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-- -_.- ~~"lçl1i:mo il testo d I uente frammentarietà, associate alla radicale c e Qo~eJe1 ". I" \ ' izionaJi della sapienza, avevano dato luogo a monJtestazlone dei va~oi:1 , d ' d'I questo l'b I o te perPl ' già pn , mtro uZJOne I ro ne canone ebraico A essltà ' , Ie emerge Ia compresenza, a distanza " rfICIa di po h nche ' a una letturaT1ma i che negano il senso della vita, del lavoro e del~' e ,n~?e di testo di rale, con altri passi che riaffermano i valori appe attlvlta ~mana i~ :~ cer~ar?~o a loro vo~ta spieg,~zioni ,alle incongru~~z~egatl: I padri della nco sIgmflcato allegOrICO e ali IpoteSI della compres ' affIdandosi a un temo del libro, Tale tipologia interpretativa è stataenza ~I d~verse voci )ttocento, quando ha cominciato a guadagnare spazi~c~o ta SIn? alla fine, aIe, se cioè l'opera fosse o meno nata da un'ispirazio n dubbiO " ventI, anm'I a d'IScUSSIone , u ItImI e" npresa con vigore' ne c unJtana.. lenti e metodi di verifica gli esegeti si interrogano SU'II'~\?UOVI pe~~ e su] su~ ~ig~ifi,cato teolo~ic?, su:lla possibilità che ~I~ s~~~~turale abIli contraddIZIOnI SIano autorI dIverSI, diverse stesure SI 'f' delle " sostenevano 1' P a d n, " tutto SI spieghi con le pratllcate' a se, come gia f I "o genere letterario «dialogico», ar ICO aTltà lia, nonostante il moltiplicarsi degli studi, non vi è oggi Converg I , , d'l lavaro, enza su I IpoteSI cilitare il proseguimento del dibattito l'autrice propone, nella prima una sintesi delle posizioni più significative; nella seconda, prende , dalle conclusioni e dai problemi rimasti aperti per proporre, attraverj mento al testo, un'interpretazione nuova, che tuttavia non ha alcuna I di essere definitiva: il principio ermeneutico delle molteplici letture si I pienamente a un testo aperto e problematico come il Qohelet,
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ha conseguito la Jaurea in filosofia presso l'università degli studi e in Teologia presso la facoltà teologica dell'Italia meridionale (sez. San Luigi). da molti anni religione nelle scuole statali, è coniugata con due bambini e I :nte impegnata nelle strutture della diocesi di Napoli, Insegna Teologia biblica a facoltà teologica di Napoli e l'Istituto superiore di scienze religiose di
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Supplementi alla Rivista Biblic.
VITTORIA D'ALARlO
IL LIBRO DEL QOHELET Struttura letteraria e retorica
VITTORIA D'ALARlO
RIVISTA BIBLICA Organo dell'Associazione Biblica Italiana (A.B.!.) Pubblicazione trimestrale Comitato direttivo: Giuseppe Ghiberti, Presidente dell'A.B.1. - Direttore: Antonio Bonora Comitato di redazione: Giuseppe Danieli, Rinaldo Fabris, Vittorio Fusco, Mauro Làconi, Rosario Pius Merendino, Antonino Minissale, Romano Penna, Mauro Pesce, Gian Luigi Prato, Gianfranco Ravasi Segretario di Redazione: Roberto Mela Direttore Responsabile: Alfio Filippi
IL LIBRO DEL QOHELET
Supplementi alla Rivista Biblica 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27.
Carena O., Il resto di Israele Spreafico A., Esodo: memoria e promessa Priotto M., La prima Pasqua in Sap 18,5-25 Valentini A., Il magnificat Vanni D., L'Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia Marcheselli-Casale C., Risorgeremo, ma come? Tosco L., Pietro e Paolo ministri del giudizio di Dio Boschi B. G., Le origini di Israele nella Bibbia fra storia e teologia Bosetti E., Il pastore Dalbesio A., Quello che abbiamo udito e veduto Carbone S.P., La misericordia universale di Dio in Rom 11,30-32 Cilia L., La morte di Gesù e l'unità degli uomini (Gv II,47-53; 12,32) Vesco l.-L., (a cura di), Cent'anni di esegesi. I. L'Antico Testamento Murphy-O'Connor J., (a cura di), Cent'anni di esegesi. II. Il Nuovo Testamento D'Alario V., Il libro del Qohelet
Struttura letteraria e retorica
COllEGIO
Sacerdoti del S. Cuor.
V. CASALE S. PIO V, 20· ROAf.fi\1
EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA
Abbreviazioni
I. LIBRI SACRI Gen, Es, Lv, Nm, Dt, Gs, Gdc, Rt, 1 2Sam, 1 2Re, 1 2Cr, Esd, Ne, Tb, Gdt, Est, 1 2Mac, Gb, Sal, Pr, 00, Ct, Sap, Sir, Is, Ger, Lam, Bar, Ez, Dn, Os, Gl, Am, Abd, Gn, Mi, Na, Ab, Sof, Ag, Zc, MI.
II. RIVISTE, COLLANE, OPERE Seguiamo le abbreviazioni di S. SCHWERTNER, Internationale Abkurzungsverzeichnis fur Theologie und Grenzgebiete. Zeitschriften, Serien, Lexica, Quellenwerke mit bibliographischen Angaben, de Gruyter, Berlin-New York 1974; riprodotte anche in: Theologische Realenzyklopiidie, Abkurzungsverzeichnis, zusammengestellt von S. SCHWERTNER, de Gruyter, Berlin-New York 1976.
III. LETTERATURA ANTICA: CLASSICA, GIUDAICA E CRISTIANA Si seguono le abbreviazioni del GLNT I, Paideia, Brescia 1965, 21 *-62*.
IV. ALTRE ABBREVIAZIONI AT BHS CEI col., colI. FS ibid. id.
it.
LXX
Antico Testamento Biblia Hebraica Stuttgartensia (K. Elliger-W. Rudolph, a cura di) Conferenza episcopale italiana colonna, colonne Festchrift ibidem idem italiano Settanta, traduzione greca dell'AT 7
Introduzione
I.
LE CONTRADDIZIONI DEL QOHELET UN PROBLEMA ANTICO
Solo recentemente il problema della struttura del Qohelet si è imposto all'attenzione della critica esegetica, che negli ultimi due decenni si è sforzata di dare una risposta rigorosamente scientifica a due interrogativi fondamentali: se il Qohelet sia un'opera unitaria dal punto di vista logico e tematico e se abbia di conseguenza una sua struttura,! nella quale si rifletta uno sviluppo organico di pensiero. Considerato dunque dal punto di vista della sua formulazione esplicita, il problema è molto recente;2 tuttavia esso è presente, sia pure a livello impli-
l Un ottimo studio sulla struttura del Qohelet, condotto secondo i criteri dell'analisi letteraria (studio del vocabolario, della grammatica e dello stile) si trova in O. LORETz, Qohelet und der alte Orient, Herder, Freiburg 1964, 135-217. Cf. anche F. ELLERMEIER, Qohelet, l,l. Untersuchungen zum Buche Qohelet, Jungfer, Herzberg 1967, 22-92. Ispirato invece alla metodologia dell'analisi strutturale è il lavoro di J.A. LOADER, Polar Structures in the Book of Qohelet, (BZAW 152), de Gruyter, Berlin 1979. Per quanto riguarda i commenti, solo i più recenti dedicano un paragrafo dell'introduzione alla trattazione del problema della struttura. Cf. A. LAuHA, Kohelet, (BKAT 19), Neukirchener, Neukirken-Vluyn 1978,4-7; L. CRENSHAW, Ecclesiastes. A Commentary, SCM, Philadelphia 1987, 39-49; G.S. OGDEN, Qoheleth, (Readings - A New Biblical Commentary), JSOT, Sheffield 1987, 11-13; O. MlcHEL, Qohelet, (EdF 258), Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Oarmstadt 1988, 21-45; G. RAVASI, Qohelet, Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1988, 30-35; R.N. WHIBRAY, Ecclesiaste, (NCeB Commentary), Eerdmans, Grand Rapids 1989, 19-22. 2 Le pubblicazioni sul problema della struttura del Qohelet si intensificano a partire dalla fine degli anni sessanta. Cf., oltre alle opere già citate: G. CASTELLINO, «Qohelet and his Wisdom», in CBQ 30(1968),15-28; A.G. WRIGHT, «The Riddle of the Sphinx: the Structure ofthe Book of Qoheleth», in CBQ 30(1968), 313-334; W. ZIMMERLI, «Oas Buch Kohelèt - Traktat oder Sentenzensammlung?», in VT24(1974), 221-230; M.V. Fox, «Frame Narrative and Composition in the Book of Qohelet», in HUCA 48(1977), 83-106; A.G. WRIGHT, «The Riddle of the Sphinx Revisited. Numerical Patterns in the Book of Qohelet», in CBQ 42(1980),38-51; F. ROUSSEAU, «Structure de Qohélet I 411 et pian du livre», in VT 31(1981),200-217; A. SCHOORS, «La structure littéraire de Qohéleth», in OLoP 13(1982), 91-116; A.G. WRIGHT, «Additional Numerical Patterns in Qoheleth», in CBQ 45 (1983),32-43; S.G. BROWN, «The Structure of Ecclesiastes», in ERT 14(1990),195-208. Ma si trovano studi sull'argomento anche precedentemente: cf. A. MILLER, «Aufbau und Grundproblem des Predigers», in Miscellanea Biblica edita a Pontificio Instituto Biblico ad celebrandum annum XXV ex quo conditum est Institutum (SPIB), Romae 1934, 104-122; H.L. GINSBERG, «The Structure and Contents of the Book of Koheleth», in VTS 3(1955), 138-149.
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cito, già nell'esegesi giudaica e patristica3 nel quadro del problema più generale dell'interpretazione del libro. Le numerose contraddizioni e l'apparente frammentarietà del testo, unite alla sua carica di radicale contestazione dei valori tradizionali della sapienza,4 avevano dato luogo a molte perplessità ancora prima dell'introduzione del 00helet nel canone ebraico. 5 È sufficiente infatti una lettura anche superficiale per cogliere con stupore come il testo passi agevolmente da un radicale pessimism06 al più benevolo e sorridente ottimismo,7 dalla negazione di alcuni valori, quali il senso della vita, del lavoro e dell'attività umana in genere,8 alla riaffermazione degli stessi valori appena negati. 9 I padri della chiesa, ponendosi sulla linea dell'esegesi giudaico-rabbinica, risolvevano le contraddizioni e le difficoltà dottrinali del libro ricorrendo prevalentemente all'interpretazione allegorica, inaugurata da Origene. lO Il primo commento all'Ecclesiaste, la Metaphrasis in Ecclesiasten Salomonis di Gregorio Taumaturgo, dopo aver attribuito a Salomone il titolo di profeta, si preoccupa in primo luogo di mettere in luce l'intento dell'autore, che, a suo avviso, è quello di convincere i lettori della vanità di tutte le realtà terrene al fine di elevare l'anima alla contemplazione delle realtà celesti. I testi che no~ si conciliano con questa interpretazione vengono spiegati da Gregorio Taumaturgo come convinzioni dello stesso Salomone, che poi egli avrebbe abbandonato ravvedendosi, oppure come affermazioni degli stolti (epicurei ed edonisti), con i quali Salomone entra in dialogo polemico. li Nel quadro di un'interpretazione tipologica del libro, per cui l'Ecclesiaste è tipo di Cristo, anche Gregorio di Nissa si sforza di dimostrare che le riflessioni,
3 G. BERTRAM, «Hebraischer und griechischer Ooheleb>, in ZA W 64(1952),26-49; S. HOLMNIELSEN, «On the Interpretation of Oohelet in Early Christianity», in VT 24(1974), 168-177; ID., "The Book of Eccleslastes and the Interpretation of it in Jewish and Christian Theology», in ASTI 10(1975/1976), 38-96; S. LEANZA, L'Ecclesiaste nell'interpretazione dell'antico cristianesimo Edas Messina 1978. ' , 4 M.V. Fox, Qohelet and his colItradiclions, (Bible and Literature Series 18) Almond Sheffield 1989. ' , 5 L. DI FONzo, Ecclesiaste, (La Sacra Bibbia, A.T.), Marietti, Torino-Roma 1967, spec. 85-92. ~ Cf. i testi sulla vanità generale di ogni cosa nella vita: 1,2.14; 3,9; 9,11; 12,8. 8 Sul valore? la gioia e la bontà ~el vivere cf. anche 2,24ss; 3,22; 9,7-10; 11,lss.7ss. Per la vamta del lavoro, del bem e delle ricchezze cf. l 2-3' 2 17-21' 222-23' 39' 47ss' 6,lss; 9,11. ' " " " , , , Una valutazione positiva dell'opera e del lavoro dell'uomo si trova in 3,22; 5,17; 9,10; 11,6. . Ongene ha ~omposto otto omehe sul Oohelet e un commento a scolii, di cui restano solo del frammenti; L'edl~lOne critica di questi testi origeniani è curata da S. LEANZA, L'esegesi di OrigeIle alltbro dell Ecclesta~le, Parallel.o 38, ReggIO Calabria 1985. L'interpretazione di Origene è spiccatamente allegonca; ne e un esempio. Il commento dell'antitesi <,demolire/edificare» in 00 3,3 che egli I~terpreta m. senso m?rale. «Demohre» slgmflca distruggere la cattiva costruzione del peccato e dell.errore, al fme dI edIfIcare sul fondamento della virtù e della retta dottrina. Sull'esegesi di Origene SI veda anche S. LEANZA, «Sull'autenticità degli scolii origeniani della "Catena sull'Ecclesiaste" di Pr~oplO dI Gaza», ID Origeniana seculIda. Second colloque international des études origéniennes. Ban, 20-23 september 1977, Ateneo, Roma 1980, 363-369. 11 Cf. S. GREGORII TAUMATURGI, Melaphrasis in Ecclesiasten: PG X, 988-1017. Cf. anche J. JARICK, Gregory Thaumalurgos' Paraphrase of Ecclesiasles, Scholars, Atlanta 1990.
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che sembrano poco consone a un autore ispirato, devono essere attribuite ad altri personaggi, le cui dottrine sono riportate per essere combattute. 12 Molto più attento al senso letterale del testo è invece il commento di Girolamo all'Ecclesiaste, che, con l'intelligente discussione sul significato del libro, cerca di dimostrare che il Oohelet ha una finalità altamente religiosa, perché insegna la riflessione e il disprezzo di tutte le cose terrene. 13 Il commento di Girolamo rappresenta tuttavia un'eccezione nell'ambito dell'esegesi allegorica e morale, che domina incontrastata per tutto il periodo della patristica. Il ricorso all'interpretazione allegorica consentiva ai Padri di eludere le principali difficoltà dottrinali del libro e di sostenere che il Oohelet non è affatto animato da spirito edonistico ed epicureo, ma si propone attraverso la dimostrazione della vanità di tutte le cose uno scopo profondamente religioso. Le contraddizioni e gli errori di carattere dottrinale vengono spiegati prevalentemente in base al principio del dialogo polemico che diventa infatti in Gregorio Magno il criterio generale e sistematico dell'interpretazione del libro. Nell'esegesi dei testi più difficili (cf. ad es. 3,21; 5,17; 11,9) egli ricorre alla teoria secondo la quale Salomone, in quanto presidente dell'assemblea (Ecclesiaste), non esprime solo le sue opinioni, ma si fa portavoce di volta in volta degli stati d'animo e soprattutto delle tentazioni di diversi personaggi, ai quali prospetta poi la retta dottrina e il retto modo di sentire. La conclusione del libro, che esorta all'osservanza della legge divina, è una conferma, secondo Gregorio Magno, dell'esattezza della sua interpretazione. 14 La tesi patristica, secondo la quale le contraddizioni del Oohelet si spiegano in base al dialogo dell'autore con se stesso oppure con avversari epicurei e atei, viene ripresa da J. G. Herder e J. G. Eichhorn e riproposta nella teoria delle due voci. Secondo Herder l5 si potrebbe dividere il libro in due colonne parallele, disponendo su una le parole, i dubbi, le inquietudini di colui che è alla ricerca della verità, sull'altra le risposte del maestro che lo interrompe, lo riprende e lo istruisce. Di poco differente è l'interpretazione di Eichhorn,16 secondo il quale dal punto di vista formale il Oohelet fa pensare alla conversazione di due saggi, che si confrontano su argomenti quali il senso della vita umana e il corso del mondo.
12 Cf. S. GREGORII NYSSENI, Accurata expositio in Ecclesiastell SalomolIis: PG XLIV, 615674. Per l'interpretazione mistica e allegorica di Gregorio di Nissa cf. LEANZA,L'Ecclesiaste, 32-35; ID., Gregorio di Nissa. Omelie sull'Ecclesiaste, (Collana di testi patristici 86), Città Nuova, Roma 1990. 13 Cf. S. EUSEBII HIERONYMI, Commenlarius in Ecclesiasten: PL XXIII, 1011-1116. Sull'esegesi di s. Girolamo al Oohelet cf. HOLM-NIELSEN, «On the lnterpretation of Oohelet», 174-177; LEANZA, L'Ecclesiaste, 41-50. 14 S. GREGORII MAGNI, Dialogorum Liber IV, 4: PL LXXVII, 321-326. Sull'esegesi di Gregorio Ma§no con particolare riferimento a 00 3,18-20 cf. LEANZA, L'Ecclesiaste, 59-63. l J.G. HERDER, Briefe, das Studium der Theologie betreffend von Brief XI, I, Hoffmans, Weimar 1785, 181. ' 16 J.G. EICHHORN, Einleitung in das A.T., V, Rosenbusch, G6ttingen 1824, 250-288.
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Mentre l'uno espone le sue tesi sotto forma di una ricerca critica della verità, l'altro conduce le sue argomentazioni in modo piano e con estrema saggezza. Non si tratta però, secondo Eichhorn, di una vera e propria discussione filosofica, quanto piuttosto di una composizione artificiale di tesi. Una soluzione diversa del problema è quella formulata da A. Motais e V. Zapletal, che insistono sulla varietà dei punti di vista nei quali l'autore si è successivamente collocato. Secondo Motais 17 è la stessa natura dell'argomento del libro, il problema morale, a determinare un'apparenza di contraddizione; nell'ambito della morale le soluzioni ai diversi problemi non possono avere l'assolutezza delle verità matematiche, perché occorre tener conto delle posizioni, delle circostanze, stabilire le distinzioni, considerare i problemi nei loro molteplici aspetti. Anche per ZapletaJl8 le contraddizioni del Qohelet sono più apparenti che reali, dal momento che esse dipendono dalla struttura stessa del libro, che è una raccolta di riflessioni sui problemi più importanti dell'Antico Testamento: Dio, lo Se'al, la retribuzione. Qohelet ha affrontato questi temi considerandoli da diversi punti di vista. Per questa ragione sullo stesso argomento sono espressi giudizi del tutto contraddittori, come avviene quando una persona esprime sugli stessi temi opinioni diverse in tempi diversi. Qohelet però non è riuscito a comporre le sue riflessioni in un tutto armonico. Questi autori, pur prendendo atto delle contraddizioni presenti nel libro, considerano comunque il Qohelet un'opera unitaria dal punto di vista redazionale. . Su un piano completamente diverso si pone invece la teoria di G. Bickell,19 che per la prima volta pone in discussione l'unità del libro. Secondo questo autore l'opera andò soggetta a un casuale sconvolgimento dei fogli originali che spiegherebbe l'attuale disordine dei pezzi e degli argomenti. 20 La teoria di Bickell ebbe però scarso seguito tra gli interpreti del Qohelet perché basata interamente sul presupposto che l'opera fosse scritta in forma di libro, mentre in base a numerosi reperti archeologici 21 si dimostrò che le opere letterarie furono trascritte su rotoli almeno fino al primo secolo dopo Cristo. Pertanto l'ipotesi di Bickell si rivelò ben presto priva di ogni fondamento, ma ebbe il merito di porre l'inter-
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A. MOTAIS, Salomon et l'Ecclésiaste. Étude critique, I, Berche & Tralin, Paris 1876,492. Lo stesso criterio di interpretazione in P. CONDAMIN, «Études sur l'Ecclésiaste», in RB 8(1889), 493509; 9~1900), 30-44, 354-377. 8 V. ZAPLETAL, Das Buch Kohelet Kritisch und metrisch untersucht, iibersetz und erkliirt, Gswend, Freiburg 1905, 22-23; 32-33. Su questa linea si pone anche l'intepretazione di O. ElsSFELDT, Einleitung in das A.T., Mohr, Tubingen 1934,550-559. 19 G. BICKELL, Der Prediger iiber den Wert des Daseins, Wagner, Innsbruck 1884. 2() BICKELI., Der Prediger, 28-37. La prima parte del libro del Qohelet comprendeva i seguenti lesti: 1,2.12-15.16-18; 2,1-2.3-11; 5,9-16; 5,17-6,7; 3,9.12-13.10-11.14-15; 3,16-4,3; 4,4-6.7-8; 2,12b.17-23.24-26.12a.13-16; 3,1-8; 8,6-8.9-14; 8,16-9,3; 8,15; 9,11-12.13·18; 10,1; 6,8.10-12. La seconda parte era composta come segue: 7,1-6; 6,9; 7,7-10.13-14.15-18.19.11-12.21-22.20; 4,9-12.1316.17; 5,1-2.3-5.6.7-8; 10,16-20; Il,1-6.4.5. 21 I libri sacri in uso nelle sinagoghe dovevano essere trascritti su rotoli. La forma di codice si è diffusa a partire dal III secolo per opere letterarie e teologiche e ha fatto la sua apparizione prima dell'inizio del II secolo o alla fine del I.
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rogativo sull'unità dell'opera, e di stimolare indirettamente l'ipotesi di una pluralità di fonti. Con la discussione intorno all'unità del libro e alla sua composizione letteraria si sviluppa, a partire dalla fine dell'ottocento, una ricca ~roblematic.a. che, essendo strettamente attinente al problema della struttura, sara oggetto dt mdagine nella prima fase di questo lavoro. In relazione i~fatti ~l~'ipotesi de~la pl~ra~ lità delle fonti e nella prospettiva della ricerca stonco.-cntIca; co.~ glI studI .d~ C. Siegfried 22 e E. Podechard,23 viene formulata una pnma s~ne dI mterrogatIvi che si dimostrano non privi di conseguenze per la comprenSIOne della struttura ' . del libro. . Il Qohelet è opera di un solo autore? E stato composto m un solo momento, di getto, oppure occorre amm~ttere ~na stratific~zione ~ette;aria24 che spiegherebbe le diversità di stile e di penSIero presenti nel hbro. Strettamente legato al problema dell'unità è, come si è visto, ~uel.lo ?elle contraddizioni del Qohelet. Esse devono essere considerate come Il pnnclpale indizio di una pluralità di autori oppure, come già s?stenevan~ i, padri della Chiesa, riflettono il particolare genere letterario del hbr?~ A.l d~ l~ delle co~ traddizioni dottrinali e della discontinuità tematica, è POSSibIle mdlVlduare un fIlo logico unitario? , Intorno a questi interrogativi si è sviluppata nella seconda met~ del ~ove cento la ricerca sulla struttura letteraria del Qohelet, ma, nonostante I molti st~ di, non vi è convergenza su alcuna ipotesi di lavoro. Di qui la necessit.à, a mIO avviso, di una revisione critica delle singole proposte e delle metodologle che ne costituiscono il fondamento.
II. ITINERARIO
E
METODOLOGlA
Questo lavoro vuole essere un ulteriore contributo alla ricerca sul. p~oble ma della struttura del Qohelet; esso si propone di utilizzare pienamente l nsult~ ti della critica più recente, dopo aver ripercorso le tappe. p.rincipali della stona del problema e averne valutato gli apporti più costruttiVI. La prima parte del lavoro contiene l'esposizione e l'analisi critica ,?elle ~o sizioni più significative, che hanno apportato un effettivo contributo all mdagme sulla struttura del Qohelet. . Il primo capitolo tratta di quegli autori che discutono sull'unità ~el. hbro e si propongono di risolvere il problema analizzando il testo dal punto di vista letterario.
C. SIEGFRIED, Prediger und Hoheslied, (HK II, 3,2), Vandenhoeck, G6ttingen 1868. E. PODECHARD, L'Ecclésiaste, (EtB), Lecoffre, Pans 1~12., . .. Sul problema cf. P. MAGNANINI, «Sull'origine letterana dell EccleSiaste», lO AIOI1 28 (1968), 364-384. 22 23 24
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Il secondo capitolo mette a fuoco le posizioni emerse alla fine degli anni sessanta, quando il dibattito sulla struttura del Qohelet si è fatto più critico e serrato. Di ciascun esegeta vengono evidenziati soprattutto i criteri di interpretazione 25 e il rapporto dialettico con le altre linee interpretative, in modo tale che dalla parte storica emergano le problematiche e nello stesso tempo le prospettive metodologiche. La seconda parte del lavoro prende l'avvio dalle conclusioni e dai problemi aperti, per proporre, attraverso il commento del testo, una soluzione <
25 Un'analisi dei criteri metodologici che sono alla base delle singole ipotesi di struttura si può trovare in A. BARucQ, «Qohelet», in DBS XI, 654-661; Cf. anche F. FESTORAZZI, La sapienza in Israele: originalità e attualità (dattiloscritto), Milano 1977-1978, 82-91; ID., «II Qohelet: un sapiente dI Israele alla ricerca di Dio. Ragione-fede in rapporto dialettico», in Quaerere Deum. Atti della XXV settimana biblica, Paideia, Brescia 1980, 173-190; ID., «Giobbe e Qohelet: crisi della sapienza», m R. FABRIS, a cura di, Problemi e prospettive di scienze bibliche, Queriniana, Brescia 1982, 233-258.
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Parte prima
IL PROBLEMA DELLA STRUTTURA LETTERARIA DEL QOHELET
Capitolo primo
Unità e composizione letteraria del libro
L
L'IPOTESI DI UNA PLURALITÀ DI FONTI
Sotto la spinta degli studi storico-critici verso la fine dell'ottocento e gli inizi del novecento il Qohelet venne sottoposto ad accurate analisi al fine di individuare le fonti o il materiale preesistente al testo. Emergono qui le teorie di C. Siegfried e E. Podechard, i quali ritengono che le soluzioni proposte dall'esegesi tradizionale (incompiutezza dell'opera, forma dialogata) siano del tutto insufficienti a risolvere il problema delle contraddizioni e delle incoerenze presenti nel libro. Di qui la necessità di ammettere una molteplicità di mani, fonti e autori che in tempi successivi avrebbero apportato al testo delle integrazioni e delle correzioni. Ricostruendo il processo formativo del libro, Siegfried individua in esso l'apporto di ben nove autori: 1 1. Lo scritto fondamentale era costituito dai primi tre capitoli, nei quali è possibile riscontrare un'omogeneità e una correlazione di idee indiscutibili. L'autore, che Siegfried denomina Q\ era un filosofo pessimista che, allo stesso modo di Giobbe, oppone agli insegnamenti della religione giudaica la realtà dei fatti. Il suo pensiero fondamentale, che tutto è vanità (cf. 1,2), col quale mette in discussione le posizioni del giudaismo, viene sviluppato in una serie di trattazioni parallele: 1,3-2,12. 14b-24a; 3,1-10.12.15.16.18-21; 4,1-4.6-8; 5,9.10.12-16. Non mancano testimonianze del pensiero di Q1 nei capitoli seguenti e in particolare in 6,1-7; 7,lb-4.15; 7,26-28 e, in forma ancora più frammentaria, in 8,9.10.14.16.17; 9,2.3.5.6; 10,5-7. In seguito il testo fu sottoposto a correzioni e glosse che lo riportarono su una linea più coerente con la tradizione del giudaismo. 2. Q2, il primo glossatore, era un sadduceo, che ispirandosi all'epicureismo, combatte il pessimismo di Q1 e propone al lettore un'ottimistica utilizzazione dei beni della vita quotidiana. Si ritrova il pensiero di Q2 nei seguenti passi: 3,22; 5,17-19; 7,14.16; 8,15; 7,4.7-10.12; 10,19; 1l,7.8a.9a.1O; 12,lb-7a.
1
SIEGFRIED,
Prediger, 2-12.
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3. Q3, illJiikiim, intervenne invece per correggere la svalutazione della sapienza: cf. 2,13.14a; 4,5; 6,8.9a; 7,11.12.19; 8,1; 9,13-18; 10,1-3.12-15. 4. Q4, illJasfd, contestò la problematizzazione che Q1 faceva sui temi della giustizia divina e della conduzione degli eventi storici, riproponendo la dottrina tradizionale della retribuzione: cf. 2,24b-26a; 3,11.13.14.17; 4,17-5,1.35.6b.7; 6,10-12; 7,13.17.23-25.29; 8,2-8.11-13; 9,1; 11,5.9b; 12,la.7b. 5. Q5, un gruppo di glossatori difficilmente individuabili, aggiunse una serie di massime e di sentenze, che hanno per oggetto la prudenza nella vita pratica: cf. 4,9-12; 5,2.6.8.11; 7,la.5.6a.7-10.18.20-22; 10,4.8-11.16-18.20; 11 ,1-4.6. 6. El, il primo epiloghista, applicò allibro un epilogo, nel quale informava il lettore sulla vita di Qohelet: 12,9-10. 7. E 2 , il secondo epiloghista, fece l'elogio della sapienza contro la letteratura profana: 12,11-12. 8. R 1, il primo redattore, riordinò tutto il poema da 1,2 a 12,7, aggiungendo il titolo (1,1) e la conclusione (12,8). 9. R 2 , il secondo redattore, appose infine allibro un'ultima conclusione, che tradisce il pensiero di un pio fariseo: 12,13.14. La critica delle fonti di Siegfried rappresenta l'estremo tentativo di ricondurre il libro del Qohelet su una linea di pensiero ordinata e rigorosa, mediante l'eliminazione di tutti quei testi che non si conciliano con la Weltanschauung del presunto Qohelet fondamentale. Su una linea più moderata si trovano A.H. McNeile 2 e G.A. Barton,3 che sostengono l'aggiunta al libro del Qohelet di glosse o interpolazioni posteriori. McNeile distingue in primo luogo dallo scritto primitivo l'opera di un editore, il quale si preoccupa di mettere in luce la paternità salomonica dell'opera. L'autopresentazione della figura salomonica in 1,1210 autorizza a preporre il titolo in 1,1; all'editore vanno attribuiti anche 1,2 e 12,8 in cui si parla di Qohelet alla terza persona, e la prima parte dell'epilogo (12,9-10), in cui si esprime la valutazione positiva delle massime proverbiali di Qohelet-Salomone e del suo insegnamento al popolo. Oltre a questo editore e dopo di lui, due interpolatori, facendo eco alle discussioni che il libro suscitava nell'ambiente giudaico, intervennero per migliorarlo. Il primo fu un saggio, il quale arricchì l'opera di molte sentenze ricavate da varie fonti; a lui devono essere attribuiti: 4,5.9-12; 6,7.9a; 7,1a.4-6.7.8-12; 8,1; 9,17-10,3.8-15.18-19 e la seconda parte dell'epilogo: 12,1112. Queste sentenze si riconoscono per lo stile freddo e didattico, che è in netto contrasto con il tono ardente e stimolante del Qohelet. Il libro restava però abbastanza lontano dal pensiero religioso del tempo; al fine di ricondurlo sulla linea del pensiero ortodosso, un giudeo pio ritenne opportuno inserivi due nuove affermazioni: il dovere per l'uomo di temere e servire Dio e la certezza del giu-
. 2. Cf. A.H. McNEILE, An lntroduction to Ecc/esiastes, with Notes and Appendices, Cambridge Umver s1ty, Cambridge 1904, 21-28. 3 Cf. G.A. BARTON, The Book o[ Ecc/esiastes, (ICC) , Clark, Edimburgh 1908, 43-46.
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.' d'vino Risalgono al Hiisfd: 2,26ab; 3,14b.17; 4,17-5,6; 7,18b.26b.29; dl zl0 1 6a'11-13' 11 9b' t2. la e la terza parte dell'epilogo: 12,13-14. a 5. ' " " stesso tempo più dettagliata è l'an~hsl .. d'I..B arton, se8 ,2b .3Pi~ equilibrata e nello d '1 uale il libro del Qohelet, pur essendo stato oggetto di modifiche postec?n. o ~n~erva la sua integrità. Risalgono al lJiisfd: 2,26; 3,17; 7,18b.26b.29; n~~ ~a.5.6a.I1-13; 11,9b; 12,1a.13.14; sono glosse della hO,km.a: 4,5; 5,3.7a; ~' 1a:3.5.6-9.11.12.19; 8,1; 9,17.18; 1O,1-3.8~14a.15.~8.19; ali edlt~r~ ap~a:te~~no: 1,1.2; 7,27; 12,8.9.10. Il materiale aggIUnto d.m due gloss~tO~I" IIlJasld ~ II ~iikiim, costituisce soltanto. una picco!a parte d~1 hbr~, che ~u.m?l. e ~ostanzlal~ . . , di .quella d ttdi mente um'tario . L'analisi di Barton nsente pero degh stessI . hmltl Siegfried e McNeile, in quanto la presenza delle interpolazlo m viene ncon o a a una precisa Weltanschauung, che non è per null~ documentata ma solo ~resup posta in base al.pregiudizio che un'opera letterana debba essere necessanamente logica e ordmata. . . ' . L'analisi letteraria di E. Podechard SI carattenzza, nspetto a. quella degh . precedentemente citati, per una maggiore attenzione allo stile e alla terb'l' f . h Il au ton minologia, al fine di ricostruire scientificamente le proba I I .o~tI c e sono a. a base del libro del Qohelet, ma i criteri che ispirano la sua anahsl son~ anal?ghl ~ quelli di Siegfried: partire dalla molteplicità dei modi di pensare e .dl espnmersl per ipotizzare una pluralità di autori. Alme.no quattr~ sono le mam che secondo 4 Podechard hanno contribuito alla formaZIOne del hbro: 1. Il discepolo epiloghista, che in 12,9-12 parla del maestro alla terza persona e ne fa elogio. . . . 2. Il Hiisfd, che ha voluto reintrodurre nell'opera la dott~m~ tr~dJZI~~ale della retrib~zione temporale. A partire da 12,13-14 sono d~ attnb~lrgh tUtti 1. testi che si muovono su questa linea e non concordano con Il pensiero essenziale del libro: 2,26ab; 3,17; 7,26b; 8,2b.5-8.11-1~; 11,9c;.12,~3. ,. . 3. Illfiikiim, al quale risalgono i versetti carattenzzatl dallimpiego del genere sentenzioso: 4,5.9-12; 5,2.6a; 6,7; 7,1-12.18-22; 8,la-2.3-4; 9,17-10,4.1014a.15-20; 11,1-4.6. . . . , d Il 4. Il Qohelet fondamentale, riconoscibile nella viSIOne pessimistica e a vita.
In seguito la teoria della pluralità delle fonti è st.a~a r~presa.e rielabor.ata d~ J. Coppens,5 che richiama l'attenzione sulla necessita di c~nslder~r~ gh sta?1 successivi che la composizione del libro ha attraversato e arnva a d1stmguere m ., esso le seguenti componenti: . A) Lo scritto fondamentale (Qo I), che è costituito da tutte le.sezl?m c~e sviluppano il tema della vanità o dell'assurdità (1,2-3; 12,8). Esso SI ar~lcola In due parti. La prima, che l'autore denomina Qo II A, fa appello, per la dlmostra-
• PODECHARD, Ecc/ésiaste, 156-170. . d l'A cient 5 J. COPPENS, «La structure de l'Ecclésiaste» in M. G1LBERT, a cura di, La sagesse e n
Testament, (BEThL 51), Leuven University, Leuven 1979, 288-292.
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zione, alle esperienze personali del re Salomone, insistendo soprattutto sull'incapacità dei beni terreni a soddisfare il bisogno di felicità che travaglia l'uomo (1,2-18; 2,1-26). La seconda, Qo II B, riassume i risultati della ricerca condotta da Qohelet nel mondo, dalla quale risulta non soltanto la vanità delle situazioni, ma anche la loro negatività e assurdità. Introdotta da 3,9-15, pericope cerniera, la ricerca di Qohelet comprende: 3,16-22; 4,1-8; 4,15-16; 5,13-19; 6,1-3; 6,4-12; 7,15; 7,23-29; 8,9-15; 8,16-17; 9,1-3a; 9,13-16; 10,5-7. Le due sezioni contengono l'una e l'altra dei passi, in cui si riassume la regola di vita che il re Salomone ha assunto nei confronti della vanità universale di questo mondo: 2,24-26; 3,12; 3,22; 5,17-19; 8,15; 9,7-10. Appartengono allo scritto fondamentale anche tre pericopi, che l'autore denomina Qo III, nelle quali Qohelet ci invita a mettere da parte la nostra totale ignoranza, allargando lo sguardo allo svolgimento del processo cosmico: 3,1-8; 9,4-11; 11,7-12,7. B) Lo scritto fondamentale è interrotto dall'inserimento di sentenze proverbi ali e sapienziali, che si distinguono in quattro gruppi ben delimitati dal contesto nel quale sono inseriti: 1) 4,9-14; 5,1-12; 2) 7,1-14.16-22; 3) 8,1-8; 4) 9,1718; 10,1-4.8-20; 11,1-6. C) Allo scritto fondamentale, con i suoi tre complementi e alla collezione di aforismi, occorre aggiungere tre brevi appendici: 12,9-10; 12,11-12; 12,13-14, che formano la conclusione del libro. La teoria critica delle fonti rappresenta nell'ambito degli studi sul Qohelet un tentativo stimolante di soluzione dei problemi del libro, che però si è rivelato nel complesso poco fecondo. 6 Se si eccettua il contributo di J. Coppens, dal 1920 a oggi la critica esegetica, pur nella differenziazione delle scuole e delle tendenze, si è orientata verso l'affermazione della sostanziale unità dell'opera, facendo valere contro la tesi della pluralità delle fonti un dato indiscutibile: l'uniformità della lingua e della terminologia. Alla diversità delle tematiche non corrisponde un'adeguata differenziazione di stile. Non esiste una sostanziale distinzione tra il presunto testo fondamentale del Qohelet e le successive aggiunte o interpolazioni del ljiisfd e del ljakam. Ma una critica ancora più radicale può essere mossa ai sostenitori dell'ipotesi di una pluralità di fonti e riguarda il presupposto metodologico dell'analisi: e cioè che dalla molteplicità dei modi di pensare e delle prospettive presenti nel Qohelet si deduca necessariamente una pluralità di autori. Tale presupposto esclude a priori che ci possa essere una dialettica interna allibro, che scaturisca dal suo particolare genere letterario; la suddivisione delle fonti viene pertanto effettuata per concetti e per temi. Ne scaturisce una frammentazione del testo che non tiene alcun conto della sua logica interna, anzi la nega per poi proporre un'articolazione del libro che risponde soltanto ai criteri logici dell'ese-
La critica delle fonti viene ripresa in maniera organica da D. Buzy, «Les auteurs de l'Eccléslaste», lO A/h 11(1950),317-336; cf. anche O.S. RANKlN, Ecclesiastes, (IB), Abingdon, NashvilleNew York 1956. .
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6
e incontrolt a' la ricostruzione che ne risulta è esposta al rischio di un'estrema ' em . d'Ica come ge labile, soggettività, basandosi su ciò che l'esegeta consl'd era l oglco illogico. 7 II.
IL QOHELET È UNA RACCOLTA DI SENTENZE?
Messa da parte la ricerca delle fonti, nel novecento l'esegesi del Qohel~.t oscilla sostanzialmente tra due soluzioni: la riduzione del test~ a.una raccolta'plU o meno disordinata di aforismi, sentenze e riflessioni e la tesI di una ~ostanzlale unità del libro, soluzione questa che si è andata affermando progressIvamente a partire dagli anni sessa~ta. . . . . Sulla prima linea SI collocano I commenti ~I K. Ga~lIng e ~.W. Hertzberg, che, partendo dal disordine presente nel matenale del hbro, glUng?no alla conclusione che non sia possibile individuare in esso una strutt~ra pr~clsa e una s~c cessione ordinata di pensiero. Il Qohelet è, secondo qu~stl a~t?n, una c?llezlone di proverbi o di riflessioni intorno al tema che tutto e vamt~ oppure mtorno ad altre idee secondarie; essi ritengono pertanto che l'appro~clO gIUsto a.l tes~o sia quello di isolare delle unità o dei temi. Già nel 1875 F. DelItzsch enuncIava m maniera emblematica questa tesi. . Secondo l'autore manca nel Qohelet uno sviluppo graduale del penSIero, una dimostrazione progressiva di tesi, al punto che è ~mpos~ibile ~nche. tentare un raggruppamento di seguito d~lle pa.rti; la ~onnesslOne dI pensler~ e spess~ determinata da elementi estranei e aCCidentalI e talora un elemento matteso e 8 introdotto nel corso della trattazione di argomenti di materia affine. Così l'impronta salomonica, impressa ai primi due capitoli.' va progressivame~te sco.mparendo nei capitoli successivi. Nel capitolo terzo SI passa a una colleZIOne dI proverbi che non hanno un contesto appropriato. l motivi, le occasioni e la lo~ica che spingono l'autore a collocare confessioni e proverbi morali in un o~dine pI.uttosto che in un altro sfuggono del tutto all'osservazione. Pertanto ogm tenta~lVo di dimostrare non soltanto un'unità di spirito, ma anche un progresso genetIco, un piano onnicomprensivo e una connessione organica d~i temi è destinato necessariamente a fallire. Qohelet infatti non ha voluto scnvere un tratt.ato sulla vanità di tutte le cose, ma ha espresso le sue riflessioni di volta in volta m alcune sentenze su un tema determinato. . . Nel suo commento allibro del Qohelet Galling si ricollega esphcltamente.a Delitzsch. Le singole sentenze costituiscono l'unità l~tt~rari~ del .tes~o ma POIché il pensiero del Qohelet, che si esprime attraverso I smgolI dettI, gira sempre intorno agli stessi temi (destino e morte), le singole sentenze nel contesto gene-
7 L'accusa di soggettivismo viene rivolta al sistema di Siegfried soprattutto da LORETz, Qohelet 39-40 ' "F. D,ELlTZSCH,. Hoheslied und Koheleth, (Be IV, 4), Dorffling und Franke, Le'Ipzlg. 1875 , spec. 195.
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r~le sono si~uate ~osì vicino che non c'è stato bisogno di creare una struttura onn!comprensl~a; CIÒ non significa però che esse siano mescolate come carte da
gIOco e che II Qohelet sia soltanto un agglomerato senza senso di aforismi in quanto è e;idente l'esistenza nel libro di una Weltanschauung unitaria che ris~lta anche dalI uso dell~ forma lch-Aussage. Perciò secondo Galling la questione della struttura.del lIbro non è per nulla centrale, perché ciò che conta è comprend~re le umtà letterarie dei singoli proverbi e spiegarle. 9 Se poi Qohelet stes. _ so abbIa progettato la Successione delle singole sentenze nell'ordine ch e nOI co . , d bb' ~oscIamo, ~ u lO: In ogni caso un suo scolaro è responsabile della redazione fmale (C?R ). QuestI ha collocato 1,4-11 all'inizio del libro insieme alla sentenza regale dI 1,12-2,11 e anche 11,7-12,8, che sta alla conclusione. . Sebbene QR! lasci inalterato il testo, in alcuni passi sono state fatte delle ~gglUnte ~d oper~ del s~condo epiloghista (QR2): 3,17a; 8,5.12bf; 11,9b; 12,la, II quale nbatte . . dI. volta In volta alle sentenze di Qohelet . Se SI' fa eccezIOne per queste correZIOnI apportate da QR2, c'è continuità tra il Qohelet poeta e il Qohelet redattore. . Sulla I~ne~ di ~~lling si pone anche il commento di Hertzberg, IO ma mentre GalImg attnbUlsce. I Importanza fondamentale alle singole sentenze e non riconosce alcuna :elazlOne tra di esse, Hertzberg distingue tra le 37 sentenze enu~leate .d~ G~lImg 12 sezioni di diversa ampiezza. All'interno di ciascuna sezione e possIbIle ~Iscontrare un progresso di pensiero tale che il Qohelet non si configura .semplI~emente come una raccolta di insegnamenti sapienziali alla stregua del lIbro del Proverbi. Quest'interpretazione differenzia decisamente Hetzberg da Gal)'mg,. nma. , f ne p~ro er~o. anche pe: questo autore che non è possibile intravvedere nell'arC? dI tutto.!~ lI~ro ~na lJn~a di pensiero progressiva e che solo all'interno delle smgole UnIta SI puo coglIere tale sviluppo. G.li stu?i di G~lIing ~ di Her~zbe~g hanno messo a fuoco uno dei problemi centralI d~ll esegeSI. del lIbro: eSIste In. esso un piano organico di pensiero? ~ que~to InterrogatIvo hanno dato una nsposta negativa; ma l'ipotesi che il Qoelet .sla sol.tanto una raccolta di sentenze non ha avuto grande seguito perché ~~n nsol.ve I~ ~odo so~disfa~e~te il p.roblem~ della discontinuità logica'e temaa del. IIb~~, I a~senza InfattI dI una lInea unItaria di pensiero non è necessariamente IndIZIO dI una frammentarietà dell'opera dal punto di vista letterario Messo da parte problema delle fonti, il dibattito si è spostato progressi~ va~ente su ~n altro plano: se sia possibile individuare nel Qohelet uno sviluppo OgiCO orgamco e unitario.
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!'
9 K. GALLlNG, Der Prediger (HAT I 18) M h T"b' 2 Studie~~), in ZAW 50(1932),276-299. " o r, u Illgen 1969, 76; ID., «KohelctH.W. HERTZBERG Der Prediger (KAT XVII 4) M h G"
visione generale del bI' , , , o n, utersloh 1963, 13-14. Per una In «Qohelct St d' Pro .emBa cf. S. BREToN, «Qohelel: recent Studies», in ThD 28(1980) 147-151' ' , ., u les", In TB 3(1982), 22-50.
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III.
LA TEORIA DELLE CITAZIONI IMPLICITE
Un'ipotesi feconda dal punto di vista delle sue applicazioni all'esegesi del Qohelet è costituita dalla teoria delle citazioni implicite formulata per la prima volta in modo sistematico da R. Gordis, secondo il quale i proverbi e i sentimenti apparentemente pii che si incontrano nel libro sono da considerare come citazioni ll di Qohelet, usate ai fini della discussione di determinati argomenti. Il tipo più semplice di citazione è l'uso dei proverbi, coi quali Qohelet è d'accordo. Esattamente come avviene in altri testi sapienziali, cioè Proverbi e Siracide, Qohelet registra proverbi di uso convenzionale (10,18; 11,1). A volte invece ne compone egli stesso (cf. ad es. 7,3).12 Altre volte l'uso di un proverbio serve a rafforzare il suo argomento, anche se solo una parte del proverbio è appropriata e il resto del detto, a volte irrilevante, è citato per dovere di completezza. L'uso di una citazione può servire in altri casi a parlare con maggiore chiarezza, come ad es. in Qo 5,1-2. Un altro genere di citazione consiste nell'uso di un proverbio come testo, che poi Qohelet commenta a modo suo. Così in 7,2a è enunciata una dottrina tipicamente moralistica contro la baldoria e l'immoralità della casa allegra cui segue in 7,2b il commento ironico di Qohelet (cf. anche 4,9-12; 5,9-10; 8,2-4; 8,5-6; 8,11-14; 9,4-6).D Un altro espediente, degno di nota, con cui l'autore esprime la sua divergenza dalla visione comunemente accettata, è l'uso di proverbi in contrasto, dove un detto frequentemente ne contraddice un altro (cf. 4,5.6; 9,16.18).14 Il problema principale consiste però nell'identificare con certezza queste citazioni. Gordis non enuncia esplicitamente i criteri in base ai quali è possibile distinguere i proverbi citati da quelli composti da Qohelet. Si orienta però a considerare come originali quei testi che presentano particolari caratteristiche: il senso dell'ironia, come in 11,3.4; 7,2b; 8,2-4.5-6; la problematizzazione di una dottrina tradizionale, come in 8,14; la concezione pessimistica della vita, come in 9,4-6; l'uso della frase caratteristica: «anche questo è vanità e inseguire il ve-nto».15 Altri autori si sono sforzati in seguito di elaborare dei criteri formali che consentissero di individuare in modo oggettivo le eventuali citazioni presenti nel testo biblico. Whib ray 16 ne propone quattro, per cui sono riconoscibili come citazioni:
11 Cf. R. GORDIS «Quotations as a Literary Usage in Biblical, Orientai and Rabbinic Literalure», in HUCA 22(1949), 157-219; spec. 166. Pcr citazione Gordis intende «words which do noI reflcct the present sentiments of the author of the literary composition in which they are found, but have been introduced by thc author lo convey the slandpoint or another person or situation)}. 12 R. GORDlS, «Quotations in Wisdom Literature», in IQR 30(193911940),123-147; spcc.13D-131. 13 GORDlS, «Quotations in Wisdom Litcrature», 131-137. 14 GORDlS, «Quotations in Wisdom Literature», 137. 15 Un'analisi critica degli studi di Gordis si trova in M. V. Fox, «The Identification or Quotations in biblical Literaturc», in ZAW 92(1980), 416-421. 16 Cf. R.N. WHIBRAY, «The Identificalion and Use of Quotations in Ecclesiastes», in VTS 32 (1981), 435-451; spec. 437.
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1. I detti che hanno senso compiuto, indipendentemente dal loro con-
testo. 2. I detti, che per forma somigliano molto a quelli dei Proverbi. 3. I detti, i cui temi sono caratteristici del libro dei Proverbi e che nello stesso tempo sono in parziale o totale disaccordo con il contesto immediato in cui sono inseriti oppure con le idee caratteristiche espresse altrove da Qohelet. 4. I detti, che dal punto di vista linguistico sono privi dei tratti dell'ebraico tardivo, che è proprio di Qohelet, e riecheggiano l'ebraico classico o l'antica letteratura sapienziale. Per il riconoscimento delle citazioni è decisiva la comprensione del contesto in cui i proverbi sono inseriti: se essi si lasciano facilmente staccare dal contesto,.se sono in.ten~io~e o in contrasto con esso, ci troviamo molto probabilmente d,I fronte ~ clta~lOnI. Un. altro criterio, che è però complementare al precedente, e dato dal temI e dalla lIngua: in questo caso il punto di riferimento essenziale è il libro dei Pro~erbi. So~o probabilmente citazioni quei detti che per contenuto e per for~a ncordano I proverbi della sapienza tradizionale e si distinguono dal modo dI pensare e di esprimersi proprio di Qohelet. ~on~em.poraneamente a Whibray, Michel 17 si è interessato al problema delle CItaZIOnI, propo.ne?do una soluzione completamente diversa. Egli sostiene che Qo 1,3-:-3,15 COStI~~lsce un trattato unitario nel quale Qohelet si contrappone a~la s~plenza tradIzIOnale assumendo una posizione teoretica decisamente s~ettlca. E a partire da q~esta ~r~nd~ unità, in cui Qohelet esprime la sua posizIOne fondamentale, che e possIbIle nconoscere le citazioni, le quali contrastano con la sua visione della vita. Così in 8,2-5 si trova citata una posizione tradizionale, che.Qohelet com~e.nta.poi criticamente (cf. 8,6-8). Analogamente, a 7,1112 segue ~I commento C~ltICO In 7,13-14; 10,8-9 è una citazione alla quale segue in 10,10-1111 commento dI Qohelet; 5,7-8 è una citazione, mentre 5,9 ne è il commento. . II criter!o dell~ ci~azioni implicite è utilissimo ai fini dell'interpretazione ~el lIbro .. Puo cont~?UI~e, t~l.ora in modo decisivo, a spiegare la presenza nelI .opera dI contraddlZl~llI e dI I?~oerenze e illuminare su molti passi problematiCI, ma da ~olo non nsolve glI Interrogativi principali: 1. ESIste nel Qohelet un piano logico e tematico unitario? . 2. II problema delle contraddizioni si può risolvere in base al genere letterano del lIbro? 3. È possibile arrivare ad una delimitazione delle sezioni e delle unità che compongono il testo e in base a quali criteri?
17
MICHEL,
Qohelet, 32-33.
IV.
L'ANALISI LETTERARIA DEL QOHELET
Come si è visto, una delle principali difficoltà incontrate da coloro che ricercano una struttura logica nel Qohelet è costituita dalla presenza nell'opera di una pluralità di idee e di prospettive talora contraddittorie. Su queste difficoltà fanno leva gli autori che, pur ammettendo la sostanziale unità del Qohelet, non accettano l'idea che il libro presenti una struttura tematica lineare e ordinata; ritengono invece che l'unità dell'opera vada ricercata sul piano letterario, attraverso l'analisi delle sue strutture stilistiche. Su questa linea sono le opere di O. Loretz e di F. Ellermeier, che segnano una svolta fondamentale nell'ambito degli studi sulla struttura del Qohelet. Essi si ricollegano in parte alla tesi di Delitzsch e Galling, ai quali vengono talora accostati dai critici;18 esiste però una sostanziale differenza con questi autori, dal momento che né Loretz né Ellermeier considerano il Qohelet come una pura e semplice collezione di proverbi, in quanto riconoscono all'opera un'unità sostanziale sia dal punto di vista letterario che redazionale. Il metodo di questi autori consiste essenzialmente nell'analisi delle caratteristiche formali del testo; a differenza dei critici precedenti, essi si soffermano sulla forma più che sul contenuto. La loro critica del testo è orientata pertanto alla ricerca delle ripetizioni di vocaboli e forme grammaticali nonché degli espedienti stilistici, come inclusioni, parole-chiave, anafore, chiasmi, simmetrie, ecc. Ponendosi su questa linea essi cercano di scoprire nel testo degli indizi oggettivi in base ai quali delimitare le singole unità letterarie. In particolare questi esegeti evidenziano i cambiamenti di genere, persona e modi, come indicatori potenziali di suddivisione tra un'unità e l'altra. Aprono così la strada a una lettura del testo non più condizionata dai criteri soggettivi e personali dell'esegeta.
1. O. Loretz e la topica del Qohelet Data la stretta relazione che sempre sussiste in letteratura tra stile e contenuto, Loretz ritiene di dover far precedere all'interpretazione del libro l'analisi dei suoi mezzi stilisti ci ed espositivi, nella convinzione che una migliore comprensione dello stile renda possibile al tempo stesso un esame approfondito anche del contenuto. Col termine «stile» l'autore ritiene che si possa intendere «alle Elemente der sprachlichen Gestaltung eines Werkes in der Blickpunkt treten»19 e, pertanto, prende in considerazione non solo il patrimonio lessicale, ma anche le forme comprensive dell'organizzazione linguistica con particolare riguardo alla finzione regale e al racconto in prima persona (lch-Erzahlung).
18 Cf. ad es. BRETON, «Qohelet 19 LORETZ, Qohelet, 135.
Studies», 24-25.
26 27
La finzione regale si inquadra nel contesto storico dell'Antico Oriente quando i sapienti occupavano accanto al re una posizione eminente. 2o I re stessi reclamavano per sé la sapienza dei sapienti; per questo nella tradizione israelita continuava a vivere la figura del re sapiente Salomone. Non c'è dunque da meravigliarsi che Oohelet presenti se stesso come un re; la forza rappresentativa dell'autore si rivela proprio nella capacità di creare una nuova figura di Oohelet re sapiente. Un'altra caratteristica del libro è la forma dell' Jch-Erziihlung, la quale è scelta da Oohelet non per un interesse autobiografico, ma come un mezzo stilistico che suscita un'impressione di grande vivacità, immediatezza e veridicità. Per quanto riguarda il patrimonio lessicale del libro, secondo Loretz la peculiarità stilistica del Oohelet è la «werkinnere imitatio sui»;21 nel corso dell'opera ritornano infatti sempre le stesse parole e le stesse locuzioni e sono queste p'a~ole-chiave che aprono la via alla ~omprensione del libro. Tra i termini prefefltl dal Oohelet emerge hebel, che rappresenta infatti la riflessione centrale dell'opera. Le forme linguistiche sono quelle tradizionali. In questo Oohelet si ricollega piena~ente .alla .let.ter~tura a lui precedente; troviamo infatti nel libro la paronomasla, la smommla, I anafora, e le forme stilistiche consuete della letteratura sapienziale (riflessioni, esortazioni, paragone nella forma «è meglio di ... », parole-numeriche, macarismi).22 Inoltre Oohelet esprime le sue riflessioni nella forma del masal che costituisce il genere fondamentale del libro. Di grande importanza ai fini del discorso sulla struttura del testo è la tesi di Loretz che esso sia basato sulla topica. Nell'opera di Oohelet si trovano molti topo~ o l~o~hi comuni,d~lla le.tterat~ra isra~!itica e specialmente sapienziale, perche eglI SI serve dell aIuto dI una lIngua gla pronta della quale avverte l'influsso innegabile, come di iiberpersonlichen Stilkriiften. Loretz tratta ampiamente dei topoi del libro e li confronta con i passi della letteratu~~ sapienziale, per dimostrare come Oohelet abbia accolto un insegnamento gla noto. 23 Basteranno qui alcuni esempi. 1. La sapienza dell'opera divina nella natura, che rappresenta una parte del suo operare e oltrepassa la capacità conoscitiva dell'uomo: 00 1,4-8; 3,11.14; 7,23-24; 8,17. Gb 5,9-10; 9,10; 11,5; 28,1-28; 36,24-28; 37,5.14; 39,1. Pr 25,2; 30,1-4. Sir 1,2-3,3.18; 18,1-7; 39,16-21.33-34; 42,15-25; 43,1-33. Bar 3,14-31.
2(l LORETZ, 21 LORETZ, 22 LORETZ, 23 LORETZ,
28
Qohelet, Qohelet, Qohelet, Qohelet,
145-161. 166. 182-196. 196-212.
2. Nell'immagine del mondo di Oohelet occupano un posto importante il nome, il ricordo e la gloria: 00 1,11; 2,16; 6,4; 9,5. Gb 18,16-19; 30,8. Pr 10,7. Sir 37,26; 39,9-11; 41,11; 44,8; 49,1. Sap 2,4. È in base ai topai che Oohelet conduce le sue argomentazioni, ma il modo di pensare rigoroso e critico, che caratterizza l'età moderna, può impedire l'accesso alla topica, dal momento che questa sfugge al sapere sistematico e basa il suo punto di vista sulla storia. I topoi sono concetti o idee che si usano con elasticità, per cui difettano chiaramente di chiarezza e di distinzione. La topica riflette un tipo di sapere storico, non sistematico; per questo la sua necessaria approssimatività rappresenta uno scandalo per il ragionamento e diventa incomprensibile all'esegesi moderna. Dal momento che Oohelet è un rappresentante tipico del pensiero topico, sono destinati a fallire i tentativi di trovare nel suo libro un ordine logico progressivo; incurante di ogni sistematicità, Oohelet gira senza delimitazione o coordinamento intorno a quella nuova parola del suo tema: hebel. Per questo motivo ogni tentativo di una logica delimitazione dei singoli passi del libro e delle loro relazioni è un'inutile fatica. Ugualmente inadeguati sono però i tentativi di ridurre il libro del Oohelet a una serie di sentenze individuali; occorre invece mostrare come attraverso i singoli topoi venga alla luce il pensiero centrale del libro. La mancanza di una struttura ordinata e perfetta non comporta perciò, come sosteneva invece Delitzsch, che il libro sia privo di una sua unità, anche se si tratta dell'unità delle sue strutture stilistiche. Definendo lo stile come «die Einheit und Individualitat der GestaItung», Loretz ritiene che si possa parlare di una struttura unitaria del libro: la finzione regale, il racconto in prima persona singolare (Ich-Erziihlung) e l'uso stereotipo della parola hebel fanno del Oohelet un'opera unitaria che non ha paralleli.24 L'opera di Loretz costituisce un punto di riferimento decisivo nell'ambito degli studi sul Oohelet. A questo autore, infatti, va riconosciuto il merito di aver inquadrato il Oohelet nel suo ambiente storico e culturale, con ampi e dettagliati riferimenti ai testi paralleli dell'Antico Oriente. Ancora più valido ai fini dell'interpretazione del libro è il suo studio sui mezzi stilistici ed espositivi del Oohelet, in quanto non si può negare che un esame accurato dello stile rende possibile una migliore comprensione del contenuto. Lo specifico dell'indagine di Loretz è però nell'individuazione della topica del Oohelet; ma proprio la ricerca sui topoi, caratteristici della letteratura
24 LORETZ,
Qohelet, 212-215.
29
sapienziale, conduce l'aut.ore a concl~dere che è impo~sibile trovare nel libro un ordine logico progressIvo. Il ~enslero d~l Oohelet SI struttura piuttosto intorno al tema della vanità; il termIne hebel ricorre infatti nel corpo del libro ben 28 volte. Passando ora alla valutazione critica di questa tesi di Loretz, inizieremo proprio col domandarci: i~ ~ibro del. O.ohe.le~ può es~~re considerato come un trattato tematico sulla vamta? Le principali nserve crItiche contro la tesi di Loretz sono espresse da Zimmerli,25 secondo il quale è impossibile riassumere tutte le riflessioni del libro sotto un'unica categoria. Consideriamo ad esempio il tema del tempo; scandito in maniera ordinata, o l'indiscutibile riconoscimento che la distribuzione dei beni è nelle mani di Dio e che Dio ha fatto bella ogni cosa a suo tempo; o il riconoscimento, sia pure r.elativo, ?el vantaggio della sapienza; difficilmente questi temi possono essere rlcondoth o sussunti sotto la categoria della vanità. Riguardo poi alla topica, qual ~ l'~so che Oohelet ne fa? Oual è il suo apporto alla sapienza biblica ed extra~lblica? Più volte, fa osservare ancora ~Immerli, Oohelet si trova in dialogo polemico con quella sapienza che crede di possedere la chiave di interpretazione della realtà intera. In questo dialogo egli non difende secondo una fissità ideologica un determinato insegnamento, né quello della vanità, né quello dell'eudemonismo, per quanto entrambi i temi siano importanti nella sua argomentazione. Essa sviluppa piuttosto determinati topoi, ai quali la letteratura sapienziale è solita fare ricorso; alcune affermazioni sapienziali conservano per lui pienamente il 10ro significato, altre ricevono u~a nuova accent~azione, altre ancora sono oggetto di contestazione. Il «contromterlocutore» di Oohelet è in realtà il saggio del libro dei Proverbi; questo confronto critico è evidente ad esempio in 8,17: qui il saggio che pretende, senza alcuna possibilità di riuscita, di comprendere l'opera di Dio è l'interlocutore di Oohelet. Si trovano, infatti, nel libro dei movimenti dialogici, che si basano su determinati topoi della sapienza e che mostrano 00helet in una posizione di forte antagonismo con una visione stereotipa della realtà. 26 Infine la tesi di Loretz, che non si possa comprendere il Oohelet usando la logica del pensiero occidenta!e,. comporta .necessariamente la rinuncia a ogni tentativo di delimitazione del smgoh passI e delle loro reciproche relazioni? È davvero impossibile individuare all'interno del Oohelet delle unità letterarie? Una risposta sia pure parziale a questi interrogativi viene dall'analisi delle forme letterarie del libro, proposta da F. Ellermeier.
spruch, che esprime una verità, e il Mahnspruch, un'esortazione all'uno o all'altro atteggiamento morale. Questi due sottogeneri possono presentarsi isolatamente sotto forma di massima (Sentenz) oppure in unità più ampie, che Ellermeier denomina riflessioni (Reflexionen).28 L'unità letteraria del testo è data dalle riflessioni e dalle massime, ma l'analisi delle caratteristiche formali delle riflessioni non deve precedere la divisione delle singole unità, bensì procedere di pari passo con essa così che le caratteristiche formali non abbiano uno status indipendente dalle vere e proprie unità letterarie. 29 Il Qohelet è una raccolta ordinata di riflessioni e di sentenze, in cui Ellermeier individua le seguenti unità: 1,4-11; 1,12-2,11; 2,12-17; 2,18-19; 2,20-23; 2,24-26; 3,1-15; 3,16-22; 4,1-3; 4,4-6; 4,7-12; 4,13-16; 4,17-5,11; 5,12-19; 6,1-6; 6,7-9; 6,10-12; 7,1-14; 7,15-22; 7,23-8,1; 8,2-8; 8,9-15; 8,16-9,10; 9,11-12; 9,1316; 9,17-10,20; 11,1-6; 11,7-12,7. Il criterio di suddivisione delle singole unità è di tipo formale ed è dato dal ricorrere di frasi stereotipe, da proposizioni verbali o nominali che presentano le seguenti caratteristiche: frasi verbali senza waw introduttivo stanno sempre all'inizio di una riflessione; ogni riflessione che inizia con un verbo ha il waw introduttivo (1,13; 2,12; 2,18; 2,20; 3,16; 4,1; 4,4; 4,7); le unità che iniziano con una frase nominale non sono mai introdotte dal waw (1,4; 2,24; 3,1; 4,13; 5,12; 6,7.10; 8,2; 10,5.12) tranne che in due casi (6,1 e 11,7).30 Riflessioni e sentenze, che costituiscono le unità letterarie del libro, sono collegate tra loro in maniera tale che i diversi temi si congiungono l'un l'altro, così che non ci si aspetterebbe un'or~anicità del genere se il libro fosse solo una collezione di proverbi e di sentenze. E stato QORl, il primo epiloghista, a unificare le unità letterarie in un solo libro, ordinando il materiale secondo parolechiave e talvolta secondo l'affinità tematica. 31 L'analisi delle forme letterarie del Qohelet, condotta da Ellermeier, rappresenta un ulteriore passo avanti nella comprensione del libro, in quanto l'ipotesi che le singole unità letterarie siano nate in momenti differenti e che poi siano state unificate da uno o più redattori potrebbe risolvere in maniera soddisfacente il problema che si è posto fin dall'inizio. Ci troviamo infatti di fronte a due dati apparentemente contraddittori: da un lato l'indiscutibile unità del libro, per cui sembra impossibile ridurre il Qohelet a una pura e semplice collezione di proverbi, dall'altro la frammentarietà e discontinuità di alcune parti, per le quali risulta alquanto difficile ricondurre il libro a un ordine logico progressivo.
2. L'analisi delle forme letterarie del Qohelet in F. Ellermeier Con Loretz, Ellermeierconsidera il maSal come il genere (Gattung) fondamentale del QoheletY All'interno di questo genere egli distingue tra il Wahr25 26 27
30
ZIMMERLI, «Das Buch Kohelet», 228-229. ZIMMERLI, «Das Buch Kohelet)', 229-230. ELLERMEIER, Qohelel, 1,1,49.
ELLERMEIER, Qohelel, 1,1, 51. ELLERMEIER, Qohelel, l,l, 80. 30 ELLERMEIER, Qohelel, 1,1, 80-81. ,1 ELLERMEIER, Qohelel, 1,4, 121. L'ipotesi di Ellermeier è stata in seguito ripresa da LAURA, Kohelel, 4-7. Secondo questo autore è possibile distinguere due redattori che sono intervenuti sull'opera: RI, il quale ha aggiunto 1,1.2; 12,8.9-11 e ha collocato 1,3-11 nell'attuale posizione; R 2 , che ha corretto la teologia del Qohelet così poco ortodossa soprattutto per quanto concerne la retribuzione (2,26aa; 3,17a; 5,18; 8,12-13; 1I,9b; 12,12-14). 2S 2')
31
Entrando poi nel merito della determinazione delle singole unità e della loro connessione mediante thematische Begriffe e Stichworter, da che cosa dovrebbe risultare che la connessione, formale o di contenuto, tra le distinte unità risalga al redattore e non all'autore? Per esempio Ellermeier considera 2,18-19 e 2,20-23 come due unità distinte, che il redattore avrebbe unito in base al thematischer Begriff: wesane'ti 'ani e w esabb6ti 'ani. Contro l'interpretazione dell'autore occorre però rilevare che i due testi sono uniti da un unico tema: l'inutilità dello sforzo umano, che Qohelet prima considera in relazione alla sua esperienza particolare (2,18.19) e poi in generale (2,20-23). La composizione di 2,18-23 sembra pertanto un'unità compiuta, più facilmente opera di un autore che di un redattore. Allo stesso modo, per quanto riguarda 4,17-5,8, esso è composto secondo Ellermeier di 5 unità indipendenti, unite redazionalmente dalla forma di ammonizione negativa, ma proprio questo elemento potrebbe costituire una conferma dell'unità redazionale della pericope. In particolare tra il v. 4 e il v. 5 c'è una stretta relazione, che non è puramente formale ma di contenuto; non c'è quindi alcun indizio di un'attività redazionale. Passando dunque dal piano delle formulazioni di principio all'applicazione di tali principi, l'analisi delle 56 unità di Ellermeier presenta parecchie difficoltà.
V.
L'unità del Qohelet, se da un lato fa escludere la tesi di una raccolta di sentenze, non autorizza però, secondo Zimmerli, a considerare il Qohelet come un trattato sul tema della vanità. Esso manca di un piano prospettico chiaro e unitario e in alcune parti, come in 4,13-16; 4,17-5,6 e 9,17-10,20, somiglia molto più ad una raccolta di sentenze che a un trattato. L'interrogativo se il Qohelet si possa considerare o meno un'opera sistematica dal punto di vista formale o di contenuto non trova in questa linea esegetica una risposta definitiva, anche se da tutti indistintamente viene esclusa la possibilità di trovare nel libro una logica lineare e progressiva. Vanno tuttavia sottolineati i risultati estremamente positivi di questa corrente interpretativa soprattutto sul piano dell'analisi stilistica, che esprime l'esigenza di un'esegesi rigorosamente scientifica del testo. Nello stesso tempo con Zimmerli si rivendica la necessità di leggere il Qohelet nel suo mondo, nel suo rapporto dialettico con la sapienza biblica ed extrabibIica. Gli studi più significativi degli ultimi venti anni non faranno che sviluppare e approfondire queste piste di ricerca.
CONCLUSIONE
Riproponiamo in conclusione gli interrogativi iniziali, raccogliendo in una visione di sintesi le indicazioni positive e le prospettive di soluzione, emerse dall'analisi degli autori che discutono sull'unità letteraria del libro. Il Qohelet è un trattato unitario o una pura e semplice raccolta di sentenze? La tesi di Galling che il Qohelet sia una raccolta di sentenze è unanimemente respinta, in quanto si scontra con un dato che non si può ignorare: la presenza in alcune parti del libro di temi e interrogativi che vengono sviluppati per lunghi tratti e abbracciano una molteplicità di sentenze. Ciò avviene però, per Loretz, non secondo una linearità di pensiero ma in una continuità associativa, nella quale gioca un ruolo importante il fenomeno della topica. . Con ciò si può sostenere che il Qohelet sia un trattato? La risposta a questo interrogativo viene data affrontando la questione da un duplice punto di vista: formale e di contenuto. Diversi indizi orientano a considerare il Qohelet unitario sul piano formale. In primo luogo la presentazione e il racconto in prima persona (Ich-Erzahlung), che ricorre non solo nei capitoli iniziali ma anche dopo. In secondo luogo l'inquadramento redazionale tra 1,2 e 12,8, che potrebbe far pensare a un trattato sulla vanità. Loretz riconosce dunque allibro un'unità strutturale; per Ellermeier, invece, quest'unità esiste, ma va ricercata sul piano redazionale.
32
33
Capitolo secondo
Il dibattito sulla struttura del Qohelet Alla ricerca di criteri oggettivi di strutturazione
Gli autori che, dopo Loretz ed Ellermeier, affronteranno il problema della struttura del Qohelet non potranno prescindere, almeno a livello di esigenza metodologica, dall'analisi stilistica del libro. L'ampio dibattito, che si sviluppa negli anni settanta, sarà caratterizzato dalla ricerca di criteri oggettivi in base ai quali individuare la strutturazione del testo: il passaggio dalla prima alla seconda persona singolare, le espressioni caratteristiche, le inclusioni, i chiasmi rappresentano altrettanti indizi positivi da utilizzare ai fini della soluzione del problema. Nell'ambito degli studi di questi ultimi venti anni si evidenziano due linee di tendenza, che si pongono in un rapporto di continuità dialettica con quelle precedentemente analizzate: la prima è orientata a ricercare una struttura logica e ordinata del testo; su questa linea sono gli autori che come Ginsberg considerano il Qohelet un trattato unitario, con delle tematiche ben precise. Si distinguono in questo contesto gli studi di Castellino! e Wright 2 che, assumendo in pieno il principio dell'immediata corrispondenza tra la forma esterna del libro e i contenuti che esso esprime, partono dalle ripetizioni e dai cambiamenti di forma per enucleare, in base a questi rilievi stilistici, l'articolazione tematica del testo. Meno rigoroso sul piano dell'analisi stilistica ma forse più stimolante per le prospettive che apre è il commento di Glasser 3 , il quale, più che alla ricerca di una struttura rigida e precostituita, è interessato a cogliere un movimento nell'opera di Qohelet. È questa la seconda linea interpretativa sulla quale si colloca il lavoro di Loader, 4 che senza prescindere dai risultati dell'analisi stilistica, si apre ad
CASTELLINO, «Qohelet and his Wisdom», 15-28. WRIGHT, «The Riddle of the Sphinx», 38-51; ID., «Numerica! Patterns», 38-51; ID., «Numerical Patterns», 32-43. 3 E. GLASSER, Le procès du bonheur par Qohelet, (Le Div 61), Du Cerf, Paris 1970, 179-180. Cf. anche B. MAGGIONI, Giobbe e Qohelet. La contestazione sapienziale nella Bibbia, Cittadella, Assisi 1982, 53-109. 4 LOADER, Polar Structures. 1
2
35
una lettura strutturale del testo che si propone di coglierne le articolazioni più profonde. Un ulteriore passo avanti è segnato dagli studi di Lohfink 5 e Rousseau,6 che individuano nel libro una struttura alternativa a quella lineare. Giungono nello stesso tempo a maturazione quelle linee interpretative che leggono il Qohelet nel suo rapporto dialettico con la sapienza biblica ed extrabiblica e si approfondisce la ricerca sul genere letterario, al fine di comprendere le categorie culturali che animano il libro. I. IL
CRITERIO TEMAllCO. LA PROPOSTA DI
H. L.
GINSBERG
Numerosi sono gli esegeti che, a partire dagli anni venti, hanno sostenuto la presenza nel libro del Qohelet di una struttura organica e ordinata. 7 Essi si sforzano di dimostrare che nel Qohelet si sviluppa un discorso logico e tematico unitario, al di là delle apparenti contraddizioni che sono riconducibili al genere letterario del libro (diatriba o dialogo intimo). Nonostante l'eterogeneità delle proposte e delle conclusioni, è possibile riscontrare un elemento costante nel procedimento metodologico seguito dalla maggior parte degli autori: viene privilegiato il criterio tematico, che enuclea la struttura del libro in base all'individuazione dei suoi argomenti fondamentali. L'espressione più matura di questa linea esegetica si trova in H. L. Ginsberg, che si sforza di cogliere la logica del testo partendo dai suoi temi. Secondo l'autore il libro si articola in tre parti principali: 8
: N. LOHFINK, Kohelet, (Die neue Echter Bibel), Echter, Stuttgart 1980, lO. ROUSSEAU, «Structure de Qohélet I 4-11», 200-217. 7 Particolarmente significative sono le proposte di due autori: A. BEA, Liber Ecclesiastae qui ab HebraelS appellatus Qohelet, (SPIB 100), Pontificium institutum biblicum Romae 1950' DI FONzoo Ecclesi~ste. Per BEA, Liber Ecclesiastae, 4-8 tutto il libro ruota intorno a t~e considerazi~ni generali; per CUI esso può essere suddiviso in tre parti, ciascuna delle quali sviluppa un'idea fondamentale: 1,4-~,26; 3,1-7,24; 7,25-9,17. La prima è la vanità di tutte le cose, enunciata nel prologo; la seconda dImostra che la sapienza non è capace di risolvere gli enigmi della vita; la terza esamina soprattutto quale sia l'utilità della sapienza nella vita pratica. Qohelet conclude la trattazione con consigli sull'u~o dei beni nella vita quotidiana (~,18-12,7). Il libro t~rmina con l'epilogo, nel quale si tratta dell autore stesso e della sua opera e VIene proposta una sIntesI della sua dottrina (12,9-13). Anche DI FONZO, EccleSiaste, 4-10 attua la divisione formale del libro ricorrendo alla sua struttura material~, ~ioè agl~ argomenti c?~ in. ess? vengono. trattati: Oltre al prologo (1,1-3) e all'epilogo (~2,14), Ii libro puo essere suddiVISO In cInque parti: La pnma (1,4-11) descrive la vanità dell'amb~e.nt~ cosmico e storico in cui si inquadra la vita dell'uomo. La seconda (1,12-2,26) dimostra la vanIta dI ognI valore mondano con un esempio concreto, quello dell'esperienza personale di Salomone c,~e, nonost~nte ~a vastità e l'i~pegno, si conclude con grave disappunto e preoccupazione. Di qui I Ideale pratico di Vita, che C?stItUlSCe la sintesi o la soluzione pratica del libro: vivere nel presente, godendo del frutto ~el pr?pno lavoro, che è dono di Dio a coloro che gli sono accetti (2,24-26). Seguono le due trattaZIOnI piÙ ampie del libro, l'una più teorica e negativa sulla problematica della vita umana sulla t~rra (cc. ~), l'altra più positiva sulla condotta pratica da tenere in essa (7,1-11,6). La parte ~oncluslva del libro è l'esaltazione della vita pur nel suo effimero destino (11,7-12,8). . GINSBERG, «The Structure and Contents», 138. Questa ipotesi di struttura è accolta sostanzI~lmente da D. Lys, L'Ecclésiaste ou que vaut la vie? Traduction. Introduction générale. CommentaIre de 1.1 à 4,3, Université de Lille III, Paris 1977, 61-66. L'autore francese individua nel libro del Qohelet due parti: 1,1-4,3 e 4,4-12,8. La prima parte composta da due sottosezioni (1,4-2,26; 3,1-
36
1. Titolo (1,1). 2. Corpo del libro (1,2-12,8). 3. Epilogo (12,9-14). È soprattutto al corpo del libro che Ginsberg dedica la sua attenzione, scorgendo in esso quattro parti così articolate: A. (1,2-2,26) Tutto è vanità. L'unico vantaggio dell'uomo è nell'utilizzazione dei frutti delle proprie fatiche. B. (3,1-4,3) Tutti gli avvenimenti sono preordinati, ma mai pienamente prevedibili. L'unico vantaggio per l'uomo consiste nell'utilizzazione dei propri beni. A'. (4,4-6,9) È in corrispondenza con A. B'. (6,10-12,8) È in corrispondenza con B. Queste ultime due parti non fanno che riprendere i temi enunciati nelle prime due. Il problema principale, che è quello della vanità di tutte le cose (1,2-2,26), si ripresenta in 4,4-6,9 sotto forma diversa, mostrando soprattutto le conseguenze, per quanto concerne la vita dell'uomo, della vanità di tutte le cose. L'autore fa poi osservare che c'è una stretta corrispondenza tra 3,1-4,3 (B), dove si tratta della predestinazione, e 6,10-12,8 (B'), dove viene ripreso lo stesso tema sotto l'aspetto dell'imperscrutabilità del futuro e si mostrano le conseguenze pratiche di tale assioma. Non mancano però nell'analisi delle singole sezioni delle forzature, nel tentativo di far rientrare tutte le pericopi in uno schema ordinato. Ginsberg infatti colloca senza difficoltà nella sezione B (3,1-4,3), sotto la tematica della predestinazione il testo relativo alle ingiustizie sociali (4,1-3), senza però interrogarsi sul rapporto che sussiste tra il tema della determinazione divina dei tempi e il problema della giustizia. Anche per 4,9-5,8, che Ginsberg considera una digressione, manca una problematizzazione di questo testo nella presentazione della struttura generale,9 per cui si ha l'impressione che l'autore voglia passare sotto silenzio le pericopi che fanno difficoltà. Continuando nella sua analisi, Ginsberg colloca 8,1-4 nella sezione B' (6,10-12,8), senza però precisare in che rapporto siano la tematica dell'imperscrutabilità del futuro e il problema particolare dell'autorità. I testi sono accostati gli uni agli altri, senza che sia esplicitato il loro legame reciproco, per cui l'esposizione di Ginsberg si limita a una descrizione dei contenuti e non coglie l'articolazione profonda del testo. Ma il rischio principale di un approccio esclusivamente tematico è quello di approdare, come nell'ipotesi di una pluralità di fonti, a una ricostruzione sogget-
4,3) è una raccolta di osservazioni sperimentali sull'esistenza e i suoi problemi. La prima sottosezione (1,1-2,26) formula il bilancio generale, la seconda (3,1-4,3) verte sul destino finale. La seconda parte del libro. è una revisione della condizione umana, precedentemente considerata, sulla base di altr~ s!tuazlO.nI. SI articola anch'essa in due momenti: 4,4-6,9, che include dei paradossi, e 6,10-12,7 sull etica. L'IpotesI di fondo è che Qohelet sia un filosofo che conduce una lucida analisi dell'espenenza umana. 9 GINSBERG, «The Structure and Contents», 141, nota 1.
37
tiva del pensiero dell'autore e quindi della struttura del libro, come attestano i numerosi commenti, ciascuno dei quali propone una struttura diversa pretendendo di dare col proprio contributo una soluzione definitiva al problema. Per questo motivo la critica si è orientata alla ricerca di criteri che garantissero una maggiore oggettività nell'analisi del testo.
II.
L'ANALISI STILISTICA DI
G. R.
CASTELLINO
Basandosi sull'analisi dello stile e del vocabolario, il Castellino suddivide il libro in due parti: A) 1,1-4,16; B) 4,17-12,12. Il fondamento di quest'articolazione è nel passaggio dalla prima alla seconda persona singolare. Dopo il prologo (1,1-11) Qohelet introduce se stesso parlando alla prima persona singolare e continua in questo stile, facendo riferimento alla propria esperienza personale, fino a 4,15. A questo punto cambia la forma verbale. Si passa dall'io al tu e quindi all'imperativo in 4,17; 5,1.3.4.5.7; questo mutamento di stile segna l'inizio della seconda parte del libro (4,17-12,12). La tesi dell'autore si basa esclusivamente sull'analisi del vocabolario. Il termine hebel, che ricorre complessivamente 36 volte nei 12 capitoli del libro, è usato dal Qohelet con particolare frequenza nella prima parte, insieme a espressioni equivalenti: ,e'Ctt rCtal}, ra'yon rCtal}. Altro termine rilevante è 'amai = lavoro, fatica, ansietà, frustazione. II sostantivo si ritrova circa 20 volte e il verbo circa 14 volte, per un totale di 34 volte. Nella seconda parte (cc. 5-12), invece, il sostantivo ricorre soltanto 6 volte e il verbo 4 volte. Un terzo termine da prendere in considerazione è ra'tl, ra', che complessivamente ricorre 27 volte, di cui 20 soltanto nella seconda parte. Il termine ha una connotazione etica e può essere considerato come il naturale complemento di hebel. Se hebel designa l'irrealtà, l'inconsistenza delle cose, ra'tl, ra', segnano l'impatto di questa «vanità» sull'uomo che, di conseguenza, trova dannose e negative quelle esperienze che dovrebbero portare soddisfazione e piacere. Oppure, circostanze particolari possono determinare nell'uomo una situazione di frustrazione o sofferenza (fisica e morale), che può essere definita un «male». Il Castellino osserva pertanto che le valutazioni morali sono più frequenti nella seconda parte in accordo con queste note fondamentali. lO La seconda parte del libro presenta caratteristiche grammaticali e letterarie completamente differenti. II
IO \I
38
CASTELLINO, CASTELLINO,
«Qohelet and his Wisdom», 16-17. «Qohelet and his Wisdom», 22-24.
In 4,17-5,6 è presente una serie di ammonizioni che riguardano il rapporto uomo-Dio. L'ammonizione di 5,6 ki 'et hife16him yera' rappresenta il tema dominante di questa parte, come attesta la conclusione del discorso in 12,13: 'et ha'el6him y'ra'. L'atteggiamento spirituale che, in alternativa al precedente, viene qui proposto è indicato nella sentenza conclusiva del prologo (5,6). II tema del timor di Dio, che non ricorre mai nella prima parte dell'opera, costituisce lo sfondo nel quale tutti i problemi vengono discussi e analizzati, in quanto nella seconda parte Qohelet vuole dare una risposta agli interrogativi formulati precedentemente. L'interpretazione di Castellino si pone agli antipodi di quella di Siegfried e Podechard: il tema del timore di Dio, che secondo questi autori era secondario nel Qohelet in quanto attribuibile al f:lasid, è secondo l'analisi del Castellino il tema dominante del libro. Ma questa proposta di lettura del Qohelet, basata sulla ricerca dello stile e della terminologia, pur rappresentando un passo avanti rispetto alle precedenti interpretazioni, che non tenevano in alcun conto il vocabolario del libro, non soddisfa del tutto. II passaggio dall'io al tu non è un criterio sufficiente per distinguere in esso le due parti indicate dal Castellino. Dopo 4,17-5,8 Qohelet torna a parlare alla prima persona singolare (cf. 7,9.13.16.17.21; 8,2, ecc.) alternando la seconda persona singolare: è questo il dato più significativo sul quale occorre interrogarsi. Comunque il cambiamento di persona ha un'importanza secondaria rispetto ad altri elementi stilistici, quali il ricorrere di espressioni caratteristiche o la presenza di figure retoriche, che il Castellino non prende in considerazione e che nell'analisi di altri autori costituiscono la pista più sicura nella ricerca della struttura del Qohelet.
III.
A. G.
WRIGHT: «NUMERICAL PATTERNS»
L'analisi di A. G. Wright, che si muove sulla linea di Loretz e di Castellino, si articola in due fasi: nella prima l'autore effettua un'intelligente analisi stilistica del libro, nella seconda ricerca il fondamento della struttura del testo in base a modelli numerici (numerical patterns). Facendo attenzione non tanto al pensiero quanto alle forme grammaticali, l'autore cerca dapprima di scoprire i procedimenti letterari che il Qohelet ha utilizzato: inclusioni, parole-chiave, anafore, chiasmi, simmetrie. 12 Questi indizi, completati da molti altri, fanno emergere a poco a poco degli schemi, delle strutture parziali che tuttavia almeno inizialmente non sono altro che delle ipotesi. La ripetizione per otto volte dell'espressione «Questo è vanità e un inseguire il vento» in 1,12--6,9 segna le otto unità principali, che contengono altrettanti punti di osservazione nella ricerca del Qohelet sulla vita e alcune digressioni.
12
WRIGHT,
«The RiddIe of the Sphim», 318-320.
39
Un motivo secondario accompagna il tema fondamentale, che è quello della vanità dello sforzo, ed è costituito dalla riflessione sulla gioia che scaturisce dal frutto del proprio lavoro; ma anche questo alla fine dimostra i suoi limiti. A partire da 6,9, che segna una cesura nel libro, vengono introdotte due nuove idee, cui fa riscontro un altro modello verbale: è impossibile per l'uomo conoscere ciò che è bene per lui e che cosa avverrà dopo di lui. La prima idea viene sviluppata in 7,1-8,17, che termina con il triplice: «non può conoscere» (8,17). Alla seconda questione il Qohelet risponde poi in sei sezioni (9,1-11 ,6), nelle quali illustra l'incapacità dell'uomo nel conoscere il futuro. Ognuna di queste sezioni termina con «non conosce» e l'ultima sezione con il triplice: «Tu non conosci» (11 ,5-6). Da questa convergenza di indizi Wright deduce che i modelli da lui scoperti sono un espediente utilizzato deliberatamente dall'autore per conferire una grande struttura al libro che risulta così articolata: 13 TITOLO (1,1) POEMA SULLA FATICA (1,2-11) I. INDAGINE DI QOHELET SULLA VITA
Doppia introduzione Studio della ricerca del piacere Studio della sapienza e della follia Studio dei frutti della fatica si deve lasciarli ad un altro non si può indovinare il momento giusto per agire Il problema di un «secondo» Si può perdere tutto ciò che si accumula
(1,12-6,9) (1,12-15)* (1,16-18)* (2,1-11)*
* finisce con «(vanità e) inseguire il vento»
(2,12-17)* (2,18-26)* (3,1-4,6)** (4,7-16)* (4,17-6,9)*
II. CONCLUSIONI DI QOHELET (6,10-11,6) Introduzione (6,10-12): non si sa ciò che Dio ha fatto, perché non si è in grado di scoprire ciò che è bene fare e non si può scoprire quel che viene dopo. A. Nessuno può scoprire ciò che per lui è bene fare Critica della sapienza tradizionale sul giorno della prosperità (7,1-14)* e dell'avversità Giustizia e malvagità (7,15-24)* Donna e follia Il saggio e il re
13 WRIGID,
40
(7,25-29)** (8,1-17)***
«Tbe Riddle of the Sphinx», 325-326.
