JONATHAN STAGGE E I CANI ABBAIANO... (Dogs Do Bark, 1936) Personaggi principali HUGUES WESTLAKE medico di Kenmore DAWN W...
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JONATHAN STAGGE E I CANI ABBAIANO... (Dogs Do Bark, 1936) Personaggi principali HUGUES WESTLAKE medico di Kenmore DAWN WESTLAKE figlia di Hugues COBB ispettore della polizia di Grovestown FRANCIS FAULKNER presidente del Club di caccia CLARA FAULKNER CONRAD moglie di Francis TOMMY TRAVERS gentleman inglese HELEN TRAVERS moglie di Tommy CYRIL HOWELL signorotto di campagna LOUELLA (ZIA LULÙ) HOWELL moglie di Cyril ROSEMARY STEWART nipote di Cyril ELIAS GRIMSHAWE proprietario terriero WALTER E ANNE GRIMSHAWE figli di Elias ADOLF BERG fattore SUSAN LEONARD infermiera 1 Le finestre della mia stanza davano sul giardino. Per questo riuscii a udire bene, e la mia impressione di quanto accadeva a Kenmore mi parve così confusa. Sveglio a metà, e ancora intontito dal sonno, ascoltavo senza rendermi conto di nulla. La stanza era immersa nel buio, e un inspiegabile suono sembrava provenire da quella stessa oscurità; una voce leggera e gentile cantava una specie di nenia: Ascolta, ascolta la muta che ulula, gli accattoni arrivano in città... Quell'innocente canzone infantile non avrebbe dovuto sorprendermi. Avrei dovuto riconoscere la tenera voce di mia figlia, una bimba di dieci anni. La sua stanza era attigua alla mia e, sebbene fosse quasi mezzanotte, niente di strano che Dawn non dormisse ancora. Ma, ripeto, ero stanco e
ancora immerso nei sogni. La giornata di un medico di campagna può essere massacrante, soprattutto d'inverno. Ancora una volta, percepii la voce fievole ed esitante. Alla fine, le idee mi si schiarirono e mi ricordai delle mie responsabilità paterne. Saltai giù dal letto e mi precipitai nella camera di mia figlia, deciso a sgridarla. Ma non la sgridai. Non aprii neanche bocca. La stranezza del quadro che mi si parò dinanzi mi fece ammutolire. Evidentemente, Dawn non si era accorta della mia presenza, perché era immobile, davanti alla finestra spalancata. Potevo distinguere la sua figurina in pigiama e la massa disordinata dei capelli. Scorsi anche le orecchie del coniglietto che teneva abbracciato. La sua voce modulava con dolcezza il motivo della canzoncina: Ascolta, ascolta i cani che abbaiano... Ed ecco che, tendendo l'orecchio, udii anch'io i cani della muta di Kenmore. Lontano, ma chiarissimo, il loro abbaiare giungeva fino a noi con le folate del vento di novembre. Restai sorpreso. Avevo già udito ululare la muta alla luna, ma quella notte il cielo era coperto, e gli ululati risuonavano diversi dal solito: assomigliavano a quelli delle belve. Accesi la luce. Dawn si voltò di scatto e mi fissò con i suoi occhi a mandorla, che esprimevano al tempo stesso soggezione e sdegno. Ogni suo lineamento era identico a quello della madre. Anche per questo non riuscivo a persuadermi che Paola fosse morta da cinque anni. «Be', mia cara, sapresti spiegarmi il significato di questa serenata?» domandai, serissimo. Dawn adagiò con cura materna la bestiola sul letto, poi rispose distratta: «Oh, cantavo semplicemente!» «Senza nessuna pietà per un vecchio padre che tenta di passare la notte in santa pace.» «Ma tu non sei vecchio come dici» ribatté mia figlia, fissandomi con una solennità che mi metteva fuori combattimento. «O, almeno, non lo dimostri.» «In ogni modo, lo sono abbastanza per farmi rispettare» risposi, a mia volta. «E, come medico, ti assicuro che così, scalza e davanti alla finestra, rischi una polmonite.» «Ascoltavo i cani, papà!» Era seduta sul letto e aveva un'espressione
mortificata. «Ecco perché cantavo: i cani abbaiano in modo strano, stasera, e non volevo che il coniglietto si spaventasse.» I legami che univano Dawn a quell'animale erano troppo misteriosi per poterne parlare e, soprattutto, per criticarli. Stavo per battere in ritirata, quando il telefono, al pianterreno, si mise a squillare. «Dawn!» la richiamai, facendo la voce grossa. Mia figlia mi guardò con aria offesa e risentita. Poi scoppiò in una risata, e infine disse: «Sarebbe questa la tua notte in santa pace?» Corsi dabbasso senza proferir parola. Appena alzai la cornetta, la voce petulante della signora Louella Howell mi forò i timpani. «Il dottor Westlake? Avrebbe la cortesia di correre qui? È accaduta una cosa terribile e non riesco a chiudere occhio.» Risposi che sarei andato immediatamente. Louella Howell era la mia cliente più ricca, ma anche la più seccante. Tutto quello che le accadeva era sempre "terribile". Inoltre, le malattie più spaventose la coglievano sempre nel cuor della notte. Naturalmente, non aveva mai nulla di grave. Il suo male era una perpetua nevrastenia, causata dalla curiosità morbosa per la vita privata dei vicini. Circa venticinque anni prima, la signora Howell era stata una donna bella, molto corteggiata. Ora non lo era più, e non voleva rassegnarsi. Come suo medico curante, il mio compito consisteva, soprattutto, nel calmarle i nervi. Quella notte, prima di decidere se andare o no, riflettei un attimo, poi il dovere professionale ebbe la meglio sulla stanchezza. In fin dei conti, quella settimana Louella Howell aveva avuto davvero un leggero attacco influenzale, e ora stava terminando la sua convalescenza, grazie alle cure di un'infermiera diplomata. In linea di massima, poteva anche essere che qualcosa non funzionasse a dovere. Mi vestii alla meglio e, prima di uscire, ordinai a Dawn di dormire. Poi mi avviai verso il garage per prendere il mio macinino. Nell'avviare il motore, udii ancora abbaiare i cani del Club di Caccia di Kenmore. Ma in una notte così fredda avevo da pensare ad altro che ai cani. Quando arrivai a casa Howell, ero di pessimo umore. Ma non appena Rosemary Stewart venne ad aprirmi, la mia collera svanì come per incanto. Avvolta in una veste da camera blu, la nipote della signora Howell era più affascinante del solito. C'era un non so che di speciale nei suoi occhioni grigi e nei suoi riccioli neri. Ai bei tempi, mia moglie diceva spesso che, se mi fossi innamorato di nuovo, avrei dato la preferenza a una bruna con gli
occhi chiari, il viso angelico, e provetta cavallerizza. Povera Paola! Conosceva ogni mia debolezza. Senza saperlo, descriveva la fisionomia di Rosemary Stewart, che trascorreva l'inverno a casa della zia Louella e dello zio Cyril. Certo, non era una prospettiva allettante, ma ciò che trascinava la ragazza a Kenmore era la sua grande passione per i cavalli e la caccia. Io credo che il nostro Club di Caccia fosse l'arma con cui Rosemary combatteva una zia nevrastenica e uno zio succube della moglie. «Mi rincresce davvero che si sia dovuto alzare in piena notte, alla vigilia d'una giornata di caccia, dottor Westlake» disse la ragazza, richiudendo la porta. «Non credo che zia Lulù abbia nulla di grave.» Rosemary aveva ragione. Entrato nella stanza della paziente, vidi zia Lulù che sedeva, sul letto, adagiata tra i guanciali. Indossava un pigiama di seta color rosso vivo, un po' troppo giovanile per una donna della sua età e poco adatto a un'ammalata così grave. Dal suo sguardo, capii che aveva voluto sacrificare il mio sonno solo perché aveva voglia di chiacchierare con me tutta la notte. Non feci in tempo a varcare la soglia, che fui travolto da una valanga di parole. La signora Howell voleva mettermi al corrente della "terribile cosa che le era accaduta". Questa volta, si trattava della nuova infermiera diplomata che le avevo mandato: Susan Leonard. Quella ragazza non aveva la più pallida idea di cosa fossero le buone maniere. In principio, era parsa calma, gentile, e addirittura pia. Infatti, ogni mattina, percorreva un lungo tratto a piedi per andare alla chiesa di Ploversville. Ma le acque chete rompono i ponti! I capelli troppo biondi di zia Lulù confermavano in pieno questo profondo pensiero sulla vita. Insomma, quella stessa mattina Louella aveva sorpreso l'infermiera intenta a sedurre Cyril. Dovevo crederle? Cyril Howell era un uomo grasso e placido, che non si era mai occupato d'altro che di cavalli e della muta di Kenmore. Ma, da qualche anno, il poveraccio era giudicato dalla moglie nevrastenica un nuovo Casanova. Mentre la donna finiva di sfogarsi, io mi diedi alla contemplazione del bel profilo di Rosemary. «Sì» esclamò zia Lulù, la cui indignazione aveva raggiunto il culmine, segno evidente di buona salute. «Posso dire di averli colti in flagrante. Naturalmente, ho messo subito la signorina Leonard alla porta. Mi spiego? Subito!» Di colpo, ricordò che era ammalata: con una mano sull'abbondante seno, emise un gemito. «È stato un colpo terribile, dottore. Sono sicura che mi provocherà un nuovo attacco.» Preso lo stetoscopio, auscultai alcuni punti sul pigiama rosso. Come pre-
vedevo, il suo cuore poteva far concorrenza a quello di un toro di Elias Grimshawe. Le diedi alcuni consigli e tentai di congedarmi. Ma la sfortuna mi perseguitava. Mentre visitavo zia Lulù, Rosemary aveva attraversato la stanza e aperto le finestre. Gli ululati dei cani di Kenmore riecheggiavano in lontananza. La signora Howell si tappò le orecchie e rabbrividì. «Dottore, sente i cani che abbaiano? È un segno di morte.» «Andiamo» la interruppi, brusco «non avrà simili fissazioni morbose, spero.» Ma bisognava prenderla com'era. Adesso aveva deciso di recitare la parte di Cassandra. «La morte...» ripeté, imperterrita, e la sua voce risonò sorda e profonda come gli ululati della muta. «In questi giorni ho uno strano presentimento, dottor Westlake. Il presentimento che qualcuno di Kenmore debba morire.» Ascoltavo distrattamente, perché pensavo che quella visita le sarebbe costata il doppio. «E se qualcuno morirà davvero» continuò «posso già indovinare chi sarà: Anne Grimshawe.» «Dice davvero?» risposi, impaziente. «Quella ragazza attira le disgrazie, dottor Westlake. Non dimentichi ciò che le dico. E non penso affatto al fattore scandinavo, Berg. No di certo. Tutti gli uomini di Kenmore la sanno più lunga di lui, su Anne Grimshawe.» Avrei dovuto aspettarmelo. Ogni volta che si discorreva, zia Lulù finiva col portare l'argomento su Anne. Era la figlia di Elias Grimshawe, il fittavolo più ricco e più puritano del paese. Anne, invece, conduceva una vita piuttosto libera, e piaceva molto ai cacciatori di volpi di Kenmore. «In un primo tempo» riprese Louella Howell «fu Francis Faulkner... No, è inutile che cerchi di interrompermi, Rosemary. Li hanno visti passeggiare in campagna a tutte le ore del giorno e della notte. Poi, è stata la volta di Tommy Travers, quel bell'uomo distinto, e così premuroso verso la moglie paralitica. Né si può dire che sia caduto in una trappola. Se le raccontassi tutto quello che so, rimarrebbe di stucco.» Così dicendo, prese da una scatola una grossa zolletta di zucchero; poi, ricordandosi dello stato in cui avrebbe dovuto trovarsi, la rimise precipitosamente dove l'aveva presa. «Non lascerei mai mio marito da solo con quella ragazza. Dicono che sia molto carina durante le partite di caccia... e
che sorrida molto.» Si sporse in avanti, mettendo a dura prova la stoffa attillata del pigiama rosso. «Presto o tardi, ad Anne Grimshawe accadrà qualcosa... se non le è già accaduto.» Parlava con un sorriso pieno di mistero. «Proprio stamattina, la cuoca mi ha detto che non si vede in paese da parecchi giorni. Ho sempre pensato che era la classica ragazza che a un bel momento scompare e nessuno la vede più.» Il mio sguardo incontrò quello di Rosemary. Lei sorrise con tristezza. Mi rendevo conto che pagava caro il suo soggiorno a Kenmore, il permesso di partecipare alle partite di caccia e la parte di eredità che le avrebbe lasciato zia Lulù. «Zia» protestò lei, con dolcezza «ti affatichi. E non è giusto rubare il sonno al dottor Westlake solo per parlargli dei Grimshawe.» «È vero, hai ragione, Rosemary. Anche se tu non chiedi di meglio che rimanere sveglia tutta la notte per sentirmi parlare dei Grimshawe.» Gli occhietti rotondi della signora Howell lanciarono uno sguardo ironico alla nipote. «Dalla bocca di Rosemary, dottore, non sentirà altro se non che Anne Grimshawe è un angelo con tanto di aureola... per il semplice fatto che Rosemary ha messo gli occhi su suo fratello, Walter Grimshawe.» «Zia Lulù!» «Walter Grimshawe!» Louella pronunciava il nome con evidente compiacimento, a dispetto della nipote. «Conosco fin troppo bene i rapporti che corrono fra te e Walter, Rosemary. È inutile che tenti di difenderti. Però, sei ancora in tempo a seguire il consiglio che sto per darti.» La voce le era diventata sarcastica. «Sono soltanto tua zia, ma voi, voi giovani, credete di sapere tutto. Questo Walter Grimshawe non vale certo più di sua sorella, e tutto quel che fa, lo fa per interesse. Sa che sono stata molto malata e spera che ti lasci una forte eredità.» «È ridicolo» ribatté Rosemary. «Come puoi pensare cose tanto sciocche?» Personalmente, ne avevo già abbastanza di quella visita. Feci prendere due aspirine a zia Lulù, le assicurai che l'indomani le avrei mandato un'infermiera più decorosa, e mi congedai. Rosemary mi accompagnò alla porta. Nel vestibolo ruppi il silenzio. «Buona notte.» La mia voce aveva un tono paterno. Ogni volta, il sorriso dolce e fresco di Rosemary mi ricordava che galoppavo verso la quarantina. «Non si preoccupi per sua zia. Non ha niente di grave... Ci vedremo domani a caccia.»
«Buona notte, dottore. E grazie.» Mi fissò per un istante. «E, soprattutto, non creda alle stupidaggini di mia zia a proposito di Walter Grimshawe.» «Mia cara, ormai dovrebbe aver capito che da dieci anni non credo più a una sola parola di quello che dice sua zia.» Sorrisi di nuovo, sebbene su un punto fossi d'accordo con la signora Howell. Avrei preferito che Walter Grimshawe emigrasse altrove. Non saprei dirvi che cosa mi spinse, tornando a casa, a passare davanti al Club di Caccia. Forse, le prediche di zia Lulù, o l'inquietudine che aveva manifestato mia figlia, o forse il disagio che mi aveva colto quando mi era giunta all'orecchio la voce di Dawn. Comunque, una cosa è certa: per quanto dovessi allungare il percorso di un chilometro circa, decisi di passare davanti al Club. I cani avevano smesso di abbaiare, ma si avvertiva ugualmente la loro presenza. Alla luce dei fari, scorsi il bianco del recinto accanto al ciglio della strada e i cani che si muovevano come fantasmi in uno spazio troppo stretto. Pur non essendo grande, il Club di Caccia di Kenmore era, in America, uno dei più attivi e dei più vicini allo stile inglese. Di solito, a quell'ora, i cani dormivano nelle loro cucce. Quella notte, invece, erano più svegli che mai, e, al passaggio della mia auto, li sentii emettere sordi brontolii. Dio sa che non sono un tipo impressionabile, ma, dopo aver udito parlare tanto di cani, nel sentirli così agitati e nervosi rimasi turbato anch'io. Conoscevo quelle bestie come conoscevo la maggior parte dei miei pazienti, se non di più; ma quella notte i loro lamenti, così diversi dagli ululati furiosi di poco prima, non riuscivo proprio a capirli. Scesi dalla macchina e mi avviai, camminando sull'erba fredda, verso la staccionata. «Ehi, Nemrod» chiamai. Nemrod, il più fedele dei miei cani, era accucciato in un angolo. Invece di corrermi incontro come al solito, si limitò a voltare la testa dalla mia parte e a fissarmi con due occhi gelidi e cattivi. Pareva che lo disturbassi proprio nel bel mezzo d'un pasto. «Rollo! Rollo!» Ma anche Rollo era occupato, e mi mostrava solo la sua sagoma grigia e curva. Sentivo lo sbattere nervoso delle mandibole. Perplesso, seguii la staccionata fino al recinto delle cagne: anch'esse erano agitate. Fiutavano e raspavano febbrilmente il recinto che le divideva
dai maschi. "Devono aver acciuffato un coniglio" pensai, tornando verso la macchina. Ma la spiegazione non mi convinceva, avevo l'impressione che aleggiasse intorno a me un presagio di sventura. Nel tornare a casa sentii ancora, nell'aria fredda, gli ululati melanconici della muta. 2 Quando Dawn entrò in camera mia e mi obbligò ad alzarmi dal letto, mi parve di avere dormito solo pochi minuti. Non avevo ancora finito la doccia, che mia figlia era già pronta sul balcone, e sul tavolo c'erano le uova preparate da Rebecca, la nostra domestica. John, suo marito, che a volte faceva da giardiniere, a volte da uomo di scuderia, aveva già sellato il mio cavallo e il pony di mia figlia. Erano appena le sette quando Dawn e io ci avviammo al piccolo trotto verso il Club di Caccia. Il sabato era giorno di riunione, e questo significava per me un breve intervallo di riposo, e per Dawn "il gran giorno". Mia figlia aveva disertato le bambole per darsi alla caccia all'età, un po' troppo precoce, di dieci anni. Era, fra tutti i ragazzi che praticavano quello sport, la cavallerizza più entusiasta della regione. Le persone rispettabili scuotevano il capo e disapprovavano che la lasciassi partecipare alle battute di caccia; ma, per convincere quel diavolo di ragazzina a restare a casa, ci voleva un'autorità ben più forte della mia. Dawn aveva due aspirazioni prepotenti: diventare presidentessa del Club di Kenmore e vincere una coppa d'oro come quella del nostro amico e vicino di casa Francis Faulkner. Quando arrivammo, la maggior parte dei soci era già sul posto. Dawn si avvicinò, allegra, ai cani che i guardiani riuscivano a stento a frenare. Quando li vidi correre verso Dawn per farle festa, pensai a quanto ero stato sciocco, la notte, coi miei tristi presentimenti. E niente nei miei compagni sembrava giustificare i presentimenti di morte di zia Lulù. In nessun altro posto, pensavo, facendo il giro del campo al piccolo trotto, si sarebbe potuto trovare un gruppo di persone più normale e in migliori rapporti d'amicizia. Mi diressi subito verso i Faulkner che come al solito spiccavano tra la folla: Clara, la donna più ricca della contea di Colenso, e Francis, cavaliere di prim'ordine e presidente del Club. Sul suo imponente cavallo bianco, Clara sembrava più maestosa, più aristocratica e sì, più brutta che mai. Mi
ricordava una di quelle invincibili cacciatrici che si vedono sulle pagine di "Punch". Al contrario, Francis Faulkner, che montava l'impetuoso Sir Basil, era veramente un bell'uomo, e così giovane da sembrare figlio di sua moglie. Tre anni prima, il giorno del loro matrimonio, erano stati in molti a dire che l'unione tra il giovane e la donna divorziata e sulla quarantina, sarebbe stato senz'altro un fallimento. Invece, i due sembravano fatti l'uno per l'altro. Entrambi amavano i cavalli e provavano disprezzo per chiunque concepisse la vita senza la caccia. Nessuno sapeva con esattezza come si erano conosciuti. Si raccontava che Clara Conrad, morto il suo primo marito, un milionario, fosse partita alla ricerca del miglior cavallerizzo d'America e fosse tornata trionfante da San Francisco con Francis. Sebbene più giovane di quasi dodici anni, Francis aveva affrontato e risolto con garbo la situazione delicata in cui si era trovato, e si era dedicato all'amministrazione dei beni della moglie riuscendo a rendersi molto popolare in una regione ostile ai forestieri. Discutevamo di certe questioni riguardanti il Club, quando ci raggiunse al trotto Tommy Travers, l'unico altro forestiero del paese. Travers risiedeva in America da vent'anni, ma non aveva perso nulla della sua origine britannica. Come Francis, anche lui era stato adottato volentieri dal paese di Kenmore. Tutti gli riconoscevamo un'attiva partecipazione al Club di Caccia e un fedele attaccamento alla moglie americana paralizzata in seguito a una caduta da cavallo. «Bene» disse Faulkner «siamo pronti. Si potrebbe cominciare.» «Sì.» Gli occhi lucenti di Tommy Travers passarono in rivista la folla di cavalieri. «Bella riunione, oggi. Ci sono tutti, tranne Anne Grimshawe. Speriamo che suo padre non le abbia impedito di partecipare.» Al nome di Anne, mi venne una punta di curiosità. Percorsi con lo sguardo tutto il campo e notai che Travers aveva ragione. Era la prima volta che Anne mancava a una partita. Anne era una bella ragazza, con un viso simpatico, cui donava moltissimo il taglio slanciato del vestito da caccia, e in cuor mio godevo al pensiero che disubbidisse al padre. Ma le predizioni di zia Lulù mi lasciarono una sensazione sgradevole, quel giorno. Cominciavo a chiedermi, che cosa avesse impedito ad Anne di intervenire, e ancor più mi stupiva che Tommy fosse stato il primo ad accorgersi della sua mancanza. In quell'istante, Francis diede il segnale di partenza. Seguii la muta al piccolo trotto. Nell'aria fredda del mattino c'era una al-
legria insolita, effervescente. E anche se il gelo mi pungeva le orecchie, ero di buon umore. Procedevamo sulla sinistra, in direzione di Ploversville, quando un cavallo mi si avvicinò al galoppo e udii una voce dolce e giovanile chiamarmi: «Come sta il medico cacciatore, questa mattina?» Su uno dei migliori cavalli di suo zio, Rosemary sembrava Diana cacciatrice. «È guarita sua zia?» domandai, a corto di argomenti. «E lei, è riuscita a dormire quelle poche ore che rimanevano?» «Povera zia Lulù.» Rosemary fece una smorfia. «Stamattina ha fatto un'altra scenata, sempre a proposito di zio Cyril e dell'infermiera. Sono certa che non tarderà ad attribuire allo zio una relazione anche con Clara.» Così dicendo, indicò col frustino Cyril Howell e Clara Faulkner, che galoppavano vicini. Sorrisi. Che buffo accoppiamento: Cyril, grasso e calvo, e Clara, brutta e spigolosa. Avevamo appena superato una collina, oltre Ploversville, quando i cani fiutarono la volpe. I loro latrati nervosi lacerarono l'aria. «Bene, sono sulla pista giusta!» gridò Dawn, avvicinandosi a noi sul suo pony. «Al galoppo, papà. Al galoppo, Rosemary.» Si scostò e noi ci lanciammo all'inseguimento della volpe. Le tracce erano fresche. Nemrod guidava la muta, e tutti s'impegnavano a correre il più veloce possibile. Dawn e io, nella foga dell'inseguimento, staccammo prima Rosemary, poi Clara, che cavalcava come una vera amazzone, e infine Cyril, il quale, nonostante il suo peso, montava a cavallo quasi con leggerezza. Dawn volava. Sempre al gran galoppo, superammo muri di cinta e ostacoli, attraversammo boschi e campi, e avevamo quasi oltrepassato i confini di Ploversville, quando, a un tratto, i cani fecero dietrofront e tornarono verso Kenmore. La volpe aveva cambiato idea. Dawn e io quasi raggiungemmo la muta, alla quale tenevano dietro solo Francis Faulkner e Travers, entrambi eccellenti cavalieri. Tutti e quattro continuammo la corsa: Dawn faceva il possibile per tenersi all'incollatura del capo della muta. Ma Faulkner ci sopravanzava sempre di qualche metro: montava Sir Basil, e Sir Basil quel giorno era in vena di prodezze. Ogni volta che guardavo quella bestia, agile, nera, con la bocca schiumosa, rimanevo sorpreso di tanta bellezza: Sir Basil era il più bel cavallo della regione. In precedenza era appartenuto alla moglie di Tommy Travers. Era stato lui a farla cadere, tre anni prima, causandole la frattura della
colonna vertebrale e condannandola a una paralisi quasi totale. In un primo momento, quando vidi che, spaventato dal volo di una pernice, faceva un salto acrobatico, temetti una nuova disgrazia. Ma Francis, con superba maestria, non perse il sangue freddo. Avrei voluto sapere chi altro sarebbe stato capace di domare quella bestia. Da quando Clara l'aveva acquistato da Tommy Travers, Sir Basil e Francis erano diventati amici inseparabili. La muta si arrampicò su per una collina che conduceva al bosco. Dawn si lasciò sfuggire uno strillo. «Oh, papà, la volpe ci sta portando nelle tetre del signor Grimshawe. Quella non sa certo leggere i cartelli con scritto VIETATA LA CACCIA che il signor Grimshawe ha appeso.» «Ma se sa leggere, può darsi che trovi la cosa divertente» le risposi. Subito dopo l'orrore che Elias Grimshawe provava per il peccato e per il diavolo, veniva l'avversione per la caccia, i cacciatori e i danni che essi arrecavano alla sua proprietà. Era uno dei principali padroni terrieri della regione e, purtroppo, nutriva un odio implacabile per il Club di Caccia. Non solo sparava contro le volpi che passavano sulle sue terre, ma anche contro i cani. Intanto, la muta aveva attraversato il bosco e si dirigeva verso i prati, sulla sinistra, dandoci qualche speranza. Ma, purtroppo, Dawn aveva ragione. La volpe finì col rifugiarsi nelle terre per noi inviolabili di Elias Grimshawe. I battitori galoppavano in testa perché i cani cambiassero direzione. Francis frenò Sir Basil che controvoglia dovette fermarsi. Travers e io ci avvicinammo al capo della muta al piccolo trotto. Dawn ci raggiunse, trafelata. «Per oggi, la caccia è finita» borbottò Faulkner. «Maledetto lui e i suoi divieti di caccia. Vecchio ipocrita.» «Maledicilo e infischiatene di lui» fece Travers, con flemma britannica. «Non sarà certo un cartello di divieto a mandarci a monte la partita.» I suoi occhi, vivi come quelli di un giovane bracco, sprizzavano scintille. Sorrise a Francis, poi spronò il cavallo e partì al galoppo. Con un grido di gioia, mia figlia lo seguì. Ubbidendo all'impulso, abbandonai le redini e lasciai fare al mio cavallo, che scattò. Altrettanto fece Francis con Sir Basil. Il resto dei cacciatori si lanciò dietro di noi. Ben presto raggiungemmo i due fuggitivi. «Grimshawe protesterà certamente con lo sceriffo» gridò Francis. «Lasciatelo fare» gli risposi. «Lo sceriffo è mio cliente e amico.»
Raggiungemmo la cima della collina proprio mentre i cani si inoltravano nel bosco. I cavalli li seguirono. Sotto i loro zoccoli, i ramoscelli caduti sul terreno gelato crepitavano come colpi di pistola. Davanti, si udiva l'abbaiare furioso dei cani. Mi fu facile riconoscere Nemrod e Rollo. Galoppando nel bosco, scorsi un granaio semidiroccato, che un avo di Elias Grimshawe aveva fatto costruire proprio nel bel mezzo della macchia. Quel rudere mi rammentò che ci trovavamo nelle terre dei Grimshawe. Sir Basil galoppava a tempo di record. D'istinto, imboccò un sentiero indicandoci la strada da seguire in mezzo agli alberi. Se fosse stato un altro cavallo non avrei mai osato seguirlo, a quella velocità, su un percorso così accidentato. Arrivato al granaio, il cavallo ebbe una reazione inaspettata. S'impennò e Francis fu disarcionato. Evitai per miracolo di calpestarlo. Vedendolo a terra, balzai di sella e mi avvicinai, preoccupato. Ma, prima ancora che potessi intervenire, Francis si era già rimesso in piedi ed era rimontato a cavallo. «Cosa ti è saltato in mente, Basil?» La sua voce schioccò come una frusta. Poi mi sorrise per rassicurarmi e si diresse verso destra. «Ti sei fatto male?» gli gridai. «Niente di grave. Non è la prima volta che Sir Basil mi fa questo scherzo. Ma non riesco a capire cosa gli sia preso.» Più avanti, i cani abbaiavano. Ci precipitammo in quella direzione. A una ventina di metri si udì uno strano fruscio. Ed ecco una grossa volpe sbucare da un cespuglio e sparire come una saetta. «Va verso la tana» esclamò Francis, il cui viso esprimeva delusione e disapprovazione. Poi spronò ancor di più Sir Basil, tentando di tagliare la strada alla volpe. La bestia, accortasi dell'avvicinarsi di Sir Basil, fece un rapido dietrofront, ma, sulla destra, si trovò davanti a Rollo, seguito da Nemrod, Petrarca e Harkaway. Rimase un istante paralizzata dalla paura, poi descrisse una grande curva e scomparve tra l'erba. «Che disdetta!» Mi avvicinai alla muta che abbaiava. E allora accadde una cosa inaspettata. Dentro una buca scorsi un muso nero. Esitai: la volpe uscì, si fermò, poi tornò nella buca, e infine uscì di nuovo per gettarsi in mezzo alla muta. Un battitore l'afferrò. Gli ululati dei cani mi stordivano. Faulkner si av-
vicinò al galoppo. Ma io rimasi fermo: quella tana aveva attirato la mia attenzione. Smontai, legai il cavallo a un ramo e mi avvicinai. La tana della volpe era nascosta per metà dalle foglie: era vecchia e tra le più grandi che avessi mai visto. Mi chinai, spostai i rami e guardai nel buio: vidi qualcosa di strano. Guardai di nuovo, e questa volta mi sentii gelare il sangue. Mi voltai di scatto e mi trovai di fronte Rosemary Stewart. «Cosa succede?» domandò la giovane, con un sorriso. «Dawn» gridai. «La porti subito a casa. Non deve rimanere ancora qui.» Rosemary rimase interdetta. Non aveva alcuna idea di quello che stava succedendo. Ma poi risalì a cavallo e partì. Francis Faulkner si era avvicinato a me. Gli altri facevano cerchio, silenziosi e incuriositi. «Cosa c'è, Westlake?» domandò Francis. «Guarda lì» risposi, alzandomi e additando la tana. Francis si chinò. «Buon Dio!» Il suo volto era diventato grigio come il suolo gelato. Si avvicinò a Tommy, che era accanto a noi, a cavallo, e ordinò: «Vai a cercare una vanga, in fretta. Prova a vedere a casa di Berg. Fai presto.» Immediatamente, Travers girò il cavallo e galoppò veloce verso una casetta non molto lontana. Io mi voltai verso gli altri cacciatori, e soffermai lo sguardo su Cyril Howell, curvo e ansioso, e su Clara Faulkner, impettita e severa. Di lì a poco, ricomparve Tommy. Dietro di lui scorsi Adolf Berg, il fattore di Elias Grimshawe, che arrivava con la vanga. «Scavi là nella buca.» La voce con la quale Francis diede l'ordine risonò nell'aria come una fucilata. «Sarebbe meglio che le donne si allontanassero» osservai a voce bassa. Ma nessuno parve sentirmi. Dopo essersi rimboccato le maniche, il fattore si chinò sulla tana della volpe. Non parve né sorpreso né curioso. Zappava, come se niente fosse. Poco per volta, si andò formando dietro di lui un monticello di terra. Tutto a un tratto, Berg lasciò la vanga e si piegò leggermente in avanti per vedere meglio. Emise uno strano gemito, poi si accasciò al suolo. Nella tana c'era il corpo di una donna, mutilata della testa e delle braccia. 3
Gli avvenimenti si susseguivano con tale velocità, che io, ancora un po' intontito, stentavo a seguirli. Ricordo di avere detto alle donne di allontanarsi; e di avere pregato Tommy d'occuparsi di Berg, che non accennava a rianimarsi; e che Francis mi aiutò a estrarre dalla tana quel corpo massacrato. Il capo della muta era pallido. Io mi tolsi la giacca da caccia e coprii il cadavere. Tutt'a un tratto, un grido ruppe il silenzio. Un grido disperato, angoscioso... quasi umano, e d'altra parte d'una bestialità spaventosa. Seguì un attimo di parapiglia, mentre tutti si lasciarono prendere dal panico. Poi, si riudì il grido straziante. Mi voltai per guardare Sir Basil. Il cavallo aveva strappato le redini che lo legavano all'albero e, rinculando, puntava nel mezzo del gruppo di cacciatori, che si scostarono per lasciarlo passare. Faulkner fece per rincorrerlo, ma si era appena mosso che già il cavallo si era girato e scendeva la collina a tutta andatura, come se avesse il diavolo alle calcagna. Sir Basil, la creatura più sensibile e nervosa di Kenmore, era stato il primo a manifestare l'indignazione per il delitto che veniva a turbare la pace del paese. Scomparso il cavallo, tornò il silenzio. Francis, intanto, chiedeva che qualcuno seguisse Sir Basil. I battitori cercavano di riunire i cani, ancora intenti a sbranare il poco che rimaneva della volpe. Le voci e i suoni mi giungevano confusi, come nel sonno. Tommy Travers era chino su Berg, a pochi passi da me. Non appena si fosse riavuto volevo chiedere al fattore che cosa avesse causato quello svenimento proprio in lui, uno degli uomini più forti e coraggiosi di Kenmore. Ero ancora in piedi, vicino al cadavere coperto con la mia giacca, quando udii delle voci. Erano Elias e Walter Grimshawe, che si dirigevano a passo svelto verso di noi. Si fecero largo tra i cavalieri e si fermarono al centro del circolo, paonazzi di rabbia. I rozzi vestiti di campagna dei due stonavano accanto a quelli eleganti dei cacciatori. Elias era grande e grosso, con i capelli grigi e radi; Walter, invece, dritto e biondo, sembrava proprio il modello del padrone terriero moderno. Entrambi avevano negli occhi un'aria di sfida che non mi piaceva per niente. Il vecchio fermò lo sguardo su Clara, e con aria drammatica le puntò contro un dito. «Andatevene di qui. Andatevene. Voi, cani e cacciatori, mi devastate i campi. Non avete diritto di mettere piede qui. Li avrete ben vi-
sti, i cartelli.» Senza dubbio mi trovavo fra il cadavere ed Elias, perché sembrava non essersi accorto della situazione. Altrettanto dicasi di Walter, che si avvicinò a Tommy e gli disse, senza alzare la voce: «Fareste meglio ad andarvene. Non vogliamo gente come voi, qui. Lo sapete. In ogni modo, la caccia è finita. Che aspettate?» Ci fu un attimo di silenzio generale. Eravamo tutti abituati ai modi sgarbati di Elias Grimshawe, ma in quel momento nessuno sapeva come spiegargli la situazione. Finalmente Francis si decise a parlare. «Mi scusi» lo pregò, in tono secco «ma abbiamo fatto una scoperta spaventosa. È nostro dovere star qui fino all'arrivo della polizia.» Poi, come se la memoria gli fosse tornata solo in quel momento, si avvicinò a Cyril e gli ordinò di andare a chiamare lo sceriffo. Cyril fece dietrofront col cavallo e partì al galoppo. Con un cenno della testa, Francis indicò il cadavere ai Grimshawe. Fino a quel momento, la scena mi era parsa irreale, fantastica. Ma non appena Francis prese il controllo della situazione, tornai alla realtà. Faulkner ordinò ai battitori, che a stento trattenevano i cani, di ricondurre la muta al canile. Poi si avvicinò alla moglie, le parlò a voce bassa e quindi pregò che se ne andassero tutti, a eccezione di me e dei Grimshawe. Immediatamente, Clara girò il cavallo e si allontanò. Gli altri la seguirono in silenzio. Berg si era rimesso in piedi. Tentai di parlargli, ma non era ancora tornato in sé. Mi fissava senza vedermi. Raccolse macchinalmente la zappa e se ne andò, senza nemmeno guardare i Grimshawe. Elias e suo figlio erano in piedi, accanto a me, e fissavano con aria indifferente il corpo ai nostri piedi. I loro visi conservavano ancora una espressione di collera. «L'abbiamo trovato nella tana della volpe» spiegò Francis, e con un gesto brusco scoprì il cadavere. «L'abbiamo trovato qui» ripeté con voce ferma, che pareva di sfida «nelle vostre terre.» Guardai i Grimshawe, ma la loro espressione non aveva niente di anormale. Elias aveva aggrottato un po' più le sopracciglia. Walter, nel guardare il corpo, contrasse leggermente la bocca. Ma nessuno parlava. Anche Faulkner stava zitto. In quel silenzio l'antipatia che opponeva i due Grimshawe al capo della muta era più che evidente. «Vediamo» dissi io, alla fine. «Proviamo a esaminarlo.» Elias si spostò di qualche centimetro. Mi inginocchiai e cominciai un at-
tento esame del corpo. Mentre mi chinavo, mi tornò alla memoria la frase che la signora Howell aveva detto la notte precedente: "Ho sempre pensato che era la tipica ragazza che a un bel momento scompare e nessuno la vede più". Pensavo al bel viso raggiante che non avevo visto a caccia, quella mattina. «Si tratta di una donna giovane» annunciai. «Una ragazza... È morta da circa dodici ore.» «Una ragazza?» fece Walter. «Sui vent'anni, forse anche meno, mi sembra.» Dentro di me aggiunsi: "La stessa età di Anne Grimshawe". «Di statura media.» La stessa statura di Anne Grimshawe! Alzai gli occhi e fissai Elias Grimshawe, ma non c'era nessuna sorpresa nel suo sguardo. Sembrava che pensasse a tutt'altro. Terminato l'esame, coprii il corpo con la mia giacca. Accesi una sigaretta. Nessuno parlava. Alla fine la voce di Francis ruppe il silenzio. «La polizia» disse, indicando il bosco. «Sta arrivando.» Di lì a poco, lo sceriffo e l'ispettore Cobb di Grovestown erano sul posto, seguiti dal magistrato inquirente e da due uomini. Mentre lo sceriffo si avvicinava al cadavere, Cobb e il giudice vennero verso di me. Mi conoscevano già, perché avevo ancora molti pazienti a Grovestown, la città vicina, dove avevo vissuto fino alla morte di mia moglie. Per questo incontravo spesso il dottor Ford, magistrato inquirente, e l'ispettore Cobb, mio amico. Li avevo fatti nascere io, i suoi cinque rampolli. Cobb era un uomo furbo, simpatico, di poche parole. Ma quel che diceva era sempre esatto. Quando gli ebbi raccontato tutto quello che sapevo, l'ispettore mandò i suoi uomini a esaminare il terreno presso la tana, poi, con lo sceriffo, si avvicinò ai Grimshawe. Il magistrato aveva già iniziato l'esame del corpo. Lo aiutai per un po', quindi cercai con lo sguardo Francis. Lo vidi in piedi, appoggiato a un albero. Il suo bel viso, che di solito risplendeva di salute, era bianco come un lenzuolo. Si teneva stretto il polso destro. Solo allora mi ricordai della sua caduta. «Ti sei ferito al polso?» domandai. «Ti fa male?» Francis alzò gli occhi. «Se mi fa male?» ripeté, con un sorriso. «Sì, un tantino.» Gli presi il braccio e tastai il polso. Era spaventosamente gonfio. «Bisogna fasciarlo subito» esclamai. Mentre parlavo, il magistrato aveva finito il suo compito. Si alzò e mi
fece segno di avvicinarmi. «Adesso, lo faremo trasportare all'obitorio» annunciò. «E vorrei che venisse anche lei.» Lo sceriffo aveva liquidato i Grimshawe, che si allontanavano in fretta, e ci raggiunse. «Westlake, io vorrei organizzare la faccenda così: Cobb prende la direzione, ma bisogna che una persona del posto gli dia una mano. Lei è il medico di Kenmore, conosce la regione meglio di chiunque altro e spero che non si rifiuterà di aiutarci.» Non ero mai stato coinvolto in un affare del genere, e non ci tenevo a esserlo. Ma Cobb me lo chiese con insistenza e, alla fine, dovetti accettare. Due uomini avevano sollevato il corpo e lo trasportavano verso un'auto ferma lì vicino. Lo sceriffo, Cobb e il magistrato inquirente li seguirono. Io tornai da Faulkner. «Quelli mi hanno trascinato in questa maledetta faccenda» dissi. «Devo andare in fretta all'obitorio e non ho tempo di bendarti il polso. Ma devi curarlo subito.» «Ho capito» rispose lui, con aria assente. «Dio mio, Westlake, che avventura tremenda. Speriamo che abbiano ritrovato Sir Basil. Intanto, prenderò il tuo cavallo, se riesco a tenermi in sella.» Con cautela, per non farsi male al polso, salì sul mio cavallo. Mentre mi allontanavo con la polizia, lo vidi andarsene sotto il sole d'inverno. Il giudice e lo sceriffo salirono nell'auto della polizia, Cobb e io seguimmo in quella dell'ispettore. Mentre filavamo verso Grovestown, Cobb cominciò a interrogarmi. «Secondo te, è una ragazza del paese?» Non risposi subito. Avevo accettato di partecipare alle indagini, ma fin dal primo momento mi aveva preso uno strano malessere. Il volto di Anne Grimshawe, come l'avevo visto alle cacce, mi tornò alla mente con incredibile nitidezza. «Anne Grimshawe non ha partecipato alla caccia, stamattina» precisai. Cobb sollevò un sopracciglio: «Non è una ragione sufficiente per ucciderla.» «Sono stato chiamato a casa di una mia cliente, la notte scorsa» proseguii. «Nel corso della discussione, mi ha fatto notare che Anne Grimshawe non è stata vista in paese da parecchi giorni. Era bionda, di statura media, sui vent'anni...» «Ti riferisci alla figlia di quel tipo?» domandò Cobb, incredulo. «Ho
parlato con lui. Non mi ha detto che sua figlia era scomparsa, né mi è parso particolarmente agitato.» «Elias è un tipo duro, non dimenticarlo.» Cobb brontolò: «In ogni modo, spero che qualcuno troverà presto la soluzione. Non sarà facile identificare la vittima. Bisognerà trovare gli altri resti del corpo. E poi, i vestiti... Saranno stati distrutti, a quest'ora.» Fino a quel momento ero stato più o meno calmo. Il colpo iniziale era passato, e potevo guardare la situazione con distacco. Ma alle parole di Cobb mi sentii come paralizzato. "Gli altri resti del corpo." Il sentiero tranquillo, soleggiato, i campi denudati dall'inverno, e persino la figura robusta di Cobb mi fecero orrore, come se mi apparissero in uno strano incubo. Io sapevo, sapevo con matematica certezza dove si trovavano "gli altri resti del corpo". Ora sapevo perché avevo provato quello strano malessere quand'ero passato davanti ai canili, la notte prima. «Torniamo indietro» esclamai subito. «Andiamo a Kenmore, al Club di Caccia.» Stupito, Cobb ubbidì, invertendo direzione. Senza proferire parola, mi condusse al Club. Scendemmo insieme. Saltai un recinto di fil di ferro. Cobb mi seguì. Con passo rapido, attraversammo il campo in direzione del canile. I cani erano già rientrati. I più erano nelle loro cucce. Altri si aggiravano nello spazio angusto loro riservato. Un po' più in là, vidi il guardiano allontanarsi con un secchio. Lo chiamai. «Cosa stai meditando?» domandò Cobb. «Lo vedrai.» Quando il guardiano si avvicinò, lo pregai di aprire la porta. L'ispettore mi seguì nell'interno del canile. Mi diressi in fretta verso la cuccia più lontana. Nemrod e Rollo mi saltellavano intorno per dimostrarmi la loro simpatia. Li respinsi, seccato. Avevo gli occhi fissi a terra. Nella cuccia vidi quello che mi aspettavo di vedere. Bastò un'occhiata. Mi voltai verso Cobb. «Capisci, adesso?» «Non troppo» borbottò lui. Ma non aveva finito la frase, che già aveva riconosciuto quel che stava fissando. Sbarrò gli occhi. Il guardiano dietro di noi, guardava fisso con aria stupita. «Sì» dissi, e parlavo così piano che mi udì a malapena. «Sono ossa umane!»
