, signora Robinson. Non abbiamo ancora idea di cosa sia successo a Steve, ma temiamo il peggio, specie con Artie Lieber nei dintorni.» «Lieber! Buon Dio, non sapevo che fosse coinvolto anche lui!» «Come le dico, è nei dintorni. O lo era quando è scomparso Steve.» «Capisco. Allora la polizia non ha ancora trovato né lui né Steve?» «No.» Una nota di ansietà si insinuò nella voce sgradevole. «Non credi che Lieber cercherà di far del male anche a Emily, vero?» «Ho già avvisato la casa di cura e loro hanno promesso di prendere tutte le precauzioni per salvaguardare la vita di Emily. Se fosse successo qualcosa di brutto, lo avrei già saputo.» «Questo è un sollievo. Comunque, io e mio marito torneremo a casa appena possibile. Sfortunatamente, lui si è preso una qualche specie di virus ed è probabile che stia troppo male per un paio di giorni.» «Non potrebbe tornare lei, intanto?» chiese Deborah. «Non sono molta brava a viaggiare da sola» rispose seccamente la signora Robinson. «Inoltre, mio marito ha bisogno di me.» "Tuo figlio è scomparso, forse è morto, ma tu non vuoi tornare a casa perché hai scoperto che tua figlia è al sicuro ed è questo che ti importa veramente" pensò con amarezza Deborah. «Mi farai sapere se Steve venisse ritrovato, vero?» «Certo.» «Ah, Deborah, spero che non dirai nulla alla stampa. La nostra famiglia ha già sofferto molto a causa della pubblicità negativa.» Deborah si sentì quasi accecata dalla furia. Tra tutte le sciocchezze che si potevano pensare in un momento simile, quella era una delle più stupide. «Parlerò con i giornalisti, se avrò la sensazione che questo possa servire a rintracciare Steve.» La signora Robinson sospirò. «Be', non posso impedirtelo, anche se te lo chiedo come madre di Steve.» Deborah non disse niente e, alla fine, la signora Robinson proseguì. «Se non dovessi più sentirti nei prossimi giorni, mi metterò in contatto con te non appena arrivo a Wheeling. Poi decideremo cosa fare.» "Decideremo cosa fare?" pensò Deborah. Cosa diavolo c'era da decidere? Se continuare o meno a far cercare Steve? La signora Robinson pronunciò un brusco saluto e, mentre Deborah
riagganciava, si rese conto che la donna non le aveva chiesto nulla dei nipoti. Linda Amato, infermiera diplomata, diede un'occhiata all'orologio e tirò un sospiro di sollievo. Ancora tre quarti d'ora e poi sarebbe potuta tornare a casa. Naturalmente, non appena fosse rincasata, l'aspettavano almeno due cesti di biancheria da lavare, se voleva mettere qualcosa di pulito ai bambini l'indomani, e senza dubbio avrebbe trovato il lavandino pieno di piatti sporchi. Considerando tutto quello che aveva da fare, sarebbe stata fortunata se fosse riuscita ad andare a letto prima di mezzanotte. Quei doppi turni la stavano uccidendo, ma doveva resistere fino a quando il suo ex marito non si fosse deciso a pagarle gli alimenti per i bambini. Aprì tranquillamente la porta che dava nella stanza di Sally Yates e si diresse verso la forma immobile sul letto. Tutte le volte che guardava Sally, le veniva da piangere. Quando Sally era stata assunta dall'ospedale, sei mesi prima, Linda aveva pensato che fosse una delle ragazze più belle che avesse mai visto in vita sua. Ora la mascella di Sally era bloccata per l'effetto della protesi, la parte sinistra del suo viso era ancora sfigurata dai punti dove l'osso della mandibola era uscito dalla sua sede naturale, trapassando la pelle delicata, e i capelli della ragazza erano stati rasati nella zona in cui il pazzoide l'aveva colpita alla testa, provocandole un massiccio ematoma. Le braccia erano scolorite per l'effetto degli innumerevoli assalti subiti da aghi che le iniettavano nelle vene sangue e antidolorifici. Per fortuna, il gonfiore causato dalla corda che le avevano trovato intorno al collo era sceso, così i medici avevano potuto toglierle il respiratore. Loro pensavano che non ci fosse stato un vero tentativo di assassinarla per strangolamento. Quello sembrava solo un effetto spettacolare. In apparenza, il folle aveva tentato di ucciderla soprattutto con i colpi alla testa, e per poco non c'era riuscito. Ora sapevano che era stato lo Strangolatore dei vicoli bui ad aggredire Sally. Quella era la cosa più terrificante che fosse mai entrata nella vita di Linda, e le aveva tirato fuori una cattiveria che non sapeva di possedere. Per la prima volta in vita sua, pensava che avrebbe potuto uccidere un uomo senza provare un briciolo di rimorso per il suo atto. Be', perlomeno il bastardo aveva un preservativo mentre violentava Sally, così il rischio di prenderei l'AIDS era ridotto, anche se la poverina avrebbe potuto venire in contatto con del sangue infetto attraverso una delle sue molte ferite. La madre di Sally aveva detto che Amy, la figlioletta della ricoverata,
piangeva e domandava sempre della mamma, ma i medici non le avrebbero permesso di vederla nemmeno se avesse avuto più degli otto mesi che in effetti aveva. Sally non era un bello spettacolo per una bambina, a prescindere dall'età della piccola. Ma Amy era in buone mani. La madre di Sally poteva essere una donna dalla lingua lunga e forse un po' criticona, ma adorava la figlia e la nipote. Nonostante fosse troppo stoica per piangere quando vedeva Sally, l'angoscia che le compariva dentro agli occhi rivelava la profondità dei suoi sentimenti. Il marito di Sally, invece, era tutta un'altra faccenda. Jack Yates era piombato nella stanza dell'ospedale il giorno dopo l'aggressione subita da Sally, aveva guardato la moglie con la sua faccia stupida e i suoi occhi inespressivi e poi aveva borbottato: "Se la caverà?". "Lo speriamo" aveva risposto il giovane dottor Healy. Jack Yates aveva continuato a fissare la giovane moglie in coma senza andarle vicino, e il medico aveva aggiunto: "Devo dirle, signor Yates, che la situazione non è molto favorevole, anche se stiamo cercando di fare tutto il possibile". Yates aveva puntato i suoi occhi gelidi su di lui. "Si raccoglie quello che si semina" aveva detto. "Si è comportata da sgualdrina, andando in un bar come quello. Se dovesse sopravvivere, chiederò il divorzio. E le dico un'altra cosa: non intendo pagare un cent né ai medici né all'ospedale. Che ci pensi sua madre a pagare i conti. Se l'avesse allevata meglio, Sally non sarebbe qui." Poi se n'era andato. Il dottor Healy gli aveva lanciato uno sguardo di fuoco e aveva detto ad alta voce: "Figlio di puttana." Yates si era irrigidito, ma per il resto non aveva reagito alle parole del medico. Non era mai più venuto a trovare Sally. Linda scosse furiosamente la testa al ricordo e si chinò su Sally, afferrandole la mano destra per sentirle il polso. Nel silenzio spettrale della stanza, per poco l'infermiera non si mise a urlare quando Sally sibilò: «Linda?» «Buon Dio, Sally!» esclamò Linda, guardando la giovane donna. «Sally, hai ripreso conoscenza?» Le si avvicinò al viso. «Tesoro, riesci ad aprire gli occhi?» Ma Sally continuò a giacere immobile, così Linda credette di essersi immaginata tutto. «Tesoro, sei viva» le disse. «Sei in ospedale. Qui tutti ti vogliono bene e pregano per te. "Tutti tranne quel cretino di tuo marito" pensò.» Sally, ti prego, di' qualcosa. Alla fine, l'occhio destro della ragazza si aprì. L'altro era ancora chiuso
per il vistoso gonfiore. «Amy?» Linda si sentiva divorare dalla gioia e alzò lo sguardo al soffitto. «Oh, Dio, grazie per questo miracolo!» Guardò Sally. «Amy è con tua madre. Sta bene, anche se le manchi terribilmente. Non preoccuparti, Jack si tiene ben lontano da lei» aggiunse, sapendo che Sally si preoccupava per la piccola, quando Amy era affidata a Jack. «Senti, Sally, ora tutto si aggiusterà. Sei viva, grazie al cielo.» Sally tirò un sospiro. «Quanto?» «Quanto sei stata in coma? Oh, pochi giorni» rispose Linda. Se avesse detto alla ragazza che erano già passati undici giorni, lei avrebbe subito un brutto spavento. Di solito, i pazienti che superano i tre giorni di coma restano in quello stato indefinitamente. «Dito?» chiese Sally. «Dito?» ripeté Linda senza capire, poi si ricordò che il dito al quale Sally portava la fede le era stato quasi reciso. «Il tuo dito è a posto. Lo hanno riattaccato. Probabilmente non potrai più usarlo in modo del tutto normale, ma in fondo che differenza fa? L'aspetto è rassicurante. C'è solo una piccola cicatrice, tutto qui» disse allegramente. «Hanno preso...?» Linda s'incupì. Avrebbe voluto dirle: "Sì, hanno preso il mostro che ti ha fatto questo", ma sarebbe stata solo una bugia. «No, tesoro, non l'hanno ancora preso.» La paura s'insediò nell'unico occhio aperto di Sally. «Ma lo prenderanno. La polizia si sta occupando in forze di questa faccenda, e ho sentito dire che c'è un testimone.» Sally continuò a guardarla con un'espressione di terrore, così Linda aggiunse: «Ora ti lascio per qualche minuto e vado a chiamare un dottore. È di turno Healy, stasera. Non ci crederesti, se ti dicessi con quanta cura ti ha seguito quell'uomo. Mio Dio, sarà felicissimo quando lo saprà!» La mano di Sally si strinse di colpo su quelle di Linda. «No! Niente... dottori.» «Niente dottori? Tesoro, ma di cosa stai parlando? Tu devi vedere un medico.» La stretta di Sally si rafforzò. «No!» gemette e sibilò allo stesso tempo. Ora sembrava davvero terrorizzata. «Non... l'hanno... preso.» «No, non hanno preso l'uomo che ti ha aggredito, ma ora che hai ripreso conoscenza, potrai identificarlo. Perché puoi identificarlo, vero?» «Non... sono... sicura.» Si passò la lingua sulle labbra asciutte. Linda versò dell'acqua in un bicchiere di plastica e lo avvicinò alle labbra di
Sally. Sally bevve un paio di sorsi e cominciò a tossire, così Linda tirò via il bicchiere. «Non sei sicura di poterlo identificare?» le chiese. «Non capisco. Perché no?» «Se lui... crede... che.» «Sì, e allora?» «Lui è ancora... là fuori.» «Oh» disse Linda. «Ma tu sei al sicuro qui.» «No! Non da lui!» «Tesoro, quello non è un superuomo. C'è un mucchio di gente in questo posto.» «Senti.» Linda la guardò senza capire. «Cosa dovrei sentire? Non sento nulla.» «Dov'è... la gente?» Linda capì. Non si era già resa conto prima del silenzio snervante che regnava nell'ospedale? E non era vero che di notte i corridoi sembravano quasi deserti? Sì, non era impossibile che qualcuno potesse introdursi nella stanza di un paziente. «Cosa vuoi che faccia, Sally?» chiese Linda. «Non dire... niente. Fingi che... sia ancora in coma.» «Oh, Sally, come posso fingere che tu sia ancora in coma? Hai bisogno delle cure di un medico!» «No! Se lo sa un medico... altri lo scopriranno. Finirà sui giornali. Lui è ancora là fuori. Così saprà... tutto. Linda, ti prego!» «Va bene. Non mi pare una cosa molto giusta, ma per il momento non dirò niente a nessuno.» «Promesso?» «Promesso» disse con riluttanza Linda. Una lacrima scese lungo la guancia porpora di Sally. La ragazza sembrava esausta. «Grazie.» «Non c'è di che, tesoro.» Linda si chinò e diede a Sally un leggero bacio sulla fronte. Ma mentre usciva dalla stanza, era profondamente turbata. Sapeva di essere una donna dotata di una scarsa immaginazione, ed era per quello che faceva sempre tutto secondo le regole. Ma adesso si era prestata a nascondere il fatto che una paziente si era risvegliata dal coma. No, non era giusto. La cosa avrebbe potuto avere delle ripercussioni negative, e lei lo sapeva. Magari l'avrebbero anche licenziata. Una voce nel profondo di Linda cominciò a parlare, una voce che lei di
solito ignorava perché non voleva crearsi noie o complicazioni. Normalmente non l'avrebbe ascoltata, ma stavolta decise di fare il contrario. La voce continuava a dire: "Forse Sally non è in preda a una qualche paura paranoide. Forse, se parli, metterai in pericolo non solo la salute di quella ragazza, ma la sua stessa vita". E un brivido di gelo salì lungo la spina dorsale di Linda quando lei ricordò le parole torturate di Sally: "Lui è ancora là fuori". 16 Nonostante i bambini le chiedessero sovente se ci fosse qualcosa di nuovo su papà, Deborah si accorse che la speranza era scomparsa dai loro occhi. Il suo dolore più profondo era proprio quello: la loro accettazione mortificata del fatto che Steve non sarebbe più ricomparso. Avrebbe voluto rassicurarli, dire che il loro papà probabilmente sarebbe tornalo per Natale, ma sarebbe stata una menzogna crudele. Se Steve non fosse ricomparso, e lei ne era sempre più certa, i bambini sarebbero stati schiacciati dal dolore. Stava regolando il termostato per la terza volta da quando si era alzata, quando qualcuno suonò il campanello. Lei si irrigidì ed esitò. Joe era andato a casa sua per un paio d'ore. I bambini, che avevano litigato per la maggior parte della mattinata, ora stavano giocando tranquillamente in cantina e la casa era immersa in un silenzio irreale. Il campanello squillò di nuovo, e lei si rimproverò per il fatto che si sentiva tanto spaventata. Erano le undici del mattino e Artie Lieber non si sarebbe certo presentato a casa sua a un'ora simile, per di più con la costante sorveglianza che esercitava la polizia. Aprì la porta e vide Fred Dillman, il figlio della signora Dillman. «Signora Robinson? Spero di non averla disturbata. Sarei passato prima, ma sono stato in ospedale...» «Entri» disse Deborah. «Ero molto in ansia per sua madre. Come sta?» «Come prima» rispose Fred. Era un uomo corpulento, alto sul metro e ottantacinque e con dei folti capelli bruni screziati di grigio. «Non credo che la mamma ne uscirà.» Fred sembrava genuinamente triste, e Deborah si chiese perché avesse trascurato tanto la madre, se le voleva così bene. Come se lui le avesse letto nel pensiero, disse: «Se solo la mamma fosse andata a stare da mia sorella in Florida, questo non sarebbe successo.»
«Oppure poteva venire a stare da lei» non poté fare a meno di dire Deborah. Lui arrossì per l'imbarazzo. «Mia moglie non l'avrebbe permesso. Lei e mia madre non sono mai andate d'accordo. E poi, non si può costringere qualcuno che ha il carattere di mia madre a vivere dove non vuole. Sarebbe scappata in un modo o nell'altro.» «Forse.» «Comunque, grazie all'aiuto che le avete dato lei e suo marito, era riuscita a farcela fin qui. Apprezzo molto la vostra gentilezza, mi creda. Io non potevo venire spesso, perché sono molto occupato col mio lavoro. Lei si era messa in testa persino l'idea che stessi cercando di avvelenarla. Riesce a immaginare qualcosa di più incredibile?» «Non sapevo nulla. Non mi ha mai parlato di quella particolare fantasia, anche se ne ho sentito molte altre da lei.» Fred sorrise. «Che avranno riguardato le malefatte del mio povero padre, senza dubbio.» «Già. Sembra che abbia fatto delle cose davvero incredibili in questi ultimi anni.» All'improvviso, Deborah si rese conto che erano ancora sulla porta. Invitò Fred a entrare, ma lui rifiutò. «A dire la verità, ero venuto a chiederle un favore. Ho trovato alloggio in un motel, ma credo che oggi mi trasferirò nella casa di mia madre, visto che probabilmente dovrò fermarmi per qualche altro giorno. E anche se lei è priva di sensi, non posso sopportare di vederla con la camicia da notte dell'ospedale. Vorrei portarle un po' di roba, biancheria intima e arnesi da toletta... tutto quello di cui hanno bisogno le donne quando sono in ospedale. Mi chiedevo se sarebbe stata così gentile da accompagnarmi a casa e suggerirmi cosa dovrei prendere. Sono sicuro che ne saprà molto più lei di me, in merito.» Deborah esitò, poi disse: «Le dispiace se mi porto i bambini? Abbiamo avuto qualche problema...» «Lo so. La notizia è apparsa su tutti i giornali. Sono molto spiacente. Immagino che non ci siano più state novità, vero?» «Purtroppo no» rispose Deborah. Aveva qualche difficoltà a ricordare che la gente non sapeva dei sospetti dell'FBI nei confronti di Steve. I notiziari avevano parlato solo della scomparsa del marito. Ricordandosi di quel particolare, si rilassò leggermente. «Spero tanto che mio marito sia ancora vivo, però è scomparso senza lasciare traccia.» «Una situazione davvero orribile. Lei non crede che quanto è successo a suo marito abbia qualcosa a che fare con l'aggressione subita da mia ma-
dre, vero?» Lei esitò di nuovo, poi decise di essere franca con lui. «Non so se esista un nesso, ma c'è qualcosa che dovrebbe sapere. La notte in cui sua madre è stata assalita, lei è venuta da me sostenendo che mio marito la stava spiando mentre si preparava ad andare a letto. Ha detto che lui sembrava volteggiare in aria e che c'era una luce alle sue spalle.» «Ma è ridicolo» disse Fred. «Questo è proprio ciò che io e la mia amica Barbara abbiamo pensato all'inizio. Ma dopo che abbiamo trovato sua madre priva di sensi, a Barbara è venuta l'idea che forse qualcuno stava davvero spiando la signora dalla casa di fronte. Quella casa è rimasta vuota da anni, o almeno così credevamo, ma Barbara ha scoperto che era stata affittata alcuni mesi fa a un uomo che non abbiamo mai visto.» Fred sembrava incredulo. «Lei crede che l'uomo che abita lì abbia spiato la mamma e poi l'abbia aggredita?» «Non possiamo saperlo con certezza, ma sarebbe possibile guardare nella camera da letto di sua madre da una stanza al piano superiore di quella casa. E la persona che l'ha presa in affitto è un totale mistero.» «La polizia sa di questa storia?» «Sì.» «Hanno perquisito la casa?» «Sì, ma non hanno trovato niente.» «Non potrebbe qualcun altro dare un'occhiata dentro la casa?» «No. È pur sempre una proprietà privata, che sia vuota oppure no. Ma un investigatore privato, un amico di famiglia che adesso sta con me e i bambini, una notte è sgusciato fuori e ha guardato dalle finestre. Non ha visto nessuno.» «Be', ma quanto si poteva vedere di notte? Perché non è andato durante il giorno?» «Come le ho detto, questa casa è sotto sorveglianza. La polizia controlla ogni mossa che facciamo, e non credo che avrebbero permesso a Joe di effettuare una perquisizione illegale. Quel poco che potevamo fare, andava fatto la notte.» «E chiunque sia stato ad aggredire mia madre, si è comportato nello stesso modo. Anche lui è sgusciato fuori la notte. Ma chi poteva avercela con lei? Mia madre è una persona assolutamente innocua.» «Forse non è così innocua» disse Deborah. «Lei è molto osservatrice, anche se non sempre è in grado di fornire una descrizione accurata di quel-
lo che ha visto. Comunque, credo che ci sia qualcosa di strano in quella casa, e sua madre può aver visto qualcosa di troppo.» Si strinse nelle spalle e sorrise. «Penserà che abbia visto troppi film di Alfred Hitchcock, vero? Però credo che quanto le ho detto non vada escluso a priori.» Fred aggrottò le sopracciglia. «A me non sembra poi così tirato per i capelli. Forse è un bene che mi fermi per un po' in casa. Magari riuscirò a vedere qualcosa di interessante dalla finestra della camera da letto.» Dieci minuti dopo, non appena Deborah infagottò bene i bambini per proteggerli dal vento sferzante, Fred aprì la porta della casa della madre. I piccoli si diressero subito verso un tavolo dove c'erano delle foto di famiglia. «Mentre voi guardate le loto» disse Deborah «io salgo col signor Dillman. Torno tra pochi minuti.» Fred la seguì al piano di sopra, anche se si limitò a starsene lì mentre Deborah frugava nello stanzino e nei cassetti del comò. Lei trovò una bella vestaglia azzurra con un colletto bianco che sembrava non fosse stata mai indossata, della biancheria intima pietosamente rammendata, un paio decente di pantofole bianche da casa, uno stick di rossetto e una nuova confezione di colonia Emeraude che Fred asseriva di aver mandato alla madre come dono di compleanno. Per ultimo, sistemò la Bibbia della signora Dillman in cima agli abiti in una valigia che aveva portato da casa. «Credo che sia più o meno tutto» disse. Fred prese la valigia e cominciò a scendere. Deborah indugiò ancora qualche secondo in camera da letto, dirigendosi verso un cassettone di cedro sotto la finestra. Nonostante gli altri mobili fossero vecchi e rovinati, quello sembrava essere stato lucidato con molta cura. Non poté fare a meno di alzarne il coperchio. Era fatto a mano, ovviamente, e dentro c'era un'iscrizione incisa con la fiamma viva nel legno: "A Virginia, da mamma e papà, 1922". Virginia. Era impossibile per Deborah pensare che la donna avesse un nome proprio, oltre a essere semplicemente la signora Dillman. Abbassò il coperchio e diede un'occhiata all'esterno, scostando leggermente le tende. Dall'altro lato della strada, un gatto randagio vagava nel prato della casa degli O'Donnell. L'animale si fermò e alzò il muso. Deborah ne seguì la traiettoria dello sguardo e si irrigidì quando, per un attimo, colse il riflesso di un volto pallido in una finestra al piano di sopra. Il volto la guardava. Scese le scale a precipizio e uscì dalla porta d'ingresso. Una volta fuori, fece correre lo sguardo lungo il vicolo cieco alla ricerca di un'auto o di un furgone, i possibili veicoli di sorveglianza, ma non vide niente. Sapeva che
il veicolo doveva essere nei pressi, ben mascherato in modo da non denunciare la sua presenza, però questo non la aiutò. La strada era vuota, e lo stesso valeva per la finestra al primo piano nella casa degli O'Donnell. Da quando si era risvegliata dal coma, Sally aveva cercato di non dormire, specie la notte, e soprattutto dopo che Linda aveva detto al dottor Healy che la paziente aveva ripreso conoscenza. Aveva accettato con cupa rassegnazione il fatto che Linda non fosse riuscita a tenersi quel segreto per sé. Linda era convinta di aver agito per il meglio, ma Sally sapeva che l'infermiera, involontariamente, aveva fatto proprio quello che avrebbe finito per causare la morte della sua paziente. Non aveva orologi di nessun tipo nella stanza, ma la televisione era stata spenta, così come avveniva sempre alle undici di notte. Sally si era appisolata durante il film delle nove, almeno un'ora prima. Ma forse era passata più di un'ora. Non aveva modo di saperlo. I suoi occhi saettarono intorno alla stanza. Perlomeno era piccola e spoglia, e lei era in grado di vedere piuttosto bene sfruttando la luce che filtrava dalla porta aperta. Non c'erano sagome in agguato e nemmeno strani rumori. Solo il consueto chiacchiericcio che proveniva dalla postazione delle infermiere e un qualche occasionale grido da parte del tizio in fondo al corridoio che pensava di essere tornato nelle Filippine durante la Seconda guerra mondiale. Ma anche quella era una cosa normale, in fondo. Tutto era normale. Si sentiva le palpebre pesanti. "Non devo dormire di nuovo!" pensò con forza. "Se solo potessi avere una tazza di caffè nero... Ma questo non è un albergo. Non mi daranno mai del caffè a quest'ora. Forse potrei chiedere qualche stimolante, però, così almeno le infermiere avrebbero qualcosa da discutere, stanotte." Persino mentre sorrideva dentro di sé, gli occhi le si chiusero. Lei lottò con tutte le sue forze, ma le onde buie del sonno la sopraffecero. Era tornata di nuovo in quel vicolo, china sull'uomo con un fazzoletto insanguinato premuto contro la fronte. Lui lo ripose in tasca e si alzò per metterle il braccio intorno alle spalle. Lei vide che non aveva alcuna ferita alla testa... solo una macchia rossa, probabilmente una goccia di colorante per cibi. Lui si portò la mano alla tasca e, in un lampo, una corda le si strinse intorno al collo. Poi la colpì con un violento pugno in faccia e, mentre lei cadeva, la prese per i piedi e cominciò a trascinarla... Aprì gli occhi di colpo. Il cuore le batteva con forza contro le costole,