* finisce con «non scoprire/non può scoprire»
B. L'uomo non sa cosa avverrà dopo di lui Sa che morirà; i morti non sanno nulla (9,16)* Non c'è nessuna conoscenza nello Se'ol Nessuno conosce il proprio tempo Nessuno sa cosa accadrà Nessuno sa il male che verrà Nessuno sa il bene che verrà
* finisce con <
(9,7-10)* (9,11-12)* (9,1310,15)** (10,16-11,2)* (11,3-6)***
POEMA SULLA GIOVENTÙ E LA VECCHIAIA (11,7-12,8) EPILOGO (12,9-14)
In seguito Wright cerca conferma della sua interpretazione attraverso l'analisi dei valori numerici intorno al quale il testo è strutturato. Tutto il libro, da 1,1 a 12,14, consta di 222 versetti e, se lo si divide in due parti, di 111 versetti ciascuna, esso risulta così suddiviso: 1,1-6,9 = 111 versetti; 6,1{}-12,14 = 111 versetti. 14 Tra 1,2 e 12,8 c'è inclusione e, per la presenza di hbl hblym hkl hbl, da 1,2 a 12,8 si contano complessivamente 216 versetti e 216 è la somma delle consonanti suddette: infatti hbl = 37, hblym = 87; hkl = 55; hbl = 37, per un totale di 216. La frase hbl hblym hkl hbl, che determina l'inclusione tra 1,2 e 12,8 è raddoppiata in 1,2: HBL hblym... HBL hblym hkl HBL. Qui HBL (=37) ricorre 3 volte e 37x3 = 111. II significato del numero 111 è dunque quello di essere multiplo di 37. II termine hbl ricorre nel libro 38 volte ma, poiché è dubbia la ricorrenza di 5,6 o di 9,9, hbl ricorre 37 volte. L'epilogo dell'editore (12,9-14), con il quale si aggiungono 6 versetti al libro, inizia in 12,9 con la parola weyater. II waw è valutato con 6 e infatti egli aggiunge 6 versetti agli altri 216, bilanciando in tal modo la seconda parte che risulta anch'essa di 111 versetti. L'importanza del numero 216 risulta anche dal fatto che nel titolo del libro la prima parola è dbry, che è valutata numericamente con 216 ed è confermata dalla triplice ricorrenza del termine in 12,10-11, che dimostra come l'autore abbia apprezzato il valore numerico della parola. Togliendo il titolo (1,1), l'inclusione (1,2), il poema iniziale (1,3-11) con l'introduzione (1,12-18), il poema finale (11,7-12,7) e l'inclusione (12,8), rimane un totale di 186 versetti, che si possono suddividere in due parti di 93 versetti ciascuno: 2,1-6,9 e 6,1{}-11,6. L'ineguaglianza delle due parti risulta evidente nel seguente schema: 15
14 WRIGHT, 15 WRIGHT,
«Numerical Patterns», 43-45. «Numerical Patterns», 45 nota 19.
41
titolo
incluso
poema
introd.
1,1 1
1,2 1
1,3-11 9
1,12-18 7
I
~
I
corpo introd. poema inclusione del libro al poema 2,1-11,6 11,7-8 11,9-12,7 12,8 93/93 2 9 I
I
~
Il significato del numero 186 per il corpo del libro è una volta ancora connesso con hebel: 37x5 = 185 e ciò rivela un altro sistema numerico che è presente nel libro. Tornando all'inclusione in 1,2, Wright rileva 5 ricorrenze di hebel al singolare e al plurale. La forma singolare (37), moltiplicata per cinque, equivale a 185 e ciò è la base del numero 186, la differenza di una linea non è importante (!). I 186 versetti del libro sono sistemati in due parti uguali, ciascuna delle quali consiste di due hebel e mezzo (cioè due hebel equivalenti a 74 + una metà di hebel calcolata come 19 per un totale di 93 in ciascuna metà). I 5 hebel sono così suddivisi nel corpo del Iibro: 16 2,1-6,9 93 versetti 2 hebel (74) e mezzo (19)
6,10-11,6 93 versetti 2 hebel (74) e mezzo (19)
Nella prima metà del libro (1,1-6,9), in cui sono funzionali 3 hebel, i 18 versetti di 1,1-18, che corrispondono alla metà di hebel, andavano completati con i 93 versetti di 2,1-6,9, che corrispondono a 2 hebel e mezzo. 1,1-18 18 versetti 112 hebel
2,1-6,9 93 versetti 2 112 hebel
Nella seconda metà dell'opera (6,10-12,8), dove la lunghezza è determinata dal limite di 216 versetti per l'intero libro ed è quindi ristretta a 105 versetti, potevano essere aggiunti da Qohelet soltanto 12 versetti per completare il libro. 6,10-11,6 93 versetti
11,7-12,8 12 versetti
I tre hebel nella seconda metà del libro sono così distribuiti: 6,10-11,6 93 versetti 2 112 hebel
11,7-12,8; 12,9-14 12 vv.; 6 vV. 18 versetti 112 hebel
La metà di hebel, equivalente ai 18 versetti della conclusione, rimanda alla metà di hebel (18 vv.) dell'inizio del libro. In effetti l'editore ha imposto una struttura di 6 hebel al libro, e questo w e w-y6ter (dell'epilogo) può alludere soltanto a 6. 16
42
WRIGHT, «Numerical Patterns», 46.
I 6 hebel dell'intero libro sono così distribuiti: 1,1-18 18 vV. 112 hebel
2,1-6,9 93 vV. 2 112 hebel I
6,10-11,6 93 VV. 2 1121ebel
11,7-12,14 18 VV. 112 hebel
5 hebel
Vi è quindi una sostanziale continuità tra il Qohelet autore e il Qohelet editore. 17 La tesi fondamentale di Wright è dunque che il Qohelet abbia una struttura geometricamente costruita. Qohelet ha composto il libro in base a precise strutture numeriche, secondo un procedimento consueto ai suoi tempi, che si ritrova anche nel libro dei Proverbi e molto più tardi nella Sapienza ed è dovuto al fascino che i numeri esercitavano sulla mente degli antichi. Il lavoro di Wright, pur così articolato e originale, lascia però aperti troppi interrogativi: 1. Perché il corpo del libro inizia in 2,1 e non in 1,12? 2. Che rapporto c'è tra 1,1-18; 6,10-12; 12,9-14? Inizieremo da 1,12-18 perché proprio questi versetti costituiscono il punto debole dell'interpretazione di Wright. Il motivo per cui l'autore li esclude dal corpo del libro è inerente alla sua ricostruzione delle strutture numeriche, che sarebbero alla base dell'opera del Qohelet. Facendo iniziare il libro da 2,1 si raggiunge il totale di 93 versetti; ma l'esclusione di 1,12-18 dal corpo del libro contrasta nettamente con i dati dell'analisi stilistica, della cui validità proprio Wright si è fatto sostenitore. Egli stesso riconosce che gli esegeti sono concordi nel porre l'inizio dell'opera in 1,12, ma poi assegna a questi versetti il valore di una doppia introduzione, per cui 2,1-11 svilupperebbe l'esperienza personale del Qohelet, preannunciata in 1,12-15, e 2,12-17 tratterebbe della ricerca della sapienza introdotta in 1,16-18. Ma, a mio avviso, è proprio questa delimitazione dei temi l'elemento più discutibile dell'analisi di Wright; ad es. in 2,3 i termini sapienza e follia sono presenti come nelle altre sezioni del capitolo, proprio a testimoniare l'impossibilità di una tematizzazione univoca delle singole sezioni, anche se è vero che in ciascuno di questi testi è introdotto un tema nuovo. Comunque le mie riserve critiche riguardano principalmente la netta separazione che l'autore opera tra 1,12-18 e 2,1-26; nella tavola delle strutture numeriche 1,12-18 viene chiaramente distinto dal resto del libro e agganciato a 1,1 e 1,2-11 ma dal punto di vista dell'analisi letteraria ciò non ha senso, perché è evidente anche a una lettura superficiale l'unità di 1,12-2,26 articolata intorno alla
17 In un secondo momento Wright ricerca il fondamento della sua interpretazione nell'analisi delle sottosezioni e delle loro quantità numeriche. Cf. WRIGHT, «Numerical Patterns», 32-43.
43
finzione regale (1,12; 2,4-9). Non a caso infatti Wright riconosce onestamente la difficoltà di far rientrare 2,12b nella ricostruzione che egli fa del testo. In realtà questo versetto si comprende solo alla luce della tematica regale che unifica questi due capitoli. Sempre al redattore finale risalirebbe poi l'inserimento di 1,1-11 e 1,12-18. Ma che rapporto c'è tra: 1,1-11, che è un poema chiaramente staccato dal resto del libro; 1,12-18, che, come abbiamo detto, sembra far parte molto più probabilmente dell'unità successiva per omogeneità di terminologia e di stile; 6,10-12, che non si lascia staccare tanto facilmente, come invece sostiene l'autore, dal contesto in cui è inserito; 12,9-14, che invece reca chiaramente le tracce di due mani (due epiloghisti)? A mio avviso l'analisi di Wright apre prospettive nuove nel campo della ricerca sul Qohelet, perché sottopone all'attenzione della critica una nuova forma di approccio al testo, quella della lettura numerica. Tuttavia la priorità va data senza dubbio all'analisi letteraria, che consente forse di risolvere alcuni problemi sui quali l'autore volontariamente non ritiene di dover soffermarsi: le irregolarità di ordine stilistico, le discontinuità (cambiamenti di persone, di topica, di generi), problemi che non hanno ancora trovato un'adeguata soluzione e di cui Wright non tiene debitamente conto, come accade sempre a quegli autori eccessivamente preoccupati di trovare una struttura ordinata e perfetta nel libro del Qohelet. Alla fine ci domandiamo: in questo tipo di analisi è veramente sparito l'elemento soggettivo e aprioristico? IV.
E.
GLASSER: IL MOVIMENTO DEL LIBRO DEL QOHELET
Più che di struttura Glasser preferisce parlare di movimento dell'opera, 1M individuando il filo conduttore di tutto il libro nel rapporto tra felicità e sapienza. A differenza degli autori precedenti, come Castellino e Wright, che facevano precedere l'analisi stilistica a quella tematica, Glasser, per scoprire il movimento del libro, considera contemporaneamente e non successivamente la forma e il contenuto in modo tale che le osservazioni fatte a partire dall'uno o dall'altro criterio si correggano reciprocamente. 19 Dall'analisi del libro Glasser ricava la seguente struttura: 20 L'introduzione (1,12-18). Qohelet dice di avere considerato tutto ciò che avviene sotto il sole e conclude il suo esame con la constatazione che la condi-
18 GLASSER, Les 19 GLASSER, Les 20 Per lo schema
184.
44
procès du bonheur, 185. procès du bonheur, 13-14. ragionato della struttura del libro cf.
GLASSER,
Les procès du bonheur, 179-
zione umana è negativa; ha preso atto della distorsione e delle manchevolezze di questo mondo, ma la sapienza che presiede a questa ricerca ne esce modificata; soffre di non poter comprendere e di non poter realizzare un progetto che riesca conformemente alle sue aspirazioni. A. 2,1-26. Analizza l'esperienza personale di Qohelet sulla felicità. Il v. 1 annuncia il tema; i vv. 2-3 segnalano l'esplorazione di due vie, i vv. 4-10 descrivono il successo del Qohelet come re. I vv. 11-23 analizzano quest'esperienza in due punti e il v. 24a conclude l'analisi. Lo scacco dell'uomo è nella necessità della morte, che colpisce l'uomo doppiamente: in primo luogo perché lo stronca in tutte le sue realizzazioni e nella felicità che vi trovava, in secondo luogo perché non fa distinzione tra il sapiente e lo stolto, in modo tale che la sapienza viene posta sullo stesso piano della follia. All'uomo non resta altro che g~star~ la felicità giorno per giorno, ma la sua gioia è minata alla base dalla mmaCCla della morte e mortificata dall'umiliazione inflitta alla sapienza. E Qohelet, guardandosi intorno, ha constatato che non è in potere dell'uomo darsi questa felicità: è Dio che l'accorda o la rifiuta nella sua sovranità, senza riferimento alla condotta morale (vv. 24b-26). Si annuncia così la seconda parte del libro: la ricerca della felicità, di cui si delinea il duplice aspetto: a) La realtà della felicità: gli uomini sono felici? b) Le condizioni della felicità: il destino felice o infelice degli uomini è senza legame necessario con la loro giustizia o con la loro saggezza. B. 3,1-9,10. Riporta la ricerca di Qohelet sulla felicità degli altri uomini; la sua realtà o il suo legame con la sapienza o la giustiziaY Da 3,1 a 7,14 Qohelet dà conto della sua ricerca sulla realtà della felicità. a) 3,1-14 dà una spiegazione del principio secondo il quale Dio presiede con libertà sovrana ad ogni destino, decidendo del suo contenuto positivo o negativo. Il governo divino è misterioso per l'uomo, ma deve avere un senso per Dio. b) 3,15-6,9 esamina otto situazioni umane; l'esposizione comincia con «ho visto» e la presentazione dei casi è fatta in due gruppi di quattro, tra i quali è effettuata una duplice puntualizzazione. Qohelet ammette che talvolta SI produca un miglioramento delle situazioni collettive di ingiustizia e di oppressione, ma è transitorio e non modifica di gran lunga la situazione generale. In seguito mette in guardia contro la moltiplicazione delle pratiche religiose; dal momento che esse non hanno alcuna ripercussione sulla sorte del fedele, è meglio rinunciare allo zelo che le ispira. . c) 6,10--7,14 sviluppa regole d'azione per il saggio; davanti alla vlOlenza recata agli uomini dal governo divino, che resta da fare? Prendere coscienza della propria finitezza riflettendo sulla morte.
21 GlASSER,
Les procès du bonheur, 180-182.
45
Restare legati all'ideale della saggezza, perché conserva tutto il suo valore anche in assenza di una giusta retribuzione. Non perdere la pazienza, non farneticare di un altro mondo: gustare la felicità quando si presenta, sopportare la sventura quando colpisce. Da 7,15 a 8,15 l'attenzione si sposta sullo statuto della giustizia e della saggezza, considerato in relazione alla felicità. I fatti precedentemente riportati hanno già dimostrato che saggezza e giustizia non garantiscono infallibilmente una vita felice. Ma una corrente sapienziale antica e tuttora predominante, diffonde una concezione ottimistica del destino umano e una spiegazione rassicurante del governo divino; il saggio e il giusto sono sempre ricompensati, il folle e il cattivo puniti. Oohelet deve dunque prendere posizione nei confronti di questa corrente. In quattro antitesi, in cui il pensiero tradizionale è messo a confronto con la realtà, abbatte la sicurezza di questa saggezza e ne svela la mancanza di realismo (7,25-8,15). Da 8,16 a 9,10 Oohelet traccia un bilancio di tutta la sua ricerca sapienziale. L'uomo è incapace di comprendere l'opera di Dio (9,12.3-4); in questo bilancio, nel quale il passivo è predominante, vi è però un attivo che Oohelet esorta a valorizzare al massimo: la ricerca ha in effetti permesso di reperire, tra tutte le vanità del mondo, un senso immediato dell'esistenza umana (cf. 2,24a; 8,15). In 9,5-6 Oohelet ricorda che la breve vita dell'uomo sulla terra è la sua unica possibilità di felicità e i vv. 7-10 invitano senza reticenza il lettore a coglierne la sua parte. C. 9,11-12,7. L'ultima parte del libro sviluppa in ordine inverso i due elementi dell'esortazione precedente (9,10 e 9,7_9).22 9,11-11,6 invita l'uomo ad agire con coraggio, perché la felicità è sempre frutto del lavoro umano anche se la riuscita non è assicurata in quanto molte disavventure rischiano di mettere in scacco le attività del saggio. 11,7-12,7 invita il saggio a esplorare tutte le possibilità di gioia della sua esistenza, cominciando dall'adolescenza perché la vecchiaia e la morte incombono su di lui. La conclusione di Glasser, nella quale si riassume la tesi di tutta l'opera, è che il filo conduttore dell'intero Oohelet sia il rapporto tra felicità e saggezza. n Oohelet preannuncia il tema già in 1,3 e la prima parte del libro, dopo l'introduzione, impone con forza il tema della felicità in relazione alla sapienza dell'uomo. Ouesto stesso interrogativo anima tutto il seguito dell'esposizione. Nello stesso tempo l'ordinamento dell'opera comincia ad apparire nelle sue grandi linee. A differenza di altri autori Glasser ritiene che non si possa parlare nel 00helet di una struttura rigida e predeterminata, ma di un movimento che anima tutta l'opera.
21 GLASSER, 23 GLASSER,
46
Les procès du bonheur, 182-183. Les procès du bonheur, 183.
Glasser nel suo studio si sforza di evidenziare il progresso attraverso il qUale procede l'opera, che egli suddivide nelle seguenti unità: 1,12-18; 2,1-26; 3,17,14; 7,15-8,15; 8,16-9,10; 9,11-12,8.24 Osserva però che all'interno di queste grandi divisioni, il movimento sembra meno pronunciato, perché si ha l'impressione di girare in circolo. Oohelet infatti fa il giro di una realtà, affrontando i problemi con flash SUccessivi. È il caso di 2,11-23, in cui analizza la sua esperienza di felicità sotto 6 differenti punti di vista; di 3,16-4,12 e 5,7-6,9, in cui fa il punto sulla realtà della felicità degli uomini esaminando otto situazioni differenti; è ancora il caso di quattro antitesi (7,25-8,15), che si prefiggono di criticare la sicurezza della tradizione; di 9,13-10,9, in cui la constatazione di ciò che tocca ai più abili è illustrato in 6 maniere differenti. In tutti questi passi si ha una giustapposizione dei pUnti di vista, il cui ordine potrebbe essere diverso, ma poco importa perché essi SOno disposti in circolo e si trovano ciascuno a uguale distanza dall'oggetto che çonsiderano e che li unifica; una volta compiuto il giro della questione, il movimento ricomincia. Si potrebbe dire che Oohelet vi applica il principio enunciato in 7,27. All'interno delle unità minori il movimento è ordinariamente percettibile (ad es. 2,12-15.16-17.18-19.20-21.22-23; 5,12-16.17-19; 6,1-9, ecc.). Oohelet ra-. giona, discute, porta delle argomentazioni, come attesta la frequenza delle particelle (ki, gam, waw). Talvolta tuttavia la prima impressione è quella di una giustapposizione e si rende necessario un esame più attento per scoprire illegarne che unisce in profondità i vari elementi. La percezione del movimento dell'opera è inoltre resa difficile dallo stile essenzialmente concreto della riflessione di Oohelet. 2S Per esprimere una verità generale, egli ne dà spesso un'illustrazione particolare. Di solito la verità generale è annunciata e ciò permette di inserire il passaggio nella dimostrazione di Oohelet, ma spesso i commentatori sono condizionati dall'applicazione particolare e credono che sia questa l'oggetto principale della riflessione dell'autore. La varietà di queste illustrazioni crea un'impronta di dispersione che disorienta il lettore moderno. Ad es. in 4,9-12, per illustrare «il miglior salario del lavoro» ottenuto mediante l'associazione di più persone, egli cita il caso della caduta, il fatto che ci si tiene caldi quando si dorme in due, e il caso dell'aggressione: è il v. 9 che indica la portata dell'insieme e che permette di ricollegarlo al tema della felicità. Glasser prende in tal modo le distanze sia da coloro i quali, sostenendo l'esistenza nel Oohelet di un piano ben preciso sulla base di sequenze coerenti e ordinate, propongono però delle strutture che fanno violenza al testo; sia da coloro che, sulla base delle giustapposizioni e delle sezioni a prima vista assai sconnesse (7,1-14; 9,11-11,6), riducono il testo a una collezione di proverbi.
24 GLASSER, 25 GLASSER,
Les procès du bonheur, 185. Les procès du bonheur, 186-187.
47
Sotto il profilo metodologico la ricerca di un movimento all'interno dell'opera può essere una pista che vale la pena seguire, ma la conclusione alla quale Glasser giunge per quanto riguarda l'interpretazione del libro non è del tutto coerente con l'impostazione di fondo dell'autore, in quanto tutta la problematica dell'opera viene ridotta ad un unico tema: quello del rapporto tra felicità e saggezza. È vero che il vocabolario relativo alla tematica della felicità attraversa tutto illibro,26 ma bisogna anche considerare che la parola più frequente è hebel (38 volte!) e anche questo termine è presente in tutte le sezioni. Il libro' infatti inizia con una dichiarazione di vanità e termina con essa (1,2; 12,8). Il termine ricorre 6 volte nel capitolo primo; 8 nel secondo; 1 nel terzo; 4 nel quarto capitolo; 2 nel quinto; 5 volte nel sesto; 2 volte nel settimo; 3 volte nell'ottavo; 2 volte nel nono; 2 volte nell'undicesimo; 3 volte nel dodicesimo. È assente solo nel decimo capitolo. Prima ancora di porre in 1,3 l'interrogativo: «Quale vantaggio?..», il Qohelet afferma in 1,21a vanità di tutte le cose. Piuttosto che individuare subito il filo conduttore del libro nel rapporto tra felicità e sapienza, l'autore avrebbe dovuto domandarsi in che rapporto sono i due temi della vanità e della gioia di vivere. Ogni unità del secondo capitolo, comprese quelle in cui il Qohelet tratta del piacere e della gioia nonché della sapienza, si conclude inevitabilmente con l'affermazione «questo è vanità e un inseguire il vento». L'elemento problematico sul quale occorre interrogarsi è dunque ancora una volta la dialettica concettuale e tematica dell'opera.
V. J. A.
LOADER E LE POLARITÀ STRUTTURALI DEL TESTO
Nella prospettiva di Loader l'analisi delle figure stilistiche, nonché della metrica e della poesia rappresenta solo il punto di partenza per determinare le unità-base dell'analisi strutturale. Loader, condividendo su questo punto la tesi di Loretz, sostiene che il libro è composto di unità separate che però sviluppano tutte la stessa idea di base: la vanità. Quest'idea ricorre da un capo all'altro del libro e costituisce il fondamento unitario delle diverse sezioni e delle singole unità che sono accuratamente strutturate. Il primo passo della ricerca consiste dunque nel delimitare le unità sulla base degli elementi formali. Adottando un procedimento sincronico Loader giunge a determinare alcune forme tipiche, categorie operative da non confondere con la struttura unica di una specifica unità letteraria. 27 L'uso degli elementi formali, delle forme stilisti-
26
Per lo schema delle ricorrenze terminologiche cf.
184. 27 LOADER,
48
Palar Structures, 2.
GLASSER,
Les pracès du banheur, 183-
che e molti motivi presenti nelle pericopi separate mettono in evidenza i vari contatti tra Qohelet e la letteratura sapienziale, che Loader non analizza dal punto di vista storico ma sotto l'aspetto strutturale. Le considerazioni sulle tradizioni e lo sviluppo storico fanno seguito allo studio sincronico, al fine di precisare qual è il posto del Qohelet nella letteratura sapienziale che, secondo Loader, è quello di una posizione critica nei confronti di una sapienza dogmatica e cristallizzata. 28 Il punto di vista proprio del Qohelet e il suo contatto con la tradizione sapienziale rappresentano i due poli intorno ai quali si strutturano le singole pericopi. Per l'autore esse sono articolate secondo una struttura bipolare, in cui i due poli si contrappongono in modo tale da dare origine a una tensione. Loader individua complessivamente lO polarità: 1. Conservazione, vita - abbandono, morte (3,1-9; 7,1-4). 2. Valore e disvalore della sapienza (1,12-2,26; 4,13-16; 7,5-7; 7,11-14; 7,15-22; 7,23-8,1; 8,16-17; 9,11-12; 9,13-10,1; 10,2-7; 10,8-11). 3. Rischio e sicurezza (11,1-6). 4. Potere e disvalore della politica (8,2-9). 5. Parola e silenzio (4,17-5,8; 1O,12-15a; 10,16-20; 6,10-12; 7,8-10). 6. Disvalore della ricchezza (5,9-6,9). 7. Lavoro senza prodotto (3,10-15; 4,4-6; 4,7-12). 8. Inumano/umano (3,16-22; 4,1-3). 9. Assenza di retribuzione dove è attesa (8,10-15; 9,1-10). lO. Fatica e gioia (3,12-13; 3,22; 8,15; 9,7-10; 11,7-12,8). Ci soffermiamo qui su alcune polarità per dare un'idea del procedimento dell'autore. In 3,1-9, che ha una struttura simmetrica, si può osservare una doppia antitesi su due poli: da un lato quello della vita e della conservazione e dall'altro quello della morte e dell'abbandono. 29 Schematizzando: Polo: vita, conservazione
Polo opposto: abbandono, morte
Tensione: insicurezza, impotenza dell'uomo di fronte ai casi della vita. In 7,1-4 la morte ha la prevalenza sulla vita, come è indicato dalla riflessione tipicamente qoheletiana sulla vanità della vita. 30 Quindi:
2R LOADER, 29 LOADER, 30 LOADER,
Palar Structures, 119-131. Palar Structures, 33. Palar Structures, 33-35.
49
Polo opposto: morte (B)
Polo: vita (A)
Polo: sapienza comune (A)
Tensione: mancanza di valore della sapienza generale (C).
Tensione: è preponderante il secondo, come è indicato dalla vanità della vita. Ma la topica del Qohelet genera un'altra polarità: gioia-dolore.
Polo: fJokma di Qohelet (C)
Tensione: mancanza di valore della comune fJokma (E)
Ma la sapienza di Qohelet è in correlazione con l'opera di Dio. Polo: fJokma di Qohelet (C)
Schematizzando: A: B
---?
C
A e B = D D: C
---?
E
C
La seconda polarità riguarda il tema della sapienza ed è articolata intorno alla contrapposizione tra la sapienza comune e la follia, dove la tensione è originata dal riconoscimento dello scarso valore della sapienza (cf. ad es 1,12-2,26).31 Polo opposto: follia
Polo: sapienza comune
Tensione: relativo vantaggio della sapienza comune Polo opposto: casi della vita
Polo: sapienza comune Tensione: assenza di valore della sapienza
In altre pericopi la contrapposizione è tra la sapienza comune e l'opera di Dio, in cui si evidenzia ugualmente lo scacco della sapienza. Ma questa non è altro che la visione del Qohelet che nella sua contrapposizione alla sapienza generale afferma su quest'ultima un vantaggio sia pure relativo. Così ad es. in 8,16-17: 32
31 LOADER, 32 LOADER,
50
Potar Structures, 35-42. Potar Structures, 54-55.
Polo opposto: fJokma generale (A)
Tensione: relativo vantaggio della sapienza di Qohelet (D)
Polo opposto: visione di Qohelet sulla vanità (C)
Polo: motivo sapienziale del dolore/gioia (D)
Polo opposto: opera di Dio (B)
Polo opposto: opera di Dio (B)
Tensione: svalutazione della fJokma di Qohelet (E). Dunque: A::B ---? C fJokma di Qohelet C::A ---? D C::B ---? E.
Il lavoro di Loader è, insieme a quello di Wright, uno dei contributi più originali che siano stati dati negli ultimi anni alla ricerca sulla struttura del Qohelet. Ma i due autori si pongono su due piani nettamente antitetici: Wright ritrova nell'opera una struttura geometrica e razionale, che obbedisce a una mentalità di tipo matematico; Loader, invece, mette in luce tutto il dinamismo dell'opera, che risponde a un procedimento dialettico articolato in tesi e antitesi. Quest'ultimo sembra il procedimento più adeguato alla natura del libro del Qohelet, il quale nella sua ricerca si basa più sull'esperienza che non sulla razionalità astratta; basti pensare ai verbi che indicano l'importanza della ricerca e della riflessione, tra cui il verbo r'h (37 volte, di cui 18 in prima persona). Nel Qohelet è in atto un processo di riflessione che rimane sempre aperto e non è mai assoluto e concluso. La mentalità matematica è ben lontana dal mondo spirituale del Qohelet, al quale si addice molto di più il sapere dialettico. Inoltre la ricerca sulle polarità strutturali consente di procedere a una lettura del testo che va più in profondità rispetto a quella formale, anche se l'autore avrebbe dovuto chiarire meglio che cosa intende per struttura in relazione alle principali acquisizioni dello strutturalismo. Loader infatti ferma la sua attenzione soprattutto sul parallelismo antitetico, mentre ignora altre forme possibili di relazione intertestuale. Non si comprende ad es. perché non analizzi il prologo del Qohelet, nel quale si potrebbe trovare la chiave di comprensione di tutto il libro. Ritengo comunque che un'ulteriore analisi della struttura del Qohelet non possa prescindere dai risultati del lavoro di Loader. 51
VI.
LA STRUTIURA CONCENTRICA:
N.
LOHFINK
Le ipotesi di struttura finora considerate adottano prevalentemente uno schema lineare e progressivo e si sforzano di cogliere un procedimento logico all'interno del libro, basato su una razionalità discorsiva e coerente. Proprio la consapevolezza della stretta correlazione esistente tra il piano dell'opera e il messaggio che Qohelet vuole trasmettere spinge N. Lohfink a orientarsi verso uno schema completamente differente, non più lineare ma concentrico. L'autore parte dalla convinzione che Qohelet adotti un particolare procedimento retorico, la palindrome, che consiste nel bilanciare il materiale in modo tale da sottolineare il punto centrale, di cui si vuole evidenziare l'importanza. Il centro di tutto il libro del Qohelet è dato da 4,17-5,6, la pericope sul culto; tutto il resto del materiale si articola intorno a questo nucleo centrale. Si ottiene così una struttura concentrica suddivisa in 9 membri: 33 1. Inquadramento (1,1-3)
2. Cosmologia (1,4-11) 3. Antropologia (1,12-3,15) 4. Critica sociale I (3,16-4,16) 5. Critica religiosa (4,17-5,6) 6. Critica sociale II (5,7--6,10) 7. Critica ideologica II (6,11-9,6) 8. Etica (9,7-12,7) 9. Inquadramento (12,8). C'è una perfetta corrispondenza di parti in questa struttura, iniziando da 1,1-3 e 12,8, che sono opera dell'editore o di uno dei discepoli, e che costituiscono l'inquadramento iniziale e finale del libro; la più diretta di queste corrispondenze è tra la prima parte della sua critica sociologica (3,16-4,16) e la seconda parte (5,7-6,10), che ruotano intorno al nucleo centrale: 4,17-5,6. Per quanto riguarda poi gli strumenti espressivi, Qohelet si avvale, secondo Lohfink, dei procedimenti letterari tipici della grecità, in particolare la diatriba,34 mediante la quale il maestro stabilisce un dialogo attivo con il discepolo. L'autore riprende in tal modo un'ipotesi molto antica, che consentiva già ai padri della chiesa di risolvere il problema delle contraddizioni presenti nel libro: le affermazioni positive, secondo Lohfink, bilanciano infatti dialetticamente gli aspetti negativi del pensiero del Qohelet. .
33 LOHFINK, Kohelet, 10; Cf. anche ID., «War Kohelet ein Frauenfeind? Ein Versuch die Logik und den Gegenstand von Koh 7,23-8,la herauszufinden», in GILBERT, a cura di, La Sagesse de l'Ancien Testament, (BEThL, 51), Leuven University, Leuven 1979, 267-269. 34 Cf. anche l'esposizione delle tesi di Lohfink in 1.L. CRENSHAW, «Qohelet in current Research», in HAR 7(1983), 48-50.
52
Nello stesso tempo questo criterio ermeneutico apre la strada a un'interpretazione decisamente ottimistica dell'opera; il messaggio del libro consisterebbe infatti nell'invito a gioire della vita, che bilancia le affermazioni negative proponendo l'unico progetto credibile per l'uomo. Questo invito trova poi il suo corrispettivo nel religioso «timor di Dio» (4,17-5,6), in cui si trova il centro stesso del libro. L'apporto più costruttivo dell'esegesi di Lohfink va individuato, a mio avviso, nella ricerca di uno schema strutturale alternativo a quello lineare e progressivo. La sua proposta di una struttura conçentrica si basa sulla giusta convinzione che Qohelet abbia strutturato il materiale in modo tale da evidenziare il suo messaggio, per cui capire la struttura del libro significa anche arrivare a cogliere il messaggio che l'autore ha voluto trasmettere. Ma l'applicazione che Lofhink fa di questi principi ermeneutici si presta a diversi rilievi critici. In primo luogo la struttura che l'autore presenta è troppo armoniosa e perfetta e tradisce inevitabilmente delle forzature. Le difficoltà sorgono quando ci si sforza di unificare sotto un unico titolo intere sezioni del libro; così ad es. la terza sezione (1,12-3,15) è intitolata dall'autore «antropologia». Il titolo sembrerebbe alludere a una visione generale dell'uomo che, aggiunge Lohfink, sfocia alla fine in una «teologia», mentre, come lo stesso autore riconosce, in questa sezione si trova descritta l'esperienza di un uomo che, sotto la finzione regale, scrive sull'itinerario e l'esito del suo pensiero. Anche per 6,11-9,6 non si può parlare semplicemente di «critica ideologica», in quanto in questa parte del libro il Qohelet si interroga ancora una volta su che cosa sia bene fare per l'uomo; inoltre in questi capitoli egli ritorna insistentemente sul problema della giustizia sociale, affrontandolo dal punto di vista della retribuzione. È però vero che si fa più serrato in questa parte il confronto con la sapienza tradizionale. Per quanto riguarda poi 9,7-12,7, da che cosa dovrebbe risultare che il problema principale di questa parte è quello etico? A meno che non si intenda per etica in generale il comportamento dell'uomo. I titoli rimangono comunque troppo approssimativi. Un ultimo rilievo critico riguarda l'interpretazione complessiva del libro: l'invito alla gioia di vivere riesce veramente a bilanciare il pessimismo di fondo del libro? L'affermazione della vanità di tutte le cose non svuota di senso anche la prospettiva della gioia? VII.
LA STRUTIURA CICLICA:
F. ROUSSEAU
In un articolo del 1981 F. Rousseau35 applica prima al prologo (1,4-11) e poi allibro nel suo insieme un metodo di analisi del testo che fa riferimento allo stile orale e la cui tecnica è basata sul parallelismo. Partendo dal principio che il
35 ROUSSEAU, «Structure de Qohélet I 4-11», 200-217. Cf. l'illustrazione del metodo dell'autore in ID., «Le femme adultère. Structure de In 7,53--8,11», in Bib 59(1978), 463-480.
53
testo biblico non è .una successione di paragrafi ma piuttosto di stichi, l'autore sviluppa un elaborato sistema di segni per descrivere la connessione tra i vari stichi. 36 Dopo aver analizzato il prologo, applica questo sistema all'intero libro, individuando in esso 7 raggruppamenti, ciascuno dei quali termina con un ritornello che invita alla gioia: 2,24-26; 3,12-13; 3,22; 5,17-19; 8,15; 9,7-10; 11,7-10. Il libro del Qohelet risulta così costituito da una struttura di 7 cicli: 3? - Confessioni del re Salomone (1,12-2,26)
I
A
II - Il saggio ignora il disegno di Dio in generale (3,1-13) { III - Il saggio ignora ciò che accadrà dopo la morte (3,14-22) {
B' { C
~V
- Delusioni diverse ed esortazioni (4,1-5,19)
VI
- La debolezza del saggio (8,16-9,10)
- Delusioni diverse ed esortazioni (6,1-8,15)
IV - Delusioni (4,1-16)
blocco di esortazioni (4,17-5,6)
delusioni (5,7-16)
ritornello (5,17-19) .
- Delusioni
blocco di esortazioni (7,1-22)
delusioni (7,23-8,14)
ritornello (8,15)
Questi cicli IV e V (C) sono paralleli al ciclo VII (C), che presenta un contenuto analogo ma una struttura differente. Da un lato il ciclo VII riprende il contenuto dei cicli IV e V, in quanto parla di esperienze deludenti e comporta
36 ROUSSEAU, 37 ROUSSEAU, 38 ROUSSEAU,
54
«Structure de Oohélet I 4-1l», 202. «Structure de Oohélet I 4-11», 213. «Structure de Oohélet I 4-11», 214-215.
Delusioni (9,12-17)
blocco di esortazioni (9,18-11,6)
ritornello (11,7-10)
I tre blocchi di esortazioni si snodano da un ciclo all'altro. Quello del ciclo IV dice come agire con Dio (4,17-5,6). Quello del ciclo V è più complesso:
Più complesso ancora è il blocco di esortazioni dell'ultimo ciclo:
VII - Delusioni ed esortazioni (9,11-11,10)
(6,1-12)
VII - Esortazioni (9,11)
A - Apologia di ciò che è permanente (7,1-8) B - Invito alla pazienza (7,9-14) C - Invito alla moderazione (7,15-22)
Il primo ciclo non ha corrispondenti. Il secondo e il terzo sono sinonimici, in quanto il secondo ciclo considera l'ignoranza del saggio riguardo al disegno di Dio in generale (3,11) e il terzo tratta della stessa ignoranza, ma questa volta riguardo all'avvenire (3,22). I cicli II e III (B) sono paralleli con il ciclo VI (B'). In effetti il ciclo VI parIa ancora della debolezza del saggio (8,17) e insiste sulla morte, come i cicli II e III. Anche i cicli IV e V sono paralleli; non solo essi parlano dello stesso argomento ma anche i loro raggruppamenti di stichi sono stati disposti secondo lo stesso modello, in quanto in entrambi i casi un blocco centrale di esortazioni è preceduto e seguito dalla menzione di diverse esperienze deludenti. È ciò che risulta dal seguente schema: 38
V
un blocco di esortazioni; dall'altro lato l'ultimo ciclo consta di una breve esortazione, che funge da introduzione, e fa inclusione con il blocco di esortazioni posto alla fine, proprio davanti al ritornel~o, .cos~ ch~ ora sono le .esperienze deludenti a essere inquadrate dalle esortazlO111. SI ottIene pertanto Il seguente schema:
A - Prudenza nelle parole (9,18-10,3) B - Prudenza con il re (10,4-7) { C - Prudenza nelle azioni ordinarie (10,8-11) A' - Prudenza nelle parole (10,12-15) B' - Prudenza con il re (10,16-20) { C - Prudenza nelle azioni ordinarie (11,1-2)
D - Nessun eccesso nella prudenza (11 ,3-6) Il simbolismo del numero 7 e la struttura ciclica costituiscono gli elementi più validi della proposta del Rousseau; la ripetizione per sette volte del tema della gioia non può essere un elemento casuale e costituisce un utile indizio della presenza di un ritorno ciclico di temi. Non può però essere assunto come elemento di delimitazione delle singole unità letterarie, perché non sempre si trova, come invece sostiene Rousseau, al termine del discorso. Basterà prendere in esame l'articolazione della II sezione (3,1-13) e della III sezione (3,14-22), dove l'elemento di delimitazione tra le due sezioni sarebbe dato, secondo Rousseau, proprio dal ritornello della gioia del v. 13. Ma contro questa divisione del testo si possono far valere i seguenti argomenti: l) i vv. 14-15 sembrano costituire piuttosto la conclusione del discorso sul tempo, iniziato in 3,1, e in particolare conducono a termine la riflessione sull'agire divino, che parte da 3,10; 2) è invece in 3,16 che si può far iniziare una nuova sezione in quanto in questo versetto si comincia a parlare di un tema completamente nuovo, quello dell'ingiustizia sociale. Anche a proposito delle corrispondenze tra i vari cicli si possono osservare delle forzature. L'autore sostiene ad esempio che il ciclo A I, confessioni del re 55
Salomone (1,12-2,26), non ha corrispondenti. Ciò è vero solo per quanto riguarda la finzione regale, ma non per le tematiche che qui sono trattate; oltre alla ripetizione quasi letterale di 3,11 in 8,17, la tematica della sapienza e della stoltezza, e in particolare la debolezza della sapienza, ritornano nei cc. 7-9. Del resto lo stesso Rousseau intitola il ciclo VI (8,16-9,10): la debolezza del saggio. Per quanto riguarda infine il raggruppamento del materiale nei vari cicli, ci si domanda: le esortazioni sono poi così determinanti nei cc. 4,1-8,15? In realtà essi costituiscono solo una piccola parte del materiale contenuto in questi capitoli e lo stesso si può dire per 9,11-11,10. Ancora una volta il rischio è quello di applicare allibro uno schema precostituito. Gli studi che hanno caratterizzato il dibattito sulla struttura del Qohelet negli ultimi venti anni si sono sforzati di decifrare quest'opera enigmatica, impegnandosi soprattutto nella ricerca di criteri che consentissero di penetrare nella trama del testo al fine di coglierne il significato e il messaggio. Il risultato più significativo della ricerca di questo ventennio si può individuare, come si è detto all'inizio, nell'analisi dello stile e della terminologia del libro; è questo il criterio più sicuro che si deve seguire nel tentativo di individuare la struttura del testo. Tuttavia i dati stilistici possono essere utilizzati dall'esegeta per servire a una tesi preconcetta; è purtroppo questo il rischio che si corre in ogni tipo di analisi, che presenta sempre un certo margine di soggettività. Ma questo rischio aumenta quando si tratta del libro del Qohelet; ne è una dimostrazione la mancanza di una reale convergenza da parte degli studiosi nelle loro proposte di struttura. Il discorso rimane dunque aperto; si tratta di utilizzare al massimo i risultati acquisiti nella ricerca di questi ultimi anni.
VIII.
CONCLUSIONE
Al termine della prima parte del lavoro è opportuno rivedere in sintesi le principali linee interpretative che sono emerse dalla parte storica, per verificare se gli interrogativi iniziali abbiano trovato o meno una soluzione sulla quale vi sia convergenza di vedute. Il dato dal quale si era partiti e su cui occorreva interrogarsi era la presenza nel Qohelet di tensioni e di contraddizioni. A questo problema la critica delle fonti, inaugurata da Siegfried e portata a compimento da Podechard, cercava di dare una risposta che si muoveva nel senso della pluralità di autori (almeno tre mani: il Qohelet pessimista, illfasid e illfiikiim); ma l'insufficienza di questa risposta è risultata ben presto chiara di fronte a un dato indiscutibile, che è l'uniformità di stile e di terminologia del libro. A me è parso comunque che insufficiente fosse proprio il criterio ermeneutico utilizzato: partire dalla molteplicità dei temi per poi ipotizzare in base a questi una pluralità di autori. 56
L'uso di questo criterio lascia troppo spazio alla soggettività dell'esegeta, ma anche coloro che, come Ginsberg, si pronunciano a favore dell'unità del libro, si prestano alla stessa critica. Identico è infatti il criterio di interpretazione, quello tematico, anche se opposte sono le conclusioni. In realtà dietro al tentativo di ritrovare nel libro del Qohelet un trattato organico e unitario si nasconde un pregiudizio di fondo, che è quello di volere a tutti i costi ritrovare una logica lineare e progressiva, conforme ai canoni del pensiero moderno del mondo occidentale. La mancanza di una metodologia adeguata e soprattutto i pregiudizi di un'esegesi di stampo razionalista, tesa a ricercare nel testo una struttura lineare, conducono a tentativi di ricostruzione puramente soggettivi, come attestano i numerosi commenti, ciascuno dei quali propone una struttura diversa, pretendendo di dare col proprio contributo una soluzione definitiva al problema. Proprio tenendo conto dei limiti di questa risposta altri autori, come Loretz e Loader, che si avvalgono degli strumenti della critica letteraria e dell'analisi strutturale, giungono alla convinzione che non si possa adottare una struttura rigida e precostituita che si sovraRPonga al testo e che occorra invece ricercare criteri oggettivi di strutturazione. E questa l'acquisizione fondamentale dal punto di vista metodologico, dalla quale non si potrà prescindere in questo lavoro. Ma il problema della struttura rimane ancora aperto, perché, se vi è unanimità nell'istanza metodologica, permangono invece le differenziazioni nel procedimento di analisi e soprattutto non vi è convergenza sul concetto stesso di struttura. Per alcuni, come Wright, la struttura è da intendersi come articolazione tematica unitaria e geometricamente costruita; per altri, come Loader, il libro del Qohelet ha una sua organicità, che però è dinamica e basata sostanzialmentesulla topica, articolata secondo polarità strutturali. Ma soprattutto non vanno trascurate le sollecitazioni che provengono dagli studi di Lohfink e di Rousseau, che propongono una struttura alternativa a quella lineare. Il mio lavoro si pone su questa seconda linea per i motivi che ho esposto nel corso dell'analisi storica e che si possono riassumere nei seguenti punti: 1. La complessità tematica del libro è tale che è impossibile ricondurre tutto a un unico tema, anche se la frequenza con cui ricorre il termine hebel orienta a vedere nel problema della vanità dell'esistenza una delle tematiche principali. Essa non può però essere tanto facilmente considerata come l'unica: vi sono altri temi che bisogna prendere in considerazione per studiarne le reciproche correlazioni. 2. Le tensioni e le contraddizioni all'interno del libro spingono a considerare il Qohelet più nel senso della dialettica dei temi che non in quello del trattato organico e unitario. 3. La discontinuità e la frammentarietà di alcune parti del libro; per cui, ~entre alcune unità si lasciano facilmente raggruppare e delimitare, per altre ciò nsulta estremamente problematico. Le principali difficoltà riguardano: 4,1316.17-5,6; 9,17-10,20, che fanno pensare, come rileva Zimmerli, a una raccolta di sentenze senza un ordine preciso. 57
Quella che però si sta formulando è per il momento soltanto un'ipotesi di lavoro, che deve essere verificata con un'esegesi dettagliata; non si esclude infatti, in linea di principio, la possibilità di giungere a definire una struttura organica nel Qohelet. L'ipotesi di Delitzsch e Galling che il libro sia soltanto una collezione di proverbi è ormai ampiamente superata dall'esegesi attuale, per cui l'interrogativo che ora ci si pone non è più: esiste una struttura nel libro del Qohelet? Ma piuttosto: quale struttura?
58
Parte seconda
ANALISI LETTERARIA E RETORICA
Premessa
Come ha sottolineato Loader 1 la lettura sincronica del testo deve precedere quella diacronica. Intendo però per lettura sincronica la comprensione del libro nell'attuale stesura redazionale, con particolare attenzione alle strutture formali,2 al fine di individuare le unità letterarie che poi costituiranno la base della mia ipotesi di struttura. Il vantaggio dell'approccio sincronico rispetto a quello diacronico è di lasciar parlare il testo, evitando, nei limiti del possibile, quella lettura aprioristica che abbiamo riscontrato in molti studi sulla struttura del Qohelet. L'analisi delle forme letterarie dovrà però procedere di pari passo con quella dei contenuti, in quanto, come ho precedentemente rilevato, una lettura che prediliga gli elementi formali, lasciando da parte i temi, non rende certamente giustizia alla ricca problematica del libro. Alla lettura sincronica si accompagnerà, quando è necessario, l'analisi del testo dal punto di vista diacronico, con particolare riguardo a quei passi la cui autenticità è stata posta in discussione e che sono stati considerati glosse o interpoIazioni posteriori. Come si è detto in precedenza, la comprensione della genesi del libro non è indifferente ai fini dell'individuazione della struttura, in quanto la presenza di più mani o strati determina inevitabilmente uno sbilanciamento delle parti. In questa seconda parte del lavoro mi prefiggo dunque tre compiti: 1. Delimitare le unità letterarie o sezioni che compongono illibro;3 è questa una delle principali difficoltà nell'esegesi del Qohelet, sia perché il pensiero non si sviluppa con logica continuità sia perché alcuni versetti potrebbero appartenere indifferentemente all'una o all'altra sezione;
Potar Structures, 2-3. Per l'analisi delle strutture formali mi avvalgo soprattutto degli studi di LORETZ, Qohelet, 135-217; ELLERMElER, Qohe/et, l,l, 48-89. 3 Uso i due termini, sezione e unità letteraria, indifferentemente per intendere un testo che abbia compiutezza dal punto di vista tematico e letterario. l LOADER,
2
61
2. Enucleare la struttura formale delle singole unità; nel corso dell'esegesi non tralascerò di fare attenzione alla lingua e alla terminologia del Oohelet, utilizzando i contributi più recenti sull'analisi linguistica del libro. 4 Ciò consente di non perdere di vista l'ambiente storico e culturale dell'opera, che spesso è risultata incomprensibile proprio perché interpretata con categorie culturali estranee al suo mondo; 3. Chiarire il rapporto tra le varie sezioni per arrivare a determinare la struttura complessiva del libro.
Capitolo primo
Vanità delle vanità. Un ciclo senza speranza
I. IL TITOLO
(l,l)
Che questo primo versetto costituisca il titolo non fa problema e ai fini del discorso sulla struttura basterà osservare che esso si stacca molto bene dal resto del libro. Il titolo, secondo l'uso della letteratura sapienziale biblica ed extrabiblica, riporta il nome dell'autore, attribuendo l'opera a Oohelet e identificandolo con Salomone.] La prima parte, dibre Q6helet, è di solito attribuita al primo redattore (R t ), discepolo epiloghista, autore di 12,9-11, il quale si limita a vedere il maestro come un sapiente, autore di numerose massime; la seconda, che identifica Oohelet con Salomone, risalirebbe invece al secondo redattore (R 2) , il quale, ispirandosi a Pr l, ha visto il libro come opera del re Salomone, figlio di Davide. 2
II.
IL MOTTO
(1,2)
Nell'economia del libro questo secondo versetto svolge la funzione di anticipare e nello stesso tempo ricapitolare il tema fondamentale; pertanto si lascia anch'esso isolare senza difficoltà dai versetti successivi. Che anche 1,2 non sia opera di Oohelet risulta evidente sia dall'uso dell'espressione hiibèl hiibiilim che ricorre soltanto ancora in 12,8, sia dall'inciso 'amar Q6helet in quanto Oohelet parla di sé alla prima persona. 3
4 Cf. il commento filologico di C.F. WHtTLEY, Koheleth. His Language and Thought, (BZA W 148),. De Gr"uyter, Berlin 1979 e lo studio di B. ISAKKsoN, Studies in the Language o[ Qoheleth whith SpeclOl EmphaslS on the verbal System, (Acta Un.Ups.SSU lO), Almqvist & Wiksell Intemational, Uppsala - Stockholm 1987.
62
I Per il titolo e la sua attribuzione a Qohelet cf. A.S. KAMENETZKY, «Der Riitselname Kohelet», in ZAW 34(1914),225-228; ID., «Die urspriinglich Aussprache des Pseudonyms QHLT», in OLZ 34(1921),11-15; P. JODON, «Sur le nom de Qohéleth», in Bib 2(1921), 53-54; H. BAUER, «Die hebraischen Eigennamen als sprachliche Erkenntnisquelle», in ZA W 48(1930), 73-80; E. ULLENDORF, «The Meaning of QHLT», in VT 12(1962),215. Sul significato del nome Qohelet cf. anche WHtTLEY, Koheleth, 4-6 che, richiamandosi a Ne 5,7 e al siriaco, individua altri significati nel nome oltre ~uello di «colui che parla in assemblea»: dal «considerare attentamente» allo «scettico». Cf. soprattutto ELLERMEIER, Qohelel, l,l, 161-166 e LAUHA, Kohelel, 29. 3 Cf. ELLERMEIER, Qohe/et 1,1, 100, seguito da LAUHA, Kohelet, 30.
63
Il Leitmotiv del versetto è dunque opera di un redattore, che ha interpretato in questo senso il pensiero di Qohelet. L'espressione hiibel hiibiilim che è una forma caratteristica di superlativo (cf. anche sir hassirim), mette in luce la completezza e la radicalità del hebel mentre la ripetizione per cinque volte del termine ne evidenzia l'aspetto iterativo. 4 Riguardo poi al significato di hebel sono ben note le diverse spiegazioni che gli autori hanno dato al termine: in primo luogo «vapore» o «fumo»5 (in analogia con Is 57,13, dove è usato in parallelo con rua!] ,6 e Pr 21,6 nell'espressione hebel niddiip; «inconsistente» e «falso» (cf. Dt 32,21, dove hab'lehem è parallelo a li/-'el, e in Ger 8,19, dove hebel è usato con bip'siléhem),? «alito di vento» e in senso traslato «vano»,8 «assurdo»,9 «incomprensibile»,l0 «incongruo»Y Diversi elementi fanno propendere per l'interpretazione di hebel come «vapore, fumo»; in primo luogo il parallelismo con ,"Ctl rCta!] e ra'yon rCtaf], espressioni che ricorrono frequentemente nel corpo del libro insieme a hebel (1,14.17; 2,11.17.26; 4,4.16; 6,9). Ma soprattutto può essere determinante l'equivalenza con il termine greco TV<j>Oç, che si trova nel vocabolario dei filosofi cinici. I2 A mio avviso però il termine hebel non può essere inteso in senso univoco, esso racchiude in sé diversi significati; è il contesto in cui viene usato a determinarlo nell'uno o nell'altro senso. Pertanto il significato del termine andrebbe precisato di volta in volta nelle sue specifiche connotazioni.
4 Contro questa interpretazione di Ellermeier si veda Fox, «Frame-Narrative and Composition in the Book of Qohelet,), 84, nota 5; egli contesta che il superlativo possa avere valore iterativo e ritiene che l'espressione hiibèl hiibiilfm indichi qui il massimo grado di hebel, l'assurdità totale rispetto a ogni singola assurdità. Tuttavia, a mio avviso, occorre considerare che non il superlativo in sé stesso ma la ripetizione del termine fa pensare all'aspetto iterativo del hebel. 5 Cf. J. BURKllT, <oç. 6 Cf. GLASSER, Le procès du bonheur, 19, nota 8. 7 Per questi testi cf. WHITLEY, Koheleth, 7. 8 Cf. LORETZ, Qohelet, 223. 9 Per questa interpretazione cf. A. BARUCQ, Ecc!ésiaste. Qohélet. Traduction et commentaire, Beauchesne, Paris 1968, 55-56; B. PENNACCHINI, «Qohelet ovvero il libro degli assurdi», in ED 30 (1977), 491-510; M.V. Fox, «The Meaning of hebel for Qohelet»,in JBL 105(1986), 409-427. lO Cf. W.E. STAPLES, «The "Vanity" of Ecclesiastes», in JNES 2(1943), 95-104. 11 Cf. E.M. GOOD, lrony in the Old Testament, Almond, Sheffield 21981, 176-183. 12 Cf. MONIMO: «'tò yàQ ultoÀTj<j>8Èv l:u<j>oç EÌvm ltav E<j>Tj», in DIOGENE LAERZIO VI, 83ss.; CRATETE in DIOGENE LAERZIO, lbid., VI, 86. Per il rapporto tra Qohelet e la filosofia cinica cf. LEVY, Qohelet, 12-13; R. BRAUN, Kohelet und die fruhellenistische Popularphilosophie, (BZAW 130), De Gruyter, Berlin 1973, 45-46 fa comunque osservare che il termine si riscontra anche nella filosofia popolare ellenistica, contro LoRETZ Qohelet, 223, che riconduce il termine al contesto semitico, in particolare all'accadico siiru, vento, alito, respiro. L'analisi di Loretz potrebbe invece essere una conferma che questo è il significato fondamentale del termine hebel, che fa riferimento a qualcosa di inconsistente come il vapore o il fumo o il vento; resta però da spiegare la sua radicalizzazione in Qohelet.
64
Si tratta comunque di una metafora, 13 attraverso la quale il v. 2 esprime un giudizio che investe la realtà intera. L'ambito di riflessione di Qohelet è infatti il reale nella sua totalità: è significativo che il termine kol ricorra nel libro ben 91 volte, ma proprio l'uso metaforico del termine hebel dice che l'affermazione del v. 2 non ha la pretesa di cogliere l'essenza del reale quanto piuttosto le sue modalità. 14 III.
L'INTERROGATIVO INIZIALE
(1,3)
Gli autori sono nella maggior parte concordi nell'assegnare ai primi versetti del libro la funzione di prologo. 15 Si tratta di una convinzione pacifica, che però è più un presupposto che il risultato di una vera e propria analisi. Rientra invece nelle finalità di questo lavoro definire con esattezza la funzione di questi primi versetti nella struttura globale dell'opera. Non ci sono problemi per la delimitazione finale della pericope, che termina al v. 11, mentre i critici divergono notevolmente sulla funzione del v. 3, che da alcuni 16 è collegato al v. 2, da altri,!? invece, ai vv. 4-11, per cui il prologo vero e proprio all'opera del Qohelet inizierebbe al v. 3. 1S • Chi, come Loretz, è favorevole al collegamento di 1,3 con 1,2 si basa sull'elemento tematico, sostenendo che l'interrogativo formulato in questo versetto costituisce, insieme con l'enunciazione del tema della vanità, un'anticipazione e ricapitolazione della problematica di tutto il Qohelet. 19 Si tratta però di un argomento che non può avere un peso determinante dal momento che solo due volte nel corpo del libro il tema della vanità è strettamente associato con quello del vantaggio che l'uomo può ricavare dalla sua opera: 2,11; 5,15. Bisogna poi verificare se nella organizzazione logica del testo la riflessione sulla vanità sia collegata o meno all'interrogativo sul «vantaggio» e in quali termini. Per il momento è importante risolvere il problema del rapporto tra il v. 3 e i vv. 4-11.
• 13 Sull'uso della metafora nel linguaggio religioso cf. P. RICOEUR-E. JUNGEL, Dire Dio. Per un ermeneutlca del linguaggio religioso, Queriniana, Brescia 1978 . . 14 Per l'uso metaforico del termine hebel cf. A. BONORA, «Esperienza e timar di Dio in Qohelet», In Teologia 6(1981), 171-182, spec. 174-175. • lo. Fa eccezione SCHOORS, «La structure littéraire de Qohéleth», 99-100, secondo il quale 1,3 fa Inc!usIOne con 2, 11, in quanto l'interrogativo di 1,3 riceve in 2,11 una risposta decisamente negativa. L InclUSIOne però non può essere usata come criterio di delimitazione delle pericopi. Si veda sulla funZIOne delle inclusioni in Qohelet l'ultimo capitolo di questo lavoro. 16 PODECHARD, L'Ecclésiaste, 232-233; GALLlNG, Der Prediger, 84-85; LORETZ, Qohelet, 137138; L~HFINK, Kohelet, 19-20. . SIEGFRIED, Prediger, 28-29; GALLlNG, Der Prediger, 84-85; W. ZIMMERLI, Das Buch des PredlgersSalomo, (ATD 16), Vandenhoeck & Ruprecht, G6ttingen 1967, 140-143; LAUHA, Kohelet, 32; BRAUN, Kohelet, 56-57. P . 18 Non mancano coloro che fanno iniziare il prologo al v. 2; cf. ad es. H. W. HERTZBERG, Der redl~er, (KA T XVII,4), G. Mohn, Giitersloh 1963,69; E.M. GOOD, «The Unfilled Sea: Style and MMeanmg In Ecclesiastes, 1,2-11», in G. GAMMIE E AL, a cura di lsraelite Wisdom Scholars Missoula onl. 1978, 63. " , 19 LORETZ, Qohelet, 138.
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A questo proposito va subito precisato che in 1,3 l'accento non è tanto sul sostantivo yitron,20 da intendersi come vantaggio, profitto o guadagno che si ricava da un lavoro e rimane in modo concretamente e durevolmente,21 quanto sul sostantivo 'amai, che infatti viene ripetuto nel verbo seyya'iimol. 22 Esso indica la fatica, il lavoro duro e pesante 23 che l'uomo compie talfat hassames; è questa, come è noto, un'espressione caratteristica del Qohelet, che trova diversi parallelismi con formule sia della cultura ellenistica che semitica. 24 Essa designa la sfera in cui si svolge la vita dell'uomo e nello stesso tempo delimita l'ambito di riflessione del libro: l'esistenza umana. Questo e altri indizi ancora non lasciano dubbi sul fatto che questo versetto sia di Qohelet e non del redattore: 25 l'argomento decisivo è che l'interrogativo ritorna più volte nel corpo del libro (cf. 1,3; 2,22; 3,9; 5,10.15; 6,8a.8b; 6,11). Il problema principale consiste però nell'individuare quale sia la sua portata e l'incidenza che esso ha sulla struttura del libro. Si tratta di un interrogativo vero e proprio o di una questione retorica? È il problema fondamentale del Iibro 26 o di una parte di esso?
20 Su yirron nel Qohelet cf. W.E. STAPLES. «Profit in Ecclesiastes», in JNES 4(1945),87-89, il quale distingue due usi diversi del termine nel libro: uno che va in senso assoluto (1,3; 2,11.15; 3,9.19; 5,15; 6,8), in cui l'autore nega ogni forma di vantaggio per l'uomo; l'altro, invece, che è relativo, nel senso che il Qohelet ammette la possibilità di un guadagno da parte dell'uomo (2,13; 5,8; 7,11.12; 10,10; 10,11). Manca però nell'analisi di Staples un'effettiva distinzione di piani e di funzioni nell'uso che Qohelet fa del termine. 21 È questo il significato della radice ytr. In questo senso M. DAHooD, «Canaanite-Phoenician Influence in Qoheleth», in Bib 33(1952), 30-52.191-221, spec. 221 ne fa uno dei termini commerciali del libro. Contro l'ambientazione semitica si pone BRAUN, Koheler, 47, che riporta diversi testi della letteratura greca, in cui ritorna il termine O<jJEÀOç. 22 L'origine di questa singolare figura etimologica è discussa. HERTZBERG, Der Prediger, 69 la considera un'espressione tipicamente ebraica (cf. Sal 90,10); BRAUN, Koheler, 48-49, non rilevando alcun equivalente nell'Antico Testamento, ritiene invece che il contesto sia quello del mondo greco. L'espressione lAoX6ov IWX6EtV con cui i LXX traducono seyya'àmol si ritrova nelle tragedie di EURIPIDE, Andr. 134: l:llAoXeov o"ùÒÈv ouaa IAOXeEtç; Hel. 1446: iiÀlç ÒÈ flOXewv, ouç ÈflOXeouflEV miQoç. Sulla traduzione dei LXX cf. anche BERTRAM, «Hebraiseher und griechischer Qohelet», 36-38. Va inoltre considerato l'uso particolare del pronome relativo se, che ricorre nel libro 67 volte ed è caratteristico dell'ebraico nord-palestinese, di uso post-esilico e comune nell'ebraico misnico. Esso appare frequentemente nei libri più recenti: Sal 122,3-4; 124,1.2.6; Lam 4,9; 5,18; lCr 5,20; 27,27. La predilezione del Qohelet per la particella se al posto di 'àSer è un altro degli argomenti su cui DAHOOD, «Canaanite-Phoenician Influence», 44-45 basa la sua teoria della origine fenicia del libro. 23 Il termine 'amai, che esprime il punto di vista di Qohelet sull'attività dell'uomo, è tradotto bene dalla Vg con labor e dai LXX con IAOXeov. Il tema della fatica dell'uomo (rrovoç) è centrale nella riflessione della filosofia ellenistica, in particolare dei einici, anche se, come si è detto. trova molti paralleli nelle tragedie di Euripide. Cf. sull'argomento BRAUN, Kohelet, 48-49. Sul tema dellavoro nella grecità si veda anche F. GRVCLEWICZ, «La valeur morale du travail manuel dans la terminologie grecque», in Bib 37(1956), 314-337. 24 Cf. l'analisi dell'espressione in LORETZ, Qoheler, 46-47; ZIMMERLI, Das Buch des Predigers, 147. Sulla possibilità di una corrispondenza dell'espressione ralJat hassames con il greco U<jJ'lÌÀLq.> cf. BRAUN, Kohelet, 49-51. Per l'affinità con la cultura fenicia cf. ancora DAHooD, «Canaanite-Phoenician Influence». Non è da scartare neanche l'influsso egiziano; per questa tesi cf. soprallullo P. HUMBERT, Recherches sur les sources égypriennes de liuérature sapientiale d'Israel, (Mémoires de l'Université de Neuchatel 7), Neuchatel 1929, 109-110. 25 ELLERMEIER, Qohelet, 1,1, 96 attribuisce questo versetto al redattore, collegandolo al v. 2. 26 Così Lvs, L'Ecclésiaste, 85.
66
IV. IL
POEMA
(1,4-11)
1. La forma poetica Prescind.endo per il momento dalla funzione del v. 3, si può affermare con certezza che I vv. 4-11 costituiscono un testo ben delimitato. Dal punto di vista . del genere letterario si tratta di un poema , 27 sulla CUI. . struttura poetica non eSiste un accordo unanime. 28 Adotterò qui la divisione' stichi di Lohfink,29 sulla quale si riscontrano le principali convergenze: In v. 4 v. 5 v. 6 v. 7 v. 8 v. 9 v. lO v. 11
2 stichi 2 stichi 3 stichi 4 stichi 4 stichi 3 stichi 4 stichi 4 stichi
2. La struttura del testo
Pe~ quanto riguarda l'articolazione tematica deHa pericope, la divisione in dueyartt: e,8-lI semb.ra a prima vista la più logica. Si tratterebbe qui di due testi paralleli, l uno cosmICO, nel quale vengono descritti gli avvenimenti che si svolgono nell'universo, l'altro antropologico, in cui si fa riferimento all'uomo con la sua storia.30
4-?
27 Cf 217 L d· . anche HERTZBERG, Der Prediger, 69; ROUSSEAU, «Structure de Qohélet 14-11», 2()(). a ISposlZlonem stlchl e discussa. Cf. ad es. BARTON, The Book o[ Ecclesiastes 69 che redige ~~~to;orma dI 5lJchl, I vv. ,2:8, mentre considera in prosa i vv. 9: 11. Cf. anche DI FON Ecclesiaste, vv ODEC~ARD, L Ecclesla~te, 235-246 mette Invece In prosa I vv. 4-6, in stichi i vv. 7-8 e in prosa i 605· 6 11. DI avvIso diverso e T ..NISHIMURA, «Un Mashal de Qohelet 1,2-11», in RHPhR 59(1979) - 15 per Il quale SI tratta dI un masal. ' C d ; Per quanto riguarda la divisione in stichi, le principali divergenze riguardano i vv 5 e 6 Seon o 29 O~SSEAU, «Strueture ~e Qohélet I 4-11», 203 il~. 5 è composto di 4 stichi e il v. 6 di 4 stichi. sche d .. ~OIlFINK, «Dre WI~derkehr des Immer Glelchen. Eme friihe Synthese zwischen griechimen~ ~nff ]udlschem Weltgefuhl m Kohelet 1,4-11», in AF 53(1985), 125-149, spec. 129. Legger. I erente. la precedente analISI nel commento del 1980. Cf. Kohelet 21· vv. 4-7: 11 stlchl v. 4: 2 stichi ' . v. 5: 2 stichi v. 6: 3 stichi v. 7: 4 stichi v. 8: 4 stichi vv. 8-11: 15 stichi, così articolati: v. 9: 3 stichi v. lO: 4 stichi 30 Cf v. 11: 4 stichi y Sab·d .. s«(rattutto DI FONZO, Ecclesiaste, 124-125; ma anche L. ALONso SCHOKEL Eclesiastes l una, os Llbros Sagrados V, 17), Ediciones Cristiandad, Madrid 1974, 18-19.
9-
lo,
67
Contro tale suddivisione però occorre considerare attentamente la posizione del v. 8: esiste un evidente parallelismo formale con il v. 7, che costringe a ripensare la struttura dei vv. 4-11 in termini completamente diversi:
kol hannel]Illìm halekìm 'et hayyiim kol-haddebiirìm yege'ìm
v. 7 v. 8
Alcuni autori infatti isolano il v. 8, che viene considerato quasi come la cerniera tra due parti: 4-7 e 9_11. 31 Tuttavia è anche vero che i vv. 4-7 sono accomunati da 14 verbi di movimento: per 6 volte ricorre il verbo hlk, per 4 volte il verbo sbb, per 2 volte bw', per 2 volte infine il verbo swb. 32 Questi primi rilievi formali autorizzano ad assumere la divisione bipartita del testo: 4-7 e 8-11; ma occorre tener presente fin da ora che non si può applicare fino in fondo al Qohelet una ripartizione rigida e statica dei versetti. Sulla base del parallelismo tra i vv. 6-8 e 9-11 Lohfink individua nel testo una struttura chiastica così articolata: 33 I
v. 4 v. 5 vv. 6-8 vv. 9-11
II
III IV
2 stichi 2 stichi 3+4+4 stichi 3+4+4 stichi
Storia A Cosmo B Cosmo B' Storia A'
L'elemento problematico di questa proposta è nella riduzione del v. 4 al tema storico; ciò è vero per il v. 4a ma non per il v. 4b, che contiene un evidente riferimento a un elemento cosmologico: la terra. Anche Glasser34 riscontra nel testo una struttura chiastica, costruita proprio sull'antitesi tra generazioni umane e cosmo, enunciata nel v. 4 e poi sviluppata e precisata nei vv. 5-11. Lo sviluppo in chiasmo riprenderebbe i due termini dell'antitesi nell'ordine inverso: il v. 4b in 5-8; il v. 4a in 9-11: 1,4a
1,4b
1,5-8~ 1,9-11 Tuttavia la validità di questo schema dipende esclusivamente dall'ipotesi che il v. 4 contenga un'antitesi tra generazioni umane e cosmo ed è ciò che invece occorre verificare nell'esegesi del testo.
31
Così ELLERMEIER, Qohelet, 1,1, 187.
:~ Cf. queste osserv~zioni di carattere formale in RAVASI, Qohelet, 77-94.
LOHFINK, «DIe WIederkehr des Immer Gleichen», 130. GLASSER, Le procès du bonheur, 23-24; seguito da R. MICHAUD, Qohélet et l'ellenisme. La littérature de Sagesse. Histoire. Théologie, Cerf, Paris 1987, II, 135. Cf. anche FESTORAZZI, La sapienza, 9~, Ii quale propone però una struttura chiastica differente: v. 4 (esposizione del tema: contrasto tra Ii passare dell'uomo e Il permanere del tempo); vv. 5-8 (il tema annunciato sopra è sviluppato lO modo chlastIco: II permanere del cosmo nei vv. 5-7 e il passare dell'uomo nel v. 8); vv. 9-11 (conseguenze per l'uomo: nessuna novità e caduta nell'oblio: v. Il). 34
68
A. Natura e storia: un ciclo senza speranza (1,4-7) v. 4
dor halek wedor ba' wehii'iire~ ["oliim '6miidet.
A una prima lettura il v. 4 sembra costruito sull'antitesi tra il movimento delle generazioni umane e l'identità della terra. L'idea del movimento, e per di più di un movimento circolare, è contenuta già nel sostantivo dor, generazione, periodo, età, dal verbo dwr, muoversi intorno quasi circolarmente. 35 Ma è soprattutto il verbo hlk che esprime il movimento, l'andare per il mondo; il fatto poi che hlk nell'Antico Testamento sia usato come eufemismo per morire 36 (Gb 10,21; 14,20; Sal 39,14; 2Sam 12,23), proietta già su questo movimento l'ombra della morte. L'espressione dor h6lek wedor ba' simboleggia pertanto il succedersi effimero delle generazioni: una generazione va, un'altra viene al suo postoY L'immobilità della terra, o forse dell'intero cosmo,38 sembra essere in netta antitesi con il movimento delle generazioni umane; il verbo 'md, esprime infatti l'idea della permanenza (cf. anche 2,9; 4,12.15; 8,3) e il sostantivo 'oliim quella dell'invariabilità. 39
35 L'idea fondamentale del vocabolo è quella del «muoversi in circolo», come attestano anche i vocaboli corrispondenti in ugaritico, accadico, arabo. Cf. L. KaHLER-W. BAUMGARTNER, Lexicon in Veteris Testamenti Libros, Brill, Leiden 1958,206; D.N. FREEDMAN-J. LUNDBOM-G.J. BOTTERwEcK, «don>, in ThWAT 1,169-181, spec. 169-173. Contro Kahler cf. LORETZ, Qohelet, 249-251, il quale, nega che l'idea fondamentale del vocabolo sia quella di circolo e rimanda invece a wohnen «abitare prendere dimora» (cf. soprattutto Sal 84,11; Sir 50,26). A mio avviso, però, il parallelism~ con le al: tre lingue comparate (ugaritico, accadico, arabo) è determinante. Per l'interpretazione di dar in senso ciclico cf. anche gli ultimi studi sull'argomento: G.S. OGDEN, «The Interpretation of dwr in Ecclesiastes 1,4», in JSOT 34(1986),91-92; R.N. WHIBRAY, «Ecclesiastes 1,5-7 and the Wonders of Nature», in JSOT 41(1988), 105-112. 36 Il verbo hlk, che è impiegato 30 volte nel Qohelet, è usato per ben 12 volte nel senso di :<morire» (1,4; 3,20; 5,14bis.15; 6,4.6; 8,10; 9,10; 12,5 e forse anche 2,14 e 10,3). Inoltre i passi in cui II verbo hlk è associato a bw' parlano di nascita e di morte (5,14.15; 6,4). Sull'uso dei due verbi nel Qohelet è utilissima l'analisi di Lys, L'Ecclesiaste, 94-95. . 37 Un'interpretazione decisamente alternativa del termine dar si trova in WHIBRAY, «Eccleslastes 1,5-7», 105-112. Pur riconoscendo che il sostantivo designa nell'Antico Testamento un periodo di tempo mIsurato dalla lunghezza della vita umana, l'autore ritiene che quest'associazione con la vita ,!mana non sia essenziale al suo significato, come attestano soprattutto Is 41,4; 51,9. In questi stessI testI SI trovano associati i termini dar e 'olam; poiché il plurale di dar ricorre frequentemente lO parallelo con il singolare 'olam, è probabile che si pensasse al tempo come a una successione di processi che si ripetono ciclicamente in natura. I vv. 5-7, secondo Whibray, intendono appunto illustrare tale processo. Contro quest'interpretazione si può osservare, come l'autore stesso riconosce, che I verbi hlk e bw' sono usati eufemisticamente per descrivere la nascita e la morte dell'uomo, non solo nel Qohelet ma anche nei testi dell'Antico Testamento precedentemente citati; il fatto che nei passI del Qohelet essi siano applicati al destino dell'individuo (5,14.15; 6,4) conferma l'interpretazIOne di dar come generazione. Il singolo infatti non fa che ripercorrere il triste destino dell'intera razza umana. 38 Cf. LOHFINK, «Die Wiederkehr des immer Gleichen», 132-133, per il quale non si tratta in Qo 1,4 semplicemente della terra ma del cosmo; il termine fa pensare a qualcosa di più della terra intesa come palcoscenico su cui si svolgono le vicende della storia umana. 39 Si veda l'analisi del termine in E. JENNI, «olam», in THATII, 228-243 = DTATII, 206219; a proposito di Qo 1,4 l'autore ritiene che il termine conservi il significato statico di invariabilità. Sulla stessa linea è Qo 3,14. Cf. anche ID., «Das Wort 'olam», in ZAW 64(1952), 197-248.
69
-Si tratta, secondo Braun, di un topos della letteratura pessimistica, soprattutto greca. 40 Ma altri testi ancora possono essere accostati a Qo 1,4: nell'Antico Testamento un parallelo interessante è Sir 14,18,41 ma è soprattutto nella letteratura egiziana che si incontrano testi molto vicini a quello del Qohelet, come il Cantico dell'Arpista,42 che evidenzia la caducità delle generazioni umane. Nel testo del Qohelet l'effimero destino dell'uomo risalta ancora di più di fronte all'immobilità eterna della terra. Ma l'intenzione di Qohelet è veramente quella di stabilire un'antitesi tra storia e cosmo? La predilezione tradizionale dei commenti per una costruzione avversativa in 4b è stata posta in discussione da Ellermeier ,43 il quale sostiene che i vv. 4-7 sono caratterizzati da una serie di proposizioni paratattiche, che egli raggruppa secondo il seguente schema logico: 2 affermazioni + 1. La traduzione corrente: «una generazione va e una generazione viene, ma la terra resta sempre la stessa» è inesatta, in quanto non rende bene il pensiero di Qohelet il quale non vuole istituire una contraddizione tra il movimento delle generazioni umane e l'identità della terra, ma anzi confermare con la terza proposizione il concetto espresso nelle prime due. La descrizione dei fenomeni osservati in Qo 1,4-11 porta, secondo Ellermeier, alla conclusione che non esiste un termine per gli avvenimenti e che anzi la loro durata è caratterizzata da un andare e un venire uniformi e costanti. L'intenzione del testo è di sottolineare questa uniformità degli eventi. La proposta di Ellermeier, che si basa sull'esegesi complessiva del testo, va presa seriamente in considerazione, anche se contro la sua tesi occorre considerare, come elemento non trascurabile, l'antitesi espressa nei verbi tra il movimento ciclico delle generazioni e l'immutabilità della terra.
v. 5
zoreaf]. haJsemes ubii' haJsiimes we'el m'qomo so'ep zoreaf]. ha' siim.
Con un altro participio, che esprime ancora una volta il senso continuativo dell'azione, inizia nel v. 5 la descrizione del percorso del sole, che sorge (zrf].)44
40 BRAUN, Kohelet, 57-58. L'autore riporta, a sostegno della sua tesi i versi di Omero, Il 6, 146ss, ripresi da Mimnermo, da Simonide, nonché dalla riflessione del fondatore della scuola scettica Pirrone. 41 BRAUN, Kohelet, 58 rileva la differenza esistente tra il testo del Siracide, che si serve di un'immagine altamente poetica al fine di illustrare il divenire e il cessare delle cose, e quello del 00helet, che, attraverso affermazioni freddamente razionali, si ferma al contrasto tra la caducità dell'uomo e la permanenza della natura. 42 Cf. questo testo in ANET 476a. 43 ELLERMElER, Qohelet, 1,1, 189-190. Contro la sua tesi si pone BRAUN, Kohelet, 65-66, che, optando per l'ambientazione ellenistica del libro, riscontra nel testo l'uso di quei mezzi stilistici che sono propri della diatriba: primo tra tu.ui il parallelismo antitetico, che caratterizza proprio il v. 4. 44 Nel TM il verbo zr/J è al perfetto; condivido invece l'opinione di quanti correggono con il participio, come in LXX e Pesh, anche per il parallelismo con 5b. L'errore è dovuto probabilmente a un copista, il quale ha invertito le due lettere iniziali z e w. Su questo cf. DI FONZO, Ecclesiaste, 127.
70
ogni giorno e ogni giorno continua il suo cammino, «viene» (bW'),45 affrettandosi 46 verso il luogo da cui nuovamente sorgerà. Se si pensa alla visione trionfale ed eroica del Sal 19, di Is 60,1-3.19-20 o di Sir 43,1-5, si comprende meglio come Qohelet descriva un sole estremamente stanco e affaticato, che ricorda molto da vicino l'immagine del dio sole, proprio della letteratura egiziana. 47 È infatti la stanchezza di questo percorso, nel suo eterno ripetersi, che l'autore vuole sottolineare, analoga alla fatica di Sisifo o a quella dello schiavo di Giobbe (Gb 7,2; 36,30), che fa un lavoro senza fine e senza significato. Ma c'è un altro elemento da considerare ed è la circolarità di questo percorso; secondo l'antica cosmologia il sole, dopo il tramonto a occidente, attraversava vie sconosciute e sotterranee per raggiungere nuovamente l'oriente. 48 Se fosse valida quest'interpretazione che rileva un movimento circolare anche del percorso del sole, verrebbe a costituirsi un interessante parallelismo tra il sole e le generazioni umane. Nell'immaginario del Qohelet il sole non è più il dio invincibile, ma una creatura che gira in tondo e le cui corse quotidiane si succedono invano come le generazioni umane. 49 Va in questo senso anche l'uso del verbo hlk in questo versetto che, unito alle immagini di stanchezza e affaticamento, pone le generazioni umane e il sole sullo stesso piano, confermandone la caducità. V.
6
hOlek ' el-darom wesobeb ' el-~iipon sobeb s6beb hOlek hiiruaf]. w"al-s ebfb6tiiyw siib hiiruaf]..
Contrariamente a quanto risulta da alcune versioni,so nel v.6 non si tratta del movimento del sole, da nord a sud per l'inverno-estate, ma del vento, che si dirige a nord verso la regione splendente di sole e poi volge indietro a settentrio-
45 La traduzione del verbo bw' con «viene» piuttosto che con «tramonto» è giustificata sia dall'analogia con il versello precedente, dove lo stesso verbo designa ciò che va, sia dalruso del verbo S'p, immediatamente seguente, che molto probabilmente è parallelo all'accadico shfpu = marciare. Tanto il verbo bw' quanto S'p indicano il percorso del sole. -16 Non convince la proposta di P. JOUON, «Notes philologiques sur le texte hébreu d'Ecclésiastes" in Bib 11(1930),419-425, spec. 419; l'autore legge b invece di w, ottenendo così sàb 'ap. Il participio sb corrisponderebbe ai participi sb e sb'm dei VV. 6 e 7. Respinge la lezione S'p, perché «troppo forte» e non consona allo stile semplice del Oohelet; ritengo al contrario che è proprio il senso forte dell'affaticamento che il testo vuole comunicare. • 47 Cf. Lvs, L'Ecclesiaste, 98, nota 6, che cita al riguardo i seguenti testi: il mito della liberaZIOne dell'umanità in ANET, 10-11; la lotta del dio sole contro il drago Apophis, che mette in pericolo la sua esistenza e quindi l'ordine della creazione in ANET6-8; 11-12; 366. Nello stesso tempo questa immagine del sole si oppone a quella celebrativa dell'egiziano Inno ad Aton o degli inni mesopotamici al dio solare Samas. Per i famosi inni al sole della letteratura egiziana e babilonese cf. ANET 367b-371a; 387-389. Per i paralleli extrabiblici cf. anche RAVASI, Qohelet, 80-81. 48 Anche nella storia delle religioni si incontra il tema del trasporto del sole, sollo terra, di nolle da ovest a est, da parte della luna. Cf. sull'argomento E.A.S. BUlTERWORT, The Treeat the Navel o[ the Earth, de Gruyter, Berlin 1970, 134ss. 49 Si veda per questa interpretazione anche RAVASI, Qohelet, 80. 50 Cf. Vg, Tg., Pesh.
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ne, ripetendo in continuazione il suo moto di ascesa-discesa. Il verbo sbb è il termine tipico del movimento rotatono e la ripetizione dal participio accentua la completezza di questa azione, sottolineandone nello stesso tempo la ripetitività. Se si interpreta la preposizione 'al come «da», il testo va inteso nel senso che «il vento ritorna dai suoi circuiti».51 Anche qui si tratta di un ciclo; infatti il verbo sbb indica un movimento che va in una direzione ben precisa, che è quella del ritorno all'indietro. 52 v. 7
kol-hannelJiilim hOlekfm 'el-hayyiim whayyiim 'enennu male' 'el meqom sehannelJalim hOl'kfm siim hem siibfm latiiket.
Il v. 7 risulta composto da due proposizioni asindetiche, in cui la seconda parte, per alcuni, non sarebbe che la ripetizione della prima. 53 Fiumi e mari, che rappresentano qui l'elemento acqua, sono sottoposti, come il sole e il vento, alla stessa fatica. Il verbo hlk, ripetuto per ben due volte, pone sullo stesso piano le generazioni umane (v. 4), il sole (v. 5), il vento (v. 6) e i fiumi (v. 7). Soprattutto gli ultimi due stichi, dove si insiste sulla descrizione del ritorno dei fiumi «alluogo dove essi vanno», sembrerebbero riproporre, grazie all'uso del verbo swb, quell'immagine di circolarità che ha prevalso nei versetti precedenti; ma forse qui l'intenzione del testo è piuttosto di introdurre un nuovo elemento, quello dell'insaziabilità e dell'incompiutezza: 'enennu miile', che prelude poi alla tematica del v. 8. A esso è connesso anche l'effetto della ripetitività. «Asindeto» infatti non significa che le proposizioni dal punto di vista sintattico siano tutte sullo stesso piano; coll'asindeto si possono anche esprimere rapporti di subordinazione. 54 Il senso del v. 7 potrebbe essere allora: tutti i fiumi vanno al mare e, poiché il mare non è mai sazio, al luogo dove essi vanno, là essi continuano ad andare. 55 L'insoddisfazione diventa in tal caso l'elemento scatenante del processo ripetitivo.
Con il v. 7 si conclude la descrizione del movimento insito nella natura. È opportuna a questo punto un'ultima osservazione: che qui il numero dei verbi è quattordici,56 multiplo di sette, un numero caro al Qohelet e che, come si vedrà, assume nel contesto del libro un significato del tutto particolareY B. Nella storia come in natura: nulla di nuovo sotto il sole (1,8-11) v. 8
kol-haddebarfm yege'fm lo' -yukal 'fs ledabber lo' -tisba' 'ayin lir'ot welo' -timmiile' ,ozen misS'moa'.
Esiste un evidente parallelismo formale tra kol-haddebiirfm e kol-hannehiilfm, che pone la parola umana sullo stesso piano di tutti gli altri elementi d~lla natura. Il sostantivo dabiir, come è noto, potrebbe significare tanto «cosa»58 quanto «parola», ma diversi elementi fanno propendere per la traduzione di dabar con parola: 1) questo sostantivo nel Qohelet significa quasi sempre parola;59 2) alla fine di questo stico la radice del termine diibiir viene ripetuta nel verbo, che ha indiscutibilmente il significato di «parlare». Inoltre nello stesso versetto si fa riferimento all'occhio in relazione al vedere e all'orecchio in relazione all'udire, coprendo in tal modo tutto l'arco delle funzioni vitali dell'uomo: linguaggio, vista, udito. Il verbo usato per esprimere l'inutile fatica del linguaggio umano,60 yg', è al participio come i verbi dei versetti precedenti. Che il verbo si intenda in senso riflessivo «tutte le parole si affaticano» o in funzione di aggettivo «sono faticose», è certo che la parola umana, in base a questa immagine, è allineata al sole, di cui nel v. 5 si descrive lo stanco percorso, e ai fiumi del v. 7. Con RAvAsl, Qohelet, 77. Per l'uso del numero sette e la sua funzione nel libro del Qohelet cf. l'ultimo capitolo di questo volume .. • 58 Favorevoli alla traduzione di diibiir con «cosa» sono: BRAUN, Kohelet, 64; DI FONzo, Ecc1eslUst~, 130; HERTZBERG, Der Prediger, 72. Cf. anche la Vg. I LXX, invece, traducono con «parole»; CO~I anche LAUHA, K.oheleth, 35-36 e ZIMMERLI, Das Buch des Predigers, 143-144. La proposta di LYs, L EccleslUste, 106 di tradurre diibiir con «cause» è motivata dall'autore in base alla necessità di rendere in qualche modo il gioco di parole causes/causer; non è escluso però che essa sia dettata da una precomprensione filosofica. Secondo l'autore l'incapacità dell'uomo di parlare in maniera esau· shva sarebbe dovuta ai limiti antologici della parola umana, che non è creatrice e quindi non può conoscere come DIO le cause dei fenomeni e il loro segreto. Un'esegesi di questo tipo potrebbe anche trovare un fondamento in testi successivi, ma per il momento è priva di base. Non vi è nulla che faccia pensare III questo testo all'inconoscibilità delle cose da parte dell'uomo. S9 Raramente nel Qohelet il termine diibiir significa «cosa»; cf. ad es. 1, lO; 7,8 e 8,1. RAvAsl, Qohelet, 85 però fa giustamente osservare l'ambiguità di questo termine, il cui uso nel Oohelet è innale :enzlO . T. NISHIMURA, «Un Mashal de Oohelet 1,2-1l», in RHPhR 59(1979), 605-615, spec. 611 ndlvldua pOI un terzo slgmflcato nel termme: quello di parola-proverbio, che diventa poi centrale per l'lllterpretazione originale che l'autore dà di 00 1,2-11 come maSal. 60 F ZIMMERMANN, The Inner World o[ Qohelet, 41 sostiene che y'gè'im è una translazione dal1'aram~lco mslhyn, che !>uò essere sia attivo che passivo e ritiene che qui il senso richieda l'attivo e II transItivo. Diversa opllllOne III WHlTLEY, Kohelet, lO, che intende il verbo in funzione di aggettivo sulla base di un confronto con Dt 25,18 e 2Sam 17,2. 56
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51 Cf. HERTZBERG, Der Prediger, 71; seguito da DAHooo, «The Phoenician Background of Ooheleth», 265, che riscontra questo significato nel semitico nord-ovest. WHITLEY, Koheleth, 9-10 trova invece conferma del significato di 'al come «da» in tutte le lingue semitiche (accadico, fenicio, mòabita, aramaico ed ebraico). Cita al riguardo il detto di Esarhaddon: riddu kinu eli aljljèya ittabik; l'iscrizione fenicia di Ahiram; la stele moabita; in aramaico Dn 6,19. Per la lingua ebraica cf. Sal 16,2; Dn 2,1; l'uso di 'al nel senso di «da» è attestato infine anche nella Misnà: Maas 3,1. 52 Cf. KOHLER-BAUMGARTNER, Lexicon Veteris Testamenti, 951-953. Dissento dall'interpretazione di LYs, L'Ecclesiaste, 100-1O}, secondo il quale Oohelet non intende parlare di ciclo, ma di un movimento sterile e disordinato. E invece proprio l'ordine che regna nel creato che fa problema a Oohelet, in quanto gli appare come sinonimo di ripetitività. 53 Cf. per questa interpretazione LYs, L'Ecclesiaste, 104; Gooo, «The Unfilled Sea: Style and Meaning in Ecclesiastes 1,2-11», 68-69. Non è chiaro a chi debba riferirsi l'avverbio. JOUON, Grammaire de l'hébreu biblique, 129q, congiungendo il pronome relativo con siim, traduce con <
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73
A differenza di y'ge'im, i verbi seguenti con la negazione Iii' sono all'imperfetto, che indica comunque un'azione costante. L'impotenza della parola umana è espressa da 16' -yukal; il verbo ykl, preceduto dalla particella negativa 16', è usato nel libro sempre in contesti negativi, per designare l'incapacità (1,8.15bis; 6,10; 8,17bis). Si sottolineerà in seguito l'importanza della negazione nel Qohelet; per il momento basti osservare che le particelle negative ricorrono in 1,8-11 per sette volte, come anche per sette volte si trova il verbo hyh. 61 Il Qohelet coglie dunque nel linguaggio umano quella stessa nota di incompiutezza, che è propria degli elementi naturali. A questo punto è evidente il suo distacco dalla tradizione sapienziale (cf. soprattutto Pr 15,23; 24,26; 25,11), per la quale illinguaggio non·è solo una forma di comunicazione, ma anche uno strumento per dominare il mondo, dovendo però riconoscere che la sua riflessione non è del tutto estranea alla stessa scuola sapienziale: cf. ad es. Pr 27,20, in cui si mostra come gli sforzi dell'uomo non siano qualitativamente diversi da quelli degli elementi naturali. AlI'incompiutezza del linguaggio umano fa riscontro l'insaziabilità dell'orecchio e della vista, per nulla dissimile da quella del mare. Ritorna infatti il verbo mi', che costituisce un'ulteriore conferma dell'esistenza di un parallelismo tra il v. 7 e il v. 8; esattamente come il mare che non è mai pieno, così la vista e l'udito non sono mai pienamente soddisfatti. 62 v. 9
mah-ssehaya hU' seyyihyeh umah-ssenna'iisa hU' seyye'iiseh w'én kol-fJiidiis talJ.at hassiimes.