4 Mi chinai per esaminare meglio le ossa. Erano passati parecchi anni dalla fine dei miei studi di anatomia, ma anche uno studentello avrebbe riconosciuto in quei frammenti parti di radio e di ulna, le due ossa che formano l'avambraccio umano. Adesso, avevamo le prove che le braccia erano state eliminate in quella maniera sinistra. Ma non c'era traccia del cranio! Raccogliemmo in un sacchettino grigio tutti i frammenti che trovammo. Mi sentivo male al pensiero che la notte precedente, senza saperlo, avevo sorpreso i cani nel bel mezzo del loro macabro banchetto. E se la signora Howell mi avesse chiamato un attimo prima, con molta probabilità avrei sorpreso l'assassino nell'atto di compiere quell'incredibile missione. Ascolta, ascolta i cani che abbaiano. I miei presentimenti trovavano conferma nei fatti. Cobb disse al guardiano che i cani dovevano essere tenuti nelle loro cucce. L'ufficio del magistrato inquirente sarebbe stato informato immediatamente e lui avrebbe aspettato lì l'arrivo degli uomini del dottor Ford. «Sono certo che questo non ci aiuterà molto» mormorò l'ispettore. «Lo faccio per semplice formalità.» Quando Cobb mi fece notare che ero senza giacca, mi sentii rabbrividire. Mi propose di prendere la sua macchina e di andare a casa a mettermi qualcosa. Accettai con piacere dicendo che sarei tornato al canile il più presto possibile. Quando fui di ritorno, Cobb aveva finito e aveva una gran fretta di tornare in città. Voleva che l'accompagnassi all'obitorio per sapere le prime conclusioni del magistrato. Mentre ci dirigevamo a Grovestown, capii che l'ispettore era rimasto colpito quanto me dalla scoperta, ma la sua voce non tradì nessuna emozione quando mi disse: «Bene, Westlake, sei dei nostri, adesso. Conto molto sulla tua conoscenza delle persone del paese.» Tentai di mettere in ordine le idee che mi turbinavano in testa. «È evidente» risposi «che chi ha ucciso la ragazza conosceva alla perfezione il posto.» «Vuoi dire che è senz'altro un abitante del paese?» «Pensaci. La tana della volpe si trova in un angolo molto appartato della tenuta dei Grimshawe, abbastanza lontano dalla strada. Un forestiero non
avrebbe mai potuto trovare quel buco in piena notte. Non si sarebbe servito dei cani per far scomparire i resti del corpo.» «Che strano modo di sbarazzarsene» osservò Cobb, aspirando fumo dalla pipa, che si spegneva continuamente. «Doveva avere una gran fretta.» «È comprensibile. Sai che è particolarmente difficile nascondere un cadavere d'inverno. Il suolo è gelato e, se si hanno a disposizione solo le poche ore della notte, è impossibile scavare una fossa molto profonda. Ora, sotterrare un corpo troppo in superficie è inutile. Qualsiasi animale, annusando, potrebbe dissotterrarlo.» «Un animale!» esclamò Cobb a denti stretti. «Piuttosto che rischiare che le bestie dissotterrassero il corpo, l'assassino ha preferito servirsi di loro per farlo sparire.» «È proprio quello che sto pensando. L'assassino è molto furbo, ma la sua è un'astuzia da gente del posto. Qui lo sanno tutti che le volpi sono sempre affamate.» «Ma, allora, perché non ha sotterrato tutto il corpo?» «Perché era troppo voluminoso. Non c'è altra spiegazione. E quel qualcuno del paese si è sentito al sicuro coi cani. La notte prima della caccia, gli si dà da mangiare pochissimo. Perciò, divorano tutto quel che trovano, e in fretta. E se lasciano degli ossi, il guardiano, la sera, li spazza via, senza guardarli. Veramente ingegnoso.» «Sì. Il nostro uomo non poteva prevedere che tu saresti passato di lì a quell'ora, e nemmeno che la volpe si sarebbe fatta inseguire proprio in quella zona. In teoria, potevano passare mesi prima che si scoprisse il cadavere.» Restammo zitti per tutto il resto del tragitto. Cobb guidò fino all'obitorio ed entrammo. In una sala grigiastra, c'era un uomo ben piantato, con i capelli grigi e l'aria seccata. Elias Grimshawe era arrivato prima di noi. I suoi occhi, quando li alzo, esprimevano tutto il rigore virtuoso di un puritano vecchio stampo. Ma di un puritano furbissimo. «Il signor Grimshawe è qui da venti minuti. Non ha voluto muoversi prima di avere parlato con lei, ispettore» spiegò un poliziotto. Cobb gli fece segno di andarsene, poi si rivolse a Elias Grimshawe. «Allora?» «È a proposito di mia figlia.» La voce del vecchio era fredda, calmissima. Cobb si limitò a dire: «Ho sentito che in questi giorni non è stata vista in paese. È vero?»
«È vero.» «Probabilmente lei sa dov'è andata.» Elias intrecciava e disintrecciava nervosamente le grosse mani nodose. «No.» La vivacità e la durezza di quel tono fecero perdere il sangue freddo a Cobb.«Vuole dire...» «Voglio dire che non so dove è andata quando l'ho scacciata di casa» interruppe l'altro. «Ma adesso so dove si trova.» «E dove, signor Grimshawe?» Il vecchio si alzò e col capo indicò una porta. «È là, morta. "E così la morte farà scomparire chiunque pecca contro il Signore."» Ero abituato alle citazioni bibliche di Elias Grimshawe, ma per Cobb fu una sorpresa. Del resto, anch'io rimasi colpito dal tono strano, quasi trionfante, della voce del vecchio. Si aveva l'impressione che in lui la gioia di veder punito un peccatore fosse più forte del dolore per la morte della figlia. «Se la sente di identificare i... i resti?» Cobb si alzò e mi lanciò uno sguardo interrogativo. Capivo che non voleva rimanere a tu per tu con quell'uomo. Annuii e li seguii lungo un corridoio che ci condusse in una grande stanza. Elias e Cobb entrarono. Io rimasi sulla soglia, nella speranza di non vedere il corpo disteso sul tavolo. Elias Grimshawe non sembrava né sorpreso né angosciato, ma i suoi occhi freddi non si staccavano dal cadavere. Tacque finché non fummo tornati nella sala d'attesa. Poi, in risposta a una domanda di Cobb, disse: «Non c'era bisogno che vedessi quel corpo. Io so quello che dico.» «Comunque, penso che non abbia niente in contrario a che si faccia un'identificazione in piena regola.» Nel parlare, l'ispettore mi lanciava spesso occhiate d'intesa. In quel momento entrò l'assistente, portando alcuni fogli dattiloscritti. Quando me li porse, vidi che erano il referto della prima autopsia. «Signor Grimshawe» dissi «penso che se leggerà questa... questa descrizione, potrà confermarci se si tratta di sua figlia o no.» Elias assentì con impazienza. Dopo avergli letto le cause della morte e la natura delle ferite, continuai ad alta voce: «Donna giovane, sui ventiquattro anni, apparentemente in buona salute, statura media, bionda, nessun segno particolare...» «Basta così» interruppe Elias Grimshawe. «Sta leggendo la descrizione del corpo di Anne Grimshawe, ma non accenna minimamente alla sua a-
nima!» «Credo che lei possa darci informazioni a questo proposito» osservò Cobb. «Non si rifiuterà di rispondere a qualche domanda, spero.» Elias si agitò. Adesso che aveva compiuto l'identificazione, tutto il resto non lo interessava più. «Lei dice di non aver più visto sua figlia da mercoledì?» domandò Cobb. «Non vedo Anne da tre giorni.» «Perché se ne è andata da casa?» «Perché le dissi di andarsene... di andarsene e di non tornare mai più.» «E perché?» «Io ho stabilito delle linee di condotta per la mia famiglia. Anne non le seguiva.» «Sicché, lei l'ha scacciata per essere coerente con i suoi principi?» La voce di Cobb era diventata tutt'altro che amichevole. «È sicuro che non ci fosse qualcosa di più specifico?» «Non è abbastanza?» «Meglio essere franchi, signor Grimshawe. Noi stiamo cercando di scoprire l'assassino di sua figlia. Il nostro compito diverrebbe molto più facile se lei ci desse informazioni più precise.» «Non sto mentendo» replicò Elias, brusco. «Lo so. Ma riconoscerà di avere agito in modo piuttosto strano. Se io avessi una figlia, esiterei prima di scacciarla di casa senza un soldo in tasca, anche se non si fosse comportata bene.» «Non è il caso di compatirla.» La voce di Grimshawe era cambiata. Di colpo, s'era fatta amara. «Mia figlia avrebbe compiuto venticinque anni giovedì prossimo. Il giorno del suo compleanno avrebbe dovuto ereditare da sua madre: denaro e terre.» Il mio sguardo incontrò quello di Cobb; finalmente sapevamo qualcosa di più preciso. Anne era stata uccisa pochi giorni prima di entrare in possesso dell'eredità. Capivo che Cobb era sul chi vive, ma il suo tono era rimasto normale. «Terre di qui, di Kenmore?» «Sì» confermò Grimshawe, seccamente. «Quando mi sono sposato, mia moglie possedeva delle terre vicine alle mie, che vanno dalla proprietà del signor Howell a quella dei Faulkner. Mia moglie decise di non lasciare a me i suoi beni, ma alla figlia.» Elias era vedovo da parecchi anni, lo era già quando ero arrivato nella regione. Ma io sentii nascere un'improvvisa simpatia per quella signora
Grimshawe che non avevo mai conosciuto, e che era morta da tanto tempo. Doveva essere stata una donna intelligente. Ora capivo da chi Anne aveva preso la sua personalità. «Ammettendo che sua figlia fosse morta» riprese l'ispettore «la terra toccherebbe a lei?» «No, a mio figlio Walter.» «Ah!» Gli occhi di Cobb non abbandonavano il vecchio. «E lei non ha idea di chi possa aver ucciso sua figlia?» Elias lo fissò senza cedere. Parlò con voce sentenziosa. «La morte è la prova del peccato.» «Non mi sembra molto addolorato per la scomparsa di sua figlia.» «Mia figlia!» esclamò Elias, levando le mani al cielo. «Viva o morta, aveva cessato di esserlo.» Cobb mi lanciò un'occhiata, alzando le spalle con aria rassegnata. «Credo che il dottor Westlake abbia qualcosa da chiederle.» Un lampo di diffidenza attraversò gli occhi di Elias Grimshawe. «Una sola domanda» precisai, mostrando il referto che avevo ancora in mano. «Anne non era sposata, e lei afferma che le regole di condotta della sua famiglia erano molto severe.» Il vecchio mi guardò negli occhi, senza parlare. «Mi spiace riferirmi a certi pettegolezzi di paese» continuai «ma è vero che Anne doveva sposare Berg, il vostro fattore svedese?» «Credo che Berg le avesse chiesto di sposarlo. Ma lei non aveva niente a che fare con lui.» Scrollai la testa. «Allora, forse sarà contento di sapere che il corpo da noi trovato potrebbe non essere quello di sua figlia.» Se avessi parlato in quel tono a qualunque altro padre, avrei provato vergogna; ma, trattandosi di Elias Grimshawe, era quasi un piacere. «Ha affermato che sua figlia non frequentava uomini. Ebbene, l'autopsia ci ha rivelato che questa donna probabilmente era sposata.» La battuta ebbe il risultato previsto. Elias sussultò e strinse nervosamente i braccioli della poltrona. «Sposata? Intende dire che aspettava un bambino?» Lasciai cadere le carte su una sedia, senza smettere di fissarlo. «No, signor Grimshawe, il rapporto non indica niente di tutto questo. Soltanto, o era sposata o, almeno, non era più illibata.» Elias, perdendo il controllo che gli era abituale, si alzò, pallido d'ira, e gridò: «Le ho già detto che quella non era mia figlia. La donna che ho cac-
ciato di casa... la donna che è là» e tese un dito tremante verso la porta socchiusa «era una Jezebel. Ed è scritto: "È destino di Jezebel che i cani divorino le sue carni, e i resti del suo corpo saranno sparsi al suolo, in modo che nessuno potrà più dire: Ecco Jezebel".» Non appena finì il monologo, tornò immediatamente calmo. Poi, lentamente, allungò una mano per prendere il cappello. Dritto, rigido come un automa, si diresse alla porta e uscì. 5 Rimasi ancora qualche minuto con Cobb, ma non riuscimmo a spiegarci l'inconcepibile comportamento di Elias. In ogni modo, quella conversazione mi convinse, se ce n'era ancora bisogno, della coscienza professionale dell'ispettore e della sua energia. Mentre ero là, mandò due uomini a informarsi sui movimenti degli abitanti di Kenmore la notte prima. Per puro scrupolo, organizzò anche le ricerche di Anne Grimshawe in vita. Si assunse personalmente l'incarico di un'altra ricerca che, presumibilmente, doveva dare risultati: quella della testa del cadavere. Lo lasciai che stava impartendo ordini riguardo ai cani poliziotto. Quando, come Dio volle, uscii, decisi di prendere la scorciatoia, attraverso il sentiero di Pytcher. Cobb mi aveva prestato la sua macchina della polizia e, sia perché stavo compiendo una missione ufficiale sia perché ero immerso nei miei pensieri, forse andai a una velocità poco prudente. Avevo perfino dimenticato che quella stradina di campagna era troppo stretta per consentire a due macchine d'incrociare senza notevoli difficoltà. Nel prendere una curva molto stretta, mi accorsi che un'altra auto arrivava in senso inverso, a una velocità addirittura superiore alla mia. Premetti il freno, stringendo il più possibile sulla destra. Udii il cigolio dei freni dell'altra macchina che, grazie a una disperata manovra, mi schivò senza urtarmi. Io, però, finii nel fossato. Siccome non potevo tirarmi fuori da solo, mi sporsi e chiamai. Walter Grimshawe uscì dall'altra macchina. Era a capo scoperto e indossava vecchi abiti sportivi. Ci scambiammo scuse e sigarette. Dopo, con grande fatica, lui mi aiutò a riportare la mia auto sulla strada. Osservando il suo corpo, giovane e forte, chino sul parafango anteriore della mia macchina, pensavo che quello era, almeno fisicamente, il tipo perfetto del gentiluomo di campagna. Walter era un giovane forte, slanciato, e possedeva una spiccata personalità. Finiti brillantemente gli studi, a-
veva dovuto rinunciare a tutte le possibilità di vita facile che gli si offrivano per dedicarsi alla proprietà di famiglia. Sotto la sua direzione, erano stati applicati i metodi moderni che aveva appreso all'università, ma si era parlato di una viva opposizione da parte del padre quando i trattori avevano fatto il loro ingresso nella fattoria. D'altra parte, era anche vero che il conto in banca non aveva sofferto minimamente dell'amministrazione del giovane. Se Walter non fosse stato così poco socievole e non avesse condiviso le idee del vecchio sulla caccia, avrebbe goduto le simpatie di tutti. Solo quando le ruote della mia macchina furono riportate sulla strada, mi ricordai che Walter ignorava il risultato dell'autopsia. Certo non era al corrente della visita di suo padre all'obitorio. Bisognava che qualcuno lo informasse. «È veramente triste» cominciai, camminandogli a fianco. «Spero che presto ci accorgeremo di aver fatto un errore madornale, e che Anne...» «Come sarebbe a dire, Anne?» Si era girato e vidi che era impallidito. Rimase in silenzio mentre io gli raccontavo. «Sicché» disse, alla fine «mio padre ha riconosciuto Anne in quella... cosa che abbiamo trovato stamane?» «Sì, nei limiti del possibile.» Girò la testa e fissò la sua macchina. Poi, di colpo, scoppiò in una risata stridula. Il suo bel viso era contorto in una smorfia sgradevole. Mi sorpresi a chiedermi se Rosemary avesse mai visto quell'espressione. «Che colpo, e che deliziosa emozione sarà per la vostra banda di cacciatori! Certo, questo fatto vi scompiglierà un pochino le partite, ma in compenso aggiusta tutto il resto. Le donne diranno che Anne ha avuto quel che si meritava. Gli uomini... Buon Dio, che schifo!» «Mi rincresce di averlo fatto proprio io, ma ho pensato che sarebbe stato meglio avvisarla prima che lo facesse la polizia.» Il suo volto era diventato ancora più pallido. «Cobb non è un cinico» proseguii. «Non ne parlerà ai giornali, ed eviterà lo scandalo.» «Scandalo?» Walter pronunciò la parola con evidente ribrezzo. «Lo scandalo ci sarà. Nessuno lascerà in pace Anne, viva o morta.» Mi meravigliai della violenza del suo tono. Non avrei mai creduto che nutrisse tanta avversione per noi. Cercando di non offenderlo, gli spiegai come suo padre avesse raccontato alla polizia di avere scacciato la figlia di casa e come si ritenesse, di conseguenza, che Anne fosse incappata in
qualche guaio. Lo scrutai bene per sorprendere la sua reazione, ma né il suo viso né le sue parole rivelarono niente. «Mio padre tende a esagerare certi punti. Non è stato lui a mettere Anne alla porta. È stata lei a decidere di andarsene non appena incassati i suoi soldi.» Poi, mormorando che era in ritardo, fece per risalire in macchina. L'auto pendeva leggermente, e quando la portiera si aprì, una vecchia valigia cadde, spalancandosi ai nostri piedi. Mi bastò un'occhiata per constatare che conteneva abiti femminili e un paio di scarpe. Walter brontolò qualcosa e si chinò a raccoglierla. Poi, credendo opportuno dare una spiegazione, disse: «Roba di mia sorella, immagino... Li deve aver lasciati nella mia macchina... Non so come mai...» Lasciandomi con quella spiegazione poco convincente, avviò il motore e si allontanò. Si sarebbe detto che la famiglia Grimshawe avesse il dono speciale di comportarsi in modo strano. Dawn mi aspettava a casa. Ero contento che non fosse a scuola. Le sue preoccupazioni infantili, tutte le sue piccole cose mi rendevano felice più di ogni altra cosa. La presenza di mia figlia mi aiutò a scacciare l'impressione tetra di quella mattinata. Capii che Rosemary era riuscita a tenerla all'oscuro di tutto. Dawn parlò poco della caccia. E poi, era troppo occupata a raccontarmi quello che aveva fatto lei, per avere voglia di ascoltare quello che avevo fatto io. Per risparmiare fatica a Rebecca, il pranzo era stato rimandato al mio arrivo. A tavola, Dawn parlò senza interruzione dei conigli che avrebbe voluto comperare con i suoi risparmi. «Due conigli grandi così, papà, con gli occhi rosa. Li metterò vicino alla scuderia. No, non mangeranno la lattuga: non usciranno mai dalla loro casetta. Vedrai, non daranno fastidio.» Quando, subito dopo mangiato, arrivò Cobb, Dawn annunciò che sarebbe andata in giardino a controllare il posto dove voleva sistemare la conigliera. Appena fu uscita, raccontai a Cobb del mio incontro con Walter. Lui mi parve preoccupato. «Quel ragazzo mi dà da pensare, Westlake. Sono stato da lui per parlargli, e mi ha trattato con molta arroganza. Ha sostenuto che era inutile farlo
andare all'obitorio, dal momento che c'era già stato il padre, e ha concluso ammettendo che il cadavere probabilmente è proprio della sorella.» «Hai scoperto qualcosa sui possibili nemici di Anne?» «Niente. Walter è cocciuto come il padre. Ha giurato che in questa faccenda non c'entravano gli uomini e che Anne se n'era andata da casa per divergenze di vedute. Comincio a credere che padre e figlio si coprano a vicenda. Il solo momento in cui l'ho visto tremare è stato quando ho detto che non si sarebbe potuta continuare l'inchiesta se non si fosse trovato la testa del cadavere, e quando gli ho chiesto qualche vestito di Anne per mettere sulle sue tracce i cani poliziotto.» «Mi meraviglio che non ti abbia proibito di far entrare i cani nella sua proprietà» dissi, sorridendo. «Non hai scoperto nient'altro?» «No.» Cobb tolse la pipa di tasca e se la mise in bocca senza accenderla. «Ho cercato di ricostruire i movimenti di Anne, da quando se n'è andata da casa. Ma su tutta la linea silenzio completo. Nessuno l'ha vista. Eppure, deve ben essere rimasta nei paraggi, se l'hanno uccisa solo la notte scorsa. Intanto, tu dimmi tutto quello che sai di lei.» «Ben poco» risposi. «In teoria sono il medico dei Grimshawe, ma loro hanno sempre goduto ottima salute. Non visito Anne da qualche anno. Comunque, l'ho vista parecchie volte: una bionda, piuttosto... formosa. Si sono fatte molte chiacchiere sul suo conto, in paese, ma io credo che, in realtà, fosse una brava ragazza. Walter, a quanto pare, non ha nulla in contrario a che si viva secondo i principi di Elias: non gli è permesso di fumare, di bere, di star fuori di casa dopo le nove e mezzo. Anne, invece, amava vivere. Se lei si divertiva un po' troppo, però, suo padre si metteva a sbraitare.» Cobb non sembrava interessarsi alle mie spiegazioni sulla moralità di Anne Grimshawe. «Se si divertiva un po' troppo» mormorò «doveva pur essere con qualche uomo, anche se suo padre e suo fratello si ostinano a negarlo. L'importante è scoprire chi è quest'uomo.» «Secondo zia Lulù, quasi tutti i maschi del vicinato, chi prima, chi dopo. Adolf Berg, per esempio.» «Quel ragazzo robusto che è svenuto quando ha visto il corpo? Vorrei proprio sapere la ragione del suo comportamento. Parlami un po' di lui.» «So solo che è stato molto innamorato di Anne. Perfino Elias ha ammesso che voleva sposarla. Ma credo che sia acqua passata. Anne mirava più in alto.»
«Sperava di ottenere di più» sottolineò Cobb, con un sorriso. «E con chi altro ha avuto relazioni?» «Sempre secondo zia Lulù, Anne si sarebbe vista spesso, e da sola, con Francis Faulkner. Li hanno visti in posti appartati. Naturalmente, tieni conto dei fronzoli che ci fa la zia Lulù. Ma Francis è molto più giovane di sua moglie, e le donne, mia figlia compresa, vanno matte per lui. Personalmente, mi sembra uno dei soliti pettegolezzi, ma potrebbe benissimo esserci un fondo di verità. Anne sapeva attirare gli uomini, e io non biasimo affatto Francis. Dopo tutto, è comprensibile.» Cobb si tolse di bocca la pipa, sempre spenta. «E tu... che rapporti hai avuto con lei?» domandò, serio. «Ho accarezzato quest'idea un paio di volte» confessai, sorridendo «ma sono certo che Dawn avrebbe disapprovato.» «Allora, possiamo eliminarti. Qualche altro?» «La signora Howell ha parlato di Tommy Travers, di Ploversville. Ma è impossibile. Tutti considerano Tommy un marito devoto. Si allontana raramente dal capezzale della moglie, da quando è rimasta paralizzata.» «Ma non c'è fumo senza arrosto» commentò Cobb. «Specialmente quando c'è di mezzo una bella ragazza. La signora Howell tiene qualcun altro di riserva?» «Solo suo marito» dissi, sorridendo. «Ha fatto le allusioni più spaventose sul suo conto, ma d'altra parte Louella accusa tutte le donne della contea di Colenso di correre dietro a Cyril.» «Le conclusioni che son costretto a trarre, Westlake, sono abbastanza logiche» affermò distratto Cobb. «Travers, Faulkner, Howell... Sono tutti sposati, ma non si possono chiamare felici. Ciascuno di loro poteva avere una relazione con la ragazza e voler farla finita. E lei magari aveva tentato di spaventarli, dicendo che stava per avere un bambino...» «Ma il referto afferma che non era incinta.» «Avrà finto di esserlo, o può averlo creduto davvero. Sai come sono le donne.» «Riflessione sensata, Cobb.» «E questo potrebbe spiegare perché l'assassino ha preso tante precauzioni per nascondere la sua identità.» L'ispettore si alzò di scatto. «Vedi, tutti sapevano che Grimshawe aveva appena messo sua figlia alla porta. Era il momento ideale per farla fuori. Tutti avrebbero pensato che avesse lasciato il paese.» «Già.» Guardavo fuori della finestra. «Amore e morte. Può essere. Ep-
pure, secondo me, nessun socio del Club di Caccia sarebbe capace di commettere un delitto del genere.» «A meno che tu non abbia altre ipotesi.» Cobb cacciò la pipa in tasca. «Per esempio, che la colpevole sia una donna gelosa. E c'è da considerare anche Walter Grimshawe. Non mi fido di quel ragazzo. Se riflettiamo, ha il movente più concreto. L'eredità di Anne, adesso che lei è morta tocca a lui. E uno dei miei uomini ha scoperto che faceva la corte alla nipote della signora Howell. Quando si corteggia una ragazza ricca e non si sa come la prenderà la famiglia, è meglio avere più denaro che si può. I soldi chiamano soldi, lo sai.» Non lo contraddissi, ma mi venne in mente la difesa energica di Rosemary la notte precedente, quando zia Lulù aveva iniziato la sua tiritera contro il giovane. Senza riflettere, dissi: «Walter non potrebbe mai aver fatto una cosa simile. Non è un selvaggio, lo sai. Ha fatto l'università. Lui è... Ormai i fratelli uccidono le sorelle solo nei romanzi gialli.» Cobb ebbe un sorriso inatteso. «Vedo che ripieghi sul vecchio Elias. Anch'io. Sembra davvero uno squilibrato con le sue citazioni bibliche. Ammettiamo che si fosse accorto che la figlia conduceva una vita un po' libera. Niente di più facile che non ci abbia visto più, e...» «"È la sorte di Jezebel, che i cani divorino le sue carni"» citai con enfasi. «È veramente molto strano, Cobb.» L'ispettore si alzò. «È inutile restare in poltrona a chiacchierare. Andiamo a far visita a qualcuno dei tuoi amici del Club di Caccia. Non hai detto che la signora Howell è sempre a letto? Le donne, di solito, sono più comunicative quando è presente il loro medico.» «La signora Howell?» esclamai. «Le verrebbe un colpo, se le portassi al capezzale un poliziotto.» «Tu non conosci bene le donne, Westlake.» Cobb sorrise. «Sono sicuro che lei non sogna altro.» 6 Cobb aveva ragione. Era inutile che mi preoccupassi di un eventuale attacco. Quando entrai in camera sua, dopo aver lasciato Cobb nell'atrio, zia Lulù ne aveva già uno. Il viso rotondetto le tremava per lo sdegno. Mi porse un telegramma, travolgendomi con una marea di parole. «Dottore, che impertinenza! Cosa vuole che me ne faccia, io, delle sue valigie! Credeva forse che gliele aprissi e le portassi via uno dei suoi orri-
bili vestiti?» Lessi il telegramma. Era dell'indegna Susan Leonard, l'ex infermiera di zia Lulù. Diceva: LA PREGO DI NON APRIRE LE VALIGIE. PRESTO MANDERÒ A RITIRARLE. SUSAN LEONARD. Posai il telegramma sul tavolino da notte. «Come se io avessi l'abitudine di aprire i bagagli altrui» continuò zia Lulù, agitando la folta capigliatura bionda. «Che faccia tosta!» Parlava con troppa foga, e questo m'indusse a chiedermi come facesse a sapere che i vestiti erano orribili se non avesse aperto le valigie. Zia Lulù, infatti, era a letto da settimane e, quindi, doveva aver visto l'infermiera solo in uniforme. Ma non ero andato lì per trarre deduzioni da un litigio fra paziente e infermiera. L'unica cosa che mi interessava, in quel momento, era di calmare zia Lulù perché Cobb potesse interrogarla. Non fu facile, ma, alla lunga, riuscii a prenderle il polso e tastarglielo, con aria accigliata. Senza sapere se fosse già al corrente dell'accaduto, decisi di informarla. Non avrei voluto aggiungere terrore al racconto, ma Cobb aveva insistito perché lo facessi. Lui, forse con più intuito di me, non voleva credere alla nevrastenia della mia cliente. «Cyril è in casa?» domandai. «Cyril? No, è uscito.» Dal tono in cui lo disse, parve che l'assenza del marito fosse un'offesa personale. «È venuto a trovarmi dopo la caccia, poi è sparito. Nessuno si cura di me in questa casa, neppure mio marito.» Afferrò un grosso tagliacarte d'acciaio e cominciò a maneggiarlo con nervosismo. «Aspettano tutti la mia morte. La morte. Non vedono l'ora che li liberi della mia presenza.» «Andiamo, signora Howell» la interruppi. «Sta dicendo cose assurde. Comunque, Cyril non le ha raccontato niente di quanto è accaduto durante la caccia?» «Alla caccia? Mio Dio, no. Non gli lascio mai raccontare le sue storie. Avrete catturato come al solito una volpe, per poi lasciarla ai cani perché la dilaniassero. È orribile!» Con molto tatto, le raccontai l'esito drammatico della caccia e la scoperta del cadavere. «Il signor Grimshawe» conclusi «l'ha riconosciuto come il corpo di sua figlia.» Zia Lulù mi guardava con gli occhi sbarrati e le labbra imbrattate di rosso semiaperte. Il tagliacarte le scivolò di mano. Accennò a dire qualcosa, ma poi cambiò idea. «Sì» continuai «e l'ispettore Cobb sta aspettando nell'atrio. Vorrebbe ri-
volgerle qualche domanda. Spera che lei possa aiutarlo.» Prima che mi bombardasse di parole, uscii in corridoio e feci entrare l'ispettore. Alla vista di Cobb, zia Lulù sembrò ritrovare tutta la sua parlantina. «Vorrebbe darmi a intendere che quell'uomo... è un poliziotto?» «Sì. È l'ispettore incaricato dell'inchiesta.» «Dell'inchiesta?» Gli occhi di zia Lulù versarono alcune gocce di rimmel. «E perché è venuto a interrogare me?» «È una semplice formalità...» «Lo so io perché» fece lei, torcendosi le mani in preda alla più viva agitazione. «So benissimo perché l'ha portato qui. Gli ha raccontato quello che le ho detto ieri notte... Be', non c'era niente di vero. Ero nervosa e stanca, e le ho raccontato solo frottole. Cyril non conosceva neppure Anne Grimshawe. L'aveva incontrata solo nelle partite di caccia. Ma non è mai rimasto solo con lei. Ne sono sicura.» Le unghie scarlatte si erano conficcate nel mio soprabito. «Può darsi che qualche volta Cyril si comporti in modo un po' strano. Forse, era un po' troppo spinto con la signorina Leonard, ma non con Anne.» Mi rendevo conto che quell'esplosione isterica sviava il povero Cobb. Anch'io, del resto, ero un po' seccato. Gli occhi di zia Lulù uscivano quasi dalle orbite. Cominciai a credere che le venisse veramente un colpo apoplettico. «Ma l'ispettore non pensa che Cyril abbia a che fare con quella ragazza» la rassicurai. «Vogliamo sapere se ha qualche idea, e basta. Lei conosce molto bene gli abitanti del paese. Potrebbe aiutarci.» Le mie parole la calmarono, e negli occhi le brillò una luce maliziosa. «Ci sono parecchi uomini, in paese, che potrebbero parlarle di Anne Grimshawe, ispettore... Ma credo che preferiranno stare zitti.» Si chinò in avanti, dondolando la testa. «Tuttavia, non mi è difficile indovinare chi è l'assassino di quella ragazza: Adolf Berg. È un bruto, un pazzo. Si tratta di un delitto passionale. Non può essere altro. Lo prevedevo. Sapevo che ad Anne Grimshawe sarebbe capitato qualcosa del genere, un giorno o l'altro.» Cominciai a sospettare che zia Lulù avesse trascorso la convalescenza leggendo libri gialli del peggior genere. Quanto a Cobb ne aveva abbastanza. Si scusò del disturbo e si diresse alla porta. «Ti raggiungo subito» gli dissi. «Sarà meglio che provi la temperatura alla mia paziente, prima di andarmene.»
Appena Cobb fu uscito, zia Lulù mi afferrò un braccio. «Quell'uomo...» mi apostrofò. «Bisogna che non gli lasci dubitare di Cyril, dottore. Conosco i poliziotti. Teste di rapa, sempre pronti ad arrestare qualcuno per evitare che la gente dica che non fanno niente. Conto su di lei per proteggere Cyril.» Dovetti ricorrere a tutta la mia pazienza di "medico al capezzale del paziente", ma alla fine riuscii a calmarla. Una volta uscito, raccontai a Cobb le ultime battute della mia conversazione con zia Lulù. «Nulla di interessante» conclusi. «Non essere così categorico!» Cobb guardava con attenzione la tappezzeria del vestibolo. «A noi non interessa quel che vuole farci sapere. Quel che lei vorrebbe che non sapessimo è l'importante.» «"Vuoi dire che ha protestato troppo?"» Non si rese conto che avevo citato Shakespeare. «Quella donna ama troppo gli intrighi per escludere suo marito dalla faccenda. Mi piacerebbe sapere che cosa le ha detto il suo Cyril, al ritorno dalla caccia. Ho avuto l'impressione che tutta quella filastrocca su Cyril che non ha mai visto Anne Grimshawe fosse preparata.» In quell'attimo, uscendo in fretta dalla sala, ci raggiunse Rosemary. Era pallida, e i suoi begli occhi apparivano tristi. «Oh, è lei, dottore. Ho accompagnato Dawn a casa, dopo la caccia. È andato tutto bene. Sono riuscita a non farle capire che cos'era successo.» «Grazie.» Intanto, pensavo a Walter Grimshawe. A confronto di quel giovane, alto e biondo, io mi sentivo tanto vecchio! «Grazie tante.» Rosemary guardò Cobb e mi appoggiò una mano sul braccio. «È... è Anne, vero?» Fissai Cobb con aria interrogativa, ma lui parve non accorgersene. «Sì» risposi allora. «È quasi sicuro.» Rosemary si era addossata al muro e appoggiava la testa alla tappezzeria chiara. «Povero Walter» mormorò. «Voleva tanto bene a sua sorella.» È strano, pensavo, seguendo Cobb verso l'auto. Io non avevo subito un colpo di fronte a quel cadavere. Ero rimasto disorientato, ma non mi ero impietosito per nessuno della famiglia Grimshawe. «Che cosa facciamo?» domandai all'ispettore, nel salire in macchina. «La cosa migliore sarebbe di spartirci il lavoro. A meno che tu non abbia da fare delle visite.»
