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MICHAEL CORDY IL MANOSCRITTO DI DIO (The Source, 2008) Per Phoebe NOTA DELL'AUTORE Il manoscritto Voynich, citato in questo romanzo, esiste realmente. Ogni dettaglio riguardante la sua origine, il suo testo inimitabile, le sue bizzarre illustrazioni e la storia a noi nota è descritto con la massima accuratezza. L'originale è conservato presso la Beinecke Rare Books and Manuscripts Library della Yale University negli Stati Uniti. Nonostante gli sforzi dei più eminenti studiosi e luminari, compresi i crittografi dell'illustre Agenzia per la sicurezza nazionale americana, non è mai stato decifrato. Il codice Voynich rimane a tutt'oggi il libro più misterioso al mondo. Michael Cordy, Londra 2008 PROLOGO Roma, 1561 Mentre gli occhi dell'uomo sorvolano la folla, la giovane si concentra per non distogliere lo sguardo. Se lui è abbastanza forte per affrontare tutto ciò, lo è anche lei per restare a guardare. L'uomo arranca sui piedi bendati, riarsi e stritolati dalle torture degli inquisitori. Il boia gli fa un'ultima proposta: abiurare ed essere misericordiosamente garrotato prima di finire sul rogo, o rifiutare e venire bruciato vivo. I suoi occhi incontrano quelli di lei e scuote la testa in modo provocatorio. La giovane vorrebbe trasmettergli conforto e amore, ma non riesce a muoversi. È ipnotizzata da quello che sta accadendo e. sconvolta per ciò che l'uomo le ha chiesto di fare. Per quello che lei ha giurato di fare. Il rogo si tiene di notte, nel cortile illuminato da fiaccole di un'anonima chiesa nei sobborghi di Roma. Un piccolo gruppo, meno di venti persone,
si è radunato intorno alla pira solitaria. La Santa Romana Chiesa non ha desiderio di propagandare la morte di quell'eretico, né la sua eresia. La giovane coglie un bagliore rosso con la coda dell'occhio, ma non sposta lo sguardo quando il Grande Inquisitore, il cardinale prefetto Michele Ghislieri, avanza nel suo abito scarlatto. Il Grande Inquisitore ha fatto rilasciare l'eretico dalle autorità secolari per giustiziarlo secondo il precetto della Madre Chiesa: ecclesia abhorret a sanguine, la Chiesa esecra il sangue. Ma è pur sempre il suo spettacolo. E col fuoco ogni spargimento di sangue sarà scongiurato. «Bruciate anche il libro», ordina il Grande Inquisitore. «Distruggete il Libro di Satana con l'eretico.» Quando il boia e i chierici lo perquisiscono e non trovano niente, segue un momento di sconcerto. «Dov'è?» La giovane è pervasa da un'ondata di paura, ma il condannato resta in silenzio. «Eretico, consegnaci il libro o ne pagherai le conseguenze.» Una risata amara. «Cos'altro potete farmi?» «Bruciatelo», intima l'Inquisitore. Gli uomini lo trascinano sul patibolo e lo legano alla pira. Ammucchiano gli ultimi fastelli di legna intorno alla base, poi appiccano il fuoco con delle torce. La giovane prega che l'uomo soffochi prima che le fiamme gli lambiscano la carne. Aggrappandosi al crocifisso che le ha regalato, ricambia il suo sguardo finché il fumo acre non gli offusca il volto. Soltanto allora abbassa lo sguardo e permette alle lacrime di scorrere. Mentre il fumo sale nel cielo notturno e la carne inizia a bruciare - a cuocere -, quell'odore dolciastro, sorprendentemente familiare, le dà la nausea. Le grida dell'uomo sono brevi, grazie a Dio, ma per lei è una magra consolazione. Quando le lingue di fuoco raggiungono l'apice, il Grande Inquisitore e il suo corteo se ne vanno. Poi anche gli altri si dissolvono nella notte. Sola, aspetta fin quando non rimangono che ossa, cenere e tizzoni ardenti. A quel punto si avvicina al rogo e raccoglie ciò che riesce a trovare dei suoi resti. Nel chinarsi, sente il manoscritto nascosto nella veste e spera che quel Libro di Satana sia valso le torture e la morte atroce che lui ha dovuto subire. E prega con tutto il cuore che giustifichi il terribile voto che le ha fatto fare prima di morire. «Col tempo tutto sarà rivelato», sussurra tra sé scomparendo nel buio della notte. «Il tempo rivela tutto.» PARTE PRIMA
IL LIBRO DI SATANA 1 Svizzera, quattro secoli e mezzo dopo La prima sensazione non era stata di paura, ma di tristezza: la tristezza che dovesse finire in quel modo. Aveva accumulato una fortuna durante la vita, fatto investimenti immobiliari in tutto il mondo, imparato diverse lingue e portato a letto più donne di quante riuscisse a ricordarne, eppure adesso la sua vita sembrava priva di senso. Aveva vissuto solo e sarebbe morto solo, ignorato e dimenticato, il suo corpo dato in pasto agli animali o sepolto sotto il cemento in un cantiere edile. Sarebbe stato come se non fosse mai esistito. «Inginocchiati al centro del telo di plastica.» Mentre obbediva, le mani giunte in preghiera, notò la sega chirurgica, il sacchetto di plastica a chiusura ermetica e il rotolo di nastro isolante vicino al piede destro del sicario. Non aveva bisogno di alzare lo sguardo verso la Glock semiautomatica calibro 19 nella mano sinistra dell'uomo per sapere cosa sarebbe accaduto. Conosceva quella procedura meglio di chiunque altro: era stato lui a inventarla. Prima gli sarebbero arrivate due pallottole in testa. La mano sinistra sarebbe stata amputata e messa nel sacchetto, poi il corpo sarebbe stato avvolto nel telo di plastica nera e sigillato col nastro isolante. Infine, uno stormo di avvoltoi avrebbe disposto del suo cadavere e il killer avrebbe recapitato al mandante la mano mozzata come prova della morte. «Sai chi sono io?» chiese l'uomo. «La mano sinistra del diavolo.1 L'assassino più temuto al mondo.» «E il mio vero nome? Conosci la mia vera identità? Guardami. Guardami in faccia.» Fu allora che la paura ebbe il sopravvento, una paura paralizzante. Non riusciva ad alzare lo sguardo. Era troppo spaventato da ciò che avrebbe visto. «Guardami», ripeté il killer. «Guarda negli occhi l'uomo che ha distrutto la tua vita e ti ha condannato per sempre alla dannazione.» Alzò lentamente la testa. Poi il cuore sembrò cessare di battergli in petto. Il volto dell'assassino era il suo. Stava fissando i propri occhi. Tremando 1
In italiano nel testo. (N.d.T.)
ancora per lo spavento, il fragore di un feroce latrato trapassò l'incubo e lo riportò alla veglia. Marco Bazin emerse lentamente dal sonno chimico e aprì gli occhi, ma i cani da guardia fuori dalla casa abbaiavano ancora come i segugi infernali a caccia della sua anima. Colto dal panico e disorientato, puntò lo sguardo nelle tenebre. Non riconobbe subito la sua camera: la clinica l'aveva dotata di così tante apparecchiature da farla sembrare una stanza d'ospedale. Tamponandosi il sudore sulla fronte madida, si tastò la cute calva. I capelli, folti per un uomo allo scadere dei quarant'anni, erano stati la sua unica vanità. I chirurghi dicevano che sarebbero ricresciuti, ma non avevano dimostrato altrettanto ottimismo sulla debellazione della malattia. Mentre si carezzava la testa, diede uno strattone al tubicino endovenoso sul polso e la flebo di vetro piena di sostanze chemioterapiche tintinnò contro l'asta. Rallentò il respiro e si tranquillizzò. Detestava avere paura. Fino a pochi mesi prima, quando era stato ricoverato in un'esclusiva clinica svizzera nelle vicinanze del suo rifugio alpino, sulle vette sopra Davos, era lui la fonte di ogni paura: La mano sinistra del diavolo. Rinomato per l'inesorabile efficienza, si diceva che, non appena un committente gli comunicava il nome della vittima designata, era come se fosse già morta. Adesso era lui quello che stava per crepare, la persona che doveva affrontare l'imminente mortalità. Con la mano andò a sfiorarsi automaticamente il cavallo del pigiama di cotone, come per afferrare quello che gli avevano tolto. I chirurghi avrebbero preferito che si fosse presentato prima che il seminoma si diffondesse. Gli avevano detto di prestare attenzione a una lista di sintomi, una volta concluso l'ultimo ciclo di chemioterapia. Ma il cancro non era l'unico dei suoi problemi. Mentre fissava l'oscurità, ascoltando le apparecchiature e il ritmo del proprio respiro, prese in esame la sua situazione. Non aveva parlato con nessuno della malattia e il personale della clinica gli aveva garantito la massima riservatezza. Tuttavia sapeva che la notizia aveva già iniziato a trapelare. Prima del ricovero, aveva declinato tre incarichi. E molti altri clienti avevano provato a contattarlo durante la segregazione imposta dall'intervento e dalla chemioterapia. Presto le dicerie si sarebbero tramutate in conclusioni, e le conclusioni in azioni. I clienti avrebbero iniziato a chiedersi per quale motivo non avesse risposto alle loro chiamate, alcuni avrebbero addirittura sospettato che fosse passato alla concorrenza. I nemici avrebbero fiutato il profumo del sangue e colto l'occasione per regola-
re vecchi conti. Forse erano già all'opera. Un tempo poteva anche essere stato un leone, il re della foresta, ma adesso era un animale ferito e gli sciacalli assetati di vendetta, ora più spavaldi, lo stavano accerchiando. Se non fosse morto per il cancro, sarebbe stato per un proiettile. In un modo o nell'altro, per lui era la fine. I cani abbaiarono ancora e avvertì una nuova morsa di panico. Per la prima volta da quand'era bambino, Bazin provò una sensazione di paura. Non della morte, che ormai aveva perduto il fascino della novità, ma di quello che sarebbe venuto dopo. Dal momento della diagnosi e dell'intervento, si era trovato costretto a riflettere su una vita dedita alla violenza, e aveva concluso che uccidere per guadagnarsi da vivere, al prezzo della dannazione, gli aveva fruttato solo cose di nessun valore: il denaro e i suoi vani emblemi. Si sentì percorrere da un brivido di freddo. Doveva dare un senso alla sua vita, prima di perderla. Allungò la mano per prendere il rosario di legno sul comodino - un dono d'infanzia, conservato più per valore affettivo che per fede - e lo strinse al petto. Rivolse lo sguardo verso le tende che schermavano la finestra e immaginò il profilo delle vette oltre essa. Generalmente la bellezza e la segregazione del rifugio alpino gli ispiravano un senso di pace, ma quella volta andarono soltanto ad alimentare il suo senso di solitudine e di clausura. Perché i cani continuano ad abbaiare? Scosse il capo, cercando di mettere a fuoco i pensieri, e controllò l'orologio accanto al letto: le 03.16. Sentì l'infermiera del turno di notte messa a disposizione dalla clinica sussurrare nel corridoio e meditò su quanto gli costasse essere accudito a domicilio. Mentre ascoltava distrattamente quella voce delicata, ne udì una seconda, più profonda. Bazin si alzò a sedere, col cuore in gola, frastornato dalle vertigini e senza fiato. C'era un uomo. In casa sua. In piena notte. Non c'era da sorprendersi che i suoi molti nemici si fossero fatti avanti, ora che era debole e indifeso. Ma come avevano fatto a trovarlo? Nessuno alla clinica sapeva della sua professione. E quasi nessuno conosceva l'esatta posizione di quella casa. Ma si rese conto che quello non contava. Tutti avevano un prezzo. Ripensò agli uomini che in passato avevano provato a nascondersi da lui. Li aveva snidati e li aveva eliminati. La paura lo elettrizzava. Doveva vivere. Non poteva permettere che lo uccidessero. Nel buio più totale cercò qualcosa con cui difendersi, ma le infermiere avevano fatto piazza pulita, a eccezione dei macchinari e delle
medicine che lo tenevano in vita. Non c'era niente con cui toglierla, la vita. Ascoltò i passi che si avvicinavano alla porta chiusa: c'era qualcosa di vagamente familiare in quell'incedere irregolare. Ignorando il dolore e lottando contro la nausea che minacciava di sopraffarlo, scese dal letto. Doveva fare qualcosa. Il sudore gli colava dalla fronte per lo sforzo. Il solo starsene in piedi lo faceva tremare di fatica. Avevano trovato il coraggio di affrontarlo soltanto ora che lo credevano più vulnerabile, l'ombra dell'uomo di un tempo. Ma gliel'avrebbe fatta pagare. Li avrebbe uccisi. Provò a tendere il sottile filo del rosario, ma si spezzò. Dopo aver fatto scivolare i grani sul letto, staccò il tubicino attaccato alla cannula sul polso e l'altro capo assicurato alla flebo, poi se lo avvolse stretto intorno alle mani per formare una garrota. Una volta trovato l'equilibrio sulle gambe, attraversò la stanza e si posizionò dietro la porta. Lentamente la porta si aprì e una lama di luce solcò il tappeto. Adesso lui non sentiva più la nausea, né la debolezza. L'intruso si fermò sulla soglia per un istante, come per decidere se entrare o no, poi fece capolino all'interno. Bazin non gli diede il tempo di vedere il letto vuoto. Non appena comparve la testa dell'uomo, gli avvolse la garrota intorno al collo e tirò con forza. Col filo d'acciaio, Bazin poteva strangolare un uomo in pochi secondi, recidergli la giugulare e spezzargli la trachea. Ma il tubicino di plastica si allungò, ritardando il soffocamento e salvando, così, la vita dell'intruso. Mentre lottava con le braccia debilitate per stringere la presa, Bazin notò il collare e gli indumenti dell'uomo e si accorse che era disarmato. Poi si rammentò del suo passo aritmico: era zoppo. Voltò l'uomo con violenza, in modo da guardarlo bene in faccia. Mentre fissava quegli occhi sporgenti, furibondi, Bazin rimase impietrito. In quell'istante capì perché quell'uomo era arrivato con la protezione della notte. Non per ucciderlo, ma per difendere la propria identità da occhi indiscreti. Bazin allentò la stretta. «Leo, alla fine sei venuto.» Non cercò di dissimulare lo spavento e la gratitudine. «Non riesco a crederci.» L'uomo sputò e tossì, massaggiandosi la gola. «Sei il mio fratellastro, Marco. Hai detto che stavi per morire, ovvio che sono venuto.» I suoi occhi si colmarono di disprezzo. «Allora, cosa vuoi da me? Cosa puoi volere da un prete?» La gratitudine e l'imbarazzo di Bazin si confusero con la rabbia e qualcosa di simile all'affetto. Benché fosse più robusto e potente del fratello maggiore, aveva sempre vissuto nella sua ombra. Mai bravo abbastanza.
Mai degno. Lanciò un'occhiata al rosario sul letto, poi tornò a guardare il fratello. «Voglio il perdono. Ho bisogno dell'assoluzione prima di morire.» Stavolta fu suo fratello a mostrare sconcerto. Quegli occhi scuri, intelligenti, si socchiusero. «Dici sul serio?» «Da morire.» «Allora va' a confessarti.» «Un paio di Ave Maria non basteranno. Ci vuole di più, molto di più.» Bazin gli raccontò in che modo avesse condotto la sua esistenza. Come fosse diventato La mano sinistra del diavolo. «Devo mettermi al servizio della Chiesa, espiare le mie colpe. Dimmi cosa devo fare.» Gli scuri occhi incavati penetrarono nei suoi per indagare, per sondare. «Non mi sorprendo più di quanti peccatori si rivolgano alla Chiesa nei momenti di crisi. Ma tu, Marco?» Sospirò. «Dio non abbandona mai una pecorella smarrita, purché il suo pentimento sia sincero.» «Lo è», supplicò Bazin. «Obbedirò alla Chiesa, farò qualsiasi cosa sia in mio potere.» Di nuovo gli occhi scuri penetrarono nei suoi, per scandagliare la sua anima. «Qualsiasi?» «Sì», rispose Bazin, crollando in ginocchio. «Qualsiasi.» 2 New York, cinque settimane dopo Non appena la limousine accostò di fronte alla torre di vetro nel centro di Manhattan, Ross Kelly scese con un balzo, la valigia in una mano e il computer nell'altra, e si precipitò verso l'ingresso principale. Nonostante la stanchezza, era bello correre dopo essere rimasto intrappolato in un aereo ventiquattr'ore di seguito. Ed era anche in ritardo. Attraversò l'atrio in un lampo, saltò in un ascensore vuoto e premette il pulsante del trentatreesimo piano. Mentre l'ascensore saliva, Ross scorse il proprio riflesso nella cabina a specchi e aggrottò la fronte. Indossava un completo costoso e, con la sua abbronzatura, la sua altezza e le sue spalle, avrebbe dovuto avere un'aria da milionario. Invece era soltanto impacciato. Ross pensò che fosse perché l'abito si era sgualcito durante il volo e perché si era vestito in fretta e furia dopo una doccia veloce nella sala della business class della British Airways al JFK, ma in realtà si era sempre sentito, e si vedeva pure, più a suo
agio sul campo, con le Timberland, i jeans e il casco di protezione, piuttosto che in ufficio, con indosso giacca e cravatta. Si ravviò i capelli biondicci e indisciplinati che stavano dritti come un groviglio di sterpi. L'ascensore suonò e le porte si aprirono. Ross si avvicinò a una porta a vetri a due battenti che delimitava una sfarzosa reception. Incise nel vetro c'erano le parole: XPLORE - CONSULENZA GEOLOGICA SPECIALIZZATA IN PETROLIO E GAS. Un uomo in tuta da lavoro blu stava aggiungendo una riga più sotto: DIVISIONE DELLA ALASCON OIL. Ross scosse la testa ed entrò. Le voci circolavano ormai da mesi, ma non riusciva ancora a credere che ci fossero stati così tanti cambiamenti da quand'era partito per il remoto bacino petrolifero del Kokdumalak, nell'Uzbekistan sudoccidentale. Si consolò pensando di esser rientrato nel minor tempo possibile, non appena Gail, la sua assistente, lo aveva avvisato della scalata. Dopo un volo interno a Taskent, aveva volato con la Areoflot fino a Mosca e con la British Airways fino al JFK, facendo scalo a Londra. Non era ancora passato da casa a salutare sua moglie. Gail percorse a grandi passi la reception. Non appena lo vide, il suo volto preoccupato si distese. «Ross.» Lui le sorrise. «Ciao, Gail.» «Grazie a Dio sei qui. Com'è andata in Uzbekistan?» «Bene, ma avrei raccolto più dati se non fossi dovuto tornare di corsa.» Controllò l'ora: le 10.22. «Dov'è la riunione?» Gail gli prese la valigia. «Nella sala conferenze. È già iniziata.» «Non ti hanno comunicato che il mio volo era in ritardo?» «A loro non importa niente.» «E Bill Bamford dov'è?» «Bamford non c'è più. Ross, tutto il vecchio consiglio d'amministrazione della Xplore è stato destituito.» «E il passaggio di consegne?» Gail smorzò il tono della voce. «Non ci sarà nessun passaggio di consegne. Quei discorsi sul rispetto della Alascon per la competenza specialistica della Xplore e sul desiderio di creare una società erano tutte balle. È una scalata vecchia maniera. Bill Bamford, Charlie Border e gli altri hanno dovuto fare le valigie. Sono stati scortati fuori dall'edificio stamattina.» «E tu, Gail, cosa farai?» «Non preoccuparti per me. Posso trovare un altro lavoro quando voglio. Se rimango, lo faccio solo per te.» Sorrise. «Perciò, se hai intenzione di andartene, avvisami.»
«Sarai la prima a saperlo. Promesso.» «Perfetto. Ora, se vuoi salvare il tuo vecchio progetto, è meglio che ti dia una mossa. Quei tizi non fanno prigionieri.» Fece spallucce. «Ma credo tu lo sappia già.» «Sì, purtroppo», rispose Ross con un ghigno. «Lo so.» Quando la Xplore lo aveva contattato, tre anni prima, stava lavorando come geologo nell'illustre dipartimento di Scienze della Terra della Alascon. Benché la Xplore gli avesse offerto un mucchio di soldi, non era stato solo per quello che si era licenziato e si era messo al servizio della piccola società di consulenza. Essendo una delle compagnie petrolifere più grandi del mondo, la Alascon offriva una formazione eccellente, ma i suoi dirigenti erano persone inflessibili, arroganti e poco amanti del rischio. La Alascon non poteva competere con l'offerta dei membri visionari del consiglio della Xplore: l'opportunità di dedicarsi all'autentica esplorazione e alla scoperta. Adesso sarebbe tornato a lavorare per la Alascon, e la cosa lo preoccupava. Quello che lo inquietava di più, comunque, era la seconda ragione per cui aveva lasciato la Alascon: la più importante. Si passò di nuovo una mano tra i capelli e percorse il corridoio verso la sala conferenze. Avvicinandosi alla porta, udì la propria voce. Si fermò e guardò attraverso i vetri. Le luci erano soffuse, ma riuscì a vedere i tre dirigenti della Alascon seduti intorno al grande tavolo, lo sguardo rivolto verso lo schermo al plasma su cui Ross presentava la sua teoria sul petrolio antico. Due di loro gli erano sconosciuti: un tizio calvo, anziano, con gli occhiali rotondi, e un uomo lentigginoso con una testa di ricci rossi screziati di grigio. Ma alla vista del terzo, un uomo biondo in un completo nerofumo, gli caddero le braccia: George Underwood, il motivo principale per cui aveva lasciato la Alascon. Mentre Ross studiava il suo vecchio capo, non poté far a meno di notare che, come sempre, l'abito di Underwood era impeccabile. Per un attimo, Ross rimase a guardare, cercando di prevedere la loro reazione. Sullo schermo, una palla incandescente di zolfo fuso ruotava nelle tenebre dello spazio. Giganteschi meteoriti tempestavano il globo come missili arroventati, sfregiandone e deformandone la superficie già disseminata di crateri. Quel pianeta bruciacchiato sembrava l'ultimo posto dell'universo in cui la vita potesse resistere, men che meno prosperare. Ross udì la propria voce dal DVD, calma e autorevole, descrivere le immagini digitali: «Ai suoi albori, quattro miliardi e mezzo di anni fa, la Terra era un inferno primigenio, bersagliato da miliardi di asteroidi e co-
mete, la superficie bruciata da radiazioni ultraviolette, mentre eruzioni vulcaniche riversavano gas nocivi nella sua atmosfera informe. Ma quegli asteroidi e quelle comete che cadevano sul nostro pianeta erano carichi di amminoacidi, essenziali per la genesi della vita. Persino oggi, quarantamila tonnellate di meteoriti cadono sulla Terra ogni anno. In queste rocce cosmiche sono stati rinvenuti più di settanta tipi diversi di amminoacidi, otto dei quali sono risultati essere i costituenti fondamentali delle proteine che si trovano nelle cellule dei viventi». L'impatto sullo schermo era particolarmente spettacolare. «Esattamente come gli spermatozoi che bombardano l'ovulo, questi semi di vita precipitarono sul nostro pianeta e, come per miracolo, uno, soltanto uno di questi impatti ha innescato una reazione, una scintilla che ha fatto germinare le forme batteriche primitive. In modo altrettanto sorprendente, quei semi prosperarono, ricavando energia dalle reazioni chimiche del brodo primordiale che li circondava. Prove dimostrano che tutta la vita su questo pianeta, compresa la nostra, si è evoluta a partire da quell'unico, fatidico istante, quell'irripetibile scintilla di vita di quattro miliardi e mezzo di anni fa.» L'inquadratura si spostò di nuovo, mostrando rocce fossili vecchie di tre miliardi e seicento milioni di anni provenienti dalla regione di Isua, in Groenlandia, e dall'altopiano di Ustyurt, in Uzbekistan, vicino a dove Ross era appena stato. «Queste prime forme di vita costituirono i fossili, i quali, a loro volta, diedero origine ai combustibili, tra cui il petrolio. Adesso sappiamo che gli idrocarburi possono trovarsi in giacimenti molto più antichi di quanto si credesse inizialmente. Ed è sul petrolio più antico che dovremmo concentrarci.» «Roba da matti!» esclamò Underwood incredulo, lanciando un'occhiata al collega più anziano. «Petrolio antico. Accidenti, e io che pensavo che il petrolio fosse già piuttosto vecchio!» La sua risata autodivertita innervosì Ross, che irruppe nella sala. «Per 'antico', George, intendo un petrolio che abbia duecento milioni di anni in più di quello tradizionale.» Underwood premette un pulsante sul telecomando e lo schermo tornò a proiettare il logo della compagnia. Poi le tende oscuranti della sala conferenze si sollevarono, svelando lo skyline di Manhattan, scintillante sotto il sole di maggio. Finse di guardare l'ora prima di alzarsi e stringere la mano a Ross. «Ah, è da tanto che non ci vediamo.» Fece un sorriso velenoso.
«Lascia che ti presenti i miei colleghi.» Ross ricambiò le strette di mano e apprese che l'individuo coi capelli tra il rosso e il brizzolato era il nuovo amministratore; il tizio più anziano, invece, era David Kovacs, l'uomo che aveva gestito l'acquisizione della Xplore. «Allora, questa faccenda del petrolio antico...» riprese Underwood. «Ci credi sul serio?» «Certo.» «E perché, dottor Kelly?» chiese Kovacs. Ross si mise a sedere. «Analisi recenti dimostrano che la formazione del petrolio è iniziata molto prima di quanto si pensasse. Il greggio più antico rinvenuto alla fine del millennio aveva al massimo un miliardo e mezzo di anni. Non molto tempo fa abbiamo invece scoperto alcuni giacimenti in Uzbekistan risalenti ad almeno duecentocinquanta milioni di anni prima. Gli idrocarburi di questo petrolio antico sono il prodotto della decomposizione di creature vissute sulla Terra almeno tre miliardi e duecento milioni di anni fa. Questo indica che gli strati rocciosi millenari contengono riserve inutilizzate che, finora, non hanno costituito una priorità nella ricerca del petrolio. È solo questione di tempo, però, prima che la concorrenza cominci a interessarsene.» Underwood diede una scorsa ai suoi appunti. «Stai lavorando a questo progetto con un cliente, la Scarlett Oil. È una compagnia piuttosto piccola.» «Tutti i nostri clienti, qui e oltreoceano, sono pesci piccoli o di medie dimensioni con limitate competenze geologiche interne. È per questo che si rivolgono a una società di consulenza.» Underwood diede di nuovo un'occhiata agli appunti. «E le percentuali di ritrovamenti di questo petrolio antico?» Ross sorrise. «Molto superiori alla media.» Nell'estrazione tradizionale, la percentuale di successo media non superava il dieci per cento, persino con le tecnologie più avanzate. Tirò fuori un palmare dalla giacca, lo aprì e lo posizionò sul tavolo. Sullo schermo apparve una mappa geologica del mondo su cui erano evidenziati i diversi sedimenti rocciosi che indicavano potenziali riserve di petrolio. «La mia squadra ha sviluppato un software che riesce a condensare dati sismici, gravitazionali, magnetometrici e geologici, immagini satellitari e la più avanzata tecnologia GPS per identificare i depositi più ricchi. Concentrandosi sui siti rocciosi di più antica formazione, in particolare sulle combinazioni fra strati serbatoio e strati di
copertura, siamo in grado di ottimizzare la correlazione causa-effetto tra questi sedimenti rocciosi e il petrolio.» Ross fece una pausa ben studiata. «La percentuale di successo, secondo le nostre proiezioni, è attualmente prossima al venti per cento. Il doppio della media.» Underwood annuì. «Ma non avete ancora dati concreti, giusto? Soltanto proiezioni.» «È per questo che mi sono recato in Uzbekistan. Per verificarle.» Ripescò una cartellina dalla valigetta e la poggiò sul tavolo. «Abbiamo bisogno di più tempo, ma i risultati iniziali sono promettenti. Molto promettenti. Alla Scarlett sono entusiasti.» «Ah, sì, la potente Scarlett Oil.» Underwood si rivolse all'amministratore. «A quanto ammontano i costi?» Pose la domanda come se già conoscesse la risposta. L'uomo girò il computer per consentirgli di leggere lo schermo. «Accidenti. La Xplore ha investito tempo e denaro in questo progetto. Al pari della Scarlett.» Ross serrò le mascelle, determinato a mantenere la calma. «George, si tratta di un investimento comprovato da dati attendibili che stiamo verificando sul campo. Le tecnologie di ricerca e di estrazione di cui disporremo ci permetteranno di offrire alle compagnie più piccole - la nostra clientela di base - l'opportunità di battere sul tempo la concorrenza più potente. Compresa la Alascon, a meno che non colga l'occasione al volo.» Underwood confabulò con Kovacs, poi questi raccolse le sue carte e sorrise a Ross. «La pregherei di non fraintenderci, dottor Kelly, lei ha un'ottima reputazione nel settore. La vogliamo fortemente nella nostra squadra. Ma l'unica ragione per cui la Alascon ha comprato questa piccola società di consulenza sono i suoi eccellenti contatti e le sue relazioni d'affari con l'Estremo Oriente e l'ex Unione Sovietica. E perché non costava troppo.» Gettò uno sguardo all'analisi di bilancio dell'amministratore. «Francamente, visto come la Xplore ha speso i suoi soldi, la cosa non mi sorprende. Dottor Kelly, la Alascon Oil non è interessata a iniziative imprenditoriali speculative in associazione con compagnie petrolifere americane di piccole dimensioni. Da loro abbiamo ben poco da imparare.» Puntò il dito verso Underwood. «Metto George a capo del settore di esplorazione geologica. Lei e la sua squadra dovrete fare rapporto a lui. So che ha già lavorato per George in passato.» Poi si voltò verso Underwood. «Prego, George.» Underwood sorrise a Ross. «Vogliamo che vi concentriate sull'ampliamento dei contatti in zone strategiche per l'estrazione petrolifera tradizionale. La ricerca del petrolio antico deve cessare.»
«E che ne sarà dei nostri rapporti con la Scarlett Oil?» «Non se ne parla. È un pesce troppo piccolo.» «Ma il progetto sta per dare i suoi frutti! E parliamo di un sacco di soldi.» Aveva dedicato due anni della sua carriera a quella ricerca e ci credeva ciecamente. Raccolse la cartellina dal tavolo. «Lasciate che vi mostri i dati aggiornati. È semplicissimo.» Underwood lo liquidò con un brusco gesto. «So che è un progetto che ti sta a cuore, ma alla Alascon non interessa il petrolio antico, solo il buon greggio vecchia maniera.» «Che però presto finirà.» Ross sbatté la cartellina sul tavolo. «Almeno da' un'occhiata agli ultimi dati, dannazione!» Underwood lanciò a Kovacs uno sguardo dal significato: Te l'avevo detto che sarebbe stato un osso duro, poi tornò a concentrarsi su Ross. «Ho sempre ammirato il tuo talento. Sei un geologo straordinario e hai davvero la stoffa per trovare il petrolio. Il tuo unico punto debole, però, è che metti troppo spirito d'avventura nell'esplorazione. Per te il mistero è dolce quanto la scoperta, forse anche di più. La Alascon non svolge molta attività di ricerca per ridurre i rischi. La passione, l'avventura e il mistero non hanno importanza, contano solo i risultati. E, se vuoi restare con questa compagnia e incassare il tuo sostanzioso stipendio, ficcatelo bene in testa. Voglio che tu dia ordine alla squadra di cercare giacimenti tradizionali, con effetto immediato.» Ross non fiatò, continuando a tenere lo sguardo incollato alla cartellina sul tavolo. Due anni di duro lavoro, di lavoro benfatto, ignorati, liquidati come «il progetto che gli stava a cuore», proprio ora che stavano per dare dei risultati. Underwood si accigliò e si alzò dalla sedia. «Ci siamo intesi?» Girò intorno al tavolo, si posizionò dietro Ross e agitò il dito verso il basso. Avrebbe potuto puntarlo dritto contro di lui, ma era evidente che quella manifestazione di autorità era intesa a compiacere Kovacs. «Intesi?» Nell'istante in cui Ross alzò lo sguardo, vide la sua futura carriera con la Alascon riflessa nella faccia rubiconda e nel dito puntato di George Underwood. Era stanco, stressato e ne aveva avuto abbastanza. Si erse in tutta la sua altezza, dominando Underwood, e fissò dall'alto verso il basso il suo capo di ieri e di domani. Sostenne a lungo il suo sguardo, finché Underwood non perse la pazienza e distolse gli occhi. Ross afferrò la cartellina e la strappò accuratamente in due, poi in quattro e infine in otto pezzi. «Intesi?» chiese ancora Underwood, la voce che tremava.
«Calmati, George», gli intimò Kovacs. «La Alascon ha bisogno di gente in gamba come il dottor Kelly. Sono sicuro che abbia afferrato il concetto.» «Hai capito?» insistette Underwood. «Sì, capisco perfettamente», rispose Ross con grande calma, stringendo i brandelli dei documenti strappati nella mano destra ed estraendo il cellulare dalla giacca con la sinistra. Compose il numero senza indugio, Gail rispose al secondo squillo. «Sono io. Ti avevo promesso che saresti stata la prima a saperlo.» Con lo sguardo sempre puntato verso Underwood, gli rovesciò i fogli strappati in testa come un pugno di coriandoli. «Mi licenzio.» «Aspetti, aspetti», disse Kovacs, alzandosi e fulminando con un'occhiataccia Underwood, intento a spazzolarsi freneticamente l'abito dai pezzetti di carta. «Non è necessario arrivare a tanto.» Allentandosi la cravatta, Ross rimise cellulare e palmare in tasca, raccolse la valigetta e si avviò verso la porta. Nell'aprirla, si voltò verso i tre uomini e sorrise. «È necessario, invece. Per me, è assolutamente necessario.» Poi richiuse la porta e se ne andò. 3 Ad alcuni chilometri di distanza dagli uffici della Xplore, l'ospite d'onore stava lasciando l'aula magna McNally al Lincoln Campus dell'Università di Fordham, l'università gesuita di New York. Il religioso era rimasto il minimo indispensabile alla conferenza ed era soddisfatto di aver adempiuto ai suoi doveri. Ma adesso era impaziente di andarsene. Dopo aver ringraziato i suoi ospiti e congedato gli accompagnatori, si era diretto alla limousine a passo così veloce da rendere a malapena visibile la lieve zoppia. Seduto sul sedile posteriore, protetto dal vetro oscurante, controllò l'ora. Aveva tempo in abbondanza prima del volo di ritorno a Roma. «Yale University», disse allo chauffeur. «La Beinecke.» Mentre l'auto si dirigeva a nord verso la Henry Hudson Parkway, accantonò il ricordo della conferenza cui aveva appena partecipato e fece mente locale su ciò che l'aveva tenuto impegnato dal suo arrivo in America, alcuni giorni prima. Aprì la ventiquattrore per studiare la copia di una condanna a morte vecchia di quattrocentocinquant'anni che il suo ufficio aveva scoperto negli Archivi Vaticani dell'Inquisizione, il secretum secretorum, il segreto dei segreti. Nel leggere le pagine manoscritte in latino, una delle
cinque lingue che parlava correntemente, nella sua mente iniziarono a turbinare i rischi e le opportunità che quel documento costituiva. Sempre che dicesse il vero. Solo un'ora e mezzo dopo, la limousine accostò nei pressi della Beinecke Library della Yale University, uno degli edifici più grandi al mondo consacrato interamente a manoscritti e libri rari. La struttura bianca oblunga, rivestita da finestre di marmo traslucido che somigliavano alle fossette di una palla da golf, stonava in mezzo agli edifici più classici della Yale. Uscendo dalla limousine e salendo gli scalini, il prete ignorò quell'architettura così insolita. Lesse invece gli stendardi pubblicitari che annunciavano un evento di raccolta fondi incentrato sul libro più misterioso conservato nella biblioteca e si sentì pervadere dall'entusiasmo. Al bancone principale lo attendeva un ricercatore che lo scortò verso la sala centrale. «Non vedo un grande affollamento», commentò il religioso. «No.» Un rossore di imbarazzo affiorò sul volto dell'uomo. «Ma ci sarà questa sera. Prevediamo una buona affluenza per i seminari inaugurali. Uno in particolare promette di essere strepitoso.» Additò una teca di plexiglas, in bella mostra su un basamento al centro della sala. Era vuota. «Il libro è rimasto in esposizione tutta la settimana, ma abbiamo provveduto a concederle mezz'ora per studiarlo. Se avesse bisogno di più tempo, le copie digitali di tutte le pagine sono disponibili su uno dei terminali laggiù o su Internet.» Il ricercatore lo condusse in una saletta illuminata da una luce soffusa e gli consegnò un paio di guanti bianchi da lettura. «Mi dispiace, ma può toccarlo soltanto con questi.» Il prete si avvicinò al tavolo da lettura e abbassò lo sguardo sul libro aperto. «Va benissimo, la ringrazio.» «Dunque, cosa vuole sapere? Il Voynich è una delle mie materie di specializzazione.» «Niente. Assolutamente niente.» Il prete indossò i guanti bianchi, convinto che l'uomo non potesse dirgli nulla che già non sapesse. «Ho bisogno di qualche minuto di solitudine. Per vederlo com'è in realtà.» «Giusto, giusto.» L'uomo indugiò per un momento, poi si avviò verso la porta. «Allora la lascio solo. Mi chiami se avesse bisogno di qualcosa.» Ma il prete non stava più ascoltando. Fissava il libro, pietrificato. Il documento ingiallito, delle dimensioni di un normale volume rilegato, sembrava un oggetto di poco conto. Certo non il manoscritto più enigmatico al mondo. Soltanto quando le sue mani inguantate girarono lentamente una
pagina dopo l'altra, il mistero si manifestò. I fogli erano pieni di testo inintelligibile:
E decorati da grezze illustrazioni a colori di piante bizzarre che somigliavano vagamente alla flora esistente, ma di cui sulla Terra non v'era traccia:
Altre immagini rappresentavano donne nude col ventre rigonfio in modo innaturale che nuotavano in un liquido verde:
I disegni non erano più elaborati di quelli di un bambino, ma quello non sviliva il loro fascino. Sul tavolo vicino al libro c'era la registrazione del catalogo della biblioteca: Quasi ogni pagina contiene disegni a soggetto botanico e scientifico, molti dei quali a pagina intera, dal carattere semplice ma vivace, a inchiostri di varie sfumature verdi, marroni, gialle, blu e rosse. Il contenuto del manoscritto, basato sul tema principale dei disegni, è suddiviso in sei sezioni. I dettagli di ogni sezione intensificavano il senso di stranezza e di mistero di cui il manoscritto era pervaso. La sezione botanica conteneva disegni di centotredici specie botaniche sconosciute, corredati di testo. La sezione astronomica e astrologica includeva venticinque strani diagrammi astrali. Quella biologica disegni in scala ridotta di figure femminili nude, per gran parte con addome prominente e fianchi sproporzionati, sommerse o galleggianti in fluidi, tubi o capsule intercomunicanti. La sezione farmacologica presentava disegni di oltre un centinaio di erbe, mentre le restanti due erano composte di testo continuo e di un foglio illustrato grande sei pagine ripiegate. La singolarità di quel volume era palpabile e il prete era più che consapevole di quanto fossero curiose anche le sue vicissitudini. Il manoscritto aveva iniziato a esercitare il suo fascino sull'umanità nel 1912, quando il mercante di libri Wilfrid Voynich si era imbattuto nel misterioso volume di centotrentaquattro pagine a Villa Mondragone, un col-
legio gesuita nei pressi di Frascati. Ripiegata nel manoscritto c'era una lettera datata 1666 del rettore dell'Università di Praga che chiedeva a un celebre studioso di provare a decifrare il testo. Stando a quella missiva, l'imperatore Rodolfo II di Boemia aveva acquistato il manoscritto per seicento ducati d'oro. La prima pagina del volume portava una firma sbiadita: Jacobi a Tepenece. Documenti storici certificavano che Jacobus Horcicky aveva avuto poveri natali ed era stato perciò cresciuto dai gesuiti, divenendo infine un ricco medico e alchimista alla corte di Rodolfo II, tanto da ricevere il titolo nobiliare di de Tepenec nel 1608, dopo aver salvato la vita dell'imperatore da una grave malattia. Il suo ruolo nella storia del manoscritto, comunque, non era così chiaro. Alcuni sostenevano che l'imperatore glielo avesse affidato perché lo decifrasse, altri che, dopo la morte del sovrano nel 1612, il manoscritto fosse stato trafugato insieme con altri tesori del museo imperiale e fosse finito nelle mani di Horcicky. Comunque fosse andata, il volume approdò al collegio gesuita dove Voynich lo avrebbe riportato alla luce. Molti ritenevano che le sue origini fossero italiane e che in seguito fosse stato rubato da una delle biblioteche gesuite e venduto all'imperatore Rodolfo. Alla fine era stato reclamato dalla Compagnia di Gesù, prima che ricadesse nell'oblio sotto uno strato di polvere e che il suo significato originale venisse di nuovo dimenticato. Le illustrazioni del manoscritto erano assai stravaganti, ma era stato il testo a intrigare maggiormente Voynich e gli innumerevoli altri che avevano tentato di decifrarne il significato. I caratteri avevano un'aria ingannevolmente familiare: alcuni somigliavano alle lettere romane, ai numeri arabi e alle abbreviazioni latine. Elaborati caratteri «fasulli» adornavano l'inizio di molti righi, mentre alla fine di numerose parole si trovava una voluta enigmatica a forma di nove. Nondimeno il significato del documento rimaneva ostinatamente oscuro. Quando Voynich aveva portato il manoscritto negli Stati Uniti, aveva invitato i crittografi a tentare la fortuna. Nel corso della sua vita, crittografi e squilibrati avevano reclamato il successo, ma le soluzioni non erano mai applicabili all'intero testo. H.P. Kraus, un libraio antiquario di New York, aveva acquistato il misterioso libro nel 1961 e otto anni dopo lo aveva donato alla Beinecke Library. Negli anni che erano seguiti, molti studiosi e dilettanti si erano cimentati, senza successo, nel tentativo di svelare i segreti di quello che era diventato ormai famoso col nome di «manoscritto Voynich». Negli anni '70 e '80, i migliori crittografi della NSA avevano trascritto il testo in for-
ma elettronica e avevano condotto una serie di verifiche statistiche, ma neppure loro erano riusciti a risolvere l'enigma. Secondo alcuni non era altro che una mistificazione, ma lo schema dei caratteri impiegati in tutto il testo si dimostrava così complesso e coerente da rendere un'eventuale contraffazione altrettanto straordinaria e misteriosa. Negli ultimi dieci anni, i ricercatori avevano messo in atto una gran quantità di metodologie statistiche, entropiche e di analisi spettrali, scoprendo che il voynichese - così era chiamata la lingua del testo - possedeva proprietà statistiche compatibili con quelle delle lingue naturali, a riprova che il manoscritto difficilmente poteva essere la scrittura casuale di un malato di mente o una mistificazione. I ricercatori si erano anche resi conto che il testo si leggeva da sinistra a destra e impiegava dai ventitré ai trenta singoli caratteri. L'intero manoscritto conteneva circa 234.000 caratteri e 40.000 parole, con un lessico di circa 8200 lemmi. Gran parte delle parole era costituita da sei caratteri e non presentava variazioni minori rispetto a quelle dell'inglese, del latino e di quasi tutte le lingue indoeuropee. Ciononostante, a dispetto di tutte le analisi, nessuno si era avvicinato a capire cosa dicesse il manoscritto, chi lo avesse scritto o perché. Fino ad allora. Qualcuno bussò delicatamente alla porta. La sua mezz'ora era terminata. Indugiò un momento ancora, incantato dalle pagine, presagendo che quel libro avrebbe cambiato per sempre la sua vita e che Dio lo stava guidando. Si sfilò i guanti e si concesse di sfiorare il manoscritto con le dita, sentendo il suo potere penetrargli sotto pelle. Quando la porta si aprì e il ricercatore entrò, il prete lo ringraziò, concedendosi un ultimo sguardo al Voynich, poi s'incamminò verso l'atrio. Si trattenne di fronte a un manifesto che annunciava il seminario inaugurale di quella sera: La soluzione dell'enigma. Segnalate come il pezzo forte della settimana dedicata al Voynich c'erano tre conferenze. Un matematico inglese di Cambridge e un informatico del MIT, il Massachusetts Institute of Technology, avrebbero presentato le ultime tecniche statistiche per la decodificazione del testo. Ma era la terza conferenza a interessargli di più. Quel titolo suggestivo gli mandava il cuore a mille: Il manoscritto Voynich: la vana ricerca di Eldorado? Il prete strinse forte a sé la ventiquattrore e pensò al documento fotocopiato che conteneva. L'originale riportava la confessione di un padre gesuita condannato al rogo per eresia. Attestava anche l'esistenza di un libro che avrebbe dovuto essere bruciato insieme con l'eretico: il Libro di Satana.
Si accertò dell'orario dell'ultima conferenza, felice di poter comunque prendere il suo volo, poi controllò il nome della docente che l'avrebbe tenuta. La dottoressa Lauren Kelly. 4 Seduto sul treno della linea New Haven da Grand Central a Darien che lo stava riportando a casa, il dottor Ross Kelly non pensava alla conferenza di sua moglie di quella sera. Era la propria carriera a occupare la sua mente. La geologia, o la teoria dell'evoluzione, non era stata certo una scelta semplice per un ragazzino cresciuto nella Bible Belt.2 Sua madre era convinta che la Terra fosse stata creata solo da qualche migliaio di anni e che il diluvio universale fosse l'evento geologico più importante nella storia dell'umanità. Il creato poteva anche essersi trasformato secondo il Disegno Divino, ma le cose non erano cambiate granché. E non solo nella Bible Belt. Il nuovo papa aveva recentemente smentito la teoria evolutiva di Darwin, attribuendo alla mano di Dio tutti gli aspetti della creazione. Ross, perciò, aveva sempre dovuto lottare per le sue passioni. Fin da bambino, cresciuto nella fattoria paterna, all'ombra dei maestosi monti Ozark, aveva visto la geologia come una scienza romantica e magica che tracciava una mappa della storia del nostro pianeta attraverso un abisso temporale profondo oltre ogni immaginazione. Ricordava ancora l'eccitazione quando aveva letto per la prima volta che l'Everest, il picco più alto sulla Terra, era composto di rocce oceaniche che un tempo avevano costituito il fondale marino. Come non sorprendersi della quantità di pressione e di tempo necessaria a spingere l'Himalaya dal fondo dell'oceano al tetto del mondo? Una borsa di studio per laurearsi in geologia a Princeton, un dottorato al MIT e i primi anni col dipartimento di Scienze della Terra della potente Alascon avevano tenuto in vita il suo stupore. Gli divenne subito chiaro, tuttavia, che l'industria del petrolio era più interessata ai profitti che a esplorare i tesori del mondo. Quando la Xplore, a quei tempi un'insignificante società di consulenza in crescita, lo aveva contattato, il loro appetito 2
La Bible Belt, letteralmente «la cintura della Bibbia», è un'espressione che designa un'area degli Stati Uniti, comprendente grossomodo gli Stati sudorientali, in cui la religione protestante ha un ruolo fondamentale nella cultura. (N.d.T.)
di posizioni visionarie e prospettive inesplorate aveva riacceso la sua passione. Ma la sua carriera ormai era allo sbando: i sognatori che lo avevano reclutato se n'erano andati, spazzati via da gente della schiatta di Underwood e Kovacs, che avevano molto più in comune con dei ragionieri che con degli esploratori. E non si faceva illusioni: nessuna compagnia sarebbe stata disposta ad abbracciare idee e scoperte nuove. Nel breve tragitto in taxi dalla stazione a casa, Ross meditò sul proprio futuro. La sua mente stanca cercò di non chiedersi se avesse fatto la cosa giusta né di pensare a cosa avrebbe detto la moglie. Mentre il taxi accostava al vialetto d'accesso, vide la sua vecchia Mercedes decappottabile parcheggiata a fianco della ben più economica Prius di Lauren. Aveva acquistato quell'auto d'epoca dopo esser stato assunto dalla Xplore. A quei tempi gli era sembrata il simbolo luminoso del proprio successo. Adesso, come la carriera, il suo splendore era tramontato e appariva esattamente per quello che era: una vecchia automobile ricoperta di escrementi di uccelli. Una terza auto, piccola e squadrata, era parcheggiata dietro. Ross non era in vena di visite. Il lavoro lo aveva portato in giro per tutto il mondo e sul campo era un vero avventuriero, ma quando tornava a casa desiderava soltanto passare del tempo con la moglie. Non c'era niente di meglio che cenare con una bottiglia di Pinot Nero e una pizza, fare l'amore e contendersi il telecomando; non aveva mai capito come mai una persona intelligente come Lauren preferisse programmi spazzatura come i reality show rispetto alle commedie classiche, a un bel film o un documentario di David Attenborough su Discovery Channel. Pagò il tassista, scese dalla macchina e attraversò la ghiaia scricchiolante fino alla casa bianco gesso per cui si era indebitato fino al collo. La porta principale si socchiuse e apparve Lauren. Nel fulgore del primo pomeriggio, il suo caschetto di capelli biondo miele riluceva come oro al sole, i dolci occhi verdi scintillavano e la sua pelle ardeva. Al solo vederla si sentì subito meglio. La porta si spalancò, rivelando la presenza di una seconda donna altrettanto incantevole: Elizabeth Quinn. Mentre sua moglie era dotata di una bellezza più convenzionale, la sua assistente a Yale era tutt'altro che ordinaria. Alta ed esile, Elizabeth Quinn sembrava una strana miscela tra punk, ecopacifista e secchiona. I lunghi capelli ricci erano colorati di rosso henné e indossava occhiali spessi da vista, jeans di seconda mano, una giacca informe di canapa e una maglietta con su scritto: GAIA È TUA MADRE! SMETTI DI UCCIDERLA!
Lauren si precipitò fuori per baciarlo. «Ross, sei tornato! Oddio, sono così felice.» «Mai quanto me.» La strinse forte, riempiendosi i polmoni del profumo dei suoi capelli, poi guardò dietro di lei. «Ciao, Zeb.» Elizabeth Quinn sorrise e alzò la mano per salutare. Ross si era sempre comportato in modo civile con Zeb, per quanto potesse essere civile il suo rapporto con un'ecologista che accusava l'industria petrolifera di depredare il pianeta. «Non preoccupatevi, vi lascio soli. Stavo solo dando una mano a Lauren per la conferenza di stasera.» «Quale conferenza?» Lauren strabuzzò gli occhi. «Sai, il Voynich... La traduzione? La mia grande serata?» «Ah, già. Ma certo.» A dire il vero, aveva confinato la conferenza nell'angolo più remoto della sua mente, perché in origine non aveva programmato di tornare dall'Uzbekistan prima della fine della settimana. Appena in tempo per fuggire per la prima vacanza dopo anni, due settimane di speleologia nella giungla del Borneo, seguite da sette giorni sulle spiagge della Malesia. Aveva dovuto farsi in quattro per ottenere le ferie. Ma quello ormai non era più un problema. «Comunque, bentornato», disse Zeb, sedendosi alla guida della piccola ibrida. Dopo aver messo in moto, tirò fuori la testa dal finestrino. «Ci vediamo stasera, Lauren. In bocca al lupo e, qualsiasi cosa dica Knight, non ti sbottonare più del necessario.» «D'accordo, grazie.» Lauren prese il marito sottobraccio e lo accompagnò in casa. Ross frugò distrattamente in una tasca della giacca e ne estrasse un sassolino. La superficie metallica satinata lo faceva luccicare come oro sotto i raggi del sole che inondavano l'ingresso. Aveva sempre portato una pietra speciale a Lauren dalle sue spedizioni in giro per il mondo. «È una schreibersite, un raro minerale meteoritico.» «È bellissima. Grazie.» Sorrise, gli occhi le brillavano per l'emozione. «Sono felice che tu sia dovuto tornare dall'Uzbekistan. Devo darti una bella notizia.» «Mi fa piacere. Anch'io ho una notizia da darti. Riguarda la scalata di cui ti ho parlato al telefono. Ma la mia è brutta, purtroppo.» «Sputa il rospo.» «Mi sono licenziato.» Ross non sapeva che reazione aspettarsi, ma di sicuro non quella che ricevette.
Lauren lo guardò per qualche secondo e poi scoppiò a ridere. «Che c'è da ridere?» Ross aveva sempre ammirato, e invidiato, l'atteggiamento sereno di Lauren nelle questioni economiche. Magari era così perché era cresciuta in una famiglia relativamente benestante di New York, ma la sua indifferenza nei confronti dei beni materiali era genuina; per lei non erano sinonimo di sicurezza, come per lui. A ogni modo, anche Lauren doveva comprendere che ci sarebbero state ripercussioni sul mutuo. Del resto lo aveva sempre dissuaso dal comprare quella grande casa e probabilmente sarebbe retrocessa di buon grado a una più piccola. Scosse la testa, cercando di controllarsi. «Mi dispiace, Ross. Non ridevo di te. Solo della coincidenza.» «Perché? Qual è la tua buona notizia? Non dirmi che la tua carriera ha preso il volo, ora che la mia è finita nel cesso.» «No, no, È la nostra buona notizia.» Si posò la mano sull'addome. «Oggi sono andata dal dottore. Avremo un bambino.» Per una frazione di secondo, Ross non seppe cosa dire. Provavano da anni ad avere un figlio, ma, dopo che i dottori avevano scoperto del tessuto cicatriziale sulle ovaie di Lauren, un intervento e tre cicli inefficaci di fecondazione in vitro, avevano praticamente rinunciato all'idea di avere una famiglia. La strinse in un forte abbraccio e la sollevò da terra. «È meraviglioso. Di quanto è?» «Quasi tre mesi.» «Tre mesi...» Accarezzò la pancia della moglie, come per sentire il bambino che stava crescendo dentro di lei. D'un tratto la carriera e le difficoltà economiche non avevano nessuna importanza. «Perché non me l'hai detto prima?» «L'ho appena scoperto. Ho sempre avuto il ciclo così irregolare che quando il dottore mi ha detto che ero incinta non riuscivo a crederci. Dev'essere successo quando sei tornato da quel lungo viaggio in Arabia Saudita. Ricordi come abbiamo recuperato il tempo perduto?» Ross sorrise. Se lo ricordava bene. «E non preoccuparti per il lavoro. So che ti senti in dovere di provvedere a tutto. Ma andrà bene. Più che bene. Se dopo stasera i membri del consiglio di facoltà non mi nomineranno professore ordinario, lo faranno quando avrò tradotto la sezione finale del Voynich. Una cattedra a Yale non paga quanto vendere l'anima alle sette sorelle, ma è abbastanza. Più che abbastanza.» Lui la baciò. «Non sono preoccupato. Il vero problema è la nostra va-
canza. Dovremo annullare la spedizione di speleologia - è troppo faticosa per una donna in stato interessante - e trascorrere tutto il tempo sulla spiaggia.» «Fa proprio al caso mio.» «Ci avrei scommesso.» Scoppiò a ridere. Lauren aveva sempre preferito oziare su una spiaggia a leggere, mentre lui dopo pochi giorni veniva assalito dalla noia e dalla voglia di partire in esplorazione. Ma, in quel momento, trascorrere qualche settimana di relax era una prospettiva allettante. Controllò l'orologio. «A che ora è la conferenza? Avevo idea di schiacciare un pisolino prima che tu mi mettessi al corrente del tuo secondo successo. Ma ora sono troppo emozionato per dormire.» 5 Quella sera, al suo arrivo alla Beinecke Library, Lauren Kelly diede una vigorosa stretta di mano a Ross e lo baciò sulle labbra. «Non ti mettere in prima fila o mi farai perdere la concentrazione.» Le sale trentotto e trentanove della Beinecke erano state unite per creare un auditorium capace di ospitare un pubblico di settanta persone; obbediente, Ross occupò un posto defilato. L'auditorium si riempì in fretta e Ross individuò i ricci rossi di Zeb Quinn in prima fila. Al suo fianco sedeva un uomo con una giacca di tweed: Bob Knight, professore di linguistica alla Yale e preside della facoltà di Lauren. A Ross quell'uomo non era mai andato a genio. Knight aveva una reputazione da spaccone senza scrupoli che si arrogava spudoratamente i meriti altrui. Lauren aveva fatto il possibile per tenere nascosto il suo lavoro - persino a Knight -finché i tempi non fossero stati maturi, ma lui le aveva fatto pressioni affinché quella sera relazionasse in anteprima sui dettagli dei primi risultati, in occasione della settimana dedicata al Voynich. Un prete dai tratti decisi e con gli scuri occhi infossati andò a sedersi accanto a Ross. Il seminario era aperto a tutti, ma dalla densità di giacche di velluto a coste e tweed si capiva che gran parte degli astanti erano accademici, ricercatori e fanatici del Voynich. Dando un'occhiata all'individuo seduto al suo fianco, Ross si chiese cosa ci facesse lì un prete. Le luci si abbassarono e i primi due relatori parlarono così a lungo di analisi spettrale, sequenze numeriche, cifrari polialfabetici e altri aspetti esoterici dell'arte oscura del crittografo da riuscire a far sembrare noioso e astratto persino il manoscritto più misterioso al mondo. Un torpore discese
nell'aria viziata della stanza e Ross, esausto e sotto l'effetto del jet lag, si sforzò per tenere gli occhi aperti mentre, con sua grande sorpresa, il prete sedeva teso come una corda di violino e così pieno di aspettative da irradiare elettricità. A quel punto Lauren si alzò e l'atmosfera in sala cambiò. Le labbra carnose sembravano costantemente sul punto di accennare un sorriso. I capelli biondi e l'abito verde smeraldo facevano spiccare gli occhi che scrutavano gli spettatori con determinazione. Ecco cos'erano venuti a vedere. Il prete si sporse in avanti per tirar fuori dalla tasca carta e penna. Mentre Ross la guardava sistemare i suoi appunti e presentarsi, si sentì profondamente orgoglioso che Lauren fosse sua moglie e che sarebbe presto diventata la madre di suo figlio. Ross non era uno scemo totale, ma paragonato a lei si sentiva mediocre. Lauren aveva conseguito un dottorato in conservazione delle lingue antiche, ma da qualche anno a quella parte si era concentrata sull'enigma del codice Voynich e la sua genialità era riuscita laddove altri avevano fallito. Non solo macinando numeri e analizzando sequenze con l'ausilio di un computer, ma soprattutto impiegando una conoscenza enciclopedica delle lingue. Una volta Lauren, da bambina, aveva scritto ai genitori la frase Questa scuola non mi piace. È noiosa in cinquanta lingue diverse. Puntualmente i genitori l'avevano trasferita. Si compiaceva al pensiero che in Amazzonia ci fosse un dialetto chiamato Tariano che obbligava i parlanti ad aggiungere un suffisso di rinforzo dopo qualsiasi enunciazione, o l'interlocutore non avrebbe creduto a una sola parola. Amava il fatto che ci fosse una lingua caucasica senza vocali e un dialetto dell'Asia meridionale i cui innumerevoli verbi comprendevano gobray (cadere inconsapevolmente in un pozzo) e onsra (amare per l'ultima volta). E non sopportava il fatto che delle seimila lingue rimaste al mondo più della metà si sarebbe estinta entro la fine del secolo. Lauren si schiarì la voce e la stanza piombò nel silenzio. Per prima cosa ringraziò Elizabeth Quinn, che si voltò indietro, il viso dello stesso colore dei suoi capelli. Poi abbassò lo sguardo sul leggio e diede inizio al suo intervento. «Benvenuto, saggio compagno, i tuoi sforzi non sono stati vani. Sebbene il tuo nome e il mio siano insignificanti, questa storia non lo è. Tieni bene a mente: le scoperte potranno anche infiammarci il sangue, ma sono i misteri che sostengono il nostro spirito. Quando ci sentiamo troppo forti o arroganti, i misteri ci rammentano quanto poco conosciamo del mondo che Dio ha creato. E, quando ci sentiamo deboli e disperati, ci con-
fortano ricordandoci che tutto è possibile.» Lauren riprese fiato, guardò la folla ammutolita e sorrise. «Avete appena ascoltato l'incipit del Voynich tradotto per la prima volta nella nostra lingua.» Un brusio si propagò tra i presenti come il vento su un campo di grano, poi il testo sibillino del Voynich apparve sullo schermo alle spalle di Lauren, che proseguì: «Con l'aiuto di Zeb, ho tradotto l'intero manoscritto, a eccezione della sezione astrologica. Non pubblicherò la traduzione integrale finché non avrò ultimato la sezione conclusiva.» Lanciò uno sguardo carico di significato nella direzione di Knight. «Essendo stata invitata a darvi un'anteprima della sinossi dei contenuti, posso comunque assicurarvi che non ho trovato nessun codice all'interno del testo». Il mormorio sommesso del pubblico si trasformò in un ronzio insistente. Ross vide che gli astanti prendevano appunti. «Sono del tutto sicura che il voynichese sia in effetti una lingua artificiale. I linguisti tra voi sapranno che esistono due tipi di lingue artificiali: quelle a posteriori, basate su lingue naturali, il cui esempio più celebre è l'esperanto, e quelle a priori, create interamente dal nulla. Una lingua a priori è praticamente impossibile da tradurre senza la conoscenza grammaticale e lessicale di chi l'ha creata, conoscenza che in questo caso ovviamente non abbiamo. Per nostra fortuna, tuttavia, il voynichese sembra appartenere alle artificiali a posteriori: un ibrido di due lingue antiche traslitterato nei caratteri unici che vediamo nel testo.» Qualcuno nel pubblico alzò la mano. «Quali lingue?» Il prete prese a torcersi le mani, mentre le dita tormentavano i grani di un rosario. Lauren sorrise e scosse il capo. «Non sarò pronta a rivelare le radici linguistiche finché non avrò terminato la traduzione. Quando verrà il momento ne darò pubblicamente notizia e divulgherò tutto il mio lavoro di ricerca.» «È sicura che non ci sia un codice nel testo?» chiese una donna nelle prime file. Le dita del prete si accanirono in modo ancor più convulso sui grani. «Con l'aiuto dei modelli informatici, Zeb e io ci siamo rese conto quasi subito che la presenza di un codice era inverosimile. Date l'età del documento e la fragilità del testo, l'eventuale codice avrebbe dovuto essere cifrato in forma polialfabetica. Ma la nostra analisi entropica, che ha preso in esame la distribuzione dei caratteri nel testo, ha dimostrato che lo schema era troppo regolare, troppo simile a quello di una vera lingua per costituire
un codice casuale.» Prima che qualcuno avanzasse un'altra domanda, il prete vicino a Ross puntò la mano verso l'alto: il suo inglese perfetto tradiva un lieve accento italiano. «Dottoressa Kelly, prima che ci sveli come ha tradotto il Voynich, potrebbe dirci cosa ha rinvenuto la sua traduzione?» Lauren annuì. «Innanzitutto, mi devo scusare con coloro che, come me, speravano che il manoscritto contenesse un qualche grande segreto. Contrariamente a certe affermazioni, il codice Voynich non è stato scritto per mano del frate medievale Ruggero Bacone e, purtroppo, non è nemmeno un antico testo cataro, né il trattato di alchimia di un mago, o una visione mistica, tantomeno un messaggio divino scritto nella lingua degli angeli, né qualsiasi altra cosa fantastica cui molti hanno creduto.» Si udirono i sospiri di delusione di alcuni convenuti. «Il Voynich è semplicemente una storia fantastica che narra il mito meraviglioso di una ricerca, un'allegoria dell'avidità umana che mostra una consapevolezza precoce dei problemi ecologici di oggi. Racconta di un prete erudito che accompagna un plotone di soldati in una sterminata foresta alla ricerca di Eldorado: la mitica città dell'oro. La sua missione è quella di scrivere la cronaca delle loro avventure e di rivendicare le anime dei conquistati per la Chiesa. L'estenuante ricerca decima i soldati, ormai dispersi nel cuore della foresta. La spedizione è sul punto di abbandonare ogni speranza quando s'imbatte in un giardino vergine pieno di strane piante, abitato da creature altrettanto bizzarre e da donne simili a ninfe. Quel giardino si dimostra essere più un paradiso edenico che un inferno demoniaco. Gli esploratori vi trovano meraviglie e miracoli, ma anche qualcosa di terribile. Nessun soldato scampa a quest'ultimo incontro. Solo il prete sopravvive per raccontarlo.» Mentre Lauren esponeva la storia fin nei dettagli, usava lo schermo per intercalare la narrazione alle relative, e inquietanti, immagini tratte dal Voynich. Ross notò che gran parte del pubblico silenzioso ascoltava educatamente. La sua sinossi non era che una teoria priva di sostegni finché non avesse dato alle stampe e visto approvate tutte le sue conclusioni. Il prete, nondimeno, appariva atterrito, i tratti marcati esprimevano un misto di incredulità, meraviglia e preoccupazione. Dopo aver finito il suo racconto, Lauren disse: «Il nostro autore anonimo - presumo sia un uomo - ci offre un finale a sorpresa. Non solo usa un linguaggio unico nel suo genere, ma ci mette di fronte a tavole stravaganti e una storia ancor più bizzarra, sostenendo persino che il leggendario giardi-
no illustrato e descritto nel testo esista realmente e che la sua storia sia vera. Ecco come conclude: Congratulazioni, saggio compagno, hai letto la mia storia e hai dato perciò dimostrazione di intelligenza, dedizione e saggezza. Di qualsiasi fede o nazione tu sia, Dio ti ha scelto per compiere ciò che non è più in mio potere: proteggere il Suo giardino e far sì che i suoi poteri prodigiosi vengano usati per la Sua gloria. Un giorno, l'umanità ne avrà sicuramente bisogno. Prego solo che li meriti. Amen». Lauren sorrise, come meravigliandosi dell'audacia dimostrata dall'autore. «Considerando l'immane lavoro svolto dall'anonimo nel creare questo linguaggio così ingegnoso, concepito solo per custodire il segreto della sua storia fantastica, la possibilità che possa essere tutto vero è suggestiva.» «Non ha idee riguardo all'identità dell'autore?» chiese il prete. «No. Non ci fornisce il suo nome.» «Cosa si aspetta di trovare nella sezione astrologica che non ha ancora tradotto?» domandò un'altra persona. «Una mappa?» intervenne un'altra ancora. Lauren alzò le mani per placare gli animi. «Prima di eccitarci troppo, dobbiamo tenere a mente che ai tempi in cui il Voynich è stato scritto, alla fine del XVI secolo, i documenti criptati andavano di moda. Perciò temo che l'ipotesi più probabile sia che l'autore disponesse semplicemente di un intelletto fuori del comune e di un discreto senso dell'umorismo, e del tempo libero per assecondare entrambi.» Attese che le risate del pubblico scemassero prima di concludere: «Ciononostante, il Voynich rimane un'autentica opera d'ingegno e, se volete leggere la sinossi della storia tradotta, vi invito a visitare la pagina della Beinecke sul sito della Yale University». Nell'atrio fuori dall'auditorium, alcuni spettatori attesero Lauren per tempestarla di domande. In disparte, Ross la guardava guadagnare il centro della scena e sentì un impeto di rimorso e di invidia. Dopo il dottorato, anche lui avrebbe potuto ritagliarsi una carriera accademica. Harvard e altri tre college prestigiosi gli avevano offerto un posto per portare avanti gli studi geologici, ma aveva sempre rifiutato. Se, dopo il diploma delle superiori, un ragazzo dice ai suoi genitori che il loro unico figlio non ha intenzione di rilevare la sterile fattoria che appartiene alla famiglia da generazioni, ma sta per partire per accettare una borsa di studio a Princeton, allora è meglio che ne esca vittorioso. Per Ross, ciò equivaleva a fare soldi. Soldi a palate. Perciò si era arruolato nell'industria petrolifera. E, in tutta onestà, non aveva mai deside-
rato diventare un accademico. A lui piacevano le schermaglie da bucanieri dell'esplorazione petrolifera, i soggiorni nei luoghi più inospitali della Terra e scoprire quello che nessun altro conosceva. Com'erano cambiate in fretta le cose, però. Un tempo era lui la stella indiscussa con la prospettiva di una carriera di successo davanti a sé, mentre Lauren era l'accademica coscienziosa destinata a svolgere la sua rispettabile professione nell'ombra, col naso affondato tra le pagine polverose di un libro. Ora il suo astro era in ascesa e, osservandola parare le domande con grazia e pazienza, Ross si rese conto che lei non aveva cognizione di quanto fosse grande la sua impresa. Lei confidava che la traduzione del Voynich le fruttasse una promozione all'interno della facoltà, ma per Ross era evidente che, una volta ultimato il lavoro, avrebbe potuto scegliere qualsiasi strada nel suo campo. Ebbe una fulminea visione di se stesso nei panni di casalingo, ad accudire il bambino, mentre la carriera di Lauren toccava l'apice. Si consolò col pensiero di tre settimane di vacanza con lei, le prime dopo anni. A cercarsi un altro lavoro ci avrebbe pensato al ritorno. Lauren gli sorrise e lo chiamò con un cenno, ma il prete che era stato seduto di fianco a Ross la impegnò in una conversazione. Nonostante la corporatura minuta, aveva una presenza imponente, al limite dell'arroganza. Ross lo tenne d'occhio mentre si presentava e, in mezzo al frastuono, lo sentì dire: «Le ho chiesto se conosceva il nome dell'autore perché ho visto documenti segreti del Vaticano che potrebbero rivelare la sua identità. Documenti che potrebbero aiutarla a risolvere la sezione astrologica finale». Lauren spalancò gli occhi. «Davvero?» «Le mostreremo tutto quanto, ma a una condizione.» «Quale condizione?» «Come certo capirà, il Vaticano dovrà esercitare un qualche controllo sulla pubblicazione, per arginare quello che potrebbe risultare oltraggioso per la Chiesa.» Lauren esibì il suo sorriso più garbato - e pericoloso - e Ross capì immediatamente che il prete se ne sarebbe andato a mani vuote. «Mi dispiace, ma devo declinare la sua offerta.» «Le parlo per conto della Compagnia di Gesù», replicò il prete, come se fosse impensabile che qualcuno potesse opporre un rifiuto. «È per il bene della Santa Madre Chiesa.» «Questo è da vedersi, padre, ma si tratta di un progetto molto personale e non credo in chi vuole mettere restrizioni, di qualsiasi tipo, al sapere accademico.»
Seguì un silenzio imbarazzante, dopo di che il prete mise una mano nella veste e le porse un biglietto da visita. «Mi vedo costretto a rispettare la sua decisione, dottoressa Kelly. Ma, se dovesse cambiare idea, la prego, non esiti a contattarmi.» Mentre prendeva il biglietto, Bob Knight s'insinuò nella conversazione. «Se le sembra che la dottoressa Kelly faccia troppo la preziosa, padre, non la prenda sul personale. Lauren difende a spada tratta la segretezza del suo lavoro, tenendo a casa gran parte del materiale. Sono il suo preside di facoltà e conosco a malapena i dettagli di quello che ci ha presentato stasera.» Knight prese gentilmente Lauren per un braccio e la condusse via. «Vogliate scusarci, vi ruberò la dottoressa Kelly solo per un attimo.» Mentre Knight accompagnava Lauren in fondo alla sala, al riparo da orecchie indiscrete, il prete li seguì con lo sguardo. Nonostante i capelli corvini striati di grigio e la pelle del viso liscia, salvo per le rughe di espressione tra le sopracciglia, era più vecchio di quanto non sembrasse a una prima occhiata. Si voltò all'improvviso e i suoi intensi occhi scuri incontrarono quelli di Ross. Quest'ultimo si accorse che, nonostante l'atteggiamento accomodante nei confronti di Lauren, l'uomo era furibondo, fremente di rabbia e frustrazione. Poi i suoi occhi si volsero altrove e quell'impressione sfumò. Quando Lauren fece ritorno, raggiante per l'emozione, Ross la cinse col braccio e la scortò verso l'uscita. «Congratulazioni. Hai dato a questa gente qualcosa di cui parlare. Il prete, però, sembrava alquanto infervorato.» Lauren fece una smorfia. «Ha detto che il Vaticano ha dei documenti che potrebbero interessarmi. Ma voleva mettermi la museruola, perciò ho rifiutato l'offerta.» «E Knight? Sembrava piuttosto su di giri.» «Hai ragione. Proprio su di giri...» Finalmente fuori, nella frescura della sera, Lauren guardò Ross e gli rivolse uno strano sorriso supplichevole. «Vuoi la buona o la cattiva notizia?» Ross non era mai andato matto per le cattive notizie. «La buona.» «Knight ha promesso di darmi tutto ciò che desidero. Diventerò professore ordinario e avrò un considerevole aumento di stipendio. Tutto quello che voglio.» «È magnifico.» «Vuole che traduca l'ultima sezione al più presto. Dice che sono in molti a interessarsi al progetto.» Ross s'incupì. Sapeva dove voleva andare a parare. «Ma stiamo per par-
tire per una vacanza di tre settimane.» Ancora quel sorriso implorante. «Lo so. Questa è la cattiva notizia.» 6 Roma, il giorno seguente In base ai loro poteri, si dice che la Chiesa cattolica abbia tre pontefici: il papa bianco, il vescovo di Roma; il papa rosso, il Grande Inquisitore, oggi noto come il cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede; e il papa nero, il capo dei gesuiti, il preposito generale della Compagnia di Gesù. Quella sera, il giorno dopo il seminario della dottoressa Lauren Kelly a Yale, tutto era tranquillo all'interno delle mura dello Stato Vaticano e persino il circostante traffico cittadino sembrava essersi ammutolito. Ciononostante, mentre il papa nero si addentrava nel labirinto di sale e corridoi adiacenti la Biblioteca Apostolica, la sua mente era frastornata dal rumore dei pensieri. Sull'ultimo volo dal JFK a Fiumicino, il padre generale Leonardo Torino non era riuscito a chiudere occhio, preso a riflettere sui risvolti del seminario. Per quanto esausto, si era precipitato disperatamente agli Archivi dell'Inquisizione a riconfrontare il documento originale con la fotocopia nella valigia, ma prima aveva dovuto fare rapporto alla sua confraternita della visita alla Compagnia di Gesù della provincia di New York e della conferenza all'Università di Fordham. In seguito aveva dovuto assistere a interminabili incontri con la Curia, che stava discutendo la proposta di costituire un secondo Stato Vaticano nei Paesi in via di sviluppo. Infine aveva aggiornato il Santo Padre sull'opera dell'Istituto dei miracoli, il cui nome si stava dimostrando quanto di più sbagliato, visto che la sua occupazione principale era dimostrare la totale assenza dell'intervento divino nel mondo moderno. Torino aveva semplicemente convinto il nuovo pontefice a ridare lustro all'antico Istituto dei miracoli, perché l'ultimo papa ne aveva screditato il valore, approvando più miracoli e canonizzando più santi in tutta la storia della Chiesa. Quale ordine più diffuso e intellettualmente rigoroso della Santa Romana Chiesa, quello gesuita era l'unico qualificato a convalidare i miracoli, sia per la causa della canonizzazione dei santi sia per rivelare al mondo la prova incontrovertibile dell'intervento divino. Dalla sua reintegrazione, tuttavia, l'Istituto non aveva riconosciuto un solo miracolo. Anzi
Torino era stato direttamente responsabile della revoca di almeno sei miracoli approvati in precedenza. Ma tutto ciò sarebbe cambiato se quanto aveva sentito a Yale era autentico. Quando raggiunse il secretum secretorum, l'archivio dei documenti ecclesiastici più delicati, il sovrintendente stava chiudendo la porta per la notte. «Aspetti», ordinò Torino. «Devo entrare.» Senza sollevare la testa, il vecchio continuò a girare la grossa chiave nella serratura. «È tardi. Non può tornare domani?» Alzò lo sguardo, riconobbe l'abito scuro di Torino e sul suo volto baluginò una scintilla di terrore. «Padre generale, perdonatemi. Non mi ero accorto che eravate voi.» Torino entrò a grandi passi nel dedalo di sale polverose e poco accoglienti e si diresse verso quella in fondo. Da quando il Vaticano aveva aperto le porte degli Archivi dell'Inquisizione nel 1998, gran parte degli studiosi si era concentrata sui processi più celebri, in particolare su quello a Galileo Galilei. A ogni modo, l'oscuro caso che Torino stava studiando si era rivelato potenzialmente altrettanto controverso. A distanza di un anno dalla reintegrazione dell'Istituto dei miracoli, Torino aveva perduto la speranza di trovare un vero miracolo. In un'epoca in cui i media la facevano da padrone, chi inoltrava un'istanza non aveva nulla da perdere e tutto da guadagnare falsificando le prove. Così aveva dato istruzioni agli esperti incaricati di gestire l'Istituto di guardare al passato, negli Archivi dell'Inquisizione, e individuare coloro che avevano affrontato la tortura e la morte per proclamare i propri miracoli. Uno dei casi rinvenuti aveva colpito l'immaginazione di Torino: la testimonianza e la sentenza di padre Orlando Falcon, un fratello gesuita che non solo aveva compiuto un miracolo, ma aveva scoperto un luogo meraviglioso e terribile colmo di prodigi. Dopo aver deciso di indagare personalmente sul caso, Torino ne era rimasto ossessionato. Il fascicolo era riposto in un angolo. Fino ad alcuni mesi prima, quando i suoi ricercatori l'avevano trovato e fotocopiato, erano probabilmente secoli che nessuno leggeva quel documento. Ignorando il sovrintendente che lo vigilava e il grande cartello che proibiva di rimuovere i documenti originali dall'archivio, il Preposito generale mise quel manoscritto vecchio di quattro secoli e mezzo nella valigetta, uscì dalla sala e si recò nelle sue stanze presso la Curia generalizia, il quartier generale internazionale della Compagnia di Gesù.
7 L'alto soffitto, l'arredamento di antiquariato e i tappeti orientali conferivano alla residenza ufficiale del Preposito generale gesuita un fasto sbiadito. Sfinito, Torino congedò i servitori, si ritirò in camera e spalancò le finestre. Sul comodino c'erano due fotografie incorniciate. La prima gli ricordava le sue origini: Torino da piccolo a fianco di un ragazzino più grande all'orfanotrofio gesuita di Napoli. La seconda dov'era arrivato: Torino, non ancora cinquantenne, nella tonaca nera del suo ordine, vicino al Santo Padre in persona. Sopra il letto era appeso un crocifisso e di fianco alla scrivania c'erano due diplomi con la cornice dorata: una laurea in medicina all'Università di Milano e un dottorato in teologia. Dopo aver poggiato il computer sul letto e svuotato la valigetta, le carte, i libri e il documento dell'Inquisizione formavano un solitario mucchio caotico in quella camera ordinata fino all'eccesso. Mentre si versava un bicchiere d'acqua fresca dalla brocca sul tavolo, Torino si accorse che gli tremavano le mani. Si sedette alla scrivania e aprì l'antico documento, assediato d'un tratto dal timore irrazionale che il testo originale differisse in qualche modo dalle fotocopie che aveva letto. Non c'era niente di diverso. Voltando la pergamena ingiallita, il testo latino sembrò salutarlo come un vecchio amico. Nel giorno giovedì 8 del mese di luglio 1560 al cospetto di Sua Eminenza il Grande Inquisitore, il cardinale prefetto Michele Ghislieri, si presentò padre Orlando Falcon, un gesuita accusato di eresia convocato dalla Santa Inquisizione. Gli fu chiesto: «Padre Orlando, qual era la missione di quei mille conquistadores?» «Occupare nuove terre, Vostra Eminenza, e scoprire Eldorado per re Carlo di Spagna.» «E il vostro apostolato nell'accompagnarli?» «Salvare le anime dei conquistati e rivendicare una parte dell'oro per la Santa Madre Chiesa.» «Ma non fu trovata nessuna città dell'oro, non è vero? Trovaste qualcos'altro?»
«Sì, Vostra Eminenza.» «Raccontatemi di nuovo cosa avevate scoperto, così che possiamo verbalizzarlo...» La trepidazione di Torino aumentò nel leggere di nuovo la descrizione di Falcon della scoperta di un giardino magico, dei miracoli e delle creature che vi aveva incontrato. Quando Torino giunse al macabro finale in cui i conquistadores sopravvissuti incorrevano in una morte terribile e solo il religioso rimaneva in vita per raccontare l'accaduto, riuscì a malapena a contenersi. La storia di un prete che accompagna un plotone di soldati alla ricerca di Eldorado, per poi scoprire qualcosa di ancor più fantastico e pericoloso, era praticamente identica alla sinossi del Voynich a opera di Lauren Kelly. L'unica differenza significativa era che la deposizione di Falcon agli inquisitori conteneva un riferimento ulteriore a qualcosa che aveva definito radix, che in latino significava «radice» o «fonte». Per quanto nebuloso riguardo alla radix, Falcon la considerava persino più potente del giardino miracoloso. Magari compare nella traduzione letterale del Voynich di Lauren Kelly, o nella sezione non ancora tradotta, ipotizzò Torino. Diede una scorsa alla parte conclusiva del documento: Dopo che padre Orlando ebbe descritto l'esatta natura della sua scoperta, gli fu chiesto: «Perché perseverate nella vostra eresia? Un Eden miracoloso come quello non può esistere nel Nuovo Mondo tra infedeli e selvaggi. Dovete essere in errore, bugiardo o posseduto». Padre Orlando replicò: «Sto dicendo la verità. Desidero solo rivendicarlo per la Santa Madre Chiesa». «Voi siete un prete rispettato, uno dei favoriti del fondatore del vostro ordine, Ignazio di Loyola. Dovete rendervi conto che la vostra eresia è una minaccia per la Chiesa.» «Come può la verità minacciare la Santa Madre Chiesa?» «Se insistete, non mi rimane che esprimere il rammarico per il fatto che Satana esiga un uomo di tale valore. Eppure giuro di fare tutto ciò che è in mio potere per reclamare la vostra anima.» Sua Eminenza ordinò ai sacerdoti di presentare una confessione scritta all'eretico e disse: «Abiurate, padre Orlando. Sconfessate le vostre dichiarazioni. Firmate la confessione». L'eretico si rifiutò e fu condotto nelle segrete dove gli vennero bruciati i
piedi sui carboni ardenti. Non abiurò. Fu lasciato alle cure di una suora incaricata di lenire le sue ferite e incoraggiarlo a scegliere il cammino della rettitudine. Il mattino seguente la suora riferì che i piedi dell'eretico erano guariti come per miracolo. Sua Eminenza chiese all'eretico: «Come spiegate questo maleficio?» L'uomo rispose: «È la prova che le mie affermazioni sono vere». «Questo prova soltanto che Satana ha preso possesso del vostro corpo e della vostra anima.» Padre Orlando fu ricondotto nella cella dove gli furono messi ai piedi due stivali di legno che vennero stretti finché non gli spappolarono le ossa. Anche allora non abiurò. Il mattino successivo la suora riferì che i piedi dell'eretico non erano guariti e che le ossa di padre Orlando erano ancora spezzate. La stregoneria era finita. Dopo aver esaminato il prete, Sua Eminenza concluse che il demonio era stato esorcizzato. All'eretico fu presentata di nuovo la confessione e Sua Eminenza gli chiese: «Ora, padre Orlando, volete firmare questa confessione e abiurare la vostra eresia?» Padre Orlando rifiutò di nuovo e rimase in prigione per molti mesi. In seguito nella sua cella fu ritrovato un manoscritto, redatto nella lingua di Satana, che conteneva immagini di un Eden perverso. L'eretico fu condannato a morte. Perfino sul punto di essere giustiziato, si rifiutò di abiurare. Fu ordinato di bruciare il Libro di Satana... Torino lesse di nuovo le ultime righe: Nella sua cella fu ritrovato un manoscritto, redatto nella lingua di Satana, che conteneva immagini di un Eden perverso. Le attuali autorità ecclesiastiche avevano dimenticato da tempo il volume proibito di Falcon, ma meno di un secolo prima la Curia aveva espresso il sospetto che si trattasse del documento noto al mondo come il manoscritto Voynich. Il giorno precedente, a New York, era entrato di soppiatto nella Beinecke Library per vedere il tomo originale e ascoltare il discorso di Lauren Kelly. La pubblicità e il titolo della conferenza La varia ricerca di Eldorado? - erano bastati a stuzzicare il suo interesse e, dopo averla ascoltata, a convincerlo che il Libro di Satana di Falcon fosse in effetti il Voynich. Allungando la mano per prendere gli appunti, riuscì ancora a sentire il sapore amaro della frustrazione del momento in cui la dottoressa Lauren Kelly si era rifiutata di collaborare al completamento della traduzione. A quanto pareva, la dottoressa stava per partire per una vacanza di tre setti-
mane e intendeva finire il lavoro in seguito, da sola. Accese il portatile. Internet era infestata da individui e comunità ossessionati dal desiderio di dipanare i misteri del manoscritto. Lanciando su Google la parola Voynich, si aprivano migliaia di siti, forum e chat dedicati al documento misterioso. Gran parte dei quali ospitata da pazzoidi, investigatori improvvisati, scrittori e ricercatori che esprimevano teorie personali sul manoscritto. Quando sullo schermo apparve la pagina principale della Beinecke, cliccò su Sinossi, affiancò il documento degli Archivi allo schermo e confrontò di nuovo la storia dei due scritti. I paralleli erano stupefacenti. A onta della sezione astrologica non ancora decifrata, la traduzione era un trionfo. Sebbene ci fossero stati dei giornalisti alla Beinecke, si era stupito e si era sentito sollevato per il fatto che la dottoressa avesse scelto di rivelare la sua scoperta nel corso di un dimesso congresso inaugurale di linguistica, piuttosto che dare fiato alle trombe in una conferenza stampa vera e propria. Poi gli tornò in mente che Lauren Kelly non aveva ancora dimostrato i suoi risultati. In senso accademico, finché non avesse portato a compimento la traduzione e pubblicato le sue scoperte, il tutto sarebbe rimasto solo una teoria, una tra tante. Eppure Torino non nutriva dubbi sul fatto che quella traduzione fosse corretta. Comprensibilmente, la dottoressa Kelly presumeva che quella storia inverosimile fosse un'allegoria. Ma le autorità ecclesiastiche un tempo avevano guardato a quel Libro di Satana con estrema preoccupazione. Lo avevano considerato nientemeno che un tentativo blasfemo di riscrivere il libro della Genesi e una minaccia per tutto ciò che esso rappresentava. Il loro responso inesorabile non era servito a provare nulla, ma aveva sollevato un quesito: perché padre Orlando Falcon aveva non solo creato l'elaborato volume, ma anche affrontato la tortura e una morte orribile piuttosto che rinnegare la propria storia, se era solo frutto della sua fantasia? Che il suo giardino miracoloso esistesse davvero? Torino si alzò, stirò i muscoli indolenziti e zoppicò fino alla finestra aperta. Il claudicamento era un retaggio dell'orfanotrofio. Mingherlino di costituzione, coscienzioso e intelligente, era sempre stato il preferito dei sacerdoti e un bersaglio facile per gli altri ragazzi. In seguito a un pestaggio particolarmente violento aveva riportato un'ernia del disco nella zona sacrale che era andata a schiacciare il nervo sciatico. Sebbene il dolore fosse cessato, il nervo era stato danneggiato in modo permanente, privandolo della capacità di sollevare il piede destro. Mentre respirava a pieni polmoni l'aria della sera e guardava oltre la ma-
gnifica basilica di San Pietro, si convinse che Dio gli avesse affidato il compito di risolvere l'enigma del prodigioso giardino di Falcon. Ripensò alla dottoressa Lauren Kelly e s'incupì. Non accettando di collaborare, aveva dimostrato di non essere un'amica della Chiesa. Un pensiero fulmineo lo fece rabbrividire, come se l'aria mite si fosse improvvisamente raggelata: E se avesse già decifrato l'ultima sezione e se questa non solo spiegasse la misteriosa radix, ma fosse anche una mappa? E se avesse programmato di pubblicare l'intera traduzione e dimostrare l'esistenza del giardino di Falcon rivelandone l'esatta posizione? Quel pensiero suscitò in lui un repentino attacco di panico. Le ripercussioni sulla Santa Madre Chiesa, alla quale doveva tutto, erano inimmaginabili. Altro che Galileo. Altro che Darwin. Se quel giardino esisteva, avrebbe potuto conferire poteri supremi alla sua beneamata Chiesa, o distruggerla in un istante, a seconda di chi ne avesse avuto il controllo. Prese in considerazione l'eventualità di confidare i propri timori al Santo Padre, o al cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ma erano entrambi uomini anziani privi di immaginazione. Avrebbero deriso la sua teoria, o non l'avrebbero capita; in un modo o nell'altro, non avrebbero mosso un dito. Il pontefice, oltre al progetto di fondare un secondo Stato Vaticano nell'emisfero meridionale, non stava facendo grandi passi avanti per promuovere e proteggere l'autorevolezza della Chiesa da un declino inesorabile. Avrebbe avuto bisogno di prove prima di chiamarli in causa. Doveva mettersi al corrente di quello che sapeva Lauren Kelly e di quali fossero le sue intenzioni. Ma come poteva affrontarla di nuovo senza mettere le carte in tavola e destare la sua inopportuna curiosità? Mentre tornava zoppicando alla scrivania, il suo sguardo fu attratto dalla foto da bambino a fianco di un ragazzino più grande all'orfanotrofio gesuita di Napoli. Controllò l'ora. Il fuso orario giocava a suo favore. Frugò tra le carte finché non trovò un biglietto da visita anonimo con un numero telefonico. Esitò un attimo, guardando quel numero, consapevole di essere sul punto di passare ogni limite. Poi si ricordò che erano tempi bui e che, per servire e proteggere la Chiesa di Dio, doveva ricorrere a qualsiasi espediente. In verità, forse era stato proprio il Signore a metterlo di fronte a un'opportunità così poco ortodossa. Alzò la cornetta sul comodino e digitò il numero. Al terzo squillo rispose una voce. «Sì?» Fissò il ragazzino più grande nella foto. «Marco, sono io.» «Leo, grazie a Dio. Ti aspettavo.»
