MARION ZIMMER BRADLEY DARK SATANIC (Dark Satanic, 1972) CAPITOLO 1 La targa sulla porta, in piccole lettere dorate, dice...
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MARION ZIMMER BRADLEY DARK SATANIC (Dark Satanic, 1972) CAPITOLO 1 La targa sulla porta, in piccole lettere dorate, diceva JAMES C. MELFORD, DIRETTORE. La ragazza quasi graziosa alla reception sorrise, premette un tasto e mormorò: «Signor Melford? Può ricevere il signor Cannon per qualche minuto?» Ascoltò per un istante, poi il viso le si illuminò di un nuovo sorriso, appena più cordiale del precedente, mentre annunciava: «Si sieda, signor Cannon. Il signor Melford sarà da lei tra un momento». L'uomo in piedi all'altro capo del tavolo - alto, magro e leggermente curvo, con i tratti tirati, il viso che pareva consumato da insormontabili preoccupazioni - si allontanò con passo nervoso e lasciò cadere il corpo allampanato su un divano di plastica. Prese in mano una rivista ma la sfogliò appena, facendone scorrere velocemente le pagine come se si trattasse di un mazzo di carte, prima di posarla dov'era prima. Allungò il collo, voltandosi a destra e a sinistra, per guardarsi attorno nell'ufficio, e aggrottò le sopracciglia come se avesse smarrito qualcosa che non riusciva a ricordare con esattezza. Di qualunque cosa si trattasse non era lì, o almeno il suo sguardo non vi si soffermò. Un alberello di Natale di plastica verde decorato con palline di vetro blu e fiocchi rossi troneggiava sulla scrivania dell'impiegata che riceveva i visitatori. Su uno scaffale accanto al suo tavolo erano disposte alcune decine di libri in edizione economica dai colori brillanti, gli ultimi titoli pubblicati dalla Blackcock Books. Fermò per un istante lo sguardo su due volumi nella parte alta della libreria: La vera storia della stregoneria e Vudù nel mondo moderno, di John Cannon. Serrò le palpebre, come per un dolore intenso, e la ragazza seminascosta dall'albero di Natale sollevò per un attimo il capo: «Tutto bene, signor Cannon?» «Sì... sì, grazie», rispose, e protese con determinazione un braccio per afferrare di nuovo la rivista. La tenne stretta senza aprirla, con le mani che ne serravano i bordi, come se quell'immobilità gli costasse molto. Gli occhi della ragazza si soffermarono per un istante su di lui, ma lo squillo di un telefono riportò la sua attenzione al centralino, e Cannon allentò la presa sul giornale, sospirando impercettibilmente.
La porta dell'ufficio si aprì d'un tratto e un uomo ancora giovane, con la cravatta allentata e una folta e disordinata criniera castano chiaro apparve sulla soglia. Un sorriso caloroso gli rischiarò il viso. «Ciao, Jock, che bello vederti. Vuoi entrare?» Tese la mano. Aveva una voce calda e accogliente, una stretta decisa. Cannon, alzatosi con aria impacciata dalla sedia, si rilassò leggermente, ricambiò il sorriso e si lasciò condurre dentro. L'ufficio, luminoso, allegro e senza pretese, conteneva un'ingombrante scrivania sovraccarica di libri e di manoscritti; altri manoscritti, in contenitori e spesse buste, erano ammonticchiati su scaffali e mensole disposti ai due lati del tavolo. Alle pareti erano appese immagini dai colori sgargianti, evidentemente gli originali delle copertine della casa editrice, e una statuetta di bronzo con scritto, sul piedistallo, PREMIO DI FANTASCIENZA 1967 troneggiava al posto d'onore in cima a uno schedario. Uno dei dipinti mostrava un diavolo verde con occhi rossi fiammeggianti e corna enormi; Melford colse lo sguardo del suo ospite e sorrise di nuovo, con affetto, mentre tornava dietro alla scrivania. «Sì, quello è Il diavolo in America. È ancora uno dei titoli che vendiamo meglio, tanto che stiamo pensando di fare una ristampa questa primavera, sempre che io e il tuo agente riusciamo a metterci d'accordo. Siediti, siediti.» Si sedette alla scrivania e indicò a Cannon la sedia più vicina. «Una sigaretta? Come stai, Jock? Hai l'aria sbattuta. Quando ho chiamato il tuo agente, la settimana scorsa, ha detto che sei stato in campagna per cercare di riposare. Cosa ti succede, amico? La gente della nostra età non dovrebbe avere bisogno di riposo!» Sopraffatto da quel chiacchiericcio allegro Cannon si rilassò con un sorriso nervoso. «Niente, credo. Forse mi sono beccato quell'influenza proveniente da Hong Kong, ecco tutto. Sì, sono andato nel Massachusetts per qualche giorno... Ho pensato che forse avrei lavorato meglio in quel luogo appartato: solo che, dopo qualche giorno», confessò esibendo di nuovo quel sorriso timido e pieno di autoironia, «la tranquillità ha cominciato a darmi sui nervi.» «Parli proprio come mia madre», osservò Melford ridacchiando, «sempre a rievocare i bei vecchi tempi. Eppure, quando è mancata l'elettricità, l'anno scorso, e lei e Barbara hanno dovuto cucinare qualche pasto con l'aiuto di un fornellino da campo e del camino, dovevi sentire come imprecava! Bisogna ammettere che Barbara, invece, ha fatto buon viso a cattivo gioco. Chiedeva di te l'altro giorno... Barbara, intendo. Allora, che succe-
de?» «Problemi», si limitò a rispondere Cannon, sulla difensiva. Melford, pur serbando un'aria cordiale, aveva corrugato leggermente la fronte. «Se si tratta di denaro, Jock, siamo nella stagione morta, ma forse la contabilità accetterebbe di concederti un altro anticipo.» «Oddio, no, non sono in bolletta», si affrettò a rettificare Cannon, «non più del solito, perlomeno. No, non sono venuto per una questione di soldi, Jamie. Naturalmente dell'altro denaro mi farebbe comodo, a me come a chiunque altro, ma se avessi voluto batter cassa avrei incaricato il mio agente.» Rise nervosamente. «No, si tratta di qualcosa d'altro. Ti è arrivato il manoscritto del mio nuovo libro, vero?» «Certo, è qui, da qualche parte.» Jamie Melford attirò a sé una voluminosa scatola che recava il nome di una delle più grandi agenzie per autori. Tolse il coperchio ed estrasse un grosso dattiloscritto. «Dovremo fare qualcosa per il titolo, Jock: Stregoneria: il suo potere nel mondo odierno... non è brutto. È semplicemente un po' lungo, e poi ricorderebbe a tutti il libro di William Seabrook. Penseranno tutti di averlo già letto e non lo compreranno. È un ottimo libro, Jock. Mi è piaciuto... mentre lo leggevo ho dimenticato di fare le solite correzioni.» «L'hai letto? Di già?» «Ci puoi scommettere. Lo compriamo, è inutile nascondertelo, e probabilmente ti faremo avere un contratto all'agenzia prima della fine della settimana. Dovresti avere i soldi in tempo per gli acquisti di Natale.» «Il fatto è», obiettò Cannon, con l'aria di chi si decide finalmente a parlare, «che non sono contento del libro.» Melford strinse le labbra. Quel gesto lo faceva sembrare più vecchio di dieci anni ed era fuori posto su quel viso giovanile. «Non capisco, Jock. È un bel libro, migliore dei precedenti. Certo, esagera un po'. Non posso dire di credere a tutte quelle strane storie su... come si chiamano?... le congreghe di streghe che opererebbero proprio qui, a New York. Ma, dopotutto, è proprio quel genere di sensazionalismo che fa vendere i libri, e non penso che molti lo prenderebbero sul serio, proprio come non prendono sul serio Bela Lugosi in Dracula. A parte il solito gruppetto di pazzoidi, naturalmente.» «È questo il guaio, Jamie», ribatté Cannon. «Senza volere, devo aver pestato i piedi a qualcuno. Ho avuto dei problemi...» Jamie ridacchiò. «Ah, immagino che tutte le streghe del posto stiano infilando aghi nella tua foto...»
«Non mi stupirebbe», commentò Cannon a bassa voce. Jamie tacque e lo fissò prima di chiedere: «Parli sul serio, Jock?» Cannon si torse le lunghe dita nervose. «Sì. Avevo una gran paura che ridessi di me.» «Certo che no, amico. Ci sono talmente tanti svitati in questa città che qualcuno si offende per forza qualunque cosa pubblichiamo. Ricordi quel libro sul vizio nelle strade? Che tu ci creda o no, una società di folli che si autodefiniva Lega per la Libertà Sessuale mi ha chiamato ogni giorno per una settimana affermando che avevamo fatto arretrare di dieci anni delle abitudini sessuali perfettamente legittime, o qualche scemenza del genere. E quella biografia di... come diavolo si chiamava?, sai, quel generale che si è fatto licenziare... la John Birch Society continuava a telefonare per definirci sporchi radicali comunisti e anche peggio.» Jamie sorrise di nuovo in quel suo modo affettuoso e rassicurante. «Allora anche tu cominci ad attirare gli svitati? Accidenti, è un complimento... mostra che sei conosciuto. Chi si preoccuperebbe di calunniare lo scemo del villaggio?» Cannon, però, continuava a sembrare scosso e agitato. Riprese: «Eppure, sembrava così... autentico. E poi, la settimana scorsa, quando sono stato male», ebbe un riso forzato, «ho cominciato... a farmi delle domande.» «Senti», intervenne Jamie prima che lo squillo del telefono lo interrompesse. Afferrò il ricevitore e si presentò: «Jamie Melford». A poco a poco il viso gli si rabbuiò e la fronte si aggrottò. «Sì, Cannon adesso è qui... cosa? Che cosa? Insomma, chi parla? Senta, lei...» Si alzò con il ricevitore ancora in mano, da cui proveniva il suono debole ma chiaramente percepibile della linea interrotta. «Un maledetto pazzo», esclamò arrabbiato, «un cretino che diceva frasi oscene. È questo che ti è capitato, Jock?» «Questo, e altro», ammise Cannon, ormai deciso a sfogarsi. «Tutto è cominciato con le telefonate. Una sgradevole vocina che sussurrava: non sono riuscito a capire se fosse un uomo o una donna, era solo una voce che mi minacciava dei castighi più orribili se avessi finito il libro. Ecco perché sono andato in campagna: credevo che almeno lì mi avrebbe lasciato tranquillo. Invece sono cominciate le lettere e una volta ho trovato un pollo morto davanti alla porta di casa, pieno di sangue, e un'altra volta una foto... la foto di una lurida bambolina piena di spilli...» Gli si ruppe la voce e venne percorso da un brivido. Jamie lo fissò inorridito. «Pura follia...» mormorò. «Anch'io ho pensato di stare impazzendo.»
«Buon Dio! Non parlavo di te, Jock, ma degli sporchi bastardi che fanno una cosa del genere. Senti, Jock, o è uno scherzo bene architettato - il meno divertente che abbia mai visto, credimi - oppure un folle che prende queste faccende sul serio ha deciso di farti uscire dai gangheri, di farti perdere la testa. Usa il cervello! Non può farti del male con le sue formule magiche a meno che tu non gli permetta di spaventarti!» «Non ne sono tanto sicuro», obiettò Cannon, ancora con voce malferma. «Seabrook le prendeva sul serio queste cose. Sapeva di persone che erano state uccise da quelle che tu chiami formule magiche!» «Selvaggi... indigeni superstiziosi e creduloni... anch'io ho letto il suo libro. Non ti può danneggiare a meno che tu non ci creda.» «Neanche di questo sono tanto sicuro», replicò Cannon. «Ho studiato e scritto su questo argomento per cinque anni, e ho pubblicato otto libri. Sto cominciando a prenderlo sul serio, maledettamente sul serio. Credo che lo si capisca dai miei libri, e temo che sia per questo che mi perseguitano.» Jamie Melford fissò l'amico con un'espressione preoccupata. Era troppo sensibile per liquidare con una risata ciò che turbava tanto l'uomo più anziano di lui, eppure lo scetticismo radicato in lui gli suggeriva che erano soltanto sciocchezze. Dichiarò, con voce che rifletteva quel dilemma interiore: «Be', Jock, non so cosa dirti. Non avrei mai pensato che proprio tu ti lasciassi influenzare e abbattere da situazioni del genere. Non sei tu che hai smascherato quarantotto falsi medium nel tuo primo libro?» «Sì», concesse Cannon parlando lentamente, «e solo in seguito mi sono accorto che alcuni non li potevo smascherare, e non perché fossero tutti più furbi di me. Inoltre, più tardi ho capito che nessuno si prenderebbe la briga di simulare falsi fenomeni paranormali senza un modello autentico da imitare.» «Be', su questo non ho niente da dire», tagliò corto Melford. «Non sono un esperto del settore. So solo che i tuoi libri si vendono bene e che vi sono moltissime persone, in questo paese, che leggono tutto ciò che possono sull'argomento, compreso ogni nuovo volume di John Cannon. Però sei tu a essere perseguitato, non io. Posso infischiarmene delle telefonate come quella di poco fa, ma tu non ti lascerai intimidire da quella gente, vero, Jock?» «Spero di no, ma...» gli tremò la voce. «Non so proprio cosa fare. La lettera che ho ricevuto stamattina...» Si frugò in tasca e ne estrasse un foglio che appoggiò sulla scrivania. Entrambi si chinarono per leggerlo.
Le lettere maiuscole, disordinate, dicevano: RITIRA IL NUOVO LIBRO E SALVATI LA VITA, OPPURE JONATHAN LAWRENCE CANNON PREPARATI A MORIRE. Melford scosse il capo, con le labbra strette per la collera. «Apparentemente conoscono il nome con cui firmi i contratti, per quel che conta», si limitò a commentare. Cannon assunse un tono diffidente. «Immagino che tu non voglia... ritirare il libro...» «Sei impazzito? Ma se ti ho detto che per me è la tua opera migliore. Cosa pensa tua moglie di questa faccenda, Jock?» «Ho cercato di tenerla all'oscuro», replicò Cannon. «Sono riuscito a nasconderle tutto, meno il pollo morto. È stata lei a trovarlo, e ne è rimasta scossa. Bess è una tipa in gamba, è venuta con me in giro per tutta Haiti per il libro sul vudù, quindi conosce il significato di quel simbolo. Naturalmente, la risposta possibile, per lei» - sorrise debolmente - «è una sola: torna all'ovile. Le ho detto che non intendevo combattere la superstizione con la superstizione: come se l'acqua santa e un rosario potessero annullare una maledizione...» Jamie rise ad alta voce. «Be', se una delle due ha un fondamento reale, dovrebbe avercelo anche l'altra, amico», dichiarò. «Forse dovresti combattere il fuoco con il fuoco. Avrebbero grossi problemi se volessero scagliare una maledizione contro qualcuno che va a messa, no?» Cannon rispose con serena dignità: «Non sono un uomo religioso, ma rispetto troppo la religione di Bess per fingere di crederci». Jamie tornò serio. «Hai ragione tu, immagino: ma io rispetto troppo la razionalità per ritirare il libro e permettere a un gruppo di pazzoidi di spaventarmi. E credo che lo stesso valga per te, Jock. Perché non ti riposi un po'? Hai l'aria stanca, sei stato male e probabilmente hai i nervi a fior di pelle. Senti, cosa ne dici se chiamo la contabilità oggi stesso perché ti concedano subito un anticipo, così puoi permetterti di andartene via per qualche giorno e rimetterti in sesto? Fatti vedere da un medico per un controllo generale: quando ti dirà che sei sano come un pesce, ti vergognerai di tutto ciò che ti sei immaginato. Andrà tutto bene, Jock; non me lo perdoneresti se permettessi a un manipolo di svitati di farti paura!» Si alzò e tese la ma-
no. «E adesso devo proprio mandarti via, amico; ho appuntamento con Barbara alle cinque per un cocktail. Salutami Bess e dille di chiamare Barbara uno di questi giorni, così ci organizziamo per cenare insieme. Allora, ti faccio spedire quell'assegno, d'accordo?» Cannon si alzò, ancora indeciso sul da farsi, ma la stretta di mano vigorosa e le parole rassicuranti di Jamie gli impedirono di continuare. Quando la porta di Jamie Melford si chiuse, l'editore mormorò: «Wow! Poveretto! E con questo, ho veramente sentito di tutto», e trasse nuovamente a sé il manoscritto. Sorridendo, scrisse un appunto per la sua assistente, Peggy Kane, affinché si occupasse dell'anticipo; gli procurava un autentico piacere fare un favore a uno dei suoi autori, e l'agitazione di Cannon lo aveva profondamente turbato. Fuori dell'ufficio, nell'atrio dove aspettava l'ascensore, Jonathan Cannon si premette una mano sul cuore, con il viso trasfigurato da una smorfia di dolore. Estrasse la lettera stropicciata dalla tasca e la fissò, poi chiuse gli occhi. CAPITOLO 2 C'erano giorni, decise Barbara Melford, in cui non valeva proprio la pena di alzarsi dal letto. Ed era proprio uno di quei giorni. Aveva avuto uno dei litigi, ormai quasi quotidiani, con sua suocera prima di uscire di casa: l'anziana signora Melford non riusciva mai a evitare commenti sui tempi della sua giovinezza, in cui le donne restavano a casa e si occupavano della casa. Barbara era riuscita, per miracolo, a evitare la replica che le stava sulla punta della lingua: con la signora Melford in giro, nessun altro sarebbe potuto intervenire neppure con un dito nella gestione della casa. Eppure, ne aveva sofferto. Poi aveva trascorso la mattinata alle prese con una baby-modella, viziata e vociante e mezza raffreddata, e con l'insopportabile madre della bambina. Quando finalmente era riuscita a sistemare lo sfondo come voleva, una delle luci dello studio si era bruciata e lei si era scottata cambiando la lampadina. Nel pomeriggio si era scatenato un acquazzone improvviso e una modella era arrivata con i capelli bagnati, che avevano dovuto essere asciugati e pettinati prima di procedere. E, come se non bastasse, temeva di avere il malocchio. Maledizione, pensò, scrollando vigorosamente le spalle protette dal giaccone da marinaio, se Jamie e io non fossimo sposati, sarei già rimasta incinta almeno quaranta volte. Pazienza, non sono partico-
larmente ansiosa di avere un bambino con mamma Melford alle costole. Però, il povero Jamie ci resterà malissimo anche stavolta; e ricomincerà a insistere perché torni dalla dottoressa Clinton, anche se, l'ultima volta, mi ha detto di rilassarmi e aspettare un anno prima di rifare di nuovo tutti gli esami. Il vento ghiacciato e la melodia di Joy of the World, intonata da tre esponenti dell'Esercito della Salvezza stonati e mezzo congelati, che si esibivano senza troppo entusiasmo davanti ai grandi magazzini in fondo all'isolato, la colpirono contemporaneamente quando uscì in strada. Si frugò in tasca e gettò qualche moneta nel piatto delle offerte, accorgendosi troppo tardi di avervi lasciato anche l'ultimo gettone per la metropolitana. Accidenti, non poteva certo andare a ripescarlo davanti a quei poveretti. Proseguì a piedi, corrucciata, verso l'angolo dov'era solita incontrare Jamie dopo il lavoro. Come sempre era arrivato prima di lei, bello come al solito nel pesante cappotto di tweed e con in testa il berretto di astrakan che gli aveva regalato lei all'ultimo compleanno, e quella visione le scaldò il cuore. Per fortuna Jamie non faceva mai battute sul proverbiale ritardo delle donne; sapeva cosa succedeva a lavorare con persone capricciose, ciascuna delle quali poteva far slittare un'intera scaletta di appuntamenti. «Ciao, tesoro.» Barbara cominciò a camminargli a fianco. «Una buona giornata?» «Abbastanza. Ripariamoci da questo vento, okay? Berrei volentieri qualcosa. E tu?» «Un caffè, grazie. Credo che mi stiano per venire le mestruazioni.» «Oh, mi dispiace, amore.» Con suo grande sollievo, non le parlò della dottoressa Clinton. Scesero gli scalini che portavano al locale, si sedettero e ordinarono. Quando intravide le loro due sagome in uno specchio che sovrastava i tavoli, Barbara pensò ancora una volta quant'era bello Jamie e quant'era fortunata ad averlo. Dio sa che parecchie donne più carine di lei avevano cercato di conquistarlo. Si vide nel suo giubbotto da marinaio senza fronzoli, la minigonna scozzese e gli stivali alti, alla moda, i capelli corti, scuri e ricci, riparati da una sciarpa scozzese. Barbara, che lavorava nel mondo della moda e conosceva il glamour come le sue tasche, lo sospettava di essere un universo falso, e preferiva considerarsi carina invece che bella. Il cocktail di Jamie e il caffè di Barbara arrivarono; lei si tolse la sciarpa e si ravviò i capelli con una mano. «Uff, che giornata!»
«Dura?» «Durissima. Sto seriamente pensando di rifiutare di lavorare con bambini sotto i dieci anni. Lo so che non è giusto: in genere sono dolci, ma ogni tanto mi capitano di quelle pesti... Sto meditando di dire all'agenzia che non intendo più lavorare con Peggy Andrews, o almeno non con sua madre nei dintorni. Il problema è che è identica, ma proprio identica, all'Alice di Tenniel, e sembra essere il tipo che fa andare in brodo di giuggiole editori e direttori artistici. Proprio come quei ragazzini biondi che assomigliano in tutto e per tutto a Christopher Robin.» Jamie non riuscì a trattenere una risatina. «In poche parole sei riuscita a snocciolare tutta una teoria di archetipi junghiani, tesoro. Ma non dirmi che hai l'aria così distratta solo per via di quella bambina impossibile.» «Oh, no, solo che me n'è capitata una dopo l'altra per tutto il giorno, e scoprire che pende su di me una maledizione è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.» Fece una risatina nervosa. «Forse qualcuno infila spilloni sulla mia immagine.» «Ahi!» esclamò Jamie con una smorfia infastidita. «Non cominciare con questa storia, Barby.» «Cosa succede, amore?» gli chiese lei, riconoscendo un vero disagio dietro i suoi modi disinvolti. Jamie spiegò: «Jock Cannon è passato in ufficio oggi», e le fornì un breve resoconto dei problemi di Cannon. «Ma è orribile», commentò turbata, «è un tipo così in gamba, e Bess Cannon è dolcissima. Jamie, non credi che sia davvero nei guai, vero?» «Be', non credo che sia vittima di un incantesimo, Barbara. Usa il cervello», esclamò Jamie bruscamente. Barbara ribatté lentamente: «Non intendevo quello. Ma sul giornale di oggi ho letto un articolo su una ragazza che era... cioè, che diceva di essere una strega... dedita alla stregoneria e tutto il resto. E poi c'è Sybil Leek, che scrive libri sulla stregoneria. E tutti i particolari nei libri di Jock...» «Ridicolo», tagliò corto Jamie ridendo. «No, temo solo che il povero vecchio Jock sia sulla strada di un bell'esaurimento nervoso. È una persona sensibile, impressionabile, e i soggetti dei suoi libri stanno cominciando a influenzarlo.» «Vuoi dire che secondo te sta immaginando tutto? In effetti, ho sentito parlare di persone che scrivono a se stesse delle lettere anonime e roba del genere...» «No, no, non è quello che volevo dire. Secondo me è vittima di una per-
secuzione o di un inganno da parte di un gruppo di svitati e attribuisce alla faccenda un'importanza e una gravità eccessive. Non credo che possano davvero uccidere qualcuno con quelle scemenze, ma se Jock le prende troppo sul serio potrebbe finire nelle stanze imbottite di Bellevue a tagliare bamboline di carta.» «No, ti prego!» esclamò Barbara turbata. Jamie si corresse subito. «Scusa, mi ero dimenticato...» «Non importa. Povero Jerry...» Si morse il labbro, cercando di non ripensare al suo unico fratello. Aveva sofferto di un grave esaurimento nervoso, e i medici avevano suggerito di farlo ricoverare. Jamie era stato disposto a pagargli un periodo in un ospedale psichiatrico, ma la signora Melford aveva tanto insistito nel sottolineare che sarebbe stata una terribile disgrazia per la famiglia se si fosse saputo che la moglie di suo figlio aveva un parente pazzo - naturalmente nessuno nella loro famiglia era mai stato nell'ospedale dei pazzi, come si ostinava a chiamarlo - che Jamie aveva temporeggiato, cercando di capire se Jerry avrebbe potuto «venirne fuori da solo». Jerry si era sparato quattro settimane dopo. Barbara intervenne con voce tesa: «Senti, capisco il punto di vista di tua madre. Appartiene alla generazione precedente e non riesce a vedere che i tempi sono cambiati. Stava davvero cercando di aiutarmi a sfuggire quella che considerava sinceramente un'orribile disgrazia. Non ha smesso di ripetermi che stava solo pensando al futuro di Jerry se qualcuno l'avesse scoperto. L'ho perdonata, sul serio, sono sicura di non avercela con lei. Però, era il mio unico fratello. E spero con tutto il cuore che, se Jock Cannon sta crollando, Bess Cannon lo aiuterà a entrare in ospedale prima che sia troppo tardi!» «Sinceramente, non credo che sarà necessario», obiettò Jamie. «Dopotutto, non è che immagini di sana pianta quello che gli succede. Anch'io ho ricevuto una telefonata: il linguaggio più volgare che tu possa immaginare, e una voce che mi minacciava di ogni sorta di punizioni terribili se pubblico il libro di Jock. La differenza è che io sono abituato a questo genere di reazioni e Jock no. Deve andare via, ritrovare il senso delle proporzioni.» Ma Barbara era impallidita. Mormorò: «Immagina se cominciano a fare anche a te quello che stanno facendo a Jock, di qualunque cosa si tratti...» Ridacchiò. «E allora? Che facciano quello che vogliono, amore; che mi maledicano o che preghino per me, non fa nessuna differenza, non possono farmi del male. Andiamo, siamo nell'era moderna! E dire che sono io a sorbirmi romanzi di fantascienza e dell'orrore ogni giorno!»
Barbara sospirò e chiese: «Ma perché lo tormenterebbero?» Jamie alzò le spalle. «Non sono uno psichiatra, ma immagino che ci siano dei pazzi in questa città che praticano la stregoneria, o pensano di praticarla, e non amano che Jock lo faccia sapere in giro. Senti, tesoro, è un argomento troppo deprimente per discuterne a tavola. Ordiniamo una bella bistecca, e crepi l'avarizia.» Lei sorrise debolmente. «Mi sembra un'ottima idea.» «Dammi solo un minuto per chiamare mia madre», disse Jamie, alzandosi. Barbara intervenne, in tono quasi colpevole: «Credi che dovremmo chiederle di unirsi a noi?» Melford sorrise sereno. «Non credo proprio, Barby. Immagino che le faccia piacere avere la cucina per sé di tanto in tanto, proprio come a noi piace stare per conto nostro. Lasciami solo il tempo di chiamarla velocemente. Torno tra un minuto.» Barbara si rilassò, bevve un sorso del drink di Jamie, riflettendo su sua suocera. Ebbe uno strano pensiero: Per fortuna che le streghe non esistono, altrimenti la signora Melford mi avrebbe fatto il malocchio già da un pezzo. Era così umiliante non andare d'accordo con la suocera. La faceva sentire come il personaggio stupido di una sit-com d'infima qualità, invece di una donna intelligente alla fine del ventesimo secolo. Jamie tornò a sedersi davanti a lei. «Mia madre sta bene», dichiarò, «è felice come una pasqua. Anche lei ha un'ospite per cena. Pare che Dana Becker sia tornata in città.» Barbara rise debolmente. «Te l'avevo detto che non era la mia giornata», commentò, poi operò qualche variazione sul pensiero che aveva avuto mentre Jamie era al telefono. «È un bene che non ci siano streghe, altrimenti Dana avrebbe usato un incantesimo per acchiapparti. Dio sa che tutto il resto l'ha già fatto.» Anche lui sorrise. «Oh, andiamo, Barbara», protestò, «non è da te essere vendicativa, e oltretutto è acqua passata. Non è colpa di quella povera ragazza se mia madre era decisa a farmi sposare lei invece di te. Dopotutto, ho finito per sposare te. E dato che è un'amica della mamma, immagino che dovremo vederla anche noi di tanto in tanto. E poi, a Dana sei simpatica. Me l'ha detto lei.» Ma figurati, pensò Barbara, ma si guardò dal dirlo ad alta voce. Si limitò a commentare: «Be', non voglio impedire a tua madre di frequentare le sue
amiche, purché non cerchi più di affibbiartene una». E il discorso finì lì. Dopotutto, pensò infilzando con la forchetta una foglia d'insalata, era stata lei a portare Dana da loro la prima volta. Dana le era stata inviata dall'agenzia di modelle per un servizio su una nuova linea di minigonne, ed era svenuta accasciandosi sul pavimento. Barbara, al corrente delle diete esagerate e della dexedrina con cui le modelle si rovinavano la salute, le aveva fatto portare una ciotola di minestra. Nella conversazione che ne era seguita, Dana si era dimostrata intelligente e interessata all'aspetto tecnico della fotografia, e Barbara l'aveva invitata a un'uscita con Jamie, che era soltanto un amico e non certo un potenziale marito. Era stato un errore, pensò Barbara con cinismo, come la maggior parte delle gentilezze da parte di una donna. Jamie aveva scoperto che la madre di Dana era una vecchia compagna di scuola della sua. Dana aveva fatto alla signora Melford una telefonata di cortesia e, prima che Barbara se ne rendesse conto, era diventata una cara amica di famiglia, la protetta della madre di Jamie e, Barbara aveva capito inorridita, la signora Melford era fermamente decisa a fare di Dana sua nuora. Jamie era un figlio piuttosto indipendente, e si era opposto con fermezza agli assalti, alle preghiere, alle lusinghe e agli stratagemmi della madre. Soltanto Barbara si era resa conto di quanto fosse stata difficile quella lunga battaglia e, quando lei e Jamie si erano sposati e la signora Melford aveva ceduto e aveva finto di accettare Barbara, questa non si era lasciata ingannare. La donna anziana la detestava e non l'aveva mai perdonata. Dana aveva avuto il buon gusto di lasciare la città, ma ora era tornata. Barbara si disse, furiosa: Se la signora Melford aiuta quella... quella strega a distruggere il mio matrimonio, io... io... Scoppiò a ridere e si infilò in bocca un pezzo di carne. «Cosa c'è da ridere, Barby?» «Devo leggere di nuovo il libro di Jock, se Dana ritorna, e trovare un incantesimo d'amore così non ti ruberà a me!» «Brava, così si fa», esclamò Jamie ridendo, e cominciò a tagliare la sua bistecca. Si attardarono mangiucchiando piccole meringhe e bevendo caffè, ed erano quasi le nove quando un cameriere si avvicinò con aria vagamente dispiaciuta. «Signor Melford? C'è una telefonata per lei, e penso sia urgente. Può prenderla qui al tavolo se desidera.» Jamie, stupito, attese che venisse infilata la spina dell'apparecchio prima di sollevare il ricevitore. «Spero che mia madre non stia male; nessun altro
sa che sono qui», commentò, e parlò nel ricevitore. La voce che rispose gli risultava del tutto sconosciuta. «Signor Melford? Qui è il pronto soccorso del City General Hospital. Abbiamo un paziente che è stato portato qui da poco, l'abbiamo trovato in strada. L'abbiamo identificato come il signor Cannon, ma non abbiamo il suo indirizzo di casa né il nome dei suoi parenti, e il paziente delira e continua a chiedere di lei. Abbiamo trovato il suo numero di casa nel portafogli e chi ci ha risposto ci ha detto che potevamo trovarla lì.» Jamie replicò lentamente: «Posso darvi il suo indirizzo... o preferite che chiami io sua moglie? Naturalmente posso venire anch'io se lui lo desidera». «Sta a lei decidere, signor Melford, ma se potesse chiamare la moglie del signor Cannon ci farebbe un piacere. Siamo piuttosto impegnati da queste parti.» «Mi potrebbe dire cosa...» cominciò Jamie, ma la voce aveva già riattaccato. Posò pensosamente il ricevitore. «Maledizione!» «Jamie, cos'è successo?» «Lupus in fabula», mormorò. «Il povero Jock Cannon è stato investito, o aggredito, o qualcosa del genere. Era l'ospedale al telefono. Non sapevano il suo numero di casa ma aveva con sé il nostro numero di telefono.» «Jamie, che disgrazia!» «Dovrei andare all'ospedale», annunciò Jamie preoccupato. «Dicono che continua a chiedere di me. Povero, povero diavolo. Spero che non sia conciato troppo male. Povera Bess. Dovrei telefonarle...» «Non saprà cosa fare», congetturò Barbara, che non mancava di senso pratico. «Perché non lasci che sia io a chiamarla, Jamie, così magari passo a prenderla in taxi e vado con lei all'ospedale? E inutile che vieni anche tu, non puoi fare granché per renderti utile.» «Be', dopotutto, se sta male... Non credo che abbiano parenti in città, e neanche amici intimi, che io sappia», spiegò Jamie e Barbara, che lo amava, ammirò ancora una volta la sua disponibilità nei confronti di un semplice conoscente. Odiava gli ospedali, eppure era pronto ad andarci di corsa, in una gelida serata invernale, soltanto perché un uomo ferito aveva fatto il suo nome. Il minimo che poteva fare era accollarsi lei l'onere di avvisare Bess. Si sporse verso di lui e gli diede un bacio sulla guancia. «Va' pure, tesoro; prendi un taxi, arriverai prima. E non preoccuparti. Parecchie persone vengono investite ogni giorno ma se la cavano. Chiamo Bess e arriviamo subito anche noi.»
Si infilò il cappotto, sistemandoselo sulle spalle con quel gesto particolare che nessuna donna riesce a imitare, e uscì, dopo essersi fermato un momento alla cassa per pagare il conto. Barbara, afferrando la borsa, cercò di prepararsi mentalmente al compito di annunciare a una conoscente che il marito stava male e, per quanto ne sapeva lei, poteva essere perfino in punto di morte. Mentre si accingeva a cercare l'indirizzo dei Cannon sull'elenco, un pensiero sgradevole e inopportuno le sfiorò la mente: soltanto poche ore prima Jock Cannon, impaurito, aveva raccontato di essere vittima di una persecuzione. Ma dai, si rimproverò con fermezza, stai cominciando a pensare come una scrittrice di gialli. Cose del genere non succedono nella vita reale. Sarà scivolato sul ghiaccio, oppure un'auto l'avrà urtato, o un malvivente gli avrà dato una botta in testa per rubargli il portafogli: restiamo con i piedi per terra, per favore. La situazione è già abbastanza critica senza un sacco di sciocchezze da isterica! CAPITOLO 3 Un vento gelido spazzava l'East River e la pioggia violenta di poco prima si era tramutata in nevischio. I gradini dell'ospedale erano bagnati e pericolosi; Jamie scivolò, imprecò e si chiese come diavolo si fosse cacciato in una situazione del genere. Trovò l'entrata del pronto soccorso, si informò e seppe che il signor Cannon era stato già trasportato di sopra. Un giovanissimo studente di medicina lo accompagnò all'ascensore giusto, e Jamie gli chiese: «Che incidente è stato?» «Da quello che so non si è trattato di un incidente, ma di un infarto», replicò il ragazzo. «Questo ascensore la porterà direttamente al settimo piano, signor Melford.» Jamie, rimasto solo, si chiese se avrebbe scoperto altri errori o fraintendimenti. Il corridoio del settimo piano era buio, rischiarato soltanto dalla luce fioca delle lampadine notturne, e una giovane infermiera gli disse sottovoce che, se era il signor Melford, l'avrebbe accompagnato subito dal signor Cannon. Lo precedette lungo corridoi riecheggianti e oltre porte chiuse fino a un uscio che era stato lasciato socchiuso. Vide subito che il letto di Jock Cannon era circondato da una specie di protezione: l'avevano messo sotto la tenda a ossigeno. L'uomo, sdraiato sui cuscini, teneva gli occhi chiusi, e Jamie pensò che dormisse. Si sedette su
una delle scomode e rigide sedie accanto al letto, chiedendosi se Bess sarebbe giunta in tempo, se Jock stesse molto male, se tutto quell'armamentario fosse necessario. Jock si agitava sotto le coltri. Aprì gli occhi che però sembravano impazziti, e fissavano nel vuoto. Non videro Jamie. Si mosse sotto la plastica trasparente e borbottò: «No, no, lasciatemi andare. Non seguitemi. Cosa volete da me?» Jamie si protese verso di lui, sentendosi a disagio. Prese una delle mani abbandonate sul copriletto, fuori dalla tenda, e cercò di confortarlo: «Calmati, vecchio mio. Andrà tutto bene». «Melford! Dov'è Melford?» sussurrò Cannon. «Devo dirglielo! Jamie! Jamie!» «Sono qui, Jock», rispose con voce chiara. Lo sguardo vago si fissò brevemente su di lui. Cannon disse: «Credevo che non saresti mai arrivato. Mi hanno beccato, Jamie, mi hanno beccato. Ho visto il coltello nel cuore. L'ho sentito! Dovevo parlarti del libro. Lo devi ritirare». «Sciocchezze, amico», ribatté Jamie deciso. «Me l'hai già detto, non ricordi? Non importa: te lo sei dimenticato, ma è lo stesso. Adesso pensa a riposarti e a rimetterti. Bess arriva tra poco.» «Bess.» Si agitò di nuovo e sembrò fare fatica a respirare. Gli si contorse il viso, che pareva congestionato e scuro. «L'hanno battezzato... con il mio nome... ho sentito il coltello e poi... il mio cuore! Il mio cuore!» Delira, pensò Jamie. Sta ancora pensando a quell'orribile lettera che ha ricevuto. Che quella gente sia maledetta! Jock gemeva e mormorava frasi incomprensibili; entrò un'infermiera che gli controllò il polso e avvertì sottovoce: «Deve fare attenzione a non eccitarlo, signor Melford: sta ancora molto male». Jamie annuì e si lasciò ricadere contro lo schienale della sedia. L'infermiera stava per andarsene quando Jock si tirò su di scatto, tentando di strappare i sostegni della tenda a ossigeno. La struttura oscillò e la donna corse subito a raddrizzarla. Jock ansimò, senza fiato, con il viso contratto e cianotico, mentre si portava una mano al petto, cercando di respirare. Poi emise un lungo grido straziante. «No! No! Il coltello... il coltello... il demone... lasciami andare! Lasciami andare!» L'infermiera intervenne in tono brusco, professionale: «Nessuno le sta
facendo del male, signor Cannon. Adesso deve rimanere fermo, altrimenti la leghiamo». Jock non la udì; agitava furiosamente le braccia e l'infermiera suonò a lungo un campanello. Due sue colleghe la raggiunsero: valutarono la situazione in un istante e nel giro di pochi minuti Jock si trovò legato e immobilizzato, a lottare invano contro le larghe cinghie che lo bloccavano al letto. Arrivò anche un medico che guardò Jock con aria preoccupata, prima di rivolgersi a Jamie. «Non sa che non deve eccitarlo?» Jamie aprì la bocca per protestare, ma l'infermiera lo precedette con fermezza: «Non ha detto una parola, dottore; ero qui, e il signor Cannon si è messo a urlare senza motivo». «Non mi va di somministrargli altri sedativi; non sono sicuro che il suo cuore possa reggere.» Il dottore corrugò la fronte mentre auscultava la sagoma immobile e ansimante con lo stetoscopio. Dopo diversi minuti si raddrizzò e chiese: «È riuscito a contattare sua moglie, signor Melford?» «Mia moglie la sta accompagnando qui in ospedale.» «Molto bene. Mi chiami se ci sono novità, infermiera», concluse il medico, e se ne andò; l'infermiera rimase in piedi qualche istante, il tempo di annotare qualcosa sul suo grafico, poi prese un'altra sedia accanto alla porta. La stanza era immersa nel silenzio, rotto soltanto dal fioco sibilo dell'ossigeno e dal rumore strozzato della respirazione di Jock. Jamie avrebbe desiderato uscire per fumarsi una sigaretta, ma non voleva lasciare da solo Jock con il rischio che lo chiamasse di nuovo o riprendesse conoscenza. I minuti passarono lentamente. Infine, Jock si riscosse di nuovo. «Jamie, Jamie», borbottò in preda all'agitazione. «Non riesco a vederti. Vieni qui.» Jamie lanciò uno sguardo perplesso all'infermiera che gli suggerì con un filo di voce, muovendo appena le labbra: «Vada. Cerchi di rassicurarlo». «Sono qui, Jock. Bess arriva tra poco. La porta qui Barbara.» «Il libro... non devi...» «Non preoccuparti di questo adesso, vecchio mio. Riposati e basta.» «Maledizione», ansimò Jock. «Ascoltami: sto morendo e ne sono cosciente. Mi hanno beccato... e beccheranno anche te. Ho cercato di lottare contro una cosa più grossa di me, qualcosa che nessuno può combattere da solo. Dagli la caccia, Jamie, ma non pubblicare finché non sono spariti tutti.» «Jock, non devi parlare», protestò Jamie. «Rilassati.» «Promettimi che li eliminerai! Maledizione, non trattarmi come un bambino! Può darsi che non possa parlare per molto. Ho scritto troppo... capitolo cinque... padre Mansell... Houston Street. Può darsi che abbiano ucci-
so anche Lucilie.» Gli occhi gli si chiusero prima di aprirsi di nuovo. «Prometti! Promettimelo, Jamie. Non permettere loro di uccidere ancora.» Senza via d'uscita, con la sgradevole sensazione di assecondare un pazzo, Jamie finì per cedere: «Certo, lo prometto. Starai meglio quando arriverà Bess». L'infermiera annunciò a bassa voce dalla soglia: «La signora Cannon è qui, signor Melford». Alle sue spalle la voce dolce e pacata di Bess Cannon disse: «Sicura che non sia peggio, infermiera?» La donna la fissò negli occhi e rispose: «Non credo che faccia nessuna differenza, signora Cannon. Meglio che vada da lui». Jamie si voltò. «Bess.» Allungò una mano e l'accompagnò al capezzale di Jock. «Jock, tesoro», mormorò la moglie. I suoi occhi si soffermarono un istante su di lei, mentre Jamie, riconoscente, si ritirò in direzione della porta. Aveva visto Bess Cannon meno di cinque volte e doveva aver scambiato con lei non più di cento parole. Era una donna vicina alla mezza età, di bassa statura, rotondetta, con le guance piene e i capelli biondo cenere, dall'aspetto poco appariscente, pacifico e, per così dire, quasi indistinto. Ora aveva l'aria stanca e sembrava avere pianto, ma era calma. Jamie ne fu sollevato: si era quasi preparato per una scena isterica. Lei girò il capo e mormorò piano: «Non sentirti in dovere di uscire, Jamie, ma forse faresti meglio a far venire il sacerdote: ho parlato con il medico». Ma Jock non è cattolico, pensò Jamie. Poi, però, ricordò che Jock, nel suo delirio, aveva parlato di un certo padre Mansell, e poteva darsi che, come molte delle persone gravemente malate, anche lui avesse ripensato a certe scelte. Replicò: «Ma certo, Bess», e uscì silenziosamente nel corridoio. Raggiunta la postazione delle infermiere, annunciò: «Il signor Cannon desidera vedere padre Mansell». L'infermiera sbatté le ciglia perplessa. «Padre Mansell? Vuole il suo sacerdote? Saremo felicissime di chiamarlo, ma forse, se sta molto male, dovrei far venire il nostro cappellano. Padre Masters sarebbe felice di venire qui, ne sono sicura, e potrebbe farcela in pochi minuti. La canonica si trova proprio in fondo all'isolato, accanto alla chiesa di Nostra Signora della Pace.» «Sì, sì, certo.»