La prima osservazione riguarda l'esistenza del parallelismo tra i primi due stichi. Poiché il verbo hyh è usato nel libro per indicare prevalentemente i fenomeni naturali 63 e il verbo 'sh per l'agire umano e divino, si trova in ciò conferma
61 Per questi rilievi formali si veda RAVASI, Qoheler, 84, uno dei pochi esegeti, dopo Rousseau, a rilevare l'importanza del numero sette in Qohelet. " . . 62 I verbi mI' e ib' in genere sono costruiti con l'accusativo semplice o con le prepOSIZIOni mm (Ger 44,17; Lam 5,6; Ger 31,14; 5aI65,5; 88,4; Is 1,15; IRe 7,14; Ez 32,6). La costruzione diSb' al qal + /' + infinito è un hapax; altrove lo stesso verbo si trova costruito con l'accusatIvo, come In 4,8, o con min, come in 6,3. Su questa insolita costruzionè cf. DAHooD, «Qoheleth and North~est Semitic Philology», 349-350. L'autore trova in ciò conferma della sua tesi, in quanto In ugantlco l ha la funzione di min, come attesterebbe anche il parallelismo con il successivo mI' (al nifal) + mm + infinito. Ma si potrebbe anche semplicemente pensare a un uso fluttuante della lingua, come sostIene F. PIOTII, «Osservazioni su alcuni usi linguistici dell'Ecclesiaste.», in BeO 19(1977),49-56, spec. 52-53. I>J Non è possibile determinare con sicurezza e in assoluto il significato del verbo hylr, che va dedotto dunque dal contesto e dal parallelismo con altri verbi. Esso potrebbe SignifIcare «accadere» e in combinazione con r «avere». Con altre proposizioni, come 'a!}ar e min può anche Significare «seguire» o «venire, derivare da» (come in Qo 3,20). In Qo 3,15 indica <
or
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deIl'interpretazione proposta in questo lavoro: il Qohelet vuole istituire un parallelismo tra gli eventi del cosmo e la storia umana. 64 Il futuro dei due verbi potrebbe anche avere valore frequentativo ed essere tradotto con «è quello che accade, che si fa ancora oggi» e ciò in base alla somiglianza con un proverbio accadico del 1700 a.c.: «la vita del giorno prima di ieri è quella di ogni giorno».65 In tal caso Qohelet affermerebbe l'identità assoluta tra passato, presente e futuro; è infatti questa l'intenzione de! testo, come è dimostrato daIl'affermazione immediatamente seguente: w"en kol-lJ.adas talJ.at haSSiimes. Questa espressione trova un equivalente in testi stoici posteriori a Qohelet: «Omnia transeunt et revertuntur, nihil novi video»66 e «oùÒÈv XaLvov' Jl:UVtu .xaÌ, ouvr)8'Y] xaÌ, òÀ~YOXQOVla».61 Ma già nel IV secolo Epicuro affermava: «xaÌ, !Lilv xaÌ, l:Ò Jl:av à€L l:OLOÙl:OV ~v oIov VÙV ÈO"tL xaL àd WLOÙl:OV rOl:aL». 68 Un altro testo da prendere in considerazione è quello di Pitagora: «l:à y~ vOf!Eva Jl:Ol:E Jl:àÀ~v ytV€l:aL, V€Òv ÒOùòÈv <'mÀwç rO"tLv».69 Ma anche questa espressione è collegata alla concezione del ritorno ciclico delle cose: infatti il testo di Porfirio aggiunge come motivazione: chl xmà mQlOÒOUç "tLvàç l:à y~Vof!Eva. Questi paralleli letterari orientano verso una concezione statica del tempo, che si può comprendere solo alla luce di una circolarità o ciclicità degli eventi. Il Qohelet sembra quindi condividere la concezione ciclica del tempo, che è propria della filosofia greca ma anche del pensiero mesopotamico. 70
64 Cf. in questo senso PODECHARD, L'Ecclésiaste, 243; Lys, L'Ecclésiaste, 113. Contro questa interpretazione cf. DI FONZO, Ecclesiaste, 131, secondo il quale le due espressioni riguardano entrambi la storia umana. 65 Così loDoN, Grammaire, 111i e 113a. 66 L.A. SENECA, Ep 24. 67 MARCO AURELIO 7,1; 12,26. 68 EPICURO, Ep 1,39; per l'analisi dell'espressione 'én kol-!}iidtiS ta!}at hassiimes cf. M. LEVY, «Rien de nouveau sous le solei\>" in NC 5(1953),326-328, il quale sostiene che Qohelet riprende esplicitamente il detto di Pitagora. Diversa opinione in F. VATIIONI, «Niente di nuovo sotto il sole", In .RIVBib 7(1959),64-67. L'aggiunta da parte del Qohelet dell'espressione ra!}at haSsiimeS, che trova chIare corrispondenze con espressioni della letteratura cananeo-fenicia, potrebbe far pensare a un Influsso in questo senso. Contro tale interpretazione si pronuncia FESTORAZZI, «II Qohelet: un sapiente di Israele alla ricerca di Dio», 187, nota 57. A mio avviso, però, la scelta di espressioni di larga nsonanza culturale è intenzionale da parte del Qohelet. 69 PORFIRIO, Vit.Pyth 19. 70 Per questa interpretazione cf. anche HERTZBERG, Der Prediger, 72; LYs, L'Ecclésiaste, 116; GLASSER, Le procés du bonheur, 26-27; ALONSO SCHOKEL, Eclesiastes, 20; RAVAsI,Qohelet, 87-88. SuUa concezione del tempo in Qohelet cf. 1.M. RODRIQUEZ OCHOA, «Estudio de la dimension temporal In Prov., Job y Qoh. El eterno volver y comenzar en Qoh», in EstB 22(1963),33-67, spec. 5258. Secondo P. RICOEUR, «Temps Biblique», in AF53(1985), 33 è un diverso modo di sentire e intendere .Ia temporalità, sprovvista ormai di spessore storico, che conduce il Qohelet al riflusso verso il quoltdlano: «Le quotidien de Qohelet est le quotidien retrouvé par celui qui a regardé la morI en face et qUI a renoncé à savoir. C'est le quotidien sous le signe du non-savoir. Rendue modeste, déPOlllUee de sa pompe, la sagesse est alors tentée par l'excés d'humilité: l'homme de la sagesse du non-savoir se sent déchargé de la responsabilité de porter sur ses épaules le poids de l'histoire. Il est alors tenté de réduire !'espace de sa vie à un quotidien radicalment dépourvu d'historicité: "Rien de nouveau sous le soleil...". Nous sommes aux antipodes du narratif et en meme temps nous atteignons les marges du livre».
75
yes diibiir seyyo'mar r"'eh-zeh lJiidiiS hCt' k'biir haya l"oliimfm ,iiser haya mill'piinenu.
v. lO
L'avverbio yes,7' che ha valore condizionale, descrive uno stato, una situazione esistente e rappresenta la protasi del periodo ipotetico (cf. anche 2,21; 4,8; 5,12; 6,1.11; 7,15; 8,14; 10,5): o «se qualcuno parlasse e dicesse: "vedi, questa è una novità"». L'apodosi riprende il soggetto della protasi, in posizione enfatica: ha' (proprio quella).72 Notiamo in primo luogo il ritorno dei verbi hyh, dbr, del v. 8, che confermano l'esistenza di un'unità semantica tra i vv. 8-10. Inoltre ricorre per la terza volta il pronome dimostrativo hu'. I vv. 9-10 hanno infatti una struttura parallela: v. 9a-b mah-ssehiiya hCt' seyyihyeh Ctmah-ssenna'asa hCt' seyye'aseh. we'én kol-fJiidiiS taf}at hassiimes.
v. 9c
v. 10
y8 diibiir seyyo'mar r" éh-zeh !Jiidiis ha' k'biir hiiya le'oliimfm ,Mer haya millepiinenCt.
Esiste un parallelismo formale anche tra i due stichi del v. lOb: k'biir hiiya l" oliimfm ,aser hiiya mill'piinenu.
Condivido pertanto l'opinione di Rousseau 73 il quale rappresenta il parallelismo tra questi due stichi con lo schema chiastico in quanto k'biir corrisponde a millepiinenCt, con cui fa inclusione. L'avverbio è un altro termine caratteristico del Qohelet (2,16; 3,15ab; 4,2; 6,10; 9,6.7). Il significato fondamentale, comune a tutte le lingue semitiche, è «molto» o «grande» ma denota anche, come nel Qohelet, la durata del tempo.74 Anche l"oliimim designa un lungo periodo di tempo, che si estende nel passato;75 la forma plurale le'oliimfm può avere valore
Sulla particella yèS cf. ISAKKsoN, Studies in the Language o[ Qoheleth, 173-174. . Secondo BRAUN, Kohelet, 65 esiste un parallelismo tra al1] nç àv e yès diibiir e per l'obIezione tra aga e r'èh, che richiama lo stile tipico della diatriba. 73 ROUSSEAU, «Structure de Qohélet I 4-11», 204. . 7. Cf. per il parallelismo con l'assiro, l'arabo, l'aramaico WHITLEV, Koheleth, 11. Il termme ricorre anche nella Misnà con questo significato: cf. Er(ub) 4,2. . 75 Cf. H.D. PREUSS, «oliim», in ThWAT 5(1986),1144-1159. A causa del plurale alcum manoscritti e critici correggono il singolare di hiiyii con il plurale hiiyu. Cf. ~A""OOD, «Canaan!tePhoenician Influence», 36, il quale sostiene che si tratta di un errore dello scnba ID quanto !I. f~ruc'o hy poteva essere interpretato sia al singolare che al plurale. Così anche JENNI, «Das WoTt olam 1m AT»,245. 71
72
76
enfatico, per indicare appunto l'idea della lunghezza temporale. Questo termine è ripreso dal relativo 'iiser, in modo tale da formare un chiasmo e infine hàya è
ripetu!o nel secondo stico. ' . E importante a questo punto osservare che a proPOSItO della stona umana si usa lo stesso termine adoperato per indicare l'eterno permanere della terra (~. 4) e ciò è ~n'ulteriore .conf~rma. d,ella mia tesi: il Qo~elet vuole affermare in questi versettI la sostanziale Identlta tra cosmo e stona. v. 11
'en zikr6n liiri'sonim wegam Iii'af}aronfm seyyihyu lo'-yihyeh liihem zikkiir6n 'im seyyihyu Iii'af}arona.
Il testo si conclude nel v. 11 con un'affermazione radicalmente negativa: 'én zikr6n liiri'Sonfm. Dal punto di vista formale si può osservare l'opposizione tra l'affermazione yes del v. 10 e la negazione 'én del v. 11, in 11a tra gli antichi e
i posteri e in 11b tra questi ultimi e i loro successori. Lo schema è dunque: 11a=A/B (passato-avvenire) 11b=B/C (avvenire prossimo-avvenire lontano). Quindi A:B=B:C. Il Qohelet intende dire che a quelli che verranno in seguito tocca la stessa sorte di coloro che li hanno preceduti: l'oblio. Il procedimento è quello di aggiungere un dato a un altro (gam ma anche 4 volte le) per ribadire l'idea fondamentale che l'oblio si ripete in modo costante attraverso il temp0 76 e riguarda la storia umana nella sua totalità. La catena delle generazioni, che succedono l'una all'altra, permane ed è espressa qui con la ripetizione della radice in lii'a!Jaronfm e lii'af}arona; ma diventa una successione meccanica e ripetitiva, dal momento che manca l'anamnesi che, come è noto, è un topos della letteratura sapienziale e veterotestamentaria in genere. È questa forse la principale frattura tra il Qohelet e la tradizione sia profetica (opposizione oggettiva al novum) sia storica (negazione del ricordo).
76 L'obiezione di Lvs, L'Ecclésiaste, 124 a questa interpretazione è che se l'autore avesse voluto indicare la ripetizione costante dell'oblio riguardo all'avvenire prossimo come all'avvenire lontano, avrebbe usato la stessa formula. L'uso invece di l'him + l'espressione finale, che è differente da quella dell'inizio di Il b, mostra che alla fine del verselto si vuole esprimere un'idea differente. Il testo va dunque interpretato secondo Lys in questo senso: nessun ricordo degli antichi, né di quelli che vengono né di quelli che verranno ancora: lla=A/B (passato/avvenire), llb=B:B/C (avvemre [B//A]: avvenire/avvenire più lontano). Ma, come lo stesso Lys riconosce, per ottenere l'effetto dI accumulo è sufficiente la ripetizione per 4 volte di l' e iii' che precede
77
Il v. 11 segna infine un ritorno al tema iniziale: quello delle generazioni e del loro vano succedersi. La struttura della pericope assume dunque un andamento circolare:
/B(V4b)~ A (v. 4a) A'(v. 11)
C (vv. 5-7) C'(v. 8)
~B'(VV' 9'10)/ La tesi è enunciata nel v. 4 e sviluppata nei vv. 5-11. Il movimento ciclico delle generazioni umane in 4a è parallelo al movimento circolare del sole, del vento, dei fiumi che tornano al luogo di origine (vv. 5-7). Il v. 8, che istituisce un parallelismo tra l'insoddisfazione perenne della natura e quella dell'uomo nelle sue funzioni vitali, segna una svolta verso il discorso antropologico che viene sviluppato nei vv. 9-11. L'affermazione del v. 9 w"èn kol-l].iidiiS tal].at hassiimeS riassume la concezione qoheletiana della storia, che non coglie alcuna sostanziale differenza tra il cosmo, con le sue leggi immutabili (v. 4b) e la vita dell'uomo, nella quale non si registra alcun progresso. L'illusione della novità è data dall'assenza di memoria, per cui non c'è continuità tra una generazione e l'altra dal punto di vista della coscienza ma solo una successione meccanica. Il v. 11 non fa che ritornare al punto di partenza, spiegando però il motivo per cui il succedersi delle generazioni non si differenzia dal movimento ciclico della natura.
3. Conclusione L'interrogativo del v. 3, che nei capitoli successivi viene riproposto più volte sotto una prospettiva diversa, pone il problema dell'effettivo vantaggio che l'uomo 'può ricavare dal suo lavoro. I vv. 4-11 non costituiscono una risposta a questo mterrogativo, ma ne danno logicamente la motivazione. 77 Quale vantag-
n Di avviso diverso è LOHFINK, «Die Wiederkehr des immer Gleichen», 126-127, secondo il quale I,VV. 4-11 si rico!legano meglio al v. 2 che al v. 3 e ciò sia per motivi di ordine formale, in quant~ 1,3 e un mterrogatlVo e 1,4-11 un poema, sia per motivi di contenuto, in quanto il v. 3 parla delI uomo, l vv. 4-11 del cosmo. Tuttavia proprio l'espressione talJat hassames che, come nota lo stesso Lohfmk, rIcompare in 1,9, mi sembra che confermi l'unità del v. 3 con i vv. 4-11. Inoltre i vv. 8-11 riguardano, come si è detto la storia dell'uomo e non il cosmo.
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gio ricava l'uomo da tutto il suo affaccendarsi sotto il sole, dal momento che tutto ciò che accade nel mondo della natura e della storia non è che una inutile ripetizione ciclica degli avvenimenti? Risulta dunque evidente dall'impostazione del poema che 1,3 non pone un vero e proprio problema ma formula una domanda retorica,78 che comporta, proprio perché tale, una risposta a senso unico; nel caso del Qohelet chiaramente negativa. Può ora trovare una risposta anche l'interrogativo formulato inizialmente a proposito del v. 4: il Qohelet vuole porre un'antitesi tra il movimento ciclico delle generazioni umane e l'immutabilità delle leggi del cosmo? Se si guarda al v. 4 isolatamente, la risposta deve essere affermativa, in quanto al movimento espresso in 4a dal verbo hlk, si contrappone in 4b l'immutabilità e l'invariabilità della terra ('md). Se si considera invece il testo nel suo complesso, questa proposta di strutturazione appare discutibile; il movimento è infatti una caratteristica anche degli elementi della natura (il sole, il vento, i fiumi) e si tratta anche per essi di un movimento ciclico che, proprio perché rappresenta un continuo ritorno al punto di partenza, diventa stanco e ripetitivo. Braun 79 ha voluto vedere in questo inutile affaccendarsi della natura e dell'uomo il «tertium comparationis» del confronto che Qohelet vuole istituire tra uomo e mondo. A me sembra però importante evidenziare il fondamento cosmologico di questo confronto, in quanto Qohelet condivide la concezione ciclica del mondo propria sia della cultura greca che di quella mesopotamica; ma il significato che questa visione assume nella concezione del Qohelet è sostanzialmente diversa. Come osserva Lys,80 il ciclo non è più motivo di salvezza, non è un elemento rassicurante ma viene svuotato del suo significato e quindi demitizzato. Per quanto riguarda poi l'invariabilità (l"6liimfm), anch'essa non è soltanto una caratteristica della natura ma anche della storia; w e' èn kol-hiidiis tahat hassiimes è l'affermazione fondamentale dei vv. 8-11. Il fatto poi che la radice '1m ritorni nel v. lO, usata insolitamente per esprimere il passato, non può essere casuale; si è detto infatti che il termine 'oliim potrebbe già designare un tempo illimitato, una durata, che per la sua staticità toglie senso alla storia umana facendo precipitare tutto nell'oblio. Ma proprio questo termine pone sullo stesso piano, quello di un'immutabilità senza significato, tanto la natura quanto la storia. Non vi è dunque alcuna antitesi tra il movimento delle generazioni umane e il cosmo, in quanto il movimento è solo apparenza, esso non è vero e proprio progresso, ma è un ritorno perenne al punto di partenza per cui tutto rimane uniforme e costante. Questa mia conclusione, che in parte coincide con quella di Ellermeier, non si fonda però sugli elementi grammaticali, che non sono di per sé sufficienti
78 Di questa opinione è anche l.G. WILUAMS, «What Does Il Profit a Man? Thc Wisdom of Koheleth», in Judaism 20(1971), 179-193. Cf. anche ZIMMERLI, Das Buch des Predigers, 142; GORDIS, Koheleth, 63·68; 75-86. 7'J BRAUN, Kohelet, 64-65. 80 Lys, L'Ecclésiaste, 105.
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a fondarla: il waw del v. 4 potrebbe anche avere valore avversativo. Essa non si basa neppure su uno schema logico, in quanto il rischio potrebbe essere quello di sovrapporre al testo una formula che gli è estranea. Il fondamento della mia interpretazione è nell'analisi semantica: i verbi hlk e bw' accomunano il ciclo delle generazioni umane, del sole e del vento in un percorso segnato dalla monotonia e dalla ripetitività; la ripetizione di mi' fonda il parallelo tra il mare e l'uomo, destinati a una permanente insoddisfazione. A differenza di Ellermeier, ritengo che il ripetersi uniforme e costante esprima solo l'aspetto fenomenico delle cose, la radice è altrove, nella ciclicità degli eventi. Restano comunque aperti diversi problemi, che non possono trovare una soluzione nell'analisi dei primi versetti del libro: 1) qual è la funzione del poema introduttivo? È il prologo del libro o di una parte di esso?; 2) nel fare uso di categorie, che hanno la radice nella cultura extrabiblica, sia ellenistica che orientale, il Qohelet demitizza gli elementi della natura, ma non finisce poi col condividere il determinismo cosmico?;81 3) come si articolano i due temi della vanità e del vantaggio che l'uomo può ricavare da tutto ciò che si fa sotto il sole?; 4) l'immagine della circolarità ha un riscontro anche nella struttura del libro?
81 Cf. la discussione di questo problema in LORETz, Qoheiet, 247-260, il quale nega che vi sia un qualche influsso del determinismo extrabiblico sul pensiero di Qohelet.
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Capitolo secondo
Quale vantaggio?
I.
FINZIONE REGALE E IO DEL SAPIENTE
(1,12-2,26)
Inizia in 1,12 un discorso alla prima persona singolare, che continua senza interruzioni fino a 2,26; qui si interrompe per poi ritornare in 3,10.12.14.16.17. 18.22. Diversi sono gli interrogativi che scaturiscono da questo semplice dato. Il primo riguarda il rapporto tra 1,3-11 e 1,12ss. L'autopresentazione di Qoheletre Salomone, per la sua affinità con i testi regali dell'antico oriente, I potrebbe costituire il vero e proprio inizio dellibro;2 se così fosse, però, risulterebbe alquanto problematico definire la funzione dei primi undici versetti, tradizionalmente considerati come il prologo di tutta l'opera. Il secondo interrogativo riguarda la delimitazione della sezione: termina in 2,263 o si protrae fino al capitolo terzo?4 Ma altri problemi ancora sorgono in merito alla formazione letteraria del testo: ci troviamo di fronte a un'unità in sé compiuta o ad un insieme di sentenze un tempo dissociate tra loro?5 Vi sono tracce di apporti redazionali?
l Per i paralleli con la letteratura dell'antico Oriente cf. DARooD, «Canaanite-Phoenician Influence», 204. 2 Per questa tesi si veda LORETz, Qoheiet, 144. 3 Diversi autori sono favorevoli a porre in 2,26 il limite della sezione. Cf. LAURA, Koheiet, 38-60; ZIMMERLl, Das Buch des Predigers, 145-162; RAVASI, Qoheiet, 95-135. Per una valutazione critica di queste proposte si veda E. BONS, «Zur Gliederung und Koharenz von Koh 1,12-2, II», in BN ~4(1984)" 73-93. Non è accettabile la proposta di RAVASI, Qoheiet, 99-101 di una netta delimitazione 1ella sezIOne m due dittici: 1,12-2,11; 2,12-26, articolati intorno a due scene diverse: 2' Il sapere e il capire (1,12-18) 1. Il sapere e il capire (2,12-16) . Il gQdere e il fare (2,1-11) 2. Il godere e il fare (2,17-26) . E soprattutto l'intreccio dei temi, che impedisce di cogliere un perfetto parallelismo tra le P~rt~; ~osì il tema del sapere e del capire è presente anche in 2,17-26 nell'interrogativo del v. 19: mi jodea . Al v. 21 accanto al termine 'amai troviamo anche sapienza e scienza, (b'hokmà, da'at), paroel-Chiave di altre unità. L'articolazione di questa sezione si presenta, a mio avviso, molto più comp essa. 4 Per questa delimitazione del testo cf. H.P. MULLER, «Theonome Skepsis und Lebensfreude ~u Qohelet 1,12-3,15», in BZNF 30(1986), 1-19; l'autore basa la sua interpretazione soprattutto sulIOclusJolle tra 1,13b e 3,10. E la tesi di GALLING, Der Prediger, 86-93, seguito da ZIMMERLI, Das Buch des Predigers, 145 -146.
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Per rispondere a questi interrogativi è importante stabilire con esattezza la portata di quella forma stilistica che Loretz denomina Ich-Erziihlung6 e che, secondo lo stesso autore, è uno dei principali mezzi stilistici di cui si serve Qohelet per dare una struttura a tutto il libro. Prendendo in considerazione per il momento 1,12-2,26, occorre distinguere, nell'ambito della stessa «forma io», due piani: il primo è quello della finzione regale, nella quale Qohelet parla di sé come di un re ricco e sapiente (l,12.16b; 2,4-10); il secondo è l'io di un saggio che narra le sue esperienze e vi riflette? (3,10.12.14.16.17.18.22; 4,1.2.4.7.15; 5,12.17; 6,1.3; 7,15.23 [due volte].27.28 [tre volte].29; 8,9.10.14.15.16.17; 9,1. 11.13.16; 10,5.7). Se si assume la finzione regale come il principale elemento di strutturazione del testo, non vi è dubbio che si possa parlare di un'unità compresa tra 1,12 e 2,26. Vi sono però altri elementi da prendere in considerazione: a. La trama verbale; b. La trama nominale; c. Le formule di vanità. Solo dalla confluenza di tutti questi fattori può scaturire la struttura letteraria di 1,12-2,26 e si può stabilire se c'è una continuazione nel capitolo terzo.
1. La trama verbale In base alla distinzione operata precedentemente è opportuno analizzare prima i verbi che alludono alla finzione regale e poi quelli che fanno riferimento alla ricerca sapienziale. In 1,12, che presenta Qohelet come re di Gerusalemme, si incontra in primo luogo il perfetto del verbo hyh, che viene per lo più reso con un presente o con un presente e perfetto insieme: «lo sono stato e ancora sono». 8 L'interpreta-
6 LORETZ, «Zur Darbietungsform der "Ich-Erzahlung" im Buche Oohelet», in CBQ 25 (1963),46-59; ID., Qohelet, 145-165. Cf. anche GALLlNG, «Kohelet-Studien», 535-542. Sulla forma del monologo come genere letterario si veda N.P. BRATSIOTIS, «Der Monolog im Alten Testament», in ZA W 73( 1961), 30-70. Si discute anche se si tratti di pura e semplice finzione letteraria o di vero e proprio racconto autobiografico. Sulla prima linea LORETZ, «Zur Darbietungsform "Ieh-Erzahlung"», 46-59. Per il racconto autobiografico cf. invece ELLERME1ER, Qohelet, l,!, 42, seguito da ISAKKsoN, Studies in the Language of Qoheleth, 39. Altra opinione ancora in H.J. HERMISSON, Studien zur israelitischen Spruchweisheit (WMANT 28), Neukirchener, Neukirchen 1968, 185, il quale parla per 1,12-2,26 di Beispielerziihlung. . 7 Con P. HÒFFKEN, «Das EGO des Weisen», in ThZ 4(1985), 121-135, spec.124-127. E da escludere che si tratti di vero e proprio tratto autobiografico, in quanto l'autobiografia comporta sempre un riferimento a fatti precisi e concreti della vita di un autore, mentre, come è noto, nulla si conosce di Oohelet. Affermare però che ci troviamo di fronte a una finzione letteraria non eomporta l'esclusione di uno stretto rapporto tra l'autore e la sua opera. Dall'opera infatti è possibile enucleare la fisionomia dell'autore, che si configura nel libro come un sapiente il quale, nel riflettere sui problemi de!la vita, vi si sente coinvolto in prima persona. S E la traduzione proposta da ISAKKsoN, Studies in the Language of Qoheleth, 50; cf. anche MÙLLER, «Theonome Skepsis und Lebensfreude», 3; CRENSHAW, Ecclesiastes, 71. LYs, L'Ecclésiaste, 130-132 opta invece per il passato, basandosi sulle scritte funerarie delle tombe egiziane, in cui il re defunto parla delle imprese compiute durante la vita. Oohelet avrebbe dunque imitato un genere letterario che si adattava bene al suo proposito.
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'one di 1,12, come fa osservare Isakkson,9 determina la comprensione anche di
Z~tri passi, soprattutto in 1,12-2,11; infatti il verbo hyh ritorna in 2,7, per indica:e la proprietà di schiavi e schiave, ma prima ancora esso ricorre in 1,16b, che è dunque perfettamente in linea con il v. 12 anche per l'esplicita menzione della città di Gerusalemme. Il v. 16 non lascia dubbi che il re al quale pensa Qohelet sia Salomone e ciò consente l'unificazione delle due figure in un solo personaggio: quello del re sapiente. L'idea della grandezza viene espressa attraverso l'uso del verbo higdalti, che ritorna in 2,4.9; in 1,16 e 2,9 esso è unito a wehòsapti, che serve a dare maggiore intensità al significato espresso dal primo verbo. lO Ciò conferma l'ipotesi che questi versetti siano uniti da un solo filo conduttore. Un altro elemento unificante all'interno dei vv. 4-8 è li che ricorre per ben 9 volte per designare l'involuzione personale del re in una vita di lussuria spesa solo per se stesso. Il A partire da 2,4 inizia l'enumerazione delle opere compiute da questo personaggio regale, che ha come scopo quello di illustrarne la grandezza: il verbo higdalti torna per la seconda volta, costruito questa volta con un sostantivo. Gli altri verbi fanno tutti riferimento alla sfera operativa: nth, bnh (2 volte), 'sh (5 volte), qnh. Il verbo bnh, «costruire», fa riferimento alle opere monumentali nelle quali i grandi uomini riponevano la speranza dell'immortalità del proprio nome. Le allusioni alla storia biblica di Salomone sono innegabili, mail materiale è sviluppato con grande libertà; non si parla infatti del tempio, ma più genericamente di case. Anche il verbo nth, «piantare», non senza allusione a Gen 2,8, esprime l'opera gra,ndiosa dei re, che si circondano di vigneti (cf. 1Cr 27,27), di parchi e giardini. Il verbo che ricorre con maggiore frequenza è però 'sh, fare (5 volte): significativo è il parallelismo di costruzione nelle proposizioni dei vv. 4-9 tra le cose (hattim, k"ramim, gannòt, upardesim) e le persone ('iihadim usepa"òt ubené-bayit), che sono poste sullo stesso piano, per cui si ha l'impressione che il testo tenda a illustrare le grandi pretese di questo personaggio regale, che vanno ben al di là della sfera operativa per sfociare in quella creativa. Diverse sono infatti le allusioni al Genesi: 12 1a parola gan, termine di origine persiana, che è pa-
9 Per gli eventuali riferimenti a eventi storici (ad es. IRe 10,23) si veda A. LAUHA, «Kohelets Verhaltnis zur Geschichte», in Die Botschaft und die Boten. FS. H. W. Wolff, Neuchichener, Neukirchen 1981, 393-401. lO Cf. GESENIUS-KAUTZSCH-BERGSTRASSER, Hebriiische Grammatik, 120d. Il secondo verbo potrebbe essere inteso c0!lle modificazione avverbiale del primo; cf. GORDIS, Koheleth, 201-202; B;'RTON, Ecclesiastes, 86. E invece preferibile conservare i due verbi distinti, come nei LXX: Èf.lEya~UV81']vxalll{)OaÉ-&rjxa aorpiv btl namv. In 00 2,9 il verbo è al perfetto qal con valore intransitivo; Il cambIamento è spiegato da F. ZIMMERMANN, «The Aramaic Provenance of Oohelet», in lQR 36 hI945/~946),17-45 spec. 41 come un fraintendimento dell'aramaico r'bèt = ebr gadalti e rabét = ebr .l~daltl. Contro Zimmermann cf. WHITLEY, Koheleth, 14-15, il quale ritiene che la costruzione tranSItiva ~?n Hlfil sia normale (cf. Sal 138,2; 00 2,4; Is 9,2; Dn 8,25). Così CRENSHAW, Ecclesiastes, 78. 12 Cf. Lys, L'Ecclésiaste, 189 il quale deduce da tali allusioni al racconto del Genesi che qui SOhelet Intende parlare di imitatio dei. Per i riferimenti al Genesi cf. anche DAHOOD, «Oohelet and Corthwest semitic philology». 351, che, ricorrendo al fenicio, intende qnh nel senso di acquistare; RENSHAW, Ecclesiastes, 79; A. VERHEIJ, «Paradise Retried: on Oohelet 2,4-6», in lSOT 50(1991), 113-115. Interessante è anche il parallelismo con il testo di Sefer Yesira, sottolineato da A.P. HAYMAN, «Oohelet and the Book of Creation», in lSOT 50(1991), 93-111.
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rallela al greco, JtCl.Qa6ELooç, con cui i LXX traducono l'ebraico gan, ma soprattutto 'e~ kol-peri (v. 5) che ricorda Gen 1,11.29. Anche il verbo qnh può essere considerato come un'allusione al racconto del Genesi (4,1). Su un piano completamente diverso si collocano le formule introduttive e i verbi che denotano lo sforzo e la volontà di ricerca del sapiente. La prima wenatatti 'et-libbi (1,13) è un'espressione caratteristica del Qohelet, che si ritrova solo in testi tardivi (lCr 22,19; Dn 10,12);13 essa ritorna, sia pure in una forma diversa, in 1,17; 7,21; 8,9.16 e indica un impegno intenso che coinvolge l'intera personalità (!eb). Da wenatatti 'et-libbi dipendono due infiniti introdotti dalla preposizione le. Il primo lidros, che si trova soltanto qui in Qohelet, designa la ricerca; il secondo latur, (cf. anche 2,3 e 7,25) ha il significato di «esplorare» (Nm 13,2.16-17; cf. gli stessi verbi in ordine inverso in Gb 39,8) e solo dal Qohelet viene usato in senso metaforico per indicare la ricerca sapienziale;14 l'oggetto, introdotto da 'al, indica l'intera sfera dell'attività umana: kol'aser na'a§fì ta/jat hassamayim. Riguardo poi al nifal del verbo '§h, Isakkson fa osservare come le espressioni in cui r.icorre la forma na'a§fì presentino una struttura comune (1,9; 1,13; 2,17; 4,3; 8,9.14.16.17; 9,3.6): nome o pronome + pronome relativo + na'a§fì e
propone di tradurre con il presente: <~tutto ciò che si fa sotto il sole»,15 in riferimento dunque all'attività dell'uomo, come subito dopo nel v. 14, dove la radice ricorre per altre due volte. Qui la ricerca sapienziale è espressa da ra'ili che indica l'osservazione della realtà. Con l'affermazione seguente: dibbarti 'ani 'im-libbi (v.16) si passa invece dal piano dell'osservazione a quello del dialogo interiore, in una forma che si ritrova anche nelle altre letterature dell'antico oriente. 16 Analoga è l'espressione di 2,1.15: 'amarli 'ani belibbi. Infine occorre prendere in considerazione un'altra espressione verbale: upaniti 'ani (vv. 11-12). Pnh è una delle radici più frequenti nel Qohelet (21 volte); analogamente al verbo swb essa indica il volgere indietro lo sguardo e questa visione retrospettiva dell'esperienza o delle cose è tipica del Qohelet. Questa e altre forme verbali (swb, sbb) esprimono la circolarità del pensiero qoheletiano, che esclude pertanto uno sviluppo lineare e progressivo.
13 L'espressione trova equivalenti nella letteratura egiziana e classica. Cf. DI FONzo, Ecclesiaste, 138. . .' 14 La scelta di questi termini fa pensare a quello stile di ricerca che era propno della fIlosofta ellenistica, soprattutto dei cinici; il verbo richiama molto da vicino il greco TllQ€iv, ma potrebbe anche corrispondere a OxÉJttEo1'tm. I LXX infatti traducono con. xm:aoxÉ1jJao1'tm. Cf. su questo BRAUN, Kohelet, 51, il quale sottolinea anche in questo caso l'mflussoellemst1co. , ... 15 L'alternativa sarebbe quella di tradurre con .1 passato facendo nfenmento non ali attlVlta umana, ma alla creazione; e ciò in base sia all'affermazione qoheletiana che non c'è nulla di nuoVO sotto il sole sia al contesto, in quanto subito dopo si parla di Dio. Occorre però conSIderare che gh altri testi trattano dell'attività dell'uomo: 4,3; 8,14.16; 9,6. Su questo problema cf. ISAKKsoN, SlUdles in the Language of Qoheleth, 69·74. 16 Cf. il Dialogo del disperato, in ANET, 405-407.
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2. La trama nominale
Procedendo ancora nell'indagine sulla struttura semantica del testo, è op.. portuno prendere in considerazione i sostantivi che ricorrono con maggiore frequenza raccogliendo in primo luogo i termini che fanno riferimento alla sfera della ricerca sapienziale: f].okmfì (1,13; 1,16bis.17; 2,3.9.12.13.21.26); i binomi hokmfì wadii'at (1,16b.17.18; 2,21) e hOlelot wsiklut (1,17), le antitesi hO/elot ;vesiklut / f].okmfì (2,12); laf].okmfì / min-hassiklut (2,13); hef].akam / hakesfl (2,14). Il termine hokmfì si incontra nel Qohelet 28 volte come sostantivo;17 come hebel, esso non ha un significato univoco, indica comunque anche nel QoheJet una forma di conoscenza, finalizzata alla comprensione della realtà nelle sue molteplici dimensioni e relazioni. Probabilmente nel Qohelet il termine assume una portata molto ampia: esso indica la riflessione dell'uomo in senso lato, l~ ma sarebbe forse eccessivo tradurre il termine f].okmfì con «filosofia»19 anche se non è assurdo pensare che il destinatario del discorso di Qohelet potrebbe essere non solo il sapiente ebreo ma anche il filosofo greco, soprattutto nella sua pretesa di costruire un sapere sistematico e onnicomprensivo. 20 Inoltre il termine hokmfì non ha sempre la stessa funzione; in 1,13 è preceduto dal be strumentale e indica quindi il mezzo con cui indagare ed esplorare tutto ciò che si fa sotto il sole. 21 Al v. 16 dello stesso capitolo è invece il complemento oggetto dei due verbi higdalli e wehosapti; non ha quindi valore strumentale, ma è il fine stesso dell'azione. Più difficile è precisare la funzione del termine in 2,3 a causa dell'insolito uso del verbo ngh, «condurre», che qui è costruito senza complemento oggetto ed è invece accompagnato da baf].okmfì; potrebbe avere anche in questo caso valore strumentale più che intenzionaleY In 2,9 è il soggetto del verbo 'md. In tutti gli altri casi si trova unito
17 cf. H.P. MULLER, «hiikiim», in ThWAT II(1977), 920-944; ID., «Theonome Skepsis und Lebensfreude», 3-5. La radice ricorre complessivamente 53 volte, come nota RAVASI, Qohelet, 102. Per le singole ricorrenze sia del sostantivo che della radice cf. Lvs, L'Ecclésiaste, 139. 18 Con Fox, Qohelet and his contradictions, 80-81, il quale distingue due aspetti nell'uso del termine: 1) un aspetto strumentale, per cui lJokmii è da intendersi come «the faculty and mode of thought by which one may rationally seek and comprehend truth» (cf. Qo 1,13; 2,3; Is 44,19); 2) un aspetto contenutistico ed è o la conoscenza che si trasmette di padre in figlio (cf. Pr 1,2; 2,2; 4,5; 5,1) o la dottrina (come in Dn 1,4). La ragione naturalmente non va compresa nel senso kantiano di Vernunft, ma come «the faculty of ordered, self governing thought that may infer ideas from observed facts or draw conclusions logically from principles and that applies such knowledge to behavior». Cf. Ibid., 81, nota 3. 19 Così traduce Lvs, L'Ecclésiaste, 139, condiviso parzialmente da J. ELLUL, «Le statut de la philosophie dans Qohelet», in AF 53(1985),151-164, spec. 154-155; quest'autore giustamente osserva che il Qohelet non si pone, come fa il pensiero greco, sul piano della speculazione astratta ma, conformemente all'orientamento giudaico, sul piano esistenziale. Ponendosi in quest'ottica, le critiche di Qohelet prendono di mira il pensiero greco più che le idee religiose del mondo giudaico. 20 Su questa linea si trova anche A. MAILLOT, La contestation. Commentaire de /'Ecclésiaste, Cahiers de Réveil, Lyon 1971. .1, 21 Qui balJokmii dipende da latlir e /idròS insieme e non soltanto da liitlir; cf. invece HERTZBERG, Der Prediger, 82-83; ELLERMEIER, Qohe/et, I, 1, 178; LAuHA, Kohelet, 45; LOHFINK, Kohe/et, 24, che collegano /idros con balJokmii e latlir con 'al kol-'iiser na'iisii talJat hassamiiyim. 22 Concordo con la traduzione di Lvs, L'Ecclésiaste, 179: «et mon coeur conduisant dans la philosophie», contro PODECHARD, 259: «mon coeur porsuivait la sagesse» e DI FONZO, Ecclesiaste,
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all'altro sostantivo con cui forma un binomio hokma wadifat (l,16bis.17.18; 2,21) oppure è in opposizione a wesiklat (2,12) o semplicemente a hassiklat (2,13). Unito dunque a hokma si trova da'at; anche il significato di questo secondo termine non è facile da definire,23 soprattutto nel suo rapporto con hokmiì. Gli autori non sono concordi nella definizione delle specifiche competenze, cui i due termini fanno riferimento. Per alcunj24 la hokmiì designa la conoscenza pratica per sapere come vivere e comportarsi e da'at invece la conoscenza speculativa, sia pure non astratta; per altri 25 la sapienza è il potere del possesso intellettuale, la scienza è la capacità di penetrazione delle cose. I due termini insieme sono comunque unanimemente considerati come complementari per indicare insieme la conoscenza pratica e speculativa della realtà. Il secondo binomio da considerare va esattamente nel senso opposto: hòlelòt wesiklat (2,12) sono due termini propri del Qohelet. 26 Il primo deriva dal verbo hll, «gridare» (cf. anche 1,17; 7,25; 9,3 e al singolare in 10,13), che può significare tanto «essere folle» quanto «brillare» e «cantare, lodare»; il secondo, siklat, proviene da skl, «agire stoltalmente», ma potrebbe facilmente essere confuso con skl, «essere intelligente», «avere successo» (cf. Gen 3,6). A me interessa soprattutto sottolineare come questi due termini in 1,17 27 siano in antitesi con il binomio hokmiì weda'at, anche se l'antitesi in 17b è subito vanificata dall'affermazione seggam-zeh ha' ra'yòn raah (cf. soprattutto 2,12.13); la stessa antitesi si trova in 2,14.16.19 per hakiim / k'sfl. Su un altro piano si collocano invece i sostantivi che sono in relazione con la sfera del sentire e si orientano verso i due poli opposti della gioia e del dolore. In 2,1 la gioia (Simhiì), accompagnata dal verbo nsh 28 (cf. 2,10), non è da intendersi come puro e semplice piacere materiale, in quanto essa comprende ogni aspetto della vita (cf. Es 35,10 per la liberazione; Ger 15,16 per la parola di Dio; Ct 3,11 per il giorno del matrimonio; Est 8,17 per la gioia dei banchetti; Es
144: «il mio animo era intento alla sapienza". Cf. anche WHITLEY, Koheleth, 19-20, il quale traduce: «my heart comporting itself in wisdom». 23 Sulla radice yd' cf. J. BERGMAN-G.C. BOTIERWECK, <<jada"', in ThWAT 111,479-512. 24 Cf. LYs, L'Ecclésiaste, 156; DI FONZO, Ecclesiaste, 142, il quale riporta le Hodajot di Qumran (I QH XI, 7s.30; VII, 14). 25 Cf. Fox, Qohelet and his Contradictions, 83; mentre fJokma riguarda la conoscenza nel suo complesso, ditat è una nozione verbale che è accompagnata da un complemento (cf. Pr 8,12; Gb 21,14). 26 Cf. T. DONALD, «The Semantic Field of "Folly" in Proverbs Psalms and Ecclesiastes», in VT 13(1963), 285-292. • 27 Traducendo qui holelot w'siklut con «follia e stoltezza», diversamente da LYs, L'Ecclésiaste, 158-159, che, sulla base della derivazione di siklut da skl, e seguendo i LXX (JtaQa~oÀàç xal Èmm:~!ll]v) traduce con «ilIumination et l'air fin». Sul problema si veda DI FONZO, Ecclesiaste, 142143; anche RAVASI, Qohelet, 106-107. 28 Con i LXX: JtfLQuaw. La Vg, traducendo con «affluam» fa invece derivare il verbo dalla radice nsq. La finale in kh compare anche in altri testi: Gen 10,19; Ger 40,15. Cf. su questo WHITLEY, Koheleth, 18.
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9,2 per la gioia del bottino; Ne 12,27 per la festa religiosa; Dt 28,47; Sal 100,2 per il serviz!o aDio). 29 Correlativo a sir;rhiì ~òb, che ricorre 51 volte nel Qohelet e in 2,2 e accompagnato dal verbo r h;30 e Il bene nel senso completo del termine. Il suo senso fondamentale è «ciò che è conforme e adeguato al fine»;31 non appartiene alla sfera della riflessione, ma della vita. Il sostantivo ta'iinagat (2,8) orienta invece verso il piacere dei sensi; non si tratta infatti soltanto di circondarsi di monili, ma delle delizie dell'amore (come attestano tutti i passi in cui il termine ricorre: Mi 1,16; 2,9 e et 7,7). A partire da 2,17 fino a 2,23 prevalgono i termini che denotano odio e disgusto. Al v. 17: il verbo sn', «odiare» e il sostantivo ra', «male». Il verbo sn', che ritorna anche al v. 18 e in 3,8, indica l'odio;32 il sostantivo ra', «male», ciò che è negativo. 33 Il senso di disperazione è invece indicato da ya'es (2,20); è l'unico impiego di questo verbo al piel, mentre negli altri testi dell' Antico Testamento è al nifal (ISam 27,1; Is 57,10; Ger 2,25 e 18,12; Gb 6,26) e implica soprattutto l'idea della rinuncia. Restano infine due sostantivi: ka'as (dolore) e 'inyanò (fastidio), entrambi inerenti alla sofferenza sia fisica che morale.
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3. Le formule ricorrenti La prima formula che si incontra è in 1,14: wehinneh hakkal hebel ar'at raah. Come ho già detto, il significato del termine hebel va precisato di volta in volta tenendo conto del contesto, quindi nell'ambito delle singole unità letterarie che compongono il capitolo. Mi limiterò quindi a evidenziare l'aspetto formale delle singole espressioni. La formula wehinneh hakkal hebel ar'at raah, che ricorre in 2,11 e 2,17b, è un'espressione tipica del Qohelet, che non trova riscontro in altri libri dell'Antico Testamento e si trova 7 volte nel corpo del libro, in testi che esprimono una valutazione negativa dell'esperienza riportata (1,14; 2,11.17.26; 4,4.6; 6,9). Anche del termine r'at sono state proposte varie traduzioni: 1) afflizione, tormento;34 2) nutrirsi, pascere e quindi compiacimento, inseguimento;35 3) volon-
29 Cf. queste ricorrenze in LYs, L'Ecclésiaste, 167. Si veda anche E. RUPRECHT, «Smlp" in THAT II, 828-835 = DTAT II, 747-753. 30 La costruzione del verbo r'h con b è insolita nel Qohelet; probabilmente con essa l'autore intende esprimere l'idea di intensità o di piacere, che va al di là della semplice contemplazione del bene. 31 E il primo tra i significati indicati da H.J. STOEBE, «Tob», in THA T I, 652-664 = DTA T I, 565-576; cf. anche J. HovER-JOHAG, «Tob», in ThWAT III(l982), 315-339. 32 Cf. E. JENNI, «Sn'», in THA'T II, 835-837 = DTAT II, 754-756. 33 Si veda H.J. STOEBE, «R"», THAT II, 794-803 = DTAT II,716-724. . 34 Cf. Tg, Sir e Vg; quest'ultima traduce ruafJ con «spirito», «anima», «mente»: «afflictio spintus» (1,14.17; 2,17.22; 4,16); «afflictio animi» (2,16); «cassa sollicitudo mentis» (2,26); «cura superflua» (4,4); «praesumptio spiritus» (6,9). Si fa in tal caso derivare il sostantivo da r" = «rompere", «spezzare» o anche «essere cattivo». Sull'uso dell'espressione cf. anche FOX, Qohelet and his COntradictions, 48-50. 35 Cf. Aq, Teod, Sim. Favorevole a questa interpretazione è LYs, L'Ecclésiaste, 147-148, seCondo il quale il termine proviene dalla radice (h. Il mestiere del pastore ~ quello di Abele. Con il
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tà, desiderio, ricerca. 36 Quest'ultima appare la più attendibile soprattutto in base all'analogia con le corrispondenti radici siriache ed aramaiche, che indicano l'amore appassionato e il desiderio ardenteY Recentemente si è ipotizzata anche l'affinità tra l'espressione del Qohelet r'Ca rùafJ e il sostantivo caratteristico dell'epistemologia stoica: xataì..'Yj'4JLç (afferramento).38 Per gli stoici la conoscenza consiste nell'afferrare un'impressione causata da oggetti esterni. I due significati, della ricerca appassionata e dell'afferrare, si richiamano l'un l'altro (cf. ad es. Pr 27,16).39 Per quanto riguarda poi il sostantivo rùal}, che qui è senza articolo, esso può essere inteso sia come genitivo oggettivo che in senso qualificativo: vana ricerca, vano desiderio. In 2,23 la costruzione è differente, in quanto hù' non viene dopo il soggetto ma dopo l'attributo e ne è infatti il vero soggetto, come dopo un «casus pendens».4D In 2,1: wehinneh gam-hù' habel manca il pronome zeh che viene sostituito da hù', nuovamente senza il verbo essere. Secondo Lys41 questa formula scandisce le differenti sezioni del testo, sotto la forma semplice per le sezioni secondarie (2,15.19), nella forma più completa per le sezioni più vaste (2,17.21); ma, a mio avviso, la funzione delle singole formule può essere individuata solo tenendo conto anche degli altri elementi: quello semantico e quello tematico. 4. Le unità letterarie
Nell'individuazione delle varie unità che compongono il testo, terrò conto di tutti gli elementi precedentemente rilevati: 1) la trama verbale; 2) la trama nominale; 3) le formule ricorrenti.
significato di «pascersi» il termine ricorre anche in Pr 15,14; Os 12,2; Gb 15,2; Sir 34,2 (applicato ai sogni come in Qo 5,6).Sull'uso dell'espressione cf. anche Fox, Qohelet and his Contradictions, 48-50. J6 Si fa derivare ,.e'Ca da una radice ,h, attestata in aramaico, ed equivalente all'ebraico rsh = «.avere piacere», «desiderare» e infine «pensare». Per lo sviluppo semantico da «desiderio» a «pensiero» S\ vedano Pr 15,28 e Dn 2,30. I LXX traducono con nQoaLQwLç nVEu~amç»; anche in siriaco il termine significa «mente», «intelletto». Su questo WHITLEY, Koheleth, 13. J7 Si tralla molto probabilmente di un aramaismo (cf. Esd 5,17; 7,18). Cf. in questo senso PoDECHARD, Ecclésiaste, 250-251; DI FONzo, Ecclésiaste, 140; WHITLEY, Koheleth, 13. Diversa opinione m DAHOOD, «Canaanite-Phoenician Influence», 203, il quale ritiene che la parola sia attestata due volte nelle iscrizioni fenicie nel senso di «decisione» e di «piacere». J8 Cf. per questa ipotesi GAMMIE, «Stoicism and Anti-Stoicism in Qoheleth», in HAR 9(1985), 169-187, spec. 180. Per l'accezione del termine nella grecità cf. STEPHANUS, Thesaurus Graecae Linguae, V, Akademische Druck-u. Verlagsanstalt, Graz 1954, 1127-1128. J9 La traduzione di RAVASI, Qohelet, 104 fonde invece altri due significati: quello del desideri~ e quello del nutrirsi: <
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a) Prima unità: 1,12-15 Gli autori sono concordi nel porre in 1,12-15 la prima unità di questa amo pia sezione che, come ho detto precedentemente, secondo alcuni si conclude in 2,26 e secondo altri si potrae fino a 3,15. In 1,12 Qohelet identifica se stesso con il re di Gerusalemme; è evidente che si tratta di una finzione letteraria,42 di cui Qohelet si serve per uno scopo ben preciso, che risulterà al termine dell'analisi di tutta la sezione. Come fa osservare Glasser,43 esiste una perfetta simmetria tra i vv. 13-15 e 16-18, che sono articolati nei seguenti elementi: 1. La formula introduttiva, che esprime il progetto di ricerca (v. 13 e v. 17a); 2. La conclusione negativa, espressa dalla formula di vanità (v. 14 e v. 17b); 3. La giustificazione sotto forma di proverbio (v. 15 e v. 18). Il v. 16 è invece sullo stesso piano del v. 12, perché riprende la finzione regale. Entrando ora nel merito dei singoli elementi, che strutturano questa unità, è importante evidenziare al v. 13 l'uso della formula wenatattf 'et libbi, che introduce il progetto di ricerca del sapiente Qohelet. AI v. 14 balza invece in primo piano il gioco di parole articolato, come in 1,9, intorno alla radice 'ih (cf. anche 2,11.17; 4,3; 8,9). Interessante da notare è anche l'uso del verbo ntn, che è una delle radici verbali più frequenti nel Qohelet; qui ha come soggetto l'io del sapiente, nella seconda parte del v. 13 ha come soggetto Dio. Intorno a questi due verbi (ntn e 'ih) si articola quella dialettica tra Dio e gli uomini, che costituisce una delle principali polarità del libro. La ricerca, che si estende a tutto il reale, viene qualificata con un termine che ricorre solo nel Qohelet,44 'inyan ra', un'occupazione faticosa 45 ed è attribuita alla volontà di Dio. Il v. 14 espone invece le modalità della ricerca, che si svolge osservando tutte le opere compiute sotto il sole, quindi i risultati degli sforzi dell'uomo; il giudizio espresso è negativo: wehinneh hakkal hebel ùr'ùt rùafJ·
42 Con LORETZ, «Zum Darbietungsform der "Ich-Erzahlung"», 46-59; che sia una finzione risulta anche dall'anacronismo di 1,16 dove 'al kol-'iiser-hiiyiì l'panay 'al y'rUfiiltiim fa supporre un numero grande di predecessori. Si tratta in realtà di una formula letteraria che trova paralleli sia in documenti assiri che fenici. Sui paralleli con la letteratura fenicia cf. DAHOOD, «CanaanIte-PhoenIclan Influence», 204. 4J GLASSER, Le procès du bonheur, 33. Anche WRIGHT, «The Riddle of the Sphinx», 320-321 parla a proposito di 1,12-18 di una doppia introduzione: 1,12-15 e 1,16-18, di cui 2,1-11 e 2,12-17 non sono che uno sviluppo ulteriore. Ma la suddivisione dell'autore risuha troppo schemallca: mentre 2,12-17 si può considerare uno sviluppo di 1,17, non si può dire altrettanto del tema della gIOIa, che non è ,ereannunciato in 1,12-18. Cf. Qo 2,23.26; 3,10; 4,8; 5,2.13; 8,16. Il termine ricorre però anche nel Talmud: cf. Qid 6a; B.Bat 114b. Su questo si veda WHITLEY, Koheleth, 12. . 45 Contro GLASSER, Le procès du bonheur, 37 che attribuisce 'inyan rti' a«ciò che si fa sotto Il sole».
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La vanità è in questo contesto l'inutilità del fare dell'uomo, che si risolve in una vana ricerca. Il motivo è espresso dal v. 15: m"uwwat Lo' -yCtkaL Litqon w!]esron Lo'-yCtkaL l'himmanot
Composto di due distici, strutturati secondo un perfetto parallelismo, il proverbio esprime sostanzialmente l'idea dell'impossibilità di cambiare le cose;46 la prima parte si ritrova quasi identica in 7,13, dove si parla espressamente dell'opera di Dio, la quale non può essere modificata dall'uomo; la seconda parte ribadisce lo stesso concetto, facendo riferimento però ai limiti dei calcoli umani. Non vi è inoltre motivo di attribuire il proverbio ad altre fonti 47 , perché la forma Lo'-yukaL è tipica del Qohelet, come pure l'uso di Litqon da tqn, verbo che ricorre solo nel Qohelet (1,15; 7,13; 12,9).
la pericope. 48 A mio avviso, invece, i VV. 1-3 del secondo capitolo costituiscono un'unità a sé stante 49 e ciò per diversi motivi: 1) la formula 'amarti 'ani w'Libbl pone questi versetti in continuità con 1,12-18 e particolarmente con 1,16;50 2) la forma è quella del dialogo interiore e questo conferma che i vv. 1-3 sono in linea con le unità precedenti;5l 3) il procedimento è analogo a quello dei versetti precedenti, in quanto anche questo esperimento con la gioia, come quello con la sapienza e con la stòltezza, viene valutato negativamente: w'hinneh gam-hCt' habeL. Anche l'esperienza della gioia non conduce assolutamente a nulla. Il v. 2 svolge poi la stessa funzione dei due proverbi dei vv. 15 e 18, di un'ulteriore negazione dell'esperienza fatta. Il v. 3 conclude quest'unità, riprendendo l'antitesi sapienza/follia, espressa già in 1,17. L'uso poi del verbo tarti, lo stesso del v. 13, esprime la volontà del Qohelet di porre l'esperienza della gioia sullo stesso piano della ricerca sapienziale. Nello stesso tempo però il v. 3 prelude all'unità successiva: 2,4-11.
b) Seconda unità: 1,16-18 Anche questa unità ha la sua formula introduttiva: dibbarti 'ani 'im-Libbi Le'mor parallela a quella del v. 13, ma poi il discorso si evolve in forma di dialogo. Nel v. 16b la figura regale si fonde con quella del sapiente: !]okmà è infatti l'oggetto di higdaLtì wehOsapti. L'opposizione nel v. 17 tra f;okmà weda'at e hOLeLot wesikLCtt chiarisce che l'esperienza riguarda non solo la sapienza ma anche il suo opposto. La formula seguente seggam-zeh hu' ra'yon rua!] comporta però una sostanziale svalutazione di questa esperienza, che viene posta sullo stesso piano delle altre occupazioni dell'uomo, sulle quali il Qohelet ha già espresso il suo pensiero negativo in 1,14b. Il motivo di questa valutazione è formulato mediante un proverbio, introdotto da ki (v.18): ki b'rob !]okmà rob-kifas weyosip da' at yosip mak'ab
Anche questo proverbio si compone di due proposizioni parallele, ognuna con due parti accostate asindeticamente. Nella letteratura sapienziale lo sforzo per acquisitare la sapienza è valutato positivamente (cf. Pr 22,15), mentre nell'ottica del Qohelet esso assume una valenza negativa. c) Terza unità: 2,1-3 La maggior parte degli autori fa di 2,1-11 una sola unità, caratterizzata dal tema dell'esperienza della follia e considera i vv. 1-2 come introduzione a tutta .J6 Del tutto infondata è la traduzione della Vg, che interpreta il testo in senso morale: «per: versi difficile corriguntur. et stultorum infinitus est numerus». Un interessante parallelo al testo dI Qohelet è nell'Istruzione di Ani, che però va nel senso esattamente opposto: ciò che è storto si può correggere! Cf. questo testo in E. BRESCIANI, Letteratura e poesia dell'antico Egitto, Einaudi, Tonno 1969,296. 47 BARTON, The Book of Ecclesiastes, 78-79, attribuisce questo versetto al discepolo epiloghista per la sua forma di proverbio.
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d) Quarta unità: 2,4-11 Con 2,4-9, che riprende la figura regale, ci si sposta sul piano del racconto autobiografico. Quest'unità si ricollega alla precedente sulla base del tema della gioia, di cui costituisce una concreta illustrazione. Avendo già esaminato questo tratto, mi soffermerò ora sui vv. 10-11, che contengono un giudizio contraddittorio sul racconto salomonico: il v. lO valuta infatti positivamente l'esperienza della gioia, considerandola nell'ottica tradizionale come il frutto stesso della fatica (cf. Nm 15,39). Alla fine del versetto si ribadisce che la gioia è il risultato di tutte le fatiche: !]e/eq, che è uno dei termini preferiti da Qohelet (cf. 2,21; 3,22; 5,17.1,8; 9,6.9; 11,2), significa «parte, porzione».52 E da notare l'inclusione tra 1,16 e 2,9, con cui si conclude la narrazione d.ell'esperienza regale. Il v. lO, che esprime la naturale conclusione dell'espenenza narrata in 2,4-9, sembrerebbe essere la naturale conclusione della pericope. Invece, a questa valutazione positiva se ne sovrappone, quasi, una negativa, espressa nel v. Il; con il verbo pnh, che è una delle radici verbali più frequenti
48 Cf. ad es. LOADER, Polar Structures, 40; ZIMMERLI, Das Buch des Predigers, 151-155; MICHAUD, Qohélet et l'hellénisme, 142. : Per questa delimitazione cf. BRAUN, Kohelet, 78. 51 Cf. anche ISAKKSON, Studies in the Language of Qoheleth, 62. Leb Per questo ~apporto 'p'artlcolarn~ente_p~oblematlco cf. M.uLLER, «Theonome Skepsis und ensfreude», 6. L autore ntlene che slm/Ja sia qUi In opposIZIone a hokmà del v. 13. 235 52 Cf.l'ana!isi di questa r~?ice in D.J. KAMHI, «The Root J:JLQ in the Bible», in VT23(1973), der -239, secondo Ii quale Il SignIficato va ben al di là del «dividere», ecc. Non prende però in consih-I aZione I testi del Qohelet. GIUstamente HENGEL, Judentum und Hellenismus, 219ss, ritiene che . e eq COrrIsponda a IWlQu, il cui primo significato è quello di «parte». Cf. anche STEPHANUS, Thesaurus Graecae Linguae, VI, 1132-1135; P. CHANTRAINE, Dictionnaire Etymologique de la langue grecque: l,. Khncksleck, Pans 1970-1980, 679. La stessa radice ricorre spesso nel Siracide con grande vaneta dI slgmflcatl. Sullema si veda G.L. PRATO, Il problema della Teodicea in Ben Sira. Composizione del contrari e richiamo alle origini, (AnBib 65), Biblical Institute Press, Rome 1975, 389-391.
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nel libro53 (ricorre 21 volte), il Qohelet esprime l'idea del «volgersi indietro», per osservare le opere compiute: il giudizio di vanità scaturisce dal considerare l'immane fatica sostenuta, che neanche la gioia riesce a compensare, per cui la conclusione è radicalmente negativa: w'hinnéh hakkal hebel ClI-"'ut ruar, wC'en yitron tar,at hassiimes. È una delle prime risposte all'interrogativo di 1,3 ed è un no radicale. e) Quinta unità: 2,12-17 Quest'unità, che è legata alla precedente dal verbo upiiniti, torna sul tema della sapienza considerata nel suo rapporto con la follia e la stoltezza (v. 12a). AI v. 13 Qohelet sembra riconoscere il vantaggio della sapienza sulla stoltezza, come quello della luce sulle tenebre, secondo la prospettiva profetico-sapienziale (cf. Sal 36,9; 119,105; Is 51,11; Gb 37,19). Il proverbio del v. 14a conferma quest'idea, applicando alla figura del sapiente la metafora degli occhi e a quello dello stolto l'immagine dell'oscurità. Ma nella seconda metà del versetto con un waw avversativo e con il verbo yd' Qohelet oppone alla tradizione il suo personale punto di vista: identica è la sorte per entrambi. La differenza viene quindi annullata nell'unità ('er,iid) indifferenziata del caso. Il termine miqreh da qrh, «venire incontro», «capitare», «raggiungere» significa «caso, accidente, avvenimento fortuito»54 (cf. anche 1Sam 6,9; 20,16; Rt 2,3), ma in Qohelet il termine fa riferimento al destino di morte (3,19; 9,2-3), che tocca ugualmente al sapiente e allo stolto. Non vi è pertanto motivo di attribuire i vv. 13-14a55 allfiikiim visto che il rapporto dialettico del Qohelet con la tradizione è una costante di tutto questo capitolo. L'autore assume infatti una topica sapienziale 56 per poi annullarla con la sua critica radicale. Il v. 15, analogamente a 1,16 e 2,1, riporta il dialogo interiore del sapiente, il quale applica a se stesso il principio enunciato al v. 14b. La formula seggam zeh hiibel non conclude qui la sezione ma accompagna la parziale conclusione del discorso sul rapporto sapienza-stoltezza, che continua infatti nel v. 16; qui viene affrontato il tema della morte, che è strettamente legato a quello del ricordo. Riprendendo la terminologia di 1,11, che in questo testo viene applicata al caso particolare del saggio e dello stolto, Qohelet sostiene che non c'è ricordo del saggio come dello stolto. La morte è l'elemento determinante che cancella ogni differenza tra il sapiente e lo stolto. Prima di concludere l'analisi di quest'unità, merita un'attenzione particolare il v. 12b, che anticipa la tematica del successore trattata subito dopo in 2,17-
53 Cf. KOHLER-BAUMGARTNER, Lexicon in Veteris Testamenti, 765. Un parallelo a questa radice si ha nella lingua fenicia secondo DAHooD, «Canaanite-Phoenician Influence», 220. :' Per questo termine cf. S. AMSLER, «Qrh», in THAT li, 681-684 = DTAT II,613-616. ~5 Per questa attribuzione cf. SIEGFRIED, Der Prediger, 35 ,6 Seguo qui l'interpretazione di LOADER, Polar Structures, 41; questo concetto di «sorte» ha fatto pensare anche alla TUXTJ dei greci, ai quali il Qohelet sembra molto vicino. Cf. su questo HENGEL, Judentum ulld Hellenismus, 220.
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23; la sorte che tocca al re diventa emblema~ic~ ~er ogni uomo: c?lui che. succe: derà al re non farà nulla di nuovo, non.camblera II. cor~o d~l~a stona c~e dI pe.rsse è modificabile e sfocia dunque m una stenle npetlZlone degh eventi.' 7 no n Il v. 17 conclude quest'unità, segnando nello stesso tempo I'1 passaggIo . aI l'unità successiva. Qui Qohelet s~ dist~cca da. tutta la tradi~ione sapienziale,. così tenacemente legata alla prospettIva dI una vIta lunga e fehce (~f. Pr ~,3?): 1001tre il suo disgusto dell'esistenza va ben al di là .della,~ua espen~nza mdl~ldual: (diversamente ,q~~di ,da Giobbe) per abbracCIare I mtero ordme cosmIco: klhakkal hebel ur ut ruar,. f) Sesta unità: 2,18-23 Questa sesta unità è caratterizzata dai temi del rifiuto della vita e della vanità del lavoro. Nel v. 18 Qohelet passa a trattare del tema appena accennato in 2,12b: quello dell'erede. Rispetto alla morte, che toglie valore ad ogn~ cosa, anche ,l'affaticarsi dell'uomo risulta del tutto vano, dal momento che chI muore dovra lasciare al proprio successore il frutto della sua fatica e della sua sapienza. All~ra non avrà tanta importanza se il successore sarà sapiente o stupido: la forma 10terrogativa mi yodéa', che ritorna altre volte nel libro (3,21; ?,12; 8,1), equivale a «nessuno sa»58 ed è espressione di un radicale scetticismo. E la morte che mette in scacco l'ottimistica fiducia della sapienza tradizionale; essa ha il potere di annullare ogni differenza tra il sapiente e lo stolto, sia perché entrambi sono soggetti allo stesso destino, sia perché dopo la morte sarà del tutto indifferente che l'erede sia sapiente o stolto. Soprattutto costui non ha faticato per meritare l'eredità. Di qui l'interrogativo del v. 22, che richiama 1,3 sia pure in una forma lievemente differente. 59 La risposta, introdotta da ki, è negativa (2,23), in quanto la vita dell'uomo è caratterizzata da fastidi e preoccupazioni che tolgono il sonno (cf. anche 5,11). g) Settima unità: 2,24-26 I vv. 24-26 costituiscono la conclusione di tutto il discorso di Qohelet: di fronte alla vanità di tutte le cose, all'uomo non rimane di meglio che mangiare, bere e godere dei frutti del suo lavoro. È importante subito osservare che questa affermazione ricorre 7 volte nel Qohelet, sia pure in forme diverse: 2,24-26;
57 Per i problemi di critica testuale cf. PODECHARD, Ecclésiaste, 269-271; per l'interpretazione COntroversa del v. cf. DI FONZO, L'Ecclesiaste, 152. . 58 Per questa espressione cf. 1.L. CREN5HAW, «The Expression mi ybdea' in the Hebrew BIbb, i l1 VT 36(1986), 274-288. . . .. . . , '9 Il participio howeh, che ricorre soltanto in Ne 6,6, ha 11 sIgmfIcato di «avvemre». Per l uso di questo verbo anche nella MìSnii e nelle iscrizioni aramaiche di Zinjirli e Carpentras, SI veda CRENSHAW, Ecclesiasles, 89.
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3,12-13; 3,22; 5,17; 8,15; 9,7-10; 11,7ss. La formula 'én-(ob, in particolare, è usata dal Qohelet anche in 3,12; 3,22; 8,15 e ha funzione nominale. 60 Il testo pone notevoli problemi per quanto riguarda la sua attribuzione a Qohelet; Siegfried infatti riferisce 2,24a al glossatore epicureo e 2,24b-26a al Hiisfd. Mentre non ci sono dubbi che 2,24a appartenga a Qohelet, in quanto vi ricorre la terminologia tipica del libro, numerosi sono gli autori che considerano 2,24b-26a come glossa: in particolare Lauha attribuisce questo testo a R 2 , in quanto riporta la dottrina tradizionale sulla retribuzione. 61 A questo punto è importante stabilire se 2,24b-26 sia una glossa, perché in tal caso il giudizio di vanità coinvolgerebbe anche la prospettiva della gioia; se invece questi versetti sono da attribuirsi a Qohelet, questo giudizio negativo riguarderebbe più direttamente la dottrina tradizionale della retribuzione, che il Qohelet riporta per poi affermarne l'insufficienza. Mentre Lauha fonda la sua argomentazione esclusivamente sugli elementi tematici Loretz62 fa riferimento anche alla metrica osservando che tra i due cola di 2,24. e 2,24.2 si inserisce un pezzo in prosa che va fino a 2,26.3. Particolarmente problematico appare il v. 25, che presenta due grossi problemi di critica testuale: il primo riguarda l'esatto significato del verbo /]WS;63 il secondo concerne l'interpretazione della frase finale: /]uff mimmennì. Non è decisivo ai fini di questo lavoro determinare con esattezza il senso del verbo /]ws; esso molto probabilmente significa «godere»64 e non il contrario «soffrire, tormentarsi»65 e ciò soprattutto per il parallelismo con il v. 24a. Per quanto riguarda poi la proposizione finale: /]~ mimmennf, la correzione di mim-, mennf con mimmennu è abbastanza plausibile, soprattutto per il parallelismo di questa frase con miyyad ht'i'e16hfm del v. 24b. Infine il v. 26 è un'espressione completa della dottrina tradizionale sulla retribuzione. Vi sarebbero dunque fondati motivi per ritenere che 2,24b-26 sia una glossa, con la quale il glossatore avrebbe ricondotto il pensiero di Qohelet nel quadro della teologia tradizionale, in cui anche il benessere materiale è don? .' di Dio. Ma non è infondata neanche l'altra ipotesi, che possa trattarsi di una CI- .
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60 Per l'uso di questa forma cf. G.S. OGDEN, «The "Better"-Proverb (Tob-Spruch): Rhetori- . cal Criticism and Qohelet», in lBL 96(1977), 489-505; ID., «Qoheleth's Use of the "Nothmg IS bet-. ter"-Form», in lBL 98(1979), 339-350. 61 LAUHA, Kohelet, 57-58. . . . F1 62 O. LORETZ, «Altorientalische und kanaanaische TopO! 1m Buche Koheleth», m U (1980), 271. .. . . Ecc/e 63 Così nel TM. Per un approfondimento delle questionI testualI nmando a DI FONZO, siaste, 158-159; WH1TLEY, Koheleth, 28-29. et 64 Con J. DE WAARD, «The Tramlator and Textual Criticism (with Particu!arRefer~nc Iis Ecci 2 25)>> in Bib 60(1979) 509-529 spec 519 che predilige nella critica testuale 1cnten di ana a " " . '. . .' I anlZ semantica: «Preference should be given to an analysls of the dlscourse, In whlch the forma org c tion of the structural signals closely correspond to the semantic relations of the text, so that no su factor as stylislic rearrangement has to be taken into accounl».. . . F EL 65 Per questa interpretazione cf. CASTELLINO, «Qohelet and hls Wlsdom», 27, nota lO, . 'c LERMEIER, Qohelet 1,2. Einzelfrage Nr. 7: Das Verbum lfws in Koh 2,25. Akkadisch l:Jasu(m) «SI sorgen» im Lichte neu veroffentlicher Texte, Jungfer, Herzberg 1968, 12-20.
94
tazion~ dell~ :a~ienza tradizi~na~e~ su cui Qoh~let pronuncerebbe poi il suo giudizio dI vamta; e questo un pnnclplo ermeneutIco abbastanza valido per risolvere il problema delle presunte contraddizioni del libro. A questo proposito va segnalata l'interpretazione di Ravasi 66 che propone di intendere i termini (ob e /]0(e' non nel senso tradizionale di «buono-peccatore» ma secondo due altri significati: «chi è gradito (a Dio)>> ((ob) e «colui che fallisce il bersaglio, che ha insuccessO» (/]o(e'). Nell'evocare la dottrina tradizionale, Qohelet l'ha sottilmente stravolta e proprio basandosi sulla dichiarazione tradizionale propone la sua lettura scettica dell'agire divino: «Chiamiamoli pure "buoni, giusti, sapienti" «(ob) quelli che ora godono il frutto dell'affanno altrui, offerto a loro da Dio quasi su un vassoio. Chiamiamoci pure "buoni, fortunati e beati" ((ob) quando mangiamo, beviamo e godiamo. In realtà è solo perché in quel momento noi siamo "graditi" a Dio che nel suo incomprensibile disegno semina nel mondo lunghe notti oscure per giusti e ingiusti e bagliori di godimento per giusti ed empi. Chiamiamoli pure "peccatori, empi, malvagi" (/]o(e') quelli che ora vedono sfuggirsi dalle mani il frutto del loro affannoso affaticarsi. In realtà essi sono solo dei "falliti" che in quel momento sperimentano le strane evoluzioni della sorte e del destino decretato per loro dalla mano di Dio». Che si accetti l'una o l'altra interpretazione, è certo che il giudizio di vanità si trova, nella struttura generale di questa sezione, al termine di tutto il processo di riflessione. A questo proposito Festorazzi 67 rilevando la presenza di una struttura ebdomadaria nel Qohelet, è giunto a conclusioni molto interessanti. L'autore ritrova questa struttura anche in 2,12-26: v. 11
+
1
12-15 2 16-17 3 18-19 4 20-21 + 5 22-23 + 6 24-26 7
realizzazione [delle proprie opere] e fatica fatta nel compierle (sproporzione) sapienza posta nel realizzare le vanità
accento posto sulla fatica (sproporzione) accento posto sulla fatica (sproporzione) il «sabato» di gioia nella concezione radicalmente negativa del timore di Dio, come risoluzione del problema posto dai primi 6 momenti.
. In questo contesto l'esito della struttura settenaria è catastrofico. La valutazIOne dell' espenenza . . Id' . .. SI eone u e con I affermazlOne della sua radicale negatiVIta (24-26).
---
: RAVASI, Qohe/et, 134. FESTORAZ7.1,
Sapienza, 98.
95
La mia analisi ha condotto a conclusioni analoghe, ma, secondo me, è tutta la sezione 1,12-2,26 a presentare la struttura settenaria, come risulta dall'analisi condotta. 5. Conclusione
È possibile ora dare una risposta a parte degli interrogativi formulati nella presentazione generale della sezione che inizia in 1,12; per quanto riguarda 1,12-2,26 ci troviamo di fronte a un testo profondamente unitario, come dimostra il suo tessuto semantico. Si tratta di un testo articolato in più unità, che sono legate tra loro mediante una serie di parole-chiave. Ciò non comporta però, come sosteneva Ellermeier, che esse fossero originariamente staccate le une dalle altre; troppi sono i legami tematici e stilistici tra le varie unità e non vi sono tracce di apporti redazionali. Più difficile è invece risolvere il problema del rapporto tra il poema iniziale e 1,12-2,26. Si potrebbe addirittura ipotizzare una doppia introduzione allibro, in quanto in 1,12-2,26 sono enunciati temi e prospettive che, come si vedrà, sono sviluppati in tutta l'opera. Per l'assunzione della figura salomonica, che nella tradizione ebraica rappresenta il massimo potenziale di acquisizione della sapienza umana, questo testo iniziale assume la fisionomia di un discorso programmatico, in cui però è già interamente preannunciato l'esito negativo della ricerca. Fin dall'inizio il discorso del Qohelet si configura come una radicale contestazione della sapienza umana, in quanto la figura salomonica nel testo qoheletiano si è dilatata nei suoi contorni fino a rappresentare il paradigma stesso della sapienza universale, giudaica e profana insieme. Sia le immagini che il linguaggio usati da Qohelet orientano a una lettura in questo senso; tanto il poema quanto questa sezione iniziale del libro evocano immagini e problematiche che, pur essendo quelle tipiche della sapienza giudaica, aprono a un mondo dai confini più ampi. Tutto confluisce nell'individuare nell'uomo della società ellenistica il destinatario del discorso di Qohelet; nel prendere in considerazione la condizione umana, l'autore ha presente soprattutto l'uomo del suo tempo. L'analisi del testo ha mostrato come questa prima sezione del libro sia articolata su tre piani: la contemplazione, il piacere, l'azione. Essi corrispondono ai tre tipi di vita delineati nella classificazione dei filosofi greci;68 soprattutto il verbo twr, così insolito nel vocabolario biblico, evoca quel processo di ricerca che era in atto nella cultura ellenistica, una ricerca basata sull'esperienza e ostile a ogni forma sistematica di sapere. Se questi collegamenti sono, come credo, pertinenti, Qohelet condivide con i filosofi greci dell'ellenismo (cinici e scettici)
61! Cf. E. BICKERMANN, Quallro libri stravaganti della Bibbia: Giona, Daniele, Koheterh, Ester, Patron, Bologna 1979, 151-179.
96
l'opposizione a ogni pretesa di conoscenza assoluta del reale: il suo interiacutore potrebbe ess.ere non solo il sapiente della tradizione ebraica ma anche il filosofo greco, lo stOICO, che propone ugualmente una visione onnicomprensiva del reale. Il rapporto con lo stoicismo risulta però complesso. 69 Da un lato sembra che egli condivida con gli stoici la concezione ciclica del tempo e forse del cosmo, come si vedrà meglio nell'esegesi del terzo capitolo; dall'altro l'uso di una terminologia che lo avvicina alle correnti scettiche e relativistiche dell'ellenismo segna indiscutibilmente il suo distacco dallo stoicismo. Ciò che si può affermare con certezza per il momento e che bisognerà tener presente d'ora in poi, è l'ipotesi di un confronto critico di Qohelet con il pensiero greco. Un ultimo problema occorre ora affrontare ed è quello di stabilire se vi sia o meno un rapporto di continuità tra il secondo e il terzo capitolo. Questa prima sezione del libro presenta tutte le caratteristiche di un testo compiuto, soprattutto perché si conclude con il giudizio di vanità: gam-zeh hebel CII"'" Clt rClalf· Il poema successivo sui tempi presenta dal punto di vista stilistico un elemento di rottura rispetto al materiale precedente e sembra quindi segnare una svolta nel discorso, ma tanto l'interrogativo di 3,9, che richiama molto da vicino 1,3, quanto l'espressione ra'ftf 'et-ha'iinyàn 'riSer nàtan 'él6hfm libnè hà'àdàm la'linot bO di 3,10 impediscono una delimitazione troppo rigida dei testi. II. C'È
UN TEMPO PER OGNI COSA; MA QUAL È IL VANTAGGIO?
L'articolazione di questa sezione in due parti: 1) 3,1-8; 2) 3,9-15, non dovrebbe costituire un problema;70 come pure è evidente che il testo si conclude in 3,15, in quanto inizia in 3,16 un discorso del tutto nuovo sul tema dell'ingiustizia nel mondo. Vale comunque anche per questa sezione il principio enunciato in pre~eden~a: che non si possa attuare per il Qohelet una ripartizione troppo rigida; mfattll'mterrogativo del v.9 fa da transizione all'unità successiva, per cui pot~ebbe appartenere ugualmente all'una e all'altra unità. Del resto la difficoltà di situare alcuni versetti è dovuta all'indole problematica del libro, che si riflette di ; Conseguenza nella struttura. l. La dialettica dei tempi (3,1-8)
. piO
Considerata dal punto di vista formale, la pericope 3,1-8 fornisce un esememblematico di parallelismo chiastico. Il motivo per il quale a mio avviso il
~ GAMMIE, «Stoicism and Anti-Stoicism», 180. lI; IlI) 3 iL. Invece MICHEL, Qohelet, 135-138, c~e suddivide la ~ericope in tre parti: I) 1-9; II) 10temp I ' 215, conSiderando l due vv. 10-11 umtl dal tema dell'Impegno (Mahe) e dalla dialettica o eternità.
97
testo termina al v. 8 e non al v. 971 è, come si vedrà, inerente alla sua struttura sia stilistica che tematica. Il v. 1 enuncia il tema attraverso la parola chiave 'él, di cui z'man non è che un sinonimo: per ogni cosa esiste un tempo stabilito, determinato. L'idea di determinazione è contenuta soprattutto nel verbo zmn al pual (cf. Esd 10,14, ecc) 72 mentre il sostantivo 'ét. 73 allude soprattutto al momento opportuno, all'i. , d 74 M l' stante giusto e preciso in cui devono essere svolte le ~accen e umane. a osservazione più importante è che il v.1 è composto di 7 parole. Dal v. 2.al ~. ~, quindi in 7 versetti, si sviluppa una serie di 14.tesi con ~ltrettan~e a.ntltesl, I~ quanto ciascun emistichio è strutturato secondo Il paralle.hsm~ antlte~lco. La npetizione poi del termine 'ét per 28 volte conferma ,che CI tro~Iamo dI fronte all'uso intenzionale del numero 7, sul quale occorrera tornare 10 un secondo momento. Questi rilievi sono finora sufficienti a dimostrare che il testo dal punto di vista della struttura letteraria si conclude al v. 8. Si tratterà poi di vedere quale .. funzione svolga l'interrogativo del v. 9, analogo a. qu~ll? ~i 1,3 .. , L'associazione in ebraico di due termini opposti puo mdIcare CIO che SI tIene tra i due poli estremi, l'affermazione di due momenti distin~i la cui caratte.ristica è l'esclusione reciproca;75 l'antitesi nel caso del Qohelet nguarda due azIOni di cui l'una è costruttiva e l'altra è distruttiva. , La prima opposizione concerne la nascita e la morte (v .. 2).: .più precisamente il verbo yld, qui all'infinito costrutto preceduto da ze, slgmflca generare (Gen 4,18; 10,8; 1Cr 1,10; Pr 17,21).76 Esiste un momento favorev~le per la generazione come esiste un momento, che è ineluttabile, per monre. La seconda antitesi è tra il piantare e lo sradicare (v. 2b); lafa' al è un hapax nella Bibbia ed è una forma tardiva di infinito costrutto. Non si tratta qui del lavaro dell'uomo che deve saper cogliere il momento opportuno per piantare (se77 condo l'accezione di Dt 11,10ss e Gdc 5,24), coniugando lavoro e grazia ma d~l crearsi delle condizioni oggettive che rendono possibile l'azione dell'uomo; m antitesi troviamo l'atto dello sradicare, che indica un'azione violenta (cf. Sof
11 Per l'inclusione del v. 9 nella pericope cf. LAUHA, Kohelet, 62; GLASSER, Le procès du bonheur, 60-61; RAVASI, Qohelet, 138-14? ," . . ' Sir 72 Il termine z'miin è un aramalsmo dell ebraICO tardiVO (Est 9,27.31, Nm 2,6, Dn 2,16, . 43,7). Il significato di «stabilito, fissato» è comune all'aramaico zimnii, all'arabo zaman, all'asslro~' mfmu. Cf. KOHLER-BAUMGARTNER, Lexlcon In Vetem Testamenti, 259 .. :VHITLEY, .Koheleth, 3 ._ 13 Il termine z'miin indica una durata lunga, un penodo, mentre et deSigna Il momento op portuno' i LXX infatti traducono z'miin con XQovoç, 'et con XUlQOç. Il termine XQovoç deSigna appunto l'~poca o durata determinata. Cf. G. DELLlNG, «XQovoç», in GLNT XV, 1091-1126, spec. 1105-1106. 14 Sul tempo cf. anche PRATO, 1/ problema della Teodicea,. 177-.181. . . 8 15 ALONSO SCHOKEL, A Manual 01 Hebrew Poetics, PontificIO Istituto Biblico, Roma 198 . 85-87. 16 La Vg corregge il verbo da qal a nilal, nel senso qui~di di nascere. . re17 Rifiuto qui l'interpretazione dI Lys, che, a mIo aVVISO, e dettata nuovamente da una p comprensione, che mira a fare di qI!esto testo l'espressione di ~n'apertura crede,nte al.la grazla~TC~~ «L'Etre et le Temps. CommumcatlOn de Qohèleth», In GILBE , Per questa interpretazione ID. . ' Testament (BEThL 51), Leuven Umversl\y, . . Leuven 1979 , 249-258. cura di, La Sagesse de l'Anclen
9R
2,4, dove è parallelo ad abbandonare, devastare ed espellere). Tra i due stichi esiste dunque un parallelismo sinonimico; l'azione del piantare è parallela quella del generare e lo sradicare al morire. a . ~l.v. 3 ~ambia invec~ ~'or~ine degli elementi: il negativo Occupa il primo emIstichIO e 1elemento POSItiVO Il secondo. Il verbo hrg, «uccidere» si trova solo qui in tutto il libro; considerando il suo uso negli altri testi dell'Antico Testamento, esso assume una molteplicità di significati che vanno dalla distruzione delle cose all'uccisione vera e propria. 78 In antitesi il verbo rp', «gu.arire» (38 impieghi nell'Antico Testamento di cui 29 volte Dio è il soggetto nel senso di restituire la .vita). In parallel~ CO? l'antitesi «uccidere/guarire» viene posta l'antitesi ~(de~o~lre/co~trUIre». Il nfenmento più immediato è a Ger 2,10; negli altri testi 10 CUI ncorre Il verbo bnh (cf. anche Qo 2,4) si tratta di costruire una casa ma anche una dis~end.enza (2Sam 7,11-14) o anche la casa di Israele (Rt 4,11-12). In Gen 38,29 e DIO che costruisce. .Al v. 4 l'antitesi, in perfetto parallelismo, riguarda il piangere/ridere e correla~IVame?te gemere/dan~are. Nel secondo stico manca la preposizione ze (come 10 5a e ID 8b, dove troVIamo il sostantivo). Dahood 79 nota che i quattro verbi hanno antecedenti cananei e l'assenza della preposizione nel secondo stico è dovu.ta, for~e a causa del parallelismo, alla doppia funzione delle preposizioni del pnmo .stl~O che portano ora sul verbo accompagnato ora su quello parallelo. TuttaVIa Il fatto che Qohelet qui si allontani dalla sua costruzione abituale potrebbe esse~e .dovuto a un caso di citazione;80 l'assonanza delle finali in odh pot~ebbe costitUIrne la prova, ma un'ulteriore conferma all'ipotesi che ci troviamo dI fronte alla citazione di un proverbio si può individuare nel fatto che il verbo bkh, «piangere» è impiegato solo qui nel Qohelet, come anche shq «ridere» e i verbi spd, «gemere» (cf. solo 12,5) e rqd, «danzare». . , . Il v. 5 presenta le maggiori difficoltà dal punto di vista esegetico, tanto che Wnght ne fa il punto di partenza della sua interpretazione del poema. 81 Il pro~lem.a nasce ?al fatto che i due stichi del v. 5 sono più lunghi del solito e ciò per l ~gglUnta del complementi. Questo particolare può far pensare che ci troviamo dI front~ a~ .una gI0~sa,8~ che riguarda il complemento oggetto 'abanim, «pietre». POlche Il verbo slk ncorre anche alla fine del v. 6, Wright ritiene che il complemento .oggett.o in 5a potrebbe appartenere alIa composizione originale, in quanto utile a dIfferenziare le due descrizioni in 5a e 6b. Inoltre il ritorno del verbo .slk nel v. 6 orienta a considerare insieme i due versetti, in cui si costituisce Un chIasmo.
~ Cf. le ricorrenze del termine in LYs, L'Ecc/ésiaste, 305.