«Ascolta.» Lo sguardo di Torino si spostò sui documenti sul letto. «Hai finito con la cura?» «Certo.» «Desideri ancora l'assoluzione?» Un brusco sospiro. «Sì.» «Sei pronto a scontare qualsiasi penitenza per la Chiesa?» «Qualsiasi.» «Bene.» Torino annuì lentamente, ripetendosi ancora che quella fosse la giusta linea d'azione. «Allora penso sia giunto il momento che La mano sinistra del diavolo diventi la mano destra di Dio.» 8 Sei giorni dopo Ross Kelly si sentiva esausto dopo il viaggio in auto ed era quasi mezzanotte quando parcheggiò la Mercedes nel vialetto di casa, a Darien. Trascorrere il weekend nel Vermont era stato un'idea di Lauren, un piccolo diversivo per aver rimandato la vacanza e un modo per festeggiare sia la gravidanza sia la traduzione del Voynich. Ross era stato molto bene con lei, ma avendo soprattutto bisogno di staccare la spina, specialmente dopo il licenziamento dalla Xplore, il weekend gli era sembrato più che altro una soluzione di ripiego dell'ultimo momento rispetto alle tre settimane in Estremo Oriente. Mentre la Mercedes rallentava, Lauren si sporse verso di lui e lo baciò sulla guancia. «Grazie, mi sono divertita un sacco.» «Anch'io. Sarebbe potuta durare di più, però.» Le lanciò un sorriso ironico. «Diciamo tre settimane.» Lauren scoppiò a ridere e scosse il capo. «Piantala di farmi sentire in colpa. Lo so che ci sei rimasto male per la vacanza, ma l'assicurazione ha coperto le spese. Non abbiamo perso un centesimo.» «Lo sai che non è una questione di soldi», protestò prontamente Ross. «È solo che l'avevamo programmata mesi fa. E non andiamo in vacanza insieme da anni.» Lauren sollevò un sopracciglio. «Perché tu sei sempre stato troppo impegnato col tuo lavoro.» «Touché.» L'ironia della sorte aveva voluto che, quando lui era stato libero, Lauren avesse sempre avuto qualche scadenza da rispettare. «Ma la-
vori al manoscritto da più di sette anni. Che differenza possono fare tre settimane in più o in meno?» «La differenza abissale tra essere la prima a completare la traduzione e buttare via quei sette anni di lavoro perché qualcun altro ci riesce prima di me. Ci sono vicina, ma l'ultima sezione non è come le altre. È diversa, più difficile.» Mentre Ross parcheggiava, Lauren gli posò la mano sulla sua. «Facciamo un patto. Tra due mesi sarò ancora in grado di prendere l'aereo. A quel punto partiremo per la vacanza, che abbia o no decifrato il manoscritto. D'accordo?» Lui le sorrise per un attimo, pensando a quanto l'amava. «Ci sto. Ma per allora potrei essere impegnato fino al collo con un nuovo lavoro.» «Per me va bene.» Si portò la sua mano sulla pancia. «Presto avremo un'altra bocca da sfamare.» Ross rise, sollevò i borsoni da viaggio dal sedile posteriore e uscì dall'auto. Dopo aver aperto la porta, accese le luci e seguì Lauren nell'ingresso. «Mi dispiace di aver fatto storie. Magari è perché mi sento...» Ma Lauren non stava più ascoltando. Il suo sguardo era diretto al pianerottolo di sopra. «Hai sentito?» «Cosa?» Si trovò a sussurrare anche lui. Poggiò i borsoni sul lucido parquet di cedro. «Dove?» «Nel mio studio, al piano di sopra. Penso di aver sentito dei rumori.» Ross non aveva sentito niente. Salì silenziosamente i gradini. Lauren gli andò dietro e gli posò una mano sul braccio. «Perché non chiamiamo la polizia?» «Perché potrebbe essere una sciocchezza. Aspetta qui. Vado a controllare.» Oltrepassò il pianerottolo fino alla prima porta sulla sinistra: la stanza più piccola. La casa aveva cinque camere da letto e uno studio che Ross usava per lavoro. Lauren aveva scelto come ufficio la più piccola delle camere. Si fermò davanti alla porta chiusa e ascoltò per un attimo, ma non udì niente. Tirò un respiro di sollievo, si voltò verso Lauren e scosse la testa. «Fa' attenzione», gli disse lei muovendo solo le labbra. Si scambiarono un sorriso. Lui girò il pomello e aprì la porta verso l'interno. Intuì all'istante che qualcosa non andava. Sentì Lauren sussurrare: «Non entrare, Ross. Io chiudo sempre la porta a chiave. Dev'essere entrato qualcuno». Poi il mondo esplose.
Una forza irruente gli fece sbattere la porta in pieno viso, spingendolo indietro sul pianerottolo e facendogli urtare la testa contro la ringhiera. Un rivolo di sangue caldo gli oscurò la vista e attraverso la cortina rossa vide una figura in passamontagna che lo sovrastava. Un individuo più debole sarebbe stato messo al tappeto, invece Ross si rimise in piedi, si voltò verso la moglie, paralizzata in cima alle scale, e le gridò con tutto il fiato in gola: «Scappa, Lauren. Scappa!» L'intruso gli sferrò un calcio col tallone, colpendolo alla tempia e ristendendolo a terra. Lauren corse, ma, piombando in uno stato d'incoscienza, Ross si rese conto che la moglie, incinta, non stava fuggendo. Stava correndo verso di lui, lo sguardo ardente di ansia protettiva e rabbia allo stato puro. «Lascialo stare! Lascia stare mio marito!» La figura scavalcò Ross e si precipitò giù per le scale. Lauren gli bloccava la strada. Ross allungò una mano e afferrò l'intruso, riuscendo soltanto a trattenerlo debolmente per una gamba dei pantaloni e scoprendogli una cicatrice profonda sopra la caviglia destra. Gridò a Lauren di togliersi di mezzo, ma dalla sua bocca non uscì nessun suono. Assistette inerme mentre l'uomo si lanciava in avanti, scaraventando la donna contro la balaustra con una violenza tale da spezzare il corrimano e far cadere Lauren, tra urla di orrore, sul duro parquet dell'ingresso sottostante. Si udirono un tonfo e uno schiocco ripugnante. Poi silenzio. L'ultimo suono che Ross sentì prima che le tenebre misericordiosamente lo avvolgessero fu lo scatto della porta d'ingresso che si chiudeva alle spalle dell'intruso in fuga. 9 Uganda, Africa A migliaia di chilometri di distanza, in una piccola cittadina sulle rive del lago Vittoria, il Jambo Internet Café rappresentava un angolo tecnologico all'avanguardia, il suo interno rinfrescato dall'aria condizionata un rifugio dal caldo asfissiante. Tra la giovane clientela del luogo ed escursionisti abbronzati che sorseggiavano caffè e battevano sulle tastiere dei terminali, saltava all'occhio un'anziana dal viso pallido. Bevendo un caffè macchiato dolce, suor Chantal scrutò lo schermo del computer, sbattendo a malapena le palpebre. Per mesi, armata di bastone da passeggio, si era incamminata verso la città dall'ospedale umanitario sulla collina, aveva ordinato un caffè mac-
chiato e una brioche e si era seduta a uno dei computer. Ogni volta, le sue fragili dita avevano digitato la stessa parola chiave in tutti i maggiori motori di ricerca per perlustrare la rete telematica. E, puntualmente, non aveva scoperto niente di nuovo. Dopo aver consumato la brioche e la bevanda, se ne tornava all'ospedale e si diceva che il mese successivo le cose sarebbero cambiate. Il mese successivo sarebbe stata sollevata del suo fardello. Viveva all'ospedale da dodici anni e le piaceva lavorare lì, ma era consapevole che presto sarebbe arrivato il momento di partire. Non soltanto perché la madre superiora e le autorità ecclesiastiche avrebbero finito per porre troppe domande, com'era successo in ogni altro ospedale in cui aveva lavorato, ma soprattutto perché le sue preziose provviste cominciavano a scarseggiare e, per portare avanti la sua veglia solitaria, doveva fare rifornimento. Era difficile da credere, ma il suo tempo stava per scadere. Un moto di autocommiserazione penetrò la serenità della sua autodisciplina, ma suor Chantal scacciò quel pensiero dalla mente con fare colpevole e si concentrò sullo schermo del computer. Per prima cosa, diede una scorsa ai siti di informazione: BBC, CNN e altri. Come al solito, le notizie non erano delle migliori. Un articolo sul nuovo oleodotto della Alascon Oil era particolarmente allarmante. Quando ebbe letto a sufficienza, aprì la pagina di Google e inserì la parola chiave. Scorse velocemente le prime quattro pagine, liquidando ciascun risultato con un sospiro stanco. Poi qualcosa attirò la sua attenzione. Si soffermò, la tazza in mano, mantenendo la calma: aveva già trovato elementi incoraggianti, rivelatisi tutti un buco nell'acqua. Cliccò sul link e perlustrò il sito. Inconsapevolmente, poggiò il caffè sulla scrivania, ancora intatto. Nel corso della lettura, il cuore prese a batterle forte e le iniziarono a sudare le mani. Si portò le dita al soggolo per allentarlo, sentendosi d'un tratto mancare l'aria. Lottando per tenere a freno l'emozione crescente, visitò altri due siti, ricavando altre informazioni circostanziali, poi mandò in stampa le pagine più pertinenti. Dopo di che eseguì l'accesso protetto nel sito della Banque Genève e inserì password e numero di conto. Diede appena un'occhiata al cospicuo saldo. Il denaro era il mezzo per un fine. Niente di più. Acquistò un biglietto aereo e trasferì i fondi alla banca più vicina, a Jinja. Infine si alzò, pagò per le pagine stampate e si precipitò fuori, lasciando il caffè a freddare sul tavolo. Quando rientrò, nell'ospedale regnava il silenzio. Gran parte delle monache era nella cappella o fuori, nell'orticello di fertile terra rossa, a occupar-
si del raccolto abbondante. Andò dritta nella sua stanzetta spartana e dispose tutti i suoi averi in una valigia minuscola. Prima di chiuderla recuperò un vecchio scrigno di legno non più grande di una scatola da scarpe e ne aprì il lucchetto. All'interno c'era una seconda scatola intarsiata ancor più piccola. Sollevò il coperchio per esaminarne il contenuto. La sacca, chiusa da una stringa di cuoio, era quasi vuota. Si sentì travolgere da un'ondata di sollievo e di euforia. Un tempo era stata piena fino all'orlo, ma ormai non aveva importanza se le scorte fossero finite. L'attesa era giunta al termine. Un esitante colpetto alla porta la fece voltare di scatto e chiudere d'istinto la scatola. Due bambini magri da far paura stavano sulla soglia. «Cosa fa, sorella?» Suor Chantal rivolse ai due un sorriso. «Jambo, Samuel. Jambo, Joshua.» Samuel e Joshua Jarimogi erano gemelli, entrambi malati di AIDS. La madre era morta sei mesi prima, dopo una lunga agonia, e secondo il parere dei dottori era inevitabile che i bambini facessero presto la stessa fine. Suor Chantal cercava di non affezionarsi troppo ai pazienti. Nel corso di tanti anni ne aveva visti morire troppi. Ma Samuel e Joshua avevano un posto speciale nel suo cuore. «Giochiamo insieme?» chiese Samuel. Suor Chantal gettò uno sguardo alla valigia, poi alla scatola. Avrebbe dovuto partire, prima che la madre superiora o una delle altre sorelle si fosse opposta, ma la sua veglia era quasi al termine e l'euforia la spinse a fare qualcosa di incauto: un piccolo atto di ribellione dopo un'esistenza votata alla disciplina, all'obbedienza, alla pazienza e all'abnegazione. «Sì, d'accordo. Giochiamo al tè.» Prese la scatola intagliata e condusse i bambini nella cucina deserta. Mise il bollitore sul fuoco e disse loro di prendere due tazze col piattino. Aprì la sacca di pelle e ne svuotò il contenuto nella scatola, serbando il minimo indispensabile per l'ultima missione, consapevole del fatto che le forze la stavano abbandonando e che avrebbe dovuto risparmiarle per portare a termine la veglia e passare il fardello a qualcun altro. Ma ne aveva visti morire così tanti. Che male c'era ormai? Preparò il contenuto e inclinò la scatola in modo da raccoglierlo tutto in un angolo, ne versò con cautela metà in una tazza e metà nell'altra. Poi vi rovesciò l'acqua bollente. Quando lei posò di nuovo la scatola, Samuel allungò una mano per afferrarla, stregato dagli insoliti intarsi nel legno. «Posso tenerla?» Il primo istinto di suor Chantal fu quello di riprendersela, ma, quando si rese conto di non averne più bisogno, mise in tasca la sacca e annuì. «Cer-
to, Sam, potete dividervi la scatola. Ma è molto antica e preziosa, perciò custoditela con cura.» Aggiunse del latte condensato nelle tazze e aspettò che il liquido si raffreddasse. «Ora, bambini, fate i bravi e bevete il tè.» 10 Roma, tre giorni dopo Respirando la fragranza benefica dei pini, Marco Bazin guardò in basso, in direzione della basilica di San Pietro che si ergeva sulla foschia mattutina della città eterna. L'Aventino all'alba era deserto e per un momento Bazin indugiò nell'illusione di essere solo al mondo. In lontananza apparve un uomo di cui riconobbe all'istante il passo. Mentre si approntava al faccia a faccia, considerò l'ironia di quanto era successo. In tutti i suoi anni da assassino, La mano sinistra del diavolo non aveva mai sbagliato un colpo. E tre giorni prima, l'unica volta in cui gli era stato ordinato di non far del male a nessuno, aveva fallito. La zoppia dell'uomo adesso era ben visibile, come pure il suo abito nero. Bazin tornò con la mente alla notte in cui il prete gli aveva fatto visita al rifugio alpino. Nel rievocare le emozioni discordanti di quella sera, la mente lo riportò ancora più indietro: alla sua infanzia e al torrido cortile polveroso dell'orfanotrofio gesuita di Napoli. Laggiù non c'era profumo di pini, solo il miasma delle fogne, del sudore, della paura. Fratellastri, nati dalla stessa prostituta, lui e Leo allora erano l'uno il solo amico dell'altro. Gli opposti vincolati da un comune bisogno di appartenere a qualcuno, e di sopravvivere. Il fratellastro maggiore, più minuto e intelligente, lo aveva aiutato con lo studio, mentre lui lo aveva protetto quando gli altri ragazzi lo avevano preso di mira per la sua gracilità e il suo acume. Poi avevano lasciato l'orfanotrofio e tutto era cambiato. I gesuiti avevano sempre stimato l'intelligenza di Leo e lo avevano incoraggiato a prendere i voti per proseguire gli studi. La Chiesa era diventata la sua salvezza. Bazin, invece, aveva sempre odiato quei preti che non avevano mai avuto tempo per le sue maniere un po' rozze. Così aveva voltato le spalle alla Chiesa e si era unito alla camorra. Col passare degli anni i due fratelli avevano imboccato strade sempre più diverse: il primo era diventato un potente clericale dedito alla salvezza delle anime, il secondo un temuto assassino pagato per mietere vittime. Quando però Bazin aveva scoperto che stava per morire, aveva chiamato
l'unica persona che riteneva in grado di redimerlo. Con sua sorpresa, gratitudine e vergogna, Leo aveva risposto all'appello e aveva offerto a Bazin un modo per assolversi dai peccati. Ma ora, nel guardare il padre generale Leonardo Torino avvicinarsi nella bruma del primo mattino, Bazin sapeva di aver tradito le sue aspettative. Riusciva a scorgere la rabbia e il disprezzo negli occhi del fratellastro. Torino non gli sorrise né lo salutò, diede solo un colpetto sull'orologio. «Facciamola breve, Marco. Sono un uomo impegnato e non voglio che qualcuno mi venga a cercare. Cos'è capitato in America? Pensavo che te la cavassi bene in queste cose. Il piano era di entrare, reperire le informazioni e fuggire. Non di compromettere il lavoro della dottoressa Kelly, nell'eventualità che non l'avesse finito. Di sicuro non ti avevo detto di far del male a qualcuno e di coinvolgere la polizia. Volevo solo sapere cos'avesse scoperto.» Bazin non riusciva a sostenere il suo sguardo. «Mi avevi detto che sarebbero stati fuori per tre settimane, Leo.» «Non chiamarmi Leo. Devi rivolgerti a me come 'padre generale'.» Seguì una pausa di silenzio. «Avrebbero dovuto essere in vacanza. Il punto è che tu eri tenuto a usare discrezione.» «L'ho fatto, padre generale. Mi sono coperto il viso e non ho lasciato tracce. La polizia supporrà che sia fuggito senza portar via molto. Se fossero stati fuori come lei aveva detto, nessuno si sarebbe accorto che ero stato lì. Ma ho dovuto usare la forza per scappare, o non avrebbe avuto ciò che voleva. Alla fine ho preso anche degli oggetti di valore per farlo sembrare un semplice furto.» Torino non fiatò per alcuni istanti, continuando a squadrare con occhio bieco Bazin, che teneva lo sguardo fisso nel vuoto. «Mi hai deluso, Marco. Il tuo cammino verso l'assoluzione è cominciato col piede sbagliato.» Si riempì i polmoni della fragrante aria mattutina. «Ma non è ancora tutto perduto. Se hai quello che ti ho chiesto, Marco.» Bazin frugò nella tasca della giacca ed estrasse un hard disk portatile LaCie. «Prima di essere interrotto, ho scaricato gran parte delle cartelle importanti che mi aveva detto di cercare.» Passò la scatoletta a Torino. «Ma non tutte.» Torino posò lo sguardo sull'hard disk nelle sue mani e poi lo alzò verso Bazin. «Sarà meglio che ci sia quello che ti ho chiesto. Ti contatterò quando avrò bisogno di te.» Nascose la scatoletta nella veste, si voltò di scatto e si allontanò: l'incontro era finito.
Bazin ripensò ai corpi accasciati di Ross e Lauren Kelly e a quello che aveva fatto per impossessarsi di ciò che Torino desiderava. «È sicuro che sia questo che la Chiesa vuole, padre generale?» gli gridò dietro. «È sicuro che sia il modo giusto per ottenere il perdono?» Torino si fermò e Bazin vide la tensione nelle sue spalle. «Come osi mettere in dubbio le mie parole? Se avrò bisogno di una consulenza su come uccidere qualcuno, verrò da te. Ma sono io a giudicare quali sono i desideri e le necessità della Chiesa.» Torino socchiuse gli occhi infossati e si avvicinò a Bazin, tanto che quest'ultimo riuscì a sentire l'odore di aglio e menta del suo alito. «Mi hai supplicato di aiutarti. Ricordi?» Prima che potesse rispondere, Torino afferrò Bazin per le palle, stringendo il suo morbido scroto attraverso i pantaloni. «Che cosa...» Bazin fece per tirargli via il polso. Sapeva di poter uccidere Torino con un sol colpo, ma gli occhi scuri del fratellastro lo tenevano paralizzato. «Ascoltami, Marco. Sei stato tu a chiedere il mio aiuto. Non dimenticarlo mai.» Serrò la stretta. «Sai perché Dio ha lasciato che i chirurghi ti tagliassero una delle tue palle? Perché rappresentano la tua doppia vita: quella che vivi adesso e quella dopo la morte. Dio si è preso la prima per colpa dei tuoi peccati passati e, se vuoi tenerti la seconda, quella che rappresenta il tuo futuro eterno, devi seguire Lui e la Sua Chiesa. Dio ti tiene per le palle, Marco. Hai detto che volevi l'assoluzione. La domanda è: quanto la vuoi?» «Gliel'ho detto. La voglio. Ne ho bisogno.» «Nel medioevo, in Inghilterra, quando un uomo era chiamato a deporre in tribunale, non metteva la mano sulla Bibbia. Si teneva i testicoli. La parola 'testimonianza' deriva da quella pratica. E siccome sto tenendo in mano l'ultimo che ti resta, Marco, sappi che hai giurato davanti a Dio. Stiamo combattendo una crociata, la Chiesa sta lottando per la propria sopravvivenza e Dio ti chiede di aiutare uno dei suoi ministri a fare tutto ciò che è necessario.» Rimase in silenzio, lasciando che le parole attecchissero. «Tu non lavori più per la camorra. Non sei più La mano sinistra del diavolo, un vile assassino che uccide per soldi, ma un crociato, un guerriero santo, la mano destra di Dio che brandisce una spada purificatrice contro i nemici mortali del Vaticano. Da questo giorno in poi qualsiasi cosa ti dica di fare nel Suo nome è consacrata, pura, giusta. Capisci?» «Sì.» A dispetto del dolore - o proprio per quello - Bazin si sentì rincuorato. Alla fine aveva trovato uno scopo e vi si sarebbe dedicato, anima e
corpo. Torino gli stava mostrando il cammino incondizionato che conduceva alla redenzione e che avrebbe seguito sino in fondo. Comunque fosse finita. Come per telepatia, il Preposito generale mollò la presa. «Sei pronto a fare tutto quello che è necessario per la Chiesa, per quanto rischioso? E offrirai il tuo aiuto senza fare domande?» «Sì.» «Se ne parlerai con qualcuno, la Chiesa sconfesserà tutto. Io sconfesserò tutto. Hai capito?» «Voglio solo l'assoluzione, padre generale.» «Devi guadagnartela, Marco. Devi guadagnartela.» 11 Una volta tornato ai suoi alloggi, Torino collegò l'hard disk al portatile. Mentre ne esaminava il contenuto, provò una punta di rimorso per Lauren Kelly e suo marito. D'altra parte le aveva offerto la possibilità di collaborare e lei l'aveva rifiutata. Sebbene non avesse voluto in nessun modo che Bazin facesse loro del male, entrare in possesso delle informazioni di cui disponeva la linguista era di vitale importanza. In modo quasi perverso, quello che era successo poteva persino volgere a favore della Chiesa. Con la dottoressa ridotta al silenzio, sarebbe stato più semplice proteggere la scoperta di cui si parlava nel Voynich, ammesso che avesse finito di tradurlo. La sua preoccupazione maggiore erano il Santo Padre e il resto della Curia. Finché non avesse prodotto delle prove, non avrebbero mai approvato il suo operato, soprattutto la profana alleanza con Bazin. Sullo schermo del computer, i file documentavano gran parte dei successi e dei fallimenti sul percorso tortuoso intrapreso da Lauren Kelly per decodificare il Voynich. Lesse con quale velocità avesse scartato, con l'aiuto di Zeb Quinn, l'uso di un cifrario polialfabetico e come, dopo innumerevoli tentativi, avesse fatto appello all'impressionante vastità delle sue conoscenze linguistiche per dedurre che il testo era in un linguaggio artificiale a posteriori basato su due lingue preesistenti. Torino aveva appreso tutto ciò dal discorso a Yale, ma nei file venivano svelati i dettagli. Il voynichese era a prima vista un ibrido tra un latino estremamente articolato e il dialetto cinese mandarino in cui i caratteri rappresentavano non solo le lettere dell'alfabeto ma intere parole e frasi. Sia le lettere più pertinenti dell'alfabeto latino sia gli ideogrammi chiave del cinese erano stati
traslitterati nei singolari caratteri usati nel testo del Voynich, camuffando ancor di più quella miscela di lingue. Oltre alla traslitterazione, tuttavia, la parte tradotta del manoscritto non conteneva codici. L'uso del cinese collimava con le ricerche di Torino su Falcon. Favorito di Ignazio di Loyola, padre Orlando Falcon era stato inviato, intorno al 1540, in una delle prime missioni in Cina. Torino aveva appreso dagli Archivi dell'Inquisizione che l'autore era dotato di un intelletto straordinario; era una delle ragioni per cui la Chiesa aveva preso così sul serio le sue dichiarazioni e per cui lo aveva punito con tanta severità. Torino era impressionato, nondimeno, dalla profondità e dall'ampiezza dell'erudizione della dottoressa Kelly e dall'approccio controintuitivo grazie a cui aveva investigato nella mente geniale dell'autore per trovare la chiave di tutta la sua storia. Quasi tutta. Scorrendo i documenti, Torino trovò la traduzione letterale del Voynich. Era persino più vivida e terrificante della sinossi, pur non comprendendo la sezione astrologica. E non c'erano menzioni alla radix, o «fonte», di padre Orlando. In uno dei suoi primi file la dottoressa Kelly aveva scritto: Da quanto ho capito, credo che la sezione astrologica conclusiva possa contenere una serie di rilevamenti bussola, coordinate geografiche e segni dello zodiaco. Ho il vago sospetto che, più procederò con la traduzione, più sarò costretta a rivalutare le mie supposizioni sul documento e sui suoi misteri... Cosa voleva dire? Aveva corretto l'ipotesi iniziale che il documento fosse un'allegoria, interpretandola invece come la cronistoria di quello che l'autore aveva realmente scoperto? In caso affermativo, era riuscita da allora a trovare il bandolo dell'ultima sezione astrologica e della mappa che poteva racchiudere? Era ambigua in modo seducente. Maledicendo Bazin per non aver portato a termine la sua missione, esaminò il resto dei file, ma non c'era niente a dimostrazione del fatto che la studiosa avesse decifrato la sezione finale. A ogni modo, la traduzione integrale della dottoressa Kelly poteva trovarsi nei file che Bazin non era stato in grado di scaricare prima di essere interrotto. Se le cose stavano così, Torino doveva procurarseli, per il bene della Chiesa. Ma come? Voleva precipitarsi fuori e ordinare a Bazin di tornare a perquisire il re-
sto del computer. Ma casa Kelly ormai era la scena di un crimine e probabilmente era sotto sorveglianza. In qualità di Preposito generale dei gesuiti, non poteva permettersi di avere imputazioni a suo carico. Non aveva scelta. Avrebbe dovuto portare pazienza e cogliere l'occasione quando si sarebbe presentata. Ma si sentiva tutto tranne che paziente. Era come una bomba a orologeria che ticchettava verso il momento in cui la sua amata Chiesa avesse compiuto il proprio destino come unico ministro di Dio sulla Terra, o fosse scomparsa, liquidata come una reliquia falsa. 12 Tre settimane dopo La morte li aveva fatti incontrare. Si erano conosciuti al funerale di un amico comune di Boston mentre lui era al MIT e lei a Harvard. In seguito gli aveva confessato di aver inizialmente provato antipatia nei suoi confronti. Pensava che fosse troppo sicuro del suo aspetto fisico, di se stesso. Poi avevano iniziato a parlare, a parlare sul serio, e avevano scoperto che di recente lei aveva perduto il padre e lui la madre. La morte li aveva uniti. Avevano poche cose in comune. Lei era religiosa e credeva fermamente nella conservazione. Lui era ateo e non si faceva problemi a lavorare per le sette sorelle. Ma l'uno amava il modo di pensare dell'altra. Lui amava i capelli e il profumo di lei. Lei la forza e la capacità di ascoltare di lui. Si erano innamorati subito l'uno dell'altra, e tanto era bastato. Dicevano per scherzo che sarebbero vissuti insieme per sempre o sarebbero morti provandoci. Niente li avrebbe divisi. Mai. Se uno si fosse smarrito, l'altra sarebbe andata in capo al mondo per cercarlo. Ross si ritrovò a fissare l'oscurità, attanagliato dal panico, incapace di ritrovare la sua anima gemella. Lauren si era smarrita. La morte minacciava di separarli. «Ross, Ross, Ross.» Ebbe un tuffo al cuore. La sentiva chiamare attraverso le tenebre. Era in trappola e aveva bisogno del suo aiuto. Doveva ritrovarla e fare tutto il possibile per portarla in salvo... «Ross.» La mano sulla spalla lo scosse delicatamente. «Ross, svegliati.»
Ross aprì gli occhi e, non appena vide quel volto, la sua prima sensazione fu di sollievo: era solo un incubo. Lauren stava bene. Era lì. Ma non era Lauren. Aveva i capelli rossi. Era la sua assistente, Zeb Quinn. Una tristezza nauseabonda tornò a tormentarlo. «Ross, sono circa le tre del pomeriggio. Ti ho lasciato dormire qualche ora dopo pranzo mentre vegliavo Lauren. Adesso devo tornare a Yale, ma tuo padre e la madre di Lauren stanno per arrivare. Il dottor Greenbloom, il neurologo, ha detto che vuole parlare con tutti voi. Sei d'accordo?» «Sì, sì, va bene.» Si stropicciò gli occhi e si alzò dalla sedia accanto al letto di Lauren. Indossava i jeans e un maglione scolorito e si sentiva rimbambito dal sonno. «Grazie, Zeb. Grazie di tutto.» «Se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, chiamami. D'accordo?» «Sì, grazie.» Una volta che Zeb se ne fu andata, si diresse verso il bagno adiacente e si rinfrescò il viso. Erano passate tre settimane dal furto e, da allora, era visibilmente invecchiato. La faccia pallida, gli occhi azzurri iniettati di sangue e tra i capelli - rasati parzialmente dove gli avevano applicato dodici punti - una muta di chiazze argento appena spuntata. I dottori dicevano che la microfrattura al cranio stava guarendo bene e che la spalla slogata era a posto. Ma quella era solo metà della storia. Tornò nella camera di Lauren. La stanza a pagamento all'ospedale del Sacro Cuore fuori Bridgeport, nel Connecticut, era pulita e luminosa. Una grande finestra si affacciava sul Long Island Sound e più a destra si vedevano le distanti torri di Manhattan. Fiori e biglietti incorniciavano l'ampio davanzale. Nelle ultime settimane, gli amici lo avevano tempestato di messaggi; i pochi che erano venuti in visita si erano dimostrati premurosi, ma a disagio, indecisi su come reagire di fronte alle condizioni di Lauren. Ross si sentiva sollevato che pochi avessero saputo della gravidanza e ora preferiva rimanere solo; era già abbastanza dura far fronte al proprio trauma senza dover gestire anche quello altrui. L'unica eccezione era Zeb Quinn. Sebbene lei e Ross non fossero mai andati molto d'accordo, si era rivelata un'amica vera e una persona dotata di grande senso pratico. Le due orchidee sul davanzale venivano dalle sorelle di Lauren, che adesso vivevano all'estero, una a Londra e l'altra a Sidney. Erano accorse entrambe dopo l'incidente ed erano rimaste due settimane per offrire aiuto e sostegno alla madre. Durante l'ultima settimana avevano fatto ritorno alle rispettive famiglie. Uno dei mazzi più grandi era della Xplore. Dopo i convenevoli, Kovacs aveva detto a Ross che lo rivolevano nella squadra e che erano disposti ad aspettare che fosse pronto a discutere i termini. Ma in
quel momento a Ross non poteva importare di meno della sua carriera. Il letto di Lauren era in mezzo alla stanza. Era stata girata sul fianco sinistro per impedire la formazione di piaghe da decubito. Cannule e fili collegavano il suo corpo a una serie di monitor e deflussori. Un tubo endotracheale bianco le fuoriusciva dalla bocca e il suono ritmico del respiratore regnava nella stanza silenziosa. Le bende alla testa erano state tolte e i capelli biondi avevano ricominciato a crescere dopo l'operazione. Teneva gli occhi chiusi. Sembrava fragile e bella, come una principessa addormentata. Ross immaginò che, se l'avesse baciata nel modo giusto, avrebbe potuto ridestarla e guarire il suo corpo martoriato. Guardandola, sentì salire un impeto di odio per il manoscritto Voynich. Se non si fosse sentita in dovere di finirlo, a quell'ora sarebbero stati in vacanza. Invece lui aveva trascorso le ultime settimane all'inferno, a trascinarsi per la casa vuota che Lauren - solo e soltanto lei - aveva reso una vera casa, in cui ogni dettaglio parlava di lei e dei loro momenti felici insieme. Aveva il presentimento che il ladro fosse interessato ai file di Lauren, anche se non sussistevano né prove né indizi. La polizia aveva speculato sul movente dell'intruso, ma l'unica certezza era che Ross e Lauren lo avessero interrotto e che lei si fosse semplicemente trovata sulla sua traiettoria. Era così ingiusto. Così insensato. Delle voci sommesse dal corridoio interruppero il flusso dei suoi pensieri. Ci fu un colpetto alla porta, poi Henry Greenbloom entrò con una cartella in mano: il neurochirurgo, un uomo pallido, spigoloso, tenne lo sguardo incollato al letto mentre salutava Ross. La madre di Lauren, Diana Wharton, lo seguiva in compagnia di suo padre. Non appena entrati, diedero un forte abbraccio a Ross. Quei due sembravano l'uno il contrario dell'altra: Sam Kelly era un grosso fattore con le mani callose e un viso dai tratti marcati, segnati dalle intemperie, mentre la madre di Lauren era un'elegante accademica di Manhattan dalla pelle d'alabastro. A dispetto di tutto, Sam e Diana avevano stretto un'improbabile amicizia. Entrambi erano rimasti vedovi più o meno alla stessa età, ma la vera ragione di quel sodalizio era molto più banale: erano tutti e due brave persone che si piacevano, si rispettavano e amavano i propri figli. Greenbloom indicò le sedie posizionate vicino al letto e incrociò lo sguardo di Ross per la prima volta. «Vogliamo accomodarci?» La voce del neurochirurgo era professionale e distaccata. «È essenziale che comprendiate a pieno il quadro. Il punto è che, anche nel caso in cui Lauren uscisse
dal coma, evento assai improbabile visti i traumi subiti, potrebbe rimanere cerebrolesa e paralizzata. Il midollo spinale è intatto, ma il danno tra le vertebre C3 e C4 potrebbe lasciarla immobilizzata dal collo in giù. Ora come ora, per respirare ha bisogno di un ossigenatore e la situazione potrebbe rimanere immutata.» Ross posò lo sguardo su Lauren e si domandò se avesse sentito gli oscuri presagi del chirurgo sulla sua vita futura, o sull'inesistenza di quella vita. Dalla finestra, sentì una macchina mettersi in moto, qualcuno salutare allegramente e il suono di risate. Era difficile accettare che fuori da quella stanza la vita andasse avanti come nulla fosse, indisturbata da quello che era capitato a sua moglie. «La buona notizia è che, siccome la testa e il collo di Lauren hanno assorbito gran parte dell'impatto, il feto è ancora vitale.» Greenbloom estrasse l'ecografia dalla cartella e l'esaminò. «Secondo i ginecologi, il feto è delle dimensioni giuste per sedici settimane di gestazione, con undici centimetri e mezzo di lunghezza cefalocaudale e un peso di ottantasette grammi. L'ecografia rivela un'evidente attività. C'è ancora molta strada da fare e dovremo monitorare costantemente la situazione, ma è probabile che Lauren possa portare a termine la gravidanza.» «E se perdiamo il bambino? Che scelte abbiamo?» chiese Ross. «Escludendo un miracolo, soltanto due. Una è aspettare a oltranza per vedere se Lauren esce dal coma, sperando che non rimanga paralizzata, né cerebrolesa. L'altra possibilità è spegnere l'ossigenatore dopo un lasso di tempo concordato in precedenza.» «E farla morire?» esclamò Ross, scandalizzato. «Che mi dice delle terapie con le cellule staminali e di tutte le cure miracolose cui dite di lavorare? Ho letto che nei prossimi anni potrebbe esserci un passo avanti nella cura delle lesioni al midollo spinale.» «Potrebbe, ma devo ammettere che non ritengo possibile che Lauren si risvegli, tantomeno che ricominci a camminare. La verità, anche se dura da accettare, è che per come stanno le cose non c'è molto che noi, o qualsiasi altra équipe medica al mondo, possiamo fare per Lauren. È sul bambino che dobbiamo concentrarci.» Diana Wharton si asciugò le lacrime e prese l'ecografia. «Sta soffrendo?» «No.» «E c'è davvero speranza per il bambino?» «Sì.»
La donna si rivolse a Ross e suo padre. «È già qualcosa. No?» Sam Kelly posò la mano sulla sua e sorrise teneramente. «È molto di più. C'è sempre una speranza.» Ross fu colto da uno slancio di confusa ammirazione per il padre. Gran lavoratore, assediato per tutta la vita dalle delusioni e dalle tragedie, aveva imparato ad accettare e guardare avanti. Ross ricordava il giorno in cui suo padre gli aveva riferito che il fratellino appena nato non sarebbe tornato a casa e che la mamma non poteva più avere bambini. Suo padre si era limitato a dire che si sentiva benedetto per il fatto che la moglie fosse ancora viva e che Ross doveva dimostrarsi riconoscente di avere ancora una mamma. Persino quando il cancro l'aveva portata via, alcuni anni prima, il padre si diceva fortunato per il tempo che avevano passato insieme. Ma Ross non riusciva a essere così stoico. Ad accettare quello che sarebbe successo. Guardò Lauren. Era in pace, in un cupo sonno senza sogni? O, come nel suo incubo, lo stava chiamando disperatamente perché la salvasse? Greenbloom si alzò. «Ovviamente faremo tutto il possibile per il bambino. Volevo solo assicurarmi che foste al corrente della situazione per prepararvi a ogni eventualità.» Ross ricacciò le lacrime di dolore e frustrazione. Aveva dedicato la vita a trovare quello che altri non potevano scoprire. Ma ora, nel momento culminante, non riusciva a pensare a un solo modo per aiutare Lauren. Diana gli passò l'ecografia e nel suo volto vide riflesso il proprio dolore. Poi scorse la tristezza e la compassione di suo padre. Ma i loro occhi tradivano qualcos'altro: rassegnazione. Si stavano già mettendo il cuore in pace, qualunque fosse il destino di Lauren, ed erano pronti a riporre tutte le loro speranze nel nipotino. Ross non riusciva a farlo. Esaminò l'ecografia. Il feto aveva davvero l'aspetto di un bambino: presentava una leggera lanugine sulla testolina, le unghie delle dita erano ben formate e le gambe più lunghe delle braccia. Desiderava un figlio più di qualsiasi altra cosa al mondo e voleva che avesse il fratello o la sorella che lui non aveva mai avuto, ma non conosceva ancora quel bambino. Conosceva e amava Lauren, però. A quel punto si sentì in colpa: avrebbe rinunciato volentieri al figlio pur di salvare sua moglie. Sentì una stretta al petto e il sangue martellargli nelle tempie. Non importava cosa avesse detto il medico di Lauren e quanta speranza ci fosse per il bambino, Ross non era pronto a fare a meno di sua moglie. Non ancora. E non lo sarebbe stato mai.
13 Yale University, quella sera stessa «Saprebbe dirmi dov'è lo studio della dottoressa Lauren Kelly?» Il giovane studente scosse la testa. «Mi dispiace, sorella. Yale è un posto immenso. Deve chiedere in segreteria. La indirizzeranno nel posto giusto. Vada verso lo stabile in mattoni rossi, giri a sinistra passando sotto l'arco e dall'altra parte del prato vedrà un enorme edificio di pietra: è quello.» Guardò l'ora. «Si sta facendo tardi, ma dovrebbe trovarci ancora qualcuno.» Dimentica dello scorrere del tempo, suor Chantal guardò in alto verso il grande orologio. «Grazie.» «Non c'è di che.» Incamminandosi sorretta dal bastone, iniziò a sentirsi sempre più debole. Ma presto avrebbe potuto riposare. Era piacevole passeggiare per il campus. L'accademica tranquillità verdeggiante di Yale faceva da contrappunto alla fretta del mondo moderno e le rammentava tempi dominati dal pensiero. Quella calma, però, non bastava a raffreddare il suo entusiasmo. Il cuore le vibrava in petto come l'ala di un colibrì. Proprio quand'era stata messa a più dura prova, la sua pazienza sarebbe stata ricompensata. L'attesa era agli sgoccioli. Sorrise, d'un tratto grata per l'audace tecnologia del mondo moderno: era stata sbatacchiata di jet in jet da Entebbe a Londra, da dove aveva preso un volo per Ginevra per sistemare le questioni finanziarie e ritirare l'oggetto che teneva nella cassetta di sicurezza della banca, prima di far rotta finalmente per New York. E senza Internet non sarebbe mai venuta a conoscenza così in fretta dei risultati della dottoressa Kelly. Dio le aveva sorriso quel giorno al Jambo Internet Café quando aveva trovato la sinossi di Lauren Kelly sul sito della Yale. Aprì la valigia, ignorando il pacco sottovuoto che aveva ritirato a Ginevra, e ne trasse fuori una stampata sgualcita. Rileggere le prime righe della sinossi la indusse a fermarsi e a farsi il segno della croce. Aveva dimenticato quante volte aveva dubitato che quel giorno sarebbe mai arrivato. Era destino che dovesse succedere lì, a poche centinaia di metri dalla biblioteca dov'era conservato l'originale. Entrò nell'edificio di pietra che le aveva indicato lo studente e si avvici-
nò al bancone della portineria. Le due donne dietro la scrivania stavano raccogliendo le loro borse, pronte a smontare. «Posso aiutarla?» chiese la più giovane. «Spero di sì. Dove posso trovare la dottoressa Lauren Kelly?» La giovane abbassò lo sguardo sullo schermo di un computer. «Mi dispiace. Non viene al campus da qualche settimana e non conosciamo la data del suo rientro...» «Va' pure, Maisie, ci penso io», intervenne l'altra. Si sistemò gli occhiali e sorrise in modo cordiale. «Maisie è nuova. Ha a che fare con quello che è successo, sorella?» Suor Chantal tastò nervosamente il crocifisso appeso al collo, sbigottita che l'impresa di Lauren Kelly avesse già destato scalpore. «Sì, si tratta di quello.» Aveva confidato che la traduzione avrebbe attratto poca attenzione prima di essere completata. Ed era sicura che senza il suo aiuto non sarebbe mai stato possibile. «Sa dove posso trovarla?» «Certo. Dovrei avere il nome dell'ospedale sul computer.» «Dell'ospedale?» «Credevo volesse vedere la dottoressa Kelly per via dell'incidente.» Una mano gelida avvolse il cuore di suor Chantal. «Incidente?» La donna si accigliò, esterrefatta. «Non sa cos'è successo?» 14 Ad alcuni chilometri di distanza, Ross Kelly stava ancora cercando di metabolizzare la prognosi agghiacciante di Greenbloom. Aveva bisogno di restare solo e quando lasciò l'ospedale del Sacro Cuore si sentì stranamente attratto verso la piccola cappella dell'ospedale. Ross non era religioso. Se la vita sulla Terra fosse stata ridotta a un ciclo di ventiquattr'ore, l'umanità sarebbe comparsa solo durante gli ultimi secondi. Perciò sembrava strano che Dio avesse creato l'uomo a Sua immagine e somiglianza. Aveva molto più senso pensare che l'uomo, con la sua coscienza evoluta, avesse creato Dio. Era uno dei capisaldi su cui Ross e Lauren si erano accapigliati sin dal primo incontro. Invidiava il senso di pace che la fede le infondeva e si meravigliava di come i fedeli attribuissero a Dio le cose buone e non Lo accusassero mai per quelle cattive. La fede aveva confortato sua madre nei momenti di crisi. Quando aveva abortito e non aveva più potuto avere figli, non aveva dato la colpa a Dio. E, quando poi aveva sviluppato il cancro, pregava perché Dio le desse for-
za. Persino il padre di Ross aveva trovato sollievo nell'accettare le avversità come se fossero il volere di Dio. Ma Ross non ci riusciva. Voleva credere nell'esistenza di un qualche ordine divino nel mondo: rendeva molto più facile accettare quanto sarebbe capitato. Ma non sussistevano prove. Durante le ultime settimane aveva fissato disperatamente nell'oscurità e pregato per Lauren, senza avvertire nulla, tranne un vuoto. Le rare volte in cui Ross aveva percepito qualcosa di spirituale, era stato nelle meraviglie della natura: le formazioni cristalline nella grande caverna di Lechugia, l'alba sui monti di Ozark nei pressi della fattoria di suo padre... persino la stupefacente storia del pianeta riusciva a indurlo a riconsiderare il proprio posto nello schema delle cose. Anche se Dio fosse esistito, Ross non aveva certo tempo da perdere dietro tutte le religioni che pretendevano di averne l'esclusiva. Si stupiva di vedere con quale ferocia i fedeli - cristiani, ebrei o musulmani - ripudiavano tutte le altre religioni, senza capire perché lui volesse ignorare la loro. Erano atei selettivi; l'unica differenza tra lui e loro era che Ross aveva una fede in meno. Eppure la religione gli aveva fatto un piccolo favore: da piccolo era stato incoraggiato a far parte del coro della chiesa e aveva capito di aver ereditato l'ugola d'oro di sua madre. Forse erano stati quei ricordi felici a trascinarlo verso la quiete della cappella vuota. Col suo vago odore d'incenso, con le panche di legno chiaro, le lisce pareti bianche e le vetrate in stile moderno, offriva un porto tranquillo al riparo dalle preoccupazioni. Si andò a sedere in prima fila, alzò lo sguardo verso la croce e si chiese perché alle diverse religioni importasse più la fede di una persona di quello che aveva compiuto nella sua vita. Perché si doveva credere in Dio per essere salvati? Era così vanitoso, insicuro e meschino da aver bisogno del nostro riconoscimento? Non era possibile vivere una vita meritevole e basta? Perché permetteva che Lauren soffrisse, se credeva in Lui, e risparmiava un infedele come Ross? Rimase lì seduto per un po', ascoltando il silenzio sordo, finché non si accorse di un fruscio alle spalle. «Posso sedermi qui?» Si voltò e tra le panche vide un prete. Aveva un'aria familiare. «È tutta sua. Io non sono un vero credente.» Il prete sorrise. «Tutti crediamo in qualcosa. La fede è ciò che ci distingue dagli animali.» Si andò a sedere al suo fianco. «E questa cappella è sua. È aperta per chi è nella sua situazione, dottor Kelly.» «Lei conosce il mio nome?»
Un altro sorriso. «Sono un grande ammiratore di sua moglie e del suo lavoro. Deve ricevere il riconoscimento che merita. Voglio dire, Lauren deve ricevere il riconoscimento che merita.» D'improvviso Ross individuò il prete infervorato al seminario di Lauren. «Lei era alla Beinecke quando Lauren ha presentato la traduzione del Voynich.» Gli porse la mano. «Padre generale Leonardo Torino. Sì, ero alla Beinecke. Quando ho saputo cos'era successo a sua moglie, mi sono trovato costretto a rivolgermi a lei per il suo lavoro.» Rimase in silenzio per un attimo. «Posso spiegarle? O preferisce rimanere da solo?» Dalla conferenza di Lauren, molti accademici, giornalisti e generici fanatici del Voynich erano usciti allo scoperto per informarsi se si sarebbe ripresa e per quando fosse prevista la pubblicazione della traduzione integrale, corredata della documentazione completa che ne comprovava la validità. Qualcuno si era anche accampato in macchina davanti a casa per alcuni giorni di fila. Ross aveva cambiato il numero di telefono, ma doveva ancora passare al setaccio un mucchio di posta tutte le mattine per individuare le lettere più importanti. Due giorni prima, Bob Knight, il preside di facoltà di Lauren a Yale, aveva chiesto libero accesso ai file e agli appunti che Lauren aveva accumulato a casa in modo che l'università potesse convalidare e completare il suo lavoro sul Voynich. Ross aveva opposto un secco rifiuto, dicendogli che Lauren, e nessun altro, avrebbe ultimato il lavoro. Lo mandava in bestia che le persone aspettassero che sua moglie morisse, pronte a piombare sul suo lavoro come avvoltoi. «È venuto per il Voynich?» «Sì.» Guardò fisso il prete. «Per quale motivo le interessa tanto?» «È molto semplice. Sono il Preposito generale della Compagnia di Gesù e i documenti vaticani attestano che a scrivere quel codice più di quattro secoli fa sia stato un religioso del mio ordine, un gesuita, ma finora nessuno è stato in grado di tradurre quel bizzarro testo né di comprenderne le illustrazioni. Nonostante l'attuale sede del manoscritto originale, noi ci sentiamo i suoi legittimi proprietari. La storia potrebbe essere una semplice allegoria, una parabola, ma noi guardiamo al Voynich come a un documento prezioso creato da un membro della nostra confraternita. Quando sono venuto a sapere della traduzione di sua moglie, mi sono rivolto a lei per proporle di completare il suo eccellente lavoro con l'ausilio dei nostri documenti. La dottoressa Kelly ha rifiutato, dicendo che il problema erano le
restrizioni che avremmo imposto sulla pubblicazione. Ne sono rimasto deluso e ho rispettato la sua volontà, tuttavia l'offerta è ancora valida.» Una pausa. «Poi mi hanno riferito dell'incidente e ho seguito con discrezione i suoi progressi. Quando gli impegni ufficiali mi hanno riportato in America, ho deciso di ritagliare del tempo tra i vari appuntamenti per farvi visita. È difficile da spiegare, ma il mio ordine si sente in debito nei confronti di sua moglie. Vogliamo che venga ricompensata per i suoi servigi alla nostra Chiesa. Sia in questo mondo sia nel prossimo. Naturalmente pregheremo per lei. Ci assicureremo che abbia un posto in paradiso.» L'uso della parola assicureremo disturbò Ross. «Molto gentile da parte sua, ma come fa lei a essere sicuro di avere le chiavi del regno dei cieli?» Qualcosa balenò negli occhi scuri del prelato - offesa, o forse rabbia - poi si spense. «Non intendevo offenderla. Solo che preferirei che le vostre preghiere aiutassero Lauren in questo mondo piuttosto che prepararla al prossimo.» «In effetti possiamo aiutarla anche nella vita terrena. Ecco perché mi trovo qui. I nostri esperti sono sicuri di riuscire a completare la traduzione a tempo debito, ma con l'accesso agli appunti di sua moglie potrebbero farlo in una frazione del tempo necessario. In funzione del rispetto che nutriamo per la grande cultura e i desideri di Lauren, rinunceremmo a imporre condizioni sulla pubblicazione. Ovviamente le riconosceremmo il merito della traduzione e la ricompenseremmo economicamente, che si risvegli o no. La Santa Madre Chiesa dispone di risorse illimitate e farà tutto il necessario - in ogni senso, finanziario e non - per aiutarvi in questo difficile momento.» «Volete solo accesso ai suoi appunti?» «Sì. Una copia digitale sarebbe sufficiente.» Un attimo di silenzio. «Per pura curiosità, sa se gli appunti contengono accenni a qualcosa chiamato Fonte o al suo equivalente in latino, radix?» «Non saprei dire. Mia moglie custodiva le sue carte e i suoi appunti sotto chiave. Perché?» Il religioso fece un gesto liquidatorio. «Non importa. Quello che conta è che le sue note ci permettano di finire di tradurre il manoscritto e che a sua moglie venga dato il riconoscimento che merita. Non pretendo una risposta adesso, ma la prego di pensarci.» Estrasse un biglietto da visita, lo porse a Ross, poi guardò l'ora. «Come immaginerà, la mia agenda è piuttosto fitta. Ho un impegno a New York in mattinata e devo rientrare a Roma domani sera. Le sarei grato se mi permettesse di passare da lei prima di allora per
rispondere alle sue domande. Intendo fare tutto il possibile per rassicurarla in caso voglia affidarci il lavoro di sua moglie. Posso passare domani pomeriggio? Diciamo verso le quattro?» Ross studiò il religioso da capo a piedi, cercando di sondare gli scuri occhi infossati, poi annuì. «Può andare.» Qualunque fosse il suo atteggiamento nei confronti della religione, trovava rassicurante che studiosi che non solo condividevano e apprezzavano la passione di Lauren, ma si sentivano proprietari del manoscritto, completassero l'opera. Per lui era anche essenziale che sua moglie ne ricevesse il completo riconoscimento. Sospettava che a lungo andare Knight avrebbe avanzato pretese su tutti i file originali di Lauren e ne avrebbe rivendicato gran parte del merito. Ross ne avrebbe parlato con Zeb Quinn, però dubitava fortemente che avrebbe acconsentito a condividere gli appunti con Torino. Ma, se non altro, sarebbe servito a mettere alla prova l'onestà di Knight. Diede il suo indirizzo al prete. «La lascio ai suoi pensieri, dottor Kelly. A domani.» Ross lanciò un'occhiata al biglietto del padre generale. Non poteva fare a meno di meravigliarsi che un uomo di tale levatura lo degnasse di una visita personale. Un'ulteriore dimostrazione del suo apprezzamento per il lavoro di Lauren. Alzò lo sguardo e, osservando il prete uscire dalla cappella, notò per la prima volta che era leggermente zoppo. 15 L'indomani mattina Suor Chantal aveva fatto tutto il possibile per portare a termine il suo dovere. Ma, proprio adesso che stava per passare il suo pesante fardello a qualcun altro, tutto era perduto. Dopo quello che aveva dovuto sopportare, era davvero troppo. Alle infermiere del Sacro Cuore aveva detto che voleva pregare per Lauren Kelly, ma quando la vide distesa sul letto, attaccata a cannule e tubi, sentì il desiderio di pregare solo per se stessa. Si avvicinò al capezzale, crollò in ginocchio e pianse. Per la prima volta nella sua lunga veglia, provò una vera disperazione. Tuttavia non si mise a pregare e si concentrò sul da farsi. Non poteva finire così. C'era un unico modo per mettere a posto le cose. Ma, persino con quel pensiero nella mente, abbassò il capo incredula e piena di rimpianto.
«Se solo non fossi stata così sciocca», disse con amarezza, guardando prima la valigia e poi il sondino gastrico di Lauren. «Se solo l'avessi tenuta tutta in serbo!» Si guardò alle spalle e controllò il corridoio. Poi aprì la valigia e recuperò la sacca di pelle. Quando vide quanto poco ne rimaneva, si rese conto che il suo gesto sarebbe stato vano. Eppure doveva fare qualcosa. Ci vollero sei minuti. Poi, non appena rimise la sacca ormai vuota nella valigia, sentì la porta aprirsi. A eccezione dei sogni sinistri che riguardavano Lauren, il dottor Greenbloom e il prete, Ross aveva passato la notte precedente quasi in bianco. Non si era ancora abituato ad avere il letto che divideva con Lauren tutto per sé. Negli anni della loro vita coniugale era stato spesso in viaggio per lavoro, ma ricordava appena un paio di notti in cui aveva dormito in casa da solo. La notte passata, incapace di prendere sonno, si era scolato una bottiglia di vino e aveva fatto le ore piccole a guardare la TV, badando a non disturbare suo padre, che dormiva di sopra in una delle camere degli ospiti. Libero di guardare qualsiasi canale, Ross aveva finito per addormentarsi davanti a uno dei programmi spazzatura che tanto piacevano a Lauren e al mattino si era ritrovato rannicchiato dalla parte del letto della moglie. Dopo colazione, suo padre si era recato a Manhattan a trovare la madre di Lauren, e Ross aveva compiuto il suo quotidiano pellegrinaggio all'ospedale. Quand'era arrivato, con la testa ancora annebbiata dai postumi della sbornia, l'ultima cosa che si sarebbe aspettato di trovare era una suora inginocchiata al capezzale di sua moglie. «Chi è lei? Cosa ci fa qui?» Quando si voltò, Ross vide che la donna aveva pianto. Il suo volto sfoggiava una bellezza serena, senza età, e gli occhi più straordinari che avesse mai visto: due penetranti iridi azzurro cielo cerchiate di viola. Oltre alla valigia, teneva in mano un bastone. «Mi chiamo suor Chantal. Sono venuta a trovare la dottoressa Lauren Kelly.» Parlava l'inglese impeccabile di certi europei ben istruiti. «Lei chi è?» «Ross Kelly, il marito di Lauren. È venuta col padre generale Leonardo Torino?» Il terrore baluginò negli occhi della religiosa. «Il padre generale? No.» «Allora come fa a conoscere Lauren?»
«Grazie al suo lavoro. Non ci siamo mai incontrate, ma sento di conoscerla, perché lei ha penetrato la mente di un uomo che ammiro molto.» Cercò di alzarsi e Ross le offrì il suo sostegno. «Cos'è successo?» Ross le spiegò del furto e, quando le raccontò che l'intruso era stato nello studio di Lauren, i suoi bellissimi occhi fiammeggiarono di nuovo. «È stato portato via nulla?» «La polizia non ne è sicura. Può darsi che sia stato scaricato qualcosa dal computer. Perché?» «L'ha contattata qualcun altro per il manoscritto di padre Orlando?» «Il manoscritto di chi?» «Il libro che lei conosce come Voynich. Ha fatto il nome del padre generale. È venuto da lei per la traduzione?» La situazione si stava facendo alquanto bizzarra. «Cosa sta succedendo? Voglio sapere la verità.» Quegli occhi straordinari lo guardarono fissi, impassibili, penetranti. «Ho bisogno del suo aiuto.» Indicò Lauren. «E lei ha bisogno del mio.» Dietro la sua fragile serenità c'era una violenta disperazione. «Il tempo sta per scadere. Io mi sento sempre più debole e c'è ancora molto che dobbiamo fare.» «Dobbiamo?» «Sì. Io, lei e sua moglie.» «Mia moglie? Di cosa sta parlando? Lei è...» Sollevò una gracile mano e afferrò il suo braccio con una forza sorprendente. «Mi lasci spiegare. È importante. Per tutti noi. C'è un posto dove possiamo parlare senza essere disturbati?» Adesso stava a Ross prendere in mano la situazione. Mentre scrutava quegli occhi stupefacenti, ogni istinto razionale gli suggerì di chiederle di andarsene in modo educato ma risoluto. Eppure la disperazione appassionata della suora coincideva in parte con la sua. Dopotutto cosa aveva da perdere? Così prese una decisione che avrebbe cambiato per sempre la sua vita già a pezzi. «Mi segua.» 16 Più tardi, quello stesso giorno Avviandosi lungo il vialetto di ghiaia di casa Kelly, il padre generale Leonardo Torino si sentiva sicuro del proprio successo. Si vantava di co-
noscere le menti e i cuori degli uomini e il suo incontro con Ross nella cappella dell'ospedale era andato meglio di quanto sperasse. Si era allontanato con la convinzione che, se l'uomo avesse creduto che sua moglie avrebbe ricevuto il pieno riconoscimento per il suo lavoro, gli avrebbe ceduto una copia dei file. Torino contava persino di portarseli via quella sera stessa. Suonò il campanello e aspettò. Sentì qualcuno parlare ad alta voce, poi la porta si aprì. Quando Torino strinse la mano a Ross e scorse un'espressione guardinga sul volto del geologo, la sua sicurezza si dileguò. Ross lo condusse in cucina, dove Torino si sorprese di trovare un'anziana suora seduta al tavolo con dinanzi a sé a una tazza di caffè vuota. La sorpresa di quella presenza fu aggravata da un lampo di panico che vide balenare negli occhi della donna quando Ross gliela presentò. Mentre gli frullavano per la testa quei pensieri, la intravide far scivolare una busta di plastica opaca nella valigia al suo fianco. «Buonasera, sorella.» «Buonasera, padre generale.» La mano destra tastava nervosamente il grosso crocifisso appeso al collo, poi la suora abbassò il capo e si alzò dalla sedia. «Scusate, sono esausta. Devo proprio andare.» Ross si spostò verso di lei con fare protettivo e i due si scambiarono uno sguardo. «Suor Chantal, l'accompagno in salotto. Può riposare lì mentre io parlo col padre generale.» Suor Chantal si mise in piedi vacillando, impugnò la piccola valigia e prese Ross sottobraccio. Il nome della religiosa destò la curiosità di Torino. Era sicuro di averlo sentito di recente, ma non ricordava dove. Sostò in cucina finché Ross non fece ritorno. «Mi sorprende di trovare una suora in visita da lei, che non crede in nulla.» «Come lei stesso ha detto, tutti hanno bisogno di credere in qualcosa.» Lo sguardo di Ross si fece torvo. «Mi dica, padre generale, qual è il vero motivo del suo interesse per la traduzione di mia moglie?» «Pensavo di essere stato chiaro, ieri. È stato scritto da un membro del nostro ordine. Consideriamo quel documento di nostra proprietà e vogliamo completarne la traduzione.» «Perché?» «Perché fa parte del nostro retaggio. Inoltre non dimentichiamo che è un mistero. Ed è per questo che sua moglie voleva tradurlo.» «Ieri ha sostenuto che il manoscritto fosse una parabola, una semplice
storiella. Lo crede sul serio?» La domanda preoccupò Torino. Il giorno precedente Ross si fidava di lui. Adesso no. Cosa gli era stato detto? Cosa aveva capito? Pensò alla busta che la suora aveva nascosto e si sentì attraversare da un brivido: cosa aveva visto Ross? «Certo che è una parabola. È escluso che sia una storia vera, se è questo che intende. O sbaglio?» «Mi parli di questa Fonte, questa radix che ha citato ieri. Cosa pensa che possa essere?» Torino socchiuse gli occhi. «Perché? Cosa ne sa lei, dottor Kelly?» Ross sorvolò sulla domanda e continuò col suo interrogatorio. «Mi dica, padre generale, cosa sa a proposito di un religioso di nome Orlando Falcon?» Torino era più bravo a nascondere i suoi veri pensieri rispetto a gran parte degli uomini, ma sapeva che in quel momento il suo volto lo stava tradendo. Solo lui era a conoscenza di padre Orlando e del suo legame col Voynich. «Come le ho detto ieri, crediamo che un fratello gesuita possa aver scritto il Voynich. E quel religioso potrebbe essere stato padre Orlando Falcon. Cosa sa di lui, dottor Kelly?» Ross non fiatò. «Presumo che questo abbia a che fare con la visita di suor Chantal. Perché non mi dice cosa la preoccupa? Potrei rivelarmi un potente alleato. Come le ho detto ieri, la Chiesa ha molte risorse. Se ritiene che nel Voynich ci sia più di quanto pensava inizialmente, allora dovrebbe essere nel suo interesse condividerlo con noi e mettersi sotto la protezione della Chiesa.» «Protezione? Da cosa? Non darò a nessuno gli appunti di Lauren finché non scoprirò cosa sta succedendo. Inizio a sospettare che chiunque abbia fatto irruzione in casa nostra e abbia ferito mia moglie volesse proprio quegli appunti, a tutti i costi.» Ross lo fulminò con lo sguardo. «Lei quanto li vuole, padre?» Torino, che più di ogni altra cosa teneva in gran conto l'autocontrollo, fu sul punto di perderlo. Essere arrivato a un passo dal possedere ciò che desiderava maggiormente solo per vederselo strappar via all'ultimo momento era intollerabile. La rabbia e la frustrazione strariparono. «Pensa che abbia provato a rubare gli appunti di sua moglie? Non ne ho bisogno. Abbiamo i nostri documenti in Vaticano, Archivi dell'Inquisizione che ci forniscono tutte le informazioni necessarie. Sono venuto qui solo per accelerare il processo di traduzione e per aiutarla.»
«Aiutarmi? Non vorrà certo usare gli appunti di Lauren per i suoi fini personali, qualunque essi siano?» «Stia attento, dottor Kelly. Non sa in cosa si sta invischiando. Le sto offrendo di condividere il peso di questo fardello prima che sia troppo tardi. Come può rifiutarsi?» «Perché no? Cos'ha intenzione di fare?» Torino serrò le mascelle e permise alla rabbia dirompente di solidificarsi in qualcosa di più stabile. Era inutile continuare a parlare - si era già esposto troppo - e Ross aveva preso la sua decisione. Cosa gli aveva detto o mostrato la misteriosa suor Chantal? «Se ne pentirà», minacciò Torino con gelido distacco. Lasciò la casa e salì sulla limousine. Quando si sedette, ponderando le varie possibilità, d'un tratto si ricordò dove aveva sentito quel nome: suor Chantal. Chiamò l'ufficio a Roma e chiese di essere messo in contatto con padre Seamus Dunleavy all'Istituto dei miracoli. «Padre Seamus, ricorda quella lettera dall'ospedale in Uganda che ha sottoposto alla mia attenzione la scorsa settimana?» «La guarigione spontanea dei due fratelli malati di AIDS?» «Sì. Qual era il nome della suora scomparsa nello stesso periodo?» «Suor Chantal.» Torino annuì e stava quasi per fare una domanda quando padre Seamus proseguì: «Non so se è importante, padre generale, ma l'ospedale ci ha inviato un oggetto associato al caso». «Vada avanti.» «Una scatola di legno intarsiato. I bambini guariti sostengono che sia stata la suora a regalargliela.» «Mi descriva gli intarsi.» «Faccio una foto e ve la mando.» Quando l'immagine apparve sul cellulare di Torino, gli si seccò la bocca. Era la conferma di ciò che fino ad allora aveva solo osato sperare. Il Giardino di Dio di Orlando Falcon e i miracoli che Torino cercava da sempre esistevano. Sapeva pure che suor Chantal - chiunque fosse - era cruciale per individuare quel luogo sacro. «Grazie, padre, molto utile. Un'ultima cosa. Che sappiamo della religiosa, suor Chantal?» «Non molto.» «Voglio che scopra tutto il possibile: chi è, da quanto tempo è nell'ordine, da dove viene, tutto quanto.» Riagganciò con la consapevolezza di dover pianificare la mossa successiva con grande cautela. Se il geologo e la suora avessero agito secondo le
sue previsioni, avrebbero potuto rivelarsi pedine inestimabili e inconsapevoli. In caso contrario, Torino non avrebbe avuto altra scelta se non intervenire, in modo deciso e risolutivo. Digitò il tasto di chiamata rapida sul cellulare. «Marco, sono io. La Chiesa ha bisogno che tu faccia una cosa.» 17 Ross Kelly non sapeva più cosa pensare. Quello che suor Chantal gli aveva raccontato era così assurdo, così delirante che non poteva crederci. Quando aveva affrontato Torino, Ross si aspettava che il papa nero confermasse il suo scetticismo nei confronti della donna, ma le minacce velate del prelato avevano sortito esattamente l'effetto contrario. Avevano rinforzato la credibilità della religiosa. Subito dopo che Torino se ne fu andato, Ross andò a controllare suor Chantal, assopita sul divano. Le mise addosso una coperta, le tolse dalle mani la busta di plastica opaca e salì nell'ufficio di Lauren. Avviò il computer, inserì la password ed esplorò la cartella dedicata al Voynich. Prima di aprire qualsiasi file, comunque, si trovò a fissare la busta della suora. Massaggiandosi le tempie ripensò a suor Chantal seduta in cucina a sorseggiare un dolce caffè macchiato e si sforzò per ricordare ogni singola parola. «Ross, lei sa chi ha scritto il Voynich?» «Non ne ho idea. Ma nessuno lo sa, giusto?» «È stato redatto da un gesuita, padre Orlando Falcon, nella seconda metà del XVI secolo, alcuni anni dopo che il conquistador spagnolo Pizarro aveva sottomesso l'impero inca, gli attuali Ecuador e Perú. È la cronaca della vana ricerca di Eldorado, la leggendaria città dell'oro, per conto di re Carlo di Spagna. Narra l'impresa di padre Orlando e dei conquistadores.» «Credevo che il Voynich fosse un'allegoria, finzione insomma.» La suora scosse la testa. «È il resoconto di una scoperta. Quando Orlando Falcon tornò dal Nuovo Mondo, la Santa Inquisizione era all'apice del suo potere. Non meno di tre Grandi Inquisitori divennero pontefici durante la seconda metà del XVI secolo. Il secondo, Pio V, era in carica quando padre Orlando rientrò a Roma dichiarando di aver trovato un giardino miracoloso la cui esistenza contestava la storia della Genesi. Com'è logico, questo non piacque al papa e ai suoi cardinali. La sua storia gettava dubbi
sul dogma imperante e scardinava la validità delle Scritture. Minacciava tutto ciò che la Chiesa stessa propugnava. Poteva esserci un solo Eden e doveva trovarsi nel regno dei cieli o, per lo meno, nella cristianità. Un secondo giardino dei miracoli non poteva esistere nel Nuovo Mondo, tra pagani e selvaggi, a meno che non fosse opera del demonio. La Curia, però, non poteva ignorare padre Orlando, perché era un gesuita rispettato, un protetto del grande Ignazio di Loyola. Perciò lo condannarono per eresia. Un buon religioso che era stato posseduto mentre era in missione.» «E cosa gli fecero?» «Gli ordinarono di abiurare. Quando rifiutò, lo consegnarono agli aguzzini che gli bruciarono i piedi sui carboni ardenti, ma anche allora non si piegò. Il mattino dopo i suoi piedi erano guariti. Sostenne che quel miracolo era la prova della sua scoperta, ma alla fine confermò solo la convinzione del Grande Inquisitore che Satana possedesse la sua anima. I torturatori gli misero i piedi in una morsa di legno e gli frantumarono le ossa. Stavolta le ferite non si risanarono e il Grande Inquisitore concluse che il demonio era stato esorcizzato. Ma padre Orlando continuò a rifiutarsi di sottoscrivere l'abiura dell'Inquisizione. Lo tennero in una cella per molti mesi mentre decidevano del suo destino. In quel periodo padre Orlando non rimase con le mani in mano.» La religiosa tacque per prendere un sorso di caffè e, nonostante il proprio scetticismo, Ross non vedeva l'ora che ricominciasse. «Quando si rese conto di non potersi fidare nemmeno della Chiesa e che la sua miracolosa scoperta sarebbe finita con lui nella tomba, decise di lasciare un memoriale per un futuro migliore in cui il suo lascito sarebbe stato apprezzato e capito. Deve capire una cosa: padre Orlando Falcon era un uomo eccezionale. Per documentare e proteggere la sua scoperta da coloro che volevano strumentalizzarla, inventò una lingua ibrida, dotata di speciali caratteri. Eccetto alcuni simboli privi di significato, inseriti appositamente per ingannare chi avesse provato a decifrare la sua opera, gran parte del testo e dei disegni descrive i prodigi cui aveva assistito. E fece tutto questo affidandosi solo ai ricordi, rinchiuso in una minuscola cella, menomato dalle torture, impiegando materiali che gli venivano procurati di nascosto. Ovviamente alla fine trovarono il manoscritto e il suo destino fu segnato. Lo chiamarono il Libro di Satana per la scrittura inintelligibile e le immagini di un Eden corrotto. Padre Orlando fu condannato al rogo e il manoscritto a essere bruciato con lui.» «Cosa successe?» «Fu giustiziato, ma un complice nascose il manoscritto in una delle bi-
blioteche gesuite. Padre Orlando desiderava che il libro venisse lasciato in bella vista affinché un giorno fosse ritrovato, decifrato e il suo giardino miracoloso riscoperto.» «Crede che il giardino esista davvero?» Lei lo guardò come una maestra paziente guarda uno scolaro lento di comprendonio. «Esiste.» «Ma questo cos'ha a che fare con Lauren?» «Padre Orlando ha scritto gran parte del manoscritto in un ibrido di due lingue esistenti in modo che potesse venire tradotto. Ma solo da un esperto intelligente, dedito e saggio abbastanza da penetrare la sua mente, decifrare la sua opera e cogliere il significato della scoperta. Qualcuno degno di trovare il giardino.» Ross si ricordò della sera del discorso di Lauren alla Beinecke e di quando lei aveva recitato le parole finali del Voynich: Congratulazioni, saggio compagno, hai letto la mia storia e hai dato perciò dimostrazione di intelligenza, dedizione e saggezza. Di qualsiasi fede o nazione tu sia, Dio ti ha scelto per compiere ciò che non è più in mio potere: proteggere il Suo giardino e far sì che i suoi poteri prodigiosi vengano usati per la Sua gloria. Ross sentì nascere dentro di sé un improvviso desiderio nostalgico. Alcune ore prima, quello stesso giorno, si era licenziato dalla Xplore e aveva saputo della gravidanza di Lauren. Il suo unico problema era la carriera. Beata incoscienza! «Qualcuno come mia moglie?» «Esattamente. Ma padre Orlando fece sì che una sezione chiave del manoscritto fosse impossibile da tradurre. Benché avesse usato gli stessi caratteri del resto del documento, la lingua di quella sezione è inventata di sana pianta. Non potrebbe mai essere decifrata senza prima conoscerne la grammatica o il lessico.» «Perciò mia moglie ha già tradotto tutto ciò che è possibile tradurre?» «Esatto.» «Quindi non sapremo mai cosa c'è nell'ultima sezione...» Suor Chantal rimase in silenzio per un secondo, indecisa se proseguire o no. «Quando padre Orlando tornò a Roma, fece voto di confessare soltanto al papa quello che aveva scoperto. Ma, rendendosi conto di non poter confidare i suoi segreti neppure alle più alte autorità ecclesiastiche, disse all'Inquisizione di aver bruciato gli appunti che aveva preso durante il viaggio. Era una menzogna, però. Li aveva messi al sicuro in una scatola insieme coi suoi effetti personali e, prima di venire bruciato vivo, rivelò al
suo complice dove si trovava quella scatola. Dentro c'era un libretto che forniva le indicazioni dettagliate per il giardino e descriveva gli ostacoli naturali che lo proteggevano.» «Un libretto separato?» «Un libretto distinto che contiene le coordinate per il giardino, redatto nella madrelingua di padre Orlando.» I suoi occhi imperturbabili non si staccavano da quelli di Ross. «Diede al suo complice anche una traduzione dell'ultima sezione di ciò che lei chiama il Voynich.» «E cosa conteneva?» «Il resoconto di un mistero ancor più grande di quello del giardino. Qualcosa che padre Orlando chiamò la Fonte e cui attribuiva il potere che stava alla base del giardino.» Accorgendosi di essersi sporto in avanti, sullo scrimolo della sedia, Ross tornò velocemente ad appoggiarsi allo schienale e incrociò le braccia. «Come fa a sapere tutto questo?» «Perché io sono la Guardiana.» «La Guardiana?» «La Guardiana del giardino. È mio dovere vigilare sulla scoperta di padre Orlando finché qualcuno dotato di abbastanza dedizione, intelligenza e saggezza da capire come disporne non decifri la parte principale del manoscritto. Quando ciò si verificherà, io ho il dovere di incontrare il responsabile, confermarne il merito, consegnargli il libro e passargli il mio fardello. Padre Orlando profetizzò che sarebbe avvenuto nel momento in cui il giardino si sarebbe trovato sotto la minaccia peggiore, e non è mai stato in pericolo come in questo momento.» La sua voce si fece più appassionata. «Anno dopo anno l'umanità si avvicina sempre più a scoprire e abusare del giardino e della sua Fonte. Ogni mese al telegiornale vedo taglialegna, contadini, imprese di costruzioni e compagnie petrolifere violare quella che un tempo era una foresta vergine, fuori dalla portata dell'uomo. Disperavo che il manoscritto venisse mai decifrato finché su Internet non ho letto della traduzione di sua moglie, ho fatto ricerche sul suo passato e ho scoperto il suo amore per la conservazione. Ho capito che era lei.» Suor Chantal frugò nella valigia e ne estrasse una busta di plastica opaca sottovuoto. Nel farlo, una sacca di cuoio cadde per terra. Era impolverata di frammenti di roccia sgretolata. La sua iridescenza metallica ricordò a Ross il campione di schreibersite che aveva regalato a Lauren al ritorno dall'Uzbekistan, ma la traslucidità cristallina era diversa, unica. Esaminò a fondo i frammenti, ma non riuscì a identificare il minerale da cui venivano,
e lui i minerali li conosceva quasi tutti. Spostò l'attenzione sulla busta di plastica opaca. Mentre la suora apriva la chiusura ermetica, un leggero odore di muffa ammorbò l'aria. «Questo è il libretto delle indicazioni per il giardino.» L'anziana tirò fuori un libro e lo aprì con cautela. Le ultime pagine erano di un colore differente e la suora notò che Ross le stava guardando. «Per tenere insieme le pagine, la traduzione della sezione astrologica del Voynich è stata rilegata in fondo, molti anni fa.» Gliela porse. La pelle rugosa del libretto era stata ben conservata, ma era innegabilmente vecchia. «Lo apra. È la dimostrazione delle mie parole. Se sua moglie potesse leggerlo, non avrebbe dubbi.» Ross aprì il libro. Le pagine ingiallite erano riempite da una chiara calligrafia. Con sua sorpresa, si rese conto di riuscire a leggere quasi tutto. «È in spagnolo.» «La lingua madre di Orlando Falcon. Lo scrisse prima di tornare a Roma, ed è giusto che non sia in latino, la lingua della Chiesa. Dopo essere stato tradito, padre Orlando giurò di non fidarsi mai più del Vaticano. E noi dovremmo seguire il suo esempio.» «Ma lei è una suora.» «Essere una suora mi permette di restare nell'anonimato, di impiegare il mio tempo facendo opere di bene nel mondo. Padre Orlando non perse la fede in Dio, ma in coloro che esercitavano il potere da Roma. Non servivano Dio, solo se stessi e il predominio della Chiesa. Sono pericolosi, Ross. E senza scrupoli.» «Non sono un ammiratore della Chiesa cattolica, ma non posso credere che...» «Ci sono persone a Roma che farebbero di tutto pur di proteggere e sostenere la loro adorata Chiesa, persino andare contro la morale cristiana.» Ross avvertì di nuovo la disperazione dietro quello sguardo sereno. Tornò al libro e voltò le pagine con estrema attenzione. Le prime erano ricoperte da alcune illustrazioni rozze ma molto familiari: un fiore ovale che non somigliava a niente in natura e il disegno di una donna nuda dalle strane fattezze. I disegni erano inusitatamente simili a quelli del Voynich. Persino l'elegante scrittura in spagnolo presentava influssi del bizzarro testo del manoscritto. Lo sfogliò sino in fondo, alle pagine scombinate: la traduzione della sezione indecifrabile del Voynich per risolvere la quale Lauren aveva inutilmente posticipato la vacanza. Anche quella era in spagnolo e Ross notò le
innumerevoli occorrenze della parola el origen: la Fonte. Più esaminava il libro, più i suoi occhi vedevano quello che la mente si rifiutava di accettare: che il giardino di Orlando Falcon esisteva davvero. Le implicazioni possibili accelerarono i battiti del suo cuore e affollarono la sua testa di domande. «Dove l'ha preso? Chi gliel'ha dato?» «L'ultimo Guardiano.» «Da quant'è che ce l'ha?» Ancora una volta quegli occhi inquietanti penetrarono nei suoi. «Qualsiasi cosa le dirò non le farà cambiare idea. Sappia solo che, se sua moglie vedesse questo libro, saprebbe che è autentico. Accetti il libro a riprova delle mie parole.» «Vuole che Lauren la succeda come Guardiana? Da quanto tempo ha questo incarico? Quanti ce ne sono stati prima di lei? Come siete stati scelti?» «Basta con le domande. Scoprirà tutto a tempo debito. Sappia solo che ho promesso di proteggere l'eredità di padre Orlando e non avrò riposo finché non consegnerò questo libretto al traduttore del Voynich, sua moglie. Ora la profezia si è avverata, il destino di Lauren è di essere la prossima Guardiana, ma, prima di poter assolvere al suo ruolo e aiutare il giardino, i suoi poteri miracolosi devono aiutare lei, guarirla. Soltanto allora potrà sobbarcarsi il fardello e difendere il lascito di padre Orlando. Non vede, Ross? Non c'è scelta. Dobbiamo tornare al giardino.» Si protese sul tavolo e posò la mano sulla sua. «Ross, lei e io abbiamo bisogno della stessa cosa. Lei vuole che Lauren si svegli. E io non avrò pace fino a quel momento.» 18 Seduto nello studio di Lauren, Ross studiò la busta di plastica opaca che aveva sottratto a suor Chantal mentre dormiva e si mise a meditare sulla paura negli occhi sbarrati della religiosa quando Torino, un alto funzionario della Chiesa cattolica, era apparso in cucina. Era chiaro che, qualsiasi fosse l'opinione di Ross, entrambi credevano che il Voynich fosse più di una semplice storiella. Dischiuse la busta. A eccezione di qualche pagina danneggiata, l'antico libretto era in condizioni straordinarie. Recuperò un dizionario di spagnolo dalla libreria di Lauren, aprì il libro ed esaminò il testo. Per alcuni minuti si concentrò sulle ultime pagine sfalsate, affascinato dai vaghi riferimenti alla origen, la Fonte. Anche il padre generale aveva citato quel termine,
usando la parola latina radix. Poi rivolse l'attenzione alla parte centrale del libretto. Conteneva una serie di indicazioni, inclusi coordinate geografiche, rilevamenti bussola e dati astronomici, tra cui carte che indicavano quali stelle seguire a seconda del periodo dell'anno. C'erano pagine e pagine di istruzioni dettagliate su come trovare il giardino del manoscritto. Non c'era una mappa vera e propria, però, né la possibilità di tracciarne una dalle informazioni contenute. C'era solo il nome di un luogo: la città da cui era partita la ricerca. Tutte le indicazioni successive erano in relazione a quel punto e dipendevano dalla collocazione della bussola, dalla posizione degli astri e dai punti di riferimento. Era come se padre Orlando Falcon avesse concepito la sua ricerca nella foresta come la traversata di un oceano verde inesplorato e avesse indicato la rotta. Per seguire le istruzioni ci si doveva trovare sul punto di partenza e procedere fisicamente nella direzione indicata, ovunque portasse. Sebbene le indicazioni fossero accurate, i rari punti guida avevano nomi vaghi, poetici, compresa la meta che Falcon aveva battezzato el Jardín de Dios, il Giardino di Dio. Anche se quelle indicazioni - vecchie di quattrocentocinquanta anni - fossero state genuine e il giardino fosse davvero esistito, le probabilità di trovarlo erano scoraggianti. Ross tornò a consultare la traduzione del Voynich tra gli appunti sul computer di Lauren e raffrontò l'incipit della storia che descriveva il viaggio verso il giardino col libretto di Falcon: le due versioni combaciavano quasi in tutto. Poi si collegò a internet e cercò Santa Inquisizione. Tre Grandi Inquisitori erano diventati pontefici alla fine del XVI secolo e il secondo era stato in effetti Pio V, proprio come gli aveva raccontato suor Chantal. Cercò Orlando Falcon. Non trovò nulla, ma, quando controllò i dettagli storici della conquista del Nuovo Mondo da parte di Pizarro, la cronologia concordava col periodo in cui Falcon aveva intrapreso la ricerca, secondo le parole di suor Chantal. Eppure, per quanto lo desiderasse, Ross non riusciva a credere nel Giardino di Dio di Orlando Falcon. Era uno scienziato, un geologo. Come poteva esistere un posto del genere? Era troppo fantasioso per essere credibile. Gli faceva male la testa. Era troppo coinvolto. Aveva bisogno di guardare le cose da una certa distanza. Doveva parlare con qualcuno di cui si fidava e che fosse al corrente di tutto. Guardò di nuovo il libretto. Cosa aveva detto suor Chantal? È la dimostrazione delle mie parole. Se sua moglie potesse leggerlo, non avrebbe dubbi. Lauren non poteva leggerlo. Ma
qualcuno di sua conoscenza sì. Alzò la cornetta e compose un numero. 19 Molta gente fraintendeva Elizabeth Quinn. Qualcuno la considerava lesbica solo perché non aveva un compagno. Lei, però, non era omosessuale; provava semplicemente poco interesse per gli uomini. A dire la verità, sebbene professasse l'amore per l'umanità, spesso trovava poco interessanti le persone in genere. Le sue lenti sul mondo avevano due regolazioni: grandangolo e primo piano, senza mezze misure. Si dedicava a problematiche urgenti come il destino del pianeta e adorava la genuinità e la purezza dei problemi matematici particolareggiati, ma per essere un'esperta di linguistica e la figlia di un ambasciatore che aveva viaggiato per tutto il mondo si curava sorprendentemente poco delle chiacchiere da salotto. Magra e statuaria, coi lunghi ricci colorati all'henné, aveva l'aspetto di una principessa guerriera del mondo accademico. Specialmente considerando gli occhiali spessi, i jeans di seconda mano, la giacca di canapa e le magliette che sbandieravano le sue esplicite opinioni su come salvare la Terra, o Gaia, come seguitava a chiamarla. Sotto i ricci rossi, tuttavia, c'era un cervello analitico di prima classe. E dietro quelle magliette SALVIAMO GAIA! batteva un cuore appassionato. In conformità all'insofferenza che provava nei confronti della gente, c'era una sola persona che Zeb apprezzava: la bella, brillante, generosa e grande oratrice Lauren Kelly, cui perdonava persino di aver sposato un petroliere. «Straordinario. È sicuramente autentico», dichiarò, dopo aver sfogliato qualche pagina del libretto di Orlando Falcon. Era arrivata non appena Ross l'aveva chiamata e aveva ascoltato avidamente il racconto su Torino e suor Chantal. «Ne sei sicura?» chiese Ross, camminando su e giù per l'ufficio di Lauren, mentre Zeb sedeva alla scrivania a esaminare il libretto. «Non hai bisogno di più tempo per studiarlo?» «No, questo è indubbiamente della stessa persona che ha scritto il Voynich.» «Come lo sai?» «Senti, potrò aver aiutato Lauren nelle faccende informatiche e matematiche, ma sono anche una specialista in linguistica e filologia e ho trascorso un sacco di tempo sul Voynich. È stato scritto dalla stessa mano. Ne sono
più che certa. Guarda le 'i' e il gambo delle 'g'.» Scosse la testa per lo stupore. «Lauren e io ci siamo chieste spesso se il giardino esistesse davvero.» Ross si fermò. «Anche se è assolutamente impossibile?» «Perché dici così? Intendi dire che voi geologi avete scoperto tutto quello che c'era da scoprire? La gente trova cose nuove di continuo. Ricordi, un paio di anni fa, quando in Congo hanno individuato una nuova specie di gorilla? Per non parlare di quella nuova razza di pigmei in Indonesia ribattezzati hobbit e delle innumerevoli nuove specie di piante e animali che vengono rinvenute continuamente nelle foreste vergini. Perché mai non potrebbe esistere un giardino così, nascosto da qualche parte?» «Un giardino miracoloso? Non pensi che qualcuno avrebbe già dovuto trovarlo a questo punto?» Zeb diede un colpetto sul manoscritto. «Evidentemente qualcuno l'ha trovato: Orlando Falcon, quattro secoli e mezzo fa.» «Ma io sono uno scienziato.» «Perché, io no? Ma il nostro lavoro è risolvere i misteri, non archiviarli. Applica il metodo scientifico, Ross. Sviluppa un'ipotesi. Ecco una bella sfida. Poniamo che il giardino esista. Puoi, come geologo, cercare d'ipotizzare la natura della sua esistenza?» «In parte sì.» «D'accordo, diamoci sotto.» Zeb afferrò il mouse e, mentre scorreva la traduzione di Lauren, Ross andò a sedersi accanto a lei. La nostra ricerca nacque sotto una cattiva stella. Partimmo dalla foresta tropicale sulle montagne. La bruma era così densa da impedirci di vedere persino i nostri piedi. Nella prima settimana, sette soldati caddero morti, scomparendo nel bianco vuoto spettrale. Quando alla fine scendemmo in pianura, ci attendeva una foresta impenetrabile, solcata soltanto da un fiume impetuoso. Costruimmo delle zattere e lasciammo che la corrente ci trascinasse nelle ignote profondità verdeggianti. Per giorni interi fummo in balia del fiume, tra rocce e rapide turbinose, sinché alla fine non arrivammo a una cascata. Due delle zattere finirono frantumate, risucchiate dalle acque tumultuose, e tutto l'equipaggio a bordo annegò. Le imbarcazioni rimaste sopravvissero puntando dritte verso la cascata. Dopo aver contato le perdite, proseguimmo per uno stretto corso d'acqua, popolato da creature simili a draghi, dove più della metà di noi incontrò la morte.