«E la signora Cannon può chiamare il suo sacerdote più tardi, se lo desidera. Chiamo subito il padre», disse l'infermiera sollevando il ricevitore, e Jamie si avviò di nuovo verso la stanza di Jock. Barbara uscì dalla sala d'attesa e gli fece cenno. «Come sta, Jamie?» «Non molto bene, Barbara, temo. Hanno mandato a chiamare il prete. Delirava: hanno dovuto mettergli le cinghie», spiegò Melford, sforzandosi di distogliere il pensiero dalle parole di Jock. Follia, sì, ma spaventosamente coerente. Dannazione, poteva davvero un gruppo di pazzi uccidere un uomo, al giorno d'oggi, con delle follie da stregoni... anche se lui inconsciamente già li temeva e si era quasi convinto del loro potere? No. Che qualcuno avesse tentato di suggestionarlo con fini malvagi, era possibile; chiunque avesse tentato una cosa del genere meritava la forca e anche peggio. Ma si sarebbe trattato di una coincidenza, capace al massimo di peggiorare i problemi cardiaci di Jock, ma non certo di provocarli. No. Se credessi a questo, la vita diventerebbe folle. Sarebbe caos. Impossibile. «Sei stanca, Barbara? Puoi prendere un taxi per tornare a casa, se vuoi. Io rimango con Bess nel caso che...» La voce gli si spense. Per la prima volta si era reso conto che Jock sarebbe morto. «Meglio che torni di là per vedere se Bess ha bisogno di qualcosa.» Un grido improvviso squarciò il silenzio del reparto: era un urlo agghiacciante, terrificante. «Bess!» esclamò Jamie, e corse alla porta, ma quando entrò vide che Bess se ne stava in piedi in silenzio, tenendo la mano di Jock che si era messo di nuovo a sedere. Jock gridò di nuovo: era un urlo straziante, gonfio di terrore, di panico. «Diavoli! No, no, non la mia anima. Il coltello... il coltello... mi hanno ucciso! Mi uccideranno! Li vedo... il coltello... aah!» Ricadde senza forze sul cuscino. Il dottore arrivò di corsa e gli si avvicinò, allontanando bruscamente Bess. Poi si rialzò, senza fretta questa volta. «Mi dispiace, signora Cannon», le disse in tono pacato, «ma doveva aspettarselo. Il suo cuore... era malato da molto?» Bess lo fissò, e il suo viso mutò, a poco a poco, fino ad assumere un'espressione completamente diversa. Replicò, deglutendo: «Dottore, ma è impazzito? Non è mai stato ammalato un solo giorno. Si è sottoposto a un controllo medico completo due settimane fa, per un'assicurazione, mi ha detto. Il medico gli ha detto - ero presente anch'io, e ho sentito - che aveva
il cuore di un uomo con trent'anni di meno. Io... io non posso crederci». Neanche Jamie ci credeva, e aveva le vertigini. Non c'è da stupirsi che Jock non mi abbia dato retta quando gli ho suggerito di fare degli esami, pensò intontito. Ma se due settimane fa il suo cuore era in ottima forma... «Aveva paura, dottore», riprese Bess. «Esiste la possibilità che sia stato qualcuno a ridurlo così?» «No, no, è stato il cuore, signora Cannon», cercò di confortarla il medico. «Ma non può essere... L'hanno ucciso !» ripeté Bess agitata. «Aveva paura. Continuava a dire che l'avrebbero eliminato prima o poi...» Una voce maschile si fece sentire dalla soglia della stanza: «Posso esservi utile?» e Bess, girandosi, vide un uomo anziano in abito talare con in mano una valigetta. Appoggiò la ventiquattrore e scosse il capo. «È morto, padre...» balbettò Bess. «È morto... appena un minuto fa.» Il sacerdote si avvicinò al letto e fece il segno della croce. Mormorò formule latine, chiuse gli occhi del defunto e lo benedisse sulla fronte. Poi tornò a rivolgersi a loro. «Mi dispiace, signora Cannon. Sono venuto appena mi hanno chiamato.» «Non era cattolico», mormorò Bess tramortita. «Avevo sempre sperato... Padre, padre, l'hanno ucciso... con la magia nera... hanno ucciso il mio Jock! L'hanno ammazzato.» La voce le divenne sempre più acuta e stridula, e il sacerdote si affrettò ad avvicinarsi e a stringerle un braccio. «Andiamo, non dovrebbe dire certe cose davanti a un morto», disse con fermezza, e Bess obbedì, respirando affannosamente. Tornò accanto a Jock. Sembrava in pace con quello sguardo vuoto, e Bess si fece il segno della croce, il viso composto, prima di allontanarsi. Le si muovevano le labbra ma non diceva nulla mentre il prete l'accompagnava fuori della camera. Erano le due passate quando Jamie e Barbara aprirono la porta del loro appartamento nel Village. Erano rimasti ancora a parlare con il medico e avevano atteso che Bess firmasse i documenti necessari prima di accompagnarla a casa in taxi e di telefonare alla sorella di Jock, nel Connecticut. Barbara si era offerta di restare con lei, ma Bess, che si era calmata, aveva rifiutato. Aveva assicurato che Margaret, la sorella di Jock, sarebbe arrivata l'indomani con il primo treno, e che se la sarebbe cavata. Alla fine se n'erano andati e avevano trovato un taxi che li aveva depositati davanti alla loro abitazione. Mentre appendeva il cappotto nel minuscolo ingresso, Barbara pensò
che la serata le era sembrata irreale, un vero e proprio incubo. Jamie stava parlando dei deliri persecutori di Jock, e un momento dopo, a una velocità incredibile, era stato chiamato al capezzale dell'amico e aveva assistito alla sua morte. Non che credesse alla stregoneria, ma certo si sentiva rabbrividire. Jamie era pallido ed esausto, e Barbara gli prese dalle mani il cappotto e lo appese. «Vuoi bere qualcosa prima di andare a letto, tesoro? Del latte caldo o qualcosa d'altro?» «No, dormirò anche senza.» Jamie le prese il braccio e camminò con lei nel piccolo salotto... e si fermò stupito. Anche Barbara si arrestò, prima confusa, poi irritata. Il divano letto a due posti era stato aperto e vi era sdraiata, sotto una coperta leggera, una donna addormentata; di lei si distinguevano soltanto la massa di capelli chiari e il colletto di una camicia da notte di flanella azzurra. Allora Dana Becker si tirò su a sedere, sbattendo le palpebre, con i capelli biondi che la luce della strada velava di un alone luminoso. «Oh... scusa, Barbara, stavo dormendo.» Scrollò lievemente il capo. Barbara, reprimendo con grande sforzo una smorfia (ci mancava soltanto questa!) esclamò, con quella che sperava essere una sufficiente dose di cordialità: «Ciao, Dana. Non mi aspettavo di trovarti qui. Se l'avessi saputo, avremmo fatto meno rumore entrando». Sorrise con aria di disapprovazione. «Per l'amor del cielo, non pensarci neanche, Barbara! Non potevi immaginarlo. L'ho detto a mamma Melford che avrei disturbato, ma ha insistito perché restassi. Sai quanto detesti restare da sola.» Barbara non lo sapeva affatto, e aveva dimenticato quanto le desse fastidio il fatto che Dana chiamasse sua suocera mamma Melford, anche se era l'anziana signora che glielo aveva chiesto. Dopotutto, però, non poteva buttare fuori di casa un'ospite in camicia da notte alle due del mattino. Così replicò: «Torna a dormire, Dana. Mi dispiace se ti abbiamo disturbato; andremo a letto senza far rumore». La ragazza rimase seduta. La camicia da notte castigata, abbottonata fino al collo e almeno di cinque taglie troppo grande (evidentemente apparteneva alla signora Melford) le conferiva l'aspetto infantile di una bambina con indosso i vestiti della madre. «È così tardi, era molto preoccupata! Avete avuto un incidente?» Fu Jamie a rispondere. «No, ma un nostro amico è stato male e sono dovuto andare all'ospedale, ed è stata una serata orribile.» «Sì, ero preoccupata», confermò l'anziana signora Melford dalla soglia.
Minuta, quasi fragile, i capelli raccolti in una lunga treccia floscia che le cadeva sulla schiena, e avvolta in una pesante vestaglia di lana rosa, il viso in preda al turbamento. «Perché non hai chiamato, Jamie? Ti immaginavo già morto, in strada; stavo meditando di chiamare gli ospedali.» «No, mamma, sto bene, però non potevo allontanarmi per telefonare», spiegò Jamie, e la signora Melford strinse le labbra. «Neanche Barbara poteva telefonare?» «Ero con la moglie di quell'uomo, mamma», replicò Barbara, odiandosi per il fatto di sentirsi subito sulla difensiva. Le pareva di essere una nuora crudele che fa di tutto per tormentare una vecchietta. Dana, con gli occhioni sgranati, intervenne: «Spero che quel poveretto stia bene». «Be', dipende dai punti di vista», tagliò corto Jamie. «È morto.» «Qualcuno che conosco?» chiese la signora Melford. «No. Uno dei miei scrittori», rispose Jamie. «E se non ti dispiace, adesso mi piacerebbe andare a dormire. Sono molto stanco e domani devo lavorare.» «Non avrei dovuto chiedere a Dana di restare», osservò con voce stanca la signora Melford. «Stavate andando a letto e vi ho trattenuto ulteriormente, vi tengo svegli, vi intralcio...» «Oh, mamma», l'interruppe Barbara insofferente. «A nessuno dà fastidio se hai degli ospiti quando lo desideri, lo sai bene. Dana è la benvenuta e può restare quanto vuole. Saremo più ospitali domattina dopo esserci riposati, ecco tutto.» Entrò in camera da letto mordendosi le labbra e chiuse la porta, sapendo che aveva perso di nuovo le staffe e che Jamie aveva assistito al tentativo di sua madre di apparire dolce e coraggiosa di fronte al caratteraccio di sua moglie. Lo fa ogni volta, pensò Barbara. Poi, sorridendo, cominciò a spazzolarsi i capelli. Se non sto attenta, comincerò anche ad avere dei deliri di persecuzione come il povero Jock. Dormì male, e i suoi sogni furono popolati dal viso affranto di Bess Cannon e dalle sue grida di accusa; svegliandosi di soprassalto, a un certo punto, udì Jamie che mormorava nel sonno, e capì che anche lui era assalito dagli incubi. Si svegliò tardi, riluttante ad affrontare un'orribile giornata grigia e gelida e il viso allegro di Dana al tavolo della colazione con una vestaglia troppo grande presa in prestito da sua suocera. La signora Melford, per cui alzarsi presto era un merito, stava armeggiando con la macchina del caffè, e Barbara, per la centesima volta, fece tra sé una considerazione poco caritatevole: quell'abitudine le impediva di fare colazione da
sola con Jamie; ma del resto, si disse in preda al rimorso, non poteva aspettarsi che l'anziana signora mutasse le abitudini di una vita intera e dormisse fino a tardi soltanto per lei. Accettò una tazza di caffè e chiese a Dana di passarle lo zucchero, sperando che quei gesti pratici potessero sostituire altre forme di ospitalità. Entrò Jamie: era corrucciato, stanco e si era fatto un taglietto sulla guancia destra radendosi. La signora Melford gli allungò una tazza di caffè e si protese oltre lo schienale della sua sedia per baciarlo in fronte. «Non mi hai ancora detto niente del poveretto di ieri sera, Jamie.» «Non c'è niente da dire. È morto di infarto», replicò Jamie, «ma possono sorgere dei problemi per il suo ultimo libro, dato che non aveva ancora firmato il contratto. Adesso che ci penso, però, in questo Stato vige il regime di comunione dei beni, quindi Bess può firmare subito il contratto. Probabilmente il denaro dell'anticipo può farle comodo. Peccato che debba essere usato per il funerale di Jock, però.» «Ho letto qualcosa di suo, tesoro ?» «Si tratta di John Cannon. Ha scritto libri di divulgazione sul fenomeno della stregoneria e argomenti del genere.» La signora Melford rabbrividì rispondendo: «Che temi malsani! Che argomenti morbosi! Perché devi pubblicare libri del genere, Jamie?» «Perché si vendono bene», replicò con un sospiro. «Infilami una fetta nel tostapane, per favore, Barbara. Arriverò in ufficio con un ritardo clamoroso.» Dana era china sulla sua tazza di caffè come se, pensò Barbara poco cortesemente, fosse in trance. Perché, si chiese, Dana con addosso una vecchia vestaglia troppo grande doveva apparire più affascinante di lei con il suo abito più provocante e un trucco da vamp? Potrei dimostrarmi apertamente ostile se cercasse di apparire seducente agli occhi di Jamie. Almeno, lo si vedrebbe apertamente e potrei perfino riderci sopra. Invece, in questo modo sembro io la paranoica se soltanto ci penso. Squillò il telefono, che sembrò strappare bruscamente Dana al suo stato ipnotico con un fremito. Barbara chiese: «È per te, Dana? Aspettavi una telefonata?» «Cosa? Oh, no... non che io sappia», replicò, assumendo un'espressione di completa innocenza. L'apparecchio suonò di nuovo e la ragazza domandò con voce lamentosa: «Vuoi che risponda io, Jamie?» «Ci penso io.» Barbara allungò un braccio oltre il bancone della cucina e
afferrò il telefono. «Casa Melford.» «Signora Melford? C'è Jim? Può passarmelo? Sono Wayne», disse la voce giovanile all'altro capo, e Barbara passò il telefono a Jamie. «Sembra che ci siano problemi in ufficio, Jamie.» Jamie prese il ricevitore. Ascoltò per un istante, poi esclamò: «Al diavolo», e scosse il capo. «Vengo subito», aggiunse, alzandosi precipitosamente. Aggiunse nel microfono: «Hai chiamato la polizia? Be', perché no, maledizione?» e riattaccò, dirigendosi a grandi passi verso il guardaroba. «Jamie?» lo interpellò Barbara in tono interrogativo. «Qualcuno è entrato in ufficio ieri sera», spiegò Jamie, mentre tirava fuori il cappotto dal guardaroba dell'ingresso e ingollava il caffè bollente in due sorsi, «e sembra che sia scomparsa soltanto una cosa.» Prima ancora di udire le parole successive, Barbara sapeva cos'avrebbe detto. Le pareva di sentirle riecheggiare. «Il manoscritto di Jock.» CAPITOLO 4 Gli uffici della Blackcock Books non erano molto vasti, e la presenza di due grossi poliziotti in uniforme bastava a riempire fin quasi al limite massimo la capacità dello studio di Jamie. In anticamera gli scaffali erano stati rovesciati, e la segretaria di Jamie stava fissando i volumi sparpagliati per terra, chiaramente impaziente di raccoglierli. I poliziotti dovevano averle chiesto di non toccare niente fino alla fine delle loro indagini. Jamie terminò di ispezionare il materiale sulla sua scrivania, quindi alzò lo sguardo sui due agenti. «No, mi pare che non manchi nient'altro: soltanto quel manoscritto.» «Di valore?» chiese uno dei poliziotti. «È difficile a dirsi. Intendevamo pagare a Cannon tremila dollari come anticipo per l'edizione economica, il che significa che, se il manoscritto non viene ritrovato e se non salta fuori una copia da qualche parte, la moglie di Cannon ha perso per lo meno quella cifra. Speravamo, naturalmente, di guadagnarci molto di più: in genere, la nostra prima tiratura per un libro di Cannon è intorno alle settantacinquemila copie, a settantacinque centesimi la copia... è una proprietà di valore, come può vedere», spiegò Jamie distratto. Stava pensando ad altro. Che Dio ci aiuti, parlavano sul serio! Quelle persone, chiunque esse siano, che stavano cercando di spaventare a morte Jock, intendono impedire a ogni costo la pubblicazione del libro.
«Conosce qualcuno che ce l'ha con lei, signor Melford?» chiese l'agente più giovane, che era scuro di pelle e magro quanto il collega era corpulento e alto. «Avercela con me? Oh.» Jamie posò lo sguardo sul tampone di carta assorbente fatto selvaggiamente a pezzi, la foto strappata di Barbara, il portapenne rotto e il calendario a brandelli. Rispose: «Oh, capisco. Il portapenne non vale neanche dieci dollari, ma il pensiero che qualcuno l'abbia fatto... no, non mi viene in mente nessuno. Insomma, non credo che tutti mi vogliano bene, in particolare gli autori dei manoscritti che sono costretto a rifiutare, ma la maggior parte della gente prende questo rifiuto in modo del tutto professionale». Si morse il labbro, chiedendosi se il poliziotto l'avrebbe considerato pazzo se gli avesse detto a cosa stava pensando. «Può entrare in contatto con l'autore, signor Melford?» Jamie scosse il capo. «Soltanto se utilizzo un medium. È morto ieri sera. C'ero anch'io.» Il poliziotto drizzò gli orecchi. Ripeté: «Ieri sera? Ha motivo di sospettare un omicidio, signor Melford?» «Certo che no», ribatté irritato. «È morto di infarto al City Hospital, assistito da diversi medici e sottoposto alle migliori terapie. Ma si tratta di una fastidiosa coincidenza, e sto pensando che... forse qualcuno ce l'aveva invece con John Cannon.» «In che senso?» chiese il poliziotto più giovane con tatto. Annotò qualcosa sul suo blocchetto con una biro. «Era preoccupato», rispose Jamie lentamente, scegliendo con cura le parole, «perché qualche... qualche burlone lo molestava con delle telefonate e lo perseguitava per indurlo a rinunciare alla pubblicazione del libro. Gli avevano fatto degli... orribili scherzi.» «Sembrerebbe un danno di origine dolosa», commentò l'agente che si rimise a scrivere. «Adesso che ci penso, anch'io ho ricevuto una telefonata», ricordò Jamie. «Proprio ieri.» «Minacce? Chi l'ha chiamata le ha fatto delle minacce?» «Certo», si limitò a rispondere, reticente a fornire i dettagli. «Che strano», osservò il poliziotto soprappensiero. «Che tipo di minacce? Cos'ha detto?» «Non uso quel genere di linguaggio», dichiarò Jamie lanciando uno sguardo alla segretaria, che era tutta orecchi, «ma, in generale, mi ha minacciato di ogni sorta di danno fisico, spiegando che non sarei più stato in grado di... di avere figli.»
L'agente storse la bocca, forse per il disgusto o per l'imbarazzo, e dichiarò, mentre scriveva: «Dirò semplicemente "ha minacciato una grave mutilazione, ovvero la castrazione". Va bene così?» «Si avvicina alla realtà», confermò Jamie. «Allora, dove posso trovare... l'autore deceduto aveva una moglie, una famiglia?» «Soltanto la moglie. Non avevano figli», rispose Jamie, «e lei potrebbe confermare la storia della persecuzione: da quanto ho capito qualcuno gettava animali morti e robaccia del genere davanti alla loro porta.» Rifletté, a labbra strette: Maledizione, devo riuscire a procurarmi la copia di Bess di quel libro - una volta mi ha detto che Jock ne faceva sempre tre esemplari - e scoprire esattamente cosa contiene di tanto scottante da spaventare quei pazzoidi. E poi, accidenti, programmava tra sé, come posso sfruttare al meglio la situazione? Se è il genere di libro che qualcuno - anche un gruppo di svitati - vuole impedire di stampare a ogni costo, forse può saltar fuori una bella campagna pubblicitaria! Avvertì un leggero senso di vergogna pensando: Certo che, se hanno davvero ucciso Jock, allora è una storia eccezionale... Sì, e darei tutto quello che possiedo perché il povero Jock potesse entrare in ufficio in questo preciso momento, maledizione. Firmò la denuncia contro ignoti che i poliziotti gli sottoposero, con le accuse di furto aggravato, effrazione, danni intenzionali, molestie e minacce di lesioni personali gravi. «Parto dal presupposto che tutti questi elementi abbiano un legame», disse l'agente, «e ho intenzione di parlare alla signora Cannon, anche se, poiché suo marito è morto da poche ore, probabilmente non ci vorrà ricevere subito. La contatteremo di nuovo, signor Melford.» «Posso far ripulire, adesso?» «Certo, noi abbiamo finito», gli assicurò il secondo poliziotto uscendo. Jamie ordinò alla sua segretaria: «Riassetta l'ufficio», ma si sedette alla sua scrivania, con le braccia incrociate e un aspetto corrucciato. Doveva trovare le altre copie di quel manoscritto e rinchiuderle nella cassaforte dell'ufficio immediatamente, nel caso quei criminali avessero altre idee in testa. Bisognava che chiamasse i giornali, o almeno che consultasse l'editore, un certo Andrew Burns che era, di fatto, il signor Blackcock, sull'opportunità di usare quei fatti a scopi pubblicitari. Non poteva certo telefonare a Bess nella camera ardente... un istante... ma certo, perché non ci aveva pensato prima? Chiamò la sua segretaria, che si rialzò dal pavimento dove
stava raccogliendo i volumi sparpagliati, e le chiese: «Lascia stare e chiamami subito l'agenzia Merritt Conners. Voglio parlare con chi si occupa di John Cannon». In linea con Roy Merritt, dieci minuti dopo, non perse tempo. Dopo qualche breve frase di circostanza sulla morte di Jock, gli chiese a bruciapelo: «Ha una copia dell'ultimo libro di Cannon?» Roy Merritt rise furbescamente. «È un bene che abbia dei principi morali, Melford; in fondo, gli scritti di Jock potrebbero diventare di moda adesso che è morto. Un uomo mi ha chiamato proprio stamattina - era sul giornale, sai, la notizia su Jock, soltanto una riga a pagina dodici - e ha suggerito che forse qualcuno avrebbe offerto di più di te per l'ultimo manoscritto e che avrei dovuto tenerlo in serbo per qualche settimana.» «Già.» Jamie si disse che avrebbe dovuto prevederlo. «Be', non voglio tenerti sulle spine. Penso di sapere chi ci sia dietro. Qualcuno mi ha chiamato e ha cercato di convincermi a non pubblicare.» Merritt ascoltò in silenzio il resoconto di Jamie. Poi insinuò: «Non hai mai pensato che Jock stesse perdendo colpi, invecchiando?» «Francamente, no», rispose irritato Melford. «L'ultimo libro è il migliore che abbia mai scritto.» «Solo che ci credeva sul serio», replicò Merritt, «o così sembrava. Naturalmente, Jock era un dritto. Prima, era stato agente pubblicitario, sai? Non mi stupirebbe se avesse cercato di aumentare l'interesse per il libro con una trovata del genere. Non ci avevi mai pensato?» No, non gli era passato per la testa e, dopo un istante di perplessità, Jamie scartò quella possibilità. «Non si è certo introdotto nel mio ufficio dopo essere morto, no?» ribatté. «A meno che, naturalmente, non siamo davvero in presenza di fenomeni paranormali.» L'agente esitò qualche secondo. «Cannon era un brav'uomo, pace all'anima sua; però può aver pensato che si trattasse di un sistema tutto sommato innocuo per farsi pubblicità. Stai suggerendo che possano cercare di procurarsi anche la mia copia?» «Non lo so», rispose Jamie lentamente. «Vorrei tanto saperne di più. Ma se fossi in te, Merritt, nel caso che Bess perda la sua copia, ti consiglio di nascondere la tua in cassaforte. Sta accadendo qualcosa di molto strano, e preferisco sembrarti una vecchia piaga piuttosto che dare a quei tizi la soddisfazione di impedire la pubblicazione del libro.» «Ehi, ehi», esclamò Merritt, «ma allora stai parlando sul serio!» «Ci puoi scommettere!»
«Non penserai... buon Dio, non credi forse che qualcuno abbia ucciso Jock?» «No», precisò Jamie a denti stretti, «a meno che non l'abbiano spaventato a morte. In questo caso, dato che sembrano essere riusciti a convincerlo, è come se l'avessero ucciso loro. Ma chiunque faccia minacce del genere e cerchi di commettere un reato così orrendo, merita una punizione. E se posso mettere i bastoni tra le ruote a quella gente, credimi, intendo farlo.» «Capisco», replicò Merritt lentamente. «Sarebbe già riprovevole cercare di spaventare qualcuno in quel modo pur senza crederci davvero. Ma qualcuno che ne è convinto... merita l'impiccagione e anche peggio!» Quando Merritt riattaccò, Jamie cercò di ricordare le ultime, confuse parole di Cannon. Capitolo cinque. Prese l'appunto mentale di leggere quel capitolo con particolare attenzione. Aveva parlato anche di un certo padre Mansell. Jamie prese l'elenco telefonico di Manhattan e cominciò a cercare. C'erano sette Mansell, da Anthony J. alla dottoressa Roberta. Consultò poi la pagine gialle alla voce «Clero cattolico», e non trovò nessuno con quel cognome. Tuttavia, non tutti i sacerdoti apparivano con il proprio nome sull'elenco telefonico. Dopo un istante di esitazione, Jamie compose il numero di un sacerdote che aveva incontrato una volta quando la casa editrice aveva pubblicato uno dei rari libri di religione del suo catalogo. Per quanto sorpreso, padre Cassidy si dimostrò lieto della telefonata di Jamie. «Posso fare qualcosa per lei?» «Si tratta di una questione tecnica. Un sacerdote compare sempre nelle pagine gialle con il proprio titolo?» «No, a meno che non lo chieda lui stesso, di solito. Perché? Sta controllando qualcosa per un romanzo?» «Be', in realtà no: sto cercando di trovare l'amico di un amico», rispose Jamie. «C'è un padre Mansell nella diocesi?» «Mansell...» Il sacerdote ripeté il nome lentamente, poi la sua voce si inasprì. «Perché lo vuole sapere?» «Come le ho detto, è l'amico di un amico. Un mio amico è appena morto e mi ha chiesto di avvertire padre Mansell.» Jamie incrociò mentalmente le dita; sperava che Jock avesse voluto dire quello. «Capisco. C'era un padre Mansell, nella parrocchia di Santa Barbara. Ma non c'è più.» «Non è un nome molto comune, ma... non mi dirà che è morto anche lui?» Tutte le piste portavano forse a un vicolo cieco?
«Non proprio», replicò padre Cassidy. «Per essere sincero, si tratta di una questione delicata: padre Mansell ha abbandonato la chiesa tempo fa. Non so dove si trovi adesso.» Jamie si sentì percorrere da un brivido; ricordava di aver letto, in uno dei libri di Cannon, che uno dei partecipanti fondamentali per la Messa Nera è un prete sospeso dall'ufficio sacerdotale. Disse a se stesso di non correre troppo con la fantasia, ma chiese comunque: «Allora quest'uomo è... un prete spretato?» «Un termine pittoresco che non usiamo più al giorno d'oggi», rispose Cassidy con la voce di chi reprime un'occhiata di traverso. «Preferiamo dire che è stato laicizzato, che ha avuto la proibizione di amministrare i sacramenti.» «Allora non è più un prete?» «Un sacerdote resta un sacerdote. Ma diciamo che è stato scomunicato. Bando ai pettegolezzi, però: era un amico di un suo amico? Cattolico?» «No», rispose Jamie, «uno scrittore. Da quanto ho capito questo Mansell lo ha aiutato in qualche ricerca o qualcosa del genere.» «E voleva avvisarlo della morte del suo amico? Non so se è ancora in città», rimuginò Cassidy lentamente, «ma non può esserci niente di male... si chiama Walter, se ben ricordo. Non ricordo l'iniziale del secondo nome: lo conoscevo appena.» Jamie, dopo aver riattaccato, meditava come procedere con quelle nuove informazioni - nessun Walter Mansell appariva sull'elenco - quando il suo apparecchio squillò ed egli udì la voce che aveva aspettato, ma anche temuto, tutta la mattina. «Jamie? Mi dispiace disturbarti, hai già fatto tanto: sono Bess...» «Non preoccuparti Bess. Cosa posso fare per te?» La voce della donna era acuta, agitata e chiaramente terrorizzata. «Hanno cominciato anche con me! Il telefono ha suonato e hanno detto... hanno... hanno detto che hanno ucciso Jock e che adesso... che adesso tocca a me.» Incredulo, Jamie scosse il capo. Replicò, con la collera che montava in lui: «Gli hai detto che non hai più il manoscritto, che adesso ce l'ho io?» «Io... sapevano già tutto...» la voce di Bess, dall'altro capo del filo, si ruppe e si trasformò in singhiozzi. «È così disgustoso, così ridicolo. Hanno detto che si sono procurati la tua copia e che adesso vogliono la mia. Questa sera dovrei metterla fuori della porta e non guardare... non firmare il contratto...»
Jamie avvertì la rabbia che si cristallizzava in un bisogno impellente di passare all'azione. Allungò la mano, afferrò il libretto degli assegni e, con il telefono bloccato tra la spalla e il mento, esclamò: «Detesto parlare di affari dopo quello che è successo a Jock, ma non può finire così, Bess. Adesso vengo e porto con me il contratto. Puoi firmarlo e consegnarmi tutte le copie che possiedi». La voce di Bess tremò. «Ma non hai paura che...» «Non temo quei pazzi furiosi... più di quanto non tema il vento che soffia», le assicurò Jamie, sperando di sembrare più sicuro di quanto non si sentisse. «Tieni duro finché non arrivo, Bess, e preparami tutte le copie del manoscritto. Se le vuoi tenere per ricordo, potrai recuperarle una volta che il libro sarà stato stampato, ma per il momento le prendo in consegna io, e vedremo come faranno!» Riattaccò - gli sembrò, d'un tratto, di aver trascorso la mattinata al telefono - e chiese alla sua segretaria di preparare un contratto standard. Con il documento sottobraccio uscì dall'ufficio mentre il telefono suonava di nuovo e si rese conto soltanto quando il trillo venne attutito e poi spento dalla distanza che quel mattino, a ogni telefonata, si era inconsciamente aspettato di sentire la voce beffarda e sadica del giorno prima. Non era particolarmente ansioso di parlare a Bess, a così poca distanza dalla disgrazia, né di discutere di affari con lei, sapendo che poteva essere accusato di approfittare del suo nuovo stato di vedova per guadagnarci, ma non poteva permettere che quella persecuzione continuasse. Esistevano delle leggi contro simili forme di molestie, ma erano difficili da far rispettare ed era meglio che il manoscritto lasciasse le mani di Bess. Faranno ben più fatica a spaventare me. Lasciò l'appartamento di Cannon un paio d'ore dopo, mentre il crepuscolo stendeva un velo gelido su quella serata di dicembre. Teneva sotto il braccio due grosse scatole, di quelle utilizzate per le risme di carta, con dentro due copie del manoscritto di Cannon. Si sentiva esausto e svuotato; Bess, nonostante gli occhi rossi, l'aria smarrita e i nervi a pezzi, aveva dato prova di coraggio e serenità. Jamie desiderava soltanto bere qualcosa, consumare una buona cena e dimenticare tutto il più a lungo possibile. Eppure, mentre premeva il tasto dell'ascensore che l'avrebbe condotto al suo appartamento, capì che aveva voglia di leggere di nuovo il manoscritto, questa volta con più attenzione. La prima volta l'aveva scorso nella sua veste di editore, per valutarne l'impatto sul pubblico dei lettori. Ora, invece, era semplicemente curioso: voleva sapere quali parti del suo contenuto
potevano spingere qualcuno, per quanto pazzo, a minacciare con tanta crudeltà lo scrittore, la moglie dello scrittore e il suo editore. E le ultime parole pronunciate da Jock Cannon prima di sprofondare nel delirio precedente la morte erano state capitolo cinque. Jamie voleva leggere attentamente, lentamente e con spirito critico quel famoso capitolo cinque. Si accorse che la stanchezza lo rendeva meno lucido. Una notte quasi insonne, e la tensione di quel giorno. Se si continua così, si disse irritato, comincerò a credere che Jock sia davvero morto perché l'hanno minacciato, oppure addirittura che l'abbiano ucciso loro con le loro formule magiche. Bess stessa, d'altronde, comincia a crederci. Ricordò che la mano le tremava al momento di firmare il contratto, ma adesso, almeno, lui - o meglio la Blackcock Books - era legalmente il proprietario del manoscritto. L'ingresso dell'appartamento era caldo e accogliente, con un buon profumo proveniente dalla cucina e Barbara se ne stava rannicchiata sul divano del soggiorno, con una coperta sulle gambe. Balzò in piedi per salutarlo con un bacio. «No, non sto male; però mi sentivo così stanca e demoralizzata questa mattina che sono andata allo studio soltanto un'ora o due e ho cancellato gli appuntamenti del pomeriggio. Tua madre ha detto che avrebbe preparato la cena e mi ha ordinato di riposarmi.» Alzandosi in punta di piedi gli sussurrò all'orecchio: «Dana è ancora qui». «Oh, be'...» «Non mi dà fastidio, davvero», riprese Barbara interrompendolo. «Credo che tua madre soffra di solitudine. Forse si concentrerà sulla ricerca di un marito per Dana. Non ci sono degli scapoli carini nel tuo ufficio, Jamie?» «Hanno tutti meno di vent'anni», rispose Jamie ridendo, mentre gettava le scatole con i manoscritti su un ripiano. Lì, almeno, erano al sicuro. «C'è Brandon, però: sta divorziando da Sue. Pensi che a Dana farebbe piacere trovarsi come figliastre due gemelle quindicenni?» «Ma sta zitto», ridacchiò Barbara abbracciandolo, «potrebbe sentirti.» Poi tornò seria. «Jamie, non hai avuto l'impressione che questa mattina Dana si aspettasse lo squillo del telefono?» «No. Io, però, me lo aspettavo. Credo che fossi in attesa di altri guai. A quanto pare abbiamo di fronte una banda di psicotici, Barbara, ma per l'amor del cielo, non parliamone adesso. Non ho pensato ad altro tutto il giorno, adesso quella roba si trova qui» - indicò le due scatole - «e non in-
tendo toccarla prima di aver bevuto qualcosa, consumato una buona cenetta e aver messo all'asciutto i piedi. Cosa ti succede, donna? Dove sono la pipa e le pantofole?» Barbara rise, voltandogli le spalle. «Ti andrebbe uno scotch, invece?» La cena era deliziosa: un denso e profumato stufato di agnello, ideale con quel freddo, e Jamie sentì i nervi rilassarsi a poco a poco e si distese ascoltando le donne che discutevano di erbe aromatiche e spezie senza screzi e in perfetta armonia. Anche sua madre era più simpatica del solito con Barbara, e le stava dicendo che sperava di poterle insegnare qualcosa sull'uso delle erbe. «Vorrei saperne di più», ammise Barbara, «ma il fatto è che la mia cucina è semplicissima. Lo so, mamma, non è all'altezza della tua, ma ammettiamolo: cosa si può fare per rendere migliore una bistecca alla griglia, a parte cospargerla di pepe nero? Le erbe e le salse raffinate sono più adatte a cibi più complicati, e io non li so ancora preparare.» «La scienza sull'uso delle erbe è molto antica», spiegò Dana. «Mi ha sempre affascinata, anche se non cucino spesso. Mamma Melford mi ha insegnato tutto quello che so.» «Qualcuno ne trarrà beneficio, un giorno», intervenne Jamie allegramente. «Non ho mai conosciuto un uomo che non impazzisca per una donna brava in cucina. Questo stufato è delizioso, mamma», aggiunse. «E questa notte, nessuno vi farà inciampare in soggiorno», annunciò sua madre. «Ho preparato il divano-letto di Dana in camera mia. Non vi dispiace se sta qui mentre cerca un appartamento, vero?» «Oh, mamma Melford», esclamò Dana imbarazzata. Aveva l'aria fragile e graziosa, vestita di un maglione e una gonna neri. «Non dovrebbe dirlo in questi termini. Cosa potrebbe replicare Jamie, se per caso gli dispiacesse davvero?» «Ma certo che non ci dà fastidio», la rassicurò Barbara, e soltanto Jamie notò che il suo sorriso era leggermente forzato. «Anzi, Dana, probabilmente ti posso affidare qualche incarico. E poi, la mamma sarà contenta di avere compagnia mentre sono fuori. Magari ti potrà insegnare qualcosa sulle erbe: probabilmente sarai un'allieva migliore di me. La mia memoria, in effetti, non è più quella di un tempo: riesco a malapena a ricordare che si mette lo zenzero nel pan di zenzero e l'aglio nel sugo di pomodoro. Tutto quello che riesco a ricordare sull'aglio, oltretutto, l'ho imparato in Dracula: tiene lontani i vampiri o qualcosa del genere, no, Jamie?» «Direi che tiene lontani tutti», replicò Jamie ridendo, «o forse non sei
mai andata in metropolitana nel bel mezzo del mese di agosto? Non c'è da stupirsi che non ci siano vampiri a New York, con tutti i ristoranti italiani che appestano l'aria d'aglio. Adesso che ci penso, Jock ha scritto qualcosa sull'aglio in uno dei suoi libri.» «Devo essere per metà un vampiro, allora», intervenne Dana con un sorriso, «perché detesto l'aglio, e neanche il deodorante più potente riesce a camuffarne l'odore, per me. Lo so che fa bene alla salute o qualcosa del genere...» «Ma gli italiani non credono nel malocchio? È per quello che mettono tanto aglio nel loro salame e negli spaghetti?» s'informò Barbara. «Forse sono convinti che allontani il malocchio e...» «Barbara!» la rimproverò la signora Melford rabbrividendo. «Stiamo mangiando! Non puoi trovare un argomento più gradevole dei vampiri finché siamo a tavola?» Barbara ridacchiò. «Scusa, mamma. Ma in fondo i vampiri mi sono simpatici. Di vampiri conosco soltanto Bela Lugosi nei vecchi film trasmessi la sera tardi, e personalmente lo considero piuttosto affascinante, più bello di Valentino. Può succhiarmi il sangue quando vuole. Scusa, mamma, non volevo turbarti.» Dana cambiò discorso con tatto. «Ricordo le spezie e le erbe aromatiche usate in casa dei miei d'inverno, quand'ero piccola.» «Mmm», convenne Barbara, «anch'io. Mia madre preparava dei Lebkuchen e diversi biscotti speziati svedesi per Natale. Voglio che i miei bambini crescano conoscendo tutte quelle meravigliose tradizioni. Jamie, prima o poi dobbiamo andare a comprare l'albero di Natale.» La signora Melford contrasse quasi impercettibilmente le labbra. «Mi sembra, Barbara, che al giorno d'oggi non sia il caso di riempire la casa con un mucchio di feticci superstiziosi! Nessuno, al giorno d'oggi, prende tanto sul serio la religione!» «Natale non è soltanto una festa religiosa», precisò Jamie, sperando di scongiurare la discussione che sembrava inevitabile, ma Barbara pareva arrabbiata sul serio. «Non sono una persona religiosa, ma vorrei esserlo e voglio che i miei figli crescano nel rispetto della religione.» La signora Melford si morse un labbro, guardando prima Jamie e poi Barbara, e alla fine commentò soltanto: «Ci penseremo quando avrete dei figli», e cominciò a sparecchiare. Barbara restò seduta, lo sguardo fisso nel piatto, senza parlare. Infine chiese: «Ti sei portato del lavoro a casa, Jamie?»
