Elementi di tomografia computerizzata
Lorenzo Faggioni · Fabio Paolicchi · Emanuele Neri (a cura di)
Elementi di tomografia computerizzata Presentazione a cura di Davide Caramella
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a cura di Lorenzo Faggioni Radiologia Diagnostica e Interventistica Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa
Fabio Paolicchi Sezione RX Universitaria Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Emanuele Neri Radiologia Diagnostica e Interventistica Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa
ISBN 978-88-470-1696-5
e-ISBN 978-88-470-1697-2
DOI 10.1007/978-88-470-1697-2 © Springer-Verlag Italia 2010 Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore, e la sua riproduzione è ammessa solo ed esclusivamente nei limiti stabiliti dalla stessa. Le fotocopie per uso personale possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni per uso non personale e/o oltre il limite del 15% potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail
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Presentazione
È per me davvero un piacere presentare il bel libro Elementi di tomografia computerizzata, che è il frutto dell’intelligente fatica di un Radiologo senior, un Radiologo junior e un validissimo Tecnico di Radiologia appartenenti al nostro gruppo. Gli Autori condividono una quotidiana esperienza di lavoro nelle diagnostiche dell’Ospedale Universitario Pisano e hanno messo insieme in modo coerente e didatticamente molto efficace un testo che contiene tutte le notizie essenziali per operare allo stato dell’arte in Tomografia Computerizzata. La loro idea non è stata quella di produrre un manuale illeggibile se non per superesperti, hanno piuttosto realizzato un’articolata introduzione alla tecnologia TC, riassumendone le tappe storiche e arrivando a coprire le ultime innovative applicazioni. In questo libro studenti, tecnici, medici e radiologi potranno trovare risposte alle domande legate al funzionamento di una modalità oggi quarantenne, ma che non dimostra affatto la sua età. La trattazione degli argomenti è rigorosa ma concisa, le problematiche più ardue sono affrontate con autorevolezza e in modo semplice e chiaro, facendo di questo libro un supporto didattico indispensabile per tutti coloro che lavorano in TC. Un aspetto che gli Autori hanno voluto approfondire in dettaglio è quello relativo alla dose. Sappiamo infatti che allo spettacolare successo delle applicazioni cliniche della TC si oppongono crescenti preoccupazioni riguardo la dose erogata ai pazienti. Ebbene, nel libro ciascuno potrà trovare le informazioni essenziali sui metodi per misurare la dose in TC e soprattutto sulle procedure che devono vedere il medico e il tecnico collaborare per ridurre la dose complessiva erogata, grazie all’ottimizzazione di tutte le fasi dell’esame. Auguro ai lettori di leggere questo libro con la stessa soddisfazione che ho visto negli Autori mentre erano impegnati in questo duro lavoro “parallelo” rispetto alla loro attività assistenziale principale. Pisa, maggio 2010
Davide Caramella Direttore Sezione RX Universitaria Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa
V
Prefazione
L’avvento della tomografia computerizzata ha rivoluzionato la diagnostica per immagini negli ultimi trent’anni, consentendo di ottenere una visione analitica di sezioni del corpo umano, superando la visualizzazione additiva e proiettiva della radiologia convenzionale. Questo volume si propone di illustrare le basi fisiche e tecniche della TC nelle sue diverse implementazioni tecnologiche, descrivendone in maniera sistematica le caratteristiche e i rispettivi campi di applicazione. Nel libro vengono ripercorse le tappe storiche dell’evoluzione della TC, a partire dai primi modelli di TC sequenziale fino all’introduzione degli apparecchi TC spirale e multistrato. Vengono spiegati i principi fisici della generazione delle immagini TC e viene discussa la loro realizzazione tecnica sulle varie tipologie di scanner TC, evidenziandone punti di forza e svantaggi. Sono poi illustrati le caratteristiche delle immagini TC (intese come particolare tipologia di immagini digitali) e i principali algoritmi per la loro elaborazione; vengono infine trattati le proprietà e l’uso dei mezzi di contrasto in TC e mostrate le applicazioni della TC in campo medico-nucleare e radioterapico. Particolare attenzione viene posta alla problematica della dose radiante in TC e alle tecniche volte a ridurla il più possibile pur mantenendo una sufficiente qualità diagnostica, nell’ambito del principio ALARA (As Low As Reasonably Achievable): ora che i moderni scanner TC sono in grado di offrire altissime risoluzioni spaziali e temporali con tempi di acquisizione assai ridotti, il contenimento della dose radiante è diventato una questione di grande attualità e rappresenta sicuramente uno dei principali obiettivi delle case produttrici e, a nostro avviso, una tematica alla quale chi apprende o già si occupa di TC – tecnici di radiologia, medici, fisici sanitari – deve essere adeguatamente sensibilizzato. Gli argomenti vengono trattati in maniera concisa, cercando tuttavia di preservare il rigore e l’ordine logico dell’esposizione: in particolare, abbiamo scelto di tralasciare la trattazione puntuale di dettagli a nostro avviso non essenziali in un testo didattico (per i quali si rimanda comunque a opere specifiche), privilegiando invece la spiegazione sistematica del razionale delle varie soluzioni tecnologiche e diagnostiche. Ciò allo scopo di offrire una presentazione il più possibile lineare ed esaustiva di una materia complessa, ma sempre più attuale nella sua continua evoluzione, qual è appunto la TC nelle sue moderne implementazioni e applicazioni. Pisa, maggio 2010
Lorenzo Faggioni Fabio Paolicchi Emanuele Neri VII
Indice
1
2
Cenni storici sulla tomografia computerizzata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fabio Paolicchi, Lorenzo Faggioni, Davide Caramella
1
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6
Principali componenti di uno scanner TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Simona Del Corona, Silvia Cavaliere, Cristiana Baggiani
7
2.1 2.2
3
4
5
Requisiti strutturali e tecnologici di una sala di TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Componenti di uno scanner TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7 8 17
Principi della TC convenzionale e della TC spirale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fabio Paolicchi, Lorenzo Faggioni, Riccardo Lazzarini
19
3.1 3.2 3.3 3.4
La formazione dell’immagine in TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Principi fisici della formazione dell’immagine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Evoluzione tecnologica dei sistemi TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . TC spirale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
19 20 26 29 34
TC multistrato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lorenzo Faggioni, Riccardo Lazzarini, Emanuele Neri
35
4.1 4.2 4.3
Dalla TC spirale monodetettore alla TCMS: la TC a doppio strato . . . . . . . . . Acquisizione delle immagini nella TCMS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Vantaggi della TCMS rispetto alla TC spirale monostrato . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
35 36 42 48
Caratteristiche di base delle immagini TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Mercede Marinelli
49
5.1 5.2
49 50 58
Matrice di ricostruzione, voxel e pixel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Descrittori di qualità delle immagini TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
IX
X
Indice
6
7
8
Tecniche di elaborazione delle immagini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lorenzo Faggioni, Riccardo Lazzarini, Fabio Paolicchi
59
6.1 6.2 6.3 6.4 6.5
Ricostruzione multiplanare (Multiplanar Reformation, MPR) . . . . . . . . . . . . . . Proiezione di massima intensità (Maximum Intensity Projection, MIP) . . . . . Rendering volumetrico (Volume Rendering, VR) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rappresentazione di superficie (Shaded Surface Display, SSD) . . . . . . . . . . . . Endoscopia virtuale (Virtual Endoscopy, VE) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
60 64 68 71 72 74
Parametri di scansione e artefatti in TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Riccardo Lazzarini, Fabio Paolicchi, Lorenzo Faggioni
75
7.1 7.2 7.3 7.4
Parametri di acquisizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Parametri di ricostruzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Parametri di visualizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Principali artefatti delle immagini TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
75 82 84 85 92
Cardio-TC e TC dual source . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lorenzo Faggioni, Francesca Cerri, Davide Giustini
93
8.1 8.2
9
10
11
Cardio-TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . TC dual source . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
93 99 104
La dose in TC: descrittori e tecniche di riduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fabio Paolicchi, Davide Caramella, Franco Perrone
107
9.1 9.2 9.3 9.4
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Unità di misura ed effetti biologici delle radiazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Descrittori di dose in TC: MSAD, CTDI e DLP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fattori che determinano la dose in TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
107 109 111 117 125
Controlli di qualità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Franco Perrone, Fabio Picchi
127
10.1 10.2 10.3
Controllo di qualità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Programma di controllo di qualità per apparecchi TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Prove per il controllo di qualità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
127 129 129 138
I mezzi di contrasto in TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lorenzo Faggioni, Sabina Giusti, Elisa Orsi
139
11.1 11.2 11.3
139 140 146 147
Classificazione dei mezzi di contrasto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mezzi di contrasto intravascolari-interstiziali (uro-angiografici) . . . . . . . . . . . Mezzi di contrasto intraluminali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Indice
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XI
La TC in medicina nucleare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Duccio Volterrani, Oreste Sorace, Daniele Fontanelli
149
12.1 12.2
Tomografi ibridi PET/TC e SPECT/TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Protocolli diagnostici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
149 154 163
La TC in radioterapia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lucia R. Fatigante, Marco Panichi
165
13.1 13.2 13.3
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ruolo della TC nella pianificazione del trattamento radioterapico . . . . . . . . . Impiego della TC nelle procedure di controllo del trattamento radioterapico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
165 166
Sviluppi futuri in TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fabio Paolicchi, Lorenzo Faggioni, Emanuele Neri
177
14.1 14.2 14.3 14.4
177 178 180 183 184
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La TCMS: oltre 64 strati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Flat panel CT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La dose radiante: la vera sfida dei prossimi anni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
174 176
Elenco degli Autori
Cristiana Baggiani Sezione RX Universitaria Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Daniele Fontanelli U.O. Medicina Nucleare Universitaria Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Davide Caramella Radiologia Diagnostica e Interventistica Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa
Sabina Giusti Radiologia Diagnostica e Interventistica Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa
Silvia Cavaliere U.O. Radiodiagnostica 2 Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Davide Giustini Sezione RX Universitaria Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Francesca Cerri Radiologia Diagnostica e Interventistica Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa
Riccardo Lazzarini U.O.C. Radiologia AUSL 12 Viareggio (Lucca)
Simona Del Corona U.O. Neuroradiologia Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana Lorenzo Faggioni Radiologia Diagnostica e Interventistica Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa Lucia R. Fatigante U.O. Radioterapia Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa
Mercede Marinelli U.O. Radiodiagnostica 1 Universitaria Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana Emanuele Neri Radiologia Diagnostica e Interventistica Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa Elisa Orsi U.O. Radiodiagnostica AUSL 2 Lucca Marco Panichi U.O. Radioterapia Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
XIII
XIV
Elenco degli Autori Fabio Paolicchi Sezione RX Universitaria Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Oreste Sorace Istituto di Fisiologia Clinica C.N.R. Pisa
Franco Perrone Fisica Sanitaria Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Duccio Volterrani U.O. Medicina Nucleare Universitaria Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa
Fabio Picchi Fisica Sanitaria Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Cenni storici sulla tomografia computerizzata
1
F. Paolicchi, L. Faggioni, D. Caramella
La tomografia computerizzata (TC) rappresenta una delle principali innovazioni mediche degli ultimi quarant’anni. Dalla sua introduzione, avvenuta nel 1972, la TC si è trasformata in uno strumento indispensabile per l’imaging diagnostico in una molteplicità di applicazioni cliniche. Dai pionieristici tomografi degli anni Settanta siamo giunti alle moderne TC multistrato, in grado di produrre con brevissimi tempi di acquisizione immagini di elevata qualità dell’intero distretto corporeo, fornendo informazioni di tipo sia anatomico sia funzionale, impensabili fino a pochi anni fa. Il principio su cui si basa la TC ha origine dal lavoro del matematico austriaco Johann Radon, che nel 1917 dimostrò la possibilità di ricostruire un oggetto tridimensionale mediante un numero infinito di proiezioni bidimensionali dell’oggetto stesso [1]. Tale teoria, modificata per un numero finito di proiezioni, è stata utilizzata in numerosi campi, dall’astronomia alla microscopia elettronica, ma inizialmente non fu ideata per scopi medici [2]. Occorre, infatti, arrivare agli anni Sessanta per trovare le prime applicazioni in campo medico delle teorie matematiche sulla ricostruzione di oggetti tridimensionali mediante acquisizione tomografica. Nel 1961 il neurologo William H. Oldendorf studiò la possibilità di produrre immagini mediante proiezioni ottenute con una fonte di raggi gamma generata dall’isotopo 131I: Oldendorf utilizzò un detettore a scintillazione per misurare l’intensità della radiazione trasmessa attraverso un oggetto che ruotava tra la sorgente e il detettore [3]. In precedenza, verso la metà degli anni Cinquanta, il fisico Allan Cormack si era interessato alla variazione, durante i trattamenti radioterapici, della distribuzione di dose causata dalla disomogeneità dei tessuti: egli comprese che tali variazioni potevano essere previste conoscendo i coefficienti di attenuazione delle zone interessate. Nel 1957 Cormack si trasferì alla Tufts University di Boston e riprese il suo lavoro sull’imaging proiettivo solo nel 1963, quando ripeté le misurazioni utilizzando un nuovo dispositivo. Mediante un oggetto test asimmetrico, egli riuscì a ottenere una distribuzione altamente accurata dei coefficienti di attenuazione dell’oggetto, misurati attraverso proiezioni angolari intervallate di 7° [4]. I risultati, pubblicati sulla rivista Physics Review, passarono tuttavia quasi inosservati; solo tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, diversi gruppi di ricerca iniziarono a occuparsi di imaging tomografico come possibile strumento utile per la diagnosi e il planning radioterapico. La transizione dell’imaging proiettivo da semplice curiosità sperimentale a vera e propria applicazione clinica è stata resa possibile, in gran parte, dal lavoro di una sola
Elementi di tomografia computerizzata. Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Emanuele Neri (a cura di) © Springer-Verlag Italia 2010
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F. Paolicchi et al.
persona: l’ingegnere inglese Godfrey Hounsfield. Questi, conseguita la laurea in ingegneria meccanica, entrò nel 1951 a far parte dello staff della EMI (Electrical Music Industries), dove iniziò a lavorare su progetti inerenti la tecnologia dei computer, giungendo allo sviluppo di EMIDEC 1100, il primo computer a diffusione commerciale prodotto in Gran Bretagna. In seguito Hounsfield iniziò a interessarsi alle tecniche di ricostruzione delle immagini mediante computer. Egli ipotizzò che fosse possibile ottenere informazioni sulle strutture interne di un oggetto facendolo attraversare da un fascio di raggi X da molteplici direzioni e misurando l’attenuazione di tutte le proiezioni. Hounsfield riuscì a risolvere questa complessa sfida fisico-matematica senza conoscere il lavoro svolto in precedenza da Radon e da Cormack. Sostenuto dalle strutture governative inglesi, e favorito dagli introiti che negli stessi anni la EMI otteneva per il successo planetario dei Beatles [5], nel 1967 Hounsfield mise a punto il primo tomografo sperimentale, costituito da una sorgente di 241Am e da un detettore di materiale scintillante montati su un dispositivo che consentiva movimenti sia di traslazione sia di rotazione. A causa della bassa intensità della radiazione emessa dall’isotopo 241Am, questo dispositivo necessitava di circa nove giorni per acquisire l’oggetto; nella fase successiva un computer impiegava 2,5 ore per elaborare e ricostruire le 28 000 misurazioni raccolte dal detettore. Per aumentare l’intensità delle radiazioni, Hounsfield decise di ripetere l’esperimento sostituendo il 241Am con un tubo a raggi X, e riuscì a ridurre il tempo di acquisizione da 9 giorni a 9 ore. Con questo nuovo dispositivo Hounsfield produsse immagini di numerose specie animali, che presentavano una capacità di risoluzione dei tessuti di densità simili decisamente superiore a quella ottenibile con le tecniche radiografiche tradizionali. Incoraggiato dai buoni risultati ottenuti, l’ingegnere inglese decise di progettare un tomografo da utilizzare sugli esseri umani; scelse di esaminare l’encefalo, in quanto i movimenti fisiologici caratteristici della regione toracoaddominale avrebbero reso difficile la produzione di immagini, a causa degli elevati tempi di acquisizione. Il prototipo di TC, denominato EMI Mark 1, fu costruito in gran segreto nel reparto radiologico dell’Atkinson Morley Hospital di Londra; nell’ottobre del 1971 fu prodotta la prima immagine di un encefalo, dalla quale risultava chiaramente la presenza di una lesione tumorale nel lobo frontale [6]. Il prototipo, basato su movimenti di traslazione e rotazione del complesso tubo radiogeno-detettore, produceva un’immagine su una matrice di 80 × 80 con una risoluzione spaziale di 0,5 cm, e richiedeva per l’acquisizione e la ricostruzione di ciascuna fetta, rispettivamente, 4 e 7 minuti (Fig. 1.1). Nel 1972 furono sottoposti a esame tomografico ben 70 pazienti e i risultati furono presentati al congresso annuale del British Institute of Radiology di Londra; nello stesso anno, i risultati ottenuti furono pubblicati su un articolo del London Times e l’entusiasmo per questa nuova tecnica diagnostica crebbe notevolmente. La EMI decise di produrre cinque nuovi scanner, che furono immediatamente acquistati da quattro ospedali inglesi e da uno americano, e ben presto ricevette numerosi nuovi ordini. Il primo tomografo in grado di acquisire il distretto toraco-addominale fu prodotto dalla Pfizer nel 1973 e installato nell’ospedale di Georgetown: tale tomografo, chiamato ACTA (Automatic Computerized Transverse Axial), produceva immagini su una matrice di 256× 256 e utilizzava, come lo strumento messo a punto da Hounsfield, una combinazione di movimenti di traslazione e rotazione (Fig. 1.2) [7]. I movimenti fisiologici del distretto toraco-addominale rappresentavano, tuttavia, un forte limite nell’acquisizione delle immagini. Successivamente, la EMI presentò un nuovo modello di scanner
1 Cenni storici sulla tomografia computerizzata
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Fig. 1.1 a Il primo tomografo computerizzato per lo studio del cranio prodotto dalla EMI nel 1973. b Immagine di una sezione assiale di encefalo prodotta dal tomografo EMI Mark 1 con una matrice di 80×80 pixel. c Immagine di una sezione di encefalo prodotta da un moderno apparecchio TCMS a 64 strati con una matrice di 512×512 pixel
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Fig. 1.2 Il primo scanner total body, ACTA (Authomatic Computerized Transverse Axial) prodotto dalla Pfizer nel 1973 con il suo ideatore Robert Ledley. (riprodotta da Sittig et al. [8] con l’autorizzazione di BMJ Publishing Group Ltd.)
tomografico, caratterizzato dalla presenza di due detettori di scintillazione in grado di acquisire due immagini per ciascuna rotazione, riducendo così il tempo di acquisizione a circa 20 secondi e fornendo immagini di qualità superiore rispetto a quelle del tomografo ACTA prodotto dalla Pfizer. I proprietari della casa inglese si resero comunque conto che, con il passaggio da una fase prettamente di ricerca a una di commercializzazione, non avrebbero avuto la capacità di gestire un prodotto che si collocava in un mercato diverso da quello loro familiare. Decisero quindi di proporre alla multinazionale statunitense General Electric (GE) di distribuire per la EMI gli scanner tomografici; non ponendo particolare fiducia nello sviluppo di questa tecnologia, la General Electric rifiutò l’offerta. Ma a distanza di soli due anni, in seguito al grande successo conseguito dalla EMI negli Stati Uniti, la General Electric si rese conto di aver sottovalutato l’enorme potenziale della TC e in un solo anno produsse un nuovo prototipo in grado di ridurre il tempo di acquisizione a pochi secondi. Nel 1979 Cormack e Hounsfield vinsero il premio Nobel per la scoperta della TC (Fig. 1.3). Verso la fine degli anni Settanta lo sviluppo tecnologico della TC sembrava aver raggiunto il suo picco e nel successivo decennio non vi furono progressi di rilievo. Fu con l’introduzione della tecnologia slip ring (avvenuta nel 1989 e illustrata nei prossimi capitoli) e l’ulteriore sviluppo tecnologico dei vari componenti, che la TC suscitò un rinnovato e forte interesse per le possibili applicazioni aggiuntive in ambito medico.
1 Cenni storici sulla tomografia computerizzata
Fig. 1.3 Allan Cormack e Godfrey Hounsfield, vincitori del premio Nobel del 1979 per lo sviluppo della tecnologia TC
Tabella 1.1 Principali eventi storici della tomografia computerizzata
Anno
Evento
1917 1963 1972 1975 1979 1989 1998 2001 2004 2007/2008 2009
Radon formula i principi matematici per la ricostruzione delle immagini TC Cormack descrive una metodica per il calcolo della distribuzione dell’attenuazione dei tessuti del corpo umano Hounsfield effettua i primi esami TC su encefalo Prima TC total body Hounsfield e Cormack ricevono il premio Nobel per la scoperta della TC Tecnologia di acquisizione spirale Primi scanner TC multistrato (4 strati) TC a 16 strati TC a 64 strati TC a 128-256 strati TC a 320 strati (Aquilion One, Toshiba)
Alla fine degli anni Ottanta iniziò una vera e propria competizione per produrre strumenti capaci di velocità di acquisizione e qualità dell’immagine sempre maggiori, che portarono al susseguirsi delle varie tecnologie fino alle moderne TC multistrato (Tabella 1.1). Nel 1979, soltanto sei anni dopo l’introduzione della TC, ben 1300 strumenti erano stati installati negli Stati Uniti. Nel 1980 furono eseguiti 3 milioni di esami TC, nel 2006 si arrivò a 62 milioni e si stima che nel 2010 si possano raggiungere i 100 milioni [9].
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Fig. 1.4 Apparecchio microTC di SkyScan Inc. (Università di Lubecca, Germania). L’oggetto da esaminare viene posto in un alloggiamento rotante all’interno della camera di misurazione; il campo di misura ha un volume di circa 2 cm3. (Da Buzug [10])
Oggi la TC rappresenta una metodica di indagine radiologica di fondamentale importanza diagnostica in numerose discipline, tra le quali neurologia, ortopedia e gastroenterologia. I progressi tecnici della TC sono continui e orientati in diverse direzioni: dall’integrazione con altre metodiche (TC-SPECT e TC-PET) alla realizzazione di apparecchi di micro-TC per applicazioni scientifiche (Fig. 1.4) [11].
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Principali componenti di uno scanner TC
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S. Del Corona, S. Cavaliere, C. Baggiani
Indice dei contenuti 2.1 2.2
Requisiti strutturali e tecnologici di una sala di TC Componenti di uno scanner TC Bibliografia
2.1 Requisiti strutturali e tecnologici di una sala di TC I requisiti strutturali di una sala in cui si svolge attività diagnostica mediante tomografia computerizzata variano in funzione del tipo di apparecchiatura prevista e della tipologia di esami che saranno effettuati. In linea generale, una diagnostica TC prevede tre aree distinte. 1. Sala diagnostica: è il locale nel quale sono posizionati lo scanner TC (gantry e lettino porta-paziente), il generatore, l’iniettore del mezzo di contrasto e i dispositivi di assistenza ed emergenza (attacco dei gas medicali, aspiratore, sistema di monitoraggio elettrocardiografico e defibrillatore, respiratore automatico, pulsossimetro, carrello delle emergenze); 2. locale consolle: vi si trovano le postazioni dell’operatore e del medico radiologo, dalle quali viene diretta l’esecuzione dell’esame TC; 3. locale tecnico: vi alloggiano le componenti del quadro elettrico e tutto il materiale necessario ai tecnici delle ditte costruttrici per le manutenzioni programmate. Di norma la superficie dell’area in cui è presente il macchinario TC non deve essere inferiore ai 25 m2, in modo da consentire il corretto posizionamento del tomografo e gli spostamenti del personale di radiologia (medico, tecnico, infermieristico ecc.), nonché favorire l’ingresso dei pazienti, soprattutto dei non deambulanti. I locali devono essere opportunamente climatizzati mediante sistema dedicato. Il locale consolle, in cui opera il tecnico di radiologia, deve avere una facile comunicazione con la sala diagnostica e deve essere dotato di dispositivi per la visualizzazione diretta (vetro schermato) e indiretta Elementi di tomografia computerizzata. Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Emanuele Neri (a cura di) © Springer-Verlag Italia 2010
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Fig. 2.1 Sala consolle con postazione operatore TC
(telecamera) del paziente e di interfono per permettere all’operatore di dialogare con il paziente durante l’esecuzione dell’esame [1] (Fig. 2.1). La diagnostica TC è collocata all’interno di un servizio di radiologia, che comprende tutti gli spazi previsti dalla specifica normativa sanitaria: aree di attesa per l’utenza, spazi per l’accettazione, servizi igienici per operatori e utenti, aree di refertazione, depositi per il materiale d’uso. È molto importante che la diagnostica TC sia prossima a un servizio di anestesia e rianimazione, sia per motivi logistici sia per conformità a quanto previsto dalla normativa in materia.
2.2 Componenti di uno scanner TC I principali componenti di uno scanner TC sono il gantry e il tavolo su cui viene collocato il paziente; tutti i tavoli porta-paziente disponibili in commercio, indipendentemente dal costruttore, hanno caratteristiche abbastanza simili (Fig. 2.2). Altre parti essenziali per il funzionamento del tomografo sono il generatore di alta tensione, i sistemi elettronici per la trasmissione dei dati e i computer per la visualizzazione e l’elaborazione delle immagini. Per garantire una piena operatività del sistema, è necessario che tutte le unità siano correttamente integrate tra di loro [2].
2 Principali componenti di uno scanner TC
Fig. 2.2 Sala diagnostica di uno scanner TCMS (Lightspeed VCT; General Electric), in cui sono visibili il gantry e il tavolo porta-paziente
2.2.1 Gantry e slip ring
Il gantry rappresenta la struttura principale di uno scanner TC e contiene il tubo radiogeno, i detettori, il generatore di alta tensione, i dispositivi per la trasmissione dell’energia, i collimatori e il DAS (Data Acquisition System) (Fig. 2.3). Tipicamente il gantry ha una peso variabile da 1500 a 2000 kg ed è caratterizzato da un’apertura ad anello, del diametro di circa 70 cm, attraverso la quale il tavolo porta-paziente scorre durante la scansione. Sebbene il diametro del gantry possa arrivare a 70 cm, il campionamento dei dati viene eseguito su un campo di vista (Sampling Field of View, SFOV) del diametro massimo di 50 cm [3]. I moderni sistemi TC multistrato (TCMS) si basano sulla geometria della cosiddetta TC di terza generazione, in cui – come sarà spiegato in dettaglio nei prossimi capitoli – un arco costituito da più file di detettori ruota intorno al paziente in maniera solidale con il tubo radiogeno, al quale è contrapposto di 180° [4]. L’asse di rotazione del gantry può essere inclinato rispetto all’asse longitudinale del paziente entro limiti pari a ±30° a una velocità di 1°/s. Nelle moderne apparecchiature TCMS il complesso tubo-detettori può arrivare a compiere una rotazione di 360° in 0,3 s, generando un’accelerazione centrifuga che raggiunge anche i 30 g. La rotazione continua del complesso tubo-detettori, introdotta
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Fig. 2.3 Interno del gantry di uno scanner TCMS (Aquilion 16, Toshiba Medical Systems)
con la terza generazione, è stata resa possibile dalla tecnologia slip ring (“a contatti striscianti”). Si tratta di dispositivi elettromeccanici costituiti da anelli circolari concentrici e paralleli all’asse del gantry, che conducono energia elettrica, accoppiati a spazzole che trasmettono l’energia elettrica attraverso un’interfaccia rotante (Fig. 2.4). In questo modo, gli slip ring eliminano il fastidioso problema del riavvolgimento dei cavi dell’alta tensione che caratterizzava le prime due generazioni della TC. Grazie a questa soluzione, nei tomografi con tecnologia slip ring il generatore di alta tensione – che nelle TC di prima e seconda generazione era posizionato all’interno della stanza TC – è posto all’interno del gantry e può ruotare insieme al complesso tubo-detettori [5].
2.2.2 Tubo radiogeno
Il tubo a raggi X rappresenta il cuore di un tomografo computerizzato (Fig. 2.5). Rispetto ai tubi a raggi X della diagnostica radiologica tradizionale, il tubo radiogeno di una TC deve possedere un’elevata capacità di dissipazione termica, requisito che ha rappresentato storicamente uno dei principali problemi per le diverse case costruttrici. Nei tomografi di prima e seconda generazione l’anodo era di tipo stazionario, ma l’esigenza di una capacità termica sempre più elevata e i relativi problemi di dissipazione del calore prodotto
2 Principali componenti di uno scanner TC
Fig. 2.4 Particolare della tecnologia slip ring
hanno portato allo sviluppo di anodi rotanti, in grado di produrre un fascio eterogeneo di radiazioni mediante diametri elevati e macchie focali capaci di fornire la risoluzione spaziale richiesta dalla TC con un adeguato rapporto segnale-rumore. Strutturalmente il tubo radiogeno è costituito da un involucro, mantenuto sotto vuoto tramite pompe, che contiene sia il catodo sia l’anodo (Fig. 2.6a). Tale involucro può essere di vetro in borosilicato – che, a fronte di un ottimo isolamento termico ed elettrico, è soggetto più facilmente a fenomeni di vaporizzazione del tungsteno – oppure (come si osserva nelle moderne TCMS) di metallo. Il catodo è costituito da uno o due filamenti di tungsteno inseriti in un alloggiamento chiamato “coppa focalizzatrice”. L’anodo, formato da un disco collegato a un rotore, è costituito da atomi pesanti, come renio, tungsteno o molibdeno, e possiede una macchia focale che presenta un angolo di inclinazione del target di circa 12° e una velocità di rotazione variabile tra 3500 e 10 000 rpm (rotazioni per minuto). La continua rotazione del complesso tubo-detettore dei moderni scanner TCMS ha spinto l’industria verso la ricerca di dispositivi in grado di gestire gli elevati livelli termici che si vengono a produrre (5-10 MHU [Million Heat Unit: 1 MHU = 740 kJ]). Le potenze fornite dai tubi a raggi X delle TCMS variano normalmente da 20 a 150 kW, con una tensione al tubo compresa in genere tra 80 e 140 kV e una corrente che può raggiungere valori di 800 mA continui, anche se le potenze massime non possono essere sostenute per lunghi tempi di acquisizione per non eccedere i limiti di dissipazione termica del tubo radiogeno.
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Fig. 2.5 Particolare del tubo radiogeno e del sistema di collimazione
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Fig. 2.6 Schema di tubo radiogeno convenzionale con involucro in vetro (a) e di tubo radiogeno modello Straton (Siemens Medical Solutions) (b). (Da Baert [6])
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La vita media di un tubo a raggi X per TCMS varia da 10 000 a 40 000 ore lavorative ed è, quindi, decisamente più elevata di quella dei tubi delle ormai desuete TC convenzionali, che difficilmente superavano le 1000-2000 ore di funzionamento. Particolari attenzioni durante l’attività lavorativa, come effettuare il riscaldamento del tubo dopo un periodo di inattività di qualche ora (variabile a seconda delle caratteristiche dei diversi scanner in commercio), possono comunque contribuire ad allungare la vita media di un tubo radiogeno. Una calibrazione rapida è inoltre consigliata almeno una volta al giorno, per permettere al sistema di controllare il corretto funzionamento del tubo, dei canali di detezione e del sistema di collimazione del fascio radiante [7]. Degna di nota è la scelta costruttiva del tubo a raggi X Straton, della Siemens Medical Solutions, la cui progettazione ricorda la tecnologia electron beam (di cui si parlerà nei successivi capitoli); in tale modello l’anodo e il catodo sono racchiusi in un contenitore ad alto vuoto e ruotano immersi in un bagno d’olio refrigerato (Fig. 2.6b). Il diretto contatto dell’anodo con il bagno d’olio facilità il raffreddamento del tubo, consentendo di eseguire scansioni con alti valori di mA ed elevati tempi di acquisizione [8]. Un altro aspetto che ha caratterizzato la ricerca costruttiva dei tubi radiogeni dei tomografi TCMS è il tentativo di minimizzare le radiazioni secondarie, che provocano un aumento dell’esposizione dosimetrica e deteriorano il contrasto dell’immagine. A tale scopo i vari costruttori di TC hanno adottato speciali finestre di uscita del fascio di raggi X o dispositivi per sopprimere gli elettroni di scattering.
2.2.3 Filtrazione
Il fascio di raggi X prodotto dall’interazione tra gli elettroni emessi dal catodo e gli atomi dell’anodo è tipicamente multienergetico (o policromatico). Ciò accade perché la tensione applicata all’anodo non è perfettamente continua per le impurità contenute nella struttura dell’anodo, per le multiple interazioni degli elettroni incidenti sugli atomi dell’anodo (che ha uno spessore finito) e per la natura continua e composita della radiazione di frenamento (Bremsstrahlung). Tuttavia la legge di Lambert-Beer, che descrive l’attenuazione dei raggi X da parte della materia e governa il processo di formazione dell’immagine in TC, ha come presupposto l’utilizzo di un fascio monocromatico: per realizzare questa condizione sono stati messi a punto vari dispositivi di filtraggio del fascio radiante. In TC la filtrazione viene utilizzata principalmente per due motivi: in primo luogo, per eliminare dallo spettro del fascio in uscita i raggi X che – per la loro lunghezza d’onda – non fornirebbero alcun contributo alla formazione dell’immagine, ma contribuirebbero comunque ad aumentare la dose erogata al paziente; in secondo luogo la filtrazione ha, come si è detto, lo scopo di produrre un fascio il più possibile omogeneo, che tenda quindi ad avere un’attenuazione dipendente solo dalle caratteristiche dei tessuti che va ad attraversare [9]. I principali e più comuni filtri utilizzati sono i cosiddetti flat filter, normalmente costituiti da metalli, quali rame e alluminio, in grado di assorbire le componenti a bassa energia del fascio di raggi X. In aggiunta a questi, sono stati recentemente introdotti altri filtri in grado di conformare il fascio di raggi X alla forma dell’oggetto da esaminare. Questi filtri, chiamati bowtie filter, sono costituiti di materiale con basso numero atomico ed elevata densità, come il teflon; il loro ruolo non è quello di indurire il fascio, bensì di diminuire la radiazione erogata nelle zone a minor spessore, mantenendo costante il rumore dell’immagine. Normalmente questi filtri sono presenti in numero limitato sugli
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scanner TC (tipicamente per il distretto toraco-addominale e il cranio), sebbene l’ideale sarebbe poter usufruire di un’ampia gamma di filtri in grado di adattarsi alle variazioni di taglia e conformazione dei pazienti. L’utilizzo di tali filtri richiede particolare attenzione nella procedura di centraggio del paziente e nella scelta del campo di vista, in quanto errori in queste fasi dell’esame TC possono addirittura causare un incremento della dose erogata al paziente [10].
2.2.4 Collimazione
In radiologia tradizionale la collimazione ha lo scopo di restringere e adattare il fascio di raggi X al distretto anatomico da indagare. Anche in TC la collimazione del fascio assume particolare importanza, poiché influenza sia la qualità dell’immagine sia la dose radiante erogata al paziente. Normalmente in TC vengono indicati due diversi tipi di collimatori: pre-paziente e post-paziente (o pre-rivelatore). I collimatori pre-paziente sono costituiti di materiale a elevato peso atomico e sono collocati nelle immediate vicinanze del tubo radiogeno: la loro apertura determina l’ampiezza del fascio di raggi X necessario per illuminare i detettori nelle loro varie configurazioni geometriche (Fig. 2.7). Nei vecchi scanner TC di prima e seconda generazione, e nelle apparecchiature TC spirali a singolo strato (TCSS), la collimazione pre-paziente determinava anche lo spessore dello strato dell’immagine acquisita, mentre nelle macchine TCMS lo spessore dello strato viene regolato dall’apertura dei singoli canali del detettore. La collimazione post-paziente era presente nei tomografi TCSS e aveva il compito di rimuovere la componente di scattering del fascio di raggi X; essa era posizionata vicino ai detettori in modo da disegnare il profilo dello strato. Questo secondo tipo di collimazione è assente nelle attuali apparecchiature TCMS, nelle quali la collimazione post-paziente
Fig. 2.7 Nello schema la posizione della macchia focale, del collimatore e dei detettori in uno scanner TCMS
2 Principali componenti di uno scanner TC
viene determinata dalla dimensione dei canali del detettore e dai setti che si interpongono tra le varie celle di detezione [6].
2.2.5 Detettori
I detettori rappresentano il sistema di rilevazione dei fotoni prodotti dal tubo radiogeno ed emergenti dal distretto anatomico irradiato (Fig. 2.8). La loro funzione è trasformare l’energia dei fotoni che fuoriescono dal paziente in segnali elettrici da utilizzare per la formazione dell’immagine. Le principali caratteristiche che differenziano i vari tipi di detettori sono: l’efficienza, ovvero la loro capacità di rilevare i fotoni e convertirli in segnali elettrici; la stabilità, ovvero la capacità di rispondere in maniera costante a una stessa densità di fotoni che raggiungono il detettore; il tempo di risposta, che esprime la velocità con cui il detettore può registrare un fotone e rendersi nuovamente disponibile per la ricezione successiva. I detettori hanno conformazione curvilinea e ciò consente
Fig. 2.8 Varie tipologie di detettori di TCMS. (Da Buzug [9])
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una collimazione ottimale del fascio emergente dal paziente, permette di ridurre le radiazioni secondarie e assicura una distanza costante tra tubo e detettori, che si traduce in una migliore ricostruzione delle immagini [11]. Nei moderni sistemi TCMS i detettori sono costituiti da materiali allo stato solido, formati da un cristallo di scintillazione accoppiato a un fotodiodo. Quando colpisce il cristallo, il raggio X genera un fotone luminoso che viene prima amplificato da un foto-amplificatore e poi trasformato in un elettrone mediante il fotodiodo; questi segnali elettrici vengono quindi campionati e trasformati in segnali digitali, che porteranno alla produzione dell’immagine. Nei vecchi sistemi TC erano presenti anche detettori allo stato gassoso, costituiti da camere di ionizzazione contenenti gas mantenuti ad alta pressione (principalmente xenon). In questo caso, quando il fotone colpisce il gas presente all’interno della camera, ne causa la ionizzazione; i corrispondenti ioni positivi e negativi migrano verso le armature della camera di ionizzazione, producendo una corrente direttamente proporzionale alla quantità di fotoni X incidenti. I detettori allo stato gassoso presentavano un’elevata stabilità, tempi di risposta rapidi e un minor costo rispetto a quelli allo stato solido, ma avevano un’efficienza decisamente inferiore. Con l’introduzione della tecnologia TCMS, i detettori gassosi sono stati completamente sostituiti da quelli allo stato solido. La separazione delle singole celle del detettore viene realizzata mediante setti che non contribuiscono alla rilevazione del segnale: ciò determina una perdita di segnale (ossia uno spreco di dose radiante), che dipende dalla configurazione geometrica dei detettori e si somma a quella causata dalla caduta di sensibilità alla periferia del detettore: in totale, la perdita di sensibilità è stata calcolata intorno al 10-20%. Per compensare tali perdite è necessario aumentare l’intensità della radiazione, ovvero – purtroppo – la dose radiante erogata al paziente.
2.2.6 DAS (Data Acquisition System)
Il DAS (Data Acquisition System) è il sistema deputato a collezionare e a convertire in digitale il segnale analogico proveniente dai detettori. È il numero di canali del DAS e non il numero di corone di detettori a definire il numero di strati che si possono acquisire indipendentemente in maniera simultanea. All’aumentare del numero di corone di detettori, aumenta anche il numero di dati gestiti, e ciò impone una modifica dei circuiti tradizionali. I circuiti montati sugli odierni scanner sono DAS di tipo ASIC (Application Specific Integrated Circuit): questi, oltre ad avere dimensioni notevolmente ridotte, hanno una maggiore capacità di trasferire dati con una notevole riduzione del rumore elettronico. La riduzione del rumore, che è dell’ordine del 25%, ha consentito una sensibile riduzione della dose radiante erogata al paziente [12].
2.2.7 Lettino porta-paziente
Il lettino (o tavolo) porta-paziente è costituito da materiale in fibra di carbonio, il cui basso numero atomico consente la minore interazione possibile con il fascio di radiazioni X, determinandone un’attenuazione vicina allo zero ed evitando la produzione di radiazioni secondarie diffuse. L’indispensabile presenza di questo supporto, posto tra il pa-
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ziente e il sistema di rilevazione, non provoca quindi alcun significativo aumento di dose ed evita la comparsa di artefatti nelle immagini. Il lettino poggia su un dispositivo che, attraverso un sistema idraulico, ne permette il movimento verticale (normalmente per un’escursione compresa fra 30 e 120 cm) e lo scorrimento all’interno del gantry (entro un intervallo di circa 200 cm). Dal punto di vista progettuale, il lettino deve consentire spostamenti millimetrici e precisi, indispensabili soprattutto negli studi che richiedono avanzamenti progressivi anche minimi, come nelle acquisizioni con tecnica sequenziale per l’esame del menisco del ginocchio o delle piccole strutture dell’orecchio interno. L’escursione verticale – e, quindi, l’altezza del lettino da terra – ha un valore massimo di cui è importante tener conto per evitare collisioni con il gantry, soprattutto quando si utilizzano tecniche di acquisizione sequenziale che prevedono un’inclinazione del gantry stesso (come nello studio dell’encefalo o della colonna lombosacrale). Per le acquisizioni di routine con macchine TCMS, invece, l’altezza di lavoro del lettino porta-paziente è sempre quella che permette di allineare la regione anatomica in esame con l’isocentro del gantry, che rappresenta il punto in cui l’asse centrale del fascio e l’asse di rotazione del gantry si incontrano [13]. Un’altra importante caratteristica del lettino porta-paziente è il peso che è in grado di sostenere. Generalmente ogni casa produttrice indica una capacità di carico massimo, che nelle apparecchiature più recenti è intorno ai 200 kg, con un limite di precisione nello spostamento longitudinale del lettino di circa 1-2 mm. Viene anche fornita una velocità massima di avanzamento, che può raggiungere i 100 mm/s per gli scanogrammi e superare i 50 mm/s per l’imaging elicoidale.
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Principi della TC convenzionale e della TC spirale
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F. Paolicchi, L. Faggioni, R. Lazzarini
Indice dei contenuti 3.1 3.2 3.3 3.4
La formazione dell’immagine in TC Principi fisici della formazione dell’immagine Evoluzione tecnologica dei sistemi TC TC spirale Bibliografia
3.1 La formazione dell’immagine in TC Nella radiografia convenzionale il fascio di raggi X diretto al paziente fuoriesce dalla superficie opposta con intensità variabile a seconda dell’attenuazione differenziale che incontra durante il suo percorso e viene infine registrato su un dispositivo di visualizzazione bidimensionale. La principale limitazione della radiografia convenzionale è dovuta alla sovrapposizione di strutture tridimensionali su una superficie bidimensionale, fenomeno che rende spesso impossibile visualizzare dettagli anatomici. Sebbene le immagini possano essere acquisite da diverse angolazioni (proiezioni laterali, oblique ecc.), il problema della sovrapposizione dei tessuti non può essere risolto e rende assai difficile differenziare organi e tessuti con densità poco diverse. Per questo motivo, prima dell’introduzione delle tecniche di imaging tridimensionale i radiologi necessitavano di un “allenamento mentale” per ricostruire l’anatomia tridimensionale del paziente basandosi su una o più proiezioni radiografiche e rilevare eventuali alterazioni. Il grande vantaggio della tomografia (dal greco τόμος e γραφία, immagine a sezioni) è stato quello di superare le limitazioni della radiografia convenzionale. In una tomografia le informazioni ottenute misurando l’attenuazione del fascio di raggi X con diverse proiezioni (ruotando di 360° intorno al paziente) vengono opportunamente integrate, mediante un calcolatore, per ricostruire l’immagine di una sezione del corpo del paziente. Ciascuna zona dell’immagine di una sezione ha un’intensità luminosa direttamente Elementi di tomografia computerizzata. Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Emanuele Neri (a cura di) © Springer-Verlag Italia 2010
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correlata alle proprietà di attenuazione locale dei raggi X: le strutture anatomiche presenti nella sezione sono visibili e non risultano mai occultate da altre strutture (Fig. 3.1). L’immagine-sezione TC, quindi, non presenta i problemi di sovrapposizione tipici dell’immagine radiografica.
3.2 Principi fisici della formazione dell’immagine I principi fisici alla base della formazione di un’immagine di tomografia computerizzata possono essere ricondotti a tre differenti fasi: 1. acquisizione; 2. elaborazione; 3. visualizzazione.