provocandole dolore. Da quanto tempo si era addormentata? E perché adesso la porta della stanza era chiusa? Alle narici le giunse un odore... non di profumo, ma semplicemente di un altro essere umano. Dalla bocca bloccata dalla protesi le sfuggì un gemito di terrore. Cercò freneticamente il campanello per chiamare l'infermiera di turno, ma una mano si chiuse sulla sua. «Non vuoi farlo, vero, Sally?» Lei aspirò l'aria per lanciare un urlo, ma un'altra mano le si chiuse intorno alla bocca, afferrandole brutalmente la mandibola fratturata. «Hai un'aria così delicata, eppure sei un vero osso duro» mormorò la voce roca con terrificante gentilezza. «Qualcuna delle altre si è rivelata facile da uccidere, qualche altra no. Ma nessuna è mai stata come te. Dimmi, dove prendi la tua forza, Sally? Questo mi interessa molto. Perché sei così maledettamente forte?» Lei si sentì invadere dalla paura. Prese a scalciare sotto il lenzuolo e la coperta con tutto il vigore che aveva in corpo. Lui sogghignò. «Testarda fino alla fine, eh? Vuoi morire combattendo come la puttana da strada che sei? Be', anche se questo mi rende le cose più difficili, ti ammiro. Ma solo per la tua forza, non per la tua morale. Donne come te non sanno neppure dove stia di casa la morale.» Il dolore cresceva nella mandibola di Sally e la mano continuava a spingere all'insù, bloccandole anche il naso. Lei fece qualche tentativo di riprendere fiato e prese di nuovo a gemere sotto la mano. «La parola che avevi ripreso conoscenza si è diffusa ben presto in ospedale e, grazie al cielo, io ho dei buoni contatti in questa città. Altrimenti, sarebbe stato un disastro. Oh, lo so che ti sei rifiutata di parlare con la polizia fin qui» proseguì la voce carezzevole e spietata. «So che loro sono venuti a trovarti, ma tu non hai voluto dire niente. Però, prima o poi, finirai per cedere. O, perlomeno, loro finiranno col farti cedere se fossi ancora viva, ma purtroppo per te, la tua buona sorte è finita.» L'uomo le spinse con forza la testa all'indietro. Lei alzò lo sguardo per vedergli il viso, ma non riuscì a distinguerne i lineamenti. Vide solo il coltello a serramanico dalla lama scintillante davanti ai suoi occhi. «Non è il mio solito stile, ma date le circostanze...» Sally scalciò con violenza e tentò di gridare, la voce che le raschiava la gola. Poi una porta si aprì e la luce inondò la stanza. «Cosa diavolo...» iniziò a dire un'infermiera. Sally vide una figura dal camice bianco lanciarsi verso la porta. L'infer-
miera gettò le braccia all'infuori, afferrando le spalle dell'uomo. Ma quest'ultimo fece scattare la mano verso l'alto e affondò la lama del coltello nell'addome dell'infermiera. Con un debole gemito, lei si afflosciò. L'uomo uscì di corsa dalla stanza. Sally si aspettava un gran trambusto nel corridoio, ma non sentì nulla se non i soliti rumori. Sconvolta e ancora boccheggiante, fissò per un attimo l'infermiera stesa a terra e vide il sangue gocciolare sul pavimento da sotto il corpo della donna. Poi premette il campanello più e più volte, fino a quando qualcuno arrivò ad aiutarla. 17 La vigilia di Natale arrivò con una spruzzata di neve che deliziò i bambini. «Bianco Natal, bianco Natal!» cantava Kimberly. «Papà l'aveva detto che sarebbe stato un Natale con la neve!» Deborah aveva già sistemato i regali sotto l'albero e provò un nodo alla gola nel vedere i biglietti su cui c'era scritto: DA MAMMA E PAPÀ. Il maglione di lana bianco e nero che aveva comprato per Steve era ancora chiuso nel cassetto. Non aveva idea di quello che poteva essere il regalo che le avrebbe fatto Steve, posto che il marito ci avesse davvero pensato. Chissà, forse aveva progettato di comprarle qualcosa poco prima di Natale, ma poi non c'era stato più tempo. Determinata a rendere quella serata un'occasione festiva nonostante l'assenza di Steve, aveva invitato a unirsi alla famiglia Pete e Adam e ovviamente anche Barbara ed Evan. La famiglia, pensò, ora sembrava composta da lei, dai bambini e da Joe. Una settimana prima, quella possibilità le sarebbe sembrata ridicola. Quando scese al piano di sotto, tirò un profondo sospiro e sorrise. La casa profumava di sempreverdi, di torta alla ciliegia e del pan di zenzero a cui aveva lavorato per tutto il pomeriggio, decorandolo accuratamente con della glassa allo zucchero e della gelatina. Accese le diverse candele che aveva disposto intorno al salotto, poi andò in cucina per preparare il vassoio con i rinfreschi e controllare che ci fosse abbastanza ghiaccio. Dieci minuti dopo l'arrivo degli ospiti, Deborah si rese conto con un senso di profondo rammarico che Evan e Barbara erano ai ferri corti. Barbara si comportava in modo eccessivamente allegro, persino chiassoso, ma era evidente che fingeva. E i sorrisi forzati di Evan sembravano tante smorfie. I due non si sfioravano mai e stavano bene attenti a non incrociare l'uno lo sguardo dell'altra. Meraviglioso, pensò cupamente Deborah. In apparenza,
la tensione della quale si era accorta quando aveva mandato a casa Barbara non aveva fatto altro che accrescersi. E tutti nella stanza se ne accorsero, a parte i bambini. Joe osservava senza parlare, Pete gettava di tanto in tanto qualche sguardo stanco verso i due e Adam li fissava apertamente con un luccichio maligno negli occhi, come se pensasse che quella serata sulla carta molto noiosa potesse rivelarsi interessante, dopotutto. Dopo la prima mezz'ora, Joe incrociò lo sguardo di Deborah e le strizzò l'occhio. Lei dovette farsi forza per non ridere, anche se era sempre più seccata per il comportamento bizzarro dei due amanti. I bambini giocavano, del tutto ignari della tensione che si respirava nell'aria. Fecero passare il trenino sotto l'albero, indicarono le calze rosse che Deborah aveva appeso alla mensola del camino e chiesero solennemente a tutti se, secondo loro, il camino fosse abbastanza grande da poter consentire l'atterraggio di Babbo Natale. «Perché è davvero grosso, sai» disse solennemente Kim, rivolta a Pete, il quale la rassicurò con altrettanta serietà che Babbo Natale era molto agile e che poteva passare dal camino di chiunque. Nei casi dubbi, avrebbe sempre potuto usare la porta d'ingresso. Lei e Steve permettevano sempre ai bambini di aprire un regalo ciascuno, la vigilia di Natale. Kim ne scelse uno lungo avvolto in una carta rossa con un fiocco dorato, ed emise un gridolino di piacere quando ne estrasse una stupenda bambola vestita da sposa che era alta quasi come lei. «Si chiama Angie Sue Robinson» annunciò prontamente. «Deve sposare un uomo ricco che ha un aereo.» Brian scelse un pacchetto leggermente più piccolo, ma parve egualmente felice di trovarvi un fantastico robot. «Mia nonna mi regalava sempre della liquirizia» disse Pete. «Ma io detesto la liquirizia.» Deborah sorrise. «Dov'è tua nonna, quest'anno?» «La sua amica più intima, Ida, è caduta e si è rotta l'anca. La nonna è convinta che Ida non sarà mai più in grado di camminare, a meno che lei non sovrintenda personalmente alle cure mediche. Ho suggerito che io e Adam andassimo a passare il Natale con lei, ma Adam ha qualche progetto in serbo per il giorno di Natale, così andremo il prossimo fine settimana.» Adam non parve troppo felice alla prospettiva. Deborah sapeva che il ragazzo voleva bene alla nonna, ma, a quindici anni, i fine settimana hanno un potenziale troppo elevato per essere trascorsi nella casa di una vecchia parente. Kim frugò sotto l'albero fino a quando non trovò un dono per Scarlett. I
bambini risero mentre il cane rompeva ansiosamente l'involucro e tirava fuori con aria trionfale un osso gigante. «Questo dovrebbe tenerla occupata per un po'» disse Adam mentre il cane si ritirava tranquillamente in un angolo e cominciava a rosicchiare. «E adesso tocca a te, mamma» disse Brian. «Non volete che aspetti fino a domani?» «No. Abbiamo regali per stanotte e per domani.» Le portarono due pacchetti fasciati in maniera maldestra e sigillati ciascuno approssimativamente con mezzo rotolo di nastro adesivo. Da Brian, Deborah ricevette una lattina di Coca Cola decorata con etichette natalizie e con dei buchi in cima. «Un portapenne» le disse lui. «Ma è stupendo!» esclamò Deborah. «Abbiamo dovuto farlo noi, perché papà non ci ha portato a comprare i regali per te» precisò mestamente Brian. «Mi piace più di un regalo comprato in negozio» lo rassicurò Deborah. Il pacchetto di Kim conteneva una striscia di feltro rosso attaccata con della colla a un pezzo di gommapiuma. «Un portaspilli» disse con semplicità la piccola. Deborah si entusiasmò anche per quel dono. I bambini sembravano più felici di quanto non fossero stati da giorni, e più tardi, quando Deborah li mise a letto, Brian le permise addirittura di baciarlo. Prima che gli altri se ne andassero, Deborah tirò fuori i regali anche per loro in mezzo a un coro di gentili proteste. «Non preoccupatevi, sono solo ricordini. E comunque, non crediate che non vi abbia visto mettere i regali sotto il mio albero!» «Abbiamo portato tutti della torta alla frutta» disse Evan, facendo così la prima osservazione piacevole della serata. «Grande» disse Deborah con un sorriso. «A differenza di tanta gente, a me piace la torta alla frutta.» Pete e Adam furono i primi ad andare. Pete le ricordò di nuovo di chiamarlo, se avesse avuto bisogno di aiuto. Alcuni minuti dopo, Barbara chiese un po' a malincuore se Deborah voleva che restasse. «Non è necessario» rispose Deborah. «Joe ci protegge tutti in modo meraviglioso.» Barbara parve sollevata, e Deborah capì che l'amica era profondamente turbata, altrimenti non l'avrebbe mai lasciata sola per un'altra notte. Loro due non condividevano quell'amicizia intima e profonda che tante donne hanno l'una nei confronti dell'altra, ma il loro era un rapporto di grande
lealtà. Cinque minuti dopo, Evan e Barbara erano già tornati indietro. «La macchina non vuole saperne di partire» disse Evan. «Dovremo chiamare un taxi.» Dopo tre telefonate, comunque, annunciò che il taxi non sarebbe arrivato prima di mezz'ora. «Vi accompagno io a casa» disse Joe. «Sempre che a Deborah non importi restare sola per mezz'ora, naturalmente.» Deborah lanciò uno sguardo ai visi tesi di Barbara ed Evan e si rese conto che, entro un'ora, si sarebbe scatenata la guerra totale. «Sopravviverò. Non è nemmeno molto tardi.» In silenzio, i tre uscirono e si diressero all'auto di Joe. Deborah chiuse a chiave la porta e raccolse da terra la carta e i nastri dei regali, poi si mise a lavare i piatti e i bicchieri lasciati dagli ospiti. Dopo un po', squillò il telefono. Che fosse la madre di Steve dalle Hawaii? si chiese lei. O, peggio ancora, la polizia che doveva comunicarle brutte notizie? Tirò su il ricevitore e disse: «Pronto?» Ci fu un lungo sospiro, poi la voce familiare, roca e camuffata, disse: «Buon Natale, Deborah.» Le mani le si gelarono, ma stavolta non sbatté giù il ricevitore. «Chi è?» balbettò. «Lo sai. Ti sei divertita, stasera? Di sicuro, c'erano abbastanza uomini intorno a te.» «Uomini?» «Be', uno non lo definirei proprio un uomo. Ma sai come sono questi adolescenti, con i loro ormoni. Probabilmente, sarebbe molto felice di portarti a letto.» Anche se era sola, Deborah arrossì. La mano che teneva il ricevitore si spinse automaticamente verso la forcella, ma lei riuscì a fermarne il movimento. «Si riferisce ad Adam?» «Già.» La voce fece una pausa. «Ora devo andare. Goditi il Natale.» L'uomo riagganciò e Deborah restò a sedere immobile, tenendo il ricevitore in mano e respirando a malapena. Alla fine, anche lei riagganciò. Rigida per la paura, fissò l'orologio che ticchettava tranquillamente sopra il divano fino a quando Joe non tornò. «Dove diavolo sei stato?» gli chiese lei. Joe spalancò gli occhi. «Barbara e il Golden boy hanno deciso di non passare la notte insieme, così ho dovuto accompagnarli ai loro rispettivi appartamenti. Dio, sembravano arrabbiati sul serio.» La guardò più da vi-
cino. «Cose successo?» «Ho ricevuto un'altra telefonata. Quello mi ha augurato buon Natale.» «Non ha detto altro?» «Ha aggiunto che mi sarei dovuta divertire perché stasera avevo tanti uomini intorno a me e che persino il ragazzo sarebbe stato felice di portarmi a letto.» «Cristo santo.» Joe lanciò il giaccone sul divano e si sedette, sporgendosi in avanti con le mani tra le ginocchia. «Forse ha chiamato da una cabina, ma non la stessa dell'altra volta. Quella era sorvegliata.» «Ma la polizia non può controllare tutti i telefoni pubblici della città. E ciò significa che io continuerò a ricevere quelle telefonate.» «Hai riconosciuto la voce?» «No, ma era distorta. Posso dire solo che appartiene a un uomo.» Joe la guardò tranquillamente per qualche secondo, poi disse: «Vado a preparare un drink. Torno subito.» Mentre lui era in cucina, Deborah si diresse verso l'armadio a muro del corridoio e ne tirò fuori un maglione pesante. Le mani le tremavano e aveva la sensazione che nello stomaco le fosse sceso un pezzo di ghiaccio. Joe tornò in fretta con i drink. Lei bevve un sorso di brandy e appoggiò la testa contro lo schienale della poltrona. «Mio Dio, finirà mai quest'incubo?» «Sono passati solo cinque giorni, anche se sembra una vita.» «Lui stava guardandoci di nuovo, probabilmente dalla casa degli O'Donnell.» «Forse, però non ha chiamato da lì. Sarebbe stato troppo facile rintracciare la telefonata. Inoltre, la polizia sta tenendo d'occhio quel posto da quando hai visto qualcuno alla finestra. Non credo proprio che questo tipo potrebbe andare e venire con la stessa tranquillità di prima.» «E l'uomo che ha preso in affitto la casa? Chi è? Dov'è?» «La polizia non lo sa ancora. O, anche se lo sa, non dice niente.» Il campanello squillò. «Oh, fantastico!» esclamò Joe. «E adesso chi è?» «Joe, chi può suonare il campanello a un'ora del genere? Sono le dieci.» L'investigatore la guardò. «Un momento.» Uscì dalla stanza e tornò con la pistola. «Tu stammi dietro. Vado io ad aprire.» Le mani di Deborah si inumidirono all'improvviso. Sembrava assurdo che un uomo armato andasse ad aprire la porta di casa sua. Ma non poteva andarci lei, non dopo quella telefonata. Deborah indugiò nell'atrio mentre Joe gridava: «Chi è?» attraverso la
porta chiusa. «Ho una consegna da fare!» urlò di ritorno una giovane voce maschile. «Chi la manda?» «Dale Sampson, della Dale Sampson Deliveries. Io sono Dale.» «Lo conosco» sussurrò Joe, rivolto a Deborah. «Cosa deve consegnare?» gridò Joe, sempre attraverso la porta. «Non lo so, amico. Sembra un regalo di Natale. Pesa al massimo un paio di chili. E qui fuori fa freddo.» «Lasci il pacco sul portico» ordinò Joe. «Non posso. Qualcuno deve firmare per la consegna.» «A chi è indirizzato il pacco?» «Oh, Gesù» disse Dale Sampson con voce disgustata. «Un attimo. C'è un'etichetta, ma si legge a stento. Mai pensato di mettere una luce un po' più forte in questo portico? È per Deborah Robinson. L'etichetta dice così.» Joe guardò Deborah. «Te la senti di correre il rischio?» «Be', ha la voce di un tipo troppo giovane per essere Artie Lieber.» Joe annuì e aprì la porta, tenendo la pistola dietro di sé. Un esile giovanotto sui diciannove anni era in piedi sul portico e tremava. Porse a Joe un pacchetto di medie dimensioni. «Se è una bomba o qualcosa del genere, forse è meglio che ve lo consegni subito.» «Non sento nessun ticchettio» disse tranquillamente Joe. «Mi spiace di averti creato tanti problemi, ragazzo, ma questa è un'ora un po' insolita per consegnare un regalo di Natale.» «Lo so, lo so, ma è per questo che riesco a lavorare. Le grandi compagnie in città non fanno consegne in questi orari. Non è remunerativo, dicono loro.» Sorrise. «E così, subentrano i giovani intraprendenti come me e si prendono il lavoro extra.» Joe posò il pacchetto sul tavolo dell'ingresso. «Chi ha chiesto che la consegna venisse effettuata a quest'ora?» domandò. «Non lo so. Io vado a scuola e, quando sono in classe, è la mia ragazza che prende le telefonate. Stasera mi ha detto che questo pacco doveva essere consegnato alle dieci in punto.» «E la tua ragazza sa chi è stato a mandarlo?» «Ha detto che è stato un tizio.» «Nessuna idea sul nome?» Dale roteò gli occhi. «Forse se l'è annotato. Ma quando i clienti pagano in contanti, a volte se ne dimentica.» Dale si strinse nelle spalle. «È sbada-
ta, lo so, ma in fondo lavora gratis.» «Non ti ha detto niente sul mittente?» chiese Deborah. «È molto importante per noi.» Dale sospirò. «Be', fatemi pensare... Sì, ricordo che ha detto qualcosa su di lui. Il tizio si chiamava... Travis. Vediamo... sì, Travis McGee. Il nome mi sembrava familiare, ed è per questo che me lo sono ricordato.» Joe guardò Deborah. Chiaramente, anche lui aveva riconosciuto il nome del famoso investigatore privato dei romanzi di John MacDonald. «A pensarci bene» aggiunse Dale, rivolto a Joe «anche lei mi sembra un tipo familiare. La conosco?» «Sì. A volte, fai qualche consegna nell'ufficio del procuratore distrettuale, dove lavoro io.» «È proprio vero! Però non mi sembra un avvocato.» «Non lo sono, infatti. Senti, Dale, la tua ragazza può fornirci altre informazioni su questo Travis McGee?» «C'è qualcosa di grosso che bolle in pentola?» «Forse. Ma non posso esserne sicuro fino a quando non ho una descrizione dell'uomo che ha mandato il pacco.» «Be', la mia ragazza è abituata a notare l'aspetto delle persone. A me la cosa preoccupa un po', ma forse potrebbe essere d'aiuto a lei.» «Capisco, però non ti ha detto com'era questo tipo?» «No. Se è importante, comunque, potrebbe telefonarle in seguito. Si chiama Marcy. Il mio nome è sulle Pagine Gialle. Dale Sampson Deliveries. Ho un negozietto finanziato da mio padre. Io abito al piano di sopra. Marcy sta con me e sarà felice di dirle tutto quello che sa.» Joe si frugò in tasca e tirò fuori un biglietto da cinque dollari. «Grazie per la consegna, Dale. Chiamerò la tua ragazza più tardi. Non ti dispiace, vero?» «Santo cielo, no. Lei è troppo vecchio per Marcy.» Nonostante la situazione, Deborah non poté fare a meno di sorridere, ma non sembrò che Joe si sentisse offeso. «Già, probabilmente potrei anche essere tuo padre. Grazie mille, figliolo. Meglio che te ne torni in macchina, prima di congelarti.» Quando Dale se ne fu andato, Joe si volse verso Deborah. «Questo non è uno dei soliti regali di Natale. Hai dei guanti di gomma?» «Guanti?» «Non so quanta gente abbia toccato questo pacco, ma scommetto che lo hanno fatto solo Dale, Marcy e il mittente. Sembra in ottime condizioni... e
chissà, forse potrei ricavarne qualche indizio.» «Capisco. Ho dei guanti in cucina.» Poi Deborah ricordò di avere comprato un nuovo paio di guanti giusto un paio di settimane prima. Frugò nell'armadietto e li trovò, ancora avvolti nella loro confezione di plastica. Li portò a Joe. «Ecco qui. Sono nuovi di zecca.» «Bene. Però credo che siano troppo piccoli per me. Mettiteli tu e apri il pacchetto.» «Hai paura che sia davvero una bomba?» chiese Deborah, cercando di scherzare mentre le mani le tremavano. «Già. Starò lontano mentre tu lo apri.» «Veramente eroico da parte tua. Resta dove sei. Mi rifiuto di finire squartata solo io.» Dopo essersi messa i guanti, Deborah aprì il pacco, che era avvolto in carta argentata con varie decorazioni. Il fiocco era rosso, piuttosto grande, e ovviamente era stato comprato in negozio, non fatto a mano. «Aprilo molto attentamente e cerca di toccarlo il meno possibile.» «Apro sempre i pacchi molo attentamente. Mia madre era una fanatica della carta dei regali di Natale, e cercava in tutti i modi di non lacerarla. Anch'io sono così.» Allentò il nastro, aprì un lembo del pacchetto e sbirciò all'interno. Vide una scatola marrone, che riuscì a tirare fuori dall'involucro senza lacerare la carta. Poi, sempre agendo con molta cautela, tolse il nastro adesivo che bloccava la scatola e sollevò il coperchio. Dentro c'erano dei fiocchi di polistirolo. Guardò Joe. «Dev'essere qualcosa di fragile. Metto la mano dentro e vedo cosa c'è?» «Va bene.» Deborah infilò una mano in mezzo ai fiocchi e impattò contro qualcosa di duro. Tirò su l'oggetto e vide una scatoletta in legno di ciliegio con diverse decorazioni ai lati. Lentamente, tolse il fermaglio e sollevò il coperchio. Delle note musicali presero a tintinnare nell'ingresso. «È un carillon.» «E anche molto carino» disse Joe. «Che motivetto suona?» Deborah aggrottò le sopracciglia. «La conosco. È una vecchia canzone.» «La conosco anch'io, ma non mi viene il titolo.» I due rimasero in ascolto per almeno trenta secondi, poi una scena si materializzò all'improvviso nella mente di Deborah. Fred Astaire. Fred Astai-
re che cantava a Ginger Rogers mentre lei si faceva lo shampoo. «The Way You Look Tonight!» esclamò in tono trionfale. «Esatto!» disse Joe. Deborah sorrise per un attimo, poi tornò a farsi molto seria. «Joe, l'uomo che mi ha telefonato l'altra notte mi ha detto proprio così. "Mi piace come mi appari stanotte" ha detto. Cosa significa? Perché qualcuno si è preso il disturbo di mandarmi anonimamente un carillon che suona proprio questa canzone?» Joe stava guardando nella scatola marrone. «Forse non è un regalo anonimo. C'è una busta qui dentro.» Deborah posò il carillon e guardò nella scatola. Sul fondo c'era una busta rossa. Lei la prese. Non era chiusa, anche se all'interno c'era un biglietto. Lei tirò fuori il biglietto di carta patinata, su cui si vedeva la bella illustrazione di un albero di Natale. Dentro c'era scritto semplicemente: AUGURI DI BUONE FESTE. Nessuna firma. Un altro bigliettino, questo di carta più scadente, cadde sul tavolo. Deborah lo raccolse subito. Joe sbirciò da sopra le spalle di lei, in modo che Deborah non dovesse leggere ad alta voce le parole dattiloscritte che le fecero gelare il sangue nelle vene: Mia cara mogliettina, possa tenerti compagnia tutta la vita, questa, la tua canzone preferita. 18 «È davvero la tua canzone preferita?» le chiese tranquillamente Joe. «No. La mia canzone preferita è Greensleeves.» «Steve lo sapeva?» Deborah aveva la sensazione di non riuscire a respirare. «Non ne sono sicura. Forse gliene ho parlato, ma non credo che lui avrebbe potuto ricordarsene.» «Era la canzone preferita di Steve, per caso?» «Non penso che lui avesse una qualche canzone preferita. Non prestava mai grande attenzione alla musica.» Fece una pausa. «Che sappia io, perlomeno. Ma sono molto poche le cose che so di mio marito.» «Ti piace la serie di Travis McGee?» «Moltissimo.» «E Steve ne era al corrente?»
«Non lo so. Lui leggeva per lo più libri di storia. E non chiedeva mai cosa leggessi io.» «Be', di sicuro Artie Lieber non poteva sapere che ti piacciono i romanzi di John MacDonald.» «No...» Joe le lanciò un'occhiata brusca. «Che c'è?» «Solo che ho diverse scatole piene di libri nel ripostiglio al piano di sopra. L'intera serie con Travis McGee si trova in una di quelle scatole. Chiunque sia stato in quella stanza, può aver dato un'occhiata ai libri. Oh, Joe, ho una paura terribile!» «Ed è proprio quello che voleva il nostro misterioso personaggio. Tra l'altro, non credo che ricaveremo molto dall'esame di questo pacco. Il biglietto è battuto a macchina e mi gioco la camicia che, chiunque sia stato a mandarlo, aveva i guanti quando lo ha toccato.» «Ma il mittente non può essere Steve. Perché lo avrebbe fatto, voglio dire? Perché mandarmi un carillon e un biglietto che non hanno alcun senso?» Joe guardò la scatola con espressione riflessiva. «Credo che questo biglietto un senso ce l'abbia» disse lentamente. «La canzone deve avere un qualche significato, se non per te, almeno per la persona che ha mandato il pacco.» «Tipo?» «Potrebbe trattarsi di qualsiasi cosa. Qualcosa di così oscuro che potremmo non arrivare mai a capirlo.» «Ma allora che senso aveva mandarmi il carillon, se tanto non sarei mai riuscita a capire nulla?» La mano destra di Joe si chiuse a pugno, poi si aprì di nuovo. «Hai ragione. Perché mandarti qualcosa che non potevi capire? No, il messaggio deve essere più ovvio.» Aggrottò la fronte. «"Il modo in cui mi appari stasera."» Deborah abbassò lo sguardo sulla camicetta rossa e i calzoni neri che indossava. «Stasera sono abbastanza vestita, ma non lo ero l'altra volta, quando quello ha telefonato. Allora aveva addosso una vecchia vestaglia.» «Un momento. Proviamo così. "Il modo in cui mi appari stasera."» Deborah gli lanciò un'occhiata interrogativa. «Forse l'enfasi cade sul tuo aspetto fisico, non su quello che puoi indossare di volta in volta. La tua corporatura, per esempio, i tuoi lineamenti... Potrebbe essere questo il significato.»