«Sì, devo proprio leggere...» Jamie si accorse che non desiderava parlarne, quindi rimase sul vago. «Un paio di manoscritti, mi dispiace; avrei preferito passare la serata in vostra compagnia. Ma con quello che è successo in ufficio oggi...» «Ma certo, capisco», si affrettò a dichiarare Barbara. «Perché non accendi il camino e non ti versi qualcosa da bere prima di cominciare? È una serata da lupi, fuori, un bel fuoco mi sembra l'ideale.» Jamie assentì, pregustando l'ambiente piacevole in cui stava per immergersi. Un fuoco scoppiettante, un buon drink, una stanza silenziosa; avrebbe dissipato le sciocchezze pensate poco prima, provocate dal nervosismo e dallo stomaco vuoto. Baciò sua madre sulla fronte quando tornò a prendere i piatti sporchi. «Il tuo stufato scaccerebbe le paure di chiunque, mamma. È ottimo.» «Lasciami lavare i piatti, mamma», disse Barbara. «Tu hai preparato la cena.» «No, insisto per farlo io», si intromise Dana. «È giusto così. Tu, Barbara, stai qui, bevi qualcosa con Jamie prima che cominci a lavorare. Come va il mal di testa?» Barbara, che si era inginocchiata per accendere il fuoco, alzò le spalle. «Come prima. Ho preso un'aspirina, ma non sembra...» «Dovresti vedere un medico, Barbara, tesoro», intervenne la signora Melford sulla porta della cucina con il detersivo in mano. «E non soltanto per quello...» «Non è niente, mamma. Non preoccuparti. Jamie, mi prendi un fiammifero?» Dopo un'inutile ricerca sulla mensola del caminetto, Jamie si diresse in cucina in cerca di un fiammifero. Mentre spingeva la porta udì Dana che esclamava con convinzione: «Bisogna assolutamente fare qualcosa, mamma», e la signora Melford che replicava: «Fidati, tesoro, ci penso io». Si girò di scatto e sospirò, visibilmente sollevata: «Oh, Jamie! Cosa ti serve? Sai», scherzò, «che non mi piace avere degli uomini in cucina.» «Barbara mi ha mandato a prendere un fiammifero. Quelli per il camino sono finiti», spiegò Jamie. Il vago odore di detersivo dei piatti, la fragranza delle erbe aromatiche ancora presente, contribuivano ad accrescere il suo senso di pace e calma. Tornò da Barbara e si inginocchiò accanto a lei per accendere il fuoco, rimandando ancora il momento in cui avrebbe dovuto occuparsi dell'incubo rappresentato dal manoscritto di Cannon. Le circondò la vita con un braccio. «Hai l'aria distrutta, tesoro. Perché
non te ne vai a dormire presto?» Barbara si alzò faticosamente. Aveva le labbra esangui e gli occhi cerchiati. Mormorò: «Forse lo farò. Quell'aspirina non mi ha fatto nessun effetto; mai avuto un mal di testa del genere». «Aspetta, ti verso ancora qualcosa da bere», suggerì Jamie. Cominciò a versare e si fermò quando Dana fece il suo ingresso. «Ne vuoi anche tu, Dana?» «Se Barbara ha tanto male alla testa, non dovrebbe bere», consigliò Dana, che si avvicinò alla donna sofferente; Barbara si era seduta china in avanti, con la testa tra le mani. «Accidenti, sei pallida come un fantasma, Barbara. Hai la faccia grigia!» «Fammi vedere!» intervenne Jamie, vagamente inquieto, il buonumore d'un tratto dissipato. «Vuoi che chiami un medico, Barby? Ti accompagno subito da Clifton?» «No, no», esclamò Barbara in tono irritato. «Vorrei soltanto che la smetteste tutti di occuparvi di me! Non potete lasciare in pace me e il mio mal di testa?» La voce le tremò mentre cercava di ridere, e si strinse le tempie tra le mani. Il viso perfetto di Dana assunse un'espressione dolce. «Poverina, vieni con me. Preparati per la notte, e ti massaggerò il collo. È la cura migliore per le cefalee, meglio di pillole e polverine, e dormirai come un neonato nel giro di venti minuti. Andiamo.» Barbara si lasciò docilmente accompagnare fuori da Dana. Jamie si sedette accanto al fuoco, lo sguardo fisso sulle fiamme che giocavano nel camino. Dopo un quarto d'ora Dana uscì in punta di piedi dalla camera da letto e si chiuse la porta alle spalle senza far rumore. «È profondamente addormentata», annunciò. «Sei stata gentilissima, Dana», la ringraziò Jamie sinceramente. «Mi piace fare massaggi, ma è faticoso», spiegò Dana. «Adesso lo accetto volentieri, quel bicchiere.» Jamie le versò da bere. Aveva l'impressione che la ragazza si aspettasse di sentirgli dire qualcosa, ma tutto ciò che riuscì a dire fu: «Mi dispiace sembrare asociale, Dana. Vorrei tanto non dover leggere questi maledetti manoscritti, ma non ho scelta». «Non ti farò perdere tempo; tua madre e io abbiamo molto da raccontarci», lo rassicurò Dana. Prese il bicchiere e si diresse verso la stanza della signora Melford. Jamie protestò: «Andiamo, non siete obbligate a stare alla larga dal sog-
giorno», ma Dana era già sparita. Il locale era immerso nel silenzio, rotto soltanto dai sibili e dagli scoppiettii del fuoco. Jamie prese in mano un manoscritto, lasciando la seconda copia sulla credenza, e si mise a pensare a Dana. Era piuttosto sorpreso dal fatto che Barbara, in genere non gelosa, si sentisse tanto infastidita e insicura in presenza della donna. Dana era una ragazza dolce e gradevole, che tentava in tutti i modi di essere simpatica a entrambi, allora perché Barbara non riusciva ad accettarla? Immaginava che Barbara si sarebbe sentita più sicura di sé se fosse stata incinta. Lui non aveva particolarmente fretta di avere figli, ma un giorno o l'altro avrebbe voluto diventare padre. Forse dovrei consultare un medico per scoprire se non sono io a essere sterile, pensò pigramente, e gli tornarono in mente, provocandogli un brivido di disgusto, le minacce telefoniche. Ma in fondo, perché preoccuparsi dei pazzi? Il manoscritto era voluminoso, duecentocinquanta pagine circa scritte a macchina sulla carta a buon mercato che Jock aveva usato anche per i libri precedenti. Il testo era dattilografato con cura, anche se non con la precisione di un professionista, tempestato dalle cancellature e correzioni cui gli editori erano abituati. Jamie estrasse una matita dalla tasca della giacca (dopo dodici anni come editore aveva praticamente dimenticato come si faceva a leggere senza una matita in mano, e a volte gli capitava, senza pensarci, di correggere gli errori perfino nei libri stampati) e iniziò a leggere. Questo è il resoconto di un incredibile viaggio, un viaggio tra gli illusi, i pazzi, le persone assalite da ossessioni, e a volte anche tra coloro che sono dotati di arcani poteri: le streghe di oggi. Non in vecchi castelli, non in case vittoriane infestate dagli spiriti, ma in condomini, nelle abitazioni del Village, proprio accanto a voi, forse, la strega moderna porta avanti la sua terribile opera con la magia nera e il male. I primi due capitoli raccontavano vicende piuttosto banali di magia e vudù, di omicidi con le bambole di cera, e Jamie pensò, mentre leggeva, che si trattava di argomenti piuttosto comuni per ogni specialista sull'argomento. Cannon aveva trascorso gli ultimi anni a compiere ricerche nel campo dei fenomeni paranormali, delle case infestate e via dicendo, e se di tanto in tanto abbelliva le informazioni di cui disponeva per trasformarle in una storia più avvincente, non era cerco Jamie a rimproverarlo. Tuttavia
verso la fine del capitolo tre, che descriveva l'operato di un moderno gruppo che praticava la magia nera con la copertura di studi di folklore e antropologia, si rizzò a sedere, assumendo un'espressione accigliata. La mia informatrice era un'ex adepta di una loggia nera, spesso chiamata impropriamente congrega di streghe, che dopo aver visto le vette di depravazione e orrore raggiunte dagli altri membri, ha smesso di frequentarli. Mi ha raccontato che stava cercando di entrare in un convento o, se non ci fosse riuscita, di dedicarsi a una forma di volontariato, per tentare di rimediare al male che aveva contribuito a causare quando era nella loggia. Quattro mesi dopo il nostro incontro, però, in seguito a un lungo periodo di paura e ossessioni (confesso che all'inizio pensavo stesse impazzendo) è morta di quello che i medici hanno diagnosticato come collasso cardiaco. Dato che è morta urlando di un invisibile coltello che le squarciava il cuore, ho messo talvolta in dubbio tale diagnosi. Qualunque sia la verità sulla scomparsa di quella povera ragazza, è vero che veniva perseguitata. Mi ha mostrato le lettere che riceveva. Jamie scosse il capo turbato. Non c'era da stupirsi che Jock avesse paura! Lesse rapidamente il breve resoconto sul modo in cui la ragazza diceva di essere stata accolta nella loggia, sulle tecniche usate per attirare nel gruppo dei tossicodipendenti con la promessa di droghe a volontà; questi ultimi, che avevano la coscienza in parte già distrutta dalle sostanze stupefacenti, erano stati utilizzati per certe pratiche che gli altri membri non si sentivano di compiere. Non si facevano nomi ma, a parte questo, il libro forniva una relazione dettagliata di certi atti di crudeltà chiaramente perpetrati senza altri fini. Ho chiesto a un altro informatore, un ex sacerdote che si era unito al gruppo e amava l'idea di diffondere le attività della loggia, perché attaccavano con tanta crudeltà delle vittime apparentemente innocenti. «Ho trascorso la giovinezza sottomesso alle menzogne della religione e alla paura del fuoco dell'inferno», mi ha risposto. «Credevo che sarei finito negli inferi se avessi toccato una donna, se avessi parlato in modo irrispettoso alle vecchie suore nevrotiche che insegnavano nella mia scuola e perfino se cedevo a un impulso temporaneo di collera o lussuria; queste mi venivano presentati come peccati terribili quanto l'omicidio o la tortura. Ora ho imparato a servire un nuovo dio, un dio che concede delle at-
tenuanti alle colpe dell'umanità, e almeno imparo a vivere. Prima di morire mi vendicherò di coloro che mi hanno insegnato che la vita è soltanto colpevolezza e paura.» Jamie si chiese se si trattava del padre Mansell «spretato» di cui gli aveva parlato Cassidy. Atti malvagi, squilibrati, erano stati perpetrati in nome della religione; coloro che avevano subito le sue forme più esagerate avevano probabilmente perso anch'essi l'equilibrio mentale. Il capitolo proseguiva. Il denaro, il potere e la soddisfazione dei bisogni personali sono solitamente gli obiettivi dei praticanti di magia nera, e per questa ragione non si fermano davanti a nulla per realizzare i loro desideri o eliminare chiunque interferisca nei loro piani. Per esempio, la mia prima informatrice, la ragazza che è morta, mi ha raccontato che in tre diverse occasioni si è seduta in un cerchio a praticare la concentrazione: dodici uomini e donne sfruttavano la forza del pensiero per convincere un parente o amico ricco a cambiare testamento o a donare grosse somme di denaro a un membro della congrega. Non so se venissero utilizzate anche forme di ipnosi sulla vittima, fatto sta che funzionava. Coloro che avevano mutato il testamento morivano qualche settimana più tardi. Una descrizione più dettagliata della morte di chi viene attaccato con la magia nera si trova al capitolo cinque. Ancora il capitolo cinque. Jamie sfogliò le pagine successive senza soffermarsi e ricominciò a leggere una parte che attirò la sua attenzione. Il principio della minima azione, comune a magia bianca e magia nera, prevede che gli obiettivi materiali richiedano metodi materiali, obiettivi immateriali metodi immateriali. Una loggia nera può riuscire a uccidere qualcuno sfruttando le correnti astrali, ma deve prima ridurre la resistenza della vittima. In questo caso si ricorre a ogni metodo psicologico, a seconda della personalità della vittima stessa. La loro specialità consiste nel presentare alla vittima degli orrori specificamente concepiti, e quindi adatti, per la sua psiche: oscenità per i puri, bestemmie per i devoti, torture sadiche di animali (a volte battezzati con il nome della vittima) per i più resistenti. La suggestione è l'arma più potente, uno strumento realmente implacabile, come stentano a credere coloro per cui la suggestione è sol-
tanto l'innocua ripetizione di una pubblicità alla televisione per indurre lo spettatore ad acquistare una particolare marca di dentifricio. E se i metodi inoffensivi dell'agenzia di pubblicità si rivelano efficaci, è facile immaginare che la vittima di tale persecuzione incessante crolli completamente e velocemente. Non so se i poteri così evocati siano dei «demoni» o no, ma in ogni caso esistono. Per esempio... Jamie sollevò il capo, tendendo l'orecchio. Da qualche parte, in un altro appartamento, un cane aveva cominciato ad abbaiare istericamente. Udì uno strano fruscio dietro di sé. Si voltò, non vide nulla e aggrottò la fronte: stava cominciando a immaginare anche lui tutti gli orrori di Jock? Si rese conto che era quasi mezzanotte e che stava reagendo come un lettore di storie dell'orrore nel cuore della notte: cominciava ad avere paura. Si immerse di nuovo nel manoscritto. I metodi per evocare i demoni si trovano in ogni libro di magia ma, come disse Shakespeare, «posso chiamare gli spiriti dal sonno profondo. Posso, e lo può ogni uomo, ma verranno quando li chiamerai?» La ragione per cui non vengono è che soltanto gli adepti esperti di magia nera conoscono i metodi giusti per pronunciare «i nomi barbari delle invocazioni». Questi nomi sono stati in gran parte tenuti segreti, grazie a una tradizione orale che li ha trasmessi da adepto ad adepto. La tecnica è quella usata nel cosiddetto Mantra Yoga, il cui esempio più noto è quello del noto fenomeno del do del tenore Caruso che riesce a rompere un bicchiere. Le parole vengono pronunciate, fatte risuonare, non soltanto con un'assoluta concentrazione mentale, ma con una speciale tecnica di vibrato che soltanto voci esperte riescono a riprodurre. Questo non ha nulla a che vedere con il volume del suono. Si tratta, invece, di far risuonare in tutto il corpo ogni sillaba, che si avverte perfino nelle palme della mani e sotto le piante dei piedi. Senza questo, ci si trova nella stessa posizione del sacerdote ai Vespri che conclude dicendo «Vieni a noi Signore» e nessun partecipante si stupisce che non venga. Jamie si riscosse bruscamente. Ebbe l'impressione che una corrente fredda gli soffiasse lungo la schiena. Fuori della porta udì lo strano rumore di un oggetto che veniva trascinato. Poi, diversi avvenimenti si accavallarono.
Il telefono squarciò la quiete con un trillo acuto. Contemporaneamente il campanello della porta d'ingresso suonò tre volte in successione rapida, un improvviso ding-ding-ding che lo indusse ad alzarsi automaticamente. Afferrò il ricevitore. «Melford», rispose bruscamente. «Pronto?» «Da' un'occhiata fuori dalla porta», disse la voce, e subito dopo riattaccò. Jamie imprecò, si avvicinò rapidamente alla porta e la spalancò d'un tratto. Senza stupirsi si avvide che il corridoio coperto di moquette era deserto. Una ventata gelida risalì le scale e lo colpì. Si accigliò, e si accinse a chiudere l'uscio quando si fermò, vedendo cosa si trovava sullo zerbino. Raccolse l'oggetto ma subito, con una smorfia di disgusto, lo lasciò cadere. Si trattava di una piccola croce di legno cui era stata inchiodata quella che sembrava una ranocchia verde di plastica con cui i bambini tormentano le sorelle. Dopo un istante di esitazione, Jamie si chinò di nuovo per afferrare l'oggetto blasfemo. Non era una persona religiosa, e gli atti blasfemi non lo turbavano in particolar modo, ma la mente malata che l'aveva concepito lo preoccupava. Lo turbava il fatto che Barbara, non devota ma religiosa, avrebbe potuto trovarlo per prima. Ripensò, infuriato, alla persona che aveva lasciato polli morti sulla soglia di Jock. Poi, con un brivido di repulsione, si avvide che il rospo sulla croce non era di plastica, ma pareva molle e inerte. Doveva essere stato ancora vivo poco tempo prima. Era meglio che si liberasse di quell'orrore prima che Barbara o sua madre lo vedessero. Si voltò verso l'interno dell'appartamento e vide che Barbara, in camicia da notte, era entrata in salotto lasciando socchiusa la porta della stanza da letto. «Ti ha svegliato il campanello, tesoro? Era solo qualcuno che fa scherzi di Halloween con un mese di ritardo», la rassicurò, nascondendo rapidamente l'oggetto dietro la schiena. Barbara non rispose e non lo guardò. Anzi, i suoi occhi sembravano vuoti, spenti, e si muoveva con fare esitante, senza guardare dove andava. «Barbara?» la chiamò spaventato. Quella maledetta faccenda l'aveva turbata a quel punto? Era sonnambula? Gli pareva di ricordare che non bisognava svegliare i sonnambuli durante una crisi, oppure era solo una leggenda popolare? In ogni caso, se si destava e si trovava lì, poteva spaventarsi. Era meglio che la riaccompagnasse a letto. Ma prima avrebbe gettato nella spazzatura quell'oggetto disgustoso. Lo gettò in cucina stando sulla porta: se ne sarebbe occupato più tardi. Si rivolse di nuovo a Barbara... Gridò inorridito e si gettò verso di lei un momento dopo che Barbara,
muovendosi con insolita rapidità, aveva afferrato la copia del manoscritto di Jock dalla credenza, aveva compiuto un passo rapido verso il fuoco e aveva gettato il fascio di fogli al centro dei carboni ardenti. «Barbara!» gridò, senza più curarsi del fatto che così facendo avrebbe potuto svegliarla. «Sei impazzita?» Sembrava non sentirlo e non vederlo: tese la mano e si mosse con lentezza, ma con incredibile determinazione, verso la poltrona dove si trovava la copia che stava leggendo, l'ultima copia. Jamie le afferrò il braccio senza mollare la presa. Barbara si contorse e si dibatté, senza degnarlo di uno sguardo, tentando di afferrare le pagine. Lui prese in mano il manoscritto e lo buttò lontano da lei. Barbara lottò strenuamente per avvicinarsi alle pagine e si sottrasse alla sua presa con l'agilità di un'anguilla. Jamie cercò di imprigionarle entrambe le braccia e la scosse silenziosamente, la sua foga moderata dalla paura di farle male. Continuò a ripeterle sottovoce, con insistenza: «Barbara, svegliati! Svegliati! Va tutto bene! Va tutto bene, tesoro! Svegliati! Non fare una cosa del genere!» Infine riprese il manoscritto, lo nascose subito sotto il cuscino della sedia e, con un dolce «Scusami, amore», le diede un sonoro schiaffo sulla guancia. Barbara gridò, rabbrividì, roteò gli occhi, poi improvvisamente si scrollò, come un cucciolo che esce dall'acqua. Si portò le mani alla testa in un gesto confuso. «Mi hai picchiata!» esclamò. «Cosa?... dove?» E scoppiò a piangere. CAPITOLO 5 Nel silenzio di quell'istante di smarrimento - per un attimo a Jamie parve di riuscire perfino a sentire la mancanza di suoni nell'appartamento - il telefono squillò di nuovo. Barbara, che stava ancora singhiozzando, si diresse automaticamente verso l'apparecchio. Jamie, però, le ingiunse: «Non rispondere», e la tenne stretta con dolcezza mentre suonava tre, quattro, cinque volte prima di tacere. «Jamie, cosa ti sta accadendo?» D'un tratto, si sentì ribollire per la rabbia. «Come, cosa sta accadendo a me? Sei andata fuori di testa? Ti rendi conto di cos'hai fatto?» Scosse il capo lentamente. «Io... non lo so. Come sono arrivata qui?
Camminavo nel sonno?» «Stai cercando di dirmi che non ne hai idea?» ribatté lui. «È così», confermò Barbara. Ora non piangeva più, aveva gli occhi asciutti e l'aria incredula mentre l'ematoma le si allargava sul viso. Vi appoggiò una mano. «Non ricordo niente dopo il massaggio di Dana. Poi mi sono trovata qui e mi hai picchiata.» Jamie ribatté a denti stretti: «Hai bruciato una copia di quel... di quel maledetto manoscritto, e hai fatto il possibile per distruggere anche l'altra». Lei lo fissò, palesemente scettica. «Uno di noi due è impazzito», sentenziò. «Già, uno», ripeté Jamie. Improvvisamente si chiese come mai quel pandemonio non avesse svegliato anche le altre due occupanti dell'appartamento, poi capì non senza imbarazzo che, se sua madre e Dana si fossero svegliate e avessero udito quella che dovevano aver scambiato per una lite violenta tra lui e Barbara nel cuore della notte, difficilmente si sarebbero intromesse. «Tesoro», riprese allora, «se ti ho dato uno schiaffo è solo perché credevo che fossi diventata completamente pazza. Eri quasi riuscita a gettare quella roba nel fuoco. Guarda.» Indicò le braci che si stavano spegnendo. Barbara si avvicinò e osservò meglio i fogli neri accartocciati del manoscritto, individuando qualche lembo, qua e là, che si era salvato dalle fiamme, e scosse la testa inorridita. «Sono stata io? Jamie, cosa sta succedendo?» «Niente di soprannaturale», la rassicurò lui, mentre la collera che provava dentro si rapprendeva in una solida furia; cercò comunque di aggrapparsi alla razionalità, temeva altrimenti che avrebbe cominciato a urlare e non sarebbe più riuscito a smettere. «Penso che quest'accozzaglia di pazzi abbia cominciato a cercare di distruggere le mie difese. Per quanto riguarda te, suppongo che tu ti sia agitata e spaventata dopo aver ascoltato le storie di Bess, e forse il tuo inconscio ha deciso che sarebbe stato meno pericoloso disfarsi direttamente del manoscritto.» «Smettila di fare lo psicologo», lo interruppe Barbara bruscamente. «Ci credi sul serio?» «Devo farlo», ammise a denti stretti. «Però, ti posso dire una cosa. Trascorrerò il resto della notte con il manoscritto sotto il cuscino, e domattina farò io stesso una decina di fotocopie, senza neppure rivolgermi alla segretaria.» Stava ancora armeggiando con la fotocopiatrice, l'indomani, dandosi del-
lo sciocco — aveva lasciato Barbara che dormiva, con l'aria esausta e malata e il viso ancora arrossato - quando la sua segretaria entrò nella stanzetta in cui stava lavorando. «Signor Melford», annunciò con affettazione e con uno sguardo che lasciava trapelare una traccia di disapprovazione (che lui interpretò, correttamente, come: Non dovrebbe essere lei a svolgere questo tipo di incarichi), «ha visite.» «Sarà Barton», borbottò Jamie, «con le nuove scale dei diritti d'autore per la fiction... Digli che se continua così non potremo pubblicare più di tre romanzi al mese sulle infermiere.» «No, è un certo signor MacLaren, Colin MacLaren.» «MacLaren», ripeté Jamie con l'aria pensosa. «Che strano, mi pare di ricordare che qualche tempo fa proprio Cannon mi abbia parlato di un certo MacLaren. Chissà che vuole.» «Devo cercare di liberarmene? Ha detto che avrebbe aspettato che lei si liberasse, se per caso era occupato, ma...» Jamie provò una stretta al cuore. Aveva la sgradevole sensazione che quella visita avrebbe accresciuto l'atmosfera allucinante che circondava il manoscritto di Jock Cannon. Estrasse delicatamente una pagina dall'apparecchio e ne infilò un'altra. «Che aspetto ha, Martha? Sembra uno svitato? Recentemente, ne ho visti anche troppi.» «Oh, no», rispose subito con sicurezza. «Ha l'aria perbene. Mi ricorda vagamente padre Cassidy. Ricorda quando il padre è venuto, l'estate scorsa, per parlare di quei due libri? Ha gli stessi occhi buoni.» «C'è nient'altro sulla mia scrivania, Martha?» «Be', sì, un mucchio di roba, ma le uniche pratiche urgenti sono le prove di copertina del nuovo romanzo della signora Wayne, che Roger Garth è venuto a portare, e poi Joan Clancy si trova nell'ufficio esterno e dice che la vorrebbe vedere per un minuto.» «Manderò Garth giù dal direttore artistico», decise Jamie. «Non c'è nessun bisogno che lo veda io. E Joan non resterà più di venti minuti: non si trattiene mai più a lungo. Falla entrare, e dirotta questo MacLaren a Peggy, dicendole che lo vedrò subito dopo. Nel caso invece che si tratti di un manoscritto, puoi chiedergli di lasciarlo direttamente a te.» Raccolse le copie del manoscritto di Cannon e, sentendosi vagamente sciocco, ne consegnò una a Martha con l'ordine di rinchiuderla nella cassaforte dell'ufficio. Ne infilò un'altra nella sua valigetta e posò le rimanenti sulla scrivania. Ringraziò il cielo per il fatto che Jock era stato un profes-
sionista metodico che faceva sempre qualche copia in più: fin troppo spesso, anche se il contratto specificava che l'editore doveva ricevere l'originale e una copia, Jamie non riceveva che quest'ultima, l'unica esistente. Probabilmente la maggior parte dei suoi colleghi del mondo editoriale avrebbero pensato che ne esistesse soltanto una copia e, una volta ottenuto l'esemplare dell'ufficio e indotto Bess - e lui stesso - a distruggere anche l'altra con una serie di intimidazioni, non ce ne sarebbero state più. Tuttavia, sembravano al corrente del fatto che ormai possedeva lui le copie di Bess. Gli venne in mente che forse avrebbe dovuto esaminare con più attenzione i due esemplari, la sera precedente; forse una delle copie che la vedova gli aveva consegnato era una prima versione e differiva, nei particolari, da quella che gli era pervenuta per prima, ovvero la copia rubata. Troppo tardi per preoccuparsene: la copia in questione era nel camino, e l'unica versione dattiloscritta ancora esistente era in mano sua. Sarebbe stato opportuno, però, verificare la copia nella cassaforte dell'agente, giusto per controllare. Jock poteva essere uno di quegli scrittori che, messa in bella una prima versione, in seguito la modificano pesantemente. In ogni caso, almeno poteva consegnare un esemplare a un redattore ed essere certo che, se qualcuno dell'ufficio avesse improvvisamente cominciato a soffrire di disturbi cerebrali, ne sarebbe rimasta comunque una copia. Non era mai accaduto che uno stampatore perdesse un testo, - anche se, come la maggior parte degli editori, talvolta aveva degli incubi a questo proposito - ma, con la fortuna che si ritrovava, sarebbe sicuramente successo questa volta, e che fosse dannato se avrebbe permesso a un disguido del genere di rovinargli tutto. Le sue radici irlandesi tornarono a manifestarsi; quegli svitati, chiunque fossero, non sarebbero riusciti ad avere la meglio su di lui. Sistemata la questione, trascorse venti minuti a discutere con Joan Clancy, una florida cinquantenne che nel corso degli ultimi vent'anni aveva scritto gialli, western, romanzi horror e anche uno di fantascienza, sotto numerosissimi pseudonimi, e che era diventata un'istituzione della Blackcock Books molto prima che Jamie fosse promosso direttore. Riuscì perfino ad appassionarsi alla discussione, relativamente sensata, sul fatto che i western stessero ormai declinando e che il pubblico di lettori del genere si fosse completamente volatilizzato, preferendo la televisione alla carta stampata. Ascoltò pazientemente, attentamente, mentre l'autrice si dilungava sulla possibilità o meno di finire il suo romanzo horror prima dell'ultimo dell'anno, e finalmente l'accompagnò fuori con parole gentili di inco-
raggiamento. Gli autori che si presentavano senza avvisare potevano rivoluzionare senza speranza le giornate più dense di impegni, ma Joan non esagerava: passava circa tre volte all'anno e dopo venti minuti al massimo si ricordava di alcuni acquisti importantissimi che doveva ultimare (venire in città, per lei, significava farsi due ore di treno da Long Island). Per questo Melford trovava sempre il tempo di vederla. La maggior parte dei suoi scrittori erano molto più informali e disinvolti, ma mai avrebbe trovato il coraggio di far sentire inopportuna quella signora di mezz'età, anche se sospettava che di solito non avesse nulla da dire e volesse semplicemente ricordargli la sua esistenza. Come se ne avessi bisogno, dopo dodici libri in cinque anni, pensò con dolcezza, e rifletté sulle differenze tra le persone. Talvolta scrittori meno modesti lo chiamavano dopo avergli venduto un libro sette anni prima e si aspettavano che Jamie ricordasse non soltanto i loro nomi, ma tutto quello che avevano fatto per la concorrenza, senza parlare dell'ultimo matrimonio o divorzio e dei nomi dei loro figli e dei loro cani. Aprì un pacchetto contenente due romanzi di fantascienza inviatigli da una delle agenzie più importanti, poi ricordò che aveva promesso di ricevere il signor MacLaren, desideroso di parlargli per un motivo non meglio specificato. Provava una strana aspettativa e si domandò come mai non lo avesse ricevuto subito. Poi chiamò Peggy perché lo accompagnasse da lui. Si sollevò un istante dalla poltroncina per accogliere il nuovo arrivato. La sua segretaria aveva ragione, pensò fugacemente: aveva occhi dolci. Era alto, anziano, con capelli grigi ben pettinati, una fronte alta e quadrata, naso e mascelle imponenti e, sotto sopracciglia curve e brizzolate, occhi di un insolito azzurro penetrante, un blu che di raro sopravvive all'infanzia con l'eccezione dei popoli scandinavi. «Signor MacLaren. Come sta? È un amico di Jock, vero? Ricordo che mi ha parlato di lei qualche mese fa. Non so come dirglielo, ma...» «So che Cannon è morto», rispose Colin MacLaren. «E il modo in cui è morto. In un certo senso è per questo che mi trovo qui.» Aveva una voce chiara, gradevole e priva di inflessioni, che tuttavia non impedì a Jamie di provare un crescente disagio. «Ah, capisco», disse. «Cosa posso fare per lei?» «Signor Melford, da quanto ho capito la sua casa editrice, che ha pubblicato molti dei suoi libri precedenti, intende pubblicare l'ultima opera di Cannon.» D'un tratto si sentì mancare e fu preso dalla collera. Balzò in piedi e in-
timò: «Fuori di qui!» «Come... come dice, prego?» chiese MacLaren, leggermente sorpreso. «Torni dai suoi amici psicotici e dica loro di andare al diavolo. Nessuna trattativa. Non riusciranno a spaventarmi.» MacLaren scrollò il capo. Aveva gli occhi luccicanti e sorrise. «Signor Melford, credo che ci sia un equivoco.» Jamie non si sedette, ma proseguì ad alta voce: «Vuol forse negare di essere venuto qui per continuare l'opera dei suoi amici, per cercare di costringermi a non pubblicare il libro di Cannon con le buone o con le cattive?» «Certo si tratta di un malinteso, signor Melford», rispose Colin con calma. «Vuole tornare a sedersi, per favore?» Prima di fermarsi a riflettere, Jamie si ritrovò seduto. Hanno già cominciato a lavorare su di me? si chiese, ma sarebbe sembrato scortese alzarsi di nuovo. «Cominci a parlare», intimò, scontroso. «Ma farà meglio ad avere una storia convincente.» MacLaren parlò lentamente. «Non so cosa dirle. Deduco che qualcun altro sia venuto qui prima di me e l'abbia fatta arrabbiare. Mi creda, non ho alcun rapporto con le persone che possono averla contattata. Per quanto ne so, non ho mai avuto il benché minimo contatto con lei, e uso questi termini perché una volta credo di averla vista, da lontano, a un convegno di scrittori: mi è stato detto che era lei il direttore della Blackcock Books. Mi sono rivolto a lei, signor Melford, per chiederle se non vuole ritirare dalla pubblicazione l'ultimo libro di Cannon perché...» «Perché lei e i suoi amici avete deciso che riuscite ad acchiappare più mosche con il miele che con l'aceto? Be', le minacce non hanno funzionato e i discorsi gentili neppure.» «Che Dio ci protegga», disse Colin a bassa voce, «è peggio del previsto. È stato minacciato, signor Melford?» «Come se non lo sapesse. Senta, MacLaren, nutro dei sospetti su chiunque mi chieda di ritirare quel libro... gentilmente o meno.» «Capisco», dichiarò Colin, pensoso. «Se pensa di non potersi più fidare di nessuno, non posso darle torto. Ma forse mi permetterà di spiegarle perché sono interessato all'ultimo libro di Cannon.» «Credo sia meglio», confermò Jamie. MacLaren non rispose subito, e Jamie ebbe l'occasione di osservare che stava perfettamente immobile, senza i piccoli gesti nervosi che quasi tutti, anche se inconsciamente, fanno quando stanno seduti. Infine chiese: «Si-
gnor Melford, se sapesse che qualcuno soffre di una grave forma di psicosi gli consegnerebbe una pistola carica? Posso capire perché desidera esporre quella gente e i suoi comportamenti disgustosi. Ma da quello che ho capito Cannon si è spinto più in là: ha descritto alcuni procedimenti, e in questo modo decine di altri squilibrati potranno leggere il libro e usarlo come un manuale». Jamie si trovava ora su un terreno vagamente più familiare. «Ogni volta che abbiamo pubblicato un libro sul sesso», obiettò, «ho sentito questa stessa teoria da liberali ipocriti che la usano come una maschera per il proprio puritanesimo. Del tipo: "Noi possiamo leggerlo ed essere al sicuro; ma come si comporterà la povera persona mentalmente squilibrata?" Per sua informazione, signor MacLaren, noi ci rivolgiamo al pubblico generale, non agli squilibrati, né ai perversi e nemmeno al mitico uomo medio. Non credo nella censura.» «Neanch'io, quando si tratta di morale o questioni affini», concesse MacLaren. «Però, si dà il caso che creda nella responsabilità morale. Secondo me il mondo sarebbe un luogo migliore, ad esempio, se gli scienziati che hanno inventato la bomba atomica avessero dovuto giurare di non rivelarne i segreti se non per scopi pacifici. Ora, esiste la possibilità che alcuni tipi di sapere provochino gli stessi danni della bomba atomica...» «Oh, andiamo!» esclamò Jamie, sul punto di scoppiare a ridere. «Mi creda, parlo sul serio. Una bomba atomica scoppia una volta sola. Un uomo può morire solo una volta e, dato che tutti muoiono, alla fine di questa mia vita non credo che m'importerà di morire da solo o con altri nove milioni di persone, se è questa la volontà di Dio. Né mi importa se muoio - o se qualcuno muore - per una bomba o invece per colpa di un mattone che gli è stato scagliato contro. Morirò quando suonerà la mia ora, ecco. Ma farò tutto ciò che è in mio potere per impedire a qualcuno di morire prima del tempo e, tra le altre cose, questo libro contiene alcune informazioni su modi e tecniche specifiche per interferire con la vita di un uomo... e con la sua mente.» «Si opporrebbe a un libro che illustra tecniche per effettuare il lavaggio del cervello?» chiese Jamie. «Lo farei se le tecniche descritte fossero tanto semplici da poter essere messe in pratica da chiunque legga il libro», ribatté. «Come mi opporrei a un libro che spiega ai bambini come fabbricare piccole bombe atomiche nelle loro case-giocattolo.» Jamie alzò le spalle. «Può darsi che sia in buonafede, come può darsi di
no», commentò scettico, «ma pare comunque sicuro che, se la paura non mi ha convinto, la persuasione riuscirà a impedire la pubblicazione del libro. La risposta è ancora no. Anche se credessi a ciò che dice sulla presunta pericolosità dell'opera - e non ne sono convinto - non mi lascerei impaurire in quel modo. Lo dica pure ai suoi amici.» «Non voglia Dio che rivolga la parola a gente del genere», ribatté Colin con un sorriso ironico, «ma ammiro il suo spirito. E dato che è proibito interferire con il suo libero arbitrio, non posso dirle altro. Vorrei tanto che non la pensasse così, però. Acconsentirebbe, ad esempio, a rivedere il manoscritto insieme a me? Potrebbe conservare i brani più impressionanti ma forse sarebbe disposto a cancellare, o magari a confondere, il materiale più pericoloso da diffondere.» «Niente da fare.» «Signor Melford, sa che queste persone non si fermano alle minacce.» MacLaren proseguì esitando. «Non voglio spaventarla, ma...» «Che facciano ciò che vogliono! Senta, si ficchi bene una cosa in testa: i suoi amici...» «Non sono miei amici!» ruggì MacLaren, così forte che fece addirittura tremare Jamie. Riportando la voce a un tono normale, proseguì: «Mi dispiace. Non avrei dovuto essere scortese, ma lei è un uomo testardo, signor Melford, e io ho un brutto carattere. Sono stufo che continui a implicare che sono un bugiardo e che ho un qualche legame con le persone che l'hanno minacciata!» Jamie si sentì arrossire, ma continuò. «Pensa che la gente che ha cercato di spaventare a morte Jock Cannon e di terrorizzare sua moglie - e la mia si fermerebbe davanti a una bugia o due?» «Se la mette così, immagino di no», ammise MacLaren. Sembrava triste. «Be', in ogni caso queste persone, che siano sue amiche oppure no, non possono farmi del male perché non credo alle loro fesserie! Jock aveva cominciato a crederci e quelle sciocchezze hanno iniziato a innervosirlo, e possono perfino averlo ucciso. Ma con me non funziona, perché io non ci credo!» Jamie stava ormai quasi urlando, e MacLaren lo stupì con un gran sorriso contagioso. «Questo è l'atteggiamento giusto», approvò. «Se è deciso ad affrontare queste persone da solo, soltanto così ha una speranza di uscirne indenne... e senza essere dannato. E se cambia idea, mi chiami. In qualsiasi momento. A qualsiasi ora del giorno e della notte. Pregherò per lei.» Senza altri convenevoli uscì dall'ufficio, mentre Jamie, sbattendo le pal-
pebre incredulo, si chiedeva ancora se era stato onesto con lui. CAPITOLO 6 Barbara Melford aprì gli occhi. La luce che glieli feriva con punte dolorose. Si mise seduta lentamente, chiedendosi perché ci fosse un tale silenzio nell'appartamento. Di solito il mattino era caratterizzato dal notiziario di Jamie, dai suoni di mamma Melford che preparava il caffè in cucina, dal rumore di un rubinetto aperto. Quel mattino, invece, la quiete era totale, a eccezione del forte ticchettio della sveglia. Barbara la fissò incredula: le undici? Buon Dio, pensò, ho dormito come un sasso! Il letto di Jamie era disfatto e decisamente vuoto. Poi, a poco a poco, come un brutto sogno, gli avvenimenti della notte precedente le tornarono in mente. Aveva davvero gettato il manoscritto di Cannon nel camino in un accesso di follia durante la crisi di sonnambulismo? L'ultimo particolare che ricordava era Jamie che si addormentava con la copia superstite sotto il cuscino. Infine anche lei era scivolata nel sonno, chiedendosi turbata se al risveglio non avrebbe scoperto di aver commesso qualche altro gesto orribile. Si alzò di malumore, infilò un accappatoio e si avviò in soggiorno. Mamma Melford poteva essere uscita a fare la spesa; magari sarebbe stata fortunata e anche Dana se n'era andata da qualche parte. Il soggiorno era deserto. Appiccicato allo schienale di una sedia accanto al camino c'era un biglietto: «Barbara, stavi dormendo così profondamente che non ho avuto il coraggio di svegliarti; Jamie ha detto che hai avuto una notte agitata, quindi ti lascio dormire. Riposati, tesoro. Vado con Dana alla ricerca di un appartamento. Flora Melford». Con una smorfia, Barbara gettò il biglietto nel camino. Ho proprio un brutto carattere, rifletté. Più cerca di essere gentile con me, più mi sembra falsa, e sono sicura che è colpa mia, non sua. Ricordò con fastidio che aveva due appuntamenti per delle fotografie, quel mattino. Chiamò la sua agente e le chiese di annullarli entrambi: era troppo tardi, grazie alla gentilezza di mamma Melford. Una lunga doccia la fece sentire meglio; infilò un vecchio paio di jeans e un maglione, si legò i capelli umidi con un foulard e andò in cucina in cerca di un caffè per completare la cura. Allungò la mano per afferrare il barattolo del caffè, toccò qualcosa, ritrasse il braccio e urlò inorridita. Sul ripiano davanti a lei giaceva una croce di legno, cui era inchiodato il
cadavere di una rana verde. Rabbrividendo per il disgusto, Barbara non riuscì a muoversi: continuava a fissarla, quasi incredula. Com'era finita lì? Se ci fosse stata quel mattino - proprio in cucina! mamma Melford avrebbe svegliato l'intero condominio con le sue urla. Barbara non aveva paura degli animali, ma la crudeltà sadica di quell'oggetto, la sua natura blasfema, le trasmisero un profondo senso di nausea. Poteva essere uno scherzo di pessimo gusto? Mamma Melford, la sera prima, aveva deriso il suo desiderio di crescere i figli con delle convinzioni religiose... Si trattava forse di un'altra sua replica? So che non le piaccio, ma deve proprio odiarmi se mi fa un tiro del genere. E poi, una persona sana di mente torturerebbe un povero animale indifeso solo per farmi uno stupido scherzo? Barbara non era una sprovveduta e sapeva che le torture sugli animali erano una triste realtà, ma vederne un esempio tanto vicino era sconvolgente. Si accinse a prendere quell'oggetto per buttarlo nella pattumiera, poi si fermò quando un pensiero la colpì come una mazzata: È il genere di tecnica che usavano con Jock Cannon. E adesso hanno cominciato con me. Ma perché io? Perché non Jamie? È meglio che conservi questo orrore per farglielo vedere? No, lo turberebbe ancora di più. Scoprì però, allungando la mano per afferrare la croce, che le sue dita si rifiutavano di toccarla. Dopo un istante decise di lasciarla dov'era, si preparò un caffè solubile e andò in salotto a berlo, per non vedere più quell'oggetto disgustoso. E va bene. Così, chiunque aveva cercato di far paura a Jock, ha iniziato la guerra dei nervi anche con noi. Ma come era arrivata quella roba nell'appartamento? Era entrato qualcuno mentre dormivo? Qualcuno che ha un duplicato delle chiavi. Aveva soltanto scorso rapidamente i libri precedenti di Jock Cannon, ma ora, spinta da un vago ricordo, andò a cercare una vecchia copia di Il diavolo in America e la sfogliò rapidamente. Nella descrizione di sacrifici di animali durante i riti vudù a New Orleans, trovò il seguente brano: Il defunto Aleister Crowley ha lasciato la descrizione di una strana cerimonia in cui un rospo, battezzato con il nome di Gesù, figlio di Giuseppe, è stato tenuto per tre giorni in un contenitore di cedro, con dell'incenso che gli bruciava davanti; veniva adorato e gli venivano rivolte preghiere.
Nel frattempo, lo stregone intagliava una croce, e il terzo giorno crocifiggeva l'animale. Ma il libro di Jock non diceva perché qualcuno avrebbe commesso un atto tanto inutile, crudele e blasfemo. Barbara aveva sempre pensato che gesti del genere fossero opera di persone che, dopo aver abbandonato per un motivo valido la chiesa, volevano vendicarsi e irridere pubblicamente ciò che avevano un tempo adorato. Vederlo a una distanza tanto ravvicinata, però, le dava la fastidiosa impressione di essere in presenza di follia pura. Dovrei disfarmene prima che Jamie torni a casa, si disse con scarsa convinzione, ma restò sulla sedia come paralizzata, tenendo il libro mollemente in mano. Nella cenere del fuoco della sera precedente vide delle scaglie nere, fitte: il manoscritto che era bruciato. Come ho potuto fare una cosa del genere? Non sono mai stata sonnambula, neanche da piccola. Il rumore di passi e le voci fuori dell'appartamento l'indussero a riscuotersi dallo stato di torpore in cui stava scivolando e, quando la signora Melford entrò con Dana, entrambe sorridenti e piene di energia per via dell'aria frizzante, Barbara era seduta a sorseggiare l'ultimo goccio di caffè. «Ciao tesoro», l'anziana signora le si avvicinò per baciarla. «Come va il mal di testa? Ha chiamato Jamie? Non sei andata in ufficio oggi?» «Certo che sì», ribatté Barbara con sarcasmo. «Quello che vedi è il mio corpo astrale. Ciao, Dana. Hai avuto fortuna con gli appartamenti?» «Ne ho visto uno e probabilmente lo prenderò», rispose Dana. «Ti senti meglio, Barbara? Non sembri in gran forma; Jamie ha detto che hai avuto una crisi di sonnambulismo ieri notte.» Il pensiero di loro tre che parlavano di lei a colazione era sgradevole, così si limitò a rispondere: «Sto abbastanza bene, grazie», e si alzò, con il libro ancora in mano. «Cosa stai leggendo? Oh» - la signora Melford fece una smorfia di disgusto - «quella roba!» Raccolse il sacchetto della spesa. «Meglio che vada a preparare il pranzo...» Varcò la soglia della cucina e, un istante dopo, finì loro addosso, indietreggiando, con un grido acuto. «Oh! Oh! Oh...» Barbara si riscosse. Aveva lasciato quell'orribile crocifisso sulla credenza della cucina, accanto al barattolo del caffè. L'anziana donna, agitata e con i lineamenti distorti, apostrofò Barbara
urlando. «Ce l'hai messo tu? Ce l'hai lasciato tu? È orribile! Oh! Oh! Non posso toccarlo.» Barbara si avviò con passo stanco in cucina. «Mi dispiace. Avrei dovuto buttarlo via, ma pensavo che Jamie dovesse vederlo, quindi l'ho lasciato lì...» «Tu ce l'hai lasciato? Sei matta, a mettere un oggetto del genere...» «Intendo dire che c'era già, io l'ho solo trovato», precisò Barbara, in tono fiacco, «e non l'ho spostato.» «Ma Barbara», intervenne Dana, l'espressione perplessa e incerta e i grandi occhi spalancati, «come hai potuto trovarlo lì? Non c'era quando abbiamo fatto colazione, vero, mamma?» La signora Melford confermò energicamente: «Certo che no! E non è certo venuto da solo. E poi, qui non c'era nessuno a parte te, Barbara! Stai facendo una specie di scherzo? Non è molto divertente...» «Non sono stata io», protestò Barbara, «e nemmeno io credo che sia divertente. Sono entrata in cucina mezz'ora fa per farmi un caffè e l'ho trovato appoggiato lì. Io... non sono riuscita a toccarlo», confessò debolmente. La signora Melford la guardò poco convinta. Dana aggrottò le sopracciglia, fissando Barbara con uno sguardo che appariva turbato e smarrito. «Ma Barbara, se non c'era nessun altro e sei sicura di non avercelo messo tu... forse hai camminato di nuovo nel sonno?» «Non sono mai stata sonnambula se non un'unica volta, cioè ieri notte», esclamò Barbara, che d'un tratto si sentiva in trappola e arrabbiata, «e non sono stata io. Forse ce l'hai messo tu.» Dana non si degnò neppure di risponderle. Alzò le spalle con aria eloquente e si allontanò, dicendo alla signora Melford: «Credo che non stia molto bene, mamma. Non disturbiamola». Barbara scosse il capo, chiedendosi se era davvero una pazza che veniva assecondata, quando la signora Melford replicò abbassando prudentemente la voce: «Suo fratello... il povero Jerry... a volte mi sento in colpa. Non vorrei certo che accadesse di nuovo...» Uscì dalla cucina con la croce in mano. Nonostante tutte le urla, osservò Barbara con un certo distacco, sembra in grado di occuparsene senza tante storie. «Perché non torni a letto un po', Barbara? Ti porto io qualcosa da mangiare quando il pranzo è pronto», propose Dana tendendo una mano verso di lei. Barbara si sentì di nuovo irritata e intrappolata. «Adesso sto bene», ri-
spose. «Be', non si direbbe. Vado a buttarlo», annunciò la signora Melford, che uscì in corridoio diretta al condotto della pattumiera. Dana ne approfittò per commentare a voce bassa: «Si preoccupa per te, Barbara, non prendertela». «Non me la prendo. E per dimostrare che non ce l'ho con lei», dichiarò Barbara risolutamente, «le risparmio del lavoro andando a fare il mio letto e riassettando io stessa la stanza, dato che non vado in ufficio.» «Ah, è lei che fa i mestieri in casa? Come sei fortunata», mormorò Dana con gli occhi spalancati. «Sai quanto costa una donna di servizio?» «Sì», tagliò corto Barbara, «ho cercato più volte di assumerne una; non ho intenzione di sfruttare la madre di mio marito come domestica. Ma rifiuta la presenza di chiunque altro in casa. Dice che un'altra persona la intralcerebbe.» «Nessuno ti ha accusato», protestò Dana. «Mio Dio, come sei permalosa questa mattina! Cosa stai leggendo?» Prese nella sua la mano di Barbara che teneva ancora il libro. Voltò il volume per guardarne la copertina. «Ugh! Non c'è da stupirsi che ti senta acida!» Barbara si impose di restare calma. Liberando la mano dalla stretta leggera di Dana l'avvertì: «Non far caso a me, non sono in vena di parlare. Adesso me ne vado in camera. Non ho voglia di mangiare, non subito almeno; più tardi passerò in ufficio e mangerò un boccone da qualche parte. Non era mia intenzione sembrare permalosa, Dana.» Entrò in camera sua e chiuse la porta, mettendosi le mani tra i capelli. Anche Dana è armata di buone intenzioni, immagino, ma quel suo sguardo innocente con gli occhioni sgranati è troppo, maledizione! Nessuno può essere disponibile fino a quel punto! Piena di buona volontà rifece il suo letto e quello di Jamie, pulì il pavimento del bagno e la vasca, e completò quel lavoro superficiale spazzando per terra. Dentro, però, era furente. Avrebbe preferito ricorrere a una domestica. Ma la madre di Jamie continuava a insistere nel dire che una sconosciuta in casa che ficcava il naso nella loro roba avrebbe finito per invadere la loro privacy. Lei, però, non pensa mai che la sua presenza invada l'intimità mia e di ]amie. All'inizio Barbara era stata profondamente infastidita all'idea che la madre di Jamie rifacesse i loro letti, frugasse anche, forse, nei cassetti della sua scrivania, toccasse la sua biancheria intima, la spazzola e il pettine. Aveva cercato di riservarsi il compito di riassettare la sua stanza, ma la si-
gnora Melford si era mostrata «ferita» ... ed estremamente sarcastica. «Pensi forse che vada a curiosare nei tuoi cassetti? A guardare tra i documenti privati? A frugare nell'armadietto dei medicinali per vedere che pillole prendi?» «No, no», aveva cercato di protestare Barbara, che si sentiva colpevole perché la suocera aveva fatto centro in pieno, «solo che non mi va di trattarti come una serva...» «Una serva? Una serva? Vieni da una famiglia con dei servi? Non sono tanto presuntuosa, voglio semplicemente sentirmi a casa mia, mi piace lavorare!» Poi la voce si era intristita. «Ma io, sono soltanto una povera vecchia, non la padrona di casa con la sua cucina. Starei meglio al ricovero! Avevo pensato per un po' che qui sarei stata a casa mia...» «Per l'amor del cielo, mamma!» aveva protestato Barbara. «Fai tutto ciò che vuoi!» «Perché sei così sospettosa? No, te lo dico io cosa devi fare!» Un sorriso amaro le si era dipinto sul viso. «Tutti i tuoi segreti, quello che non desideri che veda, ti procuri un bel lucchetto e metti tutto sotto chiave...» «Ma insomma, mamma, non ho nessun segreto!» aveva praticamente gridato Barbara, sentendosi come un'adolescente ribelle, colpevole e furibonda. «Mi dispiace! Se non riesci a capire quello che intendevo dire, lascia perdere! Lascia stare!» E Jamie aveva aggiunto, quasi scusando la madre: «Ha sempre avuto la sua casa da seguire e immagino che si senta sola se non ha neanche le faccende domestiche da sbrigare. Non è quella che si dice un'intellettuale, lo sai». Era vero. L'anziana donna leggeva poco, non guardava mai la televisione, sembrava infastidita dalla radio e non aveva passioni eccetto le erbe aromatiche che coltivava: erba cipollina e salvia per insaporire i cibi, dragoncello nei vasi di fiori, basilico dolce e diverse altre spezie che Barbara non riconosceva ma che emanavano in genere un buon odore, dolce o forte o amaro, e di cui ritrovava il sapore in uno stufato o nell'arrosto... la signora Melford era un'ottima cuoca. Non sembrava neanche che avesse molti amici, se si esclude la simpatia inattesa per Dana. Se si fosse trattato di una donna più giovane, Barbara si sarebbe chiesta se la madre di Jamie non avesse delle tendenze lesbiche: la loro amicizia sbocciata all'improvviso assomigliava quasi a un innamoramento. Ma ora, mentre spolverava, scopava e puliva il pavimento, Barbara sco-
prì che quel piccolo sforzo fisico le ridava il buonumore. Dopotutto, pensò, quella povera vecchia è sola. Dato che io non le sto simpatica, è bello che abbia un'amica più giovane che può considerare una specie di figlia. E se Dana fosse innamorata di Jamie, dovrei provare dispiacere per lei invece di essere gelosa e cattiva. E comunque, non dovrei avercela con la mamma per un'amica o due. Potrebbe riempirmi la casa con un esercito intero di vecchietti suoi coetanei. Per fortuna, almeno in questo mi è andata bene. E quel commento su Jerry? Significa che potrebbe accadere lo stesso anche a me? Il sonnambulismo non è forse un segno di disturbi mentali? Non si era mai comportata così. Uno psicologo una volta le aveva detto che era fin troppo priva di tendenze nevrotiche: «Se tutti fossero come te, Barbara, sarei disoccupato», le aveva confessato ridendo. Barbara si era semplicemente chiesta se il suo problema era mancanza d'immaginazione. «Be', sto recuperando il tempo perduto», si disse sottovoce mentre riponeva lo spazzolone. Era possibile che mamma Melford le avesse giocato un tiro tanto crudele con l'animale morto? Jamie non l'avrebbe mai fatto, ne era certa. Eppure, se l'appartamento era chiuso a chiave e dentro non c'era nessun altro... Si disse di non essere paranoica. Ma del resto, esistevano soltanto cinque possibilità. Una: mamma Melford o Dana l'avevano lasciato lì per lei. Ma perché? Due: era stato Jamie. No. Conosceva Jamie e, maledizione, non l'avrebbe mai fatto. Neanche per trascuratezza l'avrebbe lasciato in un posto dove lei, o sua madre, o perfino Dana avrebbero potuto trovarlo. Tre: qualcuno possedeva le chiavi dell'appartamento. Era la cosa più probabile, ma era comunque poco realistica. Quella guerra dei nervi era cominciata soltanto uno o due giorni prima: in così poco tempo si erano procurati perfino la chiave del loro appartamento? Quattro: l'animale si era materializzato come avviene a una seduta spiritica. Era un'ipotesi troppo assurda per poter essere presa in considerazione sul serio, per il momento. Era disposta a credere in un omicidio perpetrato grazie alla suggestione e alla paura, ma non in un insulto tanto macroscopico alle leggi di natura e al buonsenso. Cinque: lei stessa, sonnambula o durante un accesso di follia, l'aveva fatto. Barbara venne presa dal panico. Aveva bruciato il manoscritto, o almeno così le aveva detto Jamie, e ne aveva visto i resti bruciacchiati. Cos'altro poteva aver fatto? Si mise a letto, stiracchiandosi e cercando inutilmente di ricostruire la sera precedente. La cefalea lancinante. Dana che si offriva di massaggiarle il collo. Non ricordava di essersi svestita o messa a letto, ma soltanto un
dolore terribile che si calmava lentamente sotto il tocco quasi ipnotico delle mani di Dana, che le accarezzavano il collo, su e giù, come se facessero scorrere il dolore lungo un filo elettrico. La voce calmante e dolce di Dana. È tanto gentile con me e io la tratto così male. Jamie avrebbe dovuto sposarla. È molto meglio di me. Ehi, non mi avrà ipnotizzata per caso? Sto davvero diventando paranoica! Dana non farebbe mai una cosa del genere! Barbara pensò pigramente al fatto che doveva lavorare, alzarsi e vestirsi, chiamare la sua agente per sapere se c'erano appuntamenti nel pomeriggio, telefonare al parrucchiere - doveva farsi spuntare e pettinare i capelli - , e guardare sul giornale se si parlava già dei saldi di gennaio, dato che avevano bisogno di nuovi asciugamani, e poi doveva occuparsi dei regali di Natale. Dana avrebbe trascorso il Natale con loro? Cosa le avrebbe comprato? Ma si sentiva troppo spossata per prendere qualunque tipo d'iniziativa. Nell'altra stanza Dana aveva acceso la radio; no, stava cantando. Usava un tono basso e monotono, sembrava un soffio di vento, e la canzone pareva non avere fine, una successione di frammenti ripetuti all'infinito. Barbara sbadigliò: quel suono le faceva venir voglia di dormire. Ma insomma, dopo aver dormito fino quasi a mezzogiorno non poteva certo schiacciare un pisolino alle due di pomeriggio! Raccolse Il diavolo in America, lo aprì a caso e ricominciò a leggere. Mentre queste streghe bianche non hanno nessun contatto con il diavolo o con sette sataniche, e attribuiscono i loro poteri a una legge naturale benefica, la leggenda le considera affini alla levatrice, «sagefemme» - che significa, semplicemente, donna saggia - o la «grannekener» dei vecchi scandinavi, che sopravvive sotto forma della «donna nonna» nei monti Appalachi. Amuleti d'amore, incantesimi per «eliminare condizioni sfavorevoli» e talismani per permettere alle donne sterili di restare incinte costituiscono il loro armamentario. Forse è di questo che ho bisogno, pensò Barbara assonnata, di un amuleto per la fertilità. Uno degli antichi culti della fertilità a base di orge, adesso che ci penso, potrebbe essere in voga nell'East Village dove si riuniscono gli hippy. Immagino che chiunque desideri organizzare delle orge, però, non abbia alcun bisogno di un culto della fertilità. Continuò a leggere, costringendo i suoi occhi a restare aperti.