Abbandonammo le zattere per aprirci un varco nella giungla impenetrabile. Ormai i conquistadores avevano preso il posto dei conquistati. La giungla, infestata da animali e malattie, era così densa che il tempo perse ogni significato. Il giorno e la notte divennero una cosa sola. Durante la marcia, i serpenti velenosi mordevano i piedi e le gambe dei soldati, per poi svanire nel groviglio del sottobosco, mentre altre creature invisibili ci braccavano dagli abissi smeraldini della foresta. Persi subito la speranza di trovare la mitica città dell'oro. La morte era l'unica cosa che avremmo scoperto. Sperduti, decimati di numero, mostrai al capitano il diario su cui avevo annotato i punti di riferimento, i rilevamenti bussola e la posizione delle stelle. Ci avrebbe riportati a casa, gli dissi. Ma le sue istruzioni erano esplicite: non potevamo tornare senza l'oro. Zeb guardò Ross. «Fin qui, niente di strano.» «D'accordo, va' avanti.» Zeb fece scorrere il testo fino al punto in cui Falcon e i soldati seguivano quella che credevano una vena aurifera e s'imbattevano nel Giardino di Dio. Ci addentrammo nella giungla infernale. Esausti e disperati, superammo numerosi ostacoli prima di entrare in una grande caverna, una cattedrale di pietra. Seguimmo il filone scendendo verso una cavità svettante, calda come un forno, illuminata da una sola apertura nella volta rocciosa. La vena d'oro ci condusse ancora più in basso, presso un fiume di lava attraversato da un ponte di pietra nera. Lo percorremmo e ci spingemmo in altre cavità dove l'aria era venefica, satura di zolfo, e le pareti trasudavano una pioggia corrosiva. Ci coprimmo la bocca, ci proteggemmo gli occhi e andammo oltre, ma allora mi feci prendere dal terrore perché temetti di essere sul punto di entrare all'inferno vero e proprio. Finalmente scorsi un filo di luce. Poi un suono dolce e soprannaturale mi risuonò nelle orecchie. Mi precipitai verso la luce e fui quasi accecato dalla bellezza di ciò che mi si presentò alla vista. Non era l'inferno, ma il paradiso terrestre, il giardino dell'Eden... «Tutto chiaro?» chiese Zeb. «Penso di sì. La vena potrebbe essere d'oro o di pirite. Il fiume di lava sotterraneo e le caverne sulfuree stillanti acido solforico sono entrambi fe-
nomeni geologici possibili e spesso concomitanti.» «Bene. Una luce li guida all'esterno in un giardino pieno di strane piante mai viste al mondo e cinto da tutti i lati da una parete rocciosa strapiombante. Che mi dici di questa strana flora?» Nonostante il suo scetticismo, Ross iniziò a rispondere a Zeb con entusiasmo. «Se il giardino è circondato da lava, potrebbe aver sviluppato un ecosistema unico e irripetibile, completamente indipendente dalla giungla limitrofa. Non molto tempo fa un ragazzino ha scoperto un ecosistema preistorico in Israele, rimasto sigillato per milioni di anni. La caverna di Ayalon è nera come la pece, lunga due chilometri e mezzo, comprende un lago che giace sotto strati di gesso impermeabile. Il suo ecosistema non è alimentato dal sole, ma dalle creature che ossidano lo zolfo come fonte di energia. Sono già state trovate almeno otto nuove specie che risalgono a milioni di anni fa.» «Hai visto? Non è poi così difficile.» Zeb scorse ulteriormente il testo. «E che ne pensi di un lago perfettamente circolare al centro, alimentato da un ruscello di acqua luminescente che proviene dalle grotte al lato opposto del giardino?» «Laghi circolari non sono una rarità: c'è un lago perfettamente rotondo nel mezzo della foresta pluviale congolese. Persino l'acqua luminosa potrebbe essere l'effetto di qualche fosforescenza.» Poggiando una mano sulla spalla di Zeb, indicò un'immagine sulla scrivania di Lauren. «Cosa sono queste donne nude col ventre rigonfio che vivono in caverne proibite e sono dotate di una voce cristallina? Come si chiamano?» «Gli studiosi le hanno sempre chiamate ninfe, ma nel Voynich sono chiamate Eva.» «D'accordo, e cosa ci fanno lì? E le altre creature che compaiono nel manoscritto?» «Hai detto che il giardino potrebbe avere un proprio ecosistema indipendente in cui piante e animali si sono evoluti a prescindere dal mondo esterno. Le ninfe e le altre creature potrebbero essere come quegli hobbit trovati su una sperduta isola indonesiana, o le nuove specie fossili rinvenute in quella caverna in Israele.» «Suppongo sia plausibile.» Zeb scrollò le spalle. «È così che deve essere un'ipotesi per chiamarsi tale: plausibile.» Ross picchiettò sullo schermo del computer. «Va bene, ma qui cominciano a sorgere i problemi.» Recitò il testo a voce alta: «Quando i soldati
feriti si nutrirono delle piante e bevvero l'acqua del lago, le loro ferite e le loro ossa rotte guarirono come per miracolo. Persino quelli in punto di morte si ripresero e tornarono in piena salute». Zeb si passò le dita tra i boccoli rossi. Quello era un punto critico. Lei voleva credere nel giardino. Amava l'idea che fosse l'essenza nutritiva di Gaia: il cuore di Madre Terra entro il quale tutto era possibile. Ma la parte rigorosa, matematica della sua mente sapeva che quel desiderio non bastava a tramutare i sogni in realtà. Aveva bisogno di un motivo per credere. «D'accordo, stiamo ancora giocando a fare ipotesi. Come spiegheresti l'esistenza di un giardino unico nel suo genere, isolato, con un ecosistema evoluto in modo indipendente, dove acqua e piante hanno proprietà curative miracolose?» «Orlando Falcon pensava fosse un luogo divino, il Giardino di Dio.» «Ma lui era un prete. Tu sei un geologo, uno scienziato. Come te lo spieghi, tu?» Ross scosse la testa e alzò lo sguardo verso la stampa appesa alla parete sopra la scrivania di Lauren: un planisfero centenario. Ampie zone dell'antica cartina erano contrassegnate come Terra Incognita, e gli oceani presentavano disegni di mostri marini con l'avvertimento: Attenzione! Qui vi sono i draghi. Ross studiò la mappa per alcuni istanti, poi sul suo viso apparve una strana espressione, come se avesse visto o pensato qualcosa cui non riusciva a credere. Zeb colse l'emozione nei suoi occhi. «Che ti prende? Parla!» 20 Ross non le rispose subito. Continuò a fissare la vecchia cartina sopra la scrivania di Lauren. Mentre esaminava quel planisfero romantico e incompleto, lo paragonò con la precisa mappa geologica terrestre della Xplore, che mostrava non solo la superficie dell'intero pianeta, ma anche cosa vi si trovava al di sotto. L'idea in nuce, l'intuizione che lo aveva esaltato gli era venuta l'ultima volta che aveva usato la mappa della Xplore: per presentare la sua teoria sull'olio antico a Underwood e Kovacs nel giorno del suo licenziamento. Tolse il mouse dalla mano di Zeb e ritornò indietro fino alla descrizione del fiume di lava e delle velenose grotte sulfuree da cui colava una pioggia caustica. Si ricordò delle condizioni tossiche dominanti agli albori del mondo e gli sovvenne un collegamento così stravagante da non poter esse-
re fondato. O sì? Nonostante l'incredulità, il cuore prese a battergli più forte. Era un'ipotesi che poteva dare una giustificazione a tutto. Passò oltre, alla parte della storia in cui i soldati morivano nella ricerca di qualcosa di misterioso celato nelle cavità inaccessibili all'altro capo del giardino, convinti che si trattasse di un tesoro. Il saggio religioso tentò di fermarli, ma vennero tutti uccisi e il fiume si tinse del rosso del loro sangue. Ross afferrò il libretto di indicazioni di Orlando Falcon e andò dritto alle pagine che rivelavano la traduzione dell'ultima impenetrabile sezione del Voynich. Nello scartabellare il testo, Ross continuava a notare la parola el origen, la Fonte. Tutto puntava alla sua ipotesi, per quanto bizzarra. «Allora?» insistette Zeb, gli occhi enormi dietro le spesse lenti. «A che stai pensando?» Lui si sforzò per riordinare il guazzabuglio di pensieri. «Un dato di fatto: c'è stato un momento prima del quale la Terra era sterile e dopo il quale non lo era più. E, considerando il valore di questo momento improbabile, prodigioso ma inconfutabile nella storia del pianeta, allora tutto diventa possibile.» «Stai parlando del momento in cui sulla Terra è nata la vita?» «Non soltanto del momento in cui si è accesa la prima miracolosa scintilla vitale, ma anche del modo in cui si è verificato e, cosa ancor più importante, del luogo.» Zeb annuì lentamente. «Ti seguo, stiamo parlando del tempo e del luogo in cui la vita è iniziata sulla Terra. Va' avanti.» Sciorinò il resto in una serie di «se» e di «allora». «Se, come suggerisce un crescente numero di prove, i germi della vita sono derivati da amminoacidi asteroidali che sono caduti sul pianeta quattro miliardi di anni fa, e se il luogo in cui l'asteroide ha colpito la crosta terrestre si è conservato - proprio come si sono conservate le rocce superficiali di Isua in Groenlandia occidentale di tre miliardi e ottocento milioni di anni fa e l'Acasta Gneiss nel Canada nordoccidentale, vecchio di quattro miliardi di anni - allora il Giardino di Dio, l'Eden di Orlando Falcon, potrebbe essere l'epicentro della vita, il ground zero, il punto originale dell'impatto, chissà come cristallizzato nello spazio e nel tempo. Nella sezione conclusiva, Falcon cita persino qualcosa che chiama el origen, la Fonte.» Tacque, ma Zeb non fiatò, aveva il volto pallido e non gli staccava gli occhi di dosso. «Inoltre, se il giardino, o la sua Fonte, esiste e se segna il punto in cui è iniziata la vita, allora potrebbe contenere ancora il brodo primordiale, l'antenato del DNA, e questo potrebbe spiegare la stranezza della flora e della fauna e le sue
proprietà miracolose.» Ci fu una pausa di silenzio prima che Zeb parlasse. Quando lo fece, la sua voce non era più che un sussurro. «Perciò, come ha detto la suora, c'è qualcosa nel giardino che potrebbe curare Lauren?» «Sì», rispose Ross, percependo la prima vampa di speranza. Se quello strano giardino corrispondeva alla sua ipotesi, allora non solo lui avrebbe potuto salvare Lauren, ma avrebbe anche scoperto il Santo Graal della geologia, forse il Santo Graal di tutte le scienze: l'origine stessa dell'esistenza. Zeb ricadde indietro sulla sedia, tenendosi la testa tra le mani e scoppiando in una risata nervosa. «Cazzo... Il Giardino di Dio nel Voynich è il grembo di Gaia, la culla della vita sulla Terra. Cazzo, Ross, è un'ipotesi bomba. Non mi meraviglio che quel prete sia uscito dai gangheri.» «Be', dobbiamo ancora dimostrare l'ipotesi.» «Niente di più facile», disse Zeb, prendendo in mano il libretto di Orlando Falcon. «Troviamo il giardino.» La mente di Ross andò subito a Lauren e al bambino che portava in grembo e l'entusiasmo si affievolì. «Non posso abbandonare Lauren per andare a caccia di farfalle, ora che ha più bisogno di me.» «Non è una caccia alle farfalle», intervenne una voce alle loro spalle. Ross si voltò. «Da quant'è che è lì?» «Abbastanza da aver sentito la sua teoria.» «Lei dev'essere suor Chantal. Salve, sono Zeb Quinn. Ho lavorato con Lauren al manoscritto.» «Piacere di conoscerla, Zeb.» Suor Chantal attraversò la stanza e prese le mani della ragazza nelle sue, poi afferrò il libretto di Falcon e se lo strinse al petto. «Allora? Venite con me a cercare il giardino?» «Conti su di me», affermò Zeb. «Ehi, non così in fretta», disse Ross, ancora incerto se crederci o no e su cosa fosse meglio per Lauren. Indicò il libretto. «Anche se il giardino esistesse, alcuni indizi sono piuttosto criptici, a dir poco.» «Io posso interpretarli», replicò suor Chantal. «Davvero? E come fa a esserne sicura?» «Sono la Guardiana. Li ho già seguiti in passato.» «Per arrivare al giardino?» Ross era incredulo. «Lei c'è stata?» «Sì.» «E allora perché ha bisogno di noi per tornarci?» «Perché sono vecchia, il viaggio è lungo, irto di difficoltà ed è passato tanto tempo.» Picchiettò sul libretto. «Per trovare la strada, dobbiamo se-
guirlo passo dopo passo.» Ross si massaggiò le tempie per lo sconforto, incapace di determinare se la vecchietta stesse dicendo il vero o fosse una mitomane delirante. «Sorella, voglio credere alla sua storia. Vorrei davvero credere all'esistenza di un giardino miracoloso che possa curare mia moglie. Ma, se pensa che abbandoni Lauren nelle sue condizioni attuali solo perché lei sostiene che è vero e che c'è stata, allora si sbaglia di grosso.» «E la sua teoria?» «Non si tratta di un esperimento scientifico. Non posso lasciare mia moglie per verificare un'ipotesi assurda. Serve qualcosa di più. Ho bisogno di una prova.» «Le ho mostrato il libro.» Lui scosse la testa. La religiosa rimase in silenzio per un attimo. «Avevo qualcosa che avrebbe potuto convincerla dei poteri di guarigione del giardino, ma non era abbastanza. L'ho usato tutto...» Si ammutolì di nuovo e rivolse i suoi begli occhi a Ross. «Su Lauren.» A Ross balzò il cuore in petto e colse un'espressione sbigottita anche sul volto di Zeb. «Cos'ha detto?» D'un tratto gli tornò in mente di aver sorpreso suor Chantal inginocchiata al capezzale di Lauren, vicino al sondino gastrico. Poi ricordò la sacca di pelle vuota della suora. «Cosa le ha dato?» Lo sguardo della donna era imperturbabile. «Quel poco che mi rimaneva, non molto. È stato un gesto disperato, ma volevo guarirla con tutta me stessa. Gliene avrei somministrato di più, se me ne fosse rimasto. Sono certa che abbia avuto qualche effetto, ma purtroppo non basterà a curarla.» «Cosa le ha dato esattamente?» chiese Zeb. Ross balzò in piedi e andò al telefono. Che gli saltava in mente? Non esisteva nessun giardino. La suora non solo farneticava, aveva anche avvelenato sua moglie. «Cos'ha fatto? Per l'amor di Dio, me lo dica!» Il telefono squillò non appena le sue dita lo sfiorarono. Mise il vivavoce e fulminò suor Chantal con lo sguardo. «Pronto?» «Ross, sono Diana.» La madre di Lauren sembrava senza fiato. «Ti chiamo dall'ospedale.» Zeb impallidì e qualcosa di gelido si snodò nello stomaco di Ross. «Che c'è che non va? È successo qualcosa?» «Non preoccuparti, Ross, va tutto bene. C'è stato un piccolo ma significativo miglioramento. Hanno tolto il respiratore a Lauren. Respira da sola e il bambino riceve più sangue e ossigeno. Mi hanno avvertito di non entu-
siasmarmi troppo perché la prognosi non è cambiata, ma il bambino sta meglio, almeno un pochino.» All'improvviso Ross fu attraversato da un'ondata di sollievo e di sconcerto. Poteva essere una coincidenza? Continuò a fissare la suora. «Quando l'hanno scoperto, Diana?» «Meno di un'ora fa.» «Hanno idea di come sia successo?» «Non ancora. Stanno facendo esami e controlli. Ma i dottori dicono che è molto raro che si verifichino miglioramenti improvvisi di questo tipo. Francamente, Ross, è un piccolo miracolo.» «Arrivo.» «Non importa. È tardi e, come ti ho detto, le stanno facendo degli accertamenti. Resterò con lei fino a mezzanotte. Perché non vieni domattina presto?» «Va bene, farò così. Grazie della telefonata.» «A domani. Buonanotte.» Riagganciò e per un lungo istante non proferì parola, tentando di elaborare cosa fosse appena capitato. Non sapeva se sentirsi riconoscente o arrabbiato per l'intercessione della suora. Fu Zeb a rompere il silenzio. «Ha dato a Lauren qualcosa dal giardino?» «Sì.» «Cosa, esattamente?» chiese Ross. «Non importa. Ormai è finito. Quello che conta è che non è bastato e non ne resta altro. Ce ne vorrà di più. Molto di più.» D'un tratto sembrò esausta. «Ross, non importa in che modo le spieghi l'esistenza del giardino di padre Orlando - religioso, scientifico o spirituale -, sappia solo che ha il potere di curare sua moglie e molto altro ancora.» Si accasciò sulla sedia accanto a lui. «E non ci resta molto tempo per trovarlo. La medicina che ho dato a Lauren era quella che avevo risparmiato per me stessa, per sostenermi nell'arduo viaggio. Sono fragile, le forze mi stanno abbandonando e senza di me a interpretare le indicazioni ho paura che non lo troverete mai. Perciò, qualunque sia la sua decisione, Ross, la prenda in fretta. Al più presto. Perché io ho intenzione di partire, con o senza di lei.» 21 Quella notte, Ross sognò la sua fragile famiglia appesa a un filo: Lauren e il bambino nel suo grembo, entrambi aggrappati alla vita, quest'ultimo
che cercava disperatamente di venire al mondo, la prima che lottava per non lasciarlo. Mentre dormiva, l'assassino un tempo noto come La mano sinistra del diavolo eseguiva con fare furtivo le istruzioni del suo mandante. Per prima cosa, attaccò delle cimici alla linea telefonica di Ross. Poi, alle prime luci dell'alba, penetrò nei corridoi deserti del Sacro Cuore indossando il camice di un inserviente e una borsa nera in mano. Quando fu certo di essere solo, entrò nella stanza trentasei del reparto di Neurotraumatologia. Avvicinandosi al letto, controllò il nome sulla cartella e aprì la borsa. Per un lungo istante rimase a contemplare la sagoma inerte della paziente, ad ascoltare il suono ritmico dei macchinari che la tenevano in vita. In tutto quel tempo il suo viso si mantenne inespressivo, senza tradire nessun accenno alla natura dei suoi pensieri. Infine rovistò nella borsa ed eseguì quello che il padre generale gli aveva ordinato di fare. Una volta finito, lanciò un'ultima occhiata al letto e se ne andò. Nessuno aveva fatto caso alla sua presenza e, anche se la paziente l'avesse visto, non era certo in grado di raccontarlo. 22 Ross aveva sperato di alzarsi il mattino seguente con un piano d'azione ben definito in mente, ma quando aprì gli occhi era confuso come quando li aveva chiusi. Allora si recò all'ospedale con suo padre, ma le parole del neurologo non furono di grande aiuto. «Lauren è decisamente migliorata, per quanto non riusciamo a capirne il motivo», disse Greenbloom nel suo studio. «Adesso può respirare senza macchinari e l'ematoma intorno al tronco encefalico è regredito. Le radiografie rivelano inoltre che alcune delle fratture vertebrali non sono più visibili, un altro fatto che non riesco a spiegare. Tutto questo è un bene, ma le nostre aspettative non sono cambiate. È ancora in coma profondo, livello uno nella scala Rancho e tre nella Glasgow Coma Scale e non abbiamo ragione di credere che la sua prognosi sia migliorata.» «E il bambino?» «La prognosi del bambino è parzialmente migliore, ma non direi ancora che sia fuori pericolo.» «Perciò lei dice che c'è stato un miglioramento improvviso, e inspiegabile, però le prospettive non sono affatto mutate?» «Purtroppo è così.»
Per quanto Ross fosse contento della rimozione del tubo dalla trachea di Lauren e della scomparsa del suono meccanico e senz'anima del respiratore, dopo il responso di Greenbloom era impossibile sentirsi rinfrancati. Mentre faceva colazione con suo padre alla piccola mensa dell'ospedale, Ross continuava a riflettere sul giardino di padre Orlando. Aspettò che suo padre finisse le uova e le frittelle prima di metterlo al corrente. Si aspettava che da uomo con la testa ben piantata sulle spalle qual era si mettesse a scuotere il capo e chiedesse a Ross perché perdeva tempo dietro tutte quelle fesserie. Invece strinse con le grandi mani callose la tazza di caffè e si accigliò pensieroso. «Quello che ho imparato da una vita come contadino è che la natura ha modi strani di sorprenderci. Perciò non sarò io a dire che quel giardino non esiste. Figliolo, sei l'unico che ha studiato. Cosa ne pensi? Potrebbe essere vero?» Ross vagliò di nuovo la sua ipotesi e si strinse nelle spalle. «Credo sia possibile, almeno in teoria.» «Potrebbe essere di aiuto a Lauren? Da qualche parte ho letto che le foreste del mondo sono piene di medicine e cure di cui la scienza moderna non sa ancora nulla.» Ross ripensò al miglioramento di Lauren. «Anche questo è possibile.» «Ora come ora, la parola 'possibile' mi sembra già tanto», affermò il padre. «Ha un suono molto più bello di ciò che continua a dirci il dottor Greenbloom.» Rimase in silenzio e fissò Ross. «Senti, non sei mai stato uno che se ne sta lì seduto ad aspettare che succeda qualcosa. Cos'è che ti frena?» «Abbandonare Lauren e il bambino. Se dovessi partire alla ricerca di quel posto, dovrei farlo come si deve. Sarei lontano, in mezzo al nulla, come minimo per un paio di mesi.» Una fiamma si accese nello sguardo solitamente calmo del padre. «Ti dico una cosa, ragazzo. Se avessi potuto fare qualcosa, anche l'impresa più azzardata, per salvare il tuo fratellino mai nato tanti anni fa, o tua madre quando le diagnosticarono il cancro, non ci avrei pensato un momento.» Sorrise tristemente. «Sei fortunato, figliolo. Tu puoi fare qualcosa. Non conosco bene il tuo lavoro, ma capisco che consiste nel trovare delle cose. È quello che fai e che ti riesce meglio. Se c'è persino la più magra possibilità che quel giardino esista, solo tu puoi trovarlo. E, se salvare Lauren e il bambino significa abbandonarli per qualche mese, allora che aspetti? Penserò io a tutto. Tra l'altro, presto venderò la fattoria. Il mio cuore non è più quello di un tempo e tu non la vuoi. Il vecchio Lou Jackman mi ha fatto
un'offerta onesta e ho intenzione di andare in pensione. Quindi non preoccuparti per Lauren e per il mio nipotino. Lasciali alle cure mie e di Diana.» Ross provò uno slancio di gratitudine e speranza. «Sei sicuro, papà?» «Diavolo, figliolo, non sono mai stato così sicuro in vita mia. Va' a salutare Lauren, spiegale perché te ne vai e poi fa' di tutto per salvarla. Perché, se resterai senza far nulla, potresti pentirtene per il resto della tua vita.» Carico di nuova risolutezza, Ross s'incamminò verso la stanza di Lauren ed estrasse il cellulare. L'entusiasmo nella voce di Zeb Quinn lo fece sorridere. «Ehi, Ross, ti sei deciso?» «Sei ancora disposta a partire?» «Puoi scommetterci. Allora andiamo?» «Sì, andiamo.» «Sei d'accordo a lasciare Lauren?» «Sì, sono d'accordo», rispose lui, cercando di reprimere i dubbi. «Ma solo perché lo faccio per lei.» 23 Dopo essersi tolto la salopette, Marco Bazin si sedette sul letto del motel Best Western, ad alcuni metri dal Sacro Cuore, e attese che Ross Kelly ricomparisse sul suo schermo. Le immagini sul portatile e i suoni nelle cuffie provenivano dalla telecamera di sorveglianza wireless e dal microfono che aveva nascosto la notte precedente nella cornice sopra il letto di Lauren Kelly. Torino credeva che, qualunque fossero i piani di Ross, avrebbe aperto il suo cuore alla moglie in stato comatoso. Bazin era rimasto in attesa in un hotel di Manhattan finché il padre generale non lo aveva chiamato la sera del giorno precedente. Le sue istruzioni erano state criptiche ed esplicite allo stesso tempo: una suora traditrice aveva stretto un'alleanza col geologo ateo e insieme i due costituivano un pericolo mortale per la Santa Madre Chiesa. Minacciavano di compromettere e strumentalizzare un posto sacro dotato di grandi poteri che apparteneva di diritto alla Chiesa, solo e soltanto alla Chiesa. All'inizio, Ross doveva essere piantonato. Ma, se avesse minacciato di annunciare ai quattro venti qualche dettaglio della ricerca, allora Bazin aveva il dovere di catturare la suora e mettere a tacere Ross. Definitivamente. Torino era stato molto chiaro su quel punto. Dopo aver installato una semplice spia sulla linea telefonica di casa
Kelly, Bazin era andato dritto all'ospedale per nascondere l'apparecchiatura di sorveglianza. Negli ultimi venti anni i ferri del suo mestiere erano diventati sempre più sofisticati. Non era più sufficiente essere capaci di maneggiare un'arma. La sopravvivenza ormai dipendeva dall'abilità di districarsi in tutta una vasta gamma di tecnologie. Bazin si alzò, subito all'erta. Sullo schermo, vide Ross entrare nella stanza e sedersi accanto alla moglie in coma. Il modo tenero con cui le teneva la mano suscitò in Bazin uno spontaneo moto di commozione, che si apprestò subito a sopprimere. Schiacciò il pulsante di registrazione sullo schermo del portatile ed entrò nella casella e-mail di Torino per inviargli i file video crittati in tempo reale. Se Ross avesse rivelato qualcosa, lo avrebbe fatto in quel momento. Toc toc. Il rumore penetrò nelle cuffie di Bazin, che esclamò: «Non ho bisogno del cambio. La stanza è a posto». Toc toc. Più forte. «Ho detto: no, grazie.» Toc toc. Ancora più forte. Bazin si sfilò le cuffie, impugnò la Glock vicino al letto e si avviò verso la porta. Controllò dallo spioncino. Lo scocciatore stava troppo vicino e gli bloccava la visuale. Girò il chiavistello e aprì la porta. «Non ho bisogno...» Clic. Prima che Bazin potesse indietreggiare nella stanza, aveva una pistola, non dissimile dalla sua, puntata alla tempia. «Mettila giù. Con calma.» Bazin continuò a tenere lo sguardo fisso davanti a sé e posò l'arma sul pavimento. «Cavolo, un gioco da ragazzi. Sapevo che avevi avuto un brutto male, che avevi perso un coglione o qualcosa del genere. Ma non immaginavo che La mano sinistra del diavolo fosse diventato una femminuccia. Entra nella stanza.» L'uomo calciò la pistola di Bazin, poi richiuse la porta. Bazin riconobbe Vinnie Pesci, il tirapiedi americano della famiglia Gambini. Don Gambini aveva assoldato Bazin in passato. Da quando aveva offerto i suoi servigi a Torino, Bazin aveva tenuto una condotta cauta, era stato attento a usare una serie d'identità e passaporti falsi, ma aveva sempre saputo che sarebbe arrivato il giorno in cui la sua vecchia vita lo avrebbe raggiunto. «Cosa vuoi? Sono in pensione. Ho restituito i soldi che i Gambini mi avevano versato per l'ultimo colpo.»
«Non è così che va. Nessuno si ritira finché non lo dice Don Gambini. E, comunque, lui immagina che tu sia nella merda fino al collo e che ora lavori per i Trapani.» «Te l'ho detto. Mi sono ritirato.» «Ah, sì?» Pesci indicò il portatile e le cuffie sul letto. Sullo schermo Ross era intento a parlare con la moglie. «Stai lavorando per qualcuno. Ecco il punto: il vecchio vuole la mano sinistra del diavolo... in una busta. E, quello che Don Gambini chiede, Don Gambini ottiene.» Bazin non disse nulla, si limitò a socchiudere gli occhi. Prima della malattia, Pesci non avrebbe mai osato affrontarlo da solo. Pesci frugò nella giacca e tirò fuori una sega chirurgica e un telo di plastica ripiegato, che gettò sul pavimento. «Ho sempre ammirato il tuo stile, consideralo una sorta di omaggio. Conosci le regole. Stendi il telo e ti finirò velocemente. Proprio come facevi tu. Fa' lo stronzo e ti taglio la mano mentre sei ancora vivo.» Bazin scosse la testa. «Non farlo, Vinnie. Non costringermi a ucciderti.» Pesci scoppiò a ridere. «Uccidermi? Di che cazzo parli?» «Non posso permetterti di ammazzarmi prima di aver ottenuto l'assoluzione.» Pesci puntò la pistola all'inguine di Bazin. «Te la darò io l'assoluzione, amico. Stendi il telo e inginocchiati come un bravo chierichetto. O ci penserò io a metterti in ginocchio. Mi stai ascoltando?» Nella sua mente - e nei suoi incubi - Bazin aveva vissuto quel momento molte volte, chiedendosi cosa avrebbe fatto per salvarsi se uno come lui, La mano sinistra del diavolo, fosse venuto a reclamarlo. La risposta era sempre la stessa: non molto. A meno che l'assassino non avesse fatto un passo falso. Per fortuna fu così: Pesci non aveva aperto il telo prima di gettarlo sul pavimento. Bazin lo raccolse e glielo scosse davanti, come per togliere le pieghe dalle lenzuola di lino appena lavate. La plastica nera ondeggiò come una vela opaca, schermando per un momento Bazin dalla vista di Pesci. In quell'istante Bazin si avventò sull'americano. Prima che Pesci riuscisse a far fuoco, Bazin localizzò il plesso solare dell'uomo con la mano sinistra e la trachea con la destra. Il colpo al plesso solare lo immobilizzò. Quello alla trachea lo uccise. In piedi dinanzi al corpo di Pesci, Bazin non provò né euforia né sollievo. Non solo aveva più bisogno che mai di assoluzione, ma sapeva che Gambini avrebbe mandato un altro Vinnie Pesci a dargli la caccia, poi un
altro ancora, finché prima o poi non sarebbe finito in un telo di plastica nera e sepolto in qualche tomba abbandonata. Se voleva vivere abbastanza a lungo da guadagnarsi il perdono, doveva trovare un posto dove Gambini e i suoi vecchi nemici non potessero scovarlo. Uno dei due cellulari vicino al letto iniziò a squillare. Per un secondo Bazin rimase impalato a fissarlo, a chiedersi chi potesse essere. Poi si rese conto che era il telefono che gli aveva dato Torino. Solo il prete conosceva quel numero. «Stai guardando?» Il fratellastro sembrava col fiato in gola per l'esaltazione. Bazin tornò a rivolgere lo sguardo verso il portatile. «Vedo Ross Kelly che parla alla moglie.» «Non stavi ascoltando?» «Ero occupato.» «Ascolta cosa dice poi manda indietro la registrazione, ma non dire a nessuno cosa sentirai. Dopo di che avrò bisogno di te ancora una volta. E, se farai come ti dico, ti prometto che sarai assolto da tutti i peccati dal Santo Padre in persona.» Bazin abbassò lo sguardo verso il corpo di Pesci. «Cosa devo fare?» «Ross Kelly e la falsa suora che si è recata da lui ieri stanno per lasciare il Paese. Porteranno qualcuno con sé, una ricercatrice di nome Quinn. Ho delle questioni da sistemare in Vaticano, ma voglio che tu li segua e non li perda mai di vista.» «Dove sono diretti?» «Ascolta cosa sta dicendo Ross. Capirai tutto. Sta' alle costole dell'uomo e della suora, ovunque ti portino. Abbandoneranno il sentiero battuto verso il cuore della foresta. Credi di farcela?» Bazin pensò agli scagnozzi di Gambini e a tutti quelli che gli sarebbero stati col fiato sul collo. Poteva scomparire nella foresta. Poi pensò al Santo Padre che gli restituiva una fedina pulita e gli offriva la redenzione. «Sì. Per me va bene.» PARTE SECONDA TERRA INCOGNITA 24 Perú
Il terzo Paese più grande del Sudamerica si estende appena al di sotto dell'equatore, sulla costa nordoccidentale del subcontinente, ed è diviso in tre regioni: la stretta costa pacifica a occidente, che comprende la capitale, Lima; la possente sierra andina, che corre come una colonna vertebrale storta sul lato occidentale dell'America latina; e la regione orientale, che copre più di metà del Paese e costituisce la porzione a ovest del favoloso bacino amazzonico. E proprio l'Amazzonia fa sembrare piccola una nazione relativamente grande come il Perú. Il suo fiume leggendario percorre l'intero subcontinente, dalle Ande peruviane a ovest all'oceano Atlantico a est, per una distanza di oltre seimila chilometri. Il Rio delle Amazzoni, comprensivo dei suoi affluenti, possiede addirittura un quinto delle acque dolci del mondo superando la somma delle portate dei sei fiumi maggiori - e il suo flusso è così potente da desalinizzare le acque dell'Atlantico per più di ottocento miglia dalla linea costiera. Marajó, un'isola sulla foce del Rio, è grande come la Danimarca. La foresta amazzonica non può che essere definita maestosa. Occupa una superficie di oltre sette milioni di chilometri quadrati - ancora in parte inesplorata - e rappresenta oltre la metà di foresta pluviale della Terra. Brulicante di vita, ospita una biodiversità unica al mondo: più di due milioni di specie di insetti, centomila di piante, duemila di pesci e seicento di mammiferi, considerando solo quelle conosciute. Ogni anno ne vengono scoperte di nuove. L'Amazzonia è anche la fonte di molti minerali rari e preziosi. Leggere quelle informazioni sulla guida incoraggiava e al tempo stesso scoraggiava Ross Kelly, mentre il volo interno della Aerocondor sorvolava le Ande dall'Aeropuerto Internacional Jorge Chavez verso gli altipiani settentrionali. La vasta estensione dell'Amazzonia sottolineava quanto fosse difficile trovare quello che lui cercava, ma assicurava pure che nella foresta sconfinata e misteriosa poteva nascondersi di tutto, persino il giardino magico di Falcon. Dopo aver deciso di andare in cerca del giardino, si era concesso un barlume di speranza, ma in quel momento si sentiva solo e sperduto. Alla Xplore aveva potuto contare su una molteplicità di risorse: rilevamenti, verifiche, personale sul campo. Quella volta però era diverso. Era in un Paese straniero in compagnia di una suora di salute cagionevole, praticamente pazza, una dottoranda appassionata e un vecchio libretto pieno di indizi
criptici. Guardò verso sinistra dove sedeva Zeb, sprofondata in un libro di storia del Perú. Al suo fianco, suor Chantal giaceva abbandonata sul sedile, a russare a bocca aperta. Aveva rinunciato all'abito e al soggolo per la praticità di pantaloni di cotone, scarponi da trekking e una maglia di pile. Zeb gli diede un colpetto col gomito. «Tutto bene?» «Sì.» «Non devi preoccuparti per Lauren, è in buone mani.» Non appena atterrati a Lima, Ross aveva telefonato a suo padre, e lo aveva chiamato di nuovo prima d'imbarcarsi sul volo interno. Naturalmente non c'erano cambiamenti nelle condizioni di Lauren, ma non riusciva a fare a meno di arrovellarsi chiedendosi se avesse fatto la cosa giusta a lasciarla sola. Il suo incubo peggiore era che un momento prima di morire Lauren si svegliasse e lo chiamasse, e lui non sarebbe stato lì per consolarla e dirle addio. Zeb picchiettò sul libro. «Questo ti solleverà il morale. So da dove è partito Falcon.» «Sappiamo già da dove è partito: da Cajamarca. È per questo che stiamo andando lì.» Zeb lo freddò con lo sguardo. «Intendevo il punto esatto.» Lui frugò nella giacca di lino stazzonata e ne estrasse i suoi appunti. Falcon aveva scritto che la spedizione era partita da Cajamarca, all'esterno di un posto chiamato la prisión del rey, la prigione del re. «Sai dove si trova la prisión del rey?» «Esatto.» La notizia gli sollevò davvero il morale. Se il primo indizio trovava un riscontro nel mondo reale, indipendentemente dall'interpretazione dell'enigmatica suor Chantal, allora dava credibilità anche alle altre tracce e a tutta quella caccia alle farfalle. Soprattutto dal momento che nella guida non aveva trovato nessun luogo chiamato la prisión del rey. Zeb indicò il libro. «Risale alla conquista del Perú da parte degli spagnoli, una delle più strane della storia. Guarda qua: nel 1532 Francisco Pizarro attraversò le montagne partendo dalla costa con meno di duecento uomini e si stabilì nella grande piazza inca a Cajamarca. L'imperatore inca Atahualpa, con un migliaio di uomini disarmati al seguito, entrò nella piazza coi migliori propositi per accogliere gli strani uomini bianchi. Pizarro, tuttavia, non si presentò per incontrare Atahualpa e mandò al suo posto il cappellano. Il cappellano si rivolse al sovrano informandolo che un certo
Dio Padre aveva mandato Suo Figlio, parte della Trinità, sulla Terra dov'era stato crocifisso. Prima che ciò avvenisse, spiegò il cappellano, il Figlio, di nome Gesù Cristo, aveva trasferito il Suo potere a un apostolo, Pietro, il quale aveva tramandato quel potere, in seguito, ad altri uomini chiamati pontefici, uno dei quali aveva incaricato Carlo V di Spagna di conquistare e convertire l'inca supremo e il suo popolo. L'unica speranza per Atahualpa, concluse il cappellano, era di giurare fedeltà a Gesù Cristo e sottomettersi a Carlo V. A quelle parole, Atahualpa informò il cappellano che lui era il più grande principe del mondo e che non si sarebbe sottomesso a nessuno. Questo papa, disse, doveva essere pazzo a offrire terre che non gli appartenevano. E, per quanto riguardava Gesù Cristo, l'inca era dispiaciuto per lui, ma - e indicò il sole - 'il mio dio vive ancora nei cieli e guarda in basso verso i suoi figli'.» Ross sorrise. Gli piaceva il modo di fare di Atahualpa. Zeb proseguì: «I conquistadores se ne stavano in agguato negli enormi edifici che si affacciavano sulla piazza e, quando il cappellano tornò con la risposta del re, Pizarro si lanciò all'attacco con la fanteria e i soldati a cavallo. Facendo fuoco con archibugi e cannoni, quel giorno massacrarono tra i due e i diecimila indigeni disarmati e fecero prigioniero l'imperatore inca». «Tutto in nome di Dio e della Chiesa cattolica, senza dubbio», intervenne Ross. «Infatti. In prigione, Atahualpa parlava spesso con gli spagnoli e presto capì che, nonostante tutti quei discorsi sul papa e sulla Trinità, era stata la sete di oro ad aver portato i bianchi nella sua terra. In cambio della propria libertà, offrì a Pizarro tanto oro - che gli incas chiamavano le 'lacrime del sole' - da riempire una stanza di cinque metri per sette e alta due e mezzo. Atahualpa fu giustiziato non molto tempo dopo, ma il riscatto fu pagato lo stesso e la stanza in cui fu misurato, el cuarto del rescate, si dice sia stata la prigione del re inca, la prisión del rey.» Ross scartabellò la guida Lonely Planet e a pagina 336 trovò la principale attrazione turistica di Cajamarca, l'unico edificio inca ancora in piedi della città: el cuarto del rescate, la stanza del riscatto. Proprio allora il comandante annunciò che l'aereo stava iniziando la discesa e Ross guardò dal finestrino. Mentre perdevano quota, vide Cajamarca adagiata sui declivi delle Ande orientali, sopra le nuvole e abbracciata dalla foresta. Oltre, in lontananza, avvistò quello che sembrava il litorale di un enorme oceano verde: l'Amazzonia.
Mentre Ross guardava in basso verso quel mare verde smeraldo, sognando cosa poteva fare là in mezzo, non fece caso all'uomo che, seduto cinque file più indietro, non lo perdeva di vista un momento. 25 Roma La Sala Clementina del Vaticano era una stanza alta col pavimento di marmo; la parte superiore delle pareti e il soffitto imponente erano decorati con affreschi che sembravano protendersi fino al cielo. La Congregazione per le cause dei santi la usava spesso per perorare la canonizzazione dei candidati. Quel giorno, solo tre uomini occupavano l'ampia sala: i cosiddetti tre papi, gli uomini più potenti della cristianità. A sinistra, rifulgente nella veste porpora del suo ufficio, sedeva il cardinale prefetto Guido Vasari, il papa rosso. Alto ed esile, col naso aquilino e con occhi scuri da cane bastonato, Vasari era il capo della Congregazione per la dottrina della fede, la più antica e potente delle nove congregazioni della Curia. Originariamente chiamata Inquisizione e investita del compito di difendere a ogni costo la Santa Madre Chiesa dall'eresia, il suo ruolo era passato al promuovere e salvaguardare la dottrina cattolica nel mondo. Molti, però, si rivolgevano al cardinale prefetto col suo titolo originale: Grande Inquisitore. A destra, in una sobria veste nera, sedeva il padre generale Leonardo Torino, il papa nero, il Preposito generale della Compagnia di Gesù, l'ordine fondato da Ignazio di Loyola e celebre per il suo rigore intellettuale e il suo ascetismo. Secoli prima, durante la Controriforma, quando l'Inquisizione era ricorsa al terrore e alla tortura per arginare la diffusione del protestantesimo, la Compagnia di Gesù aveva optato per l'intelletto e l'argomentazione. I gesuiti si pregiavano di comprendere le credenze, i costumi, le usanze e la lingua di potenziali proseliti meglio di altri. Ciò comprendeva la religione più innovativa di tutte: la scienza. Seduto a capotavola, tra Vasari e Torino, c'era un uomo corpulento vestito di bianco: il pontefice, il vero papa. Torino guardò i due uomini e sentì un impeto di compassione per Orlando Falcon. Immaginò il confratello gesuita di fronte ai predecessori di quei uomini e al proprio, che cercava di spiegare quello che aveva scoperto. Un'impresa impossibile. Gli emissari di Dio in Terra avrebbero dovuto es-
sere dei visionari, non anziani guardinghi che vedevano solo impedimenti. Torino posava le mani sul portatile e sul classificatore davanti a sé, sperando di disporre di prove sufficienti per convincerli a compiere il necessario per invertire l'inevitabile declino della Santa Madre Chiesa nel mondo. I lacrimosi occhi azzurri del Santo Padre indugiarono nei suoi. «Avete richiesto questa udienza, padre generale. Perché?» Torino aprì il classificatore e poggiò l'archivio dell'Inquisizione del processo e della testimonianza di padre Orlando davanti a loro. «Quattrocentocinquanta anni fa, i nostri predecessori condannarono al rogo uno stimato padre gesuita. Il suo crimine? Sosteneva di aver scoperto un giardino miracoloso per la Santa Madre Chiesa.» Proseguì col resoconto del processo e della testimonianza di Falcon, evidenziando il ritrovamento del giardino. «Non capisco, padre generale», il papa aggrottò la fronte quando Torino ebbe finito. «Da quando siete entrato a capo dell'Istituto dei miracoli, vi siete dimostrato spietato nei confronti di qualsiasi istanza. Non fate che ricordarmi che, sebbene la Chiesa abbia bisogno di miracoli per dimostrare l'azione della mano divina nel mondo, deve trattarsi di casi dimostrati scientificamente che nessuno possa contestare. Per tutta la durata del vostro mandato, non avete ratificato un solo miracolo, perciò perché mai siete interessato alle vecchie dichiarazioni di questo religioso?» «Perché non credo che la Santa Madre Chiesa debba essere costretta ad andare a caccia di miracoli, come un segugio tra i rifiuti. Dovrebbe invece essere la loro fonte di ispirazione, la sorgente da cui zampillano.» Torino aprì il classificatore e tirò fuori una stampata del lavoro di Lauren Kelly. «Questa è la traduzione di una studiosa di Yale del cosiddetto manoscritto Voynich.» «Il Voynich?» «Il documento che padre Orlando Falcon scrisse durante la prigionia oltre quattro secoli fa. Lo stesso Libro di Satana che la Chiesa, nella fattispecie i tre uomini che ricoprivano le nostre cariche a quel tempo, incriminò come i vaneggiamenti di un posseduto. La traduzione è quasi identica alla testimonianza originale di Falcon conservata negli Archivi dell'Inquisizione. A quanto pare il testo che scrisse a quel tempo è in una lingua crittata che è stata tradotta solo oggi. Il punto è: perché padre Orlando si diede la pena d'inventare un linguaggio complesso se era tutta una bugia, un'eresia?» «Vi aggirate in territori pericolosi, padre generale», ammonì il papa.
«Non è tempo di esitare, Santità. È tempo di osare. Se questo miracoloso Giardino di Dio di cui Falcon cercò di parlare ai nostri predecessori esistesse davvero, le ripercussioni per la Chiesa sarebbero enormi.» «Ma non può esistere», replicò il cardinale prefetto Vasari, allungando la mano per prendere la testimonianza di Falcon. «Padre Orlando dichiarò di aver scoperto il giardino dell'Eden in una foresta primitiva, in mezzo ai selvaggi. L'Eden non può trovarsi nel Nuovo Mondo, tra i miscredenti. E il suo giardino di strane creature e piante stravaganti è ben lungi dalle descrizioni bibliche. Cercò di riscrivere la Genesi.» Torino annuì. «Se esistesse, però, i suoi poteri potrebbero riabilitare la posizione della Santa Madre Chiesa nel mondo.» «Non può esistere», incalzò il cardinale prefetto. «Va contro la dottrina, getta discredito sulle Scritture e minaccia la nostra Chiesa.» «Ragione in più per non lasciare che altri lo trovino», replicò Torino. Si rivolse al papa. «Santo Padre, la gente oggi crede che il Voynich sia un mito inoffensivo. Ma se sapessero che è stato scritto da un padre gesuita, unico reduce di una vera missione alla ricerca di Eldorado, torturato perché ciò che sosteneva di aver scoperto alla lunga avrebbe minato le basi della Chiesa...» Un attimo di silenzio. «Nella peggiore delle ipotesi potrebbe incoraggiare qualcun altro a partire alla ricerca del giardino.» Scosse il capo. «Esitare adesso non solo potrebbe scardinare le Scritture e la dottrina, ma sgretolare il prestigio già compromesso della Chiesa. Pensate ai miracolosi poteri di guarigione che Falcon attribuisce al giardino. Chi avrà bisogno della Chiesa se non dovrà più temere la morte o la malattia?» Alzò un dito. «Ma, se fossimo noi a trovarlo, potremmo plasmarlo, conformarlo alla nostra dottrina e portarne la gloria a Roma. Potremmo avvalerci dei suoi poteri. La Santa Madre Chiesa non dovrebbe più cercare i miracoli per dimostrare l'intervento divino, ne avrebbe il pieno controllo. Roma tornerebbe a essere una potenza mondiale dominante.» Il papa socchiuse gli occhi. «Come fate a essere così sicuro che quel posto esista?» «Perché Orlando Falcon ha lasciato le indicazioni per il giardino in un libretto distinto che sfortunatamente si trova nelle mani di un ateo, un geologo di nome Ross Kelly, il marito della studiosa che ha decifrato il Voynich. Il dottor Kelly è già in volo per il Perú per trovare il giardino.» «Cosa?» Il papa e il cardinale prefetto sussultarono come un sol uomo. Torino si strinse nelle spalle. «Ovviamente lo scienziato potrebbe anche non trovare nulla. Ma se invece così non fosse? Cosa succederà?»
Torino li ragguagliò velocemente su quello che sapeva, omettendo ogni riferimento a Bazin. Aveva sempre tenuto segreta l'esistenza del fratellastro, e quello non era proprio il momento di rivelare quel legame. Spiegò che Lauren Kelly aveva tradotto tutto il manoscritto Voynich, tranne una sezione chiave che credeva contenesse una mappa. Poi li informò che la donna era rimasta gravemente ferita durante un furto che aveva pregiudicato la pubblicazione della traduzione integrale e che in seguito lui si era rivolto al marito e aveva ottenuto il permesso verbale di vedere gli appunti. «Poi la suora gli ha fatto cambiare idea.» «Che suora?» «Suor Chantal. Si è presentata da Kelly e lo ha persuaso che il giardino di Falcon non è un'invenzione e che poteva nascondere una cura per la moglie. Gli ha dato il libretto di padre Orlando.» «Come lo ha avuto? Chi è questa suor Chantal?» Torino frugò nel classificatore e ne estrasse una lettera e una piccola scatola intarsiata. «Alcuni giorni fa il mio ufficio ha ricevuto questa istanza da uno dei nostri ospedali in Uganda per malati di AIDS. Volevano che l'Istituto dei miracoli indagasse su un presunto intervento divino. Due gemelli sono guariti insieme in modo spontaneo. Lo stesso giorno una delle sorelle è scomparsa dall'ospedale. Quando sono stati interrogati, i bambini hanno raccontato che la suora ha dato loro del tè prendendo qualcosa da questa scatola.» La porse al papa. «Guardate gli intarsi.» «Vedo dei fiori.» «Non sono fiori qualunque. Quei fiori compaiono soltanto nel manoscritto Voynich.» Silenzio. «In base alla nostra ricerca, la suora scomparsa ha operato nell'ospedale per dodici anni e in altri due prima ancora, ma il suo ordine non dispone di informazioni sulla sua vita passata. Niente. Il suo nome? Suor Chantal.» I due uomini rimasero in silenzio, ma adesso Torino aveva la loro completa attenzione. «Tutto ciò che sappiamo è che esiste un legame tra lei, padre Orlando e il Voynich. Chiunque sia questa religiosa disobbediente, il dottor Ross Kelly adesso possiede il libretto contenente le indicazioni ed è già in cerca del giardino per salvare sua moglie.» Avviò il portatile, voltò lo schermo verso i due uomini e per i cinque minuti successivi fece scorrere scene tagliate dai file video di Ross Kelly nella stanza d'ospedale della moglie in coma: Ross che le spiegava che il giardino presente nella sua traduzione del Voynich poteva contenere una
cura; che le diceva che stavano per partire alla ricerca del giardino; che le dava un bacio di addio e le chiedeva di benedirlo. «Come fate ad avere questi filmati?» chiese Vasari. «Ho un alleato, un servitore della Chiesa che mi tiene costantemente informato.» Il Santo Padre lo guardò di sbieco. «Avete messo qualcuno a spiare il dottor Kelly?» «Preferisco chiamarlo 'i miei occhi e le mie orecchie'. Vuole semplicemente servire la Chiesa, come tutti noi.» «Badate a non ricoprire di vergogna il Vaticano, padre generale», affermò il papa. «Non farei mai nulla che potesse nuocere alla Santa Madre Chiesa, ma, se Kelly trovasse il giardino e parlasse al mondo della sua esistenza, potrebbe distruggerla.» Vasari si sporse in avanti. «Pensate davvero che questo geologo riuscirà a trovare una cura miracolosa per sua moglie?» «Temo che troverà molto di più.» «Cosa, per esempio?» Torino socchiuse gli occhi infossati. «Il miracolo della creazione. La risposta scientifica al libro della Genesi.» Si girò di nuovo verso il pontefice. «Santo Padre, sei mesi fa avete annunciato che la Santa Madre Chiesa ha rivisto la sua posizione sull'evoluzione. Avete respinto la teoria di Darwin e abbracciato il Disegno Divino. Avete custodito nella dottrina il principio della Chiesa cattolica che Dio, e non l'evoluzione, è responsabile della creazione e della nascita della vita.» Il papa annuì. «E allora?» «Negli Archivi dell'Inquisizione, padre Orlando parlava di qualcosa che chiamò la radix, la Fonte. Si tratta della luminescenza del giardino che attirò i conquistadores in cerca d'oro, come falene verso la luce, e li condusse tutti alla morte. Falcon rimase sul vago riguardo all'esatta natura di questa Fonte, ma dichiarò che era il potere che aveva generato il giardino miracoloso.» «E allora?» «Kelly ha fatto riferimento a una teoria - un'ipotesi - per dare una spiegazione scientifica all'esistenza del giardino prodigioso di padre Orlando. La teoria è persino più avventata di quella che padre Orlando formulò nella sua testimonianza blasfema: che il Giardino di Dio e la sua Fonte potrebbero essere l'origine della vita sulla Terra. Altro che Darwin e l'evoluzione.
Se Kelly trovasse quel giardino, non solo sarebbe in grado di salvare sua moglie, dimostrando che i miracoli accadono indipendentemente dalla Chiesa e dalla religione, ma potrebbe anche dimostrare dove, quando e come è nata la vita sulla Terra. Avrebbe la possibilità di provare scientificamente la teoria dell'evoluzione, renderla un dato di fatto. La dottrina andrebbe in mille pezzi. La religione si fonda sul mistero, sulla fede. Queste rivelazioni renderanno superflua la Chiesa per come la conosciamo e la nostra presenza stessa.» L'espressione di orrore sul volto del papa era quasi comica, ma Torino non rise. «Allora cosa proponete di fare?» «Di trasformare la minaccia in un'opportunità. Troviamo il giardino per primi e assumiamone il controllo.» «In che modo?» Torino aveva già valutato ogni possibilità: dal rapire la suora al rubare il libro e minacciare Ross Kelly. Ma non poteva condividere col papa niente di tutto ciò. Quindi mentì. «I miei esperti sono riusciti a tradurre gran parte della sezione finale del manoscritto. Vi sono le indicazioni per il giardino e, con la vostra benedizione, intendo cercarlo io stesso.» «Ma avete dei doveri, delle incombenze.» «Niente è più importante di questo. Impiegherò due mesi, non di più. Ho già dato disposizioni a padre Xavier Alfonso perché adempia a ogni responsabilità in mia assenza.» Il papa aggrottò la fronte. «Intendete battere il geologo in velocità?» «Sì.» «Diciamo che riusciate a trovare il giardino», intervenne Vasari. «Come ne disporremmo?» Torino infilò la mano nel classificatore ed estrasse tre copie di un documento. «Questa è una lista di possibilità, a seconda di ciò che scopriremo.» Sorrise nel guardarli scorrere i punti dell'elenco. Vedeva l'entusiasmo prendere il posto della paura. «Come vedete, le possibilità sono illimitate. A patto che il tutto venga gestito con prudenza.» Il papa sollevò lo sguardo e i suoi occhi cerulei ancorarono quelli di Torino. «Vi chiedo solo una cosa, padre generale: a prescindere da quello che troverete, in qualità di Santo Padre non devo sentire né vedere niente che contravvenga alla dottrina. La dottrina dev'essere sacrosanta. Non voglio trovarmi nella posizione di dover negare tutto. L'infallibilità papale non può essere compromessa, capite?» «Capisco perfettamente. Vi assicuro che, se questo giardino esiste, por-
terà solo gloria a voi e alla Santa Madre Chiesa.» Il papa annuì lentamente. «Bene. Allora come faremo a prendere il controllo di questo posto? Di sicuro apparterrà al governo del Paese in cui si trova, no?» Torino sorrise. «Il cardinale prefetto ci ha già fornito un'eccellente soluzione al problema.» Vasari inarcò un sopracciglio. «Davvero?» «Esatto, il vostro brillante piano per rafforzare la nostra presenza fondando un secondo Stato Vaticano nel Sud del mondo.» Vasari comprese al volo. «Potete dichiarare di essere in cerca dell'ubicazione ideale. Anche se il giardino di Falcon non esistesse e voi non trovaste nulla, la Chiesa non ci rimetterebbe la reputazione. Non abbiamo niente da perdere.» «E tutto da guadagnare», disse piano il pontefice. «Se troverete qualcosa, potremo incorporarlo nel nuovo Vaticano e rivendicarne il legittimo possesso.» Torino rimase in silenzio, lasciandoli credere di essere gli autori di quel piano. Il papa si rivolse a Vasari, che sollevò le spalle e fece un impercettibile cenno di assenso. Poi il pontefice puntò il suo sguardo pallido e imperturbabile su Torino, come per indagare la sua anima. «Prendete le persone e i mezzi che vi servono. Fate quanto è necessario, ma teneteci sempre informati. E fate attenzione, padre generale. Fate molta attenzione.» «Capisco, Santità.» «Andate, ora», concluse il Santo Padre. «Andate in nome di Dio.» 26 Cajamarca, il giorno seguente Ross, Zeb e suor Chantal passarono la notte all'Hotel El Ingenio, il migliore di Cajamarca. Dato che presto avrebbero dovuto vivere all'aria aperta nella foresta, Ross decise che fosse meglio godersi gli agi della civiltà il più possibile. Dopo una sorprendente notte di sonno profondo, Ross si fece la doccia e indossò i jeans, una maglietta e un pile leggero: la temperatura mattutina era fresca, ma il meteo prevedeva venti gradi e un tasso di umidità dell'ottanta per cento. Dopo colazione, lui e le altre s'incamminarono in direzione del centro della città per cercare una guida. Non ebbero bisogno di cercare molto. A due passi dall'hotel furono av-
vicinati da un uomo che affilava un enorme coltellaccio alla cintura di pelle. «Serve una guida? Mi chiamo Chico», li informò con arroganza, sorridendo con un'aria da pazzo e mettendo in bella vista due gengive sdentate. Prima che potessero replicare, Chico stava dando dei colpetti con la lama sulla spalla di Ross, assicurandogli che li avrebbe portati ovunque in cambio di un deposito di diecimila dollari americani e una firma su un documento che lo dispensava da ogni responsabilità nel caso fossero uccisi, violentati, rapiti, imprigionati o si fossero smarriti. Chico concluse la sua imbonitura vantandosi di aver perso soltanto due gringos negli ultimi anni. Ross e le altre declinarono l'offerta ben quattro volte, ma dovettero procedere per due isolati prima che Chico afferrasse l'idea e se ne andasse in cerca di un'altra preda. Per quanto fosse imbevuta di storia, immersa nella spettacolare foresta montana andina e circondata dalle magnifiche rovine delle città preincaiche, Cajamarca non poteva vantare una grande affluenza turistica. Troppo a nord per il solito itinerario di moda tra i gringos e le attrazioni di fama mondiale: il Machu Picchu, Cusco e il lago Titicaca. Malgrado ciò Cajamarca aveva ancora un buon numero di agenzie. Dopo una giornata frustrante trascorsa passando dall'una all'altra, approdarono all'Amazonas Tours. «Siete haqueros?» L'uomo col brutto vestito e coi denti ancor più brutti parlò così forte da farsi sentire da tutti i presenti all'Amazonas Tours. Ross indicò le compagne sedute al suo fianco: l'esile suor Chantal, nel suo pile verde oliva e nei pantaloni cachi inamidati, e la fulva Zeb Quinn, dal viso acqua e sapone in jeans e maglione abbondante. «Le sembriamo dei tombaroli?» «Siete cercatori d'oro?» «No.» «Di petrolio?» Ross scosse il capo. «Nemmeno.» L'uomo dell'Amazonas Tours si grattò la testa. «E allora perché volete andare in esplorazione fuori dalle consuete zone turistiche e dai parchi nazionali? L'Amazzonia è un posto pericoloso. I turisti che lasciano gli itinerari battuti si smarriscono e non vengono più ritrovati.» «Ecco perché abbiamo bisogno di un accompagnatore.» L'uomo si accigliò. «Non è solo per i rischi che correte. Quell'area è piena di rovine e tombe e nel passato molta gente ha saccheggiato i nostri tesori. Il governo ha promulgato delle leggi per proteggere la nostra cultura.
Se volete uscire dalle aree di interesse turistico dovrete fornirvi di un salvacondotto. L'Amazonas Tours ve ne può procurare uno entro quattro, sei settimane.» Ross alzò lo sguardo al ventilatore al soffitto in preda all'esasperazione. Sedeva davanti a una delle tre scrivanie dell'ufficio. Le altre erano assediate da turisti e c'era una fila di quattro persone sedute in attesa vicino alla grande vetrata che si affacciava sui giardini di plaza de Armas di Cajamarca, elegante nella sua trascuratezza, la stessa piazza in cui secoli prima gli uomini di Pizarro avevano falcidiato gli incas e catturato l'imperatore Atahualpa. «Non vedo dove stia il problema. Vogliamo solo noleggiare dell'equipaggiamento, un mezzo di trasporto e una guida che ci aiuti a addentrarci nella foresta montana, lungo il fiume e nella foresta pluviale.» «Ma, señor, non sapete nemmeno dove volete andare. Come può esservi di aiuto una guida?» Socchiuse gli occhi e abbassò la voce. «A meno che non siate haqueros e abbiate una mappa illegale...» Ross scosse la testa. «Non siamo haqueros.» «Allora perché volete uscire...» Ross si alzò e strinse la mano all'uomo. «Grazie, señor Hidalgo, ci è stato di grande aiuto.» Mentre accompagnava le altre due fuori dall'ufficio, nel passare sfiorò un uomo azzimato con indosso un impeccabile completo cachi da safari. «Oddio, questo posto è così burocratico», disse Zeb emergendo alla luce del sole pomeridiano che inondava plaza de Armas. «Forse dovremmo affidarci a una guida non ufficiale.» Ross ripensò a Chico e borbottò. «È la quarta agenzia turistica che ci dice che non possiamo uscire dagli itinerari battuti senza permesso», esclamò Zeb. «Tutti vogliono sapere cosa andiamo cercando.» «Cosa che ovviamente non possiamo dire, perciò dobbiamo accordarci su una storia di copertura», intervenne Ross. «Sembra che non nutrano simpatia per tombaroli e sciacalli a caccia di tesori, perciò propongo di presentarci come cercatori di petrolio.» «Preferirei essere uno sciacallo», commentò Zeb. «Sempre meglio della squallida ricerca di petrolio.» «Grazie», replicò Ross. Zeb si strinse nelle spalle. Si girò verso suor Chantal. «Ha detto di essere già stata qui. Lei come ha fatto?» «È stato tanto, tanto tempo fa. Ero giovane e le cose erano molto diver-
se.» Ci avrei scommesso, pensò Ross. Frugò nello zaino e ne estrasse un piccolo palmare, completo di carte geologiche e un sistema GPS. «Potremmo seguire da soli le indicazioni, far rifornimento di scorte e attrezzature, noleggiare una macchina sino al fiume e da lì una barca.» «Sai anche che genere di provviste e attrezzature ci serve? O quante? E quando saremo nel mezzo della foresta?» incalzò Zeb. «Sei esperto in tecniche di sopravvivenza?» «In parte», rispose Ross, tristemente consapevole che alcune settimane prima lui e Lauren avevano progettato una spedizione speleologica nelle giungle del Borneo come parte della vacanza, prima che lei si accorgesse di essere incinta e che... Cercò di non seguire il corso dei pensieri. «Conosco i rudimenti: come appendere un'amaca e una rete per proteggerci dagli insetti e da gran parte dei pericoli, come il ferro di lancia.» «Il cosa?» chiese Zeb. «Un serpente», disse suor Chantal con tranquillità. «Un serpente molto piccolo, facile da calpestare, se non si sta attenti.» «Non ho altro da aggiungere», disse Zeb, incrociando le braccia. «Non farò un passo senza una guida esperta.» Osservando la fragile suor Chantal e l'ostinata Zeb, a Ross sembrò che quella loro ricerca disperata fosse sul punto di naufragare prima ancora di partire. Forse era il segno che doveva tornare a casa da Lauren e accettare qualsiasi cosa fosse successa. Lanciò uno sguardo indietro all'Amazonas Tours. Fuori c'era una coppia. Una bambina sedeva sulle spalle dell'uomo, arricciandogli i capelli con le dita. Ross si ricordò delle molteplici occasioni in cui Lauren aveva additato nuclei familiari simili. «Quelli saremo noi un giorno, Ross», diceva. Non più, pensò lui. Non se Lauren non guarisce. Non se il bambino muore. Il pensiero lo colpì come un urto fisico. Ross tornò a rivolgersi a Zeb e stava per lanciarsi in un lungo discorso sul fatto che avrebbe proseguito con o senza di lei, quando l'uomo nel completo cachi inamidato gli si parò davanti. Era più basso e tarchiato di Ross, con un viso rubicondo ben rasato e una chioma pettinata con cura. Emanava un sottile profumo di sapone. «Scusate se m'intrometto, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare il vostro impiccio all'Amazonas Tours», disse l'uomo con uno spiccato accento anglosassone. «Credo di potervi essere d'aiuto. Mi chiamo Hackett, Nigel Hackett, e ho una proposta da farvi. Posso invitarvi a quel bar laggiù
per discuterne?» 27 Nigel Hackett non riuscì a trattenersi. «La prego, non lo faccia. Il suo strofinaccio è sucio», disse al cameriere dell'Heladeria Holanda Bar mentre poggiava una bottiglia di Inca Kola sul tavolo e asciugava il bicchiere. Hackett notò i tre potenziali clienti che lo guardavano e sorrise per scusarsi. «Odio quando asciugano un bicchiere appena lavato con uno strofinaccio sporco.» In tutta la sua vita Nigel Hackett aveva fatto quello che gli altri si erano aspettati da lui. Malaticcio e afflitto dalle allergie sin da bambino, si era fatto in quattro per compiacere l'ambizione dei suoi genitori. Quando avevano investito in un'istruzione di primo livello per l'adorato figlio unico la scuola preparatoria alla Holmewood House nel Kent, quella privata alla Charterhouse nel Surrey, seguita dalla laurea in medicina a Cambridge Nigel aveva passato diligentemente tutti gli esami e appagato tutte le loro aspettative qualificandosi come medico, trascorrendo un periodo in servizio presso il corpo medico della Royal Army e affermandosi come dottore generico nei pressi di Guildford. Dopo aver sposato una ragazza che i suoi approvavano, aveva fatto di tutto per renderla felice guadagnando abbastanza soldi e offrendole una vita da signora come moglie del medico delle ricche contee nei dintorni di Londra. Nonostante la sua apparente remissività, Nigel Hackett aveva sempre nutrito un segreto. Fin da piccolo, dal giorno in cui il leggendario avventuriero Matt Lincoln aveva fatto visita alla sua scuola per tenere una lezione sulle civiltà preincaiche del Perú e dell'Amazzonia, aveva sognato di diventare un esploratore. Il suo sogno più grande era quello di scoprire la mitica città scomparsa che Lincoln aveva cercato invano: la madre di tutte le metropoli nel cuore della foresta amazzonica da cui avevano avuto origine le civiltà sudamericane. Hackett non aveva confidato il suo sogno a nessuno, però. Almeno fino al suo trentunesimo compleanno, quando la moglie era scappata con l'insegnante di salsa lasciandolo col cuore spezzato. Tre anni dopo, aveva liquidato tutto, saldato la somma alla moglie stabilita dalla sentenza di divorzio e messo su una piccola impresa di trasporti sul Rio delle Amazzoni. Il progetto era di vivere a bordo dell'imbarcazione, di sostentarsi traghettando i turisti verso le maggiori località e usare il tempo libero per inseguire il suo sogno: esplorare la foresta e scoprire le città per-
dute, e il loro oro. I sogni, però, difficilmente si avverano. Nonostante tutta la sua sete di avventura, Hackett non aveva la stoffa dell'esploratore. Le sue allergie e la sua fobia per lo sporco erano state gestibili in Inghilterra - anche nel periodo nell'esercito - ma non nella foresta; solo la terra gli faceva prudere il naso e lacrimare gli occhi. Per correggere la vista difettosa doveva indossare occhiali spessi, invece delle lenti a contatto. Benché avesse allacciato dei buoni contatti, e qualche amicizia, che gli avevano procurato lasciapassare governativi e si erano offerti di vendere l'oro che trovava senza coinvolgere le autorità, i proventi della sua impresa fluviale gli bastavano appena per stare a galla. La gente del posto lo spremeva ben bene e per un po' aveva tirato avanti traghettando cercatori di petrolio nella foresta e offrendosi come medico sul campo. Quanto al suo sogno, aveva avuto pochissimo tempo per cercare rovine, gran parte delle quali era comunque già stata scoperta. Aveva scelto Cajamarca come ultima spiaggia per agganciarsi alle agenzie turistiche e offrire ai turisti un tour della foresta montana e del Rio delle Amazzoni. Ma nessuno degli operatori turistici di Cajamarca o della vicina Chachapoya aveva abboccato: erano già al completo. Hackett aveva bisogno di un colpo di fortuna. A meno che non avesse fatto soldi subito, avrebbe dovuto affrontare l'impensabile: vendere la barca e la Land Rover e tornarsene sotto il cielo grigio dell'Inghilterra con la coda tra le gambe. Così, quando aveva sentito del trio di viaggiatori frustrati all'Amazonas Tours - l'americano alto, la ragazza rossa dalla bellezza sconvolgente e l'elegante signora anziana con gli occhi straordinari -, aveva drizzato le orecchie. Dopo le presentazioni, sorrise ai suoi potenziali clienti, chiedendosi cosa ci facessero insieme un geologo, un'accademica e una suora. «E così, avete bisogno di attrezzature, provviste, trasporto e di una guida che vi accompagni attraverso le insidie dell'Amazzonia?» «Sì», rispose Ross. «Per quanto tempo?» «Due mesi minimo.» «Due mesi? Vi costerà un bel po'.» «Naturalmente.» Scrutò quel trio mal assortito. «Venite tutti?» «Sì», rispose l'anziana suora, che non indossava nessuna insegna religiosa, tranne il grosso crocifisso che le spuntava dal colletto. La donna sorrise
mentre sorseggiava il suo caffè macchiato e qualcosa nei suoi occhi sorprendenti suggerì a Hackett di non sottovalutarla. «Però non sapete esattamente dove andare, giusto?» «Non di preciso», rispose Ross. «Sappiamo da dove partire e abbiamo indicazioni che conducono lungo il fiume verso la foresta.» «Avete delle indicazioni?» Hackett socchiuse gli occhi, poi li spalancò come chi crede di aver capito tutto. «Fatemi indovinare. Cercate oro?» Seguirono alcuni istanti di silenzio mentre i tre si scambiavano occhiate. La ragazza affascinante, Zeb, immerse il dito nel caffè versato dalla sua tazza e se lo mise in bocca. Hackett rabbrividì. Non si rendeva conto di quanti batteri aveva ingerito? «Sì, siamo cacciatori di tesori.» «Chi non lo è?» disse lui con sarcasmo. Oddio, ne nasceva uno ogni minuto. «Non ditemelo. Qualcuno vi ha venduto una mappa.» «No», replicò Ross. Hackett sorrise. «Voi però ce l'avete una mappa, giusto? Dove l'avete presa? Ve l'ha venduta un tizio a Lima, senza dubbio. Vi ha raccontato che porta al tesoro nascosto, all'oro degli incas.» Scoppiò a ridere. «Vi avverto, ci sono migliaia di mappe in giro e sono tutte carta straccia. Ne ho verificate alcune io stesso.» Hackett li scrutò di nuovo. Quei tre non avevano l'aria dei soliti turisti americani con le loro magliette sgargianti e i denim stirati in cerca di avventura in tutta sicurezza. Aveva bisogno di guadagnare soldi, ma non così. «Statemi a sentire, amici, non perdete tempo e denaro. Godetevi il Perú: qui vicino potete visitare le magnifiche rovine Chachapoya, più a sud Cusco e il Machu Picchu, a est la città intrappolata dalla foresta di Iquitos, a nord la spiaggia di Máncora. Andatevene in giro per Lima a far baldoria e tornatevene a casa.» «Senta, non abbiamo una mappa», ribadì Ross. Hackett fu sorpreso dalla rabbia che l'uomo riuscì a malapena a reprimere. «Quello che abbiamo è un antico documento, scritto da un padre gesuita, appena dopo la conquista del Perú da parte di Pizarro.» Hackett soppresse un'altra risata, ma l'espressione di Ross fugò tutto il suo scetticismo. Quello non era certo un avventuriero della domenica in cerca di oro facile. «Dove avete comprato quel documento?» «Non è stato comprato», rispose la suora. «Ma contiene indicazioni e abbiamo bisogno di lei per seguirle.» «Per dove?» «Il padre gesuita accompagnò un drappello di conquistadores nella foresta.» L'anziana si ammutolì per un brevissimo istante poi strizzò i suoi be-
gli occhi in un sorriso enigmatico. «Per trovare Eldorado.» «La mitica città dell'oro.» Hackett non stava più nella pelle: un impulso elettrico di euforia lo percorse da capo a piedi. «E questo prete trovò qualcosa?» Il trio annuì all'unisono. «Qualcosa.» Hackett si sporse in avanti. «Cosa?» «È quello che vogliamo scoprire», disse Ross. «Posso vedere quel documento?» Suor Chantal gli porse un libro. Hackett lo aprì con accortezza. La bella rilegatura di pelle e le pagine di pergamena ingiallita apparivano autentiche in modo allettante. C'erano alcune pagine sfalsate aggiunte in fondo, che sembravano altrettanto antiche. Sfogliò le prime: le indicazioni erano in castigliano e in uno stile criptico. Si sentì addosso tre paia di occhi che lo controllavano. Prese mentalmente nota del punto di partenza, la prisión del rey, e lesse le prime indicazioni. Diede una scorsa veloce alle pagine seguenti, immagazzinando quanto poté. Dopo alcuni minuti, alzò il capo, cercando di assumere un'espressione indifferente. «Le indicazioni sono tutte qui?» La suora riprese il libro. «Esatto.» «Le dicono nulla?» domandò Zeb. «Credo di sì», disse Hackett inumidendosi le labbra d'un tratto secche. Aveva un bisogno disperato del suo inalatore, ma rallentò il respiro e calmò il cuore che batteva all'impazzata. Era un altro specchietto per le allodole, l'ennesimo castello in aria? O invece era finalmente la sua occasione d'oro, proprio adesso che stava per mollare e tornarsene a casa? «Potrebbe, per esempio, dirci da dove parte esattamente la ricerca?» chiese Ross, scambiandosi un'occhiata con Zeb. Hackett non riuscì a trattenere un sorriso: lo stavano mettendo alla prova. Controllò l'ora. Accidenti, presto si sarebbe fatto buio. Si alzò dalla sedia e gettò alcuni nuevos soles sul tavolo per pagare la consumazione. «Venite con me.» Si diresse verso la porta e fece segno a Ross e alle altre di seguirlo. «Posso fare di più che dirvi da dove il vostro amico ha iniziato la sua ricerca.» Aprì la porta e s'incamminò nella luce del crepuscolo. «Molto di più.» Mentre seguivano Hackett attraverso la piazza cittadina e giù per una strada laterale verso l'unico edificio inca ancora in piedi di tutta Cajamarca, Ross non aveva il minimo sospetto di essere seguito a sua volta. La
piccola stanza in cui l'imperatore inca era stato tenuto prigioniero non aveva niente di speciale, eccezion fatta per quelli che Hackett indicò a Ross come stilemi dell'architettura inca: ingressi e nicchie trapezoidali nelle pareti interne. Odorava di polvere e di storia. «Eccolo qua», disse Hackett. «Le guide turistiche lo chiamano el cuarto del rescate, la stanza del riscatto, ma il vostro prete aveva ragione. In realtà questa era la prisión del rey, la prigione del re.» Hackett guardò Ross dritto negli occhi e sorrise. «Ma questo lo sapevate già, dico bene?» Ross fece spallucce. «Vi colpirebbe di più se vi dicessi dove conduce il primo indizio?» Ross lanciò un'occhiata a Zeb. «Sì, direi proprio di sì.» Quando Hackett li condusse all'esterno era buio e, mentre Ross alzava lo sguardo verso il cielo nero-violetto, i suoi occhi si posarono sulla stella più luminosa. Cercò di ricordare cosa dicevano i diagrammi nel libretto di Falcon riguardo al cielo notturno nel mese di giugno. Hackett seguì il suo sguardo poi si rivolse a suor Chantal. «Mi rilegga di nuovo la prima indicazione del libro.» Lei la lesse a voce alta: «Con la croce a guidarvi marciate due giorni verso un'antica città sul ciglio della selva». Hackett sorrise. «Ah, già, il ciglio della selva, la ceja de la selva.» Arrotolò quelle parole sulla punta della lingua, poi puntò il dito verso la stella più brillante. «Quella è la croce: Crux, conosciuta anche come Croce del Sud.» Accennò un sorriso che gli conferì un'aria da ragazzino. «Ma non c'è bisogno di seguirla perché so già dove conduce. L'antica città sul ciglio della foresta era ancora sconosciuta ai tempi in cui il vostro amico scrisse il libro, ma Juan Crisóstomo la scoprì nel 1843. Si chiama Kuélap.» Additò una Land Rover grigio fiammante parcheggiata vicino alla piazza principale. «E non ci metteremo due giorni.» Sorrise a Ross. «Allora, ho fatto colpo?» Ross non riuscì a reprimere un risolino. «Direi di sì.» Hackett fece un gesto verso il libretto tra le mani di suor Chantal. «Da quello che ho letto, gran parte delle indicazioni di partenza è piuttosto chiara. La cosa importante è capire a che livello del corso del fiume conducono. Quando vi troverete sul Rio delle Amazzoni, suppongo che sarà più difficile seguire gli indizi. Per fortuna giugno segna l'inizio della stagione secca e gli argini del fiume non saranno inondati. Così gran parte dei riferimenti geografici dovrebbe essere visibile.» Ross annuì. Pur con tutte le sue stramberie, non poteva fare a meno di
apprezzare Hackett. «Allora accetta di aiutarci? Può procurarci un mezzo di trasporto, una guida per tenerci fuori dai guai e le provviste necessarie per la spedizione? Pagheremo la cifra che riterrà ragionevole.» Hackett non parlò per qualche secondo, guardando a turno ciascuno dei tre come per decidere cosa fare. «Fate sul serio, giusto?» «Assolutamente sì.» «Diciamo che vi procurerò una guida, l'equipaggiamento per la spedizione e che verrò con voi. E, nel caso in cui troviamo Eldorado, propongo di spartirci il malloppo. Conosco un uomo che potrebbe vendere l'oro per noi.» Ross si strinse nelle spalle. «Non vedo perché no.» Si rivolse a Chantal e Zeb, ed entrambe annuirono. «Per come la vedo, una percentuale è sempre meglio di nulla. Ci spartiremo l'oro che troveremo lungo il cammino. Fifty-fifty.» Ross e le donne strinsero la mano a Hackett. «Conosce una guida fidata?» chiese Zeb. Hackett fece un cenno di assenso col capo. «Juarez, l'uomo che mi aiuta con la barca. È un quechua e conosce l'Amazzonia meglio di chiunque altro.» Estrasse l'inalatore, come se l'euforia l'avesse colto di sorpresa. «Ma prima devo dirvi una cosa. Per me non è solo una questione di soldi. Quest'area di densa foresta montana è disseminata di rovine delle magnifiche civiltà preincaiche, antiche di migliaia di anni, e gli studiosi si sono sempre chiesti cosa abbia spinto un popolo come quello dei chachapoyas a vivere nella foresta di questi alti picchi e da dove avesse tratto origine la loro civiltà. Molti archeologi sostengono che i chachapoyas migrarono via terra attraverso le foreste del bacino amazzonico e che la culla delle civiltà del subcontinente, la grande metropoli con le sue torri imponenti, gli spalti smerlati e le sue piazze sia ancora là, nascosta nella foresta pluviale amazzonica, sperduta in mezzo a quella vastità. Alcuni dicono che potrebbe essere Eldorado.» Hackett sorrise. «Trovare quel posto è stato sempre il mio sogno.» Ross si sentì quasi in colpa per aver dato a intendere a Hackett di essere in cerca di Eldorado, poi si ricordò che forse avevano più probabilità di trovare la città perduta che il giardino miracoloso di Falcon. «Che può dirci di questi salvacondotti di cui tutti parlano?» Hackett fece un gesto liquidatorio. «Conosco della gente. A questo governo non importa molto di preservare la cultura, ma solo i soldi che può ricavare grazie al turismo. Nel 2003 è stato dato alle compagnie petrolifere libero accesso alle terre ancestrali degli indigeni per quasi tutta l'Amazzo-
nia peruviana, e tutti noi sappiamo quanto spirito di conservazione abbia l'industria petrolifera. Se là fuori c'è qualcosa di valore, faremmo meglio a trovarlo in fretta, prima che lo distruggano. Se è abbastanza grande e abbastanza prezioso, può darsi che il governo si dia una regolata e la smetta di mettere sottosopra quella porzione di foresta.» «Quando possiamo partire?» chiese Ross, impaziente di muoversi. «Oggi è lunedì. Facciamo giovedì?» «Non prima?» «Staremo via del tempo perciò devo preparare un bel po' di provviste.» Tirò fuori un taccuino, buttò giù un paio di appunti strappò un foglietto e lo consegnò a Ross. «Penserò io a gran parte del necessario, ma qui ci sono alcuni effetti personali che dovete portare nella foresta: crema solare, un cappello, zaini e via dicendo. Se non ne avete già, procuratevene nei prossimi giorni.» Ross scorse la lista. Avevano già quasi tutti gli oggetti, ma uno in particolare lo sorprese. «Preservativi?» Guardò Hackett, incerto se sentirsi offeso o no. «Sono sposato.» Hackett scoppiò a ridere. «Non sono per fare sesso. Servono nella foresta. E compri i più piccoli che riesce a trovare, per quanto vada fiero delle sue dimensioni. Devono essere ben attillati: l'acqua in Amazzonia non è sempre calda come si pensa.» «Non capisco.» «Capirà. Mi creda, capirà. Dove risiedete?» «All'Hotel El Ingenio.» «Vi passerò a prendere giovedì, prima dell'alba. Diciamo alle quattro e mezzo? Ci aspetta una lunga giornata.» «Va bene», disse Ross, gli occhi incollati sulla lista, a chiedersi come occupare il tempo una volta acquistati gli oggetti mancanti. «La aspetteremo.» Dal suo nascondiglio d'ombra, Marco Bazin non aveva più bisogno delle cuffie collegate al microfono direzionale che aveva in mano. Aveva sentito quello che gli serviva, sia al bar sia lì sulla strada. Ora che sapeva quando e da dove Ross si sarebbe messo in viaggio, Bazin aveva tempo per incontrarsi con Torino e comunicargli i suoi piani. Mentre guardava Ross e le altre stringere la mano all'inglese e andare ognuno per la sua strada, nonostante la stanchezza Bazin si sentiva in piena forma. Grazie al sole del Perú la sua pelle olivastra stava già perdendo il
pallore giallognolo, i capelli avevano cominciato a ricrescere e si sentiva forte per la prima volta dopo mesi. Aveva pedinato Ross, la suora e la studentessa dai capelli rossi per tutto il viaggio dagli Stati Uniti, perdendoli di vista solo il giorno prima, alla reception dell'albergo. Allora aveva passeggiato per i bar del quartiere più malfamato per reclutare dei collaboratori. Preferiva lavorare da solo, ma in passato gli era capitato di assoldare sciacalli e avvoltoi nella preparazione di una missione, per dare una mano o fare pulizia. Era una di quelle occasioni, solo che quella volta lo faceva per un bene superiore. «Quel libretto è una mappa del tesoro?» Bazin uscì dal vicolo, si aggiustò il panama e si girò verso l'uomo al suo fianco. Gli occhi scuri, cupidi del peruviano rilucevano come giaietto. «Mi occupo io del libro, Raul. Tu bada di procurarti l'equipaggiamento, le armi e gli uomini che ti ho chiesto. Ce la fai per mercoledì a mezzogiorno?» «Seguro. Quanto pagherà gli uomini, señor?» «Quanto pattuito. Né più né meno.» Per un secondo Raul sembrò sul punto di provare a rinegoziare, poi assentì facendo spallucce. Quell'uomo era un dilettante, ma Bazin non aveva scelta se non servirsi di lui. Non aveva contatti in quella zona e il tempo non era dalla sua parte. Poteva anche essere l'opera di Dio, ma spettava al diavolo trovare uomini affidabili disposti a rubare e uccidere in cambio di soldi. 28 Lima, il giorno seguente Due anonime limousine nere lasciarono la residenza gesuita e si fecero strada attraverso gli ampi viali di Lima. I finestrini oscurati celavano i due passeggeri sul sedile posteriore dell'auto al comando. Uno schermo insonorizzato li separava dall'autista. «E se non funziona?» chiese Torino, dopo aver ascoltato il piano. Bazin sorrise. «Deve funzionare. E, se qualcosa va storto, ho escogitato alcune strategie di emergenza.» Gli porse un palmare e gli spiegò come funzionava il dispositivo. «La tecnologia GPS le permetterà d'individuare il luogo esatto sulla mappa con un errore di pochi centimetri.» Torino percepì una nuova fiducia nel fratellastro. Non aveva soltanto accettato i compiti che lui gli aveva affidato, ma ci stava anche mettendo del
suo. «Deve funzionare, Marco. Non possiamo permetterci di fare errori.» «Funzionerà.» Torino tacque un attimo per riflettere. Poi spinse il pulsante dell'interfono e ordinò all'autista di fermarsi. L'automobile si addentrò in un'anonima strada secondaria e frenò. «D'accordo, Marco.» Bazin scese e Torino si affacciò al finestrino. «Ma tienimi informato.» L'auto ripartì, imboccò avenida Prolongación e parcheggiò nelle vicinanze di un grande edificio coloniale con una targhetta d'ottone: MINISTERIO DEL INTERIOR. La sua cerchia di collaboratori emerse dalla seconda auto: l'assistente personale di Torino, un uomo pelle e ossa con gli occhiali, e quattro alti soldati in anonima uniforme grigia. Prima che lo raggiungessero, Torino scosse il capo e disse a tutti loro di aspettarlo nella limousine. Entrò nell'edificio da solo. Il ministro dell'Interno peruviano offrì a Torino il rispetto degno di un capo di Stato in visita diplomatica. Dopo averlo salutato di persona, lo accompagnò nel suo maestoso ufficio e lo presentò all'unico altro uomo che si trovava nella stanza: il legale del governo peruviano. Dopo avergli offerto del caffè e un breve scambio di convenevoli, passarono a discutere di affari. «Per prima cosa, ci tengo ad assicurarvi che abbiamo firmato l'accordo confidenziale inviatoci da Roma dai vostri legali. Di qualunque cosa si discuta in questo ufficio, rimarrà tra queste quattro mura.» Torino sorrise ed estrasse un documento dalla sua ventiquattrore. Era chiuso e marchiato dal sigillo papale. «Questo mi consola. Non so dirle quanto sia delicata questa faccenda. Per quanto le nostre preferenze vadano al Perú, niente è stato ancora deciso in via ufficiale. Se dovesse trapelare anche una sola parola prima che l'affare sia andato in porto, il Vaticano sarà costretto a negare ogni coinvolgimento.» «Ma certo. Non faremo niente per pregiudicare questa opportunità. Ho parlato col presidente e mi ha dato istruzioni di assistervi in qualunque modo sulla questione. Avrebbe voluto essere qui di persona, ma è in Cina per una visita commerciale.» Torino porse la bolla papale al ministro. «Questo a dimostrazione che parlo a nome del papa.» Il ministro ruppe il sigillo, diede una scorsa alla lettera e la passò poi al legale. «Come possiamo aiutarvi esattamente, padre generale?» «Come saprà, il Vaticano è uno Stato indipendente all'interno del territorio italiano. Sin dai Patti lateranensi del 1929, questo Stato sovrano, unico
nel suo genere, è stato sancito dalla legge. Ciò conferisce alla Chiesa cattolica romana una libertà preziosa e l'autorità di compiere quello che reputa moralmente giusto, a prescindere dalla politica della nazione ospite. La Santa Madre Chiesa è ansiosa di ampliare la sua presenza morale nel mondo. A questo scopo desideriamo fondare un secondo Vaticano nell'emisfero meridionale, nel Nuovo Mondo, lontano dalle ristrette convenzioni del vecchio continente. In contrapposizione all'antico splendore urbano di Roma, questo nuovo Vaticano sarà un Stato nuovo di zecca, fresco, virgineo e puro. Un rifugio ecologico e spirituale dalla corruzione del mondo moderno, il nuovo Stato della Chiesa sarà ecocompatibile e autosufficiente. Auspichiamo che questa visione del futuro possa essere un faro e un esempio per il mondo.» «Un nuovo Eden?» chiese il ministro. Torino sorrise. «Esattamente. La nostra collocazione favorita è nel Sudamerica di religione cattolica e il Perú è un candidato eccellente. È stabile e né troppo grande né troppo piccolo. Comunque, siamo anche consapevoli che l'immagine internazionale del vostro Paese è stata attaccata a causa dell'incuria palese nei confronti della foresta pluviale in cambio di capitali petroliferi.» Il ministro si dimenò sulla sedia. «Come possiamo convincervi a scegliere il Perú?» «La proposta sarebbe la seguente: noi fonderemo il nuovo Vaticano in Amazzonia, entro un perimetro protetto di foresta vergine che sarà mantenuta e preservata come Dio ha deciso. Voi cederete quella terra al Vaticano e sancirete in perpetuo il suo rango di Stato sovrano al cospetto sia delle leggi internazionali sia di quelle peruviane. E v'impegnerete anche a proteggere la sua sovranità. In cambio riceverete un indennizzo per la terra e, come ospiti del secondo Vaticano, godrete di una maggior considerazione a livello internazionale, localmente e globalmente. Riabiliterete la vostra immagine mostrando al mondo che la conservazione della foresta vi sta davvero a cuore. Sostanzialmente cederete un territorio di valore economico limitato in cambio di capitali, prestigio e consenso internazionale.» Il ministro lanciò un'occhiata al legale, che fece un cenno di assenso. «Sembra ragionevole.» Il ministro si alzò e si avvicinò a una cartina appesa alla parete. «Esistono zone della foresta pluviale peruviana inaccessibili o destinate alle compagnie petrolifere?» domandò Torino. «Non espressamente. Se desiderate un tratto di terra in particolare, pos-
siamo accordarvi la precedenza sulle compagnie petrolifere.» Indicò la cartina. «A ogni modo, permettetevi di segnalarvi come lotto di prima scelta...» «Non sarà necessario. Riconoscerò il posto quando lo vedrò. Il Signore mi guiderà.» Il ministro aggrondò la fronte. «Padre generale, non vorrete addentrarvi nella foresta di persona?» «Devo farlo.» «È un posto pericoloso.» «Dio mi proteggerà e il Santo Padre mi ha fornito quattro soldati pontifici.» «Le guardie svizzere?» Un sorrisetto incredulo iniziò a prendere forma sulle labbra del ministro. «Con tutto il rispetto, ogni ministro governativo che si reca nell'interno è sempre scortato da una squadra di forze speciali altamente addestrate.» «E io farò lo stesso. Non si lasci ingannare dalle loro uniformi cerimoniali sgargianti e dalle alabarde, non faccia l'errore di pensare che le guardie svizzere siano soldatini giocattolo, ministro.» «Non intendevo offendervi. È solo che se succedesse qualcosa al Preposito generale della Compagnia di Gesù mentre è ospite del nostro Paese...» Torino sollevò una mano e sorrise. «Capisco.» In molti avevano sottovalutato il piccolo esercito pontificio composto a partire dal XVI secolo da mercenari svizzeri. Quando Hitler entrò a Roma durante la seconda guerra mondiale, le guardie svizzere, con indosso sobrie uniformi grigie, avevano preso posizione dietro le mitragliatrici e i mortai. I tedeschi non avanzarono sul Vaticano, ma le guardie, benché molto inferiori di numero, erano pronte a sacrificare la propria vita per difendere il Santo Padre. Tutti i membri dell'attuale corpo delle guardie svizzere erano di fede cattolica, di un'età compresa tra i diciannove e i trent'anni, alti più di un metro e settantaquattro e addestrati nell'esercito svizzero. La competizione era spietata e il Vaticano sceglieva soltanto i migliori. Ogni recluta giurava di difendere il papa e il palazzo apostolico a costo della vita. Le quattro guardie svizzere assegnate a Torino facevano tutte parte di un'unità d'élite, parlavano spagnolo e avevano avuto esperienza sul campo. «Le assicuro, ministro, che i miei uomini sono perfettamente in grado di proteggermi. Ma apprezzerei la sua collaborazione nell'autorizzare l'impiego di qualsiasi arma o dispositivo ritengano necessario finché ci troviamo
nel suo Paese.» «Naturalmente.» Il ministro prese un foglio dal legale e lo passò a Torino. «Questo è un salvacondotto che vi garantirà il passaggio sicuro attraverso il Paese. Vi autorizza anche a requisire qualsiasi tipo di equipaggiamento e mezzo di trasporto necessario alla vostra spedizione, comprese armi o provviste per la vostra protezione personale. Chiedete alle autorità locali cosa vi serve e penseranno loro a tutto.» Fece un gesto in direzione del legale che estrasse un corposo documento in triplice copia. «Questo è l'accordo definito ieri dai vostri e dai nostri legali. In pratica conferisce al Vaticano il diritto di rivendicare fino a ventimila ettari di foresta pluviale peruviana al prezzo pattuito.» «In qualsiasi zona?» «Sì. Purché sia foresta vergine e non appartenga a nessuno.» «E i popoli nativi?» «Nessun problema. Li facciamo spostare.» «E se avessi bisogno di più di ventimila ettari?» Una scrollata di spalle. «Aggiungeremo un accordo supplementare.» Il ministro sorrise. «Come scoprirete, padre generale, c'è foresta in abbondanza. Più di quanto crediate.» 29 Cajamarca, giovedì, ore 04.30 Lauren aveva sempre rimproverato Ross di non avere pazienza, ma lui non si era mai sentito tanto impaziente quanto allora, in attesa del ritorno di Hackett. Suor Chantal si era chiusa nel suo mondo e aveva colto l'occasione per schiacciare un pisolino e recuperare le forze. Zeb cercava di rassicurare Ross, leggendo a intervalli tutto ciò che trovava, proprio come usava fare Lauren quand'era in vacanza. Lui però non riusciva a rilassarsi. Dopo aver acquistato la lista di oggetti di Hackett e aver esplorato Cajamarca per la terza volta, si era concentrato sul libretto di Falcon, nella speranza d'intuire quanto ci sarebbe voluto per trovare il giardino, sempre che fosse esistito. Si sentiva come in un limbo - né a fianco di sua moglie né in viaggio alla ricerca di una cura - ed era ansioso di partire. Aveva chiamato suo padre tutti i giorni e tutti i giorni l'uomo gli aveva riferito che non c'erano cambiamenti nelle condizioni di Lauren. E tutti i giorni Ross aveva
valutato la possibilità di tornare a casa. Finalmente, giovedì mattina era arrivato e Hackett passò a prenderli davanti all'hotel con la sua Land Rover. Era ancora buio e la Croce del Sud splendeva nel cielo. Hackett indossava pantaloni cachi senza una piega, una sahariana, un cappello stile Indiana Jones e un paio di occhiali dalle lenti spesse. Salutò tutti, poi stivò i borsoni sul portapacchi. «Per favore, pulitevi le scarpe prima di salire in macchina. E tirate su i finestrini. Sono allergico alla polvere. Quando saremo tutti a bordo accenderò l'aria condizionata.» Allergico alla polvere? Ross scambiò un'occhiata con Zeb, ma non disse niente e andò a occupare il sedile del passeggero, mentre Zeb e suor Chantal si accomodavano su quello posteriore. Provava ammirazione per Hackett per aver scelto un mestiere per cui, apparentemente, era così poco tagliato: visite guidate nella foresta amazzonica, probabilmente il più grande ricettacolo di polvere del mondo. Ma tutto sommato a Ross piaceva quell'inglese così eccentrico. Proprio per tutto il suo riserbo e le sue strane maniere, Hackett ispirava un'integrità vecchio stampo. Il viaggio per Kuélap durò sei ore. La strada impervia tagliava attraverso la foresta montana e s'inerpicava su un valico a tremila metri prima di precipitare vertiginosamente sul Rio Marañón. Alla fine, la Land Rover si fermò in un villaggio di nome Tingo, a sud di Chachapoyas. «Da qui procederemo a piedi.» Hackett guardò suor Chantal. «È una scalata piuttosto ripida. Vuole rimanere qui?» Suor Chantal non rispose neppure, uscì dall'auto, prese Zeb a braccetto e iniziò a camminare. Faceva caldo e tirava una brezza umida. Mentre saliva, Ross sentì l'odore della terra rossa sotto i piedi. Ci vollero altre due ore per raggiungere le rovine, mille metri sopra Tingo, ma, quando Ross vide la fortezza perduta, dimenticò la stanchezza e si fermò per contemplarla. Quel posto era imponente. A detta di Hackett, quella leggendaria città in rovina era la più grande struttura preincaica del Perú. Svettante sulla sponda sinistra del Rio Utcubamba, la fortezza era come una nave incagliata in un crinale in erosione. La muraglia merlata s'innalzava circa venti metri sopra la cresta montuosa e si estendeva per quasi seicento metri. Innanzi alla porta principale Ross si sentì piccolo e impotente. «Kuélap», annunciò Hackett, ripescando un inalatore dalla tasca e aspirandone uno spruzzo. «La chiave di volta della cultura chachapoya. Gran parte delle fortezze chachapoyas è stata costruita su crinali simili a questo. Si ergono sulla foresta montana e sono conosciuti a livello locale come ce-
ja de selva, il ciglio della foresta.» Ross si guardò intorno e si sorprese di vedere che erano praticamente soli. Pensava che un posto spettacolare come quello brulicasse di turisti. Mentre Zeb e suor Chantal si sedevano per riprendere fiato, Hackett gli fece cenno di seguirlo verso un torrione situato nel punto più alto della città fortificata. La torre s'innalzava per quasi dieci metri e c'era una scalinata pericolante per raggiungerne la cima. Il posto era stato ripulito e il terreno erboso si estendeva nel raggio di chilometri, fin dove spaziava lo sguardo. Dalla cima dell'antica fortezza, a quasi tremila metri sul livello del mare, Ross guardò verso oriente: la foresta amazzonica si protendeva sotto di lui a perdita d'occhio e, in lontananza, un nastro di argento vivo si snodava attraverso il verde. Quello spazio sterminato sembrava mille chilometri lontano da casa e dai confini claustrofobici della stanza d'ospedale di Lauren. La tristezza e il senso di colpa costante per averla lasciata erano combinati al desiderio che anche lei potesse godersi quello spettacolo. Il tutto accompagnato da una nuova sensazione: il rinascere della speranza. Si abbandonò a immaginare che da qualche parte in quella distesa smeraldina potesse esserci il giardino di Falcon, e con esso una cura. Da quel punto strategico ancestrale tutto sembrava possibile. Hackett indicò una strada battuta che conduceva verso il bacino. «Le indicazioni del gesuita ci guidano a est, verso il fiume. Quella strada è da secoli l'unico modo per scendere in Amazzonia, perciò suppongo che l'itinerario del vostro amico la segua fino a Tarapoto e poi su fino a Yurimaguas, sul Rio Huallaga, e che, alla fine, vada a ricongiungersi con la foresta. Sono in contatto radio con Juarez e, quando sapremo il punto esatto del fiume al quale conducono le indicazioni del vostro amico, lo chiamerò e ci verrà a prendere per la tappa successiva del nostro viaggio.» Puntò il dito verso l'Amazzonia. «Presumo che le istruzioni del prete ci daranno del filo da torcere quando ci troveremo in quell'ignoto mare di verde.» Ross annuì e per alcuni istanti i due rimasero in silenzio, ad ammirare quella vasta piana, ognuno perso nei suoi pensieri. «Lo sente?» chiese infine Hackett. Ross prestò orecchio alla brezza. «Sentire cosa?» «Il richiamo», rispose Hackett, e un sorriso affiorò sulle sue labbra. «Il richiamo dell'avventura.» Mentre la Land Rover si allontanava da Tingo, un Land Cruiser spruzzato di fango partì di slancio al suo seguito.