«Ma che c'entra il mio aspetto fisico? Non capisco.» «Io temo di sì, invece.» Joe si diresse in salotto e ne tornò con un taccuino. «Dopo che l'FBI ha fatto visita a Steve, qualche giorno fa, ho preparato un elenco delle vittime, con relativa descrizione, dello Strangolatore dei vicoli bui.» «Perché?» «Come tutti, io ho seguito le attività dell'assassino, ma non in dettaglio. Quando Steve mi ha detto che l'FBI lo sospettava e ha chiesto il mio aiuto, ho deciso di studiare lo strangolatore come se fossi il detective incaricato di lavorare sul caso.» «Come hai fatto a procurarti le informazioni?» «Ho ancora qualche contatto» disse Joe. «E ora, voglio che tu ascolti questa lista, così capirai dove voglio andare a parare.» Deborah annuì. «La vittima numero uno è stata uccisa nell'agosto del 1991. Mandy Lambert di Waynesburg, Pennsylvania. Aveva ventidue anni. Cassiera di banca. Altezza uno e cinquantacinque, cinquantanove chili di peso, capelli castano scuri, lunghi, e occhi azzurri. La vittima numero due è stata assassinata nel febbraio 1992. Era una certa Jane Kawalski di Bellaire, Ohio. Casalinga. Aveva ventinove anni, era alta un metro e sessantacinque, pesava cinquantotto chili, aveva i capelli neri, lunghi, e gli occhi marroni. Poi viene la commessa di un panificio, Margaret Snyder, uccisa nel giugno 1992. Margaret viveva a Washington, Pennsylvania. Aveva ventitré anni, era alta un metro e settanta, pesava sessantadue chili, aveva lunghi capelli marroni e occhi verdi. Nell'ottobre del 1992, il nostro assassino ha ucciso Patricia Latta, una ventiquattrenne di Cambridge, Ohio. Lei faceva la cameriera e aveva lunghi capelli neri, tinti, e occhi grigi. Era alta un metro e sessantotto e pesava cinquantotto chili. Nell'agosto 1993, la vittima è stata Karen Macy di Zanesville, Ohio. Lei era una studentessa universitaria. Aveva vent'anni, era alta un metro e sessantacinque, pesava cinquantacinque chili e aveva lunghi capelli marroni con occhi marroni. Nell'ottobre 1993, è stata uccisa Leona Chesbro di Bethel Park, Pennsylvania. Lei faceva l'istruttrice di aerobica, era alta un metro e sessantotto, aveva ventinove anni, pesava cinquantotto chili e aveva lunghi capelli marroni con occhi azzurri. La vittima numero sette è stata Sally Yates, che aveva ventun anni e risiedeva a Wheeling. Lei faceva l'infermiera. Era alta un metro e sessantacinque, pesava cinquantasei chili, aveva lunghi capelli neri e occhi verdi. Sally è ancora viva, per la verità, ma è in coma e i medici non credono che sopravviverà. L'ultima vittima è stata Toni Lee Morris, casalinga, alta un
metro e cinquantacinque per cinquantotto chili di peso, lunghi capelli marroni e occhi azzurri.» Guardò intensamente Deborah. «Allora, cos'hanno tutte queste donne in comune?» «I capelli lunghi.» «Capelli lunghi e scuri. Poi sono tutte di corporatura normale e tendono alla magrezza.» Gli occhi di Deborah puntarono automaticamente verso lo specchio sopra il tavolo d'ingresso. «Anch'io ho i capelli scuri. E lunghi.» «Peso e corporatura?» «Sono alta un metro e cinquantacinque e il mio peso oscilla tra i cinquantasei e i cinquantotto chili.» «E non hai ancora raggiunto la trentina.» «Ho ventotto anni.» Deborah inghiottì. «Vuoi dire che l'assassino sceglie le sue vittime in base al loro aspetto fisico e all'età?» Joe la fissò negli occhi. «C'è anche il fatto che sono tutte sposate. E, Deborah, tu corrispondi perfettamente a questo profilo.» 19 Deborah fissò Joe per quella che parve essere un'eternità. Le sembrava di vivere un'esperienza irreale. Alla fine, riuscì a dire con una voce roca che non pareva nemmeno la sua: «Joe, questa dev'essere una coincidenza.» «È la stessa cosa che hai detto riguardo a quella donna che aveva notato la targa di Steve.» «Quindi, secondo te, Steve è l'assassino e io sarei una sua potenziale vittima?» Joe le lanciò un'occhiata cupa. «Credo che tu sia davvero una potenziale vittima.» «E Steve?» «Questa parte della storia mi crea un mucchio di problemi.» Deborah esitò. «Perché?» Lui le posò una mano sul braccio, in segno di conforto, e sorrise. «Vieni a sederti accanto a me e te lo dico.» Più che sedersi, Deborah parve sprofondare sul divano. Joe si accomodò a trenta centimetri di distanza. «Non mi baso sulle sensazioni personali che ho riguardo a Steve» cominciò lentamente. «Le impressioni possono sempre essere sbagliate. Io mi baso sui fatti. Non so esattamente cosa stia succedendo, ma so che
qualcuno ti ha preso di mira e questo mi preoccupa enormemente. Ora, può essere questo qualcuno proprio Steve, l'uomo con cui hai vissuto per sette anni? Non mi pare che abbia molto senso. Se questa persona, lo strangolatore, fosse lui, perché avrebbe aspettato finora per molestarti? Cos'è cambiato in te? Niente. Inoltre, lui non può non sapere che la polizia ti sorveglia. L'ipotesi dell'FBI è che Steve abbia inscenato la sua morte perché la rete si stava chiudendo intorno a lui... ma allora perché doveva ricomparire proprio qui, a Charleston, pochi giorni dopo la sua complicata sparizione? E ciò al solo scopo di terrorizzare la sua stessa moglie? Non mi pare che abbia molto senso.» Deborah ci pensò sopra. «Forse non è il comportamento più furbo per un uomo razionale, ma devi tenere conto che lo strangolatore non si comporta in modo razionale.» «Ne sei convinta? Forse non ragiona come noi, ma ha un senso della razionalità che è tutto suo. Capita sempre così con questa gente. E quello è furbo come il diavolo. Ma il regalo del carillon ti pare l'atto di un uomo abbastanza scaltro da riuscire a eludere le ricerche della polizia per tutti questi anni?» «Allora credi che sia uno scherzo?» «Forse. Ma anche questo non mi suona bene. Chiunque sia stato a mandarti quel carillon, è un tipo pericoloso e ha un modo di fare tutto suo, che a noi può sembrare folle, ma che per lui ha un senso totalmente razionale.» Deborah abbassò lo sguardo. «La mente dello strangolatore...» disse con voce roca. Poi alzò gli occhi e aggiunse: «...che potrebbe anche essere la mente di mio marito.» Deborah dormì male, quella notte. Non riusciva a smettere di pensare alle vittime dello strangolatore. Ma pensava anche alle cose che Steve non le aveva detto. Perché, per esempio, non le aveva mai parlato del matrimonio segreto di Emily e del fatto che lui era andato alla ricerca del marito, quando la sorella era stata aggredita? Forse perché sapeva che Deborah non aveva mai sentito nulla delle voci che identificavano in Steve l'aggressore di Emily e dunque non riteneva di doversi difendere dai sospetti? E che dire di quel carillon? Sul biglietto c'era scritto: "Mia cara mogliettina". Vero, chiunque avrebbe potuto scrivere quel saluto. Però c'era anche la descrizione del mittente del pacco che aveva fornito Marcy, la ragazza di Dale Sampson. Alto circa un metro e ottanta, sui trentacinque anni, magro, con i capelli marroni e un paio di occhiali scuri. Poteva trattarsi di Steve. Ma po-
teva anche trattarsi di mille altri uomini. Comunque, in aggiunta c'era il problema del conto quasi svuotato. Perché Steve aveva ritirato seimila dollari, prima di sparire? Per comprare un costoso regalo di Natale? No. Lui era un uomo pratico, privo di stravaganze. Non avrebbe mai speso una somma simile per un dono, specie se ciò avesse comportato il prosciugamento del loro conto. Nervosa e intollerabilmente frustrata per l'infinito scompiglio dei suoi pensieri, Deborah provò un invincibile desiderio di fumare. "Sono troppo debole per resistere ora" pensò, aprendo il cassetto del comodino dove c'era un vecchio pacchetto di Salem accartocciato con due sigarette all'interno. Ne accese una, aspirò profondamente e si sentì lo stomaco in subbuglio. Le avevano detto tutti che, dopo una lunga astensione dal fumo, la prima sigaretta ha un gusto orribile, ma lei pensava che esagerassero. Be', avevano ragione. Andò in bagno e si soffiò il naso in un fazzoletto di carta, poi, con aria colpevole, bevve un sorso di Pepto Bismol direttamente dalla bottiglia (quante volte aveva detto ai bambini che quella era una cosa da non farsi assolutamente?) e si strofinò con forza i denti. Quindi tornò in camera da letto, sentendosi in bocca un gusto piacevole di menta. Si rimise a letto con aria infelice e si tirò su le coperte. Nonostante il calore, rabbrividì. Che cosa diceva sempre sua madre quando una persona rabbrividiva inspiegabilmente? Annunciava con voce sepolcrale che qualcuno camminava sulla tomba del malcapitato. «Ma è ridicolo!» disse Deborah ad alta voce. «Nessuno può camminare sulla mia tomba, se non sono morta.» Rabbrividì di nuovo. «Non ancora, perlomeno...» Una sagoma si profilò nell'ombra, agitando la mano. Deborah si sforzò di vedere nel buio. Fece un passo avanti. Qualcuno la toccò sulla spalla. Lei tentò di sottrarsi a quel contatto, ma senza successo. Emise un gemito; poi, lentamente, si rese conto che qualcuno stava dicendo: «Mamma?» Aprì gli occhi. Brian era in piedi accanto al letto e le batteva insistentemente sulla spalla. «Mamma, alzati.» «Che c'è?» gridò Deborah, destandosi all'improvviso. «Kim e Scarlett non ci sono più.» La testa di Deborah scattò all'insù, sollevandosi dal cuscino. «Non ci sono più? Come sarebbe a dire?» Brian sembrava confuso e un po' spaventato. «Se ne sono andati, mam-
ma, e fuori c'è ancora buio.» Deborah diede un'occhiata all'orologio: erano le tre e mezzo. Tirò indietro le coperte col cuore che le batteva all'impazzata. «Kim sarà di sotto» disse, lottando per mantenersi calma nonostante la paura che provava. «No. Ho già guardato.» «Hai guardato dappertutto?» «Sì. Kim non c'è.» «Dov'è Joe?» «Dorme sul divano.» Deborah afferrò la vestaglia. «L'hai svegliato?» «No.» «Hai guardato nel ripostiglio?» Brian scosse la testa. «Kim non sarebbe mai andata lì dentro. Ha paura del fantasma.» Deborah discese di corsa lungo il corridoio e aprì la porta del ripostiglio polveroso. L'aria fredda le sferzò il viso. Premette l'interruttore e la lampadina nuda appesa al soffitto si accese. Gli occhi di Deborah esplorarono la stanzetta. «Kimberly, sei qui?» Silenzio. Non si vedeva nulla, tranne le scatole e le impronte lasciate dal poliziotto e da Joe. Non c'era alcun segno della presenza di una bambina bionda. Comunque, Deborah fece il giro della stanza, guardando in ogni angolo e dietro ciascuna scatola. «Mamma, te l'ho detto che non era qui!» insistette Brian. «Sì, hai ragione» disse distrattamente Deborah. Spense la luce e, senza chiudere la porta, si diresse subito nella stanza degli ospiti. Ma anche quella era vuota. Scese al piano di sotto e raggiunse Joe sul divano. «Joe, svegliati!» disse senza fiato. «Kim è sparita.» «E anche Scarlett» aggiunse Brian. Joe, appena destato da un sonno profondo, cominciò lentamente a capire e gettò via le coperte. «Kim è sparita? Ma non è possibile! Dev'essere per forza in casa, da qualche parte.» «Kim? Scarlett?» gridò Brian. I tre rimasero immobili per qualche secondo, ma non ci fu nessuna risposta. «Dove può essere?» chiese Joe. Deborah pensò all'uomo che aveva cercato di rapire la bambina all'asilo. «Dannazione, di solito ho il sonno leggero» disse Joe, rompendo il silenzio. «Credo di aver riposato molto poco nei giorni scorsi, ed è per questo che dormivo così profondamente. Però mi pare impossibile che Kim sia
uscita dalla porta senza che me ne accorgessi.» «Ho già controllato» disse Deborah. «La serratura di sicurezza è chiusa. E non si può chiuderla dall'esterno senza la chiave, ma Kim non l'aveva.» Joe si stava infilando gli stivaletti sui piedi nudi. «Deborah, tu controlla le stanze di sotto. Io do un'occhiata nel cortile posteriore.» La casa non era grande. Le stanze di sotto consistevano nel salotto, nella sala da pranzo, nello studio di Steve e nella cucina. Erano tutte vuote. Deborah si precipitò verso la porta sul retro. «Hai visto qualcosa?» gridò a Joe, che stava esplorando la zona intorno ai sempreverdi con una torcia. «Nessuna traccia» gridò di rimando lui. «Accidenti» borbottò Deborah. Stava per uscire e raggiungere Joe quando un pensiero terribile la fulminò. Per un attimo, i suoi muscoli parvero bloccarsi in una paralisi di terrore. «Oh, Dio, no» sussurrò. «Che c'è, mamma?» chiese Brian. Lei non rispose. Lo spostò di lato, dirigendosi alla porta che dava sul garage. Aveva dimenticato ancora di mettersi le pantofole, e il pavimento freddo la fece rabbrividire violentemente. «Ti prego, ti prego, mio Dio, fa' che non sia vero» supplicò disperatamente, raggiungendo il grande freezer in cui aveva trovato il camioncino di Brian la sera prima della scomparsa di Steve, il freezer per il quale aveva dimenticato di comprare un lucchetto. «Ti prego, fa' che Kim non sia qui.» Con le mani che le tremavano e gli occhi chiusi, afferrò la maniglia e sollevò lentamente il coperchio. Poi tirò un profondo sospiro e aprì gli occhi. L'urlo lacerò il gelido silenzio del garage. 20 Deborah non sapeva quanto tempo fosse passato prima di accorgersi che si trovava nelle braccia di Joe. «Che c'è?» domandò lui. «Deborah, cos'è successo?» Il corpo di lei era scosso dai tremiti. Deborah non riusciva né a vedere né a parlare. Indicò il freezer il cui coperchio le era caduto di mano, chiudendosi automaticamente. Joe sollevò il coperchio mentre Deborah tremava e piagnucolava. Joe trattenne il respiro e mise una mano all'interno. «Oh, Dio» gemette Deborah. «La mia bambina!»
«Va tutto bene» disse dolcemente Joe. «È solo una bambola.» «Cosa? Cos'hai detto?» «È la bambola di Kim.» Joe gliela porse. Deborah guardò la grande bambola dai capelli biondi così simili a quelli di Kimberly. I capelli erano intirizziti, e il bel visino della bambola era offuscato da uno strato di brina. Joe chiuse il freezer, posò la bambola sul coperchio e prese di nuovo Deborah tra le braccia. «Per un attimo, anch'io ho pensato che fosse Kim.» «Non sono mai stata così sconvolta in vita mia» gemette Deborah. «Se fosse stata lei...» «Ma non lo era. Ora, però, cerca di riprenderti. Dobbiamo ancora trovarla.» «Sono qui.» Deborah e Joe si girarono di scatto per guardare la bambina che teneva Scarlett al guinzaglio. Il cane agitava vigorosamente la coda, come se fosse deliziato dello spettacolo. Un giovanotto in abiti borghesi era accanto a Kimberly. «L'ho trovata che correva lungo la strada» disse. «Sono Deakins, FBI.» «Sei nei guai» disse Brian con voce seria, rivolto alla sorella. «Ci scommetto che ti metteranno in prigione.» L'incredibile sollievo provato da Deborah si trasformò subito in collera. «Ma cosa diavolo pensavi di fare?» gridò, guardando Kim. La bambina si mise a piangere. «Niente.» «Niente? Sei uscita per niente?» Le lacrime scendevano copiose dal visino della piccola. «Credevo di aver sentito Babbo Natale» piagnucolò. «Babbo Natale!» esplose Deborah. «Dopo tutto quello che è successo, tu sei uscita a cercare Babbo Natale?» Joe le posò una mano sul braccio. «Cerca di stare calma, Deborah. È solo una bambina. La stai spaventando a morte.» «È stata lei a spaventare a morte me!» gridò Deborah. Poi guardò la piccola tremante che, solo pochi minuti prima, aveva creduto morta. La sua collera svanì. Corse verso Kim e la strinse tra le braccia. «Oh, Kimmy, mi spiace di aver gridato. Ma eravamo tutti molto preoccupati per te.» Kim tirò su col naso. «Tesoro, perché sei uscita a cercare Babbo Natale?» «Avevo sentito le campanelle sulla slitta.» «Le campanelle?» «Sì.» Kim si asciugò le lacrime col dorso della mano. «Credevo che
Babbo Natale fosse arrivato nel cortile da noi.» «Ma Joe ti ha cercato anche lì e non c'eri.» «Avevo un po' di paura, così ho portato anche Scarlett. Le ho messo il guinzaglio, ma lei non voleva saperne di stare brava. Abbaiava. Mi ha dato uno strattone e si è liberata. Il cancello era aperto, così lei è scappata via. Ho dovuto correrle dietro.» «Ma a cosa abbaiava Scarlett?» chiese Brian. «Alle renne di Babbo Natale?» «Non abbiamo visto nessuna renna» gli rispose Kim, delusa. «Non c'era nessuno là fuori.» L'agente Deakins si strinse nelle spalle. «Anche il mio socio e io non abbiamo visto niente. Abbiamo sentito le campanelle pochi minuti prima che la bambina scendesse. Abbiamo pensato che fosse stato qualcuno nel vicinato a suonarle, ma poi ci siamo ricordati che le uniche persone presenti al momento in zona eravate solo voi, visto che la signora Dillman è all'ospedale. E non ci sembrava molto probabile che vi foste messi a suonare le campanelle.» «Il suono non poteva provenire da un'altra strada?» chiese Joe. «La strada più vicina si trova a quasi un quarto di miglio da qui. E il suono era troppo forte per essere venuto da così lontano.» Kim guardò oltre Deborah e vide la sua bambola sul coperchio del freezer. «Angie Sue!» gridò. «Ma cosa le è successo?» «Kim, l'hai messa tu la bambola nel freezer?» chiese Deborah. La piccola parve offendersi. «Nel freezer? No di certo! Non le avrei mai fatto una cosa del genere!» Si volse verso Brian. «Sei stato tu, lo so!» «Io non tocco mai le tue stupide bambole!» ribatté il fratello. «Be', però qualcuno dev'essere stato» disse Deborah con voce flebile. Joe le lanciò uno sguardo cupo. «Ed è successo proprio in una notte in cui qualcuno pensava che potessi cercare Kim.» Deborah non credeva che sarebbe riuscita a riaddormentarsi, ma stava sonnecchiando quando qualcuno cominciò a batterle di nuovo sulla spalla. «Mamma» sussurrò Kim. Brian era dietro di lei. Deborah balzò su di scatto, i nervi a fior di pelle. «Che c'è?» Kim sussultò, sorpresa. «Ma è Natale! Babbo Natale è arrivato.» Deborah si appoggiò sul cuscino. «È tutto qui?» «Sì» disse Kim. «Non potremmo aprire i regali più tardi?»
«No!» esclamarono all'unisono i bambini. «Va bene» gemette Deborah. «Qualcuno mi passi la vestaglia. Ho troppo sonno per mettermi a cercarla.» Con suo grande sollievo, Joe si era già alzato e aveva preparato il caffè. Si sedettero entrambi a bere il caffè e a guardare i bambini che aprivano i regali, proprio come facevano sempre lei e Steve a ogni Natale. Quando i piccoli ebbero terminato di scartare i loro doni, dissero: «E ora fatevi i regali anche voi.» «Non abbiamo preso nulla per noi» disse Deborah. «Be', a dire la verità, io ho preso qualcosa per te la sera in cui sono andato a comprare la medicina per Kim» disse Joe. Porse un pacchetto a Deborah. Imbarazzata, lei lo aprì e vide una collana con una pietra di cristallo di rocca a forma di cuore. Joe doveva essersi reso conto che sembrava un regalo un po' romantico, perché aggiunse subito: «Ho visto la collana e mi è venuto in mente che cuore grande hai, proprio come mia madre. Anche a lei ne avevo regalata una così.» Lo stesso regalo che aveva fatto alla madre. Nessuno avrebbe potuto fraintendere quel messaggio. Deborah sorrise. «È stupenda, grazie. Ma io non ho niente per te.» Lui sollevò una mano. «Non mi aspettavo niente. E poi, sono giorni che mi dai da mangiare gratis. E questo è già un ottimo regalo in sé, se vuoi sapere come la penso.» Poi i bambini portarono altri due doni per la madre. Quello di Brian era una fotografia di lui e Scarlett incollata a un cartoncino. «Una delle mie foto preferite» disse Deborah. «Grazie mille, tesoro.» «Il mio è più bello» disse Kim, porgendole un pacchetto morbido avvolto in carta verde. «E questo cosa può mai essere?» chiese entusiasticamente Deborah. «È un segreto» disse Kim, raggiante. Deborah tolse il nastro adesivo, tirò indietro la carta e vide una borsina con dentro qualcosa di piccolo e duro. Aprì la borsina e si posò sulle ginocchia i vari pezzi che stavano all'interno. Fedi nuziali e orecchini. Deborah prese una fede e lesse ad alta voce l'iscrizione: «"Sally e Jack".» Sconvolta, posò la fede e prese un orecchino di filigrana. «Buon Dio» borbottò Joe mentre un raggio di sole illuminava alcune tracce rossastre e un pezzetto di qualcosa che sembrava un fungo rinsecchito appeso al fermaglio metallico. Deborah si alzò e corse in bagno a vomitare.
Dieci minuti dopo, tornò in salotto e trovò Joe che teneva Kim sulle ginocchia. La piccola piangeva. Lanciò uno sguardo apprensivo a Deborah e disse: «Mi dispiace, mamma. Credevo che ti piacesse.» «I gioielli sono stupendi, tesoro» riuscì a dire Deborah, scossa. «Dove li hai trovati?» «Nel nascondiglio.» Il nascondiglio, come l'aveva ribattezzato Kim, era un buco di nemmeno un metro quadrato che dava su quella parte della casa che era senza scantinato. Steve l'aveva coperto con una porticina di legno, avvisando i bambini di non entrare perché lì dentro, nella sporcizia, c'erano "grandi e orribili scarafaggi". Ma, almeno in apparenza, la curiosità di Kim aveva avuto la meglio sulla sua paura. «Quando li hai trovati?» chiese Joe. «Un paio di giorni fa.» Kim si asciugò il viso rigato dalle lacrime. «Ho fatto qualcosa di male?» «Hai guardato nel nascondiglio» la informò Brian con aria censoria. «E noi non dobbiamo farlo.» «Va tutto bene» disse Deborah. «Hai visto... papà mettere questa roba lì dentro?» «No.» Kim la fissò a occhi aperti. «Questo è il tesoro dei pirati.» «Non so se i pirati sono mai passati in questa zona» disse solennemente Joe. «Siamo un po' lontani dall'oceano, ma questa è una casa molto vecchia. Qualcuno avrebbe potuto nascondere il tesoro tanto tempo fa.» «Quanti anni?» chiese Brian. «Hmmm... diciamo una cinquantina.» La risposta parve soddisfare i bambini, che tornarono a giocare. Cercando di reprimere il disgusto che ancora provava, Deborah prese la borsa con i gioielli e andò in cucina. Joe la seguì, le prese di mano la borsa e si sedette al tavolo della cucina mentre lei si lavava vigorosamente le mani. «C'erano del sangue e dei frammenti di carne su quegli orecchini» disse, ancora tremando. «Da quanto tempo sarà stata qui quella roba, secondo te?» «Considerando la fede che hai preso, direi dall'aggressione a Sally Yates, cioè due settimane fa.» «Non c'è niente che risalga all'ultimo omicidio?» «Non so cosa è stato sottratto alla Morris.» «Credo che questo chiuda il cerchio, vero? È stato Steve a mettere quei
gioielli là dentro.» «Così parrebbe.» «Va bene» disse Deborah. «Supponiamo pure che l'assassino psicopatico sia Steve. Lui non vorrebbe mai farsi prendere, vero? Allora perché nascondere i gioielli proprio lì, in quel piccolo nascondiglio dove giocano i bambini?» «Li aveva avvisati di non aprire quella porta e di non guardare mai dentro.» «Già. Ma a meno che i bambini non siano cambiati molto da quando ero piccola io, quell'avviso era l'incentivo migliore per spingerli a guardare.» Joe le lanciò un'occhiata riflessiva. «Hai ragione. Steve doveva immaginare che loro si sarebbero incuriositi.» Fece una pausa e distolse lo sguardo. «E se fosse fuggito per crearsi una nuova identità, non si sarebbe mai portato quella roba dietro. Qualcuno avrebbe potuto trovarla. Però, con lui fuori dai piedi, non aveva più importanza che i gioielli fossero scoperti o meno, esatto?» Deborah trascorse il resto della giornata a fare conversazione, tentando di comportarsi come se apprezzasse davvero la cena a base di tacchino che aveva preparato. «Di solito» disse, rivolta a Joe «ne cucino un piatto anche per la signora Dillman. Credo che potrei portare qualcosa a Fred, tanto che ci sono.» Alla fine, fu deciso che sarebbe stato Joe a consegnare il piatto. Non appena fu di ritorno, lui disse: «Era al telefono con la moglie quando sono arrivato. Non credo che la conversazione procedesse troppo bene.» «A proposito di coppie infelici, mi chiedo come se la stiano passando Evan e Barbara» rifletté Deborah ad alta voce. «Lei ti chiamerà più tardi, così avrai la sua versione dei fatti.» «Penso che verrà qui a raccontarmela direttamente, visto che la linea è controllata.» Deborah guardò all'improvviso Joe. «Mi sono concentrata così tanto su Barbara ed Evan che non ho mai tenuto conto della tua vita sentimentale. Spero proprio che i miei guai non ti abbiano causato qualche problema.» Joe sorrise. «Vuoi sapere se c'è una fidanzata gelosa? No. Ci sono un paio di ragazze che vedo di tanto in tanto, ma la cosa si ferma lì. Non ho più avuto nessuna relazione seria da quando Lisa se n'è andata a Houston.» «Mi spiace tanto, Joe.» «Be', è successo parecchi anni fa. Ormai dovrei aver superato il trauma.»
