James Rollins
La Chiave Dell'Apocalisse
The Doomsday Key 2009 ISBN 9788842916499
James Rollins – La Chiave dell’Apoc...
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James Rollins
La Chiave Dell'Apocalisse
The Doomsday Key 2009 ISBN 9788842916499
James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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NOTA STORICA †
N
ell'XI secolo, re Guglielmo d'Inghilterra ordinò un censimento delle proprietà fondiarie del suo regno. I dati furono raccolti nel Domesday Book, un grande volume che è uno dei ritratti più minuziosi della vita medievale dell'epoca. Secondo la maggior parte degli storici, questo imponente censimento catastale doveva servire a riscuotere imposte eque dalla popolazione, anche se non è dato saperlo con certezza. Questo censimento è ancora avvolto in molti misteri: perché, per esempio, fu ordinato con tanta urgenza e perché alcune cittadine furono segnate incomprensibilmente con un'unica parola latina che significava «devastato»? Inoltre, la stranezza di quest'opera e il severo scrupolo con cui fu compilata valsero al volume un inquietante soprannome da parte della popolazione dell'epoca. Divenne noto col nome di Doomsday Book, il Libro del Giorno del Giudizio. Nel XII secolo, un prete cattolico irlandese di nome Màel Màedóc, in seguito venerato come san Malachia, ebbe una visione durante un pellegrinaggio a Roma. Durante l'estasi, ebbe la rivelazione di tutti i papi che si sarebbero succeduti sino alla fine del mondo. Questo lungo elenco una descrizione enigmatica di 112 papi, fu dapprima custodito nell'Archivio Vaticano, dal quale scomparve, per poi riapparire nel XVI secolo. Secondo alcuni storici, il libro ritrovato era con ogni probabilità un falso. In ogni caso, nei secoli che intercorsero, la descrizione di ciascun papa presente nel libro si rivelò stranamente precisa... fino all'attuale capo della Chiesa cattolica, papa Benedetto XVI. Nella profezia di san Malachia, il papa attuale è indicato col motto De gloria olivae, ovvero «la gloria dell'olivo». E in effetti l'ordine benedettino, da cui il papa ha preso il nome, ha come stemma proprio un ramo d'olivo. Ma più inquietante di ogni altra cosa è che papa Benedetto XVI è il 111° pontefice. E, stando a questa precisa profezia, il mondo finirà col prossimo papa.
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NOTA SCIENTIFICA †
T
ra il 2006 e il 2008, un terzo delle api negli Stati Uniti (e in buona parte dell'Europa e del Canada) è scomparso. Alveari prosperi e popolosi sono stati trovati d'improvviso vuoti, come se le api se ne fossero andate senza più tornare. Tale fenomeno è stato denominato Colony Collapse Disorder, o «sindrome dello spopolamento degli alveari». Questa forte e misteriosa riduzione delle api ha dato origine a titoli sensazionali e ha seminato paure. Ma che è accaduto veramente alle api? Tra le pagine di questo romanzo si trova una risposta... A dir poco terrificante, non c'è dubbio. «Nell'ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa siederà Pietro romano, che pascerà il suo gregge fra molte tribolazioni, dopo le quali la città dei sette colli sarà distrutta e il Giudice terribile giudicherà il suo popolo.» Profezia di san Malachia, 1139
«Il potere di popolazione è infinitamente maggiore del potere che ha la terra di produrre sussistenza per l'uomo.» Thomas Malthus, Saggio sul principio di popolazione, 1798
«Il momento di comprare è quando il sangue scorre per le strade.» Barone Nathan Rothschild, l'uomo più ricco del XIX secolo.
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PROLOGO † Inghilterra, primavera 1086
I
corvi erano il primo segno. Mentre il carro percorreva il sentiero tra i campi d'orzo, uno stormo di corvi si levò in volo come una pennellata nera. Si lanciò nel cielo azzurro del mattino in preda al panico, ma c'era qualcosa di insolito rispetto al classico stormo spaventato. I corvi volteggiavano di qua e di là, scendevano in picchiata, cozzavano l'uno contro l'altro e precipitavano dal cielo. I piccoli corpi cadevano infine sullo sterrato, le ali che sussultavano senza forza. Ma più inquietante era il silenzio che ammantava ogni cosa. Niente gracchi, né versi. Solo il battito frenetico delle ali, seguito dal tonfo sordo sul terreno e sul pietrisco. Il carrettiere si fece il segno della croce e rallentò il carro. Alzò gli occhi dalle palpebre pesanti. Il cavallo scrollò la testa e soffiò nell'aria gelida del mattino. «Avanti, non rallentate», ordinò il passeggero. Martin Borr era il più giovane dei fiduciari della Corona, inviato su ordine segreto dello stesso re Guglielmo. Stringendosi addosso il pesante mantello, ripensò alla lettera e al grande sigillo reale. Gravato dai costi della guerra, Guglielmo aveva incaricato decine e decine di fiduciari di svolgere un grande censimento delle terre e delle proprietà del regno. L'enorme mole di dati era stata raccolta in un mastodontico volume denominato Domesday Book, compilato da un solo studioso in un latino oscuro. Il censimento doveva servire a calcolare le imposte esatte dovute alla Corona. O così si diceva. Alcuni cominciarono a sospettare che il motivo di quell'e16 norme censimento fosse un altro, e paragonarono quell'opera al Giorno del Giudizio descritto nella Bibbia, nel quale Dio avrebbe calcolato tutte le opere degli uomini nel Libro della Vita. Sottovoce, cominciarono a chiamare quella vasta raccolta di dati il Doomsday Book. Il Libro del Giorno del Giudizio. Si erano avvicinati alla verità più di quanto avessero immaginato. Martin aveva letto la lettera sigillata. Aveva osservato lo scrivano annotare con cura nel grande volume i dati raccolti dai fiduciari e, alla fine, lo aveva visto scrivere una sola parola in latino, in inchiostro rosso. Vastatum. Devastato. Molte regioni erano segnate con quella parola, a indicare che erano state James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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distrutte da guerre e saccheggi. Ma due voci erano state marcate in inchiostro cremisi. Una indicava un'isola desolata che sorgeva tra la costa dell'Irlanda e quella dell'Inghilterra. Martin invece si stava recando nel secondo luogo, inviato lì per indagare dietro ordine di Guglielmo. Il re gli aveva fatto giurare di mantenere il segreto e lo aveva fatto accompagnare da tre uomini, che seguivano il carro in sella ai propri cavalli. Al fianco di Martin, il carrettiere diede un colpo di redini e spronò il cavallo da tiro, un enorme sauro, ad aumentare l'andatura. Mentre avanzavano, le ruote del carro sobbalzavano sui corvi, schiacciando ossa e facendo schizzare sangue. Finalmente il carro giunse in cima a un'altura, di là della quale si apriva la valle rigogliosa. In basso era annidato un piccolo villaggio, fiancheggiato da un maniero in pietra e da una chiesa. Il resto era una ventina di casette e capanne, oltre a qualche ovile e a piccole piccionaie. «È un posto maledetto, signore», disse il carrettiere. «Ascoltate le mie parole, non è stato il vaiolo a devastare questo posto.» «È ciò che siamo venuti ad accertare.» Dietro di loro, a una lega di distanza, il sentiero ripido era stato chiuso dall'esercito del re. Il transito era vietato a tutti, ma ciò non aveva impedito alle voci riguardo a strane morti di diffondersi nei villaggi e nelle fattorie confinanti. «È maledetto», borbottò di nuovo l'uomo, guidando il carro sul sentiero che portava al villaggio. «Ho sentito dire che un tempo queste terre appartenevano ai barbari celti. Dicono che praticassero culti pagani. I loro blocchi di pietra si trovano ancora lassù, sugli altopiani.» Puntò il braccio verso i boschi che orlavano gli altissimi colli. Le foreste erano avvinghiate nelle nebbie, che trasformavano le fronde verdeggianti in tetre ombre grigie e nere. «Hanno maledetto questo posto, ve lo dico io. Gettando la sciagura su coloro che portano la croce.» Martin ignorò quei commenti. A trentadue anni, aveva studiato con gli uomini più eruditi da Roma alla Britannia. Era giunto lì con degli esperti per scoprire la verità. Voltandosi, Martin fece cenno agli altri di andare avanti, e i tre spronarono i cavalli al piccolo galoppo. Ognuno di loro conosceva il proprio compito. Isolato in quella piccola valle montana, il villaggio di Highglen era noto per le ceramiche, realizzate col fango e con l'argilla estratti dalle sorgenti termali che contribuivano ad ammantare di foschia le foreste più in alto. Si diceva che il metodo di cottura e la composizione dell'argilla fossero segreti ben custoditi e noti solamente agli artigiani del luogo. E ormai erano andati perduti per sempre. Il carro procedeva faticosamente, attraversando altre coltivazioni: segale, avena, fagioli e file di ortaggi. A giudicare dall'aspetto, alcuni campi erano stati mietuti da poco tempo, mentre altri erano stati chiaramente incendiati. Gli abitanti del villaggio hanno cominciato a sospettare la verità? Mentre il carro continuava a inoltrarsi nella valle, comparvero file di recinti per le pecore, orlati da alte siepi che nascondevano l'orrore al loro interno. Tumuli James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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lanuginosi, i corpi gonfi di centinaia di pecore punteggiavano i prati. Più vicino al villaggio, comparvero anche maiali e capre, gli occhi incavati, stramazzati al suolo, senza vita. Un grosso bue era crollato a terra, ancora legato all'aratro. Quando il carro entrò nella piazza del villaggio, tutto taceva. Nessun cane li accolse abbaiando, nessun gallo cantò, nessun asino ragliò. La campana della chiesa restò muta, e nessuno chiamò a gran voce i nuovi venuti. Un silenzio sovrannaturale regnava in quel luogo. Come avrebbero scoperto, la maggior parte dei morti era ancora nelle case. Ma un corpo giaceva a faccia in giù nella piazza, non lontano dalle scale di pietra del maniero. Pareva fosse appena caduto, rompendosi l'osso del collo. Ma anche dal carro Martin notò la pelle smunta e macilenta, gli occhi infossati, le braccia e le gambe magre come uno scheletro. Era devastato come gli animali nei campi. Era come se l'intero villaggio fosse stato stretto d'assedio e preso per fame. Con un calpestio di zoccoli, Reginald si affiancò al carro. «I granai sono tutti pieni.» L'uomo alto e sfregiato aveva sovrinteso alle campagne di re Guglielmo nel Nord della Francia. «Nei depositi abbiamo trovato anche ratti e topi.» Martin gli lanciò un'occhiata. «Morti. Come su quell'isola maledetta.» «Ma ora la devastazione ha raggiunto anche le nostre rive», borbottò Martin. «Si è estesa alle nostre terre.» Ecco perché erano stati mandati lì, perché la strada del villaggio era sorvegliata e perché avevano giurato di mantenere il segreto. «Girard ha trovato un cadavere in buone condizioni», disse Reginald. «Un bambino. L'ha sistemato nella mascalcia.» Indicò un fienile di legno con un comignolo di pietra. Martin annuì e scese dal carro. Doveva saperlo con certezza, e c'era solo un modo per scoprirlo. Siccome era un fiduciario della Corona, era suo compito accertare la verità dall'esame dei morti. Anche se in quel momento aveva lasciato il lavoro più cruento al macellaio francese. Martin varcò la porta della mascalcia. Girard era dentro, curvo dinanzi alla fucina spenta. Il francese aveva lavorato nell'esercito di re Guglielmo, dove aveva amputato con la sega braccia e gambe, e fatto del proprio meglio per salvare la vita dei soldati. Girard aveva liberato un tavolo e aveva già fatto spogliare e legare il bambino. Martin fissò la figura pallida ed emaciata. Aveva un figlio quasi della stessa età. Mentre Girard preparava i coltelli, Martin esaminò il fanciullo più da vicino. Pizzicò la pelle e notò la mancanza di grasso sottocutaneo. Esaminò le labbra spaccate, le chiazze squamose dove erano caduti i capelli, le caviglie e i piedi gonfi; ma soprattutto passò le mani sulle ossa sporgenti, come per leggere una mappa con le dita: le costole, la mandibola, la cavità orbitale, il bacino. Che cos'era successo? James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Sapeva che le vere risposte erano sepolte molto più in profondità. Girard si avvicinò al tavolo con una lunga lama d'argento in mano. «Ci mettiamo al lavoro, monsieur?» Martin annuì. Un quarto d'ora dopo, il cadavere giaceva come un maiale sventrato. La pelle, incisa dall'inguine al collo, era stata tirata e fissata con bullette al tavolo. I visceri erano annidati e raggomitolati nella cavità, gonfi e rosa. Da sotto le costole, protrudeva un fegato giallo brunastro, troppo grosso per un bambino così piccolo e ridotto pelle e ossa. Martin gli toccò la fronte e mosse le labbra in una preghiera muta invocando perdono per quella morte. Ma era troppo tardi per l'assoluzione del bambino. Il suo corpo confermava solamente ciò che più temeva. Girard estrasse lo stomaco, bianco e gommoso, dal quale penzolava una milza gonfia e violacea. Con un paio di colpi di coltello, lo liberò dal tratto di intestino e lo gettò sul tavolo. Un'altra sciabolata e lo stomaco era aperto. Una poltiglia verde intenso di pane e cereali non digeriti si riversò sul bancone, come una specie di ripugnante corno dell'abbondanza. Un odore nauseabondo si diffuse nell'aria, forte e penetrante. Martin si coprì la bocca e il naso... non per il tanfo, ma per l'orribile conferma. «È morto di fame, è evidente», sentenziò Girard. «Ma lo stomaco era pieno.» Martin fece un passo indietro, scoraggiato. Ecco la prova. Avrebbero dovuto esaminarne altri per averne la certezza. Ma le morti sembravano identiche a quelle avvenute sull'isola, un posto che nel Domesday Book era segnato in inchiostro rosso come devastato. Martin fissò il bambino sventrato. Era quello il motivo segreto per cui era stato svolto il censimento, tanto per cominciare: per cercare quel flagello nella loro terra, per estirparlo prima che si diffondesse. Le morti erano identiche a quelle sull'isola. A quanto sembrava, le vittime mangiavano di continuo, eppure morivano di fame, senza riuscire a nutrirsi, afflitte da un costante deperimento. Bisognoso d'aria, Martin si girò e uscì alla luce del sole. Fissò lo sguardo sulle colline ondulate, fertili e verdeggianti. Il vento frustava i campi di orzo, avena, frumento e segale. S'immaginò un uomo alla deriva nell'oceano, che moriva di sete, circondato d'acqua che non poteva bere. Non era diverso da lì. Martin rabbrividì nella luce pallida del sole, desiderando essere il più lontano possibile da quella valle, ma un grido attirò la sua attenzione a destra, all'altro capo della piazza del villaggio. Una figura vestita di nero stava dinanzi a una porta aperta. Per un momento Martin immaginò che fosse la Morte in persona, ma poi l'uomo fece un cenno con la mano, spezzando l'illusione. Era l'abate Orren, l'ultimo membro del loro gruppo, il capo dell'abbazia di Kells, in Irlanda. Era dinanzi all'entrata della chiesa del villaggio. «Venite a vedere!» Martin si avviò con passo incerto, agendo istintivamente più che coscientemente. Non voleva tornare James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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nella mascalcia: avrebbe lasciato il bambino al macellaio francese. Attraversò la piazza, salì i gradini e raggiunse il monaco. «Cosa c'è, abate Orren?» L'uomo si girò. «È un sacrilegio profanare così questo luogo», rispose irato l'abate. «Non c'è da stupirsi che siano stati tutti sterminati.» L'uomo era magro come uno scheletro e sembrava uno spettro avvolto nel suo largo mantello da viaggio. Di tutti loro, era l'unico che aveva visitato l'isola al largo della costa dell'Irlanda e che aveva visto la devastazione anche laggiù. «Avete trovato quello che stavate cercando?» domandò Martin. L'abate non rispose e rientrò nell'umile chiesa. L'altro non poté che seguirlo. L'interno era lugubre, un luogo tetro con un pavimento di terra coperto di giunchi. Non c'erano panche e il soffitto era molto basso. L'unica luce filtrava da un paio di vetrate in fondo alla chiesa, che illuminavano l'altare, costituito da un'unica lastra di pietra. Il drappo che ricopriva la pietra grezza era stato strappato e buttato a terra, con ogni probabilità proprio dall'abate durante le sue ricerche. Orren raggiunse l'altare e indicò la pietra nuda con mano tremante. «È un sacrilegio scolpire questi simboli pagani nella casa di Nostro Signore.» Sulla pietra erano stati incisi soli raggianti e spirali, con cerchi e strani motivi intricati, chiaramente pagani. «Perché questi devoti avrebbero commesso un simile peccato?» «Non credo siano stati gli abitanti di Highglen», rispose Martin. Passò la mano sull'altare. Sotto le dita, sentì le incisioni. Erano antiche. Martin ripensò al carrettiere, che aveva affermato che quel posto era maledetto, che era un terreno consacrato all'antico popolo dei celti, e che i loro grandi blocchi di pietra erano nascosti nelle foreste degli altopiani avvolte nelle nebbie. Una di quelle pietre era stata trasportata a Highglen e adibita ad altare della chiesa del villaggio. «Se non è stata la gente del posto, allora come spiegate questo?» L'abate andò verso la parete dietro l'altare e mostrò un grande simbolo. Era stata dipinto da poco tempo, con un colore rosso brunastro, forse sangue. Raffigurava una croce inscritta in un cerchio. Martin aveva visto figure del genere su pietre sepolcrali e antiche rovine. Era un simbolo sacro dei sacerdoti celtici. «Una croce pagana.» «L'abbiamo trovata anche sull'isola, segnata su tutte le porte.» «Ma che cosa significa?» L'abate toccò la croce che portava al collo. «È come il re temeva. I serpenti che infestavano l'Irlanda, scacciati da san Patrizio, sono tornati sulle nostre rive.» Martin sapeva che l'abate non si stava riferendo ai veri serpenti dei campi, ma ai sacerdoti pagani che portavano i bastoni attorcigliati come serpenti, ai capi druidici dell'antico popolo dei celti. San Patrizio aveva convertito o scacciato i pagani dalle rive d'Irlanda. Ma erano passati sei secoli. Martin si volse e guardò il villaggio morto, fuori della chiesa. Nella mente gli James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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echeggiarono le parole di Girard riguardo al bambino. È morto di fame... Ma lo stomaco era pieno. Tutto ciò non aveva senso. L'abate mormorò alle sue spalle: «Bisogna bruciare tutto. La terra va cosparsa di sale». Martin annui, ma una preoccupazione gli s'insinuò nel petto. Le fiamme potevano veramente estirpare quel flagello? Non lo sapeva con certezza, ma di una cosa era sicuro. Non era finita. Città del Vaticano, 9 ottobre, ore 23.55
Padre Marco Giovanni era nascosto in una selva di pietra immersa nell'oscurità. Le grandi colonne di marmo sorreggevano la volta della basilica di San Pietro e dividevano il pavimento in cappelle, cripte e nicchie. Il sacro spazio era gremito di opere dei grandi maestri: la Pietà di Michelangelo, il baldacchino del Bernini, la statua di bronzo di San Pietro in trono. Marco sapeva di non essere solo. C'era anche un cacciatore, in agguato, quasi certamente in fondo alla basilica. Tre ore prima aveva ricevuto un messaggio dal suo ex mentore dell'Università Gregoriana di Roma. Gli aveva chiesto d'incontrarlo lì a mezzanotte. Ma era una trappola. Con la schiena appoggiata alla colonna, Marco stringeva la mano destra sotto il braccio sinistro, nel tentativo di fermare l'emorragia sul fianco, squarciato fino alle costole. Il sangue caldo gli scorreva fra le dita. Nella mano stringeva la prova che gli occorreva, una piccola borsa di pelle. Quando si spostò per sbirciare nella navata centrale, uscì altro sangue, che imbrattò il pavimento di marmo. Non poteva più aspettare, o sarebbe diventato troppo debole. Muovendo le labbra in una preghiera muta, si staccò dalla colonna e fuggì nella buia navata, dirigendosi verso l'altare. Ogni passo era una nuova pugnalata nel fianco. Ma non era stato ferito da un pugnale. La freccia si era conficcata nella panca vicina dopo avergli trapassato il fianco. L'arma che era stata usata era corta e nera, una freccia di balestra d'acciaio. Dal suo nascondiglio, Marco l'aveva studiata. Aveva visto brillare un piccolo diodo rosso alla sua base, come un occhio fiammeggiante nell'oscurità. Non sapendo che altro fare, Marco si limitò a fuggire, mezzo curvo. Sapeva che sarebbe morto quasi certamente, il segreto che custodiva era più importante della propria vita. Doveva sopravvivere abbastanza a lungo da raggiungere l'uscita in fondo, trovare una delle guardie svizzere che era di ronda e informare la Santa Sede. Ignorando il dolore e il terrore, si mise a correre. L'altare era proprio davanti a lui. Il baldacchino di bronzo che lo sovrastava, James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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ideato dal Bernini, poggiava su colonne tortili. Marco passò lungo il lato sinistro, dirigendosi verso il transetto sinistro. Scorse il grandioso monumento di Alessandro VII e la porta sottostante. Era l'uscita in piazza Santa Marta. Se solo... Un pugno allo stomaco spense ogni sua speranza. Indietreggiò un passo e abbassò lo sguardo. Un'asticciola d'acciaio con l'estremità orlata di piume di plastica gli spuntava dalla camicia. Il dolore esplose un secondo dopo. Come la prima volta, anche su quella freccia brillava un occhio fiammeggiante. Il diodo rosso lampeggiava sull'estremità dell'asticciola. Marco barcollò. Un movimento d'ombre nei pressi della porta rivelò una figura nell'uniforme multicolore delle guardie svizzere: sicuramente un travestimento. L'assassino abbassò la balestra e uscì dal vano della porta dove era rimasto in agguato. Marco ripiegò verso l'altare e si accinse a tornare indietro fuggendo lungo la navata centrale. Ma scorse un'altra figura in uniforme da guardia svizzera. L'uomo si chinò vicino a una panca e staccò con uno strattone la freccia conficcata nel legno. Con lo stomaco stretto dal terrore più che dal dolore, Marco svoltò nel transetto destro, ma trovò un altro ostacolo. Una terza figura sbucò dall'ombra di un confessionale, puntando un'altra balestra. Era in trappola. La pianta della basilica era a croce, e tre dei suoi bracci erano ora sbarrati dagli assassini. Restava solo una direzione di fuga: l'abside. Ma era una via senza uscita. Nonostante ciò, Marco entrò a passo svelto nell'abside. In fondo troneggiava l'altare della Cattedra di San Pietro, un imponente monumento dorato di santi e angeli che ospitava il trono ligneo. Sopra l'opera, una grande vetrata ovale di alabastro rivelava lo Spirito Santo sotto forma di colomba. Ma la vetrata era buia e non offriva nessuna speranza. Marco volse le spalle alla vetrata e scrutò intorno. Alla sua sinistra troneggiava il sepolcro di Urbano VIII. Una statua della Morte, rappresentata da uno scheletro, usciva dalla cripta di marmo, annunciando la sorte ultima di tutti gli uomini... e anche la sua. Marco mormorò in latino: «Lilium et rosa». Il giglio e la rosa. Nel XII secolo, un santo irlandese di nome Malachia aveva avuto una visione che annunciava tutti i papi sino alla fine del mondo. Secondo tale visione, ci sarebbero stati 112 papi in totale. Malachia aveva descritto ciascuno di loro con una breve frase enigmatica. Urbano VIII, che sarebbe nato cinque secoli dopo la morte di Malachia, era descritto con le parole «il giglio e la rosa». Era nato a Firenze, che ha un giglio rosso nello stemma. Ma l'aspetto più inquietante della profezia era che il papa succeduto a quello attuale avrebbe visto la fine del mondo. Marco non aveva mai creduto a simili sciocchezze; ma, stringendo fra le dita la piccola borsa di pelle, si domandò quanto fossero veramente vicini all'apocalisse. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Un rumore di passi lo fece sussultare. Uno degli assassini si stava avvicinando. Gli restava il tempo sufficiente per una sola mossa. Agì velocemente. Tamponando l'emorragia per non lasciare tracce, si spostò di lato per nascondere ciò che doveva essere protetto. Quindi tornò al centro dell'abside, cadde in ginocchio e attese la morte. Il rumore di passi si avvicinò all'altare e comparve un uomo, che si fermò e si guardò intorno. Non era uno degli assassini. E nemmeno un estraneo. Riconoscendolo, Marco emise un sospiro, che attirò l'attenzione del nuovo arrivato. L'uomo s'irrigidì per lo stupore, quindi gli corse incontro. Troppo debole per alzarsi, Marco poté solo fissarlo, momentaneamente intrappolato tra la speranza e la diffidenza. Ma, dal modo in cui l'altro s'affrettò a raggiungerlo, la sua preoccupazione era evidente. Era la persona che aveva fissato il loro incontro a mezzanotte. «Monsignor Veroni...» Nel profondo del suo cuore, Marco sapeva che quell'uomo non lo avrebbe mai tradito. Tese una mano vuota. Nell'altra stringeva l'estremità piumata della freccia ancora conficcata nel ventre. Un guizzo di luce attirò la sua attenzione verso il basso. Vide il diodo rosso sulla freccia diventare d'improvviso verde. No... L'esplosione scagliò Marco dall'altra parte del pavimento di marmo, lasciando una scia di sangue, fumo e visceri. Sventrato, ricadde su un fianco ai piedi dell'altare. Alzò gli occhi e li posò sull'imponente monumento dorato che lo sovrastava. Un nome gli sovvenne alla mente. Petrus Romanus. Pietro romano. Era quello l'ultimo nome della profezia di san Malachia, l'uomo che sarebbe succeduto all'attuale Santo Padre e che sarebbe stato l'ultimo papa sulla terra. A causa del suo fallimento, quel tragico destino non poteva essere scongiurato. Il buio calò sui suoi occhi, il silenzio sulle sue orecchie. Non gli era rimasto nemmeno un briciolo di forza per parlare. Riverso su un fianco, rivolse gli occhi all'abside del sepolcro di Urbano, allo scheletro di bronzo che usciva dalla cripta del papa. Sul dito scheletrico Marco aveva appeso la piccola borsa. S'immaginò l'antico simbolo impresso a fuoco sulla pelle. Custodiva l'ultima speranza per il mondo. Con l'ultimo respiro, pregò che fosse abbastanza.
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PRIMO LA SPIRALE E LA CROCE † Comunicato stampa Martedì 9 maggio VIATUS MIRA ALLA SICUREZZA ALIMENTARE MONDIALE
O
slo, Norvegia (Business Wire), Viatus Corporation, società leader nel mondo nel settore petrolchimico, ha annunciato in data odierna la creazione della sua nuova Divisione di Ricerca e Sviluppo in Biogenetica Agraria. «La nostra nuova divisione ha come missione lo sviluppo di tecnologie che aumentino la produttività agricola per soddisfare la crescente domanda globale di prodotti alimentari, mangimi e combustibili», ha dichiarato Ivar Karlsen, amministratore delegato di Viatus Corporation. «Con la costituzione della divisione di Biogenetica Agraria della nostra società, intendiamo rispondere a questa sfida con tutte le nostre risorse, avviando l'equivalente di un Progetto Manhattan nel settore agrario. Il fallimento non è contemplato: né per la nostra società, né per il mondo.» Negli ultimi anni, le tecnologie di transgenia e ibridazione hanno aumentato i raccolti di grano, mais e riso del trentacinque per cento. Karlsen ha dichiarato che Viatus prevede di raddoppiare questo tasso di rendimento già elevato nel giro di cinque anni. La necessità di una nuova divisione di questo genere è stata al centro del discorso che Karlsen ha tenuto oggi al Vertice Mondiale sull'Alimentazione di Buenos Aires. Citando l'Organizzazione Mondiale per la Sanità, ha osservato che un terzo della popolazione mondiale rischia di morire di fame. «Siamo di fronte a una crisi alimentare globale. La maggior parte di coloro che soffrono la fame è nel terzo mondo. I tumulti per il cibo si stanno diffondendo in tutto il mondo e stanno destabilizzando ancora di più le regioni a rischio.» La sicurezza alimentare, ha detto Karlsen, ha superato il petrolio e l'acqua nell'elenco delle crisi e delle sfide più grandi del nuovo millennio. «Sia dal punto di vista umanitario sia da quello della sicurezza mondiale, è essenziale accelerare la produzione alimentare attraverso l'innovazione e la biotecnologia.» All'avanguardia dell'innovazione agraria: Viatus Corporation è una società inserita nella classifica di Fortune 100 con sede a Oslo, in Norvegia. Fondata nel 1802, Viatus distribuisce prodotti in centottanta Paesi di tutto il mondo, migliorando la James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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qualità della vita attraverso la ricerca e l'innovazione. È una società quotata alla borsa di New York con la sigla «VI». Il nome Viatus deriva dalle parole latine «via» e «vita».
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Capitolo 1 † Mali, Africa occidentale, 10 ottobre, ore 04.55
G
li spari svegliarono Jason Gorman da un sonno profondo. Gli ci volle un altro secondo per ricordare dove si trovava. Stava sognando di nuotare nel lago nei pressi della casa di villeggiatura di suo padre, nel Nord dello Stato di New York. Ma la zanzariera che proteggeva la sua branda e il freddo che precedeva l'alba lo richiamarono al presente con un sobbalzo. Insieme con le grida. Col cuore che martellava all'impazzata, si liberò del lenzuolo leggero con un calcio e si fece largo nella zanzariera, strappandola. All'interno della tenda della Croce Rossa era buio pesto, ma attraverso le pareti di tela il tremolio di un bagliore rosso indicava un incendio da qualche parte sul lato est del campo profughi. Altre fiamme presero vita, danzando tutt'intorno alla tenda. Oddio... Benché spaventato, Jason sapeva che cosa stava accadendo. Era stato informato prima di partire per l'Africa. Nel corso dell'ultimo anno, altri campi profughi erano stati attaccati e saccheggiati dalle forze ribelli tuareg. Col prezzo del riso e del mais che triplicava in ogni angolo della Repubblica del Mali, la capitale era stata sconvolta dai disordini. Il cibo era il nuovo oro nelle regioni settentrionali del Paese. Tre milioni di persone rischiavano di morire di fame. Ecco perché era andato lì. Suo padre patrocinava il progetto di una fattoria sperimentale che occupava più o meno venticinque ettari sul lato nord del campo, finanziato dalla Viatus Corporation e gestito da biologi e genetisti agrari della Cornell University. Sperimentavano la coltivazione di cereali geneticamente modificati nei terreni aridi della regione. I primi campi erano stati mietuti appena una settimana prima, coltivati con solo un terzo dell'acqua normalmente necessaria per l'irrigazione. La notizia doveva essere giunta alle orecchie sbagliate. Jason si precipitò fuori dalla tenda a piedi nudi. Indossava ancora i pantaloncini e il camicione kaki che aveva addosso quando era crollato a letto esausto. Nell'oscurità che precedeva l'alba, la luce degli incendi era l'unica sorgente d'illuminazione. I generatori dovevano essere stati distrutti. Gli spari delle armi automatiche e le grida echeggiavano nel buio. Figure avvolte nell'ombra sfrecciavano e spingevano in ogni direzione; erano i profughi che correvano in preda al panico, di qua e di là. Coi colpi di fucile e col rumore intermittente delle mitragliatrici provenienti da ogni direzione, nessuno sapeva da che parte fuggire. Jason lo sapeva. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Krista era ancora nel complesso di ricerca. Tre mesi prima Jason l'aveva conosciuta alla riunione informativa negli Stati Uniti. La donna aveva cominciato a condividere il letto protetto dalla zanzariera di Jason solo da un mese. Ma la sera precedente si era fermata sul posto di lavoro. Aveva programmato di rimanere in piedi tutta la notte per finire alcuni esami genetici sul grano appena raccolto. Jason doveva raggiungerla. Facendosi largo controcorrente nel fiume umano, si diresse verso il lato nord del campo. Come temeva, lì gli sparì e le fiamme erano più violenti. I ribelli intendevano saccheggiare il raccolto. Purché nessuno provasse a fermarli, nessuno sarebbe morto. Si prendessero pure il raccolto. Una volta fatto, si sarebbero dileguati nella notte con la stessa rapidità con cui erano arrivati. Il raccolto sarebbe stato distrutto in ogni caso. Non era nemmeno destinato al consumo prima che fossero condotti altri studi. Girando un angolo, Jason inciampò nel primo cadavere, un ragazzo abbandonato nel vicolo tra le baracche fatiscenti. Era stato raggiunto da un colpo d'arma da fuoco e calpestato dalla folla. Dopo un altro centinaio di metri frenetici, raggiunse il margine nord del campo. I cadaveri erano sparsi ovunque, ammucchiati l'uno sull'altro: uomini, donne, bambini. Una carneficina. Alcuni corpi erano stati tagliati in due dalle raffiche delle mitragliatrici. Oltre quello sterminio, i capannoni di lamiera del complesso di ricerca si stagliavano come buie navi che si erano arenate nella savana dell'Africa occidentale. Non brillavano luci... solo fiamme. Krista... Jason rimase fermo lì. Voleva andare avanti, maledicendo la propria codardia. Ma non riusciva a muoversi. Lacrime di rabbia gli salirono agli occhi. Poi un battito sordo si levò alle sue spalle. Si girò e vide un paio di elicotteri calare sul campo assediato, rasentando il terreno. Dovevano essere le forze governative della base vicina. La Viatus Corporation aveva investito molti soldi per rafforzare la sicurezza. A Jason sfuggì un respiro convulso. Gli elicotteri avrebbero sicuramente scacciato i ribelli. Più fiducioso, attraversò il campo, continuando tuttavia a correre a testa bassa. Si diresse dietro il capannone più vicino, a meno di cento metri di distanza. Lì le ombre più fitte lo avrebbero nascosto, e il laboratorio di Krista era nel capannone successivo. Pregò che si fosse nascosta lì dentro. Quando raggiunse la parete posteriore del capannone, una luce forte balenò alle sue spalle. Il fascio di luce abbagliante del proiettore dell'elicottero in testa guizzò da una parte all'altra del campo. Jason emise un profondo sospiro. Questo dovrebbe far fuggire i ribelli. E poi, dai lati dell'elicottero, le raffiche delle mitragliatrici crivellarono il terreno. A Jason si gelò il sangue nelle vene. Quello non era un attacco mirato alle forze ribelli: era un massacro indiscriminato. Il secondo elicottero virò dall'altra parte, sorvolando la periferia del campo. Il James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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portello posteriore vomitò fusti che esplosero all'impatto, scagliando fuoco e fiamme nel cielo. Eruppero grida ancora più forti. Jason vide un uomo fuggire nel deserto, nudo, ma con la pelle ancora in fiamme. L'attacco con bombe incendiarie si propagò nella direzione di Jason. Si girò e corse oltre il capannone di lamiera. I campi e i granai si profilavano dinanzi a lui, ma lì non avrebbe trovato scampo. Figure immerse nell'ombra si stavano spostando sul lato opposto del campo. Jason avrebbe dovuto azzardare un ultimo scatto allo scoperto per raggiungere il laboratorio di Krista. Le finestre erano buie e l'unica porta dava sui campi aperti. Si fermò per riprendersi. Un ultimo scatto e sarebbe entrato nel capannone. Ma, prima che potesse muovere un passo, altre fiammate proruppero dall'altra parte del campo. Un gruppo di uomini armati di lanciafiamme stava calando tra le file di grano, bruciando i campi che dovevano essere ancora mietuti. Che diavolo sta succedendo? A destra, l'unico silo granario esplose in un violento vortice che si levò in spire nel cielo. Sconvolto, ma lesto a sfruttare la distrazione, Jason si precipitò verso la porta aperta del capannone. Nel bagliore delle fiamme, il locale sembrava intatto, quasi in ordine. La metà posteriore del capannone era gremita di apparecchiature scientifiche di ogni genere utilizzate nella ricerca genetica e biologica: microscopi, centrifughe, incubatori, termociclizzatori, unità di elettroforesi su gel. A destra c'erano piccoli uffici con computer portatili senza fili, apparecchiature per il collegamento satellitare, nonché unità di backup a batteria. Un computer portatile era illuminato da un salvaschermo. Era nell'ufficio di Krista, ma della sua fidanzata non c'era traccia. Jason si precipitò verso il computer e sfiorò il touchpad col pollice. Il salvaschermo scomparve, sostituito dalla finestra aperta di un account di posta elettronica. Era di Krista anche quello. La ragazza doveva essere fuggita, ma dove? L'uomo aprì in fretta e furia la propria casella di posta elettronica e cliccò sull'indirizzo dell'ufficio di suo padre in Campidoglio. Trattenendo il respirò, batté svelto sulla tastiera, descrivendo l'attacco con poche frasi concise. Nel caso non ne fosse uscito vivo, voleva lasciare una testimonianza. Poco prima di premere il tasto d'invio, ebbe un'intuizione. I file di Krista erano ancora sullo schermo. Li allegò al suo messaggio e lo inviò. Lei non avrebbe voluto che andassero perduti. L'invio non andò subito a buon fine. I file allegati erano troppo pesanti e ci volle un minuto in più per caricarli. Lui però non poteva aspettare. Sperò che la batteria durasse abbastanza da consentire l'invio dell'e@mail. Jason corse alla porta. Non c'era modo di sapere dove fosse finita Krista. Sperava fosse fuggita nel deserto circostante. Era quello che avrebbe fatto lui. Là c'erano labirinti di gole e torrenti in secca. Poteva nascondersi per giorni, se James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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necessario. Mentre si precipitava all'uscita, una figura scura gli si parò dinanzi, sbarrandogli la porta. Jason indietreggiò, senza fiato per la sorpresa. «Jase?» Il sollievo lo pervase. «Krista...» Le corse incontro, a braccia aperte. Potevano ancora fuggire. «Oh, Jason, grazie a Dio!» Era sollevata quanto lui... finché non puntò una pistola e gli sparò tre volte al petto. Colpi che parvero pugni, scaraventandolo per terra. Fu trafitto da un dolore atroce, che rese la notte ancora più buia. In lontananza, udì gli spari, le esplosioni e altre grida. Krista si chinò su di lui. «La tua tenda era vuota. Abbiamo pensato fossi fuggito.» Lui tossì, incapace di rispondere con la bocca piena di sangue. Apparentemente soddisfatta del suo silenzio, la donna s'incamminò di nuovo nell'inferno di fuoco e morte. Si fermò, stagliandosi per un istante sullo sfondo dei campi in fiamme, infine si dileguò nella notte. Jason si sforzò di capire. Perché? Mentre l'oscurità calava su di lui, non trovò risposta alla sua domanda, ma udì un'ultima cosa. Il computer portatile nell'ufficio vicino emise un bip. Il messaggio era stato inviato.
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Capitolo 2
† Prince William Forest, Virginia, 10 ottobre, ore 07.04
D
oveva correre più forte. Chino sullo stretto manubrio della motocicletta, il comandante Grayson Pierce piegò per prendere una curva stretta, sfiorando l'asfalto col ginocchio. Il motore ruggì quando Gray raddrizzò la moto e diede gas. La sua preda era una cinquantina di metri più avanti, in sella a una Honda da motocross più piccola. Gray la inseguiva con una Yamaha V-Max, un modello più vecchio. Entrambe le moto montavano motori V-4, ma la sua era più grande e pesante. Se voleva acciuffare la sua preda, aveva bisogno di sfruttare tutta la sua abilità. E forse di un pizzico di fortuna. Avevano raggiunto un breve rettilineo nel parco della Prince William Forest. Una fitta fila di alberi incorniciava la strada a due corsie. Nell'insieme, gli altissimi faggi e i pioppi tremuli contribuivano alla bellezza della strada panoramica, soprattutto in quel periodo, con le foglie che ingiallivano. Purtroppo, la notte precedente, un temporale aveva ridotto gran parte delle foglie in fanghiglia scivolosa. Gray girò a fondo la manopola dell'acceleratore e la motocicletta fece un balzo in avanti. Ma anche la sua preda stava approfittando del rettilineo. Fino a quel momento, quasi tutta la Route 619 era stata una corsa sull'ottovolante, piena di curve improvvise, zigzag micidiali e saliscendi. L'inseguimento, che durava da un'ora, era stato duro, ma Gray non poteva lasciar fuggire l'altro motociclista. Quando quello rallentò per prendere la curva successiva, la distanza tra loro si accorciò. Gray non toccò i freni. Forse era una manovra spericolata, ma conosceva le capacità della propria moto. Da quando era diventata sua, aveva chiesto a un ingegnere di robotica della DARPA, la divisione di ricerca e sviluppo del dipartimento della Difesa, di apportare un paio di modifiche. L'ingegnere gli doveva un favore. La squadra di Gray, denominata Sigma, era il braccio militare della DARPA. L'unità era composta da ex soldati delle Forze Speciali che erano stati riaddestrati in vari campi scientifici. Una delle modifiche apportate alla moto era un display a sovrimpressione integrato nel casco. Sul lato sinistro della visiera, scorrevano i dati relativi alla velocità, ai giri al minuto, al cambio e alla temperatura dell'olio. Sul lato destro, una mappa di navigazione mostrava le marce e le velocità più adatte al tipo di James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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terreno. Con la coda dell'occhio, Gray vide il tachimetro scivolare nella zona rossa. Un allarme lampeggiò sul sistema di navigazione. Si stava avvicinando alla curva troppo velocemente. Ignorando l'avvertimento, Gray strinse forte la manopola dell'acceleratore. La distanza tra i due si accorciò ancora: trenta metri. Più avanti, il fuggitivo piegò la moto e prese la curva con un rombo del motore, seguito, di lì a pochi secondi, da Gray. Pierce cercò di guadagnare un altro metro stringendo più forte la curva cieca, sfiorando la linea di mezzeria gialla. Fortunatamente, era primo mattino e le strade erano sgombre. Purtroppo, non si poteva dire lo stesso degli animali selvatici. Dietro la curva, un orso nero era acquattato sulla banchina della strada con un cucciolo al fianco. Avevano entrambi il muso infilato in un sacchetto di Mc Donald's. Il primo motociclista li superò a tutta velocità. Il rumore e l'improvvisa apparizione fecero impennare la mamma orso per lo spavento, mentre il cucciolo fuggì d'istinto... in mezzo alla strada. Gray non poteva scansarlo in tempo. Non gli restò che sterzare con una tremenda slittata. Le gomme fumarono sull'asfalto. Quando raggiunse il terreno argilloso della banchina opposta, mollò la moto e si gettò all'indietro, sulla schiena. La velocità lo fece scivolare sulle foglie umide per sei metri buoni. Alle sue spalle, la moto si schiantò contro una quercia con un urto fragoroso. Fermandosi in un fosso, Gray si voltò e vide la mamma orso battersela nel bosco, seguita dal cucciolo. A quanto sembrava, ne avevano avuto abbastanza di fast food per quel giorno. Udì un altro rumore. Il rombo di una motocicletta, che arrivava a tutta velocità. Gray si raddrizzò. In fondo alla strada, la sua preda aveva fatto inversione e stava tornando verso di lui a tutto gas. Gray strappò le cinghiette e si sfilò il casco. L'altra moto arrivò come un razzo e inchiodò davanti a lui, sollevandosi sulla ruota anteriore. Il motociclista era basso, ma muscoloso come un pit bull. Si sfilò il casco, rivelando una testa rapata a zero. «Sei tutto intero?» Il motociclista era Monk Kokkalis, un collega della Sigma nonché il migliore amico di Gray. I lineamenti duri dell'uomo erano contratti in un'espressione di ansia e preoccupazione. «Sto bene. Non mi aspettavo un orso sulla strada.» «Chi se l'aspettava?» Monk fece un largo sorriso mentre abbassava il cavalletto con un calcio e smontava dalla moto. «Ma non sognarti di non pagare la nostra scommessa. Non hai stabilito nessuna regola per gli ostacoli naturali. Paghi tu la cena dopo il convegno. Bistecche di primo taglio e la birra più scura che hanno in quella steakhouse sul lago.» «D'accordo. Ma voglio la rivincita. Hai avuto un vantaggio James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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ingiusto.» «Un vantaggio? Io?» Monk si sfilò i guanti, mostrando la protesi della mano. «Ho perso una mano, oltre a una bella fetta di memoria. E sono stato considerato un invalido per un anno. Che bel vantaggio!» Nonostante ciò, non smise di sorridere quando porse la mano artificiale progettata dalla DARPA. Gray la prese, sentendo la plastica fredda serrargli la mano come una morsa. Quelle dita erano più forti di uno schiaccianoci. Mentre toglieva le foglie bagnate dalla tuta in kevlar, il suo cellulare squillò nel taschino. Controllò il nome del chiamante. «Il comando centrale», disse a Monk, portando il telefono all'orecchio. «Comandante Pierce.» «Pierce? Era ora che rispondessi. Ti ho chiamato quattro volte nell'ultima ora. E posso chiederti che ci fai nel cuore di una foresta in Virginia?» Era il capo di Gray, Painter Crowe, il direttore della Sigma. Sforzandosi di trovare una spiegazione convincente, Gray lanciò un'occhiata alla sua motocicletta. Doveva essere stato tradito dal GPS di bordo. Nonostante gli sforzi, non riuscì a inventare nessuna scusa. Gray e Monk erano stati mandati a Quantico da Washington per partecipare a un convegno dell'FBI sul bioterrorismo. Quello era il secondo giorno, e loro avevano deciso di saltare le conferenze del mattino. «Fammi indovinare», proseguì severo Painter. «Siete andati a fare un po' di scorribanda?» «Signore...» Painter addolcì la voce. «Ha giovato a Monk?» Come sempre, Painter aveva indovinato. Il direttore aveva la straordinaria capacità d'intuire una situazione. Persino quella. Gray guardò l'amico. Monk stava con le braccia incrociate sul petto, un'espressione preoccupata dipinta sul volto. Era stato un anno molto difficile per lui: era stato trattato in modo brutale in un complesso di ricerca nemico, dove gli avevano asportato una porzione del cervello, devastandogli la memoria. Sebbene avesse fatto un buon recupero con ciò che gli era rimasto, i vuoti restavano, e Gray sapeva che era ancora un tormento per lui. Nel corso degli ultimi due mesi, Monk aveva cominciato a riabituarsi un po' alla volta alle sue mansioni nella Sigma, per limitate che fossero. Lavorava in ufficio e svolgeva solamente incarichi minori negli Stati Uniti. Si occupava della raccolta e della valutazione di dati, spesso a fianco della moglie, il capitano Kat Bryant. Esperta in intelligence navale, anche lei lavorava nel comando centrale della Sigma. Gray sapeva che Monk era smanioso di fare di più, di riavere la vita che gli era stata rubata. Tutti lo trattavano come fosse un fragile vaso di porcellana, e quegli sguardi comprensivi e le parole d'incoraggiamento dette a bassa voce avevano cominciato a dargli sui nervi. Perciò Gray aveva proposto quella gara di motocross nel parco che costeggiava la base del Corpo dei marine di Quantico. Dava modo a Monk di sfogare un po' la tensione, di scendere di nuovo in pista, di correre qualche rischio. Gray coprì il telefono con la mano e disse a Monk a fior di labbra: «Painter è James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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incazzato». Il volto dell'amico s'increspò in un largo sorriso. Gray riportò il telefono all'orecchio. «Ho sentito», disse il suo capo. «E, se avete finito di spassarvela, voglio che torniate al comando della Sigma questo pomeriggio. Tutti e due.» «Sissignore. Ma posso chiedere di che si tratta?» Seguì un lungo silenzio, come se il direttore stesse valutando la risposta. Quando la diede, misurò bene le parole. «Si tratta del proprietario originale della tua motocicletta.» Gray lanciò un'occhiata alla moto fracassata. Il proprietario originale? Tornò di colpo con la memoria a quella notte di due anni prima, al rombo di una motocicletta in una strada di periferia, che correva a fari spenti, guidata da un assassino letale dalla lealtà incerta. Gray deglutì per trovare il coraggio di parlare. «Che cosa le è accaduto?» «Vieni qui e lo saprai.» Washington, ore 13.00
Qualche ora più tardi, dopo avere fatto una doccia e indossato un paio di jeans e una felpa, Gray era seduto nella sala di sorveglianza satellitare del comando centrale della Sigma. In compagnia di Painter e Monk. Sullo schermo campeggiava una carta digitale. Una linea rossa tortuosa andava dalla Thailandia all'Italia. La pista dell'assassina terminava a Venezia. La Sigma seguiva le sue tracce da più di un anno. La sua posizione era segnata da un piccolo triangolo rosso sul monitor del computer. Palazzi, calli e canali tortuosi erano riprodotti in dettaglio in scala di grigio, fino alle minuscole gondole. Nell'angolo del monitor erano riportate le coordinate geografiche approssimative dell'assassina: 9 OTT 10.52.45 GMT LAT 41° 52' 56,97" N LONG 12° 29' 5,19" E «Da quanto tempo è a Venezia?» «Da più di un mese.» Painter si passò la mano tra i capelli e socchiuse gli occhi. Sembrava esausto. Era stato un anno difficile per il direttore. Siccome passava gran parte della giornata in ufficio e in riunione, era pallido. Le sue origini amerindie trasparivano soltanto dai lineamenti marcati del viso e dalla striscia grigia tra i capelli neri, come una piuma d'argento infilata sull'orecchio. Gray studiò la carta. «Sappiamo dove alloggia?» Painter scosse la testa. «Da qualche parte nella zona di Santa Croce. È uno dei sestieri più antichi di Venezia, poco turistico. Un labirinto di ponti, vicoli e canali. Un posto dove è facile James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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nascondersi.» Monk era seduto in disparte, intento a sistemare la protesi della mano. «Perché Seichan si è rintanata proprio a Venezia?» Gray lanciò un'occhiata all'angolo del monitor, su cui era riprodotta una foto della donna. Aveva lineamenti misti vietnamiti ed europei, forse francesi, l'incarnato bronzeo, i tratti delicati e le labbra carnose. Gray l'aveva conosciuta, tre anni prima, lei lo aveva quasi ucciso, sparandogli a bruciapelo al petto. Anche ora se la immaginava nella stessa tuta nera a collo alto, ricordando come le fasciava il corpo flessuoso, suggerendo le forme, sia sode sia morbide, che celava. Gray ripensò anche al loro ultimo incontro. Catturata e tenuta prigioniera dall'esercito americano, era ferita gravemente e si stava ristabilendo da un'operazione all'addome. Lui l'aveva aiutata a fuggire, restituendo un debito di gratitudine che le doveva dopo che lei gli aveva salvato la vita... ma la sua liberazione era stata concordata. Durante l'intervento chirurgico, il capo di Gray le aveva fatto impiantare segretamente nel ventre un rintracciatore passivo in polimero plastico. Era la condizione per la sua liberazione, un'assicurazione aggiuntiva che sarebbero stati in grado di controllare i suoi spostamenti. La donna era troppo importante per lasciarla libera, troppo legata a un'oscura rete terroristica nota come la Gilda. Nessuno sapeva niente dei veri burattinai di quella organizzazione: si sapeva solo che i suoi tentacoli si estendevano in tutto il mondo. Seichan sosteneva di essere una spia che faceva il doppio gioco, infiltrata nella Gilda per scoprire chi era veramente a capo delle sue operazioni. Ma non aveva fornito nessuna prova. Il dispositivo offriva all'intelligence americana l'opportunità di scoprire qualcosa di più sulla Gilda. Gray sospettava tuttavia che la decisione della donna di rintanarsi a Venezia non avesse niente a che fare con la Gilda. Sentì gli occhi di Painter Crowe puntati su di sé, come se aspettasse una risposta. Il suo capo aveva un'espressione impassibile, distaccata, ma da un guizzo degli occhi azzurro pallido capì che quello era un esame. «È tornata sulla scena del crimine», rispose Gray. «Che cosa?» fece Monk. «A Santa Croce ci sono alcuni dipartimenti dell'Università di Venezia. Due anni fa, ha assassinato il curatore di un museo di quella città, uno che aveva rapporti con l'università. Lo ha ucciso a sangue freddo, sostenendo che era stato necessario per proteggere la famiglia dell'uomo, la moglie e la figlia.» Painter confermò. «La bambina e la madre vivono in quella zona. Abbiamo gente sul posto che sta cercando di localizzare Seichan. Ma il rintracciatore è passivo, possiamo localizzarla solo con una precisione non inferiore a cinque chilometri quadrati. Nel caso si facesse vedere, teniamo la famiglia del curatore sotto sorveglianza. Con tutti quelli che la cercano, deve James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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starsene per forza ben defilata, probabilmente sotto falso nome.» Gray ripensò alla tensione dipinta sul volto di Seichan quando la donna aveva provato a giustificare l'omicidio del curatore del museo. Era probabile che fosse stato il senso di colpa, più che la Gilda, ad attirarla di nuovo a Venezia. Ma a che scopo? E se Gray si fosse sbagliato? Se quello fosse un abile trucco? Seichan era molto astuta, una stratega eccellente. Fissò lo schermo. C'era qualcosa che non andava. «Perché me lo mostra ora?» La Sigma seguiva le tracce di Seichan da più di un anno, perché quindi tutta quella improvvisa urgenza di richiamarlo al comando centrale? «La notizia è trapelata dalla NSA, passando per il nuovo capo della DARPA fino a noi. Non avendo ricavato nessuna vera informazione da quando Seichan è libera, le alte sfere sono stanche dell'operazione e hanno ordinato la sua cattura immediata. Deve essere condotta al centro interrogatori di una base segreta in Bosnia.» «Ma è una follia! Lei non parlerà mai. Abbiamo più probabilità di scoprire qualcosa di concreto sulla Gilda con questa operazione.» «Sono d'accordo. Purtroppo, però, siamo gli unici a difendere tale posizione. Ma se Sean fosse ancora a capo della DARPA...» A quel ricordo doloroso, le parole di Painter si spensero. Il dottor Sean McKnight aveva fondato la Sigma ed era stato il direttore della DARPA in quel periodo. Era stato ucciso l'anno precedente, durante un assalto al comando. Il nuovo capo della DARPA, il generale Gregory Metcalf, ricopriva quel posto da troppo poco tempo, ed era ancora alle prese con le ricadute politiche dell'assalto. Metcalf e Painter si erano scontrati sin dal primo giorno. Secondo Gray, era solo grazie all'appoggio del presidente degli Stati Uniti che Painter Crowe non era stato licenziato. Ma anche quell'appoggio aveva un limite. «Metcalf non vuole irritare nessuno nei vari ambienti dell'intelligence e si è schierato con la NSA su questa faccenda.» «Così hanno intenzione di portarla dentro.» Painter si strinse nelle spalle. «Sempre che ci riescano. Ma non immaginano con chi hanno a che fare.» «Sono in attesa d'incarico. Potrei andare là a dare una mano.» «Una mano a fare cosa? A trovarla o a farla fuggire?» Gray tacque, combattuto tra sentimenti contrastanti. Alla fine rispose in tono reciso, guardandolo dritto negli occhi: «Farò quello che mi si chiede». Il direttore scosse la testa. «Se Seichan ti vede o addirittura sospetta che sei a Venezia, capirà di essere sorvegliata. Perderemo ogni vantaggio.» Gray sapeva che il direttore aveva ragione. Il telefono squillò e Painter alzò il ricevitore. Un momento dopo, porse il ricevitore a Gray. «È il tenente Sara Veroni, da Roma.» Lui non riuscì a mascherare lo stupore. Prese il telefono e si allontanò leggermente dagli altri due uomini. «Sara?» Udì subito la voce rotta dalle lacrime. Non singhiozzava, ma parlava a strappi, senza la normale scioltezza, tirando il fiato tra una parola e l'altra. «Gray... ho bisogno del tuo aiuto.» «Tutto quello che vuoi. Che è successo?» Non la James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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sentiva da mesi. Aveva avuto una relazione di più di un anno con quella donna dai capelli corvini. Avevano parlato anche di sposarsi, ma alla fine non aveva funzionato. Lei era troppo vincolata al suo lavoro nei carabinieri, in Italia. Dal canto suo, Gray era saldamente radicato a livello professionale e personale negli Stati Uniti. La distanza si era rivelata troppo grande. «Si tratta di mio zio Vittorio.» Le parole uscirono concitate, quasi che anticipassero un torrente di lacrime. «La notte scorsa. C'è stata un'esplosione in San Pietro. È in coma.» «Mio Dio, com'è accaduto?» «È rimasto ucciso un altro prelato, un suo ex studente. Sospettano sia opera di terroristi. Ma non... non vogliono dirmelo... non sapevo chi altri chiamare.» «Non ti preoccupare. Posso arrivare lì col prossimo volo.» Gray lanciò un'occhiata a Painter. Il suo capo annuì, senza bisogno di spiegazioni. Monsignor Vittorio Veroni aveva aiutato la Sigma in due operazioni precedenti. La sue conoscenze di archeologia e storia antica erano state decisive, insieme coi suoi stretti rapporti con la Chiesa cattolica. Avevano un immenso debito nei confronti del prelato. «Grazie.» Sara sembrava già più calma. «Ti invierò il dossier delle indagini, ma sono stati omessi alcuni dettagli. Ti metterò al corrente quando sei qui.» Gray posò lo sguardo sul monitor del computer, più precisamente sul rintracciatore rosso che lampeggiava al centro di Venezia. La foto di Seichan lo fissava dall'angolo dello schermo, l'espressione gelida e insieme irata. Anche l'assassina aveva dei trascorsi con Sara e suo zio. E adesso era tornata in Italia. Ebbe un presentimento. C'era qualcosa che non andava in tutta quella storia. Sentiva che si stava preparando un temporale, ma non sapeva da che parte tirasse il vento. Una cosa sapeva per certo, però. «Sarò lì il prima possibile.
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Capitolo 3
† Roma, 10 ottobre, ore 19.28
Q
uando il tenente Sara Veroni uscì dall'ospedale nel fosco crepuscolo del centro di Roma, tirò una profonda boccata della frizzante aria autunnale, allentando un po' la tensione. Il tanfo di disinfettante copriva a malapena l'odore dei corpi che languivano nei letti. Gli ospedali puzzavano sempre da morire. Per la prima volta dopo anni, desiderò una sigaretta, o qualunque altra cosa per alleviare l'ansia che era cresciuta in lei di ora in ora con suo zio in coma. Gli avevano applicato le flebo; una serie di elettrodi era collegata alle macchine che monitoravano i suoi segni vitali; un respiratore gli sollevava e abbassava il petto. Sembrava invecchiato di dieci anni, gli occhi anneriti e illividiti, la testa rasata e bendata. La diagnosi dei dottori: emorragia subdurale con lieve trauma cranico. Stavano tenendo sotto controllo la pressione intracranica. La risonanza magnetica non aveva evidenziato danni al cervello, ma l'uomo restava privo di conoscenza, cosa che preoccupava i dottori. Secondo il referto medico e il rapporto della polizia, Vittorio era giunto in ospedale in stato confusionale. Prima di entrare in coma, aveva ripetuto convulsamente una parola. Morte. Ma cosa significava? Vittorio aveva scoperto quello che era accaduto all'altro prelato? O era solo il delirio? Nessuno poteva chiederglielo. Sara era preoccupata. Gli aveva tenuto la mano quasi tutto il giorno, stingendola di tanto in tanto, pregando che desse segno di riprendersi. Ma le sue dita erano rimaste abbandonate, la pelle fredda, come se qualcosa di vitale fosse fuggito da quel corpo, lasciando solo quel guscio vuoto. Ciò che tormentava Sara più di ogni altra cosa era che non poteva aiutare suo zio. Vittorio l'aveva praticamente cresciuta, ed era l'unica vera famiglia che le fosse rimasta. Perciò lo aveva vegliato tutto il giorno, allontanandosi soltanto per fare la telefonata negli Stati Uniti. Gray sarebbe arrivato l'indomani mattina. Era l'unica buona notizia delle ultime venti ore. Inoltre poteva sfruttare le proprie risorse per scoprire la verità che si celava dietro quell'attacco. Al momento, le indagini sull'esplosione in San Pietro si erano trasformate in un ginepraio che coinvolgeva una miriade di organi investigativi, dai servizi segreti italiani all'Interpol, fino all'Europol. Sembravano tutti concordare sul fatto che era stato un attacco di chiara matrice James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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terroristica. Tale considerazione derivava principalmente dalla mutilazione post mortem rinvenuta sul cadavere del prelato. Uno strano segno gli era stato impresso a fuoco sulla fronte. Qualcuno aveva lasciato un messaggio. Ma qual era e chi lo aveva mandato? Finora, nessun gruppo aveva rivendicato l'attentato. Sara sapeva che il modo più rapido per scoprire la verità era di condurre le indagini per conto proprio. Così aveva chiamato Gray. Benché fosse a disagio su un piano personale, si rendeva conto che avrebbe avuto bisogno delle risorse della Sigma se sperava di scoprire la verità. E poi aveva bisogno di qualcuno di cui fidarsi ciecamente. Aveva bisogno di Gray. Ma è stata solo una telefonata professionale? Allontanò quell'ultimo pensiero quando attraversò il parcheggio al chiuso dell'ospedale. Raggiunta la piccola Mini Cooper blu, salì in macchina e guidò per Roma. Lasciò la capote abbassata e il vento fresco l'aiutò a schiarirsi le idee, finché un pullman turistico non la sorpassò eruttando gas di scarico. Sara abbandonò la via principale e serpeggiò fra strade più piccole incorniciate da negozi, bar e ristoranti. Si era proposta di tornare al suo appartamento, di riposare e di riordinare le idee, e invece il giro l'aveva portata verso il Tevere. Dopo un paio di svolte, la cupola scintillante di San Pietro si stagliò all'orizzonte. Si lasciò incanalare dal traffico verso la sua meta. Tutta la Città del Vaticano era stata chiusa al pubblico. Persino il pontefice era stato trasferito per motivi di sicurezza nella sua residenza estiva a Castel Gandolfo. Ma tutto ciò non fermava il flusso di turisti e curiosi. Se mai, la curiosità aveva richiamato altra folla. A causa del traffico, Sara ci mise mezz'ora in più a trovare un posteggio. Quando raggiunse le transenne della polizia che isolavano la famosa piazza, era già sceso il buio. Piazza San Pietro era solitamente gremita di fedeli e turisti chiassosi, ma in quel momento era pressoché deserta. Soltanto un paio di uomini in divisa pattugliavano il colonnato. Uno stava di guardia all'obelisco egizio che s'innalzava al centro. Sara mostrò i documenti alle transenne. Il poliziotto corrugò la fronte. Era un uomo di mezza età, con la pancia prominente e le gambe un po' storte. La polizia e i carabinieri non andavano sempre d'accordo. «Che ci fa qui? Che c'entra il Comando Tutela Patrimonio Culturale con questo attentato?» Era una domanda pertinente. Il suo reparto si occupava dei furti di opere d'arte e del mercato nero dei reperti archeologici. Non aveva nulla a che fare col terrorismo interno. Non era stata autorizzata ad andare lì. In realtà, essendo una parente di una delle vittime, era stata espressamente avvertita di stare alla larga. Ma doveva vedere la scena del crimine di persona. Sara si schiarì la voce e indicò avanti. «Sono venuta a ispezionare il luogo James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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dell'esplosione, per verificare che non sia stata sottratta nessuna opera d'arte.» «Ah, lavoro d'ufficio», concluse l'altro con una nota di disprezzo nella voce. A mezza bocca aggiunse: «Non c'è da stupirsi che abbiano mandato una donna». Sara non raccolse la provocazione. «Se ha finito, è tardi e ho parecchio lavoro da fare.» L'altro alzò le spalle e si fece da parte, ma di poco. Sara fu costretta a sfiorarlo per passare. L'uomo torreggiò minaccioso su di lei, cercando di intimidirla con la propria mole e statura. Sara conosceva quel gioco. In un'organizzazione che era perlopiù una confraternita maschile, lei era trattata come una minaccia o come qualcosa da conquistare. Un moto d'ira spazzò via per un momento la sua ansia e la sua preoccupazione. Passò spingendo da parte il bestione, ma non prima di avergli schiacciato il piede col tacco. Forte. L'altro cacciò un urlo di sorpresa e fece un saltello all'indietro. «Pardon», disse lei in tono gelido. «Stronza!» l'apostrofò l'uomo. Lei lo ignorò mentre attraversava la piazza deserta. Su ambedue i lati, i due bracci semicircolari del colonnato del Bernini la cingevano. Si ritrovò ad affrettare il passo mentre superava l'obelisco e le fontane, alla volta delle porte principali della basilica. In alto, l'imponente cupola di Michelangelo brillava sullo sfondo del cielo notturno. Passando tra le grandi statue che stavano di guardia dinanzi alla basilica, lanciò un'occhiata all'iscrizione incisa sotto quella dell'apostolo san Paolo con la spada. In ebraico, diceva: Tutto posso in colui che mi dà la forza. Sara non sapeva l'ebraico, ma era stato suo zio a insegnarle le parole da bambina. Trasse forza sia dall'iscrizione sia dal ricordo dello zio. Con rinnovata determinazione, salì i gradini. Le porte erano aperte. Attraversando il portico, entrò nell'immensa navata centrale della basilica. Si allungava per quasi duecento metri dinanzi a lei. La chiesa era immersa nel buio, a parte qualche candela votiva che tremolava qua e là, e le lampade ai vapori di sodio portatili che rischiaravano l'altare in fondo alla navata. Nonostante la distanza, Sara scorse il reticolo del nastro della polizia. L'esplosione era avvenuta nell'abside, l'area retrostante l'altare maggiore. Sara percorse la navata centrale, ignorando la ricchezza di opere d'arte, l'architettura e la storia che la circondavano. Era concentrata solo sul suo scopo. Aveva un solo pensiero in mente. Quando raggiunse l'altare maggiore, si fermò dinanzi alla scena del crimine. A quell'ora, l'area era deserta. Durante la giornata gli investigatori e i periti avevano esaminato il luogo palmo a palmo, armati di buste per i reperti, pennelli, tamponi, cannule e fiale di sostanze chimiche. Si sapeva già che la carica di esplosivo era una miscela concentrata di ottanitrocubano, una nuova classe di potenti esplosivi. Un brivido le corse lungo la schiena quando abbassò gli occhi sul marmo annerito James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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dall'esplosione. Era l'unico segno concreto rimasto dell'attentato. Anche il sangue era stato rimosso. Ma il pavimento era ancora contrassegnato col nastro adesivo per la rilevazione delle traiettorie degli schizzi e la valutazione della direzione dell'onda d'urto dell'esplosione. Sul lato opposto dell'abside, una sagoma a gesso indicava il punto in cui il corpo di padre Marco Giovanni si era fermato. Era stato rinvenuto ai piedi dell'altare della Cattedra di San Pietro, sotto la vetrata di alabastro che raffigurava lo Spirito Santo sotto forma di colomba. Sara aveva letto il rapporto sul giovane sacerdote. Era stato uno studente di suo zio. Aveva passato gli ultimi dieci anni in Irlanda, a cercare le radici della Chiesa celtica e a studiare gli intrecci dei riti pagani col cattolicesimo. Si era concentrato in modo particolare sui miti che circondavano la Madonna Nera, una figura che spesso incarnava la fusione della Grande Madre pagana con la Vergine Maria. Perché mai un archeologo come lui sarebbe stato preso di mira? O era stato un caso fortuito? Suo zio e il suo ex studente si erano trovati nel posto sbagliato nel momento sbagliato? Tutta quella storia non aveva senso. Sara deglutì e si volse. Avevano trovato Vittorio accasciato accanto all'altare, scaraventato dall'onda d'urto, a malapena cosciente. Non volendo inquinare la scena del crimine, Sara girò intorno all'area isolata col nastro della polizia. Salì i due gradini sulla sinistra dell'abside. C'era poco spazio. Camminò rasentando il monumento dedicato a papa Paolo III, con le statue della Giustizia e della Prudenza scolpite con le sembianze della sorella e della madre del pontefice. Rallentò il passo. D'improvviso, Sara si rese conto del silenzio che regnava nella basilica, del peso dei secoli e della morte, dei tantissimi sepolcri che la circondavano. Non era d'aiuto che dall'altra parte dell'abside, sul lato opposto della scena del crimine, si stagliasse il sepolcro di Urbano VIII. Una statua di bronzo del papa era seduta sul monumento, la mano alzata in segno di benedizione. Ma sotto i suoi piedi giaceva la cripta, dalla quale usciva uno scheletro di bronzo. La mano scheletrica sollevata era ferma, come fissata nell'atto di scrivere il nome del papa morto su una pergamena. A quella vista, Sara rabbrividì. Di solito non era così superstiziosa, ma con lo zio quasi in fin di vita... Che cosa avrebbe fatto se lo avesse perduto? Voleva distogliere lo sguardo, invece si ritrovò a indugiare sulla macabra statua, il simbolo della morte. E poi le tornò in mente: morte. Balbettò ad alta voce la sola parola che Vittorio aveva continuato a ripetere nel suo delirio. Morte. Studiò la statua di bronzo. E se Vittorio avesse cercato di lanciare un messaggio? Sara tornò svelta sui suoi passi e si sollevò sulla punta dei piedi per osservare James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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bene la statua, ma, nonostante l'attento esame, per poco le sfuggì. Il cordoncino marrone era dello stesso colore del bronzo antico. S'infilò un paio di guanti di lattice e si arrampicò sul bordo della tomba per raggiungerlo. Afferrando il cordoncino, liberò una piccola borsa seminascosta dietro la mano scheletrica della Morte. Era una scoperta che aveva qualche valore? O un ornamento lasciato da un supplice o da un turista? Notò un simbolo impresso a fuoco sul cuoio. Non aveva nessun significato particolare. Era una semplice spirale, simile a un amuleto. Delusa, girò la piccola borsa. E alla vista di ciò che era impresso sull'altro lato restò senza fiato. Una croce inscritta in un cerchio. Aveva già visto quel simbolo. Nei risultati dell'autopsia sul corpo di padre Marco Giovanni. Lo stesso simbolo era stato marchiato a fuoco sulla fronte del sacerdote. Sara aprì la borsa e rovesciò il contenuto nel palmo della mano. Fissò l'oggetto con la fronte corrugata. Sembrava un rametto annerito. Lo esaminò più da vicino, e si rese subito conto dell'errore. Il rametto aveva un'unghia. Inorridita, quasi lo lasciò cadere. Quello che teneva in mano non era un rametto. Era un dito umano. Washington, ore 14.55
Painter era seduto alla scrivania, nel suo ufficio privo di finestre, e rigirava un flacone di aspirine tra le mani. Un dolore sordo gli si era insinuato tra gli occhi, presagendo un'emicrania in piena regola. Agitò il flacone e desiderò qualcosa di più forte, seguito magari da un bel bicchiere di scotch di malto. Tuttavia avrebbe preferito un bel massaggio al collo da parte della sua fidanzata. Purtroppo Lisa era andata a trovare il fratello rocciatore nello Yosemite, sulla costa occidentale. Non sarebbe tornata prima di un'altra settimana. Essendo solo, avrebbe dovuto accontentarsi di una dose massiccia di aspirina. Era occupato a esaminare dati e rapporti da un'ora, gran parte dei quali era ancora sui grandi monitor LCD a parete che circondavano la sua scrivania. Quando diede un'occhiata a uno degli schermi, desiderò per l'ennesima volta che il suo ufficio avesse una finestra. Forse era la parte di lui mezza indiana Mashantucket, ma sentiva il bisogno di un rapporto col cielo azzurro, con gli alberi e coi ritmi semplici della vita normale. Ma non sarebbe mai accaduto. Il suo ufficio, insieme col resto del comando della Sigma, era sepolto sotto lo Smithsonian Castle, nel National Mall. La struttura segreta occupava i vecchi bunker della seconda guerra mondiale. Era stato scelto quel luogo per il comodo James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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accesso alle stanze del potere e per la vicinanza ai numerosi centri di ricerca della Smithsonian Institution. In quel momento, Painter avrebbe rinunciato a tutto in cambio di una finestra. Eppure quella era stata la sua casa negli ultimi anni, e ne era molto geloso. La Sigma si stava ancora riprendendo dall'attacco che aveva subito l'anno precedente. I danni erano stati ben più gravi delle pareti annerite e delle apparecchiature distrutte. La politica di Washington era un intrico complicato di potere, ambizione e forti inimicizie. Era un posto dove i deboli venivano fatti a pezzi dai forti. E, giusto o no, l'attacco aveva danneggiato la posizione della Sigma in seno alle forze d'intelligence americane. A peggiorare le cose, Painter sospettava che le vere menti dell'attacco fossero ancora in libertà. L'uomo che aveva guidato l'assalto, un capo divisione della Defense Intelligence Agency, il servizio informazioni militare, era stato liquidato come un agente indipendente, ma Painter non ne era convinto. Per organizzare un'operazione di quella portata doveva avere avuto l'appoggio di qualcuno, qualcuno nascosto ancora di più nei meandri della politica di Washington. Ma chi? Painter scosse la testa e diede un'occhiata all'orologio. Quelle domande avrebbero dovuto aspettare. Di lì a pochi minuti, avrebbe dovuto affrontare un'altra bufera. Non era pronto a un nuovo scontro, ma non aveva scelta. Aveva già avuto una discussione accesa due ore prima con Gray Pierce. Gray voleva portare con sé Kokkalis in Italia, ma Painter non era convinto che Monk fosse pronto per un'operazione in piena regola. I medici e gli psichiatri non lo avevano ancora dichiarato idoneo. Oltretutto, le informazioni che provenivano da Roma erano ancora superficiali. Painter non sapeva con certezza quali agenti della Sigma fossero più adatti alla missione, quale disciplina scientifica potesse integrare la competenza di Gray in biofisica. Monk Kokkalis era esperto in medicina legale e per ora le sue conoscenze non sembravano necessarie. Prendendone atto, alla fine Gray aveva accettato la sua decisione, ma Painter non lo aveva mandato da solo. Finché non fossero state raccolte ulteriori informazioni, a Gray serviva comunque un guardaspalle. E quello ce l'aveva. Mentre Painter ponderava se prendere un'altra aspirina o no, l'interfono sulla scrivania emise un cicalio, seguito dalla voce di Brant «Direttore, ho in linea il generale Metcalf.» Painter stava aspettando quella videoconferenza. Aveva letto l'e@mail riservata del capo della DARPA. Con un profondo sospiro, schiacciò il pulsante di collegamento e girò la poltrona verso il monitor a muro alle sue spalle. Gregory Metcalf era afroamericano, un laureato di West Point e, sebbene avesse cinquant'anni suonati, era forte e robusto come quando giocava come linebacker nella squadra di football dell'accademia. Gli unici segni della sua età erano i capelli brizzolati e un paio di occhiali da lettura stretti nella mano sinistra. Dopo che James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Metcalf era stato incaricato di dirigere la DARPA, Painter aveva imparato in fretta a non sottovalutare la sua intelligenza. Ma aleggiava un'ombra di diffidenza tra i due. Il generale si sporse in avanti e, senza tanti preamboli, domandò: «Ha letto il rapporto che le ho inviato riguardo all'attacco in Africa?» «Sì. Oltre al rapporto della NATO sull'attacco al campo della Croce Rossa. Ho fatto anche delle indagini sulla società che dirige la fattoria sperimentale laggiù.» «Ottimo. Allora non l'aggiornerò coi dettagli.» Painter trovò irritante quella precisazione. «Ma continuo a non capire che cosa c'entri la Sigma.» «Questo è perché non gliel'ho ancora spiegato, direttore.» Il dolore tra gli occhi di Painter si fece più acuto. Metcalf batté su una tastiera e lo schermo sul muro si divise in due, mostrando una fotografia accanto al generale. Era un giovane bianco, in boxer, appeso a una croce di legno al centro di un campo carbonizzato e fuligginoso. Più che una crocifissione, ricordava un macabro spaventapasseri. Sullo sfondo, Painter riconobbe l'arida savana africana. «Il giovane si chiama Jason Gorman», disse Metcalf, freddo. «Gorman... Come il senatore Gorman?» Il nome del senatore era emerso durante le indagini di Painter sulla Viatus Corporation. Sebastian Gorman era il presidente della Commissione delle Politiche agricole, alimentari e forestali del Senato. Era uno strenuo sostenitore della promozione di prodotti alimentari geneticamente modificati come strumento per risolvere la fame nel mondo e fornire nuovi biocarburanti. Il generale si schiarì la voce, attirando di nuovo lo sguardo stupito di Painter. «Quello è il figlio ventunenne del senatore Gorman. Il giovane aveva un master in biologia molecolare e stava lavorando al dottorato, ma è andato in Mali come una sorta di inviato del senatore per controllare quel progetto.» Painter cominciava a capire perché quella crisi aveva raggiunto quel livello a Washington. Il potente senatore, sicuramente disperato e ansioso di sapere com'era morto il figlio, stava facendo tremare tutto il Campidoglio. Tuttavia Painter non capiva il ruolo della Sigma in quella faccenda. Stando al rapporto della NATO, l'attacco era stato perpetrato dai ribelli tuareg, una forza spietata che non smetteva di tormentare la repubblica dell'Africa occidentale. Metcalf proseguì: «Il senatore Gorman ha ricevuto un'email dal figlio la mattina dell'attacco. Descriveva l'assalto in poche frasi. Dalla descrizione degli elicotteri e del bombardamento al napalm, l'attacco era sia di tipo militare sia su vasta scala per forza e portata». Painter si raddrizzò a sedere. «Alla stessa e@mail era allegata una serie di file inerenti alle ricerche. Il senatore non ha capito perché fossero stati inviati, né è riuscito a decifrarne il contenuto scientifico. Non sapendo cos'altro fare, li ha inviati al professore di suo figlio alla Princeton University, il dottor Henry Malloy.» «Vorrei vedere quei file di persona.» James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Lo strano attacco, la misteriosa ricerca... rientrava tutto nel campo della Sigma. La mente di Painter era già occupata a studiare la logistica e un piano d'azione. «Posso far arrivare qualcuno in Mali entro ventiquattro ore.» «No. Il suo ruolo in questa faccenda sarà limitato.» La voce di Metcalf si fece più grave, con un velo di minaccia. «Questo casino si sta già trasformando in una bega politica. Il senatore Gorman dà la caccia alle streghe, cerca tutti i responsabili di quanto è accaduto.» «Generale...» cominciò Painter. «E la Sigma è già su un terreno fragile. Un passo falso e nessuno riuscirà a raccoglierne i pezzi.» Painter si trattenne dal rispondergli per le rime, ignorando l'implicita mancanza di fiducia nel suo gruppo. Doveva scegliere con cura gli scontri con quell'uomo. E quello non lo era. «Quindi quale ruolo vede per la Sigma?» «Raccogliere informazioni riservate su quei file, stabilire se sono motivo sufficiente per approfondire le indagini. E il punto di partenza è il dottor Malloy. Voglio che sia sentito, e che i file siano esaminati.» «Posso mandare là una squadra in giornata.» «Ottimo. Ma c'è ancora una cosa. Una cosa di cui vorrei che lei si occupasse personalmente.» «Di che si tratta?» «Di un'informazione che è stata taciuta per ora. Voglio la sua opinione a riguardo.» Il generale batté sulla tastiera e l'immagine zumò sul volto di Jason Gorman. «Chiunque abbia impiccato il ragazzo lo ha anche sfigurato.» Painter si alzò e si avvicinò al monitor. Un simbolo era stato impresso a fuoco sulla fronte del giovane, come se qualcuno avesse usato un ferro per marchiare. Un cerchio e una croce. «Voglio sapere perché glielo hanno fatto», disse Metcalf. «E che cosa significa.» Painter annuì lentamente. Voleva saperlo anche lui. Roma, ore 21.35
Sara infilò la sua Mini Cooper nel posteggio riservato del suo condominio. Seduta al volante, si soffermò ancora un momento a pensare a quello che aveva fatto. Sul sedile del passeggero giaceva, in una piccola busta di plastica trasparente, la vecchia borsa col suo macabro contenuto. Aveva lasciato San Pietro senza far parola della sua scoperta con nessuno. È tardi, si era giustificata fra sé. Posso consegnarla agli investigatori in mattinata. Con un rapporto completo. Ma Sara conosceva la verità dietro il proprio furto. Erano state le parole di suo zio a guidarla fino alla borsa nascosta. Aveva provato una certa gelosia per quella scoperta. Se l'avesse consegnata alle autorità, non solo avrebbero potuto richiamarla severamente per avere sconfinato in un caso che non era di sua competenza, ma avrebbero potuto tagliarla fuori del tutto. Avrebbe potuto non scoprire mai il significato della piccola borsa. E, in ultimo, non poteva ignorare una punta d'orgoglio per quella scoperta. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Nessun altro aveva ritrovato quell'oggetto. Sara confidava nel proprio istinto più che nel groviglio e nel caos di quell'indagine internazionale e interdipartimentale. E il suo istinto le diceva che era fuori della sua portata. Aveva bisogno d'aiuto. Avrebbe atteso l'arrivo di Gray l'indomani mattina, avrebbe sentito che cosa ne pensava di quella storia e avrebbe cominciato da lì. Deciso il piano d'azione, Sara afferrò la busta del reperto e la infilò nella giacca. Scese dalla vettura e s'incamminò verso le scale. Il suo appartamento era al terzo piano. Benché piccolo, lei godeva di una bella vista sul Colosseo dal suo balcone. Quando raggiunse il pianerottolo del terzo piano, attraversò la porta del vano delle scale con una spinta. Mentre percorreva il corridoio, notò due cose. La signora Rosselli stava esagerando di nuovo con aglio in cucina e una luce filtrava da sotto la propria porta. Sara si fermò. Spegneva sempre le luci prima di uscire. Ma, d'altra parte, quella mattina era sconvolta. Forse aveva dimenticato di farlo. Non intendendo correre rischi, si alzò un po' in punta di piedi e percorse di soppiatto il corridoio. La città era infestata di ladri e ladruncoli, e i furti con scasso non erano rari in quella zona. Tenne gli occhi inchiodati sulla striscia di luce sotto la porta. Mentre si avvicinava, un'ombra passò dinanzi alla luce. Sara si sentì raggelare. C'era qualcuno nel suo appartamento. Imprecando fra i denti, indietreggiò. Non era armata. Prese in considerazione l'idea di bussare alla porta della signora Rosselli, di togliersi dal corridoio, ma l'aglio le irritava già il naso. Nell'angusto appartamento dell'anziana donna, le esalazioni l'avrebbero accecata. Invece infilò la mano in tasca e tirò fuori il cellulare. Indietreggiò verso la porta del vano delle scale e l'attraversò con una spinta, tenendo d'occhio la porta del proprio appartamento. Quando mise piede sul pianerottolo, qualcosa di gelido le fece pressione sulla nuca nuda. La canna di una pistola. Una voce dura le confermò la minaccia. «Ferma dove sei.»
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Capitolo 4
† Rockville, Maryland, 10 ottobre, ore 15.28
M
onk dondolava la sua bimba sul ginocchio. Penelope mandava gridolini di gioia, con un sorrisino sciocco che aveva preso tutto dal padre. Per sua fortuna, era l'unica cosa che aveva ereditato da lui. I riccioli biondo rame e i lineamenti delicati erano tutti di sua madre. «Monk, se la fai vomitare...» Kat uscì dalla cucina, asciugandosi le mani con un canovaccio. Era ancora in divisa. Era tornata dal Campidoglio un'ora prima, dove aveva sollecitato l'appoggio di alcuni ex contatti dell'intelligence per conto della Sigma, e aiutare Painter Crowe a consolidare i suoi agganci politici. Quando era a casa si concedeva solo i capelli sciolti, che lasciava ricadere dietro le spalle come una cascata. Monk indossava ancora i pantaloni della tutta e la T-shirt. Dopo avere scaricato Gray all'aeroporto, era tornato di filato alla loro nuova casa nella piccola città di Rockville, nel Maryland. Che altro gli restava da fare? Sapeva che Gray era andato a parlare in suo favore, che aveva cercato di coinvolgerlo nelle indagini in Italia. Ma era stato inutile. Spostò la bimba in grembo. «Ho messo a scaldare il biberon», disse Kat, andandogli incontro a braccia aperte per prendere Penelope. D'improvviso inciampò, fece un saltello e ritrovò l'equilibrio. Abbassò gli occhi sul pavimento. «Monk, quante volte ti ho detto di non lasciare la mano in giro?» Monk si massaggiò il moncherino del polso. «La nuova protesi mi dà ancora fastidio.» Kat tirò un profondo respiro e prese in braccio Penelope. «Sai quanto costa uno di quegli aggeggi?» Monk alzò le spalle. La protesi progettata dalla DARPA era una meraviglia della bioingegneria che incorporava le ultime novità in fatto di meccanica e attuatori, consentendo input sensoriali e movimenti estremamente precisi. Inoltre, il moncherino del polso di Monk era incassato in una polsiera polisintetica, fissata e collegata chirurgicamente ai fasci nervosi e ai tendini muscolari. Monk armeggiò coi contatti di titanio sulla polsiera. Sul pavimento, la mano si alzò sulla punta delle dita, azionata a distanza dai comandi della polsiera. La mano poteva anche essere il braccio, ma la polsiera era a tutti gli effetti la mente. Monk diresse la mano verso il divano, la raccolse e la riattaccò al polso, flettendo le dita. «Mi dà ancora fastidio», borbottò. Kat fece l'atto di tornare in cucina, ma Monk diede un colpetto al posto al suo fianco. Con un altro sospiro, lei si sedette. Monk la tirò più vicino, e gli arrivò l'odore dei suoi capelli e del gelsomino. Kat si appoggiò a lui. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Rimasero seduti in silenzio, l'uno accanto all'altra. Penelope si appisolò, un pugno attaccato alle labbra. Era bello stringere tutta la sua famiglia in un unico abbraccio. Alla fine Kat parlò, sottovoce. «Mi dispiace per l'Italia.» Monk roteò gli occhi. Non si era lasciato scappare una parola di quella faccenda con lei. Era un argomento delicato. Ma avrebbe dovuto saperlo che lo avrebbe scoperto. Con tutti i contatti che Kat aveva negli ambienti dell'intelligence, era difficile nasconderle un segreto. Kat si girò verso di lui. Monk lesse la ridda di emozioni confuse nello sguardo appena accigliato e nelle labbra increspate della moglie. Lei sapeva quanto Monk desiderasse tornare di nuovo in azione, ma i timori che nutriva per lui erano lampanti. Monk abbassò gli occhi sulla mano artificiale. Non erano timori infondati. Eppure Monk amava il suo lavoro e sapeva quanto fosse importante. Nel corso dell'ultimo anno, durante la convalescenza dalle ferite, sia mentali sia fisiche, se n'era reso conto ancora di più. Per quanto amasse la propria famiglia e riconoscesse le proprie responsabilità nei suoi confronti, sapeva anche quanto fosse importante la Sigma per la sicurezza del mondo. Detestava stare in panchina. «Ho saputo che oggi hai ricevuto un nuovo incarico», disse Kat. «È solo un altro lavoro di scartoffie», mugugnò lui. «Devo andare nel New Jersey, a parlare con un cervellone di Princeton riguardo ai file di una ricerca. Torno per mezzanotte.» Kat diede un'occhiata all'orologio al polso. «Non dovresti prepararti allora?» «Ho tempo. Il direttore Crowe sta mandando un altro agente come gregario. Un esperto in genetica. Una nuova recluta.» «John Creed.» Monk si spostò e la guardò fisso. «C'è qualcosa che non sai?» Lei sorrise, si sporse e lo baciò. «So che il biberon di Penelope si sta raffreddando.» La mano artificiale di Monk si strinse sulla spalla di Kat, impedendole di alzarsi. «E io so che si può scaldare di nuovo», ribatté con voce più rauca. «E ho ancora mezz'ora.» «Una mezz'ora intera?» fece lei, inarcando un sopracciglio. «Cominci ad avere un sacco di velleità.» Il volto di Monk s'increspò in un sorriso obliquo. «Non prendermi in giro, donna.» Lei lo baciò di nuovo, indugiando questa volta, e sospirò fra le labbra: «Sia mai». Princeton, New Jersey, ore 16.44
Solo, nel laboratorio situato nel piano interrato, il dottor Henry Malloy eseguiva la simulazione al computer per la terza volta. Nell'attesa, scuoteva la testa. Non aveva senso. Si appoggiò allo schienale della sedia e si stiracchiò. Stava elaborando i dati che gli erano giunti dall'ufficio del senatore Gorman da ventiquattro ore. A causa della mole dei dati originali, aveva bisogno del sistema Affymetrix del laboratorio per esaminare tutte le ricerche e le analisi del DNA James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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contenute nei file. Qualcuno bussò alla porta, attirando la sua attenzione. Il laboratorio era chiuso per proteggere l'ambiente privo di ozono. La struttura era accessibile solo con una chiave elettronica di prossimità. Siccome mancavano ancora alcuni minuti al termine dell'analisi, andò alla porta e l'aprì con un sibilo dell'aria pressurizzata. Era una sua dottoranda, Andrea Solderitch. Henry aveva assunto la donna come assistente. Attraente, di belle forme e dai capelli biondo rame, non era però una studentessa ventenne. Era un'infermiera diplomata specializzata in dialisi che aveva passato la cinquantina e stava cambiando lavoro. E con le lunghe ore che trascorrevano insieme Henry gradiva qualcuno della sua stessa generazione. Amavano persino la stessa musica, che le sentiva spesso canticchiare a bocca chiusa. In quel momento, tuttavia, la donna aveva un'espressione preoccupata. «Che è successo, Andrea?» Lei gli mostrò un plico di post-it. «L'ufficio del senatore Gorman ha chiamato tre volte, vuole sapere i suoi progressi.» Henry prese gli appunti. Detestava la gente che gli stava col fiato sul collo, ma comprendeva anche l'ansia del senatore. Sebbene Jason Gorman fosse stato solo un allievo di Henry, provava una fitta di dolore per la morte prematura del giovane, soprattutto per la brutalità con cui era avvenuta. «Sono scesa anche per ricordarle che ha quell'appuntamento col dottor Kokkalis di Washington tra un'ora. Vuole che vada a prenderle qualcosa al self service prima che arrivi?» «No, sto bene, ma, già che sei qui, mi farebbe comodo un paio di occhi nuovi su questi dati. Soprattutto prima di parlare con Washington. Dimmi che ne pensi.» Il viso della donna s'illuminò, celando a malapena la gioia. «E apprezzo molto che tu sia venuta nel tuo giorno libero», aggiunse mentre la conduceva alla postazione del computer. «Non sarei mai riuscito a portare a termine tutto questo lavoro senza il tuo aiuto.» «Nessun problema, dottor Malloy.» La simulazione al computer aveva finalmente completato il terzo ciclo di elaborazione dei dati. Sullo schermo era riprodotta la mappatura cromosomica del campione di grano seminato nel campo sperimentale in Africa. Tutti i cromosomi erano neri, a eccezione di uno, evidenziato in bianco. Henry lo picchiettò sullo schermo. «Qui puoi vedere il DNA estraneo radiomarcato che è stato inserito nel grano geneticamente modificato.» Andrea si avvicinò, la fronte corrugata dalla curiosità. «Qual è l'origine del DNA? Batterica?» «È molto probabile. Ma non posso affermarlo con certezza.» Nonostante ciò, Andrea era sulla pista giusta. La maggior parte delle modifiche genetiche era inserita con la ricombinazione batterica e il DNA ricombinante, prendendo caratteristiche utili di certi batteri e incorporandole nel genoma delle piante. Uno dei primi successi si ebbe quando i geni del Bacillus thuringiensis furono inseriti nella pianta del tabacco, rendendo le piante più resistenti ai parassiti e riducendo l'uso degli antiparassitari nei campi. Lo stesso metodo era stato impiegato ora col grano. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Quelle biotecnologie si erano diffuse a tal punto negli ultimi dieci anni che tutto il grano attualmente coltivato negli Stati Uniti era modificato geneticamente. «Se questo non è DNA batterico, allora cos'è?» domandò Andrea. «Non lo so. È coperto da brevetto e da segreto dalla Viatus. Nel file è indicato solamente come Dt222. 'Dt' sta per drought tolerant, resistente alla siccità. Ma non è quello che voglio farti vedere ora.» Henry indicò col dito lo schermo. «Questa analisi me l'ha mandata Jason Gorman due mesi fa.» «Due mesi fa?» «Lo so. Il ragazzo era molto entusiasta di partecipare a quella ricerca sul campo in Africa. Non doveva divulgare queste informazioni. Era una violazione del suo accordo di riservatezza. L'avevo avvertito di essere più prudente e di non farne parola con nessuno. Posso solo immaginare la sua disperazione quella mattina. Nonostante questo, è stato tanto previdente da conservare tutti i dati che ha potuto.» Andrea annuì. «Che cosa le ha inviato quell'ultima mattina?» Henry batté sulla tastiera, richiamando gli ultimi dati. «Te li faccio vedere. Avevano appena raccolto il grano della prima semina. Mi ha inviato l'analisi completa di quel raccolto, compreso un saggio completo del DNA. Ecco i risultati.» Sullo schermo comparve un secondo gruppo di cromosomi. Ancora una volta, erano quasi tutti contrassegnati col colore nero, a indicare il normale DNA del grano. Ma, anziché un solo cromosoma bianco, sul primo spiccava un secondo cromosoma picchiettato di bianco e nero. «Non capisco», disse Andrea. «Guarda bene.» Henry ingrandì l'immagine del cromosoma mutato, mostrando la mappatura fine dei singoli geni, striati di bianco e di nero. «Il DNA estraneo si sta combinando con l'altro cromosoma, invadendo quello attiguo», spiegò Henry. «Si sta diffondendo?» Il professore si appoggiò alla sedia e lanciò uno sguardo ad Andrea. «Non posso affermarlo con certezza», disse, concedendosi una nota di entusiasmo nella voce. «Ma ho elaborato i dati tre volte. Forse il primo campione che Jason mi ha inviato proveniva da un ibrido diverso. È probabile che stessero sperimentando più di una variante di grano in quella fattoria. In caso contrario, potrebbe indicare che la mutazione genetica è instabile. È mutato da una generazione all'altra. Il campione è diventato più estraneo e meno grano.» «Che cosa intende dire?» L'altro si strinse nelle spalle. «Non ne ho idea. Ma qualcuno deve essere messo al corrente di questo. Ho inoltrato una richiesta d'informazioni alla divisione di Biogenetica Agraria della Viatus. Sono sicuro che vorranno questi dati. Potrei persino ricavare una nuova sovvenzione da quella società.» Andrea si alzò. «Chissà allora che non possa ottenere davvero quell'aumento di cui parla sempre.» L'ombra di un sorriso le sfiorò le labbra, lasciandosi un po' contagiare dall'entusiasmo del professore. «Vedremo.» Andrea diede un'occhiata all'orologio. «Se non ha bisogno di me, James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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tornerei a casa. I miei cani sono rinchiusi da stamattina. Staranno facendo il diavolo a quattro per uscire.» Henry l'accompagnò alla porta. «Grazie di nuovo di essere venuta nel tuo giorno libero.» Andrea si soffermò sulla porta. «È sicuro che non vuole che vada a prenderle qualcosa da mangiare prima di andare via?» «No. Intendo completare l'analisi del DNA e caricarla sul server. Non dovrebbe portarmi via molto tempo.» Uscendo, la donna salutò con la mano. La porta si chiuse con un sibilo alle sue spalle. Henry tornò al computer. Ci avrebbe messo meno di un'ora a mettere nero su bianco la sua relazione. Se da un lato il file che Jason gli aveva inviato dall'Africa gettava un po' di luce sulla morte del giovane, dall'altro rivelava un grande coraggio, qualcosa di cui suo padre avrebbe potuto essere fiero. «Hai fatto bene, Jason», disse Henry a bassa voce, mentre rivedeva tutti i file un'ultima volta. Nel quarto d'ora successivo buttò giù al computer qualche appunto e osservazione. Voleva fare colpo sulla Viatus. La divisone di Biogenetica Agraria stipulava contratti con laboratori di tutto il mondo per eseguire le analisi, benché ora fossero concentrati perlopiù in India e nell'Europa dell'Est, dove erano più convenienti. Ma il laboratorio di genomica di Princeton era uno dei migliori al mondo. Se fosse riuscito a convincere la Viatus a dare un po' di lavoro anche a loro... Un sorriso gli spianò lentamente il viso mentre lavorava. Qualcuno bussò alla porta, interrompendolo di nuovo. Il sorriso si fece più largo. Se conosceva bene Andrea, la sua assistente non lo aveva preso in parola. Doveva essere andata al self service a prendergli qualcosa da mettere sotto i denti. «Arrivo subito!» disse a gran voce. Attraversò il laboratorio e passò la chiave elettronica, aprendo la porta. Ore 17.30
Monk salì sul taxi di fronte alla stazione ferroviaria. Il suo collega era già sul sedile posteriore, occupato a dare le indicazioni al tassista. «Carl Icahn Laboratory, nel campus di Princeton. È su Washington Road.» Monk si sistemò al suo fianco, si diede una sistemata alla giacca e si appoggiò allo schienale. Si posò la ventiquattrore in grembo e abbassò lo sguardo sulla valigetta Tanner Krolle personalizzata, passando una mano sul cuoio inglese. Era un regalo di anniversario che Kat gli aveva fatto due mesi prima, quando era rientrato ufficialmente in servizio, per limitato che fosse. Aveva colto il tacito messaggio dietro quel costoso regalo. Kat era più che felice che lui si occupasse di scartoffie, riunioni post operative e interrogatori. Qualunque cosa lo tenesse lontano dal pericolo. Monk sospirò, attirando un'occhiata del suo nuovo collega. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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John Creed stava seduto un po' curvo. Sebbene fosse nerboruto come un terrier, era alto due metri e passa. Era una delle nuove reclute della Sigma, ben rasato, coi capelli rossi e lisci, e col volto quasi tutto picchiettato di lentiggini. Nonostante l'aspetto da ragazzino, aveva sempre un'espressione arcigna stampata in volto. Monk corrugò la fronte e gli fece una domanda che lo assillava dal momento in cui si erano conosciuti. «Allora, pivello, quanti anni hai? Quattordici? Quindici?» «Venticinque.» Monk si sforzò di non dare a vedere la propria perplessità. Gli pareva impossibile. Avevano soltanto sette anni di differenza? Fletté la mano artificiale, consapevole che potevano accadere molte cose in sette anni. Tuttavia, squadrò meglio il collega per la prima volta, cercando di farsi un'idea di lui. Durante il viaggio in treno da Washington, Monk aveva letto da cima a fondo la biografia del dottor Henry Malloy, ma del suo compagno di viaggio sapeva pochissimo. Creed era originario dell'Ohio, aveva lasciato la facoltà di medicina dopo un anno ed era stato due volte in missione a Kabul come soldato semplice. Uno IED, un ordigno esplosivo artigianale, lo aveva reso zoppo per sempre. Aveva aspirato a una terza missione, ma alla fine era stato congedato, anche se i particolari a tale riguardo erano meno chiari. Grazie ai risultati dei suoi test e ai suoi precedenti, era stato arruolato nella Sigma e preparato in genetica alla Cornell. Nonostante ciò, il ragazzo aveva l'aria di un liceale. «Allora, pivello, da quanto tempo sei in servizio?» Creed si limitò a fissare Monk, chiaramente abituato a essere preso in giro per la faccia da bambino. «Ho finito la Cornell tre mesi fa», rispose in tono sostenuto. «Sono a Washington da due mesi. Più che altro per ambientarmi.» «Quindi questo è il tuo primo incarico?» «Se per lei questo è un incarico...» borbottò, guardando dal finestrino. Sebbene Monk fosse della stessa idea, s'irritò lo stesso. «Non c'è niente di banale quando si tratta di lavorare sul campo. Ogni dettaglio è importante. L'informazione giusta può portare o no alla soluzione di un caso. È una cosa che devi imparare, pivello.» Creed gli lanciò un'occhiata. Un'ombra di imbarazzo passò sul suo viso arcigno. «D'accordo. Ha ragione lei.» Monk incrociò le braccia, per nulla contento. Questi giovani. Credono di sapere tutto. Scuotendo la testa, Monk rivolse l'attenzione fuori quando il taxi attraversò il campus di Princeton. Era come se un pezzo verdeggiante d'Inghilterra fosse stato gettato nel cuore del New Jersey. Le foglie autunnali erano sparse qua e là sui prati verdi ondulati, l'edera si arrampicava su per i muri d'imponenti edifici di pietra in stile gotico, persino gli studentati sembravano una litografia di Currier & Ives. Attraversarono quel mondo bucolico e in breve tempo giunsero a destinazione. Il James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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taxi si accostò al marciapiede e i due scesero. Il Carl Icahn Laboratory occupava un angolo di un grande spazio verde. Sebbene molte costruzioni di Princeton risalissero al XVIII e al XIX secolo, il laboratorio aveva soltanto qualche anno, un magnifico esempio di architettura moderna. Due edifici rettangolari, perpendicolari tra loro e uniti da un atrio alto due piani dalla facciata concava che dava sul campus, ospitavano i laboratori principali. Era lì che dovevano incontrare il dottor Henry Malloy. «Pronto?» domandò Monk, buttando un occhio all'orologio. Erano in ritardo di cinque minuti. «Per cosa?» «Per il colloquio.» «Pensavo che avrebbe parlato lei col professore.» «No. È tutto tuo, pivello.» Creed tirò un profondo sospiro col naso. «D'accordo.» Entrarono nell'edificio e attraversarono l'atrio. Una parete a vetri concava alta due piani si affacciava sul prato del parco. Le vetrate erano riparate da persiane alte dodici metri, programmate per orientarsi col sole. Gettavano lunghe ombre nell'atrio, screziando tavoli e sedie. Gruppetti di studenti erano seduti qua e là, intenti a chiacchierare, con tazze di caffè perennemente tra le mani. Monk cercò con gli occhi il posto dove avrebbero dovuto incontrare il dottor Malloy. Era difficile non vederlo. «Da questa parte», disse, facendo strada al collega. Accanto a una rampa di scale campeggiava una scultura alta un piano. Sembrava una conchiglia mezza fusa. Anche se lo avesse ignorato, Monk avrebbe riconosciuto lo stile architettonico di Frank Gehry. La conchiglia racchiudeva tra le sue pieghe un piccolo spazio per le riunioni. Un paio di persone erano già sedute al tavolo quadrato. Monk andò loro incontro. Mentre si avvicinava, si rese conto che erano tutte troppo giovani. Nella ventiquattrore, Monk aveva una fotografia del dottor Malloy. Non era certamente uno di loro. Forse il professore era già andato via. Monk uscì dalla conchiglia e cavò di tasca il cellulare. Fece il numero dell'uomo. Squillò, più volte, finché non rispose la segreteria telefonica. Se è già andato via e ho fatto tutta questa strada per niente... Monk fece un secondo numero, quello dell'assistente del professore. Rispose una donna. Monk la informò rapidamente dell'assenza del dottor Malloy. «Non è lì?» domandò l'assistente. «Qui non c'è nessuno a parte un sacco di ragazzi che sembrano studenti delle medie.» «Lo so», disse la donna con una risata. «Gli studenti sono sempre più giovani, non è vero? Mi dispiace, ma il dottor Malloy dev'essere ancora nel suo laboratorio. È lì che l'ho visto l'ultima volta, e non sente mai il cellulare. A volte è così concentrato su ciò che sta facendo che salta le lezioni. È quanto temevo oggi, James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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così sono rimasta nei paraggi. Era così entusiasta della sua scoperta...» Monk alzò la testa di scatto alle sue ultime parole. Che il professore avesse capito qualcosa, qualcosa che avrebbe potuto contribuire a risolvere il caso? «Ascolti, sono nel mio ufficio dall'altra parte della strada, a finire del lavoro col mio collega di laboratorio», proseguì la donna. «C'è un passaggio sotterraneo che unisce il mio edificio al suo. Chieda a uno degli studenti. Mi faccio prestare una chiave elettronica dall'amministratore e ci vediamo laggiù. Il laboratorio del dottor Malloy è al piano interrato. Immagino che voglia mostrarvi l'analisi del DNA di persona.» «D'accordo. Ci vediamo lì.» Monk s'infilò in tasca il cellulare e agitò la valigetta in direzione di Creed. «Vieni. Andiamo direttamente al suo laboratorio.» Dopo essersi fatto dare le indicazioni da una studentessa con indosso un pullover molto attillato, Monk fece strada verso il piano interrato. Trovò il passaggio sotterraneo abbastanza facilmente. Quando si avvicinarono all'entrata della galleria, una donna di mezza età agitò la mano dall'altra parte. Monk agitò la mano in risposta. La donna andò loro incontro a passo svelto, tutta trafelata, porgendo la mano. «Andrea Solderitch», si presentò. Dopo le presentazioni, li condusse in un corridoio poco lontano. Parlava pressoché a ruota libera, chiaramente nervosa. «Quaggiù ci sono pochi laboratori, perciò è facile perdersi. Ci sono più che altro sgabuzzini, spazi per i macchinari... oh, e poi c'è il terrario dell'edificio. Il dipartimento di genomica tiene quaggiù il sistema di microarray per proteggerlo dall'ozono. È proprio qui.» Alzò la chiave elettronica che teneva in mano e si avvicinò alla porta. «L'amministratore del dipartimento ha provato a chiamare il laboratorio. Non gli ha risposto nessuno. Faccio un salto dentro a dare un'occhiata. Sono sicura che non ha lasciato il campus.» Quando la porta si aprì con un sibilo, Monk sentì subito l'odore di fumo, di circuiti elettrici a giudicare dalla nota pungente, e, sotto, un odoraccio, come di capelli bruciati. Cercò di afferrare Andrea, ma non fece in tempo. La donna vide cosa c'era dentro e corrugò il viso prima in una smorfia confusa, poi inorridita. Portò di scatto una mano alla bocca. Monk la tirò da una parte e la passò a Creed. «Tienila qui.» Mollò a terra la ventiquattrore, allungò la mano verso la fondina ascellare sotto la giacca ed estrasse la pistola d'ordinanza, una Heckler & Koch calibro 45. La donna sgranò gli occhi. Si voltò e sprofondò il viso nella spalla di Creed. «Sei armato?» gli domandò Monk. «No... credevo fosse solo un colloquio.» Monk scosse la testa. «Fammi indovinare, pivello. Non hai mai fatto lo scout.» Senza attendere la risposta, Monk entrò nel laboratorio e perlustrò i punti ciechi. Era sicuro che chiunque fosse stato lì era già James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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andato via, ma non voleva correre rischi. Il dottor Henry Malloy era legato a una sedia al centro del locale, il capo abbandonato sul petto, una pozza di sangue sotto i piedi. Alle sue spalle, la postazione di un computer era carbonizzata. Monk diede un'occhiata intorno. I rilevatori di fumo erano stati disinseriti. Si avvicinò all'uomo e gli tastò il polso. Niente. Però il corpo era ancora caldo. Gli assassini non se n'erano andati da molto. Monk notò le dita spezzate del professore. Era stato torturato, quasi certamente per estorcergli informazioni. Era stato ucciso con una coltellata al petto, una sola, inferta da una mano esperta. Dalla morte rapida, Monk dedusse che Malloy doveva avere parlato. Monk annusò l'aria. Il puzzo di bruciato era più pungente vicino al cadavere. Con un dito, sollevò con gentilezza il mento dell'uomo. La testa ricadde all'indietro, rivelando l'origine di quel cattivo odore. In mezzo alla fronte del professore, una bruciatura appena fatta, coi contorni ancora coperti di vesciche, marchiava la pelle, fino all'osso. Un cerchio e una croce. Uno squillo attirò di nuovo l'attenzione di Monk verso la porta. Un cellulare. Non volendo inquinare oltre la scena del crimine, Monk tornò indietreggiando nel corridoio. Andrea aveva il cellulare all'orecchio. Aveva gli occhi umidi, il naso che le colava. Tirava su mentre ascoltava. «Cosa?» domandò poi, con tono scioccato più che interrogativo. «No! Perché?» Crollò contro il muro e si accasciò a terra, il telefono che le tremava fra le dita. Monk si chinò su un ginocchio al suo fianco. «Che è successo?» La donna scosse la testa, incredula. «Qualcuno...» Indicò il telefono. «Era la mia vicina. Ha sentito i miei cani abbaiare, e poi ha visto qualcuno uscire dalla mia casa. È andata a vedere. La porta era aperta. Hanno... hanno ucciso i miei cani.» Nascose il viso tra le mani. «Perché non sono tornata di filato a casa come ho detto al dottor Malloy?» Monk lanciò un'occhiata a Creed. Il giovane aveva le sopracciglia aggrottate, non capendo. Monk aveva capito, invece. Allungò una mano e tirò in piedi la donna. «Quanto tempo fa la sua vicina ha visto l'intruso?» Lei scosse la testa, sforzandosi di trovare le parole. «Non... non lo so. Non me l'ha detto. Ha chiamato la polizia.» Monk si voltò a guardare il corpo del dottor Malloy. Il professore aveva parlato, fatto i nomi, tra cui quasi certamente quello della sua assistente. Il dottor Malloy era convinto che Andrea fosse tornata a casa. Doveva avere dato ai suoi aguzzini l'indirizzo di casa della donna. Erano andati a chiuderle la bocca. E non trovandola... Sarebbe bastato prendere qualche informazione, fare qualche telefonata. «Dobbiamo filarcela da qui. Subito!» Monk indicò la strada che avevano fatto per arrivare. Insieme, percorsero di gran carriera il corridoio, dirigendosi verso il tunnel sotterraneo, che passava sotto la strada fino all'edificio universitario James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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vicino, dove si trovava l'ufficio di Andrea. «Ha detto che era nel suo ufficio col suo collega di laboratorio», disse Monk, scendendo in fretta lungo il corridoio. «Il suo collega sapeva dove era diretta?» Ebbe la risposta quando raggiunsero l'entrata del tunnel. Un uomo alto stava andando loro incontro a grandi falcate, con indosso un impermeabile nero... e non pioveva da giorni. I loro occhi s'incontrarono a distanza. Monk riconobbe una luce ferina in quello sguardo. Spinse indietro Andrea e puntò la pistola. Contemporaneamente, l'uomo alzò il braccio, aprendo l'impermeabile e rivelando un mitra a canna corta. Scaricò una sventagliata di colpi in fondo al corridoio. La strana arma non faceva più rumore di un frullatore da cucina, ma i proiettili si conficcarono nell'angolo dietro cui si erano dileguati. L'intonaco e le piastrelle esplosero e volarono in aria. «Le scale!» ordinò Monk, puntando il dito nella direzione dell'atrio. Quando giunsero in fondo al vano delle scale, dall'alto echeggiò un rumore di passi. Monk fermò tutti alzando la mano. Guardando in alto, scorse un uomo che scendeva in fretta, in stivali e impermeabile nero, come il primo. Un secondo assassino. Indietreggiando, spinse gli altri di nuovo nel labirinto di corridoi. Dovevano trovare un'altra via d'uscita. Mentre si precipitavano lungo i corridoi semibui, una pesante porta di ferro si chiuse di colpo da qualche parte sul lato opposto dell'interrato. Monk si girò verso Andrea. «Credo fosse un'uscita di sicurezza», disse la donna sottovoce, atterrita. Monk poteva immaginare cosa significasse. Un terzo assassino.
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Capitolo 5
† Washington, 10 ottobre, ore 18.32
I
l simbolo non è presente in nessun database di gruppi terroristici conosciuti, disse Painter. Era in piedi davanti a un tavolo da riunione con uno schermo a parete alle spalle. Sul monitor campeggiava un'immagine ingrandita della croce e del cerchio. Painter si appoggiò al tavolo. La sala delle riunioni era una nuova aggiunta al comando della Sigma, realizzata dopo l'attacco. Ospitava un tavolo rotondo con un terminale dinanzi a ogni sedia. Aveva posti a sedere per dodici persone, ma al momento soltanto quattro erano occupati. Kat era seduta all'immediata destra di Painter, contribuendo con la sua esperienza nell'intelligence internazionale. Sulla sua destra c'era Adam Proust, un esperto di crittologia e, dall'altra parte del tavolo, Georgina Rowe, una nuova recluta della Sigma competente in bioingegneria. «Quindi partiamo da zero», disse Painter, mettendosi a camminare intorno al tavolo. Aveva progettato la sala a quello scopo, per potersi muovere, per poter guardare le persone radunate intorno al tavolo rotondo. «Cosa significa questo simbolo? In che modo è collegato alla distruzione del campo della Croce Rossa e allo sfregio fatto al figlio del senatore?» Adam si schiarì la voce e accennò con la mano allo schermo. Aveva più o meno quarantacinque anni ed era vestito in modo sportivo: jeans, maglione leggero nero e giacca di tweed. «Questo simbolo ha una lunga storia, che risale alle origini dell'uomo. A volte è chiamato il 'cerchio crociato'. Il significato è relativamente costante in tutte le culture. Il cerchio rappresenta la terra. La croce divide, a sua volta, il mondo in quattro cantoni. Secondo la cultura amerindia, questi quattro cantoni rappresentano...» «I quattro venti», riconobbe Painter. Gli era stato insegnato qualcosa di simile da suo padre. «Proprio così. Mentre in altre culture rappresentano i quattro elementi: terra, vento, aria e fuoco. A volte sono rappresentati in questo modo.» Batté sul suo terminale e l'immagine sullo schermo cambiò. «Come potete vedere, il cerchio crociato diventa il simbolo della terra stessa, comprendente gli altri quattro elementi. Questo petroglifo è rintracciabile in tutto il mondo. L'origine storica del simbolo è alquanto affascinante e risale all'epoca pagana. In molti Paesi nordici è possibile trovare questo simbolo scolpito nei megaliti e nei menhir. È spesso associato a un altro petroglifo: la spirale pagana. Sono strettamente collegati tra loro.» «Collegati?» fece Painter. «In che senso?» Adam alzò una mano, scusandosi un secondo, e batté sul suo James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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terminale. Sullo schermo apparve una nuova immagine. «Ecco la spirale pagana stilizzata. Potete trovarne delle varianti in tutta l'Europa del Nord.» Batté di nuovo sul terminale e la spirale si sovrappose al cerchio crociato. «Osservate come la spirale parta dal centro e si sviluppi verso l'esterno, riempiendo il cerchio. Mentre il cerchio crociato rappresenta la terra, la spirale sta a simboleggiare la vita, in modo particolare il viaggio dell'anima, dalla nascita alla morte alla rinascita.» Kat sospirò. «Siamo d'accordo, ma non vedo il nesso con gli orrori commessi in Africa. Non stiamo sconfinando?» «Forse no», rispose Georgina Rowe, raddrizzandosi a sedere. Era una donna tarchiata, coi capelli tagliati alla maschietta. «Ho esaminato il rapporto della NATO e, sebbene i particolari siano ancora preliminari e lungi dall'essere definitivi, non posso fare a meno di credere che l'attacco avesse a che fare con la distruzione della fattoria della Viatus Corporation più che con una lotta tra i ribelli e il governo del Mali.» «E io sono dello stesso parere», convenne Kat. «I ribelli tuareg non hanno mai mostrato questo livello di violenza. I loro sono stati quasi sempre attacchi lampo. Mai massacri indiscriminati come questo.» «E legare quel povero ragazzo in mezzo a un campo di grano bruciato e marchiarlo a fuoco con quel simbolo...» Georgina scosse la testa con tristezza. «Doveva essere un avvertimento contro quello che la società stava facendo laggiù, le sue ricerche nel campo degli alimenti geneticamente modificati. Con la mia preparazione in bioingegneria, conosco bene la controversia che circonda gli alimenti OGM. C'è un movimento crescente contrario a questo tipo di manipolazione della natura. E, sebbene derivi in larga parte dalla paura e dalla disinformazione, è anche aggravato dallo scarso controllo che i governi esercitano su questa fiorente industria. Posso scendere in maggiori dettagli...» Dall'altra parte del tavolo, Painter la fermò. «Per ora concentriamoci su come potrebbe riguardare questo caso.» «Semplice. Il movimento anti OGM è particolarmente forte in Africa. Lo Zambia e lo Zimbabwe hanno bandito di recente tutti gli aiuti alimentari contenenti OGM, anche se milioni di persone in entrambi i Paesi rischiavano di morire di fame. È l'assurda politica del 'meglio morti che sfamati', in buona sostanza. Una follia che sta dilagando e crescendo. Sono convinta che la distruzione del campo della Croce Rossa fosse inteso come un attacco alla Viatus.» Indicò il simbolo sullo schermo. «E penso che la spiegazione che Adam ha dato dell'origine di quel simbolo l'avvalori.» Painter cominciava a capire. «Un simbolo che rappresenta la terra.» Georgina ribadì con voce ferma la sua convinzione. «Chiunque sia il responsabile è convinto di proteggere la terra. Penso che abbiamo a che fare con un nuovo gruppo di ecoterroristi militanti.» Kat corrugò le sopracciglia. «Le cose quadrano abbastanza. Chiederò alle mie fonti di concentrarsi su questo aspetto. Vedrò se riusciamo a scoprire chi sono questi terroristi e dove hanno base.» Painter si James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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rivolse di nuovo a Adam Proust, le cui osservazioni avevano fornito un punto di partenza. «Ti abbiamo interrotto. Volevi aggiungere qualcos'altro?» «Solo una cosa, riguardo al cerchio crociato e alla spirale. Questi simboli erano estremamente importanti e significativi per i pagani dell'Europa del Nord. Soprattutto per i druidi. Infatti, quando le regioni nordiche furono convertite al cristianesimo, i simboli furono incorporati nella nuova religione. La croce druidica si sviluppò nella croce celtica che conosciamo oggi.» Adam mostrò una nuova immagine sullo schermo, prolungando il braccio verticale del simbolo pagano così da formare una croce cristiana. «Allo stesso modo, la spirale è giunta a rappresentare Cristo, simboleggiando il suo passaggio dalla vita alla morte e infine alla rinascita.» «E che importanza ha questo?» domandò Kat, spazientita, chiaramente ansiosa di seguire gli indizi seminati da Georgina. Ma Painter capì dove Adam voleva arrivare con la sua ultima considerazione. «Quindi non pensi che questo gruppo eco terrorista abbia base in Africa?» L'altro scosse la testa. «Il cerchio crociato, benché sia rintracciabile in alcune culture africane, è un simbolo del sole più che della terra. Penso che dovremmo dirigere le nostre indagini verso l'Europa del Nord. Soprattutto perché la sede della Viatus Corporation è a Oslo, in Norvegia.» Georgina sorrise. «Quindi, in altre parole, stiamo cercando una banda di druidi incazzati.» Adam non ricambiò il sorriso, limitandosi ad alzare le spalle. «Il neopaganesimo è in forte ripresa in tutta Europa. E infatti parecchi di questi gruppi sono molto antichi. La Chiesa del legame universale. L'Antico ordine dei druidi. Sono stati fondati entrambi nel XVIII secolo, mentre altri gruppi sostengono di avere origini ancora più antiche. In ogni caso, il movimento è cresciuto costantemente negli ultimi tempi, e alcune sette sono sicuramente militanti nelle loro convinzioni e accanite sostenitrici dell'antiglobalizzazione. Penso che tutte le indagini dovrebbero concentrarsi lì, nell'Europa del Nord.» Kat annuì, anche se con un'aria po' sostenuta, la mente già occupata a studiare un piano. Painter fece il giro intorno al tavolo e tornò al suo posto. «Credo che questo ci dia un bel punto di partenza. Se siete tutti...» Lo squillo del cellulare in tasca lo interruppe. Il direttore alzò una mano, per scusarsi un secondo, tirò fuori il BlackBerry e lesse il nome del chiamante. Era il suo assistente. Painter ebbe un brutto presentimento. Gli aveva chiesto di non disturbarlo a meno che non fosse un'emergenza. «Che c'è, Brant?» «Signore, il comando operativo ha appena telefonato. C'è stata una raffica di chiamate d'emergenza al 911 da Princeton. Sembra che ci sia stata una sparatoria al Carl Icahn Laboratory.» Painter non batté ciglio. Era lì che Monk Kokkalis e John Creed si erano diretti. I due sarebbero dovuti essere a Princeton già da un'ora, più o meno. Painter evitò di proposito lo sguardo di Kat, la moglie di Monk. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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«Chiama le autorità locali e accedi al satellite», ordinò Painter, fingendosi più seccato che allarmato. «Vengo subito.» Abbassò il telefono e si rivolse agli altri. «Bene, sapete tutti cosa dovete fare. Passiamo ai fatti.» Painter girò i tacchi e si avviò verso l'uscita. Sentì gli occhi di Kat puntati sulla schiena. Era sospettosa, ma, finché Painter non avesse avuto un quadro più chiaro della situazione, non c'era bisogno di allarmarla. Soprattutto perché era di nuovo incinta. Ore 18.45
Monk precedeva gli altri nell'interrato, la pistola spianata. Aveva solo dieci colpi... e almeno tre aggressori. Non era un buon vantaggio, soprattutto con gli altri armati di mitra a canna corta. Non poteva permettersi di sprecare un colpo. Aveva un secondo caricatore nella sua ventiquattrore, ma l'aveva lasciata davanti al laboratorio di Malloy. «Non c'è un'altra uscita?» domandò ad Andrea. «No... ma...» Guardò su e giù nel corridoio. John Creed la teneva per un braccio, per non farla fermare. «Ma cosa?» la incalzò Monk. «L'edificio dei laboratori è una costruzione modulare, per variare più facilmente la configurazione dei locali», rispose la donna tutto d'un fiato, quindi puntò il dito verso l'alto. «C'è un grande livello di servizio tra i piani. Con tanto di passerelle per squadre di lavoratori.» Monk lanciò un'occhiata al soffitto. Forse poteva funzionare. «Dov'è l'accesso più vicino?» Lei scosse la testa, ancora sconvolta. «Non lo so...» Monk si fermò e le strinse la spalla con la mano artificiale. «Andrea, faccia un respiro, si ripren...» Una mitragliata squarciò l'aria. Una figura sbucò dalla parte opposta del corridoio, sparando a raffica. I colpi dilaniarono il pavimento e i muri. Monk spinse da una parte Andrea con una spallata e sparò alla cieca in fondo al passaggio, sprecando munizioni preziose. Il killer si tirò indietro un attimo. Monk spinse la donna nella porta più vicina, e Creed li seguì a ruota. La porta dava in una piccola anticamera. Le luci si accesero automaticamente, rivelando un grande spazio diviso da file di gabbie di acciaio inossidabile. Monk fu investito subito da una zaffata di urina animale e di corpi muschiati. Gli tornò in mente la descrizione che Andrea gli aveva dato del piano interrato. Quello doveva essere il terrario, dove tenevano gli animali da laboratorio. Un cane abbaiò da una delle file in fondo. Più vicino, animali più piccoli si agitarono... e altri non così piccoli. Nelle gabbie più grandi, nell'ultima fila in basso, maialini panciuti grugnivano e fiutavano l'aria. Alcuni strillavano e giravano in tondo. Erano piccoli, grandi più o meno come un pallone da football. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Monk spinse gli altri in fondo alla fila. Non avevano modo di barricare la porta, e il killer sarebbe piombato su di loro da un momento all'altro. «C'è un'altra uscita da qui?» domandò Monk ad Andrea. Lei annuì e indicò dall'altra parte del locale. «Presto.» Monk udì dei rumori metallici alle proprie spalle. Si voltò e vide Creed che apriva le gabbie più in basso mentre li rincorreva. Dietro di lui, piccoli corpi neri e rosa si precipitarono fuori dalle gabbie, zampettando e saltellando fra grugniti e strilli. Frotte di maialini si unirono alla mischia. «Che cosa stai...?» fece Monk. «Ostacoli», rispose Creed, aprendo altre gabbie con uno strattone. Monk fece cenno di avere capito. Non c'era niente di meglio che sparpagliare decine di maialini che strillavano sulla loro via di fuga. Lo stratagemma avrebbe dovuto rallentare il killer. Erano quasi arrivati in fondo al terrario quando Monk udì la porta a due battenti aprirsi di schianto alle loro spalle. Seguì una breve raffica di mitra, ma cessò subito con un grido spaventato, seguito dal tonfo fragoroso di un corpo sul pavimento. Un punto a favore dei maialini. Monk spinse Andrea in fondo al locale e attraverso un'altra porta a due battenti. Di lì a pochi secondi, erano di nuovo nel corridoio dell'interrato. «I punti d'accesso agli spazi di servizio», insistette Monk. «Ce n'è uno qui vicino?» «L'unico di cui so con certezza è nel laboratorio del dottor Malloy.» Monk fissò il labirinto di corridoi e stanze. Si era perso. «Può riportarci lì?» «Sì. È da questa parte.» Andrea riprese a camminare, meno sconvolta, più decisa. Monk la affiancò, seguito da Creed. Monk notò che il giovane si stringeva la coscia. La gamba del pantalone era bagnata. Creed incontrò il suo sguardo e gli fece cenno di proseguire. «Mi sono beccato un colpo di rimbalzo. È solo un graffio. Non fermatevi.» Non avevano scelta. Dopo un'altra svolta, Monk riconobbe d'improvviso il corridoio. Erano tornati al punto di partenza, al laboratorio del dottor Malloy. A conferma di ciò, Monk scorse la sua valigetta appoggiata davanti alla porta aperta, nel corridoio. Si precipitarono in quella direzione a rotta di collo. In fondo al corridoio, sul lato opposto, comparve un altro killer con uno svolazzo dell'impermeabile nero. Mancava ancora una decina di metri alla porta aperta del laboratorio. Col braccio teso, Monk sparò all'aggressore. «Non fermatevi!» gridò quando Andrea e Creed rallentarono il passo. «Correte verso il laboratorio!» Sebbene sembrasse folle correre incontro a un uomo che impugnava un mitra, il laboratorio era la loro unica speranza di salvezza. Monk sparò altre due volte. Aveva quasi esaurito le munizioni, ma i colpi tenevano a bada il killer. Purtroppo, la breve sparatoria non era passata inosservata. Alle loro spalle, riecheggiò un'altra sventagliata di mitra. Un altro James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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assassino. Gli aggressori stavano cercando di intrappolarli in un fuoco incrociato. Ma per ora avevano raggiunto il laboratorio. Andrea e Creed si precipitarono dentro. Monk si chinò quando il sibilo di un proiettile gli sfiorò la sommità del capo. Afferrò la valigetta che aveva abbandonato ed entrò nel laboratorio con un ruzzolone. Non appena fu dentro, Creed chiuse la porta con un colpo secco. «Si blocca automaticamente», disse Andrea, cingendosi con le braccia. Si tenne bene alla larga dal corpo del dottor Malloy, ancora legato alla sedia. Monk si tirò in piedi, stringendo la pistola in una mano e la valigetta Tanner Krolle nell'altra. «L'accesso di servizio?» Andrea si girò e indicò il soffitto sopra il tavolo del laboratorio. Un pannello quadrato contrassegnato con un simbolo di pericolo elettrico. Monk si rivolse a Creed e ordinò: «Aiutala a salire lassù. Muoviti». «E lei?» «Non preoccuparti per me. Vi vengo dietro. Sbrigati!» Mentre Creed sollevava Andrea sul tavolo, Monk si chinò su un ginocchio. Doveva far guadagnare agli altri il maggior tempo possibile per la fuga. Sapeva che era fondamentale portare in salvo la donna. Il dottor Malloy doveva averle detto qualcosa, qualcosa per cui valeva la pena ucciderla. Qualunque cosa fosse, Monk voleva saperla. Creed aveva già aperto la botola di servizio e issato su Andrea con entrambe le braccia. Riparandosi dietro il cadavere legato alla sedia, Monk aprì la valigetta e la lasciò cadere a terra, senza staccare gli occhi dalla porta. Chiusa o no, sapeva che non li avrebbe protetti più di un foglio di carta velina. Soprattutto con le potenti armi di quei bastardi. E a Monk erano rimasti due colpi in canna. Gli serviva il caricatore nuovo nella valigetta. Quando allungò la mano per prenderlo, la maniglia esplose nella stanza, con un bel pezzo dello stipite. La porta fu spalancata dalla violenza dell'impatto. Monk vide di sfuggita un impermeabile nero e sparò. Due volte. Quando esaurì le munizioni, il carrello della pistola si aprì con uno scatto. Il killer si nascose. Monk abbrancò il nuovo caricatore mentre estraeva quello vuoto. Con la coda dell'occhio, vide un braccio guizzare da dietro il vano della porta. Un oggetto di metallo nero grande come una palla da baseball volò nel laboratorio. Oh, merda... Una granata. Monk mollò la pistola e il caricatore di scorta. Sempre chino su un ginocchio, sollevò la valigetta aperta, vi infilò dentro la granata e chiuse con uno scatto la ventiquattrore fra i palmi. Si rialzò e ruotando il braccio lanciò la valigetta attraverso la porta aperta. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Prima ancora che la ventiquattrore la infilasse, Monk si girò di scatto e salì sul tavolo con un balzo. Quindi saltò dritto nella botola di servizio aperta. Gli stivali di Creed erano appena scomparsi davanti ai suoi occhi. «Vai!» Troppo tardi. Un boato assordante e un lampo accecante sconquassarono il laboratorio. L'onda d'urto scagliò Monk nell'angusta intercapedine tra i piani. Picchiò la testa contro un tubo dell'impianto di climatizzazione e termoventilazione e ricadde addosso a Creed. Si dimenarono per un po', cercando di districarsi l'uno dall'altro. Monk si prese una gomitata in un occhio. Stordito, fece cenno agli altri di proseguire, fra un'imprecazione e l'altra. Dubitava che i killer li avrebbero seguiti, ma, finché non fossero stati al sicuro da qualche parte, con un sacco di armi, non aveva intenzione di abbassare la guardia. Come Andrea aveva detto, lo spazio di servizio era dotato di passerelle per le squadre dei lavoratori. Utilizzando quelle, non ci sarebbe voluto molto tempo a uscire dalle viscere dell'edificio e a tornare nel caos soprastante. Le forze dell'ordine erano già confluite sul posto. Automobili della polizia, furgoni della SWAT e un crescente circo mediatico li accolsero di fronte all'edificio. Quando uscirono barcollando all'aperto, la polizia li circondò subito. Prima ancora che Monk potesse cominciare a spiegare, una mano lo agguantò, lo tirò da una parte e gli mostrò il distintivo. «Sicurezza nazionale», dichiarò un gigante d'uomo. «Dottor Kokkalis, abbiamo ricevuto l'ordine da Washington di portarvi tutti al sicuro.» Monk non obiettò. Condivideva perfettamente quell'ordine. Ma, mentre venivano condotti via, si voltò a guardare con espressione sconsolata l'edificio. Kat lo avrebbe ucciso. Quella valigetta era costata un occhio della testa.
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Capitolo 6
† Fiumicino, Italia, 11 ottobre, ore 06.28
L
ei dov'era? Gray uscì dal terminal dell'aeroporto di Roma e si diresse verso la fila dei taxi, tra i colpi di clacson e il fragore dei motori dei pullman turistici. Anche di primo mattino l'aeroporto era intasato dal traffico e dal viavai dei viaggiatori. Col telefono pigiato all'orecchio, Gray si faceva largo tra la folla. Il passaggio era facilitato da un bestione che gli apriva la strada, come un bufalo indiano che attraversava a guado un fiume in piena. Gray seguiva la sua guardia del corpo. Joe Kowalski non era un viaggiatore felice. L'ex marine preferiva chiaramente i viaggi in mare ai viaggi aerei commerciali. Non faceva che brontolare mentre si dirigevano alla fila dei taxi. «Non potevano farli più stretti, quei sedili?» L'energumeno fece scrocchiare il collo con espressione torva. «Avevo le ginocchia praticamente appiccicate alle orecchie. Come se quella compagnia aerea volesse farmi un dannato esame della prostata. E non mi sarebbe dispiaciuto se avessimo avuto una hostess.» Kowalski lanciò un'occhiata a Gray alle sue spalle. «E quella ragazza coi baffi non conta.» «Ti sei offerto tu di venire, nessuno ti ha costretto», rimbeccò Gray, stando in attesa al telefono. «Offerto?» ripeté Kowalski, accigliato. «Con gli straordinari pagati? È stato come puntarmi una pistola alla schiena. Ho una fidanzata da mantenere.» Gray non riusciva ancora a capacitarsi della relazione tra l'ex marine e la professoressa universitaria, ma almeno lei gli faceva fare la doccia più spesso. Persino i capelli neri a spazzola di Kowalski erano più curati. Gray fece segno col braccio di muoversi. Rimase in attesa col Comando Tutela Patrimonio Culturale dei carabinieri, dove Sara lavorava. Prima di partire da Washington, avevano concordato di trovarsi davanti al terminal internazionale, ma di lei non c'era traccia in mezzo alla folla di viaggiatori. Aveva provato a chiamarla a casa e al cellulare, ma Sara non gli aveva risposto. Pensando che fosse bloccata nel traffico, Gray l'aveva aspettata nel terminal un'altra mezz'ora. Nell'attesa, ne aveva approfittato per fare rapporto alla Sigma. A Washington era passata da poco mezzanotte. Il direttore lo aveva messo al corrente dell'operazione andata all'aria nel New Jersey. Monk era stato coinvolto in una sparatoria. Era probabile che fosse implicato un gruppo di ecoterroristi, ma i particolari erano ancora pochi. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Nell'udire ciò, Gray ebbe l'impulso di saltare sul primo aereo e tornare indietro, ma Painter affermò in tono reciso che la faccenda era sotto controllo per il momento. Un testimone chiave era stato portato al sicuro e sottoposto a interrogatorio. Gray aveva l'ordine di proseguire la sua attuale missione. Finalmente la voce severa di una donna interruppe l'attesa di Gray al telefono, parlando rapidamente in italiano. Dopo la relazione con Sara, durata più di un anno, Gray aveva imparato un po' la lingua. «Il tenente Veroni non è in ufficio oggi. Risulta in licenza. Forse un altro agente può esserle d'aiuto...» «No, grazie.» Gray chiuse il telefono e se lo infilò in tasca. Sapeva che Sara aveva intenzione di prendersi qualche giorno di riposo, ma aveva sperato di trovarla in ufficio per qualche motivo. Cominciava a preoccuparsi. Dove poteva essere? Kowalski fermò un taxi con un cenno, e salirono a bordo. Il suo collega gli lanciò un'occhiata. «E l'ospedale?» suggerì. «Quello dov'è ricoverato suo zio?» «Giusto.» Gray annuì. Avrebbe dovuto pensarci. Forse le condizioni di suo zio erano peggiorate. Una simile emergenza avrebbe fatto precipitare Sara in ospedale. Sconvolta, avrebbe potuto perdere facilmente la cognizione del tempo. Chiamò il servizio d'informazioni telefoniche e fu messo in comunicazione col centralino dell'ospedale. Il tentativo di parlare con la camera di Vittorio andò a vuoto. Riuscì però a comunicare con un'infermiera. «Monsignor Veroni è in terapia intensiva», lo informò la donna. «Ogni altra richiesta d'informazioni deve essere fatta tramite la sua famiglia o la polizia.» «Vorrei solo sapere se la nipote è venuta lì a trovarlo. Il tenente Sara Veroni.» La voce della donna si ravvivò. «Ah, sua nipote Sara. Una bellissima ragazza. Ha passato qui molte ore. Ma è andata via ieri sera e stamattina non è tornata.» «Se dovesse venire, potrebbe riferirle che ho chiamato?» Gray lasciò il proprio numero di telefono. Infilandosi il cellulare in tasca, si afflosciò sul sedile. Fissò il paesaggio mentre il taxi sfrecciava sulla strada alla volta di Roma. Sara gli aveva prenotato una camera in un piccolo bed & breakfast italiano. Gray vi era già stato, quando stavano insieme. Si sforzò d'immaginare un'altra ragione per la quale Sara non era venuta. Si sforzò d'immaginare per quale altra ragione Sara non sarebbe potuta venire. Dove poteva essere? La preoccupazione sfiorava il panico. Come avrebbe voluto che il taxi corresse più forte. Avrebbe controllato se in hotel c'erano dei messaggi, poi si sarebbe diretto di filato al suo appartamento. Era solo a pochi isolati dall'albergo. Ma ci sarebbe voluto del tempo per arrivarci. Troppo. Col passare dei chilometri, il cuore gli batteva più veloce in petto; la mano stringeva più forte il ginocchio. Quando attraversarono finalmente una delle James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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antiche porte della città e si diressero verso il centro di Roma, il taxi rallentò a passo d'uomo. Le strade si fecero più strette, coi pedoni che attraversavano svelti di qua e di là e con una bicicletta che zigzagava tra le macchine. Alla fine il taxi imboccò una strada laterale e si fermò dinanzi a un piccolo albergo. Gray scese dalla vettura, afferrò la borsa e lasciò Kowalski a pagare il tassista. Dalla strada l'albergo aveva un aspetto anonimo. Su una piccola targa d'ottone affissa al muro, non più grande della mano di Gray, era scritto casa del viaggiatore. L'albergo era stato ricavato dagli edifici adiacenti, tutti del Settecento. Una mezza rampa di scale scendeva fino a una piccola hall. Gray scese i gradini. Il motivo del nome dell'hotel apparve chiaro non appena il campanello appeso alla porta annunciò l'entrata di Gray. Tutt'e quattro le pareti erano tappezzate di antiche mappe e carte geografiche. I proprietari dell'albergo discendevano da una lunga stirpe di viaggiatori e marinai che avevano girato il mondo, risalente a prima di Cristoforo Colombo. Un vecchio pieno di rughe con indosso un panciotto abbottonato accolse Gray da dietro il piccolo banco di legno della reception. Il volto si aprì in un sorriso cordiale. «È passato molto tempo, signor Pierce», disse caloroso il proprietario in inglese, riconoscendo Gray. «Già, Franco.» Gray scambiò alcuni convenevoli, sufficienti a dare il tempo a Kowalski di entrare a grandi passi. L'uomo grande e grosso scrutò con gli occhi le pareti. Essendo stato in marina, approvò con un cenno del capo le decorazioni murali. «Franco, per caso hai sentito Sara?» domandò Gray, sforzandosi di mascherare il nervosismo. «Speravo avesse lasciato un messaggio.» L'uomo corrugò il volto, confuso. «Un messaggio?» Gray ebbe un tuffo al cuore. Era chiaro che non c'era nessun messaggio. Forse era tornata al suo... «Signor Pierce, perché la signorina Veroni avrebbe dovuto lasciarle un messaggio? È già di sopra, nella sua camera, ad aspettarla.» Il sollievo di Gray fu come un'ondata di acqua fredda. «È di sopra?» Franco infilò la mano in un vano dietro il banco, staccò una chiave e la porse a Gray. «Quarto piano. Le ho dato una bella camera con balcone. Da lì la vista sul Colosseo è bellissima.» Gray annuì e prese la chiave. «Grazie.» «Vuole che le faccia portare di sopra le borse?» Kowalski sollevò il sacco da viaggio di Gray dal pavimento. «Ci penso io.» Spronò Gray dandogli un colpetto nella schiena con la borsa. Gray ringraziò di nuovo Franco e si avviò verso le scale. Era una salita stretta e tortuosa, che ricordava una scala a pioli più che una scalinata. Dovettero salire in fila. Kowalski la squadrò, perplesso. «Dov'è l'ascensore?» «Non c'è», rispose Gray, avviandosi su per le scale. Kowalski lo seguì. «Mi stai sicuramente prendendo in giro.» A fatica salì su per le scale con le borse. Dopo due rampe, era diventato paonazzo in volto e aveva James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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preso a lanciare bestemmie l'una dietro l'altra. Giunti al quarto piano, Gray seguì le indicazioni sulle pareti per la propria camera. Era tutto un dedalo di gomiti e improvvisi corridoi ciechi. Alla fine trovò il corridoio giusto. Sebbene fosse la sua camera, bussò lo stesso prima di aprire con la chiave. Aprì la porta con una spinta, impaziente di rivedere Sara, stupito dell'intensità del suo desiderio. Era passato molto tempo... forse troppo. «Sara? Sono Gray.» Era seduta sul letto, incorniciata dalla finestra, immersa nella luce del mattino. Si alzò quando lui si precipitò nella camera. «Perché non mi hai chiamato?» domandò Gray. Prima che lei potesse aprire bocca, un'altra donna rispose: «Perché le ho chiesto di non farlo». Solo a quel punto Gray notò le manette che tenevano legato il braccio destro di Sara alla testata del letto. Gray si girò. Una figura snella, avvolta in un accappatoio, uscì dalla stanza da bagno. Aveva i capelli neri bagnati, che si era appena pettinata all'indietro. I taglienti occhi a mandorla verde giada ricambiarono il suo sguardo. Le gambe, nude fino alla coscia, s'incrociarono con disinvoltura quando si appoggiò allo stipite della porta della stanza da bagno. Alzò la mano e gli puntò contro una pistola. «Seichan...» Washington, ore 01.15
«Non riusciremo a cavare nient'altro da lei», disse Monk a Painter quando sprofondò nella poltrona dall'altra parte del tavolo. «È stremata e ancora sotto shock.» Painter fissò Monk. L'uomo pareva non meno stremato. «Creed ha finito di valutare i dati genetici?» «Ore fa. Però vuole farli elaborare da un esperto di statistica per sicurezza. Per ora, tuttavia, ha confermato la versione di Andrea Solderitch. O almeno quello che possiamo accertare.» Painter si era tenuto al corrente coi rapporti. L'assistente del dottor Malloy aveva riferito una conversazione che aveva avuto col professore appena un'ora prima del suo assassinio. Il professore era concentrato su un'analisi genetica che costituiva il grosso dei file che Jason Gorman aveva inviato per e@mail a suo padre. Si era rivelata una mappa genetica del grano raccolto in Africa. Marcatori radioattivi mostravano i geni che non appartenevano al grano. Due cromosomi. «E il file originale?» volle sapere Painter. «Quello che Jason Gorman ha inviato al professore due mesi fa, quello che conteneva i dati genetici dei semi originariamente piantati in quel campo?» Monk si passò la mano sulla testa calva. «I tecnici di Princeton stanno ancora cercando di recuperare i dati. Hanno James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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controllato tutti i server. Il professore doveva avere scaricato il file in locale sul suo computer. Quello bruciato dagli assassini. Tutte le prove sono andate perdute.» Painter sospirò. Continuavano a incappare in vicoli ciechi. Anche i killer si erano dileguati. Non era stato trovato nessun corpo. Dovevano essere scampati all'esplosione e avere attraversato il cordone intorno al laboratorio senza farsi notare. «Anche se non abbiamo le prove materiali, credo alla versione di Andrea», proseguì Monk. «Stando a quel che dice, il professore ha trovato un solo cromosoma di DNA estraneo nel seme originale. Era convinto che i due file mostrassero che la modifica genetica era instabile.» «Ma senza il primo file non possiamo dimostrarlo», obiettò Painter. «Eppure dev'essere per questo che il professore è stato torturato e ucciso. Gli assassini dovevano avere l'ordine di eliminare tutte le prove del primo file... e chiunque ne fosse al corrente. E ci sono quasi riusciti.» Painter corrugò la fronte. «Tuttavia non abbiamo che la parola della signora Solderitch. E, stando a quel che dice, nemmeno il professore era del tutto sicuro di quell'instabilità. È possibile che i campioni provenissero da due ibridi genetici diversi. Che non ci fosse nessun legame fra i due.» «Quindi qual è la nostra prossima mossa?» «Credo sia ora di andare all'origine di tutto questo.» Monk fissò il logo a forma di seme stampato in cima al dossier sulla scrivania di Painter. «Tutto sembra rimandare alla società norvegese. Hai letto il rapporto dell'intelligence su quel simbolo impresso a fuoco sul ragazzo e sul professore.» Monk fece una smorfia di disgusto. «Il cerchio crociato. Una specie di croce pagana.» «Secondo una prima ipotesi, potrebbe rappresentare un gruppo ecoterroristico. E può darsi che lo sia. Può darsi che dei folli ce l'abbiano a morte con la Viatus. E in quel primo file c'era un indizio di ciò.» Painter sospirò e si stirò. «In ogni caso, sarebbe ora che scambiassimo due parole con Ivar Karlsen, l'amministratore delegato della Viatus Corporation.» «E se non vuole parlare?» «Due omicidi in due continenti... gli conviene farlo. Una cattiva stampa può far precipitare il valore delle azioni più di qualunque brutto risultato fiscale.» «Quando intende...» Qualcuno bussò con vigore, interrompendo Monk. I due uomini si girarono verso la porta mentre si apriva di scatto. Kat entrò precipitosamente nell'ufficio e andò alla scrivania. Monk alzò un braccio, tendendo la mano, ma fu ignorato. Painter si raddrizzò a sedere. Non poteva essere nulla di buono... Gli occhi di Kat erano stretti dalla preoccupazione, le guance arrossate come se fosse arrivata lì correndo. «Abbiamo un problema.» «Quale?» domandò Painter. «Avrei dovuto capirlo prima.» La sua voce fremeva d'irritazione. «La nostra richiesta d'informazioni e quella dell'Interpol devono essersi incrociate sopra l'Atlantico, ingarbugliate. Nessuno dei due si è accorto che stavamo parlando di due incidenti diversi. Che stupidi. Come i cani che rincorrono la propria coda.» James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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«Quale problema?» insistette Painter. Monk prese la mano della moglie. «Calmati, tesoro. Fai un bel respiro.» Il consiglio non fece che irritarla di più, ma lui continuò a stringerle la mano. «Un altro omicidio. Un altro corpo marchiato col cerchio crociato.» «Dove?» «A Roma», rispose Kat. «In Vaticano.» Non dovette aggiungere altro. Roma, ore 07.30
«Vediamo di darci tutti una calmata», disse Seichan, puntando la pistola con mano ferma. Alle spalle di Gray, Kowalski lasciò cadere le borse e alzò le mani. Con voce aspra disse: «Odio viaggiare con te, Gray. Sul serio». Gray lo ignorò e guardò in faccia l'ex assassina della Gilda... sempre che fosse «ex», cioè. «Seichan, che stai facendo?» La sua domanda ne comprendeva molte altre. Che stava facendo a Roma? Perché teneva Sara in ostaggio? Perché stava puntando una pistola contro di lui? Com'era possibile che fosse lì? Secondo il segnale satellitare trasmesso dal rintracciatore, doveva essere a Venezia. Painter avrebbe chiamato subito Gray se la donna si fosse recata lì. Seichan ignorò la domanda e gliene porse una propria. «Sei armato?» Accennò col mento anche a Kowalski. «No.» Seichan squadrò Gray, come se valutasse la sincerità delle sue parole. Ed erano sincere. Avevano viaggiato con una compagnia aerea commerciale e non avevano avuto il tempo di procurarsi delle armi. Alla fine Seichan si strinse nelle spalle, s'infilò la pistola in tasca e uscì dalla stanza da bagno. Camminava con grazia felina, tutta gambe e forza nascosta. Gray era certo che potesse estrarre di nuovo la pistola in un batter d'occhio. «Allora possiamo parlare tutti come amici», disse lei in tono di scherno, lanciando a Gray una piccola chiave. Era chiaramente adatta alle manette di Sara. Lui l'afferrò al volo, si avvicinò al letto e si piegò per aprire le manette. «Stai bene?» domandò sottovoce all'orecchio di Sara mentre girava la chiave, le guance che si sfioravano. La nuca della donna aveva un odore familiare, che risvegliò in lui vecchi sentimenti, calde braci che Gray pensava si fossero raffreddate da molto tempo. Quando si raddrizzò, notò che Sara aveva lasciato crescere i capelli oltre le spalle. Era anche dimagrita, accentuando gli zigomi e aumentando la sua somiglianza con una giovane Audrey Hepburn. Libera, Sara si massaggiò i polsi. La voce era indurita dalla rabbia e fremeva d'imbarazzo. «Sto bene. In effetti, potresti voler sentire ciò che ha da dire.» Abbassò la voce. «Ma sta' attento. È tesa come la corda d'un violino.» Gray si voltò a guardare Seichan. La donna andò senza fretta alla finestra, e fissò i tetti di Roma. Il Colosseo si stagliava all'orizzonte. «Da dove vuoi iniziare, Pierce?» Non si scomodò a guardarlo. «Non ti aspettavi di James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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vedermi a Roma?» Le cadde una mano sul fianco sinistro. Non era un gesto distratto, bensì accusatorio. Il rintracciatore era stato impiantato durante l'operazione all'addome l'anno precedente. Proprio in quel punto. Seichan confermò i suoi timori. «La mia facile fuga da Bangkok era già abbastanza sospetta. Ma, quando ho visto che nessuno mi dava la caccia, ho capito che c'era qualcosa che non andava.» Si girò e fissò Gray inarcando un sopracciglio. «Ma come, un'agente della Gilda fugge di prigione, e le ricerche sono superficiali?» «Hai trovato l'impianto.» «Te lo riconosco. È stato difficile trovarlo. Nemmeno una risonanza di tutto il corpo a San Pietroburgo è riuscita a rivelarlo. Cinque mesi fa, mi sono fatta fare un intervento esplorativo da un medico, partendo da dove mi avete operata.» Ecco l'errore nel piano originale di Painter. Avevano sottovalutato il grado di paranoia del loro soggetto. «L'intervento è durato tre ore», proseguì con un tono di voce sempre più duro. «L'ho seguito tutto su un monitor. Hanno trovato l'impianto nascosto nella ferita guarita... una ferita che ho riportato per salvarti la vita, Pierce.» Nonostante il volto indurito dalla rabbia, Pierce notò una punta di delusione nel suo sguardo. «Quindi hai fatto rimuovere il rintracciatore.» Gray ripensò al percorso tortuoso sul monitor di sorveglianza. «Ma te lo sei portato dietro.» «L'ho trovato utile. Mi permetteva di nascondermi in piena luce. Potevo piazzare il rintracciatore da qualche parte per un po', e poi andarmene per i fatti miei.» «Come hai fatto a Venezia.» Lei si strinse nelle spalle. «La città dove viveva il curatore che hai assassinato. Dove la sua famiglia vive tuttora.» Gray lasciò che l'accusa riempisse il silenzio. Seichan scosse la testa, molto lentamente, e distolse lo sguardo. Gray fece fatica a leggere la ridda di emozioni che le attraversarono il volto. «La ragazza aveva un gatto», disse lei con voce più sommessa. «Un soriano arancione col collare borchiato.» Gray capì che la «ragazza» doveva essere la figlia del curatore. Quindi Seichan era andata davvero a controllare la famiglia, avvicinandosi abbastanza da osservare la semplice routine della loro vita, una famiglia distrutta dalla morte di un marito e di un padre. Doveva avere piazzato il rintracciatore nel collare del gatto. Una mossa astuta. I vagabondaggi del gatto per le strade e sui tetti del quartiere avrebbero fatto sembrare attivo il rintracciatore. Non c'era da stupirsi che gli agenti sul posto non trovassero traccia di lei nel quartiere veneziano. Coi segugi impegnati sulla pista falsa, il vero gatto era filato via. Gray voleva altre risposte da quella donna. Una domanda gli frullava nella testa più di ogni altra, un discorso che non avevano mai finito. «Hai affermato di essere un'agente che fa il doppio...» Seichan si girò di scatto e lo fissò. Non mutò espressione, ma indurì gli occhi, ammonendolo. Gray stava per domandarle di quando aveva affermato di essere una talpa piazzata nella Gilda, un'agente che faceva il doppio gioco infiltrata lì da forze occidentali, ma era chiaro che Seichan James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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non voleva parlarne apertamente. O forse Gray fraintese la sua espressione. Forse il suo sguardo duro si faceva soltanto beffe della credulità di Gray. Gli tornarono in mente le ultime parole di Seichan a Bangkok. Fidati di me, Gray. Anche solo un poco. Fissandola, lasciò cadere la domanda. Per ora. «Allora perché sei venuta a Roma? Perché vederci così?» Gray indicò con un gesto Sara. «Perché mi serve una moneta di scambio.» «Qualcosa per tenermi in pugno?» Gray lanciò un'occhiata a Sara. «No. Qualcosa da offrire alla Gilda. Dopo quanto è accaduto in Cambogia, i dubbi sulla mia lealtà si sono moltiplicati. Da quel che so, la Gilda sta indagando di nascosto sul recente attentato in San Pietro. Qualcosa ha suscitato il loro interesse. Poi ho saputo che monsignor Veroni è rimasto coinvolto in questo incidente...» «Incidente?» proruppe Sara. «È in coma.» Seichan la ignorò. «Così sono venuta qui. Ho pensato che avrei potuto trarre vantaggio da questa situazione. Se riuscissi a procurarmi qualche informazione importante su questo attentato, potrei riconquistare la piena fiducia dei vertici della Gilda.» Gray fissò Seichan. Nonostante il cinismo delle sue parole, le sue argomentazioni concordavano con quanto aveva affermato due anni prima. A quanto sembrava, era stata infiltrata nella Gilda per scovarne i capi. L'unico modo per continuare a scalare quell'oscura gerarchia, quella sanguinaria catena di comando, era produrre risultati. «Avevo sperato di ricavare qualcosa interrogando Sara, ma, quando sono arrivata qui, ho trovato qualcuno che le stava mettendo sottosopra l'appartamento.» Gray si voltò verso Sara, che confermò con un cenno del capo, continuando però a schizzare fuoco dagli occhi. «La Gilda ha accertato che gli assassini cercavano qualcosa che il sacerdote ucciso possedeva, qualcosa che volevano a ogni costo. Probabilmente hanno perquisito il corpo dell'uomo, ma l'esplosione gli ha lasciato tempo per poco altro. Come perquisire il monsignore.» «Quindi qualcuno ha supposto che dovesse averlo Vittorio», dedusse Gray, girandosi verso Sara. «E che ne fosse entrata in possesso sua nipote dopo avere ricevuto le sue cose personali dall'ospedale.» Seichan annuì. «Sono andati a cercarlo.» Gray avvertì una morsa allo stomaco. Se avessero trovato Sara, l'avrebbero sottoposta a un violento interrogatorio, e poi uccisa. E, non avendo trovato nulla nel suo appartamento, con ogni probabilità le stavano dando la caccia in quel momento, mettendo sotto controllo i posti più probabili: l'appartamento, il posto di lavoro, compreso l'ospedale. C'era solo un modo per proteggere Sara. «Dobbiamo scoprire che cosa stanno cercando», concluse Gray a voce alta. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Sara e Seichan si scambiarono un'occhiata. «Ce l'ho io», disse Sara. Gray non riuscì a celare lo stupore. «Ma non abbiamo idea di cosa significhi», aggiunse Seichan. «Faglielo vedere.» Sara infilò la mano in una tasca della giacca e tirò fuori una piccola borsa di pelle, non più grande di un borsellino da donna. Descrisse a grandi linee quello che aveva scoperto, come aveva trovato quell'oggetto appeso al dito dello scheletro di bronzo nella basilica di San Pietro. «È stato mio zio Vittorio a condurmi lì», concluse, porgendogli la piccola borsa. «Ma Seichan e io non siamo riuscite a venire a capo di niente. Soprattutto riguardo al contenuto.» Seichan e io...? Dal tono disinvolto con cui lo aveva affermato, pareva quasi che le due donne fossero socie anziché sequestratrice e vittima. Gray lanciò un'occhiata alla stanza da bagno. Mentre Sara parlava, Seichan si era dileguata, lasciando l'asciugamano sul pavimento. La udì muoversi di qua e di là in bagno, e Gray era sicuro che anche la donna li stesse ascoltando. Se avessero tentato di correre alla porta, l'avrebbero avuta addosso in un batter d'occhio. «Sei sicura di stare bene?» domandò Gray sottovoce a Sara, attirando la sua attenzione. Lei annuì. «Mi ha ammanettata solo quando ha fatto la doccia. Non è proprio tipo da fidarsi.» Per ora, Gray apprezzava la prudenza di Seichan. Sara era testarda come lui. Se gliene fosse stata data l'occasione, avrebbe tentato la fuga. Cosa che sarebbe potuta finire male. Se gli altri inseguitori l'avessero catturata, non sarebbero stati così gentili. Kowalski si avvicinò ora che Seichan non era in vista. Puntò il dito verso la piccola borsa. «Che c'è lì dentro?» Gray aveva già slacciato i cordoncini di pelle e a quel punto rovesciò il contenuto nel palmo. Avvertì il peso dello sguardo di Sara su di sé; la donna attendeva il suo giudizio. «Quello è...?» Kowalski si piegò sopra la spalla di Gray e si ritrasse di colpo. «Oh, cazzo, che schifo.» Gray non gli diede torto, facendo una smorfia di disgusto. «È un dito umano.» «Un dito mummificato», aggiunse Sara. Il volto di Kowalski s'indurì. «E, conoscendoci, sarà probabilmente maledetto.» «Da dove proviene?» domandò Gray. «Non lo so. Padre Giovanni stava lavorando sui monti dell'Inghilterra del Nord. In uno scavo. Non c'erano altri particolari nel rapporto della polizia.» Gray infilò il dito coriaceo di nuovo nella borsa. Nel farlo, notò la spirale grossolana impressa a fuoco sul cuoio. Incuriosito, girò la borsa e vide un altro simbolo sull'altro lato. Un cerchio e una croce. Lo riconobbe immediatamente dal resoconto che Painter aveva fatto di quanto era accaduto a Washington. C'erano stati due omicidi in due continenti, ed entrambi i corpi erano stati marchiati con lo stesso simbolo. Gray guardò Sara. «Questo simbolo... Hai detto che sapevi che la borsa era James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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collegata con l'attentato. Perché ne eri così sicura?» La risposta fu quella che si aspettava. «Gli aggressori hanno marchiato padre Giovanni», si toccò la fronte «con lo stesso simbolo. Questo particolare è stato omesso nel rapporto. L'Interpol sta indagando sul suo significato.» Gray abbassò lo sguardo sulla piccola borsa che teneva nel palmo. E con quello erano tre omicidi in tre continenti. Ma in che modo erano collegati tutti quei morti? Sara dovette leggere qualcosa sul suo volto. «Che c'è, Gray?» Prima che lui potesse rispondere, il telefono dell'albergo sul comodino squillò. Tutti s'irrigidirono per un momento. Seichan tornò in camera, in pantaloni neri e camicetta bordeaux. S'infilò una giacca di pelle nera consumata. «Qualcuno vuole rispondere?» domandò Kowalski quando il telefono squillò di nuovo. Gray si avvicinò al comodino e alzò il ricevitore. «Pronto?» Era Franco, l'albergatore. «Ah, signor Pierce, volevo solo informarla che i suoi tre ospiti stanno salendo in camera sua.» Lì per lì, Gray fece fatica a capire. In Europa era consuetudine annunciare gli ospiti, nel caso i clienti dell'albergo non fossero in condizioni di riceverli. E Franco sapeva che Sara e Gray erano ex amanti. Non voleva che fossero sorpresi a letto, per così dire. Ma Gray non stava aspettando nessuno. Sapeva che cosa significava. Mormorò un semplice «Grazie» e si girò verso gli altri. «Abbiamo ospiti. Stanno salendo.» «Ospiti?» fece eco Kowalski. Seichan capì all'istante. «Siete stati seguiti?» Gray fece mente locale. Era così preoccupato per l'assenza di Sara che non aveva badato molto al traffico circostante. Ripensò anche ai timori di poco prima a proposito degli inseguitori, al fatto che avrebbero potuto mettere sotto controllo chiunque fosse collegato a Sara. Gray aveva fatto parecchie telefonate. I suoi timori dovevano essere arrivati alle orecchie sbagliate. Seichan lesse la crescente certezza sul suo volto e corse alla porta. Estrasse la pistola da dietro la schiena. «È ora di lasciare la camera, gente.»
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Capitolo 7
† Oslo, Norvegia, 11 ottobre, ore 08.04
I
var Karlsen fissava la bufera che si addensava oltre il fiordo. Amava il tempo rigido e gradiva il passaggio brusco dall'autunno all'inverno. La pioggia gelata e le spruzzate di neve spazzavano già le notti più fredde. Il gelo accoglieva quasi tutte le mattine. Anche ora avvertiva l'aria gelida sulle guance mentre appoggiava le nocche sulle antiche pietre e guardava dalla finestra ad arco. Era in cima alla torre Munk, il punto più alto della fortezza di Akershus, uno dei principali punti di riferimento di Oslo. L'imponente struttura di pietra era stata fatta costruire sul lato orientale del porto da re Håkon V nel XIII secolo per difendere la città. Nel corso del tempo, era stata fortificata con fossati, archi rampanti e bastioni. La torre Munk, dove Karlsen si trovava ora, era stata costruita nel XVI secolo, quando alle difese del castello e della fortezza erano stati aggiunti i cannoni. Ivar si raddrizzò e pose una mano sugli antichi cannoni. Il ferro gelido gli rammentò il suo dovere, la responsabilità di difendere non solo il suo Paese, ma il resto del mondo. Ecco perché aveva scelto l'antica fortezza per ospitare il Vertice Mondiale sull'Alimentazione dell'UNESCO. Era un baluardo perfetto contro i difficili tempi che incombevano su tutti loro. Un miliardo di persone non aveva cibo a sufficienza nel mondo, e sapeva che quello era solo l'inizio. Era un vertice cruciale per il mondo e per la sua società, la Viatus Corporation. Niente avrebbe ostacolato i suoi obiettivi, né ciò che era accaduto in Africa, né ciò che stava accadendo a Washington. Non lo avrebbe permesso. I suoi obiettivi erano essenziali per la sicurezza del mondo, per non parlare dell'eredità lasciata dalla sua famiglia. Nel 1802, quando Oslo si chiamava ancora Christiania, i fratelli Knut e Artur Karlsen fondarono un impero mettendo insieme una ditta di taglio e trasporto di legname e una fabbrica di polvere da sparo. La loro ricchezza divenne leggendaria, elevandoli ad autentici magnati dell'industria. Ma, anche a quei tempi, i due temperavano la loro fortuna con opere buone. Fondarono scuole, costruirono ospedali, migliorarono le infrastrutture nazionali e, cosa più importante, finanziarono l'innovazione in un Paese in rapido sviluppo. Ecco perché avevano chiamato la loro società «Viatus», dalle parole latine via e vita. Per i fratelli Karlsen, la Viatus era la «Via della Vita»; rappresentava la loro convinzione che lo scopo ultimo dell'industria era il miglioramento del mondo, che la ricchezza poteva essere temperata con la responsabilità. E Ivar intendeva proseguire su quella strada, una strada che risaliva alla James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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fondazione della stessa Norvegia. Si raccontava che l'albero genealogico dei Karlsen risalisse ai primi colonizzatori vichinghi, che le loro radici fossero intrecciate con quelle di Yggdrasil, l'albero cosmico della mitologia norvegese. Ma Ivar sapeva che quelle non erano che leggende suggestive raccontate dal suo vecchio bestefar e dalla sua vecchia bestemor, leggende passate di generazione in generazione. In ogni caso, Ivar andava fiero della storia della sua famiglia e della ricca mitologia vichinga della Norvegia. Quel paragone gli piaceva. Erano stati i vichinghi a forgiare di fatto il mondo nordico, toccando a bordo dei loro drakkar dalla prua a guisa di drago gran parte dell'Europa e della Russia, nonché dell'America. Perché dunque Ivar Karlsen non avrebbe dovuto essere orgoglioso? Dal suo osservatorio privilegiato in cima alla torre Munk, guardò le nubi temporalesche addensarsi nel cielo. Entro metà mattinata sarebbe piovuto a dirotto, entro il pomeriggio sarebbe venuto giù nevischio e, forse, entro sera sarebbe caduta la prima neve. La neve era arrivata presto quell'anno, un altro segno delle mutazioni climatiche mentre la natura reagiva ai danni provocati dall'uomo, ribellandosi alle tossine velenose e ai crescenti livelli di anidride carbonica. Che gli altri s'interrogassero sulla responsabilità dell'uomo in quel disastro globale. Ivar viveva in una terra di ghiacciai. Conosceva la verità. Il fondo nevoso e il permafrost si stavano sciogliendo a velocità record. Nel 2006 i ghiacciai norvegesi si erano ritirati più rapidamente che mai. Il mondo stava cambiando, si stava sciogliendo sotto i suoi occhi. Qualcuno doveva fare qualcosa per proteggere l'umanità. Quand'anche fosse un sanguinario vichingo, pensò con un sorriso truce. Scosse la testa a quella stupidaggine. Soprattutto alla sua età. Era strano come la storia pesasse di più sul cuore col passare degli anni. Ivar si stava avvicinando a grandi passi al suo sessantacinquesimo compleanno. E, sebbene i suoi capelli rossi si fossero incanutiti da molto tempo, li portava incolti sulle spalle. Si teneva anche in forma con un vigoroso esercizio fisico, temprandosi sia al coperto, nelle saune, sia all'esterno, a temperature sottozero, come durante la lunga scarpinata di quel mattino per salire fin lì. Nel corso degli anni, l'esercizio gli aveva tonificato il corpo, indurito il volto rubizzo. Diede un'occhiata all'orologio al polso. Sebbene l'apertura ufficiale del vertice dell'UNESCO fosse prevista per l'indomani, doveva partecipare lo stesso a numerose riunioni organizzative. Mentre la bufera incombeva sul fiordo, Ivar scese giù nella torre. Scorse i preparativi nel cortile sottostante. Benché minacciasse di piovere, stavano allestendo gli stand e i tavoli. Fortunatamente, quasi tutti i colloqui e le conferenze si sarebbero tenuti nei saloni superiori e nelle sale dei banchetti del James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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castello di Akershus. Persino la chiesa della fortezza medievale avrebbe ospitato una serie di concerti serali, con la partecipazione di cori provenienti da ogni parte del mondo. In più, i musei militari collegati con la fortezza, il Museo della Resistenza della Norvegia e il Museo delle Forze Armate, si stavano preparando per i gruppi di visitatori, così come le sezioni inferiori del castello stesso, dove le guide avrebbero organizzato dei giri delle antiche prigioni sotterranee e dei bui passaggi, raccontando le storie dei fantasmi e delle streghe che avevano sempre infestato la lugubre fortezza. Naturalmente, la storia di Akershus non era meno macabra. Durante la seconda guerra mondiale, la fortezza era stata occupata dai tedeschi. Molti norvegesi erano stati torturati e uccisi tra quelle mura. E sempre lì si erano svolti poi i processi di guerra ed erano state compiute le esecuzioni capitali, compresa quella del famoso traditore e collaborazionista nazista Vidkun Quisling. Giunto alla base della torre, Ivar entrò nel cortile. Con un piede nel presente e uno nel passato, non notò l'uomo panciuto che gli sbarrava la strada finché per poco non gli andò addosso. Ivar riconobbe subito Antonio Gravel. L'attuale segretario generale del Club di Roma non sembrava contento. E Ivar sapeva perché. Aveva sperato di rimandare quell'incontro ancora un altro paio di ore, ma era chiaro che non poteva aspettare. I due uomini si erano scontrati dal giorno in cui Ivar era entrato nella sua organizzazione. Il Club di Roma era un'associazione internazionale composta da industriali, scienziati, leader mondiali e persino membri di famiglie reali. Dalla sua fondazione nel 1968, si era sviluppata in un'organizzazione che comprendeva trenta nazioni in cinque continenti. Il suo scopo principale era quello di sensibilizzare l'opinione pubblica alle crisi globali che minacciavano il futuro. Il padre di Ivar era stato uno dei fondatori dell'organizzazione. Dopo la morte del padre, Ivar aveva preso il suo posto e aveva scoperto che il Club di Roma si addiceva alla sua personalità e alle sue necessità. Col passare degli anni, aveva fatto strada nell'organizzazione, raggiungendo una posizione di comando. Di conseguenza, Antonio Gravel si era sentito minacciato e negli ultimi mesi era diventato una spina sempre più grande nel fianco di Ivar. Nonostante ciò, Ivar mantenne un'espressione cordiale e aperta. «Oh, Antonio, non ho molto tempo. Perché non mi accompagni?» Antonio seguì l'altro nel cortile. «Dovrai trovarlo il tempo, Ivar. Ho permesso che il congresso di quest'anno si tenesse qui a Oslo. Il meno che puoi fare è prendere seriamente le mie preoccupazioni.» Ivar restò impassibile. Gravel non aveva permesso un bel niente, ma gli aveva messo i bastoni tra le ruote per tutto il tempo. Il segretario generale voleva che il vertice di quell'anno si tenesse a Zurigo, sede del nuovo segretariato internazionale dell'associazione. Ma Ivar lo aveva boicottato, ottenendo che il vertice si tenesse a Oslo, soprattutto perché aveva organizzato un'escursione speciale, in programma per l'ultimo giorno della conferenza, un James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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viaggio riservato ai pezzi grossi che erano coinvolti nell'organizzazione dell'incontro. «In qualità di segretario generale del Club di Roma ritengo sia opportuno che accompagni le importanti personalità che si recheranno a Spitsbergen», insistette l'altro. «Capisco, ma temo che ciò non sia possibile, Antonio. Comprendi anche tu la natura delicata del luogo in cui siamo diretti. Se dipendesse solo da me, gradirei la tua compagnia naturalmente, ma è stato il governo norvegese a limitare il numero di visitatori alle Svalbard.» «Ma...» Mentre Antonio si sforzava di trovare un'argomentazione adatta, dal suo volto traspariva la smania. Ivar lo lasciò cuocere nel suo brodo. Alla Viatus era costato uno sproposito organizzare una flotta di jet privati per portare l'élite del congresso sulla remota isola norvegese di Spitsbergen, nell'oceano Artico. Lo scopo del viaggio era una visita privata allo Svalbard Global Seed Vault. La grande banca dei semi sotterranea era stata fondata per conservare le sementi di tutto il mondo, in particolare le granaglie. Era stata costruita in quel luogo perennemente ghiacciato e inospitale nell'eventualità di un cataclisma mondiale: naturale o no. Se mai si fosse verificato un simile evento, i semi sepolti e congelati sarebbero stati conservati per un mondo futuro. Ecco perché le Svalbard si erano guadagnate il soprannome di «Doomsday Vault», la Banca del Giorno del Giudizio. «Ma sono del parere che, riguardo a una visita come questa, il comitato esecutivo del Club di Roma dovrebbe presentare un fronte compatto», proseguì Antonio. «La sicurezza alimentare è di vitale importanza oggi.» Ivar si sforzò di non alzare gli occhi al cielo. Sapeva che la smania di Antonio Gravel non aveva nulla a che fare con la sicurezza alimentare, ma solo con la volontà di incontrare la successiva generazione di leader mondiali. «Hai ragione riguardo alla sicurezza alimentare. Infatti questo argomento sarà al centro del mio discorso.» Ivar intendeva utilizzare il proprio discorso per volgere le risorse del Club di Roma in una nuova direzione. Era tempo di passare ai fatti. Tuttavia vide Antonio rabbuiarsi in viso. I toni gentili avevano lasciato il posto alla rabbia. «A proposito del tuo discorso, ne ho letto una bozza.» «Hai letto il mio discorso?» Nessuno doveva saperne il contenuto. «Dove l'hai preso?» Antonio respinse la domanda con un gesto della mano. «Non importa. Ciò che conta è che non puoi tenere un discorso del genere e pensare di continuare a rappresentare il Club di Roma. Ho sollevato la questione col copresidente Boutha. Ed è d'accordo. Questo non è il momento di lanciare allarmi sull'imminente fine del mondo. È da... irresponsabili.» Ivar si fece rosso d'ira, perdendo l'espressione impassibile. «E quando sarebbe allora?» domandò, James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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serrando i denti. «Quando il mondo sarà precipitato nel caos e il novanta per cento della popolazione sarà morto?» Antonio scosse la testa. «È di questo che sto parlando. Farai apparire l'associazione come una banda di pazzi e di profeti di sciagure. Noi non lo tollereremo.» «Voi non lo tollererete? Il cuore del mio discorso si rifà al rapporto pubblicato dallo stesso Club di Roma.» «Sì, lo so. Il Rapporto sui limiti dello sviluppo. Lo hai citato un sacco di volte nel tuo discorso. È stato scritto nel 1972.» «Ed è ancora più attuale oggi. Il rapporto descrive nei particolari la catastrofe cui il mondo sta andando incontro a tutta velocità.» Ivar aveva studiato a fondo il Rapporto sui limiti dello sviluppo, preparando grafici e dati. Il rapporto proponeva un modello del futuro del mondo in cui la popolazione continuava a crescere in modo esponenziale, mentre la produzione alimentare cresceva solo in modo aritmetico. Alla fine la popolazione avrebbe superato la propria capacità di produzione alimentare per sostenersi. Avrebbe raggiunto quel punto come un treno e lo avrebbe superato. Quando ciò fosse accaduto, sarebbero seguiti il caos, la fame e la guerra; la conseguenza finale sarebbe stata lo sterminio del genere umano. Anche i modelli più prudenti dimostravano che il novanta per cento della popolazione mondiale sarebbe morta. Gli studi erano stati ripetuti altrove con gli stessi terribili risultati. Antonio si strinse nelle spalle, rifiutando l'intera questione. Ivar serrò un pugno; era lì lì per rompergli il naso. «Quello che stai perorando è il controllo radicale della popolazione», disse Antonio, inconsapevole del pericolo. «Non sarà mai accettato.» «Lo sarà per forza», ribatté Ivar. «Non c'è modo di evitare ciò che sta arrivando. Il mondo è passato da quattro a sei miliardi persone in soli vent'anni. E non dà segni di rallentamento. Saremo a nove miliardi entro altri vent'anni. E questo mentre il mondo sta esaurendo i terreni coltivabili, il riscaldamento globale sta provocando distruzione e caos, e i nostri oceani stanno morendo. Raggiungeremo e supereremo quel punto prima di quanto ci aspettiamo.» Ivar prese Antonio per il braccio, tradendo la propria collera. «Ma possiamo attenuare l'impatto pianificandolo ora. C'è un solo modo per evitare la rovina totale del mondo: diminuire in modo lento e costante la biomassa umana del pianeta prima di raggiungere il punto critico. Il futuro del genere umano dipende da questo.» «Ce la caveremo», disse Antonio. «O non hai fiducia nelle tue stesse ricerche? Gli alimenti geneticamente modificati che la tua società sta brevettando non dovrebbero aprire nuove terre alla coltivazione, aumentare la produzione agricola?» «Ma questo servirà solo a farci guadagnare un po' di tempo.» Antonio diede un'occhiata all'orologio. «A proposito di tempo, devo scappare. Ti ho riferito il messaggio di Boutha. Dovrai rivedere il tuo discorso, se desideri farlo.» Ivar seguì con gli occhi l'uomo che si dirigeva a grandi passi verso il ponte levatoio che attraversava l'ingresso di Kirkegata. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Rimase nel cortile mentre dal cielo cominciava a piovigginare, il primo segno di un diluvio più grande. Lasciò che le gocce gelide gli raffreddassero il sangue che gli ribolliva nelle vene. Avrebbe affrontato quell'argomento col copresidente dell'associazione a tempo debito. Forse avrebbe dovuto moderare la sua retorica; forse gli conveniva usare una mano più leggera sul timone che governava il destino del mondo. Recuperata la calma, attraversò con passo deciso il cortile, dirigendosi verso la chiesa di Akershus col grande rosone. Era già in ritardo per la riunione. Nel Club di Roma, Ivar aveva raccolto uomini e donne che la pensavano come lui, che erano disposti a fare scelte difficili, a sostenere le proprie convinzioni. Sebbene Antonio e i due copresidenti fossero i capi rappresentativi del Club di Roma, Ivar Karlsen e la sua cricca avevano stretto una propria alleanza, un'associazione nell'associazione... un cuore di ferro, che batteva di speranza per il pianeta. Entrando in chiesa, Ivar vide che gli altri si erano già riuniti nella piccola navata di mattoni. Le panche erano state spinte da una parte, e a sinistra dell'altare era stato allestito un palco per coro. Dalle finestre ad arco filtrava una luce smunta, mentre un lampadario dorato cercava di dare un tocco di allegria. I presenti girarono la testa al suo ingresso. Dodici in tutto. Erano i veri poteri dietro l'associazione: magnati dell'industria, scienziati vincitori del premio Nobel, rappresentanti dei governi delle principali nazioni, persino una celebrità di Hollywood il cui illustre sostegno aveva attirato l'attenzione sulle cause del gruppo nonché denaro. Ognuno serviva a uno scopo specifico. Anche l'uomo che ora si avvicinava a Ivar. Indossava un completo nero e aveva un'espressione allucinata dipinta sul volto. «Buongiorno, Ivar», disse l'uomo, stringendogli la mano. «Senatore Gorman, la prego di accettare le mie condoglianze per la perdita di suo figlio. Quello che è accaduto in Mali... avrei dovuto spendere di più per la sicurezza del campo.» «Non si rimproveri.» Il senatore strinse la spalla di Ivar. «Jason conosceva i rischi. Ed era orgoglioso di partecipare a un progetto così importante.» Nonostante la rassicurazione, quell'argomento metteva chiaramente a disagio il senatore, sconvolto per la morte del figlio. Da lontano, i due uomini sembravano fratelli. Sebastian Gorman era alto e segnato come Ivar, ma teneva i capelli bianchi ben curati, l'abito perfettamente stirato. Ivar era stupito di trovare Gorman lì, ma forse non avrebbe dovuto esserlo. Il senatore americano aveva contribuito a espandere la ricerca e lo sviluppo dei biocarburanti in tutto il mondo occidentale. Quel vertice faceva al caso suo. E, con le elezioni alle porte, il senatore avrebbe trovato il tempo di piangere suo figlio più avanti. Eppure Ivar comprendeva il dolore dell'uomo. Poco più che trentenne, aveva James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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perso moglie e figlio durante il parto. La tragedia lo aveva quasi distrutto e non si era mai risposato. «Possiamo cominciare?» domandò il senatore, allontanandosi. «Sì. Ci conviene. Dobbiamo trattare molti argomenti.» «Bene.» Mentre il senatore sospingeva tutti verso la fila di sedie, Ivar lo fissò da dietro. Non provava nessun senso di colpa. Viatus era la Via della Vita. E talvolta era una via difficile, che richiedeva sacrifici. Come la morte di Jason Gorman. Dietro ordine di Ivar, il giovane era stato assassinato. Una tragica perdita, ma non poteva permettersi rimorsi.
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Capitolo 8
† Roma, 11 ottobre, ore 08.14
A
vevano meno di un minuto. Gli ospiti inattesi che l'albergatore aveva annunciato stavano salendo. Gray non voleva farsi trovare lì quando fossero arrivati. Condusse tutti in fretta e furia lungo il corridoio, verso la scala antincendio dell'albergo. Era proprio dietro l'angolo della sua camera. Quando raggiunse la finestra, l'aprì con uno strattone e si fece da parte per far passare Sara. «Tieni giù la testa», ordinò. «Non farti vedere.» Sara si arrampicò sul davanzale e uscì sulla scala di ferro. Gray si girò verso Kowalski, puntandogli il dito sul petto. «Stalle appiccicato.» «Non devi ripetermelo due volte», ribatté l'altro, seguendo la donna. Seichan era a pochi passi di distanza, a gambe divaricate e braccia tese, una pistola Sig Sauer nera impugnata con entrambe le mani. Teneva sotto tiro il corridoio. «Hai un'altra pistola?» domandò Gray. «Ci penso io. Sbrigati.» In fondo al corridoio riecheggiarono voci smorzate, insieme con gli scricchiolii del pavimento di legno. Gli assassini avevano raggiunto il loro piano e si stavano dirigendo verso la camera. Con ogni probabilità, il labirinto di corridoi dell'albergo aveva salvato loro la vita, gli aveva fatto guadagnare il tempo sufficiente per evitare l'agguato. Ma niente di più. Gray indietreggiò e uscì dalla finestra. Seichan lo seguì. Senza voltarsi né staccare gli occhi dal corridoio, s'infilò con precisione nella finestra aperta. Sara e Kowalski stavano già scendendo. Erano un piano più giù quando d'improvviso qualcuno sparò nella loro direzione. Kowalski imprecò, tirò Sara dietro di sé, e ripiegò di gran carriera su per la scala antincendio. Gray individuò l'uomo che aveva sparato, seminascosto dietro un cassonetto per l'immondizia. Quei maledetti avevano già bloccato l'uscita del vicolo. Seichan rispose al fuoco. L'uomo armato si tirò indietro, ma la pistola di lei non era dotata di silenziatore. Gli spari rintronarono le orecchie di Gray; erano sicuramente abbastanza forti da essere uditi dai killer nell'albergo. «Sul tetto!» ordinò Gray. L'assassino nel vicolo sparò a casaccio mentre loro fuggivano, ma Seichan lo tenne inchiodato. La rete di ferro della scala antincendio contribuiva a James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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proteggerli. Per loro fortuna, non dovevano fare molta strada. L'albergo era alto soltanto cinque piani. Giunto in cima, Gray fece allontanare tutti dal bordo del tetto. Fissò la distesa di colombina, tubi di sfiato e impianti di riscaldamento e raffreddamento imbrattati di scritte. Avevano bisogno di un'altra via per scendere. Udiva già il rumore di piedi pesanti sulle grate di ferro della scala antincendio. Gli altri stavano salendo a cercarli. Gray indicò il lato opposto del tetto. L'albergo era a ridosso di un altro palazzo, più basso di un piano. Dovevano togliersi da lì, o almeno dalla mira diretta dei loro inseguitori. Si precipitarono verso il muretto che separava i due edifici. Gray lo raggiunse per primo e si sporse. Una scala di metallo verniciata di bianco era imbullonata a un fianco dell'albergo e scendeva fino al tetto del palazzo più basso. «Tutti giù!» Sara scavalcò il muretto e scese giù per la scala. Kowalski non attese il suo turno: si aggrappò al bordo del muro, restò appeso per le dita e si lasciò semplicemente cadere. Atterrò di fondoschiena sul tetto catramato di sotto. Uno sparo fece girare di scatto Gray. Una testa incappucciata di nero si ritrasse sotto la scala antincendio dall'altra parte. «Ora o mai più, Pierce!» lo avvertì Seichan. La donna sparò altri due colpi, scoraggiando chiunque altro dal farsi vedere. Approfittando della copertura, Gray scavalcò il bordo del tetto, si aggrappò alla scala e ignorò i pioli. Come un vigile del fuoco aggrappato a un palo, scivolò fin giù. In alto echeggiarono altri colpi di pistola. Quando i piedi colpirono il tetto, Gray alzò gli occhi. Seichan si buttò giù dal muro e protese il braccio per aggrapparsi alla scala con una mano, l'altra sempre stretta intorno alla pistola fumante. Nella foga, le scivolò di mano il piolo più in alto e precipitò a capofitto. Fece un altro tentativo, mollando la pistola e allungando la mano. Le dita afferrarono la scala per un attimo. La pistola ruzzolò giù e cadde ai piedi di Gray. Seichan perse la presa. E precipitò. Gray si gettò sotto di lei. La donna atterrò di peso nelle sue braccia. L'impatto lo fece cadere su un ginocchio, ma riuscì ad afferrarla. Momentaneamente stordita, Seichan respirò forte, stringendo il polso di Gray con una mano. Kowalski raccolse la pistola, poi li aiutò a tirarsi in piedi. Seichan si divincolò bruscamente dalle braccia di Gray, fece un passo malfermo, infine ritrovò l'equilibrio. Girandosi, strappò la pistola dalle dita di Kowalski prima che questi potesse reagire. «Ehi...» Kowalski fissò la mano vuota, strabuzzando gli occhi, incredulo. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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«Qui c'è un'altra scala antincendio», annunciò Sara ad alta voce. Gli occhi di lei guizzarono per un momento tra Gray e Seichan. Si precipitarono tutti nella sua direzione. La parte superiore della scala antincendio era nascosta dietro una grossa unità di ventilazione. Scesero in fretta e furia, saltando da un ballatoio all'altro. Quella scala scendeva in un vicolo diverso. Avrebbe fatto guadagnare loro un po' di tempo, ma Gray sapeva che qualunque rete fosse stata gettata intorno all'albergo sarebbe stata sicuramente allargata. Dovevano fuggire prima che si chiudesse completamente intorno a loro. In fondo al vicolo si apriva una strada e puntarono in quella direzione. Non potendo riconoscere gli assassini, erano ancora in grave pericolo. Avrebbero potuto imbattersi in uno di loro senza neanche saperlo. Dovevano fuggire lontano da quel posto, lontano da quella città. Gray fissò con uno sguardo interrogativo ora Sara ora Seichan. «Nessuna di voi ha la macchina?» «Io sì», rispose Sara. «Ma è parcheggiata dietro l'angolo dell'albergo.» Gray scosse la testa. Era troppo pericoloso tornare indietro. E, considerato che le strade si erano già trasformate in un parcheggio a causa del grosso ingorgo del mattino, forse non avevano nemmeno bisogno della macchina. Un rombo alla sua sinistra lo avvertì del pericolo. Gray indietreggiò con un balzo quando un motociclista sfrecciò in mezzo al traffico bloccato, quasi salendo sullo stretto marciapiede. Kowalski fu un secondo più lento. Il motociclista per poco non lo falciò, mandando l'uomo grande e grosso su tutte le furie. «Vaffanculo, stronzo!» Kowalski gli diede uno spintone con entrambe le braccia quando l'altro passò. Il motociclista fu sbalzato dalla sella, mentre la moto andava a sbattere contro una macchina parcheggiata e si rovesciava su un fianco. Un secondo motociclista che non aveva visto la scena e stava facendo la stessa gincana dietro il primo non riuscì a scansarsi in tempo. Fu costretto a mollare la moto e scivolare lungo la cunetta della strada. Seichan fissò Gray, inarcando un sopracciglio. Buona idea, convenne lui senza parlare. Seichan corse a prendere la prima motocicletta, Gray la seconda. Avevano bisogno di mezzi di trasporto. La pistola di Seichan scoraggiò le proteste del primo motociclista. Capendo al volo, Sara seguì Gray. Tirò fuori il distintivo dei carabinieri e lo tenne in alto, gridando con voce imperiosa. Il secondo motociclista si allontanò dalla moto caduta. Gray raddrizzò la motocicletta e montò in sella alzando la gamba. Sara salì dietro di lui, cingendogli la vita con un braccio. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Seichan era già salita sull'altra. Kowalski rimase fermo, non sapendo cosa fare. Lei diede un colpetto sulla sella dietro di sé. «Stai scherzando», sbottò Kowalski. «Io non mi faccio guidare da nessuno.» Seichan aveva ancora la Sig Sauer in pugno. La fece frullare e la porse a Kowalski per il calcio. Non poteva guidare e sparare allo stesso tempo. Era come offrire un osso a un cane. Kowalski non poté resistere. Prese la pistola e salì dietro di lei. «Così va meglio.» Partirono con le sirene della polizia che ululavano in lontananza. Gray si portò in testa. Zigzagando in mezzo al traffico, rasentò le macchine che procedevano a passo d'uomo e schivò le biciclette. Sara gli gridava le indicazioni in un orecchio, guidandoli verso i viali dove il traffico era meno congestionato. Piano piano presero velocità. Ma non fecero molta strada. Uno stridore di freni spinse Gray a guardare indietro. Alle loro spalle, una Lamborghini nera uscì sgommando da una strada laterale e puntò dritto verso Seichan e Kowalski. Una figura in giacca nera si sporse dal finestrino del passeggero dell'auto sportiva e imbracciò un'arma dalla canna grossa. E la puntò contro la motocicletta. Gray riconobbe un lanciagranate M32. Così come Seichan. La donna si piegò sulla moto e diede gas, ma nel traffico pesante non c'era nessuna via di fuga. Col bersaglio in trappola, il killer sparò. Washington, ore 02.22
Monk attendeva con Kat nell'ufficio della moglie al comando centrale della Sigma. Erano sul divano in pelle, sdraiati l'uno accanto all'altra. Monk stringeva Kat tra le braccia con dolcezza, assaporando il calore del suo corpo, la delicatezza delle sue carezze. Sebbene il comando della Sigma disponesse di una serie di stanze per riposare, nessuno dei due sarebbe stato in grado di dormire finché non avessero avuto notizie di Gray. «Dovrei essere lì con lui», borbottò Monk. «C'è Kowalski con lui.» Monk la fissò. «D'accordo», convenne Kat. «Questo potrebbe peggiorare le cose. Ma non sappiamo nemmeno se c'è qualche problema.» «Non risponde al telefono.» Kat si strinse più forte a lui. «Doveva incontrare Sara», ribatté, inarcando un sopracciglio carico di sottintesi. Monk non era convinto. Seguì un lungo silenzio, ciascuno assorto nei propri pensieri. Painter stava usando tutta la propria influenza per scoprire cosa stava accadendo a Roma. Anche Kat James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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aveva fatto delle indagini aggiuntive sull'attentato in Vaticano. Aspettava un rapporto completo dall'Interpol. Quel momento di calma non era che l'occhio del ciclone. Nonostante ciò, Monk prendeva quel che poteva. Allungò il braccio e pose il palmo sull'addome di Kat. Lei alzò la mano per coprire la sua. Intrecciarono le dita. «È sbagliato sperare in un maschietto?» Kat usò l'altra mano per dargli un pugno affettuoso sulla gamba. «Sì...» Monk la strinse più forte tra le braccia e la stuzzicò. «Ma un maschietto... qualcuno con cui posso divertirmi a nascondino, giocare a basket, andare a pesca...» Kat si agitò, infine sospirò e si strinse a lui. «Puoi fare tutte queste cose anche con una femminuccia, brutto sessista.» «Mi hai dato del sexy?» «Sessista... bah, non importa.» Lui si chinò e la baciò sulle labbra. «Preferisco sexy.» Kat sospirò qualcosa fra le labbra. Monk non capì le sue parole, ma poco dopo seguì un silenzio soddisfatto. Qualcuno bussò alla porta, interrompendoli. Si staccarono l'uno dall'altra e si tirarono su a sedere. Kat si alzò e andò alla porta, dando una sistemata al vestito con una mano. Si girò e lanciò un'occhiataccia a Monk, come se fosse tutta colpa sua. Aprì la porta e si trovò davanti Painter. «Direttore...» Painter la interruppe e indicò il corridoio. «Stavo andando alla sala comunicazioni satellitari. Abbiamo un problema a Roma.» Monk scattò in piedi. «Gray?» «Chi altri?» Painter s'incamminò lungo il corridoio. Roma, ore 08.21
La Lamborghini tallonava la motocicletta. Non c'era nulla che Gray potesse fare. In quel momento l'assassino fece fuoco. Kowalski sparò all'impazzata con la pistola contro l'auto. Una ragnatela incrinò il parabrezza. La macchina sbandò appena... abbastanza da spostare la mira del killer mentre questi tirava il grilletto. Il lanciagranate vomitò una scia spiraleggiante di fumo, che sfiorò la testa di Kowalski e sfrecciò in fondo alla strada. Colpì l'angolo di un palazzo all'incrocio successivo. Fumo, fuoco e mattoni esplosero dal palazzo. In preda al panico, i pedoni fuggirono in ogni direzione. Le macchine si scontrarono l'una contro l'altra al crocevia. In testa, Gray raggiunse per primo l'incrocio. Attraversò il pandemonio, frenando e sterzando in mezzo al caos e al fumo, cercando ogni varco per fuggire. Seichan e Kowalski ridussero il distacco. Alle loro spalle, la Lamborghini, bloccata nel traffico, sterzò sul marciapiede e accelerò, incurante dei pedoni. Superato l'incrocio, la strada era libera. Gray diede gas e sfrecciò lungo la via. Seichan correva al suo fianco destro. «Gray!» gli gridò Sara all'orecchio. Staccò un braccio dalla vita di lui e indicò James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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davanti a loro. Sulla strada, una seconda Lamborghini nera slittò di coda a un angolo e puntò dritto su di loro. La prima auto li seguiva dappresso. Sara indicò a sinistra. «Le scale!» In fondo a due palazzi, Gray vide un ponte pedonale. Sterzò bruscamente, frenando e scivolando su entrambe le gomme per un metro buono, quindi raddrizzò la moto. Con un'accelerata, sfrecciò verso la gradinata di pietra. Seichan lo seguì con una sterzata più larga ma senza perderlo di vista. Gray udì Kowalski snocciolare una fila d'imprecazioni, interrotta dagli spari della sua pistola mentre faceva fuoco sulle due auto sportive. In prossimità della gradinata, Gray scalò la marcia e diede gas al motore. Impennandosi sulla ruota posteriore, raggiunse le scale e sfruttò la velocità, l'equilibrio e una marcia bassa per salire su per i gradini. Fortunatamente c'era solo una rampa e poi il ponte pedonale diventava piano. Gray attraversò il ponte come un razzo, confidando nel rombo delle due motociclette per farsi largo tra i pedoni. Nonostante ciò, si arrischiò a dare un'occhiata alle proprie spalle. Non vedeva la strada, ma era sicuro che un killer o due erano scesi per inseguirli. Con ogni probabilità le macchine stavano facendo il giro per intercettarli dall'altra parte. Ma dove terminava quel passaggio pedonale? Gray ebbe la risposta quando il ponte si aprì d'improvviso in una grande piazza, circondata da una strada. Quando la imboccò, Gray guardò senza fiato l'imponente struttura antica che occupava il centro dello spazio davanti a sé, innalzandosi al cielo. Il Colosseo. Ma non aveva il tempo di fare un giro turistico. «Abbiamo compagnia!» gridò Kowalski, puntando il dito a destra. Gray si girò. Le due Lamborghini entrarono nella strada circolare. «Gray!» esclamò Sara, puntando il dito a sinistra. Una terza Lamborghini, nera ed elegante come le altre, si profilò più avanti. Qualcuno aveva le tasche gonfie di soldi. Non avendo scelta, Gray tagliò la strada a tutta velocità, attraversando tutte le corsie ed entrando nella piazza pedonale che circondava il Colosseo. Era un insieme di vialetti, prati e tratti di asfalto. La loro unica speranza di salvezza era nella destrezza. E nella velocità. Purtroppo, valeva anche per le Lamborghini. Tutt'e tre le auto sportive lasciarono la strada, svoltarono nella piazza e calarono su di loro da tre lati. Gray non aveva scelta. Se era una gara quello che volevano... James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Washington, ore 02.23
Seduto davanti a una fila di monitor, Painter fissava le trasmissioni satellitari del National Reconnaissance Office. Erano le immagini di una piazza nel centro di Roma, in cui campeggiava un antico anfiteatro. Il Colosseo sembrava un enorme occhio di pietra che lo fissava. «Ingrandisci», ordinò Painter al tecnico. «È sicuro che sia Gray?» domandò Monk. Lui e Kat erano ai lati di Painter, davanti al monitor. «L'esplosione è avvenuta a un isolato dal suo hotel. Secondo i rapporti della polizia, è in corso un inseguimento davanti al Colosseo.» L'immagine sullo schermo s'ingrandì sulla piazza. I particolari erano più sfocati, ma due macchine nere stavano chiaramente correndo intorno all'anfiteatro. Più avanti, un paio di motociclette sfrecciavano lungo vialetti e prati. Una delle moto balzò giù dalla cima di una scalinata, atterrò sulla ruota posteriore e sfrecciò via. «Sì», riconobbe Monk. «Quello deve essere Gray.» Le due auto stavano accorciando le distanze rapidamente. «Là!» esclamò Kat, indicando lo schermo. Una terza macchina, proveniente dalla direzione opposta, puntò dritt verso le due moto. Una piccola esplosione brillò a poca distanza da una delle motociclette, scagliando in aria un bidone della spazzatura e una sezione di muro. «Una granata», commentò Painter a basa voce. Che stava succedendo? Intrappolate su tre lati, le due moto sterzarono e fuggirono nell'unica direzione possibile. «Non staranno mica... non penseranno mica...» fece Kat in tono incredulo. Monk si avvicinò al monitor. «Oh, altroché se è Gray, quello lì.»
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Capitolo 9
† Roma, 11 ottobre, ore 08.23
G
ray si chinò sul manubrio, con Sara avvinghiata alla schiena, e puntò dritto verso l'imponente struttura in pietra. S'innalzava fino a quindici piani nel punto più alto, sviluppandosi su quattro ordini di grandi arcate e colonne. Nel punto più basso, ogni arcata d'ingresso era chiusa da un alto cancello d'acciaio, ma proprio davanti a loro si stagliava la porta principale, dove i turisti si mettevano di norma in fila. Gray puntò in quella direzione. A quell'ora del mattino, il Colosseo non era ancora aperto al pubblico, ma il cancello sì, e la folla si stava già raccogliendo. Gli spari e le esplosioni avevano fatto disperdere gran parte della gente. Tuttavia, gruppi di persone si erano rifugiati dove possibile. Un paio di uomini vestiti da gladiatori si erano persino arrampicati su un albero della piazza. Inoltre, la presenza di turisti e passanti rendeva la polizia armata di guardia al sito cauta e prudente, scoraggiandola dallo sparare senza pensarci due volte. Le guardie avevano sgombrato l'ingresso al sito. Con la strada libera, Gray sfrecciò verso l'entrata principale. Una guardia gli si parò dinanzi, pronta a sbarrargli la strada. Puntò l'arma e gridò un avvertimento. Sara urlò di rimando. Alzò il braccio e sventolò il distintivo dei carabinieri. L'uomo esitò, l'espressione confusa. Tanto bastò. Gray gli sfrecciò accanto mentre la guardia si scostava con un balzo. Seichan lo seguì a ruota. Irruppero nel corridoio esterno che correva intorno all'arena centrale. Ornato di arcate e sorretto da colonne, era un passaggio semibuio e cavernoso. Il rombo delle motociclette echeggiò tra le antiche mura in un crescendo assordante. Una serie di colpi attirò l'attenzione di Gray a sinistra. Una delle Lamborghini sfrecciò nella piazza assolata. Un uomo armato di fucile d'assalto sparò dal finestrino del passeggero, ma i muri di pietra e i cancelli d'acciaio li protessero, sputando scintille. Un gran fragore rimbombò alle loro spalle. Gray gettò un'occhiata da sopra una spalla. Una seconda Lamborghini sfondò il cancello e li inseguì nell'androne. Purtroppo, era abbastanza largo da far passare la piccola auto sportiva. Una violenta esplosione richiamò di nuovo l'attenzione di Gray davanti a sé. Uno James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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dei cancelli d'acciaio, tutto contorto e fumante, fu scagliato nel passaggio più avanti. La terza Lamborghini sfrecciò in mezzo ai rottami e si fermò con stridore di gomme, sbarrando la strada. Una figura scura si sporse dal finestrino, puntando un'arma fumante contro di loro. «A destra!» urlò Sara, indicando una rampa di pietra a poca distanza. Gray obbedì e fece una brusca sterzata, sporgendosi col ginocchio. La moto slittò, piegandosi in modo pericoloso, troppo pericoloso. Gray sfregò la rotula sulla pietra mentre la motocicletta si rovesciava. Stringendo i denti, riuscì a raddrizzarla. Alla fine, l'inclinazione gli salvò la vita. Un boato assordante squarciò l'aria e una scia spiraleggiante di fumo sfrecciò sopra la moto inclinata, mancando Gray per un soffio. Sentì il calore sfiorargli la guancia. La granata passò sibilando e colpì in pieno il parabrezza dell'altra Lamborghini. Una violenta esplosione squarciò i finestrini e capovolse la vettura su un fianco. Mentre un'ondata rovente si propagava in ogni direzione, Gray corse a tutto gas verso la rampa. Seichan e Kowalski avevano già girato intorno a una delle grandi colonne e stavano convergendo verso di loro. Le due moto raggiunsero la rampa insieme e infilarono un corto passaggio in penombra, uscendo di nuovo sotto il sole. Alla fine della rampa, si aprì l'arena in tutta la sua grandezza. Si sviluppava su quattro grandi livelli, occupando quasi venticinquemila metri quadrati. Sebbene l'anfiteatro fosse stato danneggiato nel corso dei secoli dai vandali, dagli incendi, dai terremoti e dalla guerra, conservava ancora uno splendore senza età, un monumento al tempo e alla storia. Più avanti si estendeva l'arena vera e propria, dove nell'antichità si combattevano grandi battaglie e si uccideva per divertimento. Tanto tempo prima, il pavimento di legno era marcito e crollato, scoperchiando il labirinto sotterraneo di gallerie di pietra e celle che un tempo ospitavano gli animali, gli schiavi e i gladiatori. Ora una moderna passerella sopraelevata attraversava l'arena scoperta e terminava in un ampio palco sul lato opposto. Gray ne approfittò. Senza rallentare, la imboccò, dirigendosi a tutta velocità verso il centro della stretta passerella. Il ruggito delle due motociclette echeggiò nell'anfiteatro, rievocando i fantasmi di antichi spettatori che applaudivano e gridavano bramando sangue. Quei fantasmi non sarebbero stati delusi quel giorno. Una nuova raffica di colpi esplose alle loro spalle. Nel retrovisore, Gray vide due killer appostarsi in fondo alla passerella. Imbracciavano fucili d'assalto. Dopo la prima furiosa gragnola di colpi, Seichan fu costretta a mollare la moto, la gomma posteriore forata. La motocicletta slittò su un fianco. Seichan e Kowalski ruzzolarono sulla passerella, aggrovigliati l'uno nell'altra. Kowalski cercò di alzarsi in ginocchio, ma Seichan lo abbrancò prima che un James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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proiettile lo colpisse in testa. Insieme, si buttarono dalla passerella e scomparvero nella fossa sottostante. Non avevano alternativa. Allo scoperto, Gray e Sara non avrebbero mai raggiunto l'altro lato. Non appena si fossero appostati e avessero preso la mira, gli assassini avrebbero abbattuto le loro prede. Gray inchiodò la moto. Sapeva di avere meno di un secondo. Si torse, afferrò Sara per la vita e la fece scendere dalla moto e ruzzolare sulla passerella. I proiettili dilaniarono le tavole di legno a un passo da loro. Stringendo forte Sara, Gray continuò a ruzzolare. Raggiunsero il bordo della passerella e caddero giù, nel buio della voragine. Washington, ore 02.35
Painter si avvicinò al monitor. «Puoi ingrandire un altro po'?» L'addetto al satellite scosse la testa e si appoggiò alla sedia. «Questa è la risoluzione massima che posso ottenere da questo satellite. Posso passare questi dati in un filtro ad alta risoluzione, ma l'elaborazione richiederà un sacco di ore.» Painter si girò verso Kat. La donna era al telefono. Incontrò i suoi occhi. «Sta intervenendo l'esercito italiano», disse Kat. «Sono a dieci minuti. La polizia locale ha isolato la zona.» Painter fissò di nuovo lo schermo. Avevano perso di vista le motociclette quando erano entrate a tutta velocità nel Colosseo. Ma pochi secondi dopo erano ricomparse al centro dell'arena. I dettagli erano sfocati, poco più di una vaga rappresentazione. Ma, mentre osservavano, una moto sterzò d'improvviso e si fermò con una slittata. Pochi secondi dopo, anche l'altra si arrestò con una frenata. Scorsero dei movimenti sfocati, poi tutto parve fermarsi di colpo. La risoluzione era troppo bassa per distinguere eventuali corpi sulla rampa. Monk si sporse sulla spalla del tecnico. «Signore...» Puntò il dito, attirando di nuovo l'attenzione di Painter sullo schermo. «Mi sembra di vedere di nuovo qualcosa, sul ponte.» Il tecnico annuì. «Sembrano due figure. Forse tre.» Col dito tracciò uno sfarfallio di pixel appena percettibile sullo schermo che si avvicinava alle motociclette a terra. Nonostante la bassa risoluzione, Painter riconobbe la tattica di inseguitori professionisti. Mormorò allo schermo, a metà tra un appello e una preghiera: «Scappa, Gray». Roma, ore 08.36
Sara era appoggiata alla spalla di Gray. Ogni passo era una scarica di dolore su per la gamba destra. Si era slogata il ginocchio cadendo nei sotterranei del Colosseo. Mentre saltellava al suo fianco, perlustrava con gli occhi il posto. Col sole ancora basso, erano immersi in lunghe ombre. Suo zio Vittorio le aveva James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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insegnato che quei livelli si chiamavano «ipogei», ossia sotterranei. Lì venivano tenuti animali di ogni genere, leoni, elefanti, tigri, giraffe, insieme con gli schiavi e i gladiatori. Semplici montacarichi portavano su e giù gabbie e complesse macchine sceniche. Ma tutto ciò che restava erano le rovine di mura, cubicoli e piccole celle. Privo di coperture, il piano superiore era esposto al sole e alla pioggia. Il pavimento era tappezzato di erba ed erbacce, mentre i muri erano ricoperti di fitto muschio. A causa della fragilità dell'antica struttura e del pericolo di crolli improvvisi, l'accesso a quel livello era vietato ai turisti, ma non agli archeologi. Suo zio Vittorio aveva portato di nascosto Sara laggiù da bambina. Se solo riuscissi a orientarmi... Gray si fermò di colpo. Un rumore furtivo echeggiò alle loro spalle: uno scalpiccio sulla pietra, un respiro affannoso. S'infilarono in una cella. Comparvero due figure. Sara sentì Gray tirare un sospiro di sollievo. «Seichan...» La donna lo zittì, portandosi l'indice alle labbra. Kowalski era dietro di lei. Aveva, mezzo volto coperto di sangue, che colava copioso da un taglio sopra l'occhio. Anche lui li zittì alzando la mano. A quel punto anche Sara lo udì. Il trepestio di stivali sulla passerella in alto. I killer non erano fuggiti come Sara aveva sperato. Continuavano a dare la caccia alle loro prede. Seichan indicò verso l'alto, poi davanti a sé. Il gesto era chiaro. Sotto la passerella era meno probabile che i killer li vedessero. Ma ciò significava muoversi nel modo più silenzioso possibile. Gray annuì e si avviò in fondo all'ipogeo. Sara lo fermò stringendolo più forte. Lui la fissò con sguardo interrogativo. Sara conosceva quei livelli. Se avessero seguito la passerella, avrebbero incontrato un muro. Erano poche le vie che portavano fuori dall'ipogeo. Sara indicò in fondo al percorso, fece il gesto di tagliare il braccio e scosse la testa. Era un gesto militare che significava «vicolo cieco». Si girò e indicò un'uscita che pochi conoscevano. Suo zio gliel'aveva mostrata tanti anni prima. Ma, per raggiungerla, dovevano abbandonare il riparo della passerella e inoltrarsi nel labirinto, allo scoperto. Gray la fissò con espressione dura, gli occhi taglienti come due lame di ghiaccio. Sei sicura? Sara annuì. Le dita di Gray le strinsero la spalla, a mo' di ringraziamento e di rassicurazione. Per un attimo, desiderò che l'abbracciasse, che la stringesse forte. Ma lui la lasciò andare e si accovacciò con Kowalski. Parlottarono con la voce troppo bassa per poterli udire. Seichan le andò accanto. Anche lei osservava i due americani. Sara non aveva James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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dubbi che la donna sapesse leggere le labbra. La guardò di sottecchi. Un livido violaceo si stava formando sulla sua guancia. Inoltre Sara notò che era dimagrita molto da quando l'aveva conosciuta anni prima. Il viso era più scavato, gli occhi più infossati e allucinati. Sembrava scolpita nella pietra, dura e monolitica. Eppure nei suoi occhi verde scuro ardeva ancora un fuoco freddo. Gray scivolò indietro e li fece rannicchiare tutti sotto la passerella. Alzò lo sguardo, tendendo l'orecchio quando uno degli inseguitori passò sopra di loro. Gli assassini stavano tenendo d'occhio entrambi i lati dell'ipogeo. Al minimo movimento, sarebbero piombati su di loro tutti e due. Dalla loro posizione di vantaggio, i quattro erano bersagli facili. Quando l'assassino fu lontano, Gray disse sottovoce: «Ci servirà un diversivo, a Kowalski è rimasto solo un colpo in canna. Non è molto però...» Il calpestio cauto di stivali cambiò improvvisamente cadenza. Da lento il passo si trasformò in una corsa pesante. Correvano nella loro direzione. Dovevano avere udito Gray parlare sottovoce. Kowalski alzò la pistola, pronto a sparare, ma Seichan lo ammonì con una mano sulla spalla. Il pesante trepestio li superò e proseguì in fondo alla passerella, sul lato opposto. Se la stavano filando. Qualcosa li aveva spaventati. «La polizia...» suppose Gray ad alta voce. «Era ora», commentò Kowalski. Seichan non condivise il loro sollievo. Aveva la faccia scura. Il suo nome figurava in parecchie liste nere dei terroristi, compresa quella dell'Interpol. Prima che potessero prendere una decisione, udirono un nuovo rumore. Improvviso. Il battito sordo delle pale di un elicottero. Gray uscì da sotto la passerella e guardò in alto. Sara lo seguì. Un elicottero nero, affusolato come una vespa, sorvolò il bordo del Colosseo. «Quella non è la polizia», disse Sara. Infatti la fusoliera era priva di contrassegni. Quando l'elicottero virò nell'arena, si aprì un portello laterale. Gray afferrò Sara per la spalla. «Corri!» Ora era tutto chiaro. Gli assassini non erano fuggiti dalla polizia, ma da un nuovo tipo di assalto. Per facili che fossero come bersagli, le bombe di profondità non funzionavano molto meglio? «Da questa parte!» gridò Sara. Si mise a correre, ignorando le proteste del ginocchio, il dolore soffocato dall'adrenalina. Seguì un muro curvo in cui si aprivano celle di pietra. Gli altri le corsero dietro. «Che sta succedendo?» gridò Kowalski. Sara svoltò nella prima galleria a destra, poi in quella a sinistra. Finì in un vicolo cieco. «Dietrofront!» Fecero marcia indietro. Sara stringeva la spalla di Gray, zoppicando. Sebbene sapesse dove si trovava l'uscita, non conosceva a memoria quel James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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labirinto. Tornando indietro, trovò infine la svolta giusta. Più avanti, un passaggio rettilineo terminava in una stretta arcata. Eccola! L'arcata segnava una scalinata che scendeva al livello inferiore dell'ipogeo. Sara si avviò in quella direzione quando Gray l'afferrò da dietro le spalle e la spinse in una delle celle laterali. Anche gli altri s'infilarono dentro. Gray le fece scudo col proprio corpo quando un tremendo boato fece tremare i muri e le pietre sotto i piedi. Un attimo dopo, una nube di fiamme passò sopra di loro, con grandi volute di fumo e un tanfo di sostanze chimiche tossiche. Gray spinse Sara fuori dal riparo. La donna incespicò, le orecchie che le fischiavano, gli occhi che le lacrimavano. In alto, l'elicottero passò, scatenando un vortice di fumo e fiamme. Oh, no... Sapendo cosa stava per succedere, Sara si lasciò prendere dal panico e corse lungo il passaggio, il respiro mozzato dal dolore quando saltava pietre e macerie di muri crollati. L'arcata si apriva a meno di dieci metri di distanza. Concentrata sulla meta, mise un piede su una pietra incrostata di muschio, scivolò e torse la gamba. Perse l'equilibrio, ma non cadde a terra. Gray la prese al volo per la vita e la sostenne negli ultimi passi. Si gettarono insieme attraverso l'arcata. Dei corpi li investirono da dietro e caddero tutti insieme, ruzzolando giù dai gradini di pietra. Atterrarono l'uno addosso all'altra in fondo alle scale mentre il mondo esplodeva sopra di loro. Il boato, in prossimità del varco, li assordò all'istante. L'onda d'urto investì le orecchie di Sara tanto forte che le sembrò che il cranio andasse in pezzi. Le pietre caddero e ruzzolarono per terra. Il vano delle scale eruttò fiamme, che si propagarono sul soffitto. La pelle le bruciava. I polmoni non potevano inspirare aria. Poi, d'improvviso, la pressione cessò. Le fiamme furono di nuovo risucchiate nel tunnel e l'aria fresca risalì dai livelli inferiori e li investì. Tra mani che spingevano e tiravano, si allontanarono strisciando dalle scale e scesero nei bui passaggi inferiori. Dopo qualche metro, si rimisero lentamente tutti in piedi. Sara usò i muri per tirarsi su. Aveva il fiato corto, i conati di vomito, che si sforzò di soffocare. Tirò profonde boccate di aria fresca. «Avanti», la spronò Gray. Sara si sostenne al muro mentre avanzavano barcollando. Dovevano andare avanti. Le esplosioni e le fiamme avrebbero potuto far crollare il livello superiore su di loro. Dovevano filare via da lì. «Riesci a trovare l'uscita?» Lei tossì. «Penso di sì... può darsi...» Gray la prese per il braccio. «Sara.» La donna annuì, ritrovando l'equilibrio, sia interiore sia esteriore. «Sì. Da questa parte.» Cavò di tasca il cellulare e lo aprì. Il display non faceva molta James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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luce, ma era meglio di niente. Aggrappandosi alla spalla di Gray, s'incamminò. Non era lontano, ma quel livello era un labirinto di celle, passaggi e macerie. Avanzava, smarrita nel passato non meno che nel presente. Rammentò quando suo zio Vittorio l'aveva portata laggiù, stuzzicandola con racconti di eroi e mostri, di strani animali e grandi spettacoli. Le aveva parlato anche dello spettacolo più grande di tutti, un evento raro che si teneva al Colosseo. La «naumachia». Parlò ad alta voce mentre faceva strada. «Prima che fossero costruiti questi sotterranei, agli inizi dell'Impero Romano, quest'area veniva allagata, creando un grande lago al centro del Colosseo. Grandi battaglie navali venivano ricostruite qui, oltre agli spettacoli natatori di cavalli e tori.» Kowalski li seguiva, coperto di polvere, sangue e ustioni. «Ora come ora, una nuotata mi sembra un'ottima idea.» «Che fine faceva l'acqua dopo lo spettacolo?» volle sapere Gray. «Ora lo vedrai», rispose Sara. Altre due svolte e finirono davanti a un muro. Un cancello di ferro chiudeva un passaggio basso e stretto. Nonostante la luce fioca, si vedeva che scendeva in modo ripido. «Lo hanno aperto proprio l'anno scorso, confermando ciò che zio Vittorio già sapeva.» Sara tolse il chiavistello e aprì il cancello. Prima che potesse aggiungere altro, un gran fragore echeggiò dall'altra parte dello spazio. Una densa nube di polvere li inghiottì. «Le bombe stanno provocando un crollo», disse Sara. A meno di un metro di distanza, un blocco di marmo si staccò dalla volta e cadde pesantemente a terra. Seguirono altri scricchiolii e brontolii. Come un domino, l'intero livello stava crollando su di loro. «Da questa parte», disse Sara. «Presto.» S'infilò nel ripido cunicolo e fece strada lungo la discesa. Gli altri la seguirono in fila indiana. Non avevano fatto che pochi passi che il pavimento tremò con un sinistro brontolio. La polvere saturò di nuovo l'aria, soffocandoli e accecandoli. Sara affrettò il passo, coprendosi la bocca con un braccio. Avanzò a tentoni. Il pavimento si fece ancora più ripido. Sara usò una mano per puntellarsi e l'altra per tenere il cellulare illuminato davanti a sé. «Quanto manca?» domandò Gray col fiato grosso. Lei non rispose. Non lo sapeva. Dopo un lungo minuto di silenzio, udì l'eco di un gocciolio. Corse avanti. Nella fretta, mise un piede in fallo, batté il sedere in terra e scivolò, perdendo il cellulare. Il telefono rimbalzò e... scomparve. Non riuscendo a fermarsi, Sara lo seguì. Per un terribile momento le mancò la terra sotto i piedi e precipitò nel vuoto. Le sfuggì un mezzo grido, ma atterrò in un corso d'acqua fredda poco profondo. Era caduta per un metro o giù di lì. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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«Attenta!» gridò Gray. Sara si fece da parte con un ruzzolone quando gli altri scivolarono e caddero nell'acqua. Lei raccattò il cellulare dal bordo del canale. Era ancora illuminato e lo sollevò in alto. Si trovavano in un lungo cunicolo di pietra, chiaramente artificiale a giudicare dalle lastre appena sgrossate. Sotto scorreva acqua pallida. «Dove siamo?» domandò Gray. «Nelle antiche fogne della città», rispose Sara, avviandosi lungo il canale. «Era così che gli antichi romani prosciugavano l'arena allagata.» Gli altri la seguirono diguazzando nell'acqua. Kowalski tirò un profondo respiro. «Lo sapevo che un giro turistico di Roma con Pierce sarebbe finito nelle fogne.»
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Capitolo 10
† Washington, 11 ottobre, ore 15.12
P
ainter era pronto all'imminente battaglia. Come di più non avrebbe potuto. Era seduto alla sua scrivania. Dopo la lunga nottata, aveva schiacciato un breve sonnellino, aveva fatto la doccia e si era cambiato. Ore prima aveva saputo che Gray e Kowalski erano salvi e avevano lasciato Roma. Il comandante Pierce aveva già fatto un resoconto sommario di quel che era accaduto in città, ma non aveva potuto dilungarsi. Avrebbe fatto un rapporto completo una volta giunto in un luogo sicuro alla periferia della capitale. L'interfono dell'ufficio suonò. Brant annunciò, spiccio: «Signore, è arrivato il generale Metcalf». Painter era già stato avvertito dell'arrivo del capo della DARPA al comando della Sigma. Era una delle sue rare visite. E di norma non presagiva niente di buono. Painter premette il pulsante dell'interfono. «Brant, fai subito accomodare il generale.» Pochi secondi dopo, la porta si aprì. Painter si alzò quando il generale Gregory Metcalf irruppe a grandi passi nel suo ufficio, col cappello sotto il braccio e col volto segnato da rughe profonde. Painter girò intorno alla scrivania per andare a stringergli la mano, ma Metcalf puntò dritto verso la poltrona, buttò il berretto sulla scrivania, e fece cenno a Painter di tornare al suo posto. «Ha idea della rogna politica che è scoppiata in Italia?» domandò Metcalf a mo' di preambolo. Painter tornò dietro la scrivania e sprofondò nella poltrona dopo che Metcalf si fu seduto. «Sono al corrente della situazione, generale. Stiamo monitorando tutte le comunicazioni tramite diversi canali dell'intelligence.» «Prima una sparatoria in un hotel, poi un inseguimento per strada con una scia di morti e, per completare l'opera, il bombardamento di una delle sette meraviglie del mondo. E lei mi informa che al centro di tutto questo c'è uno dei nostri... dei suoi agenti?» Painter tirò un sospiro col naso. Teneva la punta delle dita appoggiata sul bordo della scrivania. «Sì, signore. Uno dei nostri migliori agenti operativi.» «Migliori?» fece l'altro con una punta di sarcasmo. «Figuriamoci come sono i peggiori.» Painter ribatté con una nota tagliente nella voce: «È caduto in un agguato. Stava facendo il necessario per proteggere un collaboratore prezioso. Per salvare la vita di tutti». «A che prezzo? Se ho ben capito, stava approfondendo una questione che era un affare interno italiano, che i loro servizi segreti, nonché l'Interpol, tenevano perfettamente sotto controllo. Se le azioni del suo agente hanno messo a repentaglio o danneggiato...» Painter lo interruppe. «Generale, le implicazioni di James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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questo caso vanno ben oltre l'Italia. Ecco perché ho chiesto questo incontro faccia a faccia. Finora nessuno sa del coinvolgimento della Sigma, e vorrei che le cose restassero tali.» Metcalf fissò Painter, aspettando altri particolari. Il direttore della Sigma lo lasciò cuocere nel suo brodo. Immaginava che uomini da meno crollassero sotto quegli occhi d'acciaio. Painter non batté ciglio. Infine Metcalf sbuffò per l'esasperazione e si appoggiò allo schienale. «Allora mi racconti lei come sono andate le cose.» Painter rilassò le spalle. Allungò una mano, aprì un dossier e fece scivolare una fotografia verso il generale. «Ecco una foto scattata dalla scientifica alla vittima uccisa in Vaticano.» Metcalf prese la fotografia e la studiò. Aggrottò le sopracciglia, equivalente di un'espressione scioccata per lui. «È lo stesso marchio», osservò. «Impresso a fuoco sulla fronte, come il figlio del senatore Gorman.» «E il professore di Princeton», aggiunse Painter. Sapeva che Metcalf aveva già letto il rapporto sui fatti avvenuti all'università. «Ma cosa c'entra questo prete con ciò che è accaduto in Africa? Posso capire il legame di Jason col professore dell'università, ma questo qui?» Restituì la foto a Painter, facendola scivolare sulla scrivania. «Non ha senso.» «L'agente operativo in Italia, il comandante Grayson Pierce, ha recuperato e protetto un pezzo importante di questo puzzle. Un pezzo per il quale qualcuno era disposto a far saltare in aria il Colosseo.» «Ed è in mano nostra.» Painter annuì. «Che cos'è?» «Stiamo ancora cercando di capirlo. È un antico manufatto, probabilmente legato al sito degli scavi in Inghilterra. Preferirei tacere sui particolari per ora. Riservarli solo a chi di dovere.» «E lei ritiene che io non debba saperli?» Painter lo fissò. «Vuole veramente saperli?» Dapprima Metcalf strinse gli occhi infuriato, poi fece una faccia truce e insieme divertita. «Ha ragione. Dopo quel che è accaduto a Roma, forse è meglio di no. La negabilità plausibile potrebbe essere la linea d'azione migliore per ora.» «Lo apprezzo», disse Painter. Diceva sul serio. Più libertà d'azione di così non avrebbe potuto ottenere da quell'uomo. E gliene occorreva altra. «Qualunque cosa stia accadendo oltrepassa i confini dell'Italia», proseguì Painter. «E il modo migliore per scoprire la verità è tacere sul nostro coinvolgimento.» Metcalf fece un cenno d'assenso. «Prima dei fatti accaduti in Italia, ero giunto alla conclusione che dovevamo sapere di più riguardo al progetto genetico in corso nel campo della Croce Rossa.» «La fattoria gestita dalla Viatus Corporation.» «Fin qui la morte dei due americani, Jason e il suo professore, è collegata a quel progetto. In che modo e perché non lo sappiamo. Ma è lì che dobbiamo estendere le nostre indagini. Ci servono maggiori dettagli. Informazioni reperibili solo in un posto.» «Sta parlando della Viatus stessa.» James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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«Domani si apre un congresso a Oslo. Il Vertice Mondiale sull'Alimentazione. L'amministratore delegato della Viatus, Ivar Karlsen, terrà un discorso. Qualcuno deve metterlo alle corde, farlo parlare, costringerlo a svelare la vera natura della ricerca che è in corso in Africa.» «Conosco la reputazione di Karlsen. È un osso duro. Con le minacce non approderete a nulla.» «Capisco.» «Inoltre ha amici potenti... anche qui, negli Stati Uniti.» «Lo so molto bene.» Painter aveva un dossier completo su quell'uomo e sulla sua società. La Viatus aveva molti interessi negli Stati Uniti. Aveva finanziato un consorzio di biocarburanti nel Midwest, si era messa in società con un'industria petrolchimica che produceva fertilizzanti e diserbanti, e, naturalmente, condivideva molti brevetti con la Monsanto su molte varietà di sementi transgeniche. Metcalf proseguì: «Sì, sapevo già del vertice di Oslo. Un nostro comune amico parteciperà. Qualcuno che sta assillando la DARPA per sapere i motivi dell'assassinio di suo figlio». «Il senatore Gorman?» domandò Painter, sorpreso. «È già a Oslo. Nonostante le circostanze della morte del figlio, rimane un socio stretto di Ivar Karlsen. Sono due uomini che è meglio non fare arrabbiare. Con Karlsen bisogna andare coi piedi di piombo.» «Capisco. Allora questo rafforza il terzo motivo per cui ho chiesto questo incontro.» «E quale sarebbe?» «A causa della natura delicata di questa faccenda e del pericolo di complicazioni internazionali, vorrei sentire Karlsen di persona.» Metcalf non se lo aspettava. Ci mise qualche secondo ad assimilare la richiesta. «Vuole andare in missione? A Oslo?» «Sissignore.» «Chi dirigerà la Sigma in sua assenza?» «Kathryn Bryant. Funge da mio vice. Ha esperienza nell'intelligence navale con legami in tutti gli ambienti internazionali. È perfettamente in grado di assumere il comando e coordinare gli agenti operativi.» Metcalf si appoggiò alla poltrona e considerò il suo piano. Painter sapeva che quell'uomo seguiva un codice ferreo in fatto di responsabilità personale. Ecco perché aveva fatto strada così in fretta nelle Forze Armate. Painter insistette su quel punto. «Ha già spiegato che la Sigma è sul filo del rasoio», disse in tono convinto. «Ci dia la possibilità di dimostrare quanto valiamo. Se andrà male, sarà colpa mia. Me ne assumo la piena responsabilità.» Metcalf tacque. Fissò di nuovo Painter con quegli occhi d'acciaio. Painter sostenne lo sguardo, con altrettanta fermezza. Con un lieve cenno del capo l'uomo si alzò, tendendo la mano questa volta. Painter gliela strinse dall'altra parte della scrivania. Prima di lasciargliela andare, Metcalf gli diede una stretta un po' più forte. «Sia prudente, direttore Crowe. E parli piano.» «Non si preoccupi. I miei antenati sono noti per questo. Siamo molto silenziosi.» A quelle parole Metcalf fece un sorriso obliquo mentre si dirigeva alla porta. «Può darsi. Ma in questo caso mi riferivo a James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Teddy Roosevelt.» Quando il generale se ne fu andato, Painter restò in piedi. Doveva riconoscerglielo. Aveva ragione a proposito di Roosevelt. L'adagio era appropriato per qualsiasi agente in missione. Parla piano... e portati dietro un grosso bastone. Ore 16.10
«E il direttore Crowe ha usato queste parole?» domandò Kat. Monk era di fronte alla moglie, seduta sul divano del suo ufficio. «Le sue parole esatte. Ha bisogno di un grosso bastone.» «E devi esserlo tu, questo grosso bastone?» Monk le andò vicino e si piegò su un ginocchio, guardandola negli occhi. Sapeva che sarebbe stata un'impresa. Aveva parlato con Painter mezz'ora prima. Il direttore gli aveva proposto un incarico operativo, di accompagnare il capo stesso a Oslo, in Norvegia. Eppure Monk ci aveva messo tutto quel tempo per trovare il coraggio di affrontare quel discorso con Kat. «Non è niente più che un incontro di lavoro», assicurò Monk. «Come quelli che ho fatto qui negli Stati Uniti negli ultimi tre mesi. Questo incarico è solo un po' più lontano.» Lei evitava il suo sguardo. Teneva gli occhi abbassati sulle mani intrecciate sul grembo. Sottovoce, disse: «Sì, e guarda com'è finito il tuo ultimo incarico». Monk si trascinò più vicino e s'infilò tra le ginocchia di lei. «Ne siamo usciti tutti sani e salvi.» Infatti si era appena informato su Andrea Solderitch. Era già stata trasferita in un luogo sicuro, sotto la protezione della sicurezza nazionale e la sorveglianza personale di Scot Harvath, un agente che godeva della piena fiducia di Monk. «Il punto non è questo», disse Kat. Monk lo sapeva. Allungò le braccia, infilò le mani sotto l'orlo della sua camicetta e le pose i palmi con dolcezza sulla pancia nuda. La pelle era calda. Al suo tocco, lei ebbe un brivido. «So qual è il punto», disse Monk con voce roca. «La mia memoria sarà anche ridotta a un colabrodo, ma non ho dimenticato ciò che è veramente importante, mai, nemmeno per un secondo. Ecco perché farò in modo che non mi capiti niente.» «Non puoi controllare tutto.» Monk alzò gli occhi e la fissò. «Nemmeno tu, Kat.» La moglie aveva ancora lo sguardo ferito. Monk sapeva quanti sforzi aveva fatto per stare con lui durante la sua convalescenza, quanto le dispiaceva che si separassero. Proprio ora. Il suo atteggiamento protettivo nasceva dalla paura. Per mesi aveva creduto morto il marito. Monk poteva solo immaginare quello che doveva avere passato. Perciò, sebbene non facesse bene a nessuno dei due, decise di non insistere. In quel momento, non voleva forzarle la mano. Se lei non voleva che partisse, non sarebbe partito. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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«Detesto l'idea che tu vada in missione», disse Kat. Gli tolse le mani dalla camicetta e le strinse forte tra le sue. «Ma detesterei di più me stessa se ti chiedessi di non andare.» «Non devi chiedermelo», disse Monk sottovoce, sentendosi d'improvviso egoista. «Lo sai. Ho capito. Ci saranno altre missioni. Quando saremo pronti tutti e due.» Kat lo guardò fisso. Si afflosciò un po', roteò gli occhi e allungò le braccia per prenderlo per la nuca. Lo tirò a sé. Gli sfiorò le labbra con le sue. «Fai sempre il martire, eh, Kokkalis?» «Come...?» Lei lo zittì con le labbra, premendo, dischiudendo la bocca, assaporandolo. Poi si staccò, lasciandolo senza fiato, proteso in avanti, tutto anelante. «Fa' in modo di tornare tutto intero questa volta», disse, dandogli un colpetto col dito alla mano artificiale. Meno svelto di lei, come sempre, Monk fece fatica a seguirla. «Vuoi dire che...?» «Oh, santo cielo, Monk. Sì, puoi andare.» Monk fu invaso dalla gioia, oltre che da una bella dose di sollievo. Fece un largo sorriso, che mutò d'improvviso in qualcosa di più lascivo. Kat gli lesse nei pensieri e gli premette un dito sulle labbra. «No, niente battute, non dire che sei un grosso bastone.» «Oh, avanti, piccola... come potrei?» Lei tolse il dito, si sporse e lo baciò di nuovo. Monk fece scivolare le mani dietro di lei e la prese in grembo. Stringendola forte a sé, sussurrò: «Che bisogno ho di dirlo, quando posso dimostrarlo?» Terni, Italia, ore 22.15
Gray era di guardia davanti alla finestra, lo sguardo fisso sul giardino immerso nel buio dietro il vecchio casolare. Vedeva anche uno scorcio della vicina via Tiberina. Avevano percorso centotrenta chilometri per raggiungere quella piccola città dell'Umbria, nota per le antiche rovine e terme romane. Era stata Sara a proporre quel luogo. Il casolare di due piani era stato convertito in un albergo, ma conservava ancora gran parte del fascino originale, con le travi di castagno, le arcate di mattoni e i lampadari di ferro. Era anche isolato e lontano dalle strade principali. Nonostante ciò, Gray non voleva abbassare la guardia. Dopo quel che era accaduto a Roma, non voleva correre rischi. E non era l'unico. Giù, in giardino, notò un tremolio rosso. Non sapeva che Seichan fumava... ma del resto non sapeva quasi nulla di lei. Era un'incognita e un rischio inutile. Conosceva gli ordini di Washington: catturarla a ogni costo. Eppure Seichan aveva protetto le spalle a tutti loro quel giorno, e gli aveva salvato la vita in passato. Mentre la guardava fare il giro d'ispezione, udì l'acqua interrompersi nella stanza da bagno vicina con un rumore secco delle tubature. Sara aveva finito di fare la James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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doccia. Dopo avere passato un'ora nelle fogne, avevano tutti bisogno di una bella insaponata e di una doccia caldissima. Avevano anche bisogno di una pausa per riorganizzarsi, per decidere una linea d'azione. Pochi secondi dopo, Sara uscì dalla stanza da bagno satura di vapore, a piedi nudi, avvolta solo in un asciugamano, i capelli ancora bagnati. «La doccia è libera», disse la donna, girando poi gli occhi nella camera. «Dov'è il tuo collega?» «Kowalski è sceso di sotto. A prendere qualcosa da mangiare in cucina.» «Ah.» Sara rimase in piedi nel vano della porta, cingendosi con le braccia, improvvisamente imbarazzata. Evitava il suo sguardo. Non erano rimasti da soli insieme da quando erano rientrati di colpo l'uno nella vita dell'altra. Gray sapeva che doveva voltarsi, concederle un po' d'intimità, ma non ci riusciva. Sara andò lentamente verso il letto, continuando ad appoggiarsi sulla gamba sinistra. Il Tylenol e un tutore ortopedico avevano aiutato il suo ginocchio slogato, ma aveva bisogno di almeno un giorno di riposo. Sul letto c'era una pila di indumenti nuovi, ancora forniti di cartellino e avvolti nella velina: per lei, jeans, una camicetta blu notte e un cappotto a mezza gamba. Mentre camminava, si stringeva addosso l'asciugamano come uno scudo. Era inutile. Gray conosceva intimamente ciò che nascondeva. Ciò che le sue mani non avevano esplorato, lo avevano fatto le sue labbra. Ma non era solo la carne che lo eccitava; era il ricordo dell'ardore, delle parole dolci sussurrate di notte, delle promesse mai mantenute. Alla fine fu costretto a voltarsi di nuovo verso la finestra, spinto non dalla timidezza, né tantomeno dall'educazione, ma da un immenso rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere e non era stato. Udì lo stropiccio dei piedi davanti al letto, il fruscio della carta velina. Sara non tornò in bagno a cambiarsi. Lasciò cadere l'asciugamano e si vestì dietro di lui. Gray non percepì nessun tentativo di seduzione nella sua impudenza, piuttosto un gesto di sfida, una provocazione, sapendo che per lui era una sofferenza e insieme un'umiliazione. Ma, d'altra parte, forse era solo un frutto della sua immaginazione. Una volta vestita, Sara lo raggiunse alla finestra e si fermò al suo fianco. «Fa ancora la guardia, vedo», disse sottovoce. Lui non rispose. Sara rimase con lui per un po', in silenzio. Giù, in giardino, il lampo improvviso di un cerino illuminò la sagoma di Seichan quando accese un'altra sigaretta. Gray sentì Sara irrigidirsi al suo fianco. Lei gli lanciò un'occhiata, poi girò i tacchi e tornò verso il letto. Prima che uno dei due potesse parlare, un colpetto alla porta attirò la loro attenzione. Kowalski entrò, portando un vassoio di legno e due bottiglie di vino sotto un braccio. «Servizio in camera», annunciò. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Quando entrò, gli cadde subito l'occhio sull'asciugamano buttato a terra in mezzo alla stanza. Gli occhi guizzarono tra Sara e Gray, poi rotearono appena. Portò il fardello verso il tavolo della camera, fischiettando piano. Lasciò il vassoio sul tavolo, ma tenne strette le due bottiglie di vino. «Se avete bisogno di me, vado a fare un lungo bagno caldo. E intendo lungo. Potrei restare chiuso lì dentro per almeno un'ora.» Lanciò uno sguardo eloquente a Gray, una grande dimostrazione di acume, secondo Kowalski. Sara si fece rossa come un gambero. Gray fu salvato da ulteriore imbarazzo dallo squillo del suo cellulare sul comodino del letto. Diede uno sguardo all'orologio al polso. Doveva essere Painter. Prese il telefono e tornò alla finestra. «Pierce», rispose quando scattò la comunicazione protetta. «Allora siete al sicuro?» domandò il direttore. «Per ora.» Gray era contento di tornare a concentrarsi sulla loro missione. Kowalski s'infilò nella stanza da bagno con le due bottiglie di vino. Sara si sedette sul letto e ascoltò la conversazione dalla parte di Gray. Nel quarto d'ora successivo, Gray e Painter si scambiarono le impressioni: tre omicidi in tre continenti, la violenza perpetrata per nascondere quel che stava accadendo, il significato del simbolo pagano che sembrava collegare ogni cosa. Painter gli illustrò il piano di recarsi in Norvegia a indagare sulla Viatus e sul suo amministratore delegato. «E Monk viene con lei?» domandò Gray, sorpreso e insieme contento per il suo amico. «Insieme con John Creed, il nostro nuovo genetista. È stato lui a decrittare i dati dell'e@mail di Jason Gorman.» La voce di Painter si fece più seria. «Il che ci porta alla scoperta del tenente Veroni, a ciò che qualcuno voleva distruggere, a quanto sembra.» «Il dito mummificato.» Gray lanciò un'occhiata a Sara. Avevano avuto una lunga discussione a riguardo durante il viaggio in treno da Roma. Padre Marco Giovanni era occupato in uno scavo archeologico nell'Inghilterra del Nord, da qualche parte tra i monti nell'isolata regione che confinava con la Scozia. Non si sapeva ancora nient'altro sullo scavo. Solo che l'ex studente di Vittorio stava cercando le radici del cristianesimo celtico, quando i culti pagani si fusero col cattolicesimo. Gray aveva già riferito alcuni particolari a Painter. Ma non li aveva ampliati con ciò che Sara gli aveva rivelato in treno. «Direttore, forse le conviene ascoltare direttamente il tenente Veroni. Non sono sicuro del significato, ma è degno di nota, fosse pure solo per completezza.» «D'accordo. Passamela.» Gray tornò vicino al letto e allungò il cellulare a Sara. «Penso che dovresti dire a Painter ciò che hai appreso.» Lei annuì. Gray rimase in piedi accanto alla colonna del letto. Dopo alcuni brevi convenevoli, Sara entrò nel merito della strana ossessione del prete. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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«Prima che scoppiasse l'inferno a Roma, mi ero procurata un elenco di monografie e saggi pubblicati da padre Giovanni, alcuni dei quali risalenti al periodo in cui era uno studente», spiegò Sara. «Era chiaramente fissato con un particolare mito della religione cattolica, una variante della Vergine Maria nota come la Madonna Nera.» Gray aveva studiato religioni comparate prima di entrare nella Sigma e conosceva la storia e i misteri che circondavano la Madonna Nera. Nel corso dei secoli, agli albori stessi del cristianesimo, erano comparsi dipinti e statue che raffiguravano la Madre di Cristo con la pelle scura o nera. Piano piano, divennero oggetto di culto, reliquie custodite gelosamente. In Europa esistevano ancora più di quattrocento icone come quelle, alcune risalenti all'XI secolo. Moltissime erano ancora adorate e venerate: la Madonna Nera di Czestochowa in Polonia, la Madonna degli Eremiti in Svizzera, la Vergine di Guadalupe in Messico. L'elenco era lungo. Nonostante il culto crescente, quelle singolari Madonne continuavano a essere oggetto di controversie. Mentre alcuni attribuivano loro capacità miracolose, altri sostenevano che la pelle scura era dovuta all'accumulo della fuliggine delle candele o al naturale imbrunimento delle statue di legno o di marmo antico. La Chiesa cattolica evitava di riconoscere un significato o poteri spirituali a quelle incarnazioni. Sara continuò a spiegare la fissazione di padre Giovanni. «Marco era convinto che il cristianesimo celtico si fondasse sulla Madonna Nera, che quell'icona rappresentasse la fusione della Grande Madre pagana col nascente culto della Vergine Maria. Ha dedicato la carriera alla ricerca di questo collegamento, della vera origine di questo mito.» Sara si fermò di nuovo per ascoltare, quindi disse: «Esatto. Sono d'accordo. Le passo di nuovo il comandante Pierce». Gray prese il telefono dalla mano della donna, lo portò all'orecchio e tornò alla finestra. «Signore?» «Alla luce di quanto raccontato da Sara, mi sembra chiaro quale sarà la tua prossima mossa.» Gray non ebbe dubbi sulla risposta. «Andare a investigare sullo scavo archeologico in Inghilterra.» «Esatto. Non so in che modo gli omicidi in Africa e a Princeton siano collegati con le ricerche di padre Giovanni. Ma deve esserci per forza un collegamento. Io indagherò a Oslo in merito alle ricerche genetiche... tu vedi dove porta quel dito mummificato.» «Sissignore.» «Ti serve altro aiuto per questa missione? O puoi cavartela con Joseph Kowalski e il tenente Veroni?» «Penso che, meno siamo, meglio è.» Nonostante tutti i suoi sforzi, la voce di Gray era un po' tesa. Restava un particolare che non aveva ancora rivelato a Painter Crowe. Gray abbassò lo sguardo nel giardino, sul bagliore cremisi di una sigaretta. Gli dispiaceva mentire al direttore, sebbene si trattasse solo di un peccato di omissione, ma, se avesse informato il comando della Sigma della nuova alleata che era lì con loro, Painter non avrebbe avuto altra scelta che inviare una squadra a recuperarla, per condurla a forza in un centro interrogatori. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Gray non poteva permetterlo. Eppure esitava. Stava facendo la scelta giusta? O stava mettendo in pericolo l'intera missione inutilmente? Gray si girò dalla finestra e incontrò gli occhi di Sara che lo fissavano. Dal suo sguardo capì che era una decisione che non metteva a rischio solo la propria vita. Tuttavia, ripensò anche a un appello doloroso che Seichan gli aveva rivolto due anni prima, un appello carico di urgenza e speranza. Fidati di me, Gray. Anche solo un poco. Girandosi di nuovo verso la finestra buia, Gray fissò il proprio riflesso. Tirò un lungo respiro, quindi parlò al telefono. «Bastiamo noi.»
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Capitolo 11
† Oslo, Norvegia, 11 ottobre, ore 23.22
I
var Karlsen tirò la pesante porta di quercia, le tavole fissate con ferro battuto. La neve mulinava nella notte senza luna e batteva con raffiche improvvise la stretta entrata ad arco. Il freddo gli mordeva le guance scoperte, mentre la maniglia di ferro era talmente gelida che gli bruciò le dita quando aprì la porta. La bufera del mattino si era trasformata veramente nella prima vera nevicata entro sera. Il tempo rigido stimolava Ivar, gli accelerava i battiti del cuore, gli faceva tirare respiri più forti. Forse gli scorreva veramente sangue vichingo nelle vene come la sua vecchia bestemor affermava. Chinando la testa, varcò la porta e batté in terra gli stivali tutti sporchi di neve. Più avanti, una scala immersa nel buio scendeva nelle viscere del castello di Akershus. Ivar tirò indietro il cappuccio del montone foderato di pile e cavò una torcia elettrica di tasca. L'accese e scese i gradini. La scala di pietra era stata costruita con la fortezza, in epoca medievale. I passi riecheggiavano tra i bassi muri. Doveva stare curvo per non picchiare la testa contro il soffitto. Nel livello inferiore, la scala terminava in un'antica guardina con le torciere e i ganci di ferro originali fissati al muro, ancora intatti. Il soffitto era sorretto da pesanti travi. In fondo, un'arcata di mattoni dava su un corridoio di piccole celle dove un tempo nobili caduti in disgrazia e criminali pericolosi d'ogni risma erano tenuti in squallide condizioni. Era lì che i nazisti avevano torturato i connazionali di Ivar, quelli che si erano opposti all'occupazione tedesca. Ivar aveva perso un prozio là sotto. Per rendere onore a quel sacrificio, la Viatus continuava a elargire grandi somme per la conservazione e la manutenzione di Akershus. Ivar sciabolò la torcia nel corridoio della lugubre prigione sotterranea. Quella sezione era preclusa alle abituali visite al castello. Pochi, addirittura, erano a conoscenza della sua esistenza... o della sua storia più nera. In passato, era lì che venivano tenuti coloro che si macchiavano di alto tradimento contro la Corona o la patria. Il collaborazionista nazista Viktor Quisling era stato rinchiuso laggiù prima di essere giustiziato. Molti altri avevano trovato la morte in quelle prigioni sotterranee, nei secoli passati. Ivar strinse fra le dita un'antica moneta nella tasca del montone. La portava sempre con sé. Era una moneta di Federico IV, battuta nel 1725 da Henrik Christofer Meyer. Anche Meyer era morto laggiù, frustato a sangue, per avere James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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fatto la cresta sull'argento del conio del re, sostituendolo col rame. Re Federico IV, ritenuto ai suoi tempi un sovrano benevolo e clemente, osservava un ferreo codice d'onore. Si diceva che scorresse sangue vichingo nella sua stirpe. E, in base al codice vichingo, qualunque tradimento andava punito con severità. Dietro ordine del re, Meyer non solo era stato frustato al palo e condannato a vita, ma era stato anche segnato per sempre come traditore della Corona con un marchio impressogli in fronte con un attizzatoio di ferro. Il re usò una delle monete falsificate del coniatore per marchiargli a fuoco la carne. La moneta che Ivar teneva in tasca era proprio una di quelle. Apparteneva alla sua famiglia da secoli, con la storia passata di generazione in generazione. Lentamente era giunta a rappresentare il codice di condotta della famiglia Karlsen: soppesare clemenza e generosità, ma non tollerare mai nessun tradimento. La porta di sopra si aprì e si chiuse con un tonfo, scuotendo Ivar dai propri pensieri. Un rumore di passi echeggiò quando qualcuno scese svelto i gradini. Una donna snella e dalle gambe lunghe entrò nella guardina. I capelli rossi erano coperti di neve, gli occhi color ambra riflettevano la luce della torcia di Ivar. Indossava un cappotto lungo grigio sopra abiti scuri. «Scusa il ritardo, Ivar.» Scrollò la testa, sparpagliando neve come un'antica divinità invernale. Benché non avesse nemmeno trent'anni, Krista Magnussen era diventata la genetista capo della divisone di Biogenetica Agraria della Viatus. Aveva fatto carriera in fretta, dimostrando sia genialità sia risorse apparentemente sovrannaturali. Ivar lo aveva scoperto quando i suoi accurati progetti avevano cominciato ad andare a rotoli. Il castello di carte che aveva costruito con tanta meticolosità aveva cominciato a vacillare ed era stato necessario puntellarlo. E Krista aveva dato di nuovo prova del suo valore. Scoprire che la donna non era esattamente quel che sembrava aveva sconvolto Ivar. Lo spionaggio industriale era una cosa normale nel suo campo, ma non aveva mai dubitato di una donna così giovane e intelligente, né immaginato la portata dei suoi contatti. Krista lavorava per un'oscura rete conosciuta con molti nomi, la quale offriva i propri servigi mercenari in cambio dell'accesso a informazioni riservate e di una percentuale sui futuri profitti. Durante l'anno precedente, la rete aveva dato prova di essere insostituibile nel sostenere i suoi piani, persino nell'accelerarli. Ed era stata Krista a occuparsi della delicata e triste faccenda del figlio del senatore. La donna si avvicinò, abbracciò Ivar con vigore e gli sfiorò la guancia con un bacio pudico. Aveva ancora le labbra gelide a causa del freddo. «Scusami anche di averti fatto venire qui all'improvviso a quest'ora», aggiunse Krista. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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«Se è una cosa importante...» «Lo è.» Krista diede una scrollata al cappotto, per liberarlo della neve e delle goccioline che colavano. «Ho appena saputo che i nostri bersagli a Roma sono sopravvissuti.» «Sono vivi? Avevi detto che erano morti, mi pare.» «Li abbiamo sottovalutati», ammise Krista, stringendosi nelle spalle. Non si sforzò di giustificarsi, né di confondere le acque o di schivare le responsabilità. Come sempre, Ivar rispettava la sua schiettezza. «Sono ancora in possesso del manufatto?» «Sì.» «Come fai a sapere tutto questo?» domandò, corrugando la fronte. Krista fece un sorriso, ancora gelido. «A quanto pare, il nostro assalto ha attirato l'attenzione di qualcuno, qualcuno che deve dimostrare qualcosa. Dopo quanto è accaduto a Roma, siamo stati contattati. Con una proposta. Ora abbiamo qualcuno all'interno.» «Qualcuno di cui possiamo fidarci?» «Non affido queste faccende alla semplice fiducia, Ivar. La nostra organizzazione gli starà addosso, gli metteremo il fuoco sotto i piedi.» «Non capisco. Se hai qualcuno all'interno, perché non chiedergli di impadronirsene o di distruggerlo?» «Perché potrebbe non essere la scelta più astuta.» Nel buio le brillavano gli occhi, una luce abbagliante. «Che intendi dire?» «Padre Giovanni ti ha tradito. Ha preso i tuoi soldi, ti ha permesso di finanziare le sue ricerche. Ma, quando ha trovato il manufatto, l'ha rubato. È fuggito col reperto.» Ivan strinse la moneta fra le dita. Il prete ha pagato il prezzo del suo tradimento. Subito dopo avere saputo dei contatti di Krista, Ivar le aveva raccontato la truce storia di Henrik Meyer, perché le servisse d'esempio e di monito. Lei aveva invece fatto tesoro della storia e proposto le mutilazioni, per mascherare gli omicidi, per farli sembrare opera di ecoterroristi. Ivar aveva trovato anche una certa soddisfazione in quella punizione, un ritorno a una forma più antica di giustizia, quando coloro che tradivano il mondo venivano marchiati affinché tutti vedessero. Krista proseguì: «Ma, se riusciamo a riavere il manufatto, abbiamo la possibilità di trovare ciò che manca. Di scoprire ciò che Giovanni cercava». Ivar concentrò di nuovo tutta la propria attenzione sulla donna. Non riuscì a celare la bramosia nella voce quando disse: «La chiave del Doomsday Book...» Una simile scoperta non solo avrebbe assicurato il successo del suo piano, ma avrebbe potuto scrivere una pagina di storia. La chiave offriva la possibilità di svelare un segreto che risaliva a migliaia di anni addietro. Krista illustrò il piano. «Quelli che ora hanno in mano il reperto hanno dimostrato in passato di essere pieni di risorse. Con lo sprone giusto, potrebbero riuscire là dove padre Giovanni ha fallito.» Ivar tenne a freno la bramosia e si attenne al senso pratico. «E sei sicura di poter gestire un'impresa come questa?» «Non sarò James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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sola.» La donna fece un sorriso, questa volta caloroso e rassicurante. «Come ti ho promesso dall'inizio, avremo il pieno appoggio della Gilda.» Krista gli andò vicino. «Non ti deluderemo. Non ti deluderò.» Infilandosi tra le sue braccia, lo baciò di nuovo. In piene labbra, questa volta. I capelli della donna gli sfiorarono il collo, freddi e bagnati, mandandogli brividi per tutto il corpo; ma le sue labbra, la sua bocca, la sua lingua ardevano come fuoco liquido. Ivar lasciò perdere la moneta che teneva in tasca e allungò le mani dietro i fianchi di Krista. La tirò a sé. Aveva capito che lo stava seducendo, e immaginava che la donna sapesse che lui non si era fatto incantare. Ma nessuno dei due si staccò dall'altra. Sapevano entrambi qual era la posta in gioco, cosa c'era in palio. Il futuro dell'umanità. E il potere di controllare il destino.
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SECONDO FUOCO E GHIACCIO Capitolo 12
† Hawkshead, Inghilterra, 12 ottobre, ore 10.12
S
embrava impossibile che un omicidio potesse ricondurre a una campagna così idilliaca. Gray guidava lungo la strada tortuosa incorniciata dalle colline ondulate. Di chilometro in chilometro la carreggiata si fece più stretta, fino a consentire a malapena il passaggio della Land Rover presa a noleggio. Un tratto di foresta di latifoglie sporgeva sulla strada, creando un impenetrabile tunnel di rami intrecciati. Fuori del bosco, la veduta si aprì di nuovo, rivelando le cime tondeggianti delle colline brulle e rocciose circostanti, o di quelli che lì in Inghilterra passavano per monti. Le vette erano già ammantate di bianco giacché una bufera di neve precoce aveva infuriato sulla regione la notte prima. Più vicino, prati e coltivi circondati da siepi trapuntavano il paesaggio di pascoli secchi e campi incolti. Ruscelli e torrenti spumeggiavano tra laghi lisci come uno specchio e laghetti montani. Il ghiaccio orlava i margini di ogni corso d'acqua e la neve spazzata dal vento ammantava di gelo l'intero paesaggio. Erano tutti ammutoliti dalla bellezza della natura. O quasi. «Ti sei perso, non è vero?» domandò Kowalski da dietro, con tono accusatorio. «Non mi sono perso», mentì Gray. Sara agitò la cartina stradale e squadrò Gray, poco convinta. D'accordo, forse siamo un po' fuori strada... Erano partiti da Liverpool due ore prima e avevano seguito tutte le indicazioni senza difficoltà fin nel Lake District, la regione dei laghi nell'Inghilterra del Nord. Le strade erano indicate in modo chiaro, ma, una volta uscito dalle arterie principali, Gray si era ritrovato in un labirinto di stradine di campagna tortuose e prive d'indicazioni e in un paesaggio spezzato da colline, foreste e laghi. Persino il GPS si era rivelato inutile. Nessuna delle strade combaciava col software di navigazione. Per quello che ne sapevano, stavano viaggiando in aperta campagna. La loro meta era la città di Hawkshead, una delle attrazioni principali che si James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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annidavano nel meraviglioso paesaggio naturale della regione dei laghi inglese. Dovevano incontrare il dottor Wallace Boyle, un professore di storia dell'Università di Edimburgo e collega di padre Giovanni. Boyle aveva organizzato lo scavo in una zona remota delle colline rocciose centrali e lo dirigeva ancora. Aveva accettato d'incontrarli in un hotel pub di Hawkshead. Ma prima Gray doveva trovare il posto. Sara studiava la cartina stradale e cercava con gli occhi i punti di riferimento dal finestrino. Dietro di lei, Seichan era seduta accanto a Kowalski e fissava cupa le colline ondulate e le piccole valli. Aveva detto a malapena una parola da quando erano partiti dall'Italia e continuava a tenersi sulle sue, a cauta distanza dal gruppo. «Se non arriviamo subito da qualche parte, dovrai fermarti al prossimo albero o cespuglio», continuò Kowalski. «Mi fanno male i denti, a forza di stringere.» Gray sfrecciò su per la collina successiva. «Se tu non avessi tracannato quelle quattro pinte di birra a Liverpool...» «Che colpa ne ho io? Con tutti quei nomi assurdi: Blackwater Brewery's Buccaneer, Cains Double Bock, Boddington's Bitters, Tetley's Cask. Non hai idea di cosa stai ordinando finché non l'assaggi. Ci ho messo un po' a trovarne una buona.» «Ma le hai bevute tutte.» «È ovvio. Sarebbe stato da maleducati non farlo.» Sara ripiegò la cartina e gettò la spugna. «Non può essere troppo lontano», disse poco convinta. «Forse ci conviene fermarci e chiedere indicazioni.» Pochi secondi dopo, il consiglio si dimostrò inutile. Con un ultimo ruggito, la Land Rover giunse in cima all'altura successiva, e comparve un piccolo villaggio, adagiato nella valle più avanti. Gray lanciò un'occhiata a Sara. Il sollievo che si dipinse sul volto della donna fu la risposta alla sua domanda. Doveva essere Hawkshead. Stradine di ciottoli s'incrociavano dinanzi a giardini recintati e tozze case in legno. I tetti d'ardesia erano ammantati di neve e sottili fili di fumo uscivano dai comignoli. Dall'altra parte della strada, una vecchia chiesa di pietra era arroccata su una collina da cui dominava il villaggio, come un anziano e severo diacono che guardava torvo la piccola città sottostante. Mentre scendevano verso il villaggio, muri di pietre accatastate si ersero ai lati della strada. La Land Rover attraversò rombando un ponte di granito ad arco ed entrò nella periferia dell'abitato. Gli edifici e le case erano fatti di canniccio ricoperto di argilla e fango con le travi a vista, secondo la tradizione delle cittadine inglesi in stile Tudor. Piccoli giardini davanti alle case e cassette dei fiori appese ai davanzali lasciavano intuire lo splendore di quel luogo in primavera ed estate, ma, dopo la bufera della sera prima, la neve era ammucchiata nelle cassette e nei giardini, creando uno scenario natalizio invernale. Gray rallentò il SUV fino a procedere a passo d'uomo quando gli pneumatici scricchiolarono sui ciottoli ghiacciati. Si diresse verso la piazza principale, dove si trovava il luogo dell'appuntamento, il Kings Arms Hotel. Erano già in ritardo di venti minuti. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Entrando in piazza, Gray infilò il SUV in un piccolo posteggio. Quando scesero dall'auto, il freddo morse ogni tratto scoperto di pelle. L'umidità di Liverpool e il lungo viaggio in macchina col riscaldamento acceso non li avevano preparati al gelo delle altitudini della regione dei laghi. Ogni respiro sapeva di fumo di legna. Infagottandosi meglio nei pesanti giacconi, si misero in cammino. Il Kings Arms Hotel era sul lato opposto della piazza principale. Il tozzo edificio dal tetto d'ardesia accoglieva viaggiatori da cinque secoli, sin dall'epoca elisabettiana. Un muretto di pietra circondava una birreria all'aperto sul davanti, tavoli e sedie coperti in quel momento di un sottile strato di neve fresca, ma la forte luce che filtrava dalle finestre più basse prometteva calore e bevande fumanti. Si diressero a passo svelto verso l'albergo. Kowalski li seguiva a una certa distanza. «Ehi, guardate quanti orsacchiotti...» disse con una nota triste nella voce, una nota che strideva come un toro che si mettesse a cantare all'improvviso un'aria. Gray si voltò a guardarlo. Kowalski fissava la vetrina di un negozio. Oltre il vetro appannato, una luce ambrata mostrava una miriade di orsacchiotti di ogni forma e dimensione. Sull'insegna sopra la porta campeggiava la scritta sixpenny bears. «Ce n'è uno vestito da pugile!» Kowalski fece il gesto di dirigersi verso il negozio. Gray lo richiamò. «Siamo già in ritardo.» Kowalski afflosciò le spalle. Con un'ultima occhiata triste alla vetrina, continuò a seguirli. Sara fissò l'uomo grande e grosso con aria perplessa. «Che c'è?» domandò Kowalski, scontroso. «Era per Liz, la mia fidanzata. È... è lei quella che colleziona gli orsacchiotti.» Sara lo fissò ancora un secondo, scettica. Kowalski borbottò fra i denti e si diresse con passo pesante verso l'albergo. Seichan andò al fianco di Gray e gli toccò il braccio. «Voi entrate e parlate col professore. Io sto di guardia qui fuori.» Gray la fissò. Il piano non era quello. Anche se la donna aveva un'espressione imperturbabile e indifferente, continuava a perlustrare la piazza con gli occhi, analizzando quasi certamente la zona in cerca di posti adatti ai cecchini, di vie di fuga e dei ripari migliori. O forse non voleva incontrare il suo sguardo. Stava cercando veramente di proteggerli o stava mantenendo le distanze? «Qualcosa non va?» domandò, rallentando il passo. «No, niente», rispose Seichan, scoccandogli un'occhiata, quasi stizzita. «E voglio che le cose restino così.» Gray non era in vena di discutere. Dopo tutto quello che era accaduto in Italia, forse era meglio sorvegliare l'esterno. Rincorse Kowalski e Sara mentre Seichan restava indietro. Dietro gli altri, Gray attraversò la birreria all'aperto coperta di ghiaccio e raggiunse la porta d'ingresso. Notò un cartello vicino all'entrata con la scritta I cani e i bambini educati sono benaccetti. Quello escludeva Kowalski, James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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probabilmente. Prese in considerazione l'idea di chiedere al collega di restare fuori con Seichan, ma ciò avrebbe solo fatto infuriare di più la donna. Gray aprì la porta e fu investito da una folata di calore, seguito dall'odore di malto e luppolo. Il pub era poco lontano dalla hall dell'albergo. Si udì l'eco di alcune voci, insieme con una risata fragorosa. Gray seguì Kowalski nel pub. Il collega andò di corsa alla toilette. Gray rimase sull'entrata e perlustrò il locale con gli occhi. Il pub del Kings Arms era piccolo, un pugno di tavoli di legno e séparé sparsi qua e là intorno a un camino di pietra. Un fuoco scoppiettante era stato acceso per scaldarsi dal freddo. Accanto al camino troneggiava la statua di legno in grandezza naturale di un re con la testa coronata. Era probabile che si chiamasse come l'albergo. Un'altra risata rumorosa richiamò l'attenzione di Gray su un séparé ad angolo vicino al camino. Un paio di persone del luogo, in tenuta da caccia e stivaloni, erano in piedi davanti a un tavolo e al suo unico occupante. «Ed è caduto dritto nella torbiera, Wallace, davvero?» ridacchiò uno dei cacciatori, asciugandosi un occhio con una mano mentre alzava un bicchiere alto pieno di birra scura con l'altra. «A testa in giù! Come un sasso», confermò l'uomo nel séparé, con un forte accento scozzese. «Avrei proprio voluto vederlo.» «Oh, ma la puzza, poi, amici. Non avreste voluto essere nei paraggi. Nossignore.» Seguì un'altra bella risata dell'uomo seduto nel séparé. Gray riconobbe il dottor Wallace Boyle dalla fotografia pubblicata sul sito Internet dell'Università di Edimburgo. Ma il professore della foto era sbarbato e in giacca e cravatta. L'uomo lì nel pub aveva la barba brizzolata ed era vestito come i suoi compagni cacciatori con una logora giacca spigata sopra un gilet imbottito. Sul tavolo era appoggiato un berretto di tweed verde muschio, guanti senza dita e una sciarpa pesante. Accanto a lui, appoggiato in piedi alla panca, c'era un fucile da caccia in una custodia chiusa con la lampo. Il dottor Boyle notò Gray interessarsi e avvicinarsi. «Tavish, Duff, a quanto pare sono arrivati gli ospiti che dovevo incontrare.» Era la copertura, quella: un paio di giornalisti internazionali che facevano un servizio sull'attentato in Vaticano, indagando sulla morte di padre Giovanni. Kowalski faceva finta di essere il loro fotografo. I due cacciatori lanciarono un'occhiata in direzione di Gray. L'abituale diffidenza delle persone del luogo verso gli estranei indurì loro il volto, ma annuirono circospetti. Con un ultimo sorso di birra, lasciarono il tavolo. «Ti saluto, Wallace», disse uno dei due andando via. «È meglio che ce la filiamo comunque. Là fuori fa già un tempo da lupi.» «E farà ancora più freddo», convenne Wallace, facendo poi cenno a Gray e a Sara di avvicinarsi al tavolo. Kowalski era tornato dalla toilette, ma si fermò al bar. Si era incantato a fissare la James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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lavagna sopra il camino con l'elenco delle birre locali. «Copper Jam Dragon's Golden Pippin? È una birra o un qualche tipo di cocktail alla frutta? Non voglio niente che contenga frutta. A meno che non reputi frutta un'oliva...» Gray piantò lì il collega e si diresse al tavolo di Wallace. Il professore si alzò, spiegando il suo metro e ottantatré di statura. Sebbene avesse più o meno sessantacinque anni, era un uomo ancora forte e dalle spalle larghe, come un giovane Sean Connery. Diede loro la mano, indugiando lo sguardo un po' più a lungo su Sara. L'uomo aggrottò le sopracciglia un momento, poi si rilassò, non dando a vedere ciò che lo aveva lasciato perplesso per un istante. Sara fece per infilarsi nel séparé per prima, poi si fermò di colpo. Il suo lato della panca era occupato. Una testa nerboruta e coperta di pelo sbucò all'improvviso e appoggiò il mento sul tavolo di legno, poco lontano da un piatto di salsicce e purè di patate. «Rufus, giù di lì», lo rimproverò Wallace, ma con poca convinzione. «Fa' spazio agli ospiti.» Il terrier soffiò dal naso per l'esasperazione, scomparve sotto il tavolo e uscì dall'altra parte. Si avvicinò al fuoco, girò intorno due volte, quindi si accucciò con un sospiro non meno rumoroso. «È il mio cane da caccia», spiegò il professore. «È un cucciolone viziato, lui. Ma, alla sua età, se l'è guadagnato. È il miglior scovatore di volpi delle isole. E perché non dovrebbe esserlo? È nato e cresciuto qui. Un vero Lakeland Terrier.» La voce dell'uomo vibrava d'orgoglio. Quello non era un professore destinato ad andare in pensione in anticipo, né uno che riposava sugli allori, ed erano molti, stando alla sua biografia. Il dottor Wallace era considerato un eminente esperto di storia delle Isole Britanniche, in particolare dal neolitico fino all'occupazione romana. Si accomodarono tutti nel séparé. Gray posò un piccolo registratore digitale sul tavolo, continuando a fingere di essere giornalisti. Dopo qualche frase di cortesia sul tempo e sul viaggio in auto, Wallace entrò subito nel vivo della questione. «Quindi avete fatto tutta questa strada per vedere cosa abbiamo scoperto sulle colline rocciose», disse Wallace, parlando con accento meno marcato e in tono più formale, più adeguati ai suoi interlocutori. «Dalla morte di padre Giovanni, non faccio che rispondere senza sosta a domande e richieste d'informazioni. Ma nessuno si è degnato di venire fin qui di persona. Del resto, non si faceva vedere da mesi neppure il buon padre.» «Che cosa intende dire?» «Padre Giovanni è partito a fine estate. Era diretto verso la costa, poi in Irlanda, l'ultima volta che ho avuto sue notizie.» Wallace scosse la testa con tristezza e diede un colpetto al bicchiere di birra con un'unghia a mo' di brindisi al collega scomparso. «Marco era una persona brillante. I suoi studi e le sue ricerche sul campo sulle origini del cristianesimo celtico avrebbero potuto cambiare la nostra visione della storia.» «Perché è venuto qui, tanto per cominciare?» domandò Gray. «Nella regione dei laghi?» «Sarebbe finito qui comunque, immagino. Anche se non lo avessi chiamato in seguito alla scoperta che avevo fatto sui monti.» «Come mai?» «La passione di James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Marco, o piuttosto la sua ossessione, lo aveva portato a visitare tutti i luoghi in cui il paganesimo e il cristianesimo si erano sovrapposti.» Wallace indicò con un ampio gesto del braccio la regione in generale. «E questo posto racconta la storia di quello scontro nelle pietre e nelle rovine. Sono stati gli antichi scandinavi, i vichinghi, a giungere qui per primi, portando con sé tutte le loro tradizioni. Per dirne una, in inglese le colline di questa regione si chiamano fell, un termine che deriva da una parola norrena che significa 'monte'. Infatti, il villaggio di Hawkshead fu fondato da un antico scandinavo, un certo Haukr, il cui nome sopravvive ancora da queste parti. Ciò dovrebbe darvi un'idea della lunga storia di questa regione.» Wallace accennò alla chiesa che dominava la cittadina, fuori della finestra. «Ma i tempi cambiano. Nel XII secolo, tutta questa regione entrò nel demanio dell'abbazia di Furness, le cui rovine si trovano poco lontano da qui. I monaci coltivavano le sue terre, commerciavano in lana e pecore, e governavano i superstiziosi abitanti del villaggio col pugno di ferro. Le tensioni si trascinarono per secoli tra gli antichi culti pagani e la nuova religione. Gli antichi rituali erano svolti in segreto, spesso nei siti preistorici sparsi qua e là in campagna.» «Che cosa intende per siti 'preistorici'?» domandò Sara. «Luoghi risalenti al neolitico. Cinquemila anni fa.» Wallace li elencò sulla punta delle dita. «Antichi cerchi di pietre, templi megalitici, tumuli, dolmen, alture fortificate. Sebbene Stonehenge sia il più famoso, è solo uno di parecchie centinaia di siti simili sparpagliati in ogni angolo delle Isole Britanniche.» «Ma perché padre Giovanni si era interessato al suo scavo?» domandò Gray, cercando di portare il professore più vicino al cuore delle loro indagini. Wallace alzò un sopracciglio. «Ah, be', quello dovrete vederlo di persona. Ma posso dirvi cosa ha attirato me in questa regione.» «Cosa?» «Un'unica annotazione in un antico libro. Un testo dell'XI secolo soprannominato il Doomsday Book, il Libro del Giorno del Giudizio.» Kowalski si avvicinò al loro tavolo. Stringeva un bicchiere alto di pilsner in ciascuna mano e beveva da entrambi. Si fermò a metà sorso nell'udire le parole di Wallace. «Il Giorno del Giudizio?» ripeté. «Fantastico. Come se non avessimo già abbastanza guai.» Ore 11.05
Seichan attraversò tutta la piazza, disegnando una mappa mentale dei dintorni. Fissò tutto nella memoria. Ogni particolare, mattone dopo mattone, ogni strada, vicolo, edificio e macchina parcheggiata. Notò due uomini in tenuta da caccia che uscivano dal pub. Li seguì senza farsi vedere sino a un autocarro nel parcheggio e si accertò che andassero via. Dopodiché trovò un buon punto da cui tenere d'occhio il Kings Arms Hotel: l'entrata di un negozio d'articoli da regalo chiuso. Il vano le permetteva di James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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ripararsi dalle sporadiche raffiche di vento gelido e di non farsi vedere. Alla sua sinistra, la vetrina era allestita con piccoli animali di ceramica con indosso dei vestitini: maialini, mucche, anatre e, naturalmente, coniglietti... un sacco di coniglietti. La regione dei laghi era la terra di Beatrix Potter e del suo personaggio più noto, Peter Coniglio. Sebbene dovesse sorvegliare l'albergo, Seichan posò gli occhi sulla vetrina. Ricordava molto poco della propria infanzia, e ciò che ricordava avrebbe preferito dimenticarlo. Non aveva mai conosciuto i propri genitori. Era cresciuta in un orfanotrofio alla periferia di Seul, nella Corea del Sud, un posto squallido con poche comodità. Ma c'erano dei libri, tra cui quello di Beatrix Potter, acquistato anni prima da un missionario cattolico. Quei libri, e altri ancora, erano la sua vera infanzia, un luogo dove rifugiarsi per sfuggire alla fame, alle violenze e all'indifferenza. Da bambina, aveva persino realizzato un coniglietto giocattolo con un pezzo di tela imbottito di riso secco. Per evitare che glielo rubassero, lo teneva nascosto dietro un'asse allentata del muro, ma alla fine un topo lo aveva scovato e si era mangiato l'imbottitura. Aveva pianto un giorno intero finché una delle governanti non l'aveva picchiata, ricordandole che persino il dolore era un lusso. Nel vano della porta, Seichan volse le spalle alla vetrina, scacciando quei ricordi. Ma non era solo il passato che l'affliggeva. Attraverso la finestra, vide Gray conversare con un uomo anziano in giacca di tweed. Doveva essere il dottor Wallace Boyle. Seichan fissò Gray. Aveva i capelli neri più lunghi, più lisci sulla fronte. Anche il volto si era indurito, accentuando gli zigomi. Persino gli occhi azzurro pallido avevano qualche ruga in più agli angoli... non per le risa, ma per i due anni difficili che aveva passato. Stando lì al freddo, infarinata di neve, Seichan ripensò alle sue labbra. In un momento di debolezza, lo aveva baciato. Un gesto che non era stato dettato dalla dolcezza, ma solamente dalla disperazione e dal bisogno. Eppure non aveva dimenticato il calore delle labbra, la ruvidità della barba ispida, la forza del suo abbraccio. Ma alla fine non aveva significato nulla per entrambi. La mano nella tasca del cappotto sfiorò la cicatrice sull'addome. Era stato solo un gioco di tradimenti. Come ora. Una vibrazione in tasca l'avvisò di una telefonata. Finalmente. Era quello il vero motivo per cui era rimasta fuori al freddo. «Parla.» «Hanno ancora il reperto?» Era una voce pacata e sicura, benché un po' rude, con accento americano. Era l'unico contatto di Seichan, una donna di nome Krista Magnussen. Seichan non poteva sopportare di prendere ordini da qualcuno, ma non aveva altra scelta. Doveva dimostrare il proprio valore. «Sì, il reperto è al sicuro. Si stanno vedendo col contatto proprio ora.» «Molto bene. Faremo la nostra mossa James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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quando saranno sul sito degli scavi in montagna. La squadra ha piazzato le cariche la notte scorsa. La nevicata recente dovrebbe nascondere ogni prova.» «E l'obiettivo?» «È sempre lo stesso. Mettergli il fuoco sotto i piedi. Alla lettera, in questo caso. Ora il sito archeologico è un ostacolo più che un vantaggio. Ma la sua distruzione deve sembrare naturale.» «E ve ne siete occupati voi.» «Sì. Lasciandoti libera di concentrarti completamente sul tuo obiettivo.» Seichan colse la velata minaccia nelle parole dell'interlocutrice. Non ci sarebbero state scuse per il suo fallimento. Non se aveva cara la pelle. Mentre ascoltava i particolari della missione, continuava a tenere d'occhio la finestra dell'albergo. Questa volta fissò l'italiana seduta al fianco di Gray. Sara sorrise per qualcosa che il professore aveva detto, gli occhi che riflettevano una luce calda persino attraverso quella gelida distanza. Seichan non aveva niente contro Sara Veroni... ma ciò non le avrebbe impedito di avvelenarla. Ore 11.11
Sara ascoltava la conversazione. Sebbene la lezione di storia del professore fosse affascinante, sentiva che c'era sotto di più... riguardo a padre Giovanni e a qualcos'altro, qualcosa che non era ancora venuto a galla. L'uomo continuava a soffermare lo sguardo su di lei, non in modo lascivo, ma come se la stesse studiando. Sara faceva fatica a guardarlo negli occhi. Che cosa stava succedendo? «Continuo a non capire», fece Gray accanto a Sara. «Cosa c'entra questo Doomsday Book con la scoperta sui monti?» Wallace alzò una mano, chiedendogli di pazientare. «Prima di tutto, il vero titolo del libro non era Doomsday, ma Domesday, dalla radice anglosassone dom, che significa 'valutare' o 'stimare'. Il libro era stato commissionato da re Guglielmo per stabilire il valore delle terre appena conquistate, così da poter applicare le imposte e riscuotere le decime. Tracciava una mappa di tutta l'Inghilterra, di ogni città, villaggio e maniero, e censiva le risorse locali, dal numero di animali e aratri nei campi, al numero di pesci nei laghi e nei torrenti. Fino a oggi, il libro rimane uno degli scorci migliori della vita di quel tempo.» «Siamo d'accordo», insistette Gray, volendo chiaramente farlo arrivare al dunque. «Ma lei ha accennato al fatto che un'unica annotazione l'ha condotta al suo scavo attuale. Di che cosa stava parlando?» «Ah, qui sta il punto! Vedete, il Domesday Book è stato scritto in un latino oscuro, compilato da un unico scrivano. Perché fosse necessaria tutta questa sicurezza rimane in gran parte un mistero. Alcuni storici si sono chiesti se questa imponente raccolta di dati non avesse un secondo fine, una ragione segreta. Soprattutto perché alcuni dei luoghi elencati nel libro sono contrassegnati in modo sinistro con un'unica parola latina che significa 'devastato'. La maggior parte di questi James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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luoghi è concentrata nel Nord ovest dell'Inghilterra, dove i confini cambiavano di continuo.» «Per 'Nord ovest', lei intende qui, nella regione dei laghi?» interloquì Sara. «Esatto. La contea di Cumbria era piena di confini di guerra, e molti dei posti indicati come 'devastati' erano siti dove l'esercito del re aveva distrutto una città o un villaggio. Erano annotati perché non si poteva tassare ciò che non c'era più.» «Ah, davvero?» fece Kowalski, guardando torvo i due bicchieri di birra. «Non ha mai sentito parlare dell'imposta di successione?» Wallace girò lo sguardo da Kowalski a Gray. «Lo lasci perdere», gli suggerì Gray. Wallace si schiarì la voce. «Un esame più approfondito del Domesday Book ha svelato una parte del mistero. Non tutti i siti 'devastati' erano il risultato di una conquista. Un numero sparuto di riferimenti non aveva spiegazione. Quei pochi erano segnati in inchiostro rosso, come se qualcuno fosse stato sulle tracce di qualcosa d'importante. Ho cercato una spiegazione e ho dedicato quasi dieci anni a una di quelle annotazioni, il riferimento a un piccolo villaggio sui monti rocciosi che non esiste più. Ho cercato documenti riguardo a questo posto, ma era come se fossero stati distrutti. Mi ero quasi dato per vinto quando ho trovato una strana citazione nel commentario di un fiduciario della Corona di nome Martin Borr. Ho trovato il suo libro su a Saint Michael.» Indicò con la mano la chiesa arroccata sul monte ai margini della cittadina. «Il libro è stato rinvenuto in uno scantinato murato, durante dei lavori di restauro. Borr fu sepolto nel cimitero di Saint Michael, e i suoi beni furono donati alla chiesa. Anche se nel suo commentario non spiegava con precisione cosa era successo in quel villaggio, accennò a qualcosa di terribile, lasciando intendere che Doomsday, 'il Giorno del Giudizio', avrebbe potuto essere un titolo più preciso per quel libro. Marchiò persino il volume con un simbolo pagano, che è quello che ha suscitato il mio interesse, in primo luogo.» «Un simbolo pagano?» ripeté Sara, portando la mano verso la tasca del cappotto, dove teneva la piccola borsa di pelle col suo macabro contenuto. Gray le pose una mano sulle dita e gliele strinse con delicatezza. Il significato era chiaro: finché non avesse saputo di più di quell'uomo, non voleva che Sara gli mostrasse la sua scoperta. Lei ritrasse la mano e l'appoggiò sul tavolo. Wallace non notò la loro comunicazione silenziosa. «Il simbolo era sicuramente pagano. Ecco, ora ve lo mostro.» Immerse un dito nel bicchiere di birra e disegnò sul tavolo di legno, con alcuni abili tratti, un cerchio e una croce. Un simbolo familiare. «Un cerchio crociato», osservò Gray. Wallace inarcò le sopracciglia e fissò Gray in viso. «Esatto. Troverete questo simbolo inciso in molti siti antichi. Ma trovarlo su un commentario cristiano ha attirato la mia attenzione.» Sara sentì che si stavano avvicinando al cuore del James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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mistero. «E questo commentario l'ha aiutata a trovare il villaggio perduto sui monti?» «Be', effettivamente no.» Wallace sorrise. «Quello che ho trovato era ancora più entusiasmante.» «Che cosa intende dire?» domandò lei. Wallace si appoggiò allo schienale, incrociò le braccia e lanciò un'occhiata a ognuno di loro. «Prima che io risponda alla vostra domanda, che ne dite di raccontarmi cosa sta succedendo? Come, per esempio, che ci fate voi qui?» «Non capisco», disse Gray, fingendosi confuso, sforzandosi di salvare la loro copertura. «Non prendetemi per stupido. Se voi siete dei giornalisti, io sono Napoleone.» Wallace posò lo sguardo su Sara. «Del resto, l'ho riconosciuta subito, mia cara signorina. Lei è la nipote di monsignor Veroni.» Sara scoccò un'occhiata a Gray, sconvolta. Sembrava che lui avesse preso un pugno allo stomaco. Kowalski roteò a malapena gli occhi, prese il bicchiere e ingollò il resto della birra tutto d'un fiato. Sara non vedeva ragione di proseguire nel sotterfugio. Guardò in faccia Wallace. Ora capiva perché il professore l'aveva fissata in modo così strano. «Conosce mio zio?» «Sì. Non molto bene, ma lo conosco. E mi dispiace sapere che è ancora in coma. Ci siamo incontrati a un convegno l'anno scorso e abbiamo iniziato una corrispondenza. Suo zio era molto fiero di lei... un'agente dei carabinieri responsabile del reparto speciale che indaga sui furti di opere d'arte antiche. Mi ha inviato delle foto e, alla mia età, non dimentico un bel viso fresco come il suo.» Sara scambiò un'occhiata con Gray, contrita. Non sapeva che suo zio e il professore si conoscessero. Wallace continuò: «Non capisco la ragione di questo sotterfugio, ma, prima di proseguire, voglio una spiegazione». Prima che qualcuno potesse parlare, il terrier del professore prese a ringhiare a denti stretti. Il cane si alzò sulle zampe accanto al fuoco e fissò l'entrata dell'albergo. Quando la porta si spalancò, si mise a ringhiare più forte. Una persona entrò nell'hotel, battendo in terra gli stivali sporchi di neve. Seichan.
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Capitolo 13
† Oslo, Norvegia, 12 ottobre, ore 13.36
I
l pranzo ufficiale terminò con un monito. «L'umanità non può più aspettare, deve rispondere a questa crisi», declamò Ivar Karlsen da un podio in fondo alla sala. «Questa generazione, o la prossima, dovrà affrontare una catastrofe mondiale.» Painter era a un tavolo sul lato opposto della sala, insieme con Monk e John Creed. Erano atterrati a Oslo solo un'ora prima ed erano riusciti ad arrivare appena in tempo al pranzo ufficiale di apertura del Vertice Mondiale sull'Alimentazione. La sala da pranzo del castello di Akershus sembrava uscita dritto da un libro di fiabe medievali. Travi di legno sgrossate sorreggevano il soffitto, mentre il pavimento era un assito di tavole di quercia a spina di pesce. In alto, i lampadari illuminavano i lunghi tavoli drappeggiati di lino. Per il pranzo erano state servite cinque portate, un'ironia per un vertice organizzato per parlare della fame nel mondo. Il menu era stato un perfetto esempio di cucina norvegese, con medaglioni di renna in salsa di funghi e un piatto di lutefisk dall'odore pungente, una specialità norvegese a base di pesce bianco. Monk era ancora intento a girare il cucchiaino nella ciotola del dessert, nel tentativo di raccogliere l'ultimo lampone nella panna montata. Creed si limitava a stringere fra le mani una tazza di caffè e ad ascoltare l'oratore con attenzione. Col podio sul lato opposto della sala, Painter era riuscito a farsi a malapena un'idea di Ivar Karlsen, ma, anche da quella distanza, il fervore e la serietà dell'uomo erano evidenti. «I governi nazionali saranno troppo lenti a rispondere», proseguì Ivar. «Solo il settore privato ha la flessibilità per agire con la velocità e l'innovazione necessarie per evitare questa crisi.» Painter fu costretto ad ammettere che lo scenario presentato da Karlsen era terrificante. Tutti i modelli che aveva illustrato giungevano alla stessa conclusione. Quando la crescita demografica incontrollata avesse superato la produzione alimentare, il caos che ne sarebbe seguito avrebbe sterminato il novanta per cento della popolazione mondiale. Sembrava esserci un'unica soluzione, non molto diversa da quella di Hitler. «Il controllo demografico deve essere avviato immediatamente. Il momento di agire è oggi o, ancora meglio, ieri. L'unico modo per evitare la catastrofe è rallentare il tasso di crescita demografica, stringere i freni prima di schiantarci contro il muro. Ma non illudetevi: ci schianteremo eccome contro il muro. È inevitabile. L'unica domanda è: uccidiamo tutti i passeggeri o ce la caviamo solo con qualche graffio? Per il bene dell'umanità, per il bene del nostro futuro, James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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dobbiamo agire oggi.» Con quelle ultime parole, Karlsen alzò una mano per placare i pochi e sparuti applausi in sala. Erano tutt'altro che entusiastici. Per essere l'apertura del vertice, gettavano sicuramente una nube fosca. Uno degli uomini seduti al tavolo davanti si alzò e prese il microfono. Painter riconobbe l'arcigno economista sudafricano, il dottor Reynard Boutha, copresidente del Club di Roma. Nonostante il cenno di Boutha in direzione di Karlsen quando prese posto sul podio, Painter lesse la tensione e l'irritazione nell'espressione del copresidente. Il tono del discorso non gli era piaciuto. Painter ascoltò a malapena le parole di Boutha. Erano perlopiù concilianti, più ottimistiche, un riconoscimento dei grandi passi già fatti nella lotta contro la fame nel mondo. Painter non distoglieva l'attenzione da Karlsen. L'uomo aveva un'espressione impassibile, ma stringeva forte il bicchiere d'acqua ed evitava di proposito di guardare Boutha, rifiutando il suo messaggio di speranza. Monk fece la stessa valutazione. «Quel tipo sembra sul punto di mollare un pugno a qualcosa.» Il saluto finale di Boutha concluse il pranzo ufficiale. Painter scattò subito in piedi. Volgendosi verso Monk e Creed, disse: «Tornate in hotel. Voglio scambiare due parole con Karlsen, vi raggiungo dopo». John Creed si alzò. «Credevo che il nostro appuntamento fosse fissato per domani mattina.» «Infatti», disse Painter. «Ma un saluto non fa mai male.» Si fece largo controcorrente nella marea di gente che usciva dalla sala. Karlsen era attorniato da un gruppetto di ammiratori che gli facevano le congratulazioni, gli ponevano domande e gli stringevano la mano. Painter gli si avvicinò lentamente. Di lato, udì per caso Boutha parlare con un uomo mal vestito. «Antonio, credevo che avessi avvertito il signor Karlsen di non tenere un discorso così incendiario.» «L'ho fatto», rispose l'altro, il viso rosso e pieno di macchie. «Dà mai ascolto a qualcuno? Ma almeno ha smorzato i toni. Il discorso originale chiedeva il controllo delle nascite obbligatorio nei Paesi del terzo mondo. Riesci a immaginare come sarebbe stato accolto?» Boutha sospirò e cominciò ad allontanarsi con l'altro uomo. «Perlomeno non sarà presente al convegno che si apre domani.» «Capirai che fortuna. Sarà alle Svalbard con alcuni dei nostri finanziatori e sostenitori più importanti. Posso solo immaginare che cosa dirà quando li vedrà a quattr'occhi. Forse se andassi anch'io...» «Lo sai che i voli programmati sono pieni, Antonio. E poi ci sarò io a spegnere eventuali incendi.» Passarono davanti a Painter senza guardarlo, lasciandogli campo libero con Karlsen. Painter fece un passo avanti e prese il braccio dell'amministratore delegato con una stretta a due mani, afferrandogli con una il palmo e con l'altra il polso. «Signor Karlsen, ho pensato di rubarle un minuto per presentarmi. Sono il capitano Neal Wright dell'Ufficio dell'Ispettore Generale degli Stati Uniti.» L'uomo sfilò la mano, ma continuò a sorridere con cordialità. «Ah, l'investigatore del James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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dipartimento della Difesa. Le assicuro che potrà contare sulla mia piena collaborazione in merito alla tragedia in Mali.» «Certamente. E so che il nostro incontro è fissato per domani mattina. Ma volevo solo dirle che ho trovato affascinante il suo discorso.» Painter fece leva su ciò che aveva appena sentito. «Ma mi chiedevo se non stesse per caso smorzando i toni.» «Come mai?» fece l'altro, con aria distratta e insieme interessata. «Pare che saranno necessari metodi drastici per contenere la crescita demografica. Speravo che scendesse nei dettagli anziché tenersi sul vago.» «Forse ha ragione, ma è un argomento controverso, che è bene affrontare con delicatezza. Troppo spesso la gente confonde la linea che separa il controllo demografico dall'eugenetica.» «Come chi può fare figli e chi no?» «Per l'appunto. Non è un argomento per chi è dominato dall'opportunismo politico o dall'opinione generale. Ecco perché i governi nazionali non risolveranno mai questo problema. È questione di volontà e di tempismo.» Karlsen diede un'occhiata all'orologio al polso. «A proposito di tempo, purtroppo sono in ritardo per un altro appuntamento. Ma sarò lieto di approfondire l'argomento quando ci vedremo domani nel mio ufficio.» «Magnifico. E grazie ancora dell'illuminante discorso.» L'uomo annuì e andò via, con la mente già rivolta all'impegno successivo. Painter lo seguì con gli occhi. Mentre Karlsen si avvicinava all'uscita della sala, Painter strinse il cellulare in tasca e schiacciò il tasto su un lato. Il telefono emise un segnale in radiofrequenza che attivò il ricevitore polisintetico impiantato nel suo orecchio. Un brusio di voci e l'acciottolio di stoviglie tolte dal tavolo gli esplosero subito nell'orecchio. I rumori erano amplificati dalla cimice che aveva piazzato nella manica della giacca di Ivar Karlsen quando si erano stretti la mano poco prima. Il dispositivo di sorveglianza elettronico non era più grande di un chicco di riso. Era stato costruito dalla DARPA, basandosi su uno dei progetti personali di Painter. Adesso era il direttore della Sigma, ma aveva cominciato come agente operativo. Era un esperto di microingegneria e sorveglianza. Painter vide Karlsen fermarsi di colpo davanti al buffet della sala e stringere la mano a un uomo dai capelli color argento alto come lui. Riconobbe il senatore Gorman. Per ascoltare di nascosto la conversazione, Painter si sforzò di eliminare il rumore di fondo e si concentrò sulla voce di Karlsen. «... lei, senatore. È riuscito a sentire il mio discorso?» «Solo la conclusione. Ma conosco molto bene le sue opinioni. Com'è stato accolto?» Karlsen si strinse nelle spalle. «È caduto nel vuoto, temo.» «Le cose cambieranno.» «È vero, purtroppo», disse Karlsen con una nota di tristezza nella voce. Poi batté una mano sulla spalla del senatore Gorman. «A proposito, ho appena James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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conosciuto quell'investigatore di Washington. Mi è sembrato un tipo molto in gamba.» Painter si concesse un sorrisetto. Non c'è niente di meglio che fare una buona impressione... Il senatore perlustrò la sala con gli occhi. Guardando altrove, Painter scivolò in mezzo a un gruppo di persone. Il nullaosta di sicurezza del senatore non era abbastanza elevato da permettergli di sapere qualcosa della Sigma. Per quanto il senatore ne sapeva, Painter era un semplice investigatore del dipartimento della Difesa. Nonostante tutto, preferiva l'anonimato. Il generale Metcalf lo aveva avvertito di non irritare quell'uomo. Il senatore si scaldava per un nonnulla e aveva poca pazienza, cosa che dimostrò ampiamente in quel momento. «È uno stupido spreco di risorse mandare qualcuno fin qui», si lamentò Gorman. «Le indagini dovrebbero concentrarsi sul Mali.» «Penso vogliano solo essere scrupolosi. Non è un problema.» «Lei è troppo magnanimo.» Con quelle parole, i due uomini andarono via insieme. Painter tenne la microspia accesa nell'orecchio e s'incamminò a grandi passi verso l'uscita, continuando ad ascoltare di nascosto la conversazione. Era bello avere il coltello per il manico, una volta tanto. In una stanza poco lontana dalla sala da pranzo, Krista Magnussen era seduta davanti a un computer portatile aperto. Fissava il fermo immagine dell'uomo sullo schermo con scarso interesse. Era un bell'uomo dalle spalle larghe, con capelli neri e luminosi occhi azzurri. Durante il pranzo, aveva osservato chiunque fosse entrato in contatto con Ivar Karlsen. Una piccola videocamera senza fili era fissata in un angolo ed era puntata sulla sala. Era priva di audio, ma le riprese consentivano a Krista di analizzare ogni immagine con un programma di riconoscimento facciale e di confrontarla con un database della Gilda. Mentre attendeva, la faccia dell'uomo fu digitalizzata in una serie di punti di riferimento e caricata nel database. Pochi secondi dopo, sullo schermo lampeggiò un'unica parola in rosso, con sotto un codice operativo. La parola la raggelò. Sigma. Conosceva altrettanto bene il codice operativo. Eliminare a vista. Krista tornò alle riprese in diretta della videocamera. Si avvicinò al monitor. L'uomo era scomparso. Era una giornata nera per Antonio Gravel. Fuori, in corridoio, aveva aspettato che Ivar Karlsen passasse dopo il pranzo ufficiale, per tentare un'ultima volta di convincere quel bastardo a lasciarlo andare alle Svalbard. Era persino disposto a fargli qualche concessione, per ingraziarselo, se necessario. Invece Ivar si era imbattuto nel senatore americano. Antonio aveva atteso in disparte di essere presentato, ma quel bastardo lo aveva James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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volutamente ignorato. I due uomini erano andati via, tutti presi a conversare. Antonio respirava a stento dopo quell'insulto. La rabbia montò in furia cieca. Girò i tacchi e andò a sbattere in pieno contro una donna che usciva in tutta fretta da una porta laterale. Indossava una lunga pelliccia, i capelli raccolti da una sciarpa. Antonio la colpì così forte che un paio di grandi occhiali da sole di Versace le scivolò dal volto. La donna li afferrò con destrezza e li inforcò di nuovo sul naso. «Entschuldigen Sie, bitte», si scusò Antonio. Era talmente sorpreso e mortificato che parlò nella sua lingua madre, lo svizzero tedesco... soprattutto dopo essere stato colpito da un lampo di riconoscimento. Chi...? Ignorandolo, la donna passò con uno spintone, gettò un'occhiata nella sala da pranzo, infine scese svelta lungo il corridoio con uno svolazzo della pelliccia che le scendeva fino alle caviglie. Era chiaramente in ritardo per qualche impegno. Antonio la vide scomparire nel vano delle scale più vicino. Irritato, scosse la testa e fece l'atto di avviarsi nella direzione opposta. Poi, d'improvviso, ricordò chi era. Sbalordito, si girò di scatto. Impossibile. Doveva essersi sbagliato. Aveva incontrato la genetista solo una volta, a una riunione organizzativa riguardante il progetto di ricerca della Viatus in Africa. Non ricordava il suo nome, ma era sicuro che fosse la stessa donna. Aveva passato gran parte di quella riunione noiosa a fissarla e spogliarla con gli occhi, immaginandosi come sarebbe stato possederla con la forza. Doveva essere lei. Ma avrebbe dovuto essere morta, una vittima del massacro in Mali. Non era sopravvissuto nessuno. Antonio continuò a fissare il vano delle scale. Che ci faceva lì, viva e vegeta? E perché si nascondeva, sì celava il volto? Antonio socchiuse gli occhi mentre la verità si faceva strada in lui. Stava succedendo qualcosa, qualcosa che nessuno doveva sapere, qualcosa che aveva a che fare con la Viatus. Erano anni che Antonio cercava di scoprire qualche scheletro nell'armadio di Ivar, un modo di piegarlo al proprio volere. Finalmente, forse quella era l'occasione che aspettava. Ma qual era il modo migliore di volgerla a suo vantaggio? Antonio andò via svelto, elucubrando già un piano. Sapeva quale carta giocare per prima. Un uomo che aveva perso il figlio in quel massacro. Il senatore Gorman. Cosa avrebbe pensato il senatore americano se avesse saputo che c'era stato un superstite, qualcuno che Ivar stava tenendo nascosto? Con un sorriso truce, affrettò il passo. D'improvviso, la giornata si era fatta molto più radiosa. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Ore 15.15
Painter passò sotto l'arcata di mattoni che attraversava la cerchia muraria di Akershus. Sebbene fossero passate da poco le tre del pomeriggio, il sole era già basso all'orizzonte a quella latitudine quasi artica. Oltre l'arcata, si apriva il porto del fiordo. I cannoni allineati lungo il passaggio e puntati verso il mare erano ancora coperti di neve, pronti a difendere la città dalle navi da guerra. Benché, in quel momento, ci fosse solo una nave da crociera della Cunard ormeggiata alla banchina. Coi gabbiani che volteggiavano e garrivano nell'aria inquinata dai motori diesel, Painter percorse la banchina e si diresse in città. Aveva ascoltato di nascosto le conversazioni di Ivar Karlsen per un'ora. La cimice gli aveva dato modo di scoprire altri particolari sull'amministratore delegato, chiarimenti che avrebbero potuto dimostrarsi utili durante l'incontro dell'indomani. Le conversazioni erano state perlopiù banali, eppure era chiaro che Karlsen era seriamente impegnato nella lotta contro la fame e la sovrappopolazione nel mondo. Quell'uomo pensava solo a trovare soluzioni reali e concrete. Era la sua missione nella vita. Painter aveva captato anche un frammento interessante di conversazione riguardo a varietà di grano resistenti alla siccità sviluppate dalla Viatus, una delle quali era già stata provata nella fattoria sperimentale in Mali. Da una settimana, grandi carichi di sementi erano già in viaggio per vari luoghi del mondo, facendo impennare i corsi azionari della Viatus. Eppure Ivar non era ancora soddisfatto. Assicurava che la divisione di Biogenetica Agraria della sua società stava continuando a lavorare a nuove varietà con caratteristiche molto richieste: grano resistente agli insetti, agrumi tolleranti al gelo, soia capace di eliminare le erbe infestanti. La lista continuava all'infinito, compresa una varietà di semi di ravizzone che poteva produrre olio indispensabile per la fabbricazione di plastica biodegradabile. Ma la conversazione era terminata con una nota più tetra. Karlsen aveva citato una frase di Henry Kissinger in risposta a una domanda riguardante lo spostamento dell'attenzione della sua società dall'industria petrolchimica alle sementi geneticamente modificate. Aveva detto, parafrasando le parole di Kissinger: «Controllate il petrolio e controllerete nazioni intere; controllate il sistema alimentare e controllerete tutte le popolazioni del mondo». Karlsen era veramente convinto di ciò? Pochi minuti dopo quella conversazione, l'uomo era salito su una limousine della società e si era diretto al suo complesso di ricerca fuori Oslo. La microspia aveva una portata limitata, perciò Painter aveva dovuto rinunciare a spiarlo per il momento. Ed era meglio così. Quello che Karlsen aveva detto della divisione di Biogenetica Agraria aveva acceso un fuoco sotto i piedi di Painter. Sentì a James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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malapena il freddo mentre attraversava l'ombra dell'imponente nave da crociera e si mescolava tra i passeggeri accalcati davanti alla passerella da sbarco. Doveva prepararsi per un altro aspetto delle indagini, un aspetto che lo avrebbe costretto ad agire con un po' più di circospezione quella sera. Mentre si faceva largo tra i passeggeri, un tipo corpulento con indosso un parka andò a sbattere contro di lui. Una frazione di secondo prima dell'urto, Painter fece d'istinto un passo di lato. Una fitta di dolore lancinante gli trafisse un fianco. Si girò di scatto, e vide il riflesso argentato di una lama nella mano abbassata dell'uomo. Se non si fosse scostato all'ultimo secondo, la lama lo avrebbe colpito in pieno stomaco. Non poteva contare due volte su un simile colpo di fortuna. L'uomo lo assalì di nuovo. Nessun altro aveva ancora notato l'aggressione. Painter strappò una fotocamera dal collo di uno degli ignari turisti. Stringendola per la cinghia, fece roteare la pesante Nikon SLR e colpì l'aggressore in pieno orecchio. Quando l'uomo cadde di lato, Painter gli saltò addosso, gli girò la cinghia di pelle intorno al polso e la usò per torcerlo su un fianco e buttarlo a terra. L'uomo picchiò la faccia per terra. Un osso del braccio intrappolato fece crac. Il coltello ruzzolò a terra. Quando tutt'intorno si levarono le grida, Painter scavalcò il corpo prono a terra, e si precipitò a raccogliere l'arma caduta. Prima che potesse raggiungerla, il coltello sobbalzò d'improvviso, con un sibilo acutissimo, e sfrecciò via saltellando come un razzo fuori controllo sul terreno ghiacciato. Painter esitò, riconoscendo l'arma letale. Un pugnale a iniezione WASP. Il manico dell'arma conteneva una bomboletta di gas compresso, che rendeva la lama due volte più pericolosa. La pressione di un pulsante sparava una scarica di gas congelante grande come un pallone da basket attraverso la lama conficcata nella vittima, congelando e polverizzando all'istante tutti i suoi organi interni. Poteva uccidere un orso bruno con una sola pugnalata. Sospinto dalla scarica di gas, il pugnale sfrecciò nel groviglio di stivali e gambe. Sulla banchina scoppiò un pandemonio. Alcuni fuggirono dalla colluttazione, altri si affollarono intorno. Qualcuno gridò: «Quell'uomo mi ha rubato la fotocamera!» Una frotta di guardie di bordo scese con passo pesante dalla passerella. Altre si fecero largo a viva forza tra la folla. Painter si strinse il fianco con una mano e si gettò nella ressa. Il giaccone pesante e la schivata all'ultimo istante gli avevano salvato la vita. Nonostante ciò, il sangue gli zampillava tra le dita e il dolore al fianco era lancinante. Non poteva farsi prendere. Ma le guardie non erano il suo unico pensiero. Mentre correva, teneva d'occhio la folla che lo circondava. L'aggressore era venuto da solo? James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Improbabile. Correndo sulle gambe malferme tra passeggeri e turisti, Painter scrutava i volti che lo circondavano e guardava le mani. Quanti altri ce n'erano travestiti come il primo, nascosti tra la folla e di guardia a quell'uscita di Akershus? Una cosa sapeva per certo. Non era stata un'aggressione casuale, quella. Non con l'aggressore armato di pugnale a iniezione WASP. In qualche modo, la sua copertura era saltata e intorno alla fortezza era stata tesa una rete. Doveva allontanarsi dal porto, frapporre una certa distanza tra sé e chi gli aveva teso l'agguato. La folla era meno fitta quando saltò la recinzione ed entrò nel parco che orlava il porto. Il terreno era coperto di neve ghiacciata, che gli scricchiolava sotto gli stivali. Gocce scarlatte schizzarono nella neve. Stava lasciando una traccia facile da seguire. A una cinquantina di metri di distanza, un altro uomo in parka saltò la recinzione e gli andò incontro con passo pesante. Non aveva più motivo di avvicinarsi di soppiatto. Non sapendo se fosse armato, Painter girò su se stesso e fuggì verso il boschetto di pini che copriva la metà posteriore del parco. Doveva trovare un riparo. L'assassino seguì la traccia di orme fresche nella neve. Correva curvo, il pugnale stretto nella mano sinistra. Raggiunse il limite del boschetto, tenendo d'occhio le tracce e i dintorni. Sotto gli alberi, il percorso si fece buio ma non tanto da fargli perdere di vista le orme. Nessuno era passato di lì dall'ultima nevicata. Solo una serie di impronte deturpava la neve immacolata. Oltre a una scia di gocce di sangue. La pista zigzagava tra gli alberi. Era chiaro che l'uomo braccato temeva una pistola e aveva adottato uno schema difensivo. Fatica sprecata. L'assassino tagliò dritto nel bosco, camminando parallelo al percorso tortuoso. Più avanti, si aprì una radura. Era attraversata da una scia di orme. La sua preda aveva abbandonato ogni prudenza nel tentativo di raggiungere le strade urbane di là del parco. Stringendo più forte il pugnale, affrettò l'andatura per accorciare le distanze. Quando raggiunse l'orlo della radura, il ramo basso di un pino poco lontano schioccò come una frusta, colpendolo in mezzo agli stinchi con la forza di un ariete. Gli mancarono i piedi e cadde a faccia in giù nella neve. Prima che potesse muoversi, qualcosa di pesante gli si abbatté sulla schiena e gli mozzò il respiro che gli era rimasto. Si rese conto dell'errore. La sua preda era ritornata sui propri passi, si era nascosta dietro il pino e gli aveva teso un'imboscata, tirando indietro il ramo che lo aveva colpito alle caviglie. Il suo ultimo errore. Una mano lo afferrò d'improvviso per il mento, l'altra lo inchiodò a terra per il collo. Uno strattone secco, e il collo si spezzò. Un'esplosione di dolore, come se James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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gli fosse scoppiata la sommità del capo, poi il buio. Ore 17.34
«Fermo!» lo rimproverò Monk. «Mi manca solo un punto.» Painter era seduto sul bordo della vasca in boxer. Sentì l'ago infilarsi nella carne. Lo spray anestetico leniva soltanto le fitte di dolore più acute. Perlomeno Monk era svelto. Aveva già sbrigliato e pulito la ferita nonché iniettato gli antibiotici profilattici. Con un'ultima abile torsione delle pinze per dissezione chiuse la lacerazione di dieci centimetri sotto il lato sinistro della gabbia toracica di Painter. Monk buttò tutto nella busta di un kit chirurgico sterile sul pavimento della stanza da bagno, prese un rotolo di garza e cerotto in nastro, e cominciò a fasciare il torace di Painter. «E ora che si fa?» domandò Monk. «Ci atteniamo ai programmi?» Dopo l'aggressione, Painter era fuggito in città, fermandosi ancora qualche minuto per assicurarsi di non avere nessuno alle calcagna. Dopodiché aveva chiamato Monk. Per precauzione, aveva ordinato loro di cambiare hotel e di prenotare di nuovo sotto un altro falso nome. Painter li aveva raggiunti lì. «Non vedo ragione per cambiarli», rispose Painter. Monk accennò alla ferita. «Vedo una ragione di circa dieci centimetri.» Painter scosse la testa. «Un lavoro fatto male. Chiunque abbia preparato quell'agguato deve averlo fatto in fretta e furia. In qualche modo sono stato riconosciuto, ma non credo che corriamo altri pericoli.» «Bastano e avanzano, però.» «Significa solo che sarà necessario prendere più precauzioni da qui in poi. Dovrò evitare il vertice. Non farmi vedere. Questo significa che sarà necessario fare molto più affidamento su Creed e te.» «Quindi andiamo ancora a perlustrare quel complesso di ricerca stanotte?» Painter annuì. «Vi seguirò via radio. Non dovete fare niente di particolare. Vi intrufolate nel complesso, vi inserite nei server e ve la battete.» Era un gioco da ragazzi. Grazie alle conoscenze di Kat Bryant, avevano tessere di riconoscimento, chiavi elettroniche e una pianta completa del complesso della Viatus. Sarebbero entrati dopo mezzanotte, quando il posto era pressoché deserto. John Creed entrò precipitosamente nella stanza da bagno. Indossava un camice da laboratorio col logo della Viatus sulla tasca. Doveva essere occupato a provare il suo travestimento. «Signore, il suo telefono. Sta squillando.» Painter tese la mano e prese il cellulare. Lesse il nome del chiamante e corrugò la fronte. Era il numero del generale Metcalf. Perché gli stava telefonando? Painter aveva preferito non ragguagliare Washington su quel che era accaduto finché non avesse saputo qualcosa di più a riguardo. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Interrompere l'operazione prima ancora che partisse non sarebbe andato bene a nessuno. Men che meno a Painter. Aprì il telefono e rispose. «Generale Metcalf?» «Direttore Crowe. Suppongo si stia ancora ambientando lì. Perciò sarò breve. Ho appena ricevuto una telefonata del senatore Gorman. Era molto agitato.» Painter si sforzò di capire. Non aveva fatto nulla per irritare il senatore. «Gorman ha ricevuto una telefonata criptica mezz'ora fa. Da qualcuno che sosteneva di avere delle informazioni sull'attacco in Africa. Ha detto che sapeva di un superstite del massacro.» «Un superstite?» Painter non riuscì a celare la propria sorpresa. «L'autore della telefonata vuole incontrare il senatore al bar del suo hotel. Per fornirgli ulteriori particolari. Ma vuole incontrare Gorman da solo.» «Non credo sia prudente.» «Nemmeno noi. Ecco perché lei andrà in quel bar. Il senatore sa che un investigatore del dipartimento della Difesa è già a Oslo. Ha richiesto personalmente la sua presenza. Lei resterà defilato, interverrà solo se necessario.» «Quando si devono incontrare?» «Stasera, a mezzanotte.» Ti pareva. Painter terminò la telefonata e lanciò di nuovo il cellulare a Creed. «Che è successo?» domandò Monk. Painter gli spiegò gli sviluppi, cosa che fece solo accigliare di più Monk. Creed diede voce a un timore che tutti nutrivano. «Potrebbe essere una trappola. Tesa ad attirarla di nuovo allo scoperto.» «Ci conviene cancellare l'operazione alla Viatus», suggerì Monk. «E venire con lei per coprirla.» Painter rifletté su quella possibilità. Monk non partecipava a un'operazione sul campo da un po' di tempo e Creed era alle prime armi. Sarebbe stato rischioso mandarli nel complesso di ricerca da soli. Painter fissò Monk, valutando le variabili. Monk immaginava il motivo di quello sguardo intenso. «Possiamo ancora farlo, signore. Il ragazzo sarà anche inesperto, ma ci riusciremo.» C'era molta sicurezza nella sua voce, notò Painter. Con un sospiro, smise di analizzare troppo la situazione. Non era più nel suo ufficio di Washington. Quella era un'operazione sul campo. Doveva fidarsi del proprio istinto, e il suo istinto gli diceva che la situazione stava rapidamente sfuggendo di mano. Non c'era tempo da perdere. «Ci atteniamo ai programmi», disse in tono perentorio. «Dobbiamo accedere a quel server. Dal giorno dell'attacco, è chiaro che la sfrontatezza e il nervosismo di qualcuno stanno crescendo di pari passo. Una brutta combinazione. Non possiamo farci fermare. Perciò stasera dovremo dividerci.» Creed parve preoccupato, ma non per se stesso. «E se la aggrediscono di nuovo, signore?» «Non preoccuparti. Hanno già avuto la loro occasione.» Painter allungò la mano nel lavabo e prese il pugnale WASP che aveva sottratto all'assassino nel parco. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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«Stasera, sono io quello che va a caccia.» Ore 18.01
Paludata in un giaccone col cappuccio foderato di volpe, Krista percorse a grandi passi il sentiero centrale del Frognerparken, nel quartiere orientale di Oslo. Aveva un appartamento che si affacciava sul parco innevato, ma non poteva più aspettare in casa. Aveva con sé il telefono. Il sole era tramontato e la temperatura era precipitata. Aveva il parco tutto per sé. Proseguì lungo il sentiero, attraversando il parco delle sculture. Nell'aria gelida, il respiro si condensava in vapore bianco. Aveva bisogno di muoversi, ma la tensione la irrigidiva. Sparse qua e là c'erano più di duecento sculture di Gustav Vigeland, un tesoro nazionale norvegese. Quasi tutte le opere scultoree raffiguravano corpi nudi in vari gruppi e pose contorte. In quel momento le sculture erano coperte di neve, come avvolte in mantelli bianchi stracciati. Più in là, la scultura più importante svettava sul punto più alto del parco, sotto le luci notturne. Era il Monolito. A Krista aveva sempre rammentato qualcosa dell'Inferno di Dante, soprattutto di notte. Forse era per quello che era attratta lì adesso. L'opera era una torre cilindrica alta quattro piani scolpita in un unico blocco di granito. Raffigurava una massa di figure umane che si avvinghiavano, contorcevano e abbracciavano, in una strana orgia di pietra. Doveva simboleggiare il ciclo eterno dell'umanità, ma ai suoi occhi sembrava una grande fossa comune. Alzò gli occhi e fissò l'opera, sapendo ciò che stava per accadere. Ciò che stiamo per scatenare... Rabbrividì nel giaccone e strinse più forte al collo il cappuccio foderato di volpe. Non erano i rimorsi che la facevano tremare, ma la semplice mostruosità di quello che stava per compiersi. Era già in corso, lo era da oltre dieci anni, ma nei giorni seguenti sarebbe stato troppo tardi per tornare indietro. Il mondo stava per cambiare, e lei aveva avuto un ruolo centrale in tutto quello. Ma non aveva agito da sola. Il telefono, ancora stretto in tasca, vibrò. Krista tirò un profondo respiro ed emise un filo di vapore bianco. Quel giorno aveva fallito. Quale sarebbe stata la sua punizione? Perlustrò con gli occhi il parco immerso nel buio che la circondava. La stavano già braccando? La morte non la spaventava. Quel che la terrorizzava era essere messa fuori gioco ora, proprio all'ultimo. Nella foga, aveva agito in modo affrettato. Avrebbe dovuto mettersi in contatto coi suoi superiori prima di tentare di eliminare da sola un agente operativo della James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Sigma. Alzò il telefono e lo infilò sotto il cappuccio. «Sì?» Sola nel parco, non doveva preoccuparsi che qualcuno la ascoltasse di nascosto. Inoltre il telefono satellitare era criptato. Si preparò a quello che l'attendeva, qualunque cosa fosse. Tuttavia non era pronta per la voce che le rispose. Si sentì gelare. Quasi che fosse nuda nel parco gelido. «È vivo», disse la voce, inespressiva. «Avresti dovuto saperlo.» Col respiro intrappolato nel petto, Krista non riuscì a parlare. Aveva udito quella voce solo una volta in vita sua. Dopo essere stata reclutata e avere superato una brutale iniziazione: il massacro di una famiglia intera, compreso un neonato. Il politico venezuelano stava dando il proprio sostegno a un'inchiesta su una società farmaceutica francese, un'inchiesta che doveva essere fermata. Si era beccata anche un proiettile nella gamba, sparato dalla scorta dell'uomo, ma era riuscita a fuggire lo stesso, senza lasciar traccia. Durante il periodo di guarigione, aveva ricevuto una telefonata, di congratulazioni. Dall'uomo che adesso era al telefono. Si diceva che fosse uno dei capi della Gilda, quelli noti semplicemente come Echelon. Alla fine ritrovò la voce. «Signore, mi assumo tutta la responsabilità del fallimento.» «E immagino che tu abbia imparato da questo errore.» Il tono era sempre inespressivo. Krista non riusciva a capire se il suo interlocutore fosse arrabbiato o no. «Sissignore.» «Da qui in poi, ce ne occuperemo noi. Si stanno prendendo provvedimenti. Ma è sorta una nuova minaccia, più immediata della Sigma che ficca il naso negli affari altrui. Una cosa che ti conviene gestire lì sul campo.» «Signore?» «Qualcuno sa che c'è stato un sopravvissuto al massacro in Mali. Incontrerà il senatore Gorman stasera.» Krista strinse il telefono tra le dita. Com'era possibile? Era stata così attenta. Ripensò rapidamente agli ultimi giorni. Si era tenuta ben nascosta. La rabbia ebbe il sopravvento sulla paura. «Quell'incontro non dovrà tenersi», l'avvertì la voce, riferendole i dettagli dell'appuntamento notturno. «E il senatore?» «Sacrificabile. Se viene a saperlo prima che tu metta a tacere tutto, eliminalo. Non deve rimanere nessuna prova.» Krista era d'accordo, sapeva che era inutile ribadirlo. «E l'operazione in Inghilterra? È tutto a posto?» proseguì l'uomo. «Sissignore.» «Sai già quant'è importante per noi trovare la chiave del Doomsday Book.» Sì, lo sapeva. Alzò gli occhi e fissò il Monolito, la colonna di corpi che si contorcevano. La chiave sarebbe stata la loro salvezza o la loro rovina. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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«Ti fidi del tuo contatto?» domandò l'uomo. «Certo che no. La fiducia non serve a niente. Solo il potere e il controllo.» Per una volta, l'uomo parlò con una nota divertita nella voce. «Sei stata preparata bene.» E chiuse la comunicazione. Ma non prima di avere aggiunto un'ultima frase enigmatica: «Echelon ti osserva». Krista rimase in piedi dinanzi al Monolito. Col telefono ancora all'orecchio, rabbrividì di nuovo... per il sollievo, per la paura, ma più che altro per una certezza. Non doveva fallire.
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Capitolo 14
† Lake District, Inghilterra, 12 ottobre, ore 16.16
G
ray squadrò il mezzo di trasporto con aria perplessa. E il mezzo di trasporto ricambiò il suo sguardo, non meno dubbioso, sottolineandolo con un colpo in terra dello zoccolo. «È un Fell Pony», spiegò il dottor Wallace Boyle, intento a lavorare tra i cavalli radunati. «Non troverà un pony più vivace al mondo. Perfetto per le escursioni in montagna. Sicuro e forte come un bue.» «Questi lei li chiama 'pony'?» fece Kowalski. Gray comprendeva la costernazione del suo collega. Lo stallone nero opaco che stavano sellando per Gray doveva essere alto quasi un metro e cinquantatré centimetri al garrese. Sbuffava nell'aria gelida e raspava con uno zoccolo nel fango semicongelato. «Oh, buono, Pip», disse un allevatore mentre dava un altro strattone al sottopancia della sella. Il gruppo era partito in automobile da Hawkshead un'ora prima. Wallace li aveva portati in quell'allevamento di cavalli nel cuore dei monti. A quanto sembrava, l'unico modo di raggiungere il sito degli scavi da lì era a piedi o a cavallo. Wallace aveva telefonato prima di partire e preso accordi per i loro mezzi di trasporto a quattro zampe. «Il Fell Pony ha una lunga tradizione in questa regione», proseguì mentre venivano messi i finimenti ai cavalli. «I feroci pitti li usavano contro i romani. I contadini vichinghi li usavano come animali da aratro. E i normanni che giunsero in seguito li trasformarono in bestie da soma per trasportare piombo e carbone.» Wallace sfregò il collo del suo castrone castano e montò in sella. Il terrier, Rufus, passò trotterellando in mezzo alle cavalcature e alzò una zampa davanti a un palo del recinto. La diffidenza iniziale del cane nei riguardi di Seichan si era trasformata in una cauta tregua, a quanto sembrava. Le girò al largo quando la donna infilò un piede nella staffa e montò con agilità in sella a una cavalla baia dall'aria ben piantata. «Temo che dovrete scusare il vecchio Rufus», li aveva avvertiti Wallace nel pub. «È attaccato alle proprie abitudini, lui. E mi vergogno di dire che è anche un po' insofferente. Ha dato un morso a un dottorando pakistano la primavera scorsa.» Sara aveva fatto una faccia sbigottita. Seichan non aveva battuto ciglio. Si era limitata a fissare il cane finché questi non aveva abbassato la coda e non si era ritirato all'ombra del suo padrone. Dopodiché li aveva raggiunti al tavolo. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Essendo stata riconosciuta, Sara aveva confessato il vero fine dell'incontro con Wallace, anche se non era scesa nei particolari. Non aveva fatto parola del dito mummificato. Il professore aveva ascoltato con calma, infine aveva alzato le spalle. «Stia tranquilla. Il suo segreto è al sicuro con me. Se riesco ad aiutarvi a beccare quei vermi schifosi che hanno ucciso Marco e mandato suo zio in ospedale, be', tanto meglio.» Perciò si erano messi in viaggio. Ma avevano ancora molta strada da fare. Gray montò in sella al suo stallone, Pip, e dopo un po' di scalpiccii, si misero in viaggio. Il dottor Boyle fece strada in groppa al suo castrone. Gli altri lo seguirono in fila indiana su per un sentiero tortuoso. Gray non andava a cavallo da secoli. Gli ci volle un chilometro buono per prendere la mano, per trovare il giusto ritmo col suo cavallo. In lontananza, la vetta innevata della montagna più alta d'Inghilterra, lo Scafell Pike, mandava un ultimo sfolgorio di luci al calar del sole. Durante il viaggio, un silenzio gelido ammantava i monti. L'unico suono era lo scricchiolio della neve sotto gli zoccoli dei pony. Gray fu costretto ad ammettere che Wallace non aveva affatto esagerato quando aveva magnificato le doti delle loro cavalcature. Pip sembrava sapere dove mettere gli zoccoli, anche con la neve. In discesa, non perdeva mai l'appoggio e teneva sempre saldo l'equilibrio. Dopo altri tre chilometri, il sentiero si allargò abbastanza da permettere a Gray di affiancare Sara e Seichan. Le due stavano parlottando. Quando Gray le raggiunse, Sara era alle prese con la propria borraccia di plastica. Seichan notò la sua difficoltà e mollò le redini. Guidando il cavallo con le gambe, liberò un thermos e svitò il coperchio. «Tè caldo», disse Seichan, porgendo una tazza alla donna. «Grazie.» Sara bevve un sorso, il vapore che le inumidiva il volto. «Ah, che buono. Ti riscalda tutto il corpo.» «È una mia miscela speciale.» Sara la ringraziò di nuovo con un cenno del capo quando finì il tè e le restituì la tazza. Più avanti, Kowalski stava in sella come un sacco di patate, mezzo addormentato, la testa ciondolante, confidando che il pony seguisse Wallace. Attraversarono una foresta rada di ontani e querce, un felceta immerso in un paesaggio di zolle innevate e ruscelli ghiacciati. Gray era contento di andare a cavallo, di non scarpinare a piedi. A differenza di Rufus, al quale pareva non importare mentre trotterellava al loro fianco, saltellando da un poggio all'altro fra le zone più umide. L'aria si fece più fredda mentre il sole calava. «Quanto credi che manchi ancora?» domandò Sara. Parlava sottovoce. Il silenzio gelido del luogo sortiva quell'effetto. Gray scosse la testa. Wallace non aveva voluto fornire nessun particolare all'infuori di un vago «lassù nelle zone inospitali del monte». Nonostante ciò, Gray non aveva timore di non trovare la via del ritorno. Prima di partire, aveva acceso James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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un GPS portatile in tasca. Monitorava il loro percorso, lasciando un sentiero di piccole briciole digitali. Sara s'infagottò meglio nel giaccone. Il respiro mandava nuvolette di vapore nell'aria. «Forse avremmo dovuto aspettare domani mattina.» «No», ribatté Seichan, con voce cupa. «Se ci sono delle risposte qui fuori, prima le troviamo, meglio è.» Gray convenne, ma in quel momento un bel falò non sarebbe stato affatto male. Tuttavia notò le labbra contratte di Seichan. Guardava fisso davanti a sé. Scivolando indietro, Gray ne approfittò per osservare con attenzione le due donne. Erano diverse come il giorno e la notte. Sara cavalcava con disinvoltura, ondeggiando rilassata ma pronta a adattarsi alle nuove condizioni ambientali. Passava gran parte del tempo a guardarsi intorno, ad assimilare ogni cosa. Seichan cavalcava invece come se andasse in battaglia. Era chiaro che sapeva andare bene a cavallo, ma Gray notò che correggeva ogni minimo passo sbagliato del pony. Come se tutto dovesse piegarsi al suo volere. Come Sara, anche lei studiava i dintorni, ma i suoi occhi guizzavano qua e là, la fronte corrugata dai pensieri. Nonostante le differenze, le due donne avevano anche delle affinità sorprendenti. Erano entrambe volitive, sicure di sé, provocatorie. E a volte riuscivano a zittirlo con un'occhiata. Gray si costrinse a scacciare quei pensieri quando si rese conto che le due donne avevano un altro tratto in comune. Non aveva futuro con nessuna delle due. Aveva chiuso quel capitolo con Sara da molto tempo, ed era meglio non aprire mai quel libro con Seichan. Ognuno assorto nei propri pensieri, continuarono a cavalcare in silenzio tra i monti. Nell'ora successiva, il faticoso viaggio divenne un'immagine indistinta di scarpate rocciose, dirupi innevati e macchie di foresta nera. Alla fine giunsero in cima a un'altura e una valle profonda si spalancò sotto i loro occhi. La discesa era ripidissima. Wallace li fece fermare. «Siamo quasi arrivati», annunciò. Sotto un cielo terso trapuntato di stelle, avevano fatto poca fatica a cavalcare al buio, ma laggiù li attendeva la notte vera. Un bosco oscuro copriva la valle. Ma c'era dell'altro. Su quello sfondo nero, alcuni bagliori rosseggianti punteggiavano la foresta, come piccoli falò. Sarebbe stato difficile notarli di giorno. «Cosa sono quei bagliori laggiù?» domandò Gray. «Fuochi di torba», rispose Wallace, soffiando sulle mani guantate per sciogliere il ghiaccio della barba. «Buona parte dei monti è ricoperta di torba. Perlopiù torbiere climatiche.» «E cosa sarebbero in parole povere?» domandò Kowalski. Wallace spiegò, ma Gray se ne intendeva abbastanza di torba. Era un giacimento di materia vegetale decomposta: alberi, foglie, muschi, funghi. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Si formava in grandi quantità nelle zone umide. I giacimenti erano diffusi nei luoghi in cui i ghiacciai si erano ritirati e davano luogo a un paesaggio montuoso, come lì, nella regione dei laghi. Wallace indicò giù, nella valle. «Laggiù c'è una foresta nata da una delle torbiere più profonde della regione. Si estende per migliaia di ettari da qui. La maggior parte dei giacimenti di torba della regione è profonda più o meno tre metri. In questa valle ci sono punti dieci volte più profondi. È una torbiera molto antica.» «E i fuochi?» volle sapere Sara. «Be', la torba ha questo di buono», rispose Wallace. «Brucia. Viene raccolta come combustile fossile da quando l'uomo è comparso sulla terra. Per cucinare, per riscaldare. Credo siano stati quei fuochi naturali laggiù a suggerire agli uomini primitivi l'idea di cominciare a bruciare quella robaccia.» «Da quanto tempo bruciano i fuochi di questa valle?» domandò Gray. Wallace si strinse nelle spalle. «Chi lo sa. C'erano già quando sono arrivato qui tre anni fa. Bruciando lentamente senza fiamma sottoterra, è praticamente impossibile spegnerli. Bruciano all'infinito, alimentati da un pozzo senza fine di combustibile. Si sa che alcuni di questi fuochi bruciano da secoli.» «Sono pericolosi?» chiese Sara. «Certo, mia cara. Dovete stare attenti a dove mettete i piedi. Il terreno potrebbe sembrare solido, o essere coperto di neve, ma poche decine di centimetri più sotto potrebbe esserci un inferno. Sacche di torba in fiamme e fiumi di fuoco.» Wallace spronò il cavallo coi talloni e cominciò a scendere a valle. «State tranquilli, però. Conosco dei sentieri sicuri. Non allontanatevi da soli. State attaccati a me.» Nessuno obiettò. Persino Rufus si avvicinò al fianco del suo padrone. Gray tirò fuori il suo GPS, assicurandosi che stesse ancora tracciando il loro percorso. Sul piccolo schermo era riprodotta una carta topografica. Una linea di puntini rossi indicava la strada per uscire dai monti. Soddisfatto, Gray s'infilò di nuovo l'apparecchio nella tasca del giaccone. Quando alzò gli occhi, sorprese Seichan mentre lo fissava. La donna si affrettò a guardare da un'altra parte, un po' troppo velocemente. Wallace li condusse a valle lungo un sentiero a zigzag. Pietrisco sdrucciolevole e torba sbriciolata rendevano insidiosa la discesa, ma Wallace si rivelò un uomo di parola. Li portò giù sani e salvi. «Seguite il sentiero», li avvertì Wallace, avviandosi. «Quale sentiero?» borbottò Kowalski. Gray comprendeva la confusione del collega. Più avanti si apriva una distesa di neve. Gli unici segni caratteristici erano alcuni poggi di edera e un pugno di massi tondeggianti coperti di licheni che sembravano stretti l'uno all'altro come giganti di pietra. Sull'estrema sinistra, un bagliore rosato brillava su una zolla orlata di sfagno verde. Il fumo nero risaliva sullo sfondo della neve candida. L'aria gelida James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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sapeva di prosciutto arrosto. Wallace tirò un profondo respiro. «Mi ricorda casa mia», disse entusiasta mentre espirava, l'accento scozzese più marcato. «Non c'è niente di meglio di un fuoco di torba e di un bel cicchetto di scotch.» «Davvero?» fece Kowalski, alzando la testa di scatto, col naso in aria. Wallace li condusse lungo un percorso tortuoso in mezzo agli alti massi. Nonostante i suoi avvertimenti, non sembrava affatto preoccupato. La maggior parte dei fuochi era ai margini della valle, alcuni persino sui monti più in alto. Gray sapeva che quei falò erano spesso appiccati da incendi che scoppiavano nel sottosuolo, e che bruciavano senza fiamma per anni. I bordi dei giacimenti di torba erano i più esposti a quel tipo di fenomeno. Oltre la distesa, si stagliava il muro di foresta nera. Rami carichi di neve riflettevano la luce delle stelle, ma sotto le fronde era buio pesto. Wallace non si fece trovare impreparato. Si chinò e accese una lanterna legata alla sella. La luce era molto potente. S'inoltrarono nella foresta, sempre in fila indiana. Il fumo era meno denso. La foresta era un mosaico di mirti, betulle e pini, oltre a imponenti querce dall'aspetto secolare. I tronchi erano nodosi, i rami ancora incrostati di foglie brune secche. Il suolo innevato era cosparso di ghiande, che davano ragione del numero di scoiattoli che fuggivano al loro passaggio. Gray vide qualcosa di più grande allontanarsi sgambettando, allungato sul terreno. Rufus fece l'atto di avventarsi, ma Wallace gridò: «Lascialo stare! Quel tasso ti strapperà il naso dal muso». Kowalski scrutò la foresta buia con circospezione. «E gli orsi? Ne avete in Inghilterra?» «Certo che sì», rispose Wallace. Kowalski avvicinò il pony all'uomo armato di fucile da caccia. «Abbiamo un sacco di orsi negli zoo», continuò il professore con un sorriso. «Ma nessuno allo stato brado dal Medioevo.» Kowalski gli lanciò un'occhiataccia per averlo spaventato, ma non si staccò da lui. Cavalcarono nella foresta un'altra mezz'ora. Viaggiando al buio, Gray perse completamente l'orientamento. La foresta fitta nascondeva ogni punto di riferimento. Finalmente, gli alberi diminuirono e si aprì un'altra distesa. La luce delle stelle inondava una vasta conca grande circa mezzo ettaro. Ciuffi di erba e felce spuntavano dalla neve fresca che ammantava la depressione, oltre ai ceppi di alberi che erano stati abbattuti per sgombrare l'area. Per il resto, era priva di segni... ma non vuota. Su un lato spiccavano due tende casetta scure con la pesante tela tesa su un'armatura d'acciaio. Oltre alle tende, campeggiavano piccoli cumuli piramidali di torba prelevata dagli scavi, pronta da bruciare per riscaldare l'accampamento. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Ma non c'era anima viva. Nei mesi invernali il sito veniva abbandonato a causa del pericolo di violente bufere di neve. Tuttavia, non fu il campo immerso nel buio ad attirare l'attenzione di tutti. Gray fissò il centro della conca. Il sito degli scavi era delimitato da cordoni gialli che s'incrociavano sul campo formando una grande griglia. Come intrappolati in una ragnatela di corda, imponenti blocchi di pietra spuntavano dal terreno in un rozzo cerchio. Ogni blocco era alto il doppio di Gray. Su una coppia di pietre poggiava una grande lastra, a formare una grezza entrata nel cerchio. A Gray tornò in mente la descrizione che Wallace aveva fatto dei siti neolitici che punteggiavano la regione. A quanto sembrava, ne aveva trovato uno nuovo, dimenticato da secoli in quella foresta di torba. «Sembra una piccola Stonehenge», osservò Kowalski. Wallace smontò dal pony e lo prese per le redini. «Solo che questo sito è più antico di Stonehenge. Molto più antico.» Scesero tutti da cavallo. Accanto alle tende c'era un semplice recinto riparato, dove portarono i pony, li alleggerirono delle selle e li strigliarono. Kowalski andò a prendere dell'acqua in un ruscello poco lontano. Wallace spiegò la sua scoperta, in che modo gli indizi che aveva trovato nel Domesday Book lo avevano condotto sin lì, in un luogo segnato in latino come «devastato». «Non ho trovato tracce della città. Doveva essere stata rasa al suolo. Ma, durante le ricerche, mi sono imbattuto in queste pietre. Erano semisepolte nella torba. Un profano le avrebbe scambiate con facilità per normali massi, tanto più che erano ricoperte di licheni e muschio. Ma i blocchi sono un tipo di roccia blu che non si trova da queste parti.» Il suo entusiasmo cresceva via via che parlava. Sistemati i pony, Wallace li condusse al cerchio di pietre, portando con sé la lanterna. Gray tirò fuori una torcia elettrica dalla sua bisaccia. In gruppo, scavalcarono i cordoni di delimitazione e sprofondarono nella neve fino alla caviglia. Il cerchio di pietre giaceva in uno scavo quadrato. Nel corso degli anni, le squadre di archeologi avevano liberato un po' alla volta le rocce dagli strati di torba. «Le pietre erano semisepolte quando sono capitato qui la prima volta. A causa dell'enorme peso, sono sprofondate nel pantano nel corso di migliaia di anni.» «Migliaia di anni?» ripeté Sara. «A quando risale questo posto?» «L'ho datato duemila anni prima di Stonehenge. All'epoca dei primi insediamenti sulle Isole Britanniche. Per darle un'idea, sono mille anni prima della costruzione delle Grandi Piramidi.» Quando raggiunsero il cerchio scuro, Gray puntò la torcia verso il blocco di pietra più vicino. Liberato dal muschio e dai licheni, era indubbio che fosse opera dell'uomo. Grezzi petroglifi erano stati scolpiti sul lato che Gray stava osservando. Le incisioni tappezzavano tutta la superficie esposta... ma il motivo era sempre lo stesso. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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«Spirali», disse Gray a mezza voce, attirando l'attenzione di Sara. La donna lo raggiunse, così come Wallace. «Un simbolo pagano molto comune», commentò il professore. «Simboleggia il viaggio dell'anima. Questo esempio è praticamente una copia perfetta dei petroglifi rinvenuti a New grange, un complesso di tumuli preceltici che si trova in Irlanda. Newgrange è stato datato intorno al 3200 avanti Cristo, più o meno lo stesso periodo di questo cerchio, cosa che lascia pensare che siano stati eretti con ogni probabilità dalla stessa tribù». «I druidi?» domandò Kowalski. Wallace aggrottò le sopracciglia. «Come? Ma dove ha imparato la storia, giovanotto? I druidi erano i sacerdoti dei celti. Sono entrati in scena tremila anni dopo.» Indicò il cerchio di pietre neolitico con un ampio gesto del braccio. «Questo è opera della primissima tribù che si è insediata sulle Isole Britanniche, un popolo che era qui molto tempo prima dei celti e dei druidi.» Kowalski si limitò ad alzare le spalle, non prendendosela per la figuraccia che il professore gli aveva fatto fare. Wallace sospirò. «Però credo di sapere perché la maggior parte delle persone fa questo errore. I celti veneravano questo popolo scomparso, ritenevano che fossero le loro divinità, ne assorbirono persino la cultura. Praticavano i loro culti presso questi antichi siti, ne assimilarono la mitologia, ritenendo che queste antiche pietre fossero la casa delle loro divinità. Infatti, quello che oggi si considera l'apogeo dell'arte celtica si basa su queste antiche incisioni pagane. In definitiva, ogni cosa è riconducibile qui.» Wallace indicò gli imponenti megaliti. «Ma la domanda più importante non ha trovato ancora risposta: chi erano gli antichi costruttori di questi cerchi?» Gray avvertì l'entusiasmo di Wallace raggiungere nuove vette. Sembrava avesse altro da raccontare, qualcosa che non aveva ancora rivelato, da istrione qual era. Ma, prima che potesse continuare, Sara lo interruppe. «Venite a vedere questo.» Sara aveva girato intorno al megalito ed era entrata nel cerchio. Puntava il braccio verso la superficie interna della pietra. Seguito dagli altri, Gray scavalcò i cordoni di delimitazione e la raggiunse. Alzò la torcia. C'era un solo simbolo scolpito nella roccia su quel lato. Girandosi, puntò il fascio di luce dall'altra parte, sugli altri blocchi verticali. Erano dodici in tutto, notò. Ognuno segnato con lo stesso simbolo. «Il cerchio crociato», disse Gray. Wallace annuì. «Ora sa perché ero sicuro che il commentario di quello studioso medievale, Martin Borr, puntava proprio qui. Il simbolo era disegnato nel suo libro.» Gray girò su se stesso lentamente. Che cosa significava tutto ciò? Girandosi di nuovo verso il primo megalito, Gray rifletté sul suo significato. Le spirali da una parte, una croce pagana dall'altra. Si rese conto che era lo stesso James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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schema dei due simboli impressi a fuoco sulla piccola borsa di pelle: Una spirale da una parte, una croce dall'altra. Gray si girò verso Sara e dal suo sguardo capì che pure lei era giunta alla stessa conclusione. Sapeva anche quello che la donna stava pensando. Se volevano delle risposte, era ora di scoprire le carte col dottor Wallace Boyle. Ore 20.42
Wallace esaminò il reperto. Era seduto a un tavolino in una delle tende, la lanterna appoggiata accanto al gomito. Sara era seduta al suo fianco. Si scaldava le mani con una tazza di tè, l'ultima del thermos di Seichan. Bevve un sorso, apprezzandone il calore se non il lieve sapore amaro. Avrebbe preferito prenderlo con un bel cucchiaio di panna, ma il tè aveva contribuito molto a farle passare gli ultimi brividi di freddo. La squadra aveva passato due ore fuori al gelo, a scattare fotografie, prendere misure, documentare ogni cosa. Ma a che scopo? Sara fissò Gray dall'altra parte del tavolino. Mentre lavoravano, lui si era fatto più pensoso. Lei lo conosceva abbastanza bene da capire quando era turbato, quando aveva la sensazione di avere trascurato qualcosa. Riusciva a leggere nei suoi pensieri, sapeva qual era la domanda principale che lo assillava. Che cosa aveva quel posto di così importante? Seichan era seduta accanto a Gray. Aveva contribuito poco alla faticata della giornata, come se stesse delegando a loro la soluzione di quell'enigma. Adesso erano tutti in attesa della valutazione del professore. Un paio di letti a castello erano addossati in fondo alla tenda. Kowalski era buttato su una branda con un braccio sugli occhi, per ripararli dalla luce della lampada. Siccome non russava tanto forte da far tremare la tenda, doveva essere ancora sveglio. «Non so che pensare», disse infine Wallace, scrollando la testa. Teneva in mano la piccola borsa di pelle. Aveva già esaminato il dito mummificato. «Non so dove Marco l'abbia trovato, né perché qualcuno sarebbe pronto a uccidere per averlo.» «Allora torniamo all'inizio», disse Gray. «Perché padre Giovanni è venuto qui? Cosa sperava di ottenere dalla visita di questo sito?» «È venuto per i corpi», rispose Wallace a voce bassa, continuando a stringere la borsa di pelle tra le dita. Sara si raddrizzò a sedere. «Corpi? Che corpi?» Wallace posò la borsa di pelle e si appoggiò alla sedia. «Dovete capire che le torbiere sono state venerate per secoli dagli antichi celti e druidi. Nelle paludi seppellivano o gettavano oggetti di culto. Questi luoghi si sono rivelati delle miniere di reperti archeologici: spade, corone, gioielli, terraglie, persino carri interi. Ma sono stati rinvenuti anche resti umani.» Il professore lasciò che le sue parole fossero assimilate mentre si alzava e andava verso una piccola James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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stufa da campo, dove si riscaldò le mani sopra una mattonella di torba che bruciava. Accennò alla stufa. «La torba era fonte di vita, perciò andava onorata. E questo avveniva spesso sotto forma di sacrifici umani. I celti uccidevano le vittime e le buttavano nelle torbiere per placare gli dei.» Si girò di nuovo verso il tavolino. «E quello che finisce nella torba si conserva per secoli.» «Non capisco», disse Sara. Gray spiegò: «L'acidità dell'ambiente e l'assenza di ossigeno nella torba impediscono alle cose di decomporsi». «Sì. Nelle paludi sono stati rinvenuti vasi di burro, vecchi di un secolo. E il burro era ancora fresco e commestibile.» Kowalski emise un gemito di disgusto e si girò su un fianco. «Mi ricordi di non prendere pane e burro a casa sua.» Wallace lo ignorò. «Allo stesso modo, si sono conservati i corpi delle vittime dei sacrifici. Sono noti come le 'mummie di palude'. La più famosa è la mummia di Tollund, rinvenuta in Danimarca. Si è conservata talmente bene che sembra caduta ieri nella torbiera. La pelle, gli organi, i capelli, le ciglia sono intatti. Si distinguono ancora persino le impronte digitali. Gli esami hanno rivelato che l'uomo era stato strangolato con la garrotta durante un sacrificio rituale. Il cappio era ancora al collo. E sappiamo che sono stati i druidi a ucciderlo, perché lo stomaco era pieno di vischio, una pianta sacra ai sacerdoti celtici.» «E ha trovato una mummia di palude qui?» domandò Gray. «Due, a dire il vero. Una donna e un bambino. Li abbiamo scoperti mentre portavamo alla luce il cerchio di pietre. Li abbiamo trovati al centro, raggomitolati insieme nella morte.» Seichan pose la sua prima domanda. Lanciò un'occhiata in direzione di Sara, poi guardò da un'altra parte. «Erano vittime sacrificali?» Wallace alzò di scatto la testa a quella domanda. «È proprio quello che ci siamo chiesti. Ormai si riconosce comunemente che i cerchi di pietra erano dei calendari solari, ma fungevano anche da luoghi di sepoltura. E questo sito doveva essere particolarmente sacro. Un cerchio di pietre in una palude sacra. Dovevamo sapere se era una sepoltura o un omicidio.» Pronunciò quelle ultime parole con una fitta di rimorso. «Avevamo istruzione di non toccare i corpi, di inviarli integri all'università, ma dovevamo saperlo. Non c'era nessun cappio al collo dei corpi, ma c'era un altro modo di scoprire se si trattava di un sacrificio rituale.» Sara capì. «Il vischio nello stomaco.» Wallace annuì. «Abbiamo eseguito un piccolo esame. Ben documentato, aggiungerei.» Andò verso la sua bisaccia, sciolse i legacci e tirò fuori una cartellina. Si strinse nelle spalle mentre tornava al tavolo. «Non dovrei conservarne una copia.» Scartabellò i documenti e tirò fuori una serie di fotografie. Una mostrava la donna e il bambino raggomitolati nel terreno nero. La donna stringeva il bambino tra le braccia. Erano rannicchiati insieme come se dormissero. I corpi erano smunti e macilenti, ma i capelli neri della donna le incorniciavano ancora il volto. La foto successiva mostrava la donna nuda sul tavolo. Era inquadrata una mano, con un bisturi da dissezione tra le dita. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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«Prima di inviare i corpi all'università, volevamo vedere se c'era del polline di vischio nel suo stomaco. Era una violazione di poco conto.» «Ne avete trovato?» volle sapere Sara, sentendosi improvvisamente poco bene. «No. Ma abbiamo trovato un'altra cosa piuttosto inquietante. Se è delicata di stomaco, forse è meglio che non guardi.» Sara s'impose di farlo. La foto successiva mostrava un'incisione a Y sull'addome. Il ventre era stato aperto, scoprendo la massa di organi interni. Ma c'era qualcosa che chiaramente non andava. Wallace mostrò un'altra fotografia, il primo piano di un fegato giallastro. La superficie era ricoperta di escrescenze. Wallace spiegò: «Li abbiamo trovati in tutta la cavità addominale». Sara si coprì la bocca. «È quello che penso che sia?» Wallace annuì. «Sono funghi.» Scioccato e disgustato, Gray si appoggiò alla sedia. Si sforzò di capire cosa stesse succedendo, cosa fosse stato scoperto in quel luogo. Aveva bisogno di qualcosa su cui basare le sue indagini, perciò ricominciò da dove era partito. «Torniamo a padre Giovanni», disse Gray. «Ha detto che è stato attirato qui da quelle mummie.» «Sì.» Wallace tornò al tavolo e si sedette a cavalcioni della sedia. «Marco aveva saputo della nostra scoperta. In un luogo dove lo scontro fra il cristianesimo e i culti pagani era ancora vivo.» «Però non è stato quello scontro ad attirarlo qui», osservò Gray, abbassando gli occhi sulla prima foto della donna col bambino. Non era possibile fraintendere quella scena. Ricordava una Madonna col bambino. E non una Madonna qualunque. I tannini contenuti nella torba avevano reso la pelle della donna nera come l'ebano. «Gli ho inviato una foto delle mummie. È piombato qui il giorno dopo. Era interessato a qualunque manifestazione o riferimento alla sua Madonna Nera. Sapendo che era stato rinvenuto un gruppo di corpi del genere in un luogo di sepoltura sacro pagano, in una terra dove il cristianesimo e gli antichi culti si mescolavano ancora, doveva scoprire di persona se c'era un collegamento col mito della sua dea nera.» «E c'era?» domandò Sara. «È quello che Marco ha cercato di scoprire l'anno scorso. Ha girato le Isole Britanniche in lungo e in largo. Il mese scorso, però, ho capito che qualcosa lo aveva scosso in modo particolare. Ma non ha voluto dirmi che cos'era.» «E lei che ne pensa delle mummie?» domandò Gray. «Come ho detto, non abbiamo trovato nessuna traccia di vischio. Penso che fossero morti quando sono stati sepolti nella palude. Ma chi li ha sepolti e perché? E perché Martin Borr ha segnato il suo libro con questo simbolo pagano? È quello che volevo sapere.» «Ebbene?» insistette Gray. Wallace gli dava sui nervi con le sue risposte evasive. Si divertiva a stuzzicare la loro curiosità per fare più colpo. «Ho una mia ipotesi», ammise Wallace. «Risale all'inizio delle mie indagini. Il Domesday Book. Qualcosa aveva devastato il villaggio o la città qui nei dintorni. Qualcosa di tanto terribile da portare a radere al suolo questo luogo, a cancellarlo James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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da tutte le carte. Da tutte, cioè, a eccezione di un riferimento enigmatico nel libro e nel commentario di Martin Borr. Cos'era accaduto da giustificare una simile reazione? Scommetto che era una piaga o una malattia. Volendo impedirne la diffusione, nasconderla, hanno distrutto questo luogo.» «E questi corpi qui?» Sara accennò alle fotografie. «Chiuda gli occhi e s'immagini in quella città. In un posto isolato e assediato da un grave morbo. Una città popolata da cristiani devoti e da pagani, che dovevano sapere sicuramente dell'esistenza di questo cerchio di pietre nelle vicinanze della città e che forse praticavano ancora i propri culti qui. Quando la valle è stata colpita dalla sciagura, quasi sicuramente i credenti dell'uno e dell'altro culto hanno implorato i propri dei di salvarli. Ed è probabile che qualcuno abbia tenuto il piede in due scarpe, mescolando i due culti. Hanno preso una mamma e un bambino, come simbolo della Madonna col figlio, e li hanno sepolti in questo antico sito pagano. Sono convinto che questi siano gli unici corpi scampati a quel terribile sterminio, gli unici resti di quell'antica piaga.» Wallace picchiettò un dito sulla foto. «Qualunque cosa abbia colpito quel villaggio era davvero strana. Non conosco niente di simile che sia mai stato documentato nei testi di patologia o di medicina legale. Questi corpi sono ancora sotto esame, ed è un segreto ben custodito. Non hanno nemmeno voluto dirmi cosa hanno trovato.» «Ma lei non dovrebbe essere tenuto al corrente?» domandò Gray. «Lei non è un professore ordinario dell'Università di Edimburgo?» Wallace aggrottò le sopracciglia, confuso, poi le distese. «Ah, no, mi ha frainteso. Quando ho detto che l'università ha preso i corpi, non intendevo Edimburgo. I fondi per il mio lavoro sono stranieri. Non è una pratica rara. Per le ricerche sul campo, accetti le sovvenzioni di chiunque.» «Dove sono finiti i corpi allora?» «Sono stati inviati all'Università di Oslo per un primo esame.» Gray avvertì come un calcio allo stomaco. Gli ci volle qualche secondo per reagire. Oslo. Ecco il primo collegamento concreto tra i fatti avvenuti lì e le indagini che Painter stava conducendo in Norvegia. Mentre Gray era alle prese con le implicazioni, Wallace proseguì: «Penso che alla fin fine si riduca tutto agli estremofili». L'affermazione priva di attinenza con l'argomento destò di nuovo l'attenzione di Gray. «Di che cosa sta parlando?» «Delle mie sovvenzioni», rispose Wallace, come fosse la cosa più ovvia del mondo. «Come ho già detto, in questo campo, accetti il denaro da chiunque.» «E cosa c'entrano gli estremofili con tutto questo?» Gray conosceva perfettamente quel termine. Gli «estremofili» erano organismi che sopravvivevano in condizioni proibitive, condizioni ritenute troppo estreme per la vita. Erano perlopiù batteri, che vivevano in ambienti tossici, come le ribollenti fosse oceaniche e i crateri vulcanici. Organismi così particolari aprivano prospettive di nuovi composti chimici. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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E le industrie di tutto il mondo ne avevano preso sicuramente atto, dando vita a una nuova attività commerciale denominata «bioprospezione». Invece di cercare l'oro, cercavano qualcosa di altrettanto prezioso: nuovi brevetti. E si era rivelato un settore in forte espansione. Gli estremofili erano già impiegati per brevettare nuovi potenti detersivi, detergenti, medicine, persino un enzima utilizzato nei laboratori della scientifica per fare l'analisi del DNA a scopo identificativo. Ma che cosa c'entrava tutto quello con le mummie di palude rinvenute in Inghilterra? Wallace provò a spiegare: «Risale alla mia ipotesi iniziale, quella che ho presentato ai miei potenziali finanziatori. Un'ipotesi sul Doomsday Book». Gray notò che lo aveva chiamato «Doomsday», anziché «Domesday», questa volta. Suppose che il professore, sensazionalista com'era, avesse cercato di procurarsi i fondi col titolo del libro che faceva più colpo. «Come ho accennato, sembrava che quei pochi luoghi segnati in latino nel libro come 'devastati' fossero stati cancellati dalla mappa... in senso letterale e figurato. Che cosa avrebbe spinto quegli antichi censitori a farlo se qualcosa di grave non avesse colpito le loro città?» «Come una malattia o una piaga?» disse Gray. Wallace annuì. «Qualcosa di sconosciuto, con ogni probabilità. Questi erano luoghi isolati, fuori mano. Chi sapeva cosa poteva affiorare dalle paludi? Le torbiere sono brodi di coltura di strani organismi. Batteri, funghi, mucillaggini.» «Così l'hanno ingaggiata sia come archeologo sia come bioprospettore.» Wallace si strinse nelle spalle. «Non sono l'unico. Le principali industrie si rivolgono agli archeologi. Noi scaviamo in luoghi antichi, in siti chiusi da molto tempo. Proprio l'anno scorso, un'importante società chimica americana ha scoperto un estremofilo in una tomba egizia aperta da poco. E di gran moda, vedete.» «E, per questo scavo, è stata l'Università di Oslo a finanziarla.» «No. Oslo è al verde come tutte le università. Oggi le sovvenzioni sono stanziate dalle società». «E da quale società è stato ingaggiato?» «Da una società di biotecnologie, che lavora con organismi geneticamente modificati. Cereali e cose simili.» Gray strinse il bordo del tavolo. Ma certo. Le società di biotecnologie erano quelle che investivano di più nella ricerca di estremofili. La bioprospezione era la loro linfa vitale. Puntavano le antenne in ogni direzione, in ogni campo di studio. Compresa, a quanto sembrava, l'archeologia. Gray non ebbe dubbi su chi finanziava le ricerche di Wallace. Pronunciò quel nome ad alta voce. «Viatus.» Wallace sgranò gli occhi. «Come fa a saperlo?» Ore 23.44
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Seichan stava davanti alla sua tenda, con una sigaretta tra le dita, spenta e dimenticata. Le stelle rilucevano come gocce di cristallo nel cielo notturno. Tentacoli di nebbia gelida serpeggiavano tra gli alberi. Tirò un profondo respiro e, con esso, sentì l'odore del fumo della torba, sia delle stufe da campo sia dei fuochi che bruciavano senza fiamma nel sottosuolo. Il cerchio di pietre, orlato di ghiaccio, sembrava fatto d'argento. S'immaginò i due corpi sepolti al centro. Per qualche motivo, ripensò al curatore del museo che aveva assassinato a Venezia... o meglio, a sua moglie e a sua figlia. S'immaginò loro due sepolte lì, invece. Sapendo che quel pensiero nasceva dal senso di colpa, lo scacciò dalla mente come nient'altro che stupido sentimentalismo. Aveva una missione da compiere. Ma quella sera il senso di colpa la turbava come non mai. Abbassò lo sguardo sull'altra mano. Stringeva il thermos d'acciaio che aveva tenuto in caldo il tè. Il calore teneva incubata anche la sua biotossina. Il gruppo aveva parlato lungamente degli estremofili dopo che era venuta fuori l'origine delle sovvenzioni del dottor Boyle. La fonte della tossina che le era stata fornita era un battere scoperto in un camino vulcanico in Cile. Sensibile al freddo, doveva essere tenuto in caldo. Nessuno aveva notato che solo Sara beveva il tè. Seichan si era limitata a fingere di berne un sorso. S'infilò in tasca la sigaretta, andò verso un cumulo di neve trasportata dal vento e si mise a riempire il thermos di manciate di neve. Il freddo avrebbe sterilizzato il contenitore, uccidendo i batteri rimasti. Quando fu pieno, avvitò di nuovo il coperchio. Le tremavano le dita. Volle dare la colpa al freddo. Il coperchio s'incastrò. Provò a svitarlo mentre sentiva montare la collera. Esasperata, tirò indietro il braccio e scagliò il thermos nella foresta. Per mezzo minuto, respirò con molta fatica, emettendo vapore bianco nell'aria. Una porta si aprì nell'altra tenda. Seichan condivideva la propria tenda con Sara; gli uomini condividevano l'altra. Fece un passo avanti per vedere chi altri era ancora in piedi. Dalla grossa sagoma e dal passo pesante riconobbe subito l'uomo. Kowalski la vide e alzò un braccio, puntando un pollice in direzione del recinto. «Vado a dare la buonanotte ai cavalli», disse, scomparendo dietro l'angolo. Le ci volle qualche secondo per capire che non stava andando a salutare veramente i pony. Seichan stava davvero molto male, se non lo aveva capito al volo. Lo udì fischiettare dietro l'angolo mentre faceva i propri bisogni. Seichan diede un'occhiata all'orologio. Mancavano pochi minuti a mezzanotte. La tabella di marcia era stata fissata. Non era più possibile tornare indietro. Avevano avuto il tempo necessario per esaminare il sito. Era tutto quello che la Gilda era disposta a concedere alla squadra di Gray per seguire la pista di padre Giovanni, per scoprire la chiave prima di tutti gli altri. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Seichan aveva sostenuto la necessità di avere altro tempo, ma aveva ricevuto un rifiuto. D'accordo. Sarebbero andati avanti. Lanciò un'occhiata verso l'altra tenda. Era meglio che Kowalski non ci mettesse troppo tempo. Non ce ne mise. Dopo un minuto, tornò con passo pesante, continuando a fischiettare piano. «Non riesci a dormire?» domandò l'uomo, raggiungendola. Lei tirò fuori la sigaretta e la sollevò in un gesto eloquente. «Quelle cose ti ammazzeranno.» Infilò una mano in tasca, tirò fuori un mozzicone di sigaro e imitò il suo gesto. «Perciò tanto vale che ci togliamo il pensiero alla svelta.» Strinse l'estremità masticata tra i molari, tirò fuori un'antiquata scatola di fiammiferi e ne strofinò due con un abile colpo del polso sulla tela della tenda. Brillarono due fiammelle. Ne passò una a lei. Era chiaro che lo aveva fatto altre volte. Col sigaro fra le labbra, biascicò: «Gray è appena andato a cuccia. Ha passato altre due ore a cercare di cavare qualcos'altro dal professore. Dovevo uscire da là dentro, prendere una boccata d'aria fresca. Quel cane ha appestato tutta la tenda. E non c'è da stupirsi. Hai visto cosa dà da mangiare a quel brutto bastardo? Salsicce e cipolle. Che razza di cibo per cani è quello?» Seichan accese la sigaretta. Lo lasciò blaterare, contenta di quelle stupide chiacchiere. Purtroppo, però, le sue chiacchiere volevano arrivare da qualche parte, a quanto sembrava... e senza girarci intorno. «Allora, che c'è tra te e Gray?» domandò Kowalski, a bruciapelo. Per poco Seichan non si soffocò con una tirata di fumo. «Voglio dire, ti fissa di continuo. E tu fingi di non vederlo come se fosse invisibile. Come due scolaretti che hanno preso una cotta l'uno per l'altra.» Seichan esitò davanti a quella insinuazione, pronta a smentirla, turbata da quanto lui si fosse avvicinato alla verità. Per sua fortuna, le fu risparmiato di rispondere. Allo scoccare della mezzanotte, la valle esplose. Da un angolo all'altro della foresta, il cielo fu squarciato da getti di fiamme, accompagnati da boati sordi, difficili da sentire se non si prestava attenzione. Le cariche incendiarie, abbinate a un catalizzatore termico al rubidio che trasformava l'acqua in un accelerante, erano state piazzate in profondità nella torbiera, programmate per scoppiare a mezzanotte. L'intera vallata doveva bruciare. Più vicino, altre tre esplosioni eruppero dal centro del cerchio di pietre. Spirali di fuoco e fiamme si attorcigliarono nel cielo. Nonostante la distanza, il calore le lambì il volto. Gli altri si precipitarono fuori dalle tende dietro di lei. Kowalski ringhiò una sfilza d'imprecazioni al suo fianco. Seichan non si girò, ipnotizzata dalle fiamme. Il cuore le batteva forte. L'incendio stava divampando, in modo rapido, troppo rapido, dentro e fuori la James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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foresta. Le cariche dovevano solo mettere in fuga la squadra di Gray, metterle il fuoco sotto i piedi in senso letterale e figurato distruggendo allo stesso tempo ogni prova. Vide le fiamme crescere. Qualcuno aveva fatto male i calcoli, sottovalutato l'infiammabilità della torba. Per un attimo, un sospetto s'insinuò nella sua mente. Era stata tradita? Dovevano morire tutti lì? Ragionando a mente fredda, mise a tacere quei dubbi. Non c'era niente da guadagnare dalla loro morte. Almeno per ora. Dovevano avere commesso un errore nell'esecuzione del lavoro. I vecchi fuochi, covando sotto la cenere da anni, dovevano avere indebolito la stabilità dei letti di torba e trasformato l'intera valle in un'esca per il fuoco. Il risultato finale era lo stesso, però. Davanti ai suoi occhi sbarrati, gli incendi li stringevano d'assedio. Non sarebbero mai usciti vivi di lì.
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Capitolo 15
† Oslo, Norvegia, 12 ottobre, ore 23.35
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onk attraversò spedito il parco di ricerca. Sotto il pesante giaccone indossava un'uniforme del servizio di sicurezza della Viatus. Al suo fianco, John Creed era altrettanto infagottato per difendersi dal freddo, ma portava un camice da laboratorio ripiegato sul braccio. Non avevano incontrato difficoltà ad attraversare in macchina i cancelli principiali del campus della Viatus, mostrando le tessere di riconoscimento false. Avevano lasciato l'auto nel parcheggio riservato ai dipendenti e avevano attraversato a piedi il campus. La Viatus possedeva stabilimenti in tutto il mondo, ma Oslo era la sede dell'impianto principale. Il complesso si estendeva su oltre quaranta ettari, con svariate divisioni e parecchi palazzi adibiti a uffici sparsi qua e là in quello che sembrava un parco. Tutti gli edifici erano eleganti e moderni, chiaramente influenzati dal minimalismo scandinavo. Al centro del campus sorgeva il palazzo dei congressi, fatto tutto di vetro. Splendeva come un diamante. Attraverso le pareti si poteva ammirare lo scafo slanciato di una nave vichinga. Non era una riproduzione, ma un autentico pezzo di storia. La nave era stata rinvenuta congelata nel ghiaccio in un punto imprecisato della regione artica della Norvegia. Era costato una fortuna recuperarla e conservarla, un'operazione finanziata per intero da Ivar Karlsen. Doveva essere bello essere ricchi sfondati. Monk proseguì attraverso il campus. Il laboratorio di ricerca di Biogenetica Agraria era in un angolo lontano, una bella scarpinata dal parcheggio. Monk tirò meglio il cappuccio del parka sugli occhi. «Allora, pivello, che cos'hai combinato di preciso per farti buttare fuori dall'esercito e finire nella Sigma?» Creed sbuffò. «Non me lo chieda.» Era chiaro che non voleva parlarne. E che era suscettibile. Inoltre, chiamarlo pivello non aiutava per niente. Creed non era esattamente un chiacchierone, ma Monk dovette ammettere che era sveglio. Sapeva già un po' di norvegese, e parlava persino con un buon accento. Monk conosceva solamente un'altra persona dotata di una mente così acuta. S'immaginò il suo sorriso, la curva dei suoi glutei e la rotondità a malapena visibile del ventre che cresceva. Pensare a Kat lo riscaldò abbastanza da fargli raggiungere la loro destinazione. Il laboratorio di Biogenetica Agraria sembrava un uovo d'argento in equilibrio sul terreno. Era fatto tutto di vetro specchiato che rifletteva il campus, come se la James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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costruzione stesse curvando lo spazio per saltare in un'altra dimensione. Era un edificio relativamente nuovo, completato appena cinque anni prima. Era stato progettato con un sofisticato sistema di sicurezza che di notte richiedeva solo un personale ridotto. Ma ciò non era un ostacolo per chi era dotato degli ultimi giocattoli della DARPA. Monk portava su una spalla uno zaino e un Taser XREP infilato sotto l'altra. La pistola sparava un dardo elettrico che poteva mettere fuori gioco un avversario per cinque minuti. Era una precauzione cui sperava di non dover ricorrere. Creed andò all'entrata. Monk si tastò il collo. Aveva un microfono legato con un nastro alla laringe e un auricolare nell'orecchio. «Signore, entriamo nell'edificio ora.» Painter gli rispose subito. «Qualche problema?» «Per ora no.» «Bene. Tenetemi aggiornato.» «Sissignore.» Creed si avvicinò alla porta e infilò la chiave elettronica nel lettore. La chiave era collegata con un cavetto a un apparecchio fissato al polso. Era un dispositivo di hackeraggio che faceva uso di algoritmi quantici per forzare qualunque serratura, l'equivalente in buona sostanza di un passepartout digitale. La serratura scattò e Creed aprì la porta. Entrarono nell'edificio. L'ingresso era poco illuminato e il banco della reception era vuoto. Monk sapeva che un addetto alla sicurezza controllava una postazione di videosorveglianza al piano di sopra. Finché non facevano scattare gli allarmi, non avrebbero dovuto incontrare difficoltà a raggiungere i server nei piani interrati. Avevano il compito di aprire un accesso secondario negli elaboratori centrali del laboratorio di ricerca. Con un po' di fortuna, sarebbero usciti di lì in meno di dieci minuti. Mentre attraversava l'atrio, Monk evitò le videocamere. Creed fece lo stesso. Avevano imparato a memoria le posizioni degli apparecchi indicati nei prospetti schematici forniti da Kat. Insieme si diressero verso la fila di ascensori. Creed teneva un passo più lungo. Monk gli toccò il braccio e lo costrinse a rallentare, a non mostrarsi così nervoso. Raggiunsero il vano degli ascensori, dove un pulsante aprì una porta doppia. Entrarono nella cabina. Una luce rossa illuminò un altro lettore elettronico. L'ascensore non sarebbe partito senza il codice giusto. Monk tenne il dito sospeso davanti al pulsante B2, il secondo piano interrato, dove erano ospitati i server. Creed attese d'infilare la chiave elettronica. Monk esitò prima di premere il pulsante. Che c'è? domandò Creed solo col movimento delle labbra, avendo paura di parlare in inglese nel caso l'ascensore fosse sorvegliato. Monk indicò i pulsanti sotto il dito. Andavano da B2 a B5. Stando ai loro prospetti schematici, non doveva esserci nessun livello sotto il B2. E allora cos'erano quei livelli? James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Monk sapeva che avevano una missione da compiere, ma l'operazione di quella notte aveva uno scopo implicito: scoprire cosa succedeva veramente alla Viatus. Era molto improbabile che quella tenesse qualcosa d'incriminante nei suoi server. Quasi certamente i veri scheletri erano sepolti molto più in profondità. Sottoterra, per esempio. Monk abbassò il dito e premette B5. Creed lo fulminò con lo sguardo, chiaramente in disaccordo con la sua decisione. Improvvisiamo un po', rispose l'altro, muovendo solo le labbra. Nella Sigma non si seguivano gli ordini ciecamente ma si prendevano decisioni rapide. Creed doveva impararlo. Monk indicò col dito il lettore e fece cenno a Creed di infilarvi la tessera elettronica. La deviazione avrebbe richiesto solo un minuto in più. Monk si sarebbe limitato a dare una sbirciatina di sotto. Se era solo un livello di servizio o una specie di piscina aziendale, potevano risalire subito al B2, inserirsi nei server e battersela. Con un sospiro esasperato, Creed infilò la chiave elettronica. Dopo mezzo secondo, la luce verde lampeggiò. L'ascensore cominciò a scendere. Non scattò nessun allarme. I livelli passarono l'uno dopo l'altro e alla fine l'ascensore si aprì in un vestibolo chiuso. Con una porta sigillata proprio dinanzi a loro. Monk esitò, ripensandoci all'improvviso. Gray cosa farebbe in questo caso? Monk scosse la testa mentalmente. Da quando in qua era una buona idea seguire l'esempio di Gray? Quell'uomo aveva una straordinaria vocazione per i guai. Quando l'ascensore cominciò a chiudersi, Monk afferrò Creed per il braccio e saltò nel vestibolo. «Le ha dato di volta il cervello?» sibilò Creed a denti stretti, divincolandosi dalla stretta con uno strattone. Può darsi. Monk si avvicinò alla porta per esaminarla. Era priva di lettore. C'era solo un pannello luminoso che, era chiaro, doveva servire a leggere il palmo della mano. «E ora?» domandò Creed, sottovoce. Imperterrito, Monk pose la mano artificiale sul lettore. Sensibile alla pressione, il pannello divenne più luminoso. Una barra di luce passò su e giù. Monk trattenne il respiro... poi udì aprirsi i cilindri della serratura. Un nome lampeggiò sopra il lettore. IVAR KARLSEN Creed corrugò la fronte quando lesse il nome, poi lanciò un'occhiataccia a Monk, furioso di non essere stato informato di quell'ulteriore precauzione. Era stata un'idea di Kat, quella. Si era procurata un dossier completo James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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sull'amministratore delegato, compresa un'impronta del palmo. C'era voluto solo un secondo a digitalizzare i dati e a inserirli nell'equivalente di una stampante laser. L'apparecchio aveva inciso una copia perfetta dell'impronta sulla pelle sintetica del palmo di Monk. Se c'era qualcuno che aveva un accesso completo al complesso, quello era sicuramente il suo amministratore delegato. Monk si avvicinò alla porta sbloccata. Vediamo un po' cosa nasconde Ivar qui sotto. Ore 23.46
Painter stava di guardia di fronte al Grand Hotel Oslo, sull'altro lato della strada. Era seduto su una panchina da cui vedeva bene l'entrata. Non c'era da meravigliarsi che il senatore Gorman soggiornasse lì. Costruito in pomposo stile Luigi XVI, l'hotel era alto otto piani e occupava un intero isolato, con una torre dell'orologio che ne sovrastava l'ingresso. Sorgendo proprio davanti ai palazzi del parlamento, era anche molto comodo. La scelta perfetta per un senatore americano in visita. È un posto improbabile per un agguato. Nonostante ciò, Painter voleva sbrigarsi. Era lì da un'ora, infagottato in un pesante giaccone, cappello e sciarpa. Inoltre fingeva, ma non del tutto, di camminare un po' curvo. La ferita della coltellata aveva cominciato a fargli male quando era finito l'effetto degli antidolorifici. Nell'ultima ora, aveva passato al vaglio tutti gli spazi pubblici dell'hotel, compreso il Limelight Bar, dove Gorman avrebbe dovuto incontrare il suo misterioso contatto. Come ulteriore precauzione, Painter aveva il pugnale WASP infilato nella cintura dietro la schiena e una piccola Beretta calibro 9 nella fondina sotto l'ascella. Ma fino a quel momento tutto sembrava tranquillo. Painter diede un'occhiata all'orologio della torre. Mancavano pochi minuti a mezzanotte. È ora che questa spia si ripari dal freddo. Si alzò e attraversò la strada, pronto come di più non avrebbe potuto. Monk aveva già fatto rapporto e qualche ora prima, quella sera, Painter aveva avuto una breve ma intensa conversazione tramite telefono satellitare con Gray. Aveva appreso che la Viatus Corporation finanziava lo scavo in Inghilterra. Stavano cercando nuovi organismi da sfruttare per gli studi genetici. Avevano trovato qualcosa? Gray gli aveva descritto il macabro ritrovamento, presso un cerchio di pietre, di due corpi sepolti e mummificati in una palude di torba, corpi crivellati da una specie di fungo. Era una scoperta importante? A Painter tornò in mente che il genetista di Princeton assassinato era convinto che i nuovi geni inseriti nei campioni di grano della Viatus non erano di origine James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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batterica. Possibile che fossero funghi? E, se così, perché tutta quella segretezza e quello spargimento di sangue per nasconderlo? Painter accantonò quei pensieri per il momento. Doveva concentrarsi sul compito immeditato. Entrò nella hall e si guardò intorno con circospezione. Confrontò i volti degli impiegati dell'hotel con quelli del suo sopralluogo precedente e si assicurò che tra loro non vi fossero degli estranei. Soddisfatto, si avviò a grandi passi verso il bar. Il Limelight era immerso nella penombra e sontuosamente rivestito in legno, illuminato soltanto dalle lampade da parete. Poltrone e divani di pelle rossa arredavano gli spazi. Nell'ambiente aleggiava un vago odore di sigari. A quell'ora, c'era poca gente. Non ebbe difficoltà a riconoscere il senatore Gorman seduto al bar. Soprattutto con l'uomo tarchiato che gli era seduto accanto, con indosso un completo troppo stretto per lui. Tanto valeva che si stampasse in fronte la scritta guardia del corpo. La guardia dava le spalle al bar e, senza discrezione, scrutava i clienti in cerca di pericoli. Painter li osservò con la coda dell'occhio. Passò tra le poltrone e si accomodò in un séparé nelle vicinanze dell'entrata. Una cameriera prese la sua ordinazione. Ora non gli restava che aspettare che qualcuno si facesse vivo. Non dovette attendere molto tempo. Comparve un uomo, con indosso un pesante cappotto che gli scendeva fino alle caviglie. Perlustrò con gli occhi la sala, finché non posò lo sguardo sul senatore. Con suo grande stupore, Painter si rese conto di avere già visto quell'uomo, alla fine del pranzo ufficiale. Era lo stesso che aveva sentito lamentarsi col copresidente del Club di Roma. Painter si sforzò di ricordare il suo nome. Qualcosa tipo Anthony. Richiamò alla mente la conversazione. No... Antonio. Un sorriso soddisfatto guizzò sul viso dell'uomo quando riconobbe il senatore. Doveva essere lui. Dalla conversazione precedente, era chiaro che non nutriva nessuna simpatia per Karlsen. Il sorriso di Antonio si spense quando poi notò anche la guardia del corpo. Le istruzioni date al senatore erano di presentarsi da solo. Antonio esitò vicino all'entrata. Era ora di muoversi. Painter si alzò con calma dalla poltrona e sbarrò il passo ad Antonio. Lo prese per il braccio con una mano e gli ficcò la Beretta nelle costole. Con un sorriso stampato in volto. «Dobbiamo parlare», disse Painter, allontanandolo dal bar. Era sua intenzione interrogarlo a quattr'occhi. Quanto meno il senatore Gorman era coinvolto in tutta quella faccenda, tanto meglio era per tutti. Sotto la minaccia della pistola, Antonio si lasciò condurre via, una maschera di James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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terrore dipinta sul volto. «Lavoro per il governo americano», disse Painter, senza tanti preamboli. «Dobbiamo scambiare due parole prima che lei incontri il senatore.» Il terrore svanì dagli occhi dell'altro, ma non del tutto. Painter lo condusse verso un divano in un angolo vuoto della hall. Era in parte coperto da un muretto e da un vaso di felce. Non ci arrivarono mai. D'improvviso, Antonio incespicò e cadde su un ginocchio, gorgogliando e boccheggiando. Si portò tremando le mani al collo. Dalla gola fuoriusciva la punta di un dardo. Il sangue schizzò sul pavimento di piastrelle di marmo quando Antonio cadde carponi. Painter notò una piccola luce lampeggiante sulla nuca dell'uomo, annidata tra le piume di plastica del dardo. Il corpo di Painter reagì prima ancora che il pensiero prendesse forma. Una bomba. Fece un balzo in avanti e si tuffò dietro il muretto. Atterrò nell'istante in cui la carica esplose, un boato forte come un tuono in una grotta. Il dolore gli strinse la testa in una morsa. Per un attimo divenne sordo... poi l'udito tornò. Grida, strilli, urla. I suoni erano tutti cupi. Si rigirò e si alzò, rimanendo al riparo del muro poco lontano. La hall era satura di fumo, illuminata da pozze di fuoco. L'esplosione aveva annerito una grande porzione del pavimento. Il corpo di Antonio era stato ridotto a brandelli infuocati. L'aria surriscaldata puzzava di sostanze chimiche. Termite e fosforo bianco. Tossendo, Painter perlustrò con gli occhi la hall. Dalla posizione di Antonio, il dardo doveva essere arrivato dall'interno dell'hotel, da sinistra. Da quella direzione, due figure mascherate giunsero correndo in mezzo al fumo dalle scale. Un'altra irruppe dalla porta principale. Si lanciarono a passi pesanti verso il Limelight Bar. Volevano il senatore. 13 ottobre, ore 00.04
Monk stava sulla porta aperta. Oltre la soglia si stendeva un lungo corridoio. Le luci si accesero, l'una dopo l'altra, illuminando la corsia. «Diamo un'occhiatina», disse Monk sottovoce. «Poi ce la squagliamo.» Creed attese che Monk facesse strada, quindi lo seguì. Il ragazzo respirava a stento e aveva gli occhi sbarrati. A metà corridoio, porte a battenti comparvero su entrambi i lati. Monk si avviò nella loro direzione. Il posto puzzava di disinfettante, come un ospedale. Il James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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pavimento di linoleum liscio e le pareti anonime rafforzavano la sensazione di sterilità. Notò pure che non c'erano videocamere nel corridoio. A quanto sembrava, laggiù la società riponeva tutta la propria fiducia nel livello aggiuntivo di sicurezza elettronica. Monk raggiunse le porte. Erano chiuse, come la prima, con un sistema di riconoscimento biometrico del palmo della mano. Sicuramente non potevano esserci delle aree off limits per Karlsen. Aveva ragione. La serratura si aprì con un clic. Monk entrò e si ritrovò in un corridoio chiuso e con altre porte a battenti. L'anticamera era di vetro. La porta dava in un'immensa sala. Le luci si accesero con un guizzo, ma erano di un tenue color ambra. Provò ad aprire la porta successiva. Non era bloccata. Era chiaro che le porte non erano pensate tanto per tenere fuori qualcuno, quanto per tenerlo dentro. Quando Monk entrò nella stanza successiva, rimase senza fiato alla vista delle pareti ai lati. Per tutta la lunghezza della sala si estendevano vetrate alte fino al soffitto. Un ronzio sordo echeggiava nell'ambiente, come una radio sintonizzata tra due stazioni. Creed lo seguì a ruota. «Ma quelli sono...?» Monk annuì. «Alveari.» Dietro il vetro, uno sciame compatto di api si torceva e si agitava in uno schema ipnotico, ali che battevano, corpi che danzavano. Telai di favi impilati l'uno sull'altro salivano fino al soffitto. Lungo la sala, gli alveari erano divisi in sezioni. Ogni apiario era segnato con un codice oscuro. Studiandoli, Monk notò che ogni numero era preceduto dalle stesse tre lettere: IMD. Non capì il significato, ma era chiaro che le api erano utilizzate in una ricerca di qualche tipo. O forse Ivar andava solo matto per il miele fresco. Monk si avvicinò con Creed al primo alveare. Il ronzio e l'agitazione aumentarono. Le luci, per quanto soffuse, dovevano avere innervosito le api. «Credo siano api africanizzate», disse Creed. «Guardi come sono aggressive.» «Non m'interessa da dove vengono. Che cosa ci sta facendo la Viatus con queste?» E perché tutte queste misure di sicurezza? Creed allungò una mano verso un piccolo cassetto nella vetrata dell'alveare. «Sta' attento», l'avvertì Monk. Creed corrugò la fronte e aprì il cassetto. «Stia tranquillo. Ho già lavorato con le api nella fattoria della mia famiglia nell'Ohio.» Nel cassetto trovò una scatola sigillata con un lato chiuso da una rete. Dentro c'era una sola ape. «La regina», disse Creed. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Le api nella gabbia si agitarono ancora di più. Monk notò che sulla scatola era stampato lo stesso codice oscuro della gabbia. Quando Creed richiuse il cassetto, Monk tirò fuori una microcamera a penna. Schiacciò un pulsante e fece una breve ripresa digitale, registrando gli alveari e i codici sotto ogni arnia. Forse era importante. Per ora, non potevano fare altro che documentare tutto e svignarsela. Quando ebbe finito di registrare, Monk diede uno sguardo all'orologio. Voleva ancora dare un'occhiata alla stanza dall'altra parte del corridoio prima di dirigersi verso i server e portare a termine la missione principale. «Andiamo», disse Monk, tornando col collega nel corridoio. Quando lo attraversarono, Monk pigiò il palmo sul lettore dell'altra porta. Quando la serratura scattò, entrò e si ritrovò in un'anticamera simile al primo laboratorio. Ma lì erano appese a una parete delle maschere protettive. Più avanti, le luci si accesero con un guizzo come prima. La stanza dietro la porta era grande come l'altra. Ma non c'erano api. Il laboratorio ospitava quattro aiuole rialzate che percorrevano in lunghezza tutto il locale. Anche da quella distanza, Monk riconobbe i piccoli cappelli carnosi che crescevano rigogliosi nel terreno. «Funghi», disse Creed. Monk andò nella camera successiva. La porta si aprì col lieve sibilo di una chiusura ermetica. Il laboratorio aveva una pressione inferiore per non fare uscire l'aria. Monk comprese subito il perché. Creed si coprì la bocca e il naso. Il tanfo lo colpì come uno schiaffo in faccia. L'aria era umida, calda e puzzava di salsedine, pesce morto e carne putrefatta. Monk voleva fare dietrofront e scappare, ma Painter gli aveva riferito la sua discussione con Gray. Riguardo ai funghi. Non poteva essere una coincidenza. Monk tirò fuori la microcamera, pronto a documentare tutto. Creed lo raggiunse e gli allungò una maschera protettiva che aveva preso nell'anticamera. L'altro la indossò, con gratitudine. Almeno c'è qualcuno che pensa... I filtri della maschera smorzarono il tanfo. Potendo respirare, si avvicinò alla prima aiuola. I funghi crescevano in un concime liquido nero che sembrava olio. Creed s'infilò un paio di guanti di lattice e lo raggiunse. Aprì un altro guanto scuotendolo. «Ci conviene prendere un campione del fungo.» Monk annuì e si mise a registrare tutto. Creed allungò una mano, prese con delicatezza uno dei funghi per la base del gambo e lo tirò su. Venne via con facilità... ma con attaccato un grosso pezzo James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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carnoso di qualcosa. Creed lo mollò con un brivido di disgusto. Il fungo ricadde nel concime liquido, facendo increspare la superficie come un brodo di gelatina sciolta. Solo allora Monk riconobbe il terreno di coltura dei funghi. Sangue rappreso. «Ha visto...?» farfugliò Creed. «Era...?». Monk aveva visto a cosa era attaccato il fungo di Creed. Era un rene. Forse umano, a giudicare dalle sue dimensioni. Monk fece cenno a Creed di portare a termine il macabro compito. «Preleva un campione.» Con la microcamera accesa, Monk scese lungo la fila di funghi. I più piccoli erano nei pressi della porta. Erano bianchi come ossa. Ma diventavano più grandi lungo la fila, prendendo un'intensa colorazione cremisi. Monk notò un paio di gambi scuri spuntare dal sangue. Abbassò la microcamera per esaminarli meglio. Non erano gambi. Con un brivido gelido, si rese conto che erano dita umane. Allungò la mano artificiale e prese un dito. Lo tirò su, sollevando dal concime una mano. Tirò più su e vide che era attaccata a un braccio. I funghi crescevano nella carne. Stringendo i denti, riabbassò piano piano l'arto nella vasca. Gli bastava quello che aveva visto. Interi corpi erano sepolti nel sangue, usati come concime per i funghi. Inoltre notò la pelle scura del braccio, una rarità nella Norvegia bianca come la neve. Monk ripensò alla fattoria in Africa, quella distrutta in una notte di sangue e fuoco. Era stato raccolto qualcosa di più del grano in quel luogo? Monk si sorprese a respirare a fatica. Andò svelto alla fine della fila. Lì i funghi erano maturati in grossi gambi sormontati da cappelli nervati. Avevano un aspetto carnoso e fibroso. Con la mano artificiale, Monk diede un colpetto a uno dei cappelli. Non appena lo sfiorò, il bulbo si contrasse con un unico spasmo. La sommità soffiò un fumo denso e polveroso, che si sparse rapidamente nell'aria. Spore. Monk saltellò indietro. Per loro fortuna, indossavano la maschera di protezione. Non voleva respirare quelle spore. «Dobbiamo andarcene di qui!» gridò Monk dall'altra parte del laboratorio, le parole velate dalla maschera. Creed aveva appena prelevato un campione del fungo e lo aveva chiuso nel guanto di lattice. Lanciò un'occhiata a Monk, non capendo. Ma sgranò gli occhi quando altre nuvole esplosero nell'aria. Dovevano tornare nel corridoio. D'improvviso, nel soffitto si aprirono delle bocchette, probabilmente attivate da un sensore biologico. Quelle eruttarono potenti getti di schiuma, che cominciò ad James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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accumularsi su tutto il pavimento. Monk corse sotto una delle bocchette e per poco non fu buttato a terra dalla violenza del getto. Fece uno scivolone. Quando raggiunse Creed, la schiuma gli era arrivata alla cintola. «Corri!» gridò Monk con quanto fiato aveva in gola, precipitandosi verso l'uscita. Insieme infilarono la prima porta, entrando nell'anticamera. Anche quella era piena di schiuma, fino al soffitto. Furono costretti a cercare l'uscita a tastoni. Monk raggiunse la porta del corridoio per primo. Abbassò la maniglia e diede una spallata alla porta. Non si aprì. Tentò e ritentò, ma sapeva la verità. Erano bloccati dentro. Ore 00.08
Con la hall satura di fumo, Painter saltò il muretto. Sul pavimento bruciavano ancora dei fuochi e il sangue rendeva sdrucciolevole il marmo. Tirò fuori la pistola e con una slittata investì in pieno l'assassino mascherato che aveva fatto irruzione dalla porta. Concentrato sul bar, il killer non aveva visto in tempo Painter e questi gli sparò a bruciapelo al petto. L'urto scaraventò lontano l'aggressore, tra gli schizzi di sangue. Uno in meno. Tra le grida, la gente fuggì in strada o si rannicchiò dietro i mobili. Painter attraversò a precipizio la hall. Più avanti, all'entrata del Limelight Bar, la guardia del corpo di Gorman era in posizione di tiro, a braccia tese, la pistola d'ordinanza stretta in pugno. Aveva trovato riparo dietro il vaso di una pianta. Non era sufficiente. Gli altri due assassini avevano già puntato le armi su di lui. Una mitragliata polverizzò le foglie delle felci. L'uomo cadde lungo disteso sulla schiena. Painter non rallentò mai. Balzò su una sedia davanti al bar e si tuffò a capofitto nella sala. Atterrò su uno dei divani e si rialzò ruzzolando su una spalla. Aveva soltanto pochi secondi. Una raffica di colpi fendette la sala e disegnò un arco sulla parete dietro il bar, mandando in frantumi bottiglie e specchi. Painter perlustrò la sala con un colpo d'occhio. Non c'era traccia del senatore. La guardia del corpo doveva averlo mandato a cercare riparo. C'era una sola via di fuga: la toilette sul retro. Painter si precipitò verso la porta e la infilò come un fulmine. Un proiettile gli sfiorò l'orecchio. Era stato sparato dalla toilette. Il senatore Gorman dava le spalle a una fila di lavabi, una pistola in pugno, puntata contro Painter. Crowe alzò le mani. «Senatore Gorman!» gridò con voce ferma. «Sono l'uomo del James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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generale Metcalf!» «L'investigatore del dipartimento della Difesa?» Gorman abbassò la pistola, il volto disteso dal sollievo. Painter si precipitò avanti. «Dobbiamo andare via di qui.» «E Samuels?» Il senatore lanciò un'occhiata alla porta. Painter suppose che fosse la guardia del corpo. «È morto, signore.» Gli fece cenno di dirigersi verso la vetrata colorata in fondo alla toilette. «È sbarrata. Ho già guardato.» Painter sollevò il pannello scorrevole di vetro. Un'elaborata inferriata bloccava il passaggio. Crowe diede un colpo col palmo e la grata si aprì girando sui cardini. Durante il sopralluogo, aveva tolto i chiavistelli. Non faceva mai male assicurarsi una via di fuga. «Esca!» ordinò Painter, offrendo al senatore un ginocchio. Gorman accettò l'aiuto e s'inerpicò sulla finestra. Mentre spingeva il senatore, Painter udì un colpo dietro di sé. Gettò un'occhiata alle proprie spalle e vide la punta di una freccia spuntare dalla porta della toilette. Oh, merda.... Painter spinse senza tanti riguardi il senatore fuori della finestra e lo seguì a ruota. Nella foga, si beccò un mocassino italiano nell'occhio. Ma fu ben poco in confronto all'esplosione che seguì. La finestra aperta eruttò fuoco e fiamme. Il calore li investì. Painter spinse avanti il senatore. Quando le fiamme si spensero, corse alla finestra e tirò giù il pannello scorrevole, richiudendo le inferriate. Che si chiedessero come avevano fatto a fuggire da un locale sprangato. La confusione avrebbe potuto far guadagnare loro qualche minuto in più mentre gli inseguitori continuavano a cercarli nell'hotel. Painter tornò al fianco di Gorman. «Ho una macchina nascosta a due isolati di distanza.» Corsero via insieme. Gorman ansimava al suo fianco, stringendosi una spalla slogata. Dopo un isolato, lanciò un'occhiata a Painter e gli domandò: «Chi diavolo è, lei?» «Solo un servitore dello Stato», rispose Painter a mezza bocca, concentrandosi su un altro compito. Rimise a posto il microfono al collo e lo accese. «Monk, come vanno le cose lì da voi?» Monk udì alcune parole incomprensibili nell'orecchio, ma, dopo avere allentato la maschera, si ritrovò a sputacchiare schiuma. Spingeva la porta, sperando che si aprisse per miracolo. Doveva essersi bloccata quando erano entrati in funzione gli spruzzatori. Prima che potesse muoversi, dall'alto precipitò acqua calda. La schiuma prese subito a sciogliersi dal soffitto al pavimento, afflosciandosi sotto il suo stesso peso. In meno di trenta secondi. Monk lanciò un'occhiata a Creed. Se ne stava lì come un cagnolino rinsecchito e bagnato che attendeva di scrollarsi. Aveva lo sguardo scioccato. «Schiuma contro il rischio biologico», spiegò Monk. «Si utilizza per eliminare James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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agenti patogeni trasportati dall'aria. Dovremmo essere a posto.» A riprova di ciò, la serratura si aprì con uno scatto sotto il gomito di Monk. Doveva essere stata programmata col ciclo di sterilizzazione. Abbassò la maniglia e uscì nel corridoio. Mentre camminava, delle voci riecheggiarono in fondo al passaggio. Vedeva bene il vano dell'ascensore. La porta era semiaperta mentre qualcuno discuteva in norvegese nel vestibolo. Monk riconobbe il braccio di una guardia in uniforme. Il protocollo di sicurezza aveva fatto intervenire la sorveglianza. Monk si bloccò. Non poteva ritirarsi di nuovo nel laboratorio dei funghi. Sarebbe stato sicuramente il primo posto a essere controllato. Non gli restava che una sola alternativa. Uscendo allo scoperto, corse dall'altra parte del corridoio e appoggiò il palmo sul lettore accanto alla porta. Trattenne il respiro durante la scansione, guardando in fondo al corridoio, pregando che nessuno si girasse dalla sua parte. Alla fine la serratura si aprì. Con un sospiro muto di ringraziamento, aprì la porta con una spinta. Lui e Creed entrarono di corsa. Monk tenne la porta socchiusa quel tanto che bastava a tenere d'occhio il corridoio. Una squadra di guardie della sicurezza, quattro in tutto, era guidata da un tecnico in camice da laboratorio. L'uomo aveva l'espressione di uno che si era appena svegliato. A quanto sembrava, per accedere a quel luogo era necessario un nullaosta di sicurezza di un certo grado. Monk lasciò che la porta si chiudesse, ma rimase rannicchiato dove poteva ascoltare. La porta dell'altro laboratorio si aprì e si chiuse. Gli uomini rimasero nel corridoio. Monk li udì parlare sottovoce. Non sapeva quanti erano. Almeno tre, suppose. E ora? «Faccia un po' di posto», disse Creed alle sue spalle. Monk si girò. Il suo collega si era tolto il parka e si era infilato il camice da laboratorio. Si era anche asciugato i capelli e se li era pettinati in qualche modo con le dita. Creed entrò nell'anticamera. Mentre Monk stava alla porta, il suo collega era andato nel locale più grande con gli alveari. «Che cosa vuoi fare?» domandò Monk, squadrandolo da capo a piedi. Creed si scansò. Dietro la porta interna chiusa, un ronzio attirò l'attenzione di Monk. Nella stanza esterna, un sottile sciame di api mulinava e s'infittiva. «Cos'hai fatto?» domandò Monk. Creed alzò un braccio. In mano stringeva un cassetto chiuso con una rete. «Ho rubato la regina.» Indicò a sinistra. «E ho aperto l'alveare.» Monk corrugò la fronte. Da uno degli apiari, una fitta colonna di api usciva tumultuosamente dal vano vuoto del cassetto. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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«Ma perché?» domandò Monk. Dietro la porta, le api si radunarono in uno sciame sempre più grande. «Sono decisamente api africanizzate», disse Creed, fissando la regina che aveva catturato. «Molto aggressive.» «Fantastico, ma... perché?» «Per uscire di qui.» Creed indicò la porta interna dell'anticamera. «La apra quando dirò 'ora'. Ma resti dietro la porta.» Monk cominciava a capire. Si scambiò di posto con Creed e andò alla porta interna dell'anticamera. Creed prese il suo posto accanto alla porta del corridoio e fissò lo sciame sempre più fitto di api. La nube era adesso appiccicata alla porta e alle pareti di vetro dell'anticamera, attirata dalla regina. Il ronzio si fece così forte che a Monk si accapponò la pelle. Creed aspettò ancora. Depose il cassetto con la regina sul pavimento. Nell'altra stanza lo sciame si fece così fitto da bloccare la luce. «Si tenga pronto», disse Creed, raddrizzandosi. Monk afferrò la maniglia della sua porta. Con un'ultima lisciata ai capelli, Creed si girò verso la porta e l'aprì. Monk era nascosto, ma udì le reazioni sorprese delle guardie nel corridoio. Creed assunse un'aria irritata e li aggredì in norvegese. Mentre le guardie cercavano di stabilire se il nuovo tecnico era o no una minaccia, Creed fece scivolare con un calcio il cassetto sul pavimento in direzione delle guardie. «Ora!» gridò. Monk aprì la porta con uno strattone e si appiattì dietro il battente. Lo sciame si riversò subito nell'anticamera come un fiume in piena. Creed indietreggiò e spalancò del tutto la porta. Con la via libera, lo sciame sfrecciò verso la regina nel corridoio in una fitta nube. In preda al panico, una guardia sparò alla cieca. Un errore. Monk conosceva abbastanza bene le api africanizzate da sapere che erano sensibili ai forti rumori. Le grida che seguirono non fecero che peggiorare le cose. Creed si allungò e afferrò Monk per la manica della giacca. Era ora di battersela. Monk seguì il collega nel corridoio. Non era necessario muoversi con circospezione. Le quattro guardie si contorcevano al centro dello sciame, sommerse da una massa pungente. Le api riempivano le bocche e s'infilavano nei nasi. Monk e Creed corsero a capofitto lungo il corridoio. Alcune api temerarie li inseguirono. Monk fu punto parecchie volte, ma lo sciame non si allontanò dalla regina. Con la falcata lunga, Creed raggiunse il vano dell'ascensore per primo. Infilò la porta come un razzo mentre Monk la chiudeva con un colpo secco dietro di sé. Creed chiamò l'ascensore e le porte scorrevoli si aprirono subito. La cabina era James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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ancora al loro livello. Si precipitarono dentro. Non avendo tempo di raggiungere i server, Monk abbandonò la missione principale e schiacciò il pulsante dell'atrio. Era ora di tagliare la corda. Creed non fece obiezioni. Monk lo fissò mentre l'ascensore saliva. «Sei stato in gamba, pivello.» «Davvero?» Lo guardò di traverso. «Sono ancora un pivello?» Monk alzò le spalle mentre uscivano dall'ascensore e si dirigevano in tutta fretta verso l'atrio. Non voleva che il giovane collega si montasse la testa. Mentre uscivano di nuovo nella notte, una voce gli sibilò d'improvviso nell'orecchio, in tono irato e urgente. «Monk, rispondi.» Era Painter. Monk accese col pollice il microfono al collo. «Signore, stiamo uscendo ora.» Seguì un profondo sospiro di sollievo. «E la missione?» «Abbiamo avuto un problemino con le api.» «Le api?» «Glielo spiego dopo. Ci ritroviamo in hotel?» «No. Sto venendo nella tua direzione ora. Sono in compagnia.» In compagnia? «I piani sono cambiati», disse Painter. «Le cose sono diventate un po' troppo calde qui a Oslo. Perciò leviamo le tende e ci trasferiamo in un posto un po' più freddo.» Ancora infradiciato dalla schiuma, Monk sentiva il gelo della notte penetrargli fino all'osso. Più freddo di così? Mentre attraversava il campus, s'immaginò Gray al riparo in una tenda, davanti al fuoco di una stufa da campo. Il solito fortunato.
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Capitolo 16
† Lake District, Inghilterra, 13 ottobre, ore 00.22
C
on la foresta in fiamme, Gray strinse la cavezza del suo stallone. Lui e gli altri avevano sellato in fretta e furia i pony. Avevano i minuti contati. Dopo il grande incendio iniziale, le fiamme si erano ridotte a falò infernali tutt'intorno a loro. Una cappa di fumo aleggiava sulla valle, offuscando le stelle. Un grosso incendio segnava un'area della foresta che era andata in fiamme. Probabilmente una vecchia trappola di legno che era diventata secca e aveva preso fuoco facilmente. Il resto della foresta coperta di neve aveva resistito alla fiamme, fino a quel momento. Ma erano tutt'altro che al sicuro. «A cavallo!» ordinò. Dovevano mettersi subito in moto. Ogni secondo contava a mano a mano che un pericolo più insidioso li accerchiava. I fuochi di torba viaggiavano sottoterra, propagandosi verso l'esterno in canali che bruciavano senza fiamma e sacche di fuoco più profonde. Sebbene a occhio non fosse visibile, nel sottosuolo si celava un violento incendio. Wallace aveva calcolato che l'intera valle sarebbe stata divorata dalle fiamme in meno di un'ora. Nessuna squadra di salvataggio sarebbe arrivata in tempo. Gray aveva usato il telefono satellitare per chiamare Painter, per spiegargli in breve la situazione e comunicargli le loro coordinate GPS, ma anche il direttore aveva convenuto che era impossibile mobilitare l'appoggio aereo in tempo. Dovevano cavarsela da soli. Quando Gray montò in sella, uno dei megaliti del cerchio si rovesciò, essendo venuta a mancare la torba sottostante, consumata dalle fiamme. Quando cadde a terra, un fiume di fuoco eruttò dal terreno nero. Altri megaliti erano già caduti, alcuni completamente inghiottiti dalle voragini fiammeggianti. Quello non era un fuoco di torba naturale. Qualcuno aveva incendiato il luogo, col chiaro intento di distruggere il sito degli scavi... e chiunque fosse stato sul posto. Sara affiancò Gray, tenendo il pony ben stretto per le redini. Il suo cavallo mostrò il bianco degli occhi, sull'orlo del panico. Sara aveva un'aria non meno spaventata. Erano tutti consapevoli del pericolo. Quando erano scoppiati gli incendi, uno dei pony era fuggito dal recinto. Pazzo di paura e scuotendo la testa, si era precipitato nella foresta. Pochi minuti dopo, avevano udito uno schianto, era divampato un nuovo incendio ed erano seguiti nitriti agghiaccianti. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Gray lanciò un'occhiata al megalito rovesciato che stava sprofondando piano piano nel pantano fiammeggiante. Gli rammentò il pericolo che avevano sotto i piedi. Un passo falso e avrebbero fatto la stessa fine del pony terrorizzato. Seichan corse al fianco dello stallone di Gray. Il pony che era fuggito e morto era quello della donna. Gray si piegò, l'afferrò per l'avambraccio e la issò in sella dietro di sé. «Andiamo!» sollecitò, indicando la parte più buia della foresta, ancora priva d'incendi. Dovevano aprirsi un varco nel cerchio di fuoco e salire sui monti. Gray fece strada con Wallace al fianco. Dinanzi a loro trotterellava il terrier, Rufus. «Ci troverà un percorso sicuro», disse il professore, terreo in viso. «Quando brucia, la torba ha un odore più penetrante. Il suo naso potrebbe cogliere ciò che non riusciamo a vedere.» Gray sperò che avesse ragione, ma tutta la zona puzzava di torba in fiamme. Le probabilità che il cane fiutasse le tenui esalazioni di fumo degli incendi sotterranei erano scarse. Ma che altro potevano fare? Magari il cane riusciva a fiutare qualcosa per davvero. Mentre uscivano dalla valle, il terrier zigzagava nella foresta, fermandosi e svoltando all'improvviso. Gray tenne l'andatura al piccolo trotto, bilanciando velocità e prudenza. Il cane attraversò saltellando la neve e un corso d'acqua ghiacciato. Sembrava impossibile che in una notte così fredda, col terreno coperto di neve e ghiaccio, potesse esserci un inferno di fuoco e fiamme là sotto. Ma rammentarono quel pericolo proprio quando un cervo attraversò saltellando il loro sentiero, spaventato dagli incendi. L'animale fuggì sicuro tra gli alberi fino a saltare in un canale colmo di neve. Il terreno cedette sotto il suo peso e le zampe posteriori sprofondarono in una fossa di fuoco, che eruttò un vortice di fiamme e cenere incandescente. Il cervo allungò il collo in una muta posa di agonia, poi il corpo si afflosciò e scomparve. Il fumo salì in volute nel cielo e un'ondata di calore respinse il gelo della notte. Una lezione che faceva riflettere. «Cristo santo!» esclamò Kowalski a mezza bocca, in sella al suo pony. Seichan strinse più forte la vita di Gray. Mentre attraversavano la foresta piena di fumo, altri incendi divamparono qua e là, appiccati dall'inferno che si propagava trasformando alberi secchi in torce. Girarono al largo di uno di quegli alberi, una vecchia quercia, fragile e annerita da un fulmine. Le fiamme ballavano tra i rami imbiancati, un avvertimento del pericolo che scorreva sotto le radici. Anche Rufus cominciò a rallentare l'andatura. Si fermava spesso, girando la testa di qua e di là, fiutando l'aria, uggiolando, chiaramente titubante. Tuttavia continuò a fare strada, a volte tornando indietro, sgusciando tra le zampe dei loro ombrosi cavalli. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Alla fine, però, si bloccò dinanzi a un vecchio fiume asciutto, un lieve declivio che tagliava serpeggiando la via più avanti. Non sembrava celare nessun pericolo, ma il cane andava su e giù lungo la sponda. Accennò a scendere nel canale, ma poi ci ripensò e arretrò. Aveva paura di qualcosa. Tornò all'inizio della fila ferma di pony. Il lieve uggiolio mutò in un guaito di paura. Girandosi sulla sella, Gray fissò la foresta. Il grande incendio sotterraneo che li accerchiava aveva cominciato ad affiorare, mostrando tutta la sua violenza. Poco lontano, un grande pino crollò nel bosco, portandosi dietro alberi più piccoli. Si schiantò in un fiume di fuoco e fiamme. Il resto della foresta stava subendo la stessa sorte. Ormai intere macchie di alberi stavano cadendo nella palude infuocata, o perché si rovesciavano quando le radici erano state distrutte dal fuoco, o perché sprofondavano sotto il proprio peso quando il terreno si trasformava in cenere incandescente. Dovevano andare avanti. Quanto più aspettavano, tanto più le cose peggioravano. Dovevano raggiungere i monti. «Coraggio, vecchio fifone», disse Wallace, spronando il cane con un rimprovero bonario. «Puoi farcela, Rufus. Coraggio, bello. Trovaci una via per tornare a casa.» Il cane fissò il padrone in alto, poi il canale in basso. Con un tremito, si accucciò sulle zampe posteriori. Continuò a tremare, ma non cambiò parere. La strada non era sicura. Gray scese da cavallo e passò le redini a Seichan. «Aspetta qui.» «Che cosa vuoi fare?» domandò Sara. Gray andò verso una pietra coperta di muschio accanto al sentiero. Piegando le ginocchia, sollevò la pietra e la trasportò con fatica verso la sponda del fiume asciutto coperto di neve. Con una rotazione delle braccia, lanciò la pietra giù dall'argine disegnando un basso arco. Il masso cadde in mezzo al canale... e affondò nella palude infuocata sottostante. La voragine vomitò fiamme, la neve si sciolse intorno ai bordi e risalì ribollendo con un sibilo di vapore. La voragine si allargò in un batter d'occhio, sputando lingue di fuoco. Il canale eruttò in altri punti. Era stato come lanciare un sasso in uno stagno. Cerchi di fuoco si allargavano con un effetto a cascata mentre nuovo ossigeno raggiungeva l'inferno sotterraneo. Zampillarono fiamme e sgorgò altro vapore, che si riversò all'esterno, seguendo il corso del vecchio fiume asciutto. «Dovevi farlo per forza», sbottò Kowalski. «Non eri abbastanza soddisfatto.» Gray lo ignorò e andò verso un altro sasso. Lo sollevò e, prendendo lo slancio con tutto il corpo, lo tirò verso l'altra sponda. Il fiume era largo più o meno sette metri. Il sasso colpì la riva opposta con un tonfo sordo, conficcandosi nel terreno e nella neve. «L'altra sponda è ancora solida. Se riusciamo a raggiungerla...» Gray si girò verso Wallace. «I Fell Pony sono bravi a saltare?» Il professore guardò il fiume di fuoco. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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«Sì, lo sono. Ma è comunque un gran bel salto.» Kowalski disse la sua: «Ci resta poco da scegliere». Un altro albero sprofondò nella foresta alle loro spalle. «Sì, è vero», confermò Wallace. «Vado per primo.» Gray tornò svelto al suo cavallo. Sollevò il braccio per aiutare Seichan a scendere. «Vengo con te», disse lei. «No. Il nostro peso non farebbe che rendere più difficile il...» «Vedi altri cavalli scorrazzare liberamente qui in giro?» ribatté lei stizzita, interrompendolo. «Devo montare un cavallo con qualcun altro. E il tuo stallone è il più grosso.» Gray si rese conto che aveva ragione. Salì in sella. Gli altri fecero largo mentre faceva indietreggiare il cavallo dalla sponda. «Tienti forte.» Lei obbedì, abbracciandolo stretto e premendo la guancia sulla schiena di lui. «Vai», disse a bassa voce. Piegandosi in avanti sulla sella, Gray diede di tacco al cavallo e strattonò le redini. Lo stallone, già raccolto, quasi sapesse quello che il suo cavaliere voleva, si lanciò in avanti con fragore di zoccoli, mettendosi al gran galoppo con poche falcate. Gray sentì la potenza del cavallo sotto la sella. Il suo respiro ansimante lasciava una scia di vapore bianco dietro di loro. Lo stallone protese il collo quando acquistò ancora più velocità... e raggiunse la sponda. Con uno scatto dei muscoli, spiccò un salto. Gray divenne leggero come l'aria, sollevandosi dalla sella con Seichan avvinghiata alla schiena. Sorvolarono le fiamme. Gray sentì il calore sotto di loro. E poi atterrarono sulla sponda opposta. Gray ricadde di peso sulla sella, mantenendo l'equilibrio con le staffe e l'abilità. Il cavallo fece qualche passo per ridurre lo slancio. Gray tirò le redini e fece voltare svelto il cavallo. Seichan era ancora aggrappata a lui. Tornò al fiume asciutto in preda alle fiamme ed emise un sospiro di sollievo. Col braccio fece cenno agli altri di seguirlo, non fidandosi ancora della voce. Un brivido gli attraversò il corpo, ma le braccia di Seichan lo strinsero forte. «Ce l'abbiamo fatta», gli mormorò dietro la schiena. Gli altri si affrettarono a raggiungerli. Wallace arrivò con Rufus stretto in grembo. Gray dovette riconoscerglielo. Il vecchio professore sapeva andare a cavallo. Subito dopo venne Sara. La donna fece indietreggiare il cavallo e lo lanciò al galoppo. Forse Gray aveva il pony più grande, ma Sara aveva quello più veloce. Raggiunse la sponda, ma qualcosa andò storto. Il terreno cedette sotto uno zoccolo e il cavallo slittò. Gray si rese subito conto del guaio. Il salto era troppo basso e il corpo del pony scivolò di lato. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Non sarebbero mai arrivati dall'altra parte. Sara cercò di tenersi salda in sella. Quando la cavalla spiccò il salto, avvertì subito il vuoto sotto di sé. Serrò le gambe per rimanere in arcione. Strinse le redini al petto e si piegò sul pomo della sella. Inclinata su un lato, guardava dritto nel cuore dell'incendio. Non ce l'avrebbe fatta. Il pony stava già precipitando. Il calore la stava investendo. Udì grida d'allarme. Poi toccarono terra. Gli zoccoli anteriori atterrarono sul terreno compatto, raggiungendo la sponda opposta, ma quelli posteriori finirono nel tratto che bruciava senza fiamma del fiume di fuoco. L'impatto schiacciò Sara di faccia sul pony. Senza fiato, le sfuggirono di mano le redini, perse l'equilibrio e scivolò all'indietro, verso il fuoco. Sotto di lei, la povera cavalla nitriva dal dolore mentre scalciava per liberarsi, cosa che non faceva che sollevare più in alto le fiamme. Mentre scivolava, Sara si aggrappò alla sella. Il fuoco le bruciò le suole degli stivali. Impazzita dal dolore, la cavalla dava sgroppate e minacciava di disarcionarla. Peggio ancora, prese a ruzzolare. «Resisti!» gridò una voce. Sara alzò gli occhi. Era Seichan. La donna si gettò a terra e afferrò la cavezza del pony. Gray si precipitò dall'altra parte e provò a prendere il sopratesta della briglia. Insieme, cercarono d'impedire alla cavalla di ruzzolare. Seichan si attorcigliò la cavezza intorno al braccio, si buttò a sedere e puntò i talloni in terra. A Gray sfuggì di mano la briglia mentre la cavalla scuoteva la testa di qua e di là e nitriva disperatamente. Si allungò di nuovo per prenderla. «Afferra lei!» gridò Seichan, trascinata a sua volta verso il fiume di fuoco. Sara dovette fare appello a tutta la sua forza per tenersi stretta. Sentì le gambe bruciare, s'immaginò i pantaloni in fiamme. Poi una mano le afferrò il polso. Gray comparve all'improvviso, allungato sul garrese della cavalla. La tirò forte con un braccio, mentre si puntellava contro il pomo della sella con l'altro. La trascinò a sé, paonazzo in volto per lo sforzo. «Arrampicati su di me!» le ordinò Gray, guardandola dritto negli occhi. La ferrea determinazione di quegli occhi blu acciaio le diedero forza. Ansimando, Sara alzò il braccio e gli afferrò la giacca con la mano. S'inerpicò su di lui, strinse la cintura con l'altra mano e si arrampicò sul suo corpo. Quando ebbe finalmente risalito la sponda del fiume, rotolò giù da lui e cadde bocconi nella neve. Gray tornò indietro striscioni, si abbandonò al suo fianco, poi la cinse con un braccio e l'aiutò a risalire la sponda. Crollarono insieme nella neve. Lei lo abbracciò, rompendo in singhiozzi. Dietro di lei, un colpo di pistola squarciò l'aria. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Girandosi di scatto, vide Seichan di spalle, più giù. Impugnava una pistola fumante. I nitriti della cavalla s'interruppero quando il corpo si accasciò a terra e scivolò ancora di più nelle fiamme. Seichan sprofondò nella neve, stringendo la pistola. Fantastico. Stando ancora sull'altra sponda del fiume di fuoco, Kowalski aveva visto inciampare la cavalla di Sara. Il pony continuava a bruciare sulla riva. Come avrebbe fatto a saltare dall'altra parte? Il suo cavallo, un castrone, non era possente come quello di Gray e non era veloce nemmeno la metà della cavalla di Sara. Per di più, essendo castrato, il suo pony era già irrequieto. Kowalski si portò una mano alla pancia. Avrebbe dovuto mettersi veramente a dieta come Liz gli aveva raccomandato. Gray lo chiamò dall'altra parte. «Che aspetti?» Kowalski gli fece cenno di attendere con un dito. Poi diede un colpetto affettuoso al pony sul collo. «Ci riesci... vero?» Il pony scrollò la testa e ruotò un occhio spaventato verso di lui. Sono qui con te, amico. Fece indietreggiare il pony più del necessario, per prendere una bella rincorsa. Tuttavia esitò. Anche il pony, che rimase fermo, scalpicciando gli zoccoli, nervoso. Avevano entrambi tutto da perdere. Dobbiamo calmarci, prenderci tempo per concentra... Un pino esplose proprio dietro di loro. Partì come un fuoco d'artificio. I frammenti infuocati volarono in aria, tempestarono il giaccone di Kowalski dietro la schiena e investirono la groppa del pony. Spronato dalle fiamme, il castrone si mise a correre con uno scatto dei muscoli alimentati dall'adrenalina. Kowalski rischiò di cadere ma recuperò svelto l'equilibrio, puntellandosi sulle staffe. Il pony corse con gran rumore di zoccoli, raggiunse la sponda e spiccò un salto. Se Kowalski fosse stato più coraggioso, avrebbe cacciato un grido d'entusiasmo; o, se avesse avuto un cappello da cowboy, lo avrebbe sventolato in aria. Invece si piegò e si aggrappò forte al pony con entrambe le braccia. Sotto di loro, quasi sapesse che erano gli ultimi a fuggire, il letto del fiume sprofondò in un inferno di fiamme. Lingue di fuoco guizzarono tutt'intorno a loro. Kowalski serrò gli occhi, avvolto nel calore incandescente. E poi raggiunsero l'altra sponda con un colpo di zoccoli sul terreno compatto. L'impatto catapultò Kowalski oltre la testa del pony, facendolo cadere in un cumulo di neve. Stordito, giacque sulla schiena per un po' e fece un check-up mentale per controllare di essere tutto intero. Sono ancora vivo... Si puntellò sui gomiti e si tirò in piedi. Andò barcollando verso il suo pony, le gambe dell'uno e le zampe dell'altro che non smettevano di tremare. Quando fu al suo fianco, gli buttò le braccia al collo e lo strinse forte. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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«Quanto ti adoro, fenomeno d'un cavallo.» Venti minuti dopo, l'esausta squadra risaliva un sentiero roccioso, lasciandosi la valle alle spalle. Le fiamme danzavano qua e là sul pendio. In basso, l'intera valle ardeva sotto la cenere e bruciava. Indolenzita e stremata, Seichan cavalcava dietro Kowalski. Guardava di sottecchi Gray e Sara. I due cavalcavano insieme lo stallone di lui. Sara gli stringeva la vita con le braccia, il capo appoggiato sulla sua spalla. Dopo la caduta quasi fatale, era rimasta attaccata a Gray, attingendo alla sua fermezza e alla sua forza. Seichan si sforzò di non schernire la vulnerabilità della donna. Ma non riuscì a ignorare con facilità un'altra fitta. Prese atto della rapidità con cui i due si erano affiatati, la facilità con cui avevano legato. Quando aveva cavalcato con lui poco prima, anche Seichan aveva stretto Gray, aveva sentito l'odore muschiato del suo sudore, aveva avvertito il calore del suo corpo. Ma da lui non aveva percepito niente. Non avrebbe fatto differenza se Seichan fosse stata una bisaccia. Eppure anche ora, sotto i suoi occhi, Gray carezzava il braccio di Sara con una mano. Un gesto fatto a mo' di conforto, istintivo, mentre continuava a tenere d'occhio il sentiero roccioso. Seichan distolse lo sguardo, sentendo montare la rabbia. Non contro Gray, ma contro la propria stupidità. Ripensò alle parole che Kowalski le aveva detto prima che la foresta esplodesse. Due scolaretti che hanno preso una cotta l'uno per l'altra. Credeva di essere riuscita a nascondere meglio i propri sentimenti. Ma che poteva pensare del giudizio che Kowalski aveva dato del suo collega? Possibile che avesse ragione riguardo a Gray? Si concesse per un momento di credere che fosse vero. Ma solo per un momento. Gli lanciò un'occhiata e riconobbe che non poteva esserci futuro tra loro. L'abisso che li separava era troppo profondo e troppo largo. Ed era destinato a diventarlo ancora di più. Soprattutto con quello che sarebbe accaduto di lì a poco. Con la foresta ormai alle spalle, era ora che mettesse in atto la seconda fase del suo piano. Ore 02.07
Gray fece cenno di fermarsi per riposarsi e abbeverare i cavalli. Avevano raggiunto un laghetto montano azzurro pallido, uno dei tanti che punteggiavano la regione come goccioline di argento vivo. Voleva anche dare un'occhiata alle ustioni di Sara. Subito dopo l'incidente, le aveva fatto degli impacchi di neve alle gambe per assorbire il calore residuo. La pelle era rosa vivo e in alcuni punti si sarebbero potute formare delle vesciche superficiali, ma voleva dare una seconda occhiata. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Il gruppo scese dai pony. Avevano tutti il sedere indolenzito dalla sella e bruciacchiato ai bordi. Anche dopo essere fuggiti dal fiume in fiamme, se l'erano cavata per miracolo. Se non fosse stato per Rufus che ci ha indicato il resto della strada per uscire di qui... Gray vide il professore tirare fuori un pezzo di salsiccia secca e darlo da mangiare al terrier. Rufus meritava piatti colmi di salsiccia. Ma il cane era contentissimo di ricevere anche una bella grattata per un lavoro ben fatto. Wallace si piegò e diede al cane una grattatina sul fianco. «Bravo, il mio bastardino spelacchiato.» Rufus agitò freneticamente la coda. Anche Seichan tirò al terrier un pezzetto di formaggio mentre si sgranchiva le gambe. Il cane lo addentò al volo; sembrava che avesse superato l'iniziale diffidenza nei suoi confronti. Seichan scese verso il laghetto ghiacciato e si profilò contro la luce della luna riflessa nell'acqua. Gray la fissò. Al fiume, quando Sara aveva rischiato di cadere nelle fiamme, Seichan era stata la prima a scendere da cavallo e ad accorrere in suo aiuto. Persino Gray era rimasto indietro. Non l'aveva mai ringraziata in modo adeguato per il suo aiuto. Ma prima doveva occuparsi di alcuni dettagli. Kowalski aveva acceso un piccolo falò con alcuni ramoscelli e fiammiferi. Nonostante tutto quello che era accaduto, la notte era fredda e il fuoco era ancora gradito. Si diressero tutti verso il falò come falene verso le fiamme. Gray si scaldò le mani qualche secondo. Poi, con un sospiro, si scrollò di dosso lo zaino e si accovacciò. Aprì la cerniera lampo di una tasca e tirò fuori il cellulare. «Chiami casa?» domandò Kowalski. «Devo aggiornare Painter. Fargli sapere che siamo scampati a quell'inferno.» Quando alzò il telefono, Gray udì la voce di Seichan alle spalle. «Temo di no.» Lui si girò e si ritrovò con una pistola puntata in faccia. «Che stai facendo?» «Lanciami il telefono.» «Seichan...» «Muoviti.» Gray capì che era inutile opporsi. Sapeva che quella donna non aveva remore a sparare. Le lanciò il telefono. Lei lo prese senza difficoltà, senza fare tremare la pistola, e lo lanciò a parabola nel lago. «È ora che scompariamo, tutti quanti.» Gray immaginò cosa volesse dire. Se non avesse mai fatto rapporto, Painter avrebbe pensato che non erano usciti vivi dalla foresta in fiamme. Le squadre di ricerca ci avrebbero messo settimane a setacciare le ceneri. Ma ciò che Gray non riusciva ancora a capire era il perché. Doveva avere quella domanda scritta in faccia. Seichan spiegò: «Il nostro obiettivo è trovare la chiave che padre Giovanni stava cercando. In passato, ti sei dimostrato molto in gamba, Pierce». Inarcò un sopracciglio. «La Gilda ha piena fiducia in te.» Gray scosse la testa; si sarebbe mangiato le mani. Sospettava che Seichan avrebbe sfruttato la cosa a proprio James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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vantaggio, per rientrare nelle grazie dei suoi ex capi... come agente leale o che faceva il doppio gioco. In ogni caso, pensava che lei avrebbe fatto la sua mossa più avanti. Gray aveva abbassato la guardia. Ma, in verità, c'era dell'altro. Sentì montare la collera. Una parte di sé si era fidata di lei. Lasciò trapelare un po' di quella collera. «Come ci costringerai a collaborare? Non puoi puntarci contro una pistola per sempre.» «È vero.» Rimise la pistola nella fondina. Quel gesto preoccupò ancora di più Gray. E le parole che seguirono confermarono i suoi timori. «Ecco perché ho avvelenato Sara.» Gray ammutolì per lo stupore. Sara fece un passo avanti. «Cosa?» «Col tè.» Seichan non la guardò nemmeno. Tenne gli occhi fissi su Gray. «Una biotossina di sintesi. Uccide in tre giorni. Purtroppo, i sintomi peggioreranno. Nausea, emicrania, alla fine comincerà l'emorragia.» Lì per lì, Sara balbettò, incredula: «Ma... ma mi hai salvato la vita. Nella foresta». Gray comprese. «Le servivi viva.» Seichan si strinse nelle spalle. «Esiste un antidoto. Un enzima studiato espressamente per questa tossina. Il modello chiave serratura, come forse sapete. Non esiste altra cura. E, a scanso di equivoci, non so quale sia l'antidoto, dove si trovi o come procurarselo. L'antidoto vi sarà dato quando consegnerete la chiave.» «Non capisco. Di che 'chiave' stai parlando?» «Del vero oggetto che padre Giovanni stava cercando. La chiave del Doomsday Book.» A quelle parole, Wallace trasalì. «Ma è solo una leggenda.» «Nell'interesse di Sara, le conviene sperare di no. Abbiamo tre giorni per trovarla.» «E che garanzia abbiamo che rispetterai la tua parte dell'accordo?» volle sapere Gray. Lei roteò gli occhi a quella domanda. «Vuoi proprio che ti risponda?» Gray la guardò torvo. Seichan aveva ragione. Non c'era nessuna garanzia, né bisogno di offrirla. Con la vita di Sara in forse, non avevano scelta. Kowalski incrociò le braccia e guardò di traverso Gray. «La prossima volta, Pierce, dai retta al cane.»
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Capitolo 17
† Oslo, Norvegia, 13 ottobre, ore 03.23
K
rista non aveva chiuso occhio. Era stata una notte lunga, con le cose che erano andate di male in peggio, a quanto sembrava. Ma, nell'ultima ora, forse tutto si era risolto. Era davanti a un fuoco crepitante, con indosso una vestaglia di cashmere italiano. Il camino era così alto che ci si poteva entrare senza piegarsi. Le dita dei piedi nudi erano attorcigliate nel tappeto di zibellino sul pavimento. Una fila di finestre gotiche, dal telaio di ferro, s'affacciava sul cortile innevato del castello di Akershus. La luna tingeva il paesaggio d'argento, riflettendo persino le fiamme del camino. E nel mezzo stava il suo riflesso. Tra fuoco e ghiaccio. Il verso di una poesia di Robert Frost le echeggiava nella testa mentre aspettava. Ricordava di averlo imparato nella scuola femminile cattolica fuori Boston, quando suo padre andava a trovarla di notte mentre sua madre era ubriaca. Dicono alcuni che finirà nel fuoco il mondo; altri nel ghiaccio. A Krista non importava in quale modo, purché lei stesse dalla parte del vincitore. Tornò a fissare le fiamme, ma s'immaginò un altro fuoco. Un fuoco che per poco non aveva rovinato tutto. Aveva ricevuto un aggiornamento poco dopo mezzanotte da un osservatore nella regione dei laghi, in Inghilterra. Aveva riferito che le cariche incendiarie erano state piazzate con successo. Ma l'incendio era divenuto presto indomabile, mettendo a repentaglio la vita di tutti. Era stata costretta ad attendere altre due ore prima di ricevere la conferma che gli altri erano fuggiti dalla foresta, che l'operazione proseguiva secondo i piani. Se mi fosse andata male anche là... Un brivido le corse lungo la schiena. Sarebbe stato un disastro, soprattutto per come erano andate le cose al Grand Hotel. Le ci era voluto troppo tempo per scoprire che era stato Antonio Gravel a mettersi in contatto col senatore Gorman. L'uomo si era rivelato più astuto del previsto. Dopo avere contattato il senatore, era sparito nel nulla. Non era nel suo hotel né al vertice. Krista aveva scoperto troppo tardi la sua predilezione per le giovani prostitute, quelle che non disprezzavano qualche giochino pesante. Non riuscendo a scovarlo abbastanza rapidamente, era stata costretta a tendergli un agguato in hotel. Era stata un'azione più sfrontata di quanto avrebbe voluto, ma non era potuta andare per il sottile col poco tempo che aveva avuto a disposizione. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Aveva anche sperato di prendere due piccioni con una fava. Aveva ordinato ai suoi uomini di uccidere Antonio non appena avesse messo piede nell'hotel, e poi di sfruttare il caos e la confusione per assassinare il senatore. L'uccisione del senatore Gorman non era stata ordinata espressamente. Doveva essere ucciso solo se Antonio avesse parlato con lui, ma a Krista non piaceva lasciare le cose in sospeso. Soprattutto quelle che potevano ricondurre a lei. Jason Gorman, innamorato cotto della sua nuova fidanzata, aveva mandato al padre delle fotografie. Quel fatto la preoccupava. E a lei non piaceva preoccuparsi. Alla fine, il senatore era fuggito, e non per colpa di Krista. La donna aveva ricevuto ordini espliciti di non inseguire l'agente moro della Sigma. Non era colpa sua se quello era intervenuto. Eppure, la preoccupazione la metteva in agitazione e la faceva tremare di freddo. Stava vicina al fuoco, la cintura della vestaglia ben stretta. Alla fine, il telefono vibrò. Si affrettò a portarlo all'orecchio. «Pronto.» «Mi risulta che l'operazione in Inghilterra sta procedendo secondo i piani.» «Sì.» Lasciò trasparire una punta di orgoglio nella voce. «E che il senatore Gorman è fuggito.» Le si offuscarono gli occhi, agli angoli. Tutta la sicurezza di prima si dissolse quando udì il tono della sua voce. «Sì», riuscì a dire. Il silenzio si prolungò. Krista aveva il cuore in gola. «Allora possiamo procedere con la seconda fase del nostro piano.» Krista celò un lungo sospiro di sollievo, ma non la perplessità. «La seconda fase?» «Dare il via al repulisti in preparazione del fine partita.» «Signore?» «Echelon ha tenuto un incontro e ha riconsiderato i futuri scenari. In definitiva, sembra ci sia poco bisogno di proseguire la collaborazione con la Viatus. Riteniamo che Ivar Karlsen sia sempre più un intralcio. Soprattutto dopo alcuni strani episodi accaduti stanotte nel suo complesso di ricerca. L'uso migliore che possiamo fare di lui ora è come capro espiatorio, qualcuno che distolga l'attenzione da noi.» Krista calmò la mente, ridefinendo il proprio ruolo. L'uomo proseguì: «Abbiamo in mano tutti gli studi che ci occorrono. Ciò che Ivar Karlsen ha messo in moto non può essere fermato e ci tornerà utile alla fine, con o senza di lui». «Cosa devo fare?» «Lo accompagnerai alle Svalbard, come previsto, e attenderai nuovi ordini. Mi risulta che abbia deciso di anticipare la partenza.» «Un'altra tempesta si sta avvicinando più in fretta del previsto. Vuole assicurarsi che i suoi piani non vengano interrotti.» «Molto saggio. Perché tira sicuramente aria di tempesta da quelle parti.» La voce si affievolì. «Questi sono gli ordini.» La linea cadde di colpo. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Krista abbassò il telefono e lo strinse fra le mani. Si avvicinò al fuoco ma non si riscaldò. Rimase lì, immobile, perdendo la cognizione del tempo. Il respiro si fece più difficile. Poi udì una voce alle spalle. «Non vieni a letto, Krista?» Lei diede un'occhiata dietro di sé. Ivar Karlsen stava nudo sulla porta della camera da letto. Nonostante l'età, aveva un fisico tonico, la pancia piatta, le gambe forti e muscolose. E, cosa più importante, non aveva bisogno di pillole per fare sesso. «Tutto bene?» domandò lui. «Non potrebbe andare meglio.» Si girò completamente verso di lui. Infilando il telefono in una tasca, slacciò la vestaglia e la lasciò scivolare dalle spalle e cadere a terra, sul tappeto di pelliccia. Rimase con la schiena rivolta alle fiamme, consapevole del fuoco, consapevole del freddo della camera del castello. Lei era al proprio posto. Tra fuoco e ghiaccio.
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TERZO SEMI DI DISTRUZIONE Capitolo 18
† In volo sul mare di Norvegia, 13 ottobre, ore 08.43
I
l sole era basso sull'orizzonte mentre il jet privato solcava il cielo sul circolo polare artico. In autunno inoltrato, c'era poca luce dove erano diretti. L'arcipelago delle Svalbard si trovava a metà strada fra la costa settentrionale della Norvegia e il polo nord. Con più della metà della terra emersa sepolta sotto i ghiacciai, non offriva granché a parte le renne e gli orsi polari. Persino Babbo Natale avrebbe avuto difficoltà a considerare quel posto casa sua. Ma per ora Painter si godeva la cabina in pelle e mogano del jet, un Citation Sovereign strappato a buon prezzo da Kat. La donna aveva fatto anche modificare la lista dei passeggeri per farli risultare i dirigenti di un consorzio carbonifero. Una buona copertura. L'industria principale dell'arcipelago era l'estrazione del carbone. La cabina del jet aveva sette posti, perciò c'era molto spazio per loro quattro. Erano tutti riusciti a dormire un po'; lo sapeva il cielo se ne avevano avuto bisogno dopo quella lunghissima notte, ma sarebbero atterrati in meno di un'ora a Longyearbyen, l'insediamento più grande delle isole Svalbard. Painter si adagiò nella poltrona in pelle. Era seduto di fronte al senatore Gorman, dall'altra parte di un tavolo. Monk e Creed erano seduti su un divano lì vicino. Era ora di mettere in tavola le rispettive carte, per rafforzare la strategia generale in vista dell'imminente scontro. Painter sapeva che avrebbero dovuto agire in fretta, saltare giù non appena le ruote avessero toccato la pista di atterraggio. Erano fuggiti da Oslo sapendo due cose. Primo, che, con la copertura saltata di Painter e il senatore braccato, quel posto era divenuto troppo caldo. Secondo, che il loro principale indiziato aveva già lasciato la città per dirigersi sulle stesse isole ghiacciate. Era l'occasione migliore per mettere Karlsen alle corde e ottenere risposte serie. L'amministratore delegato della Viatus accompagnava un gruppo di leader del vertice a visitare il famoso Svalbard Global Seed Vault. Era l'arca di Noè dei semi, destinata a proteggere il suo carico prezioso, più di trecentomila specie di semi, da guerre, pestilenze, attacchi nucleari, terremoti, persino drastici cambiamenti James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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climatici. Progettata per durare ventimila anni, la cosiddetta «Banca del Giorno del Giudizio» era sepolta centocinquantadue metri sotto una montagna, in quello che era ritenuto il luogo abitato più remoto del pianeta. Se volevano parlare a quattr'occhi con Karlsen, lontano da sguardi indiscreti, quello era il posto giusto. Ma un incontro del genere non era privo di rischi. «Senatore, continuo a pensare che sia meglio che lei resti a Longyearbyen. Se abbiamo bisogno di lei, possiamo coinvolgerla nelle indagini.» Painter continuava a fargli credere che loro tre fossero dell'Ufficio dell'Ispettore Generale e che lavorassero per il Defense Criminal Investigative Service. A riprova di ciò, avevano persino i distintivi. «Vengo con voi», disse il senatore Gorman, tenendo in mano una tazza di caffè. Painter aveva notato che l'aveva corretto con un goccio di brandy. Non che lui lo biasimasse. Gorman aveva subito una serie di brutti colpi nelle ultime ore. Era un socio stretto, quasi un amico, di Karlsen. La voce di Gorman si fece più dura. «Se è vero che nella morte di mio figlio è coinvolto Ivar...» «Non sappiamo ancora quanto sia implicato», specificò Painter, poco convincente. Il senatore non se la bevve. «Mi ha dato quella cazzo di mano.» Picchiò un pugno sul tavolo, facendo tintinnare le tazze di caffè con tutti i piattini. Guardò Painter con occhio torvo. Era chiaro che nulla avrebbe fatto recedere il senatore dal suo fermo proposito di andare con loro. Painter poteva solo immaginare il dolore per la perdita del figlio, seguita da un tradimento, ma ora Painter non aveva bisogno di qualcuno che perdesse il controllo di sé. Tuttavia, il senatore aveva un'argomentazione forte e la ribadì. «Avrete bisogno di me per avvicinare Ivar.» Painter unì le mani in grembo, riconoscendo la verità delle sue parole. Karlsen era partito un'ora prima di loro, anticipando una tempesta che si stava avvicinando dal polo. Quando sarebbero atterrati era probabile che lui fosse già nella banca dei semi. E lì la sicurezza era rigida, soprattutto con l'arrivo delle autorità presenti al vertice. Il senatore Gorman proseguì: «Per entrare, avrete bisogno sia di me sia del mio passi. Non riuscirete a superare la sicurezza nemmeno coi vostri distintivi. Col mio invito, posso far entrare almeno uno di voi». Era stato già deciso che quello sarebbe stato Painter. Monk e Creed sarebbero stati di guardia all'esterno e avrebbero dato manforte. Inoltre Painter aveva esaminato la sicurezza della banca dei semi. Il posto era chiuso con porte blindate d'acciaio, sorvegliate da un sofisticato sistema di videosorveglianza, per non parlare dei duemila orsi polari che vagavano in lungo e in largo per l'isola. In più, per quell'occasione, un contingente dell'esercito norvegese sarebbe stato disponibile per rafforzare la sicurezza. Pertanto, intrufolarsi in quel ricevimento senza il senatore sarebbe stato difficile James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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come introdursi di nascosto a Fort Knox. Riconoscendo tutto ciò, alla fine Painter gliela diede vinta. Si raddrizzò nella poltrona e squadrò a turno tutti quanti. «Allora, prima di atterrare, facciamo il punto di ciò che sappiamo... e, altrettanto importante, di ciò che non sappiamo. Una volta atterrati, dobbiamo fare presto.» Monk annuì. «Da dove cominciamo?» «Dal nostro obiettivo principale, Ivar Karlsen.» Painter puntò lo sguardo sul senatore Gorman. «Collabora con lui da anni. Che cosa ci sa dire di quest'uomo?» Il senatore si adagiò nella poltrona, cercando chiaramente di tenere a freno l'ira, ma rimase scuro in volto. «Se me lo avesse chiesto ieri, le avrei risposto che è un tipo in gamba, rude, uno che sa fare i soldi, ma che sa pure che la ricchezza comporta responsabilità. Una specie d'incrocio tra Rockefeller e Roosevelt.» «E come vi siete conosciuti?» «Tramite il Club di Roma. Mi sono iscritto solo per i contatti politici e d'affari. Quale modo migliore per consolidare la mia carriera di frequentare un gruppo internazionale di industriali, politici e celebrità?» Si strinse nelle spalle, non vergognandosi per nulla della propria ambizione. «E poi ho conosciuto Ivar. Il suo entusiasmo era contagioso, la sua retorica convincente. Crede fermamente e seriamente nella lotta per la difesa del pianeta, nella salvaguardia del futuro dell'umanità. Certo, alcune delle sue proposte per la gestione della crescita demografica possono sembrare estreme. Il controllo demografico obbligatorio, la sterilizzazione, l'idea di pagare le famiglie per non avere figli. Ma qualcuno deve prendere queste decisioni difficili. È questo che mi ha attratto di lui. I suoi modi sbrigativi e la sua sensibilità. Ma non ero l'unico della sua cerchia.» Painter alzò la testa di scatto. «Che cosa intende dire?» «In seno al Club di Roma, Ivar raccoglieva le persone che la pensavano allo stesso modo, che erano convinte come lui della necessità di prendere decisioni difficili. Eravamo una specie di club nel club. Ognuno di noi lavorava su progetti speciali per lui. Il mio, come ho detto, era quello di usare la mia influenza politica per espandere lo sviluppo dei biocarburanti. Ma c'erano altri progetti diretti dai vari membri della cerchia.» «Come le api?» domandò Monk, riferendosi agli alveari sperimentali che aveva visto nel laboratorio sotterraneo. Si sfregò una puntura sulla guancia. Il senatore alzò le spalle. «Non saprei. Ognuno di noi si occupava di progetti diversi.» «Parliamo allora del progetto da cui ha avuto inizio tutto questo casino», disse Painter. «Da cui ha avuto origine tutto questo spargimento di sangue, a quanto sembra. Tutto riconduce alle ricerche genetiche fatte dalla Viatus, in modo particolare alla sperimentazione del grano resistente alla siccità. Sappiamo che la Viatus finanziava la ricerca sugli estremofili e che ha scoperto alcuni funghi nelle mummie conservate nella palude di torba in Inghilterra.» Painter accennò a Monk. «E sappiamo che le ricerche continuano tuttora e che è probabile che quei corpi trovati nel laboratorio dei funghi provenissero dalla fattoria sperimentale in Africa.» Painter aveva già chiesto un mandato di James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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perquisizione per quei laboratori sotterranei. Ma la Viatus era una delle società più grandi in Norvegia, con enormi legami internazionali e finanziari. Anche se un giudice avesse autorizzato la perquisizione, Painter temeva che la società avrebbe ripulito i laboratori, lasciando solo stanze vuote e sterilizzate. «Perciò possiamo concludere con certezza che i misteriosi geni scoperti nei semi di grano dal professor Malloy a Princeton provenissero da questo fungo. E che, a quanto pare, questi geni siano instabili. Cosa che probabilmente rende pericoloso il consumo del grano.» Gorman scosse la testa. «Ma perché sterminare il villaggio? Il grano non era nemmeno destinato al consumo umano.» Painter aveva una spiegazione. «Era un campo profughi. Il cibo era scarso. Quando ha fame, la gente compie gesti disperati. Scommetto che qualcuno del luogo si è intrufolato di nascosto nei campi di notte e ha rubato qualche pannocchia per la propria famiglia. E forse quelli che gestivano la fattoria chiudevano un occhio su queste violazioni. Offriva alla società l'occasione perfetta per condurre studi sull'uomo senza bisogno di ammetterlo.» «Solo che nessuno ha previsto l'alterazione genetica», osservò Monk con una smorfia. «Dopo averla scoperta, hanno cercato di far sparire tutto, ma non prima di avere raccolto qualche soggetto sperimentale lungo la strada. Chi si sarebbe accorto della scomparsa di uno o due profughi, soprattutto in un campo raso al suolo con bombe incendiarie?» Painter notò che il senatore era impallidito, che lo sguardo era diventato vuoto. Il dolore gli offuscava gli occhi. Ma c'era dell'altro. «La Viatus sta già spedendo i nuovi semi di granoturco resistenti alla siccità», disse Gorman. «Da una settimana a questa parte. Stanno già seminando i campi per la prossima stagione in gran parte dell'emisfero meridionale e alle latitudini equatoriali. Milioni di ettari.» Painter intuì che il peggio stava arrivando. Gorman era diventato pallido come un lenzuolo. D'improvviso, Painter capì. Per produrre in grande quantità i semi da distribuire in tutto il mondo, la Viatus doveva averli già piantati e raccolti da qualche parte. «Dove si trovano i campi di produzione dei semi di questo nuovo granoturco?» Gorman evitò il suo sguardo. «Ho fatto da intermediario nell'accordo della Viatus. La produzione di semi geneticamente modificati è un'industria da un miliardo di dollari all'anno. È come gettare denaro in un pozzo senza fondo.» La voce si fece cupa per lo shock. «Ho distribuito i soldi. In tutta la zona del granoturco degli Stati Uniti. Iowa, Illinois, Nebraska, Indiana, Michigan... migliaia e migliaia di ettari, a scacchiera, da un capo all'altro del Midwest.» «Ed è lo stesso granoturco che stavano sperimentando in Africa?» domandò Monk. «Non proprio, ma apparteneva alla stessa linea genetica.» «Ed è probabile che sia altrettanto instabile», aggiunse Painter. «Non c'è da meravigliarsi che abbiano distrutto la fattoria sperimentale in Africa. Ormai si erano già lasciati sfuggire il segreto.» «Ma non capisco», interloquì Monk. «Com'è possibile che quei semi siano stati già piantati? E gli studi sulla sicurezza?» James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Gorman scosse la testa. «Gli studi sulla sicurezza degli alimenti geneticamente modificati sono una presa in giro. Vengono studiati di più gli additivi alimentari. Gli OGM non hanno nessun protocollo ufficiale per la valutazione del grado di rischio e fanno affidamento in gran parte sull'autoregolamentazione. Le approvazioni sono basate su rapporti sintetici o completamente falsi forniti dall'industria. Per darvi un'idea, sono stati pubblicati studi sulla sicurezza di soltanto otto dei quaranta tipi di grano modificato geneticamente approvati l'anno scorso. E, nel caso dei semi spediti dalla Viatus, non sono destinati al consumo umano, perciò sono sottoposti ad ancora meno controlli. E inoltre... ho contribuito a farli approvare.» Il senatore chiuse gli occhi e scosse la testa. Non c'è da meravigliarsi che Karlsen avesse bisogno di lui, pensò Painter. «Tuttavia, se il granoturco non era destinato al consumo umano, forse è possibile contenere il rischio», commentò Monk. «Finirà lo stesso nei prodotti alimentari», sentenziò Creed. Tutti gli occhi conversero su di lui. L'acquisto più recente della Sigma parve rimpicciolire sotto gli sguardi di tutti loro, ma tenne duro. «Dopo quel che è accaduto a Princeton, ho indagato un po' su questi cereali transgenici. Nel 2000, un granoturco geneticamente modificato denominato 'StarLink', non approvato per il consumo umano come la varietà della Viatus, ha finito col contaminare i generi alimentari in tutto il Paese. Più di trecento marche. Era sospettato di avere provocato reazioni allergiche ed è stato ritirato dal mercato. La Kellogg Company è stata costretta a chiudere i suoi stabilimenti per due settimane al fine di eliminare la contaminazione.» Il senatore annuì. «Ricordo. Il governo ha dovuto comprare in blocco tutta la merce in magazzino per mantenere l'industria. Ci è costato miliardi.» «E quella era solo una delle tante denunce di prodotti transgenici finiti negli alimenti umani.» Creed lanciò un'occhiata a Painter. «Questa faccenda desta una preoccupazione molto più grande.» «Quale?» «La migrazione del polline e la contaminazione genetica.» Corrugando la fronte, Painter gli fece cenno di spiegarsi meglio. «Non c'è modo di limitare la diffusione del polline di un campo coltivato con cereali transgenici. Si diffonde nei campi vicini, soffiato dal vento. Le piante di alcuni semi sono state trovate a cinquanta chilometri dal campo. Perciò non fatevi illusioni. Ovunque siano stati piantati i semi della Viatus, si diffonderanno in altre direzioni.» «E la contaminazione genetica?» «È ancora più preoccupante. Ci sono casi di modifiche genetiche trasmesse da specie transgeniche a quelle naturali, che hanno diffuso la contaminazione a livello genetico nella biosfera. E, con l'instabilità scoperta dal dottor Malloy sul campione di granoturco della Viatus, credo sia perfino più grave.» «Quindi sta dicendo che l'intero Midwest potrebbe essere contaminato?» volle sapere Monk. «È troppo presto per dirlo», rispose Painter. «Non prima di avere trovato altre risposte.» Nonostante ciò, Painter ripensò a quello che Gray aveva scoperto in James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Inghilterra. Le mummie nella torbiera erano crivellate di funghi, proprio come i corpi trovati nel laboratorio. Senza volerlo, Karlsen aveva liberato di nuovo quell'organismo sul pianeta? Peggio, e se non fosse stato un incidente? Karlsen aveva chiaramente manipolato il senatore per i suoi fini personali. Ma a che scopo? Solo un uomo poteva rispondere a quella domanda. La voce del pilota echeggiò nella cabina: «Abbiamo iniziato la discesa a Longyearbyen. Si prega di allacciare le cinture di sicurezza per l'atterraggio». Painter guardò dal finestrino mentre il sole cominciava finalmente a sorgere. Era ora di scambiare due parole con quell'uomo. Diede un'occhiata all'orologio al polso. Aveva un'altra preoccupazione mentre il jet scendeva verso l'arcipelago ghiacciato, una preoccupazione che diventava più forte di ora in ora. Spitsbergen, Norvegia, ore 11.01
«Ancora nessuna notizia da Gray?» domandò Monk nel parcheggio ghiacciato. Indossava una tuta da sci, stivali, guanti, occhiali da neve e teneva un casco sotto il braccio. Painter fece cenno di no col capo, stringendo forte il cellulare. «Speravo di sentirlo prima dell'alba. O di sentire le pattuglie. Hanno mandato gli elicotteri alle prime luci del giorno, a perlustrare i monti. Le squadre antincendio hanno riferito che l'intera valle è ridotta in cenere. Ho sentito pure Kat. Non ha fatto rapporto nemmeno al comando della Sigma.» Monk lesse il dolore sul viso del direttore. «Deve avercela fatta. Forse c'è un motivo se non risponde.» Dall'espressione, Painter non fu molto consolato dalle parole di Monk. Se Gray non rispondeva, era perché si trovava in qualche guaio. Il direttore fissò lo sguardo lontano. Il sole era ancora basso sull'orizzonte, e si rifletteva sul ghiaccio e sulla neve che ricoprivano l'isola di Spitsbergen, ferendo gli occhi. Ancora un mese e sull'arcipelago sarebbe calata una notte artica permanente lunga quattro mesi. Persino a mezzogiorno la temperatura sfiorava i quindici gradi sottozero. Era un luogo desolato, senza alberi e interrotto da picchi aguzzi e crepacci. Il nome di quell'isola, Spitsbergen, significa, nella lingua dall'esploratore olandese che l'aveva scoperta, «monte frastagliato». Era un paesaggio che non infondeva speranza. Soprattutto col cielo plumbeo che calava dal Nord. «Non c'è nient'altro che possiamo fare da qui», disse infine Painter, con voce di nuovo ferma. «Ho chiesto a Kat di continuare a tenere d'occhio i rapporti sia delle squadre antincendio sia delle squadre di soccorso. Farà il possibile per coordinare una ricerca più ampia. Fino ad allora, abbiamo la nostra missione da compiere.» James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Painter era accanto al SUV Volvo che aveva guidato dall'aeroporto. Monk lo aveva seguito a bordo di un secondo veicolo, trainando un rimorchio. Creed era lì dietro ora, occupato a liberare le motoslitte. Avevano noleggiato i due modelli Lynx V-800 in un'agenzia di viaggi che offriva safari invernali nelle regioni isolate dell'arcipelago. Il logo dell'agenzia era verniciato con colori sgargianti su entrambi i lati delle motoslitte. A bordo del SUV, il senatore Gorman aveva preso posto sul sedile del passeggero. Secondo il loro piano, il senatore e Painter dovevano dirigersi direttamente alla banca dei semi. Monk e Creed avrebbero fatto un giro più lungo per via di terra con le motoslitte. I due si sarebbero avvicinati il più possibile al deposito senza sollevare sospetti, il che era il motivo principale per cui avevano noleggiato quei veicoli. Secondo l'operatore turistico, la sua agenzia organizzava regolarmente escursioni notturne sui monti per ammirare la natura di quel luogo. Ma, dalla costruzione della banca dei semi, il sito era stato molto pubblicizzato ed era divenuto una meta turistica abituale. La loro presenza non avrebbe dovuto dare troppo nell'occhio. Monk e Creed sarebbero stati pronti nel caso i rinforzi o una rapida evacuazione fossero stati necessari. «Una porta di servizio per uscire dal caveau», come Painter l'aveva descritta. Un motore ruggì dietro il rimorchio. «Muoviamoci», ordinò Painter. Diede una stretta calorosa al braccio di Monk. «Siate prudenti.» «Anche lei.» I due uomini s'incamminarono in direzioni opposte. Painter salì di nuovo sul SUV; Monk raggiunse il suo collega alle motoslitte. Creed ne montava una, vestito come Monk in tuta da sci e casco. Quando Painter uscì dal parcheggio con un testa coda, Monk controllò il fucile d'assalto legato dietro il sedile. Creed ne aveva uno uguale. Non si presero la briga di nascondere le armi. Lì, a Spitsbergen, dove gli orsi polari erano più numerosi degli uomini, era indispensabile portarsi dietro armi così potenti. Lo aveva affermato anche l'opuscolo turistico stampato su carta patinata che Monk aveva preso nell'autonoleggio: Portate sempre con voi un'arma quando vi allontanate dagli insediamenti. E Monk non intendeva infrangere le leggi norvegesi. Per tutta risposta, il suo collega mandò su di giri il motore. Infilando il casco, Monk girò la chiavetta dell'accensione. La motoslitta si avviò con un ruggito sotto di lui. Accelerando, Monk avviò il veicolo verso la valle di neve oltre il parcheggio. Il cingolo posteriore morse saldamente il ghiaccio. La coppia di sci scivolò senza difficoltà mentre Monk scendeva a valle, acquistando velocità. Creed lo seguì a ruota. Più avanti s'innalzava la montagna di Plataberget, sede della banca dei semi. Il suo picco frastagliato fendeva il cielo basso. Alle sue spalle, incombevano soltanto James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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nuvoloni. Un luogo senza dubbio sinistro. Soprattutto quando Monk lesse l'ultimo avviso stampato sull'opuscolo turistico. Riassumeva bene la natura di quella terra aspra. Sparate per uccidere. Ore 11.48
Painter parcheggiò il veicolo nel posto designato. Dovevano attraversare due barriere sorvegliate da guardie militari norvegesi sull'unica strada che risaliva il versante della montagna. Altri fuoristrada e un grande pullman occupavano già un piccolo parcheggio, probabilmente i mezzi di trasporto utilizzati per il gruppo di rappresentanti del Vertice Mondiale sull'Alimentazione. Quando Painter scese dal SUV riscaldato, notò anche un veicolo da neve delle dimensioni di un pulmino appoggiato su grandi cingoli come un carro armato. Era un Hagglund, il veicolo ufficiale per l'esplorazione dell'Antartide, verniciato con la bandiera e lo stemma dell'esercito norvegesi. Un paio di soldati stavano vicino al mezzo, intenti a fumare. C'era anche uno SnoCat , una motoslitta a due posti più piccola, con contrassegni simili, che pattugliava il perimetro. Anche se ora, a giudicare da come sbandava e ruotava su se stesso, qualcuno stava facendo un po' di scorribande. Il senatore Gorman, infagottato nel parka, raggiunse Painter e insieme si avviarono verso l'entrata della banca dei semi. L'unica sezione esterna della struttura era un bunker di cemento armato che sbucava di sbieco dalla neve, come la prua di una nave racchiusa nel ghiaccio. E forse sotto un certo aspetto lo era. Là sotto era sepolta l'Arca di Noè dei semi. L'entrata era alta nove metri, una superficie piatta di cemento armato adornata in alto, a mo' di vetrata, con un pannello di specchi e prismi illuminati da fibre ottiche turchesi. Le nubi temporalesche stavano già coprendo la montagna, schiacciando il cielo su di loro come una cappa di piombo. Una raffica di vento sollevò un vortice di cristalli di ghiaccio e neve pungente. A capo chino per proteggersi dal gelo e dal vento, si diressero in tutta fretta verso l'entrata. Attraversando un ponticello, raggiunsero le porte blindate esterne che chiudevano il complesso. Un'altra coppia di guardie armate controllò il passi del senatore e registrò i loro documenti d'identità. «Siete molto in ritardo», disse una delle guardie in un inglese incerto. «Abbiamo avuto dei problemi col volo», rispose Gorman. Sorrise con cordialità alla giovane guardia, tremando di freddo. «Anche qui le compagnie aeree perdono chissà come i bagagli. E il freddo... brr... non so come fate a sopportarlo qui fuori. Avete una tempra più robusta della mia.» Il soldato ricambiò il largo James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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sorriso di Gorman, così come il suo collega, che probabilmente non parlava nemmeno l'inglese. Il senatore aveva carisma, Painter doveva riconoscerglielo. Poteva accenderlo e spegnerlo come una torcia elettrica. Non c'era da stupirsi che avesse tanto successo a Washington. La porta fu aperta per loro. Painter sapeva che le tre enormi serrature garantivano la sicurezza del deposito. Come ulteriore difesa da attacchi dolosi, nessuna persona al mondo era in possesso di tutt'e tre le chiavi. Una volta varcate le porte, le raffiche di vento cessarono, cosa gradita, ma l'aria all'interno non era più calda. Tenuta costantemente a quasi venti gradi sottozero, era come entrare in una cella frigorifera. In fondo a una breve rampa, si stendeva un lungo tunnel a sezione circolare, abbastanza grande da accogliere un treno della metropolitana. Il pavimento era fatto di lastre di cemento; lungo il soffitto scorrevano file di tubi fluorescenti e un reticolo di tubature e condotti di servizio. Le pareti cemento armato con fibre di vetro, erano grezze, cosa che conferiva al posto l'aspetto di una caverna. Painter aveva studiato i prospetti schematici del complesso. La pianta era semplice. Il tunnel scendeva per centocinquanta metri e terminava dinanzi a tre grandi depositi per i semi, ciascuno chiuso da una propria camera d'equilibrio. L'unica altra caratteristica era un gruppo di uffici di lato ai depositi. Riecheggiavano delle voci. Più giù, le luci erano più forti. Percorrendo il tunnel, il senatore indicò le pareti col braccio e disse sottovoce: «Ivar è stato uno dei finanziatori principali di questo progetto. Credeva fermamente nella necessità di salvaguardare la biodiversità naturale del pianeta e riteneva inadeguate o fatte male tutte le altre banche dei semi simili a questa». «Ho capito una cosa di lui: a quell'uomo piace avere tutto sotto controllo.» «In questo, però, forse ha ragione. C'è all'incirca un migliaio di banche dei semi sparse per il mondo, ma sono quasi tutte a rischio. La banca dei semi nazionale in Iraq è stata saccheggiata e distrutta. Idem in Afghanistan. I talebani hanno fatto irruzione nel magazzino, non per prendere i semi, ma per rubare i contenitori di plastica. E le altre banche dei semi sono altrettanto fragili. Cattiva gestione, poche risorse, apparecchiature guaste, sono tutte cose che minacciano questi magazzini. Ma era soprattutto una mancanza di visione.» «E Karlsen si è fatto avanti?» «La banca dei semi è un'idea del Global Crop Diversity Trust, il fondo mondiale per la diversità delle colture. Ma, quando Ivar ha saputo di questo progetto, ha dato il suo pieno appoggio, finanziariamente e verbalmente.» Il senatore si massaggiò le tempie con le dita guantate. «Non riesco ancora a capacitarmi che quell'uomo sia un mostro. Non ha senso.» Continuarono in silenzio. Painter aveva colto l'ombra del dubbio nella voce di Gorman. Dopo lo stupore iniziale del tradimento, lo scetticismo aveva preso a James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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insinuarsi di nuovo nella mente del senatore. Nessuno vuole credere che il proprio migliore amico abbia commesso la cosa peggiore o riesce ad accettare la propria ingenuità e cecità. Più avanti, un gruppo di persone era accalcato verso la fine del tunnel. Il raduno aveva l'aria di una festa. Lungo una parete campeggiava una fila di sculture di ghiaccio, illuminate dal basso con un effetto sfolgorante: un orso polare, un tricheco, un modellino della montagna, persino il simbolo della Viatus. Sull'altro lato c'erano un buffet freddo e un bar fumante. Gorman prese un calice di champagne da una cameriera che passava. Indossava i mukluk e un giaccone. In quell'occasione, il parka era l'equivalente dello smoking. Due dozzine di ospiti infagottati affollavano il tunnel, ma, dal numero di camerieri e dalla quantità di cibo non toccato, la partecipazione era stata minore del previsto. Painter sapeva che l'attacco al Grand Hotel, imputato ai terroristi aveva scoraggiato molti partecipanti. Nonostante ciò, per un ricevimento a un tiro di sasso dal polo nord, era un successo strepitoso. Davanti a un microfono, una figura familiare stava tenendo un discorso. Reynard Boutha, copresidente del Club di Roma, si stava dilungando sull'importanza della tutela della biodiversità. «Siamo nel bel mezzo di una Cernobyl genetica. Cento anni fa, le varietà di mele coltivate negli Stati Uniti erano più di settemila; oggi sono scese a tremila. I fagioli ammontavano a quasi settecento varietà; ora sono trenta. Il settantacinque per cento della biodiversità del pianeta è scomparso in appena un secolo. E ogni giorno scompaiono altre specie. Dobbiamo agire ora per preservare ciò che possiamo prima che vada perduto per sempre. Ecco perché lo Svalbard Global Seed Vault è così importante, perché dobbiamo continuare a raccogliere denaro e far crescere la consapevolezza del pubblico...» Durante il discorso di Boutha, Painter scorse Karlsen dall'altra parte della folla. Era affiancato da due donne. Una era alta e snella coi capelli biondi lunghi, col volto in gran parte coperto dal cappuccio del parka; l'altra era più matura e sussurrava all'orecchio di Karlsen mentre Boutha parlava. «Quella chi è?» domandò Painter, indicando la donna che parlava all'orecchio di Karlsen. «È l'ex presidente del Population Council della Rockefeller, nonché membro della cerchia ristretta di Ivar. Sono amici da anni.» Painter conosceva il Population Council. Era il principale sostenitore del controllo demografico mediante la pianificazione familiare e il controllo delle nascite; e, se si dava credito alle voci più fantasiose e alle esagerazioni, alcuni dei suoi metodi sconfinavano nell'eugenetica. Non c'era da stupirsi che Karlsen fosse un suo ottimo amico. Gorman indicò un paio di altre persone tra la folla che facevano parte della James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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conventicola di Karlsen. «Quel tipo con la pancia grossa laggiù rappresenta una delle più grandi società chimiche e farmaceutiche tedesche. La Viatus sta facendo delle ricerche su come incorporare uno dei suoi insetticidi in una nuova varietà di grano transgenico. Se ci riesce, ridurrà in modo drastico l'uso di pesticidi in agricoltura, rendendo più economica la coltivazione del grano e aumentando la produzione.» Painter annuiva a mano a mano che Gorman elencava gli altri. Sembrava che la cerchia di Karlsen consistesse di persone che cercavano il modo di affrontare il problema della sovrappopolazione o il modo di aumentare la produzione alimentare. Il senatore aveva ragione. Quell'uomo sembrava veramente avere a cuore il bene del mondo. Ma in che modo ciò si conciliava con l'uomo che aveva ordinato lo sterminio di un villaggio e favoriva la distribuzione su larga scala di una minaccia genetica che poteva contaminare e alterare la biosfera? La considerazione che il senatore aveva fatto poco prima era giusta. Non aveva senso. Painter rivolse di nuovo l'attenzione su Karlsen. Prima di affrontarlo, voleva conoscere tutti i protagonisti principali. «E l'altra donna, la bionda praticamente attaccata al braccio di Karlsen?» Gorman aguzzò gli occhi. «Non la conosco. Ha un viso vagamente familiare, ma non fa parte della sua cerchia. Forse è solo un'amica.» Soddisfatto, Painter toccò col gomito Gorman e attraversò la folla. In quella situazione, dubitava che Karlsen li avrebbe minacciati direttamente in qualche modo. Dove sarebbe potuto fuggire? Sgusciando tra gli invitati, Painter raggiunse in poco tempo Karlsen. Era solo, avendo finito di parlare con la presidente del Population Council. Anche la donna che gli stava attaccata al braccio si era allontanata, dirigendosi al tavolo del buffet. Karlsen non riconobbe Painter. Lo sguardo passò oltre e si posò sul senatore Gorman. Il volto del norvegese s'illuminò subito di gioia mentre stendeva la mano. D'istinto, Gorman gliela strinse. «Santo cielo, Sebastian», esordì Karlsen. «Quando sei arrivato? Come sei arrivato? Ho provato a telefonarti in hotel quando non ti ho visto all'aeroporto. Con tutto il trambusto seguito a quell'attacco di stanotte, non sono riuscito a prendere la linea. Ho pensato, non so, che fossi tornato a casa.» «No. La sicurezza mi ha solo trasferito in un altro hotel», spiegò Gorman con calma. «Non sono arrivato in tempo all'aeroporto, e non volevo trattenere tutti quanti. Così sono venuto con un volo privato.» «Non dovevi. Pretendo che la Viatus copra le tue spese.» Painter li guardò parlare. Sebbene il senatore se la cavasse egregiamente, era chiaro che non stava bene, che era teso e agitato. Dal canto suo, Karlsen sembrava sinceramente contento di vedere il senatore. Painter non lesse nessun segno sul suo viso che tradisse il fatto che l'uomo James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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dinanzi a lui aveva ordinato l'assassinio del senatore la notte prima. O Karlsen non era veramente coinvolto oppure aveva una bella faccia di bronzo. Gorman lanciò uno sguardo a Painter. Sul volto del senatore cresceva il dubbio. Balbettò un secondo, poi alzò la mano verso Painter. «Penso che tu abbia già conosciuto l'investigatore dell'Ufficio dell'Ispettore Generale.» Lo sguardo serio del norvegese si posò su Painter. Lo fissò confuso un momento, infine lo riconobbe. «Certo, chiedo scusa. Abbiamo scambiato due parole ieri. Mi perdoni. Tra ieri e oggi è stato un manicomio.» Raccontami tutto, pensò Painter. Mentre gli stringeva la mano, continuò a scrutare il volto di Karlsen, in cerca di segni che lo tradissero. Se il norvegese sapeva che era qualcosa di più di un agente del Defense Criminal Investigative Service, non lo diede a vedere. «Il senatore è stato tanto gentile da portarmi con sé», disse Painter. «Speravo potessimo parlare ancora. Ho solo un paio di domande, per chiarire alcuni punti. Le prometto che non le ruberò troppo tempo. Magari c'è una saletta riservata dove possiamo parlare.» Karlsen parve contrariato, ma lanciò un'occhiata in direzione di Gorman. Per un breve istante, a Painter parve di scorgere un lampo di rimorso balenargli negli occhi. Nella carneficina in Africa il governatore aveva perso suo figlio. Come avrebbe potuto dire di no di fronte a un padre addolorato? Karlsen diede un'occhiata all'orologio, quindi accennò a una porta sulla destra. «Lì ci sono degli uffici. Il catering ha occupato la metà davanti, ma dovrebbe esserci una piccola sala riunioni libera.» «Andrà bene.» S'incamminarono insieme. Dall'altra parte della folla, Painter notò la donna bionda che li fissava. L'espressione era impassibile, ma anche più fredda della temperatura polare all'interno del complesso. Sorpresa a fissarli, distolse lo sguardo. Abbandonata al ricevimento, non sembrava contenta. Krista seguì con gli occhi il terzetto che entrava nell'ufficio del complesso. Non prometteva niente di buono. Pochi secondi prima, per poco non si era strozzata con l'oliva che galleggiava nella sua vodka tonic, sbalordita di vedere apparire dal nulla l'agente moro della Sigma. Col senatore Gorman al seguito. Si era dileguata appena in tempo. Fissò la porta dell'ufficio quando si chiuse. Com'era possibile che fossero lì? Pensava di averli lasciati a Oslo. Sentendo d'improvviso tutti gli occhi puntati su di sé, si sistemò il cappuccio del parka di modo che l'orlo foderato di visone le coprisse il volto. Era contenta di avere preso la precauzione aggiuntiva di indossare una parrucca bionda per l'escursione fin lì. Non voleva altri guai come con Antonio Gravel. Si ritirò in fondo al tunnel. Terminava con un'intersezione a T in un corridoio che si diramava in tre depositi per i semi, ciascuno chiuso da una camera d'equilibrio. Con tutti intenti ad ascoltare i discorsi, aveva campo libero per il momento e l'occasione di riorganizzarsi. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Appoggiando la schiena a una delle porte dei depositi, strinse il telefono in tasca. Non aveva ricevuto nessuna notizia dal suo superiore. Che cosa doveva fare? Le aveva detto che si sarebbe occupato lui dell'agente della Sigma, ma questi era lì col senatore. Doveva agire da sola? Attendere gli ordini? Al suo livello nell'organizzazione, doveva prendere decisioni rapide, improvvisare secondo il bisogno. Ciò non voleva dire, tuttavia, che non doveva prendere precauzioni. Tirò fuori il telefono. A quella profondità non aveva nessuna speranza di captare il segnale del cellulare. Ma, dopo essere arrivata lì, si era scusata con Ivar e si era allontanata. Aveva trovato una linea esterna nella stanza informatica degli uffici e aveva collegato un amplificatore d'antenna alla linea per poter usare il cellulare lì sotto. Digitò il numero con una mano. Aveva degli uomini pronti a Longyearbyen. Era ora di chiamarli. Quando prese la linea, parlò in tono sbrigativo, ordinando di sbarrare tutte le vie d'uscita della montagna. Non voleva sorprese. Dopodiché, chiuse la comunicazione e si rilassò. Era l'attesa che l'aveva infastidita, più che altro. Era bello fare qualcosa, anche se in piccolo. Si sistemò una ciocca di capelli biondi fuori posto. Le conveniva andare alla toilette e controllare di nuovo il trucco. Ma, prima che potesse fare un passo, il telefono le vibrò in mano. Le si gelò il sangue e si mise a tremare in sincronia col telefono. Lo portò all'orecchio. «Sì?» Rispose una voce familiare, che le comunicò finalmente gli ordini. Semplici e diretti. «Se ci tieni a vivere, vattene subito di lì.»
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Capitolo 19
† Aberdaron, Galles, 13 ottobre, ore 10.13
A
l volante del SUV, Gray discese la collina alla volta della chiesa affacciata sul mare. Avevano tutti l'aria esausta. Nello specchietto retrovisore, Gray vide Sara che guardava dal finestrino. Non aveva dormito per nulla. Aveva gli occhi scavati e si teneva spesso una mano sull'addome, chiaramente spaventata da ciò che stava agendo dentro di lei, una biotossina che poteva ucciderla in tre giorni. Sull'altro lato della vettura, la donna che l'aveva avvelenata sembrava poco preoccupata. Seichan aveva dormito gran parte della notte. Sapeva che non potevano fuggire. Non potevano nemmeno rischiare di chiamare aiuto. Se Seichan fosse stata arrestata, Sara era morta. «Professore», disse Gray a voce abbastanza alta da svegliare Wallace appisolato tra le due donne. Rufus, riscosso dal vano posteriore, allungò il collo. «Siamo arrivati?» domandò Wallace in tono aspro. «Quasi.» «Era ora, cavolo.» Era stata una notte lunghissima. Avevano lasciato il Lake District a cavallo, seguendo sentieri di cui il dottor Wallace era a conoscenza. Ben prima che albeggiasse, erano arrivati nel villaggio montano di Satterthwaite, dove avevano abbandonato i pony nel campo di una fattoria. Gray aveva rubato una vecchia Land Rover, facendola partire senza chiave. Ma prima di quello, durante la lunga cavalcata, Gray aveva interrogato a fondo il professore sull'oggetto che era stato ordinato loro di trovare: la chiave del Doomsday Book. Secondo Wallace, il libro era accompagnato da una leggenda che voleva che nell'oscuro testo latino fosse nascosta la mappa di un grande tesoro. «Sono tutte sciocchezze, glielo dico io», aveva tagliato corto Wallace, fulminando Seichan con lo sguardo. Lei aveva alzato le spalle. Aveva i suoi ordini anche lei. Avendo bisogno di una pista da seguire, Gray aveva chiesto con insistenza a Wallace dei viaggi di padre Giovanni, soprattutto dove era andato l'archeologo del Vaticano dopo avere visto il cerchio di pietre nella palude di torba. Wallace sapeva poco, poiché padre Giovanni era diventato sempre più misterioso col passare del tempo. Il professore gli aveva fornito un solo indizio. «In seguito alla nostra scoperta nel Lake District, Marco è andato a esplorare un altro posto segnato come 'devastato' nel Domesday Book, l'annotazione più vecchia.» Wallace aveva continuato spiegando in che modo un'isola nel mar d'Irlanda era stata la prima a essere descritta nel Domesday Book con quelle James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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strane parole. L'isola di Bardsey al largo della costa del Galles. Stando al racconto di Wallace, padre Giovanni era andato a parlare con un prete che conosceva molto bene la storia di quell'isola. Ecco dove erano diretti ora. Dopo avere lasciato la regione dei laghi, avevano viaggiato in auto verso sud tutta la notte, passando di nuovo per Liverpool, e proseguendo poi per il Galles. La loro meta si trovava sulla punta di una penisola gallese, un dito di terra che indicava dritto verso l'Irlanda. L'isola di Bardsey si trovava a un miglio e mezzo dalla costa, in mare aperto. Gray scorse la sua vetta grigio verde profilata contro il cielo che s'incupiva. Era una piccola isola, larga solo tre chilometri. Un temporale lambiva la cima di quel monte e si dirigeva lentamente verso riva. Fortunatamente, il loro obiettivo immediato era molto più vicino. La chiesa di Saint Hywyn si affacciava sulla spiaggia, sfidando il vento e le onde. Padre Giovanni aveva iniziato la sua ricerca da quel luogo. Gay entrò nel parcheggio. La chiesa era fatta tutta di pietre grigie e aveva il tetto di tegole. Grandi finestre gotiche si affacciavano sul cimitero dall'aria lugubre. Dominava un villaggio di pescatori fatto di case di pietra variopinte e strade tortuose. Scesero tutti dalla vettura, stirandosi le gambe e curvandosi nella gelida brezza che soffiava dal mare. Le onde si frangevano impetuose sulla spiaggia. L'aria odorava di alghe e sale. «Resto qui alla macchina», disse Seichan. «Non voglio che la rubi qualcun altro.» Gray non si degnò nemmeno di risponderle. Celò un moto d'ira, non per evitare di provocarla, ma perché non meritava nessuna reazione da lui. Contento di non averla tra i piedi, Gray li condusse dietro la chiesa, verso la canonica. In viaggio per il Galles, aveva usato il telefono di Seichan per chiamare Saint Hywyn e fissare un incontro con padre Timothy Rye. Il parroco aveva gradito il suo interesse, finché non aveva saputo il motivo della visita. «Marco è morto?» ripeté padre Rye. «Faccio fatica a crederci. L'ho visto appena qualche settimana fa.» Gray sperava che il sacerdote potesse fornirgli delle informazioni utili. Prima ancora che raggiungessero la canonica, la porta si spalancò. Il parroco era più anziano di quanto sembrasse al telefono. Era magro come un chiodo, con in testa solo qualche ciuffo di capelli bianchi. Infagottato in un maglione di lana troppo grande, andò ad accoglierli con passo claudicante, sostenendosi con un bastone nodoso, il volto spianato in un cordiale sorriso di benvenuto. «Riparatevi dal vento prima che vi stronchi.» Agitando un braccio ossuto, padre Rye li sollecitò a entrare. «Ho una teiera sul fuoco, e la vecchia Maggie ha portato un vassoio delle sue focaccine ai mirtilli. Le migliori di tutto il Galles.» Furono introdotti in una stanza col pavimento a parquet e travi così basse che Kowalski fu costretto a piegarsi. I muri erano fatti della stessa pietra della chiesa, e un James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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fuoco scoppiettava in un caminetto. Un lungo tavolo era stato apparecchiato per prendere un tè nonostante la tarda ora del mattino. Gray sentì lo stomaco brontolare all'odore fragrante delle focaccine appena sfornate, ma voleva fare presto. Il tempo gli opprimeva il petto. Diede un'occhiata a Sara. L'anziano parroco l'aveva già presa in simpatia, prendendola praticamente per mano e portandola al tavolo. «Sieda qui. Accanto a me.» Padre Rye si muoveva un po' a fatica. Wallace era ancora sulla porta con Rufus, chiaramente incerto se lasciare il cane fuori al freddo. «Che aspetta lì sulla porta?» lo rimproverò il parroco. «Si ripari dal freddo.» L'invito valeva per tutti e due. Rufus entrò prima ancora che Wallace facesse un passo. Il terrier andò dritto verso il fuoco, si raggomitolò e si afflosciò sull'assito con un sospiro. Quando furono tutti seduti, Gray esordì: «Padre Rye, può dirci perché padre Giovanni...» «Povero figliolo.» Il parroco lo interruppe e si fece il segno della croce. «Riposi in pace.» Si girò e diede un buffetto sulla mano di Sara. «E dirò una preghiera anche per suo zio a Roma. So che era un caro amico di Marco.» «Sì, lo era, grazie.» Il parroco si volse di nuovo verso Gray. «Marco... mi faccia pensare. È venuto qui la prima volta circa tre anni fa.» «Ossia subito dopo avere visto il mio scavo», aggiunse Wallace. «È venuto spesso dopo quella volta, girando il Galles in lungo e in largo. Parlavamo di tutto. Poi, lo scorso giugno, è tornato molto agitato dall'isola di Bardsey. Come se qualcosa lo avesse spaventato a morte. Ha pregato tutta notte in chiesa. L'ho sentito, purtroppo, non che lo stessi ascoltando di nascosto, mentre chiedeva perdono all'infinito. Quando mi sono svegliato la mattina dopo, era andato via.» Gray tornò su quella prima visita. «Padre Giovanni le ha detto perché era venuto qui?» «Sì. Andava in pellegrinaggio sull'isola di Bardsey. Come molti altri prima di lui. A commemorare i morti.» Gray cercò di mettere ordine in ciò che l'altro raccontava. Era chiaro che il buon padre Giovanni non era stato del tutto sincero col prete più anziano. Ma alcune parole tornavano. «Di quali morti sta parlando?» «Dei ventimila santi sepolti sull'isola.» Il vecchio puntò il braccio verso la piccola finestra che s'affacciava sul mare. L'isola era praticamente nascosta dalla pioggia che cadeva a dirotto. «Marco voleva conoscere per filo e per segno la storia dei morti.» Anche Gray. «Cosa le ha raccontato?» «Quello che racconto a tutti i pellegrini. Che l'isola di Bardsey è un luogo sacro. È una storia lunga, la sua, che risale alle prime popolazioni sbarcate su queste terre. Quelle che eressero i megaliti e costruirono gli antichi cairn.» A quelle ultime parole, Wallace alzò di scatto la testa. «Sta parlando della tribù neolitica che s'insediò per prima sulle Isole Britanniche.» «Esatto. Sull'isola di Bardsey si trovano ancora i resti delle loro capanne circolari. Era un luogo sacro anche a quel tempo. Casa di James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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re. Conoscete le leggende celtiche dei fomori?» Gray scosse la testa. Wallace corrugò la fronte. Era chiaro che sapeva di cosa stava parlando, ma voleva sentire quello che l'anziano prete aveva da dire. «Cosa sono i fomori?» domandò Sara. «Non cosa, ma chi. Secondo le leggende irlandesi, quando i celti giunsero su queste isole, le trovarono abitate da un'antica stirpe, mostruosa d'aspetto. Pare che fossero i discendenti di Cam, che erano stati maledetti da Noè. I celti e i fomori si disputarono l'Irlanda e le sue isole per secoli. Benché non molto abili con la spada, era noto che i fomori sapevano lanciare piaghe sui loro invasori.» «Piaghe?» domandò Gray. «Sì. Per citare un'ode irlandese, scagliarono una 'grave piaga debilitante contro i loro nemici'.» Gray lanciò un'occhiata a Sara e a Wallace. Possibile che fosse la stessa che aveva spazzato via il villaggio montano? «Nel corso dei secoli, sono fiorite altre leggende su grandi guerre e periodi di pace sospettosa tra queste due popolazioni», proseguì padre Rye. «I cantastorie irlandesi riconoscono che sono stati i fomori a insegnare l'agricoltura ai celti. Ma alla fine si combatté un'ultima battaglia sull'isola di Tory, che si concluse con la morte del re dei fomori.» «Ma che cosa c'entra tutto questo con l'isola di Bardsey?» domandò Wallace. Il parroco alzò un sopracciglio. «Come ho detto, Bardsey era la casa di antichi re. Secondo le leggende locali, la regina dei fomori scelse di stabilirsi a Bardsey. Era una grande dea che aveva il potere di guarire i malati, persino di curare le piaghe.» Wallace borbottò sottovoce: «Non c'è da stupirsi che Marco venisse sempre qui». Gray voleva chiedere a Wallace che cosa intendeva dire, ma padre Rye parlava a ruota libera. «E così i celti conquistarono tutte le terre. Persino i loro sacerdoti, i druidi, riconobbero la sacralità di questa regione. Stabilirono il loro centro culturale sulla vicina isola di Anglesey. Gli allievi giungevano da ogni angolo d'Europa per studiare qui. Riuscite a immaginare? Ma era l'isola di Bardsey quella che i druidi consideravano più sacra. Solo ai druidi più nobili era concessa la sepoltura lì. Compreso il druido più famoso di tutti i tempi.» Wallace doveva essere al corrente di quella leggenda. «Merlino.» Seichan stava sul lato sottovento della Land Rover, a mo' di riparo. Apriva e chiudeva un coltello a serramanico mentre teneva d'occhio la porta della canonica. Non era preoccupata che qualcuno tentasse di fuggire, né che provasse a chiamare col telefono della canonica. Anche se, per evitare quest'ultimo caso, aveva pensato bene di tagliare i cavi del telefono. Avrebbe potuto limitarsi a entrare con loro, ma mettere insieme frammenti di storia non era il suo forte. Abbassò gli occhi sul coltello nella mano. Sapeva in cosa era brava. E poi non voleva distrarre Gray. Avvertiva la sua ira, tanto più forte quanto più gli era vicino. Perciò lo evitava. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Aveva bisogno che lui si concentrasse. Nell'interesse di tutti loro. Aveva visto la berlina Audi entrare nella città vicina subito dopo il loro arrivo. Erano tenuti d'occhio da lontano. Il suo contatto, Krista Magnussen, li stava tenendo sotto stretto controllo, pedinandoli da quando avevano lasciato i monti. Gli inseguitori cambiavano veicolo con abilità. Ne aveva contati almeno tre. A meno di non sapere dove guardare, sarebbe stato impossibile individuarli. Ma non per lei. Con un colpo del polso, chiuse il coltello a serramanico e lo infilò in tasca. Sentendosi osservata anche ora, aveva bisogno di muoversi. Si staccò dal veicolo e s'incamminò a grandi passi verso la porta dell'antica chiesa. La facciata di pietra era fredda e imponente, dura come la gente che lì viveva di pesca. Il peso dei secoli era tangibile. Anche la porta era massiccia, graffiata, e antica. Provò a girare la maniglia e scoprì che era stata lasciata aperta. Si stupiva sempre quando trovava una porta aperta. Chissà come, le sembrava sbagliato, innaturale. Prima di ripensarci, aprì la porta con una spinta. Si stava alzando il vento e non poteva prevedere quanto tempo si sarebbero trattenuti gli altri. Entrò nella chiesa e percorse la navata centrale. Aspettandosi un interno tetro e lugubre, fu sorpresa di scoprire uno spazio arioso e il soffitto alto con le travi a vista. I muri color panna catturavano la fioca luce del sole che filtrava dalle vetrate ad arco. Due file di panche di legno lucido erano ai lati di un tappeto azzurro che scendeva lungo la navata centrale. La chiesa era vuota, ma Seichan non riuscì ad andare più avanti. Improvvisamente stanca, s'infilò tra le panche più vicine e si sedette. Puntò lo sguardo sulla croce. Non era religiosa, ma riconobbe la sofferenza nell'immagine di Cristo crocifisso. Conosceva quel tormento. Mentre fissava il crocifisso, il respiro si fece difficile. Gli occhi si offuscarono d'improvviso. Le lacrime le sgorgarono inaspettatamente, risalendo da dentro di sé. Si coprì il volto come per tentare di fermarle, nasconderle, negarle. Per un lunghissimo momento, rimase china sulla panca, paralizzata. Un senso di oppressione le crebbe nel petto. Fino a straziarla, come se qualcosa la dilaniasse da dentro. Attese che passasse, pregò che finisse... e poi finì, lasciandola vuota e stranamente delusa. Un brivido le corse lungo il corpo, uno solo. Dopodiché tirò un lungo, tremulo respiro, si asciugò gli occhi e si alzò. Voltò le spalle al crocifisso e uscì dalla chiesa. Il vento gelido la colpì come una frusta e chiuse la porta alle sue spalle con un colpo secco. Le rammentò una lezione importante. Alla gente conveniva tenere chiusa la porta del proprio animo. Gray si sforzò di non schernirlo. «Sta dicendo che Merlino è sepolto sull'isola di James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Bardsey?» Padre Rye sorrise e bevve un sorso di tè. «Naturalmente, da queste parti ci piace raccontare questa storia. Si dice che sia sepolto in una tomba di vetro sull'isola. È sicuramente una leggenda, però è molto interessante, non trovate?» Fece l'occhiolino a Sara. «Anche se molti credono, compresi alcuni storici, che le leggende di Avalon e di re Artù sono nate a Bardsey.» Trangugiando una focaccina, Kowalski farfugliò: «Cos'è Avalon?» Gray gli diede un colpetto sotto il tavolo. Non volevano che l'anziano parroco divagasse. Dovevano scoprire qualcosa di più su padre Giovanni. Ma arrivò troppo tardi. «Ah, secondo la leggenda celtica, Avalon era un paradiso terrestre», spiegò padre Rye. «Il luogo dove era stata forgiata la spada di re Artù, Excalibur. Dove regnava fata Morgana. Era un'isola dove crescevano rarissimi alberi di mele, da cui il luogo ha preso il nome, dalla parola gallese afal, 'mela'. Avalon era ritenuto un luogo capace di guarire e allungare la vita. E, alla fine del ciclo arturiano, re Artù fu portato lì per essere curato da fata Morgana dopo la battaglia di Camlann. E naturalmente, come ho detto, mago Merlino fu sepolto in quel luogo.» Wallace s'indispettì durante il racconto. «Stronzate!» esclamò stizzito, alla fine. «Sono tutti convinti che Avalon o Camelot sia dietro casa loro.» Padre Rye non se la prese per lo scatto del professore. «Come ho detto, è solo una leggenda. Ma, come Avalon, l'isola di Bardsey è considerata da molto tempo un luogo capace di curare. Persino un libro di viaggi del 1188 lo attesta. L'autore descriveva gli abitanti di Bardsey come persone insolitamente prive di malattie, dove 'quasi nessuno moriva se non di estrema vecchiaia'. E poi, naturalmente, non dobbiamo dimenticare le nostre mele magiche.» «Mele?» fece Kowalski. «Forse ci conviene saltare le leggende», osservò Gray, cercando di riportare la conversazione su padre Giovanni. «Non sono leggende.» Padre Rye si alzò, andò verso una ciotola appoggiata su un bancone, prese una mela e la lanciò in direzione di Gray. «Le sembra una leggenda, quella, giovanotto? Il figlio di Maggie l'ha raccolta da un albero che cresce sull'isola la settimana scorsa.» Gray guardò male il frutto grande come un pugno. «Di mele come quella ce n'è una sola al mondo», disse padre Rye con orgoglio. «Un paio di anni fa, alcune mele di quell'albero sono state portate alla National Fruit Collection nel Kent. Hanno esaminato la mela di Bardsey e hanno stabilito due cose: primo, che l'albero apparteneva a una varietà sconosciuta e, secondo, che la mela era insolitamente priva d'infezioni o malattie. Hanno esaminato il vecchio albero nodoso e hanno scoperto che era altrettanto sano. Gli arboristi sono convinti che l'albero sia l'unico esemplare rimasto di un frutteto che i monaci di Saint Mary piantarono sull'isola mille anni fa.» Gray fissò la piccola mela nel palmo della mano, avvertendo il peso dei secoli e della storia. Qualunque cosa si potesse credere, una lunga, strana storia di guarigioni sembrava essere legata a James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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quell'isola: prima la regina dei fomori, poi le leggende celtiche di Avalon e ora, nella sua mano, qualcosa che era risultato insolitamente sano anche all'analisi scientifica. Guardò la cima di terra verdeggiante alla finestra. Che cosa aveva di così speciale quell'isola? A quanto sembrava, la lezione di storia di padre Rye non era terminata. «Col passare del tempo, ogni cosa deve avere fine», proseguì. «E i celti non fecero eccezione. Alla fine i romani li sconfissero, ma solo dopo anni di violente battaglie. Durante quel periodo, i romani sostenevano che i drudi scagliavano maledizioni contro i loro soldati, così come i fomori avevano fatto contro i celti tanto tempo prima. E, dopo la scomparsa dei druidi, la Chiesa giunse qui e colonizzò queste terre pagane. Fondò una chiesa sull'isola nel XIII secolo. Le rovine della torre si trovano ancora lì.» «E i ventimila santi cui ha accennato all'inizio?» interloquì Wallace. Padre Rye annuì, mentre beveva un sorso di tè, senza versare una goccia. «Bardsey è nota anche col nome di 'Isola dei ventimila santi'. Si riferisce al numero di cristiani perseguitati lì sepolti.» «Così tanti?» domandò Wallace, scettico. «Non c'è sicuramente nessuna prova archeologica di una tale sepoltura di massa, no?» «Ha ragione. Suppongo che la leggenda vada presa come allegoria, non alla lettera. Anche se le leggende locali narrano di una grande calamità che colpì Bardsey, una malattia debilitante che sterminò gran parte degli abitanti del villaggio e dei monaci. I cadaveri furono bruciati e le ceneri disperse in mare.» Gray riconobbe lo schema di quella storia. Tale e quale il villaggio montano. Tutte le prove bruciate e spazzate via, lasciando soltanto voci e un'annotazione enigmatica nel Domesday Book. «Comunque sia, l'isola è considerata terra santa fin dall'arrivo della Chiesa. Bardsey è divenuta meta di pellegrinaggio, dal Medioevo ai giorni nostri. Il Vaticano stabilì che tre pellegrinaggi a Bardsey equivalevano a un pellegrinaggio a Roma. Mica male, secondo me. E molti altri la pensavano allo stesso modo.» Padre Rye indicò col dito la sua chiesa. «La parte più antica di Saint Hywyn risale al 1137. Per quelle porte, sono passate migliaia e migliaia di pellegrini diretti a Bardsey. Compresi quasi tutti i santi irlandesi e inglesi dell'epoca.» Quasi che avesse udito le parole del parroco, la porta della canonica si spalancò e un ragazzo alto entrò a passi pesanti nella stanza con la vivacità che solo un tredicenne poteva avere. Il ragazzo si affrettò a togliersi il cappello, rivelando una massa di capelli rossi che sembravano pronti ad appiccare il fuoco alla canonica. «Eccoti qui, Lyle», disse padre Rye, alzandosi. «Tuo padre ha preparato il traghetto per i nostri ospiti?» Lyle squadrò i presenti. «Sì, padre. Mi ha mandato a prenderli. Ma è meglio che si sbrighino. Si sta già alzando vento di burrasca.» Padre Rye mise le mani sui fianchi, il volto rattristato dalla partenza dei suoi ospiti. «È meglio che andiate. Non vorrete farvi cogliere a metà traversata dal mare in James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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burrasca.» Gray annuì. «Andiamo.» Spinse tutti verso la porta. «Posso lasciare qui il mio cane?» domandò Wallace al sacerdote. «Se c'è una cosa che Rufus non sopporta, sono le barche.» Padre Rye tornò a sorridere. «Volentieri. Può venire a riprenderlo quando torna.» La decisione parve fare molto contento Rufus. Raggomitolato accanto al fuoco, il terrier abbassò di nuovo la testa sulle zampe. Mentre Gray si dirigeva alla porta, padre Rye disse a gran voce: «Lyle, quando arrivate sull'isola, non dimenticarti di fargli vedere la Grotta dell'Eremita». Gray si voltò a guardarlo. Padre Rye strizzò l'occhio. «La grotta dove è sepolto Merlino.» Ore 11.22
Sara squadrò il traghetto con aria scettica. La piccola imbarcazione sembrava in buone condizioni. Era un catamarano a doppio scafo, con una cabina del timone a prua e un ponte scoperto a poppa. Era già stata a bordo d'imbarcazioni simili nel Mediterraneo. Erano note per la stabilità e l'affidabilità. Nonostante ciò, mentre la vedeva ondeggiare nelle acque agitate, cominciò a preoccuparsi. Stringendosi al collo il giaccone con una mano, spinse lontano lo sguardo nel forte vento. Sentiva l'odore di pioggia. Benché lì non piovesse, un forte temporale si stava avvicinando alla costa. La sua preoccupazione doveva trasparire dal viso. «La Berilli è una buona imbarcazione», affermò il battelliere. Paludato in un pesante maglione e in un impermeabile giallo, era il padre di Lyle, Owen Bryce. Il figlio saltellava sul ponte ondeggiante con l'agilità di una scimmia, sotto lo sguardo orgoglioso del padre. «Non si preoccupi. La trasporteremo di là sana e salva. Prende poco abbrivo anche se ha uno stellato di poppa ben angolato.» Sara non aveva idea di quello che voleva dire, ma si fidò delle sue parole. Sembrava sapere il fatto suo. Lyle si avvicinò e le tese la mano. Lei l'afferrò mentre spiccava un salto sull'imbarcazione. Gray e Wallace erano già saliti a bordo, e parlottavano fra loro in disparte. Kowalski seguì con Seichan. Sara si tenne alla larga da lei e andò a sedersi accanto a Gray. Nonostante ciò, avvertiva la presenza della donna... non perché quella la stesse fissando, ma perché la ignorava di proposito. La mandava fuori dai gangheri. Le sembrava di meritare almeno un cenno del capo. Per distogliere il pensiero da Seichan e dal traghetto che ondeggiava, si concentrò di nuovo su Gray, che continuava a parlare con Wallace. L'uomo fu costretto a parlare forte quando il borbottio del bimotore del catamarano eruppe in un ruggito. «In canonica l'ho sentita borbottare qualcosa James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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riguardo al fatto che non c'era da stupirsi che padre Giovanni venisse sempre qui.» Anche Sara l'aveva sentito. Era accaduto mentre padre Rye stava raccontando della regina pagana. Wallace annuì. «Sì. Essendo uno storico della Britannia neolitica, conosco abbastanza bene le leggende irlandesi sui deformi fomori che si presume siano stati i primi abitanti di queste terre. Si diceva che fossero dei giganti che divoravano vive le persone. Ma deve essere stata la descrizione che il vicario diede di loro come 'discendenti di Cam', un personaggio biblico, a fare drizzare le orecchie di Marco e a tenerlo concentrato su questo posto.» «Si spieghi meglio», disse Gray. «Tanto per cominciare, le leggende celtiche erano tutte tramandate per via orale. Di bocca in bocca. Noi le conosciamo solo grazie ai monaci irlandesi che sopravvissero alle devastazioni dei secoli bui nel ritiro nei loro monasteri, impiegando le giornate a decorare e miniare con meticolosità i manoscritti. Conservarono l'essenza della civiltà occidentale durante il Medioevo. Comprese le leggende e le epopee irlandesi, trascrivendole per la prima volta. Ma ciò che dovete capire è che i monaci erano pur sempre cristiani e che nel raccontarle molte leggende furono riviste in chiave biblica.» «Come i fomori descritti come discendenti di Cam», disse Gray. «Per l'appunto. In verità, la Bibbia non indica mai una razza di discendenti maledetti di Cam, ma i primi studiosi ebrei e cristiani interpretarono la maledizione come un'indicazione che i discendenti di Cam erano di pelle nera. Era così che un tempo si giustificava la schiavitù.» Gray si appoggiò allo schienale, cominciando a capire. «Quindi quello che sta dicendo è che i celti descrivevano la regina dei fomori come 'nera', e che pertanto i monaci la resero una discendente di Cam.» Wallace annuì. «Una regina dalla pelle nera che poteva curare i malati.» «E, secondo Marco, era probabilmente una prima incarnazione pagana della Madonna Nera.» Gray puntò lo sguardo verso l'isola mentre l'imbarcazione solcava le acque più agitate del mare aperto. «Forse anche le leggende di fata Morgana e di Avalon sono collegate a quegli stessi miti. Un'altra donna dotata di poteri curativi magici.» Sara spalancò gli occhi. «Non c'è da stupirsi che questo posto sia diventato un'ossessione per padre Giovanni.» «Per quel motivo, e anche per la chiave.» Wallace incrociò le braccia e ondeggiò al ritmo dell'imbarcazione. «La chiave del Doomsday Book?» domandò Sara. «Mi sembrava che avesse detto che sono stupidaggini.» «Forse lo pensavo io, ma non Marco. Stando a tutte le leggende, la chiave aprirebbe le porte di un grande tesoro, un tesoro che potrebbe salvare il mondo. Marco era convinto di essere sulla strada giusta studiando i luoghi segnati come 'devastati'. E comincio a credere che avesse ragione.» «Perché mai?» volle sapere Gray. «Per ciò che ha raccontato padre Rye. Ha detto che i fomori combatterono gli James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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invasori celtici scagliando piaghe contro di loro. Si dice che i druidi fecero la stessa cosa quando furono invasi dai romani. Perciò mi chiedo se i celti non avessero imparato qualcosa dai fomori conquistati, qualcosa di più della semplice agricoltura. Nuovi modi di far guerra, una nuova arma. Forse c'era un fondo di verità in quelle leggende. Una verità nascosta nel Domesday Book.» Sara cominciò a intuire dove voleva arrivare, ma Gray lo capì per primo. «Lei pensa che la capacità di scagliare piaghe sia sopravvissuta nell'XI secolo. Forse una prima forma di guerra biologica.» Sara ripensò alle condizioni delle mummie. Smunte, coi funghi che crescevano al loro interno. «Possibile che qualcuno abbia avvelenato quei villaggi con un fungo parassita di qualche tipo?» domandò Gray. «E, se è così, chi lo ha fatto?» «Come ho detto prima, tutti i villaggi annotati nel Domesday Book sorgevano in luoghi di frizione tra cristiani e pagani. E credo sia particolarmente significativo che il primo luogo colpito sia stato l'isola di Bardsey. La terra sacra dei druidi. Forse non sopportavano la presenza dei monaci e dei cristiani sull'isola.» «Così crede che siano stati sterminati da una qualche setta segreta di druidi?» «Dopodiché hanno portato la guerra sull'isola maggiore dell'arcipelago britannico. Suppongo che abbiano cominciato a scagliare queste piaghe lungo i confini, nella speranza che il conflitto si estendesse a tutta l'Inghilterra.» Wallace fu costretto a tenersi stretto quando un'ondata investì il traghetto. Quando fu di nuovo seduto, proseguì: «Forse lo scopo segreto del Domesday Book era di tracciare una mappa di quelle incursioni, di tenerne il conto. I censitori furono inviati in ogni angolo della Britannia, a raccogliere informazioni dagli abitanti dei villaggi e delle città, fungendo sicuramente da spie». «Funzionò?» domandò Sara, tutta presa dal racconto. «Be', quei focolai non si estesero mai», rispose Wallace, alzando le spalle. «Qualcuno trovò il modo di sventare l'attacco, a quanto sembra. E poi lo nascose in un luogo sicuro.» «La chiave del Doomsday Book», dedusse Gray. «Crede che sia una cura di qualche tipo.» Wallace si toccò la punta del naso, annuendo. «E siamo sulla pista giusta?» domandò Gray, lanciando uno sguardo significativo verso Sara. Non avevano molto margine d'errore. Fece scivolare la mano verso la sua, le strinse le dita, poi la lasciò andare. Lei avrebbe voluto che gliela tenesse. La pelle di lui era calda, la stretta rassicurante. Wallace rispose alla domanda di Gray. «Marco credeva sicuramente nella chiave. E, a giudicare dal suo macabro souvenir, doveva avere scoperto qualcosa. E sappiamo che era partito da qui, da Bardsey.» Il professore accennò col capo al profilo sempre più grande dell'isola. Era coperta dalla tempesta e, di lì a poco, lo furono anche loro. I venti si alzarono, soffiando ondate di acqua gelida contro l'imbarcazione. D'improvviso, la pioggia batté sul traghetto, come se cercasse di affondarli. La visibilità si ridusse a pochi metri. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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«Tenetevi stretti!» gridò Kowalski dalla cabina del timone, dove stava col comandante. «Onde morte a prua!» La prua dell'imbarcazione si sollevò, puntando verso il cielo... poi cadde come un sasso. Dopodiché il movimento si fece indistinto. Il traghetto beccheggiò e oscillò. Senza preavviso, lo stomaco di Sara fece altrettanto. Un senso di nausea la percorse. Le mani divennero umide e gelide. Non aveva il tempo di correre nella toilette di bordo. Si girò a sedere, si sporse dal parapetto e svuotò lo stomaco con un unico, grande conato di vomito. La stremò così tanto che si tenne aggrappata a stento al parapetto bagnato. Sotto i suoi occhi, il mare andava su e giù, come se volesse inghiottirla da un momento all'altro. Si sentì cadere. Poi un paio di braccia forti la cinse, sorreggendola con fermezza e insieme delicatezza. «Ti tengo», disse Gray. Sara si appoggiò a lui, lo stomaco che continuava a dondolare con le onde. Il resto del viaggio non andò meglio, ma lui non la lasciò mai andare. Dopo quelle che parvero ore interminabili, la terra riempì l'orizzonte. La tempesta si acquietò e la pioggia si ridusse a pioviggine. Un lungo scalo di alaggio di cemento sporgeva nel porticciolo, accanto a un pontile di pietra. Il battelliere accostò con abilità l'imbarcazione al molo mentre Lyle correva a lanciare i parabordi tra il pontile e il traghetto. Di lì a pochi secondi il catamarano era ormeggiato. Sara fu felice di scendere dall'imbarcazione che ondeggiava. La sensazione delle pietre che scricchiolavano sotto i piedi non era mai stata più bella. «Stai bene?» s'informò Gray. Lei dovette fare un check-up mentale prima di annuire lentamente. «Credo di sì. Sono contenta di non stare più in balia delle onde.» Gray le sfiorò il braccio, lo sguardo ansioso. «Sei sicura che fossero solo le onde?» Sara voleva annuire di nuovo, ma portò una mano all'addome, ripensando a ciò che Seichan aveva detto a proposito del veleno. Uno dei primi sintomi era la nausea. Si voltò a guardare l'imbarcazione. E se non fossero state le onde? Isola di Bardsey, Galles, ore 12.05
Il trattore arrancava su per il monte. Trainava un rimorchio con un carico di persone bagnate fradicie sedute sul pianale coperto di paglia. Un telone legato sopra il rimorchio proteggeva dagli spruzzi di pioggia, ma non offriva nessun riparo dal vento pungente. Gray si rannicchiò sotto le sponde, facendo del proprio meglio per ripararsi dalle raffiche più forti. Il peggio della tempesta era passato per il momento, ma il cielo James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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a ovest si era fatto più buio, minacciando l'arrivo di una burrasca più violenta. Mentre salivano su per il monte, si aprì una panoramica della piccola isola. Dietro il rimorchio, sulla punta dell'isola, svettava un alto faro a strisce bianche e rosse. Lampeggiava nella tempesta con la rotazione regolare della lampada. Tra il faro e il monte si estendeva un terreno agricolo. Sull'isola di Bardsey c'era solo una dozzina di abitazioni occupate tutto l'anno, quasi tutte di agricoltori e persone che affittavano i cottage a escursionisti, appassionati di ornitologia e pellegrini in visita. Le strade erano tutte sterrate. Gli unici mezzi di trasporto erano i trattori. Erano stati catapultati in un'altra epoca. Quando arrivarono in prossimità della cresta del monte, il trattore rallentò e si fermò. Lyle balzò giù dal retro del veicolo agricolo e atterrò sul rimorchio. Era il loro autista e la loro guida ufficiali. Si rannicchiò in mezzo al pianale quando il rombo di un tuono echeggiò sulla cima del monte. Attese che passasse, poi parlò. «Padre Rye ha detto che forse volete visitare la vecchia Grotta dell'Eremita. Bisogna camminare un po'. Vi posso accompagnare.» Kowalski si tastò le tasche in cerca di un sigaro. «Non ho proprio voglia di andare a trovare l'eremita.» Gray ignorò Kowalski e si avvicinò a Lyle. «Hai detto che hai aiutato padre Giovanni altre volte e che passava quasi tutto il suo tempo in mezzo alla rovine dell'antica abbazia. Ha passato del tempo anche nella grotta?» «Veramente no. Solo una volta, all'inizio. Non credo ci sia tornato dopo di allora.» Gray sapeva che gli conveniva andare a dare un'occhiata per scrupolo. «Accompagnami.» «Vengo con voi», si offrì Wallace. «Sarebbe un peccato fare tutta questa strada senza rendere omaggio al caro estinto Merlino.» La voce era piena di sarcasmo. Gray lanciò uno sguardo a Sara, la quale scosse la testa. Dall'espressione, comprese che aveva ancora un po' di nausea, ma non sapeva dire se fosse per il mal di mare, per il veleno o per tutt'e due le cose. Balzò giù dal rimorchio e si stupì di vedere scendere anche Seichan. Senza dire nulla, la donna seguì Wallace e il ragazzo. Gray immaginò che a Seichan non premesse tanto visitare la Grotta dell'Eremita quanto evitare di restare sola con Sara. Mise in spalla lo zaino e seguì gli altri su per un sentiero laterale. Seichan rallentò il passo abbastanza da affiancarlo. «Dobbiamo parlare», disse, senza guardarlo. «Non abbiamo niente da dirci.» «Non essere stupido. Malgrado quello che pensi, non voglio essere in questa situazione più di te. Non ho deciso io di avvelenare Sara. Lo sai, vero?» Finalmente lei lo guardò. Gray non le credeva. «Il risultato finale è lo stesso», ribatté lui. «Tu ottieni quello che vuoi, e gli altri ne pagano il prezzo.» Lasciò trasparire il proprio rancore. «Allora com'è andata la James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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visita alla famiglia del curatore veneziano?» Lei strinse gli occhi. Ferita, adirata, si girò dall'altra parte. La voce si fece più tesa. «Qualunque cosa stia succedendo qui ha suscitato l'interesse della Gilda, dai pezzi grossi in giù. Stanno impegnando un sacco di risorse per trovare questa chiave perduta. Li ho visti mobilitarsi così solo una volta prima d'ora. Quando stavamo cercando le reliquie dei Magi.» «Perché?» Gray non voleva avere niente a che fare con quella donna, ma, se lei poteva dargli dei chiarimenti, Gray non poteva rifiutarli. «Non lo so. Ma, qualunque cosa stia succedendo alla Viatus, è solo la punta dell'iceberg. Penso che la Gilda stia manipolando e sfruttando la società semplicemente come risorsa. È ciò che sa fare meglio. È come un parassita che invade un corpo, lo dissangua e poi passa a un altro.» «Ma qual è il suo scopo finale?» «Trovare la chiave. Ma la domanda più importante è: perché la chiave è così importante per la Gilda? Scoprilo e può darsi che tu sia più vicino a trovarla.» Seichan smise di parlare, lasciando che le sue parole fossero assimilate. Gray fu costretto ad ammettere che lei aveva ragione. Forse doveva considerare il problema dal punto di vista opposto, lavorare all'indietro. Seichan proseguì: «Sappiamo che la Viatus ha preso quelle mummie e che ha condotto degli esperimenti su di esse. Ma i corpi sono stati rinvenuti tre anni fa. Perciò sono anni ormai che il progetto è in corso all'insaputa di tutti. Io non ne ero di sicuro al corrente. Ma, non appena padre Giovanni corre in Vaticano, la Gilda alza la testa. Chiunque tenga le orecchie aperte come me ha potuto sentirlo. Nelle ultime ventiquattro ore, si sono esposti più di quanto abbiano mai fatto. È questo che mi ha attirata in Italia, tanto per cominciare, quello che mi ha spinta a cercare Sara». Gray notò un lieve fremito nella sua voce quando menzionò il nome di Sara. Dopodiché tacque. Lui colmò il silenzio. «Wallace è convinto che la chiave sia un rimedio contro una qualche forma primitiva di guerra biologica. Se la Gilda ha il controllo della chiave, ha il controllo dell'arma.» «Potresti avere ragione, ma l'interesse della Gilda va oltre questo. Fidati di me.» Gray si sforzò di non ribattere alle sue ultime parole. Fidati di me. Quella donna non aveva nessun diritto di pronunciare quelle parole. Gli fu risparmiato di rispondere quando Wallace alzò un braccio e indicò il terreno. «Eccola là!» «Pensaci su», concluse Seichan. «Torno al trattore.» Gray proseguì da solo per la grotta. Lyle era già entrato, piegandosi. L'entrata non arrivava alla cintola di Gray e si apriva in una piccola grotta. Inginocchiandosi, Gray tirò fuori una torcia elettrica dallo zaino e la puntò verso l'interno. Era una caverna naturale e, tranne che per una lattina di birra ammaccata e un po' d'immondizia, era del tutto anonima. Se quella era l'ultima dimora di Merlino, il mago doveva reclamare per la scelta James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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del luogo. Non c'era da stupirsi che padre Giovanni non vi fosse più tornato. «Qui non c'è niente», concluse alla fine Wallace. Gray convenne. «Saliamo sul monte.» Si affrettarono a uscire mentre la pioggia picchiava più forte. Una volta raggiunto il rimorchio, ripartirono. Lyle condusse il trattore sulla cima del monte e giù per il declivio opposto. Più avanti si stendevano le pianure, di nuovo suddivise in coltivi e pascoli. Ma ai piedi del monte sorgeva la loro meta: l'abbazia di Saint Mary. Una cappella con casa annessa, di epoca più recente, sorgeva poco più in là. Da quell'altezza, Gray poteva distinguere anche alcune rovine dei muri di fondazione dell'antica abbazia. Mentre scendevano, Lyle indicò una piccola casa in lontananza. «Plas Bach», disse ad alta voce. «Potete affittarla. Lì si trova anche il nostro famoso albero di mele.» Gray infilò la mano nella tasca del parka e si accorse di avere ancora la mela che gli aveva tirato padre Rye. Fissando il frutto rosato, gli tornarono in mente gli occupanti dell'abbazia. In vari ambienti, l'albero delle mele e i monaci erano descritti come esempi di straordinaria salute e incredibile longevità. I monaci di Saint Mary conoscevano qualche segreto? Era lo stesso segreto che ora stavano tutti cercando, la chiave del Doomsday Book? E, se le cose stavano così, come ne erano venuti in possesso? Con un ultimo rutto di fumo maleodorante, il trattore si fermò ai piedi del monte accanto al cimitero. Il campo era punteggiato di croci celtiche, tra cui una molto alta all'ombra della torre campanaria crollata dell'abbazia. Il gruppo scese dal rimorchio e si scosse di dosso la paglia. Aveva smesso di piovere quasi del tutto, il che era un sollievo. Ma a nord lampeggiò un fulmine. Il rombo cupo del tuono li avvertì dell'arrivo di altra pioggia. Era meglio affrettarsi. Gray si avvicinò a Lyle. «Hai detto che padre Giovanni passava la maggior parte del tempo qui. Sai per caso che cosa faceva? Le sue ricerche erano concentrate da qualche parte?» Lyle si strinse tutto nelle spalle. «Girava per le rovine qui intorno. Prendendo più che altro misure.» «Misure?» Il ragazzo annuì. «Aveva dei metri a nastro e... come si chiamano?» Si espresse a gesti, tenendo le braccia piegate e guardando di sbieco. «Quei piccoli cannocchiali che si usano per misurare l'altezza delle cose.» «Strumenti topografici», rispose Gray ad alta voce. «C'è un posto dove ha passato molto tempo a prendere misure?» «Sì. Dove ci sono le nostre croci e le antiche rovine di pietra.» «Rovine? Vuoi dire l'abbazia?» Wallace andò al fianco di Lyle. «Credo che si riferisca alle rovine degli antichi, non è vero, figliolo?» «Esatto, signore.» «Puoi accompagnarci lì?» «Certo che sì.» E si avviò. Lo seguirono tutti insieme, attraversando il cimitero. Lyle indicò una per una le croci celtiche che superava. Si fermò davanti a quella più alta. S'innalzava su una collinetta. «Questa segna la tomba di Lord Newborough», disse Lyle. «Uno dei nobili più famosi di Bardsey, nonché un grande benefattore della Chiesa.» Gray alzò la testa James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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e la fissò. Padre Giovanni conosceva sicuramente il significato delle croci celtiche, sapeva che erano una modifica delle antiche croci druidiche, che erano state copiate, a loro volta, dagli antichi che occupavano in origine le Isole Britanniche e che avevano inciso quel simbolo sui loro menhir. Un simbolo che legava tutt'e tre le culture con un unico filo che andava dai tempi antichi ai giorni nostri. La chiave aveva seguito lo stesso percorso? Dagli antichi, ai celti, ai cristiani? Wallace puntò lo sguardo dall'altra parte del cimitero. «Padre Giovanni ha misurato tutte le croci?» «Sì, sì.» «E hai detto che ha fatto la stessa cosa con alcune rovine?» «Da questa parte.» Lyle girò intorno alle macerie della torre campanaria e s'inoltrò svelto in un prato. Si mise a scalciare come se cercasse qualcosa. «Padre Giovanni cercava tutte le capanne circolari antiche. Sono quasi tutte su questo lato dell'isola.» Wallace camminava a fianco di Gray. «Non c'è da stupirsi che i monaci abbiano costruito qui l'abbazia. Era normale per la Chiesa primitiva costruire sui luoghi sacri, calpestare le altre religioni. Sia per liberarsene sia per favorire il passaggio dei neoconvertiti alla nuova religione.» «Eccola!» esclamò Lyle a qualche metro di distanza sulla destra. «Credo sia questa qui!» Gray lo raggiunse con Wallace. Il ragazzo era al centro di un grezzo cerchio di blocchi di pietra semisepolti nel terreno. Gray girò intorno al perimetro. Wallace si sfregò il mento. «Sei sicuro che sia questa la capanna circolare giusta? Quella che interessava al nostro amico?» D'improvviso, Lyle non parve così sicuro. Gray si fermò davanti a una delle pietre. S'inginocchiò e scostò l'erba. Fissò la pietra e capì che erano sul luogo giusto. Sulla pietra grezza era scolpito un simbolo. Una spirale. Gray puntò lo sguardo dall'altra parte del campo. Controllò due volte con la sua bussola. Dritto a est da quel punto, dove il sole sorgeva ogni giorno, si trovava la lapide di Lord Newborough, una grande croce celtica, le cui origini risalivano agli stessi artigiani che avevano scolpito quella grossolana spirale sul masso ai piedi di Gray. «Ci siamo», disse a bassa voce. «Come?» domandò Wallace, non avendo sentito. Gray continuò a fissare la croce lontana. Non aveva bisogno di nessuno strumento di misurazione, anche se avrebbe potuto non arrivarci così facilmente se Lyle non gli avesse raccontato dei meticolosi rilevamenti che il prete aveva fatto in quel luogo. «So in che direzione padre Giovanni guardava», disse Gray. Sara si avvicinò. «Dove?» «Tra la spirale e la croce», rispose Gray, indicando la lapide di Lord Newborough. «Come le pietre del suo scavo, Wallace. Le croci su un lato, le spirali sull'altro.» «È come la borsa di pelle», gli rammentò Sara. Gray annuì. «Anche se Marco non ha mai avuto questo aiuto. Ha dovuto capire James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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tutto da solo. Basandosi solo su ciò che aveva visto sul luogo dello scavo. Alla fine deve essergli apparso tutto chiaro come il sole. Forse in senso letterale. Padre Rye ha detto che Marco era entrato in agitazione lo scorso giugno, il che significa che era il solstizio d'estate. Il giorno più lungo dell'anno. Una festa sacra dei pagani, soprattutto di quelli che praticavano il culto del sole.» Indicò la croce e tracciò una linea davanti ai piedi. «Scommetto che ci vogliono dei calcoli per dimostrarlo, cosa che Marco ha probabilmente fatto, che, il mattino del solstizio, i primi raggi del sole colpiscono quella croce e gettano un'ombra appuntita fin qui.» «E questo ha portato alla scoperta di Marco?» incalzò Wallace. «Può darsi. Posso misurarlo a passi, ma non credo sia necessario. Guardi cosa c'è a metà strada fra la croce e la spirale.» Gray indicò il cumulo di macerie. «La torre di Saint Mary», disse Wallace, girandosi poi verso di lui. «Pensa che qualunque cosa Marco abbia trovato fosse nascosta sotto la torre?» «Lo ha detto lei, che la Chiesa costruiva i propri edifici sui luoghi sacri più antichi. L'isola è crivellata di grotte, grotte che i druidi consideravano sacre. E ancora oggi sopravvivono leggende che parlano di una potente magia, personificata da Merlino, sepolta in una grotta dell'isola. E se avessero trovato la grotta sbagliata?» Wallace abbassò il tono della voce. «Non la Grotta dell'Eremita, ma qualcosa che è nascosto sotto l'abbazia?» Sara pose una buona domanda. «Ma come fai ad andare a cercare là sotto?» «Il prete morto non è certo andato lì col bulldozer», aggiunse Kowalski. Avevano ragione tutti e due. Non c'era traccia di scavi nei dintorni delle rovine della torre. «Deve esserci un'altra via d'accesso», disse Gray, girandosi verso la loro fonte d'informazioni migliore. «Lyle, ci sono dei tunnel o delle grotte qui in giro?» «Sì. Un sacco di grotte. Ma nessuna qui in giro.» Ci sarebbero voluti mesi e mesi per perlustrarle tutte. Gray lanciò uno sguardo a Sara. Stava con le braccia incrociate. Non avevano tutto quel tempo. «Ma posso farvi vedere quello che ho fatto vedere a padre Giovanni», disse Lyle d'improvviso, illuminandosi. «Cosa?» volle sapere Gray. «Venite a vedere. I miei amici e io andiamo sempre a giocare laggiù.» Lyle scappò come un fulmine. Gli altri furono costretti a rincorrerlo. «Non abbiamo tutta questa urgenza», grugnì Kowalski. «Parla per te», ribatté Sara. Lyle li condusse di nuovo dietro la torre, avviandosi nella direzione opposta, questa volta. Fece il giro quasi completo, per poi fermarsi a poca distanza dalla croce celtica. Indicò una fossa quadrata nel terreno, incorniciata di sassi. «Che cos'è?» domandò Wallace. Gray s'inginocchiò e guardò giù. I lati erano muretti di mattoni. Vicino al fondo, una nicchia buia era scavata nel muro. «Come ho detto», rispose Lyle. «Non è una James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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grotta.» Gray tirò fuori la torcia elettrica. «È una cripta.» «Sì. Il sepolcro di Lord Newborough. Chiaro che non è più là sotto. Almeno credo.» «Dobbiamo ispezionarla», disse Gray. Kowalski scosse la tessa e fece due passi indietro. «No, non se ne parla. Ogni volta che t'infili in un buco, capitano brutte cose.»
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Capitolo 20
† Svalbard, Norvegia, 13 ottobre, ore 12.41
M
onk ringraziò col pensiero gli ingegneri che avevano inventato i manubri riscaldati delle motoslitte. La temperatura continuava a calare a mano a mano che la tempesta polare attraversava l'arcipelago artico. Nonostante la tuta da sci, il casco, i guanti e gli indumenti intimi termici, Monk cominciava ad apprezzare i progressi tecnologici delle motoslitte moderne. Lui e Creed fermarono i veicoli in una valle coperta di neve sotto l'entrata dello Svalbard Global Seed Vault. A circa duecento metri di distanza, il bunker di cemento dal profilo spigoloso spuntava dal fianco della montagna di Plataberget. Era l'unico segno visibile del grande deposito sotterraneo. Oltre alla presenza delle pattuglie militari norvegesi. Dalla radiotrasmittente del suo casco proruppe la voce di Creed: «Abbiamo compagnia». Monk torse il busto sul sedile. Alle loro spalle uno SnoCat a due posti sopraggiungeva a gran velocità su una scarpata ghiacciata. I cingoli mordevano il terreno, sollevando un pennacchio di ghiaccio e neve. Da un'ora, lui e Creed stavano giocando cautamente al gatto e al topo con le pattuglie più lontane. Facevano del loro meglio per tenersi a debita distanza senza dare l'impressione di farlo di proposito. Il logo dell'autonoleggio sui fianchi delle motoslitte non consentiva loro di fare più di tanto. «Cosa ci conviene fare?» domandò Creed. «Niente.» Era probabile che i loro veicoli, più piccoli, potessero seminare lo SnoCat, più pesante, ma tagliare la corda ora avrebbe attirato tutta l'attenzione dell'esercito norvegese su di loro. Invece Monk alzò un braccio in segno di saluto. Tanto valeva salutare i vicini. Da un'ora, Monk teneva d'occhio i militari, osservando il loro comportamento. Passavano gran parte del tempo a chiacchierare fra loro, riuniti in capannelli. Notò qualche sigaretta accesa. Di tanto in tanto scoppiava una risata che echeggiava fino a loro dalla montagna. Conosceva quello schema: noia. Lì, nell'entroterra del Nord artico, era chiaro che i soldati avevano piena fiducia nell'isolamento e nell'asprezza del luogo. Non c'era ragione di cambiare atteggiamento. «Calma e sangue freddo», disse Monk al microfono della radio. «Più freddo di così, cago cubetti di ghiaccio.» Monk gli scoccò un'occhiata. Era una battuta, quella? Inarcò le sopracciglia. Forse c'era ancora speranza per il ragazzo. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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La portiera laterale dello SnoCat si spalancò e una nuvola di vapore bianco uscì dalla cabina riscaldata. Il soldato non si prese nemmeno il disturbo di sollevare il cappuccio del parka. Infatti lasciò il giaccone aperto. Coi capelli biondi e con le guance rosse, sembrava uscito da un catalogo di Ralph Lauren, edizione norvegese. Ecco un norvegese nel suo habitat naturale... Monk si tolse il casco per sembrare meno minaccioso. Creed lo imitò. Il soldato li salutò col braccio e parlò in norvegese. Monk non capì, ma il senso generale era chiaro. Che ci fate qui? Creed rispose, incespicando un po' nella lingua. Monk udì la parola «americani». Il ragazzo doveva stare raccontando la loro storia di copertura. Monk gli diede manforte, tirando fuori dalla tasca del parka un libro, un manuale di ornitologia che aveva preso all'autonoleggio. Sollevò anche il binocolo appeso al collo. Sono solo un ornitologo dilettante. Il soldato annuì e provò a parlare in inglese. «Tempesta in arrivo», li avvertì il norvegese. Agitò un braccio nella direzione generale di Longyearbyen. «Meglio andare.» Monk non poté contraddire quella previsione. «Torneremo indietro», promise. «Facciamo solo una pausa per sgranchirci.» Si massaggiò il fondoschiena per fare scena... in effetti gli faceva male dopo avere arrancato in quel paesaggio costellato di ghiacciai. Il gesto strappò un sorriso al militare. Dall'altra parte dello SnoCat , la portiera si spalancò. L'autista scese con un balzo, gridò un avvertimento, poi infilò un fischietto tra le labbra ed estrasse la pistola. Con un fischio acuto, puntò l'arma contro di loro. Ma che diavolo...? Sia Creed sia l'altro soldato si gettarono sulla neve a faccia in giù. Monk esitò. Il militare sparò tre volte. Monk si torse nello stesso momento e vide scomparire una grossa sagoma dietro un gruppo di massi tondeggianti in lontananza. I colpi del soldato rimbalzarono sulla pietra fra le scintille. «Un orso polare», disse Creed anche se era inutile, mentre gli spari echeggiavano in lontananza. Lui e il soldato si rimisero in piedi. Creed era pallido come un morto. Il militare si limitò a sorridere e a dire qualcosa in norvegese che strappò un sorriso al compagno armato di pistola. Non sembravano troppo preoccupati. Come se avessero messo in fuga un procione da un bidone della spazzatura. Naturalmente, in quel caso, Monk e Creed erano i bidoni della spazzatura. L'orso polare doveva essersi avvicinato di soppiatto quando si erano fermati. Il primo soldato indicò la città, intimando loro di andare via. Monk annuì. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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I due militari salirono di nuovo sullo SnoCat , facendo una battuta, chiaramente a spese degli americani. Creed tornò alla sua motoslitta. «E ora che facciamo?» «Continuiamo a perlustrare. Ma questa volta io tengo d'occhio il deposito dei semi e tu stai attento a che non arrivi qualcosa che vuole mangiarci.» Creed annuì e indossò il casco. Monk portò il binocolo agli occhi e guardò in fondo alla valle. Sperava che Painter non ci mettesse troppo tempo. Se lui e Creed continuavano a gironzolare da quelle parti, avrebbero cominciato a destare sospetti. Soprattutto con la tempesta che stava per abbattersi. Regolando il binocolo, mise a fuoco un'immagine chiara dell'entrata del bunker. Vide la porta aprirsi e la figura snella di una donna uscire di corsa. Una delle guardie tentò di attaccare bottone. Chi non lo avrebbe fatto? Anche da duecento metri di distanza, era chiaro che doveva valerne la pena. La donna snobbò la guardia con una mano alzata e andò svelta verso i veicoli parcheggiati. A quanto sembrava, si era stufata del ricevimento... e voleva andarsene il più in fretta possibile. Ore 12.49
La conversazione prese subito una brutta piega. Painter e il senatore Gorman avevano seguito l'amministratore delegato della Viatus negli uffici del tunnel principale del complesso. Uno spazio per gli organizzatori del ricevimento era stato allestito nella stanza centrale con le scrivanie spinte contro i muri e sostituite con carrelli portavivande, scaldapiatti e contenitori. Stavano preparando il dessert, una fontana di cioccolato, a quanto sembrava. La stanza profumava come una fabbrica di cioccolato con un sottofondo di merluzzo norvegese. Attraversarono svelti lo spazio ed entrarono in un ufficio con due computer accesi ai capi di un lungo tavolo. In mezzo, organizzate in file ordinate, campeggiavano pile di sacchetti di alluminio. Lungo la parete vicina era accatastata una mezza dozzina di contenitori di plastica neri. Uno era aperto sul pavimento, pieno di buste argentate. «Le spedizioni di semi arrivano ogni giorno», aveva spiegato Karlsen, facendo la guida turistica. «Purtroppo, ora il lavoro si è accumulato a causa del ricevimento. Ma domani queste scatole saranno smistate, catalogate, registrate secondo il Paese d'origine, persino...» Fu allora che le cose precipitarono. Forse fu l'atteggiamento disinvolto di Karlsen, o forse fu chiaro a tutti che le sue chiacchiere nascondevano un terribile senso di colpa. In ogni caso, non appena la porta dell'ufficio fu chiusa, il senatore si avventò su di lui e lo agguantò per la camicia, scaraventandolo contro i contenitori accatastati. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Sbalordito dall'aggressione improvvisa, lì per lì Karlsen non reagì. Poi un'espressione confusa gli si dipinse in volto. «Sebastian, cosa stai fa...?» «Brutto bastardo, hai ucciso mio figlio!» gli gridò in faccia Gorman. «E hai cercato di ammazzarmi ieri sera!» «Sei impazzito?» Karlsen spinse con entrambe le braccia e si liberò. «Perché avrei dovuto cercare di ucciderti?» Painter dovette ammettere che l'uomo sembrava veramente sconvolto. Ma notò pure che non negò l'assassinio del figlio del senatore. Painter si frappose tra i due. Paonazzo in viso, Gorman fece un passo indietro. Volse le spalle e cercò di ricomporsi. Dentro di sé, Painter si mangiò le mani. Non aveva notato che Gorman stesse covando tutta quell'ira. Avrebbe dovuto fermarlo prima di andare lì. Non avrebbero ricavato nulla da Karlsen spingendolo sulla difensiva. Avrebbe tirato su un muro che non sarebbero mai riusciti a sfondare. Painter ritoccò la propria strategia. Con Karlsen scosso, e prima che si trincerasse nel silenzio, Painter sapeva che doveva scoprire tutte le carte. «Sappiamo della coltivazione dei funghi, delle api, di cosa è stato insabbiato in Africa.» Painter lo martellò di accuse, l'una dopo l'altra. Forse Karlsen sarebbe stato in grado di incassare una stangata, ma la raffica di pugni non gli diede modo di riprendersi. La facciata per un attimo crollò, rivelando la sua complicità, la sua conoscenza dei fatti. Non era una pedina né un uomo di paglia. Karlsen sapeva perfettamente cosa stava succedendo. Nonostante ciò, l'uomo cercò di fare marcia indietro. Il lampo di rimorso svanì dietro un muro di negazione. «Non so di cosa state parlando.» Non la diede a bere a nessuno. Meno che mai a un padre straziato dal dolore. Il senatore Gorman si avventò di nuovo contro Karlsen. Painter non provò a fermarlo. Voleva che Karlsen fosse preso in contropiede, colpito da ogni parte. Moralmente, psicologicamente, fisicamente. Painter avrebbe sfruttato ogni mezzo a sua disposizione. Gorman piombò addosso a Karlsen, colpendolo al petto con una spalla e scaraventandolo di nuovo contro il muro. Sollevato da terra, Karlsen andò a sbattere con violenza contro la parete. Restò senza fiato. Il senatore aveva giocato come difensore a football negli anni del college. Ma Karlsen non era un vecchio decrepito. Alzò le braccia e picchiò forte i gomiti sulla schiena del senatore. Gorman cadde in ginocchio. A terra, il senatore infilò un braccio dietro la gamba sinistra del norvegese. Con un ringhio feroce, la serrò e la torse, buttando l'assassino di suo figlio a faccia in giù sul pavimento. Poi gli piombò sulla schiena e lo inchiodò a terra. «Hai ucciso Jason!» ringhiò Gorman, la voce rotta dall'ira e dai singhiozzi. «Lo hai James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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ucciso tu!» Karlsen si dibatté per divincolarsi, ma l'altro lo teneva fermo. Col volto paonazzo, torse il collo nel tentativo di guardare Gorman. Con voce piena d'ira, gridò contro il suo accusatore: «Io... io l'ho fatto per te!» Lì per lì, il senatore fu stordito da quelle parole. Ma Painter non sapeva se lo stupore fosse dovuto alla repentina confessione o alla strana affermazione. Una parte di Gorman doveva avere sperato che Painter avesse torto. Ora l'illusione era crollata. «Chiudi quella cazzo di bocca!» gli intimò Gorman, non volendo sentire altro. Caduta la prima tessera del domino, Painter sapeva che poteva far cadere le altre. Aveva ottenuto in pochi minuti quello che pensava avrebbe ottenuto in un giorno intero. Ma il lavoro era tutt'altro che finito. Karlsen poteva ritrattare ciò che aveva detto. Giocava ancora in casa sua, in Norvegia, dove aveva potenti agganci e conoscenze. Painter sapeva che doveva approfittarne, prendere il controllo della situazione. Ciò significava portare Karlsen fuori di lì e metterlo in cella. Per farlo, doveva chiamare qualcuno in aiuto. «Lo tenga fermo lì», disse Painter. Andò ai computer e cercò dietro i monitor. Doveva esserci una connessione di rete in quella stanza. Una linea T1 o T3 per il collegamento a Internet, ma soprattutto... Le dita di Painter trovarono una linea telefonica. La tirò e risalì fino al muro. Siccome lì non era disponibile il servizio di telefonia mobile, doveva comunicare via radio con Monk, ma lì sottoterra era impossibile. Avrebbe dovuto inserirsi in una linea aperta utilizzando un dispositivo denominato SQUID per amplificare il segnale. Quando fece scorrere le dita lungo il cavo, trovò un apparecchio già inserito nella presa del telefono. Lo staccò e lo riconobbe subito. Un amplificatore di segnale per la telefonia mobile. Non era molto sofisticato, ma era una tecnologia superiore al resto che aveva visto lì. Sembrava fuori posto. Lo esaminò e riconobbe una trasmittente a corto raggio. A chi serviva una trasmittente a corto raggio collegata a una linea telefonica? Gli veniva in mente una sola ragione. Alle sue spalle, la porta si spalancò di colpo. Si girò di scatto e il copresidente Boutha entrò come un ciclone, seguito da alcuni altri uomini. Boutha guardò accigliato e confuso la scena che gli si parò dinanzi agli occhi: Karlsen a terra col senatore inginocchiato sulla sua schiena. «Gli organizzatori del ricevimento hanno sentito gridare...» cominciò Boutha, poi scosse la testa. «Che sta succedendo qui?» Sfruttando il momento di distrazione, Karlsen riuscì a dare una gomitata a Gorman nell'orecchio. Sbilanciato di lato, il senatore non poté impedire a Karlsen di divincolarsi con un ruzzolone. Boutha e gli altri sbarravano ancora l'uscita. Intrappolato, Karlsen si girò verso James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Gorman, solo per vedere arrivare un cazzotto dritto verso il naso. Si scansò abbastanza da evitare il naso rotto, ma prese un bel pugno nell'occhio e barcollò all'indietro qualche passo. «Basta!» ordinò Painter in tono imperativo, bloccando tutti. Tutti gli occhi conversero su di lui. Painter puntò un braccio verso Boutha. «Dobbiamo evacuare questo complesso. Subito!» «Perché?» Painter abbassò gli occhi sul dispositivo che teneva in mano. Forse si sbagliava, ma non vedeva molti altri usi per una trasmittente a corto raggio. Tranne uno. «C'è una bomba nascosta da qualche parte qui sotto.» Gli altri rimasero di sale e provarono a chiedere spiegazioni. Painter si fece largo tra loro. «Fate uscire tutti quanti!» Purtroppo, era troppo tardi. Ore 12.55
In sella alla motoslitta, Monk attraversava con cautela la valle, serpeggiando lentamente lungo il fondo. Creed lo seguiva dappresso, stando attento agli orsi polari. Monk teneva d'occhio il bunker di cemento che segnava l'entrata alla banca dei semi. La tempesta aveva addensato una massa di nuvole scure sopra la montagna. Il cielo era opprimente e la temperatura era scesa. Anche i venti si erano alzati e soffiavano nella valle raffiche accecanti di cristalli di ghiaccio. Monk fece cenno di fermarsi. Gli era sembrato di udire qualcosa o almeno di sentire qualcosa vibrare nel petto. Spense il motore. Il rombo cupo continuò, provenendo dalla cappa di nubi in cielo, come un tuono lontano a nord. Prima che avesse il tempo di indagare, il rombo esplose in un boato. Due jet sbucarono dalle nubi e sfrecciarono nella valle, in direzione di Monk e Creed. No, non nella loro direzione. Quando passarono in cielo, i jet virarono bruscamente verso l'alto con un ruggito. Dal ventre degli aerei partirono dei missili. Razzi Hellfire. I missili colpirono il crinale coperto di neve dove era sepolto il deposito dei semi. Un inferno di fuoco esplose sull'altro versante della montagna. Rocce e fiamme schizzarono in cielo. Le esplosioni fecero tremare Monk e Creed. Sul crinale, gli uomini furono scagliati in aria, alcuni ridotti a brandelli in fiamme. Altri fuggirono a piedi o scivolarono giù per il versante. Monk vide un grande SnoCat rovesciarsi in un cratere che prima era l'unica strada per salire lassù. Quando il fumo si diradò, Monk perlustrò il crinale con gli occhi. Il bunker era ancora in piedi, ma un lato era stato annerito dall'esplosione e un grosso pezzo si era staccato. Il missile aveva causato solo danni minori. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Poi un altro rombo crebbe d'intensità. Monk temette un altro attacco aereo. Ma il rumore fu accompagnato da una successione di detonazioni. Sotto gli occhi inorriditi di Monk, l'intero versante della montagna sopra il bunker cominciò a scivolare. Un'enorme sezione del ghiacciaio si staccò e si frantumò in pezzi sempre più piccoli, acquistando velocità e trasformandosi in una valanga di ghiaccio. Si abbatté sul bunker e lo seppellì del tutto. Altri soldati furono travolti e schiacciati dalla slavina. Che continuò a precipitare. Nella loro direzione. «Monk!» gridò Creed. Balzando di nuovo in sella, Monk schiacciò col pollice il pulsante dell'accensione. Il motore partì con un ruggito. Quando diede gas, il cingolo posteriore masticò la neve finché non fece presa. Girando la manopola, Monk indicò col braccio l'altro lato della valle. «Sali più su!» Creed non aveva bisogno d'istruzioni. Aveva già fatto dietrofront e stava correndo nella direzione opposta. I due attraversarono il fondo della valle a tutta velocità, cercando di mettersi in salvo. Monk udiva la valanga dietro di loro. Sembrava la fine del mondo, un'esplosione di ghiaccio e roccia. Un blocco di ghiaccio delle dimensioni di un box singolo oltrepassò Monk rimbalzando alla sua destra. Il ghiaccio gli tempestò la motoslitta e la schiena. Monk si rannicchiò. Non poteva correre più veloce di così. Stava andando a tutto gas. Quando il bordo della valanga li raggiunse, macigni di ghiaccio si abbatterono ai lati delle motoslitte. Un fiume di sassi scorse sotto e intorno a loro. I frammenti di ghiaccio più piccoli si erano levigati durante la rovina a valle, trasformandosi in un torrente di diamanti. E poi cominciarono a risalire. Gli sci anteriori della motoslitta scalarono rapidamente il pendio. Il mostro di ghiaccio alle loro spalle provò a inseguirli, ma poi rinunciò e si fermò nella valle. Per sicurezza, Monk salì più in alto prima di fare cenno di fermarsi. Senza spegnere il motore, si girò e valutò i danni. Una foschia di cristalli di ghiaccio copriva la valle più giù, lasciando intravedere tuttavia il crinale lontano. Il bunker era sparito. C'era solo una montagna di ghiaccio ridotto in frantumi. «Che facciamo?» domandò Creed. Un grido fu la risposta. Si girarono entrambi a sinistra. Comparvero due soldati norvegesi, i fucili imbracciati. Solo allora Monk notò lo SnoCat fermo più su, sul pendio. Erano gli stessi due militari di prima. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Ma questa volta non era una visita amichevole come la prima. I soldati non abbassarono i fucili. Dopo quel che era successo, dovevano essersi messi in guardia, semiaccecati dall'ira e in preda allo shock. «Che facciamo?» domandò ancora Creed. Da maestro qual era, Monk glielo mostrò alzando le braccia. «Ci arrendiamo.» Ore 13.02
Painter era al buio. Le luci si erano spente con le prime esplosioni. Sulle prime, aveva pensato che fosse esplosa la bomba nascosta. Ma con la serie di boati successivi, che rimbombarono dall'alto, Painter suppose che un missile avesse colpito il fianco della montagna. La conferma giunse un secondo dopo, quando echeggiò un fortissimo rombo. Sembrava che un treno merci fosse passato sopra di loro e fosse andato a schiantarsi in lontananza. Una valanga. Grida e urla riecheggiarono nel tunnel mentre gli ospiti e i lavoratori si facevano prendere dal panico. Se c'era una bomba nascosta là sotto, perché non era scoppiata insieme con l'attacco aereo? Strinse la trasmittente in mano. Staccare il dispositivo dalla presa del muro forse aveva salvato la vita di tutti loro, impedendo al segnale di essere inviato per telefono e di innescare l'ordigno. Ma non erano ancora fuori pericolo. Se Painter avesse studiato quell'attacco, avrebbe previsto un piano di riserva. Una bomba a scoppio ritardato, per esempio, nel caso qualcosa andasse storto. Si spremette le meningi. La trasmittente aveva una portata limitata, soprattutto con tutta quella roccia. Se era stata piazzata una bomba, doveva essere nelle vicinanze, probabilmente introdotta lì dentro da poco tempo. Gli organizzatori del ricevimento? No, erano troppi ed era troppo rischioso. Qualcuno lo avrebbe notato. E poi gli tornarono in mente le parole che Karlsen aveva pronunciato poco prima, quando erano entrati nell'ufficio interno: Le spedizioni di semi arrivano ogni giorno. Purtroppo, ora il lavoro si è accumulato a causa del ricevimento. I contenitori di plastica. Al buio, Painter andò verso la pila di scatole. Ne aprì una a tastoni e infilò le mani dentro, sino in fondo. Setacciò le buste di alluminio termosaldate contenenti i semi. Niente. Buttò via il contenitore, che andò a sbattere nel buio. «Che sta facendo?» gridò Gorman, allarmato. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Painter non aveva tempo di rispondere. La disperazione lo faceva tacere. Non trovò nulla nella seconda scatola... ma, mentre strappava il coperchio della terza, vide un bagliore all'interno, nascosto sotto un mucchio di buste di semi. Nell'oscurità, la luce fioca splendeva come un faro. Gli altri uomini si avvicinarono. Painter scostò le buste e scoprì quello che nascondevano. I numeri luminosi di un display a LED. 09:55 Sotto i suoi occhi, il timer contava alla rovescia. Le luci della stanza tremolarono, si spensero, infine si riaccesero. I generatori di emergenza erano entrati finalmente in funzione. Nel corridoio, le urla cessarono di colpo. Sebbene la situazione non fosse migliore, almeno sarebbero morti con le luci accese. Painter infilò le mani dentro e sollevò con attenzione l'oggetto. Dubitava che fosse stato collegato a un detonatore con sensore di movimento. I contenitori erano stati spediti e, molto probabilmente, sballottati di qua e di là durante il viaggio. Nonostante ciò, lo posò con grande cautela sul pavimento e s'inginocchiò accanto. L'oggetto era grande come due scatole di scarpe, grossomodo a forma di botte. Il display a LED brillava sulla sommità. Un groviglio di cavetti entrava nella scatola di metallo sottostante. La dicitura militare, PBXN112, stampata sul lato sinistro fugò ogni dubbio dalla mente di Painter riguardo a ciò che avevano tutti sotto gli occhi. Persino Boutha lo intuì. «È una bomba», disse con un filo di voce. L'uomo, purtroppo, si sbagliava. Painter lo corresse. «No, è una testata.» Ore 13.02
Krista fermò il fuoristrada a trazione integrale ai piedi della montagna. Mentre fuggiva lungo la strada ghiacciata, aveva visto i missili nello specchietto retrovisore. Dietro di lei era scoppiato l'inferno. Le detonazioni avevano fatto tremare i finestrini del SUV. Un secondo dopo, il crinale di ghiaccio della montagna si era staccato e si era abbattuto sull'entrata del deposito dei semi. Quando il fuoristrada si era fermato, le mani le tremavano ancora sul volante. Respirava ancora con difficoltà. Era fuggita subito dopo essere stata avvertita per telefono. E se fosse stata trattenuta, fermata per qualche motivo? Non c'era nessun margine d'errore. Eppure era sopravvissuta. Il terrore in lei si stava trasformando piano piano in euforia. Era viva. Chiuse i pugni sul volante. Proruppe in una risata gorgogliante di sollievo. Cercò di ricomporsi. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Ai lati della strada, comparvero uomini in tuta polare mimetica. Un grosso autoblindo cingolato avanzava pesantemente per bloccare la strada. Non aveva nulla da temere. Non più. Quelle erano le sue forze. Aprì con una spinta la portiera del suo fuoristrada e le raggiunse. Si era messo a nevicare. Pesanti fiocchi di neve volteggiavano nell'aria. Montò nella cabina del grosso veicolo. Lo scomparto posteriore per i passeggeri era gremito di uomini dal viso truce armati di fucili d'assalto. All'esterno, gli altri montarono sulle motoslitte. Forse la strada d'accesso alla montagna era distrutta, ma lei aveva ancora del lavoro da fare lassù. Forse c'era qualcuno che si era staccato dal gruppo dopo il bombardamento, e lei aveva ordini precisi. Niente superstiti. Ore 13.04
«È in grado di fermarla?» domandò il senatore Gorman. Nell'ufficio, gli altri si radunarono tutti intorno a Painter e all'ordigno sul pavimento, persino Karlsen. Era pallido come gli altri. Quello non doveva fare parte dei suoi piani. Soprattutto perché lui era intrappolato lì con loro. Painter non aveva tempo di riflettere sul suo significato. Si rivolse invece agli altri. «Ho bisogno che qualcuno corra a controllare le condizioni del tunnel più su», disse con voce calma e fredda. «È crollato? C'è una via d'uscita? E mi serve subito un tecnico della manutenzione.» Due degli uomini di Boutha annuirono e uscirono di corsa, contenti di fuggire da quell'ordigno. «È in grado di disinnescarlo?» domandò Karlsen. «È un ordigno nucleare?» «No», rispose Painter. «È una testata termobarica. Peggiore di un ordigno nucleare.» Tanto valeva che lo sapessero. La carica esplosiva della testata termobarica era fornita da una reazione chimica tra idrocarburi e ossigeno. Il contenitore era riempito di polvere di alluminio fluorurato, con al centro una carica detonante PBXN-112. «È la bomba antibunker più potente che esista», spiegò Painter, fissando il congegno. Parlare lo aiutava a concentrarsi. «È un'esplosione in due fasi. Nella prima, disperde una grande nube di aerosol, sufficiente a saturare questo tunnel. Nella seconda, la polvere esplode con un lampo ad altissima temperatura. Ciò produce un'onda di pressione che distrugge tutto quello che si trova nel suo raggio d'azione, consumando allo stesso tempo tutto l'ossigeno. Perciò puoi morire in quattro modi diversi: disintegrato, schiacciato, bruciato o soffocato.» Ignorando lo stupore generale, Painter si concentrò sul detonatore. Non era esperto di esplosivi ma di elettronica. Non ci mise molto a riconoscere il groviglio di fili finti, elettrici e di messa a terra. Bastava tagliare quello sbagliato, cambiare James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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la tensione, provocare una scintilla... c'erano mille modi diversi per farla scoppiare in faccia e uno solo per impedirlo. Un codice. Purtroppo, Painter non lo conosceva. Non era come nei film. Non c'era nessun artificiere pronto a disinnescarla all'ultimo secondo, nessuno stratagemma da compiere, come congelare la testata con l'azoto liquido. Erano tutte fesserie cinematografiche, quelle. Guardò l'orologio. Di lì a meno di otto minuti la testata sarebbe esplosa. Il rumore di passi pesanti li avvertì del ritorno precipitoso di uno degli uomini di Boutha. «Nessun crollo», ansimò l'uomo. «Mi sono imbattuto in uno dei soldati che tornavano giù. La porta blindata esterna ha retto. L'ha aperta. C'è solo un muro di ghiaccio là fuori. Siamo sepolti. È troppo spesso, non si vede un filo di luce.» Painter annuì. La strategia aveva senso. Il deposito era stato progettato per resistere a un attacco nucleare. Se volevi uccidere tutti quelli che erano là sotto, dovevi lanciare dentro una bomba come quella e sigillare il posto. Se non ti uccidevano le fiamme, lo avrebbe fatto la mancanza di ossigeno. Non gli restava che la seconda alternativa. Il secondo uomo arrivò con un norvegese alto e grosso come un armadio. Il tecnico della manutenzione. Posò lo sguardo sulla testata sul pavimento e sbiancò. Almeno sapeva il fatto suo. Painter si alzò, distogliendo l'attenzione dalla bomba. «Parla inglese?» «Sì.» «C'è un'altra via d'uscita da qui?» L'altro scosse il capo. «E le camere di equilibrio delle stanze dei semi? Sono pressurizzate?» «Sì, la pressione è tenuta sotto stretto controllo.» «Può aumentarla?» L'altro annuì. «Devo farlo manualmente.» «Scelga una delle stanze e lo faccia.» Il tecnico si guardò intorno, annuì e corse via a rotta di collo. Quell'uomo sapeva decisamente il fatto suo. Painter si rivolse agli altri: Boutha, Gorman, compreso Karlsen. «Ho bisogno che raduniate tutti quanti in quella stanza. Subito.» «Che cosa intende fare?» domandò il senatore. «Vedere quanto sono veloce a correre.» Ore 13.05
Tenendo le mani sul casco e non sapendo la lingua, Monk fece una fatica del diavolo a negoziare la loro libertà. I soldati norvegesi continuavano a tenere i prigionieri sotto la minaccia delle armi, ma almeno non tenevano il calcio del fucile pigiato contro la guancia. Creed perorò la loro causa. Si era tolto il casco e parlava in fretta, un misto di norvegese James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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e inglese, aiutandosi coi gesti. Poi una voce cominciò a gracchiare nell'orecchio di Monk, interrotta dalle scariche, proveniente dalla radiotrasmittente del casco. Era in gran parte incomprensibile. «Mi senti... aiuto... non ho tempo di...» Nonostante il fucile puntato in faccia, Monk provò un moto di sollievo. Riconobbe la voce. Era Painter. Era ancora vivo! Monk provò a rispondere. «Direttore Crowe, la riceviamo. Ma a singhiozzi. Possiamo aiutarla in qualche modo?» Non riuscì a ottenere nessuna risposta. Il tono della voce di Painter non mutò. La comunicazione era a senso unico. Creed aveva udito Monk parlare. «E il direttore? È ancora vivo?» I due fucili puntarono su Monk. «Vivo ma intrappolato», rispose. Alzò una mano, aguzzando l'orecchio per ascoltare la radio. La trasmissione era ancora disturbata. Lo strato di roccia da attraversare era troppo spesso, anche per un amplificatore di segnale SQUID. Il soldato gli sbraitò contro. Creed si girò e cercò di spiegare. Da truci, le loro espressioni si fecero preoccupate. Mentre le scariche gli ronzavano nell'orecchio, Monk considerò due alternative. Quanto tempo sarebbe durato l'ossigeno là dentro? Erano in grado di fare arrivare in tempo macchine escavatrici fin lassù, anche se la strada era stata distrutta dal bombardamento? Poi alcune parole eruppero dalle scariche. E la speranza si sgretolò in un attimo. Le parole di Painter erano mangiate dalle interferenze, ma non c'era possibilità di fraintendere la minaccia. «Quaggiù... una testata... Proveremo a...» Le scariche coprirono il resto. Prima che Monk potesse riferire la cattiva notizia a Creed, un rombo echeggiò sopra le montagne, seguito dal ruggito delle motoslitte. Si girarono tutti. Giù, sul fianco della montagna, un gruppo di veicoli stava risalendo lentamente dalla valle, diretto verso di loro. Monk portò il binocolo agli occhi e vide una motoslitta. Montavano in due. Uno guidava, l'altro imbracciava il fucile. Indossavano tutti una tuta polare, bianca come la neve, senza mostrine militari. Un soldato norvegese sbandato aveva già fatto metà discesa in qualche modo. Salutò con un gesto della mano la squadra che si avvicinava. Un colpo di fucile. Il sangue schizzò sulla neve bianca. Il soldato si accasciò. Monk abbassò il binocolo. Qualcuno era venuto a fare un repulisti. Ore 13.09
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Painter non sapeva se era riuscito a comunicare via radio. Aveva inserito lo SQUID nel muro e aveva incrociato le dita. Ora poteva solo correre. Spingeva un carrello portavivande, su cui aveva legato con gli elasticoni l'ordigno. Coprì con una volata gli ultimi centoquaranta metri del tunnel. Il display a LED lo fissava. 04:15 Mentre correva, vide il conto alla rovescia scendere sotto i quattro minuti. Alla fine, scorse la porta blindata esterna in cima alla rampa dell'uscita. Era stata lasciata aperta dalla guardia che era venuta a dare un'occhiata. Pezzi di ghiaccio erano ruzzolati all'interno, ma oltre la porta s'intravedeva il muro impenetrabile del ghiacciaio crollato. Con uno slancio, salì su per la rampa. Voleva piazzare la carica il più vicino possibile all'entrata. Quando fu in cima, Painter spinse il carrello verso la porta, girò su se stesso e si lanciò nella direzione opposta. Almeno era tutto in discesa da lì. Corse come un pazzo, col fiato grosso, sforzandosi di allungare la falcata. Se non poteva disinnescare la bomba, tanto valeva sfruttarla. Non sapeva quanto fosse spesso il blocco di ghiaccio che ostruiva la porta, ma la carica esplosiva della testata era unica nel suo genere. La prima detonazione avrebbe contribuito a disintegrare una parte del ghiaccio; poi, con l'esplosione della nube di alluminio fluorurato, l'altissimo calore ne avrebbe vaporizzato e sciolto altro. Ma era nell'ultima esplosione che Painter riponeva tutte le sue speranze. Il pericolo maggiore della bomba termobarica era costituito dall'improvvisa e potente onda di pressione. Se l'esplosione avveniva in una grotta o in un edificio chiuso, l'onda di pressione si propagava all'esterno, uccidendo chiunque si trovasse nei dintorni, all'aperto o al chiuso. Disintegrava e straziava la carne. Faceva scoppiare i timpani, esplodere i polmoni, uscire il sangue da ogni orifizio. Painter sperava che potesse anche far saltare quel tappo di ghiaccio, come il turacciolo di una bottiglia di champagne. Ma, naturalmente, senza ridurli tutti in poltiglia nel contempo. Quando giunse in fondo al tunnel, imboccò a tutta velocità il corridoio trasversale. Voltò l'angolo con una slittata e si precipitò verso la camera d'equilibrio centrale. Aprì il portello con uno strattone, udì il sibilo della pressione, quindi lo richiuse dietro di sé, sbattendolo. Le valvole dell'aria nel soffitto ripristinarono la pressione sibilando. Quando Painter attraversò la camera di equilibrio, la porta dinanzi a lui si spalancò. Il senatore Gorman la tenne ferma e fece cenno a Painter di entrare nella camera dei semi. «Presto!» Painter si buttò dentro e Gorman la chiuse con un clangore metallico. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Una folla si accalcò intorno alla porta, restando uniti nonostante le dimensioni del deposito. La banca dei semi in sé non era niente di speciale, solo un'enorme stanza piena di scaffali numerati. Gli stessi contenitori arancione gremivano i ripiani, come in un negozio all'ingrosso. Qualcuno del gruppo stava facendo il conto alla rovescia ad alta voce. «Undici... dieci... nove...» Painter era tornato appena in tempo. Dopo avere aperto la camera di equilibrio, sperava che la pressione fosse ripristinata in tempo. L'unica speranza di sopravvivere all'imminente esplosione era di opporre la pressione alla pressione. Se la camera di equilibrio non avesse retto, sarebbero stati tutti schiacciati. «Otto... sette... sei...» Karlsen si fece largo a spintoni per raggiungere Painter, gli occhi spalancati. «Krista non è qui», disse, come se lui sapesse cosa volesse dire. Qualcun altro sì. «Krista... Krista Magnussen? La fidanzata di Jason?» La voce del senatore Gorman vibrò d'ira. Painter si frappose tra i due uomini. «Dopo.» Prima, dovevano sopravvivere. Il conto alla rovescia proseguì. «Cinque... quattro... tre...»
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Capitolo 21
† Isola di Bardsey, Galles, 13 ottobre, ore 12.32
M
entre Gray si preparava a scendere nella cripta, l'occhio della tempesta si avvicinò all'isola di Bardsey. Era come se gli dei stessi li ammonissero di non profanare quella tomba.. Con uno schianto di tuono, il cielo si squarciò. Cominciarono a piovere goccioloni che precipitarono come bombe sulle lapidi e sulle stele sepolcrali. A nord, fulmini biforcuti squarciarono il cielo. «Vado prima io», disse Gray tra i boati dei tuoni. Lyle era corso a prendere una corda nella vicina casa della cappella. Ma, poiché pioveva così forte, Gray temeva che la cripta si allagasse prima che qualcuno di loro avesse modo di perlustrarla. L'entrata della cripta era un pozzo nel terreno largo sessanta centimetri, a malapena sufficiente a far passare una persona. Scendeva due metri buoni fino a un pavimento di pietra. Sotto, era più largo, forse il doppio dell'apertura. Gray non riusciva a vedere altro senza scendere. Aggrappandosi ai lati, si calò nel pozzo. Si puntellò con le gambe, poi si lasciò cadere giù. Atterrò acquattato e tirò fuori la torcia elettrica. Alzò la testa e fissò i volti degli altri. «Sta' attento», gli raccomandò Sara. «Mi faccia sapere cosa vede», aggiunse Wallace. Sia Kowalski sia Seichan rimasero in disparte. Gray accese la torcia ed esplorò la cripta principale. I lati erano arcate di roccia naturale che incorniciavano muri di mattoni, leggermente incassati. S'immaginò bare e ossa sgretolate dietro quei muri. E forse uno di quei cadaveri era Lord Newborough. Con la pioggia che grondava dai muri, Gray esaminò con calma ogni superficie. Passò le mani su ognuna, cercando una pietra smossa, un indizio che padre Giovanni era stato lì e aveva scoperto qualcosa. «Allora?» gridò Wallace dall'alto. «Niente.» Sara si allontanò, ma lui udì lo stesso la sua voce. «Lyle sta arrivando con la corda.» Gray rivolse la propria attenzione al quarto muro. Lì i mattoni incorniciavano una bassa arcata che gli arrivava a malapena a metà coscia. Accovacciandosi, Gray puntò la torcia dentro la nicchia. Era stata chiaramente pensata per accogliere una bara. L'arcata sarebbe stata poi murata come le altre. Ma al momento la nicchia era vuota. Sapeva che quella cripta era importante. Quel muro era rivolto verso le rovine James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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della torre dell'abbazia. Mettendosi carponi nella pozza d'acqua, Gray s'infilò nella nicchia. Era profonda. Oltre l'apertura, i mattoni sparirono e si ritrovò circondato da roccia viva. Si addentrò piano piano sino in fondo alla cripta. Diede dei colpetti ai lati, passò le mani sulle superfici. Niente. Per quanto frustrato, non perse la fiducia. Qualunque cosa fosse, doveva essere nascosta sotto le rovine di Saint Mary. Ma forse si sbagliava sui punti d'accesso; forse non era quella cripta. Padre Giovanni avrebbe potuto esplorarla su suggerimento di Lyle, proprio come Gray stava facendo ora, poi poteva essere passato ad altro. Udì diguazzare nell'acqua dietro di sé quando qualcuno lo raggiunse nella cripta. Indietreggiò e uscì dalla nicchia. Sara era lì, i capelli bagnati e appiccicati sul viso, gli occhi che brillavano sotto il fascio di luce della sua torcia, speranzosi. Gray non poteva deluderla. «Binario morto?» domandò lei. Gray fece una smorfia, poco contento della scelta delle sue parole e del proprio insuccesso. «Qui sotto non vedo traccia del passaggio di padre Giovanni.» «Posso provare io?» domandò Sara, chiedendogli la torcia con la mano tesa. Come poteva rifiutarsi? Gray le allungò la torcia. Sara si acquattò su una mano e s'infilò con cautela nella cripta vuota. Il fisico agile e snello le concesse più libertà di movimento nello stretto cunicolo. Sciabolò la torcia sui muri. «Vedi niente?» domandò Gray. «No.» Dall'alto, Wallace diede voce alla preoccupazione di Gray di poco prima. «Forse siamo nel posto sbagliato.» Sara rinunciò e tornò indietro. Dando prova della propria agilità, girò su se stessa nella nicchia e... si bloccò. «Che c'è?» volle sapere Gray. «Vieni a vedere.» La torcia elettrica era puntata dritto verso di lui. Schermendosi gli occhi dalla luce, si accinse a raggiungerla carponi. «No», lo avvertì. «Infilati sulla schiena.» Gray obbedì. Bagnandosi, si rigirò e s'infilò nella nicchia spingendo con le gambe e strisciando sui gomiti. La posizione supina era appropriata per stare in una tomba. «Cosa avete visto là sotto?» volle sapere Wallace. «Non lo sappiamo ancora», rispose Gray, continuando a strisciare sui gomiti. «Fin qui», lo sollecitò Sara. Lui continuò a scivolare. Alla fine si ritrovò con la testa fra le sue ginocchia. Sara si chinò su di lui con la torcia. Odorava di lana bagnata. Gray aveva il suo seno proprio sopra la testa. «Guarda», disse Sara. Era quello che stava facendo, ma probabilmente lei intendeva nella direzione del fascio di luce. Dovette sollevarsi sui gomiti e guardare verso l'entrata. Sulle prime James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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non vide niente, solo la metà posteriore del muro di mattoni che chiudeva la nicchia di roccia naturale. «Nota l'allineamento orizzontale di tutti i mattoni, ma guarda i tre intorno al bordo dell'apertura. In alto e ai lati.» Anche Gray lo notò, ora. «Sono allineati in verticale.» L'apertura era un semicerchio perfetto. I tre mattoni verticali segnavano le 12, le 3 e le 9 dell'orologio. «Pensi abbia un significato?» domandò Sara. Gray pensava di sì. «Sembra mezza croce pagana.» Nel riflesso dell'acqua della pozza, poteva quasi vedere l'altra metà del cerchio. Completò mentalmente il simbolo, tracciando le righe per collegare i mattoni. Formavano la croce druidica che stavano seguendo dall'inizio. «Ma che cosa significa?» domandò Sara. «Fammi fare una prova.» Gray uscì di nuovo striscioni dalla nicchia, dopodiché si rigirò e rientrò bocconi, all'indietro. Sperava di non inzupparsi completamente d'acqua senza motivo. «Ebbene?» gridò Wallace dall'alto. «Ci stiamo ancora lavorando», rispose Gray con voce stanca. S'infilò sotto l'entrata ed esaminò i tre mattoni. I due ai lati sembravano normali e ben cementati con la malta. Allungando la mano, afferrò il mattone in cima. Non parve diverso dagli altri... finché le dita non passarono sopra il bordo superiore. C'era una piccola scanalatura, perfetta come appiglio. L'afferrò con le dita e tirò. Il mattone si abbassò. Si bloccò un secondo, ma, quando Gray tirò più forte, un clangore metallico echeggiò dietro di lui... seguito da uno stridore di roccia. Si girarono entrambi e gettarono un'occhiata sopra la spalla. Il muro posteriore si spalancò, rivelando una scala stretta che scendeva. «L'entrata», gli disse Sara sottovoce all'orecchio. «L'abbiamo trovata.» Dovettero fare qualche contorsione per attraversare la porta della scala. Benché stretta, era abbastanza alta da poter stare in piedi. Sara sciabolò la torcia in fondo alla breve rampa di scalini di mattoni. «È un tunnel quello in fondo alla scala?» Gray scese a indagare, ma non appena il piede toccò il quinto scalino sentì la scala cedere un paio di centimetri sotto il suo peso. Echeggiò un altro clangore metallico. Ebbe un tuffo al cuore quando un pensiero gli balenò alla mente. Una trappola. Dietro di loro, la porta si richiuse. Con un urlo, Sara si lanciò verso l'uscita. Troppo tardi. La porta si chiuse con un netto e definitivo clic. La donna picchiò i pugni sulla pietra, ma era inutile. Erano in trappola. Ore 12.42
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Seichan udì Sara urlare... poi lo schianto di un tuono assordò tutti quelli che tenevano d'occhio la cripta. Mentre l'eco si spegneva, Wallace si affacciò sulla fossa. «Avete trovato qualcosa laggiù?» Nessuna risposta. Seichan notò pure che il bagliore della torcia era svanito. C'era qualcosa che non andava. Reagendo d'istinto, piegò le braccia contro il petto e si calò con agilità nello strettissimo pozzo. Atterrò con un tonfo nell'acqua, smorzando l'impatto con le ginocchia. Infilò il braccio nella nicchia buia e accese l'accendino che stringeva già fra le dita. La luce della fiamma illuminò la cripta sino in fondo. Era vuota. «Che sta succedendo?» gridò Wallace dall'alto. «Sono spariti.» Kowalski si affacciò sul pozzo, bagnato fradicio e accigliato. Lyle era andato a prendere degli ombrelli. «Che vi avevo detto? Mai scendere in una buca con Pierce.» «Potrebbe essere una buona cosa», osservò Wallace. Kowalski lo guardò di traverso. «Devono avere trovato l'entrata segreta», ragionò il professore. Ma quello di Sara non era sembrato un grido d'entusiasmo per qualcosa che avevano scoperto. Seichan s'infilò nella cripta e gridò con quanto fiato aveva in corpo: «Pierce! Sara!» Nonostante i lampi e i tuoni, riuscì a sentire un debole grido. Se non altro erano ancora vivi. S'infilò più dentro. «Non riesco a capire!» gridò. Un tonfo la fece trasalire. Lanciò un'occhiata sopra la spalla e vide Wallace dietro di sé, una mano aggrappata alla corda. «Io non lo farei», li ammonì Kowalski dall'alto. «Taci!» sbottò Seichan. Tese l'orecchio e ascoltò. Riconobbe la voce di Gray. Chiuse gli occhi, concentrandosi. L'uomo stava gridando ordini secchi. Lo immaginò con le mani unite a coppa davanti alla bocca intento a urlare a squarciagola. «È proprio lì dentro! Un mattone verticale! Sopra l'entrata! Tiralo giù!» Avendo bisogno di entrambe le mani, Seichan chiuse l'accendino e s'infilò con tutto il corpo nella cripta. Cercò a tastoni lungo l'entrata, fece scorrere le dita sui mattoni, finché non ne trovò uno che corrispondeva alla descrizione di Gray. Allungò il braccio e tastò la sommità, trovò la scanalatura che faceva da appiglio e tirò con forza. Echeggiò un forte schiocco. La parte posteriore della cripta si aprì. Seichan vide il volto impaurito di Sara, con Gray al suo fianco. «Siamo rimasti chiusi dentro», disse Gray. «Chiama gli altri, ma state attenti al quinto scalino. Chiude la porta.» Alle spalle di Seichan, Wallace puntò la torcia James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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nella loro direzione. «Avete trovato l'entrata. Magnifico! Semplicemente magnifico!» Dopo qualche discussione, scesero tutti la scala e arrivarono sani e salvi nel tunnel inferiore. Un ripido passaggio di pietra s'inoltrava nel buio. Kowalski si rifiutò di seguirli, gridando dall'alto: «Andate voi. Io resto qui ad aspettare gli ombrelli». Di lato, Sara disse: «Venite a vedere questo». Puntò la torcia su una grossa leva di bronzo nel pavimento ai piedi della scala. «Credo sia il comando che apre la porta segreta.» «Ecco come faceva a entrare e uscire padre Giovanni», disse Gray. «Comunque sia, ci conviene incastrare la porta, non si sa mai.» Come precauzione, aveva bloccato la porta aperta con un grosso pezzo di lapide rotta del cimitero. Seichan era d'accordo. Preferiva tenere aperta una via di fuga qualora le cose si mettessero male. Wallace puntò la torcia in fondo al tunnel. «1 monaci del Medioevo costruivano spesso trappole e camere segrete nelle abbazie e nei monasteri. Erano posti pieni di passaggi segreti come questo. Era uno dei loro espedienti per nascondersi dai saccheggiatori. Inoltre, i tunnel davano modo di spiare i loro ospiti. In quei tempi difficili, la conoscenza era una difesa al pari di uno scudo.» «Allora andiamo a vedere cosa nascondevano qui sotto questi monaci», disse Gray, facendo strada. Gli altri lo seguirono. Seichan rimase indietro, chiudendo la fila. Il passaggio digradava in modo ripido, ma non ci volle molto tempo ad arrivare in fondo. Il tunnel si apriva in una cripta a cupola. Senza altre uscite. «Dobbiamo essere proprio sotto le rovine della torre», disse Gray. Wallace passò una mano sulla parete. «Nessun segno di scalpello né di piccone. È una grotta naturale.» Ma gli occhi del professore rimasero appuntati sul centro della cripta, dove troneggiava un grande sarcofago. Arrivava alla cintola e sembrava ricavato da un unico blocco di pietra. Dietro l'arca sepolcrale, sulla parete opposta, campeggiava una croce celtica. Mentre gli altri si avvicinavano al sarcofago, Seichan fissò la croce. Non era raffinata come quelle nel cimitero dell'abbazia. Quella era più semplice e grezza, cosa che le dava un'aria più antica. Le uniche decorazioni erano alcune spirali in bassorilievo, e l'elemento circolare segnato da piccole tacche. Ignorando la croce, gli altri avevano fissato gli occhi sul sarcofago di pietra sul pavimento. I lati erano lisci, il coperchio chiuso. «Possibile che sia il sepolcro di Lord Newborough?» domandò Sara. Wallace pose una mano sul coperchio e fece scorrere le dita sulla superficie ruvida. «Troppo vecchio. Se Newborough è quaggiù, è quasi certamente in una delle altre cripte chiuse. Questa è la tomba di qualcun altro. Inoltre, il sarcofago è fatto di roccia blu, come i menhir neolitici della regione. Deve essere stata estratta da qualche parte sull'isola maggiore e spedita qui per mare. Una bella James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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impresa. Penso che sia la tomba di uno di quegli antichi costruttori di cerchi, forse uno dei loro reali.» «Come la regina dei fomori?» domandò Sara. «Sì, la nostra dea nera», rispose Wallace. D'improvviso, qualcosa attirò la sua attenzione. Corrugando la fronte, si chinò. Puntò la torcia sul lato del sarcofago e illuminò la sua superficie. Passò le dita sulla pietra. «Sembra che qui ci fosse scolpito qualcosa, un tempo. Una specie di decorazione, forse un'iscrizione. Ma qualcuno l'ha quasi tutta cancellata raschiandola.» Di fronte a quella profanazione aggrottò ancora di più le sopracciglia. Gray alzò gli occhi. «Se questo risale al neolitico, la Chiesa potrebbe avere cancellato le iscrizioni originali.» «Sì. Sarebbe stato tipico di loro. Se qualcosa non andava d'accordo con la loro religione, spesso lo distruggevano. Guardi che ne è stato dei codici dei maya, una grande fonte di sapere antico. La Chiesa li giudicò opera del diavolo, e li fece bruciare quasi tutti.» Seichan riconobbe una contraddizione e si fece avanti. «E allora perché non hanno distrutto tutto il sarcofago? Perché prendersi la briga di raschiarlo?» Wallace rispose: «Se è una tomba, potrebbero avere voluto rispettare la sepoltura. La Chiesa, a quel tempo, non era immune dalla superstizione. Potrebbero non avere voluto profanare le spoglie». Gray espresse la propria interpretazione. «Oppure quello che era custodito qui dentro aveva un valore per loro.» «Come la chiave del Doomsday Book», aggiunse Sara. Seichan ignorò l'occhiata di Sara nella sua direzione. Si limitò a incrociare le braccia. Gray si chinò ed esaminò il coperchio. «Sembra che un tempo fosse sigillato con la cera.» Alzò le mani e pulì il dito dalle scaglie di cera. «Ma qualcuno ha rotto il sigillo.» «Deve essere stato padre Giovanni», disse Sara. «Venite a vedere questo.» Si era avvicinata all'antica croce e indicava le pareti ai lati. A carboncino erano stati fatti delle annotazioni e dei calcoli in chiara calligrafia moderna. Sembrava che padre Giovanni avesse misurato tutte le dimensioni della croce, intorno alla quale aveva disegnato anche un cerchio perfetto. Altre linee s'incrociavano secondo uno schema imperscrutabile. Agli occhi di Seichan aveva un non so che di arcano. Cosa stava facendo lì Marco? Gray fissò la croce. Seichan gli lesse sul volto la ridda di ipotesi che gli turbinavano nella mente. Se c'era qualcuno che poteva risolvere quel mistero, era quell'uomo. Alla fine Gray distolse lo sguardo dall'oggetto. Secondo Seichan, una parte della sua mente stava ancora lavorando sul mistero della croce. Tuttavia, Gray indicò il sarcofago. «Se Marco ha rotto quel sigillo, vediamo cosa ha scoperto.» James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Ore 13.03
C'era voluto lo sforzo congiunto di tutti e quattro per spostare il coperchio. Come ha fatto padre Giovanni a spostarlo da solo? si domandò Gray mentre puntava i piedi e spingeva. Lo ha aiutato qualcuno? O ha portato giù degli attrezzi? Tuttavia, la forza bruta si rivelò sufficiente. Con un aspro stridore di pietra su pietra, spinsero il coperchio di lato senza farlo cadere. Gray sciabolò la torcia all'interno del sarcofago. La cavità era stata scavata in un blocco di roccia blu. Si aspettava delle ossa sgretolate, ma, sebbene ci fosse spazio per un corpo, il sarcofago era vuoto. Tranne che per un oggetto. Un grosso libro, rilegato in pelle, giaceva al centro. Era largo trenta centimetri e altrettanto spesso, e lungo sessanta. Sembrava in perfetto stato di conservazione. Con ogni probabilità, il tomo non era stato toccato da quando il sarcofago era stato chiuso e sigillato con la cera. Gray allungò il braccio per prenderlo. «Attento», lo avvertì Wallace, sottovoce. «Non lo danneggi. Dovremmo indossare i guanti.» Gray esitò, percependo l'antichità del libro. Nonostante la raccomandazione, Wallace gli fece cenno di proseguire, impaziente. «Che aspetta?» Deglutendo, Gray pose con cautela due dita sul bordo del libro. Sicuramente padre Giovanni lo aveva già aperto almeno una volta. Quando Gray sollevò la pesante copertina, la legatura, fatta probabilmente con tendini seccatisi da molto tempo, oppose resistenza. «Con delicatezza, ora», lo esortò Wallace. Gray aprì completamente la copertina e l'appoggiò a una parete del sarcofago di pietra. La prima pagina era vuota, ma era abbastanza trasparente da mostrare i ricchi colori della pagina sottostante. Wallace si avvicinò. «Mio Dio...» Il professore allungò il braccio e voltò la prima pagina. «È pergamena», osservò, stringendo il foglio tra le dita. Sgranò ancora di più gli occhi quando rivelò quello che era sotto. Sotto i fasci di luce delle torce, l'inchiostro della pagina successiva brillava come gioielli fusi. Cremisi scuro, giallo oro e viola così vivi da sembrare liquidi. Le illustrazioni delle pagine erano fitte e minuziose, e ritraevano figure umane stilizzate intrecciate con nodi e avvolte in complessi ghirigori. Al centro della prima pagina, circondato e rafforzato dall'intensità e dalla forza delle miniature, campeggiava un uomo con la barba e la corona seduto su un trono d'oro. Era una chiara rappresentazione di Cristo. «È un manoscritto miniato», disse Sara, incantata dalla sua bellezza. Wallace voltò un altro paio di pagine. «È una Bibbia.» Il dito era sospeso sulle James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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chiare righe di latino che scorrevano fitte sulla pagina. La calligrafia era elaborata, con immagini fantasiose che s'intrecciavano con le lettere maiuscole. Anche i margini delle pagine erano decorati con un tripudio di animali mitologici, angioletti e grovigli di nodi. «Questa iconografia mi ricorda il Libro di Kells», disse Wallace. «Un prezioso manoscritto miniato risalente all'VIII secolo. Era il frutto di decenni di lavoro di monaci che facevano vita di clausura. E il libro conteneva soltanto i quattro Vangeli del Nuovo Testamento.» Wallace aggiunse con voce tremante: «Credo che questo libro contenga la Bibbia intera». Scosse la testa. «Se le cose stanno così, ha un valore inestimabile.» «Allora perché è stato lasciato qui?» domandò Seichan. Anche lei si era avvicinata per vedere il libro. Wallace si limitò a stringersi nelle spalle. Ma voltò con cautela ancora qualche pagina della Bibbia, rivelando una risposta. Girando una pagina, apparve un buco quadrato al centro del libro. Ritagliato direttamente nelle pagine a formare una piccola cavità di circa otto centimetri di lato e tre di profondità. Wallace restò senza fiato di fronte a quello scempio. Gray si avvicinò. Il buco era stato fatto col chiaro intento di contenere qualcosa, di nasconderlo e conservarlo. Senza girarsi, Gray allungò il braccio verso Sara. Lei infilò la mano in una tasca interna del giaccone. Sapevano tutti che cosa doveva essere nascosto lì dentro un tempo. Un secondo dopo, Sara pose il piccolo manufatto di pelle nel palmo di Gray. La borsa sembrava fatta con la stessa pelle della rilegatura del libro. Gray appoggiò l'oggetto sulla cavità. Entrava perfettamente. «Padre Giovanni ha rubato il reperto, ma ha lasciato la Bibbia», disse Gray, immaginandosi il dito mummificato nella borsa. «Perché?» Una sola parola che conteneva molte domande. Wallace ne aggiunse un'altra. «Perché Marco non ha parlato con nessuno di questo?» «Forse lo ha fatto», rispose Seichan, gelida. «Se gli hanno dato la caccia e lo hanno ucciso, significa che lo ha detto a qualcuno.» «Ha ragione», convenne Gray. «Forse Marco non ha nemmeno rivelato tutto quello che sapeva, come la scoperta della Bibbia, ma ha detto a qualcuno abbastanza da farsi uccidere.» «Oh, mio Dio...» si lasciò sfuggire d'improvviso Wallace. Gray si girò verso di lui. «Circa due anni fa, Marco mi ha contattato. Aveva bisogno di soldi per proseguire le ricerche. Gli ho detto che il mio finanziatore, la Viatus Corporation, avrebbe potuto sovvenzionare ricerche secondarie collegate col mio scavo. Gli ho fornito il nome del mio contatto. Una caporicercatrice della Viatus. Il suo nome era Magnussen.» Seichan s'irrigidì accanto a Gray, ma non aprì bocca. «Ma non ho più sentito Marco dopo ciò.» Wallace parve amareggiato. «Penso che non si sia mai preso il disturbo. Mi era uscito di mente fino a poco fa. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Oh, mio Dio. Forse l'ho mandato dritto nelle grinfie dei suoi assassini.» Gray ricostruì mentalmente i fatti. Le cose tornavano. La Viatus avrebbe assunto Marco, soprattutto se questi avesse proposto di cercare un potenziale agente neutralizzante per ciò che aveva ucciso le mummie, qualunque cosa fosse. Come avrebbe potuto dirgli di no? Ma poi, lungo la strada, Marco aveva trovato qualcosa che lo aveva spaventato tanto da farlo precipitare a Roma, per vedere Vittorio Veroni e rivelargli tutto ciò che sapeva. I suoi finanziatori dovevano avere scoperto i suoi piani e deciso di farlo fuori. Wallace teneva una mano premuta sulla bocca, ancora sconvolto. Con l'altra mano, rivoltò le pagine sul buco nella Bibbia, nascondendo quella profanazione, come se potesse attenuare il proprio senso di colpa. Prendendo la borsa di pelle dalla mano tesa di Gray, Sara disse: «Padre Giovanni ha rubato il reperto, ma le domande più importanti sono: chi l'ha nascosto qui, tanto per cominciare, e perché?» Le parole di Sara li riportarono al cuore del mistero. La sua vita dipendeva dalla scoperta di quelle risposte. «Forse posso rispondere alla domanda riguardo a chi ha nascosto la Bibbia qui», disse Wallace, tirando un profondo respiro per riprendersi. Gray si girò verso di lui, sorpreso. «Chi?» «Il proprietario della Bibbia, probabilmente.» Wallace accennò di nuovo al libro, alla superficie interna della copertina di pelle. Su cui era stato incollato un foglio di pergamena. Prima, Gray era stato troppo concentrato sul contenuto del libro per notare l'unica pagina nascosta dalla copertina. La esaminò ora. Era fittamente miniata come il resto dell'opera, ma il contenuto principale era un nome stilizzato, probabilmente il proprietario di quel libro inestimabile. Wallace lesse il nome miniato in modo così straordinario. «Mael Maedoc Ua Morgair.» Un nome che non disse nulla a Gray. Cosa che dovette apparire chiara dalla sua espressione. «Non potete vivere da queste parti senza conoscere questo nome», spiegò Wallace. «Soprattutto nel mio campo.» «Chi è?» «Uno dei santi irlandesi più famosi, secondo solo a Saint Patrick. Il suo nome di battesimo era Mael Maedoc, poi latinizzato in Malachia». «San Malachia», interloquì Sara, riconoscendo il nome. «Chi era?» domandò Gray. «È nato più o meno nello stesso periodo in cui è stato compilato il Doomsday Book.» Wallace lasciò che il significato di quelle parole fosse assimilato prima di continuare. «Ha cominciato come abate di Bangor per poi diventare arcivescovo. Passava quasi tutto il suo tempo a fare pellegrinaggi.» «Quindi è venuto quasi sicuramente qui?» Wallace annuì. «Malachia era un uomo interessante, che faceva l'arcivescovo con riluttanza, per così dire. Preferiva viaggiare, mescolarsi coi pagani e coi cristiani della zona, diffondere la parola del Vangelo. Si muoveva con facilità tra i due mondi e alla fine mediò una pace duratura tra la Chiesa e i fedeli James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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dei culti antichi.» Gray rammentò che poco prima Wallace si era detto convinto che gli ultimi pagani avevano combattuto una guerra finale contro il cristianesimo, probabilmente utilizzando un'arma biologica che avevano ereditato dagli antichi. «Pensa che una parte della pace mediata da Malachia riguardasse la conoscenza della piaga e della sua cura, la proverbiale chiave del Doomsday Book?» «Qui ci sono sicuramente le sue impronte», rispose Wallace, indicando con un gesto della mano il libro. «E poi c'è il motivo della sua canonizzazione, la ragione per cui era ritenuto degno di essere fatto santo.» «Sarebbe a dire?» «Ah, qui sta il punto», rispose Wallace. «Malachia aveva fama di essere stato un guaritore durante tutta la sua vita. Numerose guarigioni miracolose sono state attribuite a questo santo.» «Proprio come la storia dell'isola di Bardsey», osservò Gray. «Ma mi viene in mente anche un altro aneddoto riguardo a Malachia. Un aneddoto che si racconta nella mia Scozia. Attraversando a piedi Annandale, chiese a un proprietario terriero di risparmiare la vita di un borsaiolo. Il proprietario accettò, ma alla fine impiccò lo stesso il ladro. Indignato, Malachia lo maledisse... e non morì solo il proprietario, ma anche tutta la sua famiglia.» Wallace lanciò uno sguardo significativo verso Gray. «Guarigioni e maledizioni», borbottò Gray. «Sembra che Malachia avesse imparato qualcosa dai suoi nuovi amici druidi, qualcosa che la Chiesa decise di tenere nascosto da queste parti.» Sara lo interruppe. «Ma ha dimenticato il motivo per cui Malachia era più famoso.» «Ah, intende dire le profezie», ammise Wallace, roteando gli occhi. «La profezia dei papi», spiegò Sara. «Si narra che, durante un pellegrinaggio a Roma, Malachia cadde in trance ed ebbe una visione di tutti i papi del suo tempo sino alla fine del mondo. Li trascrisse tutti con meticolosità.» «Tutte sciocchezze», ribatté Wallace. «Si dice che la Chiesa abbia trovato presumibilmente il libro di Malachia nei propri archivi circa quattro secoli dopo la morte del santo. È probabile che il libro fosse un falso.» «E secondo alcuni non era che una copia del testo originale di Malachia. In ogni caso, le descrizioni di ogni papa si sono rivelate stranamente precise nel corso dei secoli. Prendiamo gli ultimi due papi. Malachia descrive Giovanni Paolo II col motto De labore solis, ovvero 'la fatica del sole'. Era nato durante un'eclissi di sole. E poi c'è il papa attuale, Benedetto XVI. Descritto col motto De gloria olivae, 'la gloria dell'olivo'. Difatti, il simbolo dell'ordine benedettino è il ramo di olivo.» Wallace respinse tutto con un gesto della mano. «È solo gente che legge troppe cose in criptici frammenti in latino.» Sara guardò Gray in cerca di comprensione. «Ma più inquietante di ogni altra cosa è che l'attuale papa è il centoundicesimo dell'elenco di Malachia. Il prossimo papa, Pietro romano, sarà l'ultimo papa, secondo la profezia. Il papa salirà al soglio pontificio quando arriverà la fine del mondo.» «Allora siamo James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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tutti spacciati», disse Seichan, in tono non meno scettico di Wallace. «Be', io lo sono sicuramente», ribatté Sara, zittendola. «A meno che non troviamo quella dannata chiave.» Gray tacque, non volendo intervenire in quella questione. Ma Sara aveva ragione su una cosa: dovevano trovare quella chiave. Raddrizzandosi, rifletté sul significato del ritrovamento della Bibbia di un santo morto in un sarcofago pagano. E cosa più importante... «Crede che fosse il dito di san Malachia quello nella Bibbia?» domandò Gray. «No», rispose Wallace, convinto. «Questo sarcofago è troppo vecchio. Troppo. Penso che risalga al periodo di Stonehenge. Qualcuno è stato sepolto qui, ma non Malachia.» «Allora chi?» volle sapere Gray. Wallace si strinse nelle spalle. «Come ho detto, probabilmente un reale del neolitico. Forse una regina pagana nera. Tuttavia, penso che quel dito sia tutto ciò che rimane di chi era sepolto qui.» «Perché lo pensa?» «E dov'è il resto del corpo?» domandò Sara. «Traslato altrove. Probabilmente dalla Chiesa. Forse da Malachia stesso. Ma hanno lasciato l'osso qui, come era tradizione a quei tempi. Era peccato traslare una salma dalla sua tomba a meno che non si lasciasse un pezzetto.» «Una reliquia di quella persona», comprese Sara, annuendo. «Così che possano continuare a riposare in pace. Mio zio Vittorio me ne ha parlato una volta. Era ritenuto sacrilego fare altrimenti.» Gray guardò nel sarcofago. «Malachia ha usato la propria Bibbia per conservare la reliquia. Doveva essere convinto che chi era sepolto qui era degno di quell'onore.» Gray rammentò la descrizione che padre Rye aveva fornito di Marco il giorno che era tornato dall'isola tutto sconvolto. Il giovane prete aveva passato tutta la notte a invocare perdono. Era perché aveva rubato la reliquia, profanando con ciò una tomba che era stata consacrata da un santo della propria Chiesa? E, se così, che cosa lo aveva spinto a farlo? Sara sollevò un'altra questione importante. «Perché le spoglie sono state traslate?» Wallace offrì una spiegazione. «Forse per mettere al sicuro ciò che era nascosto qui. All'epoca di Malachia, l'Inghilterra e l'Irlanda erano attaccate da continue ondate di predoni vichinghi. L'isola, priva di difese, era particolarmente vulnerabile.» Gray annuì. «E, se la chiave era conservata in questa cripta, doveva essere in qualche modo legata alle spoglie che erano state tumulate qui. Perciò, per proteggere questa conoscenza, era necessario trasferire le spoglie e la chiave in un luogo più sicuro.» «Ma che diavolo è questa chiave?» domandò Seichan. «Cosa stiamo cercando di preciso?» Gray rivolse lo sguardo sull'unico altro indizio che padre Giovanni aveva lasciato. Si avvicinò al muro e fissò le annotazioni a carboncino accanto alla croce. Appoggiò una mano sul muro. Che enigma stava cercando di risolvere Marco? Gli altri si radunarono dietro di lui. Gray guardò la croce celtica. Solo allora notò un particolare. «La croce», disse, sfiorandola con le dita. «È fatta della stessa pietra del sarcofago. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Sembra sia stata raschiata anche questa.» Wallace fece un passo avanti. «Ha ragione.» Gray si girò verso di lui. «Questa non è stata messa qui da Malachia o da qualche altro devoto cristiano per segnare il sepolcro.» «Era già qui.» Gray guardò la croce con occhi nuovi, non vedendola più come un simbolo cristiano, bensì pagano. Forniva qualche indizio sulla vera natura della chiave? Dalle annotazioni sul muro, padre Giovanni stava cercando di capire qualcosa. Volendo saperne di più, Gray puntò la torcia sulla base della croce. «Il trittico di spirali vicino alla base della croce. Ha un significato particolare?» Wallace si unì a Gray e Sara. «È la triplice spirale, detta anche triskel. Ma in realtà non sono tre spirali. È una sola. Osservate come i tre archi si uniscono e si fondono a formare un unico motivo elicoidale. Lo stesso motivo è presente su antiche stele in tutta Europa. E, come molti simboli pagani, la Chiesa si è appropriata anche di questo. Per i celti, simboleggiava la vita eterna. Ma per la Chiesa simboleggiava alla perfezione la Santissima Trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Tutti intrecciati fra loro. Uno e trino.» Gray spostò lo sguardo sulla spirale singola al centro della croce, come il mozzo di una ruota. Gli tornò in mente ciò che Painter aveva detto di quel simbolo durante la sua riunione. Di come la croce e la spirale pagana fossero spesso trovate insieme, l'una sull'altra. La croce simboleggiava la terra, mentre la spirale rappresentava il viaggio dell'anima, che passava da questo mondo all'altro, come una spira di fumo. Gray spostò l'attenzione sulle annotazioni lasciate sul muro da padre Giovanni. Sentiva che avevano un significato. Poteva quasi afferrarlo, ma continuava a sfuggirgli. Avvicinandosi, Gray posò la torcia e alzò il braccio verso la sezione circolare della croce. Fece scorrere le dita sulle tacche. Come i raggi di una ruota. Quando il pensiero gli balenò alla mente, era ancora intento a fissare la spirale al centro della croce. Poco prima, l'aveva paragonata al mozzo di una ruota, sembrava persino che stesse girando. Poi, di colpo, gli apparve tutto chiaro. Forse lo aveva intuito dal primo momento, ma non era riuscito a superare il simbolismo cristiano. Ora, considerando la croce in modo nuovo e accantonando i preconcetti, capì che cosa lo tormentava. «È una ruota.» Allungando di più il braccio, afferrò il cerchio di pietra e lo ruotò in senso antiorario, nella direzione delle spire. Si mosse! Mentre ruotava il cerchio, spostò lo sguardo sui calcoli disegnati sul muro. La croce celava un indizio sulla chiave, ma per scoprirlo bisognava conoscere il codice giusto. La ruota doveva fungere da serratura a combinazione, per proteggere una cripta segreta dove un tempo era custodita la chiave. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Stando a tutti i calcoli segnati sul muro, Marco stava lavorando su quella sequenza, nel tentativo di scoprire la combinazione. Purtroppo, Gray capì una cosa troppo tardi. Si poteva fare un solo tentativo. E gli andò male. Un boato pauroso fece tremare la terra sotto i piedi. Il pavimento crollò d'improvviso. Gray si aggrappò alla traversa della croce con le dita. Penzolando, lanciò un'occhiata sopra la spalla e vide la parte posteriore del pavimento della cripta sollevarsi. L'intero pavimento si stava inclinando, bloccando l'unica via d'uscita. Gli altri gridarono e si puntellarono dove poterono. Il coperchio di pietra scivolò giù dal sarcofago, slittò sul pavimento inclinato e precipitò nella voragine sotto i piedi di Gray. La sua torcia era già ruzzolata nel baratro, dove la luce illuminava un fondo irto di spaventose punte di bronzo. Il coperchio di pietra si schiantò sui chiodi e andò in pezzi. Alle spalle di Gray, il pavimento continuava a inclinarsi, nel tentativo di buttare tutti giù. Wallace e Sara erano riusciti a riparare dietro il sarcofago e a puntellarsi. Ancorata al pavimento, l'arca sepolcrale rimase al suo posto. Seichan non riuscì a raggiungere il riparo in tempo e cominciò a slittare verso la voragine. Sara allungò di scatto il braccio e l'afferrò per il giaccone quando l'altra le passò accanto. La tirò abbastanza vicino da permetterle di aggrapparsi al bordo del sarcofago. Sara la tenne stretta. Nei momenti di pericolo, le due donne dipendevano l'una dall'altra per sopravvivere. Quando il pavimento raggiunse la posizione verticale, Seichan penzolò nel vuoto come Gray. Ma Gray non aveva nessuno che lo tenesse stretto. Le dita scivolarono, e precipitò verso le lance acuminate.
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Capitolo 22
† Svalbard, Norvegia, 13 ottobre, ore 13.13
L
a testata esplose come programmato. Anche dietro due porte d'acciaio e strati di roccia madre, Painter sentì l'esplosione come se un gigante avesse tentato di schiacciargli il cranio tra le mani. E nonostante tutto udì lo stesso esplodere le camere di equilibrio degli altri due depositi dei semi. Dal fragore, lo stesso gigante aveva pestato un piede e aveva schiacciato le altre due camere. Rannicchiato a ridosso della loro camera di equilibrio, Painter udì la porta esterna cedere e schiantarsi contro quella interna con un clangore assordante. Ma l'ultima porta resse. La sovrappressione della camera di equilibrio era bastata a reggere l'improvvisa onda d'urto. Painter toccò la porta d'acciaio con un sospiro di sollievo. La superficie era calda, investita dalla vampata secondaria della bomba termobarica. Anche le luci erano state spente dall'esplosione. Ma il gruppo si era preparato per quello. Erano state distribuite le torce elettriche, che ora si accendevano con un guizzo come candele al buio. «Ce l'abbiamo fatta», disse il senatore Gorman al suo fianco. Alle orecchie rintronate di Painter, la voce del senatore aveva un suono metallico. Gli altri cominciarono ad alzarsi da terra. Grida di sollievo, persino qualche risata nervosa, rimbalzarono tra gli ospiti e i dipendenti lì radunati. A Painter non piaceva essere quello che portava cattive notizie, ma non avevano tempo per le false speranze. Si alzò e sollevò le braccia. «Silenzio!» gridò, richiamando l'attenzione generale. «Non siamo ancora usciti di qui! Ancora non sappiamo se l'esplosione è riuscita a sfondare il muro di ghiaccio che ci tiene intrappolati quaggiù. Se siamo ancora bloccati, potrebbero volerci giorni per i soccorsi.» Painter chiese conferma al tecnico della manutenzione con un gesto della mano. Lui viveva lì. Conosceva il territorio e le risorse dell'arcipelago. «Potrebbe volerci una settimana buona», confermò. «E sempre che la strada sia ancora percorribile.» Quello era difficile, considerato il bombardamento che Painter aveva udito. Ma lo tenne per sé. La notizie erano già abbastanza cattive. E non erano finite. Painter indicò la porta. «Il fuoco avrà bruciato gran parte dell'ossigeno disponibile e reso tossica l'aria là fuori. Anche se l'uscita è libera, i livelli qui sotto saranno ancora saturi di aria irrespirabile. Questo è l'unico posto sicuro, ma lo sarà per un paio di giorni, forse tre.» Il tecnico parve sul punto di ridurre la previsione, ma James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Painter lo fermò con una mano sul braccio. Ed evitò anche di dire al gruppo il vero motivo della sua urgenza. Chiunque abbia attaccato potrebbe tornare. Sul gruppo era sceso un silenzio pensoso a quelle notizie. Alla fine Karlsen parlò dall'ultima fila. Quelli erano quasi tutti suoi ospiti. «E allora che facciamo?» «Qualcuno deve andare là fuori, controllare la porta. Se è aperta, deve fare una bella corsa attraverso una nube tossica. Qualcuno deve uscire e tornare coi soccorsi. Gli altri resteranno qui, dove sono al sicuro per il momento.» «Chi ci va?» volle sapere il senatore Gorman. Painter alzò la mano. «Io.» Karlsen fece un passo avanti. «Da solo no. Vengo con lei. Potrebbe avere bisogno di un paio di braccia in più.» Aveva ragione. Painter non sapeva cosa avrebbe potuto incontrare fuori di lì. Un crollo parziale, un groviglio di apparecchiature danneggiate. Potevano essere necessarie due persone per spostare un ostacolo. Tuttavia squadrò Karlsen, scettico. Aveva una certa età. Karlsen gli lesse il dubbio sul volto. «Ho fatto una mezza maratona due mesi fa. Faccio jogging tutti i giorni. Non le sarò d'intralcio.» Il senatore lo raggiunse. «Allora vengo anch'io.» Era chiaro che Gorman non aveva intenzione di perdere di vista l'assassino di suo figlio. E, a dire la verità, nemmeno Painter lo voleva. Aveva un sacco di domande da porgli, domande che si sarebbero potute rivelare cruciali per scongiurare un disastro ecologico. Nonostante ciò, preferiva che i due uomini restassero lì. Ma Karlsen sollevò un'obiezione che Painter non riuscì a respingere. Accennò con un gesto alla porta. «Non è un argomento di discussione. Che le piaccia o no, non può impedirmi di seguirla. Io vengo con lei.» Gorman spalleggiò Karlsen. «Veniamo tutti e due.» Painter non aveva tempo di discutere. Non era autorizzato a far ammanettare Karlsen a uno degli scaffali. Infatti, lì Karlsen aveva più sostenitori di lui. «Allora andiamo.» Painter prese una delle torce elettriche. Con una borraccia inumidì alcune sciarpe che usarono per coprirsi la bocca e il naso. «Cercate di trattenere il respiro il più possibile.» Gli altri annuirono. Il tecnico si era procurato anche degli occhiali di protezione per riparare gli occhi dall'aria surriscaldata e satura di fumo. Erano pronti come di più non avrebbero potuto. Davanti alla porta, Painter affidò gli altri al tecnico della manutenzione. Se le cose fossero andate storte, l'uomo aveva la competenza necessaria per proteggere gli altri il più a lungo possibile. «Quando aprirò la porta, la pressione sarà più alta dentro che fuori. Risucchierà una parte dell'ossigeno. Perciò la richiuda non appena usciamo e non la riapra a meno che non torniamo a bussare. Se la via è bloccata, torneremo subito. Se non lo è, preghi che vada tutto bene.» «Non ho smesso di pregare da James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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quando ho visto la bomba», rispose il tecnico, abbozzando un sorriso. Painter gli diede una pacca sulla spalla e si girò verso Gorman e Karlsen. «Pronti?» I due annuirono. Painter si girò verso il tecnico e disse: «Apra». Poi, rivolgendosi ai due uomini, aggiunse: «Tirate un profondo respiro». La porta si schiuse con un sibilo inquietante di aria che usciva e una folata di caldo spaventoso. Painter si precipitò nel tunnel immerso nel buio. Sembrava di attraversare una sauna. Ma lì il vapore bruciava la pelle con ben altro che il calore. Painter sentiva il bruciore delle sostanze chimiche. L'aria lì fuori era peggiore di quanto avesse immaginato. Udì gli altri seguirlo con passo pesante. Quando ebbe svoltato nel tunnel principale, Painter spense la torcia. Non vide nessuna luce più avanti. Il tunnel era rettilineo. Se l'uscita era libera, anche un filo di luce avrebbe brillato come un faro. Cominciò a rallentare il passo. Non aveva funzionato. Erano ancora intrappolati in quel pozzo venefico. Ma, dopo un altro paio di passi al buio, i suoi occhi si abituarono meglio all'oscurità a mano a mano che il bagliore della torcia svaniva. Non era molto, ma in fondo al tunnel una luce fioca filtrava nel buio saturo di fumo. Emise un piccolo sospiro di sollievo, sprecando l'aria preziosa. Mentre in lui si faceva posto la speranza, accese la torcia e corse più forte. Non sapeva se Gorman o Karlsen avessero visto quella piccola luce incoraggiante, ma conoscevano il piano. Se non avessero visto nulla, sarebbero dovuti tornare indietro. Siccome Painter continuava a correre, sapevano cosa voleva dire. Si misero tutti a correre più forte, attraversando l'area del buffet, devastata dall'esplosione. I tavoli erano stati rovesciati e scaraventati in fondo al tunnel. Tutto ciò che era di plastica si era fuso. La fila di sculture di ghiaccio si era vaporizzata. Tutto ciò che era infiammabile aveva preso fuoco, ma il consumo di ossigeno causato dalla bomba termobarica aveva estinto con altrettanta rapidità gli incendi. Il fumo residuo aleggiava ancora come una cappa nell'aria, ma, più lontano correvano, più si diradava. Una fine polvere nera copriva ogni cosa, un sottoprodotto del lampo di alluminio fluorurato. Corsero avanti. Painter fu costretto a tirare il primo respiro. Premette la sciarpa bagnata sul naso e inspirò una boccata d'aria. Puzzava di gomma bruciata e bruciava come acido. Non sapeva quanto ossigeno era rimasto, ma continuò a correre. Più saliva, più pulita sarebbe diventata l'aria... soprattutto senza il tappo di ghiaccio. Arrivò più o meno a metà strada; mancava solo una settantina di metri. Ora poteva vedere una luce fioca anche con la torcia accesa. Una luce che lo attirava. Ma, quanto più era costretto a respirare, tanto più il tunnel cominciava a James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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ondeggiare, a sfavillargli un po' davanti agli occhi. Gli bruciavano i polmoni, gli prudeva tutto il corpo. Ma non rallentò. Diede un'occhiata alle proprie spalle e vide gli altri due uomini restare indietro. Il senatore Gorman era quello che aveva l'aspetto peggiore, quello che vacillava. Karlsen lo sorreggeva per il braccio, spronandolo a correre. Painter rallentò per aiutarli. Gli servano vivi tutti e due. Ma Karlsen gli fece un cenno stizzito. Un ordine chiaro. Continua a correre. Painter si rese conto che aveva ragione. Doveva uscire da quella nube tossica, schiarirsi la mente. Se necessario, poteva tornare indietro a prenderli. Non avendo altra scelta, corse incontro alla luce e alla speranza di aria pulita. Finalmente comparve la porta blindata, immersa in una luce azzurrognola. Un paio di punti più luminosi gli ferivano gli occhi. Ma, mentre correva, Painter ebbe un tuffo al cuore. Non è possibile... Il bagliore non era che la luce del sole che si diffondeva nel ghiaccio. L'esplosione non li aveva liberati. Painter corse lo stesso verso l'uscita. Non c'era nessun altro posto dove andare. Mentre si avvicinava, si rese conto che alcuni dei punti più luminosi erano spiragli nel muro di ghiaccio. La speranza si riaccese in lui, tanto da spingerlo verso la porta. Raggiunse uno degli spiragli, premette il viso sul primo che gli capitò e respirò a pieni polmoni. Se non altro, era deliziosamente fresca. Inspirò varie volte. La mente cominciò subito a schiarirsi, la nebbia nella sua testa a diradarsi. Si girò e vide Karlsen e Gorman a una quindicina di metri di distanza. Ora Karlsen stava mezzo trasportando il senatore. Painter si staccò dal muro di ghiaccio e si affrettò a tornare indietro. Sorresse Gorman per l'altro braccio. Insieme, percorsero zoppicando il resto del tunnel fino alla porta. Painter fece respirare entrambi gli uomini dalle fratture nel muro, poi trovò un altro punto più in alto. Mentre inspirava aria, si rese conto che il ghiaccio non era ricoperto di fuliggine nera. Quello era ghiaccio nuovo. L'esplosione doveva avere sgombrato l'entrata... ma era caduta una seconda valanga, chiudendoli di nuovo dentro. Il ghiaccio non era così spesso, però. Painter appoggiò un occhio sulla fenditura. Poteva vedere fuori. In alto, la barriera era spessa una sessantina di centimetri, ed era fatta di blocchi sparsi. Erano grossi, ma col tempo forse sarebbero riusciti a scavare un'uscita. Tuttavia, Painter aveva la sensazione che non avessero molto tempo. Nessuno poteva sapere quando sarebbe potuta cadere un'altra valanga sull'entrata. Per tutta risposta, Painter udì un rombo. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Sentì il ghiaccio tremare sotto la guancia. Oh, no... Ore 13.20
Dall'altra parte della valle, Monk vide l'esplosione. Il rumore fu come un rombo di tuono nella testa. Sbigottito, rintronato, fu scaraventato di sedere nella neve. A Creed e ai due norvegesi non andò meglio. Un'enorme eruzione di ghiaccio e fiamme era uscita dal deposito dei semi. Una nube nera si era innalzata nel cielo. Come se offese, le nubi temporalesche si squarciarono e la neve cominciò a cadere fitta. Un secondo prima non nevicava, quello dopo, grossi fiocchi di neve soffiati dal vento riempirono il cielo. Cambiò in tormenta in mezzo minuto. Ma, prima che calasse quella cortina, Monk vide che l'esplosione aveva scoperto il bunker di cemento... almeno per un paio di secondi. Subito dopo, una seconda valanga aveva seppellito l'entrata. Era sopravvissuto qualcuno là sotto? Ai piedi della montagna, rimbombarono un paio di spari. Monk non vedeva più la spedizione di mercenari, ma quella continuava ad arrancare su per il fianco, per fare repulisti. Se qualcuno era scampato a quell'esplosione sotterranea, aveva i minuti contati. A Monk rimaneva una sola alternativa. Ci volle l'aiuto di Creed, ma alla fine riuscì a convincere i norvegesi. Ore 13.21
Col brontolio che aumentava e col ghiaccio che tremava, Painter pregò che la valanga non fosse grande. Ma il rombo crebbe d'intensità. E poi, dalla cortina di neve e vento, sbucò uno SnoCat , che risaliva dal basso. Non rallentò e si diresse dritto verso di loro. «Indietro!» gridò Painter. Scostò Gorman dall'entrata con uno spintone, poi afferrò Karlsen per il cappuccio del parka e li spinse entrambi di forza lontano dal muro di ghiaccio. Appena in tempo. Il pesante veicolo colpì l'entrata bloccata come un treno in corsa. I cingoli anteriori arrancarono su per la barriera di ghiaccio. Il paraurti sfondò la parte superiore dell'entrata. I blocchi di ghiaccio andarono in pezzi e scivolarono nel tunnel. Lo SnoCat indietreggiò, preparandosi probabilmente a un altro assalto. Painter corse avanti. Il paraurti aveva aperto un varco abbastanza largo da consentirgli di passare. Infilandosi nella breccia frastagliata, attraversò la porta James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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con le mani e coi gomiti. Lo SnoCat si fermò di colpo mentre arretrava. La portiera del passeggero si aprì e una figura familiare si sporse fuori. «Direttore Crowe?» disse Monk con espressione sollevata. «Monk... sei un balsamo per gli occhi.» E gli occhi di Painter ne avevano bisogno, rossi e infiammati com'erano. «Me lo dicono spesso», ribatté Monk. «Ma dobbiamo sbrigarci.» Painter si girò. Karlsen uscì dalla breccia, seguito dal senatore. «C'è altra gente bloccata là sotto.» «Ed è meglio che ci resti.» Monk saltò giù, si sporse di nuovo dentro l'abitacolo e ne uscì con le braccia piene di fucili. «Sapete sparare?» domandò agli altri due uomini. Sia Gorman sia Karlsen annuirono. «Bene, perché abbiamo bisogno di tutta la potenza di fuoco possibile.» «Perché?» volle sapere Painter. Prima che Monk potesse rispondere, il borbottio lontano di un potente motore echeggiò nella bufera. «Perché abbiamo compagnia.» Painter raggiunse Monk davanti allo SnoCat e prese un fucile. Notò che a bordo del mezzo c'era solo un uomo, un soldato norvegese. Si guardò intorno. «Dov'è Creed?» domandò Painter. «L'ho lasciato col compagno di questo soldato sulle nostre motoslitte. Sono andati a cercare aiuto.» Painter si augurò che tornassero in tempo coi rinforzi. Valutò il gruppo rimasto a difendere il forte. Un veicolo e quattro uomini. Ad Alamo avevano avuto più speranze... e guarda com'era andata a finire.
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Capitolo 23
† Isola di Bardsey, Galles, 13 ottobre, ore 13.32
P
er poco Sara non mollò Seichan quando vide Gray perdere l'appiglio e precipitare. L'uomo scivolò lungo la croce e si aggrappò al triskel in bassorilievo che ornava il braccio inferiore della croce. Gray si arrampicò e afferrò con le dita il bordo superiore del simbolo che sporgeva. Avrebbe retto il suo peso o si sarebbe staccato? Cercò di non agitarsi troppo. I piedi penzolavano a sei metri da una voragine irta di punte acuminate. Ma Gray non era l'unico in pericolo di vita. Sara scivolava sul lato rovesciato del sarcofago. «Mi prenda per le gambe!» gridò a Wallace dietro di sé. Il professore era aggrappato come lei sul sarcofago di pietra, in equilibrio non meno precario del suo. L'agguantò per le caviglie e la fermò. Ciò rassicurò Sara, ma non più di tanto. Sporgeva dal sarcofago, tenendo stretta Seichan per la giacca. La donna che l'aveva avvelenata era aggrappata al bordo dell'arca sepolcrale soltanto con le dita. Nessuna delle due poteva reggere a lungo. Una piccola scossa fece tremare la cripta. Quella trappola era antica. Farla scattare doveva avere sconvolto il fragile equilibrio raggiunto nel corso dei secoli. Sara pensò alle rovine della torre di sopra. C'era il rischio che crollasse tutto. Un'altra scossa fece tremare il pavimento inclinato. Dentro il sarcofago, la Bibbia di Malachia ruzzolò fuori e precipitò nella voragine, dove una lancia la infilzò al centro. Wallace mandò un gemito a quella perdita, ma avevano preoccupazioni più urgenti. Sballottata dalla scossa, Seichan perse la presa e precipitò senza emettere un suono, come se se lo aspettasse, se lo meritasse. Anche una mano di Sara perse la presa, ma l'altra continuò a stringere la giacca di Seichan. Interruppe la caduta della donna con uno strappo della spalla. Ma il peso la trascinò oltre il bordo del sarcofago. Solo Wallace, che la teneva per le caviglie, impedì a tutt'e due di precipitare verso morte certa. Sara penzolava a testa in giù coi fianchi e con le gambe bloccati da Wallace sul sarcofago. Era difficile respirare. Seichan dondolava di sotto, appesa per la giacca. L'unico segno di paura era il modo in cui stringeva forte al collo la giacca con James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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entrambe le mani. Sara voleva lasciarla andare, ma quella donna era la sua unica ancora di salvezza. Il pavimento tremò di nuovo. Un pezzo della volta della cripta si staccò e una grande lastra precipitò, schiantandosi sulle punte acuminate. Chiuse gli occhi e pregò per un miracolo. La risposta divina gli giunse dalla più improbabile delle fonti. «Che cazzo succede?» L'esclamazione riecheggiò dall'altra parte del pavimento inclinato, dove il tunnel conduceva alla cripta di Lord Newborough. Era Kowalski. Doveva essere sceso perché si era spazientito o perché aveva udito scattare la trappola. «Aiuto!» gridò Sara, ma col petto stirato e col ventre schiacciato non le uscì che un gemito. «Ehilà!» fece Kowalski. Era chiaro che non l'aveva sentita. «Kowalski!» gridò Gray penzoloni. «Pierce! Dove sei? Vedo solo una voragine e un muro vuoto. Come avete fatto a passare dall'altra parte?» Dal tunnel, Kowalski non vedeva che il disotto del finto pavimento... e la voragine. Gray gridò di nuovo: «Torna indietro e tira la barra!» «Tiro cosa?» «La leva! In fondo al tunnel!» «Ah, d'accordo! Non mollate!» Sara lanciò un'occhiata a Seichan, poi a Gray. Non mollate. Non potevano fare altro. «Muoviti!» gridò Gray. Aveva ripreso a scivolare. La voce di Kowalski giunse più fievole. «Non mi stressare!» Sara stringeva con tutte le sue forze. Chiuse gli occhi e si figurò la leva che usciva dal pavimento. L'aveva vista poco prima. Era logico pensare che ci fosse un comando per ripristinare quella trappola. Anche se il meccanismo poteva uccidere i ladri che capitavano laggiù, i costruttori del trabocchetto avrebbero avuto bisogno di un sistema per ripristinare la condizione iniziale. Altrimenti sarebbero stati isolati dalla chiave anche loro. Un comando di ripristino doveva essere collocato da qualche parte all'esterno della cripta. Ma dove? Pregò che l'intuizione di Gray fosse giusta. Ebbe la risposta un secondo dopo. D'improvviso, l'intero pavimento prese a vibrare. Un gran stridore d'ingranaggi fece tremare la cripta e il pavimento ricominciò a inclinarsi, ma nella direzione sbagliata. Si stava ribaltando. Sara non ebbe nemmeno il coraggio di gridare mentre slittava sulla pietra. Si sarebbero capovolti. Poi qualcosa si bloccò. Il pavimento si fermò con un sobbalzo spaventoso. Con uno stridore d'ingranaggi ancora più forte, invertì lentamente la rotazione, girando di nuovo nella direzione giusta. Sara si tenne stretta, recitando con le labbra il Padrenostro. Vide il bordo del pavimento risalire sotto i piedi di Gray e risospingerlo verso James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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l'alto. Ruzzolò giù dal sarcofago, cadendo sul pavimento che ritornava in posizione orizzontale. Giacquero tutti a terra, col fiato grosso. Anche Gray si afflosciò a sedere accanto alla croce. Kowalski tornò con una torcia elettrica. «Se avete finito di divertirvi quaggiù...» Gray gli lanciò un'occhiataccia. «Sono venuto a dirvi che la tempesta sta peggiorando. Lyle dice che ci conviene muoverci se vogliamo andarcene da quest'isola desolata.» Prima che qualcuno potesse tirarsi in piedi o rispondere, un'altra sezione del soffitto crollò, schiantandosi sul pavimento come una bomba. Seguirono acqua e mattoni. La torre stava crollando sulle loro teste. «Fuori di qui!» gridò Gray. Scattarono tutti in piedi e si precipitarono verso l'uscita. Un forte crac fece sobbalzare il pavimento, che si mise a ondeggiare, su e giù, mentre qualcosa si rompeva nell'antico meccanismo. Perdendo l'equilibrio, Sara cadde di lato, ma Gray l'afferrò per la vita e si precipitò verso il tunnel con lei. Si lanciarono tutti nel passaggio mentre implodeva un'altra parte della grotta. Un'ultima occhiata mostrò il pavimento di traverso mentre una cascata di mattoni e pioggia inondava la cripta. Dopodiché fu troppo lontana per vedere qualcos'altro. Un secondo dopo, un fragore spaventoso li inseguì. Poi una nube di polvere salì su per il tunnel, inghiottendoli. Tossendo, raggiunsero l'uscita e s'issarono su per il pozzo, l'uno dopo l'altro. Di nuovo fuori, nella tempesta, uno sbalordito Lyle porse loro gli ombrelli. Sara ne prese uno, ma rivolse il volto al cielo e lasciò che la pioggia la investisse. Ce l'avevano fatta. Ore 13.42
Gray fissò le rovine della torre dell'abbazia. Ora non erano che un mucchio di macerie semisepolte nel terreno. L'acqua aveva già cominciato a formare una pozza. La grotta era andata sicuramente distrutta. Un ruggito si levò alle loro spalle quando Lyle mise in moto il trattore. La tempesta mandava lamenti: i venti si erano fatti più rabbiosi mentre loro erano nella cripta. Pioveva a dirotto, picchiando a volte di traverso quando i venti soffiavano dal mar d'Irlanda e sferzavano l'isola. Anche i fulmini si erano attenuati, come se intimoriti dalla furia crescente della tempesta. Salirono sul rimorchio per tornare giù al porticciolo. Lyle curvò la schiena sul sedile e ingranò la marcia. Il rimorchio barcollò quando cominciò a muoversi. Si rannicchiarono tutti, nel tentativo di proteggersi dall'acqua e dal vento. Wallace si volse a guardare le rovine dell'abbazia di Saint Mary. «È la prima regola James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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dell'archeologia», disse, lanciando poi un'occhiata di traverso a Gray. «Non toccare niente.» Gray non biasimava il professore per averlo rimproverato. Aveva agito senza valutare bene i pericoli. Era rimasto sconvolto dalla scoperta che la croce era precristiana e che la ruota girava davvero. Era stato avventato. Al contrario di padre Giovanni. A giudicare da tutti i suoi calcoli, il sacerdote aveva affrontato l'enigma con metodo scientifico. Ma, del resto, padre Giovanni era un archeologo. E non aveva una donna in bilico tra la vita e la morte. Al suo gruppo rimanevano soltanto due giorni per risolvere quell'enigma. Gray non avrebbe chiesto scusa se stringeva le indagini, se correva rischi, se era avventato per ottenere dei risultati. Nonostante ciò, ripensando alle annotazioni e ai calcoli meticolosi di padre Giovanni, sapeva che aveva trascurato qualcosa. Più cercava di individuarlo, più gli sfuggiva. Wallace scosse la testa. «Pensi cosa avremmo potuto scoprire se avessimo avuto più tempo per studiare quella croce...» Gray colse l'accusa velata nelle sue parole. L'abituale giovialità di Wallace era stata logorata dalla stanchezza, dalla paura e da non poca delusione. Con un solo errore, avevano distrutto un manoscritto miniato d'inestimabile valore e perso l'occasione di scoprire chissà quale segreto custodito dalla croce. «E se la chiave fosse ancora là sotto?» domandò Wallace, tagliente. Gray perse la pazienza. «Lei non ci crede. E nemmeno io», sbottò in tono più aspro di quanto intendesse. Ma del resto era stanco anche lui. «Come fa a saperlo con certezza?» insistette Wallace. «Perché padre Giovanni se n'è andato. Ha proseguito le ricerche. Credo abbia risolto l'enigma della croce, abbia trovato la cripta vuota che un tempo custodiva la chiave e poi sia passato oltre, prendendo l'unico oggetto che gli serviva per continuare le ricerche.» «La reliquia nella cripta», disse Sara. Gray fissò la tempesta. «La chiave è ancora là fuori. Non credo che la croce abbia aiutato granché padre Giovanni. Perciò ha proseguito le ricerche, così come dobbiamo fare noi.» «Ma dove?» volle sapere Wallace. «Da dove cominciamo a guardare? Siamo di nuovo al punto di partenza.» «No, non è così», ribatté Gray. «Come fa a dirlo?» Gray ignorò la domanda e si volse verso Sara. «Come facevi a sapere così tante cose su san Malachia?» Lei si spostò sulle tavole di legno, colta alla sprovvista. «Mio zio Vittorio. Era affascinato dalle profezie. Parlava ore e ore di Malachia.» Gray lo aveva immaginato. Monsignor Veroni era sempre stato appassionato di misteri della Chiesa primitiva, alla ricerca di verità dietro i miracoli. Una figura come Malachia avrebbe attirato la sua attenzione e colpito la sua immaginazione allo stesso tempo. «Ecco perché padre Giovanni è andato a cercare tuo zio», disse Gray. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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«Sapeva che la vita di Malachia era la soluzione del mistero. Perciò Giovanni si è rivolto alla persona più esperta che conosceva.» «Vittorio Veroni.» Wallace si raddrizzò a sedere, ignorando il vento e la pioggia. «Forse Marco sapeva del piano della Viatus, o forse ne ha avuto semplicemente il sospetto. Ma penso che, quanto più approfondiva questa cosa delle maledizioni e dei miracoli, tantomeno sapeva come gestirla. Aveva bisogno della competenza e della protezione della Chiesa.» In fondo al rimorchio, Seichan aggiunse il proprio tetro parere. «Ma le ha cercate troppo tardi. Qualcuno conosceva i suoi programmi.» Gray annuì. «Se vogliamo scoprire dove si trova la chiave del Doomsday Book, dobbiamo rivolgerci a un esperto di san Malachia.» «Ma Veroni è ancora in coma», disse Wallace. «Non importa. Abbiamo qualcuno che è altrettanto esperto.» Si girò verso Sara. «Io?» «Dovrai aiutarci tu da qui.» «In che modo?» «Perché so dov'è nascosta la chiave.» Wallace lo guardò fisso. «Cosa?... Dove?» «La Bibbia di Malachia è stata lasciata nel sarcofago per un motivo. Non solo per riverire una reliquia. È stata lasciata lì come simbolo, un indizio per trovare il nuovo luogo di riposo della chiave. Prima dell'arrivo dei romani, la chiave e il sarcofago di questo reale del neolitico non sono mai stati separati. Erano legati. E nel sarcofago abbiamo scoperto che la Bibbia di Malachia era legata a una reliquia di questo antico nobile.» «Che cosa intende dire?» insistette Wallace. «Penso che san Malachia abbia assunto il ruolo di quell'uomo, che sia diventato il leggendario custode della chiave.» Wallace spalancò gli occhi. «Se ha ragione, la chiave...» «Si trova nella tomba di san Malachia.» Kowalski gemette e si pulì un'unghia con un filo di paglia. «Come no. Ma ve lo dico chiaro e tondo: io lì dentro non ci vado.» Prima che potessero aggiungere altro, il rimorchio si fermò con un sobbalzo. Gray si stupì di vedere che avevano già raggiunto il porticciolo. Lyle balzò giù e fece loro cenno di scendere. «Potete rintanarvi nella vecchia casa del porto. Riparatevi dalla pioggia, avanti. Io vado a prendere mio padre.» Correndo lungo il sentiero alla volta della casa in pietra, Gray fissò il mare. Le acque si agitavano in cavalloni spumeggianti. Più vicino, il traghetto ondeggiava e rollava attraccato al molo, per quanto protetto dai frangionde del porto. Il viaggio di ritorno sarebbe stato un incubo. Per ora, tuttavia, le finestre della casa del porto erano illuminate e tremolavano, facendo sperare in un bel fuoco scoppiettante. Accalcandosi sulla porta, entrarono e chiusero fuori la tempesta. L'ambiente era rivestito in legno di pino naturale, con grandi travi a vista. Il pavimento scricchiolò sotto i piedi. L'aria sapeva di fumo di legna e di tabacco da pipa. Alcuni tavoli erano illuminati da candele, ma fu il camino ad attirarli più dentro. Si levarono volentieri i giacconi e li lasciarono su un paio di sedie. Gray si mise di schiena al fuoco, riscaldandosi piacevolmente da capo a piedi. Il James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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calore e la danza allegra delle fiamme contribuirono molto a scacciare la disperazione che aveva cominciato a insinuarsi in loro. Ma ora sapevano cosa dovevano fare. Dove dovevano andare. La porta di aprì sbattendo quando il vento strappò la maniglia dalle dita di Owen Bryce. L'afferrò di nuovo e la chiuse a viva forza. Bagnato fradicio, batté i piedi e si scrollò la pioggia di dosso. «Fa un bel freddino là fuori, questo è poco ma sicuro», minimizzò il battelliere con un sorriso storto. «E temo di avere una notizia buona e una cattiva.» Un simile preambolo non prometteva mai bene. Gray si scostò dal fuoco. «La notizia cattiva è che non possiamo fare la traversata oggi. La tempesta ha reso le acque troppo pericolose. Nel caso non lo sapeste, il nome scozzese di quest'isola è Ynys Enlli, che significa 'isola delle cattive correnti'. E questo quando c'è il sole.» «E qual è la buona notizia?» volle sapere Kowalski. «Ho controllato e potete prendere le camere qui per la notte a metà prezzo. Vale per tutta la settimana.» Gray avvertì un nodo allo stomaco. «Quando pensa che potremo lasciare l'isola?» L'altro si strinse nelle spalle. «Difficile a dirsi. L'elettricità e le linee telefoniche sono interrotte su tutta l'isola. Dobbiamo avere il via libera dalla capitaneria di porto di Aberdaron prima di sognarci di togliere gli ormeggi.» «La sua previsione migliore?» «Abbiamo avuto dei turisti l'anno scorso che sono rimasti bloccati qui per diciassette giorni a causa delle tempeste.» Gray attese la risposta alla sua domanda, guardando torvo l'uomo. Alla fine Owen si decise, passandosi una mano sulla testa. «Sono sicuro che possiamo riportarvi ad Aberdaron fra due giorni, tre al massimo.» In un angolo, Sara si lasciò cadere su una sedia. Non aveva tutto quel tempo.
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Capitolo 24
† Svalbard, Norvegia, 13 ottobre, ore 13.35
M
onk era disteso sul tettuccio dello SnoCat che arrancava nella bufera di neve. Painter era al suo fianco. Erano entrambi legati al portabagagli come valigie. Le raffiche di vento più violente non smettevano di cercare di strapparli dal tettuccio. La neve li copriva di ghiaccio come la glassa su una torta. Avevano entrambi un fucile ben premuto contro la spalla, e il soldato norvegese li aveva forniti di un pezzo in più, essenziale per combattere col freddo. Monk sistemò gli occhiali a raggi infrarossi sugli occhi. Rendevano tutto più buio, ma non aveva importanza: il riverbero abbagliante della bufera aveva già ridotto la visibilità a pochi metri. Ma i mirini telescopici integrati negli oculari rilevavano qualunque impronta di calore ambientale e la mettevano a fuoco. Sotto il tettuccio, il motore caldo dello SnoCat emanava una fioca luce arancione. Nella bufera, comparvero i loro bersagli. Sette od otto motoslitte salivano incrociandosi su per le pendici del monte, emettendo una tenue luce ambrata nei mirini telescopici. I veicoli stavano entrando proprio ora nella valle superiore dove Monk aveva passato molto tempo a spiare la banca dei semi. Era lì che Monk e gli altri avrebbero opposto una resistenza risoluta, ricorrendo a tutte le risorse a loro disposizione. Monk diede un colpetto sul lanciarazzi accanto a lui. Prima di mettersi in marcia, avevano perlustrato il percorso della valanga in cerca di altre armi e avevano trovato il lanciarazzi. Oltre a una cassa di munizioni. Di sotto, Gorman e Karlsen stavano nella cabina col soldato norvegese, coi fucili imbracciati. Uno puntato dalla parte del passeggero, l'altro di dietro. Erano armati fino ai denti, ma il nemico li superava di almeno dieci a uno. Mentre l'avanguardia della squadra d'assalto entrava nella valle a bordo delle motoslitte, il norvegese al volante lanciò il veicolo di lato. Stava facendo del suo meglio per tenere un banco di neve tra lo SnoCat e le motoslitte, più piccole e veloci. Attraverso gli occhiali, Monk vide un paio di motoslitte, montate da coppie di soldati mercenari, sfrecciare più a destra. Il nemico non vide lo SnoCat seminascosto dietro il banco di neve, cosa che lasciava pensare che non fosse dotato di occhiali a raggi infrarossi o che fosse troppo concentrato sulla banca dei semi più avanti. Monk e Painter li lasciarono passare senza aprire il fuoco. I veicoli più piccoli non erano il loro bersaglio principale. Altre motoslitte James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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passarono sfrecciando con un ringhio dei motori che impedì ai piloti di sentire il rombo cupo dello SnoCat . Più avanti, si profilò un enorme veicolo con un'impronta di calore quasi accecante. Risalì dalle pendici e ricadde pesantemente nella valle superiore. Era un trasporto militare Hagglund. Il grosso della squadra d'assalto era a bordo del veicolo. Bisognava abbatterlo. Il loro SnoCat non poteva competere con le motoslitte più veloci, ma, contro quel mastodonte, lo SnoCat sarebbe stato il veicolo più agile. Se fossero riusciti ad abbattere il trasporto militare, avrebbero demoralizzato il nemico. Forse quanto bastava a spingerlo a rinunciare all'attacco e a fare dietrofront. In ogni caso, Monk e gli altri non potevano permettere alla squadra d'assalto di raggiungere la banca dei semi. Secondo Painter, c'erano più di quaranta persone ancora vive là dentro. Mentre il trasporto militare percorreva pesantemente la valle, Painter cambiò il fucile col lanciarazzi. Avevano solo una possibilità. Una volta fatto fuoco, avrebbero attirato tutta l'ira della squadra verso di loro. Monk diede due pacche sul tettuccio dello SnoCat . Rispondendo al segnale, il pilota si fermò. Painter sollevò il lanciarazzi e prese la mira. Monk si tolse gli occhiali. Il forte lampo dell'arma avrebbe potuto accecarlo. Senza gli occhiali, non vedeva nulla; i turbini della bufera cancellavano ogni cosa. Era come essere intrappolato in una palla di neve che qualcuno aveva buttato in una centrifuga. Non c'era da stupirsi che il nemico non li avesse visti. «Fuoco!» gridò Painter, tirando il grilletto. Il lanciafiamme vomitò fumo e fiamme, e il razzo fendette la cortina di neve. Monk abbassò di nuovo gli occhiali. In tempo per vedere il razzo schiantarsi contro i cingoli del trasporto militare. Un fiore arancione segnò l'impatto. Colpito sul fianco, il trasporto si rovesciò su un cingolo. Monk si augurò che si capovolgesse. Ma non andò così. Il trasporto militare ricadde con un tonfo sui cingoli. Provò ad avanzare, ma, con una coppia di cingoli distrutta, si piantò nella neve, girando su se stesso. Le portiere si aprirono e un'impronta di calore più piccola si allontanò dal veicolo, buttandosi sulla neve. I soldati sapevano di essere attaccati, di essere bersagli facili a bordo del trasporto militare. «Fuoco!» gridò Painter. Monk si coprì gli occhi, udì il ruggito del lanciarazzi, quindi alzò di nuovo lo sguardo. La mira di Painter era perfetta. Il razzo sfondò il parabrezza del veicolo e detonò all'interno. I finestrini esplosero in un globo di fuoco. I corpi scagliati in aria erano abbaglianti attraverso gli occhiali a raggi infrarossi. Painter si buttò giù. I proiettili gli sfiorarono la testa. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Il lancio del razzo aveva tradito la loro posizione. Saltata la copertura, Monk diede una pacca sul tettuccio e lo SnoCat si mise in marcia. Il pilota s'affrettò ad accelerare e a scendere, e poi sterzò a destra. Il veicolo si sollevò su un cingolo. Monk si tenne stretto. Painter gli ruzzolò addosso. Lo SnoCat saltò il banco di neve e si staccò da terra per un istante mozzafiato, per poi piombare di nuovo giù con un tonfo. Monk sbatté sul tettuccio e una barra del portabagagli lo colpì di striscio alle costole. Ma non mandò un gemito. Avevano poco tempo per approfittare della confusione. Durante la breve corsa giù per la china, erano scesi più giù dell'Hagglund. Dovevano attaccare prima che la squadra d'assalto si trincerasse. Monk vide le impronte sulla neve fresca. Portò il fucile alla guancia e si mise a sparare. Painter fece lo stesso. Abbatterono un paio di uomini, mandandoli a gambe all'aria. Ma era difficile prendere la mira con lo SnoCat che sobbalzava e sferragliava sul ghiaccio e sulla neve. Alcuni soldati corsero in cerca di riparo; altri fuggirono su per il pendio. Da dietro il trasporto militare esplose un fuoco di risposta. I proiettili tintinnarono sulla griglia di metallo dello SnoCat . Monk udì lo scricchiolio del parabrezza tempestato di colpi. Il pilota non rallentò ma sterzò, facendo del suo meglio per frapporre la mole dell'Hagglund tra loro e quelli che sparavano. Altri soldati li presero a colpi di fucile, nascosti dietro blocchi di ghiaccio o massi. Tuttavia, lo SnoCat era un bersaglio difficile nella bufera, e il norvegese ce la metteva tutta per continuare a muoversi, tra curve e controcurve. Mentre risalivano la china, echeggiò un altro rumore: il rombo delle motoslitte. L'avanguardia aveva fatto dietrofront ed era tornata a dare manforte agli altri. Anche se lo SnoCat poteva essere uno squalo che girava intorno al trasporto militare, le motoslitte erano veicoli più piccoli e agili. Stavano per essere sopraffatti. Ore 13.41
Attraverso gli occhiali a raggi infrarossi, Painter vide il branco di dieci motoslitte precipitare verso il trasporto militare. Le impronte di calore dei veicoli più piccoli erano puntini luminosi sulla neve bianca. A lui e alla sua squadra non rimaneva altra scelta che attaccare anche gli altri. Lo SnoCat sfrecciò su per la china per prendere di punta l'avanguardia. Mentre si avvicinavano al mastodonte esploso, il nemico prese a sparare con più foga nella loro direzione. Con l'arrivo delle motoslitte e la speranza di ricevere manforte, i soldati avevano riacquistato fiducia e fortificato le proprie posizioni. Un colpo di striscio ferì Painter alla spalla. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Non batté ciglio e continuò a sparare. Mentre lo SnoCat saliva ad affrontare il nemico, i fucili sparavano a raffica dal veicolo che arrancava. Bisognava stroncare quell'attacco. Painter aveva sperato che la distruzione del trasporto militare facesse fuggire gli altri, ma quelli erano soldati esperti. Non si spaventavano con facilità. Sarebbe diventata una lotta all'ultimo sangue, una prova di velocità, arguzia e abilità. O così pensava. Echeggiò un nuovo, strano rumore. Un fischio lancinante fendette il fragore dello scontro a fuoco. Monk picchiò la mano tre volte sul tettuccio dello SnoCat . Il pilota inchiodò. Preso allo sprovvista, Painter volò giù dal tettuccio e andò a sbattere contro il parabrezza. La corda gli impedì di ruzzolare giù dal veicolo. Monk era rimasto saldo sullo SnoCat . Allungò la mano e tagliò la corda di Painter col coltello, poi la propria. «Entri dentro!» gridò Monk, indicando giù. Painter si fidò della voce sicura di Monk. Quando saltò giù, entrambe le portiere di aprirono. Monk si tuffò verso il lato del passeggero. Il pilota si sporse fuori e afferrò Painter per la manica, tirandolo dentro. Il piccolo SnoCat poteva portare soltanto due passeggeri, ma dietro c'era un bagagliaio. Molto stretto. Lo scontro a fuoco continuò, tra i lampi che illuminavano la neve. Qualche colpo sporadico sfiorò il veicolo. Ma, col fuoco di risposta fermo e col motore al minimo, era più difficile individuarli nella bufera. «Che sta succedendo?» domandò Painter. Monk continuò a guardare fisso davanti a sé. «Gliel'ho detto. Creed è andato a cercare aiuto. Il deposito non è difeso solo dall'esercito norvegese.» «Che cosa...?» E poi Painter le vide. Grandi impronte di calore sbucarono dalla neve. Una dozzina buona. Avanzavano a balzi a incredibile velocità, sempre più grandi sotto i suoi occhi. Ora capiva. Orsi polari. Il fischio acutissimo continuò, riecheggiando dalla valle più in alto. Richiami per orsi. Il suono lancinante li stava spingendo giù. «Il compagno del pilota è cresciuto qui», si affrettò a spiegare Monk. «Conosceva le tane degli orsi. Solo su quest'isola ce ne sono più di tremila. Era sicuro di poter stanare un branco, farlo arrabbiare e farlo correre. Scusi se non ne gliel'ho detto prima. Pensavo che fosse pazzo.» Painter convenne. Era folle... ma aveva anche funzionato. Gli orsi polari davano la caccia alle foche. Potevano correre a cinquanta chilometri all'ora, con scatti anche più veloci. E quel branco furibondo correva in discesa. Attraverso gli occhiali, Painter vide gli orsi superare le motoslitte. Le sagome più James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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grandi travolsero i veicoli più piccoli, scatenando la loro furia bestiale contro qualunque bersaglio mobile incontrassero nella loro corsa forsennata. Painter vide una motoslitta crollare, poi un'altra ruzzolare e schiantarsi di lato, travolta da un'inferocita montagna di muscoli. Grida agghiaccianti squarciarono il fuoco delle armi... seguite da ruggiti feroci che fecero accapponare la pelle a Painter. Le motoslitte rimanenti raggiunsero il trasporto militare, ma non rallentarono. Lo superarono a tutta velocità, i piloti curvi sui manubri. Gli orsi le inseguirono, falciando i soldati trincerati nella neve. Alcuni spararono agli orsi, ma quelli non erano che ombre nella bufera. Gli spari servivano solo ad attirare altri orsi inferociti. Le grida e i ruggiti aumentarono. Un soldato fuggì a piedi verso lo SnoCat , come se il loro veicolo potesse offrirgli riparo. Non lo raggiunse mai. Dalla bufera, una zampa enorme gli strappò via una gamba. L'orso continuò a correre. L'arto del soldato volò in aria, schizzando sangue. Un altro orso passò bramendo accanto allo SnoCat , urtando un fianco con la spalla come per avvertirli, un atto d'intimidazione. Funzionò. Painter trattenne il respiro. Il branco attraversò la valle come una valanga, mettendo in fuga gli uomini, lasciando una scia di corpi insanguinati. Poi, con la stessa rapidità con cui era arrivato, il branco svanì di nuovo nella bufera di neve come fantasmi. Painter fissò la scena. Non si muoveva nulla ora. Chi poteva fuggire lo aveva fatto, correndo in ogni direzione. Painter aveva sperato di stroncare la squadra d'assalto abbattendo il trasporto militare. Non aveva funzionato. Ma anche il soldato più esperto doveva avere avuto una paura del diavolo di fronte a una simile dimostrazione di forza bruta. Da giù arrivò un nuovo rumore, sempre più forte. Un paio di motoslitte comparvero con un blip sul display dei suoi occhiali a raggi infrarossi. Pochi secondi dopo, sbucarono dalla bufera. Creed alzò un braccio in segno di saluto. Il pilota norvegese diede una pacca sulla spalla di Painter, un gesto chiaro. Era finita. Ore 14.12
Krista arrancava nella neve. Teneva chiuso il cappuccio per difendersi dal morso del vento gelido. Una manica del parka era carbonizzata. Dal dolore atroce, sapeva che in qualche punto le fiamme erano arrivate fino alla pelle, fondendo tessuto e carne. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Era fuggita per un soffio dal trasporto militare. Era già mezza fuori dal finestrino quando il secondo razzo aveva sfondato il parabrezza. L'esplosione l'aveva catapultata in aria e sbattuta contro un banco di neve. Il braccio in fiamme si era spento all'istante. Sapendo di essere attaccati da una forza sconosciuta e imprevista, Krista si era trascinata per terra, semitraumatizzata, fino al trasporto militare, sotto cui si era nascosta. Era scampata così allo scontro a fuoco e al massacro che era seguito. A quel ricordo, tremava ancora. Rimase nascosta quando gli aggressori si radunarono poco lontano. E restò senza fiato quando rivide la sua nemesi. L'agente moro della Sigma, quello che si chiamava Painter Crowe. Col viso ora arrossato dal vento, riconobbe persino la traccia delle sue origini amerindie. Quante dannate vite ha questo indiano? Rimanendo nascosta, attese che andassero via. Una motoslitta scese a Longyearbyen, a cercare aiuto. Gli altri tornarono su al deposito dei semi, per difenderlo da un eventuale soldato sbandato che volesse tentare di portare a termine la missione andata in fumo. Lei non aveva nessuna intenzione di farlo. Arrancando nella bufera, raggiunse una motoslitta abbandonata. Il corpo del pilota era sparpagliato su parecchi metri di neve insanguinata. Con un dolore atroce, attraversò con passo pesante la carneficina e ispezionò il veicolo. Le chiavi erano ancora al loro posto. Alzò una gamba e montò in sella, sedendosi di peso sul sedile e girando la chiave. Il motore si mise in moto con un rombo quando diede gas. Si chinò e partì a tutta velocità, scendendo a valle. Non c'era niente che potesse fare lì ora. Tranne una promessa. Prima che quella faccenda fosse chiusa, avrebbe piantato un proiettile in testa a quell'indiano.
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Capitolo 25
† Isola di Bardsey, Galles, 13 ottobre, ore 15.38
G
ray era disteso nella vasca piena di acqua fumante. Teneva gli occhi chiusi, sforzandosi di acquietare la mente. Aveva discusso per quasi un'ora con Owen Bryce, spiegandogli che Sara era affetta da una malattia che richiedeva la loro partenza immediata, che aveva bisogno di medicine che si trovavano nel loro hotel, sull'isola maggiore. L'unica concessione che aveva ottenuto dall'uomo era che avrebbe riconsiderato la loro richiesta l'indomani mattina. Il fatto che Sara avesse ancora l'aria di stare bene non facilitò le cose. Perciò, per il momento, erano bloccati sull'isola. Ancora per qualche ora, almeno. Avrebbero atteso il calare della notte, cosa che almeno avveniva presto il quel periodo dell'anno. Non appena gli isolani fossero andati a dormire, il piano era di rubare l'imbarcazione. Non avevano il coraggio di attendere fino al mattino. Se Owen avesse detto di nuovo di no, avrebbero perso un altro giorno. Non potevano permettere che accadesse. Perciò accettarono le camere che erano state loro offerte. Una breve pausa non avrebbe potuto fare che bene. Erano tutti stremati e avevano bisogno di un po' di riposo. Eppure Gray faceva fatica a rilassarsi. Era tormentato e preoccupato dai misteri e dai pericoli che stavano affrontando. Il fragore di un tuono fece tremare i vetri della finestra sopra la vasca. La candela tremolò accanto alla saponetta. La luce non era ancora tornata. Prima di aprire il rubinetto della vasca, aveva acceso il camino nella camera da letto. Attraverso le palpebre chiuse vedeva la danza rosseggiante delle fiamme. Mentre si allungava nella vasca, un'ombra attraversò d'improvviso la stanza da bagno. S'irrigidì, scattando subito a sedere, tra gli schizzi d'acqua sul pavimento. Una figura era sulla porta, con indosso una vestaglia. Non aveva sentito Sara entrare in camera. Il tuono aveva coperto i suoi passi. «Sara...» La donna tremava sulla porta, gli occhi spauriti. Non disse una parola. Si levò la vestaglia senza nessuna intenzione di sedurlo. Si limitò a lasciarla cadere a terra e a correre verso la vasca. Gray si alzò e la prese tra le braccia. Lei lo strinse forte, aveva bisogno di lui. Gli posò il capo sulla spalla. Lui piegò le ginocchia, infilò una mano sotto le sue gambe e la sollevò da terra. Si girò e con lei in braccio si calò nell'acqua calda. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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La strinse con dolcezza nella vasca avvolta nel vapore. La mano di lei scivolò giù sul suo ventre, spinta dalla disperazione, dal dolore, da un desiderio impellente. Gray la fermò e la riportò sul petto. Si limitò a stringerla, ad attendere che smettesse di tremare. Non si erano fermati un secondo dall'incendio della foresta, da quando lei aveva saputo del tradimento. Gray sapeva che non doveva lasciarla sola ora, mentre attendevano che calasse la sera. Se lui era tormentato e turbato, lei cosa doveva stare passando? Soprattutto da sola. Gray la strinse più forte tra le braccia, come se la semplice forza dei muscoli potesse proteggerla dal male. Piano piano, Sara smise di tremare, rassicurata dalla sua forza. Si abbandonò nel suo abbraccio. Lui la tenne stretta ancora a lungo. Poi, con un dito, le sollevò il viso e la guardò negli occhi. Bruciavano dalla voglia di essere accarezzata, di sentirsi viva, di sapere che non era sola. E, più in fondo, quasi sepolte, vide ardere le braci di un amore passato. Solo allora Gray posò le labbra sulle sue. Ore 16.02
Seichan attendeva nella sua camera. Stava appoggiata con la schiena alla porta, con una sigaretta spenta tra le dita. Pochi minuti prima aveva udito la porta di Sara schiudersi con uno scricchiolio, i suoi passi attraversare il corridoio, e poi la porta della camera di Gray aprirsi. Seichan ascoltò con gli occhi chiusi. Mentre stava con l'orecchio teso, combatté contro la rabbia e la gelosia che montavano in lei, nonché un dolore che non poteva ignorare. Le schiacciava il petto, rendendole difficile il respiro. Appoggiandosi alla porta, scivolò piano piano sul pavimento e si cinse le gambe con le braccia. Sola, dove nessuno poteva vederla, si lasciò andare a un momento di debolezza. La camera era immersa nel buio. Non si era data la pena di accendere il camino, men che meno una candela. Preferiva il buio. Come sempre. Dondolandosi piano piano, lasciò che il dolore passasse. Sapeva che stava rivivendo un tempo in cui il dolore l'assaliva spesso, perché si prendeva uno schiaffo o subiva una violenza più intima. C'era un ripostiglio segreto dove lei si nascondeva o cercava rifugio dopo. Era privo di finestre. Nessuno lo conosceva, tranne i topi e i gatti. Solo lì, nascosta nel buio, si era sentita al sicuro. Si detestava per avere bisogno di quel conforto ora. Sapeva che avrebbe dovuto semplicemente dirglielo e porre fine a quel dolore. Ma giurò di non farlo. Era per colpa sua che aveva fatto quella promessa. E, per quanto grande fosse il dolore, non l'avrebbe mai violata. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Ore 18.55
Col favore della notte, Gray condusse gli altri giù al pontile. Il traghetto all'ormeggio ondeggiava e sbatteva contro i parabordi. Dal cielo nero diluviava. Più avanti, Kowalski era accanto al catamarano segnato dalle intemperie. Li aveva preceduti per assicurarsi che l'imbarcazione fosse vuota e che ci fossero le chiavi. Chi avrebbe rubato il traghetto con quella tempesta? Era una domanda cui Gray era pronto a rispondere. Corsero tutti sul molo. «A bordo», disse Kowalski. «Sciolgo gli ormeggi.» Gray aiutò gli altri a salire a poppa del traghetto. Occorrevano doti acrobatiche e tempismo giacché il ponte andava su e giù. Prese la mano di Sara. Lei non lo guardò, ma gli strinse le dita con calore, ringraziandolo in silenzio. Gray si era svegliato nel letto vuoto, attorcigliato nelle coperte. Non poteva dire di essere completamente deluso. Sapeva come andava il mondo; così come lei. Ciò che era accaduto era stato sincero, profondo e voluto... forse da entrambi. Il momentaneo vortice di passione era scaturito dalla paura, dalla solitudine, dal senso di morte. Gray l'amava e sapeva che lei lo ricambiava. Anche quando erano giaciuti abbracciati davanti al camino, stretti l'uno all'altra, sfiniti da una passione che aveva bruciato ogni pensiero, una parte di lei era rimasta irraggiungibile. Non era quello il momento di riaccendere qualcosa fra loro. Lei era troppo ferita, troppo fragile. In quella camera, aveva avuto bisogno solo della sua forza, delle sue carezze, del suo calore. Ma non del suo cuore. Quello avrebbe dovuto aspettare. Gray scavalcò il parapetto del ponte e afferrò la cima quando Kowalski saltò a bordo. «La traversata sarà un incubo», avvertì Kowalski. Andò svelto alla cabina del timone e avviò il motore con un borbottio, che segnalò a Gray di mollare l'ultimo ormeggio. Con l'imbarcazione libera, Gray attraversò la coperta ondeggiante. Kowalski staccò il traghetto dal pontile e lo diresse in mare aperto. Avrebbero navigato a luci spente fino a che non fossero usciti dal porto. Gray si volse a guardare la riva. Nessuno stava arrivando. In mezzo a quella bufera, non avrebbero notato la scomparsa del traghetto fino al mattino. Tornò a fissare le acque buie e agitate del mare, tra gli ululati del vento e le raffiche di pioggia. «Sei sicuro di poter governare la barca con questo tempo?» volle sapere Gray. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Kowalski era un ex marine. Aveva il mozzicone di un sigaro tra i denti. Se non altro era spento. «Non temere», biascicò l'altro col sigaro tra le labbra. «Ho fatto affondare solo una barca... no, aspetta. Solo due.» Rassicurante. Gray tornò a poppa. Wallace stava distribuendo i giubbotti di salvataggio arancione fluorescente da un armadietto. Si affrettarono tutti a indossarli, accendendo le luci di emergenza del colletto. «Tenetevi sempre aggrappati a qualcosa», li avvertì Gray. Quando superarono il frangiflutti, un fulmine illuminò la notte. Il mare fece ancora più paura. Le onde sembravano correre in ogni direzione, infrangendosi l'una nell'altra e scagliando in aria getti di acqua di mare. Le correnti si erano inferocite come il tempo. Kowalski si mise a fischiettare. Gray sapeva che quello non era un buon segno. Erano in mare aperto. Sembrava di essere finiti in una lavatrice. L'imbarcazione beccheggiava su e giù, rollava a dritta e a sinistra... e, imprecò Gray, a volte tutto nello stesso momento. Ovunque girasse lo sguardo, non vedeva che onde spumeggianti. Kowalski si mise a fischiettare più forte. Il traghetto investì una ripidissima onda lunga. La prua s'innalzò verso il cielo. Gray si aggrappò a un parapetto mentre tutto ciò che non era legato a bordo slittava verso poppa. E poi l'imbarcazione scese giù dall'altra parte. Un'onda errante li raggiunse di fianco, abbattendosi sulla prua come una mano gigantesca. L'acqua salata gelida finì in bocca a Gray e negli occhi, accecandolo. Passata l'onda, l'imbarcazione s'innalzò di nuovo. «Gray!» gridò Sara. Tossendo, si rese conto del problema nello stesso momento. Seichan era scomparsa. Seduta sul lato opposto, era stata investita alla schiena dal grosso dell'ondata, che l'aveva strappata dal parapetto e sbalzata in mare. Gray scattò in piedi. Vide la testa che andava su e giù nell'acqua a poppa, illuminata dalla piccola luce d'emergenza del giubbotto... poi scomparve tra le onde. Imprimendosi nella memoria la sua ultima posizione, Gray prese la rincorsa e si lanciò dalla poppa del traghetto. Non potevano perderla. Mentre si tuffava in mare, Sara gridò in direzione di Kowalski: «Inverti la rotta!» Poi Gray finì in acqua, e su tutto calò il buio. Ore 19.07
Seichan era in balia delle onde che la sballottavano di qua e di là come una foglia James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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in un torrente. Il gelo le penetrava fino alle ossa e le rendeva difficile il respiro, già faticoso con le ondate che continuavano a travolgerla. Non riusciva nemmeno a vedere le luci del traghetto, solo montagne d'acqua. Stringeva il giubbotto di salvataggio con una mano e si toglieva l'acqua salata dagli occhi con l'altra. Doveva raggiungere l'imbarcazione. Un'altra onda gigante si sollevò dinanzi ai suoi occhi, altissima, e si rovesciò su di lei, l'orlo spumeggiante. Infine la travolse. Seichan fu spinta giù, negli abissi. La corrente la intrappolò in un vortice. Aveva perso l'orientamento. L'acqua le entrò nel naso. Ebbe i conati di vomito, e ingoiò altra acqua nauseante. Poi i galleggianti del giubbotto la riportarono in superficie. Provò a inspirare aria, ma riuscì solo a boccheggiare. Sbatté le palpebre per eliminare il sale, sforzandosi di vedere. Un'altra onda s'innalzò dinanzi a lei. No... Poi qualcosa l'afferrò da dietro. Terrorizzata, cacciò un grido. L'ombra si schiantò su di lei. Ma quelle braccia continuarono a stringerla. Gambe forti la cinsero saldamente la vita. Uscirono dal vortice insieme. Seichan stava soffocando, ma il panico folle lasciò il posto a una paura costante. Sebbene non potesse vederlo, sapeva chi l'aveva afferrata. Emersero insieme, salendo più in alto con due giubbotti di salvataggio. Seichan si torse e vide Gray che la stringeva forte, gli occhi duri e determinati. «Aiutami», disse con un filo di voce, infondendo tutto quello che le riuscì in quella parola. Anche il cuore. Ore 19.24
Le luci del villaggio di pescatori baluginavano nella tempesta. La spiaggia era proprio dinanzi a loro. Kowalski puntò dritto in quella direzione. Gray era al suo fianco. Dovette ammettere che Kowalski sapeva governare una barca. Mentre Gray e Seichan erano in balia delle onde ribollenti, Kowalski li aveva trovati e aveva invertito la rotta nelle acque agitate. Aveva lanciato una sagola di salvataggio, li aveva tirati verso l'imbarcazione e issati di nuovo a bordo. Il resto della traversata fu spaventoso, ma nessun altro fu sbalzato in mare. Seichan tossiva dietro di lui, sforzandosi ancora di espellere l'acqua dai polmoni. Non era mai stata più pallida di adesso. Ma sarebbe sopravvissuta. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Al timone, Kowalski portò in secco il catamarano. Un'ultima onda sollevò l'imbarcazione e la gettò sulla spiaggia. La doppia carena solcò la sabbia con un violento sussulto della coperta. E grazie al cielo si fermò. Non fu necessario dirlo. Abbandonarono tutti il traghetto, diguazzando nell'acqua fino alle caviglie e sfuggendo all'ultima onda. Kowalski si soffermò un secondo per dare una pacca sul fianco del catamarano. «Bella barca.» Bagnati fradici, salirono su al villaggio di Aberdaron. Come sull'isola di Bardsey, erano tutti barricati in casa per difendersi dalla tempesta. Per le strade non c'era anima viva. Gray voleva tagliare la corda prima che qualcuno scoprisse il traghetto arenato sulla spiaggia. Dopo la pericolosa traversata, non voleva finire in una prigione locale. Con gli altri appresso attraversò di gran carriera il villaggio immerso nel buio e salì alla chiesa di Saint Hywyn. Il fuoristrada rubato era là dove lo avevano lasciato, ancora parcheggiato vicino alla chiesa. Gray si girò verso Wallace mentre attraversavano il cimitero. «E il suo cane?» domandò, indicando la canonica. Wallace scosse la testa, sebbene lo addolorasse. «Lasciamo stare Rufus. Sta meglio accanto a un camino che in giro con questo tempo da lupi. Tornerò a prenderlo quando sarà tutto finito.» Sistemata quella faccenda, si accalcarono tutti a bordo del Land Rover. Gray mise in moto, uscì svelto dal parcheggio e lasciò Aberdaron. Accelerò quando imboccarono la strada principale che portava fuori dal villaggio. Ma avevano ancora bisogno di una destinazione. «Il sepolcro di san Malachia», disse Gray, lanciando un'occhiata a Sara nello specchietto retrovisore. «Che cosa puoi dirci della sua storia?» Non avevano mai avuto modo di approfondire l'argomento. Tutto ciò che Gray sapeva da una superficiale discussione con Sara era che Malachia era stato seppellito nel Nord est della Francia. Sara aveva cercato di fornirgli altri particolari, ma allora non avevano avuto abbastanza tempo. Gray aveva dovuto pensare a portarli tutti via dall'isola. Col lungo viaggio che li attendeva, era ora di saperne di più. Sara si mise a parlare mentre fissava dal finestrino la tempesta. «Malachia è morto più o meno a metà del XII secolo. È spirato tra le braccia del suo migliore amico, san Bernardo di Chiaravalle.» Kowalski torse la testa. «San Bernardo? Non è quello che ha inventato quei mastodontici cani bavosi?» Sara lo ignorò. «Malachia è stato sepolto in un'abbazia fondata da Bernardo, l'abbazia di Clairvaux. Sorge a circa duecentoquaranta chilometri da Parigi. Gran parte dell'abbazia è andata distrutta nel XIX secolo, ma alcuni edifici e muri sono rimasti in piedi, tra cui il chiostro principale. Ma c'è un piccolo problema.» Dal tono della voce, Gray capì che non era affatto piccolo. «Quale?» «Ho provato a dirtelo James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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prima...» Fece un'espressione imbarazzata, come se fosse dispiaciuta per non avere insistito di più. Ma, come Gray, anche lei aveva avuto molti pensieri per la testa. «D'accordo», disse lui. «Di che si tratta?» «Le rovine sono protette. Forse sono gli edifici più sorvegliati di tutta la Francia.» «Come mai?» «L'abbazia di Clairvaux... si trova al centro di un carcere di massima sicurezza.» Gray si girò di scatto nel sedile per guardarla bene negli occhi. Doveva stare scherzando. Dall'espressione seria e preoccupata dipinta sul suo volto, capì che non era così. «Fantastico. Così ora dobbiamo introdurci in una prigione e in una tomba.» Kowalski sprofondò nel sedile e incrociò le braccia. «Niente di questo piano potrà andare storto.»
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Capitolo 26
† Svalbard, Norvegia, 13 ottobre, ore 20.18
K
rista andava su e giù per il magazzino alla periferia di Longyearbyen. Le casse erano accatastate fino al soffitto. Il posto sapeva di olio e carbone. Indossava un maglione pesante per nascondere la fasciatura del braccio. La morfina le offuscava in parte i pensieri. Altri uomini erano in condizioni peggiori delle sue. Due corpi sul pavimento del magazzino erano coperti coi teloni. Erano rimasti solo otto uomini. Teneva il telefono all'orecchio, in attesa di ordini. Aveva chiamato il numero che lui le aveva fornito. Squillò più volte. Finalmente, rispose. «Sono stato informato», disse l'uomo. «Sì, signore.» Krista si sforzò di cogliere un'indicazione dell'umore del suo interlocutore, ma la voce era chiara e pacata. «Con la piega che gli eventi hanno preso, stiamo modificando radicalmente gli obiettivi della nostra missione. Con Karlsen in mano alla Sigma, ora, si è deciso di annullare tutte le operazioni in Norvegia.» «E quelle in Inghilterra?» «Abbiamo corso un rischio arruolando risorse esterne per trovare la chiave. Dopo gli ultimi eventi, non possiamo più permettercelo. Dobbiamo abbandonare il gioco, per ora.» «Signore?» «Il reperto rubato da padre Giovanni. Procuratelo.» «E gli altri?» «Uccidili, tutti quanti.» «Ma il nostro...?» «Sono stati tutti giudicati un ostacolo. Fa' in modo che non si dica lo stesso di te.» Krista si sentì un nodo alla gola. «Questi sono gli ordini.»
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QUARTO LA MADONNA NERA Capitolo 27
† In volo sul mare di Norvegia, 14 ottobre, ore 05.18
P
ainter vide l'arcipelago delle Svalbard scomparire dietro di loro mentre il jet privato volava verso nord sul mar Glaciale Artico. Aveva perso mezza giornata a sfollare il gruppo intrappolato nel deposito dei semi. Dopodiché c'era voluto un rapido intervento di Kat a Washington per farli partire dall'isola prima che i media piombassero sul posto. Il clamoroso bombardamento aveva attirato l'attenzione di tutto il mondo. Un turbine di troupe televisive e di investigatori della NATO stava già convergendo sul piccolo arcipelago. La lontananza di quel luogo e la violenta tempesta avevano concesso a Painter abbastanza tempo per svignarsela. Ma non era partito da solo. Monk e Creed erano sdraiati sul divano della cabina. Il senatore Gorman era seduto con lo sguardo fisso su una delle poltrone. L'ultimo passeggero era seduto di fronte a Painter. Ivar Karlsen li aveva accompagnati volontariamente. Avrebbe potuto rendere difficile, quasi impossibile, farsi portare via dal territorio norvegese, ma aveva uno strano senso dell'onore. Anche ora stava seduto con la schiena dritta sulla sua poltrona, intento a guardare dal finestrino le isole che scomparivano. Era chiaro che era stato quasi sicuramente lui il bersaglio principale del bombardamento alle Svalbard, che il suo ex alleato era divenuto il suo nemico. Sapeva anche a chi doveva la vita ed era pronto a riconoscere il proprio debito. Painter intendeva sfruttare al massimo quella collaborazione. Il piccolo jet rollò all'improvviso nelle turbolenze atmosferiche, acuendo la tensione che aleggiava nella cabina. Erano diretti a Londra. Né Painter né Kat avevano notizie della squadra di Gray. Painter voleva essere in Inghilterra mentre le ricerche proseguivano nel Lake District. Secondo ciò che era stato trovato, avrebbero fatto rifornimento e proseguito per Washington. Ma, durante le cinque ore di volo, Painter doveva spremere da quell'uomo tutto quel che sapeva. Kat stava indagando sui campi dove erano state raccolte le messi dei semi piantati in tutto il Midwest. Le notizie erano deprimenti: aveva già James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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trovato molteplici casi di decessi inspiegati nei pressi di quindici fattorie sperimentali. L'autopsia di una vittima aveva rivelato un agente fungino sconosciuto. E restavano ancora sessantatré campi sperimentali da controllare. Avvertendo lo sguardo di Painter, Karlsen disse: «Volevo solo salvare il mondo». Il senatore Gorman si agitò, schizzando fuoco dagli occhi, ma Painter gli scoccò un'occhiataccia. Stava parlando lui con Karlsen. Guardando dal finestrino, il norvegese non aveva notato la comunicazione silenziosa tra i due. «La gente parla della bomba demografica, ma non vuole ammettere che è già scoppiata. La popolazione mondiale sta raggiungendo rapidamente la massa critica, quando le risorse alimentari non basteranno più per tutti. Siamo a un passo dalla carestia, dalla guerra e dal caos mondiali. I tumulti per il cibo a Haiti, in Indonesia, in Africa sono solo l'inizio.» Karlsen si girò dal finestrino e fissò Painter. «Ma ciò non significa che sia troppo tardi. Se un numero sufficiente di persone determinate e di mentalità affine coordinasse i propri sforzi, si potrebbe fare qualcosa.» «E ha trovato quelle persone nel Club di Roma», disse Painter. Karlsen spalancò lievemente gli occhi. «Esatto. Il club continua a lanciare l'allarme, ma cade nel vuoto. Sono altre le crisi che vanno di moda e monopolizzano l'attenzione dei media. Il riscaldamento globale, le riserve di petrolio, le foreste pluviali. L'elenco si allunga, ma l'origine di tutti i problemi è la stessa: troppe persone stipate in troppo poco spazio. Eppure nessuno affronta questo problema in modo diretto. Come lo definite, voi americani? Politicamente scorretto, giusto? È intoccabile, impelagato in questioni religiose, politiche, razziali ed economiche. Siate fecondi e moltiplicatevi, dice la Bibbia. Nessuno ha il coraggio di dire il contrario. Affrontarlo è un suicidio politico. Proponi soluzioni e ti accusano di eugenetica. Qualcuno deve prendere posizione, decisioni difficili... e non solo a parole, ma con fatti concreti.» «E quel qualcuno sarebbe lei», commentò Painter, spronandolo a parlare. «Eviti quel tono. So com'è andata a finire, ma non è cominciata così. Cercavo solo di mettere un freno alla crescita demografica, di diminuire gradualmente la biomassa umana sul pianeta, per fare in modo di non raggiungere quel punto critico a tutta velocità. Nel Club di Roma, ho trovato le risorse mondiali che mi servivano. Un grande serbatoio di innovazione, tecnologie all'avanguardia e potere politico. Perciò ho cominciato a indirizzare certi progetti verso i miei scopi, radunando persone che la pensavano allo stesso modo.» Karlsen lanciò un'occhiata al senatore, poi guardò da un'altra parte. Nonostante il monito di Painter, Gorman sbottò: «Mi hai usato per diffondere i tuoi semi malati». Karlsen abbassò gli occhi sulle mani incrociate in grembo, ma, quando li alzò di nuovo, era impassibile. «Quello è venuto dopo. Un errore. Ora lo so. Ma ti ho cercato perché sostenevi i biocarburanti, la trasformazione di coltivazioni come il James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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frumento e la canna da zucchero in carburante. Era facile sostenere una causa dall'apparenza così buona, una fonte di energia rinnovabile che ci liberasse dalla dipendenza dal petrolio. Ma rispondeva anche al mio scopo.» «Quale?» «Strangolare la produzione alimentare del mondo.» Karlsen fissò Painter senza il minimo rimorso. «Controllate il sistema alimentare e controllerete le popolazioni.» Painter rammentò di avere ascoltato di nascosto Karlsen parafrasare una frase di Henry Kissinger. Controllate il petrolio e controllerete nazioni intere; controllate il sistema alimentare e controllerete tutte le popolazioni del mondo. Era dunque quello lo scopo di Karlsen. Strangolare la produzione alimentare per strangolare la crescita demografica umana. Se condotto con sufficiente abilità, poteva anche funzionare. «In che modo il sostegno ai biocarburanti l'aiuta a controllare la produzione alimentare del mondo?» Painter poteva intuire la risposta, ma voleva sentirlo dire da lui. «Nel mondo, si fa un uso intensivo dei terreni agricoli migliori, cosa che costringe gli agricoltori a ricorrere a terre marginali. Guadagnano di più con coltivazioni destinate ai biocarburanti che con quelle destinate alla produzione alimentare. E così sempre più terreno agricolo viene destinato ai biocarburanti anziché all'alimentazione. Ed è un sistema spaventosamente inefficiente. La quantità di frumento necessaria per produrre un pieno di etanolo per un SUV potrebbe sfamare per un anno una persona che soffre la fame. Perciò, è ovvio, ho sostenuto i biocarburanti.» «Non per l'indipendenza energetica...» Karlsen annuì. «Era solo uno dei mezzi per strangolare la produzione alimentare.» Il senatore Gorman era sbigottito, consapevole del ruolo che aveva avuto. Ma Painter notò lo strano accento che aveva posto su alcune parole. «Che cosa intende dire con 'era solo uno dei mezzi'?» «Che era solo uno dei progetti. Ne avevo altri.» Ore 05.31
Monk aveva seguito la conversazione con crescente allarme. «Mi faccia indovinare», interloquì. «Ha qualcosa a che fare con le api.» Ripensò ai grandi alveari nascosti sotto il complesso di ricerca. Karlsen lanciò un'occhiata in direzione di Monk. «Sì. La Viatus ha studiato la sindrome dello spopolamento degli alveari, una crisi mondiale di cui sono certo che siete al corrente. In Europa e negli Stati Uniti, più di un terzo delle api mellifere è scomparsa nel nulla. Hanno abbandonato le proprie colonie e non sono più tornate. Alcune zone hanno perso più dell'ottanta per cento delle api.» «E le api impollinano gli alberi da frutto», osservò Monk, cominciando a capire. «Non solo quelli», aggiunse Creed, accanto a lui sul divano. «Noci, avocado, James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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cetrioli, semi di soia, zucchine. Infatti un terzo di tutti i prodotti alimentari coltivati negli Stati Uniti richiede l'impollinazione. Se scompaiono le api, non scompare solo la frutta.» Monk comprese l'interesse nella sindrome dello spopolamento degli alveari di Karlsen. Se si controllavano le api, si controllavano larghi settori della produzione alimentare. «Sta dicendo che ha provocato lei la morte delle api?» «No. Ma conosco la causa, ed è ciò che la Viatus ha cercato di sfruttare.» «Un secondo.» Monk si avvicinò. «Intende dire che lei sa cosa ha ucciso le api?» «Non è un gran mistero, signor Kokkalis. I media danno un tono sensazionalistico alle teorie: acari parassiti, riscaldamento globale, inquinamento atmosferico, persino gli alieni. Ma è molto più semplice... e dimostrato. Solo che i media preferiscono ignorarlo perché non fa notizia.» «Qual è la causa, dunque?» «Un insetticida denominato imidacloprid, o IMD.» A Monk tornarono in mente i codici stampati sui grandi alveari. Riportavano tutti le stesse tre lettere: IMD. «Molti studi hanno già indicato questa sostanza come la causa, insieme con un'altra analoga denominata fipronil. Nel 2005, la Francia ha vietato queste sostanze chimiche e, nei mesi successivi, le api sono tornate mentre gli alveari del resto del mondo continuano a spopolarsi.» Karlsen girò lo sguardo nella cabina. «Ma qualcuno di voi ne ha sentito parlare?» Nessuno. «Non fa abbastanza notizia», spiegò Karlsen. «Imidacloprid, fipronil. Non sono suggestivi come gli alieni. I media non hanno ancora reso noto il successo ottenuto in Francia. Il che mi sta bene. L'IMD è utile.» Monk corrugò la fronte. «Meno api, meno cibo.» «Alla fine anche i media apriranno gli occhi, così la Viatus ha proseguito gli studi su queste sostanze... per incorporare l'IMD nelle nostre sementi.» «Così come la Monsanto ha inserito con la bioingegneria il suo erbicida Roundup nei semi transgenici», aggiunse Creed. Probabilmente aveva studiato le ricerche genetiche. «Se l'IMD sarà vietato, lei sarà ancora in grado di controllare la popolazione delle api», concluse Monk. Karlsen annuì. Quell'uomo era un mostro... ma molto intelligente. Ore 05.40
Painter doveva colmare ancora alcuni vuoti. Prese Karlsen per un altro verso. «Ma la Viatus non si limitava a inserire con la bioingegneria gli insetticidi nelle sementi.» «Come ho detto, avevamo molti progetti.» «Allora mi dica delle mummie della torbiera... del fungo trovato in quei corpi.» Lo sguardo fermo di Karlsen vacillò. «Essendo una società di biotecnologie, sperimentiamo migliaia di nuove sostanze chimiche ogni anno, provenienti da ogni parte del mondo...» La voce si colorò di un tono di meraviglia. «Era incredibile. La sua natura chimica e la sua struttura genetica facevano perfettamente al caso nostro.» Painter lo lasciò James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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parlare per vedere cosa avrebbe rivelato di propria iniziativa. «Dai corpi mummificati abbiamo prelevato spore fungine che erano ancora vitali.» «Dopo tutto questo tempo?» domandò Monk. Karlsen si strinse nelle spalle. «Le mummie avevano solo un migliaio di anni. In Israele, i botanici hanno fatto crescere un dattero da un seme che aveva duemila anni. E la torba è un conservante perfetto. Be', sì, siamo riusciti a far crescere le spore, a sapere qualcosa di più del fungo. Dall'esame dei resti umani abbiamo scoperto anche in che modo il fungo era penetrato nei corpi.» «Come?» «Per ingestione. Il nostro patologo forense ha stabilito che i soggetti mummificati erano morti di fame, benché lo stomaco fosse pieno di segale, orzo e grano. Il fungo era presente ovunque. È una muffa molto aggressiva, come l'ergotina nei cereali. Il fungo è capace d'infettare qualunque pianta. Con un solo scopo.» «Quale?» «Far morire di fame l'animale che ingerisce la pianta infetta.» Karlsen vide le loro facce sconvolte. «Le messi infettate dal fungo non sono più digeribili. Per di più, il fungo invade l'intestino dell'animale, riducendo ulteriormente l'assorbimento. È la macchina per uccidere perfetta. Fa morire di fame l'ospite con le stesse cose che dovrebbero sostenerlo.» «Così mangi di continuo, ma muori di fame lo stesso.» Painter scosse la testa. «Qual è il vantaggio per il fungo?» Monk rispose: «I funghi sono una delle cause principali della decomposizione delle cose morte. Alberi morti, corpi morti. Non importa. Uccidendo l'ospite, il fungo crea il proprio fertilizzante, il proprio terreno di coltura». Painter ripensò ai funghi che crescevano nel ventre delle mummie. Ma rammentò anche la descrizione che Monk aveva fatto del laboratorio, delle spore prodotte da quegli stessi funghi. Ecco come si diffondevano, espellendo spore nell'aria che avrebbero infettato altri campi e ricominciato l'intero processo da capo. Karlsen attirò di nuovo la sua attenzione. «Lo scopo delle nostre ricerche era solo quello di estrarre la sostanza chimica che rendeva indigeribili i cereali. Se fossimo riusciti a inserirne il gene nel grano, avremmo potuto diminuirne la digeribilità. Se il grano era meno digeribile, dovevi mangiarne di più per avere lo stesso apporto calorico.» «Quindi avrebbe ridotto nuovamente le scorte alimentari», dedusse Painter. «E in un modo che ci avrebbe fornito il controllo totale. Manipolando questo gene, avremmo potuto attivare o disattivare la digeribilità del grano come girando una manopola. Ci eravamo proposti solo questo. E sembra che non siamo stati i primi a cercare di ottenere questo controllo genetico.» Painter si concentrò su quelle ultime parole. «Che cosa intende dire?» «Nel 2001, una società di biotecnologie chiamata Epicyte ha annunciato lo sviluppo di semi di grano in cui era stato inserito con la bioingegneria un agente contraccettivo. Il suo consumo diminuiva la fertilità. È stato proposto come soluzione per il problema della sovrappopolazione nel mondo. Il clamoroso annuncio è valso loro solo una James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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montagna di critiche, dopodiché il seme è scomparso. Come ho detto, affrontare apertamente questo problema costa caro. Bisogna tenerlo nascosto, lontano dalle cronache. Ecco la lezione, la lezione che ho imparato.» Ed ecco dove qualcosa è andato storto. Painter disse, con voce neutra: «Ma il suo nuovo grano OGM non era stabile». Karlsen scosse lievemente la testa. «Il fungo si è dimostrato più abile del previsto. Questo organismo si è evoluto con le piante ospiti nel corso di secoli. Pensavamo di stare inserendo con la bioingegneria solo una caratteristica del fungo, il suo effetto sulla digeribilità, ma è mutato nelle generazioni successive, tornando efficiente come prima. Ha recuperato la sua capacità di uccidere, di sviluppare di nuovo la sua forma fungina. Ma, peggio ancora, ha recuperato la sua capacità di diffondersi.» «E quando lo ha scoperto?» «Durante la sperimentazione in Africa.» «Però aveva già avviato la produzione dei semi negli Stati Uniti e all'estero, no?» Un'espressione addolorata si dipinse sul volto di Karlsen. «È stato solo dietro insistenza e rassicurazione della nostra capoprogetto e genetista. Aveva detto che i test di sicurezza preliminari bastavano per andare avanti. Mi sono fidato di lei; non ho mai controllato i risultati di persona.» «Chi era questa donna?» volle sapere Painter. «Krista Magnussen», intuì il senatore Gorman, in tono amaro e duro. Ore 05.52
Ivar Karlsen sapeva di non potere più evitare l'ira del senatore. Ma non incrociò subito il suo sguardo. Abbassò invece gli occhi. Da una tasca tirò fuori una moneta e la tenne nel palmo della mano. Era la moneta di Federico IV, battuta nel 1725 dal traditore Henrik Meyer. Gli ricordava il prezzo del tradimento. Karlsen strinse la moneta tra le dita, riconoscendo quanto era caduto in basso, sviato da Krista Magnussen. Alla fine alzò gli occhi e guardò il senatore Gorman. L'uomo aveva pagato un caro prezzo in termini di sangue. Ivar non poteva negargli la verità. «Il senatore ha ragione. Ho assunto Krista Magnussen quando ho avviato la divisione di Biogenetica Agraria sei anni fa. È arrivata con un sacco di raccomandazioni di Harvard e Oxford. Era giovane, brillante e motivata. Produceva risultati tutti gli anni.» «Ma non era chi sosteneva di essere», aggiunse Painter. «No», confermò Ivar. «Più o meno un anno fa, abbiamo cominciato ad avere gravi problemi nei nostri impianti. Incendi dolosi in quello in Romania. Appropriazioni indebite in un altro. Una caterva di furti. Poi Krista mi ha rivelato che era in contatto con un'organizzazione che poteva rafforzare la nostra sicurezza globale, con discrezione ed efficienza. L'ha descritta come la versione aziendale di una società militare privata.» «Come si chiamava questa organizzazione?» «Lei la James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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chiamava la Gilda.» Painter non fece una piega. Nemmeno un battito di ciglia. Dalla sua assoluta mancanza di reazione, Ivar comprese che l'altro conosceva la Gilda, forse persino meglio di lui. «Era tutta una messinscena», disse Painter. «Gli incidenti, gli incendi dolosi, i furti... è stata la Gilda ad architettarli. Avevano bisogno di lei. Perciò l'hanno manipolata per guadagnarsi la sua fiducia. L'hanno cavata dai guai un numero sufficiente di volte, e lei ha cominciato a cedere il controllo. A dipendere da loro.» Era sicuramente possibile. Ma il quadro che Painter aveva esposto... era così chiaro, come una mano di carte micidiale. «Mi faccia indovinare», proseguì Painter, completando il quadro. «Quando le cose sono veramente precipitate in Africa... nella fattoria sperimentale in Africa... a chi si è rivolto?» «A Krista, naturalmente», ammise Ivar con voce incerta. «Mi ha riferito delle mutazioni, che alcuni del campo profughi si stavano ammalando dopo avere mangiato il grano. Bisognava fare qualcosa. Ma avevamo già seminato i campi di produzione in giro per il mondo. Mi ha detto che si poteva ancora porre rimedio alla situazione, ma che lei e la sua organizzazione dovevano avere mano libera. Mi ha avvertito che dovevo chiudere il cuore alla pietà. Per salvare il mondo, cosa sono poche vite? Ha usato queste parole e, mio Dio, ero così disperato da crederci.» Il respiro di Ivar si fece più difficile. Il cuore gli batteva in gola. Ripensò a Krista nuda, che lo baciava, gli occhi intensi e luminosi. Si era illuso di conoscere quel gioco. Che stupido sono stato... Painter proseguì la ricostruzione, come se fosse stato a fianco di Ivar negli ultimi giorni. «La Gilda ha raso al suolo il villaggio e le ha detto che era necessario per evitare la diffusione del microrganismo. Hanno portato via alcuni dei cadaveri degli abitanti malati del villaggio per esaminarli e per giustificare quello che sarebbe venuto subito dopo. Che la loro morte non sia vana. Se è possibile saperne di più, si potrebbero salvare altre vite. E, con la produzione dei semi già in corso, il tempo era cruciale.» Il senatore Gorman aveva gli occhi spalancati, i pugni stretti sulle ginocchia. «E mio figlio?» Ivar rispose a quella supplica disperata. «Krista mi ha raccontato di avere sorpreso Jason mentre stava copiando dati protetti. Mi ha detto che aveva in mente di venderli al miglior offerente.» Gorman picchiò il pugno sulla coscia. «Jason non avrebbe mai...» «Mi ha mostrato la sua e@mail con allegati i file rubati. Ho avuto conferma in via confidenziale che il file era stato inviato a un professore di Princeton.» «Princeton non praticherebbe mai lo spionaggio industriale.» A Ivar costava parlargli del figlio. «L'organizzazione di Krista aveva le prove che le transazioni di denaro conducevano a una cellula terroristica che operava dal Pakistan. Denunciare lui equivaleva a denunciare noi. Avrebbe anche distrutto la tua carriera. Krista ha provato a parlargli, a convincerlo a interrompere quei contatti, a tacere. Mi ha detto che lui si è rifiutato, che ha cercato di fuggire. Uno degli uomini di Krista si è fatto prendere James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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dal panico e gli ha sparato.» Gorman si coprì il volto. Ivar voleva fare lo stesso, ma non aveva nessun diritto. Sapeva di avere le mani macchiate col sangue del ragazzo. Aveva ordinato a quegli spietati mercenari di rinchiudere e interrogare Jason. Poi Painter mandò in frantumi l'ultima illusione di Ivar. «Jason era innocente. Erano tutte menzogne.» Ivar sbarrò gli occhi dall'altra parte del tavolo, sbalordito. Non voleva sentire le parole dell'altro. «Jason è stato ucciso perché ha inviato inavvedutamente prove incriminanti al professor Malloy. Ecco perché sono stati assassinati tutti e due. Per nascondere le prove dell'instabilità del grano. La Gilda non voleva che si scoprisse.» Painter fissò Ivar. «Una volta trapelate le informazioni, avevano bisogno di un capro espiatorio. Lei doveva essere gettato in pasto ai lupi. Dopo averla uccisa alle Svalbard, la Gilda avrebbe potuto dileguarsi con tutta tranquillità e prendersi tutto il bottino: una nuova arma biologica e il mezzo per controllare ciò che era stato già scatenato. La colpa della contaminazione mondiale diffusa dai suoi raccolti sarebbe stata attribuita alla sfrenata ambizione di un amministratore delegato morto. E, con la sua eliminazione, nessuno avrebbe saputo niente. Per la Gilda, lei non era che una pedina sacrificabile.» Ivar era immobile come una statua, il sudore freddo che gli colava lungo la schiena. Non poteva più negarlo. Non poteva negare più niente. Ma, in cuor suo, forse aveva sempre saputo la verità, anche se non aveva avuto il coraggio di guardarla negli occhi. «Ma ho un'ultima domanda», continuò Painter. «Una domanda cui non riesco a rispondere.» Fece scivolare un foglio sul tavolo. Era il disegno di un simbolo familiare. Un cerchio e una croce. Painter picchiettò un dito sul foglio. «Capisco perché la Gilda volesse uccidere Jason e il professore Malloy, ma perché uccidere un archeologo del Vaticano? Che c'entra questo col piano della Gilda?» Ore 06.12
Painter sapeva che Karlsen era sul punto di crollare. Aveva gli occhi vitrei, la voce ridotta a un sussurro rauco. Era chiaramente alle prese con la gravità del tradimento che aveva subito. Ma quelli della Gilda erano maestri di manipolazioni e coercizioni, di infiltrazioni e inganni, di crudeltà e violenza. Una volta, persino la Sigma era caduta nelle loro grinfie. Ma Painter non offrì nessun conforto a quell'uomo. Piano piano, Karlsen rispose alla sua domanda. «Padre Giovanni ha contattato la nostra organizzazione due anni fa per finanziare le sue ricerche. Era convinto che le mummie rinvenute nella palude di torba fossero le vittime di un'antica guerra tra cristiani e pagani. Che il fungo fosse stato impiegato per rovinare i raccolti e James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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distruggere i villaggi. E quest'arma segreta era scritta in codice in un testo medievale che si chiamava Domesday Book. I documenti portati a sostegno erano impressionanti. Era convinto che esistesse un agente neutralizzante per la diffusione del fungo, una cura, un modo di estirparlo dalla terra e dal corpo.» «E avete finanziato la ricerca di questo agente neutralizzante?» «Sì. Che male c'era? Pensavamo che avremmo potuto scoprire una nuova sostanza chimica da sfruttare. Ma, più o meno nel periodo in cui abbiamo cominciato a sospettare che il nostro nuovo grano fosse instabile, abbiamo saputo che padre Giovanni aveva fatto una grande scoperta. Aveva rinvenuto un reperto che era certo che avrebbe condotto al luogo della chiave perduta.» Painter capì. «Un simile agente neutralizzante, se esistesse, risolverebbe tutti i vostri problemi.» «Ho chiesto a Krista di parlare con lui per appurare la validità delle sue affermazioni e assicurarsi il reperto.» Ivar chiuse gli occhi. «Dio mi perdoni.» «Ma il prete è fuggito.» Karlsen annuì. «Non so cosa sia accaduto. Qualunque cosa lui le abbia detto al telefono ha attirato tutta l'attenzione della sua organizzazione. E, dopo la catastrofe in Africa, dovevamo assicurarci il reperto. Se fosse esistita anche la minima possibilità di un agente neutralizzante...» «Ma l'avete persa. Padre Giovanni è stato ucciso.» «Non ho mai saputo con precisione i particolari. Dopo il disastro in Africa, avevo altri problemi più urgenti da risolvere. Ho lasciato la questione nelle mani della Gilda, per vedere se le affermazioni di padre Giovanni avessero veramente una qualche fondatezza.» «E com'è andata?» L'altro scosse la testa. «Secondo le ultime notizie che ho ricevuto da Krista, un altro gruppo era ancora alla ricerca della chiave.» Doveva essere Gray, pensò Painter. «Krista mi ha assicurato che la Gilda aveva infiltrato una talpa in quel gruppo.» A Painter si gelò il sangue a quelle parole. Se la Gilda si era infiltrata nella squadra di Gray... Cercò disperatamente un modo per aiutarli, per avvertirli. Ma non sapeva nemmeno se fossero ancora vivi. In ogni caso, non c'era niente che potesse fare per loro. Dovevano cavarsela da soli.
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Capitolo 28
† Troyes, Francia, 14 ottobre, ore 12.18
U
na biblioteca era un luogo improbabile dove studiare il modo d'introdursi in una prigione. Ma dovevano cominciare da qualche parte. Gray era seduto a una scrivania con Sara, circondati da montagne di libri. La luce del sole filtrava dalle altissime finestre della moderna biblioteca della città di Troyes. Le postazioni informatiche punteggiavano le file di tavoli nella sala di lettura. Nonostante la struttura di vetro e acciaio, la biblioteca era antica. Fondata in un convento nel 1651, era una delle biblioteche più antiche di Francia. Il suo tesoro principale era una collezione di manoscritti preveniente dall'abbazia di Clairvaux originale. Dopo la rivoluzione francese, l'intera biblioteca era stata trasferita a Troyes per sicurezza. E per una buona ragione. «È stato Napoleone a convertire l'abbazia in una prigione», spiegò Gray, scostando un libro e stirando il collo irrigidito. Da quando erano arrivati da Parigi, avevano passato tutta la mattinata in biblioteca, a fare ricerche sull'abbazia e sui suoi santi. Avevano dormito poco, solo quello che era stato possibile in aeroporto o durante il breve volo dall'Inghilterra. Col tempo che stringeva, Gray si era trovato ad affrontare due problemi difficili: in che modo raggiungere le rovine al centro del carcere di Clairvaux e che cosa cercare una volta sul posto. Siccome aveva ancora molto da imparare, non gli era rimasta altra scelta che assegnare i compiti e dividere la squadra. Gray aveva accompagnato Sara e Wallace a Troyes. La città si trovava ad appena una ventina di chilometri dal carcere. Nella sua biblioteca era custodita la più grande collezione di documenti storici sull'abbazia. Per facilitare le ricerche, Gray aveva suddiviso i compiti. Sara si era concentrata sulla vita, sulla morte e sulla tumulazione di san Malachia nell'abbazia. Wallace era andato con un impiegato nel gran salone della biblioteca a prendere visione di documenti originali su San Bernardo, il fondatore dell'ordine monastico nonché amico intimo di Malachia. Gray si era occupato di scovare tutti i dettagli architettonici possibili sull'abbazia originale. Aveva una montagna di libri alta come quella di Sara. Teneva aperto sotto gli occhi un testo del 1856, contenente una pianta dei sacri recinti originali dell'abbazia. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Un alto muro di cinta circondava la proprietà, interrotto da garitte di vedetta. All'interno, il terreno era diviso in due aree. L'ala orientale ospitava i giardini, gli orti e persino qualche peschiera. A ovest erano sparsi qua e là granai, mattatoi, officine e alloggi per gli ospiti. In mezzo, difesa dalle proprie mura interne, sorgeva l'abbazia stessa, con la chiesa, i chiostri, gli edifici dei conversi e le cucine. Col libro aperto dinanzi a sé, Gray studiò la pianta del XIX secolo. Qualcosa continuava ad attirarlo verso quell'immagine, ma, più lui si concentrava, meno sicuro diventava. Da mezz'ora utilizzava la pianta per localizzare le poche strutture rimaste dell'abbazia. Restavano in piedi soltanto un paio di granai, qualche sezione delle mura, un edificio dei conversi ben conservato e le rovine del chiostro originale. Era quest'ultimo, Le Grand Cloître, a incuriosire di più Gray. Il grande chiostro era a ridosso dell'area dove un tempo sorgeva l'antica abbazia originale. Ed era sotto quella chiesa che era stato tumulato san Malachia. Ma era ancora lì? Quello era un altro pensiero. Secondo Sara, dopo la rivoluzione francese, la tomba di san Malachia era scomparsa dai documenti storici. Significava qualcosa? Gray si pose una domanda che lo assillava. «Perché Napoleone ha convertito l'abbazia in un carcere?» Wallace era tornato e aveva sentito di sfuggita la domanda. «Non è così insolito», spiegò mentre si sedeva. «Molte antiche abbazie medievali sono state convertite in penitenziari. Con le spesse mura, le torri e gli edifici monastici, era facile.» «Ma, di tutte le abbazie francesi, Napoleone ha scelto questa. Non le altre. Possibile che volesse proteggere qualcosa?» Wallace si sfregò il labbro inferiore, pensoso. «Napoleone è stato un personaggio chiave nel secolo dei lumi. Era fissato con le nuove scienze, ma era affascinato anche dalle antiche. Quando comandò la disastrosa campagna d'Egitto, portò un sacco di studiosi con sé per cercare tesori archeologici. Se avesse saputo di una qualche conoscenza proibita nascosta nell'abbazia, potrebbe benissimo averla protetta. Soprattutto se pensava che avrebbe potuto minacciare il suo impero.» «Come la piaga della maledizione.» Gray rammentò la parola scritta nel Domesday Book. Devastato. Qualcosa aveva spaventato Napoleone tanto da indurlo a nasconderlo in un luogo inespugnabile? Gray sperava di sì. Se la chiave del Domesday Book era stata sepolta nella tomba di san Malachia, forse era ancora lì. Sara non poteva permettersi un loro errore. Nelle ultime ore, aveva cominciato ad avere la febbre. Aveva la fronte che scottava e tendeva a tremare. Benché indossasse un maglione abbottonato fino al collo. No, non poteva concedersi il lusso di un errore. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Gray diede un'occhiata all'orologio al polso. Avevano appuntamento con Kowalski e Seichan di lì a un'ora. I due erano andati a esaminare e studiare i punti deboli del penitenziario. Toccava a Seichan trovare il modo di entrare nel carcere di massima sicurezza. Era andata via con un'espressione poco convinta dipinta sul volto. Sara si scostò dal libro, il viso pallido e cereo, gli occhi rossi e gonfi. «Non riesco a trovare niente di più di quello che so», ammise alla fine, con aria sconfitta. «Ho letto tutta la storia della vita di san Malachia, dalla nascita alla morte. Non sono ancora riuscita a scoprire perché Malachia, un arcivescovo irlandese, sia stato seppellito in Francia. Tranne che lui e Bernardo erano legati da profondissima amicizia. Tanto è vero che qui si dice che Bernardo è stato seppellito con Malachia a Clairvaux.» «Ma sono ancora lì?» volle sapere Gray. «Da tutto quel che ho letto, le reliquie non sono mai state spostate. Ma gli archivi storici dopo la rivoluzione francese sono vuoti.» Gray si volse verso Wallace. «E san Bernardo? È riuscito a trovare qualcosa su quell'uomo o sulla fondazione dell'abbazia che potrebbe esserci utile?» «Un paio di cose. Bernardo aveva stretti legami coi Templari. Ha persino elaborato le loro regole e ha avuto un ruolo fondamentale nell'ottenere il riconoscimento dell'ordine da parte della Chiesa. Predicò persino la seconda crociata.» Gray rifletté su quelle informazioni. I Templari erano ritenuti custodi di molti segreti. Possibile che custodissero anche quello? Wallace proseguì: «Ma una cosa spicca su tutto il resto, la storia di un miracolo. Un miracolo che avvenne qui. Si narra che Bernardo avesse contratto un'infezione mortale, ma, quando pregò in ginocchio dinanzi alla Vergine Maria, questa zampillò latte che lo guarì. Divenne noto come il 'miracolo del latte'». Sara chiuse il libro. «Un altro esempio di guarigione miracolosa.» «Sì, ma non è questa la parte interessante», disse Wallace, inarcando un sopracciglio in modo allusivo. «Secondo la leggenda, la statua che zampillò il latte era una Madonna Nera.» Gray ci mise qualche secondo a riprendersi dallo stupore. «Una Madonna Nera lo ha guarito...» «Non le giunge nuovo, eh?» fece Wallace. «Forse era allegorico. Non lo so. Ma, dopo la morte di Malachia, san Bernardo divenne il maggiore sostenitore del culto della Madonna Nera. Ha avuto un ruolo fondamentale nella nascita del culto.» «E quel miracolo è avvenuto qui.» «Sì. Questo lascia certamente intendere che le reliquie della regina nera siano state trasportate qui a Clairvaux... insieme con la chiave.» Gray si augurò che avesse ragione, ma c'era solo un modo per saperlo con certezza. Dovevano introdursi in quel carcere. Clairvaux, Francia, ore 12.43
Seichan attraversò il bosco. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Il sopralluogo a Clairvaux aveva prodotto pochi risultati. In tenuta da escursionismo pesante, aveva un binocolo appeso al collo e un bastone. Aveva l'aria di una giovane donna in gita. Solo che quell'escursionista portava una Sig Sauer in una fondina dietro la schiena. Il carcere ed ex monastero sorgeva in una valle tra due crinali coperti d'alberi. Secondo Sara, era normale per l'ordine cistercense costruire i propri monasteri in luoghi così remoti. Preferendo un vita austera, i monaci si ritiravano nei boschi, sulle vette delle montagne e persino nelle paludi. Isolato com'era, era anche il luogo perfetto per un carcere. Seichan aveva perlustrato a piedi l'intero perimetro di Clairvaux, prendendo nota della posizione di tutte le garitte, delle cinta di mura, delle cancellate e dei gabbioni di filo spinato affilato come un rasoio. Era una fortezza. Ma nessun castello era impenetrabile. Un piano stava già prendendo forma nella sua mente. Avrebbero avuto bisogno di uniformi, di passi e di un cellulare della polizia francese. Aveva lasciato Kowalski in un Internet Café nel piccolo paese limitrofo di Barsur Aube. Tramite una fonte della Gilda, lui stava compilando una lista di nomi di prigionieri e guardie, comprese le loro foto. Seichan era convinta di poter avere tutto pronto per l'indomani. Le ore di visita del mattino avrebbero consentito a uno o due di loro di entrare. Gli altri avrebbero dovuto farlo col cellulare della polizia e con documenti d'identità falsi. Nonostante ciò, restavano molte variabili. Quanto tempo ci avrebbero messo a entrare? In che modo sarebbero usciti? E le armi? Sapeva che stavano agendo in modo troppo frettoloso, troppo avventato. Seichan si tuffò d'improvviso dietro il grosso tronco di una quercia bianca. Non sapeva spiegare perché avesse sentito l'urgenza di nascondersi. Un formicolio alla nuca. Sapeva che non doveva ignorarlo. Il corpo umano era una grande antenna, che captava segnali che spesso sfuggivano alla mente cosciente, ma la parte più profonda del cervello, dove risiedeva l'istinto, li elaborava di continuo e spesso dava l'allarme. Soprattutto se allenata fin dall'infanzia, come quella di Seichan, la cui sopravvivenza era dipesa dalla capacità di dare ascolto ai presentimenti più cupi. Trattenendo il respiro, sentì il crepitio di foglie secche dietro di sé. Più avanti, uno stormire di fronde. Si acquattò. La stavano braccando. Seichan sapeva che erano stati seguiti in Francia. Prima di partire dall'Inghilterra, aveva fatto rapporto al suo contatto. Krista Magnussen sapeva dove erano diretti. Gli inseguitori li avevano scovati di nuovo a Parigi. Seichan non ci aveva messo molto a individuarli. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Ma avrebbe giurato che nessuno l'aveva seguita da Bar sur Aube dopo che aveva fatto scendere Kowalski. Aveva lasciato la macchina nel parcheggio di un'area di servizio sulla strada e si era inoltrata nel bosco da sola. Chi c'era lì fuori? Attese. Udì di nuovo il fremito delle foglie. Fissò la posizione nella memoria. Girando su se stessa, valutò i dintorni con un colpo d'occhio. Un uomo, armato di fucile e in tuta mimetica, attraversò in modo furtivo il bosco; era chiaro che aveva ricevuto un addestramento militare. Prima ancora di finire di girare su se stessa, allungò di scatto il braccio. Il pugnale d'acciaio le schizzò dalle dita, sfrecciò tra le foglie e si conficcò nell'occhio sinistro dell'inseguitore. L'uomo cadde all'indietro con un grido. Seichan corse avanti e coprì la distanza con quattro falcate. Picchiò il pugno sul manico del pugnale, conficcandoglielo nel cervello. Senza fermarsi, raccattò il fucile e proseguì su per la salita. Un masso tondeggiante spiccava vicino alla cresta. Durante il sopralluogo che aveva fatto poco prima, si era impressa nella mente tutta l'area. Raggiunse il riparo e con una scivolata e una capriola si acquattò in posizione di tiro. Un din rimbalzò sul masso a un soffio dalla sua testa. Non udì lo sparo, ma il proiettile aveva attraversato il ramo di un pino con un soffio di aghi. Seguì la traiettoria nel mirino telescopico, individuò un movimento d'ombre e tirò il grilletto. Il fucile non fece più rumore di uno schiocco di dita. Un corpo cadde con un tonfo. Senza gridare. Un colpo dritto alla testa. Seichan riprese la caccia. Doveva esserci un terzo killer in agguato. Corse lungo il crinale, triangolando il punto più probabile per un terzo killer. Si mantenne in posizione di vantaggio. La mappa dell'area corrispondeva a quella che si era impressa nella memoria, come il display a sovrimpressione all'interno di un casco. Se avesse dovuto tendere un agguato in quella zona del bosco, c'era un ottimo riparo più avanti. Una quercia morta folgorata da un fulmine con un tronco scavato. Se avesse fatto altri trenta metri, sarebbe entrata nel suo campo di tiro. Gli altri due killer, sentendo che la loro preda stava per cadere nella trappola, dovevano avere abbassato la guardia ed essersi avvicinati troppo presto, esponendosi stupidamente nella fretta. Sicuramente Krista Magnussen doveva averli avvertiti della letalità della loro preda. Ma quelli erano uomini, mercenari pieni di sé. E lei era solo una donna. Si avvicinò all'albero da dietro. Di soppiatto, senza toccare una foglia o un ramoscello. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Puntando il fucile a meno di tre centimetri dal corteccia della quercia morta, fece fuoco. Un grido di stupore e dolore proruppe mentre un corpo cadeva fuori dalla cavità del tronco dall'altra parte. Lei gli piombò addosso col pugnale. L'uomo era tarchiato, puzzava di grasso, e aveva la barba nera ispida. Inveì contro di lei in arabo con accento marocchino. Lei gli teneva il pugnale alla gola, con l'intenzione d'interrogarlo, di scoprire perché le era stato teso un agguato e chi li aveva mandati. Avrebbe potuto farlo parlare. Lo sapeva. Invece gli tagliò la gola, sotto la laringe, una morte silenziosa, e gli tirò un calcio in faccia. Non era necessario interrogarlo, capì. Conosceva già le risposte alle sue domande. Era cambiato qualcosa. Krista aveva dato l'ordine di ucciderli. Sorprendendola da sola nel bosco, avevano provato a fare fuori prima lei. Pensò a Gray e agli altri. Corse a rotta di collo verso il parcheggio. Loro ignoravano il pericolo. Prese il cellulare e digitò con forza il numero che aveva imparato a memoria. Quando rispose, lasciò esplodere tutta la rabbia che aveva in corpo. «La tua operazione! Tanto perché tu lo sappia, è fallita!» Ore 13.20
Sara era con Wallace nel giardino di un hotel nel cuore di Bar sur Aube. Guardò l'orologio. Kowalski e Seichan dovrebbero essere già tornati. Alzò lo sguardo sulla strada. Erano rimasti d'accordo di vedersi a pranzo, per esaminare bene i piani. Avevano prenotato le camere lì. L'hotel, Le Moulin du Landion, era stato convertito con gusto da un mulino ad acqua del XVI secolo. Il canale originale attraversava ancora i giardini, facendo girare una vecchia ruota di legno. Quel luogo avrebbe dovuto incantarla, invece Sara stava solo male. Le scoppiava la testa, le bruciava la gola e la febbre continuava a salire. Alla fine si lasciò cadere su una sedia. Gray tornò dalla hall, scuotendo la testa. «Nessuno ha ritirato le chiavi.» Vide che era seduta, il volto contratto dalla preoccupazione. «Come stai?» Sara scosse la testa. Gray continuò a fissarla. Lei sapeva cosa stava pensando. Seichan aveva imbastito un piano generale per entrare nel carcere. Avrebbero provato l'indomani mattina. Era chiaro che Gray si stava domandando se Sara avrebbe tenuto duro tutto quel tempo. D'improvviso, Seichan comparve, attraversando il giardino. Perlustrò con gli occhi ogni angolo. La donna, sempre in stato di allerta, sembrava particolarmente nervosa in quel momento. Sgranava di più gli occhi, faceva guizzare di più lo sguardo. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Gray doveva avere notato la stessa cosa. «Che c'è?» Lei lo guardò con la fronte corrugata. «Niente. Va tutto bene.» Ma, quando notò che mancava una persona, s'irrigidì di nuovo. «Dov'è Kowalski?» «Pensavo fosse con te.» «L'ho lasciato in città a fare alcune ricerche mentre io perlustravo il bosco.» «Hai affidato questo compito a Kowalski?» Seichan alzò le spalle. «Una cosa da niente. Gli ho dato istruzioni che poteva seguire anche una scimmia.» «Ma parliamo sempre di Kowalski.» «Ci conviene andare a cercarlo», disse Seichan. «È probabile che abbia trovato un bar aperto a pranzo. Alla fine tornerà qui. Parliamo di quello che abbiamo scoperto oggi.» Gray le fece cenno di sedersi al tavolo di Sara. Seichan non parve gradire l'idea e rimase in piedi. Camminava su e giù, senza mai abbassare la guardia. Sara notò che contrasse un muscolo del volto quando la ruota ad acqua scricchiolò. La donna era tesa come la corda d'un violino, ma alla fine si mise a sedere. Gray le domandò dei piani del giorno dopo. Parlottarono tutti sottovoce, le teste chine al centro del tavolo. A mano a mano che Seichan faceva l'elenco di ciò di cui avevano bisogno, crebbe lo sgomento di Sara. Mille cose potevano andare storte. Il mal di testa aumentò fino a diventare un dolore lancinante dietro l'occhio destro, abbastanza forte da cominciare a darle la nausea. Senza perdere una parola della discussione, Gray pose la mano su quella di lei, senza nemmeno guardare nella sua direzione. Era un gesto naturale di conforto. Seichan lo notò, abbassando lo sguardo sulla mano di lui... poi volse d'improvviso lo sguardo sulla strada e s'irrigidì. S'immobilizzò come un ghepardo prima di assalire una preda. Ma era solo Kowalski. Camminava senza fretta. Alzò il braccio in segno di saluto, aprì il cancelletto del giardino e andò al loro tavolo. Fumava un sigaro, portandosi dietro una cappa di fumo dall'odore dolciastro. «Sei in ritardo», lo rimproverò Gray. L'altro si limitò a ruotare gli occhi. Wallace approfittò dell'interruzione per esprimere la propria preoccupazione riguardo ai piani del giorno dopo. «È un'impresa a dir poco difficile. Ci vorranno un tempismo perfetto e un sacco di fortuna. E, anche così, dubito che riusciremo a raggiungere le rovine dell'abbazia.» «Allora perché non facciamo il giro turistico?» domandò Kowalski, sbattendo un opuscolo sul tavolo. Mostrava l'immagine di un antico porticato ad arco sovrastato da un'elegante insegna. Sara tradusse dal francese: «L'Association Renaissance de l'Abbaye de Clairvaux organizza visite guidate dell'abbazia». Volsero tutti gli occhi su Kowalski. Lui si strinse nelle spalle. «Che c'è? Me l'hanno spiattellato sotto il naso. A volte è utile non confondersi con gli altri.» Nel caso di Kowalski, era James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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un'affermazione riduttiva. Nessuno poteva scambiarlo per una persona del luogo. Sara sfogliò il resto dell'opuscolo. «Organizzano le visite guidate due volte al giorno. Costa due euro. La seconda visita della giornata comincia tra un'ora.» Wallace prese l'opuscolo e lo sfogliò. «Una visita così breve non ci concederà molto tempo per una ricerca completa, ma potremmo farci un'idea generale del posto.» Gray concordò. «Ci permetterà anche di dare un'occhiata alla sicurezza dall'interno.» «Ma durante questa visita saremo perquisiti», li avvertì Seichan. «Non potremo portare nessuna arma.» «Nessun altro potrà farlo», disse serafico Gray, scuotendo il capo. «Con tutte le guardie armate che ci circonderanno, saremo più al sicuro che mai.» Seichan non era per nulla convinta. Ore 14.32
Quindi quella stronza era ancora viva. A quattro chilometri da Troyes, Krista attraversò il prato, dirigendosi verso gli elicotteri privi di contrassegni. Stavano già caricando per la missione i due Eurocopter Super Puma rubati. Diciotto uomini in tenuta da combattimento attendevano d'imbarcarsi. I tecnici avevano finito di dotare i due elicotteri della necessaria potenza di fuoco. Un ricognitore a terra riferì che i bersagli erano in moto. Avevano prenotato una visita guidata delle rovine dell'abbazia ed erano diretti alla prigione. Krista aveva sperato di fare fuori Seichan prima di procedere. Quella donna era troppo imprevedibile, ma Krista aveva armi e uomini in abbondanza per sistemarla. Rendeva solo le cose più difficili. Pazienza. Gli ordini erano di impadronirsi del reperto e di eliminare gli altri. Ed era ciò che intendeva fare, ma, dopo gli ultimi disastri, si rendeva conto di quanto precaria stesse diventando la sua posizione nell'organizzazione. Ripensò alla minaccia velata nelle parole al telefono. Qualunque fallimento da quel momento in poi avrebbe comportato la sua eliminazione. Tuttavia, sapeva che nemmeno rispondere a quelle aspettative sarebbe bastato. Dopo tutto quello che era andato storto, aveva bisogno di un grande successo, di un trofeo da presentare a Echelon. E intendeva procurarselo. Se la chiave del Doomsday Book era nascosta tra le rovine dell'abbazia, avrebbe costretto gli altri a trovarla per lei, e poi li avrebbe eliminati. Con la chiave in pugno, la sua posizione in seno alla Gilda sarebbe stata di nuovo al sicuro. Tenendo presente quell'obiettivo, non lasciò nulla al caso. Le sue prede non avevano armi né vie di scampo. Non mentre erano intrappolate in un carcere di massima sicurezza. Una volta iniziato l'assalto, il penitenziario sarebbe stato James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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sigillato. Non avrebbero avuto nessuna via di fuga, nessun posto dove nascondersi. Fece cenno alla squadra di salire a bordo degli elicotteri. Era ora d'intrufolarsi in quella festa.
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Capitolo 29
† Clairvaux, Francia, 14 ottobre, ore 14.40
G
ray sapeva che erano nei guai. Il servizio di sicurezza si rivelò ferreo, anche per il gruppo di turisti privati. I passaporti furono registrati, gli zaini perquisiti e furono costretti a passare attraverso due metal detector, e poi a sottoporsi a un controllo di tutto il corpo con una sonda manuale. Le guardie, armate di fucili, manganelli e pistole nelle fondine, piantonavano ogni angolo del complesso principale. Altri uomini pattugliavano il cortile esterno con grossi cani da caccia. «Meno male che hanno saltato l'ispezione corporale», borbottò Kowalski mentre superavano l'ultimo posto di controllo. «La faranno quando usciamo», l'avvertì Gray. Kowalski gli lanciò un'occhiata per assicurarsi che scherzasse. «Da questa parte, s'il vous plait», disse la loro guida turistica con un cenno dell'ombrello color malva. La guida dell'Association Renaissance era una donna alta dai modi spicci sui sessantacinque anni. Era vestita in modo informale in pantaloni kaki, maglione leggero e giacca bordeaux. Non si sforzava di nascondere l'età. Aveva il volto segnato dal tempo, i capelli grigi tirati dietro le orecchie. L'espressione quasi sempre severa. In fondo a un corridoio, giunsero a una porta a due battenti che dava su un cortile interno. La luce del sole inondava i prati rasati, le siepi ben curate e i sentieri coperti di ghiaia. Dopo i rigidi controlli di sicurezza, sembrava di essere entrati d'improvviso in un altro mondo. Tratti di muri di pietra crollati, semicoperti d'edera, s'incrociavano su circa un ettaro di terreno, insieme con murature angolari che segnavano le antiche fondamenta. La guida fece strada nel cortile, seguita da una guardia armata. Accennò con l'ombrello ai muri. «Questo è tutto ciò che rimane dell'antico monasterium vetus. La cappella quadrata è stata incorporata in seguito nella chiesa dell'abbazia, più grande, col suo ampio coro e con le cappelle a raggiera.» Gray assimilava ogni cosa. James Rollins 332 Durante il giro turistico in pullman, la donna aveva raccontato a grandi linee la storia del monastero e del suo fondatore. Sapevano già quasi tutto. A eccezione di un particolare significativo. San Bernardo aveva costruito il monastero sulla terra della propria famiglia. Perciò doveva conoscere molto bene la topografia, le caverne e le grotte segrete. Aveva scelto quel punto esatto per una ragione? Gray notò che anche Sara fissava il suolo, ponendosi sicuramente la stessa James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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domanda. Di lato, Seichan guardava più in alto, verso le mura circostanti del carcere e le garitte. Le rovine erano completamente circondate ai quattro lati. La donna era sempre scura in volto. Seichan lo sorprese mentre la fissava. Sostenne il suo sguardo come se stesse per dire qualcosa. Nonostante l'aria impassibile, i muscoli più piccoli del volto, quelli che sfuggivano al controllo volontario della maggior parte delle persone, parvero contrarsi in una miriade di emozioni confuse. Alla fine guardò da un'altra parte quando la guida turistica parlò. «Venite, venite. Passiamo all'edificio dei conversi, in perfetto stato di conservazione. È un esempio meraviglioso di vita monastica.» Andarono in fondo al cortile dove sorgeva un edificio di pietra di tre piani, riparato in un angolo. La facciata era ad arcate e traforata di piccole porte e finestre. «Il livello inferiore ospitava il calefactorium del monastero, la sala destinata alla vita comunitaria», spiegò la guida. «È stata progettata in modo ingegnoso, très brillant! Sotto il pavimento scorre una serie di canne fumarie provenienti da locali sotterranei. I camini di sotto riscaldavano i monaci d'inverno dopo le preghiere o gli uffici notturni. Qui potevano inoltre ungere i sandali all'inizio della giornata di lavoro.» Mentre la donna continuava a raccontare la vita monastica quotidiana nel Medioevo, Gray fissava le pietre sotto i piedi. Così i monaci erano ottimi ingegneri e costruttori di tunnel. Ripensò anche a ciò che Wallace aveva affermato, che i monasteri e le abbazie erano spesso crivellati di passaggi segreti. Ne era rimasto qualcuno? La donna li portò a visitare altre rovine, compresi i ruderi di un granaio che fungeva da antica conceria, e infine li ricondusse alle rovine dell'antica chiesa. Si fermò dinanzi al grande chiostro, il gioiello della visita. Attraversarono la grande arcata ed entrarono nel cortile del chiostro. La struttura consisteva in un porticato quadrato a colonne che s'affacciava su un giardino interno soleggiato. Volte gotiche sorreggevano il soffitto del loggiato. Gray passò le dita sul muro vicino. Coi suoi mille anni, l'intera struttura era un simbolo della resistenza alle ingiurie del tempo e delle intemperie. Cos'altro poteva essere sopravvissuto? La guida li condusse nel giardino centrale, coi sentieri stretti incorniciati da siepi basse e aiuole angolari. «I chiostri sono stati costruiti a sud della chiesa per sfruttare al meglio la luce del sole.» Alzò il viso al cielo per dimostrarlo. Gray la seguì e si fermò accanto a un'elaborata rosa dei venti che abbelliva il centro del giardino. Si girò piano piano su se stesso e studiò il colonnato quadrato che lo circondava. Di tutta l'abbazia, perché il chiostro era quello meglio conservato? Aveva la sensazione che, se c'era un modo per entrare nel sepolcro di san James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Malachia, doveva essere lì. Ad alcuni passi di distanza, Sara scattò delle fotografie. Le avrebbero esaminate in hotel, sperando di trovare una soluzione. Tuttavia, stando lì, Gray sapeva che le foto non avrebbero potuto catturare l'antichità di quel posto. Gli ci volle un po' per assimilarla. C'era qualcosa in quella struttura che lo inquietava. Allontanò ogni distrazione. Ignorò gli altri che giravano tra le rovine, non ascoltò la guida che continuava a parlare. Ascoltò quel posto, invece. Si lasciò trasportare indietro nel tempo, tra i canti liturgici dei monaci, le campane che chiamavano alla preghiera, le preghiere silenziose rivolte al cielo. Questo era un luogo sacro... Circondato da un antico colonnato di pietra... E infine capì. Fece un altro giro completo su se stesso, gli occhi spalancati. «Siamo in un cerchio di pietre sacre.» A un passo da lui, Sara abbassò la videocamera. «Cosa?» Gray indicò il chiostro. «Queste colonne non sono diverse dai menhir della palude di torba.» L'entusiasmo crebbe, la voce s'incrinò. «Siamo al centro della versione cristiana di un cerchio di pietre.» Gray corse verso le altissime colonne e passò dall'una all'altra. Ricavate da imponenti blocchi di calcare giallo grigio, ognuna doveva pesare parecchie tonnellate; non erano diverse dalle rocce blu verticali in Inghilterra. Sulla quarta colonna, lo trovò. Era lieve, poco più di un'ombra consumata sulla superficie calcarea. Passò le dita sul simbolo, disegnando il cerchio e la croce. «Ecco il simbolo.» La guida aveva notato il suo improvviso interesse e lo raggiunse. «Magnifique. Ha scoperto una delle croci di consacrazione.» Gray si volse verso la donna per approfondire l'argomento. «Nel Medioevo, era tradizione consacrare una chiesa o la sua proprietà con simboli come questo. A differenza del crocifisso, che rappresenta la sofferenza di Cristo, questi cerchi incrociati rappresentano gli apostoli. Era consuetudine ornare un luogo sacro con questi simboli. Sono sempre...» «Dodici», terminò la frase Gray. Ripensò ai monoliti nella palude di torba. Anche lì c'erano dodici croci. «Esatto. Rappresentano i dodici apostoli.» E forse qualcosa di più antico, aggiunse lui, in silenzio. Gray entrò nel porticato, passando sotto l'arcata. Voleva esaminare l'altro lato delle colonne. Sul retro dei monoliti in Inghilterra erano incise le spirali. Esaminò svelto le colonne del chiostro, seguito dagli altri. Non trovò nessuna incisione sulla superficie interna. Quando ebbe finito il giro e fu tornato al punto di partenza, l'entusiasmo era scemato. Forse si era sbagliato; forse stava leggendo troppo in quel simbolismo. La donna notò la sua determinazione. «Così conosce la leggenda locale», disse James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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con una nota di scherno nella voce. «Penso che il motivo per cui il chiostro è ancora in piedi sia dovuto in gran parte a quel mistero.» Wallace si tamponò la fronte con un fazzoletto. «Di quale mistero sta parlando, mia cara signora?» La donna sorrise per la prima volta, un po' affascinata dal maturo professore. Inoltre, Wallace le era stato appiccicato, facendole un mucchio di domande, cosa che, con ogni probabilità, aveva contributo ad affascinarla. «È una leggenda che si racconta solo da queste parti. Una storia che si passa di generazione in generazione. Ma, lo ammetto, è un po' bizzarra.» Wallace ricambiò il sorriso, incoraggiandola a proseguire. La guida indicò il cortile. «Come ho detto prima, era consuetudine consacrare una chiesa con dodici croci come questa. Ma qui ce ne sono solo undici.» Sorpreso, Gray tornò in giardino. Si mangiò le mani mentalmente per non essere stato più attento. Non aveva pensato di contare i simboli. Aveva dato per scontato che fossero dodici, come i monoliti. «Secondo la leggenda, la dodicesima e ultima croce di consacrazione dell'abbazia di Clairvaux, quella che manca, protegge un grande tesoro. L'hanno cercata per secoli, perlustrando questo posto, e persino i granai circostanti. Ma non sono che sciocche légendes. Absurdité. Quasi sicuramente la dodicesima croce è stata scolpita all'interno dell'abbazia stessa, aggiungendosi alla consacrazione della chiesa qui fuori.» E forse quel collegamento esiste ancora, pensò Gray. La guida guardò l'orologio al polso. «Mi dispiace, ma dobbiamo concludere qui la nostra visita. Magari, se tornate domani, vi mostrerò qualcosa di più.» L'ultima proposta era rivolta quasi unicamente a Wallace Boyle. «Oh, torneremo di certo», le promise lui. Gray lanciò un'occhiata a Seichan per vedere se lo riteneva ancora possibile. La donna si era avvicinata piano piano a lui. La fine della visita l'aveva messa visibilmente in agitazione. Prima che potesse domandarle il motivo, una sirena prese a ululare, forte e stridula. Che cosa stava succedendo? La guardia armata si avvicinò. Sara guardò la guida, controllando la sua espressione per vedere se era un fatto normale. «Dobbiamo trovare un riparo», disse Seichan all'orecchio di Gray. Il tono era urgente, ma sembrava quasi sollevata, come se avesse aspettato che qualcosa accadesse. «Che cosa sta succedendo?» Prima che lei potesse rispondere, giunse un altro rumore. Oltre alla sirena, riecheggiò un battito pesante, nello stomaco. Gray alzò gli occhi e vide due elicotteri sfrecciare sopra il crinale coperto d'alberi. Volarono in alto, poi abbassarono il muso e calarono dritto sul carcere. Dalle sirene, Gray capì che i due elicotteri non dovevano trovarsi in quello spazio aereo. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Era un attacco. Ore 15.22
Krista era seduta accanto al pilota mentre questi inclinava l'elicottero verso il carcere sottostante. Nonostante le cuffie e il rumore delle pale, udiva l'ululato delle sirene. Il complesso li aveva visti arrivare e aveva provato a contattarli, ma, non ricevendo in risposta il nome radio giusto, aveva suonato l'allarme. Davanti a lei, il primo Eurocopter passò sopra il carcere. Dalla pancia dell'elicottero caddero dei fusti, che precipitarono di sotto e si schiantarono con violente esplosioni. Le deflagrazioni squarciarono l'aria, rimbombando come un tuono. Krista voleva seminare più caos possibile. Era stata messa al corrente del protocollo di sicurezza del carcere di Clairvaux. In caso di emergenza, il complesso isolava le rovine dell'abbazia, sia per proteggere il tesoro nazionale sia per mettere al riparo i turisti intrappolati all'interno. Come ora. Il pilota dell'elicottero in testa le comunicò via radio: «Bersagli individuati a terra. Invio coordinate». Krista lanciò un'occhiata al proprio pilota. L'uomo fece un cenno col capo; aveva ricevuto le coordinate e inclinò l'elicottero in una stretta virata a destra. Trasportavano dieci uomini, che stavano già calando le corde da entrambi i portelli. Una volta sopra le rovine, i soldati si sarebbero calati dall'elicottero lungo le corde e avrebbero catturato le prede. Krista avrebbe accompagnato la prima squadra d'assalto. Voleva dirigere quell'operazione di persona. Dopo avere bombardato e bruciato il carcere, il secondo elicottero avrebbe scaricato la seconda ondata di uomini. I due velivoli avrebbero continuato a pattugliare l'area, in attesa che lei ordinasse l'evacuazione. Sporgendosi in avanti, Krista guardò giù. Le coordinate indicavano un esteso quadrato di rovine di pietra con un grande giardino al centro. Era abbastanza grande da consentire all'elicottero di atterrare all'interno, se necessario. Il pilota comunicò via radio: «In attesa del suo segnale». Lei alzò un pugno e puntò in basso il pollice. Era ora di chiudere la partita. Ore 15.24
Gray riparò con gli altri sotto il porticato del chiostro. Gli ululati delle sirene gli rintronavano le orecchie, le esplosioni gli facevano scoppiare la testa. Fontane di fuoco e fumo eruttavano tutt'intorno a loro. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Gray comprese la strategia dietro l'attacco del carcere con bombe incendiarie. Qualcuno vuole intrappolarci. E poteva immaginare chi. I capi di Seichan volevano accorciare il loro guinzaglio. La donna li aveva informati che la squadra di Gray era a un passo dal ritrovare la chiave? Era così che volevano chiudere la partita? Eppure Seichan non sembrava meno furibonda di lui. A quanto sembrava, non era stata informata del cambiamento dei piani. «Che cosa facciamo?» domandò Sara. Gray non poteva rispondere. Sapeva che quella domanda ne comprendeva molte altre. Come avrebbero fatto a uscire di lì? E l'antidoto che le era stato promesso per curarla dall'avvelenamento? Senza la chiave del Doomsday Book in mano, non avevano nessun oggetto di scambio. Dovevano trovare quella chiave. Poco prima dell'attacco, qualcosa aveva cominciato a prendere forma nella mente di Gray. Un'idea vaga, l'ombra di un pensiero. Ma le sirene e le bombe avevano spazzato via tutto. Qualcosa che riguardava la dodicesima croce di consacrazione mancante. Dal fumo sbucò un elicottero, che proiettò un'ombra sul cortile quando passò e si librò sopra di loro. Il vortice delle pale sferzava lo spazio chiuso, schiacciando i fiori e scuotendo le siepi. Gray e gli altri non avevano dove fuggire. Fissando il giardino, la risposta gli balenò d'improvviso alla mente. Senza ragionamenti, né ricostruzioni. Gli fu completamente chiara. Il tempo rallentò. Ripensò alla fissazione per l'antica planimetria dell'abbazia nella biblioteca di Troyes. Sapeva cosa lo aveva tormentato. La croce pagana disegnata su quella stessa pagina. Nella biblioteca non l'aveva notata, non l'aveva riconosciuta in quel contesto. Ora l'aveva chiara dinanzi agli occhi. La croce pagana rappresentava la terra divisa nei suoi quattro punti cardinali: nord, sud, est, ovest. Così come la rosa dei venti della planimetria. Gray fissò il giardino... l'ornamento che abbelliva il centro del cortile. La rosa dei venti era un'elaborata opera di ottone appoggiata su una base alta fino alla cintola. Era decorata con complessi fregi, i quattro punti cardinali segnati in modo chiaro e suddivisi in gradi. La dodicesima croce di consacrazione, benché nascosta in quella nuova rappresentazione, era sempre stata sotto i loro occhi. Se Gray nutriva dubbi, rammentò a se stesso un'altra cosa. La rosa dei venti era al centro del cortile, circondata da colonne segnate con simboli sacri. Quel luogo era il terreno più sacro degli antichi che avevano eretto quelle colonne. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Gray sapeva cosa doveva fare. Si girò di scatto verso la guardia e indicò l'elicottero sospeso nell'aria mentre si aprivano i portelli: «Spari!» Ma il militare era terrorizzato. Era giovane, probabilmente inesperto, incaricato di sorvegliare un gruppo di turisti. Era davvero troppo per lui. «Be', se non ci pensa tu...» Kowalski gli strappò il fucile dalle mani. «Ora ti faccio vedere io come si fa.» Puntò il fucile, prese la mira e si mise a sparare all'elicottero. Gli uomini balzarono via dal portello aperto. Una corda si staccò e serpeggiò quando l'elicottero si sollevò di colpo e virò di lato, colto alla sprovvista dalla raffica di colpi. Gray sapeva che aveva pochi secondi per confermare la sua teoria. «Kowalski, tu tieni a bada quell'elicottero. Tutti gli altri, con me!» Gray corse verso la rosa dei venti in giardino. «Mettetevi intorno!» ordinò, mentre afferrava la grande N d'ottone. Wallace, Sara e Seichan presero posto agli altri punti cardinali. «Dobbiamo farla girare! Come nella tomba sull'isola. Fatela girare come una ruota!» Gray fece perno con la punta dei piedi nell'erba, appoggiò la spalla e spinse. Gli altri lo imitarono. Non accadde nulla. Non voleva saperne di muoversi. Si era sbagliato? Stavano spingendo nella direzione giusta? Poi, d'improvviso, si smosse. L'intera rosa dei venti ruotò sul perno d'ottone. Echeggiarono i colpi di fucile di Kowalski. Dall'alto, il fuoco di risposta lo tempestò. I proiettili crivellarono la colonna dietro cui Kowalski si era messo al riparo, costringendolo a ritrarsi. L'elicottero tornò verso il cortile. Il battito delle pale era assordante. «Non fermatevi!» gridò Gray agli altri. Far ruotare la rosa dei venti era come allenarsi sulla sabbia: rude e faticoso. L'elicottero si fermò sopra di loro. Dai lati calarono le corde. Ore 15.27
«Non sparare!» gridò Krista quando uno degli uomini mirò ai quattro di sotto. «Voglio vivo quel gruppo.» Almeno per ora. La sete di sangue dei soldati era finita. Uno di loro aveva preso una pallottola vagante in faccia e giaceva morto sul pavimento della cabina. Chiunque stesse sparando su di loro sapeva usare il fucile. Doveva ammetterlo. Indicò col dito il lato opposto del chiostro, dove si era nascosto il cecchino. Schiaffò un lanciarazzi in mano a un tiratore. «Fallo fuori.» Quel bastardo non aveva dove nascondersi. Soprattutto da una bomba termobarica. Kowalski fuggì con uno scatto. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Aveva capito dall'improvvisa sospensione del fuoco che stava per cadergli qualcosa di molto peggio sulla testa. Se non altro la signora e la guardia erano già fuggite dal chiostro quando era cominciato lo scontro a fuoco. Non avevano voluto partecipare a quel combattimento. Tipico dei francesi... L'unico avvertimento che Kowalski ricevette fu un fischio acuto che coprì ogni altra cosa. Lanciò un'occhiata alle proprie spalle... e così non vide la buca. Un secondo prima aveva le pietre sotto i piedi, quello dopo non c'era che il vuoto. Precipitò a capofitto giù per una stretta scala. Una violenta esplosione lo investì da dietro e lo scaraventò giù per gli ultimi gradini. Atterrò come un sacco di patate, intontito, dinanzi all'entrata di un tunnel. Rintronato e col naso che sanguinava, Kowalski si rese conto di due cose: i gradini non c'erano un secondo prima; e, peggio ancora, sapeva dove era finito. Ore 15.28
Nonostante le orecchie rintronate dall'esplosione della bomba, Gray udì gridare il proprio nome, seguito da una sfilza d'imprecazioni. «Correte!» gridò Gray agli altri. Lui afferrò Sara, Seichan agguantò Wallace. Fuggirono tutti passando sotto l'elicottero, saltellando tra le corde che sbattevano a destra e a manca. L'onda d'urto si era propagata verso l'esterno con una violenta spinta. Persino l'elicottero aveva sobbalzato, cosa che aveva fatto loro guadagnare il tempo sufficiente per fuggire con uno scatto sotto il portico. Un grande pezzo del chiostro era ridotto ora a un cumulo di rovine annerite e fumanti. Pochi secondi prima, Gray aveva visto Kowalski fuggire a rotta di collo dalla zona dell'esplosione. Dopodiché il gigante era scomparso d'improvviso alla vista, come se fosse precipitato in un pozzo... no, non un pozzo. «Portate qui le chiappe!» Una sola cosa spaventava così tanto Kowalski. I quattro s'infilarono sotto il porticato. Gray la vide subito. Una scala stretta che si apriva nel pavimento. Quindi non si era sbagliato. Facendo ruotare la rosa dei venti, avevano aperto un passaggio segreto. «Presto!» Alle loro spalle, l'elicottero si era stabilizzato e gli uomini in tenuta da combattimento si calarono con rapidità dalle corde. Udì il tonfo degli stivali a terra quando raggiunse la scala. «Giù, giù, giù», incalzò. Gli altri scesero precipitosamente i gradini. Gray chiuse la fila. Con la coda dell'occhio, vide un soldato puntare il fucile. Si chinò e una gragnola di colpi gli sfiorò la testa, rimbalzando sul muro. I colpi di rimbalzo pizzicavano come punture d'ape. Ne prese uno alla testa così violento che il cranio gli parve andare James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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in pezzi. Poteva andare peggio. Sono solo proiettili di gomma, si rese conto, mentre si affrettava a scendere. Innocui. Qualcuno li voleva vivi. Precipitò in un passaggio sotterraneo. Kowalski gridò nella sua direzione: «C'è una leva qui sotto! Devo tirarla?» «Sì!» gridarono tutti in coro. Gray udì uno stridore di metallo. La scala cominciò a salire dietro di loro. Ogni gradino era in realtà un blocco di pietra, sfalsato a formare una scala. Ogni macigno risalì verticalmente, richiudendo l'apertura di sopra. Precipitarono nel buio completo. Si udì uno scatto secco e una fiammella si accese con un guizzo. Illuminò il volto di Seichan, che teneva in alto un accendino. «E ora che facciamo?» Gray sapeva che avevano una sola possibilità. La vita di Sara, di tutti loro, era appesa a un'unica speranza. «Dobbiamo trovare quella chiave.»
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Capitolo 30
† Clairvaux, Francia, 14 ottobre, ore 15.33
K
rista attraversò a grandi passi il giardino del chiostro. Era sceso il crepuscolo col cielo oscurato dal fumo, agitato di tanto in tanto dal passaggio di un elicottero. Nel recinto carcerario ardevano centinaia di fuochi. Le sirene continuavano a ululare, interrotte dagli spari e dalle urla degli uomini. Le guardie carcerarie avevano già il loro bel da fare coi prigionieri liberi, con gli incendi e tutto quel pandemonio. Non si sarebbero preoccupati delle rovine per ora. Ma, per assicurarsi di non essere disturbati, Krista aveva ordinato alla seconda squadra d'assalto di formare un cordone, per sorvegliare tutti i punti d'accesso all'area. In cielo, gli elicotteri armati davano manforte. Un'esplosione particolarmente forte attirò lo sguardo di Krista a ovest. Una nuova fiammata trafisse il cielo. L'esplosione di un serbatoio di combustibile nel piccolo eliporto, suppose. Quell'area era stata uno dei loro primi obiettivi. Krista aveva voluto che la prigione fosse il più isolata possibile, il più a lungo possibile. Prima dell'attacco, aveva fatto tagliare le linee telefoniche e le vie di comunicazione principali. Aveva fatto minare l'unica strada che portava al carcere. Alla fine, la risposta sarebbe arrivata, ma lei aveva intenzione di andarsene prima che ciò accadesse. O così sperava. Il suo vicecomandante la raggiunse sotto il porticato. Era un enorme algerino nero di nome Khattab. Aggrottò le sopracciglia e scosse la testa. «Ancora nessuna traccia dei bersagli.» Krista aveva una squadra impegnata a cercare dietro le rovine del chiostro. Un soldato aveva sparato a uno del gruppo; dalla descrizione doveva essere Grayson Pierce. Ma dove erano finiti? Il rapporto del soldato non aveva senso. Le aveva fatto vedere dove gli altri erano scomparsi. Ma Krista non trovò né porte né finestre. I muri erano massicci. Si erano dileguati nell'ombra ed erano fuggiti? Non erano ancora riusciti a ritrovarli. Avevano trovato soltanto una guardia e una donna anziana terrorizzate. Li aveva interrogati, ma non sapevano nulla. Krista era sotto il porticato con Khattab e fissava la rosa dei venti d'ottone nel centro del giardino. Stavano facendo qualcosa lì in mezzo quando la sua squadra era arrivata. Indicando col dito, disse: «Manda due uomini a controllare quella rosa dei venti. Vedi se c'è qualcosa di strano». James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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«E i nostri bersagli? Gli ordini restano gli stessi?» «Ho nuovi ordini.» Sperava d'impadronirsi della chiave del Doomsday Book, ma riconosceva che era un'impresa che andava al di là dei suoi mezzi. «Sparate per uccidere.» Quando fece per andare via, il tacco dello stivale slittò su qualcosa di sabbioso. Abbassò lo sguardo sulle pietre sotto i piedi e si mise in ginocchio. Nell'ombra non l'aveva notata, ma una cornice di calcare sgretolato delimitava un rettangolo sul pavimento. Seminascosto dietro una colonna, era il punto dove il soldato aveva visto i loro fuggitivi scomparire nel nulla. Krista raccolse un pizzico di calcare sgretolato. Lo sfregò tra le dita e strinse gli occhi. «Khattab, annulla gli ordini. Voglio gli uomini qui. Fa' venire qualcuno pratico di demolizioni.» Forse quell'impresa non andava proprio al di là dei suoi mezzi. Ore 15.34
Con la torcia in mano, Gray fece strada agli altri nel tunnel di mattoni che scendeva dritto e ripido. Non appena si fu orientato, il passaggio parve condurli sotto il terreno in cui un tempo sorgeva la vecchia abbazia. Ormai dovevano essere scesi quattro piani nel sottosuolo. Nessuno parlava. Sapevano che dal ritrovamento di quella chiave dipendeva tutto. Gray seguiva il fascio di luce della torcia. Il tunnel svaniva più avanti. Nonostante l'urgenza, rallentò il passo. Rammentò la trappola che aveva fatto scattare inavvertitamente. Non era il momento di commettere un errore di distrazione. Trattenendo il respiro, scese con cautela sino in fondo al tunnel. La torcia illuminò uno spazio molto più grande. Si affacciò al varco e guardò dentro. La prima impressione fu quella di una cattedrale sotterranea. Muri di mattoni fiancheggiati da quattro imponenti colonne sorreggevano un'immensa cupola circolare. Ricordava le volte ai bordi del chiostro, solo che quella era davvero enorme. Costoloni ad arco s'innalzavano da ciascuna delle quattro colonne e s'incrociavano al vertice. Vista dal basso, Gray sapeva a cosa doveva somigliare quella cupola circolare divisa in quattro parti da costoloni incrociati: una croce pagana. Il cerchio crociato. Se aveva qualche dubbio sulla sua rappresentazione simbolica, non doveva che abbassare gli occhi per averne conferma. Scolpito nel bronzo e incastonato nel pavimento di calcare campeggiava un enorme disegno di quasi trenta metri di diametro. Si attorcigliava in spire continue che si avvolgevano e svolgevano, formando tre spirali perfette, tutte intrecciate fra loro. Era l'antico triskel, la triplice spirale, il simbolo onnipresente che avevano trovato scolpito sui monoliti in Inghilterra, miniato in antichi testi celtici irlandesi e James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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assimilato dalla Chiesa cattolica come rappresentazione della Santissima Trinità. Il cerchio in alto, la spirale in basso. E in mezzo campeggiava un unico oggetto. Era la sola particolarità della cripta. «Un croce celtica», commentò Sara, impressionata. Gli altri seguirono Gray quando entrò nella cripta. La croce s'innalzava al centro del triskel. Scolpita nel bronzo, era semplice, spoglia, alta solo due metri. Era formata da due bracci di bronzo incrociati in alto da un elemento circolare. Gray fece strada. Solo Kowalski rimase indietro nel tunnel. I quattro entrarono nella cripta. Wallace commentò la semplicità della scultura religiosa. «I monaci cistercensi predicavano sempre contro gli ornamenti eccessivi. Credevano nell'austerità e nel minimalismo. Ogni cosa al suo posto e per il suo scopo.» Gray attraversò con cautela la spirale di bronzo. Non sapeva bene se un disegno sul pavimento come quello poteva essere considerato «austero». Ma il professore aveva ragione riguardo alla croce. Per forma e dimensione, sembrava insignificante. In effetti, sembrava un utensile più che un simbolo religioso. Eppure, nessuno poteva negare la sua importanza. Sara commentò l'oggetto, guardando in alto. «Sta tra la spirale e il cerchio crociato.» Gray sciabolò la torcia sulla volta e notò una cosa che gli era sfuggita. La cupola, divisa in quattro sezioni, non era spoglia. La luce era riflessa da frammenti di cristallo di quarzo grezzo incastonati nel soffitto. Mentre puntava la luce qua e là, capì cosa stava osservando. «È una volta stellata», disse Sara prima di lui. Gray concordò. Riconobbe la costellazione formata dai frammenti di quarzo. I cristalli erano di dimensioni diverse, creando l'illusione della tridimensionalità. Ma non avevano il tempo di apprezzarne la qualità artistica. «E la chiave?» rammentò loro Seichan. «Sull'isola di Bardsey, pensavi che la croce celasse la combinazione per aprire la volta. Che sia la stessa cosa qui? Guarda.» Indicò l'elemento circolare appeso alla croce. La ruota di bronzo era solcata da profonde tacche, simili a quelle sulla croce di pietra di Bardsey. Come le tacche di una serratura a combinazione. Secondo Gray, Seichan aveva ragione, ma c'era un problema. Non conosceva la combinazione. E, l'ultima volta che aveva provato, per poco non li aveva fatti ammazzare tutti quanti. Dalle facce preoccupate degli altri, capì che non l'avevano dimenticato nemmeno loro. «Dobbiamo provarci», disse Wallace. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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«E, se fai scattare la trappola, possiamo chiedere a Kowalski di tirare la leva come l'ultima volta», aggiunse Seichan. Gray scosse la testa. «Anche se funzionasse, saremmo comunque fregati. Tirare la leva potrebbe salvarci il culo qui, ma potrebbe anche riaprire la scala.» Guardò gli altri, lasciando che assimilassero il significato delle sue parole. I commando avrebbero fatto irruzione laggiù. «Dalla padella alla brace», concluse Wallace in tono aspro. Gray si girò di nuovo verso la croce. «Possiamo provarci una sola volta. Un errore, e siamo spacciati.» Sara fornì l'unico motivo valido per fare un tentativo. «Ma siamo spacciati anche se non facciamo niente.» Kowalski aggiunse la sua opinione. Borbottò a denti stretti, ma l'eco riecheggiò nella cripta. «Se qualcun altro ripete la parola 'spacciati', vi mollo qui.» Ore 15.48
Krista era al fianco di Khattab mentre l'esperto di demolizioni finiva di imbottire l'ultimo foro di esplosivo C4. Lo lavorò con le dita e lo modellò con l'abilità di uno scultore. Una volta soddisfatto, inserì un detonatore elettrico collegato a un comando a distanza. Fece indietreggiare tutti con un gesto della mano. Si ritirarono nel giardino. Nessuno voleva trovarsi sotto il portico durante l'esplosione. L'esperto li aveva avvertiti del rischio che la deflagrazione facesse crollare il porticato e seppellisse l'entrata segreta. «Pronti?» domandò Khattab. Lei fece cenno di sì, impaziente. Con un cenno d'assenso di Khattab, l'esperto di demolizioni alzò il comando a distanza e schiacciò il pulsante. Ore 15.49
L'esplosione fece cadere Sara su un ginocchio... non per l'onda d'urto, ma per lo spavento. Già nervosa, fu colta alla sprovvista dalla deflagrazione. Fu attutita dai metri di roccia, ma rimbombò lo stesso come un colpo d'arma da fuoco. «Stanno cercando di entrare con l'esplosivo», disse Seichan, voltandosi a guardare in fondo al tunnel. «Ci penso io!» gridò Kowalski, risalendo col fucile la galleria. Ma era da solo contro un esercito. Già su un ginocchio, Sara si accasciò a sedere sul pavimento. La febbre era aumentata e la donna era scossa dai brividi. La testa le scoppiava, come se il cervello si espandesse e si contraesse a ogni battito del cuore. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Non poteva più ignorare nemmeno la nausea. Gray le lanciò un'occhiata, ma lei gli fece cenno di continuare a studiare la croce. Aveva passato gli ultimi dieci minuti a esaminarla senza toccarla. Vi girava intorno. A volte si avvicinava, altre volte si allontanava e fissava il vuoto. Avevano notato un paio di stranezze nella croce. La traversa orizzontale era cava. E dietro il crocifisso Wallace aveva scoperto un lungo cordone attaccato al centro della croce. Era un tendine secco intrecciato in uno spesso cordone alla cui estremità era appeso un blocco di bronzo triangolare. Nessuno sapeva cosa farci... e nessuno aveva il coraggio di toccarlo. Un rumore di passi pesanti annunciò il ritorno di Kowalski. «Non sono riusciti a entrare», gridò con sollievo. «Siamo ancora rinchiusi qui sotto.» «Continueranno a provare», avvertì Seichan. Sara lanciò uno sguardo a Gray. Ormai non avevano più tempo. Gray si era fermato. Si lasciò cadere sul pavimento, come per gettare la spugna. Ma Sara lo conosceva, sapeva che non era così. Almeno era quello che sperava. Ore 15.59
Krista teneva il telefono all'orecchio. Non voleva rispondere, ma non aveva scelta. Premeva una mano forte sull'altro orecchio. Le sirene continuavano a ululare. E lo scontro a fuoco si era fatto più forte nel recinto del carcere. Sembrava una guerra in piena regola. Sapeva che il combattimento rischiava di estendersi da un momento all'altro alla loro oasi isolata. «Sappiamo dove sono!» gridò al telefono, cercando di non tradire la disperazione nella voce. «Apriremo il passaggio con l'esplosivo entro dieci minuti.» Lanciò un'occhiata al porticato. Khattab sorvegliava il lavoro dell'esperto di demolizioni. L'algerino notò il suo sguardo e mostrò dieci dita, confermando la sua previsione. Era il loro secondo tentativo. Avevano aperto un cratere sotto il porticato e portato allo scoperto una serie di blocchi di calcare nascosti. Sapeva che mancava poco e imprecò contro la prudenza dell'esperto di esplosivi. Nonostante ciò, dal muro e dalle colonne annerite riconobbe che era necessaria. Se avessero fatto crollare accidentalmente il porticato sull'entrata segreta, non sarebbero mai riusciti a scendere lì sotto. L'uomo al telefono finalmente parlò. Con voce fastidiosamente calma e pacata. «E ritieni che siano entrati in una cripta che potrebbe custodire la chiave del Doomsday Book?» «Sì!» Almeno era quello che sperava con tutte le sue forze. Seguì un lungo silenzio al telefono, come se lei avesse tutto il tempo. Di lato, rimbombarono colpi di fucile più secchi. Provenivano dalla sua squadra e potevano significare una sola cosa: gli scontri si stavano estendendo anche a loro. «D'accordo», disse infine l'uomo. «Impadronisciti della chiave.» Non occorreva minacciare. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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La comunicazione s'interruppe. Krista volse lo sguardo verso Khattab. L'algerino mostrò nove dita. Ore 16.00
Padre Giovanni doveva avere scoperto qualcosa. Era l'unica cosa su cui Gray poteva basarsi. Stava seduto con gli occhi aperti, ma non vedeva nulla intorno a sé. Tornò col pensiero nella cripta sotto l'abbazia di Saint Mary, sull'isola di Bardsey. Rivide le annotazioni a carboncino sul muro. Con la mente rilesse gli appunti scritti dal prete e studiò il grande cerchio disegnato intorno alla croce. Il cerchio era bisecato e sezionato da altre linee. Al tempo stesso, si raffigurò la croce lì nella cripta. Ripensò alla sua prima impressione, dandole ascolto. Gli era sembrata un utensile più che un simbolo religioso. Come un orologio di bronzo, un congegno costruito per uno scopo, non per decorazione. Le parole con cui Wallace aveva descritto l'ordine cistercense gli echeggiarono nella mente. Ogni cosa al suo posto e per il suo scopo. Rovesciò la testa e fissò la volta stellata fatta di quarzo. Respirando col naso, sentì qualcosa salire dentro di sé, un'intuizione che non riusciva a esprimere a parole. Poi si ritrovò in piedi, senza ricordare di essersi mai alzato. Si avvicinò di nuovo alla croce e la fissò di lato. La scultura di bronzo era poco più alta di Gray. Fu costretto a piegarsi per guardare nella traversa cava. «Non è una croce», disse a mezza voce. «Come sarebbe?» domandò Wallace dall'altra parte. Gray non rispose. Non capiva, non del tutto ancora. Si piegò e guardò nel braccio cavo. Seichan era al suo fianco. «Sembra quasi un telescopio.» Gray si raddrizzò, sbalordito. Ecco cos'era. Era il pezzo che gli serviva. Dentro di sé, una diga si aprì d'improvviso, travolgendo Gray con la risposta che cercava. Le immagini gli balenarono alla mente più rapidamente di quanto potesse seguirle, eppure, chissà come, si unirono. Fissò il soffitto in alto. Un telescopio. Si girò e abbracciò la sua nemica. Seichan s'irrigidì, non sapendo cosa fare. «Lo so», le mormorò all'orecchio. La donna trasalì a quelle parole, forse fraintendendole. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Gray la lasciò andare. Si buttò a terra e controllò la base della croce. Era infilata in una semisfera di bronzo. Passò le dita lungo i bordi. Non era a filo; c'era una fessura molto sottile fra la pietra e il bronzo. Scattò di nuovo in piedi e corse verso lo zaino che aveva lasciato sul pavimento. Rovesciò il contenuto per terra e trovò un pennarello nero. S'inginocchiò, dovendo vedere coi propri occhi. Lavorò svelto, disegnando col pennarello sulla pietra. Nel frattempo, tornò col pensiero a Bardsey. Riconobbe parte dei calcoli sul muro, ora. Il cerchio con le linee. Padre Giovanni era più intelligente di tutti loro. Lo aveva capito. Il cerchio rappresentava la terra. Le sue annotazioni... «Erano i calcoli della longitudine e della latitudine.» Gli altri si radunarono intorno a lui. «Di cosa sta parlando?» domandò Wallace. Gray indicò la scultura di bronzo al centro della cripta. «Non è una croce. È uno strumento di navigazione!» Il disegno mostrava in che modo la croce si poteva inclinare, in che modo il braccio poteva indicare una stella, in che modo il tendine col peso poteva fungere da filo a piombo e la ruota del congegno poteva misurare i gradi. «È un antico sestante.» «Oh, mio Dio.» Wallace indietreggiò, sbalordito, portando un palmo alla fronte. «Per moltissimo tempo, gli archeologi hanno discusso come facevano gli antichi a posizionare le pietre con tanta accuratezza. E con che precisione erano capaci di allinearle!» Puntò un dito verso il disegno. «Porca miseria! Quell'apparecchio potrebbe essere addirittura un teodolite!» «Un cosa?» fece eco Sara. Anche Gray aveva riconosciuto il congegno e rispose: «Uno strumento che serve a misurare gli angoli azimutali e zenitali. Si usa in ingegneria». «Il culto della spirale e della croce», disse Wallace. «I simboli rappresentano veramente il cielo e la terra.» Gray fissò il disegno della croce fissata a terra che puntava verso le stelle. «È qualcosa di più. I simboli rappresentano il culto di una conoscenza segreta, i segreti della navigazione e dell'ingegneria.» Seichan li riportò tutti coi piedi per terra con una domanda molto seria: «Ma che c'entra tutto questo con la chiave del Doomsday Book?» Volsero tutti lo sguardo sulla croce di bronzo. Gray conosceva la risposta. «Nell'antichità, solo le classi sacerdotali avevano accesso a una conoscenza del genere.» Lanciò un'occhiata a Wallace per avere conferma. Il professore annuì. «Per avere la chiave del Doomsday Book, dobbiamo dimostrare di possedere la stessa conoscenza.» «Come?» domandò Sara. A Gray tornarono in mente i calcoli di padre Giovani sull'isola di Bardsey. «Dobbiamo usare le stelle là a lato per calcolare delle coordinate di navigazione. Suppongo che dobbiamo inserire questo luogo. La longitudine e la latitudine James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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approssimative.» Si girò verso gli altri. «Ecco la combinazione.» «Sa calcolarla?» volle sapere Wallace. «Posso provarci.» Gray volse di nuovo l'attenzione sul pavimento. La croce celtica funzionava in modo diverso da un sestante, che utilizzava specchi e riflessioni per misurare latitudine e longitudine. Ma non era tanto differente. «Mi serve una costante fissa», mormorò, alzando gli occhi alla volta stellata fatta di quarzo. Era stata messa lì per un motivo. «La stella polare.» Seichan si accovacciò e indicò il pezzetto di quarzo che rappresentava la stella polare, usata per innumerevoli secoli per navigare. Andava bene. Lavorò svelto. Conosceva le coordinate approssimative di Clairvaux grazie al GPS che li aveva guidati sin lì. Ricordò di avere letto sul display: LAT 48° 09' 00" N LONG 04° 47' 00" E La longitudine e la latitudine erano misurate in gradi, minuti e secondi. Come la scala graduata di un orologio. Come le tacche incise nella ruota di bronzo sulla croce. Era tutto in proporzione. In meno di un minuto, Gray trovò quelle che riteneva le coordinate corrette usando l'antico strumento e la loro posizione attuale. Le imparò a memoria e si alzò. Sara lo fissò, gli occhi pieni di speranza. Gray pregò di essere all'altezza di quella speranza. «Nel caso mi sbagli, forse vi conviene ritirarvi tutti in fondo al tunnel.» Andò svelto verso la croce. Quando la raggiunse, la sua sicurezza vacillò d'improvviso. Aveva una sola possibilità. Se sbagliava, se faceva male i calcoli, se non riusciva a manovrare bene l'antico sestante, gli altri erano tutti morti. Si fermò e fissò il congegno. «Puoi farcela», disse una voce alle sue spalle. Lui si voltò e vide Seichan. Gli altri avevano raggiunto Kowalski nel tunnel. «Torna indietro.» Lei lo ignorò. «Potrebbero volerci due persone. Una per tenere la croce ferma nell'angolo giusto, l'altra per inserire la combinazione con la ruota.» Gray voleva obiettare, ma riconobbe che aveva ragione. Una parte di lui dovette inoltre ammettere che non voleva essere solo. «Allora facciamolo.» Si accovacciò di nuovo per guardare nel braccio cavo della croce. Sembra un telescopio, pensò, ricordando le parole che gli avevano fatto intuire la soluzione. Le parole di Seichan. Sapeva cosa si doveva fare. Afferrò il braccio della croce e l'abbassò. L'intera scultura s'inclinò, ruotando sulla base sferica. Non appena la mosse, un forte clangore rimbombò sotto il pavimento. Non si ribaltò nulla. Gray girò il braccio così che puntasse a nord. Guardando nella traversa, scrutò la volta stellata. Seichan lo aiutò tenendo puntata la torcia sul frammento di quarzo James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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che indicava la stella polare. Dopo qualche secondo, individuò la stella e puntò il telescopio su di essa. Nel farlo, dall'alto rimbombò un forte gong, che riverberò in tutta la cripta. Cosa significava? Dalla volta, centinaia di tasselli di pietra si staccarono con uno schiocco e caddero. Uno colpì Gray sulla spalla. Trasalendo, per poco non mollò la croce. Seichan imprecò e si premette una mano sulla fronte. Tra le dita le colò il sangue. La donna non staccò gli occhi dalla volta. Gray seguì la direzione del suo sguardo. Dal soffitto, punte di bronzo uscirono da centinaia di buchi e scesero lentamente verso il pavimento. Dietro di loro, una lastra di pietra calò sull'uscita del tunnel. Gray e Seichan non sarebbero mai riusciti a raggiungere in tempo la porta. Era il contrario della trappola sull'isola di Bardsey. Invece di essere buttati su una selva di punte, venivano infilzati dall'alto. In ogni caso, il significato era lo stesso. Gray aveva fallito.
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Capitolo 31
† Clairvaux, Francia, 14 ottobre, ore 16.04
S
ei sicuro che questo aprirà il passaggio segreto? domandò Krista. L'operazione di demolizione stava richiedendo più tempo del previsto. Dopo ulteriori calcoli, l'esperto di esplosivi aveva voluto fare altri fori nel cratere, per distanziare le cariche e controllare meglio l'esplosione. L'uomo alzò le spalle mentre lavorava. Stava usando un punteruolo per praticare a mano l'ultimo foro. I pacchetti di C4 dovevano essere ancora modellati e piazzati. Rispose in arabo. Il vicecomandante di Krista tradusse. «Dice che si aprirà se Allah lo vorrà.» Krista stringeva la pistola nella fondina con la mano. Sarà meglio che Allah lo voglia, altrimenti quel bastardo si beccherà una pallottola in testa. «Quanto tempo ci vuole ancora?» «Ancora dieci minuti.» Krista voleva urlare, ma si limitò a girare i tacchi e ad allontanarsi a grandi passi. In cielo, passò uno degli elicotteri. Le pale agitarono la pesante cappa di fumo. La luce del sole brillò più forte, poi si stinse di nuovo in un fosco crepuscolo. L'aria puzzava di carburante bruciato e cordite. Krista udì le mitragliate dell'elicottero quando sorvolò la linea di schermaglia. Le sue forze erano impegnate a tenere la guerra scoppiata nel carcere lontana da loro. Tra gli ordini urlati a squarciagola e le grida dei soldati, il combattimento era particolarmente violento. Vide uno dei suoi commando trascinare un compagno nel chiostro. L'uomo a terra si contorceva, comprimendosi i visceri nell'addome con un pugno. Come il soldato caduto, non potevano resistere per sempre. Si girò verso Khattab. L'uomo mostrò nove dita. Krista tirò un profondo respiro per calmarsi. Potevano tenere duro per quel tempo. Una volta aperto il tunnel, sarebbe scesa in quella cripta e avrebbe spazzato via tutto ciò che si frapponeva tra lei e la chiave. Abbassò gli occhi sulla valigetta ai propri piedi. Niente l'avrebbe fermata. Ore 16.05
Seichan teneva fermo Gray con una mano sulla spalla. L'uomo si era scostato dalla croce, ma continuava a stringerla con un braccio. Seichan sapeva cosa stava pensando mentre fissava col volto contratto dall'angoscia le lance che calavano James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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dal soffitto. «Devo tirare la leva?» gridò Kowalski, in ginocchio sotto la lastra di pietra che scendeva, sbarrando l'unica via d'uscita. «No!» gridò Gray di rimando. Gli altri erano al sicuro nel tunnel. Solo lui e Seichan erano in pericolo. La donna era consapevole della decisione che Gray doveva prendere. Se Kowalski tirava la leva, la trappola sarebbe stata ripristinata, ma avrebbe anche potuto aprire l'entrata segreta, permettendo ai soldati di scendere laggiù in massa. Se avessero salvato la propria vita, avrebbero condannato a morte gli altri. Non c'era scampo. La decisione di Gray avrebbe solo fornito agli altri una piccola speranza. Se le forze di Krista fossero state respinte prima di aprire l'entrata con l'esplosivo, forse gli altri sarebbero potuti sopravvivere. Era un grande rischio, ma era una speranza. Seichan guardò in alto. Avrebbe corso quel rischio ora. Si avvicinò e fissò Gray in volto, distogliendo il suo sguardo dalla morte che calava su di loro. Lui doveva sapere la verità. Che importanza avevano i segreti a quel punto? Ma Gray si girò di scatto dall'altra parte. «E se non mi sbagliassi?» «Cosa?» «Tieni ferma la croce mentre io giro la ruota», ordinò. Lei obbedì, confusa. «Potrebbe non essere una trappola. Potrebbe essere un timer. Una volta che tenti di risolvere la combinazione, hai a disposizione solo un certo lasso di tempo per completarla.» Accennò alle lance nel soffitto. «Quindi non possiamo tirare a indovinare. Non possiamo andare per tentativi.» «Esatto.» Gray allungò la mano verso il cordone col peso e si assicurò che cadesse a piombo. Fece scorrere le dita sulla ruota della croce, contando le tacche a fior di labbra. Raggiunse un punto che doveva corrispondere ai suoi calcoli. «O la va o la spacca», disse sottovoce. Afferrò la ruota e la girò fino ad allineare la tacca che aveva individuato col filo a piombo. Si fermò e trattenne il respiro, le labbra contratte dalla tensione. Come prima, rimbombò un gong. «Ci ho preso!» esultò. Purtroppo, le punte scesero ancora più in fretta. Precipitarono verso il pavimento. «Gray!» Lui guardò la ruota e contò rapidamente. Ad alta voce, questa volta. «Otto, sette, sei, cinque, quattro.» Quando individuò la tacca giusta, tenne fermo il dito sul segno e girò la ruota nell'altro senso. Fu necessario farle compiere un giro quasi completo. Seichan si chinò quando una punta le sfiorò il volto. Furono costretti entrambi in ginocchio. Seichan teneva un braccio alzato, per sostenere la croce. Gray aveva James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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entrambe le mani impegnate: con una teneva il segno, con l'altra girava la ruota. Sotto gli occhi di Seichan, la punta di una lancia le trafisse il braccio. Gray cacciò un urlo quando una punta si conficcò nel dorso della mano e gli strappò il braccio dalla ruota. Cambiando leggermente posizione in ginocchio, Seichan infilò il braccio tra due lance e afferrò un'altra sezione della ruota. «Dimmi quando devo smettere di girare!» gridò senza fiato. Bisognava spingere verso l'alto. Era difficile girare la ruota. Premette la guancia su una punta, che la trafisse da parte a parte. Il sangue le riempì la bocca, le colò sul collo. Cercò di girare la ruota con tutte le sue forze, ma era troppo dura. In preda al panico, incontrò lo sguardo di Gray. Non poteva parlare con la guancia infilzata. Il dolore era atroce. Pose tutto il proprio dolore e la propria angoscia in quell'unico sguardo, mettendosi a nudo davanti a lui, non nascondendogli nulla per una volta. Nemmeno il proprio cuore. Gray spalancò gli occhi, forse vedendola veramente per la prima volta, riconoscendo ciò che si celava tra loro due. Una mano colmò quel vuoto e raggiunse la gamba di lei. Le strinse il ginocchio e le mormorò le parole che nessuno le aveva mai detto con sincerità: «Io mi fido di te». Ciò che il dolore non era riuscito a fare, ci riuscirono quelle parole. Le lacrime le gonfiarono gli occhi e le inondarono il viso. Premette più forte sulla lancia, spingendola più in fondo. Strinse più forte le dita e tirò la ruota. Girò, lentamente. Il tempo era quasi finito. Era straziata dal dolore. Sentì la punta della lancia sulla lingua. Ma non smise di girare la ruota. «Basta!» gridò Gray finalmente. Lei mollò la presa. Si lasciò cadere sul pavimento, sfilandosi dalla lancia. In lontananza, un terzo gong rimbombò. Tre spirali, tre gong. Le si offuscò la vista, ma vide le punte ritrarsi, risalire piano piano nel soffitto. Con la testa appoggiata sul pavimento, udì enormi ingranaggi ruotare sotto di lei, come se ascoltasse l'orologio da tasca di Dio. Poco lontano, la croce si raddrizzò. Gray le corse subito accanto e la sollevò in braccio. Seichan si strinse a lui, abbracciandolo. Lui la tenne stretta. «Ce l'hai fatta. Guarda.» La sollevò più in alto e lei guardò nella cripta. A mano a mano che gli ingranaggi sottostanti giravano, ciascuna delle tre spirali prese a roteare, rivelando falsi pavimenti. Le sezioni si capovolsero del tutto. Al posto delle spirali comparve ciò che era rimasto nascosto per tutti quei secoli. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Sotto ciascuna sezione del pavimento era fissata una culla di vetro. Quando le tre sezioni si fermarono, le culle dondolarono sulle barre. Anche da quella distanza, Seichan sapeva che non erano bambini quelle figure nelle grandi culle, bensì corpi. Le culle erano in realtà bare. «Sono i sarcofagi», disse Gray. Dall'altra parte della cripta, la porta si aprì e la lastra di pietra tornò su. Gli altri si precipitarono dentro. Wallace spalancò gli occhi. «Ce l'avete fatta!» «Gray?» gridò Sara. Le scorrevano lacrime sul viso. Doveva averlo creduto morto. Sollievo e orrore le si dipinsero in volto quando lo trovò vivo ma coperto di sangue. Seichan provò a rimettersi in piedi, ma era troppo debole. Gray la sorresse con un braccio. Il sangue le colava ancora dalla guancia ferita, ma molto meno di prima. Wallace le porse un fazzoletto. Lei lo raggomitolò e lo premette sul volto. Gray la fissò, con uno sguardo interrogativo. Lei annuì e si liberò barcollando dalle sue braccia. Fu la cosa più difficile che avesse mai fatto. Ma non era quello il suo posto. Sara corse incontro a Gray e lo aiutò a bendarsi la mano. Wallace si avvicinò con Kowalski. «Sono sarcofagi di vetro...» «Credo proprio di sì», convenne Kowalski. Gray diede un'ultima sistemata alla fasciatura. Il sangue continuò a colargli dalla punta delle dita quando indicò i sarcofagi. «Dobbiamo trovare quella chiave.» Ore 16.08
Gray sapeva dove guardare prima. Condusse gli altri verso un sarcofago diverso dagli altri due. Il vetro era ricoperto da una polvere fine, ma il motivo decorativo era chiaro. Le torce lo illuminarono, facendolo brillare. I lati e il coperchio del sarcofago erano complessi mosaici di vetro colorato. I colori brillavano come gioielli e le figure erano facilmente riconoscibili. Realizzate con schegge di vetro e frammenti di pietre preziose erano file di falchi, sciacalli, leoni alati, scarabei, mani, occhi, piume, oltre a simboli stilizzati. «Sono geroglifici egizi», osservò Wallace senza fiato. «Fatti col vetro colorato», aggiunse Sara, altrettanto sbalordita. Il professore si avvicinò. «I glifi, però, sono molto antichi. Periodo arcaico. Antico Regno, credo. La Chiesa deve averli copiati da qualche stele funeraria originale. Forse un tempo erano scolpiti su quel sarcofago a Bardsey. Prima di cancellarli, qualche monaco deve averli ricopiati e poi riprodotti qui col vetro colorato.» «Sa leggerli?» domandò Gray, sperando che contenessero un indizio per ritrovare la James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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chiave. Wallace fece scorrere un dito sulla polvere. «'Qui giace Meritaten, figlia di re Akhenaton e della regina Nefertiti. Colei che attraversò i mari e portò il dio sole Ra in queste gelide terre.'» Quando il professore ebbe finito, la mano gli tremava quanto la voce. «La regina nera.» Si girò, gli occhi spalancati per lo stupore. «Era una regina egizia.» «È possibile?» volle sapere Sara. Gray guardò attraverso il vetro colorato. Ripensò al racconto di padre Rye sull'isola di Bardsey, secondo cui mago Merlino era stato sepolto in un sarcofago di vetro. Era quella la vera origine di quella leggenda? La voce della sepoltura si era sparsa in quel luogo, confondendo il nome Meritateti con Merlin? Gray ripercorse mentalmente la mitologia delle Isole Britanniche. Ripensò al racconto del sacerdote, la guerra dei celti contro una tribù di mostri dalle pelle nera, i fomori. Agli occhi dei celti, una tribù di egizi smarriti sarebbe apparsa strana ed esotica. Secondo quelle stesse leggende, i fomori conoscevano molto bene l'agricoltura, un'abilità che gli egizi avevano affinato lungo il Nilo. Wallace si raddrizzò, immerso nei pensieri. «Alcuni storici sostengono che gli antichi costruttori della Britannia forse erano egizi. In un tumulo sepolcrale a Tara, in Irlanda, hanno ritrovato dei resti umani con indosso una collana di perline di ceramica, un'abilità sconosciuta a quella popolazione... perline pressoché identiche a quelle rinvenute nella tomba di Tutankhamen. E in Inghilterra, nei pressi della città di Hill, sono state scoperte grandi navi conservate in una palude di torba. Erano chiaramente egizie d'aspetto e risalivano al 1400 a.C, ben prima dell'epoca dei vichinghi o dell'arrivo sulle nostre rive di qualunque altro popolo di navigatori. Io stesso ho visto una pietra antica al British Museum, rinvenuta da un agricoltore nel Galles, che ritrae una figura in abbigliamento egizio con le piramidi sullo sfondo.» Wallace scosse la testa, come se stentasse a crederci persino lui. «Ma ecco... ecco la prova definitiva.» «E la chiave?» rammentò loro Seichan, tra colpi di tosse, continuando a premere il fazzoletto insanguinato sulla guancia. Sotto il vetro, giaceva una figura. Un gancio di bronzo chiudeva il coperchio provvisto di cardini. Gray sapeva che dovevano disturbare il riposo di quella principessa egizia. Aprì il gancio e sollevò il coperchio, ribaltandolo. Uscì una zaffata dolciastra. «Mio Dio!» esclamò Sara. Benché rinsecchito ed avvizzito, il corpo era stranamente ancora in ottimo stato di conservazione. Lunghi capelli neri drappeggiavano la figura supina. La pelle scura era tesa. Persino le ciglia erano intatte. Una veste elegante le avvolgeva il corpo dal collo ai piedi. Una corona d'oro le cingeva il capo, chiaramente egizia d'aspetto, a giudicare dalle decorazioni in lapislazzuli. Le uniche altre parti scoperte del corpo erano le mani. Incrociate sul petto, stringevano un vaso su cui erano scolpiti altri geroglifici. Il vaso era chiuso con un James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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coperchio d'oro a guisa di testa di falco. «Guardate la mano destra», disse Sara. Gray notò il dito indice mancante. Wallace puntò l'attenzione sul vaso di pietra e oro. «Sembra un canopo. Era usato per custodire i visceri imbalsamati di un faraone o di una regina.» Gray sapeva che dovevano guardarci dentro. La chiave del Doomsday Book era sempre stata legata al corpo della regina nera. Infilò il braccio nel sarcofago e tolse il pesante recipiente dalle dita avvizzite della regina. «Io non lo farei», borbottò Kowalski, facendo un passo indietro. «Neanche per sogno. Quel coso sarà maledetto.» O è la cura, pensò Gray. Con la loro conoscenza dell'agricoltura, gli egizi dovevano avere scoperto un parassita fungino in grado di devastare un villaggio. Una forma di guerra biologica. Ma possedevano anche un agente per neutralizzarlo? Gray strinse con delicatezza il vaso, afferrò la testa di falco e strappò il coperchio. Rabbrividì dentro di sé, non sapendo cosa aspettarsi. Una maledizione o una cura? Wallace puntò una torcia mentre Gray rovesciava il vaso. Dall'interno, uscì una polvere bianca come la neve, così fine che sgorgò come acqua. Gli tornò in mente la leggenda di Bernardo e del miracolo del latte, in che modo la Madonna Nera zampillò latte che lo curò. Gray sapeva che cosa aveva nel palmo. «È la cura», affermò sicuro. «È questa la chiave.» Versò di nuovo la polvere nel canopo e lo chiuse bene. «Venite a vedere questo», disse Seichan, tossendo. Si era avvicinata a un altro sarcofago e lo aveva aperto. Gli altri la raggiunsero. La donna puntò la torcia nell'arca sepolcrale. Un corpo giaceva avvolto in una semplice tonaca bianca col cappuccio. Anche lui teneva le mani incrociate, stringendo un piccolo libro rilegato in pelle. Ma fu sul volto che Seichan puntò la torcia. Sembrava che l'uomo fosse morto il giorno prima. La pelle, sebbene un po' scavata, era intatta, le labbra rosse, gli occhi chiusi come se dormisse. I capelli castani sembravano appena pettinati e tagliati a frangetta sulla fronte. «Non si è decomposto affatto», osservò Seichan. Sara si portò una mano al collo. «Si dice che le reliquie dei santi siano incorruttibili. Non si decompongono. Questo deve essere san Malachia» lanciò un'occhiata al terzo sarcofago, dove s'intravedeva la sagoma di un terzo corpo, «o san Bernardo.» Wallace aveva una spiegazione diversa della natura miracolosa dell'incorruttibilità del corpo. Gettò uno sguardo sul vaso tra le mani di Gray, poi sulle reliquie. «Non sempre i canopi contenevano organi imbalsamati.» Accennò al vaso. «A volte custodivano soltanto preparati per l'imbalsamazione. Oli, unguenti, James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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polveri.» Gray capì. «Se la chiave era una sostanza che curava, in modo particolare, dalle affezioni fungine, la polvere doveva possedere potenti proprietà antimicotiche... probabilmente anche antibatteriche.» Fissò il volto del santo. «E le cause principali della decomposizione corporea sono i funghi e i batteri. Un cadavere imbalsamato con un composto del genere e sigillato in una bara poteva dare l'impressione di essere incorruttibile.» Ripensò anche all'eccezionale salute e longevità attribuite ai monaci dell'isola di Bardsey. Una sostanza curativa così potente avrebbe protetto i monaci dagli agenti patogeni comunemente diffusi nel Medioevo. Non c'era da stupirsi che l'isola avesse fama di curare le malattie. Wallace spalancò gli occhi. «Perciò la chiave...» «Doveva essere in origine un preparato per l'imbalsamazione. Forse portato dall'Egitto o scoperto nella nuova terra. In ogni caso, il suo utilizzo medico deve essere stato scoperto molto presto. A quel tempo, una cura del genere doveva essere sembrata miracolosa.» Wallace annuì. «E, in coppia con un agente patogeno mortale, era una potente combinazione. Un'arma biologica e il suo agente neutralizzante.» «E tale conoscenza è passata dagli egizi ai celti, fino alla Chiesa primitiva. Che alla fine l'ha nascosta qui sotto.» «Ma non è l'unica conoscenza che è stata tramandata in quel periodo storico.» Wallace si volse verso la croce celtica. «Da moltissimo tempo, gli archeologi discutono su come gli egizi abbiano costruito e allineato le piramidi con tanta precisione. Avrebbero avuto bisogno di un potente strumento topografico.» Gray guardò la croce con occhi nuovi. Possibile che fosse quello? Dietro di lui, Sara emise un grido soffocato di sorpresa. Era rimasta vicina al sarcofago. Lei e Seichan erano chine sul corpo e avevano aperto il libro che il santo stringeva in mano. «Il nome all'interno», disse Seichan, scura in viso. «Mael Maedoc.» «San Malachia», confermò Sara. Sfogliò le pagine del libro. «È il suo commentario. Guardate i numeri e gli scarabocchi in latino...» Si voltò a guardare Gray. «Queste sono le profezie originali dei papi. Scritte di suo pugno», disse con voce ancora più squillante. «Ma c'è scritto di più! Pagine e pagine. Credo che il diario contenga centinaia di altre profezie. Predizioni mai divulgate dalla Chiesa.» E forse a ragion veduta, pensò Gray. La Chiesa doveva essersi spaventata già abbastanza con la profezia dei papi, della predizione della fine del mondo. Non c'era da stupirsi che il diario fosse stato nascosto. Prima che Sara potesse esaminare meglio gli scritti, Seichan allungò la mano e sfogliò all'indietro il libro fino alla prima pagina. Vi era disegnato un simbolo. Egizio. La donna lanciò un'occhiata a Gray. Lui lo riconobbe. Lo avevano già visto. Ora capiva l'entusiasmo della Gilda. Quell'organizzazione era sempre stata fissata con l'origine dell'antico sapere, soprattutto egizio. Padre Giovanni doveva avere sospettato un collegamento con gli egizi e doveva averlo lasciato trapelare, James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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suscitando l'immediato interesse della Gilda. Gray fissò il simbolo, un simbolo che avevano già incontrato in passato, mentre avevano a che fare con la Gilda: rappresentazioni piramidali di un pane sacro. Il simbolo raffigurava quello che era chiamato il «pane dell'offerta», o il «pane degli dei». Era consumato dai faraoni per aprire la mente al divino. La regina nera Meritaten aveva portato dall'Egitto qualcosa di più di un miracoloso preparato per l'imbalsamazione? Aveva portato con sé del pane dell'offerta? Malachia lo aveva mangiato, aveva toccato il divino e avuto le visioni? Gray fissò il simbolo disegnato sulla copertina del libro. Prima che qualcuno potesse approfondire l'argomento, un'esplosione rimbombò dall'alto, facendo tremare tutto. Era più forte della precedente. Ferì le orecchie. Fumo e polvere di roccia eruttarono dal tunnel, invadendo la cripta. «Sono entrati», disse Seichan. Gray si girò di scatto verso Kowalski. «Prendi il fucile e...» Ma, prima che il gigante potesse muoversi, Wallace gli strappò con un gesto fulmineo l'arma dalle mani. Il professore puntò il fucile contro di loro, strascicando i piedi all'indietro, verso il tunnel. «Temo non sia possibile», disse Wallace. Dal passaggio, sei soldati irruppero nella cripta, seguiti da una donna con in pugno una Sig Sauer. Wallace diede un'occhiata alle proprie spalle. «Era ora che arrivassi, mia cara.»
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Capitolo 32
† Clairvaux, Francia, 14 ottobre, ore 16.15
K
rista si compiacque delle espressioni sbalordite dipinte sui loro volti. Soprattutto su quello dell'eurasiatica. Benché sporca di sangue, la donna la guardava con occhi fiammeggianti d'ira. Ma la sua collera servì solo a infervorare ancora di più Krista. Dopo tutta la fatica per arrivare lì, quel momento ne valeva quasi la pena. Quasi. «Non avrai creduto di essere la mia unica risorsa qui?» domandò Krista, serafica. «A che serve la fiducia senza una piccola assicurazione in più?» Wallace la raggiunse col fucile. Lei accennò col gomito al professore. «Wallace e io siamo sempre stati un'ottima squadra. Fin da quando ha scoperto quel fungo patogeno. Il professore è stato anche così gentile da informarci del tradimento di padre Giovanni. Il prete avrebbe dovuto fare più attenzione con chi si confidava.» Le sfuggì una risatina, spontanea, nata da un misto di euforia e forte sollievo. La soffocò, disprezzando quel momento di debolezza. Fu rimpiazzata dall'ira, che l'aiutò a concentrarsi. Calmò la voce e lanciò un'occhiata a Wallace. «E la chiave? È qui?» Wallace fece un largo sorriso. «Sì, l'abbiamo trovata. È in quel vaso.» Gray Pierce fece un passo indietro. «Avevamo un accordo.» Krista non aveva tempo per simili stupidaggini o ingenuità. «Khattab, va' a prenderlo.» Per scoraggiare brutti scherzi, Krista tenne l'italiana sotto il tiro della pistola. Non avendo scelta, Gray consegnò il vaso. A sua volta, Khattab lasciò loro qualcosa in cambio. Come Krista aveva ordinato, il soldato depose la valigetta d'acciaio sul pavimento e indietreggiò col vaso. Gray abbassò gli occhi sulla ventiquattrore. Dall'espressione, aveva già intuito il contenuto. Krista aggiunse i particolari. «Una bomba incendiaria che sfrutta le sfere pirotecniche. Un nuovo progetto cinese. Brucia per molto tempo. Sviluppa un calore sufficiente a incenerire i mattoni dei muri. Non possiamo lasciarci dietro niente.» Gray fece un passo avanti. «Almeno portate con voi Sara», supplicò. «Non vi chiedo altro.» Lei scosse la testa e provò uno strano moto di rispetto per lui. Nonché una punta di tristezza. Riconobbe il dolore in quegli occhi, nonché l'origine. Qualcuno avrebbe mai fatto un simile sacrificio per lei? Con un sospiro esasperato, offrì l'unico conforto che le riuscì. «Temo che sarebbe inutile. Non sono stata del tutto sincera. Non esiste nessun antidoto per la tossina che Wallace ha fatto avere a Seichan. È mortale al cento per cento. È probabile che lei presenti già i sintomi. Morire qui sarà più rapido, meno doloroso.» Krista James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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indietreggiò dall'espressione sconvolta di Gray. L'italiana si girò e affondò il viso nel petto di lui. Krista si volse verso Khattab. «Andiamo. Assicurati che il tuo uomo faccia saltare l'entrata prima dell'evacuazione.» Lì aveva finito. O quasi. Si girò e puntò la pistola contro Wallace. Lui spalancò gli occhi. Krista tirò il grilletto e gli sparò allo stomaco. Il professore non gridò, restò solo senza fiato e crollò a terra. Contrasse il volto in una smorfia di dolore mentre si puntellava su un braccio. «Non sai quello che stai facendo.» Lei alzò le spalle e spostò la mira verso la testa. «Sono Echelon», ringhiò lui. Krista restò di sale. Si sforzò di dare una spiegazione a quell'affermazione. Solo poche persone al mondo conoscevano quel nome: Echelon. Non abbassò la pistola. Le rimase il dubbio, ma una cosa sapeva per certo. L'unico modo per fare carriera in quella organizzazione... era quello di fare spazio ai vertici. Tirò il grilletto. La testa di Wallace rimbalzò indietro, poi avanti. Il professore cadde a terra. Krista girò i tacchi e si diresse verso il tunnel. Non si aspettava conseguenze. Aveva ricevuto ordini di uccidere tutti. «Andiamo!» Si affrettò con gli altri su per il tunnel. Khattab camminava al suo fianco, stringendo con delicatezza il vaso sotto un braccio. La luce del sole splendeva più avanti, richiamandoli. Un cumulo di macerie portava fuori attraverso la porta saltata in aria. Krista si arrampicò coi soldati sul mucchio di detriti e uscì alla luce del sole. Le ci volle qualche secondo per rendersi conto del frastuono dello scontro a fuoco. Non fu prima che Khattab cadesse su un ginocchio, poi su un fianco, che lei comprese il pericolo. Metà faccia non c'era più. Il vaso scivolò via dalle braccia dell'uomo senza vita e ruzzolò nel giardino bagnato dal sole. Altri uomini caddero intorno a lei mentre si girava e si gettava dietro una colonna. Lo scontro aveva raggiunto anche loro. In cielo, un boato fiammeggiante attirò la sua attenzione. Uno dei suoi elicotteri esplose in una palla di fumo e rottami infuocati. Roteando, precipitò a terra con un tonfo. Il cuore le batteva forte. Che cosa stava succedendo? Poi, dall'altra parte del giardino, individuò chi stava sparando, chi aveva teso un agguato alla sua squadra. Uomini in uniforme dell'esercito francese. Ma soprattutto riconobbe l'uomo al comando. Impossibile. Era quel maledetto indiano. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Painter Crowe. Il cuore le batteva forte... non per la paura, ma per la collera, che le offuscò completamente la ragione. Infilò la mano in tasca e premette il comando a distanza. Il suolo sobbalzò sotto di lei a causa dell'esplosione sotterranea. Il cratere nel terreno eruttò grandi volute di fumo. I compagni di quell'uomo non avrebbero avuto scampo. Approfittando della distrazione e del fumo, Krista si dileguò nell'ombra. Non s'illuse. Intrappolata nel carcere con la sua squadra sgominata, era tutto perduto. Le era rimasto un solo scopo. Aveva fatto una promessa a se stessa prima di partire dalla Norvegia, una promessa che intendeva mantenere. Ore 16.20
Lo scontro a fuoco cessò all'improvviso, così come era scoppiato. La squadra di Painter era stata colta in contropiede dall'improvvisa comparsa di un contingente nemico che usciva da un buco nel terreno. La sua squadra non aveva visto l'entrata del tunnel nascosta nell'ombra di una sezione distrutta del chiostro. Ma era caduto anche l'ultimo nemico. I soldati francesi si sparpagliarono in ogni angolo del giardino. Imbracciando i fucili, si mossero con rapidità e determinazione. Painter rimase indietro. Emise un respiro tremante e perlustrò con gli occhi il luogo. Dov'erano Gray e gli altri? Monk gli andò incontro sotto il porticato, il fucile ancora fumante. Era cupo in viso, preoccupato per i suoi amici. L'unica avvisaglia fu un movimento di ombre. Una donna sbucò da una stretta porta alla destra di Painter. A meno di mezzo metro di distanza, gli puntò una pistola al petto. Sparò quattro volte. Gli spari rimbombarono come tuoni. Solo un colpo sfiorò la spalla di Painter. Nello stesso momento in cui la donna sparò, lui fu spinto di lato. Cadde di peso su un ginocchio e si rigirò. Vide i proiettili colpire John Creed nel giardino. L'uomo cadde riverso. Con un urlo, la donna assalì Painter, puntandogli la pistola contro il volto. Lui alzò di scatto il braccio. Aveva sfilato il pugnale dallo stivale e glielo piantò nel ventre. Ben addestrata, la donna ignorò il dolore e gli ficcò la pistola sotto il mento. Gli occhi dicevano tutto. Il pugnale non poteva fermarla prima che lei lo uccidesse. «Credo che questo sia tuo», ringhiò Painter, schiacciando il pulsante sul manico del pugnale WASP. L'esplosione di gas compresso le squarciò il ventre, polverizzandole e James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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congelandole all'istante gli organi interni. Lo stupore e il dolore l'attraversarono, paralizzandola. Painter la spinse via con entrambe le mani. La donna volò all'indietro, cadendo riversa, la bocca contratta in un grido muto di dolore... poi il corpo si afflosciò. Senza vita. Monk passò accanto a Painter, correndo nel giardino. «Creed!» Painter balzò in piedi e lo seguì. Creed era riverso a terra. Il sangue gli colava dalle labbra, gli gorgogliava dai tre fori sul petto. Gli occhi erano sbarrati, consapevole di ciò che lo attendeva. Monk cadde in ginocchio accanto a lui. Si strappò di dosso la giacca e l'accartocciò, preparandosi a comprimere le ferite. «Tieni duro!» Sapevano tutti che non c'era più nulla da fare. Il sangue aveva formato una pozza e si era sparso sul duro terreno. I proiettili dovevano essere del tipo a punta cava, di quelli che si espandevano all'impatto. Creed cercò a tentoni la mano di Monk e la strinse forte. Monk la coprì con l'altra. «John...» Con un ultimo respiro, la mano di Creed ricadde. Monk cercò di afferrarla di nuovo, come se potesse servire, ma lo sguardo di Creed divenne vitreo. «No», gemette Monk. Painter si chinò per offrire quella che non poteva essere che un'amara consolazione... quando udì un altro rumore. Proveniente dal cratere fumante. Vide un gruppo arrampicarsi fuori dalla voragine, tossendo e barcollando. Una figura perlustrò con gli occhi i dintorni, poi si diresse con passo malfermo nel giardino. «Gray...» Ore 16.22
Aveva avuto solo una manciata di secondi. Gray sapeva che la donna avrebbe fatto esplodere la bomba incendiaria non appena fosse uscita. Perciò, quando l'ultimo soldato fu scomparso in fondo al tunnel, si era precipitato verso la croce celtica e aveva girato la ruota. I monaci dovevano avere progettato un meccanismo per nascondere di nuovo i sarcofagi. Era una supposizione abbastanza scontata. Se la ruota girava, girava anche il pavimento. Non si era sbagliato. Quando la girò, i sarcofagi si rovesciarono di nuovo verso il basso e le spirali verso l'alto. Mentre il pavimento si ribaltava, Gray gridò a Kowalski di gettare la valigetta contenente la bomba nella cavità sottostante. Non sapeva se sarebbe bastato a proteggerli, ma non avevano altra scelta. Dopodiché si precipitarono verso i muri James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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e si tuffarono a pancia sotto. Quando la bomba esplose, le piastre circolari del pavimento sobbalzarono, danzando sulle fiamme... infine ricaddero con un tonfo. Il calore era forte come un altoforno. Il fumo era soffocante, ma fu in gran parte risucchiato dal tunnel come una canna fumaria. Il pericolo restava la deflagrazione sotterranea. Le fiamme consumavano le pietre sotto di loro. Di lato, la spirale di bronzo cominciò a brillare sotto la coltre di fumo. Gray ordinò a tutti di ritirarsi nel tunnel. Lì rannicchiato, Gray udì echeggiare dall'alto uno scontro a fuoco... poi gli spari cessarono d'improvviso. Non sapeva cosa stava succedendo. Udì altri spari, poi un grido. Conosceva quella voce. Tremò quasi dal sollievo. Monk. Mentre il calore aumentava, Gray aveva ricondotto gli altri su per il tunnel e all'aperto. Ovunque erano sparsi cadaveri. I soldati francesi li circondarono. Barcollando, avanzò nel giardino. «Sono con noi!» gridò Painter, andandogli incontro. Gray si sforzò di capire cosa ci facesse lì il suo capo, come era possibile che fosse lì. Ma per le spiegazioni c'era tempo. Perlustrando con gli occhi i dintorni, Gray scorse un oggetto di pietra e oro familiare contro una siepe. Il canopo. Sollevato, corse a prenderlo. Si buttò in ginocchio e lo raccolse. Il coperchio era ancora chiuso. Painter lo raggiunse. «È la chiave del Doomsday Book», spiegò Gray. «Proteggila.» Painter si girò quando Seichan li raggiunse. Non parve sorpreso di vederla. Seichan guardò Painter e scosse la testa. «Dovevamo provarci», disse lui in tono sibillino. «È andata di nuovo male. Vi avevo avvertito fin dall'inizio che la Gilda non si sarebbe fidata di nuovo completamente di me.» Seichan gli volse le spalle e puntò lo sguardo nel giardino, verso l'unica persona che non era scampata. «E non avrei dovuto fidarmi della Gilda.» Sara era come intontita, il viso rivolto al cielo. Erano tutti liberi, tranne lei. Sotto gli occhi di Gray, le tremavano le gambe. Il calore, lo stress l'avevano stremata oltre ogni suo limite. Col viso sempre rivolto al cielo, venne meno e si accasciò a terra. Troyes, Francia, ore 22.32
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Poche ore dopo, Gray era seduto su una panca nel corridoio davanti alla camera d'ospedale di Sara. Monk e un internista francese erano dentro con lei. Le avevano applicato una flebo e l'avevano imbottita di antibiotici a largo spettro d'azione. Sebbene fosse fuori pericolo, l'aveva scampata bella. Era stato necessario trasportarla d'urgenza in elicottero all'ospedale di Troyes. Ma almeno aveva ripreso conoscenza. Gray si toccò la fasciatura al braccio. Le ferite erano state suturate e bendate. Ma sapeva di essere tutt'altro che guarito. Una porta si aprì in fondo al corridoio. Vide Seichan uscire dalla sua camera. Indossava un camice ospedaliero e teneva in mano un pacchetto di sigarette. Gettò uno sguardo in fondo al corridoio, chiedendosi chiaramente se poteva fumare in ospedale. Si girò nella direzione di Gray e si bloccò d'improvviso. Sembrava che non sapesse cosa fare. Gray immaginò che dovesse abituarsi alla sua nuova condizione. La Gilda le avrebbe dato la caccia. Gli Stati Uniti avevano ancora ordini di catturarla. Painter aveva dovuto fare ricorso a tutte le sue risorse per nascondere la sua presenza. Era ancora via a spegnere un migliaio di fuochi, a tenere il mondo a bada. Ma non potevano nascondersi per sempre. Gray diede un colpetto sulla panca accanto a lui. Seichan indugiò per mezzo minuto, poi s'incamminò nella sua direzione. Aveva metà volto fasciato. Restò in piedi, con le braccia incrociate, gli occhi leggermente appannati dalla morfina. Lanciò un'occhiata alla porta di Sara. «Non l'ho avvelenata», mormorò con voce rauca. Non le faceva bene parlare subito dopo l'intervento. Ma Gray sapeva che doveva farlo. «Lo so», disse Gray. «Ha una polmonite doppia. È stata troppo tempo sotto la pioggia, ha subito troppo stress, e ha contratto una lieve infezione virale.» Seichan si lasciò cadere sulla panca. Painter gli aveva già spiegato gran parte della storia. Un mese prima aveva rintracciato Seichan tramite l'impianto e l'aveva contattata. La donna non aveva scoperto la cimice da sola. In realtà, stando al racconto di Painter, era rimasta scioccata ed era andata su tutte le furie quando il capo di Gray le aveva rivelato alla fine l'inganno. Ma le aveva offerto un'opportunità, l'aveva convinta a lavorare con lui, a tentare un'ultima volta d'infiltrarsi nella Gilda. Painter aveva avuto sentore dell'ordine di catturarla per interrogarla. Sapeva che lei era ancora il modo migliore per scoprire chi dirigeva la Gilda. Seichan aveva accettato e aveva atteso che si presentasse la missione giusta per dare prova del proprio valore alla Gilda, per provare a intrufolarsi di nuovo tra le sue file. Non le era mai passato per la testa che l'avrebbe portata a scontrarsi con Gray. Ma, una volta in ballo, non poteva più tornare indietro. «Dovevo continuare con la messinscena», spiegò Seichan, riferendosi sia all'avvelenamento sia al sotterfugio generale. «Ho scambiato i thermos a James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Hawkshead. Ho finto di avvelenare Sara, e poi ho distrutto la biotossina. Sapevo che ci stavano pedinando, che il mio telefono era sotto controllo. Inoltre avevo già dei sospetti su Wallace Boyle.» Secondo Gray, quei sospetti avevano a che fare con la sua paranoia cronica più che col fatto che avesse intuito qualcosa del professore, ma in quel caso particolare erano ben fondati. «È stato solo quando siamo arrivati in Francia, quando ci siamo divisi, che ho avuto modo di sganciarmi da Wallace, di rubare un telefono usa e getta. Dopo avere ucciso i killer nel bosco...» «Hai chiamato Painter. Avevi capito quindi che la missione era fallita e lo hai avvertito.» Lei annuì. «Non avevo altra scelta che uscire allo scoperto. Avevamo bisogno di aiuto.» Eccome. Nel corso della stessa telefonata, Painter le aveva chiesto di continuare con la messinscena. Con Wallace ancora un'incognita e il numero delle vittime che saliva nel Midwest, il mondo aveva bisogno di quella chiave. Anche se significava scendere a patti col diavolo. Un lungo silenzio calò fra loro. Pieno d'imbarazzo e di tensione. Lei toccò il pacchetto di sigarette con l'aria di voler filare via. Alla fine Gray riprese un discorso che aveva già affrontato. Si girò verso di lei. «Molto tempo fa mi hai detto che eri dalla parte dei buoni, che stavi davvero facendo il doppio gioco con la Gilda. Era vero?» Lei fissò a lungo il pavimento, poi lo guardò di sottecchi. La voce e lo sguardo s'indurirono. «Che importa ora?» Gray la guardò negli occhi. Provò a leggerle nell'animo, ma era impenetrabile. In passato, nelle missioni in cui le loro strade si erano incrociate, lei lo aveva fondamentalmente aiutato. I suoi metodi erano brutali, come l'assassinio del curatore veneziano, ma chi era lui per giudicare? Non si era trovato nei suoi panni. Percepì un'immensa solitudine, la dura lotta per la sopravvivenza, le innumerevoli violenze, che non riusciva nemmeno a immaginare. Lo scricchiolio di una porta gli risparmiò di rispondere. Monk uscì nel corridoio con l'internista dell'ospedale. Guardò ora Gray ora Seichan. La tensione residua doveva aleggiare come un vento gelido. Monk salutò con la mano l'internista mentre se ne andava, poi indicò la porta. «È stanca, ma puoi vederla un paio di minuti... ma solo un paio di minuti. E non so se lo hai saputo, ma suo zio è uscito dal coma. Vittorio si è svegliato stamattina. E non la smette più di parlare, ho sentito dire. In ogni caso, credo che la buona notizia abbia contribuito molto a rianimarla.» Gray si alzò. Seichan fece lo stesso, ma si volse verso la propria camera. Gray la fermò toccandole il braccio. Lei trasalì in modo visibile. «Perché non entri anche tu?» Seichan continuò a fissare il corridoio. Gray le strinse il braccio. «Glielo devi. Le hai fatto passare le pene dell'inferno. Almeno parla con lei.» Seichan sospirò con un senso d'ineluttabilità, prendendo quella proposta come una punizione. Si lasciò condurre alla porta. L'invito di Gray non voleva essere un castigo, ma almeno la fece muovere. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Seichan era rimasta lì fuori anche troppo. Nella camera, Sara era seduta a letto. Sorrise quando vide Gray, ma un lampo d'ira le accese gli occhi quando vide chi lo seguiva. Il sorriso si spense. «Come stai?» s'informò lui. «Bene, non sono stata avvelenata.» Seichan sapeva che era una stoccata rivolta a lei, ma non replicò. Passò accanto a Gray e andò a sedersi vicino al letto. Sara si scostò. Seichan rimase in silenzio, le dita appoggiate sulla sponda del letto. Non disse una parola. Si limitò a stare seduta, indifferente all'ira muta di Sara. Piano piano, Sara sprofondò di nuovo nel letto. Solo allora Seichan mormorò, con voce neutra: «Mi dispiace». Gray tacque. Immaginò che Seichan sentisse il bisogno di dire quelle parole tanto quanto Sara aveva bisogno di sentirle. Dopo di ciò, parlarono a scatti, a bassa voce. Gray scivolò verso la porta; sapeva che quella era una conversazione privata. Tornò in corridoio e trovò Monk ancora seduto sulla panca. Andò a sedersi accanto a lui e notò che stringeva il cellulare tra le mani. «Hai sentito Kat?» Monk annuì, lentamente. «È ancora arrabbiata con te perché hai rischiato la vita?» L'altro continuò ad annuire, senza fermarsi. Rimasero in silenzio per un po'. Gray conosceva bene il suo amico, perciò alla fine gli domandò: «Come stai?» Monk sospirò. Fece seguire un altro lungo silenzio, prima di rispondere con voce pacata ma velata da un profondo dolore: «Era un bravo ragazzo. Avrei dovuto seguirlo meglio». «Ma non potevi...» Monk lo interruppe, non per rabbia ma per stanchezza. «Sai, non mi sento ancora pronto a parlarne.» Gray rispettò la sua decisione. Si limitarono a restare seduti in silenzio, in compagnia l'uno dell'altro. E ciò bastò a entrambi. Dopo un po', un fischiettio familiare echeggiò in fondo al corridoio. Era Kowalski. Chissà come, il suo collega aveva superato tutto senza un graffio, ma per motivi di sicurezza era ancora confinato in ospedale. Mentre andava loro incontro senza fretta, Gray notò che stringeva qualcosa in mano. Non appena Kowalski li vide sulla panca, si affrettò a nascondere il braccio dietro la schiena. Gray ricordò una certa fissazione che Kowalski aveva dimostrato a Hawkshead. Quando fu al loro fianco, Gray domandò ad alta voce: «Quello è un regalo per Sara, vero?» Kowalski si fermò, improvvisamente imbarazzato. Colto sul fatto, mostrò l'orsacchiotto. Era bianco, di peluche, e vestito da infermiere. Guardò l'orsacchiotto, poi la camera di Sara, infine guardò Gray con occhio torvo e gli tirò il peluche. «Certo che sì.» Kowalski se ne andò a passi pesanti, senza più James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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fischiettare. «Che gli è successo?» Gray si appoggiò alla panca. «Sai, non mi sento ancora pronto a parlarne.»
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Capitolo 33
† Washington, 23 ottobre, ore 10.14
I
ncontrarono tutti il senatore Gorman in Campidoglio. Painter era seduto accanto al generale Metcalf. Dall'altra parte, era seduta la dottoressa Lisa Cummings, a gambe accavallate. La punta di una scarpa sfiorò una gamba del pantalone di Painter. Non era un gesto distratto. Lui e Lisa erano stati separati troppo tempo. E, da quando era tornata dalle vacanze, era stata molto occupata, spesso volando di notte nel Midwest per gestire la crisi sanitaria che era scoppiata lì. I due approfittavano di ogni ritaglio di tempo possibile per stare insieme. Metcalf proseguì il rapporto sulla produzione del farmaco antimicotico. Painter aveva già letto quel rapporto. Invece di ascoltare, guardava il riflesso della sua fidanzata nella finestra dietro il senatore. Lisa portava i capelli raccolti in una treccia alla francese e indossava un tailleur classico consono alla riunione. Painter fantasticava di scioglierle la treccia, di sbottonarle la camicetta. «Stiamo irrorando tutti i campi coltivati, coprendo un'area di sicurezza di venticinque chilometri quadrati intorno a ciascun sito», proseguì Metcalf. «L'Ente per la Protezione dell'Ambiente ha mobilitato la Guardia Nazionale per controllare e proseguire l'analisi dei campioni delle piante circostanti nel raggio di altri cinquanta chilometri.» Gorman annuì. «Sul fronte internazionale, tutti i campi seminati sono stati ripuliti e irrorati. Possiamo solo sperare di averlo estirpato in tempo.» Lisa interloquì: «In caso contrario, siamo pronti. I primi test sull'uomo hanno avuto successo. I primi casi hanno reagito bene. Sarà un grande beneficio per la medicina in ogni campo. Anche se abbiamo un mucchio di potenti antibiotici, il nostro arsenale di antimicotici, soprattutto per le infezioni sistemiche, è limitato e complicato dagli elevati livelli di tossicità. Con un nuovo farmaco come questo facilmente disponibile...» «E gratuito», aggiunse Painter. Lei annuì. «Terremo sotto controllo questa calamità.» «A proposito di cose gratuite», disse Gorman. «Sono andato a trovare Ivar Karlsen dopo essere stato alla Viatus a vedere l'impianto di produzione del farmaco.» Karlsen, ripensò Painter, era in un penitenziario norvegese, ancora in attesa di giudizio. Continuava a dirigere i suoi affari dalla cella. Come parziale risarcimento, aveva impegnato volontariamente tutte le risorse della struttura biotecnologica della sua società nella produzione del farmaco. Era impressionante con quanta rapidità erano stati in grado di avviarne la produzione di massa. Lisa aveva provato a spiegare a Painter che la sostanza antimicotica derivava da James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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un genere di lichene che si trovava solo nell'Africa subsahariana, che la sua struttura attaccava un particolare sterolo presente solo nelle membrane cellulari del fungo, cosa che lo rendeva efficace e al tempo stesso sicuro nel trattamento dei mammiferi e delle piante. Painter aveva riflettuto fra sé dopo la spiegazione. Gli bastava sapere che funzionava. «Avreste dovuto vedere la sua cella», disse Gorman. «È praticamente una suite del Ritz.» «Ma è una suite dalla quale non uscirà molto presto», aggiunse Painter. Per non dire mai, considerata l'età. Metcalf si alzò. «Se abbiamo finito, ho ancora delle faccende da affrontare alla DARPA.» Gorman si alzò e gli strinse la mano. «Per qualunque cosa avesse bisogno, le sono molto obbligato», disse rivolgendosi a Metcalf, ma Painter notò l'occhiata del senatore nella sua direzione. Dopo quel che era accaduto in Norvegia, erano stati costretti a rivelare l'esistenza della Sigma. Il senatore avrebbe continuato a scavare comunque e avrebbe soltanto peggiorato le cose. Ciò forniva loro anche un potente alleato in Campidoglio. Painter aveva già notato un cambiamento dell'opinione nei riguardi della Sigma tra le varie agenzie d'intelligence americane. Per una volta, i lupi alla porta erano stati ritirati. Forse non erano stati messi del tutto al guinzaglio, ma ciò permetteva a Painter di proteggere meglio la Sigma. E sapeva che sarebbe stato necessario. La Gilda avrebbe dato la caccia a tutti loro. Dopo i commiati, Painter e Lisa attraversarono col generale Metcalf le stanze del potere. Crowe stava ancora attendendo la risposta del generale su una faccenda molto spinosa. «Signore...» esordì, intendendo solo rammentargliela. «Quella donna è un suo problema», ribatté invece il generale. «Non posso revocare l'ordine di arresto. I suoi crimini hanno troppe implicazioni internazionali. Dovrà starsene ben defilata, e per 'defilata' intendo 'ben rintanata'.» Metcalf lo fissò. «Se però crede che potrebbe essere una risorsa preziosa...» «Ne sono sicuro.» «E sia. Ma se ne assume lei tutta la responsabilità.» Painter apprezzava sempre un appoggio così entusiastico. Congedandosi, Metcalf si avviò verso un'altra riunione in Campidoglio. Painter rimase solo con Lisa e insieme uscirono nella luce del sole del mattino. Crowe diede un'occhiata all'orologio. La cerimonia funebre sarebbe stata celebrata di lì a un'ora. Aveva tempo appena sufficiente per fare una doccia e cambiarsi. Nonostante la splendida giornata, un senso di tristezza s'insinuò in lui. John Creed era morto per salvargli la vita. Da quando Painter aveva cominciato a mettere a repentaglio troppo spesso la vita di uomini e donne, aveva sviluppato un certo distacco. Era l'unico modo per non impazzire, per prendere decisioni difficili. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Non poteva farlo ora. Non con Creed. Una mano scivolò nella sua. Lisa lo tirò a sé e si appoggiò al suo braccio. «Passerà», promise lei. Painter sapeva che aveva ragione, ma in qualche modo peggiorava soltanto le cose. «Passerà» significava «dimenticare». Non tutto, ma in parte. E non avrebbe mai dimenticato il sacrificio di John. Nemmeno in parte. Ore 15.33
Monk girava tra le colline ondulate del cimitero di Arlington con Kat al fianco, tenendosi per mano, infagottati in pesanti giacconi. Era una fresca giornata d'autunno con le grandi querce che fiammeggiavano in tutto il loro splendore. La cerimonia funebre era terminata un'ora prima. Ma Monk non si era sentito pronto ad andarsene. Kat era rimasta in silenzio. Capiva. Si erano presentati tutti. Persino Sara era arrivata in volo da Roma per partecipare alle esequie. Sarebbe ripartita l'indomani mattina. Non le andava di lasciare da solo suo zio per molto tempo. Vittorio era stato dimesso dall'ospedale da appena due giorni, ma si stava riprendendo bene. Durante la lenta camminata, Monk e Kat avevano fatto un giro completo ed erano tornati al punto di partenza. La tomba di Creed era in cima a una collinetta sotto i rami di un ontano. Gli alberi erano già spogli, scheletrici contro il cielo azzurro, ma con la primavera si sarebbero riempiti di fiori bianchi. Era un bel luogo. Monk aveva atteso di restare solo per un momento d'intimità davanti alla tomba, ma vide che c'era ancora qualcuno lì in ginocchio, aggrappato con entrambe le mani alla lapide. Era il ritratto del dolore. Monk si fermò. Era un giovane uomo in divisa. Monk lo aveva visto di sfuggita alla cerimonia funebre. Era stato seduto composto come tutti gli altri. A quanto sembrava, aveva voluto ancora qualche momento per l'ultimo saluto. Kat strinse la mano di Monk. Lui le rivolse un'occhiata interrogativa, intuendo che la moglie sapeva qualcosa. «Quello è il partner di John.» Monk guardò di nuovo il giovane e capì che non si stava riferendo a un partner in affari. Non lo sapeva. D'improvviso gli tornò in mente una conversazione che aveva avuto con Creed. Monk gli aveva chiesto per scherzo che cosa aveva combinato per farsi buttare fuori dall'esercito dopo due missioni in Iraq. La risposta di Creed era stata lapidaria. James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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Non me lo chieda. Monk aveva pensato che fosse un modo per dirgli di badare ai fatti suoi. Invece aveva risposto alla sua domanda. Non chiedere, non dire. Kat spinse via Monk, lasciando che il giovane sfogasse il suo dolore in privato. «È ancora in servizio.» Monk la seguì. Ora comprendeva perché il giovane era rimasto seduto così composto poco prima. Persino ora, doveva tenere segreto il suo profondo dolore. Solo in quel momento di solitudine poteva dirgli veramente addio. Kat si appoggiò a lui. Monk la cinse con un braccio. Sapevano entrambi cosa stava pensando l'altro. Mai avrebbero voluto trovarsi a dare quell'addio. Ore 21.55
Gray era sotto il getto della doccia, con gli occhi chiusi. Dal clangore delle tubature del suo appartamento, capì che stava per finire l'acqua calda. Nonostante ciò, non si mosse, godendosi la doccia fumante fino all'ultima goccia. Si massaggiò i muscoli irrigiditi e contratti. Si era allenato in modo intenso e ora pagava lo scotto. Dopo tutti i lividi e le ferite che aveva riportato, avrebbe dovuto essere più prudente. Gli avevano tolto i punti dalla mano da due giorni. Con un ultimo rantolo, l'acqua si raffreddò rapidamente. Gray chiuse il rubinetto, allungò la mano per prendere un asciugamano e si asciugò nel vapore caldo. Il breve getto di acqua fredda gli rammentò la tempesta sull'isola di Bardsey. Qualche ora prima, aveva parlato con padre Rye al telefono, per assicurarsi che Rufus si stesse ambientando nella sua nuova casa. Owen Bryce aveva ricevuto il bonifico per coprire le eventuali riparazioni del traghetto che avevano rubato. La vita stava tornando alla normalità sull'isola dopo una serie di violente tempeste. Al telefono, Gray aveva parlato con padre Rye delle regine e delle Madonne Nere. Il parroco era sicuramente una grande fonte di sapere. Gray temeva che la bolletta del telefono sarebbe stata astronomica quel mese. Però aveva appreso una cosa interessante, cioè che qualche storico era convinto che il culto della Madonna Nera avesse avuto origine da Iside, la dea egizia della fertilità e della maternità. Ecco di nuovo il legame con l'Egitto. Ma, dopo l'esplosione sotto il chiostro, tutte le prove erano andate distrutte: i sarcofagi di vetro, le reliquie, persino il libro perduto delle profezie di Malachia. Tutto perduto. E forse era meglio così. Era meglio che il futuro restasse ignoto. Ma la profezia dei papi di san Malachia terminava con un pizzico di mistero. Secondo lo zio di Sara, Malachia aveva numerato tutti i papi dell'elenco, a eccezione dell'ultimo, Pietro romano, colui che avrebbe visto la fine del mondo. A James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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quest'ultimo papa dell'apocalisse non era stato assegnato nessun numero. «Secondo alcuni studiosi, questo lascia intendere che un numero sconosciuto di papi sia rimasto senza nome tra l'attuale papa e l'ultimo», aveva spiegato Vittorio dal letto dell'ospedale. «E che il mondo potrebbe continuare a esistere ancora per un po'.» Gray se lo augurava davvero. Una volta asciutto, si avvolse l'asciugamano intorno alla vita e andò in camera da letto. Scoprì di non essere solo. «Credevo te ne stessi andando», disse Gray. La donna era avvolta nelle lenzuola, una lunga gamba scoperta fino all'anca. Si stirò come una flessuosa leonessa che si svegliava, un braccio sulla fronte, il seno in parte scoperto. Quando abbassò il braccio, sollevò il lenzuolo. Il corpo era ancora nascosto tra le pieghe e le ombre... ma l'invito era chiaro. «Ancora?» domandò lui. Lei inarcò ancora di più un sopracciglio, seguito dall'accenno di un sorriso. Con un sospiro, Gray si tolse l'asciugamano e lo buttò da una parte. Un uomo non finiva mai di lavorare.
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EPILOGO † Washington, 23 ottobre, ore 23.55
P
ainter scese l'ultima rampa di scale del livello più basso del comando della Sigma. Mancavano soltanto pochi minuti a mezzanotte, un'ora infausta per recarsi in un obitorio. Ma la cassa era arrivata solo un'ora prima. Il lavoro andava fatto alla svelta. Dopodiché, tutte le prove sarebbero state distrutte, bruciate sul posto. Raggiunse l'obitorio. Il capopatologo della Sigma, il dottor Malcolm Reynolds, lo stava attendendo e lo fece entrare. «Il corpo è pronto.» Painter seguì il patologo nella stanza attigua. Fu colpito prima dall'odore: carne troppo cotta che si era guastata. Una figura giaceva sotto un lenzuolo sul tavolo. Accanto c'era un carrello con una bara. Il sigillo diplomatico del feretro era stato rotto dal dottor Reynolds. Painter aveva faticato parecchio per far rilasciare in segreto il corpo dalla Francia e consegnarlo con documenti falsi. «Non è bello da vedere», lo avvertì Malcolm. «Il corpo è rimasto in quell'inferno per parecchie ore prima che qualcuno pensasse di recuperarlo.» Painter non era delicato di stomaco... non molto almeno. Tirò indietro il lenzuolo ed espose il cadavere del dottor Wallace Boyle. La faccia dell'uomo era gonfia, annerita da un lato, violacea dall'altro. Painter suppose che il lato carbonizzato fosse stato a contatto col pavimento di mattoni nella cripta sotterranea. Ricordò la descrizione che Gray aveva fatto della bomba incendiaria e di come aveva cotto la pietra. «Mi aiuti a girarlo», disse Painter. Insieme, lo rivoltarono sulla pancia. «Mi serve qualcosa per raderlo.» Malcolm sparì. Nell'attesa, Painter fissò il cadavere nudo. Wallace aveva dichiarato di essere un membro di Echelon e, secondo Seichan, si diceva che quel nome denotasse i veri capi della Gilda. La donna non sapeva altro, a parte una voce più sinistra, una storia che aveva sentito solo una volta. Malcolm tornò con un tagliacapelli elettrico e un rasoio usa e getta. Lavorando in fretta, Painter usò la macchinetta per tagliare i capelli sulla nuca di Wallace e poi la lametta per rasarla. Mentre passava il rasoio, ebbe conferma della voce. Un piccolo simbolo, grande più o meno come l'unghia di Painter, era stato tatuato sulla nuca. Raffigurava gli strumenti di un massone: il compasso e la squadra. Il simbolo rappresentava la massoneria, una società segreta internazionale. Ma James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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l'immagine al centro era sbagliata. Di norma, la squadra e il compasso incorniciavano la lettera G, che rappresentava il Grande Architetto o Dio. Ma a volte significava «Gilda». Painter sapeva che l'organizzazione terroristica di Seichan non aveva un vero nome, quantomeno fuori dell'ambito dei suoi capi. Quel simbolo e il suo legame con la massoneria erano all'origine del nome usato più comunemente? Painter fissò il tatuaggio. Al centro del simbolo erano disegnate una falce di luna e una stella. Non aveva mai visto nulla del genere. Chiunque fossero quelle persone, non erano massoni. Con la scoperta del simbolo, Painter divenne più inquieto. Aveva trovato quello che gli serviva. «Cremi il corpo», ordinò a Malcolm. «Lo riduca in cenere.» Painter voleva che nessuno sapesse quello che aveva scoperto. Molte cose rimanevano avvolte nel mistero riguardo agli ex capi di Seichan. Ma ora aveva due pezzi di un mosaico più grande. Il nome Echelon... e quello strano simbolo. Per ora poteva bastare. Ma non era finita... per nessuna delle due parti. «Cosa significa?» gli domandò Malcolm mentre lui usciva. «Che presto ci sarà una guerra», rispose Painter, sicuro di non sbagliare.
Fine
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VERITÀ O FINZIONE † Tutto ciò che ho raccontato in questo libro è vero, tranne ciò che non lo è. Ho pensato che avrei concluso tale avventura separando la verità dalla finzione, a partire dai due elementi che hanno ispirato questa storia. Mi sono imbattuto in ciascuno dei due separatamente, ma sapevo che doveva esserci un legame e che la Sigma avrebbe dovuto indagare. La storia della croce celtica. Esiste un'affascinante e sorprendente analisi della storia della croce e della possibilità che fosse utilizzata come strumento di navigazione nei tempi antichi. Per un sacco di dettagli, grafici e analisi, vi rimando all'avvincente libro di Crichton Miller, The Golden Thread of Time. La storia dell'Inghilterra neolitica. I particolari illustrati in questo libro riguardo alla possibilità che gli egizi abbiano fondato delle colonie in Inghilterra sono veri. Per un esame più approfondito, consiglio la lettura del libro di Lorraine Evans, Kingdom of the Ark. Inoltre, a proposito delle tribù dei fomori trovate in Irlanda dai celti invasori, secondo le ipotesi di alcuni storici, le loro descrizioni (scuri di pelle ed esperti di agricoltura) potevano riferirsi a una tribù perduta di egizi. Simboli antichi. Nel romanzo sono descritti numerosi simboli e in che modo sono stati spesso trasformati e reinventati nel corso dei secoli. Tali ipotesi si basano sui fatti, compresa la storia delle croci di consacrazione scolpite in molte chiese medievali. I santi. Come accennato all'inizio del libro, Malachia era un santo irlandese vissuto nel XII secolo e si dice che avesse compiuto molte guarigioni miracolose, oltre a trascrivere le sue famose profezie sui papi. Fu tumulato veramente nell'abbazia di Clairvaux, le cui rovine giacciono strano, ma vero, nel perimetro di un carcere di massima sicurezza (una prigione fatta costruire da Napoleone). Vengono organizzati giri turistici settimanali per due euro a testa. Gli aneddoti sulla vita di san Bernardo (il miracolo del latte, i suoi rapporti coi Templari e il suo sostegno al culto della Madonna Nera) sono veri. A chi volesse approfondire la storia dei santi e la cultura celtica raccomando Come James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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gli irlandesi salvarono la civiltà di Thomas Cahill, Fazi, Roma, 1997, e The Quest for the Celtic Key di Karen Ralls MacLeod e Ian Robertson. La profezia di Malachia. Ecco come il santo descrisse gli ultimi papi della storia: Papa Paolo VI (1963-1978). È descritto col motto Flos florum, o «fiore dei fiori». Aveva tre gigli nel suo stemma araldico. Papa Giovanni Paolo I (1978). È descritto da Malachia con De medietate lunae, o «la mezza luna». Il suo papato durò un mese: iniziò e terminò quando la luna era visibile a metà. Papa Giovanni Paolo II (1978-2005). È descritto col motto De labore solis, o «la fatica del sole», una comune metafora che stava a indicare l'eclissi solare. Papa Benedetto XVI (2005). È descritto con De gloria olivae, o «la gloria dell'olivo». L'ordine benedettino, da cui il papa ha preso il nome, ha il ramo d'olivo nel suo stemma. Petrus Romanus. Infine c'è l'ultimo papa, colui che vedrà la fine del mondo: Petrus Romanus, o Pietro romano. A lui è dedicata la profezia più lunga: In persecutione extrema Sacrae Romanae Ecclesiae sedebit Petrus Romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus; quibus transactis, civitas septicollis diruetur, et Judex tremendus judicabit populum suum. Amen. «Nell'ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa siederà Pietro romano, che pascerà il suo gregge fra molte tribolazioni, dopo le quali la città dei sette colli sarà distrutta e il Giudice terribile giudicherà il suo popolo. Amen.» Ma, come Vittorio ha accennato a Gray, quest'ultimo papa non è indicato con un numero come quelli che lo precedono. Secondo l'interpretazione di alcuni, questo significa che potrebbero esserci altri papi tra Benedetto XVI e l'ultimo pontefice. Penso che solo il tempo ce lo dirà. E i peccatori Biocarburanti. La quantità di grano necessaria per riempire di etanolo il serbatoio di un SUV sfamerebbe davvero per un anno una persona che soffre la fame. Inoltre si ritiene che coltivare carburante anziché cibo abbia portato a un'impennata dei prezzi dei generi alimentari. Prodotti alimentari geneticamente modificati. Sono stati versati fiumi d'inchiostro, pro o contro, sugli alimenti transgenici. Per una lettura inquietante su questo argomento, raccomando due libri. In merito alle permissive regolamentazioni dell'industria, è essenziale leggere L'inganno a tavola di Jeffrey M. Smith, Nuovi Mondi, Modena, 2004. Per quanto riguarda aspetti più sinistri, ho trovato agghiacciante Seeds of Destruction di F. William Engdahl (soprattutto a proposito dei semi anticoncezionali menzionati in questo James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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libro). Api. Sappiamo cosa sta facendo strage di tutte le api? Secondo il libro ben documentato A Spring Without Bees di Michael Schacker, sembra esserci una risposta, una risposta che è stata nascosta e ignorata. E nel frattempo in Francia le api stanno tornando. Armi di distruzione. In questo romanzo, ho impiegato pugnali WASP, testate termobariche e sfere pirotecniche per scatenare un pandemonio. Tutte queste armi esistono veramente. Sovrappopolazione. Il Club di Roma è un'organizzazione che esiste veramente e svolge un lavoro encomiabile in molti campi. Nel suo Rapporto sui limiti dello sviluppo traccia lo scenario apocalittico descritto da Ivar Karlsen, nel quale, se lasciato senza freno, il mondo raggiungerà un punto critico in cui il novanta per cento della popolazione potrebbe essere sterminato. Doomsday Book. Come accennato nell'introduzione, è un libro storico che esiste veramente. E alcune voci sono davvero indicate in modo criptico con la parola «devastato». Fu compilato in un'epoca in cui erano ancora vive le frizioni tra i cristiani e i pagani, soprattutto nelle zone di confine. Località varie. La maggior parte dei luoghi descritti in questo libro è vera, così come le storie che vi sono associate. Fortezza di Akershus. Sorge veramente a ridosso del porto di Oslo. Quanto alle esecuzioni eseguite in passato, anche queste sono vere, compresa quella del coniatore Henrik Christofer Meyer, che fu giustiziato per i suoi crimini e marchiato in fronte da re Federico IV. Svalbard Global Seed Vault. È un vero deposito che si è guadagnato il soprannome di «Banca del Giorno del Giudizio». Tutti i particolari del complesso sono fedeli, compreso quello riguardo al suo sistema di difesa principale: gli orsi polari. Isola di Bardsey. È davvero Avalon. Tutti gli aneddoti e le leggende sull'isola sono fedeli, compresi quelli sulla tomba di Merlino, sulla cripta di Lord Newborough e sui ventimila santi lì sepolti. Inoltre, il melo di Bardsey continua a crescere e oggi si possono acquistare le talee di questo antichissimo albero. Quanto alle James Rollins – La Chiave dell’Apocalisse
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pericolose correnti che circondano l'isola, sono vere. Perciò fate quella traversata col traghetto solo con la bella stagione! Lake District, Inghilterra. È una regione davvero incantevole, punteggiata di cerchi di megaliti. Naturalmente, è anche la terra dei laboriosi Fell Pony. La regione è anche ricchissima di paludi di torba, anche se non sono così boscose e infuocate come in questo libro. E i fuochi di questo posto sono utilizzati ancora oggi per produrre lo scotch di miglior qualità (ma questa è un'altra storia). Quanto alle mummie di palude, anche queste sono vere... così come il negozio nel villaggio di Hawkshead che vende unicamente orsacchiotti di peluche (Sixpenny Bears). Andate quindi a comprare un orsacchiotto a Kowalski... Credo se lo sia meritato.
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