3.2.1 Acquisizione
Per produrre l’immagine, tutti i dati provenienti dal paziente devono essere acquisiti, cioè registrati sistematicamente. A seconda del metodo di scansione, l’acquisizione dei dati può essere di tipo sequenziale o volumetrico. Nella modalità sequenziale (sezione per sezione) il tubo a raggi X ruota intorno al paziente di un angolo di 360°, raccogliendo
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b
Fig. 3.1 Paziente di 53 anni con carcinoma mammario e dolore all’anca sinistra. a La radiografia del bacino in proiezione AP non mostra apparenti alterazioni strutturali ossee. b L’esame TC rivela la presenza di una metastasi scheletrica osteolitica, con interruzione della corticale, in corrispondenza del pilastro posteriore dell’acetabolo sinistro (freccia). La radiografia non ha consentito di osservare tale reperto a causa della sovrapposizione di tutti i tessuti attraversati dal fascio di raggi X, mentre la TC ha fornito un’immagine analitica di un singolo strato corporeo, separato da quelli circostanti
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informazioni da tutte le proiezioni; al termine della prima rotazione il tubo si ferma, il lettino si sposta in senso longitudinale, e si procede alla successiva scansione fino al completamento del volume da esaminare. Nella modalità volumetrica, invece, il tubo ruota continuativamente intorno al paziente in sincronia con lo spostamento del lettino, disegnando una geometria spirale o elicoidale, come spiegato in dettaglio nel seguito. Durante la scansione i detettori, che ruotano solidali con il tubo radiogeno, effettuano una misurazione della radiazione trasmessa attraverso il paziente da molteplici angoli di visualizzazione (proiezioni o viste), fornendo una mappa di attenuazione dei diversi tessuti che viene utilizzata per ricostruire un’immagine digitale di una sezione assiale, in cui ciascun pixel dell’immagine rappresenta il valore di attenuazione media di ciascun elemento unitario di volume (voxel, volume element) [1] (Fig. 3.2). Per attenuazione si intende la riduzione di energia che il fascio di raggi X subisce quando attraversa un oggetto; essa dipende dal numero atomico degli elementi che compongono il tessuto, dalla densità dei tessuti, dal numero di elettroni per unità di massa (densità elettronica) del materiale attraversato e dall’energia della radiazione. Poiché, con le energie normalmente utilizzate in TC, l’assorbimento del fascio avviene sia per effetto fotoelettrico sia per effetto Compton, il fattore che maggiormente influenza l’attenuazione è la densità elettronica del tessuto [2].
Fig. 3.2 Mentre la radiografia convenzionale è una metodica additiva (in cui l’immagine finale è la risultante dell’attenuazione di tutti i tessuti attraversati dal fascio di raggi X), la TC è una metodica tomografica, nella quale l’immagine in uscita è la rappresentazione di una sezione del corpo, distinta dagli strati adiacenti, ottenuta misurando i profili di attenuazione di un fascio collimato di raggi X attraverso multiple viste angolari dello strato in esame
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Un requisito fondamentale per la misurazione dell’attenuazione dei tessuti è che il fascio di raggi X sia omogeneo (o monocromatico, o monoenergetico), cioè costituito da fotoni aventi la stessa energia. Quest’ultima caratteristica è essenziale per soddisfare la legge di Lambert-Beer, che descrive in termini quantitativi l’interazione energetica tra fotoni X e materia I t = I 0 e − μΔx dove It e I0 rappresentano, rispettivamente, l’energia del fotone trasmesso e quella del fotone incidente, μ il coefficiente di attenuazione lineare media del tessuto in questione, Δ x lo spessore di tessuto attraversato ed e la base dei logaritmi naturali. L’obiettivo della tomografia computerizzata è quindi determinare il valore del coefficiente di attenuazione lineare, che si può ottenere dalla legge di Lambert-Beer risolvendo l’equazione rispetto a μ
μ=−
1 I ln t Δx I 0
Poiché in TC i valori di It, I0 e Δx sono noti, in quanto misurabili dal sistema, possiamo di conseguenza ottenere il valore di μ. Come abbiamo detto, però, la legge di LambertBeer è valida solo nel caso di un fascio omogeneo, mentre la TC è costituita da un fascio eterogeneo (o multienergetico). Per risolvere questo problema occorre ragionare in termini di numero di fotoni che attraversano il tessuto piuttosto che di intensità del fascio: di conseguenza, l’equazione di Lambert-Beer può essere riscritta come N t = N 0 e − μΔx dove Nt è il numero di fotoni trasmessi, N0 il numero di fotoni incidenti, Δ x lo spessore del tessuto, μ il suo coefficiente di attenuazione lineare ed e la base dei logaritmi naturali. Occorre considerare, infine, che il corpo di un paziente non è costituito da un unico tipo di sostanza, bensì da diversi tessuti e molecole (aventi quindi diversa densità), ognuno con un proprio coefficiente di attenuazione lineare. Di conseguenza, il numero di fotoni che attraversano il tessuto è N (t ) = N 0 e
− ( μ1ds + μ 2 ds +…)
t
= N 0e
− ∫ μ (σ ) dσ 0
= N 0 e − p(t )
ovvero la somma dei coefficienti di attenuazione lineare media dei vari tessuti; la funzione p(t) viene denominata proiezione lungo la direzione del fascio e riveste un ruolo centrale ai fini della ricostruzione dell’immagine. Il valore ottenuto da ciascuna vista è quindi costituito da un numero che rappresenta l’intensità del fascio che fuoriesce dal paziente. Ciò non fornisce ancora informazioni sui contributi dei singoli tessuti all’attenuazione totale di ciascun fascio e nemmeno sulla loro precisa localizzazione spaziale. Per avere una localizzazione spaziale dei vari tessuti e una misura della loro attenuazione lungo ciascuna vista occorre misurare un numero elevato (centinaia) di proiezioni, ottenendo diversi profili di attenuazione fotonica, di cui è possibile calcolare la distribuzione.
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3.2.2 Elaborazione
La fase di elaborazione dei dati consiste in un processo fisico-matematico cui vengono sottoposti i coefficienti di attenuazione media di ciascun voxel della sezione acquisita mediante un numero elevato di “viste” angolari. Le moderne apparecchiature TC utilizzano il metodo della retroproiezione filtrata (Filtered Backprojection, FBP). Tale metodo consiste nel retroproiettare il valore numerico di attenuazione di ciascun fascio lungo la sua stessa traiettoria verso il campo di ricostruzione, ottenendo un insieme di valori numerici per ciascun punto del campo di ricostruzione; trasformando questi numeri in corrispondenti toni di grigio, si ottiene un’immagine che rappresenta un’approssimazione dell’oggetto esaminato. La semplice operazione di retroproiezione produce però valori imprecisi, in quanto i valori numerici dei singoli punti ricevono contributi anche dai punti adiacenti, generando quindi un’immagine distorta dell’oggetto esaminato (per esempio, la rappresentazione mediante retroproiezione non filtrata di un oggetto circolare dà luogo a una forma a stella). Per eliminare questa imprecisione (che determina un artefatto detto blurring), prima di essere retroproiettati i dati grezzi vengono modificati mediante un processo matematico detto convoluzione che, in parole semplici, modifica il valore di un raggio in base al valore di quelli vicini (Fig. 3.3). Ai dati grezzi possono essere applicati numerosi tipi di filtri in grado di modificare le caratteristiche dell’immagine, esaltandone alcuni aspetti e riducendone altri; questi filtri sono illustrati nei prossimi capitoli (Fig. 3.4). L’immagine TC viene prodotta su una matrice normalmente di 512× 512 pixel, dove a ciascun pixel (corrispondente a un voxel, se ragioniamo tridimensionalmente) corrisponde un particolare valore di attenuazione. Per poter visualizzare l’immagine, occorre trasformare i valori di attenuazione media di ciascun pixel in un proporzionale valore di tonalità di grigio; tale valore prende il nome di numero TC o numero Hounsfield, e viene calcolato mediante l’equazione HU = k
μt − μ w μw
dove μ t e μ w rappresentano rispettivamente il coefficiente di attenuazione lineare del tessuto e dell’acqua e k è un fattore di scala che determina il livello di contrasto (normalmente k = 1000). I numeri TC vengono quindi calcolati prendendo come riferimento il valore di attenuazione dell’acqua, cui viene attribuito un valore pari a zero; tessuti con densità maggiore dell’acqua avranno valori maggiori di zero (sovraidrici), mentre tessuti con densità inferiore avranno valori negativi (Fig. 3.5). Nelle TC attuali, in cui la profondità del pixel è pari a 212 (ovvero 4096 differenti valori), normalmente le unità Hounsfield hanno una scala che varia da –1024 HU a +3071 HU.
3.2.3 Visualizzazione
La scala di grigi così ottenuta viene riprodotta su un monitor (CRT o LCD); tuttavia tali dispositivi di visualizzazione, così come i supporti per hard copy, consentono di differenziare solo un limitato numero di livelli di grigio. Di conseguenza, nella conversione dell’immagine numerica in immagine visibile non vi sarebbe una risoluzione sufficiente
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Fig. 3.3 Schema della retroproiezione semplice e di quella filtrata. Notare come la sfocatura (blurring) dell’immagine ottenuta mediante retroproiezione semplice scompare utilizzando la retroproiezione filtrata (Da Buzug [3])
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c
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Fig. 3.4 Impiego di diversi filtri di convoluzione. a Sezione TC di un torace con finestra di visualizzazione per parenchima polmonare e filtro standard (a media frequenza), in cui è visibile un nodulo polmonare (freccia). b Stessa sezione dell’immagine precedente con identica finestra di visualizzazione e filtro per parenchima polmonare (ad alta frequenza). Nell’immagine (b) i contorni del nodulo e l’interstizio polmonare appaiono più netti a fronte di un maggior rumore, in quanto il filtro ad alta frequenza esalta i bordi delle strutture (edge enhancement) e il rumore, che con la retroproiezione filtrata vengono codificati prevalentemente attraverso le alte frequenze del segnale. Ricostruzione sul piano coronale con filtro standard (c) e con filtro per i tessuti molli (d) di una colografia TC eseguita a bassa dose radiante in regime di screening oncologico. L’immagine (d) è meno rumorosa, ma presenta bordi meno definiti per l’attenuazione delle alte frequenze del segnale
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Fig. 3.5 Numeri TC di diversi tessuti corporei
per rilevare dettagli fini e discriminare tra tessuti con minima differenza di contrasto. L’occhio umano, inoltre, è in grado di differenziare soltanto un numero limitato di livelli di grigio e se venisse rappresentata sull’immagine tutta la scala Hounsfield, piccole variazioni di densità sfuggirebbero all’operatore [4]. Si preferisce quindi rappresentare in livelli di grigio soltanto un certo intervallo di numeri TC, corrispondenti alle strutture di maggiore interesse in rapporto al quesito clinico e al distretto anatomico in esame. Questo intervallo è determinato da una finestra di visualizzazione (window) – la cui ampiezza (Window Width, WW) rappresenta il numero dei coefficienti densitometrici da visualizzare – e da un livello (Window Level, WL), che esprime il valore densitometrico corrispondente al centro della finestra. Ampiezza e livello della finestra di visualizzazione vengono scelti in base al tipo di tessuto da analizzare e possono essere modificati a piacere dall’operatore in maniera istantanea (Fig. 3.6).
3.3 Evoluzione tecnologica dei sistemi TC La tomografia computerizzata nasce negli anni Settanta grazie al lavoro dell’ingegnere Godfrey Newbold Hounsfield e del fisico Allan McLeod Cormack [5, 6], anche se il principio matematico su cui si basa era già stato proposto da Radon nel 1917. Il primo tomografo, l’EMI Mark I, fu montato all’Atkinson Morley Hospital di Londra nel 1971 e consentiva solo l’acquisizione di immagini dell’encefalo [7]. Da allora la TC ha conosciuto un notevole progresso tecnologico, le cui tappe sono rappresentate dalle generazioni.
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b
Fig. 3.6 Immagine TC di un torace rappresentata con filtro standard e finestra per mediastino (a), per parenchima polmonare (b) e per osso (c). Notare come con ciascuna finestra venga ottimizzata la rappresentazione rispettivamente dei tessuti mediastinici, del parenchima polmonare e delle strutture scheletriche, riducendo allo stesso tempo le differenze di contrasto tra le strutture non di interesse
La prima generazione di scanner TC, di cui faceva parte l’EMI Mark I, era rappresentata da macchine con un fascio di raggi X estremamente collimato e per questo motivo definito “a matita” (pencil beam). Il tubo radiogeno era contrapposto a 1-2 detettori che, dopo una traslazione, compivano in sincronia una rotazione di 1-2 gradi (Fig. 3.7). L’intralcio dei cavi di collegamento consentiva una rotazione di soli 180°, per cui dopo una semirotazione il tubo doveva ruotare in senso opposto. Questo tipo di strumenti TC richiedeva circa 4-5 minuti per l’acquisizione di ogni singola scansione e poteva quindi essere impiegato solo per lo studio di organi privi di movimento, come l’encefalo. L’introduzione della seconda generazione permise per la prima volta l’acquisizione di immagini della regione toraco-addominale. Pur mantenendo il principio della traslazione/ rotazione, gli scanner di seconda generazione erano caratterizzati da un fascio di raggi X di 20-30°, che raggiungevano una serie di detettori disposti linearmente, in numero variabile da 20 a 50. Ai movimenti di traslazione, ridotti rispetto alla prima generazione, erano associate rotazioni di 5°, fino a compiere un totale di 180°. Tale configurazione
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Fig. 3.7 Le quattro generazioni della TC convenzionale. (Da Buzug [3])
produceva un piccolo fascio a ventaglio (fan beam) generato dal tubo radiogeno; i raggi X – contrariamente agli scanner di prima generazione, dove assumevano un andamento parallelo – acquistavano una direzione divergente, richiedendo nuovi algoritmi che tenessero conto del diverso angolo di proiezione del fascio a ventaglio. L’incremento dell’angolo di rotazione, unito all’aumento del numero di detettori, determinò la diminuzione del tempo di scansione, fino ad arrivare a circa 20 secondi; ciò rappresentò una pietra miliare nell’evoluzione della TC, in quanto per la prima volta fu possibile effettuare acquisizioni in tempi che consentivano alla maggior parte dei pazienti l’esecuzione di un’apnea inspiratoria. I tomografi di terza generazione sono stati quelli maggiormente commercializzati e rappresentano il sistema base su cui si sono sviluppati i moderni apparecchi TC multidetettore. Questi tomografi sono caratterizzati da tubi radiogeni con un ampio fascio X
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a ventaglio (circa 30-50°), che ruotano continuativamente intorno al paziente per 360°, eliminando quindi il movimento di traslazione tipico delle prime due generazioni. Il tubo è contrapposto a un arco di rivelatori in numero variabile: da 300, nelle prime apparecchiature, a 800, in quelle più recenti. La terza generazione consentiva di registrare dati molto più velocemente di quanto fosse possibile con le precedenti, con tempi di scansione di 1-3 sec. La quarta generazione, che è in realtà un ampliamento della terza, è costituita da apparecchiature in cui il solo tubo radiogeno ruota intorno a un anello stazionario di detettori; questi ultimi, il cui numero è compreso tra 600 e 4800, sono soltanto del tipo allo stato solido, in quanto quelli gassosi sono grandangolari. Le apparecchiature della quarta generazione sono molto costose a causa dell’elevato numero di detettori e non hanno mai sostituito la terza generazione, su cui si basa l’attuale tecnologia della TC spirale.
3.4 TC spirale Una delle limitazioni della TC convenzionale è il tempo relativamente lungo di acquisizione delle immagini, dovuto al fatto che l’acquisizione di più sezioni lungo l’asse longitudinale richiede l’arresto della rotazione del complesso tubo-detettori e l’avanzamento del tavolo porta-paziente per ogni successiva scansione. Questa tipologia di scansione (detta step-and-shoot) riflette, a sua volta, le caratteristiche meccaniche degli scanner TC convenzionali, nei quali le connessioni elettriche tra parti mobili all’interno del gantry (come il tubo radiogeno e i detettori) e parti fisse (generatore di alta tensione ed elettronica di elaborazione del segnale) sono garantite da cavi che, avendo una lunghezza limitata, impongono che, a ogni avanzamento del tavolo, la scansione successiva sia ottenuta ruotando il complesso tubo-detettori in senso opposto rispetto alla scansione precedente [8]. Verso la metà degli anni Ottanta furono effettuate ricerche che portarono alla messa a punto di sistemi slip ring (ovvero a contatti striscianti), nei quali la connessione tra le componenti mobili situate all’interno del gantry e le componenti situate all’esterno è realizzata mediante anelli di materiale conduttore disposti lungo la circonferenza del gantry, nei quali “pescano” i contatti elettrici delle parti rotanti. In questo modo divenne possibile, oltre all’acquisizione “step-and-shoot”, acquisire dati TC con una rotazione continua del complesso tubo-detettori associata a uno scorrimento continuo del tavolo porta-paziente. La modalità di scansione sopra descritta è detta “spirale” o “elicoidale” in quanto con essa, diversamente dallo schema “step-and-shoot”, non si ha più l’acquisizione di una serie di strati contigui tra loro indipendenti, bensì un volume continuo di dati di attenuazione fotonica, che può essere rappresentato in forma spazio-temporale come un’elica, il cui spessore corrisponde alla collimazione del fascio radiante e la cui ampiezza dipende dalla velocità di avanzamento del tavolo porta-paziente. A differenza di quanto si verifica in TC convenzionale, la generazione di immagini assiali dal volume elicoidale acquisito non è diretta ma richiede l’esecuzione di un processo di interpolazione matematica, in cui i voxel delle sezioni assiali ricostruite hanno valori di densità e posizione dipendenti dalla posizione angolare del complesso tubo-detettori e da quella longitudinale del tavolo porta-paziente nel tempo (Fig. 3.8).
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a
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Fig. 3.8 Mentre la TC convenzionale (a) si basa sull’acquisizione sequenziale di strati successivi mediante tecnica step-andshoot (registrazione dati e tavolo fermo - tubo spento e avanzamento del tavolo - registrazione dati dello strato successivo con rotazione del complesso tubo-detettori in senso opposto e tavolo fermo...), la TC spirale (b) prevede la rotazione continua del complesso tubo-detettori accoppiata alla traslazione continua del tavolo, comportando una geometria di scansione elicoidale (o spirale) che necessita di un processo di interpolazione matematica dei dati grezzi ottenuti per la generazione di immagini assiali
Un fattore determinante nell’acquisizione dei dati in TC spirale è il pitch, ovvero il passo dell’elica, definito come p=
vt s
dove v è la velocità di avanzamento longitudinale del tavolo porta-paziente, t il tempo di rotazione del complesso tubo-detettori e s lo spessore nominale di strato (cioè la collimazione del fascio radiante). Valori di pitch più elevati comportano, a parità degli altri parametri di scansione, una riduzione direttamente proporzionale del tempo di scansione e della dose radiante somministrata al paziente, ma causano un allargamento del profilo di sensibilità di strato come conseguenza di un sottocampionamento (per valori di pitch superiori a 1) dei dati di attenuazione, e ciò si traduce in un peggioramento della risoluzione spaziale longitudinale: in altri termini, lo spessore effettivo di strato è maggiore di quello nominale come effetto della minore accuratezza del processo di interpolazione [8-11] (Fig. 3.9). È stato rilevato che un valore di pitch intorno a 1,4 rappresenta un compromesso ottimale tra qualità dell’immagine e velocità di acquisizione [12]. Inoltre, dovendo scegliere – a parità di tempo complessivo di scansione – tra lavorare con collimazione del fascio spessa e basso pitch, da un lato, e collimazione del fascio sottile ed elevato pitch, dall’altro, quest’ultima opzione è preferibile, dato che il peggioramento della risoluzione spaziale longitudinale conseguente all’aumento della collimazione del fascio radiante è di gran lunga superiore rispetto a quello indotto da un alto pitch [13].
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Fig. 3.9 Aumentando il valore del pitch si allarga il profilo di sensibilità dello strato come conseguenza della minore frequenza di campionamento dei dati, che comporta una minore accuratezza del processo di interpolazione. In altri termini, all’aumentare del pitch lo spessore effettivo di strato è via via maggiore dello spessore nominale, corrispondente alla collimazione del fascio
I vantaggi della TC spirale rispetto alla TC convenzionale sono notevoli. 1. La scomparsa dei tempi morti necessari per l’avanzamento del tavolo porta-paziente in TC convenzionale consente una drastica riduzione del tempo di acquisizione delle immagini, rendendo possibile l’esecuzione di studi TC dell’intero torace o addome in una singola apnea, o addirittura esami TC comprendenti sia il torace sia l’addome (total body) in un’unica seduta e con una singola iniezione di mezzo di contrasto endovena (d’ora in poi abbreviato in “mdc ev”). Questo, peraltro, contribuisce a una maggiore accuratezza diagnostica dei dataset ottenuti, grazie alla riduzione degli artefatti da movimento e del rischio di disallineamento delle immagini consentita dal minor tempo di scansione e dall’acquisizione in apnea singola [14]. 2. La maggior rapidità di acquisizione permette di ridurre in maniera considerevole la quantità di mdc ev per gli esami contrastografici, con evidenti benefici in termini sia di sicurezza del paziente sia di costi gestionali [15]. 3. Dato che le immagini vengono ricostruite a posteriori, mediante interpolazione a partire da un volume continuo di dati grezzi di attenuazione, si possono generare sezioni tra loro parzialmente sovrapposte senza irradiare ulteriormente il paziente, scegliendo un intervallo di ricostruzione delle immagini inferiore alla collimazione del fascio: ciò consente di ridurre eventuali artefatti da movimento (come quelli da respiro o da pulsatilità cardiaca) e di migliorare la qualità di elaborazioni 2D e 3D riducendo gli artefatti a gradino (stairstep artifacts), che si verificano quando si elaborano dataset con spessore di sezione troppo elevato [8-11]. Viceversa, quando si generano sezioni tra loro contigue, l’intervallo di ricostruzione viene posto uguale alla collimazione del fascio. 4. La maggiore velocità di acquisizione consente di effettuare in tempi relativamente contenuti studi volumetrici a elevata risoluzione spaziale, ottenendo – con l’impiego di collimazioni del fascio sottili e di elevati gradi di sovrapposizione delle immagini –
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d
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Fig. 3.10 Studio del massiccio facciale effettuato mediante TC spirale a strato sottile dopo mdc ev in paziente con trauma facciale maggiore e deficit neurologico. L’immagine assiale (a) e la ricostruzione tridimensionale (Volume Rendering) (b) mostrano plurime fratture (frecce); lo studio angio- TC (c, d, e) dei vasi cerebroafferenti rivela la presenza di una dissezione con pseudoaneurisma su base post-traumatica dell’arteria carotide interna sinistra (frecce). Indagine eseguita con collimazione del fascio di 1 mm, intervallo di ricostruzione 0,5 mm, pitch 1,5
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risoluzioni spaziali longitudinali impensabili con la TC convenzionale (virtualmente <1 mm). Applicazioni importanti sono rappresentate dalla valutazione ad alta risoluzione delle strutture muscolo-scheletriche [16] (Fig. 3.10) e dallo studio TC dei vasi sanguigni (angiografia TC o angio-TC) (Fig. 3.11); quest’ultima tecnica richiede sia un’elevata risoluzione spaziale, per la valutazione di strutture vascolari di piccolo calibro o degli osti vasali, sia tempi di acquisizione il più possibile brevi, per la necessità di effettuare la scansione durante la fase di massimo enhancement contrastografico vascolare. L’angio-TC si avvale di avanzati strumenti di elaborazione delle immagini 2D e 3D per la misura di parametri geometrici (come la lunghezza di segmenti vascolari, la superficie di sezione dei vasi o il volume di dilatazioni aneurismatiche) e la visualizzazione – sia panoramica sia mirata – di determinati territori vascolari [17-19]. Un’ulteriore applicazione della TC spirale è costituita dall’imaging multifasico per la caratterizzazione di lesioni tissutali: in questo caso, la rapidità di acquisizione e l’efficienza dell’uso del bolo di mdc ev permettono di valutare l’enhancement contrastografico di determinati tessuti in più fasi temporali di biodistribuzione del mdc, acquisite attraverso scansioni ripetute sullo stesso distretto anatomico, fornendo informazioni sulla vascolarizzazione dei tessuti in esame [20-22].
a
b Fig. 3.11 a Studio angio-TC di fibrodisplasia dell’arteria renale destra con TC spirale (frecce) (collimazione del fascio di 3 mm, intervallo di ricostruzione 1 mm, pitch 1,7). b Studio angio-TC di aneurisma dell’aorta toracica discendente (asterisco) con TC spirale: collimazione del fascio di 5 mm, intervallo di ricostruzione 2 mm, pitch 2. La scelta di una collimazione del fascio relativamente spessa e di un pitch elevato, giustificata dalla necessità di mantenere il tempo di scansione entro limiti accettabili (circa 30 sec) per consentire la scansione in un’unica apnea e un’adeguata opacizzazione arteriosa, ha comportato la comparsa di artefatti a gradino (frecce) nella ricostruzione tridimensionale, più evidenti a livello della radice aortica e dell’aorta ascendente (in cui la pulsatilità cardiaca è maggiore)
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Le nuove prospettive diagnostiche aperte dall’introduzione delle macchine TC spirale saranno ulteriormente sviluppate dall’avvento degli apparecchi TC spirale multistrato, che – come vedremo nel Capitolo 4 – consentono di ridurre ulteriormente il tempo di acquisizione delle immagini per una data lunghezza della scansione lungo l’asse longitudinale.
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TC multistrato
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Indice dei contenuti 4.1 4.2 4.3
Dalla TC spirale monodetettore alla TCMS: la TC a doppio strato Acquisizione delle immagini nella TCMS Vantaggi della TCMS rispetto alla TC spirale monostrato Bibliografia
Se l’evoluzione da TC convenzionale a TC spirale ha rappresentato un progresso importante della tecnologia TC, che ha rivoluzionato lo schema di generazione delle immagini dall’acquisizione diretta di una serie di strati indipendenti alla ricostruzione di una successione di immagini da un volume continuo di dati, il passaggio da TC spirale a singolo strato a TC spirale multistrato (TCMS) può essere visto come un’estensione dei concetti teorici alla base della tecnologia spirale, che ha portato a una drastica riduzione del tempo di acquisizione delle immagini e – in maniera equivalente – consente di ottenere dataset di immagini a elevata risoluzione spaziale lungo l’asse longitudinale in tempi ridotti. Come vedremo, ciò ha avuto importanti ripercussioni sulle applicazioni cliniche della TCMS, sui protocolli di acquisizione delle immagini e di somministrazione del mezzo di contrasto (mdc) nei vari ambiti diagnostici e sul modo di interpretare i dati ottenuti. Nei paragrafi seguenti verranno illustrati i principi dell’acquisizione delle immagini degli scanner TCMS e le loro implicazioni operative.
4.1 Dalla TC spirale monodetettore alla TCMS: la TC a doppio strato Nel 1992 la Elscint (Haifa, Israele) produsse uno scanner TC spirale in grado di acquisire due strati per singola rotazione del complesso tubo-detettori. Tale risultato era stato ottenuto dividendo il detettore in due metà lungo l’asse z e convogliando il segnale rilevato Elementi di tomografia computerizzata. Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Emanuele Neri (a cura di) © Springer-Verlag Italia 2010
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Fig. 4.1 Schema della TC spirale a doppio strato: il fascio radiante illumina una corona di detettori divisa in due metà, che forniscono il segnale a due canali DAS
da ciascuna metà a due canali DAS distinti: in questo modo, raddoppiando la copertura anatomica longitudinale del fascio radiante (ovvero la collimazione del fascio) per un dato spessore di strato, si poteva dimezzare il tempo di acquisizione delle immagini [1] (Fig. 4.1). La suddivisione in due metà del singolo detettore giustifica la denominazione per gli apparecchi TC a doppio strato – a nostro avviso più appropriata – di “split-detector CT”; per questo motivo, inoltre, essi sono considerati dalla maggior parte degli Autori precursori delle macchine TCMS (anziché TCMS in senso stretto), in quanto, al di là della duplicazione del detettore e del numero dei canali DAS e del raddoppiamento della collimazione del fascio rispetto agli apparecchi TC spirale monostrato, condividono con questi ultimi gli stessi principi tecnico-fisici di acquisizione delle immagini.
4.2 Acquisizione delle immagini nella TCMS 4.2.1 Precisazioni terminologiche
Nel testo che segue verrà utilizzata, per indicare le varie tipologie di scanner TCMS, la dizione “TC a n (4, 8 ecc.) strati”, la quale, oltre a riprendere l’acronimo standard TCMS (in inglese multislice CT, MSCT), si riferisce correttamente al fatto che - come vedremo nel seguito - vengono acquisiti contemporaneamente più strati (intesi secondo la definizione convenzionale di integrali di attenuazione fotonica lungo lo spessore di un fascio radiante collimato). Un’altra espressione, ugualmente corretta anche se meno comune, è “TC a n canali” (multichannel CT), che ha origine dal fatto che negli apparecchi TCMS i segnali acquisiti dai detettori vengono inviati a un array di n canali DAS allineati lungo l’asse longitudinale. Non verrà invece impiegata – e, anzi, se ne sconsiglia l’utilizzo –
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la frequente denominazione “TC a n file/corone di detettori”, poiché solitamente erronea, come si potrà evincere dal seguito.
4.2.2 Principi generali di acquisizione
L’inizio dell’era della TCMS propriamente detta viene fatto risalire dalla maggioranza degli Autori al 1998, anno dell’introduzione sul mercato dei primi apparecchi TC a 4 strati. Mentre negli scanner TC spirale monodetettore la collimazione del fascio è tale da illuminare in maniera uniforme il detettore (ovvero coincide con la collimazione di detettore) e, per ovvie ragioni, il numero di canali DAS attivati (uno) è sempre pari al numero di corone di detettori (una), nelle macchine TCMS queste condizioni non sono più necessariamente verificate, ma dipendono dal modo in cui multiple corone di detettori tra loro affiancate lungo l’asse z vengono combinate (configurazione di detettori). Questo concetto è fondamentale per la comprensione dei principi di acquisizione dei dati negli apparecchi TCMS e può essere chiarito tenendo presente la conformazione fisica dei detettori in tali macchine [2-7]. Prendiamo in considerazione, per esempio, l’architettura di uno scanner TC a 4 strati, che è in grado cioè di acquisire 4 strati per singola rotazione del tubo, ovvero è provvisto di 4 canali DAS (Fig. 4.2). Supponiamo (come nel caso dello scanner LightSpeed CT; General Electric, Milwaukee, WI) che l’ampiezza lungo l’asse z dei detettori compresi in ciascuna fila sia pari a 1,25 mm: allora la configurazione di detettori che permette di acquisire 4 strati (ossia il numero massimo di strati consentito dal numero di canali DAS disponibili) sarà 4 × 1,25 mm. In altri termini, per ogni rotazione del complesso tubodetettori, saranno illuminati 4 detettori tra loro adiacenti lungo l’asse z (ciascuno dei quali spesso 1,25 mm) da un fascio radiante collimato avente ampiezza nominale di 4 × 1,25 mm = 5 mm. Volendo acquisire strati più spessi – considerando che sono a disposizione sempre 4 canali DAS – lo scanner mette a disposizione 4 ulteriori file di detettori: raddoppiando la collimazione del fascio e unendo a due a due le uscite dei detettori disponibili, si può ottenere una configurazione di detettore di 4 × 2,5 mm [= 4 × (2 × 1,25) mm] con una collimazione del fascio nominale, quindi, di 4 × 2,5 mm = 10 mm. In questo modo, a parità degli altri parametri di scansione, è possibile dimezzare il tempo di acquisizione delle immagini. Si può poi incrementare ulteriormente la collimazione del fascio radiante e reclutare altre file di detettori adiacenti, ottenendo una configurazione di detettore di 4× 3,75 mm [= 4 ×(3 × 1,25 mm)] con collimazione del fascio nominale di 15 mm, fino a una configurazione di detettore di 4× 5 mm [= 4 × (4× 1,25 mm)], che sfrutta la collimazione nominale massima possibile del fascio radiante consentita dal tipo di scanner in questione (20 mm). Questo scanner è quindi a 4 strati o a 4 canali, in quanto permette di acquisire simultaneamente 4 strati (ovvero i segnali provenienti da 4 canali) e – per poter lavorare con gli spessori di strato sopra menzionati (1,25 mm, 2,5 mm, 3,75 mm e 5 mm) – dispone di 4× 4 = 16 file di detettori. Il sistema sopra menzionato si dice a matrice fissa, in quanto tutti i detettori hanno la stessa ampiezza lungo l’asse longitudinale; esistono poi macchine a matrice variabile (o adattativa), in cui i detettori periferici hanno ampiezza maggiore rispetto a quelli centrali, al fine di aumentare la copertura longitudinale per spessori di strato elevati e aumentare in parte l’efficienza di dose, riducendo il numero totale di detettori e quindi l’ampiezza
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Fig. 4.2 Schema delle possibili configurazioni di detettori di un apparecchio TCMS a 4 strati del tipo a matrice fissa (nel caso illustrato si tratta dello scanner LightSpeed CT; General Electric, Milwaukee, WI)
complessiva dei setti tra detettori adiacenti (anche se, come vedremo in seguito, l’efficienza di dose è inversamente proporzionale all’estensione del fascio radiante al di fuori dell’array di detettori, ovvero al fenomeno dell’overbeaming) [2, 4, 7]. Esempi di scanner TC a 4 strati con matrice adattativa sono il Somatom Sensation 4 (Siemens, Erlangen, Germania) e l’MX8000 (Philips, Best, Paesi Bassi) (Fig. 4.3). Con il passare del tempo sono stati sviluppati apparecchi TCMS con un numero sempre maggiore di strati (8, 16, 32, 40, 64), che consentono di coprire lo stesso volume anatomico in tempi progressivamente più brevi. Man mano che aumenta il numero di canali, il numero di possibili configurazioni di detettori tende a ridursi, e ciò comporta una semplificazione dei protocolli di scansione: per esempio, la LightSpeed 16 (General Electric) è dotata di 32 file di detettori da 0,625 mm, che possono essere impiegati nelle configurazioni 16×0,625 mm e 16×1,25 mm [= 16×(2×0,625 mm)] (Fig. 4.4). Con le macchine TC 64 strati si può poi lavorare con una singola configurazione di detettori (64×0,625 mm) o, in maniera equivalente, con la stessa collimazione del fascio, ritornando per certi versi al paradigma di scansione della TC a singolo strato [2-6] (Fig. 4.5).
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Fig. 4.3 Schema di configurazione di detettori su scanner TCMS a 4 strati del tipo a matrice adattativa (per esempio Siemens, Erlangen, Germania; Philips, Best, Paesi Bassi)
Fig. 4.4 Schema delle possibili configurazioni di detettori di un apparecchio TCMS a 16 strati del tipo a matrice fissa (nel caso illustrato si tratta dello scanner LightSpeed RT 16; General Electric, Milwaukee, WI)
Fig. 4.5 Schema delle possibili configurazioni di detettori di un apparecchio TCMS a 64 strati del tipo a matrice fissa (nel caso illustrato si tratta dello scanner LightSpeed VCT; General Electric, Milwaukee, WI)
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4.2.3 Definizione di pitch in TCMS
Mentre in TC spirale monostrato il concetto di pitch è univoco (pitch = vt/s, dove v è la velocità di scorrimento del tavolo porta-paziente, t il tempo di rotazione del complesso tubo-detettori e s lo spessore di strato), la difficoltà di trasportare direttamente il concetto di spessore di strato dalla TC spirale monostrato alla TCMS ha portato alla definizione di due formulazioni di pitch: il detector pitch (pd, pitch di detettore) e il beam pitch ( pb, pitch del fascio) [2, 4, 7]. Più precisamente, il detector pitch è definito – in maniera apparentemente simile al pitch in TC spirale monostrato – come pd =
vt d
dove d è l’ampiezza del singolo detettore lungo l’asse longitudinale. Il parallelismo tra il pitch in TC spirale monostrato e pd può però generare confusione, in quanto in TC spirale monostrato (ma non in TCMS) lo spessore di strato corrisponde alla collimazione di detettore e il calcolo di pd può essere complicato nel caso di sistemi a matrice variabile. Per queste ragioni è preferibile, in TCMS, riferirsi al beam pitch, definito come pb =
vt Σi di
dove Σidi è la somma delle ampiezze di tutti i detettori lungo l’asse z, ossia la collimazione del fascio. Nel caso di un apparecchio TC a matrice fissa, pb =
vt p = d Nd N
dove N è il numero di canali e d è l’ampiezza di ciascun detettore. Dal punto di vista concettuale, il beam pitch rappresenta un’estensione naturale alla TCMS del concetto tradizionale di pitch; perciò, se non diversamente specificato, quando si parla di pitch in TCMS ci si riferisce normalmente al beam pitch.
4.2.4 Influenza del pitch sulla scansione
Analogamente a quanto avviene per le macchine TC spirali monostrato, anche in TCMS all’aumentare del pitch si riducono proporzionalmente il tempo di acquisizione e la dose radiante somministrata al paziente, a fronte di un allargamento del profilo di sensibilità di strato, che si traduce in uno spessore di strato effettivo maggiore rispetto alla collimazione nominale di detettore. A differenza di quanto accade in TC spirale monostrato, in TCMS all’aumentare del pitch si ha una diminuzione del SNR. Ciò si verifica perché – mentre in TC spirale monostrato una singola fila di detettori acquisisce tutti i profili di attenuazione lungo una rotazione di 360° del complesso tubo-detettori – in TCMS i dati relativi a una determinata posizione lungo l’asse z sono acquisiti da più file di detettori e mediati tra loro nel processo di interpolazione al fine di aumentare il SNR: pertanto, incrementando il pitch si riduce la densità del campionamento di dati ridondanti, con un peggioramento del SNR [2, 4, 7, 8].
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Di fatto, nelle apparecchiature TCMS con numero elevato di canali (16 o più) si possono esaminare ampi volumi corporei in tempi relativamente brevi anche con pitch bassi (riducendo, per esempio, il tempo di rotazione del complesso tubo-detettori), in modo da conservare una buona risoluzione spaziale longitudinale e attenuare eventuali artefatti dell’immagine, mantenendo una densità di campionamento dei dati sufficientemente alta.
4.2.5 Overranging e overbeaming
L’utilizzo di elevati valori di pitch comporta il fenomeno dell’overranging (o overscanning), che consiste in un allungamento della spirale di acquisizione oltre gli estremi di scansione, necessario per ottenere dati spirali completi sull’intero volume di indagine, con un conseguente spreco di dose radiante (Fig. 4.6). L’overraging è particolarmente rilevante quando si acquisiscono spirali brevi ad alto pitch, poiché in questo modo è maggiore l’apporto relativo alla dose radiante complessiva delle porzioni periferiche della spirale, che non contribuiscono alla generazione di immagini nelle regioni esterne al volume di scansione. L’overranging, inoltre, risulta tanto più accentuato quanto più ampia è la collimazione del fascio, poiché in questo caso regioni corporee più estese vengono irradiate ma non visualizzate [2-7]. L’overbeaming, invece, è dovuto al fatto che le file di detettori più esterne tendono ad essere illuminate con una densità di dose minore (penombra) rispetto a quelle centrali, a causa dell’ampiezza relativamente grande del fascio radiante rispetto alle dimensioni del detettore lungo l’asse longitudinale (Fig. 4.7). Di conseguenza, per garantire un irraggiamento omogeneo dei detettori più periferici, lo scanner TCMS allarga le porzioni laterali del fascio radiante oltre i detettori stessi, erogando quindi dose aggiuntiva che non contribuisce alla generazione dell’immagine, ma attraversa comunque il paziente. Tale fenomeno è particolarmente importante con i primi apparecchi TCMS (soprattutto quelli a 4 strati, in cui l’efficienza di dose può scendere al di sotto del 50% per collimazioni del fascio
Fig. 4.6 Il fenomeno dell’overranging è tanto più accentuato quanto maggiori sono il pitch e l’ampiezza del fascio radiante. Nell’esempio si osserva che la TCMS a 4 strati (in basso) presenta un overranging maggiore (ombreggiatura verde agli estremi della spirale) rispetto alla TC spirale a singolo strato (in alto). (Da Baert et al. [9])
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a
b
Fig. 4.7 Fenomeno dell’overbeaming. In un’apparecchiatura TCMS a 4 strati (a) che lavori con collimazione del fascio sottile la frazione di dose sprecata a entrambi i lati dei detettori più periferici per garantire un’adeguata illuminazione di questi ultimi (penombra) è notevolmente maggiore rispetto a uno scanner TC a 64 strati (b), in cui i detettori hanno dimensioni più piccole lungo l’asse z e la collimazione del fascio ha ampiezza massimale
sottili) e si attenua progressivamente all’aumentare della collimazione del fascio e del numero di strati, poiché così diminuisce l’ampiezza relativa della zona di penombra rispetto al fascio radiante. L’overbeaming è virtualmente nullo negli apparecchi TC a 64 strati, in cui il numero di file di detettori è pari a quello dei canali DAS: in questo modo, viene utilizzata sempre la stessa collimazione del fascio e viene quindi mantenuta la stessa efficienza di dose, analogamente a quanto accade nelle macchine TC a singolo strato [2-7].
4.3 Vantaggi della TCMS rispetto alla TC spirale monostrato Il principale vantaggio della tecnologia TCMS rispetto agli scanner TC spirale monostrato è la possibilità di esaminare, a parità di spessore di strato, volumi corporei più ampi in tempi uguali o, nella grande maggioranza dei casi reali, notevolmente inferiori. Ciò è particolarmente vero se l’esame TC viene condotto a strato sottile, in quanto la maggior rapidità di acquisizione porta a un minor tempo di accensione del tubo radiogeno, cui corrisponde un minor rischio di surriscaldamento del tubo, ovvero una maggiore affidabilità dell’apparecchio per tali applicazioni, in quanto si evitano i lunghi tempi di ottimizzazione necessari per svolgere compiti analoghi con macchine TC spirali monostrato. Alla maggior velocità di acquisizione contribuiscono, oltre alla più ampia collimazione del fascio e alla disponibilità di più canali di rilevazione del segnale, la possibilità di scegliere tempi di rotazione minori (fino a 0,4 secondi, e anche meno per applicazioni cardio-TC) e di selezionare correnti anodiche più alte (il che consente, peraltro, di migliorare il SNR in immagini a strato sottile), grazie anche alla più elevata capacità termica dei tubi radiogeni delle apparecchiature TCMS rispetto a quella delle spirali monostrato.
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Un’applicazione importante delle potenzialità sopra descritte degli scanner TCMS è costituita dall’angiografia TC (angio-TC), ossia la visualizzazione non invasiva mediante TC dei vasi sanguigni. Per quanto possibile anche su macchine TC spirali monostrato (sulle quali ha iniziato il suo sviluppo), la realizzazione di questo tipo di indagine ha ricevuto un grande impulso grazie all’avvento della TCMS, in quanto presenta due requisiti tecnici critici: un’elevata risoluzione spaziale longitudinale su volumi anche estesi (come l’intero addome, il torace e l’addome, o gli arti inferiori) - necessaria per lo studio di diramazioni vascolari di piccolo calibro, di vasi a decorso convoluto o degli osti vasali - e un breve tempo di acquisizione [5, 7, 10-13]. Quest’ultimo elemento, meno rilevante per studi venografici, è fondamentale per la valutazione delle arterie, poiché il massimo enhancement contrastografico arterioso ha luogo in un intervallo temporale ristretto (cioè al primo passaggio del mdc nel compartimento intravascolare e prima del riempimento del sistema venoso) e, data la velocità del flusso ematico arterioso, il mdc deve essere rifornito rapidamente attraverso l’accesso endovenoso: quest’ultimo fatto spiega, peraltro, perché l’enhancement contrastografico arterioso è direttamente proporzionale alla velocità di iniezione del mdc, oltre che alla sua concentrazione iodica [13]. Se, quindi, l’esecuzione di un esame angio-TC su apparecchi TC spirali a singolo strato è spesso pesantemente limitata da problematiche relative a un basso SNR e/o a una scarsa capacità termica del tubo radiogeno e alla lentezza dell’acquisizione (che può costringere l’operatore a scegliere una collimazione più spessa e/o un pitch più elevato, con conseguente peggioramento della risoluzione spaziale longitudinale e può comportare uno scarso enhancement arterioso e/o una sovrapposizione artero-venosa nelle immagini finali), su macchine TCMS essa può essere effettuata, in generale, mantenendo i requisiti di cui sopra (Fig. 4.8). La maggior velocità di acquisizione permette, inoltre, di ridurre notevolmente la dose di mdc somministrata, in quanto consente di ottimizzare il bolo di mdc in modo da opacizzare selettivamente l’albero arterioso nel momento in cui la distribuzione del mdc al suo interno è massima, precorrendo allo stesso tempo l’opacizzazione delle vene (Fig. 4.9). La notevole riduzione dei tempi di scansione con TCMS ha un impatto positivo anche al di fuori dell’ambito prettamente vascolare, in quanto consente di mettere a punto protocolli di scansione multifasici: ciò è di particolare importanza, per esempio, in campo oncologico, in cui l’acquisizione di immagini sullo stesso territorio anatomico durante fasi successive della distribuzione del mdc può rivestire grande importanza per caratterizzare lesioni tissutali, valutandone l’enhancement contrastografico (ossia la vascolarizzazione) secondo una tempistica accurata [14-15] (Fig. 4.10). Un altro importantissimo campo di applicazione della TCMS è costituito dalla valutazione di pazienti poco collaboranti, come quelli politraumatizzati, nei quali la riduzione dei tempi di acquisizione e la possibilità di acquisire più fasi contrastografiche su volumi corporei anche estesi può fornire informazioni estremamente utili a fini diagnostici e di planning terapeutico [16]. L’elevata capacità di corrente dei moderni tubi radiogeni consente, inoltre, di ridurre la tensione del tubo mantenendo un adeguato SNR: dato che la dose radiante è proporzionale alla corrente anodica e al quadrato della tensione e poiché l’attenuazione fotonica aumenta al ridursi della tensione (del 25% a 100 kV e del 50% a 80 kV, rispetto a una tensione standard di 120 kV), è possibile effettuare studi contrastografici – in particolare, angio-TC – con una dose notevolmente ridotta di mdc, il che può essere assai importante nella gestione di pazienti con insufficienza renale o cardiaca, soprattutto in condizioni di urgenza, oltre a favorire un contenimento dei costi di gestione sanitaria [17-19] (Fig. 4.11).