Lui fece una pausa e poi aggiunse: «Sai quanto era orgoglioso Steve di te e dei bambini?» Deborah lo fissò. «Orgoglioso? Di me? Non credo proprio.» «Lo era, invece. Non parlava molto di te, ma quando lo faceva, aveva una certa espressione nello sguardo.» «E adesso credi che potrebbe addirittura cercare di uccidermi.» «Be', questa è una possibilità un po' dura da mandare giù. Io mi sono limitato a dire che lo strangolatore potrebbe essere Steve. Ma, Deborah, chiunque sia lo strangolatore, è un tipo parecchio complicato.» «E lo stesso vale per Steve» disse lei. «Lui è un tipo molto scaltro.» Fece una pausa. «E pieno di problemi.» Joe annuì. «Lo so. È questa la parte che mi preoccupa. Ho sempre pensato che i suoi problemi fossero stati provocati da quanto successe a Emily, ma ora non ne sono più così sicuro. Non riesco a dimenticare quello che ha detto Pete, e cioè che qualcuno era convinto che l'aggressore di Emily fosse stato proprio Steve. Ma questa convinzione può essere nata solo perché lo aveva detto Lieber? O la gente si era accorta di qualcosa di insolito nella relazione di Steve con la sorella?» «Immagino che non lo sapremo mai... a meno che non andiamo a Wheeling e facciamo qualche domanda in giro.» «Vuoi andare a Wheeling?» «Sì, credo di doverlo fare.» «Deborah, questa storia è successa molti anni fa.» «Ma la gente ricorda sempre fatti del genere. Ed è probabile che lì ci sia qualcuno che ha più risposte di Pete.» «Ma anche se scoprissi altri particolari sull'aggressione di Emily? Che rapporto può esserci con i fatti di adesso?» «Sai che FFBI crede che Steve possa aver aggredito Emily. Loro sono convinti che il disegno omicida si sia formato allora. Perciò il rapporto ce, eccome.» «Forse hai ragione» disse Joe. «Ma non vorrei che finissi per destare il can che dorme e combinare qualche pasticcio di cui poi potresti pentirti.» «A questo punto, per me è meglio sapere qualcosa con certezza, anche se magari si rivelerà orribile, piuttosto che continuare a tormentarmi con dubbi e domande. Voglio andare a Wheeling» disse Deborah con determinazione. «E ci andrò domani.» Come aveva previsto Deborah, Barbara voleva parlarle, ma non per tele-
fono. Arrivò alle sette con un'aria stanca e abbattuta, gli occhi arrossati dalle lacrime. Joe scomparve con tatto in cantina per giocare con i bambini mentre Barbara accettava un drink e si sedeva sul bordo del divano, troppo nervosa per rilassarsi appoggiandosi ai cuscini dello schienale. «Sono la peggiore amica del mondo» cominciò in tono melodrammatico. «Con tutto quello che stai passando, non sono neppure in grado di darti una mano. E adesso sono qui a parlare dei miei problemi.» «Tu mi hai dato una grossa mano quando avevo più bisogno di te» disse dolcemente Deborah. «Non dimentico che hai un lavoro e la tua vita con Evan.» Gli occhi scuri di Barbara si riempirono di lacrime. «La mia vita con Evan? Ma se non lo vedo praticamente più! Deborah, lui si è comportato in modo molto strano, negli ultimi tempi. Trova sempre un mucchio di scuse per non vedermi. La sera in cui mi hai dato il permesso di tornarmene a casa per trascorrere una notte romantica con lui, Evan è uscito fuori dai gangheri perché non avevo fatto l'albero di Natale. Ci crederesti? Oh, Dio, non so più come comportarmi con quell'uomo!» «Be', potresti calmarti, tanto per cominciare. Forse lui è solo un po' preoccupato per la scomparsa di Steve.» «Lo è» disse Barbara. «Si è messo persino... be', non importa.» «Si è messo persino a fare che?» chiese Deborah, sempre seccata dall'abitudine di cominciare un discorso e poi interromperlo a metà. «Be', ha cominciato a pensare che lo strangolatore sia Steve.» «Davvero?» «Deb, ti prego, non guardarmi così. Anche tu ti sei posta la stessa domanda. Ho visto il dubbio nei tuoi occhi.» «Suppongo che tutti abbiamo preso in esame quella possibilità» disse con voce neutra Deborah. Barbara bevve un altro sorso dal suo drink. «All'inizio, Evan credeva che il colpevole doveva essere qualcuno con cui lavorava Steve, perché quella persona fosse in grado di conoscere la routine quotidiana di Steve e quindi di incastrarlo.» Deborah guardò l'amica battendo le palpebre. Quella particolare eventualità non le era ancora venuta in mente. Fin lì si era concentrata solo su Steve e su Artie Lieber. «A dire la verità, ho cominciato a chiedermi...» «Hai cominciato a chiederti cosa?» «Se per caso non avesse ragione Evan. Se l'assassino non è Steve, allora potrebbe essere una persona che lavora con lui. Ed Evan si sta comportan-
do in modo così bizzarro...» «Credi che Evan possa essere un serial killer?» «È una probabilità che ho preso in esame» disse seccamente Barbara. «Naturalmente, però, anche Joe si sta comportando in un modo alquanto strano.» Deborah le lanciò un'occhiata carica di stupore. «Joe? E cos'avrebbe fatto di tanto strano?» «È diventato il tuo cane da guardia.» «Barb» tagliò corto Deborah «Steve era... è un amico di Joe. E Joe non fa altro che proteggere la moglie e i figli del suo amico.» «È quello che ho detto a Evan, ma lui non era convinto... o almeno così mi è sembrato.» Barbara distolse lo sguardo, mordendosi un pollice, poi esplose. «Evan si è messo a litigare sulla faccenda dell'albero di Natale proprio la sera in cui è stata assassinata quella donna, la Morris. E se lui avesse cercato solo di liberarsi di me, in modo da potere...?» «Violentare e strangolare una giovane donna all'esterno di un bar? Non puoi crederci sul serio.» Barbara abbassò lo sguardo. «Deborah, sai che Evan e io non eravamo mai insieme quando quelle donne sono state assassinate? Tengo un diario e mi sono messa a sfogliarlo, l'altra sera. È per questo che ne sono così sicura. E la casa degli O'Donnell è stata presa in affitto da qualcuno che si chiama Edward King. Evan Kincaid. E.K.» Deborah la guardò a bocca aperta. «Barbara, non ti rendi conto di quanto suona sciocco tutto ciò? Sembra proprio che tu voglia fare di tutto per credere alla colpevolezza di Evan. È preferibile questo, invece di pensare che magari lui non desidera più che la vostra relazione prosegua?» Barbara spalancò gli occhi, come se fosse stata schiaffeggiata. «Questa è una cosa veramente spregevole!» «Perché, quello che hai appena insinuato su Evan non lo è? Barb, tu sei la mia più cara amica, ma te la stai prendendo a morte solo perché Evan ti tratta con freddezza da qualche giorno.» Barbara le lanciò un'occhiata lunga e penetrante. «E tu ora ti sfoghi con me perché non ti sono più stata vicina, negli ultimi tempi, e così stai cercando di farmela pagare.» «Ma è assurdo!» Barbara posò il bicchiere e si alzò. «Ora mi rendo conto di aver esposto il mio problema alla persona sbagliata.» «Oh, Barb, adesso non fare l'offesa! Io ti sono amica e non voglio affatto
fartela pagare, ma mi sembra che tu lavori un po' troppo di fantasia. E non potevo non dirti quello che penso.» «Grazie per la tua dotta opinione» disse seccamente Barbara. «Me ne vado.» «Barbara, ti prego, non fare così...» Le sue parole vennero interrotte dallo sbattere della porta d'ingresso. Deborah si sporse in avanti, prendendosi la testa tra le mani. Era ancora in quella posizione quando Joe entrò nella stanza. «Hai faccende più importanti a cui pensare che i capricci di Barbara.» «Hai sentito?» chiese Deborah, alzando il capo. «Sì, ogni parola, incluse quelle sulle mie azioni sospette.» «Mi spiace.» «Non c'è motivo. E lo stesso vale anche per Barbara.» Deborah inarcò le sopracciglia, sorpresa. «Sei stata un po' dura con lei.» «Hai sentito le accuse che ha lanciato, no? Erano tutte molto pericolose.» «Deborah, noi non sappiamo chi sia lo Strangolatore dei vicoli bui» disse cupamente Joe. «È pericoloso o saggio prendere in esame tutte le possibilità?» «Ma lei pensa che il colpevole possa essere tu, o persino Evan.» «Quanto mi conoscete, in fondo, tutti voi? Non molto, direi. E per quanto riguarda Evan, be', credo che Barbara abbia detto qualcosa di sensato. È stato lui a tirare in ballo la possibilità che Steve fosse stato incastrato da qualcuno con cui lavorava. Immagino che stesse cercando di gettare sospetti su di me, ma forse lo ha fatto per stornare i sospetti dalla sua persona. Ed è una coincidenza piuttosto singolare che lui e Barbara non abbiano mai passato la notte insieme mentre si verificavano quei delitti.» «Basta!» esclamò Deborah, strofinandosi le tempie. «Mi pare di sprofondare nelle sabbie mobili. Non mi va di pensare alle varie possibilità, perché ce ne sono troppe e sono tutte spaventose. Per adesso, riesco a concentrarmi solo su Steve, Emily e Artie Lieber.» «Conti ancora di andare a Wheeling, domani?» «Certo.» «Vuoi che ti accompagni io?» «Sì» rispose fermamente lei, anche se più tardi, a letto, continuava a sentirlo ripetere: "Quanto mi conoscete, in fondo, tutti voi?". 21
"Quanto mi conoscete, in fondo, tutti voi?" Deborah chiuse gli occhi. Non voleva pensare a quello che aveva detto Joc. Lui non era un assassino e nemmeno Evan, si disse. "Però non sei così sicura riguardo a tuo marito, vero?" intonò ironicamente la sua voce interiore. Diede un'occhiata all'orologio: le sei e mezzo. Se fossero riusciti a partire per le otto, sarebbero arrivati a Wheeling prima di mezzogiorno. Così Deborah avrebbe avuto tutto il tempo di fare quello che doveva e tornare a casa intorno alle nove di sera. La notte prima, aveva chiamato Pete per chiedergli se poteva tenerle i bambini. Aveva rifiutato di spiegargli perché, dato che la linea telefonica era controllata, ma sapeva che con tutta probabilità lei e Joe sarebbero stati seguiti. Lasciò i bambini nella loro stanza mentre lei impacchettava alcuni dei giocattoli che i piccoli avevano ricevuto per Natale. Pete aveva acconsentito anche a tenere Scarlett. A Deborah non piaceva l'idea di lasciare il cane da solo tutto il giorno, e sapeva che Scarlett avrebbe aiutato Pete a intrattenere i bambini. Verso le sette e mezzo, erano già davanti alla grande casa coloniale di Pete, che distava meno di un miglio da quella di Deborah. Lei aveva sempre ammirato quella casa, specie perché Pete aveva cercato di mantenere l'atmosfera coloniale dell'edificio scegliendo con molta cura vari oggetti d'antiquariato. Joe attese in macchina mentre Deborah accompagnava i bambini e Scarlett alla porta. Pete salutò gli ospiti e li fece entrare in salotto, dove la luce del sole filtrava da una finestra palladiana, rendendo ancora più brillante il mobilio color crème. «Pete, è stato molto gentile da parte tua» disse Deborah, togliendo i cappotti ai bambini. «Nessun problema, davvero. Vorrei solo sapere cosa bolle in pentola.» Lei esitò, così Pete disse all'improvviso: «Bambini, perché non mettete i piatti di Scarlett in cucina, nel punto che preferite voi? lo arrivo tra un attimo per riempire la ciotola dell'acqua.» I piccoli si guardarono a vicenda. «Non vogliono che sentiamo» disse sinistramente Brian, ma poi marciarono verso la cucina con il cane alle calcagna. «Joe mi accompagna a Wheeling» disse Deborah. Pete strabuzzò gli occhi. «A Wheeling? E che cosa ci vai a fare? Vuoi
rivedere Emily?» «Tra le altre cose. Vedi, Pete, ho la sensazione che quello che sta succedendo sia in qualche modo collegato con quanto è successo a Emily tanti anni fa.» «Ma com'è possibile?» «Non ne sono sicura nemmeno io» rispose evasivamente lei. Poi, guardandolo, si rese conto che Pete aveva capito. Sapeva che si stava chiedendo se era stato Steve ad aggredire la sorella. «Deborah, non credo che sia una buona idea» disse seccamente lui. «Lieber è ancora in libertà. Inoltre, quello su cui speri di scoprire la verità è successo molto tempo fa. La pista è fredda, come dicono quelli della polizia nei telefilm.» «Forse no. Forse c'è qualcosa di cui nessuno si è accorto.» «E tu pensi di scoprirlo?» «Lo spero.» Pete sospirò. «Deborah, non posso fare a meno di dirti che sono un po' preoccupato per il fatto che tu ti faccia accompagnare da Joe. Lui sembra un tipo a posto, però...» «Cosa sappiamo davvero di lui?» completò automaticamente Deborah. «Io mi fido di Joe. Mi ha aiutato in modo davvero incredibile. Come te, d'altra parte.» D'impulso, gettò le braccia intorno a Pete e lo strinse, gli occhi pieni di lacrime. Lui si irrigidì, sorpreso, poi si rilassò e le diede qualche colpetto affettuoso sulla schiena. «Deborah, non sei nella forma migliore per un viaggio così lungo.» Lei si staccò da Pete e si asciugò il viso. «Sto bene, davvero. E poi, devo andare. Se non scopro niente, allora pazienza. Ma almeno avrò tentato.» Pete alzò le mani con fare rassegnato. «Suppongo di non poterti fermare.» «Però puoi aiutarmi in un altro modo. Qual era il nome della ragazza di Steve, quella che gli fornì l'alibi per l'aggressione subita da Emily?» Gli occhi di Pete ebbero un guizzo, poi lui aggrottò le sopracciglia. «Deborah, proprio non ricordo. Non l'ho più vista da tanto e credo che lei si sia trasferita dopo aver terminato le superiori. Vediamo... Jane? Joyce? Forse è un nome simile, anche se nessuno di questi mi suona del tutto giusto. Il cognome, comunque, l'ho completamente dimenticato.» «Oh, be', credo che non sia poi così importante.» «Mi spiace. Se hai tempo, comunque, ti chiederei di fare un salto da mia nonna. Non l'ho vista a Natale e vorrei essere sicuro che non stia esageran-
do a fare la crocerossina con la sua amica Ida.» «Ma certo, Pete. Sono sicura che riusciremo a farle una breve visita.» «Fantastico. Ora ti scrivo l'indirizzo.» Prima che Deborah se ne andasse, Adam scese dabbasso, i capelli in disordine come la T-shirt e i jeans che indossava. «Dove sono i bambini?» chiese all'improvviso. «In cucina» rispose Deborah. «Hai portato il cane?» «Sì.» Lui sorrise. «Ottimo. Ho progettato una grande giornata per loro.» «Forse Deborah non vuole che vadano in giro tutto il giorno» disse Pete. «Kimberly aveva la tosse.» «Ma ora sta bene, no?» chiese Adam. «Molto meglio, sì. Stai solo attento che non prenda freddo.» «Ci penso io» disse Adam, guardandola negli occhi. Deborah era commossa. Quanti quindicenni sarebbero stati così felici di prendersi in custodia due bambini? «Non preoccuparti» disse Pete, porgendole un foglietto con l'indirizzo della nonna. «lo e Adam veglieremo sui piccoli. E, Deborah... anche se non nutro molta fiducia nella tua missione, buona fortuna.» Deborah e Joe parlarono molto poco fino a quando non uscirono da Charleston per dirigersi verso nord. Deborah continuava a cercare qualche argomento di conversazione, ma senza successo. Alla fine, Joe inserì una cassetta nel mangianastri. Un attimo dopo, degli accordi di chitarra, seguiti dalle note ossessionanti di un flauto, riempirono l'auto prima che la Marshall Tucker Band attaccasse con Can't You See. Deborah non sentiva quella canzone da anni e, pochi secondi dopo, cominciò a battere il ritmo col piede. Si accorse che Joe aveva notato quel movimento e, all'improvviso, si mise a cantare. «Be', oggi ho scoperto qualcosa di nuovo su di te» disse Joe, abbassando il volume. «Non sapevo che fossi una rock star.» Lei annuì, arrossendo. «Ricordo che una sera, quando avevo quattordici anni, mi ero fermata a dormire dalla mia amica Mary Lynn. Lei aveva centinaia di cassette e, mentre i suoi genitori erano fuori a cena, abbiamo messo su un concerto in camera da letto. Non mi sono mai sentita tanto mortificata in vita mia come quando i suoi genitori hanno aperto la porta e mi hanno visto in piedi sul letto di Mary Lynn. Cantavo Stayin' Alive e al po-
sto del microfono avevo una spazzola.» Joe tirò indietro la testa e sorrise. «Anch'io avevo pensato di fondare un complesso con i miei fratelli, ma eravamo talmente scarsi che abbiamo dovuto rinunciare a tutte le nostre aspirazioni.» «Così tu sei diventato un poliziotto e io una segretaria.» «E la musica ha perso due delle sue stelle più luminose.» Continuarono a chiacchierare sulla loro adolescenza per un paio d'ore, e Deborah sentì allentarsi la tensione ai muscoli della schiena. Quando entrarono a Wheeling, però, aveva le mani che le tremavano. «Sei mai stato qui?» chiese a Joe. «No.» «Io sono venuta solo una volta, per vedere Emily. Con Steve...» Deborah sentì un nodo alla gola e trattenne a stento un singhiozzo che sorprese sia lei che Joe. Lui allungò il braccio e le diede un colpetto sulla mano. «Coraggio, Deborah.» Lei inghiottì a fatica. «Mi spiace.» «Vuoi che torniamo a casa?» «No, non posso. Sono certa che qui scoprirò qualcosa, anche se non so da dove mi derivi questa sicurezza. Forse ha a che vedere con il fatto che Steve mi ha portato qui solo una volta, anche se io gli avevo chiesto ripetutamente di tornare. Ma lui non ha mai voluto. Perché? Perché non desiderava mescolare la sua nuova vita con la vecchia? O perché aveva paura che potessi scoprire qualcosa?» «Deborah, non voglio impedirti di passare la giornata qui. Il fatto è che mi sembri un po' scossa, almeno adesso.» «No, ora sto bene.» «D'accordo. Qual è la prima fermata?» «La clinica. Voglio vedere subito Emily.» Artie Lieber era in movimento. La vigilia di Natale, aveva rubato una Toyota blu e ne aveva sostituito la targa con quella di una station wagon parcheggiata accanto a un marciapiede a circa tre isolati di distanza. Dopo che aveva trascorso il giorno di Natale nel motel, alla fine era arrivata la sera e così lui aveva deciso di passare dalla casa dei Robinson. Si sentiva al sicuro, ora che aveva una nuova auto. Aveva visto la donna dai capelli corti che aveva già notato il giorno dopo la scomparsa di Steve Robinson. La donna era uscita precipitosamente di casa, fermandosi accanto alla sua auto e cominciando a fissare il grande edificio di mattoni a due
piani dall'altra parte della strada. Lui sapeva cosa stava cercando quella tipa. Quella volta, tuttavia, alla finestra non era comparsa nessuna faccia. Però lei aveva sul viso un'espressione determinata che a lui non era affatto piaciuta. Quella era una tipa che non voleva saperne di lasciare le cose come stavano. No, lei avrebbe continuato a indagare, anche se così rischiava di fare una brutta fine. Adesso era la mattina del 26 dicembre. Lui aveva sempre trovato il Natale molto deprimente, ed era contento che fosse finito. Era tempo di mettersi nuovamente in moto. Era tempo di fare davvero qualcosa. L'odore combinato dei medicinali e delle malattie assalì Deborah mentre lei e Joe si avvicinavano alla reception della casa di cura. Un'infermiera dallo sguardo seccato, con i corti capelli biondi screziati di grigio, alzò lo sguardo. «Sì?» «Siamo qui per vedere Emily Robinson.» Gli occhi scuri dell'infermiera si fecero guardinghi. «La signorina Robinson può ricevere visite solo su richiesta della famiglia.» «E io ho fatto appunto richiesta» disse Deborah. «Sono sua cognata.» Le sopracciglia dell'infermiera scattarono all'insù. «È la moglie di Steve?» «Esatto. Conosce mio marito?» «Sì. Mi chiamo Jean Bartram. Lui non le ha mai parlato di me?» «No. E ora potremmo vedere Emily?» Jean socchiuse gli occhi. «Se vuole far visita a Emily, devo procedere a una sorta di identificazione. Da quando si è diffusa la notizia della scomparsa di suo marito, i giornalisti hanno continuato a tormentarci spacciandosi per membri della famiglia. E io non l'ho mai vista prima.» Deborah lottò per tenere le emozioni sotto controllo. «Io e Steve abbiamo due bambini» disse, frugando nella borsetta alla ricerca della patente. Quando la trovò, la porse all'infermiera. «Non vengo mai a trovare Emily insieme a Steve perché devo stare a casa con i piccoli.» Jean guardò la foto sulla patente e poi le restituì il documento. «Capisco. Comunque, non è che Emily segua molto le visite.» «Eppure, so che dice qualcosa, di tanto in tanto.» «Oh, sicuro. Potrebbe parlare se volesse, ma non vuole.» «Credo che il problema sia più complesso di una semplice ostinazione»
non poté fare a meno di osservare Deborah. «Lei è un medico?» chiese Jean. «No.» L'infermiera si strinse nelle spalle, poi guardò Joe. «E lui chi è?» «Joe Pierce. È un amico di famiglia e collabora con la polizia alle ricerche di mio marito.» Jean gli lanciò uno sguardo perplesso. «A volte, Emily dice diverse parole tutte insieme» osservò poi. «Almeno, credo che siano delle parole, perché è difficile capirla quando si esprime così. Altre volte, si limita a dire una sola parola molto chiaramente.» «La stessa parola?» «Sì. Di solito, è Steve.» «Non mamma o papà?» Delle profonde rughe si formarono sulla fronte di Jean. «No, non credo di averla mai sentita parlare dei genitori, anche se loro vengono a vederla quasi tutti i fine settimana.» «Dice qualcos'altro?» «Natale.» Deborah e Joe la guardarono entrambi. «Natale?» Jean sollevò le spalle. «Suo marito diceva che Emily adorava il Natale. Lui le portava sempre dei regali... Eccoci» aggiunse l'infermiera subito dopo, fermandosi accanto a una pesante porta di legno. «Ha una stanza privata. Siete pronti a entrare?» «Sì» mormorò Deborah, anche se non si sentiva affatto pronta. Jean aprì la porta. Emily sedeva in una poltrona di fronte a un grande televisore su cui si vedevano le immagini di una soap-opera. Gli occhi di Emily erano fissi sullo schermo, ma era impossibile dire se lei fosse in grado di comprendere qualcosa oppure no. Mentre si avvicinavano, Deborah notò una sfumatura di grigio nei lunghi capelli castani dell'inferma. Anche la pelle sembrava più pallida e più secca dell'ultima volta in cui lei l'aveva vista. Emily era avvolta in una vestaglia di seta stile chimono. Qualcuno le aveva annodato i capelli con un nastro viola, e i piedi erano infilati in un paio di pantofole bianche di pelle. Joe si fermò sulla soglia, ma Deborah si diresse subito verso la paziente. «Ciao, Emily» disse piano, inginocchiandosi accanto alla poltrona. «Forse non ti ricordi di me, ma sono la moglie di Steve, Deborah.» Il viso di Emily rimase immobile. Guardandola così da vicino, Deborah si accorse che gli occhi verdi dalle ciglia lunghe erano belli come sempre,
ma le labbra della ragazza erano screpolate e circondate da sottili rughe. Comunque, anche in quelle condizioni tutt'altro che ideali, lei sembrava ancora bella. A rovinare il quadro, però, c'erano una cicatrice sulla fronte, nel punto in cui Emily era stata colpita dal tubo, e un segno intorno al collo dove l'aggressore aveva stretto la corda, lacerando la fragile pelle. «Ho portato un amico con me» continuò allegramente Deborah, cercando di imitare il modo in cui Steve aveva parlato alla sorella tanto tempo prima. «Si chiama Joe Pierce. Lavora con Steve.» Joe prese lentamente ad avanzare. Deborah ne intuì il disagio e si sorprese per questo. Pensava che Joe fosse un tipo che non si lasciava imbarazzare da nulla, ma, almeno in apparenza, la vista di quella donna graziosa, così sinistramente immobile, lo aveva turbato. «Ciao, Emily» disse in tono squillante, ben poco naturale. Deborah si sedette sul letto accanto alla poltrona di Emily mentre Joe rimase in piedi, tamburellando nervosamente con le dita sul televisore. L'infermiera rimase accanto alla porta. «Suppongo che Steve ti abbia parlato dei tuoi nipoti» disse Deborah, sentendosi a disagio per il fatto di chiacchierare in quel modo con una persona che sembrava tanto sensibile quanto una statua. «Loro si chiamano Kimberly e Brian. Sono molto intelligenti, ma ne combinano sempre di cotte e di crude. Ho qui una foto...» Frugò di nuovo nella borsetta, alla ricerca del portafogli, e ne tirò fuori l'istantanea più recente dei bambini, che sorridevano in modo un po' forzato davanti all'obiettivo. Tenne sospesa la foto davanti a Emily, che batté le palpebre e non disse niente. «Abbiamo anche un cane» proseguì Deborah. «Si chiama Scarlett ed è una femmina. Kim l'ha chiamata così pensando a Scarlett O'Hara. Steve mi ha detto che il tuo libro preferito era Via col vento. Ho una foto anche del cane.» E la mostrò a Emily. "Ma cosa diavolo sto facendo?" pensò Deborah. "Me ne sto qui a sproloquiare come una stupida e mostro a Emily la foto del cane di famiglia?" Cominciò a riporre l'istantanea, sentendosi sciocca, quando all'improvviso Emily disse: «Sex?» Deborah sussultò al suono della voce, che sembrava rugginosa dalla scarsa abitudine all'uso. «Sex?» ripeté. «Sesso?» Guardò Jean, che sembrava stupefatta, e poi sorrise. «Di cosa stai parlando, Emily?» L'angolo destro della bocca dell'inferma si mosse leggermente. «Sex» disse piano, in modo quasi affettuoso. «Sex era il tuo cane?» chiese disperatamente Deborah.
Joe lanciò a Deborah uno sguardo divertito e incredulo. «Un cane che si chiama Sex?» Emily guardò la foto. «Sex. Natale.» Deborah si rivolse a Jean, che però allargò le braccia in segno di stupore. «Questa è nuova anche per me. Non l'avevo mai sentita dire quella parola prima.» Deborah tornò a fissare Emily. «Sex era il nome del cane che ti hanno regalato a Natale?» «Natale.» Molto lentamente, Emily alzò la testa verso la foto. «Sex.» Deborah le porse l'istantanea con Scarlett. Emily l'afferrò subito e se la portò in grembo. «Sex» disse di nuovo, stavolta con una sfumatura di tristezza. Deborah aveva voglia di piangere. Che cosa stava cercando di dire Emily? Di qualunque cosa si trattasse, aveva a che fare con un cane, che però, quasi certamente, non si chiamava Sex. Molto probabilmente, non lo avrebbero mai saputo. Deborah le lasciò la foto. Sarebbe stato quello il suo regalo di Natale. Guardò Joe, che parve rendersi improvvisamente conto di dover fare qualcosa e si avvicinò alla poltrona di Emily, inginocchiandosi poi dalla parte opposta rispetto a Deborah. «Ciao, Emily, sono Joe» disse in tono rigido. «Deborah voleva venirti a trovare per Natale, così l'ho accompagnata.» «Natale.» Deborah guardò di nuovo Jean, che disse: «Oggi è una vera chiacchierona. Erano secoli che non la sentivo parlare così tanto.» Joe sorrise a Emily. «Ricordi l'ultima volta che hai visto Steve?» L'angolo della bocca di Emily, che si era sollevato poco prima, tornò al suo posto. «Ed.» «Ed?» ripeté Deborah. «È un infermiere di qui» disse Jean. «Lui la segue spesso. Mi sembra che Emily ora sia un po' confusa.» Joe provò di nuovo. «No, Emily, non Ed, ma tuo fratello Steve. Lui veniva spesso a trovarti.» Poi notò una pianta in vaso posata sul comò. Era un oleandro. «È stato Steve a portarti quella pianta?» «Steve. Natale.» Deborah guardò Jean, che annuì. «Gliel'ha portata l'ultima volta che è venuto. Ha dato a tutti noi una serie di istruzioni su come dovevamo trattarla, come se non avessimo abbastanza da fare qui senza doverci preoccu-
pare anche delle piante.» «È stato Steve a portarti la pianta per Natale?» chiese Deborah. Emily volse la testa di scatto, poi alzò la mano e fece scorrere le dita lungo i capelli di Deborah, che non si era fatta la treccia. «Sally!» «Sally?» «Sally Yates» disse Jean, e Deborah ebbe la sensazione di essere colpita da una scarica elettrica. «Lei conosce Sally Yates?» «Sì. Sally lavorava qui, un tempo. Ma non per molto. Ha scoperto che poteva fare più soldi da qualche altra parte. Se n'è andata pochi mesi fa. Era piuttosto carina e aveva un fisico da modella. Probabilmente, passava tutto il tempo libero a tenersi in esercizio.» «La signora Yates trascorreva molto tempo con Emily?» chiese Deborah. «Sicuro. Le spazzolava i capelli, le tagliava le unghie e le metteva il make-up.» «Mio marito conosceva Sally?» «Credo di sì. Mi spiace davvero molto per lei. C'è mancato un pelo che non la uccidessero. Ma il bello è che ci hanno ritentato.» «Come sarebbe a dire, ritentato?» chiese bruscamente Joe. «Sally ha ripreso conoscenza e qualcuno si è introdotto nella sua stanza d'ospedale, l'altro ieri notte, per tagliarle la gola. Sally non è stata uccisa solo perché un'infermiera ha sorpreso l'aggressore e lui l'ha pugnalata all'addome. Lei se la caverà, ma è così spaventata che non ricorda nemmeno che faccia avesse quell'uomo. A meno che non menta, naturalmente. Sally non vuole dire niente. Non che la biasimi, però. Non vorrei mai che un maniaco omicida là fuori possa credere che io sia in grado di identificarlo.» Deborah aveva cominciato a tremare dentro di sé. Voleva fare una dozzina di domande, ma non davanti a Emily. Jean poteva anche credere che la paziente fosse una specie di statua, ma Deborah sapeva che le cose non stavano così. Si volse verso Emily e si sforzò di sorriderle. «Emily, ti sei divertita a Natale? Ti ha fatto piacere vedere Steve, la settimana scorsa?» Emily lasciò cadere di colpo la ciocca di capelli che stava accarezzando. Prese di nuovo a fissare il televisore, ma Deborah notò che aveva serrato leggermente le mani. «Emily, mi ascolti?» chiese, sporgendosi per avvicinarsi a lei. «Ti ho chiesto se ti ha fatto piacere vedere tuo fratello...»
