ANN MAXWELL IL DESTINO DI RHEBA (Dancer's Luck, 1983) Capitolo I L'astronave scomparve nello spazio in una sorda esplosi...
16 downloads
925 Views
787KB Size
Report
This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
Report copyright / DMCA form
ANN MAXWELL IL DESTINO DI RHEBA (Dancer's Luck, 1983) Capitolo I L'astronave scomparve nello spazio in una sorda esplosione d'energia. Rheba, controllate le luci di posizione colorate, staccò la leva dei comandi e rimase rigida in piedi. Avrebbe voluto dormire un po', ma in quel momento le era proprio impossibile. Nella Sala Comando, era circondata dagli schiavi ai quali aveva promesso su Loo che li avrebbe riportati in patria. Si lasciavano alle spalle una città ed una cultura completamente incenerite dall'ira di una Danzatrice del Fuoco e dalla vendetta degli schiavi. Non sarebbe stato facile provocare una seconda volta un odio simile. Più presto gli schiavi fossero sbarcati dal Devalon, più presto anche lei si sarebbe sentita al sicuro. Un fischio di richiamo si levò dalla babilonia di linguaggi che le facevano corona. Rheba rispose al fischio cercando il volto familiare del suo Bre'n in quella folla di estranei. Kirtn emise un altro fischio. Col suo corpo alto e muscoloso si fece strada tra la folla. Intorno al collo portava uno splendido serpentello di nome Fssa che risaltava molto sulla scarsa peluria ramata del suo corpo. Timido, vanitoso, stupefacente, Fssa era al tempo stesso un amico e un traduttore. «Non possiamo far altro che mantenerli in vita,» disse Kirtn curvandosi su di lei. L'umanoide usò il preciso linguaggio Senyasi, la loro linguamadre. In un secondo momento si avvalse del linguaggio Bre'n, noto per la sua bellezza. «Il nucleo d'energia a nostra disposizione è sufficiente per due balzi, e per il sostentamento di questa gente per quattro giorni.» Rheba fissò a lungo quegli occhi dorati, a mandorla, tanto simili ai suoi, e accarezzò distrattamente il braccio peloso di Kirtn. «Secondo il navtrix, quale pianeta possiamo raggiungere in due balzi?» «Onan.» La sua voce suonò del tutto neutra. «Onan,» ripeté freddamente la Danzatrice. Un luogo dove non sarebbe voluta ritornare per niente al mondo: il pianeta dal quale era fuggita lasciandosi alle spalle un branco di Sorveglianti della Confederazione Yhelle infuriati, un Casinò in fiamme chiamato il
Buco Nero, ed una discreta somma di denaro. Non le sarebbe certo dispiaciuto rientrare in possesso del denaro, ma avrebbe volentieri evitato l'ira dei Sorveglianti. Rheba guardò un po' preoccupata tutta quella gente stipata nella Sala Comando e negli alloggi dell'equipaggio. Gli schiavi erano a così stretto contatto di gomito che la stanchezza impediva loro di maledirsi a vicenda per la mancanza d'intimità. «Onan.» La ragazza emise un lungo sospiro e cominciò a tirare indietro la leva dei comandi. «Aspetta,» le disse Kirtn. Gli occhi dorati di Rheba cercarono i suoi. «Ancora cattive notizie. C'era da aspettarselo.» Kirtn fischiò un'imprecazione Bre'n. «Il nostro navtrix.» «Ebbene?» «Non ha dimenticato neanche uno dei nomi dei pianeti sui quali abbiamo giocato.» «Cosa? Ma allora...» La ragazza si fermò a metà frase e poi rivolse la sua attenzione al serpente che fasciava il collo di Kirtn. «Conosci altri linguaggi oltre l'Universale?» Fssa prese tempo per prepararsi a parlare in Senyasi. Avrebbe avuto meno problemi a fischiare nel linguaggio Bre'n ma, una volta incrociati i profondi occhi dorati di Rheba, rifletté che forse sarebbe stata preferibile la precisione alla poesia. «Dove è stato possibile, ho tradotto i nomi dei pianeti in altri linguaggi. Il navtrix non ha colpa. Onan è il solo pianeta che conosca della Confederazione Yhelle. Kirtn mi ha detto che tu stessa l'hai programmato su Onan, dopo la fuga da Deva.» Rheba era molto irritata. Il navtrix era stato costruito dal suo popolo: rifletteva il livello... e i limiti del loro sapere. Su Deva non si sapeva neanche cosa fosse la Confederazione. Per riportare gli schiavi sui loro pianeti d'origine, doveva assolutamente impossessarsi di un navtrix della Confederazione Yhelle. Fssa cercò di tradurre il disappunto di Rheba nell'equivalente Universale. «Cercherò di fare tutto il possibile, Danzatrice. Forse i nuovi linguaggi che ho appreso mi aiuteranno.» Poi allegramente aggiunse: «Ventitré
schiavi vogliono fermarsi su Onan.» «Quanti ne rimarrebbero ancora, Kirtn?» Kirtn scrollò le spalle mettendo in evidenza la possente muscolatura Bre'n. «Ne ho contati una sessantina.» «Su un'astronave costruita per venti e modificata per due!» Rheba abbracciò Kirtn. «Portaci nell'orbita intorno ad 'Onan. Vedrò se Ilfn vuole aiuto.» Rheba allontanò Fssa dalle spalle di Kirtn. Con un agile contorsione, il serpente si mimetizzò nella folta chioma della ragazza. I suoi lunghi capelli crepitanti d'energia erano il luogo ideale per il serpente, come un vulcano attivo o un uragano di lampi e fulmini. Le due sagome di M/Dere e M/Dur, apparse all'improvviso, liberarono la strada a Rheba: nessuno si oppose, neanche i coraggiosi schiavi sopravvissuti alla rivolta su Loo. «Dove sono i loro clepts?», domandò la ragazza a Fssa, riferendosi ai cani da guerra dei mercanti J/taals. Il serpente le fischiò dolcemente in un orecchio. «Stanno proteggendo Ilfn e il suo Danzatore della Tempesta.» «Stanno bene?», fischiò la ragazza con molta chiarezza.. «Sì, ma quando ho riferito a M/Dere cosa significano pe te la donna Bre'n e il suo Danzatore della Tempesta, lei ha insistito perché qualcuno facesse loro la guardia. Non è molto contenta degli schiavi che abbiamo a bordo. Sono un branco di assassini.» «Hanno dovuto sopravvivere a Loo,» gli fece notare Rheba. «E noi dovremo sopravvivere a loro,» replicò acido lo Fssireeme. La ragazza preferì non aggiungere altro. La cosa importante per lei era mantenere la promessa fatta agli schiavi di ricondurli a casa. Non aveva bisogno che un serpentello da strapazzo la criticasse dicendole di aver cucinato più di quanto potesse effettivamente mangiare. Fssa, con un sospiro quasi umano, smise di parlare. Gli piaceva molto l'energia libera che si propagava dai capelli di Rheba quando era arrabbiata, ma non voleva essere lui a provocarla. Ilfn e Lheket erano sistemati nella stessa cuccetta. La donna Bre'n, come tutti quelli della sua razza, era molto alta e possente. Dove Kirtn era coperto da una peluria ramata, Ilfn aveva dei peli castani un po' più lunghi dei suoi. Come lui, aveva una mascherina di setole dai riflessi metallici e dorati intorno agli occhi. Come lui, si dedicava esclusivamente al Danzatore
Senyasi, suo protetto. Appena Rheba sfiorò la cuccetta, gli occhi verde smeraldo di Lheket si voltarono nella sua direzione. La ragazza gli accarezzò la guancia lasciandogli assorbire un po' della sua energia. Per un istante le Linee di Potenza Akhenet brillarono sulle sue mani. Lheket sorrise contento come tutti i bambini soddistatti. Sebbene non potesse vederla, anche lei gli sorrise. Per quanto ne sapesse, Lheket era l'unico Senyasi, oltre lei, che fosse sopravvissuto alla distruzione del loro pianeta. Un giorno sarebbe forse diventato il compagno della sua vita ma, almeno per il momento, era un Danzatore cieco ed inesperto, un peso in più sulle sue spalle. Ilfn dovette leggerle nel pensiero, perché cominciò ad accarezzare dolcemente i capelli del ragazzo. «Il computer vi ha risposto?», chiese Rheba voltandosi verso il suo Mentore Bre'n. «Finalmente l'ho pronunciato in maniera esatta,» le rispose Ilfn un po' contrariata. La donna veniva dalla periferia di Deva, e la sua pronuncia non era precisamente quella cui il computer era stato programmato a rispondere. «Ho dato ad ognuno dei trentotto pianeti un numero, li ho memorizzati nel computer sotto una parola in codice, e ho programmato lo stesso computer in modo da scegliere di continuo qualcuno di questi numeri. Una volta pronunciata la parola-chiave, la scelta del computer apparirà sullo schermo. È tutto chiaro?» «Non avresti potuto spiegarti meglio.» Poi, percependo un po' d'invidia in quella frase, Rheba aggiunse: «Grazie.» Quindi si appoggiò alla cuccetta. «Per prima cosa dobbiamo raggiungere Onan. Dobbiamo procurarci dell'energia e il navtrix.» Ilfn le strinse la mano per manifestarle il suo assenso. Sebbene i Bre'n non fossero mai stati sul pianeta più licenzioso della Confederazione Yhelle, Ilfn ne aveva sentito parlare da Kirtn, e quindi tutti erano consapevoli dei problemi che si sarebbero presentati su Onan. Rheba saltò giù dalla cuccetta. Quando si mosse, notò un uomo che la osservava. Aveva la sua stessa altezza, un'altezza media per un uomo della Confederazione: sgusciò abilmente tra la folla, superò la cuccetta, e le si fermò abbastanza vicino per parlarle. Le rivolse un meraviglioso sorriso. Si sarebbe voluto avvicinare ancora, ma un'J/taal dall'aria truce glielo impedì. «Posso fare qualcosa per te?», chiese in Universale. «Tu hai fatto tanto
per noi.» «Hai per caso un navtrix della Confederazione Yhelle?», ribatté in tono pungente Rheba. L'uomo pescò nella sua tunica grigia da schiavo, poi mostrò il palmo della mano vuota per scusarsi. «Mi dispiace,» disse. «Non ho neanche le coordinate della Confederazione rispetto al mio pianeta.» «Maledizione a te e a tutti gli schiavi a bordo!», borbottò. Guardò di nuovo il giovane uomo che aveva davanti. Sembrava coetaneo di Lheket più che suo, ma era difficile stabilire a che razza appartenesse. «Hai un nome?» «Daemen.» Le fece un largo sorriso che la invitò a fare lo stesso. «Attualmente il mio nome e Daemen, ma su Loo nessuno sembrava interessato al mio passato di ex-schiavo. Daemen è il nome che uso ora.» «Hai vissuto per molto tempo su Loo?» «Sì.» Smise di sorridere e ad un tratto diventò triste. «E tu?» «No. Così almeno sembrerebbe.» La risata di Daemen suonò troppo matura per i suoi anni. «La mia famiglia — eravamo dieci quando fummo rapiti — non parla più del nostro pianeta... di come era bello quando si viveva sotto un unico sole.» Abbandonò la sua mano sinistra e rispensando a tutte quelle cose, aggiunse: «È proprio vero. Ricordo a malapena come è fatto e dove si trova.» Rheba provò un'improvvisa ondata di simpatia per quel ragazzo. Anche lei aveva abbandonato il suo pianeta, anche lei aveva provato in prima persona cosa significasse fissare il cielo di notte e rendersi conto che non una di quei miliardi di stelle fosse la sua casa. «Noi troveremo il tuo pianeta, Daemen. Te lo prometto.» Il sorriso ritornò sul volto di lui. «È quello che mi ha detto lui.» «Lui chi?» «L'uomo che le somiglia,» rispose Daemen indicando Ilfn. «Possente e violento.» Il sorriso di Rheba era rivolto tanto al suo Bre'n quanto allo straniero che le stava di fronte. «Si, lui è proprio così. Era uno dei migliori poeti di Deva, quando esisteva Deva, quando credeva ancora nella poesia.»
La ragazza si grattò distrattamente le braccia. Le nuove Linee di Potenza apparse durante la fuga da Loo, le davano molto fastidio. Avrebbe voluto altri rimedi da Ilfn. Ma, per prima cosa, bisognava risolvere il problema del pianeta da scegliere. Trentotto pianeti: trentotto nomi. Solo uno poteva essere il primo. Si chiese ad alta voce chi avrebbe aiutato la fortuna. «Io.» La voce di Daemen suonò fiduciosa ma non arrogante. Rheba gli si avvicinò per scrutare nel suo intimo. «Sembri molto sicuro di te.» «Io sono nato fortunato. Per questo sono sopravvissuto a Loo.» La ragazza fece un sorriso un po' forzato. Lui naturalmente non era né forte, né eccessivamente bravo. Forse era convinto che la fortuna fosse stata responsabile della sua sopravvivenza all'interno di Loo. «Qual è il nome del tuo pianeta?» «Daemen.» La ragazza con un po' d'incredulità ripeté: «Daemen? Proprio come te?» «Sì. Il membro più anziano della mia famiglia viene sempre chiamato Il Daemen.» Il suo volto cambiò espressione, facendolo sembrare più vecchio di quanto fosse in realtà. «Sono l'unico sopravvissuto. Con qualunque nome io sia nato, ora sono Daemen.» L'astronave vibrò come un gigantesco cristallo, avvertendo i passeggeri che la partenza era imminente. Tutti cercarono di assumere delle posizioni più sicure ma, in assenza di forza gravitazionale, era impossibile che ci fosse una brusca accelerazione. Un segnale sonoro avvertì per un certo periodo di tempo i passeggeri che mancava poco al balzo. Ci fu un attimo di silenzio, poi l'astronave tremò e ricomparve nello spazio. Fu una manovra breve e sicura perché Kirtn era molto preparato. Il Devalon continuò a prendere quota, acquistò velocità in un'altra direzione e quindi si allineò per l'ultimo balzo su una lontana orbita intorno a Onan. Rheba fischiò dolcemente delle istruzioni a Fssa. Il serpentello nascosto tra i suoi capelli, si mosse per trovare una posizione più sicura durante la prossima accelerazione. Quasi tutti gli schiavi capivano il linguaggio di Loo: molti capivano l'Universale. Coloro che non comprendevano né l'uno né l'altro, di solito non sopravvivevano. I Loo non avevano mai fatto delle distinzioni tra ignoranza e disobbedienza. «Mentre noi eseguiamo la manovra per il prossimo balzo, sarà la fortuna a decidere su quale pianeta ci fermeremo dopo aver fatto rifornimento su
Onan. Il computer dell'astronave stava scegliendo a caso i pianeti sulla base dei numeri. Al mio ordine rivelerà il numero che in quel preciso istante si trova sotto il suo analizzatore.» Rheba aveva parlato in Universale. La traduzione di Fssa fu immediata e precisa. Il serpente poteva controllare le sue infinite voci con tanta abilità che le parole sembravano provenire dall'aria circostante. Un borbottio generale salutò l'annuncio della partenza trasmesso attraverso il citofono del Devalon. Fssa, da serpente si trasformò in uno strano arabesco di penne, spine e piccole sfere di vari tipi di metallo, dal rame all'acciaio sbozzato. Questa fu una delle sue trasformazioni più stupefacenti perché in seguito ebbe di rado la possibilità di ascoltare nello stesso momento tanti nuovi linguaggi. Rheba sentì il serpente scivolarle nei capelli per assicurarsi una buona posizione. Prima che potesse arrivare al pavimento, lo prese tra le mani per permettergli una buona ricezione dei vari suoni. Fuori dal campo energetico dei capelli della Danzatrice, il peso del serpente quadruplicò. All'improvviso, tutti cessarono di parlare e rivolsero la loro attenzione al serpente, non si sa bene se per la meravigliosa trasformazione di Fssa o per il semplice fatto che la scelta della fortuna elimina qualsiasi ulteriore discussione. Ormai libero dall'imperativo Fssireeme di imparare nuovi linguaggi, Fssa si rese conto di essere al centro dell'attenzione. Molto imbarazzato, si calmò solo tra le mani di Rheba. Essere al centro dell'attenzione lo turbò enormemente. Era convinto di fare ribrezzo perché non aveva le gambe. «Sei meraviglioso,» gli fischiò Rheba usando tutte le complesse sfumature Bre'n per rassicurarlo. Riflessi d'argento metallico brillarono sul suo corpo scuro. Quando alcuni arabeschi dorati si mescolarono all'argento, Rheba, sorridendogli, lo sollevò sulla sua testa. Fssa d'un tratto diventò tanto chiaro da mimetizzarsi nei suoi capelli. Lei piegò il capo e fischiò un complicato trillo Bre'n. Il computer rispose con un unico suono comprovante l'avvenuto accesso. Le labbra della ragazza modularono un altro suono Bre'n. Un ordine: Scegli. Sullo schermo gigante dietro di lei apparve un numero, dopodiché il nome del pianeta corrispondente. Daemen. Rheba fu percossa da un brivido. Si rivolse di scatto all'affascinante straniero: Daemen non c'era, se n'era andato via, scoraggiato come tutti gli
schiavi. Capitolo II Kirtn fissò l'ologramma dell'astroporto di Nontondondo. L'immagine cambiò non appena i sensori del Devalon risposero alle secche istruzioni in Senyasi. «Qualche Sorvegliante in vista?» «Non ancora. Probabilmente avranno creduto al nome che abbiamo dato loro.» Non ne era molto convinta, ma disse soltanto: «Qual'è il nuovo OVA?» L'umanoide aggrottò le ciglia. L'acconto in valuta Onan veniva stabilito per ogni astronave prima dell'atterraggio. Questa di sicuro era una delle regole meno piacevoli di Onan. «Sottoposto com'è al controllo delle gemme, il nostro OVA ammonta ad ottantamila crediti.» Rheba osservò attentamente gli splendidi gioielli che brillavano sulla lastra-sensore dell'astronave. «Per Onan, quello che abbiamo non è molto.» Kirtn fischiò per sottolineare il suo assenso. «Abbiamo un nucleo d'energia, le tasse per quattro giorni e qualche spicciolo.» «Questo è tutto quel che abbiamo?», domandò, e il suo fischio esplose in una maledizione. «Quanto costa un navtrix?» Kirtn non rispose. Lei lo guardò e si sentì mancare il respiro. I suoi occhi erano socchiusi, e le labbra serrate rivelavano una schiera di denti appuntiti. Era molto arrabbiato e, dopo un po', la sua rabbia diventò rez, lo stato di pazzia Bre'n quasi sempre fatale per il Bre'n e per chiunque gli fosse vicino. La Danzatrice gli strinse il braccio per calmarlo. Kirtn prima cercò di resisterle poi, sospirando, le accarezzò i capelli fino a farli crepitare d'energia libera. «Posso giocare di nuovo a Caos,» si offrì, anche se esitante. L'umanoide le toccò i capelli vaporosi. «No. Se ti riconoscono, ti linceranno.» Rheba fu d'accordo con lui. L'ultima volta che aveva giocato a Caos su Nontondondo, aveva barato; in un gioco come quello, barare era quasi una
necessità. Ma forse era troppo per una straniera barare in maniera così sfacciata e fortunata come aveva fatto lei, che aveva sbancato la metà dei giocatori del Casinò... Rabbrividì al solo ricordo della rivolta che ne era seguita. La Danzatrice del Fuoco era stata costretta ad incenerire il Casinò per fuggire. Anche se il Buco Nero fosse stato ricostruito, non avrebbe mai più giocato in un posto del genere a Caos. Insieme, Rheba e Kirtn stavano osservando l'ologramma della città in fermento. A Nontondondo ogni cosa aveva il suo prezzo. Era l'unico pianeta della Confederazione Yhelle dove tutto era permesso e niente costituiva reato. Col denaro si poteva avere tutto. Ma loro non ne avevano. Con aria un po' distratta, Kirtn mosse i comandi e inquadrò una strada affollata di gente d'ogni colore e razza. Poi allargò il campo visivo fino ad inquadrare il soffitto a cupola della Sala Comando e le teste degli schiavi più alti. All'improvviso, uno dei civili inquadrati le saltò al collo urlando e cominciò a graffiarla. Dietro di lei qualcuno gettò tra la folla uno splendido gioiello rubato che luccicava nelle mani di Kirtn nell'istante in cui scomparve. Kirtn e Rheba si guardarono a lungo in silenzio. Dal momento che avevano stabilito un contatto fisico, ognuno poteva leggere quello che passava nella mente dell'altro. Questa era una cosa rara tra le Danzatrici e i loro Bre'n, una cosa che nessuno di loro aveva mai sperimentato prima. Avevano scoperto quell'insolita forma di comunicazione su Loo, quando stavano per morire. «Su quante Licenze di Furto possiamo contare?», chiese Rheba proprio mentre il suo Bre'n rivolgeva la stessa domanda al computer. «Licenze di tre giorni?», borbottò. «Dovrebbero essere sufficienti. Almeno lo spero.» Il computer domandò il numero di Licenze Onan corrispondenti. «Dodici,» disse Kirtn decifrando la risposta del computer. Rheba aggrottò le ciglia. «Avrò bisogno di protezione. Quanto costa una Licenza per Uccidere di tre giorni?» Kirtn fischiò il quesito al computer. All'apparire della somma sullo schermo del computer, la ragazza trasalì. Era la Licenza più cara di Onan. Comprarla, significava non disporre di nient'altro per le Licenze inferiori a tre giorni.
«Quanto costa una Licenza di Furto di un giorno?», chiese al computer un po' preoccupata. Dietro la testa di Kirtn comparve un numero. Lei lo guardò, fece la somma e poi si decise. «Voglio una Licenza per Uccidere, tre di Furto e due per Recitare per Strada. Per un giorno. Quanto costano?» Trattenne il respiro. Comprata l'energia — che era assolutamente necessaria — il minimo per l'approvvigionamento dell'astronave, avrebbero avuto a disposizione solo quindicimila crediti nel loro OVA. Detratti i millecinquecento crediti al giorno per la tassa di permanenza su Onan, rimanevano solo tredicimilacinquecento crediti per le Licenze. Questo senza preoccuparsi del fatto che le tasse su Onan erano soggette a cambiamenti settimanali. Sullo schermo apparve il numero dodicimilasettecentocinquanta. «Ci siamo andati vicino,» fischiò il Bre'n, ma dal tono della sua voce sembrava volesse dire: «Troppo vicino,» e qualcosa di molto gentile. «Non abbiamo scelta, non è vero?» Esitò prima di rispondere, mentre le sue trecce dorate gli solleticavano il collo. «Un giorno sarà sufficiente?» «Dovrà esserlo per forza. Fssa sei d'accordo anche tu?» Lo Fssireeme sibilò dolcemente. «Ssssssssi» «Per quanto tu ne sappia, c'è qualcuno che discenda da antenati ladri tra i membri dell'equipaggio? No, nessun trucco: devono rubare e poi scappare via. Comunque sarebbe bello se avessero delle mani tanto leggere da lasciare le vittime ignare dell'accaduto fino a quando non si guardassero in uno specchio.» «Ci sarebbero gli J/taals che sono molto veloci. Oppure gli Illusionisti Yhelle. In casi d'emergenza diventano invisibili.» «E gli altri?» chiese lei, indicando la torma di schiavi che affollava l'astronave. Fssa sospirò come un essere umano. «I miei ricordi risalgono a parecchio tempo fa, Danzatrice del Fuoco. Tempo addietro molte di queste razze non esistevano ancora. Mi sono sconosciute come lo sono a te.» La ragazza si grattò le braccia ignorando il cipiglio di Kirtn a quel gesto identico a quello di quando aveva usato i suoi poteri di Danzatrice del
Fuoco in maniera troppo spudorata su Loo. Allora non aveva avuto altra scelta, così come non l'aveva neanche in quel momento. Si voltò verso la possente donna dalla pelle scura che la seguiva come un'ombra. Rheba le parlò, e Fssa tradusse immediatamente le sue parole nel linguaggio J/taals. L'argomento era tanto delicato, che le due donne dimenticarono che era proprio lo Fssireeme a rendere possibile la loro conversazione. «M/Dere, abbiamo bisogno di soldi. Accetti di diventare una ladra? Autorizzata, s'intende.» M/Dere sorrise. «Autorizzata o non autorizzata, non fa alcuna differenza. Tu sei la nostra J/taaleri. Tu comandi, noi agiamo. Sebbene», aggiunse, «noi riusciamo meglio come assassini che come ladri.» Rheba non poté contraddirla. Aveva visto gli J/taals in azione su Loo. Effettivamente erano molto più bravi loro ad uccidere che la maggior parte della gente a respirare. «Posso suggerire una cosa?», disse M/Dere. «Sì, dì pure,» le rispose Rheba. La ragazza non si sentiva a proprio agio nel ruolo di J/taaleri. Fece di tutto per condurre la conversazione su un piano di parità, ma non ci riuscì. Gli J/taals erano notoriamente degl'individui molto fedeli. «Gli Illusionisti. Combattono meravigliosamente. Rubano altrettanto bene?» Rheba sì grattò violentemente le spalle. Era riluttante a chiedere agli aristocratici Illusionisti Yhelle di abbassarsi a rubare. D'altra parte, erano ben attrezzati per un lavoro del genere. «Non li conosco... né so dove sono questi Illusionisti,» le rispose dopo averci pensato un po' su. «M/Dur li sta conducendo qui.» Rheba capì che la donna stava facendo di tutto per assicurarsi gli J/taals come suoi difensori. Se non avessero rubato avrebbero potuto difenderla. La loro ragione di vita era proteggere la loro J/taaleri. Finalmente arrivò M/Dur con gli Illusionisti Yhelle. I due J/taals cambiarono espressione. I mercenari le avevano letto nel pensiero. Per un istante invidiò la loro capacità telepatica, un dono raro e molto apprezzato su Deva. Nei pochi momenti di relax divisi con Kirtn, aveva avuto modo di apprezzare la comunicazione telapatica che si stabilisce tra due persone attraverso un con-
tatto fisico. I'sNara, il polo femminile della coppia Yhelle, osservò a lungo la Danzatrice con la pazienza che le avevano insegnato i lunghi anni di schiavitù su Loo. Altrettanto paziente era f'lTiri, il suo compagno. Rheba rimase un po' impressionata dal loro aspetto indecente. Sebbene eleganti nei movimenti, avevano entrambi un viso pallido capace però di trasformarsi in migliaia di forme diverse. Proprio come se le avessero letto nel pensiero, gli Illusionisti la fissarono rigidi, aspettando pazientemente... come tutti gli schiavi. «Fermatevi,» ordinò loro Rheba. «Voi non siete come loro. Ho capito che siete abbastanza matti da uccidere.» F'lTiri sorrise. Poi, molto lentamente, si trasformò. Davanti alla Danzatrice ora c'era un uomo di mezza età, magro, sciupato, e molto fiero. Accanto aveva una donna simile a lui, non più schiava. «Abbiamo capito,» disse f'lTiri, «che hai bisogno di noi. M/Dur è stato gentile ma molto severo.» Rheba borbottò qualcosa mentre soprappensiero si grattava le spalle, chiedendosi come intavolare un discorso tanto delicato. La cosa sarebbe stata più facile se avesse potuto parlare nel linguaggio Bre'n, ma gli Illusionisti non lo capivano. Usò quindi l'Universale, un linguaggio molto preciso e vicino al Senyasi. «Abbiamo bisogno di denaro per un navtrix,» disse bruscamente la ragazza. «Le persone che ho consultato mi hanno parlato di voi e mi hanno riferito che siete degli ottimi ladri. Posso fidarmi di voi?» I'sNara represse una risata. F''lTiri sembrava invece rassegnato ad accettare. Rheba attendeva una risposta. I due si parlarono nella loro linguamadre: Fssa li capì, ma fu tanto diplomatico da evitare traduzioni. «Di che tipo di ladri avete bisogno?», chiese f'lTiri dopo averci pensato un po' su. «Di ladri comuni,» rispose Rheba presa alla sprovvista. «Ci sono altri tipi di ladri?» F'lTiri le spiegò con molta pazienza. «Noi potremmo essere yimon...» «Ladri elettronici,» bisbigliò Fssa a Rheba. «Oppure s'ktimon...» «Spezza-braccia.» «Oppure mnkimon...» «Rapitori.»
«Aspetta,» gli ordinò avvilita la ragazza, domandandosi quale civiltà catalogasse così formalmente i ladri. «Kirtn ed io svolgeremo una piccola scena ad un angolo della strada. Quando si sarà formata una discreta folla, vi mescolerete ad essa e cercherete di rubare tutto il possibile, mentre la gente sarà impegnata ad osservarci.» «Ma allora servono dei borsaioli,» tagliò corto Fssa in Universale. «Liptimon», specificarono i due. Rheba borbottò qualcosa in Senyasi, ma Fssa non la tradusse. «Potremo fare quello che lei ci chiede?», disse i'sNara. L'aria tutt'intorno si oscurò per poi schiarirsi. Al suo posto c'era un bambino sudicio e spaventato. Era l'essenza stessa dell'innocenza. F'lTiri sorrise. «Che vecchio trucco! Ti riconoscerebbero all'istante. Nontondondo è sofisticato. Penso che solo qualcosa di strabiliante potrebbe attrarre l'attenzione dei suoi abitanti.» F'lTiri chiuse gli occhi e si concentrò su di lei. I'sNara era diventata una bella donna non molto appariscente. Sulle spalle portava un animaletto dal pelo soffice con una chiostra di denti appuntiti. La Danzatrice non aveva considerato il fatto che gli Illusionisti potessero proiettare le loro facoltà su altre persone. Ma quello che le fece più impressione fu il giudizio pungente di f''lTiri sul popolino di Nontondondo. Aveva proprio ragione lui; un bambino innocente sarebbe stata la prima persona ad essere sospettata. Nontondondo non credeva affatto nell'innocenza. «Con le vostre illusioni potete nascondere gioielli e piastrine OVA?» «Ma naturalmente!» Rheba provò quasi dispiacere per la gente in strada. Certamente questo non le fece cambiare idea. Chiunque arrivasse a Nontondondo sapeva quali fossero le sue regole. «Scartiamo i ladri-bambini,» concluse decisa. «Sì, è giusto che sia così.» Dalla voce di i'sNara trasparì chiaramente, che solo al pensiero, ne rimaneva scioccata. «Il furto è una professione dignitosa, che richiede giudizio ed abilità.» Rheba deglutì per poi concludere. «E allora farete questo per me?» «Ci darai le Licenze?»
«Posso darvi una Licenza di un giorno per tre ladri e un killer per proteggervi.» «Il killer sono io,» disse M/Dur. Nessuno si oppose, neanche M/Dere. «Chi sarà il terzo ladro?», chiese f'lTiri. «Io,» rispose una voce dietro la Danzatrice. La ragazza si voltò e incontrò i bellissimi occhi di Daemen. «Tu?», disse ad alta voce. «Tu non sei ancora abbastanza maturo: cosa succederebbe se ti lasciassimo girovagare da solo?» Daemen non poté far altro che sorridere. «Non sei veloce come un J/taal,» continuò calma Rheba, «né forte come un Bre'n o abile come un Illusionista.» Sempre col sorriso sulle labbra, Daemen le rispose: «Io sono fortunato. In qualunque angolo della galassia, è meglio essere fortunati che bravi.» Rheba si rivolse esasperata verso M/Dere. La ragazza si rimise all'esperienza della donna J/taal. «Cosa ne pensi?» Daemen aveva parlato in Universale, ma Fssa tradusse a beneficio degli J/taals. La J/taal lo guardò per un bel po': Daemen continuava a sorridere, completamente a suo agio. M/Dere si voltò verso la Danzatrice. «È sopravvissuto al Recinto di Loo?» «Sono sopravvissuto alla Fossa,» rispose lui tranquillo. Rheba rabbrividì. Vivere nel Recinto era abbastanza sgradevole, ma la Fossa era qualcosa d'indescrivibile. «È sopravvissuto alla Rivolta dell'Ultima Notte dell'Anno?» continuò M/Dere. «Sì,» rispose Rheba. Gli occhi ramati di M/Dere fissarono di nuovo il ragazzo. «Deve essere davvero fortunato se non è bravo.» Rheba le diede ragione. Mentre parlava, Rheba fu costretta a distogliere lo sguardo da Daemen per evitare che le sue Linee di Potenza Akhenet lo colpissero. «Tu sarai il nostro terzo ladro, Daemen. Ma ricorda: se ci creerai dei problemi, ti darò in pasto ai clepts!» «Sarà il miglior pasto che abbiano mai avuto,» rispose quello sorridendo.
Anche Rheba non poté fare a meno di sorridere. Sperò che le vittime di Daemen usassero gli stessi incantesimi, perché non nutriva molta fiducia nell'abilità e nel giudizio del ragazzo. Rheba istruì il computer a barattare i gioielli rubati su Loo con Licenze di Furto di Onan. Capitolo III Nontondondo era in fermento. Lì il sole non esisteva, c'era solo una cupola d'energia sotto forma di parole-richieste, lusinghe, e celebrazioni d'ogni peccato e piacere noti agli abitanti della Confederazione Yhelle. Il rumore assordante le fece dimenticare il dolore che aveva agli occhi, non abituati a percepire tanti colori e tante forme. Sarebbe dovuta rimanere abbagliata dalla città, ma ciò non avvenne. I suoi vaporosi capelli erano alla disperata ricerca delle correnti d'energia che davano vita alla città. Le Linee di Potenza Akhenet le bruciavano sotto la pelle e, pian piano, cominciarono a diramarsi lungo il volto, le spalle e la schiena, per poi scendere giù fino ai fianchi. La sua tunica grigia nascondeva alla vista la maggior parte delle Linee, ma Kirtn ne poteva ugualmente avvertire il calore. E la cosa lo turbò, perché aveva destato in lui un desiderio rimasto sopito per molti anni. Rheba era troppo giovane per accettarlo come amante, troppo giovane per spegnere le fiamme del suo cuore, troppo giovane per capire il pericolo di ciò che stava facendo. Kirtn era già arrivato una volta a quello stato di rez. Solo l'abilità di Rheba e di Fssa d'assorbire energia, aveva evitato che i due perissero tra le fiamme. Kirtn non poteva sperare di essere fortunato una seconda volta. Quindi giunse alla conclusione d'evitare di pensare a Rheba e alla passione che gli bruciava dentro. Era troppo presto: e la ragazza troppo giovane. Profondamente arrabbiato, si fece largo tra la folla e costrinse Rheba alquanto confusa, a raggiungerlo. Avrebbe potuto dirle che stavano facendo una cosa sbagliata, ma non lo fece. Ogni Senyasi deveva provare la passione che il Mentore Bre'n provava per la Danzatrice Senyasi. La maggior parte di loro aveva fatto questa scoperta in tempo, prima che un Bre'n giungesse allo stato di rez, uccidesse il suo protetto Senyasi, e morisse. La maggior parte, ma non tutti. Gli occhi dorati di Kirtn erano alla ricerca dell'angolo adatto dove svol-
gere l'azione. Ci voleva un posto facile da raggiungere, perché non si dovessero preoccupare anche degli eventuali ritardi di coloro che assistevano alla performance. Scartò tre possibili posti prima di trovare quello giusto. Per svolgere la loro azione non c'era bisogno d'altro. Le canzoni fischiate nel linguaggio Bre'n attraevano quasi tutti. Anche l'abilità di Rheba nel produrre fuoco caldo o freddo creava una generale meraviglia. Loro due insieme facevano un'insolita figura. Sperò ardentemente che con la loro rappresentazione riuscissero ad eccitare il gusto stanco degli habituès di Nontondondo. L'angolo prescelto da Kirtn era occupato da un folto gruppo di giocolieri non molto competenti. L'umanoide, osservandoli, si chiese a quale dei trentuno pianeti della Confederazione appartenessero. Più li guardava, meno credeva che ne facessero parte. Gli ricordavano alcuni umanoidi in cui si erano imbattuti durante la fuga da Deva; si trattava di civiltà capaci soltanto di parlare della luna più vicina al loro pianeta. Il loro pianeta era scomparso come una bolla di sapone nello spazio... «Kirtn, cosa c'è che non va?» La voce di Rheba lo distolse dai suoi pensieri. La disciplina d'autocontrollo Bre'n riuscì a mitigare un poco le sue emozioni... così come un pianeta immerso nel buio è tenuto in vita da linee invisibili d'energia. «Svolgeremo la nostra scena lì,» disse rivolto a M/Dur, il J/taal maschio che si era assicurato l'unica Licenza per Uccidere. La traduzione di Fssa fu immediata. Il mercenario J/taal scivolò tra la folla seguito da tre clepts. Gli J/taals e i loro cani da guerra erano ben noti a tutti coloro che facevano parte della Confederazione Yhelle. Intorno a loro si fece un silenzio assoluto. Kirtn non sapeva se i giocolieri conoscevano o meno il linguaggio dei J/taal. Apparso all'orizzonte, M/Dur fissò intensamente i giocolieri e poi la strada. I giocolieri si riunirono in un folto gruppo per fare fronte unico. Ma il silenzio improvviso della folla all'apparire dei clepts, li mise in guardia. Spaventati, i giocolieri evacuarono un po' alla volta la zona. Rheba fece un segno a Kirtn e l'umanoide ordinò agli Illusionisti di mescolarsi tra la folla. Quando la rappresentazione avrebbe attirato l'attenzione generale, invisibili com'erano, avrebbero potuto cominciare a derubare inosservati i presenti. Anche Daemen fu risucchiato dalla folla. «Sei pronta?», le chiese Kirtn. Per tutta risposta, Rheba cominciò ad assorbire energia libera dal cielo di
Nontondondo. Immediatamente, i suoi capelli cominciarono ad ondeggiare. Meno evidenti, dal momento che non si stava sforzando molto, risultarono le Linee di Potenza Akhenet sotto la sua pelle scura. L'energia assorbita le arrivò alla punta delle dita sotto forma di fiamme di luce colorata. Il fischio di Kirtn superò il frastuono della strada come di solito il sole prevale sul buio. Kirtn intonò una canzone molto semplice, una fiaba per bambini, ambientata su pianeti sconosciuti, che narrava di tesori nascosti, del Quinto Popolo e di un sentimento come l'amicizia. L'energia che Rheba emanava dalle dita venne assorbita dal Quinto Popolo, quella categoria di creature intelligenti che solo di rado la ragazza aveva avuto occasione di vedere. Sembrava proprio che il Quinto Popolo aspettasse l'apparizione dell'eroe-bambino della canzone. Alcune persone si fermarono a guardare la scene richiamate dal fischio Bre'n, e trattenute dalle languide figure create dalla Danzatrice. A mano a mano che la fiaba ricca di mostri, gioielli ed eroi continuava, molta più gente si fermò a guardare. Sfortunatamente erano poche le persone da derubare senza correre rischi. Per effettuare un furto degno di tale nome, bisognava contare su una discreta folla di persone. La canzone di Kirtn si trasformò in un movimento ritmato molto popolare prima che la situazione su Deva diventasse tanto disperata da far dimenticare al suo popolo come si cantasse. Con la loro azione congiunta, Rheba e Kirtn evocarono bufere e giornate assolate, curarono malattie, sollevarono travi e campi di forza; mentre svolgevano la loro performance, non smisero mai di ridere e cantare. Il ritmo trascinante della canzone attrasse sempre più gente nel luogo convenuto. Le Linee di Potenza Akhenet pulsavano sotto la pelle della ragazza per la crescente richiesta. Dalle sue mani scaturirono nuove forme d'energia, simili a gemme che poi si condensavano nelle ben note forme Bre'n e Senyasi. Era una lavoro duro per lei, molto più duro che scaldare la minestra o illuminare una sala buia. Non aveva mai manipolato l'energia libera in forme così diverse fino a quando non aveva giocato a Caos nel Buco Nero. Kirtn sentì i capelli della ragazza fremere e li avvicinò a sé. L'energia gli attraversò il corpo. Il desiderio divampò dentro di lui per poi morire all'istante, schiacciato dalla volontà Bre'n. Kirtn distolse lo sguardo dalla sua Danzatrice, pensando che la ragazza non avesse notato né la carezza, né la sua reazione. Il volto della ragazza era teso, calmo, concentrato solo nel creare immagini per la gente, adatte alle canzoni del suo compagno.
Anche Fssa, mimetizzato sotto i vaporosi capelli della ragazza, cantava insieme a Kirtn. Pian piano la canzone cambiò: la melodia restò identica, ma le parole cambiarono. La folla non ci fece caso, perché solo alcuni di loro capivano il Bre'n. Kirtn, comunque, capì che Fssa cercava di comunicare con loro senza peraltro sconvolgere la rappresentazione. Il Bre'n riuscì ad individuare con un'occhiata i sensori opalescenti di Fssa sotto la chioma di Rheba. «I'sNara è sul posto, e f'lTiri si sta lavorando la folla. Daemen si trova nei paraggi,» continuò il serpentello, fischiando all'unisono con Kirtn. Kirtn scrutò la folla, ma non vide alcun volto familiare. Non possedeva l'abilità dello Fssireeme nel distinguere le figure concrete. Il serpentello riusciva a distinguere tutto, tranne le lunghezze d'onda d'energia che includevano la luce visibile per quasi tutte le razze del Quarto Popolo. Fssa era il prodotto dell'ingegneria genetica di molti Cicli addietro, prima che Bre'n e Senyasi nascessero. Era un perfetto traduttore e predatore, sebbene quest'ultima sua abilità non fosse stata prevista dagli uomini che avevano rimescolato i geni della sua specie. «Daemen ha appena sfiorato I'sNara. Penso che le abbia dato qualcosa. Sì è meravigliosa: è una collana che cambia continuamente forma!» Kirtn cantava e fissava il punto dove erano diretti i sensori del serpente. Quello che riuscì a vedere il Bre'n fu sono una donna molto ricca che assisteva all'Azione. Guardò meglio e si rese conto che la donna assomigliava molto a I'sNara, trasformata da f'lTiri. Nessuno dei gioielli della donna poteva uguagliare la descrizione di Fssa di ciò su cui Deamen aveva messo le mani. Solo allora Kirtn si ricordò che le illusioni Yhelle si limitavano alla lunghezza d'onda dell'energia visibile. Fssa riusciva a vedere in modi diversi, ma questo suo potere non dipendeva da alcuna illusione. La canzone finì. Kirtn e Rheba s'inchinarono per ringraziare mentre lei incitava la folla a lanciare denaro ai due attori. Monete di vari pianeti risuonarono ai loro piedi. Mentre Kirtn raccoglieva il denaro, Fssa riassunse il suo monologo in Bre'n. Il suo fischio accompagnò la torma di gente che si allontanava. «Da quello che ho potuto sentire, la rappresentazione è bella, ma non molto eccitante,» fischiò loro il serpente. «Anche f''lTiri sta avendo dei problemi per svignarsela di nascosto, e lui è invisibile. Voi avete bisogno di qualcosa che costringa la gente a mettere mano alla tasca.» Kirtn sorrise di cuore.
«L'unica cosa interessante per loro potrebbe essere una danza di kazaflatch intitolata: "Come abbiamo sistemato il nostro manager teatrale morto?"» Fssa emise un suono sibilante. La morte di Dapsl su Loo non gli era dispiaciuta granché. «Era giusto,» fischiò un po' acido lo Fssireeme. «Era un lavoratore.» Rheba accarezzò dolcemente il braccio di Kirtn. La convinzione dei Loos che tutti i Pelosi non erano altro che animali, l'infastidiva molto. Non era necessario che Fssa e Kirtn udissero il fischio d'indignazione della Danzatrice per capire quali erano i suoi sentimenti. «Dapsl era giusto,» fischiò con una nota d'ironia Kirtn. «Ci ha salvato la vita sottolineando i pregiudizi di Loo.» «Ti riferisci agli accoppiamenti in pubblico?», gli domandò la ragazza. Poi cominciò a modulare un complicato intreccio amoroso tra tredici cherfs. Kirtn sorrise. «Non ho niente di complicato che mi frulla per la testa. Solo una semplice canzone d'amore... Va bene la Canzone dell'Autunno?» «Non ho alcuna intenzione di sciuparla per questi maiali,» borbottò in Senyasi. «Cosa provano è un problema loro,» le rispose Kirtn. «Il nostro problema è quello di trovare il denaro sufficiente per comprare un navtrix.» «Ma penseranno che sia sodomia!» Kirtn le sollevò il mento per vederla bene negli occhi. L'oro scintillante nei suoi occhi profondi. «Per te è sodomia, piccola Danzatrice del Fuoco?» La domanda di Kirtn modulata in Senyasi la ferì come un coltello. La rabbia e al tempo stesso la passione, si propagarono nel suo corpo. Le fiammate che emetteva, costrinsero la gente ad indietreggiare. Era troppo adirata per parlare, anelava solo ad incenerire tutto quello che aveva a tiro, cosa questa, che non accadeva più dal tempo in cui era una bambina indisciplinata. Le sue braccia strinsero il collo di Kirtn con una forza superiore a quella dello stesso Bre'n. Ebbe un istante per rifiutare la provocazione della ragazza, poi però lei gli si avvicinò e lo baciò con tanta passione che l'umanoide dimenticò completamente la folla, il navtrix, e — forse addirittura — la disciplina d'autocontrollo Bre'n. Le fiamme sprigionate dal corpo avevano creato una sorta d'arabesco do-
rato intorno ai due; le linee di fuoco dell'arabesco pulsavano, come normalmente le accadeva alla apparizione di nuove Linee di Potenza Akhenet. Rheba non si rese conto d'aver creato quella gabbia d'energia; il suo corpo era un riflusso incondizionato, una cosa naturale per una Danzatrice del Fuoco come il respirare. Kirtn, comunque, capì perfettamente quello che stava accadendo. Era naturale che la passione di una Danzatrice adulta aumentasse sempre più fino a creare una gabbia d'energia intorno ai due amanti, una gabbia mortale per tutti tranne che per il Bre'n e la Senyasi. Molte cose lui le aveva apprese su Deva. Quello che non sapeva, era cosa si provasse a stare in una gabbia incandescente, con la sua Danzatrice, in un mondo di fuoco. Ma neppure Rheba lo sapeva. Solo un possente Bre'n poteva sopravvivere alla travolgente passione di una Danzatrice Senyasi: solo un Bre'n poteva provocare una passione del genere. Rheba, invece, non sapeva molto in proposito. Doveva scoprirlo da sola. Parlargliene avrebbe significato negare la Scelta della Danzatrice, il momento in cui la Danzatrice Senyasi sceglie un Bre'n: solo una volta durante l'infanzia. Se non ci fosse stata questa scelta, la relazione tra Bre'n e Senyasi sarebbe potuta diventare pericolosa per entrambi. Kirtn riconobbe da lontano le dolci note della Canzone dell'Autunno. Malinconia e racconti, venti freddi e passioni amorose, gioia e morte cantate amabilmente dall'immortale Fssireeme. Kirtn capì che sarebbe stato meglio staccarsi dalla ragazza. Nessuna Danzatrice avrebbe potuto mai fare un'onesta scelta nella stretta sensuale, forte e al tempo stesso gentile, di un possente corpo Bre'n. Sapeva che avrebbe dovuto liberarla... ma non lo fece quando la sentì tremare incontrollatamente contro il proprio corpo. Il suo abbraccio da passionale diventò affettuoso. Era imbarazzato nel vedere come pulsavano le linee d'energia che formavano la gabbia. Col pensiero maledì la sensualità Bre'n che aveva tradito la fiducia della ragazza nei suoi confronti, forzandola ad una scelta che lei — così giovane — non poteva ancora fare. Rheba tremò tutta e lo guardò spaventata. Non aveva una madre Senyasi né delle sorelle che la potessero preparare alla passione della Danzatrice. Ricordava solo come alcuni ragazzi Senyasi un po' più grandi di lei ridessero per il piacere sotto la luna. Non era quindi preparata a valutare i sentimenti che provava in quel momento. Rheba abbassò la testa, e i suoi capelli crepitanti d'energia sfiorarono il
volto e le spalle di Kirtn. Il suo sorriso ferì il Bre'n. «Non mi curo molto di ciò che pensano gli altri,» gli fischiò dolcemente Rheba. «Tu lo sai: a me piace molto di più dividere gli enzimi con te,» aggiunse maliziosa. Kirtn fece una smorfia al ricordo della loro schiavitù su Loo. Quando i Loo avrebbero dovuto separare i due, l'umanoide li aveva ingannati dicendo che, vivendo in simbiosi, sarebbero morti se non avessero potuto scambiarsi gli enzimi, baciandosi. «Te lo ricordi?», le borbottò. «Un giorno o l'altro te lo farò ricordare io,» aggiunse sfiorandole le labbra con un bacio. «Non c'è niente di male, non è vero?», domandò la ragazza senza guardarlo in faccia, perché era imbarazzata dalla sua stessa domanda. Purtroppo lei non aveva altri a cui chiedere queste cose, e non c'era nessuno a consigliarla su quale potesse essere il comportamento più giusto tra una Senyasi e il suo Bre'n. Kirtn accarezzò i suoi capelli vaporosi e le sollevò il mento in modo che la ragazza non potesse eludere il suo sguardo. «Niente di ciò che potrai mai fare col tuo Bre'n sarà sbagliato. Niente.» Kirtn la sentì che si rilassava tra le sue braccia. Anche la malizia scomparve dai suoi occhi. In punta di piedi, la ragazza cominciò a giocherellare con il suo orecchio. Per una ragazza come lei, quello era l'unico modo per avvicinarsi al suo Mentore Bre'n. Con sommo dispiacere di Kirtn, il loro rapporto sembrava non poter andare oltre. «Niente?», gli chiese dolcemente. Le afferrò le mani e le disse: «Quasi niente. Giocherellare col mio orecchio e decisamente una birichinata.» La parola birichinata la fece sorridere. Si appoggiò a Kirtn. «Sono felice che tu abbia scelto me, Mentore Bre'n.» Un giorno forse sarai tu a scegliere me, pensò tra sé Kirtn ma poi, dal suo scatto improvviso, capì che gli aveva letto nel pensiero. Maledì l'inconveniente di esserle tanto vicino da farle capire anche il più piccolo pensiero, e tanto distante da non poterle parlare della sua Scelta come Danzatrice. L'arabesco dorato si oscurò per poi scomparire. I due furono investiti da una pioggia di monete e ciò li fece tornare di nuovo sulla terra. Nel silenzio generale udì il fischio di Fssa. «Che meraviglia!», sibilò Fssa, raggiante per l'energia assorbita dai ca-
pelli di Rheba. «Dovresti farlo più spesso: quanta energia!» Diventò sempre più grosso e si pentì di non essersi accartocciato per conservare il calore e l'energia assorbita da Rheba. Quando si accorse di essere stato notato, ritornò quello di sempre. «Gli umanoidi,» fischiò acido, «potranno avere le gambe, ma di sicuro non hanno molto buon senso. Me la godrò io tutta questa energia, anche se voi non lo farete.» «Ti prego serpente, sta zitto,» gli disse Kirtn. Fssa si era già oscurato prima che Kirtn si arrabbiasse. «Per tutte le fiamme,» disse Kirtn vedendo il suo amico passare dalla luce alle tenebre. «Sei meraviglioso, serpente,» lo adulò. «Hai però troppe bocche per competere col tuo cervello.» Rheba trattenne una risata e cominciò a raccogliere il denaro per terra. Ci sarebbero volute più di due mani per raccoglierlo tutto. Kirtn si curvò per aiutarla, ma anche così non riuscirono a prenderlo tutto. L'umanoide allontanò Fssa dai capelli di Rheba. «Forse ho già pensato a come potresti utilizzare una delle tue tante bocche. Aprila.» Fssa emise un fischio di sdegno ma poi ubbidii. Riordinò le sue molecole fino a far comparire un'apertura sotto i sensori che aveva in testa. Si chiamava testa solo per una questione di convenienza, e per assimilarlo al Quarto Popolo presso il quale viveva, dato che gli Fssirreme erano formati di sostanze plastiche. Una pioggia di monete cadde su Fssa. Questi ordinò le monete a seconda della misura, e creò un tipo di tasche per raccoglierle. Mentre si muoveva, da lui si levò una strana musica. Rheba represse una nuova risatina, ma Fssa l'ignorò. Quando ebbero terminato di raccogliere monete, Fssa si sentì abbastanza pesante. Kirtn vide qualcuno guardare con avidità il serpentello diventato così ricco. La somma di denaro raccolta però non era granché — probabilmente erano poche migliaia di crediti — ma per qualche abitante di Nontondondo, poche migliaia di crediti erano sufficienti anche per uccidere. Kirtn fece un sorriso un po' forzato in direzione degli uomini che fissavano Fssa. Il suo sorriso rivelò dei denti molto aguzzi e ovviamente le brutte intenzioni. Spaventati, in un attimo quegli uomini scomparvero tra la folla. Fssa creò un'altra apertura e sibilò contento. «Avresti dovuto lasciarli a me.»
«Ma tu non sei autorizzato ad uccidere.» «Se è per questo, non appartengo neanche al Quarto Popolo. Le regole di Onan non mi riguardano.» Kirtn interrogò dubbioso Rheba. Del sistema di Licenze Onan, la ragazza ne sapeva molto più di lui. «Quello che dici corrisponde al vero,» convenne Rheba, «ma a me non piace dare questo genere di spiegazioni ai Sorveglianti della Confederazione. Non penso che la cosa funzionerebbe. Il sistema di Licenza Onan è molto efficiente e vantaggioso. Quando hai fatto un buon gioco, non permetti che una straniera, all'apparenza saggia, faccia saltare il banco.» Fssa emise un rumore flebile. Le monete tintinnarono. Voltò la testa, e ì suoi sensori si illuminarono. Un urlo minaccioso salì dalla folla. Rheba afferrò solo la parola Peloso e qualcosa di meno piacevole. «Ci sono dei problemi,» fischiò Fssa. La folla si dissolse, spaventata dal misterioso senso di pericolo innato del Quarto Popolo. Ora, al posto della folla, c'erano dodici uomini incappucciati: nove di loro erano autorizzati ad uccìdere, tre invece portavano dei semicerchi spezzati in tre punti, erano cioè autorizzati a tutto tranne che ad uccìdere. All'improvviso, M/Dur e tre clepts ringhiosi si collocarono tra gl'incappucciati e Rheba. La Licenza d'Uccidere brillava sulla fronte del J/taal. Gli incappucciati si fermarono quando si accorsero del suo cerchio d'argento e della sua determinazione. Borbottarono qualcosa tra loro, poi si sparpagliarono intorno a Rheba e Kirtn. «Serpente,» fischiò Rheba con insistenza, «riferisci a M/Dur che io li condurrò tutti a casa. L'unica cosa che lui può fare per noi è farci uscire al più presto di qua.» Fssa tradusse le istruzioni della J/taaleri in una raffica di suoni gutturali. M/Dur l'ascoltò, e di conseguenza ordinò ai clepts di dirigersi verso gli uomini dai cerchi d'argento. I minacciosi cani da guerra scivolarono silenziosi verso le loro prede. I Sorveglianti della Confederazione li circondarono. Rheba alzò gli occhi verso di loro speranzosa e rassicurata, ma si rese subito conto che i Sorveglianti erano li non per evitare spargimenti di sangue, ma solo per controllare la situazione. Lei non avrebbe potuto usare la sua abilità di Danzatrice del Fuoco né la forza di Kirtn per aiutare M/Dur. Erano autorizzati a recitare, non a combattere. Uno degli incappucciati individuò i Sorveglianti. Fssa le sibilò in un o-
recchio la traduzione del volgare linguaggio di Nontondondo. «Sorveglianti: questi animali hanno una licenza?», chiese l'incappucciato, indicando i clepts. Prima che i Sorveglianti potessero rispondergli, Fssa gridò: «L'uomo è un J/taal. I clepts sono le sue armi.» «Sei un serpente molto intelligente,» gli mormorò Rheba mentre Fssa faceva la traduzione. «Funzionerà?» I Sorveglianti borbottarono tra di loro e scrollarono le spalle. Uno di loro replicò: «Lui è J/taal. I clepts sono le sue armi. La sua licenza per Uccidere è valida e chiaramente dimostrabile.» Il Sorvegliante era molto seccato. Gli incappucciati ebbero un attimo d'esitazione, poi tirarono fuori le armi. Le unghia di Rheba si conficcarono nel braccio di Kirtn. Cominciò ad assorbire energia, sebbene non fosse autorizzata a farlo. Sapeva che, se avesse infranto le regole di Onan, non sarebbe potuta andare in nessun altro posto. Il suo navtrix poteva solo ricondurla a Loo, un pianeta di schiavi, oppure a Deva, un pianeta morto, orbitante intorno ad una stella instabile. Non poteva permettersi d'infrangere la legge per aiutare M/Dur, ma non poteva neppure rimanere a vederlo morire, perché lei, la sua J/taaleri, era troppo povera per comprargli delle armi. I suoi capelli vaporosi fremettero all'eco sibilante dell'andatura dei clepts. Le Linee di Potenza Akhenet le bruciavano la pelle, aspettando solo il suo via per incenerirli tutti. Capitolo IV All'improvviso, un'altra J/taal si unì agli incappucciati. Era M/Dere. Sulla sua fronte brillava, simile a un diamante, il cerchio pieno. Sorpresi di vedere un nemico nelle loro file, gli incappucciati aprirono il fuoco senza pensarci su molto. Sottilissimi raggi di luce raggiunsero la donna J/taals... ma lei non cadde. Gli uomini che la circondarono cominciavano ad urlare, colpiti dal fuoco degli incappucciati. La J/taal scomparve immediatamente lasciandosi dietro due morti, qualche ferito e il caos generale. I clepts ed i J/taal attaccarono proprio nell'istante in cui gli incappucciati distoglievano lo sguardo da M/Dur. Quando M/Dur fu colpito, nessuno gridò, nessuno rimase coinvolto. Tutto successe talmente in fretta, che nes-
suno riuscì a capire cosa era accaduto. Nel giro di pochi secondi, M/Dur cominciò a barcollare, ferito al fianco sinistro. Kirtn emise un'imprecazione di un poeta Bre'n, poi balzò in avanti per trascinare via il J/taal ferito. Rheba, memore della tradizione J/taal di suicidarsi in caso di ferite gravi, piuttosto che essere di peso alla loro J/taaleri, urlò a Fssa: «Digli di vivere! Se lui muore davanti ai miei occhi, giuro che non permetterò a nessuno di cremare il suo cadavere!» Non esisteva cosa peggiore per un J/taal che pensare di non essere cremato, una volta giunta la sua ora. M/Dur la scrutò con occhi pieni di sofferenza facendo un debole gesto d'assenso. Rheba si voltò indietro, chiedendosi che i Sorveglianti della Confederazione le avrebbero creato dei problemi. Questi fissavano ancora M/Dur sbalorditi per la sua velocità e resistenza. Queste erano le cose per cui gli J/taal andavano famosi. Ma vedere con i propri occhi un mercenario in azione, era sempre stupefacente. «Sei soddisfatto ora, Sorvegliante?», disse Rheba. «O devo ancora far combattere il mio J/taal?» «Animale,» le gridò uno. Sebbene M/Dur avesse la pelle liscia, tutti sapevano che le donne J/taal erano pelose. Onan permetteva gli accoppiamenti tra pelosi e lisci, ma quelli che erano coinvolti in cose del genere, dovevano pagare delle tasse molto salate. Solo una Licenza per Uccidere costava di più. Rheba rimase in attesa con la speranza che i Sorveglianti volessero attenersi alle loro leggi. Con sua somma meraviglia, i Sorveglianti, senza proferir parola, cominciarono ad indietreggiare tenendo sempre d'occhio la strada per paura della donna J/taal, scomparsa tanto misteriosamente. Anche Rheba istintivamente guardò la strada, sebbene sapesse che M/Dere non avrebbe mai lasciato l'astronave contro il volere della sua J/taaleri. Daemen saltellava avanti e indietro con la giacca increspata che gli fasciava l'esile corpo. Una parte di lei si aspettava di vedere comparire M/Dere dietro Daemen, ma in realtà apparvero solo gli Illusionisti Yhelle. Aspettò che si avvicinassero per poter parlare con loro liberamente senza tema d'essere ascoltati. «Siete stati voi?», chiese loro, indicando col dito il punto dove era apparsa M/Dere, o quella che poteva essere la sua illusione ottica.