«Ci sarebbe Berg. Non mi è affatto piaciuto lo sguardo che aveva quando se ne è andato. Bisogna che passi da lui.» «Berg! È un'idea.» «Abita in una piccola fattoria, non molto lontano. Basta scendere per quel sentiero.» Cobb guidò nella direzione da me indicata. «Cosa sai di lui?» «So che è svedese, o norvegese. Magari, l'uno e l'altro. Un tipo che ama la solitudine. È venuto ad abitare qui da qualche anno, proveniente da Dio sa dove. Grimshawe gli ha affittato un centinaio di ettari per un'inezia. È tipico di Elias. Lui ha più terre di quante ne possa coltivare. Da parecchi anni gli Howell e i Faulkner fanno di tutto per comperarne una parte. Ma lui non ha voluto cedere. La terra appartiene ai fittavoli e non ai degenerati o ai parassiti, come lui chiama Cyril e Francis.» «Sicché, Grimshawe non sarebbe in buoni rapporti coi vicini?» «In buoni rapporti? Sei proprio moderato! Per quell'uomo noi siamo tutti dei ministri di Satana. Non parliamo poi di Clara Faulkner. Non so perché, ma Elias la ritiene la causa di tutti i suoi guai. Forse perché i suoi antenati hanno fondato il Club di Caccia.» Mentre parlavo, sentii uno strano rumore proveniente dal bosco dove quella mattina avevamo fatto la macabra scoperta. Mi sentii preso dal solito malessere. Era un lamento malinconico. «Sono i cani poliziotto» si affrettò a spiegare Cobb. «Li ho messi al lavoro appena ho avuto i vestiti di Anne Grimshawe. Purtroppo, credo che non si troveranno facilmente tracce.» Non ero mai stato a casa di Berg. Il giovane fittavolo, proprio come i Grimshawe, stava troppo bene per aver bisogno del dottore. Quando Cobb bussò e la porta fu aperta, mi meravigliò l'ordine meticoloso con cui erano disposte tutte le cose. Non c'era nessuno che lo aiutasse, lo sapevo. Era difficile immaginare che quell'uomo grande e grosso fosse anche un perfetto uomo di casa. Mi parve ancora sconvolto. Il suo viso, di solito colorito, era pallidissimo. Non manifestò alcuna sorpresa al nostro arrivo, ci invitò a sedere e riprese il suo posto vicino al caminetto. Dopo un breve silenzio, cominciai: «Sono venuto a vedere come sta, Berg. Ha subito una forte scossa, stamattina.» Gli occhi chiari del nordico mi fissavano, sulla difensiva. «Ora sto bene.» La risposta fu secca, e io non ribattei. Allora intervenne Cobb: «Siamo
venuti a farle qualche domanda su Anne Grimshawe.» «Sarebbe a dire?» «Sappiamo che la conosceva bene.» «Infatti.» «Sa che è scomparsa dal paese da tre giorni?» Il tono dell'ispettore si era fatto ufficiale. «Sì. So che è scomparsa e so anche che è morta.» Cobb e io sussultammo. «Che cosa glielo fa pensare?» domandò l'ispettore, con vivo interesse. «Crede che non l'abbia capito, stamattina, quando ho dissotterrato il cadavere?» «E che cosa le fa credere che fosse proprio quello di Anne?» «Ero sicuro» rispose l'altro con calma «che prima o poi sarebbe accaduto. Qui, con tutta questa gente ricca e corrotta... Sì. E sono venuti a chiamare proprio me per dissotterrare il corpo. Cose da pazzi, eh? Come... come se loro non lo avessero saputo.» La voce gli si faceva sempre più tesa. Gli occhi chiari cominciavano a manifestare una commozione intensa. A un tratto, scoppiò in una risata roca. «Proprio me. Proprio me, che avevo chiesto ad Anne di essere mia moglie.» C'era qualcosa di infinitamente tragico nel modo in cui parlava. «Speravo che accettasse. Ci saremmo sposati e non sarebbe mai successo nulla. Solo che lei aveva paura... paura di confessarmi quel che io avevo già indovinato.» «Non aveva il coraggio di dirle che aveva avuto una relazione?» Cobb cominciava a scaldarsi. «Non c'è stata nessuna relazione. Anne era una brava ragazza.» Berg lo guardò con aria sprezzante. «Una relazione! Dica piuttosto che qualcuno l'ha traviata. E poi l'ha uccisa.» «Chi?» domandò Cobb. «A chi pensa?» «A uno di loro. Chi saprebbe dire quale?» Le labbra di Berg tremavano di rabbia. «Sono tutti uguali. Vengono qui a distruggere i campi coi loro cavalli e i loro cani selvaggi. Seducono una ragazza e poi l'ammazzano, ecco che cosa sanno fare.» «Se ha sospetti precisi su qualcuno» incalzò Cobb «farebbe meglio a dirmeli.» Berg si curvò, avvicinandosi all'ispettore, quasi fino a toccarlo. «Se lo sapessi, crede che verrei a dirlo a lei? Voglio ucciderlo io, quel vigliacco.
Voglio ucciderlo con le mie mani.» 7 Dopo aver ordinato a Berg di non allontanarsi dal paese almeno per alcuni giorni, Cobb mi seguì nel giardino. Il sole si stava nascondendo dietro i monti. Ombre indistinte accarezzavano i muri candidi della casa di Berg. «Hai gente ben strana fra i tuoi pazienti» mormorò Cobb, risalendo in macchina. «Quel tipo non è da meno degli altri. Però, sono sicuro che voleva bene a quella ragazza. Mi fa davvero pena.» «Perfettamente d'accordo» convenni «ma mi farebbe ancora più pena l'assassino, se Berg riuscisse a mettergli le mani addosso.» Cobb mi propose di fare una visitina ai Faulkner. Ricordandomi del polso fasciato di Francis, accettai volentieri. Quando arrivammo, Clara uscì a riceverci. Coi capelli grigi tagliati corti e il naso aggressivo, sembrava uno dei suoi cavalli. Portava un tailleur di tweed, una camicetta di seta e una cravatta da uomo. La sua tenuta si intonava alla perfezione con la stanza, piena di coppe e di trofei di caccia. «Le presento l'ispettore Cobb» dissi io. «Desidera rivolgerle qualche domanda a proposito dell'incidente di stamattina.» Clara annuì. Si sedette, incrociò le gambe e prese una sigaretta da un grosso astuccio da uomo. «È una storia terribile» cominciò. «Se posso aiutarvi, è evidente...» «Suo marito è in casa?» domandò Cobb. «No.» Clara si girò dalla mia parte. «Credevo che fosse da lei, dottore. È andato a casa sua per farsi fasciare il polso.» «Sono stato fuori quasi tutto il giorno» le spiegai. «Allora, sarà andato a Grovestown, dal dottor Carmichael. È strano il comportamento di Sir Basil. Da qualche giorno, non è più lui. Stamane ha tentato di mordere Francis, mentre lo sellava. Mi fa paura. Non posso dimenticare la disgrazia accaduta a Helen Tra vers.» Clara s'interruppe, quasi si fosse accorta che non era il momento di perdersi in chiacchiere su Sir Basil. «Vuole vedere mio marito, ispettore? Sono certa che non tarderà.» «Non penso che sia necessario. Il cadavere è stato identificato, nei limiti del possibile, per quello di Anne Grimshawe. Vorrei sapere...» Clara l'interruppe, con tono incredulo. «Anne Grimshawe?»
«Sì, lei.» «Ma è assurdo!» Cobb si protese, come per farsi udire meglio. «L'ha vista negli ultimi giorni?» «Mio marito la vedeva più spesso di me.» La risposta sembrava alludere ai pettegolezzi su Francis e Anne Grimshawe. Clara aveva, certo, vedute più larghe di Elias Grimshawe, ma avrei giurato che non era tipo da tollerare tradimenti amorosi. Sembrò indovinare i miei pensieri, perché scoppiò in una risatina. «Santo cielo, Hugues! Non crederà che tra loro ci fosse una relazione, spero. Direi che ha dato retta alle frottole di Louella Howell. So benissimo di avere più anni di Francis, e anche di non essere una bellezza. Ma non si metta in testa simili idee.» «Che cosa intende, allora, dicendo che suo marito la vedeva molto più spesso di lei?» intervenne Cobb. Lei sorrise. «Visto che lei è della polizia, e che prima o dopo lo scoprirà, voglio raccontarle tutto, anche se Anne preferiva non parlarne. Vede, la sua morte è una mazzata tremenda per Francis e per me.» Un brivido leggero rivelò l'impressione sgradevole che le aveva lasciato la scoperta di quel mattino. «Ma c'è dell'altro.» «La ascolto.» «Tempo fa, Anne è venuta a trovarci. La sua visita mi ha molto stupita, data l'antipatia di suo padre verso di noi, ma l'ho ricevuta ugualmente con i dovuti modi. Era una bella ragazza. Gentile, anche. Mi disse che al suo venticinquesimo compleanno avrebbe ricevuto in eredità il pezzo di terra che si estende lungo il sentiero Pytcher, tra la nostra proprietà e quella di Cyril Howell. Voleva venderla.» Buttò la sigaretta in un portacenere e ne accese un'altra. «Naturalmente, Francis e io fummo contenti. Da molti anni cerchiamo di ottenere quella terra. Ma credevamo che appartenesse a Elias.» Si voltò verso l'ispettore. «Il corpo è stato rinvenuto proprio sulla terra di Anne. Una strana coincidenza, eh?» Cobb non rispose. Si limitò a domandare: «Non sa perché Anne volesse vendere quel terreno?» «Non ne ho la minima idea.» Clara sorrise rivelando una dentatura ingiallita, da cavallo. «Magari, per far dispetto al padre.» «E ha concluso l'affare?» «No. Io non mi occupo più di queste faccende. Ho lasciato a Francis carta bianca. Non ho il bernoccolo degli affari, e quindi ho incaricato lui di
mettersi d'accordo con la ragazza. Lei aveva detto che suo padre l'avrebbe scacciata di casa, se l'avesse vista da noi, perciò Francis era costretto a incontrarla nei luoghi più impensati, per lo più di notte. Immagino che sia stato questo a far sparlare Louella Howell. Quella donna sa sempre tutto.» Dal tono di voce si capiva che Clara disprezzava zia Lulù. «Anne voleva vendere a un prezzo irrisorio, ma c'erano delle complicazioni. Prima di avere compiuto i venticinque anni, lei non aveva nessun diritto su quella terra. Se la pagavamo prima, c'era il pericolo che si tenesse la somma senza darci la proprietà. Perciò avevamo deciso di rimandare la firma del contratto al suo compleanno, giovedì prossimo.» Era contrariata e non lo nascondeva. «E adesso, la disgrazia ha rovinato tutto. Credo che la terra passi a suo padre.» «No» rispose Cobb. «A suo fratello.» «A Walter?» Clara spalancò gli occhi. «Così ci guadagna lui, eh? Interessante. Ecco chi potrebbe aiutarla, ispettore. Ma quel ragazzo è più duro d'un macigno.» Cobb aveva tolto di tasca la pipa. Con mia grande sorpresa, constatai che era veramente assorto, perché la riempì. «Lei ritiene possibile che Walter Grimshawe abbia ucciso la sorella, signora Faulkner?» Clara arrossì, e parve seccata e confusa. Si alzò e prese a passeggiare su e giù per la stanza. «Dio mio, non mi prenda alla lettera. In realtà, non so niente di tutta questa storia. Tutto quel che so è che lei stamattina non ha partecipato alla caccia, e che probabilmente tutto questo ci impedirà di continuare il nostro programma per la stagione. Voi, poliziotti e cani, farete scomparire tutta la selvaggina.» Cobb era soprappensiero. «No, se cercherete tutti di aiutarci, signora Faulkner. E poi, in fin dei conti, l'arresto d'un assassino conta un po' più d'un programma di caccia, non le pare?» Clara non era dello stesso avviso. Brontolò qualcosa, poi esclamò: «Comunque, posso dirle che spreca il suo tempo, se sospetta me o mio marito. La morte di quella ragazza per noi è un danno e basta.» Il colloquio cominciava a farsi scabroso. Sapevo che Clara era terribile, quando si arrabbiava. Per distendere l'atmosfera, presi a passeggiare per la stanza, facendo apprezzamenti favorevoli sul Club di Caccia e sui trofei dei Faulkner. In un angolo, notai una stupenda coppa d'oro che Francis aveva vinto, prima di conoscere Clara, a una corsa in siepi. Era la coppa che Dawn ammirava tanto. Lessi l'iscrizione:
CALIFORNIA HUNT CLUB 1928 F.F.V. «Non sapevo che Francis facesse parte di una delle First Families of Virginia.» Clara mi era vicina. Guardava la coppa con orgoglio e, alle mie parole, ebbe un breve sorriso. «Oh, no! Sono le sue iniziali. Sua madre è rimasta vedova più volte, e, quando lui era minorenne, gli faceva cambiar nome ogni volta che lei prendeva un nuovo marito. Alla fine, Francis ne ebbe abbastanza, e assunse una volta per tutte il nome di Faulkner.» Sentii arrivare un'auto. «Deve essere Francis» annunciò Clara. Io mi avvicinai alla finestra giusto in tempo per scorgere i fanali di coda girare verso il garage. Clara aveva la mania dell'aria aperta, e perciò, nonostante il freddo, le finestre erano spalancate. Mi giunsero, distinti, dei latrati. I cani poliziotto erano all'opera. Francis non arrivava. Nella stanza silenziosa si udivano solo i passi di Clara attutiti dal tappeto. Accese una sigaretta, la spense quasi subito, e ne accese un'altra. Ancora una volta, non riuscivo a comprendere una persona del mio vicinato: che cosa rendeva Clara tanto nervosa? Alla fine ruppi il silenzio. Non ricordo bene che cosa dissi, ma doveva essere una frase qualunque. Clara stava per rispondere, quando la porta alle nostre spalle si aprì. Mi girai e vidi Francis sulla soglia. Aveva lo sguardo truce. Le sue guance erano livide. Ansimava. Mentre lo fissavamo, meravigliati, vacillò e stramazzò sul tappeto. In un attimo Clara fu china su di lui. Io la scostai e mi inginocchiai. «Un cognac» dissi. Lei si allontanò di corsa. Aiutato da Cobb, sollevai Francis, che aveva perso conoscenza, e lo adagiai sul divano. Gli aprii il colletto della camicia e gli sfilai il polso bendato da sotto il corpo. Mi accorsi che Clara mi metteva in mano un bicchiere. Mentre versavo di forza il liquido nella bocca del marito, sollevai gli occhi, guardandola. L'espressione imperiosa era svanita, e adesso aveva gli occhi sbarrati, imploranti. Per la prima volta capii che Clara Faulkner era capace di emozioni intense, che quella donna era perdutamente innamorata del marito. «Cos'ha?» domandò in un sussurro.
«Non so» risposi. «Sembra strano, ma si direbbe che abbia respirato gas. Comunque, ha subito un forte shock. Sta per riprendersi.» Cobb mi era rimasto vicino, e guardava attento. «Sì» confermò, calmo. «Si direbbe un'intossicazione da gas. Ne ho viste altre durante la guerra.» Feci quanto potevo, ma era poca cosa. Non ci restava che aspettare. Finalmente le palpebre si dischiusero. Lo sguardo inquieto di Francis Faulkner si fermò prima su di me, poi su sua moglie. Cercò di sollevarsi, ma ricadde pesantemente. Clara gli passò subito un braccio intorno alla testa e lo sollevò. Lui sorrise per ringraziarla, poi le sue labbra articolarono qualche parola. «La scuderia» mormorò. «La scuderia. Presto... Sir Basil.» Ci guardammo in faccia. Poi Clara prese il comando della situazione. «Vada» disse. «Vada in fretta. Mi occuperò io di Francis.» Lanciai uno sguardo inquieto a Francis, ma Cobb era già sparito. «Vada con lui» mi ordinò Clara. Mi precipitai nel vestibolo, dietro l'ispettore. Lo raggiunsi sulla gradinata. «Sai la strada?» mi domandò. «Certo. Seguimi.» Cobb tolse di tasca una lampada elettrica. Scendemmo gli scalini a tre per volta, attraversammo il prato che portava alle scuderie e raggiungemmo il muro nero. «È il box più lontano» gli gridai «a fianco del garage. Sir Basil ha un box tutto per sé.» Affrettammo il passo. Sentii il respiro dei cavalli, all'interno. Uno di loro, quando passammo, nitrì nervosamente. «È là in fondo.» Cobb si era fermato. In un attimo lo raggiunsi. Mi accorsi che la porta della scuderia era spalancata. Cercai l'interruttore, ma non lo trovai. C'era nell'aria qualcosa di strano e di pesante, che mi costrinse a prendere fiato. Cobb si era fatto avanti, e adesso dirigeva il fascio di luce verso l'oscurità. Non so cosa mi aspettassi, ma lo spettacolo che mi si presentò era peggiore di quanto potessi immaginare. Il disco di luce illuminava la testa di Sir Basil, rovesciata, con gli occhi fuori delle orbite, la bocca bianca di schiuma e contorta in un'orrenda smorfia di dolore. Cobb spostò il fascio di luce, e allora vedemmo che il corpo del cavallo era disteso di traverso sulla paglia secca.
Mi chinai sulla bestia, ma non c'era più nulla da fare. Sir Basil era morto. «Westlake, ascolta.» La voce di Cobb era alta e tagliente. Ci misi parecchi secondi prima di accorgermi del rumore. Veniva, attutito, dalla porta vicina, quella del garage. Date le circostanze, non potei pensare a qualche cosa di normale. Ascoltavo, quasi ipnotizzato, i tonfi ritmici e monotoni. Sentii Cobb che mi posava una mano sul braccio. «Presto» mi ordinò. «È un'auto che si mette in moto. Potrebbe essere qualcuno che cerca di svignarsela.» Lasciammo il corpo esanime del cavallo e ci precipitammo nel garage. Le porte erano spalancate, ma l'interno restava immerso nell'oscurità. Riuscii a trovare l'interruttore e a girarlo. Alla luce, il luogo parve strano e desolato. Non so per quale ragione, mi ricordava l'obitorio. Non c'era nessuno. Tre auto erano collocate una accanto all'altra. La più vicina alla scuderia vibrava leggermente. «Scommetto che Faulkner ha lasciato il motore acceso» brontolò Cobb. «Non è venuto con quella» obiettai. «L'ho visto arrivare con la cabriolet blu.» Cobb aggrottò la fronte. Girò la chiave per spegnere il motore e si spostò dietro l'automobile. A un tratto si fermò. «Cosa c'è?» domandai. «Non ci siamo sbagliati, riguardo al signor Faulkner. Si tratta proprio di gas, di ossido di carbonio. Sir Basil è morto di questo.» Mi avvicinai e guardai in terra. Un grosso tubo di gomma, fissato alla belle meglio, partiva dallo scappamento. «Un'avventura da romanzo giallo» mormorò tra sé Cobb. Seguì con gli occhi il tubo, che rasentava il muro e spariva poi in una presa d'aria. Poi svitò il tappo del serbatoio e guardò dentro, facendo luce con la lampada. «Vediamo un po'. Proviamo a tornare nella scuderia.» Ancora una volta, ci trovammo nel box buio dove, ai nostri piedi, giaceva la mole di Sir Basil. Cobb puntò la torcia elettrica sul muro che separava la scuderia dal garage. Da quella parete, attraverso una presa d'aria, sbucava il tubo di gomma. Come Dio volle, trovai l'interruttore e la scuderia fu illuminata. Cobb si inginocchiò per esaminare la presa d'aria e l'estremità del tubo. «Ma come hanno potuto?...» cominciai. «Come?... È stato facile! Ma non riesco a capire perché.» Cobb era pallido come un malato. Questo mi fece ricordare che l'aria era
avvelenata, per quanto la porta fosse aperta. Cercai di farlo uscire, ma lui non mi diede retta. «Il come è stato facilissimo» borbottava tra sé. «La porta del garage non era chiusa a chiave. Chiunque sarebbe potuto entrare durante l'assenza di Faulkner. Non c'era che da attaccare il tubo di gomma allo scappamento, passare l'altra estremità attraverso la presa d'aria e accendere il motore... È facile uccidere un cavallo. Ma perché?» Io non sapevo cosa rispondere. In silenzio, spegnemmo la luce e uscimmo nell'oscurità del cortile. Respirare l'aria fresca della notte era un sollievo. Ma non mi aiutava a riordinare i pensieri. Il vedere Sir Basil morto, disteso in un box, e pensare che qualcuno lo aveva ucciso a sangue freddo, pungeva nel vivo la mia sensibilità. La morte, che con Anne mi aveva fatto inorridire, adesso mi metteva in collera. «Non ci sono speranze, Westlake?» Mi voltai al suono della voce di Francis Faulkner. Era appoggiato al parapetto di legno, davanti al muro della scuderia. «Non dovresti essere qui» dissi con foga. «Perché non sei andato a letto?» «Adesso sto meglio.» La voce era atona e molto triste. «Cosa è successo a Sir Basil?» Gli spiegai con molto tatto quello che sapevo. Nell'ombra, scorgevo solo il suo viso, pallidissimo. «Allora, è proprio morto!» «Non ha sofferto» aggiunsi, nella speranza di consolarlo un po'. «Me la pagherà» minacciò a denti stretti, sottovoce. «Chiunque sia... me la pagherà.» Seguì il silenzio, un silenzio rotto solo dai latrati dei cani. Alla fine, parlò Cobb. Era il solo, di noi tre, che avesse mantenuto la calma. «Le è andata bene che non è morto anche lei, signor Faulkner. Se si sente di rispondere, vorrei farle qualche domanda.» «Qualche domanda?» ripeté lui, triste. «Ma certo, tutto quello che vuole.» «Come ha scoperto l'accaduto?» «Dopo pranzo, sono andato dal dottor Westlake per farmi bendare il polso. Quando ho saputo che non era in casa, ho proseguito fino a Grovestown, dal dottor Carmichael. Il sabato è giorno di libera uscita per gli stallieri. Il sabato e la domenica sono sempre io a curare Sir Basil. Quando so-
no tornato, ho portato la macchina in garage e sono entrato nella scuderia. L'ho trovato disteso sulla paglia. Mi sono chinato per guardarlo. Non riuscivo a rendermi conto dell'accaduto, non mi sembrava possibile. E allora... allora credo che il gas abbia cominciato a fare il suo effetto. Ho avvertito un malessere. Ho avuto appena il tempo di rientrare in casa. Il resto lo sapete.» Cobb approvò col capo. «Ha visto Sir Basil prima di andare a Grovestown?» «Sì. Stava benissimo.» L'ispettore mi guardò. «Sai dirmi da quanto tempo è morto?» «Difficile stabilirlo. Dipende da quanto ci ha messo il gas a invadere la scuderia.» «Quando non c'è lo stalliere, circola qualcun altro da queste parti?» domandò l'ispettore, rivolto a Francis. «Di solito il giardiniere. Ma hanno chiesto il suo aiuto per cercare il resto del corpo. Conosce la regione meglio di chiunque altro.» Francis si appoggiò pesantemente al muro. «Chi ha fatto questo colpo ha saputo scegliere bene il momento.» «Ci sono tre auto nel garage. Tutte sue?» «Solo una. Le altre due sono di mia moglie.» «Rientrando, ha notato che uno dei motori era acceso?» «No. Ho portato dentro la macchina, e sono uscito subito. Avevo fretta d'andare da Sir Basil. Era ora di dargli da mangiare.» «Capisco.» Cobb era pensieroso. «Di solito lascia il garage aperto?» «Di giorno, sì.» «Perciò, chiunque avrebbe potuto entrare.» «Chiunque.» «E senza che nessuno lo vedesse dalle finestre?» «È possibile. Si può fare il giro della scuderia ed entrare dalla parte più lontana. I rododendri impediscono la visuale.» «E voi lasciate sempre le chiavi nelle macchine, signor Faulkner?» «Ma certo. Chi pensava che avremmo avuto nei dintorni un assassino?» La voce gli tremava leggermente. «Andiamo» gli dissi. «Ormai, non hai più niente da fare, qui.» Mi guardò, poi lanciò un'occhiata a Sir Basil. Chinò il capo e si girò bruscamente. Cobb e io lo seguimmo verso casa. Clara ci aspettava nel vestibolo. Prese il marito per un braccio e lo guidò verso le scale parlandogli con dolcezza come a un bimbo.
8 Rimasti soli, Cobb e io ci sprofondammo sul divano. Il salotto dei Faulkner era austero. Solo la coppa d'oro, che brillava su un mobile, infondeva un po' di calore alla stanza. Cobb si guardò attorno con aria assente. «È inspiegabile. Perché diavolo uccidere un cavallo?» Io mi ero già rivolto la domanda. Pensavo agli innumerevoli amici di Sir Basil e ai suoi ammiratori. Per quanto si cercasse, il cavallo poteva avere, al massimo, uno o due nemici. Non ci si poteva aspettare, naturalmente, che Helen e Tommy Travers nutrissero sentimenti amichevoli per l'animale che aveva così crudelmente sconvolto la loro vita. Ma Tommy Travers non era capace di simili rappresaglie. Se avesse voluto vendicarsi dell'incidente occorso a sua moglie, perché avrebbe dovuto aspettare tre anni? Ai miei occhi, quindi, l'uccisione del cavallo sembrava un atto ancora più inconcepibile dello squartamento di una donna. Mi sentii inquieto. Cobb, che era rimasto in silenzio per un momento, riprese: «Il cavallo potrebbe essere stato un errore, Westlake. Può darsi che la vittima predestinata fosse Faulkner. Lui veniva regolarmente ogni sabato sera alla scuderia. Doveva restare qualche minuto a occuparsi del cavallo. L'ossido di carbonio è inodore. È un metodo molto efficace per uccidere.» «Esatto. E questo significa che chiunque di noi potrebbe essere la prossima vittima.» Mentre parlavo, udii nel vestibolo il passo pesante di Clara. Quando entrò nella stanza, era più calma, ma il suo viso, arrogante e sgraziato, era ancora pallidissimo. «Non mi tratterrò ancora per molto, signora Faulkner.» C'era comprensione nella voce di Cobb. «Ma è necessario chiarire alcuni punti.» Le dita di Clara cercarono l'inevitabile sigaretta. «Effettivamente, mi sembra necessario. Non ho mai visto nulla di così mostruoso. Sir Basil era splendido nelle partite di caccia» replicò lei, soffiando una boccata di fumo. «Non ho mai visto Francis così abbattuto.» «Il cavallo è stato ucciso questo pomeriggio. Tra le tre, quando è partito suo marito, e le sette, quando è rientrato» spiegò l'ispettore. «È venuto qualcuno, nel frattempo?» Clara lo fissò, agitata. «Sì. Cyril Howell. È venuto a chiacchierare un momento, ma non è rimasto a lungo.»
«Ha potuto avvicinarsi al garage?» «Cyril? Certamente. Lasciamo sempre le porte aperte e le chiavi nelle auto. Ma è ridicolo pensare che sia stato lui.» «Nessun altro?» «Tommy Travers. Lui...» Clara tacque di colpo, sbarrando gli occhi. «Anche lui si è fermato pochissimo.» Capii che stava pensando la stessa cosa passatami per la mente un attimo prima. «Non ha visto nessun altro?» insisté Cobb. «Personalmente, nessuno. Vuole che chiami il cameriere?» «Se lo ritiene opportuno...» Clara si alzò e suonò il campanello. Qualche secondo dopo, entrò un uomo dall'aria impassibile, vestito di nero. «La signora ha chiamato?» Clara lanciò un'occhiata a Cobb, poi domandò al cameriere: «Hall, ha visto nessuno intorno alla casa, questo pomeriggio, oltre al signor Howell e al signor Travers?» «Solo il fittavolo, signora.» «Quale fittavolo?» domandò subito Cobb. Il cameriere non lo guardò neppure, e continuò a rivolgersi a Clara. «Berg, signora. L'ho visto nel prato, dietro la scuderia.» «Non sa che cosa facesse?» interruppe Cobb. «No, signora. L'ho visto camminare, e basta. Ho pensato che sarebbe venuto qui.» «Nessun altro?» «No, signora.» «Va bene. Basta così.» Senza una parola, il cameriere girò sui tacchi e scomparì. Quasi contemporaneamente, Cobb si alzò. «Signora, mi scusi per il disturbo; la ringrazio infinitamente. Mi rincresce di averla trattenuta, mentre avrebbe preferito stare vicino a suo marito.» Lei si degnò di sorridere. «Non c'è di che.» Ma il sorriso scomparve subito. «Ispettore, crede... Non ce l'avevano con mio marito, vero?» Percepii un leggero tremito nella sua voce. Per la terza volta nella serata, vedevo Clara sotto un aspetto che ignoravo. Cobb se la cavò con una frase vaga, poi ci congedammo. Quando arrivammo a casa mia, invitai l'ispettore a fermarsi per uno spuntino, ma lui rifiutò.
Dawn aveva appena fatto il bagno. Me ne accorgevo sempre dal fatto che le veniva il naso lustro. Mi portò da bere con una grazia angelica, di cui avevo imparato a diffidare. «Hai un aspetto stanco e seccato, papà. Hai lavorato troppo?» «Si invecchia» risposi, passandomi una mano sulle tempie brizzolate. «Stavo proprio per dirlo» saltò su mia figlia, senza riguardi. «Questo pomeriggio è stata qui Rosemary. Ha visto la tua foto, in camera mia, e ha detto che sei giovanissimo per essere mio padre. Poi, ha osservato che avevi un'aria sfinita,» «Sfinita è la parola giusta, purtroppo.» «In ogni modo, sono certa che ti vuole bene, e anch'io le voglio bene.» Ero contento, ma un po' sorpreso da quella affermazione. A Dawn, di solito, sono antipatiche tutte le donne che mi avvicinano. Mi chinai e baciai mia figlia sui capelli, dicendo: «Anch'io ti voglio tanto bene.» Dawn seppe approfittarne immediatamente. Tolse da chissà quale tasca segreta un fazzoletto e cominciò a rigirarlo da tutte le parti. Sembrava riflettere profondamente. «Ho fatto vedere a Rosemary tutta la casa, e lei ha trovato che lo spiazzo dove si mettono le galline...» Io bevevo beato, ascoltando più il suono della sua voce che le sue parole. «Ha proprio detto così?» domandai, distratto. «Oh, papà, vuoi proprio che li allevi? Se ne avrò uno bianco e uno nero, credi che avranno bambini?» Posai il bicchiere. «Chi dovrà avere bambini?» Gli occhi di Dawn brillavano. «I conigli, papà.» E quando, poco dopo, mi infilai sotto le coperte stanco morto, cercai di pensare ai conigli. Ma non mi riuscì. Lontani, ma distintissimi, i cani abbaiavano sempre. 9 La domenica iniziò con una di quelle mattinate luminose che, nonostante l'inverno, fanno pensare a una primavera prossima. Il sole era caldo e il vento incredibilmente tenue per il mese di novembre. Per quanto la notte non avesse portato conforto, fui sorpreso di sentirmi fresco e riposato. Alla prima colazione, Dawn apparve con un vestitino domenicale e si mise a discutere ora di salmi ora di conigli davanti ai toast e alle salsicce. I recenti avvenimenti di morte mi sembravano lontanissimi.
Conservavo ancora quell'impressione confortante quando salimmo in macchina per la nostra scarrozzata settimanale fino alla chiesa. Passando vicino alla proprietà dei Faulkner, vidi un gruppo di persone sul grande prato attiguo alla casa. Non riuscii a distinguere che cosa facessero, ma subito dopo scorsi delle vanghe e delle zappe che brillavano al sole e sentii il rumore del ferro che smuoveva il suolo gelato. Si scavava... ma perché si scavava? Mi ricordai dei cani poliziotto e mi riafferrò un leggero malessere. Per fortuna Dawn non si accorse di niente. Non riuscivo a capire come mai fossimo in ritardo. Quando entrammo nella chiesetta di campagna, tutti erano al loro posto e il Servizio era già cominciato. «Cammina in punta di piedi, papà» mormorò Dawn, terrorizzata. Raggiungemmo il nostro banco. Mia figlia mi spinse e mi fece entrare per primo nella fila, in modo da sedersi lei all'estremità, per poter dondolare le gambe nella corsia. Il pastore leggeva una pagina della Sacra Scrittura. Quelle frasi sonore mi ricordavano la giornata precedente. Seduto sul duro banco di legno, mi aspettavo da un momento all'altro di sentirlo gridare: "È il destino di Jezebel che i cani divorino le sue carni". Il pensiero sgradevole mi fece venire in mente Elias Grimshawe. Era al suo solito posto. Ne vedevo soltanto il profilo, che si stagliava contro una placca di rame appesa al muro. Aveva il viso contratto. Fui strappato alle mie riflessioni da un'esclamazione di giubilo mal repressa di mia figlia. La lettura era terminata e il pastore aveva cominciato un cantico. «Eccolo, papà» mormorò. «È quello che piace a me.» Lo cercai nel mio libretto, mentre tutti si alzavano. L'organo cominciò a suonare e la voce di Dawn si alzò, entusiasta e acuta: Pregate il Signore, venerato in cielo, Pregatelo, angeli del cielo... Per un istante, il mio sguardo incontrò quello di Rosemary. Mi stava di fronte, in piedi, accanto a suo zio. Mi sorrise, e ricambiai. È strano, pensai, come il riunirci in chiesa faccia parte della nostra vita. Neppure la morte ha impedito che uno di noi si astenesse dall'adempiere ai doveri religiosi della domenica.
E in quell'attimo notai Francis. Il banco dei Faulkner era appena visibile dal punto in cui mi trovavo, e non avevo potuto vederlo bene finché non ci fummo alzati per il cantico. Dopo quanto era successo il giorno prima, mi meravigliai di vederlo lì, con la moglie. Quando fu terminato il cantico, nell'istante di confusione che precede la preghiera, lanciai un'occhiata alle mie spalle. Seduto accanto alla porta, vidi Adolf Berg. Indossava un impeccabile vestito blu. Mentre tutte le ginocchia si piegavano per la preghiera, notai che qualcuno stava spingendo con discrezione la porta della chiesa. Con mia grande sorpresa, vidi entrare Tommy Travers. L'inglese viveva a Ploversville e assisteva di rado al nostro Servizio. Quel giorno, anche lui sembrava stanco. S'infilò in un banco, silenziosamente, proprio mentre iniziava la preghiera. Perché, mi domandai, ha scelto proprio questa domenica per unirsi a noi? Terminata la preghiera, ci sedemmo per ascoltare il sermone. Chiusi gli occhi per concentrarmi meglio, ma Dawn dovette fraintendere il mio gesto. Sentii un ditino che mi batteva sulle costole, e dovetti riaprire gli occhi per dimostrare che non dormivo. Quando sentii pronunciare il mio nome a bassa voce, mi voltai. «Dottor Westlake.» Si trattava di una ragazza. Ricordavo quel viso, ma non riuscivo a trovargli un nome. La ragazza teneva in mano una busta e me la porgeva. Guardai distrattamente la lettera e stracciai la busta. Conteneva un biglietto molto conciso: Dottore, la prego, venga immediatamente. Si tratta ancora del mio cuore. Non mi ha mandato la nuova infermiera, come mi aveva promesso. Louella Howell Mi ero dimenticato di quella promessa. Se la memoria non mi ingannava, era la prima volta che mancavo a un impegno professionale. Accadono troppe cose, quando viene assassinata una persona. Fui io, questa volta, a toccare il gomito di Dawn, e lei mi diede un'occhiataccia quando le dissi: «Devo andare dalla signora Howell. Vuoi venire con me o preferisci rientrare con Rosemary?» «Andarmene durante la predica? Ma, papà!» Sorridendo, le diedi un colpetto sulle spalle e uscii nella corsia. La do-
mestica della signora Howell (adesso capivo perché quel viso mi era familiare) mi stava aspettando. La seguii fuori e insieme ci dirigemmo in macchina verso casa Howell. Mi presentai a zia Lulù chiedendole scusa per la mia distrazione, e la visitai subito. Come al solito, nulla di grave. «Non solo si dimentica di mandarmi la nuova infermiera» esclamò lei, con tono di rimprovero «ma si illude che io tenga ancora per molto la casa ingombra delle valigie di quella tizia. Oh, dottore, ho passato una notte terribile. Non ho chiuso occhio, per via di quei dannati cani poliziotto e di tutto il resto.» Non riuscivo a capire che relazione ci fosse tra me, le valigie dell'infermiera e i cani poliziotto, ma ero costretto a mostrarmi addolorato. «Mi dispiace molto» mi scusai di nuovo. «Le troverò subito una nuova infermiera. Deve perdonarmi: mi sto occupando di quella faccenda per aiutare la polizia, e non sono più padrone del mio tempo.» L'argomento parve convincerla. Allora, per farla finita, aggiunsi: «Se vuole posso portare le valigie della signorina Leonard a casa mia, così non le daranno più fastidio.» Il viso di zia Lulù si illuminò. Cercava un pretesto e, io, stupido, glielo avevo dato. Si protese leggermente nel letto, con gli occhi carichi di malizia e di mistero, e disse: «Porti via quella roba al più presto, dottore. Non capisco come abbia potuto raccomandarmi una simile infermiera.» «L'agenzia mi ha mandato l'unica disponibile in quel momento» spiegai. «Mi sembrava una brava ragazza. Aveva appena finito di assistere la signora Travers.» «Travers?» Ancora una volta apparve quello sguardo misterioso. «Non significa niente. Comunque avrà da meravigliarsi quando saprà tutto su quella Leonard. Glielo dico io. In quelle valigie...» Si fermò di colpo, e le guance le si infiammarono. Avevo indovinato: zia Lulù era stata tanto indiscreta da aprire le valigie della ragazza. Ma quella mattina non avevo intenzione di lasciarmi accalappiare. Nel vestibolo, incontrai Rosemary e Cyril che rientravano. Rosemary accennò un sorriso, poi salì rapidamente le scale, sicché rimasi solo con Cyril. «Louella sta bene?» domandò, tranquillo, gettando il cappotto sulla poltrona. «Sì, mi sembra migliorata. Adesso, sta facendo colazione.» Cyril borbottò qualcosa e mi lanciò un'occhiata d'intesa. «L'appetito non
le manca mai, però! E lei, che ne direbbe di un aperitivo?» Accettai volentieri, e insieme passammo in salotto. Come la maggior parte degli obesi, Cyril Howell non trascurava nulla in fatto di comodità. Le poltrone erano stupendamente molleggiate. «Strana, questa storia di Sir Basil» mormorò lui, mentre il cameriere entrava per servirci. «Immagino che abbia sentito parlare del programma di Francis per questo pomeriggio.» «No. Di cosa si tratta?» «Vuole fare un funerale vero e proprio a Sir Basil, e seppellirlo nel grande prato. Lui e Clara vorrebbero che partecipassimo in abito da caccia. Credo che lo chiederanno anche a lei. Ha intenzione di venire?» Ecco, dunque, la spiegazione di quel gran da fare con zappe e vanghe, che mi aveva fatto ripensare a cose sgradevoli mentre andavo in chiesa. «Certo» risposi. «A che ora?» «Alle due e mezzo in punto, ha detto Francis. Che infamia! Sir Basil era il miglior cavallo che avessimo mai avuto.» Annuii. Per un attimo restammo in silenzio. Poi mi venne in mente che Cyril era l'unico del nostro gruppo che Cobb e io non avessimo interrogato il giorno prima. Non mi ero ancora fatto un'idea esatta dei miei compiti quale collaboratore della polizia, ma il momento mi sembrava adatto. Decisi di fargli qualche domanda di carattere investigativo. «Saprà certamente che lo sceriffo mi ha chiesto di aiutarlo» cominciai. «Spera che io riesca a trovare qualche indizio interessante. Non sa niente che possa esserci utile?» «No, di certo. Ma se ne avrò modo, vi aiuterò senz'altro.» «Ormai saprà che la vittima è Anne Grimshawe, vero?» Cyril assentì, diventando un po' rosso. Mi ricordai le allusioni di zia Lulù sul conto del marito, e mi resi conto di aver toccato un tasto delicato. «Rosemary mi ha detto che era Anne Grimshawe» brontolò. «Tutto qui.» «Sì, è scomparsa tre giorni fa. Nessuno sa dove sia andata, neanche suo padre.» «Tre giorni fa?» Cyril parve sorpreso. «Intende dire che è scomparsa mercoledì?» «Sì.» «È davvero strano. Deve esserci un errore. Sono certo di non sbagliarmi, Westlake. Io l'ho vista giovedì.» «Come!» esclamai, preso alla sprovvista.