All'improvviso, Emily ebbe un sussulto, spalancò gli occhi e urlò: «Steve, no! Steve, fa male!» Deborah per poco non cadde all'indietro per lo shock e Joe balzò in piedi. Jean corse verso Emily. «Ora è meglio che ve ne andiate» ordinò. «Ma cosa può essere successo?» chiese Deborah, sconvolta. «Non lo so, però l'avete spaventata» disse Jean in tono accusatorio. «L'ho vista in queste condizioni solo un paio di volte, diversi anni fa. E ora, andate via, per favore. Subito.» Deborah e Joe uscirono in fretta dalla stanza, ma le urla di Emily echeggiarono persino nell'atrio: «No! Steve, fa male! No!» 22 Rimasero a sedere nella jeep per almeno dieci minuti, mentre Deborah tirava profondi sospiri e cercava di calmarsi. Il terrore di Emily alla menzione del nome di Steve l'aveva messa sottosopra. L'aggressore di Emily era davvero Steve? Era possibile che avesse fatto qualcosa di tanto mostruoso alla propria sorella? E lei era solo la prima di numerose vittime? «Sei bianca come un lenzuolo, Deborah» disse Joe. «Ne hai avuto abbastanza per oggi?» «Credimi, vorrei tornare a casa il più presto possibile, ma non posso. Voglio ancora introdurmi nell'abitazione dei Robinson, sempre che non siano già tornati. Ma non possiamo farlo se prima non cala il buio.» «E allora che si fa nel frattempo?» «Darei qualunque cosa pur di sapere il nome della fidanzata di Steve al tempo dell'aggressione subita da Emily. Forse lei potrebbe dirci qualcosa.» «Pete non ti ha detto come si chiama?» «Ha detto che non si ricordava. Comunque...» Joe alzò le sopracciglia con fare interrogativo. «Comunque?» «Gli ho promesso che mi sarei fermata da sua nonna Violet. Chissà, magari lei è in grado di fornirci quel nome.» Joe sorrise. «Ottimo.» Lei prese dalla borsetta l'indirizzo che Pete aveva scarabocchiato su un foglietto. «Ti dispiace?» «Oggi ho deciso di comportarmi da autista molto accondiscendente. Dimmi solo dove dobbiamo andare.» «Faremo in modo che questa visita sia breve, te lo prometto» disse De-
borah a Joe quindici minuti dopo, mentre scendevano dalla jeep davanti alla bella casa in mattoni di Violet Griffin. «Non è un problema, però non dimenticare che abbiamo almeno un'altra fermata da fare e che il tempo non promette molto di buono. La radio ha detto che dovrebbe nevicare entro mezzanotte, ma mi chiedo se ci vorrà così tanto prima che cominci a cadere la neve.» Deborah alzò lo sguardo al cielo e aggrottò le sopracciglia. «Sì, hai ragione. Forse dovremmo dimenticare questa...» La porta d'ingresso si aprì e sulla soglia apparve una donna piccola e rotonda con dei capelli bianchi e lanuginosi. «Salve!» esclamò con voce flautata. «Tu sei Deborah. E tu devi essere Joe. Ho parlato con Petey oggi e mi ha detto che era previsto il vostro arrivo a Wheeling.» Deborah non si era mai abituata a sentir chiamare Petey il nipote austero e riservato della donna. In fondo, però, lui era stato allevato dalla nonna dall'età di dieci anni. «Speravo che sareste passati da me» riprese la signora Griffin, facendo segno ai due di entrare. «Deborah, sei persino più bella dell'ultima volta che ti ho visto, lo scorso Natale. Un po' più magra e pallida, ma graziosa come in una foto.» «Grazie, signora Griffin. Speriamo solo di non averla disturbata. So che deve star dietro alla sua amica.» «Lei se la passa bene. Sta dormendo come una bambina nella stanza degli ospiti. E basta con questa signora Griffin, per favore. Chiamami Violet o Vi. E questo vale anche per te, Joe. Ora venite dentro a scaldarvi. Avevo preparato una torta giusto nel caso che aveste deciso di fermarvi. Una fetta per tutti e due?» «Ma piccola» disse Deborah. «Non possiamo fermarci a lungo.» «Be', ve ne taglio due grosse fette e poi mangiate un po' la quantità che vi pare. C'è anche del caffè appena preparato. Andate in salotto e aspettate là. Arrivo subito.» «Serve aiuto?» chiese Deborah. «No, no. Rilassati, mia cara. Sedetevi davanti al fuoco. Io adoro il camino in giornate fredde e uggiose come questa.» In salotto, Deborah si diresse a una parete alla quale erano appese diverse foto. Una coppia con due abiti da cerimonia nuziale stile anni Quaranta posava con una certa rigidezza davanti all'obiettivo. Violet e suo marito, pensò Deborah. Un'altra foto mostrava un giovanotto molto simile al signor Griffin. A giudicare dallo stile degli abiti, Deborah pensò che fosse il
figlio unico dei Griffin, il padre di Pete. Sotto c'era una foto di una donna dai capelli scuri che teneva in braccio un bambino. Il piccolo era in primo piano, ma la donna spiccava in virtù dei suoi grandi occhi e del suo sorriso luminoso. Vicino ce n'era un'altra che ritraeva il giovane Pete con la divisa dei boy-scout. «Oh, vedo che state ammirando la mia collezione» disse Violet, entrando con un vassoio. «Suo figlio era proprio un bell'uomo» disse Deborah, sedendosi e accettando una fetta di torta così grande che minacciava di debordare dal piatto. «Sì, il mio Nelson era un simpatico demonio, anche se attraeva sempre le donne sbagliate. Sua moglie... be', se non fosse stato per lei, mio figlio sarebbe ancora vivo.» Pete aveva detto a Deborah che i suoi genitori erano morti in un incidente automobilistico. Lei non capiva cosa volesse dire Violet e si sentiva a disagio nel proseguire quella conversazione, ma la donna non aveva bisogno di essere incoraggiata a parlare. «Quella era una tipa dai facili costumi, a cui piacevano troppo gli uomini. Credevo che potesse cambiare dopo la nascita di Petey, ma le cose non andarono così. Gli uomini non le bastavano mai e, visto che Nelson faceva il rappresentante ed era sempre in viaggio, lei aveva tutte le opportunità di andare con chi voleva. Io e suo padre provammo a dirgli di lasciare quella donna, ma lui non voleva. Si mise anche a bere. Poi, una notte, una terribile notte, si ubriacò, salì in auto e...» Il labbro inferiore prese a tremarle. «Se non altro, morì sul colpo. O così mi dissero i medici. Non se ne accorse nemmeno.» «Ma sua moglie non morì nell'incidente insieme a lui?» chiese Deborah. Violet fece un'espressione strana. «Come? Ah, sì. I vicini dissero che loro si erano messi a litigare e che Nelson se ne andò, forse per venire da me. Lei corse fuori e salì in auto proprio mentre lui stava mettendo in moto. Petey rimase a giocare nel cortile. Grazie a Dio, non decise di portarlo con sé, così almeno lui si è salvato.» Scosse la testa. «Non è strano che Petey abbia sposato una donna che assomigliava alla madre? Anche a lei piacevano molto gli uomini.» Deborah non aveva mai sentito dire nulla a proposito di Hope e di altri uomini, ma in fondo il codice di comportamento di Pete non gli avrebbe mai permesso di mettere in cattiva luce la madre di Adam davanti a estranei, anche se lei lo aveva lasciato. «Hope era molto carina» proseguì Violet «ma si comportava in maniera strana. Abbandonava sempre la sua famiglia. Una cosa davvero imperdo-
nabile.» Fece una pausa e sorrise. «Perdonami, Deborah. Io parlo delle mie faccende, ma ora sei tu che hai un grande cruccio. Petey mi ha detto che non hai più saputo niente di Steve.» «Già.» «Sarai sconvolta dalla preoccupazione.» «Non è facile, certo.» «Ricordo Steve quando era giovane, prima che succedesse quel guaio a Emily. Lui e Petey erano buoni amici.» «Lo so» disse Deborah. «Com'era Steve allora?» «Bravo. Molto abile nelle attività sportive. Vediamo... a cosa giocavano più i ragazzi?» «A pallacanestro.» «Oh, certo. Io andavo alle partite ogni tanto, anche se non ci capivo molto. Ma venivano anche gli altri genitori. I Robinson, per esempio, c'erano sempre. Erano molto orgogliosi di Steve.» Aggrottò le sopracciglia e posò il piatto con la torta. «Però non sembrava che gli volessero il bene che volevano a Emily. Erano convinti che il sole sorgesse e tramontasse sul viso di quella ragazza. La chiamavano il loro angelo.» Sorrise mestamente. «Ma non era un angelo, te lo assicuro.» «Cosa intende dire?» chiese Deborah. «Che andava matta per i ragazzi. Ed era un serpente.» Violet spalancò gli occhi. «Oh, santo cielo, ma cosa sto dicendo? È tua cognata e sta tanto male. Sono davvero imperdonabile.» «Violet, Pete mi ha detto che Emily si era sposata in segreto, ma lui non sapeva con chi. Non credo che lei abbia sentito indiscrezioni su questa storia, ma...» «Indiscrezioni? Ne ho sentite a centinaia. Però non so nulla di definitivo. Non so nemmeno se lei si fosse sposata sul serio, anche se Petey mi ha detto di averlo saputo da Steve. In ogni caso, sarebbe stato un matrimonio illegale. Tutta questa storia è stata una vera tragedia. E adesso il povero Steve...» «Non ricorda nulla di eventuali fidanzate di Steve, all'epoca?» Violet le lanciò un'occhiata scherzosa. «Ehi, tesoro, non è che stai cercando una ragione per essere gelosa, eh?» L'idea era così assurda che per poco Deborah non si mise a ridere, ma poi ricordò che Violet non aveva nessuna idea del perché lei le avesse rivolto una simile domanda. «No, no. È solo che non so quasi niente della giovinezza di Steve. Lui non mi parlava mai dei suoi anni a Wheeling.»
«Be', era molto benvoluto qui, questo lo ricordo. E temo che fosse anche più affascinante di Petey, anche se Petey aveva una fidanzata.» «Ma Steve aveva qualche ragazza speciale?» insistette Deborah. «Che so, una conosciuta nell'ultimo anno delle superiori, magari?» Violet le lanciò un'occhiata perplessa. «Mi sembra che questo particolare abbia una grande importanza per te. Be', mia cara, è difficile ricordare cose che sono successe tanti anni fa... ma sì, ci sono state un paio di ragazze. Una era Jennifer Stratton. I genitori di Steve la adoravano. Il padre di Jennifer possiede un mucchio di terre qui intorno. Loro sono una famiglia molto ricca. Per qualche ragione, però, quella storia finì. Petey mi disse che i Robinson la presero molto male. In fondo, Steve aveva rinunciato a una ragazza con alle spalle una famiglia piena di soldi. Poi lui cominciò a vedersi con un'altra ragazza che ai suoi non piaceva. Vediamo... come si chiamava? Jeannie, mi pare. Sì, Jeannie Arnold. Ma lei si trasferì, divenne un'infermiera e si sposò con un tizio di nome Burton o Bertram.» «Un'infermiera?» ripeté Deborah. «È una certa Jean Bartram che lavora alla clinica di Wheeling?» «La clinica?» Violet aggrottò le sopracciglia. «Be', ho sentito dire che lei era tornata qui un paio di anni fa. Però non so dove lavori. Ha i capelli biondi?» «Sì.» «Ora dovrebbe avere sui trentacinque anni, ma sembra che se li porti un po' male. L'hai vista oggi?» «Sì. È stata lei a portarci da Emily.» «Però non ti ha detto niente sulla sua storia con Steve?» «Nemmeno una parola.» «Be', forse credeva che la cosa non ti sarebbe piaciuta, cara.» «Lei conosceva Artie Lieber, signora Griffin?» chiese all'improvviso Joe. Gli occhi di Violet si mossero inquieti dietro le lenti. «Santo cielo, no! Non avremmo potuto permetterci di assumere un giardiniere per il prato. Faceva tutto mio marito, e in seguito ci ha pensato Petey. Non c'erano molti soldi in casa, a quei tempi... Oh, guardate!» esclamò di colpo la donna, gli occhi fissi sulla finestra. «Quei fiocchi di neve sono grossi come delle monete.» Fece schioccare la lingua, come se il tempo fosse particolarmente osceno. «Adesso dobbiamo proprio scappare» disse Deborah. «Abbiamo un'altra fermata prima di poter tornare a casa.»
«Davvero? E dove?» chiese Violet. "Dobbiamo introdurci di soppiatto nella casa dei miei suoceri" fu sul punto di dire Deborah. Come avrebbe reagito Violet a quella perla di un'informazione? «Ho dimenticato una cosa in clinica, quando siamo andati a trovare Emily» disse poi. «Capisco. Come sta la poverina?» «È sempre uguale.» «Non parla, vero?» «No» rispose Deborah, che non voleva discutere ulteriormente su quel punto. «Quindici anni di silenzio. Non riesco nemmeno a immaginarmelo, visto che io sono una incontenibile chiacchierona. Suppongo non sappia neppure che Steve è scomparso, vero? Be', certo che non lo sa. Che sciocca sono! Ma i suoi genitori! Loro sono partiti per quel viaggio nelle Hawaii che fanno tutti gli anni? Sono al corrente?» «Sì. Ho parlato alla signora Robinson per telefono. Il padre di Steve sta male, ma appena se la sentirà di mettersi in viaggio, torneranno a casa.» «Be', questo è già qualcosa. Ci scommetto che Lorna Robinson non ha espresso un grande turbamento, comunque.» «Scommessa vinta» disse Deborah. «Quella donna si è sempre data un mucchio di arie. Voleva far credere che i Robinson fossero ricchi, ma non lo erano. Benestanti, tutt'al più, ma non ricchi. Certo che il loro tenore di vita è sceso di alcuni punti da quando hanno dovuto pagare i conti di Emily.» «Violet, la ringrazio molto per la sua ospitalità» disse Deborah, abbozzando un sorriso «ma ora devo proprio scappare.» In quel momento, una vocina flebile risuonò dal retro della casa. Ida, l'invalida, era venuta in loro soccorso. Violet li aiutò a vestirsi e diede loro qualche pacca sulla spalla come se fossero dei bambinetti, poi li salutò dal portico con vigorosi gesti della mano mentre Deborah e Joe si allontanavano a bordo della jeep. Tornarono in clinica e appresero che Emily aveva dovuto prendere dei tranquillanti e che Jean se n'era andata. «Aveva un terribile mal di testa» disse un'altra infermiera. «Mi chiedo come mai le sarà venuto» mormorò Joe, rivolto a Deborah. Chiesero l'indirizzo di Jean. Lei abitava in una piccola casa su due piani non lontana dalla clinica. Joe suonò il campanello e, qualche secondo do-
po, Jean aprì la porta. Sembrava pallida e di cattivo umore. «E ora che c'è?» sbottò. «Potremmo parlarle per qualche minuto?» chiese Deborah. «Non mi sento bene.» Era avvolta in una vestaglia rossa a scacchi e, senza rossetto, sembrava più vecchia di cinque anni. «Jean, la prego. Non le faremo perdere molto tempo.» «Oh, va bene» disse l'infermiera. «Ma solo per pochi minuti.» La casa era piccola e piena di mobili da quattro soldi e di una pletora di ninnoli che occupavano ogni spazio disponibile. Jean li condusse in un salottino, indicando agli ospiti un divano con sopra una vistosa coperta floreale. «Elegante, no?» disse lei. «Mio marito è morto quattro mesi fa, ma grazie a Dio ha lasciato un'assicurazione sulla vita. Voglio vendere questa casa appena posso e trasferirmi in un posto più carino e accogliente.» «Mi dispiace per suo marito» disse Deborah. «Era ammalato da molto. Credo che fossimo sollevati tutti e due, quando se ne andato.» Deborah affrontò l'argomento per cui era venuta lì senza preamboli. «Ho saputo che lei e Steve eravate fidanzati al momento dell'aggressione di Emily.» Jean distolse lo sguardo. «Sapevo che avrebbe scoperto tutto non appena l'ho vista oggi.» Deborah rimase in silenzio. «Va bene, lo ammetto, io e Steve eravamo fidanzati.» «Ha detto alla polizia che Steve era con lei mentre Emily veniva aggredita e violentata.» «È successo molto tempo fa. Difficile ricordare quello che ho detto.» «Calma» disse Joe. «Noi non siamo la polizia e non siamo venuti qui per accusarla di qualcosa. La moglie di Steve vorrebbe solo qualche piccola informazione.» «E cosa vuole farne di queste piccole informazioni?» chiese Jean, rivolta a Deborah. «Niente. Mio marito è scomparso e mi farebbe piacere sapere qualcosa di più sulla sua vita a Wheeling.» «Perché? Questo che cosa c'entra con la sua scomparsa?» «Potrebbe avere qualcosa a che fare con Artie Lieber. Lui era a Charleston quando Steve è sparito.» «Artie odiava Steve» disse Jean. «Perciò immagino che lo abbia ucciso.» Deborah sussultò di fronte alla dichiarazione perentoria dell'infermiera.
«Non siamo sicuri che sia morto. Lei conosceva Lieber?» «Sapevo chi era. Lo vedevo lavorare dai Robinson. Lui minacciò di uccidere Steve dopo il processo.» «Crede che avrebbe potuto dare seguito a quella minaccia?» domandò Joe. «E come faccio a saperlo? Steve è scomparso, no? Non capisco perché cerchiate di trascinarmi in questa faccenda.» «Sì che lo capisce, invece» disse categoricamente Deborah. «Lei ha mentito per Steve molto tempo fa e adesso quella menzogna può essere molto importante.» «Anche supponendo che abbia mentito, che importanza può avere adesso tutto questo?» «Ci sono dei risvolti nella sparizione di Steve di cui i giornali non hanno parlato» disse Deborah. «Vorrei che rispondesse solo alle mie domande.» Jean assunse un'espressione coriacea. «Non le dirò più niente se prima non ottengo qualche risposta io. Quali sarebbero questi risvolti segreti?» La donna stava diventando estremamente agitata e Deborah capì che faceva sul serio. Anche se le provocava quasi un dolore fisico il dover ammettere che Steve era sospettato di essere un serial killer, si rendeva conto che non avrebbe più saputo nulla da Jean, se prima non si fosse decisa a dirle qualcosa a sua volta. «L'FBI crede che Steve possa essere lo Strangolatore dei vicoli bui e che Emily sia stata la sua prima vittima.» Si aspettava una reazione di sorpresa, ma non quello che accadde. Il viso della donna divenne rosso, poi impallidì in maniera così fulminea e drammatica che Deborah si aspettava uno svenimento. Jean tirò infine un profondo sospiro e mormorò: «Perché credono che Steve sia...?» «Pare che tutte le vittime dello strangolatore siano state uccise in un raggio di cento miglia da Wheeling, in notti nelle quali Steve era andato a trovare Emily» rispose tranquillamente Deborah. «Dopo l'aggressione subita da Sally Yates, un testimone ha visto un uomo corrispondente alla descrizione di Steve salire in un'auto dello stesso colore di quella di Steve. L'auto aveva una targa che cominciava con 8E-7. E la targa della macchina di Steve è 8E-7591.» «Mio Dio» mormorò Jean. «A volte, durante questi anni, mi sono chiesta se Lieber avesse ragione su Steve, ma non ho mai sospettato altro.» «Ci parli di Emily» disse Joe, senza guardare Deborah. «Va bene. Un attimo, però.» Jean tirò un profondo sospiro. «Vedete, Steve la adorava. Era una cosa nauseante, davvero.»
Attesero che la donna aggiungesse altro, ma Jean si limitò a fissarli, come se non sapesse più cosa dire. «Ci hanno riferito che Emily si era sposata in segreto e che Steve cercava il marito della sorella quando lei è stata aggredita» insistette Joe. «Chi vi ha raccontato questa spazzatura?» Jean socchiuse gli occhi. «Ah, capisco. È stato quello spione ipocrita di Pete Griffin, vero?» «Non le è simpatico Pete?» chiese Deborah. «Non lo sopporto. Emily usciva con lui, di tanto in tanto, ma non ho mai capito cosa ci trovasse.» Deborah era troppo sorpresa per parlare. Fu Joe che chiese: «Era lui il marito segreto?» «Pete? Santo cielo, no!» «E allora chi?» «Non lo so.» «Se non lo sa, allora come fa a escludere Pete?» «Lo so e basta. Statemi bene a sentire, tutti e due. Io sto dicendo la verità, anche se non sarei nemmeno tenuta a parlare con voi. E ora, se non avete altro da chiedermi...» «Vorrei sapere quello che è successo il giorno in cui è stata aggredita Emily» disse all'improvviso Deborah. «D'accordo. Mi faccia pensare bene. È accaduto tanto tempo fa e da allora ho cercato di dimenticare... Steve si fermò da me verso l'una del pomeriggio. Era sconvolto. Voleva sapere se io sapevo qualcosa del matrimonio di Emily. Be', per poco non mi venne un colpo. Emily sposata? Non è che la conoscessi molto. Per me era solo la sorellina boriosa e viziata con cui dovevo parlare quando lui mi portava a casa sua, il che non succedeva spesso. Comunque, pensai che era divertente che la ragazzina avesse combinato qualcosa di così poco piacevole per i suoi sdegnosi genitori. Non avevo idea di chi fosse il marito, ma non poteva certo essere Pete. Sapevo che lei lo considerava un tipo noioso. Dissi questo a Steve, poi lui se ne andò come se avesse il diavolo alle calcagna e per quel giorno non lo rividi più. Poi, in serata, sentii cos'era successo a Emily. Dicevano che la violenza si era verificata intorno alle due.» «Perché ha mentito per Steve e gli ha fornito un alibi per il lasso di tempo in cui Emily era stata aggredita?» chiese Deborah. «Non credevo che avesse potuto fare nulla alla preziosa Emily.» Abbassò lo sguardo. «E poi, ero convinta che ci saremmo sposati. Ma non poteva esserci nessun matrimonio, se lui finiva in galera.»
Deborah le lanciò un'occhiata inquisitoria. «Però non vi siete sposati.» «No. Dopo che il pasticcio venne chiarito, lui partì per l'università e io non lo rividi più fino a quando non andai a lavorare per la casa di cura. Io ero sposata da molto tempo, all'epoca, e lui si comportava come se non ci fosse stato mai niente tra di noi. Credo che si sentisse al sicuro, dopo tanto tempo. Però ho anche pensato che si comportava in modo davvero strano.» «In che senso?» chiese Joe. «Be', come se non ricordasse sul serio che c'era stato qualcosa tra di noi e che io avevo mentito per salvargli la pelle. E poi c'erano volte in cui Emily si comportava come ha fatto oggi.» «Mi aveva detto che non era mai successo prima.» «Ho mentito. Sono molto brava in queste cose» disse con sarcasmo Jean. «In realtà, volevo che ve ne andaste.» «Emily dava segni di paura quando c'era Steve?» «Sì. Gridava e diceva che qualcosa le faceva male. Io ero spaventata a morte, perché, come ripeto, stavo già cominciando a chiedermi se per caso Lieber non avesse detto la verità. Steve sapeva a cosa pensavo e, ogni tanto, mi lanciava occhiate minacciose. Avrei voluto dire la verità seduta stante, ma non potevo farlo senza compromettere me stessa, e Steve lo sapeva bene.» Adesso nella sua voce c'era una nota di amarezza. Deborah si rese conto che Jean non aveva ancora superato il risentimento per essere stata respinta da Steve. Steve si era davvero comportato in modo strano e le aveva lanciato quelle occhiate minacciose? Ed Emily gridava spesso di paura quando vedeva il fratello? Forse Jean aveva fornito una versione dei fatti influenzata dal dolore e dall'astio. O stava dicendo una verità che Deborah non voleva sentire? 23 Non appena lasciarono la casa di Jean, Deborah chiamò i Robinson a casa da un telefono pubblico. Non ci fu alcuna risposta, perciò lei pensò che non fossero ancora tornati dalle Hawaii. Sebbene non avesse mai fatto visita ai suoi suoceri, era passata in macchina con Steve nei pressi della loro abitazione diversi anni prima e ricordava ancora la zona. La descrisse a Joe e i due studiarono un piano per entrare nella casa. Poco dopo che era calato il buio, si fermarono in un piccolo ristorante a
un paio di isolati dalla casa dei Robinson. Ordinarono ciascuno un caffè e un sandwich al formaggio. Deborah era troppo nervosa per mangiare, ma Joe divorò il sandwich come se non avesse la minima preoccupazione al mondo. «Non sei agitato?» chiese Deborah. «Non posso permettermelo. Ho bisogno di avere la testa lucida.» «Allora, che si fa?» Joe si pulì la bocca e le mani sul tovagliolo. «So che siamo sorvegliati, però nessuno ci ha seguito fin qui. Tra circa un paio di minuti, mi dirigerò alla toilette degli uomini. In fondo al corridoio dove ci sono i gabinetti, ho visto una porta. Sono sicuro che è l'ingresso di servizio. Dopo essere uscito dalla toilette, me ne andrò passando da quella porta. Tu resta seduta qui per quattro minuti, poi seguimi. Andremo a piedi dai Robinson.» «Ma la casa sarà sorvegliata.» «La parte anteriore sì, ma probabilmente non avranno piazzato delle guardie davanti a ogni ingresso. C'è una porta di servizio, no?» «Sì. L'ho vista nelle foto scattate dal cortile posteriore della casa.» «Se non vediamo nessuno lì, andremo da quella parte. Mi dicevi che ci sono alberi e cespugli in quella zona, vero?» «Sì. Li ho visti nelle foto, anche se quelle foto sono molto vecchie.» «Be', possiamo sempre controllare. Se non è cambiato nulla e non c'è sorveglianza sul retro della casa, allora il gioco è fatto.» Joe lasciò i soldi sul tavolo per saldare il conto, poi si alzò e si diresse alle toilette. Deborah controllò l'orologio. Quattro minuti dopo, si alzò anche lei e prese la stessa direzione dell'investigatore. Fuori la neve stava cadendo in grossi fiocchi trasportati dal vento. Era buio, e per poco Deborah non si mise a gridare quando Joe si fermò dietro di lei e le strinse un braccio. «Bene, signora Robinson, ora si metta a camminare di buon passo, ma senza correre.» Per una ventina di minuti attraversarono vari cortili posteriori, strisciando dietro alberi e cespugli come i personaggi di un cartone animato. Costringendosi a pensare allo scopo della loro missione, e a non come sembravano sciocchi lei e Joe, Deborah riuscì a riprendersi un po', ma poco dopo venne spaventata a morte da un dobermann, che arrivò caricando ma che per fortuna venne fermato dalla recinzione metallica. Alla fine, raggiunsero la lunga abitazione a un piano dei Robinson. Nonostante i colori non si vedessero bene nell'oscurità, Deborah sapeva che la casa era azzurra con imposte candide come la neve. «Spero che non abbiano l'allarme» borbottò Joe.
«Ne dubito. Questa è una zona molto tranquilla.» «Lo era prima che arrivassimo noi.» «Preghiamo solo che chiunque stia tenendo d'occhio questo posto, non si sia accorto di due sagome che sono giunte fin qui passando attraverso i cortili posteriori delle case di tutto il vicinato.» «Tu sei la nuora dei Robinson, giusto? Perciò i vicini non possono essere troppo allarmati se ti vedono in zona.» «Non sono i vicini che mi preoccupano» disse Deborah, rabbrividendo. «Sono i genitori di Steve. Questa è una violazione di domicilio in piena regola, e loro non diranno una parola in mia difesa.» «Con un po' di fortuna, non sapranno mai che hai messo piede nella loro preziosa casa.» «Oh, lo sapranno eccome. Dovrò prendere alcune cose e bisognerà per forza che glielo dica.» Joe estrasse dal portafogli la patente laminata. «Credevo che si usassero le carte di credito per questo genere di lavori» disse lei. «Sì, ma questo sistema è migliore. Le carte di credito sono più fragili.» «Ho capito. Cercherò di ricordarmene alla prossima occasione.» «Grazie al cielo, comunque, la casa non è nuova.» «E questo cosa c'entra?» «Così è più facile entrare.» Joe si appoggiò contro la porta e inserì la patente nella fessura sopra la serratura. Continuò a spingere fino a quando metà della patente non scomparve all'interno, poi la fece scivolare più sotto e, non appena il riquadro di plastica entrò in contatto con il meccanismo di chiusura, Joe cominciò a tirare la porta verso di sé. Deborah trattenne il fiato, poi sorrise quando sentì un rassicurante clic. «Ecco fatto» esultò Joe. «Mi fa piacere di non aver perso il mio tocco magico. Sei pronta?» chiese a Deborah. «Sì» rispose piano lei. Joe aprì la porta e i due entrarono in casa. Dall'interno li raggiunse un leggero odore di muffa, e Deborah si rese subito conto che nessuno era entrato lì dentro dalla partenza dei Robinson, due settimane prima. Joe accese la torcia, tenendo il raggio puntato sotto il livello delle finestre. Deborah batté le palpebre un paio di volte prima che i suoi occhi si abituassero a quella strana mezza luce. «La cucina» disse, guardando la stanza scrupolosamente pulita col linoleum bianco. L'unico tocco di colore era rappresentato da un cesto di edera artificiale posato sul tavolo dal ripiano di vetro.