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a
b
c Fig. 4.8 a, b, c La rapidità di acquisizione delle moderne macchine TCMS può essere sfruttata per ottenere dataset angio-TC a elevata risoluzione spaziale (0,625 mm lungo l’asse z in questo esempio di ricostruzione simil-angiografica della vascolarizzazione arteriosa epatica) durante il picco di enhancement intra-arterioso del mdc ev
Fig. 4.9 Angio-TC dell’aorta addominale, degli assi arteriosi iliaci e delle arterie degli arti inferiori ottenuta con TCMS a 64 strati e ricostruita con tecnica tridimensionale (Volume Rendering). Si può notare l’uniformità dell’enhancement contrastografico in tutti i segmenti vascolari esaminati senza significativa sovrapposizione venosa
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b
c
d
Fig. 4.10 TC del fegato in condizioni basali (a) e dopo iniezione di mdc ev in fase arteriosa parenchimale (b), porto-venosa (c) e tardiva (d). L’acquisizione multifasica prima e dopo somministrazione di mdc ev consente la caratterizzazione della lesione focale epatica indicata dalla freccia in (b) (iperdensa in fase arteriosa e ipodensa nelle fasi porto-venosa e tardiva) come epatocarcinoma
Fig. 4.11 Angio-TC del circolo arterioso polmonare in paziente di 60 kg con lieve insufficienza renale e sospetta tromboembolia polmonare. L’esame (peraltro con esito negativo) è stato eseguito iniettando 40 mL di mdc non ionico a moderata concentrazione iodica (320 mg I/mL) ad alto flusso (4 mL/s), seguito da uno stesso volume di soluzione fisiologica alla stessa velocità di iniezione per compattare il bolo di mdc ev; è stata inoltre selezionata una tensione anodica di 80 kV per massimizzare la risoluzione di contrasto dell’immagine, aumentando la quota di attenuazione fotonica dello iodio per effetto fotoelettrico. Notare l’ottimale opacizzazione dei rami arteriosi polmonari fino in sede subpleurica a destra; a sinistra è presente versamento pleurico massivo
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L’acquisizione di dati da più canali DAS comporta, inoltre, una ridondanza di informazioni, che può ridurre l’entità di eventuali artefatti dell’immagine, e consente di ottenere un profilo reale di sensibilità dello strato più vicino a quello ideale con pitch superiori a 1, rispetto a quanto generalmente possibile con scanner TC spirali monostrato. Un ulteriore vantaggio delle apparecchiature TCMS è la possibilità di retroricostruire serie di immagini con spessore di strato e/o intervallo di ricostruzione differenti rispetto al dataset nativo. Ciò è possibile perché, essendo disponibile sotto forma di dati grezzi l’informazione rilevata da ciascuna fila di detettori, si possono combinare le uscite di ciascuna di esse in modo da ricostruire dataset spirali con diverso spessore di strato, mentre con le macchine TC spirali monodetettore la collimazione di detettore (che coincide con la collimazione del fascio) non può essere modificata. Si può, quindi, generare una serie di immagini a strato sottile da un dataset con collimazione del fascio più ampia, che a sua volta
a
b
c
Fig. 4.12 Paziente con metastasi vertebrale da carcinoma tiroideo, con componente parenchimatosa ipervascolare che aggetta nel canale rachideo (asterisco). a Immagine assiale. b Ricostruzione su un piano sagittale paramediano, che permette una migliore valutazione dell’invasione del canale rachideo (pressoché a tutto spessore), dell’estensione longitudinale della lesione e dell’interessamento del muro somatico posteriore (che presenta diffusa lisi). c La ricostruzione su un piano sagittale passante per i forami di coniugazione di destra mostra, inoltre, obliterazione del canale di coniugazione corrispondente alla vertebra in esame da parte del tessuto neoplastico, con mancata riconoscibilità della radice nervosa emergente
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comporta una migliore efficienza di dose rispetto a un’acquisizione nativa con collimazione del fascio più sottile; viceversa, è possibile creare un dataset di sezioni più spesse, aumentando quindi il SNR delle immagini native e riducendone il numero complessivo, facilitandone quindi l’interpretazione e risparmiando spazio di archiviazione [2-7]. Infine, la possibilità di acquisire ampi volumi di immagini a elevata risoluzione spaziale lungo le tre direzioni dello spazio (isotropia del voxel), offerta dagli apparecchi TCMS più recenti e dai moderni strumenti di image processing, ha in parte rivoluzionato l’interpretazione delle immagini diagnostiche. Infatti, la disponibilità di dataset con voxel isotropico consente la generazione e l’analisi sistematica di serie di immagini ricostruite su piani diversi da quello assiale tradizionale, facilitando il riconoscimento di strutture e alterazioni anatomopatologiche valutabili con maggiore difficoltà sul solo piano assiale e portando, quindi, a un potenziale miglioramento dell’accuratezza diagnostica, oltre che a una migliore comunicazione tra radiologi e clinici (Fig. 4.12). Inoltre, l’applicazione di algoritmi di averaging permette di abbattere il rumore intrinseco delle immagini a strato sottile senza incrementare – o addirittura riducendo – la dose radiante somministrata al paziente [3-4, 6, 20-21] (Fig. 4.13).
b
a
c
Fig. 4.13 Carcinoma linguale (asterisco) visualizzato sul piano assiale (a) e sul piano sagittale ottenuto dalle retroricostruzioni a strato sottile (b); quest’ultima immagine fornisce ulteriori informazioni sullo sviluppo in profondità della lesione e sui suoi rapporti con le strutture muscolari della lingua; tuttavia, l’immagine è alquanto rumorosa a causa della stretta collimazione di detettore (1,25 mm). c Stessa ricostruzione sagittale ottenuta mediante algoritmo di averaging con spessore risultante di 3 mm: il rumore dell’immagine appare nettamente ridotto rispetto a (b)
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Caratteristiche di base delle immagini TC
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L. Faggioni, F. Paolicchi, M. Marinelli
Indice dei contenuti 5.1 5.2
Matrice di ricostruzione, voxel e pixel Descrittori di qualità delle immagini TC Bibliografia
5.1 Matrice di ricostruzione, voxel e pixel Le immagini TC vengono generate mediante conversione analogico-digitale dei segnali elettrici provenienti dai detettori; tali segnali riflettono i profili di attenuazione dei tessuti corporei attraversati dai raggi X in funzione della posizione angolare del complesso tubo-detettori e dell’avanzamento longitudinale del tavolo porta-paziente. Trattandosi di dati digitali, la distribuzione delle informazioni di attenuazione fotonica non è continua, ma discreta, e approssima tanto meglio la distribuzione continua reale quanto maggiore è la loro frequenza di campionamento [1]. La rappresentazione spaziale dei dati di densità avviene mediante il loro inserimento in una matrice di m × n elementi, nei quali viene suddiviso il campo di vista (Field Of View, FOV). In ambito TC vengono solitamente impiegate matrici di ricostruzione quadrate di N × N elementi, detti voxel. Ciascun voxel è costituito da un parallelepipedo di altezza equivalente allo spessore di strato e lato di base pari a l=
dFOV N
dove dFOV è l’ampiezza del FOV. In altri termini, il voxel è l’elemento costitutivo dell’immagine fisica, che è la rappresentazione spaziale delle densità degli elementi della matrice in cui viene riprodotta ciascuna sezione TC con spessore di strato definito (Fig. 5.1).
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Fig. 5.1 Esempio di voxel isotropici di una matrice 5×5×5: i voxel isotropici possono essere rappresentati da cubi aventi lo stesso lato
Un’immagine TC relativa a uno strato occupa uno spazio di memoria (espresso in bit) pari a N 2d, dove d è la profondità in bit dell’immagine in toni di grigio. Per le immagini TC vengono impiegate, di norma, matrici di 512×512 elementi e profondità di grigio di 12 bit (cui corrispondono 212 = 4096 possibili livelli di grigio, che codificano i valori di densità in unità Hounsfield). L’immagine TC finale (che, rappresentando un piano, è bidimensionale) è pertanto costituita da N 2 quadrati di lato l, detti pixel, a ciascuno dei quali è associato un numero binario, con un massimo di d cifre, che esprime una tonalità di grigio, a sua volta corrispondente a una data densità in scala Hounsfield [2].
5.2 Descrittori di qualità delle immagini TC 5.2.1 Risoluzione spaziale Rappresenta la minima distanza tra due punti dello spazio per la quale essi vengono riconosciuti dal sistema come distinti. In TC, trattandosi di una metodica di imaging tomografico, la risoluzione spaziale viene distinta in trasversale (in-plane, o sul piano xy) e longitudinale (through-plane, o lungo l’asse z). 5.2.1.1 Risoluzione spaziale trasversale Si riferisce a due punti giacenti sullo stesso piano di acquisizione (appartenenti, quindi, alla stessa sezione) e dipende dalle dimensioni del voxel sul piano xy: più precisamente, quanto minori sono le dimensioni del voxel sul piano xy, tanto maggiore è la risoluzione spaziale trasversale. D’altro canto, quanto minori sono le dimensioni del voxel, tanto maggiore è il rumore dell’immagine, in quanto all’interno del voxel è contenuta, a parità di rumore, una minore quantità di informazione, legata all’interazione con la materia di una minore densità di fotoni X rispetto alla quantità di informazione memorizzabile in voxel più grandi.
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La risoluzione spaziale trasversale di uno scanner TC viene espressa in termini quantitativi dalla Modulation Transfer Function (MTF). La MTF di un sistema di imaging – definita come il rapporto tra il modulo (intensità) del segnale d’uscita e quello del segnale in ingresso, al variare della frequenza spaziale di quest’ultimo – consente di valutare numericamente come un sistema di imaging trasformi l’informazione in ingresso in quella d’uscita. La frequenza spaziale del segnale d’ingresso è legata alle dimensioni degli oggetti da visualizzare: a oggetti grandi corrispondono basse frequenze, mentre a oggetti di piccole dimensioni corrisponde un segnale con alte frequenze. Nel caso di uno scanner TC ideale, l’informazione in ingresso (“contenuta” nei fotoni X rilevati) viene trasferita completamente nel segnale d’uscita (l’immagine TC), per cui la MTF assumerebbe un valore costante pari a uno. In un sistema reale, invece, la MTF decresce all’aumentare della frequenza spaziale del segnale in ingresso, ossia man mano che le dimensioni degli oggetti da visualizzare diventano più piccole, limitando quindi la massima risoluzione spaziale trasversale [3, 4]. In Fig. 5.2 è rappresentata una tipica MTF di uno scanner TC. 5.2.1.2 Risoluzione spaziale longitudinale Riflette le dimensioni del voxel lungo l’asse z, che a loro volta dipendono da caratteristiche intrinseche dello scanner TC e dal protocollo di acquisizione impiegato (collimazione di detettore, pitch, schema di interpolazione dei dati spirali). La risoluzione spaziale longitudinale – analogamente a quanto si verifica per quella trasversale – migliora al ridursi della dimensione del voxel lungo l’asse longitudinale, a fronte di un peggioramento del rapporto segnale-rumore. La risoluzione spaziale longitudinale viene espressa in termini quantitativi dalla funzione Slice Sensitivity Profile (SSP). Questa funzione, valutabile con particolari fantocci, descrive la variazione del contrasto dell’immagine nella direzione longitudinale all’interno di un singolo strato: all’aumentare della distanza dal centro del detettore lungo la direzione z, il contrasto diminuisce (Fig. 5.3). Tra le cause di questo fenomeno vi sono: – la dimensione finita della macchia focale; – la penombra del collimatore; – il metodo di ricostruzione delle immagini, basato sulle proiezioni.
Fig. 5.2 MTF di uno scanner TC: la MTF con linea continua (B) presenta una risoluzione spaziale superiore rispetto alla MTF con linea tratteggiata (A)
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Fig. 5.3 Rappresentazione grafica della funzione SSP (Slice Sensitivity Profile); lo spessore nominale di strato è convenzionalmente definito come FWHM (Full Width at Half Maximum) della funzione SSP, cioè la larghezza della curva che si proietta sull’asse z per una densità normalizzata pari al 50%
Si può dimostrare che la SSP corrisponde a una particolare funzione detta Spread Line Function (SLF). Tale relazione è molto importante, poiché conoscendo la SLF e utilizzando un particolare operatore matematico (trasformata di Fourier) si può determinare la corrispondente MTF. È dunque possibile descrivere sia la risoluzione spaziale longitudinale sia quella trasversale a partire dalla MTF [5].
5.2.2 Fattori che influenzano la risoluzione spaziale 5.2.2.1 Numero di raggi Il numero di raggi corrisponde al numero di campioni acquisiti in una vista, quindi quanto maggiore è il numero di raggi tanto maggiore è la frequenza di campionamento. Per il teorema di Nyquist, all’aumentare della frequenza di campionamento la risoluzione spaziale delle immagini migliora. Poiché l’angolo di apertura del fascio utilizzato (fan angle) è fisso (tipicamente 60°), il numero di raggi dipende dall’ampiezza della “parte attiva” del detettore (apertura del detettore) e dalla distanza tra un detettore e l’altro lungo un array (detector pitch) (Fig. 5.4). Negli scanner di terza generazione, a differenza di quelli di quarta generazione, il numero di raggi non è modificabile dall’operatore. 5.2.2.2 Numero di viste Il numero di viste raccolte in una rotazione del tubo nel gantry influenza direttamente l’eventuale presenza di artefatti alle alte frequenze. Più precisamente, al diminuire del numero di viste si accentua il fenomeno dell’aliasing, che è più marcato alla periferia delle immagini assiali. In genere, l’operatore può variare tale parametro facendo compiere al tubo radiogeno una rotazione completa (360°) oppure una rotazione parziale (tipicamente 180°+ fan angle).
5 Caratteristiche di base delle immagini TC
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Fig. 5.4 Esempio di configurazione di detettore TC: ampiezza del fascio (fan angle), detector pitch (dp), ampiezza della parte attiva del detettore (pa) e spazio non attivo tra due detettori adiacenti (dp-pa)
5.2.2.3 Dimensione della macchia focale Come in ogni sistema di imaging a raggi X, anche in TC la dimensione della macchia focale influenza la risoluzione spaziale: al diminuire delle dimensioni della macchia focale, la risoluzione spaziale aumenta, e viceversa. Gli scanner TC sono in genere dotati di due macchie focali, utilizzate in modo automatico in base alla scelta dei parametri di scansione (macchia focale piccola = elevata risoluzione spaziale e bassa potenza anodica; macchia focale grande = minore risoluzione spaziale ed elevata potenza anodica). 5.2.2.4 Ampiezza del pixel Com’è intuibile, la risoluzione spaziale trasversale dell’immagine aumenta al diminuire dell’ampiezza del pixel. Poiché, in genere, la matrice di ricostruzione è fissa, per migliorare la risoluzione spaziale trasversale l’operatore dovrà restringere il FOV. 5.2.2.5 Spessore di strato (slice thickness) Nella TC a singolo strato (convenzionale e spirale) lo spessore di strato dipende dalla collimazione del fascio, mentre nella TCMS dipende dall’ampiezza dei detettori lungo l’asse z. Uno spessore di strato maggiore determina una diminuzione della risoluzione spaziale longitudinale, che si traduce in una minore nitidezza dei contorni delle strutture e in un aumento dell’effetto di volume parziale, come spiegato più estesamente nel seguito. 5.2.2.6 Pitch All’aumentare del pitch la SSP peggiora (“allargamento” della SSP), comportando una diminuzione della risoluzione spaziale longitudinale come effetto della minore frequenza di campionamento dei dati, che si traduce in una minore precisione del processo di interpolazione lungo un determinato intervallo sull’asse z.
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5.2.2.7 Algoritmo di ricostruzione L’algoritmo di ricostruzione ha una forte influenza sulla risoluzione spaziale trasversale. Come accennato nel capitolo 3, ai dati grezzi possono essere applicati dei filtri di convoluzione (o nuclei di convoluzione, convolution kernels) per correggere gli artefatti di blurring che si manifesterebbero calcolando i profili di attenuazione fotonica mediante retroproiezione non filtrata. Una dimostrazione rigorosa delle basi matematiche della retroproiezione non filtrata e filtrata e dei metodi di filtraggio esula dagli scopi di questa trattazione e per essa si rimanda a testi specifici [6]. In sintesi, i filtri di convoluzione sono rappresentati da funzioni matematiche che, combinate con un’operazione di convoluzione alla distribuzione dei dati grezzi (espressi nel dominio della frequenza, anziché dello spazio, mediante trasformata di Fourier), ne alterano il contenuto armonico, per esempio esaltandone le alte frequenze (algoritmi di edge enhancement: letteralmente “rafforzamento dei bordi”) oppure le basse frequenze (algoritmi di smoothing). Si comprende dunque, alla luce delle proprietà della MTF esposte in precedenza, che la risoluzione spaziale trasversale viene migliorata dall’uso di algoritmi di edge enhancement e peggiorata dall’uso di algoritmi di smoothing. 5.2.2.8 Movimento del paziente Com’è intuitivo, il movimento del paziente comporta un effetto di blurring sulle immagini finali per la sovrapposizione di strutture in movimento durante l’acquisizione dei dati.
5.2.3 Rapporto segnale-rumore Questo rapporto (Signal-to-Noise Ratio, SNR) è una misura della quantità di informazione contenuta nell’immagine fisica in relazione al rumore intrinseco di quest’ultima. Nelle immagini TC il rumore all’interno di una data regione di interesse (Region of Interest, ROI) è definito statisticamente come la deviazione standard della densità nella ROI ed esprime, in termini fisici, fluttuazioni casuali dell’attenuazione fotonica dovute alla composizione non monoenergetica dei fasci radianti reali e alla natura probabilistica dell’interazione fotoni X-materia (che obbedisce alle leggi della meccanica quantistica: rumore quantico), cui si aggiunge l’errore dovuto alla digitalizzazione del segnale rilevato (rumore digitale) e alle inevitabili tolleranze dei componenti elettronici reali dello scanner (rumore elettronico). Nel caso più semplice di una singola immagine assiale, il rumore è legato ai parametri di scansione dall’espressione di Brooks e Di Chiro [7]
σ =C
B W 3 hD0
dove C è l’efficienza di dose, B il fattore di attenuazione dell’oggetto, W la larghezza del pixel, h lo spessore di strato (ovvero la profondità del voxel) e D0 la dose massima per strato. Ne consegue che, per ottenere un SNR maggiore, occorre aumentare la dose radiante e/o lo spessore di strato e/o le dimensioni del voxel: ciò, naturalmente, ha conseguenze importanti sia sul piano radioprotezionistico sia in termini di qualità diagnostica delle immagini e impone una scelta equilibrata dei parametri di scansione elencati di seguito. • Dimensioni del pixel: se si aumenta la dimensione del pixel (cioè la dimensione del FOV) mantenendo invariati tutti gli altri parametri, cresce il numero di fotoni utilizzati
5 Caratteristiche di base delle immagini TC
per ricostruire un singolo pixel dell’immagine, con un conseguente incremento del SNR per ogni pixel. • Tensione del tubo (kVp): all’aumentare del valore dei kVp, il numero e l’energia media dei fotoni che raggiungono i detettori aumentano, determinando un aumento proporzionale del SNR, anche se la risoluzione di contrasto tende a diminuire, come spiegato più avanti. • Esposizione (prodotto mA-secondo, mAs): il prodotto tra corrente anodica e tempo di rotazione del complesso tubo-detettori determina il numero di fotoni utilizzati per produrre l’immagine e influenza, quindi, direttamente il valore del SNR. La dose erogata dipende linearmente dal valore di mAs e il SNR varia al variare della radice quadrata dei mAs (per esempio, raddoppiando i mAs, l’SNR aumenta di 2 volte ≈ 1,414). • Spessore di strato: raddoppiando lo spessore e mantenendo costanti tutti gli altri parametri, il numero di fotoni raddoppia, mentre il SNR aumenta di 2 volte. Una trattazione sistematica del significato fisico e dei criteri che guidano nella scelta dei parametri di scansione in TC verrà svolta nel capitolo 7.
5.2.4 Risoluzione di contrasto È definita come la minima differenza di densità tra due oggetti densitometricamente distinti che può essere rilevata dal sistema [8]. Essa dipende dalla sensibilità dei detettori e da alcuni parametri fisici di scansione TC, quali la tensione anodica, la corrente del tubo, il SNR e la risoluzione spaziale. Più precisamente, in relazione alla risoluzione di contrasto, occorre ricordare quanto segue. 1. La risoluzione di contrasto aumenta riducendo la tensione anodica (ovvero riducendo l’energia media dei fotoni X incidenti), poiché in tal modo aumenta l’attenuazione del fascio X da parte dei tessuti irradiati. Utilizzando tensioni anodiche più basse, inoltre, una frazione maggiore dell’assorbimento energetico è dovuto all’effetto fotoelettrico, riducendo così lo scattering dovuto all’interazione dei fotoni X a più alta energia con la materia mediante effetto Compton (che, a sua volta, è fonte di rumore e tenderebbe a peggiorare la risoluzione di contrasto). 2. La risoluzione di contrasto aumenta – almeno per correnti relativamente basse, tali che il rumore dell’immagine non sia trascurabile – aumentando la corrente anodica: ciò perché, aumentando il numero di fotoni X che attraversano i tessuti corporei in esame, cresce proporzionalmente la loro differenza di attenuazione da parte di oggetti con diversa densità, che viene rilevata dai detettori e interpretata come contrasto. 3. La risoluzione di contrasto dipende in parte dal SNR, in quanto un rumore eccessivo dell’immagine impedisce di cogliere differenze di densità relativamente piccole tra oggetti diversi componenti l’immagine (ciò si comprende ancora più facilmente considerando la definizione statistica di rumore sopra esposta). 4. A parità di SNR, una migliore risoluzione spaziale comporta una migliore risoluzione di contrasto, in quanto consente di risolvere strutture adiacenti con piccola differenza di densità. In altri termini, lavorando con risoluzioni spaziali elevate si minimizzano gli artefatti da volume parziale (volume averaging), che con risoluzioni spaziali peggiori tenderebbero a mediare, all’interno di un numero minore di voxel più grandi, le densità di oggetti distinti ma tra loro vicini nello spazio, con conseguente perdita della risoluzione di contrasto.
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Altri fattori che influenzano direttamente la qualità dell’immagine sono i seguenti.
• Finestra di visualizzazione: rappresenta l’intervallo della scala di grigi con il quale viene visualizzata la densità dei voxel. Come illustrato nel capitolo 3, la scelta di finestre di visualizzazione con centro (Window Level, WL) e ampiezza (Window Width, WW) diversi consente di restringere l’intervallo di densità di interesse della scala Hounsfield nell’ambito dei toni di grigio rilevabili dall’osservatore, rappresentando rispettivamente come nero e bianco gli oggetti con numeri TC inferiori a WL – ½WW e superiori a WL + ½WW. Sugli scanner TC e sulle workstation di visualizzazione e di elaborazione delle immagini si possono definire finestre di visualizzazione con centro e ampiezza scelti a piacere e ottimizzabili a seconda del quesito diagnostico (Fig. 5.5); esistono anche finestre standard (presets), come quelle per la visualizzazione del parenchima polmonare, dei tessuti molli o dello scheletro (Fig. 5.6). Alcuni applicativi, inoltre, consentono di fissare, oltre alle finestre di visualizzazione convenzionali in scala di grigi, tavole colorimetriche (Color Look-Up Tables, CLUT), che associano tonalità cromatiche diverse a differenti valori di densità secondo funzioni lineari oppure non lineari: ciò permette, in taluni casi, di migliorare la visibilità di alcuni reperti in determinate situazioni (codifica colorimetrica o color coding, Fig. 5.7) [9, 10]. • Filtri di ricostruzione: per esaltare o attenuare alcune caratteristiche delle immagini TC, è possibile agire sui filtri di ricostruzione, oltre che sulle finestre. Ciò è possibile sia in fase di acquisizione – selezionando differenti nuclei di convoluzione per la ricostruzione delle immagini assiali native a partire dai profili di attenuazione fotonica – sia in fase di post-processing (ovvero sulle immagini native, già acquisite e ricostruite) mediante filtri di imaging [9]. In questo modo si può, per esempio, esaltare i profili delle strutture utilizzando filtri di edge enhancement (ad alta frequenza, che tuttavia comportano un peggioramento del SNR), oppure ridurre il rumore delle immagini mediante filtri di smoothing (a bassa frequenza, che quindi tagliano le alte frequenze spaziali delle immagini, responsabili della maggior parte del rumore, ma anche delle informazioni relative ai contorni degli oggetti) (Fig. 5.8).
b
a
Fig. 5.5 Finestre di visualizzazione predefinite sulla tastiera di una consolle TC (a) e su un software per l’analisi di immagini DICOM (b) (l’ellisse evidenzia un menu a tendina con l’elenco dei vari presets)
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a
c
a
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b
Fig. 5.6 Immagine TC di un torace con algoritmo di ricostruzione standard e finestra di visualizzazione per tessuti molli (mediastino) (a), parenchima polmonare (b) e osso (c). Notare l’ottimizzazione del contrasto per la valutazione delle rispettive strutture di interesse, a scapito di quelle rimanenti
b
Fig. 5.7 L’immagine senza color coding (a) evidenzia una lesione piatta della parete colica (freccia), che risulta meglio definita con l’applicazione di un algoritmo di color coding (b). Notare anche la migliore demarcazione della parete colica normale (indicata dalla freccia tratteggiata e visualizzata in verde) rispetto all’aria (nero) e al mezzo di contrasto iodato intraluminali (asterisco; in arancione)
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a
Fig. 5.8 a Stessa immagine della Fig. 5.6 b, ma visualizzata con algoritmo di ricostruzione per il parenchima polmonare: questo algoritmo introduce un edge enhancement che consente una valutazione più accurata dell’interstizio polmonare. b Immagine con algoritmo di ricostruzione standard e (c) con algoritmo di smoothing di colografia TC a bassa dose radiante: si osservi come l’ultima immagine sia meno rumorosa, ma anche meno definita
b
c
Bibliografia 1. Kalender WA (2006) Computed Tomography: Fundamentals, Systems technology, Image quality, Applications. Publicis MCD Verlag, Erlangen - Munich 2. Passariello R (ed) (2005) Radiologia - Elementi di tecnologia. Idelson Gnocchi, Napoli 3. Assimakopoulos PA, Boyd DP, Jaschke W, Lipton MJ (1986) Spatial resolution analysis of computed tomographic images. Invest Radiol 21:260–271 4. Flohr TG, Schaller S, Stierstorfer K et al (2005) Multi-detector row CT system and image-reconstruction techniques. Radiology 235:756–773 5. Schwarzband G, Kiryati N (2005) The point spread function of spiral CT. Phys Med Biol 50: 5307–5322 6. Buzug TM (2008) Computed tomography - From photon statistics to modern cone-beam CT. Springer-Verlag, Berlin - Heidelberg 7. Brooks RA, Di Chiro G (1975) Theory of image reconstruction in computed tomography. Radiology 117:561–572 8. Hsieh J (2009) Computed tomography – principles, design, artifacts, and recent advances. SPIE (The International Society for Optical Engineering), Bellingham, WA 9. Neri E, Marcheschi P, Caramella D (2008) Produrre ed elaborare immagini diagnostiche. SpringerVerlag Italia, Milano 10. Lipson SA (2006) MDCT and 3D workstations. A practical guide and teaching file. Springer-Verlag, Berlin - Heidelberg
Tecniche di elaborazione delle immagini
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L. Faggioni, R. Lazzarini, F. Paolicchi
Indice dei contenuti 6.1 6.2 6.3 6.4 6.5
Ricostruzione multiplanare (Multiplanar Reformation, MPR) Proiezione di massima intensità (Maximum Intensity Projection, MIP) Rendering volumetrivo (Volume Rendering, VR) Rappresentazione di superficie (Shaded Surface Display, SSD) Endoscopia virtuale (Virtual Endoscopy, VE) Bibliografia
Gli scanner TC spirale generano una quantità di dati che rappresentano la densità e la posizione reciproca dei voxel componenti il volume di indagine, ricostruiti su sezioni consecutive tra loro parallele, solitamente orientate lungo piani assiali. In particolare, con l’evoluzione e la diffusione degli scanner TC spirale multidetettore – che consentono di acquisire dataset volumetrici con risoluzione spaziale submillimetrica in tempi assai più brevi rispetto agli apparecchi monodetettore – non è infrequente che vengano generate serie costituite da migliaia di immagini [1, 2]. Ciò pone il problema di ottenere una visione sintetica di una mole così grande di dati analitici, per una visualizzazione panoramica oppure mirata di un determinato distretto anatomico. Nei paragrafi successivi verranno illustrate le seguenti tecniche di elaborazione delle immagini TC: – ricostruzione multiplanare (Multiplanar Reformation, MPR); – proiezione di massima intensità (Maximum Intensity Projection, MIP); – rendering volumetrico (Volume Rendering, VR); – rappresentazione di superficie (Shaded Surface Display, SSD); – endoscopia virtuale (Virtual Endoscopy, VE).
Elementi di tomografia computerizzata. Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Emanuele Neri (a cura di) © Springer-Verlag Italia 2010
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6.1 Ricostruzione multiplanare (Multiplanar Reformation, MPR) L’algoritmo MPR consente di creare un’immagine bidimensionale, orientata lungo un piano arbitrario, a partire da un dataset di immagini tra loro complanari. Più precisamente, l’informazione relativa alla posizione e alla densità (espressa come valore di luminosità in scala di grigi) di voxel appartenenti a immagini acquisite su piani paralleli orientati (per esempio, una serie di immagini assiali) viene utilizzata per generare un’immagine i cui voxel sono geometricamente proiettati su un piano definito dall’utente con una diversa inclinazione (per esempio coronale, sagittale o obliquo), in funzione della posizione e del valore di densità dei voxel appartenenti alle immagini native [3-5]. In questo modo è possibile ottenere una rappresentazione integrata di strutture situate su piani diversi da quello nativo di acquisizione, che in TC è solitamente quello assiale per motivi legati alla meccanica di acquisizione, a meno di un eventuale tilting del gantry rispetto al tavolo porta-paziente (come può accadere nel caso di acquisizioni TC con tecnica sequenziale) (Fig. 6.1). L’algoritmo MPR trova applicazione in tutti i casi in cui sia necessario ricostruire in maniera continua la morfologia di strutture anatomiche o di alterazioni anatomopatologiche che non possono essere rappresentate interamente sul piano nativo di acquisizione. Peraltro, la maggior parte delle workstation e degli applicativi software di image processing consente di realizzare automaticamente ricostruzioni MPR sui tre piani ortogonali standard dello spazio (assiale, coronale, sagittale: MPR ortogonali), generando serie aggiuntive di immagini ricostruite, con spessore di strato e intervallo di ricostruzione scelti a piacere, comprese tra un dato estremo iniziale e un estremo finale del dataset originario; tali immagini possono essere salvate in formato DICOM come serie di immagini indipendenti. Molte workstation permettono, inoltre, di effettuare MPR ortogonali sui tre piani standard dello spazio in maniera simultanea, consentendo una visione multiplanare diretta mediante lo spostamento di un cursore elettronico (Fig. 6.2). Alcuni software permettono anche di ottenere MPR tra loro sincronizzate di serie TC differenti (per esempio,
b
a
Fig. 6.1 Algoritmo MPR: immagine assiale (a) e ricostruzione sul piano coronale (b)
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a
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Fig. 6.2 Utilità delle ricostruzioni MPR ortogonali. a Sull’immagine TC assiale si osserva una formazione di aspetto cistico indissociabile dalla coda pancreatica (asterisco), di non sicura attribuzione anatomica. b La ricostruzione MPR ortogonale fornisce ulteriori informazioni sui rapporti anatomici della formazione con le strutture circostanti, supportando l’ipotesi – confermata chirurgicamente – di una sua localizzazione extrapancreatica
b
di due esami TC effettuati a distanza di tempo sullo stesso paziente), facilitando il confronto e il giudizio evolutivo di reperti non direttamente valutabili sul piano assiale. È intuitivo che la qualità delle ricostruzioni MPR è ottimale quando il dataset delle immagini native è costituito da voxel di dimensioni più piccole possibile e tra loro simili nelle tre direzioni spaziali (isotropia del voxel): tale requisito può essere facilmente soddisfatto impiegando scanner TC spirale multidetettore con un numero elevato di file di detettori (16 e oltre). In questo senso, si può affermare che l’avvento della tecnologia TC spirale multidetettore ha rivoluzionato, oltre ai protocolli di acquisizione, anche l’interpretazione delle immagini TC; è stato dimostrato, infatti, come l’impiego sistematico dei metodi MPR per la lettura di esami TC di vari distretti anatomici possa incrementare significativamente la sensibilità diagnostica rispetto alla tradizionale visualizzazione sul piano assiale [2] (Fig. 6.3). Tuttavia, l’acquisizione di immagini con collimazione di detettore estremamente ridotta (≤1 mm) e dose radiante contenuta entro limiti accettabili fa sì che il loro rapporto segnale-rumore (SNR) sia alquanto basso, con il rischio di
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a
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b
Fig. 6.3 Paziente con citologia urinaria positiva. Nell’immagine TC assiale (a) non si osservano alterazioni a carico della parete vescicale, mentre nella ricostruzione MPR coronale (b) si nota un circoscritto ispessimento del pavimento della vescica (freccia), non visibile nell’immagine assiale in quanto parallelo al piano di acquisizione
compromettere l’affidabilità diagnostica delle singole immagini assiali native, soprattutto nel caso di reperti patologici di piccole dimensioni (per esempio, foci emorragici) e/o con scarsa risoluzione di contrasto rispetto ai tessuti circostanti (come alcune neoplasie). A questo proposito, è possibile creare serie di immagini MPR con spessore di strato maggiore di quello delle immagini native, effettuando un’operazione di media delle intensità dei voxel corrispondenti di più immagini consecutive (Average Intensity Projection, AveIP): in tal modo si può incrementare notevolmente il SNR delle immagini native, permettendo quindi indirettamente anche una riduzione della dose radiante somministrata al paziente [6] (Fig. 6.4). Aumentando lo spessore delle sezioni, inoltre, si riduce il numero complessivo di immagini ricostruite, e ciò è utile a fini di archiviazione per diminuire il numero di pellicole stampate o lo spazio necessario per la memorizzazione su disco o su PACS. Una tipica applicazione della tecnica MPR si ha in ambito vascolare per la ricostruzione di vasi con decorso diverso dal piano assiale. In questo modo è possibile, per esempio, creare immagini orientate su piani perpendicolari all’asse longitudinale del vaso di interesse per misurarne con precisione il diametro e l’area di sezione, evitando così l’errore legato alla distorsione geometrica che si verificherebbe misurando questi parametri sulle immagini native in vasi con decorso non perpendicolare al piano di acquisizione. Ciò è particolarmente importante, per esempio, nella valutazione di stenosi vascolari o di dilatazioni aneurismatiche, in cui la precisione delle misure dimensionali è determinante ai fini del trattamento (Fig. 6.5). Una variante dell’algoritmo MPR è la ricostruzione curvilinea (Curved Planar Reformation, CPR), che consente di proiettare su un unico piano un insieme di sezioni passanti su una successione di piani che giacciono lungo una traiettoria poligonale definita dall’utente. La tecnica CPR è particolarmente utile, per esempio, per ricostruire vasi con un decorso tortuoso nelle tre direzioni dello spazio, come le arterie coronarie o i tronchi arteriosi splancnici. Questa operazione può essere compiuta selezionando una serie di punti allineati lungo il centro del lume del vaso (o di qualunque struttura canalicolare: centerline) su una o più viste MPR, ottenendo quindi una rappresentazione continua rettificata del decorso della struttura di interesse (Fig. 6.6). Nel caso esemplificativo di ricostruzioni
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a
b
Fig. 6.4 MPR coronale del paziente di Fig. 6.3. La ricostruzione MPR senza averaging (a) è rumorosa, essendo ottenuta da sezioni assiali a strato sottile (1,25 mm collimazione di detettore: 0,625 mm intervallo di ricostruzione); la ricostruzione MPR con averaging (b) (spessore risultante 3,2 mm) ha un SNR nettamente superiore
a
b
Fig. 6.5 Aneurisma dell’aorta addominale rappresentato su un piano sagittale con tecnica MIP (a) e ricostruzione MPR su un piano para-assiale (“sezione assiale vera”) (b), orientata perpendicolarmente all’asse longitudinale del vaso in corrispondenza della massima larghezza dell’aneurisma, come raffigurato dalle linee in (a). In questo modo è possibile effettuare una misurazione accurata dei diametri massimi dell’aneurisma, evitando l’errore, dovuto al decorso non perfettamente verticale dell’aorta addominale, che si commetterebbe misurando i diametri sulle sezioni assiali native
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b
Fig. 6.6 Selezionando i punti della centerline (linea verde) lungo il decorso dell’arteria circonflessa (a), è possibile ottenerne una rappresentazione continua (b) conservando i dettagli delle pareti vasali, come la piccola placca ateromasica mista indicata
vascolari, l’impiego dell’algoritmo CPR facilita la misura dei parametri geometrici del vaso selezionato, poiché quest’ultimo viene visualizzato in maniera continua, senza distorsioni del suo profilo: in particolare, l’elaborazione CPR è utile per la valutazione morfologica dell’entità di stenosi vascolari. Le metodiche MPR e CPR hanno il vantaggio di conservare l’intera informazione spaziale e di contrasto del dataset, di non richiedere un grosso sforzo da un punto di vista computazionale e di essere relativamente operatore-indipendenti, poiché non è necessario, in generale, segmentare le immagini native prima della ricostruzione. D’altra parte, la natura bidimensionale degli algoritmi MPR e CPR e il loro carattere proiettivo non consentono, solitamente, di ottenere una rappresentazione panoramica dei distretti di interesse, soprattutto se di grande estensione. Per queste ragioni, le tecniche MPR e CPR “pure” sono normalmente associate ad altre metodiche di elaborazione delle immagini, come gli algoritmi MIP e VR, illustrati di seguito.
6.2 Proiezione di massima intensità (Maximum Intensity Projection, MIP) Con questo algoritmo è possibile selezionare un volume (slab) di spessore e orientamento spaziale definiti dall’utente e – per ogni insieme di voxel dello slab allineati lungo la direzione scelta – rappresentare sull’immagine risultante soltanto il voxel con intensità più alta (e quindi, con maggiore densità). Per maggiore chiarezza, supponiamo di tracciare lungo lo slab un fascio di rette parallele (ray casting), aventi una distanza reciproca pari alle dimensioni del voxel nella direzione perpendicolare a quella del fascio. Tra tutti i voxel attraversati da ciascuna retta, l’algoritmo MIP estrae quello con maggiore intensità e lo inserisce nell’immagine ricostruita, scartando l’informazione relativa agli altri voxel (Fig. 6.7). Di conseguenza:
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– l’immagine MIP è formata esclusivamente dai voxel di massima intensità contenuti in ciascuna sezione orientata in cui lo slab è suddiviso; – dato che solo una piccola frazione (circa il 10%) dell’informazione contenuta nel dataset viene utilizzata per la ricostruzione, l’algoritmo MIP richiede una potenza di elaborazione modesta, per cui può essere eseguito senza difficoltà anche su workstation poco potenti; – poiché per generare un risultato richiede soltanto due parametri di ingresso (l’inclinazione e lo spessore dello slab), l’algoritmo MIP è relativamente poco operatore-dipendente, oltre che concettualmente semplice, contribuendo quindi a ridurre i tempi necessari per la ricostruzione delle immagini; – l’eliminazione dei voxel con intensità non massimale porta alla perdita dell’informazione relativa alla profondità spaziale e al contrasto tra oggetti di diversa densità contenuta nello slab, con conseguente sovrapposizione di strutture contenute nello slab all’interno della ricostruzione MIP [4-5, 7-13]. La tecnica MIP riveste un ruolo fondamentale nel post-processing delle immagini TC, soprattutto in ambito vascolare, dato che in angiografia TC il lume vasale viene rappresentato grazie alla presenza di mezzo di contrasto radiopaco all’interno dei vasi sanguigni: ciò consente di ottenere ricostruzioni simil-angiografiche dei vasi, che possono essere ricostruiti in maniera panoramica su piani obliqui arbitrari (Fig. 6.8). Inoltre, a differenza di quanto accade con le semplici ricostruzioni MPR e CPR, con l’algoritmo MIP è possibile visualizzare il decorso di più vasi compresi all’interno dello slab, come ramificazioni vascolari o circoli collaterali. Un problema che si incontra frequentemente nella ricostruzione MIP di immagini angio-TC è rappresentato dalla sovrapposizione dello scheletro, che, avendo spesso densità simile a quella del mezzo di contrasto intravascolare, può ostacolare la visualizzazione delle strutture vascolari. Per questo motivo può essere necessario, per eliminare tale sovrapposizione, segmentare le strutture di interesse [5]: ciò può essere realizzato con tecnica sia manuale sia automatica, come spiegato più avanti. Per ottenere elaborazioni MIP affidabili dal punto di vista diagnostico, è importante selezionare uno spessore di slab adeguato. Infatti, tornando all’esempio delle ricostruzioni vascolari, la scelta di uno slab di spessore elevato consente una buona panoramicità della ricostruzione MIP, ma può comportare la sottostima del diametro di piccoli vasi o, in maniera equivalente, la sovrastima di stenosi a causa di effetti di volume parziale, soprattutto nel caso di immagini con basso SNR [7, 13-14]. Ciò è dovuto al fatto che il contrasto di un vaso parallelo al piano di visualizzazione varia al variare della distanza di tale piano
Fig. 6.7 Schema dell’algoritmo Maximum Intensity Projection (MIP)
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Fig. 6.8 Mediante la tecnica MIP è possibile ottenere una rappresentazione simil-angiografica delle arterie renali e delle loro diramazioni
dal centro della sezione del vaso secondo una funzione gaussiana, per la quale il contrasto ha un massimo (a sua volta proporzionale al diametro del vaso) in corrispondenza dell’asse centrale del lume e tende simmetricamente a zero man mano che ci si allontana da esso [10]. Per questa ragione, il rapporto contrasto-rumore (CNR) dei vasi rappresentati sulle immagini MIP diminuisce all’aumentare della densità dei tessuti di fondo e al diminuire del diametro del vaso di interesse: di conseguenza, per minimizzare l’inclusione nello slab di tessuti di fondo, può essere utile selezionare slab con ampiezza minore possibile (thin slab MIP). Questo spiega, per esempio, perché la tecnica thin slab MIP viene utilizzata per la visualizzazione di stenosi vascolari, per la rappresentazione di trombi vasali (che, essendo ipodensi rispetto al flusso ematico intravascolare – ricco di mezzo di contrasto radiopaco – verrebbero oscurati in elaborazioni MIP a strato spesso) e per la ricostruzione di dissezioni vascolari [4, 10] (Fig. 6.9). È inoltre possibile modificare il dataset, prima di applicare l’algoritmo MIP, per rimuovere strutture indesiderate (editing), sia tramite segmentazione manuale sulle immagini native e/o MPR, sia mediante tecniche di segmentazione semi-automatica o automatica basate su algoritmi di thresholding e/o di region growing [5, 10]. Tali algoritmi sono utili, per esempio, per rimuovere lo scheletro nella ricostruzione di esami angio-TC o, più in generale, per ridurre o eliminare la sovrapposizione di strutture non desiderate, come altri vasi o organi, dispositivi metallici ecc. [10] (Fig. 6.10). Il ricorso alle tecniche di editing può, tuttavia, essere dispendioso in termini di tempo e spesso richiede una notevole esperienza dell’operatore, soprattutto nei casi più complessi. Occorre comunque ricordare che un numero sempre maggiore di workstation e di applicativi software per l’image processing – sia commerciali sia open source – comprende funzioni per la ricostruzione e l’analisi automatica di determinate strutture anatomiche (quali colon, vie aeree o vasi; questi ultimi classificati, a loro volta, in base al territorio anatomico), che consentono di svolgere la maggior parte delle funzioni di segmentazione in maniera automatica, permettendo un notevole risparmio di tempo rispetto alle ricostruzioni manuali. Naturalmente, spetta all’operatore valutare la correttezza e l’affidabilità diagnostica delle
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a
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b
Fig. 6.9 Uso della tecnica thin slab MIP (a). Con quest’ultima è possibile rappresentare correttamente la trombosi subtotale della vena mesenterica superiore (freccia) estesa fino alla confluenza nell’asse spleno-portale; con l’algoritmo MIP a strato spesso (b), invece, tale reperto non è più visibile, in quanto i voxel ipodensi corrispondenti al trombo vengono mascherati da quelli relativi al mdc passante nel residuo lume pervio del vaso
Fig. 6.10 Ricostruzione MIP in cui sono state rimosse le strutture ossee. Notare come sull’immagine risaltino soltanto le strutture arteriose (la freccia indica la presenza di un esile ramo accessorio per il lobo epatico destro a origine dall’arteria mesenterica superiore, quale variante anatomica)
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elaborazioni effettuate automaticamente dal software e, eventualmente, rifiutarle o modificare i parametri di ricostruzione per conseguire risultati utili. Una variante della tecnica MIP è costituita dall’algoritmo minIP (Minimum Intensity Projection, proiezione di minima intensità); tale variante prevede che il principio del ray casting venga applicato a uno slab con spessore e inclinazione definiti dall’utente e, tra i voxel attraversati da ciascuna retta, venga selezionato quello con intensità minore. Come è facile intuire, questo tipo di elaborazione – che dal punto di vista logico è identico all’algoritmo MIP – è utile per la ricostruzione di strutture anatomiche ipodense, come quelle contenenti aria (per esempio, colon o vie aeree) (Fig. 6.11).
