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JOHN DICKSON CARR OCCHIALI NERI (The Problem Of The Green Capsule, 1939) I Tutto ebbe inizio, come restò impresso nella memoria di un tale, in una casa di Pompei. Quel tale mai dimenticò il caldo, quieto pomeriggio, il silenzio della via dei Sepolcri rotto dal suono di voci inglesi, gli oleandri rossi nel giardino in rovina e la ragazza vestita di bianco ritta fra un gruppo di gente con occhiali da sole, quasi fosse in mezzo a una mascherata. L'uomo che vide tutto questo era rimasto a Napoli una settimana per affari. I suoi affari non riguardano il racconto, ma gli avevano preso un'intera settimana e solo nel pomeriggio del lunedì, 19 settembre, si trovò libero. Intendeva partire quella sera per Roma e quindi tornare a Londra passando da Parigi. Quel pomeriggio si sentiva disposto a fare un giretto turistico dato che il passato l'aveva sempre affascinato come il presente. Ecco perché, nell'ora più calma del giorno, sotto la quiete di un sole infocato, si ritrovò sulla via dei Sepolcri. La via dei Sepolcri si trova fuori le mura di Pompei; parte dalla porta di Ercolano e scende per una bassa collina, come un'ampia trincea pavimentata a lastroni, avente ai due lati una specie di marciapiede. I cipressi la sovrastano e fanno sembrare viva questa strada di morti. Qui sono le tombe dei patrizi, i tozzi altari appena anneriti dal tempo. Udendo i propri passi in questo luogo, quel tale aveva soltanto l'impressione di essere in un sobborgo abbandonato. Una luce spietata brillava sul selciato e sui solchi profondi delle ruote dei carri, sull'erba che spuntava nelle crepe e sulle lucertole scure che passavano saettando davanti a lui come un'illusione di ombra sull'erba. Dietro i mausolei, il Vesuvio spiccava blu opaco nella foschia. La via dei Sepolcri lo condusse al limite della città. Stava pensando se concludere così la sua giornata o tornare indietro a esplorare ancora, quando vide la casa fra le tombe. Era una grande casa, evidentemente una villa patrizia che, nel chiasso esuberante di Pompei, era stata costruita fuori le mura per cercare una maggiore quiete. Salì le scale ed entrò. L'atrio era cupo e sapeva di umido; meno ben tenuto e restaurato delle case cittadine già viste. Ma al di là, si stendeva il giardino del peristilio, circondato da colonne e inondato di sole. Il giardino, invaso dalla vegeta-
zione, era pieno di oleandri rossi, con pini asiatici intorno a una fontana diroccata. L'uomo udì un rumore nell'erba alta, poi un suono inconfondibile di voci che parlavano in inglese. Vicino alla fontana stava una ragazza in bianco, voltata verso di lui. Era bella e aveva un'espressione intelligente. I capelli castano scuri, divisi e pettinati all'indietro ricadevano in minuti riccioli sulla nuca e incorniciavano un viso ovale con labbra piccole e tumide e grandi occhi che esprimevano buonumore, nonostante la gravità dell'espressione, occhi grigi e pensosi, dalle palpebre piuttosto pesanti. Il suo atteggiamento era naturale; accarezzava pigramente l'abito bianco. Ma era nervosa; lo si vedeva perfino nella curva delle sopracciglia. Di fronte a lei stava un giovanotto bruno in abito di flanella grigia che teneva un occhio al mirino di una piccola cinepresa. La macchina cominciò a ronzare. Con la guancia contro il fianco di essa, il giovanotto parlava quasi senza muover le labbra. «Su, fa' qualcosa!» sollecitò. «Sorridi o chinati o accendi una sigaretta... ma fa' qualcosa! Se te ne stai lì impalata in quel modo, tanto vale che ti faccia una semplice fotografia.» «Ma, George, che cosa posso fare?» «Te l'ho detto. Sorridi o chinati o...» L'osservatore, nel vano della porta, solo un quattro metri lontano dal gruppo, ebbe la subitanea convinzione, la sicurezza che la ragazza era in un pericoloso stato di eccitazione nervosa, che il suo aspetto sano era apparente e che l'insistenza e il ronzio della macchinetta incominciavano a pesare su di lei come un incubo. «Beh, che cosa posso fare?» «Cammina, spostati verso destra; voglio riprendere le colonne dietro di te.» Un altro membro del gruppo, rimasto a osservare con i pugni sui fianchi, fece sentire una specie di sbuffo. Era un omino vivace; e gli occhiali neri in parte nascondevano la sua età reale, certo più avanzata di quanto non facesse pensare l'abbigliamento sportivo. Si potevano vedere la pelle sbiancata lungo le guance e i capelli brizzolati sotto l'ala del panama. «Escursionisti!» esclamò con scherno. «Ecco che cosa siete: escursionisti. Volete le colonne dietro di lei, eh? Non volete una fotografia di Marjorie. Non volete neanche la fotografia di una casa pompeiana. Quello che volete è una fotografia di Marjorie in una casa pompeiana, per mostrare che siete stati qui. Bella roba!»
«Che c'è di male?» chiese una voce tonante, che veniva da un uomo più alto e corpulento con una barbetta pepesale, che stava dall'altra parte della coppia "incriminata". «Escursionisti» ripeté l'uomo dal panama. «Non sono per niente d'accordo con te» dichiarò l'uomo corpulento. «E non capisco il tuo modo di fare, Marcus. Ogni volta che andiamo in un posto dove c'è qualcosa da vedere, vuoi startene lontano (se ti capisco bene) unicamente perché è interessante andarci. Posso sapere che diavolo di gusto c'è...» e le parole rimbombavano nel giardino... «ad andare in un posto, se non vedi le cose interessanti? Non ti è mai venuto in mente che, se migliaia di persone vanno nello stesso posto per migliaia di anni, vuol dire che c'è qualcosa che vale la pena di vedere?» «Controllati» riprese l'uomo dal panama. «E smettila di gridare. Non capisci niente. Non capirai mai niente. Che cosa hai visto, per esempio? Dove siamo adesso?» «È abbastanza facile saperlo» disse l'altro. «Di cosa si tratta?» Si girò, per fare la domanda, verso il giovanotto bruno con la macchina da presa. Questi aveva smesso controvoglia di riprendere la ragazza, che ora rideva. Riponendo la macchina in una custodia appesa alla spalla, prese la guida e la sfogliò. Quindi si schiarì la voce. «Numero trentaquattro, due stelle. Villa di Arrio Diomede» lesse con impegno. «Si suppone così chiamata solo perché...» «Sciocchezze» proruppe l'uomo corpulento. «Quella l'abbiamo vista dieci minuti fa. Dove hanno trovato tutti quegli scheletri.» «Che scheletri?» protestò la ragazza. «Non abbiamo visto nessuno scheletro, dottor Joe.» Dietro gli occhiali neri, la faccia del tipo corpulento divenne ancor più battagliera. «Non abbiamo visto nessuno scheletro» ribatté sistemandosi in modo ancor più saldo il berretto in testa. «Ho detto che era il posto dove hanno trovato tutti quegli scheletri. Proprio in fondo alla strada: non ricordate? Le ceneri infocate imprigionarono gli schiavi e là li hanno trovati poi; belli e rovesciati per tutto il pavimento, come un gioco di birilli. Era la casa con le colonne pitturate di verde.» Il tipo piccolo e arzillo col cappello di panama aveva conserte le braccia e si dondolava. Sul suo viso c'era un'ombra di malizia. «Forse ti può interessare, Joe, che non lo erano.» «Che cosa non lo erano?» domandò il dottor Joe.
«Pitturate di verde. Ancora una volta ho provato la mia affermazione» riprese l'ometto «che la persona normale, tu, o tu, o tu, è assolutamente incapace di riferire con accuratezza quello che vede o sente, Tu non osservi, non puoi osservare. Eh, professore?» Si voltò e diede un'occhiata sopra la spalla. C'erano altre due persone che completavano il gruppo, due uomini che stavano nell'ombra, all'interno delle colonne del peristilio. L'estraneo che li osservava, a mala pena si era accorto di loro; non li vedeva come gli altri quattro che erano al sole. Notò solo che uno era di mezza età, l'altro giovane. Con l'aiuto di una lente d'ingrandimento, stavano esaminando un pezzo di pietra o di lava che sembrava avessero raccolto dalla balaustrata del peristilio. Ambedue portavano occhiali neri. «Lasciate stare la villa di Arrio Diomede» disse una voce al di là della balaustrata. «Questa, che cos'è?» «Adesso ci sono» rispose con buona volontà il giovanotto con la macchina da presa e la guida. «Avevo sbagliato pagina, prima. Questa è il numero trentanove, no? Bene. Ecco. Numero trentanove, tre stelle. Casa di Aulo Lepido, l'avvelenatore.» Ci fu un silenzio. Fino a quel momento erano sembrati formare uno dei soliti gruppi di famiglia o di amici, con i membri più anziani dall'umore un po' alterato per il calore e la stanchezza del viaggio. Per una certa aria di famiglia e per la tendenza a punzecchiarsi l'un l'altro, si poteva dedurre che il dottor Joe e l'ometto con il cappello di panama (chiamato Marcus) erano fratelli. La ragazza di nome Marjorie, pure, aveva qualcosa in comune con loro. Niente di straordinario. Ma, alla lettura delle parole della guida, ci fu un cambiamento di atmosfera sensibile come un raggelamento o l'oscurarsi della corte. Solo il giovanotto con il libro non se ne rese conto. Ognuno degli altri si voltò a mezzo, e quindi rimase immobile. Quattro paia di occhiali da sole erano rivolti verso la ragazza, come se stesse dentro un circolo di persone mascherate. La luce del sole scintillava sugli occhiali, rendendoli opachi e sinistri come maschere. Il dottor Joe chiese con disagio: «Aulo Lepido che cosa?». «L'avvelenatore» riprese il giovanotto. «Per il disegno della spada e del salice dalla corteccia strappata ("lepidus" - dalla corteccia strappata "polìto" e quindi arguto o piacevole) posto nel mosaico dell'ingresso dell'atrio, Mommsen ha identificato questa villa come appartenente a...»
«Sì, ma che cosa ha fatto?» «...che, secondo Varrone, uccise cinque membri della sua famiglia con salsa di funghi avvelenati» continuò il giovanotto. Si guardò intorno con aria di rinnovato interesse, quasi si aspettasse di vedere ancora i cadaveri. «Beh, non c'è male!» aggiunse. «Suppongo che fosse facile cavarsela con avvelenamenti all'ingrosso a quei tempi.» E allora di colpo si rese conto che qualcosa non andava; i capelli sembravano rizzarglisi sulla nuca. Chiuse il libro e parlò adagio. «Sentite» proruppe. «Sentite, ho detto qualcosa che non avrei dovuto dire?» «No, naturalmente» rispose Marjorie con la più gran calma. «Inoltre lo zio Marcus ha la mania di studiare i delitti. No?» «Certo» ammise lo zio Marcus. Si rivolse verso il giovanotto: «Ditemi signor... dimentico sempre il vostro nome...». «Lo sai perfettamente invece» esclamò Marjorie. Ma per il rispetto esagerato che il giovanotto dimostrava a Marcus, era chiaro che Marcus non solo era lo zio di Marjorie: era anche il suo tutore. «Harding, signore. George Harding» rispose. «Ah, sì. Bene, signor Harding, ditemi: non avete mai sentito parlare di un posto chiamato Sudbury Cross, vicino a Bath?» «No, signore. Perché?» «Noi veniamo da là» disse Marcus. Avanzò svelto, sedette sull'orlo della fontana, e si accomodò come se stesse preparandosi ad arringarli. Togliendosi cappello e occhiali da sole, li mise in equilibrio precario sul ginocchio. La mancanza di quella specie di maschera rivelò che aveva capelli ricciuti che cominciavano a farsi grigi, ritti in rose e angoli che sessant'anni di pettine non erano riusciti a domare. I suoi occhi azzurri erano brillanti e intelligenti e maliziosi. Di tanto in tanto si strofinava la pelle raggrinzita delle guance. «Ora, signor Harding» continuò «parliamoci chiaro. Suppongo che questo affare tra voi e Marjorie non sia solo un flirt da vacanze. Suppongo che entrambi siate persone serie.» Un altro cambiamento era passato sul gruppo. E toccava anche i due uomini di là dalla balaustrata del peristilio. Uno di questi (notò l'osservatore) era un uomo di mezza età dall'aria gioviale, con un feltro spinto indietro sulla testa calva. I suoi occhi erano mascherati, ma aveva una faccia rotonda e colorita da gaudente. Si schiarì la voce. «Penso» disse «che se volete scusarmi, sarà bene che io vada a fare un
giretto e...» Il suo compagno, un giovane alto e di singolare bruttezza, si voltò e incominciò a studiare l'interno della casa con ostentata negligenza. Marcus li guardò. «Storie» esclamò bruscamente. «Voi potete non essere membri della famiglia, né l'uno né l'altro. Ma sapete quello che sappiamo noi; così state dove siete. E smettetela con questo tatto esagerato.» La ragazza parlò quietamente. «Pensi, zio Marcus» disse «che questo sia il posto più adatto per parlarne?» «Certo, cara.» «Benissimo» ammise il dottor Joe con violenza. Aveva assunto un aspetto severo, rigido, di circostanza. «Per una volta in vita sua, Marcus... benissimo.» George Harding assunse a sua volta un aspetto severo, rigido, solenne. «Vi posso solo assicurare, signore...» cominciò in tono eroico. «Sì, sì, va bene» disse Marcus. «E fatemi il favore di prendere un'aria meno imbarazzata. Non c'è niente di straordinario; la maggior parte della gente si sposa e sa quello che fa quando si sposa, come ho fiducia che facciate voi due. Ora, questa faccenda del matrimonio è totalmente soggetta alla mia approvazione...» «E alla mia» disse il dottor Joe severamente. «Per favore» riprese Marcus seccato. «E a quella di mio fratello, naturalmente. Vi abbiamo conosciuto per un mese più o meno, in viaggio. Appena avete incominciato ad andare intorno con mia nipote, ho telegrafato ai miei avvocati di informarsi minutamente sul vostro conto. Bene, sembra che non ci sia niente da dire. Il rapporto su di voi è buono e non ho nessuna obiezione. Non avete famiglia e non avete denaro...» George Harding fece per spiegare qualcosa, ma Marcus lo interruppe. «Sì, sì. So tutto sui vostri processi chimici, che possono fare una fortuna e tutto il resto. Io, per conto mio, non ci metterei un soldo, se le vite di voi due dipendessero da questo. Non ho nessunissimo interesse per i "nuovi processi"; detesto i nuovi processi, specialmente quelli chimici; eccitano il cervello dei pazzi e mi fanno veder rosso. Ma probabilmente ne tirerete fuori qualcosa di buono. Se andate avanti con serietà, avete già abbastanza per vivere e forse ne avrete un po' più da Marjorie. Tutto chiaro?» Di nuovo George incominciò a spiegare qualcosa; questa volta fu Marjorie che intervenne. Il suo viso era lievemente rosato, ma gli occhi erano candidi e mostrava grande calma.
«Di' solo sì» consigliò. «È tutto quello che ti sarà permesso di dire.» L'uomo calvo col cappello di feltro, che era stato appoggiato coi gomiti alla balaustrata a osservarli piuttosto intento, ora mosse la mano come per attrarre l'attenzione di una classe. «Un momento, Marcus» interruppe. «Avete chiesto a Wilbur e a me di presenziare a questa faccenda, anche se non siamo membri della famiglia. Così permettetemi di dire una parola. È proprio necessario fare un interrogatorio al ragazzo come se fossimo...?» Marcus lo guardò. «Vorrei» scattò «che certa gente si levasse di testa la curiosa idea che qualsiasi domanda è sempre un interrogatorio. Ogni scrittore sembra sia sotto un'impressione del genere. Perfino voi, professore, ci cascate. Mi secca moltissimo. Io sto esaminando il signor Harding. È chiaro?» «Sì» disse George. «Oh, andate al diavolo» rispose il professore amichevolmente. Marcus si sistemò indietro quanto era possibile senza cadere nella fontana. La sua espressione era diventata più blanda. «Dato che su tutto questo siamo d'accordo» continuò, con voce leggermente diversa «dovreste sapere qualcosa su di noi. Marjorie non vi ha detto niente? Credo di no. Se pensate che siamo di quei ricchi oziosi e girovaghi, che sono abituati a prendere una vacanza di tre mesi in questo periodo dell'anno, toglietevelo dalla testa. È vero che sono ricco: ma non sono ozioso e molto raramente vado in giro. E neppure ci vanno gli altri: io me ne occupo. Lavoro; e, per quanto mi consideri più uno studioso che un uomo d'affari, nondimeno gli affari li so fare abbastanza bene. Mio fratello Joseph è un professionista di Sudbury Cross; lavora, nonostante la sua pigrizia congenita; anche di questo mi occupo io. Non è un buon medico, ma piace alla gente.» La faccia del dottor Joe divenne battagliera dietro gli occhiali neri. «Per favore, sta' calmo» disse Marcus freddamente. «Ora, Wilbur, Wilbur Emmet, che è lì, è il direttore della mia azienda.» Fece segno verso il giovane alto e incredibilmente brutto che stava di là della balaustrata del peristilio. «Dacché è un mio dipendente» continuò Marcus «posso assicurarvi che anche lui lavora. Il professor Ingram che vedete là, quel signore grasso e calvo, è solo un amico di famiglia. Non lavora, ma lo farebbe se io appena avessi voce in capitolo nei suoi riguardi. Ora, signor Harding, desidero che lo comprendiate fin dall'inizio, e desidero che mi comprendiate. Io sono il
capo di questa famiglia; su ciò non è lecito alcun dubbio. Non sono un tiranno. Non sono ingeneroso e non sono irragionevole: chiunque ve lo potrà dire.» Sporse la testa. «Ma sono un vecchio e ostinato ficcanaso che vuole scoprire la verità nelle cose. Faccio a modo mio e in genere ci riesco. È chiaro?» «Sì» disse George. «Bene» commentò Marcus, sorridendo. «Allora, così stando le cose, potete chiedervi perché abbiamo preso questi tre mesi di vacanza. Ve lo dirò. È stato perché nel paese di Sudbury Cross c'è un criminale pazzo che si diverte ad avvelenare la gente all'ingrosso.» Di nuovo ci fu un silenzio. Marcus si mise gli occhiali, e di nuovo il circolo degli occhiali neri fu completo. «Avete perso la lingua?» domandò Marcus. «Non ho detto che il paese contenga un abbeveratoio o una croce. Ho detto che contiene un criminale pazzo che si diverte ad avvelenare la gente all'ingrosso. Semplicemente per il piacere di questa persona, tre bambini e una ragazza di diciotto anni sono stati avvelenati con la stricnina. Uno dei bambini è morto. Marjorie gli voleva molto bene.» George Harding aprì la bocca per dire qualcosa, e di nuovo si fermò. Guardò la guida che teneva in mano e in fretta se la cacciò in tasca. «Mi spiace...» cominciò. «No; ascoltatemi. Marjorie dal dispiacere si ammalò per parecchie settimane. Per questa ragione, e per certi altri... stati d'animo» Marcus si aggiustò gli occhiali «abbiamo deciso di fare questo viaggio.» «Mai stato un'aquila» mormorò il dottor Joe, guardando in terra. Marcus lo zittì. «Mercoledì, signor Harding, andiamo a casa col Hakozaki Maru da Napoli. Così è meglio che sappiate qualcosa su ciò che accadde a Sudbury Cross il 17 del giugno scorso. C'è una certa signora Terry che ha un negozio di tabacchi e dolci in High Street. I bambini furono avvelenati con dosi di stricnina in tavolette di cioccolato alla crema vendute dalla signora Terry. La signora Terry (potete dedurre) non vende normalmente cioccolato avvelenato. La polizia concluse che i dolci avvelenati furono messi al posto di altri innocui... in un certo modo.» Esitò. «Il fatto è che chiunque abbia avuto accesso a questi dolci, chiunque l'abbia fatto in un determinato momento, è una persona ben conosciuta a Sudbury Cross. Mi spiego?» Qui gli occhiali neri guardarono molto decisi l'ascoltare di Marcus. «Credo di sì. signore.»
«Per quanto mi riguarda» continuò Marcus «io sono ansioso di tornare a casa...» «Santo Dio, sì!» sbottò il dottor Joe, con grande convinzione. «Sigarette decenti. Tè decente...» Dall'ombra del peristilio, il giovane austero e incredibilmente brutto parlò per la prima volta. Aveva una voce profonda che dava alle sue parole piuttosto misteriose l'effetto di una profezia sibillina. Teneva le mani sprofondate nelle tasche di una giacca blu. «Non avremmo dovuto star via luglio e agosto» disse Wilbur Emmet. «Non mi fido di McCracken per le Primo Argento.» «Per favore non fraintendete, signor Harding» disse Marcus freddamente. «Non siamo una banda di paria. Facciamo quel che ci piace. Prendiamo una vacanza quando ci fa piacere e andiamo a casa quando ci fa piacere: almeno io. Sono particolarmente ansioso di tornare a casa, poiché penso che posso risolvere il problema che li sta tormentando. Mesi fa conoscevo parte della risposta. Ma ci sono certi...» Di nuovo, esitando, sollevò la mano in aria, la agitò e la riportò sul ginocchio. «Se venite a Sudbury Cross, troverete certe insinuazioni. Certi stali d'animo. Certi mormorii. Siete preparato ad essi?» «Sì» disse George. L'uomo che li stava osservando dalla porta dell'atrio ebbe sempre impressa l'immagine di quel gruppo nel giardino, incorniciato da antiche colonne e stranamente simbolico di quanto stava per avvenire. Ma i suoi pensieri non erano metafisici, allora. Non entrò più in là nella casa di Aulo Lepido l'avvelenatore. Tornò invece indietro e uscì nella via dei Sepolcri, dove salì verso la porta di Ercolano. Un sottile pennacchio di fumo bianco si avvolgeva e ondeggiava intorno al cono del Vesuvio. L'ispettore Andrew MacAndrew Elliot del Reparto d'Indagine Criminale sedette sul marciapiede alto, accese una sigaretta e guardò intento la lucertola marrone che guizzava fuori nella strada. II Nella notte in cui fu compiuto il delitto a Bellegarde, la casa di campagna di Marcus Chesney, l'ispettore Elliot lasciava Londra nella sua automobile - di cui era esageratamente orgoglioso - e arrivava a Sudbury Cross alle undici e mezzo. Era una bella notte, per quanto molto buia, dopo un giorno di sole brillante. Per essere il 3 ottobre, la temperatura era ancora
tiepida. C'era stata, pensava tristemente, una specie di fatalità. Quando il sovrintendente Hadley l'aveva incaricato di occuparsi della cosa, non aveva detto ciò che aveva in mente: lo assillava non solo una scena vista a Pompei, ma un brutto affare in un negozio di farmacista. «Come al solito» si era lamentato Hadley «siamo stati chiamati ora che le tracce sono tutt'altro che fresche. Quasi quattro mesi fa! Avete compiuto un ottimo lavoro su vecchie tracce in quell'affare di Crooked Hinge, così può darsi che riusciate a concludere qualcosa. Ma non siate troppo ottimista. Siete al corrente della faccenda?» «Ho... letto qualcosa al tempo in cui avvenne.» «Beh, se ne sta riparlando di nuovo. A rimuovere le acque, è stato il ritorno, sembra, della famiglia Chesney da un viaggio all'estero. Lettere anonime, scritte sui muri e cose del genere. È un affare sporco, figlio mio: avvelenamento di bambini.» Elliot esitava. In lui c'era una sorda rabbia. «Pensano che sia stato uno della famiglia Chesney?» «Non so. Il maggiore Crow, cioè il commissario di polizia, ha le sue idee. Crow è di natura meno ponderata di quanto uno potrebbe pensare guardandolo. Quando ha un'idea, nessuno gliela toglie. In ogni modo, vi racconterà i particolari. È un buon uomo e dovreste lavorare bene con lui. Oh. se avete bisogno di qualsiasi aiuto, Fell è a portata di mano. È a Bath, per curarsi. Potreste telefonargli e vedere se vuol fare qualcosa tanto per distrarsi.» Andrew MacAndrew Elliot, giovane, serio di natura e scozzese sino in fondo all'anima, fu considerevolmente rincuorato all'idea della presenza del grosso dottore. Avrebbe perfino potuto, pensò, raccontare al dottor Fell quello che aveva in mente, poiché il dottor Fell era proprio la persona adatta. Alle undici e mezzo, dunque, arrivava a Sudbury Cross e suonava alla stazione di polizia. Sudbury Cross non è un paese, ma neppure una città. È un luogo di mercato e, vicino alla strada per Londra, ha traffici di notevole entità. Il maggiore Crow e il sovrintendente Bostwick stavano aspettandolo nell'ufficio di quest'ultimo alla stazione di polizia. «Mi spiace di essere in ritardo» disse Elliot a Crow. «Ma mi è scoppiata una gomma dall'altra parte di Calne, e...» «Oh, non importa» affermò il commissario di polizia. «Siamo abituati
anche noi alle ore piccole. Dove avete intenzione di prendere alloggio?» «Il sovrintendente mi ha suggerito "Il Leone blu".» «Benone. Preferite andarci adesso, svegliarli e poi ritornare qui, o sentire prima qualcosa sulla faccenda?» «Preferirei sentire qualcosa sulla faccenda, se non è troppo tardi per voi.» Per un momento nell'ufficio ci fu silenzio rotto solo dal ticchettìo del rumoroso orologio: e la luce a gas che ardeva inquieta. Il maggiore Crow protese una scatola di sigarette. Era un uomo piuttosto piccolo, dalle maniere e dalla voce bonaria, con certi baffi grigi: uno di quei tipi di ex militari il cui successo sorprende sempre, fino a che non si viene in contatto con la loro assoluta efficienza. Accese una sigaretta ed esitò, con gli occhi fissi a terra. «Sono io» disse «che dovrei scusarmi con voi, ispettore. Avrei dovuto chiamare Scotland Yard molto tempo fa, se avessimo avuto una mezza intenzione di farlo prima o poi. Ma negli ultimi giorni c'è stata un po' di agitazione, da quando Chesney e i suoi sono tornati a casa di nuovo. La gente penserà che si faranno grandi passi avanti» il suo sorriso era innocente «solo perché abbiamo chiamato Scotland Yard. Ora, molti di loro vogliono che si arresti una ragazza di nome Wills, la signorina Marjorie Wills. E non ci sono prove sufficienti.» Elliot, per quanto ne avesse la tentazione, non fece alcun commento. «Capirete tutte le difficoltà che esistono» continuò il maggiore Crow, «se provate a immaginarvi il negozio della signora Terry. Ne avrete certamente visti centinaia di uguali. È un posto molto piccolo, stretto, ma profondo. A sinistra c'è un banco di vendita per tabacco e sigarette, a destra un altro per i dolci. Un passaggio abbastanza largo corre fra i banconi sino in fondo al negozio, dove esiste una piccola libreria circolante. Chiaro?» Elliot annuì. «Ci sono solo tre negozi di dolci e tabacchi a Sudbury Cross e quello della signora Terry è (o era) senz'altro il migliore. Tutti ci andavano. La signora è cordiale e simpatica, ed è inoltre attivissima. Suo marito è morto e l'ha lasciata con cinque bambini. Va bene?» Elliot annuì di nuovo. «Ma voi sapete anche come avviene la vendita dei dolci in quei posti. Parte della merce è sotto una vetrinetta bassa, ma molta altra è semplicemente sparpagliata per ogni dove, in vasi di vetro o in scatole aperte sul bancone. Ora, sopra questa vetrinetta c'erano cinque scatole aperte,
leggermente inclinate in avanti per mostrare il contenuto. Tre scatole contenevano cioccolatini alla crema, una cioccolato normale e una caramelle. «Ora, supponete di aver voluto introdurre cioccolatini avvelenati nelle scatole. Niente di più facile! Comprate da un'altra parte dei cioccolatini alla crema, sono di tipo comune e li potete trovare dovunque. Prendete un ago ipodermico, lo riempite di stricnina in soluzione alcoolica e ne iniettate qualche centigrammo in (diciamo) mezza dozzina di cioccolatini. Di una puntura del genere non rimane traccia. «Poi andate nel negozio della signora Terry (o in qualsiasi altro negozio) con i cioccolatini nascosti nel palmo della mano. Chiedete un certo numero di sigarette e la signora Terry va dietro al bancone dei tabacchi. Per esempio chiedete cinquanta o cento Players; in questo modo essa non solo deve girarsi, ma deve anche cercar di salire fino a un ripiano più in alto dove tiene le scatole da cento. Mentre sta col dorso voltato, allungate semplicemente la mano dietro di voi e fate cadere i cioccolatini nella scatola aperta. Centinaia di persone passano nel negozio ogni giorno e chi sa o può provare che siete stato voi?» Si era alzato in piedi, con la faccia leggermente arrossata. «È stato fatto così?» domandò Elliot. «Un momento! Vedete con che diabolica facilità può agire una persona che semplicemente vuole il piacere di uccidere e non guarda a chi uccide. È la difficoltà in cui ci troviamo. «Prima di tutto è bene che vi parli di Marcus Chesney, della sua famiglia e dei suoi amici. Chesney vive in una grande casa a meno di cinquecento metri di qui: può darsi che l'abbiate vista. Un bel posto ampio e disteso, con tutto il necessario e il superfluo, scelto senza economia. Si chiama Bellegarde, come una pesca.» «Che cosa?» «Una pesca» rispose il commissario di polizia. «Mai sentito parlare delle famose serre di Chesney? No? Ne ha un mezzo acro. Suo padre e suo nonno prima di lui coltivarono le più pregiate pesche di lusso del mondo. Marcus ha continuato il lavoro. Sono quegli enormi esemplari che si hanno negli alberghi del West End a prezzi favolosi. Vengono coltivate fuori stagione; Chesney dice che il sole o il clima non hanno niente a che vedere con la coltura delle pesche, e tutto sta nel suo segreto, che vale una fortuna. Coltiva la Bellegarde, la Primo Argento e la Matura Reale, la sua specialità. Ed è un lavoro certamente redditizio: il suo reddito annuo pare che conti sei cifre.»
Qui il maggiore Crow esitò, fissando acutamente il suo ospite. «Per quanto riguarda Chesney» proseguì «non si può dire che sia popolare nei dintorni. Non guarda in faccia a nessuno ed è ostinato come un mulo. La gente o ha per lui una netta antipatia o gli tributa un rispetto semitollerante. Sapete, quelle frasette nelle osterie: "Ah, quel Chesney, quello sì che va bene!" accompagnate da una scossa della testa, un mezzo sogghigno e uno sbattere del boccale sul tavolo. Poi si suppone generalmente che sia piuttosto bizzarro nei riguardi della sua famiglia, per quanto nessuno possa dire niente di preciso. «Marjorie Wills è sua nipote; figlia di sua sorella, morta. Sembra proprio una brava ragazza, a quanto si sa. Ma ha un carattere vivace. Con il suo aspetto dolce e innocente, ho sentito dire che talvolta usa un linguaggio da far arrossire un sergente maggiore. «Poi c'è Joe Chesney, il medico. Quello redime la famiglia, tutti gli vogliono bene. Va intorno come un toro infuriato e io non metterei la mano sul fuoco per quanto riguarda la sua abilità professionale, ma un mucchio di gente è pronta a far qualsiasi cosa per lui. Non vive con Marcus, Marcus non vorrebbe che Bellegarde fosse turbata dal trambusto di un ambulatorio. Vive un po' più in là, lungo la strada. Poi c'è un professore in ritiro, un certo Ingram, un tipo calmo e amabile, gran compagnone di Marcus. Ha una villetta sulla stessa strada e gode della considerazione della gente di qui. Finalmente, il direttore a capo dei vivai di Chesney è un tale che si chiama Emmet; di lui si sa poco e del resto non interessa a nessuno. «Bene! Il 17 giugno era un giovedì, giorno di mercato, e in città c'era un mucchio di persone. Penso che possiamo considerare come accertato che fino a quel giorno nel negozio della signora Terry non vi erano cioccolatini avvelenati. Ragione: ha cinque bambini, come vi ho detto, e uno di loro compiva gli anni il 16. La signora Terry ha fatto per lui una piccola festa alla sera. Perciò prese (fra altri dolci) una manciata da ciascuna delle scatole in cima alla vetrinetta. Nessuno soffrì dopo averne mangiati. «Per quanto riguarda il giovedì, abbiamo una lista di tutte le persone, tutte, che andarono nel negozio. Non è così difficile come sembra, poiché per la maggior parte prendono libri a prestito e la signora Terry ne tiene nota. Non entrarono estranei nel negozio quel giorno: di questo possiamo essere certi. Marcus Chesney stesso vi andò, sia detto tra parentesi. E così pure il dottor Joe Chesney. Ma né il professor Ingram né il giovane Emmet vi misero piede.» Elliot aveva preso il suo taccuino e stava studiando i ghirigori che vi a-
veva fatto. «E la signorina Wills?» domandò... e di nuovo ebbe coscienza della notte tiepida, del brusìo del lume a gas e degli occhi preoccupati del commissario di polizia. «Ci sto arrivando» continuò il maggiore Crow. «La signorina Wills certamente non entrò nel negozio. Ecco quello che accadde. Alle quattro circa del pomeriggio, proprio appena finita la scuola, venne a Sudbury Cross con l'automobile di suo zio. Andò da Panchers, il macellaio, per fare un piccolo reclamo su qualcosa. Mentre stava uscendo dal negozio, incontrò il piccolo Frankie Dale, di otto anni. Aveva sempre avuto molto affetto per lui, a quanto dice la maggioranza della gente. Gli disse, udita da un testimonio: "Oh, Frankie, corri dalla signora Terry e comprami tre pence di cioccolatini con la crema, ti dispiace?" e gli diede sei pence. «La signora Terry è a circa cinquanta metri dal macellaio. Frankie fece quello che gli era stato detto. Come ho riferito, c'erano tre scatole di cioccolatini con la crema in cima alla vetrinetta. Frankie, come tutti i bambini, non precisò. Semplicemente indicò con decisione la scatola di mezzo e disse: "Tre pence di questi".» «Un momento, per favore» interruppe Elliot. «Nessun altro fino a quel momento aveva comperato cioccolatini con la crema?» «No. C'era stata vendita di liquirizia, tavolette di cioccolato e anicini, ma nessuno aveva chiesto cioccolatini con la crema, quel giorno.» «Continuate, per favore.» «La signora Terry glieli pesò. Questi cioccolatini costano sei pence l'etto; gliene diede mezzo etto, cioè sei. Poi Frankie corse di nuovo dalla signorina Wills, con i cioccolatini in un sacchetto di carta. Ora, quel giorno era piovuto e la signorina Wills portava un impermeabile con tasche profonde. Si mise il sacchetto in tasca. Poi, come cambiando idea, lo tirò fuori di nuovo. Almeno, tirò fuori un sacchetto di carta. Va bene?» «Sì.» «Aprì il sacchetto, ci guardò dentro e disse: "Frankie, mi hai portato quelli piccoli con la crema bianca. Volevo quelli grossi con la crema rosa. Corri indietro e chiedi alla signora Terry di cambiarli, per favore". La signora Terry, naturalmente, si fece premura di cambiarli. Versò i cioccolatini nella scatola di mezzo e riempì il sacchetto con altri presi dalla scatola di destra. Frankie li diede alla signorina Wills, che gli disse di tenersi il resto di sei pence. «Il seguito dell'affare» disse il maggiore Crow, tirando un profondo so-
spiro e voltando la faccia scura verso il suo ascoltatore «è presto detto. Frankie non spese subito i suoi tre pence; andò a casa per il tè, ma dopo tornò indietro. Non so se si fosse già fissato o no sui cioccolatini con la crema per averli comperati prima, ma spese due pence per essi - quelli piccoli con la crema bianca - e un penny per liquirizia. Alle sei e un quarto circa, una domestica di nome Lois Curtain (lavora in casa Anderson) entrò con i due bambini Anderson e comprò due etti di cremini presi da tutte e tre le scatole. «Tutti quelli che assaggiarono un cioccolatino dalla scatola di mezzo si lamentarono del gusto violentemente amaro. Frankie, povero bambino, non si lasciò spaventare da ciò, perché ci aveva speso i suoi due pence. Li mangiò tutti insieme. I dolori incominciarono circa un'ora dopo e il piccolo morì tra sofferenze atroci quella notte alle undici. I bimbi Anderson, e Lois Curtain, furono più fortunati. La piccola Dorothy Anderson diede un morso a un cioccolatino; pianse e disse che era troppo amaro, "cattivo" da mangiare. Lois Curtain, curiosa diede pure un morso. Tommy Anderson fece un chiasso tale che lui pure dovette dargli un morso. Lois poi assaggiò un altro cioccolatino e anche quello era amaro. Si convinse che i cioccolatini erano guasti e li mise via in borsetta per tornare a reclamare dalla signora Terry. Nessuno dei tre morì, ma quella notte Lois rimase più di là che di qua. Avvelenamento da stricnina, naturalmente.» Il maggiore Crow si fermò. Aveva parlato con calma, ma a Elliot non piaceva lo sguardo che aveva. Spegnendo la sigaretta si sedette e aggiunse: «Sono stato dodici anni in questa parte del paese, ma non ho mai visto uno scompiglio simile a quello che ha seguito questa storia. La prima voce naturalmente fu che la signora Terry aveva venduto cioccolato avvelenato e tutta la colpa era sua. Forse alcuni avevano una mezza idea che si possano avere cioccolatini putrefatti, come la carne. La signora Terry era fuori di sé, immaginate? Gridava e piangeva, con il grembiule sulla faccia. Le hanno rotto le vetrine e il padre di Frankie Dale quasi impazzì. «Ma in un giorno o due incominciarono a ragionare e a far domande. Joe Chesney disse chiaramente al "Leone blu" che era avvelenamento premeditato. Aveva curato Frankie. Frankie aveva mangiato tre cioccolatini e aveva ingoiato quattro decigrammi di stricnina. Quattro milligrammi, come sapete, sono già fatali. Le altre tre vittime si erano suddivise più di due grani. I cioccolatini rimasti nella scatola di mezzo sono stati analizzati. Altri due di essi contenevano (ogni cioccolatino) quasi un decigrammo e mezzo di un composto di stricnina in soluzione alcoolica, e così pure altri
due nel sacchetto comprato da Lois Curtain, oltre ai due che lei e i bambini avevano assaggiato. In altre parole, dieci cioccolatini in tutto erano stati avvelenati e in ognuno di essi c'era molto più di una dose fatale. Qualcuno aveva voluto uccidere, e uccidere provocando un'agonia per quanto possibile dolorosa per la povera vittima. «Ora, per semplificare, esistono tre possibili soluzioni. «Una. La signora Terry ha volutamente avvelenato i cioccolatini. Il che nessuno ha creduto, dopo la prima reazione. «Due. Qualcuno, entrato nel negozio durante il giorno, ha aggiunto una manciata di merce avvelenata alla scatola di mezzo mentre la signora Terry stava voltata. Esattamente come vi ho detto poco fa. «Tre. È stata Marjorie Wills. Quando Frankie le portò il sacchetto di cremini innocui, aveva nella tasca dell'impermeabile un sacchetto uguale con altri cremini manipolati col veleno. Mise il sacchetto innocuo in tasca, tirò fuori quello avvelenato e domandò a Frankie di portarlo indietro e cambiarlo. Così la merce avvelenata fu vuotata nella scatola di mezzo. Mi seguite?». Elliot aggrottò le ciglia. «Sì, signore, mi rendo conto. Ma...» «Esattamente!» interruppe il maggiore, con un occhio ipnotico sull'ospite. «So quello che state per dire. Qui sta il punto. La signorina Wills ha comperato sei cioccolatini. Ma ce n'erano, tutti insieme, dieci nella scatola di mezzo. Se ha restituito un sacchetto uguale di sei, come si spiegano i quattro in più? E se il sacchetto avesse contenuto dieci cioccolatini invece di sei, la signora Terry non lo avrebbe notato vuotandolo nella scatola?» Il sovrintendente Bostwick della polizia locale non aveva fino a quel momento detto una parola. Era un pezzo d'uomo ed era rimasto seduto con le braccia conserte e un occhio al calendario. Ora si schiarì la voce. «Certi pensano» disse «che non l'avrebbe notato. Specialmente se aveva fretta.» Schiarendosi la voce di nuovo, aggiunse: «Scotland Yard o non Scotland Yard, riusciremo a prendere questo maledetto assassino, fosse anche l'ultima nostra impresa.» L'impeto dell'esclamazione vibrò nella stanza calda. Il maggiore Crow guardò Elliot. «Bostwick» disse «è abituato ad andar piano. Ma se lui pensa così, immaginate gli altri.» «Vedo» disse Elliot, e dentro rabbrividì un poco. «È diffusa l'opinione
che la signorina Wills...?» «La gente in genere non sta a cavillare, come dobbiamo fare noi, ed è male. Prima di tutto c'è stata la natura completamente insensata dell'affare; la sua insanità pura ha lasciato tutti perplessi. E poi... beh, in più c'è il fatto (anche se per fortuna la maggior parte della gente al "Leone blu" non lo sa) che le circostanze sono quasi esattamente le stesse di un famoso caso di avvelenamento avvenuto a Brighton oltre sessant'anni fa. Avete sentito parlare dell'affare di Christiana Edmunds, nel 1871? Quella donna aveva avvelenato alcuni cioccolatini, e per mezzo di un bambino li aveva fatti riportare al negozio e cambiare, proprio nella stessa maniera. Aveva portato il sacchetto, credo, nel manicotto e, come un cospiratore, l'aveva allungato al bambino.» Elliot stava pensando. «Christiana Edmunds, se ricordo» disse «era pazza. Morì in manicomio.» «Sì» rispose il maggiore «e certi pensano che ci morirà anche la ragazza.» Dopo una pausa continuò. «Ma notate le prove contro di lei! O piuttosto la mancanza di prove. Prima di tutto, non si è potuto trovare veleno in casa sua, non si può provare che ne abbia comperato, preso a prestito, trovato o rubato un milionesimo di grammo. Semplice, dice la gente: la signorina Wills è la beniamina del dottor Chesney e il dottor Chesney è così disordinato che avrebbe potuto lasciare in giro stricnina come se fosse tabacco. È vero che ha stricnina in ambulatorio, ma ne rende conto a noi in tutto e per tutto. «Secondo: la signora Terry dal canto suo giura che nel sacchetto riportato da Frankie Dale c'erano solo sei cioccolatini. «Terzo: se è stata Marjorie Wills, si è comportata nel modo più stupido possibile, senza neanche prendere le precauzioni di Christiana Edmunds, che era pazza. Dopo tutto, Brighton è grande e, mandando un bambino che non conosceva a fare il cambio, quella aveva speranza di non venire identificata in seguito. Ma la nostra! Agire in un posto come Sudbury Cross, parlando a un bambino che la conosceva, in presenza di testimoni? Se voleva avvelenare i cioccolatini, avrebbe potuto farlo a colpo sicuro nell'altra maniera cui ho accennato prima. «No, ispettore. Non c'è un solo punto contro di lei nell'affare che una buona difesa non riuscirebbe a distruggere in venti minuti e noi non vogliamo arrestarla solo per dar soddisfazione alla gente. Oltre a tutto, spero non sia vero perché è giovane e graziosa e non si è mai potuto dire nient'al-
tro sul suo conto, salvo che i Chesney sono in generale bizzarri.» «L'accanimento contro di lei è incominciato prima che i Chesney andassero in viaggio?» «Beh, incominciava a ribollire, ma è scoppiato solo quando sono partiti e ora che sono tornati è peggio che mai. Il sovrintendente, qui, è stato sulle spine per paura che teste calde facessero a pezzi i vivai di Marcus. Per conto mio mi preoccupo meno perché i nostri ragazzi parlano molto, ma hanno pazienza e preferiscono aspettare che le autorità si muovano. Perdio, certo che voglio fare tutto il possibile» disse il maggiore con voce quasi lamentosa «anch'io ho bambini e tutta la faccenda mi piace ancor meno che a loro. Oltre a tutto, l'attitudine di Marcus Chesney non è certo stata di aiuto. È tornato dal continente dicendo che ci avrebbe fatto vedere lui, se noi non ci eravamo riusciti. Infatti, a quanto mi hanno riferito, è stato qui l'altro ieri con delle storie, a far domande...» Elliot drizzò le orecchie. «Come?» domandò. «Su che cosa?» Il commissario di polizia diede un'occhiata interrogativa al sovrintendente Bostwick. «Voleva sapere» riprese il sovrintendente con sarcasmo «le misure esatte delle scatole di cioccolatini che erano sul bancone della signora Terry. Gli ho domandato perché e si è arrabbiato, dicendo che non era affar mio. Allora gli ho detto di andare a chiederlo alla signora Terry. E poi» il sovrintendente ridacchiò «aveva un'altra domanda da farmi, ma siccome io sono matto e stupido, se la teneva per sé e peggio per me. Aveva sempre saputo che manco completamente della facoltà di osservazione, ma adesso vedeva che mi manca anche il cervello.» «Sembra abbia l'idea fissa» spiegò il maggiore «che la maggior parte della gente è incapace di descrivere accuratamente quello che vede o sente...» «Lo so» disse Elliot. «Lo sapete?» Elliot non rispose alla domanda, perché in quel momento il telefono squillò. Il maggiore Crow guardò con una certa impazienza l'orologio, il cui ticchettìo rumoroso riempiva la stanza. Segnava mezzanotte e venti. Bostwick si alzò pesantemente e prese il telefono, mentre tanto Elliot quanto il commissario di polizia si lasciavano andare a una oscura e inquietante suggestione. Il maggiore era stanco e depresso; Elliot per conto suo lo era anche di più. Fu la voce di Bostwick a svegliarli, meglio il tono leggermente acuto con cui ripeteva: «Pronto?». Il maggiore Crow si voltò
di colpo, facendo urtare violentemente la sedia contro la scrivania. «È il dottor Joe» disse il sovrintendente. «Meglio che parliate voi.» C'erano alcune gocce di sudore sulla sua fronte, anche se l'espressione degli occhi diceva poco. Gli diede il telefono. Il maggiore Crow lo prese e ascoltò con calma per un minuto circa. Nel silenzio Elliot poteva sentire la voce nel microfono, senza però riuscire ad afferrar le parole. Quindi il commissario di polizia appese il ricevitore lentamente. «Era Joe Chesney» ripeté. «Marcus è morto. Il dottore crede che sia stato avvelenato con acido cianidrico.» Di nuovo il ticchettìo dell'orologio riempì la stanza e il maggiore Crow si schiarì la voce. «Sembra anche» continuò «che Marcus abbia provato la sua teoria favorita fino all'ultimo respiro perché, se ho capito giusto, ognuno di loro lo ha visto avvelenare con i propri occhi; eppure nessuno può dire come sia successo.» III Bellegarde era una casa progettata in modo molto razionale. Anche se grande, non era una dimora gentilizia né pretendeva di esserlo, costruita solidamente di mattoni gialli, con decorazioni blu all'altezza della gronda, ora alquanto annerite. In quel momento, tuttavia, l'ispettore Elliot badò poco ai particolari anche perché il cielo era denso e scuro. Dalla facciata della casa non trapelava nessuna luce, ma dal fianco, il fianco che sparì dalla vista mentre, girando a sinistra, imboccavano il viale d'accesso, usciva una luce così forte che si vedeva dalla strada principale. Elliot fermò l'automobile nel viale e il maggiore Crow con Bostwick smontarono insieme con lui. «Un momento, signore» disse Elliot rispettosamente. «Prima di andare, c'è qualcosa che è meglio precisare. A che titolo sono qui io? Sono stato mandato per il caso dei cioccolatini, ma questo...» Nel buio si accorse che il maggiore Crow lo guardava con un sorriso freddo. «Vi piace che le cose siano regolari, eh?» chiese il commissario di polizia. «Bene, bene, tanto meglio» aggiunse in fretta. «Il caso è vostro, ragazzo mio, occupatevene voi: sotto la supervisione di Bostwick, naturalmente. Quando avrò sentito cosa è successo, me ne andrò a letto. Adesso, avanti.»