DAHOOD, «The Phoenician Background", 270. Cf. sul problema LYs, L'Ecc/ésiaste, 309. teen O A.G. WRIGHT:«For Everything There Is a Season: The Structure and Meaning ofthe FourParis 1~àolsIt3e2s (EcclesIastes 3,2-8)>>, m De la Torah au Messie. Mélanges Henri Cazelles Desclée 82 ' 1-328, spec. 322. ' , Cf. in questo senso LORETZ, Qohe/et, 187, nota 207. 80 81
99
Per quanto riguarda il significato del versetto, tra le numerose spiegazioni che sono state proposte per il gesto del gettare le pietre e ammassarle,83 la più convincente è quella che interpreta il testo in senso sessuale;84 esso può riferirsi ai periodi di purità della donna, in cui si gettano le pietre, e a quelli di impurità, in cui si ammassano le pietre, cioè all'unione sessuale e all'astinenza. L'argomento migliore, anche se non valido in assoluto, è il parallelismo con il secondo stico. Qui il verbo Ifbq, che significa tenere tra le braccia, può benissimo essere inteso nel senso di abbraccio tra l'uomo e la donna (cf. 2Re 4,16; Pr 4,8; 5,20; Gb 24,8 e Lam 4,5). Come si è già detto, il v. 6 è strettamente legato al precedente per la presenza del verbo slk alla fine. Già il v. 5, se è valida la precedente interpretazione, segnava un ritorno alla posizione dell'elemento positivo nel primo emistichio. Il primo verbo bqs significa cercare per trovare (Gen 37,16), per possedere (Nm 16,10), per consultare (IRe 10,24). Il verbo si ritrova ancora in 7,25.28.29; 8,17; 12,10 e in 3,15, dove ha come soggetto Dio. A bqs si contrappone 'bd, che significa far perire, distruggere. Il secondo stico conferma le idee espresse nel primo, opponendo l'idea della conservazione a quella del gettare. È impossibile però dare un contenuto più preciso a questi versetti, in quanto è forse proprio questa l'intenzione del testo. Le antitesi del v. 7 fanno riferimento, come quelle del v. 4, ad atti di lutto e di gioia. Il primo verbo qr' (strappare) è usato in genere per indicare un rito di dolore (cf. Gen. 37,29); tpr (cucire), invece, è in alternativa all'atto precedente, il segno di un cambiamento radicale, soprattutto se si tiene conto del fatto che l'abito esprime l'atteggiamento fondamentale della persona: per quanto riguarda il tacere (lfsh), e il parlare (dbr) , anche se il testo non fornisce elementi precisi per stabilire i casi in cui è possibile tacere o parlare, è probabile, in base al parallelismo con lo stico precedente, che si tratti del tacere in caso di lutto e del parlare nella gioia. La dialettica dei tempdi conclude nel v. 8 con la doppia antitesi amare/odiare; guerra/pace. La prima fa riferimento ai sentimenti fondamentali dell'uomo, cui non viene dato comunque un contenuto preciso; la seconda invece, che si differenzia dalla precedente perché costituita da due sostantivi, e non da due verbi, esprime piuttosto il movimento dal caos al riposo, alla proprietà, alla salvezza, secondo quella pienezza di significato che ha in ebraico il sostantivo sa10m. I due stichi del v. 8 presentano infine una struttura chiastica.
83 K. GALLING, «Das Riitsel der Zeit im Urteil Kohelets (Koh 3,1-15)>>, in ZThK 58(1961),115, spec. 7-12 pensa che con pietre qui bisogna intendere il rastrellare pietre, che il commerciante usava nella borsa e di cui si serviva come strumento di calcolo. Secondo ZIMMERLI, Das Buch des Predigers, 165 si tratta di gettare pietre dalla fionda, in riferimento a 1Sam 25,29. Per altre interpretazioni cf. Lys, L'Ecclésiaste, 312-314. 84 Favorevole a questa interpretazione, che risale tra l'altro a Qoh. Rab, è WRIGHT, «For Everything there is a Season», 322-323.
100
I vv. 2-8 costituiscono pertanto un testo compiuto, con una struttiua che ' secondo Loader,85 è articolata in modo rigoroso e preciso: 2
D D
V V
3
V V
D D
4
V V
D D
5
D D
V V
6
D D
V V
7
V V
D D
8
D V
V D
I primi quattro stichi (vv. 2-3) formano un chiasmo così strutturato: DVVD. Il secondo gruppo di quattro (vv. 4-5) forma un chiasmo dalla struttura UDDV. Queste due unità chiastiche costituiscono tra loro un altro chiasmo:
D
D
2
V
V
D
D
D
D
V
V
3
V
V
V
V
4
5 D
D
La terza quartina (vv. 6-7) segue il modello della prima, cioè due stichi dalla forma DV e due dalla forma VD. Il v. 8 è un chiasmo DVVD.86 D
D
6
V
V
D
D
7
V
V
D
V
V
D
8
242
~5 l.A. LOADER, «Qohe!:t 3,2-8. A "Sonne.t" in the Old Testament», in ZA W 81(1969),240CIO che è d~slderabJ1e, con U ciò che è indesiderabile. . LJutore IndIca con Per questo ultenore approfondImento della struttura cf. LOADER, Polar Structures, 11.
p
101
Diversa è la proposta di struttura presentata da A.G. Wright, per il quale il poema è costituito di due strofe di tre coppie ciascuna: vv. 2-4 e 5-7 + una coppia finale (v. 8).87 L'autore assegna grande importanza a un dato che Loader avrebbe indebitamente trascurato: l'analogia esistente tra il v. 4 e il v. 7, che riguardano entrambi azioni di lutto e di interruzione del lutto. A cosa è dovuta questa ripetizione? Loader non ne ha tenuto conto, .al punt? ch~ di fatt~ la sua interpretazione acuisce il problema, in quanto pone In relazIOne Il v. 5 e 11 v. 4 e ne fa una quartina chiastica. Poiché nella sua interpretazione «raccogliere le pietre» e «astenersi dall'abbraccio» costituiscono un'altra espressione di lutto, sei dei quattordici versetti ruotano intorno alla topica del lutto (il 43 per cento del poema). . . Facendo leva soprattutto sulle irregolarità stilistiche del testo, Wnght articola in questi termini la sua analisi del poema: 1. Le irregolarità del v. 2, in cui troviamo l'aggiunta di una parola, e del v. 4b, dove manca la preposizione davanti agli infiniti, sono indizi dell'inizio e dell.a fine della sezione. I tre stichi che seguono sono invece perfettamente regolano La sezione è formata da due coppie di antitesi e una coppia che verte sulla topica del lutto. 2. La seconda parte inizia col V. 5, che presenta la stessa irregolarità del V. 2' esso costituisce un'unità con il v. 6 a causa della ripetizione del verbo slk, per c~i abbiamo, come nella prima strofa, una serie di due coppie, seguita nel v. 7 da una terza coppia che, in parallelo al v. 4, riguarda azioni di lutto. Il v. 8, caratterizzato dalla struttura DU-UD, costituisce la conclusione.
102
2
AB A'B'
3
BA B'A'
2
DU DU
4
BA B'A'
3
UD UD
5
AB A'B'
4
UD UD
6
AB A'B'
5
DU DU
7
BA B'A'
6
DU DU
8
AB B'A'
7
UD UD
8
87 WRIGlIT,
Ne risulta la seguente struttura. Gli otto verbi delle prime due coppie danno luogo all'antitesi vita/morte; inizio/fine; costruzione/distruzione. Esse sono poi seguite dalla coppia lutto/gioia del V. 4. Gli otto verbi della seconda strofa sono correlati ad azioni che denotano unione-separazione e la seconda strofa si conclude anch'essa con una coppia lutto/gioia, espressa in verbi che indicano unione/separazione. Le conclusioni di Wright sono, a mio avviso, valide, ma alcune delle argomentazioni addotte dall'autore sono discutibili: infatti i rilievi stilistici su cui si basa l'analisi risultano inconsistenti; le irregolarità sono probabilmente dovute a citazioni implicite da parte del Qohelet di proverbi popolari, che l'autore riporta senza modificarne lo stile, oppure a glosse esplicative. Anche il parallelismo tra il V. 4 e il v. 7 non è necessariamente intenzionale. Mi sembra inoltre discutibile la designazione desiderabile-indesiderabile, introdotta da Loader e condivisa da Wright, perché introduce un elemento di soggettività che tradisce l'opinione dell'esegeta su ciò che è desiderabile e su ciò che non lo è. 88 Sarebbe pertanto preferibile sostituire i simboli D U con A B, dove A indica l'elemento positivo e B l'elemento negativo e con A' e B' gli elementi paralleli del secondo stico di ciascun versetto. Avremmo pertanto:
DU UD
«For Everything there is a Season», 325-327.
Occorre infine evidenziare l'importanza del numero 7 ai fini dell'interpretazione del testo; il numero è presente anche nel poema introduttivo, nei 14 verbi dei vv. 4-7 e nelle 7 unità che strutturano il secondo capitolo. Il simbolo del
BB
Cf. una critica analoga in BRAUN, Kohelet, 88 e la risposta di
LOADER,
Polar Strm:tures, 11.
103
numero sette ci rimanda inevitabilmente alla creazione, considerata sotto l'aspetto della totalità e della perfezione. Le allusioni al Genesi erano presenti anche nel secondo capitolo nella descrizione dell'esperienza salomonica; in 3,1-8 il riferimento è dato proprio dal numero sette, in cui è implicito il giudizio di Qohelet sui tempi che scandiscono i ritmi della natura e della storia dell'uomo. 89 Nella presentazione dell'opera di Dio, che egli considera compiuta e perfetta, l'autore è in linea con la teologia sapienziale della creazione, così come è espressa in Pr 8,22-31; Gb 38; Sap 8. Ma a tale presentazione Qohelet fa seguire nel v. 9 l'interrogativo: mah-yyitròn ha 'òSeh ba'Mer ha' 'ame!. Questa domanda è strettamente collegata a 3,1-8; nell'ottica del Qohelet scaturisce proprio dalla riflessione sulla perfezione dell'opera divina. Se Dio ha già tutto stabilito nei suoi tempi, che senso ha l'affaccendarsi dell'uomo? Il problema del Qohelet è dunque di ordine antropologico, non però nel senso che egli voglia indagare sulla natura dell'uomo; ciò che interessa a Qohelet è il porsi dell'uomo in relazione con Dio, più precisamente è l'agire dell'uomo in relazione con l'agire di Dio. In 3,9 l'interrogativo è formulato diversamente che in 1,3: al posto di la'adam si trova il soggetto ha', per cui in primo piano questa volta è l'agire dell'uomo, qui dialetticamente correlato all'agire di Dio (3,11). L'uso di 'amai fa poi pensare che l'oggetto della riflessione di Qohelet sia nuovamente il lavoro dell'uomo con tutto il suo carico di fatica e di stress. Per questo l'uomo che Qohelet ha davanti a sé, e sul quale si sta interrogando, non è l'uomo astratto ma l'uomo in situazione; ma questo discorso diventerà più chiaro quando si passerà ad analizzare i testi che riguardano specificamente i temi dell'ingiustizia sociale e del lavoro. Lo stesso interrogativo mah-yyitròn ha'ò~eh ba'ii-fer ha' 'amel è finalizzato a comprendere il vantaggio che l'uomo concretamente ricava dalla sua fatica. Il v. 9, proprio per l'uso del verbo 'sh, fa da tramite alla riflessione successiva, che si sviluppa nei vv. 10-15, in cui il confronto tra l'azione dell'uomo e l'azione di Dio si risolve in un netto ridimensionamento dell'agire umano nei confronti dell'onnipotenza divina.
2. La determinazione divina della storia (3,10-15) Come osserva giustamente Muller,90 il v. lO ripete 1,13, anzi secondo l'autore fa inclusione con esso. Ma questo riferimento terminologico è importante per precisare che l'occupazione faticosa della quale Qohelet parla è ancora una volta la ricerca sapienziale. .
• 89 Particolarmente interessato al rapporto tra il Qohelet e il Genesi è R.K. JOHNSTON, «ConfesslOns of a Workaholic. A Reappraisal of Qohelet», in CBQ 38(1976), 14-28; cf. anche c.c. FORMAN, «Koheleth's Use of Genesis», in lSS 5(1960), 256-263. 90 MULLER, «Theonome Skepsis und Lebensfreude», 13.
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Il giudizio di Qohelet sull'opera di Dio è contenuto in 11a: Dio ha fatto tutto bello. L'aggettivo yapeh, che si trova in 5,17 associato a (òb, nell'Antico Te-
stamento è in genere usato come attributo della donna per descriverne la bellezza esteriore; in 3,l1a Qohelet vuole mettere in evidenza proprio il fascino dell'opera di Dio. 91 Per quanto riguarda b"'ittò il suffisso pronominale può tanto riferirsi a Dio quanto alle cose create. La seconda parte del versetto si presenta irta di difficoltà, ma proprio in essa è possibile trovare la soluzione dell'enigma del Qohelet; inizia con la particella gam che, come si è detto precedentemente, ricorr~ in questo libro più frequentemente che in altri testi dell'Antico Testamento. E vero che in prima istanza essa ha funzione asseverativa, ma il più delle volte in Qohelet ha funzione aggiuntiva, segnala cioè un nuovo aspetto della stessa topica;92 in questo caso si tratta dell'opera di Dio, il quale ha posto nel cuore dell'uomo 'òlam. 93 Molti critici traducono questo termine con «eternità»,94 l'equivalente nel linguaggio occidentale del concetto ebraico di tempo remoto, del tempo supremo di Dio che ingloba tutti gli altri tempi. Recentemente questa traduzione è stata riproposta da G. Ravasi 95 secondo il quale il discorso del Qohelet verte sull'antitesi tra tempo storico e tempo metafisico; tale interpretazione presuppone però una concezione del tempo e dell'eterno, che distingue tra contenuti e contenenti e nella quale le azioni divine e umane costituiscano il contenuto del tempo e dell'eterno, anche se poi l'autore conclude che storia ed eternità, cosmo e creazione sono intrecciate in questo versetto. Ma la distinzione tra contenenti e contenuti è inaccettabile, a mio avviso, in quanto estranea alla concezione ebraica, che non distingue tra contenuti e contenenti e non ha una visione metafisica del tempo.96 Piuttosto occorre prendere in considerazione la proposta degli autori che traducono 'òlam con durata97 o durata infinita. 98 Qui l'eternità viene a essere collegata
91 Diversa l'opinione di Lys, L'Ecclésiaste, 334-335, il quale interpreta l'aggettivo yapeh nel senso di conveniente, buono. Perché allora il Qohelet non ha usato (ob come in Gen l? La risposta dell'autore è che il testo ha voluto evitare l'interpretazione moralistica presente nel termine (ob della bontà del creato. Ma in tal caso non è più semplice riconoscere che è proprio la bellezza del creato che Qohelet vuole evidenziare? 92 Così ISAKKsoN, Studies in the Language af Qaheleth, 181. 93 Cf. l'esposizione delle diverse interpretazioni del termine in DI FONzo, Ecclesiaste, 178182; LoRETZ, Qahelet, 281-287; ELLERMEIER, Qahelet, l,l, 309-322; ISAKKsoN, Studies in the Language of Qoheleth, 176-183. 94 Cf. in primo luogo DELlTZSCH, Hoheslied und Koheleth, 263-264; HERTZBERG, Der Prediger, 160ss; GALLING, «Der Riitsel der Zeit», 1-15; HENGEL, ludentum und Hellenismus, 221; ZIMMERLI, Der Prediger, 168-172; PREUSS, <<'olam», 114ss; l.L. CRENSHAW, «The Eternai Gospel (Eccl. 3,11)>>, in l.L. CRENsHAw-l.T. WILLIS, a cura di, Essays in Old Testament Ethics, Ktav, New York 1974, 23-55, spec.29-30.46.48. 95 RAVASI, Qohelet, 148-151. % Cf. RODRIGUEZ OCHOA, «Estudio della dimension temporal en Prov., lob, Qoh.», 33-67. 97 Cf. LORETZ, Qohelet, 281.310; lENNI, «Das Wort 'olam», 22-27; DI FONZO, Ecclesiastes, 178-179. . 98 Cf. ELLERMEIER, Qohelet, l,l, 319ss; BARUCQ, Ecclésiaste, 75.81ss. È da escludere la traduZIone di '6lam con «ignoranza», come propone DAHooD, «Canaanite-Phoenician lnfiuence», 206, il quale si basa sia sul confronto con Gb 22,15 sia sul parallelismo con l'ugaritico 'glm, che significa «diVentare oscuro». Per la critica a questa posizione cf. F. PlOTTI, «Osservazioni su alcuni problemI esegetIcI nel libro dell'Ecclesiaste: Studio I», in BeO 20(1978), 169-181, spec. 169-170. Tra gli argo-
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con la durata del mondo. Ma, a mio avviso, anche per il concetto di '6liim vale il principio ermeneutico usato per gli altri termini: che per la comprensione del significato sia decisivo il contesto; ora nel v. 11 abbiamo be'itt6 e l'espressione mero's we'ad-s6p.99 Coloro che interpretano '6liim come eternità hanno voluto vedere una contrapposizione tra 'et e '6lam, tra tempo storico ed eternità, a torto però, dal momento che gam non ha valore avversativo. 100 Inoltre in 3,14 '6liim ritorna con valore temporale e in 3,15 ricorrono Jçbiir e nirdiip. Il contesto orienta pertanto a privilegiare in '6liim il significato temporale: il termine designa l'opera di Dio considerata nel suo sviluppo storico, dalla creazione alla fine dei tempi e quindi nella sua totalità. Tuttavia, a mio avviso, non si può trascurare un elemento importante: che il termine 'oliim contiene anche l'idea dell'immutabilità, dell'invariabilità: infatti in 3,14 Qohelet ribadisce che tutto ciò che Dio fa durerà per sempre, senza che si possa aggiungere o togliere nulla. È vero dunque che '6liim in questo contesto è l'opera di Dio, così come essa si presenta storicamente, ma dal Qohelet viene sottolineata non la dimensione innovativa dell'agire divino (il verbo usato è 'sh), bensì la sua misteriosa immutabilità. Il termine '6liim ha il suo equivalente nel greco UlWV o x6of!oç; una conferma di ciò potrebbe essere trovata nello sviluppo del termine nell'ebraico postesilico, dove esso passa a significare «mondo».lOl Per quanto riguarda poi l'espressione niitan belibbiim essa richiama soprattutto due testi: Ger 31,33, in cui Dio dona al cuore dell'uomo l'intelligenza della sua volontà; IRe 10,24, in cui Dio concede a Salomone il dono della sapienza, che consiste appunto nella comprensione dell'opera divina. L'espressione mibbeli è una particella avversativa, che si può tradurre con «eccetto che», «tranne che»; il senso negativo è poi accentuato dalla negazione lo'; essa indica dunque una restrizione. Ciò che viene limitato è appunto la comprensione dell'opera divina, dalla creazione (meros richiama evidentemente bere'sU) fino alla fine, quindi nel suo sviluppo temporale ma anche nella sua totalità. 102 Dio ha posto nel cuore dell'uomo la consapevolezza che tanto la natura quanto la storia obbediscono a leggi immutabili e in questo senso eterne. Fin qui
Qohelet condivide la concezione classica della sapienza antica, ma, mentre nell'ottica della tradizione, la convinzione che natura e storia fossero regolate da un sapiente disegno di Dio era motivo di fiducia e di rassicurazione,lO) in Qohelet essa diventa un problema. L'autore infatti aggiunge che Dio non ha fornito all'uomo la chiave di interpretazione dell'opera divina nella sua totalità; perciò l'occupazione che Dio ha dato all'uomo è penosa (1,13 e 3,10) e tuttavia doverosa, in quanto è dono di Dio. Nei vv. 12-13 il discorso si sposta sul piano esistenziale: Qohelet ripropone la soluzione espressa in 2,24-26a, ponendo questa volta l'accento sulla gioia e sul benessere materiale. Il v. 13 riprende integralmente 2,25. Col v. 14 inizia una nuova riflessione che insiste sul carattere permanente e immutabile dell'opera divina: l"6Iam, più che a 3,11, si ricollega nel suo significato a 1,4, indicando dunque l'invariabilità dell'opera divina: la locuzione che segue subito dopo 'iilayw 'én l'h6sip umimmennu 'én /igeroa' mira a sottolineare appunto questo aspetto. Questa locuzione trova il suo equivalente in Sir 42,21c, il cui senso è identico a quello del Qohelet (cf. anche Sir 18,5). A questo punto è importante pure sottolineare l'analogia tra i due testi per quanto riguarda il contesto: per ben tre volte in Sir 42,15-25 ricorre ma'iisé e in 42,21a troviamo 'olam. AI v. 23 si dice anche che alle creature è concessa da Dio una durata illimitata, per quanto riguarda la loro funzione. 104 Anche in questo testo del Siracide il discorso non è solo cosmologico, ma anche storico; l'analogia tra i due testi conferma l'interpretazione data per Qo 3,11. Molto diversa è però la funzione che questo motivo teologico svolge in Qohelet e Siracide; per quest'ultimo l'invariabilità e la perfezione del cosmo sono elementi rassicuranti, nel Qohelet invece fanno scaturire l'interrogativo: mah-yyitr6n. L'agire divino ha però nel Qohelet una sua motivazione, che viene indicata nel timore di Dio. Il pronome se può avere anche valore finale: «affinché si abbia timore di lui». Da Siegfried questa parte del versetto viene considerata come un'interpolazione del f:liisid, perché sarebbe in contrasto con la visione qoheletiana di Dio. lOS Ma già Podechard lO6 faceva osservare che essa si armonizza bene con la
menti riportati dall'autore contro tale interpretazione due mi sembrano decisivi: l) il significato del: l'espressione, che ha valore restrittivo e non consecutivo, come invece richiederebbe la t~aduzlO~e di 'oliim con «ignoranza, oscurità»: Dio ha posto nel cuore dell'uomo l'ignoranza, l'oscuntà, COSI che non... ; 2) il fatto che 'òliim, negli altri testi in cui ricorre, significa «tempo» (1,4.10; 2,16; 3,14; 9,6; 12,5). 99 Condivido qui l'interpretazione di ISAKKSON, Studies in Language of Qoheleth, 181. wo Cf. sul problema anche MULLER, «Theonome Skepsis und Lebensfreude», 13, nota 57; ID., «Neige der althebraischen "Weisheit". Zum Denken Qohiilats», in ZAW 90(1978), 238-264, . ' . spec. 248-250. 101 Cf. per questa interpretazione GORDIS, Koheleth, 221-222; I LXX rendono ti termltle 'òliim con UlWV. Su questo cf. H. SASSE, «AlWV», in ThWNT I, 197-209 = GLNT I, 531-564. 102 Per questo motivo respingo la proposta di P. SACCHI, .Ecclesiaste~ Paolin~~ R.oma 1971: 142-209, che traduce con «visione di insieme», in quanto è propno questa vISione di ltlSleme che e negata all'uomo.
103 Cf. Sir 39,21-31; 42,15-25. Per il confronto tra Sir 39,21 e Qo 3,11 si veda PRATO, Il problema della Teodicea, 100-102. Manca nel Siracide la profondità drammatica di Qohelet, proprio perché II Siracide riesce a conciliare ciò che è oscuro e misterioso con quanto è affermato dalla tradizione relilìiosa ebraica. 04 Cf. sul testo del Siracide PRATO, Il problema della Teodicea, 143-144. Per indicare la durat; ~e!le creature si usa 'md (come in Qo 1,4). Riguardo poi all'origine dell'espressione: 'iiliiyw 'én I hOSl p umlmmennu 'én lig'roa' (3,14b), anche in questo caso gli autori sono divisi. W. HERMANN, «Zu Kohelet 3,14», in WZLU3(1953-1954), 293-295 sostiene l'influsso egiziano, ricollegando il testo alle massime di Ptahhotep. Contro LORETZ, Qohelet, 200.235ss; in effetti anche questa espressione trova II suo parallelo in area semitica, sia pure applicata a un testo sacro, nella proibizione di alterarne 11 co.ntenuto; tanto Qohelet quando Siracide la usano in riferimento alle opere di Dio. Sul rapporto tra l due testi cf. PRATO, Il problema della Teodicea, 168-169. lO' SIEGFRIED, Prediger, 42. 1lJ6 PODECHARD, L'Ecclésiaste, 299.
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concezione che Qohelet ha di Dio e del governo divino sul mondo, così come è espressa in testi che lo stesso Siegfried attribuisce a Q1: 1,15; 3,1-8.10.15; 6,2b; 8,17a. Non vi è dunque motivo di espellere dal libro i testi che riguardano il timore di Dio. La radice yr' ricorre 7 volte nel libro: 3,14; 5,6; 7,18; 8,12-13 (tre volte); 12,13. Ogni volta questo tratto teologico assume un significato diverso. In 3,14 esso denota quel senso di smarrimento e di tremore che prende l'uomo di fronte alla grandezza e al mistero dell'opera di Dio. Mentre la gioia di vivere è la risposta esistenziale al problema dell'inconoscibilità dell'agire divino, il timore di Dio appartiene alla sfera della religiosità vera e propria dell'uomo. È l'autentica risposta religiosa al mistero. Il timore di Dio, però, non ha una valenza anche conoscitiva, come invece sostiene Bonora, per il quale «il sapere del timor di Dio permette di relativizzare, ma anche di dare vera consistenza alla pretesa veritativa dell'esperienza, poiché esso svela sia la ragione ultima dell'incapacità dell'esperienza di costituirsi come sapere assoluto sia la plausibilità del tentativo dell'esperienza di trovare il senso del tutto, dato che Dio ha posto un senso al tutto. D'altra parte il timore di Dio non è una soluzione in termini di pura fiducia priva di qualsiasi sapere né si propone come un sapere alternativo, bensì come il compimento della tensione veritativa dell'esperienza o sapienza che è sempre aperta e disponibile».lo7 La gioia di vivere e il timore di Dio sono, a mio avviso, le due uniche possibilità che Qohelet riconosce all'uomo nell'enigma dell'esistenza e del mondo; ma né l'una né l'altra risolvono questo enigma. 108 Il v. 15, che conclude questa unità, ribadisce con forza l'aspetto immutabile della storia: mah-ssehiiya fçbiir ha' wa'aser lih ey6t kebiir hiiya. Si afferma così l'identità tra passato e presente e tra presente e futuro, intendendo k:biir hiiya in 3,15a come «già esiste».109
107 A. BONORA, Qohelet. La gioia e la fatica di vivere, (LOB 1.15), Queriniana, Brescia 1987, 74. All'estremo opposto si trova RAVASI, Qohelet, 152-153, il quale vede nel timor di Dio il risultato dello smarrimento e dell'accecamento prodotto da Dio nel suo irraggiungibile e intangibile agire. L'autore poi conclude che in Qohelet la relazione col mistero si è raffreddata «in un rapporto reale ma distaccato, "imperiale", "non dialogico"». Ma il testo non parla affatto di accecamento quanto piuttosto di inconoscibilità e ciò accentua il senso del mistero. 108 Sul tema del timor di Dio cf. anche L. GORSSEN, «La cohérence de la conception de Dieu dans l'Ecclésiaste», in ETL 46(1970), 282-324, spec. 311; non condivido però l'interpretazione dell'autore, secondo il quale il timor di Dio in 3,14 non è un atteggiamento di libero impegno e l'uomo si trova davanti a un fatto compiuto che gli si impone dall'alto. Nel testo non vi è nulla che autorizzi a tale interpretazione. Cf. ancora BONORA, «Esperienza e timor di Dio in Qohelet», 171-182. 109 Con loDoN, «Notes philologiques sur le texte hébreu d'Ecclésiastes», 420, che intende hàyd nel senso di un presente frequentativo, come in 1,9. Contro DI FONZO, Ecclesiaste, 170, il quale ritiene che nello stesso versetto non si possa dare un differente valore temporale ai predicati hàya. A favore della traduzione di loiion vanno però considerati tre argomenti: 1) l'opposizione tra passato e presente, in parallelo con l'opposizione tra presente e futuro; 2) il contesto, che va appunto nel senso dell'immutabilità; 3) l'uso della particella k'bar in Qohelet. Su questo uso cf. ISAKKsoN, Sudies in the Language of Qoheleth, 29: «In Qohelet, specifically, the particle Kebar is frequent1y used to 10calize an SC form to the tunc-Ieve\. Consequent1y, the perfect that is often expressed by a SC form should not be considered an exclusively preterite verb form».
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Particolarmente enigmatica è l'espressione di 3,15b: 110 wehii'e!òhfm yebaq_ qéS 'et-nirdiip. Essa rimanda a diverse immagini tipiche della poesia latina e greca: ll1 quella delle onde che ricadono su se stesse, sempre nuove e nello stesso tempo sempre uguali; quello della ruota, ricordato da Ibn Ezra; quello del dio Chronos, che inghiotte i suoi figli per poi vomitarli. Tutte queste allusioni confermano però che ci troviamo davanti a una concezione circolare della storia sulla stessa linea quindi di Qo 1,4-11 e si accentua nello stesso tempo la determi~ nazione divina dei tempi ll2 (cf. anche Qo 6,10). 3. Conclusione
La sezione che inizia in 1,12 si conclude in 3,15; 113 esiste infatti uno stretto coIlegamento tra 1,12-2,26 e 3,1-15, come è dimostrato sia dall'inclusione in 1,13 e 3,10 sia dal simbolismo del n. 7. Sette sono infatti le unità che compongono 1,12-2,26 e 7 è'il numero che scandisce la dialettica dei tempi in 3,1-8. Ma questa perfezione e questa totalità, che sono iscritte nella natura e nella storia, non hanno per Qohelet nulla di rassicurante, perché all'uomo sfugge il senso globale degli avvenimenti. Inutile è infatti la ricerca sapienziale, un'occupazione che Dio ha dato agli uomini perché si impegnassero in essa con fatica (1,13 e 3,10), in quanto non conduce a comprendere il disegno di Dio sulla storia. Vana è l'esperienza della vita, sia nei suoi aspetti gioiosi, sia nella ricerca della sapienza, sia nell'impegno del lavoro, in quanto sull'uomo incombe la morte che annulla tutto; rende il saggio identico allo stolto, vanifica il lavoro di chi si è impegnato con tutte le sue forze, perché nessuno, neanche il re, sa che cosa farà il suo successore.
,. 110 Il ~esto si presenta oscuro e difficile sia dal punto di vista grammaticale che sul piano delI mterpretazlOne. Manca infatti l'articolo dopo 'et (cf. anche 7,7); in Sir 5,3, dove troviamo una frase analoga manca 'et e di conseguenza anche l'articolo. DAHOOD, «Canaanite-Phoenician Influence», 45ss spiega questa omissione ancora una volta attribuendola all'ambientazione fenicia del libro. Per qu~nto concerne l'interpretazione la difficoltà principale è data da 'et nirdàp, reso da Vg con «qui abnt» e da LXX e Aq con: l:ÒV I\lù.JXO!-!fVOV. Nello stesso senso vanno anche le versioni di Sir 5,3: LXX, Pesh, Vg. Il primo significato della radice rdp è infatti «perseguire» (cf. in questo senso Lam 5,5). Ma questa versione riflette secondo R.B. SALTERS, «A Note on the Exegesis of Ecclesiastes 3, ~5b»,.m ZA W 88(1976),419-422, una metodologia esegetica che è caratteristica della letteratura IDldrasclca, e che poco correttamente estrapola il termine dal suo contesto. Si veda infatti Qoh Rab 3,15. III Cf. questi paralleli in RAVASI, Qohelet, 154. m Va in questo senso l'interpretazione di G. Von RAD, «Das Werk lahwes», in Studia BibliCa et Semitica. FS. Th. Vriezen, Veenman & Zonen, Wageningen 1966,296-297. L'autore sottolinea qUanto Sta dIVerso l'uso che Qohelet fa del termine ma'àseh rispetto alla tradizione profetica; esso si avvlcma molto di più al concetto di provvidenza, di governo divino del mondo e sempre meno all'interven~o dI DIO nella storia. Ciò però non comporta a mio avviso, che il pensiero del Qohelet si posSa deflllire determinista. Contro l'interpretazione di Von Rad cf. LORETz, Qohelet, 247-248. . m Favorevole a questa interpretazione è anche A. FlscHER, «Beobachtungen zur Komposihon von Kohelet 1,3-3,15», in ZAW 103(1991),72-86.
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Per dare maggiore credibilità e maggiore forza al suo discorso Qohelet ha assunto la figura salomonica, l'emblema della sapienza e della gioia di vivere. Sono infatti questi i due temi di 1,12-2,26. Qohelet ne contesta l'assunzione acritica, ma in conclusione lascia intatte sia la ricerca sapienziale, che è un dono di Dio all'uomo anche se costa fatica e non conduce a nulla, sia la gioia di vivere, che pure è voluta da Dio, e tuttavia essa non ha nulla di assoluto, perché è ugualmente vanità. La radice di questa affermazione qoheletiana è nell'assoluta inconoscibilità dell'agire divino, di cui l'uomo coglie solo alcuni aspetti: la bellezza e la perfezione. Tutto è scandito secondo ritmi che denotano una regola sapiente, per cui all'uomo non resta altro che inserirsi in questo progetto, sapendo cogliere i momenti opportuni. Qual è allora il vantaggio effettivo che l'uomo ricava da tutto il suo affaticarsi? Qual è l'effettivo spazio di autonomia e di creatività dell'uomo? È questo a mio avviso il problema del Qohelet; i numerosi riferimenti sia al Genesi, presenti soprattutto nel secondo capitolo, sia ai libri storici in 3,1-8, non sono senza significato. Le velleità dell'uomo di sempre, ma forse soprattutto dell'uomo del suo tempo, si scontrano con la volontà superiore di Dio, che ha &ià tutto prestabilito, per cui è impossibile all'uomo mutare il corso della storia: E un messaggio che Qohelet rivolge agli uomini del suo tempo, forse a quantI sognavano di ricostruire il regno di Israele, forse all'uomo della società ellenistica, dedito a un'attività febbrile; è un invito a ridimensionare le proprie attese, le proprie pretese, in quanto l'uomo non ha il dominio degli eventi, che spetta solo a Dio e non è neanche padrone della sua vita, come Qohelet dirà meglio in seguito; per questo non gli rimane altro che la gioia del quotidiano e la riverente obbedienza, in cui consiste il timore di Dio.
III.
VANITÀ DELL'AGIRE UMANO E TIMOR DI
DIO (3,16-6,9)
l. Formule ricorrenti e unità letterarie in 3,16-4,16
A partire da 3,16 diventa più difficile delimitare con sicurezza le unità letterarie e stabilire le reciproche relazioni, sia perché i temi si succedono senza un legame logico evidente sia perché gli indizi formali sono meno decisi che nei capitoli precedenti. È possibile tuttavia rilevare alcune formule, che ricorrono con maggiore frequenza e che in qualche modo ricordano quelle riscontrate in 1,123,15: a) la formula introduttiva di 3,16 we 'od ra'iti taf].at haisames che ricollega questo testo a 3,10; b) l'espressione wesabti 'ani wa'er'eh (4,1 e 4,7); c) la ripetizione per tre volte di taf].at hassameS in 3,16; 4,1; 4,7; d) l'espressione ki-'et lekol-f].epe~ we'al kol-hamma'iiSeh sam che lega 3,17 a 3,1. 110
L'elemento caratterizzante è dato dall'uso del verbo r'h; in base a cIO Schoors individua in 4,1. 4. 7 una triade per la successione «verbo al perfetto + pronome personale», che è comune a questi tre versetti. 114 Per questo l'autore distingue due unità letterarie; 3,10-22 e 4,1-16. La prima (3,10-22) è articolata in due parti: 3,10-15 e 16-22, che conducono entrambe alla conclusione pratica che non vi è nulla di meglio per l'uomo che godere... (3,13.22). La seconda struttura letteraria (4,1-16), caratterizzata dalle frasi introduttive contenenti il verbo vedere, sarebbe composta di 3 unità (1-3; 4-6; 7-12) con un'appendice (13-16). Nel delimitare le unità letterarie Schoors privilegia gli elementi formali, ma a mio avviso, non si può prescindere dall'articolazione tematica del testo e dal singolare procedimento logico adottato dal Qohelet. In primo luogo non va trascurata l'inclusione di 3,10 con 1,13, in base alla quale è più che legittimo sostenere, come si è detto nel capitolo precedente, il legame tra 1,12-2,26 e 3,15, dal momento che Qohelet sviluppa in 3,10-15 la sua riflessione sui tempi che si conclude nel v. 15. Tutt'al più l'uso del verbo r'h dimostra che la nuova unità, che ha inizio in 3,16, non è del tutto staccata dalla precedente. Il verbo ritornerà poi con insistenza nei cc. 8-10. Per quanto riguarda poi la conclusione pratica di Qohelet, che è un invito alla gioia, occorre valutarne chiaramente la portata: può essere assunta dal punto di vista formale come criterio di strutturazione del testo? Il primo problema consiste dunque nello stabilire se l'unità che inizia in 3,16 termina in 3,22 o comprende 4,1-3. AI riguardo si può notare che in 4,4 viene ripresa la formula introduttiva werii'itf 'ani e viene ripetuto il verbo r'h, che ricorreva nei vv. 3-4. Poiché il verbo torna ancora in 4,4.6.8 Glasser l15 giustamente unifica 3,16-4,12 articolando la sezione in 4 punti: 1) 3,16-22 2) 4,1-3 3) 4,4-6 4) 4,7-12 Non è difficile dunque delimitare l'unità letteraria che comprende i vv. 412, in cui la parola chiave è data da 'ama!. Più difficile è cogliere il senso della collocazione, a questo punto, dei vv. 13-16, che riguardano l'opposizione tra un vecchio re stolto e un giovane povero ma saggio. Con 4,17 poi si cambia completamente stile in quanto si passa a un discorso espresso nella seconda persona singolare. Di qui la necessità di isolare le unità letterarie comprese nella sezione 3,16-4,16, che si conclude con la formula: kigam-zeh hebel wera'yon ruaf]. (v. 16).
114 SCHOORS, 115 GLASSER,
«La structure de Qohéleth», 102. Le procès du bonheur, 68ss.
111
2. Ingiustizia sociale e destino dell'uomo (3,16-22)
Il verbo r'h, accompagnato dall'avverbio 'od, segna l'inizio di una nuova riflessione, che ha per oggetto l'ingiustizia nel campo giuridico e morale, come indicano i termini hammispa(, hiirda', ha'i'iedeq, che appartengono tutti alla sfera giuridica; segue subito una conclusione, che riguarda il giudizio di Dio sul giusto e sull'empio, motivata mediante un ki con la ripresa della tematica del tempo ('et). A questo punto occorre stabilire se il v. 17, o parte di esso, sia una glossa, 116 perché ciò potrebbe incidere sulla struttura di questo testo e sulla relazione tanto con l'unità precedente sul tempo quanto su ciò che segue nei vv. 18-21. Esistono buone probabilità che il versetto non sia una glossa, sia per l'appartenenza dei termini yisp6(, hariiS, ha'i'iaddiq all'area semantica del v. 16,117 sia per I:espl.ici.ta ripresa dei termini 'et e lJepe'i, che sono parte integrante del bagaglio lIngUistIco del Qohelet. Si tratta qui del giudizio di Dio; non è però chiaro se il testo parli di un giudizio escatologico 118 o di un giudizio che avviene nella sto1l9 ria. Quel che però interessa dal punto di vista della struttura del testo è rilevare che il v. 17 ricollega questa nuova unità al discorso precedente, relativo al piano di Dio e al suo libero disegno. Ma, qual è la relazione con i vv. 18-21? A prima vista sembra esserci una semplice giustapposizione di temi. Se consideriamo i due testi dal punto di vista tematico, non c'è alcuna relazione tra l'ingiustizia (v. 16), il giudizio di Dio (v. 17) e la morte con il suo potere di livellamento dell'uomo e della bestia (vv. 18ss). Gli autori che negano l'autenticità del v. 17 e lo considerano come un'interpolazione ricollegano i vv. 18-21 al v. 16: Dio permette che nella società umana regni la violenza per mostrare che essa non è diversa dalla società delle bestie e che gli uomini pertanto non possono contare sul trionfo dell'ordine morale. 120 Oppure si cerca il denominatore comune di entrambe le parti nell'intenzione del
116 PODECHARD, L'Ecclésiaste, 162 attribuisce l'intero versetto al Pio sulla base dell'affinità di questo t~sto, n.onché di 8,5.6 e 11,9, con 12,13-14. LAUHA, Kohelet, 72 con~idera il v. 17a una glossa dom'!1 atIca e ncol!ega.17b ~l pensl~ro espr.esso dal Qohelet in 3,1-15, per cui l'uomo è determinato d~ DIO anch~ nell.ordme etIco-socIale. Infme GALLlNG, Der Prediger, 78 attribuisce il testo a QR 2• Diversa oplpIOne m LORETZ, Qohelet, 292-293, il quale nega che 3,17 e 8,5-6 siano in linea con 12,14, dove 1~I;attI SI parla con chiarezza di un giudizio di Dio dopo la morte. Con LOADER, Polar Structures, 93-96. .118 Diversi autori ri.tengono che qui Qohelet tratti di un giudizio oltre la storia Cf. DI FONZO, Eccles~as~e, 172, secondo il quale il termine sam è indice di «una dottrina di transizione» tra le perplesslta di GIObbeela certezza espressa nel libro della Sapienza. Sulla difficoltà di tradurre sam con il «gIOrno del ~lUd~zlo» cf. ~HlTLEY, «As the particle sam» , 396 per il quale sam non è che una particella asseveratIva m parallelismo con ki. Per l'identificazione con lo s"òl cf. GORDIS, Koheleth, 225; C. LEPRE, Qohelet, Palmaverde, Bologna 1975, 80. Altri ancora leggono §am al posto di sam. Cf. su questa Imea SCHOORS, «La structure de Qohéleth», 103. 119 Per un'interpretazione in senso immanente cf. RAVASI Qohelet 160' DAHooD «Qoheleth and Northwest Semitic Philology» 354-355. "" 120 Cf. SIEGFRIED, Der Prediger, 43.
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Qohelet di dimostrare che l'uomo non può vantare per sé alcuna prerogativa di superiorità nei confronti della bestia. Il Qohelet fonderebbe questa tesi sia su argomenti etici, l'ingiustizia sociale, sia su fatti naturali, la necessità della morte; ben presto però egli scivolerebbe nel suo pensiero fondamentale che esiste un unico destino di morte per tutti i viventi. 12I Gli esegeti che invece considerano il v. 17 come autentico vedono l'anello di congiunzione nel pensiero della giustizia livellante della morte; poiché nella morte il giusto e l'ingiusto sono uguali, l'ingiustizia del mondo sparisce. 122 Ma si tratta di un'amara consolazione: l'unico conforto per l'oppresso è il sapere che egli almeno deve morire come l'ingiusto. Considerando il testo di Pr 10,7, in cui il giusto giudizio di Dio viene prospettato in positivo, si può pensare, con Loader,123 che Qohelet assuma qui un tipico elemento sapienziale per poi annullarlo nel suo contrario. Bisogna però verificare se sul piano formale esistano elementi di collegamento tra i vv. 16-17 e 18-21, che autorizzino a pensare a una dialettica strutturale tra i due testi. Il v. 18 è invece staccato sintatticamente dai versetti precedenti;124 tuttavia non va trascurato il parallelismo con la formula precedente del v. 17: 'amarti 'ani belibbi che non può essere casuale. Pertanto non è possibile escludere in assoluto un rapporto tra i vv. 16-17 e 18-21. Per quanto concerne il contenuto tematico, nel v. 18 il discorso si sposta dal piano prettamente sociale a quello più generale del rapporto tra Dio e gli uomini. L'intenzione di Dio nei confronti degli uomini è quella di mostrare loro 125 che essi in se stessi I26 non sono che bestie.
Così LAUHA, Kohelet, 75. Cf. su questa linea HERTZBERG, Der Prediger, 110-111; ma anche DELlTzscH, Hoheslied und Koheleth, 267-268 sosteneva uno stretto rapporto tra i vv. 16-17 e 18-21: il ritardo della sanzione divina ha come scopo di mettere alla prova gli uomini, lasciando loro provvisoriamente ogni libertà d'azione, e in seguito dimostrare che, a meno che non intervenga la giustizia divina, il destino dell'uomo non differisce da quello della bestia. 123 LOADER, Polar Structures, 93-96. 124 Significativo è il tentativo da parte di B 68 di aggiungere un XUt di collegamento; il grosso problema di critica testuale è dato però da sam; l'inizio del versetto si presenta nei codici in modi differenti a seconda che sam del versetto precedente sia attribuito o meno al v. 18. Su questi problemi cf. PODECHARD, L'Ecclésiaste, 304-305. 125 Incerto è il significato di l'biiram, che si fa derivare dalla radice brr, il cui primo significato, se~ondo WHlTLEY, Kohelet, 36, è «purificare» (cf. Ez 20,38; Gb 33,3); nell'ebraico tardivo passa a slglllflcare «scegliere, selezionare» (lCr 7,40; 9,22; Ne 5,18). Cf. in questo senso i LXX: ÙLUXQLVEL; Vg: «probaret»; Tg: Imb!Jnhwn... Insy'yhwn. Per questa interpretazione cf. anche DI FONZO, Eccles/aste, 173. Diversa proposta in PODECHARD, l'Ecclésiaste, 305, che traduce con «Les faire connaitre». Ma questo significato non è attestato dai lessici: si vedano infatti F. ZORELL, Lexicon Hebraicum et Aramaicum Veteris Testamenti, Pontificium Institutum Biblicum, Romae 1968, 132; F. BROWN-S.R. DRIVER-C.A. BRIGGS, Hebrew and English Lexicon o[ the Old Testament, Clarendon, Oxford 1907, 1405; KÒHLER-BAUMGARTNER, Lexicon in Veteris Testamenti, 156a. Per le altre proposte di correzione testuale rimando a DI FONZO, Ecclesiaste, 173; cf. anche WHITLEY, Kohelet, 36-37. 126 Per la traduzione di lahem come dativo di interesse e non di reciprocità cf. DELlTzscH, Hoheslied und Koheleth, 268; PODECHARD, L'Ecclésiaste, 306; Lys, L'Ecclésiaste, 372. WHITLEY, Kohelet, 38, propone di interpretare l'in senso enfatico e traduce: «that they are beats, they indeed». 121
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Con il ki del v. 19 si motiva l'affermazione precedente; la ripetizione per tre volte del termine 'ehiid non lascia dubbi sulla tesi sostenuta da Qohelet, che un'unica sorte tocca si~ all'uomo che alla bestia e con ciò viene annullata ogni presunta differenza tra l'uomo e l'animale. Il procedimento è lo stesso che in 2,14-16, dove Qohelet, opponendosi all'idea tradizionale che al giusto e all'empio tocchi una sorte differente (Pr 10,7; Sal 112,6), sost.en~va che un:uni~a so.rte è riservata a entrambi: in effetti la morte annulla ogm differenza sia di ordme morale che di tipo naturale. 127 Il sostantivo miqreh richiama, come già si è detto, molto da vicino il concetto greco di "tlJX'Y] , soprattutto se si considera la riflessione che segue subito dopo; in parallelo con l'affermazio.ne relativa a una sorte un~~a de.ll:uomo e ~e.lla bestia, il testo sviluppa un ultenore elemento: quello dellidentita nello spmto vitale. Colpisce a questo punto l'analogia con quella concezione materialistica dell'anima, che la filosofia popolare ellenistica derivava da IppocrateYR Attraverso poi la negazione assoluta' iiyin il Qohelet esclude ogni possibilità di riscontrare nell'uomo una superiorità sull'animale. Anche il parallelismo nell'espressione kemat zeh kén mat zeh non fa che accentuare la constatazione dell'irrimediabile vanità dell'esistenza umana per nulla dissimile da quella delle bestie. Questa tesi di fondo viene ribadita nel v. 20, dove ritorna insistentemente per tre volte il termine hakkal, per designare ancora l'annullamento di ogni differenza tra l'uomo e l'animale, che sono accomunati da un unico destino di morte. Ciò che colpisce subito nel v. 20 è il ritorno di termini che ricorrevano nel poema iniziale: hyh, swb, miiqam, hlk. Il verbo hlk, qui come i~ 1,~ unito al te~ mine miiqam, indica il recarsi alla dimora della morte, che e umca per t~ttl. Dal punto di vista formale si può osservare inoltre la c~ntr.apposiz~one «uno/tutti», che comporta la riduzione dell'intero a una realtà mdlfferenzlata, che per gli antichi si identificava con il caos e quindi con il nulla: infatti la distinzione e la differenziazione degli elementi sono la massima espressione dell'azio~ ne creatrice di Dio (cf. Gen 1). Qohelet conclude poi con un'affermazione che SI basa sulla fusione di due testi: Gen 2,7 e Gen 3,19. Tuttavia l'idea che l'uomo e la bestia tornano alla polvere è conosciuta anche da altri testi della letteratura sapienziale (Sal 90,3; 104,29; 146,4; Gb 10,9; 34,15; Sir 40,11).129 Con l'interrogativo retorico del v. 21 mi yadea', di cui si è già valutata la portata a proposito di 2,19, Qohelet mette in discussione che lo spirito dell'uo-
127 Sul tema della morte nel Qohelet cf. I.L. CRENSHAW, «The Shadow of Death in Qohelet», in GAMMIE, lsraelite Wisdom: Theological and literary Essays in Honor of Samuel Terrien, Scholars, Missoula 1978, 205-216. 128 Cf. RAVASI, Qohelet, 163-164. Su questo testo si veda anche A. SCHOORS, «Koheleth: A Perspective of Live after Death?», in EThL 61(1985), 295-303, spec. 300-301. f29 Si è sottolineata anche la presenza di questa massima nel pensiero popolare. Cf. CREN-. SHAW, «The Expression mi yodea'», 281. Oltre che in Gb 1,21 la massima ricorre a.nche nel Papiro di lnsinger 30,6. Cf. sul testo M. LICHTEIM, Ancient Egyptian Literature, 3 voli., Umvers1ty of Cahfornia, Berkeley/Las AngeleslLondon, 1975-1980, spec. III, 209; F. LExA, Papyrus lnsmger, 2 voli., Libr. Or. Geuthner, Paris 1926, I, 69.
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IllO
sia soggetto a un destino differente da quello dello animale. Col termine
rualJ Qohelet intende ora esprimere non ciò che differenzia ma ciò che accomuna uomini e animali. 130 Ma l'equivalenza dell'espressione mi yadéa' con l'affer-
mazione negativa: «nessuno sa» conduce a una risposta implicitamente negativa riguardo alla diversa destinazione dello spirito dell'uomo (in alto) e della bestia (in basso). L'espressione, che si ritrova anche in Dt 28,13 e Pr 15,24, fa riferimento a una dottrina che andava diffondendosi al tempo del Qohelet (cf. anche Sal 104,29 e Gb 34,14ss), sulla quale egli sembra nutrire seri dubbi. m In 12,7 invece Qohelet esprime con chiarezza la sua convinzione che lo spirito dell'uomo sale in alto. In realtà l'interrogativo del v. 21 non va considerato come un dubbio di carattere dottrinale;132 esso sembra piuttosto una replica a un'obiezione che si presume sia mossa contro quanto è sostenuto nei vv. 19-20133 ed è quindi funzionale all'affermazione principale: che non c'è differenza fra l'uomo e la bestia. Al v. 22 ritorna il werii'm, per indicare una constatazione che si pone sullo stesso piano di quella del v. 16. La particella 'en (cf. 1,9) esclude in assoluto che per l'uomo possa esistere qualcosa di meglio della gioia nelle proprie realizzazioni. La formula è simile a quella di 2,24 e in 3,12 si conclude allo stesso modo. Non si tratta però, come in 2,1-2, della gioia pura e semplice; rispetto poi a 2,24 si nota l'accentuazione del ruolo attivo dell'uomo, non più semplice destinatario, ma soggetto dell'azione. La gioia qui non è legata alla sfera dei bisogni (mangiare e bere), ma a quella dell'operatività dell'uomo (come in 2,11), in quanto questa è la parte che gli è stata assegnata (lJelqa cf. anche 2,10; 5,17; 9,9). Inoltre è diversa la funzione che il motivo della gioia svolge in questo capitolo; in 2,24-26 essa è presentata in alternativa al dolore, qui invece è una risposta esistenziale al problema della morte. 134 In 22b troviamo un nuovo interrogativo: mi yebf'ennù lirat. Esso fa riferimento a ciò che accadrà nella storia «dopo di lui»? Oppure, in relazione al tema dei vv. 18-21, a ciò che accadrà dopo la sua morte? Considerando l'impiego di 'alJiiriiyw, quasi sempre connesso con la morte (1,11; 2,12.18; 4,16; 9,3; 6,12 e 10,1.4) si potrebbe interpretare il testo in questo
130 Sul v. 21 si veda L. DI FONZO, «"Quis novit si spiritus filiorum Adam ascendat sursum ... " ECcle 3,21)>>, in VD 19(1939), 257-268; 289-299; 20(1940), 166-176; RAVASI, Qohelet, 162. 131 Cf. Enoc XXII,l-13 in P. SACCHI, a cura di, Apocrifi dell'Antico Testamento, (CdR 2), ~TET, Tor~no 1981, 500-502. In questo scritto apocalittico del III sec. ~.C .. si pensa ad un diverso estmo dell.amma rIspetto al corpo; mentre questI è destmato ad afflOSCiarsI nella polvere, l'amma vola m alto m attesa del giudizio divino. Contrariamente a quanto sostiene RAVASI, Qohelet, 168 ritengo c~e sia proprio a questa dottrina ormai popolare che il Qohelet intende riferirsi, in quanto l'interrogallvo retorico del v. 21 evoca proprio il tono vivace della satira e della diatriba. Cf. anche SACCHI, Ecclesiaste, 151. af lJ2 Signific~tivo è l'intervento del TM, che muta l'interrogazione retorica in una proposizione F ferrnatlva, con l mtenzIOne di eVitare un errore dottrInale. Sull'interpretazione masoretica cf. DI ONzo Ecciesiaste, 174-175; SCHOORS, «Koheleth», 301. i33 Con SCHOORS, «Koheleth», 301. b 134 Per l'uso della forma 'en lob in questi testi cf. OGDEN «Qoheleth's Use of the "Nothing is etter"-form», 345-347. ' (
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senso: «ciò che accadrà nel mondo dopo la sua morte». Ciò che è inconoscibile non è dunque il destino ultraterreno, ma la totalità della storia. Il suffisso pronominale maschile però si può intendere anche al neutro e quindi come avverbio; in tal caso l'espressione farebbe riferimento al futuro dell'uomo, a ciò che può accadere in seguito durante la sua vita, come in altri testi paralleli (6,12; 7,14; 9,3).135 Non si può escludere però in assoluto che si tratti di una forma ellittica, che sta per «dopo la sua morte». 136 Il contesto fa propendere piuttosto per quest'ultima interpretazione, soprattutto se si considera che, come si è detto in precedenza, 'al]iiriiyw è quasi sempre connesso con la morte. 3. Un'unità di transizione (4,1-3)
Diversi sono gli autori 137 che fanno terminare il testo in 3,22; in effetti il v. 22 sembra concludere bene le riflessioni del Oohelet sul problema della sorte dell'uomo. È necessario però tener conto del verbo swb, che segna il ritorno della riflessione del Qohelet al tema dell'ingiustizia, che qui viene affrontato da un altro punto di vista: quello del rapporto tra oppressi e oppressori. Nel suo commento al testo Crenshaw 138 ha evidenziato la struttura retorica del versetto 4,1, nel quale per tre volte viene ripetuta la radice 'sq e per due volte la clausola we'en liihem menal]em. In particolare la radice ritorna ogni volta con una sfumatura diversa, la prima volta per indicare il fatto stesso dell'oppressione, la seconda per menzionare l'oggetto dell'oppressione e la terza per accusare gli oppressori. L'espressione 'et kol-hii'iisuqfm 'iiSer na'iiSlm ta/Jat hassiime§139 riprende 1,14. Seguono due proposizioni parallele, in cui al pianto degli oppressi corrisponde la violenza degli oppressori. 140 wehinnèh dim'at hii'iiSuqim we'en liihem menal]em umiyyad 'osqehem koa/J we'en liihem mena/Jem Per questa interpretazione cf. DI FONZO, Ecclesiaste, 177. Con CRENSHAW, Ecclesiastes, 105. . 137 Cf. DI FONZO, Ecclesiaste, 186-188; LAuHA, Kohelet, 80-83, che fa di 4,1-3 un'unità a se stante; LOADER, Po/ar Structures, 96; MICHEL, Qohe/et, 139-140. Molto diverse sono le ipotesi di suddivisione del capitolo quarto: PODECHARD, L'Ecclésiaste, 320-326 raggruppa i vv. 1-8; LOADER, po/ar Structures, 90, separa i vv. 4-6 sia dai vv. 1-3 che dai vv. 7-12. G.S. OGDEN, «The Mathemahcs of WI~ sdom: Oohelet IV,1-12», in VT 34(1984),446-453, spec. 447, individua in 4,1-12 tre osservaZIOnI (vv. 1.4.7), cui fanno seguito altrettante conclusioni (vv. 3.6.9). A mio avviso, però, il rIcorso al solo criterio stilistico non è sufficiente per la delimitazione delle pericopi; è necessario tener conto anch~ dello sviluppo tematico e 4,1-3 per il suo contenuto si distingue nettamente da 4,4-12, un'unità che e articolata intorno al tema del lavoro. 138 CRENSHAW, Ecclesiastes, 105. 139 Per quanto riguarda hi/asuqfm si tratta di un plurale intensivo, secondo GESENIUSKAUTZSCH, Grammatik, 120. Per questo PODECHARD, L'Ecclésiaste, 322 e ,?I FONZO, Ecclesraste~ 18~ propongono di tradurre con un singolare collettivo: «il complesso delle VIOlenze» (cf. Am 3,9, G 35,9). 140 DAHOOD «The Phoenician Background", 271 fa del termine «violenza» in 4,lc un determinativo del precedente sostantivo: «i loro potenti oppressori», ma in tal modo non si tiene conIO del parallelismo tra le due parti del versetto che in questa traduzione andrebbe perduto. Contro Dahood cf. WHITLEY, Kohelet, 89. 135
Due volte viene usato il verbo nl]m; è una ripetizione intenzionale per insistere sul concetto che non esiste per gli oppressi alcun consolatore. Nl]m è, come è noto, un termine giuridico che spesso viene riferito a Dio (cf. soprattutto Is 40,1; 52,9, dove è parallelo a g'l; cf. anche Is 12,1-12; Sal 71,20-21; Sal 86,17). Si tratta qui, come in Gb 9,22-24, di un'implicita accusa a Dio, che non interviene a favore degli oppressi? Se consideriamo anche i paralleli extrabiblici, in cui la tematica della violenza è strettamente connessa con il capriccio degli dei,I4I non è improbabile che qui Oohelet ponga come Giobbe un problema di teodicea: Dio non svolge la sua funzione di go'èl degli oppressi. Si è poi voluto vedere in questo testo la fredda rassegnazione di fronte all'ingiustizia che c'è nel mondo, in contrasto con l'appassionata difesa dei deboli che è propria dei profeti. 142 In realtà però non è questione qui di atteggiamento interiore quanto di un'ottica diversa, che considera la realtà senza la prospettiva della speranza. 143 I vv. 2-3 costituiscono infatti la conclusione del discorso. Il verbo sbl] «lodare, proclamare», usato qui con l'infinito assoluto seguito dal pronome 'iini,l44 ricorre ancora in 8,15 (ma col perfetto), in un contesto completamente diverso dove è in relazione con la gioia, mentre qui Qohelet fa della morte l'oggetto della sua lode. Formulate nello stile dei detti comparativi (ob le affermazioni del Oohelet superano per radicalità tutti gli altri testi veterotestamentari sulla morte (Ger 20,14-18; Gb 3,1-26; Sir 42,2).145 Al V. 2 il termine di confronto è tra i viventi e quelli che sono già morti; ma il v. 3 pone al di sopra di entrambi «coloro che non sono mai nati». Nei vv. 18-21 la morte annullava ogni differenza tra l'uomo e la bestia; qui, dove la dialettica è tra la morte, come fine della vita, e la non-vita, la morte finisce coll'essere superiore alla vita stessa. Proprio per la sua radicalità il testo del Oohelet sembra essere molto più vicino a opere della letteratura profana, quali l'elegia di Teognide di Megara,l46 che non ai passi biblici precedentemente citati: è il valore stesso dell'esistenza che viene messo in discussione, ma
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141 Cf. soprattutto il Dialogo sulla miseria umana, in ANET, 440b; G.R. CASTELLINO, Sapienza babilonese, SEI, Torino 1962, 58. 142 Per questa interpretazione cf. LOADER, Polar Structures, 96; RAVASl, Qohelet, 170-171. 143 Con ALoNso SCHOKEL, Eclesiastes, 31-32: «La visi6n de la injusticia puede provocar diver-
sas reacciones: los profetas alzaban el grito de la denuncia, los maestros sapienciales repiten consejos
y aVlsoS, los salmistas suplican y apelan a Dios para que intervenga. Oohelet se siente incapaz de actuar y Slente que la injusticia establecida corroe eI sentido de la vida. No s610 sufrir la injusticia es
una tra~edia, su mera contemplati6n amarga la existencia». l L'uso di un infinito assoluto seguito dal pronome personale è del tutto insolito (oltre a ~uesto testo del Oohelet cf. solo Est 9,1). Una costruzione analoga ricorre solo in iscrizioni fenicie. ul problema si veda WHITLEY, Kohe/et, 39-40. 145 Per questi confronti cf. H. GESE, «Die Krisis der Weisheit bei Koheleth,), in La sagesse du p 'oche Onent, Presses Universitaires de France, Paris 1963, 139-151, spec. 147. f 146 ,Cf. THEOGNIS MEGAREUS, E/eg 1,425ss. Per il parallelismo tra 004,3 e il testo di Teognide c. BRAUN, Kohe/et, 94-95; RAVASI, Qohe/et, 172-173.
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r soprattutto è caduta completamente la prospettiva della giustizia divina, presente nel v. 17, ed è stato annullato nello stesso tempo il motivo della gioia. A conclusione dell'analisi ritengo di poter individuare in 3,16-4,3 la seguente struttura: 147
,.......-
-----.
/'
'" \
/
A (3,16) A' (4,1)
Ingiustizia
B'
Non c'è gò'el
Ingiustizia
\ \
C'
(4,2-3)
La morte è preferibile alla vita, la non-vita alla vita
/lr.
\
"
'-.. ..............
-
--
B
(3,17)
I
C
(3,18-21)
giudizio di Dio tutti muoiono
4. È bene lavorare, ma con calma! (4,4-12)
I
/ D
(3,22) /
prospettiva della gioia
La pericope 3,16-22 si ricollega al blocco precedente per l'espressione sul tempo (3,17), con'siderato questa volta in relazione al tema del giudizio di Dio. Un altro elemento di collegamento è dato dall'interrogativo di 3,21; mi yodea', che richiama 2,19a. Pertanto si può ritenere che con 4,3 inizi un nuovo blocco di
147 Secondo Lvs, L'Ecc/ésiaste, 360, il testo presenta invece una struttura simmetrica: a - 3,16 b - 3,17 C - 3,18-21 [ d - 3,22 e - 4,1 f - 4,2-3. Ouindi: alle,blld intorno al tema c (3,18-21), mortalità dell'uomo. Anch,e RAVASI, Qohe/et, 157 coglie nell'ambito di questa sezione due movimenti paralleli: Primo movimento (3,16-22), Introduzione: "Ho visto sotto il sole" (3,16) 1. Riflessione sull'ingiustizia (3,16-17) Introduzione: ,
IT
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unità, ma poiché 4,1-2 chiude circolarmente l'unità che inizia in 3,16, si sviluppa un movimento a spirale, in cui ogni anello si ricongiunge al precedente e apre al successivo. In 4,3 troviamo il primo di una serie di «detti {ab», che si susseguono in tutto il capitolo quarto e oltre, culminando poi nella collezione di 7,1-14.18 (4,3.6.8.9bis.13; 5,4.10.17; 6,3(bis).9.12; 7,1.2.3.5.8(bis).10.11.14.18). È questo un elemento stilistico da non trascurare nell'individuazione delle sezioni e unità successive; perciò ritengo che 4,1-3 possa essere definita un'unità di transizione, dal momento che 4,1 segna il ritorno al tema dell'ingiustizia, enunciato in 3,16, e 4,3 dà inizio a una nuova riflessione che ha per oggetto ciò che è bene per l'uomo.
Questa nuova unità, che va fino al v. 12, è incentrata intorno al tema del lavoro faticoso dell'uomo; il sostantivo 'iima! ricorre infatti quattro volte in questi versetti (4,4.6.8.9), conferendo a essi unità dal punto di vista semantico. È possibile però individuare in 4,4-12 due parti: 148 4,4-6 e 4,7-12, in base alla formula del v. 7, w'sabti 'ani wii' er' eh, che, come in 4,1 indica il ritorno alla tematica del v. 4 e nello stesso tempo segna una svolta nell'ambito della riflessione appena ripresa. A partire poi dal v. 9 inizia una serie di proverbi numerici, che continua fino al v. 13, con il quale si passa a trattare di un nuovo tema: quello del giovane re. La formula introduttiva è ancora una volta w'rii'ftf 'ani, che indica un processo conoscitivo basato sull'esperienza. L'oggetto della riflessione è in questo caso il lavoro considerato sotto l'aspetto tipico dell'operatività, cioè l'industriarsi per raggiungere il successo. 149 Ma Qohelet ne coglie subito l'aspetto negativo: non parla infatti di emulazione, ma di invidia (qin'a),150 come una delle componenti dell'attività febbrile dell'uomo. Oltre che dal tema del lavoro, quest'unità è caratterizzata anche dall'assonanza r'h, rii'. La formula conclusiva esprime subito il giudizio negativo: gam-zeh hebel Ctr"ut nlafJ. Il v. 5 contiene un'espressione proverbiale, che riporta il punto di vista della tradizione sul tema del lavoro (Pr 6,10; 24,33; 6,6-11; 10,4; 12,29; 18,9; 19,15; 20,13; 24,33-34): la pigrizia conduce alla distruzione e alla rovina. Si tratta in
Con ZIMMERLI, Das Buch des Predigers, 176-179. Il termine kiSr6n ricorre solo in 002,21; 4,4; 5,10. Si trova in altra forma anche in 00 10,10; Est 8,5; Sal 68,7. Designa l'impegno di chi vuole raggiungere a tutti i costi il successo. Sul tema del lavoro cf. H.G. MITCHELL, ,,"Work" in Ecclesiastes», in JBL 32(1913), 123-138, spec. 126127; A. RAJNEv, «A second Look at 'amaI in Qohelet», in CTM 36(1965), 805. , ISO La costruzione qin'ii con min è insolita; in genere questo sostantivo è seguito da le O da be. L uso della preposizione min esprime, secondo CRENSHAW, Ecc/esiastes, 108, quella rivalità che rende la società frammentaria. Per una valutazione positiva della qin'ii cf. invece B. Bat. 21a. 148
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questo caso di una citazione implicita della sapienza tradizionale, con cui Qohelet si sta confrontando. 151 Il v. 6 esprime il punto di vista del Qohelet, formulato come in 4,2-3, nello stile dei «detti (ob»; giocano qui un ruolo importante i valori numerici uno/due, in quanto intorno a essi ruota l'opposizione dialettica calma/fatica. Ciò che Qohelet contesta è l'attività febbrile e quindi stressante di un lavoro che mira solo ad accumulare (due); a esso egli contrappone un tipo di lavoro che produce di meno (uno) ma è fatto con calma. Questo testo non contiene dunque una svalutazione dell'attività lavorativa dell'uomo, come è confermato anche dall'uso della forma (ob, in cui la contrapposizione tra due termini è un paradosso per affermare un valore intermedio: lavorare, ma senza stress. 152 La formula di vanità ' che conclude il v. 6, relativizza anche questo giudizio di Qohelet. Il v. 7 segna, come in 4,1, la ripresa del tema del lavoro, che viene però considerato da un altro punto di vista: quello della persona sola, senza eredi, che lavora incessantemente. È interessante osservare a questo punto come in 8b ritornano le stesse immagini e parole del poema iniziale: un lavoro incessante e senza senso e l'insaziabilità. L'interrogativo retorico del v. 8c alemi 'ani 'amel richiama anch'esso, nella ripresa del verbo 'mI, la questione posta in 1,3 sul vantaggio che l'uomo ricava da tutto il suo affaccendarsi sotto il sole; qui però viene riproposta in riferimento al caso particolare di chi non ha eredi ai quali lasciare il frutto del suo lavoro. Questa riflessione costituisce la conclusione della precedente unità, ma pone nello stesso tempo la base per passare al tema successivo: con un altro «detto (ob» Qohelet, in contrasto con quanto aveva affermato in 4,6 (uno è meglio di due), enuncia la tesi che due è meglio di uno. Anche il numero in Qohelet non ha valore assoluto ma relativo, e la contraddizione serve a non assolutizzare. La motivazione, introdotta da ki, è strutturata intorno a tre proposizioni condizionali, ciascuna delle quali è introdotta da 'im, seguito da un verbo all'imperfetto. Ognuna delle proposizioni dimostra, facendo riferimento di volta in volta a un'ipotesi diversa, che «due è meglio di uno»: il primo caso preso in considerazione è quello in cui uno cade e l'altro lo rialza; il secondo esempio riguarda il dormire insieme; il terzo è il caso di aggressione. l53 Giustamente si è parlato a questo proposito di tre scene o bozzetti. Le argomentazioni del Qohelet infatti non sono affidate a una logica astratta ma procedono attraverso esempi concreti. 154
Cf. WHlBRAY, «The Identification and Use of Ouotations in Ecclesiastes», 439-440. 152 WHlBRAY, «The Identification and Use of Ouotations in Ecclesiastes», 440-441 considera anche questo proverbio come una citazione. Troppi elementi però dimostrano che Oohelet ne è l'autore. Oltre all'uso di 'amai, che Whibray stesso sottolinea, è determinante la funzione che il detto(ob svolge in questo contesto, in quanto esprime l'opinione di Oohelet sul tema del lavoro. L'aggiunta del giudizio di vanità dimostra solo che anche questa sua riflessione va letta nell'ottica della vanità. 153 Per una valutazione del significato e della funzione del numero nel Oohclet cf. OGOEN. «The Mathematics of Wisdom», 452-453. 154 Così RAVAS1, Qoheler, 184. 151
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5. La parabola del principe povero (4,13-16) In 4,13-16 si passa a un tema completamente diverso. L'unico collegamento tra questi versetti e l'unità precedente è dato dall'uso della forma comparati-
va mediante la quale si istituisce questa volta un confronto tra due personaggi di~ersi: il primo, il giovane povero,155 rappresenta, nonostante la sua giovane età e la sua condizione sociale, la saggezza; il secondo, invece, l'anziano re, rappresenta la stoltezza. Si tratta di un racconto parabolico, il cui scopo è quello di illustrare l'antitesi tra la sapienza e la stoltezza, che non sono necessariamente legate all'età e allo stato sociale. Si può essere sapienti anche se si è poveri e l'anzianità non è necessariamente sinonimo di saggezza; infatti il vecchio re è stolto, in quanto non sa più fare uso dei consigli. Il v. 14, introdotto come i versetti precedenti dal ki, fornisce la motivazione della tesi enunciata nel v. 13; il giovane esce dal carcere, quindi da una situazione difficile e sfortunata, per regnare, benché sotto il regno dell'altro fosse nato povero. Al giovane re arride il successo nell'immenso favore popolare; il popolo tutto è con il secondo: il successore del re. La dialettica primo-secondo è un altro possibile collegamento con l'unità precedente. 156 La conclusione del discorso, che si trova nel v. 16, è ancora una volta negativa: il successo non dura che una generazione, perché a esso succede l'oblio da parte di coloro che verranno dopo. La terminologia rimanda al poema iniziale e dà un contenuto più preciso al tema generale della dimenticanza, enunciato in 1,11.
6. Vanità della parola e timore di Dio (4,17-5,6) È fuori dubbio che 4,16 costituisca la conclusione del precedente complesso di riflessioni, come attesta lo stereotipo formale sulla vanità e l'inseguire il vento. In 4,17 inizia una raccolta di detti che si conclude in 5,6 con un'esortazione al timore di Dio. Dal punto di vista formale la caratteristica principale di questa pericope è la particella 'en, che si incontra 6 volte, e il termine hii'iH6him, che ricorre anch'esso 6 volte. Questa sezione è considerata dai sostenitori della plu-
155 DAHOOO, «Oohelet and Northwest Semitic Philology», 356-357, basandosi sul fenicio, interpreta il testo nel senso che anche il re, nonostante la sua regalità, nacque povero perché anch'egli era venuto da un grembo materno. 106 Numerosi sono i tentativi di riferire questo passo a eventi e personaggi storici. Cf. sull'argomento C. CH. TORREY, «The problem of Ecclesiastes IV 13-16», in VT 2(1952), 175-177; K.D. SCHUNCK, «Drei Seleukiden im Buche Kohelet», in VT9(1959), 192-201; G.S. OGDEN, «Historical Allusion in Oohelet IV,13-16», in VT30(1980), 309-315. Le allusioni storiche sono innegabili, ma esse valgono solo nella misura in cui consentono di comprendere meglio il significato della parabola, che risulta comunque evidente a prescindere dagli eventi politici ai quali può fare riferimento..C:he s~ trath di Giuseppe o della storia dei Seleucidi, o di entrambi, quel che conta è che il potere pohllco SI nvela effimero come ogni altra cosa e soggetto alla legge dell'oblio che avvolge la storia.
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ralità delle fonti come un'interpolazione posteriorel 57 sulla base dei seguenti argomenti: 1) Sparisce, come in 4,9-12, l'io di Qohelet e si passa a una serie di ammonizioni formulate alla seconda persona singolare; 2) Questo gruppo di sentenze interrompe le riflessioni sul tema della regalità, sviluppato in 4,13-16 e 5,7-8; 3) Dal punto di vista dei contenuti le ammonizioni relative al compimento dei doveri religiosi non hanno alcun rapporto con l'insieme del libro, che si articola intorno a esperienze personali e osservazioni sulla vanità dell'esistenza umana. Quest'ultimo finisce coll'essere l'argomento fondamentale contro l'autenticità qoheletiana di 4,17-5,6. Ma veramente questa unità non ha alcun rapporto con ciò che precede e con le tematiche del Qohelet? Contrariamente a ciò che si pensa generalmente, il tema fondamentale di questa pericope non è la prudenza nel culto, ma, come giustamente fa osservare Loader, 158 la dialettica silenzio/parola. Il tema della vanità delle parole, che si moltiplicano indefinitamente è, come si è visto in 1,8, uno degli argomenti prediletti dal Qohelet (cf. anche 10,12-14). In questa sezione il culto è il contesto nel quale il Qohelet sviluppa questa tematica. Per quanto riguarda la struttura formale della pericope, è evidente che essa si articola, sulla base dei 3 aforismi, in tre parti: 4,17; 5,1-2; 5,3-6. Le tre unità sono tutte elaborate in forma di ammonizioni; a ciascuna ammonizione, formulata in forma diretta, segue una motivazione. In 4,17a questa assume il carattere di una sentenza impersonale, mentre in 5,2.4.6 la forma è quella dell'ammonizione personale, anche se poi viene aggiunta una motivazione impersonale in forma di proverbio. Il tutto culmina in 5,6b in un'ammonizione, formulata positivamente, sul timore di Dio. È possibile dunque distinguere in 4,17-5,6 una serie di quattro esortazioni, che hanno una struttura simile: 159 4,17a 5,la 3a 5a
semor ragl'ykii 'al-fbahel 'al-pfka 'al-f'a/Jer lesatrm6 'al-titten 'et-pfkii
+ + + +
due frasi esplicative (17a+b) idem (lb+2) idem (3ab+4) idem (5b+6)
In 4,17a è sicuro che l'ammonizione riguarda il contegno da assumere nella casa di Dio (cf. per l'espressione bet hii'i?lohfm Pr 25,17). Un problema di interpretazione sorge per l'espressione seguente: w"qiir6b /isemoa'. Essa può essere considerata come una continuazione di semor; in tal caso l'infinito assoluto weqar6b assume la funzione di un imperativo, quindi l'ammonizione suonerebbe così: «avvicinati per ascoltare». Ma l'infinito potrebbe essere inteso come il soggetto di un min ellittico e sarebbe così il primo termine di paragone: l'ascoltare o l'obbedire è preferibile al donativo degli stolti. 160 Questa esegesi sembra la più attendibile, soprattutto se si tiene conto dei versetti seguenti, in cui al silenzio si contrappone il parlare frettoloso degli stolti. 161 Inoltre l'affermazione che l'obbedienza è migliore del sacrificio risulta volutamente tradizionale (cf. 1Sam 15,22; Pr 15,8; 21,3; 21,27; Am 5,21-25; Os 6,6; ls 1,1Oss; Mi 6,6-8; Ger 7).162 In 5,1-2 si trova un'ammonizione contro il parlare precipitoso, espresso in 5,la secondo il parallelismo sinonimico: 'al-fbahel 'al-pfkii welibbekii 'al-yemaher. L'ammonizione, inizialmente in forma negativa, è poi motivata con il kf, attraverso l'antitesi bassiimayimj'al-hii'iire~. Sottolineando in tal modo la distanza tra Dio e l'uomo, Qohelet vuole evidenziare il potere della divinità e forse anche l'impotenza dell'uomo a modificare la volontà di Dio, per cui moltiplicare le parole nella preghiera è del tutto inutile (cf. ad es. Sal 115,3). L'ammonizione conclusiva, in forma positiva, a essere parchi nel parlare è motivata da un proverbio, strutturato, come 5,la, secondo il parallelismo sinonimico. In esso si vuole porre sullo stesso piano il sogno e la voce dello stolto; le molte preoccupazioni danno origine a sogni ansiosi,163 come dal vano moltiplicarsi delle parole ha origine il discorso dello stoltO. I64 Il proverbio è perfettamente in linea con la critica di Qohelet all'affaticarsi senza senso dell'uomo e al vano moltiplicarsi delle sue parole. Infine in 5,3-6 il tema della parola viene sviluppato nell'ambito di un discorso sul voto e sulla necessità di far fronte all'impegno assunto nei confronti di Dio. L'ammonizione a portare a compimento il voto: neder le'i?lohfm 'al-f 'a/Jer lesa liem6 è formulata secondo lo stile tradizionale; trova infatti il suo esatto corrispondente in Dt 23,22-24, di cui il v. 22a è riprodotto quasi letteralmente in
160 Cf. la traduzione di RAVASI, Qohelet, 192; CRENSHAW, Ecclesiastes, 114-116. Diversa inEcclesiaste, 198, che fa del termine ziiba1J (sacrificio) il soggetto: «infatti li sacrificio ... è cosa seria e val più di un qualunque donativo degli stolti». . 161 Cf. LOADER, Polar Structures, 74. Il v. 17c potrebbe anche essere interpretato in senso irallICO: gli stolti in quanto tali non hanno neanche la consapevolezza di agire male. Così N. LOHFINK, «Warum ist der Tar unfahig, bose zu handeln? (Koh 4,17»>, in ZDMGS 5(1983), 113-120. 162 Su questi paralleli cf. RAVASI, Qohelet, 195; CRENSHAW, Ecclesiastes, 115-116. . 163 DI FONZO, Ecclesiaste, 199 riporta in parallelo un testo accadico: «Scaccia le pene e l'anSietà dal tuo cuore (lett. tuo costato), pene e ansietà creano (i cattivi) sogni». . 164 Questo versetto viene attribuito da SIEGFRIED, Prediger, 51 a Q5 e da PODECHARD, L'Eccléslaste, 337-338 al lfiikiim a causa della sua intonazione sapienziale. ~erpretazione in DI FONZO,
. ~57 SIEGFRIED, Prediger, 49-51 considera 4,17-5,7 come un'interpolazione di Q4 (illfiisfd) e attnbmsce Qo 5,2.6a.8 a Q5 (illfiikiim). PODECHARD, L'Ecclésiaste, 163-164 fa invece risalire 4,175,6 al Hiikiim. 158 LOADER, Polar Structures, 73-76. 159 Condivido qui lo schema di SCHOORS, «La structure littéraire de Qohéleth», 105. Sulla struttura della pericope cf. anche ELLERMEIER, Qohelet, 1,1, 112.
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3a. '65 Ma, da più parti si è sottolineato che questo testo trova riscontro, oltre che nell' Antico Testamento, anche nella sapienza mesopotamica e in quella greca; 166 accanto alle ammonizioni dei consigli sapienziali accadici e a una tavoletta di Ugarit, il cui contenuto richiama da vicino anche Qo 4,17 e S,l, non si può fare a meno di citare anche il retore Menandro, il quale ammonisce a non credere che Dio dimentichi un voto. 167 L'impiego costante dell'imperfetto, in questo versetto e nei seguenti, indica che l'autore considera l'emissione del voto come una pratica corrente, quotidiana. È innegabile che qui Qohelet riporti il punto di vista della tradizione sulla pratica del voto e ciò ha indotto i sostenitori della pluralità delle fonti ad attribuire tutta questa sezione a un autore diverso dal Qohelet, illfasid e illfakam. Ma l'uso del detto {ab nel v. 4 è un argomento inconfutabile in favore dell'autenticità di questi versetti. 168 L'affermazione di questo versetto: {ab' aser lo' -tiddor missetiddor welo' fsallem indica infatti il punto di vista di Qohelet, che è quello di scoraggiare in ultima analisi la pratica del voto. In esso il detto {ab fornisce, come in 4,17, la motivazione dell'ammonimento precedente 169 e determina uno spostamento di accento dall'area generale del culto a quella specifica del voto. Inoltre in entrambi i «detti {ab» di questa pericope l'elemento B si pone in contrasto con l'elemento A. 170 Il v. S riprende il tema della parola sia nel sostantivo pika, sia nel verbo 'mr;l71 il fatto poi che in 5b ricorra un altro termine caratteristico di Qohelet, 'etma'iiseh, conferma l'autenticità della pericope. La conclusione di tutto il discorso è nel v. 6. Precisare a questo punto la sintassi del versetto potrebbe essere importante per chiarire soprattutto il rapporto tra il tema della vanità e quello del timor di Dio. La difficoltà è dovuta al fatto che il waw congiunge tre parole: lJalomot, hiibiilim, debarfm, che non hanno una diretta relazione con l'imperativo: ki 'et ha'elohim yera'.
Sulla base del Sal 94,19 Gordis traduce la proposizione con «a dispetto di»;172 Whitley, invece, si basa sull'uso asseverativo di waw e traduce: «for in a Olultitude of dreams and vanities there are indeed many words».173 Non esiste quindi una traduzione soddisfacente della prima parte del ver- settO: ci si può solo limitare ad affermare che Qohelet vuole istituire un rapporto tra sogno, vanità, parola e timore di Dio; non è però possibile per il momento esplicitare i termini di questo rapporto. Inoltre gli elementi a disposizione non sono sufficienti a risolvere il problema dell'incidenza che il tema del timor di Dio ha nel contesto dell'opera; è più opportuno quindi rinviare la discussione del problema a tempi successivi (cf. l'esegesi di 7,18; ma soprattutto 8,12-13). 7. L'ingiustizia nello stato (5,7-8) Il testo sembrerebbe trovare in 5,6 la sua conclusione, almeno per quanto riguarda il tema iniziato in 4,17. In 5,7-8 si passa a un argomento completamente diverso: la giustizia sociale, e in 5,9 inizia un discorso sulla ricchezza che, come si vedrà, non ha alcuna attinenza con i vv. 7_8. 174 Questi sembrerebbero dunque del tutto isolati sia da 4, 17-S,6 che da 5,9ss. Esiste però un dato sul quale occorre riflettere ed è l'uso della seconda persona singolare, mentre a partire da 5,9 Qohelet parla alla terza persona singolare. Può essere un imporiante indizio che l'autore ha voluto collegare questi versetti all'unità precedente. C'è quindi una continuità formale ma non tematica; ciò tuttavia non dovrebbe più stupire in un testo, come quello del Qohelet, la cui caratteristica principale è quella di passare da un argomento all'altro, per poi riprendere di volta in volta i temi trattati, considerandoli però da un altro punto di vista. In questa sezione, che va da 3,17 a 5,8 è evidente il procedimento a spirale: "-
,/
3,16 165 Per un confronto diretto tra i due testi si veda D. MICHEL, Untersuchungen zur Eigenart des Buches Qohelet, de Gruyter, Berlin-New York 1989, 225-258. Cf. uno sviluppo parallelo in Sir 18,21-23; Lv 27,1ss; Nm 30,3; MI 1,14; Sal 50,14. Sul tema del voto cf. anche la letteratura talmud1ca, in ~articolare il trattato Nedarirn. 66 I testi extrabiblici, paralleli al nostro, sono riportati da DI FONzo, Ecclesiaste, 200; cf. anche RAVASI, Qohelet, 198-201. 167 MENANDER, Sententiae, 347. 168 Per l'autenticità della pericope cf. anche GORDIS, "Quotations in Wisdom Literature», 131, nota lO. 169 La proposizione relativa, introdotta da 'iiser, contiene un'enunciazione che gioca il ruolo di soggetto nella proposizione di cui lob è predicato. Su questa costruzione cf. GESENIUS-KAUTZSCH, Grarnrnatik, 157c; PODECHARD, L'Ecclésiaste, 338; CRENSHAW, Ecclesiastes, 117; MICHEL, Untersuchungen, 213-217. 170 Altri esempi in OGDEN, «The "better"-Proverb», 497. . 171 Per il problema dell'interpretazione di rniil"iik cf. DI FONzo, Ecclesiaste, 202. I commentt più recenti si orientano a tradurre con «ministro». Cf. CRENSHAW, Ecclesiastes, 117; RAVASI, Qohelet, 200-201. Sul versetto cf. anche DAHooD, «Canaanite-Phoenician Influence», 203; A. ROFÈ, (,"The Angel" in Qoh 5,5 in the Light of a Wisdom Dialogue Formula», in ErIs 14(1978), 105-109; R.B. SALTERS, «Notes on the History of the Interpretation of Koh 5,5», in ZAW 91(1978),95-101.
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4,3 /
/
I vv. 7-8 segnano infatti il ritorno al tema dell'ingiustizia, considerato però nel contesto della struttura statale;175 a un'osservazione basata sull'esperienza
GORDIS, Koheleth, 239-240. WHITLEY, Koheleth, 50 si basa su 2Sam 3,38; Sal 49,21; Sal 90,2 e la letteratura ugaritica. 174 Alcuni autori fanno concludere questa unità in 5,8; cf. CRENSHAW, Ecclesiastes, 118-119, ma soprattutto LOADER, Polar Structures, 75, che assegna a questi versetti la funzione di sommario. DIversa opinione in LAUHA, Kohelet, 103-105 che invece considera i vv. 7-8 come unità a sé stante, che non_ ha alcun rapporto né con ciò che precede né con ciò che segue. 17, Il termine rn'dynfì è tipico delle ripartizioni politiche persiane. 172
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segue un'ammonizione a non meravigliarsi o scandalizzarsi. La motivazione espressa con ki fa riferimento al sistema gerarchico in atto fin dai tempi dell'im_ pero persiano, in cui gli impiegati erano subordinati gli uni agli altri. Il v. 8, che secondo alcuni è una glossa,176 sembra invece delineare la situazione della politica agraria nel III sec. a. C., quando i territori venivano amministrati dal re «Con la stessa disinvoltura di un agricoltore macedone con le proprie terre».177 Comunque, anche se manca al Oohelet la protesta appassionata contro le ingiustizie, non si può neanche parlare di rassegnata indifferenza, perché non sfugge a nessuno il tono ironico che pervade il discorso.
8. Vanità delle ricchezze (5,9-6,9)
Il v. 9 del quinto capitolo indica senza dubbio l'inizio di una nuova sezione, sia perché dal punto di vista formale si passa da un discorso alla seconda persona singolare a un'esposizione in forma aforistica sia perché si affronta un nuovo tema, che è quello delle ricchezze. Ma, dove si conclude la sezione? Il tema trattato sembrerebbe avere la sua conclusione logica in 6,7, in quanto al v. 8 troviamo due interrogativi: mah-yoter lelJakam min-hakk'sfl mah-lle'Cmi yodea' lahàlok neged halJayyim
Essi, almeno in apparenza, non hanno alcun rapporto con il tema trattato e però possono ricollegarsi a 5,9. Anche il detto (ob di 6,10, così enigmatico nella sua formulazione, fino a che punto si ricollega alla unità precedente? In realtà soltanto l'espressione gamzeh hebel ur'ut rualJ (6,9), la quale fa inclusione con: gam-zeh hàbel (5,9) può contenere un indizio a favore della delimitazione della sezione in 6,9. 178 Per quanto concerne invece la struttura, l'unità compresa tra 5,9 e 6,7 presenta numerosi elementi formali, che rendono possibile individuarne l'articolazione. Dando uno sguardo di insieme a tutta la sezione, ciò che balza maggiormente in evidenza è la frase: yéS ra'a /fola ra'iti ta/fat hassames in 5,12, che ritor-
176 Cf. PODECHARD, L'Ecclésiaste, 345, secondo il quale l'intenzione del glossatore era quella di attenuare la critica fatta nel versetto precedente all'ordine stabilito. Sulla problematica inerente al versetto cf. anche DI FONZO, Ecclesiaste, 204-205. !TI Così M. HENGEL, Ebrei, greci e barbari, (SB 56), Paideia, Brescia 1981, 48. 178 Con SCHOORS, «La structure littéraire de Qohéleth», 105. Per questa delimitazione cf. anche C.D. FREDERICKS, «Chiasm and Parallel SIructure in Qoheleth 5,9-6,9», in JBL 108(1989), 17-35.
