Emma Darcy
Erede Cercasi Mischief and Marriage © 1996 Prima edizione Collezione Harmony novembre 1997 Collezione Harmon...
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Emma Darcy
Erede Cercasi Mischief and Marriage © 1996 Prima edizione Collezione Harmony novembre 1997 Collezione Harmony n. 1303 del 7/11/1997
1 Faceva parte dei doveri di un maggiordomo, si disse George Fotheringham, ricordare al padrone di casa i suoi doveri. Si trattava di una questione molto delicata, ma dopo l'ultimo incidente, che avrebbe potuto avere conseguenze molto più gravi, se non addirittura letali, non si poteva più rimandare. Non si poteva dire che il signor Harry fosse un irresponsabile ma, dalla morte della povera signorina Penelope, si comportava come se non desse più valore alla propria vita. Erano passati ormai tre anni ed era tempo di mettere fine a quell'atteggiamento sconsiderato. «Mi permetto di farle notare, signore, che sarebbe potuto rimanere ucciso sotto la valanga» esordì George con enfasi. «Andare a sciare con quelle condizioni atmosferiche è stato... be', quanto meno imprudente, signore. Forse lei non se ne preoccupa, ma c'è da considerare anche la questione di un erede. Mi chiedo se ci pensi, qualche volta.» Harold Alistair Clifton sospirò. «Mi dispiace, George, ma in questo momento non me la sento proprio di pensare al matrimonio.» O a qualsiasi altra cosa, aggiunse tra sé e sé, fissando il fuoco nel camino. Costretto all'immobilità dalla frattura a una gamba, senza contare le costole incrinate e qualche altra ammaccatura, era sprofondato rapidamente nella noia e nella depressione. Per di più, era stata una scelta infelice quella di trascorrere la convalescenza nel castello di Springfield, pieno di ricordi degli ultimi mesi passati con Pen, quando ogni giorno era così prezioso... Adesso, invece, i giorni erano tutti uguali e non gli importava quello che sarebbe successo l'indomani. «Non ho la presunzione di dirle quello che dovrebbe fare, signore, ma vorrei che considerasse almeno le conseguenze...» insistette George, deciso a metterlo di fronte alle sue responsabilità. Nessuna risposta. Emma Darcy
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George si rabbuiò in volto. Il rapporto tra la sua famiglia e quella di Clifton risaliva alla battaglia di Flodden, nel 1513, quando Henry Clifton si era unito all'esercito del Conte del Surrey per respingere l'invasione delle truppe di Giacomo IV di Scozia. In uno scontro sanguinoso, era stato l'antenato di George, Edward Fotheringham, a salvare la vita al nobiluomo ferito, difendendolo dall'assalto dei nemici. Da allora era stato deciso che Edward Fotheringham e i suoi discendenti avrebbero sempre trovato impiego presso la casata dei Clifton. Il sicuro perpetuarsi di una tradizione del genere non era cosa da sottovalutare in tempi in cui non esistevano più sicurezze. George pensava spesso ai suoi figli, due bravi ragazzi che gli davano soddisfazione negli studi. Si schiarì la voce e tornò all'attacco. «Tutti noi abbiamo bisogno di un erede per conservare le tradizioni di famiglia, signore. Un erede, in un certo senso, è un dovere morale» affermò con gravità. Questa volta le sue parole ebbero un certo effetto, perché l'interlocutore sollevò lo sguardo e inarcò un sopracciglio in tono interrogativo. «Che cosa mi stai suggerendo esattamente, George? Dubito che tra le mie conoscenze femminili ci sia una donna disposta ad avere un figlio fuori del matrimonio solo per garantire un posto di lavoro ai tuoi discendenti.» George respirò a fondo e soppesò le parole, consapevole dell'importanza di quello che stava per dire e timoroso di offendere il padrone. Finalmente giocò la sua carta. «Mi sono preso la libertà, signore, di svolgere una piccola indagine sul ramo della sua famiglia che vive in Australia.» Harry parve stupito, poi gettò la testa all'indietro e uscì in una risata. «Quale intraprendenza da parte tua, George! Meglio il discendente di una pecora nera, piuttosto di niente.» Il maggiordomo fu sollevato vedendo che aveva preso la cosa con tanto spirito. «Naturalmente sarebbe preferibile se lei prendesse moglie, signore, se non altro allo scopo di...» «Il mio senso del dovere non arriva a tanto» lo interruppe Harry. «Non tenermi in sospeso. Dimmi quello che hai scoperto con le tue indagini. Per quanto ricordo, la pecora nera della famiglia era un libertino impenitente. Fu in seguito alla sua scandalosa relazione con la duchessa di Buckingham che venne diseredato e condannato all'esilio.» «Esatto, signore» confermò George senza nascondere la propria Emma Darcy
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disapprovazione. «Era un uomo dissoluto, impudente e privo di onore. Una disgrazia per il blasone.» «Ma deve aver avuto una discendenza numerosa. E se i figli hanno ereditato dal padre, in un centinaio di anni potrebbe aver avuto una schiera di eredi...» Harry sorrise. «Quanti, esattamente, George?» «L'epidemia del millenovecentodiciassette ne cancellò la maggior parte, signore. Si può dire che la sua dinastia sia agli sgoccioli tanto in Australia quanto in Inghilterra. Non è rimasto che William, signore, un ragazzo di nove anni. Ci vorrà parecchio tempo prima che diventi padre a sua volta, mentre lei, signore...» «Ma pensaci, George!» Il volto di Harry si era animato, riportando una scintilla di vita negli occhi azzurri. «Che occasione d'oro poter educare un ragazzo così giovane secondo i tuoi principi. Potresti farne il padrone ideale.» George sospirò. Aveva sperato di risvegliare l'orgoglio del padrone per la purezza del casato parlandogli del ramo australiano, ma evidentemente stava ottenendo il risultato opposto. «La cosa migliore da farsi è far venire subito il ragazzo, in modo che possa abituarsi all'eredità che gli spetta» riprese Harry. «Non è così semplice, signore.» Il maggiordomo cercò di smorzare il suo entusiasmo, preoccupato dalla piega che stavano prendendo le cose. «Il padre del ragazzo, che era l'ultimo erede diretto, morì annegato qualche anno fa. La madre possiede una casa, ha una piccola attività in proprio e di certo è abbastanza giovane e piacente da essersi trovata un altro legame. Potrebbe non essere d'accordo a far venire il figlio...» «Scommetto una bottiglia di Madeira del milleottocentosessanta che riuscirò a farli venire entrambi!» George rabbrividì tra sé e sé a tanta leggerezza. Era lui che si occupava della cantina del castello e la collezione di vini pregiati che conteneva era il suo orgoglio. «Sarebbe molto più semplice, signore, se lei prendesse moglie e avesse un certo numero di figli per assicurare la discendenza al casato.» Harry sorrise. «Hai delle fotografie del ragazzo e della madre?» chiese. «Le posso garantire che non c'è nessun tratto di famiglia, signore.» «Le fotografie, George. Le voglio subito.» Vedendo la luce che brillava negli occhi del padrone, ora che la sua curiosità era stata solleticata, George ebbe uno spiacevole presentimento. Emma Darcy
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Aveva visto troppe volte quella luce per non sapere che portava solo guai. Harry era sempre stato un giovane spericolato e lo era diventato ancora di più senza la benevola influenza della signorina Penelope. In quel momento capì che era stato un errore rivelargli le indagini fatte in Australia e più tardi, quando le sue previsioni si rivelarono esatte, non poté che incolpare se stesso e nessun altro. «Ti dispiace informarti sui voli per l'Australia, George?» gli chiese Harry qualche ora dopo. «Lì dev'essere estate, vero? Voglio partire non appena mi avranno tolto questo gesso.» L'apatia dei giorni precedenti si era dissipata e sembrava di ottimo umore. «Prendi nota anche delle prossime date degli incontri di cricket. Se ci sarà una partita a Sydney, potrei portarci il giovane William. Un ragazzo di nove anni ama sicuramente il cricket.» Sorrise al maggiordomo. «Bel nome, William.» Danno e malanno!, pensò George, con uno strano senso di presagio. Da sempre, il compito dei Fotheringham era stato quello di evitare danni alla casata dei Clifton. Ma lui, invece di un matrimonio, aveva creato un bel pasticcio, e ora si chiedeva preoccupato come sarebbe andata a finire tutta la faccenda.
2 Hashley Harcourt era ben lontana dal sospettare che quel giorno avrebbe segnato l'inizio di una fase del tutto nuova della sua vita. Il suo lavoro procedeva come sempre e nessun senso di premonizione la avvertì di ciò che stava per succedere. In quel momento aveva davanti a sé un problema particolare nella persona di Gordon Payne, che sedeva di fronte a lei nella stanza della sua casa adibita a studio, dando voce a una serie di lamentele. Ma questo faceva parte del suo lavoro e Hashley era preparata ad affrontarlo. Dirigeva con efficienza la sua agenzia di collocamento, mettendo le persone giuste al posto giusto, e sapeva che la soddisfazione del cliente aveva la priorità su ogni altra cosa. Ma c'era un limite a quello che poteva pretendere un cliente. Hashley aveva un'opinione precisa in merito. A ventinove anni, aveva lavorato sodo per mettersi in proprio dopo essere rimasta vedova e aveva trattato con un gran numero di persone in situazioni diverse. In qualsiasi Emma Darcy
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relazione, la soddisfazione era una strada a due sensi, un equilibrio tra dare e avere reciproci. Mentre ascoltava Gordon Payne, si rimproverava silenziosamente di aver commesso un errore di valutazione nei suoi confronti. Si era lasciata ingannare dai suoi modi distinti come dieci anni prima si era lasciata ingannare da un uguale fascino aristocratico, dando vita a un matrimonio fallimentare. Avrebbe dovuto riconoscere i segnali e stare in guardia. «Quando detto una lettera, mi aspetto che la mia segretaria la batta parola per parola» stava dicendo Gordon Payne. «Non voglio che parta dal presupposto di conoscere l'inglese meglio di me. Se ci sono delle correzioni da fare, le faccio io.» Hashley tenne a freno la lingua. Ecco un altro egocentrico che si riteneva infallibile, pensò. Era stata sposata con un tipo del genere abbastanza a lungo da aver imparato che non c'era possibilità di far ragionare uomini con quel carattere. Nella sua ingenuità giovanile, era stata perdutamente innamorata di Roger Harcourt. Bello, elegante e atletico, trasudava sicurezza di sé e, in quel primo periodo trascorso insieme, Hashley lo aveva trovato praticamente perfetto. Cresciuta tra due genitori divorziati e indifferenti, aveva apprezzato il modo in cui Roger si faceva carico di ogni cosa e le diceva quello che doveva fare. All'epoca le sembrava una dimostrazione quanto tenesse a lei e non sospettava affatto di quanto invece potesse rivelarsi tirannico un simile atteggiamento. Ora Gordon Payne la stava trattando allo stesso modo. «Le consiglio di sottoporre le sue dattilografe a prove adeguate, in futuro. Non si accontenti dei curriculum che le portano. Il più delle volte sono inventati.» Payne era a capo di un'impresa edile e, come membro del Consiglio comunale, aveva un certo peso sociale. Hashley aveva pensato che potesse essere un cliente prestigioso, che avrebbe indotto altre compagnie a servirsi della sua agenzia, se fosse rimasto soddisfatto. Ma dopo aver ascoltato il resoconto della giovane segretaria che era stata licenziata, aveva deciso sui due piedi di cancellarlo dall'archivio, a costo di pagarne personalmente le conseguenze. Era ancora indignata dal modo in cui aveva trattato Cheryn Kimball. Cheryn era più che qualificata per il lavoro richiesto, era di bella presenza e possedeva un'innata gentilezza di modi che la faceva andare d'accordo Emma Darcy
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con tutti. Gordon Payne l'aveva traumatizzata fino alle lacrime per il modo ingiusto e arbitrario in cui l'aveva trattata, licenziandola senza motivo. «E non voglio che una donna si permetta di contraddirmi!» sbraitò quel mostro di arroganza. Hashley si trattenne a stento. Quello che volevano i tipi come Payne era una serie di robot programmati a dire: Sissignore, Ai suoi ordini, signore, Come vuole, signore. Dal rapporto di Cheryn risultava che la sua segretaria precedente l'aveva assecondato per vent'anni in quel modo. E anche dopo essersi ritirata in pensione, era venuta in ufficio tutti i giorni per insegnare alla nuova arrivata a fare le cose come piaceva al caro Gordon, minando deliberatamente la fiducia di Cheryn in se stessa. Proprio come la madre di Roger. Hashley rabbrividì al ricordo di quella donna che si riteneva superiore a tutti solo perché discendeva dalla nobiltà anglosassone. Aveva coltivato nel figlio le stesse pretese di superiorità e il suo atteggiamento condiscendente era sempre stato un ostacolo al loro matrimonio. Hashley non aveva desiderato la morte di Roger e di sua madre. Aveva appena cominciato le pratiche del divorzio quando il destino era intervenuto, risparmiandole una battaglia legale per l'affido di William. Nessuna persona ragionevole avrebbe tentato di attraversare un ponte già in parte sommerso dalla piena, ma Roger non accettava che qualcuno o qualcosa gli sbarrasse la strada, così lui e la madre erano morti annegati, travolti da una forza più grande di loro. E ora Hashley si trovava davanti quell'uomo odioso che le riportava alla mente tutto quello che voleva dimenticare. «Non pagherò un centesimo finché non mi avrà procurato una segretaria adeguata» fu la prevedibile conclusione. «Voglio qualcuno per domani mattina alle nove.» Hashley gli rispose in tono freddamente educato. «Mi dispiace che non sia rimasto soddisfatto, signor Payne, ma le ricordo che il nostro accordo prevedeva che le presentassi tre candidate che rispondessero ai requisiti da lei specificati. L'ho fatto e lei ha scelto la signorina Kimball. Ora mi deve cinquecento dollari.» «Mi avevate assicurato una persona efficiente.» «Lei aveva chiesto una segretaria con spirito di iniziativa e capacità di lavorare autonomamente, signor Payne. La signorina Kimball pensava evidentemente di poterle risparmiare l'imbarazzo di mandare a un cliente Emma Darcy
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una lettera scorretta.» Gordon Payne si fece rosso di collera. «Quando ho detto spirito di iniziativa, intendevo una persona in grado di capire al volo quello che deve fare e quando, senza bisogno che glielo debba dire ogni volta!» «C'è una certa differenza tra spirito di iniziativa e capacità telepatiche, signor Payne. Mi dispiace, ma non ho a disposizione nessuna chiaroveggente. Le consiglio di rivolgersi a un'altra agenzia.» Il suo volto passò dal rosso al terreo. Si erse in tutta la sua statura e la guardò con un bagliore minaccioso nello sguardo. «Non cerchi di fare la furba con me, signora Harcourt» sbraitò. «Ho una posizione influente in questa città e potrei esserle molto utile.» La minaccia che sarebbe potuto essere altrettanto pericoloso per lei restò sospesa nell'aria, inespressa ma implicita. Hashley era di corporatura minuta e, anche se aveva maturato un'aria professionale e vestiva classici tailleur da donna d'affari, il suo aspetto era delicato e femminile. Senza dubbio un colosso come Gordon Payne pensava di potersela mangiare in un boccone. Quello che non sapeva era che lei possedeva una ferrea determinazione quando si trovava davanti qualcuno che voleva costringerla a fare qualcosa contro i suoi principi. Se fosse stato uno psicologo più sottile, lo avrebbe capito dall'espressione decisa dei suoi occhi grigi. Rimase seduta. Era nel suo ufficio e nessuno poteva scalzarla dal suo posto. «Apprezzo la sua offerta, signor Payne» disse con calma, «ma mi rincresce di non poterla ricambiare. Ho già fatto quello che potevo per lei.» Lui strinse una mano a pugno e la posò sulla scrivania, sporgendosi verso di lei con aria minacciosa. «Lei mi ha fatto perdere un sacco di tempo senza risultati soddisfacenti e ora pretendo che rimedi in qualche modo.» «Che cosa dovrei fare, signor Payne?» «Procurarmi una segretaria temporanea finché non ne trova una che soddisfi pienamente le mie esigenze.» «Questo non fa parte dei nostri accordi. Le ho già detto che non sono in grado di soddisfare le sue richieste e le ho consigliato di rivolgersi a un'altra agenzia. Credo che non ci sia altro da dire.» Hashley si alzò lentamente da dietro la scrivania. «Spero di rivederla, signor Gordon.» Lui la fissò come se non credesse alle proprie orecchie. «Può scommetterci! Le assicuro che non finisce qui!» Emma Darcy
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Hashley aveva la sensazione che le avrebbe bloccato il passo se avesse fatto cenno di accompagnarlo all'uscita, per cui rimase immobile, indifferente al suo atteggiamento aggressivo. «C'è dell'altro, signor Payne?» gli chiese. «Posso crearle molti problemi, cara signora Harcourt» sibilò, assaporando l'effetto delle sue parole. «Le minacce non sono nient'altro che un'arma a doppio taglio.» «Che cosa potrebbe farmi, lei?» replicò con un ghigno sarcastico. «Anch'io ho qualche contatto, signor Payne. Potrei fare in modo che nessuno voglia più lavorare alle sue dirette dipendenze.» Lui uscì in una risata beffarda. «Il denaro sistema ogni cosa.» Questo, pensò Hashley con amarezza, era probabilmente vero. Anche Roger aveva fatto gli stessi giochi di potere con lei. Il desiderio di rintuzzare l'arroganza di quell'uomo sbattendolo fuori a calci divenne impellente, facendole dimenticare ogni ritegno. «Con il denaro non potrà ricomprare la sua reputazione» dichiarò in tono tagliente, «quando la storia della signorina Kimball la farà apparire come un presuntuoso ignorante che non sa nemmeno scrivere correttamente...» «Avevo ragione io!» Ora Payne era veramente infuriato, ma Hashley continuò imperterrita. «No, signor Payne. Lei aveva torto e si è reso ridicolo difendendo l'indifendibile.» «Si crede una paladina delle donne, vero? Una di quelle femministe che insultano gli uomini solo per invidia.» Payne la squadrò dalla testa ai piedi e piegò le labbra in un ghigno lascivo. «Quello di cui avrebbe bisogno è un uomo che la liberi dalle sue frustrazioni.» «Una tipica affermazione sessista che riflette solo la sua inadeguatezza, signor Payne.» «Vedremo chi dei due si mostrerà inadeguato.» Lui prese dalla scrivania una statuina che raffigurava un clown. «Le piacciono i clown?» Hashley si morse la lingua, temendo che si vendicasse mandando in mille pezzi la statuina. Il piccolo clown era un capolavoro di espressione, che rifletteva sul viso la triste ironia della vita, ed era uno dei pezzi preferiti della sua collezione. «Sarò felice di metterla al centro di un bel circo, signora Harcourt. Tanto per cominciare farò in modo che il terreno su cui sorge la sua casa venga destinato a verde pubblico. Poi, naturalmente, c'è la licenza dell'agenzia. Emma Darcy
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Riceverà la visita di un ispettore delle finanze...» Con un ghigno sadico, sollevò la statuina all'altezza delle sue spalle, pronto a lasciarla cadere al suolo. «Questo è quello che le succederà, se...» Hashley non si rese conto di aver gridato. Era decisa a sopportare in dignitoso silenzio l'inevitabile ma, quando lo vide mettere in atto il suo proposito distruttivo, le sfuggì un grido inarticolato. «Ha chiamato, madam?» si informò una voce maschile dall'inconfondibile accento inglese.
3 Entrambi si voltarono di scatto verso la porta che si era spalancata e Payne abbassò istintivamente la mano che reggeva la statuina di fronte alla presenza inattesa di un testimone. L'uomo che stava sulla soglia non aveva certo l'aspetto di una persona comune. Le prime parole che vennero in mente ad Hashley furono: elegante, spudoratamente bello e pericoloso. Era alto e slanciato e indossava un completo di sartoria in stoffa pregiata, una camicia di seta bianca e una cravatta color indaco che si intonava al grigio-azzurro dell'abito. Il suo viso colpiva ancora di più dell'abbigliamento: il volto dalla mascella decisa e gli zigomi alti era incorniciato da una massa di folti capelli scuri che gli lasciavano libera la fronte spaziosa. Spiccavano il naso diritto, la bocca ben disegnata e gli occhi blu più penetranti che Hashley avesse mai visto. Nella mano destra impugnava un bastone da passeggio che terminava con un pomo d'argento, ma non lo usava per appoggiarsi. Il modo noncurante in cui lo reggeva faceva pensare che da un momento all'altro avrebbe potuto farlo roteare in una danza alla Fred Astaire o usarlo come un'arma letale. Dimostrava una trentina d'anni, ma il suo sguardo era quello di un uomo che aveva una profonda conoscenza del mondo, mentre fissava la scena in cui era capitato così tempestivamente. Rivolse ad Hashley un rapido sorriso, come se volesse invitarla a rilassarsi e godersi lo spettacolo. Lei era sicura di non averlo mai incontrato prima, eppure quel sorriso le trasmise una strana sensazione di intimità, insieme alla consapevolezza che era venuto per lei e che il suo arrivo avrebbe avuto un ruolo determinante nella sua vita. Emma Darcy
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«Desidera che accompagni il suo ospite all'uscita, madami» le chiese con il tono impeccabile di un maggiordomo inglese. Finalmente Hashley ritrovò la voce. «Grazie» disse. Non le importava da dove fosse venuto, ma era sollevata dal fatto che si offrisse di liberarla della presenza di un nemico che aveva incautamente provocato. «E lei chi diavolo sarebbe?» lo assalì Gordon Payne. Lo sconosciuto avanzò al centro della stanza, facendo ondeggiare il bastone. «Clifton, signore. La mia famiglia e quella degli Harcourt hanno legato i loro destini da secoli. È un onore per me rinnovare questo legame. Permette?» Con la velocità di un prestigiatore, infilò il bastone sotto il braccio e prese la statuina dalle mani di Payne, che era rimasto a guardarlo come ipnotizzato. «Questi oggetti sono fatti per essere guardati, più che toccati» dichiarò, con aria da intenditore. «Ora la rimetto al suo posto e sono sicuro che potrà apprezzare meglio la finezza della fattura. Vede la perfezione delle linee e delle proporzioni?» Senza smettere di parlare, aveva rimesso la stamina sul suo piedistallo. Diede un colpetto leggero alla testa del clown, come se fosse un vecchio amico, e riprese: «E ora, se non le dispiace, signore...». Il bastone volteggiò nell'aria, indicando la porta. «E tempo che si congedi dalla signora Harcourt. Le indico la strada.» Hashley percepiva chiaramente la collera di Gordon Payne per essersi lasciato sfuggire il controllo della situazione. Eppure l'istinto dovette suggerirgli di non ingaggiare una lotta con lo sconosciuto. «Stia pur certa che non finisce qui!» esclamò, lanciando uno sguardo velenoso ad Hashley. Quindi girò sui tacchi e uscì senza aspettare di essere accompagnato. Clifton, comunque, lo seguì fino all'ingresso principale per assicurarsi che se ne andasse senza vendicarsi su qualche altro oggetto. Hashley cominciava a pentirsi di quanto era successo. Gordon Payne poteva rivelarsi un nemico molto pericoloso e lei non avrebbe mai dovuto ingaggiare una battaglia che non aveva alcuna possibilità di vincere. Se quell'inglese elegante non fosse arrivato al momento opportuno... Ma chi era, veramente?, si chiese. E perché era venuto? Lo seguì con lo sguardo mentre batteva in velocità Gordon Payne, precedendolo per aprirgli la porta, e notò che nel camminare si appoggiava, anche se solo leggermente, alla gamba destra. Emma Darcy
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Dopo che Payne fu uscito tutto impettito, Harold Alistair Clifton richiuse la porta con un sorriso soddisfatto e si voltò verso di lei. Appena l'aveva vista aveva pensato che le foto non le rendevano giustizia. C'era in lei qualcosa che non avrebbe saputo definire a parole, ma che gli aveva comunicato un senso di eccitazione, l'impressione di avere davanti una persona speciale. Gli era bastato incontrare i suoi occhi grigi per avvertire una scarica elettrica che l'aveva fatto sentire di nuovo vivo. Voleva conoscerla meglio, sapere tutto di lei. L'idea gli venne all'improvviso. Perché non continuare a recitare la parte del maggiordomo? Per la verità si stava divertendo un mondo in quel ruolo e, in più, gli avrebbe dato un certo vantaggio. Se si fosse fatto assumere come maggiordomo, avrebbe potuto vivere sotto lo stesso tetto di Hashley Harcourt e investigare da vicino la possibilità che il giovane William fosse l'erede che cercava. Inoltre non gli dispiaceva affatto l'idea di accudire Hashley e svegliarla al mattino con una tazza di caffè fumante... Come George nei suoi riguardi, sarebbe stato per lei una specie di confidente, consigliere e alleato, in attesa di scoprire se fosse possibile un altro tipo di legame. Se la sua trovata si fosse rivelata valida, il racconto di come lui aveva riportato all'ovile il discendente della pecora nera della famiglia sarebbe passato di bocca in bocca e sarebbe andato ad aggiungersi alle numerose leggende che circondavano il suo casato! Hashley era rimasta inchiodata accanto alla porta del suo ufficio, intenta a studiare quell'uomo straordinario che aveva fatto irruzione nella sua vita provocando un effetto così sensazionale. Lui le rivolse un altro sorriso e i suoi occhi azzurri ammiccarono divertiti. «Mi è parso un po' suscettibile» disse, indicando l'uscita. Hashley non poté fare a meno di sorridere. «Non avrei dovuto perdere la calma» commentò. «È stato stupido da parte mia.» Lui inarcò un sopracciglio. «In determinate circostanze è giustificato mettere da parte le precauzioni e dire le cose come stanno.» «Che cosa avrebbe fatto se non le avesse lasciato prendere la statuina?» «Probabilmente gli avrei spezzato il polso» fu l'imperturbata risposta. «Ciò mi ricorda un incidente analogo accaduto ai tempi della Regina Elisabetta I. Un mio antenato, Hugo, ruppe il polso dell'ambasciatore di Spagna perché voleva riprendersi il dono che aveva portato alla regina Emma Darcy
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dopo che lei aveva respinto le richieste del suo re.» «Ma così la statuina sarebbe caduta e si sarebbe rotta ugualmente.» «Non ho mai mancato una presa. A scuola ero tra i migliori nella squadra di cricket.» Hashley non faceva fatica a immaginare che Clifton fosse tra i primi in molti campi ma, a differenza di Roger, non aveva affatto un'aria di superiorità. Anzi, sembrava un tipo semplice e alla mano e si comportava con lei come se fossero vecchi amici. Il che la riportava alla questione principale: chi era e che cosa ci faceva lì. «Devo dirle che anch'io potrei mostrarmi un po' suscettibile» disse. «Non mi va che uno sconosciuto si introduca in casa mia e irrompa in una discussione privata.» «Oh, no, madam. Non mi sarei mai permesso di entrare se non fossi stato espressamente invitato dal signorino William.» «Il signorino William?» ripeté, chiedendosi come avesse reagito suo figlio sentendosi chiamare a quel modo. «Sta giocando a cricket qui fuori e da quel che ho visto ha la stoffa del battitore. Ha tirato un gancio superbo e per caso ho fermato la palla prima che finisse contro il parabrezza della Daimler parcheggiata all'angolo.» «Oh, cielo!» esclamò Hashley, sollevata che Gordon Payne non potesse aggiungere ai suoi motivi di rancore i danni all'auto. «Ho spiegato al signorino William che vengo dall'Inghilterra per una missione delicata e avevo bisogno di parlare con lei. Mi ha detto di aspettare nell'anticamera che lei potesse ricevermi e così stavo facendo quando ho udito una voce che mi è parsa minacciosa.» Clifton assunse un'aria contrita. «È stato riprovevole da parte mia ascoltare una conversazione che non mi riguardava e le porgo le mie scuse» riprese. «Non ho potuto fare a meno di ammirare il tono con cui ha messo al suo posto quel signore. Devo dire che lui non si è comportato affatto da gentiluomo. Poi l'ho sentita gridare...» Si strinse nelle spalle e concluse: «Così ho pensato che forse sarei potuto esserle utile». «Lo è stato. Grazie.» Hashley era rimasta ad ascoltarlo, incantata dalla sua voce musicale. «A quale missione si riferiva? Chi è lei?» gli chiese finalmente. «Ho l'onore di servire come maggiordomo presso il ramo inglese degli Harcourt. E una posizione ereditaria, madam. Sono stato inviato da lei come emissario dell'ultimo discendente della dinastia.» Emma Darcy
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Così la madre di Roger diceva la verità quando affermava di appartenere a una famiglia della nobiltà inglese, pensò Hashley, esterrefatta. «In questo momento suo figlio William è l'unico erede del feudo di Springfield, madam, e il mio signore desidera che entrambi prendiate residenza al castello. Io sono stato inviato per aiutarla a sistemare i suoi impegni e accelerare la vostra partenza per l'Inghilterra.» La tipica presunzione dei nobili, pensò Hashley, irrigidendosi. Ma nessun Harcourt le avrebbe detto quello che doveva fare della sua vita. Grazie al cielo si era liberata da una simile dipendenza. Clifton le rivolse un sorriso così affascinante da fare una breccia momentanea nel suo atteggiamento ostile. «Per il periodo che sarà necessario ai preparativi, sarò onorato di rimanere al suo servizio come maggiordomo, per eseguire i suoi ordini e quelli del signorino William.»