Invece di bussare alla porta principale, Elliot andò subito verso il fianco della casa e guardò dietro l'angolo. Bellegarde, come vide, non era lunga poiché di lato vi erano solo tre stanze messe in fila. Ogni stanza aveva due finestre che davano su una striscia piuttosto stretta di erba; piante di castagno correvano parallele alle finestre. La prima stanza, verso il fronte della casa, era scura. La luce veniva dalle finestre delle altre due e più intensamente dalla terza, dando all'erba morbida un verde teatrale e illuminando ogni foglia gialla degli alberi vicini. Elliot diede un'occhiata nella prima delle due stanze illuminate, vuota. Tutt'e due le finestre, ornate di pesanti tende di velluto, erano spalancate. Sembrava la stanza da musica, con un piano e un radiogrammofono, le sedie apparivano in disordine, porte pieghevoli (chiuse) comunicavano con la stanza più lontana. Il silenzio era tanto profondo da suggerire inquietanti possibilità. «Olà» chiamò Elliot. Nessuno rispose. Allora si mosse per guardare dalle finestre dell'altra stanza illuminata e si fermò di botto. Nello stretto passaggio verde fra la casa e le piante di castagno, proprio fuori dalle finestre della stanza più lontana, giaceva la serie più strana di oggetti che mai avesse vista. Prima di tutto si notavano un cappello a cilindro, un alto e lucente cappello a cilindro di vecchio tipo, piuttosto consumato; vicino era stato gettato un vecchio e lungo impermeabile fuori moda, dalle tasche fonde, anch'esso molto sciupato; poi c'era una sciarpa di lana scura e un paio di occhiali neri. Infine, fra tutte quelle cianfrusaglie, si vedeva una borsa di pelle nera, un po' più grande di una valigetta da dottore, ma meno di una normale valigia. Sulla borsa nera e rigida stavano le parole R. H. Nemo Medico Chirurgo. «Sembra» osservò il maggiore freddamente «che qualcuno si sia spogliato.» Elliot non rispose; aveva appena guardato nella stanza e lo spettacolo non era certo piacevole. Ambedue le finestre di quella stanza erano pure spalancate; si trattava di un ufficio o studio; al centro una larga tavola con una cartella ricoperta di carta assorbente e un portacalamaio; dietro il tavolo, alla sinistra di Elliot, c'era una poltroncina messa in modo che una persona seduta aveva di fronte le porte che davano nell'altra stanza. Un portalampada di bronzo sulla tavola emanava una luce elettrica così intensa e accecante che Elliot si rese conto di aver davanti un riflettore per fotografare interni; era posto in mo-
do che tutto il suo bagliore cadesse in pieno sul viso e sul corpo di chiunque stesse seduto nella poltroncina. E nella poltroncina c'era qualcuno. Marcus Chesney sedeva di traverso, con le spalle ingobbite e le mani afferrate ai braccioli, come se cercasse di alzarsi in piedi, ma dava solo l'illusione di essere vivo: i piedi pendevano e il peso del corpo restava contro lo schienale. Aveva il viso cianotico, e le vene della fronte, blu e prominenti, contrastavano singolarmente con i capelli quasi bianchi. Le palpebre erano chiuse e sulle labbra aveva ancora una leggera smorfia. La luce intensa della lampada, concentrata su di lui, metteva spietatamente in rilievo ogni particolare. Sul muro dietro la schiena di Marcus Chesney, sopra un caminetto di legno lucido, un orologio a pendolo dal quadrante bianco e dal ticchettìo pesante segnava mezzanotte e venticinque. «Sì, è andato» disse il maggiore Crow, con tono volutamente disinvolto «ma, guarda...» Il ticchettìo dell'orologio era straordinariamente forte; perfino dalla finestra si sentiva l'odore di mandorle amare. «Sì, signore?» disse Elliot, che stava osservando con attenzione. «Sembra che non sia stata facile per lui; voglio dire, la morte deve essere stata penosa.» «Piuttosto.» «Joe Chesney ha detto che è stato acido cianidrico, e poi c'è quell'odore; non posso dire di averlo sentito prima, ma tutti sanno di che si tratta. Ma l'acido cianidrico non ha effetto fulmineo, uccidendo istantaneamente?» «No, signore, non c'è nessun veleno del genere; è molto rapido, ma solo nel senso che ci vogliono minuti invece di...» Beh, questo poteva venir affrontato in seguito. Elliot controllò l'ora del pendolo sul camino con quella del proprio orologio: esatta al minuto. La segnò sul taccuino ed entrò nella stanza. L'odore di mandorle amare era fortissimo intorno alla bocca di Marcus, che doveva essere morto da pochissimo tempo, poiché teneva ancora le mani aggrappate ai braccioli, in uno spasmo finale. Portava uno smoking, con la camicia in disordine sotto il panciotto e dietro il fazzoletto del taschino spuntava il margine di un foglio piegato. Se la vittima aveva ingerito del veleno, Elliot non riusciva a trovare la bottiglietta o un recipiente qualsiasi; la tavola era sgombra, con la sua nitida cartella e il portacalamaio. C'erano solo altri due oggetti sul ripiano; il primo era una matita, più piatta che rotonda o esagonale e di colore blu
scuro che stava non sul portacalamaio, ma sul quaderno; l'altro era una scatola da un chilo di cioccolatini di tipo corrente, chiusa, da cartone lucido ornato di un disegno a fiorami simile a una carta da parati blu, con le parole dorate «Cremini alla Menta Henry» segnate sul coperchio. «Olà» tuonò una voce dall'altra stanza. Siccome i tappeti erano spessi, non avevano sentito nessun passo e inoltre era così scuro al di là dell'alone che si poté distinguere ben poco anche quando qualcuno tastò alla porta aprendola. Il dottor Joseph Chesney si precipitò nella stanza e si fermò di botto. «Oh» disse col fiato grosso. «Siete voi, maggiore. E anche voi Bostwick. Dio sia lodato.» Il maggiore lo salutò. «Stavamo domandandoci dove vi eravate cacciato» riprese. «Questo è l'ispettore Elliot, venuto da Scotland Yard a darci una mano; penso che vorrete raccontargli quello che è successo.» Il dottor Joe osservò Elliot attentamente; al suo passaggio, l'aria era mossa come da un vento e intorno a lui aleggiava un odore di cognac che andava mescolandosi con quello di mandorle amare; con la barbetta pepesale e i baffi in disordine per il troppo sbuffare, visto qui a casa, anziché in Italia nella cornice di Pompei, sembrava meno aggressivo e forse meno corpulento, nonostante il suo pesantissimo abito di lana. «Non so che cosa sia successo» rispose. «Non ero qui e non posso essere dappertutto nello stesso momento. Ero appena andato di sopra per occuparmi di un altro paziente.» «Un altro paziente? Chi?» «Wilbur Emmet.» «Wilbur Emmet!» disse il maggiore. «Non sarà per caso...» «Oh, no, non è morto. Ha avuto un bel colpo alla nuca, credo. Commozione cerebrale» spiegò il dottor Joe, fregandosi le mani come per lavarsele... «Perché non andiamo nell'altra stanza? Non è che mi importi di star qui con lui» indicò il fratello «ma quelle lampade non durano molto e se le tenete accese bruceranno e rimarrete al buio» si fregò di nuovo le mani «quando dovrete svolgere le indagini e così via. Eh?» A un cenno del commissario di polizia, Elliot avvolse un fazzoletto attorno alle dita e spense la luce. Joseph Chesney se la svignò piuttosto celermente nell'altra stanza e di là li fronteggiò con un'aria aggressiva che, come pensò Elliot, doveva essere solo data dal nervosismo. Il maggiore Crow socchiuse le porte doppie.
«Allora, dunque» disse vivacemente «se i signori permettono di usare il telefono, sovrintendente, potreste chiamare il medico e chiedergli...» «Perché volete un medico? Io sono medico. Posso dirvi che è morto.» «È questione di forma, Chesney, lo sapete.» «Se avete qualcosa da dire sul mio conto come professionista...» «Sciocchezze, caro mio. Dunque, ispettore.» Il dottor Joe si rivolse a Elliot. «Così, venite da Scotland Yard, eh?» domandò e poi si fermò come a riflettere. «Un momento! Come avete fatto ad arrivare così presto?» Rifletté di nuovo. «È impossibile.» «Son venuto per un'altra storia, dottore. Avvelenamento di bambini.» «Oh» disse il dottor Joe, cambiando colore. «Beh, adesso ne avete del lavoro.» «Senza dubbio» ammise Elliot. «Allora, dottore, se volete darmi un'idea di quello che è successo qui stanotte...» «Una balordaggine, ecco quello che è successo» ruggì l'altro immediatamente «una balordaggine. Marcus voleva dar spettacolo e, per giove, l'ha fatto!» «Uno spettacolo?» «Non posso dirvi cosa hanno fatto» precisò il dottor Joe «perché non ero qui, ma posso dirvi quello che volevano fare, perché ne hanno parlato continuamente durante la cena; era la solita storia, solo che non aveva mai preso così corpo. Marcus diceva che novantanove persone su cento sono buone a nulla come testimoni e non sanno ripetere quello che avviene sotto i loro occhi e, se si tratta di un incendio, un investimento, una rissa o un altro incidente del genere, la polizia ne ottiene testimonianze così discordanti che risultano completamente inutili.» Guardò Elliot con improvvisa curiosità. «È vero?» «Molto spesso sì. Ma qui cosa è successo?» «Beh, tutti erano in contrasto con Marcus, ognuno su punti di vista differenti, ma concordavano nel dire che loro non ci sarebbero caduti; anch'io l'ho detto» affermò il dottor Joe in tono di difesa «e ancora lo penso, nel mio caso. Infine Marcus, dicendo che voleva metterli alla prova, si offrì di sottoporli a un esame psicologico che certe università usano: si trattava di montare un piccolo spettacolo e alla fine avrebbero dovuto rispondere a una fila di domande su ciò che avevano visto; per conto suo voleva scommettere che il sessanta per cento delle risposte sarebbe stato sbagliato.» Il dottor Joe si rivolse al maggiore Crow. «Conoscevate Marcus; ho sempre detto che era come quel tale capace di
camminare trenta chilometri per dare la descrizione esatta di un fiore; quando mio fratello si metteva in testa un'idea, non c'era verso di togliergliela. Così ha dato il suo spettacolo e sul più bello, beh, qualcuno è intervenuto e l'ha ucciso. Se ho capito esattamente, ognuno di loro ha visto l'assassino e ha seguito ogni suo movimento, e tuttavia non concordano su niente di quanto è successo.» Il maggiore Crow intervenne. «Ma non sanno dare una descrizione dell'assassino?» «No. Era travestito come l'Uomo Invisibile.» «Come cosa?» «Sapete, cappotto lungo, bavero rialzato, sciarpa avvolta intorno alla testa e al viso, occhiali, cappello calcato sulla fronte; piuttosto impressionante, dicono, ma allora hanno pensato facesse parte dello spettacolo. Dio, è spaventoso! Quel... quel fantasma entra e...» «Ma...» «Scusate» interruppe l'ispettore Elliot, che voleva raccapezzarsi un po' meglio, perché aveva l'impressione che l'affare fosse piuttosto ingarbugliato. Si rivolse al dottore: «Avete detto "loro" l'hanno visto. Chi?». «Il professor Ingram, Marjorie e quel giovane George. Come si chiama... Mi avete capito, vero?» «Nessun altro?» «No, a quanto ne so; Marcus voleva anche me ma, come stavo spiegandovi, avevo delle visite da fare. Allora mio fratello, dicendo che lo spettacolo sarebbe in ogni modo incominciato tardi, dichiarò che mi avrebbe aspettato se promettevo di tornare prima di mezzanotte. Non potevo prometterlo, ma avrei fatto tutto il possibile e, se non c'ero per un quarto a mezzanotte, avrebbero iniziato senza di me.» Il dottor Joe ora si controllava meglio; sedendosi, alzò un paio di manone simili alle zampe di un orso e le lasciò ricadere sulle ginocchia. «A che ora è incominciato lo spettacolo?» continuò Elliot. «A mezzanotte in punto, mi hanno detto. È il solo particolare su cui siano tutti d'accordo.» «E sull'assassino, dottore, non potete dirci niente di vostra diretta conoscenza?» «No! A mezzanotte stavo lasciando un difficile caso di parto dall'altro lato della città, pensavo di arrivare in tempo, ma quando entrai qui era mezzanotte e venti e Marcus ormai era spacciato e nessuno, né io né altri, poteva far più niente per lui.» Qui un'idea nuova sembrò colpirlo perché,
sollevando le sopracciglia sugli occhi arrossati, continuò con voce mielata: «C'è da dire un'altra cosa, non tutto il male viene per nuocere, perché adesso voglio ricacciare in gola... «Vedete, ispettore, avete detto di essere venuto per l'avvelenamento al negozio della signora Terry, così probabilmente sapete quello che voglio dirvi, ma lo dico ugualmente. Per più di tre mesi, quasi quattro, la gente è andata intorno a dire che mia nipote è un'assassina; non son venuti a dirlo a me, certo che non son venuti, ma l'hanno detto, e adesso voglio ricacciarglielo in gola. Perché una cosa è sicura, chiunque abbia ucciso mio fratello, non è Marjorie e chiunque sia l'avvelenatore, non è Marjorie e anche se Marcus ha dovuto lasciarci la pelle per provarlo, ne valeva la pena. Mi sentite? Ne valeva la pena.» Saltò in piedi, con atteggiamento piuttosto colpevole, abbassando il pugno. Una porta, che evidentemente dava su un corridoio, si era aperta e Marjorie Wills era entrata. La stanza da musica aveva un lampadario di cristallo, con tutte le lampade accese e gli occhi di Marjorie batterono un momento mentre apriva la porta. Camminando silenziosa e svelta sul tappeto, con le pantofoline nere, andò a posare una mano sulla spalla del dottor Joe. «Per favore vieni di sopra» sollecitò «non mi piace il modo come respira Wilbur.» Quindi alzò gli occhi, interdetta, e vide gli altri; dapprima senza alcuna reazione ma, quando scorse Elliot, corrugò la fronte, riprendendosi subito. «Voi non siete...» disse «cioè, non ci siamo già incontrati?» IV A questo punto Elliot commise un altro sbaglio, parlando, per ragioni sue particolari, con voce così aspra e acuta che il commissario di polizia lo guardò sorpreso. «Non credo, signorina Wills» rispose. «Volete sedervi per favore?» Lei continuava a guardarlo nella stessa maniera; egli non aveva mai trovato una persona di cui sentisse in modo così fisico la presenza; sembrava sapere quello che lei avrebbe fatto, come avrebbe voltato la testa, o portato la mano alla fronte. «Sei agitata, Marjorie» intervenne il dottor Joe, toccandole una spalla «questo signore è un ispettore di Scotland Yard. È...» «Scotland Yard» esclamò la ragazza «proprio un tipo malfido, eh?» e
cominciò a ridere. Si riprese immediatamente, ma lo scherzo non le aveva illuminato gli occhi. Elliot non l'aveva dimenticata: i capelli castano scuri e lucenti, divisi e pettinati in piccoli riccioli sulla nuca, la fronte spaziosa, le sopracciglia arcuate e gli occhi grigi e pensosi, la bocca che sembrava sempre in riposo; egli ora vedeva che non era bella, ma non se ne rendeva quasi conto. «Scusate» riprese la ragazza, cercando ancora di vincere lo sguardo interdetto che gli rivolgeva «non ho capito bene; cosa avete detto?» «Volete sedervi per favore, signorina Wills? Se ve la sentite, vorremmo sapere quello che potete dirci sulla morte di vostro zio.» Marjorie diede un rapido sguardo verso la stanza scura e, dopo aver rivolto un momento gli occhi al pavimento e strette le mani insieme, alzò la testa con calma almeno apparente. Lo spirito e l'intelligenza che egli le attribuiva dovevano però essere stati messi a dura prova da quattro mesi di dicerie. «La lampadina non è bruciata, no?» disse, passando il dorso della mano sulla fronte. «Siete venuto ad arrestarmi?» «No.» «Allora... beh, cosa volete?» «Raccontatemi solo come è andata, a modo vostro, signorina Wills. Dottor Chesney, vorreste salire dal vostro paziente...?» La calma cortesia scozzese di Elliot stava avendo il suo effetto poiché la ragazza ora lo guardava più tranquilla e il suo respiro era meno rapido mentre, prendendo la sedia che egli le aveva offerta, si sedeva incrociando le ginocchia. Portava un abito da pranzo nero e liscio, senza anelli né ornamenti, nemmeno un anello di fidanzamento. «Ispettore, dobbiamo stare qui? Voglio dire, in questa stanza?» «Sì.» «Mio zio aveva una teoria» riprese Marjorie «e quando aveva una teoria, voleva provarla: ecco il risultato.» «Se capisco bene, signorina, la faccenda è cominciata con una discussione durante la cena.» «Sì.» «Chi iniziò la discussione? Voglio dire, chi propose l'argomento?» «Lo zio Marcus» rispose la ragazza, mostrandosi sorpresa. «E voi eravate d'accordo con lui?» «No.» «Perché, signorina? Da che punto di vista?»
«Oh, cosa importa?» esclamò Marjorie, aprendo gli occhi e facendo un gesto d'impazienza ma, vedendo l'ostinazione del viso di Elliot, interdetta e stimolata, continuò: «Perché? Così, per far qualcosa, penso; non è stato tanto allegro da quando siamo tornati a casa, anche con George qui, specialmente con George qui. George è il mio fidanzato, l'ho... l'ho incontrato in un viaggio che abbiamo fatto all'estero; e poi lo zio Marcus era così sicuro di se stesso. Oltre a tutto ho sempre creduto veramente a quel che gli ho detto.» «E cioè?» «Che gli uomini osservano poco» disse Marjorie con calma. «Per questo valete così poco come testimoni, non avete nessuna attenzione, state sempre concentrati su ciò che vi riguarda, i vostri affari o le vostre idee o le vostre preoccupazioni e così non osservate. Volete una prova? Voi uomini scherzate sempre sul fatto che una donna sa subito quello che un'altra donna porta, fino all'ultimo particolare di una cintura o un braccialetto. E non credete che una donna veda altrettanto bene quello che porta un uomo e possa descriverlo? Non è questione di guardare le altre donne, è questione di osservazione pura e semplice. Ma voi notate qualche volta in che modo gli altri vestono? Un altro uomo, per esempio? No, basta che il suo abito o la cravatta non siano un pugno nell'occhio, non ci badate gran che. Succede che guardiate i particolari? Le scarpe, le mani?» Si fermò, dando un'occhiata sopra la spalla alle doppie porte. «Vi sto dicendo ciò perché ho giurato allo zio Marcus che nessuna donna intelligente può sbagliarsi di molto su quello che vede, gli ho detto che se dava la sua dimostrazione non ci sarei caduta, e non ci sono caduta.» Marjorie si piegò in avanti con decisione. «Vedete» continuò «qualcuno è entrato...» «Un momento, signorina Wills. Chi altro non era d'accordo su quell'affermazione di vostro zio?» «Lo zio Joe, solo per principio, e il professor Ingram, ma molto decisamente: è professore di psicologia e ha detto che l'affermazione in generale era esatta ma che egli non poteva commettere errori perché era un esperto osservatore e conosceva tutti i trucchi, così ha proposto allo zio Marcus di scommettere cinquanta sterline con lui.» Guardò verso la sedia del dottor Joe, ma il dottor Joe se ne era andato senza che se ne accorgessero. Il sovrintendente Bostwick era tornato nella stanza e il maggiore Crow stava appoggiato, con le braccia conserte, sul grande pianoforte.
«E il vostro... fidanzato?» «George? Oh, anche lui non era d'accordo, ma ha insistito per riprendere la dimostrazione con una piccola macchina cinematografica, così non potevano esserci poi dissensi.» Elliot balzò in piedi. «Avete un film di quanto è successo?» «Sì, certo, per questo c'erano i riflettori.» «Già» disse Elliot con un profondo respiro di sollievo. «Dunque, chi dovevano essere i testimoni della dimostrazione?» «Solo il professor Ingram, George e io. Lo zio Joe doveva fare alcune visite.» «Ma quell'altro che sembra abbia preso un colpo in testa? Il signor Emmet? Non era qui?» «No, no. Doveva essere l'assistente di zio Marcus, doveva essere l'altro attore dello spettacolo.» «Ecco come è successo, anche se noi non l'abbiamo saputo che più tardi» spiegò. «Dopo cena lo zio Marcus e Wilbur Emmet si ritirarono in disparte a decidere sulla rappresentazione da darci. Il palcoscenico doveva essere lo studio di zio Marcus - là - e noi dovevamo sedere qui e guardare. Wilbur doveva entrare travestito con l'insieme più stravagante possibile di abiti, che noi dovevamo descrivere in seguito; lui e lo zio Marcus dovevano mimare una scena stramba, che dovevamo pure descrivere senza errori; lo zio Marcus aveva una lista di domande pronta per noi e verso mezzanotte ci chiamò tutti qui e ci diede le istruzioni...» Elliot intervenne. «Un momento, per favore; avete detto "verso mezzanotte". Non era piuttosto tardi per cominciare?» Si accorse che sul viso di Marjorie c'era un'ombra di stizza. «Sì, era tardi; il professor Ingram era abbastanza seccato, perché voleva andare a casa, la cena era finita alle nove e un quarto; George e io sedevamo in biblioteca giocando una dopo l'altra un'infinità di partite di ramino, domandandoci cosa stava succedendo, ma lo zio Marcus insisteva.» «Ha dato qualche spiegazione?» «Diceva che aspettava di vedere se lo zio Joe veniva a casa, così poteva prender parte anche lui alla prova, ma dato che lo zio a mezzanotte meno un quarto non era ancora ritornato, decise di cominciare lo stesso.» «Un'altra cosa, signorina. Voi non sapevate allora che Wilbur Emmet doveva prender parte allo spettacolo, cioè che doveva aiutare vostro zio
come attore?» «Oh, no, dopo cena non abbiamo visto Wilbur per niente, tutto ciò che sapevamo era che lo zio Marcus era chiuso in queste due stanze, intento ai suoi preparativi.» «Continuate, per favore.» «Dunque, lo zio Marcus ci ha chiamati qui e ci ha dato le istruzioni. Hanno tirato le tende sulle finestre» le indicò «e chiuso le porte in modo che non si potesse vedere nello studio. Lo zio si fermò qui e ci lesse qualcosa.» «Potete ricordare con esattezza quello che lesse?» «Credo di sì» ammise Marjorie. «"Primo, dovete sedere nel buio assoluto durante lo spettacolo." George obiettò, domandando come poteva riprendere il suo filmetto della scena e lo zio Marcus spiegò che aveva il riflettore, da me comperato per lui quella mattina, e l'aveva fissato nello studio, in modo che la sua luce avrebbe illuminato direttamente il teatro d'osservazione e noi avevamo tutte le possibilità di concentrarci su di esso.» Qui Elliot avvertì nella ragazza un senso d'incertezza, sensibile come il profumo. «Eppure io pensavo che doveva esserci qualche trucco nella faccenda» aggiunse Marjorie. «Perché?» «Per l'aspetto che aveva lo zio Marcus» esclamò. «Non si può vivere tanto con una persona... E poi ecco cosa ha detto: "Secondo, non dovete né parlare né interferire in qualsiasi cosa vediate. Chiaro?". Infine, proprio prima di entrare nell'altra stanza, disse: "State attenti. Possono esserci trappole". Con questo andò nello studio e chiuse le porte, io spensi le luci e in pochi secondi lo spettacolo cominciò. «Cominciò quando lo zio Marcus spalancò le porte in tutta la loro ampiezza; mi sentivo eccitata e nervosa, non so perché. «Era solo, si poteva vedere quasi tutto lo studio. Dopo aver aperto le porte, tornò indietro adagio e sedette dietro quella tavola in mezzo, di fronte a noi. Il riflettore era su un paralume di bronzo, posto sull'orlo della tavola, un po' a destra, in modo che illuminava tutti i particolari senza toglierci la vista dello zio Marcus; sul muro dietro di lui c'era un riflesso bianchissimo e la sua grande ombra, si poteva vedere il quadrante illuminato dell'orologio sul caminetto alle sue spalle, con il pendolo scintillante che dondolava. Era mezzanotte.
«Lo zio Marcus sedeva là di fronte a noi; su quella tavola c'era una scatola di cioccolatini, una matita e una penna. Prese prima la matita, poi la penna e finse di scrivere con l'una e con l'altra, poi si guardò intorno. Una delle finestre dello studio si aperse e, dal prato, entrò quell'orribile figuro con il cappello a cilindro e gli occhiali da sole.» Marjorie si fermò, riuscendo solo in parte a schiarirsi la voce, e continuò: «Era alto circa un metro e ottanta, senza contare il cilindro, indossava un impermeabile lungo e sporco, con il bavero rialzato, c'era qualcosa di marrone avvolto intorno alla sua faccia e portava occhiali neri, guanti lucidi e una specie di borsa pure nera. Non sapevamo chi fosse, naturalmente, ma anche allora il suo aspetto non mi piacque, sembrava più un insetto che un essere umano, alto e magro, con quei grossi occhiali neri. George, che stava riprendendo la scena, disse forte: "Ssst! L'Uomo Invisibile!" e quello si voltò e ci guardò. «Mise la borsa da medico sul tavolo e, voltandoci la schiena, andò dall'altra parte di esso. Lo zio Marcus gli disse qualcosa, ma quello non parlò mai una volta, solo lo zio Marcus parlò. Non c'era altro rumore che il ticchettìo dell'orologio sul camino e la macchina da presa di George che girava. Credo che lo zio Marcus dicesse: "Avete fatto ora quello che avete fatto prima; che altro farete?". Come ho detto, questa volta era sul lato destro della tavola e, con movimenti rapidissimi, prese una scatoletta di cartone dalla tasca dell'impermeabile, ne trasse una capsula rotonda e verde, come le capsule di olio di ricino che ci davano da bambini, si piegò svelto, così, diede un colpetto alla nuca dello zio Marcus e a forza gli fece inghiottire la capsula.» Marjorie Wills si fermò, la voce le tremava e, portandosi la mano alla gola, inghiottì. Faceva tanta fatica a evitare di portar gli occhi a quelle doppie porte, ora buie, che finalmente voltò la sedia in modo da averle di fronte, Elliot la seguiva. «Sì?» la incitò. «Non potevo dominarmi» disse Marjorie. «Diedi un balzo o gridai o feci qualcosa del genere; non avrei dovuto farlo, perché lo zio Marcus ci aveva avvertiti di non sorprenderci di niente, inoltre sembrava che non ci fosse niente di male; lo zio Marcus inghiottì la capsula, anche se apparentemente controvoglia, una volta guardò in su alla faccia bendata. «Subito dopo, il figuro dal cilindro prese la borsa, fece una specie di inchino e uscì dalla finestra. Lo zio Marcus sedette alla tavola ancora pochi
secondi, inghiottendo un po', e spinse quella scatola di cioccolatini in un'altra posizione, poi, tutt'a un tratto si abbatté in avanti sulla faccia. «No, no!» gridò Marjorie poiché il gruppo si era agitato «era solo una finta, solo parte dello spettacolo, significava la fine della scena. Immediatamente lo zio Marcus si alzò sorridendo, e venne a chiudere le porte che facevano da sipario. «Accendemmo le luci di qui, il professor Ingram batté alla porta e chiese allo zio Marcus di venir fuori a rispondere agli applausi. Lo zio Marcus aprì, sembrava raggiante, insomma compiaciuto, ma piuttosto seccato tuttavia di qualcosa; aveva un foglio piegato nel taschino della giacca e vi picchiò sopra, dicendo: "Ora, amici miei, prendete carta e matita e preparatevi a rispondere ad alcune domande". Il professor Ingram domandò: "Tanto per sapere, chi era il vostro orribile collega?". E lo zio Marcus: "Oh, solo Wilbur, mi ha aiutato a progettare tutta la scena", e quindi gridò: "Benone, Wilbur, venite dentro ora". «Ma nessuno rispondeva. Lo zio Marcus chiamò ancora senza ottenere risposta. «Finalmente si seccò e andò alla finestra; una delle finestre di questo locale era stata lasciata aperta, perché era una notte così calda; le luci erano accese in tutt'e due le stanze, ora, e potevamo vedere fuori la striscia di erba fra la casa e le piante. Tutti gli arnesi di quel fantasma giacevano al suolo, cilindro e occhiali da sole e borsa con quel nome di ottone dipinto sopra, ma al primo momento non potemmo vedere Wilbur. «Lo trovammo nell'ombra dall'altra parte di un albero che giaceva bocconi, senza conoscenza. Il sangue uscito dal naso e dalla bocca bagnava l'erba e il poveretto aveva la nuca molle; il bastone che era servito a picchiarlo stava in terra vicino a lui, che era senza conoscenza da un bel po'. «Vedete», spiegò, mentre il viso le si alterava suo malgrado «l'uomo col cilindro e gli occhiali da sole non era Wilbur.» V «Non era Wilbur?» ripeté Elliot. Sapeva benissimo cosa Marjorie volesse dire, poiché quel curioso figuro col cilindro di foggia antica cominciava a eccitare la sua immaginazione. «E non ho ancora finito» aggiunse Marjorie con una nota di disperazione nella voce «non vi ho detto ciò che è capitato allo zio Marcus. «È stato subito dopo aver trovato Wilbur. Da quanto tempo i sintomi
fossero incominciati non lo so, ma stavano sollevando Wilbur, quando, voltandomi, vidi che c'era qualcosa che non andava per lo zio Marcus. «Francamente, mi sentivo male; magari rischio di stufare con tutti i miei presentimenti, ma non so che farci; sapevo già fin da quel momento di che si trattava: stava appoggiato contro un albero, quasi piegato in due e cercava di prendere fiato. La luce proveniente dalla casa splendeva tra le foglie dietro di lui, perciò non potevo vederlo bene, distinguevo solo una guancia; la sua pelle sembrava ruvida e plumbea. "Zio Marcus" dissi "cosa c'è? qualcosa che non va?" Debbo aver urlato; lui non fece altro che scuotere la testa e muovere il braccio come per allontanarmi, poi cominciò a battere la terra con un piede e si poteva sentirlo respirare con una specie di gemito e di singhiozzo mescolati insieme. Accorsi verso di lui col professor Ingram, ma spinse via la mano di Ingram e...» La ragazza non poteva continuare, portò le mani al viso, coprendosi gli occhi. Il maggiore Crow si mosse dal piano. «Calma» disse in tono burbero. Il sovrintendente Bostwick non disse nulla, ma rimase con le braccia conserte fissandola con interesse. «Si mise a correre» gridò Marjorie «me lo ricorderò sempre, cominciò a correre avanti e indietro, su e giù, ma solo con pochi passi in ogni direzione, correva perché non ne poteva più dal dolore. George e il professore cercavano di afferrarlo e di trattenerlo, ma egli riuscì a fuggire e a entrare attraverso la finestra del suo studio, dove si abbatté vicino alla scrivania. Lo abbiamo messo a sedere, ma non è stato in grado di dire una sola parola, sono corsa al telefono per chiamare lo zio Joe perché sapevo dove trovarlo, dato che la signora Emsworth attendeva un bambino; lo zio è entrato mentre ancora stavo telefonando, ma era troppo tardi; in quel momento si incominciava a sentire l'odore di mandorle amare per tutta la stanza. Pensavo che ci fosse ancora qualche probabilità di salvezza, ma George disse: "Vieni via, il vecchio è bell'e spacciato, so di che si tratta", ed era vero.» «Che sfortuna» borbottò il maggiore Crow; era una frase assolutamente inadeguata, ma aveva almeno il pregio di essere sincera. Il sovrintendente Bostwick non diceva niente. «Signorina Wills» intervenne Elliot «non vorrei stancarvi troppo in questo momento...» «Sto bene, grazie.» «Ma credete che il veleno sia stato dato a vostro zio in quella capsula
verde?» «Certo, non ha potuto dir niente perché il veleno ha agito sui nervi respiratori, ma ha cercato di indicare la gola.» «Non ha inghiottito nient'altro in quel periodo di tempo?» «No.» «Potreste descrivermi la capsula?» «Beh, come ho detto prima, sembrava una di quelle di olio di ricino che ci davano da bambini: sono press'a poco della grossezza di un acino di uva, e fatte di gelatina spessa, si ha l'impressione che non possano mai andare giù nella gola, ma poi ci passano, e facilmente anche; molta gente dei dintorni le usa ancora.» Riprendendosi, gli diede una rapida occhiata e il colorito le ritornò sul viso. Elliot non volle farci caso. «Questa è la situazione, voi pensate che proprio prima della rappresentazione qualcuno abbia colpito il signor Emmet...» «Certo.» «Questo qualcuno si è avvolto in quegli strani abiti cosicché nemmeno il signor Marcus Chesney poteva riconoscerlo, poi ha preso la sua parte nella rappresentazione, ma al posto della capsula innocua che vostro zio avrebbe dovuto ingoiare, ne ha messa una avvelenata, non è vero?» «Io non lo so, penso di sì.» «Grazie, signorina Wills, non vi disturberò ulteriormente per il momento» Elliot si alzò. «Sapete dove siano il professor Ingram e il signor Harding?» «Di sopra con Wilbur, erano là prima.» «Mi fareste il piacere di dir loro se vengono giù? Oh, c'è ancora una cosa.» La ragazza, per quanto si fosse alzata, si attardava e sembrava non aver fretta di andare; lo guardava interrogativamente. «Dovrò chiedervi fra non molto di fare un racconto più particolareggiato possibile di ciò che avete visto durante la rappresentazione» proseguì Elliot. «C'è una cosa però che potremmo risolvere subito; avete descritto solo una parte dell'abbigliamento dell'uomo, l'impermeabile eccetera, ma avete visto anche i calzoni e le scarpe?» Lo sguardo di lei si era fatto fisso. «Le sue...» «Sì, avete detto poco fa» continuò Elliot, e si sentiva come un rombo nelle orecchie «che osservate sempre le scarpe; avete osservato le scarpe e
i calzoni dell'uomo?» «Tutta quella luce» rispose Marjorie dopo un minuto di silenzio «era stata messa sulla tavola in modo da illuminare direttamente le persone, perciò le cose vicino al pavimento erano piuttosto buie, ma credo di potervelo dire, ma sì, ne sono sicura» lo scintillio perplesso dei suoi occhi divenne ancora più fisso «portava normali calzoni da sera, neri, con una banda di raso, e scarpe da sera di camoscio.» «Tutti gli uomini presenti stasera portavano lo smoking, signorina Wills?» «Sì, cioè tutti tranne lo zio Joe. Doveva fare delle visite e sostiene che se il dottore è vestito in abito da sera fa un cattivo effetto psicologico sui pazienti, li spinge a credere che i suoi pensieri siano lontani da loro; ma non supponete mica...» Elliot sorrise per quanto sentisse di farlo ipocritamente. «Quanta gente da queste parti ha l'abitudine di mettere lo smoking per pranzo?» «Nessuno, per quel che ne so» fu la risposta di Marjorie, la quale mostrava di diventare sempre più turbata «neanche noi lo facciamo di solito, ma stanotte lo zio Marcus ha voluto così; forse avrà avuto le sue buone ragioni.» «Per la prima volta?» «Beh, per la prima volta da quando abbiamo avuto un certo numero di ospiti, in ogni modo, ma il professor Ingram non può essere considerato come un ospite, e nemmeno George.» «Grazie, signorina Wills; a meno che il maggiore Crow o il sovrintendente non abbiano qualche altra domanda da farvi...» Gli altri due scossero la testa, per quanto Bostwick avesse l'espressione molto seria. Marjorie continuò a guardare Elliot interrogativa ancora per un momento, poi uscì dalla stanza, chiudendo la porta con grande delicatezza, ma egli ebbe l'impressione di vederla rabbrividire. La stanza brillantemente illuminata rimase immersa nel silenzio. «Ehm» fece il maggiore Crow. «Sapete» aggiunse fissando Elliot con i suoi occhietti acuti «la testimonianza di quella ragazza non mi va.» «Nemmeno a me» intervenne Bostwick incrociando risolutamente le braccia. «In apparenza si tratta di un caso abbastanza chiaro» borbottò il maggiore Crow parlando nel naso «qualcuno ha visto e sentito Chesney e Wilbur
Emmet mentre facevano i loro preparativi e saputo come la rappresentazione si sarebbe svolta; ha messo fuori combattimento Emmet, ha preso il suo posto e ha sostituito la capsula avvelenata a quella innocua, la gelatina ci mette un minuto o due a sciogliersi, di modo che Chesney non avrebbe notato niente nel momento di inghiottirla. Cioè non avrebbe gridato immediatamente che era stato avvelenato o cercato di fermare l'assassino, il quale avrebbe potuto così scomparire abbandonando il travestimento di fuori; quando la gelatina si fosse sciolta, il veleno avrebbe ucciso in un paio di minuti. È tutto chiaro, sì, apparentemente, ma...» «Ah» intervenne Bostwick mentre il commissario di polizia calcava sulla parola «ma perché mettere fuori combattimento il signor Emmet, eh?» Elliot si rese conto all'improvviso che quell'omaccione nell'angolo era più furbo di quanto non avesse supposto; Bostwick era il superiore, naturalmente, ma ciononostante non se l'aspettava. Il sovrintendente si dondolava avanti e indietro urtando col sedere il muro a intervalli regolari, poi si mise a fissare Elliot con espressione interrogativa. «È esattamente così, ispettore» ammise il maggiore Crow «come dice Bostwick. Perché mettere fuori combattimento il signor Emmet, perché non lasciare che Emmet desse a Chesney la capsula avvelenata nel corso dello spettacolo? Se l'assassino sa come si svolge, tutto quello che gli occorre è scambiare le capsule. Perché correre il rischio di colpire Emmet, rivestirsi coi suoi abiti e magari essere scoperto e, entrando qui, offrirsi alla vista di tutti? Perché esporsi a tanti rischi, quando era facile sostituire la capsula e lasciar compiere l'azione criminale a un altro?» «Credo» disse Elliot pensieroso «che questa sia la chiave del delitto.» «La chiave del delitto?» «Ma sì, nello spettacolo, com'era stato provato, Chesney non avrebbe dovuto inghiottire alcuna capsula.» «Ehm» fece il maggiore Crow dopo una pausa. «Doveva solo far finta di ingoiarla. L'intero spettacolo era inteso come una serie di trappole per l'osservatore, anche voi avete probabilmente assistito a trucchi simili nei corsi di psicologia a scuola...» «Io no» disse il maggiore Crow. «Neanch'io» borbottò il sovrintendente Bostwick. Tutta la testardaggine di Elliot si destò in lui, non solo per questo fatto, ma per quella leggera atmosfera di ostilità che si era concentrata nella stanza. «L'insegnante» proseguì «prende una bottiglia di un qualche liquido, vi
avvicina la lingua, fa una faccia disgustata e qualche commento sul sapore amaro del contenuto, poi vi passa la bottiglia, il contenuto è solo acqua colorata, ma se non state attenti potete giurare che si tratta di un liquido amaro, proprio come vi è stato descritto. O invece si tratta veramente di un liquido amaro e lui fa solo finta di assaggiarlo, dicendovi poi di farlo anche voi e se non avete osservato come ha fatto ne bevete un sorso. «Il che è accaduto in questo caso, molto probabilmente. Il signor Chesney li ha ammoniti di stare attenti ai trucchi, ricordate che la signorina Wills ha detto che sembrava sorpreso e infastidito quando la capsula gli venne messa in bocca. È probabile che avesse detto a Emmet di far finta di dargli la pillola che avrebbe a sua volta fatto finta di ingoiare, ma il vero assassino gliel'ha spinta in gola, ecco tutto. Per evitare di interrompere lo spettacolo, il signor Chesney non ha protestato» Elliot scosse la testa «e sarei molto sorpreso se nell'elenco che ha preparato non trovassimo domande come: "Quanto tempo ci ho messo a ingoiare la capsula?" o simili.» Il maggiore Crow era impressionato. «Per Giove, è abbastanza plausibile» ammise con un tono di sollievo, poi una luce di spavento cacciò dai suoi occhi ogni altra espressione «ma ispettore... in tal caso... per far ciò... Dio mio, si tratta dunque di un pazzo?» «Sembra proprio di sì.» «Considerando la cosa» esclamò il maggiore Crow «si tratta di un pazzo, o comunque vogliate chiamarlo, che fa parte della casa.» «Ah» mormorò Bostwick «proseguite.» Il commissario di polizia parlò con tono blando. «Tanto per cominciare, come avrebbe potuto un estraneo sapere che stavano per organizzare un esperimento proprio stanotte? Non lo sapevano neanche loro fino all'ora di cena, ed è improbabile che un estraneo si sia trovato vicino alle finestre dopo, in modo da udire quello che Chesney ed Emmet stavano combinando. È ancora più improbabile che un estraneo con i calzoni e le scarpe da sera sia stato nelle vicinanze proprio la notte in cui si sarebbero vestiti per il pranzo. Ammetto che nessuna di queste affermazioni è conclusiva, si tratta solo di suggerimenti, ma capite le difficoltà?» «Certo» rispose Elliot con la faccia scura. «E se è stato qualcuno della casa a far ciò, chi può essere stato? Joe Chesney era fuori per una visita; se questa visita non è terminata che a mezzanotte, egli è certamente da escludere. Wilbur Emmet fu quasi ucciso dal vero assassino. Non c'è nessun altro, eccetto due cameriere e un cuoco
senza motivi plausibili. L'unica altra alternativa, sì, lo so che sembra pazzesca, ma c'è solo un'altra alternativa, sarebbe che l'assassino sia una delle tre persone che avrebbero dovuto assistere allo spettacolo in questa stanza; ciò significa che questa persona è uscita dalla stanza nel buio, ha colpito il povero Emmet, ne ha indossato gli abiti, ha dato a Chesney la pillola avvelenata ed è ritornata qui prima che le luci si fossero riaccese.» «No, non sembra probabile» ammise Elliot seccamente. «Ma quali altre probabilità ci restano?» Elliot non rispose. Sapeva che non bisognava teorizzare ancora; fino all'autopsia non potevano nemmeno dire in modo definitivo come Marcus Chesney fosse morto, eccetto che si trattava probabilmente di uno dei cianuri del gruppo dell'acido prussico, ma la supposizione finale del commissario gli era già venuta in mente. Si guardò intorno. La stanza da musica misurava circa cinque metri quadrati, con pannelli grigi incorniciati con dorature; le finestre erano chiuse da pesanti tende di velluto di colore grigio scuro. Per quanto riguarda i mobili, c'era solo un piano a coda, il radiogrammofono, un alto mobiletto vicino alla porta che dava nell'ingresso, quattro sedie a braccioli rivestite di broccato e due posapiedi. Perciò il centro della stanza era in un certo senso sgombro e una persona, se avesse preso l'accorgimento di evitare il piano vicino alla finestra, avrebbe potuto attraversare il locale al buio senza il rischio di urtare alcun mobile; il tappeto, come si è visto, era così spesso da annullare il rumore dei passi. «Sì» disse il commissario «proviamo.» L'interruttore era dietro al mobiletto vicino alla porta che dava nell'ingresso; Elliot lo girò e il buio scese profondo. La luce era stata così forte che i filamenti delle lampade sui candelieri brillavano ancora dinanzi agli occhi di Elliot nel buio; anche con le tende aperte era impossibile distinguere qualcosa contro il cielo nuvoloso all'esterno. Si udì un lieve rumore di anelli quando qualcuno chiuse le tende. «Sto agitando le mani» si udì la voce del commissario nel buio «potete vedermi?» «Neanche un po'» rispose Elliot «restate dove siete, vado ad aprire le doppie porte.» Attraversò la stanza, evitando una sedia, e trovò le porte che si aprirono facilmente e quasi senza rumore. Camminando a tastoni per due o tre metri trovò la tavola e la lampada di bronzo, girò l'interruttore e il raggio di luce bianca brillò contro il muro di fronte. Allora Elliot ritornò indietro per os-
servare la scena dalla stanza da musica. «Ehm» disse il maggiore Crow. La sola cosa viva in quello studio era l'orologio, implacabile e affaccendato sul camino di legno lucido e oscuro dietro alla testa del morto; era un orologio abbastanza grande, con un quadrante di 15 centimetri buoni e un piccolo pendolo d'ottone che dondolava scintillando alla luce. Davanti ad esso sedeva il morto; l'orologio segnava l'una meno cinque. La tavola era di mogano con una cartella scura per scrivere e la lampada di bronzo era posta verso l'orlo esterno lievemente alla loro destra. Osservarono la scatola di cioccolatini col suo disegno di fiori azzurri. Stando in punta di piedi, Elliot poteva vedere la matita posata sulla cartella, ma non vi era nessuna traccia della penna che Marjorie Wills aveva descritta. Sulla parete alla loro sinistra si intravvedeva una delle finestre, sull'altro muro a destra stava una scrivania ribaltabile chiusa, con una lampada dal paralume verde e uno schedario d'acciaio dipinto in modo da sembrare legno: questo era tutto, ad eccezione di un'altra sedia e un mucchio di riviste o cataloghi sparsi sul pavimento. Osservarono tutto ciò attraverso l'arco delle porte che faceva da proscenio; a giudicare dalla posizione delle sedie nella stanza da musica, i testimoni erano stati seduti a quattro metri e mezzo circa da Marcus Chesney. «Non c'è molto da osservare qui» notò il maggiore Crow con fare dubbioso «non vi pare?» L'occhio di Elliot si soffermò di nuovo sul foglio di carta piegato che aveva visto prima, infilato dietro al fazzoletto nel taschino della giacca del morto. «Eccolo» disse indicandolo «secondo quello che la signorina Wills ci ha riferito, deve essere l'elenco delle domande preparato dal signor Chesney.» «Sì, ma che importanza ha» esclamò il commissario quasi gridando «supponiamo che abbia preparato un elenco di domande, e allora?» «Solo questo» interruppe Elliot provando la tentazione di gridare anche lui «non vedete che l'intero spettacolo era stato organizzato come una serie di trappole per i testimoni? C'era probabilmente un inganno almeno nella metà delle cose che hanno visto; e l'assassino se ne è servito. I trucchi l'hanno aiutato, lo hanno protetto e probabilmente lo proteggono ancora. Se potessimo sapere esattamente quello che hanno visto o hanno creduto di vedere, troveremmo probabilmente qualche indizio sull'assassino. Nemmeno un pazzo avrebbe compiuto un delitto così spudorato senza che vi fosse qualcosa nel piano del signor Chesney atto a offrirgli una protezione,
a mettere la polizia su una pista completamente falsa e a fornirgli un alibi, Dio solo sa quale! Non è chiaro?» Il maggiore Crow lo guardò. «Vogliate scusarmi, ispettore» disse con improvvisa cortesia «se continuo a pensare che il vostro modo di procedere è stato strano tutta la sera; sono anche curioso di sapere come facevate a conoscere il cognome del fidanzato della signorina Wills, io non l'ho mai detto.» «Mi spiace, maggiore.» «Vi pare?» rispose l'altro, con la stessa educazione «non ha nessuna importanza dopotutto; inoltre, per quanto riguarda la lista di domande, sono piuttosto d'accordo con voi; vediamo se possiamo cavarne qualcosa di nuovo; avete ragione, se vi è qualche domanda a trabocchetto o domande sui trabocchetti, saranno nell'elenco.» Tirò fuori il foglio dalla tasca del morto e, dopo averlo spiegato, lo stese sulla cartella. Ecco cosa vi era scritto, in una nitida scrittura a stampatello: RISPONDETE ESATTAMENTE ALLE SEGUENTI DOMANDE: 1) C'era una scatola sulla tavola? Se sì, descrivetela. 2) Che oggetti ho preso dalla tavola? In che ordine? 3) Che ora era? 4) Quanto era alta la persona entrata dalla finestra? 5) Descrivete il costume di questa persona. 6) Che cosa portava nella mano destra? Descrivete questo oggetto. 7) Descrivete le sue azioni. Ha spostato qualcosa dalla tavola? 8) Che cosa mi ha dato da inghiottire? Quanto tempo mi ci è voluto a inghiottirlo? 9) Quanto tempo è rimasto nella stanza? 10) Quale persona o quali persone hanno parlato? Che hanno detto? N.B. - A ciascuna delle suddette domande bisogna dare la risposta LETTERALMENTE esatta, altrimenti non ha valore. «Ha l'aria abbastanza innocente» brontolò il maggiore Crow «ma vi sono dei trucchi, vedete il N. B., e sembra che abbiate ragione sul fatto che ha
finto di inghiottire, ispettore, vedete la domanda n. 8. Tuttavia...» Piegando il foglio, lo diede a Elliot, che lo mise via con cura nel taccuino, poi il maggiore Crow indietreggiò verso le porte, con gli occhi fissi all'orologio. «Tuttavia, come stavo dicendo...» Una striscia di luce blu tagliò la stanza da musica, mentre si apriva la porta verso l'ingresso, inquadrando la figura di un uomo dalla testa calva. «Buona sera» disse una voce acuta «chi è? Che state facendo qui?» «Polizia» rispose "il maggiore Crow «va bene, entrate, Ingram. Volete accendere le luci, per favore?» Dopo aver armeggiato un momento dalla parte sbagliata della porta, il nuovo venuto brancolò dietro al mobiletto alto e illuminò la stanza; allora Elliot si rese conto che la sua prima, breve impressione del professor Gilbert Ingram, avuta in un cortile di Pompei, doveva essere in parte modificata. Il viso rotondo, lustro e amichevole del professore Ingram, la sua tendenza alla pinguedine e i suoi movimenti davano l'impressione che fosse piccolo e grassotto, impressione aumentata dall'ammiccare degli occhi azzurri e schietti, dal naso a patatina e da due ciocche di capelli neri e arruffati che spuntavano di sopra le orecchie. Aveva l'abitudine di abbassare la testa e guardare in su con un'espressione interrogativa, che concordava con la sua attitudine verso la vita, ma sembrava ora inquieto e anche un po' spaventato; aveva gli zigomi arrossati, e lo sparato, piuttosto in disordine, si gonfiava sotto il panciotto, come la pasta che lievita nel forno; si fregava insieme le dita della mano destra quasi a rimuoverne del gesso. Elliot vide che era di media statura e non troppo grasso. «State ricostruendo il delitto, eh?» suggerì. «Buona notte, maggiore; buona sera, sovrintendente.» Il suo modo di fare aveva una cortesia formale e comprendeva tutti in un sorriso. L'impressione più viva di Elliot era di una intelligenza forte e penetrante che traspariva da un viso sincero. «E questo, suppongo» aggiunse esitando «è l'uomo di Scotland Yard di cui mi stava parlando Joe Chesney? Buona sera, ispettore.» «Sì» disse il maggiore Crow, continuando quasi bruscamente: «fate attenzione, per favore, perché abbiamo bisogno del vostro aiuto». «Bisogno del mio aiuto?» «Beh, siete professore di psicologia e non dovreste farvi ingannare da trucchi, l'avete detto. Potete dirci che cosa realmente è successo in quel
dannato spettacolo, no?» Il professor Ingram diede un'occhiata rapida attraverso le porte e la sua espressione si alterò ancor di più. «Credo di sì» disse di malavoglia. «Beh, ci siamo!» riprese il maggiore Crow «La signorina Wills ci ha detto che ci doveva essere qualche trabocchetto.» «Oh, l'avete vista?» «Sì, e da quanto possiamo arguire, tutta la rappresentazione è stata concepita come una serie di trappole...» «Era più di questo» esclamò il professore, guardandolo negli occhi «è stata congegnata per mostrare come sono stati avvelenati i cioccolatini nel negozio della signora Terry senza che nessuno vedesse l'assassino farlo.» VI Per nascondere l'associazione di parecchi nuovi pensieri, Elliot camminò nello studio prima che qualcuno parlasse, accese la lampada del paralume e il riflettore da fotografie sulla tavola. Per contrasto la luce normale sembrava affievolirsi, ma ancora mostrava Marcus Chesney aggrappato alla sua ultima sedia. Così? Due giorni prima di essere assassinato, secondo il sovrintendente Bostwick, Marcus Chesney era stato alla polizia a far domande sulla misura esatta della scatola dei cioccolatini nel negozio della signora Terry; una scatola di cioccolatini comuni stava sulla tavola ora ed era apparsa nello «spettacolo», ma come? Elliot ritornò nella stanza da musica, dove il maggiore Crow stava affrontando lo stesso problema. «In che modo» domandò il commissario di polizia «poteva dimostrare come erano stati avvelenati i cioccolatini della signora Terry facendo vedere quel tipo, chiunque fosse, che gli cacciava una capsula verde in bocca?» Il professor Ingram alzò le spalle, i suoi occhi rimasero socchiusi mentre dava un'occhiata all'altra stanza. «Non lo so bene» specificò «ma se volete il mio parere, Chesney voleva con quella capsula verde dare una dimostrazione secondaria; faceva parte dello spettacolo, forse neppure era parte necessaria di esso; il mio parere è che la cosa più importante per noi da osservare era connessa con la scatola di cioccolatini qui sulla tavola. «Penso» disse il commissario dopo una pausa «che mi terrò fuori da
questa faccenda. Andate avanti voi, ispettore.» Elliot indicò una delle sedie a braccioli ricoperte di broccato e il professor Ingram vi si sedette delicatamente. «Ora, il signor Chesney vi ha detto che lo scopo di questa rappresentazione era in realtà di mostrare come i cioccolatini si potevano avvelenare senza che nessuno se ne accorgesse?» «No, ma vi ha fatto allusione.» «Quando?» «Poco prima di cominciare lo spettacolo, l'ho accusato di questo. "L'ho accusato di questo!" Ecco una frase per voi, suona come una farsa» il professor Ingram rabbrividì un po' e il suo sguardo schietto divenne furbo. «Vedete, ispettore, sapevo a cena che vi era qualcosa di strano nel desiderio improvviso e ostinato di Chesney di darci una rappresentazione; l'argomento sembrava toccato a caso e sviluppato a poco a poco fino alla sfida finale. Ma lui pensava alla sfida fin dall'inizio, ci pensava prima ancora che sedessimo a tavola. Me ne accorgevo facilmente e il giovane Emmet faceva risatine fra sé ogni volta che credeva di non essere visto.» «Ebbene?» «Ebbene, questo è il motivo per cui ho protestato quando ha rimandato lo spettacolo fino a così tardi e ha lasciato passare quasi tre lunghe ore dopo cena prima di decidersi e mettersi all'opera. Non ho niente da dire sulle stranezze degli altri, ma questa mi era sembrata un po' eccessiva. Gli ho detto apertamente: "Qual è lo scopo di tutta questa storia? Perché uno scopo sono sicuro che c'è". Mi ha risposto tirandomi da parte: "Se osserverete con attenzione forse potrete vedere come i cioccolatini della signora Terry sono stati avvelenati. Ma sono pronto a scommettere che non ci riuscirete".» «Aveva una ipotesi?» «Evidentemente sì.» «Una ipotesi che si proponeva di dimostrare di fronte a voi tutti?» «Evidentemente sì.» «E quindi» aggiunse Elliot senza cambiare di tono «sospettava l'identità dell'avvelenatore...» Il professor Ingram gli diede una rapida occhiata. Nei suoi occhi c'era una spessa ombra di preoccupazione; se fosse possibile applicare un tale aggettivo a una faccia intelligente come la sua, si potrebbe dire che sembrava spiritata. «Questa fu la mia impressione» ammise.