All'opposto degli amuleti d'amore delle streghe bianche, fabbricati con buone intenzioni anche se probabilmente inutili, ci sono i talismani malvagi, i pacchetti che gettano il malocchio e tutto il materiale per lanciare maledizioni tipico delle streghe nere o fattucchiere. Ho visto amuleti capaci di rendere impotenti gli uomini, di distruggere matrimoni, di causare la sterilità nelle donne. La forza di suggestione è forte, ma non trascuro la possibilità di un potere mentale nei casi in cui la persona vittima della maledizione non ne è al corrente. Il libro le cadde di mano. Sciocchezze, pensò mezzo addormentata. Povero Jock, credeva in tutta questa roba e l'hanno usata per spaventarlo a morte. Chiuse gli occhi. Solo cinque minuti. La voce di Dana nell'altra stanza, simile all'acqua di un ruscello, continuava a scorrere e Barbara scivolò lentamente sotto la superficie dell'acqua, che continuò a incresparsi sopra la sua testa. Le parve di trovarsi in un enorme salone dal soffitto grigio, a volta, circondato da colonne che riflettevano bagliori neri come se fossero fatte di ebano o di ambra nera, lucida. Nel bel mezzo della sala bruciava un fuoco che emanava un dolce aroma su un fondo amaro. Barbara si accorse di dirigersi verso il fuoco con le gambe malferme, come se si trovasse sott'acqua. Una figura scura stava inginocchiata accanto al fuoco, con le mani pallide e ossute che sporgevano da un ampio mantello nero con cappuccio. Tra le dita, Barbara intravide la sagoma inerte di un piccolo animale, un topo o un gattino, e un coltello... Il mormorio monotono diventò più forte e si tramutò in una cantilena dal ritmo ipnotico, la lama del coltello luccicò e si udì uno strano grido... Svegliata dai propri gemiti, Barbara si sedette di colpo, riscuotendosi bruscamente. La stanza, la camera da letto che conosceva bene, era vuota. Non c'erano sale gigantesche, colonne, figure incappucciate, animali morti... La sua mano, che si trovava lungo il fianco, sul letto, si contrasse spasmodicamente. Caldo e immobile accanto a lei... qualcosa... qualcosa... Si decise a guardare, in preda al panico. Era lì, tiepido, gocciolante sangue rosso vivo: un grosso topo, indubbiamente morto ma non ancora freddo. Un urlo le cominciò a formarsi in gola ma non le uscì di bocca. Nell'altra stanza Dana stava ancora cantando la sua melodia frammentaria e si senti-
va il profumo dell'arrosto con le erbe proveniente dalla cucina. Le altre donne dell'appartamento si dedicavano a occupazioni innocenti mentre lei... lei... Cos'aveva fatto? Era possibile che una di loro fosse entrata nella stanza senza che lei se ne accorgesse? Se le avesse chiamate subito... Se le avesse accusate... Ma se negavano, cosa poteva fare? Già mamma Melford pensava che stesse seguendo le tracce di suo fratello, quelle della follia. Si era davvero alzata nel sonno, era riuscita in qualche modo a catturare un topo e l'aveva ucciso mentre dormiva? Ma era pazzesco! Non poteva essere stata lei! Forse una delle due - l'odiavano, dovevano odiarla - le aveva fatto uno scherzo macabro? E se le accusava, chi avrebbe mai creduto che due donne apparentemente sane di mente avessero commesso un atto del genere? Si aggrappò alla lucidità che minacciava di scivolare via. Perché le avrebbero fatto una simile crudeltà? Ma certo che non la odiavano. Erano gentili con lei. Mamma Melford insisteva per occuparsi delle faccende domestiche, permettendole di dedicarsi alla sua professione senza le sfacchinate comuni alla maggior parte delle donne lavoratrici. Dana aveva cercato di alleviarle il mal di testa. Stava forse perdendo la testa come il povero Jerry? Sapeva che considerarsi la vittima di un complotto era uno dei primi sintomi di squilibrio mentale. Ma era meglio credersi la vittima di un raggiro oppure convincersi di essere diventata matta, di essere sonnambula e di aggiungere alla distruzione di libri anche l'uccisione di topi? Si strinse la testa tra le mani e gemette ad alta voce: «Dio, aiutami!» L'animale morto, orribilmente inerte, cominciava a irrigidirsi. C'era del sangue sulla coperta. Vincendo la repulsione, corse in bagno e avvolse il topo in un viluppo di carta igienica. Jamie non ci crederà mai. Dovrei tenerlo e mostrarglielo. Così poi penserà che sono pazza? Tutta la stanza sembrava pulsare. Barbara si sedette al tavolino, aspettando che il batticuore si calmasse. Sangue sul letto... sangue versato. Sangue... Tornò di nuovo in bagno con passo rapido, e vomitò il caffè, l'unico ali-
mento che aveva ingerito dalla sera prima. Dopo che si fu vuotata lo stomaco restò ancora a lungo china sul gabinetto, preda di conati a vuoto che la lasciarono dolorante tanto erano violenti. Infine si bagnò il viso con acqua fredda e tornò a stendersi a letto, ma balzò subito in piedi come se avesse preso la scossa: il sangue! Con gesti nervosi tolse coperte e lenzuola, infilando i teli macchiati nella cesta della biancheria sporca, sentendosi vagamente in colpa. Mamma Melford vedrà il sangue sulle lenzuola. Cosa penserà? Probabilmente crederà che abbia avuto le mestruazioni e che sia stata sbadata, ecco tutto. Per quanto umiliante, era sempre meglio della verità. Chi avrebbe detto che un topolino tanto piccolo potesse sanguinare tanto? Le sembrava che l'odore nauseabondo del sangue avesse impregnato coperte, lenzuola, materasso. Nell'aria aleggiava uno strano e sgradevole sapore, come... una topaia... poteva darsi che ci fossero dei topi nel materasso? Con le mani tremanti tirò il materasso fino quasi a farlo cadere, in cerca di segni di morsi o graffi. Il materasso sembrava intatto, ma ora l'odore disgustoso sembrava diffondersi a ondate, minacciando di sopraffarla e suscitando in lei una nausea insopportabile. Si infilò tra il letto e il muro, spingendo via l'ultimo angolo di materasso. La struttura del letto, foderata di tessuto bianco e verde, adesso era scoperta. Al centro, premuto dalla rete, c'era un sacchettino bianco. Come in sogno, Barbara lo afferrò. Cos'è? Non ce l'ho messo io. E del resto, quand'è stata l'ultima volta che ho fatto il letto? È la mamma che sbriga tutte le faccende. La madre di Jamie. Perché mai avrebbe dovuto nascondere qualcosa nel suo letto? Lentamente, sebbene le dita si rifiutassero quasi di afferrarlo, prese il sacchetto. Era di lino grezzo, dal caratteristico colore giallognolo della stoffa grezza. Era chiuso da un cordoncino nero e ruvido, con una serie di nodi complicati. Barbara tentò di aprirlo per qualche minuto, ostinatamente, poi si diresse alla toeletta dove afferrò le forbici per le unghie e tagliò il cordoncino. Il sacchetto emanava un insolito odore nauseante. Le erbe di mamma Melford. Ma quelle hanno un buon profumo! So che c'è gente che compra della lavanda per i sacchetti, ma nessuno sano di mente si sognerebbe di metterci questa roba: puzza! Aprì il sacchettino e si versò il contenuto in una mano.
C'era una specie di grano avvizzito. C'era anche un ciuffo di capelli; incredula, Barbara si accorse che probabilmente erano suoi. Erano raccolti in una treccina e annodati in fondo. Si trovò in mano anche altri due oggetti neri e secchi, che puzzavano e avevano chiaramente un'origine animale: non voleva neanche sapere cosa fossero. C'erano anche due grani di segale, ricoperti di una sostanza nera che emanava un cattivo odore. Vide poi un pezzetto di pergamena con delle scritte, ma la calligrafia era così contorta che Barbara non riuscì a decifrarne il contenuto, anche se sospettava che non fosse scritto in inglese. Il sacchetto conteneva un'ultima cosa che si ostinava a non voler uscire. Barbara, che cercava di afferrarla con le dita tremanti, si sentì di nuovo invadere dalla nausea. Cosa poteva mai essere? Il libro che stava leggendo parlava di amuleti per la fertilità. Forse mamma Melford era diventata impaziente perché Barbara non riusciva a restare incinta e le aveva nascosto una specie di talismano per la fertilità nel letto? Tramortita, quasi inconsapevole dei propri gesti, Barbara pensò: Be', è il posto giusto. Riuscì a estrarre l'ultimo oggetto dal sacchetto: si trattava di un pezzetto di cartone. Voltandolo, Barbara si accorse che vi era stata appiccicata sopra una foto; una foto di lei in costume da bagno, con i capelli bagnati che le ricadevano sul viso, su un trampolino. Ma c'era un segno sulla foto. Con le dita che le tremavano sempre di più, Barbara l'avvicinò al viso per vedere meglio. I seni erano stati tagliuzzati con una lama sottile, e il ventre era stato bruciato, forse con una sigaretta. Barbara lasciò cadere la foto. Non riusciva a controllare i tremiti che la scuotevano. Aveva voglia di urlare. Altroché amuleto della fertilità! Che scopo aveva, allora? La sterilità? La morte? Si sentì disgustata. Fu di nuovo assalita dai conati di vomito che le lasciarono la bocca amara. Chi? Perché? Udì dei colpi leggeri alla porta. Dana la chiamò sottovoce: «Barbara? Vuoi mangiare qualcosa?» Non rispondo, decise Barbara, in preda al panico come un animale in trappola. Crederà che dorma. Se ne andrà. «Barbara? Tesoro?» Non rispose. La maniglia girò e Dana entrò. Barbara ebbe la presenza di spirito di buttare per terra il sacchetto. Pensava che dormissi ed è entrata ugualmente. Forse è stata lei a mettermi in mano il topo.
«Pensavo dormissi», disse Dana. Sgranò gli occhi quando vide Barbara in piedi tra il letto e il muro, con il materasso e tutte le coperte per terra. «Cosa stai facendo?» «Sto rifacendo il letto, tutto qua», rispose Barbara, con la voce malferma ma i muscoli del viso sotto controllo. Per ora conosceva la verità, o meglio, la verità poteva avere due facce, entrambe terrificanti. O era pazza... oppure era circondata, in casa sua, da nemici crudeli e folli. CAPITOLO 7 Stava già scendendo la sera quando James Melford augurò la buonanotte alla sua segretaria, prese il cappello di pelo dall'appendiabiti e uscì dalla porta principale della Blackcock Books. Scendendo in ascensore, pensò non senza sollievo che il libro controverso di Cannon - il suo libro più controverso, si corresse, perché le opere precedenti avevano suscitato diverse polemiche, soprattutto sull'opportunità o meno per la Blackcock Books di pubblicare volumi di tale argomento - era sano e salvo nelle mani di un redattore, e che altre copie si trovavano nella cassaforte dell'ufficio e nella sua valigetta. A meno che non si manifestassero con un attacco diretto contro di lui e contro l'ufficio, gli sconosciuti che stavano tentando di impedire la pubblicazione del libro avrebbero dovuto arrendersi. Avvertì una sorta di euforia. Se quegli individui, chiunque o qualunque cosa fossero, avevano inviato MacLaren nel suo ufficio per scoprire come reagiva alla loro guerra di nervi, poteva ritenersi soddisfatto di averlo mandato via a mani vuote. Ormai si trattava di una guerra personale tra lui e quei pazzi, e non si sarebbe arreso tanto facilmente. Uscito dall'edificio, si fermò un istante, attraversò la strada, entrò nella biblioteca pubblica e si diresse nel reparto con gli elenchi telefonici dei cinque distretti di New York. Sapeva già che in quello di Manhattan non c'era niente; anche il Bronx e Staten Island non registravano alcun Walter tra i vari Mansell. L'elenco del Queens elencava un Walter M. Mansell ma, quando Jamie entrò in una cabina telefonica, compose il numero e chiese se un certo padre Mansell abitava lì, la voce infantile che rispose domandò: «Cosa?» con tale stupore che Jamie replicò precipitosamente: «Scusa, ho sbagliato numero», prima di riattaccare. Un sacerdote da poco spretato poteva essersi sposato, questo
sì, ma era improbabile che avesse bambini piccoli - aveva udito diverse voci infantili in sottofondo - abbastanza cresciuti da rispondere al telefono. Stava per uscire dalla cabina deluso quando si ricordò che gli restava ancora un elenco da consultare. Quello di Brooklyn riportava il numero di un Walter Mansell e, quando lo compose, gli rispose una voce profonda: «Sì?» Jamie restò per un istante senza parole. Ora che, finalmente, era riuscito a trovare padre Mansell, non sapeva cosa dirgli. «Io... mi scusi», balbettò esitante, «non sono sicuro che sia il Mansell che cerco. Lei è il Walter Mansell che» - Oddio, pensò, non posso certo dire "che era prete" - «che conosceva John Cannon, lo scrittore?» La voce sembrava perplessa. «Sì, certo, conosco Cannon. Cosa posso fare per lei?» «È un po' complicato», rispose Jamie lentamente. «Immagino sappia che Cannon è morto.» Non gli fu possibile ignorare lo shock e l'orrore nella voce di Mansell. «Morto? No, io... quand'è successo? Quando è stato ucciso?» Ucciso. Un pensiero attraversò fulmineo la mente di Jamie: se si esprimeva in quel modo, significava che la notizia non era poi stata tanto inaspettata. La domanda più logica all'annuncio di un decesso sarebbe stata ben diversa. Jamie rispose, impulsivamente: «Sì, l'hanno beccato». «Maledetti demoni!» esclamò Mansell fuori di sé. «Ma lei chi è?» Jamie glielo spiegò, aggiungendo: «Jock ha pronunciato il suo nome poco prima di morire. È stato vittima di un attacco di cuore, apparentemente». Mansell si fece più prudente. «Ma lei ha detto "l'hanno beccato".» Jamie prese rapidamente una decisione. «Credo sarebbe bene che parlassimo, pa... ehm... signor Mansell. Dove possiamo vederci?» «Immagino di dover assistere al funerale di Jock», commentò lo sconosciuto con voce esitante. «Non lo so. Preferirei che non venisse qui. Se è davvero chi dice di essere, saprà il perché. Da dove chiama?» «Mi trovo alla biblioteca pubblica.» «A Manhattan? Bene, che ne dice se la raggiungo lì? Posso prendere la metropolitana ed essere lì in venti minuti», propose Mansell. «Non indosso più l'abito talare, immagino lo sappia. Come la riconosco?» Jamie ridacchiò. «Non intendo certo andare a comprare un garofano bianco da mettere all'occhiello a quest'ora. Ho con me una valigetta e indosso un cappello di pelliccia.»
La voce cavernosa sbuffò: «Be', la troverò, in un modo o nell'altro». Jamie entrò nella sala di lettura e trascorse un quarto d'ora a sfogliare distrattamente un numero di «Time» di diverse settimane prima. Qualcosa, verso la fine della rivista, risvegliò la sua curiosità, e si mise a leggere con maggiore attenzione un articolo su un tizio che si era autoeletto sacerdote della Prima Chiesa Satanica d'America e che aveva celebrato una messa nera nuziale per una coppia di svitati in California. La sposa era vestita di rosso, al posto dell'altare c'era una donna nuda e il sacerdote, nel corso dell'omelia, aveva spiegato che l'adorazione di Satana costituiva la religione di coloro che si godevano la vita, come testimoniava il fatto che l'altare non era una pietra inerte né una tovaglia puritana, ma un corpo nudo e vivo. Jamie scosse il capo. Una settimana prima avrebbe reagito ridendo a tale originalità; ora si stava chiedendo invece se tale allegra superficialità fosse opera di persone ingenue che avevano letto troppi libri o se nascondesse qualcosa di ben più sinistro. Dopotutto, per quegli individui non era meglio che la gente ridesse degli adoratori di Satana, considerandoli tizi con più tempo e denaro che cervello? Riscuotendosi di colpo si accorse che era ora di incontrare Mansell. Si portò all'ingresso e osservò il viavai di persone. Ormai era buio e nello slargo davanti alla biblioteca molta gente, piena di pacchetti natalizi, correva qua e là per sbrigare le ultime commissioni. Ragazzi e ragazze, vestiti con le uniformi delle scuole e carichi di libri, salivano le scale della biblioteca, altri invece si stavano allontanando. Dall'altra parte della strada, davanti a un grande magazzino, un membro dell'Esercito della Salvezza agitava una campanella. Jamie aspettava da sette od otto minuti quando un uomo corpulento salì lentamente le scale e si diresse subito verso di lui. «Melford?» chiese. «Sono Mansell. Non possiamo parlare nella biblioteca. Dove andiamo?» «C'è un locale Child's dall'altra parte della strada», propose Jamie. «Possiamo andare lì a bere qualcosa, se vuole.» «Per me un caffè può bastare, grazie», rispose l'uomo. «Sì, credo che il posto vada benissimo.» Era alto e robusto, con il doppio mento coperto dalla barba non rasata e occhi scuri, piuttosto piccoli. Nonostante la stazza imponente, c'era qualcosa in lui che faceva pensare a un uccello, e presto Jamie capì di cosa si trattava: i piccoli, incessanti e quasi impercettibili movimenti degli occhi, come se Walter Mansell non cessasse mai di guardarsi attorno.
«Andiamo? Anzi, aspetti un istante.» L'uomo si ritirò improvvisamente tra le ombre del vestibolo, evitando per un pelo di scontrarsi con un tizio che usciva. Jamie si guardò attorno incuriosito e Mansell concluse: «No... va tutto bene. Credevo di aver visto...» Si interruppe bruscamente e, facendo un cenno del capo a Jamie perché lo seguisse, si lanciò nell'incrocio affollato. Jamie, che faceva del suo meglio per restargli accanto, pensò irritato che l'ex prete era svitato come tutte le persone che aveva incontrato per via di quella storia. All'interno del locale, Mansell si sedette in un punto da dove poteva vedere la porta. Si sporgeva in continuazione, spingendo lo sguardo oltre Jamie, in modo piuttosto evidente, con la testa che si muoveva nervosamente. Gli occhi continuavano a far pensare a quelli di un uccello: luccicavano. Jamie ordinò un caffè e Mansell lo imitò. Poi, ripensandoci, chiese invece una cioccolata calda. Jamie avrebbe preferito qualcosa di forte, ma desiderava conservare tutta la sua lucidità nel caso in cui ne avesse avuto bisogno. «E adesso, mi racconti.» La voce di Mansell era profonda e forte, una voce abituata a comandare e a farsi obbedire. «Com'è morto Cannon? E cosa l'ha indotta a mettersi in contatto con me?» «Come le ho già detto, ha pronunciato il suo nome qualche istante prima di morire. Dal modo in cui parlava di lei ho pensato che fosse un sacerdote.» La bocca con le labbra strette abbozzò un fugace sorriso. «Lo ero... un tempo.» «E adesso frequenta... gli adoratori di Satana... o qualunque cosa siano?» «Non lo sa?» Mansell lo fissò con uno sguardo che mise in imbarazzo Jamie. «So soltanto che Cannon aveva paura di loro.» Il suo interlocutore trasse un lungo e profondo sospiro. «Non capisco come sia finito in questa storia. Cannon non mi ha mai parlato di lei. E io non ho mai visto...» Tacque accigliato, accennò ad alzarsi, allungando il collo per scrutare oltre gli altri tavoli. «Sta aspettando qualcuno?» Jamie gli chiese infastidito. Mansell sollevò la tazza della cioccolata e la bevve d'un colpo, avidamente. «Se sa com'è morto John Cannon», rispose, «capirà perché sono... scosso.» «So soltanto che qualcuno lo stava spaventando a morte», ribatté Jamie alterato. «Dopodiché ha cominciato a far paura a sua moglie, e poi a me.»
«E pubblicate ugualmente?» Jamie cercò di ricordare se aveva alluso al fatto di essere l'editore di Cannon. Ma sì, doveva essergli sfuggito al telefono. «Sì, pubblichiamo lo stesso», confermò. «Sa, io e lei abbiamo una cosa in comune: neanch'io so di lei com'è finito in questa storia.» «Cannon non gliel'ha detto?» «Non ne ha avuto il tempo.» Mansell ricominciò a guardarsi intorno. «Ha letto il suo libro?» «Più o meno.» Jamie bevve un sorso di caffè, chiedendosi se l'uomo era alterato o aveva qualche altro problema. Continuava a comportarsi come se stesse per confidargli qualcosa d'importante per poi trattenersi. Eppure, se Cannon aveva espresso il desiderio di vederlo prima di morire... Mansell fece segno alla cameriera di portargli un'altra cioccolata. Rimescolò il liquido cremoso e scuro. Poi riprese a parlare, lento e meditabondo. «Quando ho lasciato la chiesa ero... come la maggior parte di noi... deluso, arrabbiato. Ho trovato lavoro come bibliotecario e... mi sono più o meno dato alla macchia, sono scomparso dalla circolazione. Poi qualcuno, che era evidentemente alla ricerca di un ex sacerdote, ha preso contatto con me. Non so come spiegarlo: non intendevo essere blasfemo, ero solo... curioso.» Aveva una voce calda e profonda; si protese leggermente verso Jamie, troppo teso per sorridere anche se faceva del suo meglio per apparire rilassato. «Non so come spiegarlo. Per caso, lei è cattolico?» «No.» «Allora forse non può capire, ma provo a spiegarglielo lo stesso. Quando si è preti, non si fa... sarebbe più facile se fosse cattolico... ci sono cose che non si fanno... e alle quali non si pensa neanche. Libri che non si leggono. Strade che non si prendono neppure in considerazione. Atti che non si compiono in nessun caso. Soprattutto quando, come nel mio caso, si passa direttamente dal catechismo alla scuola cattolica, poi al seminario e al sacerdozio. Tutta una vita programmata. Una sorta di lavaggio del cervello. Avevo l'impressione che la mia esistenza fosse arida, priva di calore. Non avevo intenzione di commettere tutti i peccati mortali, uno dopo l'altro; volevo soltanto vedere più da vicino alcune delle cose... sapere cosa intendevano gli altri quando parlavano di... certi argomenti.» Sembrava furioso. «Solo per una volta, volevo effettuare delle ricerche per conto mio invece di leggere quello che migliaia di padri della chiesa avevano scritto sull'argomento trecento anni prima della mia nascita!» «Credo di riuscire a capirla.»
«Ma sì. Era una sorta di ribellione adolescenziale, peccato che arrivava con trent'anni di ritardo.» Si interruppe, prima di riprendere con foga. «Per caso, vuole chiedermi di introdurla tra di loro?» «Per l'amor del cielo!» esclamò Jamie, sinceramente scandalizzato. «Credevo di aver chiarito da che parte sto.» E si chiese, dopo aver finito di parlare, se sapeva davvero da che parte stava l'uomo che aveva di fronte. Mansell lanciò un'ulteriore occhiata alla porta, alle spalle del suo interlocutore, prima di tornare a fissare Jamie. «Mi scusi un istante», disse. «Voglio controllare una cosa.» Si alzò, lasciando Jamie piuttosto stupito; si diresse verso il retro del locale e scomparve nella toilette degli uomini, o così immaginò Jamie; in effetti, non c'era altro posto dove avrebbe potuto entrare. Rimase assente per un bel pezzo; nel frattempo Jamie aveva cominciato a chiedersi se fosse scappato, ma alla fine l'ex sacerdote tornò verso il tavolo e si sedette al suo posto. «Scusi se l'ho fatta aspettare. Dovevo verificare... be', le stavo spiegando come ci sono finito dentro. All'inizio ero solo curioso; li ho assecondati, mi sono fatto raccontare e mostrare ciò che mi era oscuro. Sembrava, da principio, una sorta di follia infantile, una malizia da ragazzi, se preferisce... come una banda di maschiacci che si riuniscono per fumare marijuana, e magari riescono pure a far spogliare una delle ragazze, capisce? Volgare, forse, osceno... ma in un certo senso non serio. All'inizio credevo fosse una sorta di gioco bizzarro, una messinscena un po' blasfema.» «Sembra strano che abbia voluto partecipare a un gioco del genere», osservò Jamie. «Come ho detto, è cominciata come una specie di ribellione da adolescente», ripeté Mansell, e Jamie, ricordando quanto aveva letto sul matrimonio tra adoratori di Satana in California, chiese: «Invece, c'era dell'altro?» «C'era dell'altro», confermò Mansell abbattuto. «E adesso... sono dannato.» «Oh, andiamo», esclamò Jamie, per il quale la conversazione aveva preso una piega troppo drammatica, «non può esserne davvero convinto! Pensa davvero che Dio tenga conto di tutte le sciocchezze che fa la gente?» «Sono dannato», ripeté lentamente Mansell, i cui occhi prima brillanti divennero d'un tratto opachi e quasi vitrei; Jamie si chiese di nuovo se non fosse ubriaco. «E loro...» «Aspetti un istante», lo interruppe Jamie. «Chi sono questi loro? Sono
tutti troppo vaghi sull'argomento per i miei gusti. Non può essere soltanto un'allegra combriccola di streghe. Non è un gruppetto di turisti arrivato dalla Transilvania nella bara del conte Dracula! Devono avere dei nomi, un recapito, numeri di telefono e un lavoro per sbarcare il lunario; mi sembra improbabile che riescano a guadagnare bene solo evocando dei demoni. In quest'epoca, non è una professione particolarmente ambita. E neanche gli alchimisti medievali sono riusciti a ricavare l'oro dalla paglia. Allora, prima di cominciare a raccontarmi che cosa le hanno fatto loro, perché non mi dice innanzitutto chi sono?» Mansell fece un fischio leggero. «Gli sciocchi vanno dove gli angeli hanno paura di spingersi», sentenziò. «L'ultimo uomo che ha ottenuto nomi e indirizzi non è vissuto abbastanza a lungo per sfruttare utilmente tale informazione. Vuol dire che sarebbe disposto a correre il rischio?» «Non sono ancora del tutto convinto che vi sia un rischio», lo corresse Jamie, e Mansell lo guardò con gli occhi sgranati; poi, incredibilmente, fece un sorriso... da ubriaco. Jamie si convinse che era andato a nascondersi per bere un goccetto, oppure per assumere una dose di qualche stupefacente, anche se non aveva le pupille contratte. Oppure il segno rivelatore erano le pupille dilatate? Jamie rimpiangeva di non avere una memoria migliore. Gli occhi da uccello di Mansell erano ora sbarrati e vaghi, simili a pozze d'inchiostro nero. «Povero gonzo», commentò Mansell, «tutto coraggio e niente cervello. Guardi qui!» Batté un pugno sul tavolo e la tazza vuota della cioccolata tremò. «Sa come trattano le persone che entrano nel loro gruppo, fanno i giuramenti, e poi cercano di uscirne? Ha letto il libro di Cannon?» «Sono sciocchezze, frutto della suggestione.» «Ascolti!» lo incalzò Mansell, con la voce bassa eppure tanto vibrante che la tazza tremò ancora sul piattino. «Prima distruggono la sua resistenza. Scoprono quali sono i suoi incubi e li fanno diventare reali. Ha paura dei topi?» chiese improvvisamente. «Un po'. Chiunque sia stato dall'altra parte dell'oceano... io sono stato in Corea.» «Le piacerebbe svegliarsi da un sonno profondo e scoprire che il suo letto, il suo bel letto comodo e pulito, è invaso da una turba di topi?» Jamie rabbrividì e fece una smorfia. «Già. Ed è soltanto l'inizio. Immagini di svegliarsi e non riuscire a muovere le mani o i piedi e che i topi le stiano camminando addosso. Immagini di ordinare la cena in un ristorante e che il cameriere le metta davanti un
piatto con un ratto morto, e che quando si mette a urlare e a fare una scenata guarda di nuovo e si rende conto che è solo una omelette al formaggio con un contorno qualsiasi... Immagini che la sua stanza puzzi per via di quelle creature e che, quando chiude gli occhi, li senta correre e squittire tra i muri!» «Credo penserei che qualcuno sta cercando di farmi impazzire», azzardò Jamie. «Immagini di avere un incubo dopo l'altro in cui è intrappolato in una fossa brulicante di ratti! Mi ascolti!» esclamò di nuovo Mansell, e tacque. La pausa fu così carica di tensione che Jamie reclinò il capo, chiedendosi improvvisamente se, nel silenzio, stesse per udire lo squittio di un topo. «Una volta che la vittima è piegata, il divertimento comincia», proseguì Mansell rabbioso, a denti stretti. «Vi ho partecipato anch'io. Immagini, se ci riesce, tredici uomini e donne - la congrega - seduti nel cerchio magico per tredici ore. Nudi. Coperti di simboli dipinti. Niente acqua, niente cibo, solo incenso nero che brucia e la massima concentrazione. Il gruppo si concentra, si concentra con tutte le sue forze. Conosce la forza del pensiero? Deve sapere che, se qualcuno la guarda insistentemente, se ne accorge, se ne accorge e quello sguardo la mette a disagio. E quella è solo una minuscola dimostrazione della forza del pensiero. Immagini tredici menti allenate, formate da anni di esperienza. Non indebolite dalla benché minima traccia di benevolenza o inibizioni. Tredici persone sedute, immobili per tredici ore - immagini il lavoro necessario per arrivare anche soltanto a questo - che augurano alla vittima di morire, le augurano ogni sofferenza che la mente e il corpo umano siano capaci di sopportare...» Tacque. Gli occhi brillanti avevano incantato Jamie. Infine fece un leggero gesto con la mano e Jamie si mosse, improvvisamente a disagio, e prese in mano la tazza di caffè. Era freddo. «Sembra che stia cercando di spaventarmi», commentò «Certo che sto cercando di spaventarla», confermò l'ex sacerdote. «Senta, non faccio certo la figura dell'eroe in questa storia. Anzi, credo stia per chiedermi perché ne sono responsabile anch'io... finendo dannato.» «In realtà non volevo domandarle quello, però mi interessa. Perché?» «Spaventato», si limitò a rispondere Mansell. «Se potevano farlo alla ragazza potevano farlo anche a me. Immagino di aver usato tutto il mio... coraggio, la mia forza emotiva, quando ho abbandonato la chiesa. Me ne stavo lì seduto e guardavo gli altri che odiavano la donna, mi sono ritrovato anch'io a odiare con loro. Nella vita non desideravo nient'altro - non so se
può capirmi - che uscire da quella stanza lurida e allontanarmi da quella bionda con il viso da santa e gli occhi da diavolo; eppure, nello stesso tempo, esercitava un tale potere su di me...» concluse a bassa voce. «So cosa significa portare Dio all'uomo, e lì ho visto l'altro aspetto... portare l'uomo verso il basso, verso una sorta di divinità...» «Sembrano sciocchezze», dichiarò senza mezze misure Jamie, e Mansell, interrotto nel bel mezzo del racconto, lo fissò con quella che poteva essere collera. «È facile per lei: non ha visto, non ha compreso come la salvezza e la dannazione possono fondersi!» Jamie trasse un respiro profondo. Provava interesse misto a ripugnanza per quella storia, eppure la confessione farneticante di Mansell sembrava non portare da alcuna parte. Si spiegò: «Mi dispiace di essere tanto pragmatico, ma vorrei che fosse un po' più preciso. Se hanno infranto la legge, perché non si è rivolto alla polizia? È stato allora che li ha lasciati?» «Oh, sì», rispose Mansell. «Ho anche attraversato il fiume e mi sono trasferito a Brooklyn. Ha letto i libri di Cannon? Sa che attraversare un corso d'acqua permette di far perdere le tracce quando si è perseguitati da una strega? Ecco perché non le ho permesso di venire a casa mia; per quanto ne sapevo, poteva essere uno di loro venuto a completare la mia dannazione.» Jamie lo fissò costernato; l'uomo vigoroso e imponente stava tremando come una foglia. La scena era patetica. Jock aveva creduto in tutto ciò, ed era morto. Mansell... be', la paura di morire poteva spiegare molto. Ma era possibile che un uomo potesse tramutarsi così velocemente in un ammasso di carne tremante e terrorizzata? «E dice», continuò Mansell con voce malferma, «che hanno cominciato anche con lei?» «Con alcuni atti concreti di vandalismo», precisò Jamie. «Allora ho chiamato la polizia. E penso di essere riuscito a mettere al sicuro, lontano dai loro artigli, il manoscritto.» «La polizia. Che sciocco», commentò Mansell con disprezzo, «pensa che riuscirà a dimostrare qualcosa contro di loro?» «Speravo che in questo mi potesse aiutare lei», disse Jamie lentamente, «dato che evidentemente sa chi sono e cosa fanno. Non può convincermi che una banda del genere non abbia mai commesso nulla di illegale. Potrebbe rivolgersi anche lei alla polizia.» «E avere anche la sua morte sulla coscienza?»
«Dopotutto, non può essere dannato due volte», ragionò Jamie, «e se dimostra di avere delle buone intenzioni...» «Può scherzare quanto vuole sulla dannazione», esclamò Mansell con un improvviso accesso d'ira. «Vedremo come si sentirà quando sarà lei a essere dannato!» «Non stavo scherzando», si difese Jamie esterrefatto. «Pensavo soltanto che forse avrebbe potuto aiutare qualcun altro a sfuggire... alla dannazione.» «Forse.» Mansell si alzò. «Devo pensarci. Non potrei comunque darle qui, su due piedi, i nomi e gli indirizzi delle persone coinvolte. Guardi, il cameriere ci sta fissando; hanno bisogno del tavolo. Ecco qui, pago io.» «Andiamo, sono io che l'ho invitata.» Mansell obiettò lentamente: «Le fa paura accettare qualcosa da me?» Jamie alzò le spalle e gli lasciò prendere il conto. Si chiese perché avesse creduto che Mansell potesse aiutarlo. L'ex sacerdote era chiaramente squilibrato, se non pazzo del tutto. Lo seguì in strada. La piazza, bene illuminata, emanava quell'alone nebbioso di luce inquinata che sembra, nella New York di una sera d'inverno, mettere in risalto le tenebre soprastanti. Mansell si infilò i guanti e si guardò attorno muovendo rapidamente il capo. «Devo pensarci. La chiamerò.» Gli voltò le spalle senza altri convenevoli e cominciò ad attraversare; mentre Jamie lo seguiva con lo sguardo, si udì uno stridio di freni e di ruote. Melford fece un salto e afferrò Mansell per un braccio. Per un istante Jamie credette che sarebbero finiti entrambi sotto l'auto, ma il veicolo ripartì sgommando e scomparve. Mansell lo fissava con occhi dilatati e neri. «Attento!» lo rimproverò Jamie. «Ha attraversato la strada come un ubriaco!» Mansell replicò in tono basso e quasi istupidito: «Ha visto? Ha visto? Lo sapevo che ci stavano guardando. Che le serva di lezione. Se ne stia alla larga! Ne stia fuori finché è ancora in tempo, finché ne ha la possibilità». Si divincolò dalla stretta dell'editore e corse via con uno scarto. Jamie, sconcertato, lo guardò attraversare la strada di corsa e chiamare un taxi al volo. L'auto se lo portò via e Melford seguì il veicolo con lo sguardo, quasi incapace di digerire l'accaduto. Allora stavano dando la caccia anche a Mansell. Be', almeno questo significava che i sospetti che aveva nutrito a proposito di Mansell erano infondati. L'ex sacerdote era stato quasi investito; per un pelo entrambi non erano finiti schiacciati dalle ruote dell'auto.