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uasi identica in 6,1, per cui è subito possibile individuare in questi due verna ( l'inizio di due sottosezioni, delle quali è necessario definire i contorni in set niera I ISI de l testo. più dettag l'lata attraverso l' ana l'' ma A partire da 5,9 si può notare come fino al v. 11 si succedono tre proverbi, . cui si evidenziano i termini (oba (5,10) e 'asir (5,11); il primo poi ritorna anche ~n 6 3.6 confermando l'unità di questa sezione. IO , L'aforisma del v. 9, strutturato in due membri paralleli, contiene l'enuniazione del tema generale: l'insaziabilità (cf. 1,8 e 4,8). Alla luce di questo testo ~cquista un significato più preciso l'insaziabilità dell'occ~io,. di cui si tratt~va ~n 1,8; nel poema iniziale, il Oohelet non intendeva fare n~enme~to al d~sIdeno dell'uomo di esplorare la realtà, ma piuttosto alla brama InsoddIsfatta dI possedere ciò che vede. Il giudizio di vanità che segue immediatamente rivela che 00hetet considera ciò negativamente. Il v. 10 sviluppa il tema mostrando l'aspetto negativo che si accompagna al moltiplicarsi delle ricchezze, le quali generano quasi spontane~ment.e anche ~l moltiplicarsi di chi le divora; il be iniziale indica la contemporaneItà del due fattI. Al padrone non rimane altro frutto (kisron)179 del suo lavoro che il vedere con i propri occhi; è una espressione ironica che il Oohelet usa per indicare la magra soddisfazione di constatare da un lato l'accrescersi delle proprie ricchezze, dall'altro il loro assottigliarsi a causa dei parassiti. Il proverbio del v. 11 esprime il pensiero di Oohelet: esso presenta una struttura chiastica: A-B-B'-A'. Al sonno tranquillo del lavoratore si oppone l'insonnia del ricco. Osserviamo anche l'opposizione e la paronomasia tra il sostantivo haSsaba' di 5,11 e l'espressione lo'-yisba' del v. 9a (cf. anche Pr 25,16 e Sir 31,1-4)"80 In 5,12, come poi in 6,1, la particella yes ha come funzione quella di introdurre un esempio,181 che specifica la formula generale ra'iti ta/fat haUameS facendo riferimento a un caso particolarmente doloroso; il participio /fola da /flh, essere malato, soffrire, modifica il sostantivo ra'a, suggerendo l'idea di una grave malattia: 182 la conservazione delle ricchezze, che, però, va a suo danno in quanto provoca stress fisico e mentale. Il waw esplicativo del v. 13 motiva l'affermazione del v. 12: un'impresa sfortunata determina la perdita delle ricchezze e il figlio viene privato della sua eredità. All'immagine dell'abbondanza si oppone quella della povertà, espressa mediante la negazione lo', particolarmente cara al Oohelet, e sviluppata nel v. 14 mediante l'idea della nudità. L'idea del nulla è poi ribadita nella doppia nega-
179 In questo caso il termine kiSron è sinonimo di yitron. Per tale sinonimia cf. CRENSHAW, EccJesiastes, 119; HERTZBERG, Der Prediger, 131; LAuHA, Kohelet, 110. A questi autori si ricollega FREDERICKS, «Chiasm and Parallel Structure in Qoheleth 5,9-6,9», 21. 180 Con DI FONZO, Ecclesiaste, 209. lSl Per questo uso della particella yes cf. ISAKKsoN, Stl/dies in the Langl/age 01 Qoheleth, 173, che propone di ometterlo nella traduzione. Si tratta, secondo l'autore, di una peculiarità stilistica del QoheIet, che trova i suoi paralleli in Pr 11,24; 12,18; 13,23; 18,24; Nm 9,20-21; Nm 5,24. 182 Cf. CRENSHAW, Ecclesiastes, 122; MICHEL, Untersuchungen, 189-190 parla a proposito di questo testo di Grenzlall, un caso limite.
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zione ume'umlì 16', con la quale si sottolinea che il ricco non prenderà dalle sue l84 fatiche l83 assolutamente nulla da portare con sé. In 5,15 è poi ripetuta l'espressione di 5,12, che mediante l'uso dei verbi hlk (andare) e bw' (venire) si ricollega al poema introduttivo. Attraverso gli avverbi comparativi kol_'ummat I85 e kén Qohelet insiste nel sostenere, in conformità alla concezione espressa in 1,3-11, che non esiste alcun progresso nella vita dell'uomo, per cui l'inizio coincide con la fine; per questo il lavoro dell'uomo, inteso come fatica, si rivela in tutta la sua vanità. L'interrogativo di 1,3 viene riformulato nel contesto di un discorso sulla ricchezza, ancora una volta in forma retorica e postulando una risposta negativa. Il v. 16 non si ricollega quindi al versetto precedente, ma a ciò che segue. I vv. 16-17 costituiscono un'unità dal punto di vista semantico, in quanto ricorrono gli stessi termini: v. 16 kol-yiimayw; v. 17 yeme-~ayyiiw; v. 16 y6'kél; v. 17 le'ékal, nonché l'opposizione tra w'kii'as harbéh we~olya waqa~ep del v. 16 con l'ékal-welistOt del v. 17. Al lavoro stressante Qohelet propone ancora una volta come alternativa la gioia di godere del frutto del proprio lavoro. L'espressione (ab 'flSer yiipeh traduce, secondo alcuni, il greco xaì-òç xàya86 ç186 ma l'equivalenza è respinta da altri critici: ciò che è utile e conveniente è godere del frutto delle proprie fatiche durante la propria vita. Il v. 18, per l'uso della locuzione kol-hii'iidiim 'aser e per il concetto di dono di Dio, si ricollega a 3,13; non ne è però la pura e semplice ripetizione, in quanto la ripresa della stessa tematica serve qui a dare una risposta al problema specifico che viene trattato in 5,9ss: quello dell'incapacità dell'uomo a godere del frutto del proprio lavoro. Nel capitolo terzo il problema era invece quello dell'incomprensibilità del piano divino. La conclusione del v. 19, introdotta da kf, è che godendo del frutto del suo lavoro, l'uomo occuperà il suo cuore con gioia. L'affermazione di 6,1 riprende 5,12.15, omettendo però il qualificativo ~allì. La nuova sciagura che Qohelet prende in considerazione è la sorte che tocca a chi, pur essendo stato ricoperto da Dio di «ricchezze, tesori e onori»187 non riesce a goderne perché è un estraneo a goderne. Il tutto viene ricondotto alla misteriosa volontà di Dio. Per quanto riguarda 6,3-6 questi versetti sono in parallelismo antitetico con 5,17-19 e in linea con 5,13-16. Il v. 3 sviluppa infatti l'idea espressa in 5,1215, mediante un periodo ipotetico composto di una protasi in 5 clausole, di cui 3
1~3
Sul be di ba'ama/o. WHITLEY, Kohe/et, 52-53, che sostiene l'equivalenza di be con min in base a 2Sam 22,14; Sal 18,14; 2Cr 25,23. L'autore fa ricorso, per suffragare questa sua tesi, anche a paralleli della letteratura ugaritica. e fenicia. Sul tema della ricchezza si veda anche N. LOHF1NK, «Koheleth und die Banken: zur Ubersetzung von Koheleth V,12-16», in VT 39(1989),488.495. 184 Sui paralleli extra biblici di questa immagine del ricco, che non può portare con sé il frutto delle sue fatiche, cf. DI FONZO, Ecclesiaste, 210. 185 Si tratta secondo CRENSHAW, Ecclesiastes, 123 di un aramaismo, che fonde k' + r + 'ummat. Cf. un'espressione analoga in Dn 2,40. 186 Cf. BRAUN, Kohelet, 54-55. 187 Cf. CRENSHAW, Ecclesiastes, 125-126.
po~itive.e 2 negative. Precedentemente (5,12-15) Qohel t '. . so III cUi alla e ~~eva . nascita . di un figlio il ricco avesse pe r d u t o t uttI I SUOI.lpotIzzato beni' ..Il cace pren d.e III conSiderazione il caso in CUI' un o a bb'la generato molf f ' qUi . l' mve. per mo lti anm, senza però la possibilità di' god ere d' I Ig I e' viva el SUOI. bem. e senza d gu~ta sepo ltura. Alla protasi così articolata segue l'apodo' un a eSI, espressa dal comparatIvo (ob: meglio di lui l'aborto.
li v. 4 con il kf, che ha valore causale e concessivo svilu l " . .' ppa a motivazIOne dell'affermazione precedente Il tema e l'o no gli stessi di 4 1-3' l'o '. rgamzzazlOne semantica del testo so" s c u r a eSI~tenza dell'aborto, più simile alla mo ( . " che all.a vita, è preferibile , , rIpOSO, I sostantivo nahat del 5' . 4,6, dove, ugualmente contro il lavoro faticoso e st~essant: d' r~~or~e an~ora m ' I sara C I,mua a accumulare, t . il9 Qohelet 17 . afferma il valore della calma ' Il t ermme nuovament usa o III . ' , ogm volta però in un contesto diverso e Il d.lscorso continua nel v. 6 con un nuovo eriod··· . . con un lmguaggio paradossale esprime l'ipotesidi o l~oteltIco, I~ CUi pr?tas~ quella di Matusalemme o dello stesso Adamo h un~ vita ,un~a Il doppIO di mento dei ' b ., ., .. ' c e pero non e vissuta nel godi'ehM h kf~rPhr~l-kem. L apodOSI e costitUita dall'interrogativo: M16' 'el-miiqam . a o. o e che rIcorda molto da vicino 3,20. . . In 6,7 SI trova la conclusione della perico e h un percorso curvo' il v 7 . f d' ~ , c e pone fme al discorso come ogni fatica dell'uo~o è'fi~~~zz~~:l slo~~~g~:~~~;e~~a ne~l~'prim~ parte che con un. waw avversativo, che l'uomo non p qUi, III par~lIehsmo con pfhu, indica la sede dell'ap ft 188 ' A conclUSIOne dell'analisi il testo di 5 ,9-6 ,7' pe I COSI o. , artIcolato: . SI presenta 189
~~~b~i~e:lh~~c~u~:a~~onvteaC?nglU~!li)
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A (5,9) a:1" esemplificazione (512-14) ,
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b'·2 a
b:2a esemplificazione (5,15-16) C.'I'1 do(5no18)d'l D'IO ,_
A'(67) '·.
•
esemphfIcazlOne (6,6)
a" . a." lesemphflcazlOne (6,3-5) c' :1'1 d ono di Dio (6,2)
___ ----'"::J • 188 Con DI c' InterpretazionI' chFONZO ' Ecles/aste, 218, Il. quale cita al riguardo Pr 1626' Gb 2012 Sull d' e sono state date del t ' _. ",. e IVerse
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~rAs~i ~(i9~11~~~)~i~r_~~ ~a~Ug~:sti~~~~~:r;:~t~z:~n~u~r~. ~s~~~~~~ <~~~E~~~~~~~;e'::
sc~-369, c~.e ricollegano il suffiss~ ro~~C:::' «Hebre::vygantlc_ m. Lexicography», in Bib 49(1960), u coerso sull IOsaziabilità alle fauci d~llo s" ot a1e dI con maqom del v. 6, nferendo quindi il direnl~ con il contesto che è decisam t come m r .27,10; 30,16; questa interpretazione non è h A conclusioni analo h . en e onentato m senso antropologico. (~I~~~)~'B9-6,9», 18-19, che po~e~ng~~7~:n~:c3ep=::~~RICKS,~Chiasm and Parallel Structure in Qo, , (5,12-16, g-i) = B (63-6)' C (5 17 19 .el)lsmoCc, lastlco del testo: A (5,9-11, a-f) = A' , , , - , J- = (6,1.2).
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.. I vv. 8-9, che seguono subito dopo, sono di difficile collocazione. Anche se il v. 8 inizia con un kf,l90 è difficile sostenere l'esistenza di un collegamento logico tra questo versetto e ciò che precede; piuttosto esso riprende nella prima parte la problematica di 2,15 e richiama nella seco~da pa.rte .4,13-16 e 9,13-16. È appunto alla luce di questi testi che si compre~de Il du~hce l~terro gativo del v. 8. Di fronte alla morte sparisce ogni distinzione tra Il sa~glO, e lo stolto e anche il saggio comportamento del povero nel corso della sua vita e annullato dalla morte. Il legame esistente tra 5,9-6,7 e 6,8-9 è dato dunque dal tema della morte. 191 Il «detto rab» di 6,9, pur essendo formulato in uno stile tipicamente tradizionale, contiene il punto di vista del Qohelet, ma la forma enigma.ti~a d.el proverbio stesso non ne facilita certamente la comprensione. Il punto di nfenmento l92 essenziale rimane comunque il problema della morte. Secondo Ellermeier è il contesto stesso che suggerisce di interpretare il testo in questo senso: tene~do conto del fatto che bisogna morire, è preferibile gioire di ciò che è concreto pmttosto che mehiilak-napes (6,9). L'espressione, che ricorda la oQI!i] "ti]ç 't\Ju xi] ç. di Marco Aurelio 193 indica il fantasticare, l'andare dietro ai sogni. 194 La conclusIOne del versetto 'gam-zeh hebel Ct,-e'CtI rCtal! pone però un altro proble~a: il.giudizio di vanità si riferisce a tutto il proverbio o soltanto al secondo termme di paragone? L'una e l'altra ipotesi, a mio avviso, sono possibili, in qua~to il giudi~io di vanità potrebbe essere formulato dal Qohelet anche sull'alternatIVa che eglI propone (cf. ad es. 2,26). . Ma qual è la funzione di questi versetti rispetto all'unità precedente? POIché il v. 7 chiude senza dubbio la sezione che inizia in 5,9, i vv. 8-9 possono essere considerati come la conclusione di questi primi sei capitoli. 195 Ma l'osservazio-
191) Con CRENSHAW, Ecclesiastes, 128, che interpreta il ki non co~e ca~sale ma come asseverativo; contro DI FONZO, Ecclesiaste, 218, secondo il quale Qohelet c0':ltmua 1.1 p.enslero precedent~ sottolineando in tal modo l'insoddisfazione dell'uomo non solo nel bem matenah ma anche m quell superiori della s a g g e z z a . . _ 191 Particolarmente difficoltosa è l'interpretazIone della seconda parte del versetto 8b. C~EN SHAW Ecclesiastes 128-129 mette bene a fuoco il problema «Are "the poor" and "who knows' the same "erson or tw~ different types of people? If ~he_prepositio~mi~ carries o~er_from the fIrSt h~ of the verse, a comparison is made between the a,nt ~nd the yodea , makm~ ant equ~~alent to kam, which parallcls it. The usual translauon for ant IS unsalIsfactory, for the, poor were rare~ considered wise by Qohelet or is predecessors». WHITLEY, Kohelet, 59 propone oneh «a shre~d intelligent speaken, al posto di 'tini, e cita Gb 9,14,15 e Sir 9,14; ma neanche quest,a proposta nsolve il problema a meno di intendere il versetto in senso ironico: qual è Il vantaggIO dell uomo mtelhgent~ (sott. sullo stolto), che, tradizionalmente parlando,.è c?lui che sa comportarsI bene nella Vlt~~ 192 F. ELLERMEIER «Die Entmachtung der Welshelt 1m Denken Qohelets. Zu Text und A slegun~ von Qoh 6,7-9», 'in ZThK 60(1963),1-20, seguito da OGDEN, «The "Better"-Proverb», 501. 93 MARCO AURELIO 3,19. Ma cf. anche Ez 11,21; Gb 31,7. t 194 Non vi è motivo di tradurre con WHITLEY Kohelet 60: «better the pleasure of the momen '.. b'l ' Il . e alla , than the departing of life», anche se l'uso del verbo hlk contiene mnega I mente un a USlon
morte. .' • Od' 79 la 195 Erroneamente SCHOORS «La structure httéralre de Qoheleth», 106-1 7 fa el vv. conclusione della sezione che inizi; in 5,8, mentre non si può negare che tra i vv. 7 e 8 non c'è continuità.
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ne più importante dal punto di vista formale è che dopo 6,9 n,on ricorrono più le espressioni caratteristiche come: gam-zeh hebel Ct,-e'CtI rCtal!. E questo un indizio importante che a partire da 6,10 ci troviamo di fronte a una svolta. 1%
9. Un'unità di transizione (6,10-12)
Questi versetti costituiscono, secondo Crenshaw, 197 un'unità di transizione; Wright ne fa l'introduzione alla seconda parte del libro, che inizierebbe al c. 7 e considera i vv. 6-9 come un riassunto dei capitoli precedenti .198 Effettivamente il v. lO segna l'inizio di una nuova riflessione, che però contiene una serie di allusioni a temi trattati precedentemente. L'espressione del v. 10a mah-ssehayà !Cbiir richiama direttamente 1,9 e 3,15, gettando nuova luce su questa proposizione, in cui il neutro si riferisce evidentemente alla storia dell'uomo considerato nella sua totalità di genere umano. 199 Tutto ciò che esiste e accade è stato già determinato da tempo (mah-ssehayà !Cbiir niqra' semo ) ed è noto (wenada' 'iiser-hCt'); come si sa, il nome indica nel modo semitico l'essenza e la funzione dell'oggetto. In questo caso hCt' si riferisce alla realtà tutta intera, che essendo già determinata, è già nota (wenoda'); senza arrivare a condividere l'interpretazione di Dahood2°O che, cambiando 'aser-hCt' con 'aserehCt e collegandolo con nada', traduce «and its destiny was known», è innegabile che nel testo del Qohelet vi sia un'accentuazione della predeterminazione e della prescienza divine. 201 Non si può però parlare di determinismo a proposito del Qohelet, ma forse neanche a proposito della sapienza orientale in genere. 202 Nel Qohelet come nel Siracide 203 determinazione divina dei tempi e libertà dell'uomo coesistono in una tensione dialettica in cui i due poli non si annullano ma si comprendono reciprocamente. È però vero che nel Qohelet l'accento si sposta più decisamente sull'elemento divino, rispetto al quale si riduce di molto lo spazio e l'incisività dell'azione dell'uomo. Quest'accentuazione si spiega con «l'influsso» del
196 È soprattutto WRIGHT, «The Riddle of the Sphinx», 322 che ha messo in evidenza l'importanza di questo indizio stilistico e del break che si ha a partire dal v. 9. 197 CRENSHAW, Ecclesiastes, 130. È da respingere l'opinione di quanti sostengono che questi versetti non siano del Qohelet. Cf. oltre Siegfried, che li attribuisce a Q4, anche LORETZ, Qohelet, ~30-231, nota 63, il quale pone l'accento sulle difficoltà grammaticali e sintattiche per evidenziarne a dIsorganicità. Diversa opinione in LAURA, Kohelet, 118, chc ne afferma l'unità stilistica e temalica. 198 WRIGHT, «The Riddle of the Sphinx», 322-323.329-330. 199 Contro SACCHI, Ecclesiaste, 174-175, che traduce il termine 'tidiim con «ogni individuo». 200 DAHOOD, «Canaanite-Phoenician 1nfiuence», 208. 201 Cf. per questa tesi G. Von RAD, La Sapienza in Israele, Marietti, Torino 1975,235·252. 202 Condivido a questo punto l'opinione di SACCHI, Ecclesiaste, 172-174: l'idea che tutto ciò ~he avviene sulla terra risale alla volontà degli dèi è convinzione comune a tutta la teologia del mano onentale, senza che con ciò si debba parlare di determinismo. 203 Sul Siracide si veda il lavoro, più volte citato, di PRATO, Il problema della teodicea, 209-299.
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pensiero greco e in particolare del fatalismo stoico?204 Non è un'ipotesi assurda; per 1,4-11 e 3,10-15 non è affatto da escludere che Qohelet avesse familiarità con la filosofia greca e che abbia tenuto conto delle sue problematiche. Ma la percezione dell'insufficienza dell'uomo di fronte all'onnipotenza divina è interamente biblica. L'affermazione immediatamente seguente, che l'uomo non può competere con chi è più forte di lui 20S (Dio), avvicina nuovamente Qohelet a Giobbe. Non stupisce a questo punto quanto Qohelet dice nel v. 11 a proposito della vanità delle parole, ma anche degli eventi umani! Come sottolinea Ravasi, «La frase, che in ebraico è fortemente allitterata quasi a segnare il giro che si stringe attorno a noi (debiirfm harbeh marbfm hiibel), è un'altra sferzata contro la sapienza tradizionale, contro i luoghi comuni ottimistici, contro ogni attesa e speranza. Il senso di vuoto che prova Qohelet si coniuga con quello di impotenza; il gorgo delle parole è simbolo di un abisso e di un vortice che ci stanno aspirando, quello del non-senso e della morte».206 Il v. 11, riprendendo il tema della sezione 4,17-5,6 sull'inutilità delle parole (5,1-2.6), ripropone per l'ultima volta l'interrogativo iniziale del libro sia pure in una forma leggermente diversa: mah-yy6ter lii'iidiim (cf. 2,10). Rimane ora da considerare il v. 12, che contiene due interrogativi retorici. 207 Il primo nega all'uomo la possibilità di conoscere ciò che è bene per lui nella sua esistenza, che qui viene definita per la prima volta come un'ombra;208 in questo modo Qohelet problematizza un aspetto decisivo della tradizione sapienziale, che si proponeva precisamente di indicare all'uomo che cosa è bene per lui compiere nella sua esistenza terrena. Il secondo interrogativo riguarda invece l'avvenire dell'uomo e, come fa osservare Wright, è un tema che sarà sviluppato nei capitoli seguenti (8,7; 11,2b.6b). Neanche questo tema però è del tutto nuovo perché si trova già in 3,22b, nel contesto del discorso sul destino ultraterreno dell'uomo; qui non ci sono dubbi però che 'aljiirayw faccia riferimento al suo futuro storico; e ciò risulterà evidente dall'analisi dei 11,1-6, che riguarda specificamente questo tema. Nell'economia generale del libro i vv. 10-12 si possono dunque considerare, come sostiene Wright,209 un'introduzione alla seconda parte? La risposta non può essere che negativa, perché, come l'autore stesso riconosce, nei vv. 10-11
204 Per il problema del rapporto tra Qohelet e lo stoicismo cf. nuovamente GAMMIE, «Stoicism and Anti-stoicism», 180-185. 205 Concordo con WHITLEY, Kohelet, 60-61 e CRENSHAW, Ecclesidstes, 130 che non si possa accettare la puntuazione del TM, seguita anche dai LXX: XUL ÈyVwoElll Èouv avElQOJltoç e dalla Vg: «et scitur quod homo est». Il termine 'àdàm è invece il soggetto di 16' yukal, come è richiesto dal contesto e allora il waw va inteso in senso asseverativo. Cf. WHITLEY, Kohelet, 61. L'affermazJOne contenuta nel TM sarebbe invece del tutto inattesa, anche se non muta sostanzialmente il senso del testo che intende sottolineare da un lato l'onnipotenza di Dio e dall'altro l'insufficienza dell'uomo. 206 RAVASI, Qohelet, 227. 207 Con CRENSHAW, Ecclesiastes, 131. . 20!1 Secondo DI FONZO, Ecclesiaste, 222 kaHel si riferisce invece all'uomo e non ai gio rm (cf. 8,13). 209 WRIGHT, «The Riddle of the Sphinx», 329-330.
o
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abbiamo la ripresa di temi già affrontati dal Qohelet nei capitoli precedenti: 1,9.15; 3,15, per le tematiche del ricordo e della sovranità assoluta di Dio; ma anche 5,1-2.6 per la vanità della parola, per cui i vv. 10-11 si potrebbero effettivamente .considerare come I~ ricapitolazione delle tematiche trattate in precedenza. RItengo pertanto che I vv. 10-11 forniscano la chiave di lettura dei primi sei capi~oli:.la vanità di ogni sforzo umano si comprende bene alla luce della predetermmazIOne della storia da parte di Dio, di fronte alla quale anche ogni discorso umano si riduce a vuota parola. 210 Diverso è invece il discorso per il v. 12, dove l'interrogativo: mf-y6dea' mah-Hob lii'iidiim in 6,12a sembra preludere alla collezione dei «detti (ab», che segue subito dopo, mentre le questioni sollevate in 6,12b saranno sviluppate nei cc. 9,1-11,6. Tuttavia lo stesso interrogativo mf-y6dea' pone ora in primo piano una problematica che finora ha svolto nei primi sei capitoli un ruolo secondario rispetto a quello che si può considerare senza dubbio l'interrogativo principale di questa parte del libro: mah-yyitr6n. L'accento si sposta così dal piano concreto delI'operatività a quello teoretico della conoscibilità. Per tutti questi motivi ritengo che sia più opportuno parlare per i vv. 10-12 di un'unità di transizione, la cui esatta funzione nel contesto della struttura generale del libro può essere precisata a conclusione dell'analisi dei cc. 7-12.
IV. CONCLUSIONE È opportuno a questo punto tentare un bilancio sia pure provvisorio dei primi sei capitoli, che potrebbero anche costituire la prima parte dell'opera. In primo luogo è possibile distinguere in essi due grandi sezioni: 1,3-3,15 e 3,166,7, che presentano caratteristiche letterarie e tematiche ben definite. Esiste infatti una stretta relazione tra i primi tre capitoli sia dal punto di vista del contenuto che dello stile. L'interrogativo retorico di 1,3 viene riformulato in 3,9 a conclusione del discorso sul tempo, in un contesto analogo a quello del poema iniziale. In 1,4-11 sono descritti infatti i fenomeni che determinano i ritmi della natura secondo cicIi immutabili e uniformi, che segnano ugualmente la storia come la natura impedendo ogni processo evolutivo. Lo stesso determinismo inesorabile si riscontra in 3,1-8, sia pure in una dialettica di tempi che sembra creare l'impressione di u.n maggiore dinamismo, ma tra le 14 polarità che scandiscono il tempo l'uomo nmane come schiacciato. Di qui l'interrogativo: «Quale vantaggio»? Di fronte al corso della natura e degli avvenimenti l'uomo infatti è impotente (3,15). . Si può pertanto individuare un filo conduttore unitario dal primo al terzo capitolo nel tema della determinazione dei tempi da parte di Dio: si tratta in ef-
210
Cf. anche RAVASI, Qohelet, 226-227, che parla più specificamente di teologia.
133
. fetti in 1,9-10 come in 3,15 dell'inserimento dell"ét nell"6/am, di cui però l'uomo non riesce ad avere una vera conoscenza. Di qui scaturisce anche lo scacco della sapienza di cui si parla nel secondo capitolo. L'enigmatico Qohelet ha inoltre lasciato un indizio oggettivo della sua intenzione di condurre una riflessione sulla creazione ed è l'uso del numero 7, che ricorre in tutti e tre capitoli: nei 14 verbi di 1,4-7, che descrivono il movimento ripetitivo e ciclico degli elementi della natura; nella struttura settenaria di 1,122,26, che culmina nel motivo della gioia; nelle 14 polarità che scandiscono il ritmo del tempo. In questi primi tre capitoli la creazione è l'orizzonte onnicomprensivo in cui si svolge la riflessione di Qohelet, ma per lui la fede nell'ordine e nella perfezione dell'universo creato da Dio non è fonte di sicurezza bensì di frustrazione e angoscia: lo ' E/6hfm sovrasta tutto nella sua onnipotenza. Di qui l'interrogativo angoscioso: quale vantaggio? Non si può fare a meno, però, di chiedersi: per quale motivo un dato pacifico per la cultura di Israele, qual è appunto l'esistenza di un ordine nel mondo, diventa così problematico nel Qohelet? La risposta andrebbe ricercata nella situazione storica e culturale dell'opera, che, in mancanza di dati storici sicuri, può essere ipoteticamente ricostruita, al termine dell'analisi, proprio partendo dal messaggio e dai destinatari di questo messaggio. Un'altra costante dei primi tre capitoli è costituita dal ritornello sulla gioia, che ricorre in 2,24 e 3,12-13, la prima volta nel contesto del discorso sulla sapienza e i suoi limiti, la seconda volta in relazione al tema del tempo e dell'inconoscibilità del disegno di Dio. In entrambi i casi l'invito a gioire della vita e dei frutti del proprio lavoro scaturisce dall'amara constatazione delI'impotenza dell'uomo di fronte alle inesorabili leggi della natura e della storia, per cui l'uomo si sente chiuso come in un cerchio senza via d'uscita. Lo schema seguente si sforza appunto di esprimere quest'angosciosa situazione:
sul culto (4:n~.5,6). Due testi poi sono di difficile collocazione: 4,13-16, la parabola del pnncipe povero, e 5,7-8, l'ingiustizia nello stato. Il primo però fa da pendant all'unità 5,9-6,7 sul tema della ricchezza, poiché analogo è il destino tanto per il povero che sale al potere quanto per il ricco che diventa povero: l'oblio della morte. Il secondo (5,7-8) chiude il discorso sull'ingiustizia, iniziato in 3,16. La conclusione di tutta la prima parte si trova, come si è detto, in 6,8-9 dove ritorna l'interrogativo: quale vantaggio? ' Lo schema conclusivo permette di avere un quadro di insieme della sezione: MORTE
Vanità dell'azione politica (3,16-4,3) MESSAGGIO SOCIALE
4,4-12 è bene lavorare con calma e stare con gli altri
MORTE
Vanità del potere: oblio (4,13-16) MESSAGGIO RELIGIOSO
4,17-5,6 Onora e temi Dio Vanità dell'azione politica (5,7-8)
MORTE
Vanità della ricchezza (5,9-6,7) CONCLUSIONE Quale vantaggio? (6,8-9)
1,3 1,4-11
Quale vantaggio? 3,9
[
::~:
.
1,12-2,26 vanità della sapienza
, -t
:10-15
Più complesso ancora è il discorso sui cc. 3,16-6,9, dove la trama è meno facilmente individuabile. Vi è però un elemento predominante: la morte, che costituisce il criterio ultimo di verifica sia per l'azione politico-sociale (3,164,3.13-16; 5,7-8) che per l'attività economica del singolo (4,4-12; 5,9-6,7). Due di queste unità, 3,16-4,3 e 5,9-6,7, si situano ai limiti della sezione, al centro invece si collocano altre due pericopi: una sul tema del lavoro (4,4-12) e un'altra 134
L'ombra della morte si stende su ogni forma di attività dell'uomo, reI ati-
vI~zandola; essa abolisce la differenza tra il giusto e l'empio, tra l'uomo e la be-
stIa, tra il povero e il ricco, annullando tutti gli sforzi dell'uomo tesi ad accumulare potere (4,13-16) e ricchezza (5,9-6,7). Si riprende pertanto sotto forma diversa il tema dell'impotenza dell'uomo, già trattato nella sezione precedente (~,3-3,1.5); nulla si può modificare nell'ambito storico-sociale, in quanto l'espeflenza ~Imostra che non esiste alcun g6'é/ in difesa degli oppressi. Di qui l'amara con~luslOne che sarebbe preferibile non essere mai nati; né vale la pena affaticarSI ad accumulare ricchezze, in quanto all'improvviso sopraggiunge la morte. ~a conclusione del Qohelet è analoga alla precedente: meglio l'aborto anziché il fiCCO, che non ha saputo godere delle proprie ricchezze. ..Le due pericopi centrali, sul lavoro e sul culto, contengono il messaggio POSItIvo del Qohelet. In 4,4-12 egli esprime il proprio punto di vista sul ritmo che bisogna imprimere al proprio lavoro: esso va svolto con serenità piuttosto 135
che con fatica (4,6), perché è preferibile guadagnare di meno e vivere la vita pienamente piuttosto che accumulare ricchezze e vivere male. In 4,17-5,6, il Qohelet esprime il suo pensiero in materia religiosa. Contro una certa pratica cultuale, fatta di vuote parole, egli ripropone l'autentica religiosità, che consiste nel timor di Dio. Considerando infine tutti i primi sei capitoli nel loro complesso, si osserva come essi, oltre a essere scanditi dall'interrogativo: «quale vantaggio?», siano unificati dal tema del lavoro dell'uomo. La radice 'mI, come giustamente faceva osservare Castellino, ricorre complessivamente 35 volte nel libro, di cui 30 solo nei primi sei capitoli. La realtà tutta è in continuo travaglio, ma è un travaglio senza senso, perché privo di ogni tensione creativa; tutto è stato predeterminato e all'uomo, la cui esistenza è chiusa in una circolarità senza via d'uscita, sfugge il controllo del suo destino. La morte è la verifica finale dell'inautenticità del suo operato; l'uomo non può competere con chi è più forte di lui e non gli resta altro che relativizzarsi, godendo di ciò che Dio gli dona, senza quindi nutrire sogni troppo ambiziosi (6,9), che alla resa dei conti si rivelano null'altro che vuoto. L'altro elemento costante è il ritornello sulla gioia (2,24-25; 3,12-13; 3,22; 5,17); va però subito sottolineato che l'invito a gioire dei beni della vita deve essere letto alla luce della tematica dell'hebel, in quanto è proprio dalla constatazione che tutto è vanità che scaturisce l'esortazione a godere almeno dei frutti del proprio lavoro. II tema del vantaggio viene poi ripreso in forma diversa nell'interrogativo di 6,12a.b, come oggetto questa volta di un nuovo interrogativo: mf-yodea'. Si tratta ora di vedere nei capitoli seguenti qual è la funzione di questa nuova domanda.
Capitolo terzo
Qohelet e la sapienza tradizionale
I.
CHE COSA È BENE?
1. Una collezione di proverbi t6b (7,1-8)
Un primo testo chiaramente delimitabile, all'interno del c. 7, è dato dal gruppo di proverbi {ab, compreso nei vv. 1-8, di cui il termine {ab costituisce l'elemento unificante. La riflessione su «ciò che è bene», preannunciata in 6,9 con la parola chiave {ab e ripresa nell'interrogativo del v. 12, viene sviluppata attraverso una serie di proverbi, formulati secondo la forma comparativa {ab ... min che attestano il profondo legame di questa sezione con 6,12; resta però da precisare se essi costituiscano o meno una risposta alla domanda: mf-yodea' mah-t{ob lii'iidiim. Esistono poi altri termini ugualmente importanti, che si ripetono a conferma dell'unità di questa sezione: ka'as (7,3.9); leb (7,3.4.7); bét 'ebel (7,2.4); k'sfl (7,4.6) lJiikiim (7,4.7). Il testo però non si conclude al v. 8, in quanto il termine tob ritorna ancora nei vv. 11 e 14; ma l'elemento formale più significativo è l'incl~sione tra il v.le il v. 14 per il sostantivo yom,l in quanto beyom {oba ... Ctbeyom rii'a (v. 14) ricorda weyom hammiiwet miyyom hiwwiil'do (v. 1) in ordine chiastico. 2 Già queste prime osservazioni non consentono di accettare la proposta di R.E. Murphy,3 secondo il quale il testo è articolato in due gruppi così strutturati: 1. - Primo gruppo (7,1-6a). a) Due detti {ab (v. 1). b) Un detto {ab con una motivazione (v. 2).
l Secondo SCHOORS, «La Structure littéraire de Qohéleth», 108 sarebbe questo l'indizio dell'esistenza di un'unità primitiva, ma ciò suppone l'apporto di aggiunte posteriori, che occorre invece dimostrare. 2 È un'osservazione di WRIGHT, «The Riddle of the Sphinx», 330. 3 RE MURPHY «A form-critical Consideration of Ecclesiastes VII», in SBL.SP 2(1974),7785, spec. SO." ,
136
137
Il v. 3 presenta una struttura analoga: detto (ob in 3a, motivazione in 3b, cui corrisponde una riflessione che si pone sulla stessa linea di pensiero del v. 2, se però si traduce l'espressione yf(ab leb con «ha bene il cuore»l0 e non «si rallegra il cuore». \I Il v. 4, che dal punto di vista formale è un detto sapienziale, è strettamente collegato al precedente; da un lato esso riprende il tema dei vv. 2-3 nell'antitesi hebét 'ebel / bebél simfJ.a dall'altro introduce una nuova topica, che ruota intorno all'antitesi sapienza-stoltezza e che continua in 5b-6 nel detto (ob del v. 5, accompagnato dalla motivazione del v. 6a. Il parallelismo tra 7,5 e Pr 13,1 prova che Oohelet si sta confrontando con la tradizione; infatti l'idea che il rimprovero del saggio è migliore del canto degli stolti è tipica della riflessione sapienziale,12 ma il commento di 7,6b wegam-zeh habel dimostra ancora una volta che l'autore assume un atteggiamento critico rispetto ai contenuti della tradizione. Il giudizio di vanità si riferisce, a mio avviso, non al cantico degli stolti ma a tutto il discorso sulla superiorità della sapienza sulla follia, per cui questo testo si ricollega alla tematica sviluppata nel secondo capitolo. l3 Il kf del v. 7 e il ritorno del termine fJ.akiim impediscono di staccare questo versetto dai precedenti, come fa invece Murphy,14 il quale, nell'intento di trovare una struttura simmetrica in questo testo, fa del v. 7 l'inizio del secondo gruppo di detti. Il v. 7 ricorda i testi sapienziali e profetici, che trattano della corruzione che colpisce il sapiente demolendone l'integrità morale (Pr 15,27; 17,23; 18,16; 28,21; Sir 20,28; 40,12; Is 5,23; Mi 3,5).15 La conclusione, diversamente da quanto sostiene Murphy, si trova nel v. 8, che ritorna al tema iniziale, espresso però in altri termini: (ob 'afJ.arit diibiir meré'sito. Il v. 8a segna pertanto il ritorno al tema iniziale del v. 1b, dando luogo nuovamente a un'unità circolare, in cui la fine coincide con l'inizio.
c) Un detto {ob con una motivazione (v. 3 ) . . . d) Un detto sapienziale, il cui contenuto si armOnIzza con l vv. 2-3 (v. 4). e) Un detto {ob con una motivazione (vv. 5-6a). 2. - Giudizio di vanità (6b). 3. - Secondo gruppo (7,7-12). a) Un detto sapienziale (v. 7). b) Due detti (ob (v. 8). c) Una proibizione con motivazione (v. 9). d) Una proibizione con motivazione (v. lO). e) Un detto {ob con motivazione (vv. 11-12). L'analisi del testo va inoltre completata con altre osservazioni, che riguardano principalmente il rapporto tra Oohelet e.la sapi~nza tr~d~zio~al~, sul quale Murphy ritiene difficile pronunciarsi. 4 Non è mvece lm~OSSl?lle dl~tmguere, all'interno del v. 1, tra il primo detto (ob (7,la) che espnme Il pensiero. dell~ sapienza tradizionale (cf. infatti Pr 22,1) e 7,lb, che.è chiaramente una.nflessIOn~ di Oohelet sviluppata in parallelo a 7,la, secondo Il seguent.e sch~ma. come A e migliore di B, così C è migliore di D. s Ci si attenderebbe mfattl ~ella seconda parte del versetto uno sviluppo del tem.a nello ~tesso sen~o dell~ pnma: secondo il parallelismo sinonimico di Pr 22,1; lOvece l affermaZIOne di 7, ~ b ?lUnge del tutto inattesa e rivela certamente il punto di vista del Oohelet: che Il gIOrno della morte è preferibile al giorno della nascita. . 6 Il v. 2 sviluppa questo tema tipicamente qohele~iano; che trova nscontro in testi precedenti (cf. 4,2) e nel tono generale del h~ro; accompag~ato dalla motivazione, che è introdotta da ba'aser,8 il v. 2b espnme una conceZIOne della 9 vita , in cui la morte è alla fine l'elemento prevalente.
" ' Cf MURPHY «A form-critical Conslderatlon of Eccleslastes VII», 79. SuIl a d'la Ie tt'Ica del .. , .. f . G K h leth 95-108' MICHEL Untersuchungen, Oohelet con la sapienza tradIZIonale c .mvece ORDlS, o e '. ' , l' 7 l 14 133-137; N,D, OSBORN, «A Guide for Balan.ced Living: A~ Exegetlcal Study of Ecc eSlastes u~r~ d~: , B T 21 (1970) 185-196 Concordo con Mlchel SUl cnten da adottare per arnvare a dlstmg " " ' 1 ' . 1) un cnteno di contenuto, m I r ve Qohelet cita il pensiero tradizionale e dove IOvece espnme I propn.o, , dii' nalis i . , ' . a col pensiero dI Qohelet ncavato a a che consIste nel ncercare se eSIsta o meno una coerenz l ~ .. d Il' tore dei primi sei capitoli; 2) un criterio di ordine formale.e cioè l'~so del voca~o ano tipICO e au . Molto diverse sono però le conclusioni alle qualI S\ arnvera m questa analIsI. 5 Per questo schema cf. OGDEN, «The "Better"-Proverb», 501-502. ' l ' :aste b Non vi è motivo di attribuire questi versetti al T-fiikiim, come fa PODECHARD, L Ecc esI IER' 365.366, Infondati sono anche gli spostamenti operati da GALLlNG, Der Pred~ger, 106 e ELLERME , Qohelet I I 105 che sono dettati dall'esigenza di dare maggIOre armoma al testo. bI a in 7 ' L,'a~cord~ con Sir 22,12, riportato da CRENSIlAW, Ecclesiastes, 134, non fa pr~ose~ttiva quanto è tutto il contesto che determina il senso dell'affermaZione e m questo testo la p p della morte viene ulteriormente radlcalIzzata da Oohelet. " " Per l'uso di questa preposizione causale cf. loDoN, Grammalre, 170J. res. 9 Sulla dialettica vita-morte in 7,1-4 si veda lo schema strutturale dI LOADER, Polar Structu , 33-35. 4
I ,' .•:. .,
Con DI FONZO, Ecclesiaste, 226. Così HERTZBERG, Der Prediger, 146. 12 Cf. anche Pr 13,18; 15,31-32; 17,10; Sal 76,7. Sul tema del cantico degli stolti si veda F. PIOTTI, «Osservazioni su alcuni problemi dell'Ecclesiaste (Studio II): il canto degli stolti (Ooh. 7,5)>>, lO BeO 21(1979), 129-140. , . l3 Condivido qui l'interpretazione di OSBORN, «A Guide for Balanced Living», 190. Diversa aplOlone in MICHEL, Untersuchungen, 126-137, che considera globalmente i vv. 1-6 come espressione della sapienza tradizionale, che Qohelet riporta per poi esprimere in 6b il suo giudizio negativo. Nei vv. 7-10 l'autore formulerebbe il suo pensiero, rivolgendosi contro il pessimismo di stampo apocalitbco. Ritengo invece che in questo testo il rapporto tra Oohelet e la sapienza tradizionale sia più eomplesso, in quanto ogni versetto di 7,1-14 può contenere la posizione di Oohelet e la sua contestazIone del punto di vista della tradizione. 14 MURPHY, «A form-critical Consideration oC Ecclesiastes VII», 80, IS SU 00 7,7 cf. DI FONZO, Ecclesiaste, 228-229; MICHEL, Untersuchungen, 127. lO
Il
139 138
T /'
/
7,1
" 7,Sa',
/
,
I
\
,17,6b-7
7,2 \
I
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\,7,3-4
7,5-6a
/
" In questo schema la svolta è data dal giudizio di vanità del v. 6b, che dà luogo all'annullamento di ogni differenza tra sapienza e stoltezza per poi riproporre la tesi iniziale che la fine è migliore dell'inizio. La seconda parte del versetto non ha alcuna relazione con la prima, perché riguarda la generosità che è migliore della grettezza di spirito e dà inizio alla seconda sottosezione di questa unità: 7,Sb-14.
2. Saggezza umana e immutabilità dell'opera divina (7,9-14) Se si considera il v. S dal punto di vista della «forma (ob» esso ne costituisce la conclusione, ma, se ci poniamo sul piano dei contenuti e quindi in una prospettiva diversa, il v. S si ricollega nella prima parte a 7,1 b e nella seconda parte ai vv. 9 e 11, che sviluppano in ordine chiastico i temi dei vv. 7b-S: 7,1b
7,Sa
7,7><7,8b 7,9
7,11
Il v. 9 continua dal punto di vista tematico il pensiero di 7,Sb sotto forma però di ammonizione (cf. 4,17-5,6); in 1,lS; 2,23 e 7,3 il termine ka'as ha la connotazione di «mestizia, afflizione»; qui invece il suo significato si avvicina a quello di Pr 17,25a e 27,3b, in cui indica l'esasperazione, il tormento mentre 7,9b ricorda Pr 14,33. Questi paralleli farebbero dunque pensare che Qohelet si sta muovendo nell'ottica della sapienza tradizionale, ma al v. 10 egli taccia di stoltezza chi pone l'interrogativo: meh hiiyiì sehayyiimim hiiri'Sonim spostandosi nuovamente su un piano di critica dei valori tradizionali. 16 Secondo Lohfink,17 infatti, il v. 10 critica il pensiero tradizionale espresso nei vv. 8-9; la pazienz.a può condurre al letargo, alla stasi, al rimpianto dei tempi passati e quindi al nfiuto del rischio. Non si può però staccare il v. 9 dal v. 10, perché essi sono accO-
16 CRENSHAW, Ecclesiastes, 137. MICHEL, Untersuchungen, 134-135 considera 7,9 come un commento correttivo a 7,3 in cui Qohe1et taccia di stoltezza l'atteggiamento pessimistico. 17 LOHFINK, Kohelet, 52.
140
munati dalla forma dell'ammonizione negativa. Probabilmente in questi versetti si esprime ancora una volta l'atteggiamento conservatore di Qohelet, che contesta piuttosto l'impazienza di chi, ai suoi tempi, sognava il ritorno alle glorie del passato. Contro ogni forma di agitazione rivoluzionaria Qohelet ripropone la sua concezione della storia che esprime nei vv. 13-14. In realtà tutto il discorso di questi versetti riguarda il tema della sapienza in rapporto alla conoscenza dei tempi. I8 Il v. 11 riprende il tema del v. 7b, in una prospettiva completamente diversa; mentre in 7b Qohelet aveva affermato l'incompatibilità tra il danaro e la sapienza, nel v. 11 il rapporto tra ricchezza e sapienza viene valutato positivamente secondo un'associazione cara allibro dei Proverbi19 e che potrebbe avere anche suggerito la scelta della finzione salomonica nel secondo capitolo. Il v. 12, nonostante i problemi di critica testuale,20 è abbastanza chiaro nel suo contenuto: affermare il valore della sapienza nella vita dell'uomo, soprattutto per la sicurezza che essa garantisce a chi la possiede. L'ammonizione del v. 13 a osservare l'opera di Dio e il ritorno al proverbio di 1,13 sembrano invece essere in netta antitesi con quanto Qohelet ha affermato nei vv. 11-12, in quanto comportano una relativizzazione della sapienza dell'uomo incapace di modificare l'opera di Dio. Il v. 14 sembra poi del tutto in contrasto con 7,1ss, in quanto il giorno felice viene posto sullo stesso piano del giorno triste, dal momento che entrambi vengono ricondotti all'opera di Dio. Si tratta di un procedimento analogo a quello dell'unità 3,16-4,3 ma questa volta nell'ordine inverso: in 4,1-3 il detto (ob concludeva la riflessione, iniziata in 3,16, sulla ingiustizia e sull'oppressione, proclamando che la morte è preferibile alla vita; l'unità che sto ora esaminando, 7,1-14, inizia invece con l'enunciazione di principio che la fine è migliore dell'inizio, per poi concludere che tanto il giorno triste quanto quello felice sono opera di Dio, per cui all'uomo non rimane altro che adeguare il proprio stato d'animo alla specifica situazione. Il motivo per cui Dio ha agito così viene espresso in 7,14b, un altro testo che presenta diverse difficoltà di interpretazione. Due sono le proposte dei critici: 1) Dio ha fatto tanto l'uno quanto l'altro, «perché l'uomo non scopra nulla del suo avvenire».21
18 Nel suo commento LOADER, Ecclesiastes, 82-83, sostiene che la topica di questo versetto ruota intorno alla dialettica parola-silenzio; ma non c'è nulla nel versetto che faccia pensare che qui Il messaggio del Qohelet sia: «è meglio tacere ... ». 19 I vv. 11-14 sono, secondo SCHOORS, «Structure de Qohéleth», 107-108 un'aggiunta del redattore a ciò che precede in base al termine (obà, che ricorre in l e 14. L'autore non giustifica con alcun ar§omento questa sua ipotesi. o Per i problemi di critica testuale cf. DI FONZO, Ecclesiaste, 231-232; CRENSHAW, Ecclesiastes, 138. 21 Mi sembrano validi i motivi addotti da DI FONZO, Ecclesiaste, 233-234 a favore di questa tra?uzione. L'autore riporta anche i paralleli con la letteratura extrabiblica, che confermano la validita della prima interpretazione. Cf. infatti il testo della Sapienza di Amenemope, XVIII, in ANET, 423b, che riporto nella traduzione di DI FONZO, Ecclesiaste, 233-234: «Non passare la notte nel timore del domani .... L'uomo non sa cosa è simile al domani... Una cosa sono le parole che gli uomini di~ono e un'altra quello che Dio fa ... ». A conferma di questa interpretazione si veda anche il testo di Ir 33,15, in PRATO, Il problema della Teodicea, 53-55.
141
2) Dio ha fatto tanto l'uno quanto l'altro, «perché l'uomo non abbia nulIa di cui incolparlo».22 La prima è preferibile soprattutto perché è in linea con il pensiero del Qohelet sull'ignoranza da parte delI'uomo di ciò che avverrà dopo di lui e tale ignoranza dipende dall'inconoscibilità del piano divino. Con questo versetto si conclude questa unità suddivisa in due sottosezioni: vv. 1-8 e vv. 9-14. AI v. 15 inizia infatti una riflessione sul tema della retribuzione, introdotto dalIa formula: 'et-hakk6/ rl/W che segna sempre il passaggio alla trattazione di un nuovo tema. A conclusione dell'analisi non si può fare a meno di verificare l'attendibilità dello schema proposto da Osborn,23 il quale individua in 7,1-14 la presenza di sette unità, così intitolate: I.
II. III. IV. V.
VI. VII.
I
VII Get With It! 7:13-14
Happy, Deathday 7,1
II
VI Live It Up! 7:11-12
Good Morning! 7:2
+
Felice il giorno della morte! (7,1). Buono il lutto! (7,2). Buono il dolore! (7,3-4). Ciò nonostante! (7,5-7). Prendila con serenità! (7,8-10). Vivila appieno! (7,11-12). Trovati in sintonia con essa! (7,13-14).
A partire da 7,6b si verifica, secondo l'autore, una svolta del pensiero di Qohelet che dalla morte evolve verso la vita.
(Death)
(Life)
III Good Grief 7,3-4
V
Play It Cool! 7:8-10
IV Nevertheless 7,5-7
Ritengo che si possa condividere pienamente la ripartizione in 7 unità di questa sezione, a conferma delI'analogia esistente tra questo capitolo e il se~on do. Dissento invece dall'interpretazione generale dell'autore, tesa a evidenZIare una svolta in senso ottimista del pensiero di Qohelet, come se si potesse riscontrare nel testo un'evoluzione del discorso da un radicale pessimismo a una rivalutazione dei valori positivi della vita. Occorre invece distinguere tra le afferm~ zioni di principio, espresse nei detti (Òb,24 e l'applicazione che Qohelet n~ .fa lO campo esistenziale: considerata l'impossibilità da parte dell'uomo di modIfIcare l'opera di Dio non rimane altra soluzione che l'accettazione della gioia e del dolore, entrambi predisposti da Dio per l'uomo. Questa è tuttavia una soluzione di ripiego, in quanto non risolve il problema di fondo, che è quello della vanità della sapienza umana di fronte all'onnipotenza divina. II.
UNA PERICOPE SULLA GIUSTIZIA E SULL'INGIUSTIZIA
(7,15-22)
Inizia al v. 15 una riflessione sul tema della giustizia e dell'ingiustizia, che continua fino al v. 22; infatti le parole chiave di questi versetti sono ~addiq e II Cf. Vg: «ut non inveniat homo contra eum iustas querimonias»; BURKIIT, «Is Ecclesiastes a Translation?», 24; G.R. DRIVER, «Problems and Solutions», in VT 4(1954),225-245, spec. 230. Per l'interpretazione di Qo 7,14 si veda anche WHlTLEY, Koheleth, 66. D OSBORN, «A Guide for Balanced Living», 186-194.
142
24
È significativo che ELLERMEIER, Qohelet, 1,1, 63, classifichi questi detti tra i Wahrspruchen.
143
-
r riiSif. 25 Il problema è lo stesso del libro di Giob?e: l'uomo giusto pe~s~e ~~n~
stante la sua giustizia e l'empio prolunga la sua vita nonostante la sua Imq~lta. E nel contesto di questo problema che va compreso ~nc~~ di~icile testo di 7 ,16~ 18. L'interpretazione di questi versetti da parte del cntlci oscilla tra ?ue estremI opposti: alcuni, vedendo in essi l'e~ica d~l gi~sto mezzo, ne fanno Il c~~r~ del messaggio del Qohelet;26 altri ne eVIdenziano Invece tutta la problematlclta per . . quanto concerne l'aspetto moraleY L'analisi del testo è stata ripresa recentemente da W.A. Bnndle, Il quale ha individuato in esso la seguente struttura: 28
!I
7,16a 7,16b 7,16c 7,17a 7,17b 7,17c
'al-t'hl ~addfq harbeh we' al-titfJakkam yoter liimmfJ tissomem 'al tirsa' harbeh we'al l'hf siikiil liimmfJ tiimut belit 'ittekii
Ogni verso consta di tre parti, ciascuna delle. quali i~i~i~ con le stesse par~ le: rispettivamente 'al, we'al e liimmfJ. Ogni ve.rso Inoltre ~mz~a con due ammOll!zioni negative, che si compongono di una particella ne,g~tlva al, un verbo o clausola verbale, e di un avverbio (l'avverbio manca pero In 7,~7b). ~a terAza pa~te consiste in una sentenza interrogativa, introdotta dalla partIcella lamma segmt.a da un verbo. In ciascun caso, la sentenza interrogativa implica un concetto POSItivo o risultato. È importante a questo punto definire a~c~~ il si~nificato delle parole e delle forme verbali. Il termine ~addfq in 7,16a slgmflca gIUStO o retto nella condotta o nel carattere. La forma harbeh è l'hiphil infinito assoluto del verbo r.bh e nel suo uso avverbiale significa «in eccesso» e accompagna la pa!ol~ ~(~IUStO» .. A chi si riferisce Qohelet? A quale categoria di persone? E dIffIcIle preclsarlo perché il termine in se stesso può indicare tanto una persona che p~r ~arat~ , .. Iega I.IS t IC a di. tere tende a essere perfezionista, quanto ChI" persegue una gIUstIZIa tipo farisaico. 29 Per quanto riguarda poi la forma hitpael d~l verbo fJk~, Il suo Sl~ gnificato sarebbe secondo Whibray,30 «non pretendere di essere sapiente» op , 1 a, In" tutto I con t es to, fa pensare pure «non considerarsi un sapiente». Ma nul1
Per questa delimitazione della pericope cf. LAUHA, Kohelet, 13~-1?2.137. sizione Cf. per questa linea interpretativa SACCHI, Eccleswste, 48-51 e la CrItIca di questa po in BONORA, Qohelet, 59-60. . . W' d Scholars, 27 R.N. WHIBRAY, «Qohelet the Immoralist? (Qoh. 7:16-17)>>, In lsraehte IS om, New York 1978, 191-204. . . . . AUSS 23 28 W.A. BRlNOLE, «Righteousness and Wlckedness In EcclesJastes 7,15-18», In (1985), 243-257, spec. 253. . .. . d Wic29 Così BARToN, Ecclesiastes, 144. Altre intepretazlOnJ In BRINOLE, «Righteousness an kedness in Ecclesiastes 7,15-18», 243-246. 30 WHIBRAY, «Qoheleth the Immoralist?», 196-197. 25 26
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alla pretesa dell'uomo a essere sapiente, anche perché 7,16a è in parallelo Con 7,17a, dove non è in questione la pretesa di essere malvagio. Si tratta piuttosto di un fare, di un agire in modo sapiente; infatti la forma hitpael di fJkm può anche significare «fare se stesso sapiente» e in Es 1,10 essa si riferisce alla condottaY La parola yoter, che è tipica del Qohelet, significa di solito superiorità, vantaggio, eccesso. È usato anche in 2,15, dove il Qohelet si pone l'interrogativo: 'anf 'iiz yoter. La conseguenza di un agire in modo eccessivamente sapiente è la propria rovina. In parallelo a 7,16a, in 7,17a il verbo ri' fa riferimento all'essere malvagio, all'agire in modo malvagio; stupisce naturalmente questa ammonizione a non essere troppo malvagio, quasi che Qohelet ammettesse la possibilità morale della malvagità o della stoltezza (siikiil come in 2,3.12.19; 7,12). Assumendo il punto di vista della tradizione nell'interrogativo: liimmfJ tiimut belo' 'ittekii, Qohelet mostra le conseguenze di un modo d'agire malvagio e stolto e cioè la morte prematura. L'interpretazione più logica mi sembra quella di Podechard, che cioè qui l'autore, data per scontata la vita peccaminosa dei malvagi, voglia premunirli contro gli eccessi sfrenati del vizio. 32 Qohelet ha davanti a sé due diversi atteggiamenti nei confronti della vita, rappresentati da due ipotetici interlocutori: da un lato quello di un eccessivo rigore morale, dall'altra quello di un'eccessiva immoralità. Le conseguenze dell'uno e dell'altro modo di agire sono le stesse: la rovina per entrambi. Il v. 18, introdotto da (ob 'Mer, esprime il punto di vista di Qohelet;33 ma il linguaggio che il testo usa è volutamente impreciso e indefinito. A cosa si riferisce il pronome zeh e che cosa significa kulliim? Il pronome zeh... zeh non si riferisce necessariamente alle due possibilità di cui si tratta nei versetti precedenti; piuttosto allude all'opportunità di non fare delle scelte troppo radicali nella vita, in quanto una scelta unilaterale potrebbe essere negativa nelle sue conseguenze. Conviene quindi orientarsi nella realtà in modo più elastico,34 perché ciò che assicura la riuscita di un'azione è il timore di Dio. Crenshaw 35 ha letto in 7,18 una conclusione ironica in quanto essa non si accorda con l'esperienza descritta in 7,15. Ma questa interpretazione parte dal presupposto che il timore di Dio non appartenga alle categorie di pensiero del Qohelet, il che è ancora da dimostrare! I vv. 19-20 contengono, secondo Murphy,36 due citazioni tradizionali, riguardanti la forza della sapienza e i limiti della giustizia. L'idea che il sapiente abbia un ruolo importante nella difesa della città ricorre in Pr 24,5-6; 21,22.
:: Con BRlNOLE, «Righteousness and Wickedness in Ecclesiastes 7,15-18", 255. POOECHARD, L'Ecclésiaste, 376-377. 15 l 33 Interessante l'osservazione di HERTZBERG, Der Prediger, 153-155, il quale rileva che i vv. - 8 presentano dal punto di vista formale una struttura chiastica. t . ce 34 CRENSHAW, Ecclesiastes, 142 propone un'interpretazione alternativa del verbo YS' che scaunS 3?all'uso della MiSnà, nel senso di potere in obbligazione, in Ber 2,1. 36 CRENSHAW, Ecclesiastes, 142. S h MURPHY, «A form-critical Consideration of Ecclesiastes VII", 81; cf. anche MICHEL, UnterUc ungen, 238-240.
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r Il linguaggio del v. 20 richiama invece la preghiera attribuita a Salomone in 1Re 8,46 e altri testi della sapienza tradizionale: Sal 143,2; Pr 20,9; Sir 19,16b. È pertanto probabile che si tratti di citazioni; la principale difficoltà è rappresentata però dal ki iniziale del v. 20: esprime un collegamento con il v. 19 o non andrebbe piuttosto riferito al v. 18, in quanto fornisce la motivazione dell'ammonimento? Alcuni autori intendono il kì come enfatico;37 in tal caso non vi sarebbe una connessione di tipo causale con quanto precede. A mio avviso, invece, la presenza del ki in questo versetto potrebbe essere dovuta all'implicito richiamo o allusione a testi tradizionali, come ad esempio Sal 143,2: kì lo' yi!idaq l'paneyka kol-fJiiy.
Entrambi i testi hanno il ki. È dunque inutile ricercare una connessione tra il v. 19 e il v. 20, perché si tratta di due riflessioni separate che richiamano evidentemente il pensiero della tradizione. È però vero che il v. 20 fornisce un'adeguata motivazione alle affermazioni dei vv. 16-18 o almeno si ricollega a essi tematicamente,38 mentre il discorso sulla forza della sapienza viene ripreso per essere problematizzato nei vv. 23-24. Il gam del v. 21, che ha come al solito valore aggiuntivo, introduce un'ulteriore riflessione sulla vanità della parola, che rimanda sorprendentemente al poema introduttivo. Il kì, invece, del v. 22 esplicita il motivo per cui non occorre prestare ascolto alle chiacchiere; in coscienza occorre riconoscere che molte volte uno ha parlato alle spalle degli altri. Non si tratta necessariamente in questi versetti dell'illustrazione, mediante un esempio, della tesi del v. 19;39 sembra piuttosto che essi sviluppino la topica della parolasilenzio, ricollegandosi pertanto ai vv. 9-10. I vv. 21-22 presentano infatti la stessa forma di ammonizione negativa. Che il c. 7 sia strutturato secondo unità a incastro, come il c. 2, è dimostrato dai vv. 23-24, che ritornano sul tema della sapienza: il Qohelet, che pure nel v. 9 ne aveva riconosciuto il valore secondo un'ottica tradizionale, problematizza ora su questo dato, affermando l'irraggiungibilità della sapienza. III. IRRAGGIUNGIBILITÀ DELLA SAPIENZA
(7,23-8,1a)
AlclÌni autori 40 fanno iniziare in 7,23 una nuova pericope, in quanto considerano il v. 22 come conclusivo della sezione precedente; non vi è infatti alcuna continuazione della tematica di questi versetti in 7,23, in cui si passa tra l'altro al discorso in prima persona. Per altri, invece, è in 7,25 che inizia una nuova sezio-
31 Cf. questa proposta in CRENSHAW, Ecclesiastes, 143; DI FONZO, Ecclesiaste, 238, propone invece di assegnare al kf un valore avversativo. 38 Per riscontri con i testi extrabiblici cf. DI FONZO, Ecclesiaste, 239. 39 Nel suo commento LOADER, Ecclesiastes, 88, considera il v. 19 come una parentesi. Questa interpret
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ne del ca'pitol~, ~entr~ ~ vv. ~3-24. conc!udono la sezione precedente. Wright
propo~e mfa.ttl dI suddIVIdere Il capitolo m tre sezioni: 7,1-14; 15-24; 25-29, ba-
sandOSI sul ncorrere dell'espressione: «non trovare/chi può trovare», che concluderebbe ciascuna sezione. 4 \ A favore però della prima ipotesi gioca come fattore decisivo l'uso del discorso in prima persona, che conferisce unità a tutta la pericope. I vv. 23-24 tuttavia propongono solo uno sguardo retrospettivo su quanto è detto precedentemente,42 mentre nel v. 25 inizia un nuovo discorso, introdotto dalla formula: sabb6tì 'ani. Non c'è dubbio che Qohelet parli nei vv. 23-24 dell'inaccessibilità della sapienza. L'idea dell'irraggiungibilità è espressa sia dall'aggettivo 'amoq, ripetuto per ben due volte, che da rafJ6q; ma l'espressione mah-ssehiiya rinvia a 1,9 e a 3,15, facendo comprendere che ciò che è irraggiungibile è ancora una volta il misterioso disegno di Dio. L'interrogativo finale: mi yim!iii'ennu, che equivale come l'espressione mi y6dea' a un'affermazione negativa: «nessuno può trovare» stabilisce uno stretto collegamento con 3,11. ' I vv. 23-24 esprimono dunque la consapevolezza dell'irraggiungibilità della sapienza segnando il passaggio a un nuovo tema. Tuttavia Qohelet riprende con maggiore impegno la sua riflessione: abbondano infatti nel v. 25 i verbi che es?rimono il desiderio della ricerca e della riflessione: yd' (conoscere), twr (esammare), bqs (cercare). L'oggetto della ricerca è indicato con i sostantivi hokma e fJesb6n; in particolare l'uso del sostantivo fJesb6n, che significa calcolo:ragionamento, fa pensare a una ricerca speculativa che indaghi l'essenza intima delle cose. Tuttavia, per il parallelismo tra questo testo e 9,10, il sostantivo hesb6n ~otrebbe anche avere un altro significato: conclusione pratica, somma finale. 43 E possibile poi considerare i due termini fJokma e fJesb6n come un'endiadi, «le ragio~i intime della sapienza».44 Qualunque sia la portata del termine fJesb6n, che S,I tratti di un procedimento induttivo o di un'indagine speculativa, è certo c~e I esame del Qohelet ha per oggetto una sapienza già costituita che nella viSIOne ottimistica della realtà identifica la cattiveria con l'insipienza e la stoltezza ~on la pazzia. Il v. 26 inizia con il participio presente del verbo m!f', che ricorre tU 7,26-29 ben 7 volte; la comprensione di questo verbo è determinante ai fini della corretta interpretazione del testo. In base alla figura retorica dell'antana45 c/asls un termine può assumere significati diversi nell'ambito dello stesso testo.
:~ ~RIGHT, <;The Riddle of the Sphinx», 323. Sulla funZIOne del VV. 23-24 o 23-25 in tutto il contesto cf. LOHFINK «War Kohelet ein F rauenfemd?», 273-275. ' T . 43 Sui vari significati del sostantivo hesb6n cf. LORETZ, «Altorientalische und kanaaniiische ~POI», 274-275. L'analisi dei vv. 25-29 riproduce integralmente un mio precedente contributo: "19808helet 7,26-28: un testo antifemminista?», in La donna nella chiesa e nel mondo ED Napoli , 225-234. ., , ~ GLASSER, Le p,rocès du ?onheur, 124. Il rns' " Cf. su questa fIgura ret~,n~a A.R. CERESKO, «The function of Antanaclasis (~'. "to find" ' to reach, overtake, grasp ) Ifl Hebrew Poetry, Especially in the Book of Qohelet» in CBQ 44(1982), 551-569. '
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È il caso appunto del verbo m~', che analogamente al termine hebel, copre un arco sematico abbastanza vasto: «arrivare, raggiungere, afferrare, comprendere, trovare, acquisire», per cui il significato del verbo va precisato di volta in volta. Già l'uso del participio al posto del perfetto ha in 7,26 un significato particolare; traduce un'osservazione occasionale del Oohelet più che una vera e propria riflessione, espressa invece con il perfetto mii~ii'ti (v. 27). Va quindi tradotto con «trovare». Nel testo al verbo segue mar mimmiiwet 'et-hii'iBa 'iiSer-hf'; 'et-hii'issa è complemento oggetto e mar mimmiiwet il secondo accusativo in funzione di predicato «trovo amara più della morte la donna che ... ». Oohelet sembrerebbe alludere qui a una sua esperienza personale; egli ha sperimentato direttamente che la donna è amara più della morte. Lohfink propone invece di volgere il discorso da indiretto a diretto, perché il doppio accusativo dimostra che il verbo m~' qui fa riferimento alla sfera della conoscenza: «trovo che amara più della morte è la donna ... » e interpreta il pronome relativo 'liSer come causale: «poiché, infatti».46 Nel primo caso si tratterebbe di un'esperienza diretta di Oohelet, nel secondo caso invece di un detto in forma di proverbio che Oohelet avrebbe ricevuto dalla tradizione sapienziale. Entrambe le interpretazioni sono possibili, data la complessità o ambiguità del verbo ~', che può indicare tanto una ricerca speculativa quanto un'esperienza conoscitiva. Passando ora all'analisi dei singoli termini, occorre precisare in primo luogo il significato di htùBa; si tratta della donna in genere? Tutto il contesto fa pensare che qui si alluda non a tutta la categoria del sesso femminile, ma a una parte di esso: la proposizione relativa immediatamente seguente specifica infatti che si tratta della donna seduttrice, sulla quale spesso la letteratura sapienziale si pronuncia in modo sfavorevole utilizzando la stessa terminologia che ricorre in questo testo del Oohelet. A questo punto occorre prendere in considerazione la proposta di Lohfink di tradurre l'aggettivo mar con «forte» invece che con «amaro», sulla base sia del parallelismo tra 00 7,26a e et 8,6 sia di testi della tradizione giudaico-rabbinica, in cui il potere della donna viene associato al tema della morte. 47 Secondo l'autore anche in 7,26a la donna sarebbe presentata come una potenza terribile più della morte, soprattutto in virtù del suo potere di generare una nuova vita. È una ipotesi suggestiva ma poco convincente per diversi motivi: in primo luogo perché nel Cantico dei cantici non la donna ma l'amore è più forte della morte e poi perché il contesto generale del Cantico è quello dell'esaltazione dell'amore, inteso positivamente come forza vitale capace di vincere il potere stesso della morte, mentre in 00 7,26a la donna viene considerata sul versante della morte. Inoltre è vero che il termine mar nell'ebraico di Oohelet, profondamente influenzato dall'aramaico,48 può significare anche «forte», ma nulla autorizza a
LOHFINK, «War Kohelet ein Frauenfeind?», 268, nota 66. LoHFINK, «War Kohelet ein Frauenfeind?", 278-283. Fondamentale lo studio di DAHOOD, «Qoheleth and Recent Discoveries» in Bib 39(1958), 302-318, spec. 308-310. 46
47
4S
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un'interpretazione del potere della donna nel senso dell'immortalità. 49 Tale concezione non trova alcun riscontro nella Bibbia, mentre diversi elementi orientano verso quei testi della letteratura sapienziale che condannano il potere di seduzione della donna in quanto conduce alla morte. L'analisi del vocabolario è a questo punto decisiva. L'aggettivo mar richiama per assonanza l'amarezza di assenzio di Pr 5, 3_5;50 depone a favore della traduzione di mar con «amara» soprattutto l'associazione amarezza-morte che si trova nel testo dei ProverbiY Anche le altre immagini evocano testi ben noti della letteratura sapienziale; tutto il testo di Pr 7,2527 potrebbe ad es. essere considerato come un'illustrazione di questo versetto. La rete (Pr 7,23), il laccio (Pr 7,22), le catene indicano la capacità da parte della donna di imprigionare l'uomo in una morsa fatale. Le due espressioni «il buono dinnanzi a Dio», equivalente a «timorato di Dio» (7,18c; 8,12-13), e il peccatore designano i due possibili atteggiamenti di fronte alle arti seduttrici della donna; il saggio, che è virtuoso, supera il pericolo mentre il peccatore, nella sua stoltezza, ne rimane vittima. Il v. 26c conferma dunque che Oohelet sta prendendo in considerazione l'immagine che della donna delinea la sapienza tradizionale. I vv. 27-28 presentano grossi problemi dal punto di vista sintattico. L'espressione «vedi, questo ho trovato» è la conclusione del versetto precedente o è collegato sintatticamente col v. 28? Tutto dipende dall'esatta interpretazione del pronome zeh nella sua collocazione. Nel Oohelet il pronome dimostrativo zeh ha quasi sempre valore prolettico e fa quindi riferimento a ciò che segue; solo in tre casi si riferisce con chiarezza a ciò che precede: 5,15; 7,29; 9,3. Collegando il pronome zeh a ciò che segue, quindi alla massima del v. 28b, la costruzione del periodo diventa troppo complessa e artificiosa;52 nulla impedisce di riferire il pronome zeh a quanto precede e precisamente a tutto il v. 26 o a una parte di esso, il v. 26b. 53 In questo caso Oohelet dichiara di aver trovato nella sua ricerca questo giudizio sulla donna: l'espressione 'a!Jat l"a!Jat (v. 27), che può essere tradotta letteralmente «una ad una», potrebbe indicare tanto il neutro (le cose) . quanto le singole donne, trattandosi qui di forme femminili. Subito dopo torna nuovamente il verbo ~', all'infinito costrutto; qui però ha il significato di «arrivare, raggiungere», come suggerisce anche il termine !Jesb6n, che in questo contesto indica la somma totale. 54 Il v. 27 può essere quindi tradotto così: «Vedi, questo ho trovato, dice Oohelet, aggiungendo una cosa all'altra per arrivare ad una somma finale». La versione della CEI non rende dunque il pensiero di
. 49 In questo senso va l'interpretazione di LoHFINK, «War Kohelet ein Frauenfeind?», 281, segUIto da BONoRA, Qohelet, 117. 50 Con DI FONZO, Ecclesiaste, 244-245. :~ Per l'associazione donna-morte cL anche Pr 2,16-19; 9,13-18. Con HERTZBERG, Der Prediger, 137. .'3 Di questo stesso avviso è LOADER, Polar Structures, 52, secondo il quale il v. 26 esprime la palenuca contro la sapienza comune. 54 Il termine I]esbon appare con questo significato anche nei testi commerciali di Ras Shamra. Su questo cf. OAHOOD. «The Phoenician Background», 277.
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\'...
I
LIMITI DELLA SAPIENZA UMANA
(8,1-9,12)
Es~st~ tra il capitolo settimo e l'ottavo un evidente collegamento, di cui occorre chIanre i termini e i limiti. Tutto dipende naturalmente dai criteri che si assumono nell'individuazione delle reciproche relazioni esistenti tra i due capitoli. ~: Sul ~ignificato del termine 'iidiim cf. ancora DAHooD, «Qoheleth and Recent Discoveries», 310.
COSI LAuHA, Kohe/el, 140, per Il quale però Qohelet è sulla linea di una radicalizzazione
d~1 proverbIO st~sso m base alla sua esperienza di vita. Di parere diverso è LOHFINK, «War Qohelet
em Frauenfemd. », 280-281, che mterpreta Il proverbio di 7,28, ricollegandolo al tema della morte enuncI~7to m 7,26a: tra mille persone nessuna donna è mai sopravvissuta alla morte. Cf. CERESKO, «The function of the Antanac!asis», 566.
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Si potrebbe prendere come punto essenziale di riferimento l'espressione «non trova/non può trovare» ,58 che ricorre spesso nei cc. 7-8 (7,14.24.28; 8,17). Se invece si privilegia il tessuto semantico e si assume come parola chiave dei due capitoli il termine lJokma, l'unità è data dall'elemento tematico, per cui si può riscontrare nei cc. 7-8 un nuovo discorso sulla sapienza e i suoi limiti,59 correlativo a quello dei cc. 2-3. Ritengo che questa sia la soluzione più logica per il motivo che più volte ho enunciato: l'impossibilità di determinare la struttura del libro in base ai soli elementi formali, senza un riscontro di tipo tematico; le formule ricorrenti e le espressioni caratteristiche possono essere utili indizi, che consentono di sfuggire a una lettura soggettiva del testo, ma non possono essere utilizzati senza alcun riferimento ai contenuti. Non è infatti senza significato che il capitolo ottavo si apra con due interrogativi retorici, che costituiscono una variante della formula mI yodea'. 60 Essi riguardano entrambi la sapienza e, coerentemente con il discorso portato avanti nel c. 7, contengono un'implicita risposta negativa, sulle sue capacità di spiegare, interpretare. Sia che il termine diibar significhi «parola» sia che invece con esso si intenda «cosa»,61 ciò che in questo versetto viene enunciato è proprio il limite della capacità ermeneutica del sapiente e tuttavia, come spesso avviene, Qohelet mentre relativizza il valore della sapienza, ne mette in luce l'aspetto positivo, che si può cogliere soprattutto nel volto del saggio e nella sua capacità di controllo delle emozioni. Il discorso che segue è una dimostrazione dei limiti della sapienza umana.
1. La morte e l'ingiustizia (8,2-15) I vv. 2-5, attraverso una serie di ammonizioni (cf. 4,17-5,8), ci riportano a una riflessione di tipo tradizionale sull'obbedienza dovuta al re; la motivazione della necessità di obbedire viene espressa secondo una terminologia che ricorda molto da vicino i testi della sapienza orientale. 62 Il v. 5b segna un brusco passaggio dal tema dell'obbedienza a quello della conoscenza che c'è tempo e giudizio; questo versetto richiama evidentemente
È la proposta di WRIGHT, «The Riddle of the Sphinx», 322-323. Diversa opinione in RAvAsI, Qohelet, 248, il quale nell'unità letteraria compresa tra 7,15 e 8,15 vede: dei legami molto blandi e un'articolazione tematica piuttosto frammentaria. L'autore ritiene mfattl che questa unità ruoti intorno a quattro personaggi: il sapiente, la donna, il re, il delinquente e la suddivide quindi in quattro sezioni: 7,15-24; 7,25-29; 8,1-8; 8,9-15. 60 Cf. CRENSHAW, «The Expression mi y6dea'>" 283 . • 61 HERTZBERG, Der Prediger, 140 traduce diibiir con «cose», seguito da CRENSHAW, «The ExpresslOn mi y6dea'», 283. In considerazione del contesto credo che non si possa tradurre diversamente. . 62 Cf. soprattutto J.M. LINDERBERGER, The Aramaic Proverbs 0/ Ahiqar, Johns Hopkins Umv., Baltimore 1983,81. Utili riferimenti ai testi biblici si trovano in RAVASI, Qohelet, 265-266. Cf. anche A. HURVITZ, «The History of a legai formula K6/ 'liser lJ.iipe~ 'iisiih (Psalms 115,3; 135,6» in VT 32(1982),257-267; MlcHEL, Untersftchungen, 91-101; N.M. WALDMAN, «The Dabar Ra' of Ecc! 8,3», m JBL 98(1979), 407-408. 58
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3,17. Ma, .come in 3,1~,3, il Oohelet problematizza questo concetto tradizio_ nale. A causa del suo contenuto il v. 5 è stato considerato da Galling63 come una interpolazione di ORz, ma la struttura chiastica dei vv. 5-6 è un elemento a favore della sua autenticità: rii' e rital si corrispondono chiasticamente come umispa( del v. 5 e umispa( del v. 6. La relazione avversativa degli emistichi nel v. 5 è sottolineata dal doppio uso di yeda'. 64 Il V. 7 è un'evidente contestazione da parte del Oohelet della sapienza tradizionale espressa in 5b-6. L'uomo non conosce quale sarà il suo futuro, né quello immediato (cf. 3,22; 6,12; 7,14; 10,14) né quello che concerne l'ora della morte. La successione logica e tematica è identica a quella di 3,1~,3; il problema della morte viene affrontato in relazione al tema del giudizio di Dio e nel contesto di un discorso sull'oppressione e l'ingiustizia (8,9). Nessun uomo è padrone del suo soffio vitale, né può sfuggire alla battaglia della vita; neanche l'inganno o la malizia possono salvarlo (v. 8). Il v. 8 conclude questa unità, mentre apre all'unità successiva (8,9-15).65 Esso contiene un'evidente smentita del discorso precedente sull'autorità, in quanto verifica l'oppressione dell'uomo sull'altro uomo. Il v. lO, che si presenta molto incerto dal punto di vista testuale,66 nel descrivere la cerimonia funebre di un personaggio importante, ma corrotto, ripropone, in termini che ricordano la contestazione di Giobbe (21,32-33), il problema della retribuzione; l'uomo che agisce male ottiene solenne sepoltura e ciò è assurdo! Il motivo di questa assurda realtà è da individuare nella mancanza di una retribuzione immediata, sia dal punto di vista sociale, a causa dei ritardi della giustizia umana, sia per quanto riguarda il giudizio di Dio (v. 11), il quale addirittura assicura lunga vita all'empio. In 8,11-13 Oohelet descrive in modi differenti la stessa assurdità: il peccatore, pur commettendo il male, vive cento volte. A partire dal v. 12b, con il verbo yd', Oohelet riprende la sua riflessione questa volta in relazione al tema del timore di Dio; il parallelismo antitetico tra 12b e 13b è nettissimo: 67 12b
yihyeh-a6b leyir'e ha'él6hfm 'iiser yfr'u millepanayw 'iiser 'enennu yare' millipne 'él6hfm
13b
GALLING, Der Pred{ger, 110. Condivido qui l'analisi di LOADER, Polar Structures, 71; cf. anche OGDEN, Qoheleth, 130. 65 Cf. GALLING, Der Prediger, 110, il quale ritiene che l'unità termini al v. 8, sostenendo l'esistenza di una frattura tra il v. 8 e il v. 9; sulla stessa linea RAVASI, Qohelet, 270, il quale vede nel v. 91'introduzione al quadro che delinea la figura del delinquente impunito da Dio e dagli uomini (8,9-15). 66 Per le questioni di critica testuale rimando al commento di CRENSHAW, Ecclesiastes, 154. Cf. anche RAVASI, Qohelet, 271. Sul versetto in particolare si veda C.W. REINES, «Kohelet VIII,10», in 115 5(1954), 86-87. 67 Sugli aramaismi in 8,13 si veda D.M. WHISE, «A Calque from Aramaic in Qoheleth 6,12; 7,17; 8,13», in lBL 109(1990), 249-257. 63
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È evidente che Oohelet si sta confrontando ancora una volta con la dottrina tradizionale. 68 Non si tratta pertanto né di una glossa, come sostiene Ellermeier,69 né di un recupero da parte di Oohelet della dottrina della retribuzione, ma di un nuovo ambito di riflessione: quello del timore di Dio. La concezione tradizionale secondo la quale c,hi non teme Dio non allunga come un'ombra la sua vita, è smentita dai fatti. 70 E importante a questo punto rilevare la struttura formale del v. 14:
yes
hebel 'aser na'iisa 'al hii'iire~ 'iiser yes ~addfqfm 'aser maggfa' 'iilehem k'ma'iiseh har"sa'fm weyes rsa'fm semmaggfa' 'iilehem k:ma'iiseh ha~~addfqfm 'amarti seggam-zeh habel.
Due sono gli elementi che scandiscono il discorso del v. 14: la ripetizione per tre volte della particella yes e per due volte dell'espressione maggfa' 'iilehem k'ma'iiSeh. C'è inoltre da notare l'inclusione dovuta alla ripetizione per due volte del termine hebel, che apre e chiude la riflessione. L'esperienza insegna che spesso ai giusti tocca la sorte dei malvagi e viceversa. Di fronte a questa verità assurda non rimane che l'allegria, la gioia, espressa nel verbo smlJ al piel; simile per struttura ai testi paralleli (2,24; 3,22; 5,17) il detto (ob del v. 15 presenta come variante: kf 'im-le'ék61. 71 Ma soprattutto è importante sottolineare che questa conclusione svolge qui un ruolo diverso in relazione al contesto in cui è inserita; la gioia di vivere da un lato rappresenta l'unica vera compensazione alle fatiche dell'uomo, dall'altro segna l'epoché del piano conoscitivo, la frattura tra conoscenza e prassi per cui di fronte all'impossibilità da parte dell'uomo di conoscere quale sia il suo futuro, ma soprattutto di prevedere l'ora della sua morte, non rimane altro che cogliere questi frammenti di vivibilità. Ma non c'è alcuna relazione tra l'uno e l'altro piano. Piuttosto 8,15 sembra dare una risposta all'interrogativo formulato in 6,12a. E tuttavia si tratta sempre di una risposta provvisoria, perché infatti nei vv. 16-17 il Oohelet riafferma con forza i limiti della sapienza umana.
68 Diversa interpretazione in SACCHI, Ecclesiaste, 196-197, il quale ritiene che la soluzione del problema si trovi nel differenziare i due tipi presi in esame nei vv. 12b-13 e nel v. 14. Secondo l'autore i due termini di «giusto» e di «temente Dio» non designano, come comunemente pensano i commentatori, lo stesso tipo d'uomo, perché in tal caso il Qohelet cadrebbe in evidente contraddizione; nOn la giustizia, ma il timor di Dio è fondamento della religione di Qohelet, che apre una nuova prospettiva religiosa vissuta in una nuova dimensione dello spirito. 69 Cf. ELLERMEIER, Qoheleth, I, I ,127. 70 Per l'interpretazione del testo nel senso della contestazione dei valori tradizionali è invece GlASSER, Le procès du bonheur, 133-134, seguito da RAVASI, Qohelet, 273. • 71 DI FONZO, Ecclesiaste, 260, fa osservare che tutti i verbi nel v. 15 sono al perfetto e all'infinito, tranne l'imperfetto yil'wennu che viene tradotto con un indicativo assertivo: «accompagna». DIversa proposta in PODECHARD, L'Ecclésiaste, 404 il quale in considerazione della singolarità della forma usata e della mentalità generale di Qohelet, traduce con un iussivo: «e questo sia il suo compagno nel lavoro ... ».
153
2. Un'unità di transizione (8,16-17)
Per quanto riguarda i vv. 16-17, occorre stabilire a questo punto se essi costituiscano la conclusione dell'unità precedente, S,1O-15,72 o se invece diano inizio a una nuova unità, come sostengono alcuni autori. 73 Diversi elementi sia di ordine formale che contenutistico depongono a favore della prima ipotesi: 1) L'uso del verbo m!i', che accomuna i cc. 7-S e che ricorre per ben tre volte in S,17: lo' yukal hii'iidiim li~6'... w'lo' yi~ii'... lo' yukal li~o'...
2) Il ritorno della stessa topica: quella della ricerca sapienziale e della sua insufficienza. Questi versetti sono importantissimi per la comprensione della struttura della seconda parte, in quanto concludono la riflessione iniziata nel capitolo settimo sull'incapacità dell'uomo di trovare il senso di tutto ciò che si compie sotto il sole. La formula introduttiva niitattf 'el-libbf liida'at fJ.okma (v. 16), che ripete quasi integralmente 1,17a, e la ripresa dell'espressione 'et-hamma'iisèh 'iiser na'iisa tafJ.at-haSsemes (S,17), ricollegano questo testo a 1,13.17; anche la parte finale del versetto, che descrive la situazione affannosa dell'uomo il quale non riposa né di giorno né di notte, rimanda a 2,23. Su questa base si può senz'altro affermare l'esistenza di una corrispondenza diretta tra S,16-17 e 1,12-2,26, accomunati dal discorso sui limiti della sapienza umana. Il v. 17 riprende da vicino la terminologia di 3,11, relativa all'opera di Dio di cui l'uomo non può scoprire il senso. La ripetizione per tre volte del verbo m!i', preceduto dalla negazione lo', esprime l'enfasi con cui l'autore conclude il discorso dei capitoli precedenti. Ma la riflessione sull'insufficienza del sapere umano non si conclude qui, continua a partire dal 9,1 attraverso un nuovo modello verbale, strutturato intorno al verbo yd'. Per questi motivi ritengo che si possa considerare S,16-17 un'unità a sé stante, quasi un sommario della riflessione del Qohelet. 3. L'inconoscibilità del destino umano (9,1-12)
La frase introduttiva niitattf 'et-libbf che ha come complemento oggetto 'et-kol. zeh ricollega questo capitolo al precedente (S,16). Inoltre il kf di collegament0 75 e la ripetizione di niitattf'et-libbf fondano il parallelismo tra le due formule introduttive e fanno di questo primo versetto l'introduzione generale al resto del capitolo, il cui tema è enpnciato chiaramente: la sovranità divina sulle opere dei giusti 76 e dei sapienti. 77 E questa una tesi tradizionale, che trova riscontro in molti testi (Sap 3,1; Dt 33,3; SaIS9,22; Is 51,16; Pr 21,1), ma, come spesso avviene nel Qohelet, essa acquista, nel contesto della problematica del libro, un significato del tutto diverso; infatti l'autore aggiunge: w'hafJ.iikiimfm wa'iibadèhem b'yad hii'èlohfm usando un'espressione, che ricorre solo in 2,24 e afferma che tutto ciò che l'uomo ha davanti a sé è vuotO. 78 Questo versetto fa poi inclusione con il v. 6 mediante gam 'ahiibiitiim gam-sin'iitiim (cf. 3,S). La presenza infine della parola chiave 'èn (vv. 1.5ab.6), unita a yd' (vv. 1.5), conferma ('unità di questa prima sezione del capitolo: vv. 1-6. È però possibile un'ulteriore suddivisione in base alla frase: bekol 'iiserna'iiSa tafJ.at hassiimes che, secondo Ogden, scandisce due sottosezioni: 79 a) vv. 2-3a; b) vv. 3b-6. Quest'espressione inoltre ricollega il capitolo nono a 2,14 e 3,19, dove si tratta della morte come destino dell'uomo. In 9,2 Qohelet dà una prima esemplificazione della sua tesi che unico è il destino degli uomini attraverso 5 coppie antitetiche,80 che si articolano intorno ai due concetti fondamentali della giustizia e della ingiustizia. Due di queste coppie fanno riferimento alla sfera del culto: 1) Il puro e l'impuro; 2) Coloro che offrono sacrifici e coloro che non frequentano il tempio. Le altre tre coppie rientrano nella sfera etica: 1) Il giusto e il malvagio; 2) L'onesto e il peccatore; 3) Chi giura e chi teme di giurare. L'espressione del v. 3 zeh rii' b'kol 'iiser-na'iisa introduce alla riflessione sulla vita e sulla morte. Il tema della morte ritorna a più riprese nel corpo del Iibro, ma è affrontato soprattutto nei cc. 2-3 (cf. soprattutto 2,16; 3,2.19) a conferma del legame che unisce il capitolo nono ai primi capitoli del libro. Nei vv. 4-5 dominano due aggettivi: fJ.ay e mèt, che illustrano l'antitesi vita-morte. Ogni
La struttura formale del capitolo nono non presenta particolari difficoltà, 74 in quanto contiene diversi elementi che ne rendono possibile l'individuazione.