«Perché seguiamo questi gringos? Sanno dov'è l'oro?» Marco Bazin mise giù il binocolo e si girò verso l'uomo al volante. «Li stai seguendo, Raul, perché ti pago per farlo. Mantieni la distanza, ma non perderli di vista.» Bazin si tolse il panama e si grattò la testa. Nello specchietto retrovisore intravide l'uomo seduto dietro che lucidava la pistola. Più un ragazzo che un uomo, il lungo viso devastato dall'acne. «Sapete cosa fare? Tutti quanti?» Era costretto a mantenere un tono sdegnoso nella voce. «Seguro», bofonchiarono gli uomini. Si lanciarono un'occhiata e sogghignarono come se si trattasse di un giochetto. Bazin guardò dritto negli occhi il ragazzetto con la pistola. «Tenete a mente. Avrete il resto dei soldi solo alla fine del lavoro, non prima.» Era contento che nessuno lo conoscesse da quelle parti, anche se la sua reputazione aveva avuto la sua utilità in passato. Se quei dilettanti avessero saputo ehi era - o meglio chi era stato - avrebbero mostrato più rispetto. Bazin controllò che il suo costoso telefono avesse segnale, poi si rese conto della propria stupidità. Benché non fosse più grande di un cellulare, quel telefono era dotato di una tecnologia satellitare all'avanguardia, perciò avrebbe dovuto funzionare ovunque. Chiamò il telefono gemello di Torino. Il gesuita rispose al terzo squillo. «Sono in movimento», disse Bazin. «Non farteli scappare. Ti seguirò quando avrò finito qui a Lima.» 30 Yurimaguas «Qual è la tua barca, Nigel?» chiese Zeb in tono annoiato. «Aspetta, fammi indovinare.» Additò un lucente vascello immacolato che spiccava fra le altre bagnarole luride e vaporetti fatiscenti ormeggiati nel porto fluviale assonnato, come denti incapsulati in una bocca in decomposizione. «Quella.» «Come hai fatto?» chiese Hackett. «Ho tirato a indovinare.» Ross scosse la testa. Il viaggio da Kuélap a Yurimaguas era durato quasi due giorni e le strade erano le più dissestate che lui avesse mai percorso. Persino a bordo della Land Rover l'ultimo tratto di sei ore da Taropoto era stato un tragitto torcibudella sullo sterrato. Non era stata solo la lunghezza
del viaggio a logorare i nervi, ma anche starsene tutti rinchiusi in macchina così a lungo. Zeb poteva anche avere una mente matematica scrupolosa, ma non aveva nessun senso dell'ordine e si divertiva a piazzare i piedi sul cruscotto quand'era il suo turno di stare davanti. Sembrava quasi aver preso gusto a provocare Hackett, troppo educato per reagire. i Hackett parcheggiò vicino alla barca e, quando Ross aprì lo sportello, l'aria era più calda di cinque, dieci gradi, e molto più umida di quella montana. Scese per sgranchirsi le gambe. Guardando il vascello candido di Hackett, Ross capì per la prima volta l'espressione «lucido come uno specchio». Lustri caratteri di ottone componevano il nome Discovery sullo scafo bianco neve della barca e, quando salirono sulla passerella, notarono che ogni superficie era di metallo lucido o tek laccato. «Che bella barca», commentò suor Chantal. Hackett era raggiante per l'orgoglio. «La Discovery è un settanta piedi costruito su misura e spinto da due motori Detroit Diesel da centocinquanta cavalli.» «Quante cabine?» chiese Ross. «Sei.» Ross tirò un sospiro di sollievo. Ognuno avrebbe avuto la sua intimità. Un ometto nerboruto con due allegri occhi castani, la pelle scura caramello e folti capelli neri fece capolino dal vano motori. La sua maglietta bianca e i blue jeans erano lindi come la barca. Hackett lo presentò come Juarez. «Il buffo è che ho lasciato l'Inghilterra per venire nella foresta a cercare antiche rovine, mentre Juarez è nato qui e vorrebbe visitare le grandi metropoli dell'Europa e del Nordamerica. Odia le rovine, le vede come luoghi di morte, ma non preoccupatevi: mi aiuterà con la barca e ci farà da guida. Parla correntemente inglese, spagnolo e quechua e conosce l'Amazzonia - il Rio e la foresta - meglio di chiunque altro. Ed è anche un cuoco da favola. Adesso seguitemi. Vi mostro le vostre cabine.» Mentre Hackett faceva strada ai suoi ospiti, nessuno fece caso all'uomo alto col panama che passò per due volte davanti all'ormeggio della Discovery. La seconda, accovacciandosi per allacciarsi la scarpa, si avvicinò all'attracco tanto da riuscire a toccare lo scafo con la mano sinistra. Non solo ogni cabina era pulita e lucida come uno specchio, come Ross si aspettava, ma disponeva anche di un bagnetto adiacente completo di vano doccia. Su ciascun letto era disposta una pila ordinata di attrezzature e provviste a fianco di un'amaca e una zanzariera arrotolate insieme e bom-
bolette di potentissimo insetticida. «Usate l'insetticida a volontà, anche quando siete nella cabina», disse Hackett. «Prima di lasciare la barca e di addentrarci nella foresta, Juarez vi spiegherà come usare l'amaca e la zanzariera per evitare di essere mangiati vivi dagli insetti.» «Questa barca sembra costosa. Quante volte è stata noleggiata?» chiese Ross. Hackett corrugò la fronte. «Non abbastanza. Sbarco il lunario noleggiandola alle compagnie petrolifere e di quando in quando alle case farmaceutiche. Sembrano tutti impegnati in una grande caccia al tesoro in Amazzonia, che sia oro antico, petrolio o la cura per il cancro.» Puntò il dito verso una cassapanca sul ponte. «È piena di palline da tennis e cappellini col logo di varie compagnie. Le palline da tennis fanno furore tra i ragazzini del posto e le multinazionali le danno in omaggio. È una buona pubblicità, a prima vista. Quelle rosse della Alascon Oil vanno per la maggiore.» Ross represse un moto di stizza al pensiero di Underwood e Kovacs. «Adesso datti una rinfrescata», proseguì Hackett. «Yurimaguas è l'ingresso alla foresta. Se ho interpretato bene il prossimo indizio, dovremo seguire il Rio Huallagas, oltre Lagunas, per confluire nel Rio Marañón e dirigerci a oriente. Alla fine c'immetteremo nel fiume principale, il Rio delle Amazzoni, che ci porterà nel cuore della foresta.» Ross lasciò Hackett e stramazzò sul letto. Raccolse il portafoglio e ne estrasse una foto fatta in luna di miele: Lauren che sorrideva sotto la luce di un tramonto hawaiiano. Aveva un fiore tra i capelli e aveva un bell'aspetto, abbronzato e felice. Si chiese se avrebbe mai più visto quel sorriso, o il suo bambino non ancora nato. Si alzò e guardò dall'oblò. Mentre le acque scure del fiume spumeggiavano sotto di lui, il fascino sbiadito, pacchiano di Yurimaguas si faceva sempre più lontano e il fiume a prua si spingeva serpeggiando nel folto della foresta più grande del mondo. Solo allora, seguendo con lo sguardo quel corso d'acqua sinuoso e vedendolo curvare e girare finché non scomparve alla vista, Ross si rese conto che la ricerca era davvero iniziata. Bazin guardò la Discovery salpare da Yurimaguas, poi controllò lo schermo del palmare che mostrava una mappa del Perú nordorientale. Quando attivò il trasmettitore GPS che aveva attaccato allo scafo della barca, sullo schermo comparve un puntino lampeggiante che si allontanava da Yurimaguas. Si diede una sistemata al panama, poi si rivolse agli altri nel piccolo gommone.
«Carina la ragazza coi capelli rossi», disse quello che lucidava la pistola nel Land Cruiser, ora intento a punzecchiarsi i foruncoli sulla faccia. Bazin lo folgorò con lo sguardo. «Lascia perdere la ragazza. Sapete tutti cosa dovete fare. Non permetterò che mandiate tutto a monte. Intesi?» Raul scoppiò a ridere e fece un gesto liquidatorio. «Lei si preoccupa troppo.» Bazin temeva invece di non preoccuparsi abbastanza. Mise in moto il potente fuoribordo e il gommone sfrecciò via, sulla scia della Discovery. «Andiamo.» 31 Un proiettile che colpisce il cranio umano fa un rumore particolare che, una volta udito, è impossibile dimenticare. Il mattino seguente, dopo un sonno irregolare, Ross lo sentì per la prima volta... e per più di una volta. L'incidente avvenne alcune ore dopo che la Discovery aveva oltrepassato Lagunas, dove il desolato Rio Marañón raggiungeva una larghezza di settecento metri. Ross stava leggendo il libretto di Falcon, cancellando mentalmente i punti di riferimento che avevano superato e contando quelli che restavano, quando sentì Juarez chiamare Hackett. Ross seguì con lo sguardo dove puntava l'indice di Juarez e vide un gommone galleggiare vicino alla sponda con tre uomini a bordo. Due facevano cenni con le braccia mentre il terzo teneva sollevato un remo rotto e armeggiava col fuoribordo. «Li aiutiamo?» chiese Juarez. «Certo», disse Hackett prontamente. «Se non riusciamo a riparare il fuoribordo, li rimorchieremo a monte fino alla città più vicina.» La Discovery si accostò al gommone e uno dei passeggeri, il più grosso con un panama bianco, alzò una bottiglia con la sinistra. «Usted ha conseguido agua potable? Avete acqua potabile?» Hackett calò la scaletta mentre Juarez lanciava loro una cima per attaccare il gommone alla Discovery. Nonostante l'afa, prima di salire a bordo gli uomini indossarono la giacca. Ross suppose che contenessero i loro effetti personali, ma quando i tre si furono issati sul ponte si accorse che la sua supposizione era sbagliata. Sbagliatissima. L'uomo col panama sfoderò una pistola dalla giacca con la mano sinistra e puntò la canna lucida verso Hackett. Gli altri due estrassero dalle giacche delle semiautomatiche più grosse e tennero sotto tiro i passeggeri sul pon-
te. Panama li contò, come se avesse saputo quante persone dovevano trovarsi sull'imbarcazione. «Voglio che alziate le mani e vi mettiate in riga.» Si rivolse a Ross e a suor Chantal: «Chi ha il libro?» «Quale libro?» chiese suor Chantal. Panama scosse la testa in modo seccato. «Il libretto con le indicazioni.» Come fa a sapere del libro di Falcon? Ross lanciò un'occhiata a Hackett, ma dalla sua espressione sbigottita capì che non ne sapeva nulla. Uno degli uomini, quello col viso sfigurato dall'acne e con piccoli occhietti rotondi, allungò una mano per toccare i capelli rossi di Zeb. Lo fece con l'arroganza disinvolta di chi osserva la mercanzia di un negozio. «Mi piace.» «Te l'ho detto. Lascia perdere la ragazza. Vogliamo il libretto», ripeté Panama. «Non dargli nulla», esclamò Zeb. «Faccia-di-pizza non mi fa paura.» «Silenzio, Zeb», ordinò Ross. Hackett si avvicinò a Zeb. «Sta' buona. Cerchiamo di mantenere la calma.» Ross interpellò suor Chantal. «Glielo dia.» Era alla ricerca di un modo per salvare la vita a Lauren, non per rischiare quella altrui. Suor Chantal fissò dritto negli occhi l'uomo col panama. «No.» «Gli dia il libro», ribadì Ross. «No.» Faccia-di-pizza sogghignò e allungò una mano per toccare il seno sinistro di Zeb. La ragazza indietreggiò e Hackett diede uno spintone all'uomo. «Toglile le mani di dosso!» Faccia-di-pizza si voltò e colpì di traverso Hackett alla testa col calcio della pistola, mandando l'inglese a tappeto, col sangue che gli scorreva da una tempia, gli occhiali sbattuti sul ponte. Quando Zeb fece per accovacciarsi per soccorrerlo, Faccia-di-pizza mirò a Hackett. «Ferma o lo ammazzo.» «Frena», fece il terzo uomo, asciugandosi nervosamente la fronte mentre teneva l'arma puntata su Juarez. «Gli dia quel maledetto libro!» urlò Ross a suor Chantal. «Ci uccideranno se lo facciamo», disse lei con calma glaciale. «Mi rifiuto di fare il loro gioco.» «Ucciderla non è un problema», disse Panama, puntandole l'arma alla
fronte. «Adesso glielo faccio vedere.» Non appena udì i motori della Discovery, l'uomo che si stava aprendo un varco nel folto della foresta rinfoderò il machete e si precipitò verso l'argine del fiume. Si mise subito al riparo, però, quando vide gli uomini salire sulla barca ed estrarre le armi. Rimase a guardare per un momento, vagliando le diverse possibilità, poi imbracciò il fucile, poggiò il calcio contro la spalla e prese la mira. Attese più che poté, restio a intervenire, finché l'uomo col panama non puntò la pistola alla fronte dell'anziana signora. Doveva agire, lo sapeva. Perciò rallentò il respiro, mirò con cura e premette il dito contro il grilletto. Mentre Ross guardava il dito di Panama sbiancare per la pressione sul grilletto, capì che quell'uomo avrebbe sparato a suor Chantal e un vano impulso lo spinse a scagliarsi in avanti per provare a fermarlo. Il suo viso era a un tiro di schioppo da quello di Panama quando risuonò lo sparo che squarciò l'aria pesante, facendo volare via dagli alberi pappagalli variopinti. Quando colpì il bersaglio, il proiettile provocò un rumore che Ross non aveva mai sentito prima. Nei film a volte veniva usata la metafora del proiettile che faceva esplodere un'anguria, ma il rumore era più secco, netto: il frantumarsi di ossa friabili mentre la pallottola entrava e usciva dal cranio che faceva da contrappunto all'impatto esplosivo sui tessuti molli e sul cervello. Nonostante l'aria torrida, il sangue schizzato sul viso di Ross era caldo. In preda allo choc e all'orrore, si voltò verso suor Chantal e non si spiegò come mai fosse ancora in piedi. Perché fosse illesa. Poi si rese conto che era stato colpito Panama. L'impatto lo aveva gettato a terra e ora giaceva esanime sul ponte, il cappello bianco e la testa immersi in una pozza di sangue che si spandeva, rossa e appiccicosa, sul legno lucido. Echeggiò un secondo sparo e Faccia-di-pizza cadde all'indietro nel fiume, con un grosso buco in fronte e un'espressione comica di sorpresa in faccia. Un terzo colpo abbatté l'ultimo uomo facendolo rotolare in acqua come una marionetta coi fili tagliati. Nel silenzio spettrale che seguì, i sopravvissuti si guardarono l'un l'altro, cercando di capire cosa fosse successo. Poi Ross vide un uomo sulla sponda vicina che agitava un fucile. «Ho-
la», gridò. «State bene?» Ross guardò in basso verso Hackett che faceva un cenno di assenso, mentre Zeb gli restituiva gli occhiali e gli tamponava la ferita. Juarez, ancora sotto choc, annuiva mentre suor Chantal si girava verso la riva e sorrideva serenamente al loro salvatore. «Le vie del Signore sono infinite.» «Posso salire a bordo?» chiese l'uomo. Juarez si precipitò al timone e raccolse un fucile e una pistola nera lucente. «È un po' troppo tardi, non credi?» disse Hackett. Juarez mise via il fucile, ma tenne la pistola a portata di mano mentre virava la Discovery verso la sponda. L'uomo salì a bordo col fucile e con un grosso zaino in spalla. Era alto e atletico, con un bel viso segnato dalla vita e un paio di occhi tristi. La pelle olivastra era brunita dal sole, e sfoggiava una corta barba elegante. Non sembrava affatto turbato dall'aver fatto fuori tre uomini. Si avvicinò a Hackett come a un vecchio amico: «Señor Nigel». Quando Hackett si rimise in piedi sembrava il direttore di una banca locale accanto a uno straniero smargiasso. «Ci conosciamo?» L'uomo inarcò un sopracciglio, come per offesa. «Osvaldo Mendoza. Ho anch'io una barca che traghetta i turisti lungo il fiume. Ci siamo incontrati una volta a Lagunas.» «Ah, sì, ma certo», disse Hackett senza indugio. Ross abbozzò un sorriso. Sarebbe stato estremamente scortese, e per niente anglosassone, snobbare l'uomo che gli aveva appena salvato la vita. Hackett allungò la mano e Mendoza la strinse. «Non so come possiamo ricompensarla per essere venuto in nostro soccorso.» Mendoza fece spallucce. «Potete darmi un passaggio fino a Iquitos, amico. La mia barca non è bella come la sua. Ecco perché sono qui. È affondata e stavo aspettando che passasse il traghetto per Iquitos quando vi ho visto in difficoltà.» Indicò l'unico cadavere ancora a bordo. «I briganti di solito non operano così lontano dalle piantagioni di droga della valle Huallaga. Cosa volevano?» Hackett guardò suor Chantal. «Perché non voleva dargli il libretto? L'avrebbero uccisa se il señor Mendoza non fosse intervenuto.» «Ci avrebbero uccisi comunque», rispose lei. Mendoza fece una smorfia. «Temo che abbia ragione, señor. Questi uomini non vi avrebbero lasciato in vita per farsi denunciare alla polizia. Che libro volevano? Dev'essere di valore.»
«Contiene delle indicazioni», disse Hackett, lanciando uno sguardo di rimprovero a suor Chantal. «Indicazioni?» Mendoza sollevò un sopracciglio, ma non disse altro. Hackett tornò a concentrarsi su Ross. «Come diamine facevano a saperlo? Mi avevi detto che nessuno era al corrente del libretto!» Nessuno avrebbe dovuto esserne al corrente, pensò Ross. Invece c'era una persona che sapeva del giardino di Falcon: Torino. Il prete poteva aver intravisto il libro quando aveva incontrato suor Chantal a casa di Ross; tutto quadrava. Per Ross era difficile credere che un alto dignitario della Chiesa cattolica avesse assoldato dei delinquenti per rubarlo, ma non sembravano esserci altre spiegazioni. «Forse c'è un'altra persona che sa cosa stiamo cercando, ma non ha modo di trovarla senza il libretto.» «Vuoi dire...» iniziò suor Chantal. Ross la fulminò con lo sguardo per farla tacere. Non era ancora il momento di spiegare a Hackett e agli altri perché fosse coinvolta un'autorità religiosa. Suor Chantal sembrava più preoccupata per quello che per l'aggressione. «E così abbiamo una concorrenza spietata?» chiese Hackett. «Avevamo dei concorrenti», precisò Ross. «Con questi uomini fuori gioco non avrà modo di seguirci nella giungla.» «E con la polizia come facciamo?» domandò Zeb. «In che senso?» replicò Mendoza senza battere ciglio. Tutti gli occhi conversero sullo sconosciuto. «Intende i cadaveri», spiegò Ross. Mendoza si piegò sul corpo rimasto sul ponte e lo fece rotolare fuori bordo. Una macchia rossa segnava il punto dov'era caduto il suo panama bianco. «Quali cadaveri?» Indicò tre grossi coccodrilli che si muovevano nell'acqua. Gli altri due corpi erano già scomparsi. Prese un fazzoletto dalla tasca e lo passò a Ross. «Si pulisca il viso.» Mentre Ross si asciugava il sangue ancora caldo, Mendoza lo guardò negli occhi. «Ho ucciso tre uomini per salvarvi. Non siamo negli Stati Uniti. Qui la polizia fa un sacco di domande, domande cui preferirei non rispondere. Cui neanche voi volete rispondere. Si prenderanno il vostro libro e se lo terranno per sé. Se avete fretta, señor, e volete trovare quello che cercate prima del vostro rivale, non coinvolgete la polizia. Ci siamo capiti?» «Purtroppo ha ragione», disse Hackett. «La polizia non ci riserverà di certo un trattamento di favore.» Ross passò in rassegna gli altri che lo guardavano con espressione assente, cerei in viso, gli occhi sbarrati per lo spavento. Poi abbassò lo sguardo
verso il fiume impetuoso dove un coccodrillo enorme stava già trascinando l'ultimo cadavere sotto le acque torbide. Aveva sempre nutrito dubbi su quell'impresa, ma stavolta la posta in gioco era salita in modo esponenziale. Gli occhi di Mendoza non si staccavano da Ross. «Ovunque siate diretti, potreste aver bisogno di un uomo che sappia usare la pistola. Da quando ho lasciato l'esercito, navigare è sempre stato il mio sogno. Ma adesso non più. Non ho assicurazione. Non ho prospettive. Datemi una parte di quello che cercate e sono dei vostri.» «Non sa nemmeno cosa stiamo cercando.» «So che deve essere prezioso.» Ross cercò d'inquadrare l'uomo che gli stava davanti. Il señor Mendoza aveva salvato le loro vite e si era dimostrato un potente alleato, ma poteva anche costituire una minaccia. Si rivolse di nuovo agli altri. Zeb e Juarez annuirono dubbiosi. Suor Chantal abbassò lo sguardo e non proferì parola. Allora chiamò in causa Hackett. «Nigel, tu sei il comandante. La barca è tua. Cosa ne pensi?» Hackett esitò, scrutando lo straniero. «Non è il momento adatto per i convenevoli», insistette Ross. «Il señor Mendoza dice che vi siete già incontrati. È vero?» Hackett fece una smorfia per scusarsi. «Non saprei. Non sono fisionomista, ma non avrebbe motivo di mentire ed è probabile che le nostre strade si siano incrociate. Sono stato a Lagunas parecchie volte e ho conosciuto un sacco di traghettatori. A ogni modo, direi che il señor Mendoza si è guadagnato il passaggio.» «Allora è deciso», disse Ross. «Adesso togliamoci di qui.» 32 Bridgeport, Connecticut, ospedale del Sacro Cuore Il bambino non ancora nato di Ross e Lauren Kelly aveva ormai raggiunto i cinque mesi di sviluppo, superando la metà della gestazione. La sua lunghezza cefalocaudale era di oltre diciassette centimetri e il peso di circa trecento grammi. Anche se la rapida crescita avesse subito un rallentamento, i diversi organi erano a un buon livello di sviluppo. Il giorno prima, quando i dottori avevano aggiornato Diana Wharton, i
progressi del bambino l'avevano riempita di speranza. Adesso sedeva nell'oscurità accanto al letto della figlia, oscillando tra il sonno e la veglia. Aveva intenzione di andarsene a mezzanotte, ma preferiva restare lì con Lauren piuttosto che sola nel suo letto a casa. Qualcosa - un suono, forse - la svegliò di soprassalto. Disorientata, si guardò intorno nelle tenebre della stanza, silenziosa tranne che per la pulsazione ritmica delle apparecchiature. Stando all'orologio luminoso alla parete erano quasi le tre del mattino. Mentre i suoi occhi si abituavano all'oscurità si girò verso il letto e riguardò meglio, incapace di credere a quel che vedeva: Lauren aveva gli occhi aperti, due dischi argentei che si riflettevano nella penombra, e la fissava. Diana Wharton balzò in piedi e avvicinò il viso a quello della figlia. Per un secondo cedette all'illusione di un miracolo, il miracolo per cui aveva pregato giorno e notte. Poi le si spezzò il cuore. Gli occhi di Lauren erano chiusi. Non si erano mai aperti. Era stato un abbaglio, uno scherzo della luce, un sogno crudele. Col volto rigato dalle lacrime, Diana accarezzò il viso della figlia e affondò lo sguardo nell'oscurità, sapendo che non avrebbe più ripreso sonno. 33 Iquitos Il remoto capoluogo della regione di Loreto è unico nel suo genere. Collegata al mondo esterno solo per via aerea e fluviale, Iquitos è il solo centro urbano interamente circondato dalla foresta e irraggiungibile via terra. Fondata come missione gesuita nel 1750 circa, due secoli dopo che Falcon scrisse il Voynich, Iquitos dovette resistere ai costanti attacchi delle tribù autoctone che non volevano essere convertite. Il minuscolo insediamento sopravvisse crescendo lentamente finché, nel 1870, non raggiunse una popolazione di millecinquecento abitanti. Poi venne il boom della gomma e la popolazione sestuplicò. I magnati della gomma divennero straordinariamente ricchi, mentre i raccoglitori di caucciù, per gran parte indigeni, erano praticamente ridotti in schiavitù. Durante la seconda guerra mondiale, il mercato della gomma collassò. Poi, negli anni '60, un secondo boom rivitalizzò l'area: quello dell'oro nero. Iquitos era ormai una fiorente città di frontiera, violenta ma prospera, centro di attrazione per petrolieri, avventurieri e turisti.
Quando la Discovery si accostò alle altre imbarcazioni a Puerto Masusa, un paio di chilometri a nord dal centro della città, Ross vide l'impatto del petrolio in ogni direzione. Bambini in sudicie magliette delle compagnie petrolifere che giocavano con palline da tennis marchiate dai diversi loghi. Un enorme cartellone sul molo presentava una scena lussureggiante e idilliaca della foresta, completa di pappagalli, fiori e una fonte cristallina; di piattaforme petrolifere, oleodotti o pozzi nemmeno l'ombra. Al di sotto campeggiavano un logo dimesso e lo slogan EL PERÙ QUE AYUDA OPTIMIZA SUS RECURSOS NATURALES: il Perú che aiuta ottimizza le sue risorse naturali. Dopo aver ormeggiato la barca, Hackett chiese al gruppo di riunirsi nella cambusa. «Alla luce di quanto è successo capisco che alcuni di voi non siano più così sicuri di voler continuare. Iquitos è l'ultimo avamposto civilizzato da dove poter prendere un aereo per Lima. Dopo aver imbarcato le ultime provviste, saremo soli, nella foresta vergine, per un mese o giù di lì. Una volta partiti non potremo tornare indietro a meno che non lo si faccia tutti insieme. Perciò, se volete mollare, adesso o mai più.» A tali parole, l'inquietudine di Ross raggiunse l'apice. Quello era il punto di non ritorno, l'ultima occasione per decidere se tornare indietro e stare con Lauren o dedicarsi alla ricerca della cura. Si guardò intorno, ma nessuno aveva alzato la mano. Nessuno eccetto Juarez. Hackett guardò il suo amico e guida. «Abbiamo bisogno di te, Juarez. Sei l'unico che conosca la foresta.» «Ma perché dovrei, señor Hackett?» protestò Juarez inquieto. «È pericoloso. Hanno tentato di ucciderci. Non so nemmeno cosa state cercando.» «Cerchiamo le rovine di un'antica civiltà», rispose Hackett. «Ma io odio le rovine», rispose Juarez, afflitto. «Le rovine sono cose morte.» «Stiamo cercando oro», disse Zeb. «Un tesoro.» «Quanto oro?» chiese Mendoza, storcendo la bocca e massaggiandosi le tempie come in preda agli spasmi. «Non ne abbiamo idea», disse prudentemente Ross. «Non sappiamo ancora cosa troveremo di preciso.» «Ma voi siete certi che ci sia davvero qualcosa?» ribatté Mendoza. «Assolutamente sì», rispose suor Chantal. «Per me basta e avanza», rispose Mendoza, lanciando uno sguardo carico di significato a Juarez.
«Andiamo, Juarez, sei un ragazzo robusto», disse Zeb col suo sorriso più seducente. «Non avrai mica paura di questo viaggetto quando una ragazza debole come me e una signora anziana come suor Chantal sono impazienti di partire, giusto?» Juarez arrossì e si dimenò sulla sedia per l'imbarazzo. «Non ho paura. Voglio solo sapere perché dovrei venire.» «Per l'oro e la gloria», rispose Hackett. «Coraggio, amico. Hai sempre detto di voler lasciare la foresta e visitare le grandi città europee e americane. Be', con questo denaro potresti andare a New York, Parigi, Londra. Dove vuoi.» «Verrò solo se faremo spartizioni eque», disse Juarez titubante. «D'accordo», sancì Ross, domandandosi come avrebbero reagito quelle persone quando alla fine avrebbero scoperto che non era l'oro lo scopo della loro ricerca, ma solo un giardino che probabilmente non esisteva nemmeno. Suor Chantal non sembrava neppure sfiorata dal problema, lui invece sì. A quel punto il telefono satellitare squillò. Ross lo recuperò e, quando sentì la voce di suo padre, il cuore prese a battergli più forte. Uscì sul ponte. «Ciao, papà. Tutto bene? Come sta Lauren?» «Non preoccuparti, Lauren è stabile. Sua madre pensava di aver visto qualcosa ieri notte, ma si è sbagliata. Ti ho chiamato perché chiedi sempre di Lauren, perciò ho pensato di telefonare per sapere come stai. Come va in Perú?» «È ancora presto.» Ross preferì non raccontargli dell'assalto. «Stiamo per addentrarci nella foresta vera e propria. Sulla barca c'è una radio, ma sarà difficile restare in contatto.» Il padre rise con dolcezza. «Questo è un bene, figliolo. Così la pianterai di chiamare tutti i giorni che Dio manda in terra.» Tacque, come se avesse intuito l'esitazione di Ross. «Figliolo, comunque tu consideri questa missione in Perú, devi prendere una decisione. O torni a casa adesso e accetti quanto dovrà succedere, o ti concentri interamente a trovare quel giardino. Non c'è una via di mezzo. Se decidi di rimanere, devi tornare sapendo di aver fatto tutto il possibile. Altrimenti non troverai pace.» Quando Ross riagganciò e ripose il telefono, era convinto che suo padre avesse ragione. Zeb e suor Chantal uscirono sul ponte. «Come sta Lauren?» chiese Zeb, scrutando il suo viso. «Se vuoi tornare, non c'è problema. Saremo a casa domani a quest'ora.» Suor Chantal scosse la testa, ma non aprì bocca. «Qualche problema?» chiese Hackett, uscendo per unirsi a loro. «Brutte
notizie?» «Mia moglie non sta bene.» «Allora che diamine ci fai in Amazzonia a dare la caccia al tesoro?» «È una storia lunga, Nigel. Molto lunga.» Hackett rimase in silenzio, in bilico tra il desiderio di saperne di più e la sua naturale discrezione. «Spero che si rimetta. Juarez e io scendiamo a terra per fare cambusa. Salperemo tra circa sei ore.» Tacque e guardò Ross in modo eloquente. «Sei d'accordo?» Mendoza comparve dal nulla, stropicciandosi le tempie come per un senso di malessere. Camminò verso Hackett e gli disse a bassa voce: «Ha degli antidolorifici?» «Forse nella cassetta di pronto soccorso. Perché? Soffre di emicranie?» «Emicranie terribili.» «Le faccio una prescrizione. Può prendere delle pillole in città.» Hackett tornò a rivolgersi a Ross. «Partiremo tra sei ore. Sei dei nostri?» Ross si sentì gli sguardi di Zeb e suor Chantal fissi su di sé. Se Lauren fosse morta mentre lui era lontano si sarebbe sentito in colpa per sempre. Ma se avesse mollato e fosse morta lo stesso, fatto ormai ineluttabile, allora si sarebbe sentito colpevole per non aver compiuto tutto ciò che era in suo potere per salvarla. Non aveva scelta. Era arrivato fin lì e doveva proseguire. Anche se il giardino era solo un mito, offriva l'unica possibilità per salvare Lauren e doveva coglierla al volo. Diversamente da Hackett, Mendoza e Juarez, non era solo in cerca di un tesoro. Stava cercando qualcosa di molto più sfuggente e prezioso: la speranza. «Conta su di me, Nigel. Sino alla fine.» Sei ore dopo Il volo del giorno precedente da Lima a Iquitos era andato liscio come l'olio e Torino aveva trascorso una notte tranquilla all'El Dorado Plaza Hotel nel centro della città. Dopo aver congedato il segretario personale e il resto del suo entourage a Lima, viaggiava da solo, salvo, ovviamente, per la scorta. Meno persone sapevano della missione, meglio era. La sua unica preoccupazione era Bazin. Gli aveva mandato una serie di messaggi sul telefono satellitare per sapere se il piano era andato in porto, ma non aveva ricevuto risposta. Aveva anche sentito delle voci in città: alcuni pescatori avevano trovato un cadavere mezzo divorato nel fiume a sud di Iquitos, con un foro di proiettile in fronte. Si parlava anche di una sparatoria e di
un gommone abbandonato. Mentre si trovava sul ponte della barca che aveva requisito, Torino si rifiutò comunque di preoccuparsi eccessivamente per il fratellastro. Anche se Bazin avesse fatto una brutta fine, sarebbe morto compiendo un servizio alla Chiesa. E la sua morte non sarebbe stata vana: Torino aveva pensato a ogni evenienza. Il padre generale ammiccò al sole al tramonto e avvicinò agli occhi un binocolo. Osservò la Discovery lasciare Puerto Masusa e veleggiare verso valle sinché alla fine non scomparve dietro l'ansa del grande corso d'acqua. Quando sparì alla vista, guardò in basso verso il palmare che Bazin gli aveva dato a Lima. La mappa sullo schermo mostrava un puntino che si spostava verso l'Amazzonia nordorientale, lontano da Iquitos. Alzò lo sguardo e vide quattro soldati in tenuta mimetica caricare il vascello. Tre avevano i capelli biondi e, anche per l'altezza, spiccavano tra gli indigeni, più bassi e scuri. Storicamente le guardie svizzere venivano reclutate dai cantoni svizzeri di lingua tedesca e anche i gradi erano espressi in tedesco. Due gli passarono accanto, trasportando una cassa aperta di fucili e munizioni. «Cosa sono?» chiese Torino. Fleischer, il sergente - il Feldweibel - incaricato della sicurezza di Torino, aggrottò la fronte. «Vi prego, padre generale, stiamo andando nella foresta. Il mio compito è difendervi. Le armi potrebbero non addirsi troppo al vostro sacro ufficio, ma ne avremo bisogno.» «Lei mi fraintende, Feldweibel. Non mi disturba affatto che portiate delle armi. Mi chiedo soltanto: è tutto qua quello che intendete portare?» «Non capisco, padre generale.» Torino pensò alla storia narrata nel Voynich e alla testimonianza di padre Orlando Falcon negli Archivi dell'Inquisizione. Rifletté sull'itinerario pericoloso fino alla Fonte del giardino, la radix, nelle grotte proibite, e su come gli ultimi conquistadores fossero stati massacrati e il loro sangue avesse tinto il fiume verde di un rosso cupo. «Supponga di dover affrontare forze più potenti e selvagge di quanto si aspetti, Feldweibel. Munitevi delle armi migliori, le più sofisticate che trovate. Dovete essere in grado di proteggere la spedizione contro ogni eventualità.» Poi si ricordò dei due piani di emergenza che aveva concordato col Santo Padre. «Ci sono almeno altri due dispositivi che dovrete procurarvi.» Quando glielo disse, il sergente Fleischer s'incupì. «Ma, padre generale, questo ci farà ritardare di un giorno. Siete proprio sicuro che sia necessa-
rio?» «Il Santo Padre mi aveva garantito che mi avrebbe aiutato a compiere la mia missione, senza fare domande. Ho forse capito male, Feldweibel?» «Certo che no, padre generale.» «Allora le suggerisco di fare esattamente come le ho detto. E, si fidi, queste precauzioni supplementari sono tanto per il mio, quanto per il vostro bene.» Torino alzò lo sguardo verso il sole splendente per crogiolarsi in quella calda visione. Il Signore gli sorrideva per incoraggiarlo. Guardò lo schermo tra le sue mani, il puntino che si muoveva a nordest. Poi tornò a rivolgersi a Fleischer. «Si sbrighi, voglio partire entro ventiquattr'ore.» 34 Negli ultimi giorni, mentre la Discovery procedeva nella sua discesa dell'Amazzonia, Ross aveva cominciato a sentirsi sempre più in apprensione per suor Chantal. Dal giorno dell'imboscata si era progressivamente chiusa in se stessa. Ora dopo ora si era fatta più assente e confusa e trascorreva gran parte del tempo confinata in cabina. Di giorno navigavano sempre secondo le rilevazioni bussola del libro di Falcon e di notte seguivano le mappe astrali. Al terzo giorno, raggiunsero due piccoli promontori che, emergendo dalla foresta, sembravano curvarsi l'uno verso l'altro: los cuernos del toro, le corna del toro. A quel punto, gli indizi di Falcon indicavano di deviare dal fiume principale in un dedalo di capillari più piccoli che confluivano nella giugulare amazzonica. Direttamente collegati al Rio delle Amazzoni, quei corsi d'acqua erano ampi e, non appena la Discovery deviò dal corso principale, comparvero già segni dell'incursione umana. Nei piccoli villaggi che solo alcuni anni prima non erano mai stati sfiorati dal mondo moderno, ora i bambini indossavano cappellini e magliette e giocavano con le onnipresenti palle da tennis col logo. Persino all'interno della foresta vergine videro estese aree diboscate per far spazio agli oleodotti: uomini in casco giallo e macchine escavatrici solcavano intere aree attraverso la foresta smeraldina, aprendo ferite sanguinanti nella terra. «Bastardi», proruppe Zeb. «Ma non vedono cosa stanno facendo? Perché cazzo questa gente è così miope?» «Perché il mondo ha bisogno del petrolio», ribatté Ross. «Quasi tutto ciò che usiamo - tutto ciò che tu usi - proviene da derivati del petrolio: lo shampoo, il dentifricio, il burro di cacao, la padella antiaderente, CD e
DVD, palline da golf, per non parlare degli oggetti di plastica.» «E le conseguenze? Quand'è che il mondo deciderà che quel poco che rimane della foresta vale più del petrolio che cerca?» Ross non sapeva cosa risponderle. Se Lauren avesse assistito a quello scenario ne sarebbe stata altrettanto inorridita. Anche lui ne era impressionato. Sapeva che l'uomo aveva sgretolato una grande porzione di foresta pluviale negli ultimi anni; aveva letto le statistiche. Ma vederlo dal vivo e scoprire quanto erano efficienti quei macchinari che mietevano gli alberi gli fece capire perché suor Chantal era così preoccupata di proteggere il giardino. Quanto tempo ci sarebbe voluto prima che quelle escavatrici gialle fossero arrivate al prezioso Eden di Falcon? Sempre che esistesse davvero. Alla fine si ritrovarono nella vera foresta vergine e, mentre l'imbarcazione procedeva tortuosamente su corsi d'acqua sempre più stretti, Juarez gridò dal casotto del timone: «Non scendete in acqua!» «Perché?» chiese Zeb. «Piraña?» «Peggio. Candirù.» «Cosa?» Hackett fece una smorfia. «Un piccolo pesce gatto. I candirù sono davvero creature disgustose, specialmente se sei un uomo. Ecco perché ho messo i preservativi nella lista.» «Non capisco», disse Ross. «Gli uomini dovrebbero sempre indossare un preservativo in queste acque. I candirù risalgono l'uretra e, aprendo le spine sul capo come un ombrello, si ancorano a metà del pene bloccando il flusso di urina. Oltre a un dolore lancinante, senza un'operazione chirurgica la vescica scoppia e si muore. Non è un bel modo per andarsene.» Ross accavallò le gambe istintivamente - come tutti gli altri uomini a bordo - e il silenzio calò sulla barca. Addentrandosi nel dedalo, Ross avvertì un prurito alla nuca, come se occhi invisibili lo stessero spiando dalla foresta. Non un paio, migliaia. Gesticolò per allontanare mosche e zanzare grosse come uccellini, tutte apparentemente immuni all'insetticida. Un branco di inie cieche superò l'imbarcazione. Ross vide un'anaconda gigantesca attraversare le acque e risalire l'argine, le squame che luccicarono sotto i raggi del sole prima di scomparire nella boscaglia. Controllò il cellulare e si rese conto di non avere segnale; suo padre non poteva più contattarlo se le condizioni di Lauren avessero subito un cambiamento. Si sentì pervaso dall'angoscia, seguita da una strana ebbrezza, una specie di sol-
lievo. Ormai non gli restava altro che concentrarsi sulla missione in corso: quel paradiso bellissimo e pericoloso era un posto inospitale in cui sarebbe stato facile perdersi. Improvvisamente si rese conto dell'importanza delle indicazioni di Falcon e si trovò a cercare con lo sguardo suor Chantal. Benché non fosse stata di grande aiuto fino a quel punto, avrebbero avuto bisogno di lei per le istruzioni più criptiche. Mendoza gironzolava nella parte in ombra del ponte, tenendosi la testa tra le mani. Zeb leggeva sottocoperta mentre Hackett e Juarez erano al timone. Ross guardò l'ora. Erano quasi le quattro del pomeriggio. Suor Chantal amava fare una siesta dopo pranzo, ma di solito per le tre era già in piedi. Zeb staccò gli occhi dal libro e uscì all'aria aperta. «Che succede?» «Hai visto suor Chantal?» «Probabilmente è nella sua cabina. Perché?» Ross abbassò la voce. «Voglio farle alcune domande sulle indicazioni.» Zeb rimirò lo stretto intrico di corsi d'acqua. «Intendi quelle più strampalate?» «Già.» «Vengo con te.» Zeb bussò delicatamente alla porta di suor Chantal e sentì uno strascicato: «È ora?» La ragazza aprì per trovare gli scuri serrati, la cabina immersa nella penombra e suor Chantal distesa sul letto. «È tempo?» chiese di nuovo la religiosa, a quanto pareva mezza addormentata o in trance. «Sono stata sollevata dal mio fardello?» Zeb si girò verso Ross e scosse la testa. «È tutto a posto, sorella. Torneremo più tardi. Mi scusi per il disturbo.» 35 Il mattino seguente, la Discovery raggiunse un altro dei punti di riferimento che comparivano nel libretto di Falcon. Zeb Quinn scrutò il particolare terrapieno a foggia di cappello a pan di zucchero che spuntava sopra la volta arborea e consultò la bussola. «Adesso dovremmo procedere in quella direzione», disse additando un canale dove le acque erano più impetuose. Juarez corse a prua e usò un lungo bastone per sondare la profondità del fiume vorticante. «Va bene.» Poi puntò a monte, dove le acque diventava-
no schiumose. «Attenzione agli scogli.» Ross interrogò la mappa geologica sul palmare e rabbrividì vedendo che stavano entrando in una parte della foresta le cui informazioni digitali erano state estrapolate, ma mai verificate. Adesso erano nella terra incognita vera e propria. La sua eccitazione aumentò quando vide che il modello computerizzato indicava che la crosta terrestre al di sotto di quella parte della foresta era probabilmente antica roccia precambriana, immutata da miliardi di anni. Il modello accreditava la sua ipotesi sul giardino di Falcon e gli infuse speranza. Zeb intercettò il suo sguardo e gli lanciò un'occhiata di preoccupazione. Quella mattina aveva accompagnato suor Chantal a fare colazione: la religiosa era tornata a letto e non aveva più messo piede fuori dalla cabina. Se fosse uscita di testa non sarebbe rimasto altro che ripercorrere i propri passi. Zeb lo chiamò in disparte e gli mostrò il libro di Falcon. «Dopo la montagnola a forma di pan di zucchero, il fiume diventa sempre più irruente finché non arriva a un punto contro cui Falcon ci mette in guardia: la boca del inferno, la bocca dell'inferno. Guarda qua. Scrive in stampatello: PELIGRO, prima d'indicarci di gettarci nella bocca dell'inferno per passare al di là del velo de la luz, il velo della luce. Qualunque cosa significhi.» «Perché non ha scritto quelle dannate istruzioni in inglese?» «Perché era spagnolo, è vissuto più di quattro secoli e mezzo fa ed era un genio», rispose Zeb senza fare una piega. «Magari la bocca dell'inferno è una cascata.» Scorse la traduzione del Voynich. «Si, guarda, qui parla di una cascata.» Ross annuì. «D'accordo, ma il velo di luce allora cos'è? Dobbiamo avvisare Nigel.» Quando si consultarono con Hackett e gli altri, tutti concordarono che la bocca dell'inferno doveva essere una cascata. «Cosa facciamo?» chiese Mendoza. «Maledizione, ci andremo coi piedi di piombo», disse Hackett in tono arcigno. Si rivolse a Ross. «Se solo sapessimo cosa intende di preciso il vostro amico.» Si guardò intorno. «Tra l'altro, dov'è la vostra compagna, suor Chantal? Non l'ho vista per tutto il giorno. È ancora in cabina?» «È esausta», replicò prontamente Zeb. «Sta recuperando il sonno.» «Fareste meglio ad avvertirla che presto ci sarà da ballare.» «Lo faremo», disse Zeb, scambiandosi un'occhiata con Ross. Ancora una volta, quando bussarono alla porta, udirono un flebile: «Avanti». E di nuovo suor Chantal era sdraiata sul letto con gli scuri chiusi.
Ma quella volta loro non se ne andarono. «Suor Chantal, dobbiamo chiederle delle indicazioni», disse Ross. «Si tratta della boca del inferno. È importante.» «Avvicinati», disse suor Chantal con una voce distante. Ross entrò nella stanza. «Ho bisogno di chiederle anche del velo de la luz. Padre Orlando Falcon scrive che è pericoloso. Lei sa perché?» «Avvicinati», ripeté. «Fammi vedere il tuo viso.» Avanzando, Ross lanciò un'occhiata indietro a Zeb. Chinandosi sul letto, vide un leggero velo di sudore sulla fronte di suor Chantal. Benché lo guardasse, gli occhi dell'anziana erano puntati verso qualcosa oltre il suo viso. «Sei qui... Sapevo che il mio sacrificio sarebbe stato ricompensato.» «Suor Chantal, si sente bene?» «Sto bene.» Allungò una mano per sfiorargli il viso. «Va tutto bene adesso che sei qui, padre Orlando.» 36 Quella stessa notte I colpi alla porta svegliarono Torino da un sonno profondo. «Cosa c'è?» Si alzò dal letto e trovò il Feldweibel Fleischer nel corridoio della piccola cabina. «Padre generale, c'è il cardinale prefetto Guido Vasari alla radio nella cabina di pilotaggio.» «Il cardinale prefetto? Alla radio?» «Chiama da Roma ed esige di parlare con lei.» Esige, ripeté mentalmente Torino aggrottando la fronte. Guardò dall'oblò e vide che era buio pesto. «Che ore sono?» «A Roma sono le nove di mattina. Qui le due.» S'inerpicò fuori dalla cabina e si fece strada sul ponte. La cabina di pilotaggio, accesa come una lanterna, faceva sembrare ancor più tenebrosi il grande fiume e la foresta schiamazzante sul limitare della sponda. Sopra le loro teste, il cielo vicino e caldo era nero eccezion fatta per il pallido lucore di una luna dietro un velo di nuvole. Il soldato che manovrava il vascello gli porse la radio. Torino spazzò via la sonnolenza dagli occhi e annuì per ringraziarlo. «Avrei bisogno di restare solo.» Attese che i soldati se ne andassero prima di portarsi il ricevitore alla bocca. «Cardinale prefetto?»
«Padre generale, dove siete?» Vasari sembrava infuriato. «Non chiamate da giorni. Ho dovuto farmi mettere in collegamento con la vostra scorta dal ministro dell'Interno peruviano.» La rabbia del cardinale stava montando e Torino s'immaginò la sua faccia, vermiglia come la veste. «Sono sul Rio delle Amazzoni, in piena notte.» «Non m'importa niente. Dovete rientrare immediatamente.» «Perché?» «Quando abbiamo ratificato questa missione, avete espressamente detto a me e al Santo Padre che i vostri esperti avevano tradotto la sezione finale del Voynich. Avete sostenuto di avere le indicazioni per quel giardino. Tuttavia, quando ho fatto richiesta di una copia agli esperti del vostro ufficio, non sapevano niente della faccenda.» Stavolta ad arrabbiarsi fu Torino. «Cardinale prefetto, non avete diritto d'interrogarmi o ficcare il naso nelle questioni della Compagnia di Gesù, la mia compagnia. L'ordine dei gesuiti non è sotto la vostra giurisdizione.» «È, però, sotto quella del Santo Padre. Ed è preoccupato quanto me. Avete detto di poter trovare il Giardino di Dio di padre Orlando Falcon e di farlo con discrezione perché avevate una mappa. Eravamo sicuri che sapeste dove trovare il giardino. Diventa sempre più evidente che quel giardino è solo un mito. Una vostra ossessione personale.» «Non è un mito.» «Anche se esistesse, come vi aspettate di trovarlo senza una mappa?» «Seguendo il dottor Kelly, che ce l'ha.» «Seguendolo? Non fatemi ridere. Non capite che il dottor Kelly sta aspettando disperatamente un miracolo per salvare la moglie? Voi non siete un uomo disperato. Siete un alto esponente della Santa Madre Chiesa, un uomo di Dio. Costituite un esempio.» «E se il dottor Kelly trovasse davvero qualcosa? Potrei sottrarglielo. Pretenderlo per il nuovo Vaticano. Avrei l'autorità e la forza militare per imporlo.» «State parlando di uno scontro diretto, uno scontro pubblico? Quello che abbiamo stabilito di evitare. Padre generale, questa follia deve finire. Non solo state mettendo a repentaglio la reputazione della Chiesa, ma anche il progetto per il nuovo Vaticano. Dovete rientrare immediatamente.» «Da quando il Preposito generale della Compagnia di Gesù prende ordini da un cardinale?» «Non sono i miei ordini.» Vasari era furibondo. «Vengono direttamente da...»
«Non vi sento, cardinale prefetto, il segnale non è chiaro.» Vasari iniziò a sbraitare. «Dovete tornare, padre generale. È un ordine diretto del Santo Padre!» Torino lo ascoltò ancora un momento, poi spense la radio. Si alzò e chiamò Fleischer. «Feldweibel, le ordino di disattivare la radio da ora in poi. Nessuna chiamata, né in entrata né in uscita.» «Ma, padre generale, il protocollo di sicurezza è di segnalare la nostra posizione ogni due giorni.» «In tal caso, il protocollo è cambiato. Il Santo Padre ordina discrezione totale. Ci sono persone che vogliono fermare la mia missione e nessuno deve sapere dove mi trovo.» Restituì la radio a Fleischer. «Comunichi alle autorità peruviane che non riceveranno più chiamate e che le contatteremo solo in caso d'emergenza. Quando avrà eseguito voglio che la radio sia temporaneamente disabilitata. Intesi?» Fleischer si accigliò, poi fece un cenno di assenso. «Sì, padre generale.» «Bene. Mi svegli all'alba.» Mentre tornava in cabina, Torino ripensò a come il cardiale prefetto Guido Vasari aveva cercato di sabotare la sua missione. Senza dubbi era già corso dal Santo Padre per versargli veleno nelle orecchie. Era quello il problema della Chiesa cattolica. Le autorità non avevano immaginazione. Ma, una volta trovato e presentato il Giardino di Dio al Santo Padre, avrebbero capito. E allora lo avrebbero acclamato come il salvatore della Santa Madre Chiesa. 37 Il mattino seguente Dapprima sentirono soltanto il rumore: un rombo di tuono in lontananza. Nonostante gli avvertimenti di Falcon e la sorveglianza di Hackett, la bocca dell'inferno li colse alla sprovvista. La Discovery virò in un tratto di fiume stretto e sinuoso, dove le acque sembravano addirittura più tranquille. Juarez si affacciò dalla prua e calò la sonda, aspettandosi che il fondale fosse basso, segno che gli scogli, la corrente e la cascata erano imminenti. Ma le acque non erano basse. Il fiume diventava profondo tutto d'un colpo. Molto profondo. E la corrente era forte. Così travolgente che Juarez dovette trattenere la sonda con tutte le sue forze e aggrapparsi alla battagliola per non cadere fuori bordo. La corrente trascinava via con sé l'imbarcazione e, mentre Ha-
ckett cercava di rallentare, il rombo distante divenne un boato: l'impatto scrosciante di tonnellate d'acqua che si schiantano contro altra acqua. Fecero una brusca virata, ma, persino quando si raddrizzarono e guardarono oltre gli alberi colossali che fiancheggiavano le rive, non videro niente. Gli spruzzi offuscavano la visuale. Poi avvistarono la cateratta e Ross udì Hackett mormorare turbato: «Maledizione». La cascata non era l'abisso infernale che si aspettavano. Non era affatto sotto di loro, ma sopra le loro teste. Il tratto di fiume finiva in un vicolo cieco. La Discovery stava puntando verso una scogliera a picco da cui si riversavano tonnellate di acqua che scendevano nel fiume proprio davanti ai loro occhi. Ma non era solo per quello che Hackett aveva imprecato e si affannava per mettere le macchine in retromarcia. Tra la Discovery e la cascata c'era il mulinello più violento che Ross avesse mai visto. Quello era la bocca dell'inferno e Ross intuì al volo perché Falcon l'avesse battezzato in quel modo. In quel momento, capirono che qualsiasi cosa catturata dal vortice sarebbe stata risucchiata negli abissi. «Cosa facciamo?» gridò Nigel sopra lo scroscio roboante. «Si affianchi all'argine», gridò Mendoza. «Non posso. Troppi scogli», replicò Hackett. «E comunque non ho più il controllo della barca.» «Sul serio?» fece Zeb. «Proprio così. Ho messo la retromarcia a pieno regime, ma stiamo comunque per essere risucchiati da quel coso.» «Allora cosa facciamo? Saltiamo giù?» Zeb indicò i due barchini a poppa. «Potremmo prendere quelli.» Hackett scoppiò a ridere e scosse la testa. «Se i due Detroit Diesel della Discovery non riescono a sfuggirgli, come pensi di riuscirci remando?» «Va' più veloce», ordinò una voce alle loro spalle. Ross si voltò e vide suor Chantal in piedi accanto al casotto del timone, fragile e scarmigliata. Gli occhi erano iniettati di sangue, ma lo sguardo era limpido. Hackett brontolò. «Sono al massimo della potenza. Non posso andare più veloce di così.» «Non all'indietro. Avanti. Andiamo dritti verso la boca del inferno.» «Verso? Sorella, è loca?» disse Mendoza. «Se volete sopravvivere, fate come vi dico. E subito.» «Niente da fare.»
«Fallo», disse Ross. «Le indicazioni dicono di gettarci dentro la bocca dell'inferno. Io mi fido di suor Chantal e del libretto.» «Anch'io», soggiunse Zeb. Hackett scosse il capo incredulo. «Hai visto quella scogliera? Se riusciamo a oltrepassare il gorgo senza essere schiacciati sotto il peso della cascata, ci schianteremo contro la roccia.» «Dritta», insistette suor Chantal. «Più veloce che puoi. Punta verso el velo de la luz.» «Il cosa?» chiese Hackett. Ross capì subito. Intendeva la scogliera, proprio dove il sole colpiva la cascata facendola scintillare come un velo di brillanti dal fulgore abbacinante. «El velo de la luz, il velo della luce. Dirigiti verso la cascata. A tutto gas.» Hackett ebbe un attimo di titubanza. «A meno che tu non abbia un'idea migliore, ti suggerisco di farlo», incalzò Ross. «E subito.» Hackett scosse la testa, ma cambiò marcia e puntò la barca dritta verso la bocca dell'inferno e la cascata più avanti. «Meglio andare tutti sottocoperta e aggrapparsi a qualcosa di resistente perché non sarà una passeggiata.» Le macchine rombarono, la barca si mosse a strappi, poi partì in quarta come sospinta sulla cresta dell'onda. Ross rimase con gli altri sottocoperta, tenendosi stretto come poté mentre la barca accelerava verso le acque burrascose del mulinello. Per un istante di nausea in cui Ross guardò giù nell'occhio del ciclone nel pozzo apparentemente senza fondo di acque nere vorticose, sembrò che la bocca dell'inferno stesse per inghiottirli in un sol boccone. Invece, come la Discovery entrò nel mulinello, la forza centrifuga la spinse verso il bordo superiore. Poi la lanciò, come una fionda, sul lato opposto, sulla scia della cascata dove fu inondata di colpo da tonnellate di acqua in caduta libera. Il sobbalzo improvviso gettò Ross a terra, schiacciandogli la mano sinistra. Il dolore al polso era atroce, ma si concentrò per mantenere salda la presa con la mano buona. Arrancando per rimettersi in piedi, vide la barca indifesa che veniva sospinta sempre più vicino alla cascata e alla scogliera più avanti. Dagli occhi sbarrati degli altri, intuì che erano terrorizzati quanto lui. Con grande sorpresa di Ross, quel duro di Mendoza teneva gli occhi chiusi e si stava facendo il segno della croce. Persino suor Chantal, che c'era già stata, aveva un'aria spaventata. Così non va bene. Non va bene per niente, pensò Ross. Poi calò l'oscurità e, quando il suono delle acque scroscianti divenne assordante, Ross
si preparò all'impatto. Ma non successe niente. Il rumore invece si smorzò, come se qualcuno avesse chiuso la porta o abbassato il volume. Ross uscì sul ponte e alzò lo sguardo. Non erano più sotto la cateratta, ma in un tunnel dentro la scogliera. Evidentemente il fiume non finiva nel mulinello e contro la parete di roccia, ma continuava al suo interno. Ipotizzò che quell'area della foresta fosse crivellata da un reticolato di fiumi sotterranei, i più profondi dei quali alimentati dal gorgo. Come sulla barca di Caronte per l'oltretomba, discesero l'oscuro corso d'acqua. Per alcuni minuti nessuno aprì bocca. Nessuno era disposto a esprimere a voce a cosa erano scampati, o cosa li aspettava ancora. Il timore più grande di Ross era che il fiume scendesse ulteriormente e li facesse piombare in un abisso nero. Perciò, quando Hackett puntò a dritta e gridò: «C'è una luce!» tirò un sospiro di sollievo. Alla fine emersero in un piccolo stagno. Ross si guardò alle spalle e si rese conto che erano passati attraverso una cresta rocciosa arrotondata da ambo i lati, simile al bordo di un grande cratere. Il profilo era nascosto dagli alberi e da un fitto fogliame, ma da quella prospettiva la forma era ben riconoscibile. Più avanti un fiumicello s'insinuava nella foresta. Hackett gli si avvicinò. «Fammi vedere la mano.» Ross trasalì quando il dottore gli tastò il polso. «Sembra che tu ti sia fratturato lo scafoide. È più fastidioso di quanto tu creda e ci vorrà un bel po' perché guarisca.» Andò nella sua cabina e tornò con una borsa nera da medico. «L'ideale sarebbe fare una radiografia per vedere se hai bisogno di un intervento chirurgico e poi mettere il gesso. Ma qui non c'è scelta. Una fasciatura stretta e un uso limitato della mano dovrebbero bastare, per ora.» «Señor Hackett, señor Hackett», esclamò una voce dal casotto del timone. «Che succede, Juarez?» «La radio non funziona. Non ha niente che non va, ma non dà segni di vita. Forse si è danneggiata nel trambusto di poco fa.» Hackett aggrottò la fronte mentre fasciava abilmente la mano e il polso di Ross. «Con la radio in tilt siamo tagliati fuori dal resto del mondo. Siamo soli.» Alzò lo sguardo verso Ross. «Ringrazia Iddio di non esserti rotto una gamba.» Zeb stava studiando le indicazioni di Falcon e una copia della traduzione del Voynich. «Dobbiamo continuare risalendo quel fiumiciattolo. Ma credo che sia troppo stretto per la Discovery.»
Ross accennò ai due barchini di legno, lunghi circa otto piedi. «Che ne dici di quelli?» Hackett annuì. «Tre per barca. E tutto ciò di cui abbiamo bisogno.» Si rivolse a Juarez e Mendoza. «Calate i barchini e iniziate a trasferire le scorte e l'equipaggiamento. E non dimenticate le armi.» «Vi do una mano», si offrì Zeb. Ross osservò suor Chantal, seduta sottocoperta a dondolarsi, gli occhi chiusi. Le posò la mano sana sulla spalla. «Si sente bene?» Lei aprì gli occhi e per un secondo parve disorientata, come se non sapesse più dove si trovava. Poi mise a fuoco Ross e sorrise. «Ma certo. Sto bene.» La osservò un momento ancora, sperando che avesse detto la verità. Le indicazioni di Falcon si facevano ancora più criptiche da quel punto in poi. Per l'ora e mezzo successiva trasportarono il necessario dalla Discovery ai due barchini e decisero come formare le squadre: Ross, suor Chantal e Hackett in una barca, Mendoza, Zeb e Juarez sull'altra. Alla fine, dopo aver caricato le rispettive imbarcazioni, Hackett si voltò all'improvviso e risalì sulla Discovery. Aveva una chiave in mano. «Cosa fa?» chiese Mendoza. «Ha già chiuso i boccaporti e i portelli.» Hackett inserì la chiave in una scatola nera vicina al casotto del timone. «Attivo l'allarme.» Zeb scoppiò a ridere e Ross non riuscì a trattenere un sorriso. L'inglese si era dimostrato così stoico nell'affrontare gli aggressori e la bocca dell'inferno che Ross aveva quasi dimenticato le sue abitudini ossessive. Le vere emergenze non sembravano agitarlo, ma le piccole quisquilie irrazionali gli suscitavano un livello di apprensione sproporzionato. «L'allarme?» esclamò Zeb salendo sul barchino. «Nigel, capisco che tu abbia chiuso la barca per tenere lontani gli animali, ma l'allarme! Chi vuoi che te la rubi quaggiù?» «La prudenza non è mai troppa», rispose Hackett. Sembrava ferito. «Ma chi diavolo potrà sentire l'allarme?» replicò Zeb. «È un deterrente, e la barca è mia», disse lui, voltandole le spalle e salendo a bordo dell'altra imbarcazione, rifiutandosi di portare avanti la discussione. Zeb sospirò. «Tornando per un momento alle questioni più importanti, padre Orlando ci avverte che questo corso d'acqua è pieno di creature simili a draghi.» «Simili a draghi?» chiese Mendoza. «Coccodrilli», rispose suor Chantal.
«Non fa una piega», disse Hackett con serenità. «Merda», fece Zeb. «Juarez, tu conosci i coccodrilli dell'Amazzonia», aggiunse Hackett. «Non dovrebbero darci fastidio se restiamo in barca, dico male?» «No», rispose Juarez con rassicurante indifferenza, mentre il convoglio delle due barche partiva. Poi, dopo un attimo di silenzio: «Ma, se ce ne sono molti, dovremo fare attenzione». Ross accomodò il sedere sul piccolo sedile e osservò le tavole di legno in basso che formavano la sottile, fragile carena di quella barchetta malferma e fece la domanda che frullava nella testa di tutti: «Quanti coccodrilli potranno esserci in un fiume infestato?» «Due o tre», disse Juarez con una scrollata di spalle. Ross tirò il fiato. «Ci possiamo stare.» «Due o trecento», specificò Hackett. 38 Nei momenti morti, Zeb si trovò a mettere a confronto il compassato Nigel Hackett col baldanzoso Osvaldo Mendoza e con sua sorpresa - e preoccupazione - scoprì che l'eccentrico inglese la intrigava ogni giorno di più. Hackett era esasperante e fastidioso: un rompiscatole in piena regola. Ma era anche un tipo interessante, senza dubbio. Come diavolo faceva a perdere le staffe per un granello di polvere o a preoccuparsi che qualcuno gli rubasse la barca nel bel mezzo della foresta, e a restare calmo remando in un fiumiciattolo infestato dagli alligatori? Zeb non lo era affatto. Era tutto tranne che calma. C'erano poche cose di cui aveva paura e venerava Madre Natura in tutta la sua variegata diversità. Ma odiava i coccodrilli. Li odiava sul serio. Ancor più dei serpenti. E i serpenti la spaventavano a morte. Dopo i primi metri, però, smise di contarli. Ce n'erano troppi. E si stava facendo buio. Non sapeva se fosse stato meglio vedere i coccodrilli in tutto il loro sinistro splendore, o scorgerne le sagome nella penombra del crepuscolo. Quando scese la notte, notò le stelle riflesse nelle acque scure e i remi che increspavano il cielo. Zeb si sarebbe persa nella bellezza di quel posto, non fosse stato per gli occhi vitrei che frangevano il pelo dell'acqua: due periscopi gemelli che rosseggiavano come rubini sotto il riverbero della torcia. Quegli occhi impassibili rimanevano immobili, ma la luce scatenava un
cupo brontolio da sotto la superficie. C'erano molte paia di occhi rosso rubino disseminate tra le stelle nel fiume e, quando le barche ci passavano accanto, salivano gli stessi grugniti di avvertimento. Nel silenzio afoso, rotto soltanto dal dolce ritmo dei remi, i ruggiti dei coccodrilli sembravano echeggiare nell'oscurità. Zeb riusciva a vedere a malapena i compagni a prua e nessuno parlava. Si sentiva sola in quel buio vellutato. A poco a poco, Zeb si accorse di una luce in alto proveniente da dietro. Sopra l'orizzonte frastagliato degli alberi apparve un disco arancione. Sapeva che era la luna, ma aveva l'aspetto e la consistenza del sole di un altro pianeta. Mentre le stelle sbiadivano e il cielo e l'acqua si tingevano d'argento, si rese conto di essere lei l'alieno in quell'ambiente sconosciuto. Nella semioscurità udì la voce di Juarez, sommessa ma limpida. «Tutti i coccodrilli hanno gli occhi di un colore diverso. Verde e arancione sono i più comuni. Questi sono caimani neri. I loro occhi sono chiari in realtà, ma sembrano rossi perché la luce si riflette nei vasi sanguigni.» Sul fiume calò di nuovo il silenzio, rotto soltanto da un altro brontolio. Stavolta, però, quando Zeb spostò la luce della torcia vide che proveniva da Juarez, acquattato a prua. Seguì immediatamente un grugnito da riva. «I miei brontolii li confondono», sussurrò l'uomo sorridendo. «Non capiscono se sono un intruso o uno di loro.» Il fiume ripiombò nella quiete. Poi Zeb sentì un grugnito più profondo e potente proprio dietro di sé. Si scansò istintivamente, andando a sedersi più in alto sul sedile e facendo oscillare la barca. Si voltò e puntò la torcia in quella direzione mettendo in luce i due occhi più distanti che avesse visto fino ad allora, due fanali rossi incastonati in fondo a un grosso tronco nero. Se la distanza tra gli occhi era proporzionale alle dimensioni dell'animale, allora quella bestia doveva essere gigantesca. D'un tratto ci fu un tonfo duro e la barca, che già oscillava, s'inclinò pericolosamente e Zeb si sentì ricadere all'indietro, perdendo l'equilibrio. Ci fu un altro tonfo. Persino più forte del primo. Fu una sensazione orribile, sapere di star per cadere nell'acqua e non poter fare niente per impedirlo. Gridò aiuto a Juarez che, però, era già impegnato a tenersi stretto ai remi. Mendoza tentò di afferrarla, ma non fece in tempo. L'acqua gelida le tolse il respiro. Affondò con tutto il corpo e il primo istinto fu quello di menare calci a destra e a manca in preda al panico, cercando disperatamente di risalire sulla barca prima che le fauci del coccodrillo si serrassero intorno alla sua carne. Una volta aveva letto che i
coccodrilli non staccavano pezzi di carne come gli squali, ma stringevano la preda nelle possenti mascelle e poi la facevano rotolare finché non affogava o non era troppo debole per combattere. Quindi la trascinavano nelle cavità sulla sponda e la depositavano lì insieme con gli altri bottini di caccia. Alla fine, il coccodrillo tornava alla sua dispensa per mangiarsela. Aveva letto storie di vittime che avevano ripreso conoscenza nella tana del rettile, circondate da carne putrescente, con quel poco di ossigeno stantio che bastava per riconoscere l'orrore della situazione. Tutti quei pensieri le frullavano in testa, mentre si aggrappava alla barca dalla quale Mendoza le allungò una mano. Si sentì sfiorare la gamba da qualcosa e lanciò un grido. Sferrò un calcio più forte, l'adrenalina che le scorreva nelle vene. Poi udì un brontolio ancor più cavernoso e potente. Proprio dietro di sé. L'animale doveva essere enorme. Non aveva mai provato un terrore così primitivo, viscerale. Qualcosa la ghermì alla spalla con forza straordinaria, strappandola via da Mendoza. Gridò di nuovo e a quel punto capì che la morte era vicina. Lottò come una pazza, nel tentativo di liberarsi dalla presa. Nemmeno per sogno sarebbe stata trascinata in qualche orrendo deposito di soffice carne putrefatta. Non senza lottare fino allo strenuo. Il grugnito riecheggiò di nuovo, vicino all'orecchio. Il cupo verso dell'animale le gelava il sangue. Si sentì sollevare dall'acqua. Lottò, dimenandosi come un pesce, ma la presa era troppo tenace. Poi, nel panico, sentì dire: «Calmati, Zeb. Sei in salvo». Era la voce di Ross. «Nigel e io ti abbiamo preso. Quel bestione se n'è andato.» Zeb continuò a divincolarsi per alcuni secondi, persino quando la stesero sul fondo della barca. Si trovò a guardare il viso preoccupato di Hackett sopra il suo. Nonostante la temperatura tiepida dell'aria, tremava come una foglia, come se avesse avuto i muscoli in preda agli spasmi. «Ci hai fatto prendere un bello spavento», disse Hackett avvolgendola in una coperta. «Spaventati voi?» replicò lei battendo i denti. «Cazzo. Ma che è successo? Avrei giurato che mi avesse preso. L'ho sentito. A pochi centimetri.» Hackett sorrise e indicò Ross. «Gli ultimi ruggiti non erano di un coccodrillo. Era Ross.» «Sul serio? Ma sembrava vero ed era così forte.» Ross fece spallucce. «Ho pensato che fosse meglio fare un verso più potente degli altri animali in acqua. Per spaventarli. Stai bene?» Ormai si era tranquillizzata. «Sì, penso di sì.» Fece un respiro profondo.
«Grazie. L'acqua è rinfrescante, ma non è la serata adatta per fare una nuotatina.» Juarez li guidò attraverso le acque infestate sinché alla fine non raggiunsero un tratto più libero. Quando Juarez sembrò persuaso che non ci fossero coccodrilli li condusse a riva, su un piccolo promontorio, raggiungibile grazie a una rampa di scalini naturali scavati nella roccia. «Accenderemo un fuoco e passeremo la notte qui.» Guardò indietro verso il fiume scuro e la miriade di occhi rossi e allargò le braccia. «Un grande fuoco.» Poco prima La boca del inferno colse di sorpresa la squadra di Torino, proprio com'era successo a quella di Ross. A ogni modo, quando il soldato al timone cercò di rallentare e di mettere la retromarcia, Torino lo incitò a proseguire. «Tutto dritto. Non esiti. Dio ci proteggerà.» Il Feldweibel Fleischer scosse la testa. «Ma, padre generale, è pericoloso. Presto farà buio e la vostra incolumità è di primaria importanza.» «Abbia fede. La nostra è una missione sacra e Dio mi sta guidando. Non ci sarà fatto nessun male. Puntate dritto verso la cascata.» Torino non poteva sapere cosa lo aspettasse. Tuttavia aveva studiato il Voynich e gli Archivi dell'Inquisizione e sullo schermo tra le sue mani vedeva il puntino del trasmettitore GPS di Bazin, da qualche parte oltre il mulinello e la cascata. Ma, cosa ancor più importante, Torino era convinto di essere impegnato in una missione sacra e che la sua ora non fosse ancora giunta. Per un istante, mentre l'imbarcazione si scagliava nelle acque turbolente, Torino pensò che il sergente revocasse l'ordine, ma il pilota mantenne la rotta e i nervi saldi. Dopo che la barca venne espulsa dal turbine, lanciata attraverso quel terribile vortice e non finì stritolata contro la parete rocciosa, Torino tirò un sospiro di sollievo. Però la cosa non lo sorprese. Persino quando la barca percorse il buio fiume sotterraneo dentro la scogliera, lui sapeva che Dio lo stava proteggendo. Sapeva pure che Falcon e i conquistadores erano sopravvissuti a quell'ordalia su delle semplici zattere con soltanto la fede a sostenerli e che, stando al puntino lampeggiante sul palmare, la barca di Ross era da qualche parte davanti a loro. Poi lo schermo sfarfallò e la barca emerse dalla scogliera nella penombra del crepuscolo.
Quando si trovarono in un grande stagno che sfociava in un fiumiciattolo, l'allentamento della tensione a bordo fu palpabile. Poi videro la Discovery ormeggiata accuratamente sulla riva sinistra dello stagno. Il moderno panfilo luccicante stonava nella foresta vergine e i soldati alzarono le armi. Il Feldweibel Fleischer indicò il palmare nelle mani di Torino. «Quella è la barca di cui seguivate la rotta, padre generale. Di chi è?» Torino si accigliò e strinse il palmare al petto. «La barca appartiene ai nemici della Santa Madre Chiesa che faranno di tutto per impedire il successo della mia missione.» «Qual è la vostra missione, padre generale? A noi è stato detto di scortarvi nella foresta e riportarvi indietro sano e salvo.» «Tutto diverrà chiaro, Feldweibel. Ma per adesso dobbiamo seguire quelle persone e assicurarci che non ostacolino il volere divino.» «Ma come faremo? Non sono a bordo.» Fleischer puntò il dito verso il palmare di Torino. «Stavate seguendo la barca.» Torino scrutò il puntino sullo schermo, l'espressione arcigna, impenetrabile. «Il Signore mi guiderà.» Alzò lo sguardo al cielo e andò a posarlo sullo stretto corso d'acqua che si snodava nelle profondità della foresta. Creature simili a draghi. Ecco cosa diceva il Voynich. «Controllate che effettivamente non ci sia nessuno a bordo, poi mettete fuori servizio la loro barca.» Fleischer s'incupì. «È proprio necessario?» «È proprio necessario fare domande simili?» «No, padre generale.» «Bene, faccia come le dico. Si sta facendo buio. Caricate i barchini con le armi e le provviste e risaliamo quel fiume.» 39 «È incredibile. Fallo ancora», disse Hackett, sollevando un'altra bottiglia di birra fresca dalle acque del fiume. Ross si stupiva che il completo safari color cachi di Nigel fosse ancora pulito e impeccabile con tutto quello che avevano passato. Juarez emise un altro dei suoi lunghi brontolii da coccodrillo e Ross lo imitò. Perfettamente. «Ma come fa, señor Kelly?» chiese Mendoza. «Io non riesco a imitare il suono di Juarez, e sono secoli che ci provo. A lei è venuto alla prima.» Ross si strinse nelle spalle. «Si chiama 'orecchio assoluto'. Ho scoperto di averlo da bambino, quando cantavo nel coro della chiesa. È una cosa
che ho ereditato da mia madre. Mi permette d'identificare e riprodurre qualsiasi nota. Ma non si lasci impressionare. Non serve a nulla. È un trucchetto da sfoderare alle feste.» «Io lo trovo utilissimo», replicò Zeb, sfregandosi le mani davanti al falò. «Perciò se io canto una nota qualsiasi lei sa riprodurla?» chiese Mendoza. «Esatto.» Avevano tirato le barche sulla riva, cenato con fagioli in scatola, riso e pesce e se ne stavano seduti intorno al fuoco a bere caffè e birra, a rilassarsi dopo la frenesia di quel giorno. Solo suor Chantal dormiva, rannicchiata ad alcuni passi di distanza. «E così cantavi nel coro della chiesa?» chiese Zeb. «Solo da bambino.» «Io andavo sempre in chiesa», intervenne Mendoza, estraendo un antidolorifico dalla tasca e sparandoselo in bocca. Aveva un tono malinconico e Ross ricordò di averlo visto farsi il segno della croce quando la Discovery si trovava nella bocca dell'inferno. «Credo ancora in Dio come il mio salvatore.» Gli altri guardarono con sorpresa la persona che aveva ucciso tre uomini davanti ai loro occhi, ma Mendoza li ignorò e puntò lo sguardo su Ross. «Lei crede in Dio, señor Kelly?» Ross sorrise e scosse la testa. «Credo nel bene, non in Dio.» «E come avrà l'assoluzione dei suoi peccati?» «Cercando di assumermi la responsabilità delle mie azioni, suppongo. Non credo che si possa assolvere un peccato, per come lo intende lei; possiamo solo cercare di fare ammenda facendo del bene. Cancellando il male col bene.» «Solo la Chiesa può cancellare i nostri peccati», sentenziò Juarez con un cenno solenne del capo. Ross si mise a ridere. «Non ci credo. Non basta andare in chiesa e chiedere al prete di pulire la fedina. Quando fai del male a qualcuno, è a lui che devi chiedere perdono, non a Dio o ai preti. Loro non c'entrano niente. Dimostriamo il rimorso coi gesti che compiamo, non con le preghiere. Siamo quello che facciamo. Le azioni sono tutto. Una buona azione può fare la differenza.» «Una buona azione agli occhi di Dio o degli uomini?» chiese Mendoza. «Degli uomini, ovviamente.» «Ma come fa l'uomo a riconoscere il bene senza la guida di Dio?» domandò Juarez.
«E come fa l'uomo a conoscere la guida di Dio senza la Chiesa?» rincarò Mendoza. «Basta con queste chiacchiere noiose sulla religione», intervenne Hackett a gran voce, dando una sorsata alla birra. «Ma dove siete cresciuti, voi bifolchi? Non lo sapete che non si addice parlare a tavola di religione, politica o sesso?» Si rivolse a Mendoza. «Posso farle una domanda molto più interessante? Non è mia intenzione offenderla, ma lei è stato soldato e abbiamo visto tutti cosa è successo vicino a Iquitos. Cosa si prova a uccidere un uomo?» «Che razza di domanda è?» chiese Zeb, scioccata. Hackett alzò una mano come per difendersi. «Ho consacrato la vita alla medicina, ho giurato di non fare del male, ma ho anche servito nell'esercito inglese e ho ricevuto un addestramento militare. Mi sono chiesto spesso cosa significasse togliere la vita.» Lanciò un sorriso a metà. «Accidenti, quando ho divorziato non pensavo ad altro. Allora, cosa si prova?» Mendoza abbassò lo sguardo e per un attimo Ross pensò che non avrebbe risposto. Invece disse: «Uccidere il primo uomo è difficile. Uccidere il secondo lo è un po' meno. Il terzo ancora di meno. Alla fine diventa così facile che la vita non ha più valore. E, quando la vita non ha valore, niente ha più senso. Proprio niente. Solo quello in cui credi. La fede». Alzò gli occhi e sorrise, quasi dolcemente. «Tenga fede al giuramento di Ippocrate, dottor Hackett. Dormirà sonni più tranquilli.» Hackett rimase un attimo in silenzio a metabolizzare quelle parole, poi si voltò verso Ross. «Visto che ci stiamo conoscendo meglio, vuoi dirci come siete giunti in possesso del libretto del gesuita?» Indicò Zeb e la sagoma addormentata di suor Chantal. «E come voi tre vi siete incontrati?» «È successo e basta», rispose Ross elusivamente. Juarez lo salvò. «Perché voi gringos andate sempre in cerca di vecchie rovine?» «Per la loro storia», rispose Hackett. «E per l'oro.» «Non conoscete la maledizione dell'abuelo?» «Di cosa?» esclamò Ross. Hackett inarcò un sopracciglio, starnutì e aspirò uno spruzzo dell'inalatore. «La maledizione dell'abuelo, il nonno. La gente di Juarez crede che sia avventato aggirarsi intorno alle vecchie rovine perché si rischia di finire sotto la maledizione dell'abuelo. La maledizione è essenzialmente uno spiacevole transfert per cui tutti i malanni dei morti entrano insieme nel corpo dell'intruso e lo contaminano.»