«Sì.» Cyril premeva l'una contro l'altra le grosse mani. «Era proprio giovedì.» «Ma dove?» Il signor Howell si chinò in avanti, fino a coprire le ginocchia con la pancia abbondante. Abbozzò un sorriso. «Bisogna che Lulù non lo sappia. Sa com'è lei...» «La raccomandazione è superflua, signor Howell.» «La storia è un po' bizzarra. Conoscevo pochissimo Anne... l'avevo vista solo alle partite di caccia. Ma giovedì, mentre passavo da Top Woods, l'ho vista sbucare all'improvviso da dietro gli alberi.» «E dopo?» incalzai. «Lei mi ha detto che mi stava aspettando. Faccio spesso quella strada nel pomeriggio, ed era andata a colpo sicuro. Le ho chiesto se c'era qualcosa che non andava, e mi ha risposto che voleva vendere un pezzo di terra. Aveva bisogno di soldi subito. Sua madre, nel testamento...» «Sì, so tutto. È esatto.» «È esatto?» Cyril trasse un sospiro di sollievo. «Sono contento di sentirglielo dire. Come sa, la terra in questione confina con quella del vecchio Elias Grimshawe. Non sapevo che quell'appezzamento non gli appartenesse. Sono anni che cerchiamo invano di comprarlo, dato che in parte confina con la mia proprietà e in parte con quella dei Faulkner. Era un'occasione unica.» «L'ha comprato?» «Solo in parte. Aveva con sé un atto di vendita e delle carte che avevano l'aria di essere regolari. Ma era una superficie troppo vasta, anche se la vendeva a buon mercato.» Si guardò intorno, quasi si aspettasse di veder spuntare Lulù. «Insomma, ha concluso l'affare?» insistei. «Non del tutto. Non avevo denaro con me, e lei insisteva perché la pagassi in contanti. «Mi ricordai le parole di Clara Faulkner. Anne Grimshawe doveva proprio avere tanto bisogno di quattrini, pensai. «Ho cercato di farla venire a casa mia» proseguì Cyril «ma lei non ha voluto. Ha detto che temeva di essere vista dal padre. Sembrava impaurita. Allora l'ho lasciata nel bosco e sono tornato il più presto possibile, con tutto il liquido di cui disponevo: parecchie centinaia di dollari. Lei ha accettato, abbiamo firmato l'opzione. Poi, lei è sparita nel bosco. Da quel momento non l'ho più vista.» Frugò nelle tasche e ne trasse un foglio. «Ecco l'op-
zione. L'ho sempre portata con me.» Guardai il foglio. Era coperto da una scrittura molto larga, ma non portava timbri. Cyril doveva tenere moltissimo a quella terra, per aver accettato una ricevuta così poco legale. Il mio sguardo si fermò sulla firma quasi infantile e disordinata di Anne Grimshawe. Aveva qualcosa di commovente. Se la ragazza avesse immaginato quanto le sarebbe stato inutile quel denaro... «Ho l'impressione di essere stato giocato» sbottò Cyril, furibondo. «Ma la terra valeva il rischio.» «Non sa di dove venisse o dove sarebbe andata?» domandai. «Non ne ho la minima idea.» Gli lanciai un'occhiata e gli domandai a bruciapelo: «Lei non ha opinioni su questa faccenda?» «Nessuna, amico mio. Come diceva ieri Clara, è un avvenimento terribile, che ci scompiglia tutte le partite di caccia in programma.» «Già. Ha fatto visita a Clara, ieri pomeriggio?» «Sì, perché?» «Così, domandavo. Avrebbe potuto sapere qualche notizia interessante sulla morte di Sir Basil.» «Mio Dio, no!» Cyril era impallidito. Vuotai il mio bicchiere e mi alzai. «Grazie mille. Non ha nulla in contrario, immagino, che riferisca all'ispettore quanto mi ha detto.» «Ma no. Lo dica a chi vuole, tranne che a mia moglie.» Sorrise, quasi scusandosi. Ma fui sorpreso di notare che le mani gli tremavano leggermente. 10 Appena tornato a casa, chiamai Cobb al telefono e lo informai di quanto avevo saputo da Cyril Howell. Mi sentivo piuttosto fiero, e mi aspettavo dei complimenti. Ma fui deluso. Cobb mi ascoltò in silenzio, mi ringraziò senza convinzione, e riagganciò. Che tipo! Di lì a qualche minuto, telefonò Francis Faulkner invitandomi alla sepoltura di Sir Basil. Lo assicurai che avrei partecipato, dopo di che andai in salotto alla ricerca di mia figlia. Dawn era tutta assorta a disegnare. Evidentemente, i miei vicini e i miei visitatori erano stati abbastanza accorti da tenerla all'oscuro della morte di
Sir Basil. Fui costretto ad ammirare il suo schizzo, che doveva rappresentare, con molta buona volontà, il progetto di una conigliera. A colazione Dawn parve sorpresa e piuttosto contrariata di vedermi in alta tenuta da caccia. Evitai le sue domande, accennando vagamente a una riunione del comitato direttivo del Club. Ma siccome la spiegazione non la soddisfaceva, la distrassi riparlandole dei conigli. Arrivai a casa Faulkner in anticipo. La mia auto era la prima nel viale, e Clara in persona scese la scalinata per ricevermi. Somigliava più che mai a una vecchia illustrazione, nel suo abito scarlatto di amazzone, coi capelli grigio ferro e la bocca sottile e dura. Le chiesi notizie di Francis, e mi rispose che stava meglio. «La morte di Sir Basil lo ha scosso molto, ma sono sicura che dopo andrà molto meglio. Adesso lo deprime ancora il pensiero che Sir Basil è ancora là nel box, con la polizia che gli gira intorno.» Scendendo dalla macchina, notai che il baule non era chiuso bene. Vi premetti sopra, ma inutilmente. Allora, lo aprii per vedere. Conteneva due valigie che non conoscevo. Clara spalancò gli occhi. «Sta partendo?» Sull'istante, non seppi che rispondere. Poi capii che zia Lulù mi aveva preso in parola, a proposito delle valigie della signorina Leonard. Mentre parlavo con Cyril, aveva mandato qualcuno a metterle nella mia auto. «Non vorrà lasciarci proprio nella stagione della caccia!» Lasciai il baule così come si trovava, senza nemmeno cercare di chiuderlo, e risposi: «No. Sono le valigie dell'infermiera della signora Howell. Come vede, le cose private della signorina Leonard si trovano nell'auto del dottor Westlake. La situazione mi costringe a riflettere sui cambi di proprietà.» Clara non mi seguiva. Alla fine, le spiegai il lato comico della faccenda. «Louella non mi stupisce affatto» osservò lei, aggrottando le sopracciglia. Si allontanò, e io la seguii nel vestibolo. Francis non si vedeva ancora. Pensai che fosse andato alle scuderie. Mentre aspettavo, in piedi, arrivò nel viale una seconda macchina. Poi ne seguì un'altra. Uno dopo l'altro, facevano il loro ingresso i soci del nostro Club di Caccia. Sir Basil aveva un numero impressionante di ammiratori. Naturalmente, non erano presentì Elias e Walter Grimshawe. E neanche zia Lulù. Ma mancava anche un'altra persona, e io ero curiosissimo di vedere se sarebbe venuta: Tommy Travers. Subito mi diedi dello sciocco.
Perché Tommy sarebbe dovuto venire alla sepoltura di un cavallo che gli aveva reso inferma la moglie? Quando tutti furono arrivati, Clara ci condusse in corteo, attraverso il prato, al posto dove quel mattino avevo visto gli uomini scavare. Eravamo disposti in circolo, intorno alla fossa. Di fronte a me vidi Rosemary. Col contrasto della giubba rossa, il viso appariva ancor più pallido, e gli occhi spauriti. Cyril le stava a fianco, con la sua mole quasi elefantesca e l'atteggiamento solenne richiesto dalla circostanza. I bracchieri, con le loro fruste, formavano un gruppetto a sé. Mancava solo Francis. In quell'attimo, rompendo il profondo silenzio, un motore rombò alle nostre spalle. Mi voltai a guardare il nuovo arrivato. Era Tommy Travers, nella sua lunga auto verde. L'auto si fermò il più vicino possibile a noi. Ne scese Tommy, seguito dall'autista. Poi, i due uomini sollevarono con molta cura una poltrona a rotelle che era nella parte posteriore della macchina. Si udì un mormorio di sorpresa. Non solo Tommy Travers era venuto, ma aveva portato con sé anche la moglie. La vittima di Sir Basil veniva a rendere l'estremo omaggio al cavallo che l'aveva resa inferma. La poltrona a rotelle, lunga e bassa, fu messa sul prato. Dopo aver fatto segno all'autista di restare accanto alla macchina, Tommy Travers la spinse verso il nostro gruppo. Istintivamente, le persone fecero largo. La poltrona si fermò sul ciglio della fossa. Tommy rimase vicino alla moglie, una mano sullo schienale, l'altra sulla spalla della donna. Il silenzio era profondo. A un tratto si udì, dalle scuderie, il rombo d'un motore. Mi voltai e vidi un camion da fieno, verniciato di fresco, che si avvicinava lentamente al prato. Al volante, riconobbi Francis, nel suo costume rosso che brillava sotto un furtivo raggio di sole. A qualcuno la scena forse poteva sembrare ridicola. Un cerchio di uomini e donne, in piedi, intorno alla tomba di un cavallo. Lo spettacolo pareva pretenzioso. Ma, in realtà, non era né ridicolo né pretenzioso. I cacciatori hanno un modo particolare di esprimere i sentimenti. Noi non assistevamo soltanto alla sepoltura di un cavallo. La nostra presenza aveva un altro senso: i Faulkner e i cacciatori di Kenmore esprimevano così il loro sdegno davanti alla violenza che si era improvvisamente abbattuta sul loro paese tranquillo. Sir Basil non era solo il simbolo della caccia a cavallo, ma anche della rettitudine e della franchezza, un simbolo che qualcuno... forse
qualcuno che si trovava in quel gruppo, aveva distrutto senza motivo. Il carro, adesso, era davanti a noi. Francis, pallidissimo e con le labbra tirate, lo fece indietreggiare fino all'orlo della fossa. Sulla piattaforma giaceva il cavallo, coperto di un drappo rosso con lo stemma della famiglia di Clara. Lentamente, i bracchieri si avvicinarono e fecero inclinare la parte posteriore del carro. Francis scese e si unì a loro. Allora Helen parlò. La sua voce dolce ruppe il silenzio, e tutti si girarono verso di lei. «Francis, per cortesia, vorreste sollevare quel drappo? È tanto tempo che non vedo Sir Basil. Vorrei guardarlo per l'ultima volta.» Così era quella la spiegazione, la semplice e commovente spiegazione. Le dita di Francis sollevarono la coperta che ricopriva il corpo dell'animale. La testa nerissima di Sir Basil mandò riflessi, sotto il sole. Helen fissò il cavallo con un sorriso mesto. «Grazie, Francis. È strano, lo so, ma volevo vedere se era sempre lo stesso.» Mentre parlava io fissavo suo marito. Tommy Travers teneva le labbra serrate, e i suoi occhi avevano una luce insolita. Helen non aveva serbato rancore al cavallo, e forse neppure Tommy. I bracchieri calarono Sir Basil nella fossa. Francis li aiutò: le sue mani strinsero il drappo e poi lo lasciarono andare con rammarico. L'operazione durò pochi secondi. Restammo intorno alla fossa, immobili e silenziosi. In quel momento si levarono le note del corno. Non so perché, ma quel suono mi sconvolse. E, forse, sconvolse anche gli altri. Vidi Rosemary stringere il braccio dello zio. Clara abbassò gli occhi. Stando a testa bassa non vidi avvicinarsi Adolf Berg. Nessuno lo vide. Tutta un tratto, mi accorsi che era proprio alle spalle di Francis e guardava la fossa. Qualcosa in lui attirò la nostra attenzione. Indossava ancora il vestito blu del mattino, e i suoi capelli luccicavano al sole. C'era un contrasto sorprendente tra il nitore impeccabile del suo vestito e l'espressione disperata, quasi selvaggia del suo sguardo. «I cavalli!» disse, con voce dolce. «Voi non vi occupate che di cavalli. E quando muoiono, gli fate il funerale e indossate i vostri bei vestiti.» Con passo malfermo, si scostò da Francis. Capii subito che era ubriaco. E non solo: sembrava stordito, smarrito, come un uomo che soffra di allu-
cinazioni. «Sì, il cavallo; voi piangete quando muore. Ma la donna che è stata trovata uccisa ieri non la ricordate! Che cosa avete fatto per Anne? Un funerale con tanta gente?» Si passò una mano sulla fronte e scoppiò in una risata isterica. «Una muta di cani poliziotto. Ecco cosa avete offerto ad Anne... una muta di cani poliziotto!» Francis era diventato pallidissimo; le fruste, in mano ai bracchieri, parevano pronte ad agire. Ma nessuno si mosse. Andai verso Berg e lo afferrai per un braccio. «La finisca, andiamo. Non si accorge di essere ridicolo?» Si liberò con uno strattone. «È come dico io. Approfittate d'una ragazza finché non ve ne siete stancati; poi, la uccidete. La tagliate a pezzetti, e amen.» Guardò il gruppo dei cacciatori smarriti, che erano rimasti fermi intorno alla fossa. «Credete che la faccenda finisca qui? No. Scoprirò chi è stato. Lo scoprirò... e lo ammazzerò.» «Mi dia retta, Berg, se ne vada.» Faulkner si girò per affrontarlo. Per un attimo, i due uomini si fissarono immobili, a due metri l'uno dall'altro; Francis, dritto e severo, sovrastato dall'enorme statura di Berg. «Francis» consigliai «faresti meglio ad allontanarti. Non vedi che è senza controllo? Non vedi che è impazzito?» Ma nessuno dei due mi prestò attenzione. Si fissavano negli occhi come se non esistessero che loro. «Francis!» Questa volta era la voce di Clara. Fino a quel momento, si era tenuta in disparte, vicino alla poltrona di Helen Travers, con gli occhi freddi e le labbra serrate. Adesso, facendosi avanti a grandi passi, scostò suo marito e fissò Berg, e intanto giocava nervosamente col frustino. «Se ne vada» ordinò. L'uomo abbassò gli occhi su di lei con aria distratta. Sembrava che capisse a poco a poco di chi si trattava. «Clara Faulkner» esclamò con voce carica di disprezzo. «È lei che ha organizzato tutto. Lei li ha fatti venire qui.» Vidi Clara stringere con forza il frustino. Era pallidissima. Alzò il braccio e colpì Berg sul viso. Berg fece un passo avanti. La bocca gli si contrasse come quella di un bambino sul punto di piangere. E, invece, scoppiò a ridere, selvaggiamente: il frustino si alzò ancora e due righe rosse segnarono le guance dell'uo-
mo. Berg rimase un momento con la bocca socchiusa. Poi mandò un sospiro. Tentennò il capo e si guardò intorno. Con mia grande meraviglia, il suo sguardo, ora, esprimeva solo imbarazzo. Ci guardò tutti, l'uno dopo l'altro, poi abbassò gli occhi a terra. «Scusatemi» mormorò, girandosi. «Scusatemi.» Ci fu un silenzio generale. Fu Helen Travers a romperlo. Guardava il giovane fittavolo con i suoi occhi gentili. «Siamo noi che dobbiamo scusarci. Siamo proprio noi. Deve credermi.» Berg le lanciò uno sguardo e sorrise. Quel sorriso illuminò di colpo il suo bel volto di contadino. Mentre lo guardavo allontanarsi sui prati, ebbi la certezza che quell'uomo aveva amato sinceramente Anne Grimshawe. Era possibilissimo che l'avesse uccisa, ma questo non escludeva che l'avesse amata. 11 Tornato a casa, temevo di trovarci Cobb. Invece non c'era. Diedi un sospiro di sollievo. Lasciai le valigie della Leonard nel vestibolo e andai in cerca di Dawn. Mia figlia stava ancora disegnando, ma questa volta aveva dato sfogo a tutta la sua fantasia. Le curve e le macchie di colore sparse sui fogli del mio più bel ricettario erano dei conigli. Pensai di chiedere un'infermiera per la signora Howell, ma mi ricordai che di domenica l'agenzia era chiusa. Volente o nolente, zia Lulù avrebbe dovuto aspettare fino all'indomani. Per il momento, quindi, non mi rimaneva che aspettare, e afferrai al volo l'occasione. Nella mia stanza regnava la quiete. Le ricerche dei cani poliziotto si erano spostate altrove. Per la prima volta, dall'inizio dell'orribile storia, i loro latrati non disturbarono il mio sonno. Quando mi svegliai era quasi ora di cena. Dawn mi supplicò di fare in fretta, perché lei aveva una fame da lupo. Avevo appena finito di bere il caffè, che telefonò Cyril. Mi informò che il Club di Caccia avrebbe tenuto una riunione straordinaria a casa sua, quella sera, e mi invitò a parteciparvi. Il comitato direttivo dell'anno in corso era formato da Cyril, Clara e Francis Faulkner e Tommy Travers, ma io ero membro onorario. Le questioni del Club di Caccia mi sembravano remote e di nessuna importanza, quindi rifiutai. Mi scusai dicendo che ero molto stanco, e riappesi.
La serata trascorse nella pace familiare. Verso le nove, Dawn si ritirò nella sua stanza, dopo essere riuscita a strapparmi il permesso di leggere a letto "solo un quarto d'ora". Conosco benissimo il significato di quella frase. Nonostante il pisolino del pomeriggio mi sentivo ancora stanco. Non passò molto, quindi, che imitai mia figlia. Dovetti addormentarmi quasi subito e di un sonno profondo. Dawn mi spiegò poi che aveva avuto un bel da fare per svegliarmi... La sua voce, il suo bisbiglio direi meglio, s'era fatto sentire nel bel mezzo del sonno. Ricordo di avere aperto un occhio e di averla vista davanti a me, come un piccolo fantasma. «Papà, papà, presto!» Mi parlava nell'orecchio, e i suoi capelli mi carezzavano dolcemente le guance. «Papà, svegliati.» «Cosa c'è?» domandai, piuttosto seccato. «Un ladro.» Dawn sembrava più eccitata che impaurita. «Un vero ladro, te l'assicuro. L'ho sentito per un momento intorno alla casa, poi ho sentito cigolare la finestra del salotto... sai, il rumore che fa quando si apre.» Immediatamente saltai giù dal letto e infilai una vestaglia. Dawn non aveva l'abitudine di svegliarmi per niente. Insieme andammo sul pianerottolo in cima alle scale. Tesi l'orecchio. Al pianterreno tutto era silenzio. Che Dawn si fosse sbagliata? A un tratto, mia figlia mi tirò per un braccio, e allora sentii il rumore di passi. Dawn aveva ragione. Qualcuno si muoveva al piano di sotto. Ma perché era venuto a casa mia? «Senti, papà?» «Sì» risposi, spingendola indietro con le braccia. «Vai a chiuderti in bagno. E non scendere per nessuna ragione.» «Va bene.» La risposta sparì con lei nell'oscurità. Poi, sentii che Dawn mi metteva qualche cosa nelle mani: la mia vecchia pistola. Ero scalzo, e così potei scendere qualche gradino senza fare rumore. Ero troppo concentrato su quanto succedeva di sotto per accorgermi che mia figlia mi aveva disobbedito. Quando sentii il suo respiro leggero era troppo tardi per correre ai ripari. La spinsi indietro con la mano, ma lei non ci badò. Eravamo quasi nel vestibolo. Tutto era calmo. Ma, mentre ci avvicinavamo, sentii ancora quel rumore.
«Chi è là?» gridai. Nessuna risposta. Dawn si era rannicchiata contro di me e mi stringeva la mano. «Chi è là?» gridai ancora. Ci fu, allora, un rumore confuso di oggetti rovesciati. Un tavolino fu travolto e uno sparo rimbombò nel silenzio. Dawn lanciò un piccolo grido e mi cadde addosso. Mentre mi giravo verso di lei, udii un tonfo sordo, fuori, sul terreno erboso. Poi, più nulla. «Dawn!» Mi sentii preso dal panico. «Dawn, sei ferita?» «No, papà» rispose calma. «Mi ha spaventato lo sparo.» E così dicendo, si allontanò per accendere tutte le luci. Una finestra era spalancata. Corsi da quella parte e cercai di scrutare nella completa oscurità del giardino. «Attento!» mi gridò Dawn. «Non stare alla finestra! Potrebbe vederti e sparare di nuovo.» Colpito dalla sua presenza di spirito, obbedii e mi guardai attorno cercando di capire che cosa avesse provocato il fracasso di poco prima. Vidi così, sul tappeto, una coppa di porcellana di Paola, di solito posta sul davanzale della finestra. Era in frantumi. Dawn si accostò con un gran sorriso. «Chi sa se ha portato via qualcosa?» domandò divertita. La guardai con la maggiore severità possibile. «Dovresti vergognarti di avermi disobbedito. Avrebbe potuto colpirti.» Lei scoppiò a ridere. «Come sei buffo, papà; hai messo la vestaglia al rovescio.» «E tu» replicai, rinunciando a insistere nel mio ruolo di padre «sei paurosa come un coniglio. Ti sei messa a gridare per aver sentito un'esplosione.» «Non è vero.» «Sì, hai urlato.» «No, non ho urlato.» È molto divertente discutere con la propria bambina a certe ore della notte, ma era appena stato commesso un furto in casa mia, e bisognava agire. Corsi subito dove conservavo i pochi oggetti di valore che possedevo. Non mancava nulla. Ispezionai la casa da cima a fondo per vedere che cosa era stato spostato, ma non trovai niente di anormale. Sembrava che il visitatore fosse venuto solo per fare un giretto in casa mia. Non mi ci raccapezzavo.
Dieci minuti dopo, ero ancora seduto sui gradini, a riflettere. Gettando distrattamente uno sguardo verso l'attaccapanni, feci una scoperta del tutto inaspettata. Le valigie della signorina Leonard erano scomparse. Lì per lì, non riuscii a capire. Poi, lentamente, mi venne in mente una possibile spiegazione. Cobb e io avevamo interrogato tutte le persone del vicinato. Tutte meno una: un'infermiera sconosciuta che era stata nella zona per qualche tempo e poi era scomparsa. Pensavo alla Leonard come l'avevo vista qualche volta in casa Howell. Era una giovane bionda che ispirava simpatia. Non poteva certo essere immischiata in un assassinio. L'idea sembrava ridicola. Ciò nonostante, zia Lulù aveva fatto allusioni maligne sul suo conto. E subito mi parve di scorgere una nuova pista. La signorina Leonard sembrava molto preoccupata di riprendere le sue valigie, e soprattutto di non farle aprire. Il giorno stesso della sua partenza, non aveva forse mandato quel famoso telegramma alla signora Howell? Magari, in quelle valigie si trovava la chiave del mistero. Mia figlia era salita e si arrabattava nella speranza di trovare altri ladri. Poi, la sentii scendere e avvicinarsi a me. «Dawn» chiesi. «Non ti sei accorta che c'erano delle valigie nel vestibolo? Sai, due valigie comunissime. Anzi, due belle valigie.» «Oh! Sì, certo. Credo che siano nel ripostiglio del giardino.» «Dove? Nel ripostiglio del giardino?» «Sì, papà. Questo pomeriggio, mentre tu dormivi, ho giocato facendo finta di partire. La cucina era la stazione, e io dovevo andare a Washington, alla Casa Bianca. Il treno era in ritardo e, siccome bisognava aspettare molto, ho lasciato le valigie al deposito.» Non esitai un secondo. Con grande meraviglia di mia figlia, mi precipitai in cucina e di là al ripostiglio del giardino. Accesi la luce. Dawn aveva ragione: le valigie della Leonard non erano state rubate. Le portai in cucina e chiusi la porta. Mia figlia entrò un attimo dopo e mi chiese se volevo del tè. L'idea mi parve eccellente, perciò accettai. La guardai mentre toglieva la teiera da uno scaffale troppo alto per lei. «Piccola birichina» le dissi «tu che sai fare tante cose, non sapresti, per caso, aprire delle valigie con un grimaldello?» Si fermò di colpo, con un'espressione di grande meraviglia, tenendo stretta la teiera blu e bianca. «Papà, non vorrai aprire bagagli non tuoi?» «Ma no, Dawn» non esitai a mentire. «Sono miei, sì. Solo che ho perso
le chiavi.» Non mi sembrò troppo convinta, e allora decisi di cambiare tattica. «Ma già, tu non sei abbastanza furba per aprirli.» «Ah, non sarei abbastanza furba, eh?» Avevo fatto centro. Mia figlia si sentì ferita nell'amor proprio. Per qualche minuto restò curva davanti alla serratura armeggiando con un filo di ferro, girando e rigirando la sua leva improvvisata, ma invano. Agitò maggiormente il filo di ferro e, di colpo, la serratura cedette. Con sguardo implacabile, Dawn si precipitò sulla seconda valigia e compì il secondo miracolo. «Scusami» la pregai, umile, mentre lei mi fissava con aria di trionfo. «Scusami anche per averti procurato tanta fatica.» Dawn si rialzò, e si riordinò la vestaglia con sussiego. «Oh, roba da nulla. Non è stato difficile. Tanto più che non erano chiuse a chiave.» Con questa risposta, o meglio, con questa sferzata, tornò a occuparsi della teiera. Abbassando gli occhi sulle valigie, mi sentii a disagio. Avevo fretta di frugarci dentro, ma esitavo. Alla fine, mi feci coraggio. «Porto le valigie in camera mia. Chiamami quando è pronto il tè.» In camera, posai le valigie sul letto. Erano di grandezza normale, e di finto cuoio. Sollevai i coperchi. La prima era piena di indumenti, di tutte le cose che portano le donne. Dovetti constatare che la Leonard, al momento di partire, aveva avuto molta fretta, dato che i vestiti che via via stendevo sul letto erano spiegazzati. A meno che non fosse molto disordinata. Oltre agli indumenti, trovai una borsetta da viaggio, un paio di libri, varie boccette e un'uniforme bianca di ricambio. Niente che suscitasse sospetti. Aprii la seconda valigia: stesso contenuto, stesso disordine. Ma a questo punto mi venne il dubbio che quella baraonda fosse opera più di zia Lulù che della signorina Leonard. Con vaga speranza, presi a frugare tra la biancheria. Dopo un po', le mie mani urtarono qualcosa di duro. Tirai fuori l'oggetto e mi accorsi che era una scatola di sigari, della marca che fumava Cyril Howell. L'aprii e vidi che conteneva un mazzetto di fogli. Presi a leggerli avidamente: il conto di una dozzina di arance, e quello di tre metri di stoffa, il prospetto di una casa e, finalmente, una busta. La busta era indirizzata alla signorina Leonard, presso la signora Howell, ed era scritta a mano. La data era abbastanza recente. Strano, ma a-
vevo l'impressione di conoscerla bene, quella grafia fitta. E, d'altra parte, non ci vedevo niente di speciale. Mi chiedevo perché la signorina Leonard aveva conservato una busta vuota. Ma subito mi diedi dello stupido. Era chiarissimo: la Leonard aveva tenuto anche la lettera, ma zia Lulù l'aveva trovata, letta e sottratta. Poi ripensai al ladro e al suo comportamento bizzarro. Un ladro! Perché parlavo con tanta sicurezza al maschile? Poteva benissimo essere stata la Leonard. E se la mia idea era giusta, che cosa contenevano di tanto importante quelle valigie? Forse, la lettera. Nessuno, infatti, tranne la signora Howell, sapeva che non c'era più. Cominciavo a innervosirmi. A uno a uno, passai in rivista tutti i vestiti sparsi sul letto. Rovesciai le calze, frugai nelle camicette, fin nelle più piccole pieghe, guardai nell'imboccatura delle maniche se ci fossero tasche segrete. Continuai finché non ebbi nelle mani l'ultimo capo, un'uniforme usata. La tasca sinistra era vuota, ma nella destra, stentavo a crederci, sentii un pezzetto di carta. Mentre lo tiravo fuori, ero turbato. Si trattava di poche righe scritte a macchina. Le lessi. Per un istante rifiutai di credere ai miei occhi. È meglio che si faccia licenziare, piuttosto che andarsene di sua spontanea volontà. Così, sembrerà più normale. Cerchi che accada venerdì. Se ne vada a mezzogiorno e faccia in modo che nessuno la veda. Io la troverò al solito posto. È tutto pronto e si svolgerà come previsto. Non si preoccupi per il denaro. Ne ho a sufficienza. L'incredibile documento gettava un po' di luce sugli avvenimenti di quella notte. Adesso capivo le ragioni di tanto interesse per quelle valigie. Adesso capivo perché il ladro, pur di non essere riconosciuto, aveva osato sparare. E quel biglietto era anche la prova della complicità della Leonard. Era scoraggiante pensare che, in parte, ero proprio io il responsabile della sua venuta in paese. Dopo aver infilato il biglietto nella busta e il tutto in tasca, rimisi i vestiti nelle valigie e le nascosi sotto il letto. Dopo, chiamai Grovestown. Quando mi rispose, la voce di Cobb era seccata. «È la prima notte che dormo, da venerdì, e tu mi svegli a quest'ora.» «Sono desolato. In compenso, ho delle novità. Qualcuno è venuto a derubarmi, mi ha sparato addosso... e poi ho scoperto qualcosa di molto im-
portante.» «Nient'altro?» E Cobb sbadigliò rumorosamente. «Non ti pare che basti?» «Tutte cose che possono aspettare fino a domani.» «Ma è la scoperta più importante che... io proprio non ti...» «Westlake, sei o non sei anche tu un poliziotto? Puoi benissimo far fronte alla situazione da solo fino a domani mattina.» Cobb aveva perduto il tono gioviale e si era fatto energico. «Verrò da te molto presto. Vedrai che per questa notte non accadrà nient'altro. Tanto, anche se venissi subito, sarei incapace di ragionare. Ci occorre un po' di riposo, se vogliamo portare a termine in fretta questa faccenda.» Riappese. Nonostante la mia impazienza, mi rendevo conto che Cobb aveva ragione. Era chiaro che ero un dilettante. I professionisti sanno quando è meglio lasciar correre. 12 Bevuto il tazzone di tè che mi aveva preparato Dawn, tornai a letto. Erano circa le quattro. Quella giornata, così piena di avvenimenti, mi aveva sfinito. Non feci in tempo a infilarmi sotto le coperte che ricaddi in un sonno profondo. Ma se avessi saputo che cosa mi aspettava, non mi sarei addormentato così presto. Solo mezz'ora dopo, come potei constatare in seguito, fui svegliato da un rumore che alle mie orecchie suonò come mille sirene. Aprii gli occhi e la vista dei mobili che mi stavano intorno mi aiutò a svegliarmi. Quando il telefono squillò di nuovo, mi misi a sedere e staccai la cornetta. «Pronto?» «Pronto! Pronto! Dottor Westlake?... Proprio lei, in persona?... Sia ringraziato Iddio!...» La voce era nervosa, quasi isterica. Riconobbi immediatamente zia Lulù. «Cosa c'è?» domandai scontroso. «Non sta bene?» «No, no. Molto peggio.» La voce era ridotta a un mormorio. «Deve credermi, dottor Westlake, deve! La prima volta che l'ho udito, ho chiamato Cyril, ma non era in camera sua. Non riuscivo a dormire. Poi, l'ho sentito ancora. Mi sono alzata e ho chiamato Rosemary, ma lei ha detto che si trattava della mia immaginazione. Erano circa le due. Adesso, lo sento di nuovo. Ecco perché l'ho chiamata dottor Westlake...» «Ma di che diavolo sta parlando?» domandai esasperato.
«Qualcuno gira intorno alla casa da qualche ora» mormorò. «L'ho sentito camminare sul viale. Sono sicura che ha cercato di entrare attraverso le finestre delle scale. Ogni volta che ho acceso la luce l'ho sentito allontanarsi.» «Perché non chiama Cyril, o un cameriere?» «Non posso» gemette zia Lulù. «Cyril non è in camera sua. D'altra parte non posso più fidarmi di nessuno. Vede, io ho scoperto una cosa, e saperla è molto pericoloso per me e, soprattutto, per Cyril. Per questo voglio che venga.» Evidentemente zia Lulù non si preoccupava affatto del pericolo che potevo correre io. La mia risposta credo sia stata una risata, perché lei riprese subito: «Rida pure e mi chiami nevrastenica, ma le giuro che sta per accadere qualcosa di terribile. Ne sono sicura, come lo ero venerdì, quando i cani abbaiavano. Io sono una medium, dottor Westlake. So che qualcuno ce l'ha con me. E so anche perché.» S'interruppe e io cominciavo ad avere dei dubbi. Nella sua voce c'era un tono di sincerità che non avevo mai riscontrato. Mi aveva quasi convinto. Quando riprese a parlare, lo fui del tutto. «Vede, dottor Westlake» disse, con un filo di voce «io so chi ha commesso quel gesto terribile, e credo di sapere anche perché. Qui a letto, ho avuto il tempo di riflettere. Ma non potevo dirlo alla polizia senza prima averla interpellata. È una cosa troppo grave.» «Parli più forte» gridai, dato che la sua voce diventava sempre più tenue. «Non oso parlarne al telefono» sussurrò. «È a proposito delle valigie della Leonard. Le ho aperte e ho trovato una lettera. Sono certa che qualcuno lo sospetta. Per questo ha tentato di entrare. Mi ucciderà, se non viene immediatamente. Qualche minuto fa, ho sentito ancora dei passi...» Si interruppe. Quando riprese, un terrore indescrivibile le strozzava la voce. «Dei passi... sono in casa, adesso. Vicino alla porta...Oh, mio Dio!...» Passò un lungo momento, in un silenzio terrificante. Poi, una sola parola pronunciata come un grido. «Le-o-nard!» Ci fu un rumore confuso e sordo, come se il ricevitore cadesse sul pavimento. Premetti l'orecchio al telefono con più forza. Per un secondo, non potei afferrare altro che un mormorio indistinto... poi dei rumori sempre più indistinti... un grido soffocato, disperato... un brontolio... poi, più nulla. Rimasi paralizzato. Quello era l'orribile epilogo degli avvenimenti di
quella notte. Adesso, sapevo con certezza che i timori di zia Lulù non erano immaginari. Qualcuno l'aveva uccisa mentre stava per confidarmi il suo segreto. Quel grido straziante, "Leonard", mi risuonava ancora nelle orecchie. Zia Lulù l'aveva lanciato come avvertimento? O la persona che aveva visto entrare nella stanza era quell'infermiera carina e riservata? A poco a poco, mi resi conto della situazione. Balzai dal letto e infilai il primo vestito che mi capitò sottomano, e corsi nel vestibolo. Stavo per uscire, quando mi ricordai di Dawn. Non avrei certo lasciato mia figlia sola in un simile frangente. Mi precipitai di corsa e feci irruzione nella sua stanza. «Vieni, tesoro» le ordinai in fretta. «Usciamo in macchina. Vestiti, e non fare domande.» Qualche minuto dopo, correvamo verso il garage. A casa di Howell venne ad aprirci Rosemary. I suoi begli occhi grigi esprimevano lo spavento e l'orrore. Era pallidissima, ma si sforzò di sorridere a Dawn, e se la portò via senza darle spiegazioni. Di lì a poco era di ritorno. «L'ho portata in camera mia. Lì starà benissimo. Ma come ha fatto a saperlo? Ho chiamato parecchie volte a casa sua, ma non ha risposto nessuno.» «Sicché è proprio morta?» Ero ansioso di sapere tutto. «Zia Lulù mi stava telefonando, quando...» Rosemary ascoltò in silenzio la mia spiegazione. «Sì» concluse. «Zia Lulù è morta... È stata assassinata.» Continuò il racconto dirigendosi verso le scale. «Non è stato toccato niente. Ho chiamato la polizia. Dovrebbe arrivare da un momento all'altro.» Si fermò e appoggiò la testa sulla mia spalla. «È orribile. Quando finirà tutta questa faccenda?» Era molto dolce sentirla così vicina, anche se in una notte così atroce. Le appoggiai teneramente una mano sui capelli e le sussurrai: «Non deve abbattersi, Rosemary. Tutti abbiamo bisogno di star su col morale.» Sollevò il capo e si passò una mano sui capelli. Poi, senza una parola, mi condusse al piano di sopra. Nella stanza della signora Howell tutte le luci erano accese. Rosemary mi accompagnò fin sulla porta e si allontanò in fretta, lasciandomi entrare da solo. Louella Howell giaceva sprofondata fra i cuscini, vestita del solito pigiama rosso. Aveva le mani incrociate sul petto, e dalle unghie smaltate
partivano riflessi smaglianti. I capelli biondi nascondevano buona parte del viso, lasciando intravedere soltanto gli occhi, dilatati in un'espressione di terrore. Mi avvicinai di più. Le cause della morte erano evidenti. La coperta, vicino al seno sinistro, era sporca di sangue e dal pigiama rosso spuntava il lungo manico di acciaio di un tagliacarte. Un tagliacarte che io avevo visto un mucchio di volte, nel corso delle mie tante visite. Dopo un attimo di esitazione, mi decisi a ispezionare la stanza. Gli unici segni di disordine erano una sedia capovolta e il ricevitore del telefono che pendeva ancora su un tappeto persiano molto spesso. Non potevo far molto. Per prima cosa, raccolsi una coperta ai piedi del letto e la gettai sul corpo. Poi, mi diressi alla finestra e guardai fuori. Proprio in quel momento, un'auto sbucò in fondo al viale e si fermò davanti al portone. Grazie a Dio, Cobb era arrivato. Pensai, non senza un pizzico di malizia, alle sue parole al telefono: "Vedrai che per questa notte non accadrà nient'altro". Un attimo dopo, l'ispettore irrompeva nella stanza, seguito dai suoi uomini. Adesso, mi sembrava completamente sveglio. Andò dritto verso il letto, scoprì il cadavere e lo fissò a lungo. Poi, ordinò a un suo uomo di rilevare le impronte digitali. Un altro doveva scattare alcune fotografie. La macchina della polizia si era messa in moto. «Allora, Westlake» disse alla fine l'ispettore «a quanto sembra, avevo sottovalutato le possibilità del nostro uomo.» Con un cenno del capo gli feci capire che condividevo l'idea. Gli raccontai tutti gli avvenimenti fino alla tragica telefonata di zia Lulù. Lui ascoltò con molta attenzione e aggrottò le sopracciglia quando gli mostrai la busta e il foglietto che avevo sottratto dalle valigie della signorina Leonard. «Dunque, tu credi che la signora Howell si sia impossessata del contenuto di questa busta e che questa sia la causa della sua morte?» domandò, alla fine. «È proprio quello che mi è sembrato volesse dire al telefono. Quanto al foglietto scritto a macchina, penso che non l'abbia trovato perché era nella tasca di un'uniforme.» Cobb stava già pensando ad altro. «Se la signora Howell ha sottratto la lettera, deve averla nascosta nella stanza. A meno che l'assassino non se la sia ripresa.» Scrollò le spalle. «Se la lettera è qui, i miei uomini la troveranno. È stata la signorina Stewart a scoprire il cadavere? Sai dirmi dove è adesso?»
«No, ma posso cercarla. Aspetta un momento.» Mi precipitai in corridoio e corsi alla stanza di Rosemary. Dal di fuori, udii la voce dolce della ragazza. Bussai ed entrai. Rosemary stava leggendo una fiaba a Dawn. Poteva sembrare una scena grottesca in una casa dove era appena stato commesso un delitto. Appena mi vide, Rosemary chiuse il libro e mi seguì in corridoio. «Comincia a chiedere spiegazioni» disse, a voce bassa. «Però non ha la minima idea di cosa sia successo.» «Non so proprio come ringraziarla per essersi occupata di lei.» «Non deve affatto ringraziarmi. Mi ha fatto molto bene averla vicina, Lei, almeno, è estranea a tutta la faccenda.» Rosemary aveva il morale a pezzi. «Immagino che la polizia voglia vedermi.» «Solo qualche domanda... se non è troppo stanca, naturalmente.» Lei acconsentì con un cenno e si strinse di più la vestaglia intorno alla vita. Solo in quel momento mi ricordai di Cyril. Quel susseguirsi di avvenimenti sensazionali mi aveva fatto dimenticare il marito di Louella. Mi ricordai delle parole della donna al telefono: «Cyril non è in camera sua.» «Dov'è suo zio? È uscito?» «Uscito?» Rosemary parve sorpresa. «No. Stanotte ha dormito in guardaroba, quindi non ha sentito niente. Ho dovuto raccontargli tutto io. È agitatissimo, sconvolto, ma l'ho convinto a restare in quella stanza.» Intanto eravamo arrivati davanti alla porta della signora Howell. Cobb, udendoci, uscì e chiuse la porta. «Mi rincresce, signorina Stewart, ma bisogna che le parli. Possiamo scendere?» Senza rispondere, Rosemary fece dietrofront e ci guidò in salotto. «Dunque, signorina Stewart» Cobb si protese, con gli occhi piccoli e rossi per la mancanza di sonno «vuole dirci come ha scoperto la disgrazia?» «Non c'è molto da raccontare» cominciò Rosemary. «Ero stanca, e sono andata a coricarmi verso le dieci e mezzo, prima che terminasse la riunione del Club di Caccia. Verso mezzanotte, ho sentito bussare alla porta. Era zia Lulù. Mi ha detto che aveva paura, che aveva sentito dei passi sotto la finestra. Non devo essere stata molto gentile con lei, comunque l'ho accompagnata in camera sua. Sono rimasta un po' ad ascoltare, ma non ho udito nulla. Allora le ho detto di dormire e sono tornata a letto. Adesso, tutto questo sembrerà...»