L'importanza di 8,16-17 è sottolineata da diversi autori; cf. tra gli altri BARUCQ, Ecclésiaste, GLASSER, Le procès du bonheur, 136-146. 73 Cf. su questo punto G.S. OGDEN, «Qohelet IX, 1-16», in VT32(1982), 158-169, spec. 158159 che sulla base di natattf 'et-libbf lada'at hokma sostiene l'inclusione tra 1,17 e 8,16. , 74 Per l'analisi di questo capitolo è fondamentale OGDEN, «Qoheleth IX,1-16», 158-169; cf. anche MICHEL, Untersuchungen, 166-183. 72
155-156;
154
75 Il kf, come sostiene MICHEL, Untersuchungen, 167, potrebbe anche introdurre un commento di Qohelet. 76 Qohelet usa il termine 'ab6da per indicare le opere. Questo termine ha un significato simile a quello di 'amaI. Cf. su questo RAINEY, «A second Look at 'amaI in Qoheleth», 805. n Cf. l'uso di questa coppia anche in 2,6; 7,16-17.25. 78 Condivido qui la traduzione di RAVASI, Qohelet, 282, nota 5, che corregge hakk61 con hebel. 79 OGDEN, «Qoheleth lX,I-16», 161. 80 L'importanza del numero 5 in questa sezione è rilevato da RAVASI, Qohelet, 283-284; cinque sono le sfortune dei morti (vv. 5-6) e cinque le cose considerate sotto il sole nel v. 11.
155
aggettivo è poi usato tre volte in questi due versetti secondo lo schema a-a-b a-b-b. 81 Il v. 4 enuncia, attraverso un detto (6b, che riporta un proverbio popo~ lare, una tesi che si oppone in modo radicale a quanto Qohelet aveva affermato in 4,2-3. I vv. 5-6 mirano infatti a esaltare i valori della vita nei confronti della morte che cancella tutto: la conoscenza, la ricompensa per le azioni compiute, la memoria, i sentimenti, la partecipazione a ciò che accade sotto il sole. C'è da rilevare infine l'uso di '6lam nel v. 6, che stabilisce un legame tra questo testo e i cc. 1 e 3. In base a questi rilievi di ordine formale e contenutistico ritengo che si possa condividere la struttura proposta da Ogden. 82 9,1
natattf 'el-libbf gam-'ahiiba gam-sin'a 'en y6dea' hii'adam ka'iiSer lakkol miqreh 'e1J,ad bekol 'aser-na'iisa ta1J,at hassemes kf-miqreh 'e1J,ad lakkol 'enam y6de'fm me'uma 'en-'6d lahem sakar gam-'ahiibiitam gam-sin'atam gam-qin'atam we1J,eleq 'en-lahem '6d bekol 'iiser na'iisa ta1J,at hassames
9,2 9,3a 9,3b 9,5 9,6
evoca immagini di felicità e di freschezza, e l'amore. Tuttavia anche nell'esaltare i valori della vita il Qohelet non dimentica mai quell'ombra di vuoto che incombe sull'uomo. La formula del v. 11 sabtf wera'oh segna, come in 4,1, il ritorno del Qohelet alla riflessione iniziale, chiudendo il discorso sulla retribuzione in forma circolare: i vv. 11-12 costituiscono la sintesi delle due tematiche trattate nel capitolo, per cui è possibile raffigurarne la struttura in questi termini: ..--
-
/'
-
.........
/
......
"'
/ A (ignoranza dell'uomo) I l '\ v. f
\
\
(
Tesi
I
(A'+B') vv. 11-12
Esempio A
\
B (un unico destino: J la morte) I ( w.U
I \
\
\ \
(
\ ,
Esempio B
Di fronte alla morte l'unica prospettiva possibile è la gioia di vivere. L'unità letteraria dei vv. 7-10 non necessita di particolari dimostrazioni; essa è evidente in primo luogo nell'inclusione delle parole hlk e 'sh e nell'uso dei verbi all'imperativo, che riprendono il vocabolario della gioia: sth, sm1J" 'kl, r'h, 'Sh. 83 Il motivo dell'invito del Qohelet alla gioia è espresso in 7b e ricondotto alla volontà di Dio; secondo alcuni autori 84 si tratterebbe di una glossa dommatica, ma non vi sono motivi fondati per sostenere qui un'interpolazione posteriore sia perché il testo non può essere interpretato nel senso di un recupero della retribuzione, sia perché la forma stilistica non fornisce elementi in tal sensO. Questo testo sulla gioia, che si estende fino ai vv. 8-9a, è più dettagliato dei precedenti, in quanto non fa riferimento soltanto al mangiare e al bere, ma si amplia fino a comprendere altri aspetti della vita: l'abbigliamento festivo, che
V.
(invito alla gioi~) / .......... ~v~ ~10_ --
FORZA E VULNERABILITÀ DELLA SAPIENZA
"
(9,13-10,20)
La frase introduttiva gam-zoh ra'ftf dà inizio senza dubbio a una nuova unità che, secondo Ogden,85 si conclude al v. 16 con il detto (6b: (6ba 1J,okma miggebura. Si tratterebbe dunque di un'unità indipendente soprattutto per l'uso del detto (6b che, nella prospettiva di quest'autore, costituisce un indizio stilistico importante per delimitare le sezioni. Ogden trova poi conferma della sua tesi anche nell'analisi del contenuto, in quanto il v. 17 darebbe una svolta al discorso verso una nuova direzione. Le due parole chiave 1J,km e gdl strutturano secondo l'autore questa sottosezione: v. 13 1J,km, gdl v. 14 gdl, gdl
..... Questo schema è evidenziato da OGDEN, «Qoheleth IX,I-16», 161-162. 82 OGDEN, «Qoheleth IX,I-16», 162. 83 Sulla terminologia della gioia cf. OGDEN, «Qoheleth's Use of the "Nothing is Better"Form», 340; ID., «Qoheleth IX,I-16», 163. 84 Cf. su questa unità letteraria LORETZ, «Altorientalische und Kanaanaische Topoi», 267271, per il quale il v. 7b, introdotto da kf è una glossa dommatica.
I
" '~
(Tema) (Illustrazione)
v. 15 1J,km, 1J,km v. 16 1J,km, 1J,km
(Conclusione)
81
156
85 OGDEN, «Qohelet IX,I-16», 166-167; ID., «Qoheleth IX,17-X,20. Variations on the Theme of Wisdom's Strength and Vulnerability», in VT 30(1980), 27-37, spec. 31.
157
Contro quest'interpretazione ci sono però degli elementi non trascurabili da considerare: il v. 16 non può essere staccato dai vv. 17-18 principalmente per due motivi: 1) per il termine nismii'fm, che si ripete nel v. 17, agganciando strettamente i vv. 16-17; 86 2) per la ripetizione della radice I;km, che ricorre 7 volte in 9,13-18 conferendo unità a questi versetti. 87 Inoltre dal punto di vista tematico i vv. 13-18 sono unificati dal confronto tra la sapienza e la forza bruta. Mentre i vv. 13-15 contengono le osservazioni di Oohelet sul fatto che un uomo povero ma sapiente sia riuscito a liberare la città e poi però sia stato dimenticato, il detto (ab del v. 16 introduce la riflessione sul valore della sapienza che vale più della forza, riflessione che si conclude al v. 18. D'altro canto lo stesso Ogden faceva notare le inclusioni esistenti tra il v. 16 e il v. 18 mediante i termini diibiir, (ab, I;okmà, il che conferma che i vv. 13-18 costituiscono un insieme unitario. Non si tratta inoltre di un'unità indipendente, come attesta l'uso di gebCtrà invece di gedolà che stabilisce una stretta connessione tra questa sezione e la precedente: il sapiente non può essere sicuro del risultato perché è Dio che lo determina. L'argomento fondamentale della pericope è il misconoscimento della saggezza; nei vv. 13-16 il tema è sviluppato mediante un esempio, che ritrae una piccola città assediata dall'esercito di un grande re;88 è un uomo povero (misken, come in 4,3) a risolvere il problema, ma poi sull'operato di quest'uomo scende l'oblio. Nel ribadire al v. 16 un principio caro alla tradizione sapienziale: (obà I;okma migg'bCtrà, Oohelet ne evidenzia nello stesso tempo l'intrinseca debolezza. È vero che la sapienza vale più della forza, ma di fatto la sapienza del povero è disprezzata. Si comprende allora ancora meglio il detto di 7,11: è buona la sapienza ma insieme a un cospicuo patrimonio! Diversamente essa è destinata al fallimento. Il contrasto è evidenziato attraverso i due elementi avverbiali: benal;at-bakk'sflfm (v. 17) che accompagnano ciascuno dei due termini di paragone. Il v. 17 è strettamente collegato al precedente attraverso il termine nisma'fm, tuttavia è anche vero che esso segna una svolta 89 in quanto introduce, con il riferimento alla follia, un tema che non ricorre nelle unità precedenti del capitolo nono, se si fa eccezione per hl! in 9,3. L'antitesi I;iikiimll;okmà e k'sfl verrà poi sviluppata nel c. lO (cf. I;iikiim in 9,17.18; 10,1.2.10.12; k'sfl in 9,17; 10,2.12.15; siklCtt in 10,1.13 e siikiil in 10,3.6.14).
Cf. ELLERMEIER, Qoheleth, l,l, 116. Cf. RAVAS1, Qohelet, 302. B8 L'espressione melek gad61 ricorda il greco f3amÀE1Jç !!Éyaç che era il termine tecnico nell~ cultura ellenistica per indicare i sovrani discendenti dai diadochi, che si erano spartiti l'impero dI Alessandro Magno, ma era stato applicato in precedenza anche ai re assiri e persiani (2Re 18,19; Is 36,4). Cf. su questo RAVASI, Qohelet, 301. 89 Con OGDEN, «Qoheleth IX,17-X,20», 31.
È utile a questo proposito lo schema tracciato da Ellerrneier: 90
9.16 9,17 9.18 10,1 10,2.3 10,4 10,5-7 10,8 10,9 10,10 10,11 10,12-15 10,16-17 10,18 10,19 10,20
I;okma dibre I;iikiimfm I;okmà I;okma fJiikiim marpe'
nisma 'fm nismii'fm
hassekel
'a§frfm
I;iikiim ben-fJorfm (17)
k'sfl «wehote'» 'efJiid siklCtt k'sfl siikiil
kesfl nii'ar(16) yii'kelCtI bassetf (17)
Da questo primo sguardo di insieme si comprende subito che 9,13-10,20 è una sezione unitaria. L'analisi letteraria dei singoli versetti confermerà questa ipotesi iniziale. Il v. 18 del capitolo nono riprende nella prima parte la conclusione del v. 16 pressappoco negli stessi termini: (v. 16) (oba I;okmà migg'bCtrà (v. 18) (oba I;okmà mikk'le qeriib
Ma l'affermazione del v. 18a viene subito ridimensionata in 18b con un'osservazione che introduce al tema dei versetti seguenti: forza e vulnerabilità della sapienza. 91 Si ha pertanto una serie di variazioni su questa tesi in 10,1-4.5-7.811.12-15.16-20.
86 87
158
J;:LLERMEIER, Qoheleth, 1,1,116-117. . . E il titolo dell'articolo di Ogden più volte citato e che ritengo riassuma bene il contenuto dI questa sezione del libro, la quale, però, secondo me, inizia già in 9,13. 90 91
159
Strettamente collegata a 9,17-18 è 10,1-4, come risulta dalle seguenti inclusioni: 92 9,17a nwh
[ [
10,4b 9,17b
msl lO,4a
[ 9,18 10,4c Importante è anche il chiasmo che si costituisce, in base a questi stessi termini, tra 9,17; 10,2-4 e 9,18b; 1O,la e che si articola intorno ai due temi: superiorità della sapienza e potere della follia, per cui anche dal punto di vista tematico il testo si presenta unitario. Il c. lO si apre 93 con un proverbio di non facile comprensione; una mosca morta guasta un vasetto di profumo di classe. Ancora una volta però è il contesto a fornire la chiave di comprensione del proverbio, in quanto il senso generale è quello di istituire un paragone tra la sapienza e la stoltezza: come una piccola realtà, la mosca, può inquinare un intero flacone di profumo, così una piccola dose di stoltezza annulla un grande bene e finisce coll'avere più peso della sapienza stessa. Balza così in evidenza il collegamento tra 9,18 e 10,1 .. I versetti seguenti (10,2-3) ampliano il discorso sull'antitesi tra la sapienza e la stoltezza, presentando l'opposizione tipicamente sapienziale tra le due vie, la destra e la sinistra che nella simbologia tradizionale rappresentano l'opzione morale (cf. oltre a Gen 48,17, Dt 5,32; 2Re 22,2; Is 30,21; Pr 4,27; Sal 121,5). La scelta della strada, però, per lo stupido non ha valore, perché qualunque strada intraprenda, egli rimane una persona senza cervello e proprio lui chiama stupidi tutti gli altri! Questo atteggiamento è una conferma della sua stupidità, in quanto chi si crede più saggio degli altri è in realtà insipiente. Il v. 4 conclude quest'unità riprendendo tema e terminologia di 9,17; vi si trova infatti
Si veda anche il commento di OGDEN, Qoheleth, 163-164. Cf. invece ZIMMERLI, Das Buch des Predigers, 224-227, il quale fa concludere il testo al v. 3. Ma, come si è detto, la presenza di termini come nwfJ, m.sl, fJ!' in 10,4 impedisce di considerar~ il v. 3 come conclusivo, in quanto essi richiamano 9,17-18 con cui fanno inclusione. Sulla lInea di Zimmerli è anche SCHOORS, «La structure littéraire de Oohéleth», 111, che separa i vv. 4-7 sIa dal contesto precedente che da quello seguente. Altra proposta ancora in WRIGHT, «The RiddJe o~ the Sphinx», 332. L'autore separa 10,2-7 da 9,13-10,1, che costituirebbe un'unità in base all'inclUSIOne di fJokmii in 9,13 e 10,1. 92 93
160
l'invito a rimanere calmi di fronte alla collera del comandante, in quanto la calma contraddistingue l'atteggiamento autentico del sapiente mentre le urla sono segno della ottusità del potere. Nello stesso tempo il v. 4 preannuncia il tema dei versetti seguenti: è chiaro infatti che al v. 5 inizia una nuova unità introdotta dalIa frase tipica: yet ri'l'a rii'fn tahat hassiimes la quale a sua volta rinvia ad un contesto più ampio (cf. 9,11.13).94 I vv. 5-7 costituiscono un'altra unità, che illustra attraverso una scena vivace e ben caratterizzata la vulnerabilità della sapienza. Sembra di assistere visualmente (ripetizione del verbo r'h) a un vero e proprio rovesciamento dei valori tradizionali: su un piano di superiorità gli stupidi, i migliori invece agli infimi livelli (v. 6); i servi a cavallo e i principi a piedi come servi (v. 7). Procedendo oltre nella delimitazione letteraria del testo è possibile isolare un'altra piccola unità,95 costituita dai vv. 8-11, e ciò in base all'inclusione tra niiJJiis e nsk in 10,8 e 10,11;96 nei vv. 8-9 quattro proverbi, costruiti intorno a quattro frasi participiali, illustrano un'unica verità: intraprendere un qualunque lavoro presenta forti margini di rischio anche per l'uomo competente. Per sostenere la sua tesi Qohelet usa materiale tradizionale: infatti il primo proverbio: h6per yCtmmii~ bo yippol trova riscontro in testi della letteratura biblica (Pr 26,27; 28,10; Sir 27,26; Sal 7,16; 9,16; 57,7) ed extrabiblica. 97 Anche il secondo proverbio: ùp6re~ giidiir yissekennCt niihiiS ricorda Am 5,19. Analogo pericolo corrono anche il tagliapietre e il taglialegna, la cui competenza professionale non è sufficiente a preservarli da ogni rischio. Il v. lO, anche se presenta diverse difficoltà dal punto di vista testuale,98 è abbastanza chiaro nel suo significato, perché si muove nel senso della rivalutazione della sapienza, considerata come la condizione indispensabile per un lavoro veramente efficiente e che pertanto comporta un grande guadagno (yitron); al v. lO si ricollega il versetto seguente, sia per l'analogia di stile, perché entrambi i versetti sono introdotti da una proposizione èondizionale, sia per l'antitesi tra yitron del v. lO e ' én yitron del v. 11. Questo versetto va dunque nel senso opP?sto al precedente, in quanto evidenzia piuttosto quanto sia vulnerabile la sapIenza.
:" Con SCHOORS, «La structure littéraire de Oohéleth», lll. 5 LAUHA, Kohelet, 186-187 sostiene invece che i vv. 1O-1l, inizialmente indipendenti, costitUissero un'unità a sé stante, che in un secondo momento sarebbe stata ricollegata ai vv. 8-9. Giustament~ SCHOORS, «La structure littéraire de Qohéleth", 111, osserva che la diversità di stile può essere SpIegata col fatto che Qohelet usa materiale tradizionale. ~ WRIGHT, «The Riddle of the Sphinx», 332 in base a queste inclusioni ritiene che i proverbi . ~an~.dlstribuitiin modo chiastico e che presentino sei quadretti sull'imprevisto o possibilità di incienti, non mI sembra però che esistano le basi per una struttura chiastica. Cf. una critica in questo senso ~~che in OGDEN, «Qoheleth IX,17-X,20», 34. r Il proverbiO del Qohelet trova un corrispondente quasi letterale in un testo egiziano demolco: Il Ciclo di PeiUbaslis, Il,21. Per questi riscontri cf. HUMBERT, Recherches sur les sources égypI lennes, 121. 5445 98 Sul v. lO cf. A. FRENDO, «The "Broken Construct Chain" in Qoh lO,lOb», in Bib 62(1981), - 45. Cf. anche RAVAS1, Qohelel, 313, nota 13. .
161
T Pur riconoscendo il valore della sapienza in 10,lOb, quest'unità è orientata prevalentemente a evidenziare i pericoli ai quali è esposta anche l'azione della persona competente. I vv. 12-15 tornano a delineare, come in 10,2-3, l'antitesi tra il sapiente e lo stolto. Giustamente Ogden99 sostiene che 10,2a è parallelo a 10,12a e 1O,2b-3 è allineato con 10,12b-15. Mentre però in 10,2-3 la parola chiave è léb, in 12-15 questa funzione è svolta da dibre e pf. Tuttavia l~ scoP.o è quello di mostrare, come in 9,17, la superiorità della sapienza sulla folha e l'mtroduttivo dibre pi hiikiim, in opposizione a dibre hiikiimim consolida questa relazione tra le due unità. Dal v. 12 al v. 14 Qohelet ricollega ancora una volta il tema della stoltezza a quello della vanità della parola (come in 4,17-5,6); ma questa unità ~aratteriz za lo stolto come colui che moltiplica le parole senza fondamento, m quanto l'uomo ignora ciò che accadrà in futuro loo (cf. anche 6,12; 8,7; 9,1; 9,12). Piuttosto problematico è il v. 15, sia per la presenza del plurale hakk"silim, che diversi autori cambiano nel singolare hakk"sil,101 sia per il senso generale del testo; cosa può voler dire infatti 16' -yiida' laleket ' ef- 'ir (10,15b)?102 Si tratta di una locuzione proverbiale, come sostiene Ravasi, che può essere tradotta: «non sanno rientrare in città», con riferimento agli stupidi i quali, non sapendo scegliere la strada giusta (come in 10,3), si disperdono esausti per la fatica. 103 Va se104 gnalato infine il ritorno del termine 'ir di 9,14 in 10,15. • I vv. 16-20 creano diverse difficoltà dal punto della struttura, m quanto non si amalgamano affatto con le altre unità della sezione; non tanto per il contenuto, in quanto il tema politico-militare era già presente nei vv. 4-7, ~uanto per l'assenza totale dei termini hiikiim/hokma, siikiil e kesil che cara.ttenzzano 9,17-10,15.105 Inoltre questi versetti si presentano alquanto eterogenei, tanto da far dubitare che ci troviamo di fronte a una vera e propria unità. 106 Per quanto riguarda i vv. 16-17 essi sono da considerare insieme, perché presentano la stessa struttura:
OGDEN, «Qoheleth IX,17-X,20», 34. . Non vedo il motivo di considerare il v. 14b come un'aggiunta o come proveruente da un altro contesto (6,12; 8,7). Cf. invece LAUHA, Kohelet, 190, il quale non ritiene che questo versetto sia appropriato al contesto. . '. . ._ 101 Il TM ha il plurale' DAHOOD «Canaamte-Phoemclan Influence», 194-195, propone .1\ SIO , , f'f" hlTM golare spiegandolo con l'aggiunta del mem enclitico, comune ~ell'ortogra la emCla, c e I avrebbe scambiato con il plurale. Cf. anche DI FONZO, Ecclesl.aste, 298. 102 Per le numerose interpretazioni del versetto cf. PODECHARD, L'Ecclésiaste, 436-438; M. LEAHY, «The meaning of Qoh 10,15», in IThQ 18(1951), 288-295, sIJec: 28~-2?0. . . _ 103 SACCHI, Ecclesiaste, 208, ritiene che Qohelet avesse IO me~te Il tipO ~I vlta?J una p~rt~cO lare categoria di persone, forse gruppi giudei che con~ucevano vIta sohtana fU,orl d~lla cltta· G_ 104 Quest'inclusione, proposta da WRIGHT, «The Riddle of the Sphlnx», 3:2 e resplOta da O DEN, «Qoheleth IX,17-X,20», 35, il quale rifiuta di vederne l'!mp?rtanza perche esula dal!a sezlOnt 9,17-10,20. Potrebbe però, a mio avviso, essere un utile IOdlZlo di collegamento tra le vane sezlOn . 105 Sulle difficoltà di questa sezione cf. OGDEN, «Qoheleth IX,17-X,20», 35. 106 Così LAuHA, Koheiet, 193 e 196-197. L'autore ritiene che in questi versetti siano state aggiunte diverse glosse. 99 100
162
(v. 16) 'i-liik 'ere!j semmalkék ne/ar w"siirayik babb6qer y6'kélCt (v. 17) 'asrek 'ere!j semmalkék ben-horim wesarayik bii'ét yo'kélu bigebura welo' bass'n Questa identità strutturale sottolinea ancora meglio il contrasto delle due v. 16 è delineato il governo folle del giovane re, in netta antitesI col comportamento di un re saggio, circondato da principi che banchettano al momento opportuno senza darsi alla crapula. Appare così più evidente il collegamento con 9,17. I vv. 18-19 sulla pigrizia che conduce alla rovina e sul divertimento si ricollegano al v. 16; in particolare occorre sottolineare la relazione tra il v. 16 e il v. 18 e tra il v. 17 e il v. 19, quest'ultima confermata da 'aSre che si accorda bene con shq e smh del v. 19. 107 Il V. 20 si ricollegherebbe invece meglio ai vv. 16-17,108 a caus~ soprattutto del suo contenuto: l'invito a non parlare male del re o del potente.sl comprende bene alla luce della critica che Qohelet muove al potere oppressIvo e corrotto, ma è soprattutto la parola chiave diibiir che consente di individuare in 9,17; 10,12.13.14.20 il filo conduttore di questa sezione: quello della parola e della sua relazione con la sapienza e la stoltezza. 109 situazion~. I~plicitamente nel
VI.
L'UOMO IGNORA QUEL CHE PUÒ ACCADERE
(11,1-6)
Non vi è dubbio che questa nuova unità, che inizia in 11,1, termini al v. 6;110 prevale infatti in questi versetti la seconda persona singolare, mentre in 11,7-8 muta il tono del discorso e inizia una nuova riflessione, espressa questa volta. alla terza persona singolare; solo nei versetti conclusivi del capitolo (vv. 910) SI torna a una serie di ammonizioni sul comportamento che l'uomo deve avere nei giorni felici della sua giovinezza. Nel suo articolo su Qo 11,1-6 Ogden 1ll ha messo in evidenza come una delle pr!ncipali caratteristiche formali di questa pericope sia il parallelismo; nei vv. 1-4 s~ possono osservare tre serie di due sentenze, ciascuna delle quali è strutturat~ l? forma parallela, mentre il v. 5 presenta un tipo di parallelismo che Ogden defmlsce «ascendente». Segue al v. 6 una sentenza che è formulata, come i vv. 1-2, con due imperativi e una motivazione conclusiva.
W
107
Il v. 19 è stato talora interpretato in senso negativo. Cf. BARTON, Ecclesiastes, 175;
~GHT, «The Rlddle of the Sphmx», 332; ZIMMERLI, Das aZlOn~08neutrale. Sul problema cf. OGDEN, «Qoheleth,
Buch des Predigers, 138 ne dà un'interpreIX,17-X,20», 36. 109 Cf. ZIMMERLI, Das Buch des Predigers, 234, che collega il v. 20 ai vv. 16-17. ra Sul v. 20 D. W. THOMAS, «A note on BMD'K in Eccles. X.20» in JThS 50(1949), 177. Sul l Pporto tra 10,20 e 11,1 cf. W. STAERK, «Zur Exegese von Koh 10,20 und 11,1», in ZAW 59 ( 94211J?~3), 216-218; M. DAHOOD, «CanaaOlte Words IO Qohelet 10,20», in Bib 46(1965), 210-212. . Cf. Invece ZIMMERLI, Das Buch des Predigers 237, che vede nel v. 81a conclusione di quet Uilità. sa ' 111 G.S. OGOEN, «Qoheleth XI,1-6», in VT 33(1983), 222-230. t
163
L'unità letteraria del brano è dimostrata inoltre dalla ripetizione per quattro volte dei verbi che denotano l'ignoranza: 16' leda' (v. 2), 'enkii y6dea' (v. 5), 'enkii y6dea' (v. 6). I primi due versetti enunciano in forma antitetica lo stesso principio: che nella vita bisogna comportarsi in modo tale da far fronte all'imprevisto. L'antitesi è espressa nei due verbi: m!j' (v. 1) e 16' leda' (v. 2). Tra le numerose interpretazioni che sono state date del v. 1,112 la più adeguata al contesto è quella che coglie nell'espressione idiomatica del v. 1 l'invito a essere intraprendenti in ogni affare; all'azione del gettare fa riscontro nel v. 2a quella del «dividere». L'espressione len-/Jeleq zesib'{j wegam lism6n{jll3 indica la necessità di investire in più direzioni; ma ciò che maggiormente conta in questi versetti è la motivazione espressa in 11,2b: kf 16' leda' mah-yyihyeh rii'{jY4 Nei due verbi m!j' e yd', che sono tra l'altro i verbi più importanti dei cc. 7-8, il Qohelet riassume il tema della conoscenza dell'uomo (cf. anche 9,1.5.10.12); mentre il primo denota una conoscenza di tipo sperimentale, il secondo verbo indica piuttosto un sapere teoretico, anche se non del tutto avulso dall'esperienza. Che i due verbi qui siano in contrasto è confermato anche dall'opposizione tra 'al-pene hammiiyim del v.le 'al-hii'iire!j del v. 2; per cui l'accento cade inevitabilmente sull'antitesi piuttosto che sui due imperativi. m I vv. 3 e 4 sono da considerare insieme, in quanto fanno riferimento entrambi a fenomeni naturali, ma la prospettiva dalla quale essi considerano la stessa realtà è profondamente diversa. Il v. 3, strutturato intorno a due proposizioni condizionali, enuncia il principio, comunemente ammesso dalla sapienza tradizionale, che esiste uno stretto rapporto tra causa ed effetto, per cui dall'osservazione che le nubi sono piene è possibile dedurre che la pioggia è imminente e che se un albero cade, qualunque sia la direzione in cui cade, non può non rimanere nello stesso luogo. 116 Ma il v. 4 ridimensiona questa che potrebbe essere interpretata come una verità assoluta, prospettando i rischi in cui incorre chi si
Sull'espressione cf. DI FONZO, Ecclesiaste, 303; RAVASI, Qohelet, 322. Questa espressione trova numerosi riscontri nella letteratura ugaritica e fenicia, soprattut: to per la cifra sette-otto; cf. DAHooD, «Canaanite - Phoenician Influence», 212. Su questo versetto SI veda in particolare H. KRUSE, «"Da partem septem, necnon et octo"», in VD 27(1949),164-169. Ulteriore bibliografia sul numero in RAVASI, Qohelet, 323, nota 21. 114 Sull'espressione «tu non sai» e sul messaggio della pericope cf. T. GLASSON, «"You never Know": The Message of Ecclesiastes 11,1-6», in EvQ 60(1983), 43-48. 115 Con OGDEN, «Qoheleth XI,1-6», 224. 116 Diversa interpretazione in RAVASI, Qohelet, 324. L'autore ritiene che il v. 3 possa essere interpretato in due modi possibili: 1) come una parabola, che in connessione con il v. 2, evoca l'inevitabilità dei rischi; come l'acqua, che è in sé un elemento benefico, può trasformarsi in una tempesta distruttiva, così le operazioni economiche, pur essendo orientate all'incremento dei beni, possono dissipare intere fortune; 2) in connessione col v. 4: se ci si attiene troppo rigidamente alle preVIsioni metereologiche, non si troverà mai il tempo per iniziare il lavoro agricolo. Il v. 3 sarebbe dunque un'illustrazione della tesi enunciata nel v. 2 o nel v. 4, mentre, secondo me, esso si muove nella direzione del v. 1, ponendo l'accento sulle certezze che possono scaturire da un'osservazione sperimentale: chi getta il pane sulle acque prima o poi lo ritroverà (v. 1); quando le nubi sono piene cade la pioggia (v. 3). 112
113
164
attiene meticolosamente a regole metereologiche e astronomiche; ciò condurrebbe inevitabilmente all'inerzia e alla stasi operativa. Il v. 5 sviluppa la tesi di fondo di quest'unità: la necessità di rischiare è motivata dal fatto che come l'uomo ignora il mistero del concepimento e della vita, così ignora l'opera di Dio (cf. 3,11; 7,13-14). Mentre il v. 3 è sulla stessa linea del v. 1, perché pone l'accento sulla prevedibilità dei fenomeni, i vv. 4-5 sviluppano la tesi enunciata nel v. 2, spostando l'accento sull'inconoscibilità degli eventi; la relazione esistente tra il v. 2 e il v. 5 è basata sulla ripetizione di 16' leda' mah del v. 2 in e 'enkii y6dea' e 16' leda' del v. 5. 117 Il v. 6 è una conclusione che ricapitola i temi trattati nei versetti precedenti, in quanto la prima parte del versetto è strutturata intorno a due imperativi come in 11,la.b. Segue in 11,6b una motivazione introdotta dal kf, come in 11,lb e 11,2b; essa è imperniata sul tema dell'inconoscibilità, enunciato in 11,2.5, mentre la preposizione 'im richiama sicuramente il v. 3. Il v. 6 conclude dunque quest'unità con un'esortazione a lavorare in tutte le direzioni e in ogni tempo,118 in modo da garantirsi una migliore riuscita nel proprio lavoro. La parola finale della pericope, che è t6bfm, ripropone il tema del vantaggio, preannunciato in 6,12. Si può osservare in quest'unità un procedimento dialettico, in cui la tesi è costituita dal concetto tipico della sapienza tradizionale, che esiste uno stretto rapporto tra causa ed effetto; l'antitesi esprime il punto di vista di Qohelet che sposta il discorso dal piano delle certezze a quello dell'imprevedibilità dei fenomeni storici e naturali, per concludere poi all'inconoscibilità dell'opera divina (v. 5). Il v. 6 è una sintesi dell'intera pericope perché nella prima parte recupera parzialmente la tesi tradizionale che a ogni causa corrisponde un determinato effetto (vv. 1.3) e nella seconda motiva l'esortazione a impegnarsi in ogni direzione con l'imprevedibilità degli eventi. Quindi: A (v. 1) B (v. 2)
tesi antitesi
C (v. 6)
sintesi
A' (v. 3) =A (v. 1+3)
B' (vv. 4-5)
tesi antitesi
B (vv. 2+4-5)
ll7 Cf. questi rilievi stilistici in OGDEN, «Qohelet XI,1-6», 226. L'autore però accomuna i vv. 3-4, che presenterebbero le situazioni in cui si può cogliere il vantaggio delle proprie azioni; ma anche dal punto di vista formale non è difficile osservare che il v. 4 è sulla stessa linea del v. 5 sia per la presenza dei due participi (somer al v. 4 e yòdea' al v. 5) sia per la negazione lò' che nei due versetti flcorre Rer ben quattro volte. 18 L'espressione babboqer z'ra' 'et-zarekii può essere interpretata in due modi possibili: 1) lavorare instancabilmente dalla mattina alla sera; 2) seminare un po' la mattina e un po' la sera. Cf. DI FONZO, Ecclesiaste, 307. Nell'uno e nell'altro caso il senso del discorso rimane (o stesso: seCondo Qohelet è necessario evitare di calcolare in maniera troppo rigida i tempi del proprio lavoro, COSI da garantire una riuscita più sicura ai propri sforzi.
165
VII. IL CANTICO FINALE (11,7-12,7): ALLEGORIA DELLA VECCHIAIA o DELLA MORTE? Tre sono gli elementi che scandiscono la struttura di questa pericope: 119 11,7-12,7, che costituisce il cantico finale del libro. Il primo è costituito dai verbi sml] e zkr,120 che introducono i due temi della gioia e del ricordo. Il tema della gioia, enunciato in 11 ,8a, viene sviluppato in 11 ,9-10; anche il tema del ricordo, presente fin da Il,8b, trova poi un ulteriore sviluppo in 12,1. Il secondo si delinea fin dall'affermazione introduttiva di 11,8 ed è il riferimento al tempo, che attraversa tutto il testo: sanim harbeh; 'et-yemè hal]osek (11,8b); bimè bel]Ctroteka (11,9; 12,la); bayyom (12,3). Il terzo elemento che scandisce la struttura del testo è la clausola 'ad' iiser /6' seguita da un verbo all'imperfetto; l'importanza di questa clausola è sottolineata dal fatto che essa appare tre volte (12,lb.2a.6a) articolando in tre sottosezioni tutto il capitolo dodicesimo: 12,lb; 12,2a-5; 12,6a-7. Sulla base di questi primi rilievi è già possibile delineare l'articolazione complessiva del testo: Enunciazione dei temi (11,7-8)
A: 11,8a yismal] B: 11,8b yizkar
Sviluppo dei temi (11,9-12,7) A: 11,9 semal] B: 12,la Ctzekar
+motivazione ki habel
+motivazione ki habel
(11,8c)
XI,8
ki 'im-sanim harbeh yil]yeh ha'adam bekulliim yismiil] weyizkar 'et-yemè hal]osek ki-harbeh yil]yCt kol-sebbti' habel
Time phrase Theme A Theme B Time phrase Conclusion
XI,9-1O
semal] beyaldCtteka... bimè bel]Ctrotekii ki ... habel
Theme A Time phrase Conclusion
XII,l
Ctzekor bimè bel]Ctroteka 'ad 'iiser lO' 'ad 'iiser lO' 'ad 'iiser lo' hiibel hiiba/im .,. hakkal htibel
Theme B Time phrase
XII,2 XII,6 XII,8
Conclusion
(11,10)
12,lb 'ad 'Mer lo' 12,2 'ad 'Mer lo' 12,6 'ad 'Mer lo'
All'interno del testo sarebbe poi possibile individuare una divisione tripartita 121 in base soprattutto al termine hebel, che ricorre nel brano tre volte (11,8.10; 12,8): 1) 11,7-8; 2) 11,9-10; 3) 12,1-8. Mentre però per 12,1-8 è evidente la suddivisione in'tre parti in base alla clausola 'ad'Mer lo' per il 11,7-10 è più difficile tracciare una ripartizione netta 119 Mi ricollego su questo punto all'analisi di G.S. OGDEN, «Qoheleth XI,7-XII,8: Qoheleth's Summons to Enjoyment and Reflection», in VT 34(1984), 27-38. 120 Sull'importanza dei verbi smfJ e zkr per quanto concerne la struttura di 11,7-12,7 cf. H. Wl~ZENRATH, SiJ;Ss is~ .das Li~ht ... Eine literaturwissenschaftliche Untersuchung zu Koh. 11,7-12,7 (Munchener Umversltatsschnften. Kath.TheoI.Fakultiit. Arbeiten zu Text und Sprache im AT 11), EOS, St. Ottilien 1979, spec. 6. 121 Cf. soprattutto RAVAS1, Qohelet, 331-332.
166
dei versetti, perché i due temi della gioia e del ricordo sono così strettamente intrecciati nel loro rapporto dialettico da rendere impossibile una rigida demarcazione. Il riferimento alla tematica della vanità non è un elemento sufficiente per una divisione tripartita, qual è quella proposta da Ogden,122 il quale prospetta la seguente struttura:
L'espressione hiibel hiibalim 'amar haqqohelet hakkal habel di 12,8 è quasi certamente un'aggiunta redazionale, che insieme a 1,2 costituisce la cornice di tutto il libro: 123 essa non può essere considerata come un elemento strutturale del testo. Inoltre, se è vero che il giudizio di vanità è posto qui a conclusione dell'invito a godere delle gioie che offre la giovinezza, idealmente esso ha la priorità, in quanto proprio dalla constatazione che il futuro di ogni uomo è inconsistente (11,8c) e che i capelli neri sono un soffio (11,lOc) scaturisce l'invito stesso. Si tratta ora di vedere più precisamente come si articolano i due temi della gioia e del ricordo. Da questa prima analisi della dinamica del testo risulta già evidente che i due iussivi del v. 8, yismal] e yizkar, situati immediatamente l'uno dopo l'altro, si trovano in realtà in tensione dialettica; l'indizio principale di ciò è dato dal contrasto luceltenebre, intorno al quale sono organizzati rispettivamente i due temi della gioia e del ricordo. Anche in seguito l'esortazione alla gioia evoca immagini di giovinezza e di felicità (11,9ab.lOc), mentre l'ammonizione a ricordare è legata alla prospettiva
122 123
OGDEN, «Qoheleth XI,7-XII,8», 29-30. Diversa opinione in LAURA, Kohelet, 216.
167
di un futuro vuoto e tenebroso: i giorni orribili e gli anni disgustosi (12,lb), che potrebbe anche alludere alla situazione in cui si troverà l'uomo dopo la morte nello se'01Y4 Infine in 12,1 la tensione dialettica è risolta nell'ammonizione: uz'kar 'et-bOr'ekii bfme befJurateka dove il ricordo è ricondotto ai tempi della giovinezza che sono quelli della gioia. Ravasil25 ha giustamente osservato che l'unica volta in cui nella Bibbia si intrecciano i due verbi, godere e ricordare, è nelle norme sulla festa delle Capanne (cf. Dt 16,11-12); in questa occasione Israele è invitato a gioire ~ ricordare tutti gli atti salvifici che Dio ha compiuto per il suo popolo. M~ non SI p.uò fare a meno di osservare che tanto la gioia quanto il ricordo sono stati svuotati del 10ro significato originario, in quanto non sono più legati al memoriale del passato quanto piuttosto alla prospettiva dell'oggi e di un futuro tenebroso e vuoto. Considerati in relazione a 11,8, i versetti seguenti da 11,9 a 12,1 segnano lo sviluppo dei due temi iniziali. Non si possono staccare, come invece fa Ogden,126 i versetti finali dei capitoli da 12,1 soprattutto per la presenza di bfme befJuratekii (11 9a' 12 la) che è un chiaro indizio dell'intenzione dell'autore di considerare in ;ar~lleÙsm~ dialettico i due temi: della gioia e del ricordo. L'inclusione tra 11,9a e 11,10c è evidente per la presenza di hayyaldut (giovinezza), ma c'è un'inclusione più ampia da considerare ed è appunto quella segnata dall'espressione bfme behCtratekii (v. 9). Anche il parallelismo tra i vari imperativi (s'mafJ, hallek, dii') co~ferma l'unità di questi versetti, che vanno ~~i~di consi~e~ati ~ns~eme. In 11,9 si trova come l'espansione del tema lOlZIale: la giOia di Vivere, espressa nuovamente col verbo smfJ, che torna ora nella forma dell'!mperativo~ seguito dall'imperfetto wiffbkii; la ripetizione per tre volte del termlOe leb ~a .d, esso una delle parole chiave di questa sezione e ciò dimostra che non è pOSSibile staccare il v. lO dal v. 9. È tuttavia giusta l'osservazione di Ogden, che mentre per il v. 9 gli imperativi sono in positivo, nel v. lO essi denotano azioni neg.ativ~. I primi, invitando il giovane a seguire senza riserve gli impulsi de.l ~uore e I ~esl deri degli occhi, sembrano rompere del tutto con una certa tradlZlone ch~ lOse~ gnava a evitare le vie del cuore (Is 57,17) e a non seguire né il cuore né glI occhi (Nm 15,39; Gb 31,7; Sir 5,7). Queste esortazioni a gioire della propria giovinezza fanno di Qohelet un saggio decisamente anticonvenzionale; ma il miSpii( del v. 9c riconduce tutto nell'alveo del pensiero tradizionale. Per non aver l27 colto la dialettica del testo alcuni autori arrivano a espellere come glossa il v. 9C o anche a considerare l'ammonizione relativa al giudizio di Dio come un tentativo da parte dello stesso Qohelet di ridimensionare il suo invito a godere della giovi-
Così WITZENRATH, Suss ist das Licht... , 35-36. RAVASI, Qohelet, 334-335. 126 OGOEN, «Qohelet XI,7-XII,8», 28-32; lo., Qoheleth, 193-197. . . . . . . al 127 SIEGFRIEO, Prediger, 73 attribuisce questa parte del versetto, relativa al gIUdIZIO dI DiO, Hiisid' sulla stessa linea del POOECHARO, L'Ecclésiaste, 452. Recentemente l.R. BUSTO .SAIZ, <;Estr~ctura metrica y estrofica del "poema sobre la juventud y la vejez": Qohelet 11,7-12,7», lH Se! 43(1983), 17-25 ha sostenuto che 9c è una glossa basandosi sulla struttura metnca del cantiCO. 124 125
168
nezza. 128 Ma non vi è ragione di considerare il tema del giudizio divino come un elemento estraneo al pensiero del Qohelet, il quale è caratterizzato appunto da una ricca ?ialettica di temi che pur nella loro opposizione si chiariscono reciprocam~n~e; 10 questo contesto I~ prospettiva di un giudizio di Dio sulle azioni degli uominI suona come un mOnI!o contro l'interpretazione puramente edonistica delle esortazioni di Qohelet. E significativo che l'invito del v. lO a scacciare dal cuore la malinconia e a evitare le sofferenze fisiche sia seguito immediatamente dalla seguente motivazione: kf-hayyaldut w'hassafJiirut hiibel. La fuga dalla malinconia e dalla sofferenza è un motivo presente sia nella letteratura egiziana che in quella greca e non è affatto estranea alla mentalità biblica (cf. Sir 30,21-23). Nel Qohelet esso è situato nel contesto della simbologia del hebel, «che qui ha il valore simbolico originario di "soffio", di vapore che subito sfuma, di realtà impalpabile e votata ad una veloce dissoluzione». 129 Il verbo con cui si apre il v. 1 del dodicesimo capitolo zkr è parallelo a smfJ di 11,9 come dimostra l'inclusione bfme b'fJuratekii; Qohelet dunque stabilisce grazie a questa inclusione un parallelismo dialettico tra i due temi; nei giorni della giovinezza l'uomo è tenuto non solo a gioire ma anche a ricordarsi del proprio creatore. 130 A partire da 12,lb la struttura dei versetti diventa più chiara perché è incentrata intorno alla formula 'ad 'iiser lo', ma il discorso si fa più complesso a causa del linguaggio simbolico adoperato dal Qohelet, che è finalizzato a illustrare i giorni tenebrosi che saranno infiniti. Tramontata quasi del tutto l'interpretazione allegorica, 13I che si sforzava di cogliere in ogni tratto del testo un'allusione ai mali fisiologici degli anziani, si è fatta strada recentemente l'ipotesi che in questo testo Qohelet non sia tanto interessato a descrivere la vecchiaia quanto piuttosto la morte e la condizione tenebrosa e fredda dello se'01. 132 In effetti il contrasto luce/tenebre, di cui si tratta in 11 ,7-8, evoca più facilmente l'antitesi tra la vita e la morte che non la contrapposizione giovinezza/vecchiaia. Sembrano confermare questa interpretazione anche le immagini contenute in 12,2 relative all'oscurità totale, che è rappresentata dallo spegnersi dei quattro segni luminosi: sole, luce, luna, stelle. Data poi la corrispondenza di vocabolario tra 11,7-8 e 12,2 (M'or, haSsiimeS), il v. 2 potrebbe essere collocato nella stessa
Cf. questa interpretazione in RAVASI, Qohelel, 337. m RAVASI, Qohelel, 338-339. 130 Lo yod di bor'eykii si può spiegare come un plurale maiestatico. Sul problema cf. F. PIOT!I, «OsservazIOnI su alcuni paralleli extrabiblici nell'''Allegoria della vecchiaia" (Qohelet 12 1-7)>> tn Bea 19(1977), 119-128, spec. 120; RAVASI, Qohelel, 341-342. ' , Q 131 Contro l'interpr~tazionealle~orica si pone M. GILBERT, «La Description de la vie ili esse en mohelet, 12,1-7 est-elle allegon9ue?», In VTS 32(1981),96-109, spec. 96-97. Per una visione di insieE e delle diverse InterpretaZiOnI che sono state proposte di questo cantico finale si veda DI FONzo, 5~_Ci~~laSle, 316-317; M.V. Fox, «Aging and Death in Qoheleth 12», in JSOT42(1988), 55-77, spec. 128
132 P . .InterpretaZiOne . 1 er quest ,u llima cf. l.F.A. SAWYER, «The Ruined House in Ecclesiastes 12 : A Reconstruction of the OriginaI Parable», in JBL 94(1975), 519-531, spec. 523; OGOEN, «Qoheet XI,7-XII, 8», 33.
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linea di 11,7. Anche l'immagine dell'inverno senza fine, in cui alla pioggia segue la pioggia, fa pensare facilmente alla dimora oscura e gelida dello Se'ò!. Fin qui tutto darebbe credito alla tesi che ci troviamo di fronte a un discorso simbolico sulla morte, ma, se si considerano attentamente le immagini del v. 3, occorre riprendere in considerazione gli argomenti di quegli autori che interpretano il testo in senso fisiologico;133 il tremito, l'incurvarsi della figura, il blocco delle articolazioni, l'abbassamento della vista e dell'udito, che caratterizzano la condizione fisica dell'anziano, sono certamente presenti nella simbologia dell'edificio in sfacelo, delineata nei vv. 3-4; anche se altri particolari fanno pensare ai momenti che precedono immediatamente la morte: i battenti che si chiudono, i suoni che si attenuano e si affievoliscono. Al v. 5 si torna però alla simbologia della vecchiaia con l'immagine delle alture che fanno paura, del venir meno lungo la strada, del mandorlo in fiore, che evoca la canizie dell'anziano, della cavai-I letta che ha perso ormai la sua agilità e infine del cappero, frutto così appetitoso e stimolante, privo ormai del suo effetto e del suo fascino. La scena culmina in! 5b con un ki esplicativo che fornisce, secondo Ogden,134 la chiave di interpreta'! zione della sottosezione (vv. 3-5) ed è uno scenario di morte che ci si presenta. La dimora (bel 'òliimò) è la tomba, alla quale ogni uomo è destinato, come dimostrano anche le immagini seguenti, che sono evidentemente quelle del corteo funebre. Il libro si conclude così come è iniziato (cf. 1,4-11), con la prospettiva della morte, presente implicitamente nel poema introduttivo ed esplicitata ora nel cantico finale. L'esistenza di un rapporto intenzionale che l'autore ha voluto stabilire tra l'inizio e la fine del libro può essere sostenuta non solo in base a questo elemento, ma anche tenendo conto della dinamica del testo, articolata, come quella di 1,4-11, intorno all'antitesi movimento/stasi. Per questi motivi nel contestare l'esegesi allegorica del testo Sawyer 135 ha proposto un'interpretazione alternativa basata soprattutto sull'analisi dei vv. 3-5b. Questi versetti si possono articolare in due parti: a) vv. 3-4a; b) vv. 4b-5b. La prima parte è caratterizzata dalla ricorrenza dei verbi che hannò prevalentemente il waw come suffisso di coniugazione; la seconda presenta i verbi con il waw come prefisso. Sulla base di queste osservazioni formali, l'autore individua nelle due parti che compongono questi versetti una riproposizione dell'antitesi presente in 1,4 tra l'umanità che passa e la creazione che assiste indifferente, tra l'uomo che si sottopone a una fatica incessante e la natura che rimane ferma nella sua immutabilità. 136 i
l
133 Cf. soprattutto H. HOLTZHAMMER, «Réflexions sur le sens biologique du chapitre douze de l'Ecclésiaste», in RHMH 10(1957), 77-86, 111-120, 161-169. 134 OGDEN, «Ooheleth XI,7-XII,8», 34. 135 SAWYER, «The Ruined House in Ecclesiastes 12», 523-530. . 136 SAWYER, «The Ruined House in Ecclesiastes 12», 524-525. Secondo l'autore si tratta di una parabola sul destino degli sforzi umani in un mondo in disordine. L'intenzione originaria dell'autore era quella di descrivere la situazione dell'uomo di fronte alla tirannia del tempo e all'illogICItà degli eventi. L'interpretazione allegorica è successiva.
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Pur non considerando la priorità che l'autore dà a questo tema nell'interpretazione del testo, ritengo che la dialettica tra l'uomo e la natura, la considerazione della vanità degli sforzi umani nel contesto di una natura soggetta a leggi immutabili costituiscano comunque lo sfondo su cui si staglia la presentazione simbolica del destino finale dell'uomo, destino di decadenza e di morte. Anche questo testo finale del Qohelet si apre, come tanti altri, a una molteplice lettura e, data la polivalenza delle immagini, non si lascia catturare tanto facilmente in un'unica linea interpretativa. Ai fini tuttavia del discorso sulla struttura era importante individuare i vari livelli di lettura di questo cantico finale, per poter precisare la funzione che esso svolge nella struttura del libro. 137 Esso contiene l'epilogo non solo della seconda parte ma di tutto il libro. I due temi espressi nei verbiSm~ e zkr rimandano a 5,17-19 (cf. anche l'uso di harbeh e yòm le due parole chiave di 5,19). Il motivo della gioia come dono di Dio si ritrova ancora in 9,10 e quindi in 9,7-10, dove la prospettiva dello se'òl provvede a dare impeto alla ricerca del piacere in questa vita. Ma soprattutto 11,7-12,7 conclude il discorso sulla fragilità del sapere umano, che è incapace di indicare all'uomo ciò che è bene per lui. L'esortazione alla gioia, quindi, da un lato si pone sulla stessa linea del discorso sul tema della vita come dono di Dio, dall'altro dà una risposta conclusiva al problema del vantaggio e di ciò che è bene. VIIl. L'EPILOGO (12,9-14)
Chiarire a questo punto quali siano il significato e la funzione dei vv. 9-14, considerati comunemente come l'epilogo del libro, è decisivo per dare ora una risposta conclusiva ai problemi relativi all'unità e alla composizione letteraria del testo. Ma prima occorre stabilire se questo sia effettivamente l'epilogo del libro; non è nuova infatti l'ipotesi che esso sia stato aggiunto da un redattore canonico in appendice ai due libri di Proverbi e Qohelet, che figurano l'uno accanto all'altro nella raccolta canonica dei cinque Megillol. 138 Non mancano neanche gli autori che ritengono l'epilogo scritto per il libro dei Proverbi, il quale, in una collezione più antica, era collocato dopo il Qohelet. Due sono gli argomenti addotti a favore di uno stretto rapporto tra Proverbi e Qo 12,9-14: 1) L'epiloghista ha identificato Qohelet con Salomone (1,1; 1,12-2,26) e quando ha composto la postfazione pensava alla sua opera più antica. 2) L'uso del termine me§iilfm al v. 9 fa pensare allibro dei Proverbi e particolarmente al titolo. 139 A questo secondo argomento si può subito obiettare che
137 Sulla funzione del cantico finale cf. anche H. STRAUSS, «Erwagungen zur seelsorgerlichen ImenSlOn von Kohelet 12,1-7», in ZThK 78(1981), 267-275. 138 Per il problema dell'ordine canonico cf. PODECHARD, L'Ecc!ésiasce, 1-20. h 139 Per la discussione del problema si veda soprattutto G.T. SHEPPARD, «The Epilogue to 00eleth Es Theological Commentary», in CBQ 39(1977), 182-189.
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Alle osservazioni di Sheppard occorre aggiungere che questo stesso tema non è affatto estraneo al pensiero di Oohelet; ricorre infatti in 3,16-17 e 9,1-3, testi che, come si è visto, non sono opera di glossatori. Ammesso dunque che 00 12,9-14 sia l'epilogo del libro, è certo che esso non è opera dell'autore. Gli argomenti che in genere si adducono a sostegno di questa tesi sono i seguenti: 1) Si parla di Oohelet alla terza persona, come in 1,2; 7,27; 12,8;142 2) Il vocativo b'nf (v. 12) non ricorre mai nel Oohelet; 3) Il duplice comando: «temi Dio e osserva i suoi comandamenti» non ha paralleli nel resto del libro. Se l'epilogo non è di Oohelet chi ne è l'autore? Dobbiamo distinguere in esso più redattori?143 A questo problema è poi strettamente legato quello del-
l'articolazione del testo: esso si distingue in due parti (vv. 9-12; 13-14) o tre parti (vv. 1-10; 11-12; 13-14)? Con Ravasi l44 ritengo che si possa assumere come linea di demarcazione il v. 12, demandando all'analisi del testo il compito di stabilire una pluralità di apporti redazionali e di evidenziare il significato e la funzione dell'epilogo; esso è soltanto un'appendice estranea al testo o ne costituisce il commento teologico; in quanto ne fornisce la chiave interpretativa? Nella redazione attuale del testo il waw del v. 9 stabilisce uno stretto rapporto tra il corpo del libro e l'epilogo, che ne costituisce quasi la continuazione ideale. 145 I vv. 9-10 tracciano una biografia ideale di Oohelet come un saggio che non se ne sta distaccato dal mondo, ma vive tra la gente; per questo i moltissimi proverbi, di cui egli è autore, sono il frutto di una sapienza acquisita mediante l'esperienza. Su questa base è tutt'altro che assurda la tesi di quegli autori che nel libro del Oohelet vedono l'espressione privilegiata della sapienza popolare al tempo del giudaismo ellenistico. l46 Ugualmente appropriato all'opera di Oohelet è l'apprezzamento del valore estetico dello stile, congiunto alla verità dei contenuti. La funzione dei vv. 11-12 è diversamente interpretata dagli esegeti, a seconda che si veda in essi un elogio della sapienza, in linea con i versetti precedenti, o che vi si legga il giudizio critico dell'epiloghista sull'opera di Oohelet. È decisivo ai fini dell'interpretazione del v. 11 determinare se il pastore sia Dio o Oohelet. Fox,147 a differenza della maggior parte degli autori, ritiene che il pastore sia da identificare con Oohelet, per i seguenti motivi: 1) Nella letteratura sapienziale, egiziana e babilonese, come anche israelita, Dio non è mai chiamato pastore; 2) Non si dice mai che Dio dona <
Per questa tesi cf. BARTON, Ecclesiastes, 197-198. SHEPPARD, «The Epilogue to Qoheleth», 185. 142 Fax, «Frame-Narrative and Compositian», 84-86, respinge questo argomento sostenendo che l'uso della frase 'amar Q6helet in 1,2; 7,27; 12,8 può essere anche un mezzo retorico che è stato usato per creare l'effetto di un doppio livello prospettico; quello di una narrazione retrospettiva e quello di un io che narra le sue esperienze e vi riflette. Questa particolare tecnica letteraria, in cui una ter~a persona in funzione retrospettiva accompagna il monologo di un'altra persona, è frequente nell'antica letteratura egiziana. Si vedano i seguenti testi: L'istruzione per Kagemeni; La Profezia di Neferti; Il lamento di Ipuwer; Onchsheonquy. Per la letteratura israelitica cf. Deuteronomio e Tobia. 143 L'epilogo è stato attribuito a due redattori da GALLlNG, Der Prediger, 124-125; PODECHARD, L'Ecclésiaste, 151-160; ZIMMERLI, Das Buch des Predigers, 224-247. Invece HERTZBERG, Der Prediger, 217-221 individua l'apporto di tre redattori.
RAVASl, Qohelet, 362. Cf. lOVON, Grammaire, 1I8c. 146 Cf. soprattutto BRAUN, Koheleth; MICHAUD, Qohélet et l' hellénisme; BONORA, Qohelet, 25. Contro questa linea interpretativa si pone RAVASI, Qohelet, 364 per il quale Qohelet è un sapiente cattedratico, che però ama anche la divulgazione secondo quel modello di sapiente che è delineato in Sir 37,22-23. 147 Fax, «Frame-Narrative and Composition in Qoheleb>, 101-103. . 148 Il termine darban, pl. darb6not, dall'arabo darraba, indica la punta dello sprone per eccItare o guidare le bestie da soma. Ma anche i picchetti, in ebraico sono punte acuminate, per cui entrambi i termini rimandano all'immagine di ciò che è pungente e pertanto direttivo e stimolante insieme. Per l'analisi filologica cf. DI FONzo, Ecclesiaste, 333-334.
anche Oohelet presenta un gran numero di proverbi, per cui il termine m'salfm non necessariamente deve riferirsi al titolo del libro dei Proverbi. Allo stesso modo l'espressione dibré fJiikiimfm del v. 11 non è necessariamente da collegare a Pr 1,6, perché ricorre in Pr 22,1? e 00 9,17 ed è un'espressione propria della letteratura sapienziale in genere. E eccessivo supporre che 00 12,9-14 sia l'epilogo del libro dei Proverbi, 140 perché al v. lO ricorrono i verbi bqs e m:/ che caratterizzano appunto lo stile della ricerca sapienziale di Oohelet (1,13; 7,25). Tuttavia proprio la menzione al v. 9 dei «molti proverbi» e al v. 11 della «collezione dei testi» induce a pensare a una raccolta più ampia di sentenze e quindi non è del tutto improbabile un implicito riferimento allibro dei Proverbi; sulla base dell'identificazione tradizionale di Oohelet con Salomone, il redattore dell'epilogo può aver ritenuto Oohelet anche l'autore di una più ampia collezione di proverbi. Come ha dimostrato Sheppard,141 i paralleli nel vocabolario e nel contenuto tra l'epilogo e il corpo del libro superano di gran lunga quelli che si possono addurre a favore di un'ipotetica corrispondenza tra l'epilogo e il libro dei Proverbi. In primo luogo l'uso del termine hii'elohfm è estraneo allibro dei Proverbi; il verbo zhr ricorre solo in 00 4,13; il tema del giudizio di Dio trova un esatto parallelo in 00 11,9: 11 ,9: w'dii' 12,14:
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kf 'al-kol-'elleh y'btiikii kf 'et-kol-ma'iiseh
M'elohfm M'elohfm yiibi'
bammispii( b'mispii(
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~T L'interpretazione di Fox presenta il vantaggio di risolvere il problema della disarticolazione tematica del testo, su cui si è basata l'ipotesi di più redattori: un lfiikiim per i vv, 11-12; un lfiisid per i vv. 13-14. Il primo farebbe l'elogio di Qohelet e della sapienza tradizionale, il secondo proporrebbe la dottrina del timor di Dio. Nell'esegesi di Fox, invece, i vv. 11-12, nell'esprimere il distacco critico dell'epiloghista da Qohelet, segnerebbero la svolta a un discorso personale dell'epiloghista, che, relativizzando tutte le parole dei sapienti, comprese quelle di
~~~~~~ i~id~~an~~~~~~:~io e nell'osservanza dei comandamenti l'autentica
Entrando ora nel merito dei vv. 13-14, si deve notare come il tema del timor di Dio non sia affatto estraneo al pensiero di Qohelet (cf. soprattutto 5,6, ma anche 3,14; 7,18; 8,12-13); ciò che invece non si trova assolutamente nel libro è la connessione del timor di Dio con l'osservanza dei comandamenti, che è esplicita nel Siracide (1,9.10.11.12.14.16.18.22.24.25.29; 10,19; 23,27).149 Con la duplice ammonizione al timor di Dio e all'osservanza dei comandamenti, l'opera di Qohelet è immessa nell'alveo della tradizione canonica. L'ermeneutica che l'epiloghista fa del libro è stata oggetto di giudizi contraddittori almeno quanto lo stesso Qohelet, considerata ora come riduttiva rispetto alla forza critica e anticonformista del libro 150 ora come la più rispondente al senso religioso del testO. 151 Queste due prospettive in realtà coesistono nel libro; il problema però è spiegare in che rapporto si trovano l'una rispetto all'altra. Una volta individuati i vari piani del discorso qoheletiano, rimane ancora da precisare qual è la relazione che sussiste tra loro nella logica del libro.
IX.
CONCLUSIONE
La questione posta in 6,11: mah-yy6ter lii'iidiim è diventata in 6,12: miyòdea' mah-Uòb lii'iidiim. In relazione a tale questione Qohelet introduce un nuovo poema: 7,1-8, il quale fa dapendant a 1,4-11 e 3,1-8 svolgendo la stessa funzione che è quella di attirare l'attenzione sul tema che il Qohelet intende trattare: ciò che è bene per l'uomo. È appunto con questa questione che deve confrontarsi la sapienza tradizionale. L'interrogativo mi-yòdea' ha però nel libro un significato puramente retorico, equivale a una negazione: nessuno sa che cosa sia bene per l'uomo nei vani giorni della sua esistenza. In questi cinque capitoli, da 7,1 a 11,6, Qohelet non fa che criticare la sapienza tradizionale, assumendo
149 Cf, su questo G.H. W1LSON, «"The Words of the Wise": The Intent and Significance of Oohelet 12,9-14», in JBL 103(1984),175-192, spec. 189-192, per il quale la connessione dei due comandamenti attesta l'intreccio tra Pr 1-9, 00 12,13 e il movimento deuteronomistico. 150 Così RAVASI, Qohelet, 370-373. 151 Cf. BONORA, Qohelet, 73-75; FESTORAZZI, «Il Oohelet: un sapiente alla ricerca di Dio», 187-189.
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in primo luogo come punto di riferimento il grande problema della retribuzione (7,15-22); il facile ottimismo della tradizione si scontra con una realtà che è incontestabile: la giustizia non garantisce all'uomo una lunga vita, come dimostra il fatto che il giusto muore nonostante la sua giustizia e l'empio vive a lungo nonostante la sua iniquità. L'espressione 16' yim!iii' (7,14b), equivalente all'interrogativo mi yimsii'ennu (7 ,24b), viene usata da Qohelet per indicare l'impossibilità di raggiunge~e la vera sapienza, di penetrare il senso delle cose (8,1); ne è una dimostrazione l'impossibilità di comprendere il mistero della donna e il suo rapporto con l'uomo. Su questo tema la sapienza degli uomini si rivela contorta e macchinosa, in netta antitesi con il disegno di Dio che ha fatto l'uomo retto (7,23-8,1). Il discorso del Qohelet sui limiti della sapienza umana continua nel capitolo ottavo, dove si mostra come la sapienza riveli tutti i suoi limiti di fronte al problema della conoscenza dei tempi; riprendendo le riflessioni del capitolo terzo, Qohelet mostra questa volta che l'uomo non conosce il suo futuro e tanto meno l'ora della sua morte. Questa riflessione sulla morte richiama immediatamente alla mente un altro fatto assurdo, che costituisce nuovamente un problema per la dottrina tradizionale della retribuzione: uomini empi che ricevono una sontuosa sepoltura e la loro condotta durante la vita è completamente dimenticata! Di fronte a questa situazione all'uomo non rimane che mangiare, bere e godere (8,15). La conclusione di tutta la riflessione del Qohelet si trova in 8,1617, un'unità che ho definito di transizione, perché, se sotto alcuni aspetti conclude la precedente, per altri introduce l'unità successiva. Se i cc. 7-8 sono unificati dall'uso del verbo m!i', i cc. 9-11,6 si caratterizzano per la frequente ricorrenza di espressioni che ribadiscono l'incapacità dell'uomo di conoscere: 'enennu y6dea' (8,7); 'én yòdea' (9,1); 'énkii yòdea' (11,5.6); 16' yeda' (8,5; 9,12; 10,14); /6' yiida' (10,15); 16' leda' (11,2.5). È in questi capitoli che si trova la risposta alla questione di 6,12a. L'insistenza di Qohelet sul tema dell'inconoscibilità è veramente martellante in questi ultimi capitoli e riguarda tutti gli aspetti della vita. In 9,13-10,20 Qohelet evidenzia la fragilità della sapienza anche nel campo pratico, in quanto nessuna azione, neanche quella compiuta dall'uomo competente; è esente dal rischio, ma soprattutto la sapienza rivela tutti i suoi limiti quando S1 tratta di prevedere ciò che può accadere (11,1-6). Si moltiplicano nella parte finale del libro i verbi che denotano l'ignoranza dell'uomo, la quale investe anche il campo pratico, per cui nella vita occorre evitare di fare delle scelte a senso unico ed essere invece intraprendenti in ogni affare. Il motivo dell'esortazione di Qohelet a impegnarsi in tutte le direzioni è espresso in 11,5: è ancora una volta l'ignoranza da parte dell'uomo dell'opera di Dio. L'interrogativo formulato in 6,12 riceve così una risposta definitivamente negativa. Il cantico finale (11,7-12,7) costituisce l'epilogo del libro; è un invito a gioire della giovinezza nel momento della sua massima espansione, ma il grande rilievo che da Qohelet viene dato alla simbologia della vecchiaia e della morte fa sì che anche questo invito debba essere letto alla luce della vanità radicale dell'esistenza umana. 175
X.
LE CONCLUSIONI DELL'ANALISI LEITERARIA PROBLEMI APERTI
L'analisi del testo ha dimostrato la validità dell'ipotesi iniziale, che il libro del Qohelet è opera di un solo autore. L'argomento più valido che si possa addurre a sostegno di tale tesi è l'unità dello stile e del vocabolario, come è risultato appunto dall'esegesi delle singole unità letterarie. Le glosse e gli apporti redazionali si riducono a poco: appartengono sicuramente al redattore finale del libro: il titolo (1; 1), il motto (1,2; 12,8), l'epilogo (12,9-14). Particolarmente problematico invece è definire l'autenticità o meno di quei testi all'interno del libro, che comunemente sono considerati glosse: 2,24b-26; 5,8; 8,12-13; 11,9b. Ciascuno di questi testi potrebbe benissimo risalire a Qohelet, in quanto la difformità di stile e di contenuto non può valere in assoluto per un'opera nella quale il confronto con la sapienza tradizionale è così decisivo. Anche il cambiamento della metrica, che può essere utile indizio per individuare glosse o aggiunte redazionali, si potrebbe spiegare con il criterio delle citazioni implicite o meglio ancora con lo stile della diatriba, in cui si riporta il pensiero dell'interlocutore per poi contestarlo. Smentita è anche la tesi che sia impossibile una delimitazione del testo nelle singole unità letterarie; tale delimitazione è invece possibile grazie agli elementi formali che autori come Wright e Ellermeier avevano precedentemente individuato: formule stereotipe, vocaboli ricorrenti. Pur condividendo con questi autori il metodo, che è quello dell'analisi stilistica, le conclusioni di questo lavoro sono di gran lunga differenti. Wright ha giustamente compreso che l'opera è divisa in due parti ma ha attuato poi una ripartizione troppo rigida. Ellermeier ha evidenziato l'importanza delle formule stereotipe, ma le considera opera di un redattore. Esse non sembrano invece sovrapposte al testo, ma vi svolgono piuttosto un ruolo essenziale: ne costituiscono gli elementi funzionali. Individuando le caratteristiche formali deLtesto è stato possibile arrivare a una delimitazione delle sezioni e delle unità che lo compongono e quindi alla conclusione che il libro è articolato in due parti: a) 1,3-6,9; b) 7,1-11,6. Il passaggio dalla prima alla seconda parte è segnato da un'unità di transizione, 6,1012, nella quale si accumulano gli interrogativi fondamentali del libro: Quale vantaggio? Chi può conoscere? È anche possibile affermare senza forzature che il tema dominante nella prima parte è il lavoro dell'uomo, perché nei primi sei capitoli il termine 'amai ricorre 30 volte sulle 35 complessive. All'interno della prima parte è possibile poi distinguere due grandi sezioni: cc. 1-3; 4-6. I primi tre capitoli sono unificati formalmente dall'uso frequente della prima persona singolare; a partire dal capitolo quarto inizia con i detti (òb una sezione caratterizzata da esempi e bozzetti di vita quotidiana, che si protrae fino al sesto capitolo. In questa prima parte una breve unità, 4,1-3, fa da transizione alla sezione seguente, 4,4-6,9, in quanto da un lato conclude la riflessione precedente sull'ingiustizia che domina nel mondo, dall'altro introduce la nuova riflessione sui 176
temi della socialità, del culto e della ricchezza. In questi capitoli finali della prima parte la presentazione dei temi assume un tono più impersonale, in quanto muta la tecnica espositiva. Nella seconda parte del libro il discorso si sviluppa intorno ai detti (òb, nello sforzo di definire ciò che è bene per l'uomo. Anche in questa seconda parte è possibile individuare una pri~a sezione, ~omposta dai .cc. 7-~, in c.ui p.revale l'espressione: «cercare/non puo trovare» e l cc. 9-11, nel quah domma 11 modello verbale «conoscere/ignorare». Un'altra breve unità, 8,16-17 segna il passaggio dalla prima alla seconda sezione. La sapienza tradizionale viene posta a confronto con i grandi problemi della retribuzione e della morte e ne risulta sconfitta; persino la sua capacità di progettare nell'immediato viene messa in discussione. La conclusione finale del libro è un invito a godere pienamente delle gioie dell'esistenza; pertanto la seconda parte del libro si apre con un discorso dialettico su ciò che può essere bene per l'uomo e si chiude con una proposta su ciò che è veramente bene. Tutta la riflessione di Qohelet si articola intorno a due temi: il senso dell'agire umano e il valore della sapienza, intesa sia in generale come capacità di riflessione dell'uomo sia più specificamente come sapere tradizionale della religiosità ebraica. Ma c'è un terzo tema che attraversa tutto il libro ed è propositivo, in quanto consiste nell'esortazione alla gioia, dialetticamente contrapposta alla vanità dell'agire e del conoscere. Un altro elemento decisivo per la comprensione della struttura del testo è dato dai quattro poemi, che sono disposti nei punti chiave della composizione: a) 1,4-11, che è collocato all'inizio del libro ed è strettamente legato ai primi tre capitoli; b) 3,1-8, il poema sulla dialettica dei tempi; c) 7,1-8, la collezione dei detti (òb, posta all'inizio della seconda parte del libro; d) 11,7-12,7, il cantico finale. La funzione di questi quattro componimenti è quella di attirare l'attenzione sulle problematiche del libro: a) La ripetizione ciclica degli eventi toglie significato a ogni progetto che pretenda di essere nuovo (1,4-11); b) La determinazione divina dei tempi priva di senso l'azione dell'uomo, incapace di capire il disegno di Dio (3,1-8); c) L'interrogativo su ciò che potrebbe essere bene per l'uomo (7,1-8); d) La proposta di seguire uno stile di vita, ispirato a godere pienamente di quei beni che Dio concede all'uomo (11,7-12,7). Esistono inoltre evidenti corrispondenze tra la prima e la seconda parte del libro sia sul piano dello stile che del contenuto e riguardano principalmente i seguenti temi: 1) Il vantaggio, che l'uomo ricava dalla sua fatica, che nella seconda parte diventa un interrogativo su ciò che è bene; 2) La determinazione divina dei tempi;
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3) L'incapacità dell'uomo di comprendere il disegno di Dio; 4) Il problema della morte; 5) Il problema della giustizia; 6) L'esperienza della gioia; 7) Il timore di Dio. Sono questi i nuclei tematici, intorno ai quali è organizzato il libro e che ri· tornano in una parte e nell'altra; la divisione in due parti non va dunque interpretata in modo statico; evidentemente l'autore ha voluto imprimere alla Sua opera una struttura dinamica, come è dimostrato anche dalla presenza delle uni· tà di transizione (4,1-3; 6,10-12; 7,23-24; 8,16-17), che distinguono e nello stesso tempo legano una sezione all'altra. Tutto confluisce verso l'individuazione di una struttura ciclica nell'opera; ma, dopo aver stabilito che esiste una pluralità di temi, dialetticamente correlati, i quali ritornano in forma ciclica nel libro, occorre chiedersi ancora se esista una gerarchia tra questi temi, il che incide notevolmente su!l'interpretazione dell'opera. In ultima analisi, qual è il messaggio dell'autore? E noto come il libro si presti a una pluralità di interpretazioni, che si possono riassumere in quelle indicate da Ravasi: 152 1) Qohelet scettico, deluso, disperato?153 2) Qohelet, filosofo dell' «aurea mediocritas»?154 3) Qohelet, «predicatore della gioia» ?155 In relazione a questa problematica, la struttura letteraria, delineata in questo lavoro, fornisce le basi per un'interpretazione del messaggio dell'autore? Qohelet è un pensatore nichilista? È un credente? È un predicatore di gioia? Gli autori che optano per l'una o per l'altra tesi si appoggiano ciascuno sugli elementi tematici e stilistici più significativi della opera; il tema dell' hebel, per chi sostiene un'interpretazione in chiave pessimista; il timor di Dio, per chi fa di 00helet un credente autentico; il ritornello della gioia, per chi vede nel libro una proposta gioiosa di vita. È possibile stabilire una priorità all'interno di questa pluralità di tematiche e pervenire dunque a un'interpretazione del libro fondata su elementi oggettiv~? La struttura del testo, enucleata in base alla analisi letteraria, risponde solo 10 parte a questi interrogativi. Conduce piuttosto verso il riconoscimento di una pluralità di temi nel libro, ma non consente di stabilire delle priorità all'interno di essi. Soprattutto non spiega la logica del testo, la singolare struttura argomentativa del libro. RAVASI, Qohelet, 36-45; cf. anche BONORA, Qohelet, 55-62. . R.E. MURPHY, «Qohelet, lo scettico", in Conc 12(1976), 1483-1490; ID., «Qohelet Interpreted: the Bearing of the Past on the Present", in VT 32(1982),331-337; PENNACCHINI, «Q~helet", 494-510; J.T. WALSH, «Despair as a Theological Virtue in the Spirituality of Ecclesiastes», In BTB 12(1982~, 46-49. 14 Cf. SACCHI, Ecclesiaste, 185. 155 Cf. WHYBRAY, «Qohelet, preacher of joy», 87-92; A. BONORA, «Il piacere di vivere in Qoheleth», in Servitium 40(1985), 363-369. 152
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In conclusione l'analisi letteraria è arrivata a confermare alcune ipotesi iniziali ~ ha posto nello stesso tempo le basi per procedere a una lettura più approfondita dell'opera, ma non si può considerare esaustiva. Le conclusioni dell'analisi condotta si possono riassumere nei seguenti punti: 1. Il libro del Qohelet non è un agglomerato di sentenze. 2. Esiste un piano organico nell'opera, che si esprime attraverso la sua struttura letteraria; ne è prova la delimitazione chiara, anche se non rigida, delle sezioni e delle pericopi, resa possibile da quei fattori stilistici che caratterizzano il libro: parole-chiave, espressioni e formule ricorrenti, che non sembrano giustapposte al testo, quasi fossero, come sostiene Ellermeier, opera di un redattore che se ne è servito per amalgamare il materiale. Esse costituiscono invece la matrice generativa del testo. 3. Il libro si può dividere in due parti, ma le corrispondenze tematiche e terminologiche tra la prima e la seconda parte dell'opera impediscono di interpretare in maniera rigida tale suddivisione. 4. È possibile delineare un movimento all'interno delle singole parti, che è un andare e un tornare indietro sempre sugli stessi temi, affrontandoli però da prospettive diverse. 5. Prevalgono nella struttura del testo le figure della ripetizione e della circolarità. . Occorre però riconoscere che l'indagine linguistico-letteraria non spiega la discontinuità logica del testo; soprattutto nella prima parte dell'opera si può osservare come intere sezioni e pericopi siano organizzate intorno a delle ministrutture, alcune delle quali non hanno apparentemente alcuna relazione logica con ciò che precede e con ciò che segue; ad esempio si passa bruscamente dal diScorso sui tempi a quello sull'ingiustizia sociale, dalla parabola del principe povero alla pericope sul culto e quindi nuovamente al tema del sociale. L'analisi f?rmale ha mostrato come dal punto di vista letterario queste pericopi siano tutt altro .che staccate le une dalle altre; ma il problema riguarda la logica alla quale obbedisce l'organizzazione letteraria del testo. Anche nella seconda parte si incontrano diverse difficoltà soprattutto nella sezione che va da 9 17 a lO 20 in cui risulta, alquanto problematico individuare il filo logico del discorso.' ' E innegabile dunque che il Qohelet sia un'opera unitaria dal punto di vista letterario . d e Il'b . ,ma l' ana l"ISI Stl'1'IstIca I ro non spiega la sua discontinuità sul piano l~glco; arriva a determinare la struttura formale di superficie, ma non rende rag~one del testo. A questo punto il metodo della critica letteraria non è più sufficiente; occorre avvalersi di altre metodologie, che, utilizzando al massimo i risultati dell'analisi stilistica, consentano di spiegare la logica del testo, mostrando perché l'autore abbia organizzato il materiale in questo modo piuttosto che in un altro. A questo scopo sono utili le discipline che si interessano di approfondire il 179
rapporto tra logica e linguaggio, in particolare la linguistica 156 e la neoretorica,157 che si sforzano di cogliere la funzionalità dei singoli elementi nel sistema in cui sono inseriti. Soprattutto la metodologia della neoretorica, che si è sviluppata partendo dall'analisi dell'argomentazione dialettica, può essere utilizzata per mostrare quale logica si esprima nello stile di un autore. In ultima analisi lo stile non è che un modo di pensare, per cui è evidente che è necessario partire dalle caratteristiche stilistiche di un'opera per risalire al vero pensiero dell'autore. Ma prima di passare all'analisi retorica del libro, è opportuno fornire una visione di insieme delle unità che compongono il testo e degli elementi formali che la ca-
1,1: 1,2:
il titolo
dibré Qohelet hiibèl hiibalfm
il motto iniziale Prima parte
ratterizzano.
1,3: 1,4-11: 1,12-2,26: 3,1-8: 3,9: 3,10-15: 3,16-22: 4,1-3: 4,4-12: 4,13-16: 4,17-5,6: 5,7-8: 5,9-6,7: 6,8-9:
quale vantaggio? il nulla di nuovo sotto il sole v~nità del sapere, del gioire, del fare c e un tempo per ogni cosa quale vantaggio? tutto è determinato da Dio l'ingiustizia sotto il sole un'unità di transizione. Sezione dei dettitob lavoro e socialità . vanità del potere politico una pericope sul timor di Dio nuovamente l'ingiustizia sotto il sole vanità delle ricchezze quale vantaggio?
6,10-12: 6,11: 6,12:
un'unità di transizione. Gli interrogativi fondamentali quale vantaggio? mah-yyoter mf-yodèa' mah-ttob chi sa che cosa è bene chi lo condurrà a vedere che cosa avverrà mf yagfd mah-yyihyeh
mah-yyitron dOr hOlèk w'dOr ba' 'iinf Qohe/et lakko/ z"miin mah-yyitron rifln 'et-ha'inyiin w" od rii'fn w'sabtf 'iinf [ob [ab semor 'a/-titmah 'oheb kesep mah-yyoter
Seconda parte 7,1-8: 7,9-14: 7,15-22: 7,23-8,1: 8,2-9: 8,10-15: 8,16-17: 9,1-12: 9,1310,20: 11,1-6:
Per la linguistica è sufficiente fare riferimento all'analisi di ISAKKSON, Srudies in the Lan0t Qoheleth, che studia il sistema verbale del libro mediante il metodo strutturalista. L'opera decisiva per la rinascita della retorica è quella di CH. PERELMAN-L. OLBRECHTS156
guage
1 7
TYTECA, Trattato dell'argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, Torino 1982.
180
che cosa è bene ~'uomo non comprende l'opera di Dio Il problema della giustizia ~rragiungibilità della sapienza: 11 potere politico il problema della retribuzione un'unità di transizione l'uomo non conosce la sua ora
[ab 'a/-fbahèl 'et hakkol rifln mf yi~ii'ennu S'mor ubeken rii'fn ,esi/fm lo' yukal. .. limso' 'én yodèa' .
forza e vulnerabilità della sapienza l'uomo ignora ciò che può accadere
gam-zoh rinn /-Jokmfì lo' tèda'
11,1-12,7: il cantico finale
yiSmii/-J w'yizkor
12,8: 12,9-14:
habèl hiibiilfm sehiiyfì... Qohe/et fJiikiim
il motto conclusivo l'epilogo
'--
181
Capitolo quarto
Analisi retorica
I.
DALLA CRITICA LEITERARIA ALL' ANALISI RETORICA
Nel corso dell'indagine sull'organizzazione letteraria del testo sono emerse alcune importanti figure grammaticali e stilistiche, che hanno un ruolo decisivo nella delimitazione delle sezioni e delle unità letterarie del libro. Il dato più importante è la ripetizione di termini e di espressioni caratteristiche del linguaggio di Qohelet, che costituiscono le forme linguistiche ed espressive privilegiate dall'autore e forniscono quindi la base per la comprensione del messaggio del testo. Ugualmente importanti ai fini dell'indagine sulla struttura sono anche i numerosi interrogativi retorici, che sono disseminati in tutta l'opera, l'uso frequente della negazione e dell'antitesi e l'utilizzazione della forma comparativa attraverso i detti tòb. Iterazioni, ritornelli, inclusioni, chiasmi sono vere e proprie figure retoriche,! che Qohelet ha usato non semplicemente per motivi stilistici, quindi per esprimere in modo elegante e incisivo la sua riflessione, ma per condurre le sue argomentazioni. La presenza di questi elementi retorici apre la strada a un'ulteriore lettura dell'opera, che permette di andare più in profondità nell'indagine sulla sua composizione e strutturazione. L'esegesi del testo ha evidenziato di volta in volta la funzione che ognuno di questi elementi svolgeva nell'articolazione delle singole unità di cui è composto il libro. In questa nuova fase del lavoro è opportuno riprendere in esame ciaScuna di queste figure stilistiche per mostrare attraverso l'analisi retorica del libro l'incidenza che esse hanno sull'organizzazione del materiale e quindi sulla struttura globale del testo. L'applicazione alla Bibbia dell'«approccio retorico», che è piuttosto recente,2 mira soprattutto all'identificazione e alla descrizione delle figure retoriche
l Per la definizione di figura retorica mi ricollego a PERELMAN-OLBRECHTS-TYTECA, Trattato de/[' argomentazione, 176-177. Perché si possa parlare di figura retorica sono necessarie due carattenstIche: la forma, cioè una struttura distinguibile, indipendente dal contenuto, che può essere logica, sintattica, semantica o pragmatica; un uso che si allontani dal modo normale di esprimersi e che quindi attiri l'attenzione. Entrambi i requisiti si applicano ottimamente al Qohelet. 2 Riporto solo alcuni tra gli studi più recenti che utilizzano il metodo dell'analisi retorica del testo: R. MEYNET, «Qui donc est "le plus fort"? Analyse rhétorique de Mc 3,22-30; Mt 12,22-37; Luc
183
classiche (tropi e schemi),3 privilegiando, a causa del suo interesse prevalente per la prospettiva sincronica, l'approccio interdisciplinare con la critica letteraria. 4 Una lettura del libro del Qohelet condotta secondo questo metodo può essere molto stimolante sia per spiegare quelle caratteristiche di stile del testo, che non trovano riscontro in altri testi dell'Antico Testamento, sia per cogliere le strutture categoriali dell'opera, dal momento che la retorica non è da intendersi solo come scienza del testo ma anche come «invenzione delle intelaiature concettuali». 5 Infine l'approccio retorico può contribuire a precisare il genere lette-
11,14-26», in RB 90(1983), 334-350; ID., «Les dix commandements loi de liberté. Analyse rhétorique d'Ex 20,2-17 et de Dt 5,6-2l», in Mélanges in memoriam de M. Allard et P. Nwyia (Mélanges de l'Université Saint-loseph, 50), Dar El-Machreq Sarl, Beyrouth 1984, 405-421; L.C. ALLEN, «The value of Rhetorical criticism in Psalm 69», in JBL 105(1984), 577-598; RG. HALL, «The Rhetorical Outline for Galatians: a Reconsideration», in JBL 106(1987), 277-287; M.P. COSBY, «The Rhetorical Composition of Hebrews Il», in JBL 107(1988), 257-273; R MEYNET, L'Évangile selon Saint Luc. Analyse rhétorique, Cerf, Paris 1988; D.P. WATSON, «A Rhetorical Analisis of 2 10hn According to Greco-Roman Conventioll», in NTS 35(1989), 104-130; B. LINDARS, «The Rhetorical Structure of Hebrews», in NTS 35(1989),382-406; D.F. WATSON, «1 Corinthians 10,23-11,1: in the Light of Greco-Roman Rhetoric: the Role of Rhetorical Questions», in JBL 108(1989)2, 301-318; ID., Persuasive artistry. Studies in New Testament Rhetoric in Honor of G.A. Kennedy (JStNT.SS, 50), lS0T, Sheffield 1991; 1.N. ALETII, «La présence d'un modèle rhétorique en Romains: son ròle et son importance», in Bib 71(1990), 1-24; 1.R. LUNDBOM, «Rhetorical Structures in leremiah l», in ZAW 103(1991),193-210. Per quanto riguarda l'applicazione del metodo allibro del Qohelet cf. OGDEN, «The "Better"-Proverb», 489-505. . 3 Una buona definizione del metodo critico-retorico si può trovare in I.M. KIKAWADA, «Some proposals for the Definitions of Rhetorical Criticism», in Semitics 5(1977), 67-91, con un'applicazione a Es 2,1-10. Per un'esposizione del metodo e del suo statuto epistemologico cf. M. KESSLER, «An Introduction to rhetorical Criticism of the Bible: Prolegomena», in Semitics 7(1980), 1-27; W. WUELLNER, «Where Is Rhetorical Criticism Taking Us?», in CBQ 49(1987), 448-463; A. PrITA, «Storia ed esegesi», in Teologia e storia, (Biblioteca Teologica Napoletana), D'Auria, Napoli 1992,5967. Per l'applicazione generale del metodo alla Bibbia cf. R MEYNET, Initation à la rhétorique biblique, Paris 1982; ID., L'analyse rhétorique. Une nouvelle methode pour comprendre la Bible, Paris 1989. • Per il rapporto tra critica letteraria e critica retorica cf. 1. MUILENBURG, «Form Criticism and Beyond», in JBL 88(1969), 1-18. Vi è una stretta relazione tra stilistica e retorica anche se tradizionalmente i due termini hanno indicato due discipline distinte, in quanto la stilistica studia gli stili letterari e la retorica insegna il «parlare ornato». Sul tema si veda A. DEL MONTE, Retorica, stilistica, versificazjone. Introduzione allo studio della letteratura, Loescher, Torino 1981, spec. 3-6. 5 E questa l'accezione che il termine retorica ha assunto nei più recenti manuali: cf. B. MORTARA GARAVELLI , Manuale di retorica, Bompiani, Milano 1989, 9; A. PLEBE-P. EMANUELE, Manuale di retorica, (Univ. Laterza 720), Laterza, Bari 1988, VIII-XI. Sulle varie definizioni di retorica nel mondo classico cf. 1. MARTIN, Antike Rhetorik. Technik und Methode, Beck, Munchen 1974, 1-12. Esse sono orientate a considerare la retorica soprattutto come arte della persuasione. Cf. SEXTU~ EMPIRICUS, Adv. Math, II, 2: Ql]TOQLX'lj tOtL lIELeOÙç 6l]f.lLOlJQyòç 6Là À6ywv tv aÙTOi:ç TOi:ç À6YOLç tO XÙQoç EXOlJOU, lIELOtlX!Ì, OÙ 6L6uoxUÀLX'Ij. È la definizione che Plutarco dà della retorica gorgiana: Ql]tOQLx'Ij tOtL tÉxvl] lI€Qi À6YOlJç tÒ XÙQoç EXOlJOU, lIELeOUç 6l]J,twlJQyòç tv lIoÀmxoi:ç À6ymç lI€Qi lIaVtÒç TOÙ nQOt€eÉVTOç, lIWt€lJtlxijç xai où ~h6uoxaÀLxijç dvm 6È aÙtijç t!Ìv lIQayJ,tutdav t6(av, J,tw,Lota lI€Qi Mxma xai <xoLxa, àyaOo. t€ xai xaxo., xaÀo. t€ xai atoXQo.. (Rhet. Gr. VII, 33,29 ff w). Nell'ambito del discorso persuasivo si muove anche Aristotele, che però considera la retorica come tecnica rigorosa, dell'argomentare con un suo J,tÉOoooç che è delineato nel proemio del primo l~ bro della Retorica. E con Zenone che la retorica viene elevata al rango di scienza (tmot'ljJ,tl]) e conSIderata come un ramo della logica. Alla concezione aristotelica si ricollega la neoretorica di Perelman, che si propone come trattato sull'argomentazione ed è incentrato sulla dialettica. Molto si deve in quest'ultima fase del lavoro all'analisi di Perelman; tuttavia ritengo, con Plebe, che uno dei com-
184
rario e il Sitz im Leben del libro. È ciò che Bitzer denomina «the rhetorical Situation», definendola come ~< ... a complex of person, events, obiects, and relations presenting an actual or potential exigence wich can be completely o partially removed if discourse into the situation, can so contrain human decision or action as to bring about the significant modification of the exigence».6 Il.