Ma forse l'uomo era ubriaco; forse - più probabilmente - aveva esagerato. Quella storia di attraversare un corso d'acqua per far perdere le tracce, ad esempio: che senso aveva se poi figurava comunque sull'elenco telefonico? Be', chiunque avesse a che fare con gli adoratori di Satana doveva essere un po' svitato. Però, esagerato o no, ubriaco o no, rappresentava per il momento la pista migliore di Jamie. Gli concedo un giorno o due per calmarsi, decise Jamie, e poi vedo se non riesco a ottenere da lui qualche informazione in più... se non l'hanno spaventato irrimediabilmente. CAPITOLO 8 Il male alla testa le era tornato. Rannicchiata sul letto, istupidita dal dolore, Barbara Melford continuava a pensare: Devo essere pazza. Non aveva più aperto la porta e, anzi, vi aveva spinto contro una sedia. Non che temesse sul serio un nuovo tentativo di entrare da parte di una delle due donne. Per tutto il pomeriggio, dopo che Dana era entrata senza essere stata invitata e se n'era andata, Barbara era rimasta seduta immobile sul letto senza lenzuola, ma le aveva udite muoversi nell'appartamento. È casa mia e mi ci tengono prigioniera! Almeno, se non metto il naso fuori dalla stanza e spargono in giro altri orrori - topi morti, cani crocifissi e altra roba del genere - non possono accusare me di averlo fatto. Oppure, se anche mi accusano, io saprò che non sono stata io in un momento di follia! Ma poteva esserne davvero certa? Poteva avere la certezza di essere stata lì tutto il tempo e di non avere avuto un'altra crisi di sonnambulismo? Poteva mai essere sicura di qualcosa, da quel momento in poi? No. Se continuo così, impazzirò sul serio. Impazzire? Ma sono già pazza! Oh, se solo Jamie tornasse! La testa le doleva e le pulsava come se un gigante gliela stringesse al ritmo di una musica ignota, oppure era il suo cuore che faceva tanto rumore? Quando tendeva le orecchie, sentiva le voci delle altre due donne in salotto. Le voci si alzavano e si abbassavano, ma non riusciva a cogliere il significato di quel che dicevano, anche se di tanto in tanto le pareva che venisse pronunciato il suo nome. Be', perché mai non avrebbero dovuto parlare di lei? Al diavolo, probabilmente stavano discutendo di ricamo. Uno dei segni più certi della pazzia è la convinzione che gli altri stiano
parlando di noi. Il povero Jerry aveva cominciato a pensarla in quel modo qualche mese prima di morire... No, no. Non pensare a Jerry. Oddio, perché Jamie non è tornato a casa? Quella sera di dicembre, la notte cadde presto. Aveva cominciato a nevicare. Barbara sentì il profumo di qualcosa che cuoceva in cucina e, nonostante il mal di testa insopportabile e la nausea che andava e veniva, quell'aroma le fece venire appetito, ricordandole che non aveva mangiato nulla per tutto il giorno. Stavano cercando di stanarla con la fame? Maledizione. Voleva andare in studio quel pomeriggio. Non aveva neppure telefonato per annullare i suoi appuntamenti, per comunicare che era malata. Ecco, pensò con un improvviso e oscuro sollievo. Sono malata. Tutti possono stare male. Sì, sei malata. Hai ragione, Barbara. Sei malata. Hai bisogno di riposo, di un lungo periodo di riposo. Ammalati e rimani malata, così sarai fuori gioco e nessuno ti farà del male... «Dio», gemette ad alta voce, afferrandosi la testa, «adesso sento anche le voci!» Cercò di non prestare attenzione a quell'insidioso sussurro, ma i bisbigli continuarono nella sua testa, insistenti, monotoni. Vedi come stai male? Sei troppo malata per Jamie, Barbara. Impazzirai proprio come il povero Jerry... «No», ribatté ad alta voce contro quel mormorio. Fissò terrorizzata lo specchio sopra la toeletta. Un viso tirato, smunto, pallido, il viso di una donna di quarant'anni almeno, la fissò Impaurito. Sento delle voci e non c'è nessuno, rifletté. Allora devo parlare a me stessa senza rendermene conto. Stanno cercando di convincermi che sono pazza? Oppure sono matta sul serio e sto cercando di convincere me stessa che è colpa di qualcun altro? Sembra la stramaledetta gabbia di una cavia, che non la smette di girare! In un improvviso attacco di rabbia entrò in bagno, si strofinò energicamente il viso con una spugna bagnata, si truccò e indossò un vestito, aiutandosi con mani tremanti. Era così pallida che il rossetto e l'ombretto lampeggiavano sul suo viso cinereo facendola sembrare un pagliaccio, ma quell'attività tanto familiare la calmò. Aveva scelto dall'armadio un abito rosso vivo: invece di darle un aspetto allegro, nella stanza ormai buia, la faceva sembrare vistosa, provocatoria. Il topo morto era scomparso, e anche il coltello macchiato di sangue.
Probabilmente li aveva fatti sparire Dana. Barbara non l'aveva vista, ma ciò non significava nulla. Ma l'amuleto, il sacchetto di lino contenente quegli oggetti disgustosi? Si trovava sul pavimento dietro al letto disfatto. Barbara lo raccolse, anche se le sue dita erano stranamente riluttanti a stringerlo. Era una prova, pensò. Ma una prova di cosa? E per chi? Doveva gettarlo nel fuoco, ma aveva paura. Una volta qualcuno non aveva gettato tra le fiamme una bambola vudù ed era morto bruciato? No, quello era uno stupido film dell'orrore. In ogni caso, il camino era spento e non poteva certo accendere un fuoco lì in bagno! Ma... e se lo mostrassi a Jamie? Mi accuserebbe di cercare di impietosirlo? La notte scorsa, quando ho bruciato il suo manoscritto, c'era comunque un'altra copia, quindi non ho commesso nulla di irrimediabile; ma se gli giocassi un altro tiro del genere potrebbe pensare che sono io l'autrice di tutti questi guai! Eppure, non voglio rimettere questa roba nel nostro letto. Mi dà una sensazione intollerabile. La copia di Il diavolo in America che aveva cominciato a leggere era ancora aperta, con le pagine rivolte verso il basso, sulla sua scrivania. Un vago ricordo la punzecchiava; raccolse il libro per sfogliarne le pagine, cercando ciò che la memoria le suggeriva. Secondo le tradizioni folcloristiche, se una persona trova un amuleto per il malocchio o un talismano vudù, anche quando è certa che sia destinato a lei, non deve distruggerlo subito. L'oggetto dovrebbe essere conservato in un luogo sicuro, dove non potrà nuocere, finché non potrà essere distrutto da qualche adepto esperto o da persona capace di smagnetizzare l'amuleto e di rompere il legame tra lui e la vittima. Continuando a leggere, scoprì che c'erano diversi sistemi per isolare un talismano e impedirgli di fare del male. Poteva essere riposto in un contenitore di argento massiccio, saldato con del piombo. Questo non mi aiuta granché, rifletté Barbara. Non ho sottomano una scatola d'argento né un saldatore. Non aveva neppure un contenitore di legno di sandalo o di cedro da suggellare con cera vergine, preferibilmente con il marchio della stella a cinque punte. Anche se credessi a tutto ciò, dove troverei il necessario? Era come cercare di preparare la pozione magica descritta da Shakespeare: dove diavolo si poteva trovare l'occhio di tritone, il dito di rana e gli altri ingredienti? L'unico consiglio attuabile che
Jock forniva per combattere quegli amuleti, in mancanza di meglio, consisteva nell'avvolgerli nella seta, preferibilmente vergine (qualunque cosa fosse) e rinchiuderli in un contenitore ermetico. Frugò nel cassetto della scrivania e trovò una sciarpa di pura seta che non aveva mai indossato. Be', non era «seta vergine» - immaginava che questa fosse seta non colorata né trasformata in un capo d'abbigliamento - ma era tutto ciò che aveva. Avvolse l'orrido sacchetto nella sciarpa, ottenendo così un piccolo involto, poi trovò nella borsa un tubetto di plastica che aveva usato per le vitamine. Probabilmente era quanto di più ermetico avesse a disposizione. Vi infilò dentro l'amuleto, rimise il tappo e sigillò il tutto con del cerotto preso dall'armadietto dei medicinali. Ecco. Se si tratta solo di una suggestione, proverò con la controsuggestione. Ma vorrei tanto che Jamie tornasse a casa. Si sedette di nuovo sul letto, cercando di controllare il tremito delle mani, e nel giro di pochi minuti udì il campanello di casa suonare nel modo tipico di Jamie. Due brevi trilli: il segnale per evitare di usare le chiavi se sua madre o Barbara erano in casa. Grazie a Dio, grazie a Dio! Quel giorno così lungo era finalmente finito e Jamie era a casa. L'appartamento tornava a essere suo: non era più tenuta prigioniera da presenze ostili. Sarebbe andata da lui, si sarebbe rifugiata nella sua forza e sanità mentale e gli avrebbe mostrato l'amuleto, l'avrebbe persuaso che il pericolo era reale. Fece per alzarsi dal letto. Non ci riuscì. Le ginocchia tremanti rifiutarono di obbedirle; l'energia sembrò abbandonarla a ogni respiro. Cercò di ribellarsi contro forze invisibili, tentò di aiutarsi con le mani, tremò e ricadde sul materasso. Rimase lì sdraiata, con il cuore che le martellava in petto, con la terrificante consapevolezza che non aveva alcun modo per difendersi da quello che avrebbero detto di lei. Jamie dovette suonare di nuovo prima che la porta si aprisse; fu costretto a nascondere la propria irritazione quando il viso di Dana fece capolino dietro la porta. «Oh, Jamie» esclamò in tono preoccupato, «sono felice che tu sia qui. Ci sono problemi.» Oidio, cos'è successo ancora? aveva voglia di chiedere con voce lamentosa. «Cosa c'è adesso, Dana? Altre telefonate?» «Peggio ancora», annunciò Dana, il cui viso dolce era attraversato da un ruga preoccupata. «Si tratta di Barbara, Jamie. Si è chiusa in camera sua e
non vuole uscire. Non è nemmeno venuta a mangiare un boccone per tutto il giorno. Sono andata in camera sua per aiutarla a rifare il letto, stamattina, e si è comportata come se non mi riconoscesse neanche.» «Già», confermò sua madre, apparsa alle spalle della ragazza. «Se Dana non fosse stata qui, avrei avuto una paura terribile: c'era un coltello macchiato di sangue in cucina stamattina. E ti ricordi di Jerry...» Jamie si sentì chiudere improvvisamente la gola dalla paura. Barbara! Quelle persone misteriose stavano forse minacciando Barbara come avevano fatto con Bess? Oppure tutta quell'orribile vicenda le aveva fatto perdere l'equilibrio mentale? Avrebbe giurato che Barbara era assolutamente stabile, priva di nevrosi. Dopo la morte di Jerry aveva consultato uno psichiatra. «Se vogliamo avere dei bambini, è meglio assicurarci che non si tratti di un problema ereditario», aveva suggerito serena. Ma lo psichiatra l'aveva dichiarata sana come un pesce, priva di tendenze nevrotiche. Ma chi poteva saperlo per certo? Ascoltò sua madre distrattamente. «Vado a parlarle», annunciò, dirigendosi verso la sua stanza. Girando la maniglia, incontrò una resistenza contro l'uscio. «Barbara!» chiamò alzando il tono. «Sono io! Cos'è successo alla porta?» La sua voce sembrava strana al di là della porta chiusa. «Sei davvero tu, Jamie?» «Chi altri potrebbe essere, Babbo Natale?» sbottò, all'improvviso irritato. «Andiamo, Barby, smettila con i giochetti. Fa' la brava bambina e apri questa porta! Cosa ti prende, perché cerchi di spaventarci?» Ebbe il tempo di udire il proprio cuore battere cupo nel silenzio, di accorgersi della presenza di Dana e di sua madre dietro di lui, di chiedersi se Barbara aveva perso conoscenza, o dormiva, o si era nascosta in bagno, prima di udire uno strano rumore di mobili spostati. Poi la maniglia girò e la porta si socchiuse; una parte del viso di Barbara apparve nella fessura. «Entra», disse in un sussurro. «No, maledizione, esci tu. Non sono in vena di stupidaggini questa sera, Barbara. Voglio bere qualcosa e cenare. Ho avuto abbastanza problemi oggi. Andiamo», la incoraggiò, «non cominciare! Cosa c'è, Barbara, stai male?» Dietro di lui, nel silenzio che seguì, udì sua madre mormorare: «Proprio come il suo povero fratello. Avevo detto a Jamie...» e Jamie fu d'un tratto irrazionalmente furioso con Barbara che permetteva a sua madre di pren-
dersi tale rivincita. Anche Barbara udì, e i suoi lineamenti si indurirono. Arrivò in salotto, e Jamie vide che, effettivamente, sembrava malata: era truccata troppo pesantemente, i capelli erano in disordine e sembrava che avesse preso dall'armadio il primo vestito che le fosse capitato a tiro e che l'avesse indossato alla bell'e meglio. Le tremavano le mani, e la vide lanciare uno sguardo rapido a Dana e a sua madre prima di abbassare gli occhi precipitosamente. Annunciò: «Datemi da bere. Beviamo tutti, ma non aspettatevi che mangi quello che queste due hanno preparato per me». «Perché, tesoro?» intervenne la signora Melford, e Jamie si accigliò. Si avvicinò alla credenza, ma ebbe un istante di esitazione. «Barbara», suggerì Dana, «non dovresti bere niente se non sei... in forma.» «E a te che importa?» esclamò Barbara, e Dana trasalì. «Calmatevi, adesso», intervenne Jamie, senza sapere cosa diceva. Come ogni uomo, odiava le scenate e si stava lentamente accorgendo che quella non sarebbe stata facile da appianare. Barbara si versò abbondantemente da bere dalla bottiglia di scotch. Le tremavano le mani e ne rovesciò un po'; Jamie le si avvicinò e cercò di toglierle il bicchiere. «Senti, tesoro...» Barbara lasciò cadere il bicchiere. Il liquore si rovesciò e il bicchiere, che non si era rotto per miracolo, finì per terra e rotolò via. «Jamie, non la voglio qui», disse Barbara, con voce stridula e isterica. «Non voglio nessuna delle due. Io... io...» Strinse le mani, cercando di controllarsi, poi continuò, le labbra sbiancate. «Mi dispiace. So che sembro una pazza isterica, sto cercando di controllarmi, ma Jamie, per favore, non possiamo parlare da soli?» «Povera Barbara», intervenne la signora Melford, con voce carezzevole, accingendosi a raccogliere il bicchiere. Strofinò con il fazzoletto il liquido che era caduto sul vestito rosso. «Hai macchiato il tuo bel vestito rosso; non so se verrà via. Non puoi cercare di calmarti, tesoro? Perché non vai a coricarti un po' mentre ti preparo una bella tazza di tè o una zuppa, e non ti riposi un po'?» Barbara cercò di colpire la mano che reggeva il fazzoletto. Non la toccò, ma la signora Melford cacciò un urlo e ritrasse la mano. Barbara esclamò con voce stridula e ansimante: «Lasciami in pace, non toccarmi. Jamie, non riesci a capire cosa stanno facendo? Stanno cercando di farti credere che sono pazza». Gli si rifugiò contro, afferrandogli le mani con le sue. «Oh, Jamie, Jamie, non sono pazza, vero?»
La sentì rigida, tremante, contro di sé e un brivido inorridito lo percorse. Dovette superare la sua avversione, il ricordo fulmineo di Jerry rannicchiato in camera sua una settimana prima del suicidio, per stringere la moglie e rassicurarla: «Ma no, Barbara, certo che no. Stai male, e credo che tu abbia una piccola crisi isterica. Nessuno vuole farti del male». «Lei sì», accusò Barbara con enfasi, «lei sì! No. No. Non lo dirò. Lei vuole che scagli delle accuse assurde; lo sento, non aspetta altro. Non lo farò...» La voce le si spense. «Siediti», ordinò Jamie. Spinse leggermente Barbara fino a una sedia e le versò nuovamente da bere. «Bevi questo. Lentamente. E adesso dimmi di cosa si tratta. Dana? Mia madre? Avete litigato?» Dana allargò le mani in un gesto di assoluta perplessità; i suoi enormi occhi azzurri erano l'immagine dell'innocenza. «Siamo andate a fare spese mentre dormiva e quando siamo tornate era in questo stato.» «Mamma?» «Non saprei, Jamie. È da molto che sono preoccupata per lei, lo sai anche tu.» «No che non lo so», ribatté Jamie bruscamente, guardando le tre donne con occhi perplessi. «Andiamo, Barbara, dacci un taglio. È stata una giornataccia per tutti.» «Stanno facendo a noi quello che hanno fatto a Jock e Bess», esclamò Barbara. «È tutto nel libro.» «Oh, al diavolo il libro!» D'un tratto Jamie era furioso. «Ti stai immaginando tutto. Lo sai che la mamma ti vuole bene. Continui a credere che mia madre vuole farmi sposare Dana?» «Può forse negarlo?» ribatté lentamente Barbara, come se fosse costretta a farlo. A mamma Melford tremarono le labbra e sembrava che stesse piangere, ma vi era una sorta di compiacimento dietro le lacrime. «Non pensavo che Barbara fosse la donna adatta a te, e adesso puoi vedere com'è squilibrata, con queste sue sciocchezze. Tu hai bisogno di pace e tranquillità, poverino, non di scenate isteriche!» «Vedi cosa intendo?» Barbara, agitata, si sentiva in trappola. «Ce l'ha sempre con me. Mi odia, mi stuzzica, mi provoca finché io... faccio una scenata del genere e tu cominci a odiarmi. Oddio, Jamie, non la voglio qui. Ho cercato, ho fatto di tutto; ma non serve a niente. Mi detesta, e ha portato qui Dana - la goccia che ha fatto traboccare il vaso - e oggi, quando ho trovato...» Si fermò di scatto, come se qualcosa le avesse tìsicamente im-
pedito di parlare. «Continua», l'incitò la signora Melford con voce tremante, «ascoltala, Jamie. E tu le permetti di parlarmi in questo modo? Non mi butterai fuori? Non hai intenzione di buttare tua madre in strada?» «Mamma, dannazione...» Jamie si portò le mani alla testa accorgendosi d'un tratto che indossava ancora cappello e cappotto: la crisi era scoppiata tanto repentinamente che non aveva neppure avuto il tempo di toglierli. Finalmente se li levò di dosso e li gettò sul divano, fissando accigliato le donne. Gli pareva di trovarsi nel mezzo di un'arena ostile. Anche Barbara si era accasciata sul divano e singhiozzava; per un istante la fissò con un sentimento prossimo all'odio. Come osava riservargli un trattamento del genere? Perché lo coinvolgeva in una scena simile, il confronto isterico, da soap opera, con la Suocera e l'immancabile Altra Donna? Per un istante gli sembrò di vedere la scena dal lato sbagliato del cannocchiale, come se fossero state minuscole bamboline inanimate su uno schermo televisivo: Barbara, scossa, scarmigliata e in lacrime; sua madre con il broncio, l'immagine dell'innocenza offesa, quasi troppa innocenza; Dana, così carina, che sembrava distaccata, e il cui viso dolce esprimeva compassione e preoccupazione. Si sentì attratto verso di lei in virtù del riflesso che attira ogni uomo verso coloro che, in una data situazione, hanno la peggio. Povera Dana. Peccato che debba essere coinvolta in questa lite di famiglia. La sua calma era attraente su quello sfondo di isteria. Contro la sua volontà si trovò a pensare: Mi avrebbe riservato una scena del genere al mio ritorno a casa? Le sorrise con aria mesta prima di tornare a rivolgere l'attenzione a Barbara. «Mamma, Barbara, adesso ascoltatemi, ne ho abbastanza. Dobbiamo proprio risolvere i nostri problemi familiari davanti a un'estranea? Se avete litigato, certamente passerà. Succede in tutte le famiglie, ne sono certo. Mamma, perché non vai a vedere cosa succede in cucina? Sento il profumo della cena che si cuoce, e non vorrei che si bruciasse. Intanto, Barbara può finire il suo drink in pace e ci diamo tutti una calmata. Vai anche tu, Dana. Barbara vuole parlarmi da solo. Va bene?» Se ne andarono, lanciandogli sguardi di protesta. Quando la porta della cucina si chiuse, si versò da bere e riempì ancora il bicchiere di Barbara. Si sedette di fronte a lei, guardandola mentre cercava di calmare i singhiozzi. Quando smise di piangere le chiese: «Allora, bambolina mia, perché piangi? Per mia madre? Senti, tesoro, lo sai che non mi faceva impazzire il pensiero che vivesse con noi, ma con la scarsità di alloggi in affitto, di
questi tempi, non potevo permettermi di prendere un appartamento solo per lei. Non ha un soldo, neanche una piccola pensione. Non ha mai lavorato, è stata casalinga tutta la vita. E detesto piazzarla in una di quelle residenze per anziani che costituiscono una sorta di discarica per vecchi». Lottando di nuovo con i singhiozzi Barbara convenne: «Lo so, Jamie. Pensavo che avrebbe funzionato». «Credevo che, tutto considerato, tu e mia madre andaste d'accordo quasi sempre. Mi sono sbagliato?» Barbara si fissò le ginocchia. «Fino a oggi non sapevo quanto mi odiasse.» «Barby, non so cosa dirti. Non sei mai stata il genere di persona da soffrire di un complesso di persecuzione.» Deglutì rumorosamente. L'alcol stava ridando un po' di colore al suo viso. «Vedi? Non posso dire niente, perché appena apro bocca dici che soffro di un complesso di persecuzione. È tutto organizzato così bene... Ma questa mattina ho trovato una cosa orribile in cucina. Ed è stato solo l'inizio...» Jamie gemette. «Oh, mio Dio, quella maledetta rana? Mi dispiace, Barby. Avrei giurato di averla buttata io stesso nell'inceneritore, ma ero così confuso da tutto quello che stava accadendo... Ma perché incolpi mia madre? Sono stati quei pazzi che cercano di impedirmi di pubblicare il libro di Jock. Stai cercando di dirmi che credi sul serio che mia madre abbia dei legami con quella gente?» Lei si prese la testa tra le mani. Jamie, irritato, avrebbe voluto che si sistemasse i capelli; non l'aveva mai vista in quelle condizioni ed era furibondo con se stesso perché si scoprì a confrontarla mentalmente con la perfezione esteriore di Dana. «Non so cosa pensare», rispose Barbara. Sembrava esausta, sconfitta. «Se la metti così, mi convincerai a cercare di nuovo lo psichiatra di Jerry.» Jamie finì il bicchiere, lo posò e le prese le mani. Le parlò con dolcezza. «Hai pensato, Barbara, che se questa campagna intimidatoria ha uno scopo, il suo obiettivo è proprio quello di metterci uno contro l'altro? Credo abbiano fatto lo stesso con Jock e Bess. Se non perdiamo la testa, possiamo ridere di loro. Ormai devono aver saputo che la loro tecnica non funziona; a meno che non mettano una bomba dallo stampatore, il libro verrà pubblicato. Intendi permettere a quella gente di farti del male con questa stupida guerra dei nervi?» Non alzò lo sguardo. Contro la sua volontà, Jamie si sentì intenerito. Al-
la fine, levando gli occhi, Barbara disse, con le mani contratte: «Forse tutto questo, la tensione per il libro, ha fatto precipitare la situazione. Forse non avrei mai dovuto accettare di convivere con tua madre. Forse non avresti dovuto sposarmi contro il suo volere». Cercò di assumere un tono leggero. «Mi dispiace, ma la situazione è questa: ti ho sposata e, se a mia madre non va bene, peggio per lei.» Le toccò la mano. «Forse possiamo trovare una soluzione, Barby, se ti dà sui nervi. Se... quando... avremo dei bambini», si corresse, «dovremo comunque organizzarci in modo diverso. Forse dovremmo cominciare a pensarci subito. Ma tu, puoi tenere duro finché non riesco a escogitare qualcosa?» A Barbara tremarono le labbra. «Proverò, con tua madre. Non posso prometterti niente, ma proverò. Quando, però, ha portato qui Dana, ha esagerato. Jamie, non puoi mandarla via?» Fu sorpreso dall'intensità della propria collera. «Barbara, non è da te. Detesto la gelosia!» «Non m'importa!» Le si incrinò la voce. «Finché lei è qui, so che tua madre non perde le speranze... Jamie, non cambierò idea. Sopporterò tua madre per un po', solo per un po'. Ma voglio che Dana se ne vada, voglio che sparisca stasera! Stasera!» «Cosa posso dirle?» chiese Jamie disperato. «Le hai detto tu stessa che era la benvenuta, se voleva restare. Come posso sbattere fuori casa un'ospite... a quest'ora della notte? Dove potrebbe andare?» «Non mi interessa cosa le dici e dove va», rispose Barbara, le cui parole avevano un fondo minaccioso. «Un ostello. Un albergo. L'Esercito della Salvezza. Ma se ne deve andare, Jamie, oppure me ne vado io. Dico sul serio. Lei o io. Non dormirò nel mio letto finché quella donna sarà sotto lo stesso tetto!» La fissò. Era esterrefatto, come se la Barbara che conosceva bene fosse diventata un'estranea. «Sto veramente cominciando a chiedermi se non hai perso la testa, Barbara!» «È una spiegazione comoda e semplice, vero?» «Non direi», commentò Jamie. L'ira stava montando in lui, nonostante il desiderio di reprimerla. «Non sei giusta né sensata, e non hai il diritto di dettare un ultimatum del genere. È troppo melodrammatico!» Lei ribatté sottovoce: «Perché vuoi Dana qui? La stai difendendo?» «Oh, Cristo!» cominciò a urlare; ricordò che Dana era in cucina e abbassò la voce. «Non desidero in particolar modo che rimanga. Solo che non mi va di buttarla fuori!»
Il viso di Barbara si era indurito; era di nuovo la Barbara-estranea che replicò: «Allora non farlo. Butta fuori me, invece, perché andrà a finire così». Si alzò e, mentre lui la seguiva con lo sguardo smarrito, si avvicinò al guardaroba, afferrò il giubbotto e cominciò a infilarselo. «Non sto scherzando, Jamie», annunciò, con voce controllata e tesa. «Se esco da quella porta, non la varcherò nell'altro senso fino a quando non avrà fatto i bagagli e non se ne sarà andata.» Jamie restava lì, immobile, furibondo, testardo, con i pugni serrati. Qualcosa dentro di lui stava vociando: Lasciala andare, che se ne vada in malora! Se si comporta in modo così irrazionale, non merita che ti preoccupi per lei! Ma quella voce lo inorridì. Si avvicinò a Barbara e la prese per le braccia, ma lei si divincolò. Al contatto con lui, scoppiò di nuovo in un pianto disperato. L'abbracciò e la tenne stretta, e la miscela di collera e disorientamento si dissolse almeno per qualche istante. Ancora fremente di rabbia, ma deciso a essere gentile, Jamie azzardò: «Non possiamo continuare così, Barbara, è ridicolo. Sono disposto a cedere, ma solo se facciamo un patto. Dana se ne va, ma domani tu vai da uno psichiatra. Affare fatto?» Sperava ancora che avrebbe rifiutato indignata, che avrebbe ceduto e confermato quello che voleva sentirle dire, ovvero che Dana non c'entrava e che sapeva di comportarsi come una sciocca. Invece, il suo viso si rasserenò un po'. Rispose lentamente: «Affare fatto, Jamie». Stava appendendo di nuovo il giaccone, con movimenti lenti e rigidi. Le voltò le spalle per avviarsi a grandi passi, ancora risentito con Barbara (l'aveva messo con le spalle al muro!) verso la cucina. Il locale era caldo e umido, pervaso da un buon profumino di cibo che cuoceva condito con le solite erbe aromatiche, e una teiera stava emettendo un flebile fischio. Era assurdo sentirsi tanto infelici e imbarazzati in un luogo così sereno, con gli occhi di Dana e di sua madre che non lo abbandonavano. «Come sta, Jamie?» chiese sua madre sottovoce. «È... più tranquilla. Mi dispiace, mamma...» Esitò, come poteva dirlo? Dana sorrise, un sorriso enigmatico. Parlò per prima: «Jamie, meglio che me ne vada. La mia presenza non fa bene a Barbara... nel suo stato attuale». Avrebbe dovuto sentirsi sollevato perché gli aveva risparmiato l'imbarazzo di sollevare l'argomento. Invece, paradossalmente, Jamie venne colpito da una nuova ondata di risentimento nei confronti di Barbara che l'a-
veva messo in una tale situazione. «Mi dispiace moltissimo, Dana, ma...» Sua madre si adirò, indignata. «Jamie, Dana è mia ospite! Barbara non ha il diritto di farlo!» «Mi dispiace», ripeté, irritato con lei oltre che con Barbara. «So che è tua amica, mamma, ma io devo pensare innanzitutto a mia moglie. Barbara sta male; è nervosa e sconvolta. Devo pensare a lei...» Aveva l'impressione di ripetersi nervosamente. «Certo, se Dana non ha nessun posto dove andare...» «Certo che ce l'ho. Stavo proprio dicendo a tua madre...» «E io le stavo dicendo», intervenne la madre, «che non permetterò a una ragazza malata, nevrotica, squilibrata di decidere chi può andare e venire in casa di mio figlio.» «Mamma, per favore!» La voce di Dana era dolce, ma Jamie ebbe l'impressione che nascondesse una volontà ferrea. Tornò a rivolgersi a Jamie con un sorriso smagliante. «Certo che i tuoi doveri sono prima di tutto nei confronti di Barbara, Jamie. Ti rispetto per questo. In questo momento nient'altro è importante. Dev'essere molto... malata. Ho già chiamato un mio amico, Jamie.» «Mi sento un verme a buttarti fuori in questo modo.» «No», dichiarò con un sorriso enigmatico. «Forse è la cosa migliore che poteva accadere.» Uscì silenziosamente dalla stanza, mentre Jamie si chiedeva cos'avesse voluto dire e sentiva montare di nuovo l'ira nei confronti di Barbara. Come poteva permettere alla sua gelosia di sfogarsi in quel modo contro una ragazza innocente, che oltretutto era stata sua amica? Era ancora arrabbiato un'ora dopo quando Dana, terminato di fare i bagagli, esclamò guardando fuori dalla finestra: «Oh, ecco il mio passaggio!» Si buttò celermente il cappotto sulle spalle e si avviò alla porta. La signora Melford, furente, stava in un angolo. Barbara si era rifiutata di mangiare e si era ritirata in camera sua, dove Jamie, sollevato, la sentì muoversi, fare il letto e riordinare. Forse, con la casa in condizioni normali, sarebbe riuscito a farle mangiare qualcosa. Aveva detto a sua madre, sentendosi vagamente sleale nei confronti della moglie ma persuaso che fosse il sistema migliore per mantenere la pace, che Barbara aveva promesso di consultare uno psichiatra, affermando che conosceva un ottimo medico che aveva fatto miracoli per una sua amica. Ora, mentre Dana si avvicinava alla porta, Jamie le afferrò la mano. «Dana, fatti sentire.» «Ma certo, sciocco», rispose la donna. «Verrò a trovare tua madre, e na-
turalmente mi informerò delle condizioni di Barbara, poveretta, anche se... ce l'ha con me. Forse guarirà presto e potrò vederla.» Jamie sollevò la valigia. «Lascia che te la porti giù.» «Ma no, non è pesante», protestò Dana, ma lui aveva già imboccato il corridoio e scendeva le scale. Alla porta d'ingresso gliela prese fermamente. «No, insisto, Jamie, non devi assolutamente uscire al freddo senza cappotto!» L'auto parcheggiata davanti all'ingresso aveva già lo sportello aperto, e una sagoma alta emerse dal buio ammantato di neve e fece per parlare. Dana fece un gesto e l'uomo si limitò ad afferrare la valigia, a buttarla dentro rapidamente e, dopo aver chiuso lo sportello, risalì sull'auto che si allontanò. Jamie, stando dentro, seguì il veicolo con uno sguardo stupito. Stava impazzendo anche lui o era proprio padre Mansell che aveva visto uscire dal veicolo per farci entrare Dana? No, non poteva essere. Tutta quella storia lo stava innervosendo al punto che vedeva strane coincidenze dappertutto. Non era possibile. A New York c'erano - ci dovevano essere - decine o centinaia di uomini con la stessa corporatura imponente, lo stesso modello di soprabito scuro, gli stessi capelli neri su una fronte alta. Dopotutto, non l'aveva visto in faccia: l'autista si era voltato troppo velocemente. Eppure l'impressione non lo abbandonò mentre risaliva le scale. Sentì il profumo della cena e d'un tratto si accorse di essere affamato, pronto a divorare qualunque cosa gli fosse capitata a tiro. Forse adesso che Barbara si era calmata avrebbe accettato di mangiare qualcosa e di comportarsi civilmente, perfino con sua madre. Più tardi, quella sera, mentre cercava di emergere da incubi confusi e irrazionali (vagava in un labirinto con Jock Cannon che cercava di chiamarlo attraverso una tenda spessa; era finito in un corridoio disseminato di rospi morti e di crocifissi rotti; finiva in una chiesa e prendeva in mano una Bibbia sull'altare, ma si rivelava essere la prima edizione de Il diavolo in America; si stava sposando di nuovo con Barbara, ma il sacerdote era padre Mansell e sua madre gli affidava la sposa, e quando lei aveva pronunciato la formula: «Chi concede questa donna in sposa a quest'uomo? Io», aveva guardato la sposa ed era Dana, mentre Barbara era coricata nuda sull'altare...) si svegliò di soprassalto e avvertì l'impulso di allungare una mano nel letto per assicurarsi che Barbara fosse ancora accanto a lui. Gemeva e sospirava nel sonno ma non si svegliò, e per un istante ascoltò il
suo respiro affannoso prima di assopirsi di nuovo. All'inizio era la solita processione di visi indistinti, le immagini che si vedono quando si è prossimi al sonno, poi arrivarono le voci, e Jamie era troppo profondamente addormentato per resistere loro o anche soltanto per esserne veramente consapevole. È troppo tardi per le mezze misure. Deve andarsene come se n'è andato Cannon. Non deve succedergli niente. È l'unica condizione che pongo o che abbia mai posto; non deve accadere nulla a Jamie. Credi forse di poter dettare delle condizioni? Quello che vuoi non è quello che vogliamo noi. Crollerà presto. Quando sarà stata tolta di mezzo, posso occuparmi io di Jamie. Molto bene. Ma non aspettare troppo. CAPITOLO 9 Park Avenue alla fine degli anni Ottanta era elegante e conservava ancora qualche traccia della qualità urbana ottocentesca, prima che i problemi del Ventesimo secolo rovinassero irrimediabilmente la vita in città. Barbara camminava tra gli edifici alti e distinti, con il giaccone allacciato stretto, in cerca del numero civico che aveva scritto su un bigliettino nella borsa. Oh sì, si era comportata malissimo. Le stava bene, doversi sorbire la seduta dallo psichiatra. Aveva permesso all'emicrania, alla tensione premestruale e alla paura pura e semplice di indurla a vuotare il sacco. Avrebbe dovuto rimanere calma, essere ragionevole, pratica, affascinante, proprio come lo sarebbe stata Dana. Tutti i manuali per le donne a caccia di uomini le avevano insegnato che gelosia e scenate non servono a niente. Avrebbe dovuto essere dolce e arrendevole, non brutale e onesta. Avrebbe dovuto fingersi cordiale perfino con Dana, e poi appartarsi con Jamie e mostrargli il sacchettino orrendo trovato nel loro letto. Quel mattino si era svegliata con i residui del mal di testa (ce l'aveva ancora, maledizione!) e il ricordo confuso della scenata della sera precedente l'aveva resa remissiva con Jamie e cautamente educata perfino con la signora Melford. Avrebbe preferito trovare un altro psichiatra, invece di quello consigliatole dalla madre di Jamie, ma si era detta di non essere paranoica. Aveva cercato di nascosto il suo nome sull'elenco del telefono di Manhattan: esercitava a un prestigioso indirizzo di Park Avenue, aveva i
titoli necessari e tutto sembrava perfettamente in ordine. Le era persino parso, quando aveva telefonato per prendere appuntamento, vagamente riluttante ad accordarglielo, premettendo che l'avrebbe vista soltanto perché un altro paziente aveva annullato. Allora, perché se lo immaginava desideroso di averla in suo potere per tessere le lodi della suocera e costringerla a rinunciare a quel mucchio di sciocchezze nevrotiche? L'edificio stava invecchiando con grazia, la doratura delle porte e le appariscenti decorazioni non erano rovinati né vittime di un restauro troppo vistoso. All'ingresso comparivano le targhe di medici, dentisti e, ipotizzò Barbara, anche di uno psicologo. Il nome che le era stato dato si trovava al secondo piano. Mentre saliva, vide in cima alle scale una donna nell'ultima fase della gravidanza che usciva da una porta. Barbara avvertì, acuti e improvvisi, gli spasmi dell'invidia, sotto forma di un dolore quasi fisico. Proprio dove si vedeva la bruciatura nella foto. Oddio, è per quello che non sono riuscita a restare incinta? Nell'ambulatorio da cui era uscita la signora in stato interessante si udì una gradevole voce femminile: «Lasci la porta aperta, signora Gardner. Temo di non essere abituata a una temperatura tanto elevata». Barbara si schiacciò contro il muro quando la donna incinta, camminando cautamente, le passò accanto scendendo le scale. Sul pianerottolo si aprivano tre porte di fronte alla scala, e Barbara pensò: Sono proprio un'idiota, non me n'ero neanche accorta: questo dottore deve essere a posto, dato che lavora nello stesso edificio della dottoressa Clinton. Devo aver visto il suo ufficio un centinaio di volte quando mi sono sottoposta a tutti quegli esami, l'anno scorso. Deve avere una nuova segretaria. Forse dovrei prendere appuntamento per un nuovo controllo. Però, non posso certo spiegarle che secondo me finora non sono riuscita a restare incinta perché mia suocera mi ha fatto il malocchio! Probabilmente mi spedirebbe subito nell'altro studio, quello del dottor Pinco Pallino! Guardò le tre porte, che ricordava bene dall'anno precedente. DOTTORESSA MARIAN CLINTON, GINECOLOGIA E OSTETRICIA. DOTTOR PAUL BARNES, DENTISTA, RICEVE SOLO SU APPUNTAMENTO. ALEXANDER WYNITCH, PSICOLOGO. Si chiese, brutalmente, che cognome impronunciabile e difficile da portare si trovasse dietro l'improbabile Wynitch. Wynzcyzowski? Wynzkowitz? Che psichiatra era, se non riusciva neanche ad assumersi il peso della propria nazionalità? Diede un'occhiata all'orologio. L'appuntamento era fissato per le 13.00; mancavano soltanto cinque minuti.
Non andare. È pericoloso! Si disse di non essere sciocca, eppure i suoi istinti si ribellavano. Barbara si era abituata a essere concreta, eppure aveva sempre creduto fermamente nell'intuizione, e l'intuizione in quel momento le stava gridando dentro. Voleva scappare di corsa. L'ho promesso a Jamie. Ti rinchiuderà. Finirai peggio di Jerry. No. Jerry è finito in quel modo proprio perché non ha cercato aiuto. Lanciò uno sguardo carico di desiderio verso la porta della dottoressa Clinton. Era un ricordo piacevole, un periodo di speranza. Avrebbe voluto con tutta se stessa avere appuntamento con la ginecologa ed essere incinta. Entra e fissa un appuntamento. Perché no? Ci vorrà solo un minuto. Si sentiva intontita e confusa di nuovo. Stai solo cercando delle scuse. Si girò di nuovo verso la porta del dottor Wynitch. Improvvisamente, sopraffatta dalle vertigini, si accorse che non riusciva, non riusciva a entrare nello studio dello psichiatra. Una gentile voce di donna chiese alle sue spalle: «Stava cercando l'ambulatorio della dottoressa Clinton?» Barbara si voltò, nonostante il capogiro, e si trovò di fronte due occhi grigi espressivi e il viso di una donna alta, vestita da infermiera. «No, ma lo vorrei tanto», rispose faticosamente. «Sono una sua vecchia paziente...» «Sta bene? Sembra sul punto di svenire.» «No, sono solo... sciocca», rispose Barbara imbarazzata. «Ho un appuntamento con il dottor Wynitch e stavo temporeggiando. Fa...» proseguì a fatica, «fa un caldo terribile qui.» «Ci stavo pensando anch'io», confermò quella strana donna, allegramente. «È per questo che ho lasciato la porta aperta. Gradisce un bicchiere d'acqua? C'è un distributore di acqua fresca nella nostra sala d'attesa.» «Con piacere.» Barbara entrò nell'ambulatorio che conosceva bene e bevve avidamente. «E da molto che lavora con la dottoressa Clinton? Non ricordo di averla mai vista.» «Oh, no», esclamò la donna con dolcezza. «Non sono impiegata della dottoressa Clinton. Lavoro per un'agenzia di lavoro temporaneo: Rosemary voleva un giorno di ferie per andare a trovare una zia malata, o qualcosa del genere, e io sono venuta a sostituirla. È questo il mio lavoro. Le andrebbe di sedersi per un minuto? Ha l'aria piuttosto scossa. Cosa succede? Ha delle preoccupazioni?» «Mi angoscia questo appuntamento», ammise Barbara. «Eppure l'idea in sé non mi dispiaceva: avevo già deciso di consultare un medico. Solo che
non mi va di farlo solo perché mia suocera mi ci ha costretto.» L'altra donna annuì. Aveva, osservò Barbara, un modo di parlare insolitamente calmo. Era più alta della media, con capelli chiari che si stavano sbiadendo, in ordine ma non pettinati alla moda - sembrava che li avesse lavati e spazzolati e che si fosse dimenticata della loro esistenza - e il suo viso, per quanto simpatico, non era particolarmente grazioso. Portava un tocco di rossetto e una traccia di cipria, e la sua uniforme non era delle più recenti. Gli occhi grigi erano espressivi e pieni di calore, anche se atteggiava la bocca a un'espressione grave. «Be', ammettiamolo, mia cara», commentò, «difficilmente nuora e suocera si amano alla follia a meno che la suocera non sia una persona straordinaria. Il problema è che si tratta di due persone innamorate dello stesso uomo, ecco tutto. Non sempre è così, naturalmente: mia suocera è stata per me la madre che non ho mai avuto, e le ho voluto molto bene, ma nove volte su dieci la suocera è la peggiore nemica senza neppure rendersene conto. Perché non si è scelta da sola il medico?» «Non ne conosco nessuno», rispose umilmente Barbara. «E allora? Basta telefonare all'Albo per avere un nome», replicò la donna. «Oppure può chiedere al suo medico generico, quello cui si rivolge per le influenze e quando i suoi figli hanno il morbillo. Le dirò una cosa, però: le garantisco che non la indirizzeranno qui; il tizio nello studio là fuori è psichiatra come lo sono io.» Sorrise come se stesse per rivelare un segreto. «Mia cara ragazza, non controlla mai i titoli di cui si fregiano i suoi medici?» «Credo sia laureato in psicologia», rispose Barbara. L'altra donna sorrise comprensiva. «Mi creda, qui in America non esiste un titolo di studio del genere, oppure, se c'è, l'ha ordinato per posta in California pagandolo cinquanta dollari. Un vero psichiatra, mia cara, deve per legge avere conseguito una laurea in medicina prima di specializzarsi in psichiatria. Uno psicologo - uno autorizzato a esercitare, intendo - è iscritto all'APA, l'Associazione degli Psicologi Americani. E, guarda caso, so che quel tizio là fuori non compare, perché ho cercato io stessa il suo nome per ragioni mie. Senta, signora...» «Melford», rispose Barbara. «Barbara Melford. Sono una paziente della dottoressa Clinton.» «Be', se posso darle un suggerimento piuttosto impertinente... Si faccia vedere dalla dottoressa Clinton quando arriva - adesso è all'ospedale per far nascere un bambino, da quello che so - e le chieda di suggerirle un no-
me se ritiene che abbia bisogno di uno psichiatra. Oppure chiami il suo medico, o si rivolga all'associazione dei medici psichiatri.» «Non la considero affatto impertinente», protestò Barbara, che d'un tratto si sentì sollevata e rincuorata. «Credo anzi che sia un'ottima idea. Le sono molto grata. Crede nell'intuizione?» «Certo», replicò la donna. «Perché?» «Perché - le sembrerà folle - mentre ero là fuori, sulle scale, continuavo ad avere la sensazione di non dover entrare, e adesso so il perché. Le pare logico? Continuavo a darmi della fifona.» «Sì, il suo comportamento ha senso», confermò l'altra. «Sapevo che doveva esserci un buon motivo se oggi sono venuta qui, invece di lasciare il posto a qualcun altro. Adesso la mia intuizione si giustifica, allora. Credo sia molto importante verificare le qualifiche delle persone cui ci si rivolge quando si cerca aiuto. Lo farà, vero?» «Certo», confermò Barbara. Esitò, anche se doveva andare: la presenza di quella donna era confortante, e desiderava restare. La donna le sorrise con aria incoraggiante, e Barbara ebbe la sensazione che la sconosciuta sapesse esattamente cosa pensava. Si sentiva come un pulcino perduto che si rannicchiava comodamente sotto l'ala della chioccia. «Mi chiamo Claire Moffat», disse la donna, «e... posso essere impertinente di nuovo? Prima di rivolgersi a uno psichiatra, si sottoponga a un controllo fisico. A volte i sintomi, soprattutto quelli che le suocere tendono a notare», aggiunse sorridendo, «non sono affatto un segno di turbe mentali, ma di problemi fisici. Ammettiamolo: quando qualcuno dice "Sei pazza", può voler dire semplicemente "Non mi piace come ti comporti".» «Ho fatto un controllo quasi un anno fa», spiegò Barbara, «e fino a poco tempo fa il mio problema era che non riuscivo a rimanere incinta. Il mio unico problema emotivo. Di recente, però, ho cominciato a... come dire... a immaginare delle cose, soffrire di emicranie inspiegabili e ieri sera ho perso la testa, ho gridato contro mia suocera, ho buttato fuori di casa un'ospite - ospite di lei ma anche mia, immagino - nel cuore della notte e in generale mi sono comportata in un modo che non trovavo normale; quindi, quando Jamie - mio marito - mi ha consigliato di rivolgermi a uno psichiatra, non me la sono sentita di discutere.» Claire alzò un sopracciglio. «Be'», commentò, «anche in un'epoca perfettamente razionale come la nostra una sfuriata non indica la necessità di una visita dallo psichiatra. È vero che la legge principale che regge la nostra cultura sembra essere non turbare l'equilibrio, ma anche in questo ca-
so...» «Be', ho perso completamente la testa», ammise Barbara. «Sospettavo che mi odiassero.» «Forse la odiano davvero», suggerì Claire. «Non ci ha mai pensato? Succede, sa? A differenza di quello che possono averle insegnato a scuola o nei corsi di seduzione, è impossibile essere simpatici a tutti.» «Questo lo so», si affrettò a precisare Barbara, «ed è vero che mamma Melford voleva che Jamie sposasse un'altra, proprio la ragazza che ho buttato fuori ieri sera. Ma sembra un modo così... incivile di comportarsi... E le cose che immaginavo erano talmente assurde, irrazionali...» Esitò, poi, fissando il viso calmo e distaccato dell'altra donna, confessò: «Pensavo che stessero cercando di scagliare una maledizione contro di me». Una volta che quelle parole le furono sfuggite, era sicura che Claire l'avrebbe guardata con stupore o disprezzo, invece l'espressione della donna non mutò. Disse invece qualcosa sottovoce, che poteva essere «Ah, ecco perché...» «Come può vedere», aggiunse Barbara, «parlo come una che è fuggita agli uomini in camice bianco.» Claire la contraddisse. «Non necessariamente. Ascolti, signora Melford. La dottoressa Clinton non ha appuntamenti alle due. E se la vedesse per qualche minuto? Dice che la conosce. Se la trova tanto disturbata da aver bisogno di un psichiatra, sono sicura che potrà suggerirgliene uno. In caso contrario, mi chiedo se ha voglia di incontrare un mio amico. Me ne vado di qui alle tre, e questo mio amico» - sorrise - «è una specie di esperto sulle persone che tentano di gettare il malocchio sugli altri. Accade davvero, lo sa? La notte scorsa questo mio amico mi ha chiamato sul tardi. Mi ha chiesto se avevo in programma di lavorare qui oggi, o se potevo organizzarmi per venire. Gli ho risposto che no, non avevo progettato di venire da queste parti per lavoro, ma che se c'era un buon motivo sarei stata disposta a farlo. Mi ha chiesto di venire se potevo perché avrei incontrato qualcuno che aveva bisogno d'aiuto, molto bisogno d'aiuto.» «Ma come faceva a saperlo?» Claire sorrise. «La sua specialità è conoscere ciò che accadrà», rispose. «Potremmo dire che è un esperto nel sapere quando qualcuno ha bisogno d'aiuto. Un giorno le racconterò come mi ha salvata quando stavo per sprofondare per la terza volta.» Sembrava pazzesco, come quello che aveva immaginato la sera precedente, altrettanto assurdo, incredibile, fantastico, eppure, guardando gli oc-
chi pacati e buoni di Claire, Barbara si accorse che la donna non aveva fatto nessun tentativo per convincerla o forzarla. Decise d'impulso che Claire avrebbe saputo almeno ascoltarla con comprensione e senza giudicarla. A volte era più facile raccontare qualcosa di completamente folle a un perfetto sconosciuto. «Vedrò la dottoressa Clinton», concesse, «e poi, se non mi spedisce dallo psichiatra, verrò con lei... dal suo amico.» Lasciò trapelare una sorta di confuso sollievo. «Se è un esperto nel sapere quando qualcuno ha bisogno d'aiuto, Dio sa che mi può tornare utile!» La dottoressa Marian Clinton fu cordiale e leggermente sorpresa. «Che piacere, Barbara: non mi dica che è incinta! Non le avevo assicurato che era solo una questione di pazienza?» Barbara scosse il capo. «No, non sono incinta», precisò. «In realtà sono venuta per una visita di controllo, e in caso lo ritenga necessario per farmi consigliare da lei uno psichiatra.» Raccontò la sua storia, cercando di essere accurata e convincente. Tralasciò la parte soprannaturale della vicenda, dichiarando che aveva cominciato a innervosirsi quando alcuni malintenzionati avevano iniziato a perseguitare suo marito per impedirgli di pubblicare un libro, che aveva avuto un episodio di sonnambulismo durante il quale aveva distrutto una delle copie del libro, che era diventata sospettosa, fino a raggiungere l'isteria, nei confronti di sua suocera e di un'ospite; le parlò della tensione e dei mal di testa. La dottoressa Clinton, dopo alcune domande di rito, la visitò brevemente, poi la guardò incuriosita. «Barbara, mi dica una cosa. Che droghe ha assunto?» «Droghe?» Barbara sembrava sbalordita. «Nessuna. Un'aspirina di tanto in tanto per il mal di testa. Nient'altro.» «Non fa uso di marijuana, erba... o qualcosa del genere?» «No. Una volta, anni fa, ho fumato uno spinello e mi ha fatto solo venire mal di gola.» «Ha assunto delle pastiglie nuove per il mal di testa... del Cafergot, qualcosa che le ha prescritto il suo medico, una ricetta che si è fatta rinnovare, per esempio?» «No, so che quel farmaco contiene segale cornuta per l'emicrania. L'ho preso solo due volte e, oltre a non farmi passare il dolore, mi ha dato la nausea, quindi ho gettato il resto della scatola nel gabinetto. Perché me lo chiede?»