F'lTiri sorrise esausto. «Una persona in carne ed ossa sarebbe morta di sicuro tra quelle fiamme. Io ho semplicemente proiettato l'illusione ottica di M/Dere per distrarre gli incappucciati e dare il tempo necessario a M/Dur di fuggire. Siamo stati fortunati, Danzatrice del Fuoco. Non conoscono gli Illusionisti. Non si sono accorti che non c'era nessuno, ed hanno sparato contro i loro compagni, piuttosto che contro i loro nemici.» «Fortunati,» ripeté Rheba, con gli occhi fissi sul sorriso smagliante di Daemen. Il corpo della ragazza fu percorso da un fremito. «Ci sono due tipi di fortuna. Spero ardentemente di lasciare Onan prima che la cattiva sorte ci trovi e ci perseguiti.» Daemen a quel punto si fece serio e cominciò a camminare nervosamente avanti ed indietro. «Non devi neanche pensarle cose del genere.» Il giovane si portò le mani al viso come se avesse voluto evitare di ascoltare quello che stava dicendo la Danzatrice. «Se la nomini soltanto, la cattiva sorte ti troverà, ed un giorno sicuramente te ne pentirai.» Rheba fissò lo sguardo sui quegli occhi grigi molto vicini ai suoi. Inconsciamente fece un passo indietro, urtando contro Kirtn. La vista di tanti cadaveri, l'aspetto alquanto strano di Daemen, e l'illusione Yhelle, l'avevano frastornata. Si sentiva confusa. «Mi dispiace,» mormorò a Kirtn per scusarsi d'averlo urtato. «Anche se ho visto tante persone morire, la cosa ancora... mi disturba.» L'umanoide l'aiutò dolcemente a tirarsi su in piedi. «Torniamo all'astronave,» le disse. «Hai bisogno di riposare prima che possa di nuovo lavorare col fuoco ed incenerire tutto.» «Ma noi abbiamo la Licenza solo per oggi.» Kirtn scrollò le possenti spalle. «Senza un killer autorizzato, siamo indifesi, non possiamo agire.» Rheba guardò lo J/taal ferito che si appoggiava a Kirtn. Il corpo compatto di M/Dur era coperto di sangue, ma alcune delle sue ferite cominciavano già a cicatrizzarsi quando lei fissò lo sguardo su di lui. Era un dono che avevano gli J/taal, quello di veder risanare le loro ferite in breve tempo, e questo era dovuto tanto ad una pura questione genetica quanto ad una questione di pratica. «Non ti potrò essere d'aiuto per due giorni,» disse a bassa voce M/Dur. «Sarebbe meglio che mi lasciassi morire.» «Io apprezzo i miei J/taal.»
In risposta, M/Dur agitò la testa in modo fiero e al tempo stesso sottomesso. «Io sono tuo, sono a tua disposizione per uccidere o per difendere, mia J/taaleri.» «Ricorda bene quello che sto per dirti;» gli ordinò la Danzatrice. «Nessuno di voi deve morire senza la mia personale autorizzazione.» Quello che poteva vagamente assomigliare ad un sorriso, scomparve dal volto di M/Dur. «Tu sei una donna molto forte, Danzatrice. Noi siamo veramente orgogliosi di essere i tuoi J/taal.» «Voi non siete miei.» Questa volta M/Dur sorrise sul serio e non aggiuse altro. Quella era una questione molto vecchia, su cui non erano mai andati d'accordo. Rheba emise un suono esasperato, intraducibile, e si voltò in direzione di Kirtn. «Accompagna quel testardo di J/taal all'astronave.» Quando Kirtn s'avvicinò allo J/taal per sostenerlo, i clepts abbaiarono minacciosamente. Indietreggiarono solo ad un gesto del loro J/taal. I cani da guerra si schierarono a mo' di scudo protettivo e cominciarono ad aprire loro la strada tra la folla per raggiungere lo spazioporto. Una volta raggiunto il Devalon, gli Illusionisti tirarono un sospiro di sollievo e lasciarono scomparire la loro ultima illusione. Kirtn, resosi conto solo allora del cospicuo bottino che si portavano dietro, emise un lungo fischio di approvazione. I'sNara sorrise e cominciò a sfilare dalle collane le pietre preziose, e dai portamonete le tavolette magnetiche OVA. «Mi sarebbe piaciuto prendere solo crediti, ma penso proprio che la cosa più preziosa l'abbia rubata Daemen.» «Anch'io lo penso,» ammise F'lTiri, tirando fuori dalle tasche un mucchietto di pietre preziose e di tavolette. «Quell'individuo ha davvero qualcosa di magico. Quattro volte sono stato sicuro che finisse per essere acciuffato, ma ogni volta la sua vittima, proprio al momento giusto, o ha tossito, o è inciampata, o ha emesso dei suoni sibilanti, o ha starnutito. Ancora non riesco a credere ai miei occhi. Io sarei molto più abile a rubare col mio piede destro che lui con quattro mani... eppure lui riesce sempre a farla franca!» Daemen abbozzò un sorriso. «Ve l'ho sempre detto, ma voi non avete mai voluto ascoltarmi. È meglio essere fortunati che capaci.»
Kirtn affidò M/Dur ai suoi compagni J/taal e rivolse il suo sguardo verso Daemen. «Tu pretendi troppo dalla tua fortuna.» «No,» gli rispose. Il suo volto si fece serio e pensieroso. «È lei che mi consiglia la via da seguire.» Daemen vuotò le sue tasche interne nelle mani di Kirtn. Tra le altre cose tirò fuori un pettine con un motivo di trecce di metallo prezioso, tempestato di gemme intagliate in una maniera molto originale. «Questo è un oggetto particolarmente prezioso,» disse consegnandolo a Kirtn con ovvia riluttanza. «È...» Fssa, che stava esaminando il bottino con i suoi sensori opalescenti, interruppe la loro conversazione emettendo un suono molto acuto. «Fammelo vedere!», gli ordinò nell'idioma del Quarto Popolo, anche se non era dotato dei suoi organi della vista. Kirtn avvicinò il pettine allo Fssireeme. «È questo?» Per tutta risposta, Fssa cambiò forma per cercare di analizzare meglio il pettine con le sue numerose lunghezze d'onda. Muovendosi, le monete che aveva indosso tintinnarono. Con un grugnito di disgusto e disappunto, Fssa aprì una lunga fessura dove le ripose. Mentre Daemen e gli Illusionisti lo guardavano affascinati, lo Fssireeme completò la sua rapida e magnifica trasformazione per esaminare il pettine con tutti i mezzi a sua disposizione. Ora, a trasformazione avvenuta, aveva assunto l'aspetto di uno strano fungo scaglioso. Questa era la trasformazione che usava di solito per comunicare con Arcobaleno, lo Zaarain che assomigliava ad una esplosione di cristalli multicolori. Rheba si ricordò di questa sua trasformazione e fece qualche passo indietro. Arcobaleno non era altro che i frammenti preziosi di una biblioteca vecchia di milioni di anni. A differenza di un vero e proprio esponente del Primo Popolo, Arcobaleno era un cristallo vivente concepito indipendentemente dagli usuali imperativi litici. Arcobaleno era stato creato dagli uomini, e per questo era ancora... diverso dai cristalli veri e propri. Fssa aveva sempre insistito nel dire che Arcobaleno era qualcosa di più di una macchina. Arcobaleno ricordava vagamente gli esseri creati dal leggendario genio tecnologico del Ciclo Zaarain. Vi assomigliava moltissimo e spesso si lamentava di essere stato ridotto in frammenti. Per di più era come terrificato dalla paura di essere ulteriormente frantumato per mano dell'uomo o per circostanze a lui negative. Fu proprio quell'espressione di terrore di Arcobaleno a far capire a Fssa
che quello che sembrava la matrice di un minerale, in realtà era un essere vivente. Ebbene sì, un essere animato, un essere senziente. Quando Fssa parlò della natura di Arcobaleno a Rheba, lei lo aveva liberato dalle grinfie di alcuni schiavi bambini. Una volta liberato, Arcobaleno si rivelò in tutta la sua magnificenza: una massa scintillante di cristalli dei vari colori dell'arcobaleno appunto. C'era solo un piccolo problema: Arcobaleno si sentiva disperatamente solo ma, quando Fssa comunicava con lui, lo scambio d'energia risultante provocava un massacrante mal di testa a Rheba. Proprio per questo lei, ora, stava osservando lo Fssireeme dall'insolita forma a fungo scaglioso, ben consapevole di quello che le avrebbe procurato la loro conversazione. Kirtn le si avvicinò per abbracciarla, anche se il suo gesto protettivo fu tanto inutile quanto rapido. Anche al Bre'n la comunicazione FssireemeZaarain provocava un terribile mal di testa, ma il suo dolore era sempre poca cosa in confronto a quello che doveva soffrire Rheba per colpa di quei due. Rheba si lamentava mordendosi le labbra. Anche Kirtn cominciò a sentire il dolore martellargli il cranio. Rheba si strinse contro di lui continuando a gemere. Kirtn, allora, lanciò delle tremende imprecazioni a Fssa rimproverandolo per quello che stava combinando. Le imprecazioni del Bre'n non preoccuparono lo Fssireeme più di tanto, ma servirono solo a fargli perdere l'equilibrio. Fssa si ritrasformò in un serpente, un serpentello molto scuro ed imbarazzato. Aveva promesso di non parlare più con Arcobaleno quando Rheba si fosse trovata nei paraggi. Lui non gli aveva propriamente parlato, ma il risultato era stato lo stesso: un lancinante mal di testa alla Danzatrice del Fuoco, la sua benefattrice che l'aveva liberato dalla schiavitù. Lo Fssireeme, mortificato, fischiò una tremolante scusa Bre'n. Rheba sospirò, si massaggiò le tempie e fischiò qualcosa che voleva assomigliare ad un perdono fuori chiave. «Fa parte di Arcobaleno questo pettine?», chiese Kirtn con voce dura. «Penso proprio di sì,» rispose Fssa, ponendosi il problema di creare degli organi per parlare in Senyasi. Poiché, per fischiare, c'era bisogno solo di un orifizio flessibile, il serpentello di solito comunicava nel linguaggio fischiato Bre'n per comodità. Ma in quel momento Fssa voleva scusarsi per il suo tremendo errore, e quindi pensò che sarebbe stato meglio usufruire del preciso linguaggio Senyasi. «Probabilmente la dodicesima parte delle gemme incastonate verdi, e una buona parte di quelle gialle e blu, una vol-
ta facevano parte di Arcobaleno. Non sono però in grado di esaminare i cristalli bianchi, trasparenti,» aggiunse Fssa, «ma forse hanno un zigr di...» «Va bene, ho capito,» fischiò acido Kirtn. «Noi non venderemo alcun cristallo fino a quando Arcobaleno non avrà avuto la possibilità di controllarli tutti.» Fssa fu tentato di sottolineare il fatto che Arcobaleno non era dotato di occhi per vedere, ma pensò che forse quello non era il momento opportuno per crearsi dei problemi con un Bre'n arrabbiato. Rheba guardò il bottino quasi disgustata, chiedendosi se esso celasse qualche altro pezzettino di Arcobaleno: un peso morto, un altro peso inutile sulle sue spalle, da quando si era deciso di comprare un navtrix. In alcune occasioni la Danzatrice avrebbe voluto sbarazzarsene e, talune volte si era pentita di non aver lasciato Arcobaleno al suo destino nel recinto degli schiavi sul pianeta Loo. «Dubito che ci siano altri pezzi di Arcobaleno,» disse Kirtn indovinando i pensieri di Rheba. «Con l'intera galassia da visitare, siamo stati incredibilmente fortunati a trovarne qui qualche pezzo.» La parola «fortuna» lo fece esitare. «Forse,» tagliò corto Rheba. «Ma potrebbe anche darsi che Arcobaleno un tempo sia stato grande come un pianeta, e quindi potrebbe anche verificarsi che noi inciamperemo in qualche suo pezzo ogniqualvolta cambieremo zona o ci sposteremo su un altro pianeta.» Kirtn guardò Daemen. Questi stava in piedi, rigido e silenzioso, con i suoi meravigliosi occhi grigi fissi sul pettine, e sembrava particolarmente interessato ad esso. «Mettiamo il resto di questo rottame sulla piastra sensoria e vediamo quanto lo valuterà il computer di Onan,» disse Kirtn col pettine in mano. Trascorsero diversi minuti prima che il computer pesasse, scegliesse, descrivesse e trasmettesse le informazioni dalla sua piastra sensoria al computer dell'astroporto di Onan. Ci volle più o meno lo stesso tempo perché il computer del Devalon replicasse con un numero di valutazione equivalente a 37.899.652.753 crediti, numero soggetto poi a un attento esame da parte del computer di Onan. Tutti coloro che si trovavano lì intorno alla sala, trattennero il respiro alla vista del numero che volteggiava sullo schermo posto dietro la testa di Rheba. La Danzatrice chiuse gli occhi e poi li riaprì per guardare meglio, come se avesse avuto paura che il numero avrebbe potuto scomparire o ridursi.
Ma questa possibilità non si verificò. Rheba si schiarì la gola e guardò Kirtn, stupito quanto lei del numero apparso sullo schermo del computer. Solo gli Illusionisti non sembravano affatto sorpresi della cosa. «Te lo avevo detto,» disse flTiri rivolgendosi all'Illusionista vicina a lui, «che quella collana di pietre preziose era un autentico Mbeemblini. Da solo deva valere intorno ai diciotto milioni di crediti. Chi è quel pazzo che portava una cosa del genere in una città come Nontondondo?» «Uno sfortunato figlio di un cane a cinque gambe,» mormorò i'sNara con una soddisfazione insolita per lei. «Possa la sua moglie destrorsa concepire un figlio mancino!» Fssa all'improvviso s'oscurò. L'imprecazione Yhelle era oscena ed immorale per la sua cultura. La Danzatrice del Fuoco fissò la donna Yhelle ma non le rivolse la parola. Rheba aveva già abbastanza problemi con la torma vendicativa degli ex-schiavi; non aveva bisogno di frugare nel loro passato individuale per andare a cercare altri guai. Le sue mani si staccarono dalla piastra sensoria. Nel suo campo energetico, le Linee di Potenza Akhenet cominciarono a diventare sempre più evidenti. La piastra s'infiammò, accettando la sua identità, ma poi si schiarì per poter obbedire agli ordini della Danzatrice. «Chiedi al computer dell'astroporto se conosce qualcuno a Nontondondo che abbia un navtrix aggiornato da vendere,» disse Rheba, «e quanto denaro voglia.» Ci fu un attimo di pausa, poi la piastra fu presa della convulsioni. Dopo un secondo si schiarì di nuovo e comparve il volto di una donna che li fissava dal soffitto del Devalon. Rheba si raggelò, poi le sue Linee Akhenet cominciarono a bruciarle sotto la pelle, non appena riconobbe quel volto di donna. La donna era uno dei pochi individui su Onan che poteva ricordare la Danzatrice del Fuoco in azione nel Buco Nero. L'immagine della donna diventò all'improvviso un ologramma che volteggiava sul soffitto. Occhi molto scuri, fisico longilineo e splendente, la donna cercava di riconoscere qualcuno tra quella folla di persone e finalmente si accorse di Rheba: le si disegnò un largo sorriso sul volto alla vista della Danzatrice. Il suo sorriso rivelò dei magnifici denti luccicanti quanto il cerchio chiuso che portava tra i capelli color ebano. «Ciao, Rheba. Guarda un po' chi si rivede! Lo sai che ci sono moltissime persone che desidererebbero avere di nuovo il piacere d'incontrarti?» «Ciao, Satin,» rispose la Danzatrice con aria apparentemente tranquilla.
Ma, per maggior sicurezza, si avvicinò a Kirtn facendolo partecipe dei suoi ossessionanti pensieri: sapevo che la sfortuna avrebbe finito per trovarci, ma non avrei mai immaginato che si chiamasse Satin. Capitolo V Gli occhi di Satin continuarono a passare in rassegna gli esponenti delle varie razze che affollavano la Sala Comando. Né gli Illusionisti, né Daemen, ma neanche i tre uomini dietro di lui, la interessavano molto. I suoi occhi profondi erano due fessure scurissime. «Ma certo. Avrei dovuto immaginarlo.» «Cosa vuoi da noi?», chiese Kirtn con voce calma ma fredda. «Semplice curiosità. Una mia debolezza,» gli rispose Satin, rivolgendo di nuovo lo sguardo in direzione della Danzatrice. «Quando vengo a sapere che ci sono dei nuovi ladri autorizzati tanto fortunati, cerco sempre di conoscere i loro nomi. E quando poi questi stessi ladri vogliono comprare un navtrix, allora ecco che dentro di me comincia a suonare un piccolo campanello d'allarme. Io possiedo gli unici navtrix disponibili su Onan: capisci cosa intendo dire?» Rheba borbottò un'imprecazione Bre'n. «Non vedo Mercante Jal,» disse Satin, gettando uno sguardo indagatore nella sala. «E non lo vedrai più.» Satin fissò Rheba con nuovo interesse. «È morto?» Rheba, al solo nominarlo, riandò col pensiero a Mercante Jal, l'uomo che con l'inganno aveva fatto schiavi lei e il suo Bre'n. L'ultima volta che aveva visto il Signore di Loo, lui era di spalle in uno spazioporto lontano da li molti anni-luce. Era proprio morto. Il più efficiente parassita d'energia dell'intera galassia, lo Fssireeme, aveva succhiato tutta l'energia delle sue molecole togliendogli anche la vita. L'aveva ucciso una coltre di pioggia gelata che aveva coperto il suo corpo dopo l'operazione di Fssa. «Sì, è morto.» «Complimenti!», mormorò Satin. «Ci saranno dei festeggiamenti a Nontondondo.» I suoi occhi guardarono Rheba, notando con particolare interesse i capelli della Danzatrice che cominciavano ad ondeggiare vorticosamente. «Ci sono altri tuoi congeneri fuori dalla Confederazione Yhelle?» Istintivamente, Rheba andò col pensiero al suo pianeta Deva in fiamme,
ai Senyasi e ai Bre'n morti non all'istante, ma tra le più atroci sofferenze. «No,» rispose. «Nessuno.» «Ah, allora sei anche sola.» Gli occhi neri e profondi di Satin studiarono gli individui che affollavano l'astronave come se stesse accadendo qualcosa d'insolito nella Sala Comando. «No, io non sono sola. Io ho il mio Bre'n.» Rheba strinse Kirtn in un abbraccio incandescente, a paragone del gelo che il ricordo di Deva le aveva lasciato sulla pelle. «Ma lui non appartiene alla tua razza!» In silenzio Rheba strofinò le guance sul petto peloso di Kirtn. «Lui è Bre'n. Io sono Senyasi. È questa l'unica cosa che conta.» Satin sorrise, indirizzandole un gesto confortante e terribile nello stesso tempo. «Vieni con me al Buco Nero.» Allo sguardo sorpreso di Rheba, Satin rispose con un sorriso. «Sono stata io che ho ricostruito il Casinò, dopo l'incendio. Ora è mio: io sono la padrona. Mi sono appropriata anche della parte di Mercante Jal.» Si voltò di scatto, e quel brusco movimento fece luccicare il suo cerchio da Killer in maniera insolita. «Nessuno mi ha ostacolato. Strano, non trovi? Una donna come me, tanto debole ed indifesa!» Kirtn le rise in faccia torvo. Catturata dal suono della risata Bre'n, Satin lo fissò a lungo. «Vieni al Buco Nero,» ripeté a Rheba. «No. Una volta mi è bastata,» le rispose la Danzatrice. «Se vuoi il navtrix, dovrai venire per forza al Buco Nero.» «Se io entro di nuovo nel Buco Nero, qualcun altro potrebbe riconoscermi come hai fatto tu. Ed io, dalla notte in cui fuggimmo da Onan,» aggiunse Rheba gelida, «non è che sia più la benvenuta sul tuo pianeta.» Satin scrollò le spalle e disse: «Non è il caso che tu ti preoccupi dei Sorveglianti. Il tuo nuovo OVA ti assicura contro le multe e i danni per l'ultima rivolta non autorizzata. Del resto,» alzò di nuovo le spalle, «tu sei autorizzata ad uccidere. Penso proprio che ti rimanga anche qualche altro credito di riserva.» Rheba avrebbe voluto crederle, ma non ci riuscì. Satin e Mercante Jal un tempo erano stati complici; forse la donna, più che trattare d'affari, voleva solo vendicarsi. «Porta anche il peloso,» aggiunse Satin. «I pelosi non sono ammessi nel Buco Nero, non te lo ricordi?»
«Nuova padrona-manager: nuove regole. Autorizzalo ad uccidere e portalo con te. Porta con te tutti quelli che vuoi... ma non portare lui.» Tese una mano innaturale, ed un'unghia incredibilmente scura indicò in direzione di Daemen. «Vieni con me al Casinò, ora,» disse Satin, rivolgendo nuovamente la sua attenzione alla Danzatrice. «Se aspetti ancora un po', poi sarò troppo occupata per riceverti. Se fai trascorrere altro tempo, sarò troppo arrabbiata per venderti un navtrix. E poi dovrai cercare la tua fortuna derubando i Sorveglianti della Confederazione Yhelle, ma non te lo consiglio. I Sorveglianti sono immuni ai poteri magici degli Illusionisti. Bè, allora? Ti aspetto.» L'ologramma di Satin scomparve, ma solo per un altro attimo rimase l'immagine del suo sorriso a denti stretti sullo schermo. «Tu non ci andrai al Buco Nero,» cominciò a dire Kirtn. «Ci andrò io...» Rheba emise un suono sibilante, imitando Fssa alla perfezione. Poi sorrise stanca. «Ci andrò io: io sono autorizzata a bruciare, ad uccidere e a rubare. Non c'è altra possibilità.» «E se ci fosse qualcun altro che ci può vendere un navtrix?», propose i'sNara. Rheba esitò prima di parlare, poi scrollò le spalle. «Ne dubito. Se Satin dice che possiede gli unici navtrix di Onan, non posso fare a meno di crederle. Inoltre, se noi perdiamo il nostro tempo a controllare se dice o meno la verità, Satin potrebbe poi decidere di non vendercelo più. L'hai sentita anche tu, non è vero?» Kirtn fischiò delle istruzioni complicate al computer. Due cerchi d'argento uscirono fuori dal connettore esterno dell'astronave per poi tintinnare nello scompartimento adibito alla fuoruscita. Il Bre'n si appuntò un cerchio sulla spalla, e l'altro su quella di Rheba. Nello scompartimento, dopo un po', rotolò anche un'arma. Kirtn l'afferrò e la infilò nella fondina. «Dov'è la mia Licenza per Bruciare?», chiese Rheba. «E quella per rubare?» Le dita della mano di Kirtn toccarono il cerchio d'argento della Danzatrice. «Le Licenze meno considerate vengono separate da quella più importante.» La Danzatrice notò solo in quel momento le linee più scure del suo cerchio e si diresse verso la scaletta d'uscita senza aggiungere altro. Una volta
raggiunta la scaletta, si fermò. «Che ne è di Fssa?», si chiese. Si voltò indietro e vide il serpentello traduttore avvolto a spirale intorno a una massa colorata di cristalli posta in cima alla leva di comandi. «Satin parla l'Universale,» tagliò corto Kirtn. I suoi occhi riflettevano la rabbia che ancora una volta gli era stata provocata dalla Danzatrice. Rheba notò il suo stato d'animo e rimase in silenzio. Come tutti i Senyasi, Rheba sapeva bene quando non era il caso si disturbare un Bre'n adirato. Era una sera d'autunno, e su Onan faceva molto freddo. Non c'era buio a livello della strada. La pubblicità e le varie attrattive del luogo richiamavano con i loro colori l'attenzione dei presenti. Rheba, con un riflesso istintivo, assorbì l'energia dalle insegne luminose per poterle poi utilizzare in un secondo momento, quando ne avesse avuto bisogno. I suoi capelli cominciavano ad ondeggiare come se volesse attirare i colori della notte. Il Buco Nero non era affatto cambiato. L'anticamera era ancora presieduta da un laconico killer. Questi gettò un'occhiata di disgusto al Bre'n, ma non fece niente per cacciarlo dal Casinò. I dorati occhi a mandorla di Kirtn non riuscivano a stare un attimo fermi. L'umanoide vide i capelli di Rheba ondeggiare, e quindi si rese conto che anche lei era alquanto nervosa. Sarebbero stati entrambi molto felici di lasciare Onan e ricondurre gli schiavi sui loro rispettivi pianeti, dove quelli non si sarebbero mai più aspettati di ritornare. Solo allora il Bre'n e la Senyasi sarebbero stati liberi di perlustrare l'intera galassia in cerca dei pochi, eventuali sopravvissuti all'olocausto di Deva. Ma, per fare questo, il Devalon aveva bisogno assolutamente di un navtrix. Un po' alla volta, Kirtn e Rheba attraversarono il campo di forza che separava l'anticamera dal Casinò vero e proprio. Intorno a loro risuonavano preghiere ed imprecazioni in tutte le lingue della Confederazione Yhelle. Da quella vasta sala, si vedeva in lontananza l'ombra di una galassia blu a forma di spirale. Sotto c'erano le poltrone e i posti a sedere dove si poteva giocare a Caos. Rheba tremò e distolse lo sguardo. Non aveva alcuna voglia di giocare di nuovo a Caos. Era già stata fortunata a sopravvivere la prima volta. In punta di piedi cercò di guardare al di là dei vari giocatori e tirapiedi, quale fosse il banco di Satin in quelle tenebre così profonde.
Kirtn la sollevò dolcemente in alto per farle controllare la situazione. Rheba individuò Satin che divideva un piccolo tavolo con un altro giocatore. Rheba indicò a Kirtn la strada da fare e poi lo seguì nell'affollato Casinò. Alcuni habitues non sembravano gradire molto il contatto fisico con il peloso. Si calmarono solo quanto s'accorsero della sua possanza e del cerchio d'argento, avviso questo della sua micidiale capacità di uccidere. Satin, quando i due le si avvicinarono, li fissò a lungo. Quindi fece loro segno d'accomodarsi sulle due poltroncine libere vicino a lei, uno da ogni lato, ma Kirtn si accomodò vicino a Rheba per non lasciarla sola. L'uomo vicino a Satin non alzò mai gli occhi su di loro. Si vedeva che si trovava in difficoltà perché si contorceva, sudava, e non riusciva a star fermo sulla poltroncina. Sembrava spaventato, nonostante il suo cerchio d'argento appuntato sul cappello quadrato. L'uomo tolse due gemme da un mucchietto che aveva di fronte e le posizionò meticolosamente sulla griglia che stava tra lui e Satin. Satin, per un brevissimo istante, studiò i suoi movimenti. Poi portò congiuntamente le mani sulla griglia e vi depose sopra tre gemme trasparenti. La griglia emise un segnale sonoro e cambiò forma. L'uomo osservò la scena ma non poté fare altro che lamentarsi a bassa voce. Allungò di nuovo le mani sul mucchietto di gemme che aveva di fronte: la mano gli tremò quando scelse cinque gemme, poi altre quattro, e le posizionò sulla griglia. Anche questa volta Satin non ebbe alcuna esitazione. Le sue mani pescarono sicura nel mucchietto di gemme che aveva davanti e poi si allungarono sulla griglia per depositare tre sole pietre preziose. Non erano rimaste altre aperture se non al centro della griglia. Guardando il suo avversario, Satin poggiò una pietra trasparente al centro della griglia. Si udì un segnale sonoro. Poi la griglia riprese la sua forma originale. Ora però c'erano moltissime aperture, molte più di quante lui in realtà potesse riempire di pietre preziose. «È il tuo turno,» lo incitò Satin, con un tono di voce stranamente dolce. L'uomo non parlò. Con un gesto di stizza, spinse le sue ultime gemme al centro della griglia. Le gemme slittarono e rotolarono verso i bordi rialzati del tavolo. L'uomo saltò in piedi e si fece largo tra la folla, scomparendo alla loro vista. Ridacchiando, Satin raccolse le gemme vinte in un unico mucchio, e stava cominciando a riversarle dalle mani sul tavolo, quando la griglia emise un segnale sonoro e cambiò di nuovo forma. Le gemme scintillanti
rimasero sulla griglia, trattenute da campi di forza e da regole sconosciute sia a Kirtn e che Rheba. «Vuoi giocare?», chiese Satin a Rheba continuando a ridere in tono falso. «No. Voglio solo un navtrix,» rispose la Danzatrice impassibile, mentre i suoi occhi rimanevano affascinati a guardare il luccichio delle gemme sul tavolo. Rheba fece molta attenzione perché Satin non le leggesse in volto la sua impazienza. Se la ragazza avesse lasciato soltanto intuire a Satin l'importanza che il navtrix aveva per loro, certamente i loro corpi sarebbero stati inclusi nel prezzo. Satin guardò prima Rheba, poi Kirtn dietro di lei. I profondi occhi scuri della donna erano impenetrabili, il suo volto completamente immobile. Le gemme scintillanti le scivolarono tra le dita magre. Non fece alcun gesto che Kirtn potesse notare, eppure all'improvviso apparvero due Sorveglianti della Confederazione che affiancarono l'umanoide. Kirtn maledisse nella sua mente la necessità che li aveva costretti a raggiungere la tana di Satin. S'affrettò a tirare fuori la sua arma mentre le Linee di Potenza Akhenet cominciavano a bruciare sotto la pelle di Rheba. Satin notò la prontezza con cui avevano reagito alla vista dei Sorveglianti e anche l'improvvisa comparsa delle Linee di Potenza Akhenet sulla pelle di Rheba: fece un cenno ai Sorveglianti invitandoli ad accomodarsi sulle poltroncine. «Sedetevi.» Il suo non fu un invito. I Sorveglianti si sedettero con fare molto circospetto. «Sono questi i due che avete visto la prima volta?», chiese loro Satin indicando Rheba e Kirtn, inclinando la testa. «Si sono loro. Allora però non erano autorizzati ad uccidere.» «E lo fecero?» «No. Hanno agito nella legalità fino all'ultimo credito.» «E il loro OVA?» «Supera i trentasette milioni di crediti. Tutto legale. Nessuna multa, nessun reclamo o sentenza in sospeso.» «Allora non è assolutamente proibito che possiedano un navtrix Scout dei Sorveglianti della Confederazione?» Chiaramente, i Sorveglianti avrebbero dovuto rispondere in senso negativo. Ci fu un lungo silenzio, sottolineato dall'improvvisa risata di Satin. «Rispondetemi, Sorveglianti. Quello che dite dovrà essere registrato.»
«A me non piace affatto l'idea che un peloso possa avere un navtrix Scout!», ringhiò uno dei Sorveglianti. «Se tu concedi ad un peloso il tuo dito mignolo, certamente lui si prenderà l'intero braccio.» Satin aspettò. L'altro Sorvegliante sospirò profondamente. «Loro non sono cittadini della Confederazione,» disse il secondo sorvegliante. «Neanch'io lo sono. Eppure io possiedo tre navtrix.» La voce rauca di Satin sembrò suonare confidenziale... e al tempo stesso pericolosa. Rheba tremò. Non capiva cosa stava accadendo, ma avvertì il pericolo che avviluppava, invisibile, il tavolo. Uno dei due Sorveglianti si voltò per studiarla. Per la prima volta la ragazza notò i simboli del suo rango ricamati sul colletto scarlatto e le rughe che segnavano il suo volto. Il Sorvegliante trasudava energia nello stesso modo in cui il suo compagno trasudava odio per i pelosi. «E allora vendiglielo,» rispose sgarbatamente. Poi: «Noi siamo lisci, Satin.» Lanciò un pacchetto grande quanto una mano sul tavolo, e se ne andò senza proferir parola. Il suo compagno fissò acido Kirtn e poi lo seguì. Satin li osservò con aria divertita, ma nella sua mano appena visibile, apparve una piccola arma da fuoco: la rimise a posto tranquillamente rivolgendo la sua attenzione a Rheba. «Trentacinque milioni di crediti. Prendere o lasciare. Naturalmente tu sei autorizzata a rubare. Potresti anche prenderlo,» disse toccando il pacchetto, «e fuggire via.» A giudicare dalla sicurezza di Satin, Rheba capì perfettamente che sarebbe stato molto stupido derubare la proprietaria del Buco Nero anche di un solo credito. Anche Kirtn, a quanto le parve, sembrò essere d'accordo con lei. L'umanoide infilò la loro tavoletta OVA in una apertura del tavolo, disse poche parole e si allungò per prendere il pacchetto. «Oppure,» continuò Satin. «Io potrei prendere il pacchetto e i crediti che avete già trasferito sul mio OVA.» Mentre Satin parlava, le sue mani cominciarono a tremare. Il pacchetto contenente il navtrix svanì come se non fosse mai esistito. Ci fu un attimo di panico quando Rheba pensò che Kirtn da un momento all'altro avrebbe schiacciato Satin tra le sue possenti mani, poi la tensione si fece ancora più pesante quando Rheba capì che Kirtn si stava congelando, e i suoi muscoli
cominciavano ad irrigidirsi per lo sforzo di combattere contro qualcosa che lei non poteva né vedere, né percepire. Al contatto col corpo di Kirtn, la Danzatrice sentì l'energia libera scorrerle nel campo. Le due energie discordanti la fecero quasi andare in tilt. La ragazza sentì la terribile lotta che il suo Bre'n stava sostenendo per raddrizzare il mondo in bilico e zittire la cacofonia psichica che lo stava distruggendo. Fu assalita da una rabbia improvvisa. Rheba assorbì tutta l'energia proveniente dal nucleo del Casinò nelle sue Linee di Potenza Akhenet. I giochi terminarono, i campi di forza scomparvero, le luci si abbassarono. All'improvviso, nel buio totale, pallidi fasci di luce, simili a saette, fuoriuscirono dal corpo di Rheba mandando in frantumi le gemme sul tavolo di Satin. «Lascialo andare.» Appena Rheba parlò, anche il suo respiro si fece incandescente... ma non ancora mortale. Non voleva uccidere Satin se non era prima sicura che la donna avesse liberato Kirtn. E questo Satin lo sapeva bene. Satin era lì, nella mente di Rheba. La Danzatrice del Fuoco ebbe un moto d'approvazione quando i giocatori si ritirarono. «Fa tornare tutto come prima,» le disse Satin, consegnando il navtrix a Kirtn. «Stai spaventando i bambini.» Rheba poggiò una mano incandescente sul braccio di Kirtn e sentì la sua rabbia, la paura... e la libertà. Emise un sospiro di sollievo poi, nello stesso tempo, smise d'assorbire energia dalla centrale del Casinò e smorzò le sue fiammate. Se non fosse stato per le gemme che si erano rovinate, non ci sarebbero stati altri segni che avrebbero potuto ricordare la rabbia della Danzatrice del Fuoco. «C'è qualche uomo della tua razza, qui intorno?», le chiese Satin, sorridendole languidamente mentre agitava tra le mani i frammenti incandescenti delle sue gemme rovinate. «Uomini che non è possibile controllare?» Rheba non rispose. L'unico maschio della sua razza di cui lei fosse a conoscenza era un ragazzo di nome Lheket, la sua unica speranza per dare inizio insieme ad una nuova razza di Senyasi. Ma non poteva dire queste cose a Satin; non voleva che Satin sapesse dell'esistenza di Lheket. Come se le avesse indovinato... o letto nel pensiero, Satin mormorò: «Siete così pochi? Non temere, non te lo porterò certo via. Mi piacereb-
be soltanto prenderlo in prestito qualche volta,» disse languida. «E che mi dici di lui?», continuò Satin, fissando intensamente Kirtn. «Non riesco neppure a controllarlo. Ucciderlo sì, ma non a controllarlo.» Rivolse la sua attenzione a Rheba. «È un buon compagno a letto?» Ci volle un secondo prima che Rheba capisse esattamente cosa le stava chiedendo Satin. «Io... io non lo so,» rispose la Danzatrice sconsideratamente, incapace di dire una bugia o di stare zitta. «Non lo sai?», disse Satin sorridendo. «Dolci divinità, guardate che spreco. Scommetto che tu provieni da una di quelle piccole zone sudicie dove la passione amorosa viene considerata un peccato dai predicatori.» «No,» disse Kirtn, «lei è ancora troppo giovane.» Satin guardò prima Rheba, poi Kirtn, e poi di nuovo Rheba. «Troppo giovane? Nessuna bambina combatte per il suo uomo come lei ha fatto per te.» Poi fece un gesto brusco per ridurre al silenzio chiunque dei due avesse voluto obiettare qualcosa. «Non m'importa. Le tue delusioni non mi interessano più di tanto. Comunque, se lei non ti soddisfa...» Il sorriso di Satin diventò accattivante: Satin irradiava desiderio sessuale come una stella irradia energia. Kirtn non poté fare a meno di subire la sua attrazione femminile. Lui era un Bre'n, la sensualità era nei suoi geni. E, nonostante tutto, Satin era pur sempre una donna in carne ed ossa. Avrebbe voluto fermare il tempo e dividerlo con lei, ma non poteva. Il sorriso di Satin cambiò, diventò più che affascinante. «Grazie,» disse con la sua voce rauca. «Questo è il più bel rifiuto che abbia mai avuto. Se la tua focosa donna-bambina ti delude troppo, ricordati ti me.» Rheba guardò prima Satin, poi Kirtn, sentendo una rabbia indefinibile formicolare lungo le Linee di Potenza Akhenet. Satin le ricordava uno splendido ragno che tesseva una tela incastonata di pietre preziose. «Non essere gelosa, bambina,» borbottò Satin, guardando Rheba con i suoi profondi occhi scuri. «Mi sono semplicemente stancata di giocare sempre con gli stessi insetti.» La donna sospirò e gettò sul pavimento le gemme in frantumi. «Tu mi hai fatto un favore uccidendo Mercante Jal. Ora ne farò io uno a te. Nella Sala Comando ho visto il volto di un giovane dagli occhi di ghiaccio.» «Daemen?», chiese Kirtn. Il volto di Satin s'oscurò.
«E così usa ancora quel nome? Avrebbe fatto meglio a tenerlo nascosto.» I suoi occhi erano diventati scurissimi e gelidi come lo spazio vuoto tra le stelle. «Quando lascerete il pianeta, assicuratevi che Daemen sia a bordo. Quando sarete pronti per il balzo finale, gettatelo nello spazio.» Rheba era troppo scioccata per risponderle. Kirtn si piegò in avanti fin quando i suoi occhi furono vicini a quelli della donna. «Perché dobbiamo gettarlo nello spazio?» Satin fece un gesto brusco, come se non avesse potuto parlare. «Io ho solo nominato il vostro diavolo, ma sarò dannata se continuerò a descriverlo. E io ci credo fermamente. Datemi retta: seguite il mio consiglio. Gettatelo nello spazio prima che sia troppo tardi.» «No,» disse Rheba per tagliare corto. «Daemen è solo un ragazzo. E poi non ha fatto niente di male.» Satin s'alzò in piedi. «Avete quindici secondi per lasciare questo pianeta. Se fate in fretta, riuscirete a raggiungere l'astronave in tempo.» La sua espressione si fece più dolce. «Che le vostre Divinità vi proteggano. Ne avrete proprio bisogno.» La voce della giocatrice era calma, ma quella frase continuò a martellare il cervello di Rheba: Gettatelo nello spazio! Capitolo VI «Due minuti,» disse Rheba, sbirciando sopra le spalle di Kirtn per cercare di capire se avesse finito o meno di sistemare il nuovo navtrix. Fu una corsa breve e a rotta di collo quella per raggiungere il Devalon dal Buco Nero. Kirtn stava lavorando su una apertura del quadro dei comandi di cui era provvisto il Devalon. L'umanoide teneva il vecchio navtrix in equilibrio precario sulle ginocchia. Il nuovo aveva preso il posto dell'altro in uno scintillante cassettino. Non c'erano fili o altri attacchi da fare — la scienza della Confederazione era sì primitiva, ma non rozza — ma era assolutamente necessario che il nuovo navtrix venisse posizionato esattamente nella vecchia matrice. «Tutto fatto,» disse Kirtn. «Almeno lo spero. Accendilo.» Un minuto. Nessuno dei due parlò ad alta voce, ma tutti e due sentirono l'eco dell'orologio che scandiva il tempo nel cervello di Rheba. La ragazza istruì l'a-
stronave ad attivare il navtrix e trattenne il respiro. Trascorsero pochi secondi, ma a Rheba sembrarono moltissimi. Non succedeva niente. Kirtn borbottò delle parole sconosciute a Rheba fino a quel momento. Le Linee di Potenza Akhenet ondeggiavarono incandescenti sul suo corpo. Se l'astronave non fosse riuscita ad attivare il navtrix, avrebbe dovuto farlo la Danzatrice. Questa era una tecnica che le avevano insegnato su Deva, era troppo giovane per lavorare con delle strutture d'energia tanto complicate come quel navtrix. Ma se l'astronave non fosse riuscita ad attivarlo, per forza di cose sarebbe stata costretta a farlo lei. Venti secondi. La Danzatrice immaginò la curiosità dei silenziosi passeggeri di bordo. La premura che Rheba e Kirtn esternavano in quel momento era più che sufficiente per far capire loro la situazione. Una sagoma snella si fece avanti per sforzarsi di capire quello che stava accadendo. Rheba sentì il calore e la sottile pressione del corpo che le si stava avvicinando. Aveva appena voltato la testa per vedere di chi di trattasse, quando il navtrix cominciò a dare i primi segni di vita. «Grazie Ultima Fiamma,» ella sussurrò. «Questo sì che si può definire un colpo di fortuna». Poi, come se quest'ultima parola avesse scatenato qualcosa nella sua mente, Rheba si voltò a guardare la persona che le si era avvicinata: Daemen. Ma non c'era tempo per guardarlo con più attenzione, e forse neanche la necessità: il navtrix Yhelle si era finalmente attivato. Kirtn avvertì il resto dei passeggeri mentre Rheba azionava la leva dei comandi. La potenza sviluppata dal Devalon fu una vera esplosione di colori. L'aria tremò al suono delle istruzioni che solo qualcuno, abituato al linguaggio Bre'n, poteva capire. «Tre!», urlò Rheba. I passeggeri cambiarono posizione per trovare una presa sicura durante l'accelerazione. Nessuno protestò. Erano persone molto provate, abituate a cose peggiori che la brusca partenza di un'astronave. Quando il Devalon balzò verso l'alto, sballottandoli l'uno contro l'altro sul pavimento, nessuno si lagnò. Rheba effettuò il primo balzo quasi subito, uscendo dal campo gravitazionale di Onan proprio un attimo prima che l'astronave ed i suoi passeggeri venissero ridotti in poltiglia. Rheba non aveva voluto discutere con Satin sulle precise misure a cui attenersi per uscire dal campo gravitazionale di Onan.
Fu un balzo molto breve. Conclusa la manovra, la ragazza si guardò intorno per verificare che nessuno avesse riportato danni. I passeggeri del Devalon affollavano a piccoli gruppi la sala ed il corridoio, ma nessuno sembrava ferito. Daemen, notò Rheba, era in cima ad uno di quei mucchi umani. La ragazza gli fece cenno d'avvicinarsi. «Il tuo pianeta è segnato con un altro nome sulle mappe della Confederazione?», chiese Rheba al giovane. «No.» Rheba istruì il navtrix a rivelare le coordinate di un pianeta chiamato Daemen e trattenne il respiro, chiedendosi cosa avesse potuto spingere Satin a parlare di lui in quel modo e a consigliar loro di sbarazzarsene una volta nello spazio, fuori del campo gravitazionale di Onan. Le coordinate apparvero sotto il numero in codice Senyasi. Rheba sospirò in silenzio; aveva temuto che il nuovo navtrix li avrebbe costretti ad usare solo il linguaggio Universale, rendendo quindi l'astronave indifesa al suo rilevamento da parte di chiunque potesse parlarlo. «Eccolo,» disse, pienamente soddisfatta. Poi la sua soddisfazione diventò sgomento quando lesse il nome del balzo. Il pianeta Daemen era appeso, come un ciondolo ad una catena rotta, alla punta estrema della Confederazione. «Cinque balzi e tre conversioni. Vivi nel punto diametralmente opposto a dove ci troviamo in questo momento,» mormorò la Danzatrice. Poi, avendo realizzato che Daemen avrebbe potuto fraintendere la sua frase, aggiunse, «Sono sicura che è un pianeta molto grazioso. Non so cosa darei per trovarmi già lì.» Daemen sorrise. «È un po' triste, ma è il pianeta su cui sono nato. La mia casa.» Daemen sottolineò la parola mia dandole un'enfasi di possesso talmente forte da costringere Rheba ad avvicinarglisi per guardarlo meglio negli occhi. Daemen non ci fece caso. I suoi meravigliosi occhi grigi erano concentrati su Arcobaleno, che ciondolava dalla piccola rete-cargo sul quadro dei comandi. Appena guardò lo Zaarain, Daemen sembrò diventare più vecchio, più duro... quasi pericoloso. Poi l'espressione del suo volto cambiò: ora sorrideva. Ma il cambiamento dell'espressione del suo volto fu tanto fulmineo che Rheba dubitò di aver visto qualcosa di diverso dall'affascinante sorriso del giovane che le stava di fronte. Un po' turbata, Rheba si voltò indietro per istruire il computer a mettersi in comunicazione col pianeta chiamato Daemen. Ebbe un attimo di esita-
zione, quindi scelse un'orbita molto lontana intorno al pianeta. La ragazza voleva dare un'occhiata discreta al pianeta più lontano della Confederazione Yhelle, da una distanza di sicurezza. Dopo diversi secondi, il computer fischiò dolcemente, avvisandola che il suo programma era stato accettato. Tutto quel che doveva fare ora, era fischiare la risposta corretta, e i male assortiti passeggeri del Devalon sarebbero giunti ai loro rispettivi pianeti. Rheba si voltò a guardare per l'ultima volta Daemen. Questi sorrideva contento al pensiero di rivedere il suo pianeta, e Rheba non poté fare a meno di sorridere anche lei. «Devi pazientare ancora un po' di tempo,» disse la ragazza, «e poi sarai a casa.» La Danzatrice fischiò un trillo molto complicato. L'astronave vibrò e le sue luci s'abbassarono. Il primo balzo fu lungo, ma fortunatamente fuori dal raggio d'azione della maggior parte delle astrunavi della Confederazione. Per effettuare una manovra degna di tale nome, era necessario raggiungere una velocità alquanto elevata. Perciò, fintanto che la manovra di balzo non fosse stata completata, l'astronave avrebbe fornito ai passeggeri e all'equipaggio solo l'energia indispensabile. Le Linee di Potenxa Akhenet di Rheba illuminarono l'astronave. La ragazza si sentì scrutare da Daemen. Le sue Linee erano molto più evidenti da quando si era liberata della tuta scarlatta. «Non ho mai visto degli esseri della tua razza,» disse Daemen. «Sei molto bella,» aggiunse. «Eppure avrei scommesso che eri stata valutata ad un prezzo molto alto su Loo.» Rheba fece una smorfia. «Il Loo-chim preferisce le pelose.» Daemen sorrise ma con poco umorismo. «Ai Loo-chim non piaceva niente all'infuori di loro stessi. Sei sicura che sono morti?» «Sì.» Il tono di voce della Danzatrice non l'incoraggiò a fare altre domande circa Loo, i Loo-chim, o sulla sua parte di responsabilità nella distruzione del pianeta. «Quanto tempo ci vuole ancora prima di raggiungere Daemen?», chiese il giovane. «Un giorno Onan, più o meno.» Daemen guardò i passeggeri che affollavano la Sala Comando e si chiese
cosa avrebbe fatto quel giorno. Anche gli altri pensarono la stessa cosa. Quando Rheba rivolse il suo sguardo su di loro, notò che qualche passeggero era disteso sul pavimento e gli altri si spingevano dietro per far loro posto. Dopo qualche ora, quelli che avevano già fatto un sonnellino, avrebbero ceduto il posto a quelli che erano rimasti svegli. Più li guardava, e più Rheba trovava seducente l'idea di dormire un po' per riposarsi. Da quando la Danzatrice era stata fatta schiava da Mercante Jal, non era più riuscita a fare un sonnellino decente. Rheba si guardò intorno per cercare il volto familiare del suo Mentore Bre'n. In quel momento avrebbe voluto soltanto raggomitolarsi contro di lui e dimenticare per un po' i suoi problemi. «Sta col suo stupefacente serpentello,» le disse Daemen, come se avesse intuito chi stesse cercando la ragazza. «Kirtn?» «È questo il suo moine? È Kirtn il nome del possente uomo dai capelli d'oro?» «Sì.» Rheba non finì la frase, ossessionata da un pensiero fisso. Daemen era stato uno dei pochi dal tempo di Deva a non denigrare mai Kirtn per il fatto che fosse coperto da una "pelliccia", sebbene la corta peluria del suo corpo assomigliasse più a un tessuto che ad una pelliccia. Eppure, quella corta peluria ramata era sufficiente per bollarlo a fuoco come animale sui pianeti della Confederazione e tra la gente in cui si erano imbattuti fino a quel momento. «Tu sei l'unico a non chiamarlo peloso.» Daemen la guardò sorpreso. «Sul mio pianeta vivono individui di varie razze. Nessuno pensa molto a cose del genere.» «Penso proprio che il tuo pianeta mi piacerà molto, Daemen.» Daemen sorrise contento. «Spero proprio che tu lo trovi piacevole, Rheba.» La Danzatrice lo fissò di nuovo realizzando solo in quel momento che Daemen non doveva poi essere tanto giovane come sembrava d'aspetto. Per la sua cultura poteva benissimo essere considerato un uomo. Il modo in cui la stava fissando mentre parlavano, non era propriamente quello di un ragazzo. «Perché hai lasciato il tuo pianeta?», gli chiese Rheba. Poi, subito dopo: «Scusami: non volevo essere indiscreta.»
Il sorriso tornò sul volto di Daemen, ma non fu più lo stesso. Prima che potesse replicare, s'avvicinò Kirtn. Al collo portava Fssa, a mo' di collana. Kirtn tirò giù la rete a maglie sottili dove ciondolava Arcobaleno ed esaminò più da vicino la massa cristallina. «È diventato più grande,» disse Rheba, sporgendosi per guardare Arcobaleno. «Fssa ha detto che Arcobaleno ha riunito le pietre preziose frantumate e le ha ricomposte in un'unica massa solida,» spiegò Kirtn, rivolgendo la sua attenzione ad Arcobaleno mentre continuava a parlare con la ragazza. Non si notavano né rotture, né congiunzioni. Arcobaleno sembrava una massa di cristalli genetici e cresciuti insieme per i capricci di qualche pianeta. «Grazioso, non è vero?» «È anche più bello, di prima,» convenne Rheba. Fssa emise un rumore sibilante. Aveva sempre pensato di essere brutto fino a quando Rheba non gli aveva assicurato il contrario. Ora era diventato un po' vanitoso, ed anche geloso di quell'essere non appartenente al Quarto Popolo che Rheba considerava attraente. «Non è brutto,» ammise lo Fssireeme, «anche se è asimmetrico e alcuni dei suoi cristalli sono scalfiti.» Rheba sorrise ma non stuzzicò Fssa. Sarebbe stato molto facile ferirlo. Notò dei riflessi metallici lungo il corpo. Dì solito questo gli accadeva solo quando era particolarmente turbato. «Cosa c'è che non va, Fssa?» Il serpentello ebbe un fremito. I suoi ciechi occhi opalescenti cercavano i capelli di Rheba. «Tu hai... tu hai...» Fssa emise un suono strozzato e poi ci riprovò. «Ssimmi,» sibilò usando i toni del suo linguaggio natio. «Il navtrix sa dove si trova Ssimmi?» Rheba lo sfiorò leggermente, lasciando che l'energia defluisse dalla punta delle sue dita nel corpicino di Fssa. Lo Fssireeme sospirò di piacere. «Non gliel'ho ancora chiesto,» gli rispose la ragazza. «Procediamo.» Fssa fischiò un trillo complicato. Il computer del Devalon gli rispose illuminando il navtrix, mentre i due impianti d'energia si scambiavano le informazioni.. Ci volle solo un istante prima che il computer emettesse il segnale sonoro di risposta negativa. «Forse la traduzione non era molto precisa,» gli disse Rheba. Poi, al grido acuto di Fssa, aggiunse: «Tu sei troppo agitato, Fssa. Forse non sei stato accurato come avresti potuto. Oppure la Confederazione conosce Ssimmi
sotto un altro nome. Non essere tanto triste.» La ragazza accarezzò il corpicino scuro del serpentello per fargli ritornare il colore in viso. «Proviamo di nuovo, non ti scoraggiare,» lo persuase Rheba. Fssa rifece la domanda al computer. Usò il linguaggio Bre'n, e la sua voce suonò triste e dispiaciuta. Sembrava avere poche speranze. La risposta fu negativa. Il serpentello si oscurò e poi cambiò forma. Rifece la domanda usando un altro linguaggio, un altro nome per il suo pianeta natale: Ssimmi. Ma la risposta del computer fu ancora negativa. Altri linguaggi, altre domande, altri nomi. E sempre la stessa risposta. «Vorrei nuotare ancora una volta, prima di morire nello splendido cielo/mare di Ssimmi,» fischiò Fssa. Ma le sue parole Bre'n volevano dire molto di più: parlavano di perdite e di desiderio, di una scena invernale richiamata alla memoria, d'una estate svanita. Rheba allontanò lo Fssireeme dalle spalle di Kirtn e lo fece girare vorticosamente nei suoi capelli. Rheba assorbì l'energia libera, sufficiente a far crepitare i suoi vaporosi capelli incandescenti per cercare di consolare lo Fssireeme nell'unico modo che lei sapeva lo rendeva felice. «Esistono molti più pianeti di quelli noti alla Confederazione,» la ragazza disse, «e molti più navtrix. Troveremo il tuo pianeta a costo di rivoltare la galassia.» Fssa appoggio il capo sull'orecchio di Rheba. Sospirò, sibilò un ringraziamento Fssireeme e, un po' più sollevato, si avvolse a spirale della folta chioma della ragazza. «Tutto a posto?» chiese Daemen. Lui non aveva capito il fischio Bre'n di Fssa, ma spesso le emozioni non hanno bisogno di traduzioni. «È solo un po' triste,» rispose Kirtn in Universale, cercando lo Fssireeme mimetizzato nella folta chioma dorata della Danzatrice. L'umanoide accarezzò il serpentello sapendo quanto Fssa apprezzasse di essere toccato come tutti gli esseri provvisti di gambe. «Sperava che il navtrix della Confederazione conoscesse le coordinate del suo pianeta.» «Forse i Seur potrebbero aiutarlo,» disse Daemen. «Chi sono, o forse sarebbe meglio dire, cosa sono i Seur?» «La gente che istruisce il mio pianeta.» «Sono degli insegnanti?» Daemen esitò nel rispondere.
«I Seur sono dei Mentori ereditari. Studiano tutte le storie di Daemen, poi ricordano le loro scoperte ed istruiscono la gente servendosi di queste stesse scoperte.» «Tutte le storie? Cosa significa?», gli chiese Rheba sorpresa. «Come può un pianeta avere più di una storia?» «Tutti i pianeti hanno più di una storia,» rispose Daemen meravigliato. «Si sono stabiliti in un posto, poi in un altro, sono stati colonizzati e ricolonizzati, conquistati e liberati almeno tante volte quanti sono i Cicli. Noi contiamo diciassette Cicli nella Confederazione. E questo senza riconoscere eventi e domini relativi ad un solo pianeta.» Rheba sbatté le palpebre sorpresa dall'improvviso entusiasmo di Daemen e... dai suoi convincimenti. Ora assomigliava più ad un uomo che a quel ragazzino che sembrava essere. Parlava usando il tono di chi è abituato a farsi ubbidire. «Tu sei un Seur?» «Io sono Il Seur, così come è anche vero che sono Il Daemen.» «Cosa significa quello che dici?», gli chiese Kirtn, considerando l'improvviso tono autoritario di Daemen e ricordandosi dell'avvertimento di Satin. «Sei una specie di Re o di Imperatore, su Daemen?» Il volto di Daemen sorrideva. «Più o meno dovrebbe essere esatto. Ma non è affatto semplice spiegarlo. Le culture di rado sono semplici, e tu lo sai bene. Io non sono in grado di muovere la mano in modo che al mio gesto migliaia di persone mi bacino le scarpe.» Sospirò. «Sai qualcosa sul mio pianeta?» Il tono ansioso lo fece tornare di nuovo un bambino. Rheba si sporse in avanti e gli accarezzò la mano per confortarlo, pensando a come fossero vulnerabili gli Akhenets. «No, ma mi piacerebbe proprio saperne di più. Hai voglia di parlarne?» La punta delle dita di Daemen sfiorò il dorso della mano di Rheba. Nessuno dei due notò l'improvvisa freddezza di Kirtn. Ma Rheba non si oppose al tocco familiare e neanche Kirtn. «Abbiamo trascorso momenti molto tristi, ci siamo spostati da un posto all'altro molte più volte di qualsiasi altro popolo di qualsiasi altro pianeta della Confederazione. Ora ci troviamo su una rotta di balzo naturale. Sei a conoscenza di cose del genere? No, capisco che tu non le sappia. Non sono cose che ti possono interessare. La tua astronave ha dell'energia di riserva.» «E tu come fai a saperlo?», chiese gelido Kirtn.