«Ma lui non vi ha detto niente, non vi ha dato alcun elemento?» «No, e ciò per paura di guastare lo spettacolo.» «Voi credete che l'avvelenatore lo abbia ucciso perché sapeva?» «Sembra probabile.» Il professor Ingram si accomodò nella poltrona. «Ditemi ispettore, siete un uomo intelligente, un uomo che capisce le cose?» sorrise appena. «Un momento per favore, lasciatemi spiegare perché vi chiedo ciò. Con tutto il rispetto per il nostro buon amico Bostwick, ho l'impressione che questa faccenda sia stata trattata in un modo che ben difficilmente si può pensare gli faccia onore.» L'espressione del maggiore Crow era diventata rigida. «Il sovrintendente» interruppe adagio «ha cercato di fare il suo dovere.» «Queste sono frottole» disse il professor Ingram, ma senza intenzione di offendere. «Evidentemente ha indagato come, Dio ci aiuti, abbiamo fatto tutti! Ma fare il proprio dovere non significa scoprire la verità e anzi a volte significa precisamente il contrario. E non voglio con questo dire che esista un complotto della polizia contro Marjorie Wills. Lo so che non c'è, però mi sembra inconcepibile che la nipote di un amico mio non possa nemmeno camminare per la High Street senza correre il rischio che le gettino del fango sulla faccia persino i bambini più piccoli. Quale vero sforzo è stato compiuto per risolvere il mistero di quei cioccolatini avvelenati? In che modo lo si è affermato? Di che genere di delitti si tratta? Perché quei cioccolatini furono avvelenati proprio nel negozio della signora Terry?» Batté il pugno sul bracciolo della poltrona. «Il sovrintendente Bostwick» proseguì «ha la comoda e semplicissima convinzione che i criminali sono criminali e basta. Per sostenere la loro accusa contro Marjorie citano il caso simile, un bel paragone per Dio!, di Christiana Edmunds.» Il maggiore Crow non fece alcun commento. «Simile? Non sono mai esistiti due casi più profondamente diversi in ciò che veramente importa, cioè il movente. Christiana Edmunds era pazza, se vogliamo, ma aveva un movente altrettanto solido di quello della maggior parte degli assassini. Questa giovane donna della Brighton del 1871 si innamorò pazzamente di un dottore sposato che non voleva saperne di lei. Dapprima tentò, senza riuscirvi, di avvelenare la moglie del dottore con la stricnina; fu scoperta, le fu detto di non mettere mai più piede nella casa. Per dimostrare che era innocente, come si proclamava, e per provare che c'era un altro avvelenatore in città che non poteva essere lei, concepì l'idea di avvelenare i cremini al cioccolato di una pasticceria e di uccidere così la
gente all'ingrosso. Ebbene, dov'è il paragone? S'è mai suggerito qualcosa di simile a proposito di Marjorie? In nome del cielo dov'è il movente? Al contrario, il suo fidanzato dopo essere venuto a Sudbury Cross e aver udito quello che si dice di lei, sta per raffreddarsi e andarsene alla chetichella.» A questo punto l'espressione del professor Ingram si sarebbe potuta soltanto paragonare a quella di un cherubino omicida, ed era sottolineata dallo scricchiolio della sua camicia inamidata. Fece una risatina e divenne più tranquillo. «Chiedo scusa» disse «eravate voi che stavate interrogando.» «È stata mai, la signorina Wills» chiese Elliot all'improvviso «fidanzata a qualcuno prima d'ora?» «Perché me lo chiedete?» «Lo è stata o no?» Ingram gli rivolse un'altra delle sue occhiate brevi e indecifrabili. «No, che io sappia. Credo che Wilbur Emmet sia stato e sia ancora violentemente innamorato di lei. Ma il naso rosso di Wilbur e la sua totale bruttezza lo avrebbero aiutato ben poco, anche se Marcus lo avesse favorito. Spero di parlare in tutta segretezza, no?» A questo punto il maggiore Crow intervenne. «Mi è stato detto che Chesney» osservò con voce assolutamente incolore «scoraggiasse tutti i pretendenti possibili.» Il professor Ingram esitò. «In un certo senso è vero. Quello che chiamava miagolio di gatti in amore disturbava la sua vita tranquilla. Non li scoraggiava proprio ma...» «Stavo chiedendomi» intervenne il maggiore Crow «perché questo giovanotto che Marjorie ha incontrato all'estero ha avuto la sua approvazione così facilmente.» «Volete dire» esclamò il professore senza complimenti «che stava diventando ansioso di sbarazzarsi di lei?» «Non ho detto questo.» «Caro mio, diavolo se l'avete detto, ma in ogni modo siete in errore, Il giovane Harding piaceva a Marcus perché aveva un avvenire, e la sua esagerata deferenza nei suoi confronti lo aiutava. Ma posso chiedere perché stiamo discutendo di quello? Tutto può essere vero o falso a questo mondo» e la camicia del professor Ingram scricchiolò rumorosamente «ma una cosa è assolutamente certa ed è che Marjorie non ha avuto niente a che fare con l'assassinio di suo zio.» Ancora una volta sembrava che la temperatura della stanza fosse au-
mentata. Elliot riprese l'interrogatorio. «Sapete che cosa la signorina Marjorie Wills pensa della faccenda?» «Pensa della faccenda?» «Che qualcuno colpì il signor Emmet, prese il suo posto e usò una capsula avvelenata nello spettacolo?» Ingram lo guardava con curiosità. «Già, questa sembra la spiegazione più plausibile, non è vero?» «Conseguentemente qualcuno dovette sentire i preparativi che il signor Chesney e il signor Emmet stavano facendo in questa stanza dopo cena. Qualcuno che stava fuori dalla porta o fuori dalla finestra?» «Capisco» mormorò il professore. Per un momento un lieve sorriso apparve sul suo viso. Stava chino in avanti con i polsi grassocci sulle ginocchia e i gomiti aperti come ali. Aveva quell'espressione stranamente inanimata che le persone intelligenti assumono quando i loro pensieri si fanno interiori e tesi a inquadrare delle circostanze in un unico insieme. Poi sorrise ancora. «Capisco» ripeté «e adesso permettete che ponga io stesso le vostre domande, ispettore.» Agitò le mani nell'aria come un ipnotizzatore. «La prossima sarà: "Dove eravate tra le nove e un quarto e mezzanotte?". E poi: "Dove erano Marjorie e George Harding nello stesso periodo di tempo?". Ma non vi accontenterete di questo. "Dov'eravate voi tutti quando lo spettacolo ebbe luogo?" Questa è la cosa principale. "È possibile che uno di voi spettatori sia scivolato fuori nel buio e abbia assunto il ruolo del sinistro individuo col cappello a cilindro?" È questo che volete sapere, non è vero?» Gli occhi del maggiore Crow si fecero acuti. «Sì» disse. «È una domanda legittima» rispose il professor Ingram a suo agio «e merita una risposta leale, che è questa: "Io giurerò di fronte a qualsiasi tribunale del mondo che nessuno di noi ha lasciato questa stanza durante lo spettacolo".» «Eh, è una dichiarazione un po' perentoria, non è vero?» «Niente affatto.» «Sapete come era buio qui dentro?» «So perfettamente come era buio, ma in primo luogo con quei riflettori che splendevano nell'altra stanza non era così buio come sembrate credere; in secondo luogo ho altri motivi che spero saranno confermati dai miei compagni: possiamo interrogarli su tali punti.»
Si alzò dalla poltrona e fece un gesto verso la porta dell'ingresso come un imbonitore, mentre Marjorie e George Harding entravano. Elliot esaminò il fidanzato. A Pompei aveva visto solo la sua nuca, ma a vederlo tutto si sentiva ora vagamente irritato; non doveva avere più di venticinque o ventisei anni. Il suo modo di fare era simpatico, cordiale e leale, non si dava arie e si muoveva fra la gente con la naturalezza di un gatto su una credenza. Di aspetto piacevole, ricordava un europeo meridionale, aveva capelli neri e ondulati che sembravano crespi, un viso largo e occhi neri singolarmente espressivi; era certo bene accolto in qualunque compagnia, e lo sapeva. Quando Harding vide il corpo di Marcus Chesney al di là delle porte divenne pieno di sollecitudine. «Possiamo chiudere?» chiese, prendendo sottobraccio Marjorie. «Voglio dire, permettete?» Marjorie liberò il braccio, con evidente sorpresa di lui. «Va tutto bene» disse, guardando Elliot. Elliot chiuse le porte. «Marjorie m'ha detto che volevate vedermi» proseguì Harding volgendosi intorno nel modo più amichevole possibile, poi la sua faccia si fece scura. «Ditemi che cosa posso fare per aiutare. Posso dire solo che si tratta di un gran brutto affare, un gran brutto affare!» Elliot gli mostrò una sedia. «Siete il signor Harding?» «Esattamente» annuì l'altro, amichevolmente come un cagnolino e altrettanto ansioso di piacere. «Marjorie dice che volete sapere tutto ciò che è accaduto qua dentro quando... beh, il pover'uomo ci ha lasciato la pelle.» «Desidera molto di più di questo» ridacchiò il professor Ingram «sospetta che voi e Marjorie o io...» «Un momento, prego» interruppe Elliot duramente, e si voltò verso gli altri «sedetevi, per favore» un'ombra di disagio scese nella stanza. «Si, vorremmo una dichiarazione, ma desidero farvi alcune altre domande le cui risposte possono avere maggior valore di qualsiasi dichiarazione. Sapevate che il signor Chesney aveva preparato un elenco di domande per voi, a proposito di questo suo spettacolo?» Fu Marjorie che rispose dopo una pausa: «Sì, naturalmente, ve l'ho detto». «Se le stesse domande vi fossero poste adesso, potreste rispondere accuratamente?»
«Sì, ma ascoltate» disse Harding «posso fare molto di più, se volete sapere cosa è successo, ho un film di quello che è successo.» «Un film a colori?» Harding sbatté le palpebre. «A colori, mio Dio, no, solo un film normale, un film a colori da prendersi in un interno, particolarmente con quella luce, sarebbe...» «Allora temo che non ci possa aiutare, specialmente in alcuni dei nostri problemi» disse Elliot «dov'è ora il film?» «L'ho messo dentro a quel radiogrammofono quando la faccenda è incominciata.» Sembrò deluso del modo con cui Elliot aveva accolto il suo annuncio, come se una doccia fredda li aspettasse fra poco. L'ispettore si diresse verso il grammofono e ne sollevò il coperchio: una custodia di cuoio per macchina da presa giaceva aperta e con la macchina dentro sul disco coperto di feltro verde del grammofono. Dietro di lui i tre testimoni si erano seduti a caso nelle poltrone e lo guardavano; poteva vedere le loro immagini riflesse nel vetro del quadro appeso al muro sopra il grammofono. Colse anche nello specchio lo sguardo imbarazzato e interrogativo che il maggiore Crow diresse verso il sovrintendente Bostwick. «Ho qui quell'elenco» spiegò Elliot tirandolo fuori di tasca, «sono domande più abili di quelle che io stesso potrei formulare, perché sono state espressamente concepite per coprire i particolari importanti...» «Quali?» chiese Marjorie subito. «È ciò che dobbiamo scoprire. Adesso farò a turno ad ognuno di voi la stessa domanda e vorrei che rispondeste più compiutamente possibile.» Il professor Ingram alzò le sopracciglia quasi invisibili. «Non temete, ispettore, che possiamo aver concordato una storia per voi?» «Non ve lo consiglierei, e non credo che l'abbiate fatto perché il dottor Chesney mi dice che vi siete già contraddetti l'un l'altro per tutto il tempo; se ci tornate sopra, mi date degli indizi. Quindi, non pensate onestamente che sia meglio lasciar perdere e rispondere a queste domande con assoluta esattezza?» «Sì» disse il professor Ingram con un curioso sorriso. «Sì» ripeté Marjorie decisamente. «Non ne sono sicuro» rispose Harding «ero più concentrato nel riprendere tutto quanto che nell'osservare i particolari, ma, in ogni modo, penso di sì. Nel mio mestiere dobbiamo avere occhi...» «Che mestiere fate, signor Harding?»
«Sono chimico di laboratorio» ribatté Harding, come a gettare una sfida «ma non ha importanza. Andiamo avanti.» Elliot chiuse il grammofono, stendendovi sopra il suo taccuino. «La prima domanda» disse; le sedie scricchiolarono mentre i suoi ascoltatori vi si muovevano sopra, accomodandosi. VII «La prima domanda. C'era una scatola sulla tavola? Se sì, descrivetela. Signorina Wills?» La bocca morbida di Marjorie s'indurì, aveva tenuto gli occhi fissi su Elliot e pareva in collera. «Se dite che è importante, rispondo» gli disse «ma mi pare piuttosto di cattivo gusto, no? Sedere qui e far domande come per gioco, con lui...» guardò verso la porta chiusa e ne distolse gli occhi. «È importante, signorina Wills. C'era una scatola sulla tavola? Se sì, descrivetela.» «Certo che c'era una scatola sulla tavola, era a destra dello zio Marcus, in avanti, una scatola da un chilo di cioccolatini Henry. Non ho visto l'etichetta, perché sedevo, ma sapevo che erano cioccolatini Henry perché la scatola aveva un disegno a fiorami di un verde brillante.» George Harding la guardò, voltandosi. «Storie» disse. «Cosa storie?» «Il colore dei fiori» disse Harding «non so per i cioccolatini; sono d'accordo che era una scatola da un chilo e che aveva dei fiori, ma non erano verde brillante, erano blu scuro, senz'altro blu.» L'espressione di Marjorie non cambiò, mentre volgeva la testa con grazia arrogante e quasi classica. «Tesoro» mormorò «questa notte è già abbastanza brutta senza che tu incominci a innervosirmi ed esasperarmi. Per favore, non farlo, i fiori erano verdi, gli uomini scambiano sempre il verde col blu; no, no, no, non questa notte.» «Oh, va bene, se dici così» rispose Harding fra spiacente e stizzito. «No, mi venga un colpo se è così» aggiunse sbottando. «Ci si aspetta che diciamo la verità, quei fiori erano blu, blu scuro, e...» «Tesoro...» «Un momento» tagliò corto Elliot. «Il professor Ingram dovrebbe essere in grado di sistemare questa faccenda. Ebbene, professore, chi ha ragio-
ne?» «Tutti e due hanno ragione» rispose Ingram, accavallando le sue gambe grassocce in modo confortevole. «E di conseguenza hanno entrambi torto nello stesso tempo.» «Non possiamo aver torto tutti e due!» protestò Harding. «Penso invece che sia possibile» rispose Ingram con cortesia e si volse verso Elliot. «Ispettore, vi ho detto la verità letterale. Potrei spiegarmi subito, ma preferirei aspettare: una delle domande che verranno dopo spiegherà cosa intendo dire.» Elliot levò il capo. «Come fate a sapere quali saranno le prossime domande?». Ci fu un silenzio che sembrò infiltrarsi e estendersi fino a riempire ogni angolo della stanza. Si poteva quasi immaginare di sentire attraverso le porte chiuse l'orologio ticchettare nello studio. «Non lo so, naturalmente» rispose calmo il professore. «Non faccio altro che prevedere una domanda che non può fare a meno di apparire fra poco nell'elenco.» «Ma voi non l'avete visto questo elenco prima, non è vero, professore?» «Non l'ho visto. Ispettore, per amor del cielo, non cercate di imbarazzarmi con trabocchetti in un momento come questo. Sono vecchio del mestiere io, tutti questi trucchi li conosco: li ho sperimentati io stesso con migliaia di miei allievi e so esattamente come funzionano. Ma, proprio per il fatto che non mi ci si può far cadere, non concludete che sto cercando di ingannarvi. Se proseguite con l'elenco vedrete esattamente cosa voglio dire.» «Era verde» continuò Marjorie con gli occhi socchiusi fissi al soffitto «era verde, verde, verde. Andate avanti, per favore.» Elliot raccolse la matita. «Ecco la seconda domanda, dunque: Che oggetti ho preso dalla tavola? In che ordine? Quali oggetti» spiegò «il signor Chesney ha preso dalla tavola quando si è seduto la prima volta e in che ordine li ha presi? Signorina Wills?» Marjorie rispose con prontezza. «Ve l'ho già detto. Quando si è seduto ha preso una matita, ha fatto finta di scrivere con essa sulla cartella e l'ha riposta. Poi ha preso una penna e ha fatto finta di scrivere ancora. Poi l'ha riposta proprio prima che l'individuo col cappello a cilindro entrasse.» «Che cosa avete da dire, signor Harding?» «Sì, è vero» ammise Harding. «Almeno per quanto riguarda la prima parte. Ha preso una matita, una matita blu o nera, e poi l'ha riposta. Ma il
secondo oggetto non era una penna, era un'altra matita dello stesso colore press'a poco, ma non della stessa lunghezza.» Ancora una volta Marjorie volse la testa. «George» disse ancora senza mutare la voce «stai facendo così deliberatamente per tormentarmi? Per favore, voglio saperlo. Devi correggermi proprio in ogni cosa dico?» Poi gridò: «Sono sicura che era una penna. Ho visto la punta e il coperchio, era blu o nera. Una penna piccola. Per favore non cercar di continuare a...». «Se la metti così» interruppe Harding col tono dell'orgoglio offeso e volse i suoi occhi "espressivi" verso di lei; con grande dispiacere di Elliot l'espressione di lei cambiò e divenne ansiosa. Nella mente di Elliot si presentava il Quadro di una Coppia di Amanti nel quale il fascino fanciullesco di Harding tiranneggiava la donna intelligente ma perdutamente innamorata. «Mi spiace» osservò Marjorie. «Tuttavia era una penna.» «Una matita.» «Cosa ne dite, professor Ingram, una matita o una penna?» «Il fatto è» rispose il professore «che non era né l'una né l'altra.» «Buon Dio!» mormorò il maggiore Crow, diventando improvvisamente umano. Il professor Ingram alzò la mano. «Non vedete» chiese «non incominciate a comprendere che tutte quelle cose erano trucchi e trabocchetti? Cos'altro vi aspettavate?» Sembrava lievemente irritato. «Marcus semplicemente vi ha teso un comune trabocchetto e ci siete caduti. Prima di tutto, come avete detto giustamente, ha raccolto una normale matita e ha fatto finta di scrivere, il che ha preparato la vostra mente. Poi ha preso quell'oggetto che non era né una penna né una matita, per quanto per forma e dimensioni non fosse molto differente, e ha fatto finta di scrivere. Immediatamente voi avete subito l'illusione psicologica che si trattasse di una penna o di una matita. Naturalmente non era né l'una né l'altra.» «Cos'era dunque?» domandò Elliot. «Non lo so.» «Ma...» Gli occhi schietti di Ingram scintillarono. «Calma, ispettore, calma!» gridò in modo poco professionale. «Vi ho promesso di dire in che cosa consistesse il trucco, vi ho promesso di scoprire gli errori, ma non vi ho affatto promesso di dirvi cosa in realtà ha preso e confesso peraltro di non saperlo.» «Ma non potreste descriverlo?» «In una certa misura sì.» Il professore sembrava preoccupato. «Era qual-
cosa di simile a una penna, ma più piccola e stretta, di colore blu scuro, mi sembra. Marcus ha fatto fatica a raccoglierla, ricordo.» «Sì, ma, professore, a quale tipo di oggetto assomiglia?» «Non so. Questo è quel che mi preoccupa. Un momento!» A questo punto le mani di Ingram strinsero i braccioli della poltrona come se stesse per alzarsi. Poi un'ondata di sollievo o di qualche emozione dello stesso genere apparve sul suo viso e lo fece rilassare con una specie di sospiro. Guardandoli disse: «Adesso lo so; so che cos'era.» «Ebbene?» «Era una freccia da cerbottana.» «Cosa?» «Questa è la mia opinione» rispose il professore come alleggerito da un grave peso: «Ne avevamo qualcuna nel Museo di Storia naturale all'Università. Erano lunghe meno di sette centimetri e mezzo, fatte di sottili cannucce di legno scuro con le estremità aguzze; venivano dal Sud America o dalla Malesia o dal Borneo o da qualche paese del genere: le mie nozioni di geografia sono sempre state confuse». Elliot guardò Marjorie. «Vostro zio aveva in casa frecce da cerbottana, signorina Wills?» «No, sicuramente no, almeno non ne ho mai sentito parlare.» Il maggiore Crow intervenne interessato: «Volete dire» chiese al professor Ingram «una freccia avvelenata?». «No, no, no; non necessariamente. Abbiamo qui, credo, un bell'esempio di come la suggestione può accoppiarsi all'immaginazione, fino a che qualcuno di noi potrà ricordare cosa abbiamo visto; vedrete che fra poco si dirà che abbiamo visto il veleno sulla freccia e quindi saremo a un punto morto. Controllatevi!» esclamò Ingram, riprendendo fiato e facendo un largo gesto. «Ho detto solo che ho visto qualcosa che sembrava una freccia da cerbottana. Chiaro? Allora andiamo avanti con le domande.» George Harding annuì. «Sì» disse, e sul suo viso Elliot sorprese un'occhiata curiosa rivolta al professore, un lampo, cosicché l'ispettore non poté interpretarla. «Non sembra che stiamo facendo grandi progressi. Sotto con le domande.» Elliot esitava, la nuova idea lo inquietava e avrebbe voluto approfondirla, ma poteva attendere. «La prossima domanda» guardò la lista «probabilmente si riferisce all'ingresso del personaggio camuffato dalla finestra. In ogni modo interpretatela come volete. Che ora era?»
«Mezzanotte» rispose Marjorie prontamente. «Circa mezzanotte» ammise George Harding. «Per essere del tutto esatti» disse il professor Ingram, congiungendo le mani «era giusto un minuto alla mezzanotte.» Qui si fermò con aria interrogativa ed Elliot pose la domanda che egli sembrava aspettarsi. «Sì, signore, ma ho una mia domanda da farvi. Secondo voi era un minuto alla mezzanotte sul vostro orologio o su quello del caminetto nello studio? Quell'orologio è giusto adesso, ma lo era allora?» Il professor Ingram parlò seccamente. «Anch'io ci ho pensato» dichiarò. «Mi son domandato se Marcus potesse aver alterato l'orologio per metterci di fronte a un'ora sbagliata, su cui avremmo giurato più tardi, ma io esigo gioco leale» di nuovo sembrava irritato. «Un trucco di quel genere sarebbe stato fuori delle regole, doveva essere una prova di osservazione; Marcus aveva ordinato di spegnere le luci e pertanto non potevamo vedere i nostri orologi. Di conseguenza, se ci dà un orologio a cui riferirci, il solo modo di conoscere l'ora è quell'orologio: per me non c'è discussione. Posso dirvi in che momento le varie azioni si sono svolte, basandomi su quell'orologio, ma non sono in grado di affermare se era stato registrato esattamente.» Marjorie intervenne: «Beh, io lo affermo; naturalmente l'orologio era esatto. Posso saperlo meglio di tutti» li informò. «Oh, non è questione di osservazione, posso dimostrarlo facilmente. Certo che l'orologio era esatto, ma questo cosa importa?». «Potrebbe importare molto» disse il maggiore Crow «per l'alibi di qualcuno che non era qui.» «Joe Chesney» mormorò il professor Ingram, con un fischio. «Scusatemi» aggiunse. Come una volta, prima, era stato capace di toccare tutti con un semplice sorriso, così ora (evidentemente senza volerlo) agiva su tutti impercettibilmente con qualcos'altro. Elliot si domandava come il dizionario definisse la parola "suggestione"; fosse quello od altro, aveva avuto un certo effetto. «Lo zio Joe» esclamò Marjorie «cos'avete da dire su lui?» «Avanti con le domande» invitò il professore, rassicurandola amichevolmente. Elliot, dopo aver preso una rapida nota, decise di affrettare i tempi: «Possiamo discutere dopo questi particolari; se non vi fa niente, ora da-
temi solo le risposte più concise possibile. Dunque: quanto era alta la persona entrata dalla finestra?» «Uno e ottanta» rispose Marjorie immediatamente. «In ogni modo, aveva proprio la stessa statura di Wilbur, e tutti sappiamo la statura di Wilbur, proprio la stessa di Wilbur e dello zio J...» si fermò. «Uno e ottanta è press'a poco esatto» decise Harding dopo un momento «se dovessi aggiungere qualcosa direi un po' di più, ma può darsi sia stato l'effetto di quel bizzarro cappello.» Il professore Ingram si schiarì la voce. «So che niente è più esasperante di essere continuamente contraddetti su questi particolari...» E nella calma apparente era chiaro che gli animi cominciavano a ribollire; gli occhi di Marjorie erano straordinariamente brillanti. «Oh, non ce la faccio più! Non vorrete dirci che era piccolo e grasso?» «No, cara. Certo no» il professor Ingram guardò Elliot. «Ispettore, ecco la risposta. La persona entrata dalla finestra era alta poco più di uno e settanta, press'a poco come me, diciamo, il signor Harding o me stesso. Oppure (notate) era un uomo alto uno e ottanta che camminava con le ginocchia piegate sotto il lungo cappotto per dare l'idea di una persona più piccola; in ogni caso, la sua altezza era poco più di un metro e settanta.» Ci fu un silenzio. Il maggiore Crow si era messo un paio di occhiali cerchiati di corno che annullavano in un certo modo la sua apparenza militare; si passò una mano sulla fronte; aveva preso delle note sul rovescio di una busta. «Guardate qui...» incominciò. «Sì?» «Ora vi chiedo» disse il commissario di polizia con calma apparente «da uomo a uomo, che razza di risposta è la vostra? O era uno e settanta o poteva anche essere uno e ottanta. Fate attenzione, Ingram, ho l'impressione che stiate insinuando idee nella testa di tutti; quando è possibile contraddire qualcuno, lo fate. Volete sentire cosa si è stabilito fino adesso?» «Con piacere.» «Bene, quello su cui siete tutti d'accordo, è che sul tavolo c'era una scatola da un chilo di cioccolatini e che il primo dei due oggetti presi da Chesney era una matita. Ma ecco il resto: ho segnato tutto!» Stese la busta al professor Ingram, che la lesse e poi passò agli altri il seguente notevole documento: CHE COSA HO VISTO
Di che colore era la scatola di cioccolatini? Sig.na Wills: Verde. Sig. Harding: Blu. Prof. Ingram: Di entrambi i colori. Che oggetto Chesney ha preso per secondo? Sig.na Wills: Una penna. Sig. Harding: Una matita. Prof. Ingram: Un dardo da cerbott. Che ora era? Sig.na Wills: Mezzanotte. Sig. Harding: Circa mezzanotte. Prof. Ingram: Un minuto alle 24. Quant'era alto il tipo col cappello? Sig.na Wills: Uno e ottanta. Sig. Harding: Uno e ottanta. Prof. Ingram: Poco più di 1,70. «La sola cosa su cui siete d'accordo all'ingrosso» continuò il maggiore Crow «è l'ora, ed è probabilmente quella più sbagliata di tutte.» Il professor Ingram si alzò in piedi. «Proprio non riesco a capirvi, maggiore» proruppe. «Mi chiedete, da testimonio esperto, di raccontarvi cosa è realmente accaduto, vi aspettate delle discordanze, volete trovarne e poi, per qualche ragione, sembrate irritato con me quando le faccio risaltare.» «Lo so, e va benone» ribatté il maggiore Crow, puntando la busta verso di lui «ma considerate l'affare della scatola di cioccolatini; potrebbe essere verde o blu, ma non può essere tanto verde quanto blu, come avete detto voi; ora può interessarvi sapere» qui, nonostante i cenni di Elliot e Bostwick, trascurò la discrezione della polizia «può interessarvi sapere che la scatola nella stanza è blu, con fiori blu sopra, e che l'unico oggetto su quella tavola è una matita piatta, non c'è segno di qualsiasi altro secondo oggetto: né penna, né un'altra matita, né un dardo da cerbottana: una scatola blu da cioccolatini, una matita, nient'altro. Posso chiedervi che cosa avete da aggiungere?»
Il professor Ingram si sedette di nuovo, ostentando un sorriso ironico. «Soltanto» disse «che se mi date una mezza occasione ve lo spiego in un minuto.» «Va bene, va bene» brontolò il maggiore Crow, alzando le braccia come a cominciare un salamelecco «fate a modo vostro e spiegate come volete, io mi ritiro; andate avanti voi, ispettore. Mi spiace di essere intervenuto, è affar vostro.» Durante i pochi minuti successivi, Elliot incominciò a sentire che le loro discussioni stavano finendo. Le due domande che venivano dopo e metà della seguente trovarono un accordo quasi completo. Queste domande, relative al figuro entrato dalla finestra, erano: Descrivete il costume di questa persona. Che cosa portava nella mano destra? Descrivete questo oggetto. Descrivete le sue azioni. Dalle risposte emergeva la figura del grottesco personaggio che sembrava aver fatto un'impressione così forte su tutti: nessuno dimenticò un particolare, dal cappello a cilindro alla sciarpa di lana marrone, agli occhiali da sole, all'impermeabile e ai calzoni neri e alle scarpe da sera; ognuno descrisse esattamente la borsa nera, con le lettere in bianco R. H. Nemo, Medico Chirurgo, portata dal visitatore nella mano destra. Il particolare nuovo era che il visitatore portava guanti di gomma. Questa unanimità inquietò e sconcertò Elliot, fino a che non gli venne in mente che ogni testimone aveva avuto più di un'occasione di studiare il travestimento, poiché la maggior parte degli oggetti di Nemo, inclusa la borsa nera, erano sparsi fuori dalla finestra dello studio e i testimoni non li avevano visti solo durante la rappresentazione, ma anche dopo, quando erano usciti per cercare Wilbur Emmet. Eppure non avevano dimenticato niente delle azioni del visitatore sulla scena: la figura con occhiali neri, che si inchinava nella luce bianca sembrava occupare la mente di ognuno come un incubo; avevano descritto la sua entrata, come, ad una esclamazione incauta di George Harding dalla sala di musica, Nemo si era voltato e li aveva guardati, come aveva posto la borsa sul tavolo, girando loro la schiena, come era andato alla destra della tavola stessa, aveva preso una scatoletta fuori da tasca e una pillola da questa, e... Ma dove si trovava l'appiglio? Ecco cosa voleva sapere Elliot; era quasi in fondo alla lista e fino a quel momento non aveva scoperto nulla che somigliasse a un indizio: c'erano state contraddizioni fra i testimoni, ma a che potevano servire?
«Andiamo avanti» disse loro. «Così finiamo le domande. Ha spostato qualcosa dalla tavola?» Tre voci parlarono quasi contemporaneamente. «No» disse Marjorie. «No» disse George Harding. «Sì» disse il professor Ingram. Nel coro di proteste che seguì, Harding parlò decisamente. «Professore, giuro di no, non ha mai toccato la tavola, non...» «Ma certo che non l'ha mai fatto» riprese Marjorie. «Oltre tutto, che cosa avrebbe potuto spostare? La sola cosa che sembra sia sparita è una penna, o matita, o freccia da cerbottana, comunque vogliate chiamarla, e so che non l'ha presa. Lo zio Marcus l'aveva messa sulla cartella di fronte a lui e quel tipo col cappello a cilindro non è mai andato di fronte allo zio Marcus. Dunque, cosa può aver spostato?» Il professor Ingram chiese un minuto di silenzio, sembrava ora un po' seccato. «È quello che ho pazientemente cercato di dirvi. Per esser chiaro: ha spostato una scatola a fiorami verdi di cioccolatini Henry e vi ha sostituito la scatola a fiorami blu di cremini alla menta Henry che è qui ora. Volevate la verità: eccola! Non domandatemi come ha fatto; quando ha deposto la borsa nera sul tavolo, l'ha messa dinanzi alla scatola verde e quando l'ha tolta ed è uscito dalla stanza, la scatola sul tavolo era blu. Ripeto: non chiedetemi come ha sostituito le scatole, non sono un prestigiatore, ma penso che la risposta al problema di parecchi avvelenamenti sia contenuta in quella breve azione. Vi suggerisco di esercitare il vostro acume e sono pure sicuro che il maggiore Crow avrà meno dubbi sul mio stato mentale o la mia buona fede e, prima che si perda ancora di più la pazienza questa sera, qualcuno mi vuole favorire una sigaretta?» VIII Elliot non seppe mai se al professor Ingram fosse stata data una sigaretta perché improvvisamente gli era balenata la spiegazione di alcuni quesiti. «Scusatemi, torno subito» disse e, girando attorno al piano, andò fuori attraverso una finestra. Come ripensandoci, chiuse le spesse tende di velluto dietro di sé; faceva più fresco qui, nella stretta striscia di erba fra la casa e gli spettrali castagni gialli; faceva anche più buio, ora che alcune luci erano spente e nello stu-
dio c'era solo una lampadina. Gli sembrava di udire un campanello suonare in qualche posto, ma tutta la sua attenzione era attratta dagli oggetti del dottor Nemo sparsi fuori sull'erba. Quella borsa nera... Ora sapeva perché il suo aspetto gli era sembrato vagamente familiare: più grande di una borsa da dottore, per quanto molto simile come misura, e non abbastanza per essere una normale valigia. Una borsa come quella era esposta nel Museo Nero di Scotland Yard. Si inginocchiò vicino alla borsa, che stava presso al cappello e all'impermeabile: era di pelle verniciata e sembrava nuova, il nome del dottor Nemo era stato dipinto su un fianco, piuttosto crudamente. Usando il fazzoletto, Elliot aprì la borsa: nell'interno c'era una scatola da un chilo di cioccolatini Henry, a fiorami di un verde brillante. «C'è» disse ad alta voce. Era la borsa detta "L'amica dei taccheggiatori", la sollevò e guardò il fondo: usata in origine per organizzare passatempi, era stata adottata da quei gentiluomini che si dedicano a razziare grandi magazzini, gioiellieri, qualsiasi negozio in cui oggetti di valore siano esposti al pubblico. Si entra nel negozio, portando la borsa dall'aria innocente, la si pone distrattamente sul banco, guardando ad altro, ma la si pone sopra quello che si vuol rubare. Il fondo è munito di un congegno a molla, che afferra e butta nell'interno l'oggetto. Poi, senza aver fatto alcun movimento sospetto, si prende la borsa e si lascia il negozio. Il comportamento ingegnoso del dottor Nemo diventava chiaro; era entrato nello studio, aveva messo la borsa sul tavolo e, ciò facendo, aveva voltato la schiena agli spettatori. La borsa non era stata messa di fronte alla scatola verde, ma sopra, e avrebbe potuto prendere oggetti molto più pesanti di una scatola relativamente piccola e leggera di cioccolatini. Nella tasca fonda dell'impermeabile Nemo aveva una scatola blu di cioccolatini alla menta e, chinandosi per posare la borsa o alzandosi per riprenderla, aveva fatto scivolare l'altra scatola sotto di essa, sempre tenendo la schiena voltata, il che non richiedeva grande abilità, di fronte a un pubblico già abbagliato e confuso. Tutto ciò era stato fatto con l'aiuto di Marcus Chesney, dietro sue istruzioni, come parte del suo schema per ingannare i testimoni dovunque guardassero...» Ma come poteva la borsa aiutare a trovare la soluzione di questo delitto, o di quello del negozio di dolci? Voleva dire che dalla signora Terry un'intera scatola di cioccolatini era stata sostituita con un'altra? «Ohi!» sussurrò una voce.