«Non so spiegarglielo con precisione», rispose la dottoressa Clinton, «ma mi pare di vedere in lei i sintomi di un avvelenamento da segale cornuta. C'era un farmaco per l'emicrania che veniva pubblicizzato come rimedio miracoloso qualche anno fa e che in realtà era un parente lontano dell'Lsd. Il problema era che eliminava sì alcune emicranie, ma provocava un'intensa dipendenza, causava forti aumenti di pressione e la metà dei pazienti che lo assumevano soffrivano di episodi psicotici di un tipo o di un altro. Sicura che non ha preso niente, Barbara? Non intendo certo incriminarla per abuso di sostanze stupefacenti o roba del genere, ma dovrebbe essere onesta con il suo medico, con l'avvocato e con il prete, mia cara.» «Cosa devo dirle per convincerla: parola di scout? Le giuro, dottoressa, io ho paura della droga. Detesto perfino le iniezioni di penicillina. Aspirina, pastiglie per lo stomaco e collutorio, ecco tutto quello che acquisto in farmacia oltre ai cerotti, al dentifricio e agli assorbenti.» «Pastiglie per lo stomaco? Ha problemi di digestione?» Barbara ridacchiò. «Credevo che fossero i troppi caffè a stomaco vuoto, l'irritazione con le modelle, i pasti sempre di corsa... e forse tutti i problemi con mia suocera.» «Potrebbe essere», suggerì la dottoressa Clinton. «Chi prepara i pasti a casa sua?» «La madre di Jamie. Mi serve uno psichiatra? Insomma, se mia suocera mi dà l'ulcera...» «No», rispose pensosamente la dottoressa Clinton, «non è di uno psichiatra che ha bisogno, Barbara. Le credo. Forse le serve una vacanza. Oppure...» esitò un istante, «si faccia lei da mangiare per un po'. Barbara, la settimana prossima voglio sottoporla ad alcuni esami. Nel frattempo, però, mi faccia un favore. Mangi fuori casa per una settimana circa, se può permetterselo. O si cucini i pasti da sola. Non voglio preoccuparla, ma... forse farebbe meglio a mandare sua suocera dallo psichiatra. Io», si morse un labbro, «non so come dirglielo, ma la devo avvertire. La stanno avvelenando, Barbara.» CAPITOLO 10 Una casa editrice in costante attività è un ottimo luogo per allontanarsi da problemi personali assillanti. Jamie Melford dettò nove lettere alla sua segretaria, trascorse un'ora con il suo direttore artistico e approvò le copertine di tre romanzi western, di due romanzi gotici e di un libro sul mondo
della moda; parlò al telefono con un autore arrabbiato, di cui amici e parenti avevano cercato invano l'ultima opera in ben nove librerie diverse, chiacchierò brevemente con il responsabile di un'agenzia letteraria per chiedergli altri tre romanzi gotici e terminò la mattina leggendo, in compagnia di cinque o sei tazze di caffè, le prime pagine di una decina di manoscritti che cestinò, con l'eccezione di tre, dopo mezzo capitolo e che consegnò alla segretaria perché venissero restituiti agli autori; gli altri, li preparò per portarseli a casa, quella sera, e leggerli meglio prima di prendere una decisione. Probabilmente anche quelli sarebbero stati scartati - quasi tutti i libri pubblicati da Blackcock provenivano da note agenzie -, ma un editore coscienzioso legge anche il materiale che gli viene inviato spontaneamente: non si può mai sapere quando, in una montagna di scritti senza valore, si trova un piccolo miracolo, spedito da uno scrittore più dotato di talento che di attitudine al marketing. Arrivò così l'ora di pranzo e, mentre consumava un panino caldo con l'arrosto e una birra in un locale non lontano, pensò riluttante a Barbara e si costrinse a chiamare casa per sapere se aveva delle novità da comunicargli. Il telefono, però, squillò otto volte con il suono insolito e dolente di uno strumento meccanico circondato da pareti vuote. Era come il vecchio paradosso dell'albero che cade nella foresta, pensò Jamie. Suonava davvero se non c'era nessuno per sentirlo? Riattaccò con un inspiegabile senso di sollievo e tornò in ufficio. Né la segretaria né la centralinista erano tornate dalla pausa pranzo e l'ufficio era silenzioso, anche se qualcuno gli aveva appoggiato una nuova pila di manoscritti sulla scrivania. Vide i contenitori grigi di una nota agenzia e immaginò che il loro corriere gli avesse già portato i nuovi romanzi gotici che aveva chiesto. C'erano anche un paio di manoscritti avvolti in carta da pacco e legati con lo spago, un mucchio di buste che potevano contenere di tutto - lettere di ammiratori, proteste, richieste, domande su libri da sottoporgli -, oltre alla solita valanga di pubblicità, di pubblicazioni di settore, di campioni gratuiti e della spazzatura che il servizio postale sovvenziona pensando di contribuire alle cause dell'alfabetizzazione, dell'educazione e della ripresa economica. Entrò la sua assistente, Peggy, si tolse vari strati di indumenti di lana, infilò un cartoccio con una ciambella nel cassetto e cominciò a tagliare lo spago che legava i manoscritti. «Appena è uscito ha chiamato Barry Swift», gli comunicò. «Dice che Boyce l'ha chiamato per chiedergli di fare la copertina del nuovo libro di Cannon, quello sulla stregoneria. Può venire
a parlarne questo pomeriggio?» La prima reazione di Jamie fu di irritazione. Avrebbe voluto trascorrere almeno un giorno intero senza pensare a quel maledetto libro. Gli aveva già causato abbastanza guai. Ma il tempo e la corrente - per non parlare delle scadenze di editori e stampatori - non aspettano nessuno, e la morte di Cannon significava che il nuovo libro doveva essere messo in programma per la primavera, se possibile. «Va bene, lo vedo alle due», rispose, «e gli darò un paio di capitoli fotocopiati su cui lavorare.» Prese un paio di lettere con la dicitura «personale» che la segretaria gli consegnò e cominciò ad aprirle mentre lei continuava con i manoscritti. «Ci interessa un romanzo su un'infermiera sexy?» chiese Peggy. Concentrato sulla lettera di un collaboratore di vecchia data che gli proponeva un thriller, Jamie borbottò: «No, niente da fare. I romanzi sulle infermiere sono scritti per le quindicenni. Niente sesso». «Ma alla Mitchell Hanover Associates dicono che è un ottimo romanzo di infermiere.» «No. Le infermiere possono avere una vita sentimentale ma non una vita sessuale, e così sia, amen, così disse il Signore. Digli di mandarmi un bel romanzo western con tante sparatorie.» «Va bene. Eppure, Mitchell Hanover dovrebbe saperlo, ormai», convenne la ragazza. «A volte anche i migliori agenti mandano le proposte peggiori...» Si interruppe con un breve grido: «O Dio!» «Cosa c'è, Peggy?» La ragazza si era alzata precipitosamente dalla scrivania e si era allontanata, fissando atterrita una scatola aperta davanti a sé. Jamie fece un passo rapido verso di lei, poi si fermò, con la gola serrata per la repulsione. Nella scatola grigia di una agenzia c'era il cadavere di un ratto. Per un istante, in preda allo spavento, riuscì soltanto a fissare nel contenitore. La ragazza era pallidissima e sembrava stesse per vomitare. Jamie dovette deglutire un paio di volte prima di poter trovare la voce. «Qualcuno ci ha voluto giocare un simpatico scherzetto, Peggy. Probabilmente lo stesso maledetto burlone che ha fatto a pezzi questo posto la settimana scorsa.» Le tremava la voce. «Chiamiamo di nuovo la polizia?» «Oh, diavolo, non lo so. Non lo so proprio.» Forse avrebbero dovuto essere informati del fatto che la persecuzione continuava. D'altra parte, cosa potevano fare per un topo morto nella posta? «Di chi è questa scatola?» «Di Mitchell Hanover.»
«Be', chiamali e chiedi loro se ne sanno qualcosa», disse Jamie e, dato che la ragazza continuava a fissare la scrivania su cui si trovava il cadavere, Jamie l'incoraggiò con dolcezza. «Esci da qui e usa il telefono del centralino, Peggy, e non preoccuparti.» Lei se ne andò, guardandolo con espressione accigliata, e lui capì che nel giro di cinque minuti la storia avrebbe fatto il giro dell'ufficio: fino a poco prima era stato un posto di lavoro tanto piacevole... Sapeva anche, intuitivamente, che alla Mitchell Hanover Associates non avrebbero saputo dirgli nulla. Gli tornarono in mente le parole di padre Mansell: Immagini di ordinare la cena in un ristorante e che il cameriere le metta davanti un piatto con un topo morto... Rimase immobile a fissare il disgustoso cadavere irrigidito. Strano che Mansell avesse utilizzato proprio quell'immagine, la sua unica vera fobia, sviluppata durante tre interminabili mesi in un campo di prigionia in Corea. Non ci aveva pensato sul serio da cinque anni a quella parte. Peggy tornò in ufficio annunciando, come aveva immaginato: «Da Mitchell Hanover dicono che non ne sanno niente. Ho chiesto quanti manoscritti ha portato il loro corriere, e Martha ha detto che ne sono arrivati tre. Qui ce ne sono quattro». Fissò inorridita il topo. «Se toglie quel... quel coso dalla scrivania guardo nelle altre scatole per assicurarmi che contengano quello che dovrebbero.» Con mille cautele, come se stesse per afferrare un cobra vivo, Jamie rimise il coperchio al contenitore. Sperava che Peggy non si accorgesse che stava tremando; anzi, sperava di riuscire a raggiungere il bagno prima di essere sopraffatto dal malessere che lo invadeva e che minacciava di farlo vomitare. Si sentì un po' meglio una volta che la scatola fu chiusa e la prese in mano. «La consegnerò al portiere perché se ne liberi», annunciò. «Mi dispiace, Peggy.» Stava tagliando il nastro adesivo che sigillava un altro contenitore. «Rimanga qui finché non vedo cosa c'è dentro», gli chiese. «Se succede di nuovo, chiederò un bonus per il corpo a corpo con gli animali!» Le altre scatole contenevano soltanto manoscritti e Jamie, più calmo, afferrò il contenitore con il topo e uscì dall'ufficio in cerca del portiere. Consegnò all'uomo il macabro pacchetto e una banconota piegata, limitandosi a dirgli che qualcuno gli aveva giocato uno scherzo. Avrebbe fatto meglio a comprare qualcosa di speciale per Peggy a Natale: le brave assistenti erano difficili da trovare e quasi impossibili da conservare.
Doveva sospettare che uno di loro, chiunque fossero, avesse intercettato o corrotto il corriere di Mitchell Hanover tra il suo ufficio e la Blackcock Books, o che qualcuno avesse potuto introdursi nel suo ufficio mentre la segretaria e la sua assistente erano a pranzo e gli avesse messo quella scatola sulla scrivania? Forse era il caso di fare qualche domanda al corriere. Anche se era stato corrotto, non poteva certo farne un affare di stato: in fondo qualcuno aveva semplicemente allungato a un ragazzo un paio di dollari per aggiungere una scatola a quelle che già portava... Be', se non altro era un topo morto. Già quello era abbastanza spaventoso, ma se fosse stato vivo la sua assistente avrebbe avuto il privilegio di vedere il suo capo urlare e farfugliare come un pozzo. Avrebbe potuto essere peggio. Ricordò, non senza disagio, la licenza che aveva trascorso a San Francisco. Era uscito con una ragazza. Avevano cenato in uno dei più famosi ristoranti sul Fisherman's Wharf e avevano poi fatto una passeggiata lungo il molo, quando uno squittio e un paio di occhi rossi nella notte gli avevano fatto cacciare urla isteriche. Era uscito dal campo di prigionia soltanto quattro settimane prima e aveva i nervi completamente scossi. Ma la ragazza aveva mostrato solo un allibito disprezzo: «Jamie, è solo un topo!», e non aveva più voluto vederlo. Solo sua madre e Barbara erano al corrente dell'episodio. Come avevano saputo che era quello il suo punto debole? Barbara non era tipo da diffondere la notizia tra gli amici o i colleghi editori. Sua madre, invece, era una pettegola, ma non conosceva molti dei suoi colleghi e non avrebbe potuto raccontarlo in giro senza che lui se ne accorgesse. Gli altri compagni di Corea lo sapevano, ma si trovavano sparpagliati in punti diversi del globo da San Francisco al Vietnam. Insomma, avrebbe finito per credere all'affermazione di padre Mansell secondo cui quelle persone erano medium? Prima di risalire, dopo essersi fermato alla guardiola del portiere, andò al chiosco all'angolo e acquistò una scatola di cioccolatini per Peggy, che le consegnò di ritorno in ufficio. «Tieni. Forse questi ti toglieranno quel saporaccio dalla bocca.» La ragazza brontolò dicendo che le stava rovinando la dieta; ma accettò i dolci, e Jamie capì che la minaccia di perdere una brava assistente era stata sventata, almeno per il momento. Quando il telefono squillò si irrigidì, poi rispose lui stesso, temendo che Peggy ricevesse un'altra di quelle telefonate oscene che ormai aveva imparato ad aspettarsi; invece era soltanto Barry Swift che voleva vederlo per la copertina del libro di Cannon.
Swift, in calzoni da lavoro e con un giaccone da marinaio sporco, assomigliava più a un imbianchino che a un artista. Aveva con sé cinque o sei schizzi e li dispose sulla scrivania di Jamie. «Sai, ovviamente devi ricevere l'approvazione finale dal direttore artistico», lo avvertì Jamie, «ma questo mi piace. Peggy, puoi dare a Barry una delle copie del libro? Consegnagli i primi sei capitoli, così può dargli un'occhiata e vedere di cosa parla.» «Hai chiuso le copie in cassaforte dopo il furto, Jamie.» «Avete subito un furto? Non hanno rubato niente d'importante, spero. Succede spesso», commentò Barry Swift. «L'altro giorno a un ragazzo nel mio condominio hanno forzato la porta d'ingresso e gli hanno rubato due macchine da scrivere e uno stereo che valeva quasi cinquecento dollari. Sono entrati anche da me, ma hanno portato via soltanto una radio: tengo quasi tutta la mia roba a casa di mia madre, a Staten Island. Ragazzi, drogati, immagino... vi hanno portato via i computer?» «No», replicò Jamie, «soltanto un manoscritto; immagino che fosse la solita banda di pazzoidi. Si è trattato di vandalismo più che di un furto vero e proprio: hanno distrutto tutto quello che hanno trovato sulla mia scrivania.» Attraversò l'ufficio diretto alla cassaforte, che di solito conteneva soltanto le copie dei contratti più recenti - era più un armadietto antincendio che una cassaforte - e, il venerdì mattina, gli assegni degli stipendi. Si mise in ginocchio e fece girare la rotella componendo la semplice combinazione. «È una stupidaggine tenere il manoscritto qui dentro, ma dato che sono già riusciti a procurarsene un esemplare, ho fatto diverse fotocopie...» Si interruppe quando la porta si aprì di colpo e ne uscì una sagoma nera, con occhietti cattivi e lucenti, che gli si scagliò contro. Gridò retrocedendo. Un topo! Un ratto nella cassaforte! Mancò Jamie e gli sfrecciò accanto; Melford udì Peggy urlare mentre l'animale schizzava da un lato all'altro dell'ufficio, squittendo disperato, in cerca di una via d'uscita. Barry Swift si mise a gridare anche lui, afferrò un cestino per la carta straccia e glielo scagliò contro; l'arma improvvisata mancò il bersaglio e finì con un clangore metallico sul pavimento. La segretaria e il giovane Wayne fecero capolino sulla soglia, allibiti e indignati. «Prendilo! Chiudi la porta!» sbraitò qualcuno. Qualcun altro gridò con voce stridula: «No, no, Cacciatelo fuori!» Peggy afferrò una lunga riga da disegno e gli corse dietro, colpendo alla cieca, rovesciando sedie, e un mucchio di manoscritti che si trovavano sullo scaf-
fale rovinarono a terra. Jamie rimase fermo, semiparalizzato. Gli sembrò che la scena durasse almeno mezz'ora, mentre dopo due o tre minuti Wayne annunciò: «Ecco», e il ratto corse fuori dall'ufficio. «Se n'è andato. Si nasconderà nei muri e prima o poi tornerà in strada.» Jamie si accasciò, pallido e tremante, su una sedia. Fece appello a tutto il suo autocontrollo per non urlare. Anche Peggy si sedette pesantemente, con il viso deformato da una smorfia di disgusto. «Melford, cosa diavolo sta succedendo? Com'è entrato quell'affare lì dentro?» Jamie borbottò: «Non ne ho la più pallida idea!» Si chiese se le fotocopie nella cassaforte fossero sane e salve. In realtà non importava, dato che gli originali erano al sicuro in un altro posto; e, in effetti, le copie non erano state toccate. Barry Swift prese la busta, arricciando il viso in un'espressione di disgusto divertito. «È sempre così emozionante qui da voi?» Peggy sbottò inferocita: «Non può andare avanti così. Maledizione, Melford, questa è la goccia che fa traboccare il vaso. Prima topi morti, poi vivi! E adesso, cosa arriverà? Serpenti? Pipistrelli?» «Che Dio ce ne scampi e liberi!» ribatté Jamie, irritato. Era sollevato dal fatto che Peggy reagisse con collera e non fosse in preda al panico, ma lo stava guardando con una certa dose di disprezzo, o almeno così pareva, e non poteva darle torto. Si era comportato indubbiamente come uno sciocco mentre lei aveva compiuto l'unico gesto ragionevole e aveva cacciato fuori l'animale. «E quando vado a casa, stasera, cosa faccio se mi imbatto in quella creatura nascosta nell'ascensore?» «Troverà un posticino al buio», le assicurò Wayne. «E comunque il disinfestatore deve venire la settimana prossima, e quindi lo catturerà.» Jamie aveva un bisogno disperato di bere qualcosa. Raddrizzò la sedia rovesciata e la rimise in piedi. Peggy lo stava ancora fissando arrabbiata, e Jamie le disse compiendo uno sforzo: «Peggy, chiamerò la polizia per quello che è successo, ma non lasciarti turbare. Con ogni probabilità non accadrà di nuovo». «L'hai detto anche stamattina», gli fece osservare lei. «Senti, chiudiamo l'ufficio. Sono quasi le due. Prendi il resto della giornata, fatti un giro, calmati. Vedrò quello che potrà fare la polizia.» Finì per acconsentire, e Wayne intervenne osservando: «Scusa se te lo dico, Jamie, hai l'aria terribilmente scossa anche tu. Perché non te ne torni a casa? Il personale delle pulizie rimetterà tutto a posto stasera». Jamie acconsentì, anche se si sentiva debole e disgustato da se stesso. Il
periodo natalizio era sempre calmo in ufficio, e quel giorno non c'era più niente da fare. Ma quando si avviò verso casa ebbe voglia di rimandare. Cosa lo aspettava lì? Quando infilò la chiave nella toppa dell'appartamento, però, tutto pareva tranquillo; non c'erano luci accese in casa, e la sera stava calando rapidamente. Ne fu stupito: Barbara non lavorava quel giorno, e sua madre in genere faceva la spesa presto e alle tre era già a casa a preparare la cena. Sentendosi ancora in preda agli effetti del panico, fece il giro dell'appartamento per accendere qualche luce e si preparò qualcosa da bere prima di accingersi ad aprire - con prudenza - i tre romanzi non cestinati che si era portato a casa. Maledizione al topo: gli pareva di udire ancora i suoi squittii infernali al limite della sua coscienza. Ricordi sgradevoli gli attraversarono la mente: per quanto cercasse di scacciarli, continuavano ad affiorare. Rocco, nel campo di prigionia con lui, l'unico amico di qualche sorta che si fosse fatto; la mano ferita dilaniata dai morsi degli onnipresenti topi, una sera, e lui che moriva di setticemia una settimana dopo... Una notte in cui Jamie aveva vegliato per cercare di allontanare quelle odiose creature dall'amico morente... Si disse ad alta voce, brutalmente: «No, maledizione, è passato», si alzò e si riempì di nuovo il bicchiere. La bottiglia della soda era stata aperta e richiusa male; era sgasata e aveva un sapore stranamente amarognolo. Si concentrò con determinazione sul primo dei romanzi, dicendo a se stesso di non essere nevrotico: se avesse messo un disco avrebbe dimostrato di voler soffocare gli squittii dei topi immaginali. Maledizione, dovevano essere il frutto della sua fantasia. Veniva un disinfestatore ogni sei settimane nel condominio e i rifiuti finivano direttamente nell'inceneritore. Non c'era nulla che potesse attrarre un topo. Pensò, disgustato da se stesso: E dire che ho avuto il coraggio di spedire Barbara da uno psichiatra. Guarda un po' in che stato sono! Sorseggiò il drink e aprì il manoscritto. Sembrava incredibilmente noioso e scontato, la solita storia nera di una ragazza oca che va come governante in una vecchia casa, questa volte nelle Ebridi. Si chiese chi mai avesse bisogno di una governante nell'era delle baby-sitter e degli asili nido, e cosa potrebbe spingere una ragazza a svolgere quella mansione piuttosto di guadagnarsi da vivere come segretaria, assistente di volo o caporedattrice! I primi tre capitoli erano piuttosto banali, ma pubblicabili, anche se osservò che un'eroina di nome Cheryl si intonava ben poco con l'atmosfera gotica. Però, quando gli scozzesi del romanzo sfoggiarono una brutta imita-
zione del dialetto di Robert Burns mescolato a degli americanismi, richiuse il manoscritto nella scatola e iniziò a comporre mentalmente una secca lettera di rifiuto: ... perché mai una giovane donna con un'intelligenza a malapena sufficiente per diventare governante dovrebbe considerarsi capace di scrivere dei romanzi sull'argomento... Maledizione, cos'era quel rumore se non topi che squittivano? Jamie si alzò, improvvisamente a disagio, e guardò nella camera da letto sua e di Barbara, vuota, con i letti disfatti. Evidentemente le altre abitanti della casa erano più demoralizzate di quello che credeva. Il bagno e la cucina non mostravano segni di un'intrusione da parte dei roditori. Ma certo. Hai topi solo nel cervello, e pensi di sentirli. Maledizione, Barbara avrebbe ormai dovuto essere a casa. Si prese in giro mentalmente. E così, hai paura di restare da solo all'asciutto, in un bell'appartamento pulito, soltanto perché senti dei topi immaginati... Quelle persone - chiunque fossero - erano davvero in grado di organizzare una campagna di terrore e di fargli credere di udire rumori e suoni immaginari? I topi dell'ufficio, però, vivi e morti, erano stati assolutamente reali, purtroppo. Si sedette di nuovo e passò al secondo manoscritto. Era un giallo classico, forse un'imitazione di Chandler, ma dopotutto Chandler era morto e non protestava, e si trattava comunque di un genere ancora popolare. Dato che pochi erano gli scrittori commerciali originali, tutto sommato era meglio che imitassero gli autori bravi che quelli scadenti! Alcuni validi autori di romanzi di serie B avevano cominciato imitando Chandler, e avevano poi sviluppato uno stile tanto personale e caratteristico che venivano a loro volta imitati! Il manoscritto riuscì a catturare il suo interesse fino al quarto capitolo, anche se Jamie annotò a margine un appunto o due su indizi mancanti od oscuri. Poi ricominciò a udire gli squittii. No, questa volta non lo stava immaginando. Se esisteva, sulla faccia della terra, un animale chiamato topo, quelli che udiva erano i suoi squittii. Riusciva a percepire i versi, lo scalpiccio delle zampe, i fruscii e i rosicchiamenti nel buio, subito fuori dall'appartamento... Jamie Melford imprecò e si alzò di nuovo, lasciando cadere il manoscritto sulla poltrona. Maledizione, avrebbe risolto la faccenda una volta per tutte. Gli squittii e i fruscii gli davano la nausea e il capogiro. Entrò in cucina e ascoltò attentamente, accendendo ogni luce del locale, anche il neon
sull'acquaio e le lampade sovrastanti il fornello. Nessun segno di quadrupedi, che fossero gatti, topi o cani. Certo che no: come sarebbero potuti entrare? Dandosi dello stupido aprì gli sportelli di tutte le credenze e ci trovò soltanto file ordinate di zuppe in scatola, vasetti di erbe, barattoli di frutta sciroppata o marmellata. Quel fruscio. Aprì bruscamente il contenitore per il pane, preparandosi idealmente a un animale malvagio e grigio che avrebbe potuto saltargli addosso. Niente. Certo che non c'era niente. Ma gli squittii continuarono. Ripeté la ricerca in bagno, nello sgabuzzino delle scope e nel guardaroba, con la tensione che gli montava ogni volta che apriva una di quelle porte immerse nell'oscurità. Non trovò nulla, ma gli squittii, i fruscii e gli altri suoni stranamente inconfondibili continuarono. Non riusciva più a credere che fosse uno scherzo della sua immaginazione ma, in nome di Dio, com'era possibile che un tal numero di topi fossero entrati in un appartamento di quelle dimensioni? Le stanze avrebbero dovuto esserne piene! Il cuore gli batteva all'impazzata. Tornò in camera da letto, dove aprì invano armadi e cassetti, e gli squittii aumentarono di volume, tanto da soffocare il rumore dei suoi passi. Ormai parlava da solo, gemendo sottovoce, ed era pronto a rannicchiarsi in un angolo; si costrinse invece a entrare in bagno. Dal frastuono avrebbe giurato che le creature gli stavano correndo sui piedi, come se stesse attraversando un mare di quegli esseri luridi e brulicanti, invece in bagno le piastrelle verdi e bianche erano sgombre e pulite, e nulla era fuori posto a parte la cuffia da doccia di Barbara, decorata con sirene, che era stata lasciata sul bordo della vasca da bagno. Appoggiò una mano sulla porta della camera da letto di sua madre. Dovevano essere lì dentro. Non esisteva altra possibilità. Aveva perlustrato il resto dell'appartamento da cima a fondo... L'uscio era chiuso a chiave. Rimase con la mano sulla maniglia, gemendo ad alta voce, lottando con tutte le sue forze contro il panico. Gli squittii, i fruscii e i rosicchiamenti continuarono senza sosta, e Jamie avvertì un improvviso ribrezzo, un crampo ai polpacci, un rattrappimento dei genitali. D'un tratto si mise a correre verso il bagno e vomitò nel water, in preda a conati incontrollabili. Gli spasmi continuarono finché non ebbe lo stomaco vuoto, ma anche dopo i conati proseguirono senza che riuscisse a farli cessare. Impregnò una salvietta di acqua fredda e se la passò sul viso, lottando disperatamente per riacquistare un briciolo di equilibrio.
Non ci sono topi, qui. Maledizione, li sento! Calmati, ti stai immaginando tutto. Quella faccenda in ufficio ti ha sconvolto. Già, il coraggioso Jim Melford che vomita l'anima perché crede di aver udito un topo! Queste suggestioni non ti possono fare del male. Ah, no? Jock Cannon è morto, porca miseria, morto... morto e sepolto perché questa gente ha cominciato a perseguitarlo... Ma io non ci credo. La suggestione non ti può uccidere se non ci credi. Aspetta un istante, però. Sono già riusciti a farmi udire topi immaginari, o almeno invisibili! Evidentemente il fatto che non creda alle loro sciocchezze non basta. Possono fare ciò che vogliono con la mia mente... Si avventurò di nuovo in corridoio. Gli sembrava sempre più probabile che i suoni provenissero da dietro la porta chiusa di sua madre. Il pavimento dev'esserne coperto. Forse è anche lei là dentro e l'hanno mangiata viva... accidenti, sto proprio perdendo la testa. «Mamma!» chiamò a gran voce. Nessun suono a parte gli squittii, sempre più forti. Jamie bussò, poi, resistendo a una nausea insopportabile, si scagliò contro l'uscio ammaccandosi la spalla. Si gettò a più riprese contro la porta, mentre i versi dei roditori sovrastavano il rumore del sangue che gli pulsava nelle orecchie. La porta si aprì di colpo. E contemporaneamente tutte le luci dell'appartamento si spensero. Nell'oscurità i fruscii e gli squittii aumentarono d'intensità. I topi lo circondavano. Gli correvano sui piedi, gli si sarebbero arrampicati sulle gambe e avrebbero finito per mangiarlo vivo... Nell'appartamento buio, Jamie Melford cominciò a piangere. Il campanello suonò. Squillò una seconda volta e una terza prima che Jamie trovasse il coraggio di trascinarsi alla cieca fino alla porta d'ingresso. Barbara? «Chi è?» chiese, cercando di sormontare il denso miasma sonoro dei topi che minacciava di soffocare in lui ogni forma di consapevolezza. Non ebbe risposta. Preparandosi a un altro terribile shock, Jamie spalancò la porta. Si trovò davanti Dana Becker, il cui bel viso lasciava trasparire la sorpresa per l'apertura improvvisa della porta. Aveva l'aria linda, elegante, ordinata. Indossava un pellicciotto corto bianco e una gonna scozzese viola e blu. I capelli chiari erano stati scompigliati dal vento. Jamie sbatté le palpebre, incapace di cambiare «marcia» mentale tanto velocemente.
«Dana?» «Sì. Penso di aver lasciato la mia tessera della previdenza sociale nel cassetto superiore della scrivania di tua madre, e ne ho bisogno per un colloquio di lavoro. Ti dispiace se vado a prenderla?» «Mia madre non è qui», rispose Jamie. Fu il massimo che riuscì a dire, vista la confusione che gli regnava in testa. Adesso udirà anche lei e saprà che non sto immaginando... «So dov'è, e a tua madre non darà fastidio», gli assicurò Dana. «È stata lei a dirmi di venirla a prendere. Jamie, cosa ti è successo? Stai male?» Spinse lo sguardo oltre il corridoio illuminato fin dentro la stanza buia alle sue spalle. «Te ne stavi seduto con tutte le luci spente?» «No, si sono appena spente. Non senti...?» Gli sembrava strano che lei potesse udirlo con il baccano provocato dai topi, ma Dana entrò e inclinò il capo come per ascoltare meglio. «Sentire cosa?» chiese infine. «I topi... I topi...» «Io non sento niente», dichiarò, e Jamie si udì gemere ad alta voce. Allora sono pazzo. Riesco a sentirli solo io... «Accendiamo qualche luce», propose Dana e gli passò accanto, muovendosi con la sicurezza di un gatto nei locali immersi nell'oscurità, dirigendosi in cucina e nella dispensa che le stava dietro. Aprì qualcosa. «Scommetto che è saltata una valvola, ecco tutto. Hai una torcia? So che la mamma ne tiene una qui dietro, da qualche parte. Ah, ecco. E ci sono dei fusibili di riserva nella scatola... perfetto.» Armeggiò qualche istante, e le luci si riaccesero. «Povero Jamie, hai l'aria abbattuta», gli disse con dolcezza. «Lasciami andare a prendere la tessera in camera di tua madre prima che me ne dimentichi, e quando torno puoi prepararmi qualcosa da bere e raccontarmi tutto.» Scomparve in corridoio; Jamie udì la porta chiudersi dietro di lei. Fermatosi in cucina, dove i rumori prodotti dai topi erano meno forti, si chiese cos'avrebbe pensato della porta forzata. Tornò lentamente in salotto. La situazione era peggiore del previsto. Non c'era più nessun rumore; non ce n'erano mai stati... I topi se n'erano andati. Regnava un silenzio assoluto, a eccezione del passo leggero di Dana che stava facendo ritorno. Poteva udirli solamente quand'era da solo, allora? Smettevano non appena arrivava qualcun altro?
«E adesso, cosa ne dici di bere qualcosa?» propose Dana. Si era tolta la pelliccia. «Oppure Barbara farà un'altra scenata isterica se rimango qui?» «Barbara non è a casa», spiegò Jamie. Si sentiva vagamente in colpa. «E comunque, è andata a consultare un medico. Starà meglio.» «Benissimo, allora.» Dana si accomodò a un'estremità del divano, incrociando le gambe snelle. «Ci beviamo qualcosa? No, niente soda per me, grazie.» «Non te ne avrei proposta comunque. Credo che non sia più buona, ha un sapore strano», replicò Jamie. «Ghiaccio?» «No, grazie, non disturbarti. Non mi fai compagnia, Jamie? Hai l'aria di averne bisogno.» Jamie versò da bere a entrambi. «Una giornata terribile. Un burlone, in ufficio, mi ha veramente innervosito.» Le raccontò brevemente dei topi. «Credo che ti farebbe bene un bel tranquillante», suggerì Dana. «Barbara non ne ha?» «Conosci Barbara», le disse con una smorfia. «Lei è da sempre contro i farmaci, e rifiuta di prendere perfino dei rimedi contro il raffreddore. Ci sono delle volte, come adesso, in cui credo che esageri.» Dana frugò nella borsa per un po' e ne estrasse una minuscola scatoletta da pillole dorata. «Prendine una delle mie, allora. Non potrà farti male, al contrario ti calmerà prima che qualcuno torni a casa e ti trovi in questo stato.» Jamie ci aveva già pensato. Tuttavia, guardò sospettoso la pastiglietta bianca che Dana gli stava allungando. «Posso prenderla con il whisky?» «Ma certo, sono solo superstizioni», gli assicurò Dana disinvolta. «Al massimo, l'alcol l'aiuta ad agire più in fretta.» Jamie inghiottì la pillola. Si sentiva esausto e il whisky, a stomaco vuoto, lo rendeva confuso e intontito. Si appoggiò contro lo schienale del divano, socchiudendo gli occhi. Dopo le emozioni dell'ultima ora si sentiva estenuato. La stanza era immersa nel silenzio. Dana sorseggiava senza parlare il suo drink, con le lunghe gambe nude allungate davanti a sé ma, anche se stava immobile, sembrava emanare una febbrile attività elettrica, come se l'aria intorno a lei fosse carica di vibrazioni. Una strana pace calò su Jamie. Pensava che sarebbe stato piacevole accendere il camino, e si disse che forse avrebbe dovuto telefonare a Barbara al suo studio nel caso che ci fosse andata, o chiedersi dov'era finita sua madre, ma sembrava che tutti quei pensieri gli si affacciassero alla mente soltanto per dargli il piacere di rifiu-
tare ogni attività e di godersi l'immobilità e la calma di quell'istante. Nel silenzio si accorse, d'un tratto, di una monotona cantilena, un mormorio leggero simile al ronzio di un'ape in un giorno d'estate. Dana aveva messo da parte il bicchiere e, curva, muoveva le mani. Lui la guardò, privo di interesse e senza muoversi. Pensò per un istante che stesse lavorando a maglia o all'uncinetto, ma non aveva né uncinetto, né ferri, né gomitolo: le dita sottili si muovevano speditamente su una cordicella che si attorcigliava ed era disseminata di nodi. Quei nodi esercitavano uno strano fascino su di lui, e aveva quasi l'impressione che non avrebbe potuto distogliere lo sguardo se l'avesse voluto... comunque, non provava nessun desiderio di guardare altrove. Alla fine le chiese, con voce stanca e assonnata: «Cosa stai facendo?» «Dei nodi.» Gli aveva risposto sussurrando. «A che cosa servono?» Ora la voce di Dana sembrava giungergli da molto lontano. «Per prenderti l'anima, naturalmente. Non sapevi che la desidero da sempre?» Lui rise, emettendo un suono debole, stanco e ridicolo. Che sciocchezza. Che bambina, quella Dana! «Cosa, come una sorta di Mefistofele? Non credo che la mia anima varrebbe dieci dollari sul mercato», mormorò lottando contro la deliziosa spossatezza che si stava impossessando di lui. «E cosa ne farai quando la catturerai?» Sorrise stringendo l'ultimo nodo. «La nutrirò di miele e del latte del paradiso, naturalmente», mormorò, alzandosi decisa dal divano. Si chinò su di lui accarezzandolo e massaggiandogli il collo con le sue mani affusolate. Il mormorio tanto rilassante continuò. «Basta che non la dai da mangiare ai topi», mormorò. Stava addormentandosi e capì che avrebbe dovuto alzarsi, ma quel massaggio leggero e rilassante delle dita morbide di Dana pareva averlo privato della volontà. D'un tratto alcune immagini cominciarono ad attraversargli la mente: l'idea di alzarsi e di strappare di dosso i vestiti di Dana, il desiderio di sprofondare sempre più in quel calore sensuale e di addormentarsi profondamente. «Oh, no», sussurrò lei. «Ho in mente un modo migliore per impiegarla...» Ma Jamie Melford non udì. CAPITOLO 11 Lungo la Quinta Avenue le vetrine erano piene di agrifoglio, di ghirlan-
de e di alberi addobbati; da ogni negozio uscivano melodie natalizie. Barbara camminava senza notare nulla di tutto ciò, senza apprezzare l'allegria delle decorazioni. Dall'interno di Lord & Taylor un coro femminile registrato e amplificato - cantava, in uno strano contrasto con le melodie gaie di Jingle Bells e di Joy to the World, l'antico lamento di Coventry. O sorelle, cosa faremo Per preservare questo giorno Questo povero bambino per cui cantiamo Addio, ninna nanna. A Barbara pizzicavano gli occhi e si morse con forza il labbro per resistere al panico incontrollabile che la stava assalendo. Camminava, terrorizzata e incredula, da un'ora, cercando di riacquistare il controllo sulle proprie emozioni. Non è la mia immaginazione, allora. La parola «avvelenata» le riecheggiava ancora nella mente in tutta la sua enormità. Non l'aveva accettata completamente, non subito, ma non le abbandonava i pensieri. Tutti i sintomi di un avvelenamento da segale cornuta. La dottoressa Clinton aveva anche aggiunto: «Questo potrebbe spiegare anche come mai non è rimasta incinta. Potrebbe spiegare molte altre cose. Non gliene è stata somministrata in quantità sufficiente per ucciderla, ma abbastanza per rovinarle gradualmente la salute, per disturbarle la mente». Aveva sempre saputo di non piacere alla madre di Jamie. A essere sinceri, neanche a lei l'anziana signora era mai stata simpatica, però aveva fatto del suo meglio per nascondere - no, per superare - quell'avversione. Ma come avrebbe fatto a parlarne a Jamie? Non era un cocco di mamma; anzi, certe volte aveva pensato che nutrisse nei confronti dell'anziana madre gli stessi sentimenti che nutriva lei. I suoi avevano divorziato e, a quindici anni, aveva scelto di vivere con il padre anche se la madre aveva fatto di tutto per tenerlo con sé. Solo quando era diventata vecchia e indigente aveva accettato di accoglierla in casa, e soltanto per senso del dovere. Però, amore o no, non poteva dire a suo marito che la suocera stava tentando di avvelenarla, e che probabilmente lo faceva da nove o dieci mesi! Le campane di una chiesa non lontana suonarono, poi iniziò un canto di Natale sconosciuto a Barbara che ne ascoltò attentamente le parole.