Tutti scoppiarono a ridere e Juarez corrugò la fronte indignato. «È vero.» Poi, fra una risata e l'altra, Ross udì un suono distante, acuto, e tutti ammutolirono. «Cosa diavolo è stato?» fece Zeb. Il volto di Hackett sbiancò visibilmente al bagliore del fuoco. «Era l'allarme della mia barca, Zeb. L'allarme che secondo te non sarebbe mai suonato e non avremmo mai sentito.» Il fischio lontano e penetrante cessò di scatto, così com'era iniziato. «Be', adesso è passato», disse Mendoza. «Dev'essere stato un animale curioso o un falso allarme.» «Probabilmente sì», disse Ross. Cos'altro avrebbe potuto essere? Nessuno aveva motivo di trovarsi da quelle parti. Nessuno eccetto Torino. E non aveva modo di sapere quale fosse la loro direzione. Qualcosa si mosse nell'acqua lì vicino, seguito da un brontolio non troppo lontano. Un colpo di fucile repentino punteggiò l'oscurità. Ross sussultò. «Che diavolo...» Si girò per vedere Mendoza in piedi, il fucile assestato nell'incavo della spalla. «Preso», disse Mendoza con un sorriso. «Questo li terrà lontani meglio di qualsiasi grugnito.» Hackett puntò il fascio di luce della torcia verso il fiume e Ross ispezionò le profondità della vasta foresta e vide, riflessi nel raggio indagatore, infiniti occhi spalancati che li fissavano. 40 Il giorno seguente raggiunsero el halo. Su un'ansa del fiume, alcuni chilometri più a monte rispetto a dove avevano bivaccato, si ergeva un cerchio di sei metri di diametro in pietra nera venata di quarzo che luccicava al sole. Secondo Falcon, el halo era il punto in cui avrebbero dovuto lasciare le barche e proseguire a piedi per la tappa finale del loro viaggio attraverso la foresta. Ross si ricordò che era anche il punto in cui le indicazioni nel libretto si facevano più criptiche. Già a partire dal successivo: Al halo usate la freccia per determinare la rotta, poi seguitela attraverso la foresta fino alla barba verde. Dopo una notte insonne ad ascoltare i brontolii dei coccodrilli, si erano alzati e avevano continuato il loro viaggio. Nonostante le indagini discrete sul suo stato di salute, suor Chantal aveva liquidato le preoccupazioni di Ross con un perentorio: «Sto bene». Ma, in quel momento, mentre rag-
giungevano quel cerchio di pietra, Ross aveva la terribile sensazione che il ruolo di interprete della suora sarebbe stato cruciale. La barca capofila aveva già toccato riva e si trovava all'ombra dell'halo. Quando quella di Ross oltrepassò la pietra, vide Hackett e Mendoza scaricare le scorte. Ma la religiosa non c'era. «Dov'è suor Chantal?» Hackett si guardò intorno. «Cavolo, dev'essersi incamminata. Non può essere lontana.» Per un momento Ross andò nel panico. Erano sperduti nel cuore della foresta e l'unica persona in grado di guidarli era scomparsa. Poi la videro di schiena, rivolta verso il cerchio di pietra. «Come procediamo da qui, suor Chantal?» Siccome non rispose, lui ripeté la domanda. «Cosa significa il prossimo indizio?» Ancora nessuna risposta. La suora fissava l'halo con lo sguardo perso, poi iniziò ad accarezzare la pietra. Per Ross fu un colpo al cuore. Alla fine aveva ceduto alla pazzia. Si avvicinò e si accorse che l'anziana stava osservando dei simboli incisi nella pietra: un segno fatto a griglia come di un detenuto che graffia il muro per contare i giorni: quattro segni verticali sbarrati da uno diagonale, cinque in tutto. Accanto c'era un singolo segno verticale che indicava un totale di sei. Più in là c'erano sei righe di numeri romani. Ci volle qualche secondo a Ross per capire che rappresentavano date, la più recente delle quali risaliva a settant'anni prima. Prima di riuscire a elaborare quello che stava guardando, suor Chantal pulì le incisioni con le mani. «So dove siamo», disse la donna senza rivolgersi a nessuno in particolare, gli occhi scintillanti per aver riconosciuto il posto. Afferrò il crocifisso. «Datemi una bussola.» Ross frugò nella tasca mentre gli altri finivano di scaricare le barche e si posizionavano in cerchio intorno a loro. Le porse la bussola. Lei strofinò di nuovo la pietra e sorrise. «Toccala, Ross. Toccala.» Ross toccò la pietra e sentì una protuberanza nascosta dal muschio. Le sue dita ne seguirono il profilo e si rese conto che si trattava di un triangolo con una coda. «Che cos'è?» chiese Zeb. «È una freccia.» «E punta a sud sud-est», disse suor Chantal, osservando la bussola. Ross controllò la mappa geologica sul suo palmare e cercò d'intuire in che direzione fosse rivolta la freccia, ma lo schermo mostrava una distesa
vuota di foresta vergine. «Seguitemi», disse suor Chantal, incamminandosi nella direzione della freccia. «Aspettate», intervenne Mendoza, tornando alle barche. «Devo prendere una cosa.» «Sbrigatevi», ordinò la suora, senza mostrare tracce della confusione e della stanchezza di poco prima. «Dobbiamo andare. Siamo vicini, lo sento.» 41 La giungla era esattamente come descritta nel Voynich: cacofonica, infernale e arroventata. Juarez chiese a tutti d'indossare gli scarponi da trekking e di badare a dove mettevano i piedi, a causa della costante minaccia del ferro di lancia e di altre creature velenose. Farsi strada nella boscaglia con gli zaini pesanti sulle spalle era un'impresa lenta e faticosa. Suor Chantal si affidava al sostegno degli altri, ma conduceva con grinta quasi maniacale. Quella notte, dopo aver ingurgitato una minestra di pesce e riso, dormirono in amache sospese sopra il terreno, avvolti in zanzariere per tenere lontane le miriadi di insetti e altri animali invadenti della foresta, attratti dal calore corporeo. Sfinito, con l'orecchio teso ad ascoltare il costante schiamazzo della foresta, Ross si stringeva il polso dolorante, guardando le stelle oltre la volta arborea, e si chiese dove fosse Lauren. La tristezza era alleviata dalle parole entusiastiche di suor Chantal: Siamo vicini. Poi cadde in un profondo sonno senza sogni. Il pomeriggio seguente giunsero in una piccola laguna attorniata da una parete rocciosa che si profilava a bloccare loro il passo. Ricoperto da alberi e un fitto fogliame, l'alto costone di roccia era un altro vicolo cieco ingannevole. Ross e Zeb perlustrarono con lo sguardo la facciata di pietra senza individuarne un passaggio. Poi udirono suor Chantal, rinvigorita, chiamarli. «Quaggiù!» Si era spostata di una cinquantina di metri più a destra e stava indicando in alto verso la barriera. Quando Ross alzò lo sguardo vide dei segni e delle fessure che gli ricordarono il famoso «teschio» sull'Ayers Rock in Australia. Vide quelli che sembravano occhi, un naso e una bocca. Sotto di essa c'era un ammasso di rampicanti che ricadeva fino a terra come una barba: la barba verde.
Hackett e Mendoza camminarono verso la barba e, usando il machete, si aprirono un varco attraverso la vegetazione per rivelare una grande apertura nella parete. Ross controllò l'ora e, quando guidò gli altri nel passaggio, notò che erano le 13.58. Il passaggio nella scogliera li condusse attraverso una serie di insolite caverne rocciose, marmorizzate e striate da fossili, minerali e filoni metalliferi. In circostanze diverse, Ross si sarebbe fermato per raccogliere dei campioni. Alla fine emersero dall'altro lato del crinale, su un'alta sporgenza prospiciente una stretta vallata che si allungava fino all'orizzonte. Nella luce della sera, la valle ai loro piedi era un paradiso verde rigoglioso, chiazzato da corolle esotiche di rossi, blu saturi e altri colori primari. Gli alberi erano più diradati rispetto a quelli della giungla appena attraversata e al terreno che sovrastava la valle. Ross aveva letto che, quando gli alberi di un bosco venivano bruciati o abbattuti, un'abbondante vegetazione andava velocemente a colmare la lacuna nel terreno fertile, approfittando sia dello spazio sia della luce che filtrava dalla volta arborea rarefatta. Qual era la causa di quel diboscamento? Controllò che ore fossero e notò che erano soltanto le 14.02: impossibile. Erano passati ben più di quattro minuti da quando aveva controllato l'orologio per l'ultima volta, almeno una mezz'ora prima. Poi si rese conto che la seconda lancetta era ferma. L'indistruttibile Tag Heuer era stato un regalo di Natale di Lauren e i Tag non si fermavano così, di punto in bianco. Agitò il polso e si rivolse a Zeb. «Che ora fai?» «Le 14.02.» Ross aggrottò la fronte. «Nigel?» Hackett lanciò un'occhiata all'orologio. «Idem.» Poi diede un colpetto al quadrante, «Aspetta, si è fermato.» «Anche il mio», disse Ross. «Sembra che tutti i nostri orologi si siano fermati esattamente nello stesso istante.» Indicò il crinale. «Forse c'era un campo magnetico nelle caverne che abbiamo attraversato.» Frugò nello zaino e controllò il sistema GPS sul palmare. Lo schermo diede un piccolo segno di vita poi sfrigolò come una televisione con l'antenna fuori uso. «Dannazione! Di qualsiasi forza si tratti è abbastanza potente da fermare non solo gli orologi, ma anche i segnali satellitari.» Mentre guardava giù verso la vallata si rese conto che, da quel punto in poi, sarebbero avanzati alla cieca. Persi nel tempo e nello spazio. Senza la più pallida idea del luogo o del momento in cui si trovavano. Ormai dipendevano completamente dal libretto di Falcon. Non solo per scovare il giardino, ma anche per tro-
vare la via del ritorno. «Zeb, cosa dice di fare adesso padre Orlando?» «Dobbiamo tenerci sulla sinistra, camminare lungo il promontorio e lasciarci la valle a destra.» Mostrò la densa foresta al di sopra della gola. «Dobbiamo dirigerci lassù,» Ma per qualche ragione suor Chantal svoltò a destra, si spinse avanti a tentoni e s'incamminò per uno stretto sentiero che scendeva nella vallata. Ross ebbe un sussulto al cuore. Cosa le prendeva? Che il giardino di Falcon fosse in quella valle segreta? «Dove sta andando, sorella?» chiese Zeb, facendo eco ai suoi pensieri. «Le indicazioni non portano da quella parte.» Suor Chantal proseguì, poi si fermò su una terrazza panoramica naturale. «Ha visto qualcosa?» domandò Hackett. «Cosa c'è laggiù?» Lei si voltò e gli fece cenno di seguirla. «Scenda, signor Hackett, glielo mostro.» Ross e Hackett si calarono giù lasciando agli altri i pesanti zaini e l'attrezzatura. Forse era l'angolazione del sole al tramonto o la prospettiva da quella sporgenza meno elevata, ma, quando Ross si mise a fianco di suor Chantal, il segreto della vallata d'un tratto si manifestò. Quella rivelazione fu troppo forte per Hackett. Guardando giù nella valle e accorgendosi che la vegetazione nascondeva uno schema regolare di strutture geometriche, cadde in ginocchio. «Eccola, eccola... Siamo appena partiti e già l'abbiamo trovata.» Le lacrime gli rigavano il viso. «È lei. Quella è la madre di tutte le metropoli.» Ross condivideva il suo timore reverenziale. Le rovine di Kuélap erano vaste, ma non erano niente in confronto alla città perduta che giaceva ai loro piedi. Benché la vegetazione ricoprisse tutto, si distinguevano chiaramente i contorni di quella che un tempo doveva essere stata un'imponente metropoli. Le strade, le piazze, persino i pochi pilastri ancora in piedi che tenevano testa agli alberi grandiosi della foresta circostante erano ben visibili. Mentre guardava giù, Ross vide due giaguari maculati procedere a falcate per i viali, a sottolineare il fatto che quella città umana, un tempo magnifica, fosse stata reclamata dalla natura. Hackett scosse il capo. «L'uomo non vede questa città da più di mille anni. Guarda quei cerchi, Ross. Le abitazioni a pianta circolare sono tipiche del popolo chachapoya. Scommetto che la loro civiltà è nata qui, insieme con molte altre. Accidenti, questa potrebbe essere la culla di tutte le civiltà sudamericane. È fantastico. Il sogno di una vita, una favola che diventa realtà.» Guardò in alto verso gli altri e gridò: «È qui! L'abbiamo tro-
vata!» «Ci sarà oro?» chiese Mendoza. «C'è solo un modo per scoprirlo. Scendiamo a dare un'occhiata.» «E la maledizione? Come faremo con el abuelo?» piagnucolò Juarez. «Dove hai messo il coraggio, Juarez?» ringhiò Mendoza. Hackett si mise a ridere. «Fidati, amico mio, vale la pena rischiare per queste rovine. Ci renderanno ricchi e famosi. Tutti quanti.» Mentre Hackett conduceva Juarez e Mendoza giù nella valle, Ross e Zeb rimasero indietro con suor Chantal. «Che posto è questo, sorella?» chiese Ross in tono sommesso, guardando l'orologio fermo e il GPS che continuava a sfrigolare. L'anziana non rispose e proseguì senza distogliere lo sguardo dalla vallata. «Nel Voynich e nel libretto di Falcon non c'è», disse Zeb, scorrendo gli appunti. «Magari è davvero Eldorado, e padre Falcon e i conquistadores non se ne sono accorti», intervenne Ross, poi scosse la testa incredulo. «Magari sono passati accanto a ciò che cercavano senza vederlo.» «Guardali», disse Zeb, indicando Hackett e gli altri che caracollavano giù per il sentiero. Ross intravide una tenerezza sorprendente nei suoi occhi. «Guarda Nigel, sembra un bambino. Chi avrebbe mai pensato che il signor pulitino potesse farsi prendere dall'entusiasmo? Per il suo bene, spero che ci sia dell'oro.» «C'è davvero», intervenne suor Chantal in modo enfatico. «Ce n'è abbastanza da trattenerli mentre noi andremo in cerca di qualcosa di infinitamente più prezioso. Possiamo raggiungere il giardino e tornare nel giro di una settimana. Lasceremo loro un biglietto prima di partire.» Ross studiò intensamente suor Chantal, accorgendosi di quanto si fosse sbagliato a giudicarla. «Aveva progettato questo piccolo depistaggio sin dall'inizio, non è vero?» La donna tenne lo sguardo fisso davanti a sé. «Meno persone sanno del giardino, meglio sarà.» Ross la superò per guardarla dritto negli occhi. «Come faceva a sapere di questo posto?» La suora fece spallucce e, quando alla fine ricambiò il suo sguardo, i suoi occhi gli apparvero limpidi come non lo erano mai stati, in modo quasi brutale. «Sono la Guardiana.» Poi si voltò e riprese a scendere verso la
città perduta. Ross e Zeb attesero un momento, si scambiarono un'occhiata, e la seguirono. 42 La brezza calò non appena scesero nella valle. L'aria calda e afosa non muoveva foglia e lo strato umido sulla pelle di Ross era già degenerato in rivoli di sudore. Mentre passavano sotto la porta monumentale, un silenzio inquietante prese il posto della cacofonia della giungla. Ross drizzò le orecchie, ma udì soltanto il ronzio intermittente degli insetti. Guardandosi intorno tra le rovine ricoperte di rampicanti e i pendii circostanti della profonda vallata lussureggiante, Ross aveva l'impressione surreale di trovarsi sul fondale oceanico di un'immensa Atlantide verdeggiante. Quell'impressione fu accresciuta quando alzò lo sguardo oltre i pilastri imponenti, verso il sole rifratto nel cielo azzurro offuscato da una coltre di nuvole. «Questo posto non mi piace, è morto», disse Juarez, scuotendo la testa mentre si trascinava dietro Hackett. «È successo qualcosa di brutto quaggiù. Qualcosa di molto brutto.» «Chiudi il becco», intervenne Mendoza. «Giusto, Juarez, per l'amor del cielo, vuoi rilassarti?» rincarò Hackett. Ma nel percorrere il viale principale, schiacciato dai possenti edifici in pietra che costeggiavano il loro cammino, calpestando grossi rampicanti e attraversando stradine laterali, Ross notò che sia Mendoza sia Hackett parlavano sommessamente ogniqualvolta esortavano Juarez, come per timore di disturbare una presenza malvagia. Nonostante il silenzio, la sensazione di essere osservati divenne ancor più intensa rispetto a quando si trovavano nella foresta. A Ross non piaceva quel posto e aveva il sospetto che nemmeno a Hackett, al di là della sua passione per l'antichità, piacesse più di tanto. Lanciò uno sguardo a suor Chantal, ma la donna continuava a tenere gli occhi puntati davanti a sé. Zeb era pallida e si stringeva nelle braccia, come infreddolita, nonostante il caldo asfissiante. «Io di oro non ne vedo», commentò Mendoza. Hackett indicò la fine del viale, fiancheggiata da due colonne sgrossate. «Da quanto ho visto sul promontorio, credo che l'area pubblica sia laggiù. È da lì che dovremmo cominciare a cercare.» «'Fanculo all'oro», sbottò Zeb con nervosismo. «Vorrei sapere dove passeremo la notte.» «Anch'io», disse Juarez.
«I quartieri pubblici e la piazza principale dovrebbero essere più areati», rispose Hackett. «Intendi meno spettrali?» aggiunse Zeb. Hackett aveva ragione. Il viale conduceva a una grande piazza. Le larghe pietre del selciato erano crepate e sconnesse laddove era spuntata la vegetazione, ma i lastroni ricoprivano ancora una superficie non indifferente. Sulla destra della piazza c'era un enorme rombo - largo sei metri - circondato da pesanti massi. La terra dentro il rombo, coperta dalla vegetazione e da fiori scuri, era sprofondata sotto le lastre incassate circostanti, creando l'impressione di un'aiuola enorme. Sulla sinistra della piazza c'era una piramide a gradoni, invasa in modo curioso dalla vegetazione. Ognuno dei tre gradoni era alto quanto una casa moderna, e una scalinata a misura d'uomo scolpita sul lato frontale conduceva a un portale sul ripiano più alto della ziggurat. La struttura era alta circa diciotto metri e a Ross ricordava le piramidi azteche e maya che aveva visto su Discovery Channel. Non poté che essere impressionato dalle proporzioni. Assemblare quei massi monumentali per formare i gradoni sarebbe stato un'impresa straordinaria, persino con la tecnologia odierna, figurarsi ai tempi della sua effettiva costruzione. «Non è incredibile?» disse Hackett. «Sapevate che in Perú ci sono molte più piramidi che in Egitto? E che ziggurat a gradoni come questa sono state scoperte in Medio Oriente e sul bacino del Mediterraneo?» «A che periodo risale?» Hackett si diresse verso la scalinata, sfoltendo i rampicanti col machete. «Direi che ha almeno mille anni.» «Come diavolo hanno fatto a costruirla?» Hackett si asciugò il sudore dalla fronte. «Con una risorsa di cui disponevano in abbondanza: manodopera. Le civiltà antiche non avevano sindacati, ma non mancavano di carrucole, leve e stuoli di uomini. La cattedrale di Durham nell'Inghilterra settentrionale e il magnifico tempio di Angkor in Cambogia sono vecchi di quasi mille anni. Il Colosseo ne ha quasi duemila, mentre Stonehenge e la Grande Piramide di Giza più del doppio.» «Guarda qua, Ross!» Zeb stava al margine della piazza con l'indice puntato verso un largo cerchio di pietre, che attorniava una vasca al centro della quale sorgeva un pilastro alto circa un metro e venti dalla forma di un fiore esotico. Ross la raggiunse per dare un'occhiata da vicino. Il pilastro vuoto era conficcato nel terreno e i petali divaricati formavano molteplici infiore-
scenze. «Sembra fosse una sorgente naturale tramutata in fontana pubblica.» Guardò Zeb, ma lei stava già fissando incantata il fianco della ziggurat, il viso pallido, la bocca aperta. «Ross... Laggiù. Lo vedi?» Seguì la direzione che gli stava indicando e sbatté le palpebre incredulo. I rampicanti celavano gran parte della pietra, ma si riusciva lo stesso a vederne le incisioni. Ross riconobbe uno dei bassorilievi. «Sì, lo vedo.» Si precipitò verso la ziggurat e, con la mano buona, iniziò a tranciare i tralci, portando alla luce un simbolo inciso, alto almeno un metro e ottanta. Mentre tagliava, Zeb frugò nello zaino ed estrasse gli appunti, sfogliando febbrilmente le pagine fotocopiate del Voynich. Trovata quella giusta si fermò e la sollevò con le mani che le tremavano.
«Guarda, Ross, guarda. Questa è pagina 93 del Voynich.» Lui fece alcuni passi indietro allontanandosi dalla ziggurat, prese il foglio dalle mani di Zeb e lo tenne sollevato all'altezza dell'incisione. L'immagine scolpita era molto più accurata del disegno a inchiostro, ma a parte quello era identica. Corse verso il blocco di pietra successivo ed estirpò le fronde rivelando il bassorilievo di un'altra strana pianta. Poi un'altra. Prese le fotocopie di Zeb e scosse la testa incredulo. Tutte le piante incise nella pietra trovavano un riscontro in quelle del Voynich. «Pensavo che padre Orlando e i conquistadores non fossero mai stati
qui», disse Zeb. «Forse è così.» Ross aveva il capogiro per il caldo e per i risvolti di quel che aveva visto. Cercò con lo sguardo suor Chantal e gli altri, ma non erano da nessuna parte. Poi si sentì chiamare e vide Hackett spuntare dal portale in cima alla piramide e fare cenno con le mani. «Ross, Zeb, venite quassù. C'è una cosa che dovete vedere.» 43 Salire la rampa della piramide era più difficile di quanto non sembrasse da terra, anche perché i fitti rampicanti occupavano molti gradini. Mentre Ross conduceva Zeb sulla ziggurat, continuava a passare al vaglio le immagini che aveva visto e il loro potenziale significato. Si trovò a rovistare nella terra e tra le fronde ai suoi piedi in cerca di un qualche segno dei fiori e delle piante raffigurati sia nel Voynich sia sui fianchi della ziggurat, ma non ce n'era l'ombra. Guardando dall'alto la fontana a foggia di fiore e il rombo di terra sprofondata, provò un disagio crescente. Giunto in cima alla gradinata entrò in una porta incorniciata da un architrave trapezoidale, simile a quello della stanza del riscatto a Cajamarca. Il portale si apriva su una camera fresca e lugubre. Non fosse stato per l'odore di zoo e i rampicanti che ne invadevano l'interno, sarebbe stata pressoché pulita e ben conservata. Hackett e gli altri si trovavano al centro, disposti a ventaglio, a guardare le pareti. Suor Chantal incrociò lo sguardo di Ross e gli lanciò un'occhiata enigmatica. «Sapeva dei bassorilievi qua sotto?» sibilò lui. Non rispose. «Quali bassorilievi?» chiese Hackett. «Per caso somigliano a questi?» Si fece da parte e illuminò le pareti con la torcia Maglite. Zeb rimase senza fiato. Le pareti erano decorate da riquadri di circa un metro di lato, ognuno dei quali conteneva una scena tipo uno storyboard o una striscia a fumetti. «Né gli incas né i loro predecessori usavano la scrittura», spiegò Hackett, sfiorando le pareti. «Fu solo con l'arrivo degli spagnoli e con le cronache delle loro conquiste che si ebbe qualcosa di scritto. Era così che gli antichi abitanti di questi luoghi conservavano la memoria storica degli eventi.» Zeb continuava a scuotere il capo. «E che eventi sarebbero?»
«Vi avevo detto che era successo qualcosa di brutto, qui», intervenne Juarez. Persino Ross, digiuno di conoscenze linguistiche e simboliche, riusciva a seguire la narrazione. Il primo bassorilievo mostrava la fontana floreale zampillante, circondata da un girotondo di figure umane inginocchiate come in adorazione, mentre un sole benigno splendeva dall'alto. Nella seconda compariva la stessa fontana, stavolta attorniata da personaggi danzanti che si cibavano di strane piante, come quelle del Voynich. Quella successiva rappresentava la fontana senz'acqua e i fiori appassiti. La quarta, uomini che scavavano la fossa a forma di diamante e vi gettavano mucchi di corpi. La quinta, un uomo disteso in cima alla ziggurat mentre un altro gli strappava il cuore. La sesta, la fontana disseccata in cui cadevano due gocce: una dal cuore sacrificale, l'altra dal sole. L'ultima immagine raffigurava una fila di persone di diverse dimensioni, a simboleggiare uomini, donne e bambini che abbandonavano la città e si addentravano nella foresta. «Non capisco», commentò Hackett. Zeb corrugò la fronte. «Non è chiaro, Nigel? Quando la fontana si è prosciugata la gente si è ammalata ed è morta. Hanno fatto dei sacrifici per far tornare l'acqua, ma non ha funzionato; la città si è estinta e i sopravvissuti se ne sono andati.» «Va bene», replicò Hackett. «Però non capisco perché dipendessero da una fontana. Non siamo nel deserto. È una foresta pluviale. Perché avrebbero dovuto dipendere da una piccola sorgente per vivere in salute?» Zeb lanciò uno sguardo significativo a Ross. «A meno che non fosse una sorgente come le altre.» Ross annuì lentamente, ripensando alle insolite piante rappresentate nei bassorilievi e nel Voynich. Che fossero spuntate per via di qualcosa nell'acqua della sorgiva, qualcosa che esisteva unicamente nel giardino di padre Orlando? Si sentì attraversare da un'ondata di entusiasmo. Magari l'acqua conteneva dei minerali o degli elementi chimici particolari da cui gli abitanti avevano sviluppato una dipendenza. «Probabilmente l'acqua proveniva da un fiume sotterraneo la cui sorgente non doveva essere troppo lontana. Poi è successo qualcosa - uno slittamento geologico, una frana sotterranea - che ha compromesso il corso d'acqua e prosciugato la fontana.» Zeb sorrise, afferrando l'esatto significato di quelle parole. «Perciò, anche se la fontana è secca, la sua sorgente potrebbe ancora esistere.» «Sì.» Il giardino di Orlando Falcon perdeva sempre più il suo alone di
leggenda. «Potrebbe esistere ancora. E trovarsi non lontano da qui.» «Qualsiasi cosa contenesse l'acqua sorgiva, il punto è che offrirono due tipi di sacrificio per farla tornare», disse Hackett indicando il penultimo riquadro. Picchiettò sulla goccia che stillava dal cuore. «Sacrifici umani.» Poi su quella che cadeva dal sole. «E lacrime del sole.» Fece un sorriso con aria da ragazzino. «E sapete cosa sono? Oro.» Ross tornò con la mente alle caverne venate di metalli che avevano percorso per raggiungere la vallata. Non si sarebbe sorpreso se avessero contenuto giacimenti auriferi un tempo sfruttati dagli abitanti del posto. «E dove sarebbe?» chiese Mendoza. «In un posto sacro.» Hackett indicò di nuovo le incisioni e in particolare l'immagine della ziggurat. «Qui, da qualche parte.» Proprio allora, risuonò la voce esaltata di Juarez: «Suor Chantal ha trovato qualcosa!» Ross e gli altri si voltarono e seguirono il fascio di luce nei recessi più reconditi della camera, dove videro Juarez a fianco di suor Chantal che puntava la torcia giù per una scalinata buia che s'inabissava nelle viscere della piramide. Ross si avvicinò e vide che i gradini scendevano per una rampa, poi per un pianerottolo e, avvolgendosi su se stessi, sprofondavano nelle tenebre. L'odore di animale era più intenso e scaturiva dalle viscere della ziggurat come da una gabbia aperta. Escrementi punteggiavano i gradini sgrossati. Escrementi in abbondanza. Si guardarono l'un l'altro, poi Mendoza sollevò il fucile, Hackett estrasse una pistola dallo zaino e Juarez impugnò la carabina che portava in spalla. «Se c'è dell'oro deve trovarsi quaggiù», disse Hackett scendendo le scale. «Vengo con lei», affermò Juarez, gli occhi che sprizzavano una temerarietà fuori del comune. «Ha detto che facciamo a metà. Voglio vedere quest'oro.» Hackett diede uno strattone a una fronda che all'improvviso si rivelò essere un serpente che strisciò via. «Come vuoi.» Controllò la pistola e poi lanciò un'occhiata irrequieta a Ross e Mendoza. «Venite anche voi, non è vero?» Mendoza fece cenno di sì. Ross esitò per un attimo, stringendosi il polso rotto. Non era partito per andare a caccia di ricchezze o per esplorare città perdute, ma si sentiva in dovere di andare a controllare cosa ci fosse là sotto. «Sono dei vostri.» «Io no», replicò Zeb. «Rimango a far compagnia a suor Chantal.»
Hackett si sistemò il cappello. «Andiamo.» 44 Juarez e Hackett furono i primi a scendere i larghi gradini, seguiti da Ross e Mendoza. Prima di sprofondare nell'acre oscurità, Ross guardò indietro la suora, cercando invano di decifrare la sua espressione. Sarà già stata qui? E saprà cosa c'è qua sotto? «Fa' attenzione», lesse sulle labbra di Zeb. Alla fine della prima rampa, l'aria si fece più fresca e l'odore più intenso. Ross estrasse la torcia e la puntò nell'ombra. Seguirono i gradini per altre tre rampe finché non approdarono in una piccola anticamera e un portale aperto. C'erano alcuni portafiaccole di pietra ma le torce erano scomparse da ormai lungo tempo. Sotto i fasci della luce artificiale, Ross vide che quel portale conduceva in un'ampia stanza con un corridoio al centro costeggiato da ambo i lati da file di mensole di pietra, in numero di sei. Ogni mensola conteneva quello che sembrava un sarcofago di pietra. Rabbrividì involontariamente. «È probabile che racchiudessero i corpi delle vittime sacrificali più illustri», spiegò Hackett. «Tranne i cuori, ovviamente.» Ross vide le spalle di Juarez fremere. Se il peruviano odiava le rovine perché temeva davvero la maledizione dell'abuelo, secondo cui i mali dei morti sarebbero ricaduti su di lui, allora quel posto doveva sembrargli terrificante. In quel momento, nella tomba angusta circondata dai corpi di coloro che erano morti nell'agonia più di mille anni prima, Ross cominciò ad avere riguardo per la maledizione. Quello era un posto buio, disperato e intriso di sangue. Improvvisamente Juarez lanciò un grido e Ross per poco non fece cadere la torcia. «Mirad! Mirad! Oro! Oro!» urlò il peruviano in spagnolo. «Cazzo!» esclamò Hackett. Ross diresse il fascio di luce verso Juarez e vide una montagna d'oro, più di quanto ne avesse visto in tutta la sua vita. Non era come nei film in cui i tesori si trovavano sparpagliati con trascuratezza in giro per una stanza: l'oro era in lingotti e ogni lingotto era stato posizionato con precisione architettonica. Ci volle qualche secondo a Ross per rendersi conto che i blocchi formavano una versione in scala, alta un metro e ottanta, della ziggurat che li ospitava. Non l'aveva riconosciuta subito perché alcuni lingotti mancavano. Chi li aveva presi? si domandò. I sopravvissuti fuggiti per
fondare nuove città e una nuova civiltà? Suor Chantal? Mendoza emise un fischio. «Quanto varrà?» Hackett si preparò a rispondere, ma poi iniziò ad ansimare per un attacco asmatico. Si tastò la giacca in cerca dell'inalatore, aspirò e si riebbe. «L'ultima volta che ho controllato, l'oro era quotato seicentocinquanta dollari all'oncia.» Prese in mano uno dei lingotti. «Ciascuno di questi deve pesare almeno quattro o cinquecento once e ce ne saranno centinaia, se non addirittura migliaia.» «Allora siamo ricchi, giusto?» chiese Juarez. «Molto», rispose Mendoza. «Ricchi di centinaia di milioni di dollari. Ma come faremo a trasportarlo?» «Il fiume è solo a un giorno e mezzo di cammino», disse Hackett riponendo il lingotto. «Ne portiamo via un po' adesso, ci procuriamo un mezzo di trasporto adeguato e poi torniamo a prendere il resto.» Guardando l'oro, Ross si sentì stranamente impassibile. La scoperta era elettrizzante e lui non era certo immune alla prospettiva inebriante di una ricchezza sconfinata, ma non era quello il tesoro che andava cercando. Pensò a come gli antichi abitanti del luogo avessero sparso del sangue e offerto l'oro per salvare quello che avevano di più prezioso: la fontana, la città e le loro vite. Anche lui avrebbe ceduto volentieri la sua parte di oro pur di salvare quello che amava. Si allontanò. «Ross, dove vai?» lo fermò Hackett. «A prendere una boccata d'aria fresca e a raccontare a Zeb e suor Chantal cos'abbiamo trovato.» «Ma non vuoi restare a decidere cosa fare di tutto quest'oro?» «Non credo che gli crescano le gambe e se ne vada.» Hackett s'incupì. «È una scoperta sensazionale, eppure tu non mi sembri granché entusiasta.» «Certo che lo sono. Penso solo che possiamo decidere come disporre dell'oro anche fuori di qui.» «Vengo con lei», disse Juarez. «Amo l'oro, ma questo posto mi mette i brividi.» «Anche a me», aggiunse Mendoza. «Tanto vale andarcene tutti, allora.» Hackett s'imbronciò come se avesse voluto che il suo momento di gloria durasse per sempre. Ross tornò alle scale e, non appena superò i sarcofagi, percepì la tensione di Juarez dietro di sé. Nello stesso istante, avvertì qualcosa alla sua destra: un improvviso spostamento d'aria e un odore di selvatico che gli fece
accapponare la pelle. Un ringhio basso, gutturale lo spinse a voltarsi di scatto. Juarez era immobile, impietrito sul posto con lo sguardo fisso verso i recessi scuri dietro le bare. «El abuelo, el abuelo», gracchiò, come se le corde vocali non obbedissero più ai suoi comandi. Nel raggio della torcia di Ross, una sagoma nera si spostò dietro i sarcofagi e due occhi famelici e malevoli ricambiarono il suo sguardo. Non c'era niente di umano in quegli occhi e, per un lunghissimo secondo, Ross rimase impalato come Juarez. Poi la figura nera ruggì e balzò fuori dall'oscurità. «Attenti!» Ross si gettò in ginocchio, si voltò e vide la creatura avventarsi su un Mendoza terrorizzato. Nella frazione di secondo che seguì si verificò qualcosa di straordinario: Juarez, l'uomo che sembrava aver paura persino della propria ombra, balzò davanti a Mendoza e sparò col fucile. Il colpo mancò il bersaglio e la bestia aggredì Juarez, stendendolo a terra e squarciandogli la gola. L'uomo gridò e Ross sentì qualcosa di caldo e umido inondargli la faccia. Mentre Hackett prendeva la mira e Mendoza alzava il fucile, cercando entrambi di mirare bene, Ross accorse e prese a calci la bestia con le Timberland. Le punte rinforzate in acciaio si scontrarono per ben due volte con una muscolatura robusta e la nera creatura rotolò ringhiando sotto la luce della torcia, le fauci lucide di sangue, poi lo superò con un balzo. Hackett si precipitò su Juarez che si contorceva stringendosi la gola, gli occhi fissi nell'oscurità. C'era sangue ovunque. La piramide d'oro ne era intrisa. «Datemi un'arma», disse Ross, afferrando il fucile insanguinato di Juarez e lanciandosi all'inseguimento dell'animale. «Dov'è andato?» chiese Mendoza. «Di sopra», rispose Ross. «Da Zeb e suor Chantal.» 45 A Zeb faceva piacere trascorrere un po' di tempo da sola con suor Chantal. Innanzitutto non desiderava affatto scendere quelle scale buie verso le viscere fetide della ziggurat. E poi voleva fare qualche domanda alla suora su quella città abbandonata. «Allora, cosa troveranno là sotto?» «Oro.» «Come lo sa?»
«Perché lo so.» «E come fa? C'è già stata? Quando?» Zeb scosse la testa per la frustrazione. «Perché non dà mai una risposta chiara?» «Perché quello che dirò non cambierà la tua idea. Non importa come faccio a sapere queste cose. Adesso sai che l'acqua del giardino di padre Orlando un tempo scorreva anche qui. Tu e Ross avete visto la fontana e i bassorilievi delle piante del Voynich. Avete la prova dell'esistenza del giardino e, una volta che gli altri avranno trovato l'oro, ce ne andremo a cercarlo. Solo questo conta.» «Quant'è lontano?» «Alcuni giorni di cammino.» «È sicura che ci sia ancora?» Un fremito di terrore percorse i tratti della suora. «È ancora lì. Deve esserci.» Zeb alzò lo sguardo verso il riquadro con la fontana prosciugata. «E se...» Non finì la domanda. Fu interrotta da un grido smorzato e da uno sparo che provenivano dalle scale buie. Deglutì, insicura sul da farsi. Suor Chantal si avvicinò alle scale e lei fece lo stesso. Mentre guardava giù nelle tenebre, una sagoma nera balzò ringhiando fuori dall'ombra come originata dall'oscurità da cui era uscita. Zeb assistette in preda al terrore mentre si scagliava contro suor Chantal, infilzandola con gli artigli e scaraventandola a terra. Poi apparve Ross con un fucile e sparò un colpo in aria. L'enorme felino si allontanò dalla suora, si precipitò verso la luce dell'uscita e scomparve all'esterno. Mentre Zeb accorreva da suor Chantal, Ross si lanciò verso il portale, alzò il fucile e sparò nella luce abbagliante. «L'hai preso?» gridò Zeb. «Era troppo veloce.» Ross tornò indietro e aiutò Zeb ad appoggiare suor Chantal contro la parete. Il sangue le colava da una ferita sulla guancia e c'era una brutta contusione sulla fronte. La spalla destra presentava due graffi superficiali dove gli artigli del giaguaro avevano strappato la camicia di cotone, ma fortunatamente lo zaino, ormai sbrindellato, aveva parato gran parte dei colpi. «Che diavolo era?» chiese Zeb. «Credo fosse un giaguaro melanico.» «Un cosa?» «Un giaguaro dal manto pigmentato. Una pantera nera.»
«Hai del sangue sul viso. Stai bene?» «Non è mio», disse Ross in tono monocorde, controllando il polso di suor Chantal. «È priva di sensi e ha il polso debole. Dobbiamo distenderla per farle arrivare il sangue alla testa.» Zeb aiutò Ross a sistemare delicatamente suor Chantal in posizione supina> poi allentò il colletto della suora e disse: «Dovremmo andare a chiamare Nigel». Si voltò e vide un Mendoza stranito e un Hackett cereo in volto salire le scale col corpo sanguinante di Juarez tra le braccia. Non era così che doveva andare. Non era nei programmi. Quando Nigel Hackett cercò di tamponare la ferita di Juarez, capì che l'amico stava per morire e che lui non era in grado d'aiutarlo. Aprendogli la camicia ed esaminando le ferite mortali su gola e petto, continuò a pensare a tutte le volte, negli ultimi tre anni, in cui si erano seduti insieme sul ponte della Discovery a bere una bottiglia ghiacciata di birra Cusqueña e a parlare dei loro sogni. Juarez, nato in un remoto villaggio amazzonico vicino al confine con l'Ecuador, aveva sempre desiderato di vedere l'Europa e il Nordamerica e Hackett gli aveva promesso che, quando sarebbe tornato a Londra, dopo aver fatto fortuna in Amazzonia, lo avrebbe portato con sé. Appena una notte prima, addormentato sull'amaca, Hackett aveva sognato di tornare a Londra con Juarez dopo aver scoperto la culla delle civiltà sudamericane. Nella sua fantasia teneva una conferenza alla Royal Geographical Society. Mentre i grandi della Terra lo applaudivano, la bella Zeb Quinn - che non si prendeva più gioco delle sue idiosincrasie, ma lo capiva, lo amava e lo desiderava - era al suo fianco in tutto il suo splendore. Ma ormai il suo amico non avrebbe più potuto lasciare la foresta per realizzare le sue aspirazioni e, sebbene Hackett avesse scoperto finalmente la città perduta e il suo oro, i sogni di gloria sembravano svuotati d'un colpo. Juarez gli afferrò un braccio in preda agli spasmi, il viso contratto dal panico. «Non ho paura. Non sono un vigliacco.» «Lo so, amico mio», disse Hackett. «Lo so.» Juarez si rivolse a Mendoza. «Non sono un vigliacco.» «No, non lo sei», ribadì Mendoza teneramente. «Sei l'uomo più coraggioso che abbia mai conosciuto. Mi hai salvato la vita.» Juarez strinse più forte il braccio di Hackett, poi il suo sguardo si addolcì e sulle labbra affiorò uno strano sorriso. Finalmente i suoi tratti si distesero. Hackett gli chiuse con cura le palpebre e lo adagiò sul pavimento. Solo
allora si accorse di Ross, inginocchiato al suo fianco. «Se n'è andato.» «Mi dispiace.» «Anche a me.» Hackett si voltò e vide Zeb chinata su suor Chantal. Aveva gli occhi pieni di lacrime. Lui scosse la testa e lei si portò una mano alla bocca. «Cosa facciamo?» domandò Mendoza. Hackett era sul punto di piangere. «Non lo so.» Ross gli posò una mano sulla spalla. «Nigel, non possiamo fare più nulla per Juarez. Perché non ti occupi di suor Chantal mentre Osvaldo e io pensiamo a seppellire il tuo amico? Poi accenderemo un fuoco.» «Fate una buca profonda», disse lui con rabbia. «Non voglio che questi dannati animali lo prendano.» «Lo sotterreremo in profondità, señor Hackett», lo rassicurò Mendoza. «Reciterò una preghiera e metteremo una lapide.» Hackett esitò ancora un attimo prima di lasciar andare il suo amico, poi si spostò per esaminare suor Chantal. «Come sta?» chiese Zeb, le lacrime che le rigavano il viso. Lui controllò i tagli, le contusioni e la respirazione di suor Chantal. «Ha una commozione cerebrale e il polso debole, ma sembra respirare regolarmente. Le ferite sono superficiali e la contusione sulla testa sembra più grave di quanto non sia.» Afferrò la borsa da medico. «Le misurerò la pressione, poi la metteremo comoda e la lasceremo riposare.» «Presto farà buio», commentò Ross. «Propongo di passare la notte in cima alla piramide. Possiamo accendere un fuoco e non dovrebbe essere difficile tenere lontani i visitatori indesiderati. Se voi ragazzi ce la fate a portare suor Chantal e i bagagli in cima, Osvaldo e io possiamo occuparci di Juarez.» 46 «Vuoi un antidolorifico per il polso?» chiese Mendoza, schiacciandosi il blister in bocca. «No, grazie», rispose Ross, accettando di buon grado il dolore al polso fasciato, mentre calava il cadavere di Juarez nella fossa che avevano scavato nella terra soffice dietro la piramide. Il dolore lo distraeva sia dal crepuscolo incombente, che lo portava a odiare e temere ancor di più quel posto, sia dal loro ingrato compito. Seppellire Juarez era come sotterrare più di un compagno morto, era come sotterrare una parte di sé. Era arrivato fin
lì per salvare Lauren, ma la sua ricerca era già costata quattro vite: quella dei tre banditi che avevano cercato di dirottarli sul fiume e adesso Juarez. Quando alzò la testa dopo aver riempito di terra la fossa, gli strani bassorilievi alla base della ziggurat lo rinfrancarono. Ormai era a pochi passi dalla meta. Vicino a realizzare il suo sogno disperato di salvare Lauren o di confermare la sua paura più grande: che quella spedizione nella giungla era stata uno spreco di tempo prezioso e di vite umane. Suor Chantal sosteneva che da quel punto avrebbero potuto raggiungere il giardino e tornare nel giro di una settimana. E sembrava fiduciosa di riuscirci anche senza una guida. A seconda di quanto ci avrebbero messo a tornare nel mondo civilizzato, ci sarebbero volute due o tre settimane per arrivare negli Stati Uniti. La sua preoccupazione maggiore era l'imperscrutabile - e incosciente - suor Chantal. Lei era la chiave per interpretare l'indicazione finale. Ricoprendo la salma di terra, Mendoza tossì. «Non riesco ancora a credere che Juarez si sia sacrificato per salvarmi. Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere per me.» «Era un uomo coraggioso e altruista», commentò Ross. «E io che pensavo fosse un vigliacco.» «Siamo quello che facciamo», sentenziò Ross, rivolgendosi quasi a se stesso. «L'ultimo gesto di Juarez ci ha fatto capire chi fosse in realtà.» Mendoza spianò la terra con la mano e disse con tono altisonante: «Quest'uomo andrà in paradiso». «Su questo non ho niente da obiettare.» Dopo aver riempito la fossa, trascinarono una lastra smossa dalla piazza e la posizionarono sul tumulo di terra rossa, poi Mendoza sistemò una piccola montagnola di pietre per contrassegnare la tomba. Quando ebbero finito, chiamarono gli altri. Hackett e Mendoza recitarono una semplice preghiera, mentre Zeb badava a suor Chantal. In seguito accesero un falò sulla superficie piana al vertice della ziggurat e prepararono del cibo. Ross non aveva fame ed era facile capire che nemmeno gli altri ne avessero, ma tutti presero parte alla cena in modo meccanico, sbocconcellando i fagioli in scatola e lo stufato di manzo. «Come sta suor Chantal?» chiese Ross. «Si è agitata un paio di volte, ma è ancora priva di sensi», replicò Hackett. «La pressione è a posto, però. Penso che abbia solo bisogno di riposare.» Ross si rivolse a Zeb, seduta accanto alla pila di zaini, a frugare freneti-
camente in quello stracciato di suor Chantal. «Va tutto bene?» Quando alzò lo sguardo, lei aveva ancora gli occhi lucidi e iniettati di sangue per il pianto, e i capelli rossi resi più ricci del normale dall'afa umida del posto. «No, non va bene.» Con la mano destra sollevò un mazzo di fogli stracciati, macchiati di sangue. Poi alzò il libretto di padre Orlando, o ciò che ne rimaneva. «Anche se lo zaino ha salvato la vita a suor Chantal, il libretto era lì dentro. Il giaguaro lo ha fatto a brandelli.» Nonostante lo stomaco vuoto, Ross si sentì nauseato. «Fammi vedere.» Prese il libro e lo esaminò. La crudele ironia della sorte: le pagine iniziali erano ancora leggibili e l'ultima sezione sfalsata era rimasta praticamente illesa; solo la parte centrale e le ultime pagine della prima sezione - le indicazioni decisive per trovare il giardino - erano state stracciate. Prese le pagine a brandelli da Zeb e capì immediatamente che non potevano essere recuperate. Le unghiate convulse del giaguaro avevano distrutto la carta come un tritadocumenti industriale. Ripensò alle strane piante incise alla base della ziggurat e alla storia della fontana. Il sapore amaro, metallico della delusione gli riempì la bocca. I bassorilievi gli avevano infuso coraggio, ma adesso si facevano beffe di lui. Proprio ora che stava cominciando a credere nel giardino di padre Orlando, proprio quand'era a un passo dalla meta, gli sfuggiva via dalle mani. «Perdute...» mormorò. «Tutte le ultime indicazioni sono andate perdute.» «E allora?» intervenne Hackett. «Non servono più.» «Sì, invece», replicò Zeb. «Le ultime indicazioni erano essenziali.» Hackett socchiuse gli occhi. «Ma ce l'abbiamo fatta. La città perduta era quello che cercavamo.» Tacque, guardando Zeb, poi Ross. «O no?» «No», rispose Ross abbattuto. «Cosa intendi dire? Che trovare questo posto è stata una fortuna inattesa? Cosa succede?» Ross lanciò un'occhiata a suor Chantal, avvolta nel sacco a pelo, chiedendosi come facesse a sapere di quelle rovine. «Non so se sia stato un colpo di fortuna, ma non è il posto verso cui conducono le indicazioni di padre Orlando. A essere sinceri, non accenna a questa città in nessuno dei suoi scritti.» Hackett scosse la testa incredulo. «Questa è una delle più grandi scoperte archeologiche della storia. Non solo del Sudamerica, ma del mondo intero. Come può non essere la meta delle sue indicazioni? Cosa ci può essere di più importante?»
«O di più prezioso?» rincarò Mendoza. Zeb estrasse dei fogli fotocopiati dallo zaino e li passò a Hackett. Fece una sintesi sommaria della vicenda del Voynich. «Cerchiamo un giardino dove crescono piante di questo genere.» «Avete fatto tutta questa strada per trovare un giardino?» esclamò Hackett. «Sì.» L'inglese contemplò le fotocopie. «Queste piante somigliano a quelle nelle incisioni qua sotto.» «Esattamente», disse Ross. «Il che significa che probabilmente non siamo lontani.» Hackett aggrottò la fronte. «Il giardino e le sue piante devono avere qualcosa di molto speciale.» «È quello che speriamo», aggiunse Zeb. «Padre Orlando lo chiamava il Giardino di Dio.» «In che senso, 'speciale'?» chiese Mendoza. Ross teneva gli occhi puntati su Hackett, il dottore. «Speriamo che abbia proprietà curative, come nella storia narrata nel Voynich.» «Proprietà curative?» Hackett sbuffò e fissò le fiamme del falò. «Fammi indovinare: pensate che le piante abbiano un qualche legame con la fontana. Ritenete che l'acqua provenisse da questo giardino miracoloso, giusto?» «Tutto quadra», rispose Ross. «La sorgiva avrebbe potuto essere alimentata da un ruscello sotterraneo che fluiva dal giardino. Magari gli abitanti avevano sviluppato una dipendenza dall'acqua, o dal suo contenuto, e quando la fonte si è prosciugata si sono ammalati.» Hackett riprese a scuotere la testa. «Pensi che questo giardino si trovi qui vicino?» chiese Mendoza, più intrigato che scettico. «Sì», rispose Ross. «Sempre che esista», precisò Hackett. «E cosa ne facciamo della città e dell'oro? Che, vorrei ricordarvi, esiste davvero.» «L'oro può aspettare.» Mendoza fece un cenno risolutivo. «Vengo con te, Ross.» «Non devi sentirti in obbligo, Osvaldo. Sarà pericoloso. Stando alla storia, tutti i conquistadores sono morti nel giardino. Solo padre Orlando ne è uscito vivo.» Mendoza scoppiò a ridere. «Se è abbastanza sicuro per un'anziana suora,
un uomo col polso rotto e una ragazza, allora lo è anche per me. Sono dei vostri.» «Vacci piano», intervenne Hackett. «È una follia. Abbiamo già perso Juarez per cercare quel posto. Perché mettere a repentaglio la vita di qualcun altro per inseguire una leggendaria Shangri-La?» «Nessuno di voi è obbligato a seguirmi», commentò Ross. «Mi dispiace per Juarez, davvero, ma trovare quel giardino è l'unica ragione per cui sono partito.» «E tu, Zeb?» chiese Hackett. «Anche tu ti sei votata a questa ricerca?» «Sì.» «Allora suppongo di non avere altra scelta», sentenziò Hackett emettendo un sospiro stanco. «Questo giardino mi sembra un gran mucchio di frottole, ma è meglio stare uniti.» Guardò Zeb. «Se è davvero pericoloso, avrete bisogno di qualcuno che vi protegga.» Zeb sorrise per la prima volta quella sera. «Qualcuno tipo te, Nigel?» «Sì, proprio qualcuno come me, qualcuno attento e riflessivo. Dopo Juarez non ho intenzione di perdere altre vite in questa spedizione.» Piombarono tutti nel silenzio e guardarono nell'oscurità, laddove era stato sepolto il cadavere. «Tutto questo dibattito però è solo teorico.» Ross sollevò il libretto stracciato di padre Orlando. «La sezione determinante che contiene le ultime indicazioni per il giardino è illeggibile.» «Non ne ricordi nessuna?» chiese Mendoza. Ross sospirò e chinò il capo. «Tutto ciò che ricordo è l'ultimo punto di riferimento, qualcosa dal nome la sonrisa de Dios, il sorriso di Dio. Dopo di che penso dovremmo ritrovarci nel sistema di cunicoli descritto nel Voynich. Ma non ho la più pallida idea di dove sia la sonrisa de Dios.» Si rivolse a Zeb. «E tu?» Lei scosse la testa. «Ci sono tre giorni buoni di cammino dalla barba verde alla sonrisa de Dios, con solo le stelle a guidarci. E non saprei dire quali.» «Allora, che ne dite?» chiese Hackett. «Siamo a un punto morto?» «Sì, Nigel», rispose Ross, abbassando lo sguardo sul cibo intatto, di colpo ansioso di abbandonare quella città maledetta. «È proprio quello che sto dicendo.» Quella notte sull'antica ziggurat, seduto sotto le stelle e circondato dalle rovine di una civiltà morta migliaia di anni prima, fu la più solitaria che
Ross riuscisse a ricordare. Mentre gli altri dormivano vicino al fuoco, rimase a fare la guardia, il fucile di Juarez poggiato in grembo. Nonostante la spossatezza, sapeva che non avrebbe chiuso occhio. Non era il polso indolenzito a tenerlo sveglio, ma la sensazione opprimente del tempo che gli crollava addosso. Ripensò a Lauren negli Stati Uniti e alla vita che cresceva nel suo grembo. Entro poche settimane sarebbe stata di sei mesi, a due terzi della gravidanza. Altri tre mesi e il tempo sarebbe finito. Le settimane a venire sarebbero state decisive eppure sembravano insignificanti rispetto ai secoli di storia che lo attorniavano. Distogliendo lo sguardo dal fuoco scoppiettante, affondò lo sguardo nel buio umido e avvolgente, desiderando di riuscire a credere in qualche forza misericordiosa cui rivolgere le proprie preghiere. L'indomani avrebbe lasciato quel posto abbandonato, sarebbe tornato a casa e avrebbe accettato tutto ciò che il futuro gli riservava. La sua grande avventura, la sua ricerca, era al capolinea. 47 Ross si destò di soprassalto. Una luna opalescente era ancora appesa in cielo, ma quando gettò lo sguardo oltre la città perduta, verso l'orizzonte, un dolce chiarore gli fece capire che l'alba era alle porte. Non ricordava di essersi assopito o cosa lo avesse svegliato, ma era all'erta e stranamente fresco. E anche pronto all'azione. Non sapeva perché: non ricordava di aver sognato, né di aver avuto un pensiero in particolare. Sapeva solo di dover agire. Controllò l'ora, ma le lancette dell'orologio non si erano più mosse dal passaggio sotto la barba verde. Si alzò, aggirò Hackett e Mendoza addormentati, poi la sagoma immobile di Zeb presso suor Chantal. Scosse gentilmente l'anziana religiosa finché non aprì le palpebre. «Si svegli. Dobbiamo andare.» «Dove?» Suor Chantal si sfiorò la ferita in testa: sembrava frastornata, confusa e impaurita. Ross mantenne la voce bassa ma risoluta. «Adesso si alzi e ci porti al giardino di padre Orlando. O facciamo i bagagli e ritorniamo a casa.» «Dov'è il libretto?» «È andato distrutto. Non ci sono più indicazioni. Dipende tutto da lei. Ha detto di essere la Guardiana, di essere già venuta nel giardino. Adesso è
il momento di dimostrarlo.» Lei si guardò intorno. «E gli altri?» «Vengono con noi.» «Ma non possono...» Ross scosse la testa. «La segretezza non ha più importanza. Il suo piano di usare questo posto per distrarre gli altri non ha funzionato. Juarez è morto. Adesso siamo tutti coinvolti.» Suor Chantal sbarrò gli occhi. «Juarez è morto?» «Lo ha ucciso il giaguaro che ha attaccato anche lei. Siamo in mezzo al nulla - letteralmente - e di fronte a un bivio. O troviamo il giardino tutti insieme, o ce ne torniamo a casa. Dipende tutto da lei. Lauren dipende da lei.» «Le indicazioni sono distrutte?» Lui le porse il libretto. «Guardi lei stessa.» L'anziana rimase in silenzio e si strofinò la testa, immersa nei suoi pensieri. «Gli altri possono venire solo se faranno voto di non confidare ad anima viva del giardino e di non portare via nulla.» «Mi assicurerò che mantengano la parola data.» «Potrebbe esserci un altro modo per trovare il giardino, ma avrò bisogno di una bussola.» «Può usare la mia.» Frugò in tasca. «Dubito che funzioni, però. C'è uno strano campo magnetico qui. Il GPS è fuori uso e gli orologi si sono fermati.» «Dammela.» Ross esaminò la bussola, poi il sole nascente. Ebbe un tuffo al cuore. Ovunque stesse puntando l'ago, era più che sicuro che non fosse il nord. «Come le ho detto, non funziona.» Lei la prese, si alzò a sedere e sorrise. «Basta seguire l'ago.» «Cosa intende?» «L'ago ci condurrà al giardino.» Ross riprese lo strumento. Normalmente, quando una bussola non funzionava correttamente, l'ago prendeva a oscillare. Non era quello il caso. Puntava dritto in una direzione. Non era il nord, ma era comunque un punto fisso. Il cuore prese a battergli all'impazzata. Forse l'interferenza non era causata dal promontorio venato di metallo da cui erano passati, ma dal giardino, o dalla sua Fonte... «Sicura?» «Sicurissima.» «Bene.» Ross fece un lento cenno del capo. «In tal caso, sveglierò gli al-
tri.» Nel giro di un'ora erano tutti pronti a ripartire. Tornarono sul sentiero per uscire dalla vallata e risalire sul promontorio, poi volsero in direzione dell'ago della bussola e percorsero il fianco roccioso per un'altra ora. Quando stavano per inoltrarsi nel folto della foresta, Ross si guardò alle spalle. Da quell'altitudine, la valle aveva assunto di nuovo il suo aspetto lussureggiante e privo d'interesse, il suo segreto era ben nascosto dalla vegetazione. Si sforzò per vedere la ziggurat, ma non riuscì a individuarla. Nel raggiungere gli altri, vide un bagliore, il riflesso del sole sul metallo o sul vetro scaturire dall'alto promontorio presso il crinale. Rimase immobile per un attimo, chiedendosi di cosa si trattasse, poi spazzò via quel pensiero dalla mente e seguì gli altri nella foresta. Il padre generale Leonardo Torino abbassò il binocolo e strizzò gli occhi al sole del primo mattino. Per la prima volta da Iquitos, era riuscito a vedere Ross e i suoi compagni. Dovette fare un grande sforzo di autocontrollo per mascherare il sollievo sul suo volto. «Come sapevate che erano qui, padre generale?» chiese Fleischer. «Abbiamo trovato le loro tracce nella foresta, ma come facevate a saperlo? Come...» «Gliel'ho detto, Feldweibel, siamo in una missione sacra. Il Signore è la nostra guida.» Torino si rivolse al sergente che, come gli altri soldati, trasportava enormi zaini militari e lo fissava con uno sguardo dei più intensi. «Ha forse dubitato di me?» Fleischer e gli altri chinarono il capo e si fecero il segno della croce. Torino alzò il binocolo e mise a fuoco nel punto in cui aveva visto Kelly. «A ogni modo, il Signore potrebbe aver bisogno del nostro aiuto da questo punto in poi. Dobbiamo seguire le nostre prede senza perderle di vista.» «Capisco, padre generale.» Fleischer indicò uno dei suoi uomini, un tipo basso, nerboruto, con le sopracciglia folte e una cicatrice irregolare sulla guancia destra. «Weber, seguili, ma assicurati di non essere visto. Lasciaci una pista. Se lo zaino è troppo pesante, dividi il carico con Petersen e Gerber.» Il soldato sorrise. «Lo zaino va bene, signore. Sono abbastanza veloce da raggiungerli.» «Bene.» Fleischer frugò nello zaino, ne estrasse un paio di semplici rice-
trasmittenti e ne consegnò una a Weber. Le accesero ed entrambe emisero degli scricchiolii, immuni dalla forza che aveva fermato gli orologi. «Adesso vai e tienici aggiornati.» Mentre Torino e gli altri seguivano con lo sguardo Weber camminare lungo il promontorio dietro il gruppo di Kelly, nessuno di loro fece caso alla città perduta nella vallata ai loro piedi, che sonnecchiava sotto una coltre di verde. 48 Da due giorni e mezzo, mentre si aprivano un varco nella giungla, non avevano pensieri che per Juarez. Sentivano la mancanza della sua presenza vigile e della sua abilità nell'individuare un sentiero attraverso la vegetazione più fitta. Persino l'inappuntabile Hackett si era imbrattato gli abiti e scarmigliato i capelli. Di notte dormivano, sfiniti, sospesi da terra nelle amache avvolte dalle zanzariere, al riparo dagli acquazzoni improvvisi sotto un incerato. Di giorno, si spostavano a passo lento ma regolare, incuranti delle tracce che lasciavano al loro passaggio. Ross perse il conto delle creature esotiche che avevano incontrato: scimmie dal manto dorato, serpenti dai colori brillanti, ragni delle dimensioni di una mano, sicuro che tra tutte quelle specie ve ne fosse qualcuna non ancora classificata. Ripensò a tutte le piante e agli strani animali che aveva visto da quando si era addentrato in Amazzonia e a come lo stravagante e l'alieno fossero diventati banali: il giardino di Falcon con la sua flora e la sua fauna esotiche sembrava sempre meno assurdo. Il terzo giorno raggiunsero una seconda cordigliera che bloccava loro il passaggio. Era concava e sormontata da una dentatura di rocce bianche e Ross intuì all'istante che doveva trattarsi dell'unico punto di riferimento del libretto che ricordava: la sonrisa de Dios, il sorriso di Dio. Si rese conto che il giardino di Falcon era cinto da numerosi cerchi concentrici di pareti rocciose, simili alle onde prodotte da un sasso che cade nell'acqua. Avevano oltrepassato la prima barriera passando la potente cascata del velo de la luz e la seconda sotto la barba verde. Nell'alzare lo sguardo verso la sonrisa de Dios, una scarica di adrenalina percorse le membra stanche di Ross. Era forse l'ultimo cerchio, la barriera finale a difesa del leggendario giardino? Come per telepatia, Hackett chiese: «Siamo vicini?» «Sì», rispose suor Chantal senza mostrare dubbi. «Il dedalo di caverne
che protegge il giardino si snoda sotto quelle rocce bianche.» Ross esaminò il sistema GPS per determinare la collocazione esatta, ma il dispositivo che aveva sfrigolato in modo irregolare nella città perduta adesso non dava segni di vita. Tre parole ingombravano la schermata: Errore di segnale. Il sole stava tramontando e, sebbene Ross e suor Chantal volessero proseguire, gli altri decisero di riposare e affrontare le caverne alla luce del mattino. Ross temeva che lo stato di irrequietezza in cui si trovava lo tenesse sveglio, ma era così spossato che quando si sdraiò sull'amaca cadde in un sonno profondo senza sogni. Solo suor Chantal non chiuse occhio quella notte. Se ne rimase distesa al buio, stringendo il crocifisso tra le mani e con le orecchie tese verso i rumori della foresta, anelando l'arrivo dell'alba. Benché fosse distrutta dalla fatica e avesse dolore ovunque, non riusciva a rilassarsi. Non ancora. Non stava più nella pelle di portare a conclusione quel lungo viaggio. Non vedeva l'ora di porre fine a quell'ordalia, tener fede alla promessa fatta e cogliere il frutto della propria fatica. 49 Il mattino successivo, Ross e gli altri seguirono suor Chantal fino alla parete ai piedi delle rocce bianche denominate la sonrisa de Dios. L'anziana li condusse a una fenditura verticale, sormontata da un arco naturale e, l'uno dopo l'altro, sgusciarono nella stretta apertura finché non emersero nella catedral, la caverna descritta anche nel Voynich. Lame di luce illuminavano l'enorme antro e, quando Ross alzò gli occhi, vide una miriade di forellini, a decine di metri sulle loro teste, che splendevano come stelle tra le stalattiti della volta svettante della caverna. Gli spiragli di luce andavano a illuminare vene sfavillanti d'oro e d'argento nelle pareti rocciose. «Oro», disse Mendoza con occhio rapace. Ross analizzò una delle venature. «Sembra oro, ma purtroppo è pirite, l'oro degli sciocchi.» «Qualunque cosa sia, è la traccia che seguirono padre Orlando e i conquistadores per il giardino», affermò suor Chantal. «Dobbiamo seguirla anche noi.» Mentre andavano dietro alla vena di pirite, Ross si accorse che erano spuntati in una grande spelonca su una specie di soppalco. Il soffitto con le
sue fessure stellari si slanciava sopra di loro, e oltre un ciglio scosceso a destra, molti metri più sotto, c'era il pavimento. Un Boeing 747 avrebbe potuto parcheggiare nella caverna senza problemi. Accidenti, c'è spazio per l'atterraggio e il decollo di un'intera flotta, pensò Ross. L'aria era incredibilmente calda e gravida di cattivi odori che peggiorarono man mano che scendevano. Il miasma di ammoniaca lo faceva lacrimare e Hackett, affetto dall'allergia in condizioni normali, si piegò in due, attaccato all'inalatore, rovistando nella borsa da medico per cercare una mascherina. Nelle profondità della caverna, il terreno cominciava a procedere in discesa e il passaggio si restringeva finché non furono costretti a camminare in fila indiana su un precipizio. A quel punto Ross riuscì a individuare la fonte di quel miasma travolgente. Sull'abisso a destra c'era una montagna conica di guano di pipistrello. Di almeno dieci metri di base e altrettanti di altezza, sorgeva dal pavimento sottostante fino alla vetta, ad alcuni metri da dove si trovavano. Dal cumulo proveniva uno squittio scricchiolante e, guardando meglio, Ross si accorse che la sua superficie scura era in costante movimento. Ogni centimetro era invaso da milioni di scarafaggi brulicanti che si cibavano degli escrementi. Zeb e gli altri si coprirono il viso. Quello spettacolo era persino peggiore del tanfo e Ross si mise la mano alla bocca per non vomitare. Da sopra la mascherina, Ross lesse il disgusto negli occhi di Hackett. Per un uomo che provava ripugnanza per qualsiasi forma di sporcizia o di sucio, quello era un incubo. Guardando in alto, in direzione degli angoli bui del soffitto, Ross scorse migliaia di pipistrelli appesi alla roccia. Temeva che gli animali si potessero svegliare da un momento all'altro e li travolgessero volando a migliaia nella caverna. Indicò in alto per allertare gli altri. Puntando gli occhi al soffitto, si addossarono istintivamente alla parete, distanziandosi sempre più dal ciglio. Il pericolo, però, venne dal basso. E in fretta. Hackett fu il primo a scorgere il serpente color sabbia. Si trascinava lungo il precipizio, cercando di schivarli, quando Zeb per poco non lo calpestò. Il rettile si drizzò e colpì lo scarpone di Zeb. Mentre si preparava ad attaccare di nuovo, Hackett balzò in avanti e con un calcio lo scagliò verso Mendoza, che lo schivò con un salto e perse l'equilibrio. Cercando di ritrovare la stabilità, scivolò oltre il bordo e rotolò giù. Cominciò ad annaspare furiosamente per trovare un appiglio sulla roccia viva, ma resistette solo un momento prima di cadere nello stagnante ammasso verminoso. Cominciò subito ad affondare. Gli scarafaggi gli ricoprirono all'istante gli scarponi e i
polpacci e iniziarono a brulicargli su tutto il corpo. Nel tempo in cui Ross si mise in ginocchio per allungare la mano sana, Mendoza era già negli escrementi di pipistrello fino al collo. Mentre sprofondava con la testa tra le blatte brulicanti, alzò lo sguardo verso Ross, le labbra serrate, gli occhi stravolti per il terrore. Ross si sporse ulteriormente, ma non riuscì a raggiungere la mano destra che si dimenava. Poi un braccio gli circondò la vita e una corda si strinse intorno alla sua camicia. «Vai pure», disse Hackett. «Ti teniamo Zeb e io.» Ross si abbassò ancor di più fino a trovarsi a pochi centimetri dal guano e afferrò la mano di Mendoza appena prima che scomparisse. Mendoza si aggrappò a lui anche con l'altra mano e quel peso improvviso per poco non gli fece affondare la faccia nel letamaio. «Tiratemi fuori!» gridò Ross, trattenendosi dall'impulso di vomitare. «Veloci!» Lo strattone fu così forte che Ross dovette fare appello al polso rotto per evitare di slogarsi la spalla. Digrignando i denti per il dolore, sentì la corda stringersi intorno ai fianchi e sollevarlo. A poco a poco, Mendoza emerse dal cumulo e, quando la testa gli uscì dal guano, espirò e prese a boccheggiare. Mentre Mendoza veniva trascinato sul ballatoio, suor Chantal lo frizionò con l'insetticida. Disteso sul precipizio, prese a contorcersi come un pazzo e urtò gli occhiali e la borsa di Hackett, facendoli finire nel sozzume. Il suo panico si placò solo dopo che Hackett cominciò a schiacciargli i vestiti, mettendo in fuga gli scarafaggi rimasti. Mentre Mendoza giaceva in preda allo spavento, riconquistando la padronanza di sé, Ross guardò giù verso la borsa e gli occhiali di Hackett che affondavano sotto il verminaio. Vide anche il serpente che si contorceva in balia di spasmi mortali. Dopo alcuni secondi giacque immobile, poi l'ammasso brulicante inghiottì anche lui. Zeb diede un colpetto affettuoso sulla spalla a Hackett. Si stava sfregando le mani come per cancellare le tracce degli scarafaggi che aveva scacciato da Mendoza. «Grazie per aver allontanato il serpente da me.» Abbassò lo sguardo sui pantaloni solitamente puliti e stirati fino all'eccesso e sorrise. «Dovresti vederla come una seduta di terapia.» Hackett accennò un sorriso, poi si alzò. «Ho perso gli occhiali infrangibili. Senza, sono cieco come una talpa.» «Non posso credere che un uomo come te non ne abbia un paio di scorta», disse Zeb. «Ce l'avevo.» Hackett indicò il mucchio più in basso. «Era nella mia
borsa.» Mendoza si alzò e aiutò Ross a rimettersi in piedi. «Grazie. È la seconda volta che qualcuno mi salva la vita.» Nonostante la sincerità, era seccato di essere in debito. «Come va il polso?» Come se mi si staccasse la mano, pensò Ross, digrignando i denti per il dolore. «Bene.» Procedettero, seguendo la venatura di pirite, scendendo sempre più in basso finché non sfociarono in un'altra vasta caverna, non larga e lunga come la precedente, ma più alta, illuminata da un'unica apertura nella volta. Un grattacielo di Manhattan non avrebbe raggiunto il soffitto. «Guardate», disse Hackett. Ross mise a fuoco il punto che l'inglese stava indicando e gli balzò il cuore in gola. A pochi, metri da dove si trovavano, seminascosto dalle pietre, corroso ma ancora riconoscibile, c'era un elmo di metallo dello stesso tipo ogivale usato dai conquistadores spagnoli. A fianco c'era un calice di peltro, immutato dal passare del tempo, tranne per un'ammaccatura. «Saranno della spedizione originale di Falcon?» esclamò Zeb. «E di chi altri?» disse Ross, mentre Hackett raccoglieva il calice, lo sfregava e lo infilava nello zaino. Il caldo era ormai asfissiante e Ross vide una rampa di scalini in pomice nera che conduceva oltre un abisso sul cui fondo scorreva un fiume ardente di lava fusa: il fiume di fuoco menzionato nel Voynich. Oltre la passerella c'era una reticolo poco accogliente di caverne umide e buie. Erano sulla soglia del giardino e, per la prima volta dall'inizio di quell'avventura, Ross si concesse di credere, di credere sul serio, che Falcon e suor Chantal avessero detto la verità. Che fosse possibile trovare qualcosa di straordinario e prodigioso in grado di salvare Lauren. «Sono gli ultimi ostacoli», spiegò suor Chantal. «Oltre il fiume di fuoco, ci sono caverne che stillano pioggia corrosiva e gas velenosi. In ogni caso, se seguiamo la vena d'oro, raggiungeremo il giardino.» Rimase un attimo in silenzio. «Ricordate il giuramento. Non dite a nessuno di questo posto e non portate via nulla.» Li passò in rassegna a uno a uno, ripartendo solo quando tutti dimostrarono di aver capito. Hackett non aveva una bella cera. Posò lo sguardo sugli scarponi e sui pantaloni insozzati. «Montagne di guano, scarafaggi, fiumi di fuoco, piogge corrosive, gas velenosi. Spero che ne valga la pena. Buon Dio, è come in una vecchia storia di avventura.» Ross inforcò gli occhiali da sole. «C'è solo un modo per scoprirlo.» Indi-
cò la passerella. «Io ho intenzione di attraversare. Tratterrò il fiato, mi coprirò la pelle e gli occhi e correrò verso quelle grotte tenendo dietro alla vena di pirite dall'altra parte. Quando mi seguirete, non dovrete inspirare l'aria, né lasciare che il liquido che stilla dal soffitto vi cada sulla pelle o sugli occhi. Praticamente è acido solforico concentrato.» Si tirò addosso l'impermeabile e alzò il cappuccio, lasciando esposta meno pelle possibile, poi s'incamminò sulla passerella. Si rivolse a suor Chantal e Zeb. «Voi siete pronte?» Suor Chantal sorrise. «Pronta.» «Tu?» Zeb annuì, gli occhi brillanti. «Sì.» Mendoza si fece avanti per unirsi al gruppo, ma Hackett indietreggiò. Il cuore di Ross batteva all'impazzata. Non ricordava l'ultima volta che si era sentito così eccitato. Si rese conto che non era più solo questione di salvare Lauren e il bambino. La passione per la geologia, da lungo soffocata dall'industria petrolifera, si era ridestata dal letargo. «Nigel, cosa aspetti? Vuoi o no scoprire cos'ha spinto un religioso a comporre il manoscritto più misterioso al mondo? Vuoi vedere un posto più stupefacente e fantastico del tuo prezioso Eldorado?» Si girò e iniziò ad attraversare la passerella, sentendo il calore diffondersi dalla lava sottostante come da un forno aperto. «Se è così, seguimi.» PARTE TERZA IL GIARDINO DI DIO 50 Dopo aver attraversato la passerella, Ross si guardò alle spalle per controllare che gli altri lo stessero seguendo. Poi accese la torcia, inspirò un'ultima boccata d'aria pungente, prese la mano di suor Chantal nella sua e condusse lei e Zeb nelle caverne buie. Persino dietro le lenti da sole, l'aria solforosa gli faceva lacrimare gli occhi. Una goccia di acido gli cadde sul dorso della mano destra e lui sentì un forte bruciore prima di pulirsi con la manica. Era la pioggia caustica descritta nel Voynich. Quella e l'odore tossico dello zolfo - la sostanza associata al demonio - avevano spinto Orlando Falcon a temere di aver varcato la soglia degli inferi. In quel momento Ross lo capiva bene. Trattenendo il respiro, si guardò intorno nel sistema a nido d'ape di ca-
verne e gallerie sotterranee. Dato il calore che emanava dalla terra e il fiume di lava alle loro spalle, intuì che sotto la roccia doveva scorrere del magma. Come nella caverna di Villa Luz nel Sud del Messico e nelle sorgenti idrotermali sul fondale dell'oceano Atlantico, sembrava di essere tornati indietro di miliardi di anni, quando la giovane Terra era un'incubatrice tossica per gran parte degli esseri primitivi. Ma persino in quell'inferno c'era la vita: vedeva piccoli estremofili trovare nutrimento sulle pareti solforose. Seguendo la vena metallica lungo la parete, trascinava suor Chantal e Zeb per quel dedalo di gallerie da così tanto tempo che ebbe paura di perdersi in quel labirinto venefico e di non riuscire più a trovare una via d'uscita prima di dover riprendere fiato. Poi il filone di pirite s'interruppe. In modo inaspettato. Di fronte a sé nel fascio di luce della torcia non c'era che solida roccia. Un vicolo cieco. Non aveva mai visto suor Chantal stare così male. Aveva il viso pallido e gli occhi arrossati dallo zolfo. Era sul punto di morire. Nonostante la temperatura infuocata, si sentì gelare. Sarebbero morti tutti lì? Poi suor Chantal sorrise. Afferrò le torce di Ross e di Zeb e le spense insieme con la sua. Nell'oscurità improvvisa, lui si lasciò quasi sopraffare dal panico. Poi una mano gli afferrò il braccio, facendolo voltare. Nel buio più assoluto, riconobbe una flebile linea di luce lungo il lato destro di una parete all'apparenza chiusa. Si avvicinò e vide che in realtà si trattava di due pareti distinte, parallele l'una all'altra, separate da un sottile spazio che permetteva il passaggio. Introducendosi nel varco, verso la luce, si trovò in uno stretto corridoio curvilineo che si allargava gradualmente fino a sfociare ai raggi abbacinanti del sole. Inalò l'aria fresca come un neonato. Quando gli occhi si abituarono alla luce si accorse di trovarsi in un posto mai visto prima. Laddove l'aria delle caverne era irrespirabile, adesso era dolce, fresca e profumata. Se le grotte tossiche erano l'inferno, quello era il paradiso terrestre. Si rivolse a suor Chantal, ma, prima che potesse dire qualcosa, lei annuì. «Sì», annunciò, il volto stanco trasfigurato in un sorriso quasi estatico. «È questo. È il giardino.» Ross si trovava a un'estremità di un profondo bacino di forma ellittica, lungo più di un chilometro e largo centinaia di metri, completamente racchiuso da un imbuto di roccia così profondo che i raggi del sole riuscivano a malapena a penetrare sul terreno lussureggiante. Ross si sentiva come in
mezzo a un enorme occhio, la cui pupilla era costituita da un lago perfettamente circolare al centro del giardino. Al capo opposto dell'occhio, dove il terreno era più alto, scorse un'altra grotta. Da lì zampillava un ruscello che andava ad alimentare il rotondo laghetto cristallino. L'acqua chiara aveva un bagliore verde, attinico, come se vi nuotassero dentro sciami di lucciole. L'interno buio delle caverne dall'altra parte effondeva la stessa luminescenza. Intorno al lago crescevano graminacee, alberi e piante esotici diversi da quelli visti nel tratto di foresta che avevano attraversato. Diversi da qualsiasi cosa avessero visto in natura prima di allora. «Guarda, Ross, guarda.» Zeb aveva aperto una delle pagine fotocopiate del Voynich e ne indicava le illustrazioni. Poi additò gli alberi, i fiori e le piante intorno a sé. «Sono proprio come nel libro. E anche le descrizioni di questo posto corrispondono.» Puntò il dito verso la caverna più lontana. «Quella deve condurre alle grotte proibite di cui scrive Falcon. Dove vivono le ninfe.» E dove morirono i conquistadores, pensò Ross. A sinistra, alla base del crinale, vide una pila di rocce perfettamente sferiche e altre sfere in corso di formazione emergere dalla stessa parete. Gli rammentarono le rocce tondeggianti di Moeraki, sull'Isola del Sud della Nuova Zelanda. Ma furono le piante e l'acqua fosforescente a sedurlo. E l'aria. Aveva una sottile fragranza, un sapore: una miscela deliziosa di note floreali, vanigliate e agrumate che erano dolci senza stuccare. Gli altri stavano a bocca aperta, altrettanto rapiti, i sensi sovreccitati. Suor Chantal s'inginocchiò presso il laghetto, mise le mani a coppa e bevve avidamente. Il suo viso irraggiava gioia e sollievo. Se fosse stata un gatto, avrebbe fatto le fusa. Ross notò che l'acqua nelle sue mani conteneva microparticelle iridescenti, simili a quelle che aveva intravisto nella sacca di cuoio la prima volta che si erano incontrati. D'un tratto uno strano suono riempì l'aria, simile al canto di un coro. Non si distinguevano parole o frasi, era solo una serie di note perfette quasi in modo meccanico. Bella ma senz'anima, quella melodia sconcertante proveniva dalle caverne proibite all'estremità del giardino e faceva accapponare la pelle. Il suono cessò improvvisamente com'era iniziato. «Cos'era?» Ross s'incamminò verso le caverne quando sentì la mano di suor Chantal sul braccio. «Aspetta. Nessuno deve entrare nelle grotte all'altro capo del giardino.
Non senza di me.» Hackett socchiuse gli occhi, nella speranza di migliorare la sua vista difettosa a mettere a fuoco quel posto. «Perché?» «Perché io sono la Guardiana.» «La cosa?» intervenne Mendoza. Ross scosse la testa con stanchezza. «Fate come dice.» «Che posto è questo?» chiese Hackett. Suor Chantal si portò un dito alla bocca. «Basta con le domande. Presto scenderà il buio.» Si chinò sulla sponda del lago, riempì le mani a coppa di acqua fosforescente e la offrì a tutti. «Bevete dal ruscello e dal lago. Mangiate i frutti dagli alberi e fate un bel riposo. È possibile che vediate delle creature, ma sono innocue. Solo non entrate nelle grotte. Domani tutto vi sarà più chiaro.» Sorrise a Ross. «Molto più chiaro.» Si voltò e si allontanò da loro verso una zona rialzata dove si trovava un ordinato cumulo di sassi. Ross aveva disperatamente bisogno di farle altre domande. Ma sapeva che era meglio non disturbarla. Imitando gli altri, s'inginocchiò e bevve dal lago. L'acqua aveva un netto retrogusto di sodio che gli ricordava una marca di acqua minerale francese che non gli era mai piaciuta: la Badoit. Mangiò strani frutti colti dall'albero il cui sapore era molto più piacevole. I gusti erano familiari ma difficili da individuare, come quelli dei succhi di frutta mista. In un pomo, delle dimensioni di una mela, gli sembrò di cogliere l'aroma di melograno, frutto della passione e ciliegia. Quando il crepuscolo chiuse la palpebra del giardino, si rese conto della propria stanchezza, emotiva e fisica. Non si prese il disturbo di sistemare l'amaca e la zanzariera. Srotolò il sacco a pelo sull'erba soffice e si distese. Gli altri fecero lo stesso, come se avessero capito solo allora che non si trovavano più in una foresta ostile ma in un ameno giardino. Al sicuro. Prima di chiudere gli occhi, guardò un'ultima volta nel lago oscuro, calmo e vide infinite stelle riflesse nell'acqua. Poi alzò gli occhi e notò che il cielo notturno era coperto di nubi. Guardando di nuovo il lago, si accorse che i puntini luminosi erano in realtà frammenti di cristallo che giacevano sul fondo delle profonde acque limpide la cui lucentezza risaltava nel buio della notte. Quel fenomeno bellissimo riempì la sua mente sfinita di ulteriori domande. Poi per fortuna il sonno ebbe la meglio e ogni domanda svanì. Suor Chantal non aveva mai dormito meglio. Raggomitolata a fianco di quella montagnola di sassi, lontana dagli altri, sognò di essere libera.
Sciolta dal suo voto. Ricompensata per il suo sacrificio. Ricongiunta a colui che aveva perduto. Si svegliò una sola volta nel cuore della notte e verso il lago. Mentre beveva, indulse nella vanità per la prima volta da quando aveva espresso il suo giuramento ed esaminò il proprio riflesso sull'acqua. Quello che vide la rattristò. Un tempo il volto che l'acqua le aveva restituito era giovane, bello e pieno di speranza, adesso era vecchio e segnato dal tempo. Gli sarebbe importato ancora del suo aspetto? Quel pensiero la fece sorridere e la gioia penetrò attraverso la tristezza. L'attesa era stata lunga, ma il peggio era passato. Tra non molto avrebbe potuto affidare il fardello a qualcun altro e congiungersi a lui. Sospirò, il suo desiderio non era mai stato così forte. «Presto», sussurrò, mentre si alzava e tornava al sacco a pelo. «Presto.» 51 Osvaldo Mendoza fu il primo a svegliarsi il mattino seguente. Si tirò in piedi barcollando e s'incamminò verso un angolo del giardino nascosto dai cespugli. Prima di aprire la patta per fare pipì, si rese conto che il costante dolore alla testa era cessato. Ma, quando finì di urinare e abbassò lo sguardo, vide qualcosa di prodigioso. Qualcosa che lo lasciò di sasso per più di un minuto, in trance. Poi cadde in ginocchio e si mise a pregare. Ross si destò nel bel mezzo di un sogno di cui ricordava solo che riguardava Lauren e che si era sentito bene per la prima volta dopo settimane. Non voleva svegliarsi, ma non aveva altra scelta. Hackett era chino su di lui e lo scrollava. «Svegliati.» «Perché? Che succede?» «Devi vedere questo posto. È meraviglioso. Incredibile.» Ross mugolò e si arrotolò nel sacco a pelo. Come mai quell'inglese taciturno si era fatto prendere dall'entusiasmo proprio quando stava facendo il più bel sogno della sua vita? «Lo so che è straordinario. Sono qui. Lo vedo.» «Ma, Ross, anch'io lo vedo.» «Nigel, di che cavolo stai parlando?» «Dammi la mano.» Hackett gli afferrò il polso fratturato, ma Ross lo ritrasse istintivamente. «Fidati.»
Cosciente che non gli avrebbe dato pace, gli porse la mano e il dottore iniziò a sciogliere le bende. «Come sta?» «Bene.» Hackett gli strizzò il polso. «E ora?» «Come ti ho già detto, bene. Ora lasciami in pace.» «Non dovrebbe essere così. Quello che ti ho appena fatto avrebbe dovuto farti urlare dal dolore... Se avessi ancora il polso rotto.» Ross si alzò e si guardò la mano. Il gonfiore era sparito. Stava bene. Nessuna rigidità né dolore. Niente di niente. «Magari non era nemmeno rotto.» «Balle. Era una frattura da manuale ed è guarita, mesi prima del previsto. Non sei il solo. È dall'infanzia che sono miope come una talpa. Ora ci vedo perfettamente. Sono guarito nel corso della notte. Dieci decimi per occhio. E non ho ancora usato questi da quando siamo qui.» Estrasse l'inalatore e gli antistaminici dalla tasca. Poi alzò il naso e riempì d'aria i polmoni. «Ascolta. E ficcatelo bene in testa. Con tutti questi fiori in giro, la mia allergia avrebbe fatto i salti di gioia, ma non ho mai avuto il petto e il setto nasale tanto liberi.» Hackett indicò Mendoza, seduto presso le sponde del lago, a gambe incrociate, occhi chiusi e mani unite in preghiera. Ross credette di vedere lacrime sul suo volto. «Osvaldo ha avuto una specie di esperienza spirituale. Continua a farsi il segno della croce e a ringraziare. È da Iquitos che quell'uomo ha un mal di testa atroce e mastica antidolorifici come fossero caramelle. Non comuni aspirine, ma codeina somministrabile solo su ricetta, un oppiaceo della stessa famiglia della morfina. Tutte le volte che glielo chiedevo, continuava a dirmi che stava bene, ma quel tipo ha passato dei brutti quarti d'ora. Stamani mi sono alzato e l'ho trovato a piangere. Figurati, un uomo come lui che piange. Quando gli ho domandato cosa c'era che non andava, mi ha risposto che era tutto a posto. Stava bene. Davvero bene. Continua a chiamarlo 'miracolo'.» Hackett percorse il giardino per tutta la sua ampiezza con un gesto della mano. «Ci deve esser qualcosa nell'acqua che abbiamo bevuto o nei frutti che abbiamo mangiato.» D'un tratto si accigliò. «Oddio, se solo Juarez ce l'avesse fatta ad arrivare fin qui. Questo posto è incredibile.» Allungò la mano per afferrare lo zaino. «Anche questo è alquanto sorprendente.» Prese il calice di peltro che aveva raccolto il giorno prima e lo passò a Ross. «Guarda dentro.» «Vedo un orologio.» «È il mio. Ce l'ho lasciato dentro ieri sera. Controllalo.»
Ross esaminò il quadrante e notò che la lancetta dei secondi si muoveva. Era lenta e imprecisa, ma funzionava. «Ora toglilo dal calice», disse Hackett. Ross estrasse l'orologio e la lancetta si fermò improvvisamente. Lo rimise nel calice e ripartì. «Non lo trovi strano?» chiese Hackett. Ross si tolse il Tag Heuer e lo mise nel bicchiere. La lancetta dei secondi tornò pigramente a muoversi. Esaminò il calice. «Il peltro vecchio come questo ha un alto contenuto di stagno e piombo. Sono dell'idea che l'alta permeabilità magnetica dello stagno e le proprietà antiradioattive del piombo forniscano una protezione all'orologio dalle forze che lo hanno fermato.» Mentre Ross indossava l'orologio, piegò il polso rotto. Niente. Nemmeno l'ombra del dolore straziante che aveva provato il giorno precedente dopo aver tirato fuori Mendoza dal guano. Ricordò il passo del Voynich: i conquistadores giunti fin lì con le ossa rotte erano guariti. Si sentì percorrere da un brivido. Zeb gli si avvicinò. Era a piedi nudi e indossava i jeans e una maglietta che proclamava ANCHE GAIA HA DEI SENTIMENTI lungo i piccoli seni. Aveva i capelli rossi scompigliati e il viso impastato dal sonno, ma, a parte quello, era riposata e fresca come una rosa. «I miei occhi hanno qualcosa che non va», osservò, sbattendo le palpebre dietro le spesse lenti. «Non è vero.» Hackett allungò le mani per toglierle gli occhiali. «Non ne hai più bisogno.» La ragazza sbarrò gli occhi. «È incredibile!» «Giusto», convenne Hackett, scoppiando a ridere. «Puoi giurarci.» Ross li lasciò a stupirsi della loro vista perfetta e andò a lavarsi il viso. Esaminò le particelle nell'acqua, ma erano troppo piccole per suggerirgli alcunché. Poi scrutò in profondità le acque limpide del lago, cercando d'individuare i cristalli che aveva intravisto di notte. Alla luce del sole, tuttavia, i frammenti fosforescenti erano invisibili in quell'acqua così profonda. Si rimise in piedi e passeggiò per il giardino. Vide una piccola lucertola, lunga trenta centimetri, zampettare verso un boschetto. La sua aria vagamente familiare gli ricordò un disegno del Voynich di quello che aveva creduto essere un drago feroce. Sorrise pensando a quanto le proporzioni potessero ingannare. Alle prime luci dell'alba, il giardino sembrava ancor più magico che immerso nella luce del tardo pomeriggio. C'era una fresca umidità nell'aria
e una leggera foschia sospesa sul lago velava in parte la caverna lontana e il ruscello che ne sgorgava. Alzò lo sguardo al cielo e intuì che i raggi del sole, allorché avessero toccato il suolo del giardino, avrebbero dissipato la nebbia. Guardò Zeb e Hackett raggiungere Mendoza e sedersi al suo fianco per godere della meraviglia e dello stupore che il giardino ispirava. Ross non si unì a loro. Non sentiva il bisogno di alimentare né la meraviglia, né lo stupore. Aveva bisogno di risposte. Passeggiò per il giardino, perlustrandone le pareti rocciose. La pietra non era morbida come la comune arenaria di quei luoghi. Era più dura e impermeabile, quasi sicuramente vulcanica. Ipotizzò che formasse una conca entro cui si era sviluppato il giardino, circondata dal magma, un anello di fuoco che lo sigillava dal mondo esterno. Ma non era sempre stato chiuso. Se la sua teoria era esatta, allora c'era stato un tempo, miliardi di anni prima, in cui quel posto aveva riversato la sua forza vitale in un pianeta allora sterile, gettando i semi di ciò che sarebbe venuto. Poi il cerchio di fuoco si era richiuso, la conca di roccia vulcanica si era raffreddata e indurita sigillando tutto ciò che si trovava al suo interno. L'ultima piccola fuoriuscita era stata tappata solo da un migliaio di anni, quando la fonte della città perduta si era prosciugata. Scosse la testa meravigliato. Mentre si aggirava intorno al perimetro, vide enormi girasoli ovali e fiori bulbosi simili a carciofi che gli ricordarono le protee del Sudafrica. Vide piccole creature somiglianti a cani scorrazzare nel sottobosco e insetti dalla forma strana. Erano tutti ravvisabili nel Voynich. Immaginò Orlando Falcon seduto nella sua cella, a rievocare mentalmente i passi che Ross stava compiendo, a disegnare le illustrazioni sul manoscritto. Quello che lo colpì di più fu la differenza, e la somiglianza, col mondo esterno. Benché le piante e gli animali di quel bacino si fossero evoluti in modo indipendente, avevano sviluppato le stesse soluzioni: petali, semi, occhi, zampe. Non aveva ancora visto nulla di totalmente alieno. Soprattutto considerando la fauna e la flora che aveva incontrato nel suo viaggio attraverso l'Amazzonia. Si voltò verso il cumulo di pietre dove dormiva suor Chantal, ma non la vide. Poi la scorse in piedi sulla riva del ruscello all'altra estremità del lago, vicina all'entrata delle grotte proibite. Suor Chantal sembrava diversa. Indossava i sandali, una camicia e una gonna bianche e i capelli sciolti le ricadevano sulle spalle. La luce del mattino le conferiva un'aura eterea e la faceva apparire più giovane e forte. Le
rughe non erano scomparse e i capelli erano ancora striati di bianco, ma la contusione sulla testa e le ferite superficiali provocate dal giaguaro non c'erano più. Inoltre, la stanchezza aveva abbandonato i suoi occhi e la pelle traslucida aveva una luminosità radiosa. Sulla spalla sinistra aveva a tracolla una borsa simile a una cartella da scolaretta. Nel vederlo avvicinare, gli sorrise, allungò la mano e gli afferrò il braccio. «Il polso. Sembra migliorato.» Ross se lo strinse con l'altra mano. «È guarito. Era di questo che volevo parlarle. Di Lauren.» «Vieni, ti spiego un paio di cose...» Suor Chantal indicò il ruscello e il lago. «Come avrai scoperto, l'acqua e tutti i frutti delle piante del giardino non hanno solo l'effetto di riequilibrare e rinfrescare il nostro corpo, ma anche di guarire ogni malanno.» Ross posò lo sguardo sul polso e poi pensò a Lauren. «Guarire qualsiasi malanno?» «Quasi tutti, a quanto pare.» L'anziana si portò una mano al viso e sorrise tristemente. «L'unica cosa che non possono curare è la vecchiaia. Possono rallentare, persino arrestare il processo di invecchiamento, ma non invertirlo.» «È in grado di curare Lauren?» «Ma certo. Altrimenti perché ti avrei portato qui?» Lo affermò con tale convinzione e perentorietà che Ross trattenne a stento le lacrime. «Allora cosa devo fare? Prendere una bottiglia di acqua del lago e portargliela, della frutta, o cosa?» «Ci ho provato una volta, ma l'acqua e le piante portate via dal giardino perdono ogni potere. Nessun essere vivente di questo posto può sopravvivere all'esterno. I frutti marciscono nel giro di ore e l'acqua s'imputridisce. Non so perché. È come se tutto quello che ci circonda dipendesse talmente tanto dal giardino da morire non appena ne viene allontanato. Invece le creature come noi che si sono evolute per sopravvivere fuori da quest'orbita si rivitalizzano venendo qui. A ogni modo possiamo godere di questi benefici solo bevendo l'acqua e mangiando i frutti nel giardino.» «Allora dovrò portare Lauren fin qui...» «Niente affatto. C'è un'altra maniera.» Suor Chantal indicò l'entrata buia alle sue spalle da cui usciva il ruscello. «Vieni, te la mostro.» Lo prese per mano e lo condusse nelle caverne proibite. 52
Mentre seguiva suor Chantal lungo il corso d'acqua, verso le grotte proibite, l'espressione di Ross dovette tradire una certa inquietudine. «Non preoccuparti, la zona pericolosa si trova più avanti.» Entrando nella grotta, la prima cosa che Ross notò fu il tenue odore: un aroma muschiato, umido, di semi di senape, come dei postumi del sesso. L'antro era alto e profondo. Il pavimento della caverna si sollevava a gradini non appena varcata la soglia e culminava in una sporgenza dietro la quale si diramava un tunnel in salita che scompariva nelle viscere della roccia circostante. Il ruscello che alimentava il lago scorreva dal tunnel verso una piccola cascata che scendeva oltre la sporgenza, dando origine a due stagni prima di proseguire per il giardino. Dentro il tunnel, lungo il torrente impetuoso, correva un sentiero largo abbastanza per due persone. Quando Ross guardò meglio vide che era fatto di cristalli sfavillanti. In effetti tutto il tunnel ne era tempestato. Ross riuscì ad avere una visione d'insieme dall'entrata perché l'interno dell'anticamera era immerso in un bagliore etereo che scaturiva dalle profondità del tunnel, amplificato dai cristalli incastonati e dai riverberi dell'acqua. Il sentiero di cristalli a fianco del ruscello irrorava una fosforescenza luminosa che costituiva una tentazione irresistibile a entrare nel tunnel e scoprire quale ne fosse la fonte. Una tentazione quasi mortale, si disse Ross, ripensando a un passo significativo della traduzione di Lauren. Benché i conquistadores non riuscirono a comunicare direttamente con le Eva, il saggio gesuita intuì che era proibito entrare nelle loro caverne. Per molte lune i soldati ripresero le forze da quel viaggio estenuante e godettero delle bellezze del giardino. Ma presto - come tutti gli uomini inattivi - divennero curiosi e avidi di conoscenza, desiderosi di scoprire cosa ci fosse nella grotta. Doveva trattarsi di qualcosa di valore, dedussero. Oro. Il saggio gesuita consigliò loro di rispettare il volere delle ospiti, ma il capitano era un uomo orgoglioso che prestava obbedienza soltanto al suo re. Quella notte i conquistadores s'inoltrarono nella caverna. Trovarono le Eva immerse in vasche alimentate dall'acqua che fluiva all'interno del tunnel soffondendo tutto di un bagliore dorato. A fianco del ruscello impetuoso, un sentiero sinuoso nella roccia s'inerpicava verso l'alto. Il tunnel sembrava tempestato di diamanti che scintillavano nella luce proveniente dall'interno. Persuasi che la Fonte dovesse essere un enorme tesoro, i con-
quistadores furono attratti nel cunicolo come falene dalla fiamma. Quando si avvicinarono, le Eva emisero un lamento acuto e bloccarono loro la strada. Il saggio religioso pregò gli uomini di non entrare. Ma i soldati spinsero da parte lui e le Eva e iniziarono a salire. Il gesuita li guardò sparire a uno a uno nel tunnel e per molti minuti non accadde nulla. Poi si udirono delle grida. E il fiume si tinse del rosso del loro sangue. Ventun uomini penetrarono nel tunnel, tutti i superstiti della spedizione. Nessuno ne uscì. Tutti i conquistadores morirono. Il saggio religioso comprese che le Eva non stavano proteggendo quello che si trovava in fondo al tunnel dall'avidità umana, ma il contrario. Dopo aver assistito agli orrori di quella notte, concluse che solo l'uomo poteva trasformare un paradiso in inferno. Quel fiume di sangue compariva anche nelle ultime pagine sfalsate del libretto di Falcon: la traduzione della sezione astrologica che Lauren non era riuscita a interpretare. Secondo quelle pagine, il tunnel conduceva a quello che Torino aveva chiamato radix e che Orlando Falcon aveva definito el origen, la Fonte. Estrasse il libretto sbrindellato dallo zaino e ne esaminò le pagine più allusive, ma a parte un riferimento particolarmente criptico a qualcosa chiamato el árbol de la vida y de la muerte, l'albero della vita e della morte, non dicevano nient'altro. Si tolse di tasca la bussola e osservò l'ago ruotare all'impazzata prima di puntare dritto verso il tunnel. «Cosa c'è esattamente lassù?» «Non lo so. Solo padre Orlando sopravvisse dopo aver visto el origen.» «Ma nel suo libretto non spiega cosa sia. Dice solo che è il potere che alimenta il giardino, che è bellissima e il sentiero che vi conduce pericoloso.» Ross era impaziente di saperne di più quando notò un movimento con la coda dell'occhio. Spostò la visuale e si accorse che il tunnel scintillante non era l'unica meraviglia di quella cavità. Nelle profondità più remote, oltre la luce abbacinante del tunnel, sagome bianche simili a fantasmi si muovevano nell'ombra. Si fece vicino e vide una creatura che lo stava fissando. Era un bipede alto circa un metro e venti con la pelle traslucida, bianca come l'alabastro. Aveva due braccia, il ventre dilatato e due rigonfiamenti sul petto, anche se non riuscì a scorgere capezzoli o seni. Il volto era rotondo con grandi occhi affascinanti, un naso
piccolo e una bocca larga. Sulla testa aveva un'escrescenza di germogli filamentosi intrecciati a fiori. Quelle creature sembravano affascinate da Ross quanto lui lo era da loro. «Padre Orlando aveva tanti meriti», disse piano suor Chantal. «Ma, come puoi vedere, non era un artista.» Ci volle un attimo a Ross per capire che si trattava di una delle ninfe del Voynich - una delle Eva di Falcon - anche se non era come lui se l'era immaginata. Aveva sentito di marinai che avevano scambiato manati per sirene e quello era il modo più scontato per spiegare il motivo per cui Orlando Falcon avesse raffigurato quelle creature come esseri umani. O, come aveva detto suor Chantal, Falcon non era un artista o, chiamandole Eva, voleva associarle alla creazione e a quel secondo Eden che aveva scoperto. La creatura era vagamente umanoide e, con la vista offuscata dalla penombra, Ross riusciva a immaginare quella forma pallida come una donna pigmea e i filamenti sulla testa come capelli lisci. Ma, in realtà, non era affatto umana. Quell'essere non era né un primate né un mammifero. A dire il vero, era difficile da classificare. Stava eretta come un umano ed era chiaramente un vertebrato, ma la pelle diafana era traslucida come quella di un anfibio e le dita di mani e piedi erano palmate. Non era nemmeno sicuro che fosse una femmina. Diversamente da altri esseri e piante del giardino, non somigliava a nulla di terrestre, tranne forse a una donna incinta nuda. A quel punto altre creature simili emersero dall'ombra, ma gli occhi di Ross erano incollati all'intricata vegetazione sul soffitto e sulle pareti in fondo alla grotta. La struttura tubiforme e tentacolare sembrava spuntare dalle rocce come folti tralci. Di una bellezza grottesca, con venature che pulsavano come vasi sanguigni, sembrava uno strano ibrido fra vegetale e animale. Gli steli tentacolari terminavano in baccelli di varie forme. Ross scorse alcune delle ninfe coricate al loro interno, mentre altre vi sedevano a cavalcioni. Sembravano avere un rapporto simbiotico l'una con l'altra. «Cosa sono quelle escrescenze tubolari?» «Come le ninfe, sono qui da quando padre Orlando scoprì il giardino. Occupano gran parte della grotta.» Suor Chantal tirò fuori la torcia dalla borsa, l'accese e lo condusse nei recessi dell'anticamera. Lo spazio era persino più profondo di quanto non sembrasse dall'entrata e sboccava in un labirinto di altri cunicoli e cavità. Mentre si avvicinavano, le ninfe si eclissavano nei tunnel o sibilavano minacciosamente. Suor Chantal sollevò il crocifisso intorno al collo e iniziò a intonare un ritornello di due note. Le
ninfe si placarono all'istante e iniziarono a imitare il suo canto. Mentre le note svanivano l'una nell'altra, all'orecchio di Ross sembrava che stessero ripetendo la parola «sal-ve». Dopo un minuto suor Chantal smise di cantare e le ninfe apparvero molto più tranquille, disposte ad accettare la loro presenza. L'anziana lasciò che il grosso crocifisso le penzolasse fuori dalla camicia, bene in vista. «Per qualche motivo le rassicura.» Nel raggio della torcia, i tentacoli tubolari sembravano essere ovunque, come le condutture di un grande palazzo. Ross seguì un fascio di grossi tentacoli scendendo giù per un passaggio sulla destra da cui fuoriuscivano folate di aria calda. Vide dinanzi a sé un bagliore rossastro. «Attento, Ross.» Fu colpito da un'ondata di calore e si fermò perché il cunicolo terminava in un profondo baratro. Oltre il bordo, a diversi metri di distanza, vide una pozza di magma eruttante. Un sottile ponte di pietra spezzato conduceva alle grotte sotterranee. «Ai tempi di padre Orlando quel ponte era più largo e integro», spiegò suor Chantal. «Lui sosteneva che fosse un'altra via d'uscita. Che conducesse dall'altra parte dell'anello che circonda questo posto.» Bisognerebbe essere disperati per imboccare quell'uscita, pensò Ross. Al confronto il percorso attraverso le grotte venefiche era una scampagnata. Suor Chantal si voltò. «Torniamo nell'anticamera. Voglio mostrarti qualcosa di davvero impressionante.» Nella prima grotta trovarono cinque delle ninfe immerse nello stagno proprio sotto la piccola cascata mentre altre si aggrovigliavano agli strani tentacoli tubolari. Assistere a quella scena era come vedere le pagine del Voynich riportate in vita.
Suor Chantal lo condusse sulla sporgenza rivolta verso il tunnel e s'inginocchiò presso il ruscello. Immerse le mani a coppa nell'acqua scrosciante, come il setaccio di un cercatore d'oro, poi le sollevò dall'acqua e ne mostrò il contenuto a Ross. «È per questo che siamo venuti. Ecco cosa può curare Lauren.» 53 La mano di suor Chantal era piena di minuscole particelle brillanti, cristalline. Più grandi di quelle microscopiche nell'acqua che aveva bevuto dal lago ma più piccole dei frammenti che aveva visto la notte prima. Mosse la mano e i cristalli emanarono i colori dell'iride. «I cristalli sono l'unica cosa che mi sono mai permessa di portare via dal giardino, ma questi sono troppo piccoli; qualsiasi potere abbiano, si dissolverà in fretta non appena varcheremo l'uscita. I cristalli devono essere di una certa dimensione per-
ché conservino la propria efficacia, diciamo una massa critica. Puoi macinarli una volta che sei fuori, ma il pezzo di partenza deve essere abbastanza grosso. Come il ghiaccio: un singolo pezzo grande mantiene meglio le proprietà di molti ma più piccoli frantumi.» «Dove posso trovarne uno? Sul fondo del lago?» «No. Quelli sono più piccoli di quanto sembri. È per via dell'effetto ingrandente dell'acqua.» Immerse di nuovo le mani nel ruscello, raccolse un grosso frammento che aveva staccato dal graticcio cristallino di cui il tunnel era tempestato e glielo porse. Ross fissò il cristallo, ipnotizzato. Era bellissimo, a tratti opaco, a tratti trasparente e brillava mentre lo rigirava tra le mani. Immaginò di poterne percepire il potere e si sentì travolgere da un'ondata di euforia. «È sicura che basterà a curare Lauren?» Lei esitò per un istante, lanciò uno sguardo su per il cunicolo, poi disse: «Sì. Ogni essere vivente che venga portato via muore entro poche ore, una volta lasciato il giardino. Ma, se lo terrai integro finché non deciderai di usarlo, il cristallo dovrebbe ritenere gran parte delle sue virtù». «Mi piacerebbe analizzarlo.» Suor Chantal fece un sorriso colpevole. «Anche se la mia preoccupazione fondamentale è quella di adempiere al mio dovere, alcuni anni fa ne ho fatto analizzare un campione in un laboratorio di Ginevra. Cercavo disperatamente di essere sollevata da questa responsabilità. Volevo farlo sintetizzare, liberare il giardino - e me stessa - da questo peso. Non svelai nulla riguardo al campione.» «Cos'ha scoperto?» «I risultati di laboratorio hanno stabilito che era stranamente radioattivo, ma non a livelli pericolosi, e che conteneva gli elementi costitutivi degli amminoacidi indispensabili alla vita - compreso il fosforo - che, a quanto so, è piuttosto raro. Ma non hanno trovato niente di anormale, nessuna traccia delle sue proprietà curative. Ne hanno fatto una copia esatta, un clone naturale identico con tutti gli ingredienti di partenza, ma non aveva nemmeno l'ombra dei poteri originali. Qualunque sia la scintilla che conferisce le proprietà terapeutiche ai singoli costituenti, come hai sperimentato tu stesso, è al di sopra delle possibilità umane.» Indicò il cristallo nella mano di Ross. «Ma questo dovrebbe funzionare. Portalo a casa, tritalo, scioglilo nell'acqua e dallo a Lauren. Io lo prendo con tè e latte condensato.» Sorrise. «Sono golosa di dolci.» «Lei ha usato questa roba?»
Afferrò il crocifisso che portava al collo. «È stata la mia ancora di salvezza. Come pensi che abbia potuto vegliare per tutto questo tempo? Per così tanti anni?» Guardandola negli occhi, indifesi per la prima volta da quando si erano conosciuti, Ross vide tutto il dolore e la solitudine messi a nudo davanti a sé. D'un tratto riconobbe l'intensità della sua devozione al giardino e la portata del suo sacrificio. Sentì un brivido lungo la schiena. «Non ci sono mai stati altri Guardiani oltre a lei, giusto?» «No. Non c'è mai stato nessun altro. Io sola. Ero io la novizia che si è presa cura di Orlando Falcon. Io la complice che ha nascosto il suo Libro di Satana. Io l'unica incaricata di raccogliere le sue proprietà, incluso il libretto, e di proteggere il giardino.» «Ma perché?» «Perché?» «Perché l'ha aiutato? Perché ha promesso di farlo?» «Perché lo amavo. Lo amavo più della Chiesa. Più della vita.» Un impercettibile cenno del capo. «Lo amavo più della morte. Quando mi ha fatto giurare di proteggere il giardino finché qualcuno non avesse decifrato il manoscritto dimostrandosi degno di ereditare il suo retaggio, non avevo idea di quanto sarebbe durata l'attesa.» Accarezzò il crocifisso. «Mi ha lasciato questa croce dicendomi che, quando il mio fardello fosse sembrato troppo pesante, vi avrei sempre trovato una salvezza.» Rimase un momento in silenzio, come perduta nei suoi pensieri. «Prima che lo mettessero al rogo, anche lui mi ha fatto una promessa.» «Cosa?» «Gli ho fatto giurare che mi avrebbe aspettato. Sai cos'ha risposto?» Le sue labbra accennarono un sorriso. «'Per te aspetterò in eterno.'» Indicò il giardino, la montagnola di pietre. «I suoi resti sono sepolti là. Ho portato le sue ceneri qui da Roma. Un giorno o l'altro, spero non troppo lontano, la nostra attesa finirà e ci ricongiungeremo.» «Era presente alla sua morte?» «Sì, l'ho visto morire.» Ross osservò il suo bel viso. «Lei ha vissuto per più di quattrocentocinquant'anni?» «Sono sopravvissuta per tutto quel tempo. Non è sempre stata vita.» «Ma è impossibile!» Suor Chantal scoppiò a ridere. Era una risata priva di umorismo. «Guardati intorno. Tastati il polso guarito. Osserva il cristallo che hai in mano. E
ora dimmi cosa è impossibile.» «Ma come ha fatto? Come si è sostentata per tutto questo tempo?» «Padre Orlando proveniva da una famiglia castigliana benestante. Quando è morto mi ha lasciato una somma considerevole che mi ha permesso di tirare avanti per alcuni anni. Poi mi sono imbattuta nella città perduta e nella piramide d'oro. Oro che ho investito, per un periodo piuttosto lungo... I soldi sono l'ultimo dei miei problemi.» Ross annuì, ricordando che nella ziggurat mancavano alcuni lingotti. «E con le autorità come ha fatto, per il passaporto, per la sua identità?» «È bastato restare una suora. Suor Chantal è un nome ufficiale. Mi è stato conferito dal mio ordine quando avevo diciassette anni. Ho scelto di tenerlo e in tutti questi anni è entrato a far parte di me. Ma nel corso della mia lunga vita ho avuto numerose identità legali, tutte prese in prestito dai bambini che ho curato negli ospizi. Quando morivano, i loro nomi sopravvivevano con me. Ho avuto diversi passaporti: francese, italiano, inglese, ma americano non ancora.» Sorrise. «La vostra nazione è ancora giovane: ha appena la metà dei miei anni.» A Ross tornarono in mente le sei date incise sull'halo, a distanza di settant'anni l'una dall'altra. «È tornata qui a intervalli regolari, per rigenerarsi e fare scorta prima di assumere una nuova identità, un'altra vita, in un'altra parte del mondo.» «Esatto. Sono invecchiata così lentamente che ho dovuto cambiare un'identità dietro l'altra per non destare sospetti. A questo punto, penso di aver vissuto sei vite diverse; sei volte settantenne. Oltre a verificare lo stato del giardino, sono tornata qui per rifornire le mie scorte di cristallo per poter continuare a vegliare. Come ti ho detto, i cristalli rallentano l'invecchiamento, ma non possono invertirne il processo. Talvolta mi sono chiesta se, restando sempre qui, avrei smesso d'invecchiare e sarei rimasta giovane per sempre. Ma avevo bisogno di andare nel mondo per compiere il mio dovere e tener fede al mio giuramento. Dovevo seguire le tracce del manoscritto di padre Orlando - mentre si spostava attraverso l'Europa, tornava in Italia e finalmente approdava in America - per scoprire se qualcuno l'avesse decifrato. E, per la mia salute mentale, dovevo vivere e fare del bene nel mondo reale.» Accarezzò il braccio di Ross. «A ogni modo, adesso sono nel mio settimo arco di vita. L'ultimo, mi auguro. Ho fatto tutto ciò che era in mio potere. Adesso hai i mezzi per rimettere in salute tua moglie. Quando tutto sarà sistemato, potrò trasmetterle l'incarico. Il mio voto sarà compiuto. Avremo entrambi quello che volevamo. Dovremmo partire doma-
ni.» «Domani?» Suor Chantal diede un colpetto sul cristallo nelle mani di Ross. «Dobbiamo portare questo a tua moglie prima possibile.» «È sicura che guarirà?» Lei esitò di nuovo, poi guardò indietro nel tunnel luminescente. «Per quanto posso esserlo, sì. Nel corso degli anni, escluse due eccezioni, ho usato i suoi poteri solo per rallentare il mio invecchiamento e rimettermi in salute, ma ho fiducia che tua moglie guarirà. Gli ultimi granelli che le ho dato hanno avuto effetto.» «Un effetto insignificante.» Suor Chantal corrugò la fronte. «Abbi fede, Ross. Questo grosso cristallo basterà.» Indicò il tunnel. «L'unico modo per garantirle la guarigione sarebbe raccogliere un campione della Fonte stessa che padre Orlando sosteneva avesse poteri illimitati. Ma raggiungerla è impossibile.» «Padre Orlando ci è riuscito.» «Ma non so come. In ogni caso non ha importanza. Il pezzo che tieni in mano è più che sufficiente per salvare Lauren e il vostro bambino che deve ancora nascere. Vieni, torniamo dagli altri. Di' loro che stiamo per ripartire.» Ross posò lo sguardo sul cristallo nella mano e pensò di doversi sentire grato. Eppure, mentre i suoi occhi ripercorrevano il tunnel, fu assalito da un dubbio martellante. 54 Hackett scosse la testa dinanzi a suor Chantal. «Sa quante spedizioni hanno inviato nelle foreste di tutto il mondo le compagnie farmaceutiche alla ricerca di piante dalle proprietà curative? Centinaia. Migliaia. Hanno fatto alcune scoperte, ma mai una vera conquista. Niente del genere. Questo posto è incredibile. Ha tutto. È un armadietto dei medicinali ben fornito. È nostro dovere condividerlo col mondo intero.» Suor Chantal fece cenno di no. «Nessun essere vivente del giardino può sopravvivere all'esterno. L'acqua, le piante, è tutto inutile nel mondo là fuori. E, cosa più importante, tutti voi avete fatto un giuramento prima di entrare. Avete promesso di non parlare mai di questo posto e di non portar via nulla.» Hackett non era soddisfatto. «Ma questo giardino è troppo straordinario
per essere tenuto segreto.» «Hai giurato, e i giuramenti vanno rispettati.» «E lo manterrò. È solo che come medico...» Suor Chantal diede in escandescenze. «Non si può rivoltare la frittata quando c'è in ballo un giuramento. O è bianco, o è nero. Non esiste una giustificazione plausibile per rompere un voto. O lo si mantiene, o lo s'infrange. Non c'è una via di mezzo. Un giuramento è eterno.» Il sole era tramontato e sedevano tutti intorno a un falò in alto sull'occhio. Avevano cenato e, sorseggiando il caffè, discutevano del posto in cui si trovavano. Ross si sentiva solidale coi principi di Hackett, ma prima, quando aveva mostrato a Zeb il cristallo nascosto nello zaino e le aveva raccontato dell'esperienza nelle grotte proibite, lei si era schierata anima e corpo dalla parte di suor Chantal. «Lauren ha tradotto il Voynich; merita di essere salvata dal giardino. In cambio, suor Chantal si aspetta che si dedichi a proteggerlo. Se Falcon e suor Chantal credono che chiunque abbia decifrato il manoscritto debba decretare il destino di questo posto, non avrebbero potuto scegliere persona migliore. E non solo: l'ultima cosa che farebbe Lauren sarebbe di rivelare al mondo l'esistenza di questo posto. Almeno non prima di sapere come il mondo ne disporrebbe.» Suor Chantal si rivolse agli altri. «Tutti voi terrete fede al giuramento.» Era più un ordine che un'affermazione. «Sì», rispose Zeb prontamente. Suor Chantal guardò Mendoza. «E tu?» L'uomo le restituì uno sguardo irremovibile. «La gente pagherebbe qualsiasi cifra pur di venire in questo posto a curarsi. Ma nella città perduta c'è oro a volontà. Manterrò la promessa.» «Ma, sorella, perché non vuole condividere col mondo questa scoperta?» supplicò Hackett. «Pensi a tutto il bene che potrebbe fare.» «A chi?» domandò Zeb. Hackett si volse verso di lei, allibito. «All'umanità, ovviamente. Questo posto può salvare delle vite.» «E chi salverà questo posto?» «Cosa intendi?» «Questo giardino è una risorsa. Non solo per l'umanità. Cosa pensi che farebbero gli uomini quando l'avessero trovato?» «Lo userebbero per combattere le malattie.» «Un giardino così piccolo per guarire tutte le persone del mondo? A chi
spetterebbe decidere chi salvare per primo? Chi dovrebbe avere la priorità prima che venga esaurito e distrutto? E cosa faremo quando il giardino sarà raso al suolo e tutte le creature che vi abitano saranno uccise, solo per prolungare le nostre vite?» «Lo conserveremo», ribatté Hackett. A quelle parole Zeb scoppiò in una risata. «L'unica cosa che l'uomo è riuscito a conservare sono le rovine; e non a caso ho usato il termine 'uomo'. Siamo delle frane a conservare le risorse vitali. Almeno finché non le abbiamo esaurite o trasformate in rovine. Solo allora, quand'è troppo tardi, ci vengono le lacrime di coccodrillo. Suor Chantal ha perfettamente ragione a voler tenere segreto questo posto.» «Ma se solo qualche industria farmaceutica potesse analizzare quello che c'è qui?» domandò Hackett. «Abbiamo visto quanto fosse importante l'acqua della fontana per la città perduta. Quell'acqua potrebbe contenere rigeneratori di cellule staminali, elettroliti, amminoacidi. Potrebbero sintetizzarli. Crearne scorte illimitate.» Zeb rise di nuovo. «Abbiamo visto pure cos'è successo alla città perduta quando la sorgente si è seccata. Anche se riuscissero a svelare il potere di questo posto, pensi che le industrie farmaceutiche - rinomati modelli di etica, moralità e altruismo - lo condividerebbero a titolo gratuito?» Hackett s'imbronciò. «Almeno lo renderebbero accessibile a tutti.» «Hai mai sentito di una compagnia farmaceutica che ha reso accessibile qualcosa - diciamo qualcosa di prezioso come questo - o addirittura l'ha regalato? Guarda cosa sta succedendo in Africa coi medicinali contro l'HIV. E anche se lo offrissero gratis pensi che sarebbe un bene? Pensaci attentamente: un mondo senza più malattie e morte, ma al suo posto una popolazione in continua crescita, bisognosa della sua dose di salute e giovinezza. Un mondo del genere manderebbe in rovina le industrie farmaceutiche nel giro di ventiquattr'ore. Dovrebbero distruggere il giardino prima che distrugga loro.» Nonostante il pessimismo rabbioso di Zeb, Ross temeva che avesse ragione. Se si fosse trattato di un'alternativa al petrolio, sapeva come avrebbe agito l'industria petrolifera: sfruttare o distruggere. Hackett stava quasi per replicare, quando suor Chantal alzò la mano, come l'arbitro di un incontro di boxe. «Non c'è niente qui che possa essere sintetizzato. Ho fatto analizzare un campione anni fa e, tranne qualche amminoacido e un certo tasso di radioattività, non è stato trovato niente. La versione sintetizzata era del tutto inservibile.»
«Non hanno trovato niente?» domandò Hackett. «Nessuno stimolatore di cellule staminali? Niente che possa spiegare come faccia a riparare la sequenza del DNA?» La religiosa scosse il capo. «Ho il presentimento che a indurre la vita in questo posto sia una forma primigenia di DNA», intervenne Ross. Hackett rifletté per un attimo. «Intendi dire che tutto questo funziona grazie a qualcosa di simile all'RNA? O persino di più primitivo?» «La forma di vita più primitiva che ci sia», rispose Ross. «Da geologo posso spiegarmi questo posto solo come una regressione al momento in cui è nata la vita sulla Terra. Potrebbe persino essere il punto in cui è iniziata la vita. Se il DNA è il sistema operativo Windows della vita, allora quello che soggiace al giardino è una specie di DOS, o di sistema operativo primordiale. È il linguaggio di programmazione alla base del DNA. La materia di cui è fatto. Non potrebbe esistere da nessun'altra parte al mondo. Ecco perché non può essere individuato in laboratorio: non è mai stato visto. Non sanno cosa cercare.» Hackett prese ad annuire. «Di primo acchito, sembra che gli organismi abbiano evoluto fenotipi diversi da quelli del mondo esterno. In piccola parte potrebbe essere per ragioni ambientali, per l'isolamento di questo posto, ma è soprattutto perché derivano direttamente da un genotipo più primitivo.» «Che diavolo di differenza c'è tra un fenotipo e un genotipo?» chiese Zeb. «Il genotipo è il patrimonio genetico di un organismo, il suo libro di istruzioni», rispose Hackett. «Un fenotipo è la sua forma fisica, il suo aspetto, determinato sia dai geni sia dall'ambiente. Per esempio, il colore di capelli, pelle e occhi è principalmente determinato dal tuo genotipo, ma si esprime nel tuo fenotipo. Il punto è che molte creature hanno sviluppato genotipi e fenotipi diversi. Il genotipo umano, per esempio, usa il proprio fenotipo per sopravvivere, facendoci desiderare di fare sesso per tramandare i nostri geni. Ma molti biologi evoluzionisti credono che i primi organismi viventi fossero così elementari da essere costituiti da un singolo fascio di istruzioni. Il genotipo corrispondeva al fenotipo. Il software era identico all'hardware. Non c'era una seconda possibilità. Se la vita qui è primordiale, come dice Ross, allora il genotipo base, le istruzioni originali per la vita, potrebbero esistere nel giardino nella loro forma primaria, qualunque sia.»
«Questo posto non può essere spiegato scientificamente», affermò Mendoza con tono solenne. «È sacro. È troppo importante per essere lasciato in pasto a scienziati e uomini d'affari. Solo la Chiesa saprà cosa è meglio per il giardino.» «Quale Chiesa?» chiese suor Chantal. Mendoza aggrondò la fronte in segno di disapprovazione. «Lei è una suora. C'è una sola Chiesa che può decidere come meglio disporre di questo posto.» Suor Chantal scosse la testa. «Un grand'uomo, un religioso, una volta disse che questo è il Giardino di Dio e io gli credo. Questo posto è sacro.» Tacque. «Troppo sacro per cadere sotto il controllo di qualsivoglia Chiesa o religione.» Emise un sospiro stanco. «Lasciate che vi spieghi com'è stato scoperto questo luogo e perché i miei amici Ross e Zeb mi hanno accompagnato fin qui.» Nei minuti che seguirono suor Chantal confidò loro di Orlando Falcon, del Voynich, di Lauren Kelly e di Torino. Hackett e Mendoza ascoltarono rapiti sino alla fine. Mendoza s'incupì. «Sorella, preferirebbe mettere il futuro del giardino nelle mani di una donna che giace priva di sensi in ospedale piuttosto che affidarlo alla Chiesa?» «Una volta che Lauren Kelly sarà guarita potrò passarle il mio fardello. Sto semplicemente ottemperando al mio voto. Né più né meno. Vi chiedo solo di rispettare il vostro.» Hackett si rivolse a Ross. «Pensi che il padre generale sia responsabile dell'incidente di tua moglie?» «Non ne ho le prove, ma non gliela farò passare liscia, soprattutto dopo quello che è successo coi banditi sul fiume.» «Ma è un alto dignitario della Chiesa cattolica», replicò Hackett. Ross spinse lo sguardo sul giardino buio. «Immagino che desiderino questo posto a tutti i costi.» «Allora quando partiamo?» chiese Zeb. «Domani. Prima torneremo alla città perduta.» Suor Chantal guardò prima Hackett, poi Mendoza. «Per il vostro oro. Poi Ross, Zeb e io ce ne torneremo in America.» Hackett mise una mano sulla spalla di Ross e, con malinconia, disse: «Avremo anche perduto Juarez, ma sembra che il nostro viaggio nella foresta non sia stato del tutto vano. Abbiamo trovato tutti quello che stavamo cercando». Ross annuì. «Sì, credo di sì.» Ma, nel pronunciare quelle parole, guardò
dietro di sé le grotte proibite e ripensò alla luce sprigionata dal fiume di sangue: la Fonte. Ormai era chiaro che il giardino e le sue insolite forme di vita erano solo manifestazioni fisiche dei poteri miracolosi che lo avevano attratto sin lì. La vera origine del giardino miracoloso, e forse della vita stessa, quello che Hackett aveva chiamato il «genotipo base». E quando tornò con la mente al suo potere e al suo desiderio viscerale di assicurare la guarigione a Lauren, dedusse che, nonostante il cristallo nello zaino, non aveva proprio tutto quello per cui era arrivato sin lì. Almeno non ancora. 55 Il mattino seguente Ross si svegliò presto e, mentre gli altri ancora dormivano, sgattaiolò nelle caverne proibite. Non era sicuro al cento per cento di cosa sperasse di ottenere, solo di dover esplorare quelle caverne un'ultima volta prima di partire. Quando entrò, si chiese a che periodo risalissero. Pensò che la datazione radiometrica le avrebbe collocate, più o meno, intorno agli albori della creazione. Nella penombra vide due figure bianche nell'acqua che raccoglievano frammenti di roccia cristallina e li masticavano con piccoli denti incredibilmente aguzzi. Mentre le ninfe rosicchiavano il cristallo, la loro candida pelle traslucida sembrava pulsare nell'oscurità. Non appena lo videro, smisero di masticare ed emisero un canto. Le loro voci riempirono la cavità dando vita a un crescendo prima d'interrompersi bruscamente. Non si mossero, ma rimasero a fissarlo. Allora Ross imitò la loro melodia. Nota per nota. Aprirono di nuovo la bocca. Stavolta intonarono una sequenza complessa di note più acute. Di nuovo Ross riuscì a imitarla. Intonazione perfetta. Una delle ninfe gli si avvicinò. Aveva dei fiori rossi nei capelli frondosi. Allargò la bocca e ne uscì un chiacchiericcio, simile a una risata. Da così vicino quella creatura era sconcertante. Gli enormi occhi gli ricordavano un cartone animato della Disney, ma quando Ross vi diresse il suo sguardo non scorse nessuna emozione, nessun legame. La bocca, piena di denti aguzzi da predatore, confermava la sua natura non umana. Eppure, quando copiava i suoi suoni, sembrava reagire. Si chiese se Orlando Falcon, il geniale linguista e comunicatore, non avesse fatto qualcosa di simile, tutti quei secoli prima. Che avesse stretto un legame con quelle creature, specialmente dopo che i conquistadores erano stati uccisi? Erano forse la sua
unica compagnia mentre era bloccato in quel paradiso strano e pericoloso? E se l'intima vicinanza e la dipendenza da quelle creature avesse fatto nascere in lui il desiderio di antropomorfizzarle e chiamarle Eva? Magari era arrivato a vederle come una versione più semplice, innocente dell'umanità che ricordava un tempo prima della Caduta, il tempo dell'Eden? Ross fece un esperimento. Creò una nuova melodia. Non appena intonò la prima nota, però, si rese conto che non era affatto originale. Stava canticchiando la musichetta degli alieni di Incontri ravvicinati del terzo tipo di Spielberg. Ma, quando ebbe terminato, le ninfe lo copiarono subito. Alla perfezione. Provò con un'altra musica: la colonna sonora di James Bond. Ancora una volta le ninfe la riprodussero senza errori. A quel punto iniziarono a uscire allo scoperto, tutte intente ad assistere al gioco. Aspettò e la sua nuova amica, la ninfa coi fiori rossi in testa, fece un'altra serie di suoni. Diversamente dai motivetti di Ross, le note della ninfa sembravano casuali, senza una melodia o un'aria riconoscibile, o una differenza tra prosa e poesia. Ciononostante copiò la sequenza e tutte le ninfe ripresero le loro risatine. Aveva appena cominciato ad accennare la melodia della Pantera Rosa quando un grido coprì la sua voce. Durò pochi secondi, ma quel suono penetrante gli fece accapponare la pelle. Le ninfe tacquero e si diressero a una a una verso il fondo della caverna. Ross guardò nella loro direzione. Nell'ombra, in mezzo a un groviglio di gambi tubolari, vide uno dei baccelli aprirsi per rivelare una ninfa dal ventre enorme. Tra le sue gambe divaricate, raggomitolata in posizione fetale, c'era un'altra ninfa, di colore più grigio ma non molto più piccola della madre, sempre che lo fosse. La «bambina» si muoveva e tre delle ninfe che stavano assistendo alla scena la sollevarono dal baccello e la immersero in una delle pozze dove si misero a triturare coi denti i frammenti di cristallo e a rigurgitarli nella bocca della neonata. Nel deglutire la loro offerta, la pelle grigio spento della piccola assunse il bianco raggiante delle altre. Altre quattro ninfe si avvicinarono al baccello per sollevare la madre. Anche il suo colore stava cambiando, si stava scurendo, come quello di un pesce morto che perde la sua freschezza. L'odore muschiato di semi di senape che aveva percepito il giorno prima si era fatto più intenso. La creatura sembrava lottare tra la vita e la morte, ma le altre ninfe non fecero nessun tentativo per rianimarla nella vasca, come stavano facendo con la piccola. La sollevarono invece sopra le loro spalle e la trasportarono verso l'ingresso al fiume di sangue, dove si fermarono.
Altre sei corsero fuori dalla caverna e tornarono cariche di frutti e piante. Seguì un momento di quiete mentre formavano una processione dietro il quartetto che trasportava la madre. Come per un segnale invisibile, presero a cantare all'unisono. Le note formavano una melodia spezzata, ammaliante. Le ninfe imboccarono il tunnel e iniziarono a salire il sentiero a fianco del ruscello impetuoso. Ross si guardò intorno. Le altre ninfe erano occupate con la neonata. Esitò un momento, il cuore in gola, tastando il cristallo nello zaino, consapevole che avrebbe dovuto accontentarsi di ciò che aveva e andarsene via. Ma non poteva. Non ancora. Seguì la processione lungo il fiume di sangue. 56 Ross si trattenne più indietro, mantenendosi a debita distanza dalle ninfe. Il sentiero serpeggiante era umido e accidentato ma le Timberland facevano presa sui gradini tempestati di cristalli. Nel corso della salita si rese conto di due cose: che il cunicolo era alquanto lungo e che si faceva più luminoso man mano che avanzava. Calcolò di aver camminato per una quindicina di minuti quando le ninfe d'un tratto smisero di cantare. La luce era così intensa che sembrava sbiancare tutto quanto, come una nevicata sulle Alpi. Incapace di vedere senza socchiudere gli occhi, si schiacciò in un incavo della parete e inforcò gli occhiali da sole. Più i suoi occhi si abituavano alla luce, più si stupiva della roccia argentea che lo circondava. Era persino più spettacolare delle formazioni cristalline nella grande grotta di Lechugia nel Nuovo Messico. Facendo capolino dal suo anfratto notò che il cunicolo curvava più avanti e si allargava per formare una camera con una piccola cascata. Il terreno nella camera era pianeggiante, ma oltre ancora il sentiero portava a un livello superiore che proseguiva verso la luce. Su quel livello rialzato, in cima alla cascata, il tunnel si estendeva per creare, a destra del percorso principale, un'altra stanza dalle pareti bucherellate da forellini e piccole gallerie. Ogni orifizio era nero come l'inchiostro, fuori dalla portata della luce, ma guardando meglio Ross vide delle forme scure che si contorcevano al suo interno. Due puntini rossi baluginarono nell'ombra, ricordandogli gli occhi dei caimani nel fiume infestato. Si sentì percorrere da un brivido di freddo. Le ninfe si erano raccolte alla base della cascata. Le tre cariche di frutti e piante si avvicinarono al sentiero che conduceva al livello superiore. Men-
tre salivano, le altre eruppero in un canto. Stavolta era più una salmodia, una formula magica: due note ripetute all'infinito. Mentre la melodia rimbombava contro le pareti, le tre ninfe raggiunsero il ripiano più in alto e si diressero a destra, verso il centro della camera. Posizionarono i frutti e le piante sul pavimento dinanzi ai fori e, quando furono tornate dalle altre, la cantilena cessò. Nel giro di pochi secondi nella camera superiore deflagrò un'orgia convulsa di violenza inaudita. Forme nere allungate guizzarono fuori dai fori e dalle gallerie e attaccarono il cibo. Senza indugio si catapultarono all'esterno, sbranarono la frutta e le piante e si ritirarono subito nei loro nascondigli. Sferrarono subito un secondo attacco, ripetendo quella sequenza di azioni frenetiche finché non rimase più nulla. Il tutto si esaurì così in fretta da rendere difficile solo capire cosa fosse successo di preciso. Dopo che il cibo fu finito e le creature si furono ritirate nei loro orifizi, Ross le vide rimescolarsi senza posa, gli occhi rossi ben aperti. Poi le ninfe ripresero a cantare e quegli esseri s'immobilizzarono. Stavolta le quattro ninfe trasportarono la madre morente nello stesso punto in cui avevano depositato la frutta. La ninfa non si lamentò quando le altre la posarono e si ritirarono al piano inferiore. Ancora una volta, quando la nenia cessò, le creature si precipitarono fuori dai buchi come missili, senza fuoriuscire del tutto dal foro col corpo vermiforme. Stavolta la loro furia durò di più e Ross assistette orripilato mentre i neri vermi corazzati protetti dalla roccia trivellavano la loro preda, le fauci estendibili e i denti aguzzi che dilaniavano pezzi circolari di carne della ninfa prima di rientrare negli orifizi e rispingersi all'esterno. In pochi secondi la ninfa, che gridava di dolore, era stata ridotta a brandelli, crivellata da ferite sanguinanti. In poco più di un minuto, del suo corpo non restava nulla. Quando tutto fu finito, le ninfe si voltarono e ridiscesero il cunicolo, tornando a intonare la stessa melodia spezzata dell'andata. Ross si schiacciò ulteriormente nella nicchia e le guardò passare. Sembrava che persino in quel paradiso miracoloso la natura dovesse conservare un certo equilibrio, per quanto crudele. Per ogni nascita doveva esserci una morte. L'uno entrava, l'altro usciva. Non appena il canto si affievolì, Ross si arrischiò a uscire sul livello inferiore e alzò lo sguardo sul livello più in alto. Più lontano, vedeva che il tunnel conduceva alla fonte di luce. A destra c'era la camera buia, dalle pareti segnate da gallerie e forellini. Gli saltò all'occhio una sagoma aggettante che non aveva niente a che fare con le rocce cristalline. Gli ci volle
qualche secondo per vedere che si trattava di una spada. La lama era quasi in gran parte incrostata di cristalli, ma l'elsa e la guardia erano chiaramente riconoscibili. Si guardò intorno e vide, incapsulata nella roccia, una corazza crivellata di fori e un elmo a metà. Il tutto giaceva a pochi metri dai buchi neri e in quell'istante Ross intuì che appartenevano ai conquistadores sventurati che avevano percorso quel passaggio per ciò che pensavano fosse il tesoro. Ripensò ancora al brano del Voynich. Il gesuita li guardò sparire a uno a uno nel tunnel e per molti minuti non accadde nulla. Poi si udirono delle grida. E il fiume si tinse del rosso del loro sangue. Se anche si fossero tenuti sul sentiero, una volta giunti al livello superiore, i conquistadores sarebbero caduti preda dei vermi delle rocce. Le armi e le armature, invincibili contro gli incas, erano inutili contro quei predatori. Rabbrividì all'idea di ventun uomini massacrati come la ninfa. Non c'era da stupirsi che fosse stato un bagno di sangue. Alzò lo sguardo in direzione del sentiero verso la luce seducente. Diversamente dai conquistadores, Ross sapeva che non si trattava dello scintillio di un tesoro, ma di qualcosa di molto più prezioso. Gli venne in mente una famosa massima di Louis Pasteur: «Sono sul punto di risolvere alcuni misteri e il velo che li ricopre si assottiglia sempre più». L'euforia e la frustrazione gli pulsavano nelle vene. A un tiro di schioppo c'era quello che prometteva essere il Santo Graal della geologia, di tutte le scienze, l'origine della vita su questo pianeta, e una cura infallibile per Lauren. Guardò le ombre muoversi nell'oscurità, a guardia del passaggio per qualunque cosa ci fosse lassù. Era praticamente a un passo dalla scoperta più incredibile della storia - a ciò che aveva dato vita alla razza umana, anche se solo un uomo l'aveva mai vista -, una scoperta appena fuori dalla portata della sua mano. Se solo avesse avuto abbastanza tempo per escogitare un modo per superare quelle creature, come aveva fatto padre Orlando. Ross rifletté un momento poi s'inumidì le labbra secche, aprì la bocca e replicò la salmodia di due note. Immediatamente il brulichio nei fori cessò. Si ridusse al silenzio e il movimento cominciò di nuovo. Alcune delle creature si lanciarono fuori dalla parete, addentando l'aria come per un riflesso condizionato. Sembrava che il canto non solo le tranquillizzasse, ma le inducesse ad aspettare del cibo. Intonò di nuovo le note. Le creature si ritrassero nei cunicoli all'istante e rimasero immobili. Si zittì e si rimisero
in moto ancora una volta. Era così forse che padre Orlando aveva raggiunto quello che aveva battezzato el origen? Ross alzò lo sguardo verso la luce, chiedendosi a che distanza, a che altezza del tunnel si trovasse la Fonte. Si chiese anche quanto a lungo sarebbero rimasti immobili i vermi se avesse continuato a cantare e se, una volta passato quel livello, sarebbe stato al sicuro. Pensò al cristallo nello zaino. Suor Chantal era convinta che fosse sufficiente a salvare Lauren e la posta era alta per entrambi. Avrebbe dovuto accontentarsi di ciò che aveva, correre a casa senza guardarsi indietro. Eppure... Il rumore dello sparo fu ovattato, ma inconfondibile. Bang. Un secondo sparo. Poi il silenzio. Si voltò, sgomento, e si precipitò giù nell'anticamera. Chi aveva osato far fuoco nel giardino? 57 Alcuni istanti prima Per essere un bastardo della periferia di Napoli, Leonardo Torino aveva conseguito molteplici successi nella sua vita, non da meno il giorno in cui era stato proclamato Preposito generale dell'ordine che lo aveva educato. Niente, però, si avvicinava all'euforia di quel momento. Dopo essersi imbattuto nella caverna piena di guano di pipistrello e di zolfo venefico, inalò l'aria fresca, profumata, si strofinò gli occhi brucianti e li aprì. Ovunque posasse lo sguardo c'erano le piante del Voynich. Dinanzi a sé, c'era il lago circolare descritto nella testimonianza di Falcon. E, più lontano, le grotte proibite. Si sentì sopraffare da un tremore estatico. Non solo il giardino leggendario di padre Orlando esisteva davvero, ma Torino avrebbe finalmente potuto rivendicarlo per la Santa Madre Chiesa. Avrebbe salvato colei che si era presa cura di lui. Il mondo intero si sarebbe inchinato davanti alla sua maestosità e potenza e si sarebbe sottoposto a lei per la salvezza della sua anima. Gli uomini della sua scorta erano rimasti tutti a bocca aperta, stentando a credere nella visione che si presentava ai loro occhi. «Che posto è questo?» chiese Fleischer. Torino sorrise. «Questo, Feldweibel, è ciò che dobbiamo requisire per la
Santa Madre Chiesa. Questo è il Giardino di Dio.» Weber, il soldato che aveva pedinato il gruppo di Ross fino a quel punto, alzò il fucile. «Sono laggiù. A destra del lago. E ci hanno visti.» Torino si portò il binocolo agli occhi e vide un uomo e due donne a trecento metri di distanza. Una delle donne era la studentessa americana coi capelli rossi e l'altra era la religiosa, suor Chantal, ma non aveva idea di chi fosse l'uomo. Ross Kelly non era tra loro. Stavano in mezzo a una pila di zaini, pronti a partire. Era arrivato appena in tempo. «Sono armati», disse Fleischer, imbracciando il fucile. Torino vide l'uomo correre agli zaini ed estrarne un revolver e una carabina. Porse il revolver alla ragazza coi capelli rossi, prese la mira e ingiunse alle donne di mettersi dietro di lui. Il padre generale immaginò che i soldati spuntati all'improvviso in quel posto dimenticato da dio dovessero avere un'aria minacciosa. «Quali sono i vostri ordini?» chiese Fleischer. Torino prese in mano la situazione. Avrebbe potuto allentare la tensione senza problemi. Dire ai soldati di abbassare le armi, avvicinarsi alla comitiva di Ross e mostrare loro i documenti legali che gli riconoscevano il possesso del giardino. Ma poi? Non poteva lasciarli andare. Oltre ai soldati, erano le uniche persone a sapere dell'esistenza del giardino. Avrebbero sicuramente sparso la notizia. Ross Kelly non avrebbe mantenuto il segreto, non senza una cura per la moglie e la possibilità di parlare al mondo della sua scoperta geologica. Non era negli interessi del Vaticano che la notizia del giardino si diffondesse, almeno finché Torino non avesse appreso di più sui suoi poteri e deciso il modo migliore per utilizzarli. Molto meglio allora alimentare il conflitto. Usare la sua forza superiore per intimidire e tenere a bada Ross e i suoi amici. «Queste persone sono pericolose e non possiamo fidarci di loro. Dovete disarmarle. Non correte rischi. Sparate un colpo di avvertimento.» Weber fece fuoco sopra le loro teste. L'uomo non cedette di un passo e fece cenno alle donne di rifugiarsi nelle caverne proibite. Il soldato sparò un altro colpo, ma l'uomo non fuggì in preda al panico, né rispose al fuoco. Indietreggiò verso le grotte, col fucile puntato per coprire la ritirata delle donne. Weber affondò il fucile nella spalla, prese bene la mira e posizionò il dito sul grilletto. «Posso disarmarlo da qui.» Torino sollevò il binocolo e percorse con lo sguardo tutto il giardino in cerca di Ross. Non riusciva a vedere né lui, né gli altri. «No, lascialo anda-
re. Facciamoli raccogliere nelle caverne. Sarà più facile accerchiarli.» «Potrebbe essere difficile snidarli.» Torino sorrise tra sé. «Non sarà un problema, Feldweibel. Si fidi di me.» Si addentrò nel giardino e si diresse verso le grotte proibite. «Venite. Compiamo il volere di Dio.» 58 La prima cosa che Ross vide non appena uscito dal tunnel fu Mendoza acquattato presso la cascatella dell'anticamera, col fucile in spalla, pronto a sparare. «Ross, dove diavolo eri?» sibilò. Lui indicò il cunicolo. «Cercavo di scoprire cos'ha dato origine a questo posto. Non crederai mai a quello che ho visto.» Lanciò uno sguardo preoccupato alla grotta in fondo alla quale le ninfe lo osservavano protette dall'ombra. «A cosa hai sparato?» «Non sono stato io.» Mendoza puntò l'indice verso l'entrata delle caverne. «Sembra che abbiamo compagnia. Ci stavamo preparando a partire, davamo un ultimo sguardo al giardino e stavo venendo a cercarti. Poi dal nulla sono spuntati quei tizi.» Ross si accovacciò dietro un masso e sbirciò all'esterno. Zeb e suor Chantal stavano correndo verso di lui a rotta di collo, Zeb col revolver di Hackett nella mano destra. L'inglese copriva la ritirata, il fucile in spalla, ripiegando verso la spelonca. Ross si sporse in avanti per vedere chi li avesse messi in fuga, ma non ci riuscì. Si alzò, guardò in basso in direzione della sponda opposta del fiume e gli si gelò il sangue nelle vene. «Come cazzo ha fatto ad arrivare fin qui?» Il padre generale Leonardo Torino aveva un aspetto completamente diverso senza la tunica, ma Ross lo riconobbe alla prima occhiata, specialmente per la lieve zoppia. In scarponi, pantaloni di tela, camicia bianca e giacchetta smanicata, era affiancato da quattro uomini in uniforme, tutti armati fino ai denti e con enormi zaini. Avanzavano, fiduciosi che le loro prede non sarebbero fuggite. Quando Zeb e Chantal lo raggiunsero, crollarono a terra ansanti dietro il masso vicino. «Dammi la pistola», disse Ross. Zeb fu felicissima di cedergli l'arma. Sembrava spaventata, mentre suor
Chantal era verde di rabbia. Proprio quando stava per portare a termine il suo compito ed essere sollevata dalla responsabilità del giardino, tutto quello per cui aveva lottato e per cui si era sacrificata stava per finire in una bolla di sapone. Hackett entrò poco dopo col fucile ben stretto fra le mani. «È quell'infido del vostro prete?» Ross annuì. «Il padre generale Leonardo Torino.» «Cosa ci fa qui?» sibilò suor Chantal. «Come ha fatto a trovare questo posto?» «Deve averci seguito», rispose Ross. «Ma come?» domandò Hackett. «Pensavo che l'avessimo seminato quando Osvaldo ha ucciso i suoi scagnozzi sul fiume.» «Non so che dire», rispose Ross. «Che è successo? Sono apparsi dal nulla?» «Esatto, e hanno aperto il fuoco.» «Se avessero voluto ucciderti, lo avrebbero già fatto», osservò Mendoza, dalle profondità della caverna. «Volevano spingervi qua dentro. Imprigionarci tutti insieme.» Hackett diede un'occhiata alla grotta, notando il tunnel, le pozze e le evanescenti sagome candide negli anfratti più reconditi. «Non c'è un'altra via di fuga?» Indicò il fiume di sangue. «Dove porta?» «Non ti consiglio di seguirlo.» Ross ripensò al ponte sul lago di magma dietro l'anticamera e puntò il dito alle sue spalle. «C'è una possibile uscita in fondo alla caverna, ma non la raccomanderei a nessuno.» «Allora cosa facciamo?» intervenne Zeb. «Li affrontiamo?» Hackett fece una smorfia. «Quei soldati sono ben equipaggiati e a giudicare dai loro zaini hanno portato con sé un miniarsenale.» «Non possiamo lasciare che prendano possesso di questo posto», commentò suor Chantal. La voce di Torino tuonò dall'altra parte del lago. «Dottor Kelly, lei e i suoi avete violato l'altrui proprietà.» Tenne alzata una ventiquattrore. «Ho tutta la documentazione legale per rivendicare possesso su questa terra. Non vogliamo farvi nessun male, ma i miei soldati e io siamo qui per accampare i nostri diritti.» Il religioso si avvicinò alle grotte, protetto dai militari. «Uscite allo scoperto. Non avete nulla da temere.» Come no... pensò Ross. Guardando le facce arcigne e le armi degli uomini in uniforme, la via di fuga attraverso il magma assunse un certo fascino.
Mentre Torino si avvicinava, Hackett alzò il fucile e Ross posò gli occhi sulla Glock. Sembrava così piccola nel suo palmo. Era una follia. Non potevano vincere. Si sarebbero fatti uccidere e basta. Dovevano accettare la sconfitta. Dietro di sé udì Mendoza caricare il colpo e Ross ricordò come si era sbarazzato dei tre banditi del fiume. «Mettete giù le armi o sparo», ordinò Mendoza. «Sei ottimista», disse Hackett, facendo capolino dalla grotta. «E devi alzare la voce se vuoi che ti sentano.» «Non loro. Voi.» Ross si voltò per vedere Mendoza che gli puntava il fucile al petto. «Cosa?» «Non farai mica sul serio...» mormorò Hackett. «Tu che ne dici? Mettete giù le armi. Ora.» Hackett posò il fucile e Ross buttò a terra la Glock. Mendoza si fece più vicino e calciò le armi dietro di sé. «Non capisco», disse Ross. «Capirai.» Mendoza alzò la voce. «Padre generale, mi sente?» «Sei tu, Marco?» «Sì, sono tutti qui. Li tengo sotto tiro. Li faccio uscire.» «Marco?» esclamò una sbalordita Zeb. «Pensavo che il tuo nome fosse Osvaldo Mendoza.» Lui la ignorò. «Mani in alto e uscite dalla grotta.» «Hai fatto voto», gli ricordò suor Chantal, attonita. Dopo lo choc iniziale, la nausea contorse le viscere di Ross. Non riusciva a credere a quello che stava accadendo. Aveva permesso a quell'uomo, che fingeva di essere suo amico, di compromettere la sua missione, già al limite dell'impossibile, di salvare Lauren. Ora che, contro ogni pronostico, aveva trovato quello che cercava, gli veniva negato. Tutta la rabbia, la frustrazione e il dolore che aveva soppresso dalla notte dell'incidente di Lauren eruppero in lui. Non aveva mai conosciuto una tale furia. Balzò su Mendoza come uno squilibrato, mirando al fucile e cogliendolo alla sprovvista. «Cos'hai fatto?» ruggì atterrando Mendoza e lottando per strappargli l'arma. «Che cazzo hai fatto?» In preda alla rabbia, Ross non aveva idea di quanto a lungo aveva combattuto, ma, quando alla fine strappò il fucile dalle mani di Mendoza e lo puntò contro l'uomo che li aveva traditi, il suo corpo prese a tremare. Poi gli guardò la gamba destra e rimase annichilito.
Una delle gambe dei jeans di Mendoza si era arrotolata sopra gli scarponi, rivelando una ricetrasmittente attaccata al polpaccio. Ma fu la profonda cicatrice sulla caviglia destra a dare il colpo di grazia a Ross e a rivelare l'effettiva portata dell'ipocrisia di Mendoza e Torino. Ross aveva già visto quella cicatrice, attraverso una cortina di sangue la notte dell'aggressione, alcuni istanti prima che Lauren cadesse dalla balaustra e si rompesse il collo. L'intruso aveva una cicatrice identica proprio sopra la caviglia destra. Ross non aveva mai provato il desiderio di uccidere qualcuno, ma in quell'istante, guardando dall'alto verso il basso l'uomo che aveva distrutto la vita di Lauren, desiderò ammazzare Mendoza, o comunque si chiamasse quel bastardo. Mentre stava per premere il dito sul grilletto, un soldato lo prese alle spalle e lo tramortì colpendolo in testa col calcio del fucile. Ross cadde a terra, il dolore così intenso da dover strizzare gli occhi per attenuare il bianco abbacinante. Un secondo colpo trasformò il bianco in nero. 59 Il Feldweibel Fleischer e i suoi soldati trascinarono via Ross e sospinsero gli altri fuori dalle grotte proibite minacciandoli con le armi. Torino attendeva all'ingresso e sorrise all'uomo che, nelle ultime settimane, aveva usato il nome di Osvaldo Mendoza. In quel momento, nell'entusiasmo della vittoria, avvertì un genuino affetto per il fratellastro. «Bravo, Marco.» «Chi sono questi soldati, padre generale?» Torino fece un gesto liquidatorio con la mano. «Membri della guardia svizzera. Il Santo Padre li ha mandati per proteggermi nella foresta. Adesso raccontami tutto, Marco. Cos'è successo sul fiume prima di Iquitos? Mi sono un po' preoccupato quando sul satellitare ho ricevuto il tuo messaggio di avvertimento sulla boca del inferno.» «Le cose non sono andate secondo i piani. I tre uomini che avevo assoldato per spaventare la comitiva di Ross erano tenuti a fuggire al primo colpo di avvertimento. Farmi apparire come un eroe. Ma erano dilettanti e si sono fatti prendere dalla sete di denaro.» «Dalla sete di denaro?» «Il loro capo, Raul, aveva sentito Ross parlare del libro del prete e l'avevano preso per una mappa del tesoro. Lui e gli altri due hanno cercato di accaparrarselo.» Torino guardò di traverso il fratellastro. «Li hai uccisi?»
«Non avevo scelta. Raul stava per sparare alla suora e lei aveva detto che poteva essere preziosa.» Bazin fece spallucce. «Alla fine mi ha dato più credibilità agli occhi di Ross e compagnia. E poi avevo altre priorità.» Torino annuì. «E hai agito bene, Marco. Sia il trasmettitore GPS sulla barca sia quello alla caviglia hanno funzionato alla perfezione. Ho cominciato a preoccuparmi, però, quando il segnale ha iniziato a interrompersi. Uno dei soldati ha dovuto tallonarvi questi ultimi giorni. Ma dice che hai lasciato una buona pista, soprattutto nelle grotte sulfuree.» «Avete trovato la città perduta?» «Cosa? No.» Le città perdute non esercitavano nessuna attrattiva su Torino. «C'è dell'oro.» Torino scosse il capo impaziente. «Il giardino vale più dell'oro.» Lanciò un'occhiata a Ross e agli altri, accerchiati dai soldati in un'area recintata da alberi e rocce. «Cosa sai dirmi di questo posto? Cos'hai appreso?» «È incredibile. L'acqua del lago e le piante sono curative.» Bazin rimase un momento in silenzio, come sopraffatto. «Quando siamo arrivati a Iquitos ho iniziato ad avere un mal di testa lancinante. Uno dei sintomi contro cui mi avevano messo in guardia alla clinica, nel caso il cancro si fosse diffuso al cervello. Non ho mai sofferto tanto, persino sotto l'effetto di potenti antidolorifici. Avevo dolore tutti i giorni, tutto il giorno. Poi ho bevuto l'acqua e il giorno dopo il dolore è svanito. Non sono mai stato meglio. Sono sano, ne sono sicuro.» Abbassò la voce. «Persino il testicolo che mi avevano asportato i chirurghi sta ricrescendo; la cicatrice è praticamente scomparsa. È come se Dio mi avesse toccato, mi avesse purificato da tutti i miei peccati e mi avesse dato una seconda possibilità. E non solo à me.» Fece un rapido resoconto su come il giardino avesse guarito il polso rotto di Ross e corretto la vista di Hackett e Zeb Quinn. «Beva l'acqua. Mangi la frutta. Guardi lei stesso.» «Lo farò», disse Torino, smanioso di saperne di più. «Che altro?» «Parli con la suora. Sa quasi tutto di questo posto. A quanto dice, ogni forma vivente muore non appena portata fuori da qui. Persino l'acqua marcisce.» «Perde i poteri curativi fuori dal giardino?» «Così dice lei.» «Allora come avrebbe fatto Ross a curare la moglie?» «La scorsa notte ho sentito lui e Zeb parlottare insieme. Lui le ha mostrato una strana pietra che gli ha dato suor Chantal. È nel suo zaino.» Ba-
zin indicò le caverne proibite. «È da lì che l'ha presa.» Torino si addentrò nella caverna umida e il suo entusiasmo crebbe. I laghetti, la cascata e il fiume di sangue erano proprio come nel Voynich. Sbirciò nell'oscurità e vide delle sagome bianche fluttuare nell'ombra. Devono essere le Eva di cui Falcon parlava nel manoscritto e nella sua testimonianza, pensò. Proprio come temeva: per la Chiesa quel posto presentava problemi alquanto spinosi, oltre che vantaggi. Diresse lo sguardo verso il tunnel luminescente e ricordò il passo del Voynich che descriveva la morte dei conquistadores. Bazin puntò l'indice verso il tunnel. «Quando sono entrato stamani, Ross era di sopra.» Torino non dissimulò la sua sorpresa. «Era lassù? Sei sicuro?» «L'ho visto scendere. Ha detto che non avrei mai creduto a quello che aveva visto.» Gli occhi di Torino seguirono il sentiero scintillante finché non scompariva e si sentì travolgere da un'ondata di trepidazione. Si avvicinò al tunnel e osservò i cristalli che ricoprivano l'entrata. Poi s'inginocchiò e immerse la mano nel ruscello impetuoso, notando le rocce cristalline nel letto del corso d'acqua, i frammenti nelle vasche e l'acqua fosforescente che fuoriusciva dalla grotta verso il lago. «Cos'ha visto il dottor Kelly?» «Non ho avuto il tempo di chiederglielo.» Bazin si strinse nelle spalle. «Ma ha detto che stava cercando di scoprire quale fosse l'origine dei poteri prodigiosi di questo posto.» «Noi sappiamo già cosa sta alla base dei poteri miracolosi del giardino: Dio.» Torino alzò di nuovo lo sguardo al tunnel e pensò alla misteriosa radix di padre Orlando. «Ma non sarebbe male scoprire di quale strumento si stia servendo l'Altissimo. Devo parlare col dottor Ross Kelly e con questa suor Chantal. Ma prima voglio dare un'occhiata in giro e fare alcune osservazioni per conto mio.» 60 L'indomani mattina Ross si svegliò al suono della voce di Zeb. «Se abbiamo violato la loro proprietà, perché non ci buttano fuori a calci?» «Hai ragione», rispose Hackett. «Non hanno nessun diritto di trattenerci
qui.» «Il padre generale non può lasciarci andare», replicò amaramente suor Chantal. «Non prima di aver deciso cosa fare di questo posto, e di noi.» Ross aveva dormito a tratti, perdendo e riprendendo i sensi. Quando alla fine si era svegliato, il dolore penetrante alla testa era scomparso. I soldati li avevano confinati in un boschetto vicino a dov'erano sepolti i resti di padre Orlando. Gli alberi e quattro massi creavano una barriera naturale su cui i militari avevano sospeso un incerato. Li avevano distesi sul terreno muschioso all'interno di quella recinzione di fortuna, mani e piedi legati con del nastro plastificato. I soldati avevano portato del cibo e avevano permesso loro di usare le latrine che avevano scavato in un angolo del giardino, ma senza dubbio li tenevano prigionieri. La prima cosa che vide Ross non appena aperti gli occhi furono due soldati che disfacevano gli zaini e accatastavano un arsenale a fianco di ogni pensilina di incerato. «Oddio, guardate cosa si sono portati dietro», esclamò Hackett, allungando il collo per avere una visuale migliore. «Cosa sono quegli aggeggi col serbatoio di benzina?» chiese Zeb. «Penso che siano lanciafiamme», rispose Hackett. «E quei pacchi gialli? Uno dei loro zaini ne era pieno. Santo cielo, che diavolo si aspettavano di trovare? Non avranno pensato che costituissimo un pericolo!» «Non credo che le armi siano per noi», disse Ross, pensando al Voynich e a ciò che aveva ucciso i conquistadores sul fiume di sangue. Zeb si volse verso di lui. «Tutto a posto? Come va la testa?» «Tutto bene.» Ross sentiva quasi la mancanza del dolore. Lo aiutava a mettere a fuoco la rabbia e, in quel momento, la rabbia era molto meglio della disperazione. «Questo posto è sorprendente: il gonfiore e le ferite sono già scomparsi. Guarda, c'è Osvaldo, o comunque si chiami quel figlio di puttana. Sei sicuro che sia lui quello che ha aggredito Lauren?» Ross si voltò e vide Mendoza, o qualunque fosse il suo nome, uscire da una delle tre tende presso il lago. Sentì la rabbia montare di nuovo. «Sì.» «Il prete lo ha chiamato Marco, Marco Bazin», precisò Hackett. «Quel bastardo sta frugando nei nostri zaini.» Mentre Ross giaceva a terra, pensava a Lauren distesa inerme in un letto d'ospedale. Dio, quanto le mancava. Moriva dalla voglia di chiamare suo padre e di chiedergli come stessero lei e il bambino. Era arrivato a un soffio dal salvarli; aveva tenuto la loro vita tra le mani. Non gli importava più nulla della Fonte o del cunicolo proibito. Voleva solo riavere Lauren. Ve-
dere Marco Bazin recuperare la roccia cristallina e il libretto strappato di padre Orlando dallo zaino alimentò la rabbia che ardeva in lui. Aveva ancora delle difficoltà ad accettare l'ipocrisia di Torino: un cosiddetto uomo di Dio che prima gli dimostrava compassione e gli chiedeva gli appunti di sua moglie - tra tutti i posti possibili, proprio nella cappella dell'ospedale e che poi commissionava il furto che si era concluso con l'aggressione a Lauren. Nemmeno per sogno Ross avrebbe lasciato quel giardino senza l'unica cosa per cui era venuto: il mezzo per salvare la sua famiglia. Se Torino voleva la guerra, che guerra fosse. Bazin guardò nella loro direzione, s'incamminò verso di loro e sguainò un pugnale dalla cintura. «Vieni a darci un'altra pugnalata alle spalle?» fece Hackett. Bazin lo ignorò e si rivolse ai soldati. «Imbavagliateli. Il padre generale non vuole che comunichino tra loro.» Si abbassò per liberare le caviglie di Ross e di suor Chantal. «Il padre generale vuole parlare con voi due.» Li afferrò per i polsi e li tirò in piedi. «Venite.» 61 «Dimmi una cosa, Osvaldo», iniziò Ross, mentre Bazin li accompagnava da Torino. «Mi chiamo Marco.» «D'accordo, Marco, amico fidato e leale, dimmi, quanto ti paga Torino? Quanto costa un sacco di merda come te?» Il tono di Ross mandò in bestia Bazin. Lo scienziato, un ateo che non credeva in niente, non aveva diritto di credersi superiore. «Il padre generale non mi paga. Lo sto facendo per purificare la mia anima. È il volere di Dio.» «No», intervenne suor Chantal. «Questo potrà anche essere il volere del padre generale, ma non quello di Dio.» «Cosa può sapere uria traditrice della Chiesa come lei del volere di Dio?» replicò Bazin. Ross si fermò e lo fissò negli occhi. «Credi davvero che sia la cosa giusta?» Bazin lo spinse avanti, ma lui non aveva ancora finito. «Ricordati la nostra chiacchierata sul valore delle azioni. Hai detto che solo Dio e la Chiesa possono giudicare se gli atti di un uomo sono buoni o cattivi. Dimmi un po'. Come pensi che giudicherà Dio l'aver mandato in coma mia moglie?» Ross digrignò i denti con una tale veemenza che Bazin lo vide
contrarre i muscoli della mascella. «Non posso credere che Juarez sia morto per salvarti la vita. Valeva infinitamente più di te. Oddio, non posso pensare che io ti ho salvato la vita. Invece di tirarti fuori dalla merda di pipistrello dovevo lasciarti coi tuoi amichetti vermi.» Bazin ardeva dal desiderio di far capire al geologo la rettitudine dei suoi gesti. «Non dovevate essere in casa. Non intendevo far del male a tua moglie, ma il padre generale aveva bisogno dei suoi file. Lauren mi ha bloccato la strada.» «Hai proprio ragione. E gli uomini che hai ammazzato sulla barca? Quelli che hai ingaggiato e fatto fuori per unirti a noi, per spiarci? Volevi ucciderli, loro?» «No.» «Santo cielo!» esclamò Ross. «Allora spero che tu abbia intenzione di uccidere me.» Bazin sospirò con stanchezza. «No, amico, non dire così. Un tempo ero pagato per uccidere. Ed ero anche bravo. Il migliore, secondo alcuni. Ho perso il conto di quanti uomini ho eliminato, so solo che sono tutti morti.» Ross gli restituì uno sguardo duro. «Sei tu a parlare, Marco, o è il flagello di Dio? Sai, non è facile capire la differenza.» Il rifiuto del geologo di mostrargli comprensione e la sua convinzione arrogante di essere nel giusto esasperavano Bazin. Aveva avuto i suoi motivi per tradire Ross e gli altri. Dopo aver visto il giardino e aver sperimentato i suoi poteri, sapeva che era troppo importante per essere lasciato nelle mani di gente come Ross. O di persone che avevano tradito il Vaticano, come suor Chantal. Persino Hackett avrebbe lasciato che le compagnie farmaceutiche lo sfruttassero a scopo di lucro. Solo la Santa Madre Chiesa poteva e doveva catalizzare il suo potere. Solo il suo fratellastro, il papa nero, aveva la qualifica per stabilire quale ne fosse l'uso migliore. Bazin aveva la certezza di aver servito la Chiesa al meglio e che la sua redenzione fosse ormai assicurata. Mentre sospingeva Ross e la suora nell'ingresso alle grotte proibite, vide il fratellastro emergere dai meandri dell'anticamera. Il padre generale teneva una cartella nella mano destra e sorrideva. «Guardate. Non zoppico più. Questo posto è davvero prodigioso. Voglio che mi raccontiate subito tutto quello che sapete.» Sventolò la cartella verso il tunnel scintillante. «In particolar modo, voglio sapere cosa c'è lassù.» «Perché dovremmo farlo?» chiese Ross. Bazin guardò con occhio torvo lo scienziato insolente, gli mostrò il
frammento di cristallo e lo porse a Torino. «Ross, il padre generale tiene in pugno il destino di tua moglie. Se fossi in te, gli direi quello che vuole sapere.» Torino ispezionò il frammento. «Hai il libretto?» Bazin glielo passò. «È strappato, ma per gran parte è ancora leggibile. La sezione più importante di cui ha chiesto è alla fine.» «Grazie, Marco. Ti prego di attendere fuori. Se avrò bisogno, ti chiamerò.» 62 Torino non si era mai sentito così potente e padrone del proprio destino. Quando al mattino si era svegliato curato dalla zoppia, era stato come se nelle sue vene scorresse il sangue di Dio. E, in quel momento, quando aprì il libretto di Falcon e ne lesse l'ultima sezione, capì di essere vicino a oltrepassare perfino le sue mire più ambiziose. «Da quando la Chiesa cattolica ha iniziato a reclutare ladri, assassini e delinquenti?» chiese Ross. Torino alzò gli occhi dal libretto e seguì con lo sguardo il fratellastro uscire dalla grotta. «Marco si è dimostrato un servo leale della Chiesa. La prego, dottor Kelly, mettiamo da parte ogni dissapore. Non era mia intenzione far del male a sua moglie e al suo bambino e, se questa roccia è potente come dice suor Chantal, il danno può essere rimediato. Non abbiamo motivo di esserci ostili.» «Non abbiamo motivo di esserci ostili?» Ross alzò i polsi legati. «Ci tiene prigionieri!» «È solo per precauzione. Per essere sicuri che abbiate capito tutto prima che vi lasci tornare a casa.» Torino si rivolse a suor Chantal. «Sorella, nemmeno lei dovrebbe arrabbiarsi. L'originale intenzione di padre Orlando Falcon era di confidare la sua scoperta al pontefice. Credeva che solo la Santa Madre Chiesa fosse all'altezza di gestire il giardino. Suo malgrado, il Vaticano non seppe apprezzare quella scoperta, ma oggi il Santo Padre vuole accoglierla con gratitudine.» «Il papa ha ratificato tutto quello che avete fatto?» chiese suor Chantal, incredula. Torino ignorò la sua domanda. «Sorella, padre Orlando voleva che il giardino fosse in mani sicure, e così sarà. Lei ha tenuto fede al giuramento che gli aveva fatto.»
«Cosa diamine volete farne?» chiese Ross. «Trasformarlo in un parco divertimenti miracoloso? Una Lourdes dove la gente guarisce davvero? Concedendo il biglietto d'ingresso a chi si converte al cattolicesimo?» «Non può», proruppe suor Chantal con tono sprezzante. «Non può permettere che il mondo sappia di questo posto. Non si addice alla dottrina cattolica.» Torino socchiuse gli occhi. «Cosa sa o le importa della dottrina cattolica, sorella? Lei ha tradito la Santa Madre Chiesa.» «Non ho tradito nessuno», ribatté lei con livore. «Se ho imparato qualcosa nella mia lunga vita, è che la Chiesa dovrebbe servire la fede, non esserne la sua inflessibile padrona. Non ho bisogno di chiamare in causa la dottrina per Sapere che questo giardino prodigioso è un luogo di Dio. Qui tutto contraddice il giardino edenico della Bibbia e delle Scritture. Non solo è a migliaia di chilometri dalla Terra Santa, ma non è nemmeno vicino all'origine di nessun'altra religione dominante. Le creature e le piante qui dimostrano che il miracolo esiste e si evolve parallelamente all'umanità, in modo del tutto indipendente dall'uomo e dalla Chiesa di Dio. Eppure in questo luogo divino avvengono cose prodigiose. Come può essere? Ci sono forse modi alternativi per interpretare la parola di Dio, modi che si scontrano con la dottrina infallibile del papa? Padre Orlando pensava di sì. E anch'io. Non temo questi strani esseri, o le domande che sollevano sulla creazione e sull'evoluzione. Qui niente mette in dubbio la mia fede, solo la mia concezione della fede. Questo posto potrebbe perfino essere il giardino dell'Eden, per quel che ne sappiamo.» Scosse la testa e scoppiò in una risata amara. «Ma lei, padre generale, è schiavo della sua dottrina infallibile. La antepone a tutto. Preferirebbe cambiare la verità secondo la sua fede, piuttosto che il contrario.» Torino tacque per un momento. Provava solo disprezzo per quella suora. Parlava di voti, ma aveva infranto quello con la Chiesa. «Ha ragione. La Chiesa ha bisogno di agire con cautela di fronte a una scoperta del genere. Ci sono persone che potrebbero malinterpretare il giardino e le sue creature.» Fece un cenno verso le ninfe nascoste nell'ombra. «Potrebbero vederle come una confutazione delle Scritture e delle dichiarazioni del papa sull'evoluzione. E, sì, non posso permettere che faccia il gioco di chi vorrebbe distruggere la Santa Madre Chiesa che incarna le speranze e i sogni di milioni di credenti di tutto il mondo. Non mi pento di aver difeso la loro fede. Ma la verità è che non m'importa niente di questo giardino miracoloso e delle sue creature esotiche.» Indicò il tunnel. «Non quanto sapere cosa c'è
lassù.» Si rivolse a Ross e sorrise inaspettatamente. «E sospetto che sia lo stesso per lei, dottor Kelly. Come ateo e scienziato, come si spiega l'esistenza di questo giardino miracoloso? È la culla dell'evoluzione, l'origine della vita sulla Terra, un Eden scientifico? O il giardino e i suoi abitanti sono soltanto un diversivo all'attrazione principale?» Ross non fiatò. «Andiamo, dottor Kelly. Sappiamo entrambi che il giardino è un'aberrazione irrilevante, una distrazione.» Sollevò il frammento di cristallo. «Anche questo è un derivato del vero potere che sottende a questo posto.» Allungò la mano verso il tunnel luminescente e diede un colpetto sul libretto. «Padre Orlando scrisse al riguardo nella sezione del Voynich che sua moglie non è riuscita a tradurre. La chiamava el origen.» Aprì la cartellina gialla e mostrò a Ross i passi più significativi nella testimonianza all'Inquisizione. «La confessione negli Archivi dell'Inquisizione la ricorda col suo nome latino: radix. Il significato è sempre quello di Fonte. Nessuno dei due documenti spiega esplicitamente di cosa si tratti; viene invece descritta in termini filosofici e spirituali. Nel libretto Falcon menziona el árbol de la vida y de la muerte, l'albero della vita e della morte, che nella testimonianza inquisitoriale è riportato come vitae et mortis arbor. Era forse un riferimento all'albero della conoscenza della Genesi? Doveva essere preso in senso letterale o figurato? Cos'è la Fonte secondo lei, dottor Ross? Cosa pensa che troveremo in cima a quel tunnel? La fonte di ogni miracolo?» «Solo una cosa», rispose Ross. «Il più grande miracolo al mondo: la vita. E non ha niente a che fare con Dio o la religione.» Torino sorrise. «Dovremo convenire su chi o cosa stia alla base di tutto questo. Il punto è che vogliamo entrambi scoprire cos'è.» Si volse in direzione di suor Chantal. «Sorella, è ancora lassù la cosa che ha massacrato i conquistadores nel Voynich?» «Non ci sono mai stata. Nessuno c'è stato ed è sopravvissuto per raccontarlo. Tranne padre Orlando.» «Non è esattamente vero.» Torino posò lo sguardo su Ross. «Non è così, dottor Kelly? Marco l'ha vista uscire dal tunnel quando sono arrivato coi soldati.» Suor Chantal fulminò Ross con lo sguardo. «Sei andato fin lassù?» Torino sorrise. «Il dottor Kelly ha detto a Marco che non avrebbe mai creduto ai suoi occhi. Cos'ha visto, dottore? Me lo dica e, dopo aver firmato un accordo confidenziale, vi lascerò andare con la benedizione della
Chiesa.» Gli porse il cristallo. «Le lascerò persino portare con sé questo. Può salvare la sua famiglia, dottor Ross. Non è per questo che è arrivato sin qui?» «Qualunque cosa ti offra, non dirgli nulla», esclamò suor Chantal. «Il padre generale non ti lascerà andare. Non può correre il rischio che la gente sappia del giardino. Si solleverebbero troppi interrogativi e la Chiesa è troppo preziosa per essere esposta al confronto con la verità.» «Non le dia ascolto, dottor Kelly. Le ho già detto che non m'importa del giardino e delle sue creature. Solo della radix, la Fonte. Vogliamo entrambi svelarne il mistero. Mi dica cosa sa e salvi la sua famiglia.» Ross sospirò. «Quando ho sentito i soldati sparare sono tornato indietro perciò non ne ho visto la fine. Ci sono arrivato vicino, però, e c'è sicuramente qualcosa di molto potente lassù.» Con grande stupore, Torino vide il geologo cadere in ginocchio, col palmo delle mani aperto ad attutire la caduta sul pavimento di pietra. Alzò lo sguardo e giunse poi le mani in preghiera. «La prego, padre generale. Mi permetta di salvare mia moglie. È una credente. Non ho niente contro la vostra religione. Non m'importa quale significato attribuiate al giardino. Non m'interessa più nemmeno della Fonte. Solo di salvare mia moglie.» «Allora la salvi. Mi dica quello che sa e domani sarà fuori di qui. Potrà essere negli Stati Uniti nel giro di una settimana, se non prima.» Portò il cristallo vicino alle mani di Ross per tentarlo. «Cos'ha visto? Prima di salire coi soldati ho bisogno di sapere se c'è traccia di ciò che ha provocato la morte dei conquistadores. Ha visto o sentito nulla che possa esserci di aiuto? Me lo dica. Adesso.» Ross esitò per un secondo appena, lo sguardo incollato al cristallo. «D'accordo. Le dirò tutto.» 63 «Non riesco a credere che tu l'abbia aiutato», sibilò suor Chantal mentre Bazin li riconduceva insieme con gli altri. «Ti avevo avvertito di non risalire il tunnel. Ti avevo avvertito di non confessare al padre generale quello che avevi visto. E hai continuato a ignorarmi. Come hai potuto essere così stupido?» Ross non aprì bocca. Suor Chantal non ricordava di aver mai provato un tale sconforto. In quei lunghi anni aveva attraversato momenti bui, ma aveva sempre tenuto
a mente il voto a padre Orlando convincendosi a portare pazienza. Persino quand'era venuta a conoscenza delle condizioni critiche di Lauren, aveva creduto che il giardino potesse mettere le cose a posto. Ma stavolta il problema non era il tempo, l'impazienza o la delusione. Era lo stesso nemico implacabile che aveva distrutto padre Orlando. A peggiorare la situazione, il suo alleato si era dimostrato debole. «Non riesco a credere che tu l'abbia implorato in ginocchio... Non ti permetterà mai di salvare Lauren perché non può lasciarti andare, non lo capisci?» Quando raggiunsero gli altri, trovarono Hackett e Zeb distesi a un'estremità della recinzione, legati e imbavagliati. Bazin spinse Ross e suor Chantal all'altro capo, li fece distendere a terra e legò loro le caviglie. Suor Chantal attese che Bazin si fosse allontanato, poi tornò a concentrarsi su Ross. «Ti avevo avvisato di non salire perché è pericoloso. Me lo aveva detto padre Orlando. Aveva visto delle cose.» «Lo so», sussurrò Ross. «È molto pericoloso.» «Allora perché hai detto a Torino...» «Che era sicuro? Che sono quasi arrivato a toccare quello che c'era lassù e non ho incontrato nessun pericolo? Perché come lei non mi fido affatto del padre generale.» «Hai mentito?» «Certo che ho mentito. L'unico modo per uscire di qui con quello che siamo venuti a prendere è fare a modo nostro. E qualsiasi cosa li tenga impegnati può esserci di aiuto.» Le labbra di suor Chantal si distesero in un lento sorriso. «Forse non sei così stupido come pensavo.» Ross si guardò alle spalle, verso Bazin, in piedi presso la catasta di armi a parlare con due dei soldati. Dopo una breve discussione scelsero un fucile, due mitra Heckler & Koch e un lanciafiamme, poi s'incamminarono alla volta delle grotte proibite. Stanno per risalire il tunnel, pensò Ross. Mentre li guardava allontanarsi, notò i pacchi gialli che aveva visto estrarre poco prima. Erano quasi tutti posizionati in cumuli strategici intorno al giardino. Si chiese cosa fossero e a cosa servissero. Lanciò un'occhiata a Zeb e Hackett all'altro capo del recinto e i due ricambiarono il suo sguardo. Voleva raccontare loro cos'era accaduto, ma temeva che alzando la voce il soldato rimasto di guardia lo avrebbe sentito. «Non capisco ancora come mai Torino sia così poco interessato al giar-
dino e così concentrato sulla Fonte», bisbigliò a suor Chantal. «Penso che da un punto di vista religioso questo potrebbe essere il giardino dell'Eden.» «Il padre generale vuole miracoli che la Chiesa possa strumentalizzare. Ma il giardino e i suoi abitanti destano troppi dubbi e interrogativi sulla Genesi e sull'evoluzione. La religione non è come la scienza. La scienza si nutre di dubbi, la religione esige una fede incondizionata.» «Ma i credenti di qualsiasi confessione non desidererebbero farsi un'idea personale sulla verità, per quanto controversa?» chiese Ross. «Come ha detto a Torino: se credi davvero in qualcosa, niente mette in dubbio la tua fede, solo il tuo modo di concepirla. La scienza muta continuamente la sua visione del mondo naturale, basandosi su prove sempre nuove.» L'anziana scosse la testa. «Torino e coloro che detengono il potere a Roma preferirebbero negare l'evidenza piuttosto che modificare il proprio credo. Non dimenticare, il papa è infallibile, è il rappresentante di Dio sulla Terra. Non può sbagliarsi.» Bazin e i soldati erano quasi alle caverne. Il più basso portava in spalla il lanciafiamme, il serbatoio di benzina assicurato alla schiena. Ross tornò a guardare il deposito di armi e il secondo lanciafiamme. In quel momento, s'insinuò nella sua mente qualcosa che aveva detto Zeb riguardo alle industrie farmaceutiche e gli balenò un legame tra quello e i pacchi gialli. Merda. Era ormai abbastanza certo di cosa fossero e perché Torino li avesse portati lì. «Dobbiamo liberarci.» «Lo so.» Suor Chantal alzò i polsi legati. «Ma come?» Ross aprì le mani. In quella destra c'era una scheggia di cristallo che aveva raccolto dal pavimento della grotta mentre era prostrato davanti a Torino. «È piccolo ma tagliente. Non riesco a raggiungere il mio nastro, ma posso tagliare il suo.» Suor Chantal gli rivolse un sorriso complice, proprio nel momento in cui un'ombra scese su di loro. Bazin era tornato con uno dei soldati. «Imbavagliali.» Ross strinse i pugni, ma non si oppose quando Bazin gli mise uno straccio untuoso sulla bocca e glielo annodò stretto dietro la nuca. Mentre il soldato la imbavagliava, suor Chantal guardò Ross dritto negli occhi, entrambi consapevoli che la migliore occasione per scappare sarebbe arrivata allorché Bazin e gli altri fossero entrati nel tunnel. Bazin si allontanò e iniziò a indicarli uno alla volta, mormorando sottovoce. Il suo indice si spostò su di loro come una pistola: prima Hackett, poi
Zeb e infine suor Chantal. Ross si domandò perché li contasse. Poi il dito di Bazin evitò Ross, tornò su Hackett e contò di nuovo i tre. Si sentì stringere lo stomaco da una dura sensazione di freddo. Bazin non li stava contando, si accorse Ross. Stava scegliendo uno di loro. Il dito stazionò su Hackett. «Portalo con noi, Weber.» Mentre tagliavano i lacci alle caviglie di Hackett e lo facevano alzare, Bazin si rivolse a Ross. «Nell'eventualità in cui ci sia qualcosa di spiacevole ad attenderci in cima al tunnel, il buon dottore ci farà strada. Il padre generale voleva che fossi tu a guidarci, Ross, ma, siccome mi hai salvato la vita, ti ho escluso dalla conta. Considera il mio debito saldato.» Sorrise e distolse lo sguardo. «Non preoccuparti per Nigel. Come hai detto tu: non dovrebbe essere pericoloso.» Ross lottò contro il bavaglio. Un conto era lasciare che i suoi nemici armati fino ai denti finissero in una trappola. Un altro conto permettere che un amico disarmato facesse la stessa fine. Ma Bazin era sordo alle sue proteste smorzate mentre spingeva Hackett verso le grotte proibite. Quando Ross allungò il collo per tenerli sott'occhio, si accorse che Zeb lo guardava, supplicandolo silenziosamente di dirle che il loro amico era al sicuro. Che non correva nessun pericolo. Distolse lo sguardo, chiedendosi cos'avesse combinato. Alcuni istanti dopo uno strano suono si propagò dalle caverne proibite. Ross capì al volo che era il canto delle ninfe che mettevano in guardia Torino e i suoi uomini di non risalire il cunicolo. Poi il canto cambiò. Le ninfe non stavano più cantando. Gridavano. 64 Il Feldweibel Fleischer porse a Torino un elmo di metallo e lo aiutò a indossare un giubbotto antiproiettile. Torino era così emozionato che gli tremavano le mani sulla fibbia dell'elmetto. Indicò Hackett, ancora imbavagliato e con le mani legate. «Lui va per primo, allora?» Da dietro gli occhiali da sole, gli occhi di Hackett saettavano da una parte all'altra della cavità. Indossavano tutti gli occhiali scuri per proteggersi dalla luce abbacinante che scendeva dal cunicolo. «Sì», disse Bazin. «Nigel sale per primo, poi Weber col lanciafiamme. Lei e io seguiamo, mentre il Feldweibel Fleischer ci guarderà le spalle.» Fleischer scosse il capo. «Questi sono i miei uomini e il padre generale è sotto la mia protezione. Starò io a fianco del padre generale Torino. Tu
chiudi la fila.» Bazin squadrò un attimo il sergente, poi si strinse nelle spalle. «Come vuoi.» Fleischer consegnò una ricetrasmittente all'altro soldato. «Gerber, tu rimani qui. Ti chiameremo in caso di necessità.» Torino si accigliò. «Gli ha dato istruzioni su cosa fare nel caso non tornassimo? Nel caso io non facessi ritorno?» Il soldato controllò la radio e annuì. «È tutto predisposto, padre generale. So cosa fare.» «Dov'è Petersen? A guardia dei prigionieri?» «Sissignore.» Torino si approntò a salire. «Bene, andiamo.» Mentre si avvicinavano, iniziò un canto, una nenia inquietante che si diffondeva dalle profondità cupe della grotta. Poi le ninfe uscirono allo scoperto e bloccarono l'ingresso del cunicolo. Torino ne contò una decina. I soldati si fermarono, intimiditi da quelle creature mai viste prima. «Toglietele di mezzo», ordinò Torino. Bazin gridò e agitò il fucile contro una ninfa dai capelli frondosi intrecciati di fiori rossi. Ma lei lo ignorò e continuò a cantare. Bazin indietreggiò e si rivolse a Weber. «Usa il lanciafiamme.» Il soldato puntò il tubo di emissione, azionò l'iniettore e premette il grilletto. Il liquido infiammato zampillò verso le ninfe che tra le grida tornarono a rifugiarsi nell'ombra. Le loro urla risuonarono nelle caverne e Torino sorrise per la facilità con cui si erano arrese. Assumere il controllo del giardino e delle sue creature sarebbe stato un gioco da ragazzi. Avrebbe plasmato quel posto al più presto perché portasse solo gloria a Roma, e che gloria... Alzò lo sguardo verso il tunnel e diede un colpetto sulla spalla a Weber. Weber spronò Hackett col bocchettone rovente del lanciafiamme. «Vai.» Risalirono lentamente il sentiero e a ogni passo la luce si faceva più accecante, il bagliore intensificato dai cristalli dorati che tempestavano il tunnel. Torino poteva solo immaginare cosa ci fosse lassù, ma era più che sicuro che non avesse niente a che fare con le aride teorie su creazione ed evoluzione di Ross. La radix e l'albero della vita e della morte di padre Orlando non avrebbero offerto prove a ipotesi di tipo scientifico, solo della presenza divina sulla Terra, una manifestazione fisica della Sua divina maestà e potenza. Come Mosè al cospetto del roveto ardente, Torino era convinto che anche lui avrebbe intravisto il volto di Dio.
Weber frenò all'improvviso. Scrutando oltre, Torino vide una cascata, al di là della quale il sentiero si allargava in una piccola camera. Una rampa di gradini ripidi conduceva poi a un livello superiore dove il sentiero si apriva di nuovo formando una seconda camera, prima di proseguire più in alto. «Perché ci siamo fermati?» «Non vuole muoversi», disse Weber gesticolando in direzione di Hackett. «Spingilo», ordinò Torino. Hackett si voltò, facendo forza contro il bavaglio, il sudore che gli grondava dalla fronte, gli occhi puntati eloquentemente verso il mezzanino sopra la cascata. «Lasciatelo parlare.» Weber gli strappò via il bavaglio. «Ho visto qualcosa muoversi», disse Hackett col fiato corto. Torino socchiuse gli occhi. «Dove?» «In quei buchi lassù.» Torino esaminò a fondo la camera sul livello superiore. Vide i fori, un reticolo di gallerie, e nient'altro. «Voi vedete nulla?» «Negativo.» Torino udì il clic di Weber che aveva tolto la sicura al lanciafiamme. Gli altri alzarono le armi. «Procedi.» Hackett scosse la testa. «No.» Weber rilasciò un getto incandescente. «Vai.» Hackett fece un balzo e capitombolò in avanti, gli occhi sbarrati, sbattendo le palpebre per il sudore che gli colava sulla faccia. Hackett fissò i fori scuri, ogni singolo muscolo in allerta e in preda al tremore. Era sicuro di aver visto qualcosa muoversi all'interno di quegli spazi bui, una presenza da incubo. Un'esplosione di rabbia scosse la paura paralizzante. Sarebbe stato così ingiusto morire in quel posto dimenticato da Dio, proprio ora che aveva trovato la sua città perduta. L'eventualità di non potersi godere la gloria della scoperta e dell'oro lo rendeva furibondo. Si trascinò su per il sentiero fino in cima alla cascata e vide che, oltre ai fori nella parete, c'erano infinite fenditure che conducevano a un dedalo di cunicoli oscuri. Sforzandosi di vedere nell'ombra nonostante la luce abbacinante, accelerò il passo, preso dal desiderio istintivo di superare l'ostacolo dei buchi. Iniziò con una corsetta, poi si precipitò su per il sentiero. «Rallenta», sibilò Weber. Hackett lo ignorò. Le fiamme del soldato potevano farlo muovere, ma
non potevano fermarlo. Era una bella sensazione quella di lasciar scorrere l'adrenalina per tutto il corpo e per un momento pensò di aver solo immaginato le figure intraviste nell'ombra. Poi Weber gridò. Hackett avrebbe dovuto continuare a correre. Ma, nonostante la paura, era pur sempre un medico e d'istinto tornò sui suoi passi. Quando guardò indietro, raggelò, incapace di concepire quello che gli si presentava davanti agli occhi. I buchi neri sembravano muoversi, uscire con un movimento telescopico fuori dalla parete. Solo quando vide Weber crollare a terra in preda alle urla, col sangue che sgorgava da ferite perfettamente rotonde nella coscia e sulla spalla, Hackett si rese conto delle creature nere vermiformi che strisciavano fuori dalla parete, creature che affondavano le chiostre circolari di zanne sporgenti nella carne di Weber e indietreggiavano nella tana. Hackett fissava quello spettacolo a bocca aperta, accorgendosi che la parete era trivellata da miriadi di buchi. Ce n'era forse uno per ogni foro? «Il lanciafiamme! Usa il lanciafiamme!» Il grido di Bazin, proveniente da un punto più basso del tunnel, fece breccia nello choc di Hackett e lo spronò all'azione. Accorse da Weber e s'inginocchiò dietro il suo corpo sanguinante. Schermandosi coi serbatoi di benzina legati alla schiena di Weber, Hackett tolse il bocchettone dalla mano esanime dell'uomo e accese l'iniettore. Il fuoco avviluppò quegli esseri e un altro grido assordante riempì il tunnel. Diversamente da quello di Weber, era disumano e sembrava provenire dall'interno della roccia. Il rumore dello sparo martellante dei mitra intensificò le urla provocate da Hackett che azionava di nuovo l'iniettore. D'un tratto, una creatura vermiforme più grossa della sua coscia serpeggiò attraverso le lingue di fuoco e stracciò il giubbotto di Weber, scagliando il suo corpo sopra quello di Hackett, schiacciandolo, ma anche proteggendolo. Altre sagome scure si lanciarono verso di loro, addentando pezzi di carne del soldato. Poi qualcosa colpì la spalla sinistra di Hackett. Rimase così scioccato da non provare dolore finché non abbassò lo sguardo e vide che gli era stato strappato via un morso di carne perfettamente rotondo che aveva lasciato scoperti muscoli e ossa. La camicia era intrisa di sangue; non ne aveva mai visto tanto. A quel punto sopraggiunse un dolore che lo avvolse come un incendio. Cercò di muovere il braccio, ma le fitte erano lancinanti. Col solo uso dell'altro braccio, tirò a sé il corpo di Weber e, con orrore, si accorse che l'anca destra dell'uomo non esisteva più. Si
spinse contro la parete cristallina mentre una delle creature spezzò il gomito di Weber cercando di azzannarlo. Il soldato era ancora vivo, ma quelle bestie continuavano ad attaccare, divorandolo pezzo dopo pezzo, una morte lunga mille morsi. «Aiutami», lo implorò il soldato gridando sopra il suono convulso dei mitra, ma Hackett riusciva a malapena ad aiutare se stesso. Uno degli esseri sinuosi puntò dritto al viso di Weber, a pochi centimetri da quello di Hackett, i biechi occhi rossi che lo fissavano. In preda al terrore, Hackett fece caso a ogni dettaglio di quella creatura: il corpo tubolare era ricoperto di scaglie coriacee polverose, a trama fitta, simili a quelle di un insetto. Quando colpiva, quell'essere spalancava le fauci, mettendo in mostra file circolari di denti sporgenti, il fiato che puzzava di carne marcescente. Weber cercò di urlare, ma, quando la creatura lo morse in faccia e si ritrasse nel suo covo, portò via con sé la lingua. Quella successiva strappò la guancia e l'occhio destro. Hackett tentò di raggomitolarsi in posizione fetale proprio quando una delle bestie gli si conficcò nel muscolo del polpaccio destro. Il dolore fu cocente, persino peggiore di quello sulla spalla. Poi i colpi del mitra s'infittirono e Hackett sentì delle mani ruvide trascinare via lui e Weber per allontanarli entrambi dai mostri. L'attacco si consumò in pochi secondi, ma furono i più lunghi della sua vita. Tutto ciò cui pensava mentre strisciava, grondante di sangue, verso la salvezza era l'ultima cosa che Weber aveva visto prima che le creature gli trapanassero la faccia. Alcuni istanti prima In piedi sul sentiero vicino alla cascata, Torino alzò lo sguardo verso il pandemonio che gli si apriva dinanzi agli occhi. Bazin lo spinse da parte, caricando e facendo fuoco col fucile, mentre Fleischer apriva il fuoco con l'Heckler & Koch. Le teste di due vermi delle rocce esplosero e i corpi decapitati che si agitavano convulsamente si ritirarono nella parete, lasciandosi dietro una scia di sangue rosso scuro. Bazin si scagliò in avanti cercando di afferrare Weber, ma le fiamme lo respinsero. Il lanciafiamme, tuttavia, sembrava far desistere a malapena i vermi indemoniati. Attraverso quell'inferno, Torino intravide il corpo di Weber dilaniato dalle creature infernali mentre Hackett restava immobile sotto di lui, cercando invano di tenerle a bada. Peggio ancora di quella visione era il suono: un grido inu-
mano che riempiva l'aria pungente e lo costringeva a coprirsi le orecchie con le mani. Non sapeva dire se il suono, che sembrava circondarli, provenisse dai vermi delle rocce, dalle ninfe di sotto o da qualcosa più avanti nel tunnel. Traumatizzato, guardò Bazin e Fleischer trascinargli dinanzi agli occhi il sanguinante Hackett e il corpo mutilato di un Weber più morto che vivo. Allontanandosi con loro dalle fiamme e dai vermi delle rocce, continuò a guardarsi indietro, oltre quel carnaio, alla luce ammiccante più in alto. Le creature erano demoni di Satana, collocati lì per mettere alla prova la sua determinazione e impedirgli di raggiungere la luce di Dio. Ma non lo avrebbero frenato. Avrebbe trovato un modo. Posando lo sguardo sul fiume rosso di sangue, scrutò le ferite di Hackett e il corpo scannato di Weber. Il dottor Kelly gli aveva mentito riguardo al tunnel e ai suoi pericoli. Doveva aver visto la nemesi dei conquistadores e sapeva che erano ancora lì. Quanto altro ancora gli aveva nascosto Ross? Quanto sapeva? 65 Suor Chantal masticò il bavaglio e scosse di nuovo la testa. Ross si guardò alle spalle per controllare il soldato che faceva loro la guardia da un'ora. A quel punto, avrebbero dovuto aspettare il buio prima che Ross potesse tagliare il laccio di suor Chantal con la piccola scheggia di cristallo che aveva raccolto dal pavimento della caverna. La buona notizia era che la luce si stava già abbassando. Quella cattiva era che, benché l'oscurità li avrebbe nascosti, Ross avrebbe agito alla cieca. D'un tratto, suor Chantal iniziò ad annuire a più non posso. Ross guardò indietro. Il soldato teneva la ricetrasmittente e guardava con apprensione verso le grotte proibite. Quando mise giù la radio e corse via, non li guardò nemmeno. Cercando di non pensare a cosa stesse accadendo sul fiume di sangue, Ross si mise di fronte a suor Chantal. Lei alzò le mani per aiutarlo, ma non era facile agire coi polsi legati. Il cristallo era piccolo e il nastro così liscio che Ross ebbe difficoltà a fare presa; la scheggia continuava a scivolare e a graffiare i polsi di suor Chantal. Alla fine, usando la parte dentellata del frammento, riuscì a praticare una tacca nella plastica e a segarla lungo il solco. Intanto suor Chantal aveva gli occhi fissi su di lui, e così Zeb. Maneggiare il cristallo era un'impresa non semplice e assai dolorosa per
le dita. Come se non bastasse, per Ross era impossibile vedere se avesse fatto progressi. Era così assorbito da quel lavoro che alzò lo sguardo solo quando suor Chantal sottrasse le mani. Torino, Bazin e gli altri stavano uscendo dalle grotte proibite. Due soldati trascinavano Hackett e l'uomo armato di lanciafiamme. Il corpo mutilato era esanime e intriso di sangue. Hackett, anche se sanguinante, almeno si muoveva. «Portateli al lago», ordinò Bazin. «Immergeteli e fategli bere l'acqua.» Hackett si trascinò nel lago e iniziò a bere, ignaro della nuvola rossa che gli fioriva intorno. Mentre i soldati portavano di corsa il corpo esanime e sanguinolento del soldato verso il lago, Ross vide il sergente scuotere il capo. «Andato. È morto. Non possiamo fare più nulla per lui.» Ross fece una smorfia. Sembrava che persino i poteri miracolosi del giardino avessero dei limiti. Vide Torino lanciargli uno sguardo, poi gli venne incontro con Bazin e Fleischer al seguito. La faccia del prete era bianca e stravolta dalla rabbia. «Togligli il bavaglio, Marco.» «Come sta Nigel?» fu la prima domanda di Ross. «È vivo», rispose Torino. «Ma è gravemente ferito. Grazie a lei. E Weber è morto. È stato massacrato dalle creature di cui ha mancato di parlarci.» «Lei ha ucciso un brav'uomo», ruggì Fleischer. Ross non fiatò, sentendo su di sé lo sguardo di suor Chantal e di Zeb. Non aveva mandato Hackett nella fossa dei serpenti. Non lo aveva costretto a risalire il tunnel. Erano stati Torino e Bazin. E certamente non aveva ucciso Weber. Ma, mentre guardava i soldati estrarre Hackett dal lago e distenderlo sull'erba, il senso di colpa lo bruciò sul vivo. «Lei ha visto quegli esseri quando ha risalito il tunnel. Non è così, dottor Kelly?» lo accusò Torino. «Eppure ne è uscito vivo. Cos'ha visto? Cos'ha capito?» Ross rimase in silenzio, incapace di spazzare via dalla mente la scena dei vermi di roccia che divoravano la ninfa, immaginando Hackett e Weber al suo posto. «Mi dica tutto quello che sa», incalzò Torino, la voce minacciosamente salda. «Chi altri devo spedire su per il tunnel e far divorare da quei mostri prima che mi confessi tutto?» Indicò suor Chantal. «Lei?» Poi Zeb. «O lei? Quanti altri devono morire? Marco, Feldweibel, togliete i bavagli a tutti. Magari riusciranno a convincerlo.» «Di che diavolo sta parlando, Ross?» disse Zeb non appena liberata dal
bavaglio. Ross abbassò il capo. «Ho visto quelle creature quando sono salito lungo il sentiero. Hanno attaccato e mangiato una delle ninfe che stava per morire. Le altre l'hanno offerta in sacrificio. Conoscono un modo per controllare quegli esseri. Usano una litania.» Spiegò cosa aveva visto e come le ninfe avessero sedato le creature col loro canto. Mentre scrutava Ross, Torino riusciva quasi a sentire la sua mente macchinare. «Mi sta suggerendo di spingere le ninfe nel tunnel davanti a noi? Obbligarle a tranquillizzare i vermi delle rocce e seguire i loro passi?» «Non suggerisco niente. Le sto solo dicendo cosa ho visto e sentito.» «Possiamo sempre radunarne alcune e fare un tentativo.» Due dei soldati trascinarono Hackett nella recinzione. La spalla e la gamba riportavano gravi lesioni, ma l'emorragia si era quasi fermata. Aveva la faccia pallida, ma quando Zeb e Ross gli chiesero come stava riuscì ad abbozzare un sorriso. «Non male come sembra e dopo il bagno nel lago mi sento molto meglio. È niente rispetto a quello che è toccato all'altro tizio.» Bazin e Fleischer si mossero per imbavagliare di nuovo i prigionieri, ma Torino li fermò. «No, lasciateli parlare. Hanno molte cose da dirsi.» Si rivolse a Ross. «Sono sicuro che i suoi amici vorranno sapere perché ha messo uno di loro in pericolo.» In quel momento il rombo di un tuono echeggiò nel giardino e cominciarono a cadere le prime gocce, picchiettando sull'incerato steso come sassi su un tamburo. Torino dovette urlare per farsi sentire sopra tutto quel fragore, «Domani faremo salire le ninfe, dottor Kelly. E, stavolta, sarà lei a guidarci.» Torino, Bazin e Fleischer si voltarono e corsero alle tende, lasciando Ross a sgolarsi per farsi udire sopra la pioggia scrosciante, cercando di spiegare a Hackett e Zeb tutto ciò che sapeva e come avesse messo in pericolo Hackett senza volerlo. Non appena ebbe finito, iniziarono a bombardarlo di domande, ma quello non era il momento per le chiacchiere. Alzò le mani legate, mostrando la scheggia di cristallo nei palmi aperti e suor Chantal gli porse immediatamente i polsi. Nella luce morente, nel corso di una tregua del temporale rullante, Ross disse: «Zeb, Nigel, volete perdere altro tempo a fare domande o uscire di qui?» I due ammutolirono e Ross riprese a lavorare sul nastro di suor Chantal. 66
Ci volle più di un'ora per tagliare il nastro di suor Chantal. Ma, una volta liberate le mani, lei gli restituì subito il favore. Poi Ross slegò Hackett e Zeb. La pioggia scrosciante era sia una benedizione sia un flagello. Impediva a chiunque di vederli, ma comprometteva anche la loro visibilità. «Cosa facciamo, ora?» sibilò Zeb, scrutando nell'oscurità oltre la cortina di pioggia. C'era un bagliore in lontananza, in direzione delle caverne proibite dove Torino e i suoi uomini avevano piantato le tende. «I nostri zaini sono accatastati qui da qualche parte», disse Hackett puntando il dito lontano dalle tende, verso l'ingresso al giardino. «E sono ancora pieni delle provviste di cui avremo bisogno per tornare alla barca. Propongo di trovarli e tagliare la corda. Dubito che ci sia qualcuno a guardia in una notte come questa.» «E le tue ferite?» chiese Zeb. Alzò il pantalone e mostrò la gamba. Il pezzo strappato via dal polpaccio somigliava più a un livido gonfio e rosso. La pelle si era richiusa sul muscolo e sull'osso esposti. «Sto già guarendo. È incredibile. Lo stesso vale per la spalla.» «Sei sicuro?» «Sono sicuro.» «Voi andate avanti», disse Ross. «Vi raggiungerò più tardi. C'è qualcosa che devo fare, prima.» «Cosa?» Lui accennò alle grotte proibite. «Non me ne andrò di qui senza l'unica cosa per cui sono venuto.» «Il cristallo per Lauren?» chiese Zeb. «Vengo con te.» «Andiamo tutti», aggiunse suor Chantal. «No», replicò Ross. «Preferisco farlo da solo. Una persona può passare inosservata. Portate con voi il mio zaino, ci troveremo oltre le caverne sulfuree, dall'altra parte della barriera. Se sentite qualcosa di strano o non vi raggiungo entro un'ora, proseguite senza di me.» Suor Chantal cercò di protestare, ma Ross scosse il capo. «Mi lasci fare, sorella. È l'unico modo perché lei adempia al suo voto e trasmetta la sua eredità a Lauren. A quel punto il giardino diventerà un problema di Lauren. Non più suo. Ora andate.» La pioggia era diminuita, ma rimaneva la più battente che Ross avesse
mai sperimentato. Al di fuori della protezione dell'incerato, le gocce calde pungevano come proiettili ad aria compressa. Era difficile tenere gli occhi aperti, figurarsi vedere qualcosa. Tenendo la testa china, si fece guidare alle caverne proibite dalla tenue fosforescenza del lago. Passò alla larga dalle tende: dal numero delle figure stagliate contro l'interno illuminato capì che, grazie al cielo, Torino e i suoi uomini erano dentro, all'asciutto. Passò vicino a diverse cataste ordinate dei pacchi gialli che aveva già notato. Da vicino vide che erano contrassegnati dalla marca del produttore, un triangolo giallo di pericolo e la parola TERMATE-TH3. Raggiunse le caverne proibite con relativa facilità, grato di essere sfuggito alla pioggia. Alla tenue luminescenza proveniente dal tunnel, si fece strada verso il corso d'acqua, s'inginocchiò sulla sponda e immerse il braccio nella corrente. Quando la mano raggiunse un pezzo abbastanza grosso di roccia cristallina, un suono lo fece sobbalzare. Le ninfe emergevano dall'oscurità in fondo all'anticamera. Nella penombra avevano un aspetto minaccioso. A un certo punto la sua amica coi fiori rossi nella chioma di tralci intonò la musica di James Bond che Ross le aveva insegnato durante il loro primo incontro. Ross sorrise e rispose al canto. La ninfa emise uno scoppio intermittente di chiacchiericcio sghignazzante e si avvicinò. Le altre fecero lo stesso e circondarono l'umano. Mentre Ross indietreggiava verso l'uscita, la ninfa dai fiori rossi si fece avanti e allungò la mano per prendere la scheggia di cristallo. Istintivamente, Ross se la strinse al petto. La creatura emise un altro suono sghignazzante, entrò nel tunnel, scelse un cristallo più grande e persino più iridescente dal ruscello e glielo porse. Ross abbandonò l'altro pezzo e prese il dono offertogli. «Grazie.» La ninfa imitò il suono della parola, facendo sorridere Ross che guardò verso il tunnel un'ultima volta, ipnotizzato dalla luce emessa dalla Fonte, qualunque cosa fosse. Gli tornò in mente che l'acqua del lago non era riuscita a salvare Weber e si chiese se i suoi poteri erano paragonabili a quelli della origen di padre Orlando. E se il cristallo tra le sue mani non fosse riuscito a salvare Lauren? E se i danni al cervello e al midollo spinale avessero avuto bisogno di una cura più potente? Era una domanda retorica, ovviamente. Anche se fosse riuscito ad aggirare i vermi delle rocce, non aveva tempo materiale per esplorare il tunnel. Doveva andarsene subito, prima che le sentinelle si rendessero conto della loro fuga. Si girò per andarsene e un suono stridulo ammutolì le ninfe. Il lamento acuto di un allarme. Merda.
Si aprì un varco tra le ninfe che gli svolazzavano nervosamente intorno e fece capolino fuori dall'anticamera attraverso la pioggia. Delle figure si riversavano fuori dalle tende e si muovevano sotto la pioggia verso il punto da cui gli altri avevano cercato di scappare, o stavano provando a farlo. I soldati dovevano aver installato dei sensori all'entrata del giardino. Merda. Merda. Due delle figure si fermarono, si voltarono e corsero verso le caverne proibite, verso Ross. Merda. Merda. Merda. Era in trappola. A meno che... Passò a spintoni tra le ninfe, diretto verso i recessi più bui dell'anticamera. C'era un'altra via d'uscita: quella attraverso il lago di magma, sul ponte spezzato. Era pericoloso e Ross non avrebbe avuto provviste nella foresta, ma avrebbe avuto il cristallo a sostentarlo. C'era anche un'altra strada, certo. Poteva tentare col fiume di sangue. Si fermò, dilaniato dall'indecisione. «Dottor Kelly!» Si guardò alle spalle. Torino stava sull'ingresso della caverna, l'impermeabile zuppo di pioggia, una ricetrasmittente in mano. Bazin era al suo fianco, più in basso la sagoma di un fucile. La radio crepitò e Torino se la portò all'orecchio. «Eccellente, Feldweibel. Se vi procurano problemi, sparategli.» L'uomo sorrise. «Gli altri sono stati circondati, dottor Kelly. La grande fuga è finita.» «Ti tengo il fucile puntato al cuore», disse Bazin. «Lascia andare il cristallo, alza le mani e avvicinati.» «Vuoi spararmi, Marco? Come giudicherà Dio l'uccisione di un uomo disarmato e innocente che vuole solo salvare la moglie?» «Nessuno è innocente», sentenziò Torino. «E questo posto è più importante di sua moglie. Non posso lasciarle il cristallo. Non finché non avrò deciso cosa fare del giardino.» Mentre le ninfe gli brulicavano tutt'intorno, spingendolo verso gli anfratti oscuri della caverna, Ross cercò di tenere il gesuita impegnato a parlare. «Ma lei ha già deciso come disporre del giardino, padre generale. Ho visto i pacchi gialli. So cosa sono.» Ross vide Bazin lanciare uno sguardo interrogativo a Torino. «Ma non m'importa dei vostri piani. Se volete riscrivere la storia dell'evoluzione, se volete cambiare la verità a beneficio dei vostri dogmi, fate pure. Voglio solo salvare mia moglie.» Indicò il tunnel. «Una volta assunto il controllo della origen, della radix o quel che sia, non dovrete più preoccuparvi di me, o di noi.»
Torino scrollò la testa. «Quel cristallo in mano sua ora è proprietà della Chiesa di Roma. Solo lei può dispensare miracoli.» Altre ninfe uscirono allo scoperto, sospingendo Ross in fondo alla caverna. «Ora basta, Marco. Sparagli.» «Piantala di fare l'idiota, Ross», esclamò Bazin. «Lascia andare il cristallo, alza le mani e avvicinati. Quelle cose non possono proteggerti.» C'erano almeno trenta ninfe intorno a Ross e lo stavano urtando più forte, spingendolo nell'ombra. «Non voglio spararti, ma lo farò, se sarà necessario.» Ross doveva prendere una decisione. Per avere una qualche possibilità di fuga, doveva usare le ninfe come copertura e fare uno slancio verso l'altra uscita. Oppure poteva arrendersi e cercare un'altra occasione per scappare, sempre che si fosse presentata. In un modo o nell'altro, doveva agire, e subito. In quella frazione di secondo, comunque, la decisione fu presa per lui. Le ninfe iniziarono a ondeggiare con una tale violenza da farlo scivolare sul pavimento umido. E, mentre cadeva, Bazin sparò. Il colpo rimbombò nelle caverne, ma non fu il rumore a preoccupare Ross. Il suo unico pensiero era il proiettile che lo aveva scaraventato a terra. E il dolore. Lì sdraiato sulla dura roccia, col respiro che si faceva sempre più spasmodico, guardò le ninfe che lo fissavano dall'alto e si strinse il petto. Alzò la mano e vide che era intrisa di sangue, del suo sangue. Nonostante il dolore lacerante, o proprio per quello, la sua mente era stranamente scevra dal senso di panico. Con fredda lucidità si rese conto di stare per morire. Il suo pensiero andò a Lauren e al loro bambino non ancora nato e una pesante tristezza calò su di lui. Non poteva morire. Doveva salvarli. Allungò la mano per prendere la scheggia di cristallo che era caduta al suo fianco e cercò di portarsela alla bocca. Se solo avesse potuto morderla e assumere un po' del suo potere, avrebbe potuto ingannare la morte. Ma le sue braccia erano svuotate di ogni forza. «L'avevamo avvertita», sentì Torino gridargli in lontananza. «L'avevamo avvertita.» Sì, pensò Ross, mi avevate avvertito. Le ninfe gli si fecero intorno. L'odore ammuffito, di sesso e di semi di senape, toglieva il fiato. Pelli fredde e appiccicose gli sfiorarono le braccia. Delle piccole mani lo afferrarono, non aveva idea di quante fossero. Era Gulliver, ma quei Lillipuziani non lo stavano mettendo a terra, stavano cercando di prenderlo da sotto, di sollevarlo, di trasportarlo.
Verso dove? Si accorse a malapena di Bazin che cercava di ghermirlo e che veniva respinto dalle ninfe. Sdraiato in posizione supina, si guardò i piedi e vide una luce davanti a sé: il tunnel. Lo stavano portando in cima al fiume di sangue. Entrando, la luce era così intensa che, sul punto di spegnersi, la sua mente vide le ninfe come angeli bianchi che lo sollevavano nei cieli. Quell'idea lo divertì e lui abbandonò il capo, all'apice della razionalità, guardando il motivo scintillante del soffitto del tunnel tempestato di cristalli. La vista gli si stava appannando e il dolore iniziava a svanire, rimpiazzato da un bagliore caldo che gli si spandeva in tutto il corpo. La morte non era poi così male. Magari c'erano un Dio e un paradiso. O forse, col tempo, si sarebbe ricongiunto a Lauren e al bambino. Una salmodia familiare penetrò i suoi pensieri incrinati e capì al volo dove lo stessero portando: al suo funerale. Una volta aveva letto che i vichinghi caduti venivano bruciati su una pira funeraria, ma ascoltando la litania bitonale delle ninfe intuì che la sua pira sarebbe stata diversa. Udì la cascata e le sentì salire i gradini verso la camera con le pareti infestate dai vermi delle rocce. A quel punto ricordò com'era stata sacrificata la madre morente e si sentì accapponare la pelle. Intravide la ninfa amichevole coi fiori rossi e si chiese se si trattasse di una qualche onorificenza: prendersi la briga di portare il suo corpo mastodontico lassù in cima per farlo consumare dai vermi. Chiuse gli occhi, d'un tratto grato per quella morte imminente, desiderando che il suo oscuro abbraccio lo chiamasse a sé prima che lo facessero quelle creature. Voleva smettere di soffrire. Voleva solo dormire. Mentre la sua mente si ripiegava su se stessa, rimase in ascolto, in attesa che il canto pacificatore cessasse e che i vermi attaccassero. Alcuni istanti prima Aveva sparato di riflesso. Bazin aveva premuto il grilletto non appena Ross aveva fatto un movimento improvviso. L'esperienza gli diceva che si trattava di un colpo letale, ma, quando aveva provato ad avvicinarsi per accertarsene, le ninfe avevano cominciato a sibilare e a digrignare i denti. Denti aguzzi. Erano in troppe e si era pentito di non aver portato con sé il lanciafiamme. Restando indietro col padre generale e guardandole trasportare Ross su per il cunicolo, qualcosa lo infastidì. Era una sensazione così poco familiare che gli ci volle un momento per riconoscerla come senso di
colpa. In passato aveva fatto a malapena conoscenza, tantomeno amicizia, con gli uomini che aveva ucciso. E nessuno gli aveva mai salvato la vita. «Ho visto la ferita sul petto», disse Torino. «È morto?» «Così sembra», rispose Bazin. «Gli ho sparato al cuore. Perché lo stanno portando lassù?» Torino socchiuse gli occhi. «Non riesci a indovinare?» Seguirono la processione fino alla cascata e videro le sagome contorcersi nei buchi scuri più in alto. Poi le ninfe presero a cantare e trasportarono il corpo inerte di Ross nel posto in cui i vermi avevano sferrato il loro attacco. Torino si girò verso Bazin. «Ricordi cosa ci ha detto riguardo alla ninfa morente data in pasto ai vermi delle rocce?» Bazin annuì, comprendendo. «A questo punto spero di averlo ucciso davvero.» «Ormai non ha più importanza», replicò Torino. «Morirà, in un modo o nell'altro.» Le quattro ninfe si voltarono, scoprirono i denti e sibilarono. Altre ninfe si riversarono loro incontro. «Abbiamo visto abbastanza», concluse Torino. «Domani useremo le ninfe per arrivare in cima. Vieni.» Si voltarono e discesero il tunnel col suono di quella nenia ancora nelle orecchie. 67 La prima cosa di cui Ross si accorse non appena si svegliò di soprassalto fu che la salmodia era finita. Poi il dolore proruppe di nuovo. E così la paura. Non osò aprire gli occhi: non voleva che l'ultima immagine della sua vita fossero i vermi delle rocce che lo assalivano. Perché diavolo sono ancora vivo? Quale perverso istinto di sopravvivenza lo aveva svegliato dallo stato d'incoscienza per sperimentare gli ultimi secondi efferati della sua vita? Sentì delle mani sotto di sé e si rese conto di essere in movimento. Aprì appena una palpebra. La luce era persino più abbagliante di prima. Su di lui, il soffitto cristallino del tunnel riluceva ancor di più. Si voltò e non vide segno della camera oscura o dei buchi e delle gallerie contaminati dai vermi. Tirò un respiro di sollievo. Le ninfe lo avevano portato più in alto, oltre i vermi delle rocce. Si guardò i piedi e il sollievo si tramutò in euforia. Il tunnel era finito. Passato un angolo, oltre un largo portale, era approdato in una camera di
tale luminosità da far sembrare ombra il bagliore del tunnel. Sarebbe rimasto senza fiato, se ne avesse avuto ancora. Tutto quel posto sembrava pulsare come se le pareti e il soffitto fosforescente fossero dotati di vita propria; vedeva piccole creature luminose nell'intreccio dei cristalli che tempestavano le pareti rocciose. C'era anche più caldo. Udì un suono scrosciante, alzò gli occhi e vide l'acqua scendere dal soffitto attraverso un'apertura nascosta da stalattiti cristalline che pendevano dalla volta accese come lampadari. L'acqua si raccoglieva in una piccola pozza al centro della camera alimentando il ruscello che scendeva attraverso il tunnel e poi fino al giardino, ma prima di raggiungere la pozza colpiva un oggetto così sfolgorante che gli spruzzi che rimbalzavano sulla sua superficie frizzavano e scintillavano come elettricità. Ma furono l'oggetto in sé e quello che sembrava uscirne ad attrarre la completa attenzione di Ross. Anche quando rigurgitò sangue e sentì il petto contrarsi per l'ultima volta, dai suoi occhi scesero calde lacrime. In tutti quegli anni trascorsi a studiare le meraviglie della natura, non aveva mai visto niente di più bello. Se doveva morire, se doveva lasciare Lauren e non vedere mai il suo bambino, aveva almeno assistito a quello spettacolo. Mentre le tenebre lo inghiottivano e il cuore smetteva di battere, sorrise dell'assurdità di morire in quel luogo e in quel momento: al cospetto di ciò che aveva dato la vita a quel pianeta un tempo sterile. Bridgeport, Connecticut, ospedale del Sacro Cuore Mentre Ross Kelly era in punto di morte, Lauren giaceva in stato di coma in un letto d'ospedale nel Connecticut, vegliata da sua madre. Il bambino che portava in grembo era di ormai sei mesi e pesava oltre seicento grammi. Anche se nell'ecografia sembrava normale, alcuni degli organi, in particolare i polmoni, erano ancora sottosviluppati. Sarebbe stato difficile per un bambino così prematuro sopravvivere indenne fuori dall'utero materno, tuttavia, con l'aiuto di respiratori, monitor e medicinali, il feto avrebbe potuto nascere nel giro di alcune settimane e magari farcela. Avrebbe dovuto trascorrere qualche mese in ospedale, ma, sebbene le sue possibilità di sopravvivenza fossero esigue, erano comunque molto maggiori di quelle di suo padre e sua madre. PARTE QUARTA
LA FONTE 68 Il mattino seguente la pioggia era cessata e il cielo era terso e azzurro come di consueto nella foresta pluviale. Seduta con Hackett e Zeb, suor Chantal non poté evitare di paragonare il frenetico brusio degli uomini di Torino con la loro quieta disperazione. Il tentativo di fuga della sera precedente era stato una dimostrazione rovinosa di sventatezza. Nella fretta non avevano visto il filo teso nella pioggia e l'allarme era suonato prima che raggiungessero il varco delle caverne sulfuree. Fleischer e i suoi uomini li avevano circondati in pochi minuti. Quando Torino e Bazin avevano riferito loro della morte di Ross, la suora aveva visto il proprio sconcerto e la propria incredulità riflessi negli occhi di Zeb e Hackett. La morte di Juarez era stata orribile, ma nessuno lo aveva ucciso di proposito. A Ross, invece, avevano sparato. Non solo Bazin lo aveva ucciso, ma Torino - il Preposito generale della Compagnia di Gesù - aveva approvato quell'omicidio. Sembrava che non ci fosse niente che quell'uomo non avrebbe commesso allo scopo di proteggere la sua adorata Chiesa. Hackett sembrava sfinito. Benché la ferita si fosse rimarginata, il suo aspetto un tempo sofisticato era andato in malora: una peluria ispida gli copriva il mento e sembrava non importargli più di niente. Tutti i suoi sogni erano andati in frantumi. Non sarebbe più tornato alla città perduta per rivelare i suoi tesori al mondo. Zeb aveva la stessa aria affranta. Era partita alla volta di una grandiosa avventura per salvare l'amica e scoprire il luogo leggendario descritto nel Voynich. Ma le cose non erano andate come aveva sperato. Quanto al sogno a lungo accarezzato da suor Chantal di adempiere al suo voto, doveva fare appello a tutto l'autocontrollo di cui disponeva per non abbassare la testa e scoppiare a piangere. Lanciò un'occhiata al mucchietto di sassi dove padre Orlando era stato sepolto, e sospirò. Era a quello che doveva portare? Era così che doveva finire la sua lunga veglia, inutilmente, senza trasmettere quella responsabilità? «Spero che Lauren non si svegli mai», commentò Zeb. I capelli rossi arruffati non le conferivano più un'aria grintosa e originale, ma solo giovane e vulnerabile. «Non sopravvivrebbe al pensiero che Ross sia morto nel tentativo di salvarla. Nigel, scommetto che vorresti essere rimasto nella tua città perduta e non aver mai messo piede in questo 'giardino miracoloso'.»
Pronunciò le ultime due parole con livore. Hackett abbozzò un sorriso mesto. «Non me lo sarei perso per tutto l'oro del mondo. Il mio unico rimpianto è di essere venuto per proteggervi e non aver cavato un ragno dal buco.» Zeb allungò le mani legate e lo carezzò sul braccio. «Non sei andato così male. Mi hai salvato dal serpente quando abbiamo passato quella montagna di sterco di pipistrello.» «Non hai tutti i torti.» Si strinse nelle spalle e fece spaziare lo sguardo attraverso il giardino, dove due soldati stavano lucidando le loro armi e rifornivano i lanciafiamme. Torino, Bazin e Fleischer erano riuniti in una tenda. «Il punto è: che ne sarà di noi?» Suor Chantal emise un sospiro. «Quali che siano i piani del padre generale, lo scopriremo presto.» Torino uscì dalla tenda a grandi passi. «Voglio che sia tutto a posto prima di salire di nuovo. I dispositivi sono pronti?» Il Feldweibel Fleischer annuì. «Gerber ha collocato tutti i congegni alla termite e al napalm per raggiungere il massimo effetto secondo i vostri ordini.» Bazin si accigliò. «Non vorrà usarli davvero, padre generale?» Il fratellastro iniziava a essere una spina nel fianco per Torino. Sperava che non diventasse un problema e interferisse nei suoi piani. «Rilassati, Marco, è solo per sicurezza.» Sorrise e posò la mano sulla spalla di Fleischer. «Il Feldweibel ha capito. È la tattica della terra bruciata per assicurarsi che nessuno possa servirsi di questo giardino e delle sue creature per danneggiare la Chiesa. Per prevenire che cada nelle mani sbagliate, per così dire.» Bazin assentì con un cenno del capo, apparentemente soddisfatto. Torino tornò a parlare al sergente. «Come faccio ad attivarli?» Fleischer gli porse una scatola nera satinata, non più grande di una radio. Su un lato non contrassegnato si trovavano un diodo con la spia verde e un interruttore che copriva un pulsante rosso. «Gerber ha installato su ogni dispositivo un detonatore a onde radio. Fate scattare l'interruttore per innescare i dispositivi e aprite il pulsante di detonazione. Potrete premerlo non appena si accende la luce verde.» «E riguardo al tunnel?» «Abbiamo appena circondato due ninfe, padre generale.» «Se oppongono resistenza, uccidetele e prendetene altre due. Capiranno
presto chi comanda. E stavolta non voglio soltanto oltrepassare i vermi delle rocce, voglio ucciderne il più possibile.» «Sarà più facile eliminarli quando staranno fermi», assicurò Fleischer. «I fucili hanno sortito un buon effetto la volta scorsa. E caricheremo gli Heckler & Koch con proiettili perforanti.» «Bene», commentò Torino. «Torni a chiamarmi quando sarà tutto pronto, Feldweibel.» Quando Fleischer si allontanò per unirsi ai suoi uomini, Torino tirò Bazin a sé e abbassò la voce. «Il nuovo Vaticano sarà eretto intorno a qualsiasi cosa ci sia in cima a quel tunnel e i suoi miracoli verranno usati per il bene della Chiesa. La cosa migliore, a ogni modo, è mantenere il segreto. Nessuno deve conoscere la Fonte dei miracoli, tranne la Santa Madre Chiesa. È opera di Dio, Marco, e devi sentirti onorato di farne parte.» Bazin puntò il dito verso i tre prigionieri. «Di loro cosa ne facciamo? Come possiamo essere sicuri che non parleranno quando li lasceremo andare?» Torino socchiuse gli occhi. «Non li lasceremo andare.» Bazin annuì, cogliendo il senso di quelle parole. «È proprio necessario ucciderli?» Torino trovò divertente che il fratellastro, un sicario professionista, si preoccupasse di compiere un omicidio per una giusta causa. «Nessuno può andarsene.» «E i soldati?» Torino scrollò il capo. «Per adesso hanno uno scopo. Ma, una volta compiuto il loro dovere, solo tu e io potremo andarcene davvero. Capisci? Solo noi due siamo all'altezza di proteggere la purezza di questo luogo. Se adempirai a questo sacro ufficio, allora tutti i tuoi peccati saranno cancellati e il Santo Padre in persona ti benedirà per aver contribuito a rivendicare il giardino per la Santa Madre Chiesa.» Per un attimo non parlò. «Hai ancora bisogno della redenzione, non è così, Marco?» Bazin annuì di nuovo. Stavolta più lentamente. «Sì. Ne ho ancora bisogno.» 69 Due ore dopo Suor Chantal entrò nel tunnel del sangue insieme con Hackett, Zeb e le
due ninfe in testa alla colonna. Avevano le mani legate e una corda al collo che li collegava l'uno all'altro. Dietro di loro marciavano Petersen, Gerber e Bazin, con la corda assicurata alla vita. Fleischer e Torino chiudevano la fila. Evidentemente il gesuita confidava che le ninfe avrebbero acquietato gli esseri che avevano divorato Weber, Ross e i conquistadores. Se avessero fallito, lei, Zeb e Hackett avrebbero fatto da scudi umani. Suor Chantal aveva sempre nutrito il sospetto che Torino non li avrebbe mai fatti uscire vivi dal giardino, ma non si aspettava di morire in quel modo. Quando l'Inquisizione aveva consegnato padre Orlando alle autorità secolari perché lo bruciassero sul rogo, era stato un caso di ecclesia abhorret a sanguine, la Chiesa esecra il sangue. Stavolta, invece, il padre generale avrebbe soltanto preso le distanze dalla morte, avrebbe permesso che succedesse. Stavolta ci sarebbe stato un fiume di sangue. La paura e la rabbia che la sua lunga vita di sacrifici finisse in modo così futile erano addolcite solo dalla speranza che le ninfe portassero a compimento la loro funzione e di poter finalmente vedere cosa si trovasse in fondo al tunnel. Le ninfe si fermarono bruscamente presso la piccola cascata. «Sono lassù», disse Bazin, spingendone una da parte. «Dove?» chiese Zeb, la mano stretta in quella di Hackett. «In cima alla cascata», rispose l'inglese. «Sul lato destro della camera. Nei buchi nella parete.» Suor Chantal allungò il collo per guardare e pensò di vedere del movimento, ma non ne fu certa. Udì un clic e poi le sfrecciò accanto un getto infiammato diretto verso le ninfe. Mentre salivano gli scalini a lato della cascata le ninfe iniziarono a cantare. La corda si tese e suor Chantal le seguì. Torino e i soldati attesero finché le ninfe non ebbero attraversato la camera buia. Camminando sulla loro scia, la religiosa osservò i profondi anfratti che deturpavano la parete rocciosa alla sua destra e vide innumerevoli paia di occhi rossi fissarla minacciosamente. Dietro gli orifizi le pareti erano percorse da scuri cunicoli che conducevano in posti che non desiderava nemmeno immaginare. «La salmodia funziona», sibilò Bazin alle sue spalle. Torino e gli altri si mossero con rapidità, superando i prigionieri e le ninfe, finché non si trovarono oltre i fori, fuori pericolo. Poi, quando fu quasi sicura di essere in salvo, sentì la corda allentarsi. Bazin aveva bloccato il cammino delle ninfe, fermandole proprio all'interno della camera disseminata di buchi.
Poi Bazin e i tre soldati si avvicinarono alla parete. Quello col lanciafiamme rimase indietro, mentre gli altri tre avanzarono, muniti di fucili e mitra, e aprirono il fuoco. Quando un'arma era scarica, passavano alla successiva. Il rumore era assordante e la carneficina sconvolgente. Per alcuni istanti i vermi rimasero immobili, come se il loro impulso a obbedire a quel canto appena udibile fosse più forte dell'istinto di sopravvivenza. Prima che ci fosse una qualche reazione, dai buchi iniziarono a trasudare fiotti di un viscoso sangue rosso scuro e i pochi esseri che attaccarono vennero respinti senza difficoltà. Al di sotto degli spari suor Chantal sentì un grido disumano emergere dalle viscere delle caverne, in continuo aumento di volume e intensità. Il cunicolo tremò e alcune schegge di cristallo incastonate si staccarono. Quando alla fine i soldati cessarono il fuoco, si sentì un forte mormorio: il fruscio dei vermi che si muovevano all'interno della roccia tutt'intorno. Che fuggivano. Benché quel carnaio desse il voltastomaco a suor Chantal, le gambe le tremarono per il sollievo. Era pronta a morire, ma non era quello il modo in cui voleva congedarsi dalla vita. Inoltre, voleva disperatamente vedere la Fonte prima di andarsene. Torino e gli altri si voltarono per proseguire nell'ascesa e lei si approntò a seguirli. Bazin, però, le bloccò la strada e per un momento raggelante pensò che li avrebbe lasciati lì. Poi Bazin la prese per un braccio e l'aiutò a salire il sentiero. Intanto, vide il padre generale voltarsi verso di lei e sorriderle, ma non riuscì a leggere in quegli occhi scuri. Mentre superavano l'ultima svolta del tunnel, Torino vide un portale che si apriva su una camera così luminosa da togliere il fiato. Si abbandonò a un irrefrenabile senso d'impazienza, superiorità e responsabilità. Aveva sempre saputo che la Chiesa lo aveva predestinato alla grandezza, sin da quando i gesuiti lo avevano raccolto dai bassifondi napoletani, avevano incoraggiato il suo talento e lo avevano spinto a dare il meglio di sé. Aveva ripagato la loro fiducia astenendosi dai piaceri della carne, diventando il Preposito generale più giovane di tutti i tempi e il servo più dedito e impegnato di Santa Madre Chiesa. Eppure, il suo senso di predestinazione non lo aveva preparato a quello. Aveva intuito di essere sul punto di vedere il volto di Dio e l'idea lo faceva sentire umile. Il Signore non lo aveva scelto solo per assistere a quello che lo attendeva oltre, ma anche per esserne il guardiano.
Si rivolse a Bazin e agli altri. «Aspettate qui.» Senza attendere la loro risposta, entrò nella camera. Fece soltanto quattro passi all'interno prima di essere sopraffatto dalla meraviglia e di giungere le mani in preghiera. La camera non era altro che un tempio al miracolo divino della vita. L'aria stessa ne era effervescente. Ne sentiva il potere tra i capelli e le dita della mano. La vasca al centro della camera ardeva come se fosse illuminata dal fondo e le formazioni cristalline che ricoprivano l'intera camera ospitavano un numero sterminato di forme di vita fosforescenti che contribuivano alla luminosità dell'ambiente. Ma erano nulla se paragonate alla massa alta tre metri e mezzo che sovrastava la pozza e dominava la camera. La presenza di un simile oggetto torreggiante in quel tempio alla vita non poteva che rappresentarne l'altare. Torino s'inginocchiò in adorazione, attento a non avvicinarsi troppo al menhir dinanzi a sé che irradiava sia luce sia calore intenso. Una sfaccettatura aveva la superficie laminata di metallo dorato, una seconda era perlacea, la terza era un prisma trasparente percorso da venature d'oro e d'argento che riflettevano tutti i colori dell'iride. Da un lato spuntava un vegetale il cui tronco si ergeva fino al soffitto cristallino e si diramava in innumerevoli fronde o tentacoli che penetravano nelle pareti e si diffondevano in tutta la camera. Molti dei rami scomparivano attraverso un passaggio buio dirimpetto al tunnel del sangue, permeando tutto il sistema sotterraneo. I tentacoli sembravano possedere proprietà vegetali e animali allo stesso tempo: steli e foglie, carne e vene pulsanti. Eppure, la sezione del tronco più prossima al monolito sembrava metallica e cristallina, come se condividesse le proprietà dell'oggetto da cui sorgeva. Quell'entità composita formava un ibrido unico di vegetale, animale e minerale con una tale continuità da rendere impossibile distinguere dove finisse l'uno e iniziasse l'altro. Da una certa angolazione le radici iridescenti dell'idra erano visibili nel cuore del monolito che riluceva e pulsava di vita. Benché l'acqua che cadeva dal soffitto formasse un condotto traslucido nella sua crosta iridescente, mostrando la nuda roccia cristallina, il prisma presentava segni visibili di erosione. Il monolito sembrava rigenerarsi costantemente, eternamente diverso ed eternamente uguale. Senza dubbio, il dottor Ross Kelly avrebbe spiegato il fenomeno come il risultato di una qualche roccia aliena caduta dallo spazio e il geologo avrebbe anche potuto aver ragione. Torino, tuttavia, sapeva che era stato Dio a inviarla. Non riuscì a trattenere un leggero sorriso nel ripensare al
piccolo meteorite nero che costituiva una delle pietre angolari della Kaaba, l'edificio cubico all'interno della sacra moschea della Mecca costruita, secondo la tradizione, da Abramo. Alcuni musulmani credevano che la pietra nera fosse sacra, caduta dal cielo ai tempi di Adamo ed Eva, e che avesse il potere di purificare i fedeli da tutti i peccati assorbendoli dentro di sé. Si diceva che un tempo la pietra nera fosse stata pura e immacolata e che si fosse annerita a causa di tutti i peccati di cui si era riempita nel corso dei secoli. Quella bella pietra, invece, era davvero sacra. I suoi poteri miracolosi comprovabili sarebbero diventati la scintillante pietra angolare della Santa Madre Chiesa, il fondamento del suo potere, eclissando per sempre le altre religioni. Le prospettive future che si erano aperte gli diedero il capogiro e dovette sopprimere la tentazione di mettersi a ridere. Qualunque fosse l'opinione del papa e di Vasari riguardo alla sua spedizione, Torino sapeva che dopo aver visto quello spettacolo il Santo Padre gli avrebbe perdonato, e concesso, tutto. Si alzò in piedi, si accostò ed esaminò l'idra che traeva nutrimento dal cristallo fecondo. La parola latina radix, che significava «radice» oltre che «fonte», assunse un significato nuovo. Doveva essere quello che Orlando Falcon aveva battezzato vitae et mortis arbor, l'albero della vita e della morte. Perché della morte? Camminò intorno alla stanza. Oltre all'entrata dal tunnel luminoso e all'apertura sul soffitto attraverso la quale l'acqua scorreva nel monolito, c'era un'uscita più tetra che sembrava condurre attraverso un dedalo di cunicoli tenebrosi. Ripensò ai vermi delle rocce e rabbrividì. Sentì un sospiro alle sue spalle e si voltò per vedere Bazin sulla soglia della camera, gli occhi puntati al monolito, il volto illuminato dai suoi toni iridescenti. «Bellissimo. È bellissimo.» Torino sorrise. «Chi potrà dubitare dell'esistenza di Dio dopo aver assistito a questo spettacolo?» D'un tratto si sentì magnanimo. «Fa' entrare suor Chantal e gli altri. Tutti dovrebbero vederlo almeno una volta prima di morire.» 70 Quando suor Chantal vide il monolito, ebbe esattamente la stessa reazione di Torino: cadde in ginocchio e si mise a pregare. Dopo secoli di attesa non aveva dubbi che si trattasse di un'opera di Dio, troppo bella e ma-
estosa per non esserlo. Notò che Torino la stava guardando. «Adesso avrà capito perché la Chiesa deve appropriarsene», disse il gesuita. La religiosa scosse la testa in modo enfatico. «Nessuna religione può rivendicarne il possesso. È una cosa più grande di qualsiasi religione. Chiunque - cristiano, ebreo o musulmano - veda questo glorioso gioiello della creazione, ci ravviserà riflesso il volto del proprio dio, ed è così che deve essere.» Si rese conto che la religione era soltanto un linguaggio. Il mezzo per comunicare con Dio dipendeva dalla cultura in cui si era nati. Né più, né meno. Mentre osservava il monolito senza proferire parola, Zeb Quinn seppe con assoluta certezza che quel meraviglioso oggetto di grande bellezza non aveva niente a che vedere con un dio astratto e celestiale ma con Gaia. Quando la gente parlava di cambiamenti climatici, riscaldamento globale, piogge acide e altri fenomeni ecologici, in sostanza il tutto si riduceva a una cosa: tenere in vita la Madre Terra, far continuare a battere il suo cuore. La roccia cristallina pulsante col germoglio arboreo non era altro che il cuore di Gaia, il motore della vita che alimentava tutto il bene di Madre Terra. Rifletté sul ruolo esclusivo e dialettico dell'umanità come unica specie in grado di proteggere e distruggere la Madre Terra e si rese conto che quella roccia pulsante era l'emblema dell'aut aut che veniva posto all'uomo: nutrire la madre che gli aveva dato la vita o sfruttarla. In qualità di medico, Nigel Hackett non vide niente di remotamente religioso o spirituale nel monolito, ma non per quello ne fu meno impressionato. Il significato della roccia era così immenso che non sentì il bisogno di sovrapporlo con Dio o Gaia. Per lui, era semplicemente il punto di origine di tutta la vita del pianeta, il primo genotipo, il contenitore dei mattonarli costruttivi originali e le istruzioni genetiche di base che alla fine avevano condotto alla nostra attuale programmazione genetica: il DNA. Riusciva a percepire la carica radioattiva nell'aria e si chiese che livello avrebbe rilevato un contatore Geiger. Sapeva che la radioattività aveva il potere di modificare il DNA, che era una delle cause del cancro. Perciò non ci voleva un genio per capire come faceva quella roccia incredibile a influenzare positivamente il genoma umano, ripararlo, o crearlo. Guardando l'acqua scorrere sulla superficie del monolito, staccare ele-
menti microscopici della sua essenza nella pozza sottostante e scendere poi giù nel ruscello interno al tunnel fino al lago nel giardino, non poté far altro che meravigliarsi dei suoi poteri. Se solo un contatto a distanza era bastato a creare quel posto miracoloso e le sue creature e a generare i cristalli che tempestavano il cunicolo per tutta la sua lunghezza, allora non c'era da sorprendersi che la Fonte un tempo avesse instillato la vita a un intero pianeta. E, quando vide l'idra, si domandò da quanto tempo fosse spuntata dal cristallo; i suoi rami si propagavano presumibilmente per tutto il sistema di caverne. Dopo di che gli venne una folgorazione che aggiunse meraviglia alla meraviglia: l'idra poteva essere l'organismo vivente più antico del pianeta, vecchio come la vita stessa, una creatura pluricellulare che continuava a evolversi nel corso della propria esistenza senza bisogno di morire. La rabbia s'insinuò nel timore reverenziale di Hackett. Come poteva Torino utilizzare una cosa così meravigliosa per alimentare la sua superstizione in un dio invisibile? Lungi dal dimostrare l'esistenza divina, Hackett vedeva in quella bellissima entità la riprova che la natura era un miracolo di per sé. Eppure, mentre assorbiva quel prodigio luminoso, non diede voce alle sue riflessioni. Le sue parole sarebbero state sprecate con Torino. Invece si disse di essere grato per averlo finalmente visto. Torino si rivolse a Bazin e ai soldati. «Adesso scendiamo e definiamo i piani per quando lasceremo questo posto. E ho bisogno di un martello perforatore.» Indicò la Fonte. «Voglio un campione.» «Non l'abbiamo portato», rispose Fleischer. «Il dottor Kelly era un geologo. Cercate nel suo zaino, dovrebbe esserci qualcosa.» Bazin guardò Hackett e le donne. «Cosa ne facciamo di loro?» Torino scambiò un'occhiata col sicario che fece gelare il sangue nelle vene a Hackett. «Sai cosa fare.» 71 Venti minuti dopo Cazzo, cazzo, cazzo! Zeb era sbalordita della velocità con cui la meraviglia era evaporata di fronte al pericolo imminente. Dal restare imbambolata davanti alla Fonte, si era ritrovata così in preda al panico da non degnarla più di uno sguardo.
Non riusciva ancora a credere che Torino, Bazin e i soldati li avessero lasciati legati a una roccia vicino ai buchi schizzati di sangue e viscere dei vermi, e che avessero continuato la loro discesa con le ninfe. «E se quei cosi tornano indietro?» aveva gridato lei. «E se ne arrivano altri?» Guardando le loro schiene sparire silenziosamente giù per il tunnel, aveva dedotto la risposta e, difatti, dieci minuti dopo aveva sentito un brusio nella roccia intorno a sé. Cazzo. «Muoviti, Nigel! Stanno tornando!» Quel posto puzzava come un ossario per la carneficina di poco prima. La roccia era come verniciata con lo smalto Chanel Rouge Noir e le suole delle scarpe di Zeb erano appiccicose di sangue coagulato. Invece Nigel, il maniaco dell'igiene, sembrò non fare caso al sudiciume disgustoso quando s'inginocchiò tra lei e suor Chantal, stringendo la corda nelle mani legate e sfregandola contro la sporgenza più aguzza della roccia. «Più in fretta, Nigel!» lo incitò suor Chantal. «Ottima idea», ribatté Hackett sarcasticamente, le dita che lavoravano con accanimento. «Non ci avevo ancora pensato.» Aveva provato a sciogliere il nodo, ma con le mani legate era praticamente impossibile. Zeb vide che alcuni dei trefoli lisi si erano tagliati, ma per gran parte erano ancora intatti. «Non abbiamo più tempo. Stanno per arrivare.» «Lo so», replicò Hackett. «Li sento anch'io. Cosa mi suggerisci di fare esattamente che non stia già facendo?» «Mordila!» esclamò suor Chantal. «Usa i denti.» Hackett scosse il capo e continuò a grattare la corda contro la roccia. Si staccarono altri trefoli, ma il brusio si faceva sempre più violento, e intenso. Zeb si sentì mancare al pensiero delle corazze ruvide dei vermi contro la roccia. Riusciva solo a chiedersi se avrebbe preferito essere divorata per prima o vedere Nigel e suor Chantal venire fatti a brandelli sotto i suoi occhi. Il rumore aumentò di volume e le rocce circostanti iniziarono a vibrare. Zeb sentì un desiderio improvviso di riempire quegli ultimi momenti preziosi con un po' di calore umano prima che il dolore e la morte la chiamassero a sé: strappare via Nigel dalla sua vana impresa e baciarlo sulle labbra, poi abbracciare forte suor Chantal. Voleva dire loro quanto erano diventati importanti per lei, specialmente l'inglese. «Ci siamo quasi», esclamò Hackett, rifiutandosi tenacemente di mollare. Ormai poteva sentire l'odore rancido, fetido di quelle creature che sfrec-
ciavano negli spazi angusti. Per il panico il fruscio dei loro corpi contro la roccia crebbe sino al fragore di un treno espresso: lei si trovava legata ai binari, proprio sulla sua traiettoria. Posò lo sguardo sulla corda. Hackett aveva fatto un bel passo avanti, ma quando strattonò i trefoli rimasti, quelli non cedettero. «'Fanculo!» Zeb intravide del movimento in tre dei fori più profondi, tutti all'altezza della testa. Ipnotizzata, vide tre paia di occhi rossi che viaggiavano a tutta velocità verso di lei: uno proprio dritto in faccia. Era così impaurita e traumatizzata da non cercare nemmeno di spostarsi, tanto era inutile. Tutto ciò che poté fare fu emettere un suono stridulo con la gola secca: «Li vedo. Sono qui». Per la prima volta, Hackett si fermò e staccò gli occhi dalla corda. Nonostante lo choc, non aveva la stessa espressione di orrore che alterava i lineamenti del viso di Zeb e di suor Chantal. Sembrava arrabbiato, irritato, come se i vermi delle rocce non avessero giocato pulito. Poi si rimise al lavoro. «Rompiti, bastarda!» Anche se Hackett avesse strappato la corda, le creature sarebbero state comunque troppo vicine. Vide suor Chantal abbassare lo sguardo e iniziare a pregare. Zeb voleva distogliere gli occhi, ma non poteva, quasi sentisse il dovere di guardare l'essere che stava per ucciderla. «Fatto!» gridò Hackett, dividendo la corda. Zeb scorse una nota di soddisfazione nella sua voce, anche se era troppo tardi e pochi secondi li dividevano dalla morte. Sentì la mano di Hackett afferrare la sua e stringerla. «È tutto a posto, li affronteremo insieme.» Quando il primo verme fuoriuscì dalla parete chiuse istintivamente gli occhi e si strinse nelle braccia. La sua trepidazione angosciante era così intensa che all'inizio non sentì il suono. Fu solo quando l'attacco non si materializzò che si rese conto della litania. Aprì gli occhi. I vermi si erano ritirati nei buchi dove stavano immobili. Le ninfe sono tornate, pensò, e guardò giù nel tunnel, aspettandosi di vedere Torino e i soldati di ritorno alla Fonte. Suor Chantal alzò le mani legate e iniziò a indicare spasmodicamente una delle gallerie scure tra i fori. Zeb vide una sagoma indistinta nel cunicolo che intonava la nenia calmante e faceva cenno di seguirla. Zeb osservò il verme che la braccava e rabbrividì all'idea di cercare rifugio in quel dedalo di gallerie e buchi infestati. Vide che gli altri facevano lo stesso. Nessuno voleva entrare nella tana del leone. Poi sentì altre voci provenire dal fondo del fiume di sangue. Torino sta-
va tornando con le ninfe in ceppi. «Eccoli», disse Hackett. «Non possiamo farci trovare.» Non avevano scelta. Zeb e gli altri s'infilarono nel passaggio scuro. Nel buio, la figura spettrale smise di cantare per un istante e allungò la mano per liberare loro i polsi. «Venite con me», li esortò un uomo. «Conosco un'altra via per scendere.» Zeb rimase senza fiato quando riconobbe quella voce. Era impossibile. Bazin gli aveva sparato e i vermi avevano sbranato il suo corpo. Gliel'aveva riferito Torino. Eppure, quando quella mano robusta afferrò la sua e la tirò dentro la galleria, Ross Kelly non sembrava affatto morto. Al contrario, era vivo e vegeto. 72 Scendendo il cunicolo buio, suor Chantal sentì altri spari dietro di sé. Ma non se ne curò. Ross era vivo. Non era ancora tutto perduto. «Vorrà uccidere altri vermi», ipotizzò Hackett. «Quei bastardi probabilmente penseranno che ci abbiano mangiato.» Poi afferrò Ross per il braccio. «Torino ha detto che ti avevano divorato. Non riesco a credere che tu sia vivo. Cos'è successo?» «Già», aggiunse Zeb. «Che ti è successo? Pensavo che...» Ross si portò il dito alle labbra e ricominciò la litania, poi puntò l'indice nell'oscurità. Su entrambi i lati del cunicolo c'erano fessure e gallerie laterali. Occhi rossi li guardarono sfilare e suor Chantal sentì persino dei respiri. Gli altri morivano dalla voglia di sapere cosa gli era successo, ma lei non aveva bisogno di fare domande. In qualche modo la Fonte lo aveva salvato, e ciò le bastava. La sua resurrezione miracolosa era un segno divino che poteva ancora portare a termine il suo sacro giuramento. Ascoltando il canto di Ross, strinse forte il crocifisso che padre Orlando le aveva regalato e sorrise ai demoni nell'oscurità. I morti sognano? Hanno pensieri ed emozioni? meditava Ross mentre intonava la salmodia e conduceva gli altri giù per i cunicoli scuri verso l'anticamera. Devono, concluse, con la mente che tornava alla Fonte, al momento in cui era morto e aveva guardato dall'alto il proprio cadavere.
Non sente né dolore fisico né sofferenza spirituale mentre osserva le ninfe che gli tolgono gli abiti e immergono il suo corpo nudo nella piccola pozza al di sotto del monolito e dell'idra. Galleggia nell'acqua ricca di minerali come un bagnante del mar Morto, mentre la ferita da proiettile sul petto e il foro di uscita sulla schiena fioriscono rossi nell'acqua lattiginosa. Le ninfe, almeno venti, formano un semicerchio intorno al monolito, come in adorazione. Alcune delle sfaccettature ricordano a Ross il meteorite di schreibersite ricco di fosforo che ha regalato a Lauren dopo l'ultimo viaggio in Uzbekistan, ma ogni altro aspetto del menhir è unico, dissimile da qualsiasi cosa abbia visto in anni e anni di geologia. Le ninfe intonano una nuova litania, alta e pura, che fa vibrare il monolito. Poi una piccola lamina della superficie si stacca per rivelare un cristallo trasparente che si opacizza immediatamente, come il metallo ossidato o la crosta del formaggio. Non appena il frammento cade nella pozza e si divide in pezzi perfettamente regolari, le ninfe indietreggiano. L'acqua inizia a frizzare e ribollire come il calderone di una strega e, mentre la testa di Ross scompare sotto la superficie nivea, la sua prospettiva cambia all'improvviso. Non è più nella camera a guardare se stesso dall'alto: i suoi occhi si perdono all'orizzonte, oltre il tempo e lo spazio. Una volta ha letto che quando uno muore gli passa davanti agli occhi tutta la vita; invece è come se la cortina del tempo si fosse spalancata per consentirgli di assistere alla storia della creazione. Vede tutto - dagli albori dei tempi, quattro miliardi e mezzo di anni prima - da una prospettiva divina. Centinaia, migliaia di asteroidi piovono dal cielo, deturpando e deformando la sterile crosta terrestre. Finché un meteorite seminale con l'esatta ricetta di amminoacidi non colpisce una porzione di crosta che contiene la perfetta miscela complementare di elementi chimici, calore e acqua. L'energia massiccia sprigionata da questa fusione unica di amminoacidi meteoritici e una Madre Terra recettiva fonde gli elementi del donatore in peptidi - gli antenati delle proteine vitali - e crea una progenie miracolosa: il monolito. Si dice che la chimica più l'acqua dà la biologia. In questo caso, l'acqua catalizza le proprietà germinali del monolito, producendo batteri, generando l'idra e contribuendo alla diffusione delle spore della vita per tutto il globo. Vede l'idra iniziare come un batterio monocellulare, poi evolvere, continuare a evolvere, per abbracciare tutte le forme di vita - vegetali, a-
nimali e minerali - in un solo organismo, in un'esistenza di portata epica. Capisce perché padre Orlando l'aveva chiamato l'«albero della vita e della morte»: perché incarna ogni sfaccettatura dell'esistente. Assiste al momento in cui, milioni di anni prima, la Fonte è il giardino vengono isolati dalla lava e sigillati dalla roccia vulcanica. A quel punto, però, il genio è già uscito dalla bottiglia. L'ultimo avamposto per beneficiare - e dipendere - direttamente dal potere miracoloso della Fonte è la sventurata sorgiva della città perduta. Tutte le altre forme di vita terrestri hanno ormai imparato a evolversi e adattarsi al di fuori della sua orbita, potenziando le proprie informazioni genetiche in un programma più autosufficiente: il DNA. Solo il giardino e i suoi abitanti dipendono dal concentrato vitale della Fonte per la propria sopravvivenza. Il tempo vola fino alla conquista del Perú da parte di Pizarro mezzo millennio prima. Ross vede i conquistadores e la Chiesa rivendicare e distruggere la foresta e i suoi abitanti, speculando il più possibile. Poi assiste all'annientamento della foresta a opera di taglialegna e petrolieri. E quando Ross medita sul fatto di aver servito quelle compagnie petrolifere, senza pensare o curarsi delle conseguenze per il pianeta, si sente sopraffare da un senso di colpa e di vergogna. Allora è questo che succede quando si muore, pensa. Non c'è Dio o il demonio, niente paradiso o inferno, solo una resa finale dei conti con la nostra coscienza, quando tutte le menzogne vengono messe a nudo e senti il dolore collettivo di coloro cui hai fatto torto e la gioia collettiva di quelli che hai aiutato. D'un tratto, la ninfa coi fiori rossi gli appare davanti, carezzandogli il ventre disteso. Inizia a parlare in una voce sorprendentemente familiare, enumerando le buone e le cattive azioni della vita di Ross, come se fosse a conoscenza dei suoi pensieri e delle sue intenzioni più intime. Nel fare il bilancio delle sue azioni, la ninfa assume le sembianze di sua moglie. Adesso Lauren gli sta davanti, nuda, bellissima, con la mano sul pancione. «Siamo morti?» le chiede. Con un sorriso mozzafiato, Lauren gli dice che le azioni sono tutto e che può ancora fare ammenda per i torti compiuti. «Come? Cosa vuoi che faccia?» «Ti amo, Ross, e so che anche tu mi ami, ma c'è qualcosa che devi promettermi di fare.» Quando glielo dice, lui scoppia a piangere. «Ma non posso.» «Puoi, Ross, e devi. È importante. Promettimelo.»
Prova a discutere con lei, ma è tutto vano. Nel profondo, dopo che l'egoismo e l'illusione hanno lasciato un posto vuoto, sa di non avere scelta. «Te lo prometto», dice. Improvvisamente si sente soffocare. Gli manca l'aria. Un'onda di panico lo travolge. Cerca di aprire gli occhi, ma bruciano come se immersi nell'acido. D'istinto deglutisce. Vomita e si alza a sedere. Apre di nuovo gli occhi e il bruciore è scomparso. È tornato nel suo corpo, dentro la pozza al centro della camera. Ed è solo. Alza gli occhi verso l'idra e il monolito che lo sovrastano, poi li abbassa verso la vasca. In bocca ha un forte sapore minerale. L'acqua è meno torbida di prima, quasi limpida e non ribolle più. Non ha idea di quanto sia rimasto là dentro, ma non appena si guarda il petto sente di avere una certezza assoluta. Non è più morto. Né in fin di vita. Si tocca il petto, incapace di trovare una qualche traccia del punto in cui la pallottola è entrata nel suo corpo, penetrandogli nel cuore e uscendo dalla schiena. Suor Chantal afferma di essersi rigenerata per secoli recandosi al lago del giardino e portando via i cristalli del tunnel. Questi derivati della Fonte, tuttavia, presentano dei limiti: Weber è morto, sebbene sia stato immerso nel lago. Ross, però, ha attinto direttamente dalla sorgente di vita. Ecco cosa lo ha riportato indietro dalla morte. Ne è sicuro. Si alza, nudo come il giorno in cui è nato, ed esce dalla vasca. Osservando il punto di origine dell'acqua, le sue esperienze di speleologo gli dicono che da lì potrebbe salire in superficie. I suoi abiti giacciono a fianco della pozza e ci sono frammenti di cristalli curativi ovunque. Per quanto inferiori alla Fonte, sembrano più scintillanti di quelli del tunnel che secondo suor Chantal possono curare Lauren. Basta prenderne uno, arrampicarsi e scappare. Nel giro di qualche settimana sarà al fianco di Lauren col mezzo per salvare lei e il bambino. Può avere tutto ciò che desidera, tutto ciò che sognava prima d'imbarcarsi in quella folle avventura... Invece, mentre Ross emergeva insieme con gli altri dallo scuro cunicolo nella relativa luce delle caverne retrostanti l'anticamera, sapeva di aver rinunciato al dono della vita per adempiere alla promessa che Lauren gli aveva fatto fare quand'era morto, sempre che di morte si trattasse. Anche se fosse stata solo la sua coscienza a parlare, sapeva che quel giuramento corrispondeva agli ideali e ai desideri di Lauren.
Zeb lo toccò, come per verificare che non fosse un fantasma. «Che ti è successo? Il padre generale ci ha detto che Marco ti aveva sparato al cuore.» «Infatti...» «Ha detto che eri morto.» «È vero.» «Non capisco», intervenne Hackett. «Ci ha detto che le ninfe ti avevano dato in pasto ai vermi.» Lui scosse la testa e indicò le sagome candide nascoste nell'ombra. «Le ninfe mi hanno portato alla Fonte.» Suor Chantal sorrise. «E la Fonte ti ha riportato indietro.» «Sì, mi ha riportato indietro.» Mentre Ross li conduceva nell'anticamera, spiegò cosa gli era accaduto, fino al momento in cui non li aveva sentiti salire dal tunnel. «Quando Torino è entrato nella camera sono sgusciato fuori dall'uscita posteriore attraverso i cunicoli bui che alla fine mi hanno portato da voi.» Ci fu un attimo di silenzio, poi Hackett disse: «Avresti potuto scappare... Perché non l'hai fatto?» «Ci sono ancora troppe cose da sistemare, qui.» «Ma avresti potuto curare Lauren», rincarò suor Chantal. «È per questo che ti ho portato in questo giardino. Perché lei potesse diventare la nuova Guardiana.» «La Guardiana di cosa?» ribatté Ross. «Non avrei fatto in tempo ad arrivare al capezzale di Lauren che il padre generale vi avrebbe uccisi tutti e avrebbe preso il controllo della Fonte.» Si voltò nell'oscurità e avvicinò il viso a quello della suora. «E il giardino sarebbe stato distrutto. Spazzato via dalla faccia della Terra.» «Ma cosa dici?» fece suor Chantal con orrore. «Non lo farebbe mai.» «Perché no? Lei stessa ha detto che metterebbe la Chiesa in una posizione scomoda, che solleverebbe troppi interrogativi. Il punto è: Lauren non mi perdonerebbe mai per averlo permesso. Ho condotto io Torino fin qui. Sono il responsabile. Devo fermarlo.» «Sei sicuro che voglia annientare il giardino?» domandò Zeb. «Non solo quello. Ogni essere vivente tranne la Fonte. Quei pacchi gialli che hanno portato i soldati sono dispositivi incendiari, bombe. Ho visto aggeggi del genere usati per sgombrare il terreno per l'esplorazione petrolifera.» Quando passarono attraverso il precipizio sul lago di magma e il ponte
spezzato Hackett si adombrò. «Ora capisco come potrebbe distruggere il giardino e tutte le sue creature. Ma come farà a uccidere tutte le ninfe, tutti i vermi delle rocce e quelli?» Indicò i tentacoli tubolari che correvano lungo le pareti. «Basterà che i soldati piazzino qualche congegno incendiario all'interno dei tunnel. La termite genera alte temperature - superiori ai mille gradi - e in questi spazi angusti la sfera di fuoco distruggerebbe tutto. Adesso che hanno decimato i vermi, è plausibile che facciano lo stesso con loro. La Fonte ne uscirebbe incolume, ma tutto il resto sarebbe epurato.» Suor Chantal rabbrividì al pensiero di quello che sarebbe potuto succedere al giardino che aveva giurato di proteggere. «Allora cosa facciamo?» Ross le fece un sorriso. «È tempo di finirla di essere la placida Guardiana che aspetta l'arrivo della cavalleria. Siamo noi la cavalleria. Sta a noi prevenire che Torino abusi di questo posto, in particolare della Fonte.» Si rivolse a Hackett e a Zeb. «Voi che ne dite? So che non è la vostra battaglia, ma...» «Balle», esclamò Hackett. «Certo che è la mia battaglia. Non permetterò che quell'arrogante di un prete metta le mani su quello che ho visto lassù. Contate su di me.» «E anche su di me», aggiunse Zeb. «Non pensare di avere tutto il merito, Ross, solo perché alla fine sei salito sul carro dell'ecologismo. Io ci sono sempre stata.» 73 Mentre si dirigevano verso il bagliore dell'anticamera, apparve una ressa di ninfe, stagliate contro la luce. Ross udì un fruscio elettronico e una voce maschile. Fece segno agli altri di fare silenzio e li schiacciò contro un anfratto. Benché fossero di nuovo tutti insieme, uniti dallo stesso proposito, Ross non aveva ancora la certezza che sarebbero stati in grado di fermare quattro sicari esperti e un prete fanatico convinto di essere in missione per conto di Dio. Oltre le ninfe vide un soldato parlare alla radio a onde corte. Era solo, armato di un lanciafiamme e portava uno zaino rigonfio. «Sono in dieci circa. Probabilmente nel tunnel ce ne sono altre. Passo.» «Disperdile col lanciafiamme, Gerber, poi piazza le cariche», ordinò una voce scricchiolante dalla radio. «Non preoccuparti. Finché hai il lanciafiamme, sei al sicuro.»
«Me la sbrigo da solo», tagliò corto il soldato. «Passo.» «Bene, allora. Passo e chiudo.» Ci fu uno scatto e poi il crepitio di una fiamma. Il soldato scoppiò a ridere e le ninfe si defilarono. Quella coi fiori rossi sfrecciò accanto a Ross in preda a un panico cieco, diretta verso i cunicoli bui. Il soldato le seguì, sparando vampate. «Scappate, stronze! C'è la disinfestazione.» Ross e gli altri si accalcarono ancor più all'interno della nicchia. Quando il soldato passò, Ross trattenne il respiro. Non si concesse il tempo di pensare a cosa fare. Agì e basta. Balzò sullo zaino del soldato e lo tirò indietro con tutta la sua forza. L'uomo era robusto e per alcuni secondi resistette al peso di Ross unito all'ingombro dello zaino e dei serbatoi del lanciafiamme. Poi grugnì e ricadde sulla schiena. Hackett gli saltò addosso e gli strappò via dalle mani il bocchettone. Zeb afferrò la radio aprendogli un dito dopo l'altro. Persino suor Chantal gli ancorò una delle gambe. Insieme lo privarono dello zaino e del lanciafiamme. Il soldato lottò e gridò, ma quando vide Ross con la pistola in mano rimase di sasso. «Tu eri morto...» Ross gli puntò la pistola alla testa. «Evidentemente no.» «Ma il padre generale ti ha visto morire. Ha detto che le ninfe ti hanno lasciato ai vermi.» «Ti do un consiglio: non credere a tutto quello che dice. A proposito, dov'è il padre generale, Gerber? E Marco Bazin e gli altri soldati?» Gerber scrollò il capo e gli sputò in faccia. «Morirete tutti.» Zeb gli mollò un calcio sui genitali. Gerber si contorse e Zeb alzò la gamba, pronta a colpire di nuovo. L'uomo indicò il tunnel. «Sono in cima al tunnel?» chiese Ross. Un cenno del capo. «Tutti quanti?» Un secondo cenno. Nel frattempo, le ninfe si stavano avvicinando. Erano più di prima. Molte di più. L'amica coi fiori rossi era in testa. Ross si rivolse a Hackett. «Puoi disinnescare le bombe incendiarie nel giardino?» «Se mi dici come...»
Ross estrasse un pacco giallo dallo zaino di Gerber e indicò due spinotti che sporgevano. «Basta staccare i detonatori. Ci vuole una temperatura molto elevata per attivare questo tipo di termite e senza i detonatori questa roba è praticamente inerte. Ma dovrai staccare i detonatori di tutti i pacchi accatastati; basta che ne scoppi uno per generare il calore sufficiente a incendiare gli altri.» «Vengo con te», disse Zeb. Le ninfe si fecero più vicine e Ross si sentì sfiorare il braccio. La ninfa coi fiori rossi lo strattonava indicandogli di farsi da parte. Le ninfe iniziarono ad allontanare anche gli altri. Quando lui e Hackett afferrarono Gerber, le ninfe reagirono con stizza, digrignando una chiostra di denti aguzzi: gli stessi denti che Ross aveva visto frantumare la roccia cristallina. «Penso che dovremmo lasciarlo alle loro amorevoli cure», commentò Zeb, mentre due ninfe spingevano lei e suor Chantal lontane dal soldato. «Non possiamo», protestò Ross. «Non abbiamo molta scelta, a meno che tu non voglia aprire il fuoco», precisò Hackett. «E, considerato che ti hanno salvato la vita, non mi sembra giusto.» Le ninfe afferrarono il soldato atterrito e fecero per trascinarlo via. «Aiutatemi!» supplicò Gerber. «Ho solo eseguito gli ordini del padre generale...» «Hai solo eseguito gli ordini, eh?» ripeté Hackett, raccogliendo lo zaino di Gerber e il lanciafiamme. «Dov'è che l'ho già sentita?» Ross si trattenne ancora un momento, ma la ninfa dai fiori rossi e le altre continuarono a spingerlo sinché non fu costretto a mollare la presa. Soppesò la pistola tra le mani, ma sapeva che non l'avrebbe mai usata contro le ninfe. Per un lungo istante, fissò lo sguardo nell'oscurità, ascoltando le grida di Gerber che si affievolivano sempre più echeggiando nei cunicoli. Hackett fu il primo a rompere il silenzio. Era pallido in viso. «Cos'hai intenzione di fare mentre Zeb e io disinneschiamo le bombe?» Ross puntò l'indice alle sue spalle. «Impedirò al padre generale di fare a fette la Fonte.» «Vengo con te», si offrì suor Chantal. Ross stava per protestare quando vide l'espressione negli occhi dell'anziana. La posta in gioco per lei era alta quanto lo era per lui, se non di più. «È sicura?» «Sì.» Quando si furono augurati buona fortuna e furono pronti a separarsi, Zeb
prese Ross per la mano e gli stampò un bacio sulla guancia. «Lauren sarebbe fiera di te.» «Lo spero.» Rievocando l'incontro con Lauren tra la vita e la morte e il giuramento che le aveva fatto, si rese conto che le sue priorità erano drasticamente cambiate. Cercò comunque di razionalizzare quello che era successo e di convincersi che si era trattato di uno scherzo della sua mente febbricitante; sapeva di dover mantenere quella promessa, a ogni costo. Mentre Hackett e Zeb si avviavano verso il giardino, Ross e suor Chantal tornarono sui propri passi nei recessi oscuri dell'anticamera, grati che le urla di Gerber fossero finalmente cessate. 74 Torino era convinto di essere sul punto di toccare il volto di Dio. In piedi al centro della camera di cristallo, allungò la mano tremante verso la Fonte. L'elettricità statica intorno al monolito era così forte da conferire all'aria una consistenza palpabile. Spinse più forte e incontrò sempre più resistenza finché, a quindici centimetri dalla superficie, le dita non sembrarono rimbalzare contro una barriera invisibile. Più insisteva, più la resistenza aumentava. Quando ritrasse la mano e la lanciò verso la roccia, fu deviata con una tale potenza che l'aria sembrò incresparsi verso l'esterno. L'idra si scosse visibilmente e Torino percepì la terra tremare sotto i piedi. Esaminò l'acqua che cadeva dal soffitto. Era in diretto contatto con la Fonte; perché allora lui non ci riusciva? Era come se il suo corpo fosse della stessa polarità della roccia magnetica. Tentò di nuovo, ma stavolta avvicinò la mano gradatamente. Sentì che la resistenza, evitando di spingere troppo forte, s'indeboliva sinché, finalmente, non si trovò la roccia sotto le dita. Ritrasse subito la mano: la superficie liscia era rovente al tatto e palpitante di elettricità. Il senso di potere era travolgente. Tutto il suo corpo si agitava. Si guardò le mani e si accorse di avere le dita in fiamme. «Va tutto bene, padre generale?» Si voltò verso l'entrata dove Fleischer e Petersen aspettavano con le due ninfe legate. «Va tutto bene, Feldweibel. Mi passi il martello.» Fleischer porse il piccolo utensile a Torino. «Avete bisogno di aiuto?» «No.» D'un tratto si sentì in imbarazzo. «Aspettatemi fuori. Vi chiamerò in caso di bisogno.» Attese di essere solo, poi spinse piano la parte acuminata del martello contro la pietra. Dal punto di contatto sprizzarono scintille e, di nuovo, av-
vertì un tumulto sotto i piedi. Alzò il martello e picchiettò dolcemente la superficie cristallina. Il monolito vibrò, l'idra si contorse come un serpente adirato e una scarica elettrica gli salì lungo il braccio, al che le ninfe all'esterno iniziarono a emettere un urlo così stridulo da far dolere le orecchie. «Le faccia stare zitte!» gridò il gesuita a Fleischer. Perlustrò la superficie del monolito, individuò una lastra rialzata della crosta da cui fuoriusciva l'idra e orientò la punta del martello contro di essa. Pochi colpetti ben mirati sarebbero dovuti bastare a staccarla. Fece un respiro profondo, allargò le gambe per tenersi in equilibrio e alzò il martello. «Non lo farei se fossi in lei.» Quella voce severa e familiare lo fermò nel bel mezzo dell'operazione. Si voltò lentamente verso il fondo della caverna dove si trovava l'uscita oscura. Suor Chantal lo fissava dall'ombra, ma la voce che gli aveva fatto accapponare la pelle apparteneva allo spettro davanti a lei. «Lei è morto», gracchiò Torino, la gola improvvisamente secca. «Ho visto il sangue. Ho visto il proiettile colpirla.» Ross Kelly indicò il buco nella camicia proprio sopra il cuore. Gli occhi ardevano di rabbia. «Mi ha colpito, infatti. Ero morto.» Puntò l'indice verso il monolito. «Ma la Fonte mi ha riportato indietro.» Torino rimase impietrito mentre lui si avvicinava, gli prendeva la mano destra e se la posava sul petto. «Se non ci crede, tocchi la mia ferita.» Ross si voltò e mostrò un foro ancor più largo nella camicia nel punto in cui il proiettile era uscito. Torino non resistette. Lasciò andare il martello e mise il dito negli squarci nella camicia. Ma non c'erano buchi né sul petto né sulla schiena. Nessuna ferita. Nemmeno una cicatrice. Era come se non gli avessero nemmeno sparato. Eppure il proiettile gli era penetrato nel cuore e Bazin aveva assicurato che fosse un colpo mortale. «Ho visto le ninfe portarla...» «Mi hanno portato qui.» Ross indicò la pozza ai piedi del monolito. «Hanno immerso il mio corpo là dentro e mi hanno nutrito con la Fonte.» Torino si accorse di essere rimasto senza fiato. «Ha bevuto direttamente dalla Fonte?» Di tutti i miracoli che aveva visto nel giardino, quello era di gran lunga il più grande. Ross non era guarito da una frattura o un maialino. Era risorto. Era stato curato dalla morte. Nonostante lo choc iniziale, la comparsa di Ross lo entusiasmava: era la conferma del supremo potere della Fonte. «Dio è misericordioso, dottor Kelly. Dio le ha dato una seconda possibilità. Adesso deve apprezzare i Suoi poteri e capire che la vita è ben diversa dalla scienza.»
Ross scoppiò in una breve risata amara. «È lei che deve capire che la vita è ben diversa dalla religione. Questa pietra - questa Fonte - conta molto più di qualsiasi Chiesa.» Torino scosse la testa di fronte all'arroganza di quell'uomo. «Persino più della Santa Madre Chiesa?» Ross avanzò, la sua rabbia era palpabile. Con la destra impugnava una pistola. «Certo che sì. Quasi quattro miliardi di anni fa qui è avvenuto il più grandioso miracolo della Terra, forse dell'intero universo. Questo monolito, o Fonte, è nato da un impatto vivificatore unico. Prima di quell'istante seminale, questo pianeta era una roccia carbonizzata qualsiasi, bombardata da meteoriti in un angolo sperduto dello spazio. I germi della vita sono stati piantati in questo punto esatto. Da qui deriva la sacralità di questo luogo. Ma non ha niente a che fare con Dio o la religione. Per gran parte di questi quattro miliardi di anni, la vita si è sviluppata felicemente senza di noi e senza la religione. Poi, negli ultimi centomila anni, ci siamo evoluti e la nostra coscienza agognava di spiegarsi le cose che non riuscivamo a capire, tra cui la nostra esistenza. Perciò abbiamo inventato la religione. Abbiamo creato Dio. Prima adoravamo il sole e la luna. Poi abbiamo cominciato a inventare gli dei: i greci e i romani avevano una divinità per qualsiasi cosa. Alla fine, alcune migliaia di anni fa, Abramo ebbe una rivelazione: c'era un solo dio. Il monoteismo ha dato alla luce tre religioni distinte: il cristianesimo, il giudaismo e l'Islam, scisse a loro volta in confessioni diverse, ognuna delle quali sostiene di essere la sola a adorare l'unico, vero dio. Se questa non sembra opera dell'uomo... allora non so cosa possa essere. Padre generale, Gesù Cristo è apparso sulla linea del tempo appena duemila anni fa, meno di un microsecondo in confronto alla storia di questo pianeta.» Ross indicò il monolito. «Eppure lei antepone la religione a qualcosa che non solo è qui dagli albori dei tempi, ma ne è la genesi. I poteri del monolito sono più grandi di quelli di qualsiasi dio invisibile. Se esiste qualcosa degno di essere venerato, allora è questo. Perciò non cerchi di deturparlo o di sfruttarlo. Lo rispetti. Lo protegga.» Torino scrollò il capo, incollerito dall'arroganza miope dello scienziato. «Come può lei capire il potere della fede e il bisogno della religione?» «Io lo capisco perfettamente. La mia religione era l'oro nero. Avevo una fede cieca nei suoi poteri: senza di esso non ci sarebbero stati carburante, plastica, computer, vernici, palline da golf, tutto l'essenziale alla prosperità della civiltà moderna. Il mio dogma era semplice: trovare il petrolio a ogni costo. Non c'era niente di più importante. Non mi curavo delle conseguen-
ze, sebbene mia moglie mi osteggiasse di continuo. Non m'importava che il petrolio, generato da processi lunghi milioni di anni, venisse consumato nel giro di pochi secoli dall'uomo che l'aveva scoperto. Dopotutto, l'uomo aveva il totale dominio sulla Terra. Il nostro dio ce l'aveva donata per disporne a nostro piacimento. Non è questo che tutte le religioni sostengono?» «Lei è un ipocrita, dottor Kelly. Parla di proteggere la Fonte però è ben contento di usarla per salvare sua moglie.» Guardò verso il tunnel e gridò: «Feldweibel!» Quando Fleischer apparve e vide Ross, sbarrò gli occhi per la sorpresa e imbracciò il mitra. Ross, tuttavia, aveva già alzato la pistola, puntandola alla tempia di Torino. «Sarò anche un ipocrita, ma ho una proposta da farle.» Torino corrugò la fronte. «Una proposta?» 75 Ross cercò d'ignorare la canna nera dell'Heckler & Koch di Fleischer e tenne ben salda la pistola. Si era sforzato di mantenere il sangue freddo mentre cercava di convincere l'uomo che aveva fatto così male a sua moglie e ai suoi amici. Adesso aveva bisogno di fare appello a tutte le forze rimaste per dar voce a quello che aveva da dire. Continuava a pensare a quand'era morto, a quando tutto era volato via e Lauren era apparsa davanti a lui. Ross, l'aveva chiamato lei con quella sua espressione accigliata. Devi proteggere il giardino e la Fonte, costi quel che costi. Non per l'umanità ma dall'umanità. Poi gli aveva detto cosa doveva fare per filo e per segno e gli aveva fatto promettere di seguire le istruzioni. «Allora, qual è la sua proposta?» chiese Torino. «Prima che Marco mi sparasse, ha detto che non potevo portar via un cristallo perché questo posto è più importante che salvare mia moglie.» «E allora?» «Forse aveva ragione. Ammetto che questo posto sia più importante di quello che amo di più al mondo. Ma solo se lei è pronto a fare lo stesso.» Torino socchiuse gli occhi, ma non parlò. Ross deglutì. «Faccio voto di lasciare questo posto, di non portare via niente e di non parlarne mai con nessuno, anche se ciò comporterà la morte di mia moglie e di mio figlio.» Sentì suor Chantal emettere un profondo sospiro alle sue spalle. «E lei de-
ve giurare di fare lo stesso, anche se significherà che lei e la Chiesa non farete mai uso dei suoi miracoli.» Torino scoppiò a ridere. «Intende davvero mettere sullo stesso piano la vita di sua moglie e la Santa Madre Chiesa? Pensa sul serio che abbiano lo stesso valore?» «No», rispose Ross. «La vita di Lauren è infinitamente più preziosa di qualsiasi Chiesa. Ma so che volete distruggere tutto salvo la Fonte e so che per Lauren questo posto avrebbe un valore inestimabile. Se lasciamo entrambi il giardino intatto, incontaminato, non costituirà nessuna minaccia alla sua amata dottrina.» Torino s'incupì. «Lei deve capire una cosa, dottor Kelly. Non solo dispongo del diritto legale di forgiare questo posto perché porti gloria alla Chiesa, ma è mio dovere farlo. È il dono di Dio al mondo e potrà essere apprezzato a pieno solo per mano della Santa Madre Chiesa. È da quando Roma ha fondato l'Istituto dei miracoli per mostrare l'intervento di Dio nel mondo che la Santa Madre Chiesa attende un dono di questa portata. La pietra sacra non solo ci permetterà di convalidare i miracoli, ma di crearli. Controllando i prodigi potremo far convertire il mondo intero. Non ci sarà ragione per opporsi. Questo porterà la salvezza a ogni individuo, unirà gli uomini sotto un unico Dio. Non capisce, dottor Kelly? Questa pietra sacra potrà anche aver dato la vita al pianeta, a ogni figlio di Dio. Ma adesso farà qualcosa di ben più importante. Salverà le loro anime.» Il cieco desiderio di Torino di volgere tutto a favore della sua Chiesa ricordò a Ross l'arrogante ciambellano di Pizarro che aveva contribuito alla sottomissione dell'ultimo imperatore inca a Cajamarca sostenendo che la sua unica speranza di salvezza fosse cedere l'impero, giurare fedeltà a Gesù Cristo e riconoscersi suddito di Carlo V. «Non ha capito niente di quello che ho detto? Vuole distruggere il giardino e uccidere ogni essere che vi abita solo perché entra in contraddizione con la sua Chiesa e il suo infallibile papa? Non vede quanto è insensato? O ridicolo?» «Non è ridicolo difendere la fede. Purificare questo posto è un piccolo prezzo da pagare per salvare le anime di tutto il mondo. Il giardino - comprese le sue creature - è un'anomalia sfortunata che incoraggerebbe scienziati impiccioni come lei a fare dichiarazioni irrilevanti e confuse sull'evoluzione e sulla creazione. Genera un rumore bianco frastornante che può e deve essere fatto tacere. I nostri nemici non devono avere nessun appiglio. Anche se non sarà d'accordo con la mia missione, deve capirla.» «La sola cosa che capisco è che la sua fede dev'essere molto fragile se
non può fare i conti con la verità.» «La posta in gioco non è la mia fede. È la fede di altri che devo proteggere.» «Quando dice 'altri', intende coloro che preferiscono pensare con la propria testa e giungere a conclusioni personali, basandosi sulle prove. Dannazione, se la fede di una persona è abbastanza forte, non si farà dissuadere da così poco. La gente interpreterà diversamente. La fede di suor Chantal è intatta perché non crede come lei in modo rigoroso.» Ross non riusciva più a dominare la sua rabbia. Quell'uomo era irragionevole. «Ma, naturalmente, è per questo motivo preciso che non può rischiare che il suo gregge veda. La sua dottrina non serve ad alimentare la fede, ma a controllare come e in cosa credono le persone.» La ricetrasmittente gracchiò nello zaino e, quando Torino allungò la mano per tirarla fuori, Ross intravide una scatola nera: il detonatore per le bombe incendiarie. La voce era quella di Bazin: «Non riesco a raggiungere Gerber. Ma vedo Hackett e Zeb nel giardino. Hanno con sé l'attrezzatura di Gerber e si stanno dirigendo verso le bombe. Penso che stiano cercando di sabotare il nostro piano di emergenza». Torino non staccò gli occhi da Ross. «Fermali. Spara, se necessario. Scenderò tra non molto.» Spense la radio. Ross tenne la pistola puntata alla testa di Torino. «Piano di emergenza? Marco non conosce le sue vere intenzioni?» «Abbiamo parlato abbastanza.» Il gesuita raccolse il martello e lo puntò verso il monolito. «Non è una buona idea.» Ross ricordò che le ninfe si erano tenute a distanza dalla Fonte e avevano impiegato il tono stridulo della voce per staccarne un frammento. Rabbrividì al pensiero di cosa sarebbe potuto succedere con l'uso della forza bruta. «Non lo faccia.» «Perché? Ha intenzione di spararmi? Pensa sul serio che Dio mi abbia condotto fin qui e mi abbia affidato questa sacra pietra solo per farmi uccidere da lei?» Si rivolse a Fleischer. «Spari a lui e a suor Chantal se osa fermarmi.» Poi, con un movimento flessuoso, abbatté il martello sul monolito, staccandone una lastra di trenta centimetri per sette presso il tronco dell'idra. La caduta della scheggia dalla Fonte mise in moto una catena così veloce di eventi che sembrarono verificarsi nello stesso istante: dal tronco e dai
rami dell'idra scaturì un tremore violento che si propagò per tutta la camera, le ninfe presero a gridare, Ross balzò su Torino e lo gettò a terra, Fleischer fece fuoco contro Ross - verso il punto in cui si trovava - e lo mancò, Ross si liberò del gesuita e sparò al sergente. D'un tratto, tutto sembrò andare al rallentatore. Ross guardò Fleischer accasciarsi, il dito ancora sul grilletto, l'Heckler & Koch che sparava all'impazzata mentre il corpo rotolava a terra, puntando l'arma in direzione del monolito. Quando il primo proiettile colpì la Fonte, il tempo riprese la sua velocità e si scatenò l'inferno. Un urlo acuto salì dalle viscere delle caverne, come se ogni creatura al loro interno fosse stata ferita dall'attacco alla Fonte. Ross si strinse la testa per l'agonia, il sangue che gli colava dalle orecchie. Il tronco dell'idra vibrò e i suoi tentacoli tubolari si flessero, sbriciolando le pareti, scuotendo le grotte. Mentre i tentacoli mulinanti si liberavano, facevano leva su schegge di cristallo, rivelando crepe scure nelle pareti e nel soffitto di roccia. Il soldato rimasto, Petersen, comparve all'ingresso e puntò l'arma contro Ross. Per un secondo, Ross pensò che gli avrebbe sparato, ma, quando l'uomo alzò lo sguardo verso l'idra sferzante, si voltò impaurito e si precipitò giù per il tunnel imbattendosi in un nugolo di ninfe che accorrevano per proteggere la Fonte. Ross lo guardò aprire il fuoco, falcidiandole come spighe di grano, prima di scomparire nel tunnel. Il terreno iniziò a scuotersi e quando Ross si guardò indietro verso la Fonte vide la ragione per cui il soldato era fuggito: i vermi delle rocce sporgevano dagli anfratti più bui coi loro occhi rossi. Ci volle un secondo a Ross per rendersi conto che i vermi facevano in realtà parte dell'idra: un organismo enorme che pervadeva tutto il sistema sotterraneo. Non ne facevano parte solo i vermi, ma anche i rami tubolari che correvano lungo le caverne dietro l'anticamera. I baccelli che nutrivano le ninfe e i vermi delle rocce che le divoravano erano semplicemente organi della stessa entità: l'albero della vita e della morte di padre Orlando che simboleggiava l'esistente in tutte le sue molteplici forme. Quella creatura colossale, le cui radici affondavano nelle profondità della Fonte, era probabilmente vecchia come la vita stessa. Una scheggia di cristallo cadde vicino a Ross, poi anche altri massi, precedentemente sorretti dal reticolo cristallino, iniziarono a traballare e crollare. Mentre il caos impazzava, il monolito, protetto dall'idra sferzante, se ne stava quieto e inviolato, tranne per la scheggia staccata da Torino. Quando il padre generale allungò la mano per prenderlo, Ross gli si sca-
gliò contro, lo mandò a tappeto e raccolse il frammento. Con quell'ardore scintillante tra le mani, Ross riuscì a percepirne il calore e la potenza. Guardò verso l'uscita. Nonostante la promessa fatta a Lauren, la tentazione di portarlo via era irresistibile. Torino si rimise in piedi e scattò in avanti per riprendersi il frammento, afferrandolo con una forza sorprendente. «Lo dia a me. Appartiene a Dio e alla Chiesa.» Mentre Ross lottava con Torino, cercando di strappargli il cristallo dalle mani, si sentì chiamare. Suor Chantal giaceva a terra e gemeva, stringendosi l'addome. Ross percorse con lo sguardo la distanza verso l'uscita, poi tornò a rivolgersi a suor Chantal. Gli bastò un secondo per prendere una decisione. Mollò la presa, cedette il frammento a Torino e accorse da lei. Era stata colpita nello stomaco da uno dei proiettili vaganti sparati da Fleischer. Il sangue le zampillava dalla ferita attraverso le dita intrecciate e le stillava pure da un angolo della bocca. Dimentica del caos circostante e del dolore, fissò il monolito splendente. «È così bello... così bello...» Accovacciandosi, Ross la sollevò per portarla verso la pozza miracolosa ai piedi della Fonte, cercando di evitare i detriti che crollavano. La religiosa iniziò a divincolarsi. «No, portami nel giardino. Alla tomba di padre Orlando.» Lui lanciò un ultimo sguardo alla Fonte, in cerca di Torino. Era scomparso, così come il frammento e l'arma di Fleischer. Il sentiero per il giardino era bloccato da detriti e rocce cadute. Una cuspide di cristallo cadde dal soffitto mancandolo di pochi centimetri. Doveva portare fuori suor Chantal al più presto. Svoltò imboccando il sentiero tetro, lasciandosi alle spalle la strada da cui era entrato, cantilenando per tranquillizzare i vermi delle rocce. Mentre si districava fra i tunnel bui, cullando la suora morente tra le braccia, continuava a pensare a Torino col frammento di Fonte in una mano e col detonatore nell'altra. La sua unica speranza era che il prete non ne uscisse vivo. 76 Torino non aveva la minima intenzione di morire. Dio aveva grandi progetti per lui. Non appena Ross lasciò andare il frammento di Fonte, Torino se lo strinse al petto, si gettò in spalla il mitra abbandonato di Fleischer, si fece strada attraverso la grandine di rocce e cristalli e corse verso il fiume
di sangue. All'interno, dovette aprirsi un varco attraverso un'orda di ninfe in preda al panico - molte delle quali già morte o sul punto di morire - schiacciandosi contro la parete. Al di sopra delle grida sentiva il tintinnio del cristallo che si crepava, mentre le fragili strutture di rivestimento si sfaldavano dalla roccia vibrante. Si mosse più veloce che poté, confidando nella protezione divina. A metà strada lo zaino s'impigliò in una prominenza di cristallo. Mentre cercava di liberarsi, un verme strisciò fuori da una fessura sulla parete opposta e si lanciò contro di lui. Sollevò l'arma di Fleischer nella mano destra, mirò al verme e premette il grilletto. L'arma rinculò tra le sue mani finché il caricatore non si fu svuotato: la raffica di proiettili aveva trapassato la creatura, costringendola alla ritirata. Abbandonando l'arma scarica, diede uno strattone e ruppe il cristallo che tratteneva lo zaino. Poi si precipitò giù per il tunnel, stringendo il frammento come un talismano, uno scudo contro i demoni che lo braccavano. Più avanti, trovò Petersen chino in una pozza di sangue. Il mitra scarico giaceva al suo fianco, circondato da bossoli. I resti sanguinolenti di un verme delle rocce ucciso formavano un cerchio intorno a lui. Le gambe di Petersen erano gravemente mutilate, ma era ancora vivo. Impugnava una pistola in mano, lo sguardo fisso ai fori nella parete, in attesa del ritorno dei suoi aguzzini. Petersen vide il gesuita e cercò di rialzarsi. «Aiutatemi, padre generale. Aiutatemi a scendere dal tunnel.» Torino si fermò accanto a lui guardando nervosamente i fori. «È carica la pistola?» «Mi sono rimasti tre colpi.» «Dammela.» Petersen lo fissò con un'espressione perplessa sulla faccia imbrattata di sangue. Poi obbedì e gli consegnò la pistola. «Aiutatemi a rialzarmi. Se mi permettete di appoggiarmi alla Vostra spalla penso di riuscire a camminare.» Allungò la mano verso Torino che, però, si ritrasse. Aiutare Petersen era inutile, controproducente. Non solo il soldato lo avrebbe rallentato, ma Torino non poteva lasciarlo vivere per raccontare a tutti del giardino. Era il volere di Dio. Sentì i vermi che tornavano alla carica. «Stanno per arrivare, padre generale», gridò Petersen. «In nome di Dio, aiutatemi.» Torino si allontanò. «In nome di Dio, non posso farlo.»
«Allora restituitemi la pistola. O sparatemi. Non lasciatemi così.» Torino non si guardò indietro. Persino quando i vermi tornarono e le suppliche di Petersen si tramutarono in urla, si mise a correre più forte giù per il tunnel. Doveva uscire. Doveva sopravvivere. Doveva compiere il volere di Dio. 77 Coperto di polvere, Ross uscì incespicando nel riverbero del giardino, tenendo suor Chantal tra le braccia. Alcuni istanti dopo, l'ingresso alle grotte proibite crollò alle sue spalle, formando uno sbarramento tra il ruscello e il lago. Senza guardarsi indietro, portò l'anziana verso il cumulo di pietre dove riposavano i resti di padre Orlando. Vide Bazin in piedi vicino alla tomba. Il lanciafiamme e lo zaino di bombe incendiarie che Ross e gli altri avevano tolto a Gerber erano ai suoi piedi. Nella destra stringeva una pistola, puntata verso Zeb e Hackett. «Dimmi solo una cosa», stava dicendo la ragazza. «Se questo è davvero il Giardino di Dio, perché lo odi così tanto?» «Non lo odio», rispose Bazin. «È la cosa più bella che abbia mai visto.» «Allora perché distruggerlo?» Lui la guardò storto, come se fosse una pazza. «Infatti non voglio distruggerlo! Voglio proteggerlo per la Santa Madre Chiesa.» Zeb indicò i pacchi gialli ad alcuni metri di distanza. «Non si protegge qualcosa minandolo di bombe incendiarie.» «Sono lì in caso di necessità, per evitare che il giardino finisca nelle mani sbagliate. Per prevenire che la gente lo usi contro la Chiesa.» «Quale gente? Noi? Che minaccia possiamo essere?» Bazin stava per risponderle quando vide Ross. Lui non tentò di sottrarsi allo scontro e proseguì verso il cumulo di sassi. Era esausto, dolorante e arrabbiato. «Mi hai già ucciso una volta, Marco. Se vuoi farlo di nuovo, spara. Altrimenti chiudi il becco e lasciami in pace.» Bazin brandì la pistola e rimase a bocca aperta, muto come un pesce. «Ross, che è successo?» esclamò Zeb. «Abbiamo sentito il terremoto da fuori.»
«Torino ha staccato un pezzo della Fonte e ha scatenato l'inferno.» «E a suor Chantal cos'è successo? Non mi sembra che stia bene.» «Fleischer le ha sparato.» Ross sfilò a fianco di uno stupefatto Bazin, adagiò suor Chantal sul tappeto erboso e le sostenne la testa con dolcezza. Il respiro era irregolare, ma era ancora viva. «Posso portarle dell'acqua, sorella?» «Non quest'acqua. Sto morendo e non voglio tornare in vita.» La donna guardò in lontananza e, nonostante il dolore, un sorriso estatico le illuminò il volto. Suor Chantal riusciva a vederlo, chiaro come il giorno del loro addio a Roma. Ma adesso padre Orlando non aveva più indosso la tunica sporca e non zoppicava per le torture inflittegli dall'Inquisizione. Era davanti a lei, bello e senza età, fulgido nella veste nera che aveva indossato prima che la Chiesa lo accusasse di eresia. «Sapevo che mi avresti aspettato», sussurrò, dimentica di Ross e degli altri. Il prete sorrise. «Ti sciolgo dal tuo voto, suor Chantal. Hai fatto tutto ciò che ti ho chiesto, e anche di più. Consegna il fardello al nuovo Guardiano. Dagli la croce.» «Non crede.» «Dagliela. Potrà sempre trovarvi la salvezza.» Suor Chantal tornò a guardare Ross. «Padre Orlando è qui. Posso vederlo. Mi ha sciolto dal voto. Posso ricongiungermi a lui.» Si tolse il crocifisso e glielo porse. «Prendi il crocifisso. Padre Orlando me lo ha dato quando sono diventata la Guardiana. Un giorno anche tu potresti trovarvi conforto.» «Non sono il Guardiano e non so cosa farmene di un crocifisso.» «Prendilo. Liberami.» Lui esitò un attimo, poi annuì con riluttanza. «Lo prenderò perché ho rispetto per lei. Solo perché so che è il simbolo del suo fardello.» Raccolse la croce dalle sue mani e se la mise al collo. Suor Chantal sospirò e tutto il suo corpo si accasciò. Lanciò uno sguardo a Zeb e Hackett e disse loro addio. Vide la tristezza nei loro occhi, ma in lei di tristezza non v'era traccia. Infine si rivolse a Bazin. «Ti perdono, figliolo. Hai fatto solo quello che il padre generale ti aveva detto fosse giusto. Hai sbagliato a fidarti di lui e ad anteporre la Chiesa alla fede. Ricorda: la Chiesa dovrebbe essere la tua serva e la tua guida. Mai la tua padro-
na. Come te, Marco, anch'io credo che il giardino sia opera di Dio. Se vuoi davvero la redenzione, metti giù la pistola e aiuta Ross a proteggerlo. Da chiunque. Anche dalla nostra Chiesa.» Vide padre Orlando farle cenno di seguirlo e un senso di gioia si diffuse in lei. Finalmente poteva riunirsi a lui. Strinse la mano a Ross. «Adesso devo andare. Padre Orlando mi chiama.» Sorrise un'ultima volta, poi chiuse gli occhi, accogliendo la pace che l'attendeva. Ross sentì la vita abbandonare il corpo di suor Chantal e per un momento nessuno parlò. La tristezza era mitigata dal suo aspetto così sereno, come se si stesse godendo il meritato risposo. Adagiandola sul terreno accanto alla tomba di padre Orlando, divenne ancor più consapevole della croce che gli pendeva al collo. Forgiata da metallo opaco, aveva un peso incredibile. Quando alzò lo sguardo verso gli altri, si trovò la canna della pistola di Bazin sotto il naso. «Che cos'hai intenzione di fare? Ci darai una mano a proteggere il giardino o aiuterai il padre generale a distruggerlo?» La pistola tremava nella mano di Bazin. Di rado ci aveva pensato due volte prima di uccidere un uomo. Sparare a Ross, però, era stato diverso, anche perché gli aveva salvato la vita. Quel fugace senso di colpa, comunque, non era niente in confronto alla confusione di quel momento. Sprofondare nei suoi occhi indagatori, sapendo di averlo già ucciso una volta, era l'esperienza più sconcertante della sua vita. Era come guardare negli occhi tutti gli uomini che aveva ucciso. Ma cosa significava? Gli veniva forse offerta una seconda possibilità, o era un modo per mettere alla prova la sua determinazione? «Sto solo facendo ciò che è giusto. Servo la Santa Madre Chiesa, la vera Guardiana del Giardino di Dio.» Ross indicò le caverne proibite e l'ingresso crollato. «Sai cos'è successo là dentro? Ho detto al padre generale che ero pronto a lasciare questo posto e a non parlarne più con nessuno, se anche lui avesse fatto lo stesso. Ha rifiutato.» «Certo che ha rifiutato. È suo dovere rivendicare questo giardino per Dio e per la Chiesa.» «Non si è limitato a rifiutare l'offerta. Ha preso a martellate la Fonte. Dimmi una cosa, Marco. Se la Fonte fosse destinata alla tua Chiesa, perché quando il padre generale ha cercato di asportarne un campione ha rea-
gito così violentemente? E, se costituisco davvero una minaccia, perché mi ha riportato indietro dal regno dei morti?» Bazin lo guardò di sbieco, determinato a mascherare l'indecisione che trapelava dai suoi occhi. «Marco, la verità, a prescindere da quello che pensi sulla mia fede, è che io ero pronto a sacrificare mia moglie per salvare il Giardino di Dio. A Torino, invece, non gliene frega niente. Per lui genera solo imbarazzo. È la Fonte ciò che vuole. Vuole distruggere tutto il resto; ho visto il detonatore nel suo zaino. Come puoi permettergli di distruggere il giardino magico e tutte le sue creature solo perché gettano dei dubbi sulla dottrina cattolica? Quale dio approverebbe una cosa del genere?» «Abbiamo piazzato gli ordigni solo in caso di emergenza.» Avvicinò la pistola al viso di Ross. «Il padre generale non voleva usarli. E comunque, dimmi, lui dove si trova?» «Non lo so. Forse è morto.» La ricetrasmittente crepitò nella mano di Bazin. Era il padre generale ed era più vivo che mai. 78 Alcuni istanti prima Torino respirava a fatica quando emerse dal fiume di sangue. L'anticamera era più tenebrosa di quanto ricordasse. Dalle pareti del cunicolo erano caduti così tanti cristalli che il bagliore che emanavano era notevolmente diminuito. Gli ci vollero alcuni secondi, però, per accorgersi di quale fosse la vera ragione di quell'oscurità: l'entrata al giardino era stata bloccata dalla caduta di alcuni massi. La frana aveva creato una diga al ruscello, alzando il livello delle pozze nell'anticamera. Le ninfe cantilenavano a squarciagola nei pertugi bui alle sue spalle, ma lui le ignorò. La pistola di Petersen gli infondeva sicurezza. Si precipitò all'entrata e spinse le rocce, ma riuscì ad aprirsi solo una stretta fessura orizzontale che gli consentiva di guardare il giardino come da una buca delle lettere. Inclinò la testa per avere una visuale a destra e scorse il lago. Poi sbirciò a sinistra e sorrise. A una certa distanza, con la pistola in mano, Bazin teneva Ross sotto tiro. Suor Chantal giaceva immobile tra di loro. Altre due sagome erano parzialmente identificabili all'estremità della fessura: Zeb Quinn e Hackett.
Gridò, ma non riuscì a farsi sentire a causa del fragore prodotto dalle ninfe. Ripose il frammento di Fonte e la pistola nello zaino accanto al detonatore ed estrasse la ricetrasmittente. Schiacciò il pulsante di trasmissione e vide Bazin afferrare la radio e portarsela all'orecchio. «Marco, sono io. Mi trovo intrappolato nell'anticamera. Gli altri sono morti. Chi c'è con te? Riesco a vedere bene solo te e Ross.» «Qui ho Ross, Zeb Quinn e Hackett.» «E suor Chantal?» «Morta.» «Bene. Spara agli altri, poi vieni a tirarmi fuori.» «Perché ucciderli? Non intendono far del male al giardino.» Torino inspirò profondamente. «Non contestare i miei ordini. Se li lasciamo andare racconteranno a tutti cos'hanno visto. Per il bene della Chiesa, dobbiamo tenere segreto questo posto e i suoi miracoli.» «E il giardino? Se li uccidiamo non ci sarà bisogno di distruggerlo, vero?» Torino serrò le mascelle e represse l'impazienza. «Il giardino appartiene alla Chiesa, Marco. Sarà il Vaticano a decidere il modo migliore per piegarlo al servizio di Dio.» Naturalmente il giardino doveva essere annientato. Il papa era stato chiaro su quel punto: niente avrebbe dovuto entrare in conflitto col dogma. Aveva affermato a chiare lettere che, qualsiasi cosa Torino avesse trovato, avrebbe potuto portare solo e soltanto gloria alla Chiesa e che il Santo Padre non avrebbe riconosciuto ciò che in seguito avrebbe dovuto smentire. Di conseguenza, prima che Torino presentasse la sua scoperta alla Curia, doveva epurarlo di ogni elemento controverso. Non c'era garanzia che il fratellastro capisse, ma lui aveva bisogno del suo aiuto per uscire di lì. Abbassò lo sguardo al detonatore. «Come ti ho detto, le bombe incendiarie sono state portate solo in caso di necessità. Se farai come ti dico non ci sarà bisogno di usarle.» «Capisco.» «Allora fa' il tuo dovere. Guadagnati la redenzione.» «Va bene.» La radio si ammutolì di colpo e Torino sbirciò dalla fessura. Bazin era visibile solo in parte, ma gli altri erano fuori campo. Marco teneva la pistola con la destra e nel frattempo gesticolava stizzosamente con la sinistra. Sembrava che gridasse. Poi Torino udì tre colpi in rapida successione. Allungò il collo, ma adesso Bazin era fuori dalla visuale. I tre colpi successivi furono più distanzia-
ti, sistematici. Torino lo immaginò passare da corpo a corpo per dare il colpo di grazia. Bazin ricomparve, si avvicinò la radio alla bocca e s'incamminò verso di lui. «Fatto.» 79 Torino non riusciva a vedere Bazin che spostava le pietre dalla parte opposta dell'ingresso crollato, dove la parete rocciosa offriva ancora un sostegno. Il gesuita cercò di collaborare, ma gran parte dei massi all'interno sembrava sorreggere quelli all'esterno. Solo e a mani nude, Bazin lavorava a una velocità sorprendente. Entro pochi minuti aveva aperto uno stretto passaggio e ci era sgusciato dentro. Quando apparve aveva la faccia striata di sudore e sporca di polvere. «Sta bene, padre generale?» «Sì, ma devo uscire di qui.» Quando Torino si diresse verso l'angusto passaggio, Bazin gli mise una mano sulla spalla. «Mi dia lo zaino. Non ce la farà a passare con quello addosso.» «Lo spingerò davanti.» Bazin scosse il capo. «Voglio il detonatore.» «Perché?» «Mi ha assicurato che se li avessi uccisi non avrebbe avuto motivo di distruggere il giardino.» «Non ti ho promesso niente. Ho detto che era un'eventualità.» Bazin allungò la mano. «Ho eseguito tutto quello che mi hai ordinato da quando sono venuto da te in cerca dell'assoluzione. Fallo per me, Leo.» «E perché dovrei? Non ti devo niente. Quando mi hai chiamato eri un assassino, un essere spregevole, La mano sinistra del diavolo. Ti ho dato uno scopo e ti ho mostrato la via per la redenzione. Ti ho trasformato in un crociato per Dio e la Santa Madre Chiesa. Ti ho fatto un favore.» «Sono ancora un assassino. Ho ucciso per te.» «Non per me. Tutto ciò che ti ho chiesto di fare è stato per il bene della Chiesa, di Dio e della tua salvezza.» Bazin emise un lungo, mesto sospiro. «Sin dai tempi dell'orfanotrofio, sei sempre stato il mio modello, Leo. Non m'importava che i gesuiti mi trattassero come un teppistello. Ero orgoglioso per come ti avevano cresciuto, fratello mio. Ti ho sempre idolatrato e ho sempre cercato la tua approvazione. Ecco perché confidavo che mi aiutassi e perché ho fatto tutto
quello che mi hai chiesto. Adesso falla tu una cosa per me, dammi il detonatore. Non in veste di padre generale, ma come Leo, come mio fratello.» «Non posso. Sono un servo della Chiesa, non tuo.» «Allora mi hai mentito? Le bombe non sono qui in caso di emergenza?» «Non ti ho mentito, ho solo pensato che non potessi capire la realtà dei fatti. I nemici della Chiesa distorceranno quello che abbiamo scoperto. Parleranno di evoluzione, creazione e confuteranno le Scritture, inculcando il dubbio nelle menti dei fedeli. Solo distruggendo il giardino e tutta la sua vita mutante, costruendo un nuovo Vaticano sulle sue ceneri, imbriglieremo il potere della Fonte e salveremo le anime dei cristiani.» «Ma questo è il Giardino di Dio... Come puoi distruggerlo?» «Sapevo che eri troppo stupido per capire, Marco.» «Troppo stupido per capire? O abbastanza da fidarmi di te?» Bazin estrasse una pistola dalla cinta. «Consegnami il detonatore, Leo.» Torino fulminò il fratello con lo sguardo. Temeva che sarebbe successo. Si sfilò lo zaino dalle spalle e v'infilò entrambe le mani. «Come vuoi.» Con la sinistra prese il detonatore, con la destra tastò la pistola di Petersen, la puntò dietro la tela e premette il grilletto tre volte. Quando i proiettili trapassarono Bazin scaraventandolo a terra, dal suo viso trapelò più stupore che dolore. Crollando, lasciò l'arma, che cadde nell'ombra sferragliando contro la dura roccia. Torino gli si avvicinò scuotendo la testa con disprezzo. «Ti ho offerto la redenzione, Marco. Ti ho offerto la possibilità di salvare la tua anima. E tu l'hai gettata via. Per cosa? Per salvare un giardino senza valore.» Impugnò il detonatore, aprì la chiusura di sicurezza, scoprendo il pulsante e accendendo la luce verde. «Hai fallito. Non hai salvato un bel niente.» «Ti sbagli...» mormorò Bazin. «Qualcosa ho salvato...» Un improvviso movimento nello stretto passaggio verso il giardino fece voltare Torino di scatto. Ross stava strisciando nell'anticamera. Il padre generale intuì al volo perché Bazin era stato così veloce a scavare un cunicolo attraverso le rocce franate. Non aveva agito da solo. Aveva solo finto di uccidere Ross. Probabilmente anche gli altri si trovavano là fuori. Torino sfoderò la pistola dallo zaino, mirò verso il geologo e premette il grilletto. La pistola era scarica. Ross era sgusciato dentro e si stava rimettendo in piedi. Torino lasciò cadere l'arma e afferrò il detonatore. La sua priorità era proteggere la Chiesa. Guardò attraverso la fessura orizzontale che si affacciava sul giardino.
Poi schiacciò il pulsante del detonatore. L'incendio che ne risultò ebbe più l'effetto di un uragano che di una deflagrazione. Corse intorno al cratere a forma di occhio, acquistando velocità, succhiando l'ossigeno nell'aria e incenerendo tutto sul suo cammino. Quando il fuoco raggiunse la catasta di munizioni, all'incendio andarono ad assommarsi esplosioni e spari. Dall'interno della grotta sembrava che fosse scoppiata una guerra. Un pennacchio di fuoco penetrò nell'angusto passaggio che Bazin aveva praticato nelle rocce cadute, atterrando Ross. Torino sentì di colpo stringersi il petto allorché l'ossigeno venne risucchiato dall'anticamera nel giardino. Si udì un fragoroso sibilo, causato dallo spostamento d'aria, e dall'apertura turbinò una nube di polvere nera e fumo. In poco tempo era tutto finito. Ciò che l'evoluzione aveva impiegato miliardi di anni a creare, era stato distrutto in qualche minuto. «Cos'hai fatto?» gemette Bazin. Quando Torino accostò il viso alla fessura, sentì il calore della roccia. Scrutando attraverso l'aria acre e densa di fumo, vide che il giardino non esisteva più. Al suo posto c'era un deserto carbonizzato, circondato dalle nude pareti di granito del cratere. Il ruscello impetuoso era evaporato e il lago intorbidito dalla cenere. Piccoli roghi infuriavano ancora dove c'era qualcosa da bruciare, ma la distruzione era completa. Nonostante la soddisfazione, quello squallore intristì Torino. Fare il proprio dovere non era sempre facile. Ross giaceva supino sul pavimento di dura pietra, il sangue gli colava da uno squarcio sulla fronte. Aveva gli abiti anneriti sul fianco lambito dalle fiamme. Sembrava privo di sensi, o morto. Torino vide la pistola di Bazin luccicare nell'ombra oltre il suo corpo e si avviò per afferrarla. Sarebbe tornato con altre bombe incendiarie e avrebbe ripulito le caverne di ogni altro abominio: l'idra, le ninfe e i vermi. Solo la Fonte che avrebbe portato gloria a Roma sarebbe rimasta. La Santa Madre Chiesa avrebbe fatto sorgere un nuovo Vaticano sulle ceneri del giardino. Lasciando lo zaino a terra presso l'entrata bloccata, camminò nell'oscurità per raccogliere la pistola. 80 Per Bazin era straziante la certezza che il fratellastro non lo avesse condotto alla salvezza, ma alla dannazione. Quand'era ancora La mano sinistra
del diavolo, Bazin aveva peccato contro l'uomo, ma quando aveva ucciso per Leo, nel nome della Chiesa, aveva peccato direttamente contro Dio. Quello gli faceva più male dei proiettili conficcati nelle viscere. Dopo una vita da sicario, gli sembrava strano essere punito proprio per la sua ultima azione: aver risparmiato la vita a Ross, Zeb Quinn e Hackett. Nello stesso tempo però si sentiva felice. Come Ross amava dire: le azioni erano tutto, e il suo ultimo gesto era stato un esempio di rara abnegazione in una vita di malvagio egoismo. Tuttavia, quando Bazin guardò il corpo immoto di Ross, si rese conto che il suo ultimo tentativo di salvare lui e gli altri, insieme col giardino, si era risolto in un nulla di fatto. Mentre la vita lo abbandonava, scorrendo via col sangue sulle pietre del pavimento, chiamò il fratellastro. «So di aver peccato, Leo, ma sono venuto da te per l'assoluzione. Volevo fare la cosa giusta. Dio perdonerà i miei atti malvagi, ma non perdonerà mai i tuoi. Hai trasformato l'Eden in un deserto, per amor Suo. Guardati intorno. Questo non è il paradiso. È l'inferno, e lo hai creato tu.» Bazin era consapevole di essere vicino alla morte, ma non aveva paura. Non come era successo alla clinica, quand'era malato. Torino lo guardò dall'alto e scosse la testa malinconicamente. «Stai per morire, Marco. Ho cercato di aiutarti, davvero. Ma hai voltato le spalle al Signore e adesso sarai dannato per sempre.» Guardando Torino chinarsi per raccogliere l'arma, Bazin ammiccò alle figure che si muovevano nell'ombra dietro di sé. Mentre la morte si avvicinava, si voltò di nuovo verso Ross e vide qualcosa che lo fece sorridere. Di nuovo gridò al fratello: «Dovresti temere la dannazione più di me, Leo!» Torino scoppiò a ridere. «Non ho intenzione di finire all'inferno.» «No, è l'inferno che è venuto a prenderti», replicò Bazin col poco fiato rimastogli nei polmoni. L'ultimo respiro di Bazin risuonò come un sospiro di sollievo. Torino si sentì dispiaciuto per il trapasso del fratellastro, ma solo perché Bazin aveva rinunciato all'ultima possibilità di essere redento. Se si fosse tenuto saldo al coraggio delle proprie convinzioni e avesse contribuito ad assicurare il monopolio della Fonte per la Chiesa, avrebbe salvato milioni di anime, invece di sacrificare inutilmente la sua. Era il momento di porre fine a tutto. Torino impugnò la pistola dal pavimento in roccia e si diresse verso Ross. Aguzzò lo sguardo nell'oscurità e corrugò la fronte. L'uomo non c'era più. E nemmeno lo zaino col frammento di Fonte. Si fece sopraffare dal panico. Si girò intorno e vide qualcosa
muoversi nella penombra. Sparò un colpo a vuoto. «Ross, non può scappare. Mi restituisca il frammento.» Nel pronunciare quelle parole, Torino intuì che Ross stava proprio per farlo: voleva restituire il frammento. Era diretto verso il fiume di sangue. Il geologo doveva tenersi nell'oscurità, però, per evitare di essere visto. Lui invece no. Ross si schiacciò nell'anfratto, ma non appena uscì allo scoperto e imboccò l'entrata del tunnel si rese conto che era troppo tardi. Il cunicolo era più buio che mai. Molti dei cristalli luminosi erano caduti dalle pareti e dal soffitto e giacevano nel ruscello o sotto massi crollati. Ma Torino era ancora ben visibile. Si trovava un metro e mezzo più all'interno, sorridente. La pistola puntata dritta contro di lui. «Mi sono macchiato del sangue di mio fratello per colpa sua, dottor Kelly. Adesso capisce perché non posso permettere che scienziati della sua risma fraintendano questo posto con le loro teorie contagiose? Se è riuscito a impiegare il giardino per mettermi contro mio fratello, pensi a come i suoi colleghi potrebbero aizzare i fedeli contro la Santa Madre Chiesa.» Fece qualche passo avanti e Ross strinse ancor più forte lo zaino, percependo il tepore del frammento di Fonte al suo interno. «Mi dia lo zaino, dottor Kelly.» Ross alzò lo sguardo e d'un tratto s'irrigidì. Il gesuita aveva interpretato il suo choc come paura, per quello rideva. «Non ha niente da aggiungere, dottor Kelly? Nessuna accusa arrogante alla mia Chiesa o alla mia fede?» Torino sembrava desiderare che Ross ricominciasse a discutere con lui, come se sparargli sarebbe stato poi più facile, più dolce. Quando Ross non disse nulla, assunse un'aria delusa. «Mi dia lo zaino. Voglio la Fonte.» «So cosa vuole, ma c'è un problema. Un grosso problema.» «Quale?» «Penso che anche loro la vogliano.» Torino sorrise. «Intende quelle creature alle sue spalle? Ho una pistola. Le sue amiche non mi fanno paura.» Ross si guardò indietro. Le schiere di ninfe silenziose che bloccavano il tunnel non erano più così amichevoli. Sembravano infuriate. «La pianti di perdere tempo», incalzò Torino. «Mi dia lo zaino.» Ross scosse la testa con tutta la calma possibile. «In realtà non stavo parlando di quelle dietro di me.» Indicò oltre il gesuita. «Mi preoccupavo
piuttosto per quelle dietro di lei.» Per un attimo Torino sembrò confuso. «Le sembro stupido?» Ross non rispose. Torino si guardò alle spalle e raggelò. Il tunnel era una massa in fermento di sagome serpentine. Alcune erano le escrescenze tuberose che terminavano nei germogli, quelle raffigurate nel Voynich. Altre erano gli sferzanti vermi delle rocce, con le loro teste grottesche a forma di proiettile, complete di occhi rossi e denti aguzzi. Torino sollevò la pistola contro tutte quelle creature, o quell'unica creatura, l'idra, come ormai la considerava Ross. «Se fossi in lei non sparerei, padre generale», sussurrò il geologo. «È l'albero della vita e della morte di padre Orlando. Quell'essere trae la vita dal monolito e dispensa la morte per proteggerlo. Credo sia abbastanza incavolato per quello che lei ha fatto al monolito e al giardino. Propongo di restituire il frammento.» «Il monolito è un dono di Dio», sibilò Torino. «Appartiene alla Santa Madre Chiesa.» «Come le ho detto, non credo che il Signore o la Chiesa abbiano molto a che fare con tutto questo.» Torino si voltò furibondo e puntò la pistola dritto tra gli occhi di Ross. «Zitto, e mi dia il frammento di Fonte. Appartiene a Roma, alla Chiesa di Dio, non a questi demoni.» Ross rimase in silenzio per qualche secondo, poi si accovacciò, frugò nello zaino e ne estrasse il cristallo. «Me lo dia», ordinò Torino. Ross si alzò e gli porse il frammento, quindi lo lanciò lontano, per farlo atterrare sul sentiero, dinanzi ai tentacoli turbinosi dell'idra. Per un istante nessuno si mosse. Poi Torino si tuffò sul cristallo, proprio mentre i rami dell'idra si protendevano per afferrarlo. Allora le ninfe si riversarono nell'entrata, spingendo Ross su per il tunnel, verso le braccia dell'idra. 81 Torino era così concentrato sul frammento di Fonte che, quando lo afferrò e si portò al petto il suo luminoso calore, provò un impeto di gioia quasi orgasmica. Anche se Dio lo avesse messo alla prova, Torino sapeva che al-
la fine avrebbe superato qualsiasi demone o essere malvagio si fosse messo sul suo cammino e avrebbe rivendicato la Fonte per la Santa Madre Chiesa. Persino quando due tentacoli sferzanti gli si avvolsero intorno alla gamba e al collo, non disperò. Il fatto che quel demone lo attaccasse confermava soltanto la legittimità della sua causa. Nel lottare per liberarsi, altri tentacoli lo avvolsero nel loro abbraccio, trascinandolo su per il tunnel. Guardò Ross, accerchiato dalle ninfe inferocite che lo fissavano. Per un secondo i loro occhi s'incontrarono e lo sguardo di orrore dello scienziato divertì Torino. Si sentì quasi dispiaciuto per lui. Quell'uomo non capiva ancora che Torino non aveva niente di cui aver paura. Strinse più forte il frammento, fiducioso che Dio lo avrebbe liberato da quel male. Pensò al motto dell'ordine gesuita: Ad majorem Dei gloriam, per la maggiore gloria di Dio. In qualità di Preposito generale della Compagnia di Gesù, stava facendo il suo dovere: aggiudicarsi la Fonte per la maggiore gloria di Dio. Mentre i tentacoli energici stringevano la presa e lo trascinavano lontano da Ross, Torino si aggrappò al pavimento, cercando un appiglio. Ma le appendici dell'idra erano troppo forti. I vermi delle rocce gli aleggiavano intorno, senza però colpirlo, il che alimentò il suo coraggio e la sua fiducia che Dio lo stesse proteggendo. Persino i demoni, il cui scopo era mettere alla prova i giusti, servivano e obbedivano all'Altissimo. Dopo aver oltrepassato quel poco che restava di Petersen e dei numerosi corpi delle ninfe, Torino fu rilasciato nella caverna cristallina che ospitava la Fonte. Nonostante la devastazione, il monolito e l'idra sembravano intatti. Un'orda di ninfe bianche se ne stava immobile a guardarlo, mugolando la melodia bitonale come un perverso coro di angeli. D'un tratto i tentacoli liberarono Torino. L'idra e le ninfe rimasero ferme, in silenzio, come in attesa di qualcosa. Stringendosi il frammento al petto, Torino annaspò per rimettersi in piedi davanti al monolito e giunse le mani in preghiera. «In nome della Santa Madre Chiesa reclamo questo dono di Dio. Faccio voto di liberarlo dai demoni che lo circondano e di usare il suo potere per diffondere il volere divino nel mondo.» Una delle ninfe si fece avanti e aprì le mani, come se si aspettasse qualcosa da lui. Torino trattenne il frammento ancor più stretto e scosse la testa. «Questo appartiene alla Santa Madre Chiesa», affermò, indicando il monolito. «Tutto questo appartiene al Vaticano.» La ninfa attese un momento, poi si rimise in riga con le altre. A quel punto uno dei tentacoli dell'idra avvolse la gamba destra di Torino e un altro la sinistra. Altri due si attorcigliarono intorno alle braccia e iniziarono a
tirare in direzioni opposte per separarle. Torino tenne le mani unite finché poté, ma i tentacoli erano troppo forti e lo costrinsero a lasciare la presa sul frammento. Non appena cadde a terra e le ninfe lo depositarono ai piedi del monolito, Torino immaginava che i tentacoli lo liberassero. Niente di più sbagliato. Continuarono a tirargli le braccia fino a che non le ebbero disposte come su una croce. Poi gli divaricarono le gambe. In modo lento ma inesorabile, sentì muscoli, tendini e legamenti stirarsi come sulla ruota dell'Inquisizione. Fu allora che sopraggiunse il dolore: Torino non aveva mai sperimentato un'agonia simile, tutto il suo corpo ne era scosso. Col martirio si accese anche il primo barlume di dubbio: come poteva Dio permettere che gli succedesse una cosa del genere? Il Signore doveva salvarlo per forza se voleva che finisse la sua sacra missione... Il tronco dell'idra, l'orribile controfigura del monolito, palpitava e vibrava mentre i tentacoli lentamente lo dilaniavano senza pietà. Torino sentiva i propri muscoli strapparsi. Perché a lui? Non aveva sbagliato in nulla. Tutto ciò che aveva fatto era stato concepito per portare gloria alla Santa Madre Chiesa. Udì il gomito sinistro schioccare prima che gli si staccassero i tendini della spalla. E sentì se stesso gridare: «Perché, Dio, perché?» Un numero maggiore di tentacoli sinuosi aleggiava dinanzi a Torino. Ma, diversamente dalle appendici che lo stavano torturando, quelli avevano teste appuntite, fauci spaventose piene di denti aguzzi e malefici occhi rossi: erano vermi delle rocce. Le ninfe candide rimasero a guardare mentre i mostri lo scrutavano: angeli e demoni uniti nell'intento d'infliggergli il supplizio. A ogni modo, per quanto fossero terrificanti i vermi delle rocce, Torino provava un tale dolore a membra e articolazioni da accogliere quasi di buon grado il sollievo che gli offrivano. Ma come poteva morire proprio allora, proprio lì? Aveva ancora molte cose da fare. Perché Dio lo aveva abbandonato? Il primo attacco fu così veloce che per poco non vide il verme che gli procurò un foro praticamente perfetto nell'addome disteso prima di ritrarsi trascinando via con sé le sue interiora. Torino abbassò lo sguardo verso gli intestini creinosi che gli si riversavano sulla cinta e lanciò un grido di disperata agonia. Il secondo verme colpì sul fianco sinistro, sbranandogli i muscoli già strappati. Anche dopo l'attacco del terzo verme che gli staccò le dita della mano destra, non riusciva ancora a credere che Dio non lo avrebbe salvato in un modo o nell'altro. Solo nell'ultimo istante di vita, quando i tentacoli gli strapparono il brac-
cio sinistro dal torace e i vermi delle rocce gli perforarono la faccia, le sue invocazioni di salvezza si tramutarono in grida di dannazione. Ross sentiva le grida di Torino dal fondo del tunnel, ma non provava soddisfazione per l'agonia del nemico. Quando le urla cessarono e il sangue del prete macchiò l'acqua del ruscello al suo fianco, sentì solo paura, accompagnata da un profondo senso di vergogna. Ross era giunto là per nessun'altra ragione tranne salvare la vita di Lauren e, nella sua ricerca egoistica, non aveva preso in considerazione una sola volta la necessità di sopravvivere del giardino. Aveva profanato la culla della vita, portato con sé morte e distruzione. Era stato lui a condurre Torino fin lì, e aveva anche fallito nell'evitare che lui e i suoi uomini distruggessero il giardino, uccidessero le ninfe e attaccassero il monolito. Non appena le ninfe furiose e l'idra gli vennero vicine, si rese conto di essere un intruso tanto quanto Torino, un alieno indesiderato che aveva portato solo del male. Le ninfe lo avevano salvato una volta - dai suoi simili - ma adesso era convinto che dovessero punirlo. Quando i tentacoli furono a pochi centimetri, resistette all'istinto di voltarsi e scappare. Invece si scoprì a tastare il pesante crocifisso che aveva al collo. La croce latina, con l'asse verticale di sette centimetri e quella trasversale di tre, aveva un aspetto rozzo tra le sue mani. Incise nel morbido metallo c'erano le iniziali AMDG che, come gli aveva spiegato suor Chantal, indicavano il motto dell'ordine di padre Orlando Falcon: Ad majorem Dei gloriam, per la maggior gloria di Dio. Adesso capiva che sia padre Orlando sia suor Chantal erano vissuti e morti per quel precetto, mettendo la fede in Dio sopra la dottrina della Chiesa. Quali che fossero i principi di Ross, la purezza della loro fede lo umiliava. Sentì qualcosa grattargli la pelle. Alzò lo sguardo, vide due tentacoli sfiorargli il braccio e un brivido gelido s'impossessò di lui. Poi apparve la ninfa dai capelli rossi e allungò la mano verso la croce. Ross se la tolse dal collo e gliela porse. Mentre la ninfa la scrutava, altre si raccolsero intorno per toccarla con una specie di timore reverenziale. Ricordò che suor Chantal l'aveva sollevata per calmare le ninfe la prima volta che lei e Ross erano entrati nell'anticamera. La croce e suor Chantal evidentemente erano cariche di associazioni positive per le ninfe e Ross sperava che la profanazione di Torino non le avesse corrotte. Rimasero intorno alla croce per qualche minuto, carezzandola e guardandola, come madri con un figlio appena nato, poi la ninfa coi capelli
rossi la restituì a Ross. Prima che se la rimettesse al collo, la ninfa gli diede una forte spinta a livello dello stomaco, obbligandolo a retrocedere. Lo spinse ancora, facendogli fare un altro passo. I tentacoli dell'idra lo seguivano, ma, quando si guardò indietro, vide che le ninfe si erano messe da parte, aprendogli un varco. Continuò a barcollare all'indietro, col crocifisso in una mano e con lo zaino di Torino nell'altra, ritrovandosi fuori dal fiume di sangue. Le ninfe continuarono a spingerlo attraverso l'anticamera finché non andò a sbattere con la schiena contro le rocce cadute a bloccare l'ingresso al giardino. Anche se meno calde di prima, le rocce erano ancora tiepide. Sapeva, però, di non essere più il benvenuto e di dover correre il rischio di uscire, nonostante la temperatura incandescente del giardino. Si accovacciò e procedette a marcia indietro nel cunicolo stretto da cui erano passati lui e Bazin, tenendo sempre lo sguardo puntato verso le ninfe. Le rocce da ambo i lati erano roventi, ma non osò fermarsi finché non fu uscito dal passaggio, nel giardino, al sicuro dalle ninfe e dall'idra. Non appena uscì, vide e sentì muovere dei massi a bloccare il cunicolo, sigillando per sempre le caverne proibite. Le suole delle scarpe erano calde e l'aria fumosa e piena di cenere lo fece tossire. Guardandosi intorno, gli parve di essere finito in un enorme inceneritore, una macabra ciminiera di granito in cui tutta la vita era stata estinta. Non restava niente del giardino. Gli alberi e le piante erano scomparsi e uno spesso strato di caligine ricopriva il terreno. Tutto era riero; persino il cielo era così denso di cenere da oscurare la luce del sole. Il lago fuligginoso sembrava morto e non lasciava trapelare nemmeno un barlume della precedente fosforescenza. Quella desolazione sconvolse profondamente Ross che si consolò pensando di aver almeno impedito a Torino di fuggire col frammento di Fonte. Se avesse fallito, il padre generale sarebbe tornato con maggiore potenza di fuoco, avrebbe distrutto l'idra e preso controllo della Fonte, abusando del suo potere per la gloria della Chiesa. Posò lo sguardo sulle rocce che sigillavano le grotte proibite e vide un sottilissimo rivolo di acqua luminescente trapelare dalle caverne in ciò che rimaneva del ruscello contaminato. Pensò a come un bosco riesca a rigenerarsi in seguito a un incendio e si rassicurò che, purché la Fonte fosse stata al sicuro, il giardino alla fine sarebbe ricomparso. La vita avrebbe trovato un modo. Purché la Fonte fosse stata al sicuro. Percorrendo con lo sguardo la distesa carbonizzata, rifletté su come Torino si fosse impossessato di quel posto e gli venne un'idea per proteggerlo da future intrusioni, da parte di Chiese, compagnie petrolifere o della civil-
tà stessa. Dallo zaino sentì la radio gracchiare, poi la voce ovattata di Zeb: «Ross, mi senti?» Recuperò la radio e se la portò alla bocca. «Sì, sono nel giardino. Dove sei? Nigel sta bene?» «Siamo nel passaggio tra il giardino e le caverne sulfuree. Fa un tantino caldo, ma siamo al sicuro. Marco e il padre generale?» «Morti.» «La Fonte?» «È ancora lì. E così l'idra e gran parte delle ninfe. Sono furibonde, ma stanno bene.» Lanciò un'occhiata oltre la superficie nera del lago, all'estremità opposta del giardino. Prima, gli alberi gli avrebbero ostacolato la vista, ma adesso l'unico intralcio era la caligine che fluttuava nell'aria torrida. Vide Zeb e Nigel emergere dalle caverne e li guardò fissare a bocca aperta quella devastazione. Fece loro cenno, poi scarpinò attraverso lo spesso strato di cenere per raggiungerli. Quando arrivò, i due lo strinsero in un forte abbraccio. «È tutto distrutto», continuava a dire Hackett. «Non posso crederci. Tutto distrutto.» La reazione sbigottita dell'inglese rincuorò Ross. Era sicuro che Zeb, col suo spirito ecologista, avrebbe approvato il suo progetto di salvaguardare quel posto, ma aveva bisogno anche della piena collaborazione di Hackett. Per quanto fosse commosso dalla disintegrazione del giardino, l'inglese si era unito alla loro ricerca in nome dell'oro e della gloria, e li aveva trovati. «Cosa saresti disposto a fare per proteggere questo posto e impedire che una cosa del genere si verifichi di nuovo, Nigel?» chiese Ross, guardandolo attentamente. Hackett aggrottò la fronte. «Perché? Cos'hai in mente?» Dopo aver ascoltato il piano, Zeb annuì con entusiasmo e gli afferrò la mano. «Andiamo, Nigel, che te ne pare?» Hackett rimase a lungo a fissare la sua mano in quella di Zeb, poi alzò lo sguardo verso Ross. «Ci sto.» «Ti rendi conto di cosa significa, Nigel? Proteggeremo questo posto e la città perduta, ma - ed è un 'ma' enorme - non potrai mai dire a nessuno della madre di tutte le metropoli. Non avrai mai la gloria che desideri.» Hackett rifletté un istante, prendendo in esame ogni possibilità. Poi lanciò un'occhiata verso la Fonte. «Se tu puoi vivere tenendo segreta la tua
scoperta geologica, allora penso di poter mantenere il silenzio sul mio grande ritrovamento archeologico.» Fece spallucce e sorrise. «E comunque non siamo stati noi i primi a scoprirli. Padre Orlando si è imbattuto in questo posto e suor Chantal ha trovato la città perduta. Noi ci prenderemo cura di entrambi. Li terremo al sicuro.» «E l'oro?» «Non sarà facile», rispose Hackett. «Ma ho dei contatti.» «Dobbiamo tornare alla civiltà e cominciare a darci da fare.» Zeb indicò le caverne sulfuree. «Siamo riusciti a recuperare qualche zaino con le provviste prima che il giardino bruciasse.» Ross era contento che avessero messo qualcosa in salvo, anche se si trattava di poche provviste per il viaggio di ritorno. Lui non aveva salvato nulla; sarebbe ripartito a mani vuote. Rimettendosi il crocifisso di suor Chantal al collo, guardò per l'ultima volta quello sfacelo. Ricordò l'euforia di quand'erano entrati nel giardino per la prima volta e il momento in cui suor Chantal gli aveva consegnato il cristallo dicendogli che avrebbe curato Lauren. Era stato così pieno di speranza allora, poi tutto era cambiato. L'unica cosa che gli premeva ormai era tornare da sua moglie. Dirle addio prima che fosse troppo tardi. «Andiamo.» Condusse Hackett e Zeb verso le caverne. «Torniamo a casa.» 82 Aeroporto JFK, New York, un mese dopo Sam Kelly controllò il tabellone degli arrivi e notò che il volo della United Airlines da Lima era atterrato. Sebbene desiderasse moltissimo rivedere suo figlio, si sentiva inquieto. Quando Ross aveva chiamato dal Perú per dire che stava per tornare a casa, il vuoto monocorde nella voce del figlio gli aveva spezzato il cuore. Quando aveva chiesto a Ross se avesse trovato qualcosa nella giungla, dalla risposta evasiva del figlio aveva capito tutto. Era stata una caccia alle farfalle. Il giardino era una leggenda. Non c'era nessun miracolo. Rassegnato alla peggiore delle ipotesi, Ross non aveva indagato sulle condizioni di Lauren, eccezion fatta per un: «Immagino non ci siano miglioramenti». Sam era rimasto sul vago di proposito, dando ben poche in-
formazioni per telefono e decidendo di aspettare a comunicare gli ultimi sviluppi al figlio faccia a faccia. Adesso, però, si sentiva nervoso, lì al gate ad aspettare, guardando i passeggeri passare alla dogana. E quando in lontananza intravide il figlio, scarno, abbronzato ed esausto, la prospettiva di dargli la notizia gli pesò sul cuore come un macigno. Ross non notò subito suo padre perché, passando vicino a un'edicola, si trovò a guardare dritto negli occhi Leonardo Torino. Secondo il Vaticano, il padre generale era scomparso da alcune settimane, dopo essersi imbarcato in una missione conoscitiva nelle foreste del Sudamerica. Le autorità peruviane stavano lavorando gomito a gomito con Roma per ricostruire il suo itinerario, ma le speranze di ritrovare il padre generale e la sua scorta si affievolivano col passare del tempo. Il papa stava già compiangendo la morte di un bravo religioso e la Compagnia di Gesù aveva cominciato a vagliare il nome di un possibile successore. Quando Ross chiuse il giornale e lo risistemò fra gli altri quotidiani, un articolo più piccolo catturò la sua attenzione e lo fece sorridere. A detta di Newsweek, la piccola impresa di trivellazioni Scarlett Oil aveva scoperto enormi riserve di ciò che avevano battezzato «petrolio antico» in Uzbekistan. Le più grandi compagnie petrolifere - tra cui la Alascon, che aveva da poco siglato un accordo con la Scarlett per la spartizione degli utili - adesso facevano la fila con cospicue offerte per avere la licenza della tecnologia brevettata dalla piccola impresa per trovare ed estrarre a costi contenuti quel petrolio alternativo. Finalmente Ross individuò suo padre e lo salutò con la mano. Sam Kelly sorrideva, ma avvicinandosi Ross vide l'apprensione sul suo volto. C'era qualcosa che non andava. Qualcosa di diverso. Si abbracciarono e Ross percepì la tensione nei muscoli delle spalle di suo padre, «È bello rivederti, figliolo. Mi fa piacere che tu sia tornato sano e salvo.» «È bello essere a casa, papà. Come stanno Lauren e il bambino?» Sam afferrò la valigia. «Vieni, ti accompagno a casa. Ne parliamo strada facendo.» «Voglio andare subito all'ospedale.» Il padre rimase in silenzio. «Hai l'aria stanca. Perché non vai a casa, prima? Riposati un po'.» L'espressione sul volto del padre faceva stare sulle spine Ross. Da cosa lo stava proteggendo? «No, voglio vederla subito, papà. Ho bisogno di vederla. È successo qualcosa, vero?»
Sam sospirò e sembrò farsi forza per mollare il colpo, dando conferma ai peggiori timori di Ross. «Ci sono stati sviluppi. Devi prendere una decisione difficile.» 83 Lauren era stata trasferita dalla Neurotraumatologia a una camera singola nel reparto di Terapia intensiva in fondo al reparto di Maternità. Aveva la stanza tutta per sé, tranne per la pila di monitor e apparecchiature che la tenevano in vita. Nonostante lo spostamento di stanza, giaceva nella stessa identica posizione in cui Ross l'aveva lasciata. L'unica differenza visibile era il gonfiore del ventre. Siccome Lauren non era più considerata un caso di pertinenza neurologica, il dottor Greenbloom l'aveva affidata alle cure di una ginecologa, la dottoressa Anne Gunderson: un'ulteriore conferma che Lauren era ufficialmente considerata una causa persa. Come se non bastasse, non era nemmeno lei la paziente prioritaria della Gunderson, ma la creatura che stava per nascere. Lauren era poco più di un'incubatrice. Ross, seduto nella stanza di Lauren con il padre e la Gunderson, pensò che fosse una fortuna che sua suocera si trovasse in visita per un paio di giorni alla sorella che viveva nel New England. Non era ancora pronto a rispondere alle domande sulla sua inspiegabile assenza. «Come le ha detto suo padre, le condizioni di Lauren stanno precipitando in fretta.» La dottoressa parlava sottovoce, come se non volesse farsi sentire da Lauren. «Siamo in una fase critica. Per Lauren ormai non c'è niente da fare per quanto ci riguarda, ma stiamo entrando nel periodo in cui il feto potrebbe sopravvivere fuori dal grembo materno. Potremmo farlo nascere adesso, ma le possibilità che ne esca indenne sono scarse. Più a lungo rimane nel sacco amniotico, maggiori sono le sue possibilità di sopravvivere.» La dottoressa si schiarì la gola. «Abbiamo somministrato steroidi per lo sviluppo dei polmoni del feto e dei farmaci perché sua moglie non entri prematuramente in travaglio, ma non sappiamo su quanti giorni ancora potremo contare. Monitoriamo costantemente le condizioni di Lauren e ogni peggioramento ci costringerà a farla partorire. Stiamo viaggiando sul filo del rasoio. Vogliamo tenere la bambina dentro, almeno finché Lauren riuscirà a resistere.» «La bambina?» «È una femmina.» Sfogliò la cartellina al suo fianco e porse a Ross un'e-
cografia in bianco e nero. «Ecco sua figlia.» L'immagine nivea, sfocata colpì Ross con una forza inaudita. Era sempre stato preoccupato dall'idea di perdere Lauren più che dal concetto astratto del loro bambino. Persino l'ecografia che aveva visto quando la piccola era di sedici settimane non aveva cambiato la sua prospettiva. Quella foto sgranata, però, era diversa. Il bambino era improvvisamente diventato realtà. Una femmina. Sua figlia. Si avvicinò al letto e carezzò il pancione di Lauren. Sentì del movimento e la vita al suo interno lo spaventò. Aveva ancora qualcosa da perdere. E qualcosa da guadagnare. Un filo di speranza era molto più doloroso di un mare di disperazione. Tornò a rivolgersi alla dottoressa. «Ogni giorno che mia figlia rimane nell'utero le sue possibilità aumentano, è così?» «Sì.» «E quanti giorni devono passare ancora?» «Almeno altre tre o quattro settimane.» «E quante possibilità ci sono?» «È altamente improbabile.» «Date le condizioni attuali di Lauren, quanti giorni ancora crede che mia figlia possa restare nell'utero?» «Come le ho detto, ogni singolo giorno aumenta le possibilità che sopravviva.» «Quanti?» «È difficile da stabilirsi, Ross.» «Nella migliore delle ipotesi?» «Due, tre giorni, una settimana al massimo.» «Perciò volete il mio permesso per intervenire e far nascere la bambina non appena sia necessario, è così?» La Gunderson annuì. «Anche se le possibilità che il feto sopravviva sano sono minime?» «Sì.» Ross fece un profondo sospiro. «La ringrazio per la sua onestà.» La ginecologa si tolse un ciuffo di capelli dal viso. «Altre domande?» «No, grazie. Sono stato lontano e adesso voglio soltanto restare da solo con mia moglie. Vorrei rimanere qui stanotte.»
84 Seduto su una sedia scomoda a guardare Lauren e l'ecografia della loro bambina, Ross si tormentava su tutte le opportunità che aveva avuto per salvarle. Si guardò la mano destra, rievocando il momento in cui aveva stretto la cura per Lauren. Evocò i momenti in cui la Fonte lo aveva riportato in vita dalla morte e avrebbe potuto fuggire con una profusione di cristalli curativi. Ma era rimasto per aiutare gli altri e impedire a Torino di conquistare la Fonte, perché pensava che fosse quello che avrebbe voluto Lauren. Piano piano, ascoltando il ritmo soporifero delle apparecchiature, la stanchezza ebbe la meglio sulla sua mente in corsa. Si afflosciò sulla sedia, rivelando il pesante crocifisso che gli pendeva sulla camicia di cotone e cadde in un sonno agitato pieno di sogni. Alcune ore dopo si svegliò di soprassalto, con la croce in mano, sudato. In sogno aveva rivissuto la rivelazione sulla soglia della morte e il voto a Lauren. Allora, in quello stato di esaltazione, aveva saputo con certezza che era stata Lauren a fargli giurare di proteggere la Fonte e di sacrificarla. E nel contesto surreale del giardino era sembrata la cosa giusta da fare, per quanto dolorosa. Persino alla fine, contemplando quell'Eden deturpato, pieno di vergogna per quello che l'uomo poteva fare, il suo primo pensiero era stato escogitare un piano per salvare la Fonte. Aveva fatto molto di più per salvaguardare il giardino e le sue creature che per proteggere la propria famiglia. In quel momento, e in quel luogo, aveva avuto la sensazione che fosse la cosa giusta. Ma adesso, nella penombra austera di un'asettica camera d'ospedale, a pochi centimetri dalla moglie in coma, era molto diverso. Specialmente se considerava la bambina che stava crescendo nel ventre di Lauren. Che differenza avrebbe fatto portare via qualche cristallo per lei? Che danno avrebbe arrecato alla Fonte e al suo ecosistema? Toccò il crocifisso e gli sembrò di udire la voce di suor Chantal: Un giuramento è bianco o nero. Non esiste una giustificazione plausibile per rompere un voto. O lo si mantiene, o lo s'infrange. Non c'è una via di mezzo. Un giuramento è eterno. E il suo voto, suor Chantal? La religiosa lo aveva condotto al giardino espressamente per salvare sua moglie. La Fonte doveva salvare Lauren perché diventasse la sua protettrice, la Guardiana. Invece suor Chantal aveva messo il fardello sulle sue
spalle. Era diventato lui il Guardiano. Esaminò quel brutto, rozzo crocifisso che gli era stato affidato, la stessa croce che padre Orlando aveva dato quattro secoli e mezzo prima alla religiosa, e si sentì sopraffare dalla rabbia. Meditò sulla sofferenza di cui era simbolo. Non solo quella di Cristo, ma di tutto il male perpetrato in nome della religione. Pensò a quello che aveva fatto Torino in nome della sua Chiesa: aveva ferito Lauren, distrutto il giardino, usato violenza sulla Fonte. Ripensò a come il padre generale avesse sfruttato Bazin offrendogli la redenzione e costringendolo invece a uccidere per i propri scopi. Ross non vedeva come la croce potesse portare la salvezza quand'era stata solo fonte di sofferenza e dannazione. Nella rabbia e nella disperazione se la strappò dal collo e la scagliò lontano, con tutte le sue forze, contro la parete opposta. Non appena il crocifisso Colpì il muro, mancando per poco l'orologio, Ross si sentì stupido e si pentì di quel gesto. Poi tutti gli strumenti cominciarono a fischiare. Merda. La croce non aveva colpito niente di importante. O forse sì? Di lì a pochi secondi un'infermiera si precipitò nella stanza. In preda al panico e incapace di aiutarla, Ross corse verso il punto in cui era caduto il crocifisso. L'impatto lo aveva ammaccato profondamente. Lo sollevò e, girandolo nel palmo della mano, notò due cose che lo fecero trasalire: la saldatura sul lato posteriore aveva ceduto, rivelando una cavità vuota, e la lancetta dei minuti dell'orologio a muro era ferma. Ross si ricordò all'istante dell'orologio che Hackett aveva messo nel calice di peltro e di come le proprietà schermanti del piombo e dello stagno avessero fatto ripartire la lancetta dei secondi. Poi ricordò con quanta venerazione le ninfe avevano maneggiato la croce. Che avessero percepito qualcosa? Con le dita tremanti, Ross aprì la saldatura di metallo malleabile e rivelò una scheggia cristallina nell'incavo vuoto. Non più grande di uno stuzzicadenti, ardeva e pulsava di vita propria. Quando si rese conto di cosa fosse, il cuore prese a battergli all'impazzata. Padre Orlando Falcon doveva averlo nascosto lì quando aveva scoperto la Fonte. Doveva aver capito che alcuni metalli erano in grado di contenere le sue proprietà magnetiche e radioattive. La scheggia nascosta poteva spiegare come fosse riuscito, tutti quei secoli addietro, a curare i piedi riarsi dopo la prima fase di tortura, rinunciando ai suoi benefici una volta resosi conto che l'Inquisizione guardava alla guarigione come una prova non dell'esistenza del Giardino di Di-
o, ma della possessione del demonio. Quando padre Orlando aveva consegnato la croce a suor Chantal dicendole di cercarvi la salvezza nei momenti di crisi, lei non aveva capitò che il significato di quelle parole era letterale. Era rimasta all'oscuro del segreto del crocifisso per quattro secoli e mezzo. Non poteva saperlo, o l'avrebbe usato su Lauren la prima volta che si era recata in visita a lei all'ospedale. A meno che... Quel sospetto s'insinuò nell'entusiasmo come un soffio gelido. Suor Chantal gli aveva detto che i cristalli del tunnel avrebbero funzionato solo se erano di una certa grandezza. Quella scheggia proveniva direttamente dalla Fonte, ma era molto piccola. Sarebbe bastata a salvare Lauren? Ross richiuse il crocifisso, unendo i lembi della saldatura. Gli strumenti smisero all'istante di suonare e l'orologio riprese il suo ticchiettio. «Che strano», disse l'infermiera alle sue spalle. Ross si voltò e lei gli sorrise con espressione contrita. «Mi dispiace. Non so cosa sia successo esattamente, ma è tutto a posto e sua moglie è fuori pericolo. Avverto i tecnici.» Lui ricambiò il sorriso, ma, non appena la donna uscì dalla stanza, si portò il crocifisso al petto e puntò lo sguardo sul sondino di alimentazione di Lauren. 85 Il mattino seguente Ross si svegliò in preda al panico. Erano le 06.18 ed era successo qualcosa. Qualcosa di brutto. L'allarme dell'autorespiratore di Lauren suonava con maggiore insistenza della notte precedente e le spie dei parametri vitali oscillavano come impazzite. La dottoressa Anne Gunderson cercò di apparire calma, ma la voce delicata del giorno prima quella mattina aveva acquisito un tono stridulo. «Dobbiamo preparare Lauren all'operazione, subito. Non c'è un minuto da perdere. Dobbiamo far nascere la bambina immediatamente. O sarà troppo tardi.» Ross si stropicciò gli occhi assonnati. «Che succede? Qualcosa non va?» La Gunderson e gli altri medici stavano portando Lauren fuori dalla stanza, diretti verso l'ascensore. «Sala operatoria nove. Presto!» Ross li seguì. «Voglio venire anch'io.» «Non è una buona idea. Aspetti qui. La informeremo non appena ne sa-
premo di più.» Ross entrò in ascensore. «Voglio essere presente. È un parto, no? Sono il padre. Devo esserci anch'io.» La Gunderson gli lanciò uno sguardo freddo. «È un'operazione, non un parto.» Ross non batté ciglio. «Se è l'ultima occasione che ho di vedere mia moglie o mia figlia, voglio stare con loro.» «Non credo sia una buona idea.» La ginecologa sospirò. «Ma se insiste...» «Insisto.» Ross non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Dopo aver trovato il frammento di Fonte nel crocifisso, aveva portato la scheggia nel bagno comune e l'aveva immersa in un becher pieno d'acqua, poi aveva versato la soluzione nel sondino di alimentazione di Lauren. Aveva ripetuto l'operazione tre volte prima di addormentarsi. L'acqua avrebbe dovuto catalizzare il potere della Fonte. Avrebbe dovuto funzionare. Invece no. Non solo la Fonte non aveva aiutato Lauren, ma aveva peggiorato le sue condizioni. Cos'aveva detto la dottoressa Gunderson? Ogni singolo giorno nell'utero materno avrebbe aumentato le possibilità che la bambina - sua figlia - sopravvivesse. Quindi, se fosse nata quel giorno, sarebbe stata la peggiore delle eventualità. In sala operatoria, a Ross vennero dati un camice verde e una mascherina e gli fu detto di tenersi a distanza dal tavolo. Li osservò spostare Lauren dal letto al tavolo. D'un tratto, una delle infermiere alzò la testa. «Non ci sarà bisogno di fare un cesareo.» Dalla sala di lavaggio preoperatorio, la Gunderson gridò: «Perché?» L'infermiera indicò una pozza umida sul tavolo operatorio. «Le si sono rotte le acque.» «È impossibile.» Un'ostetrica, presente più per precauzione che per vera necessità, si fece avanti. Era una signora anziana e qualcosa nei suoi occhi, visibili al di sopra della mascherina, ricordò a Ross quelli di suor Chantal. Compassionevoli e saggi, sembrava che avessero visto tutto ciò che c'era da vedere. Esaminò Lauren e parve sorridere. Esprimeva fiducia e nuove possibilità. «Le si sono davvero rotte le acque. Sta entrando in travaglio.» «Ma è impossibile», replicò la Gunderson, avvicinandosi al tavolo su cui erano stati disposti gli strumenti chirurgici. Afferrò un bisturi.
«Impossibile o no, è quello che sta accadendo», ribadì l'ostetrica. «Ha una dilatazione di quasi nove centimetri.» La donna non attese la reazione della Gunderson. Collegò i sensori direttamente alla testa della bambina e controllò il monitor. «Le pulsazioni sono stabili.» Indicò gli strumenti della ginecologa. «Non ne avrà bisogno. La madre ha le contrazioni.» «Ma è in coma. È possibile?» chiese una delle infermiere. «Pare di sì», rispose l'ostetrica. «Sembra che il corpo abbia preso il sopravvento.» Lanciò uno sguardo alla Gunderson. «Penso che ce la possa fare.» La ginecologa esitò un attimo, poi ripose il bisturi sul tavolo. Ross assisteva stupefatto mentre il corpo di Lauren iniziava a spingere. Nei dodici minuti che seguirono, l'ostetrica eseguì una specie di danza con Lauren che espelleva la bambina dal suo corpo inerte. La Gunderson, relegata al ruolo di spettatrice, se ne stava in disparte, scuotendo la testa incredula. Alla fine l'ostetrica lanciò un gridolino di gioia e la bambina emerse. La donna la sollevò e, passandola al pediatra, chiese alla ginecologa: «Di quante settimane è?» «Ventisei.» L'anziana signora sorrise e scosse la testa. «Questo è impossibile. Ho fatto nascere migliaia di bambini. Sarà anche minuscola, ma a me sembra di nove mesi.» Mentre il pediatra esaminava la bambina all'altro lato della sala operatoria, Ross guardò Lauren distesa sul tavolo. Il suo viso irraggiava un tale senso di pace che Ross avvertì un'ondata irresistibile di amore e tristezza. Quando sentì la bambina emettere il primo vagito, provò un moto di commozione. Le andò vicino e la piccola ricominciò a piangere, con più irruenza e vigore. Un'infermiera gliela mise in braccio. Tenendola stretta, Ross si chiese che nome le avrebbe dato. Come avrebbe chiamato quel miracolo della vita? Con Lauren erano d'accordo che lui avrebbe scelto il nome del maschietto e lei della femminuccia. All'improvviso si sentì chiamare dalla Gunderson. «Ross, Ross.» Sembrava tesa e col fiato in gola. Ross posò lo sguardo sul tavolo operatorio. Erano tutti impalliditi e lo guardavano per sondare la sua reazione. Ebbe un tuffo al cuore. Alla fine era successo. Ripensò alle ninfe, a come, quando una nasceva, un'altra moriva. Per un secondo non riuscì a convincersi a guardare Lauren. Poi strinse la bambina forte a sé, raccolse tutto il coraggio di quell'abbraccio e
guardò sua moglie. Lauren aveva gli occhi aperti. E lo guardava. «Si è svegliata quando la bambina ha pianto», disse la Gunderson, esaminando le gambe di Lauren. «Anche i riflessi sono a posto.» Le s'incrinò la voce per l'emozione. «È impossibile. È un miracolo.» Accostò un ago al polpaccio sinistro di Lauren e la gamba si ritrasse. «Riesce a sentire e a muoversi.» Ross si avvicinò e Lauren lo seguì con lo sguardo. Si chinò su di lei e la vide sorridere. «Dove sono stata?» sussurrò lei con un filo di voce. Lui s'inginocchiò vicino al tavolo operatorio, per paura che non gli reggessero le gambe. «Non importa. L'importante è che tu sia tornata.» Le mostrò la bambina e Lauren allungò le braccia per afferrarla. «C'è qualcuno che voglio presentarti. Nostra figlia, Chantal.» 86 Sei mesi dopo Non appena l'aereo atterrò all'Aeropuerto Internacional Jorge Chavez, Ross guardò Zeb e sorrise. Erano cambiate tante cose dalla prima volta che erano volati fin lì con suor Chantal. Era stata dura lasciare Lauren e la bambina a casa, ma stavolta si trattava di un paio di notti al massimo ed era smanioso di rivedere Hackett, anche se non quanto Zeb. Negli ultimi sei mesi, mentre lui era stato completamente assorbito da Lauren e Chantal, Zeb e Hackett erano rimasti in Perú a lavorare in modo instancabile al progetto; di quando in quando, però, Zeb aveva fatto ritorno negli Stati Uniti in compagnia di Hackett per parlare con le banche di New York, vedere Lauren e fare da madrina a Chantal. La settimana prima, Zeb si era unita a Lauren alla Beinecke Library a Yale per la presentazione solenne della traduzione ufficiale di gran parte del codice Voynich. Era ormai conclamato nei circoli intellettuali che l'ultima sezione, scritta in una lingua artificiale a priori totalmente inventata, non sarebbe mai stata tradotta senza le note originali dell'autore. Nella loro argomentazione, Lauren e Zeb non avevano rivelato il nome dell'autore né suggerito che il documento fosse qualcosa di diverso da un'allegoria. Hackett li aspettava all'aeroporto. Aveva un bell'aspetto abbronzato: un
uomo nuovo rispetto al pallido asmatico che li aveva abbordati a Cajamarca. Zeb gli si gettò tra le braccia con un tale entusiasmo da fugare qualsiasi dubbio di Ross sulla natura della loro relazione. Hackett gli strinse la mano e lo abbracciò. «Come stanno Lauren e la piccola?» «Mai state meglio.» Era proprio così. Lauren si era ripresa completamente e Chantal era un amore. Nonostante le sue dimensioni al momento della nascita, ormai aveva raggiunto un peso nella media e prometteva di diventare bella alta. «Che si dice da queste parti?» «È tutto pronto. Vieni. Ti faccio vedere.» Hackett lo accompagnò negli uffici che lui e Zeb avevano affittato a Lima. Nella stanza principale, attaccato a una lavagna di sughero dietro la scrivania, c'era un planisfero. Su di esso, un'ampia sezione dell'Amazzonia peruviana era stata delimitata con delle puntine rosse unite da un nastro. Ross sorrise al pensiero che l'area designata si trovasse esattamente sulla traiettoria dell'oleodotto progettato dalla Alascon. Alla compagnia petrolifera non restava che aggirarla o abbandonare il progetto. Sulla scrivania c'era una gran quantità di cancelleria che riportava il logo di una piramide a gradoni, una ziggurat fatta di mattoni d'oro. Hackett aprì un cassetto della scrivania e ne estrasse un assegno, che consegnò a Ross. Lui guardò la cifra e fischiò. Era intestato al governo peruviano e riportava una cifra spropositata. «Mai visti tanti zeri.» Vi comparivano le firme di Hackett e Zeb e c'era spazio per una terza. Hackett gli porse una penna. «Dev'essere siglato da tutti e tre gli amministratori.» Ross appose la sua firma. «E adesso?» Hackett controllò l'ora. «Ti porto in albergo dove potrai darti una rinfrescata. Alle sei incontreremo il ministro dell'Interno per consegnare l'assegno e seguirà una breve conferenza stampa. Anche se li stiamo letteralmente ricoprendo di soldi, il governo vuole lo zuccherino per aver consentito la protezione in perpetuo di un'ampia porzione di foresta vergine.» Ross esaminò l'assegno, meravigliandosi dell'importo, poi lo restituì a Hackett. Tornò col pensiero all'oro della città perduta e al fatto che venisse finalmente impiegato come avrebbero voluto i suoi antichi proprietari quando lo avevano accumulato nella ziggurat: per proteggere la loro città e la fonte che un tempo aveva alimentato la loro sorgente. «Quante 'lacrime di sole' si è bevuto quell'assegno?» Hackett sorrise e lo accompagnò alla porta. «Ho appena intaccato la piramide, Ross. Ne rimangono decine. E abbiamo trovato altro oro. Non so
come faremo a spenderlo tutto.» Lanciando uno sguardo indietro verso il planisfero, Ross rifletté su tutte le aree a rischio della Terra e sorrise. «Sono sicuro che qualcosa ci verrà in mente.» Il Vaticano, il giorno seguente Il cardinale prefetto Guido Vasari percorse di volata i lunghi, ampi corridoi del palazzo apostolico verso l'ufficio del Santo Padre. Ignorando le guardie, spalancò la porta e irruppe nella stanza. Il papa alzò lo sguardo dalla scrivania, la penna sollevata su una pila di documenti da firmare, e si accigliò. «Cardinale prefetto, cosa volete?» Vasari poggiò una copia aperta del Time sulla scrivania. «Riguarda il padre generale.» «L'hanno ritrovato?» «No.» «E allora? Pensavo che questa faccenda incresciosa fosse chiusa e che avessimo scaricato la responsabilità su un eccesso di zelo da parte del padre generale.» «Guardate l'articolo.» Il papa diede una veloce scorsa. «E allora? Il Voynich è stato tradotto. Ma non si accenna a un coinvolgimento della Chiesa. Non si suggerisce che il giardino esista davvero. Dov'è il problema?» «La persona che lo ha tradotto, quella nella foto con la bambina, è la moglie del geologo: la donna in stato di coma, quella che stava per morire, la donna per cui il geologo si era messo in cerca del giardino.» Il papa socchiuse i lacrimosi occhi azzurri. «È guarita. Succede. Non vorrete mica insinuare...» Vasari estrasse una copia dell'International Herald Tribune, lo aprì sulla scrivania a pagina quattro. Sopra un articolo che il cardinale aveva cerchiato di blu c'era una foto di due uomini e una donna dai capelli rossi a fianco del ministro dell'Interno peruviano. Il papa iniziò a leggere l'articolo. «L'uomo sulla sinistra è il geologo, il dottor Kelly», spiegò Vasari. «Lui e i suoi colleghi hanno realizzato quello che progettava di fare il padre generale: comprare un tratto di foresta vergine. La terra che hanno acquistato è protetta in perpetuo e vi si può entrare solo col permesso degli amministratori.» Rimase in silenzio. «Temo che l'ossessione del padre generale riguardo al Giardino di Dio potesse avere delle giustificazioni.»
Il papa non rispose né reagì subito, continuando solo a leggere l'articolo. Poi il suo viso cambiò espressione e Vasari capì al volo cosa aveva visto il Santo Padre: il nome dell'ente che aveva acquistato la terra. Un nome che tranne lo scomparso padre generale - solo loro dovevano conoscere. Era il nome di un uomo che i loro predecessori avevano messo al rogo quattro secoli e mezzo prima perché aveva sostenuto di aver scoperto un giardino miracoloso nella foresta amazzonica, l'autore del Libro di Satana, universalmente noto come manoscritto Voynich: Orlando Falcon. EPILOGO La foresta che circonda il cratere a forma di occhio è un lussureggiante, vivace mare di verde spruzzato di colori primari. Il cratere, però, è una macchia di deserto nella foresta, un'oasi al negativo priva di vita e colori, tranne il grigio e il nero. Quando il sole penetra nelle sue cavità nascoste, i raggi ne rivelano la desolazione: cenere bianca e carbone nero. Si dice che il potere purificatore del fuoco possa rinvigorire la vita, favorire forme viventi nuove, più resistenti. Tuttavia, lo strato di cenere è così spesso da far sembrare impossibile che possa ricrescervi qualcosa. E il lago circolare al centro, l'iride dell'occhio, è una pozza stagnante, cieca. Ma non tutto è come sembra in quel cratere. Alcune porzioni del terreno fuligginoso sono più nere delle altre, in particolare nelle vicinanze delle rocce che bloccano l'ingresso alle caverne a un'estremità del cratere. Strano a dirsi, è proprio in queste porzioni scure, dove si è infiltrato un rivolo d'acqua verde fosforescente, che si vedono i primi segni di vita. Dalla cenere nera emerge un fiorellino dai petali unici. È diverso da ogni altra pianta della foresta circostante, diverso da tutti gli altri fiori del mondo. RINGRAZIAMENTI Ho consultato molti libri e riviste per approfondire gli aspetti scientifici e storici di questo romanzo, ma ho trovato grande ispirazione proprio tra le pagine del manoscritto Voynich, che si possono consultare nel sito internet della Beinecke Rare Books and Manuscripts Library. Vorrei ringraziare Patrick Walsh e Jake Smith-Bosanquet, della Conville & Walsh Literary Agency di Londra, e Nick Harris della RWSH Film A-
gency di Los Angeles, per l'impegno profuso nel vendere i diritti del romanzo in tutto il mondo. Ringrazio anche Bill Scott Kerr per l'editing puntuale e per i continui incoraggiamenti, e Hazel Orme per la revisione finale. Un grazie particolare, comunque, lo riservo a mia moglie, Jenny, che è sempre stata sia la mia critica più severa sia l'ammiratrice più calorosa, e a mia figlia, Phoebe, che rende tutto degno di essere vissuto. FINE