Elliot fece un salto, era una voce rauca che veniva direttamente da sopra la sua testa; guardò in su e vide il viso del dottor Joe che lo guardava dalla finestra del piano di sopra. Il dottor Joe si sporgeva tanto che Elliot si chiese se il suo grande peso non lo avrebbe fatto precipitare come un sacco di biancheria. «Siete tutti sordi lì giù?» disse il dottor Joe «non sentite il campanello suonare? Perché qualcuno non risponde? Sono cinque minuti che suona, non posso far tutto io, ho qui un paziente...» Elliot si scosse: naturalmente dovevano essere il medico della polizia, il fotografo e l'esperto per le impronte digitali, che avevano fatto venire da trenta chilometri lontano. «E, ehi!» ruggì il dottor Joe. «Sì?» «Mandate qui sopra Marjorie, per favore. Chiede di lei.» Elliot guardò in su subito. «Ha ripreso conoscenza? Posso vederlo?» Un pugno rossastro e peloso, con il polsino aperto e penzolante, fu proteso verso di lui dalla finestra; illuminata da sotto, la barba pepe-sale del dottor Joe aveva un aspetto mefistofelico. «No, caro mio, non ha ripreso conoscenza, non come credete voi, e non potete vederlo stanotte, o domani, o forse per settimane, mesi e anni. Capito? E mandate su Marjorie, queste domestiche non vanno bene, una di loro lascia cadere le cose e l'altra si nasconde a letto. Oh, per Dio...!» La testa sparì. Molto lentamente Elliot raccolse gli oggetti del dottor Nemo, il suono distante di campanello era cessato e un vento freddo aveva cominciato a soffiare, muovendo le foglie appassite. Portò gli oggetti del dottor Nemo nello studio, mentre una delle porte della stanza (sull'ingresso) si apriva e il sovrintendente Bostwick faceva entrare i nuovi venuti, presentandoli come il dottor West e il sergente Matthews; il maggiore Crow li seguiva. Matthews ebbe le solite istruzioni per le impronte digitali e le fotografie e il dottor West si chinò sul corpo di Marcus Chesney. Il maggiore Crow guardò Elliot. «Beh, ispettore?» chiese. «Perché avete deciso di sparire tutt'a un tratto? Che cosa avete trovato?» «Ho trovato come le scatole di cioccolatini sono state scambiate, maggiore» rispose Elliot, e glielo spiegò. L'altro rimase impressionato. «Semplice» ammise «diabolicamente sem-
plice, ma anche così... dove ha trovato Chesney una borsa a trucco come quella?» «Potete comperarle nei negozi di articoli magici a Londra.» «Volete dire che ha mandato qualcuno a prenderla?» «Sembra di sì, maggiore.» Crow si avvicinò per ispezionare la borsa. «Il che significherebbe» rifletté «che era un po' che aveva in mente questa rappresentazione. Sapete, ispettore» sembrava vincere l'impulso di dare un bel calcio alla borsa «più andiamo avanti, più questo maledetto spettacolo appare importante, e meno sembra aiutarci. Dove siamo arrivati? Che cosa sappiamo? Un momento! Ci sono altre domande sulla lista di Chesney?» «Sì, signore. Altre tre.» «Allora tornate di là e andate avanti» disse il commissario di polizia, dando un'occhiata amara alle porte chiuse. «Ma prima di andare, voglio chiedervi se avete notato qualcosa che mi ha colpito in particolare in tutta questa faccenda.» «Sì?» Il maggiore Crow, con effetto calcolato, stese il polso ossuto e, puntando il dito come a fare una denuncia, dichiarò: «C'è qualche imbroglio in quell'orologio». Lo guardarono; il dottor West aveva acceso le fortissime luci bianche per osservare il cadavere e di nuovo il quadrante chiaro, con le sue finiture di ottone e la cornice di marmo, stava di fronte a loro, in modo quasi irridente, sul caminetto. Erano le due meno venti. «Ehi! Dobbiamo andare a casa» osservò improvvisamente il maggiore Crow. «Ma, in ogni modo, guardatelo; supponete che Chesney abbia alterato l'orologio, potrebbe averlo fatto prima della rappresentazione; poi, quando fu finita (ricordate) ha chiuso le porte ed è andato nella stanza da musica solo quando Ingram ha picchiato dicendogli di uscire per gli applausi. Durante quel tempo può aver rimesso l'orologio all'ora giusta, non vi pare?» Elliot era dubbioso. «Penso di sì, signore, se lo voleva.» «Certo che poteva farlo, niente di più facile.» Il maggiore Crow andò al caminetto, sfiorando la sedia del morto, voltò l'orologio, facendogli prendere qualche colpo, fino ad avere il dorso dalla loro parte. «Vedete questi due meccanismi? Uno è la chiave per caricare l'orologio e l'altro è la testa della spina che si gira per cambiare la posizione delle lancette... ehi! Guar-
date qui!» Si era chinato fissando qualcosa e anche Elliot si chinò. La piccola chiave di ottone stava là dietro l'orologio, ma dove avrebbe dovuto essere la spina c'era soltanto un piccolo buco rotondo. «Qualcuno ci ha messo mano dopo aver aperto la custodia esterna.» Chinandosi ancora di più vicino al buco poteva vedere un piccolo moncone che scintillava e c'era intorno una graffiatura fresca che pure risaltava sul metallo scuro della cassa dell'orologio. «È stato danneggiato di recente» spiegò Elliot «e questo è quello che probabilmente voleva dire la signorina Wills quando ha affermato di essere sicura che l'orologio fosse giusto. Vedete, fino a che un orologiaio non ci mette mano nessuno può alterare la posizione delle lancette per quanti sforzi faccia.» Il maggiore Crow osservava attentamente, poi sbottò: «Stupidaggini. Non c'è niente di più facile. Così». Rigirò l'orologio dalla parte del quadrante e dopo aver aperto il vetro che lo proteggeva, incominciò a manovrare le lancette. «Tutto quel che c'è da fare è spingere...» «Piano!» gridò Elliot. Il maggiore Crow dovette riconoscere di aver avuto torto perché le lancette erano troppo delicate e cercare di spingerle in una direzione o nell'altra non faceva altro che piegarle o spezzarle. Era chiaro dunque che la loro posizione non poteva essere mutata di un millesimo di secondo. Elliot mentre si rialzava non poté fare a meno di sorridere fra sé. Le lancette continuavano la loro corsa quasi di scherno e il ticchettìo dell'orologio provocò nel suo intimo un senso di così acuto divertimento che si mise a ridere quasi in faccia al commissario. Era come un simbolo: aveva davanti un incubo per lo scrittore di romanzi gialli: un orologio in cui il tempo non poteva essere modificato. «Allora le cose stanno così» disse. «Non stanno così per niente» esclamò il maggiore «c'è qualche trucco anche con l'orologio.» Pronunciò queste parole con una enfasi così lenta e misurata che sembrava stesse facendo un voto. «Non so di che si tratta, lo ammetto, ma vedrete che lo sapremo fra poche ore.» Fu in quel momento che la lampada del riflettore, dopo aver assunto riflessi neri e fumosi, si bruciò e tutti rimasero sorpresi. La lampada con il paraluce verde nell'angolo sembrava ora scura per contrasto. Il dottor West era già ritornato. Era un gentiluomo anziano con un pince-nez e sembrava
stanco. «Cosa vi interessa sapere da me in proposito?» chiese al maggiore Crow. «Ebbene, qual è stata la causa della morte?» «Acido prussico o uno dei cianuri. Farò l'autopsia domattina e ve lo farò sapere.» «Uno dei cianuri?, Joe Chesney aveva detto che era stato il cianuro.» Il dottor West sembrò quasi scusarsi. «Probabilmente è il cianuro di potassio che avete in mente, il quale appartiene al gruppo dei sali di cianuro che derivano dall'acido prussico. Sono d'accordo che è il più comune.» «Riconosco la mia ignoranza» rispose il maggiore Crow. «Ho letto qualcosa sulla stricnina per l'altro affare, ma non me ne intendo molto nel complesso. In ogni modo diciamo che qualcuno ha ucciso Chesney con l'acido prussico o con qualcuno dei suoi derivati del gruppo dei cianuri. Questo genere di roba da dove viene? Come fareste voi a procurarvela?» «Ho qui qualche appunto» gli rispose il dottore mettendosi a frugare nelle tasche con quella che può adeguatamente solo essere definita una fretta lenta... Parlò poi con moderata soddisfazione. «Non è dato tutti i giorni di poter vedere un caso di avvelenamento da acido prussico, sapete? È molto raro anzi. Ho preso alcuni appunti durante il caso di Billy Owens e ho creduto bene portarmeli appresso. L'acido prussico allo stato puro è praticamente inaccessibile all'uomo della strada. D'altra parte ogni buon chimico è in condizione di prepararlo da sostanze non velenose, intendo dire da sostanze non elencate fra i veleni. Il suo sale, il cianuro di potassio, è usato in una infinità di modi, per esempio in fotografia, come sapete probabilmente. Talvolta è usato anche come insetticida per gli alberi da frutto...» «Alberi da frutto» borbottò il maggiore. «È usato nella cromatura elettrolitica, nelle "bottiglie letali"...» «Cos'è una "bottiglia letale"?» «Entomologia» rispose il dottore. «Caccia alle farfalle. La "bottiglia letale" contiene il 5 % di acido prussico; può essere acquistata presso un tassidermista. Ma per tutte queste cose naturalmente l'acquirente dovrebbe firmare il registro dei veleni.» Elliot intervenne: «Posso farvi una domanda, dottore? È vero che c'è dell'acido prussico nei noccioli delle pesche?». «Sì, è vero» ammise il dottor West fregandosi la fronte. «E che chiunque potrebbe distillare acido prussico macinando noccioli di pesca e bollendoli?» «Ciò mi è stato già chiesto prima» disse il dottor West, fregandosi ancor
più la fronte. «È certamente vero, ma ho calcolato che per produrre una dose letale dai noccioli delle pesche occorrerebbero circa 5600 frutti, il che non sembra pratico.» Dopo una pausa di silenzio, il sovrintendente Bostwick parlò con decisione: «Quel veleno è venuto da qualche parte» affermò. «Certo, e stavolta lo troverete» aggiunse il commissario. «Non siamo riusciti a trovare la stricnina, ma riusciremo a mettere le mani sul cianuro, anche se avremo da passare in rivista ogni registro dei veleni esistenti in Gran Bretagna. Questo è il nostro compito, sovrintendente. Ma, passando ad altro, dottore, conoscete quelle grosse capsule verdi, le capsule di olio di ricino?» «Sì.» «Supponete di dover dare una dose di cianuro in una di quelle: in che modo introdurreste il cianuro nella capsula? Con una siringa?» Il dottor West rifletté. «Sì, sarebbe possibile; a meno che non se ne metta troppo, la gelatina e l'olio lo tratterrebbero e ne nasconderebbero inoltre l'odore e il sapore. Sei centigrammi di acido prussico anidro sono fatali, il preparato farmaceutico di cianuro di potassio è naturalmente più debole, ma quattordici o quindici centigrammi mi sembra possano compiere l'opera.» «E quanto tempo sarebbe necessario per uccidere?» «Non conosco la dose» rispose il dottor West. «Normalmente mi aspetterei di vedere i sintomi in dieci secondi; in questo caso tuttavia prima doveva sciogliersi la gelatina, e l'olio di ricino avrebbe ritardato l'assorbimento del veleno. Possiamo dire che il tempo occorrente perché i sintomi si manifestino con chiarezza è molto approssimativamente di due minuti, una prostrazione completa seguirebbe presto e la morte potrebbe venire in tre minuti o anche tardare fino a mezz'ora.» «Beh, questo quadra con ciò che sappiamo» disse il maggiore Crow, facendo un gesto di impazienza. «In ogni modo, ispettore, vi suggerirei di tornare di là e di riprendere i vostri interrogatori.» Additò poco benevolmente la porta chiusa. «Provate a stabilire se sono sicuri di aver visto una capsula di olio di ricino; potrebbe trattarsi di un altro trucco.» Elliot, felice dell'occasione di lavorare da solo, si diresse verso la stanza da musica e chiuse le porte dietro di sé; tre paia d'occhi erano fissi su di lui. «Non vi tratterrò più a lungo stanotte» annunciò loro con tono lieto, «ma dovreste farmi il piacere di chiarire gli ultimi punti che restano.»
Il professor Ingram lo fissò e intervenne. «Un momento, prego, non potreste voi stesso, ispettore, chiarire almeno un punto? Avete constatato che le scatole di cioccolatini sono state sostituite come pensavo io?» Elliot esitò. «Sì, professore, posso dirvi che lo sono state.» «Ah!» rispose il professor Ingram, con piena soddisfazione, e si sedette di nuovo, mentre Marjorie e George lo guardavano sconcertati. «Era quello che speravo, così siamo già a buon punto verso una soluzione.» Marjorie stava per parlare, ma Elliot non gliene diede il tempo. «Ecco l'ottava domanda del signor Chesney. sull'uomo col cappello a cilindro. Che cosa mi ha dato da inghiottire? Quanto tempo mi ci è voluto a inghiottirlo? Siete tutti d'accordo che era una capsula di olio di ricino?» «Senz'altro» dichiarò Marjorie «gli ci sono voluti due o tre secondi per inghiottirla.» «Ne aveva certamente l'aspetto» disse il professor Ingram con più cautela «ed ha avuto qualche difficoltà a mandarla giù.» «Non so niente su queste capsule» ribatté Harding; il suo viso era bianco, inquieto e perplesso, ed Elliot si domandava perché. «Per conto mio, avrei detto che era un acino d'uva, un acino verde e mi sono domandato come mai non gli andava di traverso, ma se voi due l'avete riconosciuto, va bene, son d'accordo.» Elliot aggirò l'ostacolo: «Torneremo sulla questione. Ora una domanda di grandissima importanza: Quanto tempo è rimasto nella stanza?». Aveva parlato con tanta gravità e l'espressione ironica era diventata così palese sulla faccia di Ingram che Marjorie esitò. «C'è un trabocchetto?» chiese. «Volete dire quanto tempo è passato da quando è entrato dalla finestra a quando ne è uscito di nuovo? Certamente non molto, due minuti, direi.» «Due minuti e mezzo» disse Harding. «È stato nella stanza» dichiarò il professor Ingram «esattamente trenta secondi. Ancora una volta, con un'insistenza tale da diventare noiosa, la gente si sbaglia grossolanamente sul tempo. In verità, Nemo ha corso poco rischio, non avete quasi avuto modo di studiarlo, anche se pensate il contrario. Se volete, ispettore, posso darvi i tempi dell'intera rappresentazione, inclusi i movimenti di Chesney. Allora?» Al cenno d'assenso di Elliot, il professor Ingram chiuse gli occhi. «Incominciamo quando Chesney è entrato nello studio e io ho spento le luci qui: da quel momento, sono passati circa venti secondi prima che Marcus aprisse le porte per incominciare lo spettacolo; da allora fino a
quando è entrato Nemo fate altri quaranta secondi buoni; in complesso un minuto intero prima del suo ingresso. La parte di Nemo è finita in trenta secondi. Dopo la sua partenza, Chesney è rimasto seduto altri trenta secondi prima di cadere in avanti come morto; si è alzato e ha richiuso le porte. Ho fatto un po' fatica a riaccendere le luci perché vado sempre alla parte sbagliata della porta per quell'infernale interruttore. Diciamo altri venti secondi, ma l'intera rappresentazione, da quando ho spento le luci a quando le ho riaccese, è durata giusto due minuti e venti secondi.» Marjorie aveva l'aria perplessa e Harding si stringeva nelle spalle; non lo contraddissero, ma covavano una sorda ribellione; entrambi sembravano pallidi e stanchi e la ragazza tremava un po', stringendo gli occhi. Elliot si rese conto che per quella notte non si poteva andare molto più in là. «Ed ora la domanda finale» disse. «Eccola: Quale persona o quali persone hanno parlato? Che hanno detto?» «Son contenta che sia l'ultima» osservò Marjorie, deglutendo «e almeno questa volta so di non poter aver torto. Il figuro col cilindro non ha mai parlato» affrontò decisamente il professor Ingram. «Su questo non avete niente da dire, no?» «No, cara, non ho niente da dire.» «E lo zio Marcus ha solo parlato una volta, proprio dopo che quello là ha posato la borsa nera sul tavolo ed è andato sul lato destro di esso. Lo zio Marcus ha detto: "Avete fatto ora quello che avete fatto prima. Che altro farete?".» Harding annuì: «Esatto: "Avete fatto ora quello che avete fatto prima. Che altro farete?" o qualcosa di simile, in ogni modo. Non giurerei sull'ordine preciso delle parole». «E questo è tutto quanto si è detto?» insisté Elliot. «Assolutamente tutto.» «Non sono d'accordo» dichiarò il professor Ingram. «Oh, maledizione a voi» gridò Marjorie, saltando in piedi. Elliot era rimasto sorpreso e colpito da come il suo viso morbido, un viso di calma quasi vittoriana, potesse cambiare. «Marjorie!» esclamò Harding, poi prese a tossire e a fare gesti imbarazzati in direzione di Elliot, come un adulto che voglia distrarre l'attenzione di un bambino con delle smorfie. «Non c'è bisogno di comportarsi così, cara» le rispose il professor Ingram pacatamente «sto solo cercando di aiutarvi, lo sapete.» «Scusate» balbettò Marjorie.
«Per esempio» continuò il professor Ingram, come se niente fosse successo «non è del tutto vero affermare che nient'altro sia stato detto durante la rappresentazione.» Guardò ad Harding. «Voi avete parlato, lo sapete?» «Io ho parlato?» ripeté Harding. «Sì. Quando il dottor Nemo è entrato, siete andato avanti per avere una posizione migliore per la vostra macchina e avete detto: "Ssst! L'Uomo Invisibile!". Credo che sia esatto.» Harding si passò la mano sui capelli neri e ricciuti. «Sì, signore, ho cercato di fare lo spiritoso, ma lasciamo andare!, la domanda non si riferisce a quello, ma solo a quello che è stato detto dalla gente sulla scena, no?» «E voi» continuò il professor Ingram rivolgendosi a Marjorie «anche voi avete parlato, o sussurrato. Quando Nemo stava dando la capsula di olio di ricino a vostro zio e gliel'ha cacciata in gola piegandogli indietro la testa, avete articolato un grido o un suono di protesta; avete detto o mormorato: "No, no!". Non era forte, ma distinto.» «Non mi ricordo di aver detto niente» rispose Marjorie sbattendo gli occhi «ma cosa c'entra?» Il tono del professor Ingram si fece più disinvolto. «Vi sto preparando contro la prossima linea di attacco dell'ispettore Elliot, ho cercato di dirvelo molto tempo fa. L'ispettore si è già domandato se uno di noi tre può essere scivolato fuori di qui per uccidere vostro zio durante i due minuti in cui le luci erano spente. Ora, io sono in grado di giurare che ho visto e udito voi due, l'uno e l'altro, per tutto il tempo in cui Nemo è rimasto sulla scena, posso giurare che non avete mai lasciato questa stanza. Se siete in grado di affermare lo stesso per me, possiamo presentare un triplo alibi che tutta Scotland Yard insieme non potrà confutare. Siete in grado di giurarlo? Cosa avete da dire?» Elliot si mise sul chi vive; sapeva che entro pochi minuti si sarebbe trovato di fronte al nocciolo del problema. IX Questa volta Harding si era alzato in piedi; i suoi grandi occhi "bovini", come li chiamava Elliot, che aveva già passato in rassegna un'intera serie di animali per paragonarli a lui, sembravano allarmati. Conservava la sua espressione meccanica di buon ragazzo, né la sua deferenza nei riguardi dell'autorità era diminuita, ma le sue mani pelose tremavano un po'. «Io... io stavo riprendendo il film» protestò «guardate, ecco la macchina,
non l'avete sentita girare? Non avete...» Poi si mise a ridere; sembrava sperare che qualcuno avrebbe riso con lui ed era deluso che nessuno lo facesse. «Già» aggiunse guardando lontano «una volta ho letto una storia.» «Una storia?» chiese il professor Ingram. «Sì» disse Harding molto seriamente «un tale aveva un alibi perché giuravano di averlo sentito lavorare alla macchina da scrivere per tutto il tempo; risultò che aveva un congegno meccanico che faceva un rumore come di macchina da scrivere quando lui non c'era. Cribbio, pensate ci sia qualcosa per far andare una macchina da presa intanto che siete via?» «Ma è assurdo» esclamò Marjorie, come se fosse il colmo «io ti ho visto, so che eri là. È quello che pensate, ispettore?» Elliot assunse la sua espressione più astratta. «Signorina Wills, io non ho detto niente, è il professore qui che ha fatto tutte le insinuazioni. In ogni modo, possiamo considerare la questione anche solo» era pieno di simpatia «per scartarla. C'era molto buio qui dentro, vero?» Il professor Ingram gli rispose prima che gli altri potessero parlare. «È stato molto buio per forse venti secondi, fino a quando Chesney ha aperto le porte. Poi c'era abbastanza luce riflessa da quelle lampade fortissime sul muro dello studio e non si poteva dire scuro: i contorni erano molto distinti, penso che i miei compagni lo vorranno confermare.» «Un momento, signore, come eravate seduti?» Il professor Ingram si alzò e con cura dispose tre poltroncine in fila, distanti circa novanta centimetri l'una dall'altra e lontane dalle porte circa due metri e mezzo, poco più o meno; in questo mòdo venivano ad essere lontane da Marcus Chesney circa quattro metri e mezzo. «Chesney aveva disposto le sedie prima che entrassimo» spiegò il professor Ingram «e noi le abbiamo lasciate tal quali; io mi son seduto qui, al limite destro più vicino alle luci» posò la mano sullo schienale della sedia «Marjorie era in mezzo e Harding dall'altra parte.» Elliot studiò la posizione, poi si rivolse ad Harding. «Ma cosa facevate così lontano sulla sinistra?» domandò. «Non avreste avuto una vista migliore per il film in mezzo? Da questa posizione non potevate riprendere Nemo mentre entrava dalla finestra.» Harding si passò la mano sulla fronte. «Ora, vi chiedo, come diavolo potevo sapere quello che stava per succedere?» ribatté da uomo a uomo. «Il signor Chesney non ci aveva spiegato
cosa dovevamo aspettarci, solo aveva detto: "Sedete qui" e spero non pensiate che avessi voglia di litigare con lui. Stavo seduto, o piuttosto stavo in piedi, pressappoco qui, e avevo una mira abbastanza buona.» «Oh, ma a che serve far discussioni?» disse Marjorie. «Certo che era qui, l'ho visto andare avanti e indietro per riprendere il film. Ed io ero qui, non è vero?» «Certo» confermò il professor Ingram pacatamente «vi ho sentita.» «Eh?» disse Harding. Il viso del professor Ingram divenne minaccioso. «Ho sentito la sua presenza, giovanotto, il suo alito, avrei potuto sporgermi e toccarla. È vero che porta un abito nero, ma ha, come potete vedere, la pelle bianchissima e le mani e la faccia risaltavano nel buio come il vostro sparato.» Schiarendosi la voce, si rivolse ad Elliot: «Come sto cercando di dirvi, ispettore, giurerò che nessuno di loro due ha mai lasciato la stanza in qualsiasi momento. Harding lo potevo sempre vedere con la coda dell'occhio e Marjorie era a contatto con me. Ora, se dicona lo stesso di me...». Chinò educatamente la fronte, con vivacità, verso Marjorie; il suo modo di fare, pensava Elliot, era simile a quello di un medico che sentisse il polso del paziente, con espressione calma e concentrata. «Certo che eravate qui» esclamò Marjorie. «Siete sicura di questo?» insistette Elliot. «Ne sono perfettamente sicura. Ho visto la sua camicia e la testa calva» continuò la ragazza calcando le parole «e, oh! ho visto qualsiasi cosa! Ho sentito anche lui respirare; non siete mai stato a una seduta spiritica? Sapreste dire se qualcuno lascia il gruppo?» «Che cosa dite, signor Harding?» «Beh, per dire la verità, ho tenuto gli occhi appiccicati al mirino per tutto il tempo, così non ho avuto troppe occasioni di guardarmi attorno. Un momento, però!» batté il pugno sul palmo della mano sinistra con espressione di sollievo. «Ah! Aspettate, non fatemi fretta. Proprio dopo che quel tipo col cappello a cilindro è uscito dal quadro, ho guardato in su, ho fatto un passo indietro e ho chiuso la macchina da presa. Mentre andavo indietro, ho urtato una sedia e mi sono guardato in giro» accompagnava le parole con movimenti del polso «e ho potuto vedere distintamente Marjorie, i suoi occhi scintillare, per modo di dire; non è scientificamente corretto, ma sapete cosa voglio dire. Naturalmente sapevo che era stata qui tutto il tempo, dato che l'avevo sentita parlare e dire "no", ma l'ho anche vista e in ogni modo» il suo largo sorriso rallegrò la stanza «potete star sicuri che è al-
ta meno di uno e settanta e di uno e ottanta.» «E me, mi avete visto?» domandò il professor Ingram. «Eh?» disse Harding, con gli occhi fissi su Marjorie. «Dico, mi avete visto nel buio?» «Oh, senz'altro, mi pare che stavate cercando di guardare il vostro orologio, chino su di esso.» Harding aveva riacquistato tale spirito e animazione che si sarebbe detto stesse per mettersi a camminare in su e in giù con i pollici nel panciotto. Ma Elliot cominciava a sentire che la situazione si faceva sempre più intricata, il caso era un pantano psicologico, eppure avrebbe giurato che quella gente stava dicendo la verità. «Vedete di fronte a voi» spiegò il professor Ingram «un alibi di solidità veramente notevole; è impossibile che uno di noi abbia commesso questo delitto: tale è il fondamento su cui dovete costruire il caso, qualunque sia. Naturalmente potete scegliere di dubitare delle nostre storie, ma niente è più facile da provare. Ricostruite la scena! Fateci sedere qui in fila, come eravamo prima, spegnete le luci, accendete quella lampada da riflettore nell'altra stanza e vedrete da solo che è assolutamente impossibile per ognuno di noi aver lasciato questo locale senza farsi vedere.» «Ho paura che non possiamo farlo senza un'altra di quelle lampade» disse Elliot «la vostra è appena bruciata. Inoltre...» «Ma...» esclamò Marjorie; si controllava, guardando le porte chiuse con occhi interdetti. «...inoltre» continuò Elliot «può darsi che non siate le sole persone con un alibi; c'è una sola cosa in particolare che vorrei chiedervi, signorina Wills. Poco fa avete detto di essere certa che l'orologio dello studio era esatto. Come fate ad esserne sicura?» «Cosa dite?» Elliot ripeté la domanda. «Perché è rotto» rispose Marjorie riprendendosi «cioè, la chiavetta con cui si registrano le lancette è stata rotta, di modo che è impossibile cambiar l'ora, e si tratta di uno strumento molto preciso: non ha mai sbagliato di un secondo da quando l'abbiamo.» Il professor Ingram cominciò ad agitarsi. «Capisco; quando è stato rotto, signorina Wills?» «Ieri mattina. Pamela, una delle domestiche, l'ha spezzato mentre riordinava lo studio dello zio Marcus. Stava caricando l'orologio e nell'altra mano portava un candeliere di ferro, l'ha battuto contro la chiavetta e l'ha fatta
saltare via di colpo; ho pensato che lo zio Marcus si sarebbe inquietato molto. Possiamo riordinare il suo studio solo una volta alla settimana, vi tiene tutti i suoi conti; e specialmente non dobbiamo toccare un manoscritto cui sta lavorando. Ma non l'ha fatto.» «Non ha fatto che cosa?» «Non si è inquietato, voglio dire, anzi. È entrato proprio in quel momento e io ho detto che potevamo spedire l'orologio giù in città da Simmond per farlo aggiustare. Ha guardato l'orologio per un minuto e tutt'a un tratto è scoppiato a ridere, dicendo: "No, no, lascia stare". Era registrato coll'ora esatta, non poteva essere modificato ed era un gioiello. (È un orologio a carica di otto giorni ed era appena stato rimontato.) Ha anche detto che Pamela era una brava ragazza e sarebbe stata la benedizione dei suoi genitori da vecchi. Ecco perché me ne ricordo così bene.» Ora, per quale ragione, rifletteva l'ispettore di polizia Elliot, un uomo sta di fronte a un orologio e di colpo scoppia a ridere? Ma non ebbe tempo di pensarci poiché, come per dare ai suoi fastidi il colpo di grazia, il maggiore Crow apparve sulla porta verso l'ingresso. «Posso vedervi un momento, ispettore?» chiese con una voce strana. Elliot uscì e chiuse la porta. Era un atrio spazioso, rivestito di quercia chiara con una larga, bassa scala e un pavimento così splendente che rifletteva gli orli dei tappeti. Una lampada accesa gettava una macchia di luce oltre le scale e faceva scintillare il telefono su un tavolino. Il maggiore Crow conservava la sua apparenza mite, ma aveva gli occhi cattivi. Accennò al telefono. «Ho appena finito di parlare a Billy Emsworth» disse. «Billy Emsworth? Chi è?» «Quel tale a cui è nato un bambino stanotte, dove è stato Joe Chesney; sapevo che era molto tardi, ma ho pensato che Emsworth sarebbe probabilmente stato ancora in piedi per celebrare l'avvenimento con qualche amico. Difatti ho potuto parlargli, non gli ho detto niente, solo gli ho fatto le mie congratulazioni, per quanto speri che non gli venga in mente di domandarsi perché dovevo chiamarlo alle due di notte.» Il maggiore Crow tirò un profondo sospiro. «Bene, se l'orologio dello studio è esatto, Joe Chesney ha un alibi di ferro.» Elliot non disse niente; se l'era aspettato. «Il marmocchio è nato circa alle undici e un quarto; poi Chesney è rimasto seduto a parlare con Emsworth e i suoi amici fin verso mezzanotte; tutti hanno guardato i propri orologi mentre se ne stava andando e quando il
padrone di casa lo vide sulla porta il campanile della chiesa batteva proprio le dodici, così che Emsworth, stando sugli scalini d'ingresso, ha fatto un discorsetto sull'inizio di un giorno più nuovo e più lieto. In questo modo resta stabilito il momento della partenza del dottore; poi, Emsworth vive dall'altra parte di Sudbury Cross ed è assolutamente impossibile che Joe Chesney fosse qui al momento dell'assassinio. Cosa ne pensate?» «Solo, maggiore, che hanno tutti un alibi» disse Elliot e gli riferì la sua conversazione. «Uhm» mormorò il maggiore Crow. «Sì, signore» fece Elliot. «È una faccenda seria.» «Sì, signore.» «Maledettamente seria» insistette il commissario di polizia, con un leggero grugnito. «Pensate che dicano la verità sul fatto che non era troppo buio per seguire i movimenti di tutti i presenti?» «Dobbiamo controllarlo, naturalmente» Elliot esitava «ma io stesso ho notato che quella luce intensa nell'altra stanza può giustificarli; a dire il vero, non credo che ci fosse scuro abbastanza da permettere a qualcuno di scivolar fuori senza essere visto. Per conto mio, onestamente, credo a quello che dicono.» «Non pensate che questi tre abbiano concordato tra di loro la storia?» «Qualunque cosa è possibile. Tuttavia...»1 «Lo pensate?» Elliot era cauto. «Almeno» decise «sembrerebbe che non sia il caso di concentrare la nostra attenzione sui membri di questa casa; dobbiamo andare molto più lontano. Quel fantomatico estraneo in smoking è probabilmente reale, dopo tutto. E perché non dovrebbe esserlo?» «Ve lo dico io» disse il maggiore Crow freddamente «dato che Bostwick e io abbiamo appena avuto la prova, la prova notate, che l'assassino è un membro di questa casa o intimo di essa.» Mentre Elliot aveva di nuovo quella strana sensazione di qualcosa che non andasse bene, di star osservando il caso con occhiali deformanti, il commissario di polizia lo condusse verso le scale. Il maggiore Crow, infatti, aveva assunto un comportamento in un certo modo colpevole. «È stato irregolare, molto irregolare» dichiarò schioccando la lingua «ma ormai è fatta. Quando Bostwick è andato di sopra per vedere se quel tale Emmet stava abbastanza bene da poter scambiare due parole con noi, ha pensato di poter dare un'occhiata alla stanza da bagno. Nell'armadietto
dei medicinali ha trovato una scatola di capsule di olio di ricino.» «Non è così importante, maggiore; mi si dice che sono molto comuni.» «D'accordo, d'accordo! Ma aspettate un momento: ben riposta in fondo all'armadietto, dietro la lozione dentifricia, ha trovato una bottiglietta da 30 grammi riempita fino a un quarto di acido prussico... «Sapevo che la cosa vi avrebbe fatto effetto» disse il maggiore Crow con una certa soddisfazione «è successo anche a me, specialmente ora che mi dite che tutti in casa hanno un alibi. Non era, badate, la soluzione più debole di cianuro di potassio, era il tipo purissimo, il veleno più rapido della terra, almeno ecco di che cosa pensiamo si tratti. West lo farà analizzare per noi, ma ormai è certo. Era là in una bottiglia dall'etichetta "Acido Prussico HCN", Bostwick vi ha dato un'occhiata e non poteva credere ai suoi occhi. Ha tolto il turacciolo, ma dopo aver aspirato un momento, l'ha riposto molto rapidamente. Aveva sentito dire che una inalazione profonda di acido prussico puro può uccidere, ed è vero, disse West. Guardate che meraviglia.» Molto delicatamente si toccò in tasca estraendo una bottiglietta con il turacciolo spinto quasi a livello dell'imboccatura e la alzò per mostrar dentro un liquido incolore; aveva incollato sopra un pezzo di carta con le parole "Acido Prussico HCN", scritte a penna. Il maggiore Crow la mise sul tavolino del telefono sotto la luce e indietreggiò come se avesse acceso una miccia molto pericolosa. «Nessuna impronta digitale» spiegò «non andateci troppo vicino» aggiunse nervosamente «potete sentirne l'odore anche adesso?» Elliot poteva sentirlo. «Ma dove hanno potuto procurarselo?» disse. «Avete sentito quello che ha detto il dottor West: l'acido prussico puro è praticamente inaccessibile ad un profano; la sola persona che potrebbe averlo è...» «Sì, un tecnico, cioè un chimico di laboratorio, come quel tipo di nome Harding, per esempio?» Fu a questo punto, per buona o cattiva ventura, che Harding uscì dalla stanza da musica. «HCN?» domandò, indicando la bottiglia. «Così dice l'etichetta, giovanotto» rispose il commissario. «Posso chiedervi dove l'avete trovata?» «In bagno. Ce l'avete messa voi?» «No, signore.» «Ma voi usate questa roba nel vostro mestiere, no?»
«No» disse Harding prontamente. «Onestamente, no» aggiunse. «Uso KCN, cianuro di potassio e in grande quantità. Sto studiando un processo elettrolitico per rendere l'argento falso indistinguibile da quello vero. Se riesco a industrializzarlo io stesso e ad avere appoggi sufficienti in modo da non esser soffocato dagli speculatori, voglio rivoluzionare l'industria.» Parlava senza nessuna vanteria, semplicemente esponeva dati di fatto. «Ma non uso HCN, non va bene per me.» «Allora, per essere franchi» disse il maggiore Crow, lasciandosi andare un momento «potreste lo stesso fare del HCN, no?» Harding parlò con intensità stringendo le mascelle mentre pronunciava le parole, ed Elliot si domandò se fosse nato con un difetto di pronunzia che, come altri svantaggi, era riuscito a vìncere. Harding disse: «Naturalmente potrei farlo. Come chiunque altro.» «Spiegatevi, giovanotto.» «Ecco. Cosa occorre per fare HCN? Ve lo dico io. Occorre prussiato di potassa, non velenoso, lo comperate dovunque; olio di vetriolo, meglio conosciuto come acido solforico, ne prendete un po' dalla più vicina batteria di automobile, che ci vuole? Occorre acqua pura. Mettete insieme questi tre elementi in un processo di distillazione che un bambinetto dai riccioli d'oro può congegnarsi con arnesi tolti dalla cucina della nonna, e avrete la roba nella bottiglia. Chiunque, con un volume di chimica elementare aperto davanti agli occhi, può farlo.» Il maggiore Crow guardò Elliot a disagio. «E questo è tutto ciò che occorre per fare l'acido prussico?» «È tutto. Ma non badate a quello che ho detto; il male è, maggiore, che c'è qualcosa che non va. Vi spiace dirmi una cosa: avete detto di aver trovato quella roba nella stanza da bagno; non sono sorpreso, sono più che sorpreso. Ma volete dire che l'avete presa proprio in bagno, come un tubetto di dentifricio e simili?» Il maggiore Crow stese le mani poiché aveva avuto lo stesso pensiero. «Questa casa è infetta» disse Harding, studiando l'atrio bello e ben messo. «Sembra a posto, ma c'è qualcosa di chimicamente sbagliato in essa. Io sono un estraneo e lo posso dire. Ed ora, ehm, se volete scusarmi, vado in tinello a prendermi un sorso di whisky, pregando tutti i santi che non contenga nulla di chimicamente sporco.» I suoi passi risuonarono pesantemente sul pavimento nudo di legno, sfidando gli echi: la macchia di luce tremò sulla scala, la macchia di veleno tremò nella bottiglietta. Di sopra, un uomo con la commozione cerebrale
giaceva dicendo frasi sconnesse, da basso due investigatori si guardavano l'un l'altro. «Non è facile» disse il maggiore Crow. «No» ammise Elliot. «Avete due vie da seguire, ispettore. Due vie concrete e definite: domani il giovane Emmet può aver ripreso conoscenza ed essere in grado di dirvi che cosa gli è successo. E inoltre c'è quel filmetto, ve lo farò sviluppare per domani nel pomeriggio: un tale a Sudbury Cross fa questo genere di lavoro e potrete sapere esattamente ciò che è successo durante la rappresentazione. Oltre a questo, non so che cosa avete di riserva, e notate che mi riferisco a voi. Io ho i miei affari da seguire e domani, parola d'onore, non insisto oltre a rompermi le corna qui dentro: il caso è vostro e vi auguro che ve ne venga soddisfazione.» Il maggiore Crow dimenticò la sua dignità ufficiale, alzando la voce in una specie di lamento. «Perché quelle scatole di cioccolatini sono state cambiate da verde a blu? Che cosa non va bene in quel maledetto orologio? Qual è la vera statura del figuro col cappello a cilindro? E perché, perché Chesney se ne andava intorno con una freccia da cerbottana del Sud America che nessuno ha mai visto prima di allora né dopo?» 1
«Nessun Trucco» disse una volta il dottor Fell «è più inutile ed esasperante dell'ingannare di comune accordo dicendo la stessa bugia.» Pertanto penso che sia leale dichiarare che non vi era connivenza di nessun genere fra i tre testimoni. Ciascuno aveva parlato indipendentemente e senza collusione con ognuno degli altri due. J.D.C. X Alle undici del mattino seguente l'ispettore Elliot si recava a Bath in automobile e si arrestava davanti all'albergo del Beau Nash, che si trova nella piazzetta di fronte all'ingresso dei bagni romani. Chi dice che a Bath piove sempre diffama in modo indegno questa vecchia città dove le alte case settecentesche sembrano nobili e antiquate ereditiere che si rifiutano di ammettere l'esistenza dei treni e delle automobili, ma per amore della verità debbo dire che in quella particolare mattina pioveva a torrenti. Elliot, quando si infilò di corsa nell'ingresso dell'albergo, era in condizioni di spirito così depresse che sentiva il bisogno di confidar-
si con qualcuno o abbandonare quel caso spiegando il perché al suo sovrintendente. Elliot si avvicinò al portiere e chiese del dottor Gideon Fell. Il dottor Fell era di sopra nella sua stanza e, nonostante l'ora, mi spiace dirlo, non era ancora in piedi. Stava invece seduto vicino al tavolo della colazione, avvolto in una vestaglia di flanella grande quanto una tenda, bevendo caffè, fumando un sigaro e leggendo un romanzo poliziesco. Aveva piantati saldamente sul naso gli occhiali tenuti da un largo nastro nero, i suoi baffi da bandito si rizzavano per l'attenzione e, mentre gonfiava le guance respirando rumorosamente, una sorta di lieve terremoto animava l'ampia vestaglia di flanella a fiorami purpurei: stava cercando di individuare l'assassino, ma all'ingresso di Elliot si alzò in tutta la sua grossezza, quasi rovesciando la tavola, simile al Leviathan che sorga vicino a un sottomarino. Un raggio di benvenuto gli illuminò tanto la faccia, rendendola rosea e trasparente, che Elliot si sentì subito meglio. «Ohè» disse il dottor Fell, stritolandogli quasi la mano «ecco un'eccellente idea, una magnifica sorpresa. Sedete, sedete, sedete; prendete qualcosa, quello che volete. Eh?» «Il sovrintendente Hadley mi ha detto dove potevo trovarvi, dottore.» «Va benone» dichiarò il dottor Fell, sedendosi comodo per contemplare il suo ospite come se fosse un fenomeno gradevole che non aveva mai visto prima; la sua contentezza animava tutta la stanza. «Sto facendo la cura delle acque, ma sono raramente tentato di gioire dopo il mio sesto o settimo litro.» «Ma dovete berne tanta?» «Tutte le bevande sì devono prendere in grande quantità» disse il dottor Fell decisamente. «Io, se le cose non le faccio bene, preferisco non farle del tutto; e voi come state, ispettore?» Elliot tentò di radunare tutto il suo coraggio. «Potrei stare meglio» ammise. «Oh» esclamò il dottor Fell, il sorriso gli sparì dal viso e batté gli occhi «penso che siate venuto per quell'affare di Chesney.» «Ne avete sentito parlare?» «Uhm, sì» rispose il dottor Fell soffiando dal naso. «Il mio cameriere, un buon uomo sordo come una talpa per sentire il campanello ma non certo muto, mi ha raccontato tutto questa mattina; l'ha saputo dal lattaio, che l'ha saputo non ricordo da chi. Oltre a questo, beh, in un certo modo conoscevo Chesney» sembrava imbarazzato, si grattava il naso «l'ho incontrato e ho
conosciuto la sua famiglia ad un ricevimento circa sei mesi fa. E poi mi ha scritto una lettera.» Di nuovo il dottore esitava. «Se conoscete la sua famiglia» disse Elliot lentamente «la cosa è più facile perché non sono venuto da voi solo per caso, ma. anche per un problema personale. Non so cosa diavolo mi abbia preso o che posso farci, ma ci sono dentro; conoscete Marjorie Chesney, la nipote di Chesney?» «Sì» rispose il dottor Fell, fissandolo acutamente coi suoi occhietti. Elliot si alzò. «Sono innamorato di lei» gridò. «Molto comprensibile» borbottò Fell, assentendo col capo. «Beh?» «L'ho vista solo due volte prima» gridò Elliot, fronteggiandolo determinato a far fuori la questione «una volta è stato a Pompei e una volta a... per il momento non parliamone. Come ho detto, non so cosa diavolo mi ha preso; quando l'ho vista di nuovo la notte scorsa, facevo fatica a ricordare che cosa avesse di uguale alle altre due volte. Da alcuni indizi è probabilmente un'avvelenatrice e un grandioso campione di slealtà. Ma mi sono imbattuto in quel gruppo in un posto a Pompei (non siete al corrente di questo, ma ci sono stato) e stava in piedi in una specie di giardino, senza cappello e col sole sulle braccia: io ero là e la guardavo e poi mi sono voltato e me ne sono andato. È stato il suo modo di muoversi, o di parlare, o di girare la testa, qualcosa, niente, non so. «Avrei voluto avere il coraggio di seguire la loro compagnia per cercare di fare amicizia, ciò che evidentemente ha fatto quel tal Harding; non capisco perché non mi sono sforzato di farlo, non era solo perché li avevo appena uditi parlare del suo matrimonio con Harding; neanche ci ho pensato e se l'ho fatto, è stato solo per imprecare contro la mia maledetta sfortuna e basta. Sentivo solo, prima di tutto, che ero innamorato di lei e, secondo, che dovevo togliermi quell'idea dalla testa, perché era una pazzia. Non credo mi comprendiate.» La stanza era quieta, salvo il respiro rumoroso del dottor Fell e il battere della pioggia fuori. «Avete una ben misera opinione di me» disse l'altro gravemente «se supponete che non capisca; andate avanti.» «Beh, dottore, è così. Non mi son tolto quell'idea dalla testa.» «Non è tutto, credo.» «Bene, volete sapere quando l'ho vista la seconda volta; è stata una fatalità e sentivo che doveva succedere. Vedete una persona, tentate di dimen-
ticarla o di allontanarvene e finite per incontrarla ogni volta che vi muovete. L'ho incontrata appena cinque giorni fa, in un negozietto di farmacista vicino ai Royal Albert Docks. «Quando li ho visti a Pompei, avevo sentito il signor Chesney menzionare il nome della nave che avrebbero presa per tornare e la data di partenza; ho lasciato l'Italia il giorno dopo per via terra e sono arrivato a casa una buona settimana prima di loro. Giovedì scorso, il 29, ero per combinazione nei dintorni dei Royal Albert Docks per seguire un caso» Elliot si fermò «non riesco nemmeno a dirvi la verità, eh?» domandò amaramente «sì, mi son trovato una scusa per essere là proprio quel giorno, ma il resto può essere stata coincidenza o giudicatene voi stesso. «Il registro dei veleni di quel farmacista era in causa, sembra che si fosse sbarazzato di droghe in quantità maggiore del normale, ecco perché ero là. Entrai e chiesi di vedere il registro dei veleni, me lo mostrò con una certa premura facendomi sedere per guardarlo in un piccolo dispensario nel retro del negozio, diviso dal banco da un muro di bottiglie. Mentre stavo guardandolo, entrò una cliente; non l'ho potuta vedere e lei non ha potuto vedere me, pensò che non vi fosse nessun altro in farmacia, ma io conoscevo abbastanza bene quella voce. Era Marjorie Wills, che voleva comperare cianuro di potassio "per fotografie".» Di nuovo Elliot si fermò. Non vedeva una stanza dell'albergo Beau Nash, vedeva un negozio scuro in una bassa luce pomeridiana e respirava il vago odore di prodotti chimici che avrebbe sempre associato a quel caso; sul pavimento c'era creosoto e i coperchi dei tozzi vasi di vetro emettevano una luce debole; sul muro di fronte, in ombra, c'era uno specchio, in cui poteva vedere riflessa l'immagine di Marjorie, con gli occhi tesi verso l'alto, mentre stava al banco chiedendo cianuro di potassio "per fotografie". «Probabilmente, poiché ero là» continuò Elliot «il farmacista incominciò a far domande sul perché lo voleva e cosa ne avrebbe fatto e le sue risposte mostrarono che se ne intendeva di fotografia tanto quanto io di sanscrito. C'era uno specchio sul muro di fronte e proprio nel momento in cui stava per confondersi, la ragazza deve avermi visto nello specchio, per quanto allora non sembrasse e anche ora non ne sia sicuro. Improvvisamente chiese al farmacista un... beh, non importa, e corse fuori dal negozio.» «Sì, una bella faccenda, eh?» aggiunse in fretta. Il dottor Fell non fece commenti. «Penso che quel farmacista sia un tipo losco» disse Elliot lentamente
«anche se non ho potuto trovar niente, ma per colmo di misura, il sovrintendente Hadley mi ha affidato, proprio a me, il caso di avvelenamento di Sudbury Cross di cui, grazie a voi, avevo già letto ogni particolare nelle collezioni arretrate dei giornali.» «Non avete rifiutato il caso?» «No, signore; avrei potuto rifiutarlo? Almeno, senza raccontare al sovrintendente quello che sapevo?» «Uhm.» «Sì, state pensando che dovrei essere mandato via dalla polizia e avete ragione.» «Buon Dio, no» disse il dottor Fell, spalancando gli occhi «la vostra maledetta coscienza vi farà fare degli errori, basta con queste storie e andate avanti.» «Venendo qui ieri notte, ho pensato ad ogni possibile soluzione, alcune delle quali così pazze che oggi a ripensarci rabbrividisco. Ho pensato di sopprimere qualsiasi prova contro di lei, ho perfino considerato l'idea di prenderla e fuggire con lei nei mari del Sud.» Si fermò, ma il dottor Fell annuì in modo comprensivo, come se un tale modo di agire avesse la sua piena approvazione, così che Elliot continuò con enorme senso di sollievo. «Speravo che il commissario di polizia, si chiama maggiore Crow, non si accorgesse di niente, ma devo essermi comportato in modo bizzarro fin dall'inizio e ho commesso uno sbaglio dopo l'altro; il peggio è venuto quando la ragazza quasi mi ha riconosciuto, cioè non mi ha riconosciuto del tutto, non ha collegato la mia immagine con quella vista nel negozio di farmacista, ma si è resa conto di avermi già incontrato prima e sta ancora cercando di ricordarsi dove. «Per il resto, ho cercato di occuparmi del caso senza pregiudizi (altro compromesso, eh?) e di considerarlo normale; non so se ci sono riuscito o no, ma come vedete oggi sono qui.» Il dottor Fell meditava. «Ditemi, a parte l'assassinio del negozio di cioccolatini, non avete trovato niente la notte scorsa da farvi credere che Marjorie possa essere colpevole dell'uccisione di Marcus Chesney?» «No! Anzi, al contrario, ha un alibi grande come una casa.» «Allora, in nome di Belzebù, di che stiamo parlando? Di che vi lamentate?» «Non so, dottore, è solo che il caso è troppo strano, buffo e maleodorante per essere risolto di colpo; è una scatola a sorpresa, a quanto sem-
bra finora.» Il dottor Fell si appoggiò indietro, sbuffando fumo dal sigaro, con un'espressione decisa e concentrata in volto, poi scosse le spalle continuando ad aspirare, come se facesse una gran fatica a parlare; perfino il nastro degli occhiali era agitato. «Esaminiamo» disse «il vostro problema emotivo; no, non cercate di schermirvi, può essere infatuazione o una cosa seria, ma in ogni caso voglio farvi una domanda: supponete che la ragazza sia un'assassina. Un momento! Dico, supponete che lo sia; ora, questi delitti non sono di. quelli per cui si possa trovare facilmente una scusa; perfino io devo concentrarmi profondamente prima di essere in grado di scusarli, non sono crimini naturali, sono anormalità calcolate e la persona che li perpetra è tanto sicura da tenere in casa quanto un cobra. Benone; supponendo che la ragazza sia colpevole, vorreste venirlo a sapere?» «Non so.» «In ogni modo, siete d'accordo che bisognerebbe lo stesso scoprirlo?» «Penso di sì.» «Bene» disse il dottor Fell, continuando a fumare energicamente il suo sigaro «ora consideriamo l'altra possibilità: supponete che la ragazza sia completamente innocente; no, non abbandonatevi a un sospiro di sollievo, siate pratico nel vostro romanticismo; supponete che la ragazza sia completamente innocente. Cosa intendete fare?» «Non capisco, signore.» «Avete detto che siete innamorato di lei?» A questo punto Elliot si lasciò andare. «Oh, lasciatemi in pace» esclamò «non mi illudo di poter mai avere una speranza con lei, dovreste vedere l'espressione del suo viso quando guarda Harding, io l'ho vista. La cosa più difficile per me la notte scorsa è stata essere leale con lui; non ho niente contro, sembra abbastanza un buon ragazzo, posso solo dire che qualcosa in me mi porta all'esasperazione ogni volta che gli parlo.» Sentì di nuovo risuonare le orecchie. «La notte scorsa ho avuto ogni genere di idee, mi sono immaginato di arrestare Harding come assassino, sì, con le manette e tutto; e lei che mi guardava e tutto il resto che viene naturalmente di conseguenza nella testa di un visionario, ma un nodo emotivo non si può tagliare così facilmente. Harding può stare tranquillo, perché certo non si può commettere un assassinio stando in una stanza, con due persone che ti guardano, mentre il vero
assassino è ben visibile in un'altra. Può darsi che sia un cacciatore di dote (e lo è, penso) ma così vanno le cose a questo mondo; inoltre non aveva mai sentito parlare di Sudbury Cross fino a che ha incontrato i Chesney in Italia, e allora dimenticatelo e specialmente dimenticate me.» «Oltre che della vostra coscienza» osservò il dottor Fell «dovreste liberarvi della vostra maledetta modestia; è un'eccellente virtù spirituale, ma nessuna donna può sopportarla. In ogni modo, ci penseremo. Va bene?» «Va bene cosa?» «Come vi sentite ora?» domandò il dottor Fell. Ed Elliot si rese conto d'improvviso che si sentiva meglio, tanto meglio che aveva voglia di una tazza di caffè e di qualcosa da fumare, come se il suo spirito fosse più vivo e più chiaro. Non capiva perché, ma perfino la stanza sembrava di colori diversi. «Bene, bene, bene» disse il dottor Fell, grattandosi il naso «allora, cosa possiamo fare? Dimenticare che mi avete detto solo l'essenziale della faccenda e nel vostro naturale entusiasmo avete dimenticato tutto il resto. Ma cosa possiamo fare? Volete fare la sciocchezza di andare indietro a spiegare tutto a Hadley o vogliamo considerare i fatti e vedere cosa succede? Io sono ai vostri ordini.» «Sì» proruppe Elliot «sì, è proprio quello che faremo.» «Beh, in questo caso, sedetevi qui» disse il dottor Fell «e raccontatemi per favore cosa diavolo è successo.» Ci volle circa mezz'ora per Elliot, di nuovo in difficoltà anche senza vergognarsi più di se stesso, per raccontare i più minuti particolari e concludere con la bottiglietta di acido prussico trovata nell'armadietto dei medicinali in bagno. «...e questo è tutto; per quanto non siamo usciti dalla casa fino alle tre di notte, hanno concordemente negato di aver a che fare con quella bottiglietta, hanno giurato di non conoscere la sua esistenza in bagno e hanno detto che non era là quando si erano preparati e vestiti per il pranzo quella sera. Ho anche dato un'occhiata a Wilbur Emmet, ma naturalmente non era in grado di aiutarci in nessuna maniera.» Ricordava chiaramente la stanza da letto, linda e tuttavia poco attraente, proprio come Emmet e la sua figura sparuta avvolta nelle lenzuola, la cruda luce elettrica e l'elaborata serie di lozioni per i capelli e di cravatte sulla toeletta; sullo scrittoio c'era una pila di lettere e di ricevute e vicino un bauletto di paglia in cui Emmet teneva un assortimento di siringhe, forbicette e altri articoli curiosi che avevano per Elliot l'apparenza di strumenti
chirurgici; perfino la tappezzeria era di un bel giallo rosato. «Emmet parlava molto, ma non si poteva cavarne una frase intelligibile, salvo che ogni tanto diceva "Marjorie!" e dovevano calmarlo. Ecco tutto, signore: ora vi ho detto ogni cosa e mi domando se potete raccapezzarvi e se potete spiegare che cosa vi sia di così diabolicamente sporco nella faccenda.» Il dottor Fell assentì lentamente e con enfasi. «Credo di sì» disse. XI «Ma prima di farlo» continuò il dottor Fell, puntando in modo aggressivo il sigaro «vorrei chiarire un punto che forse non ho capito bene; riguarda la fine della rappresentazione di Chesney; dunque aveva appena aperto le porte per annunciare che lo spettacolo era finito: ci siamo?» «Sì, signore.» «Allora il professor Ingram gli dice: "Tanto per sapere, chi era il vostro orribile collega?" e Chesney gli risponde: "Oh, solo Wilbur, mi ha aiutato a progettare tutta la scena". Giusto?» «Sì, giusto.» «Avete altre testimonianze oltre a quelle della signorina Wills a questo riguardo?» insistette il dottore. «Gli altri hanno confermato?» «Sì, dottore» rispose Elliot con interesse «ho voluto terminare gli interrogatori prima di lasciare la casa.» «Tirate fuori quella lista con le dieci domande di Chesney» sollecitò il dottor Fell agitato «studiatela, non staccateci gli occhi. Non vedete niente?» Elliot passava dalla faccia del dottor Fell alla lista, a disagio per l'intenso ardore dell'altro. «No, signore, non vedo niente, forse ho il cervello ottuso...» «No» il dottore lo rassicurò con serietà «guardate quel foglio, concentratevi, non vedete che Chesney ha rivolto una domanda del tutto inutile e perfino assurda?» «Quella segnata col numero quattro. "Quant'era alta la persona entrata dalla finestra?" Era una delle domande della breve lista che intendeva rivolgere loro, domande abili, domande a trabocchetto, domande con cui voleva prenderli di sorpresa; eppure, ancor prima di cominciare, con calma annuncia proprio chi era quella persona. Mi seguite? Come ha detto la si-
gnorina Wills, tutti conoscevano la statura di Emmet, vivevano con lui, lo vedevano ogni giorno; così, quando hanno sentito in anticipo chi era il visitatore, non potevano sbagliare nel rispondere alla domanda numero quattro. Perché, allora, Chesney spiattella tutto offrendo loro la risposta ancor prima di rivolgere la domanda?» Elliot, a disagio, si lasciò sfuggire un'esclamazione. Poi incominciò a riflettere. «Un momento, perché dovrebbe esserci un trucco?» suggerì. «Supponete che Emmet avesse avuto istruzione, il professor Ingram l'ha insinuato, di rannicchiarsi nell'impermeabile, in modo da sembrare alto circa sette centimetri meno del vero? Il signor Chesney avrebbe teso loro una trappola in questo modo; quando ha detto loro apposta che era Emmet, si aspettava che ci cadessero, dicendo quella che, come sapevano, era la sua statura: uno e ottanta; mentre l'uomo rannicchiato nell'impermeabile doveva essere alto solo poco più di uno e settanta.» «È possibile» ribatté il dottor Fell aggrottando le ciglia «ne convengo con la mano sul cuore; possono esservi state delle trappole in quella piccola rappresentazione in maggior numero di quanto anche voi sembriate supporre, ma in quanto al fatto che Emmet si sia rannicchiato, sapete, ispettore, non lo posso credere del tutto. Descrivete l'impermeabile come lungo e stretto e il solo modo per una persona di diminuirsi l'altezza di circa sette centimetri sarebbe quella di piegare le ginocchia e attraversare la scena a passi corti; posso sfidare chiunque a far ciò senza far spuntare le ginocchia dal cappotto come pistoni, senza muoversi in modo strano rivelando facilmente al pubblico il trucco. Invece tutti sembrano convenire su una specie di forzata meccanicità e rigidezza nel comportamento di quel tale. Tutto è possibile, lo ammetto, ma...» «Volete dire, allora, che l'uomo era poco più di uno e settanta?» «Oppure» disse il dottor Fell abbastanza seccamente «può darsi che egli sia realmente uno e ottanta: ci sono due testimoni a sostenerlo; ogni volta che il professor Ingram non è d'accordo con loro, automaticamente accettate la sua versione. Probabilmente avete ragione, ma non dobbiamo, ehmm... non dobbiamo cadere nell'errore di considerare il professor Ingram un oracolo o un augure o la voce dello Spirito Santo.» Elliot rifletteva di nuovo. «Oppure» suggerì «può darsi che il signor Chesney sia stato inquieto o precipitoso e abbia detto il nome di Emmet per sbaglio.» «Difficile» disse il dottor Fell «dato che l'ha chiamato immediatamente
dentro e ha fatto delle storie quando non si è fatto vedere. Ehm... no, è difficile crederlo, ispettore. Il giocoliere non scopre così facilmente le sue carte o agisce sconsideratamente attirando l'attenzione del pubblico sul particolare trabocchetto in cui ha indotto il suo assistente. Chesney non mi ha mai fatto l'impressione di essere un tipo del genere.» «Avrei dovuto pensarci anch'io» ammise Elliot «ma a che punto siamo allora? La faccenda può renderci ancora più perplessi, voi vedete qualche barlume in tutta questa storia?» «Sì, certo. Non è chiaro ora il modo in cui Chesney pensava fossero stati avvelenati i cioccolatini nel negozio della signora Terry?» «No, signore, mi venga un colpo se lo è! Come?» Il dottor Fell si agitò mentre un'epressione di enorme disappunto gli invadeva la faccia; fece gesti vaghi e misteriosi rumori interni. «Ecco» parlava in tono di protesta «non voglio assolutamente sedere qui come un oracolo impagliato a emettere responsi e a fare il superiore a vostre spese; ho sempre detestato questo genere di snobismo, ma insisto sul fatto che voi avete alcuni disturbi emotivi molto dannosi per la vostra intelligenza. «Consideriamo il problema dei cioccolatini avvelenati nel negozio della signora Terry: in che termini stanno le cose, quali fatti dobbiamo accettare? Primo: che i cioccolatini sono stati avvelenati a un certo momento durante la giornata del 17 giugno. Secondo: che sono stati avvelenati o da qualche cliente del negozio in quel giorno o dalla signorina Wills cambiandoli destramente a mezzo di Frankie Dale, poiché è assodato che non vi era niente di male nei cioccolatini fino alla sera del 16, cioè fino a quando la signora Terry ne ha preso una manciata per una festa di bambini. Sono affermazioni esatte?» «Sì.» «Niente affatto» disse il dottor Fell. «Nego che i cioccolatini siano stati necessariamente avvelenati il 17 giugno e nego che siano stati necessariamente avvelenati da qualcuno che abbia visitato il negozio in quel giorno. «Ora, il maggiore Crow, se ho capito bene, ha accennato a un metodo con cui un assassino potrebbe facilmente compiere una specie di gioco di prestigio su una scatola di cioccolatini aperta sul bancone: l'assassino entra con un numero di dolci avvelenati nascosti in mano o in tasca; distrae l'attenzione della signora Terry e li fa cadere nella scatola. Vero, vero, vero! Abbastanza plausibile, può darsi che sia stato così, ma, se riflettete, non è
un modo di comportarsi estremamente semplicistico per un assassino che si è mostrato così pronto d'ingegno come questo? A che serve? Solo a mostrare immediatamente che l'avvelenamento è stato compiuto in un dato giorno, limitando il campo dei sospetti a coloro che entrarono nel negozio in quel giorno. «Col vostro permesso, posso suggerire un metodo molto migliore. «Preparate un duplicato esatto di quella scatola aperta sul bancone; non avvelenate, come un pazzo, lo strato superiore di cioccolatini in questa vostra scatola e invece lo fate con una decina di cioccolatini posti bene in fondo; andate nel negozio della signora Terry e operate la vostra sostituzione. A meno che non vi sia una grande richiesta di cioccolatini alla crema, nessuno ne avrà di avvelenati in quel giorno, anzi! I bambini, in generale, non ne chiedono, e senz'altro preferiscono la liquirizia o le mentine, perché ne hanno molte di più con pochi soldi; così è probabile che i cremini avvelenati rimangano nel negozio uno, due, tre, quattro giorni, forse una settimana, prima che qualcuno arrivi allo strato avvelenato. Pertanto il vero assassino quasi certamente non sarà in negozio quando avverrà il disastro e, qualunque sia la data in cui quei cioccolatini sono stati avvelenati, sono pronto a giurare che era molto prima di quel fatale 17 giugno.» Questa volta Elliot imprecò ad alta voce; camminò sino alla finestra, guardando la pioggia e poi si voltò. «Sì, ma... beh, prima di tutto, non potete andare in giro nascondendo una scatola aperta di cioccolatini, no? E poi come fate, con un gioco di prestigio, a sostituirla con un'altra scatola aperta?» «Potete farlo» dichiarò il dottor Fell «se avete una borsa a molla; queste borse (correggetemi se sbaglio) sono controllate da un bottone posto nel manico di pelle; voi premete il bottone e la borsa afferra e getta all'interno qualsiasi cosa abbia sotto, oppure può, naturalmente, essere usata viceversa. Mettete qualcosa dentro la borsa, premete il bottone per aprire le ganasce della molla e quella deposita ciò che è dentro in qualsiasi posto.» Qui il dottor Fell fece un passo imponente, sbuffò, prese un'aria sconsolata e infine parlò chiaramente: «Sì, figlio mio. Ho paura che sia proprio successo così, altrimenti non ci sarebbe nessuna ragione per la borsa a molla di fare la sua comparsa in questo caso; l'assassino, come dite, non avrebbe potuto maneggiare scatole aperte a meno di non avere qualcosa per tenerle ben saldamente, in modo che non si rovesciassero durante il giochetto. Così si spiega l'uso dell'Amica dei Taccheggiatori.