«Sei sicura che questa casa sia abitata?» chiese Joe. «È così a posto che si direbbe quasi che la tengano solo per le esposizioni.» «Steve mi ha detto che la madre è una maniaca dell'ordine. Non sopporta di vedere un portacenere sporco o un asciugamano stropicciato.» Uscirono dalla cucina e si diressero in sala da pranzo. Un altro vaso di fiori finti era posato sul tavolo, che aveva sei sedie intorno. Nell'angolo c'era un armadietto dagli sportelli di vetro con dentro dei piatti dal bordo dorato. «Steve mi diceva che loro mangiavano sempre in sala da pranzo» osservò Deborah. «Sua madre insisteva sul fatto che la cena era un appuntamento formale e si arrabbiava molto se Steve arrivava in ritardo.» «Una faccenda davvero molto allegra, parrebbe proprio. E dire che, fin qui, hai parlato soltanto della madre di Steve.» Deborah si fermò, sorpresa. «Santo cielo, non ci avevo mai pensato! Lui non parlava molto della sua famiglia, ma quando lo faceva, il centro del discorso era sempre la madre. Non so quasi niente del padre, se non che possiede una catena di drugstore e che gli piace giocare a golf.» «E che mi dici di Emily?» «Non so molto neppure di lei. Solo che era molto carina e che aveva un suo seguito tra i maschi.» «Sappiamo anche che si era sposata. Ma chi poteva essere suo marito?» «Questa è una delle cose che spero di scoprire dalla nostra piccola visita illegale» disse Deborah. «Non so perché, ma continuo a pensare che sia importante.» «Be', bisogna ammetterlo, è piuttosto strano che nessuno conosca l'identità del marito.» «Nessuno tranne Steve. E i suoi genitori, naturalmente. Ma perché c'è tutto questo mistero dietro l'identità del marito di Emily? E perché lui non piaceva affatto alla famiglia?» Joe non rispose. Si diresse nell'elegante salotto dal pavimento in parquet, subito seguito da Deborah. Vari ninnoli erano disposti strategicamente su tavoli scintillanti, ma in giro non si vedevano né portacenere né riviste né libri. Uno specchio dalla cornice decorata pendeva sopra il divano, riflettendo freddamente la stanza. «Ecco quello che si definirebbe un posticino caldo e accogliente» disse con ironia Joe. «Credo che ci sia una stanza col televisore nel seminterrato.» «Speriamo, altrimenti mi sembrerebbe quasi di trovarmi in un museo. Te li immagini due bambini pieni di energia crescere in un posto del genere?»
«Di certo non i miei due. Forse Steve ed Emily erano più tranquilli. Non so quasi niente sulla loro infanzia. Steve si è sempre comportato come se non fosse mai stato un bambino. Ma credo che le risposte a un mucchio di domande stiano nel loro passato, nel suo e in quello di Emily.» «E come conti di trovarle, queste risposte? Negli album fotografici? Negli annuari scolastici?» «Esatto. Magari, con un po' di fortuna, potremmo anche trovare delle lettere o dei diari.» «Non ci conterei molto, specie se dentro ci fosse qualcosa di rivelatore. Ho la sensazione che la madre di Steve abbia distrutto qualunque cosa di vagamente compromettente.» «Be', comunque vale la pena tentare. Ecco il corridoio. Le camere da letto devono essere da questa parte.» Anche se non c'erano finestre nel corridoio, Joe continuava sempre a schermare la torcia con la mano sinistra. Nel corridoio si aprivano quattro stanze, due su ciascun lato, con le porte chiuse. Deborah aprì la prima porta sulla destra. La stanza era piccola, dominata da un grande letto a baldacchino. Su un tavolo da toletta sulla sinistra, c'erano varie boccette di profumo. Un'altra pianta artificiale, stavolta una felce, stava davanti alla finestra. Sul tavolino alla sinistra del letto c'erano una lampada dalla base di cristallo e una piccola sveglia. Quello a destra ospitava un'altra lampada simile alla prima e, cosa decisamente insolita, un libro. Deborah si diresse in punta di piedi verso il secondo tavolino da notte. Il libro era L'ultimo dei Mohicani. Sorrise, ricordando che Steve le aveva detto che per la madre la lettura era solo uno spreco di tempo, anche se il padre nutriva un certo interesse per la letteratura americana. «Questa è la stanza dei genitori di Steve» disse lei, sbirciando nel piccolo bagno adiacente. «Non credo che troveremo niente d'interessante qui.» Joe era andato alla finestra che dava sulla strada e aveva dischiuso leggermente le tende. «Tutto tranquillo, fuori. Però è meglio non tirare troppo la corda. Sbrighiamoci.» Senza una parola, Deborah si volse e lasciò la stanza. La porta seguente, sulla destra, dava su un grande bagno con un vano doccia separato e due lavabi. Lei chiuse subito la porta e si girò a sinistra. La prima stanza conteneva un letto singolo e un tavolo da toletta spoglio. Non c'era nulla alle pareti. Deborah era sicura che quella fosse la stanza di Steve, anche se non c'era alcun segno che il marito l'avesse mai occupata. Sembrava che ogni traccia del figlio dei Robinson fosse stata accuratamente cancellata da
quella stanza. Le si formò un nodo alla gola. Steve era scomparso da quella casa con la stessa perentorietà con cui era scomparso dalla sua vita. «Proviamo la stanza accanto» disse piano Joe, come se le avesse letto nel pensiero. La camera era il doppio di quella di Steve e sembrava esattamente come doveva essere venti anni prima, quando era stata occupata da Emily. Il letto era coperto da un copriletto bianco, e sopra i cuscini c'era una tigre di peluche. Sul tavolo da toletta c'erano varie boccette di profumo, due portagioie, una collezione di rossetti e una foto di Emily e di due altre ragazze in divisa scolastica. Su una parete era appeso un grande dipinto che ritraeva una ragazza dai capelli scuri in bicicletta. Doveva essere Emily, probabilmente all'età di quattordici o quindici anni. Non c'era nessun nome nell'angolo del ritratto; solo due iniziali, P.G. «Pete Griffin» disse ad alta voce Deborah. «So che lui si dilettava a dipingere, in passato. Ed era proprio bravo.» Appeso a un'altra parete, c'era un poster dei Rolling Stones. Una piccola libreria era stata sistemata sotto la finestra. Deborah fece correre lo sguardo sui titoli dei libri. C'erano molte opere di Phyllis Whitney, Victoria Holt e Mary Stewart. «Le piacevano i romanzi di suspense» borbottò Deborah. «Anch'io ne leggevo molti.» «Vedi se ti riesce di trovare un diario, delle lettere o altre cose simili» disse Joe, passandole la torcia. «lo torno nella stanza dei genitori per tenere d'occhio la zona sul davanti.» Deborah non ci mise molto a trovare qualcosa. Sullo scaffale in fondo c'erano tre annuari scolastici e un piccolo album fotografico. Non perse tempo a esaminarli, ma cominciò subito a cercare nei cassetti del comò di Emily. Uno conteneva vari indumenti intimi, un altro calze e calzini, un altro ancora magliette. Sembrava come se Emily dovesse tornare a casa da un momento all'altro, C'erano persino dei sacchetti profumati nei cassetti, ma niente lettere né diari. «Certo che no» borbottò Deborah. «Se Emily fosse stata così sciocca da nascondere le cose nel suo comò, la madre le avrebbe trovate subito.» Prese a guardarsi intorno alla stanza, ma la ragione le disse subito che sarebbe stato praticamente impossibile nascondere qualcosa di così voluminoso come un diario, a meno che Emily non l'avesse messo sotto il materasso. Anche in quel caso, comunque, il diario sarebbe stato ritrovato, ormai. Lo sguardo le cadde di nuovo sulla piccola libreria. Ovviamente, Emily era stata un'avida lettrice, a differenza di sua madre. Perciò non c'era peri-
colo che la signora Robinson prendesse a prestito un libro dalla figlia, e i gusti del signor Robinson sembravano propendere verso i classici. In fretta, Deborah cominciò a estrarre i libri dagli scaffali, sfogliandoli. Una lettera cadde dal quinto volume proprio mentre ricompariva Joe. «Deborah, c'è qualcuno in arrivo. Non sono riuscito a vedere bene, ma ho come un sesto senso. Avremmo dovuto andarcene cinque minuti fa.» «Giusto.» Deborah controllò che tutti i libri fossero allineati con ordine sugli scaffali esattamente come prima. La signora Robinson poteva accorgersi subito della mancanza dell'album e degli annuari, ma era un rischio che Deborah doveva correre. «Ho trovato una lettera che Emily deve aver nascosto.» Joe parve sorpreso. «Non credevo che saresti riuscita a scovare qualcosa.» «Questo succede perché tu non sei mai stato una teenager.» «Loro sono piene di segreti?» «Sì. Quasi tutti i segreti si rivelano ridicoli dieci anni dopo, ma lì per lì sembrano serissimi.» Deborah fece una pausa. «Però, nel caso di Emily, credo che fossero davvero serissimi.» «Forse, ma lo scopriremo dopo. Ora dobbiamo andarcene subito.» Deborah si alzò, prendendo gli annuari e l'album e infilandoli nella borsetta. «Sono pronta.» Tornarono rapidamente in cucina. La mano di Deborah era già sulla maniglia quando Joe sussurrò: «Ferma!» Lei si irrigidì mentre Joe spegneva la torcia e le metteva un braccio intorno alla vita, costringendola a stare giù. «Ma co...» esclamò Deborah prima che lui le intimasse il silenzio con un'occhiataccia. «Stanno facendo il giro della casa per i controlli» le sussurrò all'orecchio. «Lo sapevo che sarebbero venuti.» «Ma non entreranno, vero?» «No, a meno che non notino qualcosa di sospetto.» «Le nostre impronte, per esempio.» «Da come nevica, probabilmente ormai saranno coperte. E adesso sta' zitta.» Deborah trattenne il fiato mentre una luce danzava verso le finestre sul retro. Il silenzio durò per un attimo, poi la maniglia della porta della cucina cigolò. Gli occhi di Deborah saettarono verso Joe. Lui non la guardò, ma aveva la mascella serrata. "Come faremo a spiegare una situazione del genere?" si chiese mentalmente lei. La sua ansietà stava raggiungendo l'apice quando, per fortuna, il cigolio
cessò. Dopo quella che le parve un'ora, anche se verosimilmente non potevano essere passati più di due minuti, la luce scomparve. Lei e Joe tirarono entrambi un profondo sospiro. Deborah si accorse che stava sudando, anche se la casa era gelida. «Non voglio fare mai più una cosa del genere in vita mia» mormorò. «Speriamo che non ce ne sia bisogno» disse lui. Quando si infilarono nella jeep, tutti e due avevano i capelli bagnati. Le calze e le scarpe di Deborah erano inzuppate d'acqua. I tergicristalli lavoravano furiosamente, ma non sembravano poter aiutare molto. «Non possiamo tornare a Charleston con questo tempo» disse Joe. Lei lo guardò. Joe aveva ragione. I bambini erano al sicuro con Pete, e non valeva la pena di rientrare in serata rischiando un incidente. «D'accordo» disse. «Dove ci fermiamo?» «Conosci un buon motel?» «Ce n'è uno in cui si fermava Steve» disse lei. «È appena fuori città e credo che le tariffe siano ragionevoli.» L'impiegato li guardò con sospetto quando domandarono due stanze. «Le camere devono essere comunicanti?» chiese. «No» rispose fermamente Joe. «Due stanze qualsiasi, ciascuna con un letto a due piazze.» Alla fine, comunque, ottennero due stanze comunicanti. Joe sgranò gli occhi quando vide la porta tra le camere. «Oh, non importa» disse lei, troppo infreddolita per preoccuparsi di quello che poteva pensare la gente. «Ora chiama Pete e digli che passiamo la notte qui. Poi andremo in un drugstore a comprare spazzolini e dentifricio e quindi a mangiare da qualche parte. Muoio di fame, nonostante la torta che ci ha dato Violet e i sandwich.» «Anch'io» ammise Deborah. «Ho visto un localino lungo la strada che si chiama Blue Note. L'insegna diceva che lì si può cenare e hanno anche un'orchestrina. Ti va?» «Certo.» Joe andò nella sua stanza e Deborah chiamò Pete. «Non ce la facciamo a tornare» disse. «Passiamo la notte qui.» «Oh» disse Pete con voce incolore. «Vedo.» «C'è una tormenta di neve qui fuori» precisò Deborah, come se fosse una scolaretta nell'atto di giustificarsi con i suoi genitori. «Allora è meglio che ve ne stiate lì.»
Pete aveva un tono di disapprovazione? No, forse era solo un po' stanco, pensò lei. Non era abituato ad avere due bambini e un cane in giro per casa. «Spero che i bambini si siano comportati bene.» «Stupendamente. Hanno già cenato. Volevo preparare verdure bollite e pollo, ma loro preferivano la pizza.» «La adorano.» «Così li ho accontentati.» Pete sorrise. «Hai visto mia nonna?» «Sì. È stata molto gentile con noi. E sta bene, Pete.» «Chi altri hai visto?» «Solo Emily. E la vecchia fidanzata di Steve, Jean Bartram.» «Oh, Jeannie! Si chiamava così. Come sei riuscita a contattarla?» «Tramite tua nonna.» «E lei come diavolo faceva a ricordarsene?» «Non lo so, Pete, però se ne ricordata. Jean è tornata a vivere qui solo un paio d'anni fa e adesso lavora proprio nella clinica dove è ricoverata Emily.» «Be', tra tutte le coincidenze...! Ti è stata d'aiuto?» «Oh, mi ha detto molte cose, ma adesso preferisco non parlarne. Non so se crederle oppure no.» Fece una pausa. «Non mi è molto simpatica.» «Non lo era neanche a me, e credo che la cosa fosse reciproca.» "Lo era, in effetti" pensò Deborah, ma non disse niente. «Comunque, lei non sa chi fosse il marito di Emily.» «Non capisco perché ti interessi tanto scoprirlo» disse Pete in tono leggermente ironico. «Cos'è, la sindrome di Nancy Drew?» Deborah sorrise. «Forse. Ho la sensazione che sia collegato a quanto è successo a Steve. È così fastidioso non riuscire a sapere... Oh, be'. Volevo solo dirti che io e Joe ceneremo in un locale chiamato Blue Note, casomai avessi bisogno di chiamarmi prima che ritorni ih camera.» «Il Blue Note?» «Sì. Lo conosci?» «Quel posto è lì da secoli.» «Si mangia bene?» «Non ci sono mai stato. Quello è un jazz club, e io detesto il jazz.» Deborah gli diede il numero telefonico del locale e poi quello della stanza. «Mi spiace davvero di doverti scaricare i bambini anche per stanotte.» «Nessun problema, Deborah. Ci sono molte stanze libere in casa mia.» «Potrei parlare ai piccoli per un attimo?» Pete esitò. «Deborah, ti dispiace se non te li passo? Sono stati piuttosto
combattivi, ma poco fa si sono calmati e hanno deciso di andare a vedere un film con Adam. Preferirei che non si agitassero di nuovo.» Dunque, i piccoli avevano creato davvero qualche problema, pensò Deborah. Avrebbe tanto desiderato fare qualcosa, ma tornare indietro in nottata era impossibile. «Oh, be', allora non li disturberò.» Si sentì invadere da un'onda di cocente delusione. Non aveva mai trascorso una serata intera lontano dai bambini, e adesso era stata costretta ad abbandonarli perché le era venuta l'idea di recarsi a Wheeling per quella che probabilmente si sarebbe rivelata un'impresa inutile. «Farai molta attenzione stanotte, vero?» chiese. «Lieber è ancora lì fuori, nascosto da qualche parte.» «Difenderò i piccoli a costo della mia vita» disse scherzosamente Pete. «Ci vediamo domani.» Il Blue Note sorgeva a breve distanza dal motel. Il locale diffondeva un'atmosfera di calore e di relax che Deborah apprezzò molto. Le pareti dai pannelli di pino erano decorate con centinaia di foto incorniciate che ritraevano clienti regolari e gruppi musicali che si erano esibiti lì. Al centro della sala c'erano grandi tavoli, molti dei quali occupati, e lungo i muri si allineavano lunghe panche dai sedili imbottiti blu. Luci soffuse e candele creavano una nota piacevolmente intima. Una estremità del locale ospitava una pista da ballo, e sopra troneggiava un palco con vari strumenti musicali. «Bel posto» disse Joe mentre si sedevano in una delle panche. Lui aprì il menù. «Anche i prezzi sono ragionevoli.» Joe scelse una bistecca con l'osso e Deborah dei gamberetti. Entrambi ordinarono da bere e, mentre sorseggiavano il vino bianco, diedero un'occhiata alle foto sulla parete alla loro sinistra. «Questa sembra che sia stata scattata negli anni Cinquanta» disse lei. «Guarda i capelli!» Joe osservò la foto più vicina a lui. «Questa è stata presa più tardi. Nei tardi anni Settanta o nei primi Ottanta, direi.» «Esatto.» Alzarono entrambi lo sguardo e videro un uomo corpulento sui settant'anni che indossava un pullover nero a girocollo e una giacca nera. «Sono Harry Gauge, il proprietario del locale. Non vi avevo mai visti qui, prima.» «E infatti non siamo mai venuti» disse Deborah. «È un posto molto accogliente.» «Sono estremamente orgoglioso del mio locale e sono sempre pronto a
dare il benvenuto ai nuovi clienti. La foto che guardavate è stata scattata intorno al 1980. Vedete quel tizio di colore al sassofono? Quello era Eddie Kaye. Il più grande talento che si sia mai esibito qui dentro.» Deborah guardò più da vicino il giovanotto che suonava il sassofono. Sembrava sui venticinque anni ed era estremamente attraente. Mentre suonava, sembrava guardare verso un tavolo a cui sedevano due ragazzi e due ragazze. Una delle due ragazze, quella dai capelli scuri, fissava il sassofonista come se fosse in estasi. «Cos'è successo al sassofonista?» chiese Joe. «È un mistero. Probabilmente, è andato a Hollywood o a New York. O forse a New Orleans. È scomparso all'improvviso e non se ne saputo più niente, come se fosse sparito dalla faccia della terra.» «È da molto che è in affari?» chiese Joe. «Quarant'anni il mese scorso. Tutti dicevano che ero matto ad aprire questo locale. Pensavano che non ce l'avrei mai fatta a sfondare.» Sorrise senza arroganza. «Questo vuol dire solo che, a volte, bisogna seguire il proprio istinto, non i consigli della gente. La musica comincia tra circa dieci minuti.» Durante la cena, Deborah chiese a Joe che cosa ne pensasse della storia di Jean. Lui masticò un pezzo di bistecca per un tempo insolitamente lungo, poi disse con riluttanza: «La cosa che mi ha colpito di più è che lei continuava a parlare dell'attaccamento morboso di Steve per la sorella.» Deborah annuì. «Lo so. È un particolare che porta a farsi domande. E se Steve avesse avuto un rapporto esageratamente possessivo nei confronti della sorella? In questo caso, è possibile che fosse innamorato di lei e che, quando ha scoperto che Emily si era sposata, abbia reagito in modo folle.» «E, visto che non è riuscito a trovare il marito, può aver sfogato la sua follia su Emily?» Deborah posò la forchetta. «Questo è un pensiero rivoltante. E difficile per me da accettare. Eppure, lui era davvero molto possessivo nei confronti di Emily. Si comportava sempre come se non mi volesse mai tra i piedi, quando c'era la sorella. Le sue visite a lei erano qualcosa di assolutamente privato. E poi, secondo Jean, Emily mostrava spesso una certa paura quando c'era lui. Lo sfogo di oggi non era insolito.» «Il fatto che Emily mostrasse una certa dose di paura quando c'era Steve non vuol dire che la paura fosse per forza causata da lui. Senti, Deborah, Jean ha avuto una vita dura e ha ancora il dente avvelenato con Steve. Forse ha capito male il senso di quegli sfoghi. Forse Emily ricorda solo di es-
sere stata terrorizzata e supplica Steve di aiutarla.» «Sarà, ma Jean ha i suoi dubbi.» «Come ho già detto, lei è una donna infelice e non fa testo.» «Però non possiamo ignorare le prove di carattere fisico. I soldi che sono spariti dal conto in banca... e poi i gioielli, santo cielo!» Prese un altro gamberetto e lo lasciò cadere di colpo. «Mio Dio, la pianta di oleandro!» Joe la fissò. «Ma di cosa stai parlando?» «Steve aveva comprato a Emily una pianta di oleandro. L'agente Wylie mi ha chiesto qualcosa in merito. Me n'ero completamente scordata perché mi pareva una domanda stupida. Credevo che Wylie stesse solo cercando di menare il can per l'aia.» Joe sembrava perplesso. «Ma che significato possono avere gli oleandri?» «Non lo so. Però Steve seguiva quelle piante con grande amore. Diceva sempre che non era facile farle crescere bene. Diceva anche che andavano tenute in alto, fuori dalla portata dei bambini, perché sono velenose.» «Credi che Steve avesse portato quella pianta alla sorella perché è velenosa? Deborah, ci sono centinaia di piante velenose, e poi non è che la gente se le mangi, no?» Deborah sorrise. «Mi chiedevo solo come mai all'agente Wylie interessasse tanto quel tipo di pianta, tutto qui. Sono sicura che non ha fatto quell'accenno in modo casuale.» «Forse sì, invece. Gli agenti dell'FBI sono esseri umani, Deborah. Non parlano sempre di fatti pertinenti al loro mestiere.» «Con Wylie, sarei propensa a pensare il contrario. Mi chiedo se sia sposato.» «Hai qualche ragazza da sottoporgli?» chiese Joe. Deborah fece una smorfia divertita. «Che ne diresti di Barbara, se dovesse rompere con Evan?» «Wylie e Barbara. Proprio una bella coppia. Già che ci sei, potresti predisporre un incontro anche tra Jean e Pete.» Joe aggrottò le sopracciglia. «Mi chiedo perché Pete non abbia mai menzionato il fatto che corteggiava Emily.» «È successo molto tempo fa, e comunque ricordo che una volta mi ha detto che era amico sia di Steve che di Emily. Forse l'ha portata fuori alcune volte e Jean ha fatto la cosa più grossa di quanto in realtà non fosse.» «È proprio questo il problema. Fino a che punto possiamo prendere sul serio quello che ci dice Jean?»
«Non si può negare che stava davvero male, oggi pomeriggio. La nostra visita le ha procurato una terribile emicrania.» «Però quindici anni fa non ha avuto alcun problema a commettere spergiuro, Deborah. E questa è una faccenda molto seria.» «Forse. Ma se ha ragione riguardo al fatto che Steve la guardava in modo sinistro?» «Steve non poteva che sentirsi a disagio davanti a lei. Dopotutto, Jean aveva mentito per lui e lei si aspettava che la sposasse. Come ti saresti sentita tu, al posto di Steve?» Deborah scosse la testa. «Non ne ho idea. Ci sono un mucchio di cose che non sapevo fino a questa settimana, Joe. E non ho ancora assorbito tutto.» «Allora vedi di sgombrare la mente da questa spazzatura per alcune ore. Più tardi, potrai tornare a pensarci sopra in modo nuovo. E forse allora le cose ti sembreranno più sensate.» Deborah decise di seguire il consiglio dell'investigatore e cominciò a rilassarsi ascoltando la musica. Nonostante non fosse una fanatica del jazz, dovette ammettere che quel gruppo era davvero in gamba. Tornarono al motel verso le dieci. Deborah era terribilmente stanca, anche se non aveva sonno. Si lavò il viso, si spazzolò i denti, si tolse gli abiti e si sedette sul bordo del letto in reggiseno e mutandine, pronta a guardare gli annuari, l'album e la lettera che aveva trovato nella casa dei Robinson. Era ancora sorpresa dalla temerarietà che aveva dimostrato in quell'occasione e sapeva che Lorna Robinson si sarebbe infuriata, ma data la paura che la donna aveva della pubblicità, Deborah era certa che non avrebbe portato la faccenda all'attenzione della polizia quando lei le avesse restituito quegli oggetti. La lettera si rivelò deludente. Scritta su carta giallina decorata con fiorellini rosa, la missiva, non terminata, era indirizzata a una certa Martha, che viveva in Florida. Era piena di particolari insignificanti sulla vita di Emily a Wheeling, seguiti immancabilmente da punti esclamativi, a volte anche due o tre di fila. L'unica parte interessante era un paragrafo su un uomo: Sono innamoratissima!! Non voglio dirti come si chiama, non adesso, ma non è un ragazzino. È completamente diverso dai miei compagni di scuola, e anche da Steve e da Pete. Come se venisse da un altro mondo. Non diresti mai che abbiamo qualcosa in comune, eppure parliamo per ore e ore! E lui mi ama!!! Non riesco
a crederci! Naturalmente, ai miei genitori, e anche ai suoi, verrebbe un colpo se sapessero cosa proviamo. Credo che siamo un po' come Romeo e Giulietta. È così ROMANTICO!!! Deborah era certa che quell'amante misterioso fosse diventalo il marito segreto di Emily. Ma che cosa poteva esserci di così diverso in lui? Il semplice fatto che era più vecchio di Steve e di Pete? O che i genitori di lei l'avrebbero sicuramente disapprovato? Quel particolare lo avrebbe reso un frutto proibito, irresistibile per una ragazza testarda e appassionata come Emily. Gli annuari rivelarono ben poco. Deborah si soffermò su una piccola foto che ritraeva Steve. Sembrava così diverso, con gli occhi seri e il mento più pieno. Poi guardò più da vicino. C'era un neo accanto all'occhio destro, ma Steve non aveva nessun neo. «Ma non è Steve, è Pete!» esclamò ad alta voce. Sfogliò l'annuario di qualche pagina e trovò il sorriso familiare del marito sotto una chioma di folti capelli con la scriminatura da un lato. Procedette a esaminare anche gli altri annuari, ma senza alcun risultato. Non aveva nemmeno idea di cosa stesse davvero cercando. Frustrata, si rivolse all'album. Le foto più vecchie mostravano due persone affascinanti, ovviamente i Robinson. Poi compariva un neonato che, qualche fotografia dopo, si trasformava in un ragazzino dai capelli chiari. Poi era la volta di un'altra neonata. A quel punto, seguivano dozzine di foto della piccola Emily. «Non hanno sprecato molta pellicola con Steve, dopo che lei è venuta al mondo» borbottò Deborah. Provando un brivido di freddo, s'infilò a letto e si rimboccò le coperte. Dalla porta accanto, sentì che Joe stava guardando la TV. Il bisogno assillante di fumare la assalì di nuovo, ma non aveva sigarette con sé. Prese una caramella alla menta dalla borsetta, poi si appoggiò ai cuscini con l'album. C'erano due foto di Emily con un abito da cerimonia rosa. La ragazza sorrideva con la bocca semichiusa. Portava ancora l'apparecchio per i denti, pensò Deborah, divertita. Un'altra foto mostrava una Emily più matura in abito rosso. Deborah prese la foto dall'album e guardò il retro. "Il giorno di San Valentino. La Regina della Danza" c'era scritto con una calligrafia larga e arrotondata. Le foto della pagina seguente si rivelarono più interessanti. In una, Emily sedeva su una coperta e indosso aveva un bikini e un paio di occhiali da sole. Sembrava quasi una modella di Playboy, dalla figura slanciata e dallo sguardo deliberatamente provocatorio. Era quella la ragione per cui
Steve preferiva che la moglie vestisse sempre in modo semplice e poco appariscente? si chiese Deborah. Era a causa della provocante sorella, che però era finita in maniera così tragica? Deborah mise da parte i pensieri della sua relazione con Steve e continuò a esaminare le foto. In quella seguente, Emily indossava un bikini diverso ma non meno sexy. Accanto a lei c'era un giovane Pete, che sorrideva timidamente anche se aveva gli occhi seri. Davanti alla ragazza c'era uno splendido pastore tedesco, e lei lo stava accarezzando. Deborah prese la foto dall'album e la voltò per ispezionare la didascalia sul retro. "Ho sedici anni! Eccomi qui con Pete e Sax. 2 giugno." «Sax» disse ad alta voce Deborah. Pensò al modo in cui Emily aveva reagito alla foto di Scarlett, che era, almeno in parte, un pastore tedesco. Non stava dicendo Sex alla casa di cura. Stava dicendo Sax. Era il nome del cane. Che fosse stato Pete a regalarglielo? Deborah fissò la foto, che però non le fornì ulteriori indizi. La data era allarmante, comunque: il 2 giugno. Emily era stata aggredita il 7 giugno. Con un nodo alla gola, Deborah si rese conto che la splendida e imperturbabile ragazza nella foto aveva solo cinque ulteriori giorni di vita normale. C'erano altre istantanee di Emily in bikini. Poi Deborah voltò la pagina ed ebbe un sussulto nel guardare la copia della foto che aveva visto al Blue Note. Due giovanotti e due ragazze sedevano a un tavolo rotondo. Ora che sapeva che aspetto aveva la sorella di Steve a quell'età, si rese subito conto che una delle due ragazze era Emily. Era quella che guardava con occhi estasiati il giovanotto di colore che suonava il sassofono sul palco e la fissava a sua volta. Il sassofono. Sax. «Oh, mio Dio» mormorò Deborah, crollando contro i cuscini. Il proprietario del locale come le aveva detto che si chiamava il sassofonista? Eddie. Eddie Kaye. Emily continuava a ripetere: "Ed". Jean aveva detto che si trattava di un infermiere. Deborah abbandonò l'album e aprì il cassetto del comodino, cercando l'elenco telefonico di Wheeling. Dopo qualche secondo, una giovane donna disse: «Blue Note.» «Potrei parlare col signor Gauge, per favore?» disse Deborah col respiro che le mancava. «Chi lo cerca?» «Deborah Robinson. Ero nel locale, poco fa. È molto importante che possa parlare col signor Gauge.» «Un attimo.» Deborah sentì la musica jazz risuonare in sottofondo. Prese
a tamburellare nervosamente con le dita sul comodino fino a quando la voce profonda di Harry Gauge non fu in linea. «Qui è Harry Gauge. Cosa posso fare per lei?» «Sono Deborah Robinson, signor Gauge.» «Mi scusi, signora, ma non credo di conoscerla.» Stupida, pensò Deborah. Non le aveva detto come si chiamava. «Ero nel suo locale, un paio d'ore fa. Ero in compagnia di un uomo e le abbiamo fatto qualche domanda a proposito delle foto alle pareti.» «Oh, sì, ricordo. Ha dimenticato qualcosa qui?» «No. Volevo farle una domanda su quel sassofonista di cui ci ha parlato. Eddie Kaye.» «Eddie? Cosa vuole sapere?» «Il cognome era effettivamente K-a-y-e?» «No. Lui usava solo l'iniziale K. Il cognome vero era King. Perché me lo chiede?» «Grazie mille» disse Deborah e riagganciò, la mente in subbuglio. Ora sapeva la verità, finalmente. Il marito di Emily era Eddie King, e i Robinson avevano trattato l'intero episodio come un vergognoso segreto perché lui era un nero. Ma adesso sapeva anche qualcos'altro. L'uomo che aveva preso in affitto la casa degli O'Donnell aveva dichiarato di chiamarsi Edward King, eppure l'amica di Barbara non l'aveva descritto come un uomo di colore. Forse si trattava di un nome abbastanza comune, ma quante probabilità esistevano che un Edward King si trasferisse in una casa proprio di fronte a quella di Steve? «Molto poche» borbottò lei, il cuore che le batteva all'impazzata. «Davvero molto poche.» «Alfred, Alfred...» Un'infermiera che controllava l'ago della fleboclisi guardò bruscamente la signora Dillman. «Mio Dio, ma si è svegliata?» mormorò. «Alfred...» L'infermiera si sporse sopra la paziente. «Cara, riesce a sentirmi?» Gli occhi della donna rimasero chiusi, ma il viso ebbe una contrazione. «Signora Dillman, riesce a sentirmi?» La paziente spalancò gli occhi. «Certo che riesco a sentirla. Non c'è bisogno di gridare.» L'infermiera si ritrasse. «Non intendevo gridare. È solo che mi ha sorpreso. Ora vado a chiamare il dottore.»