«Non ha niente da rimproverarsi» la interruppe Cobb. «Non poteva sapere che proprio stanotte parlava sul serio.» Rosemary lo ringraziò con un sorriso triste: «Mi sono riaddormentata e ho fatto sogni bruttissimi. Alla fine, ho avuto un incubo. Non ricordo di che cosa si trattasse, ma so che è finito in un grido, in un lungo grido straziante. «Quel grido mi ha svegliata. Per un attimo, non ho saputo se facesse parte del sogno e se l'avessi sentito sul serio. Siccome mi sentivo a disagio, ho acceso la luce. La casa era tranquilla. Di colpo, mi sono ricordata delle parole di zia Lulù. Sono scesa dal letto e mi sono avvicinata alla sua stanza. Ho ascoltato dietro la porta. La zia, di solito, respirava un po' rumorosamente, ma non ho sentito niente. Allora, sono entrata in punta di piedi e ho visto. La finestra era aperta e la luna faceva brillare l'impugnatura del tagliacarte.» La ragazza s'interruppe e premette il fazzoletto sulle labbra. Cobb la guardava con compassione. «Ha acceso la luce?» «Sì. Poi sono scesa nel vestibolo per telefonare a lei e al dottor Westlake.» «Ha svegliato suo zio?» «Dopo le telefonate. Poveretto. Con molta fatica, gli ho fatto capire cosa era successo e l'ho convinto a rimanere dov'era. Sapevo che non avrebbe potuto far niente di utile.» «Ha detto di avere visto il tagliacarte, signorina Stewart. È di sua zia?» «Sì, lo teneva sempre vicino al letto, per aprire i giornali.» «Quindi, chiunque, entrando nella stanza, avrebbe potuto vederlo?» «Senz'altro.» «Ancora poche domande, signorina. Le finestre, di solito, le tenete chiuse, di notte?» «Sono sicura che zio Cyril non le chiude mai. Chi avrebbe potuto immaginare...» «È naturale» approvò Cobb. «Ha parlato di una riunione dei soci del Club di Caccia. Chi è intervenuto?» «Solo Clara e Francis Faulkner, Tommy Travers e lo zio Cyril.» «Qualcuno di loro è salito a trovare sua zia?» «Sì. Clara e Francis sono saliti a riprendere un libro che le avevano prestato. Allora è salito anche Tommy.» «Nessun altro?»
«No.» Un leggero rossore apparve sulle guance di Rosemary. «Perché me lo chiede?» «Per abitudine» rispose Cobb, ma capii che anche lui aveva notato l'attimo di imbarazzo di Rosemary'. «Adesso, signorina Stewart, farà meglio a riposare.» La ragazza si alzò. Esitò un attimo, poi domandò: «Crede che tutti questi avvenimenti siano collegati? Voglio dire, che chi ha ucciso zia Lulù abbia ucciso anche Anne Grimshawe?» «È inutile che se ne preoccupi, signorina.» La voce di Cobb aveva un tono paterno, ma imperativo. «Lasci a noi il compito di sbrogliare la matassa. Adesso, invece, se suo zio potesse...» «Vado a chiamarlo» si affrettò a dire Rosemary, e scappò via. Desideravo rimanere qualche minuto solo con lei, e così la seguii. Sebbene mi sentissi uno straccio, avrei voluto dirle qualche parola di conforto. Ma era troppo difficile rompere il silenzio. Alla fine, fu Rosemary a cominciare la conversazione. «Farebbe meglio a lasciarla qui, Dawn. Potrebbe dormire con me. Penserò io a farla andare a scuola, domani mattina.» Eravamo arrivati davanti alla sua stanza. Senza esitare oltre, le presi la mano e balbettai: «Vorrei dirle tante cose, e forse proprio per questo non ne sono capace. La ringrazio per la sua premura, e sono addolorato quanto lei della disgrazia.» Lei mi sorrise. «Grazie, Hugues.» Era la prima volta che mi chiamava per nome. 13 Trovai Cyril che passeggiava nel guardaroba come una belva in gabbia. Il viso paffutello e di solito colorito era pallido e pieno di rughe. La sorte non era stata troppo generosa dandogli per moglie Louella. Notai che era più spaurito che disperato. Gli dissi che Cobb desiderava vederlo e lui mi seguì in silenzio. Arrivato in salotto, scelse istintivamente la poltrona più comoda e ci si lasciò cadere, rigirandosi tra le mani il cordone della vestaglia. Gli versai da bere e preparai un bicchiere anche per me. «Terribile» mormorò. «Terribile. Mi scusi, ispettore, se sono così scosso, ma lo shock è stato troppo forte.» «È naturale» convenne Cobb. «Non la tratterrò a lungo. Vorrei sapere
che cosa ha fatto ieri sera dopo cena.» «Vediamo: c'è stata la riunione del comitato del Club. I Faulkner e i Travers devono essere andati via verso le undici. Ho fumato un sigaro, poi sono salito diritto filato in guardaroba e mi sono coricato.» «Dorme sempre in guardaroba?» «No.» Cyril parve un po' seccato della domanda. «Ci dormo spesso da quando se ne è andata la signorina Leonard. La mia stanza è attigua a quella di Louella, e mia moglie aveva l'abitudine di svegliarmi durante la notte per farsi portare un bicchier d'acqua o qualche altra cosa. Stanotte, ero molto stanco... È vero che Louella era ammalata, ma è anche vero che era una malata insopportabile.» «Non ha sentito nessuno che cercava di entrare?» domandò Cobb. «No. Ho sempre avuto il sonno molto profondo, io.» Cobb rimase un momento in silenzio, poi disse, con aria pensosa: «Stanotte abbiamo fatto una scoperta, signor Howell, che ci fa sospettare della signorina Leonard. Abbiamo motivo di credere che si sia fatta licenziare da vostra moglie apposta. Potrebbe darci qualche chiarimento in proposito?» Cyril rimase stupito. «Dice che si sia fatta licenziare apposta? Be', questo spiegherebbe...» «Spiegherebbe che cosa?» lo spronò Cobb. «Vede, tra la mia stanza e quella di Louella c'è il bagno. Venerdì mattina, io ci sono entrato per cercare qualcosa e ho trovato la signorina Leonard. Non le avevo mai dato molta confidenza, anche se mi sembrava una ragazza a posto. Quella mattina, sono rimasto lì, a chiacchierare... be'... della salute di mia moglie, quando, di colpo, la Leonard ha fatto un gesto strano e imprevedibile. Di proposito ha battuto il pugno su un tavolino.» A dispetto delle circostanze, c'era qualcosa di buffo nel viso di Cyril. Ed era buffo vederlo affannarsi a sottolineare l'innocenza del suo discorso con la Leonard. «Quando Lulù ha chiamato» continuò «la ragazza ha battuto il pugno sulla sedia, con rabbia. Ero così meravigliato, che sono rimasto a guardarla senza fiatare. Poi, ho sentito Lulù alzarsi e precipitarsi verso il bagno. Nel preciso istante in cui entrava, la signorina Leonard ha appoggiato le mani sulle mie spalle ed è indietreggiata d'un balzo.» «Cioè, ha fatto in modo che lei avesse l'aria di volerla sedurre» concluse Cobb, meravigliato. «Già. Lulù era su tutte le furie. Ce ne ha dette di tutti i colori. Non ha voluto ascoltare una sola parola di quello che le dicevo, e la ragazza non
faceva niente per discolparmi. Aspettava. Quando Lulù le ha detto di andarsene, lei ha mormorato tra i denti che ne era felicissima e si è allontanata.» Cyril sospirò. «Glielo avrei detto senz'altro, se avessi pensato che poteva interessarla.» Cobb mi lanciò un'occhiata d'intesa. Cyril, infatti, ci aveva confermato che almeno una frase di quel foglietto dattiloscritto era esatta. La Leonard aveva ubbidito alle istruzioni ed era ricorsa al modo più sicuro per farsi licenziare. «Ha più visto la signorina Leonard, dopo l'episodio?» domandò Cobb. «Sì... È venuta in camera mia qualche minuto dopo. Non per chiedermi scusa, per carità! Ha avuto la faccia tosta di chiedermi di intercedere presso Louella perché le lasciasse portar via le valigie.» «Le valigie?» domandai con interesse. «Sì. Louella era inesorabile in simili circostanze. Le aveva ordinato di andarsene senza portare via neanche una borsa.» «E voi siete intervenuto?» «Neanche per sogno. E, poi, non sarebbe servito a nulla. Louella si è alzata e non ha lasciato il vestibolo finché la ragazza non fu uscita. Poi, ha ordinato a una cameriera di aiutarla a radunare il bagaglio dell'infermiera. Ecco perché le valigie erano rimaste qui.» Non avevo mai pensato a questi particolari. Cyril aveva chiarito un altro punto. Niente di strano che la Leonard avesse lasciato quei foglietti compromettenti. La cocciutaggine di zia Lulù non le aveva dato il tempo di distruggerli. Cobb riprese a interrogare. «C'è ancora un punto, signor Howell. È una domanda molto delicata, soprattutto in questo momento. Sa come sua moglie avesse disposto dei suoi beni? Era molto ricca, se non erro.» «Posso rispondervi.» Le grosse dita tamburellavano sui braccioli della poltrona. «Metà va a Rosemary, l'altra metà a me, a patto che io non riprenda moglie.» «E se si risposasse?» «In tal caso, va tutto a Rosemary. Sa, era la beniamina di zia Lulù.» «Capisco.» Cobb chiuse il taccuino. «Basta così, per stanotte, signor Howell. Cerchi di dormire un po'.» Cyril si alzò e si guardò attorno con aria assente. «I miei uomini rimarranno qui ancora un momento» continuò Cobb. Poi, rivolgendosi a me: «Anche tu, Westlake, faresti meglio a tornare a casa. Sono quasi le cinque, e domani avrò bisogno di te prestissimo.»
Mi ero alzato e stavo per uscire, quando mi passò per la mente un pensiero sibillino. «Ancora un momento, Cyril. Sa per caso se la signorina Leonard avesse amici in paese? Ha mai ricevuto telefonate?» Cyril parve riflettere, poi sollevò il capo. «Sì. L'altro giorno, venerdì, poco dopo la sua partenza, ho risposto al telefono, ed era per lei.» «Per lei?» domandai incuriosito. «Sì, era il figlio del vecchio Grimshawe, Walter.» «Walter?» Cobb e io ci scambiammo uno sguardo rapido. Stavo per insistere nelle domande, ma l'ispettore scosse la testa. Capii che non era il caso di approfondire. Per quella notte, avevamo già raccolto fin troppe notizie. Quando, più tardi, rientrai a casa, mi sentii a disagio. Era la prima volta che dormivo senza Dawn. E, mentre mi spogliavo per la terza volta nel giro di poche ore, sentii terribilmente la sua mancanza. Al momento di spegnere la luce, la mia attenzione fu attirata da una cosa o, meglio, dalla mancanza di una cosa: il tavolino su cui tenevo il telefono era scomparso. Girai intorno al letto, e lo trovai capovolto. Rimasi fermo a fissarlo. Non credevo ai miei occhi. Come aveva fatto il tavolino a cadere? Alla fine, mi venne un sospetto. Mi chinai e guardai sotto il letto. Avevo ragione. Era sconcertante, incredibile, ma avevo ragione. Per la seconda volta, in casa mia era entrato un ladro, e stavolta aveva raggiunto il suo scopo. Le valigie della signorina Leonard non c'erano più. Fui preso da un forte desiderio di ridere, che non mi lasciò per parecchi minuti. "Questa poi" pensai, mentre mi infilavo sotto le coperte "questa, poi, è la più grossa di tutte!" 14 A un'ora più che decente, andai da Cobb, a Grovestown. L'ispettore sembrava anche più stanco di me. «Allora» domandai «niente di nuovo?» «Niente» brontolò. «Sant'Iddio, adesso abbiamo di fronte sei piste. Bisogna seguirle tutte e scoprire qual è quella giusta.» «I tuoi uomini non hanno trovato la lettera nella camera della signora Howell?» «No. A quanto pare, l'assassino se l'è portata via. Nessuna impronta,
nessuna traccia, nessun indizio... niente, insomma.» «Hai saputo altro da Cyril, sulla telefonata di Walter Grimshawe alla signorina Leonard?» «No. Anche questo è un punto che dovremo chiarire. Dio sa quando ne troveremo il tempo. Al ritorno da Kenmore, ho esaminato tutti gli alibi, ma avrei potuto risparmiarmi la fatica.» «Be', che si fa adesso?» «L'unica è cercare di approfondire gli elementi che già possediamo. Ho riflettuto e ho fatto luce su alcuni punti. Sappiamo con certezza quasi assoluta perché è stata assassinata la signora Howell. Ha letto la lettera scritta a mano e l'ha conservata. In quel pezzo di carta c'era qualcosa che l'ha insospettita e indotta a parlare.» «Questo è ovvio» interruppi. «Ha cominciato con il fare vaghe allusioni sulla signorina Leonard ieri mattina. Io non le ho dato retta perché non avevo la minima idea che l'infermiera potesse essere immischiata in questa faccenda. Ho creduto che zia Lulù recitasse ancora una volta la parte di zia Lulù.» «Certo. Ma come ha parlato con te, può aver parlato con un sacco di altre persone. Ecco perché l'assassino l'ha giudicata pericolosa. Però, lei non aveva ancora stabilito un rapporto fra la lettera e l'assassino, altrimenti l'avrebbe detto. Credo che solo la notte scorsa, forse mentre al piano di sotto si svolgeva la riunione del Club di Caccia, abbia capito la verità.» Approvai col capo. Nella mia mente si stava facendo un po' di luce, ma con molta fatica. «Possiamo ricostruire tutti i movimenti dell'assassino» continuò Cobb. «Il nostro uomo ha avuto un bel da fare la notte scorsa.» «Il nostro uomo» ripetei. «E chi ti dice che non si tratti proprio della signorina Leonard? Dimentichi che la signora Howell ha gridato il suo nome al telefono.» «Va bene, va bene. Ma non credo che volesse dire che l'infermiera si era introdotta nella sua stanza. Era troppo buio perché potesse vedere di chi si trattava. È più probabile che abbia voluto informarti che anche l'infermiera era della partita. Non vorrei sbagliarmi, ma a quest'ora la ragazza ha già lasciato il paese da un pezzo. È stato il suo complice a commettere il delitto.» «E a venire a derubarmi, anche?» «Sì. Aveva concluso che la signora Howell stava diventando troppo pericolosa e che bisognava eliminarla. Ma non ha voluto correre il rischio di
ucciderla mentre le valigie erano ancora in circolazione. La signorina Leonard deve averlo avvisato che le lettere non erano state distrutte. Ossessionato da quest'idea, l'assassino ha deciso di venire a casa tua, ma non ha trovato le valigie perché tua figlia le aveva nascoste. Era senz'altro molto pericoloso uccidere la signora Howell con le valigie in circolazione, ma era altrettanto pericoloso lasciarla in vita. Così, è andato dagli Howell. Avrà cercato per un po' le valigie, poi è salito di sopra, proprio mentre zia Lulù ti telefonava, l'ha uccisa prima che avesse il tempo di parlare.» «Gli è andata molto bene» osservai sorridendo. «È stato fortunatissimo. Oltre tutto, penso che volesse usare la pistola per uccidere la signora Howell, e invece lei gli ha fornito un'arma migliore.» «Immagino che sia stato un giochetto entrare in quella casa.» «Un giochetto da bambini. Tutte le finestre del pianterreno erano spalancate. Bastava entrare e salire al primo piano. Anche tu, che vivi in campagna, sarai contrario a chiudere le finestre. Ho mandato un uomo a casa tua. Sono sicuro che troverà le finestre spalancate.» Fui contrariato da quella specie di rimprovero. Mi sprofondai in una poltrona e accesi una sigaretta. Rimanemmo seduti un poco, in silenzio; poi, Cobb si alzò. «Avremo un sacco di cose da fare» disse «ma credo che sia meglio scoprire qualche elemento circa questa signorina Leonard. Andiamo all'agenzia delle infermiere. Sai dov'è?» Risposi di sì. Dieci minuti dopo, eravamo in una sala che sembrava una camera d'ospedale, e parlavamo con una donna dall'aria altrettanto ospedaliera. Era la signora Fisher, la direttrice. «La signorina Leonard, dottor Westlake?» Saputo che Cobb non era medico, la signorina Fisher non lo degnò d'uno sguardo e rivolse a me tutte le sue attenzioni. «Ora consulterò le schede.» Le dita, d'una lunghezza impressionante, frugarono lo schedario e ne trassero un foglio. «Che cosa desidera sapere?» «Tutto» brontolò Cobb. «È iscritta qui da molto tempo?» «Solo da qualche mese. La signora Howell era la sua seconda malata. Prima di lei aveva curato la signora Travers, di Ploversville.» «Travers?» Udii l'impercettibile fischio di Cobb. Mi sentivo un po' a disagio. Io sapevo benissimo che la signorina Leonard era stata a casa di Helen Travers,
ma mi era sfuggito di mente. «Sì» tagliò corto la signora Fisher. «La signorina Leonard è rimasta dalla signora Travers due mesi.» «Come mai ha lasciato quel posto?» «Non so. La scheda dice soltanto che la signora Travers ha voluto cambiare infermiera. Adesso è andata da lei la signorina Prothero.» «Lo so io, perché» interruppi. «Sono il medico della signora Travers. Lei cambia spesso infermiera. È costretta ad averla sempre vicina, perciò si stanca in fretta della stessa persona.» «Quindi, sei tu a procurare le infermiere alla signora Travers?» fece Cobb, sorpreso. «Non è esatto. La signora Travers tratta direttamente con la signora Fisher.» La direttrice approvò con un cenno. «Se lo vuole sapere, le referenze della signorina Leonard sono eccellenti. Prima di venire qui, ha lavorato in una clinica di St Louis, dove il dottor Steele...» «Non importa» mormorò Cobb. «Nessuna nota di demerito?» «No, naturalmente. Prima di assumere una nuova infermiera, svolgiamo le nostre indagini. Ho qui delle lettere...» «Perché l'ha mandata dalla signora Howell?» interruppe Cobb. «Mi faccia pensare.» La domanda di Cobb coinvolgeva il buon funzionamento dell'agenzia, e ogni volta che le si chiedeva una risposta non scritta sullo schedario la signora Fisher voleva il tempo di riflettere. «Il dottor Westlake aveva scelto la signorina Green, ma lei era già occupata quando la signora Howell ne ha avuto bisogno. Così, ho mandato la signorina Leonard.» «Ma perché?» insistette Cobb. «Perché proprio la signorina Leonard, che è un'infermiera nuova, invece di una che conosceva bene?» La signora Fisher aggrottò le sopracciglia e si concentrò. «Ah, ecco com'è andata» esclamò alla fine. «Sono scesa in segreteria e ci ho trovato la signorina Green. Era passata a ritirare della roba personale. Le ho parlato del posto presso la signora Howell e le ho domandato se poteva indicarmi una collega disposta ad assumerlo. Quando offrono un posto a un'infermiera e lei non può accettare, è nostra abitudine farle scegliere la sostituta.» La signora Fisher sorrise. «La signorina Green ci ha proposto la Trent, ma la Leonard, passando per caso, ha sentito la conversazione e poco dopo è venuta a chiedermi il
posto.» «Sicché, è stata la signorina Leonard a chiedere di andare a Kenmore?» Cobb mi lanciò un rapido sguardo. «Sì. Deve avere avuto una questione con la signorina Trent, ma alla fine l'ha spuntata. Lascio sempre che si sbrighino da sole queste faccende.» Cobb sorrise soddisfatto. «Mille grazie, signora.» La direttrice capì che l'interrogatorio era finito e si alzò. «Se la signorina Leonard ha avuto dei problemi, dovete informarmi. Me ne occuperò subito.» «Non ha avuto nessun problema» la tranquillizzò Cobb. «Soltanto, la signora Howell l'ha licenziata da parecchi giorni. Lo sapeva?» La signora Fisher rimase sbalordita. «Veramente... no. È contro il regolamento. Le infermiere devono avvertirmi, quando accade un fatto del genere.» Cobb si alzò e si avviò alla porta. «Allora, è proprio partita. Mi piacerebbe sapere dov'è andata a cacciarsi.» Si rivolse ancora alla signora Fisher. «A proposito, potrebbe darci un'idea di com'è fatta?» La domanda rientrava nel repertorio preferito della direttrice. La donna si avvicinò allo schedario e lesse la descrizione: «Statura, uno e sessanta; occhi azzurri; bionda; diplomata a St Louis; ventisei anni; una grossa cicatrice sul braccio sinistro che risale alla nascita, carnagione chiara; cattolica...» «Non ha per caso una fotografia?» la interruppe Cobb. Solo allora la signora Fisher capì che Cobb si trovava lì per ragioni di lavoro. «Una fotografia? Sì, certo. Ma non venga a dirmi che una delle mie infermiere è ricercata dalla polizia. È impossibile.» Si diresse verso un secondo schedario e ne trasse un cartoncino che porse a Cobb. Diedi un'occhiata alla foto. Era proprio la signorina Leonard: carina, riservata, quasi timida... Ci affrettammo a congedarci. «Non c'è molto da stare allegri» mormorò Cobb mentre salivamo in macchina. «Ma, se non altro, abbiamo saputo che è stata la signorina Leonard a voler andare a Kenmore. Si direbbe che ogni mossa fosse già stabilita.» «Credo che qualcuno avesse progettato di uccidere Anne quando l'infermiera era ancora dai Travers? Mi sembra strano. Non capisco a cosa possa servire un'infermiera come complice.»
«Un'infermiera può essere utilissima» rispose Cobb. «Conosce molto bene cure e corpo umano.» Tornammo all'ufficio di polizia di Grovestown. L'ispettore si mise in comunicazione coi colleghi di St Louis e li pregò di ricercare la signorina Leonard. Poi, interrogò i suoi uomini che, naturalmente, non avevano scoperto niente di nuovo. In compenso, era stato commesso un altro furto. Cobb mi passò il rapporto. «Ho l'impressione che qualcuno si sia dato molto da fare, stanotte, Westlake.» Il rapporto diceva che il signor Francis Faulkner aveva telefonato per informare la polizia che durante la notte erano stati asportati dalla sua casa diversi oggetti, tra cui una coppa d'oro. Il furto era stato commesso tra le otto e trenta della sera precedente, ora in cui i Faulkner si trovavano alla riunione del Club di Caccia, e le dodici della mattina successiva, ora in cui era stata scoperta la mancanza della coppa. «Povero Francis!» commentai. «Prima Sir Basil, e adesso la coppa... Questa storia non ha senso, Cobb. Non ha né capo né coda.» «Io non credo.» L'ispettore fissava pensieroso il rapporto. «Se il nostro uomo è un cacciatore, non mi meraviglierei che cercasse di sviarci commettendo atti inconcepibili per un cacciatore.» La tesi di Cobb non era da scartare. Ma non riuscivo a credere che un uomo sano di mente fosse capace di compiere due azioni del genere l'una dietro l'altra. Secondo me, l'assassinio di Sir Basil e il furto della coppa rivelavano, piuttosto, un astio spiccatissimo contro i cacciatori in genere, e i Faulkner in particolare. «Adesso, siamo costretti ad andare a casa dei Faulkner e occuparci di questa nuova faccenda» annunciò Cobb, con pazienza. «Ma io non posso buttar via il tempo per furti privi d'importanza. Mi interessano la signorina Leonard e l'assassino di Anne, invece. Dai, andiamo.» Alle porte di Kenmore mi venne un'idea. Mi rivolsi a Cobb e dissi: «Può darsi che il furto sia puramente casuale.» «Non ci arrivo» si scusò Cobb. «Noi sappiamo che al ladro interessavano moltissimo le valigie della signorina Leonard. Bene, ieri quando sono andato dai Faulkner per la sepoltura di Sir Basil, le avevo in macchina. Può darsi che lui fosse là, e abbia creduto che volessi lasciarle da Francis. Mi segui? Quando non ha trovato le valigie a casa mia, è andato da lui ma, non trovandole nemmeno là, ha preso il primo oggetto di valore capitatogli sotto mano, per far credere a un
vero furto.» «Molto ingegnoso, Westlake. Ma perché non ha fatto lo stesso a casa tua?» «Per il semplice fatto che a casa mia non c'è nessun oggetto di valore. Inoltre, Dawn e io l'abbiamo interrotto.» Mi venne un'altra idea. «Se questa ipotesi è corretta, possiamo ridurre la rosa delle persone sospette. Chi ha derubato Francis e me sapeva che avevo portato via le valigie da casa Howell. E chi era al corrente del fatto? Solo poche persone: Cyril Howell può aver visto il cameriere mettere le valigie in macchina.» «Anche Rosemary Stewart...» aggiunse l'ispettore. «Chi altri?» Pensai alla giornata precedente, alla scena con Clara Faulkner quando mi ero accorto delle valigie nel portabagagli. «La signora Faulkner» dissi, e raccontai a Cobb com'era accaduto. «Poi, può averlo detto ad altri.» «Già. E c'è anche quel norvegese, Berg. Mi domando cosa è venuto a fare alla sepoltura. Non potrebbe darsi che cercasse le valigie?» «A me non sembra, ma non è da escludersi. Comunque, se cominciamo coi "può darsi", non finiamo più.» Intanto, eravamo arrivati dai Faulkner. Clara passeggiava nervosamente sul prato davanti al portone. «Ah, eccovi.» Il viso cavallino era sconvolto. «Povera Louella, è terribile... E adesso, rubare la coppa di Francis. È incredibile. Ma entriamo.» In salotto, dopo averci indicato due poltrone, accese una sigaretta e si appoggiò al caminetto. Disse che Francis era furibondo. Lei era pronta a tirare il collo al colpevole con le proprie mani. Erano spariti la coppa e qualche pezzo di argenteria. C'era una finestra aperta e, probabilmente, il ladro era entrato di là. Non aveva lasciato nessun segno di disordine. Era scoraggiante. Cobb non accennò a tutte le nostre supposizioni su quel furto. Si limitò a promettere che avrebbe fatto il possibile per ritrovare gli oggetti. Poi, fissandola cupo, le domandò: «Si ricorda delle valigie che il dottor Westlake aveva ieri in macchina? Ha raccontato a qualcuno che erano della signorina Leonard?» Clara parve sorpresa ma non fece domande. Aspirò una lunga boccata e rispose: «Sì. Ne ho parlato ieri sera alla riunione del Club di Caccia. Ci piace stuzzicare un po' Cyril a proposito di Louella. L'argomento mi sembrava divertente. Così, ne ho parlato. Ma ora che è morta, mi dispiace mol-
to aver riso della povera Louella.» Che delusione! Il mio piano per ridurre il numero dei sospetti non si rivelava geniale. Non solo Clara e Rosemary erano al corrente della faccenda delle valigie ma anche i soci del Club di Caccia: Cyril, Francis e Tommy Travers. «Del resto, perché si preoccupa di questa faccenda?» riprese Clara. «Non penserà che c'entri anche la signorina Leonard, per caso.» «Perché me lo chiede?» ribatté Cobb. Clara scrollò le spalle. «L'ho domandato per il semplice motivo che ieri sera, prima di riunirci, Francis e io siamo saliti da Louella. Doveva restituirmi un libro. Pareva molto preoccupata per questa signorina Leonard. Ha parlato anche di una lettera.» «Ah, sì? E che ha detto?» «Temo di non ricordare. Non le ho dato retta. Da qualche anno non prestavo più attenzione a quanto diceva Louella. Se non ho capito male, ha parlato di una lettera compromettente e di questa signorina Leonard che non si comportava affatto bene.» In quel momento, entrò Francis. Sembrava stanco e piuttosto smarrito. Si capiva che era in collera quanto la moglie per il furto della coppa, ma sapeva dominarsi. Si scusò per avere complicato il lavoro della polizia. Il furto era cosa da poco di fronte agli altri delitti. Ma lui aveva ritenuto opportuno informare le autorità. «Voglio fare il possibile per ritrovare la coppa e chi l'ha rubata» dichiarò. «Sir Basil e la coppa.» E sorrise. «Credo che dovremo essere riconoscenti al nostro uomo di essercela cavata a così buon mercato.» Né lui né Clara erano entrati in salotto, di ritorno dalla riunione. Di conseguenza, non si poteva stabilire l'ora precisa del furto. Cobb prese appunti e promise di nuovo che non avrebbe risparmiato sforzi per trovare il ladro. Francis lo ringraziò, e poi chiese: «Ha fatto qualche passo avanti? Povera Louella! Un delitto orrendo quanto inutile. Perché hanno voluto ucciderla? Non poteva fare del male a nessuno... se escludiamo la sua lingua.» «Ha indovinato» rispose Cobb, cupo. «Ho proprio paura che sia morta per colpa della sua lingua troppo lunga. A proposito, ricorda che cosa ha detto ieri sera, circa la signorina Leonard?» «La signorina Leonard? Ah, sì. Ne ha parlato un po' vagamente, vero, Clara? Accusava l'infermiera di non essere troppo seria. Ma per Louella un sacco di donne erano poco serie.» Cobb approvò col capo.
«Un momento!» aggiunse subito Francis «non crederà che questa signorina Leonard c'entri qualcosa con la morte di Anne Grimshawe?» Lo domandò con tono grave e mi sembrò di intercettare un suo sguardo alla moglie, uno sguardo che era come una domanda. Anche Cobb dovette accorgersene, perché si affrettò a rispondere: «Speravo appunto che lei e sua moglie poteste aiutarci a questo proposito.» «Be', ci sarebbe qualcosa da dire, in realtà» Francis arrossì leggermente. «Non ne avevo parlato con nessuno e a Clara l'ho detto solo stamattina. Riguarda Anne Grimshawe, e forse può avere un nesso con la Leonard.» Guardò ancora la moglie. «Credi che si debba dirlo, Clara?» «Senz'altro.» La donna aspirò una profonda boccata di fumo. «Non sembrerà molto bello riferirlo ora che la poveretta è morta.» Francis si fissava la punta delle scarpe. «Ma immagino che abbia già indovinato di che si tratta. Sa che ero in trattative con Anne per comprare una parte del suo terreno. Un affare assolutamente onesto, ma ero costretto a trattarlo in luoghi appartati...» «Ne ho sentito parlare» tagliò corto Cobb. «Naturalmente, zia Lulù le avrà detto che io facevo la corte alla ragazza.» Francis sorrise. «Mi creda sulla parola: non c'è niente di vero. Io volevo soltanto comportarmi da amico, con Anne. Volevo pagarle il terreno al giusto prezzo. Lei aveva un tale bisogno di soldi che me lo avrebbe ceduto per un'inezia. Voleva allontanarsi da Kenmore al più presto. Detestava questi luoghi, detestava il padre... detestava tutto, insomma.» «Perché?» interruppe Cobb. «È quanto mi chiedo anch'io. Secondo me, non c'era nessuna ragione per non aspettare i termini di tempo legali. Glielo dissi, le dissi anche che non potevo prendermi la responsabilità di disporre del denaro di mia moglie per concludere un affare così rischioso. Ma lei insisteva che aveva bisogno di soldi perché doveva partire subito.» La storia collimava con la versione di Cyril. «Per convincermi» proseguì Francis «ha acconsentito a dirmi di più, e mi ha fatto delle confidenze. Mi faceva pena. Si era lasciata andare con uno del paese e...» «Vi ha detto di chi si trattava?» lo interruppe di nuovo Cobb. «No. Non gliel'ho neppure chiesto. Mi ha detto che stava per avere un bambino. Era terrorizzata al pensiero che Elias potesse venire a saperlo.» «Santo Iddio» esclamai. «Ma perché non si è confidata con me?» «Gliel'ho anche consigliato, Hugues» rispose Francis. «Ma era troppo
spaventata. Preferiva affidarsi alla signorina Leonard, che aveva promesso di occuparsi di lei e di toglierla dai pasticci.» «La signorina Leonard!» esclamai incredulo. «Sì» continuò Francis. «Anne mi ha detto che la signorina Leonard aveva confermato i suoi timori circa il bambino, e le aveva assicurato che avrebbe provveduto lei a tutto, se si fosse allontanata da Kenmore.» «Che avrebbe provveduto a tutto?» ripetei, meravigliato. «Intendi dire che l'infermiera le aveva proposto un'operazione illecita?» «Dio mio, no.» Il bel viso di Francis si era contratto in una smorfia di disgusto. «Noi... io, in fin dei conti, non ero in confidenza con Anne perché potesse raccontarmi di più. Mi ha detto solo quanto ho riferito adesso. Non ne ho parlato prima perché non l'ho creduto opportuno. Non avrei mai immaginato che la signorina Leonard fosse immischiata nel delitto. A proposito, sa dove si trovi?» «Magari lo sapessi» brontolò Cobb. «Di una cosa sola sono sicuro. La Leonard, ieri notte, non era dagli Howell. Sarebbe stato proprio imprudente per lei mostrarsi nei dintorni. È l'unica persona del paese che non può avere ucciso la signora Howell. Tutti gli alibi che mi hanno fornito i suoi vicini sono inutili. Immagino che anche il suo, signor Faulkner, ci interessi ben poco.» «Io posso dirvi che cosa faceva Clara» precisò Francis, con un sorriso. «Era nel suo letto, e ha dormito tutta la notte. Purtroppo, lei non può dire altrettanto di me.» «Si spieghi meglio. È uscito, ieri notte, dopo la riunione dei soci del Club di Caccia?» «Sì... Sir Basil e tutto il resto... Non avevo voglia di dormire. Non appena Clara si è addormentata, mi sono alzato e sono uscito.» «E dove è andato, se non sono indiscreto?» Francis fece per rispondere, ma poi arrossì e tacque. «So io dov'è andato» intervenne Clara. L'affermazione ci sorprese. «Ma lei non dormiva?» le domandò Cobb, un po' infastidito. «No» rispose Clara. «Facevo finta di dormire. Ho sentito Francis alzarsi e ho capito dove sarebbe andato, quindi ho pensato che fosse meglio lasciarlo fare.» «Allora, signora Faulkner, dov'è andato suo marito?» «Perdonami, Francis» Clara, col marito, riusciva a usare un tono quasi dolce. «Non credi che sia meglio dire la verità? Dopo che ti sei alzato, ho
aspettato un po' e poi sono scesa anch'io. Tu non mi hai vista ma io ti vedevo benissimo, al chiaro di luna, dalla finestra del salotto.» Tornò a rivolgersi all'ispettore. La sua espressione, un attimo prima dolce, si era già indurita al pensiero di essere costretta a confessioni così intime. «Mio marito è andato sul prato... accanto alla tomba di Sir Basil.» 15 Cobb aveva l'aria tetra e pensierosa quando, per l'ennesima volta, salimmo in macchina. Non appena la casa dei Faulkner fu sparita dietro una fila di alti pini, esclamò: «Alzarsi in piena notte per andare a raccogliersi sulla tomba di un cavallo! Ti sembra normale?» «Francis amava molto Sir Basil» mi limitai a osservare. Non avevo voglia di sprecare fiato per spiegargli di quali azioni bizzarre fossero capaci i cacciatori. Io, personalmente, ero rimasto commosso dalla confessione di Clara. Ed erano queste considerazioni sentimentali, in fondo senza importanza, che mi impedivano di guardare tutte le persone solo dal punto di vista degli alibi e dei moventi che avrebbero potuto avere. «Questa visita ci ha aperto nuovi orizzonti, Westlake.» La voce di Cobb interruppe le mie riflessioni. «Francis ha attribuito all'infermiera una parte che non avrei immaginato. In fin dei conti, Anne Grimshawe può essere stata uccisa involontariamente.» Lo guardai sorpreso. «Ma che diavolo stai dicendo?» «Non capisci? Il tizio che ha sedotto Anne scopre che lei sta per avere un bambino. La Leonard lo convince della necessità di un'operazione illecita, che viene tentata. Anne muore. L'infermiera e il nostro uomo sono presi dal panico e cercano di sbarazzarsi del cadavere.» «E il foglietto scritto a macchina?» obiettai, pur pensando che l'idea di Cobb non era tanto assurda. «Parla di un piano da portare a termine e di soldi da ricevere. Si può adattare tanto a un'operazione quanto a un assassinio.» «Sì, ma noi non abbiamo tempo da perdere in ipotesi. Andiamo a casa dei Travers. Avrei dovuto parlare già ieri con quell'inglese.» Approvai distrattamente. Stavo eseguendo un rapido calcolo mentale: il corpo era stato scoperto appena tre giorni prima. Gli avvenimenti si possono succedere a rotta di collo quando li provoca un assassino. «Il caso di Travers non è molto più chiaro degli altri» continuò Cobb.
«La signora Howell ha parlato di certi suoi rapporti con Anne Grimshawe. Sir Basil è appartenuto prima a lui. La Leonard è stata a casa sua per parecchi mesi. E c'era anche lui, ieri sera, alla riunione del comitato, quando Clara ha parlato delle valigie.» «In effetti, lui ha probabilità quanto gli altri» rilevai, con un pizzico di tristezza. «Ma non più degli altri.» «Proprio questo mi dà più fastidio.» Cobb prese la strada per Ploversville. «In un gruppo di persone oneste, un assassino dovrebbe risaltare come una pecora nera in un gregge di pecore bianche. Ma è sempre la solita storia: non si fa in tempo a scoprire un delitto che subito una dozzina di persone vengono sospettate. C'è un solo mezzo per scoprire il nostro uomo. Concentrati un attimo e dimmi qual è la persona più rispettabile del paese.» «Be', in questo momento sono io.» «Tu o tua figlia.» Cobb era in vena di spirito, e questo era un brutto segno. I Travers abitavano in una villetta di stile inglese, molto carina, nelle vicinanze di Ploversville. Contrariamente a molti suoi compatrioti, Travers non era venuto in America nella speranza di fare una facile fortuna. Prima di partire, possedeva un discreto capitale, e in America ne aveva speso una buona parte per rendere la sua casa il più inglese possibile. Aveva lasciato l'Inghilterra mosso dal desiderio di viaggiare che è comune a molti figli d'Albione. Le sue peregrinazioni l'avevano condotto, sei anni prima, a Grovestown. Si era innamorato di Helen e aveva deciso di stabilirsi qui, senza smettere, comunque, di definire il suo paese come il più bello del mondo. Prima dell'incidente della moglie, si era dedicato all'amministrazione dei terreni. Ma poi aveva rinunciato. Si limitava a dare qualche consiglio, visto che era presidente di alcuni importanti comitati regionali. A parte le riunioni e qualche partita di caccia, lasciava molto di rado la casa e la moglie, il cui tragico destino aveva aumentato l'amore che già nutriva per lei. Giunti all'ultima svolta della strada che conduceva alla villetta di stile elisabettiano, vedemmo Tommy che passeggiava sul prato con i suoi due spaniel pezzati. «Così, mi hai portato l'ispettore, Westlake. È il mio turno di essere interrogato» disse. Ci condusse in un salotto, si avvicinò al mobile bar e ci preparò due whisky e soda.