«Il criminale è entrato nel negozio della signora Terry con una scatola di cremini affatturati in fondo alla borsa e, mentre distraeva l'attenzione della padrona, ha posto questa scatola sul banco, ha messo la borsa sopra la scatola buona, l'ha presa col congegno e ha spinto la scatola avvelenata al suo posto: tutto nel tempo necessario per prendere cinquanta Players o Gold Flake dal banco di vendita dei tabacchi. E Marcus Chesney l'ha capito; per illustrare come le scatole erano state sostituite, ha fatto venire una borsa simile da Londra e ha rappresentato la stessa scena, e nessuno se ne è reso conto.» Elliot emise un profondo respiro nel silenzio che seguì. «Grazie» disse gravemente. «Eh?» «Dico grazie» ripeté Elliot, sorridendo «state ridisponendo il mio spirito al normale o, meglio, state dandogli un calcio al posto giusto, sapete cosa voglio dire.» «Grazie, ispettore» disse il dottor Fell a sua volta. «Ma vi rendete conto, in ogni modo, che questa spiegazione ci lascia in acque ancor peggiori di prima? Almeno secondo me, penso sia quella che meglio concorda con le circostanze, ma rivoluziona i soli dati positivi in nostre mani. Non sappiamo neanche più quando i cioccolatini possono essere stati avvelenati, salvo che probabilmente non nell'unico giorno su cui si è fissata la polizia per quasi quattro mesi.» «Mi spiace di buttare tutto all'aria» disse il dottor Fell, passandosi la mano vigorosamente sui capelli «ma, al diavolo tutti! Se avete una testa come la mia, questa soluzione sembra inevitabile; e non sono d'accordo con voi che ci lascia in acque peggiori di prima, al contrario, dovrebbe condurci diritti alla verità.» «Come?» «Ditemi, ispettore, siete stato allevato in un paese o almeno in una piccola comunità?» «No, dottore, non esattamente: a Glasgow.» «Ah, ma io sì» disse il dottor Fell, pieno di soddisfazione «ora consideriamo la nostra situazione: l'assassino, portando quello che sembrava una innocente valigetta, entra nel negozio. Supponiamo che l'assassino sia qualcuno conosciuto dalla signora Terry, dobbiamo supporlo. Non avete mai sperimentato la salutare, matura e istintiva curiosità dei negozianti di una piccola comunità, specialmente se sono del tipo attivo come la signora Terry. Supponete di entrare portando una valigetta: "Andate via, signor El-
liot?" "In partenza per Weston, signor Elliot?" e se non lo dice lo pensa, perché vedervi con una valigetta sarebbe una cosa fuori del normale, un'appendice insolita, le rimarrebbe in mente. Se qualcuno con una borsa del genere è andato nel negozio durante la settimana precedente il delitto dei cioccolatini, probabilmente se ne ricorderebbe.» Elliot annuì, ma aveva l'impressione che vi fosse un altro passo da compiere, un'altra supposizione da avanzare, perché il dottor Fell lo osservava con grande attenzione. «Oppure...» suggerì il dottore. «Già» mormorò Elliot, guardando la finestra bagnata di pioggia «oppure l'assassino era qualcuno che di solito porta una borsa di quel tipo e il vederlo era così normale che la signora Terry non ci ha ripensato.» «È un'ipotesi plausibile» disse l'altro. «Volete dire il dottor Joseph Chesney?» «Forse; c'è qualcun altro che va intorno d'abitudine con una borsa o valigia o qualcosa del genere?» «Solo Wilbur Emmet, mi hanno detto; ha un coso di paglia, una specie di bauletto, l'ho visto nella sua stanza, come vi ho detto.» Il dottor Fell scosse la testa. «Solo Wilbur Emmet» osservò «"solo" Wilbur Emmet, dice. Per la barba di Maometto! Se una borsa di pelle si può truccare col congegno a molla giocando sulla buona fede di una casa specializzata in giochi di prestigio, c'è qualche ragione perché non si possa fare lo stesso con una di paglia? È del tutto ovvio che, quando il maggiore Crow e il sovrintendente Bostwick si riavranno dalle idee fisse che li paralizzano in questo momento, si attaccheranno senz'altro ad Emmet, no? Il professor Ingram l'ha già fatto, come sospetto da ciò che mi avete detto e ci gratificherà della scoperta non appena avremo messo il naso a Bellegarde. Dobbiamo essere assolutamente cauti; tuttavia, sulla base delle constatazioni esistenti ora, vi assicuro che la sola persona sospettabile è Wilbur Emmet. Vorreste sentire le mie ragioni?» XII Il dottor Fell, Elliot l'aveva pensato talvolta, non era la persona più adatta per una conversazione se, per esempio, una mattina soffrite delle conseguenze di una piccola sbronza; la sua testa lavorava così velocemente che era già alla conclusione quando stavate ancora considerando le ipotesi: l'a-
scoltatore era cosciente di un turbinìo di parole, come un batter d'ali e poi, prima che vi rendeste esattamente conto, un intero edificio sorgeva dinanzi a voi, inalzato per gradi dall'apparenza del tutto logica al momento, ma difficili da ricordare in seguito. «Adagio!» sollecitò Elliot «vi ho già sentito in questo genere di supposizione, e...» «No, state attento» disse il dottore con decisione «dovete ricordare che ho incominciato la mia vita come maestro; ad ogni istante i ragazzi tentavano di propinarmi storie fatidiche, con calma e naturalezza e con un'abilità di cui non ho più trovato la pari e per questo parto con uno sleale vantaggio sulla polizia, fornito di maggiore esperienza sui bugiardi impenitenti. E mi sembra che abbiate acettato l'innocenza di Emmet troppo facilmente. «Vi è stata messa in mente dalla signorina Wills ancor prima di aver il tempo di pensare; fatemi il favore di non prendervela, probabilmente non l'ha fatto apposta, ma quale è stata la conseguenza? Dite: "Ognuno in casa ha un alibi"; non è vero. Spiegate, se potete, in che consiste quello di Emmet.» «Uhm» disse Elliot. «Nessuno, infatti, ha visto Emmet, l'avete trovato privo di conoscenza sotto una pianta, con un bastone a portata di mano e qualcuno ha detto immediatamente: "È chiaro che giace lì in quello stato da un po'", ma avete (o potreste avere) conferma da parte di un medico che è vero? Non si tratta di un referto necrologico, potrebbe essere accaduto dieci secondi o due o tre minuti prima. Un pubblico ministero potrebbe chiamare la faccenda un doppio bluff.» Elliot rifletté. «Beh, dottore, ci ho pensato: l'uomo col cappello a cilindro era veramente Emmet dopo tutto; ha recitato la sua parte, salvo che ha propinato a Chesney una capsula avvelenata, poi ha fatto in modo di darsi un colpo in testa (autolesionismo per provare incapacità non sarebbe cosa nuova) dimostrando che il dottor Nemo non poteva essere stato lui.» «Esatto, e poi?» «Era più facile per lui che per qualunque altro» riconobbe Elliot «nessuna sostituzione, nessun maneggio; aveva solo da recitare la sua parte al momento giusto dando una capsula coll'acido prussico invece di quella innocua; conosceva tutti i particolari, era il solo a conoscerli, era...» più Elliot ci pensava, più era spinto a crederci. «Il pasticcio è che finora non so niente di lui, non gli ho mai parlato. Chi è? Nessuno ha avuto il minimo
sospetto contro di lui, che vantaggio aveva di uccidere il signor Chesney?» «Che vantaggio aveva» chiese il dottor Fell «di spargere la stricnina tra un gruppo di bambini?» «Allora tornate all'ipotesi della pazzia pura?» «Non so, ma penso che valga la pena di considerare un po' di più i moventi, e per quanto riguarda Emmet...» il dottor Fell si accomodò meglio e spuntò il sigaro «mi ricordo di averlo incontrato allo stesso ricevimento in cui ho conosciuto Chesney; alto, scuro di capelli, col naso rosso, una voce e un modo di fare tali da ricordare il padre di Amleto. Stava impalato, goffo e si era rovesciato addosso un gelato; di lui ho sentito solo dire "povero Wilbur". Questo per l'aspetto; e gli accessori? Il cappello a cilindro, l'impermeabile eccetera? Erano di misura adatta solo a Wilbur o no?» Elliot prese il taccuino: «Il cappello a cilindro è di misura 7, è una vecchia reliquia appartenente allo stesso Marcus Chesney. L'impermeabile, di Emmet, è di normale misura "per un uomo dalla corporatura forte", i guanti di gomma sono di tipo corrente, comperati in un grande magazzino e li ho trovati arrotolati accuratamente nella tasca dell'impermeabile...» «Allora?» disse il dottor Fell. «Ed ecco le misure: Bostwick me le ha procurate. Emmet è alto uno e ottanta, pesa kg. 73,470, porta cappello del n. 7. Joseph Chesney è alto 1,77, pesa kg. 82,550, cappello del n. 7. George Harding è alto 1,72, pesa kg. 69.850, cappello del n. 6 e 7/8. Il professor Ingram è alto 1,70, pesa kg. 85,250, cappello del n. 7 e 1/4. Marjorie Wills è alta 1.55, pesa kg. 48, ma questo non vi interessa, lei non c'entra» disse Elliot con soddisfazione. «Chiunque degli altri avrebbe potuto indossare il travestimento senza sembrare buffo; c'è solo il fatto che tutti, salvo Emmet, hanno un alibi incrollabile, non possiamo saperne molto ora, ma pare che debba essere proprio lui. Perché, mi domando?» Il dottor Fell lo guardava curiosamente; se ne sarebbe ricordato molto tempo dopo. «I nostri amici psichiatri» dichiarò il dottore «direbbero senza dubbio che è un introverso che soffre di mania di grandezza; è un fenomeno abbastanza comune fra i grandi avvelenatori, lo riconosco: Jegado, Zwanziger, Van de Leyden, Cream, la lista è infinita. Ho anche sentito che Emmet soffre (diciamolo pomposamente) di una Passione Infelice per la signorina Wills; oh, qualsiasi accomodamento è possibile per le cellule grigie, ve lo garantisco, ma è anche possibile» qui guardò il compagno con molta atten-
zione «che egli figuri in una parte diversa: quella del capro espiatorio.» «Capro espiatorio?» «Sì, perché, vedete, c'è una seconda spiegazione della borsa a molla e dell'assassino nel negozio di cioccolatini» considerò il dottor Fell. «Mi è sembrato curioso, ispettore, che si siano fatti tanti riferimenti al caso di Christiana Edmunds del 1871; mi pare che ci sia una morale in questa storia.» Un dubbio colpì di nuovo Elliot in modo subitaneo e acuto come una freccia nel bersaglio. «Volete dire, dottore, che...» «Eh?» rispose il dottor Fell, riscuotendosi dalla pesante meditazione, con un aspetto sinceramente perplesso. «No, no, no! Buon Dio, no! Forse non mi spiego» continuava a gesticolare come ansioso di cambiare argomento. «Beh, torniamo a lavorare e vediamo di provare le nostre teorie; cosa dobbiamo fare, qual è il nostro prossimo passo?» «Dobbiamo vedere quel filmetto» Elliot gli propose «cioè, se volete venire. Il farmacista di Sudbury Cross è un entusiasta del genere, come mi dice il maggiore Crow, e, da dilettante, sviluppa lui stesso il suo materiale; lo ha svegliato questa mattina alle tre e un quarto e gli ha fatto promettere di preparare la pellicola per l'ora di pranzo oggi. Ha un proiettore sopra il negozio e il maggiore Crow dice che ci si può fidare di lui. Dobbiamo trovarci là all'una. Signore!» disse Elliot con violenza, scuotendo il pugno «potrebbe risolvere i nostri problemi; la storia di quanto è successo, in bianco e nero, non può mentire su ciò che vogliamo sapere! Sembra troppo bello per essere vero. E se qualcosa non è andato bene nel film, se lo sviluppo ha agito male, supponete...» Elliot non sapeva che entro un'ora avrebbe avuto uno dei più grandi shock della sua vita. Mentre il dottor Fell si vestiva, mentre andavano alla vicina Sudbury Cross sotto un cielo che si schiariva, mentre si fermavano nella grigia High Street fuori dalla farmacia del signor Hobart Stevenson, Elliot si continuava a lambiccare da ogni parte, meno che da quella giusta. Il dottor Fell, con l'aria del bandito col mantello e il cappello a tesa larga, lo rassicurava con la sua voce tonante dal sedile posteriore; la paura maggiore di Elliot era che il farmacista avesse sbagliato lo sviluppo e se ne era quasi convinto. Il negozio del signor Hobart Stevenson, a metà della poco allegra High Street, aveva un aspetto nettamente fotografico, poiché le sue vetrine mettevano in mostra piramidi di astucci gialli di pellicola; una macchina oc-
chieggiava fra le pozioni per la tosse e dietro ad essa vi era un manifesto con ingrandimenti di assurde fotografie estatiche. Da qui si potevano vedere nell'High Street le vetrine del negozio della signora Terry, un garage e una stazione di rifornimento, una lunga serie di botteghe che esponevano solo cibarie, parecchi bar e la fontana del Giubileo in mezzo alla strada: questa sembrava deserta nonostante il traffico ininterrotto dei veicoli e le figure che facevano capolino dalle vetrine. Elliot comunque si rese conto di essere spiato. Il sonaglio sopra la porta tintinnò acutamente mentre entravano; il negozio di Hobart Stevenson era scuro, pieno di quel vago odore di medicinali che riportava la memoria di Elliot ad un luogo simile; ma era pulito e curato, dal diploma lucente incorniciato sul muro fino ai pesi della bilancia pesapersone vicina al banco. Hobart Stevenson, un giovanotto grassoccio con una candida giacca bianca, gli si fece incontro. «L'ispettore Elliot?» chiese. «Questo è il dottor Gideon Fell» Elliot lo presentò «ci spiace di avervi fatto alzare la notte scorsa.» «Non importa, non importa» rispose Stevenson, con franchezza. «Beh, avete il filmetto?» «Pronto per voi.» «Ma, va bene? Voglio dire, come è venuto?» «Non c'è male, proprio non c'è male» dichiarò Stevenson, parlando con soddisfazione dopo averci pensato un momento; da un fotografo dilettante, era una concessione notevole; si fregava le mani «un po' sottoesposto, ma non c'è male, no, non c'è male» poi non poté controllare del tutto la propria animazione. «Spero non vi importi, ispettore, ho proiettato una volta la pellicola di sopra, per esser sicuro che andasse bene, son pronto per voi appena arriva il maggiore. Se posso dirlo, avete senz'altro alcune cose notevoli là dentro: indizi, suppongo li chiamiate così.» È un dato di fatto che Elliot sentì i capelli rizzarglisi sulla nuca, ma parlò con indifferenza. «Oh, cosa per esempio?» «Indizi» ripeté Stevenson, con grandissimo rispetto e guardandosi attorno. «Per esempio, il secondo oggetto che il signor Chesney ha preso dal tavolo, fingendo di usarlo per scrivere...» «Sì?» «Come ho detto, spero non vi importi, ho dovuto andare a prendere una lente d'ingrandimento e metterla sullo schermo prima di essere del tutto si-
curo ed era così semplice che ho incominciato a ridere, e non ho ancora finito.» «Sì? Cos'era?» «Non potreste mai indovinarlo» «Non potreste mai indovinarlo» assicurò Stevenson, ma senza ridere «era una...» «Ssst!» ruggì il dottor Fell. Il tonante zittìo sovrastò lo squillare del sonaglio sopra la porta, mentre il professor Ingram faceva il suo ingresso. Non apparve sorpreso; al contrario, mostrava un'espressione di grande compiacimento: portava un berretto e un abito scuro di lana a quadretti, che non rendeva certamente elegante la sua figura già corpulenta, ma Elliot attribuì meno importanza alla sua occhiata diritta o al suo cortese gesto di saluto che all'atmosfera entrata con lui. Mentre stava sulla soglia, era come se tutto l'intenso spiare di Sudbury Cross, tutta l'attenzione concentrata su quel negozio, entrasse d'impeto con lui. Fuori il tempo si oscurava per l'avvicinarsi della pioggia. Il professor Ingram chiuse la porta. «Buon giorno, ispettore» disse «e questo, suppongo, è il dottor Fell?» (Il dottore rispose al saluto con una specie di cordiale ruggito e il professore sorrise.) «Ho sentito molto parlare di voi, per quanto non sia sicuro se ci siamo o no incontrati a una cena o a qualcosa di simile sei mesi fa. In ogni modo, ho sentito Chesney parlare di voi, vi ha scritto una lettera solo pochi giorni fa, no?» «Sì.» «Dunque» il professor Ingram prese un'aria indaffarata, volgendosi a Elliot «se ho dormito un po' di più stamattina, spero che nessuno vorrà farmene una colpa, sono appena arrivato da casa mia» sbuffò per mostrare che era senza fiato. «Mi sembra di avervi sentito ieri notte concordare la proiezione, ehm..., di un certo filmetto qui da Stevenson (buon giorno, signor Stevenson!). Non credo ci sia grande difficoltà nell'ammettermi alla cerimonia, no?» L'atmosfera cambiò ancora, Elliot era stupefatto. «Mi spiace, professore, credo che sia impossibile.» L'aria cordiale dell'altro divenne sconcertata. «Ma davvero, ispettore...?» «Mi spiace, non l'abbiamo ancora proiettato neanche noi, avrete probabilmente occasione di vederlo a suo tempo.» «Non pensate, ispettore, che sia un po' sleale?» chiese il professor In-
gram, con un leggerissimo mutamento nella voce. «Dopo tutto, vi siete rivolto a me come esperto e testimonio, vi ho aiutato come meglio potevo e, credo siate il primo ad ammetterlo, vi ho aiutato molto; sono naturalmente ansioso di vedere se avevo ragione.» «Mi spiace, professore.» Elliot si diresse verso il banco, urtando la bilancia e spostando i pesi. Un'occhiata a sinistra sorprese la sua immagine in uno specchio scuro sul muro e avrebbe reagito contro queste coincidenze se non si fosse reso conto di colpo che quasi tutti i farmacisti hanno uno specchio del genere per vedere se ci sono clienti quando sono nel retro; soprattutto però studiava il professor Ingram. «Beh, senza rancore» disse Ingram, di nuovo pieno di animazione «dovrò vincere la mia naturale curiosità, ecco tutto, anche se avete ferito la mia vanità» si fermò a considerare. «Sì, ecco, vanità. In ogni modo, se non vi fa niente, vorrei realmente comperare alcune cose e dopo prometto di andarmene. Signor Stevenson! Un pacchetto delle solite lamette da rasoio e una scatola di pastiglie per la gola, quelle piccole, sì, là sopra. Oh, e dovreste darmi...» Si avvicinò al banco e parlò con maggiore serietà: «Dovreste andare a Bellegarde, ci saranno i preparativi per il funerale dopo l'autopsia e ho sentito che Vickers viene da Bath nel pomeriggio o stasera a leggere il testamento. Inoltre, chissà se Wilbur Emmet è ancora fuori di sensi...» «Un momento» osservò il dottor Fell. Aveva parlato in modo così inaspettato che tutti sussultarono leggermente. «Avete una teoria?» chiese con interesse. «Ah!» esclamò il professor Ingram; si era chinato per indicare alcuni oggetti in una vetrinetta bassa, ma si alzò «se l'avessi, sarebbe il posto e il momento meno adatto per esporla, no?» «Eppure...» «Eppure, come dite! Ora, dottore, siete una persona intelligente, penso che posso fidarmi di voi» (Elliot si sentì di colpo ignorato come se fosse la figura di cartone a grandezza naturale di una giovane donna che raccomandava un sapone, ritta vicino a lui). «Ho detto all'ispettore la notte scorsa, ho detto loro parecchie volte, che non affrontavano quest'affare dal punto di vista giusto e che non prendevano in considerazione il solo elemento di qualche importanza, voglio dire, naturalmente, il movente» era
diventato rosso. «Non c'è bisogno di discuterne ora, ma voglio dire una cosa: avete mai sentito parlare di un movente d'assassinio, uno dei più conosciuti dallo psicologo criminalista, che si potrebbe definire all'ingrosso mania di grandezza?» «Oh, per Giove» disse il dottor Fell. «Scusate?» «No, scusate voi» disse il dottor Fell sinceramente e sentendosi un po' colpevole «è solo che non me l'aspettavo così presto.» «Non siete d'accordo? Ditemi? Credete che l'avvelenamento del negozio della signora Terry e quello della notte scorsa siano stati compiuti da persone diverse?» Il dottor Fell si agitò: «No, anzi, quasi certamente dalla stessa persona». «Beh, allora, dov'è un altro possibile legame? Dov'è un altro possibile movente?» Il registratore di cassa squillò e il professor Ingram, ricevendo un pacchetto fra le mani, si voltò un momento a guardare come se gli venisse un pensiero nuovo: «Posso solo ripetere: è il solo motivo che giustifichi entrambi i delitti. L'assassino non ha ricavato niente dall'uccisione del povero Frankie Dale e dal semiavvelenamento dei bambini Anderson, né dall'assassinio di Marcus Chesney; voglio dire, materialmente. Marjorie e Joe Chesney erediteranno una grande sostanza, come sappiamo tutti, ma l'assassino» qui aprì gli occhi «niente. Beh, non è il caso che io stia qui a parlare e a distrarvi dal vostro lavoro. Buon giorno, dottor Fell, buon giorno, Stevenson, buon giorno». Non chiuse completamente la porta uscendo e vi fu un lieve tintinnare di vetri mentre un camion passava rombando. Il dottor Fell fischiava "Auprès de ma blonde" ed Elliot, che conosceva i sintomi, esitò. Poi il dottore, alzando il bastone e puntandolo alla porta disse: «Vi assicuro che non mi piace sospettare fuori luogo, ma quel signore ha un alibi?». «Un alibi di ferro, questo è il male, e gli alibi non esistono nella possibilità che qualcuno, giocando con le coincidenze dei treni o l'automobile, abbia fatto un prestigioso spostamento da un posto a un altro; tutti, salvo uno, riguardano persone viste e identificate da altre persone. E in un caso l'alibi è provato da un orologio di campanile che non può essere alterato. Per quanto riguarda...» Elliot si riprese, rendendosi conto improvvisamente che stava parlando davanti a un estraneo nella persona di Hobart Stevenson; poteva anche giu-
rare che a un certo punto, mentre egli parlava, era apparso un lampo di onesto compiacimento sul viso del farmacista il quale ora, di nuovo solenne e professionale, cercava di dimenticare un grave segreto. Così Elliot parlò brevemente: «Stavate dicendo un momento fa, signor Stevenson...». «Per conto mio, ispettore, sarebbe meglio vedeste voi stesso, se credete...» «Ehi!» disse il dottor Fell. Il dottore era andato nel laboratorio dietro il banco e Stevenson, evidentemente affascinato dal suo enorme visitatore, l'aveva seguito. Il dottor Fell si guardava intorno con interesse. «Come state a veleni qui?» domandò, come un uomo che si interessi della fognatura. «Il solito, signore.» «Avete acido prussico e cianuro di potassio?» Per la prima volta Stevenson apparve leggermente nervoso, si lisciava i capelli con entrambe le mani, si schiariva la voce, preparandosi a prendere un aspetto professionale: «No, non acido prussico; uno o due preparati di cianuro di potassio, ma, come dicevo al signor Bostwick stamattina...» «Ne vendete molto?» «Neanche un po' da diciotto mesi in qua e... penso che non ci sia niente di male a dirvelo» guardò esitante Elliot, che li aveva raggiunti nel passaggio stretto e polveroso fra le bottiglie «come ho detto, stavo rispondendo alle domande del sovrintendente stamattina e se pensate, anche fra voi, se pensate che chiunque a Bellegarde abbia mai comperato KCN in qualsiasi posto, da qualsiasi persona, da usare sugli alberi da frutta, beh, servirebbe a poco. Con la temperatura in quelle serre fra i 50 e gli 80 gradi Fahrenheit tutto l'anno, sarebbe puro e semplice suicidio spruzzare KCN all'interno.» Era un aspetto della questione che non aveva colpito Elliot. «Posso mostrarvi il registro, se volete» aggiunse Stevenson. «No, no. Per dirvi la verità» dichiarò il dottor Fell «mi interesso parecchio di fotografie; sembra un negozio specializzato, questo» si guardò attorno «ditemi, vendete anche lampade da riflettore?» «Lampade da riflettore? Certo.» «Ditemi ora» chiese il dottor Fell «supponete che io avviti una di quelle lampade a una presa, la accenda e continui a tenerla accesa; quanto dura prima di bruciare?»
«Ma di solito non si fa: la si tiene accesa solo mentre...» «Sì, sì, lo so, ma supponete che io sia un bizzarro e lo faccia. Quanto durerebbe?» Il farmacista rifletteva: «Direi certamente più di un'ora, in ogni caso». «Ah, dunque. Nessuno di Bellegarde ha comperato una lampada da riflettore qui ieri mattina?» Stevenson sembrò perplesso. «Ieri mattina? Un momento che ci penso» (non aveva veramente bisogno di pensarci, si convinse Elliot). «Sì, la signorina Wills, è venuta qui verso le dieci di mattina a comperarne una ma, scusate, spero che non vorrete prender nota di tutto quello che dico. Non voglio dir niente su chiunque abiti a Bellegarde.» «La signorina Wills ne comperava di frequente?» «No, di tanto in tanto.» «Per sé?» «No, no, no. Per il signor Chesney; delle volte prendevano fotografie nelle serre; i peschi, sapete; campioni, manifesti e cose del genere. È stato lui a dirle di comperare quella lampada ieri.» Il dottor Fell si voltò a guardare Elliot: «Come avete riferito, ispettore, ha detto di aver comperato lei la lampada di ieri notte». Si rivolse di nuovo a Stevenson. «La signorina Wills allora si occupa personalmente di fotografia?» «No, no, no, non ha mai comperato niente del genere qui.» Andrew Elliot alzò gli occhi, ferito da un ricordo e, per la seconda volta, vide Marjorie Wills che lo guardava da uno specchio. Non avevano sentito nessun tintinnìo del sonaglio sulla porta, che stava ancora spalancata, cigolando un po'; non avevano sentito nessun scalpiccio di passi. Avevano solo udito, mentre Elliot alzava gli occhi e si trovava di fronte il viso della ragazza in uno specchio non più lontano di un metro e mezzo, la voce chiara e bassa del farmacista. Era come se la figura riflessa si fosse insinuata là da una scena lontana; aveva le labbra socchiuse e portava lo stesso morbido cappello grigio, e teneva una mano guantata alzata a mezzo, quasi ad indicare. Guardando diritto a lei nello specchio, Elliot si accorse che anche la ragazza ricordava chiaramente quel giorno. Marjorie sapeva. Ora si portava un dito alla bocca, come una bambina. E in quel momento si udì un improvviso scroscio di vetri dalla porta d'ingresso, un rumore di frantumi, un ultimo tintinnìo nel silenzio, mentre qualcuno le lanciava un sasso dalla strada.
XIII Elliot volteggiò sopra il banco e si precipitò alla porta; era istintivo per un funzionario di polizia come lui, ma lo fece anche perché non voleva incontrare gli occhi di Marjorie. Spalancò la porta, coi piedi sul vetro rotto, irritato dalla perfidia di quella pietra; spiò intorno dall'intelaiatura vuota, poi avanzò a guardare su e giù nella strada. La strada era deserta, la sola persona in vista, troppo lontana per aver gettato la pietra, era un garzone su una bicicletta, che se la svignava pedalando e guardandosi intorno. L'High Street stava tranquilla e pacifica nei suoi affari. Calma, ora. Anche col sangue alla testa, sentì l'aria fresca e si riprese; non doveva far passi falsi, non doveva comportarsi come un matto, altrimenti si sarebbe solo fatto prendere in giro e quelli avrebbero avuto occasione di ridere, oltre che di tirar sassi. Avrebbe dovuto gridare dietro al ragazzo? O trascinar fuori dal negozio l'ortolano di fronte? No, meglio di no, per il momento. Quando siete in dubbio, temporeggiate e lasciate che gli altri si domandino cosa state per fare: li inquieta più di qualsiasi altra cosa; ma per la prima volta si rese conto del muto malanimo esistente attorno alla signorina Wills. Per circa venti secondi Elliot rimase a guardare con calma su e giù per la strada. Poi tornò nel negozio. Marjorie Wills stava appoggiata al banco con le mani sugli occhi. «Ma perché?» disse quasi piangendo «io... non ho fatto niente.» «Non possono rompere i miei vetri in quel modo» ripeté Stevenson, piuttosto pallido. «Neanch'io ho fatto niente, non possono rompere i miei vetri in quel modo. Non avete intenzione di fare qualcosa ispettore?» «Sì» dichiarò Elliot: «ma ora...». Stevenson esitava, confuso fra parecchie idee. «Ehm... volete sedervi, signorina Wills? Una sedia? Nel retrobottega? O di sopra?» dimenticò la sua cautela. «Non credevo che si fosse a questo punto, non è molto prudente per voi andare in giro di nuovo...» Era troppo per Elliot. «Oh, non è prudente?» disse. «Ma dove siamo? In Inghilterra? O in Germania? Cosa siamo? Un manipolo di non ariani assediati in una for-
tezza? Ditemi solo dove volete andare e se qualcuno osa solo guardarvi male, lo sbatto dentro prima ancora che possiate pronunciare il nome del dottor Nemo.» Marjorie lo guardava, aveva voltato di colpo la testa e certe cose erano chiare come se fossero stampate sulle innumerevoli scatole di cartone contenute nel negozio: non per ciò che Elliot aveva detto, ma per l'atmosfera provocata dalle emozioni in modo tanto sensibile quanto un corpo che emette calore. Di nuovo egli sentiva intensamente la presenza di lei, di ogni particolare del suo viso dalla linea degli occhi ai capelli neri spazzolati indietro sulle tempie. «Calma» disse il dottor Fell e la sua voce pacata riportò la normalità. «Dopo tutto» continuò «non penso che le cose siano così gravi. La signorina Wills vuole sedersi? Ma senz'altro! Vuole andare in qualsiasi posto? Ma senz'altro! Perché no, eh? Siete venuta qui per qualche ragione, signorina?» La ragazza stava guardando Elliot con gli occhi fissi ed ora si era alzata. «Sapone, dentifricio, sali da bagno... «Oh! Sono... sono venuta a chiamare l'ispettore» non lo guardava ora «il maggiore Crow lo vuole a Bellegarde. Subito. Non l'hanno potuto trovare e lo cercano fin dalle undici, nessuno sapeva dove fosse. Abbiamo cercato di chiamare Stevenson al telefono perché il maggiore Crow vi aveva detto che... lui doveva essere qui all'una, ma nessuno ha risposto e ho pensato che mi avrebbe fatto bene venire in macchina a Sudbury Cross; è fuori, se non hanno tagliato i pneumatici.» «Il maggiore Crow? Perché a Bellegarde? Doveva venire qui all'una.» «Volete dire che non sapete? Nessuno ve l'ha detto?» «Detto che cosa?» «Wilbur è morto» disse Marjorie. Il dottor Fell portò la mano al cappellaccio e se lo calcò ancora più in avanti sugli occhi. «Mi spiace» borbottò; «il colpo è stato fatale allora?» «No» disse Marjorie «lo zio Joe dice che qualcuno è entrato nella stanza durante la notte con ago ipodermico e acido prussico e gliel'ha iniettato nel braccio; è morto nel sonno.» Ci fu un silenzio. Il dottor Fell si districò da dietro il laboratorio, mosse verso la porta rimanendovi a testa bassa; poi prese un grande fazzoletto rosso a scacchi, soffiandosi il naso rumorosamente.
«Dovete scusarmi» disse «ho già incontrato le potenze dell'inferno, ma non hanno mai agito con tanta amorevole diligenza. Come è successo?» «Non lo so, nessuno lo sa» Marjorie cercava evidentemente di dominarsi. «Siamo andati a letto tardi e non ci siamo alzati fin verso le undici di stamane. Lo zio... lo zio Joe ha detto che non era necessario vegliare Wilbur e questa mattina Pamela è andata nella stanza e l'ha... l'ha trovato morto.» Alzò le mani dalla gonna e quindi le lasciò ricadere. «Capisco. Signor Stevenson!» «Dottore?» «Il vostro telefono funziona?» «A quanto ne so, sì» rispose l'altro, preoccupato «sono stato qui tutta la mattina e non capisco.» «Bene» il dottor Fell si rivolse a Elliot «ora vorrei suggerirvi una cosa: telefonate a Bellegarde e dite al maggiore Crow che, invece di andare voi a Bellegarde, è lui che deve venir qui subito...» «Un momento! Non posso, dottore» protestò Elliot «il maggiore Crow è il commissario di polizia. Bostwick...» «Io posso farlo» disse il dottor Fell con calma. «Per combinazione conosco Crow molto bene, fin dal caso dell'Otto di Spade. Infatti, per dirvi tutta la verità» qui la sua faccia rossa divenne ancor più imponente «egli stesso mi ha chiesto di interessarmi dell'affare Terry quando di assassini ce n'era ancora uno solo. Ho rifiutato; ho rifiutato perché allora avevo una sola spiegazione, ma così stramba e balorda che non l'ho neanche avanzata; ora, per Giove, incomincio a vedere che non era tanto stramba, era solo ovvia e per questo, credo, ho avuto subito la spiegazione pronta per voi stamattina.» Scosse il pugno in modo violento. «E siccome ho voluto fare la modesta violetta, due altre persone sono morte; voglio che stiate qui, voglio che Crow venga qui, voglio vedere il film ora, più di qualsiasi altra cosa; voglio indicarvi, in freddo bianco e nero sullo schermo, solo ciò che penso sia successo. Allora vado al telefono a impartire ordini come un bucaniere ma, mentre sto telefonando» qui cessò di tuonare, guardando fermamente Elliot «vi suggerisco di chiedere alla signorina Wills cosa è successo in un altro negozio di farmacista.» Marjorie si irrigidì. Elliot fece finta di niente e si rivolse a Stevenson. «Vivete qui sopra il negozio? Avete una stanza da prestarmi per alcuni minuti?»