La mano della signora Dillman afferrò quella dell'infermiera. «Dove sono?» «È in ospedale, cara. Ha preso una brutta botta in testa.» «La smetta di chiamarmi cara. Non la conosco nemmeno.» «Mi spiace, ca... ehm... signora Dillman.» «La mia testa...» «Sì, è stata proprio una brutta botta. Ma ora vado a chiamare il dottore. Se mi lascia andare la mano...» La signora Dillman le lanciò un'occhiataccia. «Non mi sono fatta male da sola. È stato qualcuno a colpirmi!» «Oh, non credo proprio, cara.» «Be', io sì. E se non la smette di chiamarmi cara, vado...» La signora Dillman ebbe un sussulto e spalancò gli occhi. «Ora ricordo! Ricordo chi è stato a colpirmi.» «Bene. Chiamo il dottore, così potrà parlarne direttamente a lui.» «Non cerchi di prendermi in giro!» La signora Dillman strinse con forza la mano dell'infermiera. «Quella giovane donna... Deborah! Devo avvisare Deborah!» «Vedremo cosa dice il dottore» cercò di rabbonirla l'infermiera. «Al diavolo il dottore!» esplose l'anziana donna. «Non sto vaneggiando! Le dico che è importante.» «Su, su, ora non si agiti.» «Voglio parlare con Deborah.» Negli occhi della signora Dillman si leggeva una straziante nota di supplica. «La prego, mi ascolti. Devo dirlo a Deborah!» 24 Il telefono squillò. Deborah ebbe un sussulto e sollevò il ricevitore, certa che fosse Joe. «Deborah?» «Pete!» esclamò lei. «Cos'è successo?» «Ai bambini niente. Loro stanno bene. Sei sola?» «Certo. Joe è nella sua stanza.» «Devi promettermi che non lo chiamerai.» «Perché?» Deborah si drizzò a sedere. «Pete, mi spaventi.» «Non intendevo farlo, però devi promettere. E voglio che tu accenda il televisore per avere un po' di rumore in sottofondo.» La voce di Pete era tesa, forse anche un tantino tremolante. Aveva delle
cattive notizie da riferire, quello era certo, e Deborah preferiva sentirle subito, senza indugi. Trotterellò verso i piedi del letto, accese il televisore e sollevò di nuovo il ricevitore. «Ecco, la TV è accesa e prometto che non chiamerò Joe. Allora, cos'è successo?» «Si tratta di Barbara. Un paio d'ore fa, il suo cadavere è stato ritrovato nella casa degli O'Donnell. La polizia crede che sia stata uccisa ieri notte.» Deborah guardò fisso davanti a sé, sentendosi mancare. «Deborah? Ci sei?» chiese Pete. «Sì.» La parola le venne fuori in un lungo sospiro. «Com'è stata uccisa?» «È stata percossa e poi strangolata.» Deborah si sentì soffocare. «Oh, Dio, proprio come...» «Le vittime dello Strangolatore dei vicoli bui, sì. Deborah, mi spiace molto.» «Barbara era così interessata a quella casa... Immagino che si sarà intrufolata lì dentro per indagare.» Tirò un profondo sospiro. «Dov'è Evan?» «Non ne ho idea. Forse avrà appreso la notizia anche lui. Non l'ho più visto.» «Lei lo sospettava, Pete. Credeva che fosse lui lo strangolatore.» «Non penso che sia lui.» Sentì che Pete respirava affannosamente, come se fosse agitato. «Deborah, ora stammi bene a sentire. Ero preoccupato per te, ieri notte. Avevo un brutto presentimento, non chiedermi perché. Comunque, verso le due di notte, sono passato in auto accanto a casa tua e ho visto Joe. Era fuori, Deborah, ed è sbucato da un lato della tua casa.» «Da un lato?» «Magari tornava dall'abitazione degli O'Donnell.» Deborah sentì il sangue defluire dal viso. «No, è impossibile che Joe abbia avuto qualcosa a che fare con la morte di Barbara.» «Questo non possiamo saperlo. Magari Barbara aveva espresso dei sospetti su Joe, vero? E adesso tu sei sola con lui. Immagino che sia nella stanza accanto alla tua, è così?» «Sì» sussurrò Deborah. «Abbiamo due camere adiacenti, anche se le porte di comunicazione sono chiuse a chiave.» «Voglio che tu te ne vada da lì» disse fermamente Pete. «Lascia accesa la TV e scappa in silenzio, evitando di passare davanti alla sua finestra. Dirigiti a una cabina telefonica e chiama un taxi. Poi noleggia un'auto, prendi un bus o quello che vuoi, ma torna subito qui.» «Pete, non sarebbe meglio se chiamassi la polizia?» Joe batté un colpo sulla porta adiacente e per poco Deborah non lasciò
cadere il telefono. «Deborah? Stai dormendo?» «Rispondigli!» sibilò Pete all'altro capo della linea. «Comportati in modo naturale e rispondigli.» «No» disse piano Deborah. «Stavo sfogliando gli annuari.» «Trovato qualcosa d'interessante?» «Non ancora.» «Credevo di aver sentito il telefono.» «Oh... be', qualcuno ha chiamato la camera sbagliata.» «Sei sicura che vada tutto bene? Hai una voce strana.» «Sto benissimo.» «Non mi sembra. Vuoi che ti porti qualcosa dal bar qui vicino?» Mentre parlava con Joe, Deborah continuava a tenere il ricevitore all'orecchio. «Di' di sì» ordinò Pete. «Digli che vuoi qualcosa, così lui sarà costretto a uscire.» «Arrivo appena posso» bisbigliò Deborah al ricevitore, poi riagganciò. Scese dal letto, s'infilò il cappotto e aprì la porta che dava nella stanza di Joe. Lui si accorse della manovra e aprì la sua porta. «Vorrei un po' di caffè.» Joe sorrise. «Ci avrei giurato che non avevi voglia di dormire.» «Ho anche una fame da lupo.» Joe le lanciò un'occhiata interrogativa. «Non so cosa mi sia successo. Ho la sensazione di non aver cenato per niente. Potresti portarmi pure una ciambella o una pasta? O una fetta di torta, magari.» «Va bene. Qualcos'altro?» «No. Una tazza di caffè e un dolce andranno a meraviglia... Oh, a proposito, Joe, ho perso un orecchino. Probabilmente, sarà nella tua auto. Ti dispiacerebbe darmi le chiavi? Proverò a cercarlo mentre sei via.» Lui si accigliò. «Devi cercarlo proprio stanotte? Fa piuttosto freddo fuori.» «Sono sicura che domani me ne sarò già dimenticata. Vedi, si tratta di un paio di orecchini che mi ha regalato Steve.» «Posso dare un'occhiata io.» «No, tu vai a prendere il caffè» disse in fretta lei. Poi sorrise. «Muoio dalla voglia di bere una tazza di caffè e di mangiare qualcosa. Ci penso io a cercare l'orecchino.» Joe si strinse nelle spalle e cominciò a frugarsi in tasca alla ricerca delle chiavi. «Come preferisci.» «Grazie mille, Joe.» Deborah chiuse la porta comunicante. Attese fino a
quando non sentì sbattere la porta della camera di Joe e subito si tolse il cappotto, si vestì di tutto punto e uscì dalla stanza con fare indifferente. Si diresse verso la jeep e inserì la chiave nella serratura. Ma mentre la girava, una mano le toccò la spalla. Lei soffocò un urlo e si volse per fissare un uomo magro, dai capelli bruni, che non aveva mai visto in vita sua. «Chi è lei?» «Signora Robinson, devo parlarle.» «Come fa a sapere come mi chiamo?» chiese Deborah, il cuore che le martellava in petto. «E lei chi è?» «Il mio nome non ha importanza» disse l'uomo. «Però so dove si trova suo marito.» Con una nota di allarme crescente, Deborah disse: «Ma di cosa sta parlando?» «Sto parlando di suo marito, Steve. So dov'è. Perciò lei deve venire con me.» Deborah capì all'improvviso chi fosse l'uomo e si sentì gelare il sangue nelle vene. «Lei è Artie Lieber, vero?» «Sono diversi giorni che cercavo di mettermi in contatto con lei, ma c'era sempre qualcuno tra i piedi.» La mano dell'uomo si chiuse con più fermezza sulla spalla di Deborah. «Ma adesso, finalmente, sei sola.» «Mi lasci andare!» gridò Deborah. «Adesso tu e io saliamo su questa jeep e facciamo un bel giretto.» «No!» Lei tentò di divincolarsi dalla stretta di Lieber. Lui le lanciò un'occhiata gelida, poi la schiaffeggiò. La testa di Deborah scattò all'indietro e gli occhi le si riempirono di lacrime, provocate non meno dallo shock che dal dolore. «Non fare l'isterica» disse Lieber. «Voglio solo discutere un po' con te. E tu mi parlerai, altrimenti...» «Ehi!» Deborah alzò lo sguardo e vide Joe correre verso di loro. Lieber abbandonò la presa sulla spalla. Senza pensarci un attimo, lei aprì la portiera della jeep, balzò dentro e la richiuse con la sicura. Fuori, vide Lieber che attraversava di corsa il parcheggio. Joe cominciò a inseguirlo, poi sentì la jeep mettersi in moto e si voltò proprio mentre Deborah faceva retromarcia e usciva a razzo dal parcheggio. «Deborah, cosa stai facendo?» gridò Joe, mentre lei innestava la prima e la jeep scattava in avanti. «Deborah!» gridò ancora lui, inseguendola. «Deborah, per l'amor del cielo!» Lei si rifiutò di porgere ascolto alla voce dell'uomo e continuò a guidare come se ne an-
dasse della sua stessa vita. E, forse, era proprio così. 25 Per tutto il tragitto continuò a pensare a Barbara. Che cosa l'aveva spinta a indagare nella casa degli O'Donnell? L'irresistibile urgenza di sapere con certezza se era Evan il misterioso affittuario? In quel caso, com'era riuscita a entrare? O era stata attirata in trappola prima di venire uccisa? Le possibilità erano troppo orribili per poterle prendere in considerazione. E poi c'era Joe. Tutte le notti, quando lei era scesa e non lo aveva trovato, lui si era sempre giustificato. E la volta in cui la signora Dillman e Kim avevano visto qualcosa? Lui era uscito da un'ora e mezzo per prendere lo sciroppo per la tosse a Kim. Poi c'era stato l'episodio della bambola nel freezer. Kim aveva sentito le campanelle, e Joe aveva detto di non essersi accorto dell'uscita della piccola perché era immerso in uno strano sonno profondo. E ancora i gioielli. Joe aveva abitato nella casa da quasi una settimana, perciò avrebbe potuto nasconderli nello scantinato in qualsiasi momento. Avrebbe anche potuto mettere la bambola nel freezer e suonare le campanelle nel cortile posteriore per far uscire Kim. E Sally Yates. Jean aveva detto che qualcuno aveva cercato di tagliarle la gola. E Lisa, la ragazza di Joe a Houston, era morta esattamente in quel modo. Deborah raggiunse Charleston alle tre di notte, infreddolita, spaventata ed esausta. Una luce brillava in una delle finestre anteriori della casa di Pete. Lei per poco non si mise a piangere quando la vide. La salvezza. I bambini che la aspettavano dentro. Forse Pete stava attendendo che arrivasse, perché aprì la porta non appena lei prese a salire lungo il vialetto. «Deborah, grazie a Dio che sei tornata sana e salva!» La abbracciò e lei notò casualmente che Pete si era messo un maglione di cachemire. «Ma tremi.» «Questa non è stata esattamente la più bella serata della mia vita.» «Hai avvisato la polizia prima di andartene?» «No. Ho chiesto le chiavi in prestito a Joe mentre lui andava in un bar vicino. Ma non appena sono arrivata alla jeep, è sbucato fuori Artie Lieber.» «Lieber!» «Già. Ha continuato a ripetere che voleva portarmi da qualche parte. E quando gli ho risposto di no, lui mi ha schiaffeggiato. Poi è apparso Joe, così sono saltata sulla jeep e me la sono svignata.»
«Buon Dio! Non mi sarei mai aspettato che Lieber...» Pete s'interruppe. Aveva un'aria profondamente turbata. «Ora togliti il cappotto e vieni in salotto. Ho preparato il tè.» Deborah sorrise. «Mi pare una buona idea, ma la prima cosa che voglio fare è vedere i bambini.» Pete le indirizzò un'occhiata di sorpresa. «Ma dormono.» «Lo so. Non li sveglierò... voglio solo vederli. In che stanza sono?» «Di sopra, la prima sulla destra. Ma fai piano, per favore. Hanno reagito male al fatto che non saresti tornata a casa, e ho dovuto sudare sette camicie per metterli a letto.» Deborah salì le scale con passo leggero e aprì la porta della camera da letto. La fioca luce di una lampada nel corridoio le rivelò un letto a due piazze vuoto. Lei si girò per guardare Pete, che l'aveva seguita, e chiese in tono d'allarme: «Dove sono?» «Erano qui giusto mezz'ora fa. Non capisco... Mio Dio, non avranno mica cercato di tornare a casa loro, no?» «A casa?» disse Deborah, sconvolta. «Ma fa un freddo terribile là fuori! Oh, mio Dio, Pete!» «Calmati» disse lui. «Devono essere passati da dietro. Vediamo se Adam ha sentito niente.» Discese il corridoio verso il retro della casa e aprì un'altra porta. Sbirciò all'interno e poi la richiuse. «Dorme» disse a Deborah. «Non so cosa mi è venuto in mente. Se Adam avesse visto qualcosa, mi avrebbe avvisato subito.» «Cosa facciamo?» «Passiamo al setaccio tutte le strade di questa zona.» «Non è meglio avvisare subito la polizia?» «Prima che vengano qui a raccogliere tutte le informazioni, passerà un'altra mezz'ora. E i bambini resteranno fuori al freddo mentre magari potrebbero essere a pochi isolati di distanza. Se non li troviamo tra venti minuti, chiameremo la polizia.» «Forse Scarlett può aiutarci a trovarli.» «Il cane dormiva nella stanza con loro, Deborah. Devono esserselo portato dietro.» «Va bene, andiamo» disse lei. Scesero al piano di sotto e Pete prese un giaccone dallo stanzino. «Guido io» disse mentre uscivano, diretti alla jeep di Joe. «Tu sei troppo nervosa.» «D'accordo.» Deborah gli porse le chiavi. «Credo di aver scoperto chi era il marito di Emily, sai?» aggiunse all'improvviso, giusto per cambiare
discorso. «Davvero? E chi sarebbe?» «Un certo Eddie K. Era il sassofonista del Blue Note.» «Sono sicuro che ti sbagli su Eddie King» disse Pete, allungando il collo per guardare oltre la spalla di Deborah. «Mi pareva di aver visto qualcosa dietro quell'albero, ma mi sbagliavo. Comunque, Eddie King era un nero.» «Credo che sia questa la ragione per cui i Robinson hanno messo a tacere la cosa. Da quanto ho sentito dire sui genitori di Steve, loro sarebbero stati sconvolti nel sapere che Emily se la faceva con un nero.» «Be', questo è sicuro.» «Pete, ecco la nostra strada» disse Deborah. «Rallenta.» «Scusami, mi dispiace. Stavo pensando alle tue parole.» Svoltò piano nel vicolo cieco. La neve scricchiolò sotto i pneumatici. Non c'erano altri segni di ruote. «È molto buio.» «La maggior parte delle case sono vuote» disse Deborah. Fred Dillman aveva lasciato la luce del portico accesa. Gli altri edifici si stagliavano tranquillamente nella notte: la casa dei Vincent, la sua casa, la casa degli O'Donnell... La casa degli O'Donnell, dove il corpo di Barbara era stato ritrovato solo poche ore prima. Però non si vedevano i sigilli che la polizia avrebbe dovuto apporre al luogo, e sulla neve non c'erano orme. Quella casa era stata presa in affitto da un uomo che nessuno aveva visto. Un uomo che sosteneva di chiamarsi Edward King. Pete aveva detto che non era mai stato al Blue Note e che odiava il jazz. Quindi, non poteva essere un fan di Eddie K. Perché lei aveva chiamato il marito di Emily Eddie K. Eppure, Pete si era riferito a lui col nome di Eddie King, come se lo conoscesse. E Pete aveva molti soldi per pagare l'affitto di una casa in cui non contava di andare ad abitare. Gli occhi di Deborah si fissarono sulla casa e lei si irrigidì. Pete la guardò. Lei inghiottì. «Non vedo i bambini» disse troppo bruscamente. «Dovremo chiamare la polizia da casa mia.» Pete la ignorò, fece il giro del vicolo cieco e tornò a immettersi sulla strada principale. «Pete, dobbiamo chiamare...» «Zitta.» Lei sentì che il sangue le defluiva dal viso. «Pete, non capisco...» «Oh, sì che capisci.» Nella luce che proveniva dal cruscotto, il volto gentile e benigno di Pete si era trasformato. Era diventato duro e angoloso. Quella giornata era stata piena di shock. Lieber. La fuga da Joe. La notizia della morte di Barbara.
«Barbara non è morta, vero?» chiese ottusamente Deborah. «Be', no, non credo.» «Mi hai detto che era stata assassinata solo per farmi venire qui.» «Per farti venire qui senza Joe. Non ce lo voglio tra i piedi.» Deborah aveva le vertigini dallo shock. Quello era Pete, un uomo che conosceva almeno da quanto conosceva Steve. Pete, che era sempre stato un gentiluomo dall'aria molto premurosa. Pete, che era andato a fare la spesa per lei e aveva passato la vigilia di Natale in casa sua. «Dove sono i miei bambini?» Pete aggrottò le sopracciglia. «Li ho nascosti da qualche parte. Dovrai venire con me, se vuoi vederli.» «Menti» disse freddamente lei. «Sei rimasto scioccato come me nel vedere quel letto vuoto. Tu non sai dove sono.» «Non sono meno bravo a fingere sorpresa che a fingere amicizia» replicò tranquillamente Pete. «Ti riferisci alla tua amicizia con Steve?» «Esatto.» Si stavano dirigendo fuori Charleston. La strada era stretta e Pete procedeva ad andatura troppo sostenuta. Dove diavolo voleva portarla? si chiese Deborah, che allungò il braccio verso la maniglia. Saltare fuori dalle jeep le avrebbe provocato qualche brutta ferita, ma era sempre meglio quell'eventualità che restarsene lì con Pete. Perché sapeva che lui l'avrebbe uccisa. La sua mano si chiuse intorno al freddo metallo. «Non farlo» disse Pete. La canna di una pistola le toccò la tempia. Lei sussultò e lasciò andare la maniglia. «Così va meglio» disse lui, soddisfatto. «Sono disposto a spararti anche qui, se devo farlo. Dopotutto, questa non è la mia auto.» Lei tirò un profondo sospiro. «Steve è morto, vero?» «Sì.» "Oh, Steve, mio povero Steve!" pensò disperatamente lei. «Perché, Pete? Perché l'hai ucciso?» Lui sorrise in modo sinistro nella mezza luce. «Ora te lo spiego. Io sono un uomo brillante, Deborah, non un pazzo. Non sono uno di quei monomaniaci che credono di non potere essere mai presi. Sapevo che prima o poi la polizia si sarebbe avvicinata a me, così, anni fa, ho cominciato a predisporre le cose in modo che si credesse alla colpevolezza di Steve.» «Ti riferisci a tutti quei delitti? Allora sei tu lo Strangolatore dei vicoli bui?»
Pete sogghignò. «Detesto quel nome assurdo che i giornalisti hanno inventato. È volgare e non si attaglia per niente a uno che ha ucciso tanto spesso e in modo così brillante.» Sospirò. «Ma questa è la storia della mia vita. Tutto quello che faccio viene sempre minimizzato e banalizzato.» «Sei stato tu ad aggredire Emily?» «Oh, sì. Lei era la mia ragazza. Volevo sposarla. Naturalmente, però, i Robinson credevano che non fossi un buon partito per lei. E lo stesso vale per il tuo arrogante Steve. Ma io la desideravo. Poi mi sono accorto che c'era qualcun altro. E quando ho scoperto chi era, quando ho capito che lei mi aveva usato solo per nascondere la sua relazione con quel negro di merda...» Pete s'interruppe e, allarmata, Deborah vide la saliva gocciolargli da un lato della bocca. "Oh, mio Dio" pensò. "È pazzo." Le venne di nuovo in mente di allungare il braccio verso la maniglia, ma poi gli occhi le caddero sulla pistola che Pete teneva ancora saldamente nella mano destra, anche se non gliela puntava più contro la tempia. «Sarai stato furioso» riuscì a dire Deborah, sempre più scossa. «Già, proprio così. Vedi, mi ero accorto che lei si comportava come mia madre. Mia madre si portava a letto tutti gli uomini in circolazione. Quando papà era via, la sentivo in camera da letto fare ogni sorta di porcherie con loro. Una cosa disgustosa. E mio padre sembrava sempre più preoccupato e depresso. Litigavano quando lui era a casa, e in breve mio padre finì per diventare un alcolizzato. Non aveva tempo nemmeno per me, anche se prima eravamo stati molto vicini. A mia madre non era mai importato nulla di me, però lui mi adorava. Ma per un po' parve essersi dimenticato di me, e tutto grazie a lei. Alla fine, ci fu una lite selvaggia quando lui la sorprese a letto con un uomo. Lanciò una bottiglia di whisky contro il muro. Le disse che l'avrebbe lasciata e che mi avrebbe portato via con sé. Io ero felice, perché sapevo che tutto sarebbe tornato come prima, quando io e papà eravamo molto uniti. I migliori amici del mondo.» La sua voce s'incupì. «Poi uscì in auto e quella sgualdrina lo seguì. Lui ebbe quell'incidente a causa di mia madre. Non aveva bevuto molto, quella sera, e sono sicuro che lei si sarà messa a urlare disturbandolo nella guida.» I suoi occhi si riempirono di lacrime. «È stata quella troia a uccidere mio padre.» "Quella troia" ripeté mentalmente Deborah. La donna la cui foto Deborah aveva visto nel salotto della casa di Violet, quella donna affascinante dai lunghi capelli neri... Anche lei aveva la costituzione delle vittime dello strangolatore, probabilmente. «Mi spiace molto» mormorò.
«Ma tu cosa ne sai?» ringhiò Pete, le lacrime che gli scendevano lungo le guance. «Tu non puoi capire come ci si sente quando si resta senza l'unica persona al mondo che si ama.» «No, questo non mi è mai successo» disse timidamente Deborah. «Esatto. Nessuno può capire cosa provavo.» «Però tu e Steve eravate amici» disse piano lei. «Eravamo compagni di classe. E di giochi. Lui si comportava in modo amichevole, ma il fatto è che si comportava così con chiunque. Voleva essere sempre benvoluto da tutti. Però so che non approvava quando cominciai a frequentare Emily. Oh, era abbastanza furbo da non dire nulla di esplicito, però me ne accorsi egualmente. Era chiaro che tutti mi disapprovavano.» La neve cadeva fitta e i tergicristalli lavoravano incessantemente. Svoltarono in fretta a una curva e la jeep slittò, ma Pete non parve neppure accorgersene. Poi i pneumatici morsero di nuovo la strada e il veicolo riprese velocità. «Credevo di contare qualcosa per Emily, ma poi scoprii di Eddie. Vedi, quel maledetto cane era un regalo di Natale di Eddie, anche se lei sosteneva di averlo avuto da una famiglia che doveva trasferirsi. Però l'aveva chiamato Sax. Un bell'indizio, eh? Emily non era molto furba, sai. Poi, quell'estate, cominciò a comportarsi in modo differente, più maturo. Un giorno, andai a casa sua. Lei era fuori a prendere il sole in bikini. Il cane, invece, era dentro. Suppongo di aver perso la testa, quel giorno. Emily sembrava incredibilmente bella. Non c'era nessuno in giro e io mi sentivo molto eccitato. Lei cominciò a divincolarsi. Ma visto che non la lasciavo andare, mi gridò che si era sposata con Eddie. Era come se mi avesse pugnalato al cuore. Non mi sentivo più così dal giorno in cui era morto mio padre. Quel bastardo di un negro! Non ricordo molto bene cos'accadde in seguito. I Robinson stavano facendo eseguire qualche lavoro in casa e, all'improvviso, mi ritrovai con un tubo in mano. La colpii in testa, la strangolai e... be', la violentai. Lei aveva perso i sensi quando feci quell'ultima cosa, ma sapevo che le sarebbe piaciuto. Fare sesso con me doveva essere molto meglio che farlo con Eddie. Poi è comparso Lieber, come se sbucasse fuori dal nulla. Era a circa quindici metri di distanza. Allora avevo i capelli folti e lunghi. Lieber ha urlato: "Steve, ma cosa diavolo stai facendo?". Eravamo molto simili io e Steve, in quei giorni. Ed è ancora così quando mi metto la parrucca e gli abiti più attillati. Un vero colpo di fortuna, no? Lieber provò a prendermi, ma io ero in gran forma e mi misi a correre come non avevo mai corso in vita mia.»