«Avrei voluto venire ieri» cominciò l'ispettore «ma non ce l'ho proprio fatta. In ogni modo, è venuto uno dei miei uomini, no?» «Già. Mi ha chiesto che cosa avevo fatto la notte scorsa. Una domanda piuttosto scabrosa. Gli ho risposto che sono stato a letto, ma perché avrebbe dovuto credermi?» Tommy sorrise, poi il sorriso sparì di colpo. «Adesso, Helen e io dormiamo in due stanze separate, e nessuno può confermare che ho detto la verità.» Cobb approvò con un cenno del capo. «Non sono venuto solo per Anne Grimshawe, signor Travers. Ma, già che ci siamo, parliamone. La conosceva?» «Poco. Era una cara ragazza. Saltava gli ostacoli alla perfezione.» «Non sa, per caso, se avesse una relazione in paese?» Tommy aprì una scatola di sigari. «Non ne ho la minima idea.» Cobb rifiutò il sigaro e tolse di tasca la pipa. Poi aggiunse: «Sono venuto a trovarla per chiederle della signorina Leonard.» «La signorina Leonard?» Se Tommy avesse portato il monocolo, gli sarebbe senz'altro caduto, tanto spalancò gli occhi. «Non mi dica che anche lei c'entra, in questa storia.» «Potrebbe dirmi perché sua moglie l'ha licenziata?» «Mi spiace, ma non so proprio cosa dirle.» Tommy alzò le spalle. «Bisognerebbe domandarlo a lei. Helen si comporta in un modo tutto suo, con le infermiere. Non riesce a sopportarne nessuna a lungo. Non credo che si possa biasimarla.» «Vedeva spesso la signorina Leonard, quand'era qui?» «Spessissimo, naturalmente. Era una ragazza bionda, simpatica, molto più carina della maggior parte delle infermiere. Mi è dispiaciuto che se ne sia andata.» «Non l'ha mai vista con un uomo?» «Con un uomo? Mai. Almeno... aspetti. Non ci ho fatto caso, ma una sera l'ho vista con qualcuno. Circa tre mesi fa, poco dopo il suo arrivo. Non ho visto bene di chi si trattava. Ero uscito a cavallo e mi ero allontanato più del solito. Sono rientrato che era già un po' tardi. Faceva buio quando ho raggiunto Top Woods, e per poco non urtavo una coppia di innamorati. Erano seduti su un tronco d'albero. Si abbracciavano come tutti gli innamorati di questo mondo. Ho cercato di non essere indiscreto, però, mio malgrado, ho riconosciuto nella donna la signorina Leonard.» «È sicuro di non avere riconosciuto l'uomo?» domandò Cobb.
«Sicurissimo. Stava in ombra, proprio come se temesse di farsi vedere. Ho intravisto solo un vestito di tweed.» Travers si riempì un secondo bicchiere e porse la bottiglia a Cobb. «Ma non ho finito. In seguito, conosciuta meglio la signorina Leonard, l'ho punzecchiata più volte su quell'appuntamento, e le ho domandato come si chiamasse il suo bello. Sono rimasto colpito dalle sue reazioni. È diventata pallida, ha negato tutto, e si è chiusa in se stessa.» In quel momento, si aprì la porta ed entrò una donna infagottata in un'uniforme da infermiera. Era la signorina Prothero, che aveva sostituito la Leonard. Lanciò un'occhiata ostile a Cobb e mi disse: «Dottore, la signora Travers ha saputo che lei è qui e desidera parlarle.» Guardai Cobb per vedere se fosse d'accordo, e lui mi fece un cenno di consenso. «Già che ci sei, chiedi alla signora Travers che cosa sa della sua ex infermiera, così non sarò costretto a disturbarla io.» Helen Travers trascorreva sempre le giornate d'inverno in una stanza soleggiata del secondo piano dove, dalla poltrona a rotelle, poteva vedere tutta la vallata di Kenmore. L'infermiera mi condusse proprio in quella stanza. Trovai la donna seduta vicino alla finestra, a fissare i campi gelati. L'infermiera uscì subito ed Helen mi indicò la sedia con un sorriso. «Sono contenta che sia venuto, dottore. Stavo per farle telefonare da Tommy, ma sono più contenta che lui non ne sia al corrente.» «Di che cosa si tratta?» «È successa una cosa, la notte scorsa.» Helen continuava a sorridere, ma gli occhi erano tristi. Non l'avevo mai vista contrariata, e questo accrebbe il mio disagio. «Mi sembra necessario che lei lo sappia, in qualità di collaboratore della polizia, e se poi le sembrerà opportuno, potrà riferirlo all'ispettore.» «Intende dire che ieri notte è successo qualcosa anche qui?» «Sì.» Il tono della voce di Helen era sempre dolcissimo. «O meglio, non è proprio successo qualcosa, ma... Non creda che mi inventi le cose perché sono malata, dottore... Insomma, ieri notte c'era un uomo sotto la mia finestra. L'ho sentito camminare avanti e indietro per almeno due ore. Al chiaro di luna potevo vederlo. Credo che volesse entrare.» A queste parole, sentii un brivido lungo la schiena. La storia era identica a quella che mi aveva raccontato un'altra paziente. Anche Louella aveva
sentito camminare un uomo sotto la finestra, e adesso era morta. Povera Helen, ancora più incapace di difendersi. «Sembrerà stupido dare importanza a un fatto del genere, ma, dopo quanto è successo, è una cosa che fa un po' paura. Vede, sono certa che non si trattava di un ladro. Ci scommetterei... perché parlava da solo.» Alzò gli occhi verso di me. «Andava e veniva. Ogni tanto si allontanava per un po', e poi tornava. E durante tutto il tempo che è stato qui l'ho sentito parlare da solo. Non ho potuto sentire cosa diceva, ma mi sono resa conto che era su tutte le furie.» Mi sforzai di nascondere la mia inquietudine e le rivolsi alcune domande più precise. Purtroppo, le risposte furono vaghe. Non riuscii a stabilire se l'uomo fosse lo stesso che era passato due volte da casa mia e che aveva assassinato Louella Howell. Helen continuò: «Ero preoccupata per me. Chiunque, del resto, lo sarebbe stato. Poi mi ricordai di essere paralizzata e tanto isolata dal mondo. Chi avrebbe potuto volere farmi del male? Se quell'uomo ce l'aveva con qualcuno, questo qualcuno non poteva essere che Tommy.» Mi guardò con aria supplichevole. «Ecco perché ho voluto parlargliene, dottore. Anche se non riesco a capire come possa entrarci Tommy, sento che è in pericolo.» La rassicurai per quanto mi fu possibile, ma dentro di me sentivo che poteva benissimo aver ragione. Da quanto avevamo appena saputo, Tommy era l'unico che avesse visto la signorina Leonard col suo innamorato, o il suo complice, o chi diavolo era. Adesso, morta Louella Howell, per quanto ne sapeva l'assassino, Travers era l'unica persona che potesse riconoscerlo. Questo ragionamento mi riportò alla signorina Leonard. Interrogai con molto tatto la signora Travers. Ma avrei dovuto sapere che non sarei venuto a capo di nulla. Helen era troppo indulgente per parlare male di qualcuno. Mi disse solo quello che sapevo già, ossia che non sopportava a lungo la stessa faccia e che le povere infermiere non ne avevano nessuna colpa. Ma, se non altro, confermò che la Leonard ci teneva moltissimo a non allontanarsi da Kenmore. Di lì a poco lasciai Helen e raggiunsi Cobb e Tommy in salotto. Poi ci dirigemmo nel vestibolo, lasciando Travers coi suoi due spaniel. «Ha l'aria di essere una brava persona, Travers» commentò Cobb, raccogliendo soprabito e cappello. «Credo proprio che non verremo a capo di nulla con lui.» Io l'ascoltavo appena. Il mio sguardo era caduto su una pila di lettere che portavano, scritti a mano, gli indirizzi di alcune fabbriche di Grovestown.
Fu come se una luce abbagliante mi entrasse nel cervello. Tirai Cobb per un braccio e gliele indicai. «Guarda.» L'ispettore si voltò e, dalla sua espressione, capii che stava subendo la mia stessa reazione. La signora Howell aveva sottratto dalle valigie una lettera di cui aveva lasciato la busta. Se le nostre ipotesi non erano sballate, quella busta era stata la causa della sua morte. Adesso, non esistevano più dubbi sul misterioso corrispondente della Leonard. Ecco perché mi era parso di conoscere quella grafia sottile sulla busta. Era di Tommy Travers! Per un attimo rimasi impietrito. Anche Cobb sembrava piuttosto sorpreso. Restammo immobili a fissare la pila di lettere. «Meno male che da Travers ci sarebbe stato ben poco da sapere!» esclamò Cobb. «State dicendo che potrei esservi utile in qualcosa?» Ci voltammo. Tommy stava uscendo dal salotto seguito dai suoi due cani. Ci guardava con aria tra il divertito e il curioso. «A vedervi, si direbbe che avete fatto una scoperta sensazionale.» Cobb lo fissò negli occhi. «Ci chiedevamo chi può aver scritto quelle lettere.» Travers si avvicinò con aria disinvolta e prese in mano una delle buste. «Queste? Ma io, naturalmente. Che scrittura orrenda, eh?» Cobb non si perse i preamboli. «Sa, signor Travers, che c'era una sua lettera nelle valigie della signorina Leonard?» «Già» fece Tommy, indifferente. «Avevo dimenticato di averle scritto. Io non ero qui quando l'infermiera se ne è andata, e le dovevo ancora due settimane di paga. Ho buttato giù due righe di accompagnamento all'assegno. Tutto qui. Mi dispiace se la mia lettera vi ha fatto perdere tempo.» Ma se Tommy sembrava soddisfatto della sua spiegazione, Cobb non lo era altrettanto. Rimase un attimo in silenzio, poi elargì a Travers un bel sorriso. «Così, ecco che cambia tutto; Westlake aveva basato tutte le sue teorie su quella lettera. Siamo lieti di sapere che è solo una cosa priva d'importanza.» Sorrise un'altra volta e uscì. 16 «Ancora una pista falsa» borbottò Cobb, mentre guidava la macchina
fuori della proprietà dei Travers. Ma era poi vero? Noi comunque non potevamo muovere un dito senza prima sapere che cosa aveva scoperto la signora Howell. «E con molta probabilità non lo sapremo mai» dissi, scoraggiato. «Devi chiedere a Travers un'altra cosa. Lui ammette di avere scritto la lettera, ma avrebbe riconosciuto come suo anche il foglietto scritto a macchina? Quello, almeno, parla chiaro.» L'ispettore mi guardò con compatimento. «Cosa credi che abbia fatto con Travers, per tutto il tempo che tu sei stato con sua moglie? Ho saputo che non sa scrivere a macchina e che non ha mai posseduto una macchina per scrivere. La moglie ne ha una, ma non c'interessa. Quella che cerchiamo noi è una Elliot portatile n. 5. In ogni modo, trovarla è compito dei miei uomini, ammesso che ci sia ancora qualche speranza. A proposito, cosa doveva dirti la signora Travers?» Quando gli riferii la nostra conversazione, Cobb si lasciò sfuggire un'esclamazione irripetibile. «Dio mio, un altro nottambulo! Ma allora, ieri notte, non c'era proprio nessuno a letto.» Diede un'occhiata all'orologio. «Sono solo le quattro e mezzo. Volevo tornare in ufficio per vedere come marciano le cose, ma questa storia cambia tutto. Sarà meglio continuare a esaminare gli alibi. Dovremo fare ancora un paio di visite. Ti secca, Westlake?» «Oh, no» risposi. «Se i miei pazienti non sono morti fino adesso, posso farli aspettare ancora un po'. Dove andiamo?» «Penso che sia ora di fare due chiacchiere coi Grimshawe.» Fece una smorfia. «Sarà dura. Senza contare che non so se trattarli come una famiglia duramente colpita o come probabili assassini. Mi domando cosa ci facevano quei vestiti nella macchina di Walter, e che cosa aveva da dire, quello, alla signorina Leonard quando l'ha chiamata al telefono.» «A me piacerebbe sapere come ha fatto Elias a citare le sacre scritture con tanta precisione a proposito di Jezebel e delle sue carni dilaniate dai cani.» L'ispettore si diresse verso la fattoria dei Grimshawe. «Tu, occupati del vecchio. A Walter ci penso io.» Mentre Cobb continuava a parlare, giungemmo a una curva dalla quale si vedeva benissimo la casetta di Adolf Berg. Davanti al cancello scorsi il vecchio macinino di Walter Grimshawe. Un attimo dopo, il fratello di Anne scese dalla macchina e si diresse a grandi passi verso la casa. Walter era già a metà del vialetto quando lo chiamammo. Si voltò, ma
continuò a camminare in fretta verso la porta e ci aspettò là. Era più elegante e ricercato del solito e gli occhi gli brillavano per l'eccitazione. «Stiamo cercando proprio lei» gli disse l'ispettore. «E lei è proprio la persona che io sto cercando da più di un'ora» rispose Walter, con un sorriso evidentemente forzato. «Ma che bella combinazione!» esclamò Cobb. «Be', se ha qualcosa da dire alla polizia, l'ascolteremo ben volentieri.» «Oh, no! Per il momento non ho niente da dire» si affrettò a precisare Walter. «Ma fra poco avrò senz'altro una dichiarazione da fare.» «Perché non ci dice tutto subito?» Il tono dell'ispettore non era più tanto gentile. «Prima, però, vorrei farle una domanda circa una sua telefonata alla signorina Leonard.» Walter non lo stava ascoltando. Mentre guardava l'orologio, notai che gli tremavano le mani. «Le cinque meno dieci» mormorò tra sé. Poi guardò Cobb dritto negli occhi. «Adesso non ho tempo, e niente mi farà cambiare idea. Comunque, spero di essere da lei per le sei e mezzo. Fino a quel momento non so cosa abbia intenzione di fare, ma sarà meglio che resti tranquillo, se non vuole trovarsi fra le braccia un altro cadavere.» Cobb lo fissava, senza credere alle proprie orecchie. «So benissimo che cosa vuole chiedermi» le labbra di Walter abbozzarono un altro sorriso forzato. «Vuole sapere che cosa ho fatto questo pomeriggio a Grovestown e che cosa ho fatto ieri notte. Glielo spiegherò quando torno...» S'interruppe per sbottare in una risata, poi si rivolse a me. «Per l'amor del cielo, dottore, lo convinca lei. Adesso entro un attimo da Berg, poi ho dell'altro da fare. Dopo di che sarò libero. Torni al suo ufficio, ispettore, e non cerchi di pedinarmi. Sarò là alle sei e mezzo, docile come un agnellino.» Rise ancora, di un riso breve e roco. Poi, aprì la porta e la richiuse sbattendola. Sentii la chiave girare nella serratura. «Be', che ne pensi di questa alzata d'ingegno?» domandò Cobb, con voce che riusciva appena a dominare. «Non ne penso proprio niente» risposi. «Comunque, ti esorto a seguire il suo consiglio. Torna in ufficio e aspetta. Magari, è successo sul serio qualcosa di importante. Lascialo fare.» «D'accordo, Westlake. Io torno in ufficio e tu ti occupi di Elias. A più tardi.» Mi avviai da solo attraverso il sentiero Pytcher verso la fattoria dei
Grimshawe. Lo strano incontro con Walter mi aveva riportato alla mente Rosemary. I pochi momenti trascorsi con lei mi sembravano un sogno, dopo l'orrore di quei giorni. Le mie riflessioni furono interrotte bruscamente. Davanti a me era apparsa una ragazza a cavallo. Per quanto fosse già un po' buio, la riconobbi subito: Rosemary. Poteva sembrare che il pensiero di lei mi avesse causato un miraggio. Ma la ragazza che si avvicinava era Rosemary, in carne e ossa. Lei non mi vide subito. Teneva gli occhi bassi e i lunghi capelli le ricadevano sul viso. Quando la chiamai, sollevò il capo lentamente. Nel vedere la sua espressione per poco non mi venne un colpo. Era pallida e gli occhi brillavano nell'oscurità come se fossero pieni di lacrime. «Rosemary!» esclamai. «Cos'è successo?» «Hugues!» La voce era atona. Lei rimase un attimo ritta in sella, poi, come un automa, scese da cavallo, legò le redini a un albero e mi si avvicinò. «Rosemary, è successo qualcosa? Deve dirmelo.» Si rassettò i capelli. «Non è niente» disse. «Niente di importante, glielo assicuro.» «Sa benissimo che di me può fidarsi.» Le presi la mano e la strinsi fra le mie. Lei non si oppose. «E se c'è qualcosa... farò il possibile per aiutarla.» «Grazie, Hugues. D'altra parte, perché non dovrei parlargliene? Di solito, ci si confida con il medico, no? A maggior ragione, poi, quando il medico è così gentile. Ma è inutile che ci pensi. Non devo pensarci più.» «Mi vuole spiegare di che cosa sta parlando?» incalzai. «O di chi?» «Di Walter.» Alzò le spalle con indifferenza. «Mi offre una sigaretta, Hugues?» Gliela porsi. «È più facile confidarsi mentre si fuma.» Vicino c'era il tronco d'un albero abbattuto, e ne approfittammo per sederci. Rosemary mi era vicinissima; il suo braccio sfiorava il mio, e sentivo che tremava. «Sono certa che mi troverà ridicola» cominciò. «I dispiaceri d'amore non sono più di moda. Ed è proprio questo, Hugues, che mi fa piangere.» «Per lei ci sarà sempre la spalla di un amico su cui piangere» la consolai. «Oh, adesso non piango più. La storia la conosce. Si tratta di Walter. La solita storia d'amore. Ci saremmo dovuti sposare tra non molto, nonostante l'opposizione delle famiglie. Ottimo soggetto per un romanzo, vero?» «Avete litigato?» «Niente di così normale. Ho semplicemente scoperto di non essere l'unica. Ricorda le allusioni di zia Lulù circa i sentimenti interessati che attri-
buiva a Walter? Bene, credo che non avesse torto.» «Se ha intenzione di confidarsi con me, sarà meglio cominciare dal principio.» «Il principio! Non so neanch'io da dove cominciare. Ho incontrato Walter un paio di giorni dopo il mio arrivo. È stato il classico colpo di fulmine. Io ho cominciato a provare qualcosa per luì, e lui sembrava corrispondere ai miei sentimenti. Zia Lulù disapprovava. Quanto a Elias Grimshawe, lui disapprovava qualunque ragazza. Così, non era facile incontrarci. L'unico posto un po' sicuro era un vecchio granaio nel bosco dei Grimshawe. Ci vedevamo là, quasi ogni sera.» Era bello anche se triste, ascoltare quella voce e sapere che, se non altro, mi accettava come confidente. «Il granaio era freddo, sporco e pieno di topi» mormorò Rosemary «ma, sentimentale come sono, per me sarebbe andato bene qualunque posto. Certo che, se voleva dare un appuntamento a un'altra ragazza, poteva scegliere almeno un altro luogo.» «Ha visto Walter nel granaio con un'altra donna?» domandai, incredulo. «Sì, con un'altra. Il solito triangolo...» Rise di nuovo. «Questo pomeriggio ero un po' depressa per la morte di zia Lulù e per tutto il resto... Così, sono uscita a cavallo. Sono arrivata al bosco dei Grimshawe circa mezz'ora fa. Già che ero lì, sono passata dal granaio per vedere se per caso ci fosse Walter. E infatti c'era... con una donna. Sono arrivata giusto in tempo per vederli abbracciati.» Mi guardò. Notai che le tremavano le labbra. Mi prese una mano e se la portò a una guancia. Non riuscivo più a capire niente, se non che Rosemary mi era vicinissima e chiedeva che la confortassi. Feci del mio meglio, ma non riuscivo a non pensare a Walter, come l'avevo visto poco prima, rosso ed eccitato. A un tratto, Rosemary si scostò. «Perché, poi, sto ad annoiarla con le mie stupidaggini? Adesso, lei è un poliziotto, l'assistente di uno sceriffo. Mi meraviglio che non voglia farmi qualche domanda.» Di colpo mi ricordai che era proprio così. «Infatti... una l'avrei, Rosemary. Ha detto a qualcuno che sua zia aveva messo le valigie dell'infermiera nella mia auto?» «Che strana domanda» osservò lei, con un sorriso. «Certo che ne ho parlato.» «L'ha detto a Walter, per caso? Quando è stato?»
Esitò un attimo. Si riavviò i capelli, poi rispose: «Non so perché, ma finora ho sempre creduto che fosse meglio non parlarne. A lei posso dirlo, vero, Hugues? All'ispettore ho mentito quando mi ha chiesto se ieri notte non era venuto nessuno a casa, oltre i membri del comitato del Club di Caccia.» «È venuto a trovarla Walter?» «Sì. E proprio per questo non ho dato retta alla zia Lulù, quando ha detto di aver sentito qualcuno camminare nel viale. Ero sicura che fosse Walter.» «È rimasto con lei molto tempo?» «Solo qualche minuto. Voleva dirmi che non potevamo più incontrarci nel granaio, perché aveva visto qualcuno da quelle parti e temeva che venissimo scoperti.» Sorrise. «E io gli ho creduto. Non potevo immaginare che volesse tenermi lontana dal granaio per restare solo... solo con quella donna. Gli ho raccontato della signorina Leonard e delle valigie. Credevo che lo avrebbe divertito.» S'interruppe. C'era molta quiete in quel sentiero buio. Di tanto in tanto, lo scalpitare impaziente del cavallo rompeva il silenzio. Quando Rosemary riprese a parlare era ancora più pallida. «Hugues, non mi dica che anche la signorina Leonard è immischiata in questa faccenda.» «Temo proprio di sì.» «Santo Iddio! Ma... allora, era proprio lei. No, non è possibile. Zia Lulù l'aveva licenziata, e lei...» «Si spieghi, Rosemary. Non cerchi di nascondermi niente.» «Quella donna...» La sua voce era poco più di un sibilo. «La donna che era nel granaio con Walter. Era in ombra, e non ho potuto vederla bene. Ma ho avuto l'impressione di conoscerla bene. Era bionda, Hugues... Non può essere.» «Lei crede...» «Purtroppo, non è che lo creda.» La sua voce era disperata. «Sono certa che era la signorina Leonard!» 17 Di tutte le incredibili rivelazioni di quel lunedì, quella di Rosemary era senz'altro la più sconcertante. Fissai la ragazza a lungo, come inebetito. Poi, piano piano, mi ripresi.
«È molto che li ha visti?» «Circa mezz'ora. Non sono venuta subito qui. Ho girato un po' per il bosco.» «Ascolti bene, Rosemary.» La feci alzare dal tronco, sempre tenendole le mani. «Adesso non ho tempo di spiegarle, ma quello che mi ha detto è importantissimo. Devo trovare assolutamente quella donna. E, per l'amor del cielo, non racconti a nessuno quello che ha detto a me.» Dovette credere che fossi impazzito. La lasciai con una stretta di mano e risalii il sentiero. In due minuti fui al bivio che portava alle terre dei Grimshawe. La strada più breve per il granaio era il bosco. Non c'erano sentieri, e il terreno era ricoperto di cespugli. Inciampavo, brontolavo, imprecavo. E più andavo avanti, più sentivo crescere l'eccitazione. Conoscevo abbastanza bene il bosco, e mi fu facile orientarmi. Quando ebbi attraversato la pineta, il granaio era appena a cinquanta metri. Lo distinguevo benissimo. Feci una strana constatazione: avevo percorso la stessa strada dell'ultima partita di caccia ed ero proprio nel punto in cui Sir Basil aveva disarcionato Francis. Non feci in tempo a pensarlo che accadde sul serio qualcosa. Davanti a me, tra gli alberi, a pochi metri dal granaio, udii dei rami secchi spezzarsi. Dei passi... Rimasi immobile, in ascolto. Il rumore si affievoliva. La persona si stava allontanando. Al momento di agire, mi sentii smarrito. Come regolarmi? Se quei passi erano della signorina Leonard, se l'avessi fermata, avrei potuto portarla con la forza dall'ispettore? E se, per caso, ci fossimo sbagliati su di lei, io mi sarei cacciato in una situazione poco piacevole. Ma se, invece, avevamo ragione... la Leonard non si sarebbe certo lasciata fermare tanto facilmente. Guidato dai passi della donna, presi a seguirla, ma il percorso era troppo accidentato, e non volevo far rumore, altrimenti la mia preda si sarebbe eclissata nel bosco. Per fortuna non era buio pesto, e potei vedere che era proprio una donna, una donna giovane con la capigliatura biondissima. Per quanto procedessi in fretta, non riuscivo a guadagnare terreno. In compenso, ero certo che la ragazza non si era accorta di avermi alle calcagna. Nel nervosismo del momento finii per perdere il senso della direzione. I passi erano sempre ben distinti e io li seguivo con tenacia. Passarono altri cinque minuti, poi non udii più nulla. Restai deluso e meravigliato. Davanti a me, a pochi metri, il bosco finiva. Non riuscivo più a sentire i
passi perché adesso la Leonard camminava sull'erba. Ma non era questo la causa della mia sorpresa. Era il posto dove mi trovavo. A meno di cinquanta metri, in mezzo ai campi, c'era la casa dei Grimshawe. Ora vedevo benissimo la ragazza: era diretta alla porta posteriore della fattoria. Mi fermai per osservarla meglio. Salì i gradini e bussò alla porta. La scena era semplicemente incredibile. L'inseguimento finiva con la visita della signorina Leonard alla casa di Anne Grimshawe. Rimasi ad aspettare, in preda a una forte curiosità. I minuti che seguirono mi sembrarono un'eternità. Poi l'uscio si aprì e potei vedere una seconda figura. Non mi fu difficile riconoscere Elias Grimshawe. La ragazza fece per entrare, ma il vecchio le sbarrò la strada, richiudendosi la porta alle spalle. Rimasero là, immobili. La ragazza parlò a Elias. Cercai inutilmente di sentire cosa stessero dicendo. Da quanto potevo vedere, la discussione era animatissima. Il vecchio gesticolava con sempre maggior veemenza, e la ragazza si fece avanti come per implorarlo, o minacciarlo. Alla fine, non riuscii più a vincere la curiosità. Senza riflettere, uscii dal bosco e corsi verso la casa. I due si accorsero di me quando ero a una quindicina di metri dal cortile. Mi fissarono senza muoversi, poi Elias prese la ragazza per un braccio, la spinse dentro e richiuse la porta. Mentre mi avvicinavo di corsa, il vecchio si precipitò al capannone più vicino e si appoggiò alla porta. «Chi va là?» gridò. «Buona sera, signor Grimshawe» lo salutai, con molta gentilezza. «Spero di non disturbarla.» Lo vidi protendersi a scrutare nell'oscurità, per vedere meglio di chi si trattava. «Chi va là? Chi va là?» ripeté. «È lei, Westlake?» «Proprio io.» «Allora, non si muova. Non cerchi di avvicinarsi alla casa.» «Chiedo scusa, signor Grimshawe, ma non crede di dovermi qualche spiegazione?» «Dottor Westlake, ho sempre nutrito per lei una certa stima, nonostante i suoi rapporti con quella banda di cacciatori. Ma ora devo ordinarle di andarsene.»
«Purtroppo, signor Grimshawe, sono stato incaricato ufficialmente di svolgere indagini sulla morte di sua figlia. Voglio sapere cosa ci fa quella donna in casa sua.» Rimase un attimo in silenzio, riflettendo sulla risposta da dare. Alla fine gridò: «Incaricato o non incaricato, le do un minuto di tempo per andarsene.» «Se non mi dice che cosa è venuta a fare a casa sua quella donna, sarò costretto a entrare con la forza.» Avanzai di un passo, per intimidirlo, ma lui, con voce rabbiosa, mi urlò: «Si fermi... o sarà peggio per lei.» «Le assicuro, signor Grimshawe, che non è il caso d'urlare.» Cercai di sembrare naturale, ma mi sentivo molto a disagio. «Se non risponde a me, adesso, dovrà rispondere più tardi alla polizia. Forse non sa neppure che Susan Leonard è coinvolta nella morte di sua figlia. Lei, più di chiunque altro, dovrebbe preoccuparsi di consegnare i colpevoli alla polizia, invece di nasconderli in casa.» «Per l'ultima volta, dottor Westlake, vuole andarsene?» «No» risposi ostinato. «Benissimo, se non vuole andarsene con le buone, userò le cattive.» «Può anche spararmi, ma non ne ricaverà niente.» «Macché sparare.» La voce del vecchio era carica di scherno. «Ho un modo migliore.» Nell'oscurità ebbi l'impressione che aprisse una porta, entrasse nel capannone e tornasse a uscire. Di colpo, il cortile si illuminò a giorno. Elias se ne stava appoggiato a una parete del capannone, con la mano su un interruttore. Per la prima volta ricorreva ai metodi introdotti da Walter. Sul momento, non riuscii a capire che diavoleria avesse escogitato il vecchio. Tenevo ancora gli occhi socchiusi, quando sentii una specie di sbuffo fragoroso. Istintivamente, guardai verso la porta del capannone, proprio nell'attimo in cui ne usciva un mostro orribile. Eccola, l'arma micidiale di Elias. Mi aveva mandato contro il suo toro! Lì per lì, l'animale sembrò stordito dalla luce. Per un attimo esitò sulla porta, sbattendo la testa a destra e a sinistra, come aizzato da invisibili picadores. Rimasi a guardarlo immobile, indeciso se ridere o spaventarmi. Il toro decise per me. Dopo avermi individuato, sbuffò nuovamente, abbassò la testa e si lanciò alla carica. Con un po' di presenza di spirito, sarei corso verso la porta della casa e
mi sarei rifugiato dentro. Ma quando si trattò di prendere una decisione non ebbi che un pensiero: il bosco. Feci dietrofront e me la diedi a gambe verso il fitto degli alberi, lasciando campo libero a Elias. Quando mi guardai indietro, vidi il toro che imperversava nel cortile. Mi diressi dove i rami erano meno bassi. Mi sentivo proprio un vigliacco. Avrei dovuto tornare alla fattoria e sfidare Elias e il suo toro. Forse, avrei potuto raggiungere quella misteriosa signorina Leonard. Mi giustificai con me stesso, dicendomi che non c'era nessun bisogno di incrementare gli avvenimenti sensazionali di quella sera. Alla fine, raggiunsi il sentiero e lo ridiscesi con un sospiro di sollievo. Quando arrivai alla strada principale, cominciavo a essere stanco. Sperai di incontrare qualche automobilista tanto gentile da darmi un passaggio. Ma, andando avanti, le mie speranze diminuivano. A un tratto, spuntò un'auto lanciata a tutta velocità. Sarebbe stato più facile fermare il toro di Elias! La macchina passò, con un rumore infernale, dandomi appena il tempo di spostarmi. Comunque, riuscii a vedere l'uomo al volante. Era un viso trasformato dalla rabbia, ma inconfondibile. L'uomo che guidava come se avesse il diavolo alle calcagna era Adolf Berg. 18 Quando finalmente arrivai a casa, stanco e avvilito, telefonai a Cobb, all'ufficio di polizia di Grovestown. Mi rispose con una voce dura e sgarbata. Senza darmi il tempo di raccontargli le mie avventure, mi travolse con una sfilza di imprecazioni. «Westlake, quel drittone di Walter mi ha preso in giro. Ha detto che sarebbe venuto alle sei e mezzo, e non si è ancora visto. Avrei dovuto capirlo che si prendeva gioco di me. Se entro dieci minuti non è qui, lo faccio cercare dai miei uomini. E ti giuro che lo farò parlare. A proposito, hai interrogato il vecchio?» «Se l'ho interrogato?» risposi, dominandomi a stento. «Tu non immagini neanche la decima parte di quello che mi è accaduto.» Gli feci il riassunto della serata. Alla fine, udii all'altro capo del filo un fischio prolungato. «E ti sei lasciato scappare la Leonard?»
Doveva aver voltato la testa perché la sua voce mi arrivava confusa, lo udii, infatti, dare ordini a qualcuno che gli stava accanto. Poi, tornò a me: «Io filo dai Grimshawe, Westlake. Con un po' di fortuna, potremo mettere le mani su quella donna, Walter ed Elias. Tu rimani a casa. Verrò da te appena libero.» Riappese di colpo. Anche se erano appena le sette, mi sentivo morire di fame. Dal salotto, chiamai Rebecca. La donna accorse asciugandosi le mani nel grembiule, e mi disse che era quasi pronto un ottimo roast-beef. Solo allora mi venne in mente Dawn. Per poco non mi venne un colpo. «Rebecca, dov'è Dawn? È rimasta dagli Howell o è tornata a casa?» «Ma, signore, John l'ha riportata da scuola alle cinque.» «Allora, dov'è adesso?» domandai, inquieto. «Non lo so, signore. È un po' che non la vedo.» Non rimasi ad ascoltare altro. Mi precipitai nel vestibolo e la chiamai. Nessuna risposta. Continuai a chiamarla. Non capivo più niente. Corsi in sala da pranzo, in cucina, in giardino, sempre chiamando Dawn. Ma di mia figlia nessuna traccia. L'ultima stanza nella quale entrai, naturalmente, fu la sua. Trovai Dawn seduta sul letto, con le spalle alla porta. Attraversai la stanza e le appoggiai una mano sulla spalla. Mi accorsi, così, che mi tremavano le mani. «Perché non rispondi quando ti chiamo?» la rimproverai. Si voltò piano, e credo che veramente non si fosse accorta di me prima di quel momento. Un lacrimone le luccicava sul nasino. Eppure, riuscì a sorridermi. «Papà, da quando sono tornata da scuola non ho fatto che piangere.» «Be'» domandai. «Che cosa è successo?» «È stata Rebecca» rispose, tirando su col naso. «Mi ha detto che è morto Sir Basil.» Avevo pregato tutti di non raccontare a Dawn l'accaduto. A Rebecca, poi, l'avevo raccomandato in modo particolare. Ma evidentemente il gusto di spettegolare era più forte di lei. «Sì, Sir Basil è morto. Ma adesso è più felice di noi» tentai di consolarla. «Oh, sì, lo so. Ma, lo stesso, non posso fare a meno di piangere.» Mi chinai e l'accarezzai. «Su, da brava» dissi, con un tono che speravo fosse allegro. «Nemrod e Rollo sono ancora vivi. E anche i coniglietti che devi comprare.»
Per quanto possa sembrare strano, i conigli operarono il solito miracolo. Erano le otto e qualche minuto quando sentii la macchina di Cobb nel vialetto. Mandai Dawn in camera sua, promettendole che alle nove sarei salito per la rituale buonanotte. Poi, andai a ricevere l'ispettore. «Com'è andata?» domandai, curioso. Senza rispondere, Cobb sbatté la portiera e si diresse in casa. Lo seguii in salotto, e subito lui si versò un whisky. Era la prima volta che si comportava così, senza tanti complimenti, in casa mia. «È andata male» rispose seccamente. «La Leonard è scomparsa. E non soltanto lei, ma anche Elias e Walter Grimshawe. La fattoria era deserta, a parte due cavalli che erano indecisi se restare o andarsene anch'essi.» Cobb si versò un altro whisky. «E non è tutto, Westlake. Sono andato da Berg, convinto di trovarlo in casa...» «Partito anche lui?» domandai, incredulo. «Già. Spariti tutti e quattro.» Mi lasciai cadere in una poltrona, e Cobb mi imitò abbandonandosi sul divano. «Io ho fatto quello che potevo. Ho sguinzagliato tutti gli uomini disponibili sulle loro tracce. Ho informato la polizia dello Stato. Per fortuna, ho anche il numero di targa della loro macchina. Non possono andare molto lontano.» «A proposito, hai ricevuto da St Louis quelle notizie sulla signorina Leonard?» «Sì» brontolò Cobb. «Ho parlato al telefono con la polizia di St Louis prima di lasciare Grovestown. Conoscono la Leonard, e dicono che ha un'ottima reputazione; è rimasta lì per parecchi anni. Hanno riscontrato una sola irregolarità: una volta, ha preso un appartamento sotto il nome di signora Susan Vaugham. Ma non mi sembra un delitto cambiare nome per una volta. In fin dei conti, poteva anche essere sposata. Niente di interessante, insomma.» «Vogliamo fare il punto della situazione?» conclusi. «A me sembra che i Grimshawe e Berg si siano compromessi, tagliando la corda con la Leonard. E poi, Walter deve rendere conto delle sue azioni adesso che Rosemary può testimoniare di averlo visto a casa degli Howell la scorsa notte, e nel bosco con la Leonard, questo pomeriggio.» «È inutile innervosirsi, Westlake. Quando sono arrivato, ero su tutte le furie, ma, in realtà, non abbiamo nessuna prova di una eventuale fuga dei Grimshawe. Né sappiamo se Berg è partito con loro. Senza contare che non siamo del tutto sicuri che la donna che hai seguito nel bosco fosse la
Leonard. Ci sono tante bionde in paese.» Si tolse la pipa di tasca. Con quella tra i denti, parve sentirsi più a suo agio. «No, Westlake. Quello che possiamo fare, ora come ora, è non perdere tempo e chiarire meglio i punti che già conosciamo.» «Già, è vero. Sarà meglio ragionare con calma. In fondo, abbiamo un sacco di indizi, e non ne abbiamo nessuno, se escludiamo quanto abbiamo trovato nelle valigie dell'infermiera, e cioè la busta scritta da Travers e il foglietto battuto a macchina.» Cobb tolse di tasca i due pezzetti di carta e li appoggiò sul tavolo. Rilessi il dattiloscritto: È meglio che si faccia licenziare, piuttosto che andarsene di sua spontanea volontà. Così, sembrerà più normale. Cerchi che accada venerdì. Se ne vada a mezzogiorno e faccio in modo che nessuno la veda. Io la troverò al solito posto. È tutto pronto e si svolgerà come previsto. Non si preoccupi per il denaro. Ne ho a sufficienza. Il messaggio era stato scritto senz'altro dall'assassino, quindi era della massima importanza. Ma, come giustamente rilevò Cobb, finché non scoprivamo a chi apparteneva la macchina per scrivere, non ci sarebbe servito a nulla. Quel biglietto provava soltanto che l'assassino aveva premeditato il delitto con l'aiuto della Leonard e, forse, di un altro complice. Questo complice, ammesso che esistesse, era l'uomo che Travers aveva visto nel bosco fra le braccia della Leonard. Prima di procedere, bisognava fissare tre punti: Una sola persona aveva commesso i delitti, e li aveva commessi, senza dubbio, con l'aiuto della signorina Leonard. Anne Grimshawe era stata la prima vittima. Tutti gli altri avvenimenti erano conseguenze del primo, sia per proteggere l'assassino sia per mettere la polizia su una pista falsa. Tutte le informazioni, da qualsiasi fonte provenissero, dovevano essere considerate veritiere finché non si fosse dimostrato il contrario. Alla fine, su proposta di Cobb, compilammo un elenco in ordine alfabetico dei miei vicini. Mettemmo, così, un po' di ordine nell'ammasso degli indizi rilevati. Ed ecco il risultato della nostra fatica. ADOLF BERG Movente: Il suo amore per Anne, trasformato in odio dalla gelo-
sia e da una vita troppo solitaria. A favore dell'accusa: La sua conoscenza delle terre dei Grimshawe. Il corpo trovato vicino a casa sua. Lo shock subito alla scoperta del cadavere. Il pomeriggio della morte di Sir Basil è stato visto nelle vicinanze della scuderia dei Faulkner. Il suo strano comportamento alla sepoltura del cavallo. Ha sempre tenuto un atteggiamento cupo e aggressivo. La sua recente, misteriosa scomparsa dà adito a sospetti. A favore della difesa: Quando ha saputo della morte di Anne, ha dimostrato un dolore autentico. Non sarebbe capace di agire con tanta astuzia. Per quanto capacissimo di uccidere Anne in un accesso di gelosia, non avrebbe mai mutilato il corpo in quel modo. Il punto più importante a suo favore: non sapeva che le valigie della Leonard erano a casa mia, e che la signora Howell era diventata pericolosa. Nessuna relazione fra lui e la Leonard. E volendo: insufficiente conoscenza dell'inglese per scrivere il messaggio a macchina. FRANCIS FAULKNER Movente: La sua presunta relazione con Anne, la cui scoperta avrebbe potuto sconvolgere la sua vita coniugale. A favore dell'accusa: La sua conoscenza della regione. Parecchie occasioni, dato che la moglie gli aveva permesso di incontrare la vittima nei luoghi più appartati. Nessun alibi preciso. Capocaccia, ottimo cavaliere e parecchio più giovane della moglie. Faceva spesso visita agli Howell ed era al corrente del trasferimento delle valigie. A favore della difesa: Nessuna prova circa una sua relazione con Anne. Aveva enorme interesse a comprare la sua terra, e quindi che la ragazza vivesse. La morte di Sir Basil e il furto della coppa lo fanno più vittima che colpevole. Neppure con la Leonard è provata alcuna relazione. ELIAS GRIMSHAWE Movente: La sua furia cieca nell'apprendere la condotta troppo libera della figlia. E, magari, il desiderio di sbarazzarsi di lei prima che riuscisse a vendere la terra dei Grimshawe a gente corrotta che passa il suo tempo nelle cacce a cavallo.