«Sì, certo, è quella dove voglio proiettarvi il film.» «Grazie; per favore, potete indicarmela? Signorina Wills, vi spiace passare per prima?» Marjorie non fece alcun commento e Stevenson li portò di sopra in un salotto comodo e dall'aria antiquata che guardava sulla strada. Porte doppie (di nuovo) comunicavano probabilmente con la stanza da letto; erano aperte, ma nello spazio libero era stato attaccato un lenzuolo con puntine da disegno, per formare uno schermo da proiezione. Le pesanti tende erano sollevate a metà e nel caminetto scoppiettava un allegro fuoco. Sul tavolo c'era un grande proiettore, pronto. Sempre senza far commenti, Marjorie si accomodò sul divano; Elliot soffriva ora una brutta reazione poiché la sua coscienza lavorava di nuovo. La ragazza si guardò intorno nella stanza illuminata dal fuoco, come per accertarsi che erano soli, quindi, accennando, disse freddamente: «Vi ho detto che vi avevo già incontrato.» «Sì» ammise Elliot, sedendosi vicino alla tavola e prendendo il taccuino, che stese con grande decisione. «Per essere esatti, giovedì scorso, Mason & Figlio, farmacisti, 16 Crown Road, dove avete tentato di comperare il cianuro di potassio.» «Eppure non l'avete mai detto a nessuno.» «Chi ve lo fa credere, signorina Wills? Perché pensate che io sia stato mandato qui?» Era una cattiveria, e l'aveva pronunciata deliberatamente, aggiungendo un altro peso alla sua coscienza; si chiedeva fino a che punto si era tradito e quando lei se n'era accorta; se avrebbe cercato di sfruttare la situazione, come sembrava fare con repentina intuizione; e non poteva sopportare nessuna di queste idee. Se aveva sperato in un effetto, non fu deluso perché il colore aveva lasciato il viso della ragazza e i suoi occhi, spalancati e fissi su lui, ora battevano. «Oh, così siete venuto ad arrestarmi?» «Questo bisogna vederlo.» «È un delitto cercare di comperare del cianuro, anche se non ci riuscite?» Elliot prese il taccuino e lo lasciò cadere sul tavolo. «Sinceramente, signorina Wills, e detto fra noi: che vantaggio avete a parlare così? Cosa si può pensare?» La ragazza era straordinariamente acuta ed Elliot ne ammirava l'in-
telligenza anche quando la malediceva; stava tuttora osservando, in attesa, chiedendosi che cosa poteva fare di lui; immediatamente aveva percepito il tono disperato che egli non aveva potuto fare a meno di mettere nell'ultima domanda: il suo respiro divenne meno affannoso. «Se vi dico la verità, ispettore; se vi dico con assoluta sincerità perché volevo il veleno, mi credete?» «Se mi dite la verità, sì.» «No, non è questo il punto, non si tratta di questo. Se vi dico onèstamente la verità, mi promettete, badate, mi promettete di non dirla a nessun altro?» (Questo, egli pensò, era schietto.) «Mi spiace, signorina, non credo di poter fare nessuna promessa del genere; se riguarda le nostre indagini...» «No.» «Beh, allora; cosa volevate fare col cianuro?» «Volevo uccidermi» disse Marjorie con calma. Ci fu una breve pausa, mentre il fuoco scoppiettava. «Ma perché?» «Se sapeste» respirò profondamente. «Perché stavo così male all'idea di essere di nuovo a casa: ora ve l'ho detto, l'ho detto a qualcuno.» Lo guardava curiosamente, come se si chiedesse perché gli aveva raccontato tutto. Senza accorgersene, Elliot era scivolato dall'attitudine di un poliziotto che fa domande ufficiali a qualcosa di diverso. «Sì, ma allora? Che ragione c'era di volersi uccidere?» «Provate a essere esposto a quello che ho sopportato io, qui. Avvelenare la gente, avvelenarli così, aspettare di essere arrestata ogni minuto e cavarsela solo perché non ci sono prove sufficienti. Poi provate ad andare via in una splendida crociera nel Mediterraneo, ciò che non avete mai avuto in vita vostra anche se avete uno zio milionario, provate a tornare a casa di nuovo, a quello che avete lasciato. Provate! Provate! E vedrete cosa si sente.» Si stringeva le mani. «Oh, ora l'ho superato, ma l'unico mio sentimento, al momento di scendere dalla nave, era semplicemente di non poter andare avanti in quel modo; non smettevo di pensarci. Altrimenti avrei potuto congegnare una storia plausibile per non mettermi a balbettare confusa e lasciarmi prendere dal panico quando il farmacista ha incominciato a far domande: ci ho pensato poi. Ma in quel momento potevo solo ricordare di aver sentito dire che
il cianuro di potassio agisce in modo così rapido e senza dolori: basta assaggiarlo e si muore. Così ho pensato che nell'East End di Londra non mi avrebbero riconosciuta né ricordata. È stato il tornare lungo il fiume, credo, il veder le case e il resto che ha provocato tutto.» Elliot depose la matita e chiese: «E il vostro fidanzato?» «Il mio fidanzato?» «Volevate comperare veleno e uccidervi quando stavate tornando a casa per sposarvi?» La ragazza fece un gesto disperato. «Vi ho detto che è stato un momento, ve l'ho detto! E poi, c'era un'altra cosa, era stato così meraviglioso prima che tutta questa faccenda avesse inizio e speravo che le cose cambiassero, andassero bene per me. Quando ho incontrato George a Londra...» Elliot disse: «Quando l'avete incontrato a Londra?» «Oh, maledizione» mormorò Marjorie, mettendosi una mano sulla bocca, e rimase a guardarlo; poi un'espressione di stanchezza e cinismo le si manifestò in viso. «Non importa, perché non dovreste saperlo? Mi farà bene, certo, raccontarlo a qualcuno. «Sono secoli che conosco George, l'ho incontrato a un ricevimento a Londra, in una delle rare occasioni in cui lo zio Marcus mi lasciava andare da sola, e mi sono innamorata di lui in modo terribile; andavo in città di nascosto per trovarlo; oh, non abbiamo fatto niente, penso di non averne il coraggio, è il mio carattere.» Guardava il pavimento. «Ma abbiamo pensato che non era prudente ancora presentare George allo zio Marcus. Prima di tutto, lo zio Marcus non ha mai, mai incoraggiato la gente, cioè gente che venisse a trovarmi; sono una bravissima donna di casa ed era molto più conveniente trattenermi, capite cosa dico» arrossì; «inoltre George conosceva bene lo zio Marcus: ci sarebbe stato un brutto pasticcio se fosse venuto a sapere cosa avevamo combinato a sua insaputa. Immaginate?» «Sì.» «Era meglio far finta di incontrarci per caso, meglio all'estero e, oltre a tutto, George diceva di aver bisogno di una vacanza; naturalmente non ha molti soldi, specialmente per un viaggio come quello, ma io avevo duecento sterline lasciatemi da mia madre; me ne sono liberata, così George ha
potuto fare il viaggio.» (Porco, disse Elliot fra sé, maledetto porco, sa il fatto suo quel porco.) Marjorie aprì gli occhi. «Non è vero» esclamò «sa il fatto suo, ma non è l'altra cosa, è l'uomo più brillante che io abbia mai incontrato, sicuro di sé ed è proprio quello che mi piace in lui, sicuro di...» «Scusate» stava dicendo Elliot, quando si fermò con la chiara sensazione di avvertire qualcosa fuori dall'ordinario. "Porco, maledetto porco, sa il fatto suo quel porco", non l'aveva detto ad alta voce, aveva solo visto le parole come su una telescrivente, ma non le aveva pronunciate. La ragazza doveva essere intelligente, salvo che nei riguardi di George Harding, ma che leggesse il pensiero era assurdo. Marjorie sembrava non essersene accorta. «Come speravo» disse, con una specie di violenza «che George ripagasse lo zio Marcus della stessa moneta! Oh, volevo che facesse buona impressione su lui, naturalmente, ma quell'umile scodinzolare era troppo. C'è stato un giorno a Pompei in cui lo zio ha deciso di esporre tutta la faccenda, come niente fosse, e anche di fronte al professor Ingram e a Wilbur, proprio in un posto pubblico dove chiunque poteva capitare. Ha impartito ordini a George su tutto quello che doveva accadere per il futuro, e George a dire di sì come un agnellino. Ora mi chiedete perché ero depressa e stanca al punto che avrei urlato, quando sono scesa dalla nave! Niente sarebbe cambiato, la vita continuava esattamente come prima; ovunque ci sarebbe stato solo lo zio Marcus, lo zio Marcus, lo zio Marcus.» Elliot si alzò. «Vostro zio non vi piaceva?» «Certo che mi piaceva, gli volevo bene, ma non è questo. Mi capite?» «Ehm... sì, penso di sì.» «A modo suo si comportava benissimo, ha fatto tutto per me e ha derogato perfino dai suoi principi per offrirmi quelle splendide vacanze quando ne avevo bisogno, ma se l'aveste solo sentito parlare per cinque minuti! E poi quelle eterne, continue discussioni con il professor Ingram sui delitti, anche quando ce n'era uno vero e proprio fra noi, e il suo manoscritto "criminologico"...» Elliot prese di nuovo la matita. «Manoscritto criminologico?» «Sì, stava sempre speculando su qualcosa di erudito, ma soprattutto connesso con la mente umana, e perciò era così intimo del professor Ingram.
Aveva l'abitudine di dire: "Dunque, sostenete che uno psicologo non solamente teorico potrebbe essere il più grande criminale del mondo; perché non essere un pioniere per amor della scienza? Commettete un delitto puramente disinteressato e provate la vostra teoria". Brr!» «Capisco, e cosa rispondeva il professor Ingram?» «Diceva "No, grazie". Diceva che non avrebbe commesso un delitto se non avesse avuto un alibi perfetto...» (Elliot aveva già sentito prima qualcosa del genere.) «...e che, per quanto potesse considerarsi anche uno psicologo non solamente teorico, rimaneva impossibile per un uomo essere contemporaneamente in due posti» Marjorie incrociò le ginocchia, appoggiando la schiena al divano. «Quello che mi metteva i brividi era di vederli sempre così freddi e calmi; perché, vedete, il fatto si è avverato e cose orribili stanno accadendo senza che si possa sapere come e perché e chi. E ora Wilbur è morto, Wilbur che non ha mai fatto il minimo male a nessuno, come Frankie Dale o i bambini Anderson o lo stesso zio Marcus. Io non ne posso più, spe... specialmente quando incominciano a buttare pietre dietro a me e solo il cielo sa cosa ancora può succedermi; o essere linciata, o bruciata o non so cosa. Aiutatemi, per favore, aiutatemi!» Si fermò. La sua voce aveva preso un'intonazione così morbida e viva, una tale forza di richiamo, che Elliot stava per dimenticare la sua calma ufficiale. Marjorie era piegata in avanti, con le mani giunte e stese come a chiedere di essere aiutata ad alzarsi dal divano e i suoi occhi non l'avevano mai lasciato. In quel momento sentirono fuori dalla porta chiusa un rumore continuo come di un elefante che battesse il terreno e barriti di richiamo; dopo di che si udì un colpo pesante e il dottor Fell, entrando di traverso, si voltò e diede loro un'occhiata. «Non vorrei interrompervi» disse «ma penso sia meglio rimandare l'interrogatorio a più tardi. Crow e Bostwick stanno venendo di sopra ed è meglio che andiate, signorina Wills. Il signor Stevenson sta chiudendo il negozio, ma il suo aiutante vi condurrà a casa in automobile. Allora...» Incollò gli occhi sul proiettore cinematografico. XIV Il maggiore Crow e il sovrintendente Bostwick cedettero il passo a Marjorie, ma il maggiore non parlò fino a che la porta non si chiuse. Aveva ri-
preso tono. «Buongiorno, ispettore» disse educatamente «o, piuttosto, buon pomeriggio; non siamo stati capaci di trovarvi stamattina.» «Scusate, signore.» «Non ha nessuna importanza» disse l'altro, sempre educatamente «volevo dirvi che c'era la piccola questione di un altro morto da considerare...» «Ho detto che mi spiace, maggiore.» «Poiché siete andato dal mio amico Fell, non ho alcuna obiezione; avete avuto più fortuna di me. Ho cercato di interessarlo all'affare lo scorso giugno, ma non era abbastanza sensazionale per lui, sembra. Nessuna stanza chiusa ermeticamente, nessun elemento sovrannaturale, nessun fatto divertente al Royal Scarlet Hotel; solo un brutale assassinio con la stricnina e parecchi tentativi. Ma ora abbiamo un bel caso e altre due vittime, una delle quali, ispettore, forse potevate darvi la pena di esaminare...» Elliot prese il suo taccuino. «Vi ho detto due volte che mi spiace» rispose lentamente «mi pare non ci sia bisogno di ripeterlo ancora e per di più, se volete la verità, non ammetto di aver trascurato niente. Intanto, non ci sono poliziotti a Sudbury Cross?» Bostwick, che aveva preso pipa e borsa da tabacco, si fermò nell'atto di svitare la cannuccia. «Ci sono» rispose «e perché volete saperlo ora?» «Solo perché non ne ho visti nemmeno uno. Qualcuno ha rotto il vetro della porta d'ingresso da basso con una pietra, facendo un rumore che si è sentito fino a Bath, ma non ne ho visto nessuno.» «Per le mie scarpe» sbottò Bostwick, soffiando di colpo nella cannuccia della pipa e poi guardando di nuovo; era un'illusione ottica, ma sembrava di vedergli la faccia crescere in modo impressionante «cosa intendete dire?» «Quello che ho detto.» «Se volete dire» riprese Bostwick «che penso di essere in grado molto presto di arrestare una certa signorina di cui non occorre fare il nome, ebbene, sì, lo penso.» «Ehi!» ruggì il dottor Fell. Era un'esclamazione che fece tremare le intelaiature delle finestre, facendo voltare tutti i presenti. «È ora di smetterla» disse il dottor Fell incollerito «state prendendovela per niente, e lo sapete; se c'è qualcuno da biasimare, sono io: la vera ragio-
ne di tutte queste storie (e sapete anche questo) è che ognuno di voi ha un'idea definita, differente, preconcetta e ostinata circa il colpevole. Per tutti i diavoli, piantatela.» Il maggiore Crow vinse la tensione tossicchiando; era un suono tranquillo e familiare; tanto Elliot che Bostwick si misero a ridere. «Ha ragione lui» ammise il maggiore Crow. «Scusate, ispettore, abbiamo i nervi così tesi che non vediamo chiaro, e dobbiamo vederci chiaro, dobbiamo.» Bostwick stese la borsa del tabacco ad Elliot. «Prendetene» invitò. «Grazie, non sto abbastanza attento se fumo.» «Ed ora» disse il dottor Fell cupamente «ora che ci abbiamo scherzato sopra e un'atmosfera di calda intimità regna fra noi...» «Non ammetto di avere un'idea preconcetta» interruppe il maggiore Crow con dignità «non ne ho, so solo che ho ragione, quando ho visto il povero Emmet giacere là...» «Ah!» mormorò il sovrintendente, con un'inflessione così scettica e sinistra che Elliot ne fu sorpreso; si domandava in che direzione andassero orientandosi questa volta. «...ma non c'è niente per andare avanti, ispettore, niente a cui attaccarsi. Ecco Emmet, morto. Qualcuno è entrato durante la notte e gli ha messo un ago ipodermico nel braccio, nessuno ha sentito o ammette di aver sentito niente di sospetto durante la notte: chiunque può essere responsabile, perfino un estraneo, perché a Bellegarde non chiudono mai le porte. Pochi le chiudono qui intorno di notte. Dico che perfino un estraneo potrebbe averlo fatto, anche se so quello che penso. Oh, e ho visto West, intanto, per il referto medico: Chesney è stato ucciso con acido prussico, circa sei centigrammi e mezzo, cioè non vi era traccia di altri ingredienti da far pensare che sia stato assassinato con preparati come cianuro di potassio o cianuro di mercurio. Questo è quanto sappiamo.» «No, non è tutto» disse il dottor Fell con soddisfazione «ecco il signor Stevenson. Ora, ragazzo mio, noi siamo pronti. Incominciamo.» Un certo disagio si manifestò nel gruppo silenzioso. Stevenson, conscio della sua importanza, si dava da fare perdendo tempo. Dopo essersi passato una mano sulla fronte, guardò il fuoco, andò alle finestre, studiò il lenzuolo appeso nello spazio fra le doppie porte, fece una minuziosa ispezione del tavolo e lo spinse indietro, fino quasi contro il muro di fronte allo schermo; poi lo spinse di nuovo avanti alcuni centimetri. Da una libreria tirò fuori dei volumi dell'Enciclopedia Britannica, met-
tendoli sul tavolo per fare una pedana più alta al proiettore. I quattro poliziotti stavano ora fumando la pipa e una nube di fumo andava formandosi nella stanza polverosa. «Non va» disse il maggiore Crow di colpo «c'è qualcosa che non va.» «Ma perché?» chiese Elliot. «Non so, maledizione. È troppo semplice, vedrete.» «Vi assicuro che è tutto a posto» disse Stevenson con la faccia sudata «son pronto in un momento.» Il silenzio si prolungava, rotto solo da misteriosi tintinnii nelle operazioni di Stevenson e dal rumore sordo nella High Street. Il farmacista tirò il divano da una parte, in modo da avere uno spazio continuo davanti allo schermo, dove accomodò anche delle sedie. Sul lenzuolo c'era una leggera piega ed egli cambiò la posizione di una puntina e la stese; finalmente, mentre un sospiro di sollievo veniva dagli spettatori, indietreggiò adagio verso le finestre. «Ora, signori» disse accomodando una tenda «pronti; sedetevi per favore, prima di fare buio.» Il dottor Fell si lasciò andare sul divano, Bostwick sedette sulla sponda vicino a lui, Elliot spostò una sedia verso lo schermo, ma di fianco. Si sentirono risuonare gli anelli, mentre due tende si univano. «Ora, signori...» «Ferma!» disse il maggiore Crow levandosi la pipa di bocca. «Oh, perbacco» tuonò il dottor Fell «cosa c'è ora?» «Non c'è bisogno di agitarsi» protestò l'altro, puntando la pipa «supponete, beh, supponete che tutto vada liscio.» «È quello che vogliamo vedere.» «Supponete che vada come speriamo, dovremmo accertare alcuni particolari, la vera altezza del dottor Nemo, per esempio: è leale scoprire le carte ora. Cos'è che vedremo? Chi era il dottor Nemo? Secondo voi, Bostwick?» Il sovrintendente Bostwick voltò una faccia da luna piena da sopra il dorso del divano, teneva la pipa in una mano che sembrava posata per aria sopra la sua testa. «Beh, maggiore, se me lo chiedete, non ho molti dubbi; troveremo che era il signor Wilbur Emmet.» «Emmet! Emmet? Ma Emmet è morto!» «Non era morto allora» precisò il sovrintendente. «Ma... non importa, allora. E secondo voi, Fell?»
«Signore» disse il dottor Fell con grande cortesia «il mio punto di vista è solo che vorrei mi si permettesse di averne uno; per alcuni particolari sono sicuro di quello che vedremo, per altri no, per altri ancora non darei un soldo, basta che in fin dei conti possiamo andare avanti colla proiezione.» «Si comincia» disse Stevenson. Chiuse le altre tende; ora il buio era rotto solo dal bagliore del fuoco e dal luccicare di brace nelle pipe. Stevenson si mosse, camminando cautamente per evitare il filo elettrico attaccato al proiettore, lo accese e dall'apparecchio vennero suoni e raggi di luce, che lo illuminarono come un alchimista su un crogiuolo; un fascio chiaro di luce, rivelando il fumo che riempiva la stanza, formò sullo schermo una macchia bianca di poco più di un metro quadrato. Dal fondo della stanza veniva una serie di rumori, di tintinnii e un click come di qualcosa che si apriva o si chiudeva. Il proiettore cominciò a emettere un ronzio che divenne presto un suono continuo: lo schermo si agitò, ondeggiò, e divenne completamente nero. Non c'era niente di rotto, perché il suono del proiettore si sentiva ancora, ma l'oscurità continuava, solo interrotta da un filo grigio; sembrava non finisse mai. Poi apparve un leggero spiraglio di luce, fino a diventare un bagliore, come se una fenditura verticale aprisse il centro dello schermo. Elliot sapeva cos'era: erano nella stanza da musica di fronte allo studio e Marcus Chesney stava aprendo le porte. Qualcuno tossì, l'immagine sobbalzò lievemente e quindi videro, come staccata da una zona nera, la parte posteriore dello studio a Bellegarde. Un'ombra si muoveva sul bordo di essa, evidentemente quella di un uomo che tornava al tavolo. Harding aveva ripreso il filmetto un po' troppo lontano a sinistra e non potevano vedere le finestre. La luce era vaga e piuttosto cattiva, malgrado i contrasti, ma si potevano nitidamente vedere il caminetto, il quadrante dell'orologio col pendolo che rifletteva dei raggi, lo schienale di una poltroncina, il largo piano del tavolo, la scatola di cioccolatini con il disegno che sembrava grigio e i due oggettini a forma di matita posati sulla cartella. Ci fu un movimento di luce e il viso di Marcus Chesney guardò dallo schermo. Marcus Chesney non aveva un aspetto piacevole; per la posizione delle lampade l'assenza di trucco, il mondo traballante creato dalla macchina da presa malsicura, sembrava già morto; aveva la faccia esangue, con le sopracciglia marcate e le occhiaie fonde, le guance si riempivano d'ombra ogni volta che voltava la testa, ma la sua espressione era di grande e pacata
calma. Si inchinava sullo schermo, muovendosi a suo agio... «Guardate l'orologio» qualcuno disse a voce molto alta da dietro le spalle di Elliot, superando il rumore del proiettore. «Guardate l'orologio! Che ore sono?» «Perdirindindina» si sentì la voce di Bostwick. La stanza si agitò, come se invece delle persone si fossero mossi i mobìli. «Che ore sono? Cosa dite?» «Avevano tutti torto» disse la voce di Bostwick «ecco; uno di loro ha detto mezzanotte, un altro circa mezzanotte e il professor Ingram un minuto a mezzanotte. Avevano tutti torto. È un minuto dopo mezzanotte.» «Ssst!» L'azione nel piccolo mondo sullo schermo continuava indisturbata; con grande decisione Marcus Chesney spostò la poltroncina e si sedette; prese la scatola di cioccolatini e la mise un po' più alla sua destra con una cura che il ballonzolare della pellicola faceva risaltar ancor più. Poi prese una matita piatta e finse di scrivere, mettendosi d'impegno; poi, premendo un po' le unghie sulla carta assorbente della cartella per una certa difficoltà nel raccoglierlo, prese un altro oggetto: lo vedevano bene, diritto contro la luce. La descrizione che il professor Ingram ne aveva fatto tornò in mente ad Elliot: qualcosa di simile a una penna, ma più stretta e piccola: una scheggia sottile, lunga meno di sette centimetri e mezzo, acuminata. Ed era la descrizione esatta. «Ho capito cos'era» disse il maggiore Crow. Si udì una sedia smossa e il maggiore Crow uscì svelto dal gruppo e andò a mettere la testa nel fascio di luce per vederci meglio; la sua ombra copriva metà dello schermo e una serie di fantastiche immagini di Marcus Chesney che scriveva ballavano sul dorso del suo impermeabile. «Fermate la macchina» gridò il maggiore Crow voltandosi; la sua voce si faceva più acuta. «So che cos'era» ripeté «è la lancetta dei minuti di un orologio.» «Cosa?» domandò Bostwick. «La lancetta dei minuti dell'orologio sul caminetto» riprese il maggiore, alzando un dito per spiegarsi meglio. «Abbiamo notato che quell'orologio aveva un quadrante di nove centimetri. Non la vedete? È la lancetta dei minuti, più lunga di quella delle ore. Prima della rappresentazione Chesney ha dovuto solo svitare il perno che tiene le lancette (abbiamo visto che è a
vite), staccare quella dei minuti e rimettere a posto il perno: rimaneva così solo una lancetta, quella corta delle ore, che indicava mezzanotte. «Cribbio, non ve ne accorgete ancora? C'era solo una lancetta all'orologio e tutti i testimoni hanno creduto che fossero due; vedevano solo la lancetta delle ore e la sua ombra nera e lunga proiettata sopra o di fianco ad essa sul quadrante bianco dalla luce brillante che splendeva in basso.» Puntava il dito, e sembrava combattere un desiderio di mettersi a ballare. «Questo spiega anche la differenza fra i testimoni, non vedete? Dipendeva dalla posizione da cui vedevano cadere l'ombra: il professor Ingram, seduto all'estrema destra, l'ha vista a mezzanotte meno un minuto; la signorina Wills, in centro, a mezzanotte giusta; questo filmetto, preso dall'estrema sinistra, la mostra a un minuto dopo mezzanotte. Dopo la rappresentazione, quando Chesney chiuse con cura le doppie porte, ha dovuto solo rimettere a posto la lancetta dei minuti, cinque secondi sono bastati. L'orologio ha mostrato di nuovo l'ora esatta, ma durante lo spettacolo Chesney ha avuto la faccia tosta colossale di sedere tenendo in mano una lancetta sotto i loro occhi: e nessuno se ne è accorto.» Ci fu un silenzio. Dal buio venne il rumore prodotto da Bostwick che si batteva una mano sulla coscia, e un grugnito di approvazione da parte del dottor Fell, mentre Stevenson borbottava cercando di districare la pellicola che si era ingarbugliata. Il maggiore Crow aggiunse con più calma, ma sempre pieno di orgoglio: «Non vi avevo detto che c'era qualcosa di sospetto in quell'orologio?» «È vero, maggiore» esclamò Bostwick. «È, questa, buona psicologia» ammise il dottor Fell, annuendo. «Sarei pronto a scommettere che sarebbero rimasti imbrogliati anche senza ombra: quando le lancette di un orologio sono sulla mezzanotte, se ne vede una sola, non ci si guarda mai due volte e l'abitudine ci inganna, ma il nostro buon Chesney è andato anche più in là e ha voluto ingannare tre persone in modo diverso. Ecco perché insisteva nel voler tenere lo spettacolo verso mezzanotte: l'ombra illusoria avrebbe sicuramente agito con le lancette in qualsiasi posizione ma, con la lancetta delle ore verticale sulle 12, era sicuro che tre differenti testimoni in tre differenti posizioni avrebbero visto tre ore diverse sull'orologio. E li avrebbe presi in fallo in non meno di due domande su dieci. Un momento, però! Il problema adesso è: qual era l'ora giusta?» «Ah» disse Bostwick. «La lancetta delle ore è verticale, no?»
«Sì» affermò il maggiore Crow. «Il che significa» sbottò il dottore «il che significa, se ricordo qualcosa di tutto il mio maneggiare di orologi, che la posizione della lancetta dei minuti avrebbe potuto essere indifferentemente da cinque minuti prima a cinque minuti dopo mezzanotte. La lancetta delle ore in quel periodo rimane più o meno verticale, secondo le dimensioni e il meccanismo dell'orologio: il tempo prima delle dodici non ci interessa; quello dopo sì, perché significa...» Il maggiore Crow si mise la pipa in tasca. «Il che significa» riprese «che l'alibi di Joe Chesney va in pezzi: tutto dipendeva dal fatto che avesse lasciato la casa di Emsworth a mezzanotte giusta, la stessa ora (pensavamo) in cui Nemo era nello studio di Bellegarde. Joe Chesney ha lasciato davvero gli Emsworth a mezzanotte, ma il dottor Nemo non è entrato nello studio per uccidere Chesney alle dodici. No, l'ora giusta era dopo la mezzanotte, probabilmente cinque o sei minuti dopo, e Joe Chesney ha potuto facilmente andare in macchina dagli Emsworth a Bellegarde in tre minuti. Come volevasi dimostrare. Qualcuno apra quelle tende, non ho niente contro Joe Chesney, ma sono portato a credere che è l'uomo che cerchiamo.» XV Fu Elliot a tirare le tende di una finestra, facendo entrare la grigia luce del giorno; il fascio che usciva dal proiettore ne risultò affievolito. Il maggiore Crow stava di fronte a un'immagine ancora fissa sul lenzuolo steso fra le porte, la sua eccitazione cresceva. «Ispettore» disse «non mi sono mai dilettato molto di analisi, ma è così semplice che non possiamo trascurare questo particolare. Non vi sembra? Il povero Marcus Chesney ha studiato il modo di farsi uccidere da un'altra persona...» «Così?» osservò il dottor Fell pensieroso. «Joe Chesney poteva sapere tutto sull'orologio e sull'ombra, no? O gironzolando a Bellegarde dopo cena: Marcus e Wilbur Emmet son stati nello studio, con le finestre aperte, per circa tre ore; oppure, il che sembra più plausibile, Marcus ed Emmet avevano progettato lo spettacolo da alcuni giorni e Joe può averlo inteso. «Sapeva che Marcus non avrebbe iniziato la rappresentazione fino a che la lancetta dell'orologio non fosse verticale. L'orologio non si poteva alte-
rare nel solito modo, Marcus non poteva cambiare la posizione delle lancette; e se Joe poteva procurarsi un alibi dagli Emsworth e tornare a Bellegarde, e Marcus sceglieva di dar spettacolo dopo mezzanotte piuttosto che prima, Joe Chesney era a posto. E, un momento! C'è un'altra cosa (per Giove, ci ho appena pensato) un'altra cosa che doveva fare senz'altro.» «E cioè?» chiese Elliot. «Doveva uccidere anche Wilbur Emmet» disse il maggiore «Emmet era al corrente del trucco coll'orologio e quante altre persone qui intorno pensate che sappiano usare un ago ipodermico?» studiò l'effetto prodotto dalle sue parole. «Signori, è la cosa più semplice che io abbia mai vista. L'ha studiata bene, chi poteva sospettarlo?» «Voi» disse il dottor Fell. «Come?» «Infatti, l'avete fatto» insistette il dottore. «È stato il primo a cui abbiate pensato; credo che nella vostra testa di galantuomo ci sia da tempo un profondo disprezzo per le maniere troppo volgari di Joe Chesney. Ma andiamo avanti.» «Cribbio, io non ho niente contro di lui!» protestò il maggiore Crow con voce piuttosto lamentosa, poi si riprese e si rivolse a Elliot: «Ispettore, il caso è vostro; dopo questa mattina non avrò più da occuparmene, ma è indubbio il fatto che abbiate alcuni solidi indizi. È noto che a Joe Chesney non piace lavorare come dovrebbe e che Marcus delle volte l'ha rimproverato e anche minacciato per questo e ciò, per quanto riguarda i motivi dell'arresto...». «Quali motivi?» interruppe il dottor Fell. «Non vi capisco.» «Ho detto quali motivi?» ripeté il dottor Fell. «Nella vostra intelligente e acuta ricostruzione sembrate aver dimenticato un fatto piccolo, ma forse di una certa importanza: non è stato Joseph Chesney a prendervi in giro coll'orologio, è stato suo fratello Marcus: avete confuso gli indizi.» «Sì, ma...» «E pertanto» riprese il dottor Fell insistendo «vi siete convinto, per un certo gioco mentale, che dovreste arrestare un uomo semplicemente perché avete smontato un alibi che un altro ha costruito per lui; non suggerite nemmeno che sia stato lui a montarlo, volete arrestarlo semplicemente perché non ha un alibi. Non voglio fare commenti sugli altri punti chiaramente deboli della vostra ipotesi; mi limito ad osservare che non potete farlo in questo momento.»
Il maggiore Crow era offeso. «Non ho detto affatto di arrestarlo, lo so che dobbiamo avere le prove, ma voi cosa suggerite?» «Che ne dite di continuare la proiezione, maggiore» suggerì Bostwick «e vedere cosa succede?» «Eh?» «Quel tale col cappello a cilindro, non l'abbiamo ancora visto.» «D'accordo» disse il dottor Fell con enfasi, quando tornò l'ordine e furono tirate ancora le tende. «Questa volta nessuno interrompa fino a quando il film non è finito. Va bene? Allora per favore state quieti e vediamo cosa succede. Avanti, signor Stevenson.» Di nuovo il ronzìo del proiettore riempì la stanza, riducendoli al silenzio, interrotto solo da colpi di tosse e fruscii. Ora, mentre Elliot guardava lo schermo, gli sembrava una cosa così ovvia, che si domandava come il ragionamento, unito alla vista, potesse essersi fatto tanto fuorviare: la lancetta più lunga dell'orologio era solo un'ombra, nient'altro, si vedeva chiaramente. Marcus Chesney, con la vera lancetta in mano, fingeva di scrivere conservando un'espressione che non rivelava niente. Poi la posò sulla cartella, sembrava udire qualcosa; si voltò un po' verso la sua destra; il suo viso grassoccio e ombreggiato era girato in modo che potevano vederlo ancora meglio. E nella scena entrò l'assassino. Il dottor Nemo, infatti, si voltò a sua volta adagio e li guardò. Era una figura fosca; il cappello alto appariva consumato e roso dalle tarme; l'impermeabile, di un grigio fangoso, aveva il bavero rialzato fino alle orecchie: un rigonfio scuro, che poteva essere il muso di un insetto o una sciarpa arrotolata, riempiva lo spazio fra di esse: gli occhiali neri li guardavano, opachi. La prima immagine che videro di lui era abbastanza completa, anche se presa da sinistra: stava in piedi entro la luce, ma in quel momento era troppo lontano, sul davanti, e la luce era troppo alta, così che calzoni e scarpe non risaltavano bene. Le dita della mano destra guantata, molli e disossate come quelle di un pupazzo, tenevano la borsa nera, col nome dipinto verso di loro. Poi si mosse con velocità sorprendente. Elliot, che se l'aspettava, vide quello che faceva; stava in parte colla schiena voltata quando guardò Marcus Chesney, con un movimento facile da seguire: avvicinandosi alla tavola, vi pose la borsa, proprio dietro alla
scatola di cioccolatini e subito, come cambiando idea, la prese di nuovo, posandola sopra la scatola stessa. Col primo movimento aveva liberato il duplicato sul ripiano servendosi del congegno a molla e col secondo, allo stesso modo, aveva nascosto l'originale nella borsa. «Allora, è così che le ha sostituite!» disse la voce del maggiore Crow. «Ssst!» ruggì il dottor Fell. Ma non c'era tempo di pensare, perché l'azione era finita troppo presto, quando Nemo girò intorno alla tavola fuori dal cerchio di luce, divenne una specie di macchia dall'aspetto sgradevole, come se fosse privo di esistenza e stesse smaterializzandosi. Poi videro assassinare un uomo. Nemo riapparve dall'altro lato della tavola. Marcus Chesney gli parlava senza alcun suono e la mano destra del figuro, che potevano vedere poiché stava ora in parte di fronte a loro, era in tasca; tirò fuori e il movimento sembrò tremolante per i sobbalzi della pellicola, ma stava togliendo qualcosa da un oggetto che sembrava una scatolina di cartone. Fino allora i suoi movimenti erano stati rapidi e precisi, ora diventavano carichi di una specie di perfidia: le dita della sua mano sinistra si strinsero leggermente intorno alla gola di Marcus Chesney, muovendosi gli sollevarono il mento. Perfino nell'ombra delle occhiaie si poteva vedere il luccicchìo attento degli occhi di Marcus Chesney. La mano destra di Nemo strisciò sulla bocca del suo prigioniero, vi spinse dentro una capsula e si ritrasse. Il sovrintendente Bostwick parlò nel buio. «Ah» disse «è qui che la ragazza ha gridato "No, no!".» Nemo sparì di nuovo. Girando attorno alla tavola, prese la borsa nera, ma questa volta andava indietro verso l'estremità della stanza, come per uscire. La luce faceva risaltare pienamente la sua figura fosca, mostrava i calzoni e le scarpe da sera e la distanza dal fondo dell'impermeabile al pavimento. In un'occhiata poterono giudicare la sua altezza quasi con la sicurezza di uno che stesse misurandolo. «Fermate il film» esclamò il maggiore. «Fermatelo in questo punto! Vedete...» Non occorreva fermarlo, stava per finire: con una serie di sbatacchiamenti che venivano dal proiettore lo schermo ondeggiò, divenne nero e poi tutto bianco. «Ecco tutto» disse Stevenson con la gola piuttosto secca.
Per un istante solo Stevenson si mosse; chiudendo la macchina e facendosi strada dietro di essa, aprì le tende. Apparve così una specie di quadro: il maggiore Crow era raggiante di soddisfazione, il sovrintendente Bostwick sorrideva in segreto alla sua pipa, ma sul viso del dottor Fell vi era una tale espressione di corrucciata costernazione che il maggiore scoppiò a ridere. «Qualcuno ha ricevuto un colpo, mi sembra» notò. «Ora, ispettore, mi rivolgo a voi. Quant'era alto il dottor Nemo?» «Almeno uno e ottanta, direi» ammise Elliot. «Naturalmente dovremo guardare la pellicola con una lente d'ingrandimento e prendere alcune misure: è giusto sulla stessa linea del caminetto, così dovrebbe essere facile. Ma sembrava uno e ottanta.» «Ah» dichiarò Bostwick «era proprio uno e ottanta; e avete notato il suo modo di camminare?» «E voi, cosa dite, Fell?» «Dico di no» ruggì l'altro. «Ma non credete ai vostri occhi?» «No» rispose l'altro «no di sicuro, no senz'altro. Pensate ai pasticci in cui ci siamo messi per aver creduto ai nostri occhi; stiamo muovendoci in una casa stregata, in una scatola magica, in una specie di treno fantasma. Quando penso a quel trabocchetto dell'orologio, mi sento pieno di reverente paura: l'orologio non si poteva alterare, ma era alterato. Se Chesney poteva avere un'idea ingegnosa come quella, ne poteva avere altre anche migliori. Non ci credo, per Giove, non ci credo.» «Ma c'è qualche ragione di supporre un altro trucco?» «Sì» affermò il dottor Fell «per me questo è il "problema della domanda non necessaria" e così abbiamo solo nuovi problemi più gravosi...» «Per esempio?» «Beh, osservate come si sono fatti imbrogliare i nostri esperti testimoni» ribatté il dottor Fell, tirando fuori il fazzolettone a scacchi e spiegandolo. «Quei tre hanno risposto alla domanda relativa alla statura del dottor Nemo. Marjorie Wills non è un testimonio eccezionale; Harding è un testimonio malsicuro mentre il dottor Ingram, da parte sua, è veramente un ottimo testimonio. Eppure, per la questione della statura, i primi due l'hanno imbroccata, mentre il professore si è sbagliato in pieno.» «Allora, perché insistete tanto che non era uno e ottanta?» «Non insisto, dico solo che c'è qualcosa di sospetto. Da molto tempo, da quando mi è stato parlato di questo caso, una domanda mi sta assillando e
tuttora ci penso più che mai. Perché il film non è stato distrutto? «Ripeto» continuò il dottor Fell, agitando il fazzoletto «perché il film non è stato distrutto dall'assassino? Dopo la morte di Chesney, quando hanno portato Emmet di sopra, l'intero piano terreno della casa è rimasto vuoto, c'erano tutte le occasioni di distruggerlo senza fatica; anche voi avete trovato la stanza da musica vuota quando siete arrivati. La macchina da presa era stata buttata sotto il coperchio di un grammofono: l'assassino aveva solo da aprirla e da esporre la pellicola alla luce e oplà. Non vorrete dirmi che l'assassino voleva che alla polizia rimanesse la sua immagine in azione da mettere sotto il microscopio. No, no, no.» «Ma Joe Chesney...» cominciò il maggiore Crow. «Benone: supponete che l'assassino sia Joe Chesney; che abbia ucciso Marcus, fidandosi della falsa lancetta per il suo alibi, proprio come dite voi; ma non può essere un pazzo completo. Se ha fatto la parte del dottor Nemo, sapeva che Harding era là a riprendere tutta la scena, avrebbe dovuto sapere che un esame di quel filmetto avrebbe immediatamente rivelato la mancanza della lancetta dei minuti, il trucco nell'orologio, scombussolando tutta la sua costruzione, come è successo. Poi, a che ora vi ha telefonato da Bellegarde?» «A mezzanotte e venti.» «Sì. E a che ora siete arrivati a Bellegarde?» «Circa cinque minuti dopo.» «Sì, esatto. Così, chiamando voi, era da basso, a tre passi dalla porta della stanza da musica, mentre gli altri erano di sopra. Perché in due secondi non è entrato per distruggere la prova che potrebbe farlo impiccare?» Il maggiore Crow era diventato piuttosto rosso. «Vi ha preso in trappola, maggiore» osservò Bostwick seccamente. «Che diavolo volete dire, mi ha preso in trappola?» disse il maggiore Crow rigido. «Non so, forse non ha trovato la macchina.» «Ohibò» esclamò il dottor Fell. «Visto che vi sentite così superiore» proseguì il maggiore Crow «forse potete aiutarci. Come spiegate che l'assassino non ha distrutto il film?» «Secondo me un assassino non era in grado di farlo e l'altro non voleva.» «Cosa? Due assassini?» «Sì, maggiore: il signor Emmet e la signorina Wills.» Bostwick esaminava attentamente la pipa, con un'espressione scura e riflessiva sul volto; parlava a fatica. «Finora non ho detto molto su quest'affare, ma non ho fatto che pensarci,
in un modo o nell'altro. E se volete sapere cosa penso, ve lo dico subito, e posso anche darvi qualche prova. «Dunque, quel tipo sulla scena» indicò lo schermo «era il signor Emmet, senza alcun dubbio. Guardate l'altezza, guardate come cammina. Domandate a chiunque qui intorno, mostrando loro la pellicola; domandate loro chi è l'unico uomo che cammini in quel modo e vi diranno: il signor Emmet. «Non ho mai creduto alla storia di qualcuno che colpisce il signor Emmet e prende il suo posto. No, ed è sicuro. La signorina Wills ce l'ha fatta bere prima che sapessimo di che si trattava: è troppo simile a un film anche quella. Gran Dio» si alzò «perché cacciarsi in tutti quei pasticci e travestimenti quando aveva solo da mettere una punta di cianuro nel tè del vecchio in un giorno qualsiasi? Supponete che il costume cadesse. Che cadesse il cappello o la sciarpa si snodasse. Non è successo, ma sarebbe potuto accadere. Supponete che il signor Chesney lo afferrasse, e anche questo avrebbe potuto farlo. No, signore. Ed è come dice il dottor Fell. Chiunque abbia ucciso quel vecchio, non avrebbe voluto che ci rimanesse un film del fatto; così, perché non se ne è liberato? «Non ho chiuso occhio in tutta la notte pensandoci e improvvisamente mi son detto: "Perbacco (si picchiava un ginocchio), perbacco, dov'è l'altra capsula?".» Elliot lo guardò. «L'altra capsula?» chiese, mentre Bostwick gli restituiva un'occhiata ferma. «Ah. L'altra capsula. Noi pensiamo, dato che la signorina Wills ce lo fa credere, che qualcuno abbia colpito il signor Emmet e sostituito una capsula avvelenata a quella normale. Benone, supponiamo sia così; allora, dov'è l'altra? Quella innocua? Abbiamo frugato su e giù, per tutta la casa, nell'impermeabile e nella borsa e dappertutto e l'abbiamo trovata? No. Il che significa che ce n'era una sola, quella che aveva il signor Emmet, quella spinta a forza in gola al signor Chesney.» Il maggiore Crow fischiò. «Avanti» disse. «E un'altra cosa dovremmo trovare» contestò Bostwick, rivolgendosi a Elliot. «La scatoletta, quella di cartone da dove ha preso la capsula; l'abbiamo forse trovata nell'impermeabile? No. Ma mi son detto: "Allora, dov'è?", così ho guardato stamattina dove, pensavo, doveva essere; e c'era.» «In che posto?»