6.3 Rendering volumetrico (Volume Rendering, VR) Mentre l’algoritmo MIP prevede l’estrazione dei voxel di massima intensità tra quelli attraversati da un fascio di rette parallele, le tecniche VR sfruttano il principio del ray casting utilizzando l’intera informazione spaziale e di contrasto contenuta nel dataset e rappresentando sull’immagine risultante una media pesata dell’intensità di tutti i voxel distribuiti su ciascuna sezione dello slab. A ciascun voxel viene assegnato un valore di opacità, di trasparenza e di colore in funzione della sua intensità, della sua posizione e della direzione prospettica nella quale il volume di indagine viene osservato. Tale corrispondenza tra caratteristiche del dataset nativo e pixel dell’immagine VR viene definita sulla base di una funzione di trasferimento prestabilita, che associa i parametri
a
Fig. 6.11 In questo caso di cavitazione polmonare da polmonite stafilococcica (a), l’algoritmo minIP (b) consente di evidenziare la presenza di una comunicazione (fistola) di dimensioni millimetriche tra una struttura bronchiale e la cavitazione stessa (freccia)
b
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dell’immagine finale a quelli dei voxel delle immagini in ingresso componenti lo slab. L’utente contribuisce alla definizione della funzione di trasferimento scegliendo un colore e un valore di trasparenza e fissando almeno due soglie di valori densitometrici, corrispondenti rispettivamente alla minima e alla massima luminosità dei punti visualizzabili sull’immagine finale (Fig. 6.12). È possibile definire funzioni di trasferimento lineari (tali, cioè, che il rapporto tra l’intensità di due voxel sulle immagini native e quella dei corrispondenti pixel sulle immagini VR sia costante), oppure non lineari (per esempio, logaritmiche). L’operatore può, inoltre, definire funzioni di trasferimento personalizzate (come funzioni complesse con soglie multiple), allo scopo di esaltare o attenuare il contributo all’immagine VR finale di voxel aventi intensità comprese in un dato intervallo di valori densitometrici [4-5, 79, 13] (Fig. 6.13). In generale, gli algoritmi VR rivestono un ruolo importante per la visualizzazione panoramica di distretti anatomici complessi, in cui le altre metodiche di ricostruzione forniscono risultati inferiori o potenzialmente fuorvianti; inoltre, la natura tridimensionale delle immagini VR facilita la comunicazione tra radiologo e clinico (in particolare, gli specialisti di area chirurgica), in quanto porta a una rappresentazione 3D delle strutture di interesse, più facilmente assimilabile all’anatomia reale del paziente. Un’applicazione rilevante delle tecniche VR è costituita, per esempio, dalla ricostruzione di traumi complessi, nei quali è particolarmente importante ottenere una rappresentazione 3D dei segmenti ossei e del loro rapporto topografico con gli organi circostanti. Un’altra applicazione di rilievo si ha nella ricostruzione di distretti vascolari complessi, in cui la conservazione della profondità spaziale e la conseguente assenza di sovrapposizione con altre strutture iperdense (per esempio, scheletro oppure altri vasi), conseguente all’utilizzo dell’intero contenuto informativo del dataset VR, può costituire un vantaggio nei confronti delle elaborazioni MIP [4, 8] (Fig. 6.14). D’altra parte, gli algoritmi MIP possono fornire risultati superiori rispetto alle tecniche VR in casi in cui sia necessario rappresentare strutture iperdense di piccole dimensioni, come vasi ematici periferici, in quanto la selezione dei soli voxel di massima intensità consente una visione di tali oggetti continua e meglio distinta dai tessuti circostanti
Fig. 6.12 Rappresentazione grafica schematica dell’algoritmo VR (Volume Rendering)
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a
Fig. 6.13 Scegliendo soglie densitometriche e funzioni di trasferimento differenti, è possibile ottenere diverse rappresentazioni del volume di indagine. In questo esempio di paziente con ostruzione dell’aorta sottorenale e delle arterie iliache comuni: in (a) si ha una rappresentazione dei principali vasi arteriosi senza sostanziali sovrapposizioni dei tessuti molli (soglia superiore elevata, curva logaritmica inversa); in (b) vi è una maggiore evidenza dei circoli collaterali, ma anche dei tessuti molli (soglia superiore più bassa, curva logaritmica inversa); in (c), a scopo dimostrativo, è stata visualizzata la cute della parete addominale anteriore (soglia superiore ancora più bassa, curva lineare)
b
c
relativamente ipodensi, soprattutto nel caso di immagini con basso SNR e/o CNR [8]. Per converso, il fatto di dover scegliere tra diverse funzioni di trasferimento fa sì che gli algoritmi VR siano potenzialmente più operatore-dipendenti rispetto alle tecniche di ricostruzione bidimensionali (MIP e MPR/CPR). Inoltre, facendo uso dell’intera informazione contenuta nel dataset per ricostruire un’immagine 3D anziché 2D, le tecniche VR comportano un carico di lavoro assai più elevato – in termini di capacità di memoria e potenza di calcolo della CPU e dell’hardware grafico – rispetto alle tecniche di elaborazione 2D. Tuttavia, questo aspetto è oggi molto meno importante che in passato, grazie alla continua evoluzione delle workstation.
6 Tecniche di elaborazione delle immagini a
71 b
Fig. 6.14 Nella ricostruzione MIP (a) l’aneurisma dell’arteria splenica (asterisco) si sovrappone parzialmente ai rami di dicotomizzazione del vaso, mentre nella ricostruzione VR (b) questi ultimi e i loro rapporti con la sacca aneurismatica sono ben riconoscibili
6.4 Rappresentazione di superficie (Shaded Surface Display, SSD) Con l’algoritmo SSD l’utente fissa una soglia relativa alla minima intensità dei voxel da visualizzare nell’immagine finale, mentre i voxel con intensità inferiore alla soglia verranno scartati. L’immagine ricostruita sarà formata da superfici corrispondenti all’interfaccia tra i voxel con intensità superiore alla soglia e i voxel con intensità risultante nulla (ossia derivante da voxel inferiori alla soglia nelle immagini native), rappresentate simulandone l’illuminazione prospettica da parte di una sorgente luminosa puntiforme esterna in una direzione definita dall’utente. Il risultato di questo processo di elaborazione è una rappresentazione tridimensionale dei voxel con intensità superiore alla soglia stabilita [10] (Fig. 6.15). L’algoritmo SSD presenta il vantaggio di richiedere una potenza computazionale relativamente modesta, poiché soltanto una parte dei voxel del dataset originario viene utilizzata per generare l’immagine finale. Tuttavia, la natura binaria della metodica SSD costituisce spesso anche la sua principale debolezza, in quanto può essere difficile trovare una soglia adeguata per separare efficacemente le strutture di interesse da quelle non desiderate, con il rischio di introdurre distorsioni nelle ricostruzioni [5]. In particolare, la selezione di una soglia adeguata può essere particolarmente complicata nel caso di immagini con basso SNR e/o (qualora si tratti di indagini TC contrastografiche) con distribuzione disomogenea del mezzo di contrasto nei distretti di interesse. Per queste ragioni, la tecnica SSD è oggi poco impiegata ed è stata pressoché soppiantata dai più potenti e robusti algoritmi VR.
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Fig. 6.15 Ricostruzione SSD delle arterie degli arti inferiori previa rimozione delle strutture scheletriche, in paziente con ostruzione dell’arteria femorale superficiale destra e aneurisma della sinistra. Notare la sovrapposizione dei tessuti molli delle cosce, che in parte ostacola la riconoscibilità del tratto più prossimale dell’arteria femorale superficiale sinistra (freccia)
6.5 Endoscopia virtuale (Virtual Endoscopy, VE) Applicando gli algoritmi SSD o VR per visualizzare strutture canalicolari o cavità da una prospettiva intraluminale anziché esterna, è possibile ottenere ricostruzioni simil-endoscopiche. Le tecniche VE basate sull’algoritmo SSD richiedono la definizione di una soglia di intensità e generano superfici formate dalle interfacce tra i voxel a densità più bassa e quelli a densità più alta, separando quindi i voxel intraluminali da quelli extraluminali. Per esempio, nel caso dell’angiografia TC i voxel intraluminali saranno quelli a densità più alta (in quanto corrispondenti a elevate concentrazioni di mezzo di contrasto radiopaco intraluminale), mentre quelli extraluminali avranno densità inferiore alla soglia; l’inverso accadrà, per esempio, nella ricostruzione VE di cavità a contenuto aereo, come l’albero tracheo-bronchiale o il colon, in cui il compartimento intraluminale ha densità inferiore rispetto a quello extraluminale. Tuttavia, tali tecniche condividono gli stessi svantaggi degli algoritmi SSD esoscopici: infatti, la scelta di una soglia troppo bassa può comportare l’inclusione nell’immagine SSD di voxel estranei all’oggetto di interesse, che appaiono
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sotto forma di “oggetti volanti” (floating objects), oppure, nel caso della ricostruzione di strutture vascolari, possono condurre alla sottostima del diametro di osti vasali o – in maniera equivalente – alla sovrastima di stenosi luminali. D’altra parte, l’esclusione di voxel appartenenti a oggetti di interesse, come conseguenza della scelta di una soglia troppo elevata, causa fenomeni di erosione delle superfici nelle elaborazioni SSD, fino alla comparsa di veri e propri “buchi” (Fig. 6.16). Le tecniche VE basate su algoritmi VR sono più robuste e richiedono, analogamente alla regolazione delle finestre di visualizzazione, l’inserimento di un valore centrale (window level) e di un intervallo di densità (window width), corrispondenti allo spettro delle densità che verranno visualizzate con differenti opacità sulle viste VE. Indipendentemente dal tipo di algoritmo VE utilizzato, basato su tecniche SSD o VR, la scelta corretta dei parametri sopra menzionati è cruciale per ottenere una buona separazione tra voxel intra- ed extraluminali, evitando artefatti di erosione o di dilatazione
a
c
b
Fig. 6.16 Ricostruzione VE con algoritmo SSD dell’atrio sinistro in paziente candidato ad ablazione percutanea di fibrillazione atriale. a Utilizzando una soglia di 195 HU (ellisse nero in alto a sinistra) si ha una corretta rappresentazione degli osti delle vene polmonari. b Impiegando una soglia più bassa (15 HU) compaiono artefatti da erosione (asterischi) che compromettono la definizione dei profili delle pareti atriali e degli osti venosi, mentre con una soglia più alta (496 HU) (c) si osservano floating objects che in parte mascherano gli osti venosi (asterischi)
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delle superfici (che si verificano, rispettivamente, quando la soglia di densità inferiore è troppo alta o troppo bassa rispetto all’intensità dei voxel intraluminali). Le ricostruzioni VE trovano applicazione nella valutazione di varianti anatomiche dell’albero vascolare [5, 15], come diramazioni vascolari precoci, oppure per la dimostrazione dei rapporti tra eventuali lesioni polipoidi e le pareti all’interno di cavità o visceri a contenuto aereo. Sulle ricostruzioni VE è inoltre possibile effettuare misure geometriche (come distanze o aree), che sarebbero impossibili con tecniche di ricostruzione non endoscopiche. Va comunque sottolineato che l’affidabilità di tali misurazioni dipende in maniera significativa dalla scelta delle soglie per la visualizzazione VE, che dipende a sua volta dall’operatore e riflette la qualità del dataset originale. In questo senso, è importante che la densità degli oggetti in esame sia il più possibile omogenea e con un’elevata differenza di densità rispetto ai tessuti circostanti, in modo da offrire una rappresentazione fedele della struttura parietale.
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Parametri di scansione e artefatti in TC
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R. Lazzarini, F. Paolicchi, L. Faggioni
Indice dei contenuti 7.1 7.2 7.3 7.4
Parametri di acquisizione Parametri di ricostruzione Parametri di visualizzazione Principali artefatti delle immagini TC Bibliografia
Come in tutti i sistemi di imaging medicale che utilizzano radiazioni ionizzanti, lo scopo dell’operatore che esegue una scansione TC è massimizzare la qualità delle immagini riducendo il più possibile la dose assorbita dal paziente, ovvero raggiungere il miglior equilibrio tra qualità delle immagini necessaria per un dato quesito diagnostico e dose radiante. Per raggiungere tale obiettivo si può agire sul processo di scansione modulando opportunamente una serie di parametri, che si possono classificare a seconda delle fasi della scansione in cui essi intervengono (acquisizione, elaborazione e visualizzazione, come anticipato nel Capitolo 3); molti di questi parametri sono peraltro stati in parte introdotti nei precedenti capitoli.
7.1 Parametri di acquisizione 7.1.1 Scanogramma Il primo passo per pianificare un’acquisizione TC consiste nell’eseguire una particolare scansione, detta scanogramma (o scout view), che produce un’immagine simile a una radiografia tradizionale (Fig. 7.1). Per realizzare tale scansione, il complesso tubo-detettori rimane in una posizione fissa all’interno del gantry, mentre il lettino porta-paziente scorre attraverso il gantry. Teoricamente il tubo potrebbe essere posizionato a un’angolazione Elementi di tomografia computerizzata, Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Emanuele Neri (a cura di) © Springer-Verlag Italia 2010
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a
Fig. 7.1 Esempio di scanogramma TC con proiezione antero-posteriore (a) e latero-laterale (b)
b
qualsiasi ma, tipicamente, è posto a 0° (sopra il paziente: vista antero-posteriore), a 90° (lateralmente al paziente: vista laterale) o a 180° (sotto il paziente: vista postero-anteriore). In genere, sulla vista antero-posteriore o postero-anteriore l’operatore definisce lo spessore delle sezioni e l’estensione del volume da acquisire; sulla vista laterale è invece possibile impostare l’eventuale inclinazione del gantry (tilt), che può, per esempio, risultare utile per lo studio della colonna vertebrale o dell’encefalo. Nei moderni scanner TC lo scout antero-posteriore e quello laterale sono utilizzati per modulare la dose durante la successiva acquisizione; le due proiezioni sono infatti impiegate per stimare lo spessore del paziente in modo da variare opportunamente il valore della corrente anodica durante la scansione. Le tecniche di modulazione della dose sono descritte in dettaglio nel Capitolo 9.
7.1.2 Modalità di scansione L’acquisizione delle immagini può avvenire con diverse modalità a seconda del tipo di distretto anatomico che deve essere studiato e del protocollo di esame che si vuole utilizzare [1, 2]. Nella tecnica sequenziale, che ha rappresentato per oltre due decenni l’unica tecnica di esecuzione utilizzabile, l’acquisizione dei dati e il movimento del lettino si
7 Parametri di scansione e artefatti in TC
alternano: dopo la scansione di uno strato, il paziente viene trasportato dal movimento del lettino in un’altra posizione a una distanza definita (bed index), normalmente pari allo spessore della fetta acquisita; a questo punto si effettua una nuova scansione e la procedura si ripete per un numero di volte pari al numero di strati che si vogliono acquisire. Durante la scansione la posizione del lettino è determinata in base al valore dell’intervallo di ricostruzione (spacing) e dalla configurazione dei detettori utilizzata. Nella modalità volumetrica, invece, l’acquisizione dei dati avviene contemporaneamente al movimento del lettino. Considerando un sistema di riferimento solidale al lettino porta-paziente, il fascio radiante descrive una traiettoria elicoidale. Il principale vantaggio di questo tipo di acquisizione, rispetto alla modalità sequenziale, è la maggiore velocità con cui avviene la scansione. Tuttavia, lo spostamento del lettino durante l’acquisizione fa sì che per ogni strato si abbia un numero di viste inferiori rispetto alla tecnica sequenziale, con conseguente necessità di “interpolare” i dati mancanti. Con i moderni apparecchi TC, anche se la modalità d’acquisizione più utilizzata è quella elicoidale (sia per la rapidità della scansione sia per la possibilità di ottenere un unico dataset volumetrico), l’elevato numero di file di detettori permette, con una singola rotazione del tubo radiogeno, di acquisire un volume talmente ampio da far rivalutare, in alcuni casi, l’utilizzo della modalità sequenziale [3]. D’altra parte, nella modalità quick scan (scansione rapida) si effettua un’acquisizione sequenziale o elicoidale a bassa dose, che produce immagini scarsamente diagnostiche, ma con un dettaglio anatomico che, per certi scopi, può risultare sufficiente. Per esempio, può essere utilizzata al posto dello scout per definire meglio la regione che successivamente verrà acquisita o per eseguire scansioni di singole immagini al fine di valutarne la qualità prima di eseguire la scansione dell’intero distretto in esame. Nel caso in cui si utilizzino rotazioni incomplete del tubo radiogeno si parla, più propriamente, di partial scan (scansione parziale). Nella modalità dinamica (cine o dynamic scan), infine, il lettino rimane fermo mentre il tubo radiogeno effettua una serie di rotazioni complete; in tal modo è possibile visualizzare la medesima regione in tempi diversi, consentendo per esempio la misura continua dell’enhancement contrastografico nel tempo. Questo tipo di acquisizione può essere utilizzata per realizzare il bolus test o il bolus tracking prima di eseguire esami contrastografici (come l’angio-TC), studi TC di perfusione e la fluoroscopia TC (quest’ultima, per esempio, in procedure bioptiche TC-guidate).
7.1.3 Scan Field of View (SFOV) Lo SFOV è la regione circolare del piano xy con origine all’isocentro del gantry che viene acquisita dallo scanner (Fig. 7.2) e determina il diametro massimo della circonferenza sottoposta a scansione. Lo SFOV deve essere sempre più grande della circonferenza del paziente, indipendentemente dalle dimensioni della regione anatomica sottoposta a imaging. Un qualsiasi oggetto – o parte di esso – posizionato esternamente allo SFOV ma all’interno dell’apertura del gantry, oltre a non poter essere ricostruito, può causare artefatti nell’immagine (out-of-field artifact), in quanto determina una parziale attenuazione del fascio X, comportando errori durante la fase di ricostruzione delle immagini. L’operatore deve quindi aver cura di posizionare il paziente in modo che sia interamente compreso nello SFOV; nella maggior parte dei casi, questa condizione è soddisfatta ponendo
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Fig. 7.2 Rappresentazione grafica del campo di vista di acquisizione (SFOV) e di ricostruzione (DFOV) di uno scanner TC
il paziente all’isocentro del gantry. Tale accorgimento consente, inoltre, di migliorare la qualità dell’immagine e diminuire la dose; quest’ultimo aspetto assume particolare importanza negli scanner che utilizzano tecniche di modulazione automatica della dose, le quali assumono che il paziente sia posizionato al centro del gantry [4, 5].
7.1.4 Tempo di rotazione del tubo (gantry rotation time) Il tempo di rotazione corrisponde al tempo necessario affinché il complesso tubo-detettori effettui un’intera rotazione intorno al paziente. La riduzione del tempo di rotazione consente di effettuare acquisizioni più veloci e questo, in generale, comporta una serie di vantaggi, il più importante dei quali è la possibilità di evitare artefatti da movimento [6, 7]. I moderni tomografi multistrato hanno tempi di rotazione completa (360°) inferiori a 300 msec: ne consegue che i componenti che ruotano all’interno del gantry sono sottoposti ad accelerazioni centrifughe molto elevate (oltre 30 g), che rappresentano un limite meccanico difficilmente superabile con la tecnologia attuale. Perciò, per aumentare ulteriormente la velocità di acquisizione, e quindi anche la risoluzione temporale, si possono usare scanner con due tubi radiogeni (Dual Source CT, DSCT, descritti nel Capitolo 8; attualmente sono addirittura in fase di sperimentazione scanner con più di due tubi) oppure tecniche di half scan: in quest’ultimo caso, tuttavia, si avrà – come intuibile – un peggioramento della qualità delle immagini rispetto all’acquisizione con un’intera rotazione del complesso tubo-detettori (full scan).
7.1.5 Tensione del tubo (kV) Il valore di questo parametro rappresenta la differenza di potenziale (espressa in kV), tra anodo e catodo del tubo radiogeno, che accelera gli elettroni prodotti dal filamento riscaldato verso l’anodo. L’interazione tra elettroni e anodo produce il fascio radiante X,
7 Parametri di scansione e artefatti in TC
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che possiede un’energia variabile con continuità tra zero e il picco di voltaggio del tubo radiogeno (kVp). Com’è noto, se possiedono energia inferiore a un dato valore, i fotoni X vengono prevalentemente assorbiti dalla cute e dai tessuti molli superficiali: di conseguenza, pur contribuendo ad aumentare la dose radiante erogata, essi non partecipano alla formazione dell’immagine. Per questo motivo, tra paziente e tubo radiogeno viene posto un filtro che elimina tali fotoni dal fascio radiante, determinando un aumento dell’energia media di quest’ultimo (con i valori di voltaggio utilizzati solitamente in TC, l’energia media dei raggi X prodotti varia tra 1/2 e 1/3 della tensione di picco). Tale processo prende il nome di “indurimento del fascio” (beam hardening), a indicare la rimozione delle componenti a bassa energia (“molli”) del fascio al fine di ottenere livelli energetici medi elevati. Solitamente la scelta del valore di kV da utilizzare si basa sulle dimensioni del paziente: maggiore è il diametro del paziente, più alto è il voltaggio necessario per garantirne un’adeguata penetrazione da parte dei raggi X. Il voltaggio utilizzato in uno scanner TC varia tipicamente tra 100 e 140 kV e il valore generalmente più usato nei pazienti adulti è di 120 kV. Nel caso di pazienti di piccola taglia o pediatrici, i valori normalmente utilizzati sono compresi tra 80 e 100 kV, in quanto determinano sia una minor dose radiante sia un miglioramento del contrasto dell’immagine [8]. Tensioni anodiche maggiori comportano un incremento del SNR associato a una riduzione della risoluzione di contrasto, e viceversa, come spiegato nel Capitolo 5.
7.1.6 Corrente del tubo radiogeno (mA) La corrente del tubo radiogeno, misurata in milliampere (mA), regola la quantità di fotoni X che attraversa il paziente nell’unità di tempo: di conseguenza, per un incremento del valore di mA si ha una riduzione del rumore e un aumento della risoluzione di contrasto dell’immagine. Alcuni costruttori esprimono, anziché il valore della corrente anodica, il prodotto della corrente per il tempo di rotazione del complesso tubo-detettori (in milliampere-secondo, mAs). Nel caso di acquisizione in modalità volumetrica, poi, alcuni produttori hanno introdotto il concetto di mAs effettivi, definito come il rapporto tra il valore di mAs e il pitch. Come illustrato nella Tabella 7.1, mantenendo costante il valore di mAs e aumentando il pitch, il rumore dell’immagine aumenta. Come già detto, i tomografi
Tabella 7.1 Esempio della relazione tra pitch, mAs effettivi e dose espressa in CTDIvol
Pitch
mAs per rotazione
mAs effettivi
CTDIvol
mAs costanti Assiale 0,5 1,0 1,5
100 100 100 100
100 200 100 67
1,9 2,0 1,0 0,67
mAs costanti Assiale 0,5 1,0 1,5
100 50 100 150
100 100 100 100
1,0 1,0 1,0 1,0
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attualmente in commercio possiedono dispositivi di regolazione automatica della corrente anodica, in grado di adattare i mA erogati al variare dell’attenuazione dei tessuti esaminati.
7.1.7 Collimazione del fascio La collimazione del fascio nominale è misurata all’isocentro del gantry nella direzione in cui si muove il lettino (asse z) e corrisponde al prodotto del numero dei canali DAS per lo spessore di ciascuno di questi (Fig. 7.3). Negli scanner reali, tuttavia, l’ampiezza del fascio X è lievemente maggiore: infatti, lungo la direzione z la periferia del fascio X ha una “qualità inferiore” perché costituita dalla penombra generata dalla dimensione non nulla della macchia focale e dai collimatori posti all’uscita del tubo radiogeno. Per questo motivo, la collimazione viene scelta in modo che la penombra cada esternamente alla prima e all’ultima fila di detettori utilizzati durante l’acquisizione, determinando uno spreco di dose necessario per illuminare adeguatamente le file di detettori più periferiche (vedi Capitolo 4). Si può dimostrare che la grandezza della penombra è sostanzialmente indipendente dall’ampiezza del fascio radiante e quindi, quanto maggiore è quest’ultima, tanto minore è la percentuale di dose inutilizzata: con gli attuali scanner TCMS, che utilizzano molte file di detettori (64 e oltre), l’aumento di dose dovuto al fenomeno della penombra è poco significativo ed è ampiamente compensato da altri fattori che negli apparecchi TCMS consentono un risparmio di dose [9].
7.1.8 Pitch Come spiegato nei Capitoli 3 e 4, il concetto di pitch è stato introdotto con la modalità di acquisizione elicoidale nelle TC a singolo strato ed è stato successivamente esteso agli
Fig. 7.3 Ampiezza e collimazione del fascio di raggi X in un’acquisizione con 4 canali di detezione: si osserva come la penombra cada al di fuori dei detettori attivi
7 Parametri di scansione e artefatti in TC
81
a
b
Fig. 7.4 Rappresentazione grafica di una scansione a basso (a) e ad alto (b) valore del pitch
scanner TCMS (pitch del fascio o beam pitch), secondo la definizione proposta nel 1999 dalla International Electrotechnical Commission (IEC) pb =
vt Σi di
dove pb è il beam pitch, Σ i d i è la somma delle ampiezze di tutti i detettori lungo l’asse z (ossia la collimazione del fascio), v la velocità di avanzamento del lettino porta-paziente e t il tempo di rotazione del complesso tubo-detettori. Il pitch svolge un ruolo importante nel determinare il valore della dose assorbita dal paziente, la qualità dell’immagine e la velocità di acquisizione. Infatti – come anticipato nei precedenti capitoli – a parità di tutti gli altri parametri, all’aumentare del pitch sia la dose sia la qualità dell’immagine diminuiscono, mentre la velocità di acquisizione aumenta (Fig. 7.4). In particolare, dalla definizione di pitch segue che, se il pitch è uguale a uno, in una scansione il numero medio delle proiezioni (o viste) acquisite è uguale a quelle che si otterrebbero con una scansione effettuata in modalità sequenziale. Se invece il pitch è inferiore a uno, si ha un numero maggiore di viste rispetto alla situazione precedente, con un conseguente aumento di dose e un miglioramento della qualità dell’immagine dovuto a una maggiore densità di campionamento dei dati spirali. Viceversa, per valori di pitch maggiori di uno, il numero di proiezioni raccolte dallo scanner sarà inferiore rispetto ai due casi precedenti, determinando quindi un risparmio di dose e una diminuzione della qualità dell’immagine.
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Il valore del pitch è in genere fissato per la durata dell’intera scansione; con gli attuali scanner TCMS, tuttavia, è possibile una sua modulazione automatica in funzione dell’anatomia e di altri fattori relativi al paziente (come la frequenza cardiaca in esami cardio-TC). In questa situazione si parla di pitch variabile o dinamico: con tale opzione il pitch varia automaticamente durante la scansione, producendo un miglioramento in termini sia di dose assorbita sia di qualità dell’immagine [10].
7.2 Parametri di ricostruzione 7.2.1 Spessore di strato (slice width o slice thickness) Lo spessore di strato rappresenta la dimensione delle sezioni (slice) una volta che queste sono state ricostruite. Negli scanner TCMS è possibile ricostruire immagini assiali con uno spessore maggiore o uguale a quello del canale DAS, mentre non è ovviamente possibile ricostruire immagini con spessore inferiore a quello del singolo canale. Come già visto, questo parametro influenza direttamente la risoluzione spaziale e la risoluzione di contrasto: in particolare, all’aumentare dello spessore il contrasto aumenta, mentre la risoluzione spaziale longitudinale diminuisce. Oggi si tende ad acquisire dati con una configurazione dei detettori tale da ottenere slice con la collimazione di detettore più sottile possibile, per poi ricostruire le immagini assiali con spessori maggiori; ciò consente di ottenere voxel isotropici, con la possibilità di effettuare ricostruzioni 2D e 3D di elevata qualità e, allo stesso tempo, limitare il numero complessivo delle immagini assiali per un’analisi preliminare da parte del radiologo e per l’archiviazione o la stampa. 7.2.2 Display Field of View (DFOV) Il DFOV è la regione circolare del piano xy che si intende visualizzare con l’algoritmo di ricostruzione. Tale regione deve essere ovviamente compresa nello SFOV, per cui avrà diametro uguale o inferiore rispetto a quest’ultimo (Fig. 7.2). Come spiegato nel Capitolo 5, riducendo il diametro del DFOV diminuisce la dimensione del pixel, con un conseguente aumento della risoluzione spaziale trasversale delle immagini assiali. Per questo motivo, in generale il DFOV viene scelto in modo da essere sufficiente (ma non molto più grande) per contenere la regione anatomica di interesse. Va comunque osservato che la riduzione del pixel comporta una perdita del SNR su ogni pixel, con una conseguente perdita della risoluzione di contrasto. Si definisce, infine, fattore di ingrandimento (zoom) il rapporto tra il diametro dello SFOV e quello del DFOV utilizzati. 7.2.3 Algoritmo di ricostruzione Gli algoritmi di ricostruzione si differenziano in relazione alle caratteristiche di risoluzione spaziale e di contrasto delle immagini che essi determinano. Questi due aspetti inerenti la qualità delle immagini sono, in generale, in opposizione tra loro: se si vuole esaltare la risoluzione di contrasto si ha una perdita di quella spaziale, e viceversa. Ciò si verifica
7 Parametri di scansione e artefatti in TC
a
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b
c
Fig. 7.5 Immagine assiale TC ricostruita con diversi algoritmi: standard (a), edge enhancement (b) e smoothing (c)
perché nella retroproiezione filtrata le basse frequenze spaziali codificano l’informazione relativa alla risoluzione di contrasto dell’immagine, mentre le alte frequenze contengono quella relativa ai contorni degli oggetti e, quindi, alla risoluzione spaziale. Pertanto, gli algoritmi di ricostruzione possono essere classificati in due famiglie principali: – algoritmi di smoothing, che migliorano la risoluzione di contrasto; – algoritmi di edge enhancement, che migliorano la risoluzione spaziale. La scelta dell’algoritmo da utilizzare dipende da quale tipo di visualizzazione risulta più adatta per l’interpretazione delle immagini (Fig. 7.5) [11]: per esempio, per evidenziare elementi che hanno poco contrasto rispetto allo sfondo si utilizzano algoritmi di smoothing, mentre per esaltare i contorni di strutture anatomiche si scelgono algoritmi di edge enhancement. Gli algoritmi di ricostruzione possono avere denominazioni diverse a seconda del produttore di scanner TC: tra i nomi più comunemente utilizzati ricordiamo gli algoritmi bone (edge enhancement), detail (edge enhancement), edge (edge enhancement), standard (smoothing), soft tissue (smoothing).
7.2.4 Intervallo di ricostruzione L’intervallo di ricostruzione (detto anche incremento di ricostruzione, indice di ricostruzione o spacing) è la distanza, lungo la direzione z, tra il centro di due slice consecutive. In altri termini, la differenza tra l’intervallo di ricostruzione e lo spessore di strato rappresenta lo spazio tra due immagini assiali adiacenti e ne determina il grado di sovrapposizione lungo l’asse z. Si possono quindi distinguere tre casi: 1. la differenza è minore di zero (lo spacing è minore dello spessore di strato): le immagini ricostruite sono parzialmente sovrapposte (overlap); 2. la differenza è uguale a zero (lo spacing è uguale allo spessore di strato): le immagini sono contigue; 3. la differenza è maggiore di zero (lo spacing è maggiore dello spessore di strato): le immagini sono distanziate l’una dall’altra di un valore esattamente corrispondente alla differenza tra lo spacing e lo spessore di strato.
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Riducendo l’intervallo di ricostruzione si riduce l’effetto di volume parziale e si ottiene anche un miglioramento delle ricostruzioni tridimensionali; per contro, viene prodotto un elevato numero di immagini, che può allungare i tempi di refertazione e aumentare lo spazio necessario per l’archiviazione delle immagini. Per ottenere buone ricostruzioni tridimensionali è in genere sufficiente un overlap del 30-50% dello spessore di strato (per esempio, 1 mm di spessore di strato con intervallo di ricostruzione di 0,7 mm). Esistono, comunque, particolari protocolli in cui si utilizza un overlap maggiore dello spessore di strato, come la HRCT (High Resolution Computed Tomography) polmonare; tuttavia, con l’avvento degli apparecchi TCMS più moderni si tende, anche in questo caso, a preferire un’acquisizione spirale con strati molto sottili, che permette una valutazione sia della patologia interstiziale sia di eventuali nodularità di possibile interesse oncologico. È importante notare che, nella modalità volumetrica, l’intervallo di ricostruzione è un parametro che influenza solo la fase di ricostruzione, per cui di per sé non ha effetti sulla dose assorbita dal paziente né sulla velocità di scansione. In modalità sequenziale, invece, l’intervallo di ricostruzione è anche un parametro di acquisizione (poiché definisce l’avanzamento del lettino porta-paziente lungo l’asse longitudinale) e un suo incremento comporta, come intuibile, una diminuzione sia della dose sia del tempo di acquisizione.
7.3 Parametri di visualizzazione Per quanto riguarda la fase di visualizzazione, possono essere effettuate elaborazioni diverse a seconda del costruttore (misurazione di distanze e di densità, ricostruzioni multiplanari ecc). In questo capitolo viene esaminata solo la funzione window/level (finestra di visualizzazione), sicuramente disponibile in qualsiasi scanner TC. Com’è noto, in fase di visualizzazione, le immagini digitali possono essere facilmente elaborate variandone il contrasto modificando la finestra di visualizzazione. Come si è
a
b
c
Fig. 7.6 Immagine assiale TC con tre diverse finestre di visualizzazione: per tessuti molli (a), per parenchima polmonare (b) e per osso (c)
7 Parametri di scansione e artefatti in TC
detto nei precedenti capitoli, è necessario che l’operatore stabilisca il valore (in unità Hounsfield) di due parametri: il livello (WL) e l’ampiezza (WW) della finestra. In generale, per una corretta visualizzazione il livello WL selezionato è il più vicino possibile al numero TC del tessuto di interesse, mentre l’ampiezza WW della finestra dovrebbe essere sufficientemente grande da comprendere tutti i valori TC degli altri tessuti che comunque si desidera visualizzare. La funzione window/level consente di modulare il contrasto dell’immagine: diminuendo l’ampiezza della finestra aumenta il contrasto, anche se una finestra eccessivamente “stretta” può determinare un aumento del rumore. Oltre alla possibilità di variare manualmente sia il livello sia l’ampiezza della finestra, i costruttori forniscono diverse “finestre predefinite”, ognuna delle quali consente una visualizzazione più appropriata della regione anatomica in esame, in maniera rapida e riproducibile (Fig. 7.6).
7.4 Principali artefatti delle immagini TC In generale, un artefatto presente in un’immagine TC riflette una discrepanza tra i valori dei coefficienti di attenuazione calcolati e quelli reali dell’oggetto esaminato. Un artefatto, quindi, conduce a immagini con erronee rappresentazioni dell’anatomia del paziente che, se non riconosciute, possono determinare errori nella diagnosi. La conoscenza delle cause che determinano la comparsa di artefatti è dunque fondamentale per cercare di prevenirli o eliminarli [1, 12]. Gli artefatti sono solitamente classificati secondo due criteri: l’aspetto con cui si presentano nelle immagini e la causa che li ha generati.
7.4.1 Classificazione degli artefatti in base all’aspetto 7.4.1.1 Ring artifact (artefatti ad anello) Questi artefatti appaiono come anelli (ring) sovrapposti all’immagine TC e sono presenti soprattutto negli scanner di terza generazione. Gli anelli possono essere completi o parziali: i primi sono facili da identificare e sono spesso causati da un malfunzionamento di uno o più detettori e da errori nel processo di calibrazione. Gli anelli parziali (archi), specialmente se di piccole dimensioni, sono invece più difficili da individuare e, potendo mimare strutture di tessuto, possono interferire nella diagnosi (Fig. 7.7a). 7.4.1.2 Streaking artifact Sono osservabili come strie strette e intense (iper- e ipodense), che attraversano l’immagine TC [13]. In alcuni casi questo artefatto può condurre a errori diagnostici, in quanto può mimare alcuni reperti (come piccoli emboli nel circolo arterioso polmonare o lembi di dissezione intimale); inoltre, una sua presenza eccessiva può degradare l’immagine fino a renderla illeggibile (Fig. 7.7b). 7.4.1.3 Shading artifact Questo tipo di artefatto appare spesso come una zona “d’ombra” o iperdensa vicino a oggetti con elevato contrasto rispetto allo sfondo; può comparire, per esempio, nei tessuti
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molli vicini a strutture ossee o a raccolte d’aria. Gli shading artifact non sono facili da identificare e possono condurre a errori di interpretazione (Fig. 7.7c).
7.4.2 Classificazione degli artefatti in base alla causa 7.4.2.1 Partial volume averaging e partial volume artifact Com’è noto, ogni numero TC viene calcolato in base al valore del coefficiente di attenuazione lineare del corrispondente voxel. Se un voxel contiene più tessuti “simili”, a ciascuno dei quali corrispondono numeri TC “vicini”, il numero TC del voxel sarà dato dalla media dei valori relativi ai diversi tessuti; questo fenomeno è noto come partial volume averaging. Quando però un voxel contiene tessuti con densità molto diversa (per esempio, ossa e tessuto molle), l’effetto di partial volume averaging può condurre al partial volume artifact. Tale artefatto risulta solitamente più accentuato in concomitanza con streaking artifact e può essere ridotto utilizzando spessori di strato sottili e specifici algoritmi di ricostruzione (Fig. 7.8) [13]. 7.4.2.2 Artefatti da indurimento del fascio (beam-hardening artifact) Nell’attraversare il paziente, il fascio X aumenta la propria energia media, poiché i fotoni con bassa energia vengono assorbiti dai tessuti corporei in misura maggiore rispetto a quelli ad alta energia. Il fascio emergente, rilevato dai detettori, ha dunque un’energia media maggiore di quello entrante nel paziente. Tale fenomeno è detto “indurimento del fascio” (beam hardening) e dipende principalmente dallo spessore dell’oggetto esaminato e dalla sua composizione: esso aumenta all’aumentare dello spessore o della densità. Se si esegue una scansione di un fantoccio omogeneo di forma sferica, l’indurimento del fascio è più marcato al centro del fantoccio, poiché i fotoni X alla periferia del fascio attraversano uno spessore corporeo minore. Il risultato di questo fenomeno è un immagine che risulta più scura nella parte centrale (cup artifact). L’indurimento del fascio può inoltre comportare artefatti che si presentano come sottili bande ipodense tra strutture ad alta densità (come le rocche petrose). Ciò è dovuto al fatto che i raggi appartenenti alle viste, provenendo da angolazioni diverse, subiscono un indurimento differente, introducendo distorsioni nell’algoritmo di ricostruzione. Gli artefatti da beam hardening possono essere ridotti con particolari algoritmi e utilizzando un’opportuna filtrazione del fascio radiante [14] (flat filters) (Fig. 7.9). 7.4.2.3 Scatter artifact I fotoni X interagiscono con i tessuti del paziente in modi diversi: possono essere assorbiti totalmente (effetto fotoelettrico), assorbiti in parte con emissione di un fotone secondario a minore energia (scattering o effetto Compton) o attraversare il paziente mantenendo la propria traiettoria. Lo scattering è tra le principali cause della degradazione della qualità delle immagini nei sistemi di imaging che utilizzano raggi X: in radiologia tradizionale esso determina una riduzione del contrasto, mentre nelle immagini TC comporta la comparsa di artefatti rappresentati da bande ipodense [15, 16]. Tale degradazione dell’immagine è tanto più importante quanto maggiore è la percentuale dei fotoni X deviati rispetto a quelli non deviati (radiazione primaria). È per questo motivo che il modo più efficace per ridurre lo scattering consiste nel porre collimatori davanti ai detettori, così da impedire ai fotoni deviati di raggiungere il rilevatore.
7 Parametri di scansione e artefatti in TC a
c
a
87 b
Fig. 7.7 Esempi di artefatti classificati in base all’aspetto (frecce): ring (a), streaking (b) e shading (c)
b
Fig. 7.8 Esempio di artefatto da volume parziale (frecce): immagine con spessore di 5 mm (a), retroricostruzione con spessore di 1,25 mm (b)
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Fig. 7.9 Esempio di artefatto da indurimento del fascio, osservabile come bande ipodense tra le rocche petrose (frecce)
Mentre negli scanner a singolo strato il rapporto tra scattering e fascio primario è pari al 5% circa, negli attuali scanner TCMS può raggiungere anche il 50%. Questa differenza è dovuta al fatto che negli strumenti attuali i detettori hanno dimensioni sempre più piccole e il fascio radiante si estende maggiormente lungo la direzione z, interessando quindi un maggior volume del paziente. Nei tomografi TCMS si sta quindi considerando la possibilità di utilizzare collimatori a due dimensioni, cioè sia nella direzione assiale sia in quella longitudinale (simili a una griglia), anche se questo potrebbe condurre a una minore efficienza di rilevazione. Un’altra soluzione in fase di sperimentazione è l’utilizzo di detettori in grado di discriminare i fotoni di scattering da quelli appartenenti al fascio primario. Attualmente gli artefatti dovuti allo scattering possono essere attenuati utilizzando particolari algoritmi che correggono i dati acquisiti in base a una stima della radiazione di scattering. 7.4.2.4 Aliasing artifact Come abbiamo visto riguardo alla risoluzione spaziale, il numero di raggi che compone una vista determina la frequenza di campionamento con cui vengono acquisite le immagini. In base ai principi della teoria dei segnali, il teorema di Nyquist impone che tale frequenza sia almeno il doppio della più alta frequenza spaziale contenuta nell’oggetto da acquisire. Se tale condizione non è soddisfatta, si verifica l’aliasing, un fenomeno che determina la comparsa di streaking artifact nell’immagine. Oltre che a un’inadeguata frequenza di campionamento, l’aliasing è causato anche da un numero insufficiente di viste che, come già osservato, comporta una riduzione della risoluzione spaziale soprattutto alla periferia dell’immagine. Per ridurre questo tipo di artefatto è dunque necessario aumentare la frequenza di campionamento o il numero di
7 Parametri di scansione e artefatti in TC
viste; qualora ciò non fosse possibile o sufficiente, il fenomeno dell’aliasing può essere ridotto applicando algoritmi di smoothing, che – com’è noto – agiscono come filtri passabasso nei confronti del contenuto spettrale dei dati TC [17]. 7.4.2.5 Photon starvation artifact Questo tipo di artefatto è dovuto a un insufficiente numero di fotoni X rilevati dai detettori. Tale condizione determina un aumento del rumore, che si traduce nella comparsa di streaking artifact nell’immagine. Ciò può accadere per diversi motivi: insufficienti valori di corrente e di tensione del tubo, errato posizionamento del paziente, tempo di rotazione del tubo troppo basso, limiti fisici dello scanner. Per ridurre tale artefatto è dunque necessario che l’operatore utilizzi un’esposizione adeguata all’anatomia del paziente e realizzi un corretto posizionamento di quest’ultimo. Gli attuali scanner TC, inoltre, offrono diversi strumenti che possono essere utili per ridurre o evitare questo tipo di artefatti, tra i quali ricordiamo: – particolari algoritmi di smoothing adattivi, che consentono di limitare gli streaking artifact senza un’eccessiva perdita di risoluzione spaziale; – modulazione automatica della corrente del tubo che, adattandosi all’anatomia del paziente, consente di aumentare l’intensità del fascio solo dove necessario. 7.4.2.6 Artefatti dovuti al movimento del paziente (motion artifact) Il movimento del paziente può essere volontario o meno. I movimenti volontari sono controllabili dal paziente e sono, per esempio, quelli relativi alla deglutizione o alla respirazione. Quelli involontari, come il battito cardiaco, non sono ovviamente sotto il diretto controllo del paziente. In entrambi i casi, il movimento può generare streaking artifact solitamente costituiti da strie tangenziali ai contorni con alto contrasto della parte in movimento. Il metodo più efficace per evitare i movimenti del paziente consiste nell’istruirlo a restare il più possibile immobile e, quando necessario, a trattenere il respiro durante l’acquisizione. Si possono anche utilizzare particolari dispositivi di contenzione e, in casi di assoluta necessità, si può ricorrere alla sedazione farmacologica; in generale, è raccomandabile ridurre il più possibile il tempo di scansione [18]. Per evitare gli artefatti da movimento relativi alla pulsatilità del cuore e dei grossi vasi, è possibile effettuare scansioni sincronizzate con il ritmo cardiaco (ECG-gated), come descritto nel Capitolo 8. 7.4.2.7 Artefatti metallici Questi artefatti sono causati da oggetti metallici presenti all’interno o all’esterno del paziente (protesi metalliche, pacemaker, clip chirurgiche, stent, elettrodi ecc.). L’artefatto metallico è il risultato della combinazione di più errori (tra cui gli artefatti da volume parziale, da indurimento del fascio e da photon starvation) e appare nelle immagini come strie iper- o ipodense, tipicamente alternate tra loro e con una caratteristica forma a stella. In presenza di oggetti metallici inamovibili, per tentare di ridurre l’artefatto è possibile inclinare il gantry in modo da evitare di includere il metallo nel campo di vista, diminuire lo spessore di strato, allargare la finestra di visualizzazione o utilizzare particolari algoritmi di correzione (Fig. 7.10) [19]. 7.4.2.8 Out-of-field artifact Come anticipato quando è stato definito lo SFOV, tutto ciò che è esterno al campo di scansione è considerato dallo scanner come se fosse aria; quindi, la presenza di un
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a
b
Fig. 7.10 Esempio di artefatto causato da strutture metalliche. a Immagine con collimazione di detettore spessa (2,5 mm), filtro di convoluzione standard e finestra per osso standard. b Retroricostruzione a strato sottile (0,625 mm), filtro di convoluzione per osso e finestra di visualizzazione allargata, in cui gli artefatti sono meno evidenti e le strutture metalliche (viti trans-ossee) sono meglio riconoscibili
Fig. 7.11 Esempio di out-of-field artifact causato dal posizionamento delle braccia lungo il corpo, esternamente allo SFOV (frecce)
elemento esterno allo SFOV determina errori sia nella fase di correzione dei dati (preprocessing) sia in quella di ricostruzione. Tali errori si manifestano con un artefatto costituito in genere da aree iperdense ai margini dell’immagine ricostruita (shading e streaking artifact) (Fig. 7.11). 7.4.2.9 Cone beam artifact Negli scanner TCMS può comparire un particolare artefatto (cone beam artifact), che ha cause fisiche complesse e la cui spiegazione esula dai nostri scopi. Ci limiteremo a
7 Parametri di scansione e artefatti in TC
Fig. 7.12 Artefatto da cone beam. Utilizzando un fantoccio antropomorfo (in alto), si osserva (in basso) come l’artefatto da cone beam ( frecce) sia progressivamente più accentuato su scanner TCMS con un numero maggiore di canali a causa della maggiore ampiezza del fascio radiante lungo l’asse z. (Da Schoepf [20])
Tabella 7.2 Schema riassuntivo degli artefatti TC in base all’aspetto e alle cause
Aspetto
Cause
Streaking
Aliasing, volume parziale, presenza di metallo, movimento del paziente, photon starvation, beam hardening, out-of-field Volume parziale, beam hardening, scattering, aliasing Malfunzionamento di singoli detettori negli scanner di terza generazione
Shading Ring
dire che è dovuto al fatto che, a differenza delle apparecchiature TC a singolo strato, negli scanner TCMS (e, in particolare, in quelli con 16 o più file di detettori) il fascio radiante ha un’estensione non trascurabile lungo la direzione z, per cui la sua geometria si avvicina a quella di un cono (cone beam) anziché a quella di un ventaglio (fan beam). L’artefatto da cone beam viene ridotto utilizzando opportuni algoritmi di correzione (Fig. 7.12). La Tabella 7.2 riporta uno schema riassuntivo dei diversi tipi di artefatti precedentemente illustrati, classificati in base all’aspetto e alle più comuni cause che li determinano.