Lui e Rheba avevano sempre fatto molta attenzione a parlare il meno possibile dell'astronave. L'avidità del defunto Mercante Jal di conoscere alcuni particolari del Devalon, era stata una delle cause per cui loro due erano stati fatti schiavi e condotti su Loo. Non desideravano affatto suscitare l'invidia di qualche altra persona. «Sono cinque balzi per arrivare a Daemen. Non è come avevi detto tu?», gli chiese Rheba. «Sì. E tre conversioni.» Daemen non si trovò d'accordo sulle conversioni, e schioccò le dita per mostrare il suo disappunto. Anche l'astronave più primitiva avrebbe potuto cambiare facilmente direzione e velocità. «Daemen, grazie ai Seur, dispone di alcune delle più avanzate tecnologie disponibili nella Confederazione. L'astronave della mia famiglia raggiunse Onan in undici balzi.» «Undici? Sei sicuro?», gli chiese Kirtn, chiaramente sorpreso per la sua rivelazione. «Eri molto giovane, non è vero?» «Ero giovane, ma né sordo, né cieco. Era il mio primo viaggio nello spazio. Ricordo ogni conversione e ogni balzo come se fosse successo tutto ieri. Era un sogno che diventava realtà. Fu la prima volta in cui pensai d'essere l'uomo più fortunato dell'intera galassia.» Il suo volto cambiò espressione quanto ricordò l'incubo che ne seguì. «Undici balzi. Sono sicurissimo.» Daemen fissò gli occhi dorati di Rheba cercando di capire se almeno lei gli credeva o meno. «La tua astronave rappresenta un passo in avanti rispetto alle tecnologie che sono abituato a vedere. Io sono Il Seur. Sono interessato alle tecnologie che potrebbero aiutare il mio popolo. Questo è il motivo per cui Il Daemen — mia madre — lasciò il nostro pianeta. Lei però non è stata molto fortunata nel trovare nuove tecnologie utili al mio popolo nei posti soliti. E, senza nuove scoperte, la mia gente prima o poi morirebbe.» Rheba e Kirtn si scambiarono una lunga occhiata d'intesa. Entrambi sapevano che quel discorso aveva loro ricordato Deva, dove era perito il loro popolo. Dopo un po', Rheba trovò però il coraggio di parlare. «Il tuo popolo si trova in pericolo?» «Non lo so. Penso di sì. La situazione deve essere stata per forza grave e disperata per costringere i Seur ad inviare nello spazio la Fortuna del nostro pianeta per cercare di trovare una soluzione.» «La Fortuna del vostro pianeta?», chiese Rheba non appena ebbe afferra-
to il concetto. «Mia madre, Il Daemen. Lei era la Fortuna del nostro pianeta. Noi siamo nati per questo. Ma lei ebbe dei seri problemi. Non ha mai trovato qualcosa di veramente utile dopo la prima volta... ma del resto anche quella fu una scoperta minore: scoprì il modo di tingere di rosso le fibre sintetiche. Sfortunatamente però, lei non riuscì mai a trovate il modo di produrre fibre sintetiche di quel particolare colore.» Rheba e Kirtn si scambiarono un'altra occhiata di stupore. Fu Kirtn poi a rivolgersi a Daemen per fargli altre domande. «E allora tua madre sarebbe giunta nella Confederazione per trovare nuove tecnologie in grado d'aiutare il tuo popolo, non è vero?» Daemen sorrise ancora come se volesse nascondergli qualcosa. «Sì, principalmente per questo. I Seur insistettero perché si portasse dietro la famiglia. Probabilmente pensarono che mia madre avrebbe avuto bisogno di tutta la Fortuna a sua disposizione.» Il sorriso svanì dalle sue labbra. «Ma la nostra Fortuna di Famiglia non le fu sufficiente. Non eravamo mai stati su Onan prima che fossimo rapiti e condotti come schiavi a Loo.» «È stato Mercante Jal a condurvi su Loo?», chiese Kirtn. «Quell'uomo viscido dai capelli azzurri, la pelle azzurrina ed una cicatrice sulla mano?» «Sì.» «È l'unico. Non smetteva mai di lamentarsi dicendo che noi non meritavamo l'energia che ci trasportava su Loo. Ultimamente,» fece un sorriso beffardo, «si stava comportando un po' più umanamente nei nostri confronti. Nella Fossa periscono tutti, eppure io sono sopravvissuto: ma non valevo molto.» Si fermò. «Tu l'hai ucciso, non è vero?» «Chi, Mercante Jal?» Kirtn accarezzò i capelli di Rheba dove Fssa si era mimetizzato. «È stato lo Fssireeme ad ucciderlo.» Daemen guardò i capelli di Rheba con nuovo interesse. «Veleno?» «No.» Poi, prima che potesse fargli altre domande su Fssa, Kirtn gli chiese: «Chi è che governa — istruisce — il tuo pianeta da quando tu e la tua famiglia ve ne siete andati?» «I Seur.» «E saranno felici di vederti tornare a Daemen?», chiese il Bre'n, forse troppo bruscamente. Daemen fu molto sorpreso della domanda postagli da Kirtn. D'un tratto sembrò ringiovanito.
«Ma naturalmente! Il pianeta ormai deve trovarsi in cattive acque. La sua Fortuna se ne è andata da parecchi anni.» «Ci sono diversi tipi di Fortuna,» sottolineò Kirtn. «E con la maggior parte, è meglio non averci proprio niente a che fare.» «Vorresti forse insinuare che mia madre era la Cattiva Sorte?» Il volto di Daemen era rosso per lo sdegno e parecchio adirato. Sputò fuori le ultime parole come se avesse pronunciato i due epiteti più offensivi che conoscesse. Prima che Kirtn potesse replicare, il segnale sonoro dell'astronave avvertì i passeggeri che il balzo era imminente. L'agitazione si smorzò, e tutti cercarono d'assumere posizioni più sicure e di tenersi a qualche appiglio: a velocità elevata, il balzo poteva risultare una cosa non molto gradevole. L'astronave vibrò e al suo interno calò il buio. Pian piano la luce tornò anche se un po' sfumata, per ricordare a tutti i passeggeri che l'astronave si trovava ancora in fase di balzo. Kirtn lasciò andare la leva dei comandi e si voltò per cercare Daemen. Dietro non c'era nessuno. Ricordò il volto furioso del giovane uomo e sospirò: non avrebbe voluto offenderlo. Certamente non desiderava ucciderlo così come gli aveva consigliato Satin. D'altra parte, Kirtn sapeva che non sarebbe stato del tutto tranquillo fino a quando Daemen fosse rimasto a bordo del Devalon. Si ripeté che la sua paura dipendeva dall'avvertimento enigmatico di Satin: ma non poteva neanche dimenticare le dita pallide della mano di Daemen che accarezzavano tanto amorevolmente il dorso della mano della sua Danzatrice del Fuoco. Capitolo VII Rheba si svegliò lamentando un terribile mal di testa. Si stringeva forte le tempie ed inveiva, cercando di capire cosa le stesse accadendo. La sua mano sfiorò i potenti pettorali del suo Bre'n. Kirtn si svegliò, capì cosa era accaduto, e la strinse forte a sé. «Fssa!», sbraitò Kirtn. «Fssa!» L'umanoide non ebbe risposta. Kirtn passò le dita tra i capelli di Rheba per controllare se Fssa ci fosse o meno, pur sapendo che non lo avrebbe trovato lì. Aveva paura di non trovarlo. Lo Fssireeme era di sicuro in qualche angolo dell'astronave a chiacchierare con Arcobaleno, provocando alla Danzatrice quel terribile mal di testa. Rheba urlava come una pazza, ancora mezza addormentata, pensando di
avere un animaletto intrappolato nel cervello che cercava di conquistare la via della salvezza. Si contorceva per il dolore e si liberò dalla stretta di Kirtn che cercava di dissuaderla dal battere la testa contro le pareti. Una figura magra, sottile, si curvò sulla cuccetta di Rheba e le afferrò una delle mani flagellate. Kirtn alzò gli occhi e vide Daemen. Il suo volto sembrava impaurito. «Cosa c'è che non va?», chiese la Fortuna lottando con la forza sorprendente di Rheba. «È malata?» «No. È soltanto...» Il corpo di Rheba fu preso dalla convulsioni. Le sue Linee di Potenza Akhenet s'infiammarono diventando incandescenti. «Allontanati da lei,» gli disse Kirtn, realizzando il pericolo. «Ma lei brucia! Non ho mai visto qualcuno che diventi così incandescente e poi riesca a sopravvivere!» «Allontanati!» Il tono duro di Kirtn fu molto più chiaro delle stesse parole. Daemen capì la situazione nell'istante in cui Rheba cominciò ad espellere fuoco e fiamme dal corpo. L'energia s'irradiò pericolosamente nell'affollata Sala Comando. Le forti mani di Kirtn le strinsero prima il polso, poi il collo. Appena le prime lingue di fuoco raggiunsero Daemen, Rheba si lamentò e poi svenne. Kirtn la tenne tra le braccia, cantandole delle inutili scuse in Bre'n nei capelli. M/Dere si fece avanti tenendo Fssa tra le mani scure. In silenzio, lanciò il serpentello sulla cuccetta. Kirtn in quel momento non ebbe bisogno d'un traduttore per dirgli che la mercenaria non avrebbe perso molto tempo ad uccidere quello strano essere che provocava dei dolori tanto lancinanti alla sua J/taaleri. E anche il Bre'n era perfettamente d'accordo con lei. Fissò lo Fssireeme mortificato per quello che aveva combinato. «Dì qualcosa, spiegami cosa stavi facendo,» ringhiò Kirtn. «Dimmi un solo motivo per cui non dovrei legarti e gettarti nel trasformatore.» «Io ho pensato... ho pensato di essere fuori dal raggio d'azione della Danzatrice,» sussurrò dispiaciuto lo Fssireeme. «Le altre volte, quando ho parlato con Arcobaleno, è andato tutto bene.» Lo Fssireeme era scurissimo. «Non mi rendo proprio conto di ciò che sia accaduto.» «Dove ti trovavi?» «Nell'armadietto degli attrezzi.» Fssa non aggiunse che era stato proprio Kirtn a consigliargli di andare lì
quando aveva necessità di comunicare con Arcobaleno. Il Bre'n imprecò, poi sospirò. Accarezzò i vaporosi capelli di Rheba. La ragazza s'era finalmente assopita, ma non più inconsciamente come qualche minuto prima. La sua forza lo aveva schiacciato. Questo pensiero lo preoccupava. Rheba era troppo giovane per avere tanto potere sull'energia libera. Alla sua giovane età disponeva già di una quantità d'energia superiore a quella della maggior parte delle Danzatrici del Fuoco adulte di sua conoscenza. Sorrise un po' mesto al ricordo del potenziale d'energia devastante/rinnovante che lo aveva attratto per prima cosa in quella donna/bambina Senyasi ora assopita di nome Rheba. Lei aveva mantenuto la sua promessa... forse era andata anche oltre. Fssa emise un piccolo rumore. Il Quarto Popolo l'avrebbe definito una schiarita di gola, ma lo Fssireeme non aveva una gola da schiarire. «Arcobaleno è diventato più grande da quando sta inglobando tutti i cristalli,» disse Fssa in Senyasi. «Si esprime in modo molto più chiaro ora, sebbene i suoi ricordi siano ancora solo frammenti di un passato più vasto.» «Parla fin troppo chiaramente ora,» ribatté gelido Kirtn. «Rheba è stata presa dalle convulsioni e stava quasi per spaccarsi il cranio se non fossi giunto io.» Fssa rimase attonito e diventò sempre più scuro. Kirtn sospirò ancora. Il serpentello non aveva colpa, non poteva immaginare che l'aumentato volume di Arcobaleno avrebbe fatto aumentare anche il suo raggio d'azione e la sua capacità di causare dolore alla Danzatrice. «Volevo solo sapere se Arcobaleno aveva mai sentito parlare di Ssimmi,» sussurrò Fssa. Sebbene parlasse in Senyasi, aggiunse un fischio di desiderio Bre'n, costringendo gli astanti a condividere quel tremendo dolore. La rabbia di Kirtn era scomparsa. Sapeva cosa significasse perdere la propria casa. La cateratta di fuoco che aveva distrutto il suo pianeta aveva bruciato anche il suo cervello. Spesso, di notte, Kirtn aveva gli incubi che gli ricordavano la fine di Deva. «Hai trovato il tuo pianeta?» L'interessamento di Kirtn aprì un barlume di speranza nel serpentello. «No,» rispose triste Fssa. «Arcobaleno non ne ha mai sentito parlare. Gli ho detto anche i vari nomi con cui è conosciuto. Ma se noi troveremo le altre pietre che lo compongono, forse la memoria potrà tornare. Forse allora
saprà dirmi dov'è Ssimmi.» «Forse. Ma adesso mio caro serpentello...» «Sì?» «Assicurati, d'ora in avanti, di essere sempre fuori dal raggio di Rheba, quando chiacchieri con Arcobaleno. Accertati bene della distanza che vi separa, prima di parlare.» Il fischio di assenso di Fssa sottintendeva molte scuse e tante promesse. Prima che avesse finito di scusarsi, un segnale sonoro avvertì i passeggeri che il balzo finale era imminente. Lo Fssireeme ripeté l'annuncio in varie lingue in una sola volta. Il segnale provocò una lotta generale per assicurarsi la posizione migliore. La manovra fu breve e tranquilla, ma svegliò Rheba. La ragazza ricordava solo vagamente il dolore lancinante alla testa. E questa era già una cosa buona. Poi i suoi profondi occhi dorati guardarono Fssa pieni di rabbia. «Stava chiedendo notizie di Ssimmi ad Arcobaleno,» fu subito pronto a dire Kirtn. «Erano nell'armadietto degli attrezzi.» Rheba ascoltò in silenzio. Poi disse: «E lo ha trovato il suo pianeta?» «No.» «Sempre peggio. Se almeno lo avesse trovato, avremmo potuto dire di aver sofferto per una causa giusta.» Fece una smorfia e si massaggiò le tempie per allontanare gli ultimi residui del mal di testa. «Dove siamo?» Per tutta risposta, il segnale sonoro dell'astronave avvertì i passeggeri che in tre secondi sarebbero ricomparsi nello spazio. L'astronave vibrò leggermente, annunciando che si sarebbero fermati su un'orbita un po' lontana da Daemen. Rheba spinse in avanti la leva dei comandi, ma non fece obiezioni quando Kirtn l'anticipò concludendo la manovra. I postumi della chiacchieratina di Fssa con Arcobaleno le avevano indebolito i riflessi quel tanto necessario a rendere la comunicazione col computer un compito ingrato più che un piacere. Kirtn controllò che nella zona non vi fossero né sistemi difensivi attivi, né passivi. A quanto pareva, il pianeta Daemen, o non era affatto armato, o lo era in maniera tanto ingegnosa che i sensori del Devalon non riuscivano a percepirlo. Ripensando alle osservazioni di Daemen sull'avanzata tecnologica del Devalon, Kirtn capì che molto probabilmente il pianeta era inoffensivo così come appariva dall'orbita in cui si trovavano. Invocando col pensiero l'aiuto dell'Ultima Fiamma, Kirtn guidò l'astronave in un orbita
vicina. Il pianeta apparve sullo schermo sempre più vicino, poi l'immagine si rimpicciolì e diventò un ologramma. Rheba e Kirtn si scambiarono un'occhiata d'intesa alla vista del mondo color ruggine avvolto in un'atmosfera evanescente, che volteggiava sulle loro teste nella Sala Comando. Daemen aveva detto il vero: il suo pianeta era un luogo molto tetro. Rocce, nient'altro che rocce. «È così cupo come sembra?», gli chiese Rheba. Daemen la fece sobbalzare parlandole da dietro. «Dipende da cosa sei abituata a vedere. Non è ricco di vegetazione come Loo o di oceani come Onan. Abbiamo moltissimo spazio per noi.» Rheba evitò di sottolineare il fatto che pochi altri esseri del Quarto Popolo avrebbero voluto vivere su un pianeta del genere. Si ricordò di aver sentito qualche storia di geologia simile su Deva, e guardò pensierosa il mondo che volteggiava lentamente sopra le loro teste. «Non avete mai avuto oceani, grandi laghi o... qualche cosa del genere?», chiese Rheba a Daemén come se il pianeta rivelasse un asciutto emisfero meridionale. «No. Attualmente i Seur credono che il Quarto Popolo o qualsiasi altro tipo di vita progredita, non si possa più sviluppare qui, sul nostro pianeta. Si pensa che siamo stati colonizzati durante il Ciclo Zaarain. Siamo gli unici che dovrebbero aver usato un'unica tecnologia sia per il drenaggio dell'energia che dell'acqua necessari alla vita del pianeta. Quando il pianeta venne colonizzato per la prima volta — e questo è successo così tanto tempo fa che la documentazione è stata conservata come lo sono i fossili nell'arenaria — non esisteva altra forma di vita oltre quella dei licheni. Non esistevano altre forme di vita, eccetto noi, e noi dipendiamo esclusivamente dagl'impianti lasciati sul pianeta da Cicli di cui non sappiamo neanche molto.» «Perché mai qualcuno ha voluto colonizzare queste rocce tanto strane?», chiese Rheba, pensando ad alta voce. «Te l'ho già detto. Si trova su una rotta di balzo naturale,» rispose Daemen un po' sulla difensiva. Per quanto il suo pianeta potesse risultare repellente ad una Danzatrice del Fuoco, era pur sempre la sua casa. «Non volevo dire niente di male,» disse Rheba. «Solo che... non c'è poi molto sul tuo pianeta.» «È certo più di quanto rimane del tuo,» rispose acido Daemen. Poi: «Mi dispiace. Per piacere non guardarmi a quel modo.» Sorrise e le pizzicò le
guance. «Mi perdoni?» Rheba sorrise nonostante la rabbia. Non poteva sempre prendersela con Daemen che difendeva il suo pianeta, né poteva prendersela con Fssa che ardeva dal desiderio di ritrovare il suo. «Ci sono delle precise regole d'atterraggio a cui ci si deve attenere su Daemen?», chiese brusco Kirtn, urtando Daemen e rimettendo a posto la leva dei comandi. La mano di Daemen s'allontanò dalle guance di Rheba. «Non penso proprio. Non abbiamo più astronavi da quando lasciammo il pianeta. Ormai più nessuno vive su Daemen.» La sua espressione era tra il divertito e il duro. «Che idioti superstiziosi! Credono ancora ai loro miti!» Kirtn, ricordando le parole di Satin, disse: «Di quali miti parli?» «Agiscono come se la Fortuna fosse contagiosa,» borbottò Daemen. «Vedi quella macchia scura?», chiese il giovane a Kirtn, indicando l'emisfero meridionale sulla sua testa. «Dove? Qui?», rispose Kirtn, indicando una macchia non molto distante dal polo meridionale del pianeta. «Sì. Quella è la Piazza Centrale. Tutte le città sono chiuse in un reticolato di strade che le collegano alle altre piazze. O almeno così dovrebbe essere. Ci sono delle grandi montagne da evitare,» aggiunse poi, per spiegare la mancanza di popolazione in alcune parti dell'emisfero meridionale. «Che cosa mi puoi dire di questo posto?», disse Rheba indicando il reticolato di linee e macchie che formavano l'emisfero settentrionale. «Rovine,» tagliò corto Daemen. «Erano al polo opposto di Piazza Centrale. Quando il reticolato principale d'energia diventò eccentrico, in quella zona perirono tutti.» Vide la sua faccia spaventata e aggiunse: «È accaduto tantissimo tempo fa. Sono trascorsi almeno due Cicli da quando i Seur sono riusciti a trovarli. Non andiamo più lì tanto spesso. Più sei distante da Piazza Centrale, meno progredita è la tecnologia: questa è la regola.» «Qualcuno potrebbe essere sopravvissuto,» rifletté Rheba, stranamente commossa da un disastro avvenuto centinaia di migliaia d'anni prima. «Qualcuno è sopravvissuto.» Daemen ebbe un moto di ripulsa. «Ora sono dei selvaggi. Ce ne vorrebbe di tempo per studiare dei selvaggi: ne abbiamo molti ancora più vicini al nostro pianeta.» Le sue dita magre indicarono un lembo di terra marrone sul polo meridionale. «Lì per esempio. Il reticolato d'energia diventò eccentrico nell'ultimo Ciclo. I Seur hanno ricostruito tutto il possibile, ma le montagne qui sono terribili. Piazza Uno è
sopravvissuta... almeno, il suo impianto di nutrimento sì. È ancora segnato sulle nostre mappe.» Daemen fissò la zona per un bel po'. «Mia madre volle andare là. Era la prima colonia. Lei pensava che avessero delle tecnologie molto avanzate che aspettavano solo di essere trovate dalla Fortuna. Ma gli altri Seur le parlarono del mondo esterno, e allora noi andammo fuori nella galassia.» Il suo volto sembrò alquanto contrariato. «Il Daemen non è tornato a casa con dei miracoli. I Seur rimarrano delusi.» Rheba lo accarezzò per mostrargli la sua solidarietà. Sarebbe stato duro per lui tornare dal suo popolo, sul suo pianeta, solo con la notizia della morte di tutti i membri della sua famiglia. I suoi capelli cominciarono ad ondeggiare e ad avvolgersi un spire al contatto con le guance del giovane. Kirtn distolse lo sguardo dal quadro dei comandi del Devalon e, vedendo i vaporosi capelli di Rheba vicini alle guance di Daemen, disse freddamente: «E in che modo di dimostreranno la loro delusione?» Daemen lo guardò confuso. «Non mi saranno ostili, se intendevi chiedermi questo. Saranno molto felici di vedere tornare a casa il loro Daemen. Senza di me, che guido le loro ricerche archeologiche, potrebbero anche effettuare degli scavi inutili.» «Sei piuttosto giovane per essere così intelligente.» La voce di Kirtn suonò neutra, poi cambiò. «Che età dovrei avere per esserlo? Io sono Il Daemen.» Il Bre'n scrollò le sue spalle muscolose. «La tua cultura è un problema tuo. Il nostro è quello di portarti a casa sano e salvo. Lo spazioporto è dotato di segnali luminosi?» «Non lo so.» Kirtn tornò alle sue manovre. I fischi Bre'n e le parole in Senyasi riempirono la cabina; un indicatore diventò blu-grigio con delle macchioline d'argento; una nota meccanica stonata ripeté il discorso tra l'uomo e la macchina. Kirtn si voltò indietro a guardare Daemen. «Avete dei segnali luminosi nell'astroporto. Sono molto elementari, ma pur sempre efficaci. Noi ci siamo proprio sopra ora. Se perdiamo l'orientamento, la nota ci avvertirà. Dovresti arrivare a casa», gettò un'occhiata agli indicatori, «tra diciassette minuti circa.» Sebbene non avesse aggiunto altro, gli astanti ebbero la precisa impressione che Kirtn sarebbe stato di sicuro più felice se la cosa si fosse risolta in pochi secondi. Rheba guardò il suo Bre'n chiedendosi perché avesse preso in antipatia
un giovane tanto affascinante come Daemen. La Danzatrice lasciò la mano di Daemen e sfiorò le spalle di Kirtn per chiedergli cos'era quello che non riusciva a sopportare in un tipo come Daemen. L'umanoide la ignorò. L'unica cosa che avrebbe voluto dire a questo riguardo era un bell'addio. Kirtn condusse l'astronave intorno al pianeta Daemen ad una velocità superiore a quella consentita dalle regole di sicurezza vigenti nella galassia. Sebbene il Devalon fosse stato predisposto per contastare quelli che riteneva degli ordini ingiusti, non protestò. I costruttori Senyasi dell'astronave l'avevano anche programmata per identificare i modelli comportamentali di un Bre'n infuriato com'era Kirtn in quel caso specifico. Capitolo VIII Nessuno venne loro incontro allo spazioporto. Soffiava un vento gelido, il cielo era sereno, ma il ronzio del Devalon assomigliava ad un filo metallico troppo teso. L'astronave all'improvviso tirò fuori gli stabilizzatori. Il ronzio cessò, ma non l'agitazione che aveva provocato. Frammenti di plastica rincorsero nuvole di granelli di sabbia attraverso il nastrotrasportatore. Non si notava nessuna rottura recente e non si vedevano altre astronavi. Rheba fissò l'ologramma dello spazioporto e sospirò. Non avrebbe avuto bisogno degli indicatori dell'astronave per capire che Daemen era un pianeta freddo, tetro ed arido. Daemen, come se vedesse la città per la prima volta, era costernato quanto la Danzatrice. Era ovvio che la realtà esterna non collimava con i suoi ricordi. «Da quanto tempo hai lasciato Daemen?», gli chiese Rheba. «Quattro anni.» «Solo quattro? Ma hai detto che eri un bambino quando sei partito da Daemen.» Daemen si voltò e la guardò negli occhi. «I miei anni sono più lunghi dei tuoi. In termini Loo, potrebbero essere circa diciassette anni.» Rheba borbottò. In termini Loo era un'eternità. Gli schiavi potevano avere un arco di vita più breve, ma essi di sicuro non se ne accorgevano. La ragazza guardò ancora Daemen dubbiosa, chiedendosi come aveva fatto a sopravvivere su Loo un giovane tanto sensibile.
«Pronto?», gli chiese Kirtn all'improvviso. Rheba rivolse lo sguardo al suo Mentore Bre'n. «Ma non c'è nessuno lì fuori. Non possiamo scaraventarlo di sotto e lasciarlo lì.» L'espressione di Kirtn sembrava asserire che lui l'avrebbe fatto molto volentieri. Si era proprio stufato delle occhiate sensuali della Danzatrice nei confronti di quel prestante enigma, tanto importante da dare il suo nome ad un pianeta intero. «Cosa suggerisci di fare: cominciare un servizio di baby-sitter?» Le Linee di Potenza Akhenet cominciarono a bruciarle sotto la pelle, rendendola improvvisamente incandescente. «Io suggerirei,» disse arrabbiatissima, «o di aspettare qualche contatto o di fornirgli una scorta.» Voltò le spalle a Kirtn e si rivolse gentilmente e Daemen: «Cosa pensi sia meglio, Daemen? Aspettare o andare in cerca di qualcuno?» Prima che Daemen potesse risponderle, fu Kirtn a parlare. Le sue parole furono fredde e taglienti come il vento che soffiava intorno all'astronave. «Sembra che non abbiamo scelta. Compagnia in arrivo.» Fischiò delle gelide istruzioni al computer. L'ologramma dello spazioporto cambiò, inquadrando l'intera zona. Quando l'immagine di coloro che si stavano avvicinando s'ingrandì, le sagome diventarono più nitide. Si trattava di un branco di pezzenti che camminava con la presunzione tipica di chi ha il potere nelle proprie mani. «Li conosci?», chiese Kirtn. Daemen si piegò in avanti per scrutare meglio nell'ologramma che era stato abbassato per controllare l'altezza. Il Bre'n notò subito, amareggiato, che Daemen aveva preferito appoggiarsi alle spalle di Rheba piuttosto che fare un piccolo passo in avanti per cercare di riconoscere quegl'individui. Un brusco fischio trasferì di nuovo l'ologramma sul soffitto. Sfortunatamente, Daemen non si spostò dalla sua posizione. «Sono Seur,» disse Daemen. «Si distinguono dal modo in cui camminano. Di solito indossano delle tute speciali. Penso che il sintetizzatore ogni tanto diventi ancora eccentrico.» Rheba guardò il gruppo che si stava avvicinando al Devalon. L'unica cosa speciale che avevano i loro abiti erano la linea e il colore antiquato. L'ultima volta che la Danzatrice aveva visto qualcosa di tanto repellente era stato quando il ciclo del cibo del Devalon aveva incrociato gli scarichi dei dispositivi sanitari dell'astronave durante un balzo non perfettamente
riuscito. «Ricordi qualcuno di loro?», gli chiese gelido Kirtn. Daemen fissò lo sguardo sugli uomini e sulle donne che si stavano avvicinando al Devalon. «Sono più magri di quanto ricordassi. Uno di loro potrebbe essere Seur Tric.» «È un amico o un nemico?», chiese seccato Kirtn. Daemen guardò la faccia ostile del Bre'n. «Perché non la smetti d'insinuare che i Seur non vogliono ch'io ritorni a casa?» Gli occhi dorati di Kirtn assunsero la lucentezza del metallo battuto, e la voce gli rimase dura. Rheba continuò a tenere la sua mano sul braccio di Daemen come se volesse ammonirlo e al tempo stesso proteggerlo. Kirtn ignorò la sua occhiata gelida, ma la mano della ragazza ancora sul braccio di Daemen gli fece molto più male del tono pretenzioso del giovane. «Correggimi se sbaglio... tu sei il leader di questo pianeta?», gli chiese mellifluo Kirtn. «Sì.» «Ma tu te ne sei andato, e allora i Seur hanno preso in mano la situazione.» «È il loro lavoro,» tagliò corto Daemen. «E a loro piace farlo?» Daemen lo guardò meravigliato. «Ma naturalmente!» «E allora cosa ti fa pensare che si decideranno a passarti di nuovo lo scettro del potere una volta tornato a Daemen?» «Io sono Il Daemen.» «Forse è un altro modo per dire stupido?», chiese Kirtn con voce chiaramente disgustata. Prima che Daemen potesse replicare, Fssa fece capolino dalla folta capigliatura di Rheba. «L'unica traduzione possibile di Daemen in un'altra lingua è "fortuna".» «Sta zitto tu, serpente!» Fssa si mimetizzò nei capelli di Rheba per non farsi vedere. La Danzatrice guardò Kirtn amareggiata. Le sue Linee ondeggiavano ancora, ma ora indicavano turbamento. Il suo Mentore Bre'n non stava agendo da essere raziocinante... o almeno non si stava comportando molto gentilmente. Non era sua abitudine comportarsi tanto duramente con un
giovane come Daemen. Un po' preoccupata, inconsciamente si grattò le Linee di Potenza Akhenet sulle braccia e si voltò a studiare l'ologramma. I vestiti del gruppo non migliorarono dopo un ulteriore esame, anche se qualcosa, nella combinazione dei colori, diventò ancora più ripugnante: alcuni di loro portavano collane di gioielli, grandi pezzi legati a casaccio da anelli di plastica disposti rozzamente. Tutti avevano dei gioielli brutti come loro. Portavano un cartello con su scritto "evviva". «Non sono armati,» disse la ragazza. «Almeno così pare. Cosa dicono i sensori del Devalon?» Senza fare commenti, Kirtn distolse lo sguardo da Daemen. Un trillo fischiato inviò una sequela di colori sugli indicatori dell'astronave. Il Bre'n osservò un attimo l'ologramma e poi commentò: «Non hanno neanche il metallo sufficiente per un anello da bambino,» Kirtn fissò Daemen. «Che tipo di armi usate su Daemen?» «Noi non le usiamo, o almeno non le usiamo spesso. Talvolta usiamo le sferze,» ammise con ovvia riluttanza. «Mia madre non avrebbe dovuto toccare i coltelli di plastica. Se non si frantumano, si piegano. Mi ha detto più di una volta che quei coltelli non valevano un bel niente.» Kirtn sorrise pensando che avrebbe preferito salvare la madre più che il figlio, dalla schiavitù su Loo. Sembrava essere stata più pratica di lui. Ma non era sopravvissuta a Loo. L'umanoide guardò Daemen con i suoi occhi dorati da Bre'n. Come aveva fatto quell'insolente a sopravvivere al resto della sua famiglia? Era tanto bello quanto traditore? «Non vedo alcuna sferza,» disse Rheba. «E neanche coltelli... ma quei vestiti sono così larghi che potebbero contenerne un servizio da dodici e non fare neanche una grinza.» «Non preoccuparti per i coltelli,» disse Daemen sorridendo. «Mia madre aveva visto giusto, E poi, una volta risconosciutomi, i coltelli sarenno l'ultima cosa a cui penseranno.» Kirtn non era per niente d'accordo. Se fosse stato al posto dei Seur, i coltelli sarebbero stati la prima cosa che gli sarebbe venuta in mente, a meno che non avesse potuto procurarsi delle armi migliori. Il gruppo si fermò al limite dell'area di stazionamento, osservando con molta attenzione la strana astronave. Borbottavano piano tra di loro, ma i sensori del Devalon riuscirono a captare i suoni. Appena si udì nella cabina la prima sillaba di queEo strano linguaggio, Fssa riapparve fuori dalla chioma di Rheba esibendosi in una serie di meravigliose contorsioni. Dopo aver tentato di assumere varie forme, ritornò
il serpente di sempre, con un nuovo prolungamento concavo provvisto di frange blu di metallo. Servendosi di quel prolungamento, Fssa assorbì tutti i più piccoli suoni di quello strano linguaggio imparandolo ed estrapolandolo con un'incredibile rapidità. Daemen, che aveva sempre considerato Fssa come un semplice serpentello, lo guardò stupito. «Cosa stai facendo?» «Fssa si sta...», cominciò Rheba. «Si sta stiracchiando,» la interruppe Kirtn. Quando la Danzatrice avrebbe voluto spiegare una volta per tutte il talento dello Fssireeme a Daemen, Kirtn le afferrò con forza il polso e le inviò telepaticamente un no molto deciso. Questo no continuava a risuonarle nella testa. Cominciò a ragionarci su, ci pensò meglio e poi, intenzionalmente, volse le spalle a Kirtn. La Danzatrice comunque non aveva intenzione di disobbedire al suo Mentore, anche se non capiva perché non volesse che Daemen scoprisse la qualità particolare dello Fssireeme come traduttore. Rheba fissò l'ologramma come se quei curiosi indigeni scheletrici fossero gli esseri più affascinanti della galassia. Delle gemme troppo volgari ed inverosimili per essere dei diamanti brillavano dietro di lei come se fossero poggiate sul letame degli scarafaggi. Quando fu sicuro che lei non gli avrebbe disobbedito, Kirtn le liberò il polso dalla sua stretta e tornò ad osservare Fssa. Il serpentello rivolse i suoi sensori verso Kirtn senza muovere lo strano prolungamento di cui era provvisto. Un fischio Bre'n risuonò da un angolo nascosto alla sinistra del riflettore parabolico. Kirtn ascoltò fino a quando fu sicuro che lo Fssireeme aveva imparato il nuovo linguaggio. Solo allora si voltò verso Daemen. «Cosa stanno dicendo?», chiese Kirtn ironico. «Non molto. Sono stupiti per l'astronave e si chiedono chi siamo, perché siamo qui, ed altre cose del genere,» disse Daemen con aria di sufficienza. Il giovane si dondolò in avanti, si avvicinò all'ologramma — e a Rheba — e poi tentò di identificare i Seur uno per uno. «Fssa?», fischiò Kirtn. «Dicono sempre le stesse cose?» «Sì,» rispose il serpentello in Bre'n. «Si stanno chiedendo se possiamo avere qualche tecnologia da vendere.» «E sperano che noi venderemo loro qualche tecnologia,» aggiunse Daemen fissando l'ologramma sullo schermo. Kirtn gli rivolse un'occhiata gelida, ma Daemen non la notò.
«Pensi ancora che i Seur saranno contenti di vederti?», chiese il Bre'n. «Sarebbero stati di sicuro più contenti se avessi portato loro qualcosa di utile per il mio popolo,» ammise Daemen. La Danzatrice si guardò intorno. «Questo non dovrebbe essere molto difficile,» gli rispose. «Abbiamo un sacco di strane cose che non usiamo qui.» Il suo sguardo si fermò su Arcobaleno: era avvolto nella rete sospesa ad un gancio incassato sul quadro dei comandi. Arcobaleno ciondolava lì sopra ogniqualvolta non si sistemava nell'armadietto degli attrezzi, costringendo lo Fssireeme ad assumere forme inverosimili. «Tu non sei una macchina,» disse la ragazza alla massa di cristallo. «Ti baratterò con qualcosa di più utile.» Daemen, in punta di piedi, si piegò per staccare Arcobaleno dalla rete. «Cosa stai combinando?», gli domandò Kirtn. Sorpreso dal tono di voce del Bre'n, Daemen fece un passo indietro. «Non sapevo che ti fosse particolarmente caro.» Kirtn guardò i cristalli che luccicavano attraverso la sottile rete. Ricordando il terribile dolore che Arcobaleno procurava a Rheba, non fu più tanto sicuro del suo valore. «Forse non è poi tanto prezioso. Non è vero?» Fssa emise un suono angosciato. Il suo corpo guizzò protettivamente verso Arcobaleno, ma si trovava ancora fuori del suo campo d'azione. Daemen guardò prima il serpentello che litigava con i capelli di Rheba, poi il volto inespressivo del Bre'n. Daemen fissò Rheba. Anche la Danzatrice fissava lo Fssireeme come se stesse cercando di decidere se Arcobaleno potesse valere effettivamente più di tutti i problemi che creava. «Alcuni di questi cristalli sono molto più vecchi di quelli che abbia mai trovato mia madre,» disse Daemen. «Ma la macchina deve essere sintonizzata male perché, in caso contrario, non potrebbe provocarti dei mal di testa tanto lancinanti ogni volta che viene attivata.» «Di cosa stai parlando?», chiese Rheba. «Arcobaleno non è una macchina.» «Sicuro che lo è. È una macchina Zaarain... o meglio, quello che ne è rimasto.» «Ne sei proprio sicuro?», gli chiese Kirtn, guardando Arcobaleno con nuovo interesse. «Guarda,» disse Daemen in tono confidenziale, «il tuo popolo potrà costruire le migliori astronavi della galassia, ma il mio conosce molta più storia di tutte le sei razze messe insieme. Questo,» continuò picchiettando
l'unghia su una delle superfici scintillanti di Arcobaleno, «è un complesso Zaarain. Una macchina.» Kirtn aggrottò le ciglia. Sapeva che i complessi Zaarain non erano necessariamente delle macchine. I Zaarain avevano costruito delle insolite forme di vita ma anche delle macchine incredibili. Arcobaleno faceva più senso come macchina che come entità vivente. Naturalmente, le razze litiche del Primo Popolo sembravano reali e al tempo stesso inverosimili. «Arcobaleno fa parte di un complesso più vasto, penso. È difficile parlarne,» aggiunse Daemen, girando la rete in modo tale da vedere tutti i lati della massa di cristallo. «Non è rimasto molto di lui, ormai.» «Ma allora, come puoi essere sicuro di quel che dici?», gli chiese Kirtn. «Le incisioni,» disse Daemen col tono paziente di un insegnante che parla con uno studente stupido. «Le acqueforti in realtà. O viasynth, se vuoi che sia più tecnico.» «Ma allora non è vivo?», gli chiese Rheba. Daemen sorrise. «È una macchina. Come potrebbe essere viva?» Fssa tradusse nel preciso linguaggio Bre'n affermando che il suo amico era vivo quanto lui. Arcobaleno era stato ridotto in frantumi, su questo non c'erano dubbi, ma ciò non negava la sua esistenza. Kirtn fischiò un imperativo acido: Fssa gli obbedì. Diventò molto scuro e si mimetizzò nei confortevoli capelli di Rheba. «Supponiamo che Arcobaleno sia una macchina,» disse Kirtn, «cosa ne potresti ricavare tu di buono?» «Probabilmente niente. Ma è sempre meglio che avere le mani vuote. Te lo pagherò. Ti darò tutto quello che ho. E anche se il sintetizzatore è un mostro immaginario, io potrei fare qualcosa di utile per te.» Rheba esitò, combattuta tra la necessità di Daemen e l'affetto di Fssa per Arcobaleno. Si voltò verso Kirtn. «Daemen dopotutto ha rubato per noi più di quanto ci fosse necessario per comprare il navtrix...» Kirtn avrebbe potuto sottolineare il fatto che, senza di lei, Daemen sarebbe rimasto su Loo. Ma non lo fece. Se Arcobaleno era una macchina, apparteneva a Rheba, perché era stata Rheba a volerlo salvare dalle grinfie degli schiavi-bambini su Loo. Se Arcobaleno non era una macchina, allora apparteneva solo a se stesso, e per questo non poteva essere dato via o venduto. Rheba guardò Arcobaleno ciondolare dalla rete e poi fissò Daemen:
sembrava vulnerabile ma speranzoso. Anche se Daemen li aveva assicurati che per i Seur sarebbe stato il benvenuto, era ovvio che era preoccupato di arrivare a Daemen a mani vuote. Fssa si lamentò dolcemente. Era difficile per la Danzatrice pensare, con lo Fssireeme che si lamentava sul suo collo. Non aveva parole per descrivere la tristezza di Fssa, le sue emozioni tradotte in musica. Rheba non aveva mai sentito una musica tanto triste prima di giungere a Loo, dove il Primo Popolo cantava l'eterna schiavitù. Kirtn fischiò a Fssa di smettere di cantare. La Danzatrice doveva avere la calma necessaria per prendere una decisione importante. Lo Fssireeme obbedì con un gemito. La ragazza guardò Kirtn per avere un consiglio da lui, ma fu come incontrare lo sguardo di un estraneo. Notò, come se fosse la prima volta, la sua bellezza quasi inumana, una perfezione raggiunta solo dai Bre'n, la forza e l'invulnerabilità. Da Kirtn non poteva ricevere nessun aiuto: davanti a lei c'era solo un Mentore che aspettava di vedere cosa aveva imparato la sua protetta. Fissò Daemen, magro e vulnerabile che, a differenza del suo Mentore, aveva molto più bisogno di lei. La Danzatrice non riusciva a prendere una decisione. Le sue Linee di Potenza Akhenet cominciarono ad ondeggiare. La ragazza chiuse gli occhi e recitò mentalmente le litanie delle Danzatrici. Le correnti d'energia tremolarono, poi cominciarono ad affievolirsi diventando quasi invisibili sotto la sua pelle. Rheba guardò Arcobaleno, impigliato nella rete, ciondolante tra le dita di Daemen. Cosa le faceva pensare che stava facendo una scelta tra due uomini? L'unica scelta che avrebbe dovuto fare era se Arcobaleno fosse una macchina o un essere senziente, morto o vivo. E questo non aveva proprio niente a che fare con Kirtn e con Daemen. Il segnale sonoro dell'astronave li avvertì: «I contatti esterni sono a posto. Il canale con l'esterno è caldo.» Rheba guardò l'ologramma. Il gruppo all'esterno si era radunato intorno ad un'asta sottile, inclinata. La ragazza suppose che fosse un trucco per comunicare, e che ora quindi si fossero collegati con l'astronave. D'altro canto, il Devalon avrebbe dovuto riferirsi al canale dicendo che era freddo, non caldo. La ragazza esitò, guardò Daemen, e poi gli prese la mano. «Non sono sicura che Arcobaleno sia mio e possa essere quindi io a decidere di darlo via. Fino a quando non sarò sicura...» Con un sorriso gelido, ma nello stesso tempo comprensivo, Daemen porse la rete ed il suo carico enigmatico a Rheba.
«Io sono ancora Il Daemen. A mani vuote o meno, sono tornato finalmente a casa. Grazie.» Le sue parole la fecero sentire ancora peggio. Rheba guardò il desolato spazioporto e la sudicia gente che lo attendeva a terra, con quegli orribili vestiti. «Non so molto sulle macchine,» disse Rheba all'improvviso «ma provengo da una cultura di cui il tuo popolo non ha mai sentito parlare. Sono degli storici: varrò qualcosa per loro, non è vero? Verrò io con te.» Il piacere di Daemen fu ovvio quanto il dispiacere dell'umanoide. Il giovane l'avvicinò a sé in una stretta non molto fraterna. «Mi piacerebbe molto se tu venissi con me!» «Quanto tempo starai via?», le chiese il Bre'n, quasi volesse metterla in guardia da qualcosa. Ma la ragazza era troppo presa dall'abbraccio di Daemen per notare Kirtn. «Non possiamo stare qui per molto tempo. Rischiamo di pagare la soprattassa per tutta la gente che abbiamo a bordo. Un giorno, forse due?», chiese Rheba cercando i meravigliosi occhi grigi di Daemen. «Saranno sufficienti?» Kirtn guardò il volto di Daemen e si chiese come avesse fatto a non considerarlo mai un uomo: un uomo rimasto affascinato da Rheba così come lo era lui. Daemen poteva essere liscio e magro come un bambino Senyasi, ma le rassomiglianze finivano lì. Sfortunatamente, questo era sufficiente per risvegliare l'istinto protettivo in ogni Akhenet. L'attrazione verso i bambini era aumentata sempre più negli Akhenet Bre'n e Senyasi fino a diventare una vera e propria ossessione. Era stata una soluzione necessaria, anche se drastica, al problema di perpetuare la razza Akhenet. Solo molto di rado una coppia Bre'n-Senyasi generava la sua prole e, sebbene l'accoppiamento della maggior parte degli Akhenets Bre'n-Senyasi fosse completo ed esclusivo, l'indice di natalità raggiungeva quasi il livello zero. L'interesse quasi ossessivo per i bambini, era tutto quello che le due razze Akhenet avevano salvato dall'estinzione. Appena Kirtn s'accorse della stretta che univa i due, amareggiato, arrivò subito alla conclusione che l'esclusività Akhenet non sarebbe stato un problema per lui e per la sua Danzatrice. A meno che non fosse lui l'unico escluso. I suoi occhi pieni di rabbia percorsero gli stessi canali che lui usava per rafforzare i Talenti Akhenets di Rheba. Appena percepì la rabbia che lo stava invadendo e, sapendo il pericolo
che correva, invocò la disciplina d'autocontrollo Bre'n per impedirsi di giungere allo stato di pazzia letale noto come rez. Il passaggio degli Akhenet Senyasi dalla fanciullezza alla maturità, era il periodo più difficile — e pericoloso — per una coppia Bre'n-Senyasi. I Senyasi non potevano fare a meno di inviare messaggi di desiderio sessuale e i Bre'n, così passionali, non riuscivano a rispettare i tempi. Non era un fatto insolito che una coppia Akhenet morisse uccisa da un Bre'n geloso giunto allo stato del rez. Tragedie del genere diventavano il tema dominante di parecchie canzoni Bre'n. Ma Rheba non conosceva queste canzoni perché Deva era morta prima che lei potesse impararle. Né Kirtn poteva cantargliele in quel preciso momento. La scelta doveva essere soltanto sua, doveva essere la scelta della Danzatrice del Fuoco. Doveva decidere da sola, senz'alcuna coercizione esterna. Gelido, Kirtn istruì l'astronave ad attivare il canale esterno. La sua voce amplificata coprì il mormorio proveniente dall'esterno. Sebbene Fssa potesse fare da interprete, Kirtn istruì il computer come se non avesse la possibilità di accedere al linguaggio di Daemen. «Salve, abitanti di Daemen,» disse Kirtn in Universale. «Abbiamo un regalo per voi. Possiamo, col vostro permesso, scendere dall'astronave?» Ci fu un'improvvisa esplosione di suoni e mormoni, poi il gruppo fece un cenno d'assenso. Un uomo avanzò verso l'astronave. I suoi vestiti erano orribili, ma i gioielli che portava erano molto più volgari. Appena si curvò sull'asta di comunicazione, la sua collana sì girò e brillò nella luce del sole. «Benvenuti,» disse l'uomo. «Io sono Seur Tric. Siete i benvenuti sul nostro pianeta. Siete dei mercanti?» L'avidità che suonava nella voce di Seur Tric, lo fece sorridere. «Noi non siamo mercanti, ma abbiamo qualcosa per te.» La perplessità di Tric apparve chiara anche dall'ologramma. «Un regalo? Non è necessario. Non ci sono tasse da pagare per l'atterraggio. Noi siamo degli studiosi, non dei profittatori. Chiunque arriva a Daemen è sempre il benvenuto.» Kirtn fissò l'ologramma e si chiese se Tric fosse realmente tanto ingenuo come sembrava. Aveva la netta sensazione che non lo fosse affatto. Il potere e l'innocenza non andavano bene insieme. «Ti ringrazio per il benvenuto a nome di tutto l'equipaggio,» gli disse gelido Kirtn. Poi si sporse dall'astronave, afferrò Daemen e lo avvicinò allo schermo del Devalon. Ad un ordine fischiato, l'astronave proiettò l'im-
magine di Daemen all'esterno. Il risultato fu sorprendente. «Lo riconosci?» Tric fu l'unico a rimanere al suo posto senza indietreggiare. Per qualche secondo continuò a guardare l'ologramma di Daemen come se fosse miope, arricciando gli occhi. «Jycc? Sei tu?» «Non Jycc, non più. Io sono Il Daemen, ora.» Dalla folla salì un mormorio generale. Era come se stessero osservando l'immagine di un ragazzo che non era più Jycc. Tric con le mani tremanti si accostò all'ologramma, poi piegò la testa a mo' d'inchino. Il suo respiro diventava sempre più affannoso. «Oh miei Seur,» disse Tric, nascondendo il volto, «La fortuna è di nuovo con noi.» Kirtn osservò il gruppo fuori dall'astronave e Il Daemen che avevano a bordo. Il Bre'n si sarebbe sentito più sollevato se fosse riuscito a capire se l'emozione che sconvolgeva i Seur fosse stato il piacere di rivederlo... o la paura. Capitolo IX Rheba tirò fuori da un armadietto i vestiti più pesanti. Cominciò ad indossarli per poter affrontare il freddo di Daemen. Kirtn lesse le temperature all'esterno sui sensori dell'astronave e pensò anche lui di cercare dei vestiti più pesanti. Anche per un Bre'n la temperatura di Daemen risultava un po' troppo bassa. La Danzatrice tirò fuori la testa dallo scialle verde provvisto di cappuccio che aveva scelto, e vide che anche Kirtn s'era coperto per ripararsi dal freddo dell'esterno. «Ma tu non devi venire con noi,» disse Rheba rivolta a Kirtn. «Che ti piaccia o meno, verrò anch'io.» Rheba si fece un po' indietro per paura che Kirtn la volesse schiaffeggiare. Rheba non aveva mai sentito prima d'allora tanta freddezza nella voce del suo Mentore. Pensò di chiedergli cosa c'era che non gli andava, poi decise di non farlo. Ebbe tanto buon senso da non parlare con un Bre'n alquanto infuriato. «Fssa.» Il tono di Kirtn costrinse anche Daemen a voltarsi verso il serpentello. Lo Fssireeme fece capolino dalla fluente chioma di Rheba con i suoi sensori colorati che giravano come trottole. «Dì a M/Dere di sorvegliare l'astronave. Nessuno deve salire o scendere dal Devalon senza la mia autorizzazione personale.»
Il serpentello emise dei rapidi suoni gutturali. M/Dere guardò prima Kirt, poi Rheba, senza muovere obiezioni agli ordini ricevuti dal Bre'n, anche perché le sembravano estremamente ragionevoli, La J/taal bofonchiò una specie d'assenso avvicinandosi al portello dell'astronave che in breve si sarebbe aperto per far scendere gli altri. «Dì ad Arcobaleno di trasformarsi in una collana,» disse Kirtn ancora gelido. «E affrettati anche tu, Fssireeme.» Fssa assunse una forma molto bizzarra. Rheba dischiuse le labbra, aspettando che il dolore s'impossessasse della sua testa. Non cercò neanche di protestare. Anche se Kirtn era arrabbiato, sapeva che il suo Bre'n non avrebbe permesso che quei due la ferissero, se non ce ne fosse stata la necessità. Il dolore arrivò all'improvviso prima che lei potesse allontanarsi da quei due. Fssa le fischiò una dolce scusa. Per rassicurarlo gli fece una carezza. Con un ultimo trillo, Fssa si mimetizzò nei suoi lunghi capelli dorati. Kirtn s'avvicinò alla rete per prendere con sé Arcobaleno. Invece della sua solita forma abbronzata, diventò una lunga collana di pietre tenuta insieme da campi di forza noti solo a lui. Kirtn esaminò la collana, le diede uno strappettino prima gentile, poi più vigoroso. La collana rimase intatta: Kirtn se la fece scivolare sopra la testa. Se un filo vistoso di gioielli su quel pianeta definiva lo status dei cittadini, lui si sarebbe comportato di conseguenza, e li avrebbe imitati indossando una magnifica collana. «Serpente.» La sua voce suonò brusca. Fssa fece capolino dai capelli di Rheba e si avvicinò all'orecchio della Danzatrice. I suoi sensori diventarono iridescenti appena notarono la presenza del Bre'n. «Sì?» «Traduci, ma non permettere a nessuno di sentirti, a meno che non te lo ordini io.» Kirtn usò il linguaggio Senyasi. Lo Fssireeme non poté fraintendere le sue parole: capì che sarebbe stato Kirtn, non Rheba, a dare ordini durante quella spedizione su Daemen. Anche Rheba fissò a lungo il suo Mentore senza muovere obiezioni: non era ancora il caso. Kirtn non aveva fatto niente di irragionevole. La ragazza non sapeva perché egli sospettasse di Daemen e del suo popolo, ma sapeva molto bene che il suo Bre'n era giunto quasi al limite del rez. Lei non avrebbe fatto niente per spingerlo verso il rez: sperava solo che potesse
tornare ad essere il Bre'n di sempre. «Apriti,» urlò Kirtn. L'umanoide non ebbe bisogno di ripetere l'ordine. Era fin troppo chiaro. L'astronave si aprì prontamente lasciando che l'aria fredda di Daemen penetrasse nella Sala Comando. Kirtn scese per primo. La sua sagoma, impressionante per la sua possanza, scendeva tranquilla la ripida rampa, con la collana che luccicava nella debole luce del sole. Dietro lo seguiva Rheba, con le Linee di Potenza Akhenet che le pulsavano sotto la pelle, illuminando il suo volto fin quando non incontrò gli occhi metallici di Kirtn. Per ultimo scese Daemen, alto quanto Rheba, ed entrambi risultarono sminuiti dalla stazza dell'umanoide. I meravigliosi occhi grigi di Daemen brillarono di piacere quando vide Seur Tric aspettarlo in fondo alla rampa. Daemen sorpassò Rheba e Kirtn per correre a riabbracciare il vecchio amico. Era sorprendente notare come i Seur fossero diversi l'uno dall'altro. Uno era abbastanza alto, un altro aveva una peluria lunga quanto i capelli di Rheba, un terzo aveva dei nastri tricolore in diagonale lungo il corpo. Seur Tric, a paragone, era molto sobrio. La sua pelle era rosa, ed aveva ciocche di capelli sulle guance, sul mento e sulle falangi. «Zio Tric,» gli sorrise Daemen, facendo un passo indietro per guardare il fratello più giovane di sua madre. Se lei fosse morta senza lasciare figli, sarebbe stato Tric la Fortuna. Ma lei aveva dato alla luce parecchi bambini, di cui uno era sopravvissuto per diventare poi Il Daemen. «Come sei sciupato! E i tuoi vestiti! Chi ha fatto cadere di nuovo una scarpa nel sintetizzatore?» Il volto di Tric sembrava lottare con delle emozioni non meglio identificate da Kirtn. Naturalmente Tric era contento di rivedere colui che un tempo conosceva come Jycc. Tuttavia, trovarsi in presenza del Daemen non era una cosa tanto piacevole. Forse Tric, vedendolo, aveva pensato alla sorella morta... oppure nella sua mente erano passati dei pensieri meno consolanti, qualcosa che poteva assomigliare alla paura che Kirtn aveva sentito nella voce di Satin quando aveva consigliato loro di gettarlo nello spazio. Kirtn decise di smettere di torturarsi il cervello. Gli altri membri del gruppo mormoravano fra loro e fissavano Arcobaleno appeso al collo muscoloso di Kirtn. L'umanoide portava il capo scoperto per fare bella mostra dei suoi cristalli multicolori. L'uomo peloso gli si avvicinò, e fissò a lungo il cristallo intagliato in
modo così originale. Fece un gesto come per afferrare la collana ma si fermò in tempo, prima di toccare Arcobaleno o il suo padrone. Tric si voltò verso il nipote. «Siete voi gli unici responsabili del ritorno su Daemen della Fortuna?», gli chiese il Seur in un Universale accentato ma comprensibilissimo. Kirtn non era sicuro che gli fosse piaciuto il modo in cui il vecchio aveva posto la domanda, ma in ogni caso gli rispose. «Daemen era uno schiavo su Loo. E così anche noi. C'è stata una rivolta.» Scrollò le spalle, mettendo in evidenza la tipica muscolatura Bre'n. «Il Loo-chim morì. Noi no. La mia Danzatrice,» ed indicò Rheba, «promise a tutti gli schiavi di riportarli a casa. Ha quindi mantenuto la promessa fatta a Daemen.» Prima che Kirtn potesse voltarsi e ritornare verso la rampa del Devalon, i Seur cominciarono a borbottare fra loro. La traduzione precisa di Fssa non poteva rimanere segreta se Kirtn ordinò allo Fssireeme di gridargliela da sopra la rampa. Con ovvia riluttanza, il Bre'n si voltò di nuovo verso i Seur. Quando s'accorse che Rheba si trovava ancora in fondo alla rampa e che si appoggiava a Daemen, il Bre'n le fece segno di ritornare sull'astronave. «Non c'è motivo di essere tanto rudi,» fischiò dolcemente Rheba, mentre ascoltava le parole di Kirtn che risuonavano di confusione e dispiacere. «Se non c'è altro, noi avremo bisogno di qualche vestito per gli schiavi.» «L'astronave confezionerà loro dei vestiti,» tagliò corto in Senyasi Kirtn. «Solo se noi permetteremo che venga aiutata dai convertitori esterni,» rispose Rheba in Senyasi. «Consumeremo un sacco d'energia tenendolo in funzione per tanto tempo.» Rheba non aggiunse il fatto che era stata un'idea di Kirtn quella di scorrazzare per la galassia. Lei era stata il pilota, ma il viaggio sarebbe dovuto essere più equilibrato, più lento, potendo contare però su più energia. Rheba vide la rabbia negli occhi dorati del suo Bre'n. Istintivamente salì sulla rampa, lo sfiorò parlandogli delle sue preoccupazioni, ed assorbì l'enegia del suo corpo con un'abilità che colpì Kirtn. Non servì come cura per la sua agitazione: fu semplicemente un tentativo momentaneo di evitare che scivolasse nel rez. Avrebbe dovuto ringraziarla. Avrebbe dovuto abbracciarla e rassicurarla. In passato Kirtn aveva agito così quando le complessità della sua natura Bre'n l'avevano spaventata. Ma le cose ora erano cambiate. Ora Rheba era più matura, una donna ve-
ra e propria, ancora incapace però di capire il suo Bre'n... e Daemen, in piedi in fondo alla rampa, lo fece sentire davvero goffo. Kirtn non biasimava Rheba per essere più attratta dalla grazia e dalla pelle liscia di Daemen che dall'irriducibile forza del suo Mentore. Non le addebitava alcuna colpa, ma neanche gli faceva molto piacere l'intera faccenda. Kirtn la guardò negli occhi. Gli sembrò di guardare il fuoco che sicuramente l'avrebbe incenerito, se ne avesse avuta la possibilità. Guardò Daemen e poi li fissò entrambi. «Tu devi venire agli impianti,» disse Seur Tric arrampicandosi sulla rampa. Il suo non fu tanto un invito, quanto un ordine. «Sì,» disse Daemen entusiasta, seguendo Rheba sulla rampa. Le accarezzò le mani e sorrise. «Per piacere. Voglio mostrarti il mio pianeta.» Anche Kirtn subì il fascino del sorriso di Daemen. Poi il Bre'n sentì freddo. Avrebbe voluto afferrare Rheba, correre nell'astronave e lanciare il Devalon nello spazio. Ancora una volta doveva essere lei a scegliere. La scelta spettava alla Danzatrice del Fuoco. Rheba fissò Kirtn come se gli avesse voluto chiedere il permesso d'andare su Daemen, ma in quel momento era come se Kirtn fosse un estraneo: aveva una impassibile faccia di bronzo. Una rabbia improvvisa la percorse tutta, riecheggiata dalle Linee di Potenza Akhenet. La rabbia e qualcosa che s'avvicinava alla paura. Faceva freddo sulla rampa, ed era sola. Si voltò verso Daemen, col suo solito sorriso affascinante. Senza aggiungere altro, Rheba lasciò che Daemen la guidasse tra le rovine dello spaziporto. Kirtn non si mosse. Rheba si disse che era tanto arrabbiata con Kirtn che non le importava affatto se l'avesse seguita o se fosse rimasto sull'astronave. Ma si sentiva peggio ad ogni passo che muoveva. Non sapeva cos'era che non andava nel suo Bre'n; il lamento di Fssa nelle sue orecchie poi, non la faceva star meglio. Proprio mentre era sul punto di ritornare indietro da Kirtn, la ragazza sentì l'energia del Bre'n nell'aria. La stava seguendo nell'ombra, più come un predatore che come un amico. La ragazza sospirò e si pentì dell'impulso che l'aveva guidata per la rampa. Rallentò il passo fino a quando Kirtn dovette decidere se camminarle al fianco o starle alle calcagna. Appena le si avvicinò Kirtn, Rheba gli mise la mano sul braccio vigoroso. Entrambi erano tanto emozionati che a quel semplice contatto fisico andarono in tilt. Rheba per un attimo riuscì a capire la rabbia/colpa/paura di Kirtn, e lui i sentimenti di lei.
Kirtn si allontanò da lei per non farle scoprire la gelosia che lo stava tormentando. Ma l'umanoide non poteva sopportare la vampata di dolore della ragazza al suo rifiuto. Si chiese quante briciole di disciplina d'autocontrollo gli fossero rimaste e passò una mano tra i capelli ondeggianti di Rheba, sperando di non farle percepire il profondo amore che nutriva per lei. Sollievo e piacere cominciarono a pervaderla facendole crepitare i capelli e le Linee Akhenet. Daemen indietreggiò quando una treccia crepitante di Rheba gli sfiorò il viso. Le sue urla allarmate avevano avvertito la Danzatrice di ciò che avevano provocato i suoi capelli. Daemen aveva un filo di sangue che gli scorreva sulle guance. «Mi dispiace,» gli disse molto preoccupata mentre il fuoco continuava ad invaderla. «Non mi sono reso conto di quello che stava accadendo... Non sono abituato a trovarmi in compagnia di persone che bruciano così facilmente.» Daemen indietreggiò quando la Danzatrice cercò la sua mano per individuare le bruciature che gli aveva procurato sulle guance. Daemen voltò la testa e sfiorò con le labbra il palmo della mano della ragazza. «Va tutto bene,» le disse e i suoi occhi risplendevano sorridenti. «Dovrò imparare a schivare le tue Linee di Potenza Akhenet.» Rheba sorrise sfiorandogli le labbra con i capelli, non più crepitanti ma ricchi di correnti d'energia libera che defluivano nel corpo del giovane. «Cose del genere mi capitano solo quando non presto molta attenzione a ciò che faccio. È il modo migliore?» Il sorriso risultò incandescente come i suoi occhi. Kirtn sperò ardentemente che Rheba dimenticasse la promessa fatta ed incenerisse una volta per tutte quell'essere tanto affascinante, ma fece molta attenzione a non toccarla mentre tali pensieri gli passavano per la mente. Poi vide Seur Tric guardare sospettoso Rheba e il nipote. Il Daemenita aggrottò le ciglia e distolse lo sguardo da loro. Kirtn era sicuro di aver visto la paura disegnata sul volto del vecchio l'istante prima che si voltasse a guardare le costruzioni che circondavano lo spazioporto. Perché il pensiero che Il Daemen facesse coppia con Rheba gli faceva tanta paura? O il suo era un semplice sentimento di xenofobia? Appena oltrepassò lo steccato che divideva lo spazioporto dalla città, Kirtn fischiò dolcemente. Il ricetrasmettitore doppiò il suo fischio dall'interno del Devalon.
«C'è qualche interferenza, Ilfn?» «Nessuna,» sussurrò la donna in Senyasi. «I passeggeri mostrano segni d'impazienza?» «Sì, ma non al punto da fronteggiare i mercenari J/taal. Inoltre, nessuno vuole rischiare di diventare schiavo su un pianeta così tetro.» Ilfn non aggiunse che per lei era stato da pazzi che Kirtn e Rheba fossero andati da soli su un pianeta come Daemen. Nelle sue ultime frasi aveva usato il Bre'n, un linguaggio molto emozionale. Non era necessario che lei dicesse di aver capito la gelosia che portava Kirtn a fare delle cose tanto insensate. Il suo fischio aveva voluto sottintendere i suoi pensieri. «Come si sta destreggiando l'astronave con le conversioni di energia all'esterno?», le chiese. «Per ora non abbiamo problemi. Lo spazioporto deve essere molto più attrezzato di quel che sembra.» «Quanto tempo abbiamo ancora d'energia per andarcene e provvedere ai nostri passeggeri?» «Parecchie ore.» «Ore! Mi era parso di capire che lo spazioporto fosse meglio attrezzato di quel che sembra.» «Non sembra attrezzato,» fischiò Ilfn. «Sembra che qui stiano ancora al punto di sfregare le pietre le une contro le altre per produrre il fuoco.» Kirtn fissò a lungo le costruzioni di pietra levigate dal tempo e convenne con lei in silenzio. «Avvertimi quando ci avvicineremo ai trenta minuti dal full power.» «Ma naturalmente. Kirtn, scusa...» «Sì?» «Volevo dirti che la tua Danzatrice è più matura di quanto tu non creda.» La risposta di Kirtn fu alquanto dura e pronunciata abbastanza ad alta voce da giungere alle orecchie di Rheba. La ragazza distolse lo sguardo da Daemen e si voltò verso l'irato Bre'n. «C'è qualcosa che non va sull'astronave?», gli chiese. «Niente di cui non possano occuparsi gli J/taal.» «È per questo che li hai lasciati a bordo?» Kirtn li aveva lasciati a bordo per precauzione. Su un pianeta straniero, era sempre meglio tenere una forza di riserva. Ma non aveva intezione di dirlo a Rheba. La ragazza era così affascinata da Daemen che non avrebbe mai creduto che il suo popolo fosse pericoloso. «Qualcuno doveva pur proteggere Ilfn e Lheket,» le rispose celando la
sua emozione. Rheba emise un suono vago. Ilfn aveva bisogno di protezione quanto una falce d'acciaio. Era una Bre'n, e i Bre'n erano molto forti. Lheket comunque era ancora un bambino. Come Daemen. Rheba guardò di nascosto La Fortuna che le camminava a fianco. Forse non era precisamente un bambino, ma neppure un uomo fatto. Una via di mezzo tra Lheket e Kirtn, non più un bambino, ma non ancora un uomo. Come Lheket, Daemen aveva bisogno di protezione. Rheba si chiese perché Kirtn non potesse sopportarlo, perché non fosse attirato come lei dalla vulnerabilità di Daemen. Seur Tric finì di parlare con i quattro uomini che lo avevano accompagnato. In un primo momento Kirtn capì che molto probabilmente due Seur erano rimasti indietro. Poi imprecò sottovoce per la sua sbadataggine. Tutto preso dalla gelosia per Daemen, non aveva notato che mancavano due degli scheletrici Seur che scortavano il vecchio. Sospirò di soddisfazione al pensiero che M/Dere e i suoi mercenari non sarebbero stati tanto ciechi come lui. «Cosa è successo al resto del gruppo?», chiese a Daemen. Daemen si guardò intorno. «Manca qualcuno?» «Un uomo, forse due.» Kirtn guardò in alto, ma l'angolo di una costruzione gli ostruiva la vista dello spazioporto. «Lasciate sempre indietro delle guardie quando ci sono delle astronavi straniere?» «Guardie?» Daemen sorrise. «Cosa potrebbero sorvegliare con un coltello di plastica? Se qualcuno è rimasto indietro, lo ha fatto solo perché affascinato dal vostro Devalon. Mostra ad un Seur una macchina in funzione e non riuscirai più a sbarazzartene! Mi sono molto meravigliato del fatto che Tric non abbia preteso di fare un giro per ogni armadietto e relay del Devalon.» La spiegazione di Daemen non riuscì a rassicurare Kirtn. L'ultima persona che era rimasta affascinata dal Devalon era stata Mercante Jal. Il suo interessamento per il Devalon gli era costato la vita, mentre a loro due era costato la libertà. Kirtn borbottò delle istruzioni nel ricetrasmettitore. Dietro di lui, nascosto alla vista, c'era il Devalon, inaccessibile a qualsiasi metodo d'attacco nucleare. L'unico collegamento dell'astronave con l'esterno avveniva attraverso il ricetrasmettitore e l'energia assorbita dall'esterno. Kirtn non avreb-
be chiuso il collegamento, fino a quando non si fosse presentato un attacco effettivo. Poi si autodefinì un pazzo. Il pianeta non aveva una tecnologia superiore agli armamenti di cui era provvisto il Devalon. Gli abitanti di Daemen che aveva visto fino a quel momento sembravano affamati e deperiti. Kirtn dubitò che avessero ancora un po' di forza combattiva. E, anche se l'avessero avuta, cosa avrebbero potuto fare dei coltelli di plastica contro le loro armi da fuoco? Non riusciva ancora a non guardarsi alle spalle, incapace di scacciare dalla mente quella sensazione di dover fuggire da qualcosa. Capitolo X L'impianto centrale, chiamato Centrins dagli indigeni, era immenso. Era stato costruito di un unico materiale multicolore che sembrava ondeggiare come i fiori sbocciati lungo i fiumi. Non si notavano crepe o macchie sulle pareti né sul soffitto a cupola, ancora colorato nonostante l'azione del tempo. E sì che di tempo ne era trascorso parecchio, più di quanto si potesse immaginare. Kirtn si sentì sopraffatto dal tempo e lo respirò nell'aria circostante. La Danzatrice s'appoggiò a lui per cercare il conforto che solo Kirtn poteva darle. Anche lei avvertì il peso del tempo sopra il Centrins. Rheba sentì il calore del corpo di Kirtn contro il suo in quell'atmosfera d'eternità che si riversava su di loro, un concetto su cui si discuteva da secoli. Il Centrins sembrava essere stato cotruito di recente. Risplendeva di fresco invitando gli uomini ad entrare per visitarlo. L'edificio, come si poteva notare anche più da vicino, aveva conservato il suo aspetto originario. Il terreno tutt'intorno poteva sembrare vecchio, le pareti di pietra forse erano state abbattute dai barbari per poi essere ridotte in sabbia, ma il Centrins vero e proprio non era mai stato toccato. «Stasi?», chiese Rheba in Senyasi perché non sopportava l'idea di descrivere il Centrins usando un linguaggio tanto emozionale quanto il Bre'n. «Hai sentito uno spostamento d'energia quando siamo entrati?» «No.» «Allora non c'è stasi,» disse Kirt. «Anche il Ciclo Zaarain aveva le nostre leggi fisiche. Dove c'è energia, non può esserci una perfetta stasi.» «Zaarain?», chiese Rheba. Poi: «Ma naturalmente. Ci deve essere per
forza. Nessun altro Ciclo riesce a convertire così bene i suoi manufatti.» «Non dovevano trattare molto bene le varie culture che incontravano.» «La gente non è tanto sensibile quando c'è di mezzo l'equazione materia/energia.» Kirtn si chiese se la ragazza stesse alludendo a lui. Le accarezzò il braccio e fu ricompensato con un sorriso che lo fece star male. «Almeno questo è bello come ricordavo,» disse Daemen allontanando Rheba da Kirtn. Il giovane le indicò un museo che si apriva sulla grande hall da dove erano entrati. «Fu proprio li che imparai per la prima volta a riconoscere i Cicli dai loro manufatti. Seur Tric,» sorrise a suo zio, «è stato il mio migliore insegnante.» Il sorriso di Seur Tric scoprì una dentatura incrinata e multicolore. Kirtn s'affrettò ad oltrepassare la hall nonostate l'ovvio desiderio di Daemen d'infilarsi nel museo Seur. Kirtn si fermò a fissare le scatole e i piedistalli che sostenevano oggetti che sembravano gridare la loro voglia di essere ammirati e studiati. Anche Rheba diede un'occhiata nella stanza, curiosa di conoscere qualcosa di più sui Cicli di cui aveva sentito parlare solo nei miti. Poi si voltò di scatto e s'affrettò dietro Tric. Kirtn non ebbe bisogno di toccarla per capire che cosa stava pensando; Deva non aveva avuto musei, monumenti e neppure studiosi interessati al passato. Con un'ultima occhiata nella stanza dove il tempo veniva preservato, Kirtn seguì le sagome di Daemen, Rheba e Tric che si ritiravano. Non c'era nessun altro in giro. Gli uomini che li avevano seguiti dallo spazioporto erano svaniti nei recessi multicolori del Centrins. Kirtn si guardò di nuovo intorno, poi borbottò qualcosa nel ricetrasmettitore. «C'è qualche problema?», chiese. «Nessuno. I sensori dell'astronave mostravano un flusso d'energia, qualche minuto fa.» La voce di Ilfn suonò molto chiara. «Noi abbiamo smesso d'assorbire energia dai connettori esterni: ricominceremo a riassorbirla tra un po'. Deve essersi verificato un sovraccarico d'energia nel nostro nucleo, oppure su questo pianeta si usa l'energia dappertutto.» Il corpo di Kirtn fu pervaso da un malessere non meglio identificato. «Sei sicura che stiamo ancora assorbendo energia?» «Sì. Cinque ore ancora per la capacità massima.» «Cinque? Io pensavo...» «Lo pensavo anch'io. Ma l'astronave ha ridotto il suo assorbimento dall'esterno, dopo il sovraccarico. Devo dare un ordine diverso.»
«No, non ancora. Il Devalon sa quello di cui ha bisogno meglio di chiunque altro. C'è dell'altro?» «Lheket vuole Rheba a bordo,» disse gelida Ilfn. «È innamorato pazzo dei suoi capelli crepitanti d'energia.» Kirtn sorrise. Lheket era cieco ed era ancora un bambino ma, a quanto pareva, neanche lui era insensibile al fascino della Danzatrice. Era proprio il tipo giusto per lei. Lheket sarebbe stato il padre dei suoi bambini appena avesse avuto l'età giusta. Quella almeno, sarebbe stata una relazione sopportabile per il Bre'n. Come Rheba chiava Ilfn sorella, perché la donna portava in grembo i figli di Kirtn, lui avrebbe potuto chiamare Lheket fratello, quando Rheba fosse rimasta incinta di una nuova razza di Senyasi. Era stato questo in passato il modo in cui Bre'n e Senyasi avevano potuto sopravvivere. E questo sarebbe stato anche in futuro il solo modo per sopravvivere. Se avessero avuto un futuro... due Bre'n, due Senyasi. Erano troppo pochi. Ma qualcun'altro almeno doveva essere sopravvissuto alla fine di Deva. Forse qualcuno c'era ancora sballottato nella galassia, in cerca come loro due, di altri Bre'n e Senyasi. Rheba e Kirtn avevano sentito parlare di Lheket su Loo, il pianeta su cui erano stati condotti come schiavi da Mercante Jal. Loro avevano liberato Lheket e la sua Bre'n. Se già ne avevano trovati due, ce ne sarebbero potuti essere altri, sparpagliati un po' dovunque. «Kirtn?» Il richiamo di Rheba lo distolse dai suoi pensieri. «C'è qualcosa che non va?», fischiò Rheba. «Stavo pensando agli... altri.» Non ebbe bisogno di spiegarle. Il suo fischio cantava il suo dispiacere e le sue congetture in proposito. Rheba lasciò Daemen e gli corse vicino. «Li troveremo,» disse fiera. «Per prima cosa porteremo gli schiavi sui loro rispettivi pianeti e poi noi saremo liberi di cercare i nostri congeneri. Che ne sai? Può anche darsi che ne troviamo qualcuno strada facendo.» Kirtn le passò le dita tra i capelli crepitanti. «Forse riusciremo a trovarli, piccola Danzatrice. Forse li troveremo, ma non qui,» aggiunse acido. «Questo posto non è esattamente il crocevia dell'universo.» «Rheba?», la voce preoccupata di Daemen lo precedette nella hall. «Cosa c'è che non va?»
Rheba spiegò brevemente la fine del suo pianeta e la loro intenzione di cercare i probabili sopravvissuti a Deva. «Io non so,» disse Daemen. «Devi aver pensato cose terribili quando mi sono lamentato di essere l'unico sopravvissuto della mia famiglia. Tu hai perso l'intero tuo popolo.» «Io non ho perso nessuno,» disse Rheba accarezzando le braccia di Kirtn. Daemen e Kirtn si scambiarono un'occhiata molto lunga, ma Rheba non la notò. Una strana campana cominciò a suonare nel Centrins. Dall'altro capo della hall, Seur Tric, li chiamò in Daemenita. «Stiamo arrivando,» rispose Daemen. «Lo zio è preoccupato,» disse poi rivolto a Rheba. «Questa è la campana per il pranzo. Il cibo viene servito nella sala da pranzo solo alle persone che si trovano sedute. Se non facciamo in fretta per assicurarci un posto a sedere, non mangeremo fino alla prossima volta che si cucinerà.» La ragazza sbatté le ciglia non molto sicura di aver capito bene quello che aveva detto Daemen. Quando arrivò Kirtn, lui alzò le spalle. Nessuno di loro due aveva capito, ma l'impazienza di Tric era alquanto evidente. S'affrettarono a raggiungerlo. La campana suonò una seconda volta. «Uh, oh,» disse Daemen correndo. «Se non ci affrettiamo, perderò il primo pasto a casa dopo svariati anni.» I quattro percorsero la hall, poi svoltarono nella sala da pranzo, stranamente normale. I Seur e le loro famiglie occupavano la soglia della porta, facendo a gara per passare avanti. Nessuno notò gli stranieri, perché ognuno di loro indossava costumi di diversi colori. E anche la gente era diversa. L'unica cosa che sembrava accomunare i vari Daemeniti, diversi per pelle, colori e caratteri somatici, era la loro magrezza quasi scheletrica. Una volta raggiunta la sala da pranzo, ognuno cercò d'assicurarsi il posto a sedere. Se c'era un ordine o una precedenza, non era palese. La fame, comunque, era evidente in tutti. «Assicurati che la tua sedia sia accesa,» urlò Daemen, per il gran chiasso. «Quelle spente non funzionano.» Kirtn emise un suono di disgusto. L'umanoide aveva visto i cherfs usare delle maniere migliori al momento del pasto. «Su, coraggio,» disse a Rheba. La tenne tra le sue braccia nonostante il trambusto e le gomitate che raggiungevano i due da tutte le parti. Quando la sua forza non fu sufficiente a sgombrare la strada, la ragazza emise delle
piccola scosse d'energia. La campanella suonò ancora. Qualunque dignità avessero potuto mai avere i Seur, ora veniva calpestata in quel vero e proprio assalto per assicurarsi un posto a sedere. Kirtn fece accomodare la Danzatrice su una sedia, per poi sedersi accanto a lei osservando meravigliato la bagarre generale. Seur Tric, tutto arruffato, si fece largo tra la folla, si avvicinò a Kirtn e gli si sedette a fianco. Daemen, dietro di loro, osservava la scena divertito. Era l'unico Daemenita che sembrava divertirsi a vedere quella assurda e frenetica corsa al cibo. Ma, per contro, era l'unico Daemenita ad avere un po' di carne sulle ossa. «Era la cosa che odiavo di più su Loo,» disse Daemen, catapultandosi sulla sedia vicina a Rheba. «I pranzi erano così noiosi lì. Su Daemen sappiamo riconoscere le pietanze ancora prima di sederci a tavola per gustarle.» La campanella suonò per la quarta volta. Tutte le sedie libere fino a quel momento diventarono scure. Si udivano lamenti ed imprecazioni dal gruppo di gente che non era riuscita a trovare il posto. Alcuni si gettarono sulle sedie, pur sapendo che i loro riflessi non avrebbero potuto scavalcare i sensori della macchina. Un suono stridulo uscì dalle sedie occupate fuori tempo utile. «Cos'era quello?», disse Rheba guardandosi intorno. «Il cuoco,» disse Daemen. «Il cuoco?», ripeté la ragazza incredula. «Sta ridendo per quelle persone che non sono riuscite a sedersi e quindi hanno perso il pranzo.» «Ma allora il cuoco è una macchina?» «Naturalmente.» Sorrise, poi le toccò il mento con la punta delle dita. «Non avevate dei cuochi su Deva?» «Le macchine non deridono gli esseri umani,» gli rispose Rheba alquanto seccata. «Forse non sul tuo pianeta. Qui lo fanno.» Fece scorrere le mani sul tavolo. «Cosa c'è per pranzo, zio Tric?» Seur Tric lo guardò desolato. «Non lo so. Non possiamo neanche preoccuparci del cibo.» «Oh no!», gemette Daemen. «Non dirmi che anche il cuoco è eccentrico!» «Qualche volta,» ammise Tric. «La scorsa settimana per esempio, ci
chiamò due volte a tavola per poi rinviare il pranzo. Tutto quello che riuscì a fare fu...» Brraaaaaak! Il suono proveniva proprio dalla sedia di Tric. Addolorato e sgomento, Tric si zittì di colpo. Kirtn fischiò dolcemente. «Senti l'energia libera, Danzatrice?» I capelli di Rheba ondeggiarono in un sussurro. I suoi profondi occhi dorati diventarono color ambra. Il suo fischio di risposta fu vago e quasi sognante. «Sì. Dovunque. Nella stanza, in tutto l'edificio. Energia libera... ma non statica, non dovunque. Spazio vuoto e oscurità, freddo improvviso.» Una cascata d'energia le affluì nel corpo. Di riflesso la ragazza si liberò dell'energia prima che potesse ridurla in cenere. Il soffitto s'infiammò. Tutte le sedie della sala s'illuminarono come fasci di luce in un'astronave al buio. Si udì un segnale sonoro di pericolo. Nella sala risonante di urli e grida, i Seur seduti saltarono sulle loro sedie. Solo Kirtn s'era accorto delle Linee di Potenza Akhenet che sì arrossavano sotto la pelle di Rheba fino a quando la Danzatrice sembrò bruciare di un fuoco vero e proprio. Ora i suoi occhi erano bianchi ed incandescenti come le sue mani. Kirtn fece defluire l'energia dal corpo di Rheba toccandola e richiamandola alla realtà, distogliendola dalla contemplazione delle irresistibili correnti d'energia. La ragazza sbarrò gli occhi. Un po' alla volta li focalìzzò su Kirtn. «Cosa è successo?» «Speravo che fossi tu a dirmelo. Stai bene?» Rheba sospirò e si stiracchiò. «Sì, sono solo un po' stanca, come se tu mi avessi insegnato qualcosa di terribilmente difficile.» Kirtn ricordò la torrenziale energia sprigionatasi dal suo corpo. «Quella macchina... o chiunque l'abbia messa in funzione, ti ha attaccata?» Rheba si coprì la bocca con la mano per fare uno sbadiglio. La mano, un po' alla volta, stava riacquistando il solito colore abbronzato. «Io non penso che sia accaduto niente del genere. Probabilmente avrò inciampato in qualche mangione, o avrò frainteso gli ordini.» «Avrebbe potuto ucciderti, lo sai?», precisò Kirtn. «Forse, ma il tocco è stato leggero. Ha dell'energia di riserva.» Rheba
tranquillizzò i sui capelli crepitanti d'energia muovendo la testa. «Non è stato peggio delle armi da fuoco dei Sorveglianti della Confederazione.» Le tavole di fronte a loro vennero sostituite. Il pranzo apparve colorato come le pareti. Sfortunatamente, più che avere un buon profumino di cibo, puzzava come un fertilizzante. Dopo un po', però, l'odorino si fece più appetitoso. Con un sospiro di sollievo, Rheba sollevò una posata appuntita apparsa insieme al piatto. Tagliò un boccone e tentò di masticarlo. Non si preoccupò che poteva essere avvelenato. Il Quarto Popolo poteva trovare qualsiasi altro cibo diverso dal loro poco appetitoso — anche disgustoso — ma di sicuro, se non aveva ucciso un Daemenita, non avrebbe neanche avvelenato un Bre'n e una Senyasi. Kirtn la osservò un attimo, poi sollevò la posata, assai meno entusiasta di Rheba. I Bre'n erano notoriamente dei raffinati. Assaggiò un boccone di cibo. Il cibo non era disgustoso come sembrava: era scadente, più che terribile. Gli abitanti di Daemen invece, mormoravano commenti positivi e si leccavano le labbra. I Daemeniti mangiavano il loro cibo come se fosse sempre stata l'ultima cosa che si sarebbero aspettati di mangiare. Anche Seur Tric sembrava molto soddisfatto. Mangiava in fretta, ruttando senza alcun riguardo per gli ospiti, continuando a tagliare il cibo a pezzettini e a divorarlo voracemente. Tric sollevò lo sguardo, s'accorse che Kirtn l'osservava, e gli fece cenno di mangiare. «Mangia! È raro che il cuoco sia in vena come oggi. Fa' presto!» Kirtn cercò Daemen. La Fortuna stava mangiando velocemente, riempiendosi la bocca in continuazione. Anche lui ruttava spesso e molto fragorosamente, Kirtn nascose il suo disgusto. Evidentemente, i prigionierischiavi di Loo non avevano insegnato al ragazzo qual'era la maniera più educata per stare a tavola. Rheba si piegò su Kirtn e gli fischiò una parola Senyasi nell'orecchio. «Rutta.» «Cosa?» «Rutta,» ripeté la Danzatrice. «Fssa dice che dovremmo ruttare anche noi. A quanto pare, qui è un modo come un altro per comunicare.» Kirtn borbottò qualcosa in Senyasi. Rheba aggrottò le ciglia, bestemmiò e inghiottì aria fino a quando non si esibì in un grande rutto. I Daemeniti suoi vicini lo guardarono con approvazione. Kirtn masticò sempre più cibo
e lo masticò quasi a forza. Tra i Bre'n, l'eruttazione non era solo segno di cattiva educazione, significava anche non saper mangiare. Tra i Senyasi era ancora peggio. I Senyasi ruttavano solo quando erano sul punto di vomitare. Kirtn sperò che nessuno s'accorgesse del silenzio della Danzatrice. La ragazza era sulle spine e brontolava tra sé. Kirtn suppose che stesse discutendo con Fssa, cercando di spiegargli che lei non riusciva ad essere tanto gentile da ruttare come gli altri. La discussione si fece animata. Quando lei s'offerse di vomitare per spiegargli il suo punto di vista, Fssa cedette. Poi, apparentemente dalla bocca di Rheba, uscì un rutto a dir poco epico. I Daemeniti smisero di mangiare e fecero suonare le loro posate sui tavoli a mo' di approvazione. Daemen e Tric la guardarono soddisfatti come di solito i genitori guardano i figli particolarmente dotati. Kirtn soffocò una risata e sperò che nessuno avesse notato i capelli ondeggianti di Rheba, sconvolti dallo spostamento d'aria del rutto spaventoso di Fssa. Serena, come se non fosse accaduto nulla di strano, Rheba continuò a mangiare. Durante tutto il pasto non s'udirono altro che rutti. Quando fu tutto pulito, i Daemeniti cominciarono a congratularsi tra di loro per l'ottima qualità del cibo. Alcune persone convocarono Seur Tric per chiedergli se qualcuno dei Seur in viaggio fosse tornato a Daemen con qualche nuova tecnologia di cui lui si fosse valso per programmare diversamente la macchina-cuoco. Tric borbottò, fece un gesto vago con le mani, ed inviò il quesito e i cibi all'Ultima Piazza. Ma non fu affatto facile liberarsi delle persone che gli si affollavano intorno. I Seur continuarono a fargli delle domande fino a quando qualcuno non s'accorse che il gruppo vicino a Tric era composto da stranieri. Tric non menzionò Daemen. Ma neppure i Seur lo riconobbero. Tutti i loro occhi erano fissi sulla collana di Kirtn. A quanto pareva, ogni cristallo antico posseduto dai Seur era noto a tutti il popolo. Ma non riconobbero affatto Arcobaleno. Più lo guardavano, e più si convincevano che Arcobaleno doveva essere il responsabile di quel pasto luculliano. Talvolta i cristalli potevano avere la potenza necessaria ad agire sul nucleo d'energia anche a distanza. Non c'era altra spiegazione possibile. I rifiuti di Kirtn, in un primo tempo furono confusi con la modestia. Quando fu ovvio che Kirtn era inflessibile, le voci dei Seur suonarono ostili.
Dopo uno scambio di frasi alquanto concitato tra Seur Tric e i suoi compagni, Daemen smise di tradurre. Fssa comunque, continuò a fischiare discretamente nell'orecchio di Rheba. Dopo alcune strane occhiate rivolte alla Danzatrice, i Seur ignorarono Rheba per continuare a parlare concitatamente con Seur Tric. «A quanto pare,» riassunse Rheba. «i cristalli sono una specie di chiavi per i macchinari Zaarain. Non tutti lavorano e, i pochi che lo fanno, non sono molto affidabili. Nessuno di loro di recente ha lavorato in cucina. A quanto pare, lo stato della loro pelle non è normale per un Daemenita. Il cuoco non fa altro che ridurli alla fame. Ma dopo che io ho emesso le correnti d'energia, qualcosa è scattato. I Seur sono andati in estasi per la cena.» «La cena di stasera?», fischiò Kirtn, incredulo. «Anche uno cherf, affamato avrebbe sogghignato. Se quella di stasera era la cosa migliore che il cuoco potesse mai cucinare, dovrebbero scaraventarlo fuori, corrergli dietro e farlo saltare su di un falò. Pensa a cosa devono mangiare di solito!» Lo stomaco di Kirtn emise degli strani rumori. «Preferirei non pensarci.» «Anche loro preferiscono non farlo. Infatti...» Rheba smise di fischiare all'improvviso perché Fssa le soffiò velocemente in un orecchio qualche parola del discorso dei Seur. Rheba sibilò un'imprecazione Senyasi. «Cosa c'è che non va?» «Vogliono Arcobaleno e non accettano rifiuti.» Capitolo XI Kirtn fissò i volti dei Seur che affollavano il tavolo. L'attenzione generale era rivolta ad Arcobaleno, che portava intorno al collo. Alla vista del corpo possente e muscoloso dell'umanoide, alcuni Daemeniti distolsero lo sguardo, ma solo per un momento. Il loro bisogno di chiavi di cristallo superava qualunque senso comune o scrupolo i Seur avessero mai avuto. Accanto a Kirtn, i capelli di Rheba all'improvviso ondeggiarono, scintillanti di vita. Kirtn sentì le correnti d'energia pervadere il corpo della sua Danzatrice, proprio perché Rheba gli si rannicchiava contro qualunque cosa accadesse. Fssa emise un lamento, un avvertimento Fssireeme per l'esplosione d'energia in arrivo.
«Dolcemente,» fischiò il Bre'n. «Forse Daemen può spiegarci cosa sta succedendo.» La ragazza non disse niente, e i suoi capelli continuarono a brillare d'energia. Rheba si piegò sul tavolo e parlò tranquilla con Daemen, fingendo di non sapere cosa stava accadendo, e grata al suo Mentore di aver tenuto nascosto il talento di Fssa. Sembrava che volesse trattare con il popolo di Daemen. «Cosa c'è che non va, Daemen?», chiese Rheba in Universale. Il volto di Daemen era preoccupato. «Arcobaleno. I Seur vogliono Arcobaleno.» «Dì loro che Arcobaleno non è mio, per cui non posso darlo, né tenerlo.» «Non lo capiranno,» disse impaziente. «È solo una creazione Zaarain, non un essere umano.» «Allora di loro che Arcobaleno è mio.» I suoi capelli crepitarono per la rabbia, cosa abbastanza normale per una Danzatrice del Fuoco. «L'ho fatto,» disse gelido. «Ma qui le cose funzionano diversamente. Le creazioni Zaarain possono appartenere solo ad un Seur. Praticamente tu ora stai violando le nostre leggi.» «Avresti dovuto dircelo però prima di lasciare l'astronave,» disse Kirtn con voce aspra piegandosi in avanti fino a quando i suoi occhi incontrarono quelli di Daemen. «Non ricordavo questo particolare,» gli rispose Daemen meschinamente. «Ero così contento di tornare a casa che non ho pensato ad altro.» Il Bre'n dominò la sua ira. Eccitato com'era avrebbe potuto prendersela con la Fortuna. «Ma tu sei Il Daemen,» disse Kirtn, ragionandoci su. «Tu sei il Re o chi per lui, non è vero?» «Sì.» «Talvolta hai delle esitazioni,» disse Kirtn, chiaramente disgustato. «Perché?» «Io sono la Fortuna,» disse riluttante Daemen. «Non ci sono dubbi su questo. È la mia eredità.» «Continua,» gli ordinò il Bre'n. «Ma...» Daemen si fermò, ovviamente contrario a continuare. Solo uno sguardo all'espressione dura di Kirtn servì a sciogliergli la lingua. Parlò in fretta come se fosse ansioso di terminare il discorso. «Ma, finché i Seur non si convinceranno di che tipo di fortuna è la mia, non avrò alcun potere reale. Questo è il motivo per cui i Seur mi stanno i-
gnorando. Se la mia non risulterà quella giusta, il mio popolo non vorrà più avere niente a che fare con me.» «Cosa significa quello che dici?», gli chiese Rheba. Il Bre'n fischiò acido. Temeva d'aver capito esattamente ciò che Daemen voleva dire. «Buona o cattiva sorte,» riassunse Kirtn in Universale. Daemen tremò ma non discusse. Rheba fissò Daemen cercando semplicemente di capire le conseguenze delle sue affermazioni. «Vuoi dire che non sarai un governante fino a quando i Seur non avranno deciso se tu sei la buona o la cattiva sorte?», gli chiese infine Rheba, incredula. Il suo volto giovane e bello sembrò invecchiare. «Per piacere,» disse in Universale. «Non pronunciare di nuovo l'altro tipo di fortuna. Se i Seur ti sentono, penseranno che tu li stai maledicendo. E allora tutti noi finiremo nella zuppa.» «Nella zuppa?», replicò Rheba quanto mai sconcertata. «È un'espressione barbara,» spiegò impaziente. «Essi danno in pasto i loro criminali allo zoolipt.» Kirtn lesse la soddisfazione negli occhi scuri di Seur Tric, e si ricordò che lo zio di Daemen capiva l'Universale quel tanto che bastava per seguire la loro conversazione. Kirtn diede un calcetto a Rheba da sotto il tavolo per attrarre la sua attenzione. La Danzatrice lo guardò spaventata perché al contatto fisico col Bre'n, ebbe la netta sensazione di vedere la sua mano sulla bocca, come se le avesse voluto consigliare di fare silenzio. Seur Tric all'improvviso balzò in piedi e zittì il resto del gruppo. Li guardò molto attentamente. «Oggi La Fortuna è tornata su Daemen e già siamo pronti a tagliarci la gola a vicenda.» «Anche tu hai avuto il tuo primo pasto decente dopo svariati mesi,» sottolineò Daemen sconcertato. «Ciò non prova niente,» gli gridò lo zio. «Questo è giusto,» urlò Daemen. «Niente è stato provato. Non si può parlare di buona fortuna, né d'altro.» Zio e nipote si fissarono a lungo: Kirtn aveva il presentimento che il ritorno della Fortuna non era un motivo per far festa su Daemen. Si chiese per la prima volta se la madre di Daemen avesse lasciato il pianeta di sua
volontà o se fosse stata esiliata. Cosa significava quello che aveva detto Daemen di sua madre, cioè che aveva girato tutta la galassia in cerca di nuove tecnologie perché le loro ormai vecchie stavano cadendo a pezzi? Era quella la verità, oppure erano stati i superstiziosi Daemeniti a mandare via la famiglia detentrice del potere per cercare di cambiare la loro fortuna? Il malessere colpì il Bre'n come un vento gelido. Era molto improbabile che il popolo accogliesse con entusiasmo il figlio di una governante che essi stessi avevano deposto. Kirtn, sereno, valutò la distanza che lo separava dall'uscita. Troppo lontana. I Daemeniti non sembravano avere armi, tranne qualche sferza. Con la forza Bre'n e il fuoco Senyasi, sarebbe stato più facile di quando erano usciti per la prima volta da Onan, inseguiti dal fuoco delle armi dei Sorveglianti della Confederazione fino allo spazioporto. «Danzatrice del Fuoco,» parlò in Senyasi nel tono modulato tipico di un Mentore. «Dobbiamo andare via.» «E cosa ne sarà di Daemen?» «Lui è a casa,» disse gelido Kirtn. «I suoi sogni si sono avverati. Cos'altro possiamo fare per lui?» Rheba trasalì notando l'ironia del tono di voce del suo Bre'n. «Posso almeno offrirgli di portarlo con noi? Non riesco a pensare di lasciarlo tra gente simile!» Kirtn allargò le orbite degli occhi per diventare gelido come solo un Bre'n sapeva essere. «Tric capisce l'Universale. Se tu parli con Daemen, perderemo il margine di sorpresa che potremmo avere su di loro.» La ragazza non disse niente, risoluta ed inflessibile come tutti i Senyasi. «Va bene,» gridò Kirtn. «Aspetta fino a quando avrò istruito l'astronave. Poi puoi stare a parlare col tuo giovane liscio finché non ti cadranno tutti i denti!» Sorpresa, rabbia ed agitazione s'insinuarono nella Danzatrice. Solo il pericolo della loro situazione la salvò da una scioccante ed incandescente manifestazione delle sue emozioni. Kirtn la ignorò, fischiò dolcemente nel suo ricetrasmettitore e spiegò la loro situazione. Non ci fu risposta. Fischiò di nuovo, molto forte. Niente.
«Cosa c'è che non va?», gli domandò Rheba, dimenticando la sua rabbia. «Il ricetrasméttitore non funziona. Non riesco a comunicare con l'astronave.» Portò la mano sul gancio che nascondeva il ricetrasmettitore. Appena lo esaminò, le Linee di Potenza Akhenet cominciarono ad ondeggiare lungo la sua mano. «Sta funzionando, ma non arriva energia dall'astronave. Il Devalon è al massimo della difesa. Niente entra, niente esce.» «Da chi si dovrebbe difendere?», domandò la ragazza. «Dalle sferze e dai coltelli di plastica?» Ma Kirtn, mentre parlava, manovrò il gancio in modo da attivare anche il segnale d'emergenza. Se Ilfn avesse avuto il tempo necessario per lanciare un messaggio-capsula fuori dall'astronave, lo stridore acuto del ricetrasmettitore glielo avrebbe comunicato. Con la punta delle dita, Rheba s'avvicinò al gancio, aspettando che Kirtn terminasse l'operazione. «Pronto,» tagliò corto l'umanoide. Le mani della ragazza diventarono incandescenti quando Rheba trasmise l'energia nel ricetrasmettitore utilizzando quella in dotazione all'astronave nella fase di massima difesa. Il ricetrasmettitore riprese a funzionare. Il meccanismo d'entrata/uscita riprese a funzionare ed emise un messaggio. Il fischio di Ilfn servì per riassumere la situazione. Qualcosa non era andato per il verso giusto con i connettori esterni. C'era l'energia sufficiente a tenere in funzione l'astronave e i sui meccanismi di difesa, ma niente di più. Il Devalon aveva analizzato la situazione e ne aveva concluso che l'astronave si trovava sotto attacco. Aveva dato un preavviso di cinque secondi, memore del messaggio di Ilfn, e poi si era fermata. «Dobbiamo risalire sull'astronave,» disse Rheba guardando i presenti con i suoi profondi occhi dorati, incandescenti e pieni di paura per il pericolo che stavano correndo rimanendo su quel pianeta. «E a cosa servirebbe? Non abbiamo l'energia sufficiente per decollare.» Rheba emise un'imprecazione. «Se io tornassi indietro, forse potrei attivare i connettori esterni con la mia energia.» «Supponiamo che tu possa procurarci l'energia che il Devalon non è in grado di fornirci — e questa è solo una supposizione, Danzatrice del Fuoco — se noi alteriamo la sicurezza dell'astronave per entrarci, poi potremo lasciarla indifesa. Sarebbe meglio andarci piano, almeno fino a quando non
sapremo qualcosa di più preciso sulla natura di questo attacco.» Rheba accettò le argomentazioni di Kirtn, ma fu ben visibile la sua impazienza, dato il colore fiammeggiante delle sue Linee Akhenet. Daemen, che aveva ascoltato i loro fischi e i loro discorsi in Senyasi, senza capirci nulla, nel silenzio generale disse: «Se a te non dispiacesse tanto prestarmi il tuo Arcobaleno, forse potrei risolvere questo problema.» Seur Tric lo interruppe per chiedergli di parlare nella lingua-madre di Daemen. Il giovane si voltò e gli rispose un po' spazientito. Fssa continuò a tradurre mimetizzato nella folta chioma di Rheba. «Cosa significa che questi cristalli non sono unici?», chiese Daemen fissando lo zio. «Sono venuti qui con me. Non hai alcun diritto su quei cristalli, né puoi ostacolarmi in alcun modo. Stai attento, zio. Io sono La Fortuna!» Sul volto dello zio, l'affetto che poteva aver nutrito un tempo per il nipote, si trasformò in ira e timore. «Hai la stessa arroganza di tua madre. Lei non riuscì a trovare nemmeno una piccola cosa dimenticata dalla fortuna per migliorare la nostra tecnologia. Mi ricordo di quella volta che si adirò con noi perché ci rifiutammo di lasciarla andare tra i selvaggi di Piazza Uno, in cerca del mitico Primo Impianto. Le salvammo la vita dandole l'ultima astronave in nostro possesso, ma tu credi che ce ne sia stata grata? No! Ti ha educato ad essere un bambino dimenticato dalla Fortuna come lei!» La sua voce suonò quasi strozzata. «Perché, in nome della Fortuna, non sei morto? Viviamo meglio senza tua madre. Vivremo molto meglio senza di te. Meglio non averla proprio la Fortuna che essere perseguitati da quella cattiva!» Per un momento, Daemen fu troppo scioccato per parlare. Poi, pian piano, come se volesse assicurarsi di non aver frainteso le parole di Tric, chiese allo zio: «Sei stato tu ad esiliare mia madre?» «Lei e tutta la sua famiglia sfortunata,» ammise risoluto Tric. «Lei è morta fuori dal nostro pianeta, per cui noi non voghamo che i suoi figli vivano su Daemen. Noi volevamo liberarci anche di te.» Gli occhi di Daemen impallidirono e poi diventarono di ghiaccio. «Ho fatto molte cose utili per voi,» disse Daemen, guardanto il gruppo di Seur che l'ascoltavano. «Il Centrins ora è in condizioni peggiori di quelle in cui lo lasciò mia madre, non è vero? Non è vero!», urlò balzando in piedi e guardandoli uno per uno fino a quando il Seur distolse lo sguardo,
incapace di guardare negli occhi La Fortuna. «Dovresti ringraziare la mia fortuna che sono ritornato a casa. Ora forse potrai mangiare qualcosa di meglio di quella robaccia a cui siete abituati!» «O qualcosa di peggio,» mormorò Tric. «Cosa ci potrebbe essere di peggio?» «Temo proprio che lo sapremo presto.» «Hai paura,» sogghignò Daemen. «Non mi meraviglio che ti sia sbarazzato di mia Madre. Lei non aveva paura di niente.» «Lo so bene,» sospirò Tric, «lo so bene. Finché non fece soffrire altre persone, tua madre non ebbe paura di niente.» Kirtn trattenne Daemen in procinto di sferrare un poderoso destro allo zio. La Fortuna lottò inutilmente contro la stretta possente di Kirtn. «Se uccidere potrà risolvere i tuoi problemi,» disse Kirtn, «mi piacerebbe farlo con le mie mani. Permetti?» «Cosa?» «Di aiutarti.» Daemen cedette alla presa di Kirtn. «No. Potrebbe succedere di peggio. Ma con mia madre ha proprio sbagliato,» disse Daemen abbastanza convinto. «Lui non l'ha vista nella Fossa degli Schiavi di Loo. Ha lottato per i suoi bambini finché lei... lei...» Kirtn cercò i suoi occhi per dimostrargli tutta la sua comprensione. I recinti degli schiavi di Loo erano peggiori di qualunque inferno cantato dagli antichi filosofi. Che il piccolo Daemen fosse sopravvissuto a Loo, per Kirtn era la dimostrazione più tangibile che il giovane era effettivamente La Fortuna. «Cosa potremmo fare ora? È il tuo popolo,» aggiunse Kirtn rivolto al giovane che lo guardava fisso negli occhi. «Dovresti conoscerli meglio di me.» Daemen aggrottò le ciglia, poi s'avvicinò a Kirtn per appoggiarsi a lui. «Corri all'astronave,» sussurrò. «Se è vera solo la metà di quello che gli schiavi mi hanno detto di Rheba, i Seur non potranno fare molto per fermarla.» «Hanno però qualcosa che blocca la nostra astronave,» rispose gelido Kirtn. «Non abbiamo neanche l'energia necessaria per decollare.» «Che sfortuna!», imprecò Daemen. «Ho dimenticato il nucleo di scarico.» «Il nucleo di scarico. Fa parte dello spazioporto. Potrebbe fornirvi l'energia per farvi decollare...»
«Oppure potremmo rubarlo,» concluse Kirtn. «Sì.» Daemen sembrava avvilito. «Ricordo che avemmo dei problemi per farlo funzionare quando decollammo. Mia madre sorrideva perché pensava che fosse un segno del destino, pensava che la sua fortuna le avesse voluto impedire di partire. Era furiosa, lo ricordo bene, quando Tric capì che l'energia si poteva conservare nel nucleo, invece di assorbirla dallo stesso. Io credo proprio...», deglutì e poi sussurrò: «Io credo proprio che la sua Fortuna non sempre sia stata buona.» Era difficile per Daemen ammettere una cosa del genere. Neppure Kirtn fu molto contento di dirglielo. Se la fortuna era qualcosa d'ereditario — e, almeno per il momento, sembrava cattiva — allora, chiunque gli fosse stato vicino, avrebbe potuto essere catturato dalla sua rete. Il Bre'n capì solo allora perché Satin aveva consigliato loro di uccidere Il Daemen.» D'altra parte, Daemen era sopravvissuto a Loo. La sua fortuna non poteva quindi essere del tutto cattiva. I Loo, comunque, avevano pagato un prezzo molto elevato per la sua sopravvivenza. Non che i Loo fossero stati degli spettatori innocenti, ma pensare questo non era confortante. Quello che per Daemen era buona fortuna, sarebbe potuta diventar morte improvvisa per chiunque gli fosse stato vicino. La mano di Rheba afferrò il braccio di Kirtn come se avesse capito perfettamente i suoi pensieri. «Sono solo superstizioni,» disse in Senyasi con disprezzo. «Inoltre, anche se fosse vero, Daemen a noi non ha portato che buona fortuna.» Kirtn fissò a lungo le facce ostili dei Seur. «Ci porterà fuori di qui,» disse Rheba fiduciosa. Ma si stringeva ancora a Kirtn. L'umanoide capì il dubbio che la ossessionava: potrà fare qualcosa per noi? «Lasciatemi vedere se la mia idea funzionerà,» disse Daemen. Kirtn e Rheba fissarono entrambi Daemen. «Faresti meglio a calmarti,» disse Kirtn acido. Poi si liberò di Arcobaleno e lo pose con i suoi meravigliosi cristalli intorno al collo di Daemen. I Seur borbottarono, ma non interferirono. La bocca di Tric si fece sottilissima. Il vecchio si voltò verso i Seur. «Noi abbiamo mandato La Fortuna in cerca di nuove tecnologie. La Fortuna è ritornata a Daemen sotto una nuova veste. Ora noi proveremo la forza e il tipo di fortuna che è ritornata sul nostro pianeta.» I Seur borbottarono ancora ma non mossero obiezioni. Provare La Fortuna era uno dei riti più antichi e più sacri che conoscessero.
Tric lesse un muto assenso sui loro volti. Si avviò verso l'uscita senza assicurarsi che gli altri lo seguissero. I Seur rincorsero il loro capo frettolosamente. Rheba e Kirtn si guardarono. Non avrebbero mai avuto un'occasione migliore per fuggire, ma che cosa ne avrebbero ricavato, se il Devalon fosse stato ridotto in polvere? «Seguimi,» disse Daemen, indovinando i suoi pensieri. Prese la mano di Rheba fra le sue. «Tu puoi sempre fuggire, se il mio piano non funzionerà.» Neanche Kirtn poteva discutere col pragmatismo di Daemen. «Dove stai andando?» «Al nucleo del Centrins,» disse Daemen, guidandoli fuori dalla sala. «Proveremo lì la chiave dei cristalli di Arcobaleno e vedremo cosa succede.» «Ma se Arcobaleno è davvero una macchina, o quasi,» si corresse Kirtn quando Fssa sibilò il suo più caldo disaccordo, «tu potrai volare fuori del Centrins.» «Sì,» disse sereno, «ma sarà allora che arriverà La Fortuna.» Kirtn fissò Daemen. I Daemeniti dovevano essere i più coraggiosi o i più stupidi tra i popoli appartenenti alla Confederazione Yhelle. La sala dei comandi dell'impianto era molto piccola, appena sufficiente ad accogliere le venti persone che lo affollavano. I Seur si fecero di lato per permettere a Daemen, Rheba e Kirtn di avvicinarsi a Tric. A Kirtn non piacque l'idea di voltare le spalle ai Seur, ma non trovò il modo per evitarlo. Tric fece segno di fare silenzio. Sfilò un cristallo piccolo quanto un dito dalla catena che portava al collo, inserì il cristallo in un buco nella parete, ed aspettò. La parete fece un rumore sordo e scivolò di lato, rivelando una conglomerazione fantastica di cristalli. Sembrava che si fossero creati dal nulla, senza la guida di un modello campione, né di una intelligenza superiore. Le superfici intagliate vennero illuminate da un luminoso campo d'energia. Arcobaleno brillava di mille colori, riflettendo la luce dell'altra costruzione Zaarain più grande. Seur Tric si voltò di nuovo verso il nipote. «Sai qual'è il tuo compito.» La Fortuna si tolse Arcobaleno dal collo, e rimase per qualche secondo in contemplazione dei meravigliosi cristalli. Senza preavviso, fece girare
Arcobaleno intorno alla macchina. La catena di cristallo volò nell'aria grazie ad un'energia che solo Rheba poté percepire. La ragazza cominciò a stringersi forte la testa. Arcobaleno roteò vorticosamente nell'aria, liberando delle dolorose schegge di luce. Rheba urlò di dolore quasi sensa accorgersene. La ragazza si sentì venir meno e cadde al suolo. Arcobaleno cadde nella macchina. Tutte le luci si spensero. Fu come essere scagliati nel buio della notte. Kirtn, agguantata Rheba, provò il suo stesso dolore indicibile e svenne. Era incosciente quando cadde sul pavimento. Capitolo XII Quando Kirtn riprese conoscenza, si trovò vicino a Rheba, con la testa poggiata sul suo seno e Fssa che gli parlava piano in un orecchio. Rheba gli stava dando degli schiaffetti per farlo rinvenire, chiamandolo per nome a bassa voce, ma fu solo la paura per la sua vita a richiamare la sua mente fuori dal buio narcotizzante nel quale l'avevano spedito i Seur. Cercò di sedersi. Arcobaleno dondolò intorno al suo collo emettendo un suono smorzato di cristalli. Il mondo gli girava terribilmente tutt'intorno. Per un attimo pensò di essere sul punto di vomitare, poi le correnti d'energia della sua Danzatrice del Fuoco blandirono i suoi nervi tesi. Fssa gli fischiò un benvenuto ondeggiando mimetizzato nella folta chioma di Rheba. «Non sederti ancora,» disse Rheba baciandolo sulle guance, un po' sollevata dal momento che le condizioni fisiche del suo Mentore sembravano migliorate. «Qualunque cosa t'abbiano dato, passerà tutto in fretta, se rimarrai disteso ancora un po'.» Kirtn trattenne un'imprecazione ma accettò il suo consiglio di rimanere ancora supino. «Questo è l'equivalente locale della prigione?» Fu Daemen a rispondere, non Rheba. «I Seur non credono alla utilità della prigione.» Questa volta il Bre'n imprecò ad alta voce. «L'unico popolo a me noto che non credeva nelle prigioni, non aveva bisogno di crederci. Li uccidevano loro i criminali, senza fare troppe storie.» «Oh no,» disse Daemen. «Noi non siamo dei barbari.» «Neppure loro lo erano,» rispose acido Kirtn. «Per essere proprio preci-
si, erano dei Pragmatisti.» La stanza girò vorticosamente intorno a Kirtn. Nonostante il consiglio di Rheba, Kirtn aveva tentato di nuovo di sedersi. «Cosa?», Kirtn si guardò intorno infuriato. C'erano finestre un po' dovunque. Il pavimento era trasparente. Per tutta la lunghezza della stanza erano sistemati divani dalle tonalità scure. Dovunque ci si voltasse, il paesaggio risultava sempre incredibilmente triste e desolato. In pochi secondi si susseguivano immagini di rovine spettacolari. Tra le rovine non si vedevano altro che rocce e un cielo blu scuro scintillante di miliardi di stelle. «Ma cosa sta succedendo per tutti i Nomi del Fuoco?», chiese Kirtn. «Noi stiamo...», rispose Rheba a fatica, «ci stiamo muovendo. Stiamo andando alla Piazza Uno, o in qualunque altro maledetto posto che gli indigeni definiscono in tal modo.» Daemen trasalì per il tono della voce della Danzatrice quando aveva pronunciato la parola «indigeni». Ovviamente, non voleva essere paragonato ai Seur. Kirtn sorrise e cominciò a sentirsi subito meglio. Forse il fascino di Daemen aveva perso d'interesse per Rheba. D'altra parte, l'esilio era un prezzo molto alto da pagare per la ritrovata saggezza della sua Danzatrice. Kirtn si sedette sostenendosi alla parete a cupola. La stanza continuò a girargli intorno, ma non lo disturbò più come prima. I motori, del resto, erano stati costruiti proprio per muoversi. «Tutto bene, Daemen.» Kirtn sospirò. «Parlaci un po' di questo fatto.» Gli occhi del giovane incontrarono quelli di Kirtn poi, per un attimo, Daemen distolse lo sguardo dall'umanoide. Dopo un po' tornò a fissarlo. «Non so da dove cominciare.» «Da dove vuoi,» gli rispose Kirtn, indicando col dito le rocce rosse e dorate tutt'intorno, e il cielo blu scuro, molto più scuro di quello che aveva visto sovrastare la città. «Abbiamo un sacco di tempo, non è vero?» «Ah... sì, ho paura di sì. Una vita, a meno che non sia molto fortunato. Ma lo sarò, tu lo sai. Io sono La Fortuna.-» «Dimmi qualcosa che non so ancora,» disse con sarcasmo Kirtn. Rheba accarezzò il suo Bre'n supplicandolo di essere gentile con Daemen. La Danzatrice si rese conto solo allora che la sua difesa di Daemen aveva fatto profondamente arrabbiare l'umanoide, ma ora Kirtn pensava solo a lei. Offesa dal comportamento di Kirtn, Rheba ritirò la mano per
vedersela prendere di nuovo e per poi essere appoggiata sul braccio di Bre'n. Daemen guardò la scena raccogliendosi sempre più in se stesso. «Ogni Daemen deve provare la sua fortuna,» disse alla fine. «Dì solito noi lo facciamo presso le rovine di Zaarain... o presso le rovine di qualsiasi tecnologia avanzata, cercando dei manufatti che potrebbero migliorare le nostre vite.» Daemen si morsicava le labbra, mostrando il nervosismo e la pena che non risuonavano nella sua voce. Il suo sorriso era troppo maturo per i suoi anni. «Ora ho capito molte cose. Troppo tardi. Mia madre era giusta e sbagliata: per la Fortuna lei era sbagliata!» Kirtn e Rheba aspettavano pazienti, immaginando la difficoltà di Daemen nel parlare. «Mia madre ha sempre creduto che la sua fortuna fosse buona, anche quando fu cacciata da Daemen, anche quando perse tutto il nostro denaro su Onan conducendoci alla Fossa degli Schiavi di Loo. Continuò a credere che tutto sarebbe andato per il meglio, che da qualche parte su Loo si sarebbe potuta trovare la risposta alle necessità del nostro pianeta e che fosse lei la Fortuna prescelta, l'unica che avrebbe potuto far rinascere la sua gente.» Dai capelli di Rheba si diffuse tutt'intorno un rumore sibilante. Il rumore fu più che altro un commento Fssireeme alla stupidità ostinata di qualche esponente del Quarto Popolo. Rheba fischiò un avvertimento al serpente e Fssa ubbidì all'istante. Daemen notò la cosa, troppo preso dal suo passato per ascoltare qualcosa che riguardasse il suo presente. «Naturalmente,» continuò Daemen, «anch'io credevo in tutto questo. Ero suo figlio. Non avrei mai potuto pensare che la sua fortuna potesse essere... cattiva. E di questo ne sono ancora sicuro.» I capelli di Rheba ondeggiarono al commento incredulo di Fssa, non molto lontano dall'orecchio della Danzatrice. Kirtn era d'accordo con lo Fssireeme, ma pensò bene di non farlo capire. La cosa sarebbe servita solo a rendere Rheba ancora più impaziente di difendere il suo affascinante Daemenita. «Comunque,» disse Daemen, «quando ho visto Arcobaleno, mi sono ricordato di quello in cui credeva mia Madre. Ho pensato che le sue supposizioni fossero tutte giuste tranne una, che cioè sarei stato io il Daemen che avrebbe fatto rinascere il nostro popolo.» Kirtn aspettò che La Fortuna continuasse a parlare, mentre il silenzio e il desolato paesaggio riempivano la stanza in movimento. Quando l'uma-
noide non ce la fece più ad aspettare, si sporse verso il giovane. Arcobaleno si liberò dal collo di Kirtn, assorbì la luce esterna e si frantumò in mille schegge trasparenti. Daemen guardò la trasformazione di Arcobaleno stupito, e chiuse gli occhi. «Cosa è successo?», chiese Kirtn con i suoi occhi dorati fissi su Daemen come un campo di forza. Daemen cercò di sorridere ma non ci riuscì. «Io...» La sua voce s'affievolì sempre più. Si schiarì la gola e cercò nuovamente di parlare. «Cosa ti ricordi?» «Tu hai lanciato Arcobaleno nella macchina. Poi c'è stata una esplosione di luce. Per un bel po' di tempo Rheba ha urlato. Prima che potessi aiutarla, qualcuno mi ha messo al tappeto.» Gli occhi di Daemen dapprima evitarono d'incontrare lo sguardo dell'umanoide, poi continuarono a fissarlo e Kirtn non poté fare a meno d'ammirarlo. Erano poche le persone che riuscivano a resistere alle occhiate di un Bre'n infuriato. «Si è spenta la luce,» disse Daemen. «Lo so,» urlò Kirtn e poi si rese conto che Daemen non si stava riferendo al fatto che il Bre'n era svenuto. «No, non lo so. Dimmi, continua.» «Arcobaleno ha fatto qualcosa al nucleo del Centrins perché d'un tratto a smesso di funzionare. Questo è quello che so. Anch'io dopo ho perso conoscenza.» «Fssa.» La voce di Kirtn suonava tranquilla e controllata, ma lo Fssireeme apparve all'istante. «Cosa hai sentito tu?» La domanda molto precisa era stata formulata in Senyasi. E in Senyasi fu la risposta di Fssa. «La macchina ha comunicato con Arcobaleno causando il solito terribile mal di testa a Rheba. Non ho potuto seguire molto la loro conversazione.» Ammirazione e frustrazione risuonavano nella voce dello Fssireeme. «Che capacità di sintesi incredibile!» Le labbra di Kirtn fischiarono un rimbrotto sordo. «Non ci sono dubbi, ma che cosa si saranno detti?» «Non lo so. Ma, dopo che si sono spente le luci, quando voi tre siete svenuti, Arcobaleno e la macchina non si sono trovati d'accordo. O, almeno, la maggior parte della macchina non s'è trovata d'accordo con Arcobaleno.»
«Continuo a non capire,» tagliò corto Kirtn, «sebbene il linguaggio Senyasi di solito sia molto preciso.» «Ora Arcobaleno si è notevolmente ingrandito.» Kirtn afferrò la lunga catena di cristalli che portavano intorno al collo. Li esaminò attentamente, poi ci rinunciò. Arcobaleno poteva, e lo fece, riordinarsi a suo capriccio a seconda della necessità del momento. Dapprima era stato una doppia manciata di cristalli, poi s'era trasformato in una corona e in una collana composta di una rara conglomerazione di sfaccettature diverse. «Sei sicuro? Sembra sempre lo stesso.» «Il suo modello d'energia è alquanto diverso. Inoltre, Arcobaleno mi assomiglia da parecchi punti di vista. I suoi campi di forza possono farlo pesare di più o di meno, a seconda della necessità; per questo il peso non è un indice molto attendibile per stabilire la sua massa in un preciso momento.» Kirtn aggrottò le ciglia, ma non formulò altre domande a Fssa. Se lo Fssireeme aveva detto che l'andamento energetico di Arcobaleno era cambiato, non c'era motivo per non credergli. Sicuramente era così. «Allora... Arcobaleno ha rubato una parte del nucleo del Centrins?» Fssa sospirò quasi fosse stato un essere umano, appoggiando il mento sulla spalla di Rheba. «Non lo so,» fischiò, deviando il discorso con le enormi complessità emotive del linguaggio Bre'n. «Significa rubare, portare via qualcosa che una volta faceva parte di te?» «Tu pensi che Arcobaleno in un lontano passato, facesse parte del nucleo del Centrins?», chiese Rheba prima che Kirtn potesse precederla. «Forse ma non è molto probabile. Gli Zaarain hanno inventato molte macchine,» le spiegò Fssa. «Il nucleo della maggior parte di esse è identico. La macchina e Arcobaleno hanno qualcosa in comune. E tu sai quanto sia fanatico Arcobaleno nel recuperare le sue parti perdute. Penso che abbia visto dei cristalli utilizzabili, li abbia staccati... e le luci si sono spente.» Kirtn si lamentò. Daemen guardò prima lo Fssireeme poi la Danzatrice del Fuoco; infine rivolse di nuovo la sua attenzione a Kirtn. La Fortuna non capiva nessuno dei linguaggi usati da lui, ma sapeva che l'oggetto della loro discussione era Arcobaleno. «Cosa state dicendo?», domandò La Fortuna. Kirtn e Rheba si scambiarono un'occhiata d'intesa, chiedendosi col pen-
siero cosa rispondere a Daemen. All'improvviso, prima che Rheba potesse rispondergli, Kirtn gli disse: «Fssa non sa molto più di quello che ricordiamo noi.» Daemen lo guardò scettico, ma non parlò. «Sei tu ad esserti svegliato per primo?», chiese Kirtn a Daemen. «Sì. Ti hanno dato una dose maggiore oppure sei più sensibile di me alla droga.» Daemen fissò contrito il Bre'n. «Come ti senti ora?» «Sopravviverò.» Daemen sospirò. Era chiaro che l'ostilità di Kirtn nei suoi confronti non era ancora scemata. «Rheba si era svegliata dopo che il motore ha raggiunto la velocità massima.» Kirtn guardò fuori dalle finestre-pareti per evitare di parlargli. Il paesaggio stava velocemente cambiando, le formazioni rocciose si notavano sempre in lontananza. «Dove stiamo andando?», chiese il Bre'n rivolgendosi bruscamente a Daemen. Daemen esitò a parlare poi, anche se riluttante, rispose: «Andiamo alla Piazza Uno.» «Non era quel posto dove sarebbe voluta andare tua madre quando i Seur glielo impedirono?», chiese Rheba. «Sì, proprio quello.» «Perché i Seur le impedirono d'andarci?». Ci fu un lungo silenzio di Daemen, perché il giovane stava cercando le parole giuste. «Perché non le permisero di raggiungere la Piazza Uno?», insistette la Danzatrice. «La gente che c'è andata, non ha fatto più ritorno,» le rispose infine Daemen addolorato. «Perché mai?», si chiesero i due all'unisono. «Non lo sappiamo. Forse è il motore,» aggiunse con ovvia riluttanza. «Il motore,» lo punzecchiò Kirtn. «Che cos'è il motore?», chiese a Daemen, guardandosi intorno nella stanza trasparente a forma di pallottola che sfrecciava lungo una traccia invisibile, verso un'ignota destinazione. «Non penso...», cominciò Daemen sospirando. «Io non sono sicuro che il motore vada sempre alla Piazza Uno. C'è un abbassamento di potenza talvolta, sotto le montagne.» I dorati occhi a mandorla di Kirtn sembravano farsi più grandi sotto la
sua mascherina dorata. «Un'interruzione.» Alzò le spalle. «E così dovremo fare il resto della strada a piedi.» «La strada da fare non è poi molta,» rise Daemen dolcemente. «Perché non è molta?» «Non c'è aria.» «Cosa?», dissero increduli Rheba e Kirtn. Si voltarono a guardare fuori dalla finestra i resti di impianti sconosciuti tra le distese sterili di rocce e pietre. Fu Kirtn il primo a capire cosa significasse il cielo blu scuro. «Non è notte!» Fissò il quadrante del motore che era opaco, proteggendo i suoi occupanti dai distanti raggi del sole. «Il cielo è scuro perché non c'è atmosfera.» «Sì,» disse Daemen, triste. «Solo gli Impianti hanno l'aria. Oh, c'è atmosfera fuori di qua, ma non è sufficiente per un essere più grande di un batterio.» «Ma... ma,» borbottò Rheba, sbalordita da un pianeta quasi tanto desolato quanto un mondo incenerito dal fuoco, «come coltivate la terra?» «Coltivare?» Daemen lo guardò sconcertato. «Gli Impianti ci forniscono tutto il cibo di cui abbiamo bisogno.» Poi, ricordando i reclami di Seur Tric, aggiunse comunque: «Sul tuo pianeta le macchine non provvedono al vostro cibo?» «No,» disse Rheba con un fremito. L'idea di essere in tutto e per tutto alla mercé di una sostanza inanimata la disturbava alquanto. Kirtn lo guardò pensieroso. I suoi occhi osservavano il paesaggio con nuova consapevolezza. Pianeti come questi erano comuni, molto più comuni dei caldi monti dove la vita sembrava più difficile. Se gli Zaarain avevano trovato Daemen utile per la sua posizione su una rotta naturale di balzo, avrebbero dovuto colonizzarlo. Le loro tecnologie erano più che adeguate al loro lavoro. Ma né gli Zaarain avevano rifatto il loro pianeta a loro immagine, né le macchine avevano rimesso a posto quello che era in cattivo stato. In entrambi i casi, il risultato era stato lo stesso. «Anche l'aria che respiri è stata costruita e rimessa posto da macchine e campi di forza che il tuo popolo non può conoscere, né tantomeno duplicare o servirsene,» borbottò Kirtn, tra il seccato e lo stupito. «Naturalmente,» disse Daemen. «È stata quella la vìa per centinaia di anni. E sarà quella fino a quando resisterà la nostra fortuna.» «Fino a quando resisterà la tua fortuna...»
Rheba non aggiunse altro, ma il suo orrore era chiaro ed evidente come le Linee di Potenza Akhenet che le pulsavano sulle braccia. «Questo è successo perché i Seur hanno spedito fuori dal pianeta la tua famiglia,» disse Kirtn piano senza far trapelare la sua emozione. «Il pianeta non può permettersi altro che una Fortuna migliore. Le vostre macchine sono troppo antiquate.» Daemen fece un gesto di rassegnazione. Il giovane sembrava invecchiato da quando si erano spente le luci nel Centrins. Ormai Daemen non credeva più alla qualità della sua fortuna, e ancora meno a quella di sua madre. «Io potrei,» sussurrò, pensando ad alta voce, «anche essere... un altro.» Kirtn e Rheba avrebbero voluto dissentire, ma non lo fecero. «Sono sorpreso del fatto che i Seur non t'abbiano già ucciso,» disse infine il Bre'n. La risata della Fortuna fu al tempo stesso triste ed arrabbiata. «Sarebbe la cosa peggiore che potrebbero fare. Se mi uccidessero, qualsiasi altra fortuna portassi con me, potrebbe rimanere libera nella Piazza Centrale fino alla fine dei tempi.» «Perché non ci hai permesso di lasciare il pianeta insieme a te?», chiese Rheba al giovane. «Seur Tric voleva che lo facessi,» disse Daemen. «Ma gli altri hanno detto che io prima o poi sarei ritornato, portandomi dietro anche cose peggiori della fortuna.» Poi le luci ritornarono nell'edificio. Non erano molto brillanti, non erano tante, ma erano sempre meglio dell'oscurità totale. «I Seur hanno deciso che, tutto sommato, sarebbe stato meglio per me ritornare alla Piazza Uno come voleva fare mia madre.» Esitò, poi continuò a parlare. «Se la mia fortuna è buona, andrò lì e poi ritornerò a casa sano e salvo. E se poi non lo sarà, la mia fortuna non mi abbandonerà al loro Impianto. Credo che non mi uccideranno,» disse, evitando di guardare il panorama squallido intorno a loro. «La Piazza Uno esiste. Il suo Impianto ci registrerà. Non è possibile che mi stiano mandando verso la morte sicura.» Né Kirtn né Rheba sapevano cosa dire. Il sospiro triste di Rheba risuonò nella stanza trasparente. Se trovarsi nei guai, nella piena desolazione, non significava morte sicura, lo Fssireeme non sapeva proprio cosa avrebbe potuto significare di diverso. Probabilmente sarebbe sopravvissuto, ma i suoi amici del Quarto Popolo sarebbero sicuramente morti. In lontananza apparvero delle montagne le cui linee cancellavano metà
delle stelle. Rheba e Kirtn le guardarono terribilmente affascinati, aspettandosi da un momento all'altro uno schianto quando la forza irresistibile del motore avrebbe incontrato la massa mostruosa inamovibile. Allora i loro stomaci si agitarono: le stelle e le cime delle montagne scomparvero appena il motore finì in picchiata sulla terraferma. Il mondo cambiò di nuovo, facendo loro capire che il motore aveva ripreso una direzione parallela, ma questa volta sotto la superficie del pianeta. Il silenzio e l'oscurità erano insopportabili. Nonostante sapessero che il motore andasse a velocità supersonica sotto la massa montuosa, ad ognuno di loro sembrò che si fosse fermato nel cuore della notte. «Dov'è la rottura?», chiese Kirtn, facendo finta di niente. «Al limite della Piazza Uno,» disse tetro Daemen. «Non siamo ancora arrivati. Siamo ancora in movimento.» «Abbiamo ancora aria. Quando il motore si ferma, sparisce anche l'aria.» Quasi in risposta alle parole di Daemen, il motore si fermò. Insieme al motore sparì anche il calore e le strane poltrone-divano che avevano sorretto i passeggeri durante il breve viaggio. Tra un respiro e l'altro, il gruppo di gente era stato scaraventato sul freddo pavimento di pietra di una galleria. Capitolo XIII Kirtn trattenne il respiro per cercare d'accumulare tutta la preziosa aria che poteva, anche se pensò che fosse inutile. Nello stesso istante, Rheba emise delle fiammate, modellando l'energia in una sorta di scudo protettivo che avrebbe trattenuto l'aria del motore dissolto. Fu un riflesso inutile quanto quello di Kirtn. Le sue fiammate, dopo un po', si sciolsero per poi svanire. Non c'erano fonti d'energia a cui ricorrere diverse dai corpi dei suoi compagni. E questo avrebbe potuto causare la morte se non, di sicuro, l'asfissia di tutto il gruppo. Abbracciò il suo Bre'n ed aspettò rassegnata il sopraggiungere della morte. Ci fu un lungo silenzio. Poi La Fortuna cominciò a ridere trionfante. «Sembra che dopotutto non sia l'altro tipo di fortuna!» Kirtn fece un respiro profondo, poi ne fece un altro. Contentissimo, strinse forte a sé Rheba. «C'è aria, Danzatrice del Fuoco. Respira!», ordinò.
Il trillo felice di Fssa si udì nello spazio sconfinato della galleria. Rheba respirò profondamente: l'aria era leggera, ma dolce, e neanche fredda come c'era da aspettarsi. Nonostante tutto, la ragazza tremò dopo il calore del motore. Immediatamente, Kirtn la strinse a sé. La Danzatrice non oppose resistenza. I Bre'n erano molto meglio equipaggiati dei Senyasi per proteggersi dal freddo. C'era aria, c'era un po' di calore, ma l'unica luce usciva dai dischi rotti ed ingialliti sotto i loro piedi, sul pavimento della galleria. La luce non raggiungeva la lunghezza di un braccio nella galleria. «Fssa,» disse Kirtn. «Cosa c'è davanti a noi?» L'oscurità non rappresentava un problema per i sensori opalescenti dello Fssireeme. Fssa diresse una corrente d'energia sotto la galleria, definendo la situazione sulla base dell'energia di ritorno. «La galleria finisce con una barriera di macerie. Ci sono delle aperture, ma sono troppo piccole per il Quarto Popolo. Veramente sono piccole anche per un Fssireeme come me.» Il riassunto della situazione fatto da Fssa, fu seguito da un lungo silenzio. Poi: «Quanto è solida la barriera?», chiese Kirtn. «È permeabile all'aria,» disse il serpentello. «Altrimenti potresti morire soffocato, e non penso che la cosa ti gioverebbe molto.» «È eccentrico, o è solo mistura di roccia?», chiese Rheba. «Era già costruita o è stata appena innalzata?» I sensori di Fssa s'allungarono verso la galleria. Rheba poteva quasi percepire l'energia da lui usata come se fosse rimasto sempre nella sua stretta. Il serpentello si voltò verso gli astanti e riportò quel che sentiva nel frizzante linguaggio Senyasi. «Una mescolanza: probabilmente il risultato di una frana. È accidentale, non intenzionale. L'aria che state respirando così come il mio calore, provengono dal lato opposto. Perciò penso che esista un Impianto. Comunque...» I sensori di Fssa si oscurarono. Non gli faceva molto piacere dire quello che avrebbe dovuto spiegare loro. «Un Impianto,» fischiò Rheba in un Bre'n cadenzato. Sebbene non aggiungesse altro, il linguaggio emozionale risuonò del suo sollievo. Kirtn, vedendo i sensori del serpentello quasi scomparire, aspettò. Fssa emise un suono smorzato, dispiacendosi di dover sgonfiare col suo discorso la felicità di Rheba. Quando parlò, usò il linguaggio Senyasi. «Sospetto che tu stia pensando di rimuovere le macerie, in modo da apri-
re un varco oltre l'Impianto.» Il discorso di Fssa fece sì che Kirtn fosse grato per l'oscurità in cui si trovavano. Non voleva che la sua Danzatrice vedesse l'espressione del suo volto. Tutte le volte che lo Fssireeme ripiegava su frasi erudite, aveva qualcosa che gli frullava per la testa. «Sì,» disse Kirtn, «noi abbiamo intenzione di aprirci un varco attraverso le macerie.» Il serpentello sospirò e i suoi sensori brillarono di nuova luce. «Ho proprio paura che non vi sarà possibile, miei cari amici,» fischiò. Poi tornò ad usare il linguaggio Senyasi. «Le macerie non sono compatte, ma alcuni massi sono molto grandi. Rimuoverli richiederebbe macchinari molto pesanti o un dispositivo di campi di forza che il Quarto Popolo non ha più visto dal Ciclo Zaarain.» «Oppure potrebbe essere sufficiente un Bre'n determinato a tutto, come me,» gli rispose Kirtn. Fssa rimase in silenzio. Kirtn si voltò e si diresse verso la galleria. Dopo aver fatto qualche passo incerto nell'oscurità più totale, Kirtn inciampò nei mucchi di macerie. Rheba gli fece luce per guidare il suo cammino. L'umanoide avrebbe voluto impedire a Rheba di consumare la sua energia, ma non lo fece. Sbirciò per un attimo la sfera di luce blu-bianca e rimase incantato nello scoprire che si trattava d'energia fredda come l'oscurità che essa illuminava. Rheba gli mise una piccolissima sfera di luce nel naso, abbagliandolo. I suoi occhi avvamparono d'ammirazione, riflettendo la luce della Danzatrice del Fuoco. La ragazza sorrise, poi ritirò la sua energia prima che Kirtn se ne accorgesse. L'umanoide avrebbe potuto obiettare che in quel modo lei sperperava l'energia, e probabilmente non aveva tutti i torti. La barriera non era molto lontana. Le pietre che Kirtn strada facendo spostava, diventarono dei grossi cumuli di rocce che ricoprivano il pavimento della galleria. Le macerie diventarono più spesse, più profonde, alzando il livello del pavimento a tal punto che, prima Kirtn, poi Rheba e Daemen, furono costretti a curvarsi per evitare il soffitto. Tra le pietre color ardesia, c'era un unico avorio luccicante. Kirtn lo guardò, poi affrettò il passo cominciando a correre. «Cos'era quella cosa color avorio?», chiese Daemen, rimanendo indietro al gruppo. «Ossa.» «Ma non è morto nessun animale nella galleria. Oh... i Seur. Ecco che
fine hanno fatto i Seur che non sono più tornati indietro a Daemen.» «Giusta osservazione,» disse Kirtn impassibile, evitando di pensare alla fine dei Seur, dal momento che pensarci su non gli avrebbe per niente giovato. Daemen ebbe più possibilità di esaminare quelle ossa di quanto avrebbe effettivamente preferito. Anche se si allontanavano sempre più da quel triste posto, sempre guidati da Kirtn per superare i cumuli di macerie, continuarono a trovare un po' dovunque scheletri dei Seur periti nella galleria. Ogni tanto si vedeva qualche brandello di vestito e nient'altro. I Seur erano morti molto più anonimamente degli altri esseri umani. La maggior parte delle ossa erano ammucchiate l'una sull'altra intorno alla stessa barriera. I Seur disperati si erano aggrappati inutilmente alle fredde pietre, prima di morire. Erano riusciti a crearsi un loro spazio dove stare, dove lavorare. E poi erano morti. «Puoi farmi più luce senza stancarti troppo?» Rheba sorrise. «Credo che la morte sia alquanto fastidiosa, Mentore mio.» La risata di Kirtn fu più dolce della sua. L'umanoide le sfiorò le guance in una carezza. I capelli della Danzatrice ondeggiarono, muovendosi a mo' di spire intorno al polso di Kirtn. «Penso proprio di sì, Danzatrice del Fuoco. Ma non voglio stancarti. Voglio solo fare un giro di perlustrazione. Quando comincerò a scavare, avrò necessariamente bisogno di tutta la tua luce.» Fssa emise un piccolo rumore, un'offerta Fssireeme a parlare. Riluttante, Kirtn gli prestò la sua attenzione. «Cosa c'è serpentello?» «Mi piacerebbe sondare il terreno della barriera. Potrei essere capace io di dirti dove scavare.» «Continua,» gli rispose l'umanoide, passando le mani sulle rocce ammucchiate lungo la strada. «Rheba potrebbe rimanere ferita. Voglio solo dimostrare che alcune configurazioni d'energia sono simili a quelle che uso io con Arcobaleno. Non posso abbassare il volume se voglio sperare di penetrare in quelle rocce. Appena potrò controllarne la direzione, avverrà una dispersione d'energia e un'esplosione vera e propria.» «Sopravviverò,» tagliò corto la Danzatrice, ma sapeva bene che la sua tensione si era trasmessa a Kirtn, attraverso il contatto delle sue mani sul collo dell'umanoide.
«Cerca di essere più gentile che puoi,» disse il Bre'n a Fssa, «perché, in caso contrario, sbatterò il tuo sedere flessibile sul pavimento della galleria.» I sensori di Fssa si oscurarono. I suoi amici sapevano bene che solo l'orgoglio Fssireeme — non la carne — era il punto debole della loro razza. In silenzio, il serpentello desiderò già trovarsi dall'altra parte della galleria. L'orgoglio si rimarginava molto meno in fretta della carne. Kirtn afferrò il corpo sinuoso dello Fssireeme. «Non ho capito bene cos'hai voluto dire. Non molto.» Fssa sibilò strofinando il mento sulla mano di Kirtn. «Potresti collocarmi sulla barriera a circa metà strada da qui?» «Avrai troppo freddo,» gli disse Rheba, ricordandosi la cella su Loo dove lo Fssireeme stava quasi morendo dal freddo. Fssa poteva assorbire — e godere — di un terribile caldo. Il freddo, comunque, lo faceva chiudere in uno stato che gli Fssireeme definivano «di sogno». Pochi gradi sotto quello stato era sufficiente per farli morire. «Fa quasi freddo come nella prigione sotterranea di Loo.» Fssa s'illuminò fino a quando il suo corpo non fu completamente ricoperto di scagliette argentee. «Andrà tutto bene,» disse timidamente. «Resistemmo poco in quella prigione. Sarò fuori dai tuoi capelli solo per pochi minuti, ma grazie lo stesso per il tuo interessamento.» Riluttante, Rheba consegnò Fssa a Kirtn. Come al solito, la ragazza rimase sempre allibita nel sentirlo così leggero tra i suoi vaporosi capelli e tanto pesante le poche volte che aveva occasione di stringerlo fra le mani. Una volta Fssa le aveva detto che assorbiva la sua energia di Danzatrice e che poi la girava intorno al corpo a spirale per cercare di pesare di meno. Quando Rheba gli aveva chiesto di spiegarle come faceva, lo Fssireeme aveva sospirato a lungo e poi le aveva detto che non trovava le parole adatte. Kirtn sollevò Fssa sulla barriera e lo tenne in mano fino a quando non assunse una nuova forma più adatta per appendersi alla roccia. Kirtn guardò la sua contorsione, si frenò per non ridere, poi gli suggerì: «Non sarebbe più facile per te se ti tenessi io?» «Naturalmente sarebbe molto meglio,» urlò il serpentello, scivolando da una fredda crepa all'altra, «ma l'energia che userò potrebbe anche ridurti il cervello in frittata. Ammesso che tu abbia un cervello...» Il borbottio di Fssa si placò di colpo appena cambiò di nuovo forma, di-
vorandosi la bocca-apertura come di solito usava per comunicare con i suoi amici. Kirtn trascinò Rheba lontano dalla barriera. Schiacciò il piede di Daemen che, sempre più impaziente, aspettava che i suoi compagni si decidessero a parlare in una lingua a lui nota. «Cosa sta facendo il serpentello?», chiese Daemen. «Sta rigurgitando,» fu l'unica cosa che uscì dalla bocca di Rheba. Inviò una sfera di luce sopra i suoi compagni dal momento che Fssa non ne avrebbe più avuto bisogno per il suo lavoro. Leggermente incurvati per non urtare contro il soffitto, aspettavano. Rheba si trovava di fronte a Kirtn: le Linee di Potenza Akhenet cominciarono a pulsare sotto la sua pelle. L'umanoide le appoggiò le mani sulle spalle e l'attirò a sé, confortandola e sostenendola. Quasi di riflesso, si trovavano a scivolare, senza accorgersene, nello speciale legame che univa le coppie Akhenet. Un bagliore di luce li avvolse, nutrito dalle Linee di Potenza così fitte sulle mani e sulle guance della Danzatrice da coprirla d'oro. Quando la colpì il primo avvertimento di dolore, Rheba costruì una gabbia incandescente intorno a lei e al suo Bre'n, cercando incosciamente di proteggere entrambi. Le lingue di fuoco brillavano lungo le sue braccia trasparenti come se potessero bruciare la sua carne indifesa fino alle ossa. Ma non la carne di Kirtn... la sua mai. Lui la strinse ancora più forte a sé, valendosi dell'energia trattenuta a malapena, che loro due erano in grado di richiamare ed assorbire. Ogni volta che Fssa si esibiva in una delle sue trasformazioni necessarie per comunicare con l'esterno, provocando terribili mal di testa a Rheba e al suo compagno, saltava fuori il fuoco, sconvolgendo la reazione di dolore derivante dalle costruzioni d'energia dello Fssireeme. Fssa non lo aveva notato perché lo scudo protettivo di Rheba agiva solo sull'energia libera, non sulle sonde a compartimeno stagno che lui aveva inviato nella barriera che aveva di fronte. Mentre Daemen guardava da lontano, a distanza di sicurezza, i due Akhenet e il serpentello, lo Fssireeme cambiò di nuovo forma sotto la luce apparsa dalla Danzatrice, in un corpo fatto di carne come tutti gli esseri umani. Dietro Rheba si profilava la sagoma di Kirtn: occhi metallici dorati fissi sui pericoli e le gioie che la Fortuna poteva a malapena subodorare, figuriamoci comprendere. Fortunatamente — o forse, inevitabilmente, riflettendo sulla sua eredità — Daemen non provò dolore per la reazione alle costruzioni d'energia del-
lo Fssireeme. Alla fine, Fssa ritornò ad essere un magnifico serpentello, e fischiò tristemente per essere liberato da quelle rocce gelide. I suoi pensieri individuarono i due Akhenet uniti nello scudo protettivo d'energia. Fssa, incuriosito, cambiò di nuovo forma per esaminare lo scudo come aveva già fatto con la barriera. Ma molto delicatamente, molto più delicatamente. La carne del Quarto Popolo era molto più delicata delle pietre. Prima che Fssa trovasse il tempo per esibirsi in una miriade di forme diverse, Kirtn realizzò che lo Fssireeme non stava più esaminando la barriera. Il Bre'n toccò il collo illuminato di Rheba, risvegliandola dai suoi pensieri. L'energia che percorreva il suo corpo venne succhiata dalle sue Linee di Potenza Akhenet. La ragazza guardò tutt'attorno la barriera dove i sensori di Fssa emettevano una luce opalescente. «Hai finito?», gli chiese. Fssa fischiò il suo assenso. «Bene,» mormorò Rheba quando ritornarono verso la barriera. «Ma non è stato per niente doloroso come mi sarei aspettata,» ammise, tirando a sé il serpentello e facendolo roteare per aria. «Grazie al tuo talento e a quello di Kirtn,» fischiò Fssa. «Insieme potete dirigere l'energia e formare le più svariate ed affascinanti costruzioni.» Fssa li adulò larvamente e i suoi sensori s'illuminarono. «Tu non hai il coraggio di uno Fssireeme, naturalmente, ma quello che tu crei... ah, è straordinario.» «Cosa,» disse Daemen in Universale, «stai farfugliando e fischiando?» Rheba capì che avevano di rado parlato in Universale da quando si erano svegliati sul motore. Con qualche eccezione nelle ultime ore, Daemen era stato lasciato da solo tra degli estranei che non avevano avuto neanche la cortesia di parlare nella sua lingua. «Mi dispiace,» disse la ragazza, sfiorando delicatamente le guance di Daemen con la sua mano dorata per le numerose Linee di Potenza apparse. «Non siamo abituati a parlare in Universale quando chiacchieriamo tra noi.» Si voltò verso Fssa e borbottò in Senyasi. «Traduci per lui, se noi dimentichiamo di parlare in Universale.» «Traduci solo qualcosa,» corresse Kirtn. «Quanto?» «Pensa che sia Seur Tric.» Rheba guardò Kirtn, sorpresa dai continui sospetti dell'umanoide su Daemen.
«Noi abbiamo solo la parola di Baemen che anche lui è stato drogato come noi,» sottolineò Kirtn. «Nessuno di noi ha visto cosa è successo.» «Che cosa ne può ricavare di buono spiandoci?», obiettò Rheba. «Non lo so. Ma non ci sono dubbi che potrebbe avere quest'intenzione,» le rispose Kirtn, gettando un'occhiata torva al bellissimo e liscio Daemen. I sensori di Fssa cominciarono a girare vorticosamente quando li guardò uno per uno. Poi, senza fare commenti, tenne una lezione in Universale sui punti deboli e sui punti forti della barriera. «Le rocce sono cristalline, pesanti, e non facili da frantumare. La barriera stessa è spessa tre volte l'altezza di Kirtn.» Daemen misurò l'altezza dell'umanoide e fece un gesto di disperazione. Daemen era circa la metà del Mentore Bre'n. «Non mi meraviglio più del fatto che i Seur sono morti qui dentro,» borbottò La Fortuna. Kirtn non disse niente, ma la sua occhiata fu sufficiente a galvanizzare il serpentello. «Le rocce sono ammucchiate a casaccio,» aggiunse Fssa, «e questo è tanto un aiuto, quanto un pericolo. Penso che esista comunque una strada diversa per evitare le pietre più pesanti.» «Lo credi davvero?», disse il Bre'n. «Non lo saprò finché non vedrò se le macerie cambieranno direzione quando comincerai le operazioni di scavo,» disse Fssa a mo' di scusa. «Cambia direzione!», urlò Rheba guardando il primo nucleo di roccia, poi il suo Bre'n. «Ma tu potresti rimanere schiacciato da quelle rocce...» Si fermò, vedendo la sua immagine riflessa negli occhi dell'umanoide. Kirtn aveva scoperto quel pericolo già da molto tempo e aveva accettato di rischiare. «Fssa controllerà le rocce,» disse Kirtn. Non aggiunse però che Fssa non poteva garantirgli d'accorgersi in tempo del movimento e permettergli quindi di fuggire. «Puoi farlo?», domandò la Danzatrice a Fssa tirandolo fuori dalla sua chioma, per vedere i suoi sensori quando le avesse risposto. «Sì», rispose. Ma i suoi pensieri s'oscurarono. «Stai mentendo.» «Io spero di no,» fischiò il serpentello. Kirtn ringhiò sordo. Lo Fssireeme aveva un milione di bocche ma non era riuscito a mentire a Rheba. Il Bre'n si voltò verso Daemen.
«Tu potrai aiutare a rimuovere le rocce più piccole dalla nostra strada. E, quando vi dirò d'allontanarvi e di tornare indietro, assicurati che Rheba ti segua!» Fssa scivolò fuori dai capelli di Rheba si attorcigliò intorno al suo collo. Kirtn lo prese e lo poggiò sul suo collo, voltandosi a guardare la barriera. La Danzatrice inviò un fascio di luce davanti a lui, la luce più abbagliante che fosse mai stata capace di creare. Kirtn esaminò la barriera sotto una nuova luce. Alcune rocce erano più grandi di quello che aveva supposto, altre erano ammucchiate tra loro in equilibrio molto precario. La caduta delle rocce significava che il posto era pericoloso e lì erano molte le ossa dei Seur che brillavano bianche sul pavimento. «Tutto a posto, serpentello,» disse il Bre'n. «Da dove cominciamo?» Capitolo XIV «Sulla sinistra,» gli rispose dolcemente il serpentello. «Da quel lato, le pietre che franano sono più sottili.» Kirtn scaraventò il mucchio scuro di pietre che crollava dal soffitto, sul pavimento. Fssa sibilò un assenso. Kirtn cominciò a scavare a mani nude. Le rocce erano taglienti e gelide. Lavorava tranquillamente accatastando le pietre tutte d'un lato, in modo tale che Rheba e Daemen potessero trascinarle via. Quasi subito s'imbatté nella roccia che molto probabilmente aveva ucciso i primi Seur. Tagliente, due terzi dell'altezza dell'umanoide, e metà della sua circonferenza, il macigno era incastrato in una sottile coltre di pietre finissime. Kirtn studiò la posizione e la massa del macigno. La luce lo seguiva illuminandolo secondo la necessità. «Sei sicuro che questa sia la strada migliore?», chiese Rheba dubbiosa, sbirciando Kirtn mentre cercava di spingere quell'enorme macigno. Il macigno si spostò. «Fssa ha detto che è la migliore,» grugnì Kirtn. «Non ci ha assicurato comunque che sarebbe stata facile.» Kirtn s'appoggiò alla lastra di pietra. Le sue fasce muscolari si fecero sempre più evidenti dal collo ai talloni, gonfiandosi lentamente sotto i pochi vestiti che indossava. Arcobaleno gli scivolò dal collo per raggiungere la lastra di pietra. Un filetto di pietruzze cadde da un lato del macigno.
Kirtn bofonchiò qualcosa e spinse il macigno con più forza. La lastra cominciò a frantumarsi. L'umanoide sospirò. «Qualche consiglio, serpentello?» «Sul lato destro della galleria, le frane risultano più stabili, ma se tu scavi alla sinistra del macigno, le rocce in cui t'imbatterai saranno molto più piccole.» Kirtn, senza fare commenti, prese Arcobaleno per darlo a Rheba. Lei se lo poggiò intorno al collo, e Kirtn cominciò a rimuovere le pietre dal lato sinistro del macigno. Presto si rese conto che «più piccole» non significava necessariamente piccole. L'umanoide afferrò, trascinò, spostò, e sollevò pietre pesanti fin quando poté. Le rocce troppo grandi per Rheba e Daemen le trascinò lui stesso in un cantuccio. Daemen guardò la barriera e poi il Bre'n affaticato. Stava facendo il lavoro di dieci Daemeniti. La sua pelliccia era scura e sudata e il suo respiro sempre più affannoso ma, nonostante tutto, continuò a lavorare di buona lena. Rheba cercò di vedere quello che succedeva dietro di lui. Vide che le rocce che lui aveva spostato erano macchiate di sangue. La ragazza, quindi, affrettò il passo per cercare di risparmiargli qualsiasi sforzo superfluo. Se lei avesse potuto spostargli i macigni più grandi, l'avrebbe fatto, ma non ci riuscì. Kirtn si stiracchiò la schiena e le spalle, cercando di scrollarsi di dosso la fatica che lo circondava come un peso invisibile. Con un sospiro profondo, l'umanoide s'inginocchiò e colpì la lastra di roccia che aveva scavato tutt'intorno. Il macigno doveva essere spostato per permettere loro di passare attraverso la barriera. Le sue dita insanguinate non fecero presa sulla pietra ruvida. Non ci fu modo di spostarla. Kirtn imprecò e chiese ad alta voce una sbarra che potesse agire da leva. «Quanto deve essere lunga la sbarra?», chiese Rheba. «Di qualsiasi lunghezza,» gridò Kirtn. Se aveva intenzione di chiedere cose futili, tanto valeva chiedere delle grandi cose. «Io posso diventare di tutte le lunghezze,» rispose semplicemente lo Fssireeme. Kirtn imprecò come avrebbe fatto quando si dilettava a scrivere poesie. Allontanò Fssa dalle sue spalle. Il serpentello si trasformò in una sbarra lunga quanto il braccio dell'umanoide e un terzo più sottile. Il Bre'n lo guardò stupefatto.
«Sei sicuro che con questa sbarra non ti ferirai?» La risata sibilò sopra la sbarra. «Io sono Fssireeme.» Kirtn usò Fssa prima cautamente, poi con sempre più confidenza. Cercò di forzare la lastra. La lastra, un po' alla volta, cominciò a tintinnare. «Più lunga,» grugnì cambiando l'impugnatura della sbarra. La leva diventò più lunga ma non più sottile. Fssa aumentò semplicemente lo spazio tra le sue dense molecole per raggiungere una lunghezza maggiore senza sacrificare affatto la sua forza. La lastra si sgretolò sul pavimento della galleria. Una gragnuola di piccole rocce ricadde su Kirtn. L'umanoide la ignorò. «Puoi girare intorno alla roccia e diventare ancora più lungo?» Fssa si allungò di nuovo. Kirtn fece un respiro profondo e sollevò la sbarra con una forza che fece tremare la leva. «State indietro,» gridò con voce rauca. Daemen e Rheba indietreggiarono. I due non riuscivano a distogliere lo sguardo dalla sagoma sotto sforzo del Bre'n. Nella luce soprannaturale della galleria, l'umanoide sembrava una creatura uscita da una leggenda, curvo sotto il peso dell'eternità, tutta caricata sulle sue spalle per impedire che gli esseri più piccoli ne potessero rimanere schiacciati. Le mani di Kirtn scivolarono per il sudore e il sangue. L'umanoide imprecò e cambiò l'impugnatura della sbarra. Fssa diventò ancora più ruvido. Al contatto con la sbarra ruvida, i palmi insanguinati delle mani di Kirtn gli procurarono un dolore terribile, ma l'umanoide fu comunque contento di questa nuova trasformazione. Forzò la sbarra. La lastra si mosse di un millimetro. L'umanoide continuò a spingere, sempre più speranzoso. La lastra vacillò, ma non cadde. «Fatti più largo che puoi,» ansimò Kirtn. La parte della leva che aveva in mano cambiò fino a diventare larga come le sue dita messe insieme. «Bene,» bofonchiò Kirtn strofinandosi le mani scivolose sulle cosce. Cambiò posizione voltando le spalle alla sbarra. Con le ginocchia piegate si sostenne tra la sbarra e il lato della galleria. Respirò profondamente varie volte... e poi raddrizzò le gambe. Il macigno tremò cigolando orribilmente per poi cadere in avanti nella galleria. Kirtn riuscì, senza rendersene neanche conto, a svignarsela in tempo prima di finire schiacciato sotto il suo peso. «Fssa!», urlò Kirtn guardando le macerie che cadevano sui suoi compa-
gni. Un fischio assai debole fu la risposta. Lo Fssireeme scivolò fuori dall'ombra della lastra. Il sangue del Bre'n e le rocce polverizzate gli ricoprivano il corpo, celando la sua solita lucentezza metallica sotto un sudicio mosaico grigio e nero. Kirtn tirò fuori Fssa da sotto le macerie. «Sei stupendo, serpentello.» Fssa avvampò di piacere. Era l'unico complimento che non si stancava mai di ascoltare, perché aveva trascorso l'eternità credendo di essere ripugnante agli occhi degli individui del Quarto Popolo. «Tutto a posto?», gli chiese Rheba, accelerando il passo. «Ssssi.» La risposta fu un fischio di soddisfazione. «Ma, Kirtn, l'ultima volta mi ha quasi spezzato.» I due sensori cambiarono colore con velocità vertiginosa. «Il tuo sangue non è come il mio, Bre'n, ma sei forte quanto me.» «Forte!» Daemen sorrise. «È più che forte, Kirtn è...» La Fortuna fece un gesto di perplessità, perché non trovò le parole adatte per descrivere la forza dell'umanoide. I muscoli di Kirtn, tesi per lo sforzo sostenuto, si afflosciarono. Si sentiva come uno cherf sventrato. Con un'imprecazione repressa, si voltò di nuovo verso la barriera. «Aspetta,» disse Fssa. «Mettiti nell'apertura.» Prima che Kirtn potesse rispondergli, Rheba afferrò lo Fssireeme. S'arrampicò sulla lastra e piazzò il serpentello nell'apertura creatasi al momento della frana verificatasi nella galleria. Poi indietreggiò, non volendo trovarsi vicino quando Fssa avrebbe sondato le dinamiche alterate dalla caduta delle rocce. Rheba creò altre due sfere di luce ed esaminò Kirtn. Le sue Linee di Potenza Akhenet pulsavano, quasi volessero protestare contro quel che vedevano, ma la ragazza non disse niente. Guardava allibita le contusioni e le scorticature sulle mani di Kirtn e soffriva per lui. Il sangue scorreva silenzioso lungo le dita della sua mano per poi tingere di rosso il pavimento in pietra della galleria. L'umanoide allontanò le sue mani dalla sfera di luce, ma Rheba fu più svelta di lui. Le sue dita gli strinsero i polsi. L'energia cominciò a crepitare. All'istante le mani di Kirtn diventarono insensibili. «Non posso lavorare in queste condizioni,» disse Kirtn. «Lo so.» Senza neanche guardarlo, la ragazza raccolse la sua energia sulla punta
delle dita e bruciò alcune striscioline del suo mantello verde. Fasciò con cura le ferite di Kirtn ignorando completamente Daemen, Fssa, e trascurando qualsiasi cosa diversa dalle mani del suo Bre'n. Quando terminò l'operazione di fasciatura, solo la punta delle dita di Kirtn erano visibili. «Rheba,» gentilmente, «non riesco ancora a lavorare. Le mie mani sono insensibili.» «Appena ha finito Fssa,» ordinò la ragazza. «O hai fretta di farti del male di nuovo?» Kirtn le afferrò le mani e le strinse intorno al suo collo. La ragazza evitò il suo sguardo, ma la sua rabbia si trasmise in immagini incandescenti. Kirtn le baciò la mano, ringraziandola per la sua rabbia sopita. L'umanoide sapeva bene che la sue emozione derivava dalla sua incapacità d'evitargli ulteriore dolore. Non si rese conto dell'illogicità della sua reazione; i loro ruoli si erano capovolti, la sua reazione avrebbe potuto anche essere meno razionale. «Non è tanto sicuro di come era,» disse Fssa dalla galleria, «ma è sicuro di quello che non avverrà mai.» Kirtn guardò Rheba e sospirò. Riluttante, lei gli toccò di nuovo i polsi, assorbendo l'energia che aveva bloccato i suoi messaggi dolorosi. Non mostrò alcuna reazione, strinse solo un po' gli occhi. «Non senti dolore?», le chiese meravigliato Daemen. I suoi capelli fremettero e cominciarono ad ondeggiare. «Sì!» Daemen esitò, poi sembrò decidere che anche La Fortuna non avrebbe dovuto opprimere una Danzatrice del Fuoco furibonda. In silenzio la seguì dietro la barriera. Oltre la lastra, nessuna roccia era molto più grande del torace di Kirtn. Lavorava freneticamente spostando le rocce con le spalle per farle poi trasportare via da Rheba e Daemen. Fssa s'alternava: prima era una leva, in un secondo momento un ascoltatore attento al benché minimo accenno di frana. Dal soffitto venne giù una gragnuola di rocce. Fssa gridò, diventando una lamina lunga quanto la galleria sopra la testa di Kirtn. Dopo aver deviato la frana, lo Fssireeme cambiò forma per avere la possibilità di sondare la stabilità delle rocce che li circondavano da tre lati. Kirtn aspettò Fssa, fissando le strisce insanguinate, residuo della fasciatura della Danzatrice. «Non è sicuro,» disse infine Fssa. «Dimmi perlomeno qualcosa che non so già,» urlò rauco Kirtn, alquanto
stanco. «Se almeno ci fosse un modo rapido per farla finita!», mormorò afferrando una roccia e poggiandosela sulle spalle per poi farla trasportare da Rheba e Daemen. «Non c'è disidratazione.» Fssa non parlò, non aprì nessuna delle sue numerose aperture. Il suo silenzio, come il languido modo in cui aveva riesumato la sua solita forma di serpentello, resero Kirtn consapevole che Fssa molto probabilmente aveva qualcosa che non andava. «Ti sei ferito quando sono cadute le rocce?», chiese Kirtn, accogliendo il serpentello nel dorso della sua mano. «No...» ci fu una lunga pausa. Poi: «Le rocce non possono ferire uno Fssireeme.» Kirtn allora capì che Fssa aveva freddo, ancora più freddo di quando s'era trovato sulle rocce della galleria. Ricordò che Fssa, più si sforzava, più aveva bisogno di calore per mantenersi in vita. Si era dovuto muovere sulle gelide pietre, sondare le instabilità, ascoltare prima le scosse che anticipavano le frane e poi aveva dovuto allungarsi in una lamina per proteggere Kirtn dalla stessa frana. Lo Fssireeme, come tutti i Fssireeme, era una creatura molto resistente, ma aveva i suoi limiti, specialmente quando si trattava di freddo. «Prendi un po' del mio calore,» disse Kirtn guardandosi le braccia dove il sudore e la polvere delle rocce avevano coperto la sua fine peluria. «Ne ho abbastanza per proteggermi.» «No.» La risposta fu secca e precisa. «Non è proprio il caso di fare il timido!» «No.» Questa volta la risposta fu un fischio Bre'n angosciato in cui risuonava la vergogna di Fssa per la sua qualità di parassita, un essere che viveva sfruttando il calore delle creature più calde. Kirtn era troppo stanco per pensare un valido motivo che controbattesse la vergogna dello Fssireeme. Rheba era più pratica. La ragazza inviò un debole fascio di luce attraverso la galleria finché l'incandescenza raggiunse il serpentello, simile ad uno scroscio d'acqua. Kirtn inviò un'occhiata di protesta a Rheba. In quella fredda galleria, Rheba non aveva energia di riserva. Lei lo guardò con gli occhi dorati infiammati dall'ira. «Senza Fssa, saresti rimasto seppellito da quelle rocce. Senza di te, anch'io avrei voluto morire.»
«La prossima volta,» disse il Bre'n a Fssa, «usa me.» Daemen lo guardò. «Io pensavo di avere visto ogni tipo di creatura su Loo,» disse Daemen guardando lo Fssireeme gettare un'occhiata alle mani insanguinate di Kirtn, «ma quel serpentello ha dell'incredibile. Non può farsi caldo da solo?» «No,» disse Rheba con voce stanca. «Ma allora, come fa a sopravvivere?» «C'è del lavoro da fare,» tagliò corto Kirtn, sapendo che Fssa sarebbe rimasto mortificato nel sentire ulteriori discussioni sulla sua particolare fisiologia. «Risparmia il fiato per spostare le rocce.» «Sei tu che produci il calore necessario per il serpentello?», continuò Daemen imperterrito, volgendosi verso la Danzatrice. «Se tu gli fai caldo, perché non riscaldi anche la galleria? Qui fa abbastanza freddo da far tremare anche le pietre.» «Rheba non può fare caldo a nessuno,» urlò Kirtn. «Quando non ci sono fonti d'energia esterna, Rheba è costretta ad usare il proprio corpo. Se tu hai freddo, allora faresti molto meglio a lavorare di più e a parlare di meno.» Daemen era troppo occupato a cercare di capire la particolare biologia dei suoi compagni per stare dietro agli insulti di Kirtn. Il giovane rivolse a Rheba un sorriso capace di riscaldare anche il più freddo inferno di Deva. «Se tu avrai bisogno d'energia, sarei molto lieto di condividere la mia con te.» Kirtn imprecò col pensiero cercando di intaccare la parte di barriera che rimaneva ancora in piedi. Le rocce slittarono lungo la galleria mancando La Fortuna per pochi millimetri. Fssa fischiò una protesta, non alla barriera, ma alla noncuranza imprudente di Kirtn verso la stabilità della barriera. Kirtn ignorò l'avvertimento del serpente e continuò a spostare le rocce ad una velocità pericolosa. Fssa protestò di nuovo, poi realizzò quello che nessun Senyasi aveva mai capito. Un Bre'n arrabbiato non ascolta nessuno se non la sua rabbia manifesta. Lo Fssireeme non perse altro tempo a lamentarsi. Si rinvigorì sul pavimento della galleria ed esaminò le rocce cadute con un'esplosione d'energia che fece barcollare Rheba e la costrinse ad afferrarsi le tempie già afflitte da dolori tremendi. La Danzatrice, spaventata, si voltò appena la parte di fronte della gallaria si spostò. Kirtn emise un fischio lacerante. L'avvertimento Bre'n non ebbe bisogno di traduzioni. Daemen afferrò Rheba e la strappò via prima che lei
fosse in gradi di protestare. «Kirtn!», urlò Rheba, guardando in direzione di Kirtn, dove era in atto una vera e propria frana. «Non puoi tornare indietro!», le disse Daemen, lottando strenuamente per tenerla. «Il resto della gallaria può crollare da un momento all'altro!» La Danzatrice guardò Daemen con occhi incandescenti. Il giovane la lasciò solo un attimo prima che Rheba lo incenerisse fino alle ossa delle mani. Rheba si voltò indietro e fissò incredula quello che rimaneva della galleria. Il suo fischio disperato attraversò il rumore delle rocce che franavano. Fssa rispose con uno strano fischio, così sottile da non poter sopportare quasi il peso della complessità Bre'n. «È Kirtn... sei tu...?» I suoi fischi erano rauchi ed affannosi. Kirtn grugnì. Sentì delle rocce muoversi. Fssa fischiò di nuovo debolmente. La ragazza spostò freneticamente delle rocce. Solo una parte della galleria era crollata. Nel giro di pochi minuti, Rheba sgombrò un mucchio di macerie per raggiungere il suo amato Bre'n. «Kirtn?», fischiò Rheba scrutando sotto la polvere, quindi tossì e fischiò di nuovo. Anche quando camminò facendosi luce con la sua sfera d'energia, la ragazza non riuscì a penetrare l'oscurità al punto da riconoscere il suo Mentore. Cominciò a cercare a tastoni il calore e l'elasticità della carne di Kirtn. La ragazza trovò una lamina lunga quanto la galleria. «Fssa?» La risposta fu un fischio forzato, un suono senz'alcun significato. Rheba capì d'aver toccato lo Fssireeme e che Fssa aveva freddo. Quando cercò di fargli un po' di caldo col suo corpo, le Linee di Potenza Akhenet non fecero che ondeggiare, senza trasmettere neanche un po' d'energia. Anche Rheba, come i suoi amici, era allo stremo delle forze. Se avesse potuto assorbire un po' d'energia da Daemen l'avrebbe fatto, ma solo un Bre'n poteva stabilire il rapporto adatto a quello scopo. Delicatamente, la ragazza cercò di rallentare il respiro, mormorando delle litanie Akhenet fino a quando il suo cuore cessò d'inviare messaggi di paura attraverso il suo corpo. Pian piano, Rheba si costruì intorno una campana di vetro di tranquillità. Nascosta nel suo rifugio, completamente concentrata, la ragazza invocò l'Ultima Fiamma. L'invocazione era una misura d'emergenza nota a tutte le Danzatrici, uno stato molto simile al rez Bre'n. Era talmente pericolosa per le Danzatrici, che veniva usata di rado, solo in casi eccezionali.
La fiamma pulsò nelle sue vene come se fosse stato un altro tipo di sangue. Il suo corpo di trasformò consumando le riserve di grasso e di carne. L'energia defluì nel corpiciattolo dello Fssireeme. Con un urlo sordo, Fssa ritornò in vita. Dietro di lui, protetto dallo Fssireeme, Kirtn grugnì e si risvegliò dall'oscurità in cui era caduto, pieno di dolori. Per un attimo non ricordò dove si trovava; poi, quando realizzò di trovarsi nella galleria, grugnì di nuovo. Si sentiva come se stesse già nella tomba. Trovò lo Fssireeme, o meglio, la sua ultima trasformazione: una lamina incredibile che sosteneva la frana evitando che lui finisse schiacciato sotto di essa. Poi sentì l'energia della Danzatrice del Fuoco fluire nel corpo di Fssa in modo tale che il suo Mentore Bre'n non rimanesse seppellito sotto le macerie. Kirtn scavò come un cherf ammucchiando le macerie dietro di lui per permettere di continuare ad andare avanti. Fssa creò una membrana protettiva. Kirtn si strinse nelle spalle, usando le mani come clave per contrastare la caduta di rocce dal soffitto. Ci fu una vera e propria esplosione di luce. Un fischio risuonò nella galleria. Kirtn si trascinò fuori nella sottile luce del giorno di Daemen, ma gli sembrò spessa come crema, dopo l'oscurità della galleria. «Rheba, posso passare dall'altra parte?», chiese ansimando l'umanoide. «La ragazza è molto debole,» fischiò Fssa, vergognoso per quello che le aveva causato. Kirtn ritornò nella galleria. Quando trovò Rheba, la trascinò all'aria aperta. Nascose le sue mani nei capelli privi di vita della ragazza, forzando un rapporto come poteva fare solo un Bre'n, e le trasmise un po' della sue energia. Dopo un momento, Rheba sospirò riprendendo conoscenza. Daemen emerse dalla galleria coperto dalle pietruzze cadute dal soffitto. Il giovane sorrideva e si stiracchiava come se avesse il sole tra le mani. «I Seur si sono sbagliati di grosso!», esultò Daemen. «Sono io l'incarnazione della Buona Fortuna!» La galleria crollò definitivamente con un frastuono di rocce che franavano, quando anche Fssa scivolò nella luce del pianeta. «Spero proprio di sì,» rispose. «Siamo troppo stanchi per combattere.» «Combattere?», disse Daemen confuso. Intuendo qualcosa di spiacevole, Kirtn si voltò a guardare un po' la situazione. Dieci Daemeniti li circondavano, osservandoli con fare minaccioso. E-
rano armati di coltelli e fionde abbastanza potenti da fracassare le ossa. Kirtn fissò Daemen inferocito e si pentì amaramente di non aver seguito il consiglio di Satin, quando aveva avuto la possibilità di gettare quel cherf porta sfortuna nello spazio, e non lo aveva fatto. Capitolo XV Daemen si voltò verso i dieci Daemeniti e parlò loro in fretta. Fssa tradusse, ma modificò la sua voce in modo che solo Kirtn potesse sentirlo. «Io sono Il Daemen,» disse, camminando verso il gruppo fiducioso. «Voi siete i Seur della Piazza Uno?» I Daemeniti mormorarono tra di loro, ma il tono basso delle loro voci non riuscì ad eludere l'udito delicatissimo dello Fssireeme. Rheba si scrollò il serpentello di dosso e s'avvicinò a Kirtn. Fssa scomparve nell'aria. La sua voce rimase indietro, come se si formasse nell'aria, tra Rheba e il suo Mentore Bre'n. «... Fortuna?... dimmi quali problemi sono in vista,» disse la donna dai capelli rossi, scura di pelle quasi quanto la galleria da cui erano da poco usciti. «Non puoi fidarti della Voce. Talvolta essa...», ribatté un uomo con una abbondantissima peluria argentea che gli ricopriva le braccia ed il volto, facendo risaltare dei sorprendenti occhi rosa. «Hai considerato la possibilità di...», tagliò corto una donna dalla pelle tra l'abbronzato e il dorato. Fssa emise un rumore di delusione. Il suo udito era troppo delicato. Raccolse i suoni che si soprapponevano l'un l'altro, comprendendo un po' il significato del loro borbottìo. Il dialetto era diverso da quello del Centrins: non tanto diverso da richiedere l'apprendimento completo del linguaggio, ma abbastanza da rendere impossibile la traduzione del balbettio del gruppo. Kirtn e Rheba ascoltavano senza darlo ad intendere. Daemen non fece alcuno sforzo per nascondere la curiosità. Sembrò un po' irritato che il gruppo non avesse salutato l'arrivo della Fortuna con più di contentezza. «Voi siete dei Seur?», domandò. «Noi siamo Scavenger,» rispose fiera la donna dai capelli rossi. «Sembri la più risoluta,» replicò Daemen sorridendo. «Sei tu il capo, il Primo Scavenger, o come altro ti chiami?» «Super Scavenger,» rispose precisando la donna. «No, non ancora.»
La donna guardò Kirtn e Rheba come se le appartenessero. «Ma quando ritornerò dal mio gruppo con questi due, Ghun tornerà a fare lo scout.» La donna guardò Daemen acida. «La Fortuna, eh? Forse mi potresti valere qualche punto extra.» Daemen prese un secondo per digerire le implicazioni dello strano discorso della donna Daemenita. «Ghun è il Super Scavenger?», chiese con un po' d'esitazione nella voce. «Solo fino a quando non tornerò con tre di voi,» disse la donna, annuendo con la testa. «A meno che...» Si piegò in avanti e guardò ansiosa verso il buco da cui erano usciti. «Voi Seur avete altre aperture come queste?» «No. Quello è l'unico motore che funziona ancora.» La parola «motore» era ovviamente sconosciuta alla donna. La donna guardò torva Daemen, poi scrollò le spalle per sottolineare i suoi dubbi in proposito. «Allora nessun altro scout ha intenzione di tornare indietro con più Treat?» «Treat?» Il tono della voce di Daemen era perplesso come il suo volto. «Treat,» asserì la donna. Poi realizzò che Daemen non capiva quello di cui lei stava parlando. «Devono avere delle abitudini diverse dall'altro lato della galleria. Qui intorno le cose un po' strane vengono chiamate Treat. Lo Scavenger che trova i Treat migliori, diventa il Super Scavenger fino alla Caccia successiva. Ma non abbiamo mai visto cose del genere. Mai. Per questo credo proprio che sarò io il Super Scavenger, per un lungo periodo di tempo.» «Ah... scusami,» disse Daemen. Si voltò verso Rheba e Kirtn e si mise a parlare in Universale. «A quanto pare, qui fanno un gioco molto complicato. La Caccia Scavenger. Chiunque trovi le cose più strane, diventa il Super Scavenger fino alla Caccia successiva.» Kirtn e Rheba emisero dei rumori d'incoraggiamento. «Noi,» continuò Daemen, «siamo molto strani per loro. Perciò saremo noi i Treat vincenti.» A Kirtn non piacque l'idea di essere un Treat. «Cosa succede ai Treat dopo la Caccia?» Daemen esitò. «Scusami.» Si voltò verso la donna dai capelli rossi. «Cosa ne fate dei vostri Treat dopo la Caccia?»
La donna lo fissò incapace di capire che anche un estraneo potesse essere tanto ignorante. «Li regaliamo alla Divinità, naturalmente.» «Voi li regalate alla Divinità, naturalmente.» Uno sguardo gelido giunse in direzione di Daemen. «Cosa significa per voi la parola altro?», disse poi ad alta voce. La gente intorno alla donna fulva estrasse le armi. La donna fece loro segno di calmarsi. I Daemeniti lasciarono andare le loro sferze e le loro fionde, ma accarezzarono i coltelli, molto sicuri di sé. «Non gridate, ragazzi,» disse tranquilla. «Li rendete nervosi. Se gridate, diventano troppo nervosi, dimenticheranno che un Treat morto non è molto meglio di una pietra: non è tanto strano da interessare una Divinità.» «Alla tua Divinità piacciono i Treat vivi?» «Noto con piacere che hai già imparato qualcosa,» rispose la donna, tamburellando con le dita della sua mano sul braccio del giovane. «Un Treat riluttante fornisce pochi punti. Proprio pochi.» «Pochi punti,» ripeté Daemen troppo scioccato per pensare di ribattere qualcosa. Kirtn guardò negli occhi di Rheba con fare interrogativo e si strinse nelle spalle. Se Daemen avesse avuto intenzione di fare un vero e proprio interrogatorio, sarebbe trascorso un sacco di tempo prima che avessero potuto scoprire qualcosa di utile. Per una persona che aveva resistito alla Fossa degli Schiavi su Loo, la fortuna doveva essere per forza benigna, pensò. «Fssa, traduci senza dare troppo nell'occhio.» Lo Fssireeme fischiò cambiando forma tra i capelli di Rheba. Appena Kirtn parlò, il serpentello tradusse così velocemente che sembrò conoscere bene quel linguaggio da molto tempo. Fssa duplicò anche la voce di chiunque prendeva la parola. «Può questo umile Treat fare una domanda?», chiese Kirtn. Daemen fissò il Bre'n incredulo, perché sembrò che parlasse perfettamente il Daemenita. Con uno sguardo frettoloso, si voltò verso Rheba. La ragazza gli sorrise come per rassicurarlo. Lo scout leader dalla chioma fulva soffermò il suo sguardo su Kirtn. Ogni volta che guardava il grande e grosso Bre'n e la sua strana peluria ramata, sorrideva come se avesse voluto possederlo. Era un Treat molto grande, davvero. «Che cosa ne fa la tua Divinità dei Treat?», chiese Kirtn incuriosito. «Li ama. Tutti gli zoolipt amano i loro Treat.»
Kirtn fu tentato di chiedere come amasse i suoi Treat uno zoolipt — o qualunque cosa fosse —, ma aveva paura che la donna avesse una risposta pronta anche per quello. «Agli esseri... amati... da una Divinità zoolipt, viene fatto del male?» «No, se si è disponibili.» «Si potrebbe dire la stessa cosa anche per la violenza carnale,» osservò acida la Danzatrice. Fssa si astenne dal tradurre il commento di Rheba. Su Loo aveva imparato che un buon traduttore talvolta, deve anche essere un po' diplomatico. «Cosa accade dopo queste feste amorose?», chiese Kirtn, sforzandosi di controllare il tono della sua voce. «Un pranzo luculliano per tutti,» rispose la donna con un entusiasmo esagerato. «Tempi grassi, fragranze ricercate.» «Per tutti? Anche per i Treat?»? «Per i Treat disponibili,» lo corresse la donna. «Cosa succede ai Treat ben disposti, dopo la festa?» «Fanno quello che fanno tutti gli altri. Noi mangiamo, beviamo e ci rotoliamo sui mucchi di rifiuti. Non smettiamo se non quando la Divinità si è annoiata. Allora, solo allora, cominciamo un'altra Caccia.» «Annoiata? Anche le Divinità si annoiano?» La donna lo guardò a lungo con fare sofferente. «Hai detto una verità, Treat.» Kirtn guardò Daemen. «Non so molto più di te su questi barbari,» disse La Fortuna in Universale. «Non so niente sui loro costumi locali. Una volta entrati nel loro Impianto, troverò qualche nuova tecnologia, tornerò nella galleria e costruirò un motore. Quando i Seur vedranno il mio regalo, saranno felici di riaccogliermi tra loro. Poi, queste creature potranno anche divorarsi l'un l'altro in uno stato di coma: a me, certo, non importerà più niente.» «Giusto,» disse Kirtn sarcastico, in Universale. «Ti farai una passeggiatina nell'Impianto, troverai qualche nuova tecnologia e poi tornerai libero a casa.» «Sì, credo proprio di sì,» gli rispose Daemen convinto. «Tu sei uno stupido, arrogante...» «Kirtn!», gridò inorridita la Danzatrice. Il Bre'n scrollò le spalle. Imprecare contro Daemen, non significava risolvere i loro problemi, ma Kirtn si sarebbe sentito di sicuro un po' meglio. «Non sono stupido,» cominciò a dire Daemen, «e non sono neppure ar-
rogante, io! Io sono La Fortuna!» Daemen fissò l'umanoide, ma era troppo scioccato per arrabbiarsi. «Ma noi siamo sopravvissuti. Per centinaia di anni i Seur hanno cercato di raggiungere la Piazza Uno. Abbiamo camminato sopra le ossa... e siamo sopravvissuti. Questa tu la chiami cattiva fortuna?» Kirtn rivolse il suo sguardo alla Danzatrice del Fuoco esausta, con le mani insanguinate. L'umanoide sospirò. «No, quella non è cattiva sorte, ma questa,» continuò indicando il gruppo di Daemeniti, «non è neanche buona fortuna. Non so qui, ma sul mio pianeta, noi li mangiamo i Treat.» La risata di Daemen fu ingannevole come il fischio del Bre'n. «Non ti preoccupare. La buona sorte è con te. Qualunque cosa accada, non potrà esserti di danno.» «Di cosa state chiacchierando?», domandò la donna, ovviamente stanca d'ascoltare quelli che per lei erano soltanto dei rumori incomprensibili. Kirtn le sorrise. «Mi stava solo ricordando di essere la buona fortuna.» «Buona per lui,» rispose la donna, impassibile. «E per i suoi compagni... almeno lo spero,» borbottò il Bre'n. Fece un respiro tanto profondo da accusare un dolore alle costole. Sospirò di nuovo. «Noi siamo Treats ben disposti. E allora?» I Daemeniti guardarono il Bre'n e poi cominciarono ad applaudire, facendosi le congratulazioni a vicenda per il buon acquisto. Daemen ascoltò il balbettio eccitato e sorrise trionfante in direzione di Kirtn. «Vedi? Non c'è niente di cui aver paura. A quanto pare, i Treat disponibili sono molto rari e, per questo, anche molto apprezzati. Non preoccuparti. Si prenderanno buona cura di noi.» «Forse i Treat mal disposti sanno qualcosa che noi non sappiamo,» ribatté Kirtn. Per un momento Daemen sembrò incerto, poi la sua fede nella propria fortuna, lo rassicurò. «Siamo sopravvissuti,» gli disse, come se questa fosse la risposta a tutti gli interrogativi di Kirtn. E, il Bre'n lo ammise a se stesso, la cosa corrispondeva al vero. I Daemeniti smisero di contratularsi a vicenda per aver trovato quei tre Treat. La donna dai capelli rossi sogghignò. «D'ora in avanti chiamatemi Super Scuvue. Chiunque altro lo sarà per
poco.» I capelli di Rheba cominciarono ad ondeggiare quando Fssa emise un suono sibilante. Il serpentello, comunque, ebbe il buon senso di far sembrare che il rumore provenisse da uno dei Daemeniti. Scuvue si girò immediatamente indietro per capire chi era stato, ma ottenne soltanto solenni dichiarazione d'innocenza da tutti gli astanti. Con un ultima occhiata gelida, la donna li condusse via. Seguirono un sentiero impervio ingombro di rocce grigio-blu e di cumuli di polvere d'oro. Rheba e Kirtn si guardavano intorno, cercando di memorizzare il percorso. Ad un certo punto riuscirono a focalizzare una cosa che si accingeva a mettersi in movimento. «Cos'è questo?», chiese la Danzatrice. In quel preciso momento tutti i Daemeniti si misero all'erta. Allora Scuvue scoppiò a ridere. «È solo un runner. Valgono pochi punti. Non valgono molto come i Treat,» aggiunse. «Ora ci vorrebbe proprio un flyer. Vale molti punti. E poi, sarebbe uno scherzo catturarne qualcuno.» L'uomo dalla peluria brizzolata fissò il punto dove era scomparso il runner. «Sei sicura di non averne bisogno?» «Con i Treat che abbiamo già?», ribatté sorridendo la ragazza. «Ci vorranno tre giorni solo per fare la somma di tutti i punti che ricaveremo!» «Yeah,» assentì piano l'uomo, continuando a guardare il cumulo d'oro dal quale era stato inghiottito il runner. «Sembra uno spreco. A volte, dopo diverse Cacce, eravamo contenti anche di aver catturato un runner morto.» «Sono passati i tempi duri,» rispose Scuvue, tirando un pugno sulla spalla dell'uomo brizzolato. «Tempi grassi e fragranze ricercate!», urlò il gruppo di Scavengers. A quanto pareva, la frase era legata ad una vecchia credenza locale. «Kirtn,» mormorò Rheba in Senyasi. «Qui hanno degli animali: il Centrins aveva sempre e solo rocce.» «E Seur.» Kirtn si guardò intorno. «Mi chiedo perché gli animali sono sopravvissuti qui e lì no?» Un cumulo d'oro si riversò sul sentiero. Appena Kirtn ci camminò sopra, una fragranza meravigliosa colpì le sue narici. L'umanoide si curvò ed afferrò una manciata di polvere. Era fredda e soffice al tatto, e aderiva al corpo in nuvole dorate di fragranza. Ebbe l'impulso di mettercisi disteso, e rotolarsi nel cumulo, per coprirsi di quell'incredibile e sensuale fragranza.
«Odora questo,» disse a Rheba allungandole una manciata di quella polvere meravigliosa. La ragazza l'annusò e provò un immediato ed intenso piacere. Le Linee di Potenza Akhenet cominciarono a pulsare sotto la sua pelle quasi in risposta a quella incredibile fragranza. Sembrava quasi afrodisiaca. Rheba fissò Kirtn con occhi languidi pieni di promesse future. Scuvue guardò e sogghignò. «Bene, potrai essere diverso da noi, ma sei sempre un essere umano. L'ultima volta che riuscimmo a compiacere la Divinità, lei in cambio ci regalò questo,» disse la donna indicando il cumulo d'oro che creava un gioco di piccole macchie sul terreno. Il suo ghigno diventò sempre più malvagio. «Non riesco proprio ad immaginare cosa ci regalerà la Divinità, questa volta. I miei Treat dovrebbero bastare per ricevere una cascata di rocce.» «La tua Divinità vi ha regalato questo?», le chiese Rheba con uno sguardo sognante. «Questo sarebbe sufficiente per farmi avvicinare di corsa alla vostra religione.» Daemen immerse le dita nella polverina, l'annusò cautamente e si guardò intorno pensieroso. «Come siete riusciti a creare una cosa del genere?» «Forse non ci siamo capiti bene,» urlò Scuvue. «È la Divinità che ce l'ha regalata.» «Come ha fatto il tuo zoolipt... la tua Divinità, o come altro si chiama, a regalarvi questa polvere?» Scuvue guardò Daemen come una persona particolarmente paziente si rivolge ad un bambino notoriamente deficiente. «Come ti ho già detto, ragazzo. Gli abbiamo fornito un Treat veramente delizioso.» «E di cosa si trattava?», chiese Kirtn incuriosito. Scuvue sospirò. «Desidererei saperlo anch'io. È trascorso tanto di quel tempo, che forse neanche la Divinità se lo ricorda più.» «Se io potessi trovare la formula di questa polvere,» disse Daemen in un Universale un po' concitato, «i Seur dovrebbero chiamarmi Fortuna a ragion veduta.» Si voltò verso Scuvue e parlò in Daemenita. «La tua Divinità vive con voi?» «E dove altro potrebbe vivere?» «Oh, sopra le montagne, sul mare, in cielo,» rispose Daemen, ricordandosi delle varie religioni che aveva incontrato su Loo. «Su un altro pianeta, chissà.»
«E che cosa potremmo ricavare di buono avendo una Divinità che vive in un posto diverso dal nostro?», chiese un po' perplesso Scuvue. «La tua Divinità vive nell'Impianto?», chiese Daemen affermativamente, non volendo discutere di sfumature religiose con una donna che non riconosceva il valore della fortuna. «Cos'è l'Impianto?» «Quella costruzione tutta colorata mai restaurata.» «Oh, ma allora intendi riferirti alla Casa della Divinità. Sicuro. Dove altro potrebbe vivere la Divinità?» Daemen rivolse un'occhiata angosciata in direzione dei suoi amici. Kirtn quasi si dispiacque per lui. Scuvue aveva un tale dominio letale sulla realtà che nessuno avrebbe potuto contrastarla. «Agli estranei è permesso... andare nella Casa della Divinità per adorarla?», chiese Kirtn a Scuvue, intuendo il recondito pensiero di Daemen. Qualsiasi tecnologia degli Scavengers, di sicuro si trovava nella Casa della Divinità. Se l'Impianto era un luogo sacro per loro, entrarvi sarebbe stata una cosa alquanto difficile. «Stranieri? Stranieri che adorano la Divinità?» Scuvue guardò prima Kirtn e poi La Fortuna. «Ma allora non hai proprio capito cosa si fa in quella Casa. Cosa significa per te, adorare la Divinità?» Kirtn cercò di pensare delle parole che la donna comprendesse facilmente. Fu Fssa a parlare per lui, in un tono ridondante di disprezzo. «Possiamo entrare nella Casa della Divinità?» Il volto di Scuvue si illuminò. «Perché non dovreste? Sicuro che ci potrete entrare, miei Treat. Sono veramente felice di sentirvi così disponibili. Hai detto proprio la verità quando mi hai promesso di essere ben disposto.» La donna picchiettò amichevolmente il torace di Kirtn con un gesto d'approvazione. «Che grande Treat. Non vedo l'ora di ricevere il cumulo d'oro.» I capelli di Rheba ondeggiarono e cominciarono a crepitare per la rabbia. «Allora non t'importa se noi andiamo a visitare la Casa della Divinità?», urlò la ragazza. «Importare? Ascolta, piccola Treat: puoi andare nella Casa della Divinità tutte le volte che vorrai. Infatti... io accoltellerò chiunque cercherà di tenervi lontani da quel posto.» Scuvue si guardò intorno e notò che il suo gruppo sembrava trionfante. «Sono dei Treat ben disposti!», gridò Scuvue. «Tempi grassi e fragranze ricercate,» risposero gli Scavengers. I Daemeniti ripresero a camminare impazienti di raggiungere la loro me-
ta. Kirtn e Rheba camminavano invece molto più lentamente. Cominciavano a sentirsi come un pasto alla ricerca di un posto dove essere consumato. E i due ebbero proprio paura che quel posto corrispondesse alla Casa della Divinità. Capitolo XVI Super Scuvue cercò di tenere i suoi Treat lontani dagli altri abitanti di Piazza Uno. Non fu molto difficile. Come Centrins, anche Piazza Uno aveva poche costruzioni disabitate erette nei Cicli successivi ai costruttori originari, gli Zaarain. Scuvue e il suo gruppo vivevano in una delle case meno cadenti. Le sue finestre erano intatte, i pavimenti perfettamente allineati. Le sue porte, comunque, per essere aperte e chiuse, richiedevano delle persone molto muscolose. Nonostante le assicurazioni di Scuvue sul fatto che i Treat sarebbero potuti entrare in qualsiasi momento nella Casa della Divinità, Rheba, Kirtn e La Fortuna avevano visto l'Impianto solo da lontano. «Ve l'ho già detto,» disse Scuvue a voce alta, «dovete aspettare che finisca la Caccia.» Kirtn non riusciva a stare fermo. Era alquanto irrequieto. «Sì, ce lo hai già detto. Ma non ci hai detto quando finisce questa maledetta Caccia. Siamo qui da cinque ore e tu non fai altro che ripetere di aspettare!» La donna sospirò. «Treat, sono contenta che tu sia così impaziente di conoscere la Divinità. Ma io non sono una stupida. Se Ghun non mi vede introdurvi nella Casa della Divinità, non avrò alcun punto. E Ghun non può vedervi se non si trova qui, sul posto. E così, fino a quando Ghun non tornerà, tu non potrai entrare nella Casa della Divinità. Hai capito qual'è la situazione, o te la devo ripetere ancora una volta?» Quello di Kirtn non volle essere un rimbrotto. «Quando tornerà Ghun?» Scuvue fece il gesto di strapparsi i capelli rosso-fuoco. «Ti ho già detto che verrà quando la Caccia sarà finita!» «Ma quando finirà questa dannata Caccia?», aggiunse Rheba, sentendo la rabbia nel corpo teso di Kirtn. «Piccola Treat,» disse Scuvue, «ve l'ho già detto. La Caccia finirà, quando ritornerà Ghun.»
«Non preoccuparti,» Daemen calmò Rheba stringendole la mano. «È tutto sotto controllo. Ricorda: io sono La Fortuna. La buona fortuna,» aggiunse, superando il borbottio di Kirtn. «Guarda il cibo che ci hanno portato. Non è migliore di quello che abbiamo mangiato su Loo e al Centrins?» «Non era buono?», disse Scuvue, scioccata. «Piccola Treat, il tuo zoolipt doveva essere davvero seccato.» «Cosa vuoi dire?» La voce della donna risuonò molto paziente. «Il nostro cibo è disgustoso. Questo è il motivo per cui ci è necessaria la Caccia. Ora, se tu pensi che la brodaglia che stiamo mangiando sia saporita, significa che quello che si mangia dall'altra parte del buco, è proprio una schifezza. È giusto?» «Giusto,» rispose Daemen, contento che Scuvue una volta tanto avesse capito. Non era sempre facile spuntarla con i barbari di Piazza Uno. «Si può mangiare peggio di qui,» continuò Scuvue impassibile, «solo se il tuo zoolipt è anche più seccato del nostro. Non l'hai mai mangiato?» «Mangiato cosa?», chiese Daemen. Scuvue emise un suono di delusione. «Il tuo zoolipt!» urlò. «Centrins non ha uno zoolipt. Ci sono solo macchine.» «Non essere più stupido delle pietre,» gli rispose Scuvue, accalorandosi. «Tu hai una costruzione colorata molto graziosa, non è vero?» «Sì, è vero.» «Da un lato depositate i rifiuti, dall'altro fuoriesce il cibo, giusto?» «Bene, questa è un'ulteriore semplificazione. Quello che accade realmente è che...» «Giusto, piccolo Treat?» «Ah, giusto.» «Secondo te, cos'è che trasforma i rifiuti in cibo?» «Una macchina... giusto?» «Sbagliato!» Scuvue prese una boccata d'aria. «C'è la Divinità nella macchina che crea il cibo. Il macchinario rimuove solo i rifiuti. Ma se voi lo nutrite sempre e solo di rifiuti, tutti voi non avrete che rifiuti. Rifiuti dentro, rifiuti fuori. Giusto? Giusto,» continuò senza sosta. «Una divinità annoiata è infelice. Se è troppo annoiata, comincia a fare dei pasticci.» Daemen sembrò voler protestare. La grande mano di Kirtn gli strinse una spalla. «Lasciala parlare,» fischiò il Bre'n. «Sta finalmente dicendo qualcosa
d'interessante.» Scuvue non ascoltò le parole di Kirtn. Era troppo preoccupata per quello che doveva dire da poter prestare attenzione a qualcos'altro. «Se tu sei fortunato,» continuò, «una Divinità annoiata ti rende indietro il cibo cattivo. Noi trascorriamo molto del nostro tempo nelle fogne per liberarci del cibo cattivo con cui abbiamo nutrito la Divinità. I crampi sono molto antipatici, rovinano i vestiti, ma sono sempre molto meglio dei tremendi giramenti di testa?» «Giramenti di testa?» «Sì, giramenti di testa. Non puoi mai dire quando ti colpiranno. Tu mangi e poi il mondo comincia a girarti tutt'intorno e i colori si confondono, poi ti appaiono dei diavoli che urlano e ti acchiappano nelle loro grinfie. È una cosa spaventosa, veramente spiacevole e finisce solo quando la Divinità si è annoiata anche di quello.» «Dopo cosa succede?», chiese Kirtn, sempre più sconcertato per quello che sentiva. «Ci avviciniamo alla morte e continuiamo la Caccia. Se siamo fortunati, i runner o i flyer potranno essere cambiati un po' dall'ultima volta. Più sono cambiati, più sono chiamati grandi Treat.» «Cambiati?», mormorò Kirtn. «Giusto. Qualche gamba di più o di meno. Peluria più corta o del tutto assente. Devono mangiare quello che produce la Divinità. Solo se mangi il cibo della Divinità, puoi cambiare.» «Anche gli altri cambiano?», chiese Rheba, lottando contro una paura irragionevole. «Sicuro. Ma la Divinità ha imparato ad essere prudente con noi. Se noi cambiamo troppo, moriremo tutti, e poi la Divinità sarà più annoiata che mai. Questo è il motivo per cui la Divinità crea dei rettili-rettili che possono cambiare aspetto ma non morire. Da dove pensi provengano i digger e i flyer? Sono dei rettili, nient'altro.» Kirtn ricordò l'improvvisa trasformazione fenotipica dei Seur. La cosa risultava ancora più evidente a Piazza Uno. A quanto pareva c'era un fattore mutagene nel cibo. «La loro macchina dev'essere fuori fase,» disse Daemen in Universale. «Cosa?», chiese Rheba ancora scossa dall'incubo che le parole di Scuvue avevano evocato. «Il loro Impianto non è a punto. È un miracolo che siano sopravvissuti tanto tempo.»
«La Divinità è dalla loro parte,» disse sarcastico Kirtn. «Io parlo sul serio,» urlò Daemen. «Anch'io. Guardati intorno, Fortuna. La gente di Scuvue è molto più robusta di quanto lo fossero i Seur.» «È una sciocchezzai» «Kirtn ha proprio ragione,» replicò Rheba. «I Seur erano macilenti. Non avevano molti bambini. Tu eri molto più forte ed alto della maggior parte di loro. Le razioni degli schiavi su Loo non erano granché, ma erano certamente molto meglio di quello che mangiano i Seur.» «Centrins non ci fa neanche ammalare,» rispose concitato Daemen. «No. Ci ha solo costretti a morire di fame e poi si è burlato di noi annunciando un pranzo che non è mai stato servito.» «È una macchina, non una persona. Non funzionerà bene perché non è messa a punto, ma non è annoiata.» «Questo è il tuo dogma,» disse Kirtn. «Quello dei Seur è diverso.» Daemen lo guardò stupito. «Tutti gli Impianti civilizzati sono identici.» «Riducono tutti alla fame?», suggerì il Bre'n «Può anche non piacerti il dogma di Scuvue, ma è così,» continuò dolcemente, ma inesorabile, Kirtn. «Cosa dicono i Seur in proposito?» Daemen lo guardò ostinato ma anche con un po' di disagio. «I Seur dicono che le persone che riciclano i cadaveri sono dei disgustosi barbari. Come puoi mangiare del cibo che una volta è stato tuo zio?» «Non è questo che ti hanno mandato a cercare qui?» Scuvue diventò impaziente. «Parla in modo che io possa capirti o ti colpirò a sangue prima che la grazia divina mi fermi la mano.» Solo l'ultima parte del suo breve discorsetto gli fece un certo senso. «La gente di Daemen non nutre la Divinità con cadaveri,» tagliò corto Kirtn. «La Fortuna è sorpresa che la cosa qui invece avvenga.» Scuvue sbuffò. «Noi la nutriamo di cadaveri, criminali e qualsiasi altra cosa vogliamo. Le rocce troppo cattive non servono però a sfamare la Divinità.» Daemen rabbrividì. Una piccola folla di persone appostate di fronte a casa, cominciò ad urlare. Un uomo molto piccolo entrò nella stanza, seguito dal gruppo furibondo di Scuvue. L'uomo si fermò a fissare Kirtn. «Allora è vero,» disse l'uomo muovendo la testa in modo che i suoi ca-
pelli neri sfiorassero i forti polsi di Kirtn. Rheba lo guardò. L'uomo aveva otto dita e un pollice molto lungo su ogni mano. Guardò la sua mano con quattro dita e si chiese quanto cibo della Divinità avrebbe dovuto mangiare prima di subire anche lei, la Danzatrice del Fuoco, delle trasformazioni simili. L'uomo li scrutò per bene come un capo schiavo ispeziona i nuovi arrivi. Qualunque cosa notasse, non gliene piaceva nessuna. «Nessuna collana?», urlò. «Sono dei Treat molto disponibili Ghun,» si vantò Scuvue. «Io sono ancora il Super Scavenger,» ribatté gelido Ghun. «La Caccia non è ancora finita.» «Ma tu sei ritornato. Non puoi continuare ancora ad esserlo. Conosci bene le regole quanto me, Super.» La voce di Scuvue risuonò come una sferza. «Il mio gruppo non è ancora tornato. Io sono arrivato prima.» La donna dai capelli rossi sorrise minacciosa. «Al tramonto ringrazieremo la Divinità e le invieremo i Treat. Diventerò io la Super prima che possa sorgere la seconda luna.» Ridacchiò. «Io sarò la Super finché morirò, Ghun. Nessuno riuscirà mai a portare dei Treat come questi.» «Nessun Treat dura più a lungo di un pasto. Dopo la prossima Caccia, sarò io di nuovo il Super.» «Sono Treat disponibilissimi, Ghun. Vivranno a lungo: sempre più di tutti noi, questo è sicuro.» Ghun rivolse un'occhiata pungente ai Treat. «Voi naturalmente non capite di cosa sta parlando, non è vero?» Kirtn, che sapeva riconoscere un nemico a distanza, non rispose. Comunque lo fece Daemen. «Cosa vuoi dire?» «Tu sembri un po' troppo giovane per morire.» Ghun alzò la testa, cercando tra i Treat, se qualcuno era riuscito ad afferrare il suo discorso. Kirtn e Rheba si controllarono. Daemen non lo fece. Ghun si piegò sulla Fortuna. «Non te lo ha detto?» «Dirmi cosa?», rispose Daemen. «Scuvue ha intenzione di darvi in pasto alla Divinità.» «E allora?» «Ha intenzione di lasciarvi morire.» «Questo non è vero!», urlò la donna dai capelli rossi. «Tu stai solo cer-
cando di disporli male nei miei confronti perché possa prendere qualche punto di meno!» Il sorriso di Ghun rese Kirtn ancora più inquieto di un rimbrotto vero e proprio. Daemen non lo notò. Era ancora scioccato dalla sicurezza con cui Ghun aveva pronunciato la sua sentenza di morte. «Non è vero, piccolo Treat,» disse con fare persuasivo Scuvue. «Ghun sta solo cercando di spaventarvi. La Divinità ama i Treat disponibili. Non può succedere niente di spiacevole, quando la Divinità ti ama.» «Come faranno ad essere disponibili se verranno sgozzati dalla Divinità?», chiese Ghun sicuro di sé. «Chiudi il becco!», gli rispose Scuvue, facendo un gesto con le mani come se avesse voluto strangolare lui e la sua sicurezza. Ghun ridacchiò. «Non glielo hai detto, Scuvue? Non glielo hai ancora detto come saranno fustigati e condotti alla Casa della Divinità? Non glielo hai ancora detto...» Scuvue avvicinò la punta del suo coltello alla gola di Ghun. La donna giocherellava intorno al viso di Ghun col coltello; la testa dell'uomo, spaventato, rimase immobile. «Se tu non chiudi quella maledetta boccaccia,» gli disse Scuvue, «Io darò la tua lingua in pasto alla Divinità.» Ghun si zittì di colpo. «Ho trovato io questi Treat: per me sono disponibili. L'intera città li conosce. Se si mostrassero riluttanti nei miei confronti sarebbe un crimine, non è vero?» Ghun deglutì e sembrò che stesse mangiando la bile. «Non sarebbe un crimine?», insisté Scuvue, facendo uscire una goccia di sangue dal sottile labbro inferiore di Ghun. «Uggg... sì!» «Giusto. E tu sai cosa ne facciamo dei criminali, non è vero?» Il coltello si avvicinò di nuovo al viso dell'uomo per graffiargli anche il labbro superiore. «Cosa succede?» «Finiscono in pasto alla Divinità,» rispose Ghun muovendo appena le labbra. «Giusto. Ora, se tu hai finito di mentire ai miei disponibili Treat, noi faremo finta che tu non abbia mai aperto quella dannata boccaccia. A meno che tu non arda dal desiderio di far visita alla Divinità,» concluse melliflua
Scuvue. Ghun emise un suono strozzato che Scuvue interpretò come una capitolazione. Lo lasciò andare tanto bruscamente da farlo inciampare e cadere. Ghun, appena fu fuori tiro, le lanciò un'occhiata malevola. Kirtn e Rheba si guardarono. Daemen sorrise senza un motivo particolare. «È tutto a posto. Io sono La Fortuna.» La litania di Daemen non li confortò affatto. Kirtn sfiorò la Danzatrice e percepì la stanchezza sotto la sua paura. Il pasto e poche ore di prigionia non li avevano aiutati a reintegrare le loro energie. Prima o poi sarebbero potuti ritornare indietro nella galleria, ma quando sarebbe accaduto? Senza un dono tecnologicamente avanzato per i Seur, Daemen e i suoi amici sarebbero molto probabilmente stati spediti di nuovo in un altro viaggio. Questa volta però, sospettò Kirtn, i Seur avrebbero vinto i loro inutili scrupoli ed avrebbero ucciso La Fortuna. Sempre più infreddolito, il Bre'n realizzò che non c'era nient'altro da fare che aspettare il maledetto pasto della Divinità. Una volta entrati nell'Impianto, forse Daemen avrebbe trovato qualcosa di utile per i Seur. Se ciò non fosse avvenuto, potevano sempre contare su Arcobaleno. Si poteva dare Arcobaleno in pasto alla macchina e sperare che le luci di spegnessero tanto velocemente come era avvenuto nel Centrins. Cosa avrebbero fatto i barbari di Piazza Uno se i Treat si fossero rivelati difficili da digerire? Scuvue guardò i suoi Treat. La loro espressione non era molto tranquilla. La donna sorrise e sbatté le mani. «Abbiate pazienza, non ci vorrà molto tempo, Treat,» si sforzò di dire. «Non preoccupatevi. Mangiate un pochino di quella polverina dorata e non vi succederà niente. Del resto i Treat disponibili piacciono molto alla Divinità. Dovete credermi,» disse seriamente. «Da quando sono viva, la Divinità non ha mai fatto male ad un Treat disponibile.» I Treat preferirono non parlare. Scuvue sorrise per incoraggiarli. «Non dovrete neanche essere aggraziati,» continuò la donna. «Siete già abbastanza insanguinati. Forse,» aggiunse esaminando Daemen, «solo lui avrà bisogno di qualche piccola ferita. Oh, niente di grave,» li rassicurò. «Solo qualche taglietto per far sapere alla Divinità che noi ci preoccupiamo di lei.» I Treat sembrarono più sollevati.
«Bene!», disse Scuvue entusiasta. «Non è il caso d'aspettare ancora. Quando arriveranno alla Casa della Divinità, sarà già il tramonto.» Scuvue fece un cenno al suo gruppo. Immediatamente gli Scavenger circondarono i Treat. Nonostante i sorrisi amichevoli dei barbari, non c'era alcun dubbio che un Treat riluttante sarebbe stato trascinato a forza nella Casa della Divinità. Kirtn vide le Linee di Potenza Akhenet tremolare sopra le braccia di Rheba. «Non ancora,» le fischiò in un orecchio, intimandole di pazientare. «Siamo venuti qui per entrare nell'Impianto. Ora ci siamo quasi vicino.» Rheba percepì l'ironia e la saggezza del fischio del Bre'n, e gli sorrise stringendogli la mano. L'altra mano, invece, raggiunse Daemen. Il sorriso di risposta del giovane fu più affascinante del solito per la sua timidezza. Mano nella mano, i Treat seguirono Scuvue arrampicandosi sulle rocce che attorniavano la variopinta Casa della Divinità. Appena si misero in cammino, i Treat furono circondati dagli abitanti di Piazza Uno. Il cielo carminio colorava tutti allo stesso modo; la gente camuffava la sua diversità sotto un unico colore cupo. Gli indigeni li fissavano e mormoravano fra loro divertiti, chiedendosi l'origine e la natura di quegli strani Treat che avevano davanti agli occhi. Il gruppo si accostò ad un lato della Casa. Il sentiero sembrava condurre a qualcosa di più sacro che un deposito di rifiuti. Dall'altro lato e di tanto in tanto sullo stesso sentiero, comparivano dei cumuli di macerie e dei rifiuti maleodoranti. Rheba, alquando disgustata, raschiò la suola della sua scarpa contro una pietra sporgente. «Se questo è il cibo con cui nutrono abitualmente la Divinità, non mi fa alcuna meraviglia che essa si ribelli,» borbottò. «È un semplice riciclatore,» replicò Daemen. «Solo una macchina, non una Divintà.» «Ma io non ho alcuna intenzione di essere riciclata,» ribatté la Danzatrice. «Non ti preoccupare,» la calmò Daemen. «Non può accaderci nulla di spiacevole. Hai sentito anche tu cosa ha detto Scuvue: in tutta la sua vita, il riciclatore non ha mai danneggiato un Treat disponibile.» «Mi sentirei molto meglio se sapessi che in tutta la sua vita la macchina non si fosse mai nutrita di un Treat ben disposto.» Kirtn sospirò. Aveva, sperato che Rheba non individuasse il punto debo-
le dell'argomentazione di Scuvue. Daemen la guardò spaventato, poi sorrise. «È una macchina,» disse dolcemente, picchiettandole il dorso della mano. «Le macchine non feriscono la gente.» La Casa delle Divinità apparve alla loro vista massiccia, variopinta, opaca. Con un suono simile al tuono, una porta dell'edificio si aprì. Daemen si fece avanti anche se non era particolarmente impaziente di penetrare nella Casa e scoprire i misteriosi meccanismi dell'Impianto. Kirtn e Rheba lo seguirono a distanza. L'alternativa erano i coltelli apparsi improvvisamente nelle mani dei loro rapitori, gli Scavenger. Daemen si guardò intorno. Il suo sorriso era misterioso, bellissimo. «Non abbiate paura,» disse. «Io sono La Fortuna.» «Buona per te,» mormorò Kirtn, «ma non necessariamente per noi.» La porta si chiuse dietro di loro lasciandoli nell'oscurità totale. Capitolo XVII Rheba creò una sferza di luce blu-bianca. Per un po' di tempo, la luce tremolante illuminò l'edificio producendo delle ombre ondeggianti. La Danzatrice si concentrò fino a quando la luce diventò fissa e le ombre si mossero solo con gli spostamenti del gruppo. Kirtn le strinse la mano, percependo il caratteristico calore della sue Linee di Potenza Akhenet. Rheba non era solo stanca, aveva anche molta paura. L'edificio emanava un orribile fetore di rifiuti e di materiale organico ancora meno allettante. «È questa la Casa della Divinità?», disse Rheba disgustata. «I cherfs vivono in tane più pulite.» Daemen si voltò verso di lei. Alla luce delle Linee Akhenet della ragazza, i suoi occhi risultavano bianchi e misteriosi quanto il suo sorriso. Anche Kirtn notò la grazia e l'insolita bellezza di quell'uomo molto più giovane di lui. Il Bre'n distolse lo sguardo da Daemen; anche se non voleva prendersela apertamente con la sua Danzatrice del Fuoco per il sorriso smagliante che aveva rivolto alla Fortuna, continuava a ripetersi che la cosa non gli faceva affatto piacere. «Ci mettono nel trasportatore dei rifiuti,» disse infine Daemen sorridendole. Kirtn emise un fischio derisorio. Trovarsi al centro di un deposito di rifiuti non era mai stata una delle grandi aspirazioni della sua vita.
«Dov'è il nucleo o qualunque cosa essi usino per controllare questo posto?» Daemen chiuse gli occhi, cercando di ricordare chiaramente la planimetria del Centrins. «Io penso... sì, se non ricordo male, ci dovrebbe essere un'altra stanza più piccola di questa. Un'entrata molto piccola che porta a sinistra da qualche parte, andando sempre dritti. Poi ci dovrebbe essere anche un pannello d'accesso.» Rheba ricordò il mucchio scintillante di cristalli Zaarain che controllava il Centrins. Ricordò l'esplosione di luce verificatasi quando Arcobaleno era stato lanciato nel mucchio e l'oscurità improvvisa che ne era seguita. La ragazza additò la catena di cristalli indossata da Kirtn e si chiese se Arcobaleno avrebbe trovato anche lì qualche altro pezzo... e chi ne avrebbe pagato le conseguenze. «Fammi strada,» tagliò corto Kirtn. Se era proprio necessario che qualcuno andasse a finire nello stomaco di una Divinità affamata, l'umanoide sperò ardentemente che questo qualcuno fosse il bellissimo Daemen. La stanza si rimpicciolì appena Daemen avanzò più speditamente. Rheba inviò delle piccole sfere di luce in vari punti della stanza, cercando di indovinare le sue dimensioni. «Sembra una trachea,» disse Kirtn. «Stiamo entrando in una gola stretta.» «Devi per forza esprimerti in questa maniera?», chiese Rheba in tono lamentoso. L'umanoide le scompigliò i capelli e cercò di farle un po' di coraggio. Dal momento che non poteva parlare, cercò almeno di accarezzarla. Mano a mano che proseguivano, Kirtn diventava sempre più agitato. Le parole di Ghun riecheggiavano chiaramente nel suo cervello. L'impianto era immerso nel silenzio, come se tutta la gente ingoiata dal riciclatore sospirasse e si lamentasse dagli angoli più oscuri dell'edificio. Il poeta che dimorava in Kirtn sentiva l'eternità e la morte dei sogni, una morte simile a quella di Deva, incenerita contro l'argento delle innumerevoli stelle del firmamento. L'umanoide percepì l'ironia della sua sorte. Kirtn era sopravvissuto all'estinzione della sua gente solo per morire nella carcassa di un edificio già vecchio molto tempo prima che il suo popolo fosse ancora nato. E a quel pensiero Kirtn cominciò a ridere, rammaricandosi solo di non essere riuscito a conoscere l'amore della sua Danzatrice del Fuoco.
Rheba si strinse a lui, strappandogli una risata e percependo le sue emozioni che, come un altro flusso di sangue, pulsavano nelle sue vene. La sua mano abbronzata ed incandescente massaggiò il braccio di Kirtn. I suoi capelli ondeggiarono del solito piacere che le procurava il contatto fisico col suo Bre'n. Pian piano, le sue Linee Akhenet smisero di tremolare. Con un sospiro si rilassò, lasciando defluire dal suo corpo le energie divergenti trattenute inconsciamente. Fssa emise un sibilo di intima soddisfazione, beandosi delle profonde energie create dai sui amici non appena instaurarono un qualche tipo di contatto fisico. «Eccolo qua!», gridò Daemen. Rheba percepì la vampata d'irritazione di Kirtn chiaramente, come se l'avesse provata lei stessa. «Sei così duro con Daemen,» fischiò la ragazza. «Eppure sei così paziente con gli altri bambini. Con Lheket per esempio.» «Sbrigatevi!», li chiamò Daemen con voce eccitata. Rheba sorrise tranquilla. «Naturalmente, lui è... Ascoltalo.» «Smettila di decantarlo e di paragonarlo a me,» fischiò gelido Kirtn, «e scoprirai che sotto quella sua bellezza senza dubbio affascinante, Daemen è un uomo come tutti gli altri.» Il fischio di Kirtn le ricordò una sessualità volgare che la infastidiva. «Quello che dici di lui non è affatto gentile,» rispose un po' accalorata. «In confronto a te, non si può ancora dire che sia un uomo.» Kirtn si soffermò a guardarlo per qualche secondo. Poi le sorrise. «Mi piacerebbe perdere tutte le cause come questa.» Poi l'umanoide abbracciò Rheba come se avesse realmente paura di vederla per l'ultima volta. La sua testa scomparve quasi nell'abbraccio di Kirtn. Un arabesco di luci brillò sul suo corpo come in risposta a tutte le emozioni celate che ribollivano in lui. Rheba gli sorrise appena si accorse della sua immagine riflessa negli occhi dorati a mandorla del suo Bre'n. «Vogliamo dividere gli enzimi?» gli suggerì, in tono tra lo scherzoso e il serio. L'unica cosa che sapeva in quel momento era che non voleva staccarsi dalla stretta poderosa del suo Mentore. Kirtn s'avvalse di tutta la disciplina d'autocotrollo Bre'n per fermarsi ad un semplice bacio. Il fuoco evocato da Rheba era così dolce che incenerì ogni cosa, ma risparmiò i due Akhenet abbracciati in un velo accecante di luce.
Quando Kirtn liberò Rheba dalla sua stretta, la Danzatrice si vide affiancata da Daemen. I suoi occhi lucidi avevano il riflesso del fuoco. «Ho trovato il pannello d'accesso,» disse in tono triste Daemen, come se avesse intuito d'essersi perso qualcosa di importante. «Posso prendere di nuovo in prestito Arcobaleno?» «Perché?», gli chiese Rheba, allungandosi per prendere la collana di cristalli. «L'ultima volta la cosa non ha funzionato troppo bene.» Daemen fece un gesto di disperazione. «Non ho altre chiavi per azionare l'Impianto. O Arcobaleno mi cede qualche suo cristallo, o dovrò fracassare il nucleo per trovarne qualcuno lì. Non vorrei arrivare a questo. I barbari non sono molti, ma sono pur sempre un popolo. Senza l'Impianto moriranno. Ma, senza qualche tecnologia, anche il mio popolo morirà.» Il suo era un gesto di disperazione. «È solo questione di Fortuna. La mia Fortuna.» Kirtn guardò il giovane, e per la prima volta provò compassione per lui. Se Daemen ne era degno o meno, non spettava a lui dirlo, aveva pur sempre nelle sue mani il futuro del suo popolo. Gli Akhenet avevano avuto quella responsabilità una volta... e alla fine avevano perso il potere, inceneriti da un fuoco tanto grande quanto incontrollabile. L'amarezza di quella sconfitta faceva parte della sua vita e di quella di Rheba. Era una cosa che non avrebbe voluto mai augurare a nessuno. «Buona Fortuna,» gli disse il Bre'n commosso. Rheba offrì Arcobaleno alla Fortuna. Appena Daemen si voltò per tornare verso il pannello d'accesso, Rheba lo afferrò per un braccio. «Aspetta. Fssa: puoi dire ad Arcobaleno cosa vogliamo da lui? Puoi dirgli se può fare qualcosa per noi...?» Il tono della sua voce era molto triste. Kirtn pensò di opporsi alla sua idea, poi decise che, se la Danzatrice aveva intenzione di sopportare la comunicazione di quei due, non sarebbe stato certo lui ad ostacolarla. «Cosa significa?», disse Daemen, guardando prima Rheba e poi la collana di cristalli colorati, ciondolante dalla dita della ragazza. «Arcobaleno è una macchina: tu non pui parlare con lui di nessun argomento e in nessuna delle molteplici lingue che conosci.» La ragazza liberò Fssa dalle sue chiome e lo porse alla Fortuna. Quando si accorse che Daemen sembrava esitare, Rheba gli disse: «Non morde. Non ha neanche i denti.» Sorrise per incoraggiarlo, ma non aggiunse che Fssa aveva bisogno di denti quanto un'arma da fuoco. La ragazza intuiva che Daemen era abba-
stanza inquieto perché non conosceva la natura predatrice del raffinato serpentello. «Prendilo.» «Cosa mi puoi dire di lui?», le chiese Daemen accarezzando il serpentello con ovvia riluttanza. «Cerca di stargli il più lontano possibile,» gli disse Rheba. «Voi avete intenzione di tornare indietro?», chiese in tono triste Daemen. «No,» gli rispose l'umanoide. «La gola potrebbe rigurgitare tutta l'energia di Fssa su di noi. C'è qualche altra stanza dove poter aspettare?» «Dopo il pannello d'accesso c'è un'entrata. Ci dovrebbe essere anche una stanza un po' più grande fuori a destra.» «Cosa c'è in quella stanza?», chiese nervosamente Rheba, non volendo andare alla cieca nel canale alimentare della Divinità. «Nel Centrins dovrebbe esserci l'ospedale. Qui non ho proprio idea di cosa ci possa essere.» «Vorrei proprio evitare la stanza da pranzo,» disse gelido Kirtn. «Penso che sarebbe meraviglioso se ci tenessimo lontani da tutto quello che può avere a che fare con il cibo, fino a quando rimarremo qui dentro.» Daemen sorrise. «Non preoccupatevi: è il riciclatore che dobbiamo evitare, e quello si trova sul lato sinistro dell'entrata.» I due Akhenet seguirono Daemen fino al pannello d'accesso. Daemen poggiò Fssa sul pavimento e, vicino a lui, Arcobaleno. Rheba mandò una piccola luce verso Daemen, e una più grande davanti a Kirtn. Nonostante le assicurazioni della Fortuna, non aveva nessuna intenzione di camminare alla cieca nella cavità maleodorante dei rifiuti della Divinità o nel suo esofago interminabile. La stanza era più grande di quanto avesse pensato. Kirtn esitò ad entrare, non volendo chiedere altra luce alla ragazza. La sfera s'illuminò ma non abbastanza da sopraffare le ombre. «Mi dispiace,» sospirò Rheba, intuendo solo in quell'istante quanto era stanca. Anche un bambino avrebbe potuto illuminare quella stanza senza neanche accorgersene. Pensò di assorbire l'energia del nucleo, poi ci rifletté su e decise che non era il caso. L'energia Zaarain era complessa e dolorosa. Anche i Grandi Danzatori di Deva l'avevano evitata. Kirtn cercò di rassicurarla. «La luce è più che sufficiente. Vedi? Non ci sono rifiuti in cui inciampa-
re, qui.» «Penso che la macchina dovrebbe mantenere l'ospedale un po' più pulito,» disse Rheba scrutando le dense ombre di rifiuti dall'altra parte della stanza. Inspirò profondamente, felice di poter respirare aria non viziata dall'olezzo tipico della putrefazione. «Cos'è quello?» Kirtn fece qualche passo nell'oscurità più totale. Delle vaghe luci turchesi brillavano dietro di lui, muovendosi con una grazia infinita. «Non sono sicuro.» La sfera di luce in lontananza si mosse illuminando un angolo della stanza. La danza di luci turchese era invitante ed affascinante come il sorriso della Fortuna. «Una pozza!», fischiò Rheba contentissima. Kirtn condivise la sua gioia, ma fu molto più cauto della Danzatrice. L'umanoide non aveva dimenticato che la Casa della Divinità poteva nascondere anche delle sorprese nient'affatto divine. Rheba si fermò, poi fece qualche passo in avanti; impaziente, la ragazza già pregustava il piacere dell'acqua calda di cui aveva tanto bisogno il suo corpo esausto. «Rheba.» «Ma...» Sospirò ed indietreggiò. Kirtn aveva visto giusto. «A me piace nuotare anche più di te,» le rispose tranquillo. «Ricordati lo stagno acido di Loo.» Rheba si fermò. Annusò intensamente l'aria, chiedendosi se il senso dell'olfatto più acuto di Kirtn avesse riconosciuto il pungente odore di acido. Rheba inspirò di nuovo: riusciva a sentire solo l'aria fresca e dannatamente umida. Fuori, l'aria del pianeta non era solo più sottile di quella a cui erano abituati loro, ma anche molto più secca. «Odora come l'acqua,» disse Kirtn. Rheba non rispose. All'improvviso, s'afferrò le tempie cercando di non lamentarsi ad alta voce. Fssa stava parlando con Arcobaleno. Kirtn capì cosa stava accadendo, anche se provò solo una dolce sensazione di sconforto. Strinse a sé Rheba e si allontanò velocemente dalla stanza. La distanza era l'unica medicina a sua disposizione per guarirla da quei tremendi mal di testa che le causavano le conversazioni di Fssa con Arcobaleno. La sfera di luce tremò per poi spegnersi, lasciando solo le Linee di Potenza Akhenet ad illuminare la stanza. Kirtn imprecò come sapeva fare so-
lo un poeta adirato, desiderando che Fssa non fosse nei paraggi. Cercò di farle assorbire un po' della sua energia per resistere al dolore, solo per scoprire che anche la sua forza Bre'n aveva raggiunto il limite. La portò al bordo della pozza, cercando di proteggerla col suo corpo, anche se sapeva essere una cosa inutile. Sotto i suoi piedi la pozza diventò tutta blu, e sembrava agitata da correnti invisibili. Anche se la pozza avesse avuto il fondo, questo non si sarebbe visto nell'oscurità. Kirtn, cercando di scorgere il fondo, si chiese quale terapia miracolosa gli Zaarain avessero escogitato nella profondità della pozza. Il pavimento cominciò a traballare. I riflessi pronti di Kirtn salvarono i due dallo scivolare nella pozza. Cercarono di affrettarsi verso la porta. Il pavimento si mosse ancora. Rheba gridò a Fssa di fermarsi. Ma lo Fssireeme non poteva sentirla, e la ragazza non riuscì a sopportare il dolore neanche un attimo di più. Si aggrappò a Kirtn in uno stato di semiincoscienza. Il pavimento vibrò sotto il passo veloce di Kirtn. L'umanoide correva ancora più veloce cercando di non inciampare, nonostante il peso del corpo morto della Danzatrice avvinghiato al suo. «Fermalo, Danzatrice del Fuoco!» La necessità arrivò dove non potevano arrivare le parole. La ragazza cominciò a camminare con passo claudicante, mordendosi le labbra fino a quando il sangue macchiò le Linee Akhenet del suo volto. Il pavimento si incrinò sotto il peso dell'umanoide. La ragazza vide profilarsi alle sue spalle la pozza, le sue ondeggianti correnti turchesi invisibili e la profondità blu del fondo. «Kirtn!» Il suo urlo fu silenzioso quanto quello dell'umanoide, una piccola danza della mente nata dalla necessità e dall'intimità della loro carne. L'umanoide ricercò nel suo intimo e rispose con un'improvvisa esplosione d'energia che fece svanire la pozza sotto gli occhi attoniti della Danzatrice del Fuoco. Ma Kirtn era fatto di carne ed ossa, non era una delle tante macchine immortali costruite dagli Zaarain. Con un urlo disperato, Kirtn sentì il pavimento sparire sotto i suoi piedi e, in un attimo, i due Akhenet si trovarono catapultati nello stomaco turchese della Divinità. L'ultimo pensiero di Kirtn fu una maledizione affinché, anche DaemenLa Fortuna, finisse inevitabilmente per cadere nella minestra della Divini-
tà. Capitolo XVIII Dopo il primo shock dell'essere stati catapultati nella minestra, Kirtn capì che la sua paura maggiore non corrispondeva al vero: la pozza non era composta da sostanze acide. Il liquido era caldo e nello stesso tempo freddo, più denso dell'acqua, ma non del tutto viscido. Sembrava un meraviglioso corroborante. A Kirtn sembrò di trovarsi in uno dei circoli rigeneratori Akhenet, mentre la sua mente danzava in ogni cellula del suo corpo. Kirtn non dovette fare che poche bracciate nel liquido per tenere sé stesso e la sua Danzatrice a galla. La ragazza era distesa contro di lui in uno stato di semi-incoscienza. Risentiva ancora i postumi del tremendo mal di testa che avevano provocato le chiacchierate di Fssa con Arcobaleno, ma la sofferenza non era più tanto visibile. I suoi capelli erano sparsi sull'acqua sinuosa, agitata da invisibili correnti d'energia. Questo significava cadere «nella minestra», rifletté l'umanoide. Continuò ad essere molto prudente. Si assicurò che né lui, né Rheba bevessero neanche per sbaglio un po' di quello strano liquido. E, all'improvviso, Kirtn sentì i suoi vestiti dissolversi. L'umanoide guardò orribilmente affascinato il suo mantello dissolversi intorno alle spalle di Rheba, rivelando in tutto il loro splendore le Linee di Potenza Akhenet della Danzatrice. Rheba, ancora confusa, cercò di farfugliare qualcosa. Poi aprì i suoi incandescenti occhi dorati. Finalmente ricordò dove si trovava. Presente a sé stessa, la ragazza si svegliò completamente, mandando un urlo di spavento. Le sue Linee di Potenza Akhenet diventarono incandescenti, illuminando la pozza, finché questa non sembrò fluttuare negli occhi dorati della Divinità. «Cosa è successo?» «Ci troviamo nella minestra,» fischiò il Bre'n quasi con vanto. Nel suo fischio c'era comunque ancora un po' d'incertezza. Kirtn non aveva dimenticato la fine fatta dai loro vestiti; la stessa cosa sarebbe potuta accadere ai loro corpi. Ma aveva ancora dei dubbi in proposito. Galleggiando nel liquido caldo della pozza con la sua Danzatrice del Fuoco viva e vegeta stretta tra le braccia, Kirtn ebbe delle difficoltà a preoccuparsi di qualcosa di diverso da Rheba. «Come ti senti?» «Bene,» gli rispose la ragazza. «Non mi sentivo più... tutta... da molto
tempo. Da quando lasciammo Deva.» Kirtn le sorrise quando i suoi vaporosi capelli gli ondeggiarono sulle spalle per poi sfiorargli il collo possente. L'energia sprigionata dalla ragazza in seguito a quel breve contatto fisico, fu morbida e controllata. Kirtn non aveva mai sentito parlare di una cosa del genere neanche dal Danzatore Capo di Deva. «Mi chiedo perché gli indigeni lottano contro di essa.» Rheba sospirò, cercando di rimanere a galla. «Ma noi non abbiamo ancora cercato di fuggire da qui,» disse Kirtn tranquillo. Se la Divinità avesse voluto ucciderli lentamente, lo avrebbe fatto di sicuro. Esistevano certamente modi peggiori di morire... e i due Akhenet avevano avuto modo d'accorgersene. Rheba sorrise sentendo il suo tono di conforto. Poi si concentrò per proiettare l'immagine di un vanitoso Bre'n galleggiante sopra una nuvola turchese. Kirtn sorrise e le accarezzò i capelli. Notò che le sue trecce erano in alcuni punti morbide, in altri... secche. Di qualunque sostanza fosse composta quella minestra, di sicuro aveva delle proprietà insolite per un fluido. Kirtn accarezzò le guance della Danzatrice. L'umanoide percepì la sorpresa di Rheba nell'accarezzarla. «Ma è guarita!», gli disse afferrando la sua mano e studiandola da tutti i lati. Gli prese anche l'altra mano e l'accarezzò dolcemente. «Le ferite si sono completamente rimarginate.» Una sfera di luce volteggiò scintillando sulle loro teste, e illuminò l'intera stanza. La ragazza, ancora incredula, volle controllare di persona le contusioni, gli sfregi e i graffi lasciati come ricordo, sul corpo del suo Mentore Bre'n, dalla frana. La sua peluria era morbida e rilucente, nonostante le croste e le macchie di sporcizia. Kirtn si allungò in avanti ed attirò a sé la Danzatrice con tutta la forza di un Bre'n. «Anche tu sei guarita. Guarda la sfera di luce che hai creato. O stai cercando d'assorbire l'energia dal nucleo dell'Impianto?» Rheba scosse la testa in segno negativo, ancora affascinata dalla forza del suo Bre'n e, all'improvviso, una tranquillità fluida riecheggiante dell'energia delle correnti invisibili della pozza, li avvolse entrambi, sotto i piedi. «Sebbene», fischiò, «ora mi sento abbastanza forte da rubare il nucleo Zaarain, non ho ancora fatto la prova.»
«Non farla,» gli rispose prontamente Kirtn. «Proveremo a farlo insieme. Non sopporto l'idea di forzare la nostra fortuna... o è quella di Daemen?» Kirtn sospirò. «Credo proprio che dovremo tornare indietro per vedere cosa sta combinando.» «Aspetta. Fssa non è ancora tornato.» «Non è ancora arrivato. Ti fa ancora male la testa?» «Sento ancora qualcosa,» fischiò la ragazza, «ma il peggio è passato: ora mi sembra che la cosa riguardi qualcun altro.» «Per questo dovremmo proprio ringraziare la minestra,» disse Kirtn contento. Parlava e misurava l'altezza del bordo della pozza, cercando il modo per uscirne. Più riacquistava le forze, più rifiutava l'idea di diventare prigioniero di una divinità, anche se benigna. «Cerca di farmi più luce.» Kirtn parlò alla Danzatrice col tono proprio del Mentore Bre'n. La ragazza gli rispose con un'emissione di luce che quasi l'accecò. «Controllati,» la rimproverò Kirtn, come se avesse voluto ritornare a darle lezioni di vita come quando vivevano su Deva. «Tracciami il bordo della pozza.» Un filo di luce serpeggiò intorno al bordo della pozza rischiarandola. Kirtn s'accorse che il bordo aveva dovunque la stessa altezza e che quindi era impossibile appoggiarvisi per tentare d'uscire fuori dal liquido. «La lunghezza di un braccio sotto il livello dell'acqua,» disse pensieroso. Intorno alla pozza brillò un secondo filo di luce. Non c'erano gradini, scalette né irregolarità nella parete a cui appoggiarsi. Entrarci era stato facile. Uscirne sarebbe stato un gioco di prestigio. Le correnti spiraleggiavano sotto di lui. Il fluido cominciò ad agitarsi sollevando l'umanoide fino a quando il bordo non fu più a portata di mano. Con un unico movimento, Kirtn uscì fuori dalla pozza. Gli fu facile uscirne perché ce la mise proprio tutta. Una sfera di luce lo seguì quando tornò in direzione di Rheba che nuotava al centro della sua luce incandescente. «Portati verso il lato,» le disse. «Sto cercando.» Il suo fischio era forte e sottolineava la paura che pian piano la stava pervadendo. «Non vuole lasciarmi!» Con un tuffo potente, Kirtn la raggiunse in un istante. Le correnti le girarono vorticosamente intorno trattenendola energicamente quando lei cercava di andare avanti. Le sue Linee di Potenza Akhenet erano talmente incandescenti che intorno al fluido misterioso cominciò a spiraleggiare del vapore.
«Cerca di non opporre resistenza,» le ripeté. La ragazza smise di nuotare. Immediatamente le correnti cessarono di trattenerla sotto. Rheba lo guardò con un'espressione del viso impaurita e perplessa. «Perché non mi vuole lasciare andare?» «Non ne ho la minima idea. Io sono stato praticamente catapultato fuori.» Nuotò verso Rheba. «Lasciami nuotare per tutti e due.» La Danzatrice si rilassò galleggiando dietro il suo Bre'n. Dopo pochi istanti Kirtn s'accorse che non faceva progressi: rimaneva sempre allo stesso punto. Cambiò direzione. Le correnti scomparvero tanto improvvisamente quanto erano apparse. Provò a nuotare in tutte le direzioni possibili con Rheba ed arrivò alla conclusione che poteva trascinarla dovunque, tranne che di lato. Dovunque aveva a portata di mano il bordo, le correnti lo sollevavano e lo trascinavano al centro della pozza. Se Kirtn avesse lasciato andare Rheba alla deriva, il liquido non avrebbe opposto resistenza nei confronti dell'umanoide. Kirtn poteva nuotare in lungo e in largo ed uscire sempre facilmente dalla pozza come era accaduto la prima volta. «Sei stanca?», le chiese il Bre'n in Senyasi per non rivelarle la paura che lo stava attanagliando. «No. Ho paura che, se mi addormento, questa dannata sostanza possa farmi sua.» Il suo tono suonava di frustrazione, più che di paura. Rheba si sentì meglio quando lui le si avvicinò di nuovo. «Penso proprio che dovrei vaporizzarla, questa piccola bestia.» Kirtn si tirò fuori dalla pozza per misurare meglio le sue dimensioni. Era grande. «La cosa non funzionerà, a meno che tu non dia un colpetto al nucleo dell'Impianto. E c'è anche una buona possibilità che all'interno del riciclatore ci sia programmato qualche meccanismo di difesa.» «Auto-difesa,» precisò Rheba. «Questa minestra è viva.» Kirtn esitò un po' prima di convenire con lei. La ragazza era dotata di un acume più sottile del suo nell'analizzare i modelli energertici. Se Rheba diceva che quella non era una macchina, allora non lo era. La Danzatrice confuse la sua esitazione con un obiezione. «Mentore,» disse Rheba masticando le parole, «quando hai toccato per la prima volta la minestra, cos'hai provato?» «Sorpresa, dopodiché piacere. Un piacere molto violento» aggiunse Kirtn al ricordo. «Ma tu avresti dovuto sentire qualcosa sotto la tua peluria ramata.»
Kirtn capì che la Danzatrice aveva ragione. «Quello che tu hai provato,» continuò la ragazza, «era solo il godimento dello zoolipt. Noi siamo dei Treat molto graziosi.» «Io pensavo che questo fosse l'ospedale, non il riciclatore.» «Per gli Zaarain le due funzioni potrebbero essere la stessa cosa. Oppure sono diventate la stessa cosa qui, a Piazza Uno.» «Questo potrebbe spiegare la stanza pulita^» disse Kirtn. «Lo zoolipt si nutre di tutte le chicche organiche.» «Giusto,» gli rispose Rheba imitando Scuvue. «Qui, sotto i miei piedi, ci devono essere dei connettori che conducono fuori dell'Impianto, verso la fonte del nutrimento.» «Mi chiedo cosa stia progettando lo zoolipt per il pranzo.» «Spero che la Danzatrice del Fuoco non sia sul suo menù di oggi,» rispose Rheba, cercando di arrivare al bordo contro il volere della minestra. «Perché ha lasciato andare te e me no?» «Forse non gli piacciono i pelosi.» La Danzatrice emise un suono sibilante e si voltò dalla parte di Kirtn. «Kirtn, fammi uscire da qui.» L'umanoide fece la sola cosa che poteva. Si rituffò nella minestra e le si parò davanti. «Ci ha guariti quanto avrebbe potuto facilmente ucciderci,» disse dopo averci ragionato un po' su. «Sta trattenendo Fssa dal farti impazzire di dolore.» Rheba gli prese la mano e lo guardò con gli occhi spalancati. «Tu hai sentito il suo godimento,» replicò Kirtn, attorcigliando un ricciolo dorato dei capelli di Rheba intorno al suo dito. «Provi dell'ostilità nei suoi confronti?» La ragazza chiuse gli occhi, scivolò contro di lui e si concentrò sull'energia complicata inventata dallo zoolipt. Sentì la sua energia, le correnti che l'agitavano in profondità. Provò di nuovo piacere come quando l'aveva attirata a sé con alchimie strane. Per quando si sforzasse di concentrarsi, la ragazza non poteva sentire altro che la sua paura e il dolore per la conversazione tra lo Fssireeme e l'insieme Zaarain. «Niente.» Sospirò. «Ma io non sono una Danzatrice della Mente, né un ingegnere empatico.» Kirtn la strinse a sé non sapendo cos'altro fare. I due Akhenet galleggiavano nel corpo dello zoolipt. L'essere rispondeva alle loro necessità nascoste, sopportando il peso dei loro corpi come un letto invisibile e decisa-
mente comodo. «È passato,» disse dopo un attimo Rheba. «Cosa è passato?» «Il dolore alla testa. Fssa deve aver finito di parlare con Arcobaleno.» Poi continuò infervorata: «Voglio uscire immediatamente da qui.» Una corrente la fece turbinare fuori dalle braccia di Kirtn e la depositò sul bordo della pozza. Lo zoolipt la trascinò via dalla corrente senza lasciare neanche una goccia di sé nella pozza. Kirtn la fissò, poi, con delle bracciate vigorose, la raggiunse. Il fluido si raccolse sotto di lui come un'onda e lo lanciò graziosamente per aria. Si trovò a terra vicino a Rheba. L'umanoide si guardò intorno sorpreso quanto la ragazza. Insieme si voltarono in direzione del luccicante zoolipt turchese. «Io penso,» disse sottovoce Rheba, «che assomigli all'utero del Devalon. L'unica differenza è che ci scarica fuori quando siamo guariti. Finché soffrivo, ero una paziente. Appena Fssa si è zittito, sono ridiventata un essere umano e ho potuto agire come meglio credevo.» Nonostante le sue parole fiduciose, Rheba fece qualche passo indietro. Se la sua teoria si fosse rivelata sbagliata, lei non avrebbe voluto finire di nuovo nella minestra. Riflettendoci, Rheba si era ripresa tranne la sua piccola sfera di luce. Non voleva irritare un organismo che trascorreva la maggior parte del suo tempo al buio. Proprio in quel momento si udì la voce di Daemen oltre la stanza. «Kirtn! Rheba! Dove siete?» «Siamo qui,» urlò Kirtn. «Ma quello è il riciclatore! Vi ho detto» Daemen corse ansimante nella stanza, «di girare a destra, non ha sinistra!» «E noi l'abbiamo fatto,» rispose gelido Kirtn. «Oh.» Daemen era visibilmente imbarazzato. «Non potrò mai parlare con loro separatamente...» Li guardò di nuovo, poi distolse lo sguardo, perché imbarazzato per un altro motivo. «Cos'è successo ai vostri vestiti?» Solo in quel momento Rheba realizzò che erano nudi e represse una risatina. «Lo zoolipt li ha mangiati,» rispose ironico Kirtn. Daemen gettò un'occhiata impaurita intorno notando per la prima volta la pozza che cambiava continuamente di colore, scegliendo tra le varie tonalità del blu. «Oh!» Indietreggiò verso l'entrata. «È molto più grande del nostro zoo-
lipt. E non ha il colore esatto. Non sono del tutto sicuro che si tratti di un riciclatore!» «Ha riciclato i nostri vestiti abbastanza velocemente,» sottolineò Rheba, cercando di non ridere. Daemen la guardò e capì che né Rheba né Kirtn erano imbarazzati. Quindi lei gli sorrise in un modo che costrinse il Bre'n a desiderare di vederlo morto. «Tu certamente stai meglio di noi... ah, godi di ottima salute,» disse Kirtn alla Fortuna che si stava avvicinando. Daemen accarezzò Rheba, mentre i suoi occhi grigi la guardavano con ovvio piacere. «Sei bellissima. Volevo dire che anche le tue contusioni sono scomparse.» Kirtn sapeva esattamente quello che Daemen aveva voluto dire. «Lo zoolipt ci ha fatto guarire in fretta,» disse Rheba sentendosi all'improvviso imbarazzata dall'occhiata d'ammirazione di Daemen. Ripensò quindi all'insistenza di Kirtn che l'aveva ammonita dicendole che La Fortuna non era più un bambino. «Guarda le mani di Kirtn.» Anche se riluttante, Daemen s'allontanò dal corpo sinuoso di Rheba dove le Linee di Potenza Akhenet pulsavano di luce. Daemen guardò le mani possenti di Kirtn e poi i suoi occhi dai riflessi metallici dorati. Kirtn gli sorrise. Daemen ritornò da Rheba. «Dov'è Fssa?», chiese. Daemen si frugò sotto la logora mantellina che indossava. «Ha detto che aveva freddo,» spiegò, togliendosi lo Fssireeme dalla cintura e porgendoglielo. Kirtn sospirò. Proprio quando si era deciso a strangolare quel piccolo ed affascinante liscio, Daemen gli aveva provato che poi non era proprio schifoso come un cherf. Il Bre'n sapeva che Daemen non voleva toccare con le mani lo Fssireeme, né tantomeno trattenere il calore del serpentello indossandolo come una cintura. Se solo La Fortuna avesse tenuto lontane le sue mani dalla Danzatrice del Fuoco, avrebbe potuto sicuramente cominciato a piacergli. Fssa era tutto scuro e chiaramente ghiacciato quando Rheba lo toccò. Immediatamente la ragazza assorbì dell'energia e trattenne il serpentello nelle sue mani. Quando l'energia sferzò l'aria con le sue scintille, la ragazza fece ondeggiare lo Fssireeme per aria. I suoi capelli si calmarono e il serpentello assorbì dal suo corpo l'energia in eccesso.
In pochi secondi, Fssa brillò di colori metallici scintillanti ed incandescenti come i capelli della Danzatrice. Fssa fischiò un complicato trillo Bre'n. Rheba e Kirtn ascoltarono. Dopo un po' si girarono verso La Fortuna: Rheba sembrava preoccupata. Il Bre'n aveva l'aria di un predatore. «Cosa sta dicendo?», chiese Daemen nervoso. «Niente di particolare.» La voce di Rheba suonò tranquilla. «Arcobaleno è contento. Ha raccolto qualche altro cristallo: due scambi e sette furti completi, stando a quello che mi ha riferito Fssa.» Rheba esitò a parlare ricordandosi l'ovvia paura di Daemen per la profondità blu dello zoolipt. «Lo zoolipt è estasiato. Siamo il primo gusto nuovo che abbia mai gustato in tanti Cicli. Fssa ha detto che si era stancato dei rifiuti, dell'acqua di scolo e dei cadaveri.» Le mani di Daemen fecero degli strani movimenti. Solo il parlare dei bisogni gastronomici dello zoolipt lo rendeva nervoso. «Fssa ha anche detto che i selvaggi ci stanno aspettando fuori.» «Aspettano noi?» «No, il cibo. Non si aspettano di vederci uscire vivi. O almeno, non come siamo ora. Le poche persone che sono uscite vive da lì, sono poi morte dallo spavento.» «Giusto,» mormorò La Fortuna, osservando nervosamente la superficie ondeggiante, bluastra, dello zoolipt. «Comunque,» continuò Rheba, «ci sono molte leggende sui Treat disponibili.» Daemen la guardò ed intuì che alla fine la ragazza era arrivata al punto dolente. «Sai come fanno i selvaggi a riconoscere i Treat disponibili quando escono dalla Casa della Divinità?», gli chiese tranquilla. «Sono ancora vivi,» le rispose Daemen. «Questo è giusto,» Rheba ammise, «ma li riconoscono soprattutto perché sono nudi, puliti e in perfetta salute.» Daemen guardò i due Akhenet e poi squadrò se stesso, sudicio e claudicante. «Oh no...» «Oh sì!», replicò Kirtn trionfante. Senza alcun preavviso, agguantò La Fortuna e lo gettò nella minestra. Il grido indignato di Daemen finì in un enorme tonfo. «Che villano!», osservò la Danzatrice.
L'unica risposta di Kirtn fu un fischio di piena soddisfazione. Capitolo XIX «Pensi che ci vorrà ancora molto prima che Daemen esca dalla pozza?» Kirtn tese i propri muscoli, non più affaticati e doloranti. «Non ne ho la minima idea. Si è sforzato molto. È la fortuna cherf. Convince chiunque a svolgere il proprio lavoro al posto suo.» «Cosa intendi dire?» Kirtn le sorrise scompigliando i capelli elettrici. «La tecnologia che cerca è appena caduta nelle sue mani, ma lui ancora non lo sa.» «Io penso che lo zoolipt ti abbia dato da mangiare qualcosa che a me non ha dato. Tu stai ancora vaneggiando.» L'umanoide le sorrise e le soffiò nei capelli. Lei si avvicinò a Kirtn come una graziosa nuvola dorata, luccicante di vita. Non l'aveva mai vista così vitale. «Di che cosa hanno maggiormente bisogno i Seur?» La ragazza fece in modo che una ciocca dei suoi capelli solleticasse l'orecchio sensibilissimo del suo Bre'n. «Penso di un cibo migliore,» rispose Rheba, ricordandosi con terrore dell'unico pasto Seur consumato. «La cosa non ci procurerebbe neanche dei danni.» «Giusto,» rispose Kirtn imitando Scuvue. «E lo zoolipt cosa vuole?» «Treat,» tagliò corto Rheba. Poi: «Naturalmente! Ma come ci si può procurare dei Seur per lo zoolipt? Non credo che andrebbero d'accordo con i parenti di Scuvue.» «Questo è un problema della Fortuna.» Guardarono entrambi la pozza. Daemen fluttuava con un'espressione confusa. Ovviamente non sapeva nuotare. Lo zoolipt lo sosteneva sicuro come se si trovasse su un terreno solido e morbido. «Ha ancora i suoi vestiti,» notò Kirtn. «Spero che stia bene,» disse Rheba. «Mi sembra molto spaventato.» Il Bre'n emise un rumore sibilante che suscitò l'ammirazione di Fssa. Il serpentello sibilò felice facendo capolino dalla chioma di Rheba. Luccicava come i capelli della Danzatrice. Fssa creò un paio di sensori e li diresse verso la pozza. «Daemen è molto bravo,» fischiò Fssa. «Sta ridendo, non affogando.»
«Spero solo che non beva,» gli rispose Rheba, palesemente in ansia per Daemen. «Con la sua fortuna,» mormorò il Bre'n, «potrebbe vivere in eterno.» «Ecco i suoi vestiti.» «Non ci dovrebbe volere ancora molto tempo,» replicò Kirtn. Lo zoolipt girò vorticosamente creando delle ombre blu intorno a Daemen, poi s'ingrossò in un'onda. «Eccolo che arriva.» Kirtn misurò la direzione e la velocità dell'onda, fece tre passi a sinistra e afferrò Daemen prima che i suoi piedi riuscissero a toccare la terraferma. «Eccolo qua,» disse mettendo La Fortuna in posizione eretta. «Non è andata molto male, non è vero?» Daemen gettò un'occhiata di rimprovero al Bre'n. «Avresti anche potuto avvertirmi.» «Questo è anche vero!», disse Kirtn. «Potevo avvertirti.» La Fortuna esitò. «Non ti avrei creduto in ogni caso, penso.» Kirtn poggiò le mani sulle spalle della Fortuna perché, nonostante tutto, gli piaceva. «Riprendiamoci Arcobaleno e ritorniamo dai Seur.» Il sorriso di Daemen svanì di colpo. «Io non posso tornare indietro. Non ho niente da portare loro. Fssa ha detto che Arcobaleno non vuole collaborare con me.» Daemen sbirciò tra i capelli ondeggianti di Rheba in cerca dello Fssireeme. «Lui dice sempre la verità?» Il capo di Fssa si mosse e i suoi sensori cominciarono a turbinare. Era così offeso che creò due aperture-bocche, gridando la sua innocenza da l'una, la sua attendibilità dall'altra. Rheba lo guardò scettica. Fssa considerava Arcobaleno un essere intelligente, un amico ed un collega. Daemen considerava Arcobaleno una macchina neanche messa bene a punto. «Sta buono!», urlò Kirtn al serpentello. L'urlo violento del Bre'n impauri Fssa. Una bocca scomparve immediatamente per lo spavento, l'altra a poco a poco si restrinse fino a quando non fu più visibile. Fssa, pieno di vergogna, assunse un colore grigio scuro. «Non è Arcobaleno quello che ti dovrebbe interessare,» disse il Bre'n. Il sospiro di sollievo dello Fssireeme sembrò quasi umano. «Cosa vuoi dire?», chiese Daemen alquanto irritato. «Tu hai perso la testa per la tecnologia più avanzata che questo pianeta
abbia mai visto dall'epoca degli Zaarain,» replicò Kirtn gelido. «Cosa te ne fai di una collezione di cristalli refrattari?» «Noi lo abbiamo già un riciclatore.» «Come questo?» Daemen si voltò a guardare lo zoolipt. Una moltitudine di luci color turchese spiraleggiarono intorno al giovane. «No, ma...» Kirtn aspettò che Daemen finisse la frase. A parlare però fu Fssa con voce smorzata ma speranzosa. «Lo zoolipt di Piazza Uno non ha uguali. Quando quest'Impianto cominciò a non funzionare più tanto bene, ci si adattò con l'ospedale zoolipt. Ma questo è accaduto parecchio tempo fa. L'impianto di Piazza Uno inviò attraverso altri connettori alcuni suoi pezzi agli altri Impianti. Questo è tutto ciò che il tuo popolo è riuscito a salvare quando la griglia diventò eccentrica. Una macchina si sarebbe potuta guastare. Lo zoolipt invece... si è evoluto.» Daemen distolse il suo sguardo incredulo dallo zoolipt. «Stai dicendo forse che quella pozza è viva?» «Sì,» rispose Rheba al posto dello Fssireeme. «Io l'ho sentita muoversi.» Daemen le gettò un'occhiata incredula. «Non sapevo che tu fossi una liwwen,» le rispose. «Danzatrice della Mente,» disse Fssa, traducendo automaticamente la parola Daemenita in un concetto più familiare per Rheba. «No, non lo sono. Ma una Danzatrice del Fuoco è molto sensibile alle strutture d'energia. La struttura d'energia dello zoolipt non è quella di una macchina. Lo zoolipt è vivo.» Daemen tornò con lo sguardo sulla pozza immersa nell'oscurità. «Tutta la pozza è viva?», chiese poco interessato alla cosa. Rheba sgranò gli occhi. «A questo non avevo pensato.» I suoi capelli mutarono direzione, poi s'allargarono ordinatamente a ventaglio appena la ragazza sondò le varie energie che permeavano la pozza. Kirtn si avvicinò a Rheba. Le sue mani erano ancora illuminate per il contatto del suo collo con le spalle della ragazza. La sua presenza migliorò di molto la potenza e la precisione della ricerca di Rheba. Daemen la guardava, affascinato dall'arabesco delle sue Linee di Potenza Akhenet incandescenti. A dire il vero, il giovane era anche più affascinato dal corpo sinuoso lungo il quale risplendevano tali Linee. I suoi pen-
sieri scatenarono l'inevitabile reazione fisiologica. Daemen distolse lo sguardo da Rheba e sperò ardentemente che lo zoolipt non avesse divorato i suoi vestiti. Quando Rheba ebbe finito di sondare le energie della pozza, sospirò e aprì i suoi occhi rilucenti quanto le Linee Akhenet. Kirtn guardò La Fortuna chiedendosi quale fosse stata la reazione nel vedere la Danzatrice del Fuoco in azione. Non ci fu bisogno di un Danzatrice della Mente per capire cosa stesse pensando Daemen. Non era la prima volta che Kirtn era giunto alla conclusione che gli uomini avevano inventato i vestiti per nascondere i loro desideri più che per proteggere i loro genitali. «Io penso che solo le correnti siano vive,» disse Rheba. «E noi cosa ne possiamo ricavare di buono?», le rispose Daemen di spalle, con lo sguardo fisso sullo zoolipt. «È un po' più facile prendere un cucchiaio di zoolipt che impossessarsi dell'intera pozza,» replicò impaziente la Danzatrice. «Io ho dimenticato il mio cucchiaio al Centrins.» Il tono della voce di Daemen suonò ovviamente sarcastico. «Ma poi, cosa ne potremmo fare?» Rheba lo guardò sconcertata. Kirtn si sforzò di non ridere. Fssa cercò di spiegare la situazione con molta canna. «Gli zoolipt sono intelligenti. Gli esseri intelligenti hanno bisogno di varietà. Se non ce l'hanno, se l'inventano. Gli zoolipt annoiati fanno i giochi di prestigio,» continuò Fssa. «Se sono molto annoiati, impazziscono. E allora possono anche arrivare ad uccidere il loro popolo. Penso che lo zoolipt di Centrins stia diventando pazzo.» Daemen si guardò intorno. Le parole dello Fssireeme avevano mortificato il desiderio della Fortuna. «Cosa hai detto?» «Il tuo zoolipt è pazzo,» riassunse il serpente. «Sta facendo morire di fame il tuo popolo perché per lui la cosa è più divertente che nutrirli con la pappetta. Al tuo zoolipt piace vedere correre i Seur tra i tavoli per essere nutriti. O non capisce che li sta uccidendo, oppure non gl'importa niente. Alimenta i Seur da secoli, e tu lo sai,» aggiunse Fssa quasi per scusarsi. «E tutto quello che ha in cambio sono rifiuti. Conosce ogni molecola per nome. L'unica cosa un po' diversa per lui accade quando un essere vivente finisce per cadere nella minestra. Tutti quei meravigliosi enzimi con cui giocare... «Almeno, questo è quanto mi ha riferito Arcobaleno su questo zoolipt e,
a quanto pare, molto tempo fa questo zoolipt e il tuo erano la stessa cosa. Lo zoolipt di Piazza Uno fa parte dell'ospedale zoolipt, ricordatelo. È stato progettato per tenere in buona salute il Quarto Popolo. La combinazione di qualche pezzo col tuo zoolipt, io credo, potrebbe essere la salvezza di Centrins.» La Fortuna fissò lo Fssireeme e poi la Danzatrice del Fuoco. «Io penso,» cominciò Daemen, «che la mia Fortuna si sia già dileguata. Sono diventato pazzo quanto il serpente. I Seur non mi crederanno mai.» Kirtn accennò una risatina. «Non ha importanza quello che crederanno loro.» Si piegò in avanti costringendo Daemen a guardarlo. «Non dire ai Seur che lo zoolipt di Piazza Uno è vivo e che quello di Centrins è impazzito. Limitati a portare loro qualche pezzo di questo zoolipt, mettilo nel riciclatore Centrins, e aspetta che anche il tuo popolo abbia i suoi tempi grassi e le sue fragranze ricercate. Dopo un buon pasto, i Seur crederanno ciecamente in te, qualunque cosa dirai loro.» «Dici che funzionerà?», chiese dubbioso Daemen. «Avresti un'idea migliore?», rispose Kirtn. Daemen sospirò. «E come lo porteremo via?» Rheba borbottò tra i denti e scosse la testa. Fssa si rannicchiò nelle sue mani calde. «Ci vorrebbe solo un contenitore. Pensaci tu, serpentello.» Anche se controvoglia, Fssa triplicò le sue dimensioni. Le sue scaglie grigio-blu metalliche diventarono all'improvviso incandescenti, manifestando chiaramente il dissenso dello Fssireeme. «Sarà sufficiente?», disse Daemen. «Se vuoi qualche altra cosa,» replicò lo Fssireeme infuriato, «ingoiala tu stesso!» Rheba si incamminò verso la pozza. Correnti blu e turchese lambivano i suoi bordi. Altre, spesse e sottili, nelle varie tonalità del blu, spiraleggiavano un po' più lontano. La ragazza guardò indietro. «Ogni corrente è diversa dall'altra. Quale potrebbe essere la più adatta?» Kirtn sembrava assente. Poi sorrise. Prese Fssa in una mano e nell'altra Daemen. «Il problema è suo. Lasciamolo risolvere a lui.» All'improvviso, catapultò Fssa e La Fortuna ancora nuda, nella pozza. Il tonfo fu seguito da una sequela di frasi in Daemenita molto piccanti.
Velocemente, lo zoolipt rimandò sulla terraferma l'uomo e il serpentello. Fssa si gonfiò come un pallone pieno d'acqua. Kirtn represse una risatina, offendendo ulteriormente la dignità dello Fssireeme gonfiato. «Allora ne hai abbastanza?», disse gelido Daemen, rivolto al Bre'n. «Sono veramente stufo di essere catapultato nella minestra da un peloso come te!» «Se riesci a sollevarmi, potresti farlo anche tu,» s'offrì Kirtn. «Prendo Fssa,» disse Rheba avvicinandosi ai due uomini mentre liberava il serpentello dalle mani di Daemen. «Se tu avessi degli scomparti,» sospirò allo Fssireeme, «non avrei motivo di sballottarti tanto.» La risposta di Fssa fu un'eruttazione. Era diventato troppo grande per mimetizzarsi, come al solito, tra i capelli della Danzatrice e troppo pesante perché Rheba lo potesse trasportare facilmente. Kirtn capì qual'era il problema. Perciò prese il serpentello, e scusandosi con luì, se lo allacciò a mo' di nodo al collo. In silenzio i tre si avviarono verso il pannello d'accesso. Era chiuso. Arcobaleno giaceva ammonticchiato di fronte ad esso; ogni sua faccia scintillava come se fosse stata punta in quel momento da un mastro gioielliere. «È diventato più grande,» disse triste Rheba. Se Arcobaleno si dilatava, anche il suo raggio d'azione si sarebbe allargato e questo significava un mal di testa ancora più terribile per la Danzatrice. Questo era il motivo per cui Rheba si era intristita di colpo. «Deve aver rubato i cristalli più grandi del nucleo.» La ragazza sollevò lo Zaarain e fece combaciare una faccia sull'altra in modo da creare una collana a doppia faccia. «Eccolo qui,» disse consegnando Arcobaleno alla Fortuna. «Indossa tu questa cosa maledetta. Forse i Seur ne rimarranno impressionati.» Arcobaleno faceva bella mostra di sé: frammenti di luce colorata, frammenti di cristalli creati da uomini con procedimenti ricordati ormai solo nei miti. La Fortuna poggiò Arcobaleno sopra la sua testa. Condusse poi Kirtn e Rheba verso la porta principale dell'Impianto. I tre uscirono dalla Casa della Divinità per trovarsi sul pianeta intorno al tramonto. I lineamenti fini della Fortuna erano riflessi nelle centinaia di sfaccettature di Arcobaleno. Kirtn, invece, aveva solo la sua peluriatessuto e un serpentello burbero intorno al collo possente. Tra La Fortuna e il Bre'n c'era Rheba, ricca del suo splendido arabesco di Linee Akhenet. Uno Scavenger che si trovava nelle vicinanze, gettò un'occhiata sui Tre-
at e corse immediatamente a chiamare Scuvue. Non era molto lontana. Come la maggior parte degli Scavenger, la donna si trovava nei pressi di qualche stazione del nutrimento aspettando pazientemente il verdetto della Divinità sui suoi Treat. Scuvue guardò i suoi Treat emersi dalla Casa della Divinità. Poi guardò Daemen. «Tu devi essere davvero La Fortuna. Nessun altro è riuscito ad uscire fuori da là, per quanto gli Scavenger possano ricordare.» Scuvue sollevò la testa e sorrise trionfante. «Tempi grossi e fragranze ricercate, sarà sicuramente così! E poi anche la polverina dorata,» aggiunse, gettando un'occhiata veloce a Kirtn. La traduzione di Fssa fu incompleta ma comprensibilissima. Rheba fece una smorfia. «Casomai sarà per qualche altra volta; ora dobbiamo riportare La Fortuna tra la sua gente.» Il sorriso di Scuvue scomparve dalle sue labbra, lasciando il posto ad un'espressione dura. «Non dire così, piccola Treat. Non potrai fare niente fino a quando la Divinità non si sarà annoiata anche del tuo gusto.» Kirtn guardò gli Scavenger. Avevano espressioni di paura, d'ingordigia e pregustazione. Guardavano i Treat come un povero guarda dei crediti che non ha mai avuto. «Quanto tempo ci vorrà ancora, prima che la Divinità si annoi?», chiese Daemen. Scuvue agitò le mani. «Non molto. Due, tre vite.» «Vite?», ripeté Daemen. «Giusto. Ma non ti preoccupare La leggenda narra che, quando la Divinità è contenta di un gusto, lo rende immortale.» Sorrise mostrando la sua dentatura irregolare. «Avrai tutto il tempo che vuoi, piccolo Treat. E noi mangeremo il nostro miglior pasto.» Gli Scavenger si strinsero sempre più possessivamente in torno ai loro Treat. Capitolo XX Suoni di baldoria, ovattati e non, filtravano nella casa dove erano trattenuti i Treats. Le guardie di Scuvue stavano fuori dalla porta, borbottando
per il fatto che dovevano lavorare mentre gli altri giocavano e si divertivano: comunque non erano poi troppo di cattivo umore. Si erano rimpinzati per bene, e avevano fatto un pranzo che sarebbe diventato una leggenda tra gli Scavenger. La Divinità aveva davvero gradito i suoi Treat. «Non dormono mai?», disse Rheba voltando le spalle alla finestra. In fondo si vedevano gli Scavenger che schiamazzavano, ridevano e si rincorrevano a vicenda saltando da un cumulo all'altro di rifiuti. Daemen li guardò tristemente e non disse niente. Kirtn grugnì. Se lui avesse aspettato un pasto decente tanto quanto avevano fatto gli Scavanger, poi lo avrebbe anche festeggiato. Kirtn, un po' assente, raccolse le scaglie di fibre invisibili dalla finestra provata dai secoli. Il materiale era molto resistente. Rheba aveva cercato di bruciarlo; dopo un po' che bruciava lentamente, a mano a mano la fiamma d'indebolì. Rheba avrebbe potuti incenerire la strada fuori della casa, ma questo avrebbe richiesto molto tempo e più energia di quanto ne potesse assorbire dal chiaro di luna. All'alba, il problema sarebbe stato diverso. L'energia sarebbe stata abbondante, e lei sperava che gli Scavenger si sarebbero trovati in uno stato di coma dopo la notte di festeggiamenti. Se fosse stata costretta a farlo, Rheba avrebbe rubato l'Insieme Zaarain, ma né lei, né Kirtn, volevano una cosa del genere. L'energia Zaarain era molto complessa, pericolosa e difficile da convogliare. Anche un Danzatore Capo con secoli d'esperienza avrebbe esitato prima di impegolarsi con un Insieme Zaarain. C'era anche il fatto che, una volta rubato, l'Insieme poteva diventare eccentrico. Gli Scavenger sopravvissuti ad esso, sarebbero vissuti solo per morire in breve tempo di fame. Né Rheba, né Kirtn volevano essere responsabili di altre morti. D'altra parte, nessuno di loro aveva programmato di trascorrere i secoli successivi come Treat d'una Divinità informe e sconosciuta. «Sta arrivando Scuvue,» disse Kirtn voltandosi verso la finestra. «Probabilmente vuol far di te un mucchio di rifiuti,» rispose Rheba. Kirtn sorrise ma non fiatò. Fssa, ancora annodato al collo di Kirtn, cacciò fuori un apparato d'ascolto a forma di piatto e lo puntò verso la porta. Aggiunse un cerchio di aculei metallici rossi, tremolanti, che perlustrarono l'aria come se fosse animata. Nervature dai colori metallici pervasero il suo corpo gonfiato.
Daemen lo guardò a lungo, non ancora abituato alle trasformazioni dello Fssireeme. Anche Kirtn e Rheba lo guardarono, ma per un motivo ben diverso. Era raro vedere Fssa in difficoltà nel riprodurre il dialetto del Quarto Popolo. Fssa si trasformò di nuovo, sostituendo il disco convesso con uno concavo. Gli aculei svanirono per poi riapparire come un collare di platino intorno al disco. Rheba e Kirtn si guardarono l'un l'altro. Non avevano mai visto lo Fssireeme assumere quella forma. Qualunque cosa ci fosse sotto quella porta, era qualcosa di nuovo. In silenzio, Kirtn appoggiò Fssa sul pavimento e si sistemò dietro Rheba. La ragazza stava assorbendo energia, preparandosi a tutto quello che sarebbe potuto accadere di lì a pochi minuti. La porta si aprì. Entrò Scuvue, un po' malconcia. La sua mandibola era talmente gonfia da impedirle perfino di parlare. Tuttavia, tra borbottii e gesti vari, riuscì a farsi capire. Indicò il porticato, spinse le guardie che l'avevano seguita nella stanza fino alla soglia, e sbatté la porta. In quell'istante Fssa si trasformò in serpente e cominciò a sciorinare delle lunghe frasi in un linguaggio che non era né Universale, né Daemenita. Il volto di Scuvue si offuscò per trasformarsi in quello molto più familiare di f'lTiri, l'Illusionista Yhelle che Rheba aveva salvato su Loo. F'lTiri sorrise, passando dall'ironico al malizioso. «Sorpresi?», chiese in un dolce sussurro Yhelle. Fssa tradusse discretamente in Senyasi. Sebbene f'lTiri sapesse l'Universale, pochi indigeni lo conoscevano. Sarebbe stato più sicuro parlare in Yhelle per non essere compresi dagli spioni abituati ad origliare. «Come sei arrivato qui?», gli domandò Kirtn in Senyasi. «L'astronave è al sicuro?» Rheba era visibilmente preoccupata per quei dubbi non chiariti, ma aspettò di sentire le spiegazioni di f'lTiri. L'Illusionista Yhelle sembrò un po' a disagio. «L'astronave è al sicuro come può esserlo senza il suo pieno d'energia.» «Io ho detto al Devalon che non lasciasse entrare od uscire nessuno senza la mia autorizzazione personale,» disse Kirtn. «Se l'astronave fosse rimasta integra, mi avrebbe obbedito. Ma tu sei qui, e questo dimostra che l'astronave non è integra: c'è qualcosa che non va.» F'lTiri sembrava ancora tranquillo. Sospirò. «Ilfn mi ha detto che avreste potuto trovarvi in difficoltà.» «Ilfn?», la voce di Kirtn suonò tagliente. «Sta bene? E Lheket come
sta?» L'Illusionista sapeva quanto significavano per l'umanoide Ilfn e Lheket. Poiché, per quanto ne sapessero loro, quella era l'unica altra coppia Akhenet sopravvissuta a Deva, la donna Bre'n e il suo Danzatore della Tempesta rappresentavano l'unico futuro per le due razze Bre'n e Senyasi. «Stanno entrambi benissimo,» tagliò corto f'lTiri. «Ma allora come...» «Kirtn,» le mani di Rheba trattennero il Mentore Bre'n, «lascialo parlare. Quando avrà finito, potrai rimuginare quanto vuoi su lui o chiunque altro. Se hanno fatto qualcosa al Devalon, li cucinerò io ben bene e poi li mangeremo insieme.» F'lTiri rabbrividì e distolse lo sguardo dalla Danzatrice. «L'astronave è come l'hai lasciata: non è successo niente. Ilfn continua a dare ordini.» «Ilfn?» La voce di Rheba era dubbiosa. «Ilfn avrebbe disobbedito a Kirtn solo se ci fosse stata in ballo la sicurezza del suo piccolo Lheket.» «Esatto. Gli J/taal hanno capito subito qual'era il suo punto debole. Hanno minacciato di uccidere Lheket se la donna non avesse aperto l'astronave per permettere loro di seguirti.» «Loro non parlano l'Universale, Ilfn non parla il linguaggio J/taal,» replicò gelido Kirtn. «Come avranno fatto a comunicare?» «Non hai mai sentito parlare di mimica? Per esempio di un coltello puntato alla gola di una ragazza mentre due J/taal si appropinquano all'uscita?» Il Bre'n trasalì. Immaginò di vedere tutta la scena davanti agli occhi. La cosa peggiore era che loro avrebbero certamente tenuto fede alle loro minacce. Non credevano nel paradiso e nell'inferno come Rheba, che teneva molto alla sua salvezza. «Continua,» disse, lasciando che la sua rabbia scivolasse via. L'Illusionista Yhelle tirò un bel sospiro di sollievo. «Ilfn ha detto che, superato lo scoglio delle prime domande, poi ti saresti rivelato più ragionevole.» Kirtn si guardò intorno. «La tua razza è forte, ma ha un carattere dolce. Ilfn era... arrabbiata con gli J/taal.» «Digli qualcosa che ancora non sa,» suggerì Rheba gelida. «Io ho deciso di seguire gli J/taal. Senza il tuo magico serpentello,» ed indicò Fssa, «comunicare è molto difficile, sembra di parlare al vento. Molti Seur sapevano che mi sarebbe stato utile conoscere l'Universale.» «Spero che ci saranno riconoscenti,» disse Kirtn.
«Chi, gli J/taal?» «No. I Seur. È assurdo pensare che gli J/taal in cerca di Rheba sarebbero passati inosservati, mescolandosi ai Seur.» Sul volto dell'Illusionista Yhelle si disegnò un debole sorriso. «Abbiamo perso qualche Seur andando verso Tric. Avrebbero dovuto avere tanto buon senso da non accollarsi i due J/taal e i loro clepts. Tric è stato molto veloce. Ci ha caricati sul motore e ci ha allontanati da Centrins prima che iniziasse la baruffa.» «Baruffa?» «Una rivolta,» specificò f'lTiri. «Sembra che qualcosa non sia andato per il verso giusto con la loro macchina del cibo. Prima ha espulso le acque di scolo putride, poi si è bloccata completamente. Se la sono presi tutti con i Seur. Quando è partito il motore, a Centrins sembrava il giorno di paga al Caos.» «Come avete fatto ad attraversare la galleria?» «Non si sono verificate frane consistenti.» Con un gesto d'ammirazione, l'Illusionista si rivolse a Kirtn. «Anche gli J/taal erano impressionati. Li ho lasciati nella galleria,» aggiunse. «Non ho potuto proteggerli con le mie illusioni. Poi ho ascoltato i discorsi di questa gente e finalmente ho capito quello che era accaduto. Dopodiché mi ci è voluta solo una piccola occhiata al Super Scavenger Scuvue.» Sorrise, orgoglioso di essere un Illusionista. «Sono stato bravo a risolvere il problema del linguaggio, non è vero?» Proiettò di nuovo l'illusione del volto gonfio di Scuvue, quindi grugnì ed ondeggiò le braccia. L'illusione del volto della Scavenger s'oscurò sotto il ghigno cattivo dell'Illusionista. «Veramente bravo,» ammise Kirtn, curvandosi sul pavimento per prendere Fssa, poi si legò il serpentello intorno al collo e lo coprì col cappuccio attaccato ai vestiti che i Treat avevano avuto dagli Scavenger. Fssa fece capolino dal cappuccio di Kirtn con i suoi variopinti sensori turbinanti. «Puntali di nuovo sul volto di Scuvue,» gli disse Kirtn. «Prima entreremo nella galleria, prima mi sentirò al sicuro. Fssa, puoi occuparti della voce?» «Sì,» rispose il serpentello, riproducendo perfettamente il tono gracchiante di Scuvue. «Puoi creare l'illusione di una corda intorno ai nostri polsi?», chiese Kirtn. «Quando ci hanno condotto qui, eravamo legati, e penso che dovremmo esserlo anche quando usciremo.»
Intorno ai loro polsi f'lTiri creò delle illusioni di corde soprendentemente reali. «Vanno bene queste?» «Troppo belle. Qui le corde sono sudicie e sfilacciate.» L'illusione tremolò, poi si trasformò in modo da risultare più convincente. «Bene. "Scuvue" guiderà il gruppo,» disse l'umanoide. «Se qualcuno vi fa qualche domanda, voi direte che anche i Treat ben disposti stanno facendo un giro tra i cumuli di polverina. Per assicurarsi che i suoi Treat non fuggano, Scuvue li ha raccolti in un gruppo più piccolo, più facilmente controllabile. Tutto chiaro?» F'lTiri applaudì il Bre'n per sottolineare il suo assenso e il suo apprezzamento. Si voltò poi verso la porta e il suo volto si trasformò immediatamente. Prima che le guardie potessero accorgersi di qualcosa, f'lTiri era già diventata Scuvue e guidava i Treats. «La polverina,» grugnì Scuvue rivolta verso le guardie ammutolite. Le guardie esitarono, poi si fecero di lato. «Cosa vuoi da noi?» Scuvue indicò loro il cumulo più vicino di polverina. Nuvole di polvere dorata svolazzarono in aria, non appena i felicissimi Scavenger s'avvicinarono alla loro consumazione. La donna grugnì di nuovo. Le guardie non si fecero ripetere l'invito una seconda volta. Si gettarono a capofitto sul mucchio di polverina, liberandosi in fretta dei vestiti, quindi sparirono nel mucchio della polverina gridando di gioia. F'lTiri annusò i granelli fragranti di polverina e sospirò. «Se fossi un mercante, venderei all'istante questa polverina e morirei ricco.» Risate e grida di piacere accompagnarono il gruppo guidato da f'lTiri verso la galleria. D'un tratto d'udì un urlo rauco seguito da imprecazioni di rabbia e di sorpresa. Kirtn cominciò a correre e, dopo di lui, anche l'Illusionista affrettò il passo. Diverse volte dovettero deviare il loro cammino per la presenza di Scavenger innocui in vicinanza dei cumuli di polverina. Fino a quando avessero avuto a disposizione la loro polverina, molti abitanti di Piazza Uno non si sarebbero neanche accorti della fine del mondo. Ad un certo punto, i fuggitivi notarono sopra di loro il profilo di un dirupo che tagliava a metà il cielo. Oltre le montagne scoscese c'erano anche dei mucchi di pietre in stato d'abbandono.
«Sbrigatevi,» fischiò Fssa appeso al collo di Kirtn. «Qualcuno ci sta seguendo. Penso che sia Scuvue. Deve aver seguito Kirtn e ha scoperto che ce ne siamo andati.» Cercarono di camminare il più velocemente possibile, ma capirono che gli inseguitori stavano per raggiungerli. Le imprecazioni e le grida rauche d'incoraggiamento si udivano sempre più chiaramente. I clepts li raggiunsero prima che potessero avvicinarsi all'uscita della galleria. I cani da guerra si materializzarono nel buio della notte, toccarono con i loro musi la Danzatrice e poi scomparvero. Subito dopo tornarono con M/Dere e con M/Dur. I due J/taal toccarono la loro J/taaleri per rassicurarsi che fosse Rheba, in carne ed ossa, e non un'illusione. Poi sospinsero tutti nella galleria mentre un clept rimaneva di guardia all'entrata. Si udirono altre urla; quello più acuto proveniva sicuramente da Scuvue. Un secondo clept balzò fuori per dare man forte al primo. I cani da guerra rimasero fermi, con i loro tremendi occhi argentei fissi nel buio, in attesa solo di un ordine per uccidere. Erano circa sessanta gli Scavenger che si erano radunati al chiaro di luna per dare loro la caccia. «Fammi un po' di luce!», disse frettolosamente Daemen facendosi largo. «Devo cercare di raggiungere i dischi del motore!» Rheba creò una sfera di luce brillante che si diffuse tutt'intorno. La ragazza s'arrampicò tra le rocce franate che gli J/taal avevano creato. Le grida dietro di loro agivano da pungolo. Scuvue era riuscita a trascinare lontano dai cumuli di polverina abbastanza Scavenger da dar vita ad una battaglia. «Hai trovato qualcos'altro?», chiese Rheba a Daemen. «Non ho avuto fortuna,» imprecò Daemen. «Questi dischi sono incrinati. Dovremo andare ancora un po' avanti prima di trovarne altri in buono stato.» «Ci vorrà molto tempo?», chiese Rheba gettando delle occhiate nervose intorno. Sembrava proprio che il combattimento fosse molto vicino alla galleria. «Tutto dipende da quanto riuscirai a correre tu.» «Fssa: dì ai clepts di non ferire nessuno, ammesso che ci riescano, ma di tenere a distanza gli Scavenger fino a quando non gli fischierai un ordine diverso. E poi dì loro di correre come i segugi della morte.» Fssa emise una serie di grugniti, di schiocchi ed altri rumori tipici del linguaggio degli J/taal. Il terzo clept scomparve nella stretta galleria. La mano di Kirtn strinse il braccio di Rheba e la sollevò da terra. Un
ringhio clept echeggiò gelido nella galleria. Rheba s'avvicinò a Kirtn imprecando contro le larghe tuniche scavenger che le impedivano d'allungare il passo. Dopo un attimo, Rheba si rese conto che gli J/taal non l'avevano seguita. Erano rimasti sotto le rocce per proteggere la ritirata della loro J/taaleri. Daemen correva con una velocità impressionante, tenendo la tunica alzata con la sua mano sinistra. L'Illusionista, proprio dietro di lui, aveva il respiro sempre più affannoso. Rheba e Kirtn Io seguivano con Fssa che sobbalzava ad ogni passo. Sembrava fossero giunti alla fine della galleria. Daemen ordinò loro di fermarsi; poi cominciò ad esaminare scrupolosamente la galleria. Rheba creò una sfera di luce più grande, e Daemen continuò ad andare su e giù per la galleria fino a quando piombò vicino a loro come un clept affamato. «I dischi!» Rheba e Kirtn gli s'avvicinarono. Aveva trovato dei dischi. Daemen si fermava ad ogni disco finché ne attivò nove, uno per ogni persona e tre per i clepts. «Stammi vicina,» le disse. «E chiama gli J/taal.» Fssa inviò una serie di estenuanti suoni nella galleria. Se ci fu risposta, solo il serpentello poté udirla. «Cosa c'è ora?», disse Kirtn avvicinandosi alla Fortuna. «Un motore che parte,» disse. Poi mormorò, «Almeno spero.» «Non ne sei sicuro?», gli chiese Rheba. «È una macchina Zaarain,» le rispose La Fortuna. «Di solito funziona, ma è molto vecchia.» Rimasero in piedi in silenzio ad aspettare che il motore si rimettesse a funzionare, ma non succedeva niente di nuovo. I due Akhenet guardarono La Fortuna: i suoi meravigliosi occhi erano chiusi. Sembrava quasi che stesse pregando. Gli J/taal e i loro clepts apparvero nella galleria con una velocità sorprendente, eredità dei loro micidiali talenti di mercenari. Senza che nessuno glielo ordinasse, formarono un cerchio di protezione intorno a Rheba. Daemen aprì gli occhi, approvò l'azione degli J/taal e riprese a pregare le sue Divinità. Dalla galleria uscivano i suoni degli Scavenger. Daemen sudava e borbottava, ma continuò a tenere gli occhi chiusi. I suoni si fecero sempre più fragorosi. Rheba assorbì tutta l'energia che poté ma, in quella buia galleria, era impotente come qualsiasi altra Danzatrice del Fuoco.
Grida di trionfo riecheggiarono nella galleria quando gli inseguitori videro il gruppo illuminato dalla sfera di luce creata dalla Danzatrice. F'ITìri proiettò un'immagine mostruosa nello stesso istante in cui Rheba brillava nelle fiamme. Gli Scavenger barcollarono, poi si lanciarono in massa intorno ai fuggitivi reclamando i loro Treat. Il motore continuò a ronzare sordo, intorno alla Fortuna e ai suoi amici. L'ultima cosa che i Treat sentirono prima che il motore li chiudesse dentro di sé, furono i lamenti angosciati di Scuvue. Capitolo XXI Centrins, ormai conquistata, sembrava diventata una città esausta dopo un'orgia di violenza. Per strada non si vedevano Seur, né c'erano in giro tuniche o sferze. Solo piccoli gruppi di persone che sgattaiolavano di vicolo in vicolo, abbattuti ed affamati. Rheba rabbrividì e si avvicinò al Bre'n. Il loro unico conforto era la sagoma amica del Devalon che si stagliava in lontananza sulle strade ventose. Rheba era contenta della barriera invisibile del motore che li separava dal mondo esterno. Lo sguardo della gente di Centrins non era dei più rassicuranti. Kirtn abbracciò teneramente la Danzatrice percependo il suo turbamento. Anche lui non desiderava altro che ritrovarsi sotto la protezione familiare del Devalon. Gli Scavenger si erano arrabbiati, ma non erano disperati. Centrins invece era un problema completamente diverso. La gente s'ammucchiava accigliata intorno a qualche isolata stazione del cibo, ignorando il vento freddo che riduceva a brandelli i pezzi dei loro abiti lungo i pavimenti incrinati. La Fortuna sembrò farsi triste allo spettacolo offerto dal motore. Se i Seur erano magri, questa gente era addirittura scheletrica. La Fortuna di Centrins si era dileguata il giorno in cui i Seur avevano cacciato sua madre fuori dal loro pianeta. «Perché?», si chiese con voce quasi rotta dal pianto. «Perché non l'hanno lasciata vivere in pace sul suo pianeta?» Kirtn guardò Daemen e rispose semplicemente: «Volevano cambiare la loro fortuna. E l'hanno fatto.» «Ma lei non era l'altra fortuna.» Il Bre'n sospirò ma non parlò. La madre di Daemen era morta, una sorte che prima o poi toccava a tutti gli esseri viventi.
«Dovevano proprio essere disperati per farvi un'azione del genere,» disse Kirtn, dopo averci riflettuto un po' su. Daemen emise un suono strozzato che neanche lo Fssireeme riuscì a tradurre. Centrins s'innalzava fuori della città grigia costruita in altri tempi in ricordo della magnificenza Zaarain. Le pareti esterne dell'edificio erano stratificate e variopinte. Esse brillavano di enigmi vecchi ed antichi già prima che gli Akhenet fossero più di una promessa evolutiva. «Solo ora capisco perché l'abbiano chiamata la Casa della Divinità,» borbottò Rheba. «Qualsiasi cosa tanto bella non può essere opera dell'uomo.» La ragazza fissò il suo Bre'n la cui bellezza per lei, era un enigma tanto misterioso quanto quello di un Insieme Zaarain. «Tu, Mentore, dovresti vivere proprio qui.» Kirtn fece una strana risata, quasi triste. «Vorresti viverci con me, piccola Danzatrice del Fuoco?» Rheba lo guardò a lungo e all'improvviso si vide riflessa negli occhi dorati del suo Bre'n. Per un istante si sentì bella quanto lui, poi l'umanoide batté le palpebre e l'istante passò. Dagli occhi della Danzatrice uscirono alcune lacrime. Gli occhi di Rheba non piangevano da molto tempo, da quando Deva era stata distrutta. «Io non sono una Divinità.» «Neanch'io lo sono.» La sua voce suonò gentile ma molto decisa. La ragazza continuò a fissare Kirtn ricordandosi dei suoi occhi luccicanti d'oro nell'oscurità della galleria, mentre spostava macigni larghi quanto lui stesso, con la tipica potenza e bellezza Bre'n che nessun Senyasi poteva uguagliare. Lo fissava intensamente sentendosi come un bambino che vacilla sulla via della perfezione, sgomento e quasi risentito. Sei tu che invochi il fuoco, non io. Sei tu che bruci di una bellezza quasi inumana, non io. Sei tu che assomigli alle fiamme, per colore, grazia e calore. Guarda la faccia che hai. Vediti come sei realmente. O sei ancora così giovane da preferire la venerazione all'amore? La voce di Kirtn tamburellava la mente della ragazza. Era un'ossessione. Rheba s'allontanò dal Bre'n, ponendo fine al contatto fisico che le aveva tanto confuso la mente. L'intensità della comunicazione del corpo di Kirtn l'aveva quasi sopraffatta, e Rheba talvolta non riusciva neanche a distinguere le sue emozioni da quelle del suo Mentore Bre'n. La mano di Rheba si avvicinò all'orecchino che indossava: un oggetto
che era un gioiello, ma anche l'emblema di una disciplina. La ragazza sfiorò affascinata l'incisione di preziosa fattura Bre'n raffigurante una faccia misteriosa, tra le nuvole ondeggianti dei sui vaporosi capelli. Non c'era bisogno che la vedesse per ricordarla: era la faccia dal profilo Bre'n distaccata e serena, sensuale e sorridente, ondeggiante come il mare. Una volta Rheba aveva creduto di riconoscere se stessa nell'incisione, ma l'immagine, simile ad un'onda che s'infrange sugli scogli, era scomparsa prima che la Danzatrice potesse fissarla nella sua mente. Centrins si chiuse intorno al motore facendola spaventare. «Dove si ferma il motore?», chiese Kirtn, guardando i cortili e le residenze che facevano parte dell'interno colorato dell'Insieme Zaarain. «Nella residenza Seur.» «Avrei dovuto immaginarlo,» rispose Kirtn. Daemen si voltò verso l'umanoide. Non occorreva un Danzatore della Mente per indovinare i pensieri di Kirtn. «Non preoccuparti: io sono La Fortuna. Ritorno a casa con la mia nuova scoperta. I miei congeneri saranno sicuramente molto felici di rivedermi.» Kirtn lo guardò stupito. «Se quel che vai dicendo in giro corrispondesse al vero, allora i Seur non avrebbero dovuto lasciarti uscire dalla stanza dei bambini senza una guardia.» La pelle della Fortuna diventò improvvisamente scura, un po' per l'imbarazzo, un po' sicuramente anche per la rabbia. «Questo è il nostro mondo, questo è il nostro modo d'agire,» rispose deciso Daemen. «Non mi aspetto che tu lo comprenda.» Kirtn fissò in lontananza gli alloggi seur circondati tutt'intorno da giardini ormai in abbandono. Alcuni congeneri di Daemen erano raccolti nei pressi dei dischi dove i motori ronzavano e si dissolvevano. Dalle espressioni dei volti dei Seur, ma soprattutto dalle armi che avevano in mano, Kirtn realizzò che, tutto sommato, i congeneri di Daemen non erano molto contenti del loro ritorno. Di sicuro non gli avrebbero dato il benvenuto. «Il problema non è quello che io capisca o meno,» gli rispose Kirtn indicando i Seur. «Cerca piuttosto di risparmiare il fiato per convincere i tuoi.» Daemen rivolse il suo sguardo incredulo ai Seur in attesa. «Ma allora non capiscono? Io sono qui per salvarli. Io sono la loro Fortuna!» Kirtn posò la sua grande mano sulla spalla di Daemen per richiamare la sua attenzione.
«Sembra proprio che sia tu quello che non vuole capire la situazione,» disse dolcemente il Bre'n. «Tu hai toccato il loro cibo ed è diventato un mucchio di escrementi. Te lo ricordi?» La bocca di Daemen si aprì e si chiuse senza profferir parola. Scosse la testa come per liberarsi dei suoi dubbi. «Quando spiegherò loro tutta la situazione, certamente mi capiranno.» Kirtn guardò Rheba come per chiederle di parlare con La Fortuna. La Danzatrice capì la confusione di Daemen, la sua giovinezza e la sua vulnerabilità. «Ti aiuteremo noi, Daemen. Se non fosse stato per Arcobaleno, non ti saresti trovato in questo guaio.» «Il modo migliore per aiutarlo sarebbe quello di allontanare la sua stupida bocca da questo pianeta,» replicò aspramente l'umanoide. Daemen lo guardò scioccato. «Ma io non posso lasciarli. Morirebbero. I Seur hanno bisogno di me. Io sono...» «...la loro fortuna,» terminò la frase Kirtn. «Lo so. L'hai ripetuto abbastanza volte. Potresti anche ucciderli, ma non riuscirai a convincerli che tu sei la Buona Fortuna. Neanche uno Fssireeme ha a sua disposizione tante bocche per farlo.» «Allora dovrò proprio convincerli,» si ostinò a dire Daemen. «Questa è una buona idea,» ammise Rheba. «C'è un'altra entrata?» Daemen esitò. «Centrins non è come Piazza Uno. L'unica cosa in comune è la zona del nucleo. Ma, una volta che saremo lì, non ci vorrà molto tempo prima di essere catapultati nello zoolipt,» aggiunse speranzoso. «Cosa c'è,» chiese Kirtn, «tra noi e il nucleo?» «Tre porte. No, quattro. Le prime due non si chiudono molto bene, le altre due non sono mai chiuse a chiave.» Il fischio di Kirtn causò un forte mal di denti alla Danzatrice. «Tutto qui? Solo quattro porte ci dividono dal luogo di adunata dei Seur?» Sorrise acido. «Tu non hai bisogno di noi. Tu avresti bisogno d'una armata J/taal!» «Lui non possiede un'armata J/taal,» sottolineò caustica Rheba. Persino gli J/taal ebbero un po' di paura sentendo il fischio di risposta di Kirtn. Prima che Rheba potesse continuare a rispondere per le rime in difesa di Daemen, il motore si dissolse. Questa volta però Kirtn non fu colto alla
sprovvista. Strinse con una mano f'lTiri, con l'altra la Danzatrice. Daemen naturalmente, cadde in piedi. I Seur si spostarono per permettere a Tric di farsi avanti. Dietro di lui, le file dei Seur si serrarono dimostrando chiaramente le loro intenzioni. Niente — in particolar modo La Cattiva Fortuna — sarebbe stata in grado di raggiungere i Seur vivi. Tric fece pochi passi avanti, poi si fermò a guardare con un'espressione molto triste, il figlio della sorella. «Non avrei mai sperato di rivederti.» Pensava di avere a che fare ancora con il piccolo Daemen. «Non l'hai ancora scoperto?», chiese Tric. «Cosa?», ripeté Daemen, trovando il coraggio di parlare. «Tu sei la Cattiva Fortuna,» disse Tric con un tono di voce dolce ma terribilmente triste. «Cattiva Fortuna.» «No.» «Ascoltami,» gli disse Tric in tono supplicante. «Anche tua madre sentì come te la sua vocazione di Fortuna, ed io per un certo periodo di tempo le credetti. Poi pensammo che i suoi problemi derivassero da un indebolimento delle sue facoltà ereditarie. Era trascorso molto tempo da quando una robusta Fortuna aveva vissuto sul nostro pianeta. Nessuno dei bambini da lei generati dimostrò di essere tanto forte. Per questo noi...» Tric si fermò, poi si guardò intorno cercando di evitare il giovane volto raggiante di Daemen. «Noi ti generammo. Insieme. Eravamo gli unici discendenti diretti della Prima Fortuna. Pensammo che se noi... se noi...» Tric si fermò di nuovo, ma questa volta non riprese il discorso. Daemen lo fissò con attenzione cercando di scoprire i suoi lineamenti sul volto grinzoso del vecchio zio. «Non ti credo.» Il sorriso di Tric era molto triste. «Sei padrone di non crederci. Tu sei quello che sei: La Fortuna. Noi avevamo ragione. L'eredità si è indebolita. Ma non in te.» Si guardò le sue mani, poi il suo nipote e figlio Sospirò e si sforzò di continuare a parlare. «Avevamo visto giusto. Ma avevamo anche torto marcio. Tua madre e tutti i suoi bambini sono morti. Ma tu sei sopravvissuto. Sei una Fortuna molto energica. Tu hai potuto ereditare da lei la Fortuna e riuscire dove non è riuscita lei. Sei riuscito a riportare la cattiva sorte sul pianeta di Daemen.» Le labbra di Daemen si mossero come per negare quello che Tric stava
dicendo. Non era propriamente questo il discorso che si era aspettato di sentire da suo zio. «Non potevo permetterle di suicidarsi,» continuò Tric, «e non potevo neanche permettere che lei rimanesse su Daemen e che ci uccidesse tutti. Oh, lei non aveva l'intezione di farlo,» disse per rispondere alle ovvie obiezioni di Daemen, «Come non l'avevi tu quando gettasti la tua collana nel nucleo. Ma, a meno che la tua fortuna non cambi, noi moriremo allo stesso modo.» Fece uno strano gesto e poi continuò a parlare. «E così, noi facemmo entrare lei e la sua famiglia sull'ultima astronave che avevamo a disposizione e la mandammo a cercare la fortuna tra le stelle.» La voce di Tric si affievolì. «Tu sei stato catturato dai mercanti di schiavi, non è vero?» «Sì.» La risposta di Daemen fu quasi un sussurro. «Hai architettato tutto tu, non è vero?» «Io?» Tric sorrise. «Non sarebbe stato necessario. La Fortuna tua madre era più che sufficiente. Ma la tua fortuna si è rivelata molto più potente. Tu sei sopravvissuto.» «Sono sopravvissuto perché Io sono la Buona Fortuna.» «No,» rispose triste Tric, «perché la Cattiva Fortuna non ha mai fine.» D'un tratto il volto di Daemen diventò quello di un vecchio. La Fortuna strinse i suoi meravigliosi occhi grigi. «Togliti dalla mia strada, Zio, Padre o chiunque tu sia. Mi sto dirigendo verso il Nucleo con la mia nuova scoperta come ha fatto ogni Fortuna dalla notte dei tempi.» I Seur assomigliavano all'erba agitata dal vento. Tric fece qualche passo indietro e fu di nuovo dei loro. «No.» «Cosa hai da perdere?», gli disse Daemen. «Mi hai detto che è come se fossi già morto.» «A meno che non cambi la fortuna,» lo corresse Tric. «Può cambiare solo se muori. Vattene via, Daemen. Te lo chiedo come un piacere. O ci odi tanto da farci uccidere e perseguitare dalla tua fortuna finché non moriranno di stenti anche le nostre anime?» «Io non vi odio affatto!», esplose Daemen. «Voglio solo aiutarvi.» «E allora va' via!» «No.» La voce di Daemen era rauca. Il giovane fece segno allo zio di seguirlo nel giardino abbandonato, tra i rifiuti soffiati dal vento gelido. «Ma di che cosa hai paura? Cosa ci può essere di peggio che mangiare e-
scrementi ed aspettare che il tuo Nucleo diventi eccentrico e ti uccida?» «Non lo so,» ammise Tric. «Ma se tu rimani su Daemen, io sono sicuro che potrebbe succedere anche di peggio.» Kirtn guardò la Fortuna che cercava di convincere Tric a cambiare idea. Il Bre'n capì che Daemen avrebbe faticato inutilmente. Rimaneva loro solo la speranza che la situazione cambiasse. E avrebbero protetto questa speranza con tutti i mezzi a loro disposizione. Kirtn si fece un attimo da parte per parlare con l'Illusionista. Rheba non se ne accorse. Quando Kirtn fu sicuro che nessuno li stesse osservando, si curvò su f'lTiri e gli sussurrò in Universale: «Potresti renderci invisibili per il tempo necessario a passare inosservati tra i Seur?» F'lTiri misurò la distanza che li separava dai Seur. «Posso provarci.» «Se non riesci a proiettare la nostra illusione per un certo periodo di tempo, puoi almeno cercare di farci assomigliare a qualcuno di loro?» «Ma naturalmente!», rispose f'lTiri ovviamente irritato per quello che lui aveva preso come un affronto alle sue capacità. «La tua illusione potrà durare fino a quando arriveremo al Nucleo? Una volta lì, io lancerò Fssa nella minestra e poi staremo a vedere che tipo di fortuna ci accompagna.» «E se non accadrà niente?»' «Allora vorrà dire che Daemen non avrà più alcun motivo per rimanere sul suo pianeta, non è vero?», disse Kirtn con un tono di voce che suonò quasi come un rimbrotto. «E così la mia Danzatrice del Fuoco non sarà più costretta ad uccidere per difendersi e rimanere in vita.» «Allora sono d'accordo. Diventeremo invisibili fin quando mi sarà possibile. Farò del mio meglio,» disse f'lTiri, «e poi farò assomigliare ai Seur te e me.» «Bene.» Kirtn esitò. «Se tu potessi rendermi invisibile sin da ora, forse non sarebbe neanche necessario che tu mi seguissi.» «E rimanere qui quando Rheba si accorgerà che ti ho aiutato ad allontanarti?» F'lTiri scosse il capo deciso a non spostarsi dalla sua posizione. «Io ho visto cosa è accaduto al Loo-chim. Rheba lo ha incenerito e di lui non è rimasto neanche l'odore. Non voglio fare la sua stessa fine.» Kirtn trasalì. «Non preoccuparti. Se le cose vanno per il verso giusto, Rheba si accorgerà della nostra fuga solo quando saremo tornati.»
L'umanoide però non aggiunse che ben poche cose erano andare per il verso giusto, da quando La Fortuna aveva fatto ritorno sul suo pianeta natio di Daemen. Capitolo XXII Rheba fermò il suo sguardo prima sui Seur disperati e poi sulla loro giovane Fortuna. L'unica cosa che li accomunava era la loro caparbietà. Daemen e Tric si scrutavano intensamente sui marciapiedi di pietra antica. Come le pietre, anche i Daemeniti vivevano in strutture tanto vetuste che le loro origini erano ormai diventate un mito. Nelle file a tergo, vicino alla doppia porta non combaciante perfettamente che conduceva nel Nucleo di Centrins, uno dei Seur inciampò e cadde vicino alla Fortuna, saltandogli sui piedi e facendolo barcollare contro altri due Seur. I due caddero contro la porta che s'aprì immediatamente. Ne seguì una piccola zuffa anche se i Seur riguadagnarono quasi subito la calma. La confusione non durò che pochi attimi ma fu comunque sufficiente ad interrompere la sgradevole discussione di Daemen col suo zio-padre Tric. La Fortuna si rivolse alla Danzatrice. «Avrò bisogno del tuo aiuto per entrare lì.» Rheba gettò un'occhiata indagatrice sugli ostinati Seur e sulla doppia porta ancora semiaperta. «È quella l'unica porta?» «No. Ce ne sono altre tre. Ma solo due sono chiuse di solito. Le ultime due.» «Hanno la serratura?» Daemen fece uno strano gesto. «Vengono usate solo durante i giorni di festa, quando coloro che non sono Seur non hanno il permesso d'entrare a Centrins.» «Ma hanno le serrature?» «Sì.» La ragazza emise un grugnito Bre'n. «Allora saranno chiuse a chiave contro La Fortuna.» Rheba, prima di continuare il discorso con Daemen, studiò come risolvere il problema delle porte chiuse a chiave. Gli edifici Zaarain era difficile che prendessero fuoco; aveva già fatto un'esperienza negativa a Piazza Uno. Per prima cosa avrebbe dovuto trovare il modo per potersi mescolare ai Seur indisturbata, perché di certo non avrebbero permesso che La For-
tuna agisse alla luce del sole. Poi avrebbe dovuto cercare di asportare il meccanismo delle serrature dalle porte. Se le serrature fossero dipese dall'energia più che da meccanismi veri e propri, Rheba avrebbe potuto armeggiare col nucleo che proiettava l'energia nelle serrature ma questo la Danzatrice non desiderava farlo. D'altra parte, se Fssa e il suo carico di zoolipt non fossero entrati nell'edificio, i Seur e tutte le altre popolazioni scheletriche al di fuori di Centrins sarebbero morti. Doveva risolvere il problema delle serrature comunque. Doveva cercare di non attrarre l'attenzione della popolazione di Centrins. Rheba non voleva essere costretta ad uccidere i Seur. All'improvviso, la Danzatrice si ricordò dell'abilità di f'lTiri. L'Illusionista, su Onan, aveva proiettato un'immagine che aveva salvato loro la vita. Forse avrebbe potuto fare la stessa cosa per i Seur su Daemen. Si voltò per chiedere la collaborazione dell'Illusionista: dietro però, non c'era nessuno. Aggrottò le ciglia e fece il gesto di voltarsi verso il suo Mentore Bre'n. Kirtn se ne era andato. Si guardò intorno. Vide M/Dur, M/Dere, i tre clepts, ma Kirtn non c'era. Dietro di lei notò una serie di cortili connessi tra loro, abitati solo da ombre scurissime. Forse Kirtn era andato a controllare le altre aperture nel Centrins oppure a vedere che nessuno tendesse loro un agguato sulla via del ritorno?» «M/Dere, hai visto per caso Kirtn?» La donna J/taal ricordava solo il suo nome. Fece quindi un gesto in direzione di Rheba come per scusarsi di non sapere dove si trovasse il Bre'n. Rheba imprecò sonoramente. Senza Fssa, doveva comunicare a gesti con gli J/taal, perché loro non comprendevano nessun altro linguaggio tranne lo J/taal. «E allora?», chiese Daemen ansioso di conoscere la risposta della Danzatrice. «Non appena torneranno f'lTiri e Kirtn,» gli rispose Rheba con i suoi penetranti occhi color cannella intenti a notare qualunque volto e qualunque sagoma le passasse vicino mentre parlava, «Dirò a f'lTiri di crearmi un'illusione divertente in modo tale che io possa introdurmi nel...» La sua voce a poco a poco si affievolì, poi Rheba tacque perché aveva capito che era proprio quello che aveva pensato e fatto anche Kirtn, lasciandola lì ad aspettare. I suoi capelli ondeggiarono e ribollirono di vita micidiale, un ammonimento incandescente della rabbia di una Danzatrice del Fuoco.
Daemen urlò e si fece di lato quando Rheba bruciò nelle fiamme. Non capiva cosa l'avesse spinta a tanto. Forse però non avrebbe voluto neanche saperlo. Gli J/taal ed i loro clepts si schierarono in formazione di combattimento intorno alla loro J/taaleri. L'unica cosa che riuscivano a vedere era la loro J/taaleri che bruciava. I Seur si ritirarono compatti, intuendo la morte in quello strano fuoco. La guardarono bruciare da lontano, la guardarono assorbire la luce del sole e condensarla in un'energia che l'accecò. I Seur si ritirarono ansimanti verso la porta, ma non poterono chiuderla perfettamente dietro di loro. Raggiunsero di corsa l'entrata oscura e di lì la porta successiva, dove li attendevano altri Seur. L'odore delle pietre bruciacchiate richiamò Rheba alla realtà. La ragazza cercò di calmarsi. Il terreno sotto i suoi piedi emettava ancora fumo. I suoi vestiti erano ormai solo una fine polvere sollevata dal vento. Per un breve istante, Rheba fu felice che il suo Mentore non si trovasse lì; lui le avrebbe sicuramente sottratto l'energia e l'avrebbe rimproverata per essersi fatta prendere la mano da uno scoppio d'ira. La Danzatrice mitigò la sua rabbia controllandola come aveva imparato a controllare altri tipi d'energia. Comunque non rilasciò l'energia che aveva già assorbito. Le sarebbe stata necessaria per seguire il suo Bre'n. «Daemen.» Rheba si voltò verso La Fortuna con gli occhi incandescenti ricchi di nuove striature dorate, contando i secondi che la separavano da un altro slancio d'ira. «Kirtn e f'lTiri sono entrati nel Nucleo. Vado a raggiungerli. Dì ai Seur di non intralciarmi il cammino.» Lo sguardo affascinato della Fortuna sembrava al tempo stesso impaurito. «Come sono riusciti ad entrare?», le chiese. Si incamminò verso la porta anche se controvoglia. Daemen ebbe tanto buon senso da intuire quello che stava accadendo quando le pietre cominciarono a fumare sotto i piedi della Danzatrice. «F'lTiri ha proiettato un'illusione. Sono diventati invisibili,» gli rispose Rheba in tono secco. «Ora, molto probabilmente, assomiglieranno ai Seur.» «Allora perché seguirli? Non faremmo altro che richiamare l'attenzione nei loro confronti.» Rheba lo guardò con i suoi stupendi occhi dorati. «Perché l'illusione di f'lTiri li rende invisibili per pochi secondi,» gli ri-
spose seccamente la ragazza. «Proiettando un'illusione su Kirtn ed un'altra su di sé, f'lTiri consumerà in breve tempo l'energia a sua disposizione. Avremo quindi bisogno d'aiuto per uscire dal Nucleo ancora vivi.» Rheba corse verso la porta. M/Dur si mosse così all'improvviso che il suo profilo s'offuscò. Prima che Rheba potesse fare un altro passo, M/Dur spalancò la porta e scomparve dietro di essa. Due clepts lo seguirono in una corsa silenziosa. M/Dere, vicina alla porta, sbarrò l'entrata a Rheba con un coraggio che rese attonita La Fortuna. La ragazza fece segno alla donna J/taal di farsi in disparte. La donna non si spostò. Le Linee di Potenza Akhenet riapparvero così incadescenti sul corpo di Rheba da illuminare anche i corti capelli neri della J/taal. La sua presa di posizione rivelò palesemente a Rheba che il suo compito di J/taal consisteva nel proteggere la sua J/taaleri. E lei l'avrebbe fatto, a qualunque prezzo. D'un tratto riapparve M/Dur. I due J/taal si scambiarono telepaticamente con una lunga occhiata i loro pensieri grazie ad una delle abilità che facevano di loro dei formidabili mercenari. M/Dere si fece in disparte. Rheba cominciò a correre. Non riuscì a fare neanche tre passi che M/Dur le si parò dinanzi. Solo allora la Danzatrice del Fuoco realizzò che gli J/taal non volevano impedirle di trovare Kirtn. Volevano semplicemente assicurarsi della incolumità della loro J/taaleri. Ecco perché M/Dur l'aveva preceduta e l'altra J/taal l'aveva ostacolata fino a quando il compagno non l'aveva assicurata. Due clepts all'improvviso le si pararono davanti forzandola a rallentare. Davanti a Rheba l'entrata si diramava in tre stanze che si aprivano sugli alloggi dei Seur. A quanto pareva, c'era solo M/Dur. L'uomo J/taal aspettava nei pressi della biforcazione. Non sapeva ovviamente quale strada avrebbe voluto seguire la sua J/taaleri. «Qual'è la stanza che porta al Nucleo?», chiese Rheba a Daemen. «Quella a sinistra,» le rispose indicandola. M/Dur s'affrettò verso la stanza di sinistra. Rheba aspettava impaziente cercando di cogliere il benché minimo rumore che le potesse far scoprire dove si trovavano Kirtn e l'Illusionista. L'unico suono che udiva era il suo respiro. A quanto pareva, Centrins era deserto. Rheba però non la bevve. Il silenzio, a suo avviso, stava solo a significare che i Seur li avrebbero voluti cogliere di sorpresa. Invocò l'Ultima
Fiamma affinché non fosse stata tesa un'imboscata al suo Bre'n. Kirtn era forte e coraggioso, ma i Seur erano molti e pronti a tutto: ed erano disperati. Senza la sua Danzatrice del Fuoco, Kirtn sarebbe potuto rimanere sopraffatto dai Seur. Al solo pensiero che Kirtn stesse fronteggiando una marea di Seur infuriati, le Linee di Potenza Akhenet cominciarono a pulsare disordinatamente sotto la sua pelle. Cercò di controllare la sua paura. Non poteva permettere che la paura distruggesse il suo autocontrollo. Perdere il controllo significava perdere anche l'energia. In un caso del genere, Rheba si sarebbe trovata indifesa in campo nemico. Quando M/Dur tornò indietro, le Linee Akhenet della ragazza erano nel pieno del loro fulgore. Daemen distolse lo sguardo da lei. Preferì rivolgersi verso l'uomo J/taal, piuttosto che guardare la furia disegnata sul volto dell'incandescente Danzatrice. Ad un segno d'assenso di M/Dur, Rheba cominciò ad avanzare verso l'entrata di sinistra. Dopo pochi passi, s'accorse di una nuova biforcazione. Lo stretto ambiente di sinistra era deserto. O almeno sembrava. Quello di destra era più grande, ma era sbarrato. Rheba guardò Daemen. «La strada è quella di destra?» «Sì,» rispose malinconico. La ragazza s'avvicinò alla barriera, scortata dagli J/taal e dai loro clepts. Una sferza abbastanza lunga avvolse Rheba in una morsa micidiale. Solo i riflessi pronti dello J/taal salvarono la Danzatrice. La mano di M/Dur dardeggiò per aria intercettando la sferza prima che potesse colpire la sua J/taaleri. M/Dur tirò la sferza a sé. Dal suo nascondiglio comparve un Seur. Lo J/taal gli strappò bruscamente di mano la sferza. Si lanciò contro il Seur, e l'attirò a sé con violenza spezzandogli il collo in due. Tutto accadde così rapidamente che Rheba non ebbe neanche il tempo, d'intercedere per lui. Poi s'accorse del letale coccio di vetro che formava il puntale dell'arma. Se M/Dur non le fosse venuto prontamente in aiuto, Rheba sarebbe sicuramente morta dissanguata con la gola squarciata. Rheba sfiorò la fronte di M/Dere nel gesto universale di gratitudine. Poi indicò i Seur che si trovavano dietro la barriera. «Dì loro di lasciarci passare,» disse la ragazza controllando la barriera e rivolgendosi contemporaneamente verso Daemen. «Non servirà a niente.» «Certo che servirà.»
La Fortuna comunicò l'ordine di Rheba ai suoi congeneri appostati dietro la barriera. Ammesso che qualcuno avesse udito l'ordine della Fortuna, nessuno gli rispose. Daemen quindi rivolse il suo sguardo interrogativo in direzione di Rheba. «Dì loro di lasciarci passare,» ripeté lei. «Non voglio uccidere nessuno, ma lo farò se mi costringeranno.» Daemen ricordò immediatamente Loo e l'anfiteatro di pietra dove erano morti i capischiavi ed i loro Signori. Gridò un ammonimento, ma non ebbe risposta. Rheba chiuse gli occhi. Aveva una scorta d'energia sufficiente per ridurre in cenere la barriera, ma poi? L'unica energia disponibile a Centrins proveniva dal Nucleo. Avrebbe potuto rubarlo, questo sì, ma senza il suo Bre'n non sarebbe riuscita a controllare la situazione. La ragazza studiò attentamente la barriera. Era costituita da un mucchio di mobili presi dagli alloggi dei Seur e scaraventati nell'entrata. La velocità con cui era stata innalzata la barriera, le fece capire che quella non era la prima volta che Centrins veniva invasa da nemici. A quanto pareva, la popolazione della città vera e propria in passato si era ribellata. «Non possiamo spingere tutta questa roba di lato?» «E se addentrandoci troviamo altri Seur in agguato?» «Dopo quello che è successo, dubito che ce ne sia ancora qualcuno vivo,» rispose gelida La Fortuna. Daemen s'arrampicò sulla barriera e cominciò a tirar via dal mucchio una sedia che che sporgeva più delle altre. Gli J/taals non intervennero: era Rheba la loro preoccupazione, non La Fortuna. Dopo la sedia, Daemen cercò di spostare un tavolo abbastanza grande. Nessuno dei Seur presenti mosse un dito per ostacolarlo. Anche Rheba salì sulla barriera per cercare d'aiutare Daemen. Quando gli J/taal realizzarono il pensiero della Danzatrice, si diedero da fare per smantellare la barriera. Sebbene i J/taal fossero più piccoli di Rheba e Daemen, erano molto più forti di loro. Nel giro di pochi minuti, sotto le loro mani, la barriera venne demolita con una velocità incredibile. Si aprirono quindi un varco verso le porte semichiuse, nascoste dietro la barriera. Come aveva già anticipato Daemen, le due porte non erano chiuse a chiave: non avevano la serratura. M/Dur tirò un calcio alle porte ed esse si spalancarono. Un clept balzò dentro seguito da M/Dur e da un altro clept. Nessun grido di lotta giunse dall'altro lato. Cautamente M/Dere aspettò
comunque il ritorno di M/Dur prima di permettere a Rheba di entrare a sua volta nella porta. L'indugio dello J/taal irritò alquanto Rheba e non fece altro che aumentare la sua paura per la sorte di Kirtn. Lei aveva gli J/taal, i clepts... e La Fortuna, qualunque fosse il suo valore... mentre l'umanoide aveva solo un Illusionista e un Fssireeme ingrossato. «Fa' presto,» mormorò Rheba mentre le sue Linee di Potenza Akhenet cominciavano a pizzicarle. M/Dur apparve per poi scomparire di nuovo dietro le porte da cui era uscito un attimo prima. Rheba non aspettò un momento di più. Si mosse tanto velocemente che M/Dere fu costretta a fare un salto per trattenerla. Rheba strada facendo notò i segni di una ritirata frettolosa. Una barriera innalzata solo in parte, e le porte su entrambi i lati aperte, mostravano i recenti segni di un saccheggio avvenuto nelle stanze qualche secondo prima che i Seur fossero stati costretti a scappare. Le stanze erano sottosopra, i letti in disordine, e un po' dovunque si vedevano strisce di quelli che un tempo dovevano essere dei vestiti. In giro non c'era neanche un Seur. Rheba riprese a correre lasciandosi indietro Daemen. Un J/taal la precedeva, l'altro la seguiva. Pilotavano il gruppo i clepts con i loro occhi argentei scintillanti nella luce crepuscolare delle stanze, in cerca di possibili Seur rimasti indietro. La paura di Rheba aumentava ad ogni balzo. C'era troppa calma nell'entrata, troppa tranquillità regnava nell'edificio. Dove erano andati a finire i Seur? Quale sistema di difesa stavano architettando? Ma la cosa più importante era: Kirtn era ancora protetto dal velo dell'illusione di f'lTiri? L'unica risposta ai suoi silenziosi interrogativi fu il calpestio dei suoi piedi nudi sui pavimenti vetusti dell'edificio e lo strascicamento dei piedi di Daemen che non riusciva a tenere il passo di Rheba e degli J/taal. D'un tratto il percorso si aprì in una curva. Gli artigli dei clepts graffiarono le lisce superfici Zaarain e frenarono la corsa per proteggere Rheba. Con una velocità ancora più soprendente, M/Dur indietreggiò. Dietro di lui piovve sul pavimento una cascata di coltelli di plastica. I Seur avevano preparato un'imboscata proprio nel punto dove l'entrata faceva una curva. Ancora una volta Rheba dovette ringraziare gli J/taal che stavano lì per proteggerla. Daemen le si avvicinò per darle un avvertimento. «Oltre la curva ci sono le porte che cerchiamo,» le disse ansimando for-
temente. «E un'imboscata,» aggiunse la ragazza, tenendo d'occhio l'entrata. Rheba non riuscì a vedere né i Seur né le porte, ma sapeva che erano lì, nascosti alla sua vista. «A cosa possono assomigliare le porte che cerchiamo?», domandò quindi a Daemen la ragazza, volgendosi verso di lui. «Sono Zaarain,» le rispose gelido Daemen. «Ma non erano le altre?» «No. Quella esterna è stata costuita al tempo di mia madre. La prossima è più vecchia di un secolo. Si capisce dalla struttura,» aggiunse. «I Seur sono solo degli archeologi.» Come si chiudono le porte a chiave?» Daemen fece un gesto privo di significato. «Le porte scorrono... praticamente insieme.» «Non ci sono giunture, chiavistelli o cose del genere?» «Solo uno spazio per uno dei cristalli di Tric. Almeno, io presumo che l'abbia Tric la chiave,» aggiunse amaramente. «Era di mia madre prima che la esiliassero.» «Penso che siano chiuse a chiave dall'altro lato.» «È possibile.» La ragazza guardò Daemen con un po' meno di tenerezza. In quel preciso istante Rheba non apprezzava il suo tipo di fortuna. «C'è qualche altro modo per raggiungere il riciclatore?» L'espressione triste del suo volto fu la risposta a tutte le domande della Danzatrice. Si voltò a guardare le porte che la dividevano dal suo Mentore Bre'n. Lanciò un'occhiata verso M/Dur, indecisa se chiedergli o meno di rischiare la sua vita per scrutare cosa si nascondeva oltre l'entrata. Poi si rese conto che l'uomo J/taal era più attrezzato di lei per quel genere di cose. M/Dur alzò la testa e fissò la curva. Fece il gesto d'assenso J/taal, un'ostentazione più che altro della sua dentatura, qualcosa che assomigliava molto poco ad un sorriso. Due clepts si mossero silenziosi verso la curva, seguiti da M/Dur. All'improvviso, i cani da guerra scomparvero. M/Dur fece solo qualche passetto indietro. Rheba si sentiva i muscoli a pezzi per la corsa. D'un tratto udì delle grida. M/Dur riapparve quasi subito, facendole degli strani segni. La Danzatrice allora, senza neanche aspettare M/Dere, si lanciò verso il punto dove l'entrata s'apriva in una curva. La ragazza sfrecciò contro la curva... e per poco non andò ad urtare la parete. Dove ci sarebbe dovuta essere l'entrata,
non c'era altro che una superficie Zaarain. La Danzatrice cercò freneticamente delle congiunzioni, delle crepe nascoste, qualsiasi indizio che l'entrata non terminava proprio lì dove lei aveva la mano. Cercò di scoprire dove finiva l'entrata e dove cominciava la parete. Purtroppo non c'era niente che potesse aiutarla a capire dove si trovava. Vedeva solo superfici fredde, colori ondeggianti e il silenzio totale. Emise un suono di frustrazione e sconforto, poi batté il pugno contro la parete. Ma non ebbe risposta; nessun cambiamento si verificò neanche nella parete intatta. Intorno alla Danzatrice del Fuoco c'era solo distruzione, e niente che potesse bruciare. Capitolo XXIII Rheba si girò di scatto quando s'accorse che le si stava avvicinando Daemen. «Mi era sembrato di capire che tu ci avessi consigliato la strada giusta per arrivare al Nucleo,» ringhiò Rheba. «Tu ci hai condotto verso una morte sicura!» «Io ho detto che la porta era Zaarain. Niente di più,» le rispose semplicemente La Fortuna. «Porta?» ripeté Rheba voltandosi. «Vorresti farmi intendere che questa è una porta?» «Le porte Zaarain sono alquanto diverse dalle altre.» Rheba fischiò diverse frasi Bre'n non troppo piacevoli ad udirsi. Allungò la mano e con la punta delle dita sfiorò dolcemente la porta/parete in cui all'improvviso terminava l'entrata. Percepì intorno a sé vaghe energie, ombre pallide che fecero sembrare la debole luce del sole di Daemen simile ad una forza vorace. Si appoggiò dolcemente alla porta. I sui capelli ondeggiarono con un sussurro simile a seta e s'aprirono a ventaglio in cerca di tenui correnti d'energia libera. Rheba rimase per alcuni minuti ammutolita di fronte alla porta esaminando il modello esotico, marchio di garanzia della costruzione Zaarain. Fu un'operazione anche più delicata di barare a Caos controllando il computer del Buco Nero. Le sue Linee Akhenet scintillarono incandescenti, pulsando al ritmo del suo cuore. Apparvero anche delle nuove Linee, confusi arabeschi di linee d'energia sulle spalle e sul collo; alcune linee spira-
leggiavano sui polpacci duplicandosi e diramandosi un po' dovunque, finché le sue mani ed i suoi piedi non s'illuminarono e brillarono come l'oro fuso. D'un tratto, Rheba percepì qualcosa che assomigliava molto ad un ordine provenire dalle molecole all'interno della costruzione Zaarain. La ragazza eseguì gii ordini alla perfezione. Se ci fosse stato Kirtn, l'avrebbe sicuramente applaudita. Non riuscì comunque a localizzare nessun punto debole all'interno della porta. La serratura era la porta e viceversa. In un primo momento pensò di aver localizzato il nodo dove convergevano le varie energie. Ma, anche quando trovò la sua esatta collocazione, il nodo le sfuggì. Senza il suo Bre'n non si sentiva molto sicura. Aveva bisogno di precisione. Né poteva semplicemente incenerire un buco grande quanto un uomo nella porta usando tutta l'energia a sua disposizione. Le costruzioni Zaarain erano troppo resistenti per tentare cose del genere. Rheba individuò il nodo nebuloso indirettamente, seguendo le energie che lo nutrivano all'origine. L'energia grezza esplose lungo le linee appena Rheba sfiorò una corrente proveniente dall'Insieme Zaarain. All'improvviso la ragazza si tirò indietro. Le sue mani fumavano appena, bruciacchiate dall'energia che aveva inavvertitamente richiamato a sé. Appena riuscì a controllare il dolore, Rheba afferrò un ombra in movimento all'interno della costruzione. L'ombra era vicina al posto dove lei avea creduto d'aver sentito il nodo-serratura. «È stato messo qui un cristallo chiave?», chiese a Daemen, indicando una zona a livello degli occhi. «Mi sembra di ricordare che superasse la mia testa,» le rispose Daemen indeciso. «Allora dovevi essere molto piccolo.» «Oh.» Daemen lanciò un'occhiata furtiva al posto dove la mano della Danzatrice contrastava con i suoi ricordi dell'infanzia. «Sì... penso proprio di sì.» «Fatti indietro. Tra breve, tutto qui sarà avvolto nelle fiamme.» Daemen indietreggiò frettolosamente. Gli occhi color cannella di Rheba diventarono dorati appena la Danzatrice assorbì l'energia nel suo corpo. I suoi capelli cominciarono a crepitare e trascorse parecchio tempo prima che riuscisse a controllarsi. Le sue Linee di Potenza Akhenet scintillarono di vita. Per un lungo momento, Rheba giunse quasi all'orlo della Danza, creando delle energie in coesione. Per un terribile istante, la ragazza dimenticò perfino Kirtn per l'intensità che quasi
scosse la sua Danza. Dopo un po', Rheba mosse la sua mano crepitante e lasciò che l'energia le defluisse dal corpo. Una saetta di luce brillante blu-bianca si propagò dalla punta delle sue dita verso l'Insieme Zaarain. I colori ondeggiarono verticosamente sulla sua superficie. L'unica costante era la luce richiamata da una Danzatrice del Fuoco, una luce assorbita pian piano da una porta antica milioni di anni. Dai colori spiraleggiò tutt'intorno un fumo misterioso che odorava di polverina dorata e di antichità. Il fumo sembrò quasi volesse sedurla dolcemente come il respiro del suo Bre'n, caldo come il corpo di Kirtn contro il suo. Rheba urlò agitando la mano. Intanto l'energia si diffondeva nell'aria. Un terribile dolore ai denti ruppe l'incanto creato dal fumo misterioso. La mano della Danzatrice si fermò. L'energia si condensò in un implacabile fascio di luce. La porta sospirò e si dissolse dietro l'edificio, così rapidamente che un Seur dall'altra parte fu trafitto dall'energia emanata dal corpo di Rheba. La sorpresa fece più effetto di un vero e proprio attacco. I Seur corsero via terrorizzati. Si ritirarono nell'entrata, incapaci di fronteggiare quella straniera che bruciava più del sole. La Danza di Rheba finì quando l'esaurimento la fece barcollare. Cadde sul cadavere del Seur che aveva ucciso pochi attimi prima. Soffocando un urlo, Rheba rotolò di lato rannicchiandosi su se stessa: era troppo stanca per rimettersi in piedi. I suoi capelli, non più incandescenti, le ciondolavano mollemente sul seno, e le sue Linee Akhenet non erano altro che ombre vaghe sotto la sua pelle. Per bruciare la serratura Zaarain, la ragazza aveva esaurito tutte le scorte d'energia e forse alche qualcosa di più. Fu molto più difficile che danzare da soli. M/Dur la superò e corse verso l'entrata, seguito dai clepts. «Rheba?» La voce della Fortuna era esitante, impaurita. «Avevo sentito la storia su come era morto il Loo-chim, ma non le avevo prestato molta attenzione...» Le tese una mano per aiutarla ad alzarsi, ma poi s'allontanò. Aveva paura di toccarla dopo quanto aveva visto. M/Dere scostò La Fortuna. Le sue mani piccole ma robuste, aiutarono Rheba a rimettersi in piedi. Gli occhi color rame antico di M/Dere fissarono a lungo la sua J/taaleri per controllare che fosse tutto a posto. Poi scosse la testa per porre il quesito a Rheba nel linguaggio dei segni J/taal.
Rheba cercò di camminare dietro a M/Dur, appoggiandosi al muro per tentare di fare i primi passi. Quando M/Dur ed i clepts tornarono indietro, Rheba stava camminando più velocemente ma, di tanto in tanto, si serviva ancora della parete per sentirsi più sicura. Gli J/taal si scambiarono un lungo sguardo silenzioso. Non era la prima volta che Rheba era costretta ad imprecare per l'assenza del serpentellotraduttore. Fssa di sicuro le avrebbe saputo dire cosa avevano trovato gli J/taal. «Probabilmente è la seconda porta Zaarain,» disse Daemen tranquillo, quasi come se non fosse anche interesse suo portare a termine l'operazione. Rheba s'accasciò contro la parete e sperò che non fosse vero. Non aveva la forza per lottare ancora da sola contro un'altra costruzione Zaarain. M/Dere le sfiorò le spalle per avere la sua attenzione. Rheba la guardò e le sembrò di scorgere la compassione negli occhi verdi della J/taal. M/Dur, in punta di piedi, allungò al massimo le braccia. Poi abbozzò il profilo di un uomo, un uomo possente. Terminato lo schizzo, toccò la peluria di M/Dere e tornò ad indicare il profilo immaginario. «Kirtn?» Rheba si raddrizzò e provò una paura tremenda, una sensazione simile a quella dell'acqua fredda nelle vene. «Hai visto Kirtn?» M/Dur fece il gesto J/taal dell'assenso. Rheba si fece subito largo tra gli J/taal e corse verso l'entrata. Se M/Dur aveva visto Kirtn, questo significava che f'lTiri era ferito o troppo stanco per celare il Bre'n sotto le sue illusioni. In entrambi i casi, comunque, sembrava proprio che Kirtn avesse dei problemi. Aveva bisogno d'aiuto. L'entrata curvò a sinistra, a destra, e poi ancora a sinistra. Ogni cambiamento di direzione era contraddistinto da improvvise gradazione di colore ondeggianti sulle pareti e sul pavimento. L'entrata curvò ancora a destra e poi terminò. Rheba era troppo stanca per fermarsi da sola. Urtò contro la porta Zaarain con una violenza che le fece vedere doppio. Si appoggiò alla porta, agitò la testa, e cercò di rimettersi in sesto. Poi realizzò che stava vedendo, al di là della stanza, Kirtn circondato da una torma di nemici e, dietro di lui, il luccichio pallido del riciclatore fluido. Rheba urlò il nome di Kirtn, ma lui non poté sentirla oltre la porta a meno che non la stesse vedendo come vedeva lei, e non già doppio come aveva creduto in un primo momento. I Seur fecero girare vorticosamente per aria le loro sferze e i loro coltelli.
Kirtn s'allungò per prendere Fssa, troppo pesante ormai intorno al suo collo. Con un lancio potente Kirtn tirò lo Fssireeme e il suo carico di zoolipt in direzione del riciclatore. Il serpentello, atterrato in mezzo ai Seur, li costrinse a fuggire. Ma, invece di procedere verso il riciclatore, Fssa tornò indietro verso il Bre'n urlando contro i nemici che s'insinuavano furtivamente dietro le spalle di Kirtn. Rheba accusò un tremendo dolore alle spalle; poi cominciarono a martellarle anche le tempie e, dopo un po', il dolore le impedì perfino di gridare. Fssa invece non soffriva come gli altri. Il serpentello vomitò lo zoolipt con uno strillo Fssireeme di pericolo che fece tremare anche le pareti Zaarain. La visione si rovesciò, scivolò e il pavimento raggiunse Kirtn avvolgendolo in un'oscurità senza fine. Rheba si graffiò i piedi. Ormai non vedeva altro che la porta Zaarain di fronte a lei, non sentiva altro che la sferzata di dolore che aveva scagliato Kirtn in uno stato d'incoscienza totale. In un solo terribile istante, la ragazza provò di tutto, vide di tutto, capì tutto quello che poteva bruciare con la sua mente. I Seur gridarono il loro odio mentre un coltello squarciava la possente muscolatura Bre'n fino ad arrivare agli organi interni; il serpentello, nel frattempo, si lamentava angosciato, e l'Insieme Zaarain vibrava d'immortalità misteriosa. Kirtn stava morendo. Rheba non poté illuminare l'oscurità che si confondeva inesorabilmente intorno a lui, né poté toccarlo. Lo strinse più forte che poté, perché Kirtn stava sfuggendo al suo abbraccio come il crepuscolo della sera. E poi toccò il Nucleo Zaarain. Sul suo corpo si delinearono nuove correnti d'energia molto simili a quelle che avevano permesso all'astronave di balzare nello spazio. Rheba si contorse come un verme in casseruola quando le nuove Linee di Potenza Akhenet le bruciarono il cervello. La ragazza comunque sentì il dolore solo marginalmente perché non esisteva agonia più atroce di quella del suo Bre'n che stava morendo fuori dal raggio d'azione della luce della sua Danzatrice. La ragazza avvolse il Nucleo sulle sue spalle come un mantello e si allungò di nuovo verso Kìrtn. La porta si vaporizzò in una nuvola di fumo dorato, lasciandole orribili bruciature dovunque non fosse protetta dalle Linee di Potenza Akhenet: Il dolore era tremendo, ma Rheba non lo sentiva. In quel momento sentiva solo il bisogno di stare col suo Bre'n.
Attraverso la coltre di fumo, Rheba vide alcuni Seur appoggiati alle pareti più distanti, altri in fuga, o caduti e luccicanti sotto una coltre di ghiaccio. La scena portava la firma dello Fssireeme, un predatore che aveva assorbito anche l'energia che faceva muovere gli elettroni, lasciando le sue vittime talmente ghiacciate che quell'umidità nell'aria condensata intorno a loro era diventata pian piano una coltre di ghiaccio. Kirtn giaceva di fianco tra i cadaveri luccicanti dei Seur, mentre Fssa si lamentava sulla peluria ramata. Nella mano Kirtn aveva il coltello insanguinato che era riuscito a strapparsi dalla carne dilaniata al momento della caduta. La ragazza s'inginocchiò vicino a lui con le sue Linee di Potenza Akhenet fiammeggianti. Gli tastò il polso per sentire qualcosa che la potesse tranquillizzare sul suo stato di salute. Provò un senso di dolore lontano, un'emozione lontana. La vita stava scivolando via sotto la punta delle due dita escoriate, il sangue le scorreva lungo il corpo coperto da bruciature che oscuravano l'oro delle sue Linee Akhenet. Non trovò il polso, sebbene dal poco sangue zampillato sul pavimento arguiva che Kirtn fosse ancora vivo. Rheba lasciò che la sua energia defluisse nel corpo del suo amato Bre'n. Non ci fu alcuna reazione. La Danzatrice aumentò il flusso d'energia, ma fu come cercare d'attivare una nave spaziale con una candela. Fu allora che Rheba rubò il Nucleo Zaarain, rischiando la morte quasi per caso, accettando la bruciante agonia che quel fatto le procurava. Ma neanche l'energia del Nucleo fu sufficiente perché, neanche gli Zaarain erano ancora riusciti a scoprire come riportare in vita una persona in punto di morte. Intirizzita, la ragazza lasciò andare il Nucleo. Rheba accarezzò il volto di Kirtn con mani tremanti, dorate come gli occhi del suo Bre'n ormai fissi nel vuoto. Chiuse gli occhi e sentì il freddo scivolarle lungo la punta delle dita, dopo aver sentito il lamento di Fssa provenire dalla notte dei tempi. Le sembrò che la sensazione di freddo si muovesse lungo il corpo. Aprì gli occhi e si accorse di uno splendido zoolipt turchese lungo il suo corpo e sul volto di Kirtn. Era troppo intirizzita per muoversi. Rheba si limitò ad osservare la sua pelle rabbrividire al tocco gelido dello zoolipt. Lo zoolipt tremò al contatto delle bruciature sotto le Linee Akhenet di Rheba. Uno strano formicolio le percorse il corpo ad ogni battito del cuore. Lo zoolipt avvolse il corpo martoriato della Danzatrice come un velo
turchese. Il formicolio diventò poi una sensazione di energia diffusa in tutto il corpo. Cercò di muoversi ma non ci riuscì. Lo zoolipt la teneva in una stretta decisa; le permeava il corpo cellula per cellula moltiplicandosi ed assaporandola in modo da lasciarla turbata. Poi, con un suono simile ad un lungo sospiro, il velo turchese si dissolse per ricadere su Kirtn. Rheba fissò la scena pensando che lo zoolipt ora fosse diventato più scuro, più compatto e con più tonalità di blu svolazzanti sotto la sua superficie. Lo zoolipt tremò facendo roteare in aria una parte si sé come un clept in cerca della sua pista. Prima che Rheba potesse muoversi, lo zoolipt salì lungo la schiena di Kirtn e s'infilò nella profonda ferita del Bre'n. Rheba cercò di allontanare con un gesto lo zoolipt dal corpo di Kirtn, ma esso s'infilò tra le sue dita. Le sue dita. Rheba si guardò le mani. Non riusciva a credere ai suoi occhi. Non c'era più sangue raggrumato, non c'erano più le vecchie bruciature: le sue mani erano lisce e perfette come quelle di un neonato. Guardò le mani, poi il resto del corpo, ricordandosi dell'istante in cui la porta Zaarain si era vaporizzata, bruciandola così profondamente che la sua mente si era rifiutata di ammettere la realtà dei messaggi dolorosi. Ma ora non aveva,più dolore, solo una strana euforia che eccitava tutto il suo essere. Ogni ferita si era rimarginata come quando era uscita dalla pozza vivente di Piazza Uno. Anche se stavolta le cose erano andate in modo diverso. Questa volta lo zoolipt non si era accontentato di un semplice assaggio. Era diventato una parte della Danzatrice. Rheba fissava terribilmente affascinata lo pseudopodo zoolipt che era rimasto fuori del corpo di Kirtn. Lo zoolipt ora era più piccolo ma sempre compatto e con le tonalità del blu lungo la sua superficie. Ora era molto più blu e molto più verde. Si notavano delle correnti, dei frammenti verdeazzurro e vivide scintille di turchese simili alla risata che le disegnava il volto. Sospirava, succhiava dolcemente. Ad un certo punto, lo zoolipt fece scivolare Kirtn delicatamente sul pavimento insanguinato. Simile ad un'ameba, superò i cadaveri freddi dei Seur morti. Pian piano la barriera di ghiaccio dei cadaveri sfiorata dallo zoolipt, assunse delle splendide tonalità di blu che riflettevano la sua immagine. Quando lo zoolipt indietreggiò, il ghiaccio cadde al suolo in un delicato motivo musicale. I cadaveri erano
scomparsi. Lo zoolipt si era ingrossato. E il cuore di Kirtn cominciò di nuovo a battere sotto le mani della Danzatrice del Fuoco. Capitolo XXIV Per un istante, Kirtn, intirizzito, si rimise in piedi trascinando anche Rheba. Aveva ancora il coltello con cui era stato ferito in mano. Ricordava solo che gli avevano teso un'imboscata. Diede un'occhiata veloce in giro e subito realizzò che la lotta si era conclusa da un pezzo. I Seur morti giacevano un po' dovunque. Quelli vivi si erano ritirati verso la stanza dell'immenso riciclatore dove erano tenuti a bada dagli J/taal, dai loro clepts e da un Illusionista esausto ma per fortuna ancora in vita. La gioia di Rheba si trasmise come un elettroshock nel corpo del suo Bre'n; Kirtn si era unito alla danza della mente della ragazza. L'umanoide quindi realizzò quello che aveva visto e sentito Rheba dall'istante della doppia visione della porta Zaarain. Nascose il suo volto nella folta chioma di Rheba e cercò di convincere entrambi che non era morto. «Come ti senti, Kirtn?», gli chiese la ragazza piegando la testa e fissando i suoi meravigliosi occhi a mandorla, ancora vivi. «Io...» Esitò, poi disse con un po' di sorpresa nel suo tono di voce: «Non mi sono mai sentito meglio.» Un fascio di luce turchese brillò all'angolo della stanza e Kirtn trasalì. «Cos'è quella cosa lì?» Rheba seguì la direzione del suo sguardo. Non poté smettere di tremare quando lo zoolipt si condensò intorno ad un altro cadavere Seur. «Quello è lo zoolipt.» «Sei sicura?», le chiese Kirtn lanciando un'occhiata veloce allo zoolipt e ricordando la quantità che Fssa ne aveva trangugiato. «Non trovi che sia un po' più ingrossato di prima?» «Sì,» tagliò corto Rheba; «è proprio ingrossato.» Un nuovo grido diventò in breve un tintinnio musicale. Lo zoolipt si scrollò di dosso alcuni pezzi di ghiaccio e ondeggiò sui cadaveri dei due Seur più vicini a lui. «Fssa?», sussurrò il Bre'n realizzando solo in quel preciso istante come erano morti i Seur. «È stato Fssa?» La risposta fu un fischio Bre'n che vibrò di vergogna. Lo Fssireeme scivolò in direzione di Kirtn. Il corpicino incandescente del serpentello fu percorso da una fitta rete di linee scure. Le linee mostravano la sua vergo-
gna nel rivelare la sua sgradevole eredità predatoria; l'incandescenza invece, dimostrava che Fssa era ormai ben fornito d'energia, avendola succhiata fino all'ultima molecola dai corpi inermi dei Seur. Kirtn, comprendendo in quel momento i sentimenti di Fssa, fischiò uno stravagante elogio della bellezza del serpente e una serie di ringraziamenti per avergli salvato la vita. «Non sono bello,» si lamentò Fssa, «Io sono un parassita, ed è stato lo zoolipt a salvarti la vita.» Rheba contò i cadaveri dei Seur. «Se non ci fossi stato tu, mio caro serpentello,» suonò decisa la voce di Rheba, «allo zoolipt non sarebbe rimasto nulla da salvare.» La Danzatrice del Fuoco s'inginocchiò e allontanò Fssa da lei. Era così incandescente che Rheba, toccandolo, si bruciò le mani e la cosa fece vergognare ancora di più Fssa. «Non preoccuparti, è stato uno sbaglio mio,» rifletté la ragazza facendo ondeggiare i suoi capelli intorno al serpentello. «Avrei dovuto avere tanto buon senso da non prenderti in mano quando ti ho visto bruciare.» Fssa scomparve nella folta chioma di Rheba sprigionando tutto il calore a sua disposizione, sebbene sapesse che i capelli della Danzatrice del Fuoco non sarebbero mai bruciati neanche per la presenza incandescente di uno Fssireeme. Diffondere il calore che lui tanto amava era una sorta di autopunizione per il modo in cui se l'era procurato. Rheba sentì il calore nei suoi capelli ed intuì quello che stava facendo Fssa. Realizzò dunque anche il perché. Non riuscì a trovare un modo per consolarlo. Sospirò, poi si guardò le mani chiedendosi come aveva fatto a non bruciarsele. Mentre continuava a fissare le proprie mani, Rheba si accorse che anche l'ultima delle vesciche si era pian piano rimpicciolita ed ora era scomparsa del tutto. «Cosa...?», disse Kirtn avvicinando la mano di Rheba e guardandola attonito. Sfiorò delicatamente con la punta delle dita la sua mano e s'accorse che era completamente guarita. Rheba si morsicò le labbra. Se fino a quel momento aveva avuto solo dei dubbi sulla presenza o meno di qualche piccolo frammento di zoolipt nel suo corpo, la mano guarita ne era la riprova. «Lo zoolipt, è stato lui,» sussurrò a Kirtn. «Spero che non si sia stancato del mio gusto in tutto questo tempo.» «E del mio?», chiese Kirtn. «È anche nel mio corpo?»
«Sì,» sorrise, «ma nessuno potrebbe mai stancarsi del tuo gusto.» Kirtn chiuse gli occhi per cercare di concentrarsi e di sentire la presenza di quella creatura aliena dentro di sé. Tutto quello che riuscì a percepire, fu un senso dilagante di benessere e di forza, cosa che non provava da quando Deva era stata distrutta e loro avevano cercato di fuggire verso l'astronave. Grazie, zoolipt, chiunque e dovunque tu sia L'umanoide sentì come un'eco distante di piacere, ma non poté esserne sicuro. In silenzio, Rheba e Kirtn osservarono attentamente lo zoolipt assorbire un altro cadavere. La costruzione Zaarain-pianta, animale, macchina o tutte e tre le cose insieme, s'arricchì delle varie tonalità del blu sotto la coltre di ghiaccio. Anche i Seur lo guardavano terrificati ed affascinati nello stesso tempo. Quando la coltre di ghiaccio svanì e lo zoolipt si mosse nella loro direzione, i Seur si lamentarono e cominciarono ad imprecare contro la loro Fortuna. Tutto scarmigliato, Tric fece qualche passo in avanti si pose tra lo zoolipt che avanzava e gli altri Seur. Anche se era visibilmente sconvolto, Tric aspettò che lo zoolipt lo divorasse. «Non ti farà alcun male,» gli disse Daemen quando Tric si fece avanti per fronteggiare lo zoolipt. Lo strano essere ad ogni passo faceva vibrare le sue sporgenze. A poco a poco si posizionò dietro la Fortuna. «Vedi? È un riciclatore. Una macchina. Non fa alcun male agli esseri animati.» Tric guardò Daemen un po' dubbioso. «È questo il dono per il tuo popolo? Un riciclatore nuovo? Un riciclatore che ci ridurrà alla fame o che ci avvelenerà?» Il sorriso smagliante di Daemen avrebbe potuto illuminare un pianeta dimenticato dalla luce del sole. «È cibo. Per il futuro. È il mio dono al popolo di Daemen,» dichiarò dolcemente. «Io sono la Buona Fortuna, Zio-e-Padre. Forse la migliore fortuna che questo pianeta abbia mai conosciuto.» Pian piano, i Seur s'allontanarono dalla parete cui erano appoggiati e fecero qualche passo avanti per capire meglio cosa prospettava loro il futuro. Lo zoolipt inghiottì l'ultimo cadavere diffondendo intorno a sé una profusione di tonalità blu. I Seur lo guardarono come se apprezzassero la sua efficienza. Kirtn e Rheba si guardarono negli occhi, ricordando Piazza Uno dove la porzione più grande di quello zoolipt era riuscita a sovrastare il caos gene-
rale. Un caos salutare, ma sempre caos. Non solo lo aveva sovrastato, ma anche provocato. Runner, burrower, flyer, lo zoolipt sperimentava i sentimenti di un idiota... o di una Divinità. Lo stesso zoolipt ora faceva parte dei loro corpi, si moltiplicava, facendo risuonare dentro di essi gli echi del suo piacere turchese. Macchina? I due Akhenet non erano d'accordo. Divinità? Speravano ardentemente che non lo fosse. Anche l'ultima coltre di ghiaccio si dileguò. Senza fiatare, Rheba e Kirtn avanzarono verso l'ingorgo zoolipt. Era grande quanto la ragazza e molto più pesante di prima. La sua superficie riluceva delle varie tonalità del blu. Kirtn esitò un po', poi si curvò sullo zoolipt e cominciò ad avvolgerlo in una sfera, imitato da Rheba che cercava di fare la sua parte. Nessuno dei due fiatò. I Seur cominciarono ad avanzare borbottando. Fssa fece capolino dalla folta chioma di Rheba. Il serpentello lanciò un sibilo malevolo, e i Seur si fermarono: avevano già visto lo Fssireeme in azione. Non desideravano affatto diventare delle sculture di ghiaccio scolpite da un alieno come Fssa. E, per di più, non erano ancora convinti che La Fortuna fosse la loro salvezza. I Seur fissarono intensamente lo zoolipt col sospetto, nutrito da anni, di essere vittine di un riciclatore capriccioso. «Cosa stai facendo?», chiese Daemen guardando Rheba con curiosità. «Lo sto facendo girare nella minestra,» rispose Rheba, gesticolando con un ricciolo dei suoi capelli in direzione della pozza vuota del riciclatore. «Oh... Posso aiutarti?» «Hai qualche ferita?», gli chiese Rheba, borbottando qualcosa mentre afferrava una spira scivolosa dello zoolipt e la rimetteva al suo posto. Daemen si guardò le mani ed i piedi. Come al solito, l'aveva scampata bella. Aveva solo qualche graffio. «A quanto pare, quando abbiamo preso un pezzetto di questo zoolipt, gli abbiamo dato un'idea; lo zoolipt ha capito che poteva vivere separatamente dalla massa centrale. Poi ha avuto un'altra idea. Vivere nel nostro corpo.» «Cosa significa quello che stai dicendo?» Kirtn si distolse dal suo lavoro. «È in noi. È dentro i nostri corpi.» Lo zoolipt tremò sotto le sue mani come marmellata blu. «Si è insinuato nel nostro corpo attraverso le ferite. Forse poi gli siamo talmente piaciuti che ci ha concesso che le nostre ferite si rimarginassero al più presto. Oppure userà le ferite come scusa per cambiare residenza. Tu sei La Fortuna. Scegli tu la supposizione migliore.»
Kirtn si curvò sulla massa compatta dello zoolipt e la lanciò in aria. Lo zoolipt rotolò, e Rheba ne deviò il percorso in direzione della pozza. In questo modo la ragazza immerse le mani fino ai polsi nella pozza. Daemen guardò i palmi delle sue mani leggermente escoriati e decise che quella volta avrebbe sfidato la sua fortuna. Quando lo zoolipt sembrò arrivare dalla sua parte, Daemen fece un balzo indietro per evitarlo. Rheba, Kirtn e lo zoolipt ciondolante, s'avviarono verso la pozza di riciclaggio facendo crescere sempre più i borbottii dei Seur. Il loro riciclatore non era granché, ma senza di lui sarebbero sicuramente morti. «È tutto a posto,» li incoraggiò Daemen. Rivolse uno dei suoi soliti sorrisi smaglianti a Tric. «Dico sul serio. Lo zoolipt è stato l'artefice della difesa di Piazza Uno dopo che la griglia è diventata eccentrica. La nostra griglia è intatta. Immagina cosa sarà capace di fare per noi questo zoolipt.» Rheba e Kirtn si scambiarono una lunga occhiata. Stavano solo fantasticando, era vero, ma i loro pensieri non erano dei più confortanti. «Siate pronti a fuggire quando lo scaraventeremo nella minestra,» fischiò il Bre'n acido. Fssa tradusse per gli J/taal e l'Illusionista, avendo cura di tralasciare i linguaggi noti ai Seur. Gli J/taal si schierarono in una formazione protettiva. Fssa sollevò il capo dai capelli di Rheba ed indirizzò i suoi sensori sui Seur che erano alquanto agitati. Lo zoolipt tremò sul bordo della pozza. Era soprendente il contrasto tra il turchese pallido quasi invisibile della pozza, e le varie tonalità del blu del grosso zoolipt. Sembrava impossibile che le due forme di quasi-vita davanti ai loro occhi, non avessero alcuna relazione tra loro. Kirtn esitò, poi guardò Daemen. «Sei sicuro che sia questo quello che desideri?.» Daemen sorrise. «Ma naturalmente!» Kirtn si strinse nelle spalle. «Il pianeta è il tuo.» Scaraventò lo zoolipt nella minestra. Rheba trattenne il respiro aspettando la replica del disastro verificatosi quando Arcobaleno era stato catapultato nel nucleo di Centrins. Kirtn le strinse il polso, pronto a tirarla indietro se fosse accaduto qualcosa di strano. Lo zoolipt rotolò sul fondo della pozza. E lì rimase. Le luci s'abbassarono. Rheba cominciò ad ansimare. La stretta di Kirtn si fece meno opprimen-
te intorno al suo polso. Lo zoolipt esplose nella minestra. Tutte le varie tonalità del blu brillarono insieme tremando di vita. Poi apparvero anche le tonalità del verde, quelle malinconiche, penetranti e luminose. Il fondo della pozza fu sconvolto da un tumulto di smeraldo. Quando si calmò di nuovo, la pozza diventò verde-azzurro. Ora assomigliava ad un mare verde-azzurro traslucido dove le luci color smeraldo ondeggiavano sulle correnti turchesi. Kirtn fischiò un dolce omaggio alla misteriosa bellezza dello zoolipt. I Seur sospirarono guardando la loro Fortuna con un certo sgomento. Le luci di spensero. Kirtn lanciò alcune maledizioni. Un'alba incredibile si diffuse su Centrins, allontanando la sua abituale luce crepuscolare. Le varie superfici Zaarain brillarono, liberando la loro luce come tanti gioielli. D'un tratto, s'udì una canzone tanto dolce da far tremare di gioia persino Fssa. Tutti gli astanti, per un breve attimo, vissero in un mondo perfetto, sospeso in una misteriosa brillantezza. I colori ondeggiarono sulla parete. Poi svanirono per mostrare il resto dell'Impianto. Come i sensori esterni di un'astronave, la parete allargò l'inquadratura della città. Sotto le macerie del tempo e dell'ignoranza si distinguevano ancora perfettamente i marciapiedi Zaarain simili ad antichi gioielli. Le stazioni del nutrimento sprizzavano vita e risuonavano di fragranze e gusti come non era mai accaduto nella storia Seur. La folla dei Seur scheletrici accalcò le stazioni: essi si ingozzarono di cibo secondo le loro necessità. Inebetiti e satolli, dopo il pranzo si stesero sui marciapiedi come sul letto di casa. Dormivano contenti come se nascessero a nuova vita. Le stazioni del nutrimento diventarono delle fonti di polverina dorata. Cominciarono a formarsi cumuli di fragrante oro, che ricoprivano teneramente i corpi dei dormienti. La parete diventò ancora una volta una sinfonia di colori. Rheba aprì gli occhi e si svegliò dall'incanto Zaarain. Si voltò verso i Seur per chiedere se fossero soddisfatti della loro Fortuna. I Seur se ne erano andati. «Ho pensato che quest'ultimo gruppo avrebbe capito le nostre buone intenzioni,» disse Kirtn. Si voltò speranzoso alla sua sinistra, ma La Fortuna era ancora lì. Il Bre'n sospirò. «Ancora qui?» Daemen sorrise timidamente.
«Ti volevo ancora ringraziare per quanto hai fatto per me.» «Tu sei La Fortuna, non noi.» «Non avrei potuto far molto senza di voi.» Kirtn non realizzò dove volesse andare a parare Daemen. «Tu sei il benvenuto.» Si voltò in direzione di Rheba. «Pronta?» «Aspetta,» gli disse Daemen all'improvviso. «Voi due avete salvato il mio popolo dall'estinzione. Lasciate che faccia anche io qualcosa per il vostro.» «Cosa vorresti fare?», gli chiese Rheba. «Voi cercate altri vostri congeneri.» «Sì.» La voce di Rheba suonò dura come del resto succedeva ogniqualvolta pensava alla possibilità di trovare altri Bre'n e Senyasi, o quando sperava di trovare un nuovo mondo su cui costruire una nuova cultura Akhenet. «Sai per caso dove si trovano i nostri congeneri?» «No. Ma sono La Fortuna. Prendetemi con voi.» Daemen toccò dolcemente il braccio di Rheba. «Lasciate che vi aiuti. Per piacere.» Kirtn guardò il giovane uomo dal sorriso complesso e meraviglioso come un Insieme Zaarain. Il Bre'n avrebbe voluto afferrare la sua Danzatrice del Fuoco e fuggire via lontano, ma la scelta doveva essere di Rheba. Kirtn aspettò che lei decidesse; aveva freddo. Daemen non le avrebbe potuto fare una proposta più allettante. «Ma cosa ne sarà del tuo popolo?», chiese Rheba. «Sarà la macchina a prendersi cura di loro. Ormai non hanno più bisogno di me.» Rheba pensò a Piazza Uno e si meravigliò. Nonostante le assicurazioni di Daemen, lei sapeva che lo zoolipt non era una macchina. Era viva ed intelligente dietro il suo fascino. Ora aveva messo le sue mani — o qualunque cosa fossero — sulla più sofisticata tecnologia mai conosciuta dall'uomo nei vari Cicli. Cosa sarebbe accaduto in seguito era molto più che una questione di fortuna. La sua Fortuna. Se Rheba lo avesse accettato di nuovo a bordo del Devalon usandolo per trovare il suo popolo, avrebbe poi provocato l'estinzione del... popolo di Daemen? Era un prezzo molto alto per la sopravvivenza degli Akhenet. E poi, nel profondo della sua mente, c'era sempre la voce di Satin: Gettalo nello spazio! Non che Rheba fosse d'accordo con Satin. Daemen non era la sfortuna. Non del tutto. Ma in sua compagnia era stata picchiata, drogata, ed era sta-
ta quasi per morire sotto una galleria e per essere divorata da uno zoolipt molto ingordo; e, quello che era ancora peggio, Rheba aveva sentito il suo Bre'n morirle tra le braccia. Naturalmente, tutto si era risolto per il meglio, lei e Kirtn erano ancora vivi, aiutati entrambi da qualche Divinità... Rheba non sapeva quanto altro tempo sarebbe potuta durare quella fortuna. «Tu appartieni al tuo popolo,» gli disse. «Sono loro che ti hanno educato. La tua fortuna spetta a loro.» Gli baciò le guance. «Ma grazie lo stesso.» Daemen accarezzò i capelli di Rheba cercando di sorridere. «Buona Fortuna, Danzatrice del Fuoco. Se cambi idea, ricordati che io sono qui a tua disposizione.» Si liberò di Arcobaleno e lo diede a Kirtn. «Non ne avrò più bisogno, ormai.» I due Akhenet lasciarono La Fortuna mentre cercava di abbozzare un sorriso vicino alla pozza animata. In silenzio, gli J/taal ed i clepts esplorarono la nuova città. Non si notava nessun pericolo, solo la fragranza penetrante della polverina dorata che si diffondeva nell'aria. Rheba seguiva Kirtn, ma non s'accorse neanche della strada fatta per raggiungere l'astronave. Quando scorsero il Devalon in lontananza, riconobbero per prima cosa la corona d'energia scintillante tutt'intorno. Il tubo di scarico era già fuori. Il Devalon sarebbe stato pronto a decollare non appena i due Akhenet fossero saliti a bordo. Kirtn fischiò un complicato ordine Bre'n. La fragranza della polverina dorata si diffuse per l'aria appena l'astronave tirò fuori la scaletta mobile per permettere ai due di salire a bordo. «Ti dispiace che Daemen non sia venuto con noi?», le chiese Kirtn mentre salivano sulla scaletta, incapace di sopportare il silenzio di riflessione di Rheba neanche un minuto di più. «Cosa?», gli rispose Rheba. «La Fortuna. Ti dispiace che l'abbiamo lasciato qui?» I suoi capelli ondeggiarono. «Non stavo pensando a lui. Stavo solo pensando...» L'astronave s'aprì facendo bella mostra dei suoi passeggeri impazienti di tornare alle loro dimore. Rheba si fermò, stupefatta di vedere quella varietà d'individui ai quali aveva promesso che li avrebbe riportati a casa. «Stavi pensando...?», le suggerì dolcemente Kirtn. «Guardali.»
Kirtn li guardò. «E allora?» «La Fortuna era solo uno. Come faremo a riportare a casa tutti gli altri?» Kirtn le sorrise. «Una Danzatrice del Fuoco, un Bre'n ed uno Fssireeme: cosa possiamo volere di più? Cosa ci manca?» In risposta ci furono i sottilissimi echi della risata dello zoolipt. FINE