«Nella tasca destra della giacca del signor Emmet, appesa su una sedia in camera sua, dove l'hanno messa quando l'hanno spogliato.» «È una cosa molto simpatica» disse il maggiore Crow. «Sto per finire» riprese Bostwick, parlando più svelto e anche più pesantemente. «Qualcuno ha ucciso il signor Emmet la notte scorsa, qualcuno che era d'accordo con lui per uccidere il vecchio gentiluomo: è noto che il signor Emmet avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei. Oppure lei gli ha dato una capsula con dentro del veleno, senza che lui lo sapesse e gli ha detto di andare a cacciarla in gola a suo zio, ma non sono sicuro di questo, perché il signor Emmet si è dato un colpo per avere un alibi; così sembrerebbe che si fossero messi d'accordo su tutto. In ogni modo, perché ha gridato: "No, no" quando Marcus Chesney è stato assassinato e poi lo nega? «Non sarebbe stato giusto o naturale, a meno che non sapesse cosa stava succedendo; e lo sapeva bene: ma all'ultimo momento non ha saputo frenarsi, il che è già successo in altri casi. Potreste non credermi, signor Elliot, ma ho letto un mucchio dei vostri casi di assassinio a Londra e posso dirvi dove è già successo. Le donne non sanno dominarsi, anche quando sono loro a creare tutto il pasticcio. "No, no" è proprio quello che Edith Thompson, donna, incominciò a urlare quando quel tale Bywaters correndo pugnalò suo marito mentre tornava dal cinema.» Si fermò, respirando a fatica. Il maggiore Crow fece un movimento come di disagio. «La prova contro Wilbur Emmet» ammise Elliot «è... beh, se troviamo della gente che identifichi Emmet nell'uomo del filmetto, è finita.» Si sentiva sconcertato e stava male, ma fronteggiava la situazione. «D'accordo, ma che prova c'è contro la signorina Wills? Non possiamo arrestarla solo perché dice: "No, no". Non è abbastanza.» «C'è una prova anche per lei» rispose Bostwick e la sua faccia divenne di nuovo congestionata: esitava, quindi voltandosi gridò da sopra la spalla. «Hobart Stevenson, se dite una parola di ciò che avete sentito in questa stBnza, vengo qui e vi rompo il collo. E sapete che non scherzo.» «Neanche una parola, sovrintendente» disse Stevenson ad occhi spalancati. «Lo giuro.» «Badate, se lo fate vengo a saperlo» ammonì Bostwick e quindi si rivolse agli altri: «Volevo parlarne appena visto il film; non l'ho fatto finora, neanche col maggiore, perché volevo esser sicuro, ma ho una prova anche in questo caso. Dicevate un momento fa che non molte persone, salvo i dottori, sanno come usare un ago ipodermico, ma lei sì. Ha imparato a ser-
virsene durante l'epidemia di influenza sei o sette anni fa; ha aiutato il dottor Chesney a immunizzare la gente. E stavate dicendo, giovanotto» guardò Elliot «che non bruciamo dal desiderio di arrestare la gente che le lancia sassi; questo non è vero e non voglio si dica, neanche per sogno. Se qualcuno disturba la quiete pubblica faccio il mio dovere, ma scommetto con voi che i magistrati daranno poca importanza al fatto. Vi ho detto che ho una prova. Cosa pensate di questo?» Dalla tasca interna del cappotto tirò fuori una busta e l'aprì, in modo che potessero guardar dentro; con essa camminò da uno all'altro: nell'interno c'era un piccolo ago ipodermico. La sua punta di nickel finiva in un tubetto di vetro in cui c'era una sostanza incolore dall'odore forte di mandorle amare. «Sì» disse Elliot «sì.» Aveva la gola secca e gli occhi bruciavano. «Dove l'avete trovato?» «Ho l'abitudine di curiosare» rispose Bostwick «per questo ho detto al maggiore di chiedere alla signorina Wills di venire a prendervi. L'ho trovato nel doppio fondo di una scatola da gioielli sulla toeletta in camera della signorina Wills.» Tese la busta a Elliot e poi incrociò le braccia. «Con questo» esclamò il maggiore Crow schiarendosi la voce «con questo sembra fatta. Cosa dite, ispettore? Volete un mandato di cattura?» «No, fino a che non avrò avuto modo di parlarle» disse Elliot con calma e respirando a fondo «ma anch'io ho paura che sia finita. Cosa dite, dottore?» Il dottor Fell si passava le mani fra i capelli grigi e arruffati e borbottava; la sua faccia era indecisa. «Se solo potessi esserne sicuro! Se solo potessi» ripeteva «uscire da quello che è ora il mio mondo in rovina! Non so cosa dire. Questo affare mi ha frastornato come non avrei mai creduto. È molto probabile che abbiano ragione...» Anche le speranze di Elliot erano ormai in rovina. «...ma un piccolo colloquio con la ragazza, naturalmente, sarebbe utile prima...» «Parlarle!» gridò il sovrintendente Bostwick, perdendo il controllo «parlarle! Ah! È quello che continuiamo a fare, ecco cos'è. La ragazza è colpevole come il diavolo, e lo sappiamo bene. Dio sa se ha avuto ogni mezzo, ogni occasione; non ci saremmo comportati meglio con lei se fosse stata di sangue reale. E cosa è successo? Tutti lo sappiamo. È una altra Edith
Thompson, ma molto peggiore. E la Thompson, ho sentito dire» guardò Elliot «ha perfino tentato di sedurre il poliziotto andato a interrogarla dopo il delitto: ho idea che la storia si ripeta.» XVI Alle quattro e mezzo del pomeriggio, il dottor Fell e l'ispettore Elliot andarono col sovrintendente Bostwick nella camera da letto di Marjorie Wills. I primi due avevano mangiato in silenzio al "Leone blu"; in silenzio perché il maggiore Crow era con loro e, per quanto egli dichiarasse che, dopo l'esame di quel particolare aspetto della questione, non avrebbe più niente a che fare col caso, Elliot non ne era troppo sicuro. Per conto suo si sentiva il mal di stomaco quando venne servita la carne; aveva incominciato a dirsi che le cose stavano così e non c'era niente da fare, eccetera: visti adesso, il suo colloquio con Marjorie, e l'appello che la ragazza gli aveva rivolto sembravano così teatralmente falsi da togliergli il respiro. L'avrebbero probabilmente impiccata e non c'era più niente da fare; ma come diavolo era stata capace di leggere i suoi pensieri? Aveva assistito due volte a una impiccagione e non gli piaceva ricordare i particolari. Quando arrivò a Bellegarde, vide con un senso di sollievo che lo soffocava a mezzo che Marjorie era fuori; era uscita in automobile con Harding, disse Pamela, la cameriera graziosa; era andata o a Bath o a Bristol, disse Lena, la cameriera rossa: entrambe erano piuttosto nervose, come la signorina Grinley, la cuoca, perché erano sole in casa: un certo signor McCracken, che sembrava essere l'assistente di Emmet alle serre, doveva venire di tanto in tanto a rincuorarle e assicurarsi che tutto andava bene. Il dottor Chesney, per quanto avesse dormito a Bellegarde la notte prima, se ne era andato: né le domestiche né la cuoca avevano nulla da aggiungere alla testimonianza sulle due morti. Bellegarde presentava un aspetto piacevole e ridente nel sole autunnale: con le sue tegole gialle e blu e il tetto puntuto non sembrava celare segreti. Anche Wilbur Emmet era morto in pace: le finestre della sua camera erano rivolte a ovest e una pallida luce pioveva sul letto dalle tende ancora chiuse; aveva la testa bendata, con una leggera cianosi, ma l'espressione era serena e quasi attraente nella morte. Giaceva disteso, aveva la coperta tirata sul petto e teneva fuori il braccio destro, con la manica del pigiama rivolta-
ta. Il dottor West aveva avuto il permesso di rimuovere il cadavere per un esame; per il momento poteva solo dire che Emmet sembrava fosse morto per una dose di acido prussico somministrata sottocute, probabilmente con un ago ipodermico: niente avrebbe potuto essere più calmo e meno macabro, eppure neanche il dottor Fell, guardando la stanza illuminata dal sole con la tappezzeria che richiamava le pesche, poté frenare un brivido. «Sì» disse Bostwick studiandolo «ora da questa parte.» La stanza da letto di Marjorie dava sul fronte della casa ed era pure spaziosa e gaia, con una tappezzeria color crema; aveva mobili di noce leggero e drappeggi color oro antico sopra tende arricciate. Di fianco al letto c'era una libreria bassa con una ventina o più di volumi ed Elliot ne guardò i titoli. Un dizionario francese e un Metodo facile per apprendere l'italiano. Il mare e la giungla. Dove incomincia l'azzurro. Fieno antico. Il ritratto di Dorian Gray. Le opere di J. M. Barrie. Fiabe di Hans Christian Andersen. La chronique d'un amant vicieux. E, si chiedeva se Bostwick li aveva notati, parecchi testi di chimica. Bostwick li aveva notati. «Oh, ah. Ci sono alcune cose qui, nella libreria.» «Ehm... piuttosto eterogeneo, no?» borbottò il dottor Fell, gettando un'occhiata da sopra la spalla. «Il carattere della signorina incomincia a sembrare più interessante di quanto credessi.» «È già abbastanza interessante per me, dottore» disse Bostwick con la faccia dura. «Guardate qui.» La toeletta stava fra le finestre e nel mezzo, contro lo specchio rotondo, c'era una scatola decorata in oro di circa sette centimetri quadrati, dai fianchi arrotondati, posata su quattro piedini; era di chiara fattura italiana ed aveva sul coperchio un disegno a colori della Madonna col Bimbo. Il doppio fondo, di mezzo centimetro, era nascosto ingegnosamente e schiacciando una rosetta in uno dei pedini, era rivelato da una molla. Bostwick la fece agire. «Suppongo» disse Elliot adagio «che ha preso la scatola durante il viaggio all'estero.» «Direi di sì» Bostwick era indifferente «il fatto è...» «E, di conseguenza, altri membri del gruppo potevano sapere del doppio fondo?» «Così?» esclamò il dottor Fell, guardandosi attorno «suggerite che sia stato messo qui?» Elliot era onesto. «Non so, è la prima cosa a cui ho pensato, lo ammetto,
ma se qualcuno l'ha fatto, ammetto che non ci vedo un legame o una ragione. Pensiamoci un momento» camminava in su e in giù per la stanza; «dobbiamo accettare il fatto che il vero assassino è un membro della casa o molto intimo dei Chesney; non possiamo escluderlo, altrimenti l'assassino potrebbe anche essere un estraneo completo, diciamo il farmacista Stevenson, per esempio.» Bostwick aprì gli occhi. «Ehi, ehi, ehi! Non state dicendo...?» «No, non avrebbe senso e lo sappiamo; ma chi in questa casa poteva aver interesse a...» Si fermò e, con Bostwick si guardò attorno, perché il dottor Fell si era lasciato sfuggire una leggera esclamazione: il dottore non si stava occupando della scatola da gioielli; invece, quasi distrattamente, aveva semiaperto il cassetto di destra della toeletta e ne aveva tolto l'astuccio di cartone di una lampada da riflettore, vuoto, e lo soppesava, soffiando dal naso. Dopo essersi accomodato meglio gli. occhiali, l'aveva sollevato contro la luce, come se studiasse una bottiglia di vino. «Oh, perbacco» brontolava Fell. «Beh?» «Ancora un po' e sarebbe un bel fatto» disse il dottor Fell. «Sentite, se nessuno ha niente in contrario, vorrei parlare con la cameriera che si occupa di questa stanza.» Fu Elliot ad andare in cerca di lei; le maniere del dottor Fell erano quelle di uno che consideri una porta, preparandosi a sfondarla; trovò che la responsabile della camera da letto di Marjorie era Lena, la ragazza dai capelli rossi, ma Pamela, quella graziosa, insisteva per accompagnarla e farle coraggio. Entrambe stavano di fronte al dottor Fell con un'aria compunta e solenne che, come Elliot doveva apprendere più tardi, celava grande eccitazione. «Come va?» disse amichevolmente il dottor Fell. «Bene, grazie» rispose la ragazza rossa, senza scomporsi; Pamela, da parte sua, sorrideva incoraggiante. «Eh, eh, eh» riprese il dottor Fell «chi di voi è responsabile della pulizia qui al mattino?» Lena, dopo una rapida occhiata in giro, ribatté in tono di sfida che era lei. «Mai visto questo prima d'ora?» interrogò il dottor Fell, sollevando l'astuccio di cartone. «Sì, io sì» disse Lena «l'aveva ieri mattina.»
«Chi?» «La signorina Marjorie l'aveva» riprese Lena, dopo una violenta gomitata della sua compagna. «È andata fuori a comperarlo presto e quando è tornata stavo proprio riordinando la stanza, così lo so.» «È un indizio, signore?» chiese Pamela con innocente interesse. «Sì; cosa ne ha fatto, lo sapete?» Lena arrossì: «L'ha messo nel cassetto della toeletta che avete aperto e fareste bene a rimettercelo, se l'avete preso di lì». «L'avete visto ancora, poi?» «No, non l'ho visto.» Era chiaro che le risposte erano suggerite a Lena dalla paura, ma Pamela era di stoffa diversa. «Io l'ho visto ancora» dichiarò. «Sì? Quando?» «A mezzanotte meno un quarto la notte scorsa» ribatté Pamela con prontezza. «Oh!» disse il dottor Fell con tale sollievo e impeto, perdendo il controllo, che Pamela indietreggiò perfino e il viso di Lena divenne terreo. «Scusate, mi spiace molto» agitava le mani aumentando il disagio; Bostwick la guardava. «Faresti meglio a stare attenta» avvertì Lena. «Andrai in prigione, ecco cosa succederà.» «Non è vero» disse Pamela «no?» «Certamente no» rispose il dottor Fell, calmandosi di nuovo. «Potete dirmi come è andata, cercate di spiegarvi bene.» Pamela temporeggiò il tempo sufficiente per fare di nascosto una smorfia trionfante alla compagna. «L'ho presa per il signor Chesney» spiegò. «La notte scorsa sono rimasta in piedi, ad ascoltare la radio...» «Dov'è la radio?» «In cucina e quando sono uscita di cucina, incominciavo a salire le scale e proprio allora il signor Chesney usciva dallo studio.» «Sì?» «Ha detto: "Eh!, cosa fai ancora su? Dovresti essere a letto". Io ho risposto che ero rimasta ad ascoltare la radio e stavo proprio andandoci. Voleva dire qualcosa, ma il professor Ingram è uscito dalla libreria in quel momento. Il signor Chesney mi ha detto: "Sai, quella lampada da riflettore che la signorina Marjorie ha comperato oggi? Dov'è?". Lo sapevo, perché Lena mi aveva detto...»
«Non cercare di mettermi di mezzo» gridò Lena. «Oh, non far la stupida!» disse Pamela, con tono d'impazienza. «Non c'è niente di male, no? Ho detto che era di sopra e il signor Chesney mi ha detto: "Bene, corri su e va' a prendermela". E così sono andata di sopra e gliel'ho portata, mentre stava parlando al professore e poi sono andata a letto.» Qualunque fosse la linea che il dottor Fell intendeva seguire nell'interrogatorio, fu interrotto da Lena. «Non m'importa se c'è o no qualcosa di male» esclamò. «So solo che ne ho abbastanza di parlare qui e parlare là, ma sempre alle spalle della padrona.» «Lena! Ssst!» «No, non faccio silenzio» disse Lena incrociando le braccia. «Non credo neanche per un momento che abbia fatto quello che dicono, altrimenti mio padre non mi lascerebbe star qui, e me l'ha detto; non ho nessuna paura di lei, di dieci come lei; ma non si comporta come gli altri e per questo hanno tanto da sparlare. Perché è andata dal professor Ingram ieri, parte della mattinata e quasi tutto il pomeriggio, da sola, quando il suo ragazzo, che è il più bel ragazzo mai visto, se ne stava qui? E quei viaggi che faceva a Londra, quando si credeva andasse dalla signora Morrison a Reading? Andava a vedere un uomo, ecco.» Per la prima volta il sovrintendente Bostwick si mostrò interessato. «Andava a Londra? A far che?» «Oh, lo so io» rispose Lena cupamente. «Sto domandandovi quando è successo.» «Non importa quando» disse Lena «andava a vedere un uomo, ecco, e ce n'è abbastanza.» «Sentite, ragazza mia» ribatté Bostwick, perdendo la calma «non ne parleremo più, se sapete qual è il vostro interesse. Perché non ce l'avete raccontato prima?» «Perché mio padre mi ha detto che me ne avrebbe date un sacco se ne avessi mai parlato a qualcuno, ecco perché; e in ogni modo, era cinque o sei mesi fa, così non c'entra con questa storia; non è niente che vi riguardi, signor Bostwick. Dico solo che se si potesse tutti fare come lei...» «Chi era l'uomo che andava a vedere a Londra?» «Per favore, possiamo andare ora?» intervenne Pamela, dando un'altra gomitata alla sua compagna. «No, neanche per idea! Chi era l'uomo che andava a vedere a Londra?»
«Come faccio a saperlo? Non l'ho mai seguita.» «Chi era l'uomo che andava a vedere a Londra?» «Oh, ma che modi di fare!» disse la rossa, spalancando gli occhi. «Beh, non lo so e non lo saprei neanche se mi deste tutto l'oro del mondo; so solo che quello doveva lavorare in un laboratorio o qualcosa di simile, perché scriveva delle lettere. No, non pensate che... era scritto sulla busta, ecco come faccio a saperlo.» «Un laboratorio, eh?» ripeté Bostwick, adagio. Il suo tono cambiò. «Adesso andate fuori e aspettate finché non vi chiamo.» Lena non seppe vincersi oltre e si mise a piangere, ma Pamela, molto più padrona di sé, la portò fuori amichevolmente mentre Bostwick si passava una mano sulla fronte. «Un laboratorio, eh?» ci ripensava. «Credete sia interessante?» si informò Elliot. «Come no? Penso che finalmente abbiamo avuto qualche fortuna perché sappiamo quello che ci teneva prima in scacco, cioè dove ha preso il veleno» dichiarò il sovrintendente. «Ne ho fatto esperienza: viene tutto in una volta, sfortuna o fortuna. Un laboratorio! Beh!, per Giove! Io... questa ragazza ha una mania per i chimici, no? Prima quel tale, poi Harding...» Elliot si decise. «Harding è quel tale» disse, e raccontò la cosa. Spiegandosi, mentre gli occhi di Bostwick si allargavano e il dottor Fell guardava cupo fuori dalle finestre, Elliot si rese conto che non doveva essere una novità per il dottore; gli tornò in mente la mattina, quando il dottor Fell si era trovato un po' troppo vicino per non aver sentito qualcosa. Bostwick emise un fischio così lungo ed elaborato da assumere l'aspetto di una scala musicale. «Quanto tempo... quando l'avete saputo?» domandò. «Quando stava tentando, come dite, di sedurre un agente di polizia.» (Sentiva gli occhi del dottor Fell su di lui.) «Oh, ah» rispose Bostwick, come sollevato «solo questo, non fateci caso.» Il sovrintendente tirò un profondo sospiro di sollievo. «La cosa più importante è che adesso sappiamo il fatto nostro, ne siamo sicuri; possiamo dire dove ha preso il veleno: dal signor Harding. Ha probabilmente visitato il laboratorio, avrà avuto accesso dappertutto, poteva rubare ciò che voleva e senza pericolo. Eh? Oppure...» fece una pausa, mentre assumeva un'espressione preoccupata «oppure, può darsi, può darsi... il signor Harding è un gentiluomo, ma in questo caso la faccenda sarebbe ancor più
complicata, molto più complicata di quanto pensiamo. E se ci avessero preso in giro fin dal principio? E se lei e il signor Harding avessero combinato tutta la storia insieme? Cosa ne direste?» «Direi che dovreste decidervi.» «Come?» «Beh, parlate di un caso» Elliot era sul punto di scoppiare «avete un caso per le mani, e cosa ne pensate? Prima ha commesso da sola l'assassinio; poi d'accordo con Emmet, ora uccide Emmet e commette l'assassinio d'accordo con Harding. Per l'amor del cielo, cerchiamo di essere ragionevoli: non potete farla girare in una specie di giostra omicida con tutti quelli che ha incontrato.» Bostwick si era messo le mani in tasca. «Oh? E con questo cosa volete dire?» «Non mi sono spiegato?» «No, caro mio, credo di no; almeno, alcune cose le avete chiarite, ma altre no. Sembra non crediate ancora che la signorina sia colpevole.» «Per dire proprio la verità» rispose Elliot «avete ragione; non ci credo ancora.» Si sentì qualcosa andare in terra: il dottor Fell, che non si poteva dire attento nel muoversi, era riuscito a buttar giù una bottiglia di profumo dalla toeletta di Marjorie e, dopo averle dato un'occhiata, aveva visto che non si era rotta, così l'aveva lasciata dov'era con grande compiacimento. Il sollievo sul suo viso era visibile. Disse: «Da me solo il racconto si può udire. Il beccaio di Rouen, povero Beroldo. Terre son dominate da re su un trono...» «Cosa?» «Ah!» esclamò il dottor Fell, grattandosi il petto come Tarzan; poi, abbandonando l'aria magniloquente, soffiò una volta o due e indicò la finestra. «Sarebbe meglio decidere un piano d'azione; chi dobbiamo attaccare, dove e perché. La signorina Wills, il signor Harding e il dottor Chesney stanno venendo qui in questo momento in automobile e pertanto un piccolo colloquio è opportuno, ma voglio dire una cosa ora. Elliot, ragazzo mio: sono molto contento che abbiate detto proprio ciò che avete detto.» «Contento? Perché?» «Perché avete ragione» rispose il dottor Fell con calma. «Marjorie in ognuno di questi delitti c'entra quanto me.» Ci fu un silenzio. Per nascondere un momentaneo smarrimento, Elliot aprì le tende della
finestra più vicina, guardò fuori. Sotto c'era la sottile striscia d'erba di Bellegarde, con lo stretto viale di ghiaia e il muretto basso verso la strada: un'automobile aperta, guidata dal signor Harding, passava in quel momento dal cancello; Marjorie gli sedeva vicino davanti e il dottor Chesney stava dietro. Anche a quella distanza Elliot notò che il dottor Chesney, benché in abito scuro, portava un fiore bianco all'occhiello. Elliot non guardò l'espressione della faccia di Bostwick. «Già, ecco cos'era il vostro piano» continuò il dottor Fell. «Assumere la faccia più bieca e aggredirla gridando; metterle sotto il naso l'ago ipodermico, bombardandola fino alla confessione; prendendo la via più breve, infatti, per farla diventar matta e indurla a commettere una sciocchezza. Beh, il mio parere è: no. Non dite una sola parola; a parte il fatto che non è colpevole...» Bostwick lo guardò. «Così anche voi...» disse a voce grave. «Sì» sbottò il dottor Fell «per Giove, sì! Son qui a vedere che nessun male succeda allo storpio, allo zoppo e al cieco. Questo tenetevelo per detto. Se insistete ancora, concluderete il vostro caso con un suicidio, il che sarebbe un peccato, perché la ragazza non è colpevole e posso provarlo. Siamo stati presi in trappola nel modo più brillante che si possa immaginare, ma potreste apprendere la verità anche in questo momento. Oh, e dimenticate i vostri maledetti laboratori; Marjorie Wills non ha niente a che fare nella faccenda. Non ha rubato, né preso né avuto veleno di sorta dal laboratorio di Harding, né, quasi mi spiace dirlo, l'ha fatto Harding. Chiaro?» L'irritazione o l'eccitamento lo facevano gesticolare verso la finestra e così avvenne che tutti videro ciò che succedeva da basso. L'automobile stava arrivando a circa sei metri dalla porta d'ingresso; Harding era rivolto a Marjorie, che sembrava incerta, e le diceva qualcosa; non guardava nello specchietto retrovisivo per vedere cosa succedeva dietro di lui e, infatti, non c'era ragione di farlo. Il dottor Joseph Chesney sedeva sull'orlo del sedile posteriore, coi pugni sulle ginocchia e un sorriso in faccia: dall'alto potevano notare ogni particolare: il tappeto erboso ancora umido di pioggia, i castagni dalle foglie gialle lungo la strada, il sorriso che mostrava come il dottor Chesney fosse un po' ubriaco. Dopo aver dato un'occhiata alla casa, il dottor Chesney tolse il fiore bianco dall'occhiello e lo gettò da sopra l'automobile sul viale; sistemandosi sul sedile posteriore, frugò nella tasca del cappotto e ne tolse una rivoltella di calibro 38: sul suo viso pieno di efelidi aveva ancora quel sor-
riso; piegandosi in avanti, pose saldamente il gomito sul sedile, poggiò la bocca della pistola sulla nuca di George Harding e premette il grilletto. Al rumore dello sparo gli uccelli si alzarono dalle pergole, mentre l'automobile si impennava con uno strappo del motore. XVII Il sovrintendente Bostwick doveva avere una ventina d'anni più di Elliot, ma arrivò di sotto solo un gradino o due dopo di lui: nella prima frazione di secondo, Elliot si era domandato se ciò che aveva visto era solo un'illusione, un miraggio sul calmo tappeto erboso, come uno dei trabocchetti di Marcus Chesney, ma Harding era caduto davvero di fianco al sedile di guida, gridando. L'automobile stava andando adagio quasi contro i gradini d'ingresso quando Marjorie ebbe la presenza di spirito di tirare il freno a mano. Arrivando, Elliot trovò il dottor Chesney in piedi nella macchina, evidentemente tornato sobrio di colpo: si aspettava di trovare Harding steso con una pallottola nel cervello, invece questi si era gettato sulla porta, aveva cercato di aprirla, trascinandosi poi con mani e piedi sul vialetto di ghiaia fino all'erba, dove era caduto. Teneva le spalle alzate fino alle orecchie; dalla nuca gli usciva del sangue, intorno al colletto, e il sentire quel sangue l'aveva messo in stato di frenesia: pronunciava parole grottesche, che, in un'altra occasione, sarebbero state ridicole. «Mi ha sparato» diceva con un filo di voce «mi ha sparato, oh, mio Dio, mi ha sparato.» Poi, scalciando, aveva incominciato a contorcersi sull'erba, così che Elliot si rese conto di non aver a che fare con un cadavere e neppure con un prossimo cadavere. «State fermo» disse «state...» Il lamento di Harding divenne una nota di terrore, né il dottor Chesney, a modo suo, era più coerente. «Ha sparato» insisteva, mostrando la rivoltella «ha sparato.» Sembrava voler piantare nella testa dei suoi ascoltatori, ripetendola continuamente, l'idea che "aveva sparato". «Abbiamo visto, signore» riprese Elliot. «Sì, siete colpito» dichiarò ad Harding «ma non siete morto, no? Vi pare di esser morto?» «Mi...» «Fatemi guardare. Sentite!» insistette Elliot, prendendolo per le spalle, mentre Harding gli dava un'occhiata incomprensibile. «Non siete ferito,
capite? Deve essergli scivolato il braccio o qualcosa di simile: la pallottola è andata di fianco e vi ha sfiorato la pelle della nuca. È bruciacchiata, ma avete solo una scalfittura di pochi millimetri. Non siete ferito, mi capite?» «Non importa» mormorò Harding. «Lamentarsi non serve a niente, comportiamoci da uomini, alta la testa, eh? Ah, ah, ah.» Sembrava non aver udito e pronunciava le parole con una calma assente, quasi giocosamente, dando ad Elliot un'impressione nuova: con cervello agilissimo Harding doveva aver afferrato la diagnosi, l'aveva considerata immediatamente, anche in preda alla paura e si era reso conto di esser sul punto di fare una figuraccia: in un momento aveva deciso il comportamento più adatto. Elliot lasciò cadere le braccia. «Volete occuparvene?» chiese al dottor Chesney. «La mia borsa» rispose quello, inghiottendo un paio di volte e agitando la mano verso la porta d'ingresso «la borsa nera, la mia borsa; vicino alle scale in anticamera.» «Ehi!» disse Harding amichevolmente. Ed Elliot fu costretto ad ammirarlo, poiché ora stava seduto sull'erba, e rideva. Facile parlarne, ma quella ferita doveva essere molto dolorosa, se non altro per la bruciatura della polvere; un centimetro più a fondo, e la morte sarebbe stata inevitabile; inoltre perdeva sangue in abbondanza. Tuttavia Harding, ancora pallido, sembrava trasfigurato, aveva l'aria di trarne perfino piacere. «Siete un cattivo tiratore, dottor Joe» dichiarò. «Se fate cilecca su uno seduto in quel modo, non ce la farete mai. Ehi, Marjorie?» Marjorie era saltata dall'automobile ed era corsa da lui. Il dottor Chesney si agitava con un piede sulla pedana e guardava fisso. «Mio Dio, non penserete che l'ho fatto apposta.» «Perché no?» rise Harding. «Ferma, Marjorie. "Attenti al vino."» Aveva gli occhi bene aperti e pieni di una luce oscura, ma quasi cantava mentre le batteva la spalla. «No, no, no, mi spiace; so che non volevate farlo, ma non è molto divertente sentirsi sparare alla nuca.» Questo è tutto ciò che Elliot aveva sentito, perché poi era andato in casa a cercare la borsa del dottore. Quando tornò, il dottor Chesney, atterrito, stava chiedendo la stessa cosa a Bostwick. «Non penserete che l'ho fatto apposta, sovrintendente.» Bostwick, più massiccio che mai, parlò seccamente.
«Non so cosa volevate fare, dottore; so quello che ho visto. Stavo a quella finestra e vi ho visto prendere la rivoltella di tasca, puntarla alla nuca del signor Harding e...» «Ma era uno scherzo, la pistola non era carica!» «No?» Bostwick si era voltato. Da entrambe le parti della porta d'ingresso c'era un pilastro dipinto di giallo che sosteneva un riparo piatto e triangolare: la pallottola era finita in quello di sinistra: era passata fra Harding e Marjorie, mancando il parabrezza e, miracolosamente, anche Marjorie stessa. «Ma non era carica» insisteva il dottor Chesney «potrei giurarlo. Lo so, ho premuto il grilletto parecchie volte prima. Non c'era niente quando eravamo a...» si arrestò. «Dove?» «Non importa; giovanotto, non pensate che io possa fare una cosa del genere, no? Ehi! diventerei un...» esitava «un assassino.» Sembrava ci fosse convinzione nella incredulità del dottor Chesney, gli veniva perfino da' ridere, c'era qualcosa d'infantile nel modo con cui l'aveva detto: come un buon diavolo circondato da accusatori. Metaforicamente, aveva offerto da bere a tutti e tutti avevano rifiutato. Perfino la sua barbetta pepesale e i baffi erano agitati per la sorpresa. «Ho premuto il grilletto parecchie volte» ripeteva. «Non era carica.» «Se è così» disse Bostwick «e c'era solo una pallottola nel caricatore, non avete fatto altro che metterla in canna, ma non ci credo. Perché vi portavate dietro una pistola carica?» «Non era carica.» «Carica o scarica, perché portavate una pistola?» Il dottor Chesney aprì la bocca e la richiuse. «Era uno scherzo» insistette. «Uno scherzo?» «Una specie di scherzo.» «Avete il porto d'armi, dottore?» «Non proprio, ma potrei averne uno facilmente» sbuffò l'altro, diventando truculento di colpo; spinse avanti la barba. «Cos'è tutta questa storia? Se volevo uccidere qualcuno, pensate che avrei aspettato di esser davanti a casa per tirar fuori una rivoltella e farlo? Oh, perbacco. Che storie. E inoltre, volete che il mio paziente mi muoia fra le braccia? Guardatelo, che perde sangue come un maiale! Lasciatemi andare, datemi quella borsa; andiamo in casa, George, figlio mio, cioè, se ancora pensate di po-
tervi fidare di me.» «Beh,» disse Harding «mi affido alla sorte.» Bostwick era furibondo, ma non poteva intervenire; Elliot notò che il dottor Fell era venuto fuori anche lui e tanto Harding che il dottor Chesney gli avevano dato un'occhiata sorpresa mentre entravano. Bostwick si era rivolto a Marjorie. «Dunque, signorina.» «Sì?» disse Marjorie freddamente. «Sapete perché vostro zio portava una rivoltella?» «Vi ha detto che era uno scherzo, lo conoscete.» Di nuovo Elliot non riusciva a scandagliare il suo atteggiamento; stava appoggiata all'automobile e sembrava occupata a cercar di staccare parecchie macchioline bianche attaccate alla suola umida della scarpa; gli diede una breve occhiata. Elliot si mosse di fronte al sovrintendente pieno di collera. «Siete stata con vostro zio tutto il pomeriggio, signorina Wills?» «Sì.» «Dove?» «A spasso.» «Dove?» «Così, fuori.» «Vi siete fermati in qualche posto?» «In un paio di bar. E nella villa del professor Ingram.» «Avete visto la rivoltella di vostro zio prima che la tirasse fuori e sparasse?» «Questo dovreste chiederlo a lui» rispose Marjorie con la stessa voce incolore «non ne so niente.» Il viso del sovrintendente Bostwick diceva: "Non ne sapete niente, davvero?", ma egli, dominandosi, dichiarò: «Ne sappiate o non ne sappiate niente, signorina, potrebbe interessarvi il fatto che abbiamo un paio di domande, relative a voi, alle quali potete rispondere». «Oh?» Dietro al sovrintendente, l'espressione del dottor Fell divenne minacciosa, stava gonfiando le gote per parlare, ma non era necessario, perché l'interruzione venne da un'altra parte. Pamela aveva aperto la porta mettendo fuori la testa, con un gesto aveva indicato tutti i poliziotti e, dopo aver mosso rapidamente le labbra senza pronunciar parola, aveva richiuso. Salvo Marjorie, solo Elliot l'aveva vista, e parlarono quasi insieme.
«Allora siete andati a frugare in camera mia?» disse Marjorie. «Ah, è così che avete fatto!» disse Elliot. Se intendeva sorprenderla, non ci sarebbe riuscito meglio: la ragazza aveva voltato la testa ed egli notò che i suoi occhi erano straordinariamente brillanti. Parlò in fretta: «Ho fatto cosa?» «Sembrava che leggeste il pensiero e in realtà leggete sulle labbra.» Marjorie era chiaramente in scacco. «Oh, volete dire» aggiunse piuttosto maliziosamente «quando avete detto del povero George "Sa il fatto suo quel porco"? Sì, sì, sì. Leggo molto bene sulle labbra, è forse la sola cosa che sappia fare bene. Me l'ha insegnato un vecchio che lavorava per noi; sta a Bath e...» «Si chiama Tolerance?» domandò il dottor Fell. In quel momento, Bostwick lo ammise più tardi, il sovrintendente stava convincendosi che il dottor Fell fosse pazzo; fino a mezz'ora prima era sembrato abbastanza normale e Bostwick aveva sempre ricordato con rispetto il suo operato nel caso dell'Otto di Spade e nel caso del Maniero sulla Cascata, ma durante la conversazione in camera da letto di Marjorie sembrava che qualcosa gli fosse entrato nel cervello: niente avrebbe potuto superare la gioia, la gioia quasi diabolica, con cui ora pronunciava il nome Tolerance. «Si chiama Henry S. Tolerance? Vive in Avon Street? È cameriere all'albergo del Beau Nash?» «Sì, ma...» «Che mondo piccolo» disse il dottor Fell a fior di labbra «niente è mai stato più dolce alle mie orecchie. Parlavo del mio bravo, del mio sordo cameriere a Elliot stamattina; ho avuto notizia dell'assassinio di vostro zio da lui per primo. Ringraziate Tolerance, signorina; abbiate riconoscenza per lui, mandategli un bel regalo a Natale. Se lo merita.» «Di che diavolo state parlando?» «Perché sarà lui a provare chi ha ucciso vostro zio» disse il dottor Fell, cambiando di tono e parlando seriamente. «Non pensate sia stata io?» «No.» «Ma sapete chi è stato?» «Sì» disse il dottor Fell, chinando la testa. Per un lungo momento, Marjorie lo guardò, senza espressione; quindi barcollando lievemente, andò nell'automobile e prese sul sedile anteriore la
borsetta, come preparandosi a fuggire in casa. «Ci credono?» chiese la ragazza indicando improvvisamente Bostwick ed Elliot. «Quello che crediamo, signorina» sbottò Bostwick «non vi riguarda, ma l'ispettore» guardò Elliot «è venuto qui, è venuto qui, badate, apposta per farvi alcune domande...» «Su un ago ipodermico?» domandò Marjorie. Sembrava che il tremore delle mani fosse passato a tutto il corpo; guardava la cerniera della borsetta, aprendola e chiudendola nervosamente con la testa bassa, così che la tesa del morbido cappello grigio le copriva il viso. «Immagino che l'abbiate trovato» continuò, schiarendosi la voce. «L'ho trovato anch'io, stamattina, in fondo alla scatola da gioielli. Volevo nasconderlo, ma non ho potuto pensare a un posto migliore in casa e avevo paura di portarlo fuori. Come ci si può liberare di un oggetto del genere? Come si può metterlo in qualche posto con la sicurezza che nessuno veda? Non ci sono impronte digitali mie sopra, anche se c'erano, perché l'ho pulito; ma non l'ho messo nella scatola da gioielli; non sono stata io.» Elliot tolse di tasca la busta, porgendogliela perché potesse veder dentro. Lei non lo guardava; fra loro non c'era più telepatia, come se mai ci fosse stata; era una corda spezzata, una linea morta, un muro. «È un ago ipodermico, signorina Wills?» «Sì, penso di sì.» «È vostro?» «No, è dello zio Joe. Almeno, è come quelli che usa, marca "Cartwright & Co.", un grado e un numero sopra.» «Ma non è possibile» chiese il dottor Fell seccato «dimenticare un momento quell'ago ipodermico? Non è possibile tirarvelo fuori dalla testa? Maledetto ago... Che importa cosa c'è scritto, di chi è, o come ha potuto arrivare nella scatola da gioielli, se non sapete chi ce l'ha messo? No, dico, ma se la signorina Wills crede veramente a quello che le ho detto un minuto fa» la fissava «potrebbe dirci, invece, qualcosa della rivoltella.» «La rivoltella?» «Voglio dire» spiegò il dottor Fell «potreste raccontarci dove voi e Harding e il dottor Chesney siete andati questo pomeriggio?» «Non sapete neppure questo?» «Oh Signore, non so!» ruggì il dottor Fell, facendo una brutta faccia. «Forse ho torto, ed è solo questione di maschera. Il dottor Chesney ne ave-
va una, a modo suo; Harding pure, e anche voi, sempre a modo vostro: guardatevi, per favore, e ditemi se mi sbaglio in modo grossolano, ma ci sono altri segni esteriori.» Alzando il bastone, indicò il garofano bianco sul viale, il garofano che il dottor Chesney si era levato dal bavero e aveva buttato via mentre l'automobile si avvicinava alla casa, poi abbassando il bastone toccò la scarpa di Marjorie. Istintivamente la ragazza si tirò indietro, strisciando il piede in terra, ma una delle macchioline bianche che aderivano alla suola della scarpa era rimasta attaccata alla punta del bastone. «Non vi avranno tirato coriandoli, naturalmente» disse il dottore «ma mi sembra di ricordare che il marciapiede fuori dell'ufficio di stato civile in Castle Street ne è coperto di solito, e oggi è una giornata umida. Devo proprio dirlo io?» aggiunse decisamente. Marjorie annuì. «Sì» disse con calma. «George ed io ci siamo sposati nell'ufficio di stato civile di Bristol oggi nel pomeriggio.» Poiché nessuno parlava, durante una pausa in cui si potevano sentire i rumori della casa, Marjorie continuò: «Abbiamo avuto l'altro ieri una licenza speciale» alzò un po' la voce «volevamo tenerlo segreto, per un anno» la sua voce diventava sempre più alta «ma poiché siete dei poliziotti così abili e noi siamo dei criminali così inveterati, pazienza!» Il sovrintendente Bostwick la guardava. Quindi si sentì costretto a parlare col cuore in mano. «Figlia mia» disse in tono incredulo «benedetto il Signore! Non ci credo, non posso crederci; anche quando pensavo che qualcosa non andava bene per voi, ma non parliamone, anche in questo caso non avrei mai creduto di vedervi fare una cosa simile, o che il dottore ve lo permettesse. Davvero, è un colpo.» «Non approvate il matrimonio, signor Bostwick?» «Approvare il matrimonio?» ripeté quello, come se le parole non avessero significato per lui. «Quando l'avete deciso?» «Dovevamo sposarci oggi, l'avevamo già stabilito; dovevamo in ogni modo sposarci in un municipio qualunque, perché a George non piacciono i servizi religiosi e le cerimonie; poi lo zio Marcus è morto e mi son sentita così... così...; beh, in ogni modo, stamattina abbiamo deciso di andare lo stesso. E avevo le mie ragioni, vi dico!» Quasi gridava.
«Benedetto il Signore» disse Bostwick «è proprio un colpo. Conosco la vostra famiglia da sedici anni, ma che il dottore vi lasciasse fare una cosa simile, col signor Chesney non ancora sepolto...» Marjorie era al limite. «Bene» disse, con le lacrime che le salivano agli occhi «non c'è nessuno che venga a congratularsi con me o almeno a dirmi che spera che io sia felice?» «Io lo spero» rispose Elliot «lo sapete.» «Signora Harding» incominciò il dottor Fell, gravemente, mentre lei sussultava di sorpresa al nome «vi chiedo scusa, la mia mancanza di tatto è così nota che sarebbe strano non facessi uno sbaglio dopo l'altro: vi porgo le mie congratulazioni e non solo spero siate felice, ve lo prometto anche.» A questo punto l'atteggiamento di Marjorie cambiò in un batter d'occhio. «Non diventeremo sentimentali?» esclamò, con una punta d'ironia. «Ecco qui un poliziotto grande e grosso» guardò Bostwick «che di colpo si ricorda di aver conosciuto la mia famiglia o, almeno, la famiglia Chesney; e come gli piacerebbe mettermi una corda al collo! Mi sono sposata. È così. Mi sono sposata. Avevo le mie buone ragioni, può darsi non le comprendiate, ma avevo le mie ragioni.» «Dico solo...» cominciò Elliot. «Non parliamone più» interruppe Marjorie con grande freddezza. «Avete dato tutti il vostro parere e adesso potete continuare a star lì impalati e solenni come gufi, come... il professor Ingram. Avreste dovuto veder la sua faccia, quando siamo andati a casa sua a chiedergli di fare il secondo testimone. No, no. Oh, no. Terribile. Non sapeva darsi ragione. «Ma me ne sono dimenticata. Volete solo sapere della rivoltella, no? Posso dirvelo: realmente era uno scherzo. Forse lo spirito dello zio Joe non è raffinato come dovrebbe, anche se, a conti fatti, ne ha ancora quando gli altri l'hanno perso del tutto. Lo zio Joe pensava che sarebbe stato un gran bello scherzo fingere di fare quello che chiamava un "matrimonio a sparo"; avrebbe tenuto la rivoltella in modo che l'ufficiale di stato civile non potesse vederla, ma noi sì; avrebbe finto di esser là a controllare che George facesse di me una donna onesta.» Bostwick schioccò la lingua. «Ah, ah!» brontolò, con un barlume di sollievo in volto «perché non l'avete detto prima? Intendete...» «No, non intendo niente» disse Marjorie quasi teneramente. «Che maestro siete nel fraintendere! Mi son sposata per evitare di essere impiccata come assassina e vi sentite pieno di comprensione pensando mi sia sposata
per diventare una donna onesta: è molto bello» la sua allegria cresceva. «No, signor Bostwick, dopo tutto quello che pensate io abbia fatto, può darsi vi sorprenda molto ma, come direste voi, la mia purezza è intatta. Che mondo. In ogni modo, non importa. Volevate sapere della rivoltella e ve l'ho detto, non so come ci sia entrata una pallottola, probabilmente è la trascuratezza dello zio Joe, ma è stato un puro e semplice incidente e nessuno intendeva uccidere.» Il dottor Fell disse educatamente: «Credete?» Con tutta la sua prontezza, questa volta non capiva. «Non vorrete dire che sparare a George non era un...» cominciò; quindi esclamò: «Non vorrete dire che l'assassino ha ricominciato!». Il dottor Fell chinò la testa. La sera calava su Bellegarde, verso oriente le basse colline stavano diventando grigie, ma il cielo ad occidente era ancora infuocato, il cielo verso cui si affacciavano le finestre della stanza da musica, lo studio e quelle della stanza da letto di Wilbur al piano di sopra; da una di quelle finestre, come Elliot ricordava, il dottor Chesney aveva sporto la testa la notte prima. «Avete ancora bisogno di me?» chiese Marjorie a bassa voce «altrimenti lasciatemi andare, per favore.» «Certo» rispose il dottor Fell «ma avremo bisogno di voi stasera.» Era andata, e gli altri tre rimasero in piedi vicino al buco fatto dalla pallottola nel pilastro giallo; Elliot se ne era appena accorto; fu, come più tardi ricordava, la visione delle finestre di fronte alla luce del tramonto che spalancò una finestra nella sua mente; oppure lo shock provocato dalla combinazione di circostanze, o ciò che Marjorie Wills aveva detto e pensato e fatto che l'aveva scosso da una specie di paralisi mentale; il suo giudizio fu libero di colpo e, alla luce di quella rivelazione, tutto divenne chiaro. A più B più D si disponevano in modo ben definito, in uno schema; non era stato un poliziotto, era stato un pazzo; ogni volta che poteva fare una mossa falsa, l'aveva fatta; ogni volta che era possibile interpretar male un particolare, vi si era precipitato. Se è vero che ogni uomo si comporta da insensato almeno una volta in vita sua, allora, perdio, lui era a posto! Ma ora... Il dottor Fell si era voltato ed Elliot sentiva i suoi occhietti acuti fissi su di lui. «Oh?» disse il dottore improvvisamente «ci siamo, no?»
«Sì, signore. Penso di sì.» E fece il gesto di uno che colpisca col pugno. «In questo caso» riprese il dottor Fell calmo «sarebbe meglio tornare in albergo a parlarne. Pronto, sovrintendente?» Elliot stava di nuovo maledicendosi mentre ricostruiva lentamente l'indagine e solo vagamente sentiva il dottor Fell fischiare un motivo mentre si avviavano all'automobile; era un motivo sul quale si poteva tenere il passo; era infatti la Marcia Nuziale di Mendelssohn; mai era sembrata così sinistra. XVIII Alle otto di quella sera, quando quattro uomini sedevano dinanzi al fuoco in camera di Elliot al "Leone blu", il dottor Fell prese la parola. «Sappiamo ora» disse sollevando le dita e numerando «chi è l'assassino, come ha agito, e perché. Sappiamo che l'intera serie di delitti è opera di questo unico uomo, senza complici; conosciamo il peso enorme delle prove contro di lui. La colpa si scoprirà da sola, come certamente vedremo presto.» Il sovrintendente Bostwick fece sentire un grugnito compiaciuto, mentre il maggiore Crow annuiva con grande soddisfazione. «Tuttavia» disse «l'idea di quel tale che viveva fra noi...» «...irritando l'ambiente» suggerì il dottor Fell. «Esatto, è quello che sconvolge anche il sovrintendente. La sua influenza contagia qualsiasi cosa, per quanto inoffensiva sia: non potete prendere una tazza di tè, uscire a fare un giro in macchina, comprare una pellicola, senza che la sua malignità volga l'azione al male e, per questo, un angolo di mondo calmo come Sodbury Cross è messo sottosopra. Si spara nei giardini, in un posto dove la gente sarebbe rimasta allibita solo a vedere una rivoltella. Si gettano pietre per la strada. Il commissario di polizia non si dà pace e così pure il sovrintendente, e tutto per la mala influenza che una certa persona ha deciso di concentrare su di noi.» Il dottor Fell prese l'orologio e, dandogli un'occhiata, se lo pose davanti sul tavolo; riempì e accese la pipa con gran decisione, sbuffò e riprese a parlare. «Pertanto, mentre pensate alle circostanze, vorrei illustr... ehm! vorrei discutere l'arte di avvelenare, e darvi alcuni dati definitivi. «In particolare, dato che conviene al nostro caso, dovremmo classificare
un certo gruppo di assassini sotto una sola voce; è abbastanza strano, ma non li ho mai visti inclusi in una sola categoria, anche se i loro caratteri sono di regola così simili da potersi dire copie più perfide o feroci l'uno dell'altro: sono gli eterni arcipocriti e gli eterni pericoli per le mogli: sono gli avvelenatori di sesso maschile. «Le avvelenatrici sono, Dio lo sa, abbastanza pericolose, ma gli uomini sono una minaccia più grave per la società, poiché all'astuzia del veleno aggiungono una specie di diabolica tattica, un senso degli affari, una frenesia di compiere un buon lavoro coll'uso dell'arsenico o della stricnina. Sono una piccola schiera, ma sono tristamente famosi e hanno tutti la stessa faccia. Ammetto alcune eccezioni che non rientrano in nessuna categoria: Seddon, per esempio; ma penso che, se prendiamo dalla vita una dozzina di esempi noti, troveremo la stessa maschera sul viso e gli stessi principi nel cervello. Notate come il nostro assassino di Sodbury Cross rientri nel gruppo. «Prima di tutto, sono di solito uomini dotati di una certa fantasia, di educazione e perfino di cultura; anche la loro professione è indicativa. Palmer, Pritchard, Lamson, Buchanan e Cream erano medici. Richeson era un sacerdote, Wainewright un artista, Armstrong un avvocato, Hoch un chimico, Waite un dentista, Vaquier un inventore, Carlyle Harris uno studente di medicina. «E immediatamente il nostro interesse è sollecitato. «Trascuriamo lo zuccone analfabeta, che fa fuori qualcuno in osteria; ci interessa il criminale che dovrebbe sapere il fatto suo; naturalmente sarò l'ultimo a negare che la maggior parte, se non tutti i suddetti personaggi, erano tangheri dalle maniere che affascinavano, la cui fantasia aveva un potere, la cui abilità di attori era di primo ordine e alcuni sorprendono per l'ingegnosità impiegata nell'uccidere o nello stornare i sospetti. «Il dottor George Harvey Lamson, il dottor Robert Buchanan e Arthur Warren Waite hanno commesso un assassinio, ognuno a scopo di lucro, nel 1881, nel 1882 e nel 1915: a quel tempo il genere letterario conosciuto come romanzo poliziesco era sul nascere; ma considerate il modo usato da loro. «Il dottor Lamson ha ucciso la propria vittima, un nipote storpio di diciotto anni, per mezzo di uva passa avvelenata con aconitina e cotta al forno in una torta, spingendosi fino a tagliarla in presenza del ragazzo e del direttore della scuola di costui: tutti e tre ne mangiarono una fetta durante il tè, in modo che Lamson poté protestare la propria innocenza quando so-
lo il ragazzo ne rimase colpito. Mi sembra di aver letto in qualche posto di un trucco simile. «Il dottor Buchanan ha avvelenato la propria moglie con la morfina; ora questa è una droga che il medico può facilmente individuare, perché contrae le pupille della vittima; così il dottor Buchanan vi aggiunse un po' di belladonna, che ha un effetto contrario; la morte della moglie apparve normale e il medico curante rilasciò un certificato di decesso naturale: un espediente brillante, e sarebbe riuscito se il dottor Buchanan non si fosse lasciato sfuggire il trucco parlando con un amico. «Arthur Warren Waite, il criminale felice e fanciullesco, ha tentato di uccidere i propri ricchi suoceri con germi di difterite, polmonite e influenza; il procedimento si rivelava lento, e allora ricorse a veleni meno sottili; dal suo primo tentativo sortì la morte del suocero ottenuta per mezzo di bacilli di tubercolosi somministrati con un inalatore.» Il dottor Fell fece una pausa. Si era buttato a corpo morto nell'argomento, con grande impegno. Se il sovrintendente Hadley fosse stato presente, avrebbe gridato che ne aveva abbastanza, ma Elliot, il maggiore Crow e il sovrintendente Bostwick si limitavano ad assentire poiché vedevano le affinità con l'assassino di Sodbury Cross. «Ora» continuò il dottor Fell «qual è la prima e più importante caratteristica dell'avvelenatore? Questa. Fra gli amici ha di solito reputazione di buon ragazzo, è gioviale, alla mano. Talvolta può ostentare alcuni scrupoli puritani sulla rigorosa osservanza religiosa o anche sulle convenienze sociali, ma gli vengono perdonati facilmente, per il suo piacevole carattere. «Thomas Griffiths Wainewright, quell'arbitro della buona società che ha avvelenato la gente all'ingrosso per avere il denaro della loro assicurazione, era il più ospitale dei padroni di casa un centinaio di anni fa. William Palmer di Rugeley era strettamente astemio, ma niente gli piaceva più che offrire generosamente da bere ai suoi amici. Il rev. Clarence V. T. Richeson di Boston incantava i suoi devoti dappertutto. Il dottor Edward William Pritchard, dalla lucente calvizie e dalla folta barba bruna, era l'idolo delle confraternite di Glasgow. Vedete i nessi con l'uomo che cerchiamo?» Il maggiore Crow assentì. «Sì» disse Elliot soddisfatto; e nella stanza illuminata dal fuoco al "Leone blu" si formò un'immagine. «Invece c'è nei loro caratteri, come rovescio della medaglia e quasi complemento necessario, una tale assoluta indifferenza per il dolore degli
altri, una tale freddezza nel dare la morte nelle forme più orribili, che la nostra mente umana comune non può capacitarsene. Forse la cosa che più colpisce è, non solo la loro indifferenza alla morte, ma alle pene connesse. Tutti sanno la famosa risposta di Wainewright: "Perché avete avvelenato la signorina Abercromby?" "Per l'anima mia, non lo so; forse perché aveva le caviglie così magre". «Questo è naturalmente un paradosso, ma realmente esprime l'attitudine dell'avvelenatore verso la vita umana: Wainewright aveva bisogno di denaro: perciò (naturalmente) qualcuno doveva morire. A William Palmer occorreva altro denaro per scommettere sui cavalli e così divenne chiaro che a sua moglie, a suo fratello e ai suoi amici avrebbe fatto bene un po' di stricnina: quasi ovvio. E ciò rimane vero anche nel caso di coloro che dolcemente o perfino lamentosamente "non possono far a meno" di qualcosa. Il reverendo Clarence Richeson, dagli occhi magnetici, avrebbe negato piangendo di star per sposare la signorina Edmunds a causa del suo denaro o della sua posizione, ma ha avvelenato una ex amante con cianuro di potassio per toglierla di mezzo. Il sentimentale dottor Edward Pritchard aveva poco da guadagnare uccidendo la moglie con dosi di tartaro emetico somministrate per un periodo di più di quattro mesi, e avrebbe guadagnato solo poche migliaia di sterline assassinando la suocera, ma voleva esser libero. E "non poteva farne a meno". «Il che ci porta all'altra caratteristica dell'avvelenatore: la sua immensa vanità. «Tutti gli assassini ne esibiscono, ma l'avvelenatore in modo abnorme: è fiero per la sua intelligenza, per il suo aspetto, per le sue maniere, per le sue facoltà di inganno; ha qualcosa dell'attore e perfino dell'esibizionista; di regola, è un ottimo attore. Vedete Pritchard che apre la bara per baciare l'ultima volta le labbra della moglie morta; Carlyle Harris che discute di scienza e teologia con il cappellano avviandosi verso la sedia elettrica; la violenta indignazione di Palmer in presenza degli investigatori: teatrali scene del genere sono infinite e nascono dalla vanità. «Questa vanità non appare alla superficie; il nostro avvelenatore può darsi sia un ometto mite dagli occhi blu e dall'aria di professore, come Herbert Armstrong, l'avvocato di Hay, che uccise la moglie e quindi tentò di fare lo stesso con un rivale in affari per mezzo di arsenico somministrato all'ora del tè. E la vanità dell'avvelenatore di sesso maschile non si manifesta mai così chiaramente come nel suo potere, o presunto potere, sulle donne.