4 Che mostro di arroganza!, pensò Hashley, infuriata. Non Clifton, naturalmente. Lui era solo un portavoce e stava eseguendo gli ordini del suo padrone. Ma una cosa era certa: non si sarebbe fatta spedire in Inghilterra per essere accolta con condiscendenza nella dimora degli Harcourt. Se William era davvero l'unico erede, avrebbe atteso che non ci fosse più un solo Harcourt, prima di valutare in che cosa consisteva la sua eredità e decidere il da farsi. Nel frattempo, doveva decidere che cosa fare di Clifton. Un secco rifiuto al suo invito avrebbe significato il suo ritorno in Inghilterra e lei non l'avrebbe rivisto mai più. La cosa, per qualche motivo, le dispiaceva. Clifton era senza dubbio l'uomo più affascinante che avesse mai incontrato e non voleva che sparisse dalla sua vita prima di avere la possibilità di conoscerlo meglio. Era speciale, troppo speciale per essere un semplice maggiordomo. Forse, un breve soggiorno in Australia gli avrebbe fatto intravedere altre possibilità di guadagnarsi la vita. Ma, probabilmente, l'unico modo che aveva per trattenerlo era fingere di prendere in considerazione la sua proposta... Per il periodo che sarà necessario... Improvvisamente l'ipotesi le parve suggestiva. La presenza di Clifton sarebbe potuta esserle utile, se Gordon Payne avesse messo in atto le sue Emma Darcy
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minacce. In fondo, anche questo rientrava nel suo compito di aiutarla a sistemare i suoi affari. In realtà c'erano parecchie cose che avrebbe dovuto sistemare prima di valutare l'idea di trasferirsi in Inghilterra con William. C'erano la scuola e gli amici del figlio... una serie di piccole difficoltà e questioni più gravi che, alla fine, avrebbero reso impossibile la partenza. Clifton se ne sarebbe reso conto e nessuno avrebbe potuto biasimarlo per non aver portato a termine con successo la sua missione. Giunta a questa conclusione, Hashley si sentì più sollevata. Portò una mano alla tempia con aria disorientata e mormorò: «È tutto così improvviso...». «Mi perdoni, madam.» In un attimo Clifton fu al suo fianco per accompagnarla verso una poltrona. «È stato privo di tatto da parte mia raccontarle tutto questo mentre era ancora sotto shock.» Le sistemò uno sgabello sotto i piedi e un cuscino dietro la schiena e, dopo essersi assicurato che fosse comoda, le disse con un sorriso: «Una tazza di tè le farebbe bene, madam. O forse un bicchierino di sherry? La aiuterebbe a riprendersi. Sono al suo servizio, madam». Ad Hashley veniva da ridere, ma riuscì a trattenersi, ricordando che per Clifton non si trattava di un gioco, bensì del suo lavoro. «Una tazza di tè andrà benissimo, grazie» rispose gentilmente. Lui sparì in cucina, senza aspettare le sue istruzioni, ma non ebbe difficoltà a trovare la strada. L'appartamento non era grandissimo e la cucina si trovava all'estremità del corridoio. Il problema, pensò Hashley, sarebbe stato trovare una stanza per Clifton, benché nell'appartamento ci fossero tre camere da letto. Una infatti era occupata dall'attrezzatura sportiva di William e dai suoi modellini di navi e il tavolo era sempre ingombro dei soldatini in miniatura che stava dipingendo con le divise napoleoniche. Il divano letto accostato alla parete poteva andare bene per un ospite che si fermasse al massimo una notte. Poi c'erano la stanza di William, con due letti gemelli, e la sua. Ma era ridicolo che fosse lei a trasferirsi per lasciare la stanza a un maggiordomo. A un tratto le venne in mente che avrebbe dovuto chiedergli delle credenziali invece di accontentarsi solo della sua parola. In fondo era un perfetto sconosciuto, anche se i suoi modi raffinati l'avevano incantata tanto da farle perdere il senso della realtà. Doveva rimediare, prima di lasciarlo girare a suo piacere per tutta la casa. Emma Darcy
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Stava per alzarsi quando la porta d'ingresso si spalancò e William fece irruzione nella stanza, accaldato ed eccitato. «Ehi, mamma! Dov'è...» Si bloccò, vedendola in poltrona con le gambe sollevate sullo sgabello. «Ti sei slogata una caviglia?» «No, mi sto solo rilassando» gli rispose, sentendosi in colpa come se fosse stata colta in una situazione compromettente. «Oh... Bene!» William lasciò cadere l'argomento per raccontarle qualcosa di più eccitante. «Dovresti vedere l'automobile del signor Clifton! L'autista dice che è una Silver Spirit del millenovecentottantasette. Che cosa ne dici?» Hashley rimase sbigottita e subito dopo pensò alla faccia che doveva aver fatto Gordon Payne, vedendo una Rolls Royce che faceva impallidire la sua Daimler. Per non parlare dell'autista! Per fortuna William non aspettava una risposta. In quel momento Clifton rientrò con un vassoio d'argento e il servizio da tè che era stato il regalo di nozze della madre di Roger. Doveva averlo scovato in fondo alla credenza, dove era rimasto per anni. «Che cosa sta facendo?» domandò William, allibito. «Sua madre si sente poco bene. Le ho preparato una tazza di tè» rispose Clifton, impeccabile come sempre. Il ragazzino guardò la madre con gli occhi sbarrati. «Sei malata?» «No, no, adesso sto bene» gli assicurò. «Allora non hai bisogno di me?» «No, grazie. Mi sono già ripresa.» «Bene!» William sembrò sollevato e si rivolse al maggiordomo. «Lei si fermerà ancora per un po'?» gli chiese. «Sì, mi fermerò fino a quando...» «Perfetto!» lo interruppe William, con un sorriso accattivante. «Le dispiacerebbe se i miei amici salissero sulla sua auto? Non toccheranno niente, promesso. L'autista li farà salire e scendere.» Clifton posò il vassoio su un tavolino e guardò il ragazzino con espressione pensosa. «Quanto li farà pagare?» William sorrise, vedendo che aveva capito al volo. «Solo dieci centesimi a testa. Dieci dollari se vogliono la foto. Mi presti la Polaroid, mamma?» «Dieci dollari?!» esclamò Hashley, sbigottita. «Pensa, mamma. È un'occasione unica, una foto che terranno nel loro album per dimostrare che hanno guidato una Rolls Royce! Naturalmente Emma Darcy
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non la guideranno davvero» si affrettò ad aggiungere, rivolto a Clifton. «Staranno solo dietro il volante, ma l'effetto sarà lo stesso.» «Sono impressionato dal suo senso degli affari» commentò Clifton, ammirato. «Permesso concesso.» «Vedi, mamma? La macchina fotografica...?» «E va bene» sospirò, vedendo che erano in due contro uno. Oltretutto, doveva parlare con Clifton di cose più importanti che non i progetti economici di suo figlio. «Grazie, mamma. Grazie mille, signor Clifton!» In un attimo William era fuori della porta, impaziente di dare inizio ai suoi affari. «Latte o limone, madami» Clifton era pronto a servire il tè. «Qualsiasi cosa» gli rispose distrattamente Hashley. «Lei è arrivato con una Rolls Royce guidata da un autista?» «È il mezzo di trasporto abituale al castello di Springfield, madam. Il signor Harcourt desiderava farle sapere che godrà di ogni comfort. Zucchero?» «No, grazie. Ma non avrà portato la Rolls Royce dall'Inghilterra?» gli chiese, con la strana sensazione che qualsiasi cosa fosse possibile con quell'uomo. «L'ho acquistata a Sydney, madam. Il suo tè.» Hashley calcolò mentalmente quanto doveva essergli costato. «Ma è assurdo investire una cifra del genere in una missione che potrebbe concludersi in un niente di fatto!» esclamò. «Una Rolls Royce! È pazzesco!» «In quale altro modo avrei potuto darle un'idea di quello che può aspettarsi?» replicò Clifton in tono ragionevole. «Lei non è mai stata in Inghilterra, ma credo che le piacerà lo stile di vita al castello di Springfield. È molto gradevole e ci si abitua in fretta alle comodità.» Hashley era decisa a non farsi incantare da quella ostentazione di ricchezza. «Non ho bisogno di una Rolls Royce» dichiarò in tono enfatico. «E non mi piace avere l'impressione che qualcuno cerchi di comprare il mio consenso.» «E sempre interessante mettere alla prova i propri limiti» sentenziò Clifton con aria grave. «Perché mai fa tutto questo?» gli chiese, sicura che prendesse troppo a cuore la sua missione. «Agisco nello spirito dei miei antenati più avventurosi, che non Emma Darcy
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accettavano un no in risposta.» Irreprensibile, pensò Hashley, cominciando ad apprezzare la perspicacia di Gordon Payne nell'evitare uno scontro con quell'uomo. Lei stessa si sentiva in difficoltà di fronte al suo aplomb. «Bene, non mi ritengo responsabile delle sue scelte» concluse. La sua mente si era spostata rapidamente su altre preoccupazioni. Per esempio c'era il pericolo che la presenza di Clifton potesse minare la sua autorità sul figlio. «Ma ritengo che non avrebbe dovuto permettere a William di usare la sua auto per... per...» «Per specularci sopra?» le venne in aiuto lui. «Sì.» «Se posso permettermi, madam, non si dovrebbe frenare l'iniziativa dei giovani. Quando avevo l'età del signorino William, io organizzavo delle gare di salto con le rane. Con il suo fiuto per gli affari, il signorino William farà sicuramente...» «Stop!» «Madami» «Non può chiamarlo signorino. Qui non siamo in Inghilterra. È ridicolo e imbarazzante.» «Grazie per il consiglio, madam. C'è altro che devo sapere per non metterla in imbarazzo?» «E non mi chiami madami Qui si chiamano così le tenutarie dei bordelli.» «Oh! Quale imperdonabile errore! Posso chiamarla milady?» «Non sono la sua signora.» «Signora Harcourt, allora?» Non le piaceva nemmeno che le si ricordasse il suo matrimonio con Roger, ma forse sarebbe stato fuori luogo dirgli di chiamarla Hashley, rifletté. Annuì in silenzio, sorseggiando il tè e cercando disperatamente di mettere ordine nei suoi pensieri. Gli avvenimenti erano precipitati, senza lasciarle il tempo di capire quello che doveva fare. E la presenza di Clifton non la aiutava di certo a concentrarsi. Non erano solo i suoi occhi incredibili a incantarla, ma anche ogni minimo movimento delle sue labbra. Era passato tanto tempo da quando aveva baciato un uomo e quel pensiero provocante la portò a chiedersi se un maggiordomo potesse avere una relazione con la sua padrona. Emma Darcy
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Hashley rimase sbalordita di se stessa, ma una vocina dentro di lei le sussurrò che in fondo erano sei anni che era sola ed era normale che si sentisse attratta da un uomo, specialmente da un uomo singolare come Clifton. Dovette fare uno sforzo di volontà per tornare alle questioni pratiche. «Credo che dovrebbe fornirmi qualche credenziale, Clifton» disse. «Non può pretendere che accetti le sue affermazioni sulla parola.» «Più che giusto. Ho in valigia il rapporto dell'agenzia che ha ricostruito la genealogia degli Harcourt fino ad arrivare al giovane William. Chiederò all'autista di portarmelo appena sarà finita la seduta fotografica. Nel frattempo le mostrerò il mio passaporto.» Estrasse il documento dalla tasca interna della giacca e glielo tese. Hashley posò la tazza di tè e lo esaminò con attenzione. Era un passaporto inglese e non c'erano dubbi che l'uomo della foto fosse proprio Clifton. Harold Alistair Clifton, un nome molto inglese. «Harold» ripeté ad alta voce, pensando che quel nome non gli si addiceva. «Nessuno mi chiama così, signora Harcourt. Tutti mi chiamano Harry.» Harry era molto meglio, decise Hashley, meno impegnativo e altisonante. La data di nascita le rivelò che aveva trentatré anni. Subito le venne in mente un pensiero spiacevole. «È forse sposato, Clifton?» «No, signora. Purtroppo la donna che volevo sposare morì qualche anno fa» disse con aria triste. «In questo momento non ho legami.» Hashley fu lieta di sentire che era libero. Il fatto che fosse stato legato a una donna al punto di volerla sposare, poi, dimostrava che era capace di amare qualcuno oltre se stesso. «Qui c'è scritto che è nato a Springfield» osservò, incuriosita. «Come le ho detto, la mia è una posizione ereditaria. Generazioni di Clifton sono nate nel feudo di Springfield.» Questo significava che aveva profonde radici in quel luogo, pensò Hashley. Forse era meglio che rinunciasse subito a una storia che aveva poche probabilità di concludersi con un lieto fine. Per quanto fosse allettante l'idea di una relazione con lui, non era onesto lasciargli credere che fosse disposta ad accettare il piano predisposto per lei e trasferirsi al castello di Springfield. Il suo senso di correttezza ebbe la meglio. Gli tese il passaporto e lo fissò con sguardo fermo. «Sono sicura che lei è mosso dalle migliori Emma Darcy
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intenzioni, Clifton» disse. «Ma devo dirle che è contro i miei principi rinunciare all'autonomia che mi sono duramente conquistata. E non vorrei trovarmi in condizioni di dipendere da qualcuno.» Stranamente, lui sembrò compiaciuto di quell'affermazione. «Capisco, signora Harcourt. Non c'è niente di peggio che sentirsi in obbligo con qualcuno e non avere libera scelta. Mi creda, non è nelle mie intenzioni fare pressioni su di lei. Io le ho fatto una proposta. Sta a lei decidere.» Messa così, non c'era niente di male a tirare un po' in lungo la situazione senza compromettersi. «Può darsi che ci voglia un po' di tempo prima che riesca a sistemare i miei affari» disse. «Me ne rendo conto. Rimarrò a sua disposizione per tutto il tempo che sarà necessario.» Soddisfatta, Hashley decise di affrontare il lato pratico della questione. «La mia casa non è molto grande, Clifton.» «Mi è sembrata molto accogliente e funzionale.» «Grazie, ma quello che volevo dire è che dovrà accontentarsi di una sistemazione molto più modesta di quella a cui è abituato.» «Sono stato boyscout. Mi basterà una tenda in giardino.» «No, no, non sarà necessario arrivare a questo. C'è una stanza in più, ma è piuttosto piccola e ingombra di oggetti. Cercherò di convincere William a farle un po' di spazio. Sta dipingendo un intero esercito di soldatini in miniatura.» Clifton sorrise. «Vedo che abbiamo gli stessi interessi. Forse potrei aiutarlo a ricostruire qualche battaglia. Una volta costruii un modellino in cartapesta della battaglia di Waterloo. Uno dei miei antenati si batté contro i francesi.» Hashley sorrise. La presenza di Clifton sarebbe stata positiva per William, che mancava di un riferimento paterno. Dato che sembrava non ci fosse niente di male ad accoglierlo in casa come maggiordomo, almeno temporaneamente, prese la decisione con serenità e spirito di avventura. Avere un maggiordomo sarebbe stata un'esperienza nuova e interessante. E dal momento che il maggiordomo era Clifton, be', chissà cos'altro poteva succedere? «C'è qualche ulteriore ragguaglio che vuole avere, prima di andare a prendere il suo bagaglio?» gli chiese. «Credo che per il momento abbiamo sistemato ogni cosa.» «In questo caso, benvenuto fra noi, Clifton.» Emma Darcy
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«Grazie, signora Harcourt. Le garantisco che farò del mio meglio per servirla. «Bene. Nel frattempo, vado a prepararle la stanza e a trovare un accordo con William.» Hashley prese un'altra decisione. «Un'altra cosa. In Australia i rapporti non sono così formali. Visto che vivremo sotto lo stesso tetto, mi sentirei più a mio agio se ci chiamassimo per nome. Sempre che la cosa non la disturbi.» «Farla sentire a suo agio è uno dei miei compiti» le rispose con un sorriso. «Hashley, allora.» «Grazie, Harry.» «Il piacere è mio.» Rimasta sola, Hashley si sentì soddisfatta della propria decisione. La presenza di Clifton le trasmetteva un intenso senso di calore che non provava da molto, molto tempo.
5 Non era ancora ora di cena quando Hashley si trovò ad affrontare alcune conseguenze impreviste dell'aver accolto in casa Harry. La seduta fotografica era finita e gli amici di William erano rientrati da poco nelle loro case. Il telefono squillò. Hashley si era ritirata in camera sua per fare un bagno e cambiarsi e non poté rispondere subito. Quando raggiunse l'apparecchio, Harry aveva già preso la comunicazione dalla derivazione in cucina. Dopo aver scaricato i bagagli, aveva insistito per occuparsi della cena e, stranamente, William lo stava aiutando. «Casa Harcourt» lo udì dire. «Chi parla, prego?» Hashley non intervenne, curiosa di vedere come avrebbe portato avanti la conversazione. «Sono Olivia Stanton, la madre di Dylan.» Olivia era la presidentessa dell'Associazione Genitori della scuola e aveva l'abitudine di ficcare il naso negli affari degli altri. «Come sta, signora Stanton?» si informò Harry con il suo caratteristico accento inglese. «Che cosa desidera?» Ci fu una pausa all'altro capo dell'apparecchio. «Con chi parlo, prego?» «Il mio nome è Clifton. Sono il maggiordomo della signora Harcourt.» Emma Darcy
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«Maggiordomo?!» esclamò Olivia, evidentemente sconcertata. Un maggiordomo non era certo un personaggio comune in Australia e tanto meno a Wamberal. Forse il Primo Ministro aveva un maggiordomo per i ricevimenti ufficiali, ma Olivia non avrebbe potuto garantirlo. «Maggiordomo, ha detto?» «Proprio così, signora.» «E che cosa ci fa Hashley Harcourt con un maggiordomo? Non credevo che potesse permettersene uno.» La domanda retorica, seguita dal commento sulla sua situazione finanziaria, fece capire ad Hashley che la presenza di Harry avrebbe sollevato una quantità di speculazioni e pettegolezzi tra i vicini. Ma che importava, si disse. Che dicessero pure quello che volevano. Ormai lei aveva preso la sua decisione. «Posso assicurarle che i miei servizi sono sempre stati tenuti in gran conto, signora Stanton» le rispose Harry in tono ossequioso. «Be', è alquanto inusuale» mormorò Olivia, per giustificare la sua sorpresa. «Forse diventerà di moda avere un maggiordomo, signora Stanton. La signora Harcourt dirige un'agenzia di collocamento.» Ben detto, sorrise tra sé e sé Hashley. «Lei è in qualche modo coinvolto con la Rolls Royce delle foto?» Hashley sollevò gli occhi al cielo, ben sapendo che lo spirito imprenditoriale di William si stava ritorcendo contro di lei. «Effettivamente è il mezzo con cui sono arrivato» rispose gentilmente Harry. Aveva risolto il problema di trovare una sistemazione all'autista e alla Rolls Royce mandandoli entrambi al più vicino motel e assicurando ad Hashley di avere carta libera nel disporre delle spese necessarie per portare a termine la propria missione. «E sa che uso ne ha fatto William questo pomeriggio?» «Ne sono al corrente.» «Si rende conto che ha chiesto dieci dollari per una fotografia?» «Per quanto ho capito, nessuno era obbligato ad acquistarla. Ma se lei non può permettersi questa cifra...» «Non ho detto questo.» «I ragazzi erano molto felici di sedere al volante di una Rolls Royce, signora Stanton. È stata un'occasione unica, per loro. Naturalmente, può Emma Darcy
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darsi che lei non sia d'accordo. Sono sicuro che William le rimborserà la cifra se vuole privare suo figlio di questo ricordo...» «Non ho detto nemmeno questo!» scattò Olivia, spiazzata dalla logica del suo interlocutore. «Certo che no, signora Stanton. Quale madre priverebbe il figlio di un'occasione così speciale? E' tutto a posto, allora?» «Sì» cedette Olivia. «La ringrazio, signora Stanton. C'è dell'altro? Vuole lasciare un messaggio per la signora Harcourt?» «No.» «In questo caso, grazie per aver chiamato. Buonasera, signora Stanton.» Messa fuori combattimento dalla gentilezza, pensò Hashley, udendo lo scatto che metteva fine alla conversazione. D'altra parte, probabilmente Olivia non vedeva l'ora di liberare la linea per raccontare a tutti che Hashley aveva un maggiordomo che viaggiava in Rolls Royce. Per fortuna non era più considerato scandaloso che un uomo e una donna vivessero sotto lo stesso tetto anche senza essere sposati. Almeno su questo nessuno avrebbe trovato nulla da ridire. Ma doveva avvisare Harry di non parlare del castello di Springfield. Quella era una questione privata e, per il momento, non voleva pensarci nemmeno lei. Voleva solo godersi per un po' la presenza di Harry e approfittare dell'abilità di lui nel sistemare le cose al posto suo. Indossò un fresco abito di cotone con un motivo floreale verde e rosa che metteva in risalto la sua femminilità e raccolse i capelli in un nodo alla sommità del capo, lasciando che qualche ciocca sfuggisse ad arte intorno al viso, quindi mise qualche goccia di profumo e un rossetto chiaro, infilò i sandali bianchi e scese al piano di sotto, nella speranza che Harry la trovasse attraente. La scala conduceva nel soggiorno, separato dalla cucina da un lungo piano di lavoro che veniva usato anche come tavolo per la colazione. Mentre scendeva, Hashley udì William che chiacchierava con Harry. Gli stava chiedendo qualcosa a proposito di fantasmi. Era sempre stato affascinato dal soprannaturale. Harry interruppe la conversazione non appena la ebbe vista e si bloccò nell'atto di mescolare l'insalata, come se fosse colpito dalla grazia del suo incedere. Hashley era consapevole del modo in cui la stoffa dell'abito ondeggiava Emma Darcy
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sulle sue gambe nude mentre scendeva gli scalini e della scollatura che le lasciava scoperte le spalle abbronzate. Da anni non si era sentita così sicura della propria femminilità, tanto da dimenticare quanto potesse essere profonda quella sensazione e da rinunciare a credere che avrebbe trovato un uomo capace di risvegliarla. Sentiva il suo corpo rivivere sotto lo sguardo di Harry, uno sguardo chiaramente interessato e carico di piccoli segnali sensuali, mentre la avvolgeva dalla testa ai piedi, soffermandosi sulla pienezza del seno messa in rilievo dal corpetto attillato e sulla morbida curva dei fianchi. Il suo istinto le diceva che la trovava desiderabile e che l'attrazione che sentiva per lui era ricambiata. «Oh, mamma! Harry mi stava raccontando una storia favolosa!» la informò William, che non vedeva ragione per quella interruzione. «Tua madre ha diritto a tutta la mia attenzione» lo riprese Harry in tono dolce ma fermo, senza staccare lo sguardo da lei. «Buonasera, Hashley» disse, con un sorriso che la circondò di calore. «Buonasera, Harry» gli rispose, ricambiando il sorriso. Lui aveva tolto la giacca e si era arrotolato le maniche della camicia. Hashley notò che aveva spalle ampie e braccia muscolose. Appariva flessuoso ed elegante, ma a quelle qualità si aggiungeva una prestanza fisica che le faceva pensare che se la sarebbe cavata altrettanto bene con le mani che con le parole, se fosse stato necessario. Harry Clifton, decise, era un uomo dai molti aspetti, e lei era intenzionata a scoprirli tutti. In quel momento squillò ancora il telefono e William sbuffò per quella ulteriore interruzione. «Casa Harcourt» rispose Harry, sollevando l'apparecchio. Hashley si appoggiò al bancone mentre lui ascoltava la persona all'altro capo della linea. «Un attimo solo, signora Stanton. Vedo se la signora Harcourt può venire al telefono» disse. Coprì il microfono con la mano e rivolse ad Hashley uno sguardo interrogativo. «Ancora quella seccatrice...» brontolò William. Hashley gli lanciò un'occhiata di rimprovero. Non le piaceva che mancasse di rispetto alle persone, anche se dentro di sé condivideva la sua opinione. Olivia Stanton non le era particolarmente simpatica, ma era pur sempre una vicina e la madre di un compagno di William e, purché non si facesse troppo invadente, preferiva mantenere buoni rapporti con lei. Fece Emma Darcy
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un cenno di assenso ad Harry e tese la mano per prendere il ricevitore. «Le passo la signora Harcourt» annunciò Harry, in tono formale. «Olivia...» la salutò Hashley, sforzandosi di mostrarsi cordiale. Si aspettava che tornasse sulla questione della foto ma, con sua grande sorpresa, la vicina le disse invece: «Ho parlato prima con il tuo maggiordomo e mi stavo domandando... Tra una settimana darò un party per tutti i vicini e...». Questa era una novità per Hashley, che non era stata invitata. «Mi chiedevo se potessi prestarmi il tuo maggiordomo per una sera...» Olivia Stanton aveva la pelle di un rinoceronte. Questo la rendeva molto efficiente nel raccogliere i fondi per l'associazione, ma la rendeva insopportabile a livello umano. «Temo che un maggiordomo non sia qualcosa che si può dare in prestito, Olivia» le rispose, tenendo a freno il sarcasmo. «E certamente non potrei farlo senza il suo consenso. Un maggiordomo non è uno schiavo. La sua è una professione rispettata che richiede capacità organizzative e una reputazione impeccabile.» Mentre parlava, ammiccò ad Harry che le stava di fronte, quindi fece una pausa per dare il tempo all'altra di digerire quello che aveva detto, e aggiunse: «Ma se vuoi, posso chiederglielo». «Be', non c'è niente di male a chiedere.» «Allora scusami un secondo, Olivia.» Coprì il microfono con la mano e si rivolse ad Harry. «Lei è molto richiesto. Olivia Stanton vorrebbe approfittare dei suoi servizi per il suo party.» «Non ci vada» intervenne William. «E noiosa e piena di sé.» «Adesso basta, William!» lo riprese Hashley. «La mia etica professionale mi impone di stare con lei» dichiarò Harry in tono compito. «Bene.» Hashley annuì con gravità e tornò all'apparecchio. «Mi dispiace, Olivia. Temo che la sua etica professionale glielo proibisca.» «Oh, capisco... Ma forse potreste venire entrambi come ospiti.» Questa era una mossa subdola, pensò Hashley, determinata a non cadere nella trappola. Se si fosse presentata alla festa accompagnata da Harry, Olivia avrebbe sospettato che ci fosse qualcosa che non andava. Dopo aver difeso la sua professionalità, era meglio non confondere i ruoli, si disse. E poi preferiva tenere Harry per sé. «Sono sicura che Clifton mi accompagnerà volentieri con la Rolls Royce e tornerà a prendermi» disse. Questo avrebbe dato a Olivia un po' del Emma Darcy
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prestigio che voleva per il suo party. «Quando hai detto che sarà?» «Sabato sera alle otto.» «Ci sarò. Grazie per avermi invitato, Olivia. Adesso devo proprio andare. Ciao.» Posò il microfono e guardò Harry con aria interrogativa. «Le dispiace?» «Farei qualsiasi cosa per lei, Hashley» le rispose, comunicandole un brivido di eccitazione. «Ehi, mamma!» si intromise William, intuendo che era il momento opportuno per fare la sua richiesta. «Possiamo andare al castello di Springfield con il signor Clifton? Ti prego, mamma. Devi solo dire di sì...» Il calore da cui si sentiva circondata si trasformò in gelo. Harry aveva parlato con suo figlio prima che potesse strappargli la promessa di non nominare il castello di Springfield. Era stato scorretto cercare la complicità del ragazzo contro di lei. Hashley guardò William, seduto su uno sgabello di fronte a lei. Aveva ereditato gli occhi azzurri e la costituzione atletica del padre, ma aveva preso da lei il colore biondo dei capelli e il carattere gentile, che lo rendeva popolare tra i suoi compagni. Era fiera di lui e non voleva che gli Harcourt gli instillassero valori diversi da quelli che lei gli aveva inculcato. «Perché vuoi andarci?» gli chiese, desiderosa di sapere fino a che punto si fosse spinto Harry. «Così potrò andare a caccia di fantasmi con il signor Clifton» le rispose, eccitato. «Sarei l'unico dei miei amici ad aver visto un vero fantasma!» Hashley si sentì sollevata, constatando che non sapeva nulla dell'eredità. Lanciò uno sguardo dubbioso a Harry e disse: «Mi dica la verità, Harry. Ci sono davvero i fantasmi al castello?». «Molti. È lì che Shakespeare trasse ispirazione per l'Amleto e Charles Dickens per il suo Canto di Natale.» «Probabilmente sono solo invenzioni.» Lui sollevò un sopracciglio con espressione innocente. «Crede che me lo sia inventato io?» «Può darsi.» «Oh, no davvero. Le notti d'inverno sono lunghe e fredde in Inghilterra e noi passiamo gran parte del tempo accanto al camino, raccontandoci storie del genere.» «Non avete la televisione?» «Sì, ma non la guardiamo spesso. Le nostre storie sono più affascinanti, Emma Darcy
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e inoltre è un modo per stare insieme.» Hashley non sapeva più che cosa credere. Harry sembrava sincero, ma lei aveva già avuto modo di constatare la sua abilità nel manipolare le persone e anche William era stato conquistato. Inoltre, le aveva detto lui stesso che non era abituato ad accettare un no in risposta. «È il suo primo viaggio in Australia?» gli chiese, decisa a incrinare quella sua aria di sicurezza. «Sì.» «Allora le consiglio di approfittarne per allargare la sua visione del mondo. Forse potrebbe dimenticare il suo piccolo angolo di Inghilterra per il resto della serata.» «Oh, mamma!» protestò William. «Eravamo nel mezzo di una storia...» «Te la racconterò un altro giorno» gli assicurò Harry. «Non vogliamo annoiare tua madre.» Le rivolse un sorriso luminoso e concluse: «Sarò felice di imparare tutto sulla vostra vita qui». Bene, pensò Hashley. Il resto della serata sarebbe andato a modo suo e, dato che Harry si sarebbe fermato fino al termine della sua missione, lei avrebbe avuto tutto il tempo di capire se l'attrazione che mostrava per lei fosse sincera.
6 Harry insistette per servire la cena e Hashley perché sedesse a tavola con loro. La serata fu estremamente piacevole. L'insalata di pollo era deliziosa e così pure il gelato con fragole e mango. Hashley non dovette fare nient'altro che godersi la compagnia di Harry. Lui ascoltò con genuino interesse il racconto dei fatti più salienti della sua vita e nel frattempo sparecchiò la tavola, caricò la lavastoviglie, pulì la cucina, servì il caffè e diede la buonanotte a William. Fece, insomma, tutto quello che ci si sarebbe aspettati da un domestico e insieme da una persona di famiglia, dandole contemporaneamente la sensazione che la considerasse straordinaria. Hashley non si era mai sentita circondata da tante attenzioni e gentilezza e si sentiva inebriata come se avesse bevuto una bottiglia di champagne. Anche William aveva avuto la sua parte: Harry si era offerto di accompagnarlo a Sydney alla partita di cricket tra Inghilterra e Australia, purché avesse il permesso della madre. Hashley aveva acconsentito con Emma Darcy
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piacere. Più tempo avessero passato insieme, più possibilità avrebbe avuto di conoscerlo meglio. Hashley aveva l'impressione che sarebbe stata molto felice con lui. Era un uomo sensibile e un ascoltatore attento che non dava affatto l'impressione di ritenersi superiore agli altri. Tutto quello che le aveva dimostrato fino a quel momento lo rendeva completamente diverso da Roger. Chissà se avrebbe rinunciato alla sua vita al castello?, si chiese. Per il periodo che sarà necessario..., si ripeté. Be', se non altro aveva davanti un po' di tempo prima di prendere qualsiasi decisione. Mentre Harry accompagnava William nella sua stanza, uscì sulla veranda sul retro. Era una serata stupenda, con il cielo trapunto di stelle, e una brezza leggera soffiava dall'oceano. La casa sorgeva a pochi chilometri dalla spiaggia e pareva quasi di sentire il rumore delle onde che si frangevano sulla sabbia. Era l'atmosfera ideale per una storia romantica e Hashley si sentì percorrere da un fremito di anticipazione. Non aveva più avuto relazioni dopo Roger. Delusa dal matrimonio e timorosa di altre disillusioni, non aveva più incontrato un uomo che la attirasse abbastanza da indurla a concedergli una possibilità. Con Harry sarebbe stato diverso?, si chiese. La portafinestra che dava sul soggiorno si aprì. «Desidera qualcosa, Hashley? Una bibita fresca?» Lei si voltò con un sorriso. «No, grazie, Harry. Volevo solo prendere un po' d'aria fresca prima di andare a dormire.» «Le dispiace se le tengo compagnia?» «La prego.» Lui chiuse dolcemente la porta e si appoggiò alla balaustra, contemplando il cielo stellato. «È quella la Croce del Sud?» le chiese, indicando la costellazione più luminosa di tutte. Hashley si chiese se stesse cercando di mostrarsi interessato all'Australia per pura gentilezza. In quel momento avrebbe voluto che abbandonasse il suo ruolo e la sua missione per dar modo a lei di conoscere l'uomo. Voleva da lui sentimenti spontanei e la conferma che ricambiasse l'attrazione che provava nei suoi confronti. «Sì» mormorò, desiderando che si facesse più vicino. «Così è la costellazione che indicò la strada al Capitano Cook.» Emma Darcy
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«Anche i polinesiani, i portoghesi e i francesi la usavano per orientarsi, molto tempo prima di Cook» replicò, un po' seccata dai suoi continui riferimenti alla storia d'Inghilterra. Ripensò all'albero genealogico degli Harcourt che le aveva mostrato e una sorta di risentimento le fece chiedere: «Come mai il trisavolo di Roger abbandonò l'Inghilterra per trasferirsi in Australia, se la vita a Springfield era così meravigliosa?». Harry le rivolse un sorriso malizioso. «Cadde in disgrazia per aver rovinato la reputazione della famiglia rendendo pubblica la sua relazione con una nobildonna sposata.» «E naturalmente gli inglesi consideravano l'Australia il luogo dove spedire gli indesiderabili.» «Ma anche un posto dove cominciare una nuova vita» le rispose seriamente. «Questo è stato vero per molti» convenne Hashley. Anche se altri, come la madre di Roger, preferivano ancorarsi a un lontano passato piuttosto che accettare quello che offriva la nuova patria. «Io sono australiana da sette generazioni» disse, per fargli capire che aveva solide radici in quella terra. Harry le sorrise. «Quello che ho sempre ammirato negli australiani è che sono aperti a tutte le possibilità.» «Non ha mai pensato che anche lei potrebbe avere altre possibilità?» «Comincio ora.» Lei sentì rinascere la speranza. «Mi prometta che non dirà a William che è l'erede degli Harcourt.» «Non avevo alcuna intenzione di farlo. William è un bravo ragazzo, Hashley. Questo è merito suo.» «Grazie» gli rispose con un sorriso. «Anche lei gli piace.» Incontrando il suo sguardo, Hashley provò un fremito e di colpo l'aria si fece carica di tensione. Vuole baciarmi, pensò, esultante, ma lui non si mosse. Poteva indovinare il suo proposito, tenuto a freno dal senso del dovere e della disciplina, e la lotta che si svolgeva dentro di lui era di per se stessa eccitante. Ma aveva anche la sensazione che il suo desiderio non si sarebbe fermato a un bacio, ma volesse arrivare alla sua anima e questo la spaventò. Prima ancora che parlasse, si irrigidì, sulla difensiva, intuendo che l'attrazione fisica si era trasformata in un bisogno più profondo. «Cosa non ha funzionato con Roger, Hashley?» La domanda la colse di sorpresa. Non gli aveva mai parlato di Roger e, anche ai tempi del suo matrimonio, l'orgoglio le aveva impedito di Emma Darcy
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confessare a chiunque la propria infelicità. Dopo la morte del marito, aveva nascosto il sollievo legato ai sensi di colpa e aveva chiuso la porta per sempre su un'esperienza che non voleva ripetere. «Perché pensa che qualcosa non abbia funzionato?» «A volte, quello che non diciamo è più rivelatore di quello che diciamo. Lei mi ha raccontato parecchi episodi della sua vita. Roger Harcourt era suo marito e il padre di William, ma non ha mai fatto un accenno a lui.» «Roger è morto sette anni fa. Ho vissuto da sola più a lungo di quanto abbia vissuto con lui.» «Di solito i momenti felici lasciano dei ricordi.» Harry si strinse nelle spalle con un sorriso di scusa. «Non volevo essere indiscreto. È un argomento delicato... Forse sente ancora la sua mancanza e le è penoso ricordare...» «No, non sento la sua mancanza» confessò Hashley, non volendo dargli l'idea di essere una vedova inconsolabile. «Se fosse ancora vivo, avrei chiesto il divorzio.» «Perché?» «Forse perché avevo smesso di considerarlo un eroe. Avevo solo diciannove anni quando ci sposammo.» I suoi occhi ebbero un lampo d'ironia. «Peccato che non sia venuto a quel tempo per cercare un erede, Harry. Roger avrebbe accettato al volo di diventare il signore di Springfield.» «È così che si comportava con lei?» «Aveva i suoi lati affascinanti, ma io non ero disposta a sottopormi totalmente alla volontà di un altro.» «Ha paura che la aspetterebbe questo, se venisse in Inghilterra?» «Non ho paura perché so che non lo accetterei.» «In ogni caso le garantisco che non è così.» «Bene, immagino che lei lo sappia meglio di me» disse in tono leggero, non volendo apparire prevenuta. «Mi dispiace che abbia avuto questa esperienza. Spero che non giudichi tutti gli uomini alla stessa stregua.» «Se lo facessi, lei non sarebbe qui.» Le sue parole rimasero sospese nell'aria, cariche di significato. Era come se gli avesse detto che lo considerava speciale e che il fatto che fosse il suo maggiordomo era del tutto irrilevante. Tuttavia lui non si mosse e Hashley sentì un brivido lungo la spina dorsale ricordando la tristezza con cui le Emma Darcy
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aveva parlato della donna che aveva amato. Forse il ricordo di lei gli impediva di pensare a un'altra?, si chiese. Distolse lo sguardo, fissando le stelle, e si sentì autorizzata a fargli una domanda personale, dopo che lui aveva portato il discorso su Roger. «Quella donna di cui mi ha parlato... come si chiamava, Harry?» Il lungo silenzio che seguì le fece pensare di aver toccato un argomento troppo delicato. Forse sentiva ancora la sua mancanza e gli era penoso ricordare... Erano queste le parole che aveva usato poco prima. «Pen» disse infine. «Penelope.» Il modo in cui pronunciò il suo nome non le lasciò dubbi sul fatto che doveva essergli stata molto cara. «E da quanto...» Esitò, non volendo sembrare indiscreta. «Pen morì di leucemia tre anni fa.» Hashley chiuse gli occhi. Che storia tragica! La morte era già difficile da accettare quando arrivava all'improvviso, ma, dopo una lunga agonia, chi avrebbe potuto dimenticare? «Deve essere stato straziante» mormorò. «Mi dispiace che sia successo. Per entrambi.» Lui non rispose. Era come se la sua mente fosse tornata al passato e Hashley avvertì una grande distanza fra loro, che non aveva nulla a che fare con lo spazio fisico. Attese in silenzio, anche se una parte di lei avrebbe voluto lasciarlo solo con i suoi ricordi. Ma, in qualche modo, stargli accanto era come pagare un tributo di rispetto alla morta. «No, non è stato così» mormorò infine. «Dopo lo shock iniziale, Pen si rifiutò di cedere alla malattia» riprese con calma. «Fece di ogni giorno un inno alla vita, trovando la gioia nelle più piccole cose. C'erano periodi in cui le cure la rendevano debole, ma il suo spirito non cedette mai...» Scosse la testa e concluse: «Io la presi peggio di lei. Non sopportavo di sentirmi impotente». «Sono sicura che fece tutto quello che era in suo potere, Harry.» Non era un luogo comune. Era certa che lui fosse stato in grado di dare tutto il suo amore per renderle la vita piacevole fino all'ultimo, ma comprendeva anche il suo senso di impotenza. «Deve averle lasciato un grande vuoto.» «È stata una perdita per tutti quelli che la conoscevano» mormorò. Come avrebbe potuto competere con questo?, pensò Hashley. «Allora lei è stato fortunato a incontrarla» disse, con una punta di invidia. «Non tutti hanno la fortuna di amare ed essere amati da una persona tanto speciale. Emma Darcy
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Anche se è stato per un periodo breve, almeno l'ha avuto.» Le sue parole parvero strapparlo dai ricordi. Si voltò verso di lei, incontrando il suo sguardo. «La sua Pen ha reso meraviglioso un periodo della sua vita, Harry» continuò dolcemente. «Forse questo le rende più doloroso accettare la sua perdita, ma...» «Hashley...» Tese una mano per sfiorarla e lei si ritrasse istintivamente. «Credo che andrò a dormire. Comincia a far freddo. Buonanotte, Harry. E grazie per la bellissima serata.» Evitando ogni contatto con lui, si mosse verso la portafinestra, ma Harry la precedette per aprirgliela. Con un breve cenno di ringraziamento, Hashley attraversò il soggiorno e salì in fretta le scale. Gli occhi le si riempirono di lacrime mentre ripensava alle aspettative con cui era cominciata la serata. Che speranza aveva di poter competere con un fantasma che per Harry rappresentava la perfezione? Udì Harry che le augurava la buonanotte, ma non si voltò, desiderosa di rifugiarsi nell'intimità della sua stanza. Domani è un altro giorno, si disse, asciugando le lacrime. E lei aveva qualcosa di più di un fantasma: era viva, con il suo corpo, i suoi sentimenti e le sue idee. E Harry sembrava apprezzare la combinazione; su questo era sicura di non ingannarsi.
7 L'indomani William si svegliò presto. Come molti ragazzini della sua età, aveva una mente curiosa e immaginava che sarebbe riuscito a carpire più informazioni al signor Clifton se avesse potuto averlo tutto per sé. Sua madre aveva l'abitudine di sorvolare sulle questioni che riguardavano gli adulti, mentre lui voleva i fatti. Dato che la sua camera era adiacente a quella del signor Clifton, gli sarebbe stato sufficiente fare abbastanza rumore per svegliarlo, senza disturbare la madre. In realtà Harry era già sveglio. Era abituato ad alzarsi presto e quella mattina aveva aperto gli occhi prima ancora che la sveglia suonasse. La sera precedente aveva incautamente ridestato dei sentimenti che avevano finito per allontanarlo da Hashley. Non era stata sua intenzione, ma la franchezza di Hashley aveva operato una catarsi in lui. Lei aveva ragione: era stato fortunato ad avere Pen nella sua vita. Ora doveva fare in modo Emma Darcy
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che Hashley fosse felice di avere lui nella sua. Impulsivamente aveva iniziato con lei un gioco che prometteva di essere una sfida divertente fra due volontà, con l'aggiunta di una innegabile attrazione fisica. Ma doveva essere molto cauto per non ferire i suoi sentimenti. Il suo matrimonio non era stato felice e non voleva procurarle altro dolore o delusioni. Gli piaceva molto. Era una donna coraggiosa e possedeva un controllo non comune. Non era giusto che giocasse con tutto quello che si era costruita, eppure non voleva decidersi a uscire dalla sua vita. Mentre si vestiva, si chiese se avrebbe fatto meglio a rivelarle la sua vera identità. Udì William che scendeva le scale e lo seguì, sperando di ricavare da lui qualche informazione più personale su Hashley. «Buongiorno, William» lo salutò con un sorriso. «A che ora si alza di solito tua madre?» William alzò la testa dalla tazza di latte e cereali che si era preparato. «Buongiorno, signor Clifton. La mamma mette la sveglia alle sette.» Harry calcolò che aveva una ventina di minuti. «E che cosa prende di solito, tè o caffè?» «Caffè.» William si decise a fargli subito la domanda che gli stava a cuore. «Si fermerà parecchio tempo con noi, signor Clifton?» «Questa è una decisione che spetta a tua madre» gli rispose senza compromettersi. «Perché me lo chiedi?» «Lei è molto meglio delle sue amiche che vengono a trovarci. Nessuna di loro mi porterebbe a una partita di cricket.» «Be', a me piace il cricket» gli rispose Harry, sentendosi un impostore perché aveva programmato quella mossa fin dall'Inghilterra. «Ha fatto una bellissima presa, ieri. Ha salvato il vetro dell'auto e mi ha evitato una sgridata. La mamma non avrebbe apprezzato il mio tiro. Si sarebbe preoccupata solo del parabrezza rotto. Le donne non capiscono certe cose.» William scosse la testa, riflettendo sulla diversità di vedute tra uomini e donne. «Tua madre non ha amicizie maschili?» indagò Harry. «No, non esce mai con nessuno. La madre di Rodney Bixell, invece, da quando ha divorziato dal marito ha avuto altri compagni. Alcuni vivevano con loro e Rodney li chiamava zio. Il primo gli ha regalato un go-kart, il secondo un trampolino e il terzo una bicicletta.» Evidentemente Rodney sapeva come approfittare della situazione, pensò Emma Darcy
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Harry. «La mamma non vuole che io vada in bici finché non avrò dieci anni perché dice che le strade sono pericolose» riprese William con evidente esasperazione. «Forse lei potrebbe parlargliene, signor Clifton. Sono sicuro che riuscirebbe a convincerla.» Harry aveva i suoi dubbi, ma non voleva deludere il ragazzino. «Vedremo» gli rispose. «Tu non hai mai avuto degli zii?» «No, finora non sono stato fortunato. Ecco perché non ho ancora una bicicletta. Ma visto che lei si è trasferito qui, pensavo che non mi dispiacerebbe chiamarla zio...» Chissà se Hashley aveva preso in considerazione la stessa possibilità, si chiese Harry. Quello che gli aveva detto William gli faceva capire la diffidenza che doveva nutrire Hashley nei confronti degli uomini e lo caricava di un ulteriore senso di responsabilità. Non poteva ricambiare la fiducia che aveva mostrato in lui ingannandola sulla sua vera identità. «Grazie, William, ma io sono solo un maggiordomo, non uno zio. Credo che tua madre non apprezzerebbe che mi chiamassi così e la gente potrebbe farsi delle idee sbagliate.» «Oh...» William sembrò deluso. Riconsiderò la situazione e tornò alla carica. «Però potremo fare delle cose insieme finché resta con noi. Sarebbe bello che prendesse le mie parti come ha fatto ieri con le fotografie. La mamma a volte si agita per un nonnulla. Non come la signora Stanton, ma sa com'è... si preoccupa di tante cose in cui non c'è niente di male...» Harry gli rivolse un sorriso comprensivo. «I buoni genitori sono così, William. Tu sei molto fortunato ad avere una mamma che si preoccupa per te.» «Sì, ma a volte esagera» brontolò il ragazzino. Harry si fece serio e inarcò un sopracciglio in tono di rimprovero. «William, io ho molto rispetto per tua madre. Non deve essere stato facile rimanere vedova così giovane con un bambino piccolo.» «C'ero io ad aiutarla.» Harry sorrise. «Certo. Per un attimo me ne ero dimenticato.» «Ma un aiuto in più non le farebbe male. Sarebbe una buona idea se lei si fermasse il più a lungo possibile» riprese William, perorando la sua causa. «E potrebbe aiutarmi a dipingere i soldatini. Per la prossima settimana vorrei avere almeno due reggimenti pronti, così potrò fare la parte di Napoleone.» Emma Darcy
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«Non preferiresti fare la parte del Duca di Wellington?» Harry non riusciva a credere che William preferisse il ruolo del perdente in un gioco di guerra. Gli occhi azzurri del ragazzino brillarono di astuzia. «Pensavo che sarebbe potuto essere lei Wellington, visto che è inglese.» Non mancava certo di doti diplomatiche, pensò Harry, divertito. «Che io mi fermi o meno è una decisione che spetta a tua madre, William» gli rispose. «Per ora sarà meglio che prepari il caffè e che glielo porti. Per mostrarle che sono un perfetto maggiordomo» aggiunse strizzandogli l'occhio. William rise. «Lo faccio anch'io quando voglio cercare di ingraziarmela per ottenere qualcosa.» Mentre saliva le scale con il vassoio, Harry pensò che il suo modo di fare era decisamente più scorretto di quello di un ragazzino che cerchi di blandire la madre mostrandosi servizievole. Ma ormai si era impegnato a portare William alla partita di cricket e ad accompagnare Hashley alla festa di Olivia Stanton e non poteva tirarsi indietro. Doveva recitare la sua parte almeno fino a quando uno dei due non avesse preso una decisione sul futuro. Confessarle tutto gli avrebbe alleggerito la coscienza, ma non aveva dubbi che in quel caso lei lo avrebbe cacciato di casa e questo gli avrebbe impedito di conoscerla meglio. Aveva posato sul vassoio una rosa colta nel giardino. Gli piaceva quel tocco romantico e sperava che anche lei lo avrebbe apprezzato. La sua vita doveva essere stata piuttosto povera di gesti romantici. Udì la sveglia che suonava mentre si accostava alla porta e attese per qualche istante prima di bussare. «Sì?» «Sono Harry con il suo caffè.» «Oh!» Ci fu una pausa, seguita da un fruscio di vestiti. «Venga.» Harry aprì la porta con un sorriso. «Buongiorno, Hashley.» Appena la vide il desiderio lo colpì con forza al petto, togliendogli il respiro. Era seduta sul letto, con un lenzuolo che le copriva il seno ma lasciava intravedere due spalline sottili che dovevano appartenere a una camicia da notte molto femminile. I capelli le ricadevano come una cascata di seta sulle spalle e il suo volto, privo di trucco, aveva un'espressione luminosa che gli arrivò dritto al cuore. In quell'istante Harry seppe che era ingiusto ingannare quella donna, ma Emma Darcy
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si era messo in trappola da solo. Non voleva che lo respingesse. Voleva prenderla fra le braccia, baciare le sue labbra, riempire il suo vuoto d'amore con tutta la meravigliosa tenerezza di cui era capace. Sentiva il suo bisogno d'amore e voleva soddisfarlo, ma il buon senso gli disse che era troppo presto. Vacci piano, si ammonì, avanzando verso di lei. «William mi ha detto che preferisce il caffè appena sveglia. Ha dormito bene?» «Sì, grazie» gli rispose, facendo posto sul comodino di fianco al letto. «E lei? Il letto era abbastanza comodo?» «Perfetto.» Posò il vassoio e le versò il caffè, resistendo alla tentazione di toccarla. «Uova, bacon e pane tostato vanno bene per colazione?» le chiese. «Di solito mangio una tazza di muesli, ma lei si prepari pure quello che vuole» si affrettò ad aggiungere. «Faccio la stessa fatica a cucinare per due.» Harry sollevò un sopracciglio con aria interrogativa. «Il muesli è una scelta dettata da convinzioni dietetiche o dal fatto che non ha voglia di cucinare e pulire?» «Un po' dell'uno e un po' dell'altro» confessò con un sorriso. «Lasci a me il compito di cucinare e pulire. Sono qui per servirla, Hashley, e voglio che si goda il piacere di essere servita.» «Allora credo che accetterò... per una volta.» «Questo potrebbe essere il suo stile di vita di tutti i giorni, se accettasse di venire a Springfield» le ricordò. Lei si strinse nelle spalle. «Che cosa potrei fare di me stessa, oltre a essere riverita e servita?» «Potrebbe sempre occuparsi di trovare impiego agli altri, come fa ora. Ci sono parecchi insediamenti industriali nei dintorni...» «Ma sarei sempre un'estranea, Harry. Mi sentirei come un pesce fuor d'acqua, non crede?» «Be', anch'io sono un estraneo, qui, ma questo non mi impedisce di rendermi utile e prendermi cura di lei. Sentirsi un estraneo non è una valida scusa per non fare niente.» «Fa parte dei suoi compiti quello di farmi la predica?» gli domandò in tono malizioso. Lui sorrise. «Sono un uomo con una missione. Non può pretendere che non cerchi di difendere la mia causa.» «E lo fa molto bene.» Emma Darcy
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«Sono convinto che lei potrebbe costruirsi la sua vita ovunque, Hashley, se lo desiderasse.» Lei sostenne il suo sguardo. «Penso che anche lei potrebbe farlo.» Era una sfida affascinante. Orgoglio e volontà d'acciaio avevano sostituito la vulnerabilità dei suoi occhi grigi che l'aveva così colpito appena entrato nella stanza. Il suo sguardo le diceva che non era disposta a lasciarsi incantare né da lui né dall'eredità degli Harcourt. Tutto quello che avrebbe ottenuto da lei andava conquistato. Ma ne valeva la pena. «Mi farà compagnia con le uova e il bacon?» le chiese, cercando un'incrinatura nella sua risolutezza. «Starò al suo gioco, Harry, ma non si illuda che la accompagnerò in Inghilterra.» Quando uscì dalla stanza, si sentiva leggero ed esaltato. Hashley aveva accettato il suo gioco, succedesse quel che doveva succedere.
8 Mentre si vestiva, Hashley rifletté su quello che le aveva detto Harry. In pratica le aveva riconfermato lo scopo della sua missione, lasciando scarse speranze alla possibilità che sarebbe riuscita a convincerlo a fermarsi in Australia con lei. Sarebbe tornato in Inghilterra, questa era l'inevitabile realtà. L'Inghilterra le ricordava Roger e rappresentava anche il profondo legame che aveva unito Harry alla sua amata Penelope. La prospettiva di trasferirsi nel castello di Springfield non la attirava. A meno che Harry non riuscisse a farle cambiare idea. Le aveva detto che avrebbe messo alla prova la sua resistenza e che non era abituato ad accettare un no come risposta. Hashley si chiese fino a che punto si sarebbe servito dell'attrazione reciproca per raggiungere i suoi scopi. Ormai non aveva dubbi che la trovasse desiderabile. Quando Harry era entrato nella stanza, per alcuni istanti lei aveva avvertito una corrente elettrica e, benché lui si sforzasse di nasconderlo, il desiderio trapelava dai suoi gesti e dai suoi sguardi, raggiungendola come una sensazione fisica. Ma il desiderio non era amore, si disse, e poteva essere manipolato per scopi che non avevano niente a che vedere con l'amore. Poteva essere una trappola che le sarebbe costata cara. Hashley era già stata vittima Emma Darcy
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dell'egoismo di un uomo e non voleva che succedesse nuovamente. L'unica cosa da fare, decise, era aspettare, osservare il suo comportamento e mantenere una certa distanza da lui. Dopo aver scelto questa linea di condotta, scese per fare colazione, sentendosi più sicura che avrebbe saputo rimanere fedele a se stessa nonostante le tattiche di persuasione che avrebbe potuto adottare Harry. William stava discutendo animatamente con Harry, rievocando le gesta dei grandi campioni di cricket. Non c'era la minima condiscendenza nell'atteggiamento di Harry ed entrambi sembravano divertirsi. Improvvisamente Hashley si sentì inadeguata ad allevare da sola un ragazzino. Non era possibile essere allo stesso tempo madre e padre e saper rispondere a tutte le sue esigenze. D'altra parte, non erano molti i genitori che raggiungevano quell'ideale, si disse, cercando di cacciare il senso di colpa per aver rimosso il ricordo del marito e non essersi data da fare a cercarne un altro. «Ciao, mamma!» la salutò. «Harry ha preparato uova e bacon per tutti.» Di solito mangiava la sua tazza di cereali e usciva di corsa, mentre Hashley faceva colazione leggendo il giornale. Spesso si incontravano solo a cena e, il più delle volte, il televisore acceso riduceva la conversazione al minimo. Ripensando a quanto aveva detto Harry a proposito delle abitudini al castello di Springfield, Hashley decise che avrebbe dovuto modificare la routine in cui lei e il figlio stavano cadendo. Era importante stare insieme e parlare, su questo Harry aveva ragione. «Ha molto da fare oggi, Hashley?» le chiese. «Sì.» Gli spiegò brevemente il motivo della visita di Gordon Payne e la situazione in cui si trovava Cheryn Kimball. «Date le circostanze» concluse, «temo che si rifiuterà di pagare. Cheryn contava su questo lavoro e devo trovargliene un altro il prima possibile. La povera ragazza era completamente distrutta, ieri.» «Posso esserle d'aiuto?» «No, grazie dell'offerta, ma questo fa parte del mio lavoro.» «Potrebbe aiutarmi a dipingere i soldatini» intervenne William. «Nel pomeriggio» gli rispose Harry. «Dato che tua madre non ha bisogno di me, stamattina vorrei approfittarne per sbrigare qualche commissione in città. Prima di tutto voglio rifornire il frigorifero e la dispensa. Non posso mangiare il vostro cibo senza contribuire.» «Non è il caso...» cominciò Hashley, ma lui la interruppe con un sorriso. Emma Darcy
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«Lasci che le faccia una sorpresa. Voglio prepararle qualcosa di speciale.» «Un pranzo stile Castello di Springfield!» Lui sollevò un sopracciglio. «Perché, è forse proibito?» Hashley avvertì la sottile pressione che stava esercitando su di lei, ma sarebbe stato scortese rifiutare. «Faccia pure come crede» cedette con un sorriso. «Da quanto ho capito, ha carta libera nelle spese che sostiene per noi.» «Davvero?» Gli occhi di William si accesero di interesse. «Posso venire con lei, signor Clifton?» «Temo che ti annoieresti, William.» «Andrà con la Rolls Royce?» «Sì.» «Allora non mi annoierà di certo.» «Devi chiedere il permesso a tua madre.» «Mamma?» Hashley guardò il figlio con espressione severa. «Puoi andare, ma promettimi che non chiederai al signor Clifton di comprarti qualcosa.» «Lo prometto» rispose prontamente William, pensando che non ci sarebbe stato niente di male a includere nell'itinerario un paio di negozi che gli interessavano. Terminata la colazione, Hashley li lasciò soli a fare i preparativi e si ritirò nel suo studio. Poco dopo udì la Rolls Royce che veniva a prenderli. Fecero capolino nel suo ufficio per salutarla e la casa le parve improvvisamente vuota dopo la loro partenza. Si mise al lavoro, esaminando le inserzioni sui giornali locali e confrontando mentalmente le richieste con i curriculum che aveva in archivio, ma non trovò nulla di adatto per Cheryn. Fece numerose telefonate a ditte che in passato si erano rivolte alla sua agenzia per cercare del personale e ad alcune impiegate che era riuscita a collocare e da una di queste venne a sapere che un suo conoscente cercava una segretaria di livello superiore. Hashley non perse tempo a stabilire il contatto, presentandogli i servizi della sua agenzia e fissò un appuntamento che sperava si sarebbe concluso con l'assunzione di Cheryn. Durante la mattinata rispose ad alcune telefonate di clienti che cercavano personale temporaneo e non ebbe difficoltà a evadere le loro richieste. Si chiese se Gordon Payne avesse trovato una segretaria che rispondesse alle Emma Darcy
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sue esigenze e fu lieta che il compito non spettasse più a lei. Lo sguardo le cadde sul piccolo clown che Harry aveva salvato dalle mani di Payne e l'intera scena le tornò alla mente, facendole rivivere la sensazione che aveva provato guardandolo per la prima volta negli occhi. Era stato solo un effetto determinato dalla tensione del momento, si chiese, o aveva riconosciuto istintivamente in lui l'uomo del destino? Hashley si rese conto che dopo la fine del suo matrimonio aveva ibernato le emozioni nei confronti degli uomini. Sospettava che anche Harry avesse fatto lo stesso dopo la morte di Pen, evitando il coinvolgimento con altre donne. Forse il loro incontro non aveva fatto altro che risvegliare la consapevolezza di quanto si stavano negando. In questo caso sarebbe potuto essere solo un punto di svolta, a partire dal quale entrambi avrebbero rivalutato il proprio passato per decidere la direzione che avrebbe preso il futuro. Ma se fosse andata in Inghilterra con lui?, si chiese, e subito scosse il capo di fronte a un'idea così folle. In fondo lo conosceva solo da pochi giorni. Era troppo presto per decidere di gettare all'aria ogni cosa sulla base della possibilità che Harry Clifton fosse l'uomo che poteva riempire il posto rimasto vuoto nel suo cuore. Lo squillo del telefono la riscosse dai suoi pensieri. Sollevò il ricevitore e rispose in tono professionale. «Buongiorno, signora Harcourt... Sono Gordon Payne.» Hashley si irrigidì all'istante, aspettandosi altri insulti e minacce. «Che cosa posso fare per lei, signor Payne?» disse in tono formale, determinata a non perdere la calma. Lui si schiarì la voce. «Ieri ho trasceso un po', signora Harcourt, e ho detto cose che non pensavo. Sono fatto un po' a modo mio, ma mi piace che le cose funzionino in maniera armoniosa, capisce?» «Forse c'è stato un errore di valutazione da entrambe le parti» concesse Hashley, colpita dal suo tono conciliante. «È stato molto spiacevole. Mi vergogno di essermi comportato a quel modo e spero che vorrà accettare le mie scuse.» Hashley lo ascoltava, incredula. «Grazie, signor Payne» disse, sforzandosi di trovare qualcosa di gentile da dire. «Mi dispiace che non siamo riusciti a trovare un accordo soddisfacente.» «Le manderò oggi stesso un assegno per la signorina Kimball.» «Grazie. Sarà felice di saperlo.» Emma Darcy
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«Non voglio avere problemi.» «Nemmeno io, signor Payne.» «Non c'è ragione che metta in piedi una causa per boicottaggio, glielo garantisco.» Hashley rimase perplessa. Non aveva mai preso in considerazione quella possibilità. Anche se Gordon Payne avesse messo in atto le sue minacce, come avrebbe potuto dimostrare la sua colpevolezza? Di solito gli uomini come lui riuscivano a nascondere le proprie tracce. «Le sarei grato se informasse il signor Clifton che ho fatto tutto quello che mi ha chiesto e che non c'è ragione di arrivare a una causa.» Harry? Hashley cominciava a capire. Harry aveva udito le minacce di Payne. Era un testimone. Evidentemente, nel suo giro di compere aveva inserito una visita a Gordon Payne e gli aveva prospettato uno strascico legale. Si portò una mano alla bocca per soffocare una risatina, pensando che le sarebbe piaciuto godersi la scena. Il suo arrivo in Rolls Royce doveva aver impressionato Payne, abituato a rispettare il potere e la ricchezza. «Riferirò certamente la nostra conversazione al signor Clifton» disse, appena si fu ripresa. «La ringrazio, signora Harcourt. Le assicuro che non avrà più problemi da parte mia. Buona giornata.» Dopo aver posato il ricevitore, Hashley scoppiò a ridere, dando sfogo alla sua felicità e al suo sollievo. Harry l'aveva fatto di nuovo! Il cavaliere dalla bianca armatura aveva sconfitto il drago! Non c'era da stupirsi che corresse il rischio di innamorarsi di lui... Ma in fondo, pensò subito dopo, il suo compito era quello di aiutarla a sistemare i suoi affari perché potesse lasciarseli alle spalle. Forse quell'atto cavalleresco non era dettato da un interesse nei suoi confronti, ma faceva parte della sua missione. In ogni caso, era contenta che le cose fossero finite così. Prese in mano il telefono e chiamò subito Cheryn per darle le buone notizie. Era quasi ora di pranzo quando udì la Rolls Royce che rientrava e corse ad aprire la porta principale. Harry e William emersero dal sedile posteriore. Harry portava con disinvoltura il suo bastone da passeggio e il suo completo di ottima fattura lo faceva apparire un uomo di classe. William lo seguiva reggendo tra le braccia un grosso pacco avvolto nella carta del negozio di giocattoli. Emma Darcy
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Hashley uscì sulla veranda e guardò il figlio con espressione esasperata. «William, ti avevo raccomandato...» «Non l'ho chiesto io, mamma. Il signor Clifton dice che non possiamo ricreare una battaglia storica senza i cannoni e la cavalleria. L'idea è stata sua. Io gli ho solo indicato il negozio dove avrebbe potuto trovarli.» «Immagino che l'avrai condotto per mano, vero?» «Oh, andiamo, ma'. Il signor Clifton non ne ha bisogno. È l'uomo più in gamba che conosca.» William corse su per le scale. «Porto su questo e torno ad aiutare a scaricare gli altri sacchetti.» Un atteggiamento tanto servizievole era sospetto, ma Hashley lasciò correre. Guardò invece Harry, che aveva assistito alla scena con aria divertita. «Immagino che lei non sappia niente della carica di cavalleria che è avvenuta stamani nell'ufficio di Gordon Payne» gli disse con un sorriso malizioso. «Ho il sospetto che sia stato sparato anche qualche colpo di cannone...» «Le cariche di cavalleria sono sempre state la mia passione. Sapeva che nella battaglia di...» «Mi lasci indovinare. Un suo antenato guidò la carica di cavalleria?» «No. Suonava la tromba.» «Come ha fatto lei con Gordon Payne.» Lui sorrise. «Mi è sembrata una buona idea.» «Be', ha funzionato. Il nemico si è ritirato e il denaro è in arrivo.» «E il caso di festeggiare con un pranzo di vittoria?» «Direi di sì. Grazie, Harry, sia da parte mia sia di Cheryn.» Harry sorrise, comunicandole una sensazione di armonia e calore che disperse momentaneamente ogni riserva che poteva nutrire nei suoi confronti. Era un principe tra gli uomini ed era inutile negare il piacere che aveva portato nella sua vita. Il pranzo fu all'insegna del lusso più sfrenato. Champagne, aragosta, una varietà di insalate esotiche e una selezione dei dolci più raffinati di una pasticceria francese, il tutto servito con lo stile irresistibile di Harry. Per ultimo, offrì ad Hashley una scatola di cioccolatini svizzeri. «Per addolcirle il lavoro» disse, con un sorriso pieno di fascino. A quel punto il cuore di Hashley era pronto a sciogliersi. La cosa più saggia da fare era ritirarsi nei confini sicuri dello studio, ma, anche lì, le riuscì difficile concentrarsi sul lavoro. La sua mente continuava a vagare Emma Darcy
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su tutte le cose che avrebbe desiderato fare insieme a Harry: trascorrere un pomeriggio sulla spiaggia, mostrargli alcuni dei punti più panoramici della costa, godere insomma della sua compagnia per il tempo che le restava. Cercò di immaginarselo con un costume da bagno e la colpì il fatto che la sua pelle, che sarebbe dovuta essere bianca venendo da un inverno in Inghilterra, era invece abbronzata. Dove aveva preso quella sfumatura dorata che conferiva al suo volto l'aria di chi vive all'aperto?, si chiese. Forse aveva accompagnato il suo padrone in una vacanza ai Caraibi. Probabilmente il conte di Springfield lasciava a lui il compito di organizzare ogni cosa. Hashley non dubitava delle sue capacità e sospettava anche che organizzasse le cose in un modo che soddisfacessero prima di tutto lui stesso e che usasse poi le sue capacità persuasive per far sì che gli altri si sentissero compiaciuti di tutto quello che aveva fatto per loro. Era un abile manipolatore, non doveva dimenticarlo. Dietro tutto il suo fascino si nascondeva un animo determinato a raggiungere il suo scopo. Ma qual era esattamente il suo scopo? Voleva solo procurare un erede alla casata degli Harcourt o aveva le sue ragioni personali per desiderare che lo seguisse a Springfield? In quel momento suonò il campanello all'ingresso. Mentre si alzava dalla scrivania, udì William e Harry che uscivano dalla cucina per andare ad aprire. Aprire la porta faceva parte dei compiti di un maggiordomo, ma Hashley uscì ugualmente dall'ufficio, curiosa di vedere chi mai fosse il visitatore. Era un fiorista. Harry prese in consegna una magnifica pianta di gardenie, ringraziò il fattorino, richiuse la porta e si voltò verso Hashley per porgerle i fiori. «Wow! Cioccolatini e fiori!» esclamò William. «Che galanteria, signor Clifton.» «Non sono stato io a mandare i fiori, William.» Il ragazzino sembrò deluso. «Chi te li manda, mamma?» chiese. Hashley lesse il biglietto che li accompagnava e scoppiò a ridere. «È un'offerta di pace da parte di Gordon Payne.» William non era affatto divertito. «E chi è questo Gordon Payne?» domandò con una smorfia di disapprovazione. «Un signore con cui ho avuto a che fare per lavoro.» Hashley colse l'occasione per fargli un meritato rimprovero. «Era qui ieri pomeriggio e Emma Darcy
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tu, giovanotto, per poco non gli hai rotto il parabrezza dell'automobile.» «Mi dispiace di non averlo fatto» borbottò lui. «Che cosa hai detto?» William la guardò con aria di sfida. «Non voglio che giri per casa e che ti regali dei fiori. Non mi hai mai nemmeno parlato di lui!» la accusò. «Non ho intenzione di discutere i miei affari con te, William» lo redarguì Hashley in tono severo, ma lui non si diede per vinto. «Se ti manda dei fiori sono anche affari miei! Non voglio che venga in casa come lo zio del mio amico Rodney. Preferisco il signor Clifton. Lui è molto meglio di tutti gli zii che ha avuto Rodney Bixell!» esclamò, mettendosi al fianco di Harry per dimostrare da che parte stava. Hashley era rimasta allibita da quello scoppio di aperta ribellione. I bambini crescono in fretta al giorno d'oggi, pensò sgomenta, ma che suo figlio, a soli nove anni, reclamasse il diritto di scegliere l'amante adatto per lei, era troppo. A un tratto si sentì imbarazzata e non osò incontrare lo sguardo di Harry. Che cosa gli aveva raccontato William?, si chiese. L'aveva forse fatta apparire una donna dai costumi facili come la madre di Rodney Bixell? Harry accolse la dichiarazione di William con il consueto stile. «Grazie per la preferenza, William» gli disse in tono pacato, «ma non credo che tu debba preoccuparti per Gordon Payne.» Il ragazzino sollevò lo sguardo e lo fissò con occhi adoranti. «Vuole dire che si batterà con lui?» «Un duello all'ultimo sangue» gli promise, apparentemente ignaro che William stava trasponendo sul piano personale quella che per lui era una questione professionale. Finalmente Hashley ritrovò la voce. «Adesso basta!» I suoi occhi mandavano lampi di collera. «Non permetterò che nessuno di voi due decida per me la mia vita!» «E anche la mia vita» protestò William con logica indiscutibile. «Va' subito in camera tua, William!» gli ordinò, spazientita. «Ne parleremo più tardi.» Si liberò delle gardenie mettendole in mano a Harry e disse in tono sprezzante: «Questi li ha guadagnati lei. Ne faccia quello che vuole. Dopo di che voglio vederla nel mio studio». Dopo essersi sfogata con entrambi, si ritirò nel suo ufficio sbattendo la porta dietro di sé per ribadire il fatto che era lei che comandava in casa Emma Darcy
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propria e che quelli che vivevano sotto il suo tetto avrebbero fatto meglio ad adeguarsi alla sua linea di condotta. Il problema era che non sapeva nemmeno lei quale fosse la sua linea di condotta, dovette ammettere qualche minuto dopo, camminando nervosamente avanti e indietro. Sarebbe stato ipocrita negare che i suoi sentimenti per Harry erano molto simili a quelli che provava William. Come poteva, onestamente, rimproverare il figlio per aver pensato quello che lei stessa aveva sognato per tutto il giorno? Ma Harry non avrebbe dovuto incoraggiarlo a credere che aspirasse a una relazione con lei e che avrebbe affrontato ogni altro pretendente. Era sbagliato e incosciente. A meno che non intendesse farlo davvero.
9 Harry entrò nello studio e chiuse la porta dietro di sé. Il suo atteggiamento era tranquillo e sereno, ma i suoi occhi azzurri non ridevano come sempre. Hashley ne fu sollevata. Era così sconvolta che la minima traccia di ironia da parte di lui avrebbe scatenato un'esplosione di collera. Tuttavia, dopo una manciata di secondi, si rese conto che non era solo lei a essere in tensione. L'aria rilassata di Harry era solo una facciata, un prodotto del suo autocontrollo. Avvertì ancora la stessa sensazione di comunione che l'aveva colpita il giorno prima, resa più acuta dalla conoscenza reciproca e dal desiderio di approfondirla. Il cuore le accelerò i battiti mentre lui la fissava con indomita determinazione. Sostenne il suo sguardo benché si sentisse prigioniera di un desiderio che non poteva più reprimere, nonostante tutti i dubbi che la tormentavano. «Perché l'ha fatto?» gli chiese. «Non doveva coinvolgere William nella nostra...» Si interruppe, non trovando le parole appropriate. «Era già coinvolto, Hashley» le rispose con perfetta calma. «Non può essere separato da te.» «Ma lasciargli credere...» «Che voglio essere il tuo amante?» Lei annuì, incapace di articolare una parola. «Ma è così. Perché dovrei fingere il contrario?» «Ma...» Hashley rimase sconcertata dalla sua schiettezza e registrò Emma Darcy
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meccanicamente che era passato a darle del tu. «Ieri sera... mi parlavi del tuo amore per Pen...» «E stata molto importante per me e non voglio negare i miei sentimenti per lei. Ma tutto questo appartiene al passato, Hashley. Il presente siamo noi due.» Era quello che si era detta anche lei, ma sapeva che c'erano altre considerazioni. Il luogo di nascita, le tradizioni culturali, le abitudini di vita... Erano così tante le cose che li dividevano, anche se avessero deciso di fidarsi dei propri sentimenti. «E che cosa mi dici del futuro?» domandò, incerta. «Chi può predire il futuro? In questo momento io voglio te. Più di quanto abbia mai desiderato un'altra donna.» Anche lei lo voleva. Più di quanto avesse desiderato un altro uomo. Non poteva negarlo né poteva nasconderlo ai suoi occhi penetranti che la fissavano in attesa di una risposta. Ma non se la sentiva ancora di dargli una risposta. Troppe incertezze la angosciavano. Aveva delle responsabilità verso se stessa e verso William. Non poteva seguire il proprio desiderio senza riflettere sulle conseguenze. Era sempre stata abituata a soppesare il pro e il contro, attenta a evitare qualsiasi possibile disastro. D'altra parte, se avesse perso quella occasione... Harry si mosse verso di lei, forzando la sua tormentosa incertezza con l'azione. Sapeva che era un gioco d'azzardo, ma aveva giocato con la morte per anni, quando non gli importava più niente di vivere, e ora doveva andare fino in fondo. L'incontro con Hashley aveva risvegliato i suoi sentimenti, riportandolo alla vita, e ora non poteva rinunciare a quella nuova, esaltante vibrazione, non poteva permetterle di voltargli le spalle. Sapeva che aveva la forza di volontà per farlo. Doveva agire se non voleva perderla. Il tempo era contro di lui, ogni secondo che passava era contro di lui. Coprì la distanza che li separava con determinazione. Il sangue gli pulsava alle tempie e avvertiva in sé il brivido primitivo del cacciatore, del guerriero che si lancia in battaglia. Ormai niente avrebbe potuto fermarlo. L'avrebbe portata con sé in un viaggio di scoperta e di passione. Era quello che voleva disperatamente, e anche lei lo desiderava, ne era sicuro. Lo poteva leggere nei suoi occhi grigi e nel debole tremore del suo corpo mentre alzava il viso verso di lui e lo guardava fare il giro della scrivania. Da quel momento in poi niente sarebbe più stato come prima. Il futuro? Emma Darcy
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Il futuro non aveva senso per lui. Ora contava solo il presente. E in quel momento spettava a lui decidere per entrambi. Hashley non rimase passiva. Quando la prese fra le braccia, gli posò le mani sul petto, non per respingerlo, ma per stabilire un contatto. E quel contatto, per quanto lieve, fu come una sferzata d'energia per il suo cuore. Tutta la forza e lo splendore della vita scoppiarono in lui, accendendo il desiderio di esplorare e assaporare ogni cosa che lo legava a quel mondo, a quella donna che gli aveva restituito la gioia di vivere e la speranza con la promessa che non tutto era finito. No, non era tutto finito. C'era molto di più. La attirò a sé anelando alla sua dolcezza, alla sua femminilità, alla sua anima che lo chiamava dallo stesso baratro di solitudine che aveva conosciuto anche lui, il baratro dove restano solo le ceneri dei sogni, privo del colore e della bellezza che solo i sogni sanno conferire alla vita. Hashley gli allacciò le braccia al collo e sollevò il bel volto verso di lui. I suoi occhi esprimevano la speranza, il desiderio, il bisogno di dividere ogni cosa con qualcuno che la prendesse per mano e la trascinasse con sé nel vortice della vita e della passione. Le si presentava un'altra occasione e non voleva perderla. Le sue labbra erano invitanti e, quando Harry si chinò su di lei per baciarla, si schiusero per accoglierlo, scatenando un turbine di sentimenti che li trasportò in una sfera dove non esistevano più il passato né il futuro né le necessità della vita quotidiana. La passione e il bisogno reciproco, resi più acuti dalla lunga astinenza, li travolsero con una forza inaspettata. I loro respiri si fecero affannosi, mentre mani frenetiche cercavano di liberarsi della barriera dei vestiti, per raggiungere quell'intimità assoluta cui entrambi anelavano, il raggio di sole al di là delle nubi, il calore del disco infuocato, la calma profonda di un cielo limpido. Il posto non era importante. Avvinghiati l'uno all'altro, scivolarono a terra dietro la scrivania. Hashley gli sorrise invitandolo sopra di lei e gli offrì la propria femminilità con un abbandono totale, che cancellava ogni dubbio e ogni pensiero razionale. Harry non chiedeva di meglio che accettare quel dono d'amore. Sì, gli diceva la sua mente, adesso, gli diceva il suo corpo, lei, gli diceva il suo cuore. Voleva raggiungere le porte della sua anima e spalancarle con tutta la sua forza per trovare finalmente tutto quello che aveva ciecamente Emma Darcy
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cercato dalla morte di Pen. Sentì che il suo desiderio aumentava e accelerò i movimenti per raggiungere insieme l'estasi e sentir scorrere l'essenza stessa della vita, uniti anima e corpo in un tutto unico che li rendeva finalmente completi. Nell'attimo supremo i loro occhi si incontrarono esprimendo tutta la gioia che era in loro, la forza e la consapevolezza che quello che quasi non avevano osato credere si stava realizzando e ogni promessa sarebbe stata mantenuta. Hashley sollevò una mano per accarezzargli il volto e lui la baciò con una tenerezza che non aveva più provato dalla morte di Pen. «Hashley» mormorò e in quella parola c'era una preghiera di ringraziamento per essere la donna che era, per aver saputo toccare le corde più profonde del suo cuore, liberandolo dal passato, e perché divideva con lui quel momento di rivelazione e di rinascita. «Harry...» Il suo nome le riempiva il cuore e la mente di una dolcezza esaltante. Tutto quello che aveva provato con Roger impallidiva al confronto con quello che provava in quel momento, lasciandola completamente impreparata a quella esplosione di emozioni che immaginava uguale a quella che aveva segnato l'alba del mondo. Un angolo della sua mente prese coscienza del fatto che non avevano preso precauzioni contro la possibilità di un concepimento, ma stranamente non le importava. Si era abbandonata totalmente a lui, fin dall'attimo in cui le loro labbra si erano incontrate, aperta a ogni possibilità perché sapeva che provare quelle sensazioni almeno una volta nella vita valeva qualunque prezzo. Ed era stato Harry a portarle quel dono prezioso, un ricordo da conservare come un tesoro, qualsiasi cosa dovesse riservarle il futuro. Lui rotolò sulla schiena, trascinandola con sé, senza smettere di accarezzarla. Con Roger non aveva mai fatto l'amore per terra, pensò Hashley, stupita di non provare il minimo imbarazzo per un comportamento così disinibito. Sul tappeto che ricopriva il pavimento dello studio erano sparpagliati i loro vestiti e lei giaceva nuda fra le braccia di un uomo che conosceva solo da un giorno, ma tutto questo non importava. Importavano solo i sentimenti. Quanto sarebbe durato?, si chiese. Gli posò il volto sul petto e ascoltò il ritmo del suo cuore che tornava regolare. Era come una musica che non si sarebbe mai stancata di ascoltare, una musica dolcissima. Emma Darcy
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Harry era scivolato in un languore appagato e le sue dita si muovevano lentamente tra le ciocche di seta dei suoi capelli, sciolti dalle forcine che li trattenevano. Si sentiva inebriato dal suo profumo, dalla sua dolcezza, dalla sua pelle morbida come velluto, dal calore che gli trasmetteva. Avrebbe voluto fare l'amore con lei un'altra volta e protrarre più a lungo il piacere, assaporando ogni momento e ogni sfumatura, ma era meglio aspettare. Per ora era sufficiente godere di quello che avevano appena condiviso. Gli venne in mente che avrebbe dovuto informarsi se prendeva la pillola, ma tutto era accaduto all'improvviso, senza premeditazione, e non c'era stato il tempo di pensarci. Se fosse rimasta incinta... Harry non poté trattenere un sorriso. Un figlio, un erede per George e per il castello di Springfield. In un modo così imprevisto. Gli veniva da ridere pensando all'ironia della sorte. Se fosse accaduto, non avrebbe lasciato niente di intentato per convincere Hashley a venire con lui in Inghilterra. Sarebbe stato felice di diventare padre, gli piaceva la compagnia di William. William!, pensò, a un tratto allarmato. Si erano dimenticati di lui! Per quanto tempo sarebbe rimasto in camera sua prima che il silenzio stimolasse la sua curiosità e lo spingesse a scendere per vedere che cosa stava succedendo? Se avesse aperto la porta dello studio in quell'istante, Hashley si sarebbe sentita imbarazzata, forse perfino mortificata, e avrebbe potuto rimproverargli la sua iniziativa che aveva spinto le cose fino a quel punto. Sospirò, restio a por fine a quell'intimità, ma era l'unico modo per difendere quello che avevano appena conquistato. Si girò sul fianco e le accarezzò i capelli, dandole il tempo di raccogliere le idee. Nei suoi occhi non c'era traccia di rimpianto o di recriminazione. Uno splendore argenteo illuminava le iridi grigie. Le sorrise. «Credo che sia meglio alzarci. Hai promesso a William che avresti parlato con lui.» «Oh!» Hashley arrossì d'imbarazzo al pensiero di quello che sarebbe potuto succedere. Si mise in piedi di scatto e cominciò a raccogliere freneticamente i vestiti. Harry andò alla porta per prevenire ogni possibile intrusione. «Non c'è ragione di farsi prendere dal panico» le disse. «Faccio la guardia al forte.» Lei si stava già rivestendo e gli rivolse uno sguardo ansioso ma si bloccò subito, guardando il suo corpo nudo. Emma Darcy
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«Ho passato l'esame?» le chiese, alzando un sopracciglio con espressione ironica. Hashley rise. «Hai la mia incondizionata approvazione.» «E tu la mia» replicò, guardando il suo corpo minuto ma perfettamente proporzionato. «Non mi sono mai trovata in una situazione del genere» gli confessò, arrossendo di piacere. «Neanche io. È un caso di combustione spontanea.» Lei rise ancora. La sua risata era quella di una ragazzina, timida e nervosa ma piena di euforia. Solo a guardarla, Harry sentiva il desiderio risvegliarsi e dovette fare un notevole sforzo per distogliere lo sguardo e raccogliere i suoi vestiti. Hashley parve pensierosa mentre finiva di vestirsi e si appuntava i capelli in un nodo alla nuca. «Non so che cosa dire a William» confessò. «Non so nemmeno più chi sono.» «Fino a quando saremo insieme sei la mia amante, Hashley.» «Ma tu hai intenzione di tornare in Inghilterra.» «Sì, il mio posto è lì» le rispose. «Sta a te decidere se vuoi venire con me o no.» «Come tua amante?» Lui fece una pausa, soppesando attentamente la domanda. «Stiamo a vedere come si sviluppano le cose, Hashley. Ti prego solo di una cosa: non voglio che William mi chiami zio, per cui non usare quel termine quando gli spiegherai a che punto siamo.» «Vuoi continuare a fare il maggiordomo?» Harry esitò, chiedendosi se fosse venuto il momento di dirle tutta la verità. Temeva che se le avesse confessato chi era veramente, gli avrebbe voltato le spalle, disgustata dal suo inganno, e avrebbe finito per rimpiangere di aver ceduto al desiderio reciproco. A quel punto non voleva rischiare di perdere tutto. Voleva scoprire che cosa potevano ancora costruire insieme, se il loro rapporto fosse in grado di crescere fino a quella comunione spirituale che desiderava. Ma per questo, aveva bisogno di più tempo. Le rivolse un sorriso strano. «Quello che voglio è soddisfare ogni tuo desiderio e necessità. Se vuoi lasciare le cose come stanno, per me va bene. Fare il maggiordomo non esclude che possa essere anche il tuo amante, finché non avrai deciso che cosa vuoi fare.» Emma Darcy
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Lei annuì lentamente. «Dovremo essere discreti, specie di fronte a William.» «Sì, certo» convenne, anche se a malincuore. «Non sarebbe giusto alimentare le sue aspettative se non sei sicura di non deluderle.» «Io?» «Sì, tu» le rispose, serio in volto. «Non voglio essere uno zio per William, ma mi piacerebbe fargli da padre.» Lei lo guardò, attonita. «Stai pensando al matrimonio?» Perché la cosa la sorprendeva?, si chiese. Non sapeva quanto fosse raro e speciale quello che avevano appena condiviso? «Forse dovremmo pensarci insieme. Non ti ho nemmeno chiesto se saresti disposta a sposarti un'altra volta. Ci sono ancora molte cose che dobbiamo scoprire e risolvere tra di noi.» Lei non disse nulla, assorta nei suoi pensieri. «Ricordi di avermi chiesto del futuro? Per come la vedo io, ci sono due futuri possibili: quello che sta nascendo fra di noi può finire in un bellissimo ricordo... o nel matrimonio.» La vide riflettere e si augurò di non essersi spinto troppo oltre, ma quello che le aveva detto era la pura verità. Non avrebbe mai sposato una donna con cui non si sentisse emotivamente coinvolto e voleva che la cosa fosse reciproca. Con suo immenso sollievo, le labbra di Hashley si piegarono in un sorriso, anche se l'espressione del suo volto era ironica. «Bene, come maggiordomo potresti portarmi in camera l'ultimo bicchiere dopo che William sarà andato a dormire.» «Per fortuna proprio questa mattina ho comprato una dozzina di bottiglie di champagne!» «Pensi sempre a tutto, Harry.» Hashley gli si avvicinò e si sollevò sulla punta dei piedi per posargli un rapido bacio sulla bocca, quindi si allontanò velocemente prima che potesse abbracciarla. «Grazie. A più tardi, allora.» Lo lasciò con quella promessa e Harry si sentì felice. Un giorno, forse, avrebbe posseduto la chiave dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti. Per ora aveva un'altra opportunità, e questo gli era più che sufficiente.
10 William era intento a dipingere i suoi soldatini quando Hashley entrò Emma Darcy
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nella stanza. La sua espressione le diceva che non aveva alcuna intenzione di ritirare quanto aveva detto poco prima. Aveva già sperimentato altre volte la sua resistenza passiva. «Mi pare di capire che il signor Clifton ti piace molto» disse, sedendo all'estremità del letto. «Ha una presa superba e non mi tratta come un bambino. Non è noioso come gli altri adulti e sa una quantità di cose interessanti. Perché non dovrebbe piacermi?» fu la bellicosa risposta. «Ne sono felice. Piace anche a me.» William si girò sulla sedia, con gli occhi che brillavano di impazienza. «Allora perché non vi mettete insieme, mamma? È così ricco che non ci farebbe mancare niente e sono sicuro che ci porterebbe in qualche posto super...» «William, lui non vuole fermarsi in Australia» lo interruppe Hashley. «È qui solo per un breve periodo. Poi tornerà a fare il maggiordomo al castello di Springfield, in Inghilterra, e farà per altri quello che sta facendo per noi. Non è veramente ricco. Lo è l'uomo per cui lavora.» «Allora come mai ha una Rolls Royce con l'autista e può permettersi di comprare qualunque cosa?» «Perché il suo padrone gli ha detto che poteva farlo finché si trovava qui. È... be', è una specie di vacanza per lui.» William la guardò perplesso. «Se è in vacanza, perché lavora come maggiordomo per noi?» Era una domanda troppo pertinente per eluderla. Hashley respirò a fondo, mentre la sua mente esaminava rapidamente quello che poteva dirgli senza rivelare il nocciolo della questione. Se gli avesse detto che era l'erede di una fortuna in Inghilterra, William non avrebbe voluto sentire altro e lei non voleva pensare a quali danni una notizia del genere avrebbe recato alla sua personalità e al suo carattere. Alla fine decise di dirgli parte della verità. «Circa un secolo fa, un antenato di tuo padre emigrò in Australia dall'Inghilterra. L'uomo per cui lavora il signor Clifton fece fare una ricerca sulla propria famiglia e venne a sapere di avere dei lontani parenti in Australia. Così mandò il signor Clifton per sapere qualcosa di più su di noi. In cambio dell'ospitalità in casa nostra, ci fa da maggiordomo.» William rifletté a lungo su quella rivelazione. «Allora la Roll Royce non appartiene al signor Clifton» disse infine. Emma Darcy
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«No, ha solo il permesso di usarla.» «E anche il denaro che spende non è suo?» «No, da quanto ho capito.» «Però è divertente averlo qui.» «Sì.» William tentò un'altra strada. «Tu gli piaci molto, mamma. Fa di tutto per farti piacere. E il modo in cui ti guarda...» Hashley si sentì arrossire. Se l'attrazione reciproca era davvero così trasparente, come avrebbe potuto ingannare William?, si chiese. Eppure non poteva rinunciare a Harry proprio adesso. Rifiutare quell'occasione unica al mondo avrebbe voluto dire negarsi il meglio che la vita poteva offrirle. «Sono sicuro che riusciresti a convincerlo a restare con noi, mamma» continuò William. «Anche se non è ricco, mi piace molto.» Hashley ripensò alle parole di Harry. Non voglio essere uno zio per William... Era stato molto chiaro in proposito: il matrimonio o niente. Era facile per lui prendere una decisione simile. Aveva avuto una relazione meravigliosa con Pen e non poteva immaginare quanto la sua esperienza con Roger la rendesse diffidente nei confronti del matrimonio. Colse il bagliore di speranza negli occhi del figlio, ma sapeva che avrebbe dovuto deluderlo. «Mi dispiace, William, ma credo che non sia possibile. Poco fa hai frainteso quello che ha detto il signor Clifton. Quando diceva che si sarebbe battuto per me, intendeva dire che mi avrebbe protetta se qualcuno avesse voluto farmi del male.» «Oh!» William sospirò, deluso. Riconsiderò l'intera situazione e alzò le spalle in un gesto rassegnato. «In questo caso immagino che dovremo approfittare della sua compagnia finché possiamo, ma è un peccato che non possa durare. Mi sarebbe piaciuto che il signor Clifton vivesse con noi. È tutto più divertente con lui, non è vero?» «Sì, caro.» Harry aveva portato colore ed entusiasmo nella loro vita, aveva risvegliato il gusto della scoperta e dell'avventura. Hashley si chiese se sarebbe sempre stato così se lo avessero seguito in Inghilterra o se, una volta esaurita la carica della novità, si sarebbe trovata ad adattarsi a uno stile di vita che non era il suo, sottomessa alla volontà degli altri. Questo era quanto le era accaduto con Roger e aveva giurato a se stessa di non ripetere mai più un'esperienza simile. Rinunciando al matrimonio, Emma Darcy
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però, si sarebbe condannata a una vita che era solo la metà di quello che voleva. Quello che aveva provato con Harry era stato così esaltante, così speciale, che ancora adesso, al ricordo, si sentiva invadere dal calore. Harry sarebbe stato un padre perfetto per William, di questo ne era sicura, ma un cambiamento di vita così radicale avrebbe potuto avere degli effetti a lungo termine che non riusciva a prevedere. Lei e suo figlio William si sarebbero mai sentiti veramente a casa, una volta giunti al castello di Springfield? «Ti pesa il fatto di non avere un padre, William?» gli chiese. «Sì e no. Dipende...» «Da che cosa?» «Be'... alcuni dei miei compagni hanno un padre che non fa altro che sgridarli. Ma questo vale anche per le mamme. Io sono stato fortunato. Tu sei decisamente la migliore delle madri, non potrei desiderare di meglio.» Hashley non poté fare a meno di sorridere, anche se sapeva che William non esitava a ricorrere alle lusinghe quando voleva rabbonirla. «Il signor Clifton ti ha fatto vedere l'albero genealogico degli Harcourt dove c'è anche mio padre?» le chiese a un tratto. «Sì, l'ha portato con sé.» «Posso chiedergli di mostrarmelo?» «Se vuoi.» Non poteva negargli di conoscere la famiglia di suo padre. Sperava soltanto che Harry avrebbe mantenuto la promessa di non dirgli che era l'unico erede di Springfield. «Posso farlo adesso?» Calcolando che Harry aveva avuto tutto il tempo per rivestirsi, Hashley si alzò. «D'accordo, va' pure. Sono certa che il signor Clifton ti racconterà delle storie affascinanti.» «Grazie, mamma.» William si precipitò fuori della stanza, abbandonando i suoi preziosi soldatini di fronte alla prospettiva di avere Harry tutto per sé. Evidentemente, che fosse ricco o meno non aveva poi tanta importanza per lui. Hashley si chiese che tipo di marito sarebbe stato Harry. Come amante non avrebbe potuto desiderare di meglio. Lasciò la stanza di William per ritirarsi in camera sua, con le parole del figlio che le risuonavano ancora nelle orecchie. Dovremo approfittare della sua compagnia finché possiamo... Era esattamente quello che aveva Emma Darcy
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intenzione di fare anche lei. Ogni altra decisione poteva attendere. Come aveva detto Harry, c'erano ancora tante cose da chiarire e dovevano imparare a conoscersi meglio. Nel frattempo avrebbero accumulato una quantità di bellissimi ricordi. I ricordi infatti rappresentano il nostro passato, da riportare alla luce in ogni momento della vita per rasserenarsi e per farli rivivere nel proprio cuore, pensò Hashley con un sorriso.
11 I giorni scivolarono uno dopo l'altro, magiche giornate estive che portavano a notti ancora più magiche. Hashley era felice per il semplice fatto di stare con Harry e cercava di evitare qualsiasi cosa potesse recare una nota di disturbo. Così non gli fece domande sulla sua vita in Inghilterra; era più facile fingere che esistesse solo il presente, così intenso e carico di sorprese. In un certo senso si trovava a vivere come in un sogno, riluttante a svegliarsi. Harry aveva portato l'allegria e la spontaneità nella sua vita. Sempre più spesso metteva da parte dubbi e pianificazioni e si trovava a pensare: Perché no?, accettando incondizionatamente tutto quello che le proponeva. Insieme a William trascorsero dei pomeriggi indimenticabili sulla spiaggia, presero a nolo un catamarano e cavalcarono le onde, passarono una serata a giocare a minigolf e finirono per ingozzarsi di hamburger. Fecero un picnic alle cascate di Somersby e cenarono in un piccolo ristorante sul molo, osservando i pescatori e i gabbiani. Il tempo passato insieme aveva consolidato la loro confidenza e, se continuavano a mantenersi riservati per ciò che riguardava la loro relazione, avevano preso a darsi del tu anche di fronte a William. Da parte sua, il ragazzino mostrava di apprezzare sempre di più la compagnia di Harry e non era mai stanco di ascoltare i suoi racconti sull'Inghilterra. Hashley rallentò il ritmo lavorativo, prendendosi qualche giornata libera e seguendo solo gli impegni improrogabili, come la sistemazione di Cheryn Kimball nel nuovo posto di lavoro che le aveva trovato. Sia Harry sia William cercarono di coinvolgerla nel loro interesse per il cricket e la convinsero a venire a Sydney per l'incontro tra Australia e Inghilterra. Partirono tutti e tre in Rolls Royce e assistettero alla partita da Emma Darcy
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una tribuna privata da cui si godeva un'ottima visuale. Hashley si divertì vedendo l'entusiasmo con cui Harry e William seguivano il gioco e la disponibilità con la quale le spiegavano i passaggi e le azioni più importanti. Se le giornate erano intense e piacevoli, le notti portavano una felicità più intima e romantica. Lei e Harry danzarono a lume di candela e festeggiarono con spuntini di caviale e champagne. A poco a poco Hashley scoprì i piaceri della sensualità e, per la prima volta nella sua vita, si sentì pienamente amata, desiderata e vezzeggiata da un uomo che non perdeva occasione di farle sentire che era la donna perfetta per lui. Quando arrivò la serata della festa a casa di Olivia Stanton, Hashley avrebbe preferito restare a casa con Harry, ma ormai si era impegnata e anche Harry aveva già predisposto ogni cosa, dando per scontato che vi si sarebbe recata. Lui l'avrebbe accompagnata con la Rolls Royce e poi sarebbe tornato a casa, dove William lo aspettava con i soldatini schierati per una delle sue simulazioni di battaglie storiche. Nonostante la mancanza di entusiasmo, Hashley dedicò ogni cura al proprio abbigliamento, cercando di apparire al suo meglio per non sfigurare con il lussuoso mezzo di trasporto. Era anche una questione di orgoglio personale nei confronti di Olivia Stanton, che voleva sempre essere la regina delle feste. Non avendo un'ampia scelta di abiti da sera, indossò un vestito nero che aveva acquistato in occasione di una cena alla Camera di Commercio. Era in crepe di seta, accollato sul davanti, e le lasciava la schiena e le spalle nude. Vi aggiunse una catena d'oro al collo, raccolse i capelli in un morbido chignon alla sommità del capo, lasciando sfuggire un'aureola di ciocche dorate ai lati del viso, e mise alle orecchie un paio di pendenti in ambra e oro. Le scarpe nere a tacco alto con un profilo di raso erano state una delle poche follie che si era concessa, ma aggiungevano un tocco di classe all'insieme. Si truccò più del solito, mettendo in risalto le ciglia con il mascara e dando profondità alle palpebre con un ombretto beige. Il nero del vestito richiedeva un rossetto caldo e un velo di fard agli zigomi. Per il resto, la sua pelle già dorata dal sole non aveva bisogno di fondotinta, ma solo di un tocco di cipria sul naso e sul mento. Un'occhiata allo specchio le assicurò che non avrebbe potuto fare di meglio. Si spruzzò qualche goccia di profumo, prese la borsetta da sera che Emma Darcy
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era stata un regalo di Roger e scese le scale. Provava ancora una strana sensazione all'idea di uscire per passare una serata tra estranei, mentre avrebbe preferito restare a casa. Questa era una misura di quanto profondamente Harry fosse entrato nella sua vita. Quando aveva accettato l'invito di Olivia, la cosa le aveva fatto piacere. La sua vita sociale solitamente non andava oltre qualche pranzo con gente che aveva conosciuto tramite il lavoro o un barbecue con le famiglie dei compagni di William. In generale aveva delle buone relazioni con il vicinato, ma non aveva amici veramente intimi. Prima di conoscere Harry non ne aveva mai sentito la mancanza. Era contenta della sua vita. Stare da sola era stato un sollievo dopo il matrimonio con Roger. Con Harry, invece, si era aperta come non aveva mai fatto con nessuno, confidandogli pensieri e sentimenti che aveva sempre tenuto per sé. In qualche modo, lui era stato l'unico a saper penetrare nel suo intimo e ora Hashley non era sicura se fosse un bene o no. Per la prima volta la colpì la consapevolezza che la sua partenza avrebbe lasciato un vuoto incolmabile nella sua vita. E anche in quella di William, sospettava. Forse era venuto il momento di smettere di vivere in un sogno meraviglioso e cominciare a prendere in considerazione l'eventualità di un futuro in Inghilterra. Quella serata da sola avrebbe potuto consentirle di valutare nella giusta prospettiva l'influenza di Harry su di lei, riportandola con i piedi per terra. Lui e William erano in soggiorno, davanti al tavolo su cui avevano ricostruito il campo di battaglia. Stavano discutendo le regole del loro gioco quando Hashley fece il suo ingresso e si interruppero entrambi appena la videro. «Wow, mamma! Come sei elegante, stasera!» esclamò William. «È un'occasione speciale?» Lei si strinse nelle spalle. «Volevo solo sentirmi bella.» Harry la guardava con aperta ammirazione. «Davvero splendida» disse, con un bagliore negli occhi che le trasmise un brivido di eccitazione. Il cuore prese a batterle più forte al pensiero di quando si sarebbero incontrati dopo la festa, delle sue mani che le slacciavano il vestito e... Il telefono squillò. «Vado io» si offrì William, sfrecciando in cucina e lasciandoli soli. «Non sono sicuro che dovrei lasciarti uscire vestita così» mormorò Emma Darcy
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Harry, gli occhi velati dal desiderio. «Hai paura di qualche rivale?» scherzò lei, intimamente felice di sentirsi sexy. «No, ma se qualcuno degli ospiti di Olivia dovesse perdere la testa, chiama pure in soccorso la cavalleria.» Hashley rise. «Non mi è mai successo niente del genere.» «Hashley, tu irradi la consapevolezza della tua sensualità. Qualsiasi uomo perderebbe la testa. Muoio dalla voglia di cancellarti quel rossetto con un bacio...» «Signor Clifton!» chiamò William, eccitato. È per lei. Faccia presto. È dall'Inghilterra.» «Uh-oh!» Harry mormorò una scusa e si affrettò a rispondere. Che ci fosse qualche problema al castello di Springfield?, si chiese Hashley, seguendolo in cucina. William gli tese il ricevitore e rimase accanto a Harry, emozionato dal fatto di ricevere una chiamata intercontinentale. «Clifton.» Evidentemente questo era abbastanza per il suo interlocutore. I brani di conversazione che seguirono non aiutarono Hashley a capire di che cosa si trattava. «Sì, signore.» E, dopo una pausa: «No, signore...». Doveva essere il conte di Springfield, pensò Hashley, sempre più sulle spine, temendo che qualcosa venisse a interrompere quello che era appena iniziato tra loro. «Al momento non sembra proponibile, signore. Mi lasci più tempo...» L'altro doveva averlo interrotto in modo perentorio, perché Harry rimase a lungo in ascolto. «Capisco, signore.» Una lunga pausa, durante la quale Hashley sentì crescere l'apprensione. «Posso sistemare ogni cosa in un paio di giorni... Molto bene, signore. La terrò informato.» Il silenzio che seguì era probabilmente pieno di ordini e istruzioni dall'altra parte. «Grazie, signore. Farò del mio meglio, signore.» Harry riappese con un profondo sospiro e si voltò verso i due che lo guardavano, impazienti di avere notizie. Si rivolse ad Hashley con un mesto sorriso. Emma Darcy
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«La voce del padrone. Era George Fotheringham.» «Che cosa voleva?» «Dice che sente la mia mancanza.» E chi non avrebbe sentito la mancanza di Harry?, non poté fare a meno di pensare Hashley. «Dice che un buon maggiordomo è praticamente insostituibile.» «Questo significa che dovrà partire?» domandò William, facendosi improvvisamente triste. «Il mio padrone insiste che ha bisogno di me al castello» gli rispose Harry in un tono che rendeva la cosa inevitabile. «E la tua missione?» gli chiese Hashley, aggrappandosi a una tenue speranza. «Il signor Fotheringham ha proposto una soluzione che spera sia soddisfacente per entrambi.» «Quale?» lo sollecitò William. Hashley trattenne il respiro, temendo che Harry stesse per rivelare a William la verità sulla sua discendenza. Lui le rivolse un sorriso rassicurante. «Che voi due mi accompagniate in Inghilterra per un mese. Sarete ospiti nel castello di Springfield e, naturalmente, anche il viaggio è offerto dal conte.» «Vuol dire che saliremo su un jumbo jet e...» William non stava in sé dall'eccitazione alla prospettiva di un'avventura del genere. «E tutte le sere andremo a caccia di fantasmi...» Un mese, pensò Hashley, frastornata. Un mese per conoscere come viveva Harry... Non si sarebbe sentita a disagio, dato che avrebbe passato con lui tutto il suo tempo libero e, se non fosse riuscita ad abituarsi alla vita al castello, sarebbe stata libera di ritornare a casa. Era un'occasione insperata, che le offriva la possibilità di sperimentare un nuovo tipo di vita senza doversi impegnare in modo definitivo. «Che cosa ne dici, Hashley?» le chiese Harry. «Ti prego, mamma, non puoi rifiutare» implorò William, gli occhi sgranati e la mente già presa da mille progetti. E se quell'offerta fosse stato un tranello da parte di George Fotheringham per convincerla?, si chiese Hashley, guardando Harry in cerca d'aiuto. Fu come se lui le avesse letto nella mente. «Avrai ogni autorità per quanto riguarda William» le assicurò. Emma Darcy
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Questo le bastava. Harry non le aveva mai fatto torto e lei si fidava di lui. «Ti prego, mamma... ti prego...» Il suo volto si illuminò di un sorriso gioioso. «Saremo felici di venire con te, Harry.» «Evviva!» gridò William, battendo le mani. «Sei grande, mamma!» Fatto, pensò Harry, sorridendo compiaciuto. Lo stratagemma aveva funzionato e aveva avuto la fortuna dalla sua parte. La telefonata non sarebbe potuta essere più tempestiva e William era stato un alleato determinante. Non che il ragazzino ne fosse cosciente, seguiva semplicemente i suoi desideri e le sue inclinazioni, con tutti i mezzi a sua disposizione. Proprio come faceva lui. George poteva protestare finché voleva, ma alla fine avrebbe fatto quello che gli chiedeva. Il suo senso del dovere avrebbe prevalso su ogni altra considerazione. E in fondo, se tutto fosse andato secondo i suoi piani, anche lui avrebbe avuto quello che desiderava: un erede per Springfield. Ora doveva fare in modo che tutto procedesse per il meglio. «Avete i passaporti in regola?» domandò. «Ci può scommettere!» gli rispose William. «La mamma li ha rinnovati l'anno scorso perché dovevamo andare alle isole Fiji. Poi ho preso la varicella e non siamo più partiti. Ma alle Fiji ci vanno tutti, l'Inghilterra è infinitamente meglio!» Harry prese in mano la situazione, rivolgendosi ad Hashley. «Lunedì andrò a chiedere i visti e vedrò se riesco a trovare un volo per Londra per martedì.» «Così presto!» esclamò lei, stordita. «Queste sono le istruzioni che ho ricevuto.» «E il mio lavoro?» «Ci occuperemo delle questioni più urgenti. Tutto il resto può aspettare il tuo rientro.» Harry intuiva che era restia a fare le cose di fretta. La sua natura prudente la spingeva a riflettere su ogni passo, ma lui voleva evitare che sorgessero altri intoppi. «Farai tardi alla festa se non ci sbrighiamo» le ricordò, avviandosi verso l'uscita. «Sarò di ritorno tra poco, William.» Hashley si sentiva la mente divisa tra mille pensieri, ma li mise momentaneamente da parte per fare le ultime raccomandazioni al figlio. «Comportati bene, William» disse in tono severo. «E non chiedere niente a Emma Darcy
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Harry, capito?» «Sì, mamma. Prometto che sarò un angelo. Per niente al mondo rischierei di rinunciare al viaggio in Inghilterra» aggiunse con un sorriso. Mentre seguiva Harry alla Rolls Royce, Hashley pensò che improvvisamente tutto le era sfuggito di mano e che non aveva più il controllo di niente. Harry la fece accomodare sul sedile anteriore e, mentre faceva il giro dell'auto per sedersi al posto di guida, senti la sensazione esaltante di aver superato un altro punto critico. Non solo erano diventati amanti, contro ogni sua aspettativa, ma ora aveva fatto un altro passo avanti nel convincerla a venire in Inghilterra. Per tutta la settimana lo aveva colpito il fatto che Hashley non gli facesse domande sulla sua vita. Una donna che pensasse al matrimonio lo avrebbe fatto. Invece sembrava che lei si accontentasse di vivere giorno per giorno, collezionando bei ricordi, mentre lui era arrivato a un'assoluta certezza di quello che voleva: intendeva dividere la sua vita con lei, non poteva perderla proprio adesso. Il fatto che avesse accettato di accompagnarlo a Springfield era un passo verso di lui, verso il futuro che avrebbero potuto dividere insieme. Sicuramente avrebbe capito che quello che le offriva era molto diverso da quello che aveva sperimentato con Roger. E lei lo amava, di questo era sicuro. Hashley tenne lo sguardo fisso davanti a sé mentre lui sedeva al volante e metteva in moto. Sembrava assorta nei suoi pensieri. Harry guidò lentamente, riflettendo a quale sarebbe stato il suo prossimo passo. «Fai sempre tutto quello che ti chiede il signor Fotheringham?» gli chiese a un tratto. Era una domanda pericolosa. Harry non avrebbe voluto mentirle e presto, molto presto, sarebbe venuto il momento di dirle la verità. Ma preferiva che succedesse in Inghilterra. Misurò quindi le parole con cura. «Di solito arriviamo a un accordo. Come ti ho detto, le nostre famiglie sono legate da secoli, fin dalla battaglia di Flodden, nel millecinquecentotredici. C'è una lunga tradizione di profondo rispetto e di amicizia da entrambe le parti.» «Dev'essere un'atmosfera... confortevole.» «E potreste condividerla anche tu e William.» Emma Darcy
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Lei non rispose. Indicò davanti a sé e disse: «Ecco, quella è la casa». Harry imboccò il vialetto di ingresso, mentre gli ospiti di Olivia Stanton si affollavano sulla veranda per vedere la Rolls Royce. Spense il motore e si voltò verso Hashley, prendendole una mano fra le sue. Lei lo guardò con espressione timorosa, ma lasciò la sua mano nelle sue, forse in cerca di sicurezza. Lui approfittò del momento per darle un appiglio solido come una roccia al quale potersi aggrappare. «Voglio sposarti, Hashley» le disse. «Vuoi rifletterci, stasera, mentre sarai con i tuoi amici, lontano da me?» «Harry...» Lei era rimasta senza fiato per la sorpresa. «Non voglio che tu mi risponda adesso. Voglio solo che tu lo sappia.» E, per imprimerle nella mente la sua determinazione, ripeté: «Voglio sposarti, Hashley».
12 I momenti che seguirono furono una serie di immagini confuse nella mente di Hashley. Il viaggio in Inghilterra, la dichiarazione di Harry... tutto stava accadendo troppo in fretta. Lui era già rientrato nei panni del maggiordomo ed era sceso dall'auto per aprirle la portiera. Tra poco l'avrebbe lasciata per tornare a casa a giocare con suo figlio e lei non aveva la forza di fermarlo, di dirgli che non voleva che la lasciasse sola. Lui rimase immobile, senza parlare, mentre richiudeva la portiera e faceva il giro dell'auto per rimettersi alla guida. Lo vide accendere il motore e innestare la retromarcia. Mentre la Rolls Royce si allontanava lungo il viale d'ingresso, si sentì abbandonata e sperduta in una terra di nessuno. Ma naturalmente non era così. Gli ospiti di Olivia la stavano guardando. La aspettavano. Quello era stato tutto il suo mondo prima dell'arrivo di Harry. Hashley si disse che le avrebbe fatto bene rivivere per una sera tutto quello che avrebbe lasciato dietro di sé prima di prendere delle decisioni che avrebbero cambiato il corso della sua vita e di quella di William. Si girò verso la casa e salì gli scalini d'ingresso. «Hashley! Sei uno splendore!» Olivia Stanton le venne incontro mentre raggiungeva l'ampia balconata che correva lungo la facciata della casa, con una vista stupenda sul mare. Emma Darcy
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Era una donna alta e robusta e i suoi occhi neri erano avidi di curiosità. Le strinse il braccio e la salutò con un bacio guancia a guancia come se fossero vecchie amiche. «E il tuo maggiordomo!» le sussurrò all'orecchio. «Che stile!» La allontanò da sé e la guardò con un sorriso di complicità. «Non ti ho mai vista così radiosa!» Le parole di Harry le risuonavano ancora nella mente. Voglio sposarti, Hashley. Con uno sforzo, si staccò da quel pensiero e cercò una risposta adeguata. «Anche tu sei in forma smagliante, Olivia.» La morbida tunica e i pantaloni di seta dello stesso colore turchese erano di quel tipo di eleganza che non passa certo inosservata. «Questo colore ti dona molto.» Olivia rise. «Adoro i colori brillanti. Naturalmente tu sei ancora abbastanza giovane da vestire di nero e gli uomini lo trovano molto sexy. Deve essere un'esperienza eccitante avere in casa un uomo come il tuo Clifton.» «In effetti la sua presenza ha cambiato molte cose» le rispose Hashley, lasciando che Olivia interpretasse le sue parole come voleva. Non le importava quello che pensavano gli altri. Quello che era successo tra lei e Harry la faceva sentire in un certo senso staccata da tutti loro, come se non avessero più alcuna importanza nella sua vita. Voglio sposarti, Hashley. Il marito di Olivia si fece avanti per porgerle un bicchiere del suo cocktail speciale. Era un uomo alto e imponente, che aveva raggiunto una brillante posizione nel settore immobiliare. Gli piaceva ricevere ospiti e dedicava una grande attenzione anche ai minimi particolari. Il cocktail che le offrì aveva un morbido colore ambrato che faceva pensare a un miscuglio di frutti esotici e il bicchiere era decorato con uno spicchio di ananas e una ciliegia. «Grazie, Geoff. Spero che non sia troppo forte per me.» Lui rise. «Che cosa sarebbe la vita, senza un goccio di alcol? Dev'essere piacevole girare in Rolls Royce» aggiunse. «È una Silver Spirit?» «Così mi ha detto William.» «Un ragazzo intraprendente, il tuo William» affermò Geoff Stanton in tono di approvazione. «Deve aver preso dalla madre.» La guardò come se la vedesse per la prima volta in una luce diversa e Hashley si chiese se fosse l'effetto della sua nuova consapevolezza di sé, come le aveva detto Harry. Emma Darcy
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Ma non aveva importanza. Quello che provava per lui superava ogni altra considerazione. Voglio sposarti, Hashley. Avrebbe voluto rispondergli di sì, ma nello stesso tempo avrebbe voluto conoscere meglio quello che le riservava il futuro e quali altre scelte si sarebbe trovata ad affrontare. Era una buona idea quella di andare in Inghilterra. Doveva vedere con i suoi occhi come sarebbe stata la sua vita al castello di Springfield. «Hashley!» Era Sonya Bixell, la madre di Rodney, che la chiamava facendole cenno di unirsi al gruppo di persone che aveva raccolto intorno a sé all'altra estremità della balconata. Lo zio di Rodney, un istruttore di ginnastica dal fisico atletico, era al suo fianco. Hashley si scusò con gli Stanton e raggiunse Sonya, salutandola con un sorriso. Sonya aveva un temperamento artistico e amava vestirsi in modo eccentrico e vistoso, ma non privo di buon gusto. I capelli erano tinti in una tonalità rosso scuro e indossava un abito folk verde e bordeaux, arricchito dai gioielli che disegnava lei stessa. Era una donna brillante e spiritosa e la sua compagnia era apprezzata ovunque, facendole perdonare la leggerezza con cui cambiava partner. «Tesoro! Sono un cocktail di ammirazione e di invidia» le disse, alzando un sopracciglio come solo lei sapeva fare. «Un maggiordomo e una Rolls Royce! Ma come hai fatto?» Hashley sorrise. «Veramente io non ho fatto niente. Sono semplicemente arrivati e mi sono detta: Perché no?» «Perché no?, infatti. Un uomo così non si incontra tutti i giorni.» «Se fossi in te starei attenta, Hashley» intervenne il compagno di Sonya con un sorriso scherzoso. «Tientelo stretto.» «Uh, una tattica pericolosa» la mise in guardia Sonya. «In questo modo ti troveresti anche tu con le mani legate. Difendi la tua libertà, Hashley.» «Non tutti sono degli spiriti liberi come te, Sonya» disse un'altra donna. «Io, per esempio, sono felice di essere sposata.» «Grazie, cara» mormorò il marito. «Non tutti i matrimoni sono un fallimento» concesse Sonya. «Il padre di Rodney mi lasciò da sola con un bambino piccolo e quell'esperienza è stata sufficiente per me. Non ho in programma di avere altri figli.» Sorrise ad Hashley e aggiunse: «Immagino che anche per te sia lo stesso». Emma Darcy
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Era quello che aveva pensato fino a poco tempo prima, ma ora si chiese se sarebbe stata disposta a cambiare idea, se avesse sposato Harry... «Il tuo William è un ragazzo speciale» riprese Sonya. «L'idea di fotografare i suoi amici sulla Rolls Royce e poi vendere le foto a dieci dollari è stata davvero brillante. Come ha fatto a convincere il tuo maggiordomo? Immagino che se lo rigiri come vuole.» «Lui e Clifton vanno molto d'accordo» le rispose Hashley, «ma Clifton sa imporre i suoi limiti.» Aveva l'impressione che William non sarebbe riuscito a ottenere tutto quello che voleva, se Harry fosse diventato suo marito. E, forse, l'autorità di una figura paterna gli avrebbe fatto bene. La conversazione si spostò su altri argomenti e lei stette volontieri in compagnia, più intenta a osservare i numerosi ospiti che ad ascoltare quello che dicevano. Si chiedeva se le coppie che vedeva fossero davvero felici insieme o se fossero legate solo sul piano economico e dai doveri di famiglia. Lei non avrebbe potuto seguire l'esempio di Sonya, non con Harry. O tutto o niente, su questo aveva ragione lui. Lo sguardo le scivolò sull'ampio salone dietro le porte a vetri che si aprivano sulla balconata. La casa degli Stanton era la più lussuosa dei dintorni e Olivia era molto orgogliosa del suo arredamento costoso e sofisticato. I bambini non avevano il permesso di giocare nel salone, cosa che aveva sempre suscitato il disgusto di William. Si chiese come fosse il castello di Springfield. Probabilmente un posto del genere era pieno di mobili antichi e preziosi e William sarebbe dovuto essere molto attento, se voleva andare a caccia di fantasmi per le sale del castello. Fu sorpresa di vedere Gordon Payne tra gli ospiti che sedevano nella sala, ma poi si disse che era normale che lui e Geoff Stanton fossero amici, dato che lavoravano nello stesso settore. Dopo tutto quello che era successo, si era dimenticata di mandargli un biglietto di ringraziamento per le gardenie e decise di rimediare. Attese che voltasse lo sguardo nella sua direzione e gli andò incontro. Sorprendentemente, lui si staccò dal gruppo con cui stava chiacchierando e le andò incontro per parlarle in privato. «Buonasera, signora Harcourt» la salutò in tono formale. «Ha fatto un ingresso grandioso, stasera.» Per quanto non le fosse simpatico, gli rivolse un sorriso educato. Emma Darcy
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«Volevo ringraziarla per i fiori. È stato un gesto molto gentile da parte sua, signor Payne.» «Un gesto diplomatico, signora Harcourt» la corresse con un sorriso ambiguo. «Quel suo cosiddetto maggiordomo mi stava creando dei problemi con l'amministrazione locale e naturalmente ho dovuto proteggermi in qualche modo.» Un campanello d'allarme scattò nella mente di Hashley. Quell'uomo odioso aveva qualche asso nella manica. «E che cosa ha fatto?» gli chiese. «Ho delle conoscenze a Londra. Ho fatto fare una piccola indagine su quel finto maggiordomo e ho scoperto chi è veramente.» «Harry Clifton non ha niente da nascondere» dichiarò Hashley, offesa dalle sue insinuazioni. «Ah, no? Lasci che le dica...» In quel momento vennero interrotti da un incidente che attirò l'attenzione generale. Dylan Stanton irruppe nel soggiorno con il naso sanguinante, piagnucolando in cerca della madre. Hashley rimase inorridita vedendo che William lo seguiva, tirandolo per la maglietta e gridando: «Fermati e combatti, vigliacco!». Anche lui aveva un taglio sopra un sopracciglio, ma sembrava indifferente alla ferita. «Ragazzi! Ragazzi!» gridò Geoff Stanton, mettendosi fra loro per dividerli, mentre gli ospiti si facevano in disparte. «Oh, mio Dio! Stai sanguinando sul tappeto!» esclamò Olivia. «Mi ha rotto il naso, papà!» «E ti romperò ben altro, prima di aver finito con te, verme schifoso!» urlò William, cercando di afferrarlo per i capelli. «William!» intervenne Hashley. Ma lui non le badò. «Ritira subito quello che hai detto su mia madre o ti strangolo!» «E vero!» «Sporco bugiardo!» «Adesso basta, William!» gli ordinò Hashley. «Ha detto delle brutte cose su di te, mamma. Deve ritirarle!» I due ragazzi ricominciarono a litigare, incuranti del caos che avevano scatenato nella sala. Dylan sollevò un braccio per colpire il rivale e fece volare a terra un vaso di fiori. William inciampò nel tappeto e cadde contro un tavolino, mandando in frantumi un paio di bicchieri. Olivia era sull'orlo di una crisi isterica. «Stanno distruggendo tutto!» Emma Darcy
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Hashley raggiunse William, lo aiutò a rialzarsi e lo trascinò lontano da Dylan, vedendo con sollievo che il taglio al sopracciglio era superficiale. Probabilmente gli sarebbe venuto l'occhio nero ma, tra i due, era quello che aveva subito meno danni. «Oh, William!» lo rimproverò. «Come hai potuto?» «L'ho fatto perché ti voglio bene, mamma. Solo per questo.» Lanciò uno sguardo feroce a Dylan, che si era nascosto dietro il padre e riprese: «Ha detto che il signor Clifton fa finta di essere il nostro maggiordomo per nascondere il fatto che siete amanti!». «È vero!» gridò l'altro, ora che si sentiva al sicuro. «L'altra sera mia madre li ha visti abbracciati attraverso la finestra del soggiorno!» Hashley rabbrividì. Era la sera che avevano danzato a lume di candela. «Tua madre non vedrebbe una mosca sul suo naso!» replicò William. «Guardate che disastro!» intervenne Olivia, gesticolando inorridita. «Non hai nessun controllo su tuo figlio, Hashley?» «E tu, allora? Bella educazione quella che dai a tuo figlio, insegnandogli a riportare i tuoi pettegolezzi!» Hashley non approvava il comportamento di William, ma sapeva che aveva reagito in quel modo per lealtà nei suoi confronti e non voleva schierarsi contro di lui. «Mi ha rotto un dente!» piagnucolò Dylan. «Eccolo qua!» esclamò William, tirando fuori di tasca il suo trofeo e mostrandolo a tutti con aria di sfida. «Dovrai pagare per averlo indietro!» Hashley lo guardò inorridita. Olivia era fuori di sé. «Piccolo mostro! Dovresti essere rinchiuso in un riformatorio!» Tutti gli ospiti erano rimasti immobili, assistendo alla scena senza intervenire. Di tanto in tanto si scambiavano un'occhiata fra loro, domandandosi che tipo di educazione morale le due donne stessero dando ai propri figli e chi di loro fosse al di sopra di ogni rimprovero. Fu Geoff Stanton a prendere in mano la situazione. «Adesso calmati, Olivia. Cerca di non esagerare. Porterò Dylan al Pronto Soccorso e consulteremo subito un ortodontista.» Ma lei aveva perso ormai ogni controllo. Puntò un dito accusatore contro William e inveì: «Ha assalito e malmenato mio figlio, mi ha distrutto la sala...». «Pagherò tutti i danni» la interruppe una voce pacata e tutti si voltarono verso il nuovo arrivato. Emma Darcy
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Gli ospiti che affollavano la balconata si divisero in due per far passare Harry Clifton. Il suo arrivo non sarebbe potuto essere più tempestivo per Hashley, che aveva bisogno di tutto l'aiuto su cui poteva contare. Il suo cavaliere dalla bianca armatura arrivava un'altra volta a salvarla, pensò con un senso di sollievo. Un brusio percorse la folla mentre Harry si poneva al centro della scena con il suo carisma innato, focalizzando su di sé tutti gli sguardi e imponendo la sua autorità come gli spettasse di diritto. Per prima cosa si rivolse a Olivia. «Signora Stanton, mi dispiace di non aver potuto evitare questo piccolo trambusto. I ragazzi stavano già lottando quando sono tornato a casa della signora Harcourt. Vedendomi, suo figlio è scappato, inseguito da William, e hanno attraversato parecchi isolati, saltando gli steccati dei giardini, mentre cercavo di fermarli. Purtroppo una recente ferita alla gamba mi impediva di raggiungerli e nessuno dei due ha dato ascolto ai miei richiami.» «Mio figlio aveva perso un dente e sanguinava dal naso. E naturale che volesse venire a casa da sua madre.» «Dopo essere stato a casa mia per provocare mio figlio» sottolineò Hashley. «Chi vuole causare problemi agli altri, spesso se li tira addosso.» «Verissimo» convenne Harry, attaccando con uno dei suoi aneddoti. «Mi ricorda quella volta che Cromwell sguinzagliò i suoi uomini per saccheggiare i villaggi della contea di Springfield. Uno dei miei antenati, Richard, si ribellò a quell'invasione e organizzò un'imboscata in cui caddero tutti i puritani, lasciandoci armi, denti e vestiti. Furono rispediti da Cromwell con il consiglio che avrebbe fatto meglio a trovare uomini con più grinta.» Un silenzio attonito accolse le sue parole. Harry si rivolse a Geoff Stanton con un sorriso da uomo a uomo. «Sono sicuro che lei comprende come un'azione offensiva provochi una ritorsione. È un meccanismo primitivo, naturalmente, ma è dentro ognuno di noi.» Hashley capì che era un modo sottile per dimostrare la sua forza. Non solo difendeva il comportamento di William, ma era pronto a dare battaglia anche lui. Geoff Stanton, che non era uno stupido, soppesò attentamente le sue parole. Olivia esplose. «Come osa venire qui a farci la predica? Credevo che i Emma Darcy
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maggiordomi avessero una loro etica professionale e non si permettessero...» «Non è un maggiordomo, Olivia, è un impostore» disse ad alta voce Gordon Payne. «Non è mai stato un maggiordomo e non è possibile che lo diventi» aggiunse in tono derisorio, facendosi avanti per gustare la reazione che avevano suscitato le sue parole. «Sì che lo è!» gridò William. «Solo per te e per tua madre» disse Harry con calma, guardando Hashley con gli intensi occhi azzurri. «Oh, no!» mormorò Sonya Bixell. «Povera Hashley...» «Lo sapevo!» esclamò Olivia, trionfante. «Perché mai un vero maggiordomo sarebbe dovuto venire qui? Sei stata un'ingenua, Hashley.» «Non è vero!» si ribellò William, stringendosi alla madre con atteggiamento protettivo. «Mia madre è la donna più intelligente del mondo e il signor Clifton non l'ha ingannata. Lui...» «Si dà il caso che sia uno degli uomini più ricchi di tutta l'Inghilterra» dichiarò Gordon Payne con un sorriso soddisfatto. «Per farla breve, è il conte Harold Alistair Clifton, discendente dalla più antica nobiltà terriera, proprietario di un castello appartenente da secoli alla sua famiglia, con fattorie e villaggio annessi.» Doveva esserci un errore, pensò Hashley, stordita. Eppure era proprio quello il nome che aveva letto sul suo passaporto. Quanti Harold Alistair Clifton potevano esistere in Inghilterra? E per di più, Harry non aveva negato, non era scoppiato a ridere come se si trattasse di uno scherzo. «Solo i quadri della sua galleria di famiglia valgono milioni» continuò Gordon Payne. «Clifton ha portato avanti le tradizioni di famiglia, dimostrando di essere un intraprendente finanziere e il suo patrimonio personale è valutato in miliardi. Dicono che abbia il tocco di re Mida.» «Non ho mai trattato in oro» disse Harry. Hashley si sentì impallidire. Ormai non c'erano più dubbi. Harry non era il maggiordomo del castello di Springfield, era il padrone. E non solo del castello. Le girava la testa pensando all'enormità della sua ricchezza e del suo potere. Lui si voltò a guardarla. «In effetti, l'unico tesoro a cui tengo si trova qui. E non voglio che venga infangato in alcun modo.» Si voltò verso Olivia e riprese: «Signora Stanton, le sarei molto grato se volesse dire ai suoi ospiti che cosa ha visto di tanto scandaloso da giustificare le Emma Darcy
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insinuazioni che ha fatto davanti a suo figlio». Olivia si fece rossa in viso. «Non mi lascerò mettere in ridicolo da lei, chiunque sia. Vi ho visti abbracciati.» «Stavamo ballando. Non c'è nulla di riprovevole in questo, signora Stanton.» Harry guardò tutti i presenti. «C'è qualcuno di voi che darebbe un'altra interpretazione, vedendo due persone che ballano insieme?» La domanda era stata posta in modo pacato, ma dietro le sue parole si intuiva una spada pronta a colpire chiunque avesse osato farsi avanti. Hashley sapeva che tutti i presenti l'avevano percepito. A dispetto della sua aria di languida eleganza, Harry emanava una sensazione di indiscutibile potere. Tutti erano come ipnotizzati da lui. Non si udì nemmeno un mormorio. «È bene che l'avvisi che se si dovesse arrivare a un'accusa per diffamazione, sono pronto a mettere a disposizione i miei migliori avvocati» riprese Harry, rivolgendosi a Olivia. «Non ha altro da dire, signora Stanton?» Geoff Stanton si fece avanti e rispose al posto della moglie. «Sono convinto che Hashley non abbia fatto nulla che posa compromettere la sua reputazione.» Harry lo gratificò di un sorriso. «Grazie. Il signor Payne ha dimenticato di dire che sono famoso anche perché intendo sempre riparare i torti. Non vorrei che lo dimenticaste.» Fece una pausa per lasciar digerire il concetto, poi si voltò verso Hashley tendendole una mano. «L'auto ci aspetta qui fuori. Sei pronta?» «Sì» mormorò, con la gola secca, circondando con un braccio le spalle di William e stringendolo a sé non tanto per impedirgli di lanciarsi in un'altra zuffa, ma perché sentiva il bisogno di aggrapparsi all'unica sicurezza della sua vita. Attraversò la stanza lentamente per raggiungere Harry. Per quanto si sentisse confusa nei suoi confronti, in quel momento lui le stava offrendo l'opportunità di andarsene da quella casa che le era diventata odiosa e dove non voleva restare un minuto di più. Lui le prese la mano nella sua e la avvolse in una stretta calda e rassicurante. «Buonanotte a tutti» disse in tono affabile. «La pagherà per questo» gli gridò dietro Olivia, furente per l'umiliazione ricevuta in pubblico. «Pagherei qualsiasi cosa per Hashley e per William, signora Stanton» Emma Darcy
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replicò Harry. «Godetevi il resto della serata.» Rendendosi conto che lui era intoccabile, Olivia riversò il suo veleno su Hashley. «Non credere che me ne dimenticherò. Pagherai anche tu. E quel mascalzone di tuo figlio.» Hashley sollevò il mento con aria di sfida. «Dovrai avere un braccio molto lungo, Olivia, perché William e io andiamo in Inghilterra con Harry.» Fece una pausa e concluse con una dichiarazione a effetto: «Vuole sposarmi».