A favore dell'accusa: Completa assenza di sentimenti paterni. La scoperta del cadavere nelle sue terre. Le citazioni bibliche sui cani che divorano le carni di Jezebel, corrispondenti esattamente alla nostra scoperta nel canile. L'odio quasi fanatico contro i soci del Club di Caccia, uno dei quali, forse, aveva sulla coscienza la rovina e la dannazione di sua figlia. Ha ostacolato la polizia con l'episodio del toro. La fuga con la Leonard prova, almeno, la sua complicità. A favore della difesa: Abbastanza furbo per fingersi addolorato, se fosse stato colpevole. Tanto meno, poi, avrebbe riconosciuto il corpo. A meno che gliene avesse parlato Walter, Elias era all'oscuro del trasporto delle valigie e delle prove che aveva in mano zia Lulù. Non è stato visto dalle parti di Faulkner il giorno della morte di Sir Basil. Senza contare che, con le sue idee preistoriche, non avrebbe mai pensato di usare il tubo di gomma per asfissiare il cavallo. E certamente non era l'uomo visto con la Leonard nel bosco. WALTER GRIMSHAWE Movente: Voleva entrare in possesso delle terre di Anne per avere meno difficoltà a sposare Rosemary Stewart. A favore dell'accusa: Ha ostinatamente rifiutato di aiutare la polizia. È stato visto, poco dopo la scoperta del cadavere della sorella, in possesso di vestiti che potevano benissimo essere quelli della vittima. La telefonata alla Leonard dimostra che aveva rapporti con lei, anche se Rosemary non li avesse visti nel granaio insieme. Rosemary ha ammesso di avergli parlato delle valigie e di averlo incontrato nel giardino degli Howell la notte dell'assassinio di zia Lulù. Voleva sposare quella ragazza; ragione in più per uccidere la zia, dalla quale la nipote ereditava la metà dei beni. Non è venuto all'appuntamento con l'ispettore e poi è scomparso. A favore della difesa: In apparenza, potrebbe anche essere colpevole, ma dal punto di vista psicologico è impossibile pensare che il giovane possa avere desideri così perversi. E se avesse ucciso Anne, avrebbe ammesso che quei vestiti erano della sorella? È più probabile che si sia servito del nome della vittima per celare l'identità di un'altra donna, magari la Leonard.
CYRIL HOWELL Movente: La paura di confessare alla moglie i rapporti con Anne, sia finanziari sia sentimentali. A favore dell'accusa: Le voci di una relazione con un'altra donna, alle quali aveva accennato Louella, potrebbero essere fondate. Il suo strano comportamento alla morte della moglie. Altra ragione importante per uccidere Louella: la consistente eredità di cui usufruire. Ha avuto la migliore occasione di uccidere sia la moglie sia Sir Basil. Indubbie relazioni con la Leonard. A favore della difesa: Io, come medico curante della signora Howell, potrei testimoniare che i suoi pettegolezzi erano dovuti a una forte nevrastenia. Cyril Howell voleva comprare la terra di Anne e anche a lui, come a Francis, conveniva che vivesse. Avrebbe potuto comodamente sottrarre dalle valigie dell'infermiera qualunque documento compromettente prima che lei se ne andasse. E poi, se vedeva la Leonard ogni giorno, perché avrebbe dovuto scrivere quel biglietto a macchina? Ha avuto l'occasione di uccidere Sir Basil, ma nessun cacciatore avrebbe commesso un atto del genere. Fisico inadatto per commettere furti con tanta agilità. TOMMY TRAVERS Movente: Una relazione con Anne e il desiderio di salvaguardare la propria rispettabilità anglosassone. A favore dell'accusa: Un uomo giovane e attivo che vive con una donna paralizzata può essere spinto a commettere un delitto passionale. La signora Howell aveva fatto, del resto, delle allusioni sui suoi rapporti con Anne. Sir Basil era il responsabile delle condizioni di sua moglie, e Tommy era a casa Faulkner il pomeriggio in cui è morto il cavallo. Era al corrente del trasporto delle valigie e, magari, sapeva anche dei pettegolezzi della signora Howell. Ha ammesso di essere l'autore della lettera sottratta da zia Lulù ma, interrogato in proposito, ha risposto molto vagamente. Può essere benissimo la persona che sua moglie aveva sentito sotto la finestra. A favore della difesa: La sua devozione verso la moglie è sincera. Se avesse voluto uccidere Sir Basil, avrebbe potuto farlo parecchi anni fa, quando il cavallo apparteneva ancora a lui. Non può essere l'uomo che dice di avere visto abbracciato alla Leonard
nel bosco. (Questa storia non è stata comprovata, e può essere benissimo una frottola per sviare la polizia. Cobb). A questo punto, Cobb e io ci fermammo a riflettere. «Ci sono capi d'accusa contro tutti» cominciai. «Ma direi che Walter Grimshawe sia in testa.» «Sulla carta, sì» acconsentì Cobb, annoiato. «Ma che prove abbiamo contro di lui? Niente, solo ipotesi, ipotesi campate in aria. E qualche atteggiamento strano. Non si può arrestare un tizio per la sua condotta bizzarra. Personalmente, come colpevole, preferisco Travers. Le spiegazioni che ci ha fornito sono un po' troppo vaghe. Se potessimo trovare quella maledetta lettera, sarebbe tutto risolto. Ma è inutile continuare a ragionare sui se. Andiamo avanti. Adesso, possiamo alle donne.» Ma non ci fu possibile continuare. Avevamo appena scritto il nome di Clara in cima a un foglio quando una macchina si fermò davanti a casa. Cobb e io sussultammo. L'ispettore doveva aspettare uno dei suoi uomini perché si precipitò nel vestibolo. Io mi affrettai a seguirlo. Quando la porta si aprì ed entrò Francis Faulkner, restammo sbalorditi. Il capocaccia indossava un soprabito scuro che metteva in risalto il pallore del viso. Il suo sguardo pareva evitare gli occhi di Cobb. «Pensavo che l'avrei trovata qui, ispettore. Ho qualcosa per lei.» In silenzio, entrammo in salotto. Mi aspettavo il peggio. Mentre versavo un whisky per tutti, tentavo di indovinare che cosa stava per rivelarci Francis. Faulkner vuotò il bicchiere tutto d'un fiato, poi disse: «Detesto quanto sto per fare. Ho l'impressione di accusare un amico. È stata Clara a convincermi che dovevo informarla. Dopo tutto, l'ha trovata lei.» «Cos'è che ha trovato?» domandò l'ispettore. «Ieri sera, prima della riunione del Club di Caccia, siamo saliti in camera della signora Howell per riprendere un libro che le aveva prestato mia moglie. Stasera, prima di metterlo a posto in uno scaffale, Clara gli ha dato un'occhiata. Ha trovato questo foglietto.» Si frugò nella tasca del soprabito e ne trasse un pezzo di carta spiegazzata, che porse a Cobb. Il foglio che zia Lulù aveva nascosto nel libro era la lettera di Tommy Travers. Cobb stava per parlare, quando si spalancò la porta e apparve Dawn nel suo pigiama rosa.
«Papà» cominciò, con voce di rimprovero «avevi promesso di salire alle nove e...» Si interruppe, accorgendosi della presenza di Francis. Non avrei mai creduto che fosse così volubile. Di colpo, era diventata mite come una pecorella. Francis era il suo eroe e l'unico rivale che io avessi nel suo cuore. «Oh, signor Faulkner, non sapevo che fosse qui.» Mi lanciò un'occhiata di commiserazione. «Dato che papà è così occupato, non potrebbe salire lei a chiacchierare con me? Se le può far piacere, le mostrerò i miei progetti per la costruzione della casetta dei conigli.» Francis aveva abbastanza tatto per capire che Cobb e io desideravamo rimanere soli. Accettò l'invito con piacere e seguì mia figlia nella sua stanza. Ma era evidente che Dawn non era soddisfatta della punizione inflittami. Giunta davanti alla porta, si voltò e, con tono di superiorità, mi disse: «Non c'è bisogno che tu salga. Buonanotte.» Quando la porta si chiuse alle loro spalle, Cobb alzò gli occhi. «La lettera, se non altro, non ce l'eravamo sognata» disse. Mi allungò il foglio. La scrittura era quella inconfondibile di Tommy Travers. Il documento portava la data di tre settimane prima. Mi dispiace moltissimo che sia dovuta partire prima del mio ritorno. Per lei sta per scatenarsi la tempesta, dunque. Sarà un bell'affare vicino a Louella Howell. Per un po' niente più appuntamenti nel bosco. Ma non si preoccupi, non ne avrà per molto. Non è il momento di scherzare. Devo ringraziarla per tutte le gentilezze verso Helen. Penso che il conto l'abbia saldato lei. È mio dovere, comunque, provvedere alle spese cui andrà incontro nel lavoretto che dovrà farmi. Accludo, quindi, un assegno che spero sufficiente. Mi dica se le occorre di più. In un certo senso, era diventato un incubo angoscioso. Quello che deve accadere, deve accadere. È la volontà di Dio, come direbbe il vecchio Elias. Sono sicuro che se la caverà bene. E, detto tra noi, sono sicuro che riusciremo a liberarci di lei. Inutile raccomandarle di nascondere questa lettera. T.T. «Come vedi» esclamò Cobb «veri o falsi, ora sappiamo quali erano i sospetti della signora Howell. Dalla lettera aveva dedotto che Tommy Tra-
vers pagava la Leonard perché si sbarazzasse di Anne. Poi, deve aver pensato che si trattasse di un semplice intrigo. Ecco perché non vedeva l'ora che tu portassi via le valigie. Poi le due idee devono essersi fuse nella sua mente e ha capito che la Leonard era soltanto una complice. Così, al telefono, ti ha gridato il suo nome.» Guardai ancora quel pezzo di carta. Nonostante il tono allegro, le allusioni erano evidenti. "Il lavoretto che dovrà farmi... detto tra noi, sono sicuro che riusciremo a liberarci di lei." Avevo l'impressione che il problema stesse per risolversi. «Bene» esclamai alla fine. «Cosa aspettiamo?» Stavamo per muoverci quando squillò il telefono. Feci un passo avanti, ma Cobb mi precedette. «Pronto! Cosa?... Dio mio!» Restai col fiato sospeso per tutto il tempo che l'ispettore impiegò a fare domande, dalle quali non riuscivo a capire niente. Finalmente, Cobb riappese e si rivolse a me. «Chi era?» domandai, ansioso. «La signora Travers.» «Helen? Che voleva?» Cobb fece un gesto di stizza. «Credevi di avere finito? Quest'affare mi sembra un circolo vizioso, Westlake. Prima omicidi, poi furti, e stasera sparizioni.» «Perché non ti spieghi?» «La signora Travers ci chiede di andare dritto filato a casa sua. È inquieta perché suo marito è uscito verso le cinque e da quel momento nessuno l'ha più visto né sentito.» Aveva ancora in mano la lettera. Mi guardò con una smorfia che voleva essere un sorriso. «Si direbbe che la lettera è arrivata un po' tardi, eh?» 19 Mentre attraversavo la campagna assieme a Cobb, ebbi l'impressione di non aver fatto altro negli ultimi giorni che girare in macchina con l'ispettore. Coprimmo la distanza che ci separava dalla casa dei Travers a una media di settanta l'ora. Quando arrivammo, fummo subito introdotti nella stanza di Helen. Ci ricevette con molta gentilezza, scusandosi per averci disturbati. Poteva darsi che non fosse nulla di importante... ma Tommy era sempre stato così puntuale! Non cenava mai fuori senza avvisare. E... dopo
tutto quello che era successo... Parlava con voce calma. Sorrideva, come al solito, ma era chiaro che era molto preoccupata. Il compito non era facile per Cobb. Lui riteneva che Travers fosse l'assassino. Nessuno però, dalla sua voce, avrebbe potuto indovinarlo. Interrogò Helen gentilmente, annotando ogni risposta. Tommy era uscito verso le cinque e mezzo per portare dentro i cani. Non vedendolo tornare per l'ora di cena, il maggiordomo lo aveva cercato in garage. L'auto era al suo posto. Aveva chiamato Travers ma non aveva ottenuto risposta. «Se era a piedi, non è potuto andare molto lontano» aggiunse Helen con tono angosciato. «Ecco cosa mi fa temere che gli sia successo qualcosa.» Mentre continuavano a parlare, sentii che fuori i due spaniel di Tommy abbaiavano e guaivano senza sosta nei loro canili. Mi accorsi che le palpebre di Helen sbattevano leggermente a ogni loro gemito. E furono proprio i cani di Tommy Travers a farmi balenare un'idea. «Ascolti, Helen» dissi, col tono più rassicurante possibile. «Dal chiasso che fanno i cani si direbbe che Tommy non sia molto lontano da qui. Potrei portarne uno sulle sue tracce?» Solo quando ebbi finito mi accorsi della tragicità delle mie parole. Ma se anche Helen se ne accorse, riuscì a non farmelo capire. Suonò, e il maggiordomo Rainsford ci accompagnò al canile. Cobb mi seguì, con aria scettica. «Basta uno» suggerii, quando Rainsford aprì il primo canile. Ma le mie parole furono inutili. Non avevo ancora finito, che il cane spalancò la porta, ci passò davanti e, abbaiando, si dileguò nel buio. L'altro cane diventava sempre più impaziente ed era ovvio che aveva intenzione di imitare il primo. Con molta cautela mi avvicinai e, dopo una strenua lotta, riuscii a mettergli il guinzaglio. Poi lo lasciai fare. Il cane confermò i miei sospetti. Mi trascinava a strattoni, mugolando e col naso incollato al terreno. Era evidente che seguiva una pista. Cobb e il maggiordomo mi tenevano dietro in silenzio. Per fortuna, l'ispettore aveva portato una torcia elettrica. Dopo cinque minuti buoni di andirivieni, il cane ci guidò in un sentiero che conduceva a un grande prato dove Travers, d'estate, impiantava un magnifico campo di tennis. Ai limiti del prato, il cane si arrestò in posizione da ferma. Poi emise un lungo gemito. Come in risposta al primo, un altro gemito si fece sentire davanti a noi.
Alla luce della torcia di Cobb, i miei presentimenti divennero realtà. Là, davanti a noi, un cane ci fissava con gli occhi tristi, sdraiato vicino a una figura indistinta. Come prevedevo, si trattava di Tommy. Giaceva sul dorso, con le braccia inerti lungo i fianchi, e una gamba contorta in modo strano. Ma fu il suo viso che attirò la mia attenzione: ricoperto di ammaccature e di contusioni, era diventato quasi irriconoscibile. Dietro l'orecchio risaltava una grossa macchia scura. Mi inginocchiai e gli appoggiai l'orecchio al petto. Poi alzai gli occhi verso il maggiordomo e dissi in fretta: «Nell'auto dell'ispettore, presto; mi porti la borsa dei medicinali... è una cartella nera. E non dica niente alla signora Travers.» Mi girai e feci un cenno a Cobb. «Bisogna portarlo subito a casa. Prendilo dai piedi.» Adagiammo Tommy sul primo divano che trovammo. Mentre il maggiordomo faceva bollire l'acqua e preparava gli asciugamani puliti, cercai di farmi un'idea dell'accaduto. A prima vista, Tommy era stato vittima di un'aggressione selvaggia. Sul viso e sulle mani aveva tremende contusioni. Ma la ferita più grave era quella dietro l'orecchio e aveva causato una forte emorragia. Ancora un millimetro e si sarebbe fratturato il cranio. Stavo facendogli un impacco di alcol, quando si aprì la porta e comparve l'infermiera che spingeva la poltrona a rotelle di Helen. «Sia ringraziato il cielo! Lo avete trovato.» La signora sospirò. «Ha ferite gravi?» Quanto amore e quanta ansia c'erano in quegli occhi che mi fissavano! «No, non ci sono ferite gravi» risposi. «Ha solo subito un forte shock. Niente di rotto, comunque. Il polso è normale e penso che tra qualche minuto rinverrà.» «Ma chi?...» cominciò Helen. Non terminò la domanda. Aveva abbastanza sensibilità per capire che, in quel momento, era meglio evitare le domande. Dopo aver lanciato un ultimo sguardo amorevole al marito, chiese all'infermiera di portarla fuori dalla stanza. «Bel pasticcio» brontolò Cobb mentre cominciavo a medicare il ferito. «Quando credo di avere trovato l'assassino, lo trovo quasi assassinato. Mi domando se qualcuno, arrivato alla stessa conclusione della signora Howell, non abbia voluto fare giustizia da sé.» «In questo caso sarebbe anche lui un assassino. Se il colpo dietro l'orec-
chio fosse stato appena un po' più forte...» «Può anche essere un incidente» interruppe Cobb. «Cadendo, Travers può avere battuto la testa sul ciglio del sentiero. Ho notato molte pietre appuntite intorno al campo di tennis.» Mi ero dimenticato che il maggiordomo era ancora lì. Fu lui a farsi notare. Con voce rispettosa, che contrastava con quella rude di Cobb, disse: «Penso sia meglio informarla che verso le sei ho visto un uomo intorno alla casa. Ha attraversato in macchina il portico come un lampo. In un primo momento credetti si trattasse di un visitatore, ma dieci minuti dopo sentii i cani abbaiare e vidi l'uomo in giardino. Mi sono avvicinato a lui e mi ha detto che stava solo cercando qualcosa; poi, ha aggiunto che cercava anche il signor Travers. Gli dissi che il signore era uscito. Mi guardò male e tornò verso la sua auto. Non ho raccontato la storia alla signora perché temevo di infastidirla.» «E chi era quell'uomo?» domandò Cobb, ansioso. «Era il figlio del vecchio Grimshawe.» «Walter Grimshawe?» esclamò Cobb. «E proprio quando sarebbe dovuto venire da me!» Cobb e io ci scambiammo un'occhiata furibonda. Capii che il nostro pensiero era lo stesso. Davanti alla casa di Berg aveva detto che doveva fare "ancora qualcosa". «Dio mio!» esclamai, incredulo. «Ecco cosa doveva fare Walter. È venuto qui per far fuori Tommy.» Un rumore alle mie spalle richiamò la mia attenzione. Mi meravigliai per la voce ferma di Tommy. «Non è stato Walter Grimshawe. E nessuno è venuto qui per uccidermi. Niente di così tragico. È stato uno scontro leale, ad armi pari.» Era tornato in sé prima di quanto prevedessi. Un bicchierino di cognac lo risollevò ancora di più. Quando ebbe finito di bere, feci segno a Cobb che poteva cominciare l'interrogatorio. In principio Tommy ci esasperò, rifiutandosi di aggiungere una sola parola a quanto aveva già detto. Alla fine, Cobb perse la pazienza. Tirò fuori i fogli che avevamo compilato quella sera e gli mise sotto gli occhi il caso Travers. Adesso esigeva una spiegazione soddisfacente sulle percosse che aveva subito poco prima, e terminò così: «Come vede, signor Travers, deve darci più d'una spiegazione. Se si ostina nel suo silenzio, sarò costretto a prenderla così com'è e portarla a Grovestown.»
Tommy si grattò il mento, sorridendo. «Non vorrà affliggere la popolazione con un simile errore» disse. «Se è proprio convinto della sua strana teoria, sarò costretto a raccontarle ogni cosa.» Con un po' di fatica riuscì a sollevarsi. Quando tornò a guardarci, il suo sorriso era sparito. «Ma prima» aggiunse gentilmente «vorrei che mi lasciaste dieci minuti solo con mia moglie.» 20 Cobb e io aspettammo in salotto, silenziosi e disgustati di tutto e di tutti. Questo caso, invece di chiarirsi con il passare dei giorni, continuava a complicarsi. Cobb era un uomo di azione ma, purtroppo, non aveva le basi da cui partire. Eravamo tutti fuori strada. Non avevamo ancora trovato niente, neppure la testa della ragazza assassinata. Non eravamo riusciti a ricostruire le sue ultime ore. E, adesso, la nostra nuova pista si dimostrava sbagliata ancora prima che cominciassimo a seguirla. Dopo una decina di minuti, il maggiordomo ci invitò a tornare nella stanza dove avevamo lasciato Tommy. Era solo con sua moglie. Quando entrammo, la signora Travers ci sorrise. «Mio marito mi ha raccontato tutta la vicenda» disse, con molta dolcezza. «E non c'è niente di terribile, ispettore. A essere sincera, avevo capito quasi tutto da parecchie settimane. Tommy è un po' stanco. Spero che non avrà niente in contrario se sarò io a parlare.» Tacque, come se aspettasse il permesso di Cobb, e l'ispettore le fece cenno di cominciare. «Ispettore, non sia impaziente se indugerò anche nei minimi particolari; ma lei vuole la verità, no? E mi preme che la comprenda bene, per evitare equivoci. Si tratta di una ragazza. Anne Grimshawe, infatti, non era che una ragazza quando si innamorò di mio marito.» Cobb e io sbarrammo gli occhi, ma nessuno dei due parlò. «Oh, non c'è niente di male in tutto questo. D'altronde, credo di essere stata la prima ad accorgermene. Neanche loro due lo sapevano. Mi ero accorta che Anne non perdeva di vista Tommy durante le partite di caccia. Sperava che si accorgesse di lei e si complimentasse per le sue doti di amazzone. Qualche volta l'ho sorpresa mentre mi guardava con aria pensierosa. Io la capivo e la compativo.
«Nel raccontarvi quanto mi ha detto Tommy, voglio premettere che non lo critico né lo biasimo. Gli sono troppo riconoscente per non conservargli il mio affetto. Mi sono resa conto di quanto stava succedendo tre mesi fa, quando appunto Tommy si accorse che Anne lo amava e lo aveva sempre amato. Glielo ha detto lei, un giorno, incontrandolo per caso a Top Woods. Povera Anne! Ha cominciato dicendogli che voleva 'andarsene al diavolo'. Immagino la risposta di Tommy: 'Perché proprio al diavolo?'. E questa risposta è la causa di tutto. Tommy era l'unica ragione per la quale Anne non andava d'accordo con la famiglia. Era colpa di Tommy se Anne aveva rifiutato Berg. E, proprio perché non poteva avere Tommy, aveva cominciato a frequentare altri uomini. «Se la storia non fosse tragica, farebbe sorridere. Una ragazza fa una dichiarazione d'amore a Tommy, e lui ne resta sbalordito. In lui è offeso il suo senso tutto britannico della responsabilità. Questa dichiarazione per lui è un affronto a un rispettabile cittadino e, nello stesso tempo, a un marito devoto.» Il sorriso di Helen esprimeva molta benevolenza. «Ma Anne ha commesso un grave errore. Ha fatto capire a Tommy che c'era solo un mezzo per impedire che se ne andasse al diavolo. Se appena fosse riuscita ad avere quel che desiderava tanto, anche solo per un momento...» Tommy si agitò un po' sul divano e vidi che con la mano stringeva il ginocchio della moglie. «È inutile dilungarsi nei particolari» tagliò corto Helen. «Non possiamo essere tutti santi, per fortuna. La tentazione è stata più forte della volontà. Poveretti, l'hanno pagata cara entrambi. Anne si rese conto che con la nuova esperienza non aveva guadagnato niente. Era una brava ragazza e non voleva mettere sottosopra la vita familiare di Tommy. Ha cominciato a diventare sempre più nervosa. Ha creduto di aspettare un bambino. Anche Tommy ha perso la testa, al punto da agire come uno stupido.» «Lei pensa» intervenni «che avrebbe dovuto confidarsi con me o con lei?» «Proprio così, dottor Westlake. E invece lui si è confidato con l'infermiera, Susan Leonard. Credo che i malati abbiano un sesto senso, perché io capii subito che cosa stava succedendo. Devo confessare che è stata questa la ragione per cui l'ho licenziata. Vede» spiegò «non ero offesa con Tommy per essere stato, come diceva Louella, un infedele, ma non avevo la forza di tenermi vicino una donna che era al corrente della cosa.»
Le diedi ragione con un cenno del capo. «Mi sembra che l'infermiera abbia agito con benevolenza e intelligenza, anche. È andata subito da Anne e l'ha trovata in pessime condizioni. Anne non voleva andarsene perché non aveva denaro, né l'avrebbe avuto prima del suo compleanno. Non voleva accettare un soldo da Tommy e si rifiutava di consultare un medico. Alla fine, la signorina Leonard concluse che il solo modo per indurla a partire era di farle credere sul serio che stesse per avere un bambino e che suo padre sarebbe venuto a saperlo. Dopo di che, Anne ha avuto una discussione burrascosa col padre e se ne è andata. Poco dopo, Louella ha licenziato l'infermiera e non so altro.» Ci fu un breve silenzio, poi Cobb disse: «Devo ringraziarla di tutto, signora. D'altra parte, capirà che questo racconto compromette gravemente suo marito. La nostra ipotesi è che Anne sia stata uccisa da un uomo con il quale aveva avuto una relazione e che Susan Leonard sia stata complice nel delitto.» Helen Travers sostenne lo sguardo dell'ispettore e lo fissò con altrettanta fermezza. «Le ho detto la verità, perché credevo che non avrebbe messo in dubbio la mia parola. Mio marito non ha niente a che fare con questi delitti.» «Esatto» intervenne Tommy. «La mia sola colpa è di essere stato un imbecille.» «Vorrei proprio crederle, signor Travers.» Cobb si frugò nelle tasche e ne trasse la lettera alla Leonard. «Ma come spiega questa?» Travers prese il foglietto e lo lesse, attento. Poi sorrise. «Capisco benissimo che abbia attribuito un senso sinistro a queste parole, ma le assicuro che il significato è un altro. Ho solo scritto all'infermiera di tenere un posto in una clinica per Anne. Non c'è niente di losco.» Depose la lettera e tornò a guardarci. «Louella Howell ha letto senz'altro questa lettera. Il che spiegherebbe il suo strano comportamento la sera della riunione del Club di Caccia. Ha fatto le più oscure allusioni sulla signorina Leonard, e deve aver pensato che io fossi l'assassino. Proprio come lei, ispettore.» «Credo che abbia ragione» rispose Cobb in tono molto grave. «La signora Howell ha creduto che lei avesse ucciso Anne con la complicità dell'infermiera. E la signora Howell è stata assassinata.» Tommy arrossì e si mise a sedere. «Senta, lei è sicuro che la Leonard abbia lo zampino in tutta questa faccenda, ma si sbaglia. È una bravissima ragazza, e anche lei è stata sposata.
Forse per questo ha saputo comprendere così bene la situazione di Anne. E poi, la signorina Leonard non avrebbe fatto male a una mosca. Quanto a me, riconosco di non essere senza colpa, ma le giuro... che non sono un assassino. Anch'io, in fin dei conti, stasera ho rischiato di farmi uccidere.» «Spero che ci parlerà anche di questo» disse Cobb. «E va bene.» Tommy si guardò con aria di scherno le mani bendate. «Ma non speri che accusi qualcuno. Ho ricevuto una lezione, e l'ho proprio meritata.» Ebbe un lampo di ironia negli occhi, poi riprese: «Avevo appena chiuso i cani nei loro recinti, quando mi sono visto venire incontro una persona, agitatissima. Era Berg. Mi ha accusato di tutte le colpe di questo mondo e mi ha sfidato a battermi con lui, se non ero un vigliacco. Ho voluto comportarmi sportivamente e dargli soddisfazione. Siamo andati giù al tennis. Lui ha cominciato a combattere a distanza ravvicinata, e io credo di avergli messo a segno un paio di montanti ben riusciti. Comunque, l'ha spuntata lui.» Cobb gli domandò: «Come ha fatto a capire che era lei l'amante di Anne?» «Stavo appunto per dirlo. Aveva indovinato quasi tutto ieri notte, ha detto, e ne aveva avuto la conferma oggi. A questo proposito, potrebbe fare delle indagini, ispettore Cobb. Berg è l'uomo che mia moglie ha sentito camminare sotto le mie finestre.» Travers alzò le spalle, indifferente. «Westlake, posso fumare?» «Ma certo» risposi, offrendogli una sigaretta. «E adesso ti consiglio di andare subito a letto.» Guardai Cobb con aria professionale e aggiunsi: «E lo stesso vale per te, Cobb. Credo proprio che abbiamo tutti bisogno di un po' di sonno.» 21 In auto, tornando a casa, mi rifiutai di commentare qualsiasi avvenimento. Ero troppo stanco. Cobb mi depositò sulla soglia di casa e se ne andò. Salendo in camera, pregustavo già il piacere di una bella dormita, ma nel passare davanti alla stanza di mia figlia sentii una vocetta imperiosa: «Papà!» Entrai. Dawn era a letto. «Perché non dormi, piccola?» domandai, un po' brusco. «Scusa, papà. Ma sono dovuta restare sveglia per dirti che mi dispiace di essere stata così cattiva con te.»
Per quanto si sforzasse di apparire contrita, capii che quelle erano scuse per intavolare una lunga conversazione. Con pazienza, mi sedetti sulla sponda del letto. «Allora, ti sei divertita col signor Faulkner?» «Oh, sì. È rimasto qui parecchio e mi ha raccontato del furto della coppa. Io gli ho detto che secondo me non ha saputo custodirla.» «Al suo posto, tu cosa avresti fatto per evitare che te la rubassero?» «Quando avrò una coppa, la porterò a letto con me ogni notte. E quando sarò morta, la farò seppellire con me.» «Non fare la sciocchina. Non pensare a queste cose e dormi.» «Ti prego, papà. Non andartene.» Dawn non si arrendeva mai davanti a un rimprovero. «Lascia che ti racconti un po' dei conigli. È accaduta una cosa spiacevolissima. Questo pomeriggio John ha visto un topo proprio nel posto dove voglio costruire la conigliera.» «Spiacevolissimo» le rifeci il verso. «È proprio terribile, papà» insistette lei. «Sai, ieri leggevo su "Amatori di conigli", che esce tutte le settimane, che i topi mangiano i coniglietti appena nati. Papà, è vero?» «I topi mangiano tutto quello che trovano, bambina mia. E adesso, buona notte.» Purtroppo, la mia notte non fu così buona. Entrando in camera mia, mi tornò alla mente la riflessione di poco prima. "I topi mangiano tutto quel che trovano". Le idee cominciarono a turbinarmi nel cervello. A un tratto, ricordai un'altra frase, pronunciata da Cobb il giorno della scoperta del primo cadavere. "Piuttosto che rischiare che le bestie dissotterrassero il corpo, l'assassino ha preferito servirsi di loro per farlo sparire." Le bestie! Prima le volpi, poi i cani... Adesso i topi! Piano piano, mi tornò alla memoria il colloquio con Rosemary, sul sentiero Pytcher: "Il granaio è freddo, triste, e pieno di topi...". E poi: "Walter dice di avere visto qualcuno da quelle parti...". Tutte quelle frasi incoerenti acquistavano ora un nesso logico. I topi mangiano tutto quello che trovano. Il granaio è infestato dai topi. Walter ha visto qualcuno da quelle parti. Io stesso, del resto, avevo pedinato la Leonard vicino al rudere. Non mi passò neppure per l'anticamera del cervello di telefonare a Cobb. Senza perdere tempo, presi la torcia elettrica dal cassetto e mi precipitai nel vestibolo. Infilai il cappotto più pesante e uscii nella notte fredda. Per prima cosa mi diressi alla scuderia dove, al piano superiore, abitavano Rebecca e suo marito. Li chiamai da sotto la finestra. Quando la domestica si affacciò, le chiesi di andare a dormire con suo marito nel mio guardaroba.
Era meglio evitare a Dawn nuove avventure. Avevo deciso di raggiungere il granaio attraverso i campi, invece che prendere la macchina e correre il rischio di essere visto. Stanco com'ero, la strada mi sembrò interminabile. In compenso, tenevo un'andatura abbastanza sostenuta per scaldarmi. E più mi avvicinavo alla meta, più la conclusione mi sembrava logica. Ero sicuro del successo, e lo temevo. A furia di stradine e sentieri bui, arrivai al Club di Caccia. I cani dovevano essersi accorti della mia presenza, perché sentii un gran trambusto, interrotto qua e là da un guaito. Sbagliai strada un mucchio di volte. Mi ero messo in testa di non accendere la torcia prima di arrivare al bosco. Tenevo in una certa considerazione l'abilità del mio avversario di comparire nei momenti più impensati, e in quel momento non avevo nessuna voglia d'incontrarlo. Solo quando arrivai davanti alla collina dei Grimshawe mi sentii al sicuro. Ancora riuscivo a malapena a distinguere le cime degli alberi, stagliate contro il cielo scuro. Impiegai un'altra mezz'oretta per arrivare al bosco. C'era un buio maledetto, e allora mi decisi a far uso della torcia. Finalmente, sbucai sul sentiero che portava al granaio. Mi bastarono pochi secondi per raggiungerlo. Il cerchio luminoso della mia lampada illuminò centimetro per centimetro le pareti, la porta e le finestre. Solo quando ebbi finito mi avvicinai all'entrata. Non c'era maniglia, ma mi bastò infilare un dito in un buco per sollevare il saliscendi. Rimasi per qualche secondo fermo sulla soglia. Il cuore mi batteva sempre più forte. La mia esitazione non durò a lungo. Nel momento in cui avevo aperto la porta, c'era stato nell'interno, per un attimo, un rumore confuso, come se una folata di vento avesse sparpagliato un mucchio di foglie secche. Accesi la lampada giusto in tempo per vedere una mezza dozzina di forme grigie precipitarsi verso il muro scrostato. Topi... Su quel punto, almeno, avevo ragione. Richiusi la porta e iniziai una ricerca meticolosa, cominciando dal muro di destra e passando, via via, agli altri. Il granaio non veniva utilizzato da parecchi anni, ma c'era ancora qualche sacco vecchio e qualche balla di fieno marcio. Poi la lampada illuminò un forcone arrugginito, un bancone rotto e un oggetto che sembrava una campana. Vicino alla porta, appoggiate al muro, c'erano due scale. Rosemary aveva proprio ragione: non era un posto romantico per gli incontri d'amore. Passai vicino alla scala che portava al granaio vero e proprio e continuai
la mia ricerca. Contro i muri i topi squittivano. Esaminai pareti e pavimento, ogni buco e ogni crepa. Con molta fatica, riuscii ad aprire la finestra, tanto per fare entrare quel poco di chiarore che mi offriva la luna. Stavo per dirigere il fascio luminoso contro il soffitto, tappezzato di ragnatele, quando sentii un rumore all'esterno. Mi avvicinai alla finestra e lo sentii di nuovo: uno scricchiolio di rami spezzati. Passai alcuni minuti tutt'altro che piacevoli, appiattito contro la parete vicino alla finestra. Dopo un po', la scomoda posizione mi stancò. Piano piano, mi sporsi e scrutai fra gli alberi. Per fortuna, la luna scelse proprio quel momento per far capolino da dietro le nubi. Distinguevo benissimo ogni tronco e ogni cespuglio e, per un attimo, mi sembrò di scorgere una sagoma scura nascondersi sotto l'ombra protettrice d'un albero. Istintivamente, sporsi la testa nel tentativo di vedere meglio. Ma non avevo fatto i conti con le travi fradicie. Una di esse, sotto il peso, scricchiolò. E, mentre guardavo la trave, la luna tornò a nascondersi dietro le nuvole. Finii col convincermi che l'ombra era frutto della mia immaginazione. Mi allontanai dalla finestra e continuai le ricerche. Non mi soffermai oltre al pianterreno. Le mie ultime speranze dimoravano al piano superiore. La scala era malferma, ma, dopo aver attenuato la luce della lampada, caso mai fuori ci fosse stato qualcuno, cominciai l'arrampicata. Qualche minuto dopo, ero sul granaio. La torcia illuminò la stanza, del tutto simile a quella del pianterreno. Il soffitto era alto e il pavimento, anche se vecchio e senza sostegni, era spesso e solido. Il Grimshawe che lo aveva fatto doveva essere stato un bell'originale per costruire un granaio in pieno bosco. C'era una sola finestra, stretta e molto in alto, vicino al soffitto. Se al piano di sotto l'atmosfera era lugubre, nel granaio i topi la rendevano macabra. Ce n'erano dappertutto, e la cosa più fastidiosa era che se ne infischiavano altamente di me. Non avevano affatto paura, e al mio arrivo non si mossero neppure. Dovevo avere i nervi a fior di pelle, perché mi misi a battere i piedi e a dirigere il fascio di luce da tutte le parti, come un pazzo. Mi sentii sollevato solo quando li vidi fuggire in disordine e rifugiarsi nei loro buchi. Feci la mia prima scoperta al centro del locale. Credo che non ci avrei neanche fatto caso se la lampada, che mi era scivolata di mano, non avesse concentrato tutta la luce su un punto del pavimento. In quel punto, quasi ai miei piedi, c'era una fessura. Mi inginocchiai per esaminarla meglio e notai che era recente. Ispezionai il pavimento intorno a me. Mi accorsi che c'e-
rano altri tagli recenti, di scure o di accetta. Poi, la torcia, che quasi stritolavo, si fermò su una macchia scura. I pensieri mi vorticavano nella testa. Mi ricordai che nel biglietto scritto a macchina la signorina Leonard era invitata a trovarsi al "solito posto". Né Cobb né io avevamo cercato di scoprire dove era stato commesso il delitto, né (e questo era ancor più importante) dove il corpo era stato smembrato. Restai un attimo in ginocchio, immobile, sconcertato da quella scoperta. A eccezione del cerchio di luce intorno a me, il granaio era immerso nella più totale oscurità. E fu proprio da quell'oscurità, sulla mia destra, che arrivarono dei rumori sordi, furtivi, interrotti da leggeri squittii. Ancora quei maledetti topi. Diressi la luce dalla loro parte. Una mezza dozzina di quegli animali era raggruppata in un unico punto e, di tanto in tanto, un altro usciva dalla tana per unirsi al gruppo. Il primo impulso fu di scacciarli, ma un'intuizione mi trattenne. Rimasi immobile a osservarli, con l'orecchio teso. Mi bastò qualche secondo per capire che avevo ragione. I topi avevano trovato cibo in una fessura del pavimento. Sentivo benissimo il rosicchiare dei loro denti aguzzi. In preda alla nausea, mi avvicinai. I topi fuggirono solo quando fui sopra di loro; e quando si decisero ad andarsene lo fecero di malavoglia. Alla luce della lampada, scorsi le aperture che erano riusciti a praticare coi denti. E non solo questo: sul pavimento sporco, brillanti come fili di metallo, vidi qua e là dei capelli biondi. Credo di essere rimasto in quella posizione, con le braccia inerti, per parecchio tempo. I miei primi movimenti furono quelli di un automa. Posai la lampada e sollevai la prima asse. Dalla poca resistenza opposta, capii che qualcuno aveva fatto lo stesso lavoro non molto prima. Il pavimento aveva uno spessore di circa sei centimetri. Ripresi la torcia e illuminai la parte che avevo scoperto. Lo spettacolo, benché tragico, aveva qualcosa di ridicolo. Nel fascio luminoso, scorsi una macchina per scrivere portatile, unica nota moderna in quel granaio in rovina. Diedi un'occhiata alla marca: era proprio una Elliot n. 5. Cominciai a sollevare tutte le tavole come un pazzo, e sotto ognuna trovavo qualcosa. Una dopo l'altra, reperii le prove dei delitti avvenuti a Kenmore: prima le valigie della Leonard, poi un'accetta, la cui lama brillava lugubremente. Vestiti da donna erano sparsi in ogni angolo. Notai che erano ricoperti di macchie scure, ma non mi soffermai a studiarli a fondo. Mi inginocchiai per osservare l'unica asse che non avevo ancora solleva-
to, la più vicina al muro. I denti dei topi vi avevano disegnato strani motivi. Dovetti farmi coraggio prima di toccarla. Poi, con dita tremanti, la afferrai e la sollevai: cedette subito, come le altre. Puntai la torcia su quel punto. Non è facile spiegare quello che provai. Ero venuto al granaio con un'idea ben precisa: trovare la cosa che aveva tormentato la mia mente in tutti quei giorni. Ma in quell'attimo, fissando lo spazio che la torcia illuminava in ogni minimo particolare, credetti davvero di perdere la ragione. 22 Dei minuti che seguirono ho un ricordo piuttosto vago. Credo di essermi inginocchiato, su quel pavimento lurido, con gli occhi sbarrati. Ricordo il frusciare dei topi che correvano di qua e di là, e la terribile solitudine di quel granaio. La torcia mi cadde di mano e rotolò via, lasciando il buco in penombra e dando maggior risalto, con la luce radente, a quella capigliatura bionda. Mentre io osservavo quei particolari, al pianterreno era successo qualcosa di grave. Mi accorsi che leggere spire di fumo uscivano dalla fessura tra due tavole ai miei piedi. Salivano lente, implacabili. Mi sembravano più incredibili dell'apparizione di un cobra. A poco a poco, compresi che il granaio stava bruciando. L'odore acre, misto allo scoppiettare delle fiamme, era inconfondibile. Il primo istinto mi fece afferrare la torcia. Poi, dopo avere dato una ultima occhiata a quanto avevo scoperto, mi precipitai a sollevare la botola dalla quale ero salito. Mi investì una spessa nube di fumo. Indietreggiai tossendo. Gli occhi mi bruciavano. Rimasi inchiodato al muro, fissando il fumo che saliva a spirale. Aprendo la botola non avevo fatto che aumentare il tiraggio. Il fumo aveva preso una tinta leggermente rosata e il fuoco, di sotto, divampava. Poiché attraverso la botola era impossibile passare, tanto valeva richiuderla. Ma il fumo continuava a filtrare dal tavolato e l'aria si faceva sempre più irrespirabile. Cercai di ricordare la disposizione del pianterreno. Ripensai alle balle di fieno ai piedi della scala e supposi che il fuoco si fosse sviluppato in quel punto. Ma come era successo? Io non avevo fumato, quindi, non potevo essere stato io a provocare l'incendio. Allora, cominciai a capire: ripensai alla fi-
gura che mi era parso di vedere tra gli alberi. I casi erano due: o l'assassino mi aveva seguito fino al granaio, oppure, aveva deciso di incendiare il rudere per distruggere le prove del suo delitto. Ispezionai con la torcia tutti i muri, nella speranza di una possibile via d'uscita. Le travi del pavimento erano, in parte, fradicie, ma le pareti erano ancora resistentissime. Sotto i miei piedi, intanto, il tavolato diventava maledettamente caldo. Trascorsi qualche minuto escogitando piani irrealizzabili, prima di concludere che l'unica via di uscita era la finestra, e la finestra era ad almeno quattro metri dal pavimento. Se ripenso ai tentativi per raggiungere quella finestra, mi vengono i brividi. Scivolai un'infinità di volte, cadendo lungo disteso. Ma un po' alla volta cominciai a conoscere la superficie della parete e, alla fine, riuscii ad aggrapparmi al davanzale. Intanto le fiamme avevano bruciato la botola: mandavano un caldo insopportabile, ma mi permettevano anche di vederci meglio. Ero in una posizione assai precaria, rannicchiato sul davanzale e col naso incollato al vetro. Ma non era finita. Mi accorsi che c'era un altro ostacolo da superare: i vetri della finestra erano tutti intatti e ben saldi. Non vedendo una maniglia, né altro aggeggio che servisse ad aprirla, mi scoraggiai. Rompere i vetri con la testa non mi sembrava un'idea geniale. Allora, con un sospiro di sollievo, mi ricordai della torcia. Mi era costata cara, è vero, ma chi se ne infischiava! La tolsi dalla tasca e mi misi a battere con rabbia contro i vetri. Quando finii di fracassarli, rimaneva ancora l'intelaiatura. Alla luce delle fiamme, mi sembrava quanto mai solida. Cercai di usare lo stesso metodo, ma l'unico risultato fu di ridurre la torcia a un pezzo di alluminio informe. Rassegnato, la scagliai fuori e rimasi rannicchiato a bestemmiare. La rabbia di trovarmi in quella situazione non mi faceva ragionare. Ma non avevo tempo da perdere, perché il tempo era diventato questione di vita o di morte. Alla fine mi decisi. Raccolsi tutte le forze e mi scaraventai contro l'intelaiatura, in modo da investirla con le spalle; dopo qualche tentativo la sentii scricchiolare e cedere. Avevo conquistato tutto lo spazio della finestra e mi ci appoggiai, in equilibrio, a una decina di metri circa dal suolo. Ero sul punto di tentare il salto, quando avvenne il miracolo. Sotto di me, vidi sopraggiungere di corsa una persona. Con tutto il fiato che avevo in gola, gridai: «Ehi! Ehi!» La persona si fermò proprio sotto di me. Era Rosemary Stewart. Sentii
un tale sollievo che perdetti quel po' di forza che mi restava. Agitai un braccio e le gridai: «Mi aiuti a scendere!» La vidi strizzare gli occhi per vedere chi ero. «Hugues!» esclamò, alla fine. «Sì, sono io. Dovrò saltare, penso.» «No.» Il tono della sua voce era autoritario. «Vado a cercare qualcosa.» Si lanciò di corsa verso la porta del granaio. Mi resi conto del coraggio che ci voleva per entrare in quel rudere in fiamme, ma lei lo fece. Il pericolo che correva Rosemary mi fece dimenticare per un attimo il mio. I secondi che rimase dentro mi sembrarono ore. Finalmente riapparì, trascinandosi dietro una delle vecchie scale che avevo notato al mio arrivo. «Fatto!» gridò. «Ho trovato una scala.» Con uno sforzo sovrumano e un'energia insospettabile, riuscì a issarla contro il muro. Quando, con sollievo di entrambi, la scala fu a posto, ci accorgemmo di non aver risolto niente. Era troppo corta. «Non basta. Si allontani che salto.» «No. È inutile, Hugues, si ammazzerebbe.» Vidi che si portava una mano alla fronte per studiare meglio la mia situazione. «Ha le bretelle?» domandò. «Sì. Ma non vedo come utilizzarle.» «Le tolga e le fissi da qualche parte. L'aiuteranno a scivolare fino alla scala... Ecco, là c'è una trave che sporge sotto di lei, sulla sua destra. Se si appende al davanzale, potrà arrivarci con facilità.» Obbedii. Mi aggrappai al davanzale e mi lasciai scivolare, ma non trovai nessun appoggio. E alla scala mancava ancora un buon metro. «A destra, Hugues. All'altezza del ginocchio.» Staccai una mano e tastai il muro dove mi indicava lei. Con grande sollievo, trovai qualcosa che sporgeva una ventina di centimetri. Doveva essere proprio una trave. Con la destra strinsi la trave più forte che potei e staccai la sinistra dal davanzale. Per un attimo mi sentii cadere nel vuoto, poi il mio braccio subì uno strattone tale che temetti di slogarlo. Comunque, strinsi la presa sulla trave, e penzolai per qualche istante. Ce l'avevo fatta. Sotto, Rosemary mise a posto la scala. Dopo qualche secondo, sentii i pioli più alti urtarmi le gambe. Scesi in fretta e quando fui a terra mi augurai di non vedere mai più quel granaio.