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L. Faggioni, F. Cerri, D. Giustini
Indice dei contenuti 8.1 8.2
Cardio-TC TC dual source Bibliografia
8.1 Cardio-TC 8.1.1 Problemi e cenni storici della cardio-TC: la tomografia a emissione di elettroni (EBCT) La disponibilità di apparecchi TC multistrato (TCMS) con risoluzione spaziale longitudinale submillimetrica e tempi di scansione sempre più ridotti ha aperto la strada alla valutazione del cuore con scanner TC per impieghi universali. Quest’ultima ha tradizionalmente conosciuto serie limitazioni, dovute all’ovvia impossibilità di fermare il movimento cardiaco o, quanto meno, di rallentarlo fino a consentire l’acquisizione di immagini prive di artefatti da movimento, compatibile con la risoluzione temporale degli scanner TC convenzionali e spirali a singolo strato. Per questa ragione, prima dell’era della TCMS lo studio TC delle strutture cardiache era demandato a scanner di particolare concezione, detti a emissione di elettroni (Electron Beam CT, EBCT). A differenza dei normali tomografi TC (in cui i raggi X sono generati dall’urto contro l’anodo di un fascio di elettroni accelerati e il tubo radiogeno ruota attorno al tavolo porta-paziente), negli scanner EBCT l’anodo è costituito da una pista focale disposta lungo la circonferenza del gantry, che viene colpita in punti diversi da elettroni emessi da un cannone elettronico (electron gun) e deflessi in maniera pressoché istantanea mediante campi magnetici (Fig. 8.1). Di conseguenza, nelle macchine EBCT la risoluzione temporale dello scanner non dipende da fattori meccanici di scansione e può raggiungere valori ben inferiori a 100 ms, più che adeguati per la valutazione del cuore battente. Al fine di eliminare gli artefatti da pulsatilità cardiaca, l’acquisizione TC viene Elementi di tomografia computerizzata. Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Emanuele Neri (a cura di) © Springer-Verlag Italia 2010
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Fig. 8.1 Schema di uno scanner EBCT. (Adattato da Ohnesorge [1])
sincronizzata con la registrazione continua del tracciato elettrocardiografico (ECG) mediante una stima prospettica dell’intervallo fra due onde R (R-R), in modo da far coincidere il periodo dell’acquisizione di uno strato con una determinata fase del ciclo cardiaco, tale da minimizzare gli artefatti da movimento del cuore (come la meso-telediastole, corrispondente alla fase di riempimento ventricolare isovolumetrico) [2-6]. Il primo apparecchio EBCT fu introdotto sul mercato nel 1984 per la determinazione del contenuto di calcio coronarico (calcium score) [6, 7] e la valutazione angio-TC del cuore [8, 9]; esso montava due detettori con ampiezza longitudinale di 1,5 mm e consentiva di acquisire un’immagine in 33 ms. Tuttavia, la risoluzione spaziale longitudinale relativamente scarsa di tali macchine per lo studio delle strutture anatomiche più fini (come le arterie coronarie), il basso SNR delle immagini conseguente al brevissimo tempo di esposizione, il costo elevato – dovuto in parte alla notevole complessità costruttiva – e la mancanza di applicazioni al di fuori dell’ambito cardiaco hanno fatto sì che la diffusione degli scanner EBCT rimanesse assai limitata e ristretta a pochi centri specialistici: nel mondo sono stati installati circa 300 tomografi EBCT, che rappresentano solo l’1,5% dell’intero mercato della TC [2]. Di fatto, con l’avvento della tecnologia TCMS l’uso degli apparecchi EBCT è stato progressivamente abbandonato.
8.1.2 La cardio-TC moderna: la TCMS Lo sviluppo della tecnologia TCMS ha permesso di estendere le applicazioni della TC spirale allo studio del cuore, grazie alla possibilità di effettuare scansioni dell’intero
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volume cardiaco, o anche più estese (come per la valutazione dei bypass coronarici o dell’aorta toracica), con risoluzioni temporali e spaziali sufficienti per generare immagini diagnostiche. In particolare, grazie alla maggiore velocità di rotazione del tubo radiogeno e alla progressiva riduzione della collimazione di detettore si è arrivati a ottenere risoluzioni temporali inferiori a 100 ms e spessori di strato dell’ordine di 0,5 mm. Inoltre, la disponibilità di tubi a raggi X con capacità di corrente e termica sempre maggiori ha reso possibile la generazione di immagini con adeguato SNR, che rappresenta un fattore critico per la necessità sia di lavorare con collimazioni di detettore ultrasottili per lo studio delle arterie coronarie, sia di poter discriminare fra oggetti con bassa differenza di densità (come placche ateromasiche e lume vasale a livello di segmenti coronarici distali o poco perfusi, oppure all’interno di stent). La sincronizzazione della scansione con il tracciato ECG (gating o triggering cardiaco) avviene con tecnica prospettica o retrospettiva (Fig. 8.2) [2, 10, 11]. 8.1.2.1 Gating prospettico Il gating prospettico è analogo al sistema di sincronizzazione utilizzato in EBCT e si basa sulla stima della cadenza temporale di una determinata frazione dell’intervallo R-R – in corrispondenza della quale si desidera acquisire i dati TC – ottenuta mediante la registrazione continua dell’ECG prima della scansione stessa. In altri termini, il sistema di gating fornisce una “previsione” della posizione temporale di una data fase del ciclo cardiaco a partire dalla misurazione del tracciato ECG del paziente ed effettua scansioni assiali (ossia con tecnica “step-and-shoot”) dopo uno o più ritardi periodici corrispondenti a tali istanti temporali. Ciò presuppone che la frequenza cardiaca (e, quindi, l’intervallo fra due onde R) si mantenga stabile per l’intera durata dell’acquisizione e che la durata di ogni singola scansione assiale sia trascurabile rispetto a quella della fase cardiaca prescelta; quest’ultima condizione è generalmente soddisfatta con i moderni scanner TCMS selezionando tempi di rotazione del complesso tubo-detettori estremamente brevi (anche inferiori a 300 ms), a patto che la frequenza cardiaca del paziente sia sufficientemente bassa (preferibilmente <60 battiti per minuto). Per questo motivo l’esecuzione di esami cardio-TC prevede la bradicardizzazione del paziente, che viene normalmente effettuata mediante la somministrazione di farmaci ad azione cronotropa negativa (β-bloccanti). La minima quantità di dati necessaria per ricostruire un’immagine TC assiale corrisponde a una rotazione di 180° del complesso tubo-detettori più il fan angle dei detettori, per cui la risoluzione temporale dello scanner con gating prospettico è leggermente maggiore della metà del tempo di rotazione (modalità partial scan) [10]. L’acquisizione con gating prospettico presenta i vantaggi di una dose radiante contenuta (in quanto i raggi X vengono erogati soltanto in corrispondenza della fase del ciclo cardiaco in cui si desidera acquisire le immagini) e di un’elevata qualità delle immagini stesse che, essendo ottenute con tecnica assiale, non risentono degli artefatti di interpolazione – benché attualmente minimi – tipici degli algoritmi spirali. Tuttavia, il fatto che l’acquisizione dei dati TC sia limitata a una sola fase del ciclo cardiaco impedisce la valutazione di alcuni parametri fisiologici – come gli indici di funzione cardiaca e la cinesi globale e regionale – ed espone al rischio di effettuare esami scarsamente o addirittura non diagnostici in caso di irregolarità o eccessiva frequenza del ritmo cardiaco, il che, in pratica, riduce il campo di applicazione della cardio-TC con gating prospettico allo studio delle arterie coronarie (coronarografia TC o coronaro-TC) in soggetti con frequenza cardiaca bassa e stabile.
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Fig. 8.2 Gating prospettico (in alto) vs gating retrospettivo (in basso). (Adattato da Lipson [12])
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8.1.2.2 Gating retrospettivo Il gating retrospettivo prevede la contemporanea registrazione del tracciato ECG e l’acquisizione dei profili di attenuazione fotonica in modalità spirale con valori di pitch molto inferiori a 1, proporzionali alla frequenza cardiaca e tipicamente compresi fra 0,2 e 0,4: in questo modo si ottiene un sovracampionamento dei dati che consente la ricostruzione a posteriori di immagini assiali corrispondenti a una o più fasi prescelte del ciclo cardiaco. In altre parole, l’acquisizione con tecnica spirale a basso pitch e coregistrazione dell’ECG, propria del gating retrospettivo, mette a disposizione un volume di dati ridondanti che possono essere utilizzati per generare immagini relative a virtualmente qualsiasi frazione dell’intervallo R-R. La ricostruzione delle immagini può essere effettuata con tecnica partial scan oppure multisegmento: quest’ultima consiste nel prelevare i dati di attenuazione relativi a una determinata fase temporale da cicli cardiaci successivi, in modo che la risoluzione temporale effettiva dell’acquisizione sia pari a TR/2M, dove TR è il tempo di rotazione del complesso tubo-detettori e M (solitamente variabile fra 1 e 4) il numero di segmenti temporali appartenenti a battiti consecutivi necessari per ricostruire l’immagine [10]. Tutto ciò rappresenta un vantaggio rispetto al gating prospettico, in quanto fornisce un margine di sicurezza nel caso di artefatti da movimento nella ricostruzione dei dataset coronaro-TC (Fig. 8.3) (dovuti, per esempio, a irregolarità del ritmo cardiaco), consente di lavorare con frequenze cardiache più alte (dell’ordine di 75 battiti per minuto) e permette di ottenere informazioni
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Fig. 8.3 Importanza della scelta di una fase adeguata del ciclo cardiaco per la ricostruzione di dataset coronaro-TC. a L’arteria coronaria destra, visualizzata al 30% dell’intervallo R-R, mostra notevoli artefatti da movimento che ne impediscono una corretta valutazione morfologica. b L’acquisizione con gating retrospettivo consente di ricostruire il dataset all’80% dell’intervallo R-R, nel quale il vaso appare fermo
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di tipo funzionale. Per contro, lo svantaggio principale di questa tecnica è costituito dall’elevata dose radiante che consegue all’uso di pitch così bassi; inoltre, per quanto normalmente vengano ricostruite soltanto immagini relative a determinate frazioni dell’intervallo R-R, l’acquisizione dei dati grezzi (e quindi l’irradiazione del paziente) avviene durante l’intera durata del ciclo cardiaco, con un conseguente notevole spreco di dose. Per questo motivo sono state introdotte tecniche di modulazione della corrente del tubo radiogeno dipendenti dall’ECG (ECG sensing), mediante le quali la corrente anodica assume un valore massimale in corrispondenza delle fasi di interesse, riducendosi a valori minimi selezionabili dall’utente al di fuori di esse (Fig. 8.4). In ogni caso, è ovvio che, qualora si decida di usare il gating retrospettivo, si deve avere cura di restringere il più possibile la finestra temporale di ricostruzione dei dati – compatibilmente con il quesito diagnostico – e attuare tutte le misure disponibili volte a ridurre la dose radiante, come il ricorso alle tecniche di modulazione della dose basate sull’ECG e sulle dimensioni del paziente, la scelta di adeguati filtri di acquisizione e di ricostruzione delle immagini e la selezione di valori di tensione e corrente anodica il più possibile bassi [13]. In particolare, specie per quanto riguarda la coronarografia TC, si è dimostrato che la riduzione della tensione del tubo può comportare, sebbene a fronte di un peggioramento del SNR, una significativa riduzione della dose radiante e un aumento della risoluzione di contrasto, con risultati diagnostici equivalenti o addirittura superiori rispetto a protocolli di acquisizione con tensione standard [14] (Fig. 8.5).
Fig. 8.4 Modulazione ECG della corrente anodica (ECG sensing). Il tubo radiogeno eroga la massima corrente prescelta (IMAX) in corrispondenza della fase del ciclo cardiaco nella quale si desidera ricostruire le immagini (rettangolo scuro) e una corrente più bassa durante le restanti fasi (I0 , rettangoli chiari). In alcuni scanner I0 può raggiungere valori inferiori al 10% di IMAX, consentendo un sensibile risparmio della dose radiante in esami cardio-TC con gating retrospettivo in cui sia possibile prevedere con ragionevole sicurezza di poter ricostruire dati diagnostici soltanto dalla fase cardiaca selezionata
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Fig. 8.5 Esame coronaro-TC eseguito con tensione anodica di 100 kV con gating retrospettivo e ricostruzione delle immagini al 75% dell’intervallo R-R in paziente normotipo (72 kg): ricostruzioni MIP (a), VR (b) e CPR (c) dell’arteria discendente anteriore, visualizzata in maniera ottimale fino all’apice cardiaco. L’abbassamento della tensione del tubo a parità degli altri parametri di scansione consente, in pazienti selezionati, di ottenere immagini diagnostiche dell’albero coronarico con una dose radiante significativamente inferiore
8.2 TC dual source Il tentativo di ottimizzare il più possibile la risoluzione temporale degli scanner TC per le applicazioni cardiache ha condotto all’introduzione sul mercato di apparecchi a doppia sorgente radiogena (Dual Source Computed Tomography, DSCT; Siemens Medical Solutions, Erlangen, Germania), che da un lato hanno consentito di raddoppiare la risoluzione temporale effettiva per gli esami cardio-TC e, dall’altro, hanno aperto nuove prospettive nell’ambito delle possibilità diagnostiche di caratterizzazione tissutale mediante imaging a doppia energia (Dual Energy Computed Tomography, DECT) [15-20].
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8.2.1 Caratteristiche tecniche dei sistemi DSCT Gli scanner DSCT sono dotati di due tubi a raggi X e due rivelatori corrispondenti. I due sistemi di acquisizione sono montati sul gantry con un offset angolare di 90° (Fig. 8.6); un rivelatore (A) copre l’intero campo di vista (50 cm di diametro), mentre l’altro (B) è limitato a un campo di vista centrale (26 cm di diametro), al fine di ottenere un sistema geometrico compatto con una breve distanza tra il punto focale e il rilevatore stesso (Fig. 8.7). Ogni rivelatore comprende 40 file di detettori, di cui 32 centrali con una larghezza sull’asse z di 0,6 mm e 4 esterni su entrambi i lati con una larghezza di 1,2 mm; la copertura totale di ciascun rilevatore in direzione longitudinale è pertanto pari a 28,8 mm. Combinando i segnali delle singole file di detettori, si può ottenere una configurazione di 32×0,6 mm o 24×1,2 mm. Il più breve tempo di rotazione ottenibile è 0,33 sec. I due tubi radiogeni sono fra loro indipendenti e possono lavorare con la stessa tensione anodica, oppure con tensioni differenti, variabili fra 80 kV e 140 kV, come spiegato più dettagliatamente nel paragrafo successivo.
8.2.2 Applicazioni della DSCT/DECT La presenza di due tubi radiogeni permette di ricostruire immagini con dati relativi a un quarto del tempo di rotazione, con un raddoppiamento della risoluzione temporale effettiva rispetto a quanto possibile con l’impiego di un solo tubo a raggi X, che può arrivare a 83 ms. Ciò consente di ottenere la massima performance diagnostica nei casi in cui la frequenza cardiaca sia elevata e/o instabile (si pensi, per esempio, a pazienti con fibrillazione atriale) e può rendere più blande o addirittura superflue le procedure di bradicardizzazione farmacologica, talvolta non prive di rischi in pazienti con patologie associate [15-18].
Fig. 8.6 Sistema DSCT (Somatom Definition; Siemens, Forchheim, Germania) costituito da due tubi radiogeni disposti fra loro in maniera ortogonale, accoppiati a due arrays di detettori. (Adattato da Ohnesorge [1])
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Fig. 8.7 Nello scanner DSCT Somatom Definition (Siemens, Forchheim, Germania) il detettore A ha un diametro di 50 cm e copre l’intero campo di vista, mentre il detettore B copre un campo di vista centrale, più piccolo (26 cm). (Adattato da Ohnesorge [1])
Rispetto alla TC a tubo singolo, la DSCT permette inoltre di risparmiare dose radiante negli esami cardiaci grazie al raddoppiamento del pitch, reso possibile dalla disponibilità di due sorgenti radiogene e di due sistemi di detettori che acquisiscono i dati in parallelo. D’altra parte, si può sfruttare la presenza dei due tubi per generare flussi di raggi X difficilmente ottenibili con le macchine tradizionali, che possono essere utili per lo studio di pazienti gravemente obesi, politraumatizzati o portatori di protesi metalliche [15-18]. La prospettiva forse attualmente più importante della tecnologia DSCT – anche alla luce della recente introduzione di apparecchiature TCMS fino a 320 strati, ancora superiori in termini di risoluzione temporale e di copertura volumetrica a tavolo fermo rispetto agli apparecchi DSCT – è costituita dalla possibilità di far lavorare i due tubi radiogeni con due tensioni diverse (per esempio, il tubo A a 140 kV e bassa corrente e il tubo B a 80 kV e alta corrente). In questo modo si possono rilevare differenze di densità tra sostanze diverse in base alle differenze dei coefficienti di attenuazione di fotoni a energia diversa [18]. In altri termini, conoscendo lo spettro di emissione energetica dei due tubi è possibile, mediante algoritmi di decomposizione, ricostruire dataset “virtuali” corrispondenti a energie diverse (Fig. 8.8): per esempio, combinando i dati grezzi ottenuti rispettivamente a 80 kV e 140 kV, si possono generare immagini “virtuali” corrispondenti a una tensione media di 120 kV, oppure è possibile creare immagini di sottrazione. Quest’ultima potenzialità è particolarmente interessante, poiché permette di creare serie di immagini “virtuali” senza mezzo di contrasto (virtual unenhanced scan) sottraendo i profili di attenuazione reali, misurati dopo somministrazione di mdc, da quelli dello iodio (iodine map), determinati a priori mediante la conoscenza dello spettro energetico delle due sorgenti radiogene, evitando quindi l’esecuzione di scansioni precontrastografiche (Fig. 8.9). Analogamente, è
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Fig. 8.8 Spettri del tubo Straton (Somatom Definition; Siemens, Forchheim, Germania): i picchi rappresentano le energie caratteristiche dell’anodo di tungsteno, mentre la componente continua dello spettro corrisponde alla radiazione di frenamento (Bremsstrahlung). (Da Johnson [21])
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Fig. 8.9 Virtual unenhanced scan ottenuto mediante DSCT. a Immagine a 140 kV (basso rumore, risoluzione di contrasto relativamente scarsa). b Immagine a 80 kV (rumore e risoluzione di contrasto più elevati; notare la migliore visibilità della focalità epatica contrassegnata con l’asterisco rispetto all’immagine a 140 kV). c Mappa del contenuto iodico (iodine map) ottenuta mediante decomposizione spettrale. d Virtual unenhanced scan ottenuto mediante sottrazione della iodine map dall’immagine media di (a) e (b). (Adattata da Johnson [21])
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possibile esaltare la densità dello iodio – notevolmente maggiore a 80 kV che a 140 kV – per migliorare la visibilità di oggetti a basso contrasto intrinseco (Fig. 8.9), ottenere informazioni utili per la caratterizzazione strutturale (come lesioni tissutali, Fig. 8.10, o aggregati litiasici, Fig. 8.11) o sottrarre le strutture scheletriche dai dataset angio-TC
Fig. 8.10 La iodine map mostra che la formazione renale esofitica (freccia) non è vascolarizzata ed è pertanto riferibile a cisti corticale complicata. (Adattata da Johnson [21])
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Fig. 8.11 Utilizzando il color coding l’aggregato litiasico ureterale evidenziato in rosso (a) appare costituito da sali di urato, mentre quello caliceale marcato in blu (b) risulta calcifico. (Da Johnson [21])
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Fig. 8.12 Angio-TC dell’aorta addominale, degli assi arteriosi iliaci e delle arterie degli arti inferiori ottenuta mediante rimozione spettrale dell’osso. (Da Johnson [21])
(Fig. 8.12) [18-20]. Per certi versi, la DECT rivoluziona il paradigma classico della TC quale metodica monoparametrica, introducendo nuove possibilità di ricostruzione e interpretazione delle immagini basate su parametri di attenuazione differenziale e su tecniche di sottrazione/combinazione dei dati grezzi, anziché sulla determinazione diretta e assoluta dei numeri TC degli oggetti in esame.
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La dose in TC: descrittori e tecniche di riduzione
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Indice dei contenuti 9.1 9.2 9.3 9.4
Introduzione Unità di misura ed effetti biologici delle radiazioni Descrittori di dose in TC: MSAD, CTDI e DLP Fattori che determinano la dose in TC Bibliografia
9.1 Introduzione L’introduzione della tecnologia multistrato ha fatto registrare un forte incremento dell’utilizzo della tomografia computerizzata nell’ambito della radiodiagnostica. La possibilità di acquisire simultaneamente un elevato numero di sezioni ha consentito di aumentare il volume campionato in ogni singola rotazione, la risoluzione spaziale sull’asse z e la velocità di esecuzione dell’esame. Lo sviluppo della tecnologia ha inoltre prodotto un’ampia varietà di applicazioni cliniche della tomografia computerizzata, come la colonografia TC, la TC cardiaca e la TC a scopo di screening [1]. È stato stimato che nei soli Stati Uniti il numero di esami TC sia passato, dal 2000 al 2004, da 40 a 65 milioni, e per il 2010 si ipotizza un incremento fino a 100 milioni di TC. Sebbene gli esami di tomografia computerizzata rappresentino circa il 10% degli esami radiologici effettuati annualmente, possono contribuire fino al 45% della dose di radiazioni fornita alla popolazione [2]. Questo forte incremento della percentuale di dose determinato dagli esami TC sul totale degli esami radiologici non dipende soltanto dall’aumento del numero di esami eseguiti, ma anche dalle nuove potenzialità offerte dai moderni tomografi, come la scansione di ampi volumi con brevi tempi di acquisizione, la possibilità di eseguire esami multifasici e l’utilizzo di collimazioni sempre più sottili. Recentemente si registra una crescente attenzione da parte della letteratura scientifica e dei mezzi di comunicazione sui possibili rischi per la popolazione correlati a un aumento di dose [3]. Gli operatori Elementi di tomografia computerizzata. Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Emanuele Neri (a cura di) © Springer-Verlag Italia 2010
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sanitari che lavorano nell’ambito della radiodiagnostica – quali medici radiologi, tecnici di radiologia e fisici sanitari – devono quindi porsi alcuni quesiti fondamentali: perché la dose erogata in tomografia computerizzata è così elevata? Quali sono le linee guida internazionali sui limiti di dose consigliati nell’ambito di esami TC e quali sono i livelli di dose normalmente prodotti nel proprio posto di lavoro? Che cosa si può fare per ridurre i livelli di dose in tomografia computerizzata ai fini della sicurezza sia dei pazienti sia del personale di radiologia? Soltanto cercando una risposta a questi interrogativi è possibile effettuare un controllo continuo della propria attività lavorativa in grado di limitare i livelli di dose erogati. Allo stesso modo, le case produttrici di scanner TC devono concentrare sempre più i loro sforzi per individuare soluzioni in grado di ridurre la dose erogata, come materiali per costruire detettori sempre più sensibili ed efficienti anche a bassi livelli di radiazioni o nuovi algoritmi di ricostruzione in grado di ridurre il rumore presente nell’immagine. La distribuzione della radiazione durante l’esame di tomografia computerizzata è completamente differente da quella che si osserva in un esame di radiologia convenzionale (Fig. 9.1). Nella radiologia convenzionale, infatti, la dose è massima nel punto in cui il fascio di raggi X penetra nel distretto corporeo acquisito, tende a diminuire man mano che lo attraversa, e risulta quindi minima nel punto di uscita. In tomografia invece, poiché il tubo a raggi X ruota intorno al paziente, la dose erogata sulla superficie è uniforme e tende a decrescere passando dalla superficie verso il centro del paziente. Se il volume corporeo acquisito è di piccole dimensioni, come nel caso di pazienti pediatrici o nell’esecuzione della TC del cranio, la dose presente sulla superficie non differisce sensibilmente da quella che si registra al centro del volume; se invece è ampio, come nel caso della regione addominale o in pazienti obesi, la dose che si registra al centro del paziente è inferiore a quella rilevata sulla superficie (fino a circa il 50%). Ciò determina spesso un aumento di rumore dell’immagine al centro del distretto addominale richiedendo l’aggiustamento dei parametri di acquisizione per ottenere un livello di qualità dell’immagine ottimale. L’obiettivo di questo capitolo è fornire i principali concetti relativi alla dose in tomografia computerizzata, rivolgendo particolare attenzione ai descrittori della dose e ai fattori tecnici che influenzano quest’ultima durante l’esecuzione di un esame.
Fig. 9.1 Schema della distribuzione di dose in radiografia convenzionale (a) e in tomografia computerizzata (b)
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9 La dose in TC: descrittori e tecniche di riduzione
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9.2 Unità di misura ed effetti biologici delle radiazioni Prima di introdurre i descrittori di dose presenti normalmente sulle consolle degli strumenti TC, è opportuno precisare il significato delle espressioni: esposizione, dose assorbita, dose equivalente e dose efficace. L’esposizione, come definita dall’International Commission on Radiological Units and Measurements (ICRU), è data dal valore assoluto (dQ) della quantità totale di carica degli ioni prodotta in aria quando tutti gli elettroni liberati dai fotoni in un volume d’aria di massa dm sono completamente fermati in aria E=
dQ dm
dove Q rappresenta il valore assoluto della carica totale degli ioni dello stesso segno prodotti in aria, e m la massa d’aria. Oggi tale grandezza ha solo valore storico, in quanto non più utilizzata, ed è stata sostituita dal kerma (acronimo di Kinetic Energy Released in the Medium), definita come la quantità di energia cinetica trasferita dai fotoni agli elettroni in un elemento di volume di massa dm ed espressa in joule/kg K=
dEtr dm
La dose assorbita rappresenta invece la quantità di energia assorbita per unità di massa di materiale. Matematicamente tale relazione può essere espressa dall’equazione D=
dE dm
dove E rappresenta il valore dell’energia media e m la massa del corpo. L’esposizione è una misura della quantità di ionizzazione prodotta in una massa specifica d’aria dai raggi X ed è correlata alla “quantità di radiazione” alla quale un paziente viene esposto. Dai dati dell’esposizione è possibile, per esempio, calcolare la dose a livello della superficie del paziente, che risulta importante per effetti deterministici quali l’eritema cutaneo. Poiché ogni rischio associato all’esposizione alle radiazioni è sempre correlato alla quantità di energia assorbita in ogni porzione di tessuto biologico, quest’ultima grandezza è particolarmente importante nell’ambito della protezione radiologica. La vecchia unità di misura della dose assorbita era il rad (r), oggi viene invece comunemente utilizzato il gray (Gy), che si esprime in joule su kilogrammo (1 Gy è uguale a 100 rad). Tuttavia, poiché non tiene conto delle differenze di sensibilità alle radiazioni dei vari organi, la dose assorbita non può fornire un valore del rischio relativo all’esposizione. L’equivalente di dose rappresenta un mezzo per esprimere, in un linguaggio comune, la diversità degli effetti biologici prodotti da radiazioni di qualità diversa (vedi Tabella 9.1); matematicamente è espressa dal prodotto H = D × Qf dove D rappresenta la dose assorbita e Q f un fattore di qualità dipendente dal tipo di radiazione. L’unità di misura della dose equivalente è il sievert (Sv). Bisogna tener presente
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che, a parità di dose assorbita D, il danno biologico dipende dal tipo di radiazione: maggiore è la densità di ionizzazione (cioè il numero di ionizzazioni prodotte per unità di percorso), maggiore è il danno biologico. La ICRP (International Commission on Radiation Protection) ha introdotto un “peso della pericolosita” delle radiazioni: il fattore di qualità Q f , tipico della natura e dell’energia della radiazione considerata, definito in funzione del LET (Linear Energy Transfer) in acqua nel punto considerato (Tabella 9.1). I fattori di qualità sono stati stimati a partire da studi epidemiologici condotti su soggetti esposti a elevati livelli di dose, sui quali gli effetti dannosi sono valutabili. Per esempio, i raggi X hanno un fattore di qualità pari a 1, mentre le particelle α hanno un fattore di qualità pari a 20; ne deriva che a parità di dose assorbita la dose equivalente è più alta per le particelle α che per i raggi X, per cui il danno biologico prodotto delle particelle α è molto maggiore rispetto a quello prodotto dai raggi X. La dose efficace è una grandezza che consente di quantificare il danno ai tessuti prendendo in considerazione la loro diversa radiosensibilità. Il valore della dose efficace si ottiene a partire dalla dose equivalente, moltiplicandola per un fattore WT, che tiene conto dei diversi tipi di tessuto irradiato E = H × WT Considerando che la dose equivalente viene calcolata tenendo conto della “qualità” della radiazione, la dose efficace fornisce una stima del detrimento da radiazione sulla base sia della radiosensibilità degli organi sia del tipo di radiazione. Anche la dose efficace, come la dose equivalente, si misura in sievert (Sv). Il motivo per cui fisici, medici radiologi e tecnici di radiologia devono avere ben chiari i descrittori della dose è legato agli effetti biologici che la radiazione produce. Gli effetti delle radiazioni ionizzanti possono essere classificati in somatici e genetici. Gli effetti somatici producono un danno alle strutture cellulari ed extracellulari dell’individuo irradiato, e possono essere stocastici o deterministici; gli effetti genetici, invece, provocano alterazioni dei geni dell’individuo esposto, sono quindi trasmissibili alla progenie e necessariamente stocastici. Gli effetti deterministici sono quelli per i quali la gravità dell’evento aumenta all’aumentare della dose e per i quali esiste, quindi, una dose soglia. Tali effetti non si osservano al di sotto della dose soglia, ma il superamento di quest’ultima comporta l’insorgenza dell’evento in tutti gli irradiati. La dose soglia è considerata abbastanza elevata,
Tabella 9.1 Fattori di ponderazione per la radiazione nelle Raccomandazioni ICRP 103 del 2007
Tipo
Intervallo di energia
Fotoni Elettroni e muon Neutroni
Tutte le energie Tutte le energie <10 keV 10 keV – 100 keV > 100 keV – 2 MeV > 2 MeV – 20 MeV > 20 MeV
Protoni Particelle alfa, frammenti di fissione nuclei pesanti
Fattori di peso Q f (ICRP 103) 1 1 5 10 20 10 5 5 20
9 La dose in TC: descrittori e tecniche di riduzione
poiché può uccidere le cellule e causare cambiamenti degenerativi nei tessuti che sono stati esposti alla radiazione. La dose soglia per alcuni effetti deterministici può essere raggiunta solo se un paziente si sottopone a un numero elevato di esami. Per esempio, la dose soglia per la cataratta è di 2 Gy: considerando che in una TC del cranio la dose agli occhi è di circa 50 mGy, per raggiungere la dose soglia sono necessarie 40 TC del cranio. Gli effetti stocastici sono invece quei danni la cui probabilità di verificarsi è direttamente proporzionale alla dose assorbita. Il verificarsi di un effetto stocastico non richiede dunque il superamento di alcuna soglia (Linear No Threshold, LNT), ma la probabilità che si verifichi l’evento è tanto più alta quanto maggiore è il tempo di esposizione del soggetto a radiazioni ionizzanti. Tali effetti non mostrano gradualità di manifestazione con la dose ricevuta, ma sono del tipo “tutto o nulla” quale che sia la dose; così, perfino una piccola dose può determinare l’insorgenza dell’evento. Tali danni sono considerati tardivi, poiché si verificano dopo un tempo di latenza molto lungo. Il modello lineare senza soglia afferma quindi che non esiste una dose, per quanto piccola, che non possa produrre un danno e, allo stesso tempo, che non esiste un incremento di dose, per quanto piccolo, al quale non corrisponda un incremento del rischio di induzione neoplastica, secondo una relazione lineare. L’ipotesi dell’LNT ha permesso di sviluppare l’attuale sistema di radioprotezione basato sui principi di giustificazione, ottimizzazione e limitazione delle dosi, affinché queste siano mantenute ai livelli più bassi ottenibili, nell’assunzione che i danni stocastici possono essere limitati ma non del tutto prevenuti [4]. Gli effetti determinati dalle radiazioni dipendono da vari fattori, tra i quali principalmente l’istotipo e l’organizzazione strutturale del tessuto esposto alla radiazione. I tessuti che costituiscono il corpo umano differiscono tra loro anche in base alla diversa radiosensibilità: esistono tessuti molto sensibili alle radiazioni e altri meno. I tessuti più sensibili sono quelli più ricchi di substrati cellulari in continua proliferazione, quali il tessuto emopoietico, i linfonodi, il tessuto epiteliale, le mucose enteriche e quei tessuti poco differenziati nei quali le cellule non hanno ancora raggiunto il livello finale di specializzazione funzionale; i tessuti con minore radiosensibilità sono invece quelli più differenziati, come il tessuto muscolare, il tessuto nervoso, il tessuto epatico e quello renale. Detto ciò, occorre considerare che, a parità di dose somministrata, l’effetto che si determinerà sui vari organi sarà diverso in base alla radiosensibilità del tessuto considerato e perciò per ogni tessuto esisterà una soglia di dose variabile per l’induzione degli effetti deterministici. Per quanto riguarda invece gli effetti stocastici, quanto più un tessuto è radiosensibile tanto maggiore sarà la probabilità di arrecargli un danno anche con basse dosi rispetto a un tessuto più radioresistente.
9.3 Descrittori di dose in TC: MSAD, CTDI e DLP Tutti i modelli di tomografi computerizzati riportano, prima dell’esecuzione di una scansione e spesso anche in un report separato presente nel record relativo al paziente, i valori della dose erogata durante l’intero esame e per ogni singola scansione. Oggi i due principali descrittori della dose sono il CTDI (Computed Tomography Dose Index) e il DLP (Dose Length Product); in passato era utilizzato anche il MSAD (Multiple Scan Average Dose), qui descritto esclusivamente per motivi storici.
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F. Paolicchi et al.
9.3.1 MSAD Il MSAD (Multiple Scan Average Dose) è stato il primo descrittore di dose per la tomografia computerizzata e rappresenta il valore della dose ottenuto da una serie di scansioni sequenziali, cioè con spostamenti longitudinali di valore determinato (bed index) del lettino porta-paziente al termine di ogni rotazione del complesso tubo-detettori. Ciascuna acquisizione è caratterizzata da un tipico profilo di dose a forma di campana, dove l’integrale dell’area sottesa rappresenta il valore della dose erogata; sommando i valori delle dosi relative alle varie scansioni sequenziali eseguite, si ricava la dose totale fornita al paziente, come indicato in Fig. 9.2. Nelle zone in cui le diverse campane tendono a sovrapporsi avremo un valore di dose più elevato di quello ottenuto per ogni singola scansione. Il valore del MSAD può essere calcolato eseguendo una campionatura del valore dei massimi e dei minimi della curva ottenuta sommando le diverse scansioni. Matematicamente può essere espresso con la formula MSAD = CTDI ×
SW BI
dove CTDI è il valore della dose erogata per ogni singola scansione, SW è lo spessore dello strato in millimetri e BI lo spazio presente tra una scansione e quella successiva, generato dal movimento del lettino. L’introduzione delle moderne TC multistrato con tecnica di acquisizione volumetrica spirale ha determinato la perdita di importanza del MSAD, strettamente collegato alla tecnica di scansione sequenziale.
a
b
c Fig. 9.2 Profilo di dose “ideale” di un singolo strato (a). Profilo di dose “reale” di un singolo strato (b). Profilo di dose “ideale” di 5 strati consecutivi (c). Profilo di dose “reale” di 5 strati consecutivi (d)
d
9 La dose in TC: descrittori e tecniche di riduzione
113
9.3.2 CTDI Il concetto di CTDI (Computed Tomography Dose Index) è stato introdotto da Shope e collaboratori nel 1981 [5], definendolo come “l’integrale del profilo di dose lungo l’asse z di una singola scansione, normalizzato per lo spessore dell’immagine acquisita”. Shope e collaboratori evidenziarono che, introducendo un’opportuna correzione per l’intervallo di spazio presente tra una scansione e quella successiva, il CTDI permetteva di determinare il valore del MSAD in modo più semplice e standardizzato. Per quantificare il CTDI, la dose di una singola scansione veniva misurata mediante una camera di ionizzazione lunga 100 mm e l’integrale di dose veniva poi normalizzato rispetto al valore nominale dell’ampiezza del fascio; il CTDI non rappresenta, quindi, la dose in un punto, bensì la dose media di un volume. Occorre precisare che, a causa di fenomeni di scattering e di diffusione della radiazione, il profilo di dose di una singola scansione si estende oltre i limiti della collimazione nominale del fascio. Le regioni del profilo di dose situate all’esterno della collimazione nominale del fascio vengono chiamate “code” della distribuzione di dose e contribuiscono significativamente alla dose fornita al paziente, pur non contribuendo alla formazione dell’immagine visualizzata sul monitor. Il CTDI rappresenta quindi l’integrale dell’area del profilo di dose della radiazione tenendo conto anche delle “code” del profilo, e dividendo tale valore per l’ampiezza nominale del fascio (Fig. 9.3). Matematicamente può quindi essere espresso dall’equazione 1 CTDI = nT
z2
∫ D ( z ) dz
z1
dove D(z) rappresenta il valore del profilo di dose lungo l’asse z; z1 e z 2 i limiti dell’integrazione; n il numero degli strati acquisiti e T lo spessore nominale del fascio. Nel 1984, negli Stati Uniti, la FDA (Food and Drug Administration) propose di standardizzare la misura del CTDI (CTDIFDA ) introducendo dei limiti di integrazione di ±7T, ovvero un
a
b
Fig. 9.3 Rappresentazione grafica del calcolo del CTDI nel caso di una collimazione pari a n = 2 (a) e n = 8 (b)
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F. Paolicchi et al.
intervallo di integrazione pari a 14 volte lo spessore nominale dello strato d’esame, centrato nel picco del profilo di dose CTDI FDA =
1 nT
+7 T
∫ D ( z ) dz
−7 T
La FDA specificava inoltre l’utilizzo di due fantocci cilindrici in PMMA (polimetilmetacrilato), entrambi di 14 cm di lunghezza (Fig. 9.4): uno con diametro di 16 cm per lo studio della dose relativo agli esami del cranio (head) e uno di 32 cm per gli esami del torace e dell’addome (body). Il CTDI FDA presentava tuttavia il limite di dipendere dallo spessore nominale del fascio. Per superare tale limite e rendere più semplice la misurazione del CTDI, è stata standardizzata la lunghezza della misurazione a un valore di 100 mm, introducendo quindi il concetto di CTDI100, i cui limiti di integrazione sono ± 50 mm CTDI100
1 = nT
+50 mm
∫
D ( z ) dz
−50 mm
Tuttavia, come evidenziato nei precedenti paragrafi, la dose assorbita dalla superficie del distretto esaminato può avere un valore molto diverso da quello della dose che raggiunge il centro del target; quindi il valore del CTDI può variare in base alla posizione lungo il FOV. Per tener conto di tale variazione, è stato introdotto il CTDI pesato (CTDI w), definito come la somma di 1/3 del valore del CTDI100 misurato al centro del fantoccio e di 2/3 del valore del CTDI100 misurato alla periferia del fantoccio 1 2 CTDI w = CTDI w , centro + CTDI w , periferia 3 3 Il CTDI w rappresenta uno dei principali descrittori della dose in TC, viene utilizzato nel documento della Comunità Europea Quality Criteria and Reference Doses in TC ed
Fig. 9.4 Fantocci cilindrici in polimetilmetacrilato di 32 e 16 cm di diametro con alloggiamenti per le camere di ionizzazione
9 La dose in TC: descrittori e tecniche di riduzione
115
è il parametro di riferimento ai sensi del DLgs 187/2000 per le verifica dei livelli di dose in Italia (LDR, Livelli di Dose di Riferimento). I valori di CTDI finora esaminati si riferiscono a scansioni di tipo sequenziale, cioè con il letto porta-paziente che rimane fermo durante l’acquisizione di ogni singola scansione, e non tengono quindi conto di ciò che succede quando la scansione è spirale. Il CTDI w infatti non prevede alcuna correzione per il valore del pitch utilizzato nella scansione spirale; più recentemente è stato introdotto un nuovo descrittore di dose, il CTDIvol, che si ottiene correggendo il valore del CTDI w con il valore del pitch: CTDI vol =
CTDI w Pitch
Il CTDIvol rappresenta la dose dell’intero volume di scansione per un particolare protocollo di esame e per un definito fantoccio, e fornisce quindi un valore per la valutazione dei vari protocolli di uno specifico scanner e non un valore della dose erogata al paziente. Attualmente i vari tomografi tendono a riportare sia il CTDI w sia il CTDI vol ed è quindi importante fare attenzione a non confrontare i valori dei due diversi descrittori di dose senza considerare anche la possibile variazione causata dal pitch utilizzato durante la scansione spirale. 9.3.3 DLP Il descrittore di dose che caratterizza l’energia totale assorbita dal paziente durante un esame TC – e che può quindi essere utilizzato per effettuare confronti di dose tra i diversi esami TC e le diverse apparecchiature – è il DLP, dose length product, ovvero il valore del CTDI vol corretto per la lunghezza della scansione (l) lungo l’asse z del paziente DLP = CTDIvol × l Anche il valore del DLP viene normalmente riportato sulla consolle del tomografo per fornire al tecnico di radiologia informazioni inerenti la dose erogata durante la scansione (Fig. 9.5). Il valore del CTDI, e di conseguenza anche quello del DLP, presenta tuttavia limitazioni di cui occorre tener conto. Innanzitutto va ricordato che – essendo misurato in un fantoccio cilindrico, standardizzato e di materiale omogeneo – difficilmente il CTDI può simulare in modo accurato le differenze di taglia, forma e attenuazione che si registrano durante l’acquisizione del corpo umano; inoltre il CTDI è espresso come dose in aria e non come dose nel tessuto. Infine, l’integrazione dell’area con uno z di 100 mm può non essere sufficiente per tenere conto in modo corretto delle code di dose che si ottengono con collimazioni maggiori di 10 cm, come nel caso del Toshiba a 256 banchi di detettori, che ha una collimazione nominale del fascio pari a 12 cm [6]. 9.3.4 Misurazione della dose efficace Come abbiamo visto, la dose efficace è un parametro che descrive il rischio prodotto dalla radiazione ionizzante tenendo conto sia del tipo di radiazione utilizzato sia dell’organo
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F. Paolicchi et al.
Fig. 9.5 Esempio di report dosimetrico di una TC multistrato
Tabella 9.2 Fattori di ponderazione raccomandati per i diversi tessuti [7]
Tessuti
N. di tessuti
WT
Contributo totale
Midollo osseo, mammella, colon, polmoni, stomaco, tessuti rimanenti *
6
0,12
0,72
Gonadi
1
0,08
0,08
Vescica, esofago, fegato, tiroide
4
0,04
0,16
Superficie ossea, cervello, ghiandole salivari, pelle
4
0,01
0,04
Tessuti rimanenti (14 in tutto): ghiandole surrenali, regione extratoracica, cistifellea, cuore, reni, linfonodi, muscolo, mucosa orale, (pancreas, prostata, intestino tenue, milza, timo, utero/cervice (W T nominale applicato alla dose media per 14 tessuti)
irradiato. Tale grandezza è l’unica che può consentire un confronto tra le diverse tecniche radiologiche e che permette di informare correttamente il paziente sul diverso rischio associato, per esempio, a una radiografia e a una TC del torace. La stima della dose efficace richiede la conoscenza dei valori di sensibilità alle radiazioni dei diversi organi – normalmente ottenuti con programmi matematici basati su coefficienti ricavati con metodo Monte Carlo, che utilizza un fantoccio ermafrodito per la simulazione dell’interazione dei raggi X – e informazioni sulle caratteristiche del fascio e sulla sua filtrazione, fornite dai vari costruttori. Occorre sottolineare nuovamente che i valori di dose ottenuti da un fantoccio standard forniscono soltanto una valutazione approssimativa della dose agli organi e della dose efficace per ogni singolo paziente. Sebbene il calcolo della dose efficace richieda informazioni precise sulle caratteristiche del tomografo e sull’area anatomica irradiata, è possibile effettuare una rapida stima della dose efficace utilizzando dei coefficienti che consentono di valutare la dose a partire dal valore del DLP e dal distretto corporeo esaminato, con la formula Dose efficace = DLP × k
9 La dose in TC: descrittori e tecniche di riduzione
dove k rappresenta un fattore di correzione che dipende dal distretto esaminato. Nella Tabella 9.2 sono riportati i coefficienti di correzione utilizzati per i vari distretti esaminati durante un esame TC, come indicato dal documento 103 dell’ICRP [7].
9.4 Fattori che determinano la dose in TC Numerosi fattori possono influenzare la dose assorbita in un esame TC. Alcuni di questi dipendono strettamente dai parametri che vengono impostati prima di effettuare la scansione e sono quindi sotto diretto controllo dell’operatore (corrente, tensione, pitch, collimazione, centraggio del paziente, numero di fasi acquisite, lunghezza delle scansioni); altri invece dipendono dalle caratteristiche del paziente (dimensione, altezza, età, sesso). Gli stessi parametri possono anche essere suddivisi in due gruppi: parametri che hanno un’influenza diretta sulla dose erogata (corrente, tensione, ecc.) e parametri che, pur non avendo un’influenza diretta, possono tuttavia esercitare un’azione indiretta modificando la qualità dell’immagine ottenuta (filtri di ricostruzione, finestra di visualizzazione ecc.). I diversi parametri sono analizzati singolarmente nei prossimi paragrafi.
9.4.1 Corrente del tubo (mA) e dispositivi di regolazione automatica I mA sono legati al rateo di dose prodotto dal tubo radiogeno. Tra la dose erogata al paziente e la corrente del tubo sussiste un rapporto di linearità, cioè all’aumentare del valore dei mA aumenta proporzionalmente la dose erogata: passando, quindi, da un valore di 100 mA a un valore di 200 mA, la dose erogata raddoppia. Per evitare valutazioni errate in sede di confronti, occorre fare attenzione alle diversa modalità con cui le case produttrici riportano il valore della corrente del tubo; alcuni strumenti infatti riportano tale valore, anziché in mA, in mAs, tenendo quindi conto anche del tempo di rotazione del tubo. Con l’avvento dei tomografi multistrato, alcune aziende produttrici (Siemens, Philips) hanno reso ulteriormente complesso il confronto tra i vari strumenti, introducendo il concetto di mAs effettivi, ovvero un valore di milliampere corretto con il valore del pitch utilizzato durante la scansione (mAs effettivi = mAs/pitch). I mAs effettivi rappresentano probabilmente il metodo più corretto per indicare il valore della corrente del tubo nei moderni strumenti multistrato che utilizzano complessi sistemi di interpolazione dei dati; tuttavia, altre aziende (come General Electric e Toshiba) preferiscono continuare a utilizzare il tradizionale valore di mA o mAs. Negli attuali tomografi multistrato l’erogazione dei mA viene comunemente controllata da sistemi di regolazione automatica (AEC, Automatic Exposure Control), cioè dispositivi in grado di modulare la corrente del tubo in base al diverso livello di attenuazione che il fascio di raggi X incontra durante il suo percorso. L’obiettivo di tali sistemi è mantenere la stessa qualità dell’immagine durante l’intera scansione, tenendo in considerazione sia la dimensione del paziente sia l’attenuazione caratteristica di ciascun tessuto, e ridurre in modo significativo la dose erogata al paziente [8]. Infatti, nei vecchi scanner privi di regolazione automatica dell’esposizione la scelta dei mA veniva effettuata basandosi sul tessuto a più alta attenuazione del distretto esaminato, provocando
117
118
F. Paolicchi et al.
un inutile sovradosaggio dei tessuti con minore attenuazione. I sistemi di regolazione automatica dei mA attualmente disponibili sono caratterizzati da tre diverse modalità, che in alcuni casi possono essere utilizzate simultaneamente: modulazione in base alla taglia del paziente (patient size based), modulazione lungo l’asse longitudinale (Z-axis modulation) e modulazione angolare (rotational modulation) (Fig. 9.6). Nella patient size modulation la corrente del tubo viene regolata in base alle dimensioni totali del paziente ottenute mediante l’acquisizione di un scanogramma, in modo da diversificare tra pazienti di diversa taglia. Per ciascuna classe dimensionale dei pazienti viene scelto un appropriato valore di milliamperaggio, che si utilizza per l’intera scansione. Il valore di mA da utilizzare per ciascuna taglia viene settato in base a un’immagine di riferimento precedentemente memorizzata dalla casa produttrice. Il razionale della Z-axis modulation è legato invece alla differente attenuazione del fascio che distretti anatomici diversi possono determinare. In un esame total body di un paziente di normale corporatura, per esempio, è intuitivo che il distretto toracico (costituito in gran parte dai polmoni contenenti aria) avrà un’attenuazione decisamente inferiore rispetto a quella registrata a livello dell’addome superiore (dove sono localizzati organi quali fegato e milza) e, a maggior ragione, a livello dell’addome inferiore (per la presenza delle ossa del bacino). Per ottimizzare la dose erogata durante la scansione, la TC si basa quindi su una mappa di attenuazione misurata lungo l’asse longitudinale del paziente durante l’esecuzione di uno scanogramma, che non serve solo a fornire un’immagine di
a
b
c
d
Fig. 9.6 Differenti dispositivi di modulazione automatica della dose: (a) in base alla taglia del paziente; (b) longitudinale; (c) angolare; (d) longitudinale e angolare (combined)
9 La dose in TC: descrittori e tecniche di riduzione
119
riferimento per il posizionamento del FOV della scansione, ma rappresenta una fase importante per la corretta scelta dei mA da utilizzare nella successiva acquisizione. La rotational modulation, o XY modulation, fu introdotta nel 1994 dalla GE Medical System, con il sistema chiamato Smart mA. Questa metodica modula la corrente del tubo a seconda dell’angolo di proiezione, in modo da ridurre i raggi emessi in ciascuna rotazione del tubo. Per esempio nelle proiezioni antero-posteriori e postero-anteriori del cingolo scapolare, dove il fascio subisce un’attenuazione inferiore a quella delle proiezioni laterali, la corrente erogata viene ridotta. Lo Smart mA è basato sulla misurazione della densità delle strutture di interesse in modo da ottenere valori di assorbimento. Queste informazioni sono ottenute tramite i due scanogrammi eseguiti prima della scansione, dai quali il software ricava le dimensioni del paziente e modula la corrente al tubo durante la rotazione di 360°, allo scopo di contrastare le differenze di attenuazione, producendo una costante qualità dell’immagine e riducendo la dose. Lo smart mA, come si è detto, richiede uno scout (tecnica scout-based), ma è possibile ottenere la modulazione della corrente al tubo anche con un sistema on line. Questa modalità è stata inizialmente introdotta dalla Siemens, che ha progettato il CARE Dose, un software in grado di adattare i mAs in tempo reale durante la rotazione. Il tecnico di radiologia imposta la scansione definendo un mA effettivo: per i primi 180° lo scanner utilizzerà quel valore in modalità fissa e per i restanti 180° si baserà sull’attenuazione calcolata durante il primo emigiro. Attualmente le varie case produttrici di scanner tomografici utilizzano sistemi di modulazione della dose “combinati” (combined modulation), cioè sistemi in cui la modula-
Tabella 9.3 Caratteristiche dei sistemi di modulazione automatica della corrente nelle TC a 64 strati
Caratteristica
Scanner TC GE LightSpeed VCT 64 Smart mA
Philips Brillance CT 64 Doseright ACS, Dose-rigth DOM (D DOM, Z DOM)
Siemens Sensation 64 CARE Dose 4D
Toshiba Aquilion 64 SureExposure
Metodo di controllo dell’AEC per l’operatore
Noise index
Reference image
Reference mA
Standard deviation
Metodo di controllo del sistema per il controllo dei mA
Singolo o doppio scout, online control
Singolo o doppio scout
Singolo o doppio scout, online control
Singolo o doppio scout
Modulazione dei mA rispetto alle dimensioni del paziente
Sì
Sì
Sì
Sì
Modulazione dei mA lungo l’asse z
Sì
Sì
Sì
Sì
Modulazione dei mA durante la rotazione
Sì
Sì
Sì
Sì
Software per il controllo automatico dei mA
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F. Paolicchi et al. Tabella 9.4 Lineee guida europee per i livelli diagnostici di riferimento in alcuni esami TC
Esame Encefalo di routine Massiccio facciale Trauma Vertebrale Torace di routine Torace ad alta risoluzione Addome di routine Fegato e milza Pelvi di routine Pelvi per osso
Livelli diagnostici di riferimento CTDI w (mGy)
DLP (mGy × cm)
60 35 70 30 35 35 35 35 25
1060 360 460 650 280 780 900 570 520
Fonte: European Guidelines on Quality Criteria for Computed Tomography, EUR 16262, 1999
zione avviene in modo tridimensionale lungo gli assi x, y e z (Tabella 9.3). L’utilizzo di tali sistemi, rispetto a quelli a milliamperaggio fisso, può ridurre la dose erogata al paziente di oltre il 50%, ma richiede da parte dell’operatore una profonda conoscenza delle differenti strategie messe in atto dalle ditte produttrici. L’operatore, per esempio, deve scegliere con attenzione il livello della qualità dell’immagine che vuole ottenere in base ai diversi sistemi utilizzati dagli AEC dei vari tomografi, che includono il noise index (General Electric), la reference image (Philips), i reference mAs (Siemens), e la standard deviation dei numeri TC (Toshiba) [9]. Non esistendo un parametro assoluto per impostare il livello di qualità dell’immagine TC, gli operatori possono utilizzare come standard di riferimento le linee guida europee sui criteri di qualità in tomografia computerizzata (European Guidelines on Quality Criteria for Computed Tomography); tali raccomandazioni forniscono i valori di CTDI w e DLP consigliati per ciascun distretto corporeo esaminato (Tabella 9.4). 9.4.2 Tensione del tubo La differenza di potenziale applicata tra l’anodo e il catodo determina l’energia massima dei raggi X prodotti. Il rapporto dei kVp con la dose erogata risulta più complesso rispetto a quello dei mAs; in linea di massima si può affermare che esiste una correlazione polinomiale, per la quale se il valore dei kVp viene raddoppiato, la radiazione prodotta subisce un incremento di circa quattro volte [10]. L’aumento dei kVp influenza, inoltre, la capacità con cui i raggi X penetrano attraverso i vari tessuti ed essi tendono quindi a esercitare un effetto sul contrasto dell’immagine (all’aumentare dei kVp il contrasto diminuisce); tale riduzione di contrasto viene comunque ampiamente compensata dalla forte diminuzione del rumore presente nell’immagine. Il valore dei kVp tende comunque a essere mantenuto costante nei vari protocolli TC e da paziente a paziente (di norma 120 kVp, range 80-140 kVp). Valori maggiori di tensione del tubo possono essere giustificati nel caso di acquisizioni di distretti caratterizzati
9 La dose in TC: descrittori e tecniche di riduzione
121
da elevati valori di attenuazione, come il bacino, o nel caso di pazienti obesi; allo stesso modo una riduzione del valore dei kVp può essere fortemente consigliata nei pazienti pediatrici, con l’obiettivo di ridurre al minimo la dose somministrata.
9.4.3 Collimazione del fascio La collimazione è un parametro che definisce l’ampiezza del fascio utilizzato durante la scansione. Nella SSCT (Single Slice Computed Tomography) l’intera ampiezza del fascio più la penombra cadono all’interno dei detettori. Al contrario, negli apparecchi multistrato l’ampiezza del fascio e la penombra cadono all’interno di un preciso numero di detettori, differente in base al tipo di scanner utilizzato; la penombra tuttavia non dovrebbe essere utilizzata, in quanto degrada la qualità dell’immagine ottenuta (Fig. 9.7). Per limitare tale inconveniente, l’ampiezza del fascio viene aumentata in modo da far cadere la penombra oltre i detettori che ricevono il fascio principale di raggi X, concetto che prende il nome di overbeaming [11]. Il rapporto tra la collimazione nominale del fascio, che viene impostata sullo strumento prima di effettuare la scansione, e l’estensione effettiva del fascio, che tiene conto anche della penombra, prende il nome di efficienza geometrica longitudinale; tale rapporto fornisce la percentuale di raggi X che viene realmente utilizzata per produrre l’immagine e la percentuale che invece, pur incidendo sul paziente, non produce alcuna informazione. L’efficienza geometrica tende a diminuire quando si utilizzano collimazioni molto sottili, raggiungendo valori che possono scendere anche al di sotto del 50%, con conseguente aumento del rumore presente nell’immagine; per limitare tale inconveniente, occorre incrementare il valore dei mAs, determinando un aumento della
a
b
Fig. 9.7 Rappresentazione della geometria del fascio di raggi X in condizioni reali (a) e in condizioni ideali (b): l’area di colore grigio scuro rappresenta il fascio principale, mentre l’area di colore grigio chiaro la penombra
122
F. Paolicchi et al.
dose fornita. Da quanto detto, ne consegue che l’utilizzo di collimazioni estremamente sottili deve essere limitato ai casi in cui occorre ottenere un’isotropia dei voxel per effettuare ricostruzioni multiplanari e volumetriche di elevato dettaglio, allo scopo di minimizzare fastidiosi artefatti cosiddetti “a scalino” (step artifact) o artefatti legati a un effetto di volume parziale. Inoltre, l’utilizzo di piccole collimazioni determina una minore copertura lungo l’asse z del paziente, richiedendo quindi un maggior tempo di scansione per ricoprire l’area in esame, con conseguente aumento della dose erogata. Contrariamente al fenomeno dell’overbeaming, ampie collimazioni totali e valori elevati di pitch tendono ad aumentare la dose somministrata al paziente per il fenomeno chiamato overranging [12]. L’overranging può essere definito come la differenza che sussiste tra la lunghezza della scansione programmata sullo strumento e la lunghezza della scansione realmente eseguita; la lunghezza reale, infatti, tende a essere maggiore per la presenza di rotazioni aggiuntive all’inizio e alla fine della scansione allo scopo di fornire a tutti i detettori le informazioni necessarie per la ricostruzione della prima e dell’ultima immagine (Fig. 9.8). L’overranging quindi, aumentando al crescere della collimazione totale e del pitch utilizzato, può determinare – soprattutto nelle scansioni di piccoli distretti – una sovraesposizione del paziente tutt’altro che trascurabile. La collimazione del fascio deve quindi essere scelta cercando la giusta combinazione per ridurre al minimo gli effetti negativi derivanti sia dall’overbeaming sia dall’overranging.
9.4.4 Pitch Nella TC multistrato il pitch rappresenta il rapporto tra il movimento del lettino per ogni rotazione del gantry e la collimazione totale del fascio. Nella tomografia computerizzata il pitch gioca un ruolo importante per quanto riguarda gli aspetti dosimetrici, poiché la radiazione erogata, a parità di tutti gli altri fattori, risulta inversamente proporzionale al
Fig. 9.8 Rappresentazione schematica del fenomeno dell’overranging
9 La dose in TC: descrittori e tecniche di riduzione
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suo valore; perciò maggiore è il valore del pitch minore è la radiazione erogata, e viceversa. Tuttavia, nei moderni scanner multistrato tale concetto ha perso gran parte della sua importanza, in quanto i dispositivi di regolazione automatica della dose tendono a modificare i milliampere erogati al variare del pitch, con l’obiettivo di mantenere costante il rumore; di conseguenza, nella multistrato un aumento del pitch non determina una chiara riduzione della dose erogata. Attualmente, quindi, la variazione del pitch deve essere tenuta in considerazione principalmente per problemi relativi alla durata della scansione o per ridurre gli artefatti provocati da valori elevati del pitch.
9.4.5 Centraggio del paziente Un aspetto che svolge un ruolo molto importante nella dosimetria di un esame TC e che viene spesso sottovalutato dal tecnico di radiologia è il corretto allineamento del paziente all’interno del gantry. Un posizionamento non corretto tende a produrre una diminuzione della qualità dell’immagine e, in presenza di sistemi di regolazione automatica della dose, ciò viene compensato con un incremento della dose erogata. Tale effetto tende a essere ancora maggiore nelle TC multistrato che dispongono di sistemi di filtraggio dei raggi X detti bow tie, la cui funzione è adattare l’intensità del fascio dei raggi X alla geometria del distretto corporeo. Osservando infatti una sezione trasversale del tratto torace-addome di un paziente di normali dimensioni, vediamo come la parte centrale risulterà più spessa e quindi con una maggiore attenuazione, mentre le parti periferiche saranno più sottili e quindi con una minore capacità di attenuazione dei raggi X. I filtri bow-tie, conformano la fluenza dei fotoni allo spessore del paziente, poichè diminuiscono il numero dei fotoni diretti verso le porzioni periferiche e più sottili del distretto corporeo rispetto alla parte centrale più spessa. Studi presenti in letteratura dimostrano che, se il paziente è correttamente posizionato, tali filtri possono ridurre anche del 50% la quantità di dose erogata [13]. Allo stesso tempo però, se il posizionamento del paziente non viene effettuato in modo corretto, si possono registrare valori di dose elevati a livello della superficie del distretto esaminato, ma non sufficientemente adeguati nella zona centrale di maggiore spessore [14, 15] (Fig. 9.9).
Fig. 9.9 Conseguenze del non corretto posizionamento del paziente durante l’esame TC
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F. Paolicchi et al.
9.4.6 Lunghezza e numero di acquisizioni eseguite La dose totale di un esame TC è chiaramente influenzata dalla lunghezza delle scansioni eseguite. Il valore, in termini di DLP, della dose di un esame total body di un paziente di notevole altezza sarà sicuramente più elevato rispetto allo stesso esame eseguito su un paziente più basso; ciò ovviamente si traduce in una diversa dose efficace dei due esami. È quindi essenziale limitare la lunghezza di ciascuna acquisizione al quesito clinico. La lunghezza della scansione deve essere attentamente selezionata utilizzando i due radiogrammi (scout view) con proiezioni antero-posteriore e latero-laterale che vengono acquisiti prima della scansione, cercando di evitare quando possibile l’irradiazione di organi particolarmente radiosensibili (per esempio, il cristallino o le gonadi). L’utilizzo di protocolli che prevedono più ripetizioni delle scansioni eseguite su un distretto anatomico aumentano ovviamente la dose di un esame TC. Ciò si verifica in presenza di esami che richiedono scansioni pre e post somministrazione del mezzo di contrasto, o in protocolli che prevedono studi multifasici, cioè con acquisizioni dello stesso distretto a intervalli di tempo progressivi dal momento della somministrazione del mezzo di contrasto (per esempio uno studio trifasico del fegato). Sebbene gli effetti stocastici della radiazione non possano essere sommati in modo diretto, è comunque vero che ogni scansione aggiuntiva e la frequente ripetizione dell’esame all’interno di un anno solare (per esempio nei pazienti oncologici) incrementano la probabilità che essi si verifichino. È quindi un obbligo del medico radiologo valutare la reale necessità di un esame di tomografia computerizzata e, se questo viene ritenuto indispensabile, limitare il numero delle scansioni eseguite con riferimento a un preciso quesito clinico.
9.4.7 Filtri di ricostruzione e finestre di visualizzazione La scelta di idonei filtri di ricostruzione delle immagini e di adeguate finestre di visualizzazione rappresenta un importante strumento a disposizione del tecnico di radiologia per limitare “indirettamente” la dose dell’esame. I filtri di ricostruzione sono degli algoritmi matematici caratterizzati da una molteplicità di effetti sulla qualità delle immagini che possono produrre; alcuni filtri sono in grado di aumentare la risoluzione spaziale dell’immagine, ma con conseguente aumento del rumore (sharpening filter), altri invece possono ridurre il rumore presente a discapito della risoluzione spaziale (smoothing filter). Oggi gli scanner tomografici disponibili in commercio presentano un’ampia varietà di filtri di ricostruzione specifici per ciascun distretto. Nei casi in cui la risoluzione spaziale e di contrasto dell’immagine risulti più che sufficiente per il quesito clinico richiesto, si possono utilizzare filtri idonei per limitare il rumore di un’immagine ottenuta con valori di dose inferiori. È opportuno sottolineare che il compito del tecnico di radiologia non è produrre la migliore immagine possibile, bensì mettere a disposizione del radiologo un’immagine con un livello informativo sufficiente per rispondere a un preciso quesito clinico, limitando il più possibile la dose somministrata al paziente. Anche la finestra di visualizzazione (window level), ovvero il numero dei livelli di grigio con cui viene rappresentata una determinata immagine, può esercitare un’azione indiretta sulla dose erogata in un esame TC. Infatti la percezione del rumore presente in un’immagine dipende strettamente dal numero dei livelli di grigio con cui viene osservata: un’ampia finestra tende a ridurre la percezione del rumore, anche se a discapito di una
9 La dose in TC: descrittori e tecniche di riduzione
minore risoluzione di contrasto. Il prerequisito indispensabile per poter utilizzare finestre di visualizzazione più ampie, allo scopo di ridurre la dose, risulta quindi un sufficiente rapporto contrasto/rumore intrinseco dei tessuti esaminati.
9.4.8 Fattori dipendenti dal paziente: dimensione, età, sesso Le caratteristiche anatomiche dei singoli pazienti rappresentano una variabile importante in relazione ai livelli di dose comunemente utilizzati in un esame TC. Come già visto in precedenza, pazienti caratterizzati da una maggiore altezza necessitano spesso di scansioni più lunghe rispetto ai pazienti meno alti, producendo quindi esami con valori di DLP differenti, nonostante vengano eseguiti sugli stessi distretti (per esempio l’esame del distretto toracico può presentare, da un paziente all’altro, differenze di diversi centimetri di lunghezza). Anche lo spessore del distretto toraco-addominale del paziente influenza decisamente la dose necessaria per poter eseguire l’esame, in quanto per mantenere una sufficiente qualità dell’immagine occorre incrementare i parametri energetici (corrente e tensione) in modo da fornire al fascio di raggi X l’energia necessaria per attraversare i tessuti in esame. L’età del paziente rappresenta un fattore determinante nella scelta della tecnica di imaging radiologico da utilizzare, in quanto il rischio associato alla radiazione è decisamente più elevato in età giovanile (da tre a cinque volte superiore) [16, 17]. Ciò è dovuto a una predominanza di tessuti sensibili, quali ossa in accrescimento, epiteli, fegato, midollo osseo e cartilagine, oltre al fatto che i bambini hanno un’aspettativa di vita maggiore. Nel caso di pazienti pediatrici è quindi opportuno predisporre protocolli di acquisizione TC dedicati, che tengano conto delle loro diverse caratteristiche anatomiche e di radiosensibilità. Anche il sesso gioca un ruolo importante nell’impatto dosimetrico di un esame TC: occorre prestare particolare attenzione ad alcuni organi critici, come le mammelle nelle giovani donne, per i quali il rischio associato è più alto rispetto a quello che si registra negli uomini.
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Controlli di qualità
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F. Perrone, F. Picchi
Indice dei contenuti 10.1 10.2 10.3
Controllo di qualità Programma di controllo di qualità per apparecchi TC Prove per il controllo di qualità Bibliografia
10.1 Controllo di qualità Nei capitoli precedenti sono stati introdotti e discussi i principi della tomografia computerizzata a raggi X; particolare attenzione è stata dedicata al processo di formazione dell’immagine e al suo impiego clinico. Nel presente capitolo saranno presentati alcuni aspetti pratici relativi alla caratterizzazione delle prestazioni degli apparecchi TC e, in particolare, saranno esaminati i principali parametri impiegati nella valutazione della qualità delle immagini e i criteri per garantire un livello standard di funzionamento (considerato ottimale) di un tomografo. La garanzia di efficacia di una qualunque metodica diagnostica, e più in generale di qualsiasi processo produttivo, si fonda sul soddisfacimento di numerosi requisiti che definiscono il livello di adeguatezza delle risorse di cui si dispone nella fase produttiva. La “qualità” del processo produttivo, definita come la misura della capacità del processo di raggiungere gli obiettivi stabiliti (efficacia), utilizzando al meglio le risorse umane, di tempo ed economiche a disposizione (efficienza), si può valutare attraverso una procedura codificata di controllo. In altri termini, l’obiettivo principale del controllo di qualità è stabilire e mantenere un programma di verifiche che permetta di confrontare le prestazioni correnti con uno standard definito come soddisfacente. Per gli apparecchi TC, così come per qualunque altro apparecchio radiologico di impiego clinico, il controllo di qualità ha lo scopo di assicurare che qualunque immagine
Elementi di tomografia computerizzata. Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Emanuele Neri (a cura di) © Springer-Verlag Italia 2010
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clinica prodotta fornisca al radiologo tutte le informazioni cliniche necessarie per consentire una diagnosi corretta e, in ultima analisi, per contribuire alla qualità del sistema di cura del paziente. Inoltre, compatibilmente con il mantenimento dell’informazione clinica, si deve perseguire l’ottenimento e il mantenimento di livelli di dose più bassi possibili per il paziente. Il programma di controllo della qualità deve essere messo a punto in maniera congiunta dal radiologo e dal fisico specialista e deve includere anche le prove di funzionalità indicate dal costruttore come parte del regime di funzionamento ordinario (per esempio, le verifiche funzionali quotidiane da effettuare al momento dell’accensione). In alcuni casi, il programma di qualità prevede l’impiego di attrezzatura specifica fornita dal costruttore (per esempio, fantocci o oggetti di test), di specifiche modalità di imaging o di software interni di analisi per l’interpretazione e la validazione delle misure effettuate. È evidente che, per questioni di tempo e di economicità, i test quotidiani – sebbene siano fortemente indicativi dello stato dell’apparecchiatura – non possono essere estesi e approfonditi al punto da garantire l’ottenimento di una qualità di immagine ottimale; un programma di qualità deve dunque prevedere tutte le altre prove che caratterizzano in maniera completa la qualità clinica delle immagini. Il programma di controllo di qualità si articola in diverse fasi. Al momento in cui si progetta un processo di garanzia della qualità, occorre definire il livello standard di prestazione, in base ai risultati di una serie di verifiche specifiche eseguite al momento dell’accettazione dell’apparecchio (quando il perfetto funzionamento del tomografo è garantito dal costruttore) e di indicazioni fornite sia dal costruttore sia da documenti tecnici sui quali esiste un ampio consenso da parte della comunità scientifica e degli utilizzatori (per esempio, articoli pubblicati su riviste scientifiche di prestigio internazionale o norme tecniche prodotte da enti scientifici e associazioni professionali [1-10]). In questa fase si selezionano gli indicatori di qualità del processo, cioè le grandezze misurabili (per esempio, fisiche, dosimetriche, prestazionali), che permettono di stabilire in maniera inequivocabile se l’apparecchio TC opera in maniera ottimale. Per ciascuna grandezza quantificabile si stabiliscono un livello di riferimento (che diviene uno degli obiettivi del programma di qualità) e un intervallo di accettabilità intorno a esso tali da determinare in maniera oggettiva l’adeguatezza della prestazione. Inoltre, allo scopo di garantire la più ampia indipendenza dei risultati delle verifiche dall’osservatore, il programma di qualità deve codificare in dettaglio anche le procedure operative di misura e di valutazione degli indicatori. Se dalle verifiche si ricava un valore del parametro che si discosta dal valore di riferimento in misura superiore all’intervallo di accettabilità, è necessario attuare un intervento correttivo sul sistema. È opportuno sottolineare il fatto che un programma di qualità non prevede che cosa fare nel caso in cui la qualità di immagini non sia accettabile, ma definisce solo le soglie di intervento. A seconda dei casi, l’intervento correttivo può consistere in una ripetizione del processo di misura, nell’effettuazione di una serie di prove più analitiche per comprendere meglio l’origine del funzionamento sub-ottimale, o ancora nella richiesta di un intervento tecnico di manutenzione. Successivamente, occorre pianificare un programma di prove per valutare con una certa periodicità il livello della qualità di immagine del tomografo, al fine di garantire la tempestività di eventuali azioni correttive in caso di funzionamento sub-ottimale. Per questa ragione, i risultati delle prove di qualità devono essere prontamente interpretati dal fisico e confrontati con i valori di riferimento. Infine, i risultati delle prove e le
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conclusioni di chi li interpreta devono essere registrati (su supporto cartaceo o informatico) e custoditi per un intervallo di tempo adeguatamente lungo, per esempio per tutta la durata di vita dell’apparecchio, in modo da poter individuare ogni andamento anomalo nei risultati delle prove dovuto a un deterioramento di parti costitutive dell’apparecchio, o da poter giustificare la sostituzione di un apparecchio che richieda manutenzioni sempre più frequenti, o ancora da riuscire a individuare le macchine sottoposte a condizioni di funzionamento non adeguate (per esempio, ciclo di riscaldamento non conforme alle indicazioni fornite dal costruttore, carico di lavoro troppo pesante, temperatura ambientale eccessiva). In conclusione, il programma di controllo di qualità non deve essere inteso solo come un punto d’arrivo per gli adempimenti di legge del responsabile di un apparecchio, ma come uno strumento prezioso, sottoposto esso stesso a continua evoluzione e integrazione. Esso deve essere periodicamente riconsiderato alla luce degli sviluppi tecnico-scientifici e dell’evoluzione dei documenti tecnici di riferimento e deve essere completato da una serie di altre operazioni marginali ma fondamentali, quali la revisione e la calibrazione periodica degli strumenti di misura utilizzati.
10.2 Programma di controllo di qualità per apparecchi TC Le pagine che seguono sono dedicate alla descrizione di alcune procedure di misura relative ai controlli di qualità, all’indicazione dei valori attesi e dell’intervallo di accettabilità e alla frequenza di esecuzione delle prove. I criteri di scelta della periodicità dei controlli di qualità devono tener conto di molteplici fattori: le indicazioni dei documenti tecnici di riferimento scelti; le indicazioni fornite dal costruttore riguardo alla stabilità del sistema e riportate nella scheda tecnica relativa a ogni apparecchiatura; il carico di lavoro e la complessità delle apparecchiature. In genere, al momento dell’installazione o del collaudo funzionale ogni apparecchio TC è sottoposto a una caratterizzazione quanto più completa possibile, volta a verificare la corrispondenza al capitolato di acquisto in materia di specifiche tecniche fornite dal costruttore e anche ai fini della definizione dei valori di riferimento, poiché tutte le verifiche successive devono tener conto in qualche misura della storia dell’apparecchio. Una revisione approfondita delle prestazioni dell’apparecchio è richiesta dopo la sostituzione di parti fondamentali (tubo radiogeno, sistemi di movimentazione, sistemi di puntamento e localizzazione).
10.3 Prove per il controllo di qualità In questo paragrafo sono schematicamente presentati alcuni test di verifica che consentono di valutare in maniera quantitativa o semi-quantitativa la qualità di un tomografo computerizzato. Sono discussi brevemente anche gli oggetti di test e gli strumenti di misura necessari (Fig. 10.1).
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Fig. 10.1 Fantocci contenenti diversi tipi di inserti, impiegati per i test descritti nel paragrafo
Test 1 – Numero TC Strumentazione Un semplice fantoccio plastico di forma cilindrica, avente un diametro di circa 200 mm, riempito d’acqua. Procedura Acquisire una scansione assiale del fantoccio. Selezionare una ROI di circa 30 mm2 sull’acqua e successivamente spostare la ROI fuori dal fantoccio nella regione che contiene solo aria (Fig. 10.2). Opzionale Se si dispone di un fantoccio con inserti di materiali diversi dall’acqua, si può ripetere la misura del numero TC per materiali di densità diversa (materiali plastici, alluminio), in modo da campionare la curva di correlazione densità elettronica/numeri TC con maggior dettaglio (Fig. 10.3). Valore atteso Il numero TC medio dell’acqua deve essere prossimo a zero; quello per l’aria deve essere –1000. Limiti di accettabilità Le differenze tra i valori misurati e i valori di riferimento devono essere inferiori a 3-5 numeri TC. Per inserti di altro materiale: scegliere il valore più alto tra 20 numeri TC e il 5% del valore medio del numero TC dell’inserto. Frequenza La verifica deve essere eseguita all’accettazione e quotidianamente.
Test 2 – Rumore Strumentazione Un semplice fantoccio plastico di forma cilindrica, avente un diametro di circa 200 mm e riempito d’acqua (come nel Test 1). Procedura Determinare la deviazione standard dei numeri TC nella ROI impiegata nel Test 1.
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Fig. 10.2 Scansione TC di un fantoccio ad acqua uniforme. Una ROI (in giallo) è posta al centro dell’immagine per determinare il valore medio dei numeri TC e la loro deviazione standard nell’area selezionata. Si noti anche la ROI posta in corrispondenza dell’aria
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Fig. 10.3 Scansione TC di un fantoccio contenente alcuni inserti di diversi materiali
Valore atteso La deviazione standard del numero TC medio dell’acqua deve essere di circa 3-10 numeri TC. Il valore registrato dipende dalla dose in corrispondenza della ROI, dai valori di kVp, mA, dalla durata della scansione, dallo spessore della fetta, dalle dimensioni del fantoccio, dalla posizione della ROI all’interno del fantoccio e dal tipo di algoritmo di ricostruzione dell’immagine. Limiti di accettabilità Il valore del rumore deve essere il più piccolo possibile, compatibilmente con le condizioni di acquisizione. Lo scarto tra il valore misurato e quello di riferimento non deve essere superiore al 20%. Frequenza La verifica deve essere eseguita all’accettazione e quotidianamente.
Test 3 – Uniformità Strumentazione Un semplice fantoccio plastico di forma cilindrica, avente un diametro di circa 200 mm e riempito d’acqua (come nel Test 1). Procedura Nell’immagine impiegata nel Test 1 posizionare la ROI prima definita in quattro differenti posizioni periferiche poste a 1 cm dal bordo del fantoccio (per esempio in alto, in basso, a destra e a sinistra, Fig. 10.4). Selezionare una ROI al centro dell’immagine e quattro ROI poste a 1 cm dal bordo del fantoccio. Confrontare i numeri TC medi ottenuti con quello della ROI centrale. Valore atteso I quattro valori medi di numeri TC dovrebbero coincidere con quello ottenuto al centro del fantoccio.
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Fig. 10.4 Impiego di differenti ROI posizionate in diverse aree del fantoccio per determinare l’uniformità dei numeri TC
Limiti di accettabilità Le differenze ottenute non dovrebbero scostarsi più di 2-5 numeri TC dalle differenze ottenute nella prova di accettazione. Frequenza All’installazione e successivamente con cadenza mensile.
Test 4 – Risoluzione ad alto contrasto Strumentazione Un fantoccio con mire per la risoluzione ad alto contrasto. Si può impiegare anche un oggetto in plastica con una griglia di fori ordinati per gruppi di diametro decrescente (Fig. 10.5). I diametri dei fori decrescono da una riga alla successiva. Procedura Acquisire un’immagine assiale del fantoccio in corrispondenza delle mire e determinare il numero massimo di righe nelle quali gli oggetti sono chiaramente distinguibili. Valore atteso Nei tomografi più recenti dovrebbe essere possibile risolvere oggetti con diametro pari o inferiore a 1 mm. Limiti di accettabilità Il valore di riferimento deve essere determinato al momento dell’installazione. Nei test successivi si deve ottenere lo stesso risultato. Frequenza All’accettazione e successivamente con cadenza biennale.
Test 5 – Risoluzione a basso contrasto Strumentazione Un fantoccio con mire per la risoluzione a basso contrasto. Si può impiegare anche un oggetto in plastica con una griglia di fori ordinati per gruppi di diametro decrescente (da 8 a 2 mm). I diametri dei fori decrescono da una riga alla successiva. Il contrasto necessario può essere ottenuto riempiendo i fori con una soluzione acquosa di saccarosio o metanolo a bassa concentrazione, in modo da ottenere differenze di contrasto tra la plastica e la soluzione pari allo 0,5% circa.
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Fig. 10.5 Immagine TC di un fantoccio contenente 8 serie di 5 oggetti per determinare la soglia di visibilità ad alto contrasto
Fig. 10.6 Immagine TC di un fantoccio contenente 6 serie di coppie di oggetti per determinare la soglia di visibilità a basso contrasto
Procedura Acquisire una scansione assiale del fantoccio test nella sezione di interesse. Determinare il numero di righe nelle quali i dettagli sono distinguibili dal fondo. Il diametro del più piccolo oggetto circolare distinguibile fornisce il limite di rilevabilità a basso contrasto (Fig. 10.6). Valore atteso Devono essere distinguibili sull’immagine i dettagli di diametro pari a 35 mm. Occorre notare che il numero di oggetti dipende fortemente dai parametri tecnici di acquisizione dell’immagine. Limiti di accettabilità Il valore di riferimento deve essere determinato al momento dell’installazione. Nei test successivi si deve ottenere lo stesso risultato. Frequenza All’accettazione e successivamente con cadenza biennale.
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Test 6 – Spessore dello strato Strumentazione Il dispositivo di prova consiste in un fantoccio contenente una rampa o un altro oggetto in materiale uniforme di densità diversa da quella dell’acqua (per esempio, un filo metallico o un foro in un fantoccio in plastica), inclinato a 45° rispetto alla direzione di avanzamento del lettino. Procedura Tomografi con sole scansioni assiali: acquisire almeno tre scansioni con differenti valori di spessori della fetta. Valutare lo spessore dello strato calcolando la larghezza a metà altezza del profilo dei numeri TC dell’inserto (Fig. 10.7). Scansioni elicoidali: impostare la ricostruzione di ciascuna immagine sullo stesso intervallo angolare di 360°. Per tomografi a singolo rivelatore, impostare un bed index uguale allo spessore della scansione (cioè, fissare il pitch = 1) e procedere come per le scansioni assiali. Per i tomografi dotati di rivelatore segmentato, occorre fissare il bed index uguale al prodotto dello spessore della scansione per il numero di rivelatori e procedere come per le scansioni assiali. Valore atteso Il valore misurato dell’ampiezza dello strato deve coincidere con quello nominale. Limiti di accettabilità Scegliere come limite sullo scostamento del valore misurato da quello di riferimento il valore più alto tra il 20% del valore di riferimento e 1 mm. Frequenza Test di accettazione e successivamente con cadenza annuale.
Test 7 – Dose Strumentazione La misura degli indici di dose (Computed Tomography Dose Index e Dose Length Product) deve essere effettuata preferenzialmente mediante una camera a ionizzazione di tipo pencil avente forma cilindrica con diametro di circa 10 mm e lunghezza sensibile non inferiore a 100 mm, connessa a un elettrometro con adeguate caratteristiche di
Fig. 10.7 Immagine TC di un fantoccio ad acqua contenente una rampa metallica inclinata a 45° per la determinazione dello spessore dello strato visualizzato. Un regolo mostra la larghezza dell’oggetto
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sensibilità e livello di rumore. Questi strumenti devono avere una risposta uniforme su tutta la lunghezza; essi devono essere corredati di una calibrazione in kerma in aria all’energia di interesse. La misura deve essere effettuata in fantoccio acrilico standard di forma cilindrica, avente spessore pari a 150 mm e diametro pari a 160 mm (fantoccio di tipo HEAD) o a 320 mm (fantoccio di tipo BODY). I fantocci devono avere un foro centrale e 4 fori a 10 mm dal bordo, rispettivamente a ore 3, 6, 9 e 12, idonei ad alloggiare la camera a ionizzazione (Fig. 10.8). Procedura Mediante la camera a ionizzazione misurare la dose per singola scansione in aria al centro dell’asse di rotazione e alla periferia di ciascun fantoccio. Calcolare il valore di CDTIw e il DLP (vedi capitoli precedenti). Valore atteso I valori degli indici di dose devono coincidere con quelli nominali e devono rispettare i valori indicati per alcuni esami specifici dalla normativa sulla radioprotezione del paziente. Limiti di accettabilità Il valore degli indici di dose non devono differire per più del 20% dai valori di riferimento. Frequenza La verifica deve essere effettuata all’accettazione e successivamente con cadenza annuale.
Test 8 – Profilo della radiazione Strumentazione Un regolo millimetrato e una pellicola radiografica del tipo “ready-pack” sviluppabile o una pellicola radiologica da verifica dosimetrica che non richiede sviluppo. Procedura Fissare la pellicola a un sostegno verticale e posizionarla sul lettino al centro del gantry. Effettuare una scansione (con basso valore di mA) per ogni spessore dello strato impostabile, avendo cura di spostare ogni volta la pellicola in modo da non sovrapporre le diverse esposizioni. Misurare la larghezza del profilo di densità sul film con un sensitometro o direttamente con un righello all’altezza dei centri delle penombre di ogni lato.
Fig. 10.8 Fantocci omogenei in PMMA per la misura dei parametri di dose
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Valore atteso I valori misurati delle larghezze devono coincidere con i valori nominali impostati. Limiti di accettabilità Scegliere come limite sullo scostamento del valore misurato da quello di riferimento il valore più alto tra il 20% del valore di riferimento e 1 mm. Frequenza La verifica deve essere effettuata all’accettazione e successivamente con cadenza annuale.
Test 9 – Posizionamento del lettino Strumentazione Un regolo millimetrato, un peso da 50 kg per simulare un paziente e una pellicola radiografica del tipo “ready-pack” sviluppabile o una pellicola radiologica da verifica dosimetrica che non richiede sviluppo. Procedura Fissare il regolo alla parte fissa del supporto del paziente e utilizzare un peso di circa 50 kg che simuli il peso del paziente. Posizionare il regolo mediante il centratore luminoso del gantry. Incollare la pellicola radiologica al lettino con un lato parallelo la direzione di spostamento. Eseguire 10 scansioni con apertura del fascio uguale o inferiore a 5 mm, distanziate di 10 mm una dall’altra. La pellicola registrerà una serie di strisce in corrispondenza dell’esposizione alla radiazione. Misurare la distanza tra i centri delle strisce consecutive. Valore atteso Le distanze misurate tra due strisce successive devono essere pari a 10 mm. Limiti di accettabilità Il massimo scarto accettabile è di 1 mm per coppia di strisce adiacenti. Frequenza La verifica deve essere effettuata all’installazione e successivamente con cadenza annuale.
Test 10 – Accuratezza delle luci di localizzazione Strumentazione Un regolo millimetrato, una pellicola radiografica del tipo “ready-pack” sviluppabile o una pellicola radiologica da verifica dosimetrica che non richiede sviluppo. Procedura Fissare la pellicola sul lettino con un lato parallelo alla direzione di spostamento. Forare con un oggetto appuntito la pellicola (o il suo involucro) in corrispondenza delle luci del centratore nelle quattro direzioni (destra, sinistra, craniale e caudale) rispetto al centro del campo. Impostando il minimo spessore di strato, effettuare una scansione nella posizione della luce interna. Ripetere l’esposizione per la luce esterna, dopo aver spostato il lettino mediante il controllo automatico. Sviluppare la pellicola (se necessario) e misurare la distanza tra i buchi della pellicola e il centro del campo per entrambe le luci. Valore atteso I fori devono indicare un perfetto centraggio della banda di annerimento dovuta alla radiazione. Limiti di accettabilità La differenza rispetto alle indicazioni del centratore luminoso non deve superare i 2 mm. Frequenza La verifica deve essere effettuata all’installazione e successivamente con cadenza annuale.
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Test 11 – Accuratezza dello spostamento del lettino in TC elicoidale Strumentazione Un fantoccio con una serie di marker a distanza nota lungo l’asse di movimento del lettino. Procedura Effettuare una scansione elicoidale con la prima e l’ultima fetta coincidente con la posizione dei marker. Tali marker devono essere chiaramente visibili sulle immagini. Dalle immagini acquisite è possibile valutare la posizione dei marker e la relativa distanza da confrontarsi con la distanza reale. Valore atteso La distanza tra coppie adiacenti di marker deve coincidere con quella nominale. Limiti di accettabilità Lo scarto massimo accettabile è di 2 mm per 200 mm di spostamento. Frequenza La verifica deve essere effettuata all’installazione e successivamente con cadenza annuale.
Test 12 – Misura della radiazione diffusa Strumentazione Una camera a ionizzazione di grande volume per la rilevazione ambientale della radiazione che possa funzionare in modalità di integrazione nel tempo, un supporto da pavimento per il posizionamento della camera nella sala TC durante l’esecuzione di una scansione, un fantoccio ad acqua del diametro di almeno 200 mm. Procedura Posizionare il fantoccio ad acqua sul lettino all’interno del gantry, impostare una sequenza di scansione con dati tecnici (mA, kV e tempo di scansione) analoghi a quelli di impiego clinico comune (per esempio, cranio). Rilevare la dose integrata dalla camera a ionizzazione, ripetendo la misura in varie posizioni al fine di descrivere una distribuzione o mappa di dose all’interno della sala TC. Valore atteso I valori di dose rilevata variano in funzione della posizione della camera a ionizzazione all’interno della sala TC. In genere, valori di dose più significativi si rilevano in posizioni prossime al lettino (Fig. 10.9) e diminuiscono all’aumentare della distanza dal tubo radiogeno.
Fig. 10.9 Curva di isolivello per i valori di kerma in aria, rilevabili intorno a un tomografo computerizzato. I valori di massima esposizione ambientale fuori dalla zona occupata dal paziente sono generalmente rilevabili nelle posizioni indicate dai simboli ⊕
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F. Perrone, F. Picchi
Limiti di accettabilità Nessuno. Frequenza La verifica deve essere effettuata all’installazione e successivamente con cadenza annuale.
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I mezzi di contrasto in TC
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L. Faggioni, S. Giusti, E. Orsi
Indice dei contenuti 11.1 11.2 11.3
Classificazione dei mezzi di contrasto Mezzi di contrasto intravascolari-interstiziali (uro-angiografici) Mezzi di contrasto intraluminali Bibliografia
Lo sviluppo dei mezzi di contrasto è iniziato poco dopo la scoperta dei raggi X, non appena ci si rese conto che molte strutture non erano visibili sulla semplice immagine radiografica, perché caratterizzate da una scarsa differenza di densità rispetto alle strutture circostanti. Tali strutture anatomiche non sarebbero state direttamente valutabili con le tecniche radiologiche se non fosse stato possibile ottenerne una variazione artificiale della densità mediante l’introduzione nell’organismo di sostanze dotate di un’attenuazione dei fotoni X notevolmente diversa da quella dei tessuti esaminati: i mezzi di contrasto.
11.1 Classificazione dei mezzi di contrasto Nel caso di metodiche di imaging basate sull’impiego di raggi X, si definiscono mezzi di contrasto (mdc) tutte le sostanze che, introdotte nel corpo umano, modificano il numero atomico medio dei distretti anatomici in cui si distribuiscono, rendendoli direttamente riconoscibili e consentendo di ottenere anche informazioni di tipo funzionale (per esempio, circolo nel sistema arterioso e venoso, vascolarizzazione e perfusione in funzione del tempo e accumulo ed eliminazione del mdc). I mdc possono essere classificati come naturali o artificiali, in base alla loro origine, e come positivi (o radiopachi, o iperdensi) o negativi (o radiotrasparenti, o ipodensi) a seconda delle loro caratteristiche di attenuazione fotonica. Il potere contrastografico dei mdc positivi dipende dalla presenza all’interno della loro molecola di atomi a elevato numero Elementi di tomografia computerizzata. Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Emanuele Neri (a cura di) © Springer-Verlag Italia 2010
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atomico, come lo iodio (Z = 53) o il bario (Z = 56) che, essendo caratterizzati da un’attenuazione dei raggi X nettamente superiore rispetto a quella media dei tessuti corporei, aumentano la differenza di densità (contrasto) tra i compartimenti in cui si distribuiscono e quelli in cui non si distribuiscono. I mdc negativi, invece, sono sostanze naturali (come l’acqua, l’aria o il biossido di carbonio) o artificiali (come il polietilenglicole) che, essendo costituite da atomi a basso numero atomico, presentano un’attenuazione fotonica minore rispetto alle strutture circostanti e, pertanto (da sole o in combinazione con mdc positivi a diversa biodistribuzione), generano un contrasto negativo. Per quanto riguarda la somministrazione, i mdc possono essere distinti in intravascolari e intraluminali: i primi sono utilizzati per il riconoscimento delle strutture vascolari, lo studio dei parenchimi e l’opacizzazione delle vie escretrici, mentre i mdc intraluminali vengono impiegati per rendere riconoscibile il lume di un viscere (o, più in generale, di una cavità).
11.2 Mezzi di contrasto intravascolari-interstiziali (uro-angiografici) 11.2.1 Proprietà chimico-fisiche I mdc intravascolari-interstiziali per TC (così denominati per la loro biodistribuzione prima nel torrente circolatorio e successivamente nel compartimento extravascolare interstiziale; sono detti anche uro-angiografici per il loro impiego in angiografia e urografia) sono costituiti da molecole contenenti atomi di iodio e, pertanto, appartengono alla classe dei mdc positivi. Lo iodio viene integrato in una struttura molecolare che determina l’idrosolubilità, l’osmolarità, la farmacocinetica (biodistribuzione e successiva eliminazione) e la tollerabilità del mdc stesso [1, 2] (Fig. 11.1a). Storicamente la scelta dello iodio come elemento contrastografico è stata dettata dal suo basso costo e dalla notevole stabilità del suo legame
a
b
Fig. 11.1 Struttura molecolare di base dei mdc iodati uro-angiografici (a); mdc iodati uro-angiografici monomerici ionici (b)
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con il resto della molecola. Quest’ultima è costituita da un anello benzenico, legato a tre atomi di iodio nelle posizioni 2-4-6 e a catene laterali nelle posizioni 3 e 5, che determinano l’idrofilicità della molecola (ovvero la sua solubilità nel plasma) e le sue caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche. In posizione 1 possono essere presenti un gruppo carbossilico unito mediante legame ionico a un catione di sodio o metilglucamina (mdc ionici), oppure un gruppo idrofilico non ionico (mdc non ionici), che concorrono a determinare l’idrofilicità della molecola e, soprattutto nel caso di mdc ionici, la sua osmolarità. Quest’ultimo parametro misura la capacità di una soluzione di richiamare acqua attraverso una membrana semipermeabile ed è particolarmente elevata nei mdc ionici, dove raggiunge valori circa 7 volte superiori rispetto al plasma. Per questo motivo i mdc ionici (denominati appunto High Osmolarity Contrast Media, HOCM, Fig. 11.1b) non sono più utilizzati come mdc uro-angiografici, in quanto la loro elevata osmolarità determinava un’eccessiva emodiluizione ed era responsabile di lesioni endoteliali, soprattutto a livello microcircolatorio: in particolare, nel rene l’iperosmolarità comportava un’elevata nefrotossicità. Attualmente i mdc iodati uro-angiografici sono non ionici e si suddividono in mdc a bassa osmolarità (Low Osmolarity Contrast Media, LOCM, Fig. 11.2) e iso-osmolari (IsoOsmolar Contrast Media, IOCM, Fig. 11.3) rispetto al plasma. I mdc non ionici si sono dimostrati più tollerabili di quelli ionici a livello renale, cardiovascolare e neurologico (anche grazie alla presenza di catene laterali idrofiliche che riducono la tendenza della molecola a interagire con le proteine e con le membrane cellulari [3, 4]) e sono gravati da una minore frequenza di eventi avversi, quali nausea, vomito e reazioni anafilattoidi.
Fig. 11.2 Struttura molecolare di base dei mdc iodati uro-angiografici monomerici non ionici
Fig. 11.3 Struttura molecolare di un mdc uro-angiografico dimerico non ionico (iodixanolo)
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I mdc iodati possono essere suddivisi anche in monomeri e dimeri: questi ultimi sono formati da due metà identiche legate tra loro mediante un legame covalente. È da notare che la fusione di due monomeri di mdc ionico in un dimero consentiva di dimezzarne l’osmolarità, con benefici sulla tollerabilità del composto [5]. Una caratteristica importante dei mdc iodati in generale è la loro concentrazione iodica, ovvero la quantità di atomi di iodio contenuti nell’unità di volume. Essa viene solitamente espressa in milligrammi equivalenti di iodio per millilitro (mgI/mL); è intuitivo che – almeno in vitro – mdc a maggiore concentrazione iodica sono dotati di un maggiore potere contrastografico, ovvero attenuano maggiormente i fotoni X. La concentrazione iodica influenza anche l’osmolarità del mdc, in quanto mdc più concentrati, possedendo una maggiore forza ionica, sono più iperosmolari rispetto a soluzioni meno concentrate della stessa molecola. Un’eccezione a questa caratteristica generale è costituita dalle soluzioni di iodixanolo, dimero non ionico iso-osmolare, che si mantengono iso-osmolari al plasma a tutte le concentrazioni grazie all’aggiunta alla soluzione di elettroliti [6]. I mdc non ionici comunemente impiegati in TC hanno concentrazioni iodiche comprese tra 300 e 400 mg I/mL. Le dimensioni della molecola dei mdc ne determinano la capacità di diffusione: le molecole dei mdc iodati attuali sono di dimensioni relativamente grandi, per cui non superano la barriera ematoencefalica integra e tendono a distribuirsi nel compartimento interstiziale in una fase successiva al loro passaggio attraverso l’albero vascolare. La viscosità delle soluzioni acquose di mdc misura la loro capacità di fluire nei vasi, negli aghi e nei cateteri di iniezione. Si misura in mPa × s e dipende dalla struttura della molecola, dalla temperatura e dalla concentrazione iodica. In generale, la viscosità cresce al crescere delle dimensioni molecolari (i dimeri tendono a essere più viscosi dei monomeri) e con la concentrazione e si riduce all’aumentare della temperatura [3, 7-8]. Per quest’ultimo motivo è importante preriscaldare il mdc a temperatura corporea (37 °C) prima della sua somministrazione endovenosa, al fine di diminuirne la viscosità per consentirne l’iniezione rapida (particolarmente utile nel caso di studi angio-TC) e ridurre il rischio di stravaso extravenoso. Effetti indesiderati di un mdc sono non di rado secondari a una caduta del livello elettrolitico; per tale motivo un mdc per uso endovenoso viene considerato migliore quando, a parità di altri requisiti, possiede una bassa osmolarità.
11.2.2 Farmacocinetica Una volta iniettato per via endovenosa, il bolo di mdc si miscela con il plasma e la sua concentrazione plasmatica si innalza tanto più rapidamente quanto maggiore è la velocità di somministrazione. Dal livello di concentrazione plasmatica del mdc dipende la rapidità della filtrazione glomerulare del mdc stesso attraverso il rene. In una prima fase, quindi, si avrà l’opacizzazione delle vene che drenano il punto di iniezione e del circolo polmonare e, successivamente, del macrocircolo arterioso. Per questo motivo, la prima fase di biodistribuzione intravascolare del mdc è detta angiografica o di primo passaggio ( first pass), in quanto il mdc è distribuito pressoché interamente all’interno delle arterie di conduzione e di resistenza, senza che si abbia opacizzazione delle vene o dei parenchimi. Poiché il distretto arterioso è caratterizzato da un’elevata velocità di scorrimento del sangue e l’intera colonna di mdc giunge al suo interno senza fenomeni di ricircolo, l’enhancement
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contrastografico delle arterie è direttamente proporzionale alla velocità di iniezione: in altri termini, un’elevata velocità di iniezione garantisce che il mdc che nell’unità di tempo viene allontanato da una sezione di arteria a opera della pressione sistolica venga sostituito dalla frazione di bolo successiva. È inoltre intuitivo che l’enhancement arterioso sia proporzionale anche alla concentrazione di mdc, ovvero alla quantità di iodio per unità di volume. Complessivamente, si può dire che l’enhancement arterioso è direttamente proporzionale all’IDR (Iodine Delivery Rate), definito come il prodotto tra la velocità di iniezione e la concentrazione iodica del mdc: è possibile ottenere lo stesso IDR utilizzando mdc a concentrazione iodica standard ed elevata velocità di flusso oppure mdc ad alta concentrazione iodica e velocità di flusso minore [9-10]. Il volume del mdc influenza la durata del bolo (e, in minor misura, l’enhancement arterioso): a parità di concentrazione iodica, volumi maggiori portano a una disponibilità intravascolare più lunga del mdc per un dato livello di enhancement (espresso in HU), anche se ovviamente comportano un maggior carico iodico per il paziente e costi di gestione più elevati. Volumi minori, invece, possono essere adeguati purché sia possibile effettuare l’acquisizione in tempi più rapidi. Naturalmente, la velocità di flusso è inversamente correlata alla durata del bolo e va scelta in base alla rapidità di acquisizione dello scanner, alla concentrazione del mdc e alla qualità dell’accesso venoso disponibile (Fig. 11.4). Dopo la fase angiografica, il mdc passa dal macrocircolo al microcircolo arterioso: questa fase, detta arteriosa parenchimale, è di fondamentale importanza per la valutazione di organi con importante vascolarizzazione arteriosa (come il rene o il pancreas) o di lesioni tissutali sostenute da circoli arteriosi, come le neoplasie ipervascolari. Analogamente
Fig. 11.4 Schema della relazione tra enhancement contrastografico e velocità di iniezione, concentrazione iodica e volume somministrato di mdc. A parità degli altri parametri, un aumento della velocità di flusso determina un anticipo del tempo di picco dell’enhancement contrastografico (peak enhancement), una minore durata dell’intervallo di enhancement contrastografico superiore alla soglia desiderata (linea tratteggiata) e una maggiore intensità del peak enhancement. Un incremento della concentrazione iodica comporta un aumento del peak enhancement, mentre un aumento del volume di mdc iniettato si traduce in un ritardo del tempo di picco, in una maggiore durata del bolo di mdc e in una maggiore intensità del peak enhancement
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a quanto si verifica nella fase angiografica, l’enhancement contrastografico in fase arteriosa parenchimale è proporzionale all’IDR [11-13]. Successivamente, il mdc fluisce nel distretto venoso (fase venosa) e, quindi, passa progressivamente nello spazio extravascolare interstiziale fino a equilibrare (fase tardiva o di equilibrio) la sua concentrazione interstiziale con quella plasmatica. Sia il compartimento venoso che quello interstiziale sono di tipo capacitivo e sono caratterizzati da un volume di distribuzione molto più grande di quello arterioso. Di conseguenza, l’enhancement contrastografico in queste fasi non dipende più dall’IDR, ma dalla quantità totale di iodio somministrata, ovvero dal prodotto della concentrazione iodica per il volume di mdc iniettato [9,14]. Nel frattempo, aumenta progressivamente la quota di mdc eliminata dal rene e si assiste a una crescente opacizzazione delle vie urinarie (fase urografica). A livello del sistema nervoso centrale, se la barriera emato-liquorale è integra, i mdc iodati uro-angiografici non diffondono nel compartimento extravascolare; ciò accade, invece, quando la barriera emato-liquorale diventa permeabile al mdc (come negli stati flogistici o in presenza di danno di barriera). L’emivita plasmatica media dei mdc iodati è di 1-3 ore. Dopo 10 minuti, circa il 10% della quantità iniettata viene eliminata per via glomerulare e dopo 24 ore ne viene rimosso circa l’85%; solo il 10-15% segue, in condizioni di normale funzionalità renale, la via extrarenale (biliare, intestinale, salivare).
11.2.3 Modalità di iniezione Generalmente il punto d’accesso per l’iniezione è una vena cubitale o antecubitale del braccio; raramente vengono scelte altre vie, come le vene del dorso delle mani o dei piedi. Il contrasto può essere iniettato a mano oppure, preferibilmente, in maniera automatica mediante iniettore programmabile: in quest’ultimo caso è possibile selezionare accuratamente il volume e la velocità di iniezione del mdc. Esistono anche iniettori a due vie, che consentono la somministrazione di un bolo di soluzione fisiologica dopo quello di mdc: ciò consente di compattare il bolo di mdc, riducendone la quantità che rimane nello “spazio morto”, costituito dal raccordo iniettore-accesso venoso e dalla via venosa stessa, e attenuando gli artefatti da iperconcentrazione di mdc, che possono aver luogo in corrispondenza delle vene succlavie, della vena cava superiore e del cuore destro (nel caso più frequente di iniezione attraverso il braccio). È possibile, inoltre, programmare l’iniettore in modo da somministrare un bolo di mdc diluito con soluzione fisiologica dopo il primo bolo: ciò può essere utile, per esempio, per garantire un’adeguata opacizzazione delle cavità cardiache di destra senza generare artefatti da iperconcentrazione di mdc, il che può essere utile, per esempio, per lo studio TC del cuore destro o della funzione cardiaca. La temporizzazione dell’acquisizione TC con le varie fasi di biodistribuzione del mdc varia a seconda del quesito diagnostico e può avvenire sia scegliendo ritardi temporali fissi (basati sul tempo di circolo medio del mdc all’interno di un determinato distretto), sia - preferibilmente - impiegando tecniche automatiche o semiautomatiche. Quest’ultimo approccio è generalmente vantaggioso, in quanto consente di ridurre gli errori di sincronizzazione della scansione TC dovuti alle differenze di tempo di circolo in individui diversi. È possibile utilizzare, a tale scopo, la tecnica del bolus test o quella del bolus
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tracking. La prima consiste nell’iniettare per via endovenosa un piccolo bolo di mdc (1025 mL) e nel misurare, posizionando una regione di interesse (Region of Interest, ROI) su un particolare distretto (per esempio, il lume aortico), la densità all’interno della ROI in funzione del tempo mediante scansioni a bassa dose radiante, ripetute con elevata risoluzione temporale (1-3 secondi) allo stesso livello anatomico: in questo modo si deduce il ritardo dall’inizio della somministrazione di mdc al quale corrisponde il picco di enhancement contrastografico e si procede a iniettare il bolo standard di mdc, iniziando la scansione al tempo così determinato. La tecnica del bolus tracking, invece, prevede la contemporanea iniezione del normale bolo di mdc e la registrazione continua della densità su un livello anatomico prestabilito; la scansione contrastografica inizia dopo un ritardo prestabilito a partire dal superamento di una soglia di densità (per esempio, 100-150 HU), selezionabile a piacere a seconda del quesito diagnostico [9].
11.2.4 Eventi avversi Per quanto uno dei presupposti di un mdc ideale sia la sua inerzia farmacologica, i mdc iodati uro-angiografici non sono composti biochimicamente inerti e pertanto interagiscono con l’organismo, causando talvolta reazioni indesiderate. Le reazioni avverse si distinguono essenzialmente in due gruppi. 1. Chemiotossiche (tipo A), dipendenti dalla dose e dalla concentrazione plasmatica del mdc, perciò potenzialmente prevedibili; esse sono influenzate da osmolarità, viscosità e idrofilia del mdc. Gli organi più colpiti sono il rene, il sistema nervoso centrale e l’apparato cardiovascolare. In particolare, il rene rappresenta il principale organo bersaglio, poiché il mdc iodato viene in gran parte eliminato per filtrazione glomerulare. I principali effetti nefrotossici si esplicano soprattutto attraverso una relativa ipossia della midollare renale in rapporto alla viscosità del mdc (con conseguente riduzione della filtrazione glomerulare), uno stress osmotico, una produzione di fattori paracrini vasocostrittori, un’aumentata liberazione di radicali liberi dell’ossigeno e una tossicità molecolare diretta del mdc. Tali effetti sono alla base della nefropatia da contrasto (Contrast-Induced Nephropathy, CIN), definita comunemente come una riduzione della funzionalità renale entro tre giorni dalla somministrazione intravascolare di mdc iodato, in assenza di un’eziologia alternativa [8]. Fattori di rischio per l’insorgenza di CIN sono l’insufficienza renale cronica, la disidratazione, gli stati ipovolemici (come quelli associati a scompenso cardiaco), l’uso di farmaci nefrotossici e indagini contrastografiche ripetute a breve intervallo di tempo e con alte dosi di mdc iodato. Allo scopo di ridurre il rischio di CIN in pazienti che presentino uno o più di tali fattori è bene usare mdc non ionici (LOCM o IOCM), ridurre il più possibile la quantità di mdc somministrato, assicurare un’adeguata idratazione e sospendere – per quanto possibile – l’assunzione di farmaci nefrotossici almeno 24-48 ore prima e dopo l’esame. Un’ulteriore controindicazione alla somministrazione di mdc iodati è costituita dagli stati di ipertiroidismo, in quanto crisi tireotossiche possono essere scatenate dalla dissociazione (per quanto in minima percentuale) di atomi di iodio dalla molecola di mdc e dalla presenza di tracce di iodio libero nella preparazione di mdc. Anche stati di ipotiroidismo potrebbero essere aggravati dall’introduzione ev di mdc iodati, con possibili complicanze a carico degli organi bersaglio (come l’instaurarsi di scompenso cardiaco in pazienti a rischio).
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2. Anafilattoidi (tipo B o allergic-like), dose-indipendenti e imprevedibili; possono indurre il rilascio di amine vasoattive (istamina, serotonina, prostaglandine, leucotrieni, bradichinina), dando luogo a reazioni di tipo allergico o pseudoallergico. In base alla loro severità, queste reazioni possono essere suddivise in: – lievi: sapore metallico in bocca, sensazione di calore, nausea e vomito, sudorazione, disestesia periorale, sensazione di testa leggera, dolore nella sede dell’iniezione, orticaria, emicrania; – moderate: persistenza e aumento di intensità dei sintomi minori, dispnea, ipotensione, dolore toracico; – severe: tosse, starnuti, broncospasmo, ansia (sintomi minori); diarrea, parestesie; edema al volto, alle mani e in altri siti corporei; dispnea, cianosi, edema della glottide, ipotensione marcata, bradicardia, shock, edema polmonare, aritmie, midriasi, convulsioni, paralisi, coma, morte. Se le reazioni compaiono entro un’ora dalla somministrazione sono dette immediate, altrimenti si parla di reazioni tardive o ritardate. La probabilità di incorrere in reazioni avverse aumenta in pazienti con storia di reazioni al mdc o in soggetti allergici; per tale motivo è fondamentale raccogliere un’anamnesi accurata volta a individuare allergie o precedenti reazioni al mdc o ad altre sostanze e, più in generale, stati di insufficienza renale e/o cardiaca, iper- o ipotiroidismo, paraproteinemia, assunzione di metformina [4, 7-8, 15-20].
11.3 Mezzi di contrasto intraluminali I mdc intraluminali più usati in TC sono quelli gastrointestinali, ovvero soluzioni o sospensioni acquose di sostanze contenenti atomi a elevato numero atomico (composti iodati, baritati) nel caso di mdc positivi, oppure atomi a basso numero atomico nel caso di mdc negativi (acqua, polietilenglicole, aria, biossido di carbonio). I mdc gastrointestinali iodati più comunemente utilizzati in TC sono composti ionici idrosolubili tri-iodati, un tempo impiegati anche come mdc uro-angiografici e tuttora usati come mdc intraluminali per il basso costo e il buon potere contrastografico. Il grado di opacizzazione dipende dalla dose e dalla concentrazione del mdc somministrato; in generale, per ottenere un adeguato enhancement luminale, è necessaria una soluzione di mdc ionico almeno al 60%; solitamente sono sufficienti 20 mL di mdc diluiti in 1000 mL di acqua. Uno dei limiti di tali composti è il cattivo sapore, che spesso comporta una scarsa accettazione da parte del paziente; inoltre, trattandosi di HOCM, possono avere un effetto diarroico (diarrea osmotica) o aggravare enterocoliti preesistenti a causa di un notevole incremento della peristalsi. Inoltre, dato che una minima quantità di mdc viene assorbita dalla mucosa intestinale, ne è sconsigliato l’uso in pazienti con paraproteinemia e insufficienza renale. Esistono comunque anche mdc iodati non ionici approvati per uso gastrointestinale – come iopamidolo, iohexolo e iodixanolo – più costosi, ma di sapore più gradevole e più tollerati in quanto meno osmotici. In TC è possibile utilizzare anche mdc baritati: questi ultimi permettono un’intensa opacizzazione del lume gastroenterico, ma per tale motivo vanno usati con cautela in quanto possono provocare artefatti da indurimento del fascio radiante, compromettendo
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quindi la qualità dell’immagine. I mdc a base di bario sono inoltre da evitare in pazienti con sospetta perforazione del tubo digerente per il rischio di stravaso intraperitoneale e conseguente peritonite chimica. È da notare che in TC i mdc iodati ionici, stimolando la peristalsi, sono solitamente preferiti a quelli baritati, perché consentono una visualizzazione dell’intestino distale in tempi più rapidi rispetto al solfato di bario. Per lo studio del tratto gastroenterico, inoltre, si ricorre spesso all’uso di mdc negativi, sia liquidi (acqua, polietilenglicole) sia gassosi (aria, biossido di carbonio); questi mdc, da soli o in combinazione con mdc positivi intravascolari-interstiziali, generano un contrasto ottimale tra lume e parete. Per esempio, mediante l’ingestione di un’adeguata quantità di acqua (≥1000 mL) si può ottenere un’ottimale distensione dello stomaco che, unitamente all’enhancement parietale determinato dalla somministrazione di mdc uro-angiografico per via endovenosa, consente la corretta visualizzazione di eventuali lesioni parietali [21]. Con l’introduzione di soluzioni di polietilenglicole è possibile ottenere una buona distensione del lume enterico che, associata all’iniezione di mdc iodato endovena e alla somministrazione di farmaci miorilassanti, permette lo studio dettagliato delle pareti intestinali e dei loro rapporti con le strutture extraparietali [22]; l’aria o il biossido di carbonio trovano invece la principale applicazione per lo studio TC del colon [23]. Al di fuori del tubo digerente, i mdc intraluminali possono essere somministrati mediante iniezione locale per lo studio delle articolazioni (artro-TC), del sistema escretore delle ghiandole salivari (scialo-TC), degli spazi liquorali subaracnoidei tramite puntura lombare (cisterno-TC e mielo-TC) e di tragitti fistolosi (fistolo-TC). In particolare, l’artro-TC prevede l’introduzione per via percutanea di mdc iodato idrosolubile all’interno della cavità articolare, cui si associa, per migliorare il risultato diagnostico, la contemporanea iniezione di aria (doppio contrasto); successivamente, l’articolazione viene mobilizzata per consentire al mdc iodato e all’aria di miscelarsi, distribuendosi in modo uniforme sui capi articolari, consentendo la visualizzazione di strutture (come quelle tendinee) altrimenti non direttamente visibili. Tuttavia, queste applicazioni extra-gastrointestinali dei mdc intraluminali sono oggi molto più rare che in passato grazie all’evoluzione delle metodiche di imaging basate sulla risonanza magnetica (RM), che spesso consentono una visualizzazione diretta dei distretti sopra menzionati con elevata risoluzione di contrasto e senza somministrazione di mdc esogeno. L’uso attuale di queste tecniche TC resta pertanto limitato a quei casi in cui la RM sia non disponibile o controindicata.
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D. Volterrani, O. Sorace, D. Fontanelli
Indice dei contenuti 12.1 12.2
Tomografi ibridi PET/TC e SPECT/TC Protocolli diagnostici Bibliografia
12.1 Tomografi ibridi PET/TC e SPECT/TC In questi ultimi anni gli strumenti di tomografia computerizzata (TC) sono apparsi sulla scena della medicina nucleare a integrare tomografi PET (Positron Emission Tomography) e gamma-camere. Il primo prototipo di strumento ibrido, divenuto operativo nel 1998, comprendeva una componente PET e una TC spirale montate sullo stesso supporto rotante [1]. I primi tomografi ibridi commerciali che seguirono, a partire dal 2001, erano costituiti da una componente TC e da una PET accoppiate in tandem (l’una di seguito all’altra, con l’asse sulla stessa linea); i due tomografi erano integrati meccanicamente solo in minima parte, sebbene inclusi nel medesimo gantry. Questo disegno di tomografo ibrido caratterizza ancora oggi tutti gli attuali apparecchi PET/TC in commercio (Fig. 12.1). In pratica, i detettori e i sistemi di acquisizione sono separati, e le acquisizioni delle due modalità di imaging sono effettuate in successione temporale, mantenendo il paziente nella stessa posizione; in comune hanno il tavolo sul quale è posizionato il paziente, progettato per minimizzare la flessione sull’asse verticale (ha infatti una corsa maggiore rispetto a quella richiesta nei sistemi singoli) e per assicurare un accurato allineamento tra TC e PET (corretto movimento traslazionale). Un’unica consolle di comando consente di impostare le acquisizioni TC e PET (le due scansioni sono spazialmente, oltre che temporalmente, separate, ma la loro posizione è perfettamente nota, in modo tale da poter sovrapporre le immagini a posteriori). L’integrazione finale tra PET e TC è eseguita dal software deputato al post-processing e alla rappresentazione visiva delle immagini PET, TC e di fusione. Elementi di tomografia computerizzata. Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Emanuele Neri (a cura di) © Springer-Verlag Italia 2010
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Fig. 12.1 Rappresentazione schematica dei tomografi PET/TC attualmente in commercio. Il disegno include nello stesso gantry una TC multistrato posizionata davanti alla componente PET. L’escursione del tavolo è tale da consentire l’acquisizione total body delle due modalità di imaging in successione
Se i tomografi ibridi PET/TC sono stati inizialmente caratterizzati da una TC a singola o doppia linea di detettori, attualmente tutte le ditte produttrici commercializzano tomografi con la componente PET e TC al top dello stato dell’arte [2]. Negli stessi anni sono apparsi in commercio tomografi ibridi SPECT/TC (SPECT, Single Photon Emission Computed Tomography), ovvero gamma-camere che includono nello stesso gantry una TC. Il primo modello di gamma-camera con queste caratteristiche, commercializzato nel 2002 dalla GE Healthcare (Millennium VG Hawkeye), era caratterizzato da una TC a bassa risoluzione, accoppiata meccanicamente alla gamma-camera, con la quale ruotava solidale sullo stesso supporto. Il gantry era caratterizzato per la prima volta dalla presenza della tecnologia slip-ring, sia per la componente TC sia per la SPECT, il tubo radiogeno era alimentato da una tensione di 140 kV con una corrente di 2,5 mA e lo spessore di strato era di 10 mm (matrice 256×256); la velocità di rotazione dell’apparecchio era piuttosto lenta e consentiva alla TC (singola slice) di effettuare la scansione, corrispondente al FOV della gamma-camera (40 cm), in 10 minuti, con una bassa dose efficace per il paziente (<2 mSv); un modello con caratteristiche simili è tuttora in commercio. Negli anni seguenti anche altre ditte costruttrici, come Siemens e Philips, hanno prodotto alcuni modelli di gamma-camere ibride, scegliendo tuttavia, sin dall’inizio, di integrare nel tomografo una TC in grado di generare immagini a elevata risoluzione spaziale. Attualmente, tutte le ditte commercializzano almeno un tomografo SPECT/TC con TC (multislice o flat-panel) di ultima generazione.
12.1.1 Vantaggi dei tomografi ibridi La combinazione di uno scanner PET o SPECT con un sistema TC presenta due vantaggi principali: la correlazione tra imaging funzionale e morfologico e la correzione per l’attenuazione dei dati SPECT o PET, basata sulla TC [3]. 12.1.1.1 Imaging di correlazione morfo-funzionale Il primo vantaggio associato alla combinazione di uno scanner PET o SPECT con un sistema TC consiste nella possibilità di ottenere quasi simultaneamente immagini funzionali (PET o SPECT) e morfologiche (TC). Infatti, il principale limite degli esami di medicina nucleare è stato tradizionalmente rappresentato dal fatto che l’accumulo del radiofarmaco
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non potesse essere riferito con precisione a specifiche strutture anatomiche. Combinando i due strumenti in un unico sistema è possibile ottenere queste informazioni, senza spostare il paziente dalla sua posizione sul tavolo. Le informazioni così ottenute possono essere accuratamente co-registrate (fuse) e, per ogni punto del corpo, si possono ottenere immagini con informazioni morfologiche e funzionali. Questa evoluzione tecnologica ha contribuito a ridurre soprattutto i risultati falsi positivi e a migliorare quindi la specificità, con conseguente aumento dell’accuratezza diagnostica globale. Considerando, per esempio, l’ambito della diagnostica oncologica [4-8], l’informazione funzionale derivante dall’esame PET o SPECT è in grado di caratterizzare una lesione – evidenziandone l’elevata attività metabolica e/o proliferativa (Fig. 12.2) o l’iperespressione di determinati recettori – ma, al tempo stesso, l’immagine funzionale può beneficiare dell’informazione anatomico-topografica derivante dalla TC (Fig. 12.3). 12.1.1.2 Correzione per attenuazione basata sulla TC Il secondo importante aspetto dell’utilizzo della SPECT/TC o PET/TC è la possibilità di utilizzare i coefficienti di attenuazione ricavati con la TC per effettuare la correzione per l’attenuazione dei dati SPECT o PET. I raggi gamma, emessi dal corpo di un paziente sottoposto a un esame SPECT o PET, sono attenuati secondo una legge esponenziale espressa dall’equazione λ1 / 2 =
ln 2 μ
dove λ1/2 è lo spessore di dimezzamento e μ il coefficiente di attenuazione lineare (per esempio 1,53×10–1 cm–1 in acqua, nel caso del Tecnezio-99m, che emette raggi gamma con un’energia di 140 keV). I fotoni emessi all’interno del corpo del paziente, lungo la loro linea di volo, attraversano tessuti con diversa densità e composizione (e quindi diversi μ): è allora chiaro che, per ottenere la reale distribuzione dell’attività del radiofarmaco e
Fig. 12.2 Esame PET/TC con [18F]FDG. Le sezioni assiali (TC bassa dose a sinistra, PET al centro, fusione a destra) evidenziano due linfonodi, in sede paratracheale destra e subaortica, che presentano spiccata iperattività metabolica e sono riferibili a linfoadenopatie secondarie in un paziente sottoposto a ristadiazione post-chirurgica per un carcinoma esofageo
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Fig. 12.3 Esame SPECT/TC con 111In-pentetreotide (Octreoscan). Nell’esame SPECT (sezione assiale in alto a destra) si evidenzia un’area di iperattività focale che soltanto dopo la co-registrazione con la TC (a bassa dose e bassa risoluzione spaziale) è riferibile alla testa del pancreas: si tratta di una neoplasia neuroendocrina con elevata espressione dei recettori per la somatostatina
poterne dare una stima semiquantitativa o quantitativa, è necessario conoscere la distribuzione dei diversi coefficienti di attenuazione lineare relativi all’energia dei fotoni emessi dallo specifico isotopo impiegato. Nelle prime PET e SPECT questa misura era eseguita attraverso acquisizioni cosiddette trasmissive, in cui si utilizzava una sorgente radioattiva lineare (per lo più, Gadolinio-159 in SPECT, Germanio-68 in PET) per ottenere una sorta di immagine tomografica (simile alla TC), che rappresentava la distribuzione dei coefficienti di attenuazione (mappa di μ). Nelle moderne SPECT e PET un risultato analogo è ottenuto accoppiandole al tomografo TC. In questo modo la mappa di μ, necessaria per la correzione dell’attenuazione tessutale, è ottenuta direttamente dalla TC [8].
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Questo tipo di approccio ha il grande vantaggio che la correzione è ottenuta in maniera più rapida (in PET un’acquisizione trasmissiva total body richiedeva più di 20 minuti) e con un più basso livello di rumore nelle immagini. Una volta acquisita la mappa densitometrica della TC, è necessario riportare i valori di densità (ottenuti sulla base dell’assorbimento dei raggi X) ai valori di μ relativi all’energia dei raggi gamma usati in PET o SPECT. In pratica, una volta ricostruita, la scansione TC fornisce la distribuzione dei coefficienti di attenuazione ottenuti con uno spettro caratteristico dei raggi X, solitamente rappresentata nella scala dei numeri di Hounsfield (HU). Il valore di μ è così calcolato ⎞ ⎛ HU μ = μ H 2O ⎜ +1 ⎝ 1000 ⎟⎠ dove μ H2O è il coefficiente di attenuazione lineare dell’acqua. Il passo successivo della procedura di correzione per attenuazione consiste nella conversione dei μ misurati alle energie della TC (μ TC ) nei μ misurati all’energia dei fotoni impiegati in SPECT o PET. Tale conversione non è ottenuta tramite un semplice fattore moltiplicativo; soprattutto in PET, dove l’energia dei fotoni è particolarmente elevata (511 keV), le probabilità relative dei vari tipi di interazione nella materia sono diverse per i raggi X della TC e i raggi gamma della PET, con una conseguente non linearità nella conversione dei μ per i vari tessuti che i raggi X e gamma attraversano. L’approssimazione solitamente utilizzata è quella di considerare una conversione lineare tra μ TC e μ 511 con un dato fattore di proporzionalità fino a un certo valore di HU (in questa prima gamma di valori di HU si trovano solitamente tutti i tessuti molli). Al di sopra di tale valore di HU si considera un diverso fattore, tipicamente inferiore (Fig. 12.4): in questo intervallo di valori sono inclusi, per esempio, i materiali più attenuanti come le ossa [8]. Queste curve di conversione possono variare tra i diversi sistemi utilizzati e sono di norma specificate dal produttore della strumentazione. Tale approssimazione fallisce in caso di materiali a più alto numero atomico (Z), che non possono dunque essere approssimati come una combinazione di aria, acqua e tessuto osseo. I materiali di cui sono costituiti impianti
Fig. 12.4 Rappresentazione grafica della relazione bilineare tra numeri TC (unità Hounsfield, HU) e coefficienti di attenuazione per fotoni di 511 keV
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metallici, otturazioni dentali metalliche e i mezzi di contrasto usati in TC sono fonte di artefatti sulla PET [9].
12.2 Protocolli diagnostici 12.2.1 PET/TC Sulla base di quanto detto finora, la TC in medicina nucleare è impiegata soprattutto per la correlazione anatomica e per la stima quantitativa o semiquantitativa dei dati PET o SPECT (per esempio, calcolo del SUV, Standardized Uptake Value, in PET). Per questo motivo, il protocollo di acquisizione standard di una PET/TC prevede l’acquisizione di una TC definita a bassa dose (1-4 mSv) per limitare la dose radiante somministrata al paziente, che quasi sempre, oltre alla PET (dose efficace 5-7 mSv), esegue nel suo iter diagnostico anche una TC senza e con mdc [10]. Nel caso di esami oncologici (la maggior parte), l’acquisizione total body parte dalla base cranica e termina a livello della porzione prossimale delle cosce. Al fine di pianificare i limiti della scansione, viene eseguita inizialmente un’acquisizione scout, i cui parametri sono impostati su bassi valori di kilovoltaggio (80 kV) e di milliamperaggio (10 mA). Il piano dello scout è antero-posteriore e/o laterale. Lo scout definisce la lunghezza della scansione, che risulterà identica per TC e PET, e corrisponde a un numero intero di FOV assiali (o lettini) di acquisizione della PET necessari per ricoprire la lunghezza di scansione desiderata (generalmente 5-7 lettini di 15-18 cm ciascuno). Una volta definiti i limiti della scansione, la TC elicoidale è tipicamente eseguita tenendo in considerazione i seguenti parametri tecnici. – Milliamperaggio: si utilizza un valore tale da eseguire una TC a bassa dose, solitamente compreso tra 60 e 80 mA (valori più bassi si possono impiegare nei bambini, più elevati nei pazienti obesi). – Kilovoltaggio: generalmente 120 kV (o comunque compreso tra 80 e 140 kV). – Spessore elicoidale (mm): simile a quello della PET. I dati TC possono essere retro-ricostruiti con un intervallo di immagini uguale a quello della PET. – FOV: solitamente nelle acquisizioni total body è di 50 cm. Velocità di rotazione del tubo, velocità di avanzamento del tavolo e pitch possono variare a seconda del tipo di tomografo. Al termine dell’acquisizione TC viene eseguita l’acquisizione emissiva PET che, a seconda della modalità utilizzata (2D o 3D), può avere una durata media compresa tra 10 e 25 minuti (Fig. 12.5). Il paziente è solitamente posizionato sul tavolo supino, con gli arti superiori in iperabduzione sopra la testa; nei casi in cui si desideri includere nel FOV gli arti superiori o si voglia studiare il collo, le braccia sono posizionate lungo il corpo. Mentre per il paziente può essere facile mantenere questa posizione durante la breve acquisizione TC, può non esserlo altrettanto durante la ben più lunga acquisizione PET: pertanto, la compliance del paziente deve essere ben valutata prima di cominciare l’acquisizione. Un altro aspetto da tenere presente è che l’esame TC non viene effettuato in apnea inspiratoria, come solitamente si usa fare in TC. Questo perché la TC deve in qualche modo “adattarsi” alla lunga acquisizione PET, le cui immagini derivano dalla somma di numerosi
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atti respiratori. Una TC a respiro trattenuto presenterebbe un inevitabile mismatch spaziale con la PET, con una conseguente errata correzione per l’attenuazione dei dati PET. Si consiglia, pertanto, di istruire il paziente a respirare in modo rilassato durante l’acquisizione TC, evitando profonde inspirazioni o espirazioni. Nonostante questi accorgimenti, è piuttosto frequente riscontrare un cattivo allineamento tra immagini TC e PET, soprattutto nel caso di reperti localizzati in prossimità del diaframma (basi polmonari o addome superiore), dove il movimento respiratorio è maggiore (Fig. 12.6). Un artefatto frequentemente
Fig. 12.5 Protocollo di acquisizione standard di un esame PET/TC: in successione temporale sono eseguiti scout, TC a bassa dose senza mdc e PET
Fig. 12.6 Mismatch tra PET e TC. A causa dei movimenti respiratori durante le acquisizioni, nella TC la tumefazione surrenalica destra (sezione coronale a sinistra e assiale TC in basso) appare situata su un piano di circa 1 cm inferiore rispetto al reperto PET (sezione coronale a destra e sezione assiale PET in alto)
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Fig. 12.7 Artefatto PET/TC da movimento respiratorio (“segno del fungo”)
riscontrabile è il “segno del fungo”, dovuto alla diversa posizione del diaframma durante l’acquisizione elicoidale della TC (Fig. 12.7) [11]. Sebbene la maggior parte dei reparti di medicina nucleare non ne faccia uso, è possibile utilizzare mezzi di contrasto orali come preparazione all’esame TC, per identificare meglio il tubo digerente e differenziarlo da altre strutture o lesioni [12]. Talvolta può essere sufficiente invitare il paziente a bere molta acqua (1,5 litri), che distende le anse intestinali, nel periodo di attesa necessario dopo la somministrazione del [18F]FDG (Fluoro-DesossiGlucosio); è anche possibile somministrare mezzi di contrasto radiopachi, iodati oppure baritati, opportunamente diluiti.
12.2.2 SPECT/TC Anche in questo caso il protocollo di acquisizione è ottimizzato al fine di definire la localizzazione topografica dei reperti evidenziati con la SPECT e di correggere i conteggi rilevati per l’attenuazione tessutale [13]. Al contrario della PET/TC, nella SPECT/TC non è prevista una successione obbligata di acquisizioni: lo scout non è necessariamente eseguito e l’acquisizione SPECT può precedere quella TC. In pratica, si può scegliere una modalità di acquisizione simile a quella della PET/TC quando si preferisce che la guida, per la definizione della zona da sottoporre a scansione, sia quella anatomica (scout → TC → SPECT). Quando, invece, il FOV è centrato sfruttando i fotoni emessi dalle strutture localizzate nell’area anatomica
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d’interesse (i fotoni sono rilevabili con la gamma-camera già nella fase di preparazione dell’acquisizione), lo scout non viene eseguito; in questo caso si procede all’acquisizione SPECT e, al termine, si esegue la TC, i cui limiti di scansione possono anche essere ristretti a una zona specifica del FOV (SPECT → TC), limitando in questo modo la dose erogata al paziente (Fig. 12.8). Anche nel caso della SPECT/TC, nei protocolli standard la TC è eseguita a bassa dose e valgono le stesse indicazioni della PET/TC riguardo al posizionamento del paziente, al respiro e all’eventuale impiego di mezzi di contrasto per via orale. La SPECT/TC è utilizzata nei centri di medicina nucleare non solo in ambito oncologico, ma anche in quello cardiologico, per correggere i frequenti artefatti da attenuazione a livello della parete inferiore e anteriore del ventricolo sinistro negli studi di perfusione miocardica [14].
Fig. 12.8 SPECT/TC. Le immagini coronali evidenziano come la scansione TC a bassa dose (sezione coronale in alto a destra) sia stata volutamente limitata al torace, al contrario della SPECT che include anche parte dell’addome superiore
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12.2.3 Gating respiratorio La PET/TC sta assumendo un ruolo sempre più importante in radioterapia per la valutazione dell’estensione della massa neoplastica da irradiare. Questa metodica può, infatti, essere utilizzata per la definizione dei volumi di trattamento, tenendo conto non solo dei parametri anatomici tradizionali della TC, ma anche dell’informazione metabolica ottenuta con la PET (Biological Target Volume, BTV) [15, 16]. Poiché i trattamenti radioterapici sono sempre più mirati, è necessario scegliere il volume della neoplasia da irradiare con un’accuratezza sempre maggiore, al fine di ottenere una radicalità di cura della lesione (target) con risparmio dei tessuti sani (Fig. 12.9). Un aspetto critico nella definizione del target riguarda le variazioni di volume d’interesse in seguito al movimento della lesione causata dagli atti respiratori. Oggi esistono tecniche di trattamento radioterapico che tengono in considerazione gli errori dovuti al movimento del target, utilizzando metodologie che permettono la sincronizzazione dell’irradiazione con il ciclo respiratorio del paziente. Allo stesso modo, grazie a un dispositivo che rileva e analizza il pattern respiratorio, è possibile fornire al tomografo PET/TC un segnale “trigger” per la sincronizzazione dell’acquisizione rispetto al ciclo respiratorio [17]. Uno dei dispositivi
Fig. 12.9 PET/TC con [18F]FDG nella definizione del BTV in radioterapia. La lesione neoplastica risulta molto più circoscritta rispetto alla zona di addensamento polmonare, dovuto a estesa atelettasia
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commerciali più diffusi è il sistema RPM (Real-time Position Management, Varian Medical Systems), direttamente interfacciabile al tomografo e anche all’acceleratore lineare per il trattamento radioterapico [18]. Questo dispositivo permette di rilevare il ciclo respiratorio del paziente attraverso la registrazione di un segnale di tipo ottico: due marker riflettenti, posizionati sul torace del paziente, sono illuminati con una luce infrarossa. La luce da essi riflessa si muove con gli atti del respiro ed è rilevata da una telecamera, il cui segnale viene elaborato in tempo reale e utilizzato per il trigger. Per quanto riguarda la componente PET, i dati gated (4-8 fasi/ciclo) sono acquisiti in modalità frame-mode (numero prestabilito di fasi) o list-mode [19] (il numero delle fasi è scelto a posteriori in post-processing); i dati gated-TC possono essere acquisiti in modo prospettico (acquisizione a priori di una sola fase del ciclo respiratorio) o retrospettivo. Nella modalità di acquisizione retrospettiva, si acquisisce la TC durante tutto il ciclo respiratorio del paziente, che viene suddiviso nel numero di fasi stabilito, consentendo di ottenere tutti i dati relativi all’escursione spaziale della lesione durante il ciclo respiratorio, come nella PET. I tempi di scansione variano in base ai parametri tecnici del tomografo TC impiegato: per esempio, per acquisire 20 cm di FOV assiale e 5 secondi di gating per scansione occorre circa 1 minuto con un tomografo a 8 strati, utilizzando un pitch di 1,35:1, una collimazione di 10 mm e una velocità di rotazione di 0,5 secondi. Il gating respiratorio è stato recentemente proposto anche per migliorare il “match” tra acquisizione TC e PET in esami diagnostici, al fine di ottenere immagini PET/TC libere da artefatti legati al movimento respiratorio, con un conseguente miglioramento della risoluzione spaziale e della quantizzazione dei reperti PET e una più accurata misura del SUV [20, 21]. In questo caso, ogni fase di acquisizione PET è corretta per l’attenuazione utilizzando la fase corrispondente del ciclo respiratorio della TC. Sebbene questa modalità di acquisizione sia eseguita soltanto su torace e addome superiore, i tempi di acquisizione della gated-PET allungano sensibilmente la durata totale dell’esame PET/TC total body. In alternativa, è possibile effettuare il gating del solo esame TC che, in fase di post-processing, è elaborato in modo tale da ottenere, dalle fasi del ciclo respiratorio acquisite, una TC “media” (respiration-averaged CT, o ACT) che avrà una “risoluzione temporale” simile alla PET, migliorandone la correzione dell’attenuazione (la ACT è usata per correggere i dati PET) e riducendo gli artefatti legati al mismatch tra le due modalità. Recentemente è stato realizzato un nuovo metodo che consente di ottenere la ACT senza utilizzare il gating, ma effettuando un’acquisizione TC in modalità “cine”, caratterizzata da una rapida velocità di rotazione del tubo (0,5 s) e da una velocità di avanzamento del tavolo di 2 cm ogni 5,9 secondi [22, 23]. È comunque da tenere presente che queste modalità di acquisizione TC hanno come fattore critico una più elevata dose di radiazioni per il paziente.
12.2.4 PET/TC con mdc in oncologia La diffusione dei tomografi PET/TC e l’esigenza di integrare sempre più le informazioni ottenute con le diverse modalità di imaging hanno portato a considerare la possibilità (o la necessità) di eseguire, nella stessa sessione di esame, anche la TC con mdc [12]. Sono diversi i motivi per cui è difficile pensare, almeno allo stato attuale, che la TC diagnostica con mdc possa essere usata per la correzione dell’attenuazione dei dati PET. Il primo motivo è già stato accennato a proposito della conversione delle HU in coefficienti di attenuazione μ per i fotoni di 511 keV: la relazione tra le due misure (HU e μ511)
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è valida soltanto fino a certi valori di assorbimento; quando questi vengono superati (come con l’impiego del mdc), la correzione per l’attenuazione della PET è sovrastimata, con conseguenti artefatti sulle immagini PET. Il secondo motivo è rappresentato dalla modalità di acquisizione della TC con mdc: essendo questo un esame diagnostico di per sé, deve necessariamente essere eseguito in apnea e non a respiro libero, come nella TC a bassa dose; il mismatch con la PET, che in questo caso si viene a creare, fa sì che la TC con mdc non possa essere usata per la correzione dell’attenuazione e la co-registrazione. Non è detto inoltre che i vincoli imposti all’acquisizione TC (parametri tecnici come FOV, spessore elicoidale ecc.), necessari per la co-registrazione con la PET, coincidano con quelli per l’esecuzione ottimale di una TC diagnostica con mdc. Occorrerebbe, inoltre, eseguire la TC con mdc con un’unica acquisizione total body e dovrebbe essere anche stabilito in quale fase contrastografica. Infine, tra l’acquisizione della TC dopo mdc e il termine di quella della PET trascorre un tempo relativamente lungo (10-20 minuti), durante il quale la biodistribuzione del mdc si modifica, per cui l’acquisizione TC non rappresenta più la vera mappa di correzione densitometrica per i dati PET. Per tutte queste ragioni l’esame PET/TC total body, comprensivo di TC diagnostica con mdc, è attualmente eseguito nell’ordine: scout → TC senza mdc (a respiro libero) → PET → TC con mdc (a respiro trattenuto e in diverse fasi contrastografiche) (Fig. 12.10). Durante tutte queste acquisizioni il paziente deve mantenere la stessa posizione, evitando movimenti eccessivi. L’iniezione del mdc avviene al termine dell’acquisizione PET, utilizzando un accesso venoso preventivamente predisposto [10]. L’esame con mdc può, a questo punto, essere eseguito con le modalità di esecuzione tecnica ritenute più idonee a seconda del caso clinico (per esempio, decidendo di acquisire diverse fasi contrastografiche su diverse regioni corporee da esplorare), come in un esame TC con mdc standard (Fig. 12.11). In una fase successiva, impiegando una workstation dedicata, l’esame PET (corretto per l’attenuazione tessutale) potrà essere co-registrato all’esame TC con mdc.
Fig. 12.10 Protocollo di acquisizione di un’esame PET/TC con mdc: in successione temporale sono eseguiti scout, TC a bassa dose senza mdc, PET e TC con mdc a respiro trattenuto
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Fig. 12.11 Rappresentazione schematica di un esame PET/TC total body ideale, comprensivo di studio TC con mdc di torace, addome e pelvi. (Modificato da Ratib, Yap [10]
Il vantaggio di questo approccio combinato in un’unica sessione di esame è quello di poter correlare direttamente il dato metabolico PET con quello TC con mdc, eliminando il problema delle discrepanze tra i reperti ottenibili con le due modalità di imaging dovute all’evoluzione del quadro patologico, che talora avviene nell’intervallo temporale che spesso divide i due esami quando vengono eseguiti separatamente.
12.2.5 PET/TC con mdc in cardiologia L’impiego della PET nell’ambito della cardiologia nucleare si è sviluppato sin dalla metà degli anni Ottanta come applicazione di ricerca clinica. La possibilità di quantizzare, in valore assoluto, il flusso coronarico (mL/min/g di tessuto) in studi con [13N]Ammoniaca o Rubidio-82 e il metabolismo glucidico impiegando il [18F]FDG, ne ha successivamente giustificato l’impiego clinico. Purtroppo la complessità dell’esame – legata alla breve emivita di alcuni radiofarmaci – e gli elevati costi di gestione hanno fatto sì che l’impiego della PET venisse relegato a casi di particolare interesse clinico e/o di ricerca. L’introduzione delle nuove macchine ibride ha tuttavia aperto nuove prospettive all’utilizzo di questa metodica [24, 25]. La maggiore rapidità di esecuzione degli studi grazie alla correzione dell’attenuazione mediante TC e, soprattutto, la diffusione di tomografi ibridi con TCMS a 64 strati, con tempi di acquisizione estremamente brevi (che permettono di eseguire uno studio coronaro-TC e PET di perfusione/metabolismo nella stessa
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seduta), hanno aperto nuove prospettive all’approccio diagnostico e terapeutico delle malattie cardiovascolari [25]. I protocolli prevedono lo studio del flusso coronarico (in condizioni basali e dopo stress) o della vitalità miocardica associati allo studio anatomico delle coronarie. Si posiziona il paziente sul tavolo, supino, con le braccia in iperabduzione sopra la testa; la compliance del paziente è determinante per la riuscita e il completamento dell’esame, che dura complessivamente circa un’ora e mezzo. Tutti i protocolli prevedono l’esecuzione di due acquisizioni scout (una antero-posteriore e una laterale), entrambe in fase di inspirazione forzata per evidenziare la massima escursione diaframmatica e consentire una maggiore precisione nel centraggio del muscolo cardiaco nell’acquisizione TC. Quest’ultima è effettuata a bassa dose, per la misura di un FOV assiale (lettino), utilizzando parametri analoghi a quelli della successiva acquisizione PET. La ricostruzione dei dati permette di ottenere la mappa dei coefficienti di attenuazione e le immagini TC per la co-registrazione con la PET. Negli studi per l’analisi quantitativa della riserva coronarica, la PET è costituita da due acquisizioni dinamiche in condizione di riposo e durante stress (test farmacologico con dipiridamolo o adenosina). Il protocollo prevede che ogni acquisizione sia concomitante all’iniezione del radiofarmaco e si sviluppi in due fasi successive. La prima fase è una sequenza di frame realizzata per descrivere la curva di input del tracciante, che si conclude con un’immagine “statica”; la seconda è effettuata con tecnica di acquisizione ECG-gated di tipo retrospettivo, che assume importanza fondamentale per la fusione con le immagini coronaro-TC. Tra l’acquisizione in condizioni basali e quella da stress,
Fig. 12.12 PET/TC in cardiologia. A sinistra, ricostruzione Volume Rendering di una PET/TC che rappresenta lo studio PET di perfusione miocardica basale con [13N]Ammoniaca e quello coronaro-TC: si evidenzia una minore perfusione in sede postero-laterale basale, causata dalla presenza di una stenosi del tratto distale dell’arteria circonflessa. A destra, sezione assiale della PET di perfusione
12 La TC in medicina nucleare
si attende che l’attività residua del tracciante scenda a livelli non significativi: per esempio, utilizzando la [13N]Ammoniaca si attendono 45-60 minuti dalla prima iniezione. Gli studi di vitalità si distinguono per l’impiego di due traccianti diversi nel corso dell’esame diagnostico. Scopo di questo tipo di studi è la valutazione del metabolismo cellulare in relazione alla perfusione regionale del ventricolo sinistro. In condizione di riposo si esegue prima un’acquisizione per valutare il flusso coronarico basale e, successivamente, una seconda acquisizione statica dopo somministrazione di [18F]FDG per valutare il metabolismo glucidico del miocardio. A complemento delle valutazioni della riserva coronarica o della vitalità miocardica si esegue lo studio coronaro-TC [25, 26]. È possibile effettuare la fusione dei dati gatedPET con quelli coronaro-TC e ottenere una rappresentazione 3D di tipo Volume Rendering dei dati acquisiti, in cui si può correlare direttamente l’anatomia coronarica con le informazioni perfusionali e metaboliche (Fig. 12.12). Il risultato finale, nella sua complessità, permette di valutare quanto la presenza di stenosi coronariche influisca sulla perfusione e sullo stato metabolico regionale del miocardio.
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La TC in radioterapia
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Indice dei contenuti 13.1 13.2 13.3
Introduzione Ruolo della TC nella pianificazione del trattamento radioterapico Impiego della TC nelle procedure di controllo del trattamento radioterapico Bibliografia
13.1 Introduzione La pianificazione di un trattamento radioterapico e la successiva erogazione della dose dipendono in misura critica da un’accurata definizione del volume bersaglio (target); tale definizione rappresenta il risultato dell’integrazione di informazioni di tipo clinico, di diagnostica strumentale e di conoscenze biologiche di ogni specifica neoplasia, nonché dell’esperienza dell’operatore. Il primo impiego delle radiazioni ionizzanti a scopo terapeutico era caratterizzato da trattamenti nei quali la valutazione dell’estensione loco-regionale della malattia si basava essenzialmente sulla clinica e su metodiche di immagine bidimensionale, in grado di fornire informazioni sommarie; tutto ciò determinava l’inclusione nel volume irradiato di una quantità elevata di tessuti sani; di conseguenza, per evitare importanti tossicità acute e tardive, anche le dosi di prescrizione erano contenute. Nel corso degli anni, tuttavia, i diversi studi di radiobiologia hanno dimostrato che, soprattutto in alcune neoplasie, la possibilità di ottenere un controllo locale – e quindi di garantire al paziente la guarigione – è direttamente proporzionale alla dose erogata, sottolineando così implicitamente come un’accurata identificazione dell’estensione loco-regionale del tumore costituisca un elemento irrinunciabile nella pianificazione di un trattamento radioterapico.
Elementi di tomografia computerizzata. Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Emanuele Neri (a cura di) © Springer-Verlag Italia 2010
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Accanto all’aumento delle conoscenze in campo oncologico e allo sviluppo tecnologico delle apparecchiature si è pertanto assistito a un progressivo impiego nel processo di planning delle moderne metodiche diagnostiche (Image Guided Radiotherapy, IGRT) e oggi la radioterapia, analogamente alla chirurgia, è potenzialmente in grado di garantire al paziente un miglior controllo loco-regionale della malattia, con un costo contenuto in termini di tossicità acuta e tardiva [1].
13.2 Ruolo della TC nella pianificazione del trattamento radioterapico L’introduzione nella pratica clinica della TC, negli anni Settanta, rappresenta il primo vero passo verso metodiche di alta specializzazione. La possibilità di disporre di informazioni relative alla localizzazione nelle tre dimensioni dello spazio permette infatti all’operatore di identificare volumi di trattamento più contenuti, limitando la dose agli organi sani circostanti. Contemporaneamente gli appositi algoritmi di calcolo, di cui i sistemi di treatment planning (TPS) sono oggi dotati, grazie alla correlazione lineare tra Unità Hounsfield e densità elettronica, sono in grado di verificare una corretta distribuzione dosimetrica all’interno del tumore e agli organi sani, garantendo il miglior risultato in termini di controllo di malattia e limitando la tossicità. Sebbene nella maggior parte dei casi l’assenza di deformazione geometrica delle immagini TC e la valutazione densitometrica tissutale fornite dalla metodica costituiscano elementi in grado di realizzare un piano di cura ottimale, non va dimenticato che talora, per l’estrema eterogeneità che caratterizza la neoplasia, un’accurata definizione dei limiti di malattia può essere comunque difficoltosa. Per tale motivo, nel corso degli anni la TC è stata progressivamente affiancata da altre metodiche di diagnostica per immagini, ognuna delle quali in grado di fornire informazioni aggiuntive. Un indiscusso ausilio per il superamento delle problematiche connesse alla mancanza di contrasto tra i diversi tessuti molli è stato fornito dalla risonanza magnetica (RM), la cui superiorità rispetto alla TC in questo ambito è netta. Ciò malgrado, le immagini ottenute in risonanza sono penalizzate da deformazione geometrica e dall’assenza di informazioni sulla densità elettronica, elementi che non le consentono di sostituire la TC. Anche la PET, fornendo immagini di tipo funzionale, spesso permette di discriminare meglio il volume tumorale dai tessuti circostanti, in funzione della diversa caratterizzazione metabolica, ma la mancanza di dettagli anatomici rende indispensabile la sua integrazione con metodiche di imaging morfologico. Per sfruttare in misura ottimale ai fini terapeutici tutte le informazioni fornite dalle più evolute metodiche di diagnostica radiologica e di medicina nucleare, i sistemi di planning radioterapico permettono oggi di effettuare procedure di fusione di immagini TC/RM, TC/PET, ovvero di trasferire sulle immagini TC, indispensabili come base di riferimento per il calcolo di dose, le più dettagliate acquisizioni morfologiche e funzionali fornite da RM e PET (Figg. 13.1 e 13.2) [2, 3]. I movimenti fisiologici del paziente rappresentano un altro importante limite della TC applicata alla radioterapia; generalmente l’irradiazione viene eseguita in condizioni di respirazione tranquilla, e di conseguenza anche la simulazione TC per il planning segue la stessa regola, partendo dal presupposto che in tal modo nelle immagini acquisite il tumore si troverà in una posizione media. Tuttavia, in neoplasie localizzate al polmone o in sede
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Fig. 13.1 Pianificazione mediante algoritmo di fusione TC-RM
Fig. 13.2 Pianificazione mediante algoritmo di fusione TC-PET
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addominale superiore, che risentono quindi in misura rilevante dei movimenti respiratori e di funzione cardiaca, le immagini TC non riproducono la posizione media del target, poiché gli attuali simulatori TC utilizzano esclusivamente la tecnologia spirale single slice, e acquisiscono immagini 2D in differenti tempi per le diverse sezioni, con successiva ricostruzione tridimensionale [4]. Le immagini della neoplasia vengono pertanto acquisite in un preciso momento della fase respiratoria, e se il movimento è ampio le varie sezioni della lesione si troveranno in fasi diverse del ciclo respiratorio, rendendo più incerta la definizione dei volumi. In sintesi, la simulazione con TC spirale non è in grado di definire l’ampiezza del movimento tumorale, e tantomeno di evitarlo, per cui non può fornire informazioni sull’entità delle variazioni spaziali e della posizione di un target nelle fasi respiratorie. Le procedure di interpolazione della TC spirale aggiungono ulteriori incertezze e la ricostruzione tridimensionale del GTV, partendo da immagini 2D, può portare a una scadente riproduzione del tumore. Per ovviare a tali limitazioni, nel tempo sono state implementate varie procedure che trovano oggi la massima espressione nella metodica del gating respiratorio, che offre la possibilità di ottenere immagini TC in 4D con buona correlazione temporale [5]. Tale procedura permette l’acquisizione di diverse sequenze di immagini, ognuna delle quali relativa a una fase respiratoria; l’insieme di tutte le sequenze riproduce l’intero ciclo e i conseguenti movimenti del tumore. Si viene pertanto a creare una situazione ideale nella quale la pianificazione e la successiva erogazione della dose potranno essere effettuate nel momento specifico prescelto [6]. Le più recenti apparecchiature per simulazione TC, oltre a permettere acquisizioni d’immagine nelle diverse posizioni di trattamento radioterapico, sono corredate di sistemi laser di alta precisione, per un corretto allineamento del paziente, e di appositi software di simulazione virtuale interfacciati con 3DTPS di elevata potenza, che consentono la pianificazione dei trattamenti visualizzando come il fascio interagisce con la neoplasia e i tessuti sani, anche per campi non coplanari. L’impiego della TC-simulazione rappresenta il preliminare di ogni trattamento, dalla più semplice conformazionale (3DCRT), alla più complessa radioterapia a intensità modulata (IMRT), alla radiochirurgia stereotassica. Le specifiche di acquisizione possono variare in relazione al distretto anatomico in esame, alla metodica di trattamento e alla finalità prevista. Il grado di precisione richiesto è nettamente superiore nei trattamenti che si propongono una completa eradicazione della malattia con alte dosi, rispetto a quelli volti a cercare di rallentarne la crescita o deputati al controllo del sintomo, condizioni in cui la dose prescritta e la conseguente tossicità risultano molto più contenute. Nella pratica clinica possono pertanto essere utilizzate – oltre a simulazioni TC molto accurate, caratterizzate da spessore e intervallo delle sezioni di 1-3 mm – anche acquisizioni con spessore e intervallo di 0,8-1 cm, in grado comunque di rispondere alle esigenze del singolo programma terapeutico. Analogamente a quanto avviene nella diagnostica per immagini, nei casi in cui il grado di precisione richiesto sia elevato, anche nella TC-simulazione l’impiego di mezzo di contrasto costituisce un elemento aggiuntivo, in grado di fornire all’operatore un ulteriore elemento per una corretta identificazione del volume tumorale. La TC-simulazione rappresenta un elemento essenziale e insostituibile anche nelle fasi successive della pianificazione radioterapica, quando inizia a configurarsi per il singolo paziente il vero e proprio piano di cura, per il quale potranno essere considerate varie opzioni tecniche in base alla metodica programmata, tutte accomunate dall’obbligo di rispondere a precisi requisiti stabiliti a livello internazionale. Nella definizione dei volumi
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di trattamento, l’International Commission on Radiation Units & Measurements (ICRU) stabilisce nel report 50 che sulle immagini acquisite il medico radioterapista deve identificare il Gross Tumor Volume (GTV), il Clinical Target Volume (CTV), il Planning Target Volume (PTV) e gli Organi a Rischio Dose-limitante (OAR), rispettando specifici limiti di dose sia per il tumore sia per i tessuti sani circostanti [7]. Grazie alle immagini della TC-simulazione i moderni sistemi di planning, una volta delineati i singoli volumi, sono in grado di effettuare una ricostruzione tridimensionale nello spazio sia del volume tumorale sia degli organi a rischio, permettendo un’accurata valutazione della distribuzione dosimetrica grazie all’istogramma dose-volume (Fig. 13.3). Quest’ultimo rappresenta uno strumento di integrazione per una corretta pianificazione radioterapica, in quanto in grado di verificare che i requisiti di dose siano conformi a quanto richiesto non solo sulle singole scansioni assiali, coronali o sagittali (Figg. 13.4, 13.5 e 13.6), ma anche sulla globalità del volume tumorale e degli organi sani. Il ruolo della TC tuttavia non si esaurisce nell’identificazione dei volumi o nella valutazione dosimetrica; per una corretta ottimizzazione del piano di cura, le attuali metodiche radioterapiche prevedono la suddivisione della singola dose di prescrizione in multipli fasci ad apporto dosimetrico differenziato, ma tutti concentrati su un punto definito isocentro, fulcro dell’intero ciclo di radioterapia. Data la tendenza delle neoplasie maligne a una crescita irregolare, ognuno dei singoli fasci radianti vedrà una conformazione
Fig. 13.3 Rendering 3D TC-simulazione
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Fig. 13.4 Distribuzione dosimetrica su piano assiale
Fig. 13.5 Distribuzione dosimetrica su piano coronale
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Fig. 13.6 Istogramma Dose-Volume (DVH)
bidimensionale del tumore diversa in funzione dell’angolo di incidenza; utilizzando l’opzione Beam’s Eye View (BEV) dei sistemi di planning, ogni singolo campo di trattamento nella sua configurazione definitiva presenterà morfologia diversa, tale da permettere una corretta irradiazione del target e un risparmio degli organi sani [8]. I sistemi di planning, inoltre, partendo dalle sezioni TC sono in grado di generare ricostruzioni bidimensionali di immagine (Digitally Reconstructed Radiography, DRR), che nei trattamenti radioterapici tridimensionali conformazionali costituiscono elemento di confronto per la verifica della correttezza di esecuzione del trattamento (Fig. 13.7). Il processo di pianificazione e, di conseguenza, il ruolo della TC-simulazione assumono un’importanza nettamente superiore nei trattamenti di radioterapia a intensità modulata. A differenza della 3DCRT, in cui il fisico medico provvede a realizzare un piano di cura impostando la tecnica che più risponde alle esigenze dosimetriche, nella IMRT il processo avviene in maniera inversa. Una volta stabiliti i limiti di dose (constraint) per gli organi a rischio e le dosi da erogare alle varie componenti del target, il software di pianificazione calcola la tecnica più idonea per ottenere la distribuzione desiderata mediante una procedura di inverse planning che, sulla base delle densità TC rilevate, identifica la conformazione migliore di ogni singolo fascio radiante; ne consegue una complessità nettamente superiore alla 3DCRT in termini di numero di campi di trattamento e BEV [9]. Tutto ciò comporta la necessità di disporre di un’acquisizione TC-simulazione che riproduca con elevata accuratezza le diverse densità tissutali nelle tre dimensioni dello spazio, per evitare che errori nella distribuzione dosimetrica si
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Fig. 13.7 BEV in Digitally Reconstructed Radiography (DRR)
ripercuotano sulla dose totale erogata, provocando la mancata guarigione del paziente o l’insorgenza di una tossicità importante. Un ulteriore aspetto, forse il più importante, che trova stretta correlazione con la TCsimulazione è quello della localizzazione dell’isocentro al momento dell’irradiazione, procedura che per anni è stata effettuata utilizzando punti di riferimento mutevoli nel tempo e, quindi, scarsamente attendibili. Misurazioni di spessori cutanei o riferimenti a reperi ossei hanno rappresentato per molto tempo l’unico criterio per un’esatta localizzazione del centro del volume bersaglio; con l’impiego della TC il processo ha subito un radicale mutamento, in quanto i sistemi di planning sono in grado di fornire con accuratezza inferiore al millimetro eventuali spostamenti dell’isocentro rispetto a un punto definito al momento dell’acquisizione TC. Il concetto assume importanza maggiore in trattamenti come la radiochirurgia stereotassica e la IMRT, dove più spesso i volumi irradiati sono di dimensioni molto contenute e le distribuzioni dosimetriche vengono calcolate su matrici di dose estremamente piccole, che possono arrivare a 2 mm. L’importanza di un adeguato processo di simulazione a guida di immagine rappresenta un punto cardine anche in metodiche di più recente impiego in radioterapia a fasci esterni che non utilizzano l’acceleratore lineare. Un esempio paradigmatico di ciò è costituito dalla tomoterapia elicoidale, diretta evoluzione della tomoterapia seriale eseguita mediante acceleratore lineare (LINAC). La struttura e i principi di funzionamento di tale
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apparecchiatura risultano analoghi a quelli dei comuni scanner di radiodiagnostica; rispetto a questi ultimi, si differenzia tuttavia per la presenza all’interno del gantry di un acceleratore lineare con energia 6 Mev, dotato di collimatore multilamellare dinamico, in grado di effettuare una rotazione di 360 gradi attorno al lettino di trattamento, per un massimo di 20 giri/minuto. Durante la rotazione il collimatore dinamico si conforma al target secondo le indicazioni fornite dal piano di trattamento e il paziente viene irradiato su uno spessore variabile da 2 a 6 mm. Analogamente a quanto avviene in radiodiagnostica, nella modalità di tomoterapia seriale il lettino di trattamento rimane immobile fino al completamento dell’erogazione della dose a uno specifico spessore di tessuto e solo successivamente viene spostato e inizia una nuova irradiazione; nel caso della tomoterapia elicoidale vi è invece sincronia tra irradiazione e movimento del lettino, che si ferma solo una volta che l’intero volume bersaglio è stato coperto dal trattamento (Fig. 13.8). La frazione di larghezza di campo che il fascio elicoidale percorre lungo la direzione longitudinale in una singola rotazione viene definita dal pitch. Il principale vantaggio di questa procedura, rispetto a un trattamento con acceleratore, è costituito dalla possibilità di irradiare in maniera continuativa una superficie cilindrica del diametro massimo di 40 cm per un’estensione longitudinale di 160 cm, rispetto ai campi di 40 × 40 cm disponibili con LINAC; la metodica permette inoltre una valutazione dosimetrica on line, con possibilità di adeguamento della dose in caso di differenze tra quanto erogato e quanto pianificato [10-12].
Fig. 13.8 Tomoterapia elicoidale
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13.3 Impiego della TC nelle procedure di controllo del trattamento radioterapico Il rilevante contributo della tecnologia permette oggi di realizzare un planning radioterapico in grado di concentrare una dose anche molto elevata in volumi estremamente contenuti, con un significativo incremento dell’indice terapeutico, espresso nel maggior controllo della malattia senza aumento di tossicità. Non va tuttavia dimenticato che una pianificazione ottimale non esaurisce l’esigenza di accuratezza in radioterapia, in quanto al momento dell’esecuzione delle quotidiane sedute radioterapiche subentra la necessità di disporre di sistemi di controllo in grado di verificare l’effettiva corrispondenza sul paziente di quanto stabilito in sede di planning. Anche in questo caso l’evoluzione nel corso degli anni è stata rilevante: dalle radiografie bidimensionali acquisite con le energie di megavoltaggio degli acceleratori si è giunti alla possibilità di acquisire immagini TC della regione di interesse direttamente al LINAC. Tale modalità, definita cone beam CT (CBCT), sfrutta la caratteristica fisica della divergenza conica del fascio radiante. Disponibile nei LINAC di ultima generazione e nelle apparecchiature per tomoterapia, questa metodica può essere effettuata mediante energie sia di megavoltaggio (MVCBCT) sia di kilovoltaggio (KVCBCT). Strutturalmente, in entrambi i casi un apposito pannello rilevatore al silicio amorfo è posto perpendicolarmente al fascio, di cui rileva le variazioni di intensità dopo l’attraversamento del paziente durante una rotazione di 360 gradi; grazie ad apposito software, lo stesso pannello ricostruisce una serie di immagini TC per uno spessore corporeo cranio-caudale dipendente dalla distanza tra la sorgente e il pannello rilevatore nonché dal grado di apertura del collimatore stabilito in fase di planning [13] (Fig. 13.9). Una volta
Fig. 13.9 Varian KVCBCT. (Per gentile concessione di Varian Medical System, Palo Alto, CA, USA)
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ottenute, le immagini di kilovoltaggio o megavoltaggio vengono processate da un software, che ne effettua la co-registrazione con quelle della TC-simulazione impiegate nel planning, consentendo un controllo di corrispondenza sia delle strutture anatomiche sia del volume di trattamento (Fig. 13.10). In caso di incongruenze, l’operatore effettua gli opportuni aggiustamenti agendo sugli assi x, y, z e sull’asse di rotazione e trasferisce in maniera automatica al lettino del LINAC gli spostamenti necessari per ricreare la situazione fotografata alla TC-simulazione. La principale differenza tra le modalità di acquisizione Kev e Mev risiede nel fatto che, mentre la MVCBCT impiega la stessa sorgente del trattamento, la KVCBCT utilizza una sorgente di kilovoltaggio montata perpendicolarmente alla direzione del fascio di trattamento. Poiché le modalità di interazione con la materia delle radiazioni di kilovoltaggio e megavoltaggio sono diverse, sarà diversa anche la risoluzione dell’immagine; l’interazione per effetto fotoelettrico, caratteristica della CBCT con energie di diagnostica, garantisce infatti un contrasto nettamente superiore a quello ottenuto con energie di megavoltaggio, che interagiscono con formazione di coppie. Non va tuttavia sottovalutato il fatto che la KVCBCT utilizzi una sorgente radiante diversa da quella impiegata per l’irradiazione, perché ciò rende indispensabile eseguire regolari controlli di qualità per verificare l’esatta corrispondenza tra le due. Un ulteriore svantaggio della CBCT con kilovoltaggio è dato dall’aspetto dosimetrico: trattandosi di un fascio di bassa energia, non è infatti possibile sottrarre da quanto previsto dal piano terapeutico la dose erogata durante il processo di verifica, cosa solitamente prevista dopo una MVCBCT. In molti casi, tuttavia, tale problema assume importanza secondaria, poiché la dose media erogata per ogni controllo (5 cGy) costituisce un costo comunque molto basso nell’economia di un paziente affetto da neoplasia maligna nel quale sia prevista una dose dell’ordine dei 70-80 Gy.
Fig. 13.10 Matching TC-simulazione – KVCBCT
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Sviluppi futuri in TC
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F. Paolicchi, L. Faggioni, E. Neri
Indice dei contenuti 14.1 14.2 14.3 14.4
Introduzione La TCMS: oltre 64 strati Flat panel TC La dose radiante: la vera sfida dei prossimi anni Bibliografia
14.1 Introduzione A partire dalla sua introduzione – avvenuta nel lontano 1972 – la TC ha registrato un progressivo sviluppo della propria tecnologia e delle applicazioni in ambito medico, resistendo alla concorrenza di altre metodiche diagnostiche introdotte successivamente, quali l’ecografia e la risonanza magnetica. Negli anni Ottanta, infatti, lo sviluppo di queste ultime due metodiche indusse numerosi studiosi a preconizzare “la morte della TC”, senza attribuire particolare importanza alle trasformazioni già in atto nella TC, come l’introduzione della tecnologia slip ring. In realtà, l’enorme avanzamento tecnologico della TC nell’ultimo ventennio dimostra chiaramente che si tratta di una metodica di imaging in piena salute, che rappresenta uno dei capisaldi della moderna diagnostica per immagini [1]. Nel primo decennio del XXI secolo la tecnologia multistrato è stata oggetto di una costante evoluzione, passando attraverso scanner in grado di acquisire un numero sempre maggiore di immagini a ogni rotazione del gantry; la cosiddetta “guerra delle slice”, messa in atto dalle varie case produttrici di apparecchiature TC, ha portato alla creazione di scanner con ampia copertura sull’asse z e con elevata risoluzione spaziale sia trasversale sia longitudinale. Allo stesso tempo, la sempre più elevata velocità di rotazione del tubo ha consentito di raggiungere risoluzioni temporali e tempi di acquisizione in grado di fornire ottimi risultati nello studio di organi in movimento, come il cuore. Ovviamente, tutto Elementi di tomografia computerizzata. Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Emanuele Neri (a cura di) © Springer-Verlag Italia 2010
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ciò è stato possibile grazie al contemporaneo sviluppo dei computer, le cui prestazioni, come formulato dalla “legge di Moore” (cofondatore della Intel), “tendono a raddoppiare ogni 18 mesi” [2]. Sebbene sia difficile prevedere con certezza i futuri scenari della TC, si può comunque affermare che i maggiori interessi dei produttori sono attualmente rivolti all’incremento della risoluzione temporale per l’imaging cardiaco, all’aumento dell’estensione della copertura sull’asse z per facilitare gli studi dinamici e infine – ma certamente non in ordine di importanza – a una parallela, sempre maggiore riduzione della dose radiante erogata al paziente.
14.2 La TCMS: oltre 64 strati La recente introduzione di tomografi TCMS con più di 64 canali (attualmente fino a 320 corone di detettori) nasce dalla necessità di acquisire immagini con un’ampia copertura sull’asse z, massimizzando la risoluzione temporale e mantenendo, allo stesso tempo, un’elevata risoluzione spaziale isotropica [3]. Gli scanner TCMS a 320 strati (Toshiba Aquilion One; Toshiba Medical Systems, Tokyo, Giappone) hanno una geometria analoga a quella delle macchine a 64 strati, in quanto sono caratterizzati da detettori a matrice fissa di 0,5 mm, ma con una copertura
Fig. 14.1 Scanner TC Aquilion One a 320 strati. (Toshiba Medical Systems, Tokyo, Giappone; da http://www.medical.toshiba.com)
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sull’asse z pari a 160 mm (= 320×0,5 mm) (Fig. 14.1). Altri produttori (come Philips) offrono macchine con 128 corone di detettori ampi 0,625 mm (iCT; Philips Medical Systems, Best, Paesi Bassi), che raggiungono una copertura effettiva doppia (160 mm) grazie all’impiego di un sistema a macchia focale oscillante (z-flying focal spot, zFFS), risultando quindi equivalenti a sistemi a 256 strati [4-5]. Un’applicazione importante di questa nuova tipologia di scanner TCMS è rappresentata, come prevedibile, dall’imaging cardiaco: infatti, mentre con TC a 64 strati occorrono circa tre rotazioni del complesso tubo-detettori per coprire l’intero volume cardiaco, con un sistema a 320 strati è sufficiente una singola rotazione e a tavolo fermo. Ciò comporta notevoli vantaggi: – l’elevata risoluzione temporale rende l’acquisizione pressoché indipendente dalla frequenza cardiaca e da eventuali alterazioni del ritmo cardiaco, ampliando il numero di pazienti che possono avvalersi utilmente di esami cardio-TC e rendendo meno importante, o addirittura superflua, la somministrazione di farmaci bradicardizzanti; – grazie all’altissima risoluzione temporale dell’acquisizione e al fatto che quest’ultima viene effettuata a tavolo fermo, la scansione viene realizzata con tecnica assiale e – nel caso di studi in cui non sia indispensabile campionare dati su ampie porzioni del ciclo cardiaco, come nella coronaro-TC – con gating prospettico, anziché con tecnica spirale e gating retrospettivo; ciò si traduce in un abbattimento della dose radiante al paziente (anche dell’80% con TC a 320 strati), oltre che in una migliore qualità delle immagini ottenute [6]; – poiché il tempo di acquisizione si riduce al tempo di rotazione del complesso tubo-detettori (<0,5 s), diventa possibile eseguire studi angio-TC con dosi minime di mdc ev, con ovvi benefici in termini di sicurezza per il paziente, assenza di sovrapposizione artero-venosa e costi di gestione. Un’altra applicazione interessante degli scanner TCMS con più di 64 canali è costituita dall’imaging funzionale e, in particolare, dall’analisi quantitativa della perfusione tissutale [7]. Questa tecnica è stata concepita nei primi anni della storia della TC [8] e si basa sulla registrazione continua dell’enhancement tissutale in funzione del tempo, previa iniezione endovenosa di un bolo compatto di mdc iodato [9]. I valori di attenuazione fotonica ottenuti vengono elaborati applicando particolari modelli matematici che tengono conto della biodistribuzione del mdc in vari organi (come l’encefalo o il fegato), in modo da ottenere parametri fisiologici quantitativi che descrivono lo stato del microcircolo locale (volume ematico, flusso ematico, tempo medio di transito, permeabilità vascolare) [10-11]. È intuibile che due requisiti tecnici fondamentali per la buona riuscita di uno studio TC perfusionale sono: – un’elevata risoluzione temporale, che consenta una riproduzione il più possibile fedele delle variazioni temporali di concentrazione tissutale del mdc, soprattutto durante la fase di primo passaggio intravascolare (first pass) di questo; – una copertura anatomica longitudinale sufficientemente ampia, in modo da includere interamente la struttura di interesse (per esempio, gli emisferi cerebrali o una neoplasia) nel volume di indagine e garantire un adeguato margine di sicurezza nel caso di movimento del paziente durante l’acquisizione [12]. Gli apparecchi TCMS con più di 64 strati rispondono a queste esigenze, in quanto permettono di effettuare acquisizioni whole organ a tavolo fermo: in questo modo è possibile ottenere informazioni funzionali che integrano i dati morfologici e, in determinate situazioni, possono rivelare condizioni patologiche in assenza di alterazioni anatomiche
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Fig. 14.2 Paziente con carcinoma laringeo (asterisco) e due linfonodi laterocervicali subcentimetrici (rispettivamente a destra [cerchio] e a sinistra [rettangolo]). Nell’immagine TC assiale standard (a) i due linfonodi non mostrano differenze morfologiche, mentre nella mappa perfusionale della distribuzione del volume ematico (b) essi vengono rappresentati con una codifica cromatica diversa, indicativa della presenza di metastasi nel linfonodo destro. Quest’ultimo reperto è stato confermato all’esame istologico b
macroscopiche (Fig. 14.2), come nella valutazione precoce della risposta terapeutica in oncologia o nell’early assessment dell’ischemia cerebrale [13]. In questo ambito, tuttavia, la grande ampiezza del fascio radiante lungo l’asse z e il fatto che l’acquisizione TC perfusionale duri diverse decine di secondi (così da campionare almeno l’intera durata del first pass) comportano un’irradiazione non trascurabile per il paziente, che impone una ponderazione particolarmente attenta del rapporto costo-beneficio dell’indagine.
14.3 Flat panel CT Analogamente alle tecnologie TCMS con più di 64 strati, la flat panel CT (FP-CT) rappresenta un’evoluzione della TC caratterizzata dalla possibilità di acquisire ampi volumi
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per ciascuna rotazione del gantry ed eseguire studi dinamici e fluoroscopici con elevate risoluzioni spaziali [14]. A differenza di quanto accade in TCMS, tuttavia, nella FP-CT vi è un singolo detettore di ampie dimensioni, in grado di consentire una grande copertura sull’asse z, costituito da cristalli di scintillazione a base di ioduro di cesio e da una matrice di selenio amorfo, che converte i fotoni luminosi così generati in segnale elettrico (Fig. 14.3). La particolare architettura del detettore flat panel e le dimensioni della matrice (area di acquisizione di 40×30 cm suddivisa in una matrice di 2048×1536 elementi di detezione; PaxScan, Varian Medical Systems, Palo Alto, CA) permettono di ottenere risoluzioni spaziali estremamente alte (fino a 150 μm), decisamente superiori a quelle ottenibili con gli attuali scanner TCMS. I prototipi attualmente in fase di studio devono ancora risolvere alcuni problemi, legati soprattutto all’incremento della radiazione di scattering causato dalle elevate dimensioni del campo di acquisizione, con conseguente risoluzione di contrasto inferiore a quella ottenibile con la TCMS. Peraltro, per ovviare a quest’ultimo problema gli apparecchi FP-CT tendono a erogare una dose più elevata, e ciò rappresenta uno dei principali limiti di tale tecnologia, soprattutto in un periodo di particolare attenzione nei confronti della radioprotezione del paziente [15].
Fig. 14.3 Vista del gantry di uno scanner FP-CT (Siemens Medical Systems, Erlangen, Germania). (Da Buzug [16])
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I potenziali campi di applicazione della FP-CT in ambito clinico sono molto ampi. L’elevata risoluzione spaziale la rende ideale per lo studio dell’apparato scheletrico, come nella visualizzazione delle strutture trabecolari dell’osso (micro-CT: μCT). Inoltre, l’ampia copertura sull’asse z pone tale tecnica in primo piano per studi whole body, mentre l’elevata risoluzione temporale ne consente l’utilizzo nello studio di processi dinamici, come la perfusione tissutale [17], o di distretti vascolari con tempo di circolo estremamente breve, quale quello intracranico [18, 19]. Una recente, promettente applicazione della FP-CT è rappresentata dall’impiego in ambito interventistico con strumenti caratterizzati da geometria a C (C-arm CT, Fig. 14.4), che possono sostituire l’intensificatore di brillanza; queste unità mostrano risultati interessanti per l’analisi di strutture ad alto
Fig. 14.4 Tomografo FP-CT con geometria a C per utilizzo interventistico. (Axiom Artis, Siemens Medical Systems, Erlangen, Germania; da http://www.medical.siemens.com)
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contrasto (come i vasi), mentre le loro prestazioni nello studio di oggetti a basso contrasto sono ancora inferiori rispetto alla TCMS [20, 21].
14.4 La dose radiante: la vera sfida dei prossimi anni Come già ampiamente sottolineato nel Capitolo 9, una delle principali problematiche connesse all’evoluzione tecnologica della TCMS è l’aumento dell’esposizione radiologica della popolazione. Recenti dati riportati in letteratura indicano che la dose effettiva alla popolazione è aumentata negli ultimi 25 anni del 600% circa, con un ampio contributo della TC [22, 23]. Sebbene questi dati non forniscano informazioni precise sul rischio individuale per i pazienti che si sottopongono a esami TC, occorre porre particolare attenzione nel valutare i costi e i benefici associati all’impiego di tale metodica. Per molti anni la problematica della dose non ha ricevuto adeguata attenzione né da parte dei professionisti dell’area radiologica, né da quella dell’industria tecnologica; tuttavia, la crescente attenzione da parte dei mezzi di comunicazione di massa e la pubblicazione di numerosi studi sui possibili rischi dell’esposizione medica a radiazioni ionizzanti sta radicalmente modificando l’atteggiamento globale verso tale questione. Sistemi di regolazione automatica della dose vengono ormai forniti regolarmente dai vari produttori di scanner TC, insieme a filtri e altri strumenti tecnologici volti a ottimizzare la dose radiante somministrata. Contemporaneamente, diverse case produttrici stanno sviluppando nuovi algoritmi per la ricostruzione delle immagini, in grado di ridurre il rumore in esse presente; un esempio è rappresentato dai sistemi di ricostruzione iterativi (ASIR, Adaptive Statistical Iterative Reconstruction; GE Healthcare, Milwaukee, WI), già comunemente utilizzati in medicina nucleare [24]. Tali sistemi, per lungo tempo non implementati per la mancanza di risorse hardware in grado di sostenere l’intenso impegno computazionale richiesto, stanno recentemente registrando un forte interesse applicativo. Gli algoritmi di ricostruzione iterativa si sono rivelati in grado di ridurre sensibilmente la dose erogata senza compromettere – se usati in maniera appropriata – la qualità dell’immagine. Un altro aspetto che l’evoluzione della tecnologia TC porta ad affrontare è una rivalutazione dei metodi impiegati per la misurazione della dose. I fantocci di 16 cm e 32 cm normalmente usati per le misurazioni dosimetriche, con camere di ionizzazione in grado di effettuare misurazioni su una lunghezza di 100 mm lungo l’asse z, risultano difficilmente utilizzabili nei moderni scanner con ampiezze del fascio radiante di 16 cm lungo l’asse longitudinale. Nonostante le numerose riformulazioni della definizione di CTDI in seguito alla continua evoluzione della tecnologia TC, tale parametro non appare più utilizzabile per fornire informazioni corrette sulla dose radiante erogata agli organi e, quindi, sul rischio di neoplasie radioindotte. Di conseguenza, si avverte la necessità di individuare nuove tecniche di misurazione diretta su cui basare le procedure di ottimizzazione della dose [25]. In conclusione, la problematica relativa alla dose radiante in TC deve essere affrontata seguendo due direzioni strategiche: 1. l’ottimizzazione delle apparecchiature TC e dei controlli di qualità; 2. una corretta informazione sui rischi e sui benefici che un esame TC comporta.
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Abbiamo già ampiamente affrontato gli aspetti relativi alle tecniche di riduzione della dose, mentre occorre sottolineare nuovamente alcuni concetti relativi al secondo punto. Sussistono unanimi consensi sugli enormi benefici che la tecnologia TC, soprattutto con le sue recenti innovazioni tecnologiche, ha prodotto nell’ambito della medicina clinica; rimane, invece, ancora ampiamente dibattuta la questione riguardo i possibili rischi legati al rateo di dose degli esami TC, anche alla luce dei recenti dati che indicano un continuo aumento del numero di esami eseguiti e un conseguente incremento della dose alla popolazione. Se da un lato non vi sono dubbi sulla pericolosità dell’esposizione ad alte dosi di radiazioni, come dimostrato dagli studi sui superstiti della bomba atomica, dall’altro è assai controverso il dibattito sulla pericolosità dell’esposizione a basse dosi radianti, come quelle somministrate in ambito diagnostico. Dati epidemiologici che indicano la possibilità di induzione di tumori in persone esposte a dosi di radiazioni inferiori a 100 mSv sono attualmente oggetto di intenso dibattito [26]. Tuttavia, nonostante questa situazione di incertezza e disaccordo, si deve considerare il rischio dell’esposizione ai raggi X derivante dalle procedure radiologiche come qualcosa di “reale”. Proprio per questo motivo, il rapporto BEIR VII della National Academy of Sciences conclude affermando che il modello lineare senza soglia (Linear No Threshold, LNT) è quello più ragionevole da seguire in base ai dati attuali, affermando quindi che anche bassi livelli di radiazioni possono avere un effetto nocivo [27]. È dunque essenziale che i medici (radiologi e non) siano perfettamente a conoscenza delle diverse caratteristiche delle indagini radiologiche, in modo da poter decidere l’eventuale ricorso a tecniche che utilizzano raggi X nei soli casi di reale necessità e informando il paziente sui benefici e sui possibili rischi che differenti scelte diagnostiche comportano. Allo stesso tempo i fisici sanitari e i tecnici di radiologia, considerati gli ultimi “gatekeeper” della difesa radiologica del paziente, devono collaborare e interagire attivamente con i medici radiologi per ottimizzare l’esecuzione degli esami TC, minimizzando la dose radiante somministrata al paziente compatibilmente con il quesito diagnostico, secondo il principio ALARA (As Low As Reasonably Achievable).
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