13 L'auto era parcheggiata nel vialetto d'ingresso e, con grande sollievo di Hashley, la raggiunsero senza ulteriori incidenti. Harry le aprì la portiera e la fece accomodare davanti, mentre William prendeva posto sul sedile posteriore. Pochi secondi dopo erano sulla strada di casa. Appena si furono allontanati dalla villa degli Stanton, William non poté più trattenersi. «È davvero miliardario, signor Clifton?» gli chiese con timore reverenziale. Evidentemente la sua immensa ricchezza era la cosa che l'aveva colpito di più, facendo passare in secondo piano le insinuazioni offensive di Dylan su sua madre. Hashley provava lo stesso senso di incredulità, ma non poteva ignorare una domanda così indiscreta sugli affari privati di Harry. «William, non sta bene fare domande così personali» lo riprese. «Non è educato.» Lui sospirò. «Mi scusi, signor Clifton.» «Vedi, William, la ricchezza non è tutto» gli rispose Harry, sospirando a sua volta. «E a volte è addirittura d'ostacolo ad altre cose che sono ben più importanti, come i sentimenti. Se sei ricco, spesso gli altri non credono che tu abbia i loro stessi bisogni affettivi, o che provi lo stesso senso di solitudine e di isolamento.» Fece una pausa, come se fosse assorto nei suoi pensieri, e riprese: «Tutta la ricchezza del mondo non ha alcun potere sulla vita e sulla morte delle persone che ami». Hashley sapeva che le sue parole erano sincere e fu colpita dalla profonda tristezza che vi lesse. Pen apparteneva veramente al passato?, si chiese. Durante l'ultima settimana, Harry era sembrato davvero felice con lei, ma non le aveva mai detto di amarla. Le aveva chiesto di sposarla solo Emma Darcy
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perché aveva trovato in lei e William una sorta di panacea al suo dolore e alla sua solitudine? «La mamma e io la consideriamo una persona come un'altra» dichiarò William e, dopo aver riflettuto a lungo, concluse: «È per questo che ha finto di essere un maggiordomo?». «In parte.» Lanciò uno sguardo ad Hashley e lei si rese conto che era preoccupato della sua reazione, ma non si sentiva ancora pronta a fare qualche commento. Non di fronte a William. Fissò lo sguardo davanti a sé e cercò di calmare il turbinio di pensieri e sentimenti che si agitavano nella sua mente e nel suo cuore. «Più che altro l'ho fatto per convincere tua madre a permettermi di stare con voi» ammise Harry con calma. «Voleva stare con noi per conoscerci meglio?» lo incalzò William. «Sì.» Hashley si chiese se fosse stata un'ingenua ad accettare per buona la sua mascherata. Aveva voluto credergli perché Harry... era Harry, e il desiderio di averlo vicino era troppo forte. Poteva capire la sua riluttanza a rivelare subito la sua ricchezza e la sua posizione. Fin dal primo impatto, lei si era mostrata prevenuta nei confronti di Springfield e delle origini aristocratiche del marito. Probabilmente, se le avesse detto la verità, si sarebbe ribellata alla sua pretesa di decidere per lei della sua vita e di quella di William. Lo avrebbe messo alla porta in un impeto di orgoglio e di indipendenza e, così facendo, avrebbe reso impossibile quello che era successo tra loro. «Mamma, è vero che il signor Clifton ti vuole sposare?» domandò William con un'insolita timidezza. «Così mi ha detto» gli rispose Hashley, senza compromettersi oltre. «E vero, signor Clifton? Lei vuole sposare la mamma?» «Sì, certo che lo voglio» gli rispose lui senza alcuna esitazione. William fece un respiro prolungato. Nella sua voce vibrava una nota di speranza mentre chiedeva alla madre: «Gli hai detto di sì, mamma?». «È una decisione che voglio prendere con calma, William.» Se era già difficile decidere di cominciare una nuova vita in Inghilterra, sposare un nobile inglese, per di più miliardario, voleva dire scardinare tutto il suo mondo fin dalle radici. «Ma tutto quello che devi fare è dire di sì. Ti prego, mamma!» William Emma Darcy
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si arrampicò tra i due sedili, sollecitandola a dare il suo consenso. «Sarebbe bellissimo, mamma. Non dovresti più preoccuparti di lavorare e saresti libera di...» «Per favore, William, torna a sederti!» lo riprese bruscamente, seccata dai suoi riferimenti al lato economico della situazione. Lui ignorò il rimprovero e continuò a perorare la sua causa. «Guarda come siamo stati bene questa settimana. Sembravamo una vera famiglia...» «William, tua madre ti ha detto di sederti» intervenne Harry in tono calmo ma autoritario. «Credo che tu abbia detto fin troppo per ora.» Il ragazzino cedette con un sospiro e il silenzio obbediente che mantenne per tutto il tragitto fu per Hashley una prova del rispetto che nutriva per Harry. «Va' subito in bagno, William» gli ordinò, appena furono in casa. «Quella ferita deve essere pulita e medicata.» «Vuoi che me ne occupi io, Hashley?» si offrì Harry. «Sono abituata» gli rispose, secca. «Ma una tazza di caffè non ci starebbe male» aggiunse in tono più dolce. «Tornerò dopo aver messo a letto William.» «A letto?!» protestò il ragazzino. «E la nostra battaglia?» «Le battaglie sono finite, per oggi» dichiarò con fermezza Hashley. «Ma io non ho fatto niente di male, mamma. Dylan Stanton ha avuto solo quello che meritava.» «Vorrei discutere in privato con Harry, William.» «Oh! Va bene, allora...» Apparentemente disposto a cedere per conseguire quello che reputava lo scopo primario, non fece altre domande. Docile come un agnello, andò in bagno e si lasciò lavare e medicare la ferita, indossò il pigiama e s'infilò a letto senza protestare. La zona intorno all'occhio era leggermente gonfia e cominciava a comparire un livido bluastro. Hashley provò un'ondata di amore materno mentre si chinava a baciare il figlio per augurargli la buonanotte. Si era battuto per difenderla dai pettegolezzi e dalle maldicenze dei vicini e sapeva che i suoi motivi erano assolutamente puri. Sperava che Olivia e gli altri come lei si vergognassero di se stessi. Forse il comportamento di suo figlio sarebbe servito loro di lezione ma, in caso contrario, dopo l'intervento di Harry e la sua minaccia di ricorrere alle vie legali, ci avrebbero pensato due volte prima di aprire bocca e sparlare nuovamente di lei. Emma Darcy
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Sorrise fra sé. I suoi due paladini, pensò, che combattevano per lei con le armi di cui disponevano. «Buonanotte, William» sussurrò, posandogli un altro bacio sulla fronte. «Ti voglio bene, mamma. Voglio che tu scelga quello che è meglio per te.» «Lo so, tesoro. Anch'io ti voglio bene. Quando saremo in Inghilterra... allora sapremo qual è la scelta migliore. Adesso dormi.» Non poteva compromettersi di più per il momento. Prima c'erano delle cose che doveva chiarire con Harry, delle cose su cui aveva bisogno di conoscere la verità per poter essere sicura di se stessa. Lo trovò in cucina. Quando la vide scendere dalle scale, versò due tazze di caffè e le posò sul piano che divideva la cucina dal soggiorno, aspettando che lo raggiungesse. Il suo volto era serio, teso, e i suoi occhi avevano l'intensità di un laser mentre la scrutavano cercando di decifrare i suoi sentimenti. «Devo cominciare con il farti le mie scuse?» le chiese. Hashley si sentiva le gambe improvvisamente deboli, ma riuscì a raggiungere il tavolo e a sedersi su uno sgabello. Prese tra le mani la tazza di caffè e gli rispose con calma: «C'è qualcosa di cui ti penti?». «No. Rifarei tutto da capo pur di vivere quello che abbiamo condiviso questa settimana.» Bene, se non altro era stato onesto, pensò Hashley. «E che cosa mi dici della tua missione? Era tutto vero?» «Sì, solo che ero io l'uomo che voleva conoscerti. George Fotheringham è il mio maggiordomo al castello di Springfield.» Hashley respirò a fondo prima di affrontare una questione delicata. «Non puoi avere figli, Harry?» gli chiese. Lui parve sorpreso. «Veramente non ho mai avuto ragione di sospettarlo. Perché me lo chiedi?» «Perché sei venuto fin qui per cercare un erede?» «E tutta colpa di George» le rispose con un mesto sorriso. «Dopo la morte di Pen non ho più avuto una relazione seria, con la prospettiva di mettere su famiglia, e lui cominciava a preoccuparsi che la mia dinastia si sarebbe estinta con me. Questo avrebbe privato i suoi figli di una sistemazione sicura.» «Così, William e io ti servivamo per poter continuare a vivere come volevi, senza che George ti istigasse a sposarti...» Emma Darcy
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Harry scosse la testa. «Stavo per gettare al vento la mia vita, prima di incontrarti, Hashley. È questo che preoccupava maggiormente George. Quando mi ruppi la gamba in un incidente di sci, cominciò a insistere perché pensassi a un erede. Sono sicuro che mi propose William solo per stuzzicare il mio orgoglio e convincermi a mettere la testa a posto.» Hashley non poté trattenere un sorriso. «Non ti conosce molto bene, a quanto pare.» «In realtà, sì» le rispose, sorridendo a sua volta. «Ma era talmente preoccupato che non aveva previsto che prendessi sul serio la sua proposta.» «Allora non sarà molto contento di vederci a Springfield.» «Lo sarà, se accetti di sposarmi, Hashley» affermò, tornando serio. «E di darti un figlio?» domandò, chiedendosi se quella fosse la chiave di tutto. Lui la osservò a lungo prima di rispondere. L'incertezza che aveva letto nei suoi occhi lo faceva riflettere. «È questo il problema?» le chiese con molta dolcezza. «Se non puoi avere altri figli, Hashley, ti prego di non pensare che sia un ostacolo al nostro matrimonio. Possiamo avere molte altre cose insieme. Molto di più di quello che speravo fosse possibile. E spero che questo valga anche per te.» «Oh, Harry!» Improvvisamente si sentiva un nodo alla gola e gli occhi offuscati dalle lacrime. Ora aveva la sicurezza che voleva sposarla solo per quello che era, per stare insieme a lei. Forse non era perfetta come era stata Pen, ma gli aveva dato una ragione per ricominciare a vivere. E lei non chiedeva di meglio! Fece appena in tempo ad accorgersi che si era alzato, che si trovò tra le sue braccia. «Hashley, amore mio» mormorò con infinita tenerezza, «non vedi quanto ti amo?» «Io posso avere altri figli, Harry» gli disse, con il cuore che le scoppiava per la felicità. «Ed è anche probabile, visto che non abbiamo mai preso alcuna precauzione. Per quale motivo non me l'hai chiesto prima?» «Volevo quello che volevi tu e in fondo era una decisione che spettava a te» le sussurrò tra i capelli. «Da parte mia non chiedo di meglio che avere un figlio da te. Ti amo, Hashley.» «Avevi deciso così in fretta?» gli domandò, incredula, sollevando il volto per vedere la sua espressione. Emma Darcy
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Lui le rivolse uno sguardo pieno di calore mentre le sue labbra si increspavano in un sorriso. «Quando ti trovi in un deserto, riconosci subito un'oasi e vorresti fermarti lì per sempre e bere fino all'ultima goccia d'acqua» le disse. «Ma se tu hai deciso di non volere altri figli...» «Non ho detto questo» gli assicurò. «Volevo essere sicura che non mi considerassi solo la madre dei tuoi eredi.» «L'unica madre che voglio per i miei eredi è la donna che amo, Hashley. L'amore viene prima di tutto. E se nasceranno dei figli da questo amore, saranno i benvenuti. Altrimenti abbiamo sempre William. Mi piacerebbe adottarlo. Quel ragazzino ha bisogno di un padre» concluse con un sorriso. Hashley rise. La felicità che sgorgava in lei aveva dissipato gli ultimi dubbi. «Credi di essere pronto ad affrontare una sfida del genere?» «Devo confessarti che non so resistere di fronte a una sfida. E tu, accetterai la sfida e mi sposerai?» «Veramente non so che cosa ci si aspetta dalla moglie di un miliardario e per di più...» «Ci sono solo due regole da rispettare.» «Quali?» «Amami.» E come avrebbe potuto non amarlo? Le stava offrendo tutto quello che aveva sognato da un uomo che sarebbe stato il compagno di tutta una vita. «E la seconda?» chiese. «Lascia che ti ami. Senza limiti, senza restrizioni. Lascia che esprima l'amore che provo per te in tutti i modi, perché si vive una volta sola, Hashley, e dobbiamo vivere al meglio ogni istante che ci è concesso, finché possiamo.» «Sì.» Hashley sapeva che quando parlava così pensava anche a Pen, ma non importava. Non poteva togliergli il suo passato, ma sapeva che in quel momento pensava anche a lei e che l'amore che le stava offrendo rappresentava il presente e il futuro. «È il sì che volevo sentire?» «Sì» ripeté, convinta. Il bacio che si scambiarono sciolse tutte le tensioni della serata, sostituendole con una sensazione stupenda di emozioni che sgorgavano libere e fluivano da uno all'altro a ogni respiro, a ogni battito dei loro cuori. Quello era l'amore che aveva sempre cercato, pensò Hashley, la strada a doppio senso che non finiva mai. E in quel momento decise che Emma Darcy
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gli avrebbe dato tutti i figli che voleva, perché sapeva che in fondo la continuità della sua famiglia aveva un significato profondo anche per lui. Felice e sicura di aver sistemato ogni cosa, si prese la soddisfazione di stuzzicarlo un po' per il suo travestimento. «Posso chiederti quando mi avresti rivelato la verità su te stesso, Harold Alistair Clifton?» Lui sorrise. «Una volta a casa. Cerco sempre di giocare in vantaggio.» «Pensavi che sarei rimasta abbagliata dal castello di Springfield?» «No. Volevo solo aspettare fino a quando fossi pronta a riconoscere che non volevi vivere senza di me.» Hashley sorrise. «Be', non vedo l'ora di conoscere George.» «Perché?» «È merito suo se ci siamo incontrati. È il classico caso in cui il colpevole è il maggiordomo.» Harry inarcò un sopracciglio. «Credevo che in questo caso il colpevole fosse il finto maggiordomo, cioè io.» Gli gettò le braccia al collo, ridendo. «Provaci ancora, adesso che so chi sei» lo sfidò per gioco. «Ottima idea! Credo che comincerò a sciogliere questo nodo alla vita...» disse lui, sfiorando il lembo di stoffa che tratteneva il vestito. «Aspetta!» «Hai un'idea migliore?» «No, ma dopo quello che è successo stasera a casa degli Stanton, sarà meglio tirare le tende...»
14 George Fotheringham era decisamente soddisfatto di se stesso. Era stata la sua iniziativa a ispirare al signor Harry un'avventura così fortunata. Le sue indagini sulla pecora nera della famiglia si erano rivelate una carta vincente. Naturalmente non bisognava sottovalutare l'effetto trainante che avevano avuto le fotografie che gli aveva mostrato. George le aveva disposte sul tavolo davanti a sé come testimonianze del suo intuito. La signora Hashley era una donna di bell'aspetto: il suo volto rivelava una grande forza di carattere e gli occhi rilucevano di intelligenza. Bella, intelligente e raffinata, non aveva dubbi che sarebbe stata una moglie ideale per il signor Harry. E il ragazzo era la prova della sua fertilità, grazie al cielo. Povera signorina Pen, pensò, ma tutto questo Emma Darcy
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apparteneva ormai al passato. Nel castello di Springfield sarebbe risuonata ancora l'allegria, ora che il signor Harry tornava a casa con la futura sposa. Tutto il personale aveva reagito con eccitazione alla notizia. E il ragazzino avrebbe riportato alla vita quelle stanze tristi e vuote. George fece un cenno di approvazione guardando la foto di William. Aveva l'aria di essere un bambino intelligente e vivace. Ora che lo guardava meglio, poteva riconoscere sul suo volto un'aria di famiglia: aveva negli occhi l'espressione caratteristica dei Clifton. Strano come certi caratteri genetici si trasmettessero anche a distanza di generazioni, rifletté. Danno e malanno. Perché gli tornavano in mente quelle parole proprio in quel momento?, si chiese. Per fortuna questa volta i suoi timori si erano rivelati infondati. Ora il signor Harry si preparava ad affrontare il matrimonio e la paternità, due circostanze che in genere avevano un'influenza benefica su tutti gli uomini. Erano finiti i tempi in cui doveva preoccuparsi per le sue avventure spericolate. La vita al castello avrebbe preso un ritmo più tranquillo e regolare; aveva inizio un nuovo ciclo positivo e promettente. Il telefono squillò. George stava aspettando la chiamata e il suo cuore fece un balzo di gioia mentre sollevava il ricevitore. Era la notizia che aspettava. La signora Fotheringham era in cucina con la cuoca e le cameriere erano in attesa, pronte a ricevere ordini, quando George emerse dal suo ufficio privato. Batté le mani per attirare l'attenzione generale e fece il suo annuncio. «Fra dieci minuti, tenetevi tutti pronti e avvisate gli altri. Tra dieci minuti. E fate in modo che tutto sia in perfetto ordine.» Hashley pensava di essere preparata a quello che la aspettava. Cinquanta ettari di parco e giardini, le aveva detto Harry. Non sapeva neppure lui quante stanze ci fossero al castello, ma sicuramente George e sua moglie avrebbero saputo dirglielo. Solo una parte della costruzione risaliva al tredicesimo secolo; il resto era dovuto a vari rimaneggiamenti fatti nel corso dei secoli. L'interno era stato ristrutturato dai genitori di Harry, morti entrambi su un traghetto naufragato nel Mare del Nord. Il castello si trovava in una vallata della zona di Cotswolds, ricoperta di foreste e attraversata da torrenti ricchi di trote. La tenuta disponeva di una Emma Darcy
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grande piscina riscaldata e di un campo da tennis per le attività sportive all'aperto; all'interno del castello c'erano una biblioteca rifornita di libri pluricentenari, una sala da biliardo e un solarium. William avrebbe apprezzato la sala dei giullari dove, secondo la leggenda, si diceva che si aggirassero dei fantasmi e qualcuno, nel corso degli anni, asseriva di averli visti davvero. George li avrebbe ragguagliati sul personale che lavorava al castello. Era compito suo badare alla gestione della casa e occuparsi di tutte le questioni pratiche. Svolgeva le sue mansioni con efficienza e ne era estremamente orgoglioso. Hashley fece un profondo respiro mentre la Rolls Royce imboccava una galleria scavata nella roccia. Quello era stato il sogno di Roger e di sua madre: tornare in Inghilterra, nella dimora dei loro antenati. Si chiese che cosa avrebbero pensato sapendo che William, a sua insaputa, stava realizzando tutte le loro ambizioni e che era destinato a riappropriarsi dei benefìci che avevano perso tante generazioni prima. Ma ci sarebbe stata lei ad assicurarsi che non si montasse troppo la testa! Dopo due ore di viaggio dall'aeroporto di Londra, si trovarono davanti al castello di Springfield. Era una vista che toglieva il fiato. La costruzione si innalzava imponente, dominata dalla torre; il corpo principale era di due piani, più la zona mansardata del sottotetto. Una foresta di comignoli ricopriva la superficie inclinata del tetto. L'immenso giardino che si stendeva sul davanti era liscio come un campo da golf, attorniato da una zona boschiva con alberi immensi che dovevano risalire ai tempi di Re Artù. Davanti a quella che sembrava l'entrata principale del castello era schierata una lunga fila di persone. «Oh!» sospirò Harry. «George ha deciso di fare le cose in grande e ha organizzato un vero e proprio comitato di benvenuto. Considerati onorata, Hashley. Riceverai gli omaggi di tutto il personale.» «Ho contato ventisette persone» disse William, impressionato. «Che cosa devo dire?» domandò Hashley, un po' nervosa all'idea di incontrare tanta gente e ben sapendo che l'avrebbero giudicata alla luce del suo ruolo di futura padrona. Harry le sorrise. «Non preoccuparti. Sono tutti convinti che tu sia la cosa migliore che poteva capitar loro. George ti accompagnerà e farà le presentazioni. Sorridi, saluta, ripeti i loro nomi e rispondi a qualsiasi Emma Darcy
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osservazione in tono amichevole. Probabilmente l'hai già fatto migliaia di volte, quando ti trovavi a un convegno in cui incontravi potenziali clienti. Non c'è alcuna differenza.» La sua sicurezza le fu di conforto. Allo stesso tempo fu contenta di essersi fermata qualche giorno a Londra per acquistare abiti adatti all'inverno inglese e ancora più contenta che Harry avesse insistito per portarla negli atelier più prestigiosi. Il cappotto color prugna che indossava era tagliato con eleganza e Hashley adorava i morbidi stivali dello stesso colore e il cappello di feltro a tesa. Sapendo che Harry la preferiva così, aveva lasciato i capelli sciolti sulle spalle. Gettò uno sguardo all'anello di fidanzamento che portava all'anulare sinistro e decise di togliere tutti e due i guanti. Il favoloso diamante che le aveva regalato Harry avrebbe avuto l'effetto di rinforzare la sua posizione di futura contessa Clifton. Prima che l'auto si fermasse, esaminò rapidamente l'aspetto di William. Era insolitamente elegante con il cappotto blu a doppio petto, pantaloni lunghi, camicia bianca e maglia a V. Faceva abbastanza freddo perché non si trovasse a disagio con quell'abbigliamento e, oltretutto, Harry era vestito in modo simile, e quel che faceva Harry era perfetto ai suoi occhi, almeno in quel momento propizio. L'autista scese ad aprire la portiera a Harry, che a sua volta aiutò Hashley a scendere dall'auto. Subito dopo li seguì anche William e il gruppo schierato in attesa ebbe un fremito di eccitazione appena li vide. Un uomo dall'aspetto imponente avanzò verso di loro. Era più alto di Harry, con spalle ampie e un ventre un po' prominente e indossava un abito scuro con portamento dignitoso. Poteva avere una cinquantina d'anni, ma il suo volto dall'espressione cordiale era privo di rughe. Sotto le folte sopracciglia grigie come i capelli, brillavano due occhi acuti e intelligenti che dichiaravano apertamente la loro approvazione. «Bentornato a casa, signor Harry» esordi in tono ufficiale. Harry gli strinse la mano. «Ben fatto, George» replicò in tono divertito. «Ti presento la signora Hashley Harcourt, la mia fidanzata, e suo figlio William. Hashley, William, questo è George Fotheringham, il nostro maggiordomo.» «Felice di conoscerla, George» disse Hashley, sfoggiando il suo sorriso più bello e tendendogli la mano. Lui la strinse con calore. «Il suo arrivo è un piacere che aspettavamo da Emma Darcy
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tempo, signora Hashley. Tutto il personale di Springfield farà del suo meglio perché si senta a suo agio nella sua nuova casa.» «Grazie, è molto gentile.» «E questo vale anche per suo figlio, naturalmente. Come sta, giovane William?» «Bene, grazie, signore» rispose William, stringendo la mano che gli veniva tesa senza battere ciglio. Hashley era orgogliosa dei suoi modi educati finché non lo sentì chiedere: «Quanti fantasmi ha visto nel castello, signor Fotheringham?». «William, non è il momento» lo riprese. Il maggiordomo inarcò un sopracciglio guardando Harry con aria interrogativa. Harry sospirò divertito alla sua domanda inespressa. «Si tramanda di generazione in generazione, George, non possiamo farci niente. Temo che per te non ci sarà mai pace.» «Di che cosa state parlando?» intervenne Hashley, incuriosita da quell'accenno che presupponeva la conoscenza di un segreto che i due condividevano. George la guardò con espressione rassegnata. «Danno e malanno, signora Hashley. E stato il destino dei Fotheringham attraverso i secoli, sin dalla battaglia di Flodden, salvare il casato dei Clifton dai rischi che correvano i suoi discendenti e dai pericoli che inevitabilmente attiravano su di loro. Se sir Henry Clifton non avesse provocato i picchieri scozzesi facendo insinuazioni oltraggiose su quello che portavano sotto i loro kilt... È sempre stato così, signora Hashley» concluse con un sospiro. «Guardala in questo modo, George» gli suggerì Harry. «E una nuova sfida per te: avrai tutto sotto controllo quando arriveranno degli altri bambini.» «Signor Harry, non ricordo un momento in cui non abbia avuto tutto sotto controllo» gli fece notare George, impettito. «Vogliamo procedere, signore?» disse, indicando la fila dei dipendenti in attesa. Ad Hashley venne presentata per prima la moglie di George, Alice, che svolgeva le funzioni di governante, organizzava e supervisionava tutte le faccende domestiche, la preparazione dei pasti e qualsiasi servizio fosse richiesto dai padroni di casa o dagli ospiti. Dopo di lei si fece avanti una fila interminabile di cameriere e camerieri, domestiche, sguatteri, uomini di fatica, il capo giardiniere e i suoi due aiutanti e così via. Hashley cercò di registrare nella memoria quanti più nomi poteva, augurandosi che il personale si sarebbe mostrato indulgente con lei se avesse commesso un Emma Darcy
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errore. Nelle ore che seguirono venne introdotta allo stile di vita di Springfield, che era più lussuoso di quanto potesse immaginare. La valutazione di Gordon Payne riguardante la galleria di quadri era probabilmente modesta rispetto al valore reale e numerosi pezzi di antiquariato abbellivano le stanze e i corridoi. I mobili non erano meno favolosi: divani e poltrone ricoperti di velluto e broccato, cuscini di seta, grandi caminetti in marmo, intere stanze con pannelli in rovere alle pareti, soffitti decorati e splendidi tappeti persiani. Hashley era sbalordita da tutte quelle meraviglie. Le fu assegnata una cameriera personale e il primo compito che si assunse la giovane donna fu quello di sistemare i suoi bagagli. Quando salì nella sua stanza, Hashley trovò ogni cosa in ordine e gli oggetti da toilette accuratamente disposti nella stanza da bagno che conteneva addirittura una vasca con acqua termale. George aveva predisposto un piccolo lunch insieme al tradizionale tè, che venne servito in un salottino raccolto, davanti al camino acceso. Le finestre che arrivavano fino al soffitto si aprivano su un giardino di rose, delimitato da siepi ornamentali. Il crepuscolo scese rapidamente e in poco tempo sarebbe stato buio. Hashley salì nella sua stanza per riposarsi un po' e cambiarsi per la cena. Dopo essersi spogliata, godette di un lungo bagno nella vasca termale e quindi si distese sull'enorme letto matrimoniale, lasciando acceso solo un abat-jour sul comodino. Doveva ancora abituarsi a tutte le novità e le sembrava incredibile che d'allora in avanti quella sarebbe stata la sua vita. William aveva dichiarato che avrebbe passato tutta la notte nella sala dei giullari e lei si chiese se sarebbe riuscita a dissuaderlo, ma era una causa persa in partenza perché sia Harry sia George avevano dichiarato la loro complicità e tutto il personale del castello era rimasto incantato dallo spirito d'avventura del ragazzino. Colse un movimento con la coda dell'occhio e si girò appena in tempo per intravedere una figura che si materializzava attraverso la pesante porta intagliata che conduceva al bagno privato. Si stropicciò gli occhi, incredula, ma dovette convincersi che non si trattava di una illusione. La figura, dapprima evanescente, prese rapidamente la forma concreta di una giovane donna vestita con una gonna lunga, camicetta e cardigan, tutti dello stesso colore indefinito. Era pallida e magra, ma il suo volto, Emma Darcy
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incorniciato da un'aureola di soffici capelli scuri, possedeva una bellezza eterea e i suoi occhi sembravano riflettere visioni paradisiache. Con gesti lenti e guardinghi, Hashley si mise a sedere sul letto, ancora incapace di accettare di trovarsi di fronte a un fantasma. Ma cos'altro poteva essere quell'apparizione?, si chiese. La donna le sorrise e parlò. «Spero di non averti spaventata. Forse avrei dovuto bussare, ma ormai sono così abituata a passare attraverso le porte e i muri. E in realtà non avrei saputo come fare a bussare.» L'unico pensiero di Hashley in quel momento fu che le dispiaceva che William non fosse presente. «Il tuo William è in cucina» disse la donna come se le avesse letto nel pensiero, e subito dopo fece una risata argentina. «Sono rimasta ad ascoltare qualcuna delle sue storie. È divertente. Sarei voluta esserci anch'io al party di Olivia Stanton. Dev'essere stata una scena impagabile.» «Che cosa sta raccontando William?» domandò Hashley. «Come ha rotto un dente a Dylan Stanton e l'ha esibito davanti a tutti come un prestigiatore che tiri fuori un coniglio dal cappello.» «Oh, no! Non dovrebbe vantarsi di queste cose» sospirò Hashley. «Non preoccuparti. Qui tutti lo adorano. Credo che ormai sia già nata un'altra leggenda, in cui William e Harry fanno la parte degli eroi.» Probabilmente aveva ragione, pensò Hashley. E, dopo tutto, non sarebbe stata una leggenda più oltraggiosa di altre che aveva sentito riguardo alla famiglia. «Inoltre» continuò lo spirito, «devi capire che tutti muoiono dalla voglia di sapere qualcosa di voi e pendono dalle labbra di William. Non c'è niente di male, credimi.» Hashley respirò a fondo. Non era abituata a parlare con un fantasma e non si aspettava che potesse leggere nella sua mente. «Chi sei?» domandò, anche se conosceva già la risposta. «Penelope. So che Harry ti ha parlato di me.» «Sì. Mi dispiace molto...» «Doveva essere così» rispose in tono triste. «Sei... sei apparsa anche a lui?» le chiese con un nodo in gola. «No. Gli avrei reso tutto più difficile. Volevo disperatamente che incontrasse una donna come te, una donna che potesse amare con tutta la profondità di cui è capace.» «Non ti dispiace?» «Sono felice per voi. Molto felice. Era tanto che aspettavo questo momento. E adesso che ti ha trovata è un sollievo anche per me, perché finalmente me ne posso andare.» Il suo sorriso aveva una luminosità Emma Darcy
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soprannaturale. «E il bambino renderà tutto perfetto» concluse. «Quale bambino?» «Tu sei incinta, Hashley. Se vuoi fare un controllo, ti consiglio di andare dal dottor Jensen, che mi ha seguita durante tutta la malattia. Si prenderà cura di te e del bambino.» Hashley scosse la testa, incredula. Non aveva mai pensato di farsi consigliare un medico da un fantasma ma, ormai, niente di quello che avveniva a Springfield poteva più stupirla. Si soffermò invece sul punto più importante: se era davvero incinta, doveva essere successo la prima volta che aveva fatto l'amore con Harry. Penelope annuì. «Sì, è così. Adesso devo andare. Volevo solo vederti per soddisfare la mia curiosità e per assicurarti che non hai niente da temere da parte mia. I ricordi di Harry non hanno più il potere di fargli del male. L'amore non ha confini né restrizioni, se non quelli che gli imponiamo noi. Harry ti ama, non dubitarne mai, Hashley. È te che ama.» «Ma non ti dispiace che io abbia tutta la felicità che un tempo ti spettava di diritto?» Il sorriso di Penelope era senza rimpianti. «Le cose cambiano nella mia condizione. Io avrò la stessa felicità in un modo che tu non potresti capire.» «E non ti dispiace che abbia un figlio da Harry?» «Sarà una gioia per tutti vedere che la vita ritorna nel castello di Springfield.» La sincerità della sua voce la convinse che era giusto così. «Sei bellissima» mormorò, commossa. «Anche tu. Non avere paura. Posso assicurarti che non interferirò mai nella tua felicità, ma non posso rivelarti altro. Vedi, in questa parte dell'universo le cose funzionano in un altro modo. Ma se avrai bisogno di aiuto o di confidarti con qualcuno, tornerò da te, Hashley. Vorrei che fossimo amiche.» «Sì» mormorò Hashley, non trovando altro da dire. «In realtà è molto semplice» le spiegò Pen. È il mio amore per Harry che ci unisce.» Hashley non la vide svanire. Era lì, davanti a lei, e quando attraversò la porta di quercia non c'era più. Per un attimo si chiese se non avesse sognato ogni cosa o se si trattasse di un'allucinazione. Si pizzicò un braccio per accertarsi di essere proprio sveglia e alla fine decise che c'era Emma Darcy
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un unico modo per scoprire se quello che aveva visto era reale oppure no. Si rivestì in fretta e andò nella stanza di Harry. Quando entrò, lui si stava infilando un'elegante giacca blu e, appena la vide, le rivolse un sorriso malizioso. «Mi hai battuto sul tempo» disse. Hashley esitò, chiedendosi se fosse il caso di ridestare i ricordi. Lui vide la sua espressione e si fece serio in volto. «C'è qualcosa che non va?» I ricordi non avevano più il potere di fargli del male, glielo aveva assicurato Pen. E i fantasmi meritavano il loro riposo. «Hai una fotografia di Pen, Harry?» «Sì.» «Posso vederla?» Lui aggrottò la fronte, senza capire. «Ti prego...» «Se lo desideri...» Harry si strinse nelle spalle e tirò fuori da un cassetto una foto incorniciata. «Questa è una delle ultime» le disse, porgendogliela. «Era molto dimagrita all'epoca.» Ad Hashley bastò un'occhiata al ritratto per essere sicura di non aver avuto un'allucinazione. «Sì» disse. «È proprio lei.» Era lo stesso viso dolcissimo, circondato dai capelli scuri, che aveva visto poco prima. Indossava perfino lo stesso vestito, anche se nella foto i colori erano più vivaci. «Mamma! Mamma! Dove sei?» La voce eccitata di William li raggiunse dal corridoio. Hashley tese la foto a Harry e si precipitò fuori, nella direzione da cui veniva il richiamo. «Sono qui, William!» Lui uscì concitato dalla sua stanza. «Indovina, mamma! Ho visto un fantasma! E senza nemmeno che gli dessi la caccia!» «Dove?» «Al piano di sotto. Stavo guardando i quadri nell'ingresso e l'ho vista attraversare una porta chiusa e sparire nella sala.» «Chi? Era una donna con i capelli scuri?» «Sì, ma ti assicuro che era un fantasma, mamma. Le porte erano chiuse. Ho cercato di seguirla, ma quando sono entrato nella sala non c'era nessuno.» «Ne sei sicuro?» Emma Darcy
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«Non sto scherzando, mamma. Era un fantasma. Voglio dirlo al signor Fotheringham. Forse lui la conosce.» William era già scappato quando la raggiunse Harry. «Che cosa succede?» le chiese. «William ha visto un fantasma nella sala.» Gli lanciò uno sguardo implorante, sperando con tutte le sue forze che le credesse. «Era Pen, Harry. Ci sta dicendo addio. È venuta anche da me, circa mezz'ora fa.» Ci fu un lungo momento carico di tensione in cui lui la guardò senza parlare. Alla fine accettò la sua dichiarazione senza riserve. «Andiamo a vedere nella sala. Pen si sdraiava sempre sulla chaise longue accanto alla finestra per vedere il giardino in fiore. Amava la natura e la luce del sole.» Infatti la trovarono proprio lì, sdraiata su una chaise longue all'estremità della stanza, immersa in un tenue bagliore che la rendeva ancora più evanescente. Al loro ingresso si alzò e si voltò a guardarli. «Va tutto bene, Harry» mormorò dolcemente. «Non sono qui per ossessionarti con la mia presenza. Non l'ho mai voluto.» «Ma perché solo ora, Pen? Perché non ti sei fatta vedere prima?» «Volevo che tu ti staccassi da me e mi lasciassi andare, Harry. Hai ancora tanto da vivere, ma il tuo dolore mi teneva legata a questa casa» disse con tristezza, ma poi il suo volto si illuminò di una luce radiosa. «La tua felicità... il tuo amore per Hashley e il suo per te... mi hanno liberato da ogni legame con questa terra. Adesso la mia anima è libera di volare via. Vi auguro ogni felicità in questo mondo. Non sprecate nemmeno un minuto della vostra vita.» Dopo aver pronunciato queste parole, cominciò lentamente a svanire. «Pen...» la chiamò Harry, allungando una mano per sfiorarla. «L'amore è vita, Harry...» furono le ultime parole che sussurrò prima di dissolversi del tutto. Il silenzio che seguì era carico di un'emozione profonda. «L'amore è vita...» mormorò Harry, attirando a sé Hashley in un abbraccio. «Non dobbiamo permettere che qualcosa si opponga all'amore, Hashley.» «No, non lo permetteremo mai, Harry. Pen mi ha detto anche un'altra cosa...» «Che cosa?» «Mi ha consigliato di consultare il dottor Jensen.» «Non sei malata, vero?» domandò in tono carico d'ansia. «No, no. Pen dice che sono incinta, Harry. Ho un ritardo di pochi giorni Emma Darcy
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e non posso esserne certa, ma Pen è sicura che aspetti un bambino.» Harry sorrise e il suo sorriso si allargò sempre di più fino a trasformarsi in una risata di felicità. «Spero che tu sia felice, amore mio, perché io mi sento l'uomo più fortunato della terra.» «E io la donna più fortunata!» Si baciarono con un'esplosione di gioia e di amore e in quel momento Hashley sentì che Penelope era finalmente in pace. Per tutto il tempo che avrebbe vissuto al castello di Springfield, decise che ci sarebbe sempre stato un vaso di dalie sul tavolino accanto alla chaise longue del soggiorno. Si udì bussare alla porta e William si precipitò nella stanza, eccitato, seguito da George, compassato come sempre. «C'è qualche fantasma qui, signor Harry?» si informò il maggiordomo. «Non in questo momento, George.» Harry sorrise al ragazzino. «Dovrai aspettare stanotte nella stanza dei giullari. Se saremo fortunati, può darsi che Erik il Rosso decida di farci una visita.» «Proprio così.» George prese William sotto la sua ala protettiva. «Venga con me. Le mostrerò il caminetto la cui mensola fu tagliata in due da Erik il Rosso con una scure.» «Prima che te ne vada, George...» «Sì, signore?» «Quella bottiglia di Madeira del milleottocentosessanta di cui parlavamo prima del mio viaggio in Australia... Credo proprio che te la sia guadagnata, George.» «Molto generoso da parte sua, signore.» «E di' a tua moglie che abbiamo scartato l'ipotesi di celebrare le nozze in giugno. Ci sposeremo molto prima... il più presto possibile, anzi.» «Brinderò all'avvenimento, signore.» Un sorriso soddisfatto aleggiava sulle labbra di George mentre accompagnava William fuori della sala per lasciare qualche momento di intimità alla coppia felice. Un lavoro ben fatto, pensò. E, naturalmente, il merito è tutto del maggiordomo, aggiunse con orgoglio.
Epilogo Dagli annunci personali del Times Oggi, 14 ottobre, il conte Harold Alistair Clifìon e sua moglie Emma Darcy
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Hashley annunciano la nascita di Edward John e di Emily Louise, un fratellino e una sorellina per William. Anche questa volta, quando la Rolls Royce si fermò davanti al castello di Springfield, trovò ad accoglierla tutto il personale schierato. Ma quando ne scesero Hashley e Harry, entrambi con un fagottino tra le braccia, perfino George fece un'eccezione all'etichetta e lasciò che la servitù si raccogliesse intorno alla coppia per fare le felicitazioni e vedere i neonati. Del resto, l'impronta che aveva dato la nuova contessa aveva trasformato anche i rapporti con i dipendenti e, in fondo, George non ne era dispiaciuto. Pensava ai suoi figli e sapeva che si sarebbero trovati ad affrontare un mondo in rapida trasformazione. Non era un male che, dopo tanti secoli di tradizione, anche il castello di Springfield si aprisse alle abitudini di altri continenti. La presenza di Hashley e di William non aveva portato solo una nuova ventata di vitalità fra le vecchie mura, ma aveva portato anche tradizioni diverse, che già si stavano trasformando in leggende nelle lunghe serate davanti al caminetto. L'Australia... chissà, aveva riflettuto più volte. Lui non avrebbe mai pensato di lasciare la campagna inglese dov'era nato, ma i suoi figli avevano davanti un mondo più vasto. E se avessero deciso di restare lì, il loro futuro era comunque assicurato. Se non fossero più andati di moda i maggiordomi, l'intraprendente signorino William avrebbe trovato altre soluzioni per continuare il sodalizio delle due famiglie. Pur essendo più giovane, aveva già stretto amicizia con i suoi ragazzi, con cui passava lunghi pomeriggi a giocare a cricket. «Congratulazioni» disse, facendosi avanti con un sorriso. Hashley era radiosa nonostante la fatica del parto. Si sentiva finalmente accolta nella famiglia che non aveva mai avuto. «Grazie, George» gli rispose, ricambiando il sorriso. «E grazie a tutti.» «Questa sera festeggeremo insieme» annunciò Harry. «Mi affido a te per la cantina.» «Benissimo, signore.» «Crede che verrà anche Erik il Rosso?» intervenne William. George rifletté un istante. «Credo che apprezzerebbe un calice di Borgogna. Saranno secoli che non ne beve uno.» Dopo aver affidato i bambini alla governante ed essersi assicurati che dormivano tranquilli, Harry e Hashley si ritirarono nelle loro stanze. Emma Darcy
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William giocava nel giardino con i suoi nuovi amici e il castello risuonava dei preparativi per la cena, che si sarebbe tenuta nella sala da pranzo ufficiale con la presenza di tutta la servitù. La stanza matrimoniale era avvolta nella luce del crepuscolo che filtrava dalle grandi finestre e, una volta chiusa la pesante porta di quercia, si trovarono isolati in una quiete assoluta. «Mi hai reso l'uomo più felice della terra» le disse Harry, abbracciandola con tenerezza. «George aveva ragione. Non sapevo quanto fosse emozionante diventare padre. E pensare che, prima di conoscerti, stavo per rinunciare a tutto questo.» «George è veramente prezioso. E anche sua moglie. Non so come avrei fatto senza di loro. Adesso mi sembra quasi di aver sempre vissuto in un castello di cinquanta stanze. È incredibile come funzioni tutto alla perfezione. E poi sono tutti così gentili.» «Naturale. Sei un'organizzatrice nata. Immagino che i tuoi clienti sentiranno la tua mancanza» scherzò lui. «Ma adesso è meglio che ti riposi. Hai lavorato fin troppo» aggiunse, posandole un bacio sulle labbra. La prese per mano e la fece sdraiare sul grande letto matrimoniale, sedendosi al suo fianco e accarezzandole i soffici capelli biondi che le incorniciavano il viso. «Sai una cosa?» gli chiese, adagiandosi contro i cuscini e guardando al di là delle finestre gli alberi del giardino che si rivestivano dei colori autunnali. «Ho sempre pensato che i castelli inglesi abitati dai fantasmi fossero luoghi tetri e melanconici, ma non riesco a immaginare un posto più sereno e solare di questo.» «Siete stati tu e William a portare il sole, Hashley. Quanto ai fantasmi, sono sicuro che non ne vedremo più. Adesso dobbiamo pensare al futuro.» «Credi che William rinuncerà a fare la posta a Erik il Rosso?» Harry inarcò un sopracciglio con aria pensierosa. «Forse potrei esibirmi in una delle mie migliori interpretazioni e fare una comparsa nella sala dei giullari.» Hashley rise. «Ho sempre sospettato che avessi una vocazione teatrale, fin dalla prima volta che ti ho visto.» «Devi ammettere che la parte del maggiordomo mi è riuscita particolarmente bene» la provocò scherzosamente. «E anche quella del cavaliere che arriva a salvare le fanciulle in pericolo. Ma ti preferisco così come sei, Harold Alistair Clifton» aggiunse, Emma Darcy
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rivolgendogli uno sguardo pieno d'amore. «Niente più mascherate né bugie.» «Adesso che sei mia moglie non cambierei la mia condizione per niente al mondo. Ti amo, Hashley, e non potrei chiedere di meglio che continuare così per tutta la vita.» «Anch'io ti amo» mormorò lei. «Per tutta la vita.» FINE
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