Vieni, vieni Emanuele E riscatta il popolo prigioniero di Israele Che piange in un umile esilio Aspettando che appaia di Dio il figlio. Com'erano tristi quei canti! Barbara rimpianse, improvvisamente e appassionatamente, di non essere credente, di non poter entrare in una delle chiese lì vicino per raccontare a Dio tutti i suoi guai; le pareva che nessun aiuto di tipo umano avrebbe potuto recarle conforto. A giudicare dalla tristezza di tante melodie cristiane, però, forse anche i fedeli di Dio dovevano lottare contro le tenebre e la sofferenza, senza un aiuto che non fosse una promessa intangibile, una luce che brillava, lontana... Bess Cannon era una cattolica fervente, eppure Jock era morto, strappatole da forze malefiche. Barbara si accorse, confusamente, che negli ultimi tre o quattro terribili giorni aveva cominciato a credere che la morte di Jock fosse stata provocata da una forza maligna e deliberata. C'era nessuno che potesse aiutarla? «Buongiorno di nuovo», esclamò Claire Moffat, con voce allegra, al suo fianco. «Pensavo che si fosse dimenticata, ma sono le tre e, come promesso, eccomi qui. Prendiamo un taxi. Ha l'aria stremata.» Mentre Claire sollevava un braccio e faceva fermare un taxi giallo (era ricorsa alla magia per trovare un taxi in pieno shopping natalizio sulla Quinta?), Barbara le chiese: «Dove andiamo?» «Come le ho detto, andiamo a trovare un mio amico. È bravo ad aiutare le persone con problemi che sembrano insolubili con mezzi umani.» «Proprio quello che mi serve», commentò Barbara con amarezza. Le si strinse la gola e soffocò un singhiozzo, decidendo fermamente che non avrebbe pianto... non avrebbe versato una lacrima... Colta da un improvviso sospetto chiese: «Non è un prete o una sorta di figura religiosa, vero?» Claire scoppiò a ridere. La sua risata era come i suoi occhi, luminosa e piena di allegria ma confortata da una profonda calma. «Non nel senso più corrente del termine», rispose. «Però, se considera mossa da religione la volontà di prendere le misure necessarie nel momento più opportuno, allora immagino che possa definire religioso Colin. Le do però la mia parola che non cercherà di salvare la sua anima immortale o - com'è quella frase usata dai fanatici? - di farle "accettare qualcuno come il suo salvatore personale". Dovrebbe sentirlo, su questo argomento: la definisce insolenza, per non dire di peggio! No, signora Melford... Senti, posso chiamarti Barbara? Mi sento sciocca a darti del lei. No, Barbara, il mio amico non è un
imbonitore in cerca di fedeli da reclutare, e non lo sono neanch'io.» Sorrise con un tale calore che Barbara temette di scoppiare a piangere, e le chiese: «Allora, è stata dura la visita dalla dottoressa? Ne sei uscita con l'aria di qualcuno che si è preso una mazzata. Ti ha dato brutte notizie?» Barbara ritrovò la voce. «Le peggiori immaginabili», replicò. «Sembra... sembra... o Dio, ancora non riesco a crederci... pare che qualcuno stia tentando di avvelenarmi.» Claire trattenne il fiato. «Va bene, ora calmati. Aspetta che arriviamo dove siamo dirette, e poi racconterai tutto a Colin.» Rimase in silenzio mentre il taxi si muoveva lentamente nel traffico; la vettura svoltò poi in una strada laterale verso la Ventesima Strada, e infine si fermò davanti a una vecchia casa signorile. Claire pagò l'autista, gli lasciò una piccola mancia e trascinò Barbara su per i gradini. Toccò il campanello dell'appartamento del piano terra facendolo squillare brevemente, aspettò e suonò altre due volte. Dopo un minuto si udì scattare il portone, Claire precedette Barbara all'interno e aspettò davanti a una vecchia porta ad arco che un tempo era stata, forse, l'entrata di un salotto vittoriano. Bussò dolcemente. Si udì un catenaccio aprirsi e un uomo apparve sulla soglia. «Ciao Colin», lo salutò Claire. «Avevi ragione, come sempre. Facci entrare: questa povera ragazza ha bisogno di un tè e di qualche buon consiglio. Io stessa non conosco precisamente tutta la storia. Barbara, questo è Colin MacLaren.» Quel primo incontro con MacLaren lasciò a Barbara l'impressione di un uomo alto, anziano e forte, e le rimasero impressi soprattutto i suoi occhi. Pensò confusamente che aveva uno sguardo simile a quello di Claire, calmo e rassicurante, pozze immutabili di pace dietro i cambiamenti d'umore che poteva mostrare all'esterno. Le fece entrare e, come se fosse abituato a sconosciute con gli occhi rossi e vagamente isteriche che gli arrivavano in casa, disse: «Vieni dentro. Lascia lì il giaccone. Come sempre, in questo posto regna la confusione più totale. Dovrai far finta di niente. Claire, posso comportarmi da sporco sciovinista e chiederti di preparare il tè? Non m'interessa cosa dicono le femministe: è sempre più buono quando a prepararlo è una donna». Claire rise e attraversò la grande stanza in disordine, piena di libri e carte ammucchiate, per raggiungere una porticina sul retro. «Non ha nulla a che vedere con il femminismo, Colin», replicò, «potresti preparare un tè buono come il mio se soltanto aspettassi che l'acqua bolla e scaldassi la teiera. Inoltre è consigliabile usare l'acqua in bottiglia invece di quella roba che il
comune di New York chiama assurdamente acqua. E dire che proprio tu mi esorti sempre a non essere impaziente!» Quando scomparve in cucina le gridò: «Qualcuno mi ha lasciato una torta di Natale alla frutta: puoi tagliarne un paio di fette, se riesci a trovare un coltello e un piatto puliti!» Poi si rivolse a Barbara con un sorriso. «Ecco, lascia che ti faccia posto così ti puoi sedere.» Raccolse una bracciata di libri da una poltrona e li appoggiò, lasciandoli impilati, in un angolo. «Cielo, che vita disordinata conduciamo oggigiorno! Mi pare sempre di nuotare in quella che Holmes definiva "una soluzione acquosa di libri": mi riferisco a Oliver Wendell, non a Sherlock.» «I libri non mi danno fastidio», obiettò Barbara, rispondendo con un sorriso al sorriso contagioso di MacLaren. «Mio marito è un editore e io sono abituata a manoscritti in ogni angolo della casa.» Si sedette sulla poltrona che le era stata offerta, rilassandosi con sollievo e accorgendosi di essere gelata. Le pareva di avere trascorso la maggior parte della giornata a camminare in strada, prima preoccupata, poi allibita, disposta ormai ad accettare che il panico l'invadesse. L'appartamento di Colin era abbastanza pulito: quella stanza enorme era colma di libri, documenti e ospitava una macchina da scrivere male in arnese su un tavolino da gioco e nessun altro mobile, con l'eccezione di un paio di poltroncine; c'era poi un letto con un copriletto indiano, scolorito dai troppi lavaggi, che lo faceva sembrare un divano, in un angolo; e, dietro una porta, la cucina da cui Barbara udiva provenire il sibilo di una teiera. «La panacea degli inglesi», dichiarò Colin MacLaren. «Spero che il tè ti piaccia. Oggi che la pausa caffè sembra un'istituzione americana, vengo trattato come una specie di antiamericano, come se mi apprestassi a calpestare la tradizionale torta di mele con un dispiego di violenza, ogni volta che vado al ristorante. Esclamano: "Vuol dire che non desidera del caffè?" Il peggio è la colazione; in molti locali lo versano senza neppure chiederti se ne vuoi o no.» «Sì, il tè mi piace», lo rassicurò Barbara. Claire tornò dalla cucina con un enorme vassoio di legno carico di teiera, tazze e un piatto con le fette di torta. Versò il liquido bollente per tutti. «Latte o limone, Barbara?» «Nessuno dei due, grazie. Solo un po' di zucchero.» «I miei genitori erano anglofili», spiegò MacLaren, che zuccherò generosamente il tè e vi aggiunse un goccio di latte. «Sono stato cresciuto con questa roba, e sono anch'io un sostenitore della "bevanda che rallegra ma
non inebria". Non sono contrario a un goccetto di whisky di tanto in tanto, ma penso che gli alcolici perdano gran parte della loro attrattiva quando diventano abituali come pane e burro. Prendi una fetta di torta, Barbara. Come ti chiami di cognome?» «Melford», rispose, e Colin MacLaren per poco non lasciò cadere il piatto con la torta. «Ah, capisco», borbottò. «No... scusa, Claire, un'altra cosa... Sei per caso parente di Jamie Melford della Blackcock Books?» «È mio marito», replicò Barbara. «Lo conosci?» «L'ho incontrato di recente...» Prese un pezzo di torta e lo addentò. «Bevi il tè, Barbara, hai l'aria intirizzita.» «È incredibile come possano essere confortanti tè e torta a metà pomeriggio», osservò Claire. «Dai miei studi so che probabilmente sono solo gli effetti dell'aumento degli zuccheri nel sangue in un momento di carenza tra l'ora di pranzo e la cena, cui si aggiungono gli effetti psicologici di un piacevole cambiamento d'attività, ma mi sembra comunque che i benefici che se ne traggono abbiano qualcosa di magico.» «In fondo, ciascuno vede in modo diverso la ripartizione tra ciò che è magico e ciò che non lo è», disse Colin con un'alzata di spalle. «Bene, Claire, cosa ne dici di farmi un rapporto sulla tua missione? Immagino che Barbara sia la persona in questione, no?» «Dice che ha problemi con sua suocera», cominciò Claire. «Io credo che non si tratti solo di questo. Le ho suggerito di farsi visitare dalla sua dottoressa per un controllo, in modo da poter escludere l'ipotesi di problemi mentali. E allora... Barbara, perché non racconti a Colin tutta la storia... quello che hai detto a me e anche il resto?» Barbara allontanò da sé i resti della torta. Si guardò intorno nella stanza tranquilla, cercando di trovare la calma e il coraggio necessari. «Forse è bene non escludere l'ipotesi di disturbi mentali, Claire. La dottoressa Clinton mi ha assicurato che non ho bisogno di un psichiatra, ma... non so se abbia ragione, dopotutto, visto che la sua ipotesi sembra pazzesca perfino a me. Crede che io venga sistematicamente avvelenata con la segale cornuta e che questo possa procurarmi dei problemi mentali. Quindi, forse, tutti quei discorsi isterici che ti ho fatto derivano da un complesso di persecuzione, perché non riesco a immaginare la madre di Jamie che fa una cosa del genere. Questo significherebbe che è lei a essere pazza. E se sono davvero stata avvelenata... be', una volta ho letto di una donna che aveva subito un avvelenamento da arsenico ed era colpa della carta da parati del suo
appartamento, che era stata colorata con verde di Parigi o qualcosa del genere. E poi c'è il caso di quei ragazzi che si sono avvelenati con il piombo contenuto in una vernice da due soldi...» Lasciò il discorso in sospeso. «Aspetta un minuto.» La voce di Colin era profonda e lenta. «Non dimenticare, Barbara, che non so cos'hai raccontato a Claire. Cerca di cominciare dall'inizio e di dirmi tutto.» Barbara ripeté quello che aveva detto alla dottoressa Clinton, le accuse isteriche nei confronti di Dana e di sua suocera, l'episodio di sonnambulismo. «Jamie mi ha detto che ho bruciato uno dei suoi manoscritti. Per fortuna ne aveva un'altra copia, ma non avevo mai fatto niente del genere prima di allora...» Gli occhi di MacLaren si strinsero d'un tratto. «Un momento», l'interruppe. «Ma certo! Jamie Melford! Ecco com'è andata. Ero sicuro che ci doveva essere un legame con quella gente. Barbara, cos'era il manoscritto che hai cercato di bruciare? Ti dispiace dirmelo?» «No, certo che no», rispose. «Anzi, te lo dico io. Non era per caso il nuovo libro di John Cannon sulla stregoneria, una sorta di denuncia di un gruppo attivo in questa zona?» Gli occhi le si dilatarono per il terrore. «Ma se sei al corrente», sussurrò, «devi essere uno di loro, una delle persone che hanno cercato di spaventare Jamie per indurlo a...» «No.» Colin le afferrò un polso, e dopo un istante la paura di Barbara si dissolse. Continuò con fermezza: «No, Barbara. Ti do la mia parola d'onore che non ho niente a che vedere con quella gente. È vero che sono stato a trovare tuo marito l'altro giorno per suggerirgli di ritirare il libro o di censurarlo leggermente, ma mi sono limitato a spiegargli le ragioni che mi inducevano a chiederglielo e ad affidarmi al suo giudizio. Temevo che avrebbero continuato la loro campagna intimidatoria e avevo paura che gli accadesse qualcosa. Però non avevo idea, quando ho chiesto a Claire di andare a lavorare per la dottoressa Clinton, che ci fosse un legame con questa storia, e anche adesso mi sembra incredibile. Dici che sei stata avvelenata?» «Ma come potrebbe avere un rapporto con...» «Non lo so», rispose Colin turbato. «Dici che hai avuto dei problemi con tua suocera per mesi?» «Anni.» «E quello che dobbiamo chiamare l'"affaire Cannon" è cominciato solo da un mese o due», continuò. «Eppure sembra ancora più assurdo che ci
possano essere due cospirazioni diverse, entrambe con te e tuo marito al centro. Deve esistere un legame.» Si morse un labbro e sembrò concentrarsi profondamente. «Barbara, tua suocera conosceva Jock Cannon?» le chiese infine. «Per quello che ne so, non si sono mai incontrati.» «E dici che i problemi che incontri con lei non sono recenti.» «Oh, no. Tutto è cominciato quando io e Jamie ci siamo sposati. Lei voleva che sposasse una sua amica.» Barbara si mordicchiò un labbro, pensierosa. Poi aggiunse: «C'è però un particolare che non è frutto della mia immaginazione». Frugò nella borsa e ne estrasse il tubetto sigillato. Mentre apriva l'involto di seta, MacLaren le chiese brusco: «Credevo che non sapessi niente di queste pratiche. Dove hai imparato?» Barbara rispose intimidita: «L'ho letto in uno dei libri di Jock». «Capisco.» Prese il tubetto in mano, tolse l'adesivo e lo aprì: il viso assunse un'espressione disgustata quando rovesciò il contenuto. «Segale cornuta, capelli e la tua fotografia mutilata... Uh!» Lasciò cadere quegli oggetti e andò in cucina. Barbara lo sentì lavarsi le mani. Quando tornò aveva un'espressione sofferente. «Un tipo particolarmente malvagio di malocchio.» «Barbara, scusa se te lo chiedo», intervenne Claire, «ma sei assolutamente certa che tuo marito...» Barbara rispose subito: «Sicurissima!» «Si tratta di lealtà coniugale e intuizione femminile», obiettò Colin, «oppure di una certezza basata sui fatti?» «Nessuno lo obbligava a sposarmi», rispose Barbara. «C'erano quattro o cinque donne che gli facevano la corte, e Dana - la ragazza prescelta da sua madre - è molto più carina di me. E poi, se mi stesse gettando il malocchio, mi farebbe un incantesimo per farmi restare incinta, non per rendermi sterile!» «Mi sembra logico», asserì Claire. MacLaren tornò in cucina per procurarsi un disco d'amianto, di quelli usati per evitare di bruciare lo stufato, e una scatola di fiammiferi. «Ci libereremo di questa roba, e subito», annunciò. «Sembra che la denuncia della stregoneria minacciata da John Cannon abbia dato fastidio a qualcuno, in casa tua, ma per il momento non posso accusare nessuno. Che tipo di donna è tua suocera? No» - la fermò prima che potesse rispondere - «non è una domanda giusta. Ma ti fideresti abbastanza di me per invitarmi a casa tua solo per... permettermi di vederla?
Sono del parere di escludere tuo marito - l'ho incontrato l'altro giorno e non ho avuto l'impressione che fosse il tipo di persona capace di commettere atti del genere - ma non posso aiutarti finché non ne sono certo.» «Allora credi davvero a queste storie?» chiese Barbara, sorpresa. «Non si tratta di suggestione, di una persona psicotica con un'immaginazione iperattiva?» Claire intervenne con voce pacata: «È suggestione, ma non solo. Forse è una suggestione tanto perfezionata che diventa tangibile come le onde radio o l'elettricità, che non si possono vedere né misurare a occhio nudo. Sono psicoioga, Barbara. O almeno, è da lì che ho cominciato. Poi mi sono resa conto che nella mente umana esistono forze che non possono essere spiegate in termini di io, di libido, di situazione edipica, e quindi ho cominciato a collaborare con Colin». «Hai avuto un esempio degli estremi che possono raggiungere quelle persone, Barbara», aggiunse Colin. «Non voglio spaventarti, ma ti ricordo che Jock Cannon è morto. Questa faccenda non mi riguarda personalmente, se non per il fatto che per tutta la vita ho cercato di trovare e fermare questa gente. È strano come tutto corrisponda», proseguì con aria meditabonda. «Devo essere sulla strada giusta. Ieri sera ero in difficoltà; tuo marito si rifiutava di ascoltarmi e la legge cui obbedisco mi impedisce di interferire, quindi ho accettato il fatto che per il momento ero bloccato. Poi ho avuto la sensazione che, nell'edificio in cui Claire lavora di tanto in tanto, qualcuno avrebbe avuto bisogno d'aiuto. Non sapevo se era una donna che desiderava abortire, un paziente che si recava da quel falso psichiatra, oppure una persona bisognosa di essere confortata dopo aver saputo che perderà tutti i denti e dovrà portare una dentiera: per una donna sotto i trent'anni, mi dice Claire, può essere un motivo sufficiente per rivolgersi a uno psicologo! Avevo semplicemente l'impressione che qualcuno, laggiù, avrebbe avuto bisogno d'aiuto, così ho mandato Claire, e ora...» Si alzò e prese il cappotto. «Penso che farei meglio a vedere chi vive in casa tua, Barbara.» «Jamie!» esclamò lei. «Possono fare del male a Jamie? Oh, per favore, posso usare il telefono?» «Certo, fa' pure. È vicino al letto.» Barbara attraversò la stanza, incurante di Claire e Colin alle sue spalle, e compose freneticamente il numero. Squillò due volte, poi il ricevitore venne sollevato. Non si udì il familiare «Pronto», però, ma solo una bizzarra attesa, un silenzio, e infine il respiro di qualcuno.
«Jamie?» disse Barbara esitante. «Jamie, sono Barbara.» Pensò di aver sbagliato numero quando, all'altro capo del filo, scoppiò una risata diabolica. Barbara si aggrappò al ricevitore, sentendosi squarciare il cuore dal dolore, senza accorgersi che Claire si era immediatamente precipitata a sorreggerla. La risata crudele continuò. Poi, improvvisamente, qualcuno riattaccò e Barbara rimase immobile, con il ricevitore in mano, ad ascoltare inorridita il suono della comunicazione interrotta. «Jamie», mormorò con voce tremante, «c'era qualcuno con Jamie, e rideva. Devo tornare subito a casa! Dio, cosa sta succedendo nella mia casa?» CAPITOLO 12 Barbara si riscosse, e la cornetta le cadde dalla mano, come se fosse attraversata dalla corrente elettrica. «Devo andare, devo tornare subito a casa.» Le ci volle un istante prima di riuscire a sentire Colin MacLaren che le ripeteva pazientemente: «Cos'è successo? Tu hai capito, Claire?» «Niente...» rispose Barbara, «voglio dire, chiunque fosse non ha detto niente, ha solo riso in modo orribile. Mio Dio, cosa stanno facendo a Jamie?» Corse al centro del salone e afferrò il giaccone. «Calma», le intimò Colin. «Non sai neppure se tuo marito è lì o no, Barbara. Potrebbe essere una nuova tattica nella loro guerra dei nervi, con cui cercano di ottenere da te proprio questo comportamento: vogliono indurti a correre via in fretta e furia, senza fermarti nemmeno un istante a riflettere, e privarti dell'equilibrio necessario per chiedere aiuto.» «Come fai a sapere così bene quello che intendono fare? A meno che tu non sia uno di loro... Oh, Signore, mi dispiace», esclamò Barbara. «So che sembra paranoico, ma dopo oggi come faccio a fidarmi ancora di qualcuno...?» «Hai ragione a essere prudente», replicò MacLaren tranquillamente. «Dopo quanto ti è accaduto in questi ultimi giorni, probabilmente fai bene a sospettare tutti e a metterli alla prova. Semplicemente, domandati che interesse avrei a tenerti lontana da tuo marito a questo punto, oppure cosa cerco di ottenere da te.» «Niente, direi...» «Appunto. Se aspetti cinque minuti Claire e io verremo con te per vedere il da farsi. Come faccio a sapere cosa stanno facendo quelle persone?
Tutto quello che posso dirti è che, per tutta la vita, o gran parte di essa, ho cercato di impedire a gente del genere di usare in modo sbagliato certe conoscenze.» Mentre parlava prese un vecchio soprabito da un armadio. Claire, infilandosi il cappotto, chiese: «Devo chiamare un taxi, Colin?» «No, voglio telefonare in garage e chiedere di portarmi qui la mia auto», spiegò Colin. «Questa storia può portarci dappertutto, dal Bronx al Queens o perfino fuori città. In ogni caso ci potrà servire la cassetta degli attrezzi, Claire, quindi prendi pure tutto il necessario. Sai quanto me di cosa potremmo avere bisogno.» «Giusto.» Claire si avvicinò a un lungo mobile posto lungo la parete occidentale. Barbara riuscì a sbirciarci dentro solo per un istante ma si avvide che, a differenza del resto dell'appartamento, era immacolato e conteneva oggetti misteriosi accuratamente sistemati in file ordinate. Claire tolse una piccola valigia dal ripiano più basso, l'aprì e disse: «Ho un'idea piuttosto precisa di quello che ci serve, ma ci sarà anche bisogno che usi la Vista?» «Può darsi. Porta quello che ti serve, a meno che tu non voglia improvvisare», rispose Colin, mentre componeva un numero. «Pronto? Garage Cornby? Parla MacLaren, mi potete preparare l'auto... quando? Mezz'ora fa, maledizione!» Buttò giù la cornetta, prese la valigia dalle mani di Claire e invitò le due donne a precederlo fuori dall'appartamento. «Il garage è appena svoltato l'angolo.» Una volta entrato in azione, si muoveva rapidamente, e le due donne faticavano a stargli dietro mentre camminava veloce lungo l'isolato. Davanti al garage era pronta la macchina di Colin, un vecchio furgoncino verde, il motore acceso. «Forza, a bordo», Colin incitò le due donne. «Qual è l'indirizzo, Barbara? Conosco soltanto quello dell'ufficio di tuo marito.» Barbara era abituata alla guida selvaggia dei tassisti newyorkesi e da principio sembrò che MacLaren li imitasse con grande disinvoltura. Dopo qualche minuto, però, Barbara cambiò parere: Colin guidava con prudenza e rispettava le regole, ma non perdeva un solo secondo, infilandosi ovunque gli convenisse nel flusso del traffico. Passati venti minuti, il veicolo si fermò davanti al suo appartamento. «Prenderai una multa se parcheggi qui», avvertì Barbara. «Forse sì, e forse no», ribatté Colin, sereno. «In queste circostanze, cercare un parcheggio potrebbe costarmi molto di più di una multa, così se la prenderò la pagherò. Ma ho un permesso speciale della polizia, anche se non lo uso quasi mai, forse questa volta sarò fortunato.» Si mosse senza
fretta, ma in un istante era fuori dell'auto e stava già salendo i gradini dell'ingresso prima che Barbara avesse potuto tirar fuori le chiavi. Si sentì stringere il cuore per l'apprensione mentre infilava la chiave nella serratura... quella risata diabolica le risuonava ancora nelle orecchie. Il salotto era vuoto. Due bicchieri erano stati lasciati sul tavolino e la valigetta di Jamie era aperta sul divano. Al suo interno c'era un manoscritto: chi lo stava leggendo era arrivato a pagina 191. «Jamie? Jamie, sei a casa?» chiamò Barbara, trepidante. Silenzio. Claire e Colin, dietro a Barbara, si scambiarono un'occhiata. «Era qui», disse Barbara, piegandosi a toccare la valigetta. «L'aveva con sé questa mattina, di solito non rientra così presto...» «Sembra che se ne sia andato di corsa», osservò MacLaren, prendendo in mano un bicchiere e annusandolo. «Soltanto whisky. I bicchieri sono due: hai qualche idea su chi potesse essere con lui?» Barbara scosse il capo. «La madre di Jamie non beve; poteva essere qualcuno dell'ufficio... solo che nessuno dei suoi collaboratori ha quella risata...» La voce le si ruppe di nuovo. Claire le strinse con fermezza il polso. «Stai tranquilla.» «Direi che non c'è nessuno qui», disse MacLaren dopo un lungo silenzio. «Solo noi tre. Ma controlliamo le altre stanze per sicurezza.» Quando entrarono in cucina Colin aggrottò le sopracciglia e sussurrò, come se parlasse da solo: «Qui non c'è una buona atmosfera. E non credo che abbia potuto formarsi soltanto in tre giorni, cioè dalla morte di Cannon. Cosa percepisci, Claire?» «Qualcosa di particolarmente malvagio», disse Claire con aria accigliata, «ma non esattamente violenza. Certo non un massacro, però... qualcosa. Vediamo nelle camere da letto?» Barbara li accompagnò nella stanza che divideva con Jamie. Sulla soglia si arrestò: aveva lasciato i letti disfatti, ma non in quello stato di disordine: coperte strappate dal letto e attorcigliate, macchie, tracce di rossetto sui cuscini... Si avvicinò al letto, intontita e come in trance. «Mi pare di essere uno dei tre orsi della favola», mormorò. «Qualcuno ha dormito nel mio letto...» Il viso di Claire assunse un'espressione insieme infastidita e irritata. «Non mi pare un comportamento da marito innamorato...» «Non certo un adulterio casuale, Claire», intervenne Colin. «Più probabilmente un insulto deliberato, gratuito, un altro tentativo per colpire profondamente Barbara, ecco tutto.» Alzò leggermente la voce. «Non balzare
subito alle conclusioni, Barbara. Tuo marito mi è parso un uomo di grande integrità.» «Jamie e io avevamo stretto un patto», rispose Barbara, rattristata, «per cui se uno di noi avesse desiderato un'altra persona... ma in questo modo, proprio nel mio letto...» Claire scosse il capo. «Nessun uomo lo farebbe in questo modo di sua spontanea volontà, a meno che non stesse cercando di farsi lasciare, e niente lascia immaginare che tuo marito avesse questa intenzione. Non giungere a conclusioni affrettate, Barbara; può darsi che questa farsa sia stata messa in scena proprio per provocare in te un simile effetto.» «Ma dov'è Jamie?» Le si ruppe ancora la voce. Si chinò per raccogliere qualcosa sul cuscino, e lo lasciò ricadere di nuovo. Un insulto calcolato. Come se Dana mi stesse dicendo: ho sempre voluto Jamie e adesso me lo sono preso. E nel caso che te lo sia dimenticato, posso restare incinta di lui - se dovessi averne voglia, e non è il caso - e tu no! MacLaren suggerì a bassa voce, richiamando l'attenzione di entrambe: «Andiamo a controllare il resto della casa». Barbara era stata pochissime volte in camera della madre di Jamie. Fece loro strada precedendoli all'interno, ma Claire si arrestò sulla soglia portandosi le mani alla gola. Impallidì. Barbara fece per parlare ma MacLaren la zittì con un gesto. «Cosa c'è, Claire?» «Orribile», bisbigliò Claire. «Siamo proprio al centro... orribile...» «Silenzio, Barbara», le spiegò MacLaren in un soffio. «Non disturbarla. Claire è una sensitiva. È uno dei motivi per cui lavoriamo insieme.» Alzò leggermente la voce, anche se era ancora bassa e pacata. «Puoi dirmi qualcosa d'altro?» Claire puntò l'indice. «Là dentro... qualcosa di terribile», borbottò. «Mi scuso in anticipo per l'intrusione se abbiamo torto, Barbara», disse Colin e aprì il cassetto della toeletta che Claire stava indicando. All'interno, accanto a una banale scatola che conteneva dei bigodini, c'era una serie di boccette. MacLaren le studiò. «O tua suocera è ipocondriaca, oppure... no, queste sostanze non possono esserle state prescritte legalmente», concluse lentamente. «Evidentemente ha accesso a una fonte illegale di farmaci, un medico o un farmacista irresponsabile o privo di morale. Qui dentro c'è di tutto, dall'aconito alla segale cornuta.» Rise senza allegria. «La moderna spacciatrice di pillole ha preso il posto della vecchia strega che pestava erbe... non so cosa sia peggio...»
«Ma la madre di Jamie non è mai malata! Non l'ho mai vista trascorrere un giorno a letto, e non prende neanche una pillola di vitamine!» «Dubito che prenda lei stessa questa roba», replicò Colin, secco. «Una vecchia signora dall'aria innocente può nascondere le riserve di droghe per tutta la banda.» Si rigirò le boccette tra le mani. Fece una smorfia e prese in mano una bottiglietta piena per tre quarti di piccole pastiglie arancione. «Barbara, ti ha mai dato una di queste... magari per un'emicrania?» «Non le ho mai viste prima. E poi - per l'amor del cielo, MacLaren - so che non bisogna prendere le medicine prescritte ad altri!» «Mi chiedo come abbia fatto a somministrartele», continuò MacLaren. «Le riconosci, Claire? Ricordi quel povero diavolo a Berkeley, che era così contento di essersi almeno parzialmente liberato dalle emicranie che non disse neppure al suo medico degli effetti secondari?» «Che roba è?» chiese Barbara. «Metisergide», rispose MacLaren. «Chiamata anche Sansert. Inizialmente pubblicizzato come un farmaco miracoloso per l'emicrania. Un lontano parente dell'Lsd, ma l'Lsd ti fa bene in confronto a questa roba! Tra coloro che l'hanno assunto per più di pochi giorni, nove su dieci hanno sviluppato disturbi come ipertensione, problemi gastrici, irregolarità del ciclo - e aborti - per le donne, impotenza negli uomini e, soprattutto, comportamenti psicotici. Non ha mai superato lo stadio di un farmaco sperimentale, in realtà, e non viene più prescritto... legalmente. Nessun medico serio lo utilizza. Alcuni spacciatori lo vendono per l'acido lisergico che contiene: alcuni studenti di . chimica l'acquistavano per scomporlo e fabbricare l'Lsd. È anche un'ottima sostanza per avvelenare qualcuno, se la vittima è ignara e non è soggetta a controlli medici. Brillante, diabolicamente brillante e orribile.» «Stai cercando di dirmi che la madre di Jamie fa uso di droghe?» «Non so se le prende», replicò MacLaren, «ma certo ne possiede in quantità sufficienti ad avvelenare mezza città. Chiamerei la polizia, se fossi sicuro che questo non ci facesse perdere troppo tempo e rischiare di...» Si morse il labbro, immerso nei suoi pensieri. «No. Non possiamo tardare. Mi chiedo cos'altro ci sia qui dentro... Benzedrina e metedrina - gli stimolanti delle streghe di oggi - e sonniferi. Dio sa cos'altro.» Alzò lo sguardo su Claire. «Ho voglia di buttare tutto in bagno e di tirare l'acqua. Non potrà certo andare a protestare alla polizia e denunciarne il furto!» «Mi sembra un'ottima idea. Ti do una mano», propose Claire, ma si fermò con aria accigliata. «Qualcos'altro...»
«Dimmi dov'è, allora», l'esortò Colin e cominciò a percorrere lentamente la stanza in cerchio, mentre Barbara lo guardava allibita. Claire lo fermò d'un tratto: «Lì. Più in basso... No, un po' più su, non sul pavimento...» MacLaren aprì il guardaroba, si mise a cercare tra le scarpe e ne estrasse, sorpreso, un registratore. «Questo, Claire? Mi sembra abbastanza innocuo.» Ma il viso di Claire era deformato da una smorfia, e rifiutò di toccarlo. MacLaren premette il tasto «Play». La stanza si riempì improvvisamente di suoni disgustosi: squittii, fruscii, movimenti di zampe, gridolini. MacLaren si accigliò. «Mi sono sbagliato, allora?» si chiese. «Se la vecchia è solo una vittima, allora... Forse un ostaggio per assicurarsi che Jamie si comportasse bene? Barbara, tua suocera ha particolarmente paura dei topi?» «No, ma è strano che tu me lo chieda», rispose Barbara, sorpresa. «È l'unica vera fobia di Jamie; in un campo di prigionia in Corea ha avuto una terribile esperienza con i topi. Una volta siamo andati a vedere un film poliziesco ambientato in riva al mare, e l'investigatore e la sua ragazza sono scesi nella stiva di una nave e si sono imbattuti nei topi. Jamie si è alzato ed è praticamente corso fuori del cinema. Era bianco come un lenzuolo e temevo che svenisse.» «Allora serve a indebolire lui», commentò MacLaren tra sé. Posò il registratore e lo fissò perplesso. «Claire, non trovi che sia strano? È Barbara che si rivolge a te perché ha bisogno d'aiuto, e durante la stessa settimana...» Claire annuì. «Non possono esserci due drammi del genere che si svolgono contemporaneamente nella stessa casa: devono essere legati, in un modo o nell'altro! Ma qual è l'anello mancante della catena?» MacLaren afferrò di nuovo il registratore, lo posò al centro del letto singolo della signora Melford e si sfregò le mani come per pulirle dalla polvere. «Mi sento sporco dopo averlo toccato», commentò. «Che Dio mi perdoni se giudico un uomo o una donna senza conoscerli di persona, ma sembra che stesse cercando contemporaneamente di avvelenare sua nuora o perlomeno di minarne la salute - e di terrorizzare suo figlio. Ma perché? Perché? Qual è l'elemento mancante?» Barbara intervenne con voce brusca: «Posso credere che mamma Melford stesse cercando di... di avvelenarmi. Ma non riesco a concepire che intendesse fare del male a Jamie, non ci riesco proprio!»
«Sembra improbabile, eppure... eppure... no, qualcosa continua a sfuggirmi», dichiarò MacLaren. Improvvisamente, con voce tesa, propose: «Usciamo da questa stanza. Mi fa star male. Te ne accorgi anche tu, Claire?» Claire rispose sottovoce, con gli occhi socchiusi: «Sì. Follia e odio. Paura. Amore che è degenerato, è diventato perverso. E qualcos'altro... qualcos'altro... qualcun altro, un'altra donna qui. Entrambe con la mente malata. Io... credo che vomiterò...» Schizzò fuori dalla stanza, correndo senza tante cerimonie in bagno. MacLaren accompagnò Barbara fino alla porta e la fece uscire. Estrasse un gessetto dalla tasca dopo aver chiuso la porta e, mormorando qualcosa, disegnò un simbolo al centro dell'uscio. Era quasi invisibile sulla vernice bianca. Vedendo che Barbara lo osservava le spiegò: «È un pentacolo. Può impedire al demone lì dentro di farci del male, e può creare a lei delle difficoltà se tenta di entrare di nuovo. Se arriva adesso e ci sorprende qui, potrebbe tradirsi». Ascoltò i conati provenienti dal bagno e scrollò il capo avvilito. «Poveretta, non ha ancora imparato a proteggersi da attacchi del genere.» «Stai seriamente cercando di dirmi che la madre di Jamie è... implicata in quelle orribili pratiche che Jock stava cercando di denunciare?» chiese Barbara, che ormai però non ne dubitava più. Capì, improvvisamente, che una parte di lei lo sapeva da quando aveva trovato quell'osceno amuleto nel suo letto. Si chiese ad alta voce: «Mi domando se Jock lo sapeva...» e vide il viso di MacLaren illuminarsi. «Non lo so, Barbara, ma potrebbe essere, e forse è quello l'elemento mancante.» Claire uscì dal bagno pallida ed estenuata. «Scusa, Colin» disse debolmente, «mi ha preso d'un tratto. Non succederà di nuovo.» «Imparerai», la rassicurò Colin. «Spero che stia meglio, Claire. Abbiamo fatto la diagnosi, ma per quanto riguarda la cura... non sappiamo dove si trovi questa gente, cosa stia facendo, dove sia James Melford né quanto tempo abbiamo a disposizione. Hanno già ucciso almeno un uomo, per quanto ne sappiamo, quindi non c'è tempo da perdere. Non abbiamo idea delle loro mosse quando avranno intuito che siamo sulle loro tracce.» «Adesso sto bene», assicurò Claire, che li seguì in salotto. «Hai sigillato la porta della camera da letto?» «Sì, ma solo con il pentacolo minore. Non sono sicuro che basti a impedire a qualcuno di entrare o uscire, ma ci può proteggere dall'atmosfera che regna qui dentro», disse Colin. «Apri la valigia, per favore?»
Barbara ascoltava, irritata dalle frasi sibilline. «Perché non ci limitiamo a chiamare la polizia?» «Per dire cosa? E chiedergli di intervenire dove?» volle sapere Colin con le sopracciglia sollevate. «È questo il problema: questa gente ha un grosso vantaggio, che le persone normali non credono a niente di tutto ciò se non lo vedono, a volte restano scettiche anche se lo vedono. Sinceramente, mi ci vedi a chiamare la polizia e raccontare agli agenti che queste persone, che non sappiamo chi sono ma che forse hanno tua suocera o una sua amica come complici, hanno ucciso un uomo con la stregoneria e adesso ce l'hanno con qualcun altro? Signori poliziotti, sareste tanto gentili da rinchiuderle prima che gli facciano del male?» Barbara si morse un labbro. «Non mi hai appena detto che mi stavano avvelenando? Potrei denunciarli.» «Prove. Servono le prove», disse quasi soprappensiero. Claire si intromise. «La dottoressa di Barbara può confermare...» «Sì, può darsi che si arrivi a questo, se tutto il resto fallisce. Ma è una questione di tempo. Il tempo di ottenere un mandato e un arresto, e potrebbe scapparci un morto. Non dimenticate che hanno già ucciso Jock Cannon. E non mi piace affatto che Melford - Jamie, voglio dire - sia scomparso in questo modo. Forse sospettano che siamo sulle loro tracce.» «Come possono saperlo se noi stessi l'abbiamo capito solo adesso?» «Nello stesso modo in cui Claire ha scoperto il registratore», replicò MacLaren. «Nessuna congrega degna di questo nome può fare a meno di un sensitivo o due. Sono venuti allo scoperto, si sono messi a ridere con Barbara al telefono e sono scomparsi con Jamie. Se stessero ancora nascondendo le loro tracce lo avrebbero costretto a lasciare un biglietto per dire se che ne andava a Westchester - o San Francisco, o Katmandu - per lavoro o che invitava a pranzo un cliente.» «Cosa possiamo fare, allora?» «Solo Dio lo sa... e non sto scherzando: Lui lo sa, ma non si confida con noi. Claire, credo che solo tu ci possa aiutare. Mi dispiace, dopo l'effetto che ha avuto su di te quella stanza, ma non sono un veggente abbastanza esperto, e può darsi che abbia io stesso il mio bel da fare più tardi.» «Non ti preoccupare», lo rassicurò Claire. Aprì la valigetta. «Per fortuna ho portato il cristallo. Potrei usare una ciotola d'acqua, ma non sopporterei di scrutare in un recipiente usato da quella donna!» Estrasse un involto di velluto nero e lo aprì, esponendo al suo interno un quadrato di seta bianca. Al centro si trovava una piccola sfera di vetro o di
cristallo. «Barbara, puoi trovarmi un foglio di carta assorbente?» Con un sussulto, Barbara rispose. «Non preferiresti uno strofinaccio da cucina?» «Assolutamente no», disse Claire, che prese il rotolo di carta da cucina e ne strappò un quadrato. «Chissà chi l'ha toccato e per cos'è stato usato... L'invenzione della carta assorbente è un miracolo; questa roba è stata confezionata in fabbrica ed è neutra come un pezzo di legno. Nessuno l'ha toccata prima, nessuno l'userà mai più e non ha alcun potere magnetico.» Con attenzione, passò il foglio di carta sulla scrivania di Jamie, ne inumidì con acqua un altro pezzo e la pulì di nuovo; poi l'asciugò con un terzo foglio e vi stese il panno di velluto. Fissò lo sguardo nella sfera di cristallo. Barbara era seduta, immobile; guardava, incerta se ridere ma colpita dalla serietà assoluta che leggeva sui volti degli altri due. Sentì alcuni brividi percorrerle la schiena mentre passavano i minuti. Il viso di Claire sembrava essersi trasformato in una maschera di impersonalità, quasi disumana. In virtù della sua professione, Barbara aveva un occhio esperto, da artista, e quella totale espulsione della individualità e dell'espressione da una faccia era un fenomeno nuovo per lei e, nonostante la tensione del momento, affascinante. Il tempo passava. Per un istante il volto di Claire si illuminò e Barbara, lo sguardo fisso sul cristallo, ebbe l'impressione di cogliere l'ombra di un movimento nelle sue profondità, ma poi il colorito scomparve. Alla fine Claire stirò i muscoli irrigiditi. «Niente», disse. «O sono al di là di un corso d'acqua, oppure non riesco io a trovarli. Vorrei che fossimo assolutamente certi che il marito di Barbara non si fosse unito a loro volontariamente.» «Penso che possiamo esserne sicuri», disse Colin, lentamente. «D'accordo, dobbiamo usare qualcosa di suo per rintracciarlo. Se non è con loro, riproveremo. Dammi qualcosa di tuo marito, Barbara, possibilmente qualcosa che usa tutti i giorni.» Barbara andò in camera e si guardò intorno febbrilmente. Il suo sguardo cadde sulla spazzola col manico d'argento, su cui era inciso il suo monogramma, che gli aveva regalato prima che si sposassero. Vi erano rimasti impigliati alcuni capelli. La portò in salotto. «Perfetto», disse Claire. «L'argento trattiene il magnetismo personale meglio di qualsiasi altra cosa, con alcuni capelli poi...» «Allora tutte quelle storie vudù di pupazzi, capelli e spilloni non sono
follie», esplose Barbara. «Non del tutto», disse Colin. «Ogni oggetto personale trattiene parte del magnetismo individuale, le sue vibrazioni, se preferisci, allo stesso modo, più o meno, nel quale uno scienziato può ricavare l'intero DNA di una persona da una sua singola cellula. Claire è come un ricevitore radio, ora; la spazzola è carica delle vibrazioni di Jamie e ciò può aiutarla a sintonizzarsi, se così si può dire, sulla posizione di tuo marito.» «Mi chiedo perché abbiano deciso di rinunciare alla loro copertura proprio adesso?» disse Claire, alzando la testa. «È possibile che abbiano scoperto che siamo sulle loro tracce?» «Niente è impossibile. Più probabilmente, la signora Melford ha scoperto che Barbara non ha seguito il consiglio di andare dallo psichiatra che le aveva suggerito.» Claire prese in mano la spazzola e la posò sul velluto nero, vicino al cristallo. «Ora, lo troverò, anche al di là dell'acqua, come se tutti i fiumi della città fossero secchi... ma come faremo a saper in quale quartiere si trovano?» «Sembra improbabile che l'abbiano portato al di là... del tempo.» «Uno di loro può avere una casa a Westchester o nel Connecticut... maggiore privacy, capisci?» «Insomma, dobbiamo pur cominciare da qualche parte, no?» sbottò Colin. «Assicuriamoci che non sia tenuto prigioniero in città prima di andare in cerca di guai.» Barbara osservò Claire con il capo chino sulla sfera di cristallo. Era incredibile, ma Claire sembrava considerare banale quel gesto. Se è per quello, lo stesso faceva Jock Cannon. Era vero, allora, era un fatto solido e concreto, che con la spazzola d'argento di Jamie, alcuni dei suoi capelli, una sfera di cristallo e la sua mente esperta Claire potesse - come aveva detto MacLaren? - sintonizzarsi con Jamie? È vero come la mia morte, Barbara. Sembrò per un istante che Jock Cannon avesse davvero pronunciato quelle parole al loro cospetto e Barbara rabbrividì, poi si disse precipitosamente di non cominciare a lavorare di fantasia. La stanza fu di nuovo immersa nel silenzio e il tempo passò, con i minuti di quiete che si succedevano e il viso di Claire teso in uno sforzo sovrumano. Poi, improvvisamente, la sua espressione mutò. «Vedo qualcosa...» mormorò, «una stanza buia... rumore di traffico all'esterno... tendaggi... un
blocco a forma di doppio cubo...» Barbara ebbe l'impulso di dire qualcosa, ma MacLaren le intimò il silenzio con un gesto. Chiese a voce bassissima: «È un altare, Claire?» «Credo di sì.» Aveva gli occhi offuscati, fissi sul cristallo. «C'è qualcun altro?» «Adesso no, ma riesco a sentirli in un'altra stanza... una luce rossa che lampeggia fuori, che va e viene... fuoco? No, non fuoco, un'insegna al neon immediatamente fuori dalla finestra... molti camion che partono o si fermano...» MacLaren chiese a bassa voce: «È in città, Claire?» «Mi pare di sì. Sì, vicino a un grosso incrocio... sirene... È legato, credo, oppure tanto intontito che non riesce a muoversi... non privo di conoscenza, ma intontito...» Tacque. «Riesci a capire in che direzione si trova?» «No, ma sento... un rumore sordo e prolungato, come se stessero demolendo qualcosa.» Si accigliò. «E sirene... altre sirene...» Si lasciò cadere contro i cuscini, facendo rotolare via il cristallo. Colin MacLaren si alzò, le si avvicinò e le sollevò il polso inerte. Poi lo lasciò andare, sospirando sollevato. Claire si mosse leggermente. «Non ti sono stata di grande aiuto, vero?» «Invece potrebbe essere importante», obiettò Colin. «Sappiamo che non si trova in un tranquillo quartiere residenziale. Ricordi quant'era grande la stanza?» «Oh, enorme. Anche trecento metri quadrati, e un soffitto altissimo, che produceva l'eco.» «Un loft, allora, o un magazzino», concluse MacLaren, «vicino a una stazione di polizia o di vigili del fuoco - le sirene -, camion in arrivo e in partenza ed esplosioni. Devo usare il tuo telefono, Barbara.» Afferrò il ricevitore e compose un numero. «Pronto, sergente? Vorrei parlare con il tenente Becket, per favore.» Aspettò in linea alcuni minuti. «Pronto, Martin? Senti, puoi farmi un favore? No, non si tratta di una contravvenzione. Ti ho mai chiesto di togliermi una multa? Puoi scoprire per quali edifici sono stati concessi dei permessi di demolizione questa notte? Sì... ho capito.» Estrasse un taccuino dalla tasca e fece segno di trovargli una biro; Barbara gli mise in mano quella del blocco del telefono e Colin annotò qualcosa. «Bene. No, scusa, ora non ti posso dire di cosa si tratta, ma non è niente di illegale, o almeno non quello che sto facendo io. Come sta Edna? Ah, benissimo. Bacia il piccolo per me, va bene? D'accordo, Martin. Sì, ho fretta,
ti ringrazio tanto.» Riattaccò. «È un bel vantaggio avere un paio di amici poliziotti che credono nella mia onestà», commentò. «Martin mi ha detto che risultano solo due permessi di demolizione per questa notte, il che significa che possiamo controllarli entrambi per vedere se c'è molto traffico di camion e una caserma dei pompieri nei dintorni. Due sirene nel giro di tre minuti significa un traffico sostenuto di veicoli di soccorso e probabilmente una caserma di pompieri molto impegnata. Andiamo, Claire, sei sicura di riuscire a camminare?» «Certo, sto bene. È meglio che tenga a portata di mano la sfera?» «Sì, in tasca», suggerì MacLaren. Claire si infilò il cappotto e si lasciò scivolare la sfera di cristallo in tasca, avvolta nel fazzoletto di seta. Barbara indossò il giaccone con aria trasognata. MacLaren afferrò la valigetta, e uscendo dichiarò: «So che non permetterebbero demolizioni a tarda sera in un quartiere residenziale, quindi dev'essere una zona di uffici.» «Becket», rifletté Claire. ««È il poliziotto che aveva un poltergeist in casa che gli ha fracassato tutte le stoviglie finché non gli è rimasto più nemmeno un bicchiere con cui i bambini potessero risciacquarsi la bocca dopo essersi lavati i denti?» «No», rispose MacLaren scendendo in fretta le scale. «Quello viveva a Levittown e ho dovuto fare un esorcismo in piena regola laggiù. Fu tremendo! No, questo tizio - un amico del poliziotto di Levittown - continuava a udire delle voci nel suo appartamento, e lui e la moglie sono quasi impazziti. Sono andato a dare un'occhiata e le ho udite anch'io, ma non ho percepito niente. È successo quando sei andata via, l'anno scorso. Ho chiesto a Betsy di venire a controllare anche lei, e neppure lei ha avvertito niente di strano. Allora ho ispezionato meticolosamente tutto l'appartamento, e indovina cosa ho scoperto!» «Un fantasma?» azzardò Barbara. MacLaren scoppiò a ridere. «Niente affatto! Quel luogo era una perfetta galleria acustica, e quelle che udivano erano le voci del televisore provenienti dall'abitazione della proprietaria cinque piani più sotto. Dato che non avevano mai udito del rumore dagli appartamenti adiacenti, non credevano di poter captare dei suoni da un appartamento tanto lontano dal loro. Li ho consigliati di modificare l'acustica dei locali con nuovi tendaggi e un paio di tramezzi, e sono stati tanto felici di non doversi rivolgere a un sacerdote o a uno psichiatra che mi hanno giurato amicizia eterna.» Aprì lo sportello del furgoncino e le aiutò a salire, chiuse e partì rapida-
mente, dirigendosi verso l'East Side. Faceva buio, ormai, e molto freddo: Barbara rabbrividì, e si aggrappò alla maniglia fissando le luci delle vetrine natalizie che spiccavano nell'oscurità. La logica spiegazione di MacLaren, che aveva verificato tutti gli indizi materiali prima di pensare alla stregoneria, aveva dissipato i suoi ultimi dubbi. Non si trovava di fronte un pazzo, vittima dei propri deliri, pronto ad attribuire a qualsiasi fenomeno una causa soprannaturale, ma uno scettico incallito disposto tuttavia ad adottare le misure necessarie dopo essersi convinto di una malevolenza di origine occulta. Un altro brivido la percorse. Jamie si trovava da qualche parte, in quella notte buia, drogato, prigioniero, alla mercé di persone sconosciute che avevano già ucciso una volta e che, MacLaren sembrava darlo per scontato, non avrebbero esitato a uccidere ancora. Cercò di dire a se stessa che la signora Melford non avrebbe permesso a nessuno di fare del male a Jamie. Tuttavia si accorse, inorridita, che non ne era più tanto sicura. CAPITOLO 13 La stanza era immersa nell'oscurità e lurida, con gli angoli coperti di ragnatele, e alla luce delle poche candele non si vedeva quasi nulla. Le prime impressioni che colpirono Jamie quando riprese i sensi furono l'odore d'incenso, soffocante, lo sporco e la puzza di polvere. Era prono su un folto tappeto che non riusciva a distinguere. Fuori sentiva rumore di traffico e lontane sirene d'allarme; si tirò su a sedere lentamente, scuotendo la testa e trasalendo per il dolore. Com'era finito lì? L'ultimo particolare che ricordava era di essersi trovato a letto con Dana: com'era potuto accadere? Non la desiderava, sapeva di aver pensato anche allora che non la desiderava. Oh, andiamo, sei un adulto, non puoi sostenere che quella donna ti ha ipnotizzato1. Aveva continuato a mormorare una nenia e a borbottare parole in una lingua sconosciuta, e poi si era scatenata, il corpo ardente, a un certo momento l'aveva perfino morso, facendolo sanguinare. E poi... poi cosa? Non gli veniva in mente altro, se non vaghe memorie di un vento gelido e di un ondeggiamento rapido, il suono delle sirene e i suoi piedi che si muovevano su scale traballanti, qualcuno che rideva, producendo un suono acuto come il verso di un pavone, lo shock del viso di sua madre nella semioscurità - anche quello era parte dell'incubo? - e un movimento a spirale lento e
nauseante. A quel punto era sprofondato nelle tenebre assolute dell'incoscienza, dove neanche i sogni erano andati a visitarlo. Infine si era svegliato lì. Ma dov'era? Si chiese - dato che era stato condotto in quel luogo privo di conoscenza, drogato o ipnotizzato - se era tenuto prigioniero. C'era, ad esempio, qualche ostacolo che gli impediva di alzarsi, uscire e prendere il primo taxi per tornare a casa? Si tastò le tasche... portafogli apparentemente intatto, ma niente chiavi. Be', Barbara avrebbe dovuto essere tornata nel frattempo... Barbara! Era forse una trappola per allontanarlo mentre loro - quegli individui sconosciuti e misteriosi - facevano del male a lei? Cercò di alzarsi, ma il locale gli vorticava intorno lentamente, e Jamie si sdraiò di nuovo, rendendosi conto di essere incapace, per il momento, di raccogliere le idee e di muoversi. Apparentemente non era stato legato, però, e quello era già un grosso vantaggio. Calmati, Jamie. Rifletti. Quella specie di rapimento doveva avere un rapporto - era l'unica soluzione! - con la situazione inverosimile in cui l'aveva precipitato la morte di Jock Cannon. Era accaduto meno di una settimana prima? Ricordò, turbato, l'attacco dei topi nel suo appartamento. Era successo davvero o si era trattato di una semplice allucinazione? Era stato portato lì per essere soggetto allo stesso trattamento? Forse, se avesse saputo cosa aspettarsi, avrebbe potuto prepararsi. Ma cosa c'entrava Dana in tutto ciò? Com'era possibile che fosse implicata anche lei? Eppure, certamente il suo arrivo nell'appartamento era avvenuto nel momento più adatto per coglierlo in una situazione svantaggiosa. In quel momento Jamie Melford si accorse che da un po' riusciva a sentire delle voci, troppo lontane per permettergli di capire il senso di quello che dicevano, ma riusciva nondimeno a coglierne i toni che si alzavano e si abbassavano. In quel mentre, all'estremità più remota di quell'enorme stanza (una chiesa? un magazzino? una fabbrica?) si aprì uno squarcio di luce e un'alta sagoma maschile si affacciò e si diresse verso di lui. «Di nuovo sveglio? Direi di sì», lo apostrofò la figura. «No, non farei scherzi se fossi in te. Probabilmente sei ancora debole come un gattino, e noi lì fuori siamo in cinque. Non molto forti, forse, ma certo in grado di sopraffarti nel tuo stato attuale.» Senza sorpresa, ma con la curiosa impressione che le tessere del puzzle si stessero ricomponendo, Jamie riconobbe la voce e l'andatura del suo interlocutore. «Mansell», esclamò. «Allora eri tu con Dana! E dire che non
ho creduto ai miei occhi. Ovviamente, non me l'aspettavo da lei.» «Ah, sì. A quel punto speravamo ancora di farti cambiare idea a proposito del libro e di poter mantenere l'anonimato», ricordò Mansell. «Ora è troppo tardi.» «Per tua informazione, sappi che mi avevi ingannato alla perfezione. Pensavo davvero che fossi una delle vittime, e non uno dei...» Jamie cercò la parola adatta ma rinunciò. Mansell si acquattò accanto a Jamie. Indossava una larga tunica nera che, raggrinzendosi all'altezza delle spalle, gli conferiva l'aspetto di un uccellaccio malefico. Alzò le spalle. «Dovevamo tastare il terreno. Stranamente, il nostro padrone preferisce servitori che collaborano spontaneamente piuttosto che schiavi, e tu sei nella posizione di aiutarci quanto il tuo amico Cannon.» «Non riuscirai mai a farmi credere che Jock era uno di voi!» «C'è un malinteso. Avrei dovuto dire "come avrebbe potuto fare il tuo amico Cannon" se si fosse dimostrato ragionevole. Purtroppo fu accecato dall'idea assurda di salvare l'umanità o da un altro stupido principio che impedisce all'uomo di perseguire i propri interessi in modo illuminato», dichiarò Mansell con uno spaventoso distacco. «Forse l'unico motivo era che sua moglie credeva nella stessa stolta superstizione con cui sono cresciuto.» «Oppure, forse, non credeva nell'intimidazione e nell'omicidio?» Mansell sembrava privo di interesse. «Non sarebbe stato minacciato né ucciso se si fosse dimostrato ragionevole», spiegò, «e quello che facevamo agli altri non era affar suo.» Jamie avvertì un'ondata di incredulità. Quel tipo era troppo distaccato per essere reale! «Sembri il cattivo di una storia a fumetti», disse con aria pensosa. Poi il ricordo di un istante, nel caffè, in cui Mansell si era allontanato ed era tornato con gli occhi luccicanti, gli venne in mente. «Ma certo», esclamò disgustato. «Sono stimolanti o si tratta di eroina? Non c'è da stupirsi che questi svitati ti comandino a bacchetta!» Mansell fece un rapido gesto di minaccia. «Non mi interessano i tuoi pregiudizi gretti...» «L'espressione giusta è borghesi, pregiudizi borghesi», precisò Jamie. «In un binomio inscindibile.» Mansell lo colpì, senza forza, al volto. «Per prima cosa devi imparare a parlarmi come si deve», disse, «e lo imparerai, non temere. Volente o nolente collaborerai, ma sono sicuro che lo farai di tua volontà. Prima che
spunti il giorno sarai uno di noi... volente, come dicevo, o nolente. Non si può più tirarsi indietro o rifiutare. Domattina il manoscritto di Cannon verrà distrutto... da te, potrei aggiungere.» «Dovrete passare sul mio cadavere, maledizione.» «Oh, no», rispose Mansell senza scomporsi. «Non sei tu a decidere. Puoi solo scegliere se unirti a noi e agire conservando intatte tutte le tue facoltà, la forza di volontà e la tua energia, oppure se continuare a resisterci e farti annientare la mente, cosicché te ne andrai in giro come uno zombie, soggetto al nostro controllo ogni volta che avremo bisogno di te.» Jamie cercò di lottare con la stanchezza fisica provocata dalle droghe. Poteva muoversi a malapena e i suoi gesti erano lenti e pesanti. «Maledetto, sporco bastardo...» Jamie. Fu come un sussurro perfettamente udibile, e improvvisamente a Jamie Melford venne la pelle d'oca, perché si trattava della voce di Jock Cannon. Jamie, non contraddirlo. Era un altro trucco, pensò Jamie d'un tratto furibondo. Mi hanno indotto con l'ipnosi a udire la voce di Jock per spingermi a collaborare. Ma Jock è morto! Jamie, ascoltami. Questa gente non ha nessuna influenza su di me: mi hanno ucciso, ma sulla mia mente non hanno alcun potere. Guardalo. Sa che sono qui ma non riesce a sentirmi. In effetti, Mansell spostò il peso sui talloni e scoccò in giro occhiate bizzarre e rapide, a disagio e sudato. Jamie lo apostrofò: «Che succede, Mansell? Stai ancora pensando alla tua dannazione?» «Chiudi il becco se vuoi poter scegliere», ringhiò di rimando l'ex sacerdote. Fagli perdere tempo, Jamie. Temporeggia. Fallo parlare. Una volta che iniziano non posso aiutarti, dovrai arrangiarti da solo. Era una buona idea, pensò Jamie. Forse posso far continuare a parlare questo pazzo finché non mi tornano le forze e l'effetto della droga non svanisce. Non credo neanche per un secondo che la voce che sento sia quella di Jock ma, se anche si tratta solo del mio inconscio, il tempismo è perfetto. «Quali sarebbero le opzioni che mi si presentano?» chiese lentamente. «Mi stai offrendo la possibilità di entrare a far parte della vostra... come la chiamate? Setta di adoratori del diavolo? Congrega di stregoni? Non sono
mai stato dotato per comprare alla cieca, e l'altro giorno non hai fatto altro che spaventarmi. Immaginiamo per un istante che tu mi spieghi...» Cercò una domanda sensata e optò per: «Dimmi, cosa ci guadagno?» Il viso di Mansell assunse un'espressione da fanatico. «Possiamo darti tutto quello che hai sempre desiderato.» Ma certo, pensò Jamie, fai proprio una bella pubblicità alle ricompense che il diavolo riserva ai suoi servitori: per te, il mondo e tutto ciò che contiene si riducono a una siringa di droga ogni poche ore. Ma continua pure a ciarlare, amico. Va bene, Jock. Lo farò parlare. «Raccontami qualcosa d'altro», chiese, e vide il viso di Mansell incombere su di lui nell'oscurità. Il furgoncino di MacLaren svoltò l'angolo a tutta velocità, e sterzò bruscamente per evitare di imboccare una strada a senso vietato. «Maledizione», borbottò, «mi sono perso. Non conosco bene questa zona. Ma da quello che riesco a vedere, non ci sono magazzini o edifici vuoti nei dintorni. Sono tutti negozietti, bar e centri commerciali; e non sento nulla...» Si interruppe, incapace di spiegare. «Dobbiamo provare l'altro posto delle demolizioni, che si trova a Lower Manhattan. Tu non senti niente, qui, Claire?» Scosse il capo fissando la strada ingombra di ubriachi, bande di adolescenti in movimento continuo, persone che acquistavano all'ultimo momento i regali di Natale. «Non riesco a sentire nulla neanch'io.» «Il posto che hai individuato prima era tranquillo, non come questo, vero?» «Tranquillo, sì. Parecchio rumore di traffico ma non di gente.» «Va bene.» Svoltò di nuovo mentre Barbara si aggrappava all'intelaiatura del finestrino. «Fino in fondo all'East River Drive, immagino: più veloce. So che non è colpa di nessuno, però, maledizione...» «Non è neanche colpa tua», gli fece notare Claire, «e se distruggi il furgoncino non potremo aiutarlo in nessun modo.» Nell'abitacolo buio aveva il viso tirato. «Lo so. Grazie. Ma non riesco a togliermi dalla testa che abbiamo i minuti contati. E con tutto il tempo che abbiamo perso qui...» Il veicolo imboccò stridendo l'East River Drive e si diresse verso sud, compiendo pericolose sterzate nel traffico intenso. Barbara sussurrò, come parlando tra sé: «Cosa possiamo fare? Cosa possiamo fare?»
«Colin sta facendo tutto il possibile», le rispose Claire, sottovoce. «Prega, se vuoi. Non possiamo fare altro per il momento.» Barbara fissò lo sguardo sulle luci del fiume, con la gola che le doleva. Claire dice «prega» come se fosse un gesto normale e utile. E io non lo so fare. Vorrei esserne capace. «È una questione di potere», rispose Mansell. «Non quella roba fasulla da fumetti che ti insegnano nella chiesa da cui provengo, ma il vero potere, una forza che riesci a sentire. L'unico autentico impulso che tutta l'umanità prova, quello cui i desideri e le aspirazioni umane tendono tutti. Potere: parlare e vedere che gli altri ti obbediscono. Tirare dei fili e far muovere il mondo.» Sì, pensò Jamie, e dover sgattaiolare in sporchi magazzini nel buio, e drogarsi? «Non ho mai provato il desiderio di tirare dei fili e far muovere qualcuno al mio comando», disse invece. «A chi pensi di darla a bere? Per quale altro motivo saresti approdato nel mondo dell'editoria?» replicò Mansell beffardo. «Il potere, il bisogno di creare o far affondare degli scrittori. L'esigenza di influenzare l'opinione altrui. Lo provano tutti, solo che noi ce ne rendiamo conto e non siamo ipocriti. Ascolta, se ti unisci a noi risparmierai a tua madre un grande dolore.» «Non le avete fatto del male?» «Del male? Perché mai? Sta cercando di ottenere che non venga torto un capello al suo prezioso ragazzo: sono anni che sta cercando di reclutarti», spiegò Mansell. «Se avessi sposato la ragazza che aveva scelto per te, saresti diventato uno di noi tre anni fa.» Jamie si accorse che neppure quelle notizie avevano più il potere di sbalordirlo. In un angolo remoto della coscienza, l'aveva capito: chi altri poteva aver provocato il crollo nervoso di Barbara? «Forse, se potessi parlarle...» temporeggiò, ma esagerò. «Basta perdere tempo», decretò Mansell. «È ora, dobbiamo cominciare. O diamo inizio alla cerimonia per farti diventare uno di noi, oppure iniziamo le procedure per impedirti di combatterci. Cosa preferisci?» Prendi tempo, Jamie. Stanno arrivando gli aiuti, ma ci vuole tempo'. «Cosa dovrei fare per unirmi a voi?» chiese Jamie. «Dato che non credo particolarmente in Dio, avrei parecchie difficoltà a credere nel diavolo. E una cerimonia ridicola in cui devo ripudiare Dio e giurare fedeltà a Satana significherebbe ben poco per me, come leggere ad alta voce dalle raccolte
di opere di» - cercò una metafora appropriata - «le opere di Jock Cannon, di Aleister Crowley o di John Lennon!» «Non facciamo cerimonie ridicole», replicò freddo Mansell. «Quello che vogliamo da te è il solenne impegno - con tutta la tua forza mentale e senza riserva alcuna - che non ti opporrai a noi, da oggi in poi, con le parole, il pensiero o gli atti, e a investire ogni grammo della tua forza nel perseguire ciascuno dei nostri obiettivi comuni.» A Jamie venne in mente che un giuramento estorto con le minacce non è legalmente valido: cosa gli impediva di dire ciò che volevano e di rivolgersi subito dopo alla polizia? «Non ho obiezioni...» No, Jamie. Era chiara come la voce di Jock quell'ultimo giorno, nel suo ufficio. Era inconcepibile per lui che Mansell non potesse udirla: Jamie si interruppe a metà di un pensiero per ascoltare. No, Jamie, non è così che funziona. Queste persone hanno menti esperte e navigate... e sono in grado di percepire una riserva mentale. Non puoi imbrogliarli in questo modo. Jamie ricordò allora tutto ciò che era scritto nel capitolo cinque del libro di Jock. Gli atti che avrebbe dovuto compiere, la stessa idea di fingere di seguire quelle persone che avevano ammesso l'omicidio di Jock Cannon con i loro perversi giochetti mentali, improvvisamente gli diede il voltastomaco. «Va' al diavolo», esclamò d'un tratto. «Non fai una buona pubblicità al tuo capo, che si tratti di Satana o di Joe il portiere. Non entrerò mai in una chiesa che ti ha scelto come sacerdote; non entrerei nemmeno in un gruppo di scout che avesse scelto te come capo! E se è stata mia madre a chiederti di venire, che se ne vada al diavolo anche lei. Metticela tutta, fa' pure. Ma ricorda che sarò un osso più duro di Jock Cannon: lui aveva paura, mentre io me ne starò qui a ridere di voi mentre celebrerete la vostra messa nera o un'altra stupida cerimonia che le vostre menti perverse hanno architettato. Eseguite pure i vostri rituali satanici o le altre sciocchezze che eccitano il vostro cervello drogato. E cercate di darvi una mossa, così dopo posso andare a farmi un bagno e togliermi di dosso e dalla mente le vostre tracce.» Il viso di Mansell si deformò, e per un momento Jamie pensò di avere esagerato, e temette che il corpulento ex sacerdote lo prendesse a calci e lo uccidesse su due piedi. Invece, con uno sforzo sovrumano Mansell si controllò e si alzò. «Fa' come vuoi», disse, e se ne andò a grandi passi. Bravo, Jamie! L'hai scosso! Non riesce più a pensare lucidamente!
Jamie gli lanciò un'ultima provocazione mentre se ne andava. «Me ne starò a guardare quando ti porteranno a Bellevue con la camicia di forza», lo provocò. «Pensi davvero che Satana ti aiuterebbe, in una situazione del genere?» Le spalle di Mansell ebbero un sussulto, ma non si girò né parlò. Lo squarcio di luce all'altezza della porta si allargò, poi venne coperto dalla sua sagoma imponente, si restrinse e scomparve. Il furgoncino lasciò l'East River Drive e avanzò sussultando lungo strade in parte lastricate e in parte sventrate per essere rifatte. Vecchi edifici oscuri, senza un filo di luce proveniente dai loro profili tozzi, si ergevano contro il cielo. In lontananza si udivano tonfi e boati attutiti. «Ecco le esplosioni», esclamò Claire. «E ora, non ci resta che trovare la caserma dei pompieri giusta.» «Da qualche parte nel vano portaoggetti c'è una piantina della città», borbottò Colin. «Tirala fuori, brava. Chi ha progettato questa zona di Manhattan doveva essersi ubriacato con il liquore degli indiani o qualcosa del genere. Credo che neanche i taxi la conoscano tutta.» Barbara avvertì una strana tensione che era prossima a una voce. «Credo si debba andare di lì», annunciò improvvisamente. Colin la guardò intensamente nell'oscurità e disse: «Va bene», prima di girare il volante. Improvvisamente si udì uno scampanio e il lamento acuto di una sirena. Un camion dei vigili del fuoco apparve dietro l'angolo, li oltrepassò con un fracasso assordante e scomparve, con le luci rosse che si affievolivano nella strada buia. Jamie tese i muscoli, cercando di alzarsi nell'oscurità. Avrebbe voluto sapere cosa gli avevano somministrato; si sentiva intontito come quando si era trovato nell'ospedale della Marina di ritorno negli Stati Uniti, quando continuava ad avere incubi di topi che correvano sul corpo del suo amico e gli avevano dato pesanti dosi di tranquillanti per quasi una settimana. La porta si aprì di nuovo: Mansell, con la tunica, avanzava minaccioso, con in mano una torcia spenta, dietro di lui una processione di sagome scure che, alla luce delle candele, vide essere nude, e tanto sgraziate, flosce e brutte che la loro nudità non aveva nulla di seppur lontanamente erotico. Quando una sagoma pelle e ossa gli passò accanto, anche se le parole di Mansell dovevano averlo preparato, lo stupore e la repulsione gli diedero la nausea.
Guadagna tempo, Jamie! Cercò disperatamente qualcosa da dire. «Ciao, mamma», l'apostrofò, «non è un po' tardi per te per startene fuori in giro? Direi che per Natale ti regaleremo dei vestiti nuovi: non mi ero reso conto che io e Barbara ti tenessimo così a stecchetto!» Avvertì l'ondata di collera e meraviglia dalle figure nude e minacciose, ma aveva anche colto la smorfia di sua madre e aveva capito senza ombra di dubbio che l'aveva ferita, in un modo o nell'altro. «Silenzio!» gli intimò una voce profonda, ma Jamie sapeva che stava usando la tattica migliore per perdere tempo. «Andiamo, mamma», aggiunse, cercando di assumere un tono disinvolto e di nascondere il tremito nella voce, «sei in forma per la tua età, ma non sei certo una coniglietta di Playboy. Va' a vestirti, e andiamocene da questa gabbia di matti. Non hai il fisico per andartene in giro con una tenuta simile, in questo periodo dell'anno, e pensa cosa succederà alla tua artrite se ti becchi un raffreddore!» La vide esitare, ma poi, d'un tratto, Dana comparve al suo fianco con il viso deformato da un'espressione irriconoscibile e gli occhi luccicanti di collera. Fece un gesto e due uomini, individui robusti con spalle muscolose e pance prominenti, gli corsero incontro e lo presero a calci nelle costole. Si buttò giù proteggendosi la pancia con braccia e gambe, assumendo la forma di una palla - anche dei piedi nudi possono fare parecchi danni - ma udì il grido di rabbia e dolore di sua madre. «Imbavagliatelo», ordinò inesorabilmente Mansell. Due forme si chinarono su di lui. Gli venne infilato e stretto uno straccio tra i denti. Jamie, che si sentiva soffocare, cercò di non vomitare e sentì che il bavaglio gli spingeva indietro la lingua. Concentrò tutte le energie nel tentativo disperato di respirare. Sentì che stava per perdere conoscenza, e un velo nero gli calò sugli occhi. «Ecco la caserma dei pompieri», annunciò Claire. «Dev'essere da queste parti. Dove cerchiamo? Tutti questi edifici si assomigliano talmente...» «Cercate una luce soffusa in una finestra», spiegò MacLaren, che rallentò per procedere a passo d'uomo. «Se sono simili ai gruppi che ho conosciuto finora avranno bisogno del fuoco in una delle sue forme - torce, candele - e la luce delle candele e quella elettrica sono facili da distinguere anche a distanza. Questo posto è così solitario che potrebbero farci qualsiasi cosa... ah!» esclamò d'un tratto. «Guardate!» Nel punto indicato Barbara vide solo una limousine. Claire seguì il suo
dito puntato e cominciò: «Non capisco cosa...» «Una limousine, parcheggiata. Sentite, questa è una zona commerciale. Non c'è nessuno, qui, a parte le guardie notturne, e secondo voi guidano delle limousine? E là, una Mercedes. Anche le mense degli operai sono chiuse, a quest'ora, e non ci sono bar, quindi non può trattarsi di ricchi che bazzicano nei locali della zona. Siamo sulla pista giusta. Claire, guida tu. Devo prendere la valigetta.» Claire prese il suo posto; MacLaren scese dal veicolo, corse verso la parte posteriore del furgoncino ed entrò. La sagoma di Mansell si stagliò contro la luce tenue. Oltre alla torcia portava delle candele accese che dispose in un triangolo. Uno degli uomini, zoppicante e sgraziato, sollevò un turibolo e iniziò a camminare intorno alla stanza in senso antiorario, intonando dei versi che parevano in latino. Jamie si sentiva soffocare, e il suono rantolante dei suoi respiri pareva più forte del canto sommesso. Claire prese il volante, ma il suo viso venne deformato da una smorfia. Trasse un lungo respiro sofferente. «Colin», esclamò, «Colin!» «Eccomi, sono qui». Dal vano posteriore fece capolino sporgendosi verso il sedile. «Sì, lo sento anch'io, ma per favore, non svenirmi qui.» «È orribile, orribile, orribile...» Stava quasi delirando. Claire venne colta da una nausea profonda e chiuse gli occhi; aveva l'impressione che il veicolo oscillasse. Colin stava armeggiando nella parte buia del furgone, dietro i sedili. «Mi sto cambiando. Ci serve qualcosa: ecco qui le candele benedette. Claire! Non provarci neanche, a svenire! Devi guidarmi tu per l'ultimo tratto!» Ma Claire, afflosciata sul sedile, non gli rispose, e boccheggiava. «Barbara, puoi guidare tu?» domandò allora. «Sì.» «Sposta Claire sull'altro sedile, e parcheggia lungo il marciapiede. Non troppo vicino all'idrante.» Barbara obbedì, trasferendo il corpo ormai svenuto di Claire. Com'era possibile che Claire li abbandonasse proprio ora? Sembrava tanto forte... «Abbiamo tutti i nostri punti di forza e le nostre debolezze», dichiarò MacLaren. «È il prezzo che paga Claire per essere una sensitiva.» Barbara parcheggiò il furgoncino e spense il motore, incontrando qualche difficoltà con la frizione e il cambio, abituata com'era alle auto automatiche. MacLaren posò una mano sul braccio di Claire. «Brava, la mia ragazza. Andiamo,
allora. Trovami l'edificio giusto...» Il canto monotono e il fumo acre dell'incenso stavano cominciando ad avere effetto sulla mente di Jamie. Gli pareva che un alone grigio circondasse le figure che mormoravano e camminavano in tondo, producendo così un cerchio infuocato e attraversato da riflessi rossastri di foschia. Il cerchio si modellò, facendosi più concreto, in colore e forma, a ogni giro. Al suo centro il grande altare nero brillava alla luce delle candele, che emanavano un fumo denso e un odore sgradevole. Mansell levò le braccia e cominciò a cantare. «Kyrie eleison, Sathanas eleison, Eloi Sabaoth, Eloi Sabaoth, Eloi Sabaoth...» Jamie si sentì pervadere dall'odore dell'incenso drogato e del fumo, che gli davano le vertigini. La nenia continuava. Ribellati Jamie! Resisti! Non ascoltare! Non lasciarti stregare! Prega, se ci riesci! Altrimenti pensa a qualcosa d'altro, qualsiasi cosa... Jamie tentò di aggrapparsi a ciò che gli restava della propria sanità mentale e, ricordando una vecchia storia letta da bambino, cominciò a ripetersi mentalmente... la tabellina delle moltiplicazioni! Non riusciva a emettere neanche un suono ma, cercando di bloccare la mente contro gli odori e i suoni da capogiro, ripeté mentalmente: «Quattro per cinque venti, quattro per sei ventiquattro, quattro per sette ventotto, quattro per otto...» «Ecco.» Claire si spostò d'un tratto e vomitò violentemente. «Questa», sussurrò. «Questa porta? Sei sicura?» «No...» mormorò Claire sofferente. «Non sono sicura... È una di queste...» Un camion dei pompieri li superò a sirene spiegate, e Barbara, che rabbrividiva per il vento ghiacciato e per il gelo che si sentiva dentro, avvertì, più che vedere, le occhiate perplesse che venivano loro rivolte. Colin, che indossava ora una leggera tunica col cappuccio, le ricordava un «guru hippy» visto in televisione. Claire barcollava come un'ubriaca. «Spero che i vigili del fuoco non pensino che intendiamo bruciare qualcosa con queste candele!» «Zitta!» le ingiunse Colin. «Lasciala concentrare. Claire. Claire! Non abbandonarmi proprio adesso!» Il corpo di Dana, bianco, lucente e senza indumenti si alzò alla luce delle
candele. Teneva in mano due pugnali incrociati e aveva gli occhi di un gatto, che brillavano nel buio. Il canto aumentò di volume, incessante, monotono, come una goccia d'acqua sulla pietra. «Baal, Sin, Ashtoreth, Ahazrael, Adonai, Adonai, Adonai, Adonai...» «Dodici per undici centotrentuno, dodici per dodici centoquarantadue... no, centoquarantaquattro, e dodici per tredici... al diavolo!, uno per uno uno, uno per due due...» «Zazay, Salmay, Dalmay, Ledrion, Amisor, Or! Angeli delle Tenebre, aiutateci! Grandi demoni dell'oscurità, siate presenti e conferite a queste creature della Terra le virtù...» «Otto per otto sessantaquattro, otto per nove settantadue, otto per dieci...» «È questa», esclamò davanti a una porta Barbara, bianca come un lenzuolo. «Ne sei sicura, Barbara?» le chiese Colin sorpreso. La donna toccò la maniglia della porta, ma tolse subito la mano come se si fosse scottata. Doveva essere anche lei una sensitiva, pensò MacLaren. Colin provò la maniglia, ma era chiusa a chiave. Gettò il lungo involto tra le mani di Claire e sollevò la tunica per frugarsi nella tasca dei pantaloni. Ne estrasse un mazzo di passe-partout e un lungo grimaldello. Istruì la sua assistente: «Con quel fagotto non toccare per terra o le scale. Devo ringraziare i Signori del Karma per tutti i segreti che ho imparato con il passare del tempo». «Finiremo tutti in galera per scasso?» chiese Barbara. «Io forse sì, ma tu no. Dubito che succederà, dopo quello che troveremo lì dentro», replicò Colin che si mise a provare una chiave dopo l'altra nella serratura. Lo spogliarono senza nessuna delicatezza, facendolo rotolare a destra e a sinistra. La tabella delle moltiplicazioni svanì con quel trattamento brutale. Una delle donne, che non era sua madre né Dana, immerse un fascio di ramoscelli in una ciotola contenente un liquido e gli spruzzò addosso delle gocce di una sostanza puzzolente e fastidiosamente appiccicosa. «Aspergo, aspergo, aspergo...» «Maledetta serratura!» imprecò Colin, che aveva il viso teso e concentrato alla luce dell'unico lampione. Armeggiò delicatamente, girando la
chiave, con le dita che si muovevano come di loro iniziativa. «Difficile, per un intruso rispettabile come me... ecco!» La porta si aprì verso l'interno e si trovarono davanti un locale quadrato, immerso nell'oscurità, una rampa di scale sporche e polverose, che puzzavano di sudiciume e di urina di gatto e che portavano al piano superiore. «Dammi, Claire, lo prendo io... Che puzza! Certo questo posto è stato usato per qualcosa, questo è sicuro...» Barbara avanzò nel buio, sentendosi chiudere la gola. Davanti a lei, Claire e MacLaren si erano ridotti a due sagome che salivano rapidamente. Si chiuse meglio il giaccone con una mano, strinse la candela con l'altra e si affrettò a seguirli. Jamie provò a muoversi nell'oscurità e si accorse che le forze gli tornavano. La spossatezza insostenibile di poco prima si era dissolta. Respirava a fatica a causa del bavaglio, ma poteva muoversi, e se solo il canto si fosse interrotto, permettendogli di pensare... Gli stavano ancora girando intorno in quel magico alone luminoso, e gli spruzzavano addosso qualcosa, mormorando. Raccolse le forze, preparandosi a compiere uno sforzo improvviso. Se avesse potuto afferrare Mansell, spegnergli quella torcia e interrompere la cerimonia, quella banda di matti, drogati ed esaltati com'erano, probabilmente non sarebbe riuscita ad avere la meglio su di lui. Non avrebbe cercato di combattere, del resto: intendeva solo fuggire, arrivare a una scala antincendio, se possibile, rompere una finestra e gridare aiuto. Dal suono delle sirene immaginava che ci fosse una stazione di polizia o di vigili del fuoco nei paraggi... insomma, qualunque cosa pur di arrestare quella cerimonia. «Zazay, Salmay, Dalmay... siate presenti... creature dell'aria, creature della terra, creature del fuoco...» Jamie si preparò a compiere un balzo. Aspetta, Jamie. Non adesso. Non ancora. Lascia che vadano avanti ancora un po'... Si lasciò ricadere, rilassandosi, e si mise ad aspettare il momento opportuno raccogliendo le forze. MacLaren si fermò sul pianerottolo del quarto piano. Prese da Claire l'involto e ne scostò i lembi, poi chiese con un gesto a Barbara di consegnare a Claire la candela. Disse in tutta semplicità: «Dovete capire che potrebbero cercare di ucciderci. Be'...» Si fece il segno della croce e sussurrò: «Nelle tue mani, mio Signore, affido il mio spirito».
Si gettò con tutto il peso contro la porta, che si spalancò di colpo. Barbara ebbe il tempo di distinguere un alone fumoso, udì una nenia e lo seguì dentro, con il cuore che le martellava in petto... Jamie si girò, vide la porta spalancarsi e una figura alta, circondata da un alone azzurrognolo, che entrava nella stanza e si dirigeva senza esitazioni verso il cerchio magico che pulsava di luce rossa. Sollevò una spada che brillava di luce blu dalla punta all'impugnatura, e fece il gesto di tagliare qualcosa. «In nome di Dio! In nome dei Signori del Karma e delle forze della Natura! In nome di Dio Padre, della Natura Madre e dei Fratelli Uomini, disperdo le vostre forze!» Il cerchio di fumo palpabile si ruppe, disperdendosi come frammenti di nebbia. Le sagome nude urlarono, imprecarono e si volsero verso l'intruso, che si ergeva imponente, con le braccia aperte a croce, e sembrava irradiare forza ed energia. Attraversò a piedi il circolo magico dirigendosi all'altare, gli si buttò contro rovesciandolo, e spense le candele schiacciandole con il piede. «Disprezzo l'impurità dell'Abisso. Disprezzo coloro che insudiciano ciò che Dio ha riservato all'uso dell'uomo!» Scalciò via il braciere dell'incenso, lo calpestò e lo cosparse di sabbia. Barbara corse tra quelle figure urlanti e boccheggianti - tornate a essere uomini e donne drogati, nudi e gementi - e si precipitò da Jamie, strappandogli il bavaglio dalla bocca. Lui si inginocchiò e l'abbracciò convulsamente. «Colin, attento!» urlò Claire. «Ha un coltello!» Mansell corse verso Colin piegato in avanti con le mani protese, che stringevano un coltello, pronto a uccidere. MacLaren sferrò un calcio, una mossa da esperto conoscitore di arti marziali. Il coltello volò lontano, ma il piede di MacLaren colpì il mento dell'ex sacerdote. Si udì un terribile scricchiolio di ossa fratturate e l'uomo corpulento cadde al suolo senza vita. «Accendete, per favore», disse MacLaren, con calma, «se c'è qualcuno ancora abbastanza sano di mente per farlo.» Nessuno si mosse. Gli uomini e le donne senza indumenti avevano uno sguardo vacuo e si limitavano a gemere e a sospirare. La madre di Jamie era acquattata come un rospo, e frugava con le dita tra i resti dell'incenso mormorando. Claire tornò nell'ingresso, cercando a tentoni l'interruttore.
Le luci si accesero, rivelando gli adoratori di Satana in tutto il loro squallore. Nessuno cambiò posizione. «Tutto bene, Melford?» chiese MacLaren. «Barbara, tu che sei vestita e non sei ferita, va' alla caserma dei pompieri e chiama la polizia. Temo proprio che abbiamo un morto.» Si inginocchiò accanto al corpo senza vita di padre Mansell. «Povero diavolo», disse con voce triste, «peccato che non sia riuscito a pentirsi.» Gli chiuse gli occhi e si mise a sussurrare qualcosa. Jamie colse qualche brano del suo discorso: «... mio Dio, mi dispiace di averti offeso... fare penitenza... ritornare sulla retta via...» «Non sapevo che fosse cattolico», farfugliò Melford. Gli occhi azzurri di MacLaren lampeggiarono furenti. «Non lo sono. Ma lui lo era, e credo che la pietà di Dio non abbia limiti.» Udì i passi di Barbara sulle scale. Corse dentro ansimante e annunciò: «La polizia sta arrivando. Oh, Claire! Aiutami!» Corse da Dana, che era inginocchiata nuda davanti all'altare rovesciato, si tolse il giaccone e glielo appoggiò sulle spalle. Dana si rivolse a lei balbettando in modo incoerente. Aveva gli occhi inespressivi e un filo di saliva le scendeva sul mento. Jamie si alzò e lentamente, sentendosi mancare, si avvicinò a sua madre. Era ancora accovacciata e passava le dita tra le ceneri mormorando tra sé. Aveva uno sguardo vacuo. Jamie le si rivolse dolcemente: «Mamma, mamma, andiamo, vieni con me, sono Jamie. Vado a cercarti dei vestiti. Mamma, non è bene che te ne stia qui così...» «Jamie?» balbettò. «Non fare male a Jamie.» «Non mi hanno fatto niente, mamma. Guarda, sto bene. Andiamo, lascia che...» «Non Jamie», sussurrò, e lo sguardo le si fece vago. Jamie si rivolse a MacLaren perplesso. «Cosa è successo a lei e agli altri?» «Solo Dio lo sa», rispose Colin. «La droga, naturalmente, ma non bisogna dimenticare la gran parte della loro mente - e della loro anima - che hanno investito in questa... sporca faccenda.» Passò in rassegna il circolo di uomini e donne nudi, tutti con lo sguardo fisso e vuoto. Erano, osservò Jamie, nove, quattro donne oltre sua madre e Dana, e tre uomini. «Quando abbiamo interrotto la cerimonia sono rimasti sotto shock. Temo che un reparto psichiatrico sia l'unica soluzione, in ogni caso per il momento. Dovrai testimoniare sul fatto che Mansell mi ha aggredito con un coltello», disse MacLaren. In quel momento si udì una sirena e lo stridio di freni, e il pesante suono dei passi dei poliziotti che rimbombavano lungo le scale.
Il sole stava sorgendo quando MacLaren fermò il camioncino davanti all'appartamento dei Melford. Claire dormiva sul sedile, pallida ed esausta ma serena; anche MacLaren aveva i lineamenti tirati e appariva stanco, ma strinse con forza la mano di Jamie. «Passerò in ufficio tra un giorno o due per dare un'occhiata al manoscritto di Cannon», disse. «È possibile avvisare il pubblico su questi pericoli senza mettere in mano "pistole cariche" a degli squilibrati.» Jamie annuì. «Mi hai convinto.» «Spero di avere fatto di voi due qualcosa di più che dei credenti», esclamò MacLaren, allungando l'altra mano verso Barbara. «Tua moglie è una sensitiva, e tu... be', hai avuto il battesimo del fuoco. Gente come voi ci serve. Oh, sì», ripeté, vedendo la sorpresa dipinta sui loro volti, «la battaglia è finita ma la guerra continua; abbiamo cominciato a combatterla fin da quando i templi di Atlantide ci sono sfuggiti e i sacerdoti adoratori di Satana hanno sottratto i segreti del potere. Continuerà anche dopo che voi e io saremo diventati cenere... ma ci darete una mano, vero?» Gli strinsero entrambi la mano: era una promessa solenne. «Se ci insegni tu. Dedicheremo entrambi la nostra vita - la vita che ti dobbiamo - a questa causa.» «È una buona missione», spiegò con voce seria. «È la confraternita più antica del mondo, il bene contro il male. È la missione che si erano assegnate le chiese prima di essere sviate dai giochi di potere e dall'errore di scambiare dei costumi locali per leggi morali rigide e immutabili. Comunque... avrò il tempo di insegnarvi tutto ciò al momento opportuno. Spero che tua madre si riprenderà, Jamie, ma non ci conto troppo. E infine» - sorrise, pronunciando quella specie di benedizione - «buon Natale!» «Come?» disse Barbara esterrefatta. «Ha ragione! Buon Natale!» L'auto si allontanò, e Jamie e Barbara, mano nella mano, salirono le scale verso il loro appartamento. Colin MacLaren partì lentamente, sorridendo con aria assente a Claire addormentata. Colin. Jock. Sospettavo che fossi qui. Non avevano nessun potere su di te, ma non ce l'avrei fatta se non avessi fatto forza a Jamie. Adesso posso riposare. Ho terminato il mio lavoro. Signore, permetti al tuo servitore di riposare in pace. Colin sorrise, ma aveva gli occhi pieni di lacrime.
Adesso lo sai. Va' in pace, Jock... fino alla prossima vita. Riposa in pace... fratello. Ingranò la marcia e si allontanò lentamente. FINE