LOGICA E RETORICA NEL QOHELET LE TECNICHE DI ARGOMENTAZIONE
Nella prima parte di questo lavoro, sulla base dell'analisi critica degli studi relativi alla composizione letteraria del libro del Qohelet, è stata esclusa la possibilità di interpretare il testo secondo schemi logici che gli fossero estranei e si è sottolineata invece la necessità di coglierne la logica specifica, che è poi alla base dell'organizzazione dei temi e quindi della struttura stessa del libro. Il l~ttore moderno, educato secondo gli schemi della logica formale, si aspetta dI trovare nel Qohelet un'esposizione degli argomenti condotta secondo le re?~le del ragionamento filosofico di stampo cartesiano, proprio perché è condIZIonato da quel concetto di ragione e di ragionamento, che ha improntato di sé la filosofia occidentale degli ultimi tre secoli. Consapevolmente o inconsapevolmente molti critici si sono sforzati di piegare il testo del Qohelet ai canoni della logica moderna. Anche le due ipotesi alternative, formulate da Zimmerli: «trattato o raccolta di sentenze?»,? tra le quali oscilla l'esegesi del novecento, in realtà presuppongono un determinato concetto di ragione; nell'impossibilità di considerare il libro del Qohelet come un trattato, secondo il concetto moderno di filosofia, non rimaneva che interpretarlo come una collezione di proverbi oppure ammettere che in alcuni punti esso presenta le caratteristiche di una trattazione compiuta, in altri invece dà l'impressione di essere un agglomerato di proverbi. . Non si può negare che l'esegesi del Qohelet sia stata condizionata in questa lllterpretazione dal modello cartesiano di razionalità, per cui un discorso è razionale quando non si basa su opinioni più o meno verosimili ma su proposizioni ?ecessarie che si impongono a tutti gli esseri ragionevoli e su cui l'accordo sia Inevitabile. In questa ottica il disaccordo non può essere altro che segno di ~rrore e di contraddizione e ciò vale a maggior ragione per un testo religioso che abbia per oggetto i problemi fondamentali dell'esistenza. Ma la contraddizione è anche. l'anima della dialettica. Nei trattati di retorica classica il ragionamento dialettico
piti della re~orica debba essere quello di studiare le forme più generali di ragionamento, preliminari a quelle plU rIgorose della logica. ~ L. BITZER, «The Rethorical Situation», in Philosophy and Rhetoric 1(1968), 1-14. ZIMMERLI, «Das Buch Kohelet», 221-230.
185
r. ,
viene caratterizzato, rispetto a quello analitico, dal fatto che non si tratta di proposizioni necessarie ma del verosir.nile;8 l~ diale~tica si occupa di opinioni, opinioni che sono relative alle menti che VI adenscono. I padri della chiesa sono stati i primi a cogliere la natura dialettica del libro del Oohelet, ma mancavano gli strumenti necessari per indagare sulle sue strutture argomentative, strumenti che invece ci sono forniti oggi dal.l~ li~g~istica ~ dalla neoretorica. Esiste invece una pista sicura, che consente di mdlvlduare Il punto di vista dell'autore, ed è quella di partire dalla forma linguistica del libro, dalle figure grammaticali e sintattiche, che manifestano l'atteggiamento del parlante di fronte alla realtà e ai dati del discorso. L'indagine letteraria sul testo ha evidenziato forme grammaticali e schemi sintattici del tutto particolari: negazioni, connettivi, subordinazione, interrogativi, tutti elementi che permettono di cogliere efficacemente le mod~lità di espressione del pensiero, proprio in virtù di quello stretto legame che eSiste tra. elaborazione intellettuale e formulazione linguistica. Ora, uno stesso procedimento può essere analizzato dal punto di vista delle modificazio~i morfologich~, in quanto figura grammaticale oppure essere considerato sul plano della funZIOne sintattica e degli effetti stilistici, come figura di parola; ma può fungere contemporaneamente da figura di pensiero se si guarda all~ relazioni logico s~m~ntiche, all'inquadramento tematico, agli scopi del comUnIcare. Il m~tod~ mlghor~ per capire la logica del Oohelet, che si esprime attraverso l'org~m~zazl~ne d.eglI elementi testuali, è quello di partire dalle strutture grammatlcah e smtattl.che che meglio caratterizzano la forma linguistica del libro, considerandone pOi la funzionalità logica e strumentale.
1. La negazione Complessivamente sono oltre 100 i testi del Oohelet in cui ricorrono le tre particelle negative: l6' (62 volte), 'én (44 volte), 'al (1~ volte). ~on si può.pertanto trascurare il significato di questa figura grammaticale, che e la negaZIOne, per quanto riguarda l'organizzazione del pensiero ~ell'autore. . . Nel suo trattato sul ruolo argomentativo delle figure grammaticali, Perelman9 ha sottolineato la natura dialettica della negazione. Una stessa idea può es-
8 Sul complesso rapporto tra dialettica e retorica nella cultura classica cf. A. PLEBE, Breve scoria della retorica antica, (Un. Laterza 715), Laterza, Bari 1988; si vedano anche CH. PERELMAN, Il dominio recorico. Retorica ed argomentazione, Einaudi, Torino 1981, spec. 13-20 e R. BARILLI, Poetica e retorica. Saggi di estetica e poetica, Mursia, Milano 1984, spec. 39-51. 9 PERELMAN-OLBRECHTS-TYTECA Tral/ato dell'argomentazione, 163-164. Cf. anche R. BARILLI Viaggio al termine della parola Felt~inelli Milano 1981; l'autore sottolinea l'importanza di lesse-
, " l' . ben mi, sillabe, fonemi, che, grazie all'omofonia e alle rassomiglianze, ra~giungon.o.una po IsernIa re più ricca di quella che nasce dalla consIderaZIOne del SIngoh v.ocab~h, ~r CUI e sbaghato crede che, varcata la soglia dell'unità verbale, si perda la sfera del slgmflcatI o del senso In genere.
186
sere formulata sia in modo affermativo che negativo. La forma affermativa è tipica del pensiero che si applica a un dato reale per descriverlo e comporta l'opera di distinzione dell'oggetto da uno sfondo ben preciso. Nella descrizione non si evidenzia però il riferimento alla situazione e al modo in cui la si prende in considerazione. Nel caso della formulazione negativa, invece, il riferimento a altro diventa esplicito; nel pensiero negativo si tiene conto delle persone alle quali si parla e si reagisce alloro modo di pensare. La negazione esprime il più delle volte la reazione a un'affermazione reale o virtuale di altri. lO Ora, nel libro del Oohelet si registra, rispetto ad altri testi dell'Antico Testamento, un uso molto più frequente di particelle negative. Isakkson spiega questo fenomeno grammaticale con il carattere filosofico dellibro;ll ciò sarebbe poi confermato proprio dall'uso della particella 'én che esprime la negazione in assoluto ed è applicata a diversi campi del reale. Ma il pensiero del Oohelet non si sviluppa, come si è detto, in forma descrittiva; la negazione ne esprime infatti la natura dialettica, in particolare la reazione ad altre correnti di pensiero o semplicemente modi di pensare. Tralasciando l'uso puramente grammaticale della particella ' én davanti a un participio, è opportuno prendere in considerazione soprattutto i testi in cui essa viene usata nella sua funzione originale, che è quella di esprimere la non esistenza di qualcosa (30 volte). Un testo decisivo è il poema iniziale, in cui questa particella ricorre per ben tre volte (1,7; 1,9; 1,11) con lo scopo di negare: a) che esista qualcosa di assolutamente nuovo sotto il sole; b) che sopravviva il ricordo di una generazione da parte di quella successiva. È evidente che Oohelet si pone in un rapporto dialettico con la tradizione profetica, che sosteneva la concezione della storia come progresso. L'affermazione 'én kol-lJadiiS talJat hassames (l,9c) è oggettivamente in antitesi con quei testi profetici che preannunciano un novum nella storia della salvezza: Is 42,9; 43,18; 65,17; Ger 31,22; 31,31-34 12 e non è improbabile che Oohelet tenesse presente anche la sapienza extrabiblica,u Negando poi il valore del ricordo si pone in netta antitesi con tutta la tradizione religiosa dell'ebraismo: la storia si riduce a una successione meccanica di generazioni, in cui non esiste un reale rapporto di continuità. Gli altri usi della particella 'én riguardano: a) La sfera della conoscenza (4,17; 8,9; 9,1.5; 11,5.6). Contro una concezione ottimistica del sapere, tipica della tradizione sapienziale, il Oohelet afferma i limiti dell'uomo, incapace di penetrare a fondo la realtà e quindi elaborare una forma qualsiasi di progetto;
lO 11
12 13
PERELMAN-OLBRECHTS-TYTECA, Tral/ato dell'argomentazione, 163. ISAKKsoN, Studies in the Language oJ Qoheleth, 174. Così FESTORAZZI, «Il Qohelet: un sapiente alla ricerca di Dio», 186-187. Come sostiene L. LÉvy, «Rien de nouveau», in Ne 5(1953), 326-328.
187
b) La sfera del piacere. A questo proposito è particolarmente importante l'uso della particella nei detti (ob (2,24; 3,12; 3,22; 8,15), che circoscrivono l'ambito in cui l'uomo può raggiungere la felicità; c) La sfera dell'agire. Qohelet nega che l'uomo possa ricavare un "antaggio dalla sua azione (2,11) e mette in evidenza i rischi che corre anche chi si consideri esperto e quindi sapiente nel suo lavoro (10,8-11). L'uso della particella l6' si muove nella stessa direzione. A parte i passi che riportano proverbi o espressioni proverbiali (4,3bis.12; 5,4bis; 6,5bis, ecc.) la maggior parte degli usi riguardano: 1) L'impossibilità che l'uomo trovi adeguata soddisfazione nelle sue molteplici attività (tre volte l6' in 1,8) . 2) L'incapacità dell'uomo nell'ambito del sapere, in quanto non può Comprendere il piano di Dio né l'avvenire (3,11; 8,17bis; 11,5; 9,12; 10,14; 11,2); 3) L'impossibilità di cambiare la realtà delle cose (1,15bis); 4) La negazione dell'anamnesi, unica garanzia di continuità tra la vita e la morte (1,11; 5,19, 9,15); 5) La critica alla dottrina tradizionale della retribuzione (cf. l'uso della negazione l6' in 9,11 dove viene ripetuto per ben 5 volte). La negazione è dunque una tecnica importantissima nell'argomentazione dell'autore, che pone in discussione i valori fondamentali della tradizione e attraverso l'uso frequente della negazione è possibile delineare gli ambiti attraverso i quali si articola il rapporto dialettico di Qohelet con la tradizione. 2. L'erotema o interrogatio. L'ironia del Qohelet I retori greci denominavano con il termine erotema una domanda o una questione, nella quale si sa già che non vi è possibilità di opzione fra il rispondere affermativamente o negativamente; infatti la formulazione stessa del problema prefigura in anticipo una delle due risposte o le esclude entrambe. È questo un artificio che va sotto il nome di «domanda retorica» e che in latino viene detto interrogatio. 14 Come afferma Aristotele nel libro dei Topici, si tratta di una domanda che viene posta, ma non per un effettivo invito alla ricerca. Per questo si differenzia dal problema, che non implica una risposta a senso unico, dal momento che alcuni problemi sono di natura tale che non è possibile una soluzione in senso positivo o negativo della questione. 15 A differenza del problema filosofico, la domanda retorica comporta per la sua stessa formulazione una risposta a senso unico. Trattando della questione retorica Quintiliano ne evidenzia soprattutto l'aspetto provocatorio, adducendo il celebre esempio dell'esordio della prima Catilinaria di Cicerone: «Quousque
tandem abutere, Catilina, patientia nostra?»,16 che equivale a dire: «Da troppo tempo stai abusando della nostra pazienza». Qohe1et, come si è visto, utilizza ampiamente questa forma di interrogativo: 1,3; 2,2.15.19.22; 3,9.21.22; 4,5.11; 5,10(11); 6,8(bis); 7,13.16.17; 8,1(bis). 4.7; 10,10.14; 11 ,12(bis). Se si osservano con attenzione queste ricorrenze, si nota: 1) che questi interrogativi non sono disseminati nell'opera in modo casuale, in quanto sono concentrati nei cc. 2-3 e 7-8, dove Qohelet intensifica il suo discorso sul valore della ricerca sapienziale; 2) che essi si distinguono nettamente in due gruppi, i quali ruotano intorno ai due interrogativi fondamentali: a) quale vantaggio? b) chi può conoscere? Di essi si tratterà in seguito, poiché la loro ripetizione costante ha, come si è visto, un'incidenza notevole sulla struttura complessiva del libro. A questo punto, ai fini del discorso sulla logica del Qohelet, è importante rilevare la funzionalità dell'interrogazione in ordine alle argomentazioni dell'autore, per poi rispondere alla domanda: perché un uso così massiccio di interrogativi? L'interrogazione è, come la negazione, una tecnica dialettica, che viene usata sia nel ragionamento filosofico (si pensi soprattutto ai dialoghi socratici) sia nella prassi giudiziaria. n Perelman, nel sottolineare l'importanza retorica dell'interrogazione, distingue in essa un duplice USO. 18 Il primo presuppone l'esistenza del fatto su cui si formula l'interrogativo e su cui si vuole ottenere risposta dall'interlocutore. Ad es. la domanda: «Che avete fatto quel giorno in quelluogo?» implica che l'interpellato si trovasse in un certo momento nel luogo indicato. Il secondo, che è il più frequente, consiste nell'uso dialettico dell'interrogazione, che non mira tanto ad acquisire delle informazioni, quanto a mettere in evidenza le incongruenze del pensiero dell'avversario. Spesso le domande diventano un abile sistema per intavolare dei ragionamenti con la complicità dell'interlocutore stesso, che con le sue risposte si impegna ad adottare quella forma di argomentazione. 19 La domanda retorica diventa in questo caso un invito a scartare tutte le risposte che possano discordare dall'affermazione implicita nella domanda stessa. Così l'interrogativo qoheletiano: «Chi sa che cosa sia bene per l'uomo... ?» equivale ad un'affermazione: «Nessuno sa che cosa sia bene ... ». L'interrogativo retorico non attende altra risposta se non la conferma di' ciò che è oggetto d'interrogazione. Da questo punto di vista la domanda equivale a un giudizio;20 non è un caso infatti che spesso alla domanda retorica segua un esempio.
16 QUlNTlLlANO,
l
Cf. LAUSBERG, Elementi di retorica, 15 ARISTOTELE, Top., 104b, 30-32.
14
188
il ruolo 0,23-11,1», 310-318. 17 Per
ImI. Or., IX, 2, 6-11.
dell'interrogativo nella retorica greco-romana cf. WATSON,
«1
Corìnthians
18 PERELMAN-OLBRECHTS-TYTECA, Tra/lato dell'argomentazione, 167-168. 19 PERELMAN-OLBRECHTS-TYTECA, Tra/lato dell'argomentazione, 168. 20 Cf. PERELMAN-OLBRECHTS-TYTECA, Tra/lato dell'argomentazione, 168; MORTARA GARAVEL-
245-246. LI,
Manuale di retorica, 270-271.
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Il motivo per cui viene usata la forma interrogativa, al posto dell'assertiva è da ricercare nell'intenzione di dissimulare la propria convinzione ed è tipic~ dell'ironia socratica. Il valore dell'interrogazione in questo caso va bene al di là di quello di una semplice figura stilistica, perché dalla forma sintattica l'attenzione si sposta sul senso e sul valore dell'enunciato, che dal punto di vista logico conduce a una conclusione inevitabile. Le domande retoriche e «ironiche», intese appunto nel senso della eironéia s~cratica, sono trasformazioni di enunciati assertivi e perciò equivalgono a questI nella loro forza di atti linguistici indiretti: si formula una domanda per affermare o negare qualcosa. 21 Dal punto di vista argomentativo l'interrogazione svolge nel libro del Qohelet una funzione analoga a quella socratica, di dire dissimulando e di stimolare in tal modo la mente dell'interlocutoreY «L'ironia è uno sgonfiamento dell'enfasi, del ~render~i ~ul. s~ri~: vu?~e,in~ur.ci a ridimensionare il mondo e noi stessi'il ma non e superfIclahta ne futIhta, e pIUttosto pudore, mescolanza di riso e di pianto. Prototipo dell'ironista è Socrate, che demolisce le vuote ostentazioni ma aiuta mentre mette in difficoltà; è sfuggente, imprevedibile e saggio, scegli~ la strada della riservatezza e non quella della tracotanza beffarda che porta al sarcasmo».23 La domanda «ironica» ha dunque una funzione dialettica in quanto in ultima analisi è finalizzata al dialogo. Ciò avviene anche nel contesto della diatriba cinico-stoica, che usa l'interrogativo in funzione polemica e ironica, il che attesta la natura dialogica della domanda retoricaY Attraverso l'uso degli interrogativi si coglie con immediatezza l'ironia di Qohelet; ma ironico è anche il discorso in cui l'autore simula la posizione dell'avversario per metterla in ridicolo. In questo caso l'ironia è da intendersi come antifrasi o «inversione semantica»: l'antifrasi si ha quando un'espressione viene usata per dire l'opposto di ciò che si pensa. È Lausberg che accenna appunto al carattere di citazione proprio dell'ironia: «Come tropo di parola è l'uso del vocabolario partigiano della parte avversa, utilizzato nella ferma convinzione che il pubblico riconosca la incredibilità di questo vocabolario. La credibilità della
. 21. Oltre all'interrogazione, per la dissimulazione, cf. anche l'enfasi, la litote e le perifrasi disSImulantI, adoperate come schermo o paravento alle proprie convinzioni. Su questo si veda MORTARA GA~AVELLI, Manuale di retorica, 265-266. Cf. sul rapporto tra Qohelet e Socrate: I. VON LOEWENCLAU «Kohelet und Sokrates. Ver' such eines Vergleiches», in ZA W 98(1986), 327-338. 23 MORTARA GARAVElLl, Manuale di retorica, 169. 24 Cf. R. BUlTMANN, Der Stil der paulinischen Predigt und die kynisch-stoische Diatribe, (FRL~NT 13), Vandenhoeck & Ruprecht, Gòttingen 1910, 13-14; W. CAPELlE-H.I. MARROU, «DI~tnb~», m RAC 3(1957).,990-1009. Non è inopportuno ricordare a questo proposito che la logica degli StOICI, la quale costItUIva Il secondo ramo della filosofia, comprendeva, oltre alla logica vera e prop~la, anche la retonca.e la grammatica. Anche nell'uso di parole chiave Qohelet si avvicina molto alla fllosofI.a del IInguaglP? J>ropria degli stoici, soprattutto nella scelta di termini che si prestano a essere usati con moltepliCI sIgmflcatI. Cf. sul tema GAMMIE, «Stoicism and Anti-stoicism in Qoheleth» , 176-177.
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prop:ia ~arte risulterà ~uindi .rafforzata, tanto che, come risultato finale, le parole lfolllche verranno tntese tn un senso che sarà completamente opposto alloro senso proprio».25 Le ~arie speci~ di ir~mia s~ potre?be.r? interpret~re come menzioni implicite, eco dI un enuncIato dI pensIero, dI cUI Il parlante tntende sottolineare l'errore, l'inammissibilità, l'inopportunità, l'inadeguatezza. 26 Mizzau considera l'ironia come il caso limite, più evidente, di un fenomeno frequentissimo nel discorso: la dialogicità interna alla parola, il che significa dialogo tra un enunciato presente e un assente evocatoY Si spiegherebbe così perché nel Qohelet abbondino le citazioni implicite. C'è tuttavia un paradosso intrinseco all'uso di questa figura, che è quello della impossibilità di definirla rigidamente, in quanto è nella natura stessa dell'ironia di non seguire dei modelli, mentre l'analisi del discorso ironico non può procedere senza modelli. 2R Lausberg indica comunque nel contesto il criterio di riconoscimento del discorso ironico: «Poiché l'ironia è particolarmente esposta al pericolo dell'equivoco partigiano (dell'obscuritas di direzione indecisa) il segnale del contesto viene rafforzato preferibilmente coi segnali della pronuntiatio». 29 Un esempio sicuro dell'ironia del Qohelet è in 5,7-8, in cui il tono ironico dell'autore si desume da tutto il contesto; da 3,16 a 4,1-3 il Qohelet ha trattato dell'ingiustizia nel campo politico sociale; registrando in 5,7-8 il meccanismo burocrat~co della gerarchia statale, eg!i si pone nei confronti di questa realtà in un atteggtamento di ironico distacco. E l'ironia di chi, pur contestando i conservatori del regime, sa di non poter cambiare nulla nella storia, perché non c'è assolutamente nulla di nuovo sotto il sole. Ma se per ironia si intende la «percezione dell'assurdo», tutto il discorso di Qohelet si può considerare ironico. 30 Basterà seguire l'uso che egli fa del termine hebel nei suoi diversi ambiti di applicazione per cogliere con sicurezza l'oggetto dell'ironia di Qohelet. Assurdo è il lavoro, perché l'uomo non può conoscere il futuro e non sa se trarrà dei benefici dal suo continuo affaticarsi (2,4-11.18-23); assurdo è l'accumulo delle ricchezze, perché genera insoddisfazione (5,14; 6,2-6); assurda e quindi vana è la sapienza stessa, che si rivela in tutti i suoi limiti di fronte all'onniscienza divina (3 10-15' 7 14' 9,1; 11,1-6). ' '" In tutti questi testi, sia quando Qohelet formula degli interrogativi che quando mette in ridicolo le tesi dei suoi avversari e le opinioni comuni è sempre
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25
~AUSBERG~ Elementi di retorica? 128-129. ALONSO-SCHÒKEL, A Manual o[ Hebrew Poetics,
6-16~6 Il quale dlstmgue tre forme dIverse d'ironia: drammatica, retorica e narrativa.
Cf. D. SPERBER-D. WILSON, «Les ironies comme mentions», in Poétique 36(1978),399-412; OOD, Irony In the Old Testament, spec. 30-33. 27 M. MIZZAU, L'ironia. La contraddizione consentita, Feltrinelli, Milano 1984. G. AlMANSI, Amica i,:onia,. Garzanti, Milano 1984, 24. LAUSBERG, Elementt di retorica, 129. La pronuntiatio è il discorso pronunciato oralmente accompagnato da gesti. Cf. lbid., 33. 30 Con GOOD, Irony in the Old Testament, 168-185. G
=
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in opera la logica sottile del sapiente che vuole mettere in crisi i dogmi tanto del sapere comune quanto della teologia del tempo. 3. Il paragone
Un altro elemento di cui Qohelet si serve nelle sue argomentazioni è la forma comparativa, espressa attraverso l'uso dei detti (ab; gli argomenti di paragone, che si basano sui rapporti di uguaglianza e di differenza, comportano una valutazione degli oggetti attraverso il confronto reciproco. Diversi autori si sono sforzati di comprendere il significato teologico e la funzione dei detti (ab sia nella letteratura sapienziale in genere che nel libro del Qohelet. Ma non è stato raggiunto l'accordo sull'esatta funzione di questi testi nella struttura argomentativa del libro;3! lo stesso Zimmer1i, al quale risale la denominazione delle sentenze comparative come detti (ab (Tob-Spriiche), assegnava inizialmente a essi la funzione di distinguere, sulla base dell'esperienza individuale, tra l'azione buona e quella negativa e fornire quindi una norma assoluta per la prassi morale.J2 In un secondo momento l'autore vedeva nei detti (ab piuttosto l'espressione di una riflessione limitata all'ambito dell'esperienza che non l'idea di una norma assoluta per la condotta. 33 Ai fini di questo lavoro è utile raccogliere i risultati di quegli studi, che si sono occupati dell'aspetto formale dei detti (ab. La trattazione più completa è quella di G.E. Bryce,34 il quale ne ha mostrato la funzionalità rispetto al contesto in cui sono inseriti, quando appaiono in un punto decisivo della composizione: all'inizio di un'unità letteraria introducono un cam?iamen~o di enfasi o di argomento; alla fine di una sezione, quasi come sommano, espnmono il punto di vista dell'autore. Si deve a Bryce il merito di aver messo in luce la funzione retorica dei detti (ab, aprendo la strada agli studi di Ogden, più volt~ citati, che analizzano in particolare la forma e la funzione specifica di questi detti nel libro del Qohelet.35 Sono 16 i testi in cui ricorre la tradizionale forma comparativa (ab ... min: 4,3.6.9.13; 5,4; 6,3b.9; 7,la(bis).2.3.5.8a; 9,4.16.18. Un secondo gruppo di testi, di cui si tratterà in seguito, è caratterizzata dalla forma 'én (ab (2,24; 3,12; 3,22; 8,15), che secondo Ogden36 viene usata da
31 Per una visione d'insieme delle principali interpretazioni dei detti (ob cf. OGDEN, «The "Better"-Proverb", 489-492. 32 W. ZIMMERLI, «Zur Struktur der alttestamentlichen Weisheit»~ in ZA W 51(1933), 177~2~: Su questa linea cf. anche RH. SCHMID, Wesen und Geschlchte der Wet.Shell? (BZAW 101), T PalO man, Berlin 1966, il quale asserisce che nella comparazIOne del due elementI II secondo viene neg dal primo. . h 1033 W. ZIMMERLI, «Ort und Grenze der Weisheit i~ Rahmen der alttestam~nthche T ~~36. gie», in Les Sagesses du Proche-Orient ancien, Presses Un~versltalTeS de France, PaTls 19~3, 129 SP 34 G.E. BRYCE, «"Better"·Proverbs: An HistoTlcal and Structural Study», In SBL. 1(1972), 343-354. 35 Cf. OGDEN, «The "Better"-Proverb», 489-505; BONORA, Qohelet, 101-108. 36 OGDEN, «Qoheleth's Use of the "Nothing is Better"-Form», 342-343.
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r
Qo~ele~ ~om~ r~sposta all'interrogativo: «quale vantaggio?» Commentando le pencopl I~ CUI nco~rono i detti (ab sono state evidenziate le varianti di questa forma nell uso partlco.la~~ ~h~ ne fa Qohelet, il quale dimostra anche in questo caso. una grande flessibIlIta nspetto alla tradizione. In questa fase del lavoro, c?ntlOu~ndo .su}Ia strada a~e~ta da Ogden, è opportuno dare uno sguardo di insieme al detti (ab, che costitUiscono un'ottima base per cogliere il punto di vista dell'autore. 4,2-3
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w'sabbeaf]. 'anf 'et-hammetfm sek:biir metu min-haf].ayyfm 'iiser hemma f].ayyfm 'iidena w'(ob miss'néhem 'et 'aser-'iiden lo' hiiya 'aser lo'-rii'a 'et-hamma'iiseh hiirii' 'aser na'iisa tahat hassiimel
Il dett~ (ab conclude l'unità che inizia in 3,16 sull'ingiustizia che c'è nel mon~o, e~pnme.ndo il punto di vista di Qohelet sulla vita e sulla morte; di fronte al~a .sltuazIOne ~I oppre~sione in cui si trovano alcuni uomini ad opera di altri uomlOIla morte diventa di gran lunga preferibile alla vita e il non-essere all'esisten-
z~. Questi detti (ab hanno poi un'importante funzione nell'articolazione del capI.tolo quarto: mentre concludono il discorso precedente sull'ingiustizia e sul deStl?O de.lI'~omo, danno inizi~ a una sezione che è caratterizzata proprio dall'uso del dettI (ab. Da 4,1 a 7,13 SI susseguono con continuità costituendo il filo conduttore della riflessione di Qohelet intorno ai temi del lavoro della socialità della sapienza e del· culto. " 4,6
(ab m'lo' kap niif].at mimm'lo' f].ap'nayim 'iimiil ur"ut ruaf].
.. Conclude una breve unità (4,4-6), che ha per oggetto il tema del lavoro' inVIdia .e competizione caratterizzano spesso il lavoro dell'uomo determina~do una t . d' , SI uaZIOne 1 stress che dal Qohelet viene giudicata assurda; contro una forma esasperata di attivismo, l'autore afferma il valore della calma, anche se lavorare .con calma va a danno del profitto. La funzione del detto tab non è quella di reagIre a due posizioni contrastanti,37 espresse l'una al v. 4 n~lla riflessione del et al v. 5 nel proverbio che condanna la pigrizia quanto piuttosto C?ohel d1 conf , l'altra t . d' l . . . ' . . ~on ars.I la ettIcamente con la tradiZIOne. I valori tradizionali vengono Infatti r.lbaltatI e la calma, considerata dalla tradizione in modo negativo perché Contrana l f" .. a. pro IttO, VIene valutata pOSItivamente. Qohelet in ultima analisi prende le distanze da una concezione della ricchezza che va a danno del benessere vero dell'individuo. ' 4,9 {ab/m hass'nayim min-hii'ef].iid 'iiser yes-liihem siikiir (ab ba'amiiliim
-37
OGDEN, «Tbe "Better"-Proverb", 499.
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Questo detto (ob si trova, secondo Ogden,38 al centro della pericope 47-12 , , che inizia con la frase introduttiva: w'sabti 'iini wii'er'eh hebel ta~at haSsiimes.
Nel corso dell'analisi letteraria si è visto invece che 4,7-9 è un'unità a sé stante. Il detto tob introduce un discorso che si ricollega ai versetti precedenti in base all'uso del'numero, ma nello stesso tempo dà inizio qui ad un discorso nuovo sulla socialità e sui suoi vantaggi. Non è posto dunque al centro ma all'inizio della pericope. 4,13
(ob yeled miskén w'/Jiikiim mimmelek ziiqén Ctk'sfl 'liSer lo'-yiida' l'hizziiher 'od
Anche qui il detto (ob si trova all'inizio di una riflessione su p?v~rtà e ricchezza, sapienza e stoltezza, illustrata attraverso la p~rabol.a del p~mclp~ ~ove~ ro. Anche qui ha una funzione polemica nei confronti degh s~heml tradlzlOnah di pensiero, che commisuravano la sapienza all'età e alla ncchezza. 4,17
s'm6r ragl'kii ka'liSer télék 'el-bét hii'él6him w'qiirob lism6a' mittet hakk'silim ziiba/J...
Finora Qohelet si è servito dei detti (ob per esprimere il suo persona~e'pun to di vista, spesso anticonformista e contestatario nei confronti ?ella tr~dlZ1on~. In 4,17b, dove il termine (ob è sottinteso, si pone invece sulla hnea delyrofetI, che proclamano la superiorità della giustizia nei co~front~ del culto estenore . .va notato però che qui il detto (ob passa in secondo plano r~spe~to alla formula Imperativa, in quanto ne fornisce semplicemente la motivazlOne.
5 ,4
t.o'b 'liSer 16'-tidd6r missetiddor w'lo' fsallém
Anche qui ha una funzione secondaria rispetto all'ammonizione del v. 3, di cui costituisce la specifica applicazione. Si determina con esso uno spos~a.ment~ di direzione nella riflessione dal campo generale del culto a quello speCifiCO de voto. 6,3
6,9
(ob mar'éh 'énayim méhiilak-niipes...
Non è un caso che in 6,9 si trovi un altro detto (ob a conclusione di questa grande unità che è iniziata al capitolo quarto. In questi tre capitoli i detti (ob si trovano in una posizione importante all'inizio o al centro di un'unità, ma soprattutto ne costituiscono il supporto formale, l'elemento unificante. La funzione dei detti (ob in questa parte dell'opera è quasi sempre quella di un confronto dialettico con la tradizione attraverso il ribaltamento nella valutazione dei due termini di paragone. Per lo più sono legati ad allusioni o citazioni della sapienza tradizionale, dalla quale Qohelet dissente. Inoltre i detti (ob sono inseriti nel contesto di esemplificazioni, come si vedrà subito dopo. Restano ora da considerare le sentenze comparative del settimo e del nono capitolo. Per quanto riguarda il settimo capitolo si è visto come tutta l'unità 7,114 sia da collegare immediatamente alla domanda di 6,12a: mi yodéa' mah-((ob Iii'iidiim e come in 7,1-7 Qohelet conduca attraverso i detti (ob una radicale contestazione della sapienza tradizionale e soprattutto del suo facile ottimismo. Anche nel capitolo nono si ha, come nel capitolo quarto, una nuova concentrazione di detti (ob. ki-mi 'iiser y'bu/Jar 'el kol-ha/Jayyim yéS biUii/Jon ki-l'keleb /Jay hCt' (ob min-hii'aryéh hammét
9,4
Questo testo ribalta la tradizionale valutazione delle due figure animali, e leone, per sostenere sulla linea della visione qoheletiana della vita, i valon primari dell'esistenza e illustrare con una clausola esplicativa (ki) come sia preferibile un povero in vita a un nobile o potente sepolto. c~ne
... (oba /Jokma migg'bCtra w'/Jokmat hammiskén b'zCtyiì...
9,16
II detto (ob si trova qui a conclusione di un altro bozzetto, nel quale si ri-
.. .' iimarti (ob mimmennCt hanniìpel
Si trova al centro di un'esemplificazione iniziata in 6,1 sull'assurd~ situazione di chi pur avendo ricevuto da Dio ricchezze, tesori e onori non nes,ce a goderne pe;ché è un altro che ne gode. Considerando questa possibilità COSI negativa, Qohelet ritiene che l'aborto sia prefer~bile all'esistenza di un uomo che, pur possedendo molti beni, non è capace di goderne.
38 OGDEN,
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Sono da notare: la forma anomala del detto, dove l'elemento B, è presentato prima, mentre l'elemento A si trova dopo e il tono induttivo enfatico che è fortemente accentuato dall"iimarti introduttivo.
t~ae il triste destino del sapiente povero, che pur avendo salvato la città è dimen-
tl~~to. In questo testo è ancora più esplicito il confronto del Qohelet con la tra-
dl~lOne: l'assioma tradizionale che la sapienza è superiore alla forza è contestato dal fatti, in quanto la sapienza del povero è disprezzata. 9,17-18
17 dibré /Jiikiimim b'nal]at nismii'im 18
mizza'iiqat mosél bakk'silim (oba I]okma mik'lé q'riib w'l]o(é' 'el]iid y"abbéd (oM harbéh
«The "Better"-Proverb», 499.
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I due detti (ob segnano una svolta nella discussione e riprendendo la valutazione tradizionale, espressa in 9,16a, della superiorità della sapienza sulla forza danno inizio a una nuova riflessione incentrata sulla vulnerabilità della sapienza, che viene illustrata nel capitolo decimo.. .. Al termine di questa visione d'insieme dei detti (ob SI possono condlVldere senza difficoltà le conclusioni di Bryce e di Ogden. Per quanto riguarda la funzione che essi esercitano nel libro del Oohelet, questa va ben al di là del semplice ruolo di introduzione e di conclusione, in quanto serve come affermazione di principio per introdurre poi un'ammonizio39 ne o come fulcro di una valutazione su cui verte l'intera pericope. Dal punto di vista del ruolo che essi svolgono nell'argomentazione di Oohelet, si può senz'altro affermare che i detti (ob esprimono il sistema di valori, ai quali l'autore fa appello nel formulare i suoi giudizi; in essi i valori tradizionali sono contestati e si assiste a un vero e proprio ribaltamento dei criteri di valutazione. A queste riflessioni occorre aggiungere che un elemento costante dell'uso dei detti tob è che essi sono strettamente legati a esempi e bozzetti, ai quali 00helet affida il compito di esemplificare quanto è enunciato nelle sentenze comparative.
4. L'esempio Strettamente legato all'uso dell'interrogazione e dei detti (ob è l'esempio,40 che è il racconto di un episodio citato a conferma di ciò di cui si sta trattando. Si è visto come Qohelet nelle sue argomentazioni si serva di piccoli racconti o bozzetti, analoghi alle crie dei greci e a forme simili della letteratura egiziana, e come delinei i personaggi con una vivacità che non ha nulla da invidiare ai . ! ,.•....•..1 Caratteri di Teofrasto. 41 Ma perché Oohelet ricorre a questa tecnica argomenta- ., j . .' tiva e qual è l'uso che ne fa? 'I L'esempio, nella retorica classica,42 è in primo luogo un mezZO di cm SI ser- . "; ve l'oratore per rendere più vivo il suo discorso, evitando così la noia e la distra~
zione dell'as~oltatore. Nell'opera letteraria è usato come ornamento del d' so: ex. similibus et exemplis»·43 «Similititudo adsu mi't url~cor . «Exornatlo d .constat . 44 ' mtenm et a oratlOllls ornatum». Come strumento nell'argomentazione l '1' d «exemp um e,st. .. utI IS a. persuadendum id, quod intenderis, commemoratio».45 dell'esempio è espressione di dina mlsmo, . f ~ argomentaZiOne l"per mezzo . .. « ormsce un caso notevo ISSImo m cm Il senso e l'estensione dei concetti so . fluenzati dagli aspetti dinamici del loro USO».46 no m. Dal. punt~ di vi~ta ?ell~ logica che ~sprime, l'esempio appartiene al procedimento mduttl~o, di cm Anstotele formsce una trattazione completa nei cc. 1826 del s~co~do hbro della Retorica. Rispetto al primo libro, in cui il ragionamento retonco e a~solutame?te deduttivo, si registra da parte del filosofo un mutamento. netto dI ~rospettlva; il ragionamento induttivo viene considerato come essenzIale alla d~mostrazione retorica, anche se l'induzione, una volta è contrap~osta all'entImema, un'altra volta è considerata come una sottospecie dell'entlmema. Una netta distinz~one tra entimema, o sillogismo retorico, ad esempio si ha nel c. 20.del secondo hbro della Retorica, dove l'esempio viene considerato come l'e~mvalent~ ret~rico dell'induzione logica. 47 Nel c. 22, invece, dedicato alla trattazlO~e, deglI entlmemi, il topos induttivo è uno dei luoghi comuni dell'entimema, clOe una delle forme in cui compare l'entimema. 48 L'induzione retorica subentr~ accanto alla, deduzio~e e l'~sempio diventa la premessa di quel particolare .entImema, che e quello mduttlvo e comporta quindi un'inferenza di tipo medlato. 49 Nella retorica più matura di Aristotele l'esempio è una delle quattro pre~es~e acca~to all~ prova, ~I ~e~osimile e al segno. Dall'esempio però deriva I entimema m,dut~lvO; esso SI dls~m?ue dall'entimema apodittico, che deriva dalla prova,. dali entImema anapodlttIco, che proviene dal verosimile e non ha ca:a~tere. d~ nece~sità, e .infine ?all'entimema apparente, che deriva dal segno ed è . slllo~IStICO. L esempIO espnme dunque un procedimento logico essenzialmente mduttIvo. Ma quando e perché si ricorre a esso? Secondo Perelman quando esi-
n, 29, 46. QUINTILIANO, Inst. Or., V,1I,5. 4~ QUINTILIANO, Inst. Or., Il,6. 47 PERELMAN-OLBRECHTS-TYTECA, Trattato dell'argomentazione, 376. toric AR~STOTELE, Rhet, n,20,. 1393 a. Sull'esempio nella retorica classica cf. A. PENNACINI, Rea ~/tOrta nella cultura c/~sslca, Pltagora, Bologna 1985, spec. 11-27. zioni delli~' PLEBE, Breve storta della retoriCi! antica, 65, secondo il quale le due diverse considerarne t . I dduzlOne reto~lca non SI contraddicono tra loro; piuttosto possono considerarsi comple«de~~~:oe ue tr~tta=-lOm,. quella de~ capitolo XX del secondo libro, in cui si pongono le equazioni: il d . nedretonca:- ent,Imema», «mduzlOne retonca = esempio», e quella del capitolo XXI in cui eCll:.l0 el luoghi dell entlmema è Ii luogo dell'induzione. ' co ~L~BE, Breve stona della retorica antica, 65 paragona un modello aristotelico di esempio nl'nufno di slIloglsm? mduttivo. Così in Rhet, n, 1398b si incontra il seguente modello di «esempio» (o . sortegglano, . Immediata)' Rhet erenza II 1398b .. . ~<S" e I magistrati. SI possono sorteggiarsi gli atleti». Invece in valli' , . SI. lllcontra Il se~uente. modello di «entimema induttivo»: «se uno rovina i propri ca, non gli affidiamo I nostn - essI trascurano la propria salvezza, non gli affidiamo la nostra». :~ Rhet. Her.,
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OGDEN, «The "Better"-Proverb», 504; cf. anche; BONORA, Qohelet, 101. Cf. LAUSBERG, Elementi di retorica, 225-226. . Qohelet e Teofrasto presentano diversi punti ditontatto sia nella per~onahtà che nei pensiero: in primo luogo il rifiuto dell'astrazione e l'interesse, p;r I problemi eticI: III secondo luogo un certo anticonformismo intellettuale che a Teofrasto costo I accusa di empleta e un vero e propn? processo in tribunale (319-318 a.c.). Maestro vivacissimo e soc.ievole, illustrava gli argomenti p1U impegnativi con fine retorica e si serviva a questo scopo di esempi tratti dalla sua espenenza di uomo e di studioso. L'affinità tra Qohelet e Teofrasto si può cogliere anche nell'atteggiamento scettiCO e ironico, nel senso della vanità della vita e della sapienza, nell'etica del giusto mezzo. Su Teofrasto SI veda G. COPPOLA, «Il filosofo Teofrasto», in TEOFRASTO, I caratteri, Mondadon, MIlano 1944, 3-76. 42 Cf. MARTIN, Antike Rhetorik, 119-122. Sull'uso delle crie e delle altre forme della letteratura greco-romana cf. R. HocK-E. O'NEIL, The Chreia in Ancient Rhetoric, Scholars, Atlanta 1986, spec. 3-47; D.E. AUNE, a cura di, Greco-Roman Literature and the New Testament. Selected For~ and Genres, (Sources for biblical Study, 21), Scholars, Atlanta 1988; l.G. WILLIAMS, «Parable an Chreia: from Q to narrative Gospel», in Semeia 43(1988), 85-144. 39
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ste un disaccordo circa la regola particolare che l'esempio è chiamato a sostenere' a differenza dell'illustrazione che serve a rafforzare l'adesione a una regola co'nosciuta e ammessa, fornendo dei casi particolari che chiariscono l'enunciato generale, l'esempio viene usato come mezzo di persuasione intorno. a una r~gola sulla quale manca il consenso e quindi nuovamente nel cont~sto dI ~n ragIonamento dialettico. Ciò che si richiede sia all'esempio che all'IllustrazIOne non è tanto l'evidenza indiscutibile, quanto la capacità di «colpire vivamente l'immagi. , .., nazione per imporsi all'attenzione».5o Il grande vantaggio dell'utilizzazione d~ll'esempIO e quello dI attI;are l a.ttenzione sullo statuto di fatto che esso possIede; nello stesso tempo l esempIO impegna l'oratore quasi come in una confessione. ~ues~~ è .la fina~ità degli esempi addotti nel libro, che servono a illustrare con Vlvaclta e ImmedIatezza la tesi di Qohelet. Dal punto di vista stilistico l'esemplificazion~ è sp~sso introdotta da,lla p~rticella yes, che Qohelet usa più frequentemente dI ogm altro autor~ dell .An~lco Testamento (16 volte contro le 13 del libro dei Proverbi, le 12 del hbro dI GIObbe, le 2 di Isaia). È in particolare nei seguenti testi che Qohelet se ne serve per . introdurre degli esempi: 4,8; 5,12; 6,1; 7,1(bis); 8,14(ter);. ~O,5. . . Seguendo le ricorrenze della particella yes in questi passI e possI.bIle cogh~ re la logica esemplificativa del Qohelet. 51 In 4,7-12 Qohelet, p~r Illustrare ~l principio che «due è meglio di uno» (v. 9), introduce al.v. ~, me~Ia~te la part~ cella yes il caso di un uomo solo, che, non avendo eredI, SI affatI~a mvano pnvandosi delle gioie della vita. Diverso sarà il risultato se saranno m due (cf. anche al v. 9). In 5 12 l'autore introduce un esempio che serve a illustrare la sentenza, espressa ~recedentemente in 5,9, relativa all'insaziabilità di chi ama. il danaro. In 6 1 Qohelet mostra al lettore (o all'ascoltatore?) la grande sCiagura, che può colpi~e il ricco, e cioè che Dio non gli conse~ta di g~?e~e dei suoi beni. ~n~ che in 7,15 la ripetizione per due vol~e ~e.lla particella yes ;Ie~e usata ~er a~hra re l'attenzione su un fatto e sul suo sIgmfIcato: quello dell mglUsta retnbuzlOne. Il discorso del Qohelet sulla retribuzione ha però valore esemplificativo rispett? al tema dominante della sezione, che è il valore della sapienza. Lo stesso pu~ dirsi di 8,14, che ha per oggetto lo stesso tema: quello dell~ retribuzio.ne, e di 10,5, dove l'esempio viene introdotto per mostrare quanto SIa vulnerabIle la sapienza. .' . Cosa comporta l'uso dell'esempio.a li.vello. ~ell'orgamzzazIO~e l~g~co:~~ stuale? Consente di stabilire una gerarchIa dI temI, m base alla funzIOnahta di
PERELMAN-OLBRECHTS-TYfECA, Trattato dell'argo,:,entazione, 378. .. anSull'uso della particella yes con funzione esemplificativa cf. ISAKKsoN, Studles In the L 0n guage o[ Qoheleth, 173. L'autore spiega l'uso partic~lare che Qoht?l~t fa della partIcella la Sl~~to lare personalità dello scrittore e co.n la n~tura mosofica del libro. E Invece la forma retonc~ del della che può meglio spiegare alcUnI USI partIcolan della grammatica da parte dI Qohelet. Sull uso particella yéS cf. anche MICHEL, Untersuchungen, 184-189. 50 51
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c.o
arg?mento all'altro; t~tta la sezione da 4,4 a 6,9 si può considerare un'esemplificaZIone del tema dommante: quello del lavoro e del vantaggio che l'uomo ricava dal suo lavoro. Nella seconda parte lo stesso dovrà dirsi del tema della giustizia e della retribuzione; questi due argomenti sono trattati dal Qohelet come esemplificazione della tesi di fondo della seconda parte, che è l'incapacità della sapienza umana di comprendere il disegno di Dio. 5. La topica deL QoheLet. Antitesi e poLarità Nell'ambito del ragionamento dialettico svolgono un ruolo decisivo i topoi, i luoghi comuni; la topica inizialmente è considerata da Aristotele una raccolta dei luoghi comuni della dialettica, in un secondo momento diventa un vero e proprio metodo che ci pone in grado di fornire su un qualunque soggetto proposto delle conclusioni tratte da ragioni verosimili. 52 Nella neoretorica i topoi sono considerati come le pre!TIesse generali, dalle quali si parte per condurre le proprie argomentazioni. 53 E in questo senso che qui si intende parlare della topica del Qohelet. In Loretz54 si trova un'analisi dettagliata dei topoi del libro, dalla quale si mostra come Qohelet usi sostanzialmente il linguaggio della tradizione, per cui non vi può essere dubbio che questo testo sia profondamente radicato nella cultura biblica e semitica. Vanno fatte però due importanti precisazioni al riguardo. La topica del Qohelet non è ristretta al mondo semitico. L'annosa discussione sugli «influssi» culturali da parte del mondo extrabiblico sul libro conduce a mio avviso in un'unica direzione, a riconoscere che la topica del Qohelet è universale, in quanto abbraccia anche la cultura greca e quella egiziana. È la topica del giudaismo ellenistico, come si vedrà trattando del genere letterario. Qohelet fa un uso tutto particolare dei topoi tradizionali, come ha dimostrato Loader, nel suo studio sulle polarità strutturali dellibro,55 concludendo che esiste una solidarietà linguistico-formale con la sapienza comune e un'opposizione polemica ad essa per quanto riguarda i contenuti. Un'esemplificazione di questo uso dialettico della topica sapienziale può trovarsi nel ruolo polemico che svolgono i proverbi citati o coniati dall'autore stesso nel contesto in cui sono inseriti: 1,15.18; 4,5.10-12.13; 5,2.11; 6,9a; 7,5.6.19; 8,1.5; 9,4a.17; 10,4.8.11.12.13; 11,4.6.7. Si è visto inoltre come Qohelet sia costantemente impegnato in un confronto critico con la tradizione non solo sapienziale, ma anche storico-profetica. Oltre alla negazione e all'interrogazione esistono altri elementi formali che con-
52
Sulla topica aristotelica e i topoi cf. R. BARTHES, La retorica antica Bompiani Milano
1972, 76-83. 53 54 55
'
,
PERELMAN-OLBRECHTS-TYfECA, Trattato dell'argomentazione, 90. LoRETZ, Qohelet, 196-212. LOADER, Polar Structures, 115-116.
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sentono di individuare la sua posizione nei confronti della tradizione, e sono le antitesi e la polarità, che si trovano molto frequentemente nel libro e che vengono usate soprattutto quando l'autore intende criticare la sapienza del suo tempo.56 Durante il commento del testo sono state osservate di volta in volta le costruzioni basate sul parallelismo antitetico e sulle polarità strutturali;57 è il caso' di darne una visione d'insieme, per mostrare come Oohelet si serva di queste forme stilistiche per condurre la sua critica al pensiero tradizionale. Tutta la topica del libro ruota intorno ad alcune antitesi di fondo: 1) Sapienza/stoltezza (1,12-2,26; 4,13-16; 7,5-7; 7,11-14; 7,15-22; 7,238,1; 8,16-17; 9,11-12; 9,13-10,1; 10,2-7; 10,8-11). 2) Giustizia/empietà (3,16-22; 4,1-3; 8,10-15; 9,1-10). 3) Vita/morte (4,1-3; 7,1-4; 9,4-10; 11,7-12,7). 4) Opera dell'uom%pera di Dio (1,15; 3,1-8; 3,14b; 7,13; 8,17; 11,5). a) Sapienza/stoltezza Oohelet riconosce in linea di principio la superiorità della sapienza sulla stoltezza, affermata dalla tradizione, ma ne dimostra poi la radicale insufficienza: a) Dal punto di vista intellettivo, perché la sapienza è incapace di comprendere veramente la storia e la natura e quindi l'opera di Dio (3,10-15; 7,1114; 11,1-6); b) Sotto l'aspetto pratico, in quanto non può modificare la realtà (1,15; 7,14); c) Di fronte alla morte la sapienza è impotente, perché l'uomo, anche quando è sapiente, non può prevedere ciò che accadrà dopo di lui sia sul piano storico che nella vita ultraterrena (2,12; 3,19-22; 6,12; 8,7); d) Nella progettazione della vita pratica; la perizia nel proprio lavoro non garantisce necessariamente la sua riuscita (10,8-11; 11,1-4). Ma la polarità dialettica tra sapienza e stoltezza risulta in ultima analisi annullata: la sapienza, di cui Oohelet condivide in linea di principio il valore, di fatto viene a porsi sullo stesso piano della stoltezza, perché di fronte ai problemi della giustizia, della morte, della retribuzione finisce coll'essere sconfitta. b) Giustizia/empietà Oohelet sviluppa la polarità dialettica tra giustizia e ingiustizia intorno a due temi:
56 Secondo LOADER, Polar Structures, 114-115 il Qohelet predilige il chiasmo come figura stilistica. Ritengo invece che la ripetizione costituisca la figura caratteristica dello stile qoheleuano. Su questo argomento si veda il capitolo seguente. 57 Per la figura stilistica dell'antitesi e della polarità cf. ALONSO SCHÒKEL, A Manual 01 Hebrew Poetics, 85-94, la cui esemplificazione è condotta soprattutto sui testi del Siracide.
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a) La situazione politico-sociale (4,1-3; 5,7-8). b) La retribuzione (3,16-4,3; 7,15-22; 9,2-3; 9,11). Nell'uno e nell'altro caso la differenza tra giusto e ingiusto è annullata' in entrambi i casi gioca un ruolo determinante il motivo della morte. La spera~za storico-profetica di un go'el, difensore degli oppressi, è smentita dalla realtà dell'ingiustizia, né si può trovare scampo nella certezza di una retribuzione ultramondana, perché incerto è il destino finale dell'uomo (3,18-21). Anche il rapporto condotta-retribuzione, contrariamente a quanto sostiene la tradizione non è affatto garantito, come dimostra appunto l'esperienza; il giusto non è ri~ compensato nella società e la sua giustizia non gli garantisce affatto una lunga vita (7,15-22; 9,2-3; 9,11). Dunque i due poli della dialettica tra giustizia e ingiustizia sono annullati da un'equiparazione di fatto. c) Vita/morte L'antitesi vita/morte svolge un ruolo importante nella dinamica del testo. La funzione di quest'antitesi è però complessa, in quanto è relativa alle diverse situazioni che vengono prese in considerazione. In 4,1-3 e 7,1 la tensione vita/morte è risolta nell'annullamento della vita a favore della morte' in 9 5-9 invece proprio la prospettiva dello Se' al fa balzare in primo piano i val~ri d~lla vita (cf. anche 11,7-12,7). d) Opera dell'uom%pera di Dio Si può seguire l'articolazione di questa antitesi attraverso l'uso della radice 'ih. Ouando tratta dell'opera di Dio Oohelet usa prevalentemente il perfetto qal (3,11bis; 3,14; 7,14.29) o il sostantivo ma'iiieh (3,11; 7,13; 8,17; 11,5), mentre per parlare dell'opera dell'uomo si serve, oltre c~e del perfetto qal, anche del nifai (1,9.13.14; 2,17; 4,1.3; 8,9.11.14.16; 9,3.6). E soprattutto in alcune unità che l'antitesi tra opera dell'uomo e opera di Dio balza in evidenza (3,10-15; 7,9-14; 7,25-29; 8,16-17; 11,1-6), facendo emergere l'impossibilità da parte dell'uomo di co~prendere o modificare l'opera di Dio. Considerando globalmente queste unttà, è possibile ricavare il giudizio che Oohelet formula sull'opera divina: 1) essa è bella; 2) è incomprensibile; 3) è immutabile. 58 In netta antitesi con l'opera di Dio l'opera dell'uomo si presenta in tutta la sua vanità (2,11.17; 3,9; 6,12; 1,9.14) o negatività (1,13; 4,1-3; 5,12-13; 8,9; 9,3; 1O,5~. Non è però un discorso «esistenziale» quello che Oohelet vuole condurre, be~sl un .discorso teologico, con una forte componente esistenziale. Oohelet si puo conSIderare un precursore dell'esistenzialismo?59 La risposta non può essere
D' 58 Sulle caratteristiche dell'opera di Dio cf. GORSSEN, «La cohérence de la conception de leu ~~ns l'Ecclesiast,e>>, 282-324, spec. 310-316. . Il problema e affrontato da H.P. MULLER, «Der unheimliche GasI. Zum Denken KoheIets», In ZThK 84(1987), 440-464.
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che negativa: l'esistenzialismo parte dal presupposto che Dio non esiste, mentre paradossalmente proprio la fede in Dio pone le basi del discorso qoheletiano sulla vanità del dire, del fare, del pensare umani;60 Qohelet non mette in dubbio la bontà dell'esistenza, che è dono di Dio (cf. l'uso del verbo ntn); tutto ciò che l'uomo «ha» ed «è» è dono di Dio o è nelle mani di Dio (2,24; 9,1).61 Di fronte alla grandezza e all'onnipotenza di Dio l'agire umano risulta fortemente ridimensionato, ma non annullato. All'uomo spetta infatti di realizzare il compito, che Dio gli ha affidato; che è quello di gioire delle sue opere e dei beni che Dio gli concede. 6. Conclusione La logica del Qohelet, che si esprime attraverso una singolare organizzazione del testo, non è logica dimostrativa, ma dialettica. Negazioni, interrogazioni, paragoni, esempi sono tutte figure grammaticali e stilistiche che implicano un riferirsi a qualcun altro o a qualcosa d'altro. La dialettica comporta dunque due conseguenze importanti: la finalizzazione al dialogo e la contestazione critica dei valori dell'interlocutore. L'importanza delle figure retoriche nel libro è tale che si può affermare senza ombra di dubbio che proprio in esse si trova l'espressione piena della logica qoheletiana e si spiega anche il perché dell'insolita struttu~a data ~all:au tore allibro. Qual è, in ultima analisi, il criterio al quale obbedIsce la distrIbuzione degli argomenti e quindi delle idee nel testo del Qohelet? Non è un ~rit~ rio logico, secondo ciò che noi moderni intendiamo per logica, ma è un CrIterIO retorico. Per avere un'idea di ciò che può essere stata la fase. di gestazione del libro, si può riportare quanto Plebe afferma a proposito della part~tio r~tor~ca~ cioè della strategia di distribuzione delle idee. Una delle principalI aspIraZIOnI della retorica è infatti quella di stimolare lo sviluppo dei co~cetti attraverso un~ distribuzione strategica delle idee che vengono pensate. E ciò che dai reton latini viene detta partitio: «La retorica della partitio è più precisamente una retorica di ordinamento repertoriale: dato un repertorio di possibili idee i~ol~t~, simili a singoli anelli isolati uno dall'altro, la partitio insegna ad allaCClarl~ I~ serie concatenate, dove la catena genera essa stessa nuovi anelli concettualI dI collegamento».62
60 Sul rapporlo tra sapienza e fede in Dio nel Qohelet cf. FESTORAZZI, <~Il Qohelet: un sapiente alla ricerca di Dio", 173-190. A. STlGLMAIR, «Weisheit und Jahweglaube 1m Buch Qohelet», In TThZ 83(1974), 257-283. . . .. _ 61 Cf. l'analisi dei verbi che fanno riferimento al rapporto uomo-DIO m M. SCHUB~RT, Schop fungstheologie bei Kohelet, (Beitrage zur Erforschung des Alten Testaments und des AntJken Judentums 15), Lang, Frankfurt am Main 1989, 84-105. 62 PLEBE-EMANUELE, Manuale di retorica, 71.
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È q~anto deve essere avvenuto nella progettazione dell'opera da parte del Qohelet, Ii quale seguendo i procedimenti tipici della retorica antica, ha attinto a un repertorio di idee tradizionali, i topoi della letteratura sapienziale e ha sviluppato la sua topica come in una catena dove un anello genera un altro anello. Per portare avanti le sue idee, che contrastano con quelle della tradizione, ha optato per una distribuzione «nomade» delle idee, che caratterizza lo stile retorico rispetto a quello filosofico. Di qui l'impressione di disordine che si ha a una prima lettura dell'opera: è il disordine retorico, che però non è vero disordine, quanto espressione di mobilità del pensiero. Piuttosto che seguire un rigido ordine logico nell'esposizione del suo pensiero, Qohelet ha preferito conferire alle sue argomentazioni la vitalità del ragionamento dialettico. Non a caso la distribuzione «nomade» delle idee viene preferita dagli scrittori più estrosi e originali. Potrà essere illuminante a questo proposito l'esempio riportato da Plebe: Les lettres du voyant, scritte da Rimbaud, la prima il 13 maggio e la seconda, a distanza di soli due giorni il 15 maggio 1971. In esse l'idea del tutto originale delle origini impersonali e inconscie dell'io è espressa attraverso una frase altrettanto originale: le est un autre. È interessante constatare come vari la collocazione di questa frase e delle idee a essa associate nelle due lettere, per cui Rimbaud ottiene due diverse partitiones. 63 Lettera del 13 maggio: «le suis en grève. le travaille à me rendre voyant. C'est faux de dire: je pense. On devrait dire: on me pense. le est un autre». Qui la formula del le est un autre è posta al termine della distribuzione delle idee, producendo un effetto scalare per cui la nuova idea da introdurre costituisce il culmine di quelle precedenti. Lettera del 15 maggio: «Car je est un autre... l'assiste à l'éclosion de ma pensée ... le dis qu'il faut etre voyant. .. Le poète se fait voyant par un long, immense et raisonné dèrèglement de tous les sens». Qui invece la formula del le est un autre sta all'inizio e secondo Plebe fa d~ supporto prima alla manifestazione (éclosion) del pensier~ soggettivo, po/all'Immagine di chi vede da estraneo il proprio io, per culminare, infine, nella proclamazione dello scompiglio dei sensi; per cui, quando giunge tale proclamazione del dèrèglement dei sensi, il motivo iniziale di quella formula è ormai come nello sfondo. Ma, secondo Plebe, la chiave di interpretazione delle due lettere è nella loro lettura simultanea, perché furono scritte insieme. Attraverso la combinazione delle due diverse organizzazioni concettuali si ottiene proprio la distribuzione nomade teorizzata dalla retorica antica, poiché la formula le est un autre, così
. 63 Con questa espressione PLEBE-EMANUELE, Manuale di retorica, 73 traduce la denominazione di slrUClura errans usata da SENECA, Ep. 114,4-7; essa si distingue dal metodo logico di distribuzione che CICERONE, De Orat. 3,80 chiama Aristotelicum mos.
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particolare sotto il profilo stilistico, oscilla fr~ l'es~ere la conclu~ione ?i un ~tin~ rario di tipo psicanalitico e l'inizio del propOSIto dI un nuovo e nvoluzIonano stlle di vita. 64 III.
LA RIPETlZIONE FIGURA DI PAROLA E FIGURA DI PENSIERO
Non c'è dubbio che la ripetizione costituisca la figura stilistica che meglio caratterizza il libro del Oohelet.65 L'iterazione è una costante del discorso poetico e della letteratura biblica in particolare, in quanto la ripetizione degli stessi termini ~ della stessa cos~ru zione serve non solo a ornare il discorso, ma anche a espnmere con maggIOre forza ed energia idee e sentimenti. 66 La ripetizione di suoni, par?le, frasi, v~rsi; strofe in differenti posizioni e con funzioni diverse è una tecmca letterana dI grande importanza, particolarmente efficace nella recitazione ~rale dove assume i contorni di una traccia memoriale; essa si attua attraverso nme, assonanze, cadenze ritmiche, allitterazioni e ogni altra manifestazione del para~leli~~o a tutti i livelli di organizzazione del testo. Ma nel libro del Oohelet la npetlZlone di parole e di strutture va al di là della funzione che essa svol~e comune~ente, quella cioè di figura di parola, di artificio fonico, rit~ico o lessIcal~ ~er ~Iventa re una delle principali relazioni sinta~tic?e e semar~tlche, all~ q~ah e affl~at~.la coesione stessa del discorso. Per capne il Oohelet e dunque lOdlspensabile l lOdagine sulla forma, sulla funzione e sul significato d~ parole ~d espressio?i ripetute, in quanto esse contribuiscono non solo alla canca e~otlVa e al pregIO estetico del discorso ma anche all'efficacia dell'argomentaZIOne. Nella sua analisi della ripetizione L. Alonso Schokel,67 considera quattro fattori: a) La quantità o volume del materiale ripetuto. Può trattarsi di una parola o semplicemente di una radice, oppure di una sentenza incompleta o completa o più complessa di uno o più versi;
b) L~ qua~ità:. ~iguar~~ l'aspet.t~ m.orfol~gi~o O si?tattico della lingua. esempIO.la npetlZlone dIImperatlvl (dI verbI differentl), di participi, di plurah al maschile o al femminile, oppure la ripetizione di clausole temporali o condizionali; c) La collocazione o sistemazione: fianco a fianco, all'inizio di sentenze ? alla. fine, regolarmente o irregolarmente in un discorso o in una posizione lOvertIta; d) Lafunzione, che è la più difficile da classificare, in quanto varia di volta in volta e va analizzata in relazione al contesto. Nel procedere ora all'analisi della figura di ripetizione nel libro del Oohelet, articolerò la ricerca in due momenti: a) Individuazione dei termini che si ripetono più frequentemente. A questo livello emergerà l'importanza della ripetizione come figura di parola: anafora, paronomasia, antanaclasi. Sono queste le figure retoriche predilette dal 00helet e che servono a esprimere il suo messaggio; b) Indagine sulla funzione che la ripetizione, in quanto figura stilistica, svolge nella struttura dell'opera. In questa fase la precedenza va data all'uso del pronome 'anf, non tanto per la quantità, quanto sotto il profilo qualitativo, perché è collegato alla ripetizione costante di una serie di forme verbali che hanno ~ome s?ggett? la prima persona singolare. In un secondo momento vanno prese lO conSIderaZIOne le espressioni che si ripetono con costanza fino a costituire un vero e proprio ritornello: le formule di vanità, la ripetizione per 7 volte dei temi della gioia e del timor di Dio, le inclusioni. Tutti questi elementi hanno una funzione determinante nell'organizzazione del testo. .
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1. Semantica della ripetizione Non può essere un caso che in un testo così breve come il Oohelet si trovi una così alta concentrazione di termini o formule che ricorrono continuamente e a volte con regolarità. Ritengo che sia opportuno prima considerare la quantità del materiale ripetuto e poi le figure retoriche, che caratterizzano il fenomeno della ripetizione nel libro. a) Inventario dei termini
PLEBE-EMANUELE, Manuale di retorica, 74-75. . . d' Da questo punto di vista l'unico vero parallelo al Qohelet potrebbe essere Il Paplr? l Insinger, che è scandito dalla formula «La fortuna e il destino che vengono sono l!1andatl da Dd~;~ Per un confronto tra i due testi si veda M. LiCHTEIM, «ObservatlOns on Papyr~s Insmg,:T», m Stu 79 zu altiigyptischer Lebenslehren, (OBO 28), Vandenhoech & Ruprecht, Frelburg-Gottmgen 19 , 283-305. 66 Cf. LAUSBERG, Elementi di retorica, 132. ." . . ' . ne 67 ALONSO SCHOKEL, A Manual of Hebrew Poetics, 76. Sulla figura stlhstlca ~ella npetlZlO. cf. anche E. ZURRO, «Repetici6n verbal», in L. ALONSO SCHOKEL-E. ZURRO, ~ cura di, La traducclOI~ biblica y e stilistica, (BIL 3), Cristiandad, Madrid 1977, 263-277; ID. Procedzmzentos zteratzvoS entu _ poesia ugaritica y Hebrea, (Bib Or 43), Biblical Institute Press, Rome 1987; J. MUlLENBURG, «.A ~ _ dy in Hebrew Rhetoric: repetition and Style», in Congress Volume: Copenhagen, (VTS l), Bnll, es o penhagen-Leiden 1953, 97-111; J. MAGNE, «Repetitions de mots et exegèse dans quelques psaum et le Pater», in Bib 39(1958), 177-197. 64 65
Nel riassumere le ricorrenze dei principali termini darò la precedenza alle r.a?ici, per poi passare ai verbi, ai sostantivi e ai pronomi. L'utilità di questa anahSI è di scoprire i centri di interesse del Qohelet e la loro dislocazione in tutta l'opera. Le radici 'sh (63 volte). È una delle radici più frequenti nel libro, a dimostrazione dell'interesse che Oohelet ha per il tema dell'agire. Come verbo ricorre nei
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seguenti testi: 1,9(bis).13.14; 2,2.3.5.6.8.11(bis) .12.17; 3,9.11(bis).12.14(bis); 4,1.3.17; 6,12; 7,14.20.29; 8,3.4.9.1O.11(bis).12.14.16.17; 9,3.6.1O(bis); 10,19; Il,5; 12,12. Come sostantivo si incontra in 1,14; 2,4.11.17; 3,11.17.22; 4,3.4; 5,5; 7,13; 8,9.11.14(bis).17(bis); 9,7.10; 12,14. In queste ricorrenze il dato più interessante è che esse sono concentrate in alcuni capitoli in particolare: 1-3; 7-9, in cui Qohelet è più intensamente impegnato nella riflessione sul tema dell'agire umano considerato in relazione al tema dell'agire divino. lJkm (53 volte). La radice si incontra nel Qohelet 4 volte come verbo: 2 15' 2 19' 7 16' 723' 21 volte come aggettivo: 2,14.16bis.19; 4,13; 6,8; 7:4.5.7.ì9;' 8,i.5.'17;' 9,ì.11.15.17; 10,2.12; 12,9.11; 28 volte come sostantivo: 1,13.16(bis).17.18; 2,3.9.12.13.21.26; 7,10.11.12(bis).19.23.25; 8,1.16; 9,10.13.15.16(bis).18; 10,1.10. Da queste ricorrenze si può ricavare un dato molto significativo e cioè che esse sono concentrate in alcuni capitoli: 1,12-2,26; 7-8-9. Esiste quindi un rapporto tra questi capitoli, la cui portata deve essere valutata con particolare attenzione, in relazione alla struttura del libro. 'mi (35 volte). La radice si incontra 22 volte come sostantivo, 8 volte come verbo, 5 volte come aggettivo verbale. Come sostantivo ricorre in 1,3; 2,10(bis).11.18.19.20.21.22.24; 3,13; 4,4.6.8.9; 5,14.17.18; 6,7; 8,15; 9,9; 10,15. Come verbo si trova in 1,3; 2,11.19.20.21; 5,15.17; 8,17. Come aggettivo verbale si riscontra in 2,18.22; 3,9; 4,8; 9,9. La maggior parte delle ricorrenze si registra nella prima parte dell'opera: 1,3-6,9. È infatti questo il tema dominante della prima parte in cui Qohelet effettua una valutazione della fatica umana da molteplici punti di vista, in relazione alla morte, allo stress, all'incapacità di modificare la realtà. Ytr (18 volte). Decisivo ai fini della comprensione della struttura del libro è l'uso di questa radice, che si incontra come sostantivo in 1,3; 2,11.13bis; 3,9; 5,8.15.19; 7,12; 10,10.11; come verbo in 2,15; 6,8; 11; 7,11.16; 12,9.12. All'interno di queste ricorrenze occorre distinguere: a) L'uso di yitr6n nell'interrogativo miih-yyitr6n, che scandisce tutta la prima parte dell'opera (1,3; 3,9; 5,15). . b) L'uso di yitr6n preceduto dalla negazione 'en (2,11; 10,11), che formsce un'esplicita risposta all'interrogativo precedente. I verbi R'h (47 volte). È uno dei verbi più comuni in Qohelet e viene usato da~ l'autore per introdurre o sottolineare le sue osservazioni. Sulle ricorrenze totali, 18 sono quelle in prima persona e attraversano tutto il libro (1,14; 2,13.24; 3,10.16.22; 4,4.15; 5,12.17; 6,1; 7,15; 8,9.10.17; 9,13; 10,5.7). Hyh (47 volte). È importante quanto l'uso del verbo 'sh. Viene impieg~to per indicare eventi naturali indipendenti dalla volontà dell'uomo: 1,9(blS). 10(bis); 2,10; 3,14.15(ter).22; 6,3(bis).1O.12; 7,1O(bis).24; 8,7(bis).12.13; 1O,14(bis); II,2.8; 12,7. In 5,1 e 9,8 si tratta invece di fatti che dipendono dalla
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scelta dell'uomo; in molti altri testi infine il verbo ha come soggetto l'uomo: 1,11.12.16; 2,7.9.18.19; 3,20; 4,3.t6; 7,14.16.17.19; 12,9. Yd' (35 volte). Uso corrente: yada'tf y6dea' y6de'fm yada' yeda' teda' da'at nodi/ dii'
1,17; 2,14; 3,12.14 2,19; 3,21; 6,8.12; 8,1.7.12; 9,1; Il,5.6 4,17; 9,5(bis).11 4,13; 6,5; 7,22; 10,15 8,5(bis); 9,12; 10,14 11,2.5 1,17; 7,25(bis); 8,16.17 6,10 11,9
Anche per questo verbo al di là dell'uso corrente occorre sottolineare l'utilizzazione particolare che Qohelet ne fa nelle formule interogative: mf y6dea' (2,19; 3,21; 6,12; 8,1) e nelle proposizioni negative: 'enennu yodea' (8,7), lo' yeda' (10,14). Determinante per la struttura di intere sezioni è poi la triplice ripetizione di 'en y6dea'; 'enka y6dea' in 9,1-12; 9,13-10,15; 10,16-11,2; 11,3-6. Ntn (25 volte). È un verbo molto importante per comprendere la teologia del Qohelet. Oltre all'uso della prima persona singolare che l'autore utilizza per introdurre le proprie riflessioni; è da sottolineare il ricorso alla terza persona singolare del perfetto qal: natan 1,13; 2,26(bis); 3,10.11; 5,17 .18; 8,15; 9,9; 12,7. In questi testi il verbo ha sempre Dio come soggetto, che dona all'uomo il difficile compito di ricercare il senso di ciò che accade sotto il sole (1,13; 3,10.11); è Dio che dona la vita (5,17; 8,15; 9,9; 12,7), la fortuna (6,2), e la possibilità di goderne (2,26 ter; 3,13; 5,18bis). Incerto è come si è visto il senso di 12,11. 'mr (20 volte). Un'attenzione particolare deve essere riservata all'espressione 'amartf 'anf belibbf (2,i.15; 3,17.18), che ricorre con particolare enfasi nel libro e all'uso di 'amartf puro e semplice (2,2; 6,3; 7,23; 8,14; 9,16). Altre ricorrenze: 'iimar in 1,2; 7,27; 10,3; 12,8; yo'mar in 1,10; 8,4.17; to'mar in 5,5; 7,10; 12,1; le'mor in 1,16. M~' (17 volte). Correlativo a yd' è il verbo m~' (3,11; 7,14.24.26.27(bis). 28(ter).29; 8,17(ter); 9,10.15; 11,1; 12,10). Ho sottolineato l'importanza di questo verbo nella parte esegetica sOl.'rattutto per quanto riguarda i cc. 7-8, in cui ricorre con maggiore frequenza. E interessante a questo punto ricordare che la ripetizione del verbo m~' è concentrata soprattutto in due pericopi: 7,23-29 (8 volte); 8,17 (tre volte), e ne costituisce l'elemento strutturale di base. I sostantivi Tra i sostantivi quello che ricorre più frequentemente è il termine 'adam (49 volte), seguito da 'elOhfm (40 volte) e da hebel (38 volte). È un dato signifi207
cativo, spesso trascurato dalla critica, maggiormente attratta dalla ripetizione del termine hebel. ,adam (49 volte). In molti testi appare con l'articolo, per indicare l'uomo in generale (1,3.13; 2,3.8.22.24; 3,1O.11.13.18.19bis.21.22; 5,18; 6,1.7.11.12bis; 7,2.14.29; 8,6.9.11.15.17bis; 9,1.3.12bis; 10,14; 11,8; 12,5.13. Lys.68 Fa poi osservare che nell'ambito di queste ricorrenze si incontra lO volte l'espressione bene hfl'adam (1,13; 2,3.8; 3,10.18.19a.21; 8,11; 9,3.12b). 'e/ohfm (40 volte). Si è discusso a lungo sull'uso di 'e/ohfm con l'articolo in Qohelet, come pure ci si è sforzati di capire gli influssi che l'autore ha subito da parte della cultura circostante. 69 È qui il caso di osservare che il ricorso al termine 'elohfm con l'articolo (32 volte su 40) non può essere casuale e del tutto indipendente dall'uso di 'adam. Molti sono i testi che presentano l'uomo e Dio nel loro rapporto dialettico: 1,13; 2,24-26; 3,11-13.17; 5,17-19; 6,2; 7,14.26.29; 8,1517; 9,1.7; 11,5.9; 12,7.14). La considerazione di tale rapporto ha dunque un'incidenza notevole per quanto concerne la problematica del libro, ma la ripetizione del termine hebel ha senz'altro una sua priorità per quanto riguarda la struttura. Hebe/ (38 volte), Viene considerato come il Leitmotiv di tutta l'opera, ma, se si osservano attentamente le ricorrenze del termine, si nota come esse siano concentrate nei primi 6 capitoli: a) 1,2 (5 volte); 1,14; 2,1.11.15.17.19.21.23.26; 3,19; 4,4.7.8.16; 5,6.9; 6,2.4.9.11.12; b) 7,6.15; 8,10.14 (2 volte); 9,9 (2 volte); 11,8.10; 12,8 (3 volte). Come è dimostrato dall'analisi esegetica, il tema dello hebel nella prima parte dell'opera è strettamente legato a quello dello 'amai; esso passa invece in secondo piano negli altri 6 capitoli dove prevale nettamente l'uso di h-akam. Anche la sua incidenza sulla struttura dell'opera è maggiore nei primi capitoli, mentre nella seconda parte il principio strutturale è dato dai verbi m~' e yd'. Naturalmente non va trascurata la portata del termine per quanto riguarda il sistema di valutazione usato da Qohelet; a questo proposito bisogna ricordare ancora una volta che il significato del termine hebel varia a seconda delle realtà alle quali viene applicato. Esso è infatti riferito a diversi tipi di fenomeni: a) il lavaro dell'uomo, b) la gioia, c) la vita, d) la parola, e) la giustizia divina e ogni volta assume connotazioni diverse. Quando è applicato al lavoro dell'uomo significa prevalentemente «assurdo», «assurdità». È questo il senso di hebel in 2,11, in quanto non c'è proporzione tra lo sforzo impiegato e il prodotto del proprio lavoro, mentre in 2,18-26 il giudizio di assurdità scaturisce dalla constatazione che a causa della morte la ricchezza prodotta non rimane a colui che ha lavorato per produrla. In 4,4 il giudi-
Lvs, L'Ecclésiaste, 86-87. . Cf. J. ELLUL, Reasonfor Being: A Meditation on Ecclesiastes, Eerdmans, Grand Raplds 1990, spec. 213-303.
zio di vanità riguarda la competizione, il lavoro produttivo ma stressante, e quindi privo di senso, in quanto di per sé il lavoro dovrebbe condurre alla realizzazione dell'uomo (cf. 3,22). In 4,7.8 Qohelet sembra contraddire quanto ha sostenuto in 2,18-26; ma questo testo è piuttosto in linea con 4,4, perché anche in essa Qohelet critica chi si affatica senza una vera ragione; è quindi attivo lo stesso principio che il lavoro non deve essere contrassegnato da inutili privazioni. In 5,9 il giudizio di vanità ha per oggetto l'insoddisfazione di chi possiede molti beni e tutto il testo seguente si propone di mostrare l'assurdità di questa situazione. Diverso è il senso del termine hebe/ in 5,15, dove assume il significato di «vuoto»; «inconsistente» e ciò in relazione all'immagine di 5,14b in cui si descrive la situazione del ricco che ha perso tutti i suoi beni e non ricava nulla dalle sue fatiche da portare con sé. Hebe/ ricorre poi anche in rapporto al tema della gioia (simlJfì); cf. 2,1-3, dove però ha il significiato di «vano», «vuoto»; in quanto non offre concretamente alcun guadagno. Sulla stessa linea è 6,9, dove Qohelet denuncia la mancanza di concretezza di chi insegue i propri sogni piuttosto che badare alla realtà delle cose, mentre nei testi in cui il termine è applicato alla vita umana assume più che altro il significato di «soffio» (6,12; 7,15; 9,9). Quando è riferito alla giustizia divina (2,26; 6,1-2; 8,14) hebel significa «incomprensibile»; tutto ciò che l'uomo possiede o sperimenta, nella gioia quanto nel dolore, è dono di Dio; ma il disegno di Dio è impenetrabile, per cui è del tutto vano l'agire dell'uomo, che si prefigga di cambiare la realtà delle cose (cf. la radice 'sh). C'è infine da considerare il giudizio globale hakko/ habe/ (1,2), dove il termine assume un significato onnicomprensivo. Tob (51 volte). Nell'uso del termine Occorre distinguere: a) L'impiego normale di (ab, in cui Qohelet indica una situazione di felicità vissuta dall'uomo (ad es 2,1.3; 4,8; 6,3.6, ecc.); b) Le formule, nelle quali Qohelet enuncia ciò che c'è di meglio per l'uomo: 2,24; 3,12-13; 3,22; 5,17; 8,15. Queste ultime hanno un valore funzionale nell'organizzazione del testo. Ra' (30 volte). Nel suo uso corrente esprime come aggettivo l'aspetto triste e sfortunato di una situazione 70 (cf. 1,13; 4,3; 5,12.13.15; 6,1.2; 7,14; 8,3.5.6.9; 9,1.12; 10,5.13; 11,2.10; 12,1). Nei vv. 2,17.21; 4,8; 6,2; 7,15 si trova in parallelo con hebel. Come sostantivo designa la sventura: cf. 5 12(bis)' 8 12' 93(bis)' 9,12(bis). ' "" , Espressioni e formule ricorrenti . TalJat hassiimes (29 volte). È una delle espressioni più caratteristiche del libro, che ricorre con costanza in tutta l'opera: 1,3.9.14; 2,11.17.18.19.20.22;
68
fYJ
208
_.70 Molto raramente il termine è inteso in senso morale (cf. 7,20). Lo stesso va detto del termine ra, che ncorre con questo significato solo in 4,17; 7,15; 8,1l(bis).
209
, 15' 5 12.17; 6,1.12; 8,9.15(bis).17; 9,3.6.9(bis).11.13; ~~,5. Deli-
Le formule di vanità
nella forma (ob... mìn. Ma vi sono altri casi ugualmente significativi: in primo luogo l'anafora di participi in 1,4-11, che serve a rendere la ripetizione ciclica degli eventi della natura e della storia; 73 l'uso della negazione 'al in 7,9-10; 7,16-17; della negazione lo' in 9,11; della particella yes in 8,14. Altri esempi sono segnalati da Braun: 74 8,1; 2,5-6; 8,l1a.12a e 12,lb.2a.
Sono tra gli elementi più importanti per l'organizzazione del testo. Oc-
La paronomasia
corre però distinguere: . 2 l' 215' 2 19' 223' 319; 5,9; 7,6; , , , , , , , a) Le formule ad un solo membro. "
Frequente è anche l'uso della paronomasia, l'accostamento di parole che sono legate da una parentela etimologica o che si somigliano nel suono. Il caso più importante è naturalmente habel habiilfm (Qo 1,2; 12,8), ma esistono anche esempi interessanti di paronomasia fondata sulla figura etimologica: 'iimiil se'iimaltì (2,11.18.22; 5,17; 9,9); (na')'asfì con ma'aseh (1,14; 2,17; 4,3; 8,9.17; 9,3.6.); 'inyan e 'anot in 1,13 e 3,10. Accanto a questi si possono citare altri casi: hyh in 1,9; 1,10-11; 2,7; sobeb sobeb in 1,6; siddfì wesiddotin 2,8; (ob in 7,14; (0ba in 9,18.
.
~~la\:;~~:' di 'riflessione di Qohelet, rivolto a considerare la condlZlone dell'uomo su questa terra.
2,26; 4,4; 4,8; 4,16; 8,10; b) 8,14. Le formule a due membn:. 114' , , 2 ,11', 2 ,17', 221; , 6,9. Tra queste si evidenziano le espressioni in cui ricorre il termine ruafJ e c~eì come risulta dall'analisi letteraria, incidono notevolmente sulla struttura e testo. I pronomi71
Kol (91 volte). Non si può trascurare nell'analisi. della figura.di.rip~tizione
prono~e
tro~a;~ :~~:d~o~O~:~r~ts~~' ::~~~;~~:I~i~::~:
l'uso del kol, che si realtà nella sua mterezza, ma a CIO "d . ne _ ltà dell'uomo che di volta in volta vengono prese In consl ,e~azlo. rea ,ani (85 volte). Decisivo ai fini del discorso sulla str~ttura e l uso del pro. ' - che merita quindi un'attenzione partIcolare. Raramente SI nome persona le am, b (112 16b' 2 18b con incontra la ripetizione del pronome seguito dal ver ~ " " e che aggettivo verbale); è invece freq.uentissima la costru:lOne del pr~~~~i ultesegue I'1 ver b o. L'uso particolare dI questo pronome sara ancora ogg riore indagine. A
.
.,
b) Le figure retoriche della flpetlzlone
72
L'anafora È la ripetizione di una o più parole all'ini~io di enufnciati, IO .dihleorp~r~:g~ co Ul c . , l'ana . 't' ora '1 suo pensiero menti successivI,. secondo lo sc h ema Ix... Ix. Mediante . . iore forza e lllCISIVI a l . . scrive nesce a espnmere con mag? ., . I iù evidenti Il libro del Qohelet presenta dIverSI esempI dI uso anafonco. / ' -t 7 1-8 ' 3 ,2-8 , nella ripetizione per 28 volte della paro a e e , sono senza d u bb lO
L'antanaclasj75 Un caso particolare di paronomasia è l'antanaclasi, la ripetizione di un termine con diversi significati. Nel corso dell'analisi letteraria è stato sottolineato l'uso di questa figura retorica nel verbo m~', che scandisce un'intera unità letteraria, 7,25-29, assumendo di volta in volta significati diversi. Tuttavia la figura dell'antanaclasi può essere applicata ad altri termini, tra cui ~' che, come si è visto, viene utilizzato da Qohelet in diverse accezioni a seconda del contesto in cui è inserito. La ripetizione con variazione è un altro elemento che bisogna opportunamente prendere in considerazione, in quanto può costituire una pista per la comprensione del messaggio dell'autore. Una parola che si ripete mutando però di significato è un indizio della volontà di esprimere un pensiero di fondo: tutto ciò che esiste rimane identico pur nella variazione o anche: ciò che varia rimane sostanzialmente identico.
2. L'uso enfatico del pronome 'ani Nella struttura complessiva del libro e nella divisione del testo l'uso frequente del pronome 'anì ha senza dubbio un ruolo determinante; secondo 76 Loretz costituisce infatti uno dei principali elementi strutturali del libro.
Con ALONSO SCHÒKEL, A Manual o[ Hebrew Poetics, 198. BRAUN, Kohelet, 81.82.101.106. 75 Per antani!c1asi si intende in genere la ripetizione di una stessa parola presa in significati tra loro contrastanti. E questa la definizione riportata anche dai manuali più recenti: cf. PlEBEEMANUELE, Manuale di Retorica, 186; può però anche essere intesa come ripetizione di una parola COn significati diversi ma non contrastanti. Per questa definizione mi ricollego a CERESKO, «The Function of Antanaclasis», 551-552. 76 LORETZ, Qohelet, 161-166. 73
74
71
Per un approfondimento sull'uso del pronome ne l Q o h e Ie t cf . ISAKKsON, Studies in the
LanguaRe o[ Qoheleth, 142-171. .. . d· i ma non era stato conferito a esse 72 L'uso di queste figure era gm stato notato daglI stu ~ , Q h I t 182' LOADER, polar un particolare rilievo ai fini dell'indagine sulla struttura; cf. RETZ, o ee , , . Structures, 14.
210
211
Anche dal punto di vista morfologico l'uso di questo pronome in Qohelet si distingue nettamente da quello comune, come si è visto precedentemente. Sulla funzione e la portata dell'uso del pronome' anf dopo il verbo le opinioni sono differenti.?? Le grammatiche classiche tendono a considerare normale la posizione del pronome prima del verbo, mentre vedono nella posizione dopo il verbo un'eccezione o l'esempio di un uso recente. Altri considerano quest'uso come pleonastico.?8 Ma da più parti viene sottolineato l'uso enfatico del pronome 'anf.?9 L'enfasi, nell'uso comune, è sinonimo di insistenza, di accentuazione innaturale di toni e coloriture discorsive. Il suo significato originario risalta con maggiore chiarezza se si co~sidera la sua accezione come termine tecnico della fonetica dove indica la particolare accentuazione di una parola; accentuazione che si ottiene aumentando l'intensità dell'articolazione o la durata della sillaba accentata. L'enfasi può anche essere raggiunta variando la tonalità di una sillaba attraverso una modulazione della voce verso l'alto o, meno spesso, verso il basso e lasciando più o meno inalterato il resto dell'enunciato. BO Nel Qohelet l'enfasi è ottenuta mediante la ripetizione ed è poi rafforzata dall'aggiunta della particella yes, la cui funzione nel libro è appunto quella di enfatizzare. . L'uso del pronome 'anf dopo il verbo e la ripetizione delle forme verbali con il pronome come soggetto non sono casuali; anche se non si può giungere a dire che l'uso del pronome 'anf introduce un elemento nuovo nel discorso,Bl è indiscutibile che i verbi alla prima persona, essendo collocati spesso all'inizio di una sentenza, altre volte al centro o alla fine di un'unità, occupano una posizione chiave nel testo. Alcune forme verbali poi si ripetono per due volte e in determinate sezioni. Si verifica in questo caso quanto Lausberg asserisce a proposito della ripetizione: «Le figure della ripetizione arrestano la corrente dell'informazione e concedono il tempo di "gustare" emozionalmente il contenuto dell'informazione che viene appunto accentuato e posto in evidenza per l'importanza che deve a~ sumere».82 Nel Qohelet il pronome personale con il verbo finito serve a confenre maggiore intensità a una riflessione o ad esprimere il momento cruciale di ~n ragionamento. B3 Un uso analogo a quello del Qohelet si può trovare nel CantlCO dei cantici (cf. ad es. 5,5-6). Ai fini della struttura la funzione del pronome aggiunto al verbo è quella di enfatizzare un'espressione emozionale, un'importante conclusione o l'introduzione di una nuova linea di pensiero (cf. 1,12.16; 2,1.11.12.13.15a.b.c.18.20.24; 3,17.18; 4.1.2.4.7; 5,17; 7,25.26; 8,15.16; 9,16).
77
163-171.
Cf. sull'uso particolare del pronome 'ilnl ISAKKsON, Studies in the Language o[ Qohel
eth ,
18 Cf. PODECHARD, L'Ecciésiaste, 44. em 7'1 T. MURAOKA, Emphatic Words and Structures in Biblical Hebrews, Magnes, Jerusal 1985, 48; ISAKKsoN, Studies in the Language o[ Qoheleth, 163-168. .' 80 Per l'uso dell'enfasi nella fonetica cf. MORTARA GARAVELLI, Manuale di Retorica, 178. 81 Cf. JODON, Crammaire, 146a. 82 LAUSBERG, Elementi di Retorica, 132 83 MURAOKA, Emphatic Words, 48.
212
Considerando le ricorrenze delle forme verbali con il pronome 'anf, si può notare come esso sia usato prevalentemente con verbi che fanno riferimento alla sfera conoscitiva e indicano percezioni, meditazioni, riflessioni: r'h, yd', 'mr, dbr.
.
Il verbo r'h, che ricorre con particolare frequenza, si incontra dall'inizio alla fine del libro e sta a indicare l'esperienza diretta, l'analisi personale dei fenomeni; per questo Qohelet può essere considerato un sapiente che osserva la realtà con occhio critico. 84 Questo verbo assume una grande importanza nel libro soprattutto per la comprensione del taglio che ha la ricerca di Qohelet fondata prevalentemente sull'esperienza. Riguardo poi alla sua funzione strutturale, occorre rilevare che quando è preceduto dal waw, è usato per concludere una riflessione, quindi al termine di un'unità, come in 3,22 oppure all'inizio come in 2,13 e 4,4. Senza il waw introduttivo si trova nel corpo centrale di un'unità, come in 1,14a e 4,15. B5 Preceduto dalla particella yes e seguito da taf]at hassiimes introduce un'esemplificazione, come in 5,12; 6,1; 10,5. Infine in 1,14a e 8,9 segna un'importante inclusione, la cui funzione nella struttura generale del libro sarà valutata in seguito. Un discorso a parte merita l'uso dei verbi 'mr (2,1.15; 3,17.18) e dbr (1,16; 2,15) con l'aggiunta di 'im-libbf o belibbf, che conferiscono alla riflessione di Qohelet la struttura del dialogo interiore. 86 Spesso il pensiero dell'autore ripiega su se stesso, come attestano i verbi che denotano un movimento di ritorno all'indietro o esprimono l'idea della circolarità: swb (4,1.7; 9,1.11), sbb (2,20; 7,25),pnh (2,11.12). La funzione di questi verbi nella struttura del libro è costante: chiudere un'unità e aprirne un'altra secondo un movimento a spirale, che è stato evidenziato durante l'analisi letteraria del testo. È soprattutto il verbo sbb a esprimere il movimento circolare del pensiero di Qohelet, che gira in tondo tornando sui temi trattati in precedenza (2,20; 7,25). Per quanto riguarda infine l'incidenza che hanno le forme verbali con il pronome' anf come soggetto sulla struttura complessiva del libro, si può osservare che esse sono concentrate nei cc. 1-3 e 7-9, dove Qohelet sviluppa la sua riflessione sapienziale. Le conseguenze di quest'indagine per quanto riguarda l'interpretazione de.llibro e del suo genere letterario sono decisive. Il tratto autobiografico costitUIsce effettivamente la struttura portante del testo a livello di sistema verbale, ma la concentrazione nei cc. 1-3 e 7-9 indica da un lato che c'è una corrispondenza tra le due parti del libro sul tema della riflessione sapienziale, dall'altro ~he nei rimanenti capitoli del libro la topica è differente e che va quindi ricercata IDtorno ad altri elementi. .
In proposito si veda M.V. Fox, «Qohelet's epistemology», in HUCA 58(1987), 137-155. Sul valore del waw cf. ISAKKsoNs, Studies in the Language o[ Qoheleth, 140-141. ~ Un'analisi recente del monologo e del dialogo nella poesia ebraica si può trovare in ALONso SCHOKEL, A Manual o[ Hebrew Poetics, 170-179. 84 85
213
3. Gli interrogativi fondamentali del libro Si è già trattato degli interrogativi a due diversi livelli.: . 1) In relazione al contesto ~etterari?, m?strando la funzlOne che CIascuno di essi svolge nell'unità in cui SI trov~ msent~. ,. . 2) Dal punto di vista argomentativo, per il ruolo che l mterrogazlOne co. ' .. pre nell'organizzazione logica del libro. Non si può trascurare però un altro aspetto dI q~e~ta lmportant~ flgur~ stilistica ed è la costante ripetizione dei due interrogativI fondamentali del libro: a) Quale vantaggio? b) Chi può conoscere? . .. .' . Che questi siano gli interrogatlv~ mtorno .al ~ualI ~uot~ ~utta la p~o~lematica del libro è stata una delle principali concluslOm dell analIsllettera~la.' ora, attraverso una visione sincronica dei testi, si intende mostrare come eSSI siano funzionali alla struttura complessiva. 'a) Q u a l e v a n t a ggi o ? Ogden87 ha giustamente rilevato l'importanza dell'interrogativo «quale vantaggio?» che ricorre nell'opera Svolte:
1,3 2,22 3,9 5,10 5,15 6,Sa 6,Sb 6,11
mah-yyitron meh-haweh lii'iidiim mah-yyitron hii'oseh (u)mah-kkisron (u)mah-yyitron lO mah-yyoter le!J,iikiim mah-lle'iini mah-yyater
Ciò che mi interessa sottolineare, ai fini della struttura complessiva del libro, è che esso si arresta in 6,11. Questo da.to co.stit~isce a mio .avvi~o ~'argom~~i to decisivo a favore della tesi sostenuta nel capItoli precedenti, e ClOe che qUi conclude la prima parte dell'opera e che l'i~terro?ativo di 6,11, P.ur. pr~~entan~ dosi in una forma lievemente differente, fa mcluslOne con 1,3. Clo slgmflca ch tutti i primi sei capitoli vanno letti e interpretati alla luce di questa fondamentale questione: del vantaggio che concretamente l'uomo ricava ~~l.s~o lav~ro. Il fa~ to stesso che la domanda mah-yyitron sia stata collocata all mlZlO del libro (1, )
87 OGDEN «Qoheleth's Use ofthe "Nothing is Better"-Form», 339-343. L'importanza dell'i~ terrogativo è stata sottolineata anche da a!,tri Autori:. cf. HENsGJETL26(uld;;;)U~~;~2~el~pe~~.~~,; s±~M: 217-218; W. JOHNSTONE, «"The Preacher as SClentIst», In . . ' ? ' MERLI, Das Buch des Predigers, 142; WILLIAMS, «What Does lt Proflt a Man.», 375.
214
indica che si tratta di un problema importante per l'autore. La problematica di questa prima parte del libro è dunque di natura antropologica, ma, se si considera che l'interrogativo di 1,3 è strettamente collegato con il poema introduttivo (1,4-11), non si può non rilevare che l'uomo nel libro del Qohelet viene considerato in una prospettiva più ampia, quella dell'intero cosmo, di cui egli condivide le stesse inesorabili leggi: prima tra tutte l'uniformità e la ripetitività, per cui nella storia come nella natura non vi è assolutamente nulla di nuovo, non si registra alcun reale progresso. Inserito in questo contesto l'interrogativo di 1,3 assume inevitabilmente una forma retorica, in quanto comporta una soluzione a senso unico. Esso riceve una prima risposta radicalmente negativa in 2,11: 'en yitron, nell'ambito dell'analisi che Qohelet in veste regale sta conducendo sull'esperienza di una vita vissuta all'insegna del godimento e del lusso. A conclusione della sua analisi dell'esperienza salomonica, in cui la gioia viene presentata come l'unica effettiva compensazione alle fatiche umane, Qohelet formula il suo giudizio negativo: wehinneh hakkal hebel ur'ut rua!J, (2,11). L'interrogativo: «quale vantaggio?» ritorna ancora nel secondo capitolo (cf. 2,22 ma anche 2,15) sia pure in forma diversa: meh-haweh lii'iidiim, nuovamente in relazione al tema specifico del lavoro dell'uomo e scaturisce dalla riflessione sulla morte e sull'imprevedibilità del futuro. In 3,9 la domanda è collegata invece all'osservazione che c'è un tempo per ogni cosa. Qui la prospettiva si allarga nuovamente, come in 1,4-11, alla considerazione delle leggi che governano la natura e la storia, regolate dallo stesso inesorabile ritmo. In esso si esprimono la bellezza e la perfezione dell'opera divina, ma l'uomo, al quale sfugge il disegno complessivo, trova ben poco spazio per la sua autonomia e creatività, in quanto non gli rimane altro che adattare la propria azione ai singoli momenti. Infine l'interrogativo sul vantaggio che l'uomo ricava dal suo lavoro si ripete con maggiore frequenza nei cc. 5-6, dove si tratta specificamente del frutto del lavoro umano. In 5,10 Qohelet formula la questione in relazione al tema dell'accumulo delle ricchezze; quale vantaggio ricava il padrone dal vedere le proprie ricchezze assottigliarsi sotto i suoi stessi occhi a causa dei parassiti? In questo contesto la domanda assume un tono ironico; l'ironia è, come si è visto, un'altra delle caratteristiche stilistiche di Qohelet strettamente legata alla sua forma mentis scettica e allusiva. In 5,15 l'interrogativo: mah-yyitron lo viene nuovamente posto per considerare il tema della ricchezza, questa volta però da un altro punto di vista: quello della morte, come in 2,22. La vanità di ogni sforzo umano trova la sua massima espressione nell'immagine della nudità, che segna l'uomo nella nascita come nella morte. A nulla serve l'aver faticato se poi per un caso sfortunato il ricco perde tutti i suoi beni e se ne va nella tomba nudo così come è uscito dal ventre della madre. Arrivando ora a 6,8.11 la ripetizione per ben tre volte dell'interrogativo in questi soli due versetti non può essere casuale, anche perché a partire da 6,11 l'interrogativo non ricorre più; come si è detto precedentemente, questi versetti 215
ricapitolano i temi della prima parte del libro e in ciò si trova anche conferma della funzione decisiva che la questione retorica svolge nella struttura dell'opera. In 6,8 essa è formulata in relazione al tema della sapienza e della stoltezza, come in 2,15, dove ugualmente Oohelet si domandava quale vantaggio avesse il sapiente sullo stolto; essi sono sullo stesso piano. Del resto anche il povero, pur essendo sapiente, non ha un destino diverso dal ricco. Se si considera infine il v. 11, si nota che il tema del vantaggio è strettamente legato a quello della vanità della parola. In 6,11 dunque l'interrogativo: mah-yy6ter che finora sembrava strettamente collegato al tema del lavoro, verte per la prima volta sul vantaggio che l'uomo può ricavare dal parlare a vuoto. Si tratta di una contestazione radicale della sapienza umana; non a caso esso è seguito subito dopo dall'interrogativo mi-y6dea', di cui ora occorre precisare la funzione. b) Chi può conoscere? Un'altra forma di domanda retorica, che è stata assunta spesso dal discorso filosofico e inserita nella sua tecnica di argomentazione, è quella che i retori greci denominano aporia e i latini dubitatio; si tratta di una questione che viene posta come un autentico dubbio, ma in realtà non è tale in quanto la sua soluzione è del tutto irrilevante. L'esempio addotto dalla Retorica ad Herennium è illuminante in questo senso: «Offluit eo tempore plurimum rei publicae consulum sive stultitiam sive malitiam dicere oportet sive utrumque».88 Commentando l'esempio, Plebe 89 fa osservare che lo scopo della frase non è tanto quello di rispondere al quesito posto, cioè se addebitare la causa alla stultitia o alla malitia; quanto piuttosto quello di gettare il discredito sui consoli, ponendo un problema la cui soluzione è molto meno importante che non la formulazione del problema stesso. Nell'esempio citato l'idea espressa è che «qualcosa nocque al governo dei consoli» e si insinua attraverso il dubbio aporetico che questo «qualcosa» è una qualità negativa dei consoli stessi. Una questione di tal genere si trova in 00 2,19 e 3,21. L'interrogativo mi-y6dea' viene formulato per la prima volta in 2,19, n~l contesto del discorso sul lavoro dell'uomo e sui suoi frutti. Apparentemente Il problema è quello dell'erede e dell'uso che egli farà delle ricchezze accumul~t~ dal suo predecessore. In realtà però la questione investe le possibilità conos~ltl~ ve dell'uomo e soprattutto la sua capacità di prevedere il proprio futuro e qmnd! progettare; nessuno può sapere come sarà l'erede delle proprie fortune, se sara saggio o stolto. Ma questo è un dilemma senza soluzione: la possibilità da parte
dell'uomo di conoscere il suo avvenire si scontra con una realtà dra t' l morte la Id' .. . mma lca, a . ' qua e ren . . tuttI , gh sforzI dell'uomo in questa vita in qua nt o spez· e vam za lI ~appor t o d l contlllmta tra presente e futuro. E ancora la morte il fattore decisivo del secondo testo'. 3 "21 nel qua Ie la . . . prospettIva SI allarga al destlllo dell'uomo dopo questa vita . Prop' . questo l" . . . no III caso lllt~rrog.a~l~o dI. OO,helet mamfes~a al massimo la sua forma aporetica. Il contesto III cm e lllsento e quello del dISCorSO sull'ingiustizia che si afferma l mondo e che pone l'~omo sullo stesso piano delle bestie; da questa osservazionnee Oohele~ passa ~ consl~erare nu~va.mente la realtà della morte. La domanda formulata ~n 3.'21111 realta non ~ostltmsce un vero dubbio, pur presentandosi in forma d~bltatlVa; ~ss.a sV,olg~ plUttO~tO una funzione provocatoria e di contestazione ~el confrontl dI u~ opl~IOne dIffusa anche a livello popolare sulla superiorità dell uomo sulla. bestla. L lllterrogativo . .del . Oohelet non attende dunqu e nspo. , sta,. l~ quant~ 11 s~o scopo e quello ~l espnmere un'idea sotto forma di problema. l uomo e pOI veramente supenore alla bestia? L'espr~ssione mi-y6dea', che ricorre nella Bibbia ebraica 10 volte particolarme~te III testi postesilici (2Sam 12,22; GI2,14; Gn 3,9; Sal 90,11; E~t 4,14; Pr 24,22, 00 .2,19; 3~;~; 6,12; 8,1) assume nel libro del Oohelet un significato d:l tutto partlcolar~, III qua~to funziona come un'espressione di scetticismo. 91 L accento. cade sull assenza dI conoscenza e l'interrogativo mi-y6dea' equivale a.lla ne~azIOne che uno possa ottenere delle informazioni nell'area presa in consl~e~a~l~ne; per questo II.t0tivo ~oncordo con Crenshaw che l'interrogativo miy~dea Sl~ sullo stesso plano dI espressioni come: «nessuno può conoscere»; «I u?mo Ignora», che ncorrono con particolare insistenza nella seconda parte dell opera; 8,4.7; 9,1.5; 10,14; 11,5-6. Dopo 2,19 ~ 3,21, in cui si notava come l'interrogativo fosse strettamente legato. al~a tematlca della morte, la domanda mi-y6dea' ricorre nuovamente in 6,12, lllSleme a un altro interrogativo analogo: mah-tt6b. s' . Le dom~nd~ ~i s.ituan~ ~el co~testo dei vv. 1O-12:~he, come si è visto, cotltu~scono un umta dI tranSIzIOne, III quanto oltre a ricapitolare alcuni temi della pnma parte, pongono degli interrogativi, ai quali Oohelet intende dare risposta nell~ second~ part~. Il primo retto da mi-y6dea' è: mah-tt6b l[liidiim. Il second~ e mah-yyzhyeh alfiiriiyw talfat hassiimes. In entrambi i casi la risposta è negatlva' . bene effettivamente nella . ' l' ~omo non puo' conoscere ne/ che cosa SIa sua VIta, ne che cosa accadrà in seguito per lui sotto il sole.
delle .9IJ CRENSHAW, «Th.e Expression mi yodea'", 274-275 distingue due gruppi di testi nell'ambito 4,14" ~~f~~ef~e compless~ye; II primo è costituito da cinque testi: 2Sam 12,22; GI2,14; Gn 3,9; Est sti, ~he ec~ tt' nel puaJII mterrogallvo comporta la possibilità di una risposta positiva; negli altri tel'l'nt ' e uato r 4,22, appartengono prevalentemente al Qohelet (Qo 2 19" 3 21' 6 12' 8 1) . d'I scettIcismo: . . ' come , , pensiero , , , ,cri-, tico errogallvo cf J L C eqUivale a un ' a ffermazlOne Sullo scetticismo inteso a cura'di" 1-19. '
88 89
Rhet Her 4,29.40. PLEBE-EMANUELE, Manuale di retorica, 58-61.
91
Th
e
R~NSHAW, «The Blfth of Skepllclsm m Anclent Israel», in
J.L. CRENSHAW-S. SANDMEL, Ivme Helmsman. Studles on God's Contrai of Human Events, Ktav, New York 1980,
Contro questa interpretazione BONORA, Qohelet, 63-75.
217 ')1h
Tutta la seconda parte dell'opera, che comprende i cc. 7-11,6, non è che una radicale contestazione della sapienza tradizionale e dei suoi canoni interpretativi. In 7,13-14 Qohelet esplicita in una sola volta il senso dei due interrogativi di 6,12; l'uomo non può conoscere quale sia il bene nella sua vita perché non può volgere a suo vantaggio gli eventi, non può modificare l'opera di Dio; non gli rimane allora che adeguare il suo comportamento alla realtà di fatto, rallegrandosi nel giorno felice e riflettendo nel giorno triste: entrambi risalgono alla volontà di Dio, il quale opera in modo tale che l'uomo non possa scoprire nulla del suo avvenire. La realtà tutta diventa impenetrabile all'uomo; in 8,1 troviamo un altro enigmatico interrogativo: mf. .. y6dea' peser dabar. Come si è detto precedentemente, questo primo versetto del capitolo ottavo conclude l'unità iniziata in 7,23, che afferma l'irraggiungibilità della vera sapienza ed è seguita da un nuovo interrogativo retorico: mi yim~a'ennù, in cui ancora una volta è affermata l'impenetrabilità del disegno di Dio (7,24). Dal capitolo ottavo all'undicesimo si moltiplicano con insistenza le espressioni che denunciano esplicitamente l'impotenza dell'uomo, come in 8,4, dove nel contesto di un discorso sull'autorità si mostra l'impossibilità di criticare l'operato del sovrano, oppure in 8,7, dove si afferma ancora una volta che l'uomo non conosce quale sia il suo futuro. La formula 'én y6dea', che è l'equivalente dell'interrogativo: mi-y6dea' ritorna troppo spesso nei cc. 9-11, perché si possa ignorarne la portata ai fini della comprensione della struttura del libro, ma qui si vuole sottolineare l'importanza di questi testi anche per l'interpretazione del messaggio dell'autore. Impenetrabile e incomprensibile secondo Qohelet è proprio il rapporto tra l'uomo e Dio. Il capitolo nono si apre infatti con una negazione: 'én y6dea' ha'adam, che riguarda direttamente la conoscibilità del disegno divino e prosegue ribadendo che l'uomo ignora l'ora della sua morte (9,12) e non può prevedere ciò che può accadergli. Importante è anche il nuovo interrogativo di 10,14, che ci riporta alla problematica di 6,12b sull'imprevedibilità degli eventi, intorno alla quale è poi strutturata l'intera unità 11,1-6, risposta finale e conclusiva a tutti gli interrogativi della seconda parte. Quest'unità, che è scandita dalle dichiarazioni negative dei vv. 2.5.6, ribadisce in conclusione che: 1) L'uomo non può sapere quale sciagura può abbattersi sulla terra e quindi conviene che investa i suoi capitali in più direzioni; 2) L'uomo ignora l'azione di Dio così come ignora il mistero della vita; 3) Non è prevedibile il risultato del proprio lavoro, per cui conviene che l'uomo si impegni in diversi settori. Qual è dunque in conclusione la funzione dei due interrogativi fondamentali nella struttura complessiva dell'opera? Essi, oltre a scandire le due parti in cui si articola il libro, costituiscono la pista per individuare la problematica del testo, che nella prima parte si interroga sul senso dell'agire umano e nella seconda sulla possibilità da parte dell'uomo di conoscere e penetrare la realtà nei suoi
4. La metafora dell'hebel e le formule di vanità Analizzando il significato del termine hebel l . . ne ho sottolineato l'uso metaforico. Nelle tradi . ne /erse~t? m~ro?uttlvo (1,2) metafora appartiene ai tropi figure d' t't .zlOna I claSSIfIcaZIOnI retoriche la ' I SOS I uZlOne che vertono s i ' e. a Lausberg è definita come «SOStl't' u paro( e smgol . D) uZlOne d'I un verbum prop' nero con una parola il cui significato inteso . " rz~m es. guer(similitudo) con il significato propri d 11 profrze e ~n ~apporto di somiglianza miglianza costituisce il luogo in cui :ie e a p~~o a sostitUita ("leo?e")>>.92 La soto è la contrazione di un paragone' .,nehapP.lcato questo trop?~ Il pr?cedimenla parola somigliante. Per questo ~~~~v~ l: vle~efconf~ontato e Identificato con ' me a ora viene anche definita come paragone abbreviato' essa si distin perché si compone di una parola og:e pero dal:~ragonep~r due caratteristiche: gane, ma sostituisce l'uno all'altro~ase e perc e non reca I due termini di paraLa scelta della metafora dell' h b l l .. . .. e ~ e a s~a r~p~tIZlOne costante in tutto il libro sono di un'im ortanz per l'interpretazio~e com~l~~~~~~a sia per l mdlvlduazione della struttura che Le metafore, come tropi di p l immagini, in cui due sfere dell'ess:r~ e, apparte?gono al più vasto campo delle somiglianza. A differenza però dell: si~~~u~~lazlOnat~secondo un rapporto di statica delle affinità e delle differenze che l me, che e f~n~ata sulla percezione su un procedimento di natura eminenteme:f:~~due. entIt~, la metafora si basa . mamlCO, c ~ produce una qualche forma di fusione o, er me l i ' ti. Se il significato lette~ale def t~r~;:~ ~Ie~~rresenza~r,a I due enti conf~ont~ e to», «soffio», usandolo in senso m t f . Q c0U.t SI e detto, quello di «alIme fluida e inconsistente. e a onco o elet mterpreta tutta la realtà co-
h
Ma perché quest'uso metaforico del t '? L' , er~~~e . a nsposta e nella natura stessa della metafora che tra tutf . f tf essere riconosciuto idtuitivament: I a I re~onci e ~uell~ che meglio si presta a metafora in virtù del r . ' senza bisogno di nOZIOni teoriche. Inoltre la ~egli enu~ciati che, in ~~~~~r;~~ trasl~t~, ~ende «po.ssibili» e quindi accettabili93 E probabilmente l I mgUlst~c e normali, sarebbero inaccettabili. loro radicalità cheas~~~~:p~:~e~zt dell.':.naccettabilità delle proprie tesi o della e e a utI Izzare la metafora dell'hebel. Nell'uso che egli ne fa il te . d' interezza sia ~elle S~:l~~ltl c~n~ront~fè la r.eal~à tutta, considerata sia nella sua ep ICI manI estaZlOnI. L'hebel, come si è visto, investe
zion 92 L AUSBERG, Elementi di retorica, 127-128 Sulla met f m e alla ~etafora», in Lingua e stile 7(1972) 441-469' H a ora cf. G.F. PASINI,. «Dalla comparaetafora», In Metafora e menzo na' la .. ' , , . W.EINRICH, «SemantIca generale della TE, a cu~a di, Metafora (SC/l0 R~ad;n ss~~ent~a dell arte, Il Mulino, Bologna 1976, 85-103; G. CON~eneutIca», in Metafora 152-170' ID ;'ltnn~llI, Milano 1981; P. RICOEUR, «Metafora ed erTl~elazione, Jaca Book, Milan~ 19'81 ~ '(le; ora v~~' Dalla retorica alla poetica: per un linguaggio esu, Boria, Roma 1983' ALONSO Sc~6' u~oM tre la parabola. Introduzione alle parabole di 93 MORTARA GARA;ELLI, Manuale ~~L;etorica~n1utf. of Hebrew Poetics, 108-109.
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molteplici aspetti. 219
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tutti gli aspetti della vita umana, dallavor? (4.'~-8; 8,14) alla ricerca intellettiva (1,13; 2,21; 7,6), al piacere (2,1.26), alla gIUstizIa (8,10.14), alla struttura stessa della vita umana (6,12; 11,8.10; 7,15; 9,9; 3,19; 1,14; 2,17; 7,16; 9,9). Ma soprattutto il giudizio di vanità investe l'agire dell'uomo (1,14; 2,11.17.19.21:23; 4,4.8.16; 5,9; 6,2). Il Ravasi ha espresso molto bene quest'~s'pett? del pensle~~ di Qohelet: «È come un'inesorabile litania che liquida ognI IllUSIOne: tutto CIO che si fa sotto il sole è hebel (2,17); tutto ciò che si ~uò e si dovrebb~4 fare è hebel . . (1,14); tutto ciò che lo stesso Qohelet ha fatt~ e hebel (2,11)>>. Ma al di là delle singole ricorrenze del termIne, che attra~ersa?o tutto Il hbro, Qohelet ci ha lasciato una traccia importante dell'organIZZaZIOne del suo pensiero nella ripetizione delle formule di vanità, che ricorrono 7 volte e certamente non per caso (cf. 1,14; 2,11.17.26; 4,4.16; 6,9). . " In 1 14 il giudizio di vanità verte su tutto ciò che si fa sotto II sole, qUIndI su tutte le ~pere dell'uomo, soprattutto quelle che prete~do.n? di. mo~i~icare I~ realtà. Il proverbio di 1,15 fornisce la ~otivazio~e del. gIUdIZIO ~I vanIta.' che SI può quindi considerare come la conclusIOne dell espenenz.a d.ell au~ore, Il.quale si è reso conto dell'impossibilità di cambiare la realtà. TuttI g.h sfo.m uman.1 SO?O inutili, in quanto l'uomo non può nulla contro l'im~utablle dlse~n~ d~ ~IO: Formulato a conclusione dell'esperienza salomonIca (2,4-10), Il gIUdIZIO dI 2,11 evidenzia soprattutto un fatto assurdo: la sproporzione tra lo sforzo compiuto e il risultato raggiunto. . . .. ,.. . In 2,17 il giudizio di vanità si trova al t~rmIn~ dI una n.flessIOne sull InutIh~ tà della sapienza, che rivela tutta la sua InconsIstenza dI fr?nte al~a morte, muoiono infatti allo stesso modo il sapiente e lo stolto, per CUI la sapIenza non . . , ha alcun vantaggio sulla stoltezza. Per quanto riguarda 2,26 non è chiaro se la val~t~zIOne negatIva ab~l~ per oggetto la prospettiva della gioia che Qohe~et enuncl.a In 2,24 oppure se SI nvolga alla dottrina della retribuzione espressa In 2,25. SI trova c?m.unque a conc~u sione di tutta la sezione nella quale il Qohelet attraverso la fInZIOne salomonIca pone in discussione il valore della sapienza .dell'agi~e dell'uomo .. In 4,4 il giudizio di vanità è posto, come IO 1,14, In stretta relazl~ne con un proverbio che ne fornisce la motivazione e riguarda n~~v~~ente la fatIca umana considerata questa volta sotto l'aspetto della com~et~tlvlta. L~ con~anna ver:~ non sul lavoro in se stesso ma su un modo errato dI vIvere la dImensIOne del I . voro, che, mentre priva l'uomo delle gioie naturali della vita, non è in grado dI fornirgli un'adeguata soddisfazione. .. " In 4,16 la valutazione negativa inve.ste.la sfera dell'azione P?htIca ed e ~~ tuata a conclusione della parabola del pnnClpe povero, ponendo In tal modo . discussione il valore stesso del potere politico. · d'I un ,am pIa Infine in 6,9 la formula ricorre per l'ultima volta a concIUSIOne unità (5,9-6,9) interamente dedicata a mostrare la vanità della corsa al danaro e alla ricchezza.
',I.:··' .'
Oual è ora la funzione di questa ripetizione per 7 volte della formula di va-
nità~ Si ~uò bas~re.su questa ripetizione la suddivisione di tutta la prima parte del hbro IO 7 SeZIOnI, come propone Wright, o la ripetizione svolge un'altra funzione nel libro? 5. Il simbolismo del numero 7 Il ricorso al simbolismo del numero 7, in tutte le sue valenze, è un elemento importante per la comprensione della struttura e del messaggio dell'autore. È il caso di fornire una visione sincronica delle ricorrenze dei sostantivi e dei verbi che fanno riferimento allo schema settenario. Intere pericopi sono segnate da questo riferimento al numero 7. Nel poema iniziale 14 sono i verbi che ricorrono nei vv. 4-7, dove Oohelet descrive lo stanco e ripetitivo percorso del sole, l'affaticarsi senza senso di tutti gli elementi della natura, l'uniformità e la costanza dei loro movimenti. Nella seconda parte ricorrono per 7 volte il verbo hyh e le particelle negative, per porre sulla stessa linea i fenomeni naturali e gli eventi della storia. In 3,1-8 lo schema settenario segna la dialettica polare dei tempi, in cui si riassumono i ritmi della natura e della storia, entrambi governati da Dio. Non è un caso che a essa Oohelet faccia seguire l'interrogativo del v. 9 e la sua riflessione nei vv. 10-14 dove esprime insieme l'apprezzamento per l'opera di Dio e il timore per il suo insondabile mistero. In 7,1-8 torna per 7 volte (vv. 1.2.3.5.8a.8b.1l) il termine (ob, in una pericope che si propone di mettere a fuoco ciò che è bene per l'uomo, in polemica con la sapienza tradizionale. Ma, come si è visto, questa pericope è inserita in un'unità più ampia, che si prolunga fino ai vv. 13-14, nei quali ancora una volta Oohelet prende in considerazione l'opera di Dio nella sua immutabilità. In 7,25-29 è importante registrare la ricorrenza per 7 volte del verbo rnr'; in questa breve unità è di nuovo in primo piano la considerazione dell'opera di Dio, che ha fatto l'uomo retto ma questi va dietro a numerose macchinazioni. Dio è soggetto del verbo '§h per 7 volte: 3,11(bis); 3,14(bis); 7,14-29; 11,5. Per 7 volte viene usato il sostantivo miqreh, che serve a indicare la sorte che Dio ha assegnato all'uomo e 7 volte ritorna la radice yr' per il tema del timor di Dio.
È evidente da tutti i casi finora considerati che il simbolismo del numero 7 ruota intorno a due poli dialettici: opera di Dio/destino dell'uomo e che quindi è aSSunto da Oohelet nel suo doppio significato teologico e antropologico. 95 Esso Svolge diverse funzioni nel libro:
.
94
RAVASI,
Qohelel, 26.
95 Per il significato del numero 7 nei testi biblici ed extrabiblici si veda N. NEGRETTI, Il settimo Indagine critico-teologica delle tradizioni presacerdotali e sacerdotali circa il sabato biblico nBlb 55), Pontificio Istituto Biblico, Roma 1973. .
g(~rno.
220 221
1) Esprime attraverso le formule di vanità il giudizio del Oohelet sul valore dell'azione umana; le formule di vanità scandiscono effettivamente la prima parte dell'opera ma senza quello schematismo geometrico sostenuto da Wright; 2) Segnalare il costante riferimento all'opera di Dio, di cui, attraverso l'assunzione del simbolo, si intende sottolineare la bellezza e la perfezione; 3) Esaltare il valore del settimo giorno; quest'ultimo compito è svolto dal ritornello sulla gioia di vivere. 6. Il ritornello della gioia
La frequente ripetizione (esattamente 7 volte!) dei testi che trattano della gioia ha spinto diversi autori 96 a interpretare il libro del Oohelet in senso ottimista e pertanto in netta antitesi con la tradizionale linea interpretativa del libro. Inoltre secondo Ogden,97 che ha analizzato in particolare la forma 'en (ab, esiste un legame strutturale con la domanda «quale vantaggio?», che egli considera con altri autori l'interrogativo programmatico di tutta l'opera. Per capire quale sia la funzione di questo motivo bisogna analizzare distintamente le formule nel loro contesto: 2,24
'en (ab b{ùidiim seyyokal w"siità weher'à 'et-napso (ab ba'iimiilo
Si trova all'inizio dell'unità conclusiva della sezione (1,12-2,26), in cui 00helet ha voluto dimostrare, attraverso la presentazione dell'esperienza salomonica, la vanità della ricerca intellettiva, dell'agire e del piacere. La risposta diretta all'interrogativo: mah-yyitron si trova però in 2,11: 'en yitron. L'affermazione (ab bii'iidiim di 2,24 ha senz'altro un riferimento a 'en yitron di 2,11 soprattutto per la ripresa della preposizione 'en, ma appare più come una proposta conclusiva, che scaturisce dalla riflessione che non c'è alcun vantaggio, piuttosto che una vera e propria risposta all'interrogativo suddetto. 3,12
.. .'en (ab biim kf 'im-liSmoafJ w"la'iiSot (ab befJayyiiyw
Anche qui la formula è inserita in un contesto dove Oohelet si interroga sul vantaggio che l'uomo ricava dalla sua fatica; in questo testo però è più specificamente l'ignoranza dell'uomo riguardo al disegno di Dio che rende vano l'agire umano. Nell'impossibilità di ricavare un vantaggio dal proprio lavoro, il Oohelet non vede altra soluzione per l'uomo che accettare con semplicità la gioia di vivere che è anch'essa dono di Dio.
3,22
In 3,16-22 Oohelet affronta il problema dell'ingiustizia, che dilaga nel mondo, ponendosi contro una linea sapienziale troppo ottimistica che a tutti i costi vuole riscontrare la presenza di un ordine nella realtà. La risposta tradizionale a questo problema, che c'è un tempo in cui Dio giudicherà ogni cosa dimostra tutta la sua insufficienza di fronte all'impossibilità da parte dell'uomo di conosce~e il.suo destino dopo la morte. Anche in 3,19 viene esplicitato in forma negatIva, II tema del vantaggio, in relazione al problema della superiorità dell'uomo sulla bestia. Al termine di questa unità, che, come la precedente, è incentrata sul tema dell'ignoranza, Oohelet conclude che all'uomo non rimane altro che gioire delle proprie opere. 5,17
222
... (òb 'Mer yiipeh le'ekol-welistòt welir'ot (oba bekol-'amiilo seyya'iimol tafJat hassiimes
Inserita nell'ampia unità che ha per oggetto la vanità del denaro e della ricchezza, l'affermazione di Oohelet si distingue dalle precedenti perché non usa la for~a. 'en (ab, ~a (ab 'aser yiipeh. Ogden 98 sottovaluta l'importanza di questa vanazlOne. A differenza dei testi precedenti, in cui la riflessione di Oohelet si ~uove su un piano negativo, qui il discorso è condotto in positivo; solo vivendo ple~amente e con gioia, l'uomo realizza il compito che Dio gli ha assegnato nella stona (v. 18). Anche in questa unità risuona la domanda mah-yyitròn, per cui non c'è dubbio che fin qui esiste una relazione tra l'interrogativo sul vantaggio e la formula 'en (ab.
8,15
...' en (ab lii'iidiim tafJat hassiimes ki 'im-le'ekò/ w"!istòt welismoafJ weM' yi/wennu ba'iimii/ò
" . Nella seconda parte dell'opera l'interrogativo fondamentale non riguarda p,lU. Il vantaggio che l'uomo ottiene dalla sua fatica, ma il valore delle sue capacita mtellettive, del suo sapere: infatti il detto in 8,15 si trova a conclusione di un'unità (8,1-15), che pone in evidenza i limiti della sapienza umana, assumendo come punto di riferimento il problema della retribuzione. L'ingiusta retribuzione della condotta degli uomini dimostra concretamente come l'uomo non sia in grado di capire la realtà (8,1) e di afferrare il senso delle cose. In questo contesto dunque .l'esaltazione della gioia non è legata, come sostiene Ogden, al tema del vantaggIO ma a quello dell'ignoranza. 9,7-9
96 Cf. soprattutto R.N. WHYBRAY, «Qohelet, Preacher of Joy», in fSOT 23(1982),87-98, il quale vede nei 7 testi sulla gioia una specie di Leitma/iv; sembra però più esatto parlare di ritornello. Contro questa interprelazione RAVASt, Qahelet, 42-45. 97 OGDEN, «Qoheleth's Use of the "Nothing is Better"-Form», 342-343.
'en (ab me'Mer yismafJ hii'iidiim bema'asiiyw
/ek 'ekol besimfJà lafJmekii usatéh beleb-(òb yenekà... T'eh fJayyim 'im-'issà 'Mer-'iihabtii...
98 OGDEN,
«Qoheleth's Use of the "Nothing is Better"-FofID», 347.
223
Anche questo testo, come il precedente, è inserito nel quadro di una riflessione sull'incapacità umana di scoprire il significato degli avvenimenti che sono opera di Dio. Ma è soprattutto la realtà della morte che dimostra i limiti del sapere dell'uomo, il quale ignora l'ora della sua fine, destino al quale andranno incontro tutti i mortali a prescindere dal loro comportamento. Questo testo presenta però una particolarità rispetto ai precedenti in quanto è formulato con l'imperativo; diventa quindi esplicito che si tratta di una proposta di vita in positivo, anche se il contesto dal quale scaturisce rimane negativo. 11,7-10 kf 'im-Sfmfm harbeh yilfyeh hii'iidiim bekullam yismalf... .Il motivo della gioia, che insieme a quello del ricordo, è enunciato all'inizio del cantico finale assume una dimensione più ampia rispetto a quello dei testi precedenti. È la proposta conclusiva del Qohelet, formulata al termine di una lunga e travagliata indagine sui limiti dell'uomo, limiti che si manifestano nel duplice campo dell'agire e del sapere. In conclusione quattro dei 7 testi che riguardano il tema della gioia sono in un rapporto dialettico con l'osservazione che l'uomo non ricava alcun vantaggio dalla sua fatica; non costituiscono però, come sostiene Ogden, la risposta all'interrogativo: «Quale vantaggio?», che è invece formulata in termini radicalmente negativi: 'én yitr6n (2,11). Gli altri due testi (8,15; 9,7-9) sono da collegare all'altro interrogativo che caratterizza la seconda parte dell'opera: «Chi sa?» Anche questo interrogativo riceve, come si è visto, una rispo.sta direttamente negativa: l'uomo non può conoscere. La proposta di godere pienamente delle piccole gioie della vita quotidiana, che sono dono di Dio, si inscrive nell'ottica di una riflessione radicalmente negativa sull'insufficienza dell'uomo sia sul piano dell'agire che del conoscere; essa si spiega alla luce dell'onnipotente volontà di Dio (3,10-14), signore della natura e della storia, che, se non ha voluto rivelare all'uomo il senso del suo disegno, gli ha però assegnato una parte ben precisa nella vita: quella di godere dei beni primari dell'esistenza.
7. Il timor di Dio La ripetizione per 7 volte della radice yr' (3,14; 5,6; 7,18; 8,12bis.13; 12,13) è certamente un elemento da non trascurare nella comprensione del mes· saggio dell'autore, che anche su questo punto rivela una sua originalità rispetto alla tradizione: 99
99 Cf. sul tema L. DEROUSSEAU, «Qohélet et l'autentique Crainte de Dieu», in ID., La Crainte de Dieu dans l'Ancient Testament: Royauté, Alliance, Sagesse dans les royaumes d'/sruel et de Juda. Recherches d'exégèse et d'histoire sur la racine yiìré, (LeDiv 63), Cerf, Paris 1970, 337-346.
224
1) Non viene mai usato il termine yir'at, come invece avviene nel libro dei Proverbi (1,7) e in Giobbe; 2) L'imperativo con 'et è raro (Pr 3,7; 24,21); 3) Qohelet preferisce usare hii'e!6hfm con l'articolo (fatta eccezione per 7,18 e 8,13). Il problema è di vedere qual è la funzione che questo motivo svolge in tutta l'opera. In 3,14 è secondario rispetto al tema principale della pericope, che è quello dell'onnipotenza divina, e serve a motivare la misteriosa azione di Dio. In questo contesto il timore di Dio presenta, è vero, una connotazione diversa rispetto a quella tradizionale, in quanto accentua la distanza tra l'uomo e Dio, ma sembra eccessivo parlare di «accecamento e smarrimento»loo o anche di «un fait accompIi, qui est imposé d'en haut».lOl La funzione di questo motivo è piuttosto quella di giustificare la tesi di fondo del Qohelet: l'inconoscibilità dell'opera di Dio. Per quanto concerne 5,6 l'ammonizione a temere Dio giunge a conclusione di un'unità, 4,17-5,6, che occupa una posizione centrale in quella parte del libro che va da 4,1 a 6,9. È evidente che in questo contesto il motivo del timor di Dio assume un'importanza di gran lunga maggiore. Dal punto di vista stilistico e retorico il passaggio alla seconda persona è, come notava Castellino, un indizio importante del fatto che ci troviamo appunto di fronte a una svolta nel discorso di Qohelet. In questa pericope sul culto, prima in negativo (cf. l'uso della negazione 'al) e poi in positivo nell'ammonizione a temere Dio, si esprime il pensiero dell'autore sull'autentica religiosità; su questo tema Qohelet si allinea con tutta la tradizione profetica, volta a promuovere contro il culto esteriore la vera fede che si esprime nel timor di Dio. In 7,18 il motivo del timor di Dio fa da supporto alla tesi di Qohelet che non conviene essere legati a schemi rigidi di comportamento ed è inserito nel contesto di un discorso ironico, nel quale Qohelet, come Socrate, si pone dal punto di vista dell'interlocutore assumendo nell'argomentazione la tesi tradizionale che chi teme Dio riesce bene in tutto. Diversa è la funzione in 8,12-13. La ripetizione per tre volte della radice indica l'importanza del tema in questione, in questa sezione in cui Qohelet sta trattando del problema della retribuzione. Da questo passo risulta evidente co~e ciò che Qohelet rifiuta non è il timor di Dio, ma l'uso che la sapienza tradiZIOnale ne fa nei suoi canoni interpretativi. Egli accetta in linea di principio la dottrina tradizionale, ma non ne condivide l'applicazione. L'equivalenza condotta = retribuzione è infatti chiaramente smentita dall'esperienza. L'ultimo testo da prendere in considerazione è 12,13. L'epiloghista ha colto l'importanza del timor di Dio nel pensiero di Qohelet e ha voluto con un'ulti-
Y'
100 101
Così RAVASI, Qohelet, 152. GORSSEN, «La cohérence de la conception de Dieu dans l'Ecciésiaste>>, 311.
225
ma menzione della radice yr' completare il ciclo settenario di questo motivo teologico, con l'intenzione forse di equilibrare gli altri due cicli della vita e della gioia. 8. Le inclusioni (o epanadiplosi) del libro Nella poetica ebraica l'inclusione, che è la ripetizione di una parola o di un'espressione all'inizio e alla fine, è una tecnica usata frequentemente per segnare i limiti di un testo. W2 Si parla in questo caso di una grande inclusione; minore invece è l'inclusione che non si estende all'intero poema, ma semplicemente a una delle sue sezioni; è rafforzata poi quando più di una parola è ripetuta. Da alcuni autori l'inclusione è considerata come una delle tecniche stilistiche predilette da Qohelet per dare una struttura alla sua opera. 103 Ma il dinamismo dialettico del libro impedisce a mio avviso di utilizzare l'inclusione come criterio da privilegiare per la delimitazione delle singole unità; le inclusioni, come è stato rilevato di volta in volta nell'analisi letteraria, possono essere utili per seguire il filo logico dell'autore e per individuare i blocchi di unità tematiche. Ma le unità letterarie, anche quando sembra che possano essere delimitate da inclusioni, non risultano mai rigidamente chiuse in se stesse. Il corrispondente termine greco, epanadiplosi o ciclo (XlJxÀoç) rende meglio la natura di questa figura stilistica, che è quella di essere una ripetizione a distanza. La sua funzione nel Qohelet è ancora una volta quella di enfatizzare un'importante parola o espressione. 104 Le inclusioni minori sono state rilevate durante il commento al testo; per la struttura complessiva del libro è importante soffermarsi sulle inclusioni maggiori. Una prima grande inclusione è tra 1,2 e 12,8 ed è fondamentale per l'interpretazione del libro, in quanto tutto il testo deve essere letto alla luce del tema della vanità. Altre due grandi inclusioni segnano la delimitazione del libro in due parti: 1) Mah-yyitron lii'iidiim (1,3) e mah-yy6ter lii'iidiim (6,11); qui l'interrogativo ricorre per l'ultima volta, ricapitolando la problematica della prima parte. 2) Mi yodea' mah-((ob lii'iidiim (6,12) e (ki) 'enekii yodea' ... (obim (11,6). Ma non si può parlare di una bipartizione netta del testo proprio per la presenza di altre quattro grandi inclusioni che riguardano tutte il tema della ricerca sapienziale:
102 103 104
226
Cf. ALONSO<..SCHOKEL, A Manual oJ Hebrew Poetics, 78. Soprattutto WRIGHT, «The Riddle of Sphinx"; OGDEN, «Qohelet XI, 1-6". Sull'uso enfatico dell'inclusione cf. ALONSO-SCHÒKEL, A Manual oJ Hebrew Poetics, 78.
1) Tra l,Ba: e 8,9:
w"niitatti 'et-libbi... kol-'aser na'iisa tafJ,at hassiimiiyim ... wenaton 'et-libbi lekol-ma'aseh 'aser na'iisa tafJ,at haSsiimes.
2) Tra 1,14a: e 8,9:
rii'iti 'et-kol-hamma'asim senna'liSu tafJ,at hassiimes 'et-kol-zeh rii'iti ... lekol-ma'aseh 'aser na'iisa tafJ,at haSsiimes.
3) Tra 1,17: e 8,16:
wii'etfna libbi liida'at hokma... ... niitatti 'et-libbi liida'~t fJ,okma.
4) Tra 3,11-14:
... l6' -yi~ii' hii'iidiim 'et-hamma'liSeh 'aser-'liSa hii'e/6him ... (v. 13) ... l6' yuka/ hii'iidiim /im~o' 'et-hamma'liSeh 'aser na'liSa tahat haSsemes (v. 17). .
e 8,16.17:
9. Ripetizione e ciclo. La struttura ciclica dell'opera La predilezione di Qohelet per la figura stilistica della ripetizione risponde a una precisa intenzionalità funzionale alla struttura del libro e all'espressione del messaggio. Attraverso l'uso delle figure di ripetizione l'autore ha voluto esprimere anche nell'organizzazione del materiale la sua interpretazione della realtà. Il poema posto all'inizio del libro (1,4-11), mediante l'anafora dei participi.e le immagini di ripetitività insite nei cicli della natura, interpretava anche la stona umana come una ripetizione costante e ineluttabile degli eventi: l'affermazione (we)'én koj-fJ,iidiiS tafJ,at hassiimes (1,9) riassume tutto il pensiero di Qohelet sulla storia. E questa convinzione profonda che l'autore ha voluto esprimere anche nella ricerca esasperata della ripetizione come figura stilistica. Non si tratta però semplicemente di ripetizione ma di ciclo; dalla prima alla seconda parte si registra, mediante le inclusioni principali del libro, un ritorno ciclico degli argomenti non solo a livello di temi ma anche sul piano dell'organizzazione formale. Il tema della ricerca sapienziale e dei suoi limiti viene affrontato sia in ~,12~3,15 che nei cc. 7-8. Le corrispondenze tra queste due unità sono innegabih. SIa l'una che l'altra contengono una riflessione sul rapporto tra agire dell'uomo e agire di Dio, nel contesto più generale della valutazione delle effettive capacità della sapienza umana. Non si tratta però di una ripetizione puramente materiale dei temi, in quanto nella prima parte la riflessione si articola intorno all'in~errogativo: «Quale vantaggio?», mentre nella seconda parte si sviluppa in relaZIOne alla questione di 6,12b: «Chi può conoscere?» Tuttavia nell'uno e nelI:altro ca~o la soluzione è identica: la sapienza umana fallisce proprio nella specifIca funzIOne che la tradizione le assegna, di indicare all'uomo ciò che è bene nella sua vita. La motivazione di fondo di questa insufficienza della sapienza umana è indicata nell'incomprensibilità dell'opera di Dio (cf. 3,11, che trova ~no ~viluppo particolare in 7,24-29 e 8,16-17). L'intensità del tratto autobiografIco In queste sezioni del libro è un'ulteriore prova che l'autore ha voluto collegare le due grandi sezioni: 1,12-3,15 e 7,1-8,1, che riguardano in particolare il tema della sapienza. Il collegamento è inoltre rafforzato dall'elemento tempora227
le: si veda la dialettica delle stagioni in 3,1-8, con la parola chiave 'èt e yom in 7,14, ma soprattutto l'uso del numero 7 in questi stessi cap.it?li con l~ funzione di richiamare simbolicamente sia la perfezione dell'opera d1Vlna che Il tema della festività, della gioia. Per quanto riguarda l'organizzazione logica dei temi nelle due parti. del libro, si può affermare con certezza che essa è tutt'altro che c~suale; c~me. I~ 3,16 così in 7 15 al discorso sulla sapienza si ricollega quello relatIvo alla gmstlZla (cf. la ripeti~ione dei termini chiave delle 2 sezioni: ~dq/rs). Esiste evid~nte.~ente un rapporto tra la riflessione sui limiti dell~ sapie~za e II tema.della .gmstlZla; I~ trattazione dell'ingiustizia, che in 3,16--4,3 IOveste Il campo sociale e lO 7,15-22 SI rivela nella mancanza di un'adeguata retribuzione, non è un tema accanto agli altri ma è finalizzato nell'argomentazione del Qohelet a provare l'insufficienza della sapienza umana, incapace di spiegare i grandi enigmi della vita e d~lla morte. Chiara anche la corrispondenza tematica e formale tra 8,16-9,12 e I cc. 5-6, dove si prende in considerazione il fenomeno della ~?rte; 9uesto.motiv~ svol.ge nella prima parte la funzione di evidenziare la vamta degli s.forzl uma~l, teSI a raggiungere potere e ricchezza, e nella seconda parte quella di ~ostrare I~ ~odo tragico la radicale impotenza dell'umano sapere: 90helet,. p~ro, non lascia Il lettore nell'assoluto nichilismo; il ritornello della giOia, che SI npete per 7 volte, costituisce una pista sicura per individuare la proposta in positivo dell'autore, che consiste nell'invito a godere pienamente delle gioie della vita. Tale proposta è poi bilanciata dalla ripetizione per 7 volte ~el ~e~a d~ll~ va.nità e di quello del.ti: mor di Dio. Questi si pongono su due pIam diversI: Ii ntornello della vamta esprime un giudizio, che è sostanzialmente negativo su tutto ciò che si com~i~ sotto il sole; il timor di Dio svolge una funzione complessa nell'opera, come SI e visto nel corso dell'analisi dei singoli testi, ma nell'unico passo, in cui viene formulato con l'imperativo (5,6), si pone come l'autentica proposta reli~iosa del Qohelet, e l'epiloghista ha voluto sottolineare quest'aspetto del pensIero del~ l'autore. Non si può negare però che esso non ha la stessa portata che ~a~no gli altri due temi, quello della vanità e quello della gioia di vivere, che costItUiscono i due poli dialettici di un'unica realtà. . In conclusione il libro del Qohelet è una riflessione sui limiti della sapIenza umana. È possibile però stabilire una gerarchia di temi e di. piani nel libro, all~ luce degli elementi logici e formali evidenziati in quest'ultima fase del la~oro. 1) L'asse intorno al quale ruota l'intero libro è la riflessi?ne s~lla sapienza e i suoi limiti. Elementi formali e retorici sono: il tratto autobIOgrafico, caratterizzato dall'uso enfatico del pronome 'anf, che si intensifica nei cc. 1-3 ~ 7-.8, ma che in realtà attraversa tutta l'opera; la ricorrenza dei verbi che fanno nfenmento alla sfera della riflessione e del dialogo. Nella prima parte dell'opera il tema viene sviluppato assumendo come punto essenziale di riferimento la considerazione della fatica dell'uomo. Q~h~ let, attraverso l'interrogativo: «Quale vantaggio?» invita a chiedersi quale Sia ~I senso di un certo modo di agire e di operare, scelto da chi a tutti i costi, affaticandosi senza risparmio, si prefigge di cambiare il mondo o di accumulare pote-
re e ri~ch~zze.. ~e form~le di. vanità, che scandiscono questa prima parte esprimono Il gIUdiZIO negativo di Qohelet su tutto ciò che si fa sotto il sole. Nella seconda parte dell'opera la riflessione sui limiti del sapere umano è condotta prendendo in esame il tema specifico della sapienza ebraica: la determin~zio~e di ci~ ch~ .è bene ~er l'uomo. Anche in questa seconda parte Qohelet espnme I~ su~ gl~dlZlO negativo attraverso i modelli verbali ricorrenti; non può trovare ~l m~ nel cc. 7-8), ?on conosce ('yn yd' nei cc. 9,1-11,6). L'interrogativo: «ChI sa?», svolge come Ii precedente, la funzione tipica dell'ironia socratica di sollecitare una riflessione sulle effettive capacità conoscitive dell'uomo. ' Nell'ambito della riflessione di Qohelet rientra il grande tema della deter~inazion; divina ~~lla n~t~ra e dell.a storia, che giustifica teologicamente il penSiero dell autore; Imsufflclenza radicale dell'uomo emerge pienamente di fronte all'onnipotenza divina. A questo motivo è collegato quello del timore di Dio. 2) I temi della giustizia, della retribuzione e della morte sono funzionali al pensiero di fondo; è infatti su questi problemi che la sapienza rivela veramente i suoi limiti. , . Ciò ~he è d~t~rmi~an.te ?ell'es~gesi ~el Qohelet è la distinzione e quindi l articolazIOne del dIverSI plam, che SI espnme attraverso una pluralità di forme stilistiche e letterarie: a) La riflessione, da individuare nell'uso dei verbi con il pronome come soggetto; b) Le argomentazioni, condotte con interrogativi e esemplificazioni' c) I giudizi di valore: ' - negativi: formule di vanità, modelli formali negativi; - positivi: detti (ob e in particolare it ritornello della gioia. Ri~.ane da considerare un ultimo aspetto: la presenza e la funzione degli . ImperativI, che sono utili per individuare il genere letterario del libro.
lO. Le formule imperative Altrettanto frequente quanto l'uso della prima persona singolare è il ricorso alle ~ormule. imper~tive: 4,17; 5,1(ter).3(bis).5(bis).6.7b; 7,9.10.13.14.16(bis). 17(bl~).l8(bls).21(bls).27.29; 8,2.3(bis); 9,7(ter).8(bis). 9.10; 1O,4.20(bis); 11,I. 2.6(bIs).9(quarter).10(bis); 12,1.12.13(bis)+1,10 e 2,1(bis). Del tutto assenti nei primi tre capitoli, le ammonizioni iniziano a comparire al quarto capitolo, in quell'unità sul timor di Dio che occupa una posizione centra.le nell'ambito della prima parte dell'opera e che si staglia nettamente dal ~atenale dei cc. 3-6 proprio per l'uso della preposizione 'al+l'imperativo. Insenta nel contesto di una riflessione sull'agire umano, l'ammonizione conclusiva a te~er~ Dio costituisce la proposta religiosa di Qohelet che si pone perfettamente. In linea con la tradizione, mentre in 5,7-8 l'ammonizione a non meravigliarsi gh serve per fare dell'ironia sulla giustizia in campo politico. 229
Nel capitolo settimo si ha nuovamente una concentrazione di formule imperative precedute dalla preposizione 'al e inquadrate nell'ambito di una riflessione sui limiti delle capacità umane di prevedere i disegni di Dio. Tralasciando 8,2.3(bis) in cui Qohelet cita probabilmente il pensiero della tradizione, una ripetizione insistente di ammonizioni, questa volta in positivo, si verifica al capitolo nono in una breve unità, 9,7-10, in cui Qohelet di fronte alla realtà della morte propone di godere di tutte le gioie che l'uomo può accogliere nella vita di ogni giorno. Dopo 1O,4.20(bis), in cui le ammonizioni riguardano ancora una volta l'agire nei confronti del re, da 11,1 a 12,1 gli imperativi si ripetono con maggiore intensità, prima in relazione al tema dell'imprevedibilità degli eventi futuri (11,1-6) e poi in rapporto al tema della giovinezza. Mentre gli interrogativi, in cui viene usata la terza persona singolare, costituiscono la pista da seguire per individuare la problematica del libro, che è quella di una riflessione intorno al valore dell'agire e del conoscere, nei testi in cui ricorrono le formule imperative l'autore propone una serie di consigli, in positivo e in negativo, che forniscono una traccia sicura sul suo punto di vista. Nelle ammonizioni negative egli prende posizione contro il modo di pensare e di vivere tipico dei suoi tempi: a) In 4,17-5,6 si rivolge contro una prassi religiosa contraddistinta dal culto esteriore e da molte e vuote parole; b) In 5,7-8 ironizza sulla giustizia del potere politico; c) In 7,9-10 prende di mira coloro che sono rimasti ancorati ai sogni del passato; . . . d) In 7,15-18, nell'ambito di una riflessione sul problema della retnbuzlOne, invita a guardarsi dagli eccessi sia nel praticare la giustizia che la malvagità. Ma si tratta di un linguaggio paradossale che sfocia in un giudizio positivo sull'elasticità di chi sa operare in tutti i campi senza esclusioni; e) In 11,1-6 contesta chi pretende di conoscere il futuro in modo matematico e si lascia erroneamente condizionare da tali certezze. Nelle ammonizioni positive è possibile individuare il modo di pensare d~ Qohelet e ricavare la sua proposta di vita, che si può articolare nei seguentI punti: a) Temi Dio! (5,6); b) Nel riconoscere il mistero dell'opera di Dio, all'uomo non resta altro che gioire nel giorno lieto e riflettere nel giorno triste (7,13-14); c) Conviene evitare scelte troppo radicali nella vita, che potrebbero compromettere la riuscita della propria azione (7,15-18); , d) Dal momento che è impossibile prevedere con esattezza ciò che avverra in seguito, è importante impegnarsi in tutte le direzioni possibili (11,1-6); e) Godi della tua giovinezza, ma ricordati del tuo creatore! (11,7-12,7). Ne risulta un quadro di proposte tutt'altro che rivoluzionario, ma s~nz'al tro polemico sia nei confronti della sapienza ebraica che di quella greca. E questa una componente culturale da non trascurare per chi voglia comprendere la struttura e il messaggio del libro. 230
L'alternanza della prima persona singolare con la seconda fornisce un'indicazione oggettiva sul genere letterario dell'opera, che è quello didattico-sapienziale, dell'insegnamento del maestro al discepolo, ma tale genere letterario assume una configurazione tutta particolare, riconducibile, a mio avviso al contesto storico-culturale de li' opera. IV.
«THE RHETORICAL SITUATION»
l. Il Qohelet tra giudaismo ed ellenismo
Tra i «mille Qohelet»105 che possono essere evocati accanto al Qohelet, siano essi egiziani o mesopotamici, greci o latini o anche ebrei, non ve n'è alcuno che gli assomigli veramente. Dal punto di vista della tecnica espressiva il libro del Qohelet non ha uguali né nella letteratura biblica né in quella extrabiblica. La sua singolarità però non può essere spiegata solo in base alla personalità dell'aut~re (Qohelet sarebbe, secondo von Rad, un ribelle solitario!),106 ma esige che SI tenga conto del contesto storico-culturale in cui si colloca. Nulla si sa con certezza né di Qohelet né della data di composizione del libro; non si può però dubitare che il periodo storico al quale Occorre fare riferimento sia l'epoca ellenistica, anzi gli studi più recenti sul bagaglio linguistico del libro fanno pensare a una data che oscilla tra il 200 e il 160 a.C. e ciò soprattutto a causa delle forti risonanze protomisniche. I07 Anche se per il periodo storico in cui presumibilmente si colloca il Qohelet (dal IV al III sec.) non si può parlare di una vera e propria ellenizzazione del giudaismo, è fuori dubbio che esistessero condizioni economiche e politiche tali da favorire l'incontro culturale tra ellenismo e giudaismo. Come è noto, proprio a cavallo tra il IV e il III secolo fu intrapresa da Tolomeo II Filadelfo una politica economica volta alla trasformazione della Palestina, che fu eseguita attraverso un'opera di capillare penetrazione per cui era quasi impossibile che il giudaismo palestinese si chiudesse del tutto allo spirito del nuovo tempo. Ma vi è un altro fattore ancora da considerare ed è l'influsso che la diaspora giudaica ha certamente esercitato sulla cultura letteraria p~lestinese, nel momento della sua massima espansione dall'Egitto, da Babilo~la e dalla Siria. La diaspora giudaica aveva sviluppato in Egitto, e soprattutto ~n Alessandria, una vita spirituale particolarmente intensa; oltre ad apprendere l~ grec?, gli ebrei colti si erano sforzati di acquisire una preparazione retorica e fIlosofica sorprendente e ciò avveniva già prima del III secolo. 108 Questo proces:~
Cf. il capitolo, così intitolato, del commento di RAVASI, Qohelet, 377-469. yon RAD, Sapienza in Israele, 210-214. E la tesI proposta da WHITLEY, Koheleth 132-146 108 Per la ricostruzione storica di questo peri~do cf. H~NGEL, Ebrei, greci e barbari, 15-86; lo., Judentum und Hellenismus, 152-318. Cf. per le istituzioni educative del periodo ellenistico H.I. MARROU, Storia dell'educazione nel!'alllichità, Studium, Roma 21966; BRAuN, Kohelet, 32-43; P. WENDLAND, La cultura ellenistico-romana nei suoi rapporti con giudaismo e cristianesimo, Paideia, BreSCIa 1986,82-86. Sulla retorica ellenistica cf. G.A. KENNEDY, «The evolution of a theory of artiSlJcprose», in ID.,.a cura di, Classical Criticism, (The Cambridge History of Literary Criticism l), U n1verslty, Cambndge 1989, 40-219. 107
231
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so di acculturazione, che comunque non comportava un abbandono delle antiche tradizioni dei Padri, può essere colto senza difficoltà nell'ambito dell'insegnamento dottrinale, soprattutto omiletico, in cui si evidenzia tra l'altro la Conoscenza delle regole della retorica greca; modellato sullo stile della diatriba, questo insegnamento esprimeva la consapevolezza da parte dell'ebreo colto di rappresentare la vera filosofia e pur nell'assunzione degli schemi retorici del tempo si distaccava decisamente dai contenuti della teologia ellenistica sostanzialmente politeista. La traduzione dei LXX è, come è noto, il documento più significativo dell'incontro tra ellenismo e patrimonio culturale ebraico; essa fu condotta a termine per offrire ai giudei di lingua greca la possibilità di leggere i testi sacri e nello stesso tempo testimonia l'interesse che questi libri rivelati suscitavano nel mondo greco. I09 Ma, oltre che dalla traduzione dei LXX la conoscenza della cultura greca da parte degli ebrei della diaspora risulta anche dall'antica letteratura giudeo-ellenistica del periodo tolemaico, risalente al III o II secolo a.c. Tra le opere di questo periodo alcune destano particolare interesse per la singolare fusione che in esse si riscontra tra contenuto giudaico e forma ellenistica. Basterà ricordare qui alcune delle opere che Hengel cita nella sua analisi della cultura giudaico-ellenistica. Primo tra tutti è il dramma dell'autore tragico Ezechiele, che descrive l'esodo dall'Egitto servendosi della lingua di Eschilo e di Euripide e mostrando come la Provvidenza divina governi l'universo e nello stesso tempo domini la storia. Anche l'opera di Licofrone utilizza lo stile classico della letteratura greca in funzione antiellenica per annunciare al mondo greco il futuro giudizio sulla storia ed esprime il messaggio apocalittico servendosi della forma linguistica di Omero. llo Ma ancora più stimolanti sono i frammenti di un'opera di carattere filosofico-apologetico composta da Aristobulo,llI dove attingendo a un'antologia di origine giudaico-pitagorica, l'autore riporta falsificandoli parzialmente, versi di Omero e di Esiodo; in essi la sapienza divina è identificata col numero 7 ed è considerata come la struttura noetica della realtà. In questo rapporto dialettico tra sapienza giudaica e cultura ellenistica può trovarsi la soluzione dell'enigma del Qohelet. L'autore del libro, proprio vivendo in un ambiente culturale aperto a molteplici influssi e stimoli, molto probabilmente è venuto a contatto con esponenti del pensiero filosofico greco, soprattutto cinici, stoici ed epicurei, assimilando, insieme alla problematica e alle spinte innovative di questi pensatori, anche le strutture della retorica greca. Forse non è necessario spingersi fino a voler considerare Qohelet «un filosofo ebreo itinerante», ll2 ma non si può negare che in questo testo la cultura greca sia viva e
109 Sullo scambio culturale tra ellenismo ed ebraismo cf. R.I. ZWI WERBLOWSKY, «Hellenism and ludaism», in AF 53(1985),38-42; E. BERTOLA, «Ellenismo e giudaismo», in AF 53(1985),43-54. 110 Per questa letteratura cf. A.M. DENIS, Introduction aux pseudoépigraphes grecs d'Ancien Testament, Brill, Leiden 1970, 270-283; HENGEL, Ebrei, greci e barbari, 158-169. 111 Su questo autore cf. anche BERTOLA, «Ellenismo e giudaismo», 48-49. 112 Così BICKERMANN, Quallro libri stravaganti della Bibbia, 155-157; cf. anche A. BONORA-G. CIONCHI, «Qohelet: il senso della vita», in Catechesi 8(1986), 69-79; BONORA, Qohelet, 44-50.
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operante non s~lo a livel.lo di conte~uto, in quanto di ogni passo del libro si possono . trovare l' del paralleli nella poesIa e nella filosofia popolare greca , 113 ma pro~~IO sotto as~et~o formale. Non si vuole con ciò sostenere la vecchia tesi dell mflusso ~lIem~tI~o sul ~0~el~t,1I4 .ma piuttosto. sv!luppare un'intuizione presente neglI stud~ dt .questI ulttmt anm: che sotto glI stImoli della cultura ellenistica ~ohelet ~b.bla nelaborato i temi tradizionali della sapienza giudaica e orientale m una VISIOne del tutto originale e creativa, la quale ha inciso anche sul piano della struttura formale dell'opera. . ~i~ersi sono. gli elem~nti che caratterizzano il Qohelet rispetto a tutti gli altn lIbn della sapIenza antIca e che possono essere ricondotti al contesto storico-culturale dell'epoca ellenistica: 1) La tecnica della diatriba, propria di cinici e stoici, che Qohelet riprende attraverso l'uso della negazione e dell'interrogazione; 2) L'uso di esempi e bozzetti; 3) L'ironia; 4) II tono persuasivo, riscontrabile nelle ammonizioni che ripetutamente il maestro rivolge al discepolo. Quest'ultimo punto merita ora un approfondimento.
2. II Qohelet e la retorica dell'ellenismo. Il genere letterario del libro . Si è visto precedentemente quale sia il ruolo delle formule imperative nel lIbro; attraverso gli imperativi è possibile seguire le ammonizioni che il maestro secondo lo stile tipico della sapienza, rivolge al discepolo. Ma, come si è detto' anche su quest? pian~ i.llibro presenta una sua originalità, che lo distingue daÌ genere letterano tra~lZIonale; manca l'appellativo «figlio mio», per cui il rapporto tra m~estro e dIscepolo si configura in modo meno personale. Prevale nett~men.te la flgu:a.del maestro, che in prima persona riporta la propria esperienza dI sapl~nte e .VI nflette. Nella didattica viene privilegiato il momento dell'argo~entazlOne n.spet.to a q~ello dell'ammonizione; questa assume un rilievo magglOr,~ n~l cantIco flllale, Il quale contiene il messaggio di Qohelet che si riassume nelllllvlto a godere pienamente delle gioie della giovinezza. Le argomentazioni Sono però funzionali alle ammonizioni, in quanto sono finalizzate a dissuadere ?a uno "stile di vita non conforme alle esigenze fondamentali dell'uomo', negli 1m pera~lvl costantemente Qohelet mette in guardia il suo discepolo sia contro lo st;~ss dI un lavoro ~olto .esclusivamente.al guadagno sia contro la pretesa di un p getto umano pnvo di fondamento ViSto che l'uomo non può prevedere ciò che accadrà in seguito.
::: Cf. soprattutto BRAUN, Kohelet, 158-163. . '" «D Su questa tesI cf. ~. AMIR, «Lb'yyt hyfJs byn qwhltlfJkmt ywwn», in BetM 10(1965), 36-42 (B . och em gnechischer Emfluss auf das Buch Kohelet?» in lo Studien zum antiken JudenlUm 19;~~r;~~5~~r Erforschung des Alten Testaments und des' Àntike~ Judentums 2), Lang, Frankfurt
232 233
Tanto le ammonizioni quanto la singolare forma argomentativa del libro, che richiama molto da vicino la diatriba cinico-storica, orientano a spiegare l'originalità del Qohelet in relazione al momento storico-culturale in cui si colloca. Gli elementi retorici dell'opera sono troppo numerosi perché si possa negare che l'autore avesse familiarità con la retorica del tempo. Una prova ulteriore può essere fornita ora dal genere letterario dell'opera, che pur essendo quello tradizionale del dialogo del maestro col discepolo presenta gli elementi principali del discorso persuasivo di cui Aristotele illustra le regole nel primo libro della Retorica. ll5 Come è noto, nel descrivere i generi del discorso persuasivo Aristotele individua tre elementi fondamentali: 1) Colui che parla; 2) L'argomento intorno a cui si parla; 3) La persona alla quale si parla. Di q\,lesti tre elementi è il terzo, cioè l'ascoltatore che determina la classificazione dei generi della retorica. Poiché sono tre i tipi di ascoltatore (individuati secondo la prassi ateniese dell'epoca), altrettanti sono i tipi del discorso persuasivo, cioè i generi della retorica. A seconda infatti della posizione dell'ascoltatore di fronte al problema posto, si può distinguere, nell'ambito della retorica, tra tre generi: 1) Deliberativo, che consiglia o dissuade, in quanto l'ascoltatore è il giudice che decide riguardo al futuro (si tratta in genere del membro di un'assemblea politica); 2) Giudiziario, dove chi ascolta è giudice su cose passate (nei processi); 3) Epidittico, dove l'ascoltatore è puramente spettatore e giudice sul talento dell'oratore. Oltre a essere legati ai tre tempi fondamentali, quello deliberativo al futuro, quello giudiziario al passato e quello epidittico al presente, i tre generi variano anche nelle categorie valutative; i discorsi deliberativi, dovendo consigliare o dissuadere, fanno centro sulle categorie dell'utile e del nocivo; quelli giudiziari, che mirano all'accusa o alla difesa, fanno centro prevalentemente sulle categorie del giusto e dell'ingiusto, del buono e del turpe. Infine i discorsi epidittici, che si propongono di lodare e di biasimare, utilizzano le categorie del bello e del brutto. 116 Ora il Qohelet presenta diversi elementi del discorso deliberativo;1I7 non si può negare infatti che in esso prevale nettamente la categoria dell'utile (yitron,
ARISTOTELE, Rhet, I, 3, 1358 b-1359 e. Per il genere letterario dell'epidittica cf. P. BIZZETI, J/libro della Sapienza. Struttura e genere letterario, Paideia. Brescia 1984, spec. 113-180. . 117 Sulle tecniche persuasive cf. G.A. KENNEDY, The Art oJ Persuasion in Greece, University, Princeton 1963,26-51; PENNACINI, Retorica e storia, 13-18 con particolare riferimento dell'esempio nel genere deliberativo. Una rilettura in chiave esistenziale del concetto di persuasione in retorica si può trovare in C. MICHELSTAEDTER, La persuasione e la retorica. Adelphi, Milano 1982. 1I5
116
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(ab), mentre tutte le argomentazioni sono volte a dissuadere l'interloc t d ., h ' . S' . u ore a CIO .c e" e nOCIVO. e SI. conSIdera quindi il testo dal punto di vista del ge nere le tt erano, SI glUnge alla ., concluslOne che la finalità del libro è quella di pe rsua d ere , . , I uomo a ncercare CiO che e veramente bene nella sua vita di tutti i ' . L b' glOrm. e for~u l~ .'Aen (oA ser~ono a ?~lmeare appunto «ciò che vi è di meglio» e che Qohela vita di tutti i giorni'' il bene pero' non let llldlVldua nel VIvere glOlOsamente . . . C?nSlste soltanto nel soddls~aclmento de! bis?gni fondamentali dell'uomo (mangIare ~ bere! ma anche nel rIcaVare soddlsfazlOne dal proprio lavoro (ed è questa una dlmenslOne altret!ant~ f~n?amentale della vita umana) e nell'operare il bene, agendo secondo Il prInCIpIO del timor di Dio. . ~e, ci spostia~o però ~ul piano dei giudizi di valore, incontriamo le formule dI vamta c?e .costrIngono Il. lettore a ridimensionare nettamente questa gioiosa prop~sta d] V]t~; l'affermaZIOne hiibel hiibiilfm, posta all'inizio e alla fine del libro, e troppo Importante perché si possa fare semplicemente di Qohelet un «Preacher of Joy».118
CONCLUSIONI ~~ ~ilanci~ fi~ale del lavoro sv~lto dovrà or~ t.ener conto degli apporti costruttIVI dI quest ultima tappa della rIcerca: l'anabsl retorica del libro. Essa ha condotto alla conclusione che la chiave di comprensione del libro è nella figura retoric~ della ripetizione, attraverso la quale Qohelet ha voluto esprimere la sua conceZlOne della natura e della storia, per cui esiste una stretta relazione tra la struttura formale dell'opera e la Weltanschauung che in essa si esprime. Nello ste~so temp~ l'analisi ~et~ri~a ha consentito di individuare una pluralità di piani e dI pr?spettI~e~ che, SI Chl~rISCOn? attraverso la fu?zionalità dei singoli elementi formah. Le dlffJcolta che l esegeSI del Qohelet ha mcontrato nel corso dei secoli derivano, ~ltre ch~ ?ai. b~n .noti pr~gi~dizi di ordine dottrinale e metodologico, a?che dalllllcap~,Clta dI dlstlllguere l dIversi piani all'interno della sua organizzaZIOne te~tuale; ClO ha condotto la critica a privilegiare ora l'uno ora l'altro aspetto del hbro nelle vana ricerca del tema fondamentale. , Una vO,lta abb~ttuta la pretesa di trovare un sviluppo lineare di pensiero, si ~ aperta nell eseges] la strada verso la ricerca dei temi e dei motivi che nel loro ms~eme costituiscono la trama logica del testo. Ma non sempre si è giunti a risult~tI fecondi, perché è sempre possibile il rischiQ di una precomprensione soggettIva. Questo lavoro, avvalendosi dei più attivi contributi dell'analisi letteraria degli .ultimi anni, ha voluto lasciare la parola al testo, facendo emergere gli elementI che lo strutturano; ma solo attraverso l'analisi retorica, che analogamente al metodo strutturale privilegia l'approccio sincronico, è stato possibile mostrare
118
Così WHYBRAY, «Qoheleth, Preacher of Joy», 87-98.
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la funzionalità di questi stessi elementi formali. Essi costituiscono altrettanti codici che l'autore ha inserito nel testo per rendere comprensibile il suo messaggio. I diversi piani che strutturano l'opera sono infatti accompagnati ciascuno da un preciso codice di interpretazione: I. I due interrogativi fondamentali del libro ci permettono di individuare la problematica del Qohelet, il quale si domanda: 1) Che cosa possa l'uomo ricavare da tutto quell'affannarsi che contraddistingue ogni sua attività, da quella lavorativa a quella politica; 2) Se l'uomo possa veramente conoscere che cosa sia bene e quale sarà il suo avvenire. Tuttavia proprio la forma retorica dei due interrogativi mostra che non si tratta di veri e propri problemi, in quanto essi postulano una risposta negativa, e rivela nello stesso tempo la sottile ironia del Qohelet, impegnato in un vero e proprio progetto di contestazione sia della sapienza religiosa ebraica che di quella profana. Attraverso gli interrogativi è stato infatti possibile ipotizzare che l'interlocutore del Qohelet non fosse soltanto l'ebreo del suo tempo ma anche il filosofo dell'epoca ellenistica con la sua pretesa di un sapere sistematico e onnicomprensivo. . . II. I detti {ob segnano il rapporto dialettico del Qohelet con la tradlZlone; essi svolgono una funzione importante nell'ambito delle singole .u~ità letterarie e rivelano, attraverso le allusioni o citazioni della sapienza tradlZ1onale, la sua posizione ora di dissenso ora di condivisione dei valori tradizionali. III. Le formule di vanità si pongono sul piano dei giudizi di valore ed esprimono la concezione qoheletiana del reale, che si profila ne?ativa e pessimistica. Nessuna sfera della realtà, dall'attività umana alla stona e alla natura, sfugge al giudizio dell'hebel. La grande inclusione, da 1,2 a 12,8, che molto probabilmente è voluta dal redattore, ma potrebbe risalire allo stesso Qohelet, for. nisce il quadro interpretativo del libro. IV. L'uso enfatico del pronome' anf e la gamma dei verbi a esso associa~1 non solo scandiscono le unità letterarie, di cui il libro è composto, ma determInano l'asse portante di tutta l'opera; il vero filo conduttore, che si può individua: re attraverso le grandi inclusioni da 1,13 a 11,6, è rappresentato dal progetto dI ricerca di Qohelet. Dal punto di vista epistemologico egli condivide le istanze fondamentali della sapienza ebraica, di un sapere basato sull'esperienza e sull'attenta osservazione dei fenomeni, ma il suo progetto di ricerca è poi segnato da una profonda sfiducia nelle capacità conoscitive dell'uomo. Questa sfiducia, che avvicina Qohelet a cinici e scettici, non implica però l'abbandono a una fed.e cieca e irrazionale; la ricerca intellettiva, anche se non approda ad alcun vero nsultato, rimane uno dei principali compiti che Dio ha affidato all'uomo. V. Il simbolismo del numero 7 apre la strada alla comprensione della teologia del Qohelet, che nella sua valutazione dell'opera di Dio non si distacca dalla tradizione' il ricorso allo schema settenario rivela il giudizio di Qohelet sulla creazione e ~ull'agire di Dio, considerati perfetti anche se incomprensibili. La teologia del Qohelet, che sembra presentare un Dio freddo e lontano dall'uo~o, è in realtà una teologia del mistero. Essa costituisce il fondamento del dupl~ce invito al timor di Dio e alla gioia di vivere. Il timore di Dio riassume il momto 236
religioso del Qohelet e lo allinea perfettamente alla tradizione religiosa del suo popolo; la ripetizione per sette volte del tema della gioia rappresenta la proposta esistenziale di Qohelet, che è nello stesso tempo «predicatore di gioia» e «filosofo della vanità». Intorno a questi elementi si fonda la struttura ciclica dell'opera; dalla prima alla seconda parte ritornano gli stessi motivi, ma ogni volta con funzioni diverse. VI. Infine l'uso della seconda persona singolare, alternato alla prima persona, illumina sul genere letterario del libro, che è quello tradizionale del dialogo tra maestro e discepolo; ma questo genere assume nel Qohelet una configurazione tutta particolare perché si sviluppa sulla linea del discorso persuasivo tipico della retorica ellenistica. La finalità del maestro Qohelet è infatti quella di persuadere il giovane a condurre la sua esistenza seguendo i suoi sani impulsi, senza però dimenticare Dio e imparando quindi a temerlo. L'epiloghista non ha dunque tradito il messaggio di Qohelet, anche se il libro rimane comunque un testo sconcertante per la sua analisi lucida e spassionata della realtà, di cui sa cogliere gli aspetti più complessi e contraddittori.
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Indice generale
ABBREVIAZIONI ............................................... I. II. III. IV.
» » » »
7 7 7 7
PREMESSA ....................................................
»
9
INTRODUZIONE
»
11
»
11 15
o
•••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••
LE CONTRADDIZIONI DEL QOHELET. UN PROBLEMA ANTICO. ITINERARIO E METODOLOGIA .
»
PARTE PRIMA
IL PROBLEMA DELLA STRUTTURA LETTERARIA DEL QOHELET Capitolo primo
UNITÀ E COMPOSIZIONE LETTERARIA DEL LIBRO I. II. III. IV.
V.
.
L'IPOTESI DI UNA PLURALITÀ DI FONTI . IL QOHELET È UNA RACCOLTA DI SENTENZE? . LA TEORIA DELLE CITAZIONI IMPLICITE . L'ANALISI LETTERARIA DEL QOHELET . 1. O. Loretz e la topica del Qohelet . 2. L'analisi delle forme letterarie del Qohelet in F. Ellermeier " " . CONCLUSiONE .
»
19
»
19 23 25 27 27
» » »
»
»
30 32
.
»
35
IL CRITERIO TEMATICO. LA PROPOSTA DI H. L. GINSBERG .. L'ANALISI STILlSl1CA DI G. R. CASTELLINO .
» »
36 38
»
Capitolo secondo
IL DIBATTITO SULLA STRUTTURA DEL QOHELET. ALLA RICERCA DI CRITERI OGGETTIVI DI STRUTTURAZIONE I.
II. 256
7
. . . .
I. II.
LIBRI SACRI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . RIVISTE, COLLANE, OPERE LETTERATURA ANTICA: CLASSICA, GIUDAICA E CRISTIANA ALTRE ABBREVIAZIONI
pag~
257
III.
A. G. WRIGHT: «NUMERICAL PATTERNS»
.
IV.
E. GLASSER: IL MOVIMENTO DEL LIBRO DEL QOHELET.
.
V.
J.
VI.
LA STRUTTURA CONCENTRICA: N. LOHFINK
VII.
LA STRUTTURA CICLICA:
»
» » » »
A. LOADER E LE POLARITÀ STRUTTURALI DEL TESTO .. ,
F.
.
ROUSSEAU
.
VIII. CONCLUSIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . • . . . . . . . . . . . . . . . .
PARTE
39 44 48 52 53 56
»
7. L'ingiustizia nello stato (5,7-8) 8. Vanità delle ricchezze (5,9-6,9) 9. Un'unità di transizione (6,10-12)
. . .
»
CONCLUSIONE
.
»
125 126 131 133
QOHELET E LA SAPIENZA TRADIZIONALE
.
»
137
CHE COSA È BENE?
.
» » »
137 137 140 143 146 150 151 154 154 157 163
IV.
I.
1. Una collezione di proverbi tòb (7,1-8) . 2. Saggezza umana e immutabilità dell'opera divina (7,9-14)
ANALISI LETTERARIA E RETORICA
PREMESSA . . . . . • . . . . . . . . . · · · · · · · · · · · · · · · · · · • · · · • · · · · · · · · · · · · · .
VANITÀ DELLE VANITÀ. UN CICLO SENZA SPERANZA IL TITOLO
(1,1) (1,2)
II.
IL MOTTO
III. IV.
L'INTERROGATIVO INIZIALE IL POEMA (1,4-11)
1. La forma poetica 2. La struttura del testo 3. Conclusione
. . ·········· .
(1,3)
. . ·························
FINZIONE REGALE E IO DEL SAPIENTE
II.
La trama verbale La trama nominale Le formule ricorrenti Le unità letterarie Conclusione
(1,12-2,26)
.
. . . . ························ ?
C'È UN TEMPO PER OGNI COSA; MA QUAL È IL VANTAGGIO.
VANITÀ DELL'AGIRE UMANO E TIMOR DI DIO
1. 2. 3. 4. 5. 6.
(3,16-6,9) .. ,
Formule ricorrenti e unità letterarie in 3,16-4,16 Ingiustizia sociale e destino dell'uomo (3,16-22) Un'unità di transizione (4,1-3) , È bene lavorare, ma con calma! (4,4-12) La parabola del principe povero (4,13-16) Vanità della parola e timore di Dio (4,17-5,6)
»
63 63 65 67 67 67 78
»
81
81 » 82 » 85 » 87 » 88 » 96 » 97 » 97 » 104 » 109 » 110 » 110 » 112 » 116 » 119 » 121 » 121
»
1. La dialettica dei tempi (3,1-8) . 2. La determinazione divina della storia (3,10-15) . 3. Conclusione ························ III.
»
» » »
QUALE VANTAGGIO? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . • . . . . .
1. 2. 3. 4. 5.
63
» »
Capitolo secondo I.
»
. . . .
. .
(7,23-8,la) (8,1-9,12)
(7,15-22) . .
1. La morte e l'ingiustizia (8,2-15) 2. Un'unità di transizione (8,16-17) 3. L'inconoscibilità del destino umano (9,1-12)
. . .
II.
UNA PERICOPE SULLA GIUSTIZIA E SULL'INGIUSTIZIA
III.
IRRAGGIUNGIBILITÀ DELLA SAPIENZA
IV.
Capitolo primo I.
61
»
Capitolo terzo
SECONDA
»
»
I LIMITI DELLA SAPIENZA UMANA
V.
FORZA E VULNERABILITÀ DELLA SAPIENZA
VI.
L'UOMO IGNORA QUEL CHE PUÒ ACCADERE
VII.
IL CANTICO FINALE
(11,7-12,7):
(9,13-10,20) (11,1-6)
. .
» » » » » » » »
ALLEGORIA DELLA VECCHIAIA
IX.
CONCLUSiONE
.
»
X.
LE CONCLUSIONI DELL'ANALISI LETTERARIA. PROBLEMI APERTI
»
166 171 174 176
»
183
»
183 185 186 188 192 196 199 202 204 205 211 214 219
O DELLA MORTE? VIII. L'EPILOGO
(12,9-14)
.
»
.
»
Capitolo quarto ANALISI RETORICA . . . . . . . . . . . . • . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I.
DALLA CRITICA LETTERARIA ALL'ANALISI RETORICA
II.
LOGICA E RETORICA NEL QOHELET LE TECNICHE DI ARGOMENTA-
III.
.
ZIONE
.
»
1. La negazione 2. L'erotema o interrogatio. L'ironia del Qohelet 3. Il paragone 4. L'esempio 5. La topica del Qohelet. Antitesi e polarità 6. Conclusione
. . . . . .
» » »
» » »
LA RIPETIZIONE. FIGURA DI PAROLA E FIGURA DI PENSIERO .
»
1. 2. 3. 4.
»
Semantica della ripetizione L'uso enfatico del pronome 'ani. Gli interrogativi fondamentali del libro La metafora dell'hebel e le formule di vanità
. . . .
» » »
259
.
,
5. 6. 7. 8. 9. 10. IV.
Il simbolismo del numero 7 Il ritornello della gioia Il timor di Dio Le inclusioni (o epanadiplosi) del libro Ripetizione e ciclo. La struttura ciclica dell'opera Le formule imperative
. . . . . .
» »
.
»
1. Il Qohelet tra giudaismo ed ellenismo . 2. Il Qohelet e la retorica dell'ellenismo. Il genere letterario del libro .
»
«THE RHETORICAL SITUATION»
» » » »
221 222 224 226 227 229 231 231
.
»
233 235
BIBLIOGRAFIA
.
»
239
1. 2.
TESTI, VERSIONI, STRUMENTI DI LAVORO
.
QOHELET: COMMENTI
.
3. 4.
QOHELET: STUDI
» » »
239 242 243 252
CONCLUSIONI
260
)\LTRA LETTERATURA
»
. .
»
Alla memoria di mio padre, che è stato per me modello di autentica disponibilità e umana solidarietà
©
1992 Centro Editoriale Dehoniano via Nosadella, 6 - 40123 Bologna
ISBN 88-10-30215-X Stampa: Grafiche Dehoniane, Bologna 1993