«Quasi tutti hanno, o pensano di avere, un grande fascino. Armstrong ne era dotato, per quanto in modo non palese. Wainewright, Palmer e Pritchard se ne servirono per commettere i loro delitti. Harris, Buchanan e Richeson invece ne compromisero la riuscita, ma sempre per vanità maschile. Perfino lo strabico Neill Cream pensava di esserne provvisto; essa si manifesta in ogni loro azione. Hoch, l'assassino Barbablù, si liberò di una dozzina di mogli con arsenico accuratamente nascosto in una penna stilografica. Pochi spettacoli furono meno ripugnanti di Jean-Pierre Vaquier, l'avvelenatore di Byfleet, che faceva il vezzoso con i baffi impomatati sul banco degli imputati. Vaquier aveva alterato i sali di bromo dell'oste con stricnina, fidandosi del suo potere sulle donne per far propria la moglie della vittima e la sua bottega. Venne trascinato via dal tribunale mentre gridava "Je demande justice" ed è possibile che pensasse d'aver ragione. «In conclusione, per semplificare, possiamo vedere che tutte queste brave persone hanno ucciso per desiderio di denaro. «Convengo che Cream fu un'eccezione, poiché era pazzo e le sue richieste frenetiche a mezzo di lettere anonime non si possono prendere troppo sul serio; ma la radice degli altri delitti è la cupidigia, la brama di una posizione più comoda nel mondo; perfino quando viene eliminata una moglie o un'amante, il movente è il denaro: la donna gli attraversa la strada, senza di lei potrebbe star meglio, senza di lei potrebbe essere più in vista: ci sono tante cose buone al mondo e quindi la moglie o l'amante importune diventano solo un simbolo, che potrebbe impersonarsi in una zia o nella vicina di casa o in Pinco Pallino. È il cervello megalomane da considerare: questo è anche il caso dell'assassino di Sodbury Cross.» Il maggiore Crow, che era rimasto a fissare il fuoco meditando, fece un gesto deciso. «È vero» disse guardando Elliot «l'avete provato voi.» «Sì, maggiore, penso di sì.» «Ma qualunque cosa faccia è sufficiente a farvi desiderare di impiccarlo» proruppe il maggiore Crow «anche la ragione per cui non l'ha fatta franca, se capisco bene. L'intero spettacolo non è riuscito perché...» «...perché ha tentato di alterare l'intera storia criminale» rispose il dottor Fell «non si riesce mai, credetemi.» «Un momento, signore!» intervenne Bostwick «non vi seguo.» «Se foste mai tentato di commettere un delitto per mezzo del veleno» ribatté il dottor Fell con grande serietà «ricordatevi di questo: fra tutte le forme di assassinio, l'avvelenamento è la più difficile da far passare li-
scia.» Il maggiore Crow lo guardò. «Adagio» protestò «la più facile, volete dire. Non sono ciò che chiamereste un uomo di fantasia e penso ne conveniate, ma mi son talvolta domandato... beh, sentite, lo ammetto! Muore gente ogni giorno intorno a noi di morte, si suppone, naturale, con certificato del dottore e tutto, ma chissà quanti di loro sono assassinati? Non sappiamo.» «Ah!» esclamò il dottor Fell tirando un profondo sospiro. «Cosa volete dire con quell'"ah"?» «Voglio dire che ho già sentito una considerazione del genere» rispose il dottor Fell. «Può darsi abbiate ragione, non lo so. Tuttavia il vostro argomento è straordinario e mette in moto le mie idee. Un centinaio di persone, diciamo, muore a Wigan durante un anno; voi cupamente sospettate che alcuni di loro possano esser stati avvelenati e, quindi, vi rivolgete a me e sostenete che l'avvelenamento è tanto facile. Può esser vero e, a quanto ne so io, i cimiteri possono esser pieni di corpi assassinati che gridano vendetta, ma, al diavolo! cerchiamo di aver delle prove prima di considerare accertato un fatto del genere.» «Beh, qual è la vostra posizione allora?» «Considerando» disse il dottor Fell più pacatamente «considerando i casi di cui ci possiamo servire come esempi tipici, quelli in cui il veleno è stato scoperto nel cadavere, è chiaro che l'avvelenamento è il delitto più difficile, perché pochissime persone riescono a farla franca. «Voglio dire che l'avvelenatore, per la natura del suo carattere, è compromesso fin dall'inizio, non può, né vuole mai limitarsi a un caso ben riuscito; quando gli succede di cavarsela brillantemente la prima volta, continua ad avvelenare fino a che si fa prendere. Vedete la lista di poco fa: è tradito dalla sua natura. Voi o io potremmo sparare, o pugnalare o strangolare, ma non ci attaccheremmo a una rivoltella lucida o a un pugnale nuovo o a un fazzoletto di seta per insistere con esso ogni volta: come invece fa l'avvelenatore. «Perfino i suoi rischi sono grandi; l'assassino normale ne corre uno solo, mentre l'avvelenatore ne deve affrontare di tre specie. A differenza di un colpo d'arma da fuoco o di una pugnalata, il suo lavoro non è finito anche quando l'ha compiuto. Deve assicurarsi che la vittima non viva abbastanza per denunciarlo, un brutto rischio; deve mostrare di non aver avuto occasione né ragione di somministrare il veleno, altro rischio mortale; e deve procurarsi il veleno senza pericolo, forse il peggior rischio di tutti.
«Una volta dopo l'altra è la stessa lugubre storia. X muore in circostanze che fanno nascere dei sospetti; si sa che Y aveva qualche ragione di sbarazzarsene e aveva insieme molte occasioni di manomettere il suo cibo o le sue bevande. Si esuma il cadavere e si trova del veleno. Dopo, di regola, si tratta solo di rintracciare un acquisto di veleno da parte di Y e abbiamo, in processione inevitabile come una serie di immagini in un libretto edificante, l'arresto, il processo, la sentenza e l'esecuzione. «Ora, il nostro amico di Sodbury Cross sa tutto questo; non ha dovuto studiare criminologia a fondo, gli è bastata la lettura dei quotidiani; ma, per cautelarsi, ha congegnato un assassinio che dovrebbe coprire tutti e tre questi rischi con una specie di triplo alibi. Ha tentato una cosa che a nessun criminale è mai riuscita e non gli è riuscita perché è possibile a una persona intelligente (come siete voi) vedere attraverso ogni particolare della tripla macchinazione. Ora permettete che vi mostri qualcos'altro.» Frugando nella tasca interna, il dottor Fell tirò fuori un taccuino pieno di vecchie carte; tutto quello che gli capitava tra le mani, se lo cacciava in tasca e si rifiutava di buttarlo via; dopo accurate ricerche riuscì a trovare una lettera. «Vi ho detto» proseguì «che Marcus Chesney mi ha scritto una lettera solo pochi giorni fa; l'ho conservata gelosamente perché non volevo foste sviati; ci sono dentro troppe affermazioni e ciò vi avrebbe confuso le idee, ma leggetela ora, alla luce di ciò che abbiamo stabilito essere la verità, e vedete l'interpretazione che converrà darle.» Stese la lettera sul tavolo vicino all'orologio; era datata "Bellegarde, 1° ottobre" e trattava per lo più le stesse teorie di cui avevano già conoscenza, ma il dito del dottor Fell indicava la parte importante: un passaggio verso la fine: "Tutti i testimoni, metaforicamente, portano occhiali neri; non possono né veder chiaro né interpretare alla luce giusta ciò che vedono. Non sanno cosa succede sulla scena e ancor meno cosa succede fra il pubblico. Mostrate poi loro un'immagine dell'avvenimento in bianco e nero e vi crederanno, ma anche allora non saranno capaci di interpretare esattamente ciò che i loro occhi vedono. "Penso di dare la mia piccola rappresentazione davanti a un gruppo di amici presto. Se va bene, potrei chiedervi di esser così gentile di venire a vederla? So che siete ora a Bath e posso mandarvi un'automobile dove preferite. Vi prometto di ingannarvi in tutti i modi possibili ma, poiché siete nuovo dell'ambiente, poiché siete solo in relazioni molto superficiali con
ognuna delle persone, voglio essere leale e darvi un'informazione diretta: tenete d'occhio mia nipote Marjorie." Il maggiore Crow espresse i propri sentimenti con un lungo fischio. «Esattamente» grugnì il dottor Fell, riponendo la lettera «e questo, con ciò che stiamo per vedere e udire stanotte, dovrebbe completare il nostro caso.» Qualcuno bussò discretamente alla porta; il dottor Fell, tirando un profondo respiro, guardò l'orologio, si volse intorno e tutti annuirono; mise via l'orologio mentre la porta si apriva: una figura familiare, dall'aspetto ora quasi stravagante per la presenza di abiti normali al posto della solita giacca bianca, apparve sulla soglia e stette un momento in attesa. «Entrate, signor Stevenson» disse il dottor Fell. XIX Quando l'automobile di Elliot si diresse a Bellegarde era piena zeppa, anche se Bostwick e il maggiore Crow seguivano in un'altra macchina, poiché il dottor Fell occupava quasi tutto il sedile posteriore e sul posto rimasto libero c'era la grande cassetta che Stevenson era stato incaricato di portare. Stevenson stesso, che sembrava affascinato ma a disagio, sedeva vicino a Elliot. Beh, era quasi finita; Elliot premette sul freno e guardò la facciata della casa illuminata, ma aspettò di essere raggiunto da tutti gli altri prima di suonare. Era una sera fredda, con un po' di nebbia. Marjorie in persona venne ad aprire la porta e, vedendo il loro atteggiamento ufficiale, si guardò attorno rapidamente. «Sì, ho avuto la comunicazione» disse «che venivate tutti qui stasera; non saremmo usciti in ogni modo. Cosa c'è?» «Siamo molto spiacenti, signorina» le disse Bostwick «di interrompere la vostra notte di nozze» sembrava ossessionato da quell'argomento, continuava a parlarne «ma non vi daremo molto fastidio e ce ne andremo presto.» Si fermò, brontolando, allo sguardo freddo e incollerito che gli diede il maggiore Crow. «Sovrintendente.» «Maggiore?» «Non c'è bisogno di discutere le faccende private di questa signora. Chiaro? Grazie.» Per quanto non fosse a suo agio, tentava di parlare cor-
dialmente con Marjorie. «In ogni modo, Bostwick ha ragione sul fatto che ce ne andremo non appena possibile. Sì, senz'altro. Dunque? Ah, sì, Andiamo dagli altri?» Il maggiore poteva essere qualunque cosa, ma non un buon attore. Marjorie gli diede un'occhiata, guardò la larga cassetta che Stevenson portava e non disse niente. Era colorita ed era chiaro che aveva bevuto brandy a cena. Nella biblioteca, dove li condusse, trovarono la stessa atmosfera: era sul retro della casa, una bella stanza con scaffali pieni di libri e un grande camino rustico, dove scoppiettava un fuoco allegro. Sul tappeto era stato drizzato un tavolo da gioco, dove erano seduti il dottor Chesney e il professor Ingram; Harding stava sdraiato in una poltrona col giornale e teneva la testa rigida per la fasciatura che gli legava il collo. Tanto Harding quanto il dottor Chesney erano un po' brilli, mentre il professor Ingram era del tutto lucido. La stanza, molto calda e piena di profumo di caffè, sigari e brandy in bicchieri panciuti, era illuminata da paralumi. Smisero di giocare, anche se il professor Ingram tenne i dadi e continuò a farli rotolare sul tavolo. Tenendo le mani stese sul ripiano, il dottor Chesney si guardava attorno con la faccia rossa e lentigginosa. «Benone» borbottò. «Cosa c'è? Cerchiamo di sbrigarci.» A un cenno del maggiore Crow, Elliot prese il via: «Buona sera, dottore, buona sera, buona sera, professore. Penso abbiate tutti prima o poi incontrato il dottor Fell; e tutti conoscete il signor Stevenson, naturalmente.» «Lo conosciamo» disse il dottor Chesney, continuando a guardarsi attorno e cercando di vincere la difficoltà di parola che gli dava il brandy. «Cos'avete lì, Hobart?» «Il suo proiettore cinematografico» rispose Elliot. «Oggi nel pomeriggio» continuò Elliot rivolgendosi al professor Ingram «eravate molto ansioso di vedere il film preso allo spettacolo del signor Chesney; suggerisco che tutti lo vedano, è meglio. Il signor Stevenson ha molto gentilmente acconsentito a portare la sua macchina e gli altri accessori e son sicuro che non avrete obiezioni se la montiamo qui.» Parlava nella maniera insegnatagli dal sovrintendente Hadley. «Ho paura che non sarà una cosa molto divertente per voi, e me ne scuso, ma vi assicuro che potrà essere di aiuto, a noi e anche a voi, se lo vediamo.» Si sentì un leggero rumore mentre il professor Ingram faceva cadere i
dadi sulla tavola; diede un'occhiata per vedere il risultato, li prese e guardò Elliot. «Bene, bene, bene» mormorò. «Signore?» «Su, andiamo» disse il professor Ingram «siamo leali. È una specie» fece rotolare di nuovo i dadi «di ricostruzione da polizia francese, in cui il colpevole del delitto dovrebbe avere un collasso e confessare? Non veniteci a dire sciocchezze del genere, ispettore; vi può condurre a qualunque risultato ed è cattiva psicologia, almeno in questo caso.» Il tono era superficiale, ma copriva un'intenzione seria; Elliot sorrise e si sentì sollevato quando sorrise anche il professor Ingram. Si affrettò a rassicurarli: «No, parola d'onore che non è niente del genere. Non vogliamo far paura a nessuno, vogliamo solo che vediate tutti il film, vogliamo che lo vediate per convincervi...» «Di che cosa?» «...convincervi di chi era realmente il dottor Nemo. Abbiamo studiato molto attentamente il film e se guardate bene, dal posto giusto e come si deve, potete dirci chi ha ucciso il signor Chesney». Il professor Ingram fece cadere i dadi nel loro astuccio, lo scosse e li gettò di nuovo. «Così lo denuncia, no?» «Sì. Pensiamo di sì. Per questo vogliamo che vediate tutti il film, per accertarci che siete d'accordo con noi. È evidente, ve ne accorgerete; noi quando abbiamo proiettato il film la prima volta non l'abbiamo notato, ma pensiamo che voi lo farete. In questo caso, naturalmente, tutto sarà semplice: siamo preparati a compiere un arresto stanotte.» «Buon Dio» disse Joe Chesney «non vorrete dire che per questo prenderete qualcuno da impiccare?» Aveva parlato come se avesse udito un fatto sorprendente a cui non aveva ancora pensato. E il suo viso divenne ancor più truce. «Questo lo deciderà la giuria, dottor Chesney. Avete qualche obiezione? Per proiettare il film, intendo.» «Eh? No, no, neanche per sogno. A dirvi la verità, ho voglia di vederlo.» «Avete qualche obiezione, signor Harding?» Harding si era portato nervosamente le dita al colletto, toccando la benda, si schiariva la voce; prendeva il brandy a portata di mano e scolava il bicchiere.
«No» decise «eh... è una buona pellicola?» «Una buona pellicola?» «Chiara, voglio dire.» «Abbastanza. Avete qualche obiezione, signorina Wills?» «No, no naturalmente.» «Deve vederla anche lei?» chiese il dottor Chesney. «La signorina Wills» riprese Elliot lentamente «è forse l'unica persona che deve vederla, fra tutti.» Di nuovo il professor Ingram scosse i dadi e contemplò soprappensiero il risultato: «Per quanto mi riguarda, sono molto tentato di far l'offeso; il film mi interessa molto, come avete detto, e oggi sono stato ben ripagato del da fare che mi son dato; quindi sarei portato» la sua fronte calva luccicava per il caldo della stanza «a dirvi di andare al diavolo. Ma non posso; quell'infernale freccia da cerbottana mi ha ossessionato tutta la notte e così pure la vera statura del dottor Nemo» picchiò l'astuccio dei dadi sulla tavola. «Ditemi: il film mostra quanto era alto? Potete stabilire la sua statura vedendolo?» «Sì, signore. Circa un metro e ottanta.» Il professor Ingram depose l'astuccio dei dadi e guardò in su. Il dottor Chesney prese un'aria dapprima sconcertata, poi incuriosita, poi gioviale. «È stabilito?» chiese il professore seccamente. «Lo vedrete da voi, ma non vogliamo attirare la vostra attenzione soprattutto su quel particolare; però potete considerarlo come assodato, sì. Ora? Vi spiace se uso la stanza da musica per proiettare il film?» «No, no, dovunque vogliate» tuonò Joe Chesney; era evidentemente scosso come una bottiglia di medicinale e, come certi medicinali, schiumava e cambiava colore. «Devo mostrarvi la strada? Vengo io, portate qualcosa da bere anche di là; lo vediamo fino in fondo, ma dobbiamo bagnarci la gola.» «So andarci, grazie» Elliot sorrise al professor Ingram. «Non c'è bisogno di far quella faccia, la proiezione nella stanza da musica non è una forma di terzo grado francese: è solo perché là potrete veder meglio le cose, credo. Il signor Stevenson e io andiamo avanti e il maggiore Crow viene con voi tra cinque minuti.» Non si era reso conto, prima di uscire dalla stanza, di come scottava la sua fronte, ma non perché pensasse all'assassino: aveva in mente altre considerazioni che lo facevano star male. L'atrio era freddo, come la stanza da musica. Elliot trovò l'interruttore
della luce dietro al mobiletto alto e aprì le tende grigie: fuori dalle finestre si stava alzando la nebbia; andò al radiatore e lo mise sul caldo. «Lo schermo» disse «può andare nello spazio fra le porte doppie, mettete il proiettore più vicino possibile; potete spostare quel radiogrammofono e usarlo per appoggiarvi la macchina.» Stevenson annuì e cominciarono a lavorare in silenzio: il lenzuolo venne fissato agli stipiti e il proiettore attaccato alla stessa presa elettrica che serviva per il grammofono; ma sembrava fosse passato molto tempo quando videro un gran quadrato di luce riflettersi sullo schermo. Dietro c'era lo studio scuro, dove Marcus Chesney si era seduto e in cui ancora batteva forte l'orologio. Elliot mise le poltroncine di broccato in modo che ce ne fossero due ad ognuno dei due lati dello schermo. «Pronto» disse. La piccola processione entrò quasi subito nella stanza da musica. Il dottor Fell doveva essersi incaricato delle cerimonie: Marjorie e Harding vennero portati a due poltroncine da un lato dello schermo, il professor Ingram e il dottor Chesney alle altre due. Il maggiore Crow si appoggiò al pianoforte a coda, come la notte prima, Bostwick si mise vicino alla porta da una parte, Elliot dall'altra e il dottor Fell dietro a Stevenson, presso il proiettore. «Riconosco» disse il dottor Fell, respirando forte «che non sarà facile per voi e specialmente per la signorina Wills; ma vorreste, signorina, avvicinarvi un po' di più allo schermo, per favore?» Marjorie lo guardò, ubbidendo senza parola: le tremavano tanto le mani che Elliot si fece avanti a spostare la sedia per lei. Anche se di fianco, era a non più di trenta centimetri dal lenzuolo steso fra le porte. «Grazie» grugnì il dottor Fell, meno brusco del solito, e ruggì: «Amen! Incominciamo». Bostwick spense le luci e di nuovo Elliot notò il buio immenso, rotto solo dal riflesso del proiettore, che riusciva appena a sfiorare il viso di coloro che ne erano fuori. Dacché la macchina era a un metro e mezzo dallo schermo, l'immagine sul lenzuolo, anche se non a grandezza naturale, doveva essere enorme. Incominciò il rumore ritmico e si fece buio; era facile udir le persone respirare; Elliot avvertiva la massiccia figura da bandito del dottor Fell, che torreggiava sugli altri seduti, ma pensava intensamente a quello che stavano per vedere di nuovo, al suo significato così semplice, solo a ripensarci. Sul buio dello schermo si vedeva la macchia verticale di luce, traballante
ai margini; di nuovo le porte fantasma si aprirono e dalla macchia gradatamente emergeva l'immagine della stanza che stava realmente dietro alle porte doppie dove guardavano. E, mentre vedevano il caminetto lucente, la luce intensa sulla tavola, l'orologio dal quadrante bianco, Elliot aveva l'impressione di guardare nello studio, invece che in una sua riproduzione; era come se lo vedessero attraverso un velo trasparente, che rendesse tutti i colori in bianco e nero. L'illusione era aumentata dal ticchettìo dell'orologio vero, che s'accordava col dondolìo del pendolo nella proiezione. Davanti a loro c'era una stanza vuota, con un orologio che segnava l'ora della notte prima e finestre aperte alla stessa aria. Poi Marcus Chesney guardò verso di loro dallo studio. Marjorie gridò, e non c'era da sorprendersi, perché la figura era quasi vivente non fosse altro che per l'apparenza spettrale che le conferivano le luci; c'era fra loro un'illusione di realtà. Chesney si occupava solennemente del suo spettacolo: sedeva di fronte a loro, spingeva da un lato la scatola di cioccolatini dal disegno grigio e incominciava la sua pantomima con i due oggettini sulla scrivania... «Oh, cieco che non son altro» sussurrò il professor Ingram, chinandosi in avanti tanto che il suo cranio entrava nel raggio del proiettore «ecco. Freccia da cerbottana, eh? Adesso vedo!...» «Non importa...» interruppe il dottor Fell «non preoccupatevi di quello; state attento, guardate il lato sinistro dello schermo; sta arrivando il dottor Nemo.» Come evocata, la figura magra e alta dal cappello a cilindro apparve, voltando subito verso di loro la faccia, ed essi poterono guardare da vicino dentro gli opachi occhiali neri. I particolari erano più crudi e ingranditi; si notava il pelo consunto del cilindro e il curioso atteggiamento del dottor Nemo mentre si muoveva nella stanza vuota. Avvicinandosi alla scrivania con la schiena parzialmente girata, ora compiva la sostituzione delle scatole da cioccolatini... «Chi è?» domandò il dottor Fell, mentre il personaggio si muoveva. «Guardatelo bene. Chi è?» «È Wilbur» disse Marjorie. «È Wilbur» ripeté, alzandosi dalla sedia. «Non vedete? Non vedete come cammina? Guardate! È Wilbur.» La voce del dottor Chesney era alta ma sorpresa. «Ha ragione lei» insistette «mio Dio, certamente. Ma non può essere Wilbur, è morto.» «Si direbbe davvero Wilbur» ammise il professor Ingram. Nel buio pa-
reva che la sua personalità si facesse più acuta; si sistemò sulla sedia e si fece più attento, lo sentivano. «Un momento! C'è qualcosa che non va. È un trucco; sono pronto a giurare...» Il dottor Fell lo interruppe; il ronzare continuo del proiettore risuonava loro nelle orecchie. «Adesso ci stiamo arrivando» esclamò il dottor Fell, mentre il dottor Nemo andava dall'altra parte del tavolo. «Signorina Wills! Entro due secondi vostro zio dirà qualcosa. Ora guarda Nemo. Ora gli dice qualcosa. Ora gli dice qualcosa. Osservategli le labbra, leggetegli le labbra per noi e riferiteci cosa dice. Pronta!» La ragazza si era alzata e chinata vicino allo schermo così che la sua ombra quasi lo toccava, e in quel momento sembrava loro di non sentire neanche il rumore del proiettore. C'era solo silenzio, un silenzio assurdo. Mentre le labbra grigie di Marcus Chesney si muovevano nella stanza come vista in trasparenza, Marjorie parlava con esse; la sua voce aveva un tono non naturale, sembrava che i suoi pensieri fossero altrove: era una voce bassa, spettrale, con una specie di ritmo interno. Diceva: «Non mi piacete, dottor Fell, il perché chi lo sa, ma...» Nel gruppo si era verificato una specie di subbuglio. «Cosa diavolo è?» proruppe il professor Ingram «cosa state dicendo?» «Quello che dice lui» gridò Marjorie. «Non mi piacete, dottor Fell...» «Vi ho detto che è un trucco» disse il professor Ingram «non sono matto a crederci. Ero qui a guardarlo e ascoltarlo e sono sicuro che non ha mai detto niente del genere.» Fu il dottor Fell a rispondere. «Certo che non l'ha mai detto» disse con voce pesante, stanca e amara «e pertanto non state guardando la ripresa della scena di ieri notte. E pertanto vi è stato propinato un film diverso. E pertanto l'assassino è la persona che ce l'ha consegnato, con l'assicurazione che era proprio l'originale. E pertanto l'assassino è...» Non aveva bisogno di finire. Elliot in due passi fu nel fascio di luce, mentre George Harding si alzava in piedi. Harding lo aveva visto arrivare e gli si buttava goffamente addosso: Elliot aveva sperato in una zuffa, l'aveva sognata e quasi aveva pregato; tutta l'antipatia diventata odio, tutti i sentimenti repressi, tutta la consapevolezza di ciò che George Harding aveva fatto e del perché l'aveva fatto, tutto gli corse in mente; e si slanciò sul suo avversario, ma quello desistette
subito, schiantato. Sbatté gli occhi, e col viso contratto in una smorfia di autocommiserazione, cadde addosso a Marjorie, aggrappandosi alla sua gonna, svenuto. Dovettero farlo rinvenire con brandy prima di dichiararlo in arresto. XX Un'ora dopo il dottor Fell sedeva con loro in biblioteca davanti al camino, ma Marjorie non c'era, e neppure, per ragioni ovvie, Bostwick e Harding. Gli altri stavano in atteggiamenti che Elliot, col pensiero mortalmente stanco ma ancora capace di ironia, paragonava a una natura morta olandese. Il dottor Chesney parlò per primo; era rimasto seduto con i gomiti sulla tavola da bridge e la testa fra le mani, ma ora l'aveva rialzata. «Così è stato un estraneo» mormorò «già; penso di averlo sempre saputo.» Il professor Ingram parlò educatamente: «Ah, sì? Non eravate voi a dirci che brava persona fosse Harding? Almeno, quando avete combinato quel matrimonio così indovinato e tempestivo oggi nel pomeriggio...» Il viso dell'altro divenne rosso. «Non capite che dovevo farlo? Ho pensato di doverlo fare... Harding mi ha convinto, diceva...» «Diceva un mucchio di cose» osservò il maggiore Crow, con rabbia repressa. «...ma quando penso a quello che deve essere questa notte per lei...» «Sì?» chiese il professor Ingram, prendendo i dadi e facendoli cadere nell'astuccio. «Siete sempre stato un cattivo psicologo, ragazzo mio. Pensate che lo ami? Pensate che l'abbia amato? Perché credete che io abbia così violentemente protestato contro lo spettacolo disgustoso di oggi nel pomeriggio?» prese l'astuccio dei dadi e lo scosse; guardava dal dottor Fell a Elliot, al maggiore Crow. «Ma penso, signori, che ci dobbiate una spiegazione; vorremmo sapere (come si fa, di solito, alla fine di una storia) come abbiate capito a colpo sicuro che Harding era l'assassino e come sperate di incriminarlo. Può darsi che sia chiaro per voi, ma per noi non lo è.» Elliot guardò il dottor Fell. «Fatelo voi» suggerì «non mi sento del tutto in forma.» Il dottor Fell, con la pipa accesa e un boccale di birra vicino, fissava meditando il fuoco.
«Ho anch'io molti rimorsi per questo affare» cominciò con una voce che per lui era bassa «perché, circa quattro mesi fa, ciò che consideravo una mia idea cervellotica era realmente il principio di una soluzione. Forse bisognerebbe incominciare ancor prima dell'inizio; per mostrarvi gli eventi nell'ordine consecutivo in cui li ho visti io e per seguirli come sono passati davanti ai nostri occhi. «Il 17 giugno, dunque, i bambini sono stati avvelenati con cioccolatini del negozio della signora Terry. Ho sottolineato oggi all'ispettore Elliot le mie ragioni per pensare che, anche allora, l'avvelenatore non ha usato il trucco grossolano di far cadere una manciata di cremini avvelenati in una scatola aperta; è molto più probabile che si sia servito di qualcosa come una borsa a molla, rendendo facile un'operazione che sarebbe stata altrimenti piuttosto complicata, con le scatole aperte. Pensavo fosse meglio considerare qualcuno che (diciamo in un certo giorno della settimana prima) fosse andato nel negozio portando una borsa. Ora, ciò presupponeva qualcuno che portasse una borsa senza per questo dar nell'occhio o esser poi ricordato: per esempio, il dottor Chesney o il signor Emmet. «Ma» disse il dottor Fell, puntando la pipa «come ho indicato all'ispettore, c'era anche un'altra possibilità. Perfino il dottor Chesney o il signor Emmet sarebbero stati notati con una valigetta, per quel tanto che si nota anche una cosa abituale. Un altro tipo di persone avrebbe invece potuto entrare in un negozio con quella valigetta senza che la signora Terry ci pensasse due volte allora o poi.» «Un altro tipo di persone?» chiese il professor Ingram. «Un turista» disse il dottor Fell. «Come sappiamo» continuò «per Sodbury Cross c'è un grande via vai che in alcuni momenti diventa imponente. X o Y o Z, un turista o uno straniero, passando in automobile avrebbe potuto entrare con una borsa, chiedere un pacchetto di sigarette e sparire di nuovo, senza che la negoziante badasse alla borsa o ripensasse a lui. Il dottor Chesney o il signor Emmet, del luogo, avrebbero dato nell'occhio; X o Y o Z, forestieri, no. «Ma questo sembrava una pura pazzia; perché un forestiero avrebbe voluto una cosa simile? Un forestiero, un pazzo criminale avrebbe potuto essere il colpevole, ma come dire al maggiore Crow: "Cercate (in tutta l'Inghilterra) un estraneo per Sodbury Cross, un estraneo che non so descrivere, in un'automobile che mi è sconosciuta, con una borsa truccata di cui non ho ragione di supporre l'esistenza?". Mi sembrava eccessivo e così ho scartato l'idea, ed ora me ne pento, purtroppo.
«Elliot è venuto da me a risvegliare cattivi ricordi con la sua storia; avevo già ricevuto la lettera di Marcus Chesney, avevo appreso l'essenza della questione dal mio cameriere sordo e il racconto di Elliot mi aveva piuttosto colpito. Ho appreso da lui (lo sa il cielo se è vero) che la signorina Wills si era imbattuta e si era fidanzata in Italia con George Harding: non c'era ragione di sospettare lui proprio perché era un estraneo, ma c'erano ragioni lampanti di sospettare qualcuno, qualcuno in quel gruppetto raccolto strettamente attorno a Marcus Chesney, qualcuno che aveva utilizzato per il gioco di prestigio dell'assassinio uno spettacolo prestigioso e architettato con cura. Perciò, incominciamo con l'esaminare questo spettacolo. «Sapevamo che era stato progettato molto tempo prima e che (come ci era stato detto ripetutamente) era pieno di trabocchetti, per cui non bisognava mai credere ai propri occhi; potevamo aver ragione di sospettare che i giochetti non avvenissero solo sulla scena, ma anche fra il pubblico. Ascoltate la lettera di Chesney in proposito; parla dei testimoni: «"Non sanno cosa succede sulla scena e ancor meno cosa succede fra il pubblico. Mostrate loro un'immagine dell'avvenimento in bianco e nero e vi crederanno, ma anche allora non saranno capaci di interpretare ciò che vedono". «Ora, cercando di veder chiaro negli enigmi della rappresentazione, abbiamo tre punti contraddittori che chiedono un chiarimento. Eccoli: «(a) Perché Chesney, nella lista di domande che intendeva rivolgervi, ne ha inclusa una completamente inutile? Perché vi ha detto che il dottor Nemo era Wilbur Emmet, se immediatamente dopo vi chiedeva l'altezza del figuro col cappello a cilindro? «(b) Perché ha insistito per far mettere lo smoking a tutti ieri notte? Non ne avevate l'abitudine, ma proprio quella sera lo voleva. «(c) Perché ha incluso la decima domanda in quella lista? Quella domanda è stata piuttosto trascurata, ma mi ha lasciato perplesso. Intendeva chiedere, se ricordate: "Quale persona o quali persone hanno parlato? Cos'hanno detto?". E immediatamente dopo aggiungeva una nota per avere la risposta letterale; dov'era la trappola? Sembrava pacifico tra i testimoni che solo Chesney aveva parlato sulla scena anche se, in verità, alcune parole erano state sussurrate o dette da membri del pubblico. Ma dov'era la trappola? «Signori, la risposta ai punti (a) e (b) sembrava chiara; vi aveva detto che il dottor Nemo era Wilbur Emmet per la semplicissima ragione che il dottor Nemo non era Wilbur Emmet. Il dottor Nemo non era Emmet, ma
qualcuno con le stesse scarpe e gli stessi pantaloni da sera; tuttavia è ovvio che costui non poteva essere alto uguale. Altrimenti la domanda: "Quant'era alta la persona entrata dalla finestra?", avrebbe a sua volta perduto valore; se fosse stata alta come Emmet, uno e ottanta, e voi aveste detto uno e ottanta, dopo tutto non avreste avuto nessun torto. Così vi doveva ingannare servendosi di qualcuno parecchi centimetri più basso, anche se con scarpe e calzoni dello stesso tipo. «Dunque. Dove troviamo una persona adatta? Avrebbe potuto, naturalmente, essere un estraneo, qualunque conoscenza di Sodbury Cross, ma in quel caso avrebbe perduto completamente di valore; non sarebbe stato leale, sarebbe solo stata una menzogna e non avrebbe giustificato le parole: "Non sanno cosa succede sulla scena e ancor meno cosa succede fra il pubblico". Il che, se significa qualcosa, significa che il figuro dal cappello a cilindro faceva parte del pubblico. «E così il trucco viene a cadere: sappiamo che Marcus Chesney aveva un altro complice, oltre ad Emmet, un complice dall'apparenza innocente che sedeva, come avviene durante i giochi di prestigio, fra il pubblico. Nei venti secondi di buio completo dopo spente le luci, Emmet e quest'altro complice avevano cambiato di posto, ed era stato quest'altro, non Emmet, a far la parte del dottor Nemo, mentre Emmet in persona sedeva o stava in piedi fra il pubblico durante lo spettacolo. Ecco come, signori, Marcus Chesney aveva progettato il suo trucco. «Ma chi, fra il pubblico? «Emmet chi impersonava? «Qui siamo su un terreno facile. La signorina Wills era da scartare, ovviamente; il professor Ingram pure, almeno per tre ragioni: stava seduto troppo lontano dalla finestra della stanza da musica, nella poltrona che Chesney gli aveva assegnata; aveva una testa calva notevolmente lucida e inoltre era molto improbabile che Chesney avesse preso per complice proprio l'uomo che desiderava ingannare più di tutti. «Ma Harding? «Harding è poco più di uno e settanta, tanto lui quanto Emmet sono magri e pesano press'a poco lo stesso: Harding kg. 69.850 ed Emmet kg. 73.470; entrambi hanno capelli neri. Harding venne posto alla estrema sinistra, la posizione peggiore per chiunque voglia filmare la scena, in effetti una posizione ridicola; ma era la posizione che Chesney gli aveva assegnata, a due passi dalle finestre. Infine, egli stava in piedi con un occhio appiccicato alla macchina da presa in modo che la mano destra potesse na-
scondere con naturalezza il volto. Concesso?» «Concesso» disse il professor Ingram cupamente. «Niente era più facile, dal punto di vista psicologico, di una simile sostituzione. Nessuno avrebbe notato la differente altezza, perché stava in piedi, mentre gli altri due testimoni erano seduti. Inoltre, Harding diceva che stava raccolto, intendendo dire che così stava Emmet. Siete stati tutti ben ingannati, perché le differenze superficiali di aspetto non si notano molto al buio. Harding è bello; Emmet era brutto in modo impressionante, ma nessuno se ne sarebbe accorto al buio con una mano sulla faccia. Lo guardavate appena, altrimenti non avreste seguito ciò che avveniva in scena. Dichiarare che avete visto tanto Harding che la scena è una contraddizione in termini. Dite di aver visto Harding "con la coda dell'occhio", ed è vero, ma ne avete vagamente notato la sagoma e nient'altro. Avete visto Harding perché vi aspettavate di vedere Harding. «Il buio inoltre nascondeva un altro trucco psicologico che penso vi sia stato giocato: dite che la figura con la macchina da presa parlò ad alta voce; secondo me è pacifico che non è vero. L'effetto psicologico del buio durante un trattenimento fa parlare la gente, sembrano voci normali e qualche volta perfino molto forti; lo ammetterete, non provate questa impressione se a teatro udite qualche tanghero chiacchierare dietro di voi? In realtà si tratta di un bisbiglio. Secondo me, quindi, quando quella persona ha detto "Ssst! L'Uomo Invisibile!", ha bisbigliato e voi siete rimasti ingannati perché tutte le voci basse sembrano uguali; avete creduto di sentire la voce di Harding perché non avreste mai pensato che potesse essere di un altro. «Infatti, per la parte dell'altro complice, Harding è la sola scelta plausibile; Chesney non avrebbe scelto voi, professor Ingram, con cui aveva discusso per anni interi, né voi, dottor Chesney, con cui aveva discusso tutta la vita, anche se il fatto che siete proprio alto come Emmet non vi avesse escluso in partenza. No. Avrebbe scelto Harding, deferente come un parassita, che pendeva dalle sue labbra, lusingava la sua vanità, credeva alle sue teorie e che, soprattutto, aveva una macchina da presa che poteva essere utile in molti modi. «Contemporaneamente c'è un altro filo che ci conduce diretti ad Harding. Se di una cosa ci è stato parlato senza tregua in questo caso, è dell'estrema deferenza che Harding non ha mai mancato di ostentare verso Marcus Chesney. Mai gli è venuta meno, mai si è lasciato scoraggiare, mai si è permesso di dissentire, mai, meno che nel momento in cui non avrebbe
dovuto. Quella rappresentazione era l'orgoglio di Chesney, la considerava con estrema serietà e intendeva che tutti facessero così ma, in uno dei punti culminanti, l'ingresso drammatico del dottor Nemo dalla finestra, questo (presunto) Harding, dopo essere stato ammonito chiaramente di star zitto, pronuncia le parole "Ssst! L'Uomo Invisibile!" e la spiritosaggine improvvisa detta a spese di Chesney sembra strana; avrebbe potuto provocare risate, avrebbe potuto rovinare tutto. Ma questo (presunto) Harding l'aveva detta. «Ora, tra un momento vi voglio sottolineare perché anche quella sola frase incrimina Harding ma per adesso ecco cosa ho pensato: "Non è vero: è Wilbur Emmet che si atteggia ad Harding fra il pubblico e, poiché mai Emmet più di Harding avrebbe pensato di far lo spiritoso a spese di Chesney, per Giove, anche la frase è preordinata". Perfino quelle parole facevano parte dello spettacolo. Ed ecco che torniamo alla vecchia domanda. "Quale persona o quali persone hanno parlato? Cosa hanno detto?" «Non sto lavorando di fantasia, signori, sto raccontandovi come si sono svolti i fatti: ecco cosa sono stato portato a pensare quando Elliot mi ha raccontato la storia. Non ho osato, dapprima, nutrire grande speranza che il colpevole fosse Harding...» Il dottor Chesney lo fissò. «Speranza?» chiese con un'occhiata sospettosa. «Che speranza? Perché avrebbe dovuto sperarlo?» Il dottor Fell si schiarì la voce con rumore profondo. «Ehm...» disse «è un lapsus. Vado avanti? «Ma perfino a questo punto, anche rifiutandoci di credere al movente e a qualsiasi altra considerazione diversa dal puro meccanismo del delitto, era ovvio che Harding poteva aver fatto la parte del dottor Nemo. «Guardate i tempi impiegali: nei venti secondi di oscurità completa fra il momento in cui vennero spente le luci e il momento in cui Chesney aprì le porte doppie, Emmet poteva esser scivolato attraverso la finestra nella stanza da musica, poteva aver preso la macchina da Harding, che a sua volta usciva dalla stessa finestra per indossare il travestimento da dottor Nemo: sostituzione che non avrebbe richiesto più di due o tre secondi. Inoltre, quaranta secondi in più sono passati prima dell'ingresso del dottor Nemo nello studio, il che concede ad Harding quasi un intero minuto per mascherarsi; e il professor Ingram vi potrà dire che serie notevole di cose si possono fare in un minuto. «Dopo trenta secondi nello studio, Nemo esce; poi considerate ancora il
tempo di far buio e chiaro, durante il quale Harding torna al suo posto. Questo come coincide con i tempi da noi segnati? «Io non avevo ancora visto il film, ma Elliot mi ha riferito la testimonianza di Harding, che aveva detto: "Appena quel figuro col cappello a cilindro uscì di scena, ho guardato in su, sono indietreggiato e ho chiuso la macchina". In altre parole, quello che Wilbur Emmet (in veste di Harding) ha fatto davvero; ha interrotto la ripresa dello spettacolo non appena Nemo ha lasciato lo studio. Ma perché? Lo spettacolo non era ancora finito; come sapete, Marcus Chesney aveva ancora da cadere in avanti, fingendo drammaticamente di essere morto, e quindi doveva alzarsi a chiudere le porte doppie. Chesney intendeva dare ai due molto tempo per il nuovo cambio di persona. «Sembra chiaro che Emmet, dopo la partenza di Nemo, "è indietreggiato", oltre la visuale degli altri, ed è scivolato fuori dalla stanza da musica per incontrare Harding, secondo il loro piano, cioè il piano di Marcus Chesney; ma Harding (se le mie teorie sono giuste) aveva un'interessante variazione personale da apportare, dopo aver dato a Chesney una capsula avvelenata. (Naturalmente di capsule non ce n'è mai stata più di una ed è inutile discuterne. Se si era stabilito che Harding dovesse prendere la parte del dottor Nemo, perché doveva esserci una seconda capsula? Ce n'era una sola, quella affidata ad Harding e che lui aveva riempito di acido prussico). Harding era dunque pronto per la sua variazione del piano. «All'uscita di Nemo, Wilbur Emmet ferma la ripresa del filmetto e scivola fuori attraverso la finestra della stanza da musica; Harding, cui occorrevano solo pochi secondi per strapparsi di dosso il travestimento (meno che a metterselo) lo sta aspettando. Appoggiato, nell'ombra, dietro a una pianta e proprio vicino alla stretta striscia di erba, c'è un bastone messo lì da varie ore: egli fa un cenno ad Emmet, prende la macchina, finge di andare verso casa e, mentre Emmet si volta, Harding tenendo la mano avvolta in un fazzoletto, lo colpisce col bastone. Poi scivola di nuovo nella stanza da musica attraverso la finestra, prima che si riaccendano le luci. Tempo (come ha giudicato il professor Ingram) cinquanta secondi.» Il professor Ingram faceva girare i dadi nell'astuccio e, corrugando la fronte, scuoteva la testa. «Fin troppo, ve lo garantisco, ha avuto fin troppo tempo. Ma non correva un rischio insensato?» «No» rispose il dottor Fell «per niente.» «Supponete che qualcuno, io o chiunque altro, avesse riacceso le luci
troppo presto, prima che tornasse nella stanza da musica.» «Dimenticate Chesney» ribatté il dottor Fell cupamente «dimenticate che quell'uomo ha praticamente predisposto il suo assassinio; soprattutto gli stava a cuore che Harding tornasse tranquillamente alla base prima che si facesse luce di nuovo; se Harding fosse stato sorpreso, il suo schema sarebbe stato rovinato, egli si sarebbe reso ridicolo, e ciò non doveva succedere. Se ricordate, un momento fa vi ho detto che Chesney ha cercato di trattenere la vostra attenzione, sedendo qui al suo tavolo per un momento e poi cadendo in avanti sulla faccia: evidentemente una scenetta improvvisata, dato che in proposito non abbiamo nessuna domanda sulla lista; ha cercato di trattenervi dopo l'uscita di Nemