KATHERINE KURTZ L'ASCESA DEI DERYNI (Deryni Rising, 1970) A CARL M. SELLE che sapeva fin dal principio che questo sarebb...
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KATHERINE KURTZ L'ASCESA DEI DERYNI (Deryni Rising, 1970) A CARL M. SELLE che sapeva fin dal principio che questo sarebbe stato l'inizio
CAPITOLO PRIMO «PERCHÉ IL CACCIATORE
NON DIVENTI LA PREDA» Brion Haldane, Re di Gwynedd, Principe di Meara e Signore della Landa Purpurea, arrestò bruscamente il cavallo sulla cima della collina e scrutò l'orizzonte. Non era un uomo massiccio, anche se il portamento regale e la grazia felina da lui posseduti avevano convinto del contrario molti aspiranti avversari; i suoi nemici, comunque, avevano di rado il tempo di notare questo dettaglio. Bruno, snello, con una spruzzata di grigio che cominciava ad apparire sulle tempie e nella barba nera ben tagliata, il sovrano ispirava un immediato rispetto con la sua semplice presenza, e quando parlava gli uomini ascoltavano e obbedivano, sia che usasse un tono secco e autoritario sia che ricorresse alla sottile persuasione. E là dove le belle parole non erano sufficienti a convincere, spesso vi riusciva il freddo acciaio, come dimostravano il fodero consunto dello spadone appeso al fianco del re e il sottile pugnale celato nella guaina, al polso. Il sovrano trattenne il nervoso destriero da guerra con mano ferma e gentile... la mano di un combattente e di un uomo abituato a comandare. Un esame più accurato, tuttavia, avrebbe portato a rivedere l'impressione iniziale di essere al cospetto di un re guerriero, perché gli occhi grigi indicavano la presenza di altre qualità, oltre all'esperienza e al coraggio in battaglia. In essi, infatti, brillavano un'astuta intelligenza e un umorismo che erano noti e apprezzati in tutti gli Undici Regni. Quell'uomo era inoltre avvolto da un'impalpabile aura di mistero, di magia proibita, di cui si discuteva sussurrando e molto di rado. Aveva trentanove anni, e da quindici manteneva la pace a Gwynedd: il re che ora sedeva in sella al suo destriero in cima a quella collina, si era ampiamente guadagnato i pochi momenti di distensione come quello attuale. Brion sfilò i piedi dalle staffe e stiracchiò le gambe. A metà mattina, la nebbia che copriva il terreno cominciava appena a sollevarsi, e il freddo insolito della notte precedente permeava ancora ogni cosa, tanto che perfino la protezione degli abiti da caccia, di cuoio, non riusciva del tutto a impedire che la leggera cotta di maglia indossata sotto la tunica risultasse ghiacciata. E la sottostante veste di seta offriva ben poco conforto. Il re si avvolse meglio nel carminio mantello di lana, piegò le dita intorpidite nei guanti di cuoio e si abbassò maggiormente sulla fronte il cappel-
lo scarlatto, facendo ondeggiare leggermente la piuma candida che lo adornava. Un rumore di voci, l'abbaiare dei cani, il tintinnìo degli speroni e dei finimenti filtrarono attraverso la nebbia insieme ad altri suoni; abbassando lo sguardo, il re intravide i cavalli di razza che avanzavano nella foschia, con i loro cavalieri splendenti negli abiti di velluto ricamato e di cuoio lucido. Brion sorrise. Nonostante quella manifestazione esteriore di splendore e di sicurezza, era certo che quei cavalieri non apprezzavano la mattinata più di lui: l'inclemenza del tempo aveva infatti trasformato in una fatica il previsto piacere di quella battuta di caccia. Perché, oh, perché aveva promesso a Jehana che quella sera ci sarebbe stata selvaggina per cena? Nel parlare, era stato consapevole che la stagione non fosse ancora abbastanza avanzata; ma non s'infrangeva la promessa fatta a una dama... specialmente se la dama in questione era la propria amata regina e la madre dell'erede al trono. Il sommesso, lamentoso richiamo dei corni da caccia confermò il suo sospetto che i cani avessero perso la pista, e Brion sospirò con rassegnazione. A meno che il tempo non fosse decisamente migliorato, c'erano ben poche speranze di riunire la muta sparpagliata in meno di mezz'ora; con cani così inesperti, ci sarebbero potuti volere anche dei giorni, o addirittura settimane! Scosse il capo e ridacchiò, pensando a Ewan... che all'inizio della settimana si era mostrato tanto orgoglioso delle sue nuove bestie. Sapeva che il vecchio lord avrebbe avuto molto da dire sul loro comportamento di questa mattina, ma per quante scuse potesse accampare, Brion temeva che Ewan meritasse tutte le beffe di cui sarebbe certo stato oggetto per parecchio tempo a venire. Il Duca di Claibourne avrebbe dovuto possedere il buon senso di non impiegare animali così inesperti in apertura di stagione. Probabilmente, quei poveri cuccioli non hanno mai neppure visto un daino. Un battito più ravvicinato di zoccoli giunse all'orecchio di Brion, che si girò sulla sella per vedere chi si stesse avvicinando; dopo un po', un giovane cavaliere vestito di seta e di cuoio scarlatto emerse dalla nebbia e incitò il suo baio su per la collina; il re osservò con orgoglio il ragazzo mentre questi frenava il cavallo e lo faceva arrestare accanto a quello del padre. — Lord Ewan avverte che dovremo attendere un po', padre — riferì il giovane, con gli occhi ancora scintillanti per l'eccitazione della caccia. — I
cani hanno stanato qualche coniglio. — Conigli! — Brion scoppiò a ridere. — Vuoi dire che dopo tutte le vanterie che abbiamo dovuto sopportare la scorsa settimana, Ewan ci farà rimanere qui a congelare mentre lui raduna i suoi cuccioli? — Così sembra, padre — sogghignò Kelson. — Se ti può essere di qualche consolazione, anche gli altri condividono i tuoi sentimenti. Ha il sorriso di sua madre, pensò Brion, con affetto. Ma gli occhi e i capelli sono i miei. Ha un'aria così giovane, però. Possibile che abbia già quasi quattordici anni? Ah, Kelson, se solo potessi risparmiarti ciò che ci aspetta... Brion accantonò quel pensiero con un sorriso e una scrollata di testa. — Bene, considerato che anche tutti gli altri sono nelle mie stesse condizioni, credo di sentirmi meglio. Sbadigliò e si stiracchiò, quindi si rilassò sulla sella, il cui cuoio lucido scricchiolò per il cambiamento di posizione. — Ah — sospirò il re, — se solo Morgan fosse qui. Nonostante la nebbia, lui riuscirebbe ad incantare un daino e ad attirarlo fino alle porte della città, se solo volesse. — Davvero? — chiese Kelson. — Ecco, forse non così vicino — ammise Brion, — ma sa come trattare gli animali... e non solo quelli. Assunse di colpo un atteggiamento distaccato, e si mise a giocherellare con il frustino che stringeva in mano. Kelson notò il cambiamento d'umore e, dopo una pausa studiata, accostò maggiormente il cavallo a quello del re; suo padre non era stato loquace sul conto di Morgan, nelle ultime settimane, e il ragazzo aveva sentito molto la mancanza di conversazione circa il giovane generale. Forse era giunto il momento di affrontare la questione, e decise di essere brusco, — Padre, perdonami se parlo a sproposito, ma perché non hai ancora richiamato Morgan dalle terre di confine? Brion s'irrigidì e si costrinse a nascondere la propria sorpresa. Come faceva il ragazzo a sapere dove si trovava Morgan? Da quasi due mesi, il luogo a cui lui era stato assegnato costituiva un segreto ben protetto, tanto che neppure il Consiglio ne era a conoscenza. Doveva agire con cautela per verificare di quante informazioni il ragazzo fosse in possesso. — Perché me lo chiedi, figlio? — Non era mia intenzione essere curioso, padre, e sono certo che le tue azioni sono dettate da motivi ignoti anche al Consiglio. Ma ho sentito la
sua mancanza, come credo sia accaduto anche a te. Khadasa! Il ragazzo era percettivo! Sembrava quasi che leggesse nel pensiero. Se voleva evitare la domanda relativa a Morgan, Brion doveva portare la conversazione su altri argomenti. Si concesse un breve sorriso malinconico. — Ti ringrazio per la fiducia, ma temo che tu ed io siamo fra i pochi che hanno sofferto per la sua assenza. Certo avrai sentito le voci che hanno preso a circolare da parecchie settimane. — Quelle secondo cui Morgan ti vorrebbe detronizzare? — domandò Kelson, guardingo. — Non ci crederai, vero? E questo non è neanche il motivo per cui lui è ancora a Cardosa. Brion studiò il ragazzo con la coda dell'occhio, battendo il frustino contro lo stivale destro, sul lato dove Kelson non poteva scorgere il gesto. Cardosa, addirittura. Il ragazzo aveva una buona fonte d'informazione, qualsiasi essa fosse, ed era anche insistente. Aveva di proposito riportato la conversazione sull'assenza di Morgan, nonostante gli sforzi fatti da suo padre per evitarlo, e Brion pensò che forse lo aveva sottovalutato. Tendeva a dimenticare che Kelson aveva quasi quattordici anni, e che lui stesso aveva superato appena di qualche anno la sua età, quando era salito al trono. Decise di rivelare qualche piccola notizia concreta, per vedere come avrebbe reagito il giovane. — No, non si tratta di questo. Per adesso non posso scendere nei dettagli, figlio, ma Morgan sta tenendo sotto controllo Cardosa. Wencit di Torenth vuole la città ed ha già infranto due trattati, nel tentativo di annettersela. È probabile che entro la primavera prossima entri apertamente in guerra con noi. — Fece una pausa. — Questo ti spaventa? Kelson studiò con attenzione le redini, prima di rispondere. — Non ho mai conosciuto una vera guerra — dichiarò lentamente, lasciando scorrere lo sguardo sulla pianura. — Da quando sono nato, c'è sempre stata concordia fra gli Undici Regni, e verrebbe da pensare che gli uomini abbiano dimenticato come si combatte, dopo quindici anni di pace. Brion sorrise e si concesse di rilassarsi un poco: finalmente, era riuscito ad accantonare l'argomento di Morgan, e questo era un bene. — Non lo dimenticano mai, Kelson, e mi dispiace dire che questo fa parte della natura umana. — Suppongo di sì. — Kelson si protese ed accarezzò il collo del baio, aggiustando la criniera; poi fissò in faccia il padre con i suoi grandi occhi
grigi. — Si tratta ancora dell'Ombrosa, vero, padre? L'intuizione su cui si basava quella semplice affermazione sconvolse per un momento il mondo di Brion, che si era aspettato qualsiasi domanda, qualsiasi commento... tutto, tranne che suo figlio menzionasse l'Ombrosa. Non era giusto che un ragazzo tanto giovane dovesse affrontare una realtà così terribile! Questo sconvolse il sovrano a tal punto da lasciarlo per un momento a bocca aperta, senza parole. Come era venuto a conoscenza Kelson della minaccia costituita dall'Ombrosa? Per Saint Camber, il ragazzo doveva avere il talento di famiglia! — Non dovresti saperlo! — esplose, in tono di accusa, cercando disperatamente di controllare i propri pensieri e di fornire una risposta più coerente. Kelson rimase sconcertato dalla reazione paterna e lo diede a vedere, ma non abbassò lo sguardo, e nella sua voce affiorò quasi una nota di sfida. — Ci sono molte cose che non dovrei sapere, padre, ma questo non mi ha impedito di apprenderle. Vorresti che fosse diversamente? — No — mormorò Brion. Abbassò lo sguardo con incertezza, alla ricerca della giusta formulazione per la domanda che doveva porre. — Te lo ha detto Morgan? Kelson si mosse, a disagio, improvvisamente consapevole che la situazione si era ribaltata e che lui si trovava in acque più profonde di quanto avesse immaginato. Era colpa sua: aveva insistito per approfondire la questione, ed ora suo padre non sarebbe stato soddisfatto se non fossero andati fino in fondo. Si schiarì la gola. — Sì, prima di partire — rispose, con esitazione. — Temeva che non avresti approvato. — Si inumidì le labbra. — Lui... ha anche accennato ai tuoi poteri... e alle basi del tuo governo. Brion si accigliò. Quel Morgan! Era seccato per non aver notato prima i segni che ora gli permettevano d'intuire cosa fosse successo. Tuttavia, il ragazzo era stato molto bravo a nascondere ciò che sapeva, e forse Morgan aveva agito in modo giusto. — Cosa ti ha detto Morgan, figlio? — chiese in tono sommesso. — Troppo per soddisfare te... e troppo poco per soddisfare me — ammise il giovane, con una certa riluttanza, e si azzardò a lanciare un'occhiata al volto paterno. — Sei irritato, padre? — Irritato?
Brion riuscì a stento ad evitare di gridare per il sollievo. Irritato? Le deduzioni fatte dal ragazzo, le domande guardinghe, l'abilità con cui aveva guidato la conversazione, perfino sulla difensiva... per Dio, non era forse per ottenere questo che lui e Morgan avevano lavorato per tutti quegli anni? Irritato? In nome del Cielo, come poteva esserlo? Brion si protese e batté un colpo affettuoso sul ginocchio del figlio. — È ovvio che non lo sono, Kelson. Se soltanto sapessi quanto mi hai tranquillizzato! Mi hai fatto passare qualche brutto momento, lo concedo, ma ora sono più che mai sicuro di aver fatto la scelta giusta. Voglio però che tu mi prometta una cosa. — Qualsiasi cosa, padre — acconsentì il giovane, con esitazione. — Non essere così solenne, figlio — obiettò Brion con un sorriso, sfiorando la spalla del ragazzo con un altro gesto rassicurante. — Non è una richiesta difficile. Se dovesse accadermi qualcosa, voglio che tu mandi immediatamente a chiamare Morgan: lui ti sarà d'aiuto più di qualsiasi altra persona. Lo farai? Kelson sospirò, ed il sollievo era dipinto sul suo viso. — Ma certo, padre. Sarebbe in ogni caso il mio primo pensiero. Morgan sa... molte cose. — Su questo scommetterei anche la vita — dichiarò Brion, con un sorriso. Si raddrizzò sulla sella e raccolse in una mano le redini di cuoio rosso. — Guarda, sta sbucando il sole. Andiamo a vedere se Ewan ha radunato quei cani! Il cielo si era rischiarato in maniera notevole, a mano a mano che il sole saliva verso lo zenith, ed ora la coppia reale proiettava una corta ombra dinanzi a sé mentre trottava giù dalla collina. L'aria era diventata tanto limpida da permettere allo sguardo di spingersi fino alla foresta, dall'altra parte del prato, e gli occhi grigi di Brion scrutarono con interesse il gruppo di cacciatori a cui lui e Kelson si stavano avvicinando. C'era Rogier, il Conte di Fallon, vestito di velluto verde cupo e montato su uno splendido stallone grigio, che sembrava impegnato in una discussione molto animata con il deciso, giovane Vescovo Arilan e... molto interessante... il tartan dei McLain rivelò che il terzo uomo era Kevin, il più giovane della famiglia. Di solito, lui e Rogier non andavano d'accordo (e del resto erano ben pochi quelli che riuscivano ad andare d'accordo con Rogier). Il re si chiese quale argomento di conversazione potessero aver
trovato quei tre. Non ebbe però il tempo di indulgere nelle supposizioni, perché la voce tonante del Duca di Claibourne attirò la sua attenzione verso quei cavalieri che erano in testa al gruppo. Lord Ewan, la cui lunga barba rossa brillava al sole, stava infliggendo una solenne lavata di capo a qualcuno... il che era prevedibile, dato il successo avuto dalla caccia fino a quel momento. Brion si sollevò sulle staffe per vedere meglio. Come aveva sospettato, l'ira di Ewan si stava riversando su uno dei battitori. Pover'uomo, non era certo colpa sua se i cani non sì stavano comportando bene ma, del resto, il duca doveva pur addossare la colpa a qualcuno. Il sovrano sorrise e segnalò a Kelson la situazione, suggerendogli di andare in soccorso dello sfortunato battitore e di placare le ire di Ewan; mentre il giovane si allontanava, Brion scrutò i membri del gruppo ed individuò l'uomo che stava cercando... vicino a Rogier. Sfiorando il destriero con gli speroni, attraversò al galoppo il prato e chiamò un giovane alto, che vestiva i colori bianchi e porpora della casa di Fianna e che stava bevendo da una fiasca di cuoio lavorato. — Salve! Cosa vedo? Il giovane Colin di Fianna che beve il suo vino migliore, come al solito! Che ne diresti di regalare qualche goccia al tuo povero re tremante, amico mio? Arrestò il cavallo e fissò la fiasca, mentre Colin l'abbassava dalle labbra. Colin sorrise, poi pulì con la manica la bocca della borraccia e la porse al sovrano con un gioviale inchino. — Buon giorno, sire. Sai che il mio vino è sempre a tua disposizione. Rogier li raggiunse e fece abilmente indietreggiare il suo stallone quando il cavallo nero di Brion si protese per morderlo. — Buona mattinata, mio sovrano — salutò, inchinandosi sulla sella. — Il mio signore è davvero astuto, se è riuscito a localizzare così in fretta il vino migliore che ci sia in questa compagnia. È un'impresa prodigiosa! — Prodigiosa? — ridacchiò Brion. — In una mattinata del genere? Rogier, sei davvero fantastico nel trovare eufemismi! Gettò indietro il capo, bevve un lungo sorso dalla fiasca e l'abbassò con un sospiro. — Ah, non è un segreto che il padre di Colin ha la cantina meglio fornita degli Undici Regni. I miei complimenti, come al solito, Colin! — Sollevò la fiasca e bevve ancora. Il giovane fece un sorriso malizioso e si appoggiò con gli avambracci al pomo della sella.
— Ah. Maestà, ora so che cerchi solo di adularmi, in modo che mio padre ti spedisca un altro carico di vino. Comunque, questo non viene da Fianna: me lo ha dato questa mattina una splendida dama. Brion si arrestò a metà di un sorso, poi allontanò la fiasca con espressione preoccupata. — Una dama? Ah, Colin, avresti dovuto dirmelo. Non ti avrei mai chiesto il pegno che ti ha donato la tua dama. Colin scoppiò a ridere. — Non era la mia dama, sire, non l'avevo mai vista prima. Mi ha semplicemente regalato quel vino, e comunque sarebbe onorata di sapere che lo hai assaggiato e che ti è piaciuto. Brion restituì la borraccia e si asciugò la barba con il dorso della mano guantata. — Niente scuse, Colin — insistette. — Il torto è mio. Vieni, cavalca al mio fianco. E questa sera, a cena, siederai alla mia destra. Anche un re deve far ammenda per aver approfittato del favore concesso da una dama. Nel tornare verso il re, Kelson lasciò vagare gli occhi e la mente. Alle sue spalle, Ewan e il capo muta avevano finalmente raggiunto, sia pure con esitazione, un accordo su quale fosse stato l'errore commesso, e i segugi sembravano di nuovo sotto controllo. I battitori li tenevano raccolti in un gruppo serrato, in attesa che il re desse l'ordine di procedere; ma i cani avevano le loro idee personali, che non tenevano in considerazione nobili o sovrani, ed era difficile dire per quanto ancora i cacciatori sarebbero riusciti a trattenerli. Sulla sinistra, un bagliore di un azzurro intenso attrasse l'attenzione di Kelson, che riconobbe subito suo zio, il Duca di Carthmoor. In qualità di fratello del re e di pari del regno, il Principe Nigel era il responsabile dell'addestramento di una trentina di paggi che servivano nella casa reale. Anche quel giorno, come al solito, aveva al suo seguito alcuni allievi e, come al solito, era impegnato in una delle consuete, interminabili battaglie per insegnare loro qualcosa di utile. Alla caccia avevano partecipato quel giorno soltanto sei di essi, mentre i tre figli di Nigel si trovavano altrove, fra il seguito, e dall'espressione preoccupata del principe era chiaro che quei particolari paggi non dovevano figurare fra i suoi allievi più brillanti. Lord Jared, il patriarca della famiglia McLain, era intento ad offrire utili consigli, ma i ragazzi davano l'impressione di non capire che cosa Nigel volesse da loro.
— No, no, no — stava dicendo il principe. — Se doveste rivolgervi ad un conte, in pubblico, chiamandolo soltanto «signore», lui vi farebbe tagliare la testa, cosa di cui non lo biasimerei. E dovete ricordare sempre che ad un vescovo si dice «Vostra Eccellenza». Dunque, Jatham, come chiameresti un principe di sangue reale? Kelson, mentre proseguiva, sorrise e rivolse un cenno di saluto a suo zio. Non era trascorso molto tempo da quando lui stesso era stato sottoposto ai rigidi insegnamenti del duca suo zio, e non invidiava quei ragazzi. Essendo un Haldane fino al midollo, Nigel non chiedeva e non dava tregua, sia sul campo di battaglia che nell'addestrare i paggi. E anche se i suoi insegnamenti erano rigorosi e parevano a volte troppo aspri, essi tuttavia creavano ottimi vassalli e cavalieri ancora migliori. Kelson era lieto di avere il principe dalla sua parte. Notando il figlio che si avvicinava, Brion interruppe la conversazione con Colin e Rogier per sollevare una mano in un gesto di saluto. — Cosa succede là in fondo, figlio? — Credo che Lord Ewan abbia la situazione sotto controllo, padre — rispose Kelson. — Sta aspettando il tuo segnale. — Proprio così, giovane signore! — tuonò la voce di Ewan, che si avvicinava sulla scia del ragazzo. Il duca si tolse il cappello verde e lo agitò con eleganza davanti a sé. — La muta è pronta, sire, e il capocaccia mi garantisce che questa volta siamo sulla pista giusta. — Rimise il cappello sui folti capelli rossi e ne tirò la tesa con enfasi. — E sarà bene che sia così, altrimenti ci saranno pianti e lamenti nella mia casa, questa sera. Brion rise e si appoggiò all'indietro sulla sella, assestandosi una pacca su una gamba per il divertimento. — È soltanto una caccia, Ewan! E non voglio che si levino pianti e lamenti per causa mia. Andiamo! Continuando a ridacchiare, impugnò le redini e si mosse. Ewan si sollevò sulle staffe, alzò un braccio, e subito gli squilli dei corni da caccia echeggiarono, in risposta, sul prato; più avanti, i bracchi stavano già abbaiando distintamente, e i cavalieri si mossero. La caccia riprese al galoppo, scendendo il pendìo ed attraversando i campi aperti. Nell'eccitazione del rinnovato inseguimento della preda, nessuno notò che un uomo, in coda al gruppo, era rimasto indietro e si stava ora dirigendo verso la foresta. Nessuno si accorse della sua mancanza.
Nella quiete della foresta, Jussef il Moro stava in piedi, immobile, al limitare di una piccola radura ombreggiata, tenendo con mano leggera e sicura il proprio cavallo e gli altri quattro alle sue spalle. Tutt'intorno, le foglie aggredite dall'autunno incipiente erano venate da fiammeggianti tonalità oro, rosse e marrone provocate dal gelo della settimana precedente, colori offuscati però dall'ombra cupa che incombeva fra gli alberi. Sotto le alte e fitte piante del bosco, dove la luce del sole penetrava di rado, e solo nel cuore dell'inverno, gli abiti neri di Jussef si fondevano con le ombre, e lo sguardo dei suoi occhi scuri saettava rapido qua e là per la radura, scrutando senza però rilevare ciò che vedeva, perché Jussef non stava tanto guardando quanto ascoltando. Ed aspettando. Nella radura vera e propria, altre tre persone ascoltavano ed attendevano. Due di esse erano Mori, come Jussef, con le facce brune celate sotto i cappucci delle jubbas di velluto nero, e con gli occhi irrequieti impegnati in una vigilanza continua. Il più alto dei due si girò per lanciare un rapido sguardo in direzione di Jussef, poi incrociò le braccia sul petto e tornò a fissare il lato opposto dello spiazzo; quel movimento fece aprire Ieggermente le pieghe di velluto nero e fece brillale per un attimo, sotto il mantello, l'argento del ricco balteo, simbolo di comando. Ai suoi piedi, su un cuscino di velluto grigio, c'era Lady Charissa, Duchessa di Tolan, Signora delle Nebbie Argentate... L'Ombrosa. La dama sedeva immobile, con la testa china, avvolta in uno spesso mantello ed in un velo di un grigio argentato, una figura pallida e snella rivestita dei velluti e delle pellicce più pregiate, con le mani avvolte in guanti di pelle, costellati di gemme, e ripiegate modestamente in grembo. Sotto il velo di seta grigia, gli occhi azzurri si aprirono di scatto e scrutarono con espressione serena la radura, notando con soddisfazione la nera figura di Jussef, di guardia ai cavalli. Senza girare la testa, la donna poteva scorgere le vaghe sagome scure degli altri due Mori, che si trovavano più indietro e sui due lati rispetto a lei. Sollevò il capo e parlò, con voce bassa e musicale. — Sta arrivando, Mustafa. Non c'era stato alcun preavviso, nessun fruscio traditore di foglie secche che rivelasse l'avvicinarsi di qualcuno, ma i Mori non avrebbero mai pensato di mettere in dubbio la parola della loro signora. Una mano bruna, che
usciva da un'ampia manica nera, si protese da destra per aiutarla ad alzarsi, e il Moro appostato sulla sinistra si spostò, fino ad assumere una posizione strategica fra la sua padrona e i cavalli, portando la mano all'elsa della spada con atteggiamento vigile. Con mosse tranquille, Charissa pulì il mantello dalle foglie e sistemò meglio intorno al collo la pelliccia di volpe argentata; mentre un sommesso scricchiolio nel sottobosco annunciava finalmente il previsto visitatore, una lieve brezza agitò il velo della dama. Uno dei cavalli nitrì sommessamente e mosse gli zoccoli, subito quietato da Jussef. Il cavaliere entrò quindi nella radura e tirò le redini: i Mori abbandonarono il loro atteggiamento protettivo, perché conoscevano bene quell'uomo. Anche il nuovo venuto portava un mantello grigio, che però rivelò un rivestimento di un vivido giallo dorato quando lui abbassò il cappuccio e ne sollevò il lembo. Sotto il manto, una tunica ingioiellata color oro e grigio brillò con un freddo bagliore nell'istante in cui l'uomo sollevò una mano guantata di grigio per sistemare una ciocca di capelli castani smossa dal vento. Alto, snello, quasi ascetico nei tratti e nella figura, Lord Ian Howell contemplava il mondo con due pupille di un castano anche più scuro di quello dei capelli; la bocca piuttosto sottile era incorniciata da barba e baffi molto curati, che accentuavano gli zigomi alti e la leggera inclinazione degli occhi rotondi, la cui lucentezza offuscava quella dei gioielli che adornavano la gola e gli orecchi. Quegli occhi si volsero a scrutare per un istante il Moro che si era proteso per prendere le redini del cavallo, poi il loro sguardo si posò con noncuranza sulla donna. — Sei in ritardo, Ian — disse lei. In quelle parole vi era una sfida, oltre che la dichiarazione di un dato di fatto, e Charissa guardò l'altro con fare altezzoso, sotto il fitto velo; poiché Ian non accennò a smontare, l'Ombrosa portò con lentezza le mani al velo, lo sollevò e lo lasciò ricadere all'indietro sui biondi capelli raccolti. Il suo sguardo divenne più tagliente, ma lei non aggiunse altro. Il nobile esibì un pigro sorriso, poi scese con un volteggio e si avvicinò con disinvoltura a Charissa, rivolgendo un rapido cenno a Mustafa, in piedi dietro la padrona, e inchinandosi alla donna con eleganza. — Allora? — chiese Charissa. — Nessun problema, mia cara — replicò Ian, con voce vellutata. — Il re
ha bevuto il vino, Colin non nutre sospetti e la caccia sta seguendo la pista falsa. Dovrebbero arrivare qui entro un'ora. — Eccellente. E il Principe Kelson? — Oh, non corre rischi — rispose il giovane lord, sfilandosi un guanto grigio con studiata noncuranza. — Mi sembra però una seccatura non indifferente risparmiare oggi Kelson soltanto per ucciderlo in seguito. Non è da te, Charissa... mostrare misericordia per i tuoi nemici. — Gli occhi castani fissarono quelli azzurri con espressione leggermente beffarda. — Misericordia? — ripeté Charissa, soppesando la sfida. Poi si sottrasse allo sguardo dell'altro e si mise a passeggiare sul prato, seguita dal nobile. — Non ti preoccupare, Ian — proseguì. — Ho altri progetti per il nostro giovane principe, ma non posso attirare Morgan in una trappola mortale senza un'esca adeguata, non ti pare? Perché credi che abbia diffuso tutte quelle voci, negli ultimi mesi? — Supponevo che fosse un esercizio di malizia... non che tu ne avessi bisogno — ribatté Ian. Avevano raggiunto il limitare della radura, e il lord si fermò di fronte alla donna, appoggiandosi pigramente ad un tronco ed incrociando le braccia sul petto. — Naturalmente Morgan... costituisce una sfida speciale, vero, piccola mia? Alaric Anthony Morgan, Duca di Corwyn e Lord Generale degli eserciti di sua maestà... e un Deryni mezzosangue che viene accettato fra gli umani, o meglio veniva accettato. Qualche volta penso che sia questo che t'infastidisce maggiormente. — Vacci piano, Ian — ammonì Charissa. — Oh, chiedo il perdono di vostra signorìa — si scusò lui, sollevando una mano in un finto gesto conciliante. — C'è anche la piccola questione di un assassinio, vero? Oppure si è trattato di un'esecuzione? Tendo a dimenticarlo. — È una cosa che faresti meglio a non dimenticare, Ian — replicò, gelida, la donna. — Morgan ha ucciso mio padre, quindici anni fa, come tu ben sai. Allora eravamo entrambi poco più che bambini... lui aveva quattordici anni ed io ero un po' più giovane... ma non lo potrò mai perdonare per quello che ha fatto. La voce della donna si abbassò di un'ottava, ridotta ad un rauco sussurro dai ricordi. — Ha tradito il suo sangue deryni e si è alleato con Brion anziché con noi, sfidando il Consiglio Camberiano per schierarsi con un mortale. L'ho
visto uccidere mio padre Marluk e privarlo dei suoi poteri. Ed è stato Morgan, con la sua astuzia deryni, a mostrare a Brion cosa doveva fare. Non lo dimenticare mai, Ian. Howell scrollò le spalle. — Non ti preoccupare, piccola mia. Ho i miei motivi per volere la morte di Morgan, ricordi? Il Ducato di Corwyn confina ad est con le mie terre. Mi chiedo soltanto per quanto ancora tu intenda lasciarlo in vita. — Gli rimangono poche settimane al massimo — dichiarò Charissa, — ed è mia intenzione che trascorra soffrendo il tempo che gli resta. Oggi, Brion morirà grazie alla magia deryni, Morgan saprà che è stata opera mia, e già questo, di per sé, gli farà più male di qualsiasi mia altra azione. Poi procederò con l'annientamento di tutte le altre persone che gli sono care. — E il Principe Kelson? — chiese Ian. — Non essere avido, Ian — sorrise la donna, con malvagia anticipazione. — Avrai il tuo prezioso Corwyn, a tempo debito, e io governerò Gwynedd, come hanno fatto i miei antenati. Lo vedrai. Girò su se stessa e riattraversò la radura, rivolgendo un cenno imperioso a Mustafa, che spinse da parte il denso fogliame per rivelare un'apertura nel sottobosco. Oltre la breccia, ai piedi di un dolce pendio, si stendeva un ampio prato verde, ancora umido e silenzioso sotto il debole sole della tarda mattinata. Dopo un pausa, Ian raggiunse Charissa, sbirciò attraverso l'apertura e circondò con le braccia le spalle della donna. — Devo confessare che il tuo piano mi piace, piccola mia — mormorò. — La tortuosità della tua adorabile mente non manca mai di sorprendermi. — Abbassò su di lei uno sguardo pensoso, attraverso le lunghe ciglia scure. — Sei certa che Morgan sarà il solo ad avere sospetti, però? Voglio dire, che accadrebbe se Brion dovesse accorgersi di te? Charissa sorrise con compiacenza, e si appoggiò contro di lui. — Non ti preoccupare troppo, Ian — tubò. — Con la mente offuscata dal merasha contenuto nel vino, Brion non si accorgerà di nulla finché la mia mano si serrerà intorno al suo cuore... ed allora sarà troppo tardi. Quanto a Colin, il merasha non può avere su di lui nessun effetto, a meno che nella sua ascendenza ci sia sangue deryni. Anche se così fosse, non correrà rischi se tu lo terrai lontano da Brion, quando verrà il momento. — Colin sarà fuori della tua portata, ci puoi contare — replicò il nobile, strappando un filo d'erba che era rimasto attaccato al mantello di lei e rigirandolo fra le dita guantate, mentre continuava a parlare. — Coltivo l'ami-
cizia di quel giovane da settimane e, anche se non spetterebbe a me sottolinearlo, lui è alquanto lusingato di essersi guadagnato il favore del Conte di Eastmarch. Charissa si staccò da lui con irritazione. — Cominci ad annoiarmi, Ian. Se proprio insisti a comportarti in modo così pomposo, ti suggerisco di tornare dai tuoi regali compagni di gioco, dove l'aria è molto più adatta al compiacimento di sé e al noioso scambio di frasi banali che sembrano tanto divertirti! Ian non rispose, ma inarcò un sopracciglio intanto che si accostava al cavallo per aggiustare la staffa esterna. Una volta soddisfatto del risultato ottenuto, guardò verso Charissa, al di sopra della sella. — Devo portare i tuoi complimenti a sua maestà? — chiese, con un asciutto sogghigno che gli sollevava gli angoli della bocca. Con un lento sorriso, Charissa gli si avvicinò, prendendo le redini dell'animale e congedando con un cenno il Moro che le teneva, mentre Ian aggirava il cavallo. — Allora? — mormorò il lord, non appena il Moro si fu allontanato con un inchino. — Credo che tu non debba salutare Brion per me, questa volta — replicò lei, con falsa timidezza, e passò la mano guantata sul collo del sauro, aggiustando un tassello smosso della briglia. — Ora faresti meglio ad andare. La cavalcata giungerà presto qui. — Ascolto e obbedisco, mia signora — rispose allegramente Ian, montando in sella. Raccolte le redini, abbassò lo sguardo sulla donna e protese la mano sinistra. Senza parlare, Charissa appoggiò le dita guantate su quelle di lui, e il lord si chinò a deporvi un bacio. — Buona caccia, mia signora! — salutò. Strinse leggermente la mano della donna, la lasciò andare e spinse il cavallo nel sottobosco, avviandosi nella direzione da cui era venuto. L'Ombrosa l'osservò con occhi socchiusi finché fu scomparso fra il fogliame; poi tornò alla sua silenziosa attesa sul prato. Raggiunti i compagni, Ian cominciò gradualmente ad avanzare verso il gruppetto reale; adesso stavano galoppando lungo un tratto di terreno poco alberato, e lui scorgeva già il prato, non troppo oltre. Lanciando un'occhiata distratta alla staffa, incitò il cavallo in modo da avvicinarsi a Colin, e sollevò la mano guantata in un gesto di saluto.
— Lord Ian — rispose Colin, quando l'altro gli si accostò. — Si cavalca bene in coda? Ian rivolse al giovane un sorriso disarmante. — In maniera incredibile, amico mio. Spostò leggermente il peso sulla sella e si udì un sonoro schiocco di cuoio spezzato, quando la staffa destra si ruppe. — Dannazione! — esplose il lord, recuperando l'equilibrio. — E così per me la caccia è finita! Frenò lentamente il destriero per permettere agli altri di oltrepassarlo, poi si chinò a recuperare la staffa ancora infilata nel piede e sorrise con approvazione quando Colin si fermò a sua volta e lo raggiunse. Non appena tutti i cavalieri si furono allontanati, Ian smontò e osservò la. sella, sotto lo sguardo preoccupato del giovane. — Avevo detto a quel porco di uno stalliere di sostituire questo cuoio, tre giorni fa — si lamentò, maneggiando la cinghia spezzata. — Non è che per caso ne hai una di riserva, Colin? — Può darsi — rispose l'altro, smontando. Mentre il giovane frugava nelle sacche della sella, Ian lanciò uno sguardo furtivo verso la parte opposta del prato. Il suo tempismo era stato perfetto perché in quel momento i cani si stavano arrestando nel centro della spianata, avendo perso di nuovo la traccia. Da un momento all'altro... I battitori cercavano invano di controllare le bestie, e Brion picchiò il frustino contro lo stivale, leggermente seccato. — I tuoi cuccioli ci sono ricascati, Ewan — dichiarò, guardando avanti. — Kelson, ti dispiacerebbe andare a vedere che cosa è successo? Non possono aver perduto la traccia in mezzo ad un prato. Tu rimani qui, Ewan. Mentre Kelson si allontanava, il duca si sollevò sulle staffe per vedere meglio, poi tornò a sedersi, borbottando, perché con tutta la confusione creata dai cani e dai cavalieri era impossibile distinguere qualcosa a quella distanza; era ovvio che il fiero, vecchio guerriero era sul punto di lanciarsi in una lunga filippica. — Quelle dannate bestie sono impazzite! — ringhiò. — Aspetta solo che metta le mani su... — No, Ewan, non ti scaldare — intervenne, pronto, Brion. — È ovvio che non eravamo destinati a... oh! Il re s'interruppe di colpo a metà della frase e s'immobilizzò, sgranando
gli occhi grigi per la paura. — Oh, mio Dio! — sussurrò; poi chiuse gli occhi piegandosi in due per il dolore. Le redini e il frustino sfuggirono dalle dita intorpidite mentre lui si serrava il petto e si accasciava in avanti sulla sella, soffocando un gemito. — Sire! — gridò Ewan. Brion si afflosciò e scivolò giù di sella, ma Ewan e Rogier riuscirono ad afferrarlo per le braccia e ad adagiarlo per terra in mezzo a loro; altri nobili nelle immediate vicinanze smontarono di sella, precipitandosi in aiuto del sovrano, e il Principe Nigel si accostò per prendere in grembo la testa del fratello. Mentre Rogier ed Ewan s'inginocchiavano ansiosamente alla sua sinistra, Brion fu aggredito da un'altra ondata di dolore. — Kelson! — gridò debolmente. Il ragazzo, che si trovava più avanti, vicino ai cani, vide più che sentire l'agitazione scoppiata al centro della cavalcata, e tornò indietro al galoppo, certo che fosse accaduto qualcosa di strano. Quando raggiunse il capannello di nobili vocianti raccolti intorno al re e scorse suo padre disteso sull'erba, agonizzante, arrestò di colpo il cavallo e si gettò giù di sella, facendosi largo a spintoni fra i presenti. Brion respirava a fatica, con i denti serrati per resistere al dolore lancinante che accompagnava ora ogni battito del cuore; i suoi occhi guardavano di continuo a destra e a sinistra, nel tentativo di localizzare il figlio, e lui ignorava completamente gli sforzi congiunti di Ewan, di Rogier e del Vescovo Arilan per confortarlo. Quando il ragazzo si lasciò cadere in ginocchio alla sua destra, Brion vide soltanto lui ed annaspò, serrandogli la mano per resistere ad una nuova ondata di dolore. — Così presto! — riuscì a sussurrare, schiacciando quasi le dita di Kelson nell'intensità della sua stretta. — Kelson, ricorda la tua promessa. Ricor... Poi la sua mano si afflosciò in quella del figlio e le palpebre si abbassarono a metà, mentre il corpo devastato dalla sofferenza si rilassava. Nigel ed Ewan si misero alla frenetica ricerca di qualche traccia di vita, sotto lo sguardo incredulo e sconvolto del ragazzo, che però non ricevette nessun segno rassicurante. Con un singhiozzo, Kelson si accasciò ed appoggiò la fronte sulla mano del padre. Accanto a lui, il Vescovo Arilan si fece il segno della croce e prese a re-
citare l'Offizio per i Morti, con voce che suonava bassa e decisa nella terribile quiete circostante. Tutt'intorno, i nobili ed i vassalli di Brion s'inginocchiarono ad uno ad uno, per ripetere le parole del vescovo. — L'eterno riposo concedi a lui, o Signore. — E risplenda per lui la luce eterna. — Kyrie eleison. — Christe eleison... Kelson lasciò che quelle parole familiari scorressero su di lui, permise che la loro cadenza attenuasse il nauseante, vertiginoso senso di vuoto che avvertiva allo stomaco fino a trasformarlo in un torpore tollerabile, costrinse la morsa che gli serrava la gola a rilassarsi. Dopo un lungo momento, poté sollevare il capo e guardarsi intorno con occhi offuscati. Nigel appariva calmo, quasi sereno, mentre se ne stava in ginocchio reggendo in grembo la testa del fratello morto; ripetutamente, le sue dita accarezzarono i lisci capelli neri che ricadevano sulla fronte immobile... con tocco gentile, quasi delicato... e solo Nigel sapeva dove stessero vagando i suoi pensieri... E Rogier... Rogier seguiva con lo sguardo il movimento delle mani di Nigel, e ripeteva automaticamente le parole della litania, senza sapere cosa vedeva e cosa diceva. Ma ciò che il giovane principe avrebbe ricordato anche in seguito, quando gli altri dettagli di quel giorno fossero ormai misericordiosamente svaniti dalla sua memoria, era il fatto che Ewan aveva raccolto da qualche parte il rosso cappello da caccia del re, ora macchiato e calpestato nella confusione e nell'orrore degli ultimi minuti. Per chissà quale miracolo, la piuma bianca era rimasta intatta, il suo candore non era stato alterato, e mentre Ewan si stringeva al petto il cappello, essa ondeggiava con un movimento quasi ipnotico davanti agli occhi del ragazzo. D'un tratto, il duca si accorse dello sguardo fisso di Kelson, e osservò il cappello e la piuma come se non li avesse mai visti prima; ebbe un momento di esitazione, poi strinse la mano enorme intorno alla piuma fino a spezzarla. Kelson ebbe un sussulto. — Il re è morto... Sire — mormorò Ewan, in tono spento, con la faccia cinerea sotto l'irsuta massa rossa dei capelli e della barba. Aprì la destra e guardò la parte spezzata della piuma che scendeva dolcemente a posarsi sulla spalla di Brion.
— Lo so — rispose il ragazzo. — Cos'è... — La voce del duca s'infranse per l'emozione, e lui dovette ricominciare. — C'è qualcosa... Non riuscì a proseguire, e nascose la faccia nel cappello di Brion mentre un tremito convulso gli scuoteva le spalle. Nigel distolse lo sguardo dal volto del fratello morto e sfiorò la spalla del vecchio guerriero. — È tutto a posto. Ewan — disse sommessamente; poi abbassò la mano, lanciò un'altra occhiata a Brion e fissò il figlio del fratello. — Ora sei re, Kelson — dichiarò con gentilezza. — Cosa ordini? Il ragazzo guardò ancora il sovrano morto, poi liberò le dita da quelle del padre e gli incrociò le mani sul petto. — Prima di tutto — comandò con voce salda, — mandate a chiamare il Generale Morgan. CAPITOLO SECONDO I PRINCIPI SI RIUNIRONO E PARLARONO CONTRO DI ME. SALMI, 119:23 Quasi due settimane più tardi, Morgan ed un solo aiutante militare, avvolto in un manto azzurro, entrarono in Rhemuth, la capitale dello stato di Brion, dalle porte settentrionali. Anche se non era neppure metà mattina, i cavalli erano coperti di schiuma e sfiniti, ed i loro respiri affannosi proiettavano dense e candide volute di condensa nell'aria fredda. Era giorno di mercato a Rhemuth, e le strade erano ancora più affollate del solito, senza contare che la cerimonia dell'incoronazione, fissata per l'indomani, aveva attirato una quantità di altri visitatori, viaggiatori giunti da tutti gli Undici Regni, la cui presenza rendeva quasi impercorribili le strette vie lastricate. Carretti carichi di mercanzie e portantine dai ricchi tendaggi, mercanti con il loro carico di merci e ambulanti che strillavano i prezzi spropositati degli oggetti in vendita, nobiluomini dall'aria annoiata con i loro séguiti splendidi... tutto questo si univa e si fondeva in un caleidoscopico miscuglio di colori, odori e suoni, sullo sfondo degli edifici e delle arcate della città. Rhemuth la Bella, così veniva chiamata la città, ed era facile capirne il perché.
Nel guidare la stanca cavalcatura, a passo lento, fra la folla di pedoni ed i carretti, seguendo Lord Derry verso le porte principali del palazzo, Morgan abbassò con malinconia lo sguardo sul proprio cupo abbigliamento, che spiccava in mezzo a tutto quel colorato splendore; portava un'impolverata tunica di cuoio, che copriva quasi del tutto la cotta di maglia, ed un pesante mantello di lana e zibellino che lo avvolgeva dal collo alle ginocchia. Era strano, con quanta rapidità potesse cambiare l'atmosfera in una città; era certo che solo poche settimane prima la maggior parte di quei cittadini, ora vestiti in modo tanto sgargiante, aveva indossato abiti simili ai suoi, piangendo con genuino dolore la perdita del sovrano. Ora, però, tutti portavano colori adatti a festeggiamenti e celebrazioni. Si trattava di memoria corta, oppure del pietoso offuscarsi dei sensi dovuto al trascorrere del tempo, o semplicemente dell'eccitazione per un'incoronazione che avrebbe permesso alla gente comune di accantonare il dolore e riprendere a vivere normalmente? Forse per quelle persone, che non avevano mai conosciuto Brion, si trattava soltanto di modificare un concetto acquisito, d'inserire un nome nuovo accanto al titolo di «re». Un altro nome... un altro re... un regno senza Brion... Ricordi... nove lunghi giorni... crepuscolo... quattro cavalieri sfiniti dal viaggio che giungevano al campo di Cardosa... i volti cinerei di Lord Ralson, di Colin e delle due guardie mentre comunicavano affannosamente l'orribile notizia... l'angosciosa futilità di cercare di protendersi attraverso lo spazio per toccare una mente che non avrebbe più potuto rispondere, anche se fosse stata vicina... l'intontimento che lo aveva attanagliato quando avevano iniziato la frenetica galoppata alla volta di Rhemuth... i cavalli sfiniti che avevano cambiato con altri freschi lungo la strada... l'incubo dell'imboscata, del massacro da cui soltanto lui e Derry erano usciti vivi... altri chilometri logoranti... E adesso, la terribile consapevolezza che era stato tutto reale, che un'epoca si era conclusa e che lui e Brion non avrebbero più cavalcato insieme sulle colline di Gwynedd... La totalità del suo dolore si riversò su Morgan come una cosa fisica, minacciando di sopraffarlo, come non aveva mai fatto durante i nove lunghi giorni di viaggio. Annaspando, si aggrappò al pomo della sella per sostenersi. No! Non doveva permettere alle sue emozioni d'interferire con il lavoro che
lo attendeva! C'erano un potere da difendere, un re da incoraggiare, una battaglia da vincere. Si costrinse a rilassarsi ed a trarre un lungo respiro controllato, obbligò con la volontà l'angoscia a quietarsi. In seguito, ci sarebbe stato tempo a sufficienza per dolersi in privato... anzi, forse non ce ne sarebbe stato bisogno, se avesse fallito nel suo compito ed avesse raggiunto Brion nella morte. Ma era ormai il momento di farla finita con quel genere di pensieri: per adesso, il dolore era un lusso che non poteva concedersi. Superata la crisi, avvertì un profondo, improvviso imbarazzo, e guardò davanti a sé per verificare se Derry aveva notato la sua lotta interiore. Ma Derry non aveva visto nulla, o almeno faceva finta che così fosse, e del resto il giovane lord era troppo impegnato a rimanere in sella e ad evitare di travolgere qualche passante per prestare molta attenzione a qualsiasi altra cosa. Morgan sapeva che le ferite subite dal giovane gli dovevano provocare non poco disagio, anche se Derry non lo avrebbe mai ammesso. Morgan si affiancò al compagno, e stava per parlare quando il cavallo dell'altro incespicò; il generale afferrò le redini ed impedì miracolosamente all'animale di crollare, ma il cavaliere barcollò con violenza contro il pomo della sella e riuscì a stento a non cadere. — Stai bene, Derry? — chiese Morgan, con ansia, lasciando le redini ed afferrando la spalla del giovane. Derry si sollevò lentamente sulla persona, con un'espressione sofferente incisa con chiarezza sulla piccola porzione del viso lasciata scoperta dall'elmo piumato; sorreggendo con cautela il polso sinistro, fasciato, con la mano destra, trasse un profondo respiro, chiuse gli occhi, poi li riaprì ed annuì. — Va tutto bene, milord — sussurrò, adagiando il braccio ferito nella bandoliera di seta nera e puntellandosi con la mano sana. — Ho soltanto sbattuto contro la sella. Con evidente scetticismo, Morgan accennò a protendersi per controllare di persona la lesione, quando il suo gesto venne interrotto da un grido stridulo che gli echeggiò quasi nell'orecchio. — Fate strada al Supremo di Howicce! Largo a Sua Elevatezza! Soldato — aggiunse poi la voce, in tono più basso, — voi due non potreste trovare un altro posto dove tenervi per mano? Nello stesso istante ci fu lo schiocco di un pezzo di cuoio contro il fianco del cavallo di Morgan, che scattò di lato con maggiore energia di quanto il generale avrebbe creduto possibile, spingendo la cavalcatura di Derry
contro una mezza dozzina di pedoni urlanti. Un lampo di rabbia apparve negli occhi di Derry, mentre Morgan si girava per guardare; il giovane era sul punto di ribattere con indignazione, ma il generale lo indusse al silenzio con un calcio, atteggiando poi il volto a quella che sperava fosse un'adeguata espressione di abietta sottomissione, e segnalando a Derry di fare altrettanto. Infatti colui che aveva gridato era un gigante alto due metri, coperto da una cotta di bronzo e vestito con la sgargiante livrea verde e violetta dei Regni Uniti di Howicce e Llannedd; in condizioni normali, questo non sarebbe stato un deterrente, ma quel tizio era accompagnato da altri sei esemplari uguali a lui, e Derry era ferito, il che alterava un poco le probabilità di successo, senza contare che Morgan non aveva nessun desiderio di essere arrestato ed imprigionato per rissa proprio adesso. C'era in gioco una posta troppo grossa. Osservò con aperto interesse i giganti, mentre lo oltrepassavano, notando con cura le barbe ed i capelli, neri ed irsuti, gli elmetti alati di bronzo che contrassegnavano i colossi come mercenari connaiti, il disegno barbarico in viola e verde della livrea, completato dallo stemma di Howicce, gli spadoni alle cinture e le nere fruste che gli uomini impugnavano. Non c'era nessun indizio in merito all'identità del Supremo di Howicce, anche se Morgan nutriva precisi sospetti. I giganti scortavano una portantina intagliata, sospesa a quattro cavalli grigi, e le tende lavorate ad arazzo erano ricamate con un abbagliante disegno in verde, viola, arancione e rosa carico. Altri sei giganti bruni procedevano alla retroguardia e Morgan dubitò, tutto considerato, che avrebbero approvato se lui si fosse accostato per dare un'occhiata. Ma non importava, in quanto si era già formato un'idea della persona, chiunque fosse, che aveva l'audacia di autodefinirsi «Sua Elevatezza», e non avrebbe dimenticato il Supremo di Howicce o la sua scorta. Evidentemente, i pensieri di Derry dovevano aver seguito la stessa falsariga, perché mentre il corteo procedeva, il giovane si protese verso il generale con un sogghigno cattivo. — Per tutti i diavoli dell'inferno, che cosa è un Supremo di Howicce? — Non lo so con certezza — rispose Morgan, con un sonoro sussurro da palcoscenico. — Ma non credo che sia un rango elevato quanto una Quintessenza o un Penultimato. Probabilmente si tratta di qualche ambasciatore di secondo piano con manie di grandezza. Era stata sua intenzione che il commento venisse udito da altri, e una ri-
satina nervosa si levò fra i presenti. L'ultimo dei giganti lanciò uno sguardo rovente nella sua direzione, ma Morgan esibì l'espressione più innocente di cui era capace e s'inchinò sulla sella. Il gigante proseguì senza fermarsi. — Bene, chiunque sia — commentò Derry, quando si rimisero in movimento, — di certo ha un seguito maleducato, e qualcuno dovrebbe impartire una lezione a quella gente. Fu la volta di Morgan di esibire un sorriso cattivo. — Ci sto lavorando — rispose. Indicò la processione che si snodava lungo la strada e che stava per scomparire oltre un angolo; il gigante che veniva per primo e manovrava la frusta con eccessivo entusiasmo, sferzava a destra e a sinistra con uno zelo sempre maggiore, ora che il gruppo si avvicinava al palazzo ed incontrava gente sempre più importante su cui fare impressione. Accadde poi una cosa strana. La lunga frusta nera che il gigante maneggiava con soddisfazione tanto evidente parve mettersi ad agire di propria iniziativa; di ritorno da un colpetto distratto in direzione di un monello da strada in corsa, la striscia di cuoio si avvolse, in maniera brusca e inesplicabile, intorno alle zampe anteriori della cavalcatura del gigante. Prima che qualcuno si accorgesse dell'accaduto, cavallo e gigante crollarono sulla strada lastricata in un groviglio scalciante ed urlante, con un gran tintinnare di metallo. Mentre il colosso si sollevava, livido di rabbia e snocciolando un'inarticolata sfilza di profanità, una marea di risate dilagò fra gli spettatori, ed infine la guardia dovette tagliare la frusta per poter liberare il cavallo. Morgan aveva visto abbastanza. Con un sorriso compiaciuto, segnalò a Derry di seguirlo lungo una strada secondaria meno affollata. Quando sbucarono dall'altra parte, il giovane nobile lanciò un'occhiata in tralice al suo comandante. — È stato davvero soddisfacente che quel gigante si sia impigliato nella sua stessa frusta, milord — commentò, con una nota di ammirazione nella voce. — Piuttosto goffo da parte sua, vero? Morgan inarcò un sopracciglio. — Stai forse sottintendendo che io abbia avuto qualcosa a che vedere con il suo sfortunato incidente? Suvvia, Derry. Comunque, ho sentito dire che a volte i giganti hanno problemi di coordinazione, che ritengo derivino dall'avere cervelli troppo piccoli. E poi — aggiunse, quasi a se stesso, — non mi sono mai piaciute le persone che usano la frusta sugli altri.
Il cortile principale del palazzo reale era più affollato di quanto Morgan rammentasse di averlo mai visto, anche da ragazzo, e lui e Derry riuscirono a stento a valicarne i cancelli. Dio solo sapeva come tutta quella gente avrebbe trovato una sistemazione. Era evidente che molti dei dignitari in visita per l'incoronazione dell'indomani sarebbero stati ospitati nel palazzo vero e proprio, perché la zona antistante la scalinata principale era ingombra di portantine, carrozze e di animali da carico e dovunque nobili e dame si agitavano in un'apparente confusione, insieme ad orde di servitori. Il frastuono e la puzza erano incredibili. Morgan era stupito che tanti nobili degli Undici Regni si fossero degnati di venire per la cerimonia. Non che l'incoronazione del nuovo sovrano della famiglia Haldane non fosse un evento di rilievo... niente affatto; piuttosto era notevole il fatto che tanti nobili di solito in dissidio fra loro si fossero riuniti volontariamente e pacificamente nello stesso luogo. Sarebbe stata per lui una vera sorpresa se non fosse scoppiata almeno una grave lite, prima della fine dei festeggiamenti. C'erano già alcuni scudieri, provenienti da due degli Stati Cuscinetto Forcinn in guerra fra loro, che stavano litigando per stabilire quale dei loro padroni avrebbe avuto la precedenza a tavola, quella sera. Ciò che rendeva ridicola la disputa era che tutti sarebbero stati relegati in posizione secondaria rispetto ad un altro signore, perché tutti e cinque gli Stati Cuscinetto si trovavano sotto la protezione ed il controllo economico dell'Hort di Orsal, la cui bandiera sventolava già da uno dei pennoni eretti sui bastioni principali. L'emissario hortiano avrebbe avuto la precedenza su tutti i contendenti forcinniani. Era probabile che l'Orsal, che controllava il commercio sulla maggior parte del Mare Meridionale, non si fosse scomodato di persona; i rapporti con R'kassi, verso sud, non erano stati molto amichevoli, di recente, ed era quasi certo che il vecchio leone di mare avesse ritenuto più saggio rimanere a casa per controllare il suo monopolio sui porti. Il vecchio Orsal era fatto così. Ma il giovane Orsal era qui, e sulla destra le sue bandiere color verde mare sventolavano su quattro o cinque pennoni, mentre parecchi servitori erano intenti a scaricare i suoi numerosi bagagli. Morgan prese un appunto mentale, decidendo di andare a cercare il giovane Orsa! dopo l'incoronazione dell'indomani, se fosse stato ancora vivo,
naturalmente. Anche lui aveva avuto dei problemi con gli Stati Forcinn, e forse si sarebbe potuti arrivare ad un mutuo accordo per la risoluzione del problema; comunque, Orsal doveva almeno sapere qual era la sua posizione, dato che Corwyn e lo Stato Hortiano erano sempre stati in ottime relazioni. Morgan rivolse un cenno di saluto al gran cancelliere di Torenth, ma non stava più pensando agli emissari stranieri, perché coloro con cui se la sarebbe dovuta vedere, prima della fine della giornata, sarebbero stati i lord del Consiglio della Reggenza. Doveva quindi prestare più attenzione agli arrivi locali. Intravvide Lord Ewan, con il giustacuore di un arancione acceso sormontato dai familiari capelli rossi, che oltrepassava in quel momento le porte principali, in cima alle scale, seguito da Lord Bran Coris e dal giovane Conte di Eastmarch. E sulla sinistra, in lontananza e diretto verso le stalle reali, c'era un paggio che conduceva per la briglia due cavalli con le selle coperte dal tartan dei McLain. Quello era un sostegno su cui poteva contare. Lord Jared, suo zio adottivo, dominava quasi un quinto di Gwynedd, se si consideravano le terre del figlio maggiore, il Duca di Kierney, che confinavano con il Ducato di Cassan. E il Conte di Kierney, Kevin, era un vecchio amico di Morgan e sarebbe presto diventato suo cognato. E in questo quadro non era neppure inserito il terzo McLain, Duncan, dal quale quel giorno molte cose sarebbero dipese. Fatto cenno a Derry di seguirlo, Morgan attraversò il cortile affollato tenendosi a sinistra delle scale; il giovane aiutante si arrestò accanto a lui ed i due smontarono. Passate rapidamente le mani lungo le zampe della sua cavalcatura, Morgan gettò le redini a Derry e si sfilò l'elmo, arruffando distrattamente i capelli biondi mentre si guardava intorno alla ricerca di una faccia familiare. — Ah, Richard FitzWilliam! — chiamò poi, sollevando la mano guantata in un gesto di saluto. Un giovane scudiero alto e bruno, che portava la carminia livrea reale, si voltò nel sentir gridare il proprio nome e sorrise nell'identificare chi lo aveva chiamato, un sorriso che cedette però subito il posto ad un'espressione preoccupata intanto che si faceva nervosamente largo per raggiungere Morgan. — Lord Alaric — mormorò, abbozzando un frettoloso inchino e con gli occhi bruni carichi di apprensione. — Vostra Grazia non dovrebbe essere
qui. Si dice che il Consiglio vi stia dando la caccia anima e corpo, e questa è la verità. Il suo sguardo saettò con nervosismo da Morgan a Derry, per poi tornare a posarsi sul generale; l'aiutante s'immobilizzò nell'atto di appendere l'elmo alla sella, ma riprese subito ad occuparsi del suo equipaggiamento quando Morgan gli lanciò una penetrante occhiata, prima di rivolgere la sua attenzione a Richard. — Il Consiglio intende agire contro di me, Richard? — chiese, con finta ingenuità. — Per quale motivo? FitzWilliam si contorse, a disagio, e cercò di evitare lo sguardo del generale perché, pur avendo svolto il suo addestramento con lui e ammirandolo moltissimo nonostante le voci circolanti, non aveva però nessun desiderio di essere lui ad informarlo. — Io... non lo so con esattezza, Vostra Grazia — balbettò. — Loro... ecco, hai sentito qualcuna delle dicerie che ci sono in giro, vero? — Scrutò Morgan con timore, come se sperasse in un diniego da parte del generale, ma Morgan inarcò un sopracciglio in un gesto di conferma. — Sì, ho sentito quelle voci, Richard — sospirò. — Tu non ci credi, vero? FitzWilliam scosse timidamente il capo, e Morgan picchiò una manata contro il collo del cavallo in un gesto d'esasperazione, facendo scartare l'animale. — Siano tutti dannati! — esclamò. — È quello che temevo! Derry, ricordi cosa ti ho detto riguardo al Consiglio della Reggenza? Il giovane annuì, con un sogghigno. — Bene — commentò il generale. — Allora, che ne penseresti di andare a placare i Lord del Consiglio, mentre io mi metto al lavoro? — Non vorrai forse intendere ritardare, signore? Con una risata, Morgan gli batté su una spalla. — Derry, ragazzo, mi piace il tuo modo di pensare! Ricordami di escogitare una ricompensa adeguata. — Sì, signore. Morgan tornò a rivolgersi a Richard, e gli porse l'elmo e le redini dei due animali. — Vorresti pensare ai cavalli e ai bagagli, Richard? — Sì, milord — rispose lo scudiero, osservando con meraviglia i due uomini sorridenti. — Ma state attenti, signore... tutti e due. Morgan annuì con aria grave e diede un colpetto sulla spalla di FitzWil-
liam, poi si diresse con passo deciso verso le scale, seguito da Derry. La scalinata e l'atrio erano affollati di nobili e di dame dagli abiti sfarzosi, e d'un tratto Morgan si rese conto che i suoi vestiti neri ed impolverati dovevano spiccare notevolmente; poco dopo, si accorse che l'effetto era anche maggiore, perché mentre saliva le scale notò che ogni conversazione cessava al suo passaggio, specialmente fra le dame che, quando lui ricambiava i loro sguardi con il solito accenno di sorriso accompagnato da un inchino, si ritraevano come se avessero paura, mentre gli uomini accostavano la mano all'elsa della spada. Di colpo, comprese quale fosse il problema. Nonostante la sua lunga assenza, quella gente lo riconosceva e lo collegava alle assurde voci che circolavano sul conto dei Deryni. Qualcuno si era certo preso un sacco di disturbo per infangare il suo nome: quelle persone credevano davvero che lui fosse il malvagio mago deryni di cui si parlava nelle leggende! Molto bene, che lo fissassero pure, lui sarebbe stato al gioco, e se proprio volevano vedere il tranquillo, sicuro, vagamente minaccioso lord deryni in azione, lui li avrebbe accontentati! Dando ai suoi movimenti una sfumatura spavalda, si arrestò sulla soglia per togliere la polvere dai vestiti, sistemandosi volutamente in modo che la spada e la cotta di maglia brillassero minacciose e che i suoi capelli dorati splendessero sotto il sole come un alone. Il pubblico ne rimase adeguatamente impressionato. Quando ritenne che il suo comportamento avesse ottenuto l'effetto voluto, lasciò scorrere lo sguardo sulla folla ancora una volta, lentamente, poi girò sui tacchi con aria insolente ed entrò nella sala; Derry lo tallonava come una. guardinga ombra azzurra, e la sua faccia era enigmatica sotto la fitta massa di riccioli castani. La sala era immensa, per necessità, perché Brion era stato un re molto grande, con numerosi vassalli, ed aveva portato avanti una corte in cui i servizi resi con fedeltà erano ben ricompensati. Il salone dall'alto soffitto, sostenuto da travi di quercia e decorato con dozzine di stendardi da battaglia, era quasi simbolico nel rappresentare la nuova unità raggiunta dagli Undici Regni nel corso dei venticinque anni in cui Brion aveva governato. Le bandiere di Carthmoor e di Cassan, di Kierney e del Kheldish Riding, del Libero Porto di Concaradine, del Protettorato di Meara, di Howicce, di Llannedd, di Connait, dell'Hort di Orsal, quelle episcopali della maggior parte dei Lord Spirituali degli Undici Re-
gni... tutte pendevano le une accanto alle altre dalle travi di quercia, con gli stemmi in seta ed oro che brillavano nella luce velata che si riversava dai finestroni e dai tre immensi camini che riscaldavano l'ambiente. Sulle pareti, ricchi arazzi facevano a gara con gli stendardi per colore e splendore, e al di sopra del camino principale, che dominava la sala, il Leone Dorato di Gwynedd spiccava cupo sullo sfondo di velluto rosso. Rosso, con leone rampante protettore... così gli araldisti avrebbero descritto lo stemma degli Haldane sospeso sul camino, ma quel semplice gergo araldico non poteva neppure cominciare a descrivere la ricchezza del ricamo, l'abilità senza prezzo e le gemme che avevano contribuito alla sua creazione. Il pannello era stato commissionato, più di cinquant'anni prima, dal nonno di Brion, Re Malcom. A quell'epoca, i tempi erano più duri, e le abili dita dei tessitori del Kheldish Riding avevano impiegato tre anni per ultimare il disegno di sfondo, poi altri cinque anni erano trascorsi mentre gli artigiani esperti nella lavorazione dell'oro e delle gemme di Concaradine effettuavano la loro parte di lavoro, ed era stato il padre di Brion, Donald, che finalmente aveva appeso quel capolavoro nel salone. Morgan ricordava la reazione di un ragazzino biondo nel vedere quel leone per la prima volta, perché aveva riportato un'impressione che si era incisa in maniera indelebile nella sua memoria, insieme alla prima occhiata che aveva dato a Brion, al luminoso sovrano che, in piedi sotto il Leone di Gwynedd, aveva porto il benvenuto a corte ad un giovane e timido paggio. Assaporò quel ricordo e guardò l'arazzo, osservandolo lentamente, come si sentiva obbligato a fare dopo ogni assenza prolungata. Soltanto più tardi permise al suo sguardo di vagare a destra e a sinistra, dov'erano appese altre bandiere. Verde su seta nera, il Grifone di Corwyn sfidava molte regole convenzionali dell'araldica, almeno per quanto riguardava il colore, ma forse questo faceva parte del fascino emanato dalla discendenza deryni, quale che fosse il discredito caduto su di essa negli ultimi decenni. Il grifone color smeraldo, con le ali da cui gocciolavano oro e gemme, sollevava la testa e gli artigli in una posa rampante, e splendeva, cupo e misterioso, con un'aura quasi sinistra sul lucido sfondo nero. Lungo tutto il bordo, correva il doppio intreccio che era appartenuto al vecchio stemma dei Morgan... e che rendeva omaggio alla sua discendenza paterna. Il generale tendeva a dimenticare le terre di appartenenza dei Morgan, e forse era meglio così, in quanto quella ventina di tenute e di manieri sparsi
per tutto il regno costituivano in larga parte la dote di sua sorella Bronwyn, erano abilmente amministrati da quella splendente dama e presto si sarebbero uniti alle terre di Kierney, quando lei avrebbe sposato Kevin McLain, la primavera successiva. Allora l'unica eredità paterna di Morgan sarebbe stata la doppia treccia dorata presente sullo stemma... insieme al nome. Fu proprio una voce che gridava quel nome a strappare il generale alle sue riflessioni. Lord Rogier, distante tre o quattro metri, si stava facendo largo fra la ressa di nobili, con la faccia sottile improntata ad un'espressione preoccupata e con i sottili baffetti castani irti per l'impazienza. — Ti aspettavamo da parecchi giorni, Morgan! Cosa è successo? — Lanciò un'occhiata nervosa a Derry, ovviamente senza riconoscerlo, ma comunque disturbato dalla sua presenza. — Dove sono Lord Ralson e Colin? Morgan ignorò la domanda di Rogier e si avviò con passo deciso, attraverso la sala, perché aveva intravvisto Ewan che si stava avvicinando con Bran Coris e Ian Howell. Se li avesse attesi, avrebbe dovuto riferire le notizie una volta sola, il che gli sarebbe riuscito già fin troppo penoso, perché lui e Ralson erano stati buoni amici. Mentre raggiungeva gli altri tre, Kevin McLain apparve alla sua sinistra e gli posò la mano sulla spalla in un silenzioso gesto di saluto, mentre Rogier li sopraffaceva quasi con la sua esasperazione. — Ma Morgan! — stava balbettando. — Non hai risposto alla mia domanda! È accaduto loro qualcosa? Il generale s'inchinò per salutare il gruppetto che si era formato. — Temo di sì, Rogier. Ralson, Colin, le due guardie e tre dei miei migliori ufficiali... tutti morti! — Morti! — annaspò Ewan. — Oh, mio Dio! — sussurrò Kevin. — Alaric, cosa è successo? Morgan serrò le mani dietro la schiena, preparandosi alla prova che lo attendeva. — Ero a Cardosa, quando ho ricevuto la notizia. Ho preso la scorta, Derry e tre dei miei uomini, e siamo partiti tutti per Rhemuth all'istante. Avevamo lasciato Cardosa da due giorni quando siamo stati attaccati nell'attraversare un passo... credo che sia stato vicino a Valoret. Ralson e la nostra scorta sono morti subito, mentre Colin è deceduto il giorno successivo per le ferite riportate. Derry perderà forse l'uso della sinistra, ma almeno è sopravvissuto. Ian si accigliò e si accarezzò la barba con finta preoccupazione.
— Ma è spaventoso, Morgan, assolutamente spaventoso. Ah, in quanti hai detto che erano, gli attaccanti? — Non l'ho detto — replicò il generale in tono spento, ma fissò Ian con sospetto, cercando di scoprire la motivazione che si celava dietro quella domanda. — Ritengo comunque che fossero dieci o dodici, non sei d'accordo, Derry? — Ne abbiamo uccisi otto, mio signore — fu pronto a rispondere il giovane, — ma parecchi altri si sono allontanati approfittando della confusione. — Hmm! — sbuffò Ewan. — Nove uomini di Gwynedd hanno ucciso solo otto di quei furfanti? Credevo che sapessi fare di meglio! — Lo credevo anch'io — aggiunse Ian, incrociando con noncuranza le braccia sul giustacuore di seta giallo dorata. — Non pretendo di essere un esperto in simili questioni, ma mi sembra che ve la siate cavata in maniera alquanto misera. Naturalmente, nessuno di noi era presente... — scrollò le spalle e lasciò volutamente la frase in sospeso. — Esatto — dichiarò Bran Coris, socchiudendo gli occhi con sospetto. — Nessuno di noi era presente. Come possiamo avere la certezza che le cose siano andate come dici tu? Perché non hai usato i tuoi preziosi poteri deryni per salvarli, Morgan? Oppure non li volevi salvare? Il generale s'irrigidì e si voltò di scatto per fissare Bran con occhi roventi. Se quell'idiota non stava attento, avrebbe dato inizio a qualcosa che poi Morgan avrebbe dovuto portare a termine; ma lui non osava impegnarsi in uno scontro aperto là e in quel momento. Dannazione! Era già la seconda volta, quel giorno, che era costretto a rinunciare a un buon combattimento. — Non ho sentito quell'osservazione — dichiarò, piccato. — Io ho obbedito agli ordini del mio re e sono venuto. — Si girò verso sinistra. — Kevin, sai dove sia ora Kelson? — Lo avvertirò che sei qui — rispose l'altro, allontanandosi da Bran prima che l'irato lord lo potesse fermare ed attraversando in fretta la stanza, con il tartan che gli ondeggiava su una spalla. Bran abbassò la mano sull'elsa della spada e fissò Morgan con occhi ardenti. — Una bella manovra, Morgan. Ma sette morti... credo che sia un prezzo troppo alto da pagare in cambio della tua presenza qui! Accennò ad estrarre l'arma, ma Ewan gli afferrò il polso e lo costrinse a riporla nel fodero.
— Smettila, Bran! — intimò. — Alaric, vorrei che tu non fossi tornato. In tutta franchezza, la regina non voleva neppure che Kelson ti mandasse a chiamare, e comunque ritengo che non dovresti vedere il ragazzo senza aver prima parlato con Sua Altezza. — Conosco bene i sentimenti che la regina nutre nei miei confronti, Ewan — replicò Morgan, con voce sommessa, — ma per fortuna della mia coscienza, non m'importa quello che lei pensa. Ho fatto una promessa al padre del ragazzo, ed intendo mantenerla. — Si guardò intorno con noncuranza. — Inoltre, non sono certo che Brion approverebbe se sapesse che oggi la mia persona costituisce l'ordine del giorno della riunione del Consiglio. È per questo che siete tutti qui riuniti, vero, signori? I Lord del Consiglio si scambiarono occhiate furtive, cercando di stabilire chi avesse informato Morgan dei loro piani; dall'altra parte della sala, intanto, il generale vide il Principe Nigel scambiare qualche parola con Kevin, che stava uscendo, e poi dirigersi verso il gruppo. — Devi capire, Morgan — stava dicendo Rogier, — che nessuno di noi ha qualche personale astio contro di te. Ma la regina... ecco, la sua reazione alla morte di Brion è stata tutt'altro che buona. — Anche la mia, Rogier — replicò il generale, con un lampo negli occhi grigi. Nigel s'insinuò fra Rogier ed Ewan, e prese Morgan per un braccio. — Sono lieto di vederti, Alaric. E questo, se non sbaglio, è Lord Derry. Il giovane aiutante s'inchinò, ovviamente compiaciuto di essere stato riconosciuto dal duca e grato che questi avesse interrotto le ostilità. Tutt'intorno a lui, anche gli altri s'inchinarono. — Ho però un favore da chiederti — continuò Nigel, svolgendo fino in fondo la parte dell'ospite perfetto. — Ti dispiacerebbe partecipare al Consiglio al posto di Alaric, Derry? Lui ha alcune questioni importanti da sbrigare per me. — Sarà un piacere, Altezza. — Eccellente — dichiarò Nigel, spostandosi con Morgan nella direzione in cui era scomparso Kevin. — Voi ci scusate, vero, signori? Mentre il principe ed il generale si allontanavano verso gli appartamenti reali, Ian si congratulò mentalmente con Nigel per l'abilità di quel salvataggio, sebbene alla fine questo non avrebbe avuto importanza. Anche se Morgan avesse parlato con Kelson, ed ormai non c'era più modo d'impedire quel colloquio, ci sarebbero comunque state alcune sgradite sorprese in serbo per il nobile deryni.
Nel frattempo, c'era da risolvere la questione di Lord Derry. E Bran Coris... la sua reazione era stata una sorpresa. Ian aveva già calcolato che la morte di Ralson avrebbe ridotto di almeno un voto i sostenitori che Morgan aveva nel Consiglio, ma ora sembrava che anche Bran avesse defezionato, e sarebbe stato interessante scoprire che cosa aveva provocato quel cambiamento, dato che in passato Coris si era sempre mantenuto neutrale. Mentre lui e Nigel lasciavano la grande sala, Morgan osservò con stupore il mutamento verificatosi nel fratello minore di Brion, durante gli ultimi due mesi. Infatti il duca, pur avendo circa trentacinque anni ed essendo quindi appena più vecchio di Morgan, ne dimostrava ora il doppio. Non si trattava di una vera e propria manifestazione fisica, non c'erano striature di grigio nei capelli nerissimi e Nigel non appariva curvo o tremante per l'età avanzata. No, si trattava dello sguardo, decise Morgan, mentre procedevano lungo il corridoio di marmo. Nigel era sempre stato il più tranquillo fra i due fratelli, il più studioso, ma questo era un fattore nuovo in lui... un'espressione tormentata (o forse era meglio dire perseguitata?) che Morgan non gli aveva mai visto prima. Anche per Nigel, la morte di Brion era stata un duro colpo. Non appena furono fuori dalla portata visiva ed uditiva dei servi di guardia alla porta, il principe lasciò cadere il finto sorriso e guardò Morgan con aria preoccupata. — Ci dobbiamo spicciare — mormorò, mentre i suoi lunghi passi echeggiavano sulle grandi lastre di marmo. — Jehana si sta preparando a convocare il Consiglio ed a presentare le accuse contro di te, e non ricordo di aver mai visto i Lord del Consiglio di umore peggiore. Sembra quasi che credano alle voci relative alla morte di Brion. — Oh, ci credono, questo è certo — replicò il generale. — Sono convinti che io abbia in qualche modo ucciso Brion con la magia dei Deryni, da Cardosa. Ma perfino un Deryni purosangue non potrebbe fare una cosa del genere. — Sbuffò. — E poi ci sono gli ingenui, che ritengono che sia morto di un «attacco cardiaco». Arrivarono ad un corridoio che intersecava il primo, e Nigel imboccò il passaggio di destra, dirigendosi verso i giardini del palazzo. — Ecco, la gente discute tutte e due le teorie, ma suppongo che sia inevitabile. Kelson, tuttavia, è di altro parere... ed io tendo ad essere d'accordo con lui. È convinto che sia stata opera di Charissa. — Probabilmente, ha ragione — dichiarò Morgan, senza modificare
l'andatura. — Quanto al Consiglio... credi di poterlo tenere a freno? — No — rispose Nigel, franco, accigliandosi. — Almeno, non per molto. Oltrepassarono un posto di guardia, e Nigel ricambiò distrattamente il saluto della sentinella. — Vedi — proseguì il duca, — sarebbe diverso se Kelson fosse già re, se avesse già l'età legalmente riconosciuta, perché allora potrebbe proibire al Consiglio di prendere in considerazione accuse montate contro di te, senza il supporto di prove concrete. Ma finché lui è minorenne, anche se per poco, il Consiglio della Reggenza detiene alcuni poteri legali che lui non può sottrargli; spetta ad esso stabilire quali argomenti debbano essere discussi e basta un semplice voto maggioritario per condannarti. Il successo finale dipenderà in larga misura dalla capacità di Kelson di manipolare la votazione. — Può farlo? — chiese Morgan, mentre scendevano la rampa di scale che portava al giardino. — Non lo so, Alaric — replicò Nigel. — È abile... dannatamente abile... ma non lo so. E poi, hai incontrato i lord più importanti del Consiglio. Ora che Ralson è morto e che Bran Coris lancia aperte accuse... ecco, le prospettive non sembrano, buone. — Questo avrei potuto dirtelo quando ero ancora a Cardosa. . Si arrestarono sotto il graticcio di una casa d'estate, in mezzo ad un labirinto di bossi, e Morgan si guardò furtivamente intorno per vedere se scorgeva Kelson, approvando nel suo intimo la scelta di quel luogo per il loro incontro. — Parlami di questi recenti tentativi di screditarmi da parte di Jehana, Nigel... quali accuse è probabile che presenti contro di me? Il principe puntellò uno stivale contro una panchina di pietra intagliata e fissò Morgan con espressione seria, appoggiando un avambraccio sul ginocchio. — Tradimento ed eresia — disse in tono sommesso. — E non è probabile, è sicuro! — Sicuro! — esplose Morgan. — Dannazione, Nigel, è sicuro che Kelson morirà, se lei non mi permette di aiutarlo! Se ne rende conto? Il duca scrollò le spalle con impotenza. — Chi può dire con certezza cosa Jehana comprenda o non comprenda? So che il nostro caro Lord Rogier presenterà la formale accusa di tradimento, e non c'è possibilità al mondo che l'Arcivescovo Corrigan rifiuti di
sostenere quella di eresia. Jehana ha perfino fatto venire quell'altro arcivescovo da Valoret... come si chiama... quello che porta avanti nel nord le persecuzioni contro i Deryni. — Loris! — sibilò Morgan, girandosi con aria disgustata. Ribollendo interiormente, lasciò scorrere lo sguardo sul labirinto di bosso che si stendeva oltre la bassa balaustra della casa d'estate. Da quel punto, la complessità del labirinto non era evidente, ma il generale si accorse di colpo che esso ben simboleggiava il dilemma a cui lui ora si trovava dinnanzi: contorto, enigmatico, con imprevedibili difficoltà in attesa ad ogni svolta. Eccetto che esisteva una via per uscire dal labirinto di bosso. Tornò a voltarsi verso il principe, avendo riacquistato il controllo. — Nigel, sono convinto che in uno scontro leale, senza tradimenti, Kelson potrebbe sconfiggere Charissa una volta per tutte... ma soltanto se ha il potere di Brion. Per farglielo ottenere, tuttavia, mi serve tempo. Jehana sa davvero cosa ci sia in gioco e che ne sarà di Kelson, se dovrà affrontare Charissa senza disporre di tale potere? Tu eri il secondo erede in linea di discendenza, e comprendi ciò a cui mi riferisco. — Se anche lo sa, non lo ammetterà mai — sospirò Nigel. — Comunque, se ritieni che possa servire a qualcosa, potrei cercale di parlarle ancora. Se non altro, potrei guadagnare un po' di tempo. — D'accordo — annuì il generale. — Se non riesci a farla ragionare, prova ad usare un po' di coercizione. — Farò del mio meglio — promise Nigel, annuendo con aria cupa. — Ma sarebbe opportuno che lei cominciasse a comportarsi come una donna adulta, dotata di un minimo di buon senso. Ci vediamo più tardi. — Lo spero — rispose Morgan, quasi rivolto a se stesso, mentre il duca scompariva oltre una svolta del sentiero. Con un sorriso scettico, Morgan si appollaiò sulla balaustra della casa d'estate, per aspettare Kelson. Personalmente, nutriva scarse speranze che qualcuno avesse la capacità di placare o dominare la cocciuta regina di Brion, e men che meno Nigel, che era sempre stato un aperto sostenitore del detestato generale. D'altro canto, il principe era il cognato della regina, e questo avrebbe potuto avere qualche peso. Chissà! Dopo tutto, in un mondo in cui gli dèi risorgevano dalla morte ed una razza non del tutto mortale convocava a suo piacimento le forze del Bene e del Male, in teoria era possibile qualsiasi cosa. Non aveva mai capito a fondo l'opposizione di Jehana, anche se sapeva
che era basata su un antico e radicato sospetto nei confronti della magia dei Deryni, rinforzato nel corso delle generazioni dalla condanna di tutte le arti occulte da parte della Chiesa Militante. Doveva però esserci qualcosa di più. Un tempo, c'erano stati validi motivi per nutrire sospetti nei confronti dei Deryni, Morgan era il primo ad ammetterlo, ma erano trascorsi quasi trecento anni dall'inizio dell'Interregno Deryni, e se anche a quell'epoca gli Undici Regni erano stati sottoposti alla dura dittatura dei Deryni per quasi tre generazioni, tutto questo apparteneva al passato ormai da due secoli. E perfino quando il potere dei Deryni era stato al suo culmine, solo un pugno di membri della Confraternita era stato coinvolto nelle più nere atrocità, ed a bilanciare le loro azioni vi erano le migliaia di altri Deryni che avevano coltivato i loro legami con la razza umana... quegli stessi che, guidati da Camber di Culdi, avevano infine scoperto che, in presenza di certe specifiche condizioni ed in certi selezionati individui, la piena portata del potere dei Deryni poteva essere acquisita anche dagli umani! Era poi seguito un altro colpo di stato, guidato da Camber, che aveva posto fine all'Interregno Deryni con la stessa rapidità con cui esso era iniziato. I tiranni erano stati giustiziati dai loro stessi compagni e il diritto di governare era stato restituito ai discendenti degli antichi signori umani. L'irata popolazione e la Chiesa Militante, tuttavia, avevano presto dimenticato che anche quella liberazione, come il precedente asservimento, era stata opera dei lord deryni, e ben presto avevano cessato di fare distinzione fra loro. Nel raggio di quindici anni dalla Restaurazione, quindi in meno di una generazione, la Confraternita era diventata oggetto di una delle più sanguinose persecuzioni mai viste da uomini civili, ed il numero dei Deryni era stato ridotto di due terzi da quella velocissima epurazione. Quanti erano sopravvissuti, si erano nascosti rinnegando la loro discendenza, oppure avevano scelto di vivere nel timore, sotto la protezione dei pochi governanti umani che ancora rammentavano come erano effettivamente andate le cose. Con il trascorrere del tempo, i ricordi si erano attenuati e le persecuzioni erano cessate, tranne quelle da parte dei più accesi fanatici; poche e selezionate famiglie deryni erano allora emerse di nuovo, con cautela, ad una posizione di rilievo, ma la magia, se mai veniva impiegata, era utilizzata ora con estrema attenzione e discrezione. La maggior parte dei Deryni, a qualsiasi classe appartenesse, si rifiutava semplicemente di usare i suoi po-
teri, per qualsiasi scopo, perché essere scoperti senza godere di un'adeguata protezione significava morire. Fra gli umani, tuttavia, la forma di magia scoperta con la Restaurazione aveva continuato ad essere tramandata; il fatto che i regnanti di Gwynedd e di qualche altro stato degli Undici Regni possedessero speciali poteri, in qualche modo collegati al loro divino diritto di governare, era stato accettato, anche se non apertamente riconosciuto. Nessuno parlava dell'origine deryni di tali poteri, ammesso che qualcuno ancora se ne ricordasse, ed era stato grazie a questo talento, trasmesso di padre in figlio per duecento anni con un determinato rituale, che Brion aveva potuto sconfiggere Marluk, quindici anni prima. L'avversione di Jehana nei confronti di Morgan aveva avuto inizio ancora prima di quella storica battaglia, anche se non era sorta immediatamente. Quando Brion aveva portato con sé quella principessa dai capelli ramati perché diventasse la sua regina, Morgan aveva gioito con tutto Gwynedd per il matrimonio d'amore della coppia reale. A quell'epoca, lui era lo scudiero del re, e come tutti i giovani di corte si era infatuato dell'adorabile regina; Morgan, nel suo fervore di adolescente, l'aveva addirittura adorata, perché Jehana aveva portato gaiezza e splendore nella corte di Rhemuth. Il popolo l'amava per questo. Poi era giunto il giorno in cui Brion, per caso, si era lasciato sfuggire che Morgan era per metà Deryni. Jehana era diventata molto pallida, e la fatale guerra contro Marluk era scoppiata poco tempo dopo quell'episodio. Il generale rammentava ancora con chiarezza quel giorno... distante ormai quindici anni... in cui lui e Brion, entusiasti per la recente vittoria riportata su Marluk, erano tornati a Rhemuth alla testa di un esercito giubilante. Ricordava come Brion si fosse mostrato orgoglioso del giovane Morgan, che aveva allora da poco superato i quattordici anni, quando avevano fatto irruzione, eccitati, nelle camere di Jehana per vantarsi del loro successo. E ricordava anche l'espressione di velato orrore e di disperazione che si era dipinta sulla faccia della regina, quando lei aveva compreso che suo marito aveva conservato il trono e vinto la guerra con l'aiuto della magia dei Deryni. Subito dopo, Jehana si era ritirata in isolamento per due mesi circa, recandosi, così si era detto, all'Abbazia di Saint Giles, vicino a Shannis Meer. Ben presto, lei e Brion si erano riconciliati, e Jehana era tornata a Rhemuth con il suo sposo, ma da allora aveva sempre evitato Morgan. E quan-
do era nato Kelson, l'anno successivo, lei aveva messo bene in chiaro di non voler avere nulla a che fare con il giovane nobile deryni. Quella decisione non aveva in particolar modo alterato l'esistenza di Morgan. La sua amicizia con Brion era diventata sempre più profonda e matura, e dietro incoraggiamento del sovrano lui aveva preso parte attiva all'educazione ed all'addestramento di Kelson. Sia lui che Brion, tuttavia, si erano subito accorti che era follia sperare in una riconciliazione con Jehana, e con il passare degli anni il re si era a poco a poco abituato al fatto che la sua amata regina non voleva avere contatti con il suo amico più fidato. Morgan non aveva più visto la regina, tranne quando lo avevano richiesto il protocollo o questioni riguardanti Kelson, e quei radi incontri erano sempre stati punteggiati da fuochi d'artificio verbali. Conoscendo quella donna, Morgan nutriva poche speranze che la situazione esistente fra loro potesse cambiare. Uno scricchiolio di stivali sulla ghiaia ruppe il silenzio del giardino, e Morgan sollevò lo sguardo e si alzò dalla ringhiera su cui era seduto. Kelson e Kevin oltrepassarono l'ultima svolta del sentiero principale e si arrestarono sulla soglia della casa d'estate. Ora il giovane principe vestiva il carminio colore della casa regnante. La sua faccia, al di sopra del collo di volpe nera del mantello di velluto, era triste e tesa, ed il ragazzo era cresciuto di parecchi centimetri dall'ultima volta che Morgan lo aveva visto. L'occhio esperto del generale individuò la cotta di maglia, nascosta sotto la rigida tunica di seta ricamata, e notò le strisce di stoffa nera che avvolgevano il braccio sinistro di Kelson e pendevano dalla sua cintura. Ciò che più colpì Morgan, tuttavia, fu l'incredibile rassomiglianza con Brion, quando aveva avuto la stessa età. Guardando Kelson, ebbe l'impressione che fosse Brion a ricambiare il suo sguardo, a causa dei grandi occhi grigi sotto la massa di lucidi e dritti capelli neri, del portamento regale della testa orgogliosa, della disinvoltura con cui portava gli abiti reali. Con occhio clinico, notò l'apparente fragilità della struttura snella, ricordò la forza elastica che essa celava, e le lunghe ore di addestramento con le armi, spesso impartito dallo stesso Morgan. Gli sembrava di avere davanti Brion, dagli occhi ridenti, Brion, dalla spada fiammeggiante, dagli umori pensosi, che insegnava ad un ragazzino a montare a cavallo e ad usare una spada, che teneva udienza in tutto lo splendore della monarchia, con il ragazzino che sedeva, incantato, ai suoi
piedi. E l'immagine del ragazzo ondeggiava fra la luce e l'ombra, aveva ora i capelli biondi, ora corvini, mentre i ricordi di anni lontani si fondevano con altri più recenti. Poi il ragazzo tornò ad essere Kelson. E Brion, che chiedeva ad un amico più amato della sua stessa vita di giurare che il giovane avrebbe sempre avuto un protettore, se suo padre fosse morto prematuramente. Brion che, appena pochi mesi prima di morire, aveva affidato la chiave del suo potere all'uomo che ora si trovava davanti a suo figlio. Kelson abbassò lo sguardo, incerto. A quanto pareva, Morgan era a corto di parole quanto lui. Kelson sapeva cosa voleva fare. Voleva correre da Morgan, come quando era bambino, abbracciarlo e singhiozzare per sfogare il sollievo, il terrore, la sofferenza, tutti gli incubi vissuti nelle ultime due settimane; voleva lasciare che il calmo e talvolta misterioso nobile deryni, con la sua magia, allontanasse le sue paure e calmasse la sua mente tormentata. Si era sempre sentito così... al sicuro con Morgan. Se solo avesse potuto... Ma non poteva. Era un uomo, adesso, o almeno così si supponeva. E, per di più, era un re! Forse! S'interruppe con apprensione. Se Morgan mi aiuterà a sopravvivere ancora per un po'. Timidamente, sentendosi un po' goffo nel suo nuovo ruolo, Kelson sollevò la testa ed incontrò ancora una volta lo sguardo dell'amico di suo padre, del suo amico. — Morgan? — Annuì, con esitazione, cercando di apparire più sicuro di quanto si sentisse. Il generale gli rivolse un calmo sorriso rassicurante e gli si avvicinò. Aveva deciso d'inginocchiarsi per rendere omaggio formale al ragazzo, ma avvertì il suo disagio e ritenne opportuno risparmiargli quell'imbarazzo. — Mio principe — disse soltanto. Kevin McLain, che si era fermato qualche passo più indietro, non mancò di notare la tensione della situazione. Si schiari la gola, e guardò verso Morgan. — Duncan mi ha raccomandato di riferirti che lo troverai a Saint Hilary, quando sarai pronto, Alaric. Io... ora tornerò alla riunione del Consiglio. Credo di essere più utile là. Il generale annuì, senza distogliere lo sguardo da Kelson, e Kevin ab-
bozzò un inchino e si avviò in fretta lungo il sentiero principale. Mentre il suono dei suoi passi svaniva, Kelson si mise a contemplare il pavimento a mosaico della casa d'estate, tracciando disegni nella polvere con uno stivale. — Lord Kevin mi ha detto di Colin, di Lord Raison e degli altri — dichiarò infine. — Io... mi sento responsabile della loro morte, Morgan. Sono stato io ad insistere perché venissero a cercarti. — Qualcuno doveva venire, Kelson — replicò il nobile deryni, e posò una mano sulla spalla del giovane, in un gesto di conforto. — Ho pensato che ti saresti sentito così, però, e mi sono preso la libertà di lasciare i corpi in custodia all'Abbazia di Saint Mark. Quando questa storia sarà finita, potrai fare qualcosa per le famiglie... magari un funerale di stato. Kelson sollevò uno sguardo malinconico. — Scarsa consolazione per quanti hanno perso la vita... un funerale di stato. Comunque, hai ragione, naturalmente. Qualcuno doveva andare. — Bravo ragazzo — sorrise Morgan. — Vieni, facciamo due passi. Dalla soglia, Kevin McLain scrutò in fretta il corridoio, poi raggiunse Derry, che aspettava da solo fuori dalla Sala del Consiglio. — Sono già entrati? — gli chiese, avvicinandosi. — No, stanno aspettando alcuni ritardatari. Spero che tardino parecchio... a meno che non siano dalla nostra parte, s'intende. — Sono Kevin McLain, un cugino di Morgan — si presentò il nobile, con un sorriso. — E se sei amico di Alaric, puoi lasciar perdere le formalità. — Protese la mano, e l'altro la strinse. — Io sono Sean Derry, l'aiutante di Morgan. Kevin annuì, e si guardò intorno con noncuranza. — Hai sentito circolare qualche pettegolezzo qui intorno? Ormai credo che tutti a Rhemuth sappiano che Morgan è tornato. — Non ne dubito — convenne Derry. — Qual è il tuo parere? — Il mio parere? — replicò Kevin, indicando se stesso con incredulità. — Amico mio, io penso che siamo tutti nei guai. Sai di cosa intendono accusarlo? — Ho paura di tirare ad indovinare. — Numero uno — elencò Kevin, sollevando un dito, — eresia. E il numero due? — Sollevò un altro dito. — Tradimento. Vuoi indovinare almeno quale sia la pena per ciascuno di questi due reati? Derry sospirò e afflosciò le spalle con aria avvilita.
— La morte — sussurrò. CAPITOLO TERZO L'INFERNO NON POSSIEDE FURIA PARI A QUELLA DI UNA DONNA DISPREZZATA, O DI UNA DONNA IN LUTTO Jehana di Gwynedd studiò con aria critica la propria immagine riflessa nello specchio, mentre la pettinatrice le avvolgeva sulla nuca la lunga treccia ramata fissandola con un paio di forcine di filigrana. Quella pettinatura non sarebbe piaciuta a Brion, perché la sua nuda semplicità era troppo aspra e severa per i suoi lineamenti delicati, enfatizzava gli zigomi alti, la linea un po' squadrata della mascella, dava l'impressione che gli occhi verdi fossero l'unico tratto vivo nel volto pallido. Ed il nero non era un colore che le si addiceva. La seta ed i velluti dell'abito da lutto, privi di gioielli, merletti o ricami che li ravvivassero, servivano solo ad accentuare l'effetto monocromo del bianco e del nero, accentuavano il pallore e la facevano sembrare più vecchia dei suoi trentadue anni. No, Brion non avrebbe approvato affatto. Ma non avrebbe detto nulla, rifletté, mentre la pettinatrice copriva la treccia lucida con un delicato velo di trina. Non Brion. Lui avrebbe semplicemente proteso le mani verso i suoi capelli, avrebbe tolto le forcine e lasciato ricadere la lunga treccia sulla schiena, poi avrebbe insinuato le dita sotto il suo mento e avrebbe sollevato le sue labbra per baciarle... Quel ricordo involontario le provocò un tremito convulso nelle mani serrate e nascoste nelle ampie maniche. Con rabbia, Jehana respinse le ormai familiari lacrime. Non doveva pensare a Brion, ora, non doveva pensare, neppure per un attimo, che lui potesse sapere quello che lei stava per fare. C'era un buon motivo, se quel giorno si era acconciata in quel modo, perché quando si sarebbe trovata davanti al Consiglio di Brion, quella mattina, ed avrebbe parlato della terribile malvagità che minacciava Kelson, i nobili non avrebbero dovuto pensare a lei solo come ad una donna giovane e sciocca. Era ancora Regina di Gwynedd, anche se soltanto fino all'indomani, e doveva accertarsi che il Consiglio non lo dimenticasse, quando lei avrebbe preteso la vita di Morgan.
Allungò una mano tremante verso la coroncina d'oro posata sul tavolinetto che aveva dinanzi, si costrinse alla calma e sistemò con decisione il diadema sopra il velo da lutto. Ciò che intendeva fare le riusciva disgustoso perché, quali che fossero i suoi sentimenti personali nei confronti di quel maledetto Morgan, lui era comunque stato il miglior amico di Brion. Se Brion avesse potuto sapere ciò che lei stava per compiere... Si alzò di colpo e congedò le cameriere con un gesto impaziente. Brion non poteva sapere. Anche se ammetterlo le spezzava il cuore, lui era morto, e giaceva nella tomba da quasi due settimane. Nonostante tutte le leggende che parlavano dei temibili poteri dei Deryni... poteri così alieni che lei non li capiva affatto... neppure una persona che aveva goduto del favore dei Deryni poteva tornare dalla tomba; se la morte di Morgan era necessaria per garantire che suo figlio potesse governare come un mortale, senza quei maledetti poteri, allora era inevitabile, a qualsiasi costo. Con risolutezza, attraversò la camera e si soffermò sulla soglia della stanza del sole. In un angolo, un giovane menestrello suonava sommessamente un liuto di legno chiaro e lucido, ed accanto a lui alcune dame di compagnia, vestite di nero, ricamavano in silenzio oppure ascoltavano la triste melodia dello strumento. In alto, le rose rampicanti s'intrecciavano fra le travi del tetto scoperto, ed i petali rosa, rossi e oro si stagliavano sullo sfondo del limpido cielo autunnale; tutt'intorno, il pigro sole del mattino proiettava un gioco di luci ed ombre sul pavimento di marmo e sui lavori delle dame. Le donne sollevarono il capo, in attesa, quando Jehana si soffermò sulla soglia, ed il menestrello smise di suonare. Jehana segnalò ai presenti di riprendere le loro attività, ed entrò nella stanza; mentre la musica si levava di nuovo, lei attraversò l'ambiente e, staccata una rosa da un ramo basso, sedette stancamente su una panca coperta da un drappeggio nero, sotto il pergolato fiorito. Forse qui, fra le rose e la luce solare che Brion aveva tanto amato, avrebbe potuto trovare quella pace interiore di cui aveva un così disperato bisogno, per arrivare in fondo a ciò che l'attendeva. Forse qui avrebbe trovato il coraggio e la forza di fare ciò che andava fatto. Un lieve tremito le scosse le fragili spalle, e la regina si strinse addosso l'abito, come assalita da un gelo improvviso. Prima di allora, non aveva mai ucciso un uomo... neppure un Deryni. Nigel tirò con impazienza il cordone di broccato del campanello, davanti agli appartamenti della regina, per la quinta volta, e nei suoi occhi apparve
un bagliore irato. Sentì che era sul punto di sbottare, e che il poco buon umore che aveva ricavato dalla breve conversazione con Alaric si stava dissolvendo in fretta. Se qualcuno non avesse aperto quella porta entro tre secondi, lui avrebbe... Stava sollevando la mano per suonare la sesta ed ultima volta, quando sentì un lieve fruscio dietro al battente. Indietreggiò di un passo, e uno spioncino si aprì, all'altezza del viso: un occhio castano sbirciò timidamente all'esterno. — Chi c'è? — chiese Nigel, accostandosi e guardando a sua volta dallo spioncino. La pupilla castana indietreggiò, poi il principe scorse una giovane cameriera che si allontanava un poco dalla porta, con la bocca spalancata in una silenziosa O. — Ragazza, se non apri immediatamente questa porta, la butterò giù a calci! Gli occhi della servetta si sgranarono ancora di più quando lei riconobbe la voce che aveva parlato, poi la giovane donna si mosse per obbedire. Nigel sentì la pesante sbarra che veniva tirata indietro e vide il battente che cominciava a muoversi: senza esitazione, lo spalancò e piombò nella stanza. — Dov'è la regina? — chiese, notando ogni dettaglio con occhio pratico, nell'osservare l'ambiente. — È nel giardino? Terminata l'esplorazione visiva, si volse di scatto ed afferrò per il braccio la ragazza spaventata, scuotendola leggermente e fissandola con i grandi occhi grigi tipici degli Haldane. — Allora? Parla, bambina. Non mordo. La servetta sussultò e cercò di allontanarsi. — P... per favore, Altezza — balbettò. — Vostra Altezza mi sta facendo male. Nigel allentò la stretta, ma non lasciò la ragazza. — La regina è... nella stanza del sole, Vostra Altezza — sussurrò la cameriera, tenendo lo sguardo basso. Con un cenno di approvazione, il principe la lasciò andare ed attraversò a grandi passi la stanza, raggiungendo l'arco d'accesso ai giardini reali. Sapeva che la stanza del sole era contigua, da un lato, agli appartamenti della regina, ma che era raggiungibile anche dal giardino. Percorse in fretta il breve sentiero ghiaioso, verso l'ingresso del giardino, e si fermò davanti ad un cancello di ferro battuto coperto di rose rampican-
ti. Allungando la mano verso la maniglia, lanciò uno sguardo nella stanza, attraverso il fitto fogliame. La Regina Jehana sollevò la testa con un'aria di lieve sorpresa quando la cameriera spaventata arrivò di corsa dalla porta interna; mentre la ragazza le parlava in tono urgente e sommesso, la regina abbassò l'unica rosa che teneva in mano e si voltò a guardare, perplessa, verso il cancello dietro il quale si trovava Nigel. L'aria di sorpresa era già svanita. Con un gesto deciso, il principe girò la maniglia e lasciò che il cancello si spalancasse, poi rimase per un istante fermo sulla soglia, prima di avanzare per affrontare la regina. — Jehana — la salutò. Lei abbassò lo sguardo, a disagio, fissando le lastre di marmo ai suoi piedi. — In... in questo momento preferirei non parlare con nessuno, Nigel. Non puoi aspettare? — Non credo. Vorrei che rimanessimo soli. Serrando le labbra, Jehana osservò il cognato, poi il proprio seguito; guardando di nuovo in basso, si accorse che stava lacerando la rosa, e la lasciò cadere con irritazione, incrociando con cura le mani in grembo, prima di rispondere. — Non ho nulla da dire che non possa essere pronunciato in presenza delle mie dame, Nigel. Per favore. Sai cosa devo fare, non renderlo più difficile di quanto già non sia. Poiché l'altro non replicò, Jehana gli lanciò un'occhiata. Nigel era ancora là, con gli occhi grigi che brillavano minacciosi sotto la massa di capelli neri, simile a Brion nei suoi momenti di malumore. Il principe rimaneva fermo con aria risoluta e minacciosa, tenendo i pollici infilati nella cintura della spada e fissandola in assoluto silenzio. La regina gli voltò le spalle. — Non capisci, Nigel? Non voglio discuterne. So perché sei venuto, ma non ti servirà a nulla, perché non cambierò idea. Percepì, più che vedere, che il cognato si era avvicinato, e sentì un lembo del suo mantello che le sfiorava una mano, quando lui si chinò in avanti. — Jehana — sussurrò, con voce tanto bassa che lei sola poté sentirlo, — intendo crearti quante più difficoltà sia umanamente possibile. Ora, se non mandi via queste dame, dovrò farlo io, e questo potrebbe essere imbarazzante per entrambi. Non credo che tu voglia davvero discutere i tuoi piani
sul conto di Morgan davanti a loro... o parlare di come è morto Brion. — Non oseresti! — esclamò lei, sollevando la testa di scatto. — Lo credi proprio? Jehana lo fissò negli occhi per parecchi secondi, poi si girò con rassegnazione e rivolse un cenno alle sue dame. — Lasciateci soli. — Ma, Morgan, non capisco. Perché dovrebbe fare una cosa del genere? Morgan e Kelson stavano camminando lungo il perimetro esterno del labirinto di bosso, avvicinandosi ad un ampio specchio d'acqua posto nel centro dell'area principale dei giardini. Mentre passeggiavano, il generale stava costantemente in guardia contro eventuali intrusi, ma nessuno sembrava interessato ai loro movimenti. Lanciò un'occhiata a Kelson e sorrise. — Mi chiedi il motivo delle azioni di una donna, mio principe? Se davvero comprendessi una cosa del genere, sarei più potente di quanto abbia mai desiderato. Dopo aver scoperto la mia ascendenza deryni, tua madre non mi ha dato la minima possibilità di esserle amico. — Lo so. — Kelson sospirò. — Morgan, qual è stata la causa del litigio fra te e mia madre? — Intendi dire la più recente? — Suppongo di sì. — Se ben ricordo, si trattava di te — replicò il nobile deryni. — Le ho ricordato che eri quasi adulto e che un giorno saresti diventato re. — Abbassò lo sguardo. — Non avrei mai creduto che sarebbe successo così presto. — Crede che sia ancora un bambino — sbuffò il ragazzo, con amarezza. — Come si fa a convincere una madre che non si è più bambini? Morgan rifletté sulla domanda, mentre si arrestavano vicino alla sponda della polla d'acqua. — Francamente, non lo so, mio principe. La mia è morta quando avevo quattro anni, e la zia che mi ha allevato, Lady Vera McLain, ha avuto il buon senso di non indulgere mai su questo punto. Avevo nove anni quando è morto anche mio padre e sono venuto qui a corte come paggio, e i paggi reali, a quell'età, non sono più bambini. — Mi chiedo perché i prìncipi reali siano diversi — si chiese Kelson, pensoso. — Forse per i prìncipi ci vuole più tempo — osservò Morgan. — Dopo
tutto, i prìncipi reali crescono per diventare re. — Se mai riescono a crescere — borbottò il giovane. Con aria afflitta, si lasciò cadere su una roccia piatta, accanto al laghetto, e si mise a scagliare sassolini nell'acqua, ad uno ad uno. Ogni volta che un ciottolo infrangeva la superficie, i riflessivi occhi grigi osservavano l'allargarsi dei cerchi concentrici fino a quando non si dissolvevano nel nulla. Morgan conosceva quest'umore, e sapeva che era meglio non interferire; si trattava di quell'aria di concentrazione e di decisione che ricordava Brion in modo così tormentoso e che faceva parte delle caratteristiche degli Haldane come gli occhi grigi, la forza muscolare o l'abilità diplomatica. Erano state le doti di Brion, ed anche suo fratello Nigel le possedeva, con un'intensità tale che sarebbe stato un re formidabile se non fosse stato per il fatto di essere nato secondogenito. E ora il più giovane degli Haldane era pronto a reclamare la sua eredità. Con pazienza, Morgan si sedette ad aspettare; dopo un lungo momento di silenzio il ragazzo sollevò lo sguardo per guardare, pensieroso, al di là del laghetto. — Morgan — iniziò a dire, in tono quieto, — mi conosci da quando sono nato, e conoscevi mio padre meglio di chiunque altro. — Scagliò un altro ciottolo, poi girò il capo verso il generale. — Credi... che riuscirò mai a prendere il suo posto? Prendere il suo posto? pensò Morgan. Come si occupa un posto rimasto vuoto nel cuore? Come si sostituisce qualcuno che è stato padre e fratello per te sin dal tempo a cui risalgono i tuoi ricordi? Raccolse una manciata di ciottoli e li rotolò fra le mani, costringendosi ancora una volta ad accantonare il dolore personale ed a concentrarsi sulla situazione. Brion se n'era andato, mentre Kelson era lì, adesso, e lui doveva fargli da padre e da fratello, proprio come Brion aveva fatto con lui. Era quello che Brion avrebbe voluto. Scagliò un sasso nella polla, poi si volse verso suo... figlio. — Mentirei se ti dicessi che puoi rimpiazzare Brion, mio principe. Nessun uomo potrebbe. Ma sarai un buon re, se interpreto correttamente i segni. — La sua voce era diventata pratica e decisa. — Brion ha provveduto bene alla tua educazione. Da quando sei riuscito a stare seduto da solo, ti ha fatto montare a cavallo ogni giorno; i tuoi maestri di scherma sono stati i migliori che ci siano, la'tua abilità con la lancia e con l'arco sarebbero state prodigiose in un bambino che avesse avuto il
doppio dei tuoi anni. «Hai studiato gli annali della storia e della strategia militare, lingue, filosofia, matematica, medicina. Ti ha perfino permesso di accostarti a quelle arti occulte che un giorno sarebbero divenute una parte tanto importante della tua vita... andando contro i desideri di tua madre, potrei aggiungere, anche se tutto questo è stato accuratamente nascosto a chiunque avrebbe potuto trovare da obiettare. «C'è stato però anche un lato più pratico nella tua educazione, perché c'era un'infinita saggezza nella decisione, apparentemente poco ortodossa, di permettere ad un giovane e talvolta irrequieto principe ereditario di sedere accanto al padre, nella Sala del Consiglio. Fin dal principio, anche se probabilmente tu all'inizio non te ne sei reso conto, hai acquistato i rudimenti di quell'impeccabile retorica e di quella logica che erano caratteristiche di Brion quanto la sua abilità di spadaccino o il suo coraggio. «Hai imparato a dare ed a ricevere consigli in maniera saggia e senza pretenziosità, e ti è stato così fatto capire che un re saggio non parla per rabbia, né giudica senza avere dinanzi a sé tutti i fatti. Morgan s'interruppe ed abbassò lo sguardo sulla manciata di ciottoli, quasi sorpreso di accorgersi di averli ancora in mano. Con delicatezza, inclinò le dita e li lasciò cadere al suolo. — Probabilmente non ti dovrei ancora dire questo, Kelson, ma penso che sotto molti punti di vista tu sia meglio preparato a governare di quanto lo fosse Brion. Possiedi una certa sensibilità, un apprezzamento di... della vita... forse... che non so se Brion abbia mai avuto, anche se non credo che questo lo abbia sminuito come re, visto che ascoltava con attenzione tanto i filosofi quanto i guerrieri. Non sono però certo che li abbia mai capiti, mentre forse tu ci riesci. Kelson fissò il terreno, lottando per ricacciare indietro le lacrime suscitate dai ricordi; poi sollevò la testa e riprese a guardare la riva opposta del laghetto. — So che questo mi dovrebbe rassicurare, ma non risponde alla mia domanda. O meglio, risponde alla domanda che ho formulato, ma che non era quella giusta. Suppongo che in realtà io volevo conoscere il ruolo dell'Ombrosa in tutto ciò. Morgan inarcò un sopracciglio, guardingo. — Cosa vorresti sapere su di lei? — chiese, ricordandosi quello che gli aveva detto Nigel. Kelson sospirò, esasperato.
— Morgan, se cominci a rispondere in maniera evasiva non approderemo a nulla. So già che mio padre ha vinto e conservato il regno in parte grazie alla magia: me lo hai detto tu stesso. E so anche perché sei partito per Cardosa tre mesi dopo la firma del trattato. È sempre stata opera di quella donna, ma non capisco perché tutti si rifiutano di parlarne. Non sono un bambino. Morgan si agitò un poco, a disagio. Quello era un punto cruciale. Se il ragazzo era riuscito a farsi un'idea accurata dell'accaduto, allora vi era ancora una ragionevole probabilità di successo, anche se era tardi. Guardò verso Kelson, con cautela. — È stato Brion a dirti che l'Ombrosa era coinvolta? — Non è stato molto loquace, ma non l'ha neppure negato. — E? — lo incitò Morgan. — E... — gli fece eco il ragazzo, cercando le parole adatte. — Morgan, io non credo che mio padre sia morto di un comune attacco cardiaco, penso che sia accaduto qualcos'altro. In effetti, ritengo che l'Ombrosa... — Va' avanti. — Ritengo che l'Ombrosa lo abbia in qualche modo ucciso con la magia! — sbottò infine il giovane. Morgan sorrise lentamente, annuendo, e Kelson assunse un'espressione avvilita. — Lo sapevi già? — chiese, mentre stupore e indignazione gli si dipingevano sul viso. — Lo sospettavo — lo corresse Morgan, rilassandosi ed assumendo una posizione più comoda sul sedile di roccia. — Nigel mi ha riferito la conversazione che hai avuto con lui, ed io sono d'accordo con te. Ora, che ne diresti di raccontarmi per filo e per segno cosa è successo durante quella caccia? Voglio tutti i particolari che riesci a ricordare. Quando tutte le dame di compagnia ebbero lasciato la stanza, Jehana si alzò lentamente in piedi ed incontrò lo sguardo deciso del cognato. — Stai giocando ad un gioco pericoloso, Nigel — dichiarò, in tono sommesso. — Anche se sei il fratello di Brion, ti ricordo che sono ancora la tua regina. — Ma Kelson è il mio re — replicò il principe, tranquillo. — E quello che hai intenzione di fargli, distruggendo Morgan, rasenta pericolosamente il tradimento. — Tradimento? — chiese Jehana. — Credevo fossimo d'accordo nel ri-
servare a Morgan quest'accusa. Io non definisco tradimento proteggere mio figlio. — Non ho stretto alcun accordo al riguardo — dichiarò, deciso, il duca, — e sì, definisco tradimento mettere in pericolo Kelson. Sai che non ha alcuna possibilità di sopravvivenza, senza i poteri di Brion, e Morgan è il solo uomo al mondo che può aiutarlo a recuperare quei poteri. — Che però non hanno salvato Brion! — No, ma forse possono salvare Kelson. — Io non la vedo così — ribatté Jehana, con voce più cupa. — Per me Morgan è l'unico uomo che potrebbe distruggere mio figlio sotto gli aspetti che contano davvero, e cioè per quanto riguarda la sua anima. E ritengo che sia stata la malvagia influenza di Morgan a corrompere Brion fin dall'inizio... con quel potere deryni, indicibilmente profano, che contamina tutto ciò che Morgan tocca. Non posso restarmene in disparte e vedere che la stessa cosa accade a mio figlio. — Jehana, per l'amor di Dio... — cominciò il principe. Ma la donna si rivoltò contro di lui con fredda furia e con lo sguardo acceso da una luce gelida che Nigel non aveva mai visto prima. — Non osare d'immischiare Dio in tutto questo! Non hai il diritto d'invocare il Suo nome! Se sostieni Morgan, ammetti come valida l'eresia deryni, e ti ricordo, caro fratello, che forse la tua stessa anima è messa in pericolo anche solo dalla vicinanza di quell'uomo! — Tornò a girarsi di scatto. Il principe si morse un labbro e si sforzò di controllare l'ira crescente. La discussione stava degenerando come al solito, solo che questa volta lo zelo religioso aveva soffocato il buon senso di Jehana. Sapeva che era inutile continuare a parlare, ma doveva farlo, pur conoscendo già il risultato. Forse un approccio brusco sarebbe stato la tattica migliore. — Non discuterò con te di teologia, Jehana — dichiarò, teso. — Ma ci sono alcune cose che dovresti sapere sul conto di Brion, prima di condannare la sua anima a quello speciale inferno riservato ai colpevoli di eresia. Tanto per cominciare, i poteri che impiegava erano suoi, non li aveva ricevuti da una fonte esterna, deryni o meno che fosse. L'autorità e le risorse di cui Brion disponeva sono state tramandate di padre in figlio nella linea di discendenza maschile della famiglia, fin dal tempo di Camber e della Restaurazione. «Certamente, Morgan ha aiutato Brion a scoprire le sue possibilità e lo ha guidato nell'uso dei poteri che ne sono derivati, ma essi appartenevano a Brion, erano nati con lui, come accade per ogni figlio maschio della casata
degli Haldane. Proprio come li possediamo io ed i miei figli, ed anche Kelson. — È assurdo — dichiarò, secca, Jehana. — Simili poteri non possono essere ereditari. — Non ho detto che si tratta di una trasmissione automatica. .. si eredita solo il potenziale, ed un solo Haldane alla volta può detenere il potere risultante. Ora è il turno di Kelson. — No. Non lo permetterò. — Perché non lasci che sia lui a decidere? — Perché Kelson è un bambino — replicò la regina, con impazienza. — Non sa quello che è meglio per lui. — Kelson è un re, e sarà incoronato domani nella Cattedrale di Saint George. Vorresti forse negargli il diritto di continuare a portare la corona anche dopo l'incoronazione, Jehana? — E chi oserebbe togliergliela? — Non io, Jehana, se è quello che stai pensando — sorrise Nigel. — Io sono contento di rimanere il Duca di Carthmoor. Brion voleva che fosse così. — E se non ti bastasse di essere il Duca di Carthmoor, che accadrebbe? I desideri di Brion avrebbero forse importanza? — Credo che tu non comprenda. — Nigel sorrise di nuovo. — Brion era mio fratello, oltre che essere il mio re. Anche se non avessi accettato il Ducato di Carthmoor per amor suo... non mi spettava nulla, sai, perché Brion era erede di tutto in quanto figlio maggiore... ma anche se non fossi stato vincolato dall'amore fraterno, sarei sempre stato obbligato, dal giuramento fatto al mio legittimo signore, a mantenere la pace del re. Lo amavo come sovrano, oltre che come fratello, Jehana. — Anch'io lo amavo — ribatté la donna, sulla difensiva. — Hai scelto uno strano modo per dimostrarlo. — Posso amare un uomo ed al tempo stesso odiare le sue azioni, non credi? — Puoi farlo? — domandò Nigel. — Credo che le nostre definizioni del termine amore differiscano parecchio, Jehana. Secondo il mio modo di pensare, si tratta di qualcosa di più della semplice professione di un nebuloso sentimento nei confronti di un altro essere umano. Significa anche accettazione... l'accettazione di tutto ciò che concerne quella persona, anche se non lo si approva affatto. «Ma tu non sei mai stata capace di questo, vero? Perché in caso contra-
rio avresti accettato fin dal principio il fatto che Brion era magico in un modo speciale e meraviglioso, e che per lui il giusto sistema di governo era quello di usare i poteri che gli erano stati concessi per mantenere la pace nella terra che tanto amava. — Si girò per fronteggiarla. — Se ripensi al passato, dovrai convenire con me che Brion non ha abusato di essi neppure una volta... e neppure Morgan, già che ci siamo. Mai, in tutti gli anni in cui sono stati insieme, uno di loro ha usato i suoi poteri per fare altro che del bene. «Quando Brion ha ucciso Marluk, per esempio, Jehana, io ero al suo fianco, cavalcavo con lui e con Morgan. Puoi forse dubitare che ciò che hanno fatto non fosse giusto? Pensa a quello che ne sarebbe stato di noi tutti, se Marluk avesse vinto. Jehana prese a contorcersi le mani, a disagio, nel ricordare il passato. — Brion non mi ha mai accennato a nulla di tutto questo. — Conosceva i tuoi sentimenti nei riguardi di Morgan — rispose Nigel, con gentilezza. — Ma anche così, so che ha cercato di parlartene spesso. — La costrinse a guardarlo dritto in faccia. — Non ricordi tutte le volte in cui ha accennato al suo regno, al suo divino potere sovrano? Non si trattava solo di una comoda leggenda tramandata da una razza per giustificare il diritto di governare. — E perché no? — ribatté Jehana, cocciuta. — Lo stesso vale per tutte le altre case reali. Tutti i sovrani sostengono che il loro diritto di regnare viene da Dio. Nigel picchiò il pugno contro il palmo della mano, esasperato. — Mi vuoi ascoltare, Jehana? Non hai sentito neppure una parola di quello che ti sto dicendo! Sto cercando di spiegarti che, anche se trovi sgradevoli i poteri deryni di Morgan... e non hai fatto mistero di questo... essi non hanno nulla a che fare con Brion. Il suo potere era personale! Seguì un lungo silenzio, poi la regina sollevò il viso, fredda e inespressiva. — Non ti credo, perché se lo facessi dovrei anche credere che Brion era qualcosa di più di un essere umano, che aveva davvero acquisito i suoi spaventosi poteri in un modo che esulava dalle vie normalmente accessibili agli uomini. E non è così. In vita, può anche essere stato corrotto dal tuo prezioso Morgan, ma Brion non era personalmente contaminato. Era umano. — Jehana... — No! Brion era umano, normale. E nonostante la maledetta contamina-
zione deryni, è morto di una morte normale, ricercando piaceri semplici... non sfidando l'ira dell'Onnipotente praticando le nere arti di Morgan. — Morte normale? — Nigel piombò su quelle parole come un'aquila all'inseguimento di un topo. — Una morte normale? Spiegamelo, Jehana, cosa c'è stato di normale nella morte di Brion? La regina s'immobilizzò e impallidì. — Cosa vuoi dire? — mormorò, apprensiva. — È stato il cuore. Gli si è fermato il cuore. — Questa è stata la causa finale del decesso, vero? — annuì lentamente Nigel. — Cosa vorresti insinuare? — lo sfidò la donna. Nigel incrociò le braccia sul petto e scrutò la giovane regina con cautela. Forse questo era lo spiraglio che stava cercando. Evidentemente, Jehana non aveva neppure considerato la possibilità che il decesso di Brion non fosse stato determinato da cause naturali, e il principe si prese mentalmente a calci per non aver pensato prima a quell'approccio. Cominciò a parlare con esitazione. — Dimmi, Jehana, ti sembra normale che un uomo nelle splendide condizioni fisiche di Brion muoia di un attacco cardiaco? Ricorda che aveva solo trentanove anni e che la nostra famiglia è famosa per la sua longevità. — Ma i suoi medici hanno detto... — I suoi medici non sono esperti in questo genere di cose, Jehana. Lei accennò a obiettare, ma il duca bloccò il commento sollevando una mano. — Non mi hai neppure chiesto di Lord Ralson e di Colin. Non per cambiare argomento, ma sapevi che Kelson li aveva mandati a prendere Morgan, vero? — Contro la mia... — cominciò la donna, poi abbassò lo sguardo. — Cosa è successo? — C'è stata un'imboscata vicino a Valoret, e tutti i membri del gruppo sono morti, tranne Morgan ed il giovane Lord Derry. La regina portò di scatto la mano alla bocca per nascondere l'involontaria espressione di orrore. — Morgan — proseguì Nigel, socchiudendo gli occhi, — ritiene che chi ha organizzato l'imboscata abbia anche preordinato l'assassinio di Brion. — Assassinio! — gridò Jehana. — Stai cercando di dirmi che qualcuno è riuscito ad uccidere Brion facendo credere che si trattasse di un attacco cardiaco?
— Ti viene in mente un modo migliore in cui l'Ombrosa avrebbe potuto iniziare la sua lotta per il potere? — ribatté Nigel. — Lei sapeva di non potersi opporre a Brion in un combattimento leale, ma Kelson è solo un ragazzo, e se fosse riuscita ad impedire a Morgan di raggiungerlo e di aiutarlo ad ottenere i poteri di Brion, il ragazzo non avrebbe costituito un problema. Dopo tutto, Kelson non ha ricevuto nessuna istruzione in questo campo, grazie a te: che possibilità di salvezza potrebbe avere un ragazzo umano contro una maga deryni? — Sei pazzo — sussurrò la regina, il cui volto appariva ancora più bianco sullo sfondo del nero vestito da lutto. — Si tratta di una follia causata dal dolore. — Non è una follia, Jehana. — Fuori! Fuori, prima che chiami una guardia. Se non è pazzia, allora è un'invenzione escogitata per distruggere la poca coesione ancora esistente nel Consiglio. E questo rasenta il tradimento, fratello di mio marito! Ora, esci! — Molto bene — rispose il principe, indietreggiando ed inchinandosi leggermente. — Pensavo che non mi avresti ascoltato, ma dovevo tentare. Per lo meno, quando le cose si svolgeranno come ti ho appena detto, non potrai affermare di non essere stata avvertita. — Girò sui tacchi e si diresse verso la porta. — Ti aspetterò nell'anticamera per accompagnarti alla riunione del Consiglio. Non vorrai far aspettare i boia. Quando il cognato se ne fu andato, Jehana emise un sospiro di sollievo e cercò di frenare il tremito delle mani. Ora che aveva sentito la storia di Nigel, era più che mai convinta che quello che stava facendo era giusto, che Kelson doveva governare come un mortale. Se soltanto fosse riuscita a farlo intervenire alla riunione del Consiglio e ad impedirgli un'aperta opposizione... Con decisione, tirò il cordone del campanello per chiamare un servitore. Doveva convocare Kelson all'istante. Non c'era tempo da perdere. Kelson assunse una posizione più comoda sulla roccia. Il sole era scomparso dietro un banco di nubi, e l'aria fresca ed umida del giardino sembrava serrarsi leggermente intorno a lui. — Allora non sei riuscito ad esaminare personalmente il corpo? — chiese Morgan, cupo in volto a causa delle informazioni ottenute negli ultimi minuti. — Temo di no. — Il ragazzo scosse il capo. — Il corpo è rimasto espo-
sto soltanto per due giorni, circondato di continuo da una tripla guardia d'onore, e nessuno si è potuto avvicinare, neppure io. Quando ho chiesto a mia madre il motivo di quelle misure di sicurezza e della sepoltura affrettata, lei non ha voluto rispondere, ha solo detto che era meglio così, e che un giorno avrei capito. Ricordo di aver pensato che volesse affrettare le cose in modo da impedirti di tornare in tempo per la sepoltura. Sapeva che questo ti avrebbe addolorato. — Non posso negarlo — convenne Morgan. — Ma credo che ci siano sotto altri motivi. Forse, nonostante tutto, ha sospettato cosa è veramente accaduto a Candor Rhea, pur non riuscendo ad ammetterlo neppure con se stessa, e quindi nessuno ha avuto il permesso di avvicinarsi al corpo. «Forse è stato sempre per questo motivo che non ti è stato concesso di mandare a chiamare Duncan, se non quando era ormai troppo tardi. In mia assenza, lui era forse l'unica persona che avrebbe potuto stabilire con certezza se era stata usata o meno la magia per uccidere Brion. — Credi che lei sappia delle lezioni che padre Duncan mi ha impartito? — Oh, ne sono certo. Basta che non sappia che cosa ti ha insegnato? — Questo le darebbe qualche preoccupazione, vero? — sogghignò Kelson. — Non ne dubito. C'è però un'altra cosa che dovresti considerare, Kelson. È solo un'ipotesi e non vorrei neppure menzionarla, ma c'è una possibilità che tua madre possa essere stata in qualche modo coinvolta nell'accaduto? — Mia madre! — Il ragazzo si eresse di scatto sulla persona. — Morgan, non penserai... — A questo punto, non so cosa pensare, ma al momento attuale ci sono tre sole persone di cui mi fido. Due sono sedute qui adesso, e la terza non è Jehana. Se lei è coinvolta, pur senza saperlo, questo rende la situazione ancor più complessa di quanto avessi previsto. — Io... davvero non so che dire — balbettò Kelson. — È stata piuttosto... — Non ti muovere! Morgan si era irrigidito, e stava fissando con intensità un punto posto ad una trentina di centimetri dalle spalle del ragazzo, là dove questi si puntellava con il braccio. — Cosa? — Non ti muovere e non fiatare... — mormorò il generale con voce sommessa, portando lentamente la mano alla spada. — C'è un millepiedi
molto grosso e velenoso, a pochi centimetri dalla tua mano destra. Fa' una mossa, e lui ti ucciderà. Mentre la spada sgusciava silenziosa dal fodero, Morgan posò a terra un ginocchio e sollevò con mossa furtiva la lama. Kelson rimase immobile, fiducioso, tradendo la sua apprensione solo con i movimenti dello sguardo, che saettava da Morgan alla spada e da essa al proprio fianco, nel vano tentativo di vedere dietro di sé senza muovere la testa. La lama si abbassò con un bagliore d'acciaio, e nello stesso momento un urlo di donna ruppe il silenzio. Nell'attimo in cui la spada colpì, Kelson rotolò di lato e balzò in piedi, impugnando lo stiletto da polso e recuperando l'equilibrio; poi notò la cosa orribile che si contorceva per terra e s'immobilizzò, affascinato, mentre Morgan trapassava ripetutamente la creatura. Il ragazzo ebbe la fugace visione di un tondeggiante corpo arancione, grande circa quanto la testa di un uomo, chiazzato di blu e dotato di una miriade di fragili zampette che si contorcevano frenetiche per i tentativi del mostriciattolo di allontanarsi dalla lama di Morgan, il tutto completato da due tenaglie che schioccavano rabbiosamente... o forse da due pungiglioni, non lo sapeva con certezza. Poi la creatura fu solo un ammasso di carne rossa e arancione, perdendo la propria identità. Morgan la trapassò un'ultima volta con la spada, e solo allora Kelson si accorse della donna che urlava... un suono che aveva continuato ad echeggiare a tutto volume per l'intera durata della scena. Nel riscuotersi dall'immobilità che si era impadronita di lui, Kelson rimase sorpreso nel vedere una dozzina di armati che attraversavano di corsa il giardino, diretti verso di lui, seguiti a ruota da una donna vestita di nero. Morgan, ancora ansante, abbassò la spada mentre i soldati circondavano lui e il principe. — Getta quell'arma, signore! — intimò il capitano delle guardie, schierando i suoi uomini. La donna che aveva attirato i soldati con le sue grida si teneva nascosta dietro di lui, con gli occhi sgranati per il terrore. — L'ho visto, l'ho visto! — gridò isterica, indicando Morgan. — Stava cercando di uccidere il Principe Kelson! Lo ha immobilizzato con un incantesimo e stava per ucciderlo, quando io ho urlato! — Tu, ti ho detto di gettarla! — ribatté il capitano, minaccioso, agitando la propria spada. — Sire, per favore, allontanati da lui con lentezza. Ci penseremo noi. Morgan non accennò a cedere l'arma, e Kelson si mise davanti a lui,
volgendogli la schiena. — È tutto a posto, capitano — dichiarò con calma, e rivolse un cenno tranquillizzante alle guardie, che si erano irrigidite nel vedere che aveva girato le spalle alla spada di Morgan. — Non si tratta di quello che credi, Lady Elvira, c'è stato un equivoco. — Un equivoco? — stridette la dama, indignata. — Vostra Altezza deve essere ancora sotto l'influsso dell'incantesimo! Quell'uomo ti ha quasi assassinato, e solo le mie urla gli hanno fatto sbagliare il colpo... — Signora — intervenne Morgan, con un tono freddo e controllato che penetrò nella confusione come un coltello, — io colpisco il bersaglio a cui miro, e fino ad ora nessuno strillo isterico di nessuna sciocca donnetta mi ha mai fatto sbagliare! — Con un gesto di sfida, conficcò la punta della spada nel terreno soffice, e l'arma vibrante sottolineò la sua affermazione. Le guardie irritate avevano ormai abbassato le armi e, ad un cenno del loro capo, le riposero nel fodero. — Perdonami, sire, ma sembrava... — So cosa sembrava — replicò Kelson, con impazienza, — e le scuse non sono necessarie. Tu e i tuoi uomini stavate cercando di proteggermi, ma come potete vedere — aggiunse, spostandosi per osservare i resti della creatura che lo aveva attaccato, — il Generale Morgan stava semplicemente uccidendo un... che diavolo è, Morgan? Il nobile deryni recuperò la spada e la ripose nel fodero, poi si avvicinò al tratto di erba sconvolta, imitato dalle guardie, che però si tennero a debita distanza da quell'uomo vestito di nero. Avevano sentito tutti il casuale accenno da parte di Kelson al nome dell'infame Morgan, e non erano ansiosi di stabilire la veridicità delle voci che circolavano sul suo conto. — È uno stenrect, mio principe — spiegò Morgan, in tono secco, smuovendo la carcassa con la punta dello stivale. — Se lo avessi mancato al primo colpo — aggiunse, lanciando un'occhiata in direzione della donna, — e questa creatura ti avesse morso, con il secondo colpo ti avrei dovuto tranciare il polso, perché non esiste antidoto alla puntura di uno stenrect. I soldati si mossero, a disagio, e parecchi si fecero furtivamente il segno della croce. Si supponeva che lo stenrect fosse una creatura mitologica di origine soprannaturale, generata, si diceva, dal fuoco e dall'odio, prima della nascita del mondo. E fra tutti gli esseri viventi, veri e immaginari, non ce n'era un altro più letale. Anche se nessuno dei presenti aveva mai visto uno stenrect... ed anche se essi, interrogati prima dell'incidente, avrebbero dichiarato che una simile creatura non esisteva... tutti conosceva-
no però le leggende, e non volevano neppure pensare a quanto il loro giovane signore fosse andato vicino ad una morte lenta e dolorosa. Il capitano delle guardie si era ormai ripreso dallo shock causato dalla vista di uno stenrect, e comprese finalmente chi fosse l'uomo che lo aveva ucciso. Anche Morgan, infatti, faceva parte della leggenda, ed il capitano si accorse di essersi forse inavvertitamente inimicato il potente nobile deryni, una persona che poteva essere anche più pericolosa di uno stenrect, se le voci che la riguardavano erano vere. Si rivolse a Morgan con un inchino nervoso. — Chiedo scusa a Vostra Grazia. Se mi fossi reso conto che il mio signore era sotto la protezione della tua spada, non sarei stato tanto rapido a snudare la mia, perché la tua reputazione ti precede. — Segnalò ai suoi uomini di allontanarsi. Morgan ricambiò l'inchino per nascondere un sorriso. — Ne sono certo, capitano, e capisco la tua posizione. L'uomo si schiarì nervosamente la gola e si rivolse quindi a Kelson. — Porgo ancora le mie scuse, sire. Devo accompagnare Lady Elvira al suo alloggio? — Ma certo, capitano — replicò il principe, lanciando un'occhiata in tralice alla dama in questione. — A meno che, naturalmente, la dama non desideri rimanere ancora a guardare lo stenrect. Lady Elvira impallidì ed indietreggiò di qualche passo, scuotendo il capo. — Oh, no, Vostra Altezza! Per favore, non intendevo fare del male. Non sapevo che si trattasse di Sua Grazia e, dall'altra parte del giardino... — balbettò. — Ho apprezzato il tuo interessamento, Lady Elvira. — Kelson la congedò con un cenno. La dama eseguì un rapido inchino ed accettò il braccio offerto dal capitano; poi i due si allontanarono in fretta sull'erba, e la donna, nell'oltrepassare un'arcata, si voltò a lanciare un'ultima, furtiva occhiata alle proprie spalle. Non era difficile immaginare quale sarebbe stato il prossimo argomento di conversazione. — Le tue dame e le tue guardie sembrano tenerti d'occhio con molta attenzione, mio principe — ridacchiò Morgan, quando i due furono scomparsi. — Lady Elvira ha un'immaginazione eccessiva — sbuffò Kelson. —
Una caratteristica contro cui era già stata messa in guardia. Quanto ai soldati, sono così nervosi che arresterebbero qualsiasi cosa si muove. È comunque un bene che non ti abbiano riconosciuto subito, perché le dicerie messe in circolazione sul tuo conto non sono certo state d'aiuto a migliorarne il morale. — Comincio ad abituarmi a questa reazione — replicò il generale, con un sorriso forzato. — Ma è lo stenrect che mi preoccupa. — È davvero uno stenrect? — domandò Kelson, annuendo. — Credevo che esistessero solo nei miti, nelle favole che servono a spaventare i bambini. — Oh, no, sono reali, come hai potuto vedere, ma mi sto chiedendo in che modo questo sia giunto nel tuo giardino. Gli stenrect sono creature della notte, e ci vuole un potere notevole per farne uscire uno sotto la luce del sole. Charissa ne è capace, naturalmente, ma se davvero intende sfidarti domani, non capisco il perché di questa mossa. — Allora non ritieni che quella bestia avesse il compito di uccidere? — Doveva spaventare, non uccidere, credo. — Morgan si guardò intorno, poi prese Kelson per un braccio e lo fece avviare lungo il sentiero che portava al cancello opposto. — Non penso comunque che questo sia il posto per discuterne. Dopo la nostra piccola avventura, preferisco la relativa sicurezza offerta da quattro muri e un tetto. Ora che c'è stato un attentato alla tua vita, serio o meno che fosse... — Non devi convincere me — ribatté Kelson, aprendo il cancello e precedendo il generale. — Ora dove si va? — Da Duncan — rispose Morgan, imboccando un lungo corridoio che portava al cortile esterno. — Il buon padre ha in custodia alcune cose che ti appartengono. — Allora hai la chiave per ottenere il potere di mio padre! — esclamò Kelson. — Perché non me lo hai detto prima? Visto che non ne parlavi, ho avuto paura di chiedere. — Dovevo vedere quante deduzioni avevi tratto da solo — sogghignò Morgan. — Così come stanno le cose... — Ooooh, Vostra Altezza! — strillò una giovane voce femminile. — Eccoti qui. — Kelson — borbottò fra i denti il generale, — se si tratta di nuovo della fantasiosa Lady Elvira, io... — Mi spiace deluderti — mormorò di rimando Kelson, cercando di rimaner serio, — ma questa volta si tratta della volubile e sovraeccitabile
Lady Esther. — Incrociò le braccia, con atteggiamento impaziente. — Cosa c'è, Lady Esther? Morgan si voltò giusto in tempo per scorgere una dama di compagnia, rotondetta e molto affannata, che si fermava con scarsa dignità ed eseguiva un inchino. — Oh, Vostra Altezza — dichiarò, agitata, — la tua signora madre mi ha mandata a cercarti. Ha guardato dappertutto per trovarti, e tu sai che non vuole che tu vada in giro da solo. È molto pericoloso! — Hai sentito, Morgan? — chiese il principe, lanciando un'occhiata in tralice all'amico. — È molto pericoloso. — Davvero — commentò l'altro, inarcando un sopracciglio. — Non lo avevo notato. Mentre Lady Esther cercava invano di seguire quello scambio di frasi, Kelson tornò a rivolgersi a lei. — Mia cara Lady Esther, vorresti essere tanto gentile da informare mia madre che sono al sicuro con il Lord Generale Morgan? Comprendendo finalmente chi fosse il compagno del principe, la giovane dama sgranò gli occhi e si portò alle labbra una mano grassoccia per nascondere un sussurro di meraviglia. — Non avevo riconosciuto Vostra Grazia — mormorò poi, con un altro inchino. Morgan si accigliò e si girò a mezzo verso il principe. — Dannazione, Kelson, ho un aspetto tanto diverso? Questa è oggi almeno la ventesima persona che non mi ha riconosciuto. A cosa serve la notorietà, se nessuno sa chi sei? — Forse è perché hai lasciato a casa le corna e gli zoccoli biforcuti — replicò, asciutto, Kelson. — Non ne dubito. Dimmi, Lady Esther, non hai riconosciuto neppure il tuo re? — Chiedo scusa a Vostra Grazia, ma non capisco. Con un sospiro, il generale incrociò le braccia sul petto. — Lady Esther — dichiarò, paziente, — sono certo che hai vissuto a corte abbastanza a lungo da sapere come ci si deve rivolgere al proprio sovrano. Il tuo ingresso non è certo stato un modello di decoro, ed in futuro faresti meglio a mostrare un maggiore rispetto, è chiaro? — Sì, Vostra Grazia. — La dama deglutì visibilmente. Kelson lanciò uno sguardo a Morgan, come per chiedergli se avesse finito, e quando lui annuì leggermente, il ragazzo tornò a rivolgersi alla nervo-
sa Lady Esther. — Molto bene, dunque. A parte la prevedibile notizia che mia madre è preoccupata per me, c'era qualche altro messaggio? — La tua signora madre — rispose la donna, con un'ennesima riverenza, — mi comanda di avvertire Vostra Alt... Vostra Maestà che il Consiglio si sta riunendo e lei richiede l'immediata presenza di Vostra Maestà. — Morgan? — chiese il giovane al generale. — Più tardi, mio principe, prima dobbiamo sbrigare una questione urgente altrove. Lady Esther, puoi informare la regina che Sua Maestà arriverà in ritardo. — E che sono al sicuro — aggiunse Kelson, enfatico. — Puoi andare. Mentre la dama s'inchinava e si allontanava, il ragazzo sospirò. — Vedi cosa devo sopportare? Non si tratta solo di convincere mia madre che non sono più un bambino, devo anche riaddestrare tutta la dannata servitù! — Sogghignò. — Sarò al sicuro con te, vero, Morgan? — Da assassini e stenrect, sempre, mio principe — sorrise il generale, — ma per oggi non chiedermi di affrontare altre dame della regina. Credo che non ce la farei. Kelson scoppiò in un'allegra risata. — Ma bene! Allora ci sono cose di cui hai paura, Morgan! Non avrei mai creduto di sentirtelo ammettere! — Se lo dici a qualcuno, negherò ogni parola! — ribatté Morgan. — Vieni, andiamo a cercare Duncan. Nella Sala del Consiglio, la conversazione fu interrotta dall'ingresso di Jehana, al braccio di Nigel. Gli uomini seduti intorno al lungo tavolo lucido si alzarono in piedi all'unisono, mentre il principe scortava la regina al suo seggio e procedeva fino all'estremità opposta, dov'era il suo posto. I due non si erano scambiati un solo sguardo, ma era una cosa prevedibile, dato che tutti i presenti sapevano che il duca e la regina erano in disaccordo in merito alla questione da affrontare quel giorno. Si sarebbe trattato di una riunione del Consiglio unica nel suo genere, perché nessuna delle due parti avrebbe ceduto senza lottare. Comunque, era insolito che Kelson non si fosse ancora fatto vedere. Jehana si guardò intorno con nervosismo, nel sedersi al suo posto, accanto al trono vuoto di Brion, ricordando altri tempi più felici in cui lei ed il suo sposo erano entrati in quella stanza insieme, e le facce disposte intorno al tavolo erano state tutte amichevoli.
Allora, non si era sentita così sola e minacciata, le pareti macchiate di oscurità non le erano parse così soffocanti, l'alto soffitto con le nere travature non l'aveva sgomentata tanto. Non era colpa della stanza, perché vi era una successione di finestre lungo tutto il lato destro per lasciar entrare la luce del sole, e quando il chiarore così fornito non bastava, esso poteva essere notevolmente aumentato dalle schiere di elaborati candelabri che fiancheggiavano il lungo tavolo da entrambi i lati. Eppure, la grande sala sembrava buia e deprimente, forse perché invasa da tante persone vestite a lutto. Nel sedersi, Jehana notò il lieve movimento di un rivolo di cera gialla che colava da una delle grosse candele, e cercò automaticamente con le dita il lungo taglio nella superficie del tavolo, fra il suo posto e quello di Brion... la cicatrice che indicava il punto in cui Brion aveva una volta impalato un decreto con la sua daga, inchiodandolo al tavolo fino a quando era riuscito a persuadere un recalcitrante Consiglio che non si trattava di una legge saggia. Si costrinse quindi a scrutare i volti pallidi ed interrogativi dei nobili, che la fissavano nel sedersi a loro volta. A parte quelli di Brion, di Kelson e del defunto Lord Ralson, tutti gli altri seggi erano occupati. La regina notò con irritazione che c'era perfino qualcuno che occupava il posto di Morgan, fra quelli vacanti di Kelson e di Ralson: non sapeva con certezza chi fosse, ma intuì che quel giovane con i ricci capelli castani doveva essere Lord Derry, l'aiutante di Morgan. Senza dubbio era stato Nigel a permettergli di sedere al tavolo in quell'occasione. Non importa, pensò fra sé, mentre continuava nella sua analisi. Se quel nobile giovane di confine credeva di poter votare al posto di Morgan, lei gli avrebbe presto chiarito le idee: non avrebbe permesso a Nigel, o ai seguaci di Morgan, di rovinare questa riunione del Consiglio. Osservò quindi con freddezza i consiglieri seduti sul lato destro del tavolo... Nigel, che rifiutò di guardarla, Bran Coris, Lord Ian, azzimato come al solito, Lord Rogier, il Vescovo Arilan, Ewan. Rivolse quindi un cenno di saluto all'Arcivescovo Corrigan, seduto alla sua sinistra, e si soffermò con lo sguardo sul Duca Jared e su suo figlio Kevin. Non salutò però questi ultimi perché, dopo Nigel, i due McLain erano forse i più agguerriti sostenitori che Morgan contasse nel Consiglio. Desiderò di non doverli affrontare proprio quel giorno. La regina si rivolse quindi ad Ewan. — Lord Ewan — disse, con voce limpida e salda, — vorresti richiamare all'ordine il Consiglio? Questo pomeriggio dobbiamo trattare alcune im-
portanti questioni, e credo che non sia il caso di attendere oltre. Prima che Ewan si potesse alzare, Nigel balzò però in piedi e gli fece cenno di stare fermo. — Un momento d'indulgenza, Vostra Maestà. Sua Altezza Reale è stato trattenuto da un impegno improrogabile e mi ha chiesto di ritardare l'inizio di questa riunione perché desiderava essere presente quando certe accuse sarebbero state sottoposte al Consiglio. Jehana non rilevò la sua richiesta, e si rivolse ancora a Ewan. — Se non ti dispiace, Lord Ewan... — Vorrei una risposta, Jehana — insistette Nigel. — Procedi, lord Ewan! Il vecchio lord si alzò con incertezza, lanciando un'occhiata a Nigel e alla sedia vuota di Kelson, accanto a lui; poi si schiarì nervosamente la gola. — Se Vostra Maestà lo comanda, naturalmente convocherò il Consiglio in assenza del Principe Kelson; ma se Sua Altezza Reale desidera essere presente, le regole della comune cortesia richiedono... — La comune cortesia non sembra trovare posto oggi in questo Consiglio, per quanto riguarda il mio stimato figlio, Lord Claibourne — lo interruppe, secca, Jehana. — Il Principe Kelson è stato convocato più di mezz'ora fa, ma non ha ritenuto importante intervenire. Sembra che avesse da sbrigare altre faccende da lui considerate prioritarie rispetto al suo dovere verso i Lord del Consiglio, ed io posso soltanto scusarmi per il suo comportamento sconsiderato ed immaturo, e sperare che il principe migliori con il trascorrere degli anni e grazie a saggi consigli. Quanto ad oggi, questo è un Consiglio della Reggenza, e di conseguenza la sua presenza non è obbligatoria. Ci sono domande? Lungo il tavolo ci fu una sommessa discussione, e Nigel si sedette stancamente, sapendo che aveva fatto tutto il possibile. Jehana era stata davvero dura, nel denunciare l'assenza del figlio, e a giudicare dall'inizio la riunione non si presentava sotto buoni auspici. Ewan si guardò intorno con impotenza, poi tossì e si rivolse alla regina. — Non ci sono domande, Vostra Maestà — dichiarò, impassibile. — Se le cose stanno davvero come tu dici, non vedo motivo per ritardare oltre. In qualità di Lord Maresciallo Ereditario del Consiglio Reale di Gwynedd, dichiaro aperta questa sessione del Consiglio della Reggenza. Che la Giustizia, temperata dalla Misericordia, prevalga in tutti i nostri giudizi. Mentre il vecchio si sedeva, borbottando sottovoce, un altro mormorio si diffuse intorno al tavolo, per cessare non appena Jehana si alzò dal suo
seggio. — Miei signori — esordì, pallida e terribile in volto sullo sfondo dell'abito da lutto, — mi addolora presentarmi oggi davanti a voi in questo modo. Mi addolora perché non mi piace ammettere che il mio defunto signore e sposo non era infallibile come lo avevo sempre ritenuto. «Infatti, il mio signore Brion ha commesso un terribile errore nel designare uno dei lord del suo Consiglio, perché ha nominato un uomo che è un traditore ed un blasfemo, e che in questo momento cospira contro il legittimo erede di Brion. È per questo che il Principe Kelson non è qui con noi adesso. Lasciò scorrere lo sguardo sui consiglieri sconvolti, ed i suoi occhi assunsero una tonalità di verde più scura. — Quest'uomo è ben noto a voi tutti, miei signori. Si tratta, naturalmente, del Duca di Corwyn, il Lord Generale Alaric Anthony Morgan... il Deryni! CAPITOLO QUARTO E IO GLI DONERÒ LA STELLA DEL MATTINO. RIVELAZIONE, 2:28 Mentre osservava l'acqua che scendeva gorgogliando nell'acquasantiera di marmo, Monsignor Duncan McLain lasciò vagabondare i propri pensieri e protese la mente sintonizzandola sulla massima ricettività, cercando. Il tempo cominciava a scarseggiare, ed Alaric sarebbe dovuto arrivare già da alcune ore. Ciò che più lo preoccupava era il fatto di non aver avuto notizie del cugino per tanti mesi: forse non sarebbe venuto, e magari non era neppure stato informato della morte di Brion, anche se ormai la notizia doveva aver raggiunto ogni angolo degli Undici Regni, per quel che ne sapeva Duncan. Quando il livello dell'acqua raggiunse l'orlo dell'acquasantiera, Duncan s'immobilizzò per un attimo, poi si raddrizzò in fretta e depose la bottiglia per terra. Alaric stava arrivando, insieme al giovane principe, ed un senso di urgenza era ben percepibile nel contatto, sempre più intenso, che pervadeva in misura crescente i sensi del prelato. Si diresse verso la soglia spalancata della porta occidentale, lisciando il saio spiegazzato con un gesto rapido e automatico delle mani snelle, poi
uscì sotto la luce del sole e si protesse gli occhi contro il bagliore di mezzogiorno. Sullo sfondo grigio del muro opposto, appena oltre il cancello del cortile, scorse il colore carminio degli abiti reali di Kelson, con lo stemma ricamato in oro che brillava al sole; al suo fianco, procedeva un'ombra scura, sormontata da lisci capelli dorati, che divorava a grandi passi la distanza fra la coppia ed il sacerdote. Mentre i due salivano i gradini del porticato occidentale, Duncan avvertì l'aura rassicurante che quasi sempre accompagnava la presenza del suo illustre cugino, ed emise un sospiro di sollievo nell'andare loro incontro per salutarli. — Per Saint George e Saint Camber, era ora che arrivaste — dichiarò, tirando Morgan ed il principe all'ombra della soglia. — Perché ci avete messo tanto? Ero preoccupato. — Te lo spiegherò più tardi — rispose il nobile deryni, sbirciando con ansia lungo la navata. — Ti controllano? — Temo di sì — annuì Duncan. — Le guardie della regina sono venute nella basilica ogni giorno, da quando Brion è stato sepolto. Non credo però che sospettino di me: io sono il confessore di Kelson, e forse hanno immaginato che questo è il primo posto dove saresti venuto. — Bene, spero che tu abbia ragione — sospirò Morgan, tornando a guardare Duncan e Kelson. — Perché se nutrono il minimo sospetto che tu stia svolgendo mansioni diverse da quella ufficiale, siamo tutti morti. — Allora manteniamo la facciata esteriore — suggerì il prelato, raccogliendo la bottiglia vuota e segnalando agli altri di seguirlo lungo la navata. — Se qualcuno dovesse fermarci, sei venuto per confessarti e per ricevere il Sacramento, prima di presentarti al processo. Credo che nessuno vorrà interferire con questo. — D'accordo. Mentre percorrevano a passo lento l'interno della chiesa, Morgan cercò di osservare i fedeli senza dare nell'occhio. Duncan aveva avuto ragione in merito alle guardie della regina: ce n'erano almeno tre che fingevano di pregare e, a giudicare da come lo stavano osservando, non doveva certo essere stato un eccesso di devozione a condurle a Saint Hilary, con tanta regolarità, durante l'ultima settimana. I tre si arrestarono in fondo alla navata per inchinarsi rispettosamente davanti all'altare, e Morgan si sforzò di assumere un'espressione contrita, a beneficio degli osservatori. Dovette essere abbastanza convincente, perché
nessuno cercò di fermarli quando oltrepassarono una porta laterale. Non appena ebbero raggiunto l'intimità dello studio di Duncan, Morgan fece scattare il paletto della serratura con un deciso rumore di metallo contro metallo, poi si concesse di esaminare ancora una volta quell'ambiente familiare, mentre il prelato attraversava la stanza per riporre la bottiglia. Era un piccolo locale, non più di quattro metri per cinque, e le due pareti più lunghe erano coperte da scaffali di libri, che arrivavano all'altezza della vita, e da ricchi arazzi, che rappresentavano scene di caccia e di vita di corte. All'estremità opposta, di fronte alla porta, si apriva un'ampia finestra coperta, dal soffitto al pavimento, da un ricco tendaggio di velluto color vinaccia, mentre il muro opposto era dominato da un grande camino di pietra grigia, adiacente alla porta, con la mensola adornata soltanto da un paio di candelabri di peltro contenenti grosse candele gialle, e da una icona di Saint Hilary, il patrono della basilica. A destra rispetto alla finestra, c'era un elaborato inginocchiatoio, rivestito dello stesso velluto vinaccia dei tendaggi e rivolto verso un angolo che ospitava un crocifisso d'avorio, retto da un piccolo piedestallo e fiancheggiato da tremolanti candele votive contenute in recipienti di vetro color rubino. Sulla sinistra, di fronte alla finestra, c'era una piccola scrivania di lucido legno nero, con il piano coperto da libri e documenti. Nel centro della stanza, a forse quattro passi di distanza dal camino, un pesante tavolo rotondo, di quercia bruna, dominava l'ambiente, con le gambe lavorate che poggiavano solide sul pavimento di marmo. Due sedie uguali, dall'alto schienale, si fronteggiavano ai due lati del tavolo, e parecchie altre di struttura simile erano accostate al camino, rivolte verso la fiamma. Uno spesso tappeto ad arazzo copriva il pavimento nel tratto compreso fra il tavolo ed il focolare, attenuando il freddo e gli echi che altrimenti avrebbero pervaso lo studio. Morgan accostò una terza sedia, per Kelson, prelevandola fra quelle vicino al camino, mentre Duncan posava la bottiglia vuota accanto alla scrivania e si accingeva ad aprire i pesanti tendaggi. — Credi che sia saggio? — chiese il generale, distogliendo per un attimo l'attenzione da quello che stava facendo. Duncan gli rivolse una breve occhiata, poi si girò per sbirciare attraverso lo spesso vetro color ambra. — Penso che non corriamo rischi — dichiarò infine. — Nessuno può vedere all'interno, durante il giorno, e comunque il vetro distorce le immagini. — Raggiunse il tavolo e si sedette. — Inoltre, in questo modo potre-
mo vedere chiunque arrivi dall'esterno, il che sarà molto importante fra circa mezz'ora, se il mio giudizio è esatto. — Così presto? — replicò Morgan, in tono pratico, prelevando dall'interno della tunica una piccola sacca di pelle scamosciata. — Allora non abbiamo molto tempo, vero? Si guardò intorno con disinvoltura mentre posava la sacca sul tavolo, per scioglierne i lacci. — Se non ti dispiace, Duncan, mi servirebbe una luce più intensa. E poi, da quando devi riempire di persona le acquasantiere? Credevo che un monsignore fosse al di sopra di queste cose. Il prelato sbuffò con derisione, nel prelevare un alto candelabro dalla scrivania per posarlo sul tavolo. — Molto divertente, cugino. Sai bene che tutti i miei assistenti sono alla cattedrale, occupati nei preparativi per l'incoronazione di Kelson che avverrà domani. — Sorrise al ragazzo e si rimise a sedere. — E non credo di doverti ricordare dove si trovi in questo momento il nostro stimato arcivescovo. Ho dovuto procurarmi un permesso speciale per poter rimanere qui oggi, nel caso che Kelson avesse avuto bisogno di me... come suppongo ne abbia, anche se non proprio nel modo che immagina l'arcivescovo. Lui e Morgan si scambiarono un sorriso, e Kelson scosse con impazienza il gomito del generale, protendendo il collo per vedere cosa ci fosse nella sacca che l'altro non aveva ancora aperto; il nobile deryni gli rivolse un sorriso rassicurante e finì di sciogliere i lacci, poi insinuò all'interno le dita guantate e prelevò un frammento di fuoco dorato e carminio, che posò sul palmo della mano. Il ragazzo sussultò, nel riconoscere l'oggetto, e Morgan lo protese verso di lui con aria malinconica. — Conosci quest'anello, mio principe?... Non toccarlo, non sei adeguatamente schermato. Kelson trasse un sommesso respiro e ritrasse le dita, con occhi sgranati per la meraviglia. — E l'Anello di Fuoco, il sigillo del potere di mio padre. Come lo hai avuto? — Brion me lo ha affidato in custodia prima che partissi per Cardosa — replicò il generale, muovendo la mano in modo da far brillare le pietre. — Posso? — chiese Duncan, estraendo dalla manica un fazzoletto di seta e protendendolo verso l'anello. Morgan annuì e glielo accostò.
Avvolgendo le dita nelle pieghe della stoffa, il prelato raccolse l'anello con cautela e lo accostò alla luce delle candele; mentre lo girava, le pietre scarlatte proiettarono minuscoli e vividi riflessi sui tre osservatori e sugli arazzi appesi alle pareti. Duncan esaminò l'anello con attenzione, poi lo posò nel centro del tavolo, ancora avvolto nella seta bianca. — È autentico — dichiarò, con una nota di sollievo nella voce. — Avverto ancora un residuo di potere in esso. Hai il sigillo? Morgan annuì, e cominciò a sfilarsi i guanti. — Temo che dovrai però provvedere tu al recupero, Duncan, perché non oso avvicinarmi all'altare, con le spie di Jehana disseminate qui intorno. — Si sfilò un elaborato anello con sigillo e lo tenne fra il pollice e l'indice. — Sei disposto a farlo? Kelson si protese subito per osservare quel secondo anello. — Fondo nero, un grifone verde rampante... è il vecchio stemma di Corwyn, vero, Morgan? — Esatto. Brion ha fatto forgiare questo anello molto tempo fa, e siccome lo stemma è quello di mia madre, una Deryni, ha ritenuto che fosse estremamente adatto a custodire la chiave d'accesso ai tuoi poteri. — Il generale spostò la propria attenzione su Duncan. — Dovrò sintonizzarlo su di te. Sei pronto? — E cosa... — iniziò il prelato, accennando con il capo verso il principe. Morgan guardò prima il ragazzo e poi il cugino, ed un tenue sorriso gli affiorò di nuovo sul viso. — Credo che non ci siano problemi. Se anche non nutre ancora sospetti, scoprirà comunque tutto entro domani. Credo che il nostro segreto sarà al sicuro. — Bene. — Duncan annuì e rivolse a Kelson un sorriso rassicurante. — Non è nulla di misterioso, Kelson. Se attivato in maniera esatta, il sigillo del grifone può aprire uno scomparto segreto dell'altare. Molto tempo fa, tuo padre ha sintonizzato il sigillo con Alaric, in modo che lui potesse recuperare gli oggetti messi da parte per te. «Puoi vedere che la sagoma intagliata del grifone emette una lieve luce ora che si trova nelle mani di Alaric, e questo ci permette di capire che il sigillo viene ancora attivato da lui. Se qualcuno che non è sintonizzato cercasse di usarlo, come me adesso, o come te, non funzionerebbe. Si rivolse a Morgan, pur continuando a parlare a beneficio di Kelson. — Potrei anche aggiungere che solo determinate persone possono essere
sintonizzate con questo sigillo, come Alaric... e come me. Prima che il principe potesse assimilare la portata di quella dichiarazione, il generale pose l'anello con il grifone fra se stesso ed il cugino, ed inarcò un sopracciglio. — Pronto? Duncan annui, ed i due uomini iniziarono a concentrarsi sull'immagine del grifone posta al centro del sigillo. Kelson li osservò, come incantato, mentre i due fissavano il sigillo e poi chiudevano gli occhi; segui un lungo periodo di silenzio, durante il quale il principe ebbe la certezza che l'unico rumore presente nella stanza fosse il suo stesso respiro; poi Duncan allungò con lentezza la mano verso l'anello, tenendo sempre gli occhi chiusi. Un attimo prima che lo sfiorasse, una lieve scintilla attraversò lo spazio interposto in un breve arco, quindi anche le dita di Duncan strinsero l'anello. Entrambi gli uomini aprirono allora gli occhi, e Morgan ritrasse la mano. Il grifone continuò a brillare debolmente. — Ha funzionato — sussurrò Kelson, e le sue parole furono per metà un'affermazione e per metà una domanda. — Certo — replicò il prelato. — Tendi la mano e controlla tu stesso. Kelson obbedì con cautela, e sussultò un poco quando l'anello gli cadde sul palmo: risultava freddo al tocco, anche se avrebbe dovuto essere stato riscaldato dal contatto con la pelle. Quando guardò il sigillo del grifone, si affrettò a deporre l'oggetto. — Non brilla! Cosa gli ho fatto? Duncan schioccò le dita con un sorriso. — Me n'ero scordato, tu non sei sintonizzato. — Raccolse l'anello e lo tenne davanti a Kelson, mostrandogli che il grifone riprendeva a brillare debolmente. Il principe sorrise con imbarazzo. Il prelato si alzò in piedi, gettò in aria l'anello e lo riprese al volo. — Torno subito. Kelson seguì il prete con lo sguardo finché scomparve, oltre la porta dello studio; poi si rivolse a Morgan. — Ho capito bene... Duncan è un Deryni? Allora dovete essere imparentati tramite tua madre, e non tramite tuo padre. — In effetti, lo siamo in entrambi i modi — lo corresse Morgan. — Siamo quinti cugini secondo la discendenza paterna, ma la madre di Duncan e la mia erano sorelle. Ovviamente, si tratta di un segreto molto ben custodito, perché il fatto di possedere sangue deryni potrebbe costituire un
notevole imbarazzo, o essere addirittura fatale, per qualcuno che occupa la posizione di Duncan. Sono pochi, fra noi, quelli che non ricordano le inquisizioni e le persecuzioni condotte contro i Deryni poco più di un secolo fa, e l'astio è tutt'altro che svanito, ancora oggi. Ne sei al corrente. — Ma tu non hai paura di far sapere alla gente che sei un Deryni, Morgan — replicò Kelson. — Costituisco però un'eccezione, come tu ben sai, mio principe — ribatté il generale. — Per lo più, essere un Deryni non offre nessun futuro, e quin'di la maggior parte di noi nasconde la propria discendenza, anche se è incline ad usare i propri poteri per il bene. — Reclinò il capo da un lato, con aria malinconica. — Da questa decisione, naturalmente, nasce un conflitto fondamentale fra il desiderio di usare le proprie capacità naturali, e la consapevolezza di essere condannati dalla Chiesa e dallo Stato se vi si fa ricorso. — Eppure, tu hai preso questa decisione. — Si. Ho scelto di usare i miei poteri in maniera più manifesta, fin dall'inizio, e che andassero al diavolo le conseguenze. E sono stato molto fortunato ad avere la protezione di tuo padre fino a quando sono stato abbastanza grande da badare a me stesso. — Abbassò lo sguardo sulle proprie mani. — Essere un Deryni solo per metà è d'aiuto. — E Duncan? — chiese, in tono quieto, Kelson. — Duncan ha scelto un'altra soluzione — sorrise il generale. — Quella del sacerdozio. Duncan si fermò davanti allo spioncino della sagrestia per osservare la navata, ringraziando mentalmente quello fra i costruttori di Saint Hilary che aveva avuto la preveggenza d'installarlo. Indubbiamente, l'uso che lui ne stava facendo non era quello a cui avevano pensato gli architetti... lo spioncino doveva servire come strumento per iniziare le funzioni al momento giusto... ma Duncan non pensava che avrebbero trovato da ridire. Dal punto in cui si trovava, poteva scorgere tutta la navata, dalla prima fila di posti fino alle porte, e da una navata laterale all'altra, e ciò che vide servì solo a rinforzare la sua convinzione che il compito che lo attendeva non sarebbe stato facile come sperava. Le guardie inviate da Jehana, di cui aveva parlato con Alaric, erano ancora là, comprese quelle due che avevano sorvegliato lui in particolare, durante tutta la settimana. Sapeva che quegli uomini appartenevano al reggimento personale della regina, e si chiese se sospettassero davvero di lui. Non credeva di aver fatto qualcosa che meritasse una particolare attenzio-
ne da parte loro... tranne che essere il confessore di Kelson ed il cugino di Alaric... ma con gente del genere non si poteva mai sapere. Estrasse una stola di broccato da un armadietto sulla destra, l'accostò alle labbra e se la drappeggiò sulle spalle. A causa di quei cani da guardia reali, non poteva semplicemente uscire, aprire il tabernacolo e prelevare ciò che conteneva. I soldati si sarebbero insospettiti nel momento stesso in cui si fosse accostato all'altare, quindi gli serviva una diversione. Sbirciò ancora dallo spioncino e preparò un piano. Molto bene, che s'insospettissero. Se le guardie della regina insistevano nel complicare le cose, per lui era lo stesso, e non gli seccava dover ricorrere a qualche trucchetto sacerdotale per mascherare le sue vere intenzioni. Se poi avesse fallito, poteva sempre ricorrere al tradizionale potere e all'autorità di un monsignore: quando si trattava con uomini del genere, di solito non era difficile usare l'intimidazione, specialmente se si poteva disporre dell'arma dell'anatema. Duncan trasse un profondo respiro, poi aprì la porta laterale ed entrò nel presbiterio; come aveva sospettato, una delle guardie si affrettò a lasciare il suo posto, percorrendo velocemente la navata centrale. D'accordo, pensò il prelato, effettuando una profonda genuflessione per dare all'uomo il tempo di arrivare. È solo e non ha estratto la spada. Vediamo cosa vuol fare. Alzandosi, Duncan ascoltò l'eco dei passi che si avvicinavano, e portò con disinvoltura la mano alla vita, per prelevare la chiave del tabernacolo; poi, quando i sensi lo avvertirono che la guardia aveva quasi raggiunto la balaustra dell'altare, permise alla chiave di sgusciargli dalle dita. Un tentativo, volutamente goffo, d'impedirne la caduta, mandò la chiave a rimbalzare giù per i gradini di marmo, fino a fermarsi ai piedi del sorpreso soldato. Duncan fissò l'uomo con innocenti occhi azzurri e con una lieve espressione d'imbarazzo, quindi si affrettò a scendere i gradini, mostrandosi preoccupato. Il suo atteggiamento disarmò la guardia a tal punto che, quando il prelato la raggiunse, si era già chinata ed aveva raccolto la chiave senza neppure rendersi conto di quello che stava facendo. Con un impacciato mezzo sorriso, l'uomo la lasciò cadere nella mano protesa di Duncan. — Grazie, figlio mio — mormorò il prelato, nel suo tono più paterno. L'altro annuì, nervoso, ma non accennò ad andarsene. — Desideri qualcosa? — domandò allora Duncan. L'uomo si contorse, a disagio.
— Monsinore, devo chiedere una cosa... il Generale Morgan è con te? — Intendi dire nel mio studio? — chiese il sacerdote con pazienza, mantenendo un'espressione di estrema innocenza. Il soldato annuì leggermente. — Il generale Morgan è venuto a me da penitente, figliolo — spiegò allora Duncan, con voce sommessa. — Desidera ricevere i Sacramenti prima di presentarsi al processo, come lo desidera anche il Principe Kelson. Cosa ci può essere di male in questo? Le parole di Duncan colsero l'uomo di sorpresa. Evidentemente, l'idea che Morgan potesse essere qualcosa di diverso da un pagano e da un infedele non gli era mai passata per la mente, com'era ovvio che non si era aspettato di ricevere una risposta del genere. Chi era lui per interferire con la salvezza eterna di un uomo... specialmente di qualcuno che ne aveva tanto bisogno come Alaric Morgan? Convinto di aver interrotto qualcosa di molto normale e di molto santo, il soldato scosse il capo con contrizione ed indietreggiò, inchinandosi all'altezza della vita. Mentre Duncan si girava verso l'altare, l'uomo ripercorse in fretta la navata centrale, fino al banco dov'erano inginocchiati i suoi colleghi, raggiungendoli e facendosi il segno della croce. Duncan salì i gradini con sollievo. Sapeva che la guardia lo stava ancora osservando, e che aveva riferito l'accaduto ai compagni... anche se tutti e tre sembravano immersi nella preghiera. Dubitava comunque che avrebbero tentato d'interferire di nuovo, a patto che lui non si fosse allontanato in maniera vistosa dalla prassi consueta. Era ovvio che non appena lui se ne fosse andato, qualcuno sarebbe corso ad avvertire Jehana che Kelson ed Alaric erano lì, ma questo era inevitabile. S'inchinò leggermente davanti al tabernacolo, quindi schiuse con lentezza le tende di seta verde che ne coprivano le porte dorate e, nel girare la chiave con la destra, strinse meglio nella sinistra il sigillo con il grifone; mentre prelevava con una mano un calice dorato, fu un gioco da ragazzi accostare con l'altra il sigillo alla pietra dell'altare. Non appena si fu stabilito il contatto, una sezione di parete posta davanti a Duncan, che misurava una dozzina di centimetri quadrati, si mosse leggermente e si ritrasse quanto bastava per rivelare una piatta scatola nera. Lavorando in fretta, il prelato tirò fuori altri due calici e si mise ad armeggiare con ostentazione per riunire il contenuto di tutti e tre in uno solo. Poi, invece di limitarsi a coprire quello rimasto vuoto con la pezzuola ingioiellata e con il velo, insinuò la scatola nera fra il calice e la copertura, e velò
entrambi con il drappo di seta verde. Ripose quindi gli altri due calici nel tabernacolo, chiuse le porte e girò di nuovo la chiave con la destra mentre la sinistra rimetteva a posto la pietra smossa. Prelevato infine il calice rimasto, con il suo fardello aggiunto, eseguì un altro inchino e lasciò l'altare. L'intera operazione aveva richiesto meno di due minuti. Tornato in sagrestia, Duncan si tolse la stola e si affrettò a guardare dallo spioncino. Come aveva sospettato, una delle guardie stava lasciando la basilica... Indubbiamente per informare la regina... ma, a parte questo, le sue mosse non sembravano aver destato ulteriori sospetti, dato che nessuno mostrava interesse nei suoi confronti: gli altri due soldati non avevano abbandonato il loro posto. Duncan infilò la scatola nera nella cintura, ripose il calice vuoto insieme a parecchi altri, poi tornò nello studio e bloccò di nuovo la porta alle proprie spalle. — Hai avuto qualche difficoltà? — domandò Morgan, mentre il prete tirava fuori la scatola e la posava sul tavolo. — Nessuna — rispose Duncan, lasciando cadere il sigillo con il grifone nella mano del cugino e sedendosi. — Però c'è un messaggero che sta andando a dire a Jehana dove vi trovate tutti e due. — Era prevedibile. — Il generale scrollò le spalle. — Ora vediamo cosa c'è qui. — Raccolse la scatola. — Il sigillo apre anche questa? — chiese Kelson, con entusiasmo, accostando la sedia a quella di Morgan ed alla scatoletta. — Guarda, c'è un grifone disegnato sul coperchio. Morgan accostò il sigillo all'area indicata, e la scatola si apri di scatto con una nota musicale. All'interno c'erano un pezzo di pergamena, ripiegato più volte, ed un cofanetto più piccolo, ricoperto di velluto rosso e recante l'emblema di un leone dorato. Mentre Duncan prendeva la pergamena, Morgan raccolse il cofanetto e lo ispezionò rapidamente. — Per questo ci vuole un sigillo diverso, Duncan — dichiarò, deponendo il cofanetto sul tavolo, accanto all'Anello di Fuoco, ancora avvolto nella seta. — Quelle sono le istruzioni? — Sembra di sì — replicò il prete, stendendo la pergamena stropicciata ed accostandola alla candela. — Vediamo. «Quando il Figlio devierà la marea crescente? Un Portavoce dell'Infinito guiderà, sapiente,
Del Protettore Oscuro la mano, per versare il sangue Che l'Occhio di Rom accende nella Sera incombente. Lo stesso sangue l'Anello di Fuoco deve subito nutrire. Ma, attenti, per non destare del Demonio le ire: Se presto la tua mano spoglia la fascia verginale, La giusta condanna ostacolerà il tuo desire. Ora che l'Occhio di Rom la luce può mirare, Il Leone Carminio nella notte si deve liberare. Mosso contro mano sinistra e salda, del Leone il Dente La carne deve trapassare, e il giusto Potere consegnare. Così Occhio e Fuoco e Leone berranno a lor piacere. Del male avete diminuito il bellicoso potere. Nuovo giorno, mano dell'anello. Il Segno del Difensore sigillerà La tua Forza. Nessun Potere Infero contrasterà il tuo volere! » Morgan si appoggiò all'indietro sulla sedia ed emise un fischio sommesso. — Brion ha scritto tutto questo? — È la sua calligrafia — replicò Duncan, gettando la pergamena sul tavolo e tamburellando su di essa con un'unghia ben curata. — Guarda tu stesso. Morgan si protese in avanti e lesse rapidamente i versi, imparandoli a memoria, poi tornò ad appoggiarsi allo schienale con un sospiro. — E pensavamo che il rituale del potere di Brion fosse oscuro... Se ci avesse riflettuto un po', credo che avrebbe potuto renderlo davvero difficile. Kelson, che stava seguendo il dialogo con occhi sgranati per la meraviglia, non riuscì più a trattenersi. — Vuoi dire che non è lo stesso rituale? Duncan scosse il capo. — Il rito viene cambiato ad ogni successione, Kelson. È una salvaguardia per impedire che il potere finisca in mani sbagliate, altrimenti qualcuno potrebbe, in teoria, imparare la tecnica da seguire, raccogliere gli elementi necessari per il rituale, ed assumere il potere. In senso stretto, esso dovrebbe essere trasmesso soltanto all'erede legittimo, ma ci sono sempre sistemi
per aggirare questi cavilli tecnici. — Oh — fece il principe, con voce sottile ed incerta. — Allora, da che parte si deve cominciare? — Raccolse la pergamena, come se si fosse trattato di una piccola creatura ancora viva che potesse morderlo, la contemplò con sospetto e la lasciò cadere di nuovo sul tavolo. — Alaric? — chiese Duncan. — Comincia tu. Sei più esperto di me, in questo genere di cose. Il prelato si schiarì la gola con nervosismo e trasse di nuovo davanti a sé la pergamena, scrutandola e poi fissando Kelson. — Dunque, con una serie di versi come questi, la prima cosa che si deve fare è suddividere il tutto nelle parti che lo compongono: negli elementi basilari del rituale. In questo caso abbiamo due gruppi di tre elementi, e un quarto elemento. Ci sono tre persone: il Figlio, il Portavoce dell'Infinito e il Protettore Oscuro... tu, io stesso ed Alaric. Sono tutti menzionati nella prima quartina e costituiscono gli elementi umani. — Non del tutto umani, cugino — commentò Morgan, congiungendo le punte delle dita e rivolgendo a Duncan un malizioso sorriso. Il prelato inarcò un sopracciglio con aria significativa. — Tre persone — ripeté Kelson, dando di gomito a Duncan con impazienza. — Va' avanti, Padre Duncan. — Ci sono anche tre oggetti: l'Occhio di Rom, l'Anello di Fuoco e il Leone Carminio. Questi sono i nostri... — Aspetta — lo interruppe Morgan, sollevandosi a sedere di colpo. — Mi è appena venuta in mente un'orribile eventualità. Kelson, dov'è l'Occhio di Rom? Il principe lo fissò senza capire. — Non lo so, Morgan. Spiegami di che cosa parli, e forse ti potrò rispondere. Duncan lanciò uno sguardo al cugino. — Parlo di un rubino scuro e non sfaccettato, grosso quanto l'unghia del mio mignolo. Brion lo portava sempre al lobo destro, e devi aver avuto occasione di vederlo. Kelson sgranò gli occhi, nel rendersi conto di cosa si trattava, e assunse un'espressione apprensiva. — Oh, no. Padre, se è lo stesso oggetto a cui sto pensando, è stato sepolto con lui. Non sapevo che fosse importante. Morgan fece una smorfia, concentrandosi ed accarezzando con un dito il leone d'oro sul coperchio del cofanetto. Sollevò quindi lo sguardo su Dun-
can, con aria rassegnata. — Bisogna aprire la cripta? — Non abbiamo altra scelta. — Aprire la cripta? — ripeté Kelson. — Ma non potete! Morgan, non puoi farlo! — Temo che sia necessario — replicò, quieto, Duncan. — Dobbiamo prendere l'Occhio di Rom, altrimenti il rituale non serve a nulla. — Abbassò lo sguardo. — Comunque... è una buona idea. Se Charissa è davvero stata l'artefice della morte di Brion, come ogni indizio lascia supporre, allora c'è... ecco, c'è la possibilità che lui non sia del tutto libero. Gli occhi di Kelson si dilatarono ancora di più, ed ogni colore svanì dalla faccia del ragazzo. — Vuoi dire che la sua anima è... — Dov'è stato sepolto? — chiese Morgan, brusco, per interrompere Kelson e per deviare la conversazione, prima che l'orrore del giovane sfuggisse ad ogni controllo. — Se vogliamo fare qualcosa, ci serve un piano. — Si trova nella cripta reale, sotto la cattedrale — spiegò Duncan. — In base a quanto ho potuto vedere, ci sono costantemente di guardia almeno quattro uomini, con l'ordine di non lasciar passare nessuno oltre il cancello. E dall'esterno non è neppure possibile vedere la tomba. Morgan socchiuse gli occhi, giocherellando con il suo anello. — Quattro guardie, eh? È probabile che di notte ce ne siano di meno, non credi? Una volta che le porte della cattedrale verranno chiuse, dopo il Compieta, non ci sarà più bisogno di una sorveglianza massiccia. Credo che potremo farcela. Kelson fissò il generale con incredulità, mentre il suo viso riacquistava gradualmente colore. — Apriremo davvero il sarcofago? — sussurrò. La risposta di Morgan fu soffocata dal rumore di molti cavalli che giungevano nel cortile esterno. Duncan balzò in piedi e si precipitò alla finestra, affrettandosi quindi a tirare le tende. Morgan gli fu accanto un attimo più tardi, sbirciando fra i drappeggi. — Chi è? Riesci a vedere? — L'Arcivescovo Loris — rispose Duncan. — Ma dalle dimensioni del suo séguito è difficile stabilire se sia appena giunto in città o se sia venuto per arrestarti. — È qui per me. Guarda come ha schierato i suoi uomini: sa che siamo qui dentro, e saremo circondati entro pochi secondi.
Kelson raggiunse gli altri alla finestra, con aria costernata. — Che cosa faremo, adesso? — Io mi arrenderò — rispose, calmo, Morgan. — Arrenderti... Morgan, no! — gridò il ragazzo. — Morgan, sì! — lo contraddisse Padre Duncan, riaccompagnando con fermezza il ragazzo verso il tavolo. — Se Alaric fuggisse davanti alla giusta convocazione del Consiglio, del tuo Consiglio, violerebbe quelle stesse leggi che ha giurato di difendere in qualità di Lord Consigliere. — Costrinse il ragazzo a sedersi. — E se tu trascurerai il tuo dovere di capo del Consiglio, farai la stessa cosa. — Per ora non è il mio Consiglio, però — obiettò Kelson. — È quello di mia madre, e lei sta cercando di uccidere Morgan. Il prelato raccolse la pergamena, l'Anello di Fuoco e la scatola di velluto rosso e portò tutti gli oggetti verso l'inginocchiatoio. — No, Kelson, è pur sempre il tuo, ma dovrai ricordarlo ai suoi membri. — Toccò un pulsante nascosto nell'inginocchiatoio ed una piccola apertura apparve nel muro adiacente ad esso. — Del resto, non possiamo più fare altro fino a stanotte, in ogni caso, e quanto più a lungo riuscirai ad ostacolare il Consiglio, tanto minori saranno le probabilità di altri tradimenti. Ho il sospetto che alcuni dei tuoi nemici più agguerriti siedano adesso in quel Consiglio, ma almeno sai dove si trovano e cosa stanno facendo, finché sono tutti radunati. — Depose gli strumenti del rituale nell'apertura e la richiuse. — Qui saranno al sicuro, fino a stanotte. Kelson, però, non era convinto. — E se lo trovassero colpevole, padre? Supponi che lo abbiano già condannato. Non posso rimanere inerte ed avallare la sua condanna a morte. — Se si dovesse arrivare a questo, dovrai invece farlo — replicò Morgan, stringendo le spalle del ragazzo in un gesto rassicurante. — Ricorda, però, che non mi hanno ancora dichiarato colpevole e che, anche disarmato, un Deryni dispone comunque di formidabili difese su cui fare affidamento. — Ma, Morgan... — Niente discussioni, mio principe — lo ammonì il generale, guidandolo verso la porta. — Devi fidarti, perché so quello che faccio. — Suppongo di sì. — Kelson abbassò il capo. — Qui, dopo il Compieta, Alaric? — chiese Duncan, tirando indietro il paletto della porta.
— Ti terrò informato sull'andamento delle cose — promise Morgan, annuendo. — Lo saprò comunque, Dio ti accompagni, cugino. Morgan ringraziò con un cenno del capo e spinse oltre la soglia il riluttante Kelson; mentre percorrevano il breve passaggio che conduceva al cortile esterno, sentì la porta robusta che si richiudeva e percepì la rassicurante benedizione mormorata da Duncan. Era un conforto, sapere che poteva sempre fare affidamento su di lui. Morgan e Kelson sbucarono alla luce del sole, e furono sùbito circondati dai soldati, che avevano le spade sguainate. Il principe li trafisse con uno sguardo rovente, e gli uomini allontanarono le armi da lui, quando lo riconobbero. Morgan, dal canto suo, badò a mantenere le mani in piena vista e lontane dalla spada, perché un colpo involontario di qualche soldato benintenzionato ma nervoso avrebbe potuto porre fine per sempre alle probabilità di sopravvivenza di Kelson... per non parlare della vita dello stesso Morgan. Notò che il principe gli stava molto vicino, pallido ma risoluto, mentre l'Arcivescovo Loris avanzava verso di loro a grandi passi. L'Arcivescovo di Valoret indossava ancora gli abiti da viaggio, e il mantello nero era stropicciato e macchiato per la lunga cavalcata, ma anche dopo un simile tragitto e così abbigliato, non era uomo da prendere alla leggera. Pur essendo consapevole di quello che Loris aveva fatto ad alcuni Deryni del nord, Morgan era costretto ad ammettere che quello era uno dei rari individui che sembravano emanare quella tradizionale aura di potere e di dignità che si supponeva accompagnasse ogni elevata carica ecclesiastica. Nei vividi occhi azzurri brillava lo zelo del fanatico religioso, ed i sottili capelli grigi creavano un latteo alone intorno alla testa orgogliosa; l'arcivescovo stringeva nella sinistra una pergamena completa di parecchi sigilli in cera rossa e verde, mentre sulla destra brillava l'anello con l'ametista, simbolo del suo offizio. Loris eseguì un leggero inchino nell'avvicinarsi a Kelson, ed accennò a porgere l'anello; quando il principe ignorò volutamente il gesto, l'arcivescovo ritrasse la mano con irritazione e lanciò un'occhiata a Morgan, senza però fare nessuna mossa di porgere l'anello a lui. — Altezza Reale — salutò, continuando a fissare il generale. — Confido che tu stia bene. — Stavo perfettamente, fino a quando non sei arrivato, Arcivescovo Loris — replicò, secco, Kelson. — Cosa vuoi?
Il prelato s'inchinò ancora e concentrò tutta la sua attenzione sul principe. — Se avessi partecipato alla riunione del Consiglio, come richiedeva il tuo dovere, ora non mi rivolgeresti questa domanda, Altezza — rilevò l'arcivescovo, con rimprovero. — C'è comunque ben poco da ottenere indugiando su questo punto. Ho qui un mandato di arresto per Sua grazia, il Lord Generale Alaric Anthony Morgan, Duca di Corwyn. Ritengo che si tratti dell'uomo che ti accompagna. Morgan esibì un pigro sorriso ed incrociò le braccia sul petto. — Mi sembra più che ovvio, milord Arcivescovo. Se hai degli affari da sbrigare con me, ti consiglio di rivolgerti direttamente all'interessato, invece di fingere che io non sia presente, soltanto perché vorresti che così fosse. Loris si girò a fissare il generale con un lampo di rabbia negli occhi. — Generale Morgan, ho un mandato della regina e dei lord del Consiglio che ti ordinano di presentarti immediatamente al loro cospetto e di rispondere a certe accuse. — Capisco — commentò Morgan, in tono quieto. — E di quali accuse si tratterebbe, milord arcivescovo? — Eresia ed alto tradimento contro il re — dichiarò, enfatico, Loris. — Le contesti? — Certamente. — Protese la mano verso la pergamena, ma s'immobilizzò quando una dozzina di spade si sollevarono verso la sua gola. Esibì un sorriso tollerante. — Posso vedere il mandato, milord? Ad un secco gesto dell'arcivescovo, le spade si riabbassarono. Il generale prese il mandato e lo lesse rapidamente, tenendolo in modo che Kelson potesse guardare da sopra la sua spalla. Infine lo arrotolò di nuovo e lo restituì a Loris. — Il mandato è in ordine per quanto riguarda la forma ed i requisiti di legge — dichiarò quindi Morgan, calmo. — Tuttavia, il modo in cui sono stati esposti i fatti è alquanto dubbio, e certo contesterò le accuse. — Portò le mani alla cintura, e si tolse la spada. — Dal momento che la convocazione è valida, mi sottometto volontariamente alla giurisdizione del Consiglio. Consegnò la spada al sorpreso arcivescovo, poi protese i polsi. — Desideri anche legarmi, milord arcivescovo? Oppure è sufficiente la mia parola? Loris si trasse indietro con aria sospettosa e con una sfumatura di timore,
portando la mano alla croce ricamata sull'abito. — Morgan, se questo è un trucco deryni... — sibilò, facendosi il segno della croce. — Ti avverto... — Nessun trucco, milord — replicò Morgan, mite, protendendo le mani con il palmo all'insù. — Consegnerò perfino la mia arma di riserva, come ulteriore prova della mia buona fede. Scosse il polso sinistro ed un pugnale gli comparve improvvisamente in mano; prima che Loris o le guardie potessero reagire, il generale offrì lo stiletto a Kelson, appoggiandolo sull'avambraccio con l'elsa in avanti. — Mio principe? Senza una parola, Kelson accettò la daga sottile e la infilò con aria cupa nella propria cintura. — Aspetta un momento, Morgan! — reagì finalmente Loris. — Questo non è uno scherzo, o un gioco. Se credi di poter... — Arcivescovo — intervenne Kelson, — non intendo sentire minacce, né da te né da lui. Il Generale Morgan ha dimostrato la sua buona fede, e penso che sia ora che tu cominci a fare altrettanto. Potrei ricordarti che questa daga avrebbe potuto raggiungere il tuo cuore con la stessa facilità con cui è giunta in mano mia. Loris si eresse sulla persona. — Non avrebbe osato! — Se lo dici tu, arcivescovo. — Kelson scrollò le spalle. — Ora facciamola finita con questa farsa. Ho cose molto più importanti da fare. — Come frequentare i discepoli del Male, Altezza? — sibilò Loris. — Le tue definizioni lasciano molto a desiderare, arcivescovo — ribatté Kelson. Loris si costrinse a recuperare il controllo, e trasse un profondo respiro. — Le procedure locali devono essere seguite alla lettera, Altezza, e questa volta non credo che lui abbia molte speranze di sfuggire alla giusta punizione. — Parole, arcivescovo — commentò Morgan. Loris serrò ed allentò i pugni parecchie volte, poi rivolse un cenno ad un paio di guardie. — Legatelo — intimò, e mentre i due obbedivano, assicurando le braccia di Morgan dietro la schiena, l'arcivescovo tornò a concentrare la propria attenzione su Kelson; — Mi rendo conto, Altezza, che sei stato sottoposto ad una considerevole tensione nel corso delle ultime settimane, e sono disposto a dimenticare
le parole di poc'anzi. Se ora tu desiderassi tornare nei tuoi appartamenti per riposare, sono certo che il Consiglio capirebbe, considerate le circostanze. — Quali circostanze, arcivescovo? — chiese Kelson, furente. — Credi davvero che abbandonerei Morgan alla tua mercé... o a quella di mia madre? E comunque, indipendentemente dai miei sentimenti personali, ritengo necessario che il prossimo Re di Gwynedd presenzi ad una seduta del Consiglio di tale importanza. Non sei d'accordo, arcivescovo? Un bagliore attraversò lo sguardo di Loris, che però si accorse dell'assurdità di quella discussione, avendo finalmente assimilato il fatto che il ragazzo che aveva davanti era davvero il futuro Re di Gwynedd, per quanto le sue idee potessero al momento essere poco ortodosse. L'arcivescovo esegui un profondo inchino, ma il suo sguardo esprimeva opposizione e sfida. — Come desidera Vostra Altezza — fu tutto quello che mormorò ad alta voce. CAPITOLO QUINTO O DIO, SIA IL RE DOTATO DEL TUO GIUDIZIO, E IL FIGLIO DEL RE DELLA TUA GIUSTIZIA. SALMI, 72:1 Quando Kelson e Morgan finalmente arrivarono, il Consiglio era in tumulto. Nella camera vi erano ora parecchie decine di uomini, oltre ai Lord Consiglieri, perché Jehana aveva permesso ad altri funzionari, solitamente consultati da Brion, di unirsi al Consiglio per il confronto finale con Morgan; altre sedie, per lo più vuote in quel momento, erano state affiancate ai seggi regolamentari disposti lungo i lati del tavolo, ma quanti erano destinati ad occuparle si agitavano in preda ad un'apparente confusione, parlando e discutendo con quanto fiato avevano. Pur non essendo autorizzati a votare, infatti, i nuovi venuti avevano idee molto precise su quello che si sarebbe dovuto fare del potente nobile deryni che costituiva l'argomento della conversazione. Quali che fossero i sentimenti ispirati negli esseri umani da Lord Alaric Morgan, l'apatia non figurava certo fra essi. A capo tavola, Jehana sedeva in silenzio, cercando di apparire più calma di quanto si sentisse. Di tanto in tanto, abbassava lo sguardo sulle pallide mani incrociate in grembo e giocherellava con l'elaborata vera d'oro che portava alla sinistra.
Soprattutto, però, stava tentando d'ignorare le suppliche del Vescovo Arilan, che sedeva alla sua destra. Sapeva, per lunga esperienza, che il giovane prelato poteva essere molto persuasivo, specialmente quando abbracciava una causa che gli era congeniale, ed Arilan aveva già espresso con chiarezza a chi andava la sua lealtà, durante la precedente votazione. Invero, pochi fra i sostenitori di Morgan erano stati altrettanto entusiastici o veementi. Quando Kelson entrò nella stanza, seguito da Loris e dalle guardie, ogni discussione cessò bruscamente e quanti non erano ancora in piedi si alzarono con rispetto e s'inchinarono al passaggio del principe, mentre tutti si affrettavano ad occupare il proprio posto. Kelson raggiunse il suo seggio, in fondo al tavolo ed accanto a quello di Nigel; Loris si diresse a passo lento verso Jehana. Ma né il principe né l'arcivescovo, quel giorno, sarebbero stati al centro dell'attenzione. Infatti, non appena Morgan fece il suo ingresso, circondato da quattro uomini di Loris, tutti gli sguardi si concentrarono immediatamente su di lui, seguendo i suoi spostamenti nella stanza; quando si accorsero che era legato, i presenti si scambiarono mormoni ed occhiate sospettose, mentre il generale si fermava a destra di Kelson ed un po' più indietro rispetto alla sua sedia. Il principe sedette con aria cupa. Dopo che tutti ebbero preso posto, Loris s'inchinò a Jehana e depose il mandato sul tavolo davanti a lei; i sigilli che pendevano da esso tamburellarono lievemente sulla superficie di legno... l'unico suono udibile nella sala. — Ho eseguito il mandato del Consiglio ed ho portato qui il prigioniero, come Vostra Maestà ha comandato — dichiarò l'arcivescovo, e girandosi verso un aiutante prese la spada di Morgan. — Presento ora l'arma del prigioniero, come prova della sua resa di fronte alla giusta convocazione del... — Arcivescovo! — La voce di Kelson echeggiò nella camera silenziosa. Loris s'immobilizzò, poi si voltò lentamente verso il principe, imitato da tutti gli sguardi. Kelson si era alzato in piedi. — Altezza? — domandò, cauto, il prelato. — Consegnerete quella spada a me, arcivescovo — ordinò il ragazzo, con fermezza. — Morgan è mio prigioniero. La voce del giovane aveva assunto quel crepitìo autoritario che era stato la caratteristica di Brion e, per un istante, Loris accennò ad obbedire, ma subito si riprese e si schiarì nervosamente la gola. — Maestà? — domandò, rivolgendosi a Jehana per ricevere sostegno.
La regina lanciò un'occhiata penetrante al figlio. — Kelson, se credi... — Sua Eccellenza porterà la spada a me, madre — la interruppe il giovane. — Secondo le leggi e le usanze, è mio diritto, perché sono ancora a capo di questo Consiglio, anche se solo di nome. — Molto bene. — Un lampo d'ira apparve negli occhi di Jehana. — Ma questo non lo salverà, sappilo. — Lo vedremo — ribatté Kelson, enigmatico, rimettendosi a sedere. Loris gli portò la spada e la depose sul tavolo con un breve inchino, tornando poi alla sua sedia, fra Jehana e l'Arcivescovo Corrigan. Kelson posò lo sguardo su Morgan. Il nobile deryni non aveva pronunciato una sola parola da quando era entrato nella sala, ma aveva seguito con approvazione il dialogo; ora manteneva un'espressione impassibile mentre i Consiglieri si disponevano ad attendere la prossima mossa di Kelson, perché non sarebbe stato facile modificare le posizioni degli uomini convocati per quel giudizio. Non sarebbe stata possibile una rapida vittoria con mezzi legali, gli unici mezzi a cui per il momento potevano osare di ricorrere. Morgan scrollò mentalmente le spalle nell'allentare il laccio di cuoio che gli serrava i polsi dietro la schiena: sarebbe stato interessante vedere se Kelson sarebbe riuscito a salvare almeno in parte la situazione. Il principe lasciò scorrere lo sguardo nella stanza con disgusto appena velato, congiungendo la punta delle dita com'era solito fare Brion, quando era particolarmente irritato. Scrutò con attenzione ogni faccia, tornando poi a fissare quella di sua madre, all'estremità opposta del tavolo. — Nigel — disse, senza distogliere lo sguardo dalla madre, — mi pare che ti fossero state date rigide istruzioni di ritardare la riunione del Consiglio fino al mio arrivo. Puoi fornire qualche spiegazione? Anche il duca fissò Jehana, dall'altra parte del tavolo. Aveva la certezza che Kelson sapeva che lui aveva tentato, e che stava parlando ora ad esclusivo beneficio dei Consiglieri presenti. — Certo che posso, Maestà — rispose, in tono freddo. — Ho cercato d'informare il Consiglio che tu avevi richiesto un rinvio, ma vi sono stati alcuni che hanno ignorato la tua richiesta. Sua Maestà la regina ha dichiarato che tu eri altrimenti impegnato, ed ha insistito perché cominciassimo senza di te. Kelson si accigliò, e Jehana abbassò lo sguardo. — È vero, madre?
— Certo che è vero! — scattò la donna, balzando in piedi. — C'erano alcune cose che andavano fatte, Kelson... cose che avrebbero dovuto essere fatte da molto tempo. Il tuo Consiglio, per lo meno, mostra un po' di buon senso. Il tuo prezioso traditore Morgan è stato riconosciuto colpevole, con cinque voti contro quattro! Il ragazzo fu sul punto di rispondere in tono veemente, ma poi si trattenne e modificò la scelta delle parole da usare. Accanto a lui, Morgan stava spostando il peso del corpo da un piede all'altro, ed il giovane sentì un lembo del mantello che gli sfiorava un ginocchio. Si costrinse a rilassarsi ed a scrutare di nuovo il Consiglio permeato dalla tensione. — Molto bene, signori — dichiarò, in tono pacato. — Vedo che a questo punto nulla di quanto potrei dire vi farebbe cambiare opinione. — Con la coda dell'occhio, notò che Jehana si rimetteva a sedere con aria trionfante. — Vorrei tuttavia che mi concedeste un'indulgenza, prima di pronunciare il giudizio in merito a questo caso. Chiederò a ciascuno di voi di votare di nuovo come ha fatto in precedenza — continuò, senza cessare di fissare i vari Consiglieri con una lieve aria di sfida. — Secondo quanto mi è dato di capire, voi state mettendo in discussione la fedeltà del Generale Morgan verso lo Stato e verso la Chiesa, e mi piacerebbe sapere chi fra voi consideri queste accuse una palese menzogna. Lord Rogier si alzò con esitazione e si rivolse a Kelson. — Vostra Altezza sta forse mettendo in discussione le deliberazioni del suo legittimo Consiglio? — Per nulla — replicò, pronto, il principe. — Desidero solo accertarmi che il verdetto sia stato effettivamente raggiunto con mezzi legittimi. Avanti, signori, stiamo sprecando del tempo prezioso. Qual è il vostro parere? Morgan è davvero un traditore ed un eretico? Nigel? — Lord Alaric è innocente delle accuse, Maestà — dichiarò il duca, alzandosi. — Grazie, zio. — Kelson annuì, mentre Nigel tornava a sedersi. — Lord Bran? — Colpevole, Altezza. — Lord Ian? — Colpevole, Altezza. — Rogier? — Colpevole, Milord. — E tu, Vescovo Arilan, cosa dici? — chiese Kelson, accigliandosi. — È innocente, Maestà — rispose Arilan, con sicurezza, ignorando le
occhiate roventi lanciate contro di lui da Corrigan e da Loris. — Grazie, eccellenza. — Il ragazzo annuì. — E tu, Ewan? Il vecchio duca non riuscì a guardare in faccia il suo principe. Non aveva mai nutrito una particolare antipatia per Morgan, ma aveva visto morire Brion, e se le voci erano vere... — Allora, Ewan? — Colpevole, Maestà — sussurrò il vecchio. Kelson annuì con comprensione, poi sorvolò Jehana per rivolgere la fatale domanda all'Arcivescovo Corrigan, anche se non aveva dubbi su quella che sarebbe stata la reazione del prelato. — Lord Arcivescovo? Corrigan incontrò senza esitazioni lo sguardo del principe. — Colpevole, Maestà. Non abbiamo ancora neppure cominciato ad elencare i peccati dei Deryni! — Un semplice «colpevole» è sufficiente, arcivescovo — scattò Kelson. — Non stiamo processando l'intera razza, ma un solo uomo. Un uomo, potrei aggiungere, che ha fatto molto per Gwynedd. — Un uomo che ha fatto molto a Gwynedd — ritorse Corrigan. — Basta così, arcivescovo! — intimò Kelson, trafiggendo il prelato con un'occhiata gelida, prima di passare ai. McLain, grato d'incontrare qualche volto amichevole. — Duca Jared? — Non colpevole, Sire — rispose il vecchio duca. — Lord Kevin? — Innocente, Maestà. Kelson annui, contando mentalmente i voti. — So che anche Lord Derry ha votato per l'assoluzione, quindi siamo a... cinque contro cinque. — Fissò Jehana, dall'altra parte del tavolo. — Non credo che questa possa essere considerata una dichiarazione di colpevolezza, madre. — Lord Derry non ha avuto il permesso di votare, Kelson — spiegò la donna, arrossendo. — Non è un membro di questo Consiglio. Il giovane socchiuse gli occhi con aria minacciosa, e parecchi Consiglieri sussultarono interiormente, perché quello era l'antico sguardo degli Haldane, che avevano imparato a temere ed a rispettare nel padre del ragazzo. Era possibile che Kelson riuscisse a seguire le orme paterne? In passato, quell'espressione aveva sempre significato guai. — Molto bene. — Kelson annuì lievemente. — Era stata mia intenzione che Derry votasse al posto di Morgan, in sua assenza, ma visto che ora si
trova qui, il generale può votare di persona. Credo che su questo non ci siano obiezioni. — Morgan non può votare! — esclamò Jehana. — È sotto processo! — Ma rimane sempre un membro del Consiglio finché non verrà riconosciuto colpevole, madre. Fino a quando e a meno che non venga privato dei suoi poteri e delle sue prerogative con un'azione legale, non gli puoi negare il voto... soprattutto se si considera che non gli è stato neppure permesso di parlare in sua difesa. Jehana balzò in piedi, rossa in volto per la rabbia. — E se non puoi negare a lui il diritto di votare, allora non puoi negarlo neppure a me! Dal momento che hai deciso di assumere la conduzione di questo Consiglio, io non sono più vincolata da tale funzione e dico che Morgan è colpevole delle accuse formulate, il che porta i voti a sei contro cinque, a suo sfavore. Il tuo prezioso Morgan è condannato, Kelson! Cos'hai da dire adesso? Sconcertato, il ragazzo si appoggiò all'indietro sulla sedia, sbiancando in volto nell'assimilare il contenuto delle parole materne. Non poteva guardare l'alta figura statuaria immobile al suo fianco, non poteva costringersi ad incontrare quegli occhi grigi e ad ammettere la sconfitta. Con aria avvilita, lasciò scorrere lo sguardo sui Consiglieri per l'ennesima volta, e quando passò da Derry al posto vuoto al suo fianco... il seggio vacante di Lord Ralson... il fantasma di un piano iniziò a prendere consistenza nella sua mente. Si costrinse a continuare l'esame visivo della stanza, impedendo ai lineamenti di tradire la crescente speranza, perché non doveva permettere agli altri d'intuire che aveva un'idea. Non aveva ancora sentito le campane battere le tre, e fino a quando non avessero suonato, doveva guadagnare tempo con ogni mezzo possibile. Irrigidì la schiena ed incrociò le mani con aria stanca, lasciando che il suo viso assumesse un'espressione rassegnata. — Miei signori — cominciò, insinuando nella voce una calcolata sfumatura di stanchezza, — sembra che abbiamo perduto. — Eseguì un gesto vago che includeva anche Morgan e Nigel in quel «noi». — Io... vorrei però chiedere la vostra indulgenza per un'altra questione, prima di pronunciare la sentenza. Vorrei che venisse prima data lettura completa delle accuse presentate contro il Generale Morgan. Ci sono obiezioni? Jehana si rimise a sedere, frenando un sorriso vittorioso. — Certamente no, Kelson — rispose, raccogliendo il mandato e porgen-
dolo ad Ewan. — Lord Ewan, vorresti dare lettura completa delle accuse? Il duca deglutì ed annuì, poi si alzò e si schiarì la gola. — A Sua Grazia, Lord Alaric Anthony Morgan, Duca di Corwyn e Lord Generale degli Eserciti Reali. Da parte della regina e dei lord del Consiglio della Reggenza, in seduta nel dodicesimo giorno del regno di Kelson Cinhil Rhys Anthony Haldane, Re di Gwynedd, Principe di Meara e Signore della Landa Purpurea. «Vostra Grazia è stata convocata davanti al Consiglio Regio di Gwynedd per rispondere di alcune accuse riguardanti il suo comportamento verso la Corona, e specificatamente... Mentre Ewan dava lettura delle accuse, Kelson si arrischiò finalmente a lanciare un'occhiata a Morgan. Si era domandato, fin dall'inizio, come mai il generale non avesse tentato di chiarire la propria posizione, ma capiva adesso che qualsiasi linea di difesa, per quanto astuta o sincera, non sarebbe servita a nulla, considerato l'umore di cui era oggi il Consiglio: non c'era nulla al mondo che un Deryni avrebbe potuto dire o fare per convincerlo della propria innocenza. Ora la testa dorata era china, e gli occhi grigi erano velati dalle ciglia lunghe e folte; Kelson intuì subito che il generale aveva compreso a fondo la situazione e che stava probabilmente elaborando qualche fantastico piano di fuga... invocando chissà quale incredibile potere deryni per recuperare la libertà... quella libertà che doveva mantenere ad ogni costo, se voleva essere di qualche aiuto al suo giovane re. Naturalmente, Morgan non poteva sapere che anche Kelson aveva un piano. Il ragazzo si accorse che ora aveva una doppia scadenza contro cui operare, perché se Morgan avesse agito prima di lui... e Kelson non poteva intervenire fino a quando non fosse scoccata l'ora successiva... ogni speranza di sistemare la questione con mezzi legali sarebbe sfumata. Con cautela, il giovane spostò un piede di lato, fino a pochi centimetri da quello di Morgan; poi, mentre Ewan si avvicinava alla fine della lettura, assestò la sedia e ne approfittò per urtare lo stivale del generale con il proprio. Morgan lanciò un'occhiata al ragazzo, rilevò l'impercettibile cenno di diniego ed annuì. Kelson aveva un'idea, e gli avrebbe permesso di attuarla. — ... a me presentati in questo giorno, Jehana Regina et Domini Consilium. — La voce tonante di Ewan cessò di echeggiare, ed il duca sedette. In quel momento, le campane della basilica e della cattedrale cominciarono a battere l'ora.
Uno. Due. Tre. Quattro. Kelson contò i rintocchi e si prese mentalmente a calci quando sentì il quarto. Erano le quattro del pomeriggio, mentre lui aveva atteso le tre, che erano già trascorse da un pezzo. Avrebbe potuto agire già da molto. Si alzò in silenzio, senza permettere che il suo volto tradisse minimamente quello che stava per fare. — Miei signori, Maestà — esordi in tono formale, inchinandosi leggermente a sua madre, — abbiamo sentito le accuse presentate contro il nostro generale. Notò l'espressione di Jehana, divenuta di colpo sospettosa nel cogliere il plurale maiestatico da lui usato, ma continuò il discorso, accennando con la destra in direzione di Morgan. — Abbiamo anche ascoltato i desideri... o meglio gli ordini... del Consiglio in relazione a tali accuse, ma ci aggrada considerare un'ultima questione, prima di pronunciare il nostro giudizio su di lui. Un mormorio interrogativo si diffuse fra i presenti, e Kelson notò la sorpresa e la paura di sua madre, mal celate. — Ci è appena sovvenuto — proseguì Kelson, mantenendo sempre un tono tranquillo, — che le nostre file sono state recentemente ridotte dalla triste perdita del nostro fedele suddito, Lord Ralson di Evering. — Accennò al seggio vuoto di Ralson e si fece devotamente il segno della croce, imitato dal resto dell'assemblea, che si chiedeva con curiosità dove il giovane volesse andare a parare. — Di conseguenza — concluse Kelson, — ho deciso di nominare un nuovo Lord Consigliere che ne prenda il posto. — Non puoi farlo! — gridò Jehana, balzando in piedi. — Siamo consapevoli, ovviamente — aggiunse il giovane, soffocando con la sua voce l'opposizione materna, — che Lord Derry non potrà mai rimpiazzare Lord Ralson, ma siamo certi che occuperà quel posto onorato con un'adeguata devozione. Sean Lord Derry. Mentre i dissensi scoppiavano tutt'intorno, Kelson segnalò a Derry di alzarsi. Il giovane lanciò uno sguardo a Morgan per ricevere una rassicurazione, ma anche il generale appariva un po' stupito. Il principe sollevò le mani per chiedere silenzio, poi batté sul tavolo l'elsa della spada di Morgan dato che il frastuono non accennava a placarsi. Jehana era in piedi, con aria di sfida, e cercava di farsi sentire al di sopra del vociare generale. — Non puoi farlo, Kelson! — gridò infine, riuscendo a sovrastare il vo-
lume della discussione in via di spegnimento. — Non ne hai il diritto! Sai che non puoi nominare un nuovo Consigliere senza l'approvazione dei Reggenti! Non hai ancora la maggiore età! Gli occhi di Kelson divennero freddi come grigio acciaio nel fissare i presenti, e sulla stanza scese un improvviso silenzio. — Signori del Consiglio, la mia stimata madre sembra aver dimenticato che è stato esattamente quattordici anni e un'ora fa, in un'altra stanza di questo stesso palazzo, che lei ha dato alla luce un figlio: Kelson Cinhil Rhys Anthony Haldane; e che, concluso il travaglio, mentre i medici reali mi mettevano fra le sue braccia... le campane suonarono le tre del pomeriggio! Jehana divenne cinerea in volto e si accasciò sulla sedia, annuendo lentamente fra sé con occhi velati, sconvolta. — Quanto a voi, miei signori, sembrate invece aver scordato il motivo per cui la nostra Incoronazione avrà luogo domani anziché oggi. Come ben sapete, un decreto reale stabilisce che nessun Re di Gwynedd verrà incoronato come tale senza aver prima raggiunto l'età legale, e siccome io non avrei raggiunto tale età che alle tre del pomeriggio... troppo tardi per un'incoronazione, dovete ammetterlo... la cerimonia è stata spostata a domani. Ma io governo da oggi! Nessuno si mosse o parlò, mentre Kelson concludeva il discorso; si limitarono tutti a guardare, sconcertati, mentre il principe segnalava a Derry di avvicinarsi; quando il giovane gli fu accanto, Kelson prese la spada di Morgan e la protese dinanzi a Derry, con l'elsa in alto. — Sean Lord Derry, giuri in nome di questa croce di prestare sinceri e leali servigi a questo Reale Consiglio? Derry si lasciò cadere su un ginocchio e posò una mano sull'elsa della spada. — Lo giuro solennemente, mio signore. Kelson abbassò l'arma, ed il giovane nobile si alzò in piedi. — Ed ora, qual è il tuo voto in merito alla questione in esame, Lord Derry? — chiese Kelson. — Morgan è colpevole o innocente? Derry lanciò uno sguardo trionfante a Morgan, poi si rivolse a Kelson, e rispose con voce calma e salda. — Lord Alaric è innocente, Maestà. — Innocente — ripeté il ragazzo, assaporando la parola, — il che ci porta a sei voti contro sei... un altro pareggio. — Guardò sua madre, che non si era ancora mossa dalla posizione raggomitolata assunta sulla sedia. —
Dichiaro quindi in questa sede che Lord Alaric Anthony Morgan, Duca di Corwyn e Lord Generale degli Eserciti Reali è innocente delle accuse mosse contro di lui. Se in seguito qualcuno vorrà riaprire la questione, presentando prove concrete contro di lui, riprenderò in esame il caso, ma nel frattempo il Consiglio è aggiornato. Pronunciate quelle parole, si sfilò dalla cintura la daga di Morgan e tagliò le corde del generale, quindi gli restituì la spada, s'inchinò allo stupefatto Consiglio ed uscì dalla sala, seguito da presso da Morgan e da Derry. Il silenzio persistette fino a quando le porte non si furono richiuse alle spalle dei tre, poi discussioni e commenti scoppiarono fragorosi nella stanza. Non vi erano dubbi sull'assoluta legalità di quanto Kelson aveva fatto, ma era stato un gesto del tutto inatteso e, agli occhi dei nobili e dei Consiglieri, un'impresa degna di Brion nei suoi momenti di maggiore abilità ed astuzia. C'erano emozioni contraddittorie in merito alla positività o meno di questo aspetto, perché fra i presenti vi erano molti che non avevano gradito i metodi di governo di Brion. In Jehana non vi erano però ambivalenze di sorta. Per lei, quella che era iniziata come una vittoria sicura contro l'impetuoso Deryni, si era trasformata nelle macerie di una totale sconfitta e nel crollo di tutte le speranze che nutriva per Kelson. Le unghie della donna incisero piccole depressioni a mezzaluna nei palmi delle mani, mentre serrava ed apriva i pugni in preda allo sgomento. Morgan era libero. E, cosa ancora peggiore, Kelson si era presentato davanti al Consiglio e l'aveva sfidata... non con minacce infantili e con capricci impotenti, ma con le azioni decise di un adulto, e questo era qualcosa a cui non era preparata e che forse la turbava anche più della libertà di Morgan. Se soltanto Kelson avesse mostrato qualche indecisione, qualche traccia di dubbio nei confronti dell'orgoglioso Deryni che difendeva con tanto entusiasmo, lei avrebbe avuto una possibilità di tirarlo dalla sua parte, ma adesso il ragazzo era re di fatto oltre che di nome... uno sviluppo che Jehana non aveva preso in considerazione... come poteva sottrarlo alla malvagia influenza di Morgan? Dall'altra parte della stanza, Ian stava osservando la confusione con interesse. Era difficile trarre qualche conclusione concreta dal caos che Kelson si era lasciato alle spalle con la sua tempestosa uscita, ma Ian aveva la netta impressione che il giovane aveva guadagnato dei punti nella stima di parecchi fra i nobili che in precedenza si erano opposti a lui. Perfino i com-
menti indignati di Rogier e di Bran Coris erano uniti a una notevole porzione di rispetto, il che non andava bene. Anche se era stato costretto a concedere la vittoria di questa particolare battaglia al principe ed all'orgoglioso mezzosangue deryni, Ian non aveva intenzione di perdere la guerra. In effetti, non si era aspettato di vincere questo scontro, ed aveva sospettato che Morgan avesse un piano fin da quando il generale era entrato nella stanza, sotto custodia. Era quasi sicuro che l'atto di Kelson era stato un'improvvisazione, perché di certo neppure quel precoce re-ragazzo poteva aver previsto di trovare già pronta una scappatoia legale che permettesse a Morgan di andarsene quale uomo libero. Si, non c'erano dubbi; Kelson non aveva agito in maniera premeditata, e questo richiedeva una sorveglianza più intensa, perché sarebbe stato un errore sottovalutare il figlio di Brion, anche a partita così avanzata. E nel frattempo c'era molto da fare. Ora che Morgan era di nuovo libero, non sarebbe stato male continuare ad infangare il suo nome già infame... un'attività che a Ian piaceva parecchio. E Charissa doveva essere informata di quanto era accaduto quel pomeriggio. Preso congedo da Bran Coris e da Rogier, Ian sgusciò fuori dalla rumorosa Sala del Consiglio e si diresse verso gli alloggiamenti delle guardie, nel cortile del palazzo: c'era parecchio lavoro che lo attendeva, e ritardare non aveva senso. Morgan batté le mani per l'entusiasmo, mentre attraversava in fretta con Kelson e Derry il cortile interno, diretto agli appartamenti reali. — Kelson, sei stato magnifico! — dichiarò, circondando le spalle del ragazzo con un braccio, in un gesto affettuoso. — Il tuo comportamento è stato degno di quello di Brion, nei suoi momenti migliori. Credo che tu abbia colto di sorpresa perfino me. — Davvero? — chiese il ragazzo, deliziato. Aveva sulla faccia un sorriso che andava da un orecchio all'altro, mentre guardava indietro per controllare se erano seguiti, e dovette correre per qualche passo, per raggiungere gli altri. Parecchie guardie li stavano osservando con curiosità, ma nessuna sembrava procedere nella loro stessa direzione. — Non so come ti sentissi tu — proseguì il giovane, — ma io sono stato attanagliato dal terrore per tutto il tempo, ed ho quasi avuto un colpo quando il campanile ha suonato le quattro e non le tre. — Sii lieto che non sia accaduto il contrario — sbuffò Morgan. — Pensa alla figura da stupido che avresti fatto se avesse invece suonato le due. — Ci ho pensato. — Kelson levò gli occhi al cielo.
— Un'altra cosa — aggiunse Morgan. — Non per criticare la nuova nomina di Derry, ma dopo aver dichiarato di aver raggiunto l'età legale, non c'era più bisogno che seguissi tutta quella trafila della nomina di un nuovo Consigliere e della numerazione dei voti. Avresti potuto semplicemente imporre il tuo giudizio. — Lo so — replicò Kelson, — ma così hanno salvato la faccia almeno in parte, non ti pare? Voglio dire, per lo meno non possono sostenere che ho imposto una decisione arbitraria. Ci siamo mantenuti nei legittimi canali legislativi. — Una mossa prudente — convenne Morgan. — E tutto considerato, mi pare che ci sia stata un'eccitazione tale da soddisfare perfino i miei gusti. Vivere pericolosamente è una bella cosa, ma... — Se vuoi il mio parere — intervenne Derry, — io avrei volentieri fatto a meno di tanta eccitazione, milord. Sarei stato ben lieto di sapere fin dall'inizio che tutto si sarebbe risolto per il meglio. Kelson scoppiò a ridere mentre iniziava a salire le scale che portavano ai suoi appartamenti. — Temo di essere d'accordo con Derry. Non ero certo al massimo della sicurezza. — Lanciò un'occhiata in tralice a Morgan. — A proposito, non credi che dovremmo avvertire Padre Duncan? Gli hai promesso di informarlo di quanto sarebbe accaduto. — Infatti — annuì Morgan. — Derry, ti dispiacerebbe andare a Saint Hilary e spiegare a Duncan cosa è successo? Digli che stiamo bene e che cercheremo di trascorrere il resto del pomeriggio dormendo un poco. — Sì, mio signore — rispose Derry. — Devo tornare qui, a cose fatte? — Sì — annuì Morgan, — ma prima riposa un po' anche tu. Se non ti dispiace, stanotte vorrei che tu comandassi le guardie poste davanti alle stanze di Kelson. So che posso fidarmi di te. — Sento ed obbedisco, milord — replicò Derry, con un sogghigno. — E tu cerca di rimanere in vita fino a quando tornerò per proteggerti. Morgan poté soltanto sorridere e scuotere il capo, mentre il giovane nobile si allontanava. Ian aveva quasi raggiunto la sua meta, nelle profondità del palazzo. Aveva sceso parecchie rampe di scale, attraversato un'ampia area sotterranea usata come centro di addestramento nell'uso della spada, percorso il corridoio che rasentava l'armeria ed i magazzini, e continuava a procedere con il suo passo felino e silenzioso sui lastroni di pietra fredda, mentre i suoi
occhi ardevano di una luce pericolosa a mano a mano che oltrepassava un posto di guardia dopo l'altro, senza mai venire bloccato. Ian era conosciuto, laggiù. Si arrestò finalmente prima dell'intersezione con un altro passaggio secondario, ed appoggiò la mano sul pomo della spada per evitare che l'arma tintinnasse, avanzando quindi con cautela fino a sbirciare oltre l'angolo. Bene, la guardia era là, come lui aveva sperato. Sorridendo fra sé, superò la svolta e si accostò all'uomo, che non lo vide se non quando se lo trovò accanto, a meno di sessanta centimetri di distanza. Il soldato sussultò. — Milord! C'è qualcosa che non va? — No, naturalmente no — rispose Ian, inarcando un sottile sopracciglio in un'espressione di finta innocenza. — Dovrebbe essere il contrario? La guardia si rilassò un poco e sorrise. — No, milord — replicò, un po' contrito. — È solo che mi hai spaventato. Di solito, la gente non scende quaggiù, se non succede qualcosa di serio. — Suppongo che sia così. — Ian ricambiò il sorriso e sollevò la destra, protendendo l'indice davanti agli occhi dell'uomo. — Come ti chiami, guardia? Gli occhi del soldato seguirono involontariamente il movimento del dito, e l'uomo balbettò. — Michael DeForest, milord. — Michael DeForest — annuì Ian, accostando maggiormente il dito alla faccia del soldato. — Vedi questo dito, Michael? — S... sì, milord — balbettò la guardia, ed i suoi occhi seguirono le mosse del dito, incapaci di infrangere la concentrazione. — Milord, io... cosa stai facendo? — Pensa solo a seguire il mio dito, Michael — mormorò il nobile, con voce bassa e leggermente minacciosa nel silenzio, — e così-tiaddormenterai. Nel pronunciare l'ultima parola, appoggiò l'indice contro la fronte dell'uomo, fra gli occhi, che tremolarono e si chiusero. Una frase borbottata a bassa voce accentuò lo stato di trance, poi Ian allungò la mano con calma e prese la lancia della guardia, appoggiandola al muro. Dopo essersi guardato intorno per accertarsi che nel frattempo non fosse sopraggiunto nessuno, costrinse l'uomo ad indietreggiare di qualche passo, in modo da puntellarsi a sua volta contro la parete; quindi appoggiò le pun-
te delle dita contro le tempie del soldato e chiuse gli occhi. A poco a poco, un pallido alone azzurro prese a crepitare intorno a Ian, estendendosi dalla testa fino a comprendere il corpo, le gambe, le braccia e le mani, e procedendo poi ad avviluppare la testa della guardia. Quando la rete di luce crepitante lo toccò, l'uomo rabbrividì, come in un ultimo sforzo per liberarsi dall'empio legame che si stava costituendo, ma si rilassò non appena l'alone avvolse anche il resto del suo corpo. Nel momento in cui entrambi furono circondati dal fuoco azzurro, Ian parlò. — Charissa? Dapprima non si udì altro suono tranne il respiro dei due uomini: quello lieve e controllato di Ian e quello rapido e affannoso della guardia. Poi le labbra dell'uomo cominciarono a tremare. — Charissa, mi senti? — Ti sento — sussurrò la voce del soldato. Ian sorrise e parlò ancora, in tono basso e tranquillo, tenendo sempre gli occhi chiusi. — Bene. Temo di avere qualche notizia deludente, amor mio. La nostra mossa con il Consiglio è fallita, come previsto. Kelson ha dichiarato di aver raggiunto legalmente la maggiore età, ha nominato un nuovo membro per sostituire Ralson e poi ha infranto il pareggio così ottenuto ricorrendo alle prerogative regie. Non ho potuto fare nulla, e sono certo che hai saputo del fallimento dello stenrect. — L'ho sentito morire — replicò la voce dell'uomo. — Cosa sta facendo ora Morgan? Ian atteggiò le labbra ad una smorfia malinconica. — Non ho dati certi. Lui e Kelson sono andati a trascorrere la notte negli appartamenti del ragazzo. A quanto pare, il nostro giovane principe non vuole correre il rischio che al suo campione accada qualche altra cosa, ma per evitare che ci giochino nuovi tiri, ho progettato una tattica che dovrebbe occupare parte del loro tempo prezioso e delle loro energie fra adesso e domattina. Sei d'accordo? — Molto bene — sussurrò la guardia. — Non mi chiedi neppure cosa intendo fare? — insistette Ian. Per la prima volta, la voce dell'uomo tradì una traccia di emozione, quando Charissa rispose. — Ti piacerebbe, vero? — C'era una nota di sarcasmo nella domanda. — Indubbiamente, si tratta di un'altra occasione per vantarti della tua astuzia. — Seguì una pausa. — Non importa. Se hai del lavoro da svolgere, sa-
rà meglio interrompere questa comunicazione, prima che tu ti stanchi e che il soggetto si esaurisca definitivamente. Non può sostenere a lungo una cosa del genere, lo sai. Ian sorrise ancora una volta. — Come desideri, piccola mia — rispose, calmo, — anche se non credo che la tua preoccupazione sarà di qualche aiuto al nostro medium, visto che ho in serbo qualcosa di speciale per lui. Buona caccia, Charissa. — Anche a te — rispose la voce. In quel momento, la luce che circondava Ian e la guardia si spense, ed il nobile lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, scuotendo leggermente la testa nell'aprire gli occhi. Quando la lasciò andare, la guardia si accasciò un poco contro il muro, ma non riuscì ad aprire gli occhi, essendo sempre sotto il controllo di Ian. Questi si guardò intorno ancora una volta, poi prese l'uomo per mano e lo guidò di nuovo al suo posto. — Milord, io... — borbottò il soldato, scrollando la testa nel tentativo di snebbiarla. — Cosa è successo? Cosa stai... — Non ha importanza, Michael — rispose Ian, chinandosi e sfilando una daga dallo stivale. — Non sentirai nulla. Nel notare il bagliore dell'acciaio, l'uomo fece appello alle poche forze che gli rimanevano e lottò debolmente per liberarsi dalla stretta del nobile, ma invano. Intorpidito, rimase dove Ian lo aveva collocato, guardando impotente la lama che si avvicinava. Con clinico distacco, Ian aprì il giubbotto di cuoio, rinforzato da maglia di ferro, che l'uomo indossava ed appoggiò la daga contro il torace, un po' sulla sinistra, conficcandola quindi con una spinta violenta che la fece sgusciare fra due costole, trapassando il cuore. Mentre Ian ritirava l'arma, gli occhi dell'uomo divennero vitrei, e lui si accasciò a terra con un gemito soffocato; il sangue fiottava dalla ferita, scorrendo lungo il fianco e formando una polla accanto a lui. Il cuore continuava però a battere, ed i polmoni torturati pompavano aria che prolungava l'agonia. Accigliandosi, il lord si accoccolò accanto al moribondo. Non era stato un colpo preciso... un errore che Morgan non avrebbe mai commesso. E adesso, il che era anche peggio, avrebbe dovuto finire l'uomo steso a terra. Contemplò la vittima mordicchiandosi pensosamente un labbro, poi introdusse di nuovo, in fretta, la lama nella ferita originale ed impresse una torsione decisa. Questa volta, quando ritrasse la daga, il cuore cessò di bat-
tere ed i polmoni di respirare. La guardia era morta. Con un grugnito di soddisfazione, Ian pulì la daga sul mantello del soldato, poi girò il cadavere su un fianco, badando a non smuovere la polla di sangue, sempre più larga. Prese quindi la mano del morto, intinse le dita nel sangue e tracciò un rozzo disegno sulla parete di pietra, accanto alla testa della sua vittima... i contorni di un grifone. Si alzò in piedi, osservò il suo operato ed annuì con approvazione, riponendo la daga nello stivale e controllandosi gli abiti per rilevare eventuali tracce che potessero tradirlo. Appoggiò infine la lancia del morto accanto al cadavere, contemplò la scena un'ultima volta e si girò per andarsene. Ora, se qualcuno dei vassalli di Morgan avesse per caso scoperto quell'omicidio, a notte inoltrata, Ian non aveva dubbi su quella che sarebbe stata la reazione. Un assassinio a sangue freddo, aggiunto a tutte le accuse che già erano state mosse contro il generale deryni, avrebbe dovuto essere la goccia in eccesso che avrebbe indotto quegli uomini a ribellarsi contro il loro signore. E Ian si sarebbe accertato che fossero gli uomini giusti a trovare il cadavere. E se anche Kelson fosse morto nella mischia che ne sarebbe derivata? Ian scrollò le spalle con soddisfazione. Sarebbe stato proprio un vero peccato. CAPITOLO SESTO E UNA VOCE PARLERÀ DALLA LEGGENDA Mentre le campane del vespro finivano di rintoccare, in lontananza, Morgan si svegliò con un sussulto, immediatamente consapevole del luogo e dell'ora... molto più tarda di quella in cui aveva progettato di svegliarsi... e del fatto di avere freddo. Il fuoco davanti a cui sedeva si era consumato fino a ridursi ad un mucchio di braci, ed un'occhiata verso sinistra fu sufficiente a confermare il sospetto che le porte della balconata fossero aperte e che si stesse approssimando una tempesta. Non c'era da meravigliarsi che la stanza fosse gelida. Con un sommesso brontolio, si sollevò dalla poltrona imbottita su cui aveva dormito durante le ultime tre ore e raggiunse barcollando il balcone. Fuori regnava una quiete profonda, e l'oscurità era troppo intensa per quell'ora della sera, mentre l'aria, pesante ed opprimente, era satura dell'elettricità della tempesta imminente. Di certo avrebbe piovuto, e forse anche ne-
vicato, prima di mezzanotte... il che era proprio quello che ci si poteva aspettare in una nottata in cui si avevano così tante cose da fare. Stancamente, Morgan accostò le vetrate ed indugiò un momento con le mani sul chiavistello, appoggiando la fronte al battente e chiudendo gli occhi. Era così stanco... Dio! Quanto era stanco! Lo sfinimento provocato da una settimana di viaggio senza soste e dalla tensione di quel pomeriggio non era stato quasi intaccato dalle poche ore di sonno che si era concesso. E c'era ancora tanto da fare, in così poco tempo. In quel momento, per esempio, lui avrebbe dovuto già essere al piano di sotto, nella biblioteca di Brion, alla ricerca di qualche indizio che potesse rendere un po' meno difficile il compito di quella notte. Non che si aspettasse davvero di trovare qualcosa. Brion era stato troppo cauto per aver lasciato qualcosa d'importante dove chiunque poteva trovarlo, ma forse ci sarebbe stato qualche segno rivelatore, e lui doveva controllare. Ma anzitutto, doveva provvedere alla sicurezza di Kelson mentre lui sarebbe stato assente. Raddrizzandosi con uno sforzo, fissò per un momento le porte chiuse che aveva dinnanzi, come concentrando le proprie forze, poi si passò la sinistra sugli occhi, allontanando la stanchezza con uno sforzo della volontà. Ci riuscì, come al solito, ma si rese conto che non poteva continuare così a tempo indefinito: presto o tardi, avrebbe dovuto dormire un poco, altrimenti non sarebbe stato d'aiuto a nessuno. Magari stanotte, quando avessero finito. Tirò le pesanti tende azzurre in modo da coprire la portafinestra, poi si avvicinò con passo deciso al focolare e vi aggiunse altra legna. Qualche minuto più tardi, quando ormai le fiamme avevano ripreso vigore, scrutò la stanza debolmente illuminata dal fuoco e vide quello che stava cercando. Contro il muro, vicino alla porta, c'erano le sacche nere della sua sella, che Derry aveva portato su dopo la riunione del Consiglio. Le trascinò accanto al fuoco e si affrettò ad aprire la fibbia di quella più leggera, sentendo sotto le dita le volute intricate del cuoio finemente lavorato. Ora, se Derry li aveva rimessi dove li aveva trovati... non riusciva a convincere il giovane lord che i cubi non erano soltanto uno strano tipo di dadi. Ah! Una breve ispezione del fondo della sacca fu sufficiente ad individuare la forma familiare della scatoletta di cuoio rosso, che emise un suono ras-
sicurante, segnalando che il contenuto era ancora al suo posto. Senza degnarla di una seconda occhiata, Morgan lasciò cadere la scatoletta su una sedia e si accostò al guardaroba di Kelson, alla ricerca di qualche indumento che gli si adattasse, perché aveva ancora freddo e, se era costretto ad andare in giro per il palazzo con quella temperatura, era deciso a farlo senza soffrire. Finalmente, trovò una tunica di lana azzurra con il collo e le maniche orlati di pelliccia che sembrava della sua misura, l'indossò e tornò accanto al fuoco. Le maniche arrivavano a metà avambraccio e la tunica gli scendeva solo fino alle ginocchia, ma decise che sarebbe stata sufficiente a riscaldarlo. Prelevò dalla mensola del camino un candelabro con una grossa candela gialla, l'accese accostandola alle fiamme, raccolse la scatoletta rossa e si avvicinò al letto di Kelson. Il ragazzo dormiva ancora profondamente, steso in diagonale sull'ampio giaciglio, prono e con la faccia annidata nella piega del braccio sinistro. Ai piedi del letto vi erano alcune coperte di riserva, e Morgan ne sfilò delicatamente una da sotto le gambe del giovane, poi depose per terra la candela e la scatola, distese la coperta e la drappeggiò sulla sagoma addormentata. S'inginocchiò quindi accanto al letto ed aprì la scatoletta di cuoio rosso, spargendone il contenuto sullo scendiletto. I cubi erano otto in tutto... definiti «custodi» nella terminologia della magia... quattro bianchi e quattro neri, ciascuno non più grande della punta del suo mignolo. Li dispose abilmente nella giusta sequenza: i quattro bianchi in un quadrato, al centro, poi uno nero in ciascuno dei quattro angoli, in modo che non urtasse gli altri. Cominciò quindi a toccarli uno alla volta, a partire da quello bianco posto nell'angolo superiore sinistro, mormorando al tempo stesso le parole che ne stabilivano la posizione difensiva, nel sistema di guardia superiore che stava istituendo. — Prime. — Il primo cubo prese a brillare sommessamente. — Seconde. — Sfiorò il cubo in alto a destra, che s'accese a sua volta di una lattea luminosità. — Tierce. Quarte. — Anche gli ultimi due cubi bianchi s'illuminarono, formando un quadrato candido che splendeva di uno spettrale bagliore. Ora toccava a quelli neri. — Quinte. Sixte. Septime. Octave. — I cubi neri emisero un chiarore fra il verde ed il nero. Ora veniva la fase più difficile: congiungere il nero ed il bianco in modo
da completare la guardia superiore che, una volta attivata intorno al dormiente Kelson, avrebbe protetto il ragazzo da qualsiasi male. Morgan asciugò il palmo delle mani sul tappetino, ai lati della struttura bianca e nera, poi raccolse il cubo che aveva definito «prime» e lo accostò con cautela al «quinte», l'elemento nero corrispondente. — Primus! Si udì uno scatto soffocato ed i due cubi si fusero in una sola unità oblunga che splendeva argentea alla luce della candela. Morgan si umettò nervosamente le labbra e accostò «seconde» a «sixte». — Secundus! Un altro scatto, seguito dalla luminosità argentea. Inalò ed esalò il fiato con lentezza, chiamando a raccolta le forze per la sequenza successiva. La procedura stava esaurendo gran parte delle sue riserve di potere, già ridotte, ma doveva assolutamente portarla a termine se voleva andare a frugare nella biblioteca, perché non poteva lasciare Kelson senza protezione. Raccolse «tierce» e lo unì a «septime». — Tertius! Quando anche la terza coppia prese a brillare, il principe si mosse, poi aprì gli occhi con un sussulto. — Cosa... Morgan, che stai facendo? Si sollevò sui gomiti e si protese verso i cubi, fissando poi lo sguardo sul nobile deryni. Questi inarcò un sopracciglio con aria sorpresa, poi appoggiò il mento su una mano, con rassegnazione. — Credevo che stessi dormendo — dichiarò, in tono di accusa. Per un momento, Kelson sbatté le palpebre, stupito e non ancora del tutto sveglio, poi allungò con esitazione le dita verso i cubi rimasti. — Non toccare! — gli intimò Morgan, bloccando il gesto di Kelson con il braccio teso. — Limitati a guardare. Traendo un profondo respiro, congiunse con delicatezza i due cubi rimasti. — Quartus! Collocò quindi l'unità così ricavata accanto alle altre e sospirò. — Ora — disse, riprendendo a guardare Kelson, — come mai sei sveglio? Il ragazzo rotolò su se stesso e si sollevò a sedere. — Ti ho sentito borbottare in latino accanto al mio orecchio. Cosa sono questi aggeggi, a proposito? — Osservò con sospetto le quattro forme lu-
minose ed oblunghe. — Sono i componenti della Guardia Superiore — spiegò Morgan, alzandosi in piedi. — Devo allontanarmi per un po' e non volevo lasciarti senza protezione. Una volta attivati i custodi, soltanto io posso penetrare la guardia, e quindi non correrai nessun rischio. Si chinò, raccolse le unità e si protese sul letto per sistemarne una a ciascun angolo. — Aspetta un momento — protestò Kelson, spostandosi verso l'orlo del giaciglio. — Cosa stai facendo? Io vengo con te. — Non farai niente del genere — dichiarò Morgan, spingendo il ragazzo contro il cuscino. — Tu ti rimetterai a dormire ed io scenderò nella biblioteca di tuo padre, in cerca d'indizi. Credimi, se fosse possibile, anch'io dormirei ancora, e tutto il riposo che sarai riuscito a concederti prima che questa notte sia finita ti tornerà utile. — Ma potrei aiutarti — protestò debolmente Kelson, quasi sorpreso di trovarsi di nuovo sdraiato. — E poi, adesso non potrei più riaddormentarmi. — Oh, a questo si può provvedere — sorrise Morgan, appoggiando con delicatezza una mano sulla fronte del ragazzo. — Ora rilassati, Kelson. Rilassati e sogna, dimentica i pericoli, dimentica i timori. Rilassati. Dormi. Sogna tempi migliori. Dormi di un sonno profondo, mio principe. Dormi tranquillo. Mentre il generale parlava, le palpebre del giovane tremolarono, poi si chiusero ed il suo respiro rallentò fino a diventare quello di un sonno profondo. Morgan sorrise ancora, accarezzando gli arruffati capelli neri, poi si sollevò e puntò il dito contro ciascun custode, in rapida successione. — Primus, secundus, tertius, quartus, fiat lux! Immediatamente, i custodi acquisirono nuova vita ed emisero una luce che avvolse Kelson in un bozzolo. Morgan annuì, soddisfatto, poi si voltò verso la porta. Era il momento di cercare qualche informazione utile... In biblioteca, mezz'ora più tardi, Morgan non aveva ancora trovato nulla. Aveva vagliato praticamente ogni libro della collezione privata di Brion e gran parte dei riferimenti generali, ma inutilmente. Se soltanto avesse scovato un indizio, un passaggio significativo sottolineato, qualche appunto stilato da Brion durante la stesura della formula del rituale, qualche suggerimento sul modo in cui affrontare il problema. Natu-
ralmente, sarebbero anche potuti riuscire nel loro intento senza aiuti, ma gli seccava di non avere la certezza del cento per cento su una questione di tale importanza. Il rituale contenuto nei versi, infatti, doveva funzionare, altrimenti Kelson era condannato, e Morgan e Duncan con lui. E non era neppure possibile che uno dei due ibridi deryni affrontasse la lotta al posto del ragazzo: la pratica dell'occulto non lo avrebbe permesso. Se avesse potuto ricordare qualcosa di più su quelle che erano le letture abituali di Brion, questo avrebbe potuto suggerirgli dove guardare. Era sicuro che da qualche parte doveva esserci un collegamento, che Brion doveva aver lasciato qualcosa, anche soltanto per rassicurare l'amico che certo sarebbe venuto a cercare un simile appiglio. Forse il suggerimento era racchiuso nei versi stessi. Stancamente, sedette alla scrivania di Brion e si puntellò sui gomiti. In qualche modo, doveva trovare quell'indizio... sapeva che esso esisteva. Mentre il suo sguardo scorreva ancora una volta nella stanza, il sigillo con il grifone, che portava all'indice sinistro, attrasse la sua attenzione. Una volta, aveva letto di un nobile deryni che si serviva di un anello del genere come di un punto focale per concentrarsi... si trattava della cosiddetta tecnica di Thuryn, che prendeva il nome da Rhys Thuryn, colui che per primo l'aveva inserita nell'arsenale di difesa di ogni Deryni. Morgan l'aveva già impiegata in parecchie occasioni, anche se mai per una cosa del genere. Comunque, aveva sempre funzionato bene, e forse avrebbe funzionato ancora. Focalizzando tutta la propria attenzione sull'anello, Morgan cominciò a concentrarsi, obbligando la mente ad accantonare tutte le preoccupazioni esterne ed a rilassarsi, ad escludere i rumori superflui, le immagini, le sensazioni. Gli occhi gli si chiusero a poco a poco, il respiro divenne più lento e quasi inesistente, le dita tese si rilassarono. Mentre si concentrava per sgombrare la mente, Morgan permise all'immagine di Brion di acquisire consistenza nei suoi pensieri; cercò d'inserirsi in quell'immagine e d'intuire cosa essa contenesse in merito a ciò che lui stava cercando. Di colpo, l'immagine di Brion scomparve e fu sostituita da un'oscurità vorticante, da un senso di vertigine, che cedette quindi il posto alla fugace apparizione di una faccia maschile, circondata da un cappuccio nero, sconosciuta eppure tormentosamente familiare, che trasmetteva al tempo stesso un senso di urgenza e di sicurezza... poi il momento passò, e non ci fu
più altro che un giovane uomo stupefatto che sedeva, un po' stupidamente, ad una scrivania, tenendo gli occhi chiusi. Morgan sollevò le palpebre di scatto e si guardò intorno, ma nella biblioteca non c'era nessuno. Khadasa! L'immagine era parsa reale, finché era durata, e lui non aveva mai ottenuto in precedenza un simile effetto, usando la tecnica di Thuryn. Quanto a quel viso sconosciuto, non riusciva a rammentare di averlo mai visto prima, e questo escludeva l'impiego di quel metodo, almeno per oggi. Distrattamente, si accostò allo scaffale che conteneva la collezione personale dei libri preferiti di Brion, e ne prese uno a caso. — Le Vite dei Santi, di Talbot — lesse, a mezza voce. Sfogliò senza interesse le pagine consunte fino a quando il volume si aprì di colpo in un punto contrassegnato da un pezzetto di pergamena. Sul foglio vi era qualcosa scritto con la calligrafia di Brion, ma questo fu completamente messo in ombra dall'impatto provocato dalla pagina che esso indicava, perché sulla sinistra, a colori, vi era un ritratto del viso che Morgan aveva visto poco prima. Con apprensione, si chinò per leggere il nome scritto sotto il ritratto, socchiudendo gli occhi ed accostando il libro alla candela. — Saint Camber di Culdi, Patrono della Magia Deryni. Morgan abbassò il volume, lanciandosi alle spalle un'occhiata nervosa. Era impossibile, eppure... quella era la faccia che gli era apparsa durante lo stato di trance, non c'erano dubbi in proposito. Assurdo. Lui non credeva nei santi... o, per lo meno, pensava di non crederci. Dopo tutto, Camber era morto da quasi duecento anni, e la sua santità era stata revocata. Ma cosa gli aveva fatto venire in mente Camber proprio in quel momento? Possibile che Brion avesse detto qualcosa circa il santo rinnegato, che gli era penetrato nella memoria, rimanendovi inciso, latente, per tutti quegli anni, per poi essere ridestato al momento giusto da una sequenza di eventi come questa? Domanda: cosa sapeva effettivamente sul conto di Saint Camber di Culdi? Risposta: poco, perché non erano state informazioni utili o necessarie, fino ad ora. Con irritazione, rendendosi conto che avrebbe dovuto rammentare qualcosa di più, Morgan raccolse il libro e si accostò ancora alla luce della candela, mettendo distrattamente in tasca il pezzo di pergamena, e lesse: «Saint Camber di Culdi, 846-905 (?). Leggendario Conte di Culdi, nobi-
le deryni purosangue, che visse durante l'Interregno Deryni. Verso la fine dell'Interregno, Camber scoprì che, in certe condizioni controllate ed in individui selezionati, il potere dei Deryni poteva essere acquisito dagli umani in misura completa. Fu lui ad aiutare gli eredi degli antichi governanti umani nell'acquisizione di tale potere, ed in seguito a guidare la rivolta che pose definitivamente fine all'Interregno Deryni.» Morgan girò la pagina con impazienza, perché quelle erano informazioni che già conosceva, in quanto nozioni apprese da tutti mediante lo studio della storia. Ciò che gli serviva, erano fatti relativi alla santità di Camber, o qualcosa che potesse spiegare quello che gli era accaduto poco prima. Continuò la lettura. «In quei giorni, vi era una maggiore tolleranza nei confronti delle arti occulte. Per gratitudine, considerato quello che Camber aveva fatto per la razza umana, il Concilio dei Vescovi lo proclamò santo, ma questo non sarebbe durato a lungo. Circa quindici anni più tardi, ebbe inizio una sanguinosa persecuzione nei confronti di tutto ciò che era deryni, cose e persone, e poco più tardi il nome di Camber di Culdi venne escluso dall'elenco dei santi. Nel corso del Concilio di Ramos, parecchi editti del precedente Concilio furono annullati, e fra essi quello relativo alla santità di Culdi. Camber era stato onorato come patrono delle arti occulte e difensore dell'umanità ma, nel ripudiarlo, il Concilio di Ramos dichiarò che la pratica di tutte le arti occulte era un anatema ed il nome di Camber divenne il simbolo del male personificato. Ogni atrocità commessa dai nobili deryni che avevano governato durante l'Interregno fu attribuita al santo decaduto, e la gente cessò di pronunciare il suo nome, se non per maledirlo. Alcune fra le controversie sorte in merito alla reputazione di Camber si sono estinte con il trascorrere del tempo, perché è difficile tenere in piedi una menzogna per duecento anni, ma persistono voci che alimentano la fiamma dell'odio, come le dicerie secondo cui Camber, che si suppone deceduto nel 905, non sarebbe mai morto e si sarebbe invece nascosto, in attesa dell'occasione per ricomparire e praticare la sua magia. Si ignora se vi sia del vero in quest'affermazione, ed è difficile che la verità possa essere appurata nel prossimo futuro. È risaputo che esistono ancora alcuni nobili deryni e che la magia, per quanto dichiarata illegale, viene da essi ancora praticata, ma è molto improbabile che fra essi vi sia anche Camber... non è infatti immaginabile che perfino un Deryni possa essere ancora attivo dopo
duecento anni. Le voci, tuttavia, persistono, ed i pochi Deryni ancora vivi che potrebbero conoscere la verità sul conto di Camber di Culdi mantengono un rigoroso silenzio.» Quando ebbe terminato di leggere il brano, Morgan girò la pagina per guardare di nuovo il ritratto. Camber di Culdi. Stupefacente. Era certo di non aver mai visto prima quell'immagine e di non aver mai letto quella breve biografia del santo, altrimenti l'avrebbe ricordata, perché in precedenza non si era mai imbattuto in un resoconto così dettagliato. Ma cosa aveva in effetti appreso? E in che modo il brano si applicava al suo dilemma? È perché la faccia del ritratto gli appariva così tormentosamente familiare, anche se era certo di non averla mai vista prima? Nel richiudere il volume, udì il rumore della porta della biblioteca che si apriva sommessamente alle sue spalle; si voltò con cautela e intravide qualcuno, vestito di grigio, che dal corridoio esterno sgusciava nella stanza. Era una donna, e quando si girò verso il battente, per accostarlo alle proprie spalle, Morgan si accorse che si trattava di... Charissa! Con un sorriso compiacente, si appoggiò allo schienale della sedia per vedere quanto tempo lei avrebbe impiegato a scoprire la sua presenza, osservandola mentre si guardava intorno e notava il bagliore della candela che rischiarava un angolo dell'ambiente. — Buona sera, Charissa — la salutò, senza alzarsi. — Stai cercando qualcuno o qualcosa? La donna sussultò, poi nascose la propria sorpresa ed aggirò con cautela l'angolo della libreria, per fronteggiare Morgan. Questi le rivolse un cenno di saluto quando lei entrò nell'alone luminoso della candela, ma Charissa non parve divertita. — Cosa ci fai qui? — domandò, con voce bassa e tesa. Morgan si alzò con noncuranza e si stiracchiò in maniera volutamente vistosa, soffocando uno sbadiglio. — Cercavo qualcosa da leggere, se proprio vuoi saperlo. Anche se dovrei essere stanco per le difficoltà che mi hai inflitto negli ultimi giorni, non riuscivo a prendere sonno. Non è strano? — Decisamente strano — convenne la maga, guardinga, avendo ormai superato l'incertezza iniziale. — Ma perché sospetti che io abbia qualcosa a che fare con la tua insonnia? Morgan sollevò una mano in un gesto di protesta.
— Oh, non con l'insonnia, mia cara, con la stanchezza. Mi sono fatto un quadro abbastanza preciso di quello che hai escogitato: hai raccontato storie spiacevoli, mettendo i lord del Consiglio contro di me, ed hai teso un'imboscata alla mia scorta, mentre venivo qui. Ho il sospetto che tu sia perfino la responsabile della morte di Brion, anche se per ora non posso provare nulla. — Fece un gesto di deprecazione. Charissa lo squadrò, socchiudendo gli occhi, nel tentativo di stabilire in che misura quelle parole fossero solo vanterie inutili. — Credo che incontrerai parecchie difficoltà nel raccogliere prove che sostengano le tue accuse, mio caro Morgan. E penso anche che, se chiederai un po' in giro, scoprirai che tutte le azioni che hai attribuito a me vengono considerate farina del tuo sacco. Il generale scrollò le spalle con indifferenza. — Quanto all'accusa che sarei colpevole della morte di Brion — prosegui Charissa, — è semplicemente assurda. Sanno tutti che è morto per un attacco cardiaco. — Io non lo so — replicò Morgan, deciso. — Non so niente del genere. So soltanto che ad un membro del seguito era stata donata una fiasca di vino, la mattina della caccia e che lui, stranamente, ha descritto l'autrice del dono come una dama molto bella con i capelli biondi. E soltanto Brion e Colin hanno bevuto da quella fiasca. — E allora? — ribatté Charissa. — Mi stai accusando di aver avvelenato Brion? Suvvia! Sai fare di meglio! — Infatti — convenne Morgan. — Ho anche scoperto che già da alcuni anni hai imparato a distillare quella droga che offusca il cervello, il merasha, che influenza solo coloro che hanno sangue o poteri deryni, come Brion. — Davvero, Morgan, stai tirando a indovinare. — Lo pensi proprio? Sapevi che Brion era vulnerabile sotto questo aspetto, e che, essendo mortale, non avrebbe individuato la presenza della droga nel suo sangue se non quando fosse stato troppo tardi. — Si eresse sulla persona, incombendo su di lei, alto e minaccioso. — Perché non lo hai sfidato in leale combattimento, Charissa? Avresti potuto vincere. Dopo tutto, lui era un mortale. — E rischiare i miei poteri e la mia reputazione, in un duello con un semplice umano? — Ma hai intenzione di affrontare un «semplice umano» domani, non è vero?
La donna fece un lento e pigro sorriso. — Sì, ma è una situazione diversa. Con Kelson, non posso perdere, perché è solo un ragazzo e non ha dimestichezza con il potere paterno. E tu non potrai aiutarlo, come hai fatto quindici anni fa con suo padre. — Non esserne troppo certa — ribatté Morgan. — C'è molto di Brion in lui e, al contrario di com'è stato per suo padre, ora io sono qui per controllare che tu non ricorra all'inganno. — Morgan, ma ti sembrano cose da dirsi? Credi che mi prenderei davvero un simile disturbo? Certo, ho dato un'occhiata al tuo prezioso principino, questa sera... — Ma questa volta è al sicuro da te — dichiarò Morgan, di colpo attento. — Stanotte, tutti i poteri dell'universo non avrebbero potuto infrangere le mie difese. — Probabilmente è vero — ammise Charissa. — Hai piazzato i custodi in maniera molto efficace, tanto che sono rimasta impressionata dalla tua abilità. Credevo che un mezzosangue deryni non fosse capace di sviluppare doti così elevate. Morgan si costrinse a controllare l'ira crescente. — Avere uno scopo aiuta immensamente, Charissa. Sono deciso ad impedirti di vincere, con questo Haldane. — Sembra quasi una sfida, mio piccolo Morgan — mormorò maliziosamente la maga, — e questo mi rincuora. — Abbassò lo sguardo sulle proprie unghie. — Bene, puoi contare su una battaglia piuttosto energica, domani... e magari perfino stasera. Ti avverto in anticipo: non avrò pietà né concederò tregua. — Socchiuse gli occhi. — Intendo farti pagare la morte di mio padre, e mi vendicherò distruggendo coloro che più ami, ad uno ad uno. E non c'è nulla, caro Morgan, assolutamente nulla che tu possa tentare per fermarmi. Il nobile deryni rimase in silenzio per un lungo momento, poi rivolse uno sguardo rovente alla bellissima e malvagia donna vestita di grigio. — Vedremo — sussurrò infine. — Vedremo. Mentre lui si dirigeva verso la porta, controllando guardingo ogni battito di ciglia dell'avversaria, ogni fruscio della sua gonna, Charissa sorrise languidamente. — Prendimi in parola, Morgan. Senza quartiere. E, stando così le cose, ti suggerisco di andare a dare un'occhiata al tuo principe. Fra poco potrebbe aver bisogno di te. Morgan aprì lentamente la porta ed uscì, senza distogliere lo sguardo
dalla terribile figura grigia. Quando infine il battente si fu richiuso alle sue spalle, Charissa si accostò alla sedia che lui aveva occupato e raccolse il libro che il generale stava leggendo, sfogliandone con distrazione le pagine. Le Vite dei Santi. Che interesse poteva avere Morgan per un libro del genere? Non le venne nessuna idea, e si accigliò. Era certa che Morgan stesse consultando quel volume per qualche motivo, ma quale? Quel libro non combaciava con gli altri elementi, non rientrava nella serie di azioni di Morgan che lei aveva previsto, e questo la preoccupava. Charissa non gradiva che le cose non andassero esattamente come voleva lei. CAPITOLO SETTIMO UN PORTAVOCE DELL'INFINITO DOVRÀ FARE DA GUIDA... Nell'avvicinarsi agli appartamenti di Kelson, Morgan avvertì una sfumatura di terrore. E se Charissa aveva mentito, se aveva invece trovato un modo per arrivare fino a Kelson oltrepassando i custodi? E se lo aveva ucciso? Quella notte, Derry comandava le guardie, e si accostò a Morgan quando il generale raggiunse la porta del principe. — Qualcosa non va, milord? — Non lo so ancora — rispose Morgan, segnalando ai due soldati di spostarsi. — Hai visto qualcuno, mentre non c'ero? — No, signore. Ho fatto bloccare tutta l'ala. — Osservò Morgan posare la mano sulla maniglia. — Vuoi che entri con te, milord? — Non è necessario — disse il generale, scuotendo il capo. Guardingo, socchiuse la porta tanto quanto era appena necessario per sgusciare all'interno, poi la richiuse gentilmente alle proprie spalle; vi si appoggiò contro con la schiena facendo scorrere il paletto e cercando al tempo stesso di sbirciare nella penombra, per accertarsi che Kelson fosse sano e salvo. Non avrebbe dovuto preoccuparsi: come aveva dichiarato, quella notte i suoi custodi erano impenetrabili per qualsiasi potere dell'universo, e quando si accostò al letto ne scorse il tenue bagliore che brillava ancora intorno
al suo giovane signore. E se si fosse concentrato, avrebbe potuto avvertire le sequenze del sonno tranquillo del ragazzo nella parte superficiale della propria sfera cosciente. Ma non lo fece, perché gli bastava sapere che il principe era sano e salvo. Stancamente, si lasciò cadere sulla comoda poltrona davanti al fuoco e spostò alcuni ceppi con un elaborato attizzatoio; quando la fiamma si fu stabilizzata, si alzò con grazia felina e si stiracchiò. Presto le campane avrebbero suonato per annunciare il Compieta, e lui e Kelson avrebbero dovuto compiere un breve tragitto. Non voleva essere costretto ad affrettarsi, perché la fretta portava alla distrazione e questo era un lusso che quella notte non si potevano concedere. Si sfilò la tunica di lana e la drappeggiò sulla poltrona, avvolgendosi quindi intorno alle spalle il solito, pesante mantello, la cui fibbia si chiuse con un soddisfacente scatto metallico mentre lui attraversava la stanza per inginocchiarsi accanto al letto di Kelson. La grossa candela gialla che aveva lasciato accesa proiettava ancora una luce tremolante sulla figura addormentata. Morgan si concesse di provare una fugace soddisfazione nel contemplare la sua Guardia Superiore, perché gli aveva reso un buon servigio. Non avrebbe più potuto usarla per parecchie settimane, perché i cubi si dovevano ricaricare, ma non importava, dato che aveva usufruito della sua protezione quando più gli serviva. L'indomani, infatti, non aveva intenzione di lasciare Kelson solo, neppure per un minuto, fino alla fine dell'incoronazione. Si alzò in piedi e protese le mani, con il palmo all'insù, sul principe dormiente, mormorando un controincantesimo e girando lentamente le mani nel concludere i versi. Contemporaneamente al suo gesto, il chiarore emesso dai cubi diminuì gradualmente e si spense, lasciando per terra solo otto strani dadi, quattro neri e quattro bianchi, disposti a coppie agli angoli del letto. Mentre Morgan si sporgeva per recuperarli, Kelson aprì gli occhi e si guardò intorno. — Devo essermi addormentato — dichiarò, puntellandosi su un gomito. — È ora? Il nobile deryni sorrise, riponendo i cubi nella scatoletta di cuoio. — Quasi — rispose, prendendo il candelabro e rimettendolo al suo posto, sulla mensola del camino. — Hai dormito bene? Kelson si mise a sedere e si massaggiò gli occhi, poi si alzò . e raggiunse Morgan vicino al fuoco.
— Suppongo di sì. Quel che è certo, però, è che vorrei sapere come ci sei riuscito. — Riuscito in che cosa, mio principe? — chiese distrattamente Morgan, sprofondando di nuovo nella poltrona, accanto alla fiamma. — A farmi addormentare, naturalmente — rispose il ragazzo. Si lasciò cadere sul tappeto antistante il camino e cominciò ad infilarsi gli stivali. — Volevo proprio venire con te, ma quando mi hai toccato la fronte non sono più riuscito a tenere gli occhi aperti. Il generale sorrise e si passò una mano fra i capelli dorati. — Eri molto stanco, mio principe — replicò, enigmatico. Kelson aveva finito di mettersi gli stivali, e stava ora frugando nel guardaroba alla ricerca di un mantello più caldo. Fuori faceva freddo, e Morgan sentiva il vento gelido fischiare contro le porte della balconata. Il ragazzo scovò un mantello carminio, munito di cappuccio e foderato di pelliccia, e lo indossò, affibbiandosi quindi alla vita la spada che Morgan gli porgeva; il generale si alzò ed infilò a sua volta la spada nel fodero consunto. — Sei pronto, mio principe? Il giovane annuì, e si avviò verso la porta. — Non da quella parte — avvertì Morgan, segnalando al ragazzo di tornare vicino al camino. Kelson assunse un'espressione perplessa, ma fece come gli veniva chiesto e rimase a guardare mentre il nobile deryni contava un certo numero di passi, a partire dal muro, sulla sinistra del camino, e tracciava poi nell'aria un disegno intricato con l'indice. Con un sussurro, un tratto di parete scivolò all'indietro, rivelando una scala buia che scendeva verso la fredda aria notturna. Kelson sgranò gli occhi, incredulo. — Com'è finito là, quel passaggio? — Immagino che qualcuno lo abbia costruito, mio principe — rispose Morgan, prendendo la candela dalla mensola ed incitando il ragazzo ad entrare. — Ignoravi davvero la sua esistenza? Protese la mano, mentre il giovane scuoteva il capo e lo seguiva nel condotto buio; alle loro spalle, il muro si richiuse senza rumore ed i loro passi soffocati echeggiarono debolmente sui gradini di pietra umida. Nello scendere la scala, Kelson si tenne molto vicino a Morgan, sbirciando con apprensione l'oscurità circostante: in quell'ambiente freddo, umido e sconosciuto, il minuscolo cerchio di luce della candela offriva un ben misero conforto. Non osò parlare fino a quando non ebbero raggiunto
un pianerottolo, e anche allora la sua voce risuonò soffocata. — Ci sono molti passaggi segreti come questo, Morgan? — chiese, mentre superavano una svolta e venivano a trovarsi davanti ad un muro. Là si fermarono, e Morgan porse la candela al principe. — In numero sufficiente a permetterti di andare quasi dappertutto, nel palazzo, senza che nessuno se ne accorga... a patto che tu sappia dove stai andando. Tienti pronto a spegnere il lume. Siamo in fondo al passaggio, e sbucheremo nella piazza, proprio di fronte alla basilica. Il Deryni premette una serratura incassata nella parete, ed un piccolo quadrato di pietra si aprì all'altezza degli occhi: Morgan sbirciò fuori per un momento, poi avvicinò di nuovo la mano alla serratura. — Va bene, spegni il lume e posalo alla tua destra. Kelson obbedì, e la galleria sprofondò nell'oscurità. Si udì poi un sommesso sussurro, ed il giovane sentì una fredda corrente d'aria che gli soffiava sul viso e un momento più tardi notò un quadrato di tenebra meno intensa, proprio davanti a sé. Morgan lo prese per un braccio e lo condusse oltre l'apertura, che si richiuse dietro di loro; si vennero a trovare in mezzo alla nebbiolina gelida che permeava l'aria notturna, e penetrava anche attraverso gli indumenti pesanti che i due indossavano. Kelson sollevò il cappuccio e si raggomitolò nell'ombra, aspettando, insieme con Morgan. Il cortile era quasi deserto, ormai, e la massiccia mole della basilica incombeva scura nel cielo notturno, mentre in lontananza si potevano udire le campane della cattedrale che scandivano il Compieta, l'ultima ora canonica. Alcuni ritardatari uscivano dal rettangolo più chiaro formato dalle porte della basilica, ed alcuni soldati attraversavano qua e là la piazza in gruppetti di due o tre, talvolta muniti di torce che sfrigolavano nella nebbia, ma più spesso con passo affrettato, ansiosi di raggiungere la loro meta e di sottrarsi al freddo e all'umidità. I due attesero nell'ombra per circa cinque minuti, finché il cortile rimase deserto, poi Morgan prese Kelson per un braccio e lo guidò lungo il perimetro della piazza, fino al portico. Là ci fu un'altra attesa, che a Kelson parve interminabile, prima che si decidessero ad oltrepassare, senza dare nell'occhio, una delle porte laterali, entrando nel nartece. La chiesa silenziosa era del tutto vuota, come avevano sperato che sarebbe stata, ed in essa regnava un'oscurità rotta soltanto dal basso e pallido chiarore delle candele votive che proiettavano la loro luce color rubino e zaffiro sul pavimento di pietra e sulle vetrate. Sul tabernacolo, una sola lampada carminia ardeva senza sosta, al posto
d'onore, proiettando un alone rosato che avvolgeva tutta la zona dell'altare. Mentre i due avanzavano in silenzio lungo una navata laterale, una solitaria figura vestita di nero emerse dall'ombra dell'altare, s'inchinò dinanzi ad esso e venne loro incontro all'altezza del transetto. — Qualche problema? — sussurrò Duncan, mentre li accompagnava nello studio e chiudeva la porta. — Niente di cui valga la pena di parlare — rispose Morgan. Si accostò alla finestra protetta dalle tende e sbirciò fuori per un lungo momento, prima di andare a sedersi al tavolo posto nel centro della stanza. Anche Kelson sedette, osservando con una certa apprensione i due uomini più anziani; Duncan invece rimase in piedi e raccolse un pesante mantello di lana posato sulla sedia della scrivania, gettandoselo sulle spalle. — Tanto vale che rimaniate tranquilli per qualche minuto. Useremo un vecchio Portale di Trasferimento deryni per raggiungere la cattedrale da qui... un residuo dell'epoca in cui essere un Deryni era un'occupazione rispettabile. — Lottò per un momento con il fermaglio del mantello, poi riuscì a chiuderlo. — Voglio però controllarne l'altra estremità prima che lo usiamo tutti e tre perché, considerata la nostra fenomenale fortuna, in sagrestia potrebbe esserci qualcuno proprio nel momento in cui noi ci materializzeremo. E non è piacevole pensare a quelle che sarebbero le conseguenze. Si accostò all'inginocchiatoio, toccò una serie di pulsanti nascosti sulla sua superficie e nel muro apparve una rientranza, non più larga di un metro, profonda una sessantina di centimetri ed alta quanto un uomo. Rivolto agli altri due un rassicurante cenno, Duncan entrò nel cubicolo... e scomparve. Kelson era stupefatto. — Come ha fatto, Morgan? Giuro che non gli ho tolto gli occhi di dosso. E cos'è un Portale di Trasferimento? Morgan sorrise, e si appoggiò allo schienale della sedia. — Kelson, hai appena assistito ad una dimostrazione pratica di un'arte ormai quasi perduta... quella del Portale di Trasferimento. A mano a mano che apprenderai più cose sul suo conto, scoprirai che il nostro Duncan è un uomo dai molti talenti, che è riuscito a riconciliare in maniera fantastica quel conflitto basilare di cui abbiamo parlato in precedenza. Si accosta ai suoi poteri considerandoli un dono di Dio, che dev'essere usato per il bene di tutti gli uomini. — È per questo che si è fatto prete?
— A modo suo, Duncan è un uomo molto religioso — replicò Morgan, scrollando le spalle. — Stando così le cose, quale posizione migliore ci potrebbe essere per qualcuno che è per metà deryni? Quando apparve nella sagrestia della Cattedrale di Saint George, Duncan si guardò intorno: a parte la piccola candela che ardeva nell'angolo opposto, non c'erano altre luci nella stanza e, per quel che vedeva, non c'erano neppure altre persone, oltre a lui. Era sul punto di esalare un sospiro di sollievo e di tornare indietro per prelevare Morgan e Kelson, quando senti un movimento nell'ombra, vicino alla porta. — Chi c'è? — chiese una voce. Duncan si girò lentamente verso la fonte del suono, non sapendo in chi si fosse imbattuto; quando i suoi occhi si furono abituati alla penombra, scorse la figura curva di un uomo vestito di nero, fermo sulla soglia. — Credevo che se ne fossero andati tutti — prosegui la voce; poi lo sconosciuto accese una sottile candela bianca e la sollevò. — Oh, sei tu, Monsignor McLain. Sono Fratello Jerome, il sagrestano. Ti ricordi di me? Il prelato si rilassò con un sospiro quasi udibile. Grazie a Dio, era Fratello Jerome! L'anziano monaco era quasi cieco e cominciava a tradire una certa senilità: se anche avesse visto qualcosa nella penombra, nessuno gli avrebbe mai creduto. Duncan gli si avvicinò con la faccia improntata ad un genuino sorriso. — Mi hai spaventato, Fratello Jerome — dichiarò, in tono di mite rimprovero. — Come mai te ne vai in giro così, nel cuore della notte? Il vecchio ridacchiò. — Sì, credo proprio di averti spaventato, ragazzo mio. Quando ti ho chiamato la prima volta, per poco non sei saltato fuori dalla tua stessa pelle! — ridacchiò ancora, quasi fra sé, e Duncan si domandò se aveva notato più di quanto stava dicendo o se quella sera la demenza senile del vecchio era più intensa del solito. — Mi hai sorpreso, fratello — replicò. — Credevo di essere solo. Ero tornato per fare un ultimo controllo dei dettagli per l'incoronazione di domani, perché durante il giorno sono stato piuttosto occupato. Sua Altezza mi ha tenuto impegnato per tutto il pomeriggio. Fratello Jerome si accostò all'armadietto in cui erano conservati i paramenti speciali, e batté sull'anta un colpetto rassicurante. — Non ti saresti dovuto preoccupare, ragazzo. Ho tenuto tutto in ordine,
come faccio da quarantacinque anni. Se vuoi il mio parere, quello che incoroneremo domani, non sarà certo un re da quattro soldi. Il nostro giovane signore diventerà un grande sovrano, se sopravviverà a questa nottata. Duncan s'irrigidì leggermente e sentì un brivido che gli sfiorava la nuca, rizzandogli i capelli. — Cosa significa, «se sopravviverà a questa nottata»? — Come, ragazzo, non hai ascoltato le voci che girano? Si dice che mostruosi poteri malvagi si aggirino questa notte per le strade di Rhemuth, e che il loro bersaglio sia il giovane Principe Kelson, che Dio lo benedica. — Jerome si fece devotamente il segno della croce. — Si dice che la magia dei Deryni sta guidando quelle forze verso la sua camera. — La magia dei Deryni? — ripeté Duncan. — Chi ti ha detto queste cose, Fratello Jerome? I nobili deryni della nostra epoca sono sempre stati amici della famiglia Haldane. — Non tutti i Deryni, milord — lo contraddisse il vecchio monaco. — C'è chi sostiene che lo spirito dello stregone deryni, ucciso molti anni fa in quel terribile duello dal padre del ragazzo, che Dio assista la sua anima, sia tornato per vendicarsi. Altri dichiarano che si tratta della figlia dello stregone, Charissa, la Dama Ombrosa, che vuole uccidere il nostro principe e sedere sul trono di Gwynedd. «Altri ancora affermano che tutti i poteri malvagi del mondo si sono coalizzati per distruggere il nostro principe e depredare il suo regno, perché noi non rendiamo più omaggio agli Oscuri. «Io penso però, e c'è chi è d'accordo con me, che sia tutta colpa di quel Morgan, e che il suo sangue deryni stia finendo per prendere il sopravvento. Bada bene, è lui quello da cui bisogna guardarsi! Duncan si costrinse a ridere, pur essendo molto turbato da quanto aveva appena sentito perché, anche se le affermazioni del vecchio erano state letteralmente stracariche di aggiunte superstiziose e di leggende, vi era però un nucleo di verità in gran parte di quanto lui aveva detto. Charissa era coinvolta, ed anche lo spirito di suo padre, se si credeva che i genitori continuassero a vivere nei figli. Ed il prelato non aveva dubbi sul fatto che le forze dell'oscurità si stavano addensando in quello stesso momento, pronte a piombare su tutto il mondo non appena il potente Gwynedd fosse crollato. In quanto alle dicerie su Alaric, le aveva già sentite, ed erano un mucchio di assurdità. Per lo meno, avrebbe potuto cercare di correggere l'opinione di Fratello Jerome a quel riguardo.
Duncan si accostò al vecchio monaco e si appoggiò al mobiletto. — Fratello Jerome, credi davvero a tutte quelle voci sul conto di Morgan, vero? — Ah, ragazzo, è una sacrosanta verità. Il prelato scosse il capo, con disapprovazione. — Temo che tu sia stato male informato. Per esempio, posso affermare con certezza che Lord Alaric non è quello che tu ritieni. L'ho visto proprio questo pomeriggio, e puoi credermi quando ti dico che ha a cuore soltanto il bene del Principe Kelson. Jerome socchiuse gli occhi. — Lo puoi provare, ragazzo? — Non senza violare i miei voti sacerdotali — rispose, calmo, Duncan. La faccia del vecchio tradì un'intuizione improvvisa. — Oh, capisco. Allora tu sei il suo confessore. — Fece una pausa, ovviamente intento a riflettere. — Ma sei certo che ti dica la verità? — Credo di sì — sorrise Duncan. — Lo conosco da molto tempo, fratello. Jerome scrollò le spalle e si avviò verso la porta, strascicando i piedi. — Bene, ragazzo, se c'è un uomo che lo sa, quello sei tu. Ma ci deve essere qualcosa di vero nelle voci. Ad ogni modo, non è una controversia che si possa risolvere qui, stanotte. Se non ti dispiace, io vado. Le guardie ti lasceranno uscire quando sarai pronto ad andartene. Duncan prese la candela accesa da Fratello Jerome ed accompagnò il vecchio fino alla porta. — Mi va benissimo, fratello. C'è solo un'altra cosa. — Si? — Il vecchio si arrestò con una mano sulla maniglia. Duncan mise la candela nella mano di Jerome, poi vi poggiò sopra la sua. — Vedi questa candela, Fratello Jerome? Gli occhi del monaco fissarono la fiammella e rimasero come incantati. — Sì — sussurrò. La voce del prelato divenne più sommessa e dolce, mentre nei suoi occhi appariva un bagliore interiore. — Farai meglio a portarla con te, fratello, perché è buio là fuori. Qui ci sei solo tu, quindi non è il caso di lasciare una candela accesa, che potrebbe appiccare il fuoco a tutta la cattedrale. Sarebbe terribile, non credi? — Sì — sussurrò ancora il vecchio. — E qui non hai visto nessuno, vero, Jerome? Stanotte non c'era nessuno
in sagrestia, a parte te, non hai parlato con nessuno. Hai capito? Il monaco annuì, e Duncan ritrasse la mano. — Farai meglio ad andare, Jerome. È tutto a posto, hai fatto il tuo dovere e non mi hai visto qui, stanotte. Ora va'. Senza una parola, il sagrestano si voltò, aprì la porta ed uscì silenziosamente, richiudendo il battente dietro di sé. Ora non c'era più il rischio che parlasse con qualcuno di quello che era successo. Annuendo fra sé, Duncan tornò nel punto in cui si era materializzato, si soffermò solo il tempo necessario per raccogliere i pensieri... e si ritrovò nello studio. Quando Duncan riapparve nella nicchia, Kelson girò la testa di scatto, stupito, poi si alzò a precipizio dalla sedia per andare incontro al giovane prete. — È tutto a posto, Padre Duncan? Sei stato assente così a lungo che eravamo certi che ti fosse accaduto qualcosa di terribile. Anche Morgan raggiunse il cugino, vicino al Portale di Trasferimento. — Kelson sta esagerando un poco, Duncan, ma sei stato via parecchio. Qualcosa che non va? — Ora non più — assicurò il prelato, scuotendo il capo e sorridendo. — Mi sono imbattuto in una vecchia conoscenza. Fratello Jerome era in sagrestia, per un controllo generale, ma non credo che mi abbia visto apparire, senza contare che è troppo vecchio e decrepito per immaginare che il mio ingresso non sia avvenuto in maniera normale. Aveva però un'opinione piuttosto interessante in merito alla situazione attuale. Ricordami di parlartene, prima o poi. Duncan rientrò nel cubicolo e segnalò a Morgan e a Kelson di raggiungerlo. Lo spazio era ridotto, ma riuscirono ad infilarvisi, ed i due deryni posarono la mano sulle spalle del principe. — Pronti? — chiese Duncan, e Morgan annuì. — Kelson — disse, — voglio che ti rilassi e che svuoti la mente da ogni pensiero. Non sei ancora capace di azionare da solo uno di questi portali, quindi ti porteremo in mezzo a noi come se fossi un sacco di patate. — Molto bene — rispose il ragazzo. Il prete gli lanciò un'occhiata penetrante, avendo notato di colpo che il giovane, involontariamente, aveva parlato con il tono di un re che dia il suo assenso... mentre tale assenso non era neppure stato sollecitato. Si chiese se anche Alaric lo aveva notato. Il principe chiuse gli occhi, cercando di non pensare a nulla, di visualiz-
zare un'oscurità totale, di distaccare la mente della sfera cosciente. Si accorse in modo vago che la mano di Morgan gli stringeva la spalla con maggior forza, poi avvertì un nauseante sobbalzo alla bocca dello stomaco, una fugace impressione di precipitare ed una leggera vertigine. Aprì gli occhi e si trovò avvolto dal buio. Non erano più nello studio. Duncan si guardò intorno con attenzione: la sagrestia era ancora come l'aveva lasciata... immersa nella penombra, e deserta. Segnalò a Morgan e a Kelson di seguirlo, poi attraversò in silenzio la stanza, schiuse la porta e sbirciò all'esterno. Anche la navata della cattedrale era deserta. Morgan guardò da sopra la spalla del cugino, poi indicò l'area della navata. — L'aggiriamo? — sussurrò. Il prelato annuì ed indicò verso il fondo della chiesa, dove la porta che conduceva alla cripta reale disegnava una chiazza più chiara nell'oscurità della cattedrale vuota. — Io vado a destra, tu a sinistra. Morgan rivolse al cugino un cenno di assenso, poi i tre cominciarono ad aggirare la chiesa, diretti verso la porta. Erano quasi giunti alla meta, quando Duncan sgusciò verso destra e svanì nell'ombra; Kelson, dal canto suo, si piazzò nel buio, appena fuori dell'ingresso della cripta e in modo da poter osservare Morgan che si avvicinava alla sagoma indistinta di una delle guardie. Il nobile deryni fluttuò in avanti come uno spettro, passando da una zona d'ombra all'altra, di qua e di là, avvicinandosi sempre più alla preda, fino a trovarsi a pochi metri dal soldato ignaro. Con cautela, in modo da non insospettire la guardia, Morgan si accostò ulteriormente, si protese verso la nuca dell'uomo, e la sfiorò delicatamente con le dita. Al tocco di Morgan, la guardia s'irrigidì, poi si rilassò, con gli occhi lievemente appannati e lo sguardo fisso dinanzi a sé... inconsapevole, impotente ed incapace di ricordare l'accaduto. Morgan osservò attentamente il soldato per qualche minuto; poi, certo di averne assunto il completo controllo, segnalò a Kelson di raggiungerlo. Mentre Duncan sopraggiungeva a sua volta, il principe fissò i due deryni con ammirazione. — È tutto a posto? — chiese Morgan, a bassa voce. — Non si ricorderà nulla — confermò Duncan, annuendo. — Andiamo — ordinò il generale, avviandosi verso l'accesso alla cripta. Le porte erano massicce, progettate per tenere alla larga gli intrusi e per
costituire una decorativa barriera fra i morti ed il mondo dei vivi. Erano alte circa due metri e mezzo ed erano costituite da centinaia di barre d'ottone, robuste ma ben lavorate, ricoperte da un sottile strato d'oro, perché quella che custodivano era la cripta dei re. Morgan fece scorrere le mani sull'intreccio, scrutando al tempo stesso al di là di esso, verso la cripta. All'estremità di un corto corridoio, un semplice altare sorgeva di fronte all'ingresso, destinato forse a confortare i dolenti che venivano ad affidare i loro defunti all'eterno riposo; sulla sinistra, il corridoio descriveva quindi una brusca svolta per entrare nella cripta vera e propria, ed una fila di candele accese proiettava il proprio bagliore sul lucido pavimento di marmo e sull'altare. Oltre la svolta c'erano i sepolcri reali, la meta della spedizione di quella notte. Morgan toccò il meccanismo della serratura, poi s'inginocchiò per ispezionarlo con maggiore attenzione, mentre Duncan si allontanava per andare a controllare ancora una volta le guardie; Kelson si avvicinò al generale per guardare, affascinato, da sopra la sua spalla. — Puoi aprirla? — sussurrò il ragazzo, guardandosi intorno con nervosismo. Morgan accostò un dito alle labbra per chiedere silenzio, poi tenne le mani sensibili sospese sulla serratura, concentrandosi per visualizzare ogni parte del meccanismo. Kelson trattenne il respiro, ed un attimo dopo sentì un sommesso scatto metallico, seguito da un altro. Gli occhi semichiusi di Morgan si spalancarono e lui spinse con delicatezza le porte, che si aprirono con facilità. Alzatosi in piedi, Morgan aprì del tutto i battenti con un unico, continuo movimento poi, nel girarsi per vedere se Duncan era tornato, s'immobilizzò e posò una mano sulla spalla di Kelson, a titolo di avvertimento. — Buona sera, Rogier — disse quindi, in tono sommesso e serrando le dita intorno alla spalla del ragazzo, quando questi si volse di scatto, allarmato. Rogier era fermo, in atteggiamento minaccioso, appena oltre l'accesso esterno all'area della cripta, con il volto atteggiato ad incredulità e ad indignazione. L'abito di velluto verde cupo splendeva intorno a lui come un'aura maligna, proiettando strani riflessi sulla faccia e sui capelli, e le torce accese inserite negli alveoli delle pareti servivano solo ad accentuare quell'effetto spettrale. Il disgusto e l'indignazione di Rogier sembravano quasi avere vita propria. — Tu! — esplose il nobile, con voce bassa e letale nel silenzio gelido.
— Cosa diavolo ci fai tu qui? Morgan scrollò le spalle con noncuranza. — Non riuscivo a dormire, Rogier, e neppure Kelson, così abbiamo deciso di venire a trovare Brion. Non lo vedevo da più di tre mesi, sai, ed ho pensato che avrei potuto recitare qualche preghiera. Vuoi venire con noi? Il lord socchiuse gli occhi ed accostò la mano all'elsa della spada. — Come osi? — mormorò, con le labbra tese e serrate. — Come osi! Dopo la parodia di giustizia che si è avuta oggi in Consiglio, dopo aver diffuso le tue maledette menzogne deryni per tutto il regno, hai il coraggio di condurre Sua Altezza proprio qui, per scopi che solo il Demonio conosce... potrei... Mentre Rogier accennava a snudare la spada, Morgan notò un lieve movimento alle spalle del nobile e indietreggiò di un passo per non modificare i tempi. Nell'istante in cui la spada di Rogier lasciava il fodero, le dita di Duncan sfiorarono il collo del lord, da entrambi i lati. A quel contatto, Rogier s'irrigidì per un attimo, poi si rilassò e cominciò ad accasciarsi; Morgan si protese ed afferrò la lama prima che cadesse con rumore sul pavimento, e Duncan adagiò l'uomo svenuto in posizione semiseduta, puntellato contro un muro; poi si raddrizzò e si spolverò poco cerimoniosamente le mani. — Cosa ci faceva qui? — sussurrò Kelson, osservando Rogier con sospetto e con crescente avversione. — Credi che lo abbia mandato lei? Morgan oltrepassò le porte della cripta reale e segnalò agli altri due di seguirlo. — Ti riferisci a Charissa oppure a tua madre? — chiese, richiudendo i battenti. — Secondo me, Rogier era semplicemente a capo del gruppo di guardie assegnate qui stanotte, ma non ci darà fastidi. Non si ricorderà di nulla, e neppure le guardie. Andiamo. Pochi passi furono sufficienti a percorrere il corridoio, ed oltrepassare l'altare di famiglia; poi si trovarono in mezzo alle tombe degli Haldane. La volta era enorme, alta più di due uomini e scavata nella solida roccia delle fondamenta della cattedrale. Lungo le pareti, erano allineate parecchie nicchie, anch'esse ricavate nella viva roccia e grandi abbastanza da contenere una bara. Ciascuna di esse conteneva i resti di qualche lontano antenato di Kelson, avvolti in preziosi drappi ormai fatiscenti, con gli occhi vuoti che fissavano la roccia sovrastante senza vederla. Il resto della camera ospitava i corpi dei re e delle regine di Gwynedd che si erano succeduti negli ultimi quattrocento anni, e le tombe erano di-
sposte in file ordinate, ciascuna più splendida ed elaborata della precedente, ciascuna recante un'iscrizione in cui si specificava il nome ed il periodo di regno del suo occupante. Sulla sinistra, un sepolcro più recente era rischiarato dalla fiamma di parecchie candele rosse ed azzurre, distribuite su parecchie file; Kelson si fermò, guardando in quella direzione per un lungo momento, prima di guidare Morgan e Duncan verso il luogo in cui riposava suo padre. Erano quasi giunti accanto al sarcofago, quando Morgan frenò il cugino appoggiandogli un braccio sul petto, poi prosegui da solo mentre gli altri due l'osservavano, in silenzio. Indugiò accanto al sepolcro per parecchi istanti, poi posò con delicatezza la mano sul coperchio del sarcofago. Non era giusto che Brion, così buono e gentile, fosse morto in quel modo. La sua vita era stata troppo breve, e lui aveva sì compiuto del bene, ma non a sufficienza, per mancanza di tempo. Perché? Perché era stato necessario che facesse quella fine? Eri per me un padre e un fratello, pensò Morgan. Se fossi stato al tuo fianco, quel giorno, forse ti avrei potuto risparmiare questa indegnità, questo inutile spreco della tua vita! E ora che te ne sei andato... Riacquistò il controllo di sé e staccò la mano dal sarcofago, indicando a Duncan e a Kelson che potevano accostarsi. Un tempo, c'erano stati gioia, cameratismo e affetto, e forse avrebbe potuto ritrovare tutto questo, ma prima doveva portare a termine quel compito. Con cura, lui e Duncan sollevarono il coperchio del sarcofago, smuovendolo delicatamente per spezzare il sigillo e facendolo slittare verso i piedi, fino a rendere visibile l'interno per una trentina di centimetri quadrati. Dentro, il corpo spettrale, avvolto nel sudario, giaceva freddo ed immobile. Morgan attese che Kelson accostasse un candelabro, poi protese una mano salda e sollevò il velo di seta che copriva la faccia del morto. Ciò che vide fu sufficiente a scuotere il suo universo, a serrargli il cuore in una morsa gelida, a scatenare un brivido ghiacciato lungo tutto il suo corpo. Mentre Morgan continuava a fissare l'interno della bara, sconvolto ed incredulo, Kelson gli si accostò e finalmente riuscì a vedere bene il corpo. — Oh, mio Dio! — mormorò il ragazzo, deglutendo a fatica, e lo sconcertato Duncan si riscosse appena di quel tanto che bastava per farsi il segno della croce, con un brivido. Il corpo deposto nel sarcofago non era quello di Brion!
CAPITOLO OTTAVO LE COSE NON SONO COME SEMBRANO Incredulo, Morgan si chinò per esaminare il cadavere più da vicino, ma anche senza un esame attento era evidente che quello non era Brion. La faccia che aveva scoperto era quella di un uomo molto vecchio, barbuto e grigio. Forse si trattava di qualche re o parente morto da tempo, ma non di Brion. Piuttosto scosso, Morgan si raddrizzò e rimise a posto il velo di seta, poi appoggiò entrambe le mani sul bordo del sepolcro e scosse il capo, incapace di comprendere: non riusciva ancora a credere a quello che aveva visto. — Dunque — dichiarò infine, con voce piatta e spenta, — quello che abbiamo appena visto è impossibile, ma è così. Kelson, sei certo che questo sia il sepolcro di tuo padre? — Li ho osservati mentre sigillavano il corpo in quel sarcofago — dichiarò il giovane, annuendo lentamente. — È quello giusto. Duncan incrociò le braccia sul petto, con aria concentrata, poi sollevò una mano per massaggiarsi stancamente la fronte. — Sembra che dobbiamo accettare il fatto di avere davanti il corpo sbagliato. Uno di voi riconosce quest'uomo? I suoi compagni scossero entrambi il capo. — Allora — proseguì il prelato, pensando a mezza voce, — cerchiamo di affrontare il problema da una diversa angolazione. Considerato che Kelson ha visto sigillare Brion in questo sepolcro e che sono state piazzate guardie tutt'intorno alla cripta, giorno e notte, fin da prima della sepoltura, si può azzardare l'ipotesi che, in simili circostanze, sarebbe stato molto difficile prelevare il corpo dalla cripta senza che qualcuno se ne accorgesse. Questo non vi suggerisce nulla? — Capisco dove vuoi arrivare — annuì Morgan. — La possibile conclusione è che il corpo di Brion si trovi ancora all'interno della cripta, ma nascosto... in un altro sepolcro, o magari in una delle nicchie nelle pareti. Dobbiamo trovarlo. Kelson aveva seguito il dialogo con rapita attenzione, ma ora si agitò, a disagio. — Non vorrei essere pessimista, ma supponiamo che qualcuno lo abbia portato via. Voglio dire, se noi siamo entrati qui, senza che nessuno possa
saperlo o ricordarsene, forse potrebbe averlo fatto anche qualcun altro. — Ha ragione, sai — sospirò Duncan, appoggiandosi al sarcofago con aria avvilita. — Per esempio, se questa è opera di Charissa, la supposizione è plausibile. E se è stata lei, sappiamo cosa ciò significhi per noi. Morgan si concentrò, con una smorfia, poi scosse il capo. — No, non credo che c'entri Charissa, lei non può avere motivo di sospettare che il corpo sia importante per noi. Non ne avevamo neppure noi, fino ad oggi pomeriggio. Ma Jehana... questo è un discorso del tutto diverso. Era così preoccupata della mia supposta influenza su Brion che potrebbe aver fatto spostare il corpo nell'eventualità che io cercassi d'influenzarlo anche dopo la morte. Devo dire che ha sopravvalutato di molto i miei poteri. — Allora ritieni che il cadavere sia ancora qui, nella cripta, da qualche parte? — chiese Duncan. — Ritengo che dovremo agire in base a tale supposizione — replicò Morgan, — perché non abbiamo alternative. Suggerisco quindi di metterci al lavoro. Al cenno di assenso del cugino, Morgan prese una candela accesa dal candelabro procurato da Kelson e la porse al ragazzo; Duncan ne prese un'altra e si spostò nella parte opposta della cripta per iniziare le ricerche, mentre Kelson andava ad ispezionare gli occupanti delle nicchie. Lanciata un'ultima occhiata alla forma avvolta nel sudario che giaceva nel sarcofago di Brion, Morgan prese una terza candela e si mise ad esaminare le bare sul suo lato della volta. Non era un lavoro piacevole. Nello spingere indietro un coperchio dopo l'altro, per scoprire solo ossa fatiscenti e tessuto marcio, Morgan era consapevole che Duncan stava procedendo nello stesso modo, così come sapeva che anche Kelson trovava disgustosa la sua indagine, condotta nella zona più remota della camera ed al limitare dei raggi di luce delle candele. Un'occhiata in direzione del ragazzo fu sufficiente a dargli conferma di questo: pur ispezionando coscienziosamente ciascuna nicchia, infatti, Kelson si muoveva con nervosismo, serrando la candela nella mano sudata e saettando intorno a sé sguardi carichi di apprensione, ad ogni movimento delle ombre tremolanti. Morgan spinse indietro un altro coperchio. Gli dispiaceva che al ragazzo fosse toccata la parte più macabra del lavoro... quella di sbirciare nelle nicchie aperte, ma non c'era stata altra scelta, perché Kelson non aveva la forza fisica necessaria per sollevare i pesanti coperchi dei feretri, che in alcuni
casi mettevano in difficoltà lo stesso Morgan. Uno sguardo all'interno dell'ultimo sepolcro rimasto bastò a rivelare che il suo occupante non era Brion, e lui riadagiò il coperchio al suo posto. Avevano ormai aperto circa un terzo dei sarcofaghi, senza risultato, ed ogni indizio lasciava supporre che anche gli altri due terzi non avrebbero fornito un miglior esito. Possibile che qualcuno fosse davvero riuscito a rapire il corpo, nelle settimane precedenti? E in quel covo di fatiscenza, dove si poteva nascondere un cadavere, se non nei luoghi più ovvi? Forse Charissa era davvero stata qui; ma come poteva sapere quanto fosse importante per loro trovare il corpo di Brion? E se fosse stato solo un dispetto? In questo caso, la risposta era forse più ovvia di quanto avessero supposto: se il corpo non fosse stato spostato affatto? Assalito da un sospetto, si precipitò di nuovo vicino al primo sarcofago e tirò indietro il velo di seta. — Duncan! Kelson! — chiamò in tono urgente, osservando con espressione astuta lo sconosciuto nella bara. — Venite qui! Credo di sapere dove si trova Brion! Duncan e il ragazzo lo raggiunsero immediatamente. — Di cosa stai parlando? — chiese il prelato. — Secondo me, lo abbiamo avuto sotto il naso per tutto il tempo — rispose Morgan, senza distogliere lo sguardo dal cadavere che aveva dinanzi. — Non lo ha spostato nessuno. È sempre rimasto qui. — Ma questo non è... — cominciò a protestare Kelson. — Zitto, Kelson — intimò il prete, mentre il suo scetticismo si dissolveva. — Credi che si tratti di un'alterazione di forma, di un'illusione, Alaric? — Guarda tu stesso — annuì Morgan. — Per me, questo è Brion. Duncan si accigliò; poi rimise la candela nel candelabro e si asciugò il palmo delle mani sulle cosce. Protese quindi le mani, tenendole a pochi millimetri dal corpo ed ispezionando lo strano cadavere con gli occhi socchiusi. Un momento più tardi abbassò le braccia ed apri gli occhi, traendo un profondo respiro. — Allora? — domandò Morgan. — Che ne pensi? — Avevi ragione riguardo all'illusione — annuì Duncan. — È Brion, ma l'alterazione di forma è stata operata da un maestro ed ha un'aura strana, una nitida impronta di malvagità. — Scosse leggermente il capo. — Sono comunque quasi certo che non sia insormontabile. Vuoi infrangere l'incantesimo, o preferisci che lo faccia io?
Morgan guardò ancora una volta il corpo, poi rivolse al cugino un cenno di diniego. — Pensaci tu. Questo è un caso per cui vanno meglio le mani di un prete. Duncan trasse un profondo respiro, esalò lentamente il fiato e posò con cautela le mani sulla fronte del cadavere; dopo qualche istante, gli occhi del prelato si chiusero ed il suo respiro divenne più affannoso e stranamente aspro, nella penombra. Kelson, che aveva ascoltato con meraviglia il dialogo fra i due lord deryni, comprendendolo solo in parte, lanciò un'occhiata in tralice a Morgan, poi riportò la sua attenzione sul prete, con un brivido. Non era sicuro che gli piacesse quello che stava succedendo, e sarebbe stato lieto quando tutto si fosse concluso. Il respiro di Duncan si fece sempre più affrettato, e la fronte e le mani gli si coprirono di gocce di sudore freddo, nonostante il gelo che permeava la cripta. Sotto lo sguardo del ragazzo e di Morgan, i lineamenti del corpo cominciarono ad ondeggiare e a tremolare sotto le mani di Duncan, diventando sfuocati; infine il prelato sussultò e s'irrigidì leggermente, e nello stesso istante il corpo tornò ad assumere il familiare volto di Brion. Duncan ritrasse le mani di scatto ed indietreggiò barcollando, pallido e teso in volto. — Stai bene? — chiese Morgan, sporgendosi sulla bara per sostenere il cugino. Duncan annuì debolmente e costrinse il suo respiro a stabilizzarsi. — È stata... dura, Alaric — mormorò. — Lui... non era del tutto libero, e si trattava di un vincolo potente. Quando l'ho liberato, l'ho sentito morire. È stato... indescrivibile. Un brivido attraversò il corpo di Duncan, e Morgan gli strinse una spalla con un gesto rassicurante, poi ritrasse la mano e sbatté in fretta le palpebre per schiarirsi la vista. In mezzo a loro, il corpo di Brion dormiva ora in pace, con i gentili occhi grigi chiusi per sempre, con le labbra rilassate; perfino quelle rughe di tensione che erano state tratti caratteristici di Brion fin da quando Morgan riusciva a ricordare, erano state cancellate dalla morte. Con delicatezza, Morgan protese una mano e prelevò l'Occhio di Rom, che brillava all'orecchio destro di Brion; fissò le profondità luminose della pietra per un lungo momento, poi la mise al sicuro nella sacca della sua cintura. Quel movimento scosse lo sconvolto Kelson, che aveva osservato l'inte-
ro processo del cambiamento di forma inchiodato dalla meraviglia, dal timore e dall'orrore; il ragazzo sfiorò la mano del padre per un'ultima volta, ed un singhiozzo soffocato gli sfuggì dalle labbra. Il principe deglutì però energicamente e rivolse a Duncan uno sguardo implorante. — È davvero libero adesso, Padre Duncan? — sussurrò, alla ricerca di qualche parola rassicurante. — Lei non potrà più fargli del male, vero? — Lo è, mio principe — rispose il prelato, scuotendo il capo, — hai la mia parola. E nessuno gli potrà più fare del male. Kelson abbassò di nuovo lo sguardo sul padre e chiese ancora, con voce sommessa: — Non so perché, ma non mi sembra giusto prendere l'Occhio di Rom senza dare nulla in cambio. Non potremmo... — Lasciò la frase a metà, incerto, e Duncan annuì. — Che te ne pare di questo? — domandò, infilando una mano nella profonda tasca del saio e tirando fuori un piccolo crocifisso dorato. Con un pallido sorriso, il ragazzo accettò il crocifisso e lo mise fra le mani del padre. — Grazie — mormorò, mentre gli occhi gli si colmavano involontariamente di lacrime. — Credo che a lui sarebbe piaciuto. Il giovane si girò, con le spalle scosse da silenziosi singhiozzi, e Morgan lanciò uno sguardo al cugino, inarcando un sopracciglio con espressione interrogativa; il prelato annuì e tracciò un segno di croce sul defunto, dopodiché lui e Morgan rimisero a posto il coperchio del sarcofago. Duncan spense quindi le altre candele che avevano acceso e rimise a posto il candelabro; poi lui e Morgan guidarono Kelson fuori dalla cripta e oltre la porta. Mentre i battenti si richiudevano con uno scatto alle loro spalle, Duncan scavalcò cautamente il corpo di Rogier, ancora accasciato contro il muro, e sfiorò la fronte dell'uomo; immediatamente il nobile si alzò, ancora sotto controllo, ed il prete gli rimise la spada nel fodero, avviandolo poi per la sua strada con un altro tocco, prima di raggiungere i compagni. Era tempo di tornare nello studio. Duncan aprì lo scomparto in cui aveva nascosto l'Anello di Fuoco e gli altri elementi del rituale, e trasferì il tutto sul tavolo al centro dello studio. Mentre il prelato si sedeva accanto a Kelson, Morgan si accostò alla scrivania e frugò nei cassetti fino a trovare quello che stava cercando... una serie di strumenti chirurgici, riposti in una custodia di cuoio. Tornato dagli
altri, aprì la custodia e ne sparse il contenuto sul piano del tavolo, poi frugò nella sacca che aveva alla cintura per prendere l'Occhio di Rom. Kelson osservò Morgan con apprensione, poi accennò con il mento in direzione degli strumenti chirurgici. — Cosa ci vuoi fare, con quelli? — Voglio forare il tuo orecchio — rispose allegramente il Deryni, aprendo una bottiglietta piena di un liquido verde pallido ed inumidendo un batuffolo di cotone. Prese quindi l'Occhio di Rom e lo pulì accuratamente su tutta la sua superficie, soprattutto lungo il perno d'oro che sarebbe dovuto passare attraverso il lobo del ragazzo. — Duncan, ti dispiacerebbe leggermi le prime due stanze di versi del rituale? Voglio essere certo di procedere nel modo giusto. — Prelevò un ago d'argento dal mucchietto di strumenti e cominciò a disinfettarlo mentre Duncan leggeva. «Quando il Figlio devierà la marea crescente? Un Portavoce dell'Infinito guiderà, sapiente, Del Protettore Oscuro la mano, per versare il sangue Che l'Occhio di Rom accende nella Sera incombente. Lo stesso sangue l'Anello di Fuoco deve subito nutrire. Ma, attenti, per non destare del Demonio le Ire. Se presto la tua mano spoglia la fascia verginale, La giusta condanna ostacolerà il tuo desire.» Morgan annuì e posò l'ago sul tavolo, avvolto, per protezione, in un pezzo di cotone. — Bene. Sotto il tuo controllo, io foro l'orecchio di Kelson e lascio che il sangue tocchi l'Occhio di Rom, attivandolo. Poi, quando bagneremo l'Anello di Fuoco con lo stesso sangue, dovremo stare attenti a non toccarlo a mani nude. Dovrebbe essere abbastanza semplice. Duncan si alzò in piedi, piazzandosi accanto alla sedia del ragazzo. — D'accordo. Cosa vuoi che faccia, a parte guardare? Morgan accostò la propria sedia a quella del principe e prese un altro batuffolo di ovatta, inzuppandolo con il liquido verdognolo. — Tienigli la testa, in modo che non si muova — rispose, sorridendo a Kelson in modo rassicurante. — Non vogliamo che si ritrovi con un buco storto nell'orecchio.
Il ragazzo ricambiò debolmente il sorriso, ma non disse nulla nel prendere in mano l'Anello di Fuoco, badando che la sua pelle non venisse a contatto diretto con il metallo o con le pietre. Le gemme di un cupo rosso granato brillavano nel loro nido di seta, rispecchiando il bagliore proiettato dall'Occhio di Rom, posato davanti a lui sul tavolo. Le fresche mani di Duncan gli immobilizzarono la testa su entrambi i lati, e Kelson avvertì una sensazione di freddo al lobo destro quando Morgan lo bagnò abbondantemente con lo strano liquido verdastro. Seguì una pausa, in cui sentì che Morgan metteva in posizione l'ago, poi si udì il rumore leggero della pelle che veniva forata due volte, una in entrata ed una in uscita. Non provò dolore. Morgan respirò sommessamente e si chinò per osservare più da vicino il suo operato. Il gesto era stato preciso, e l'ago era inserito nel punto giusto. Lo rimosse con un abile movimento e pulì ancora il lobo, poi guardò il formarsi di una goccia di sangue nel punto d'entrata ed in quello di uscita. Raccolto l'Occhio di Rom, sempre avvolto nel cotone, accostò la pietra alla goccia anteriore di sangue, abbassandola quindi in modo che Kelson potesse vedere. Sotto gli occhi dei tre, la pietra scura incassata nell'orecchino assunse un nuovo aspetto; mentre prima il liscio rubino aveva emanato un bagliore freddo ed offuscato, ora la sua luce divenne più limpida e calda, provenendo dall'interno della pietra stessa, come quando Brion lo portava all'orecchio, ricordò Morgan. Non appena l'Occhio di Rom ebbe ultimato la sua strana trasformazione, il Deryni segnalò a Kelson di protendere l'Anello di Fuoco, lo toccò con l'insanguinato rubino e l'anello, fedele al suo nome, mandò un'intensa luminosità color granato che permeava ciascuna delle due pietre. Morgan sospirò, poi pulì per la terza volta il lobo di Kelson e v'inserì l'Occhio di Rom, che aveva ceduto tutto il sangue nel contatto con l'Anello di Fuoco ed ora splendeva, cupo, all'orecchio di Kelson, segno tangibile del potere futuro e prima concretizzazione del rituale contenuto nei versi. Duncan tolse l'Anello di Fuoco dalle mani del ragazzo, lo avvolse nella seta, e si affrettò a rinchiuderlo nel suo sicuro nascondiglio, perché non sarebbe più stato usato fino all'incoronazione dell'indomani. Tornato vicino al tavolo, trovò Kelson che giocherellava con la scatola di velluto che conteneva il Leone Carminio. Morgan srotolò ancora una volta la pergamena con i versi e lesse la terza stanza.
— Come l'apriamo, Morgan? — chiese il ragazzo, scuotendo delicatamente il cofanetto ed ascoltando nella speranza di cogliere qualche suono rivelatore. Quando l'accostò all'orecchio, la scatola cominciò ad emettere un sommesso e musicale ronzio, che cessò non appena il giovane la riabbassò per la sorpresa. — Fallo ancora, Kelson — suggerì Duncan, protendendosi in avanti. — Fare cosa? — Scuoti delicatamente il cofanetto. Kelson obbedì, sia pure con maggior cautela, ma questa volta non accostò l'oggetto all'orecchio come in precedenza, e Morgan lo notò. — Avvicinalo all'Occhio di Rom, Kelson — propose. Kelson eseguì, ed il ronzio riprese. — Ora tocca il cofanetto con l'orecchino — ordinò Morgan. Il ragazzo lo fece e subito si sentì un sommesso scatto musicale ed il coperchio si sollevò di qualche millimetro. Kelson posò il cofanetto e finì di aprirlo: il Leone Carminio era là. Tutti e tre rimasero a fissare con meraviglia l'interno della scatola. Il Leone Carminio non era precisamente di quel colore; si trattava di un nomignolo sbagliato, coniato molti anni prima da qualche ormai dimenticato catalogatore di gemme reali. Quell'uomo aveva fatto confusione di termini, ed il nome era rimasto. In realtà, il Leone Carminio era lo stemma degli Haldane: un leone d'oro rampante su uno sfondo di lacca carminia, il tutto su un massiccio fermaglio grosso quanto il pugno di un uomo e dotato di un robusto spillone sul dietro. I bordi intagliati del pezzo rappresentavano gli orli arrotolati e dorati di una pergamena... ancora una volta opera dei fini artigiani di Concaradine. Mentre il principe prelevava con cura il fermaglio dal suo contenitore di velluto nero, Duncan si rimise a sedere e tirò davanti a sé la pergamena con i versi. «Ora che l'Occhio di Rom la luce può mirare, Il Leone Carminio nella notte si deve liberare. Mosso contro mano sinistra e salda, del Leone il Dente La carne deve trapassare, e il giusto Potere consegnare.» Kelson rigirò il fermaglio da tutte le parti, poi lo tenne nella sinistra.
«Mosso da mano sinistra e salda...» Questa parte la capisco, ma... — Posò il fermaglio sul tavolo. — Guarda, Morgan, il Leone di Gwynedd è rampante e vigilante. È girato verso di noi. — E allora? — chiese l'altro, perplesso. — Non capisci? — proseguì Kelson. — Rampante e vigilante significa una configurazione araldica in cui il leone è rivolto verso l'esterno, verso chi guarda. E questo significa che il Leone di Gwynedd non ha denti! Accigliandosi, Morgan raccolse il fermaglio. — Non ha denti? Ma questo è impossibile. Se non ci sono i denti, non c'è il rituale, e se non c'è il rituale... Kelson sfiorò con cautela lo stemma, poi fissò la lucida superficie del tavolo, senza vederla. Non c'era bisogno che Morgan completasse la frase, perché lui conosceva già la risposta, e la sua enunciazione lo raggelava più di qualsiasi altra cosa che avesse mai conosciuto, perché esisteva un solo modo per completare quella frase: se non c'era il rituale, lui sarebbe morto. CAPITOLO NONO NELL'IGNOTO SI CELA IL TERRORE, E NELLA NOTTE L'INGANNO Il Leone di Gwynedd non aveva i denti! Non esisteva il dente del Leone Carminio! Duncan allungò le dita verso il fermaglio, lo prese fra le mani e lo rigirò più volte per studiarlo, riflettendo su quell'apparente incongruenza. Da qualche parte... non rammentava dove, forse in uno di quegli oscuri trattati estremamente tecnici sulla magia antica che aveva letto molti anni prima... da qualche parte gli pareva di aver trovato la chiave per interpretare questo genere di versi, un dettaglio relativo a doppi significati, ad espressioni figurate, a requisiti formali per... sì! Girando l'emblema, sfiorò delicatamente lo spillone senza però metterlo a fuoco con lo sguardo. — Sì, naturalmente — mormorò. — C'è sempre l'ostacolo, la barriera, la dimostrazione di coraggio. Morgan si girò lentamente, con il volto oscurato da un'ombra di sospetto, nel comprendere a sua volta l'effettivo significato dei versi. — La spilla sarebbe il dente del Leone? — sussurrò. Lo sguardo di Duncan perse la sua aria assente.
— Si. Kelson si alzò e si sporse sul tavolo per far scorrere le dita su quei sei centimetri di freddo e lucente oro. Deglutì. — E questo mi dovrebbe trapassare la mano? Il prelato annuì, impassibile. — Sembra che sia la chiave esatta, Kelson. Tutto ciò che è accaduto prima è servito da preparazione a questo evento, e quanto segue è solo un poscritto. Inoltre, è un atto che dovrai compiere da solo. Noi ti possiamo spianare la strada, possiamo starti vicino e proteggerti in seguito, ma adesso devi agire da solo. Mi hai capito? Il principe rimase in silenzio per un lungo istante, poi annuì. — Ho capito — rispose in tono quieto. — Farò ciò che devo. — La voce gli s'incrinò. — Però... mi piacerebbe rifletterci un poco... se c'è tempo... Fissò Ducan con un'espressione spaventata e supplichevole nei grandi occhi grigi che erano tornati ad essere quelli di un ragazzo, ed il prete annuì. — Ma certo, mio principe — rispose con gentilezza, alzandosi ed intercettando lo sguardo di Morgan nel dirigersi verso la porta. — Rifletti quanto vuoi. Intanto Alaric mi aiuterà a vestirmi per la cerimonia. Non appena ebbe lasciato la stanza insieme al cugino, Duncan richiuse la porta e segnalò a Morgan di seguirlo lungo il breve corridoio; una volta raggiunta la sagrestia, il prelato guardò dallo spioncino per accertarsi che in chiesa non ci fosse nessuno, poi accese una luce e si appoggiò con entrambe le mani all'armadietto dei paramenti, volgendo le spalle al generale. — Non servono effettivi preparativi da parte nostra, Alaric — disse infine. — Il ragazzo aveva bisogno di raccogliere le idee. Spero che stiamo facendo la cosa giusta. Morgan si mise a camminare avanti e indietro con passo deciso, aprendo e serrando le mani in preda al nervosismo. — Lo spero anch'io. Francamente, mi sento sempre più a disagio a mano a mano che la notte procede. Non ti ho detto cosa è successo subito prima che venissimo qui, vero? Duncan sollevò di scatto la testa. — Ma prima di raccontartelo — proseguì Morgan, impedendo al cugino di parlare, — lascia che ti faccia una domanda. Dove hai intenzione di concludere le nostre attività di stanotte... la cerimonia con il fermaglio? Nello studio? — Intendevo servirmi della cappella segreta che si trova dietro di esso
— replicò Duncan, cauto. — Perché me lo chiedi? — Un tempo, quella cappella era dedicata a Saint Camber, vero? — insistette Morgan, con una smorfia. — Anche — annuì il prelato, sempre cauto. — Saint Camber era il patrono della magia dei Deryni, lo sai. Cosa c'entra con quello che è successo? Vieni al dunque. — D'accordo. — Morgan trasse un profondo respiro, quasi riluttante a concludere quello che aveva cominciato. — Duncan, mi crederesti se ti dicessi che ho avuto una visione? — Va' avanti — rispose il prete, ascoltando con attenzione. — Prima che venissimo qui — sospirò il generale, — ho lasciato Kelson addormentato, sotto la protezione della Guardia Superiore, in modo da poter andare nella biblioteca di Brion per guardare fra le sue carte ed i suoi libri. Pensavo di poter trovare qualche indizio che ci aiutasse a decifrare il rituale dei versi... magari qualche appunto da lui scritto mentre li preparava. «Bene, per parecchio tempo non ho concluso nulla, quindi ho usato la tecnica di Thuryn, nella speranza d'intercettare un po' di energia residua che mi indicasse dove cercare. Ho usato il sigillo del grifone come punto focale. Sollevò la mano sinistra e la lasciò ricadere lungo il fianco, mentre cercava le parole adatte per proseguire. — Ricordo di aver chiuso gli occhi, e di colpo mi è parso di vedere la faccia di un uomo alto, munito di cappuccio ed avvolto dall'oscurità; nello stesso tempo, ho percepito una netta impressione di rassicurazione... e di urgenza. Ho aperto gli occhi, ma la visione era ormai svanita e nalla stanza non c'era nessuno, a parte me. — Niente altro? — chiese Duncan, socchiudendo le palpebre per la concentrazione. Morgan abbassò lo sguardo verso il pavimento. — A quel punto, ho deciso di frugare fra i libri ancora una volta, nel caso che mi fosse sfuggito qualche particolare importante. Il primo volume che ho preso era Le Vite dei Santi, di Talbot. Si trattava di una vecchia copia, che mi si è aperta fra le mani e... oh, mio Dio! Me n'ero scordato! Sconcertato, Duncan rimase a guardare mentre il cugino cominciava a frugarsi furiosamente nelle tasche. — C'era un pezzo di pergamena che faceva da segnalibro — continuò Morgan, eccitato. — Quello che ho trovato nel libro mi ha sorpreso a tal
punto che non l'ho neppure letto, l'ho solo ficcato in... eccolo qui! Scovò il frammento in una tasca interna della tunica e lo tirò fuori, trionfante; la sua ansia nell'aprirlo era tale che gli tremavano le dita. Più calmo, Duncan si protese e prese il pezzo di pergamena piegato, accostandosi alla candela. — Cosa conteneva quel volume che fosse più importante di questo, Alaric? — domandò il prete, stendendo la pergamena accartocciata ed avvicinandola alla luce. — Un ritratto dell'uomo che mi era appena apparso nella visione — spiegò Morgan, distrattamente, sbirciando con ansia da sopra la spalla del prelato nel tentativo di leggere. — E il fatto più stupefacente è che si trattava della sezione riservata a Saint Camber. — A Saint Camber? — chiese Duncan, sollevando lo sguardo con stupore. — Ritieni di aver visto Saint Camber? Morgan annuì ed indicò il foglio con un gesto impaziente. — Sì, sì. Cosa c'è scritto? Il prete tornò a concentrarsi sulla pergamena che aveva in mano, e Morgan si avvicinò maggiormente per vedere. Su un lato, era visibile la firma completa di Brion, scritta con la sua calligrafia, familiare e arrotondata. Mentre Morgan faceva capolino da sopra la sua spalla, Duncan girò il foglio, e le mani cominciarono a tremargli mentre leggeva quello che c'era scritto dall'altra parte. — «Saint Camber di Culdi, difendici dal male!» sussurrò Morgan, ripetendo le parole che il cugino non aveva pronunciato. — Mio Dio, Duncan, credi che abbia davvero avuto una visione? Il prelato scosse solennemente il capo e restituì la pergamena al cugino. — Non lo so — sussurrò, asciugandosi le mani sul saio con un gesto inconscio. — Alaric, io... questo getta una luce un po' diversa su quello che stiamo facendo. Lasciami riflettere per qualche istante. Volte le spalle al compagno, Duncan si coprì il volto con le mani per un momento, cercando di ritrovare il controllo, poi si costrinse a prendere in esame quella nuova informazione. Adesso, francamente, era in preda all'incertezza perché, come prete e come Deryni, sapeva quanto fosse minimo l'equilibrio fra il Bene e il Male. Come Deryni, non nutriva il minimo dubbio che Camber di Culdi era effettivamente stato il salvatore del suo popolo, nei tempi oscuri dell'Interregno. Era stato Camber a scoprire che i poteri dei Deryni potevano essere talvolta condivisi dagli umani; era stato proprio questo che aveva posto fi-
ne all'Interregno del Terrore, quasi duecento anni prima, che aveva permesso a uomini come Brion Haldane di opporsi alle forze del Male e di sconfiggere l'incredibile potenza di Marluk. Ma, Camber di Culdi... bastava quel nome a raggelare il prete che era in lui perché, anche se il nobile deryni si era guadagnato la santificazione dopo la sua morte (o comunque dopo la sua scomparsa), tale santificazione era stata da tempo revocata da una Chiesa timorosa... quella stessa Chiesa che aveva condannato tutti i poteri deryni come proibiti e inerentemente malvagi. Resistette all'impulso improvviso di farsi il segno della croce come protezione contro quel nome malvagio, e si costrinse a ritrovare l'equilibrio mentale. Santo o demonio, Camber di Culdi aveva evidentemente goduto della reverenza di Brion Haldane, e se Brion, che aveva compiuto tanto bene per il suo popolo, aveva invocato il nome di Camber... no, di Saint Camber, per Dio!... allora era impensabile che vi fosse qualcosa di male congiunto a quel nome. Quanto alla visione di Alaric, avrebbe dovuto rimandare a più tardi un giudizio al riguardo; non era incline a credere nelle visioni più di quanto lo fosse suo cugino, e tuttavia erano di certo accadute cose anche più strane... Tornò a voltarsi verso Morgan con espressione contrita. — Allora? — chiese questi, con esitazione, non pretendendo d'immaginare cosa era passato per la mente del prete. Duncan scrollò le spalle con aria di scusa. — Sto bene. Il sacerdote e il Deryni hanno soltanto ripreso la lotta dentro di me. — Con un tenue sorriso, trasmise al cugino le immagini concentrate delle sue riflessioni. — Capisco — annuì Morgan, con un asciutto sogghigno. — Vorrei solo che avessimo le idee più chiare su quello che stiamo facendo. Mi sento come se stessi camminando al buio. — Anch'io — convenne Duncan. — Ma non abbiamo altra scelta, dobbiamo andare avanti. Se dovesse affrontare Charissa senza avere i poteri di Brion, quale che sia la loro origine, Kelson morirebbe, è una conclusione, inevitabile. D'altro canto, anche il trasferimento dei poteri lo potrebbe uccidere. Se abbiamo commesso un errore... o se ne commetteremo uno nei prossimi minuti... questo potrebbe equivalere a consegnarlo a Charissa dicendo: «Ecco, milady, accettalo con le nostre benedizioni. Abbiamo sempre voluto che fossi tu a regnare su Gwynedd».
Si girò e prelevò una pesante stola di broccato dal mobiletto, baciandola e sistemandola intorno alle spalle. — Naturalmente — aggiunse, tornando a girarsi verso Morgan, — non possiamo saperlo finché non tentiamo, non credi? — Si accostò alla candela e piegò la mano a coppa intorno alla fiamma. — Sei pronto? Morgan scrollò le spalle con rassegnazione. — Allora procediamo — decise il prelato, spegnendo la candela ed aprendo la porta della sagrestia per far passare il cugino. — Sai, tutto questo è proprio ridicolo. Eccomi qui, prete e mago deryni... quindi eretico... sul punto di aiutare un signore della guerra deryni a consegnare poteri proibiti ad un mortale che sarà Re di Gwynedd. Devo essere uscito di senno! Kelson sedeva nello studio, con le mani incrociate e con gli occhi grigi che fissavano, sognanti, la tremolante fiamma della candela che aveva dinanzi. Accanto ad essa, il Leone Carminio emanava un pallido bagliore dal suo cuscinetto di velluto nero, proiettando tenui riflessi dorati sulla faccia e sulle mani del ragazzo. Ma in quell'istante la candela ed il Leone non erano la principale preoccupazione del principe, perché il giovane era consapevole di essere giunto al momento culminante e che tutto il suo futuro e addirittura la sua stessa sopravvivenza sarebbero dipesi da come si sarebbe comportato nel corso della prossima mezz'ora. Non era un pensiero confortevole, ma il ragazzo era riluttante a lasciarlo sgusciare via e svanire nella quiete notturna. La paura era una cosa che andava affrontata: Brion gli aveva radicato in testa questo concetto, fin da quando riusciva a ricordare, e Kelson non osava ritrarsi davanti a quello che ci si aspettava da lui. Separò le mani, poi congiunse le punte delle dita, lasciando che l'immagine della faccia di Morgan acquistasse consistenza nella fiamma della candela. Se si fosse trovato al suo posto, Morgan non avrebbe avuto paura; qualsiasi pericolo avesse mai dovuto affrontare, Kelson era certo che il saggio e potente nobile deryni non aveva mai lasciato trapelare il minimo accenno di timore. Chi era Deryni di nascita non era soggetto alle speranze e alle paure dei mortali. E Padre Duncan... neppure lui avrebbe avuto timore perché, oltre ad essere un Deryni, era anche un uomo di Dio, un sacerdote: essendo sostenuto dal potere dei Deryni e dalla mano del Signore, quale malvagità avrebbe
mai osato levare il capo in sua presenza? E quanto a lui, Kelson, godendo della protezione di due uomini simili, come poteva correre qualche pericolo? Soltanto se avesse permesso alle sue paure di sopraffarlo... Chinò il capo e poggiò il mento sulle mani incrociate, studiando più da vicino il fermaglio: in effetti, quello che doveva fare non era poi così difficile. Si protese e girò il fermaglio sul dorso, in modo da poter vedere lo spillone; poi riprese la posizione iniziale. No, non sarebbe stata una prova dolorosa. Durante gli addestramenti e andando a caccia aveva subito ferite che gli avevano causato una sofferenza molto maggiore di quella che gli potevano infliggere sei sottili centimetri d'oro. Naturalmente, non sapeva cosa aspettarsi una volta che avesse compiuto il gesto e, in base a quanto aveva letto, poteva accadere di tutto. Ma suo padre aveva preparato quel rituale, aveva voluto che quei poteri andassero a lui, e certo non gli poteva succedere nulla di male. Brion si era sempre preoccupato per lui... no, lo aveva sempre amato... su questo il ragazzo non aveva alcun dubbio. Si stava congratulando con se stesso per aver raggiunto una conclusione così logica, quando la porta dello studio si aprì sommessamente e Duncan e Morgan rientrarono. Entrambi esibivano un'espressione tranquilla, certo a suo beneficio, ma Kelson percepì la tensione che si celava sotto quella calma esteriorità, anche se i due uomini cercavano di rassicurarlo, sapendo che era nervoso. Si sollevò e sorrise, per dimostrare che non aveva più paura. Duncan prese la candela dal tavolo, ricambiò il sorriso e sfiorò la spalla di Kelson con un gesto tranquillizzante, nel proseguire verso l'altra parte della stanza. Morgan rimase a guardare mentre il cugino si prostrava un momento sull'inginocchiatoio; poi raccolse il fermaglio e la fiala di liquido verdastro, e abbassò lo sguardo sul ragazzo. — Duncan sta preparando il luogo per la cerimonia, mio principe — spiegò in tono quieto. — Sei pronto? — Sono pronto — annuì Kelson, alzandosi in piedi con calma. Duncan, intanto, inserì con cautela la mano sotto il bracciolo dell'inginocchiatoio e sfiorò una serie di dentellature nascoste; contemporaneamente, una porzione di muro coperta dagli antichi arazzi indietreggiò di colpo, risucchiando per un momento il tessuto contro l'apertura che si era venuta a creare. Poi la pressione cessò, e l'arazzo tornò a pendere, immobile; il prelato si alzò e lo tirò di lato, invitando con un cenno Kelson e Morgan ad
entrare. La cappella era molto piccola, e le sue dimensioni erano forse la metà di quelle della stanza che avevano appena lasciato. Mentre la parete si richiudeva, Duncan attraversò l'ambiente con la candela, permettendo così agli altri due di notare che i muri laterali ed il soffitto erano decorati da affreschi che illustravano la vita di alcuni santi. Per rischiarare i dipinti era stata impiegata una vernice dorata, che adesso rifletteva la scarsa luce, facendo risaltare le immagini come se fossero state illuminate dall'interno. Alle spalle del piccolo altare, la parete era di un blu uniforme spruzzato di piccole stelle dorate, ed un elaborato crocifisso d'ebano pendeva dal soffitto, sospeso con fili tanto sottili da dare, l'impressione che fluttuasse nell'aria, sullo sfondo di un cielo stellato. Quando Duncan accese le altre candele disposte sull'altare, la maggiore luminosità venne riflessa dalle circostanti superfici lucide. Una singola lampada pendeva da una lunga catena, a sinistra rispetto all'altare, proiettando bagliori carmini sul crocifisso d'ebano. Nel centro della stanza c'erano due piccoli inginocchiatoi; Kelson e Morgan presero posto su di essi, mentre Duncan s'inchinava in direzione dell'altare e piegava il capo, immergendosi in una silenziosa meditazione. Morgan posò per terra la fiala ed il fermaglio, fra gli inginocchiatoi, poi si slacciò la cintura e depose senza far rumore la spada sul pavimento, segnalando a Kelson di fare lo stesso. Il Deryni non era certo che quel gesto fosse necessario, ma non era il caso di correre rischi inutili; la tradizione di entrare nella Casa di Dio disarmati era antica e potente, sorta da qualche valido motivo, chissà dove e chissà quando. Il principe adagiò a sua volta la spada sul pavimento di pietra e Duncan, conclusa la meditazione, raggiunse gli altri due. — Credo che siamo pronti per cominciare — annunciò a bassa voce, lasciandosi cadere su un ginocchio davanti a Morgan ed al ragazzo. — Alaric, se vuoi preparare il fermaglio... — Accennò in direzione della fiala. — Dunque, Kelson, inizierò recitando una breve sequenza di preghiere, a cui tu e Morgan risponderete, poi tornerò qui, t'impartirò una speciale benedizione e mi riaccosterò all'altare dicendo: «Signore, sia fatta la Tua volontà!». Quello sarà il segnale per te. Morgan disinfettò lo spillone con il liquido e lo avvolse in una pezza di lino. — Ed io? — chiese, prendendo la sinistra di Kelson e pulendola, sul palmo e sul dorso. — C'è altro che dovrei fare, oltre che guardare?
— No. — Duncan scosse il capo. — Inoltre, qualsiasi cosa succeda, non lo devi toccare né cercare di aiutarlo in qualsiasi modo fino a quando la reazione non si sarà esaurita. Stiamo manipolando un incredibile potere, ed una tua interferenza potrebbe uccidere il ragazzo. — Ho capito — rispose Morgan. — Bene. Hai qualche domanda, Kelson? — No, padre. — D'accordo. Il prelato si alzò, fissò il giovane per un istante, poi sorrise e fece un inchino, prima di voltarsi e di salire i tre bassi gradini che portavano all'altare. Kelson osservò con occhi sgranati mentre Duncan eseguiva una genuflessione, baciava la pietra dell'altare e protendeva le braccia con la disinvoltura derivante dalla pratica. — Dominus vobiscum. — Et cum spiritu tuo. — Oremus. Le labbra di Duncan si mossero nella preghiera, e Morgan lanciò un'occhiata a Kelson: il ragazzo sembrava calmo, e terribilmente giovane e vulnerabile. Morgan non aveva paura per se stesso: lui e Duncan erano capaci di proteggersi, ne era certo, da qualsiasi entità malvagia che potesse essere evocata da quello che stavano per fare. Ma Kelson, un ragazzo umano ed ancora privo di difese... Naturalmente, era possibile che fosse inutile allarmarsi, era anche possibile che l'Occhio di Rom, che brillava al lobo del principe, offrisse qualche protezione in caso di bisogno, e tuttavia... Kelson era così giovane, così fiducioso. Morgan era lieto che il ragazzo non fosse a conoscenza dei dubbi sorti in lui e in Duncan durante l'ultima ora, perché ciò che stava per fare richiedeva il massimo grado di sicurezza e di fiducia. Non si poteva lasciare adito a dubbi. Morgan tornò a rivolgere la propria attenzione all'altare, e scoprì che il cugino era giunto al termine delle preghiere che costituivano il presupposto di quanto stava per accadere. Il prete s'inchinò ancora una volta, poi si girò verso di loro. — Per omnia saecula saeculorum — recitò. — Amen — risposero all'unisono Morgan e Kelson, in tono solenne. Duncan ridiscese quindi i tre gradini e si arrestò davanti al principe, ponendo entrambe le mani sulla testa del ragazzo e parlando ancora, con voce
che echeggiò, sommessa ma decisa, nel silenzio. — Kelson Cunhil Rhys Anthony Haldane. Anche se le reti degl'Inferi dovessero avvilupparti, anche se le fauci della morte dovessero levarsi intorno a te, non temerai alcun male. Il Signore ti avvolgerà con le Sue ali, e sotto di esse tu troverai rifugio. — Tracciò il segno della croce sul capo del giovane. — In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti, Amen. Mentre Kelson sollevava la testa, Duncan si chinò, tolse il Leone Carminio a Morgan, rimosse la pezza di lino e depose il fermaglio nella destra del ragazzo. — Coraggio, mio principe — sussurrò, prima di tornare all'altare e di allargare ancora una volta le braccia. — Domine fiat voluntas tua! Era il momento. Con dita che tremavano leggermente, Kelson puntò lo spillone dorato contro il palmo sinistro, appoggiandone l'estremità contro la pelle, quindi esitò per un istante, preparandosi mentalmente al dolore che sapeva avrebbe avvertito. Poi si trafisse il palmo con lo spillone. Sofferenza! Fuoco lacerante! Angoscia! Di colpo, la mano torturata parve acquisire vita propria e trasmettere la sua angoscia al cervello, dove essa esplose come le scintille di una forgia rovente, come la lancinante luce bianca del sole che batte su un occhio privo di protezione. Sentì il dolore trapassargli la mano come una lama, in un avvicendarsi di ondate di freddo e di caldo, e gli parve che l'asticciola di metallo impiegasse un tempo interminabile ad attraversare la carne, i tendini ed i muscoli... ne percepì l'insinuarsi fra le ossa, poi vide la punta, ora più scura, emergere finalmente dall'altra parte. Un sussulto involontario gli sfuggì dalle labbra quando il fermaglio vero e proprio gli aderì contro il palmo, dando l'impressione di ustionargli la carne. Si piegò su se stesso, gemendo sommessamente, mentre la mano prendeva a pulsare seguendo un ritmo particolare; poi chiuse gli occhi e una serie di luci iniziò ad esplodergli nella testa, davanti alle pupille. Morgan riuscì a stento a frenarsi dal protendere le braccia per sostenere il suo giovane signore, perché l'angoscia era incisa a chiare lettere sul viso del ragazzo, e il dolore da lui provato era evidente in ogni muscolo teso. Mai Kelson era parso così indifeso. Ma anche Duncan si era girato per guardare, ed una sua occhiata tagliente ricordò a Morgan che non doveva cercare di soccorrere il principe.
Mentre si accasciava sui talloni, stringendosi al petto la mano ferita, Kelson cominciò a risplendere di una pallida e spettrale luce dorata che andò aumentando d'intensità fino a quando il ragazzo s'immobilizzò, smettendo di lamentarsi. Sotto lo sguardo attonito dei suoi compagni, il giovane re aprì gli occhi, fissi e vitrei, osservando cose che gli altri due non potevano vedere. Luminosità... sofferenza... colori vorticanti... sofferenza... pulsazioni... un freddo brivido di... cosa?... Il dolore che diminuiva... ora stava meglio... c'era una cosa fredda e pesante sulla sua mano... Guarda!... Colori... vortici... facce... luce, ombra... la luce che svaniva... facce... era sempre più buio... vorticava... padre!... l'oscurità!... padre... oscurità... — Padre, l'oscurità... Di colpo, il corpo snello si afflosciò silenziosamente al suolo e la luminosità che lo avvolgeva si dissolse. — Kelson! — gridò Morgan, girando freneticamente il viso del ragazzo verso la luce e tastando la carotide per controllare se il cuore batteva ancora. — Kelson, stai bene? Mentre Duncan s'inginocchiava a sua volta accanto alla sagoma immobile, le dita di Morgan trovarono quello che cercavano e si rilassarono, sentendo il battito che acquistava energia; il Deryni sollevò quindi una palpebra del giovane, e vide che la pupilla reagiva alla luce. Il battito divenne ancora più forte. — La mano destra del Signore lo ha colpito con la sua potenza — sussurrò il prelato, facendosi il segno della croce. — Non morirà, ma vivrà. Prese la sinistra del ragazzo e rimosse con delicatezza il fermaglio con il Leone, poi la fasciò con un fazzoletto di seta bianca. — Credi che abbia funzionato? — domandò Morgan, sollevando la testa e le spalle del principe e avvolgendolo meglio nel mantello carminio. Annuendo, Duncan si alzò e si tolse la stola. — Penso di sì. È troppo presto per affermarlo con certezza, ma ci sono tutti i segni. — Accostò la stola alle labbra, e la gettò con disinvoltura sull'altare, dirigendosi verso la porta segreta. — Una cosa è evidente, comunque, e cioè che gli è successo qualcosa di più che ritrovarsi con un buco nella mano. Lo dovremo chiedere a lui, quando si riprenderà. Il prelato azionò la porta e Morgan prese fra le braccia il ragazzo privo di sensi, assestando di nuovo il mantello intorno al suo giovane protetto. Duncan raccolse le spade dal pavimento, fece scorrere ancora una volta lo sguardo sulla cappella, poi sollevò l'arazzo per rientrare nello studio.
Poco dopo, lui e Morgan stavano percorrendo il passaggio segreto che portava agli appartamenti di Kelson. — Non capisco come possano averci superati senza che li vedessimo! L'uomo che aveva parlato accese il candelabro adiacente al letto di Kelson e si girò verso i suoi due compagni. — Pensavo che facessi la guardia, Lawrence! Lawrence ripose la spada nel fodero con decisione, poi spinse dietro le spalle il mantello scuro, abbassando il cappuccio. — Non so spiegarlo, milord. Non ho visto nessun uomo entrare o uscire fin dal tardo pomeriggio, quando il principe e Sua Grazia sono rientrati. — Si accostò al focolare ed attizzò le braci con la punta dello stivale, gettando parecchi ceppi sulla fiamma morente. — Se vuoi il mio parere — interloquì il terzo uomo, abbassando a sua volta la spada, — sono contento che non ci siano. Non sono sicuro che sia una buona idea aggredire Lord Alaric. Dopotutto, è il nostro signore. — Si sedette con cautela sull'orlo del letto reale, lo provò con un leggero dondolio, poi si affrettò ad alzarsi quando Lawrence gli lanciò una dura occhiata. — Credete che ci sia un altro modo per uscire di qui? — domandò questi, scrutando con sospetto la stanza, senza allontanarsi dal fuoco. — Ho sentito parlare di passaggi segreti e cose del genere. Pensate che se ne sarebbero potuti andare in quel modo? Edgar, l'uomo che aveva parlato per primo, si accigliò e considerò quell'idea. Pur essendo un nobile ed uno dei vassalli di Morgan, non era noto per la sua agilità mentale. Svolgeva adeguatamente il suo ruolo di signorotto di confine ed era conosciuto come un buon combattente, ma aveva bisogno di più tempo quando la situazione richiedeva una certa dose di riflessione. Alla fine, piegò il capo ed annuì, snudando la spada. — Sì, è possibile. E se è vero, potrebbero tornare da un momento all'altro. Cominciò ad aggirarsi per la stanza, sondando gli angoli con la lama, mentre il terzo uomo si accostava con precauzione al focolare. — Credi davvero che Lord Alaric abbia soggiogato il giovane principe, come dicono? È già abbastanza grave che uccida gli uomini del re, ma se minaccia la vita stessa del sovrano, la situazione cambia del tutto. — Entrambi gli atti nascono dalla stessa malvagità! — ribàtté Edgar, aggirandosi per la camera come un animale in gabbia. — Non può... — Silenzio! — intimò di colpo Lawrence, sollevando la sinistra. — Mi
pare di sentire qualcosa. — Harold, laggiù — ordinò Edgar, piazzando il terzo uomo a sinistra del camino, vicino al muro. Dalla parte adiacente al focolare, giunse all'orecchio dei tre uomini un cauto e tenue rumore di passi, e subito i sicari spensero la luce, appostandosi nell'ombra con le armi spianate. Sotto i loro occhi, una parte di muro si schiuse con un sussurro ed un lieve bagliore di candela si riversò nella stanza attraverso l'apertura, rivelando Morgan che trasportava il principe, ancora svenuto, e Duncan che veniva dietro di lui. Nel momento stesso in cui entrarono, i due notarono il fuoco che ardeva con vivacità e percepirono la presenza degli uomini annidati nell'ombra. — Demonio! — sibilò nel buio la voce di Edgar. — Cos'hai fatto a Sua Altezza? I tre uomini, che avevano il volto nascosto dagli elmi di ferro e dai neri cappucci, entrarono nel cerchio di luce proiettato dalla candela e fissarono con aria di sfida i due Deryni, brandendo le armi con fare minaccioso. — Non hai niente da dire, mostro? — continuò, furente, Edgar. — Allora difenditi! CAPITOLO DECIMO DA DOVE GIUNGE LA MERAVIGLIA, E DA DOVE IL MIRACOLO? Le parole dell'intruso fecero entrare in azione i due uomini. Duncan gettò la candela per terra, spegnendola, poi lanciò a Morgan la sua spada; il generale, che aveva già adagiato ai propri piedi il principe privo di sensi, sfilò l'arma dal fodero con un'abile e rapida torsione del polso, mentre il prete impugnava la spada di Kelson e si preparava allo scontro. Il più giovane dei tre assalitori impegnò immediatamente il prelato, spingendolo verso un angolo, e gli altri due attaccarono Morgan all'unisono con uno stocco ed uno spadone a due mani, tempestando la lama del Deryni di colpi fragorosi. Dopo l'impatto iniziale, Morgan procedette a parare ogni stoccata degli avversari con disinvoltura e metodo, non tanto preoccupato di difendere se stesso quanto di mantenersi sempre fra i due uomini e la sagoma inerte di Kelson, alle sue spalle. Il sottile pugnale era riapparso nella sua sinistra e
lui lo usava per deviare ogni tanto gli attacchi dello stocco, anche se la corta daga era inutile contro lo spadone, che continuava a tempestarlo di colpi. Il generale era anche costretto a trattenersi dallo scatenare un'offensiva vera e propria, non osando iniziare una manovra che avrebbe lasciato Kelson esposto ad un'aggressione. In quel momento, non era certo dell'identità degli assalitori e non poteva rischiare la vita del principe per appurarla. Un'occhiata di lato fu sufficiente per fargli sapere che neppure Duncan poteva essergli d'aiuto. Stretto in un angolo, il prelato era in difficoltà, perché la lama di Kelson era più corta e leggera delle armi a cui lui era abituato, il che lo portava a combattere in condizioni molto ardue, con un'arma con cui non aveva familiarità e contro un uomo che gli era superiore per peso, forza, allungo e anni di esperienza. Come spadaccino, le capacità di Duncan erano notevoli, perché il prete era innanzitutto il figlio di un nobile, nato ed allevato secondo i dettami di una tradizione guerriera, e temprato da molti anni di esperienza e di addestramento. Comunque, la situazione attuale non era di suo gradimento: aveva solo quella debole spada come protezione... e neppure una cotta di maglia, perché di solito la gente non impugnava le armi contro un prete, e soprattutto contro un monsignore. Per nulla intimidito, continuò a cercare un'apertura... e la trovò! A quanto pareva, anche il suo avversario si era accorto di essere in posizione avvantaggiata, e di conseguenza si era rilassato, recuperando da una stoccata più lentamente di come avrebbe dovuto. Questo gli costò la vita: nel momento stesso in cui comprese l'errore commesso, infatti, la lama di Duncan attraversò un punto debole della cotta di maglia e gli trafisse il cuore. L'aggressore si afflosciò sul pavimento con espressione sorpresa e morì in silenzio. Abbandonata la spada insanguinata, Duncan sbirciò nella penombra, cercando di stabilire quale dei due avversari di Morgan fosse meglio eliminare dalla mischia. Non fu una decisione difficile, perché se Morgan avesse dovuto ancora parare altri colpi dello spadone, il risultato del duello sarebbe stato facile da indovinare. Il prelato aggirò furtivamente l'uomo, protese le mani tenendo uniti i palmi, poi le separò lentamente. Una piccola sfera di fuoco verde si librò nell'aria fra le sue dita, poi si diresse verso la nuca del sicario con lo spadone. Un brillante arco di fuoco verde scaturì dalla sfera quando essa toccò
l'elmo, e l'uomo lanciò un grido, cadendo a terra come istupidito. Quel crollo innervosì talmente il suo compagno che Morgan riuscì a disarmarlo senza difficoltà e a tenerlo a bada. Fuori della porta, si udirono i rumori prodotti dall'arrivo delle guardie, che bussarono e lanciarono grida di sgomento nello scoprire il destino toccato ai loro compagni, sopraffatti dai tre intrusi. I colpi contro il battente aumentarono d'intensità. — Sire! — gridò una voce, sovrastando il fracasso. — Sire, stai bene? Generale Morgan, cosa succede? Aprite la porta, altrimenti dovremo abbatterla! Nel muoversi verso l'ingresso, Morgan accennò al prigioniero con la punta della spada, e Duncan annui. Prima che l'uomo potesse reagire, il prelato gli si accostò e gli toccò la fronte, impartendo un comando sommesso: subito il sicario assunse un'espressione vacua e rilassò le braccia lungo i fianchi, senza più tentare di resistere. — Tu non mi hai visto — mormorò Duncan, fissandolo negli occhi. — Hai visto solo il principe e Sua Grazia. Hai capito? L'uomo annuì lentamente. Il prete ritirò la mano e si diresse verso le porte della balconata, rivolgendo al cugino un cenno di assenso. Adesso il prigioniero non avrebbe fatto parola della sua presenza, questo era certo, il che era un bene perché altrimenti sarebbe stato difficile spiegare cosa ci facesse lui in quella stanza, nel cuore della notte. Mentre tirava indietro il paletto, dopo aver riposto lo stiletto nel fodero da polso, Morgan sentì Kelson gemere debolmente dall'angolo in cui giaceva... segno certo che il ragazzo si stava riprendendo. Trasmise mentalmente un flusso di energia e di sicurezza in direzione del principe e si portò nel centro della stanza, nel momento in cui la porta si spalancava ed un gruppo di armati faceva irruzione. Un capitano... lo stesso in cui si erano imbattuti quel pomeriggio, in giardino... si guardò rapidamente intorno mentre i suoi uomini prendevano in custodia il prigioniero, poi si diresse a grandi passi verso il Deryni, brandendo la spada con aria minacciosa. — Rimani dove sei, Generale Morgan, e getta la spada — intimò, seguendo con la sua lama ogni movimento del nobile. — Dov'è Sua Maestà? Morgan non ebbe bisogno di guardarsi intorno per sapere che era circondato ed in posizione d'inferiorità numerica. Con una scrollata di spalle, lasciò cadere a terra l'arma, poi si girò e tornò dove giaceva Kelson. Nes-
suno cercò di fermarlo mentre s'inginocchiava accanto al ragazzo. — Stai bene, mio principe? — chiese, aiutando il giovane ad alzarsi in piedi. Kelson annuì debolmente e si puntellò contro il braccio di Morgan. — Sto bene — rispose, traendo un profondo respiro per schiarirsi la mente. — Soltanto, non sono abituato ad essere attaccato mentre dormo. Abbracciò la stanza con un rapido sguardo, intuendo la situazione, e comprese d'istinto che era meglio non dire la verità. Quegli uomini non avrebbero mai capito, e per ora seguire il suggerimento di Morgan sembrava il piano migliore. Respirò ancora a fondo, e si volse verso il capitano delle guardie. — Come hanno fatto questi uomini ad entrare qui, capitano? L'uomo si mise immediatamente sulla difensiva. — Non lo so, Sire. Devono aver sopraffatto le guardie poste all'esterno. Tre sono morte, e altre quattro sono gravemente ferite. L'accaduto ormai era chiaro, e Kelson annuì. — Capisco. Chi sono i nostri aggressori, Morgan? Il generale si avvicinò all'unico intruso ancora in piedi e gli tolse l'elmo e il cappuccio; la faccia da essi celata assunse un immediato cipiglio. — Lord Edgar di Mathelwaite! — esclamò Kelson. — Non è uno dei tuoi vassalli, Generale Morgan? — chiese il capitano, accennando a risollevare la spada. Il Deryni colse la nota di minaccia nella voce dell'uomo e badò a tenere le mani bene in vista, nel girarsi verso di lui. — Sì, capitano, è uno dei miei uomini. — Tornò a fissare con pazienza il prigioniero. — Che ne diresti di darci una spiegazione, Edgar? Immagino che avessi una buona ragione per commettere un atto di tradimento contro il tuo re. Per un momento, il vassallo parve confuso, poi lanciò un'occhiata colpevole in direzione di Kelson. — Stavamo solo eseguendo gli ordini, Vostra Grazia. — Gli ordini di chi, Edgar? Il prigioniero si contorse, a disagio. — I... i tuoi, milord. — I miei ordini... — Morgan ti ha ordinato di assassinare il re? — sbottò il capitano, indignato, alzando la spada verso la gola del generale. — Basta così! — intimò Kelson, afferrando l'arma e spingendola di lato.
— Lord Edgar, dovresti essere un po' più preciso. Il vassallo si mosse nervosamente, poi si gettò in ginocchio e piegò il capo, allargando le mani in un gesto di supplica. — Per pietà, Sire, perdonami! — implorò. — Non volevo, nessuno di noi lo voleva. Lord Alaric, lui ci ha costretti... ha questo potere sugli uomini, può obbligarli a fare quello che vuole. Lui... — Basta! — scattò Kelson, con occhi fiammeggianti. — Sire — supplicò il capitano, cercando di avvicinarsi a Morgan, — permettimi di arrestarlo, te ne prego! Ora sai che quello che tutti dicono sul suo conto è vero... che è un assassino, un mostro, un... — Quest'uomo sta mentendo — dichiarò il principe, trafiggendo il capitano con il tipico sguardo gelido degli Haldane. — E Morgan non è un traditore! — Te lo giuro, Sire! — ricominciò, supplichevole, Edgar. — Silenzio! Nella stanza non si udì più nulla, tranne il respiro aspro ed affrettato del prigioniero e quello calmo e controllato di Kelson. Il giovane volse lentamente lo sguardo verso Morgan, alla ricerca di una guida, ma il Deryni si limitò a scuotere impercettibilmente il capo, segnalando che il principe doveva sbrogliare da solo quel pasticcio. A questo punto, qualsiasi cosa Morgan avesse detto o fatto sarebbe servita solo ad accrescere le difficoltà. Il ragazzo fissò Edgar. — Alzati. Mentre il vassallo ubbidiva, il principe scrutò i volti che lo circondavano e parlò a beneficio di tutti i presenti. — Voi pensate che sia Morgan a mentire, vero? E credete che io lo stia proteggendo, che lui mi abbia ingannato come ritenete abbia ingannato voi. — Lanciò un'occhiata a Edgar. — Ma io dico che è quest'uomo che mente, dico che Morgan non ha mai chiesto a nessuno di togliermi la vita. Ha prestato un giuramento solenne a mio padre, ed è un uomo che mantiene la parola data. No — continuò, fissando ora il Deryni, — Edgar mente, e dobbiamo scoprire perché, e chi vuole proteggere. Potrei chiedere al generale d'interrogarlo: voi tutti conoscete i suoi poteri e sapete che potrebbe estorcere la verità. Ma siccome non vi fidate di lui, rimarrebbe sempre il sospetto che Morgan abbia controllato le risposte. Distolse lo sguardo dal nobile deryni e si avvicinò al prigioniero, scrutandolo in silenzio per un momento. — Signori, almeno sotto questo aspetto somiglio a mio padre perché an-
ch'io, come lui, so capire quando un uomo mente. E anch'io posso esigere la verità! Intercettò lo sguardo di Edgar. — Lord Edgar di Mathelwaite, guardami! — ingiunse. — Chi sono io? Il prigioniero parve incapace di distogliere gli occhi da Kelson, e Morgan assunse un'espressione di stupore: Duncan doveva aver insegnato al ragazzo la Visione Mentale! — Chi sono io? — ripeté il ragazzo. — Sei il Principe Kelson Cinhil Rhys Anthony Haldane, erede designato del mio signore, Re Brion — dichiarò Edgar, in tono tranquillo. — E quello chi è? — domandò ancora il giovane, indicando Morgan. — Il Lord generale Alaric Anthony Morgan, il mio signore, Sire. — Capisco. — Kelson socchiuse gli occhi, concentrandosi. — Lord Edgar, Morgan ti ha ordinato di uccidermi? — No, Sire — fu pronto a rispondere il prigioniero, senza battere ciglio. Le guardie si agitarono a disagio, ed un sommesso mormorio echeggiò per la stanza. Il capitano assunse un'aria incredula. — Allora, chi ti ha ordinato di uccidermi, Lord Edgar? Il vassallo sgranò gli occhi, come se un conflitto interiore si fosse scatenato nel profondo del suo intimo. — Non siamo venuti per uccidere te, Sire — sbottò quindi, — ma per uccidere Lord Alaric! E così dovrebbero morire tutti gli assassini che aggrediscono vittime innocenti negli angoli bui! Si liberò di scatto dalla stretta delle guardie e si scagliò contro Morgan, mirando alla gola, ma il generale si spostò di lato e lo controllò senza difficoltà, restituendolo alla custodia dei soldati. Edgar continuò a divincolarsi, mentre Kelson sollevava una mano per ottenere silenzio. — Spiegati, Edgar — aggiunse, avvicinandosi maggiormente al prigioniero. — Chi colpisce uomini impotenti negli angoli bui? Di cosa stai parlando? — Morgan lo sa! — ritorse l'uomo. — Chiedi a lui in che modo il giovane Michael DeForest ha esalato l'ultimo respiro con una daga nel petto, mentre sorvegliava i passaggi più bui di questo palazzo. Chiedigli se sa che ha commesso un errore, e che il giovane DeForest ha avuto ancora la forza di disegnare con il suo sangue, sul pavimento, lo stemma dell'assassino... la forma del Grifone di Corwyn! — Cosa? — sussultò il capitano. I mormoni tornarono a levarsi, questa volta più energici; Kelson, scon-
certato, si girò verso il Deryni. — Hai idea di cosa stia dicendo? — sussurrò il ragazzo. Tutt'intorno, ogni discussione era cessata ed i presenti stavano tendendo l'orecchio per sentire la risposta del generale. Una dozzina di spade erano ancora puntate contro di lui, e ciascuna di esse si era avvicinata un po' di più a Morgan quando Edgar aveva fatto la sua dichiarazione. — Sonda più a fondo, Kelson — replicò il Deryni, scuotendo il capo. — Non so proprio a cosa stia alludendo. — Altro che, se non lo sai! — borbottò una voce, in sottofondo. Kelson lanciò uno sguardo tagliente nella direzione da cui era venuto il commento, poi si girò verso Edgar e lo fissò di nuovo negli occhi. — Lord Edgar, come sai che questo è vero? Sotto lo sguardo fisso di Kelson, il prigioniero si calmò. — L'ho visto con i miei occhi, milord. Lord Lawrence, Harold Fitzgerald ed io lo abbiamo visto. — Avete assistito all'assassinio oppure avete solo visto il corpo? — insistette Kelson. — Il corpo. Il principe si accigliò e si morse pensosamente un labbro. — E come avete fatto a scoprirlo, Edgar? — Ci... è... — Va' avanti — ordinò il giovane. — Ci è stato detto di andare in quella zona dei corridoi — mormorò con riluttanza il prigioniero. — E chi vi ha dato questo suggerimento? — insistette il ragazzo. — Chi sapeva dell'omicidio e vi ha detto di andare là? — Per favore, Sire — rabbrividì Edgar, — non mi costringere... — Chi vi ha detto di andare là? — ripeté Kelson, mentre i suoi occhi iniziavano a risplendere di una luce interiore. — Sire, io... D'un tratto, prima che qualcuno lo potesse fermare, Edgar ruotò su se stesso e sfilò una daga dalla cintura di una guardia. Intuendo cosa stava per accadere, Morgan scattò in avanti, pur sapendo che non sarebbe riuscito a bloccare il prigioniero. Quando le sue mani sfiorarono Edgar, infatti, era già troppo tardi: la daga sporgeva dall'addome dell'uomo, che si stava accasciando. Morgan e le guardie sconvolte lo adagiarono per terra ed il capitano contemplò con orrore quello che era accaduto.
— È... è morto di sua mano piuttosto che parlare, Sire — sussurrò, guardando Morgan con apprensione. — Quale infernale potere può indurre un uomo.. — Portatelo fuori di qui! — ordinò Kelson, secco, — e portate via anche i suoi amici. Per stanotte non vogliamo più essere disturbati. Mentre le guardie si affrettavano ad obbedire girò loro le spalle, consapevole delle occhiate intimorite e meravigliate che seguivano ogni suo gesto. I soldati effettuarono quindi una superficiale perquisizione della stanza, durante la quale Morgan si trasse in disparte, cercando di non dare nell'occhio e sgusciando quindi nel corridoio. Derry, che Dio lo aiutasse, era là fuori da qualche parte. Se aveva eseguito gli ordini, cosa di cui Morgan non dubitava minimamente, il giovane si trovava fra coloro che erano stati sopraffatti dagli intrusi. Tre morti e quattro feriti gravi, aveva detto il capitano: se solo Derry fosse stato fra quelli ancora vivi! Il corridoio sembrava diventato teatro di un massacro e c'erano corpi dappertutto, alcuni ancora circondati da guardie e da chirurghi, o da entrambi; un gruppo di assistenti stava portando via due uomini e Morgan diede loro un'occhiata nell'oltrepassarli: nessuno dei due morti era Derry. Iniziò un'ansiosa ricerca fra le sagome raggomitolate fino a quando notò il familiare mantello azzurro, contro il muro. Un chirurgo, che si era appena alzato dopo aver esaminato la ferita sul fianco della figura che giaceva immobile sotto il mantello, fissò Morgan con aria triste quando questi si avvicinò. — Mi dispiace, ma temo di non poter far nulla per quest'uomo, milord — dichiarò, scuotendo il capo. — Morirà fra pochi minuti, e io farò meglio a provvedere a chi può ancora essere aiutato. Il chirurgo si allontanò in fretta, ovviamente ignaro dell'identità del suo paziente. Morgan s'inginocchiò accanto al corpo immoto, ed allontanò il lembo di mantello che ne copriva a mezzo il volto. Era Derry. Mentre lo guardava e gli sfiorava la mano, gli tornarono in mente le parole di una donna vestita di grigio: ho intenzione di fartela pagare... e lo farò distruggendo coloro che più ami, uno alla volta, lentamente... Prima era toccato a Brion, poi a Lord Ralson, al giovane Colin di Fianna, ai suoi uomini. Ed ora, anche Derry stava morendo. E lui non poteva salvarlo... Strinse un polso inerte di Derry e sollevò una palpebra floscia: il giovane
era ancora vivo, ma per poco. Una terribile ferita gli aveva attraversato il fianco, spappolando la milza e chissà cos'altro. Anche le arterie principali dovevano essere state lese, perché il sangue fiottava rosso ad ogni battito del cuore. Morgan sfilò un fazzoletto dalla manica e lo premette contro la lacerazione, cercando di arrestare l'emorragia anche se sapeva che era inutile. Se avesse potuto fare qualcosa, annullare l'accaduto con la forza della volontà, come se non si fosse mai verificato. Se avesse trovato qualche forza cui attingere, qualche potere guaritore... Si raddrizzò di colpo, stupito, quando un'idea lo assalì. Molto tempo prima, aveva letto di un simile dono... di un potere di cui si ritenevano dotati alcuni Deryni. Nei tempi antichi, c'era stato chi aveva praticato quell'arte. Ma no. Si era trattato di Deryni purosangue, ben addestrati e che dominavano a fondo tutte le sfumature della magia... non di un mezzosangue come lui. E anche i tempi erano stati diversi: un'era in cui gli uomini credevano nei miracoli ed in cui non era così difficile pilotare i Poteri del Bene. Come poteva lui presumere tanto? Eppure, se voleva dare a Derry almeno una minima possibilità di sopravvivere... se lui, Morgan, fosse riuscito a rievocare questo perduto potere del passato... Dio solo sapeva come... Doveva tentare. Posò lievemente le mani sulla fronte del giovane e cominciò a concentrarsi, svuotando al massimo la mente ed usando il sigillo del grifone come punto focale, così come aveva fatto in precedenza quando gli era apparsa la visione. Chiuse gli occhi e si concentrò sullo sforzo di evocare la forza guaritrice che stava cercando, sul tentativo di risanare Derry. Faceva freddo, nel punto ombroso del corridoio in cui era inginocchiato, ma il sudore gli cosparse il viso e prese a gocciolargli dal mento; in modo vago, ne percepì il tocco caldo quando gli cadde sulle dita. E poi accadde. Per un fugace istante, ebbe l'impressione che un altro paio di mani si sovrapponesse alle sue, che un'altra presenza si servisse di lui come tramite per riversare vita e forza sulla sagoma inerte. Aprì gli occhi, stupefatto. Derry aveva emesso un profondo sospiro, e ora le sue palpebre stavano tremolando e il suo respiro assumeva il ritmo lento di chi dorme di un sonno profondo. Affascinato, Morgan ritrasse le mani dalla fronte del giovane e ne allun-
gò una verso il fazzoletto che tamponava la ferita. Esitò per un attimo, quasi timoroso d'infrangere l'incantesimo, poi rimosse la stoffa. Lo squarcio era scomparso, guarito, svanito... senza neppure una cicatrice o un segno! Incredulo, Morgan fissò le proprie mani, poi si affrettò a controllare il polso fasciato di Derry... anche quello era guarito! Si dondolò all'indietro sui talloni, incapace di accettare quanto era appena accaduto. Poi alle sue spalle echeggiò una voce che gli raggelò il sangue e gli fece rizzare i capelli sulla nuca. — Ben fatto, Morgan! — esclamò la voce. CAPITOLO UNDICESIMO TALE PADRE, TALE FIGLIO Morgan si volse di scatto, sulla difensiva, quasi aspettandosi di vedere di nuovo la faccia della visione. Ma quella che avanzava non era la bionda apparizione del defunto Saint Camber, bensì la forma compiaciuta di Bran Coris che, accompagnato da Ewan, da Nigel, da Ian e da una decina di altri nobili e cortigiani, si stava avvicinando in fretta alla scena del massacro. E alle spalle del gruppo procedeva Jehana, furente, scortata da due dame. Bran Coris fu il primo ad arrivare sul posto. — Ah, sì. Ben fatto, davvero! — ripeté. — Ora hai completato l'opera, vero? Adesso sei l'unico uomo vivente che sappia cosa sia veramente accaduto durante il viaggio fino a Rhemuth! Morgan si alzò con cautela, mentre gli altri raggiungevano Bran e formavano un capannello intorno a lui, e si costrinse a rilassarsi ed a rispondere in maniera educata. — Mi dispiace deluderti, Lord Bran — ribatté, segnalando ad uno dei medici di venire a curare Derry, — ma non è morto. È illeso, anche se ha perso i sensi. Indubbiamente una trascuratezza da parte di chi ha orchestrato il piccolo spettacolo di questa notte. Morgan non aveva nessuna intenzione di rivelare il nuovo talento che aveva appena scoperto di possedere, perché questo sarebbe servito solo a destare altra paura ed avversione nei suoi confronti. Jehana si aprì un varco fra la ressa e si fermò fra Lord Ewan ed il sempre elegante Ian Howell. Agli occhi di Morgan, la regina non era mai stata così bella come in quel momento, con i capelli lunghi e ramati sciolti sulle spal-
le, e rimpianse più che mai di non essere riuscito a rappacificarsi con l'orgogliosa sposa di Brion. La donna aveva infilato una vestaglia color lavanda sulla camicia da notte, ed ora la teneva chiusa al collo con una pallida mano su cui brillava l'anello donatole da Brion. — Maestà. — Morgan s'inchinò, cercando di evitare ulteriori attriti. — Mi rincresce per quest'agitazione, specialmente ad un'ora così tarda. Non è stata opera mia. Jehana s'indurì in volto, ed i suoi occhi brillarono come ghiaccio verde. — Non è stata opera tua? Morgan, mi prendi per un'idiota? Credi che non sappia di quella guardia che hai assassinato nella mia stessa casa? Ritengo che tu mi debba una spiegazione, prima che ti faccia arrestare e giustiziare per omicidio. In quel momento, Kelson apparve sulla soglia. Il giovane appariva molto teso e stanco, ma anche molto deciso. — Le spiegazioni fornite da Morgan sono state sufficienti per me, madre — dichiarò in tono quieto, uscendo dalla sua camera per portarsi al fianco del generale. — E qui non ci saranno né arresti né esecuzioni senza un mio ordine diretto. È chiaro? A parte Jehana, tutti i presenti s'inchinarono con deferenza all'avvicinarsi di Kelson, ed il ragazzo ricambiò, impassibile, i loro sguardi interrogativi. — Signori, siete perplessi per questo attentato notturno contro la mia vita, e lo sono anch'io — proseguì, disinvolto. — Non dubito, comunque, che a tempo debito apprenderemo tutti i dettagli. — Lasciò scorrere uno sguardo sicuro sugli astanti. — Però vi avverto che qualsiasi ulteriore tentativo d'interferire con le mie attività nelle ore che ancora mancano all'incoronazione verrà considerato un tradimento. Non tollererò che siano ancora messe in dubbio la fedeltà di Morgan o la mia capacità di giudizio, sono stato chiaro? Disobbeditemi, ed imparerete a vostre spese che mio padre mi ha insegnato bene come agisce un re di Gwynedd. Tutti i presenti espressero la loro obbedienza inchinandosi ancora, con l'eccezione di Jehana, che rimase dov'era e rivolse al figlio uno sguardo rovente. — Vorresti sfidarmi su una questione tanto importante, Kelson? — sussurrò. — Insistere in una cosa che io ritengo assolutamente sbagliata? — Per favore, madre, torna nelle tue stanze — ribatté il ragazzo, con fermezza. — Non desidero discutere con te davanti alla mia corte. La donna non rispose subito, e Kelson rivolse la propria attenzione al capitano delle guardie, che aveva finito di perquisire l'appartamento reale
ed aveva radunato i suoi uomini fuori della porta. — Capitano, intendo ritirarmi per la notte... di nuovo. Vorresti badare che non venga disturbato? Il Generale Morgan rimarrà con me. — Sì, Maestà — rispose l'uomo, scattando sull'attenti. — Quanto a voi, signori, e a te, madre — continuò Kelson, — vi vedrò domattina. Nel frattempo, suggerirei di concederci tutti un po' di riposo. Domani non sarà una giornata qualsiasi. Il ragazzo ruotò con precisione sui tacchi ed entrò nella sua stanza, seguito da Morgan, poi il paletto della porta scattò con un rumore definitivo. Dopo un momento d'esitazione, la regina si avviò verso le sue stanze e Ian, seguendo il gruppo di cortigiani che si stava disperdendo, segnalò a una guardia di accompagnarlo verso un corridoio laterale. Non appena il battente fu chiuso e sprangato, Kelson crollò sotto il peso della tensione, aggrappandosi al mantello di Morgan nell'afflosciarsi ai piedi del generale. Accigliandosi, il Deryni sollevò il ragazzo e lo trasportò fino affetto, mentre Duncan emergeva finalmente dal suo nascondiglio sulla balconata. — Fa freddo, là fuori — commentò il prelato, alitandosi sulle mani e accostandosi all'altro lato del giaciglio. — Sta bene? — Presto starà meglio — rispose Morgan, slacciando il colletto del giovane ed allentando i lacci del giustacuore di velluto rosso. — Ha speso un sacco di energie, riprendendosi così in fretta. Credevo che avrebbe dormito fino a domattina, stando alle tue affermazioni. Duncan toccò la fronte del principe, poi cominciò a togliere la fascia dalla mano ferita. — È un bene che non lo abbia fatto. Ti saresti trovato in serie difficoltà, se avessi dovuto spiegare tu la situazione a quelle guardie. Anche così, non è stato facile. Con un grugnito di approvazione, rinnovò la fasciatura intorno alla mano di Kelson. Morgan slacciò intanto il mantello del giovane e glielo sfilò da sotto, sollevando poi il principe per le spalle in modo che Duncan gli potesse togliere il giustacuore. In quel momento, Kelson aprì gli occhi. — Morgan? Padre Duncan? — disse debolmente. — Siamo qui, mio principe — rispose il generale, riadagiando il ragazzo sui cuscini. — Ho agito bene, Morgan? — chiese lui, con voce ridotta quasi ad un sussurro. — Temo di essere stato piuttosto pomposo.
— Ti sei comportato benissimo — sorrise Morgan. — Brion sarebbe stato orgoglioso di te. Con un debole sorriso, Kelson rivolse lo sguardo verso il soffitto. — L'ho visto, Morgan, e ho sentito la sua voce... prima, intendo. Mi ha chiamato per nome, e poi... — Si girò verso Duncan. — È stato come essere avvolto nella seta, o in una rete di sole... no, di luna. E c'era anche qualcun altro, Padre Duncan, un uomo con il viso lucente ed i capelli dorati... ma non eri tu, Morgan. Ricordo di aver avuto paura, ma poi... — Ora taci, mio principe — consigliò Morgan, posando una mano sulla fronte del ragazzo. — Devi dormire e riposare. Dormi, io non sarò lontano. Mentre parlava, le palpebre di Kelson tremolarono e si chiusero, poi il respiro del giovane divenne regolare e profondo. Con un sorriso, Morgan accarezzò i capelli arruffati ed aiutò il cugino a sfilare gli stivali del principe ed a gettargli addosso una coperta, come protezione dal freddo notturno. Duncan spense quindi tutte le candele intorno al letto, tranne una, e segui Morgan vicino al camino. Il generale appoggiò le mani e la fronte alla mensola, fissando le fiamme che ruggivano ai suoi piedi. — Sta accadendo qualcosa di strano — sussurrò, quando il prelato gli giunse alle spalle. — Vorresti scommettere che so a chi appartiene quella faccia che Kelson ha visto durante il rituale? — A Saint Camber? — chiese Duncan. Il prete indietreggiò e serrò le mani dietro la schiena, mentre Morgan sollevava il capo e si passava le dita sugli occhi con un gesto stanco. — Sì — confermò. — E c'è un'altra cosa che ti gelerà il sangue. Derry era ferito, là fuori nel corridoio, ed era quasi morto quando l'ho raggiunto: aveva nel fianco un buco grande quanto un pugno. E io l'ho guarito! — Tu cosa? — Lo so, suona ridicolo — proseguì Morgan, — ma ricordavo vagamente un antico potere guaritore che si supponeva alcuni Deryni detenessero in tempi remoti. Si è trattato di una speranza assurda... non lo so... comunque, dovevo tentare. Non credevo che avrebbe funzionato. Come poteva ancora esistere tale capacità, dopo tanti anni ed in un Deryni mezzosangue che non è mai stato libero di usare neppure i poteri che possiede in giusta misura, e men che meno... «In ogni caso, ho tentato, impiegando il sigillo del grifone come punto focale, come avevo fatto in biblioteca quando cercavo indizi. Ho messo le mani sulla fronte di Derry ed ho chiuso gli occhi. Di colpo, ho avvertito u-
n'altra Presenza accanto a me, altre due mani posate sulle mie, e mi sono sentito attraversare da un potere che però non mi apparteneva. Fece una pausa per trarre un profondo respiro. — Duncan, in nome di tutto ciò che mi è sacro, giuro di non aver mai visto niente del genere. Quando ho riaperto gli occhi... istupidito dalla meraviglia, puoi credermi... Derry si è messo a respirare normalmente, come se stesse soltanto dormendo! Ho scoperto la ferita, ed era svanita! Svanita senza lasciare traccia! Duncan stava fissando il cugino a bocca aperta. — Lo giuro, Duncan — continuò Morgan, quasi rivolto a se stesso. — Era del tutto guarito, senza neppure una cicatrice. Perfino il polso era risanato. Io... — La voce gli venne meno. — Sei tu l'esperto in miracoli, padre. Perché non mi spieghi cosa è successo? Il prelato riacquistò almeno la presenza di spirito necessaria per chiudere la bocca, poi scosse il capo, incredulo. — Non so spiegarlo, Alaric. Credi... credi che si sia trattato della stessa Presenza della visione? — Non lo so — replicò Morgan, massaggiandosi il mento con la mano e scrollando il capo. — Ma è come se qualcuno mi suggerisse delle idee, su cui non ho nessun controllo. Fino ad ora si sono dimostrate valide, ma... diavolo, Duncan. Forse Camber di Culdi sta davvero agendo nel nostro interesse: a questo punto, sono pronto a credere a qualsiasi cosa, non importa quanto sia assurda. — Si accostò alle porte della balconata, trasse indietro le tende e rimase a fissare la città addormentata. — Dopo tutto, cosa ne possono sapere un paio di Deryni mezzosangue? Duncan lo raggiunse e seguì la direzione del suo sguardo. — Ci deve essere una spiegazione razionale, Alaric. Magari si chiarirà tutto quando la lotta per il potere si sarà conclusa. — D'accordo — annuì Morgan, — accantona la cosa in questo modo, se vuoi. Io ho un altro problema: non c'è stato niente altro che ti abbia turbato, stanotte? — Ti riferisci all'aggressione di Lord Edgar oppure alle sue accuse contraddittorie? — A niente di tutto questo, ma al fatto che Kelson è stato capace di effettuare la Lettura del Vero. Avrei preferito che tu mi avessi avvertito di averglielo insegnato, così mi sarei risparmiato molte preoccupazioni. — Io? — Duncan era sconcertato. — Vuoi dire che non sei stato tu? Morgan lasciò ricadere il tendaggio e si girò a guardare in faccia il cugi-
no, sgomento. — Stai scherzando. Non ho mai... — Indugiò a riflettere. — È possibile che glielo abbia insegnato Brion? — È fuori discussione. Brion non era un Deryni, e soltanto un Deryni può averlo istruito in quel campo. — Non ti ha mai visto mentre lo facevi? — insistette Morgan. — Mai! Fino ad oggi, non avevo effettuato nessuna dimostrazione pratica a beneficio di Kelson. Se ben ricordi, non sapeva neppure che fossi per metà Deryni. Possibile che abbia invece visto te? — Certo, decine di volte. Ma senza i poteri paterni, che ancora non dovrebbe essere capace di utilizzare... Duncan, mi è appena venuto un tremendo sospetto. Possibile che il ragazzo abbia un po' di sangue deryni? — Non vedo come. Brion era del tutto umano, su questo non ci sono dubbi, quindi... non vorrai sottintendere che Brion non era suo padre, vero? Sarebbe assurdo. Morgan scosse il capo con aria afflitta. — No, Brion era suo padre, questo è sicuro, basta guardarlo per accorgersene. Non pensi che Jehana... Socchiuse gli occhi in un'espressione sospettosa e lasciò la frase incompiuta; poi guardò Duncan e si sentì rincuorato nel notare che la reazione del cugino era uguale alla sua. Il prete emise un lungo sospiro d'incredulità e scosse il capo. — La regina, una Deryni? Se fosse vero, questo spiegherebbe molte cose, come la sua ipersensibilità nei confronti dei poteri di Brion, la sua ferrea avversione nei tuoi confronti, esteriormente giustificata con il fervore religioso... pensi che lei ne sia cosciente? — Forse no. Sai bene come me quanto possa essere pericoloso appartenere alla razza dei Deryni. Sono certo che, nel corso delle ultime cinque o sei generazioni, ci sono stati molti fra noi che hanno deciso di non rivelare ai figli la loro vera natura, per maggior sicurezza. E in un mondo in cui la legge civile e quella ecclesiastica proibiscono di trafficare con l'arcano, come si fa a scoprire la verità? Se si è consapevoli di avere il potere dei Deryni, si può sempre trovare qualcuno che ti aiuti a svilupparlo, cercando con cocciutaggine. «Ma se non si conosce neppure la propria natura non si può fare molto, specie quando domande del genere vengono, a dir poco, considerate con avversione. Non voglio intendere che questo sia il caso di Jehana, voglio soltanto dimostrarti che potremmo facilmente non essercene accorti duran-
te tutti questi anni. È probabile che ci siano migliaia di Deryni che non sanno di esserlo. — Su questo non ci sono dubbi — convenne Duncan. — Comunque, se Jehana è una Deryni, questo potrebbe fornirci il vantaggio di cui abbiamo bisogno per domani. Anche se abbiamo sbagliato qualcosa nel rituale, per lo meno può darsi che Kelson abbia riserve personali a cui attingere. Quello di stanotte è stato un esempio splendido. — Non mi piace lo stesso. — Morgan scosse il capo. — Kelson è del tutto privo di addestramento. Le sue capacità si sarebbero dovute sviluppare con l'acquisizione dei poteri paterni. Mi chiedo se Brion abbia mai sospettato cosa ci stava lasciando fra le mani. A questo punto, non so più se considerarla una benedizione o una maledizione. Duncan sorrise e tornò vicino al camino. — Abbiamo forse accettato l'incarico affidatoci da Brion perché pensavamo che sarebbe stato semplice? O piuttosto perché amavamo Brion e suo figlio... e perché era una cosa giusta? Morgan ridacchiò. — Va bene, padre, niente prediche. Credo che tu sappia che le mie motivazioni coincidono con le tue. — Serrò le mani fra loro, sfregando inconsciamente il pollice contro il sigillo del grifone. — Comunque devi ammettere che all'improvviso sono saltate fuori un sacco di varianti impreviste. I poteri che forse Kelson possiede, e Jehana... come può rimanere inerte e guardar morire suo figlio? Ed ora sembra che ci sia anche un traditore fra di noi. — Un traditore...? — Nel palazzo, almeno, ed in una posizione piuttosto altolocata. Non penserai che Charissa abbia organizzato di persona l'incidente con Edgar, vero? Ha qualcuno che lavora per lei. — Dato che stai scendendo nei dettagli, c'è un altro fattore di cui preoccuparsi — rilevò il prelato. — Supponi che Charissa domani sconfigga Kelson... potrebbe accadere, se i nostri parametri si rivelassero inesatti... che ne sarebbe del ragazzo? E di tutti quelli che hanno sostenuto sia lui che Brion, come te? — E te, cugino — ribatté Morgan, inarcando un sopracciglio. — Se Charissa dovesse vincere, l'abito che porti non ti sarà di nessuna protezione: come confessore di Kelson e mio parente, sei certo stato condannato fin dall'inizio. Ed il ruolo che dovrai necessariamente svolgere nella cerimonia di domani segnerà del tutto il tuo destino.
— Hai paura? — sorrise Duncan. — Dannazione, sì! — sbuffò Morgan. — Sarei un pazzo a non averne... e spero di non essere ancora giunto a quello stadio. Ad ogni modo, non risolveremo nulla continuando ad affastellare supposizioni. Non so come ti senti tu, ma io sto dormendo in piedi. — Amen! — commentò il prelato. — Oltretutto, non dovrei neppure essere qui. Se mi spiccio, forse riuscirò a tornare indietro prima che la mia assenza venga notata. Ho idea che il mio stimato arcivescovo non approverebbe quello che ho fatto stanotte. — Lanciò uno sguardo in direzione di Kelson, ancora addormentato, e si accostò alla porta nascosta. — Credo di aver usato più potere oggi di quanto ne abbia utilizzato in dieci anni! — Ti fa bene, dovresti ricorrervi più spesso — sogghignò Morgan, aprendo il passaggio e porgendo al cugino la candela accesa che si trovava sulla mensola. Il sacerdote che era in lui suggerì a Duncan di ignorare il commento, ma il Deryni non riuscì lo stesso a frenare un lieve sorriso nell'imboccare il passaggio. — Ti serve qualcosa? — domandò, indugiando sulla soglia. — Kelson dovrebbe dormire fino all'alba, ma... — È quello che hai detto l'ultima volta! — sbuffò Morgan. — Via, Alaric, sai che non è stata colpa mia — sussurrò Duncan, in tono semiserio. — E poi, mi sembra che abbiate già avuto ospiti a sufficienza, per stasera. Sono troppo stanco per altre festicciole del genere! Prima che suo cugino riuscisse a trovare una risposta adeguata, Duncan si era già girato ed era scomparso lungo il passaggio buio; con una risatina di apprezzamento, Morgan scosse il capo e richiuse la porta segreta, rimanendo a fissarla per un lungo momento, prima di tornare vicino al camino. Era stata una lunga giornata... preceduta da due lunghe settimane e, per quanto la fine fosse ormai in vista, sapeva che i momenti più difficili dovevano ancora venire. Si massaggiò gli occhi con una mano stanca e cercò di obbligarsi ad allontanare le preoccupazioni dalla mente: doveva dormire un poco, se l'indomani voleva essere di qualche aiuto a Kelson. Trascinò la poltrona imbottita lontano dal fuoco ed accanto al letto del ragazzo, si slacciò il mantello e si lasciò cadere, sfinito, fra i soffici cuscini. Nel momento stesso in cui toccò la poltrona, fu assalito da un'ondata di letargo che lo incitava a dormire e riposare, tanto che riuscì appena a sfilarsi gli stivali ed a gettarsi addosso il manto, come coperta, prima che fi-
nalmente il sonno lo reclamasse. Si assopì con la vaga consapevolezza del respiro regolare di Kelson e del fatto che nella camera buia e silenziosa tutto era come doveva essere, e dopo essersi accertato di riuscire a svegliarsi al minimo cambiamento che si fosse verificato. Sistemato anche quel particolare, si addormentò. Per Lord Ian Howell, tuttavia, la lunga notte era appena iniziata. Nell'aprire la porta della sua stanza, l'alto e giovane nobile invitò la guardia che l'aveva accompagnato ad entrare con lui. — Come ti chiami, amico mio? — chiese, richiudendosi il battente alle spalle. — John di Elsworth, milord — rispose, secca, la guardia. Quest'uomo non era come il primo che Ian aveva impiegato per i suoi scopi malvagi. John di Elsworth era tozzo, robusto, duro, più maturo e con anni di esperienza accumulati nel reggimento regale. Era anche molto forte... e per questo Howell lo aveva scelto. Sorridendo fra sé, il lord si avvicinò ad un tavolino per versarsi un bicchiere di vino. — Molto bene — dichiarò, girandosi verso il soldato. — Ora voglio che tu faccia qualcosa per me. — Sì, milord — disse, pronta, la guardia. Ian si accostò all'uomo con passo tranquillo e lo fissò negli occhi. — Guardami, John — ordinò. L'altro incontrò lo sguardo del nobile con una certa perplessità, e Howell sollevò l'indice. — Vedi questo dito? — domandò, spostandolo con lentezza verso la faccia dell'uomo. — Sì, milord. — La guardia seguì il dito con lo sguardo. — Dormi — sussurrò Ian, sfiorando la fronte del soldato, in mezzo agli occhi, che si chiusero. Il nobile ebbe bisogno quindi di un momento di concentrazione per stabilire il contatto con la sua compatriota, distante molti chilometri. L'aura che circondava sia lui sia l'involontario medium crepitava e proiettava ombre spettrali sulle pareti coperte di arazzi. — Mi senti, Charissa? La bocca dell'uomo si mosse, poi parlò con un'altra voce. — Ti sento. — Sono stati nella cripta, amor mio, come avevi previsto — sorrise Ian.
— Adesso Kelson porta l'Occhio di Rom, anche se non credo che qualcun altro se ne sia accorto, con tutta quella confusione. Non so se abbiano avuto successo con il trasferimento dei poteri: il ragazzo era sfinito, ma questo era prevedibile comunque. Seguì una pausa, quindi la guardia parlò con voce profonda e risonante, il cui tono e le cui inflessioni erano però quelli di Lady Charissa. — Bene, non può aver ancora completato la sequenza, perché questo evento avviene sempre in concomitanza con l'incoronazione o con un'altra importante cerimonia, il che significa che ci sono parecchie linee di condotta da seguire per continuare a minare il morale. Sai cosa fare nella cattedrale? — Naturalmente. — Bene. Accertati che non ci siano dubbi sul colpevole. Stanotte, ho ricevuto un'ammonizione da parte del Consiglio Camberiano, che mi diffidava dal continuare ad interferire. È ovvio che non ho intenzione di obbedire, ma non sarà male ingannarli ancora per un po'. In fin dei conti, Morgan è per metà Deryni, e può anche darsi che il Consiglio attribuisca a lui ogni colpa, se progettiamo tutto con cura. — È comunque ridicolo che il Consiglio presuma di imporre qualcosa alla figlia di Marluk — sbuffò Howell. — Chi si crede di essere, quel Coram? — Non ha importanza, Ian — rispose la voce, ed il lord percepì distintamente un sorriso compiaciuto. — Farai meglio a metterti all'opera, prima di stancare il tuo soggetto oltre il limite di recupero. La sua morte potrebbe destare i sospetti sbagliati, e per ora non voglio che tu venga scoperto. — Non temere, piccola mia — ridacchiò Ian. — A più tardi. — A più tardi, dunque — rispose la voce. L'aura svanì ed il lord aprì gli occhi, mantenendo il soggetto sotto controllo. — John di Elsworth, mi senti? — Sì. Ian spostò le dita sulle palpebre dell'uomo, esercitando una leggera pressione. — Non ricorderai nulla di quanto è appena accaduto, John, è chiaro? Quando ti lascerò andare, ricorderai soltanto che ti ho chiesto di scortarmi fino al mio alloggio. L'uomo annuì in maniera quasi impercettibile. — Bene — mormorò Ian, allontanando la mano. — Ora ti sveglierai e
non rammenterai nulla. Tornò al tavolino, prendendo il bicchiere, e John di Elsworth aprì gli occhi di scatto, osservando Ian con innocenza. — C'è altro che desideri da me, milord? Howell scosse il capo e bevve un sorso dal bicchiere. — No. Ma se fossi tanto gentile da montare la guardia davanti alla mia porta, lo apprezzerei. Con questi assassini che si aggirano nei corridoi del Castello di Rhemuth, non vorrei essere ucciso nel sonno. — Molto bene, mio signore. — John s'inchinò. — Baderò che nessuno ti disturbi. Ian sollevò il bicchiere in segno di assenso, lo svuotò e lo depose sul tavolino mentre la porta si richiudeva alle spalle della guardia. Era il momento di dedicarsi al compito più immediato: un semplice assassinio... niente di più. Certo, poteva rivelarsi una faccenda un po' sporca, e forse anche fisicamente stancante, considerato che vi erano coinvolte tre persone, ma non costituiva una seria sfida per le sue capacità. Era una vera noia. Gli dispiaceva di poter balzare soltanto fino alla cattedrale, con i poteri che gli rimanevano... ma era una seccatura secondaria, e Charissa avrebbe rinnovato le energie da lui usate, infondendone una quantità anche maggiore, non appena fosse tornato. Tutto considerato, un breve assaggio di mezzi di trasporto più convenzionali gli avrebbe probabilmente fatto bene, lo avrebbe aiutato a rilassarsi. Non c'era niente che servisse quanto una veloce cavalcata, in una notte di novembre, per liberare la testa di un uomo da ogni pensiero di morte e per metterlo nello stato d'animo giusto per godere di attività più piacevoli. Si spostò nel centro della stanza, avvolgendo intorno a sé il mantello, poi mormorò le parole di un incantesimo insegnatogli da Charissa, mosse il rituale passo nell'aria tenendo un braccio proteso davanti a sé... e scomparve. Più tardi, molto più tardi, Ian si fermò in un'area di fitti boschi, fra le colline a nord di Rhemuth, rimase in ascolto per un lungo, silenzioso minuto, poi incitò il cavallo a proseguire al passo, lasciando che si scegliesse il percorso nella nòtte buia e senza luna. Cominciò a nevicare, e mentre cavalcava nell'oscurità, il lord si strinse addosso il mantello con cappuccio. Infine, cominciò a fiancheggiare la ripida parete di un'altura di nuda roccia, che si levava alla sua destra e si spingeva più in alto di dove arrivava
la vista; la seguì per circa mezzo chilometro prima di venire improvvisamente interpellato da una voce brusca. — Chi va là? — Lord Ian. Sono venuto per vedere Sua Grazia. In alto, sulla sinistra, qualcuno manovrò un acciarino, poi una torcia fiammeggiò nel buio e l'uomo che la sosteneva si avviò con passo lento verso Howell che notò, intorno a lui, almeno una mezza dozzina di armati, disposti sul limitare del cerchio di luce. Quando l'uomo con la torcia ebbe raggiunto Ian, un altro emerse dall'oscurità accanto al lord ed afferrò la briglia del cavallo. — Mi dispiace, milord — dichiarò in tono rozzo, — ma non ti aspettavamo, stanotte. Ian gettò indietro il cappuccio e smontò di sella, osservando colui che gli aveva parlato passare le redini ad un compagno, perché conducesse l'animale verso le stalle nascoste; poi cominciò a togliersi i guanti, guardandosi intorno. — La nostra signora è ancora alzata? — Sì, milord — confermò il capitano delle guardie, toccando una parte della parete di roccia che aveva accanto, — ma non so se ti sta aspettando. Un tratto di muro indietreggiò, rivelando un passaggio che penetrava nel cuore dell'altura, e Ian lo imboccò, seguito dal capitano e da parecchie guardie. — Oh, mi sta aspettando — rispose, con un astuto sorriso che i suoi accompagnatori non notarono a causa dell'oscurità del corridoio. Attese che i suoi occhi si fossero abituati alla penombra, quindi si avviò con passo sicuro lungo la galleria, in direzione del tenue chiarore che si scorgeva in lontananza. Camminando, Ian batteva i guanti di cuoio contro il palmo della mano, e i suoi stivali destavano cupi echi sulla pavimentazione di marmo del passaggio; il pesante mantello sussurrava sommesso nello sfiorare gli eleganti stivali ed il fodero di fine acciaio tintinnava nel rimbalzare ogni tanto contro di essi. Talvolta, capitava di stringere alleanze davvero strane per conseguire i propri scopi, e di certo lui non aveva mai progettato di unire le sue forze a quelle della focosa Charissa, anzi, in principio non aveva neppure preso in considerazione quell'opportunità. E adesso, la figlia di Marluk si fidava quasi completamente di lui ed aveva acconsentito a congiungere i propri poteri con i suoi per il raggiungimento di questa meta comune. Chi avreb-
be mai sognato, un anno prima, che lui, Ian Howell, sarebbe presto diventato il padrone di Corwyn? Sorrise fra sé, ed aggiunse al primo un altro pensiero, che però non si permise neppure di subvocalizzare. Maggiori poteri ed un dominio più grande aspettavano l'uomo giusto, se soltanto poteva impossessarsene, e quando si aveva a che fare con persone come Charissa era meglio non formulare neppure simili propositi. Quando Kelson e Morgan fossero morti, e il suo dominio su Corwyn consolidato, ci sarebbe stato tempo per dedicarsi ad altre cose, ma nel frattempo... Gli speroni d'argento tintinnarono vivacemente quando lui scese la scalinata di granito, e le torce inserite negli anelli di bronzo lavorato proiettarono riflessi carmini sui suoi capelli castani riverberando, forse, gli ancor più carmini pensieri dell'uomo che avanzava con tanta sicurezza. Oltrepassò il posto di guardia, accettando il preciso saluto con studiata disinvoltura, e si avvicinò ad un paio di porte dorate sorvegliate da due alti Mori. Essi non accennarono a fermarlo, e Ian sgusciò oltre le porte senza far rumore, poi si appoggiò con la schiena alle maniglie cesellate e fissò intensamente lo sguardo sulla donna seduta, intenta a spazzolarsi i lunghi capelli biondi. Ogni idea infida svanì, almeno per il momento. — Allora, Ian? — chiese lei, con voce bassa ed un po' roca, atteggiando le labbra tornite ad un leggero sorriso sardonico. Il nobile le si accostò con disinvoltura. — È andato tutto come ti avevo predetto, piccola mia — dichiarò con voce vellutata, sfiorandole una spalla con la mano, nel passarle accanto. — Ti aspettavi un risultato diverso? Indugiò per versarsi un bicchiere di vino rosso da una brocca di cristallo, lo vuotò d'un fiato, tornò a riempirlo e se lo portò dietro fino ad un tavolinetto posto vicino ad un ampio letto a baldacchino. — In genere, agisci in maniera adeguata al tuo talento, Ian — commentò Charissa, senza smettere di spazzolarsi. Il lord si slacciò il mantello, gettandolo su una sedia, poi si sfibbiò la cintura con la spada e l'adagiò per terra prima di lasciarsi cadere sul giaciglio drappeggiato in satin. — Allora domani non ci saranno altri problemi, Ian? — domandò Charissa; posò con delicatezza la spazzola d'argento e si alzò in piedi, raccogliendo intorno a sé le pieghe dell'abito di merletto come se fosse stata una nube azzurra.
— Credo di no — sorrise Ian, puntellandosi su un gomito e prendendo il bicchiere di vino. — Kelson ha ordinato che non lo disturbino fino a domattina, ma se dovesse fare qualche mossa prima di allora ne verrei immediatamente informato. Ho messo qualcuno di guardia. — I suoi occhi castani seguivano con avidità ogni movimento della donna, mentre lei gli si avvicinava. — Allora, ha ordinato che non lo disturbino, vero? — Charissa gli posò le dita delicate sulla spalla e sorrise. — Credo che impartirò anch'io gli stessi ordini. CAPITOLO DODICESIMO DI CERTO IL RISO NASCONDE UN'ANIMA TESA La quiete del primo mattino venne infranta da un'energica serie di colpetti contro la porta; Morgan si tese ed aprì un occhio, subito sul chi vive. Il chiarore che pervadeva la stanza indicava che era ormai tempo di alzarsi, ed un rapido esame delle sue condizioni servì a garantirgli che il breve riposo era stato adeguato alla necessità. Qualsiasi cosa stesse per accadere, era pronto ad affrontarla. Alzatosi in piedi, si accostò in silenzio al battente ed appoggiò con cautela la mano sul chiavistello, facendosi scivolare nella sinistra l'impugnatura del pugnale, con una rapida torsione del polso. — Chi è? — chiese quindi, con voce bassa e tenendosi da, un lato. — Rhodri, il Lord Ciambellano, Vostra Grazia — rispose una voce nota. — I guardarobieri reali desiderano sapere quando Sua Maestà sarà pronto per il bagno e per abbigliarsi. Si sta facendo tardi. Morgan ripose il pugnale nel fodero e tirò indietro il paletto, schiudendo la porta di una trentina di centimetri, quanto bastava per scorgere un imponente gentiluomo dai capelli bianchi, vestito con un giustacuore di cupo velluto borgogna, che s'inchinò con un deferente gesto di saluto quando Morgan apparve. — Vostra Grazia. — Che ore sono, Lord Rhodri? — domandò il Deryni. — È già passata la terza ora, Vostra Grazia. Vi avrei chiamati prima, ma ho pensato che sia tu che Sua Altezza avevate bisogno di dormire un po'. Manca ancora più di un'ora prima che la processione cominci. — Grazie, Lord Rhodri — sorrise Morgan. — Riferisci ai guardarobieri
che Kelson li raggiungerà fra poco, e vedi anche se puoi trovare il mio aiutante, Lord Derry. Se mi presenterò all'incoronazione conciato in questo modo, nessuno dubiterà più che io sia davvero il furfante che mi si dipinge. Si passò con aria significativa una mano sull'ispida barba dorata che gli copriva il mento, ed il ciambellano nascose un sorriso. Lui e Morgan erano amici di vecchia data, un'amicizia che risaliva ai primi giorni che il Deryni aveva trascorso alla corte di Brion come paggio; Rhodri era ciambellano già allora, ed il gioco che lui e Morgan portavano avanti era divenuto abituale e piacevole col trascorrere degli anni. Un ragazzino dai capelli dorati aveva rubato il cuore di Rhodri, che ora rimaneva altrettanto fedele all'uomo ormai adulto. Il ciambellano ammiccò, fissando Morgan dritto negli occhi. — Nessuno ha mai nutrito dubbi di tal genere, non è così, Vostra Grazia? — replicò, asciutto, in tono che non richiedeva risposta. — C'è altro di cui Vostra Grazia abbia bisogno? Morgan scosse il capo, poi schioccò le dita, rammentando un'ultima istruzione. — Sì. Faresti meglio a mandare a chiamare Monsignor McLain. Kelson vuole vederlo, prima di andare alla cattedrale. — Sì, Vostra Grazia. — Rhodri s'inchinò. Nel richiudere la porta con il paletto, Morgan si accorse d'un tratto che nella stanza faceva di nuovo freddo, quindi attraversò il pavimento a piedi nudi per attizzare le braci ed aggiungere altra legna; quando ebbe la certezza che il fuoco aveva attecchito, si diresse verso le porte della balconata, procedendo in punta di piedi per il fastidioso contatto della pelle nuda con le lastre di pietra fredda. Nel trarre indietro le spesse tende azzurre, per lasciar entrare la pallida luce del sole, si accorse di essere osservato. Si girò e sorrise a Kelson mentre finiva di fermare i tendaggi; poi si avvicinò al ragazzo e si sedette. — Buon giorno, mio principe — lo salutò allegramente. — Come ti senti? Kelson si sollevò a sedere sul letto, avvolgendosi nelle coperte. — Fa freddo, e sto morendo di fame. Che ore sono? Con una risata, Morgan si protese per toccare la fronte del giovane, poi gli prese la mano ferita e cominciò a disfare la fasciatura. — Non è tardi come credi, mio principe — ridacchiò. — I tuoi servitori ti stanno preparando il bagno e si dedicheranno a te fra poco. E sai che non
puoi mangiare prima dell'incoronazione. Kelson ebbe uno scatto di disappunto, poi si protese per guardare mentre Morgan toglieva la benda: a parte due punture rosate sul palmo e sul dorso, non vi erano altre tracce della prova da lui subita la notte precedente. Morgan gli fece muovere e piegare le articolazioni, ed il ragazzo rimase sorpreso di non avvertire neppure il previsto indolenzimento. Sollevò uno sguardo ansioso su Morgan, mentre questi lasciava andare la mano e gettava da un lato la fascia. — È tutto a posto? Il Deryni diede al giovane una pacca rassicurante su un braccio. — Nessun problema. Sei in ottima forma. Kelson sorrise, e si accinse a scendere per terra. — Allora non ho motivo per rimanere a letto, vero? — Nemmeno uno. Allungandosi, Morgan prese la vestaglia di Kelson, che si trovava ai piedi del giaciglio, e la tenne in modo che il ragazzo la potesse infilare; Kelson vi si avvolse e raggiunse in fretta il fuoco, raggomitolandosi sul tappeto di pelliccia per scaldarsi. — Così va meglio — commentò, sfregando le mani fra loro e passandosele fra i capelli arruffati per rassettarli. — Ora che si fa? Morgan lo raggiunse ed attizzò il fuoco. — Prima di tutto, un bagno. Dovrebbero averlo già preparato. Poi manderò i guardarobieri ad aiutarti a vestirti, non appena arriveranno. Kelson smise di fregarsi le mani ed arricciò il naso con disgusto. — Al diavolo, posso fare da solo. — Un re deve avere dei servitori che lo vestano, nel giorno dell'incoronazione — rise Morgan, prendendo il giovane per un braccio ed incitandolo ad alzarsi in piedi. — È la tradizione, e poi tu non dovresti ingombrare la mente con le difficoltà derivanti dall'indossare abiti insoliti, ma contemplare invece le responsabilità della sovranità. Spinse Kelson verso la porta che comunicava con il guardaroba, ma il ragazzo si arrestò sulla soglia, fissandolo con sospetto. — Allora devo avere dei servitori, eh? Quanti? — Oh, almeno sei, immagino — rispose Morgan, inarcando un sopracciglio con aria innocente. — Sei! — Kelson era indignato. — Morgan, non mi servono sei guardarobieri! — È una ribellione? — ribatté il Deryni, non riuscendo a frenare un
sogghigno. Conosceva l'opinione di Kelson riguardo ai servi personali... anche lui detestava avere intorno gente che si preoccupava del suo aspetto, ma c'erano occasioni in cui questo era inevitabile. Kelson lo sapeva, come indicava la sua espressione, ma in essa vi era anche qualcosa da cui s'intuiva che Morgan non aveva ancora avuto l'ultima parola. Il ragazzo aprì la porta, accennò a valicarla, poi si girò di colpo e fissò l'amico con ironica indignazione. — Penso ancora — dichiarò, altezzoso, — che tu abbia progettato tutto questo deliberatamente. — Ho progettato deliberatamente di fare di te un re! — ritorse Morgan, perdendo la pazienza. — Dentro, ora! Accennò ad inseguirlo, e Kelson oltrepassò la soglia per sfuggirgli; poi il battente si chiuse con aria definitiva, ma non prima che il ragazzo avesse fatto capolino e mostrato un palmo di lingua. Morgan levò gli occhi al cielo in una silenziosa supplica al santo che controllava i capricci dei prìncipi reali, quale che fosse: la maturità acquisita da Kelson nel giorno e nella notte precedenti sembrava del tutto scomparsa, ed il generale sperò che la cosa non si protraesse per tutta la giornata. Prima che potesse decidere la mossa successiva, bussarono ancora alla porta. — Chi è? — Derry, milord — rispose la voce familiare. Morgan andò all'ingresso e tirò indietro il paletto per far entrare il giovane, che era accompagnato da due scudieri muniti di acqua calda, asciugamani ed abiti puliti; lo stesso Dèrry appariva fresco e riposato, nella nuova livrea, e la fascia che gli reggeva il braccio era sparita, silenzioso memento degli avvenimenti della nottata. — Sono lieto di vedere che ti sei ripreso completamente — commentò Morgan. — Sì. Uno strano fenomeno, vero, milord? — ribatté, asciutto, l'aiutante. — Non è che ti andrebbe di... — Più tardi, Derry — lo interruppe il generale, scuotendo il capo e traendosi di lato per lasciarli entrare. — In questo momento, sento il bisogno di rimedi più mondani... come per esempio un bagno caldo. — Sì, milord — rispose Derry, cogliendo il suggerimento, e rivolse un cenno ai due scudieri. — Se volete seguirmi, signori, vi spiegherò come
Sua Grazia gradisce che vengano fatte le cose. Morgan scosse il capo, ridacchiando per il modo in cui Derry aveva preso in mano la situazione, poi seguì gli altri nella stanza. Se non altro, adesso non sarebbe stato costretto a presentarsi all'incoronazione con l'aspetto del leggendario Uomo Selvaggio di Torenth. In quanto alle spiegazioni richieste da Derry, avrebbero dovuto attendere finché si fossero trovati un momento soli. In un'altra zona del palazzo, qualcun altro era a sua volta in azione... qualcuno la cui giornata era cominciata parecchie ore prima in un luogo a non molti chilometri di distanza; lasciando l'abbraccio di una donna incredibilmente bella e malvagia, quell'uomo era giunto sulle ali di un incantesimo deryni per completare il suo lavoro e poi tornare indietro. In un'alcova adiacente ad uno dei corridoi principali, l'uomo era in attesa del momento giusto e di qualcuno in particolare; gli passò accanto un gruppo piuttosto nutrito di paggi e di scudieri, carichi di indumenti bianchi e dorati che erano certo destinati a Kelson, e che non erano ciò che cercava quella mattina. Mentre il drappello lo superava, l'uomo finse di essere intento a sistemare la chiusura del mantello dorato, ma non appena esso si fu allontanato riprese subito la sua guardinga attesa. Erano trascorsi circa dieci minuti da quel sotterfugio, durante i quali lui aveva ripetuto forse tre volte la commedia del mantello, quando la preda comparve, com'era certo che sarebbe accaduto: due scudieri reali che portavano uno splendido mantello di velluto nero ed un cofanetto per gioielli di lucido legno. Ian eseguì la sua mossa con tempismo perfetto, andando a sbattere contro i due mentre oltrepassavano l'alcova. Quella manovra fece perdere l'equilibrio ad uno di loro, com'era stata intenzione del lord che, profondendosi in scuse, aiutò il ragazzo ad alzarsi in piedi ed a raccogliere i monili e le catene che erano caduti fuori dal cofanetto di legno. Dopo lo scontro, lo scudiero non pensò neppure a controllare il contenuto del cofanetto, né gli venne in mente che il grande Lord Ian potesse aver sostituito con un altro oggetto un emblema particolarmente elaborato... quello del Campione del Re. Nell'appartamento di Kelson, Morgan si osservò con aria critica in uno specchio mentre Derry toglieva le ultime tracce di sapone dal mento e da-
gli orecchi del suo signore. Dopo aver fatto un bagno ed essersi rasato, si sentiva quasi un altro, e starsene là seduto con indosso una camicia e calzoni puliti era un lusso di cui non ricordava di aver più goduto da mesi, e che quasi bastava da solo a fargli apprezzare la fortuna di essere di nobile nascita. Derry congedò i due scudieri che lo avevano assistito, ed in quel momento Duncan sgusciò nella stanza, segnalando al giovane lord di non tradire la sua presenza; arrivando in silenzio alle spalle di Morgan, il prelato prese il posto di Derry e continuò a spazzolare la camicia di lino bianco. — Bene, bene, il prodigo cerca di far ammenda al suo aspetto! Morgan si voltò di scatto, portando quasi la mano alla spada, poi si rilassò e sorrise, accorgendosi che si trattava di Duncan. Con un cenno della mano, segnalò a Derry che poteva andare a svolgere gli altri doveri di sua competenza, e si sistemò più comodamente sulla sedia mentre suo cugino si spostava davanti al camino. — Vorrei che non mi strisciassi alle spalle in quel modo — protestò Morgan. — Se Derry non fosse stato qui, ti avrei potuto staccare la testa prima di accorgermi che si trattava di te. Duncan sorrise e si sedette con noncuranza sul bracciolo di un'altra poltrona. — Te ne saresti accorto in tempo — replicò. — Devo dedurre che la notte è trascorsa tranquilla, dopo che me ne sono andato? — Che altro sarebbe potuto succedere? — domandò Morgan, annuendo. — Terremoti, inondazioni, altri miracoli... — Il prete scrollò le spalle. — Ad ogni modo, questa mattina ho una piccola sorpresa per te. — Sei certo che posso sopportarla? — chiese Morgan, dubbioso. — Dopo alcune delle sorprese che ho avuto nelle ultime ventiquattr'ore, non sono sicuro di riuscire a superarne altre. — Oh, non è niente di speciale — spiegò il prelato, con uno sciocco sorriso; infilò quindi la mano nella cintura, ne estrasse un piccolo oggetto avvolto in un pezzo di velluto, e lo lasciò cadere nella mano di Morgan. — Kelson mi ha chiesto di farti avere questo. A quanto pare, sarai il suo Campione. — Il suo Campione? — ripeté il generale, sollevando di scatto lo sguardo su Duncan. — Come lo sai? — Ecco, Kelson mi dice alcune cose che a te non rivela — rispose il prete, scrutando il soffitto con aria innocente. — E poi, chi pensavi che avrebbe scelto, pazzo cavallo da guerra? Me, forse?
Morgan rise di gioia e scosse il capo, poi si affrettò ad aprire la pezza di velluto, che conteneva un massiccio anello con sigillo, formato da un onice ovale e non sfaccettato, su cui era inciso il Leone Dorato di Gwynedd. Il Deryni fissò l'anello per un momento, incantato, poi vi alitò sopra e lo lucidò sfregandolo contro la camicia; la gemma brillò come la brina di mezzanotte quando l'infilò all'indice destro, protendendo entrambe le mani. Il Leone di Gwynedd ed il Grifone di Corwyn ammiccarono sotto la luce. — Non me lo aspettavo, davvero — sussurrò infine, abbassando le mani con aria vergognosa. — E non capisco neppure come abbia fatto a nominarmi, visto che la carica di Campione del Re è ereditaria. Guardò di nuovo l'anello, quasi ancora incredulo; poi scrollò leggermente il capo. Duncan sorrise e si guardò intorno. — A proposito, dov'è Kelson? — Nel bagno — spiegò Morgan, prendendo uno degli stivali lucidati di fresco e spolverandolo con un panno. — Era un po'... alterato... per il fatto di dover essere vestito da altri, questa mattina, e voleva sapere perché non poteva vestirsi da solo. Ho sottolineato che questa era semplicemente una delle seccature che un re doveva sopportare e mi è parso che la spiegazione lo abbia soddisfatto abbastanza. — Quando vedrà tutto quello che si deve mettere addosso oggi — ridacchiò Duncan, prendendo l'altro stivale del cugino, — sarà lieto di avere quei guardarobieri. In parecchie occasioni sono stato felice di avere più aiutanti che mi assistessero, mentre mi preparavo per qualche cerimonia importante. — Emise uno stanco sospiro. — Ci sono sempre tanti lacci e bottoni. — Ah! — sbuffò Morgan, strappandogli di mano lo stivale. — So che ti piace da morire! Tra parentesi, hai avuto problemi, la scorsa notte? — chiese, strofinando energicamente la calzatura. — Solo ad addormentarmi. — Duncan osservò Morgan mettersi gli stivali, poi prese la cotta di maglia del cugino e la girò dal diritto; il generale vi infilò la testa e le braccia e se l'assestò sulle spalle, lisciandone le maglie sulla camicia bianca di lino che aveva messo dopo il bagno. Indossò quindi una leggera casacca di seta scarlatta e cominciò ad allacciarsela sul davanti; Duncan gli legò i polsini, e gli porse il giustacuore di velluto nero, orlato di perle e di ricami dorati. Morgan emise un fischio sommesso nel notare lo sfarzo dell'indumento, ma lo mise senza fare commenti, assestando le maniche ampie ed aperte in modo che si notasse
la camicia scarlatta sottostante; poi alzò le braccia perché Duncan gli avvolgesse intorno alla vita un'ampia fascia carminia. Il generale prese infine la spada riposta nel solito fodero consunto e l'assicurò ad un anello nascosto nella fascia, mentre il prelato indietreggiava per contemplare l'effetto complessivo. Il prete rivolse al cugino un lungo sguardo, scosse il capo e sollevò un sopracciglio in un atteggiamento di finta disperazione. — No, temo proprio che non ci sia modo di evitarlo — borbottò. — Nonostante tutto, credo che sarai il Campione più dannatamente affascinante che abbiamo avuto da parecchio tempo a questa parte! — Hai proprio ragione! — convenne Morgan, mettendosi in posa. — E sarai anche il Campione più pieno di sé che si sia mai visto! — Cosa? Duncan agitò un dito con indignazione. — Suvvia, Alaric, ricordati che sono il tuo padre spirituale. Te lo sto dicendo solo per il tuo bene! Non era più possibile rimanere seri, e Morgan fu il primo a rendersene conto, scoppiando a ridere in maniera irrefrenabile. Quasi nello stesso istante, Duncan fu assalito a sua volta da una crisi di riso, e crollò nella poltrona imbottita, non potendo più controllarsi. Poco dopo, un servo in livrea rossa fece capolino dalla soglia del guardaroba di Kelson con aria di estrema disapprovazione, perché le risate erano udibili perfino dall'interno, e si rivolse ai due giovani nobili con freddezza. — C'è qualcosa che non va, Vostra Grazia? Morgan riuscì a frenare le risa quanto bastava per fare un cenno di diniego e segnalare all'uomo di andarsene; ma poi tornò serio e lo richiamò. — Sua Altezza è pronto? Monsignor McLain dovrà presto andare alla cattedrale. — Sono pronto, padre — dichiarò Kelson, entrando. Morgan si raddrizzò e Duncan si alzò in piedi, entrambi incapaci di credere che quel sovrano vestito in bianco ed oro fosse lo stesso ragazzo spaventato che la notte precedente si era inginocchiato accanto a loro. Abbigliato in seta e satin, il principe sembrava un giovane angelo, ed il candore dei suoi abiti era interrotto soltanto dal lieve gioco d'oro e rubini presente negli orli. Il tutto era coperto da un magnifico mantello color avorio, rigido per la quantità di decorazioni in oro ed argento, e bordato di rosso.
In mano, Kelson aveva un paio di candidi guanti di capretto e due speroni d'argento sbalzato in oro. La testa corvina era nuda, come si addiceva ad un sovrano non ancora incoronato. — Vedo che sei stato informato del tuo nuovo titolo — commentò, rilevando con approvazione il nuovo abbigliamento di Morgan. — Prendi — aggiunse, porgendogli gli speroni. — Questi sono per te. Il generale si lasciò cadere su un ginocchio ed abbassò il capo. — Mio principe, non ho parole. — Sciocchezze — replicò Kelson, — sarà meglio che tu non abbia la lingua legata, quando più avrò bisogno di te. Consegnò gli speroni a Morgan e gli segnalò di rialzarsi, poi si rivolse ad un attendente rimasto sulla soglia. — Giles, hai con te il resto delle insegne che spettano al Generale Morgan? L'uomo s'inchinò e chiamò con un cenno altri tre servitori che entrarono; due di essi portavano gli oggetti che Ian aveva in precedenza intercettato lungo il corridoio, mentre il terzo reggeva un largo balteo di cuoio rosso con i bordi filettati in oro. I tre si disposero in fila per uno, dietro il capo del gruppetto, e Kelson si rivolse a Morgan. — In qualità di Campione del re, ci sono alcune cose che devi indossare durante la cerimonia — spiegò, con un leggero sorriso. — Sono certo che non ti dispiacerà se i miei guardarobieri ti danno una mano, mentre io parlo con il mio confessore. I tre servitori circondarono il generale con le varie decorazioni, e il principe fece cenno a Duncan di seguirlo, poi uscì sulla balconata e chiuse la vetrata. Attraverso i vetri, potevano vedere i servi che si agitavano intorno all'irritato Morgan, e Kelson, dopo aver osservato la scena per un momento, si rivolse al prete. — Credi che sarà molto arrabbiato con me, padre? Duncan sorrise e scosse il capo. — Ne dubito, mio principe. Quando sei entrato, era troppo orgoglioso di te per rimanere irritato a lungo. Kelson fece un fugace sorriso e lasciò vagare lo sguardo sulla città, appoggiando i gomiti sulla fredda pietra della balaustra. Il vento gelido gli agitò un po' i capelli, ma il mantello era troppo pesante per poter essere smosso. In alto, nubi tempestose s'inseguivano nel cielo, minacciando di coprire il sole e portando un'improvvisa umidità nell'aria. Il ragazzo si strinse le braccia intorno al corpo e guardò verso il basso a
lungo, prima di decidersi a parlare, a bassa voce. — Padre, cosa fa di un uomo un re? Duncan rifletté per un momento sulla domanda, poi raggiunse il giovane vicino alla balaustra. — Non sono certo che qualcuno conosca la risposta, figlio mio — ribatté, pensoso. — Può darsi che, dopotutto, i re non siano poi molto diversi dagli uomini comuni, a parte il fatto, naturalmente, che su di essi pesa una maggiore responsabilità. Credo che tu debba preoccuparti ben poco di questo. — Ma alcuni re non sono uomini comuni, padre — osservò, quieto, Kelson. — Come fanno fronte a ciò che si esige da loro? E supponi che un re scopra di non essere poi una persona straordinaria. Cosa farà quando si esigeranno ancora da lui le stesse cose, quando... — Tu non sei un uomo comune, Kelson — dichiarò, secco, Duncan. — E sarai un re straordinario, non ne dubitare e non dimenticartene mai. Kelson rimuginò parecchio su quella risposta, poi si volse e s'inginocchiò ai piedi del prete. — Impartiscimi la tua benedizione, padre — sussurrò, chinando il capo. — Sarò anche straordinario, ma ho paura. E non mi sento affatto un re. Morgan ribolliva per l'irritazione, sforzandosi di stare fermo e di sopportare con buona grazia le attenzioni dei guardarobieri reali che gli si affaccendavano intorno, conscio del fatto che Kelson poteva vederlo dalla balconata. Era comunque un'ardua impresa, perché si sentiva a disagio quando era circondato da tanti servitori. Due scudieri gli s'inginocchiarono ai piedi ed assicurarono con cura gli speroni dorati agli stivali, lucidando ancora una volta il liscio cuoio nero. L'uomo chiamato Giles prese intanto la spada di Morgan e la porse a uno dei suoi compagni, passando quindi il balteo di cuoio rosso intorno al torace del generale. Quando l'uomo agganciò la spada al balteo, Morgan respirò più liberamente, perché si era sentito quasi nudo senza di essa: il sottile pugnale che portava al polso sarebbe infatti servito a ben poco se uno di quei servi avesse deciso di liberare il mondo da un altro Deryni. Mentre il generale assestava a suo piacimento l'elsa della spada, Giles si accostò al cofanetto di legno e prelevò la catena d'oro bruno a cui era assicurata l'insegna della carica, ma non poté concedersi la soddisfazione di altre cerimonie: Morgan gli tolse di mano la catena, prima che lui potesse anche solo cercare di aiutarlo, e se la passò intorno al collo. Quanto prima
l'avesse fatta finita con quella cerimonia, tanto meglio sarebbe stato. I due scudieri inginocchiati ai suoi piedi lucidarono gli stivali per l'ennesima volta, ed il terzo assestò ancora le maniche del giustacuore, poi Morgan fu condotto davanti a uno specchio, tenuto da Giles, accanto al quale i due uomini che avevano provveduto agli speroni tenevano sollevato un magnifico mantello di velluto nero con il collo di volpe scura, foderato in seta rossa. A quel punto, Morgan fu costretto ad inarcare un sopracciglio, perché non aveva mai visto un indumento così bello. Gli scudieri glielo sistemarono sulle spalle, assestando la catena con il medaglione in modo che il collare non la coprisse, e Morgan dovette ammettere che l'effetto complessivo era notevole. Si stava voltando per rimirarsi di profilo nello specchio, quando qualcuno picchiò contro la porta con estrema violenza. Morgan portò la mano alla spada ed i guardarobieri indietreggiarono, sorpresi, mentre i colpi cessavano per poi riprendere con rinnovato vigore. — Alaric! Alaric! Sei ancora là? Ti devo parlare! — Era la voce di Nigel. Il Deryni arrivò alla porta con quattro lunghi passi e tirò indietro il paletto; Nigel s'infilò nella stanza prima ancora che il battente fosse aperto del tutto, e lo richiuse alle proprie spalle. Il duca appariva visibilmente scosso. — Dov'è Kelson? — domandò, staccandosi dalla porta e scrutando la stanza con ansia. — Voialtri, fuori! — intimò ai servitori. I quattro uomini uscirono, e Morgan si accostò alla vetrata, picchiettando su di essa. Sollevato lo sguardo, Duncan annuì, notando l'espressione seria del cugino e di Nigel, in piedi dietro di lui. Il prete aiutò Kelson a rialzarsi e Morgan spalancò le porte della balconata, spostandosi di lato per far entrare i due. Nigel si morse il labbro inferiore, accigliato. Come poteva dire al ragazzo quello che aveva appena visto? E, peggio ancora, come poteva riferire i fatti senza farli suonare come un'accusa? — Kelson — cominciò, senza guardare nessuno in faccia, — ti devo dire qualcosa ma non sarà facile... — Vieni al punto — lo interruppe Morgan. Il duca annuì, deglutì a fatica e ricominciò da capo. — Molto bene. Qualcuno è penetrato nella tomba di Brion, la scorsa notte. Kelson lanciò un rapido sguardo ai due Deryni, poi tornò a fissare Nigel.
— Va' avanti, zio. Il duca si azzardò a dare un'occhiata al nipote, poi riabbassò lo sguardo, sgomento, perché questi non sembrava colpito dalla notizia. Possibile...? — Qualcuno è penetrato nella cripta ed ha aperto il sepolcro — proseguì, cauto. — Ha tolto al corpo i gioielli e gli abiti e lo ha lasciato steso sulla pietra del pavimento, freddo e nudo. — La voce gli si spezzò, poi riprese, ridotta a un sussurro. — Le due guardie sono state trovate ai loro posti, con la gola tagliata e senza che ci fossero tracce di lotta. E Rogier... Rogier è vicino alla tomba, morto e con la daga in mano, e sul suo volto c'è un'espressione terribile, come se avesse lottato contro la forza che lo ha costretto ad agire in quel modo. Kelson sbiancò in volto e si aggrappò al braccio di Duncan per sostenersi; anche il prete era molto pallido, e Morgan stava fissando il pavimento, a disagio. — E tu ci stai chiedendo se noi c'entriamo in qualche modo, Nigel? — chiese il generale, in tono sommesso. — Voi? — Il duca sollevò la testa di scatto. — Dio, io so che non sei tu il responsabile, Alaric! — Nigel abbassò di nuovo lo sguardo e spostò il peso del corpo da un piede all'altro, ancor più imbarazzato di prima. — Ma sai cosa diranno gli altri, vero? — Che il maledetto Deryni è finalmente tornato alla sua vera natura — rispose Duncan, — e sarà quasi impossibile provare il contrario, perché noi siamo stati nella cripta, la scorsa notte. — Lo so. — Nigel annuì lentamente. — Lo sai? — ripeté il prelato. Il duca sospirò stancamente, ed accasciò le spalle, avvilito. — Esatto. E questa volta temo che Alaric non sia l'unico ad essere coinvolto. Vedi, quando ho detto che hanno trovato Rogier morto con la daga in una mano, ho trascurato di menzionare quello che stringeva nell'altra mano. I tre pendevano dalle labbra di Nigel. — Si trattava di un crocifisso d'argento dorato... il tuo, Duncan! CAPITOLO TREDICESIMO NUOVO GIORNO, MANO DELL'ANELLO. IL SEGNO DEL DIFENSORE SIGILLERÀ...
Un crocifisso d'argento dorato... il tuo, Duncan! Il prete smise di respirare per una frazione di secondo. Non c'era modo di confutare quell'accusa, perché il crocifisso era suo e non poteva negarlo. Ciò che era stato deposto nella tomba di Brion il giorno della sepoltura era risaputo, proprio come ora era risaputo che la tomba era stata saccheggiata e che un semplice crocifisso dorato era stato trovato dove non aveva nessun diritto di essere. Duncan si accorse che stava trattenendo il fiato e lo esalò in un lungo sospiro. L'accaduto gettava una luce completamente nuova sulla situazione: adesso non si trovava soltanto coinvolto nei vari, discutibili eventi che si erano verificati con tanta regolarità, ma la sua stessa identità rischiava di essere scoperta. Per quanto ne sapeva, Alaric e Kelson erano gli unici a conoscere la sua origine deryni, ed il prelato avrebbe preferito che le cose rimanessero così, mentre ora sarebbero sorti molti interrogativi sui suoi rapporti con il principe e con Morgan e lui avrebbe potuto dire ben poco per spiegare la parte avuta nella spedizione della notte precedente. Si schiarì la gola, a disagio, e decise che doveva rivelare almeno qualche particolare a Nigel; se non altro, era sicuro che il duca avrebbe mantenuto il segreto, se si fosse reso necessario svelare tutto. — Siamo stati alla tomba la scorsa notte, Nigel, ed abbiamo aperto il sepolcro. Non voglio neppure cercare di negarlo — cominciò, parlando con lentezza e stringendosi le mani con nervosismo. — Quando ce ne siamo andati, però, era sigillata, e Rogier e le guardie erano ancora vivi. È inutile dire che non abbiamo nulla a che fare con la loro morte. Il duca scosse il capo, non riuscendo a comprendere. — Ma perché, Duncan? Perché aprire la tomba? È questo che non capisco. — Avremmo corso un rischio molto maggiore se non l'avessimo aperta — intervenne Morgan. — Il rituale predisposto da Brion per Kelson richiedeva l'impiego di un oggetto che per sbaglio era stato sepolto con lui. Dovevamo recuperarlo, perché non poteva essere sostituito, e quindi abbiamo dovuto aprire il sepolcro. — Si guardò le mani, su cui brillavano i due anelli. — Ed è stato un bene. Brion era soggetto ad un... incantesimo di alterazione di forma, che aveva vincolato in parte anche la sua anima. Siamo riusciti ad infrangerlo e a liberarlo. — Oh, mio Dio — mormorò Nigel. — Siete certi di non aver fatto altro? — No — replicò il Deryni. — Abbiamo anche preso quello che cerca-
vamo: l'Occhio di Rom. Kelson non voleva portarlo via senza dare nulla in cambio, così Duncan ha lasciato il crocifisso al suo posto. Non ci è passato per la mente che qualcun altro avrebbe riaperto la bara, dopo che ce n'eravamo andati. — Invece l'hanno riaperta — sussurrò Nigel, scuotendo il capo. — Povero Brion. E povero Kelson. Sarete tutti accusati, indipendentemente da quello che direte, e lo sapete anche voi. Cosa farai, Alaric? Prima che Morgan potesse rispondere, sentirono picchiare contro l'uscio, e il duca sollevò la testa di scatto, con apprensione. — O Signore, probabilmente è Jehana! Ed ha saputo del crocifisso. È meglio che la lasciate entrare, prima che faccia abbattere la porta! Precedendo qualsiasi mossa che potesse intercettarlo, Kelson raggiunse il battente e tirò indietro il paletto. Come previsto, Jehana si precipitò all'interno, furente, ma il ragazzo fu pronto a richiudere la porta dietro di lei prima che le guardie che la scortavano potessero seguirla. Jehana, tuttavia, era così irata che non parve notare quel particolare, mentre si dirigeva verso Morgan e Duncan e li aggrediva verbalmente. — Come osate! — sussurrò, a denti stretti. — Come osate rivoltarvi contro di lui in questo modo! E tu, Padre Duncan! — Si girò di scatto verso il prete. — Ti definisci un uomo di Dio, ma gli assassini non hanno diritto di fregiarsi di tale titolo! Alzò la mano con un gesto brusco, mostrando il crocifisso dorato, che aveva ora assunto una tonalità più cupa e rossiccia, e tenendolo sollevato davanti agli occhi del prete. — Cos'hai da dire a tua discolpa? — chiese, senza alterare il tono sommesso e minaccioso che aveva usato fin dall'inizio. — Ti sfido a fornirmi una spiegazione razionale delle tue azioni! Poiché Duncan non rispose, la donna riportò la sua attenzione su Morgan, e stava per ricominciare con le sue accuse quando notò l'Occhio di Rom che brillava, cupo, all'orecchio di Kelson. S'immobilizzò, come se non riuscisse a credere a ciò che vedeva, poi aggredì il figlio con gelida furia. — Mostro! — esplose. — Immonda creatura dell'oscurità! Dissacreresti la tomba di tuo padre, uccideresti pur di avere questo potere! Oh, Kelson, guarda quale maledizione ha attirato su di te questo malefico Deryni! Il ragazzo rimase senza parole, ferito. Come poteva Jehana credere una cosa simile di lui? Come poteva aver acquisito un senso così distorto della verità da collegare lui e Morgan ai terribili atti compiuti la notte preceden-
te nella cattedrale? — Jehana — intervenne Morgan, — non è come credi. Noi... La regina lo interruppe, gelida. — Non voglio sentirti! — dichiarò. — E ti proibisco di presumere di sapere cosa io stia pensando... mostro! Prima hai corrotto mio marito, e forse ne hai addirittura causato la morte, e adesso cerchi di fare lo stesso con il mio unico figlio. E Rogier... povero, innocente Rogier, assassinato con tanta malvagità mentre proteggeva le spoglie del suo re defunto... — La voce le s'incrinò. — Bene, puoi portare avanti le cose da solo, Deryni, perché io non intendo prestare neppure un supporto esteriore a quello che stai per compiere. E quanto a te, Kelson, vorrei che non fossi mai nato! — Madre! — esclamò il ragazzo, sbiancando in viso. — Non mi chiamare così — ribatté Jehana, girandogli le spalle e dirigendosi verso la porta. — Non voglio aver più nulla a che fare con te. Che ti accompagni Morgan all'incoronazione. Io non desidero vedere il trono di Gwynedd usurpato da un... un... Cominciò a singhiozzare amaramente e si nascose la faccia fra le mani, volgendo la schiena agli altri. Kelson accennò ad avvicinarsi a lei per confortarla, ma Morgan lo bloccò con uno sguardo tagliente. Se volevano avere una minima probabilità di successo, avevano bisogno dell'aiuto di Jehana, anche a costo di strapparlo con la forza. Era giunto il momento di usare il loro asso nella manica. — Jehana? — chiamò, in tono sommesso, il nobile deryni. — Lasciami in pace! — singhiozzò la donna. Morgan le si accostò e prese a parlarle a bassa voce. — Molto bene, Jehana, ho finito di tenerti nella bambagia. Adesso chiariremo alcune cose, e subito, perché non c'è molto tempo. Kelson è innocente delle accuse che gli rivolgi, e... — Risparmia per qualcun altro le tue menzogne deryni, Morgan — ribatté la regina, asciugandosi gli occhi e sollevando la mano verso la maniglia. Ma il generale si interpose fra lei e la porta, appoggiandosi con la schiena contro la maniglia e fissando la donna negli occhi. — Menzogne deryni, Jehana? — chiese, in tono sommesso. — Usi questo termine un po' troppo spesso, non credi? Specialmente per una come te. La donna s'immobilizzò, assumendo un'espressione di guardingo stupore. — Cosa intendi dire?
— Non fare l'ingenua, sai di cosa sto parlando, e mi meraviglio solo di non averci pensato già da tempo, perché questo avrebbe spiegato molte delle tue azioni passate. — Di cosa stai parlando? — domandò Jehana, quasi indietreggiando davanti all'atteggiamento sicuro di Morgan. — Come, ma del tuo sangue deryni, naturalmente — replicò lui, con calma. — Dimmi, ti viene da parte di madre o di padre, o da entrambe? — Il mio san... Morgan, tu sei pazzo! — sussurrò la donna, anche se gli occhi dilatati per la paura tradivano il dubbio presente in lei. — Non credo — sorrise Morgan. — Kelson ha ereditato notevoli doti deryni da qualcuno, ed entrambi sappiamo che non gli vengono da Brion. Jehana si costrinse a ridere. — È la cosa più ridicola che abbia mai sentito. Tutti sanno quali siano i miei sentimenti nei confronti dei Deryni! — Alcuni fra i più accaniti nemici dei Deryni che la storia ricordi erano Deryni essi stessi, Jehana, oppure erano «contaminati» in qualche misura da quel sangue. Coloro che hanno studiato tale fenomeno sostengono che deriva da un senso di colpa sepolto nell'inconscio. Forse è quello che succede alle persone che soffocano il loro vero io per intere generazioni, negando la loro autentica natura. — No! — esclamò la regina. — Non è vero! Se lo fosse, me ne sarei accorta! — Forse è stato così, in un certo senso. — No! Non ho mai... — Puoi provarlo? — chiese, calmo, Morgan. — C'è un sistema, sai. — Quale? — sussurrò Jehana, ritraendosi. Morgan la prese per un braccio e la tirò più vicino a sé. — Lascia che usi la Visione Mentale, Jehana, permettimi di dissipare ogni dubbio una volta per tutte. La donna sgranò ancor più gli occhi per l'orrore e tentò di liberarsi. — No! No, ti prego! — Allora sei disposta a fare un patto? — chiese il generale, senza allentare la stretta. — Che genere di patto? — È molto semplice — le spiegò Morgan, in tono tranquillo. — Credo che sappiamo entrambi che cosa scoprirei se usassi la Visione Mentale su di te, ma per risparmiarti questo accertamento, sono propenso a lasciarti conservare la tua piccola illusione ancora per un po'... ad una condizione.
— Quale? — Verrai all'incoronazione e fornirai a Kelson almeno un sostegno esteriore. Inoltre, non interferirai con quello che si dovrà fare nel corso di questa giornata. D'accordo? — È un ultimatum? — domandò Jehana, ritrovando in parte il solito temperamento.. — Se preferisci. Allora, cosa scegli? Devo ricorrere alla Visione Mentale, oppure collaborerai con noi, almeno per oggi? La regina distolse lo sguardo da Morgan e lanciò un'occhiata furtiva a Kelson. La minaccia del generale la spaventava, e siccome Jehana aveva sospettato le proprie origini, e aveva perfino considerato la possibilità di discendere dai Deryni, essa la terrorizzava ancora di più. Non era ancora disposta ad accettare la verità, e l'incoronazione le sembrava quindi di gran lunga il minore dei due mali. Sollevò il capo, ma si rifiutò di guardare Morgan negli occhi. — Molto bene — sussurrò, e la sua voce risuonò debole e soffocata nel silenzio della stanza. — E ti comporterai come si deve? Non provocherai scenate che potrebbero metterci in imbarazzo? Ti prometto, Jehana, che tutto si risolverà in maniera tale da soddisfarti. Non rimarrai delusa. Fidati di noi. — Fidarmi di voi? — mormorò la donna. — Suppongo di non avere altra scelta a questo punto, vero? — Abbassò lo sguardo. — Io... non farò scenate. Morgan annuì e le lasciò andare il braccio. — Grazie, Jehana. — Non mi ringraziare, Morgan — replicò lei, aprendo la porta. — Ricorda che sto agendo sotto imposizione e andando contro il mio buon senso. Quello che dovete fare mi disgusta. Ora, se volete scusarmi, raggiungerò il corteo più tardi. Ad un cenno di Morgan, Nigel si scosse ed accompagnò la regina, richiudendo silenziosamente la porta alle loro spalle. Dopo una breve pausa, il generale si girò verso Kelson e Duncan con un sospiro. — Bene, sembra che a partire da questo momento dovremo improvvisare secondo gli eventi. Non ci sono altri preparativi da fare, altre precauzioni da prendere. Mi dispiace di essere stato aspro con tua madre, Kelson, ma era necessario. — C'è davvero una possibilità che io sia in parte Deryni, Morgan? — chiese il ragazzo. — Cosa te lo ha fatto supporre? Oppure è stato un in-
ganno per indurre mia madre a collaborare? — Non ne siamo sicuri, Kelson — rispose il generale, scrollando le spalle e segnalando ai compagni di avviarsi. — Ci sono forti indizi che tu sia in parte un Deryni, ed in altre circostanze mi limiterei ad usare su di te la Visione Mentale per verificarlo. Non credo però che nessuno di noi due possa permettersi questo spreco di energie proprio adesso, soltanto per soddisfare una curiosità. Per oggi, farai molto meglio a confidare nei poteri di Brion. — Ho capito — rispose il giovane. — Bene. Allora diamo inizio alla processione — concluse Morgan. — Duncan? — Sono pronto. — Mio principe? Kelson trasse un profondo respiro. — Cominciamo — disse. Charissa sollevò il capo e distolse lo sguardo dalla sfera di cristallo che stava osservando. — E così la piccola regina è in parte deryni — mormorò. — Ian, puoi smetterla di camminare? Mi rendi nervosa! Il lord si arrestò a metà di un passo e abbozzò un inchino in direzione della donna. — Scusami, mia cara — replicò allegramente, — ma sai quanto detesto aspettare. Sto pregustando questo giorno da parecchi mesi, ormai. — Ne sono consapevole — rispose Charissa, aggiustandosi la coroncina di zaffiri che portava fra i capelli. — Ma se sarai paziente, verrai ampiamente ricompensato. Ian annuì e sollevò il bicchiere per un brindisi. — Grazie, amor mio. Che ne pensi di Jehana? Credi che sia una Deryni? — Se anche lo è, posso tenerla a bada. — Charissa scrollò le spalle con noncuranza. — L'ultima delle mie preoccupazioni, questa mattina, è una Deryni inesperta e di discendenza ignota, che non vuole neppure ammettere la sua natura. Ian si alzò, affibbiandosi la spada, poi raccolse il mantello dorato e se lo gettò su un braccio. — Bene, è meglio che vada, allora. La processione si starà già formando. Sei certa di non volere che mi riveli fino all'ultimo istante? — No, non puoi fare il tuo ingresso con me — dichiarò Charissa, con un
asciutto sorriso. — E se verrai invitato ad aiutarmi apertamente, sarà per distruggere Morgan a qualsiasi costo. Sono stata chiara? — Assolutamente, amor mio — ammiccò Ian. Indugiò ancora, con la mano sulla maniglia. — Ci vediamo in chiesa. Quando la porta si fu richiusa dietro il lord, Charissa tornò a concentrarsi sulla sfera di cristallo che aveva davanti ed in cui poteva vedere, in maniera approssimativa, ciò che rientrava nel campo visivo di Morgan... tutto quello che veniva registrato dalla grande pietra inserita nell'insegna che il generale portava al collo. Intravvide Kelson, nella carrozza ufficiale, sulla sinistra di Morgan, e la strada che si stendeva fra gli orecchi del nero destriero da lui montato. Presto, avrebbero raggiunto la cattedrale, quindi era tempo che si muovesse anche lei. Nel tirare le redini davanti alla Cattedrale di Saint George, Morgan si guardò intorno con sospetto, come aveva già fatto almeno un centinaio di volte durante il lento snodarsi della processione. Accanto a lui, un po' più avanti, la carrozza scoperta di Kelson si era fermata, e adesso tre vescovi e due arcivescovi aspettavano di scortare il principe dal veicolo al posto che avrebbe dovuto assumere nella nuova processione che si stava formando. Gli arcivescovi, Corrigan e Loris, erano molto accigliati... Morgan suppose che dovevano essere stati informati della dissacrazione della cripta... ma per lo meno il Vescovo Arilan stava rivolgendo un caldo sorriso al suo giovane re. Duncan, dal canto suo, si teneva alla larga dagli arcivescovi, cercando di stare accanto a Kelson, per fornirgli sostegno morale e nello stesso tempo per sfuggire ai suoi superiori. Smontando dal grande cavallo da guerra, Morgan rivolse un cenno al cugino, poi fece un segnale a Derry, osservando ansiosamente la folla mentre il giovane si affrettava a raggiungerlo. — Problemi? — chiese l'attendente. — Potrebbero sorgerne — replicò Morgan, sollevando il mento in direzione di Kelson e degli arcivescovi. — Hai notato qualcosa fuori del normale? — Nessun segno di Charissa, se è questo che intendi, milord, ma la folla è strana. Sembra quasi che sappia che sta per succedere qualcosa. — Ed ha ragione, perché è così. — Morgan scrutò gli edifici antistanti, poi si rivolse a Derry. — Vedi la torre campanaria adiacente alla cattedrale? Voglio che tu vada di vedetta lassù. Lei dovrà portarsi dietro delle
truppe, non può apparire sola, ed il tuo avvertimento ci dovrebbe concedere almeno cinque minuti, prima che Charissa raggiunga la cattedrale. — D'accordo. Quando pensi che agirà? — Fra un'ora, probabilmente. Se la conosco bene, aspetterà che la cerimonia sia ben avviata, prima d'interromperla. Sa che la stiamo aspettando, quindi farà affidamento sul logorio mentale dovuto all'attesa ed al crescente timore. — Un gioco che le sta già riuscendo — mormorò Derry. Mentre il giovane si allontanava per andare ad assumere il suo posto di sentinella, Morgan raggiunse Duncan, che era intento a schivare frettolosi chierichetti e servitori, e a non attirare l'attenzione di Loris e di Corrigan. — Cosa succede? — chiese a bassa voce il generale, affiancandosi al cugino. — Amico mio, non crederai a quello che sto per dirti. — Duncan inarcò un sopracciglio. — Corrigan era così infuriato per quello che è successo nella cripta che ha minacciato di rinviare l'incoronazione. Kelson è riuscito a placarlo, ed a quel punto è intervenuto Loris: voleva arrestare te, sospendere me, e stava seriamente pensando di trascinare Kelson davanti ad un tribunale antieretico. — Dio, che altro succederà? — mormorò Morgan sottovoce, levando gli occhi al cielo. — Non ti preoccupare — proseguì Duncan. — Kelson gli ha schiarito le idee, minacciando di bandirlo e di privarlo dei suoi poteri temporali per aver anche solo pensato una cosa del genere. Poi ha lasciato intuire a Corrigan che se avesse continuato a dissentire avrebbe potuto fare la stessa fine. Avresti dovuto vedere il vecchio Corrigan! Il solo pensiero che Arilan o qualche altro vescovo potesse subentrargli nella gestione di Rhemuth e delle altre tenute è stato sufficiente a fargli perdere la parola per il terrore. Morgan emise un sospiro di sollievo. — Credi che ci causeranno altri problemi? Non ci vorrebbe proprio un confronto religioso, che vada ad aggiungersi a tutto il resto. — Penso di no. — Duncan scosse il capo. — Hanno fatto marcia indietro borbottando con indignazione sull'eresia e su altre cose del genere, e ti garantisco che non sono contenti che io partecipi lo stesso alla cerimonia. Ma non possono fare molto, se vogliono conservare le loro posizioni: perfino Loris non è fanatico fino a questo punto. — Spero che tu abbia ragione. Suppongo che ti sia riuscito di evitarli lungo la strada.
— Soltanto con una serie di accorte manovre, e spero di evitare un simile confronto a tempo indefinito. Un chierichetto in cotta bianca e tunica rossa si accostò a Duncan e lo tirò con insistenza per una manica; il prelato seguì il ragazzino per prendere posto nella processione. Un momento dopo un paggio apparve accanto a Morgan con la Spada di Stato, e gli indicò dove si doveva piazzare. Kelson gli passò davanti per raggiungere il suo posto e Morgan cercò di rivolgergli un sorriso incoraggiante, ma il ragazzo era troppo scosso per notarlo. Loris e Corrigan gli erano accanto, e lanciarono al generale occhiate roventi mentre Arilan, che veniva subito dopo, gli indirizzò un cortese cenno, accompagnato da un sorrisetto che sembrava invitarlo a non preoccuparsi. Dannazione a quegli arcivescovi! Non avevano il diritto di sconvolgere in quel modo il ragazzo, che aveva già troppe cose per la mente... più di quante ne avrebbe dovute affrontare un quattordicenne. Ed i due acidi ed ostili arcivescovi non facevano certo nulla per migliorare la situazione. A quel punto, qualcuno dovette dare un segnale, perché i ragazzini del coro, in testa alla processione, cominciarono a cantare e la colonna si mise in movimento: prima il coro, poi uno stuolo di chierichetti con le facce pulite e con le candide cotte sulle tuniche carminie, tutti muniti di alti ceri inseriti in lucidi candelabri d'argento. Dietro i chierichetti procedeva un sacerdote con un incensiere che spargeva la spezia aromatica dondolando all'estremità di una lunga catena; seguiva un diacono, che reggeva il pesante crocifisso dorato dell'Arcivescovo di Rhemuth; poi veniva l'arcivescovo, splendido nell'abito bianco e dorato, con in mano il pastorale e con la mitra ingioiellata che aumentava di parecchio la sua altezza e sovrastava il volto cupo. Kelson era il prossimo della fila, e camminava sotto un baldacchino dorato retto da quattro nobili in livrea scarlatta. Era affiancato dall'Arcivescovo Loris e dal Vescovo Arilan, entrambi abbigliati come Corrigan e muniti dei simboli della loro carica; quindi procedevano altri quattro vescovi. Dietro i vescovi c'era Duncan, che occupava un posto d'onore in qualità di confessore del re e teneva l'Anello di Fuoco su un piccolo vassoio d'argento cesellato. L'anello ed il vassoio proiettavano vividi riflessi sul niveo candore della cotta di merletto bianco, indossata dal prelato sulla tunica, e riverberavano la loro luminosità sul suo volto. Morgan seguiva il cugino, tenendo dritta dinanzi a sé la Spada di Stato,
riposta nel fodero, e precedeva il pallido Nigel, a cui era affidata la Corona, deposta su un cuscino di velluto. Venivano poi, in fila per due, Jehana ed Ewan, il Duca Jared e Lord Kevin McLain, Lord Ian Howell, Lord Bran Coris ed uno stuolo di nobili e dame che erano stati onorati con l'inclusione nella processione, e la maggior parte dei quali ignorava, naturalmente, la tensione che si andava accumulando sotto l'esteriorità di quell'augusto evento. I pensieri di Kelson si succedevano rapidissimi mentre il corteo si accostava all'altro altare, all'interno della cattedrale. Aveva ormai accantonato la lite con gli arcivescovi come la minore delle sue attuali preoccupazioni, pur rendendosi conto che questo gli avrebbe lasciato più tempo per preoccuparsi del resto. Non aveva ancora scorto un segno della presenza della terribile Charissa, ma non dubitava che si sarebbe presentata, prima della conclusione della cerimonia. Prese posto sul suo inginocchiatoio personale, a destra dell'altare, fingendo di essere immerso nella preghiera, mentre il resto della processione entrava e si distribuiva per la chiesa, ma si accorse che era inutile: non riusciva a concentrarsi sulle preghiere che avrebbe dovuto formulare, e continuava invece a lanciare occhiate laterali attraverso le dita intrecciate con cui si copriva gli occhi. Dov'era Charissa? Si domandò fugacemente se si sarebbe sentito così anche in assenza di qualsiasi minaccia da parte dell'Ombrosa, esaminò le proprie emozioni e decise che gli sarebbe comunque stato difficile concentrarsi anche nelle migliori circostanze, il che attenuò subito il suo senso di colpa. Promise a se stesso che si sarebbe comportato meglio, una volta che la cerimonia fosse iniziata sul serio. Quando il coro concluse l'inno, e gli ultimi partecipanti ebbero preso posto, Arilan e Loris si accostarono da entrambi i lati e rimasero in attesa. Kelson comprese che era giunto il momento del riconoscimento: trasse un profondo respiro, si fece il segno della croce e sollevò il capo, permettendo ai due prelati di aiutarlo ad alzarsi. Mentre si girava verso il popolo, l'Arcivescovo Corrigan venne avanti e gli prese la mano destra. — Signori — echeggiò la voce dell'arcivescovo, limpida e sicura, — conduco dinanzi a voi Kelson, il vostro legittimo re. Siete disposti a rendergli omaggio ed obbedienza? — Dio salvi Re Kelson! — fu la risposta corale. Con un leggero inchino alla congregazione, Corrigan accennò all'altare;
Arilan e Loris scortarono il riconosciuto sovrano su per i gradini. Poi tutti s'inchinarono e soltanto Corrigan salì gli ultimi tre scalini con Kelson. Con fermezza, l'arcivescovo appoggiò la destra del ragazzo sulle Sacre Scritture, coprendola con la sua sinistra, quindi diede lettura del giuramento dell'incoronazione. — Kelson, mio signore, sei ora disposto a prestare il giuramento dell'incoronazione? — Sono disposto. Corrigan si eresse sulla persona, prima di proseguire. — Kelson Cinhil Rhys Anthony Haldane, tu che davanti a Dio e davanti agli uomini sei stato dichiarato e confermato legittimo erede dei nostro defunto ed amato Re Brion, prometti e giuri solennemente di mantenere la pace in Gwynedd e di governare la sua popolazione secondo le nostre antiche leggi ed usanze? — Lo giuro solennemente. — E farai tutto ciò che è in tuo potere affinchè Legge e Giustizia, temperate dalla Pietà, siano rispettate in tutti i tuoi giudizi? — Lo farò. — Kelson lanciò un'occhiata verso la congregazione. — E t'impegni a sopprimere il Male e le sue azioni, ed a mantenere le Leggi di Dio? — M'impegno. Mentre Corrigan posava sull'altare la formula del giuramento, il giovane si guardò ancora intorno, e riacquistò una certa sicurezza nell'intercettare lo sguardo tranquillizzante di Morgan. Stilò quindi la sua nuova firma, «Kelsonus Rex» e sollevò il documento con la sinistra, appoggiando di nuovo la destra sulle Sacre Scritture. — Manterrò quanto ho promesso, e che Dio mi aiuti. Affidò la formula del giuramento ad uno dei preti del seguito e si lasciò riaccompagnare all'inginocchiatoio; mentre prendeva di nuovo posto su di esso, intravvide un movimento furtivo sulla destra, lanciò un'occhiata e notò che Derry si accostava a Morgan e conferiva con lui in tono sommesso. Mentre la voce dell'Arcivescovo Corrigan echeggiava nella cattedrale, intonando le usuali preghiere per il re, Kelson cercò di sentire quello che Derry stava riferendo all'alto Deryni, e si morse un labbro per l'irritazione, non riuscendo a cogliere nulla. Il significato della conversazione era comunque chiaro. Kelson intercettò l'occhiata preoccupata rivolta a Duncan, e vide il prete serrare le labbra per l'ira nel comprendere la natura del messaggio di Derry. Charissa stava arri-
vando, ed il giovane attendente l'aveva individuata dall'alto della torre campanaria. Avevano ancora dieci minuti circa, prima del confronto decisivo. Le preghiere per il re terminarono senza che il giovane ne avesse sentito neppure una parola, ed i due prelati lo accompagnarono di nuovo all'altare, questa volta perché si prostrasse per ricevere la consacrazione. Il coro iniziò un altro inno quando Kelson s'inginocchiò sul tappeto antistante l'altare; il lungo mantello d'avorio gli lasciava scoperta solo la testa e la punta degli stivali, ed intorno a lui anche il clero si era inginocchiato in preghiera. Il giovane serrò le mani giunte e pregò di ottenere forza, avvertendo al tempo stesso il gelido tocco del terrore sulla nuca e cercando di convincersi che non correva rischi e che avrebbe resistito a qualsiasi aggressione dell'Ombrosa contro il legittimo Re di Gwynedd. L'inno terminò. I prelati sollevarono Kelson e gli tolsero il mantello, poi i quattro cavalieri con il baldacchino presero di nuovo posizione intorno a lui ed il ragazzo s'inginocchiò ancora sui gradini per ricevere i segni crismatici che avrebbero fatto di lui il legittimamente consacrato Re di Gwynedd. Morgan guardò con orgoglio mentre Kelson veniva unto sulla testa e sulle mani, e cercò di non stare in ansia per la presenza che sapeva essere sempre più vicina alla cattedrale. L'unzione si concluse, il coro cominciò un nuovo inno e Morgan tese l'orecchio per sentire cosa stesse accadendo fuori, irrigidendosi un poco quando colse, insieme ai suoni della cerimonia liturgica, lo spettrale eco degli zoccoli ferrati che ticchettavano sui ciottoli della strada. Kelson si alzò per ricevere i simboli della sua carica. I preti gli assicurarono intorno alle spalle il carminio ed ingioiellato manto ufficiale, gli affibbiarono gli speroni dorati. Mentre una cotta di maglia tintinnava contro il nudo acciaio, all'esterno della cattedrale, l'Arcivescovo Corrigan prese a Duncan l'Anello di Fuoco, mormorò una benedizione tenendolo in alto, poi lo infilò nell'indice sinistro di Kelson. Il prelato segnalò quindi a Morgan di venire avanti con la Spada di Stato. Era il momento che il Deryni stava aspettando perché, anche se l'Anello di Fuoco era al dito di Kelson, non poteva esserci nessuna magia fino a quando i poteri del ragazzo non fossero stati sigillati dal Segno del Difensore. Accostandosi al giovane, snudò la grande spada e la consegnò nelle
mani di Corrigan, guardando con ansia mentre l'arcivescovo pregava che l'arma venisse sempre usata per dispensare giustizia. Infine, Corrigan presentò la spada a Kelson che, rivolgendo a Morgan un'occhiata ansiosa, l'accostò alle labbra e la restituì al Deryni. Mentre l'arma cambiava di mano, il ragazzo sfiorò il sigillo con il grifone, poi s'immobilizzo per l'incredulità. Non aveva avvertito nessuna sensazione di potere nel toccare il sigillo, nessun adempimento della promessa, nessun completamento della forza predetta dal rituale di Brion. Il suo sguardo angosciato cercò freneticamente quello di Morgan, che si sentì a sua volta salire un nodo di terrore alla gola. Avevano fallito! Ovviamente, il grifone di Morgan non era il Segno del Difensore! Fuori della cattedrale echeggiava ora un violento rumore di passi, ed il popolo taceva in preda ad una timorosa attesa. Ignaro di quanto stava succedendo, Corrigan proseguì con l'investitura, porgendo a Kelson lo scettro ingioiellato di Gwynedd, ed in quel momento le porte della cattedrale si spalancarono con un tonfo soffocato ed una ventata gelida percorse sibilando la navata. Morgan girò leggermente il capo verso il fondo della chiesa, senza nutrire dubbi su quello che avrebbe visto. E non fu deluso. Guardò... e vide Charissa, Duchessa di Tolan, Dama delle Nebbie Argentate, l'Ombrosa... delineata sullo sfondo della porta aperta, velata di grigio pallido ed azzurro, avvolta da una nebbia vivente che s'intrecciava intorno a lei come un'aura sinistra. CAPITOLO QUATTORDICESIMO CHI, DUNQUE, È IL DIFENSORE? Pur desiderando voltarsi per guardare, Kelson non fece la minima mossa quando le porte ruotarono con fragore sui cardini perché, nel momento stesso in cui quel suono infrangeva il silenzio, comprese che soddisfare prematuramente la sua curiosità sarebbe servito solo a fargli perdere coraggio. Non aveva mai visto Charissa, e non sapeva come avrebbe reagito. Era anche consapevole che stare in ginocchio, dando la schiena al nemico, non era una tattica generalmente raccomandata; stava certo correndo un terribile rischio a rimanere in quella posizione mentre la sua avversaria a-
vanzava, ed in normali circostanze non avrebbe neppure considerato un simile errore strategico. Ma, dato che era comunque indifeso, questo non avrebbe dovuto comportare una grande differenza: c'era un punto in cui la teoria doveva cedere il passo alla pratica, e in tutta sincerità non sapeva cosa avrebbe fatto quando si fosse girato. Gli serviva tempo per pensare. Se doveva fingere... ed ormai sembrava inevitabile... doveva anche avere in mente qualche scopo preciso, oltre che la semplice sopravvivenza. Non riteneva che si sarebbe immobilizzato, quando si fosse voltato a guardare la donna, ma non aveva senso sfidare il destino, come Brion gli aveva insegnato anni prima. Sentì i passi echeggiare lungo la navata e comprese che la sua avversaria si stava avvicinando, e che non era sola; s'irrigidì leggermente e notò che Morgan accostava la mano alla spada. Azzardò poi un'occhiata sulla sinistra e vide che Duncan stava segnalando all'arcivescovo di procedere con la cerimonia. Kelson annuì fra sé, approvando. Duncan aveva ragione: quanto più fossero riusciti a procedere con l'investitura, tanto maggiori sarebbero state le pretese legali di Kelson al trono e le sue possibilità di scoprire un modo per uscire da quella situazione. L'Arcivescovo Corrigan prese l'ingioiellata corona di Gwynedd dal cuscino di velluto e la tenne sollevata sulla testa del giovane. Adesso i passi erano molto più vicini, e Kelson notò che il prelato guardava verso la navata, da sopra la sua testa, e si umettava nervosamente le labbra prima d'iniziare l'invocazione che accompagnava l'incoronazione vera e propria. Sulla destra, Jehana impallidì quando i passi si arrestarono, minacciosi, all'altezza del transetto. — Ti preghiamo, O Signore, benedici... — iniziò Corrigan. — Fermo! — intimò una voce femminile. Corrigan s'immobilizzò, con la corona sollevata sulla testa di Kelson, poi si affrettò ad abbassarla rivolgendo al giovane uno sguardo di scusa. Lanciata un'altra occhiata alle spalle del principe, il prelato indietreggiò, mentre si sentiva un tintinnio metallico sui gradini dell'altare, seguito da un profondo silenzio. Con cautela, Kelson si alzò in piedi per affrontare gli intrusi. Il significato del guanto ferrato che giaceva davanti a lui sui gradini era ben chiaro, come lo era quello degli uomini armati allineati lungo la navata, alle spalle della donna. Osservando la chiesa, il giovane contò almeno tre dozzine di guerrieri, alcuni vestiti con le lunghe tuniche nere dei Mori
di Charissa, altri abbigliati nella convenzionale tenuta da combattimento. Due Mori fiancheggiavano la loro padrona, con le braccia incrociate sul petto ed i volti bruni e cupi sotto i neri cappucci di velluto. Ma era sulla donna che l'attenzione del giovane continuava a tornare, perché era del tutto diversa da come se l'era immaginata. Kelson non aveva mai considerato quell'eventualità: Charissa era bellissima! Era ovvio che una maga aveva previsto quella reazione con l'intento di approfittarne, com'era evidente che aveva curato il proprio aspetto in modo da ottenere il massimo effetto. Indossava un ampio abito grigiazzurro con un alto colletto ingioiellato che avvolgeva il collo candido, e il tutto era coperto da uno spesso mantello di velluto e pelo di volpe grigio scuro. I lunghi capelli biondi erano raccolti ed intrecciati in modo da formare una corona sul capo, racchiusa da un cerchietto di zaffiri, e la loro massa luminosa era coperta da un trasparente velo azzurro che scendeva sulla schiena ed addolciva l'espressione decisa del volto. Fu quell'espressione ad indurre Kelson a scuotersi, a spingerlo a rivalutare l'impressione iniziale, perché i capelli intrecciati non sembravano altro che una pesante corona d'oro, velata dal morbido tessuto trasparente... che certo rappresentava nella mente della donna quell'altra corona che lei sperava di portare prima della fine della giornata. Quando il suo sguardo incontrò quello di Kelson, Charissa rivolse al giovane un cenno di saluto, poi fissò con aria significativa il guanto che giaceva fra loro sui gradini. Il principe colse il senso di quell'occhiata e fu di colpo pervaso da una fredda rabbia. Sapeva che doveva tenere a bada quella creatura... almeno fino a quando avesse trovato un modo per affrontarla. — Cosa vuoi nella Casa del Signore? — le chiese in tono tranquillo, cominciando a formulare un piano. Negli occhi grigi ardeva un freddo fuoco, simile a quello dello sguardo di Brion, e la dignità del portamento parve raddoppiare di colpo gli anni del ragazzo. Charissa inarcò un sopracciglio, poi eseguì un beffardo inchino. Quel giovane le ricordava Brion com'era vent'anni prima, sorprendentemente maturo ed imperioso per la sua età. Era un vero peccato che non potesse vivere per trame profitto. — Che cosa voglio? — ripeté, con voce vellutata. — La tua morte, Kelson, naturalmente. Certo ne avrai avuto qualche sospetto, oppure il tuo Campione non ha ritenuto opportuno metterti in guardia?
Indirizzò a Morgan un sorriso mielato, poi concentrò di nuovo la propria attenzione su Kelson, che non era affatto divertito da quell'atteggiamento. — Le tue insinuazioni non sono gradite qui, e neppure tu — ribatté, freddo. — Vattene, prima di provare la nostra pazienza al punto di rottura. I seguiti armati non sono i benvenuti in questa Casa. — Parole coraggiose, mio nobile principino — sorrise Charissa, per nulla preoccupata, ed indicò il guanto. — Sfortunatamente, non puoi liberarti di me con tanta facilità. Ho contestato il tuo diritto di governare su Gwynedd, e sarai d'accordo con me nell'ammettere che non posso andarmene fino a quando la mia sfida non sarà stata accettata. Kelson lanciò una cupa occhiata sugli armati alle spalle di Charissa, poi riportò lo sguardo sulla donna. Sapeva che lei stava cercando d'indurlo all'inevitabile duello di magia, ma sapeva anche che non avrebbe potuto vincere, senza i poteri paterni. Per fortuna, c'era un modo per rimandare lo scontro per un po' e soddisfare comunque l'onore; nel frattempo, sarebbe riuscito a raccogliere le idee per il confronto che sarebbe comunque avvenuto. Osservò ancora gli uomini di Charissa e prese la sua decisione. — Molto bene. Come Re di Gwynedd, noi accettiamo la tua sfida e, secondo le antiche regole, il nostro Campione affronterà il tuo in un luogo e in un momento da stabilirsi. Questo è di tua soddisfazione? — Era certo che Morgan avrebbe potuto sconfiggere con facilità qualsiasi membro del seguito di Charissa. Un lampo di rabbia attraversò per un istante il volto della donna, che però fu rapida a soffocarlo. Aveva sperato di lasciar Morgan illeso ancora per qualche tempo, in modo che potesse soffrire ulteriormente quando l'ultimo degli Haldane avrebbe incontrato la morte quel giorno, ma non era essenziale. Ciò che più la preoccupava era che Ian poteva rivelarsi incapace di sconfiggere il mezzosangue deryni. Lanciò un altro sguardo al guanto ed annuì. — Una buona mossa, Kelson. Hai rinviato il nostro confronto di forse cinque minuti, perché ho ancora l'intenzione di sfidarti personalmente. — Non fino a quando il nostro Campione resterà invitto! — ribatté il giovane. — A questo si può rimediare. In primo luogo, non determineremo il risultato di questa sfida in data da stabilirsi: il luogo e il tempo sono qui e ora. Non hai scelta al riguardo. Inoltre, non affiderò la mia sorte ad uno di coloro che sono qui con me. Altrove è il Campione che mi difenderà.
Rivolse un cenno verso il lato destro della cattedrale, e Ian uscì delle file dei nobili per portarsi accanto a Charissa con un astuto sorriso sul volto; il lord posò leggermente la mano sull'elsa della spada e fissò Kelson con aria tranquilla. Il principe rimase stupefatto quando Ian si rivelò come il traditore annidato in mezzo a loro, perché aveva sempre considerato il giovane conte un suddito fedele, se non entusiasta. Questo spiegava le strane coincidenze che li avevano perseguitati da quando Morgan era arrivato: godendo di una posizione tanto elevata, Ian non aveva certo incontrato difficoltà ad introdurre lo stenrect, ad uccidere la guardia ed a massacrare le guardie di stanza alla tomba di Brion, la notte precedente. Ora che ci pensava, si accorse anche che le affermazioni di Howell avevano sempre avuto la tendenza ad incoraggiare le chiacchiere sul conto di Morgan, negli ultimi tre mesi. Le frasi lasciate a mezzo, gli astuti sottintesi... ma certo. Anzi, quell'uomo doveva disporre in certa misura dei poteri deryni, ed il suo movente non era un mistero, perché Kelson sapeva, come tutti del resto, che Eastmarch confinava con Corwyn, il ducato di Morgan. Nessuna di quelle riflessioni trasparì però dall'espressione del giovane; soltanto i suoi occhi si socchiusero leggermente quando lui rivolse la propria attenzione al traditore, interpellandolo con voce bassa e minacciosa. — Come osi levare la tua spada contro di me, Ian? E in questa Casa? — Sì, e in un migliaio di altre come questa — ribatté Ian, snudando l'arma con un fruscio di metallo contro metallo ed inchinandosi con eleganza. — Ed ora, il tuo Campione vuole scendere a combattere? O devo ucciderlo dove si trova? Felino e silenzioso, Morgan scese i gradini dell'altare, sguainando a sua volta la spada. — Aspetta di aver vinto per parlare, traditore! — esclamò, poi raccolse il guanto con la punta della lama e lo lanciò in aria, mandandolo ad atterrare ai piedi di Charissa. — Accetto la tua sfida in nome di Kelson Haldane, Re di Gwynedd! — Non essere tanto sicuro! — ammonì Ian, avanzando deciso verso il Deryni. Gli armigeri di Charissa indietreggiarono per lasciare libertà di movimento ai due contendenti, e Ian studiò l'avversario con aria pensosa, spostando pigramente davanti a sé la punta dell'arma ed osservando ogni gesto di Morgan. Anche il generale stava studiando il nemico, notandone ogni passo, ogni
mossa della lama brunita. Non aveva mai incrociato la spada con Howell, in passato, ma era ovvio che il conte possedeva un'abilità molto maggiore di quanto amasse far credere. In lui vi era una noncurante intensità che mise subito in guardia Morgan. Il nobile deryni non nutriva particolari timori circa l'esito dello scontro. Sapeva di essere un ottimo spadaccino e non aveva mai perso una battaglia in vita sua, né intendeva cominciare adesso. Tuttavia, non conoscendo bene le capacità di Ian, decise per un approccio cauto finché avesse accertato il tipo di avversario che aveva dinanzi. Doveva vincere questo combattimento per conto di Kelson, quale che fosse il prezzo che avrebbe dovuto pagare per riuscirvi. Stanco di girare in cerchio, Ian cercò di penetrare le difese di Morgan con un violento allungo, per vincere nei primi, cruciali secondi. Ma il Deryni non si lasciò ingannare: parando con abilità, schivò la lama del lord e tentò un attacco di ritorno, ritraendosi però subito quando si accorse che, in effetti, non sarebbe stato uno scontro facile. Con pazienza, intrecciò intorno a sé una rete d'acciaio, bloccando i rinnovati attacchi del conte e studiandone la tecnica. D'un tratto, notò quello che stava cercando e passò subito ad una speciale manovra offensiva che aveva riservato proprio per una simile occasione, arrivando a tagliare l'elegante giustacuore di velluto ed a tingere di rosa la spalla dell'avversario, che indietreggiò per un istante. Ian era furioso per essere stato toccato. Pur avendo sempre nascosto la propria abilità, si considerava uno spadaccino eccellente, e non si era aspettato che questo suo primo scontro in pubblico venisse rovinato da una ferita, per quanto leggera. Era una cosa che non gli piaceva affatto. Tornò all'attacco, impegnandosi anima e corpo e duellando sotto la guida delle emozioni piuttosto che della ragione, come Morgan aveva sperato che accadesse. Finalmente, il conte corse un rischio eccessivo e rimase scoperto più a lungo del dovuto. Parò il primo colpo di Morgan, ma la risposta del generale lo lasciò scoperto sulla destra, e la lama del Deryni gli affondò nel fianco. L'arma di Ian si abbassò ed ogni colore scomparve dalla faccia del lord; Morgan estrasse la lama, indietreggiando, e il conte mosse qualche passo incerto, con un'espressione di paura e di sorpresa nello sguardo, prima di accasciarsi a terra e di lasciar cadere la spada dalle dita paralizzate. Ian chiuse gli occhi e Morgan scosse il capo con fare sprezzante; poi pulì la lama sul mantello dorato dell'avversario ed avanzò con calma verso
Charissa, tenendo sempre l'arma sguainata. Gli occhi della donna tradirono un lampo di rabbia mentre Morgan si avvicinava, ma Charissa sapeva che il Deryni non aveva modo di notare quello che lei aveva visto... un leggero movimento dell'uomo che giaceva a terra alle sue spalle. — Chi è ora il signore di Gwynedd? — la sfidò Morgan, puntandole l'arma alla gola. Dietro di lui, Charissa scorse una mano muoversi, vide il lampo della daga preferita di Ian che partiva dal pugno serrato del nobile. La maga stava già muovendo le dita in un rapido incantesimo quando qualcuno gridò un avvertimento. — Morgan! Il generale si volse di scatto e si contorse per evitare la lama lucente che stava già solcando l'aria, ma mentre cercava di schivarla, la catena cerimoniale che portava al collo parve muoversi di colpo e stringerglisi intorno alla gola per soffocarlo e per fargli perdere l'equilibrio. Poi la daga gli si conficcò nella spalla e lui incespicò, lasciando cadere dalle dita doloranti la spada che colpì il pavimento di marmo con una nota discorde. Si lasciò cadere su un ginocchio, e subito Duncan e un paio di altri preti si precipitarono al suo fianco; Morgan si strappò dal collo la catena con la mano sana e la gettò ai piedi di Charissa, poi serrò i denti per il dolore quando i sacerdoti lo aiutarono a tornare verso i gradini e lo adagiarono su di essi. Charissa scoppiò a ridere. — Sì, chi è ora il signore di Gwynedd, mio orgoglioso amico? — chiese, beffarda, dirigendosi con disinvoltura verso Ian, che ancora si contorceva sul pavimento. — Credevo che non fossi tanto ingenuo da voltare la schiena ad un nemico ferito. Mentre Kelson, Nigel ed altri amici di Morgan si raccoglievano intorno al generale ferito, Charissa abbassò lo sguardo su Ian e lo toccò con un piede. Il conte emise un debole gemito, e lei si chinò a guardarlo negli occhi. — Ben fatto, Ian — sussurrò. — È un vero peccato che tu non possa assistere alla conclusione della nostra piccola cospirazione. La tua ferita è troppo grave, e io non ho né il tempo né il potere di salvarti. Con una smorfia di sofferenza, Ian tentò di protestare. — Charissa. Hai promesso! Hai detto che avrei avuto Corwyn, che noi... — Mi dispiace, Ian, ma non ce l'hai fatta. È un peccato, eri così bravo in
tante altre cose. — Charissa, per favore... La donna gli posò le dita sulle labbra. — Suvvia, sai che detesto le suppliche. Non ti posso aiutare, tutto qui. E non puoi aiutarti neppure da solo, vero, povero piccolo mortale? Sentirò la tua mancanza, Ian... anche se pensavi di potermi sconfiggere, alla fine. Il lord tentò di parlare ancora, con gli occhi sgranati per l'orrore che la donna sapesse ciò che lui aveva creduto segreto, ma Charissa mosse l'altra mano in un nuovo incantesimo. Per qualche secondo, Ian lottò per respirare, aggrappandosi disperatamente al mantello di lei, poi si rilassò, esanime, e la maga si rialzò con indifferenza. — Allora, Kelson? — chiese, con una sfumatura beffarda nella voce. — Sembra che questo duello non abbia risolto nulla. Il mio Campione è morto... lo ammetto... ma il tuo è gravemente ferito, ed anche la sua sorte è incerta. A quanto pare dovrò sfidarti di nuovo, se voglio avere soddisfazione. A quelle parole, Morgan sollevò la testa di scatto e sussultò per il dolore provocato dal movimento. Il labbro superiore gli s'imperlò di sudore mentre Duncan tastava con delicatezza la ferita, e il generale segnalò a Kelson di chinarsi. Il ragazzo raccolse sul braccio sinistro lo splendido mantello carminio e s'inginocchiò accanto all'amico, con espressione carica di preoccupazione. — Kelson — mormorò Morgan, a denti stretti, e sussultando ancora quando il cugino estrasse la daga e prese a fasciare la lacerazione. — Kelson, sta' attento. Cercherà d'ingannarti, e la tua sola speranza è quella di guadagnare tempo e di cercare di scoprire la chiave dei tuoi poteri. Sono convinto che sia qui, da qualche parte, e che non l'abbiamo notata. — Ci proverò, Alaric — rispose il ragazzo. — Vorrei esserti stato di maggiore aiuto, mio principe — aggiunse Morgan, poi si accasciò debolmente all'indietro, semisvenuto, ed il giovane gli sfiorò la mano in un gesto rassicurante. — Non ti preoccupare. Kelson si alzò in piedi, lasciando ricadere alle proprie spalle il mantello raccolto sul braccio; si sentì addosso gli occhi di tutti mentre percorreva i pochi passi necessari per tornare al centro del presbiterio, percepì, più che vedere, gli arcivescovi ed i vescovi che si spostavano alle sue spalle, liberando intorno a lui lo spazio necessario per lo scontro che era ritenuto imminente. Lasciò scorrere lo sguardo sulla navata, notando le facce tese della con-
gregazione, la minaccia degli uomini armati ancora raccolti alle spalle di Charissa, il rapido cenno di fiducia da parte di Nigel, fermo accanto a sua madre... e Jehana, pallida e tesa nel terribile silenzio, con i pugni serrati lungo i fianchi ed un'espressione supplichevole negli occhi febbricitanti. — Allora, Kelson? — La voce sommessa di Charissa echeggiò nella navata e si diffuse in tutta la chiesa silenziosa. — Sembri esitante, mio prezioso principino. Che problema può mai esserci? Le labbra piene s'incurvarono in un sogghigno, ma Kelson incontrò con fermezza lo sguardo della donna. — Faresti meglio ad andartene ora, Charissa — dichiarò. — Il nostro Campione vive, ed ha sconfitto il tuo. La tua pretesa non è stata convalidata. La maga rise, senza allegria, e scosse il capo. — Temo che non sia così facile, Kelson. Se non ti è ancora chiaro, ti sto sfidando ad un duello mortale, qui ed ora... ad un confronto di magia, che come ben sai è ciò che volevo fin dall'inizio. — Un sommesso mormorio si levò dalla congregazione, alle sue spalle. — Non puoi sottrarti così facilmente. Tuo padre avrebbe capito di cosa sto parlando. Kelson arrossì leggermente ma riuscì a rimanere impassibile. — Nostro padre, per necessità, era più abituato ad uccidere, Charissa. In questo, ammettiamo di non avere esperienza, ma ci sono già state troppe uccisioni nelle ultime settimane, e non vorremmo aggiungere anche te alla lista dei defunti. — Ah, il Figlio del Leone è pieno di spavalderia, come suo padre — annuì Charissa, con approvazione, e sorrise. — Ma sospetto che forse la somiglianza finisca qui, e che le parole del nostro giovane principe siano più baldanzose delle sue intenzioni. Si sarebbe quasi indotti a credere che abbia il potere con cui far seguito alle sue affermazioni. — Lo sguardo gelido della maga scrutò il giovane da capo a piedi. — Ma naturalmente sappiamo tutti che il potere di Brion è morto con lui sul campo di Candor Rhea. Kelson mantenne le sue posizioni. — Lo credi davvero, Charissa? Pensi che sia morto? — È morto? — La donna scrollò le spalle. — Dimmelo tu. — Sei disposta a correre il rischio? — continuò, astuto, Kelson. — Nostro padre ha sconfitto il tuo e lo ha privato dei suoi poteri. È ragionevole supporre che, se noi deteniamo il potere di Re Brion, deteniamo anche il segreto del tuo, nel qual caso tu potresti andare incontro alla sorte del tuo infame genitore.
— Se detieni quel potere — convenne Charissa. — Ma io ho ucciso Brion, e questo potrebbe alterare le probabilità in mio favore, non ti pare? Jehana non riuscì più a trattenersi. — No! — gridò, lanciandosi nel tratto di spazio sgombro che separava suo figlio dalla maga deryni. — No, non puoi! Non Kelson! Non lui! La regina si fermò con fare protettivo fra i due e rivolse uno sguardo rovente a Charissa, che lo ricambiò per un momento e poi scoppiò a ridere. — Ah, mia povera Jehana. Adesso è troppo tardi per questo, mia cara. È diventato troppo tardi molti anni fa, quando hai rinunciato alla parte migliore di te stessa ed hai deciso di essere soltanto umana. Adesso non puoi fare più nulla. Spostati. Jehana si eresse sulla persona, ed i suoi occhi verdi s'incupirono, assumendo uno strano bagliore. — Non distruggerai mio figlio, Charissa! — sussurrò, con voce gelida. — Anche se dovessi viaggiare fino alle porte dell'Inferno, tu non lo avrai, Dio mi è testimone! Charissa scoppiò in una risata beffarda ed in quel momento la figura della regina parve diventare sfuocata. Stupefatto, Kelson era stato sul punto di prendere la madre per un braccio e rimuoverla dalla zona di pericolo, ma ora scoprì di non potersi avvicinare. Jehana sollevò le braccia, puntandole contro la maga, e lunghe scintille di fuoco dorato le scaturirono dalle dita, dirigendosi contro la spaventosa donna in grigio. Di colpo, tutta la potenza di una Deryni purosangue si scatenò contro l'Ombrosa, guidata solo dalla disperazione di una madre decisa a salvare il suo unico figlio, quali che potessero essere le conseguenze personali di quel gesto. Ma il potere di Jehana non era addestrato; il prolungato diniego della sua eredità deryni, iniziato tanti anni prima, le aveva impedito d'apprenderne l'uso, rendendola incapace di controllarlo e di sfruttarlo nel modo migliore. E Charissa, nella sua malvagità, era tutto ciò che Jehana aveva negato a se stessa di essere... un'autentica maga deryni, esperta nella sua arte e dotata del pieno controllo di poteri così grandi che Jehana non aveva mai immaginato potessero esistere. Di conseguenza, Charissa non fu disturbata dall'attacco, si riprese immediatamente dall'aggressione iniziale ed eresse intorno a sé una rete difensiva che respinse tutto ciò che la regina le scagliava contro; la maga si concentrò quindi per distruggere quella bastarda deryni che credeva di poterla sfidare. L'aria fra le due donne prese a brillare ed a crepitare per l'incredibile
quantità di energia scagliata e neutralizzata. Con occhi sgranati, Kelson vide sua madre mantenere le sue posizioni per qualche tempo, ma intanto Duncan e Morgan avevano già individuato la trappola mortale che Charissa le stava tendendo e stavano lavorando febbrilmente per deviare la forza omicida che la maga intendeva scagliare contro la regale avversaria. Poi fu tutto finito. Con un gridolino, Jehana si afflosciò a terra e giacque come una bambina addormentata sul ricco tappeto che copriva i gradini. Kelson si precipitò da lei, preceduto da Duncan che era già in ginocchio accanto alla regina e ne stava controllando il polso; il prete assunse un'espressione cupa quando la verifica confermò i suoi timori. Con un preoccupato cenno del capo, segnalò a Nigel e a Ewan di spostare delicatamente Jehana di lato; deboli scariche di energia crepitavano ancora intorno alla regina mentre veniva trasportata al sicuro. Il prelato aiutò quindi Kelson a rialzarsi, e scosse il capo quando il ragazzo lo fissò con occhi dilatati e timorosi. — Non è morta — sussurrò, a voce tanto bassa che solo il giovane poté sentirlo. — Alaric e io siamo riusciti a deviare la maggior parte del potere. Lanciò un'occhiata a Morgan, accasciato sui gradini, poi permise al suo sguardo di posarsi su Jehana. — Per quel che ne capisco, è in uno stato di trance provocato da Charissa, e starà bene non appena riusciremo ad infrangerlo. Ma se non ce la faremo, solo Charissa la potrà liberare... spontaneamente o con la sua morte. Siccome la prima eventualità è improbabile, temo che ti dovrai orientare verso la seconda, quindi ora hai qualcos'altro per cui combattere. Kelson annuì tristemente, con i pensieri sconvolti dall'informazione sicura acquisita negli ultimi minuti: era per metà deryni, e se il comportamento di sua madre poteva servire come indicazione, questo significava che lui doveva disporre, almeno in parte, di quelle capacità. Dopotutto, era stato addestrato ad accettare tali poteri, a credere in essi... aveva perfino appreso qualche principio di controllo, e se solo avesse potuto applicarli... E i poteri di Brion... avrebbe dovuto poter disporre anche di quelli. Era ovvio che avevano trascurato qualche particolare... magari nei versi. Il sigillo di Morgan non era il Segno del Difensore. Ma allora, chi era il Difensore? Ora che ci pensava, Morgan era stato definito Protettore, e non Difensore, nella prima strofa, quindi il difensore doveva essere qualcun altro. E il Segno del Difensore... cosa poteva essere? Charissa tornò al punto iniziale, ai piedi dei gradini del coro, e indicò il guanto ferrato che giaceva ancora per terra, dove Morgan lo aveva gettato.
Sulle labbra della donna aleggiava ora un cupo sorriso, perché lei non dubitava più di avere in pugno la vittoria. Kelson non aveva i poteri paterni, altrimenti li avrebbe usati di certo per proteggere sua madre: il ragazzo non era abbastanza astuto da sacrificare Jehana per garantirsi più tardi una vittoria sicura. Inoltre Charissa sapeva bene che l'ondata di energia da cui Jehana era stata salvata non era giunta dalla mente del mezzosangue Kelson Haldane. Rivolse un cenno del capo al principe, che aveva ripreso il suo posto in cima ai gradini, ed incontrò il suo sguardo con decisione. — E ora, Kelson Haldane, figlio di Brion, vuoi accettare la mia onorevole sfida e combattere secondo le antiche e degne usanze dei nostri progenitori deryni? Oppure devo colpire ed ucciderti dove ti trovi, abbatterti come un martire, senza lottare? «Vieni, Kelson. Poco fa abbondavi di parole spavalde. Ti sfido a provarle con i fatti! CAPITOLO QUINDICESIMO INIZIA ORA UNA BATTAGLIA INCONCEPIBILE PER LA MENTE DI UN MORTALE La mente di Kelson prese a lavorare ad un ritmo frenetico, riesaminando ogni frammentaria informazione acquisita sul conto della magia deryni, alla ricerca di un indizio. Serrò le mani, fregando distrattamente le dita sull'Anello di Fuoco, mentre riesaminava ancora il verso del rituale: Nuovo giorno, mano destra. Il Segno del Difensore sigillerà la tua Forza... Il Segno del Difensore sigillerà... Il segno del Difensore... D'un tratto, gli occhi di Kelson misero a fuoco il tratto di pavimento su cui si trovava Charissa. Non se n'era mai accorto prima, ma nel pavimento marmoreo del transetto erano inseriti dei sigilli... i sigilli dei santi, di... per tutti i Santi! Possibile? Cercando di controllare la propria eccitazione, si costrinse ad osservare con noncuranza il grande cerchio di sigilli, alla ricerca di quello che quasi non osava sperare di trovare. Se questa fosse stata una chiesa più recente, non ci sarebbe stata nessuna probabilità di successo, ma trattandosi di Saint George... per Dio, eccolo! Il sigillo di Saint Camber, colui che molto tempo prima era stato definito Defensor Hominum, il Difensore dell'Uomo!
Trionfante, lasciò scorrere lo sguardo per la cattedrale. Lo aveva trovato! Non poteva esserci altra risposta. Involontariamente, nella prima lettura del verso avevano unificato il Protettore con il Difensore, e per poco non avevano rovinato tutto, ma adesso... Rivolse a Charissa un'occhiata colma di sicurezza e la studiò per un lungo momento, prima di risponderle. Doveva preparare il terreno per ciò che stava per fare. — Hai dichiarato che abbiamo paura di affrontarti in combattimento, Charissa — affermò. — Hai ammesso di aver assassinato Re Brion. Hai provocato il ferimento di un uomo che stimiamo quasi quanto lui. Infine, hai gravemente danneggiato nostra madre, nel suo estremo tentativo di bloccare le tue azioni. Ora è finito il tempo delle chiacchiere oziose. — Il giovane scrutò con tranquillità la congregazione. — È finito il tempo della misericordia, che avevamo pensato di offrirti anche alla luce di quanto era precedentemente accaduto. Ti avvertiamo, Charissa. Accettiamo la tua sfida ed acconsentiamo a combattere con te, pur essendo riluttanti ad usare questo luogo come teatro dello scontro. Ma dal momento che ci costringi a questa dimostrazione di forza, non possiamo più prometterti pietà adesso o clemenza in seguito. Charissa scosse il capo con un atteggiamento provocatorio. — L'Ombrosa non ha bisogno della tua pietà, Kelson. E quando simili vanterie non sono sostenute che da un bluff, posso solo riderne. Vieni quaggiù, se non sei un codardo. Sono pronta a riceverti. Kelson la fissò con disdegno per un momento ancora, poi lanciò un'occhiata verso Morgan e Duncan e annuì leggermente. Portò quindi le mani alla gola per slacciare il pesante mantello color vinaccia, e subito Nigel fu al suo fianco per prenderlo, emanando ansietà e speranza che erano quasi tangibili alla luce della nuova consapevolezza acquisita dal giovane; questi trasmise allo zio un'impressione rassicurante, prima di voltarsi e di scendere con lentezza i gradini. Nigel ripiegò il mantello sul braccio e raggiunse Morgan e Duncan, sulla destra. Mentre il ragazzo procedeva, Charissa si ritirò all'estremità opposta del transetto, ad una dozzina di metri di distanza, in attesa che lui raccogliesse il guanto. Kelson lo prese e si raddrizzò, calcolando la sequenza esatta dei movimenti che doveva fare per raggiungere il sigillo di Camber il più presto possibile. Con la coda dell'occhio, poteva scorgere la meta, circa sei metri più avanti, un po' sulla sinistra, e si avviò verso Charissa con il guanto in
mano, spostandosi a poco a poco di lato in modo da passare sul sigillo. Un attimo prima di poggiarvi sopra il piede, scagliò il guanto ferrato davanti a sé, sulla destra, ed entrò nel cerchio del sigillo nel momento in cui il guanto colpiva con fragore il pavimento di marmo. Morgan e Duncan seguirono la scena con crescente apprensione, perché il rischio che Kelson stava correndo era tremendo e comportava conseguenze ancor più terribili. Inoltre, erano incerti su quale fosse il piano del ragazzo, pur sapendo che doveva averne uno a causa dell'occhiata che aveva rivolto loro prima di scendere i gradini. Non appena Kelson si avvicinò al sigillo, i due uomini compresero quale doveva essere stato il suo ragionamento, ma non notarono nessuna reazione quando il giovane gettò a terra il guanto ed entrò nel cerchio. Charissa fissò per un momento il simbolo di sfida con espressione sdegnosa, poi lo fece volare fino alla propria mano e lo passò ad uno dei suoi seguaci. Abbozzò quindi un inchino e si avvicinò a Kelson di qualche passo. Il ragazzo non era mai parso così terribilmente giovane e solo. — Sei pronto a cominciare, Lord Kelson? — domandò la maga, recitando con disfnvoltura le parole della formula usuale. — Siamo pronti, Lady Charissa — rispose il ragazzo, annuendo. Con un sorriso, la maga indietreggiò di qualche passo e sollevò le braccia, mormorando un incantesimo: immediatamente, un semicerchio di fuoco azzurro si estese alle sua spalle, una linea di ghiaccio color zaffiro che avvolse metà del grande cerchio formato dai sigilli dei santi. La donna abbassò le braccia ed indietreggiò ancora di più, rivolgendo a Kelson un cenno condiscendente. Il ragazzo trasse un profondo respiro: ora veniva la prova suprema, perché se non fosse riuscito a rispondere all'incantesimo di Charissa questo avrebbe significato che aveva perduto la scommessa e che il potere era davvero irrecuperabile. E non aveva provato nulla... neppure una rassicurante impressione di familiarità, nel portarsi sul sigillo di Camber. Non avrebbe saputo la verità fino a quando non avesse provato ad usare la magia per la prima volta. Elevando una silenziosa preghiera al santo rinnegato di cui occupava il sigillo, Kelson sollevò le braccia sul capo, in un solo movimento fluido, come aveva visto fare a Charissa. E le parole gli salirono spontanee alle labbra... parole che non aveva mai sentito prima, una sommessa cantilena che fece crepitare l'aria intorno a lui e che tracciò una linea di fuoco carminio alle sue spalle... una linea che si
piegò fino a congiungersi all'altro semicerchio ed a formare un anello completo, per metà azzurro e per metà rosso. Frenando un sorriso, Kelson abbassò le braccia e sentì il potere fluire dentro di sé, acquistò consapevolezza di una miriade d'incantesimi che controllavano un potere più vasto di quanto avesse osato sperare. Tutt'intorno, sentì il popolo emettere un sospiro di sollievo nel rendersi conto che anche lui deteneva il potere degli Haldane. E non era tutto. Nei profondi recessi della sua mente, il giovane avvertì anche la fugace presenza di altre due entità... Morgan e Duncan. Una rapida impressione di congratulazione e di sicurezza lo pervase completamente, poi si dissolse. Kelson si concesse un sorrisetto sardonico, quando Charissa inarcò un sopracciglio, sorpresa per il fatto che lui avesse risposto all'incantesimo; poi si costrinse a concentrarsi su quello che stava per succedere, mentre la donna sollevava le braccia, recitando una nuova formula. Questa volta, si trattava di una lingua a lui comprensibile, ed il ragazzo ascoltò con attenzione, preparando la risposta da usare quando lei avesse terminato. La voce di Charissa echeggiò, sommessa ma nitida, nel silenzio della cattedrale. «In nome della Terra e dell'Acqua, del Fuoco e dell'Aria, Io diffido i poteri dal lasciare questo Cerchio splendente. Ora lo libero. Che stiano tutti in guardia. Di qui non passerà cosa vivente.» Mentre Charissa completava i versi, Nigel tirò energicamente Duncan per una manica. — Duncan, ma Kelson sa quello che sta succedendo? Se lui completa l'incantesimo e fonde i due archi... — Lo so — sussultò Duncan, cupo. — Se lo fa, il cerchio non potrà essere infranto finché uno dei due non sarà morto. È così che funziona la sfida tradizionale. — Ma... — In parte, serve per la sicurezza dei presenti, Nigel — aggiunse debolmente Morgan. — Senza quel cerchio confinante, qualche volta gli incantesimi tendono a sfuggire di mano. Oggi impiegheranno incredibili quantità di potere, attinte da molte fonti, e ti garantisco che vedrai cose che
non ti piaceranno. — Per lo meno, sappiamo che Kelson possiede i poteri di Brion — aggiunse Duncan, osservando il ragazzo allargare le braccia come aveva fatto Charissa. — Nessuno gli ha mai insegnato queste cose. Il giovane rispose all'incantesimo della donna con voce bassa e salda. «All'interno, Spazio e Tempo sian sospesi. Nulla possa di qui fuggire O dentro penetrare. Termina il cerchio Quando due sono uno e quell'uno è libero.» Nell'istante in cui Kelson concluse la strofa, un fuoco violetto si sostituì ai due archi, circoscrivendo con la sua luce fredda un perimetro di dodici metri al cui interno i due avrebbero dovuto affrontarsi. Come ad un segnale prestabilito, i due avversari si portarono ai lati opposti del cerchio, mantenendo una distanza di un metro e mezzo circa dal suo confine e di una decina di metri dall'altro contendente. Charissa esaminò con una rapida occhiata i limiti dell'anello, poi s'inchinò leggermente. La sua voce risuonò un po' soffocata dentro la magica cupola che avvolgeva il terreno dello scontro. — Lord Kelson, come Sfidato, è tuo diritto e privilegio sferrare il primo colpo. Reclami tale diritto, oppure la Sfidante può procedere? — Lady Charissa — replicò il giovane, ricambiando l'inchino, — è vero che, in quanto Sfidati, il primo colpo è nostro diritto e privilegio. Tuttavia, dinanzi ad una Sfidante tanto affascinante, concediamo questo vantaggio. Il primo colpo è tuo. Mentre Charissa sorrideva, Nigel diede ancora di gomito a Duncan. — Cosa diavolo sta facendo? — chiese, con un aspro sussurrò. — Non le dovrebbe concedere più vantaggi di quanti già abbia. — Esatto — mormorò Duncan. — Deve farlo. Le regole formali del duello richiedono che un uomo, anche se sfidato, conceda il primo colpo alla donna sua avversaria. Kelson ha acconsentito a procedere secondo le regole, e deve osservare anche questa. Non ti preoccupare, però, i primi incantesimi servono solo come terreno di prova. Sul lato più lontano del cerchio, Charissa protese davanti a sé le mani giunte, poi le separò lentamente, mormorando sottovoce qualcosa d'incomprensibile. Una sfera di luce azzurra si concretizzò nell'aria, davanti a lei, e crebbe di dimensioni fino a raggiungere proporzioni umane ed a tra-
sformarsi in un guerriero. Non appena si fu stabilizzata... assumendo la forma di un combattente coperto da una cotta di maglia azzurra, con una spada fiammeggiante in mano ed uno scudo blu al braccio... la cosa si guardò intorno ed individuò Kelson. Lasciando una scia di fuoco e vapori bluastri, piegò la testa in direzione del giovane re e cominciò ad avanzare con cautela verso l'altro lato del cerchio. Il ragazzo esitò solo un istante, poi accostò la destra al pugno sinistro serrato e snudò una luminosa spada carminia; quando il guerriero azzurro arrivò a tiro, un lampo biforcuto scaturì dalla sinistra di Kelson, bloccandogli la spada, e la lama carminia lo decapitò senza difficoltà. La testa della cosa colpì il terreno con un suono vacuo, quindi l'apparizione e l'arma svanirono e rimase solo una voluta di vapore blu. Il popolo levò un brusio di approvazione per il coraggio del giovane sovrano, poi tacque quando le abili dita di Charissa presero a muoversi con irritazione per formare l'incantesimo successivo. Non aveva ancora cominciato a recitare la formula, che una nebbia oscura prese a vorticarle intorno, assumendo la forma minacciosa di un drago. «Drathon levati, Potere accorri. Domina tutti, Intorpidisci i sensi.» Prima che lei potesse iniziare il secondo verso, Kelson avviò il controincantesimo, facendo indietreggiare la nebbia. «Drathon muori, Potere svanisci. Sensi rimanete, Conquistate l'ombra!» Charissa si rabbuiò, minacciosa, ma non disse nulla. Aveva pensato di andare incontro ad una facile vittoria, ma era ovvio che quel ragazzo era molto più esperto di quanto si fosse aspettata, anche se non dubitava del risultato del duello. Nessun ragazzino che avesse appena scoperto i suoi poteri avrebbe potuto sconfiggere una maga deryni che usava tali poteri da anni. Comunque, era indubbio che le sue capacità stavano subendo una
prova notevole. Con pazienza, ritenendo di avere almeno il vantaggio della resistenza, cominciò i consueti incantesimi d'apertura, studiati per valutare le debolezze dell'avversario. In questo modo, ci avrebbe messo di più, ma almeno avrebbe avuto la certezza del risultato. Le magie presero a rimbalzare da una parte all'altra del cerchio: attacco e contrattacco, parata e risposta, sotto gli occhi di quanti erano fuori del perimetro del duello. Gli uomini di Charissa rimanevano impassibili nella navata, alle spalle della loro signora, preoccupati solo che lo scontro potesse durare più del previsto. Indubbiamente, quando la loro padrona avesse sconfitto quel principino usurpatore, sarebbe stato necessario sopprimere una parte della popolazione, e gli armigeri non vedevano l'ora di cominciare. Soltanto i Mori, una mezza dozzina in tutto, seguivano il confronto con un certo interesse, perché anche il loro popolo aveva qualche conoscenza della magia, ed essi erano sempre alla ricerca di un nuovo incantesimo. Gli altri spettatori, tuttavia, nutrivano pensieri molto più gravi; mentre Nigel seguiva la lotta, paralizzato dall'orrore di quello che sarebbe potuto accadere ed al tempo stesso troppo affascinato per distogliere lo sguardo, Morgan sollevò il capo per dare un'altra occhiata, poi sfiorò il gomito di Duncan con la mano sana. — Duncan... Il prelato lo scrutò con preoccupazione, perché il generale era impallidito ancora di più, e le linee di sofferenza si erano accentuate sui suoi lineamenti. — Cosa succede? Il dolore è aumentato? Serrando i denti, Morgan annuì debolmente. — Ho perso molto sangue, Duncan, sento che mi mancano le forze. L'emissione di potere che abbiamo usato per salvare Jehana mi ha quasi sfinito. — Cosa vuoi che faccia? Come posso aiutarti? Morgan cercò di assumere una posizione più comoda sui gradini e sussultò poiché il movimento gli provocò una fitta infuocata alla ferita. — Ricordi che la scorsa notte ti ho detto di aver guarito Derry? Devo provarci ancora, questa volta su me stesso. — Si appoggiò la mano sinistra sul torace, in modo da poter vedere il sigillo con il grifone. — Credo di sapere ormai come si fa, ma mi dovrai aiutare. Sostienimi, rinforza la direzione dei miei pensieri, ma non interferire. Ti faccio questa raccomandazione perché credo di attingere a certe aree che sono... ecco, discutibili.
— Cerchi forse di dirmi che hai stretto alleanze eretiche, Alaric? — domandò il prete, con un pallido sorriso. — Può darsi. Osservò con malinconia il terreno dello scontro per un momento e sorrise nel vedere Kelson che sgominava una creatura particolarmente immonda proveniente dagli Inferi; spostò quindi l'attenzione sull'indice sinistro e cominciò a concentrarsi, assumendo uno sguardo vitreo mentre penetrava nel primo stadio della trance di Thurin. Quando Morgan fu addentro all'operazione, Duncan fissò a sua volta il sigillo, entrando facilmente in comunicazione e fondendo i propri pensieri con quelli del cugino, e si lasciò trasportare dalle correnti della mente di Morgan, fornendo sostegno e forza quando gli venivano richiesti. Accanto a lui, Nigel non si accorse neppure di quanto stava succedendo. Per Kelson, il tempo parve prolungarsi all'infinito, e la successione di esseri e di bestie, mitici o reali, da lui combattuti o evocati, cominciò a sembrargli un incubo, ricordato in maniera frammentaria e vissuto in qualche notte ormai lontana. Drathon e draghi alati, caradot muniti di tentacoli ondeggianti, grifoni che sputavano fiamme, stenrect come quello visto nel giardino, lyfang... l'elenco non aveva fine. E Charissa stava già evocando un nuovo orrore che lui avrebbe dovuto annullare. Si eresse sulla persona e si costrinse a prestare maggiore attenzione, perché aveva avuto l'improvvisa sensazione che l'ultimo incantesimo di Charissa non fosse stato comune o accademico come i precedenti. Mentre le dita della donna si muovevano in una sequenza nuova e strana, Kelson provò la gelida impressione che questo incantesimo fosse più oscuro dei precedenti, e si sforzò di udire le parole che la donna recitava. «Progenie di Dagon, amato di Bael, Ascolta il mio richiamo che qui t'invita. Figlio del Tuono, odi il mio ordine. Vieni: t'ingiungo di apparire. Abbatti questo giovane, ambizioso principino. Un mantello di fiamme intorno a lui avviluppa. Aiutami a strappargli il potere usurpato Che giustamente Charissa reclama!» Mentre la maga parlava, nell'aria vibrò un rombo di tuono, ed un fitto
vapore nero si condensò in una sagoma alta e indistinta, vagamente umana, ma coperta di scaglie e munita di lunghe zanne e di artigli. La forma rimase ferma per un attimo, abbagliata dalla luce, più intensa di quella a cui era abituata, e Kelson serrò le mani dinanzi a sé con un brivido, rendendosi conto di non avere un controincantesimo a disposizione. La creatura si riprese e si avviò verso di lui attraverso il cerchio, ed il ragazzo cominciò una serie d'incantesimi, con esitazione e senza effetto. Stridendo e ululando la sua sfida, il mostro procedette a passo lento, lasciandosi dietro vapori e fiamme azzurrine, mentre i suoi occhi erano due lingue rosse di fuoco che proiettavano bagliori per tutta la cattedrale. Quando la creatura giunse a metà strada, Kelson cominciò a sentire la morsa del panico. CAPITOLO SEDICESIMO TU HAI POSTO SUL SUO CAPO, O SIGNORE, UNA CORONA DI PIETRE PREZIOSE. EGLI TI HA CHIESTO LA VITA, E TU GLIEL'HAI CONCESSA. SALMI, 21:3-4 Mentre la creatura continuava ad avanzare, un altro controincantesimo affiorò di colpo nella mente di Kelson, che indietreggiò di qualche passo e cominciò a muovere le labbra per formularlo, con voce che diveniva sempre più forte a mano a mano che un senso di sicurezza si sostituiva al panico. «Signore della Luce, in lucente splendore Soccorrimi ora, se Tu senti La supplica del Tuo servitore, Che combatte per i suoi sudditi qui presenti. Concedimi la forza per abbattere questo Dèmone brutale. Nel profondo dell'Inferno sia da Te scagliato. Purifica questo cerchio dal Male Che Charissa ha evocato!» Nel completare i versi, Kelson levò in alto entrambe le mani, poi indicò con mossa decisa un punto ad appena sessanta centimetri da lui, a non più
di due passi dal mostro che si avvicinava. Proprio in quel momento, il sole emerse da dietro le nubi per riversarsi attraverso le alte finestre di vetro colorato della cattedrale, proiettando un vivido disegno multicolore sul tratto di pavimento indicato dal giovane. Questi rimase fermo dov'era, guardando la cretura infernale penetrare nella zona illuminata... dove cominciò subito a contorcersi, esalando getti di fiamma e di fumo. L'essere stridette ed urlò la propria rabbia e il proprio dolore, si agitò nell'area colorata ai piedi di Kelson, ma parve incapace di uscirne per arrivare fino al giovane re. Infine, le contorsioni cessarono e la forma si dissolse, lasciando sul pavimento solo qualche voluta di acre fumo azzurro ed il gioco di luci oro e carminie. Un profondo sospiro di sollievo dilagò per la cattedrale, e Kelson sollevò lo sguardo, incontrando quello di Charissa; poi avanzò di qualche passo per rivolgersi alla donna, notando ironicamente che il punto in cui era morto il mostro e su cui lui ora si trovava era il sigillo di Saint Camber. Il ragazzo inviò un silenzioso ringraziamento a chi o a cosa lo aveva aiutato. Quindi parlò, con occhi che brillavano per la sicurezza. «Ed ora, Charissa, questo deve cessare. Il mio potere non farò più piegare Per compiacere il tuo capriccio. Io difendo Il mio popolo, e anniento il tuo potere tremendo. Giuro per ogni Santo Nome del firmamento Che ostacolerò il tuo malvagio intento. Confuto inoltre la tua asserzione Che fra Bene e Male non vi sia differenziazione. Di conseguenza, alla lotta sii preparata. Lo dico, questo è il duello che chiude la partita. Perché la luce diurna, finché io avrò vita, Scomparirà in attesa che tu sia perita!» Mentre Kelson concludeva l'incantesimo, la cattedrale si oscurò e attraverso le porte aperte, in fondo alla navata, il ragazzo vide che in effetti il cielo si era fatto buio, anche se non era ancora mezzogiorno. Charissa deglutì a fatica e per la prima volta un'espressione apprensiva
le apparve sul viso. Temeva questa prova, ma non aveva scelta, e le sue dita ripresero a muoversi, intessendo l'incantesimo di accettazione. «Piccolo signore, le tue spacconerie fanno temere, Ma io non ho paura delle tue parole altere. È facile pronunciare minacce fiere. Ma anche a me questo gioco è venuto a noia, Quindi accetto la tua prova di fiamma con gioia. Bada, però! Sono io che arriverò alla gloria! E quando conclusa sarà questa farsa meschina, Allora la morte verrà al figlio di Brion vicina, E io sarò la regina!» Quando echeggiò l'ultima parola dell'incantesimo, le due metà del cerchio assunsero improvvise sfumature azzurre e rosse, che formarono un emisfero sopra i due. Nel punto in cui i due colori s'incontravano, una scintillante linea violetta crepitava nell'oscurità... l'unica luce in tutta la cattedrale, tranne quella delle candele e dei lumi votivi. Mentre ciascun contendente rimaneva al suo posto, la linea di divisione prese ad ondeggiare avanti e indietro fra i due, perdendo e guadagnando terreno a mano a mano che i due avversari individuavano e sfruttavano le reciproche debolezze. Per qualche tempo, parve che i loro poteri fossero alla pari, ma poi il fuoco violetto cominciò a muoversi, inesorabile, verso Charissa. L'emisfero si tinse lentamente di rosso, soffocando il blu, e la faccia della maga assunse un'espressione spaventata che rasentava il terrore. La sottile demarcazione che separava i suoi poteri da quelli di Kelson continuò ad avanzare, lenta ma inesorabile, e gli occhi della donna si sgranarono per la paura mentre lei indietreggiava fino al limite massimo della sua metà del cerchio. Alla fine, le sue spalle incontrarono la rigida e liscia superficie della barriera, e lei si arrestò, non potendo allontanarsi oltre; quando il rosso l'avviluppò, Charissa emise un prolungato ed angoscioso urlo, tinto di rabbia, che svanì gradualmente, a mano a mano che lei rimpiccioliva. Poi scomparve. E così anche il cerchio, l'aura carminia e l'emisfero. Tutto ciò che rimase fu un ragazzo vestito di un bianco splendente e fermo sul sigillo di un santo rinnegato, dimenticato da tempo; un ragazzo troppo stu-
pefatto dalla propria vittoria per sentire gli urli che si levavano dal popolo che aveva assistito alla lotta ed aveva sperato per lui. All'esterno, l'oscurità si attenuò e le nubi cominciarono a diradarsi. Le grida indussero Morgan ad aprire gli occhi sorridendo; il nobile deryni si portò una mano alla spalla ferita e scoprì che era risanata. Mentre Morgan distoglieva con stupore lo sguardo dal miracolo che aveva compiuto, anche Duncan aprì gli occhi, lanciò un'occhiata a Kelson ed aiutò il cugino ad alzarsi in piedi. Il generale si portò accanto all'ancor stupito giovane e gli sfiorò gentilmente una spalla. Quel tocco richiamò alla realtà Kelson, che sussultò, girandosi verso Morgan con meraviglia. — Morgan! Come hai... — Non ora, mio principe — mormorò l'altro, accennando con un sorriso alla congregazione che continuava ad applaudire. — Devi completare l'incoronazione. Prese Kelson per un braccio e lo condusse di nuovo in cima ai gradini dell'altare, dov'erano in attesa gli arcivescovi, storditi e spaventati da quanto avevano visto. Mentre gli applausi si placavano, Nigel venne avanti e drappeggiò con orgoglio il mantello ufficiale sulle spalle del giovane re, esprimendo il suo entusiasmo in ogni tratto del volto e del portamento. Intanto Jehana, liberata dall'incantesimo grazie alla morte dell'Oscura, si sollevò debolmente a sedere e guardò il figlio senza capire. Kelson notò il suo sguardo, e si allontanò dal gruppo che si stava radunando ai piedi dell'altare per concludere l'incoronazione; oltrepassando il coro si fermò con esitazione davanti alla madre, per lasciarsi cadere su un ginocchio davanti a lei. — Hai rischiato molto per me — sussurrò, incerto, timoroso di toccarla. — Puoi perdonarmi di aver contrastato i tuoi desideri? Con un singhiozzo, Jehana gli prese una mano, la tenne fra le sue e se l'avvicinò alle labbra. — Ti prego — mormorò, bagnando di lacrime le dita del figlio, — non chiedermelo adesso. Lasciami soltanto gioire che tu sia vivo. Kelson ricambiò la stretta materna, ricacciando a sua volta indietro le lacrime, poi si liberò e si alzò in piedi. Con un sorriso, indietreggiò di qualche passo, s'inchinò a Jehana e tornò da coloro che lo aspettavano all'altare. S'inginocchiò ancora, e tutti si ritrassero e lo imitarono, tranne gli arcivescovi ed i vescovi; poi Corrigan, Loris ed Arilan sollevarono l'ingioiella-
ta corona di Gwynedd e recitarono l'antica formula dell'incoronazione. — O Signore, Ti preghiamo, benedici questa corona, e santifica così il Tuo servitore, Kelson, sul cui capo Tu la poni oggi come simbolo di regale sovranità. Concedigli di essere, per Tua grazie, ripieno di ogni principesca virtù. Per mezzo del Re Eterno, Nostro Signore, Che vive e regna con Te nell'unità dello Spirito Santo, Dio eterno, Amen. Questo fu ciò che il popolo vide e sentì. Ma lo spettacolo fu piuttosto diverso per coloro che avevano sangue deryni. Ai loro occhi, una quarta figura sostenne la corona sul capo di Kelson... un uomo alto e biondo che indossava i lucenti abiti dorati degli antichi Grandi Lord dei Deryni. E quanti avevano sangue deryni udirono anche un diverso messaggio sovrapposto alla formula tradizionale, perché lo sconosciuto pronunciò quella anticamente usata dai Deryni, che prevedeva un destino molto diverso per il coraggioso giovane re da lui incoronato. — Kelson Cinhil Rhys Anthony Haldane, io t'incorono nel Nome dell'Onnipotente, di Colui che tutto conosce, e nel nome di colui che a lungo è stato il Difensore dell'Umanità. Kelson Haldane, tu sei re degli Umani e dei Deryni. Vita e prosperità a te, Re di Gwynedd! Quando la corona toccò il capo di Kelson, l'apparizione svanì, e Morgan e gli altri si alzarono in piedi mentre il sovrano veniva investito degli altri simboli della sua carica. Nell'attesa, Morgan si girò verso Duncan e sussurrò, a bassa voce: — Hai visto anche tu quello che ho visto io? Il prelato gli lanciò un'occhiata in tralice, poi riprese ad osservare la cerimonia. Adesso il clero stava prestando il giuramento di fedeltà, e presto si sarebbe concluso tutto. — Lasciami indovinare — sussurrò Duncan, — quello era il tuo misterioso sconosciuto. Fu la volta di Morgan di annuire. — Non credi che fosse Saint Camber, vero? Duncan scosse il capo e si accigliò. — Ha parlato in nome di Camber, il che infittisce il mistero. Con un sospiro, Morgan si assestò il mantello: se solo lo avesse tirato un po' più avanti, avrebbe coperto il buco irregolare nella tunica ed il sangue che gli macchiava il fianco. — Sono lieto che non fosse Saint Camber — sussurrò ancora, prima di salire i gradini per rendere omaggio al nuovo re. — Non mi piace essere il bersaglio di speciali favori celesti. Mi mette a disagio.
Poi si presentò davanti a Kelson e cadde in ginocchio, lasciando che il giovane gli prendesse le mani fra le sue. La voce di Morgan risuonò limpida e decisa nella cattedrale silenziosa, mentre lui recitava la formula di rito. — Io, Alaric, Duca di Corwyn, divengo tuo vassallo, donando la mia vita ed il mio braccio e prometto devozione terrena; ed avrò per te fedeltà e sincerità, nella vita e nella morte, contro chiunque ti avversi. Che Dio mi aiuti. Morgan si alzò per ricevere l'abbraccio reale, e gli altri nobili... Nigel, Ewan, Lord Jared, Kewin McLain, Derry... sfilarono tutti per ripetere le parole di omaggio e per giurare fedeltà al loro nuovo sovrano. Morgan prese di nuovo la Spada di Stato, e la tenne diritta accanto al suo re, mentre tutti i grandi lord e baroni venivano a giurare sottomissione prima di formare la processione di uscita dalla cattedrale. Gli ecclesiastici attraversarono il transetto e si avviarono lungo la navata. Quanto agli uomini di Charissa, si erano mescolati fra la folla quando lei era morta, quella stessa folla che ora acclamava Kelson a gran voce. Quando però il giovane raggiunse il transetto con il suo seguito, il sole scelse proprio quel momento per sbucare di nuovo dalle nubi. Ancora una volta, la luce vivida si riversò dalle vetrate, formando una chiazza di colori ai piedi di Kelson, ed una timorosa tensione azzittì tutti i presenti, che fissavano spaventati il loro giovane signore, ricordando come in precedenza in quella luce colorata si fosse celata la morte. Con un sorriso, Kelson guardò verso la vetrata, poi contemplò il mare di facce silenziose che lo attorniava, prima di attraversare con calma la zona luminosa. Un prolungato mormorio di meraviglia pervase la navata, perché ora non c'era più morte nella luce del sole, che si limitò a brillare sulle gemme che il giovane indossava, facendo fiammeggiare la corona come un migliaio di albe. Kelson si girò verso Morgan e Duncan, invitandoli con un cenno a raggiungerlo nell'area di luce, ed i due obbedirono senza esitazione. Il sole brillò sui capelli dorati di Morgan, sul suo ricco manto di velluto, e trasformò la candida cotta di Duncan in un arcobaleno di colori caldi. Poi i tre procedettero lungo la navata. Il resto della processione si snodò dietro di loro, e la folla si scatenò in un coro di applausi giubilanti, al grido di: — Dio salvi Re Kelson! Lunga vita al re!
Ed il Re di Gwynedd uscì dalla cattedrale per mostrarsi ad un popolo colmo di gratitudine. FINE