Il mio desiderio non doveva aspettare molto a essere esaudito perché il rudere, ormai, era completamente avvolto dalle fiamme. Rosemary e io ci allontanammo per sottrarci al calore insopportabile. La parte destra del tetto sprofondò, sollevando una fiammata enorme. Ripensai all'orribile scoperta che avevo fatto. L'assassino era riuscito a distruggere tutto, ma non era stato abbastanza svelto. «Se l'è cavata per miracolo, Hugues.» Mi voltai e le appoggiai una mano sulla spalla. «Mi ha salvato la vita» le dissi, con tenerezza. «Non so proprio come ringraziarla.» Mi sorrise. Alla luce del granaio in fiamme, notai che il suo vestito era bruciacchiato e sporco. «Non vorrei farle delle domande indiscrete, Hugues» riprese. «Ma non riesco a capire come mai né Berg né i Grimshawe si siano accorti dell'incendio e...» S'interruppe. «Sarà meglio allontanarci. Il granaio sta per crollare.» Rise divertita. «La fine adatta al mio romanzo d'amore, no? Il luogo degli appuntamenti distrutto dalle fiamme.» Non le risposi. Girai sui tacchi e la seguii nel bosco. «Non che voglia diminuire il suo merito» cominciai «però mi piacerebbe sapere come ha fatto a essere lì proprio in quel momento. Non voglio essere indiscreto ma...» «In effetti, deve sembrare strano» mi interruppe lei. «Mi sono già resa abbastanza ridicola oggi pomeriggio. Devo ricominciare? Non può indovinare da solo?» «Vuole dire... per Walter?» Non rispose subito. La sua mano cercò la mia e la strinse. «Questo pomeriggio, quando l'ho vista risalire il sentiero Pytcher, sono rimasta sconcertata. Sapevo che avrebbe creduto che Walter fosse immischiato nella faccenda. Allora, ho pensato di doverlo avvertire.» Si interruppe. La stretta della mano si accentuò. «Quando mi ha lasciata, sono rientrata a casa a cavallo. Gli ho scritto due righe, pregandolo di trovarsi al granaio a mezzanotte. Ho portato il biglietto dai Grimshawe e l'ho messo nella cassetta delle lettere. Ecco perché mi trovavo nel bosco.» Parlava molto piano. «Avrei dovuto immaginare che non si sarebbe fatto vivo. Comunque, l'ho aspettato, mi sono allontanata e sono tornata. È stato a questo punto che ho visto l'incendio.» Nel frattempo, avevamo attraversato il bosco e ci trovavamo sul sentiero Pytcher.
«Posso dirle solo una cosa» risposi. «Io so perché Walter non è venuto. So anche perché né lui né suo padre hanno notato l'incendio. Sono partiti.» «Partiti!» La voce tradiva una forte emozione. La sorpresa, l'inquietudine, il sollievo; il sollievo di sapere che, se non altro, Walter non aveva letto il suo biglietto e non l'aveva ignorato volutamente. «Ma, Hugues, non potevano andarsene. La polizia ha ordinato a tutti di non muoversi.» «Non so perché siano partiti né dove siano andati. A quest'ora, magari, sono rientrati. Ma mi prometta, Rosemary, di stare tranquilla per un po'. La situazione non è imbrogliata come può sembrare a prima vista.» Eravamo molto vicini l'uno all'altro. Scorgevo il suo viso, in tutto il suo pallore e la sua dolcezza. «Intende dire... Oh, Hugues, lei è stato tanto gentile con me.» «Lei ha fatto ben di più. Mi ha salvato la vita.» Stavamo entrambi immobili. Di colpo, dissi: «Buona sera.» E feci dietrofront per ridiscendere il sentiero gelato. 23 Era molto tardi quando arrivai a casa. Senza esitare un attimo, mi precipitai al telefono e chiamai Cobb. Per fortuna era ancora in ufficio. Mentre aspettavo di parlargli, mi guardai nello specchio. Avevo un aspetto pietoso: la faccia nera di fuliggine, la giacca a brandelli, e i calzoni ridotti a uno straccio. In compenso, vedevo nello specchio un viso illuminato da un sorriso di trionfo. Cobb ascoltò in silenzio finché non ebbi finito il mio fantastico racconto. Ascoltò in silenzio anche quando gli dissi dove poteva trovare l'unica prova che non fosse stata distrutta dal fuoco. Si congratulò con me per la mia perspicacia e mi promise di occuparsi lui di tutto. Sarebbe venuto da me, aggiunse, l'indomani mattina, per chiudere la faccenda una volta per tutte. «Sarà meglio che tu convochi i tuoi amici del Club» mi consigliò. «C'è parecchia gente che deve soddisfare la mia curiosità. Alle undici e mezzo a casa dei Faulkner, allora. È lui il capocaccia.» «E Berg e i Grimshawe? Nessuna notizia?» domandai, curiosissimo. «Oh, non preoccuparti. Domani ci saranno anche loro.» La mattina dopo mi preparai per il gran finale. Puntuale come al solito, alle undici Cobb passò a prelevarmi. «Be', ci siamo.» L'ispettore era evidentemente soddisfatto. Tirò fuori di tasca un telegramma e me lo porse. «Questo ti dà ragione, Westlake. Ho
telefonato ieri sera, e le informazioni che ho richiesto sono arrivate in tempo.» Lessi il telegramma e constatai che confermava la mia tesi. Quando arrivammo dai Faulkner trovammo il comitato direttivo riunito nel grande salotto. I trofei di caccia appesi al muro o appoggiati sui mobili lo rendevano il luogo ideale per la fine di una caccia all'uomo. Clara, in tweed, come al solito, imperversava come una Diana cacciatrice. Francis, elegantissimo ma evidentemente stanco, faceva del suo meglio per adempiere ai doveri di padrone di casa, in una riunione del tutto priva di allegria. Rosemary e suo zio si guardavano le mani in silenzio. Mi sorpresi di vedere che c'era anche Tommy Travers. Cobb fece sfoggio di molto tatto. Sedutosi sotto la testa di un falco, cominciò a spiegare i motivi della riunione. Dopo una serie di circostanze inaspettate e con l'aggiunta di una buona dose di fortuna, eravamo arrivati, lui e io, a una conclusione che, a nostro parere, era quella giusta. Ecco perché si era resa necessaria la riunione di tutti gli interessati. Le altre persone coinvolte nella faccenda, i Grimshawe e Berg, sarebbero arrivati di lì a poco, perché era meglio che non assistessero alla prima parte. Mentre Cobb parlava, arrivò un'auto. Forse, fui l'unico a notarlo. Gli altri erano tutti intenti ad ascoltare il monologo dell'ispettore. «Sarà meglio iniziare dai primissimi avvenimenti, perché tutti possiate capire che razza di lavoro abbiamo dovuto fare. Mi limiterò ai punti principali: li ho segnati qui. Anne Grimshawe ha litigato col padre mercoledì scorso e se n'è andata di casa. Nessuno sapeva dove. Ma, giovedì, il signor Howell l'ha incontrata, e lei lo ha pregato di comprare parte delle sue terre. Sabato è stato trovato il corpo nella tana della volpe, e poi le altre membra. Ma le nostre ricerche per ritrovare la testa sono state vane. Sempre sabato, nel pomeriggio, il magnifico cavallo di Francis Faulkner, Sir Basil, è stato trovato asfissiato nella scuderia. Come se non bastasse, il giorno dopo, domenica, l'assassino ha svaligiato più d'una casa e ha assassinato la signora Howell nel suo letto, con un tagliacarte. Non entrerò nei dettagli. Tutte queste imprese credo siano state elementi di un piano ben preciso, tanto è vero che il dottor Westlake e io ci siamo lasciati guidare più volte su una pista sbagliata. Solo la notte scorsa, dopo una scoperta sensazionale del dottor Westlake, ci siamo accorti dei nostri errori.» Clara accese una sigaretta con l'accendisigari che maneggiava nervosamente da mezz'ora. Incontrai lo sguardo di Rosemary, che non riusciva a nascondere la curiosità e l'inquietudine. Tommy Travers mi sembrò solle-
vato; forse aveva temuto che i suoi affari fossero messi in piazza. «Per quanto vi possa sembrare strano» continuò Cobb «sulle prime avrei potuto accusare, con tanto di prove e con l'approvazione del dottor Westlake, il signor Howell, il signor Faulkner e il signor Travers di avere ucciso Anne Grimshawe. Ma ci sbagliavamo... e di molto, anche. Anzi, per non tenervi sulle spine, farò entrare un testimone che proverà come nessuno, tra le persone presenti in questa sala, abbia ucciso Anne Grimshawe.» Si alzò e si diresse verso la porta, permettendo ai presenti di scambiarsi qualche battuta. Francis lo fissava pallidissimo. Il viso grassoccio di Cyril era tutto raggrinzito. Cobb si fermò sulla soglia e tese la mano per introdurre un'altra persona. Era una ragazza, giovane e molto carina, con un cappellino rosso che le copriva parte dei riccioli biondi. Quell'apparizione fece sugli astanti l'effetto di una bomba. Nella sala regnò di colpo un silenzio di tomba. Alla fine, Clara esclamò con voce incredula: «Anne Grimshawe!» «Sì» mormorò Cobb, tranquillo. «Proprio Anne Grimshawe.» Elegantissima, in uno smagliante completino rosso, Anne si diresse verso la sedia che Cobb le porgeva e si sedette, in silenzio, con le gambe incrociate. Con un sorriso a Clara, si sporse sul tavolo e le prese una sigaretta. «Be', eccomi qui» disse, aspirando una profonda boccata. «Me ne sono andata con una cattiva fama e torno da personaggio principale. È più di quanto meritassi e, sinceramente, di quanto mi aspettassi.» «Desidererei, signorina Grimshawe, che raccontasse lei stessa la sua storia.» L'ispettore sorrise. «Dovrà chiarirci alcuni punti.» L'uditorio non si era ancora ripreso. Soprattutto Rosemary e Tommy Travers. Guardavano la ragazza come se fosse un fantasma. Gli occhi di Anne si posarono su Tommy. Credetti di scorgere nei loro sguardi un leggero sorriso. «È lusinghiero aver suscitato tanto interesse» osservò Anne. «Anche perché non mi sembra di avere fatto niente di eccezionale. Ero nell'unico posto dove la polizia non mi avrebbe mai cercata: in una clinica privata, sotto falso nome. Negli ultimi tempi, per molte e svariate ragioni, sono stata vittima di un forte esaurimento nervoso.» Guardò ancora Tommy. «Ne avevo parlato alla signorina Leonard che mi aveva consigliato questa soluzione. L'idea non mi andava molto a genio, ma mercoledì, dopo una ennesima lite con mio padre, sono stata costretta ad andarmene da casa. È stato questo a farmi decidere. Anche se non avevo denaro né biancheria di ri-
cambio, sono andata in una clinica di Grovestown e ho passato la notte. Ma quando la direttrice ha scoperto che ero senza soldi, mi ha trovata molto meno simpatica, e mi ha fatto capire che dovevo tornarmene a casa.» Si interruppe un attimo e scosse la cenere sul tappeto di Clara. «Non mi andava affatto di dovere tornare a casa. Allora, mi sono ricordata del pezzo di terra che mi spettava in eredità. Ho scritto un biglietto, sono tornata a Kenmore e mi sono nascosta nel bosco, dove sapevo che il signor Howell aveva l'abitudine di passeggiare nel pomeriggio. L'ho incontrato, infatti, e l'ho convinto a darmi una piccola somma. Questo succedeva giovedì. Con quel denaro, sono tornata alla clinica, dove mi hanno accolta a braccia aperte. Mio fratello lo sapeva, ma non volevo chiederli a lui, i soldi. Poverino, mio padre quando lui gli parla di soldi fa sempre finta di non capire. Ho chiamato Walter al telefono venerdì, per fargli sapere dove ero. Gli ho detto di tenersi in contatto con la Leonard e di farmi avere dei vestiti.» Mi sorrise. «È venuto a portarmeli lui stesso, sabato mattina. Strada facendo ha incontrato il dottor Westlake e temeva che avesse capito tutto. È stato quella mattina che Walter mi ha raccontato il ritrovamento del corpo e il riconoscimento da parte di mio padre. Io sono stata zitta e non ho smentito niente.» «Ma perché suo padre ha riconosciuto il corpo?» Francis Faulkner fu il primo a rompere il silenzio. Anne scrollò le spalle. «Povero papà. Mi giudicava una ragazza traviata e immaginava un castigo di Dio. Era sicuro che fossi una Jezebel. E se anche non fosse stato sicuro che quel corpo era mio, non l'avrebbe certo detto: capirà, meglio morta che disonorata.» Comprensibilissimo. Elias aveva agito proprio secondo il suo carattere. «A proposito, dottor Westlake. Devo ringraziarla per aver ristabilito la pace in famiglia. Mio padre, ieri sera, voleva ancora mandarmi via, ma si è tanto divertito dalla sua fuga di fronte al toro che gli è tornato il buonumore, e mi ha perdonata.» Rosemary alzò di colpo gli occhi. Questo punto della conversazione, evidentemente, la interessava in particolar modo. «Sì» continuò Anne. «Ieri sera ne ho avuto abbastanza della clinica. Ero stata visitata e non avevo niente.» Il suo sguardo si posò un istante su Tommy Travers. «Senza contare che di fronte alla gente del paese stavo facendo la figura di una sciocca. Così ho deciso di farla finita con quella commedia e ho dato appuntamento a Walter nel vecchio granaio, nel bo-
sco.» «Allora era lei!» La voce di Rosemary si fece sentire inaspettatamente. «Sì, ero io. Avevo studiato un piano. Walter sarebbe andato da Berg e gli avrebbe spiegato brevemente cos'era successo. Io, intanto, avrei attraversato il bosco e sarei andata da mio padre per dirgli che ero viva e che volevo chiedergli perdono. «Quando Walter è andato da Berg, ha avuto una discussione piuttosto animata con l'ispettore e il dottor Westlake. Lui non voleva dire niente prima della decisione di mio padre. Senza contare che non sapevamo come l'avrebbe presa Berg. Il povero Adolf era sconvolto: contento che io fossi viva e in paese, ma nello stesso tempo furibondo per un'altra ragione. E prima che Walter potesse intervenire, si precipitò fuori giurando di dare a una certa persona la lezione che si meritava.» S'interruppe per dare un'occhiata alle fasciature di Tommy. «Walter è riuscito a raggiungerlo e a riportarlo a casa. Papà, intanto, mi aveva promesso il perdono a patto che mi fossi sposata. Walter, poi, ha aggiunto che era meglio fare in fretta, altrimenti ci saremmo ritrovati tutti quanti in prigione. Berg non è quel che si può dire un marito romantico, ma in compenso è molto gentile e comprensivo. La benedizione ci è stata impartita in una cittadina qui vicino. Papà è venuto a vedere che tutto si svolgesse secondo i crismi. I poliziotti ci hanno beccati proprio durante la cerimonia.» «Vuole dire che si è sposata?» esclamò Clara. «Sì.» Anne mostrò l'anello nuziale. «Adesso sono la signora Berg.» Poi, rivolgendosi a Cyril Howell: «Temo proprio di non poterle più vendere quel pezzo di terra. Mio marito è contrario. Comunque, è qui anche lui.» La porta si aprì e lasciò entrare il gigantesco fattore. Dovetti constatare che Tommy era stato più efficace di quanto lui stesso credesse, con i suoi sinistri. Berg aveva entrambi gli occhi ammaccati e una guancia in pessime condizioni. Guardò Travers con aria severa poi, come prendendo una decisione eroica, attraversò la stanza e gli strinse la mano. «Tutto dimenticato, vero?» «Dimenticato» rispose Tommy con un sorriso. Berg si sedette a fianco della moglie con evidente fierezza. In quel momento, entrarono anche Elias e Walter. Gli occhi del giovane cercarono subito Rosemary. Un gran sorriso illuminò il volto della ragazza, e un minuto dopo Walter le era seduto vicino. Con dignità, Elias prese una sedia e sedette in disparte. Clara lanciò uno sguardo freddo ai Grimshawe e a Berg. Poi si rivolse
all'ispettore ed esclamò: «Tutto questo è molto commovente. Ma, se non sbaglio, lei è venuto qui a parlare di un assassino. Se non era Anne Grimshawe, vuole dirmi chi abbiamo trovato nella tana?» A tanta veemenza, Cobb rispose con la solita calma. «Il corpo che è stato trovato era quello di una ragazza che aveva più o meno l'età, la statura e il fisico di Anne. Era il corpo di un'altra donna che aveva lasciato il paese all'improvviso. Una ragazza che sapevamo benissimo essere dentro fino al collo in questa faccenda, ma non fino a questo punto.» «Non vorrà dire...» interruppe Cyril. «Sto proprio parlando di Susan Leonard.» La maggior parte dei presenti l'aveva già capito. Ma la rivelazione, sentita dalla bocca dell'ispettore, provocò lo stesso un vortice di commenti. «È stato il dottor Westlake a scoprire per primo le prove che ci hanno portati a questa soluzione» continuò l'ispettore. «Ieri notte lui ha trovato... ha trovato la testa. Si è reso subito conto dell'errore madornale che avevamo commesso. E ora credo sia meglio che vi parli lui stesso della scoperta.» Immediatamente, l'attenzione generale si concentrò su di me. Mi sentivo nervoso. Il mio compito era piuttosto sgradevole. «Già» cominciai. «Anche noi, come i cani poliziotto, eravamo su una pista sbagliata. Ed era logico che commettessimo questo errore. L'assassino, del resto, deve avere basato su questo tutti i suoi piani. Ha ucciso Susan Leonard nel momento in cui tutti sapevano che Anne Grimshawe aveva lasciato il paese: se, per caso, il corpo fosse stato scoperto, sperava che la polizia traesse le conclusioni sbagliate che appunto ha tratto. Il signor Grimshawe, poi, lo ha aiutato, convincendoci di essere nel giusto.» «Io non ho mentito!» sbottò Elias Grimshawe. «La descrizione che avete letto era quella di mia figlia. Lei era già morta per me. Ho creduto...» «Certo, signor Grimshawe. Non l'accusiamo di niente» tagliai corto. «La signorina Stewart e io stesso abbiamo commesso questo errore alla rovescia. Abbiamo creduto, cioè, di vedere la signorina Leonard nella ragazza che c'era nel bosco. E l'avremmo giurato entrambi che si trattava di lei, perché quella figura ci era nota e i capelli erano biondi. Nessuno pensava ad Anne. Ma se ci avessimo pensato prima, avremmo risparmiato un sacco di tempo. Avremmo capito che l'assassino aveva fatto strazio della vittima proprio perché sperava che il corpo, una volta scoperto, sarebbe stato identificato per quello di Anne. Le braccia, per esempio, perché sono state am-
putate? Perché, come abbiamo saputo dall'agenzia delle infermiere, la Leonard aveva una cicatrice sul braccio sinistro. Saremmo ancora al punto di partenza se ieri notte mia figlia non mi avesse suggerito, per caso, l'idea di andare al granaio, nel bosco dei Grimshawe.» Raccontai loro in breve la mia avventura e le mie scoperte. Il fuoco aveva distrutto tutto, meno un oggetto, che speravamo di trovare presto. E quando parlai della testa e della mia sorpresa nel riconoscere la Leonard, Clara Faulkner mi interruppe: «Ma chi poteva avere interesse a uccidere quell'infermiera? Non era del posto e non la conosceva nessuno.» «Ha ragione, signora Faulkner. Neanche adesso, del resto, sappiamo molto di lei. Ma qualche notizia l'abbiamo raccolta. Abbiamo saputo che era stata lei a voler venire a Kenmore, e che una notte è stata vista nel bosco con un uomo. La deduzione logica è che volesse venire in paese per stare vicino a quest'uomo. Una volta tanto, la logica corrisponde alla realtà. E l'uomo che lei desiderava tanto rivedere è quello che l'ha uccisa. Sì...» Con lo sguardo passai in rassegna i visi accigliati dei miei ascoltatori. «E l'uomo di cui parlo è qui tra noi.» Rosemary e Walter si guardarono meravigliati. Gli altri, chi più chi meno, si agitarono tutti. Solo Anne Grimshawe restava calma. «Ma c'è tempo per parlare dell'assassino» proseguii. «Vorrei prima mostrarvi come è stato commesso l'omicidio o, almeno, come credo sia stato commesso. Da un biglietto trovato nelle valigie dell'infermiera, sappiamo che la Leonard era solita incontrarsi con l'assassino in un luogo che questi chiamava "il solito posto". Tali appuntamenti, ne sono sicuro, avvenivano nel granaio, e quando l'assassino ha deciso di eliminare l'infermiera, le ha detto di farsi licenziare perché nessuno si accorgesse della sua scomparsa. Così, l'ultima volta che si sono visti nel granaio, l'ha uccisa e ha cercato di nasconderne l'identità. Per il resto, contava sugli animali: Susan Leonard, una forestiera, se ne era andata. Chi si sarebbe fatto domande? Nessuno. Non avremmo neanche dovuto sapere che era morta...» «Ma, dottor Westlake» era Walter Grimshawe, questa volta. «Che legame c'era tra quest'uomo e la signorina Leonard? Perché lei gli obbediva così ciecamente?» «Solo l'assassino può rispondere a questa domanda, signor Grimshawe. Forse lo amava, o forse lei lo ricattava. In ogni modo, sappiamo che il nostro uomo era riuscito a conquistare la fiducia della Leonard al punto di convincerla a non parlare con nessuno della loro relazione. Deve averle fatto credere che sarebbe partito con lei, o che le avrebbe dato del denaro,
o tutt'e due le cose. Ma ha voluto strafare: consigliando alla Leonard di farsi licenziare, non ha tenuto conto del brutto carattere della povera signora Howell. L'infermiera ha recitato così bene la parte, che zia Lulù l'ha mandata via senza nemmeno darle il tempo di prendersi la sua roba. Nelle valigie c'era un documento importantissimo, che la Leonard non aveva bruciato, e l'assassino deve averlo capito. Ecco perché ha mandato quel telegramma alla signora Howell, pregandola di non aprire le valigie. Cobb e io non abbiamo mai pensato ad accertare la provenienza di quel telegramma. Credevamo che l'avesse spedito veramente l'infermiera. Da un momento all'altro, gli aiutanti dello sceriffo sapranno dirci se ci sbagliavamo.» «Ho già avuto la risposa» interruppe l'ispettore. «Sappiamo chi ha spedito il telegramma: è come prevedevamo.» In poche parole, spiegai la parte che zia Lulù aveva avuto in quella tragedia. Senza fare nomi, spiegai come avesse letto la lettera di Travers e ne avesse dedotto che l'inglese era l'assassino e la Leonard sua complice. Zia Lulù aveva preso un granchio, in altre parole; però, il nostro uomo non lo sapeva. Sicché, quando lei aveva cominciato a fare allusioni, lui credette che avesse proprio letto il foglio incriminato, quello scritto a macchina. E così la uccise. «Ma che diavolo c'era scritto, in quel foglio?» domandò Cyril, con voce angosciata. «Quel foglio è importante non tanto per il contenuto, quanto per il fatto che è l'unica prova dei rapporti tra la Leonard e l'assassino. Ed è proprio per impedire la scoperta di tali rapporti che l'assassino ha fatto quello che ha fatto, e ieri notte ha incendiato il granaio. Finché i cani della polizia avessero cercato Anne sapeva che il nascondiglio era sicuro. Ma quando il nome della Leonard ha cominciato a farsi più frequente, ha capito che bisognava distruggere quel rudere. Peccato che si sia deciso troppo tardi. A meno che non fosse riuscito a bruciare anche me!» «E Sir Basil?» domandò Francis. «Perché è stato ucciso?» Nel pronunciare quel nome, guardò fuori della finestra. Vicino al luogo dov'era stato sepolto il cavallo, si vedeva un mucchio di terra appena rimossa. Francis trasalì. Clara guardò fuori ed ebbe la stessa reazione. Avevano visto gli uomini che, armati di pala, stavano scavando nella tomba di Sir Basil. «Fermateli!» strillò Clara. «Fermate quegli uomini. Stanno dissotterrando Sir Basil.»
«Mi spiace» si scusò l'ispettore. «Stanno seguendo le mie istruzioni. Il dottor Westlake pensa che si possa trovare qualche oggetto compromettente nella tomba del cavallo, un oggetto che dimostrerebbe una volta per tutte il legame tra l'assassino e la Leonard.» Il viso di Clara esprimeva nello stesso tempo sorpresa e indignazione. Tuttavia, non fiatò. «Vorrei che tutti voi pensaste alla signorina Leonard e a quello che sappiamo di lei. Se non accettassimo sempre la prima soluzione che ci si presenta, avremmo già capito che quella ragazza non poteva essere complice di un delitto. Aveva ottime referenze: era tranquilla, caritatevole, e cattolica praticante. Abbiamo anche saputo, ma non abbiamo dato la giusta importanza a questa informazione, che era stata sposata. A St Louis era conosciuta col nome di Susan Vaugham. Non c'erano notizie di una eventuale morte del marito. Be', da buona cattolica, la Leonard non avrebbe mai divorziato, quindi, la logica ci porta a questa conclusione: l'uomo che è venuta a trovare e che l'ha assassinata era suo marito.» «Suo marito!» fece eco la voce di Rosemary. «Sì. Molti anni fa, il marito di Susan Vaugham può averla lasciata, non sopportando di essere il marito di una semplice infermiera. Prima avrà senz'altro cercato di divorziare, ma questo era inaccettabile per la moglie. Alla fine, l'ha piantata e si è dato a una vita che gli piaceva molto di più. In seguito, può darsi che abbia trovato un'altra donna e, insieme a lei, ciò che amava di più nella vita. Sapendo che non poteva sposarla nella legalità, ha rischiato il tutto per tutto ed è diventato bigamo.» Intorno a me, regnava il silenzio. «Torniamo a Susan Leonard. La ragazza, ripreso il suo nome da signorina, si era ricostruita una vita, sempre lavorando come infermiera. Ma non poteva dimenticare il marito: così, molti anni dopo, saputo che lui era a Kenmore, ha deciso di raggiungerlo. Per il nostro uomo è stata una doccia fredda, sia che la Leonard gli abbia chiesto di tornare con lei sia che abbia tentato di estorcergli del denaro.» Mentre parlavo, sentii nel vestibolo dei passi e un vocio confuso. Quando la porta si aprì, comparvero tre poliziotti di Cobb. Uno teneva in mano la coppa d'oro di Francis Faulkner. «L'abbiamo trovata a una trentina di centimetri» disse il poliziotto, porgendo la coppa all'ispettore. «Era assieme agli altri oggetti rubati.» «Lo immaginavo» esclamai. «È stata mia figlia a farmi venire questa idea. Ieri sera, infatti, mi ha detto che se mai avesse posseduto una coppa
come questa, l'avrebbe portata con sé anche nella tomba.» Lentamente, mi rivolsi a Francis Faulkner. «L'hai sotterrata tu nella tomba di Sir Basil, vero, Francis? Stavi facendo proprio questo la notte in cui tua moglie ti ha visto sul prato.» Francis impallidì e non riuscì a spiccicare parola. «Non hai avuto il coraggio di distruggere questa magnifica coppa, vero, Francis? D'altra parte, non potevi correre il rischio di tenerla in casa. Era già stato imprudente portarla qui, figuriamoci poi lasciare sotto gli occhi della polizia queste tre iniziali, una volta che avesse scoperto che la Leonard era sposata.» Francis continuava a tacere. La prima reazione venne da parte di Clara. Mi si avvicinò a grandi passi e mi fissò con lo stesso sguardo che prima aveva dedicato a Berg. Fu come una staffilata in pieno viso. «Guardi la coppa, Clara» le feci notare. «Vede queste iniziali: F.F.V.? Significano Francis Faulkner Vaugham.» «Ma è...» «Mi creda. Io sono il primo a essere dispiaciuto. Ma se continua a non credere, legga questo.» Le porsi il telegramma che Cobb aveva ricevuto quel mattino. «IL VINCITORE DELLA CORSA ALLE SIEPI DEL 1928 È STATO FRANCIS FAULKNER VAUGHAM.» Lui le ha spiegato queste iniziali raccontandole che sua madre lo costringeva a cambiare nome ogni volta che si risposava. Le ha anche detto che, una volta maggiorenne, si era ripreso il suo vero nome. E Vaugham, infatti, è il suo vero nome. L'ha cambiato per sposare lei. E poi, ascolti: il giorno stesso in cui suo marito è andato a Grovestown a farsi fasciare il polso, la signora Howell ha ricevuto il telegramma. È straziante doverle spiegare tutto questo, ma è necessario. Intorno a me c'erano solo facce sbalordite. Francis si era coperto il volto con le mani. Cyril aveva la bocca spalancata. Rosemary e Walter sembravano inebetiti. Ma era Clara che mi interessava in quel momento. Capivo benissimo la sua angoscia e ne temevo le reazioni. Finché non ebbi finito, tenne gli occhi sul telegramma. Poi si voltò verso Cobb, come per leggergli in viso che quanto avevo detto era falso. «Purtroppo, il dottor Westlake ha ragione» disse l'ispettore. Ho visto altre donne colpite da una grave notizia. Ho avuto modo di osservare nei loro occhi un'espressione smarrita e addolorata. Ma Clara era una donna di classe, e anche in quel frangente non si smentì. Aveva le labbra serrate. Gli occhi freddi cercavano di nascondere tutta l'angoscia che
provava. Aspettavo, immobile e silenzioso, che Clara facesse qualcosa. Lentamente, le vidi alzare gli occhi verso il pallido viso di Francis. Parlò con voce calma, fermissima. «Ti avrei perdonato. Credo che ti avrei perdonato tutto, se non fosse stato per Sir Basil. Francis, perché hai ucciso Sir Basil?» Il silenzio che seguì fu terribile. Vedevo Francis dibattersi nella rete che gli era caduta addosso e lo teneva prigioniero. «Credo di poterglielo dire io, perché ha ucciso Sir Basil.» Ormai parlavo come un automa. «Ricorda lo scarto che fece il cavallo durante la caccia? È stato vicino al granaio. Ricorda la reazione del cavallo quando è stato dissotterrato il corpo? Sono sicuro che Sir Basil sapeva di che si trattava. Lui era presente la notte del delitto. Sarebbe stato imprudente, per Francis, andare al granaio in macchina. Senza contare che gli serviva un aiuto per trasportare... quello che doveva trasportare. Così, ha portato Sir Basil. Ma ai cavalli non piace la morte. Li fa soffrire molto, e se ne ricordano.» Clara mi guardava senza fiatare. «Sì» continuai. «Sir Basil era l'unico testimone. Ha tradito il padrone, ma noi non l'abbiamo capito. E nella scuderia, non ha detto lei stessa che ha tentato di morderlo? Sir Basil, ormai, detestava il padrone. Presto o tardi, tutto il paese se ne sarebbe accorto e si sarebbe domandato le ragioni di quel cambiamento.» Abbassai gli occhi. «Per questo Francis è stato costretto a ucciderlo.» Tutti gli sguardi erano posati su Francis. Il suo viso era color cenere. «Volevo solo...» mormorò alla moglie. Ma non finì la frase, perché la moglie gli aveva voltato le spalle e si stava dirigendo verso la porta. Non lo degnò neppure di uno sguardo. Tutto quanto seguì, la confessione di Francis, l'arresto, fu terribile. Rimasi appena il tempo necessario. Quando tornai a casa, trovai Dawn seduta sul tappeto del salotto. Stava giocando col solito coniglietto. La guardai. Stentavo a credere che fosse all'oscuro di tutto. Come, del resto, era incredibile che fossero state proprio le sue riflessioni a fornirci la chiave del mistero. Mi guardò con i suoi occhioni, e mi domandò dov'ero stato. Risposi che c'era stata una riunione a casa dei Faulkner. Fece una smorfia di diffidenza. «Rosemary c'era?» «Sì.» Risposi distrattamente. «Perché me lo domandi?» «Così. Mi preoccupa un po'.»
«Ti preoccupa?» esclamai. «Non devi affatto preoccuparti per lei. Un uccellino mi ha detto che fra non molto sposerà Walter Grimshawe.» «Oh, papà, come sono contenta.» Il viso di Dawn si era illuminato di gioia. «Sarà divertente avere un matrimonio a Kenmore. Non succede mai niente, in questo paese.» «Già» ripetei con voce triste. «Non succede mai niente.» Dawn mi guardò imbarazzata. «E poi... sono contenta per un'altra cosa. Sai, per un momento ho creduto che ti lasciassi mettere in trappola. Rosemary è tanto carina e gentile, ma io non voglio una suocera in casa... mi darebbe fastidio.» Improvvisamente, fece un gesto inaspettato. Si lanciò verso di me e mi abbracciò, stringendomi con tutte le sue forze. Per la prima volta in vita sua non stava cercando di ottenere qualcosa. Neppure un coniglietto. FINE