«E quando Steve fu di ritorno, trovò Lieber chino sulla sorella, vero?» «Magari stava cercando di praticarle la respirazione bocca a bocca, o qualcosa del genere. O forse stava tentando di violentarla anche lui, chi può dirlo?» «Ma Steve vide Lieber e pensò che fosse stato lui ad aggredire Emily, mentre Lieber era certo di aver visto Steve aggredirla poco prima.» Pete sogghignò. «Già. Non è buffo? Sembra una specie di farsa. Nessuno sospettò mai di me. Forse pensavano che non fossi abbastanza uomo per fare una cosa del genere. Ah, eccoci arrivati.» Svoltarono in quella che a Deborah parve una stradina secondaria, anche se c'era talmente tanta neve che non poté esserne sicura. Dopo alcuni secondi, davanti a loro si stagliò un edificio. Aguzzando la vista, Deborah capì che si trattava di una stalla. Pete fermò la jeep a una quindicina di metri di distanza. «Scendi e non tentare di fare la furba. Non riusciresti a scappare con questa neve, e comunque ho la pistola.» Deborah aprì la portiera e posò il piede sulla neve, che in quel punto era alta almeno una trentina di centimetri. «Molto bene» disse lui. «Ora cammina.» «Dove devo andare?» «In quella stalla, naturalmente. Non ho intenzione di starmene qui fuori con questo tempo.» «Ma dove siamo?» chiese lei. «Questa stalla appartiene a una proprietà in vendita. Sono anni che è vuota.» «Proprio come la casa degli O'Donnell.» «Già. Suppongo che ormai avrai capito perché l'ho presa in affitto.» «Perché?» «In modo da tenere d'occhio te e Steve. Vedi, ormai era tempo che la bella vita di Steve finisse. Lui era ancora addolorato per Emily, ma non più come prima. Aveva te e i bambini. Mi ha detto che pensavate di avere addirittura un altro figlio. Ma io non volevo che fosse felice. Non lo meritava. Lui mi guardava sempre dall'alto in basso, a scuola, e disapprovava chiaramente il fatto che mi vedessi con la sua preziosa sorella. E poi c'era Hope.» «Hope?» «Sì, la mia adorata moglie. Non lo sapevi che lei e Steve avevano una storia?»
A Deborah parve di sentirsi mancare l'aria. «Non è vero.» «Via, Deborah, credo che dentro di te l'avessi già capito.» «Io non sapevo niente! Ma di cosa diavolo stai parlando?» «Hope aveva una storia.» «Ma non con Steve!» «Sì, proprio con Steve. Lei ha negato, ma io ho capito tutto. Lui le piaceva. Non li avevi mai sorpresi a scambiarsi occhiate? Non ti eri mai accorta che Steve passava a casa meno tempo del solito? E non c'era un po' meno attività in camera da letto?» Era una follia. Steve non avrebbe mai avuto una relazione con la moglie di Pete, anche se quest'ultimo ne era convinto. La gelosia, da lungo tempo insediatasi nella sua mente malata, lo aveva portato all'odio e alla paranoia. «Hai mai parlato con Steve di questa storia?» chiese lei. «No. Mi sono vendicato in un altro modo.» «Facendo credere che lo Strangolatore dei vicoli bui fosse Steve?» «Esatto. Così avrei preso due piccioni con una fava, per usare un cliché. Dovevo vendicarmi di tutto quello che mi aveva fatto ed essere certo che nessuno mi avrebbe mai sospettato di essere lo strangolatore. Tutti avrebbero creduto che Steve fosse ancora vivo e che se la fosse squagliata per uccidere altre donne.» «Ma qualcuno ha visto la macchina di Steve, la notte in cui è stata aggredita Sally Yates.» «Certo. Io l'ho seguito fino a Wheeling e gli ho rubato l'auto nel cuore della notte. Poi sono andato in un bar e ho trovato la Yates. Mi sono accertato che qualcuno mi vedesse uscire dal vicolo, dopo che l'avevo aggredita. E si accorgesse della macchina. Faceva tutto parte del piano. Negli ultimi tre anni, avevo fatto in modo che le mie aggressioni coincidessero con le visite di Steve a Emily. Ho infilato persino dei ramoscelli di oleandro nella bocca delle donne, dato che Steve era così maledettamente orgoglioso della sua abilità con quella pianta.» Ecco perché l'agente Wylie si era interessato tanto a quella faccenda, pensò Deborah. «Però i testimoni hanno detto che l'uomo aveva i capelli scuri.» «Mia cara, io ho una parrucca scura, cosa credevi? Mi sono messo persino i baffi finti e gli occhiali neri. Non potevo rischiare che qualcuno mi identificasse. In ogni caso, sarebbe sembrato che Steve stesse cercando di camuffarsi.» «Chi ha cercato di rapire Kimberly all'asilo?»
«Io. Però non volevo rapirla. Mi ero accorto che la maestra mi guardava. Volevo solo spaventarti, magari farti credere che Steve fosse ancora in giro.» «E le campanelle che ha sentito Kim?» «Di nuovo io. Però non sapevo se la piccola sarebbe effettivamente uscita, anche se prima le avevo detto che se avesse sentito una musica di campanelle, allora doveva andare fuori perché significava che Babbo Natale stava arrivando. Non potevo contare nemmeno sul fatto che tu controllassi il freezer, però le cose sono andate lo stesso a meraviglia.» «Però non capisco ancora perché hai preso in affitto la casa degli O'Donnell.» «Te l'ho detto, era tempo che Steve fosse preso, così avevo bisogno di tenere d'occhio ogni sua mossa. E volevo anche vedere cosa sarebbe successo dopo la sua sparizione. In fondo, non potevo accamparmi in casa tua come ha fatto Pierce. Io ho un figlio da crescere.» «Sei stato tu ad aggredire la signora Dillman?» «Sì. Una notte, mentre sgusciavo fuori da quella casa, lei mi attendeva al varco. Te lo immagini? Aveva eluso la sorveglianza e aspettava me. Mi ha agitato contro un ferro da calza.» Pete sorrise. «La parte peggiore è che, da quella breve distanza, mi ha riconosciuto. Be', non mi ci è voluto molto a metterla fuori combattimento, ma portarla nel suo cortile senza essere visto non è stato facile, te lo assicuro.» «Sembri un po' fuori forma, ultimamente» disse provocatoriamente Deborah. «Non sei riuscito a uccidere né Sally né la signora Dillman.» Una mano impattò violentemente contro la testa di Deborah e lei finì per terra sulla neve. «Non sono affatto fuori forma, stupida puttana. È solo che loro sono state insolitamente resistenti. Ma la Dillman è troppo vecchia per cavarsela, e prima o poi riuscirò a far fuori anche la Yates. E ora alzati.» Deborah aveva la bocca piena di neve. La sputò e poi si tirò in piedi a fatica, le orecchie che le rintronavano ancora per il gran colpo. Incespicò in avanti fino a quando i due non raggiunsero la stalla. Pete aprì una delle due grandi porte e spinse Deborah all'interno. Lei cadde di nuovo, stavolta sulla nuda terra che odorava ancora di fieno e di cavalli. Era buio nella stalla, ma Pete tirò fuori una torcia e gliela puntò negli occhi. «Allora, cosa ne pensi?» domandò. «È qui che hai ucciso Steve?» si limitò a dire lei. «Sì.» «Come sei riuscito a portarlo qui?»
«Lui mi ha raccontato la storia dell'FBI. Io ero l'amico del cuore, come sempre. Temeva che se lo avessero arrestato e messo in stato d'accusa, il conto in banca gli sarebbe stato congelato e tu e i bambini sareste rimasti senza niente. Mi ha chiesto se potevo nascondergli il denaro, nel caso che avesse deciso di prosciugare il conto. Il gli ho risposto di sì, naturalmente. Poi gli ho suggerito di incontrarci qui, nel caso che la polizia tenesse d'occhio la casa o che Adam ci sentisse, se ci fossimo visti da me.» Ecco perché Steve aveva ritirato i soldi. Per proteggere lei e i bambini. «E così, quando ti ha portato il denaro, tu l'hai ucciso» disse Deborah con la morte nel cuore. «L'ho ucciso, sì, ma lui non aveva portato i soldi. Ha detto che aveva ripensato alla situazione e che, anche se aveva ritirato il denaro, il fatto di nasconderlo lo avrebbe fatto sembrare persino più colpevole. E poi, non era etico. Non era etico! Stupido idiota. L'aveva nascosto nel ripostiglio di casa. Contava di riportarlo alla banca lunedì.» «Allora eri tu la persona che si è introdotta nel ripostiglio, quella notte?» «Sì. Non potevo permettere che la polizia perquisisse la casa e trovasse i soldi. A quel punto, avrebbero capito che Steve non li aveva presi e l'ipotesi della scomparsa volontaria sarebbe andata a farsi benedire.» «E sei sempre tu che ti eri nascosto tra i sempreverdi dietro la nostra casa, la notte della festa?» Pete rimase in silenzio per qualche secondo. «No. Credo che fosse Lieber. Quello non faceva che spiare.» Deborah ripensò a quando aveva visto Lieber nel parcheggio. "So dove si trova suo marito" aveva detto. Ora capì il significato di quelle parole. «Artie Lieber sa che hai ucciso Steve, vero?» «Come dico, erano giorni che spiava. Sì, lui ha seguito Steve fin qui. Sa cose successo. Io l'ho visto quando era troppo tardi. Ma non ho paura di lui. Non può andare dalla polizia raccontando qualche assurda storiella sul rispettabile Peter Griffin, accusandolo di aver ucciso il suo migliore amico.» «Così è venuto da me» disse Deborah. «E tu sei scappata. Aveva l'informazione che avrebbe potuto salvarti la vita e tu sei scappata. Oh, è troppo bello per essere vero!» «Cos'è successo a Eddie King, Pete?» «Eddie riposa in pace su una collina a poca distanza da Wheeling. Temo di essermi fatto prendere un po' troppo la mano e di averlo torturato per un paio di giorni prima di ucciderlo. Poi, quando Emily sembrava migliorare,
andai da lei e le raccontai per filo e per segno com'era morto Eddie. Le descrissi quei due gloriosi giorni di tortura in modo così circostanziato che lei precipitò negli abissi della follia per sempre.» «E adesso ucciderai anche me.» «Esatto. Steve è sepolto in questa stalla. Ti seppellirò proprio accanto a lui.» «È qui?» balbettò lei. «È qui?» «E dove vuoi che fosse? Non potevo mica trascinarlo a casa e seppellirlo nel cortile, no?» «Ma perché vuoi uccidere anche me?» disse Deborah con voce spenta. «Perché hai scoperto troppe cose. Ho tentato di impedirti di andare a Wheeling, ma tu non mi hai dato retta. Mi hai scaricato i bambini e sei partita col tuo amante. Non sono rimasto affatto sorpreso quando mi hai telefonato per dirmi che passavi la notte lì. Però non mi sarei mai aspettato che trovassi Jeannie. Non credevo che mia nonna si sarebbe mai ricordata di quel nome. E non sapevo che Jeannie fosse di nuovo in città. Ma dopo averle parlato, ho avuto la certezza che sapevi troppo.» «Io non sapevo niente» disse con furia Deborah. «Ho solo indovinato che il marito di Emily era Eddie King, tutto qui.» «Oh, be', forse sono stato eccessivamente precipitoso, però andavi eliminata comunque.» «Eliminata? Perché?» «Perché sei come le altre. Oh, un tempo ti ammiravo. Eri leale verso Steve e ti comportavi da buona madre. Poi, non appena Steve è scomparso, ti sei rivelata per quello che sei veramente. Hai permesso a Joe Pierce di trasferirsi a casa tua la stessa notte in cui Steve è scomparso. Lui non era tuo marito, ma tu lo trattavi come se fosse uno della famiglia. Chiunque avrebbe capito che te la facevi con lui. Ti è piaciuta la sorpresa che ti ho mandato la vigilia di Natale? Forse non lo sai, ma The Way You Look Tonight era la canzone preferita di mia madre. Quel carillon era suo. Poi Kim mi ha detto che aveva scoperto degli anelli giù in cantina e che te li avrebbe regalati la mattina di Natale. Ero stato io a nascondere là quei gioielli la sera della festa in casa tua. Ma che Kim li trovasse e contasse di regalarteli era un colpo di fortuna su cui non avevo contato. E poi c'era la bambola. Tu eri così presa a sbavare dietro Joe che non ti sei nemmeno accorta che l'ho afferrata per portarla in garage.» «Non credi che qualcuno avrà dei sospetti sulla mia sparizione?» chiese lei.
«E perché? La gente penserà che è stato Steve a portarti via.» «E i miei bambini? Dove sono?» «Te l'ho detto. Sono... nascosti.» «Non è vero. Tu non sai dove sono. Ti aspettavi di trovarli quando sei salito di sopra.» Deborah fece una pausa, ricordandosi del viso inespressivo di Pete quando lui aveva guardato nella camera di Adam. «Non c'era nemmeno Adam, vero?» «Si capisce che c'era.» «No, non c'era. È scappato con i bambini, è così?» «E allora?» gridò Pete. «Anche se fosse?» «Pete, cosa gli dirai? Lui avrà capito che è successo qualche cosa di strano. Ecco perché si è portato via i bambini.» «Adam è mio figlio. Mi vuole bene. Gli spiegherò le cose, tutto qui.» «Gli spiegherai che mi hai assassinato?» «Gli spiegherò che la situazione mi è sfuggita di mano. Che tu ti sei messa a lanciare accuse folli. Che hai cercato di assassinarmi e che, tentando di strapparti la pistola di mano, ti ho uccisa accidentalmente.» «Pete, vuoi che tuo figlio sappia che sei un assassino?» chiese Deborah. «Vuoi che sappia che hai ucciso tutte quelle giovani donne? Che hai ucciso Steve?» «Papà?» Con la torcia puntata negli occhi, Deborah non aveva visto Adam, la cui voce proveniva dalla porta aperta della stalla. Pete si girò di scatto e disse con voce roca: «Figliolo! Come sei arrivato qui?» «Ho preso la Ram Charger.» «Ma non hai la patente!» esclamò Pete. Deborah avanzò di un passo, ma Pete si volse di nuovo, puntandole la pistola. «Non farlo!» «Papà, cosa diavolo stai combinando?» «Vattene da qui, Adam.» «No!» Anche se Deborah era contenta che fosse arrivato un qualche aiuto, si sentiva male per la devastazione che doveva provare Adam. Pete parlò in tono gentile. «Figliolo, desidero che tu salga sulla jeep. Ti porto a casa non appena avrò finito. È una notte molto brutta, e sono sorpreso che tu non abbia avuto incidenti per arrivare qui.» «Hai ucciso mia madre» disse Adam. Pete fece un tentativo di sorridere. «Perché dici una sciocchezza del genere?»
«Oh, Dio, papà! Sei stato tu a raccontarmi quella storia di lei che si era messa con un altro uomo.» «Ed era perfettamente vera.» «Forse. Però mi hai raccontato troppi particolari, alcuni non in linea con il tuo carattere. Hai voluto strafare. Eri nervoso perché io volevo fare di tutto pur di trovarla. Per un paio di giorni, ho pensato che ti comportavi davvero in modo strano. Mi avevi detto che era stato un amico della mamma nel Montana a spedirmi le cartoline e le lettere. Però mi è venuto in mente che anche tu avevi un amico nel Montana. Jim Lowe. Così l'ho chiamato e lui ha ammesso di avermi spedito la corrispondenza per tre anni, non per due, come avevi detto tu. A quel punto, mi sono reso conto che probabilmente la mamma non era mai stata laggiù.» Adam si mise a parlare in tono più concitato. «Hai anche detto di aver ingaggiato un investigatore per trovarla, così sono andato a controllare gli assegni annullati restituiti dalla banca nell'anno della sparizione della mamma. Non c'era alcun assegno intestato a un'agenzia investigativa o a una persona di cui non avessi mai sentito parlare. Non hai fatto svolgere nessuna ricerca perché non c'era nessuna ricerca da svolgere, vero?» «Adam, la tua immaginazione non ha alcun freno» disse Pete. «Ti ho visto anche prendere la bambola di Kim in cucina. Non riuscivo a capire cosa volessi fare, poi, in serata, ho sentito che chiamavi Deborah. Ti ho sentito dire quella bugia sull'assassinio di Barbara. Non ero ancora sicuro riguardo alla mamma, ma dopo averti sentito fare quella telefonata, ho capito tutto.» Gli sfuggì un singhiozzo disperato. «Ho capito che stavi cercando di far tornare indietro Deborah per ucciderla. Ma siccome eri sempre in giro per casa, non ho potuto prendere il telefono e avvisare la polizia. Alla fine, poco prima che arrivasse Deborah, ho portato via i bambini facendoli passare dalla porta di servizio.» «Oh, grazie a Dio!» gemette Deborah. «Stanno bene?» «Sì.» Adam esitò. «Papà, dopo aver portato fuori i bambini, ho chiamato la polizia.» Ci fu un attimo di silenzio. Poi Pete borbottò: «Dannazione!» e sparò un colpo di pistola. Deborah sentì il proiettile sibilare in aria, prima di avvertire un intenso bruciore al braccio. Gridò e cadde a terra, stringendosi il braccio ferito. Il sangue schizzava fuori da un punto poco sotto la spalla. «Papà, smettila!» gridò in tono isterico Adam. «Non raccontatimi bugie!» urlò di rimando Pete. «Non hai chiamato la polizia.»
«Sì.» «E invece ti dico di no.» Pete sogghignò. «Credo che tu abbia portato i bambini da Barbara e le abbia detto di telefonare, poi te ne sia venuto qui. Probabilmente, ti sei ricordato di questo posto mentre gironzolavi in auto, ma la polizia non ne sa niente.» Adam restò in silenzio, e Deborah capì che Pete aveva ragione. «Ottima mossa, figliolo, ma non funzionerà.» All'improvviso, Adam scattò in avanti. Con sorprendente destrezza, Pete schivò l'attacco e Adam finì a terra urtando il braccio di Deborah, che gridò per il dolore. «Scusami» borbottò lui mentre cercava di tirarsi in piedi. «Adam, piantala con questi ridicoli eroismi» disse Pete. «Vattene da qui.» «Non permetto che tu uccida anche Deborah come hai fatto con mia madre.» «Devo ucciderla, non lo capisci? Ma questo sarà il nostro segreto.» «Cristo, papà, ma sei impazzito?» «Non parlarmi così!» «Sei un assassino! Ti adoravo e ho scoperto che sei un lurido violentatore e un assassino! Come hai potuto uccidere tutte quelle donne? E Steve? Come hai potuto uccidere la mamma?» «Tua madre era una donnaccia ed esercitava una cattiva influenza su di te. Ho fatto quello che era giusto, e adesso sono stufo di discutere.» «Adam, vattene» disse in fretta Deborah. «Ti ucciderà.» «Meglio me che tutti e due.» «Ha ragione, figliolo.» «Perché tu non mi uccideresti, vero?» chiese Adam in tono incredulo, la voce tremante per l'angoscia. «Muoviti. Ora!» ordinò Pete. Adam rimase immobile per qualche secondo, poi balzò di nuovo verso suo padre. Stavolta afferrò Pete per le gambe e i due caddero a terra. La torcia rotolò via e Deborah non riuscì a vedere niente. Sentì solo dei grugniti, poi Adam emise un grido di dolore. Lei si sentì gelare il sangue nelle vene. «Adam!» chiamò. «Adam, va tutto bene?» «Lui... sta bene» rispose Pete, senza fiato. «Adam?» chiamò ancora Deborah. «Adam?» Il ragazzo emise un gemito e lei provò un senso di sollievo. Se non altro, era vivo. Contro la montagnola di neve visibile dalla porta aperta della stalla, De-
borah scorse una sagoma alzarsi da terra. Dall'altezza della silhouette, capì che si trattava di Pete. «Pete, ti prego» lo supplicò. «Ho due bambini da crescere.» «Loro hanno i nonni, proprio come me. Se la caveranno bene, e speriamo che Kimberly non diventi una puttana come la madre. Mi spiace, ma te la sei voluta.» Puntò la pistola. Deborah aveva sentito spesso che, prima di morire, si ripercorre la propria vita in un rapido flash. Ma non fu così. Lei era consapevole solo della fredda terra, dell'odore acre e della sagoma di Pete stagliata contro la neve. Lui armò il cane della pistola... Una silhouette apparve alle sue spalle e spiccò un balzo. Con un grido, Pete cadde nuovamente a terra. Le due figure presero a lottare, poi dalla pistola esplose un colpo. Deborah era troppo agitata per muoversi. Una delle due sagome sul terreno era immobile. «Deborah?» chiese ansiosamente Joe. «Stai bene?» «Meravigliosamente» sussurrò lei prima di svenire. Epilogo «Ti fa male, mamma?» chiese Kimberly, guardando con ammirazione il braccio bendato di Deborah. «Non molto, tesoro» mentì lei. Erano le otto del mattino, e il sole faceva risplendere la neve visibile dalle finestre del salotto. Deborah sedeva sul divano, circondata da Barbara, Evan, Joe, Scarlett e i bambini. Adam era in ospedale con una leggera commozione cerebrale e un polso slogato. Ma il vero dolore per il ragazzo sarebbe cominciato dopo, quando avrebbe avuto pienamente modo di assimilare la verità su suo padre. Deborah sperava solo che lui fosse così forte come sembrava. Se non altro, Pete non sarebbe stato processato per gli omicidi commessi. Nella colluttazione tra lui e Joe, un proiettile gli aveva trapassato il cuore. Deborah non aveva ancora parlato di Steve coi bambini. Li avrebbe messi al corrente in un secondo momento, quando si fossero calmati dopo l'eccitazione provata per la loro fuga segreta da Barbara, dove erano rimasti fino a un'ora prima. Non appena i bambini andarono in cucina per preparare la colazione a Scarlett, gli adulti tornarono a discutere degli eventi della sera prima. «Non riesco ancora a credere che Lieber ti abbia portato a Charleston» dis-
se Barbara, rivolta a Joe. «Se non fosse stato per lui...» «Prima di farlo diventare un eroe, ricordati che Lieber stava solo cercando di discolparsi dall'accusa di aver assassinato Steve» disse Joe. «Era venuto a Charleston con l'intenzione di uccidere lui stesso Steve, anche se adesso dice che non ha avuto il coraggio di procedere.» Joe si strinse nelle spalle. «Forse è così, o forse Pete lo ha semplicemente battuto sul tempo. In ogni caso, lui sapeva che sarebbe stato il sospettato numero uno, perciò ha cercato di convincere Deborah in modo che lei facesse convergere l'attenzione dell'FBI su Pete. Se le cose non gli fossero andate bene, Lieber avrebbe rischiato di passare il resto della sua vita in carcere.» «Chi avrebbe mai creduto che la signora Dillman ce l'avrebbe fatta a sopravvivere?» disse all'improvviso Barbara. «Fred mi ha detto che ha ripreso conoscenza, ieri notte» affermò Deborah. «Ha subito rivelato ai medici di essere stata aggredita da Pete Griffin, aggiungendo che io e i bambini eravamo in pericolo. Loro non le hanno creduto, ma la signora Dillman aveva assolutamente ragione.» «È incredibile» disse Barbara. «Spero che se da vecchia dovessi avere problemi con la memoria, almeno mi resti la forza di resistenza della signora Dillman.» Sorrise a Evan e si guardò il nuovo anello alla mano sinistra. «Specie dato che ben presto dovrò occuparmi di un giovane marito.» Evan sorrise. «Tesoro, quando avrai l'età della signora Dillman, io avrò ottantacinque anni. E non credo che sarò poi tanto giovane.» In seguito, con grande gioia da parte dei bambini, Evan e Barbara andarono a prendere la colazione per tutti da McDonald's. Mentre loro erano via, Joe lanciò a Deborah uno sguardo ironico. «Due giorni fa, credevo che quei due fossero finiti. E ora si sono fidanzati ufficialmente.» «Barbara ha detto che il loro rapporto aveva raggiunto un punto di crisi. Evan doveva scegliere, e per fortuna ha scelto lei.» Deborah sospirò. «Sai una cosa, Joe? Non riesco ancora a credere che Steve sia stato assassinato. Mi sembra che se ne sia semplicemente andato, così.» Fece schioccare le dita. «Non rivedrò mai più il suo sorriso, non lo sentirò mai più lamentarsi del fatto che i bambini vedono troppa televisione, non lo guarderò mai più curare le piante.» Scosse la testa. «Ero arrivata a odiare il nostro party natalizio... c'era troppo lavoro da sbrigare... ma adesso darei una festa tutte le sere, se lui fosse ancora qui.» I suoi occhi si riempirono di lacrime. «Oh, Joe, mi sento così sciocca a starmene seduta qui e a parlare come se non fosse successo nulla...» «Ne hai passate troppe per poter assorbire completamente il dolore, al-
meno adesso» disse gentilmente lui. «So che lo amavi. E lui sapeva che lo amavi. Non devi sentirti in colpa perché non ti sei ancora del tutto ripresa. Ma ora ci sono i bambini a cui pensare, e devi rimetterti in sesto per loro. Il dolore lo sentirai per intero solo dopo, sfortunatamente.» «Lo so.» Lei aggrottò le sopracciglia. «Quello che non so è come dirlo ai bambini.» «Ti serve aiuto?» Lei guardò il viso stanco dell'uomo, con gli occhi iniettati di sangue e la cicatrice che spiccava in modo persino più prominente del solito. «Credo di averti disturbato anche troppo, ultimamente.» Joe si sedette sul divano accanto a lei e la fissò negli occhi. «Spero che Steve possa perdonarmi, ma, nonostante le circostanze, questa settimana sono stato felice di restare qui con te e i bambini. Mi sono divertito a far giocare i piccoli e a cenare tutti e quattro insieme. E persino a sgattaiolare nei cortili delle case con te nel bel mezzo di una nevicata.» «Oh, Joe» balbettò Deborah, sentendosi colpevole, triste e compiaciuta allo stesso tempo. «Non so cosa dire.» «Di' solo che non mi escluderai dalla tua vita, ora che il pericolo è cessato.» La voce dell'uomo si addolcì. «Ti prego, Deborah. Vorrei tanto aiutarti, se posso.» Lei si guardò le mani per un attimo. «Abbiamo bisogno di te, tutti. Kim, Brian e io abbiamo bisogno di te.» Incrociò lo sguardo dell'uomo e sorrise. «Non ti escluderò dalla mia vita, Joe. Non lo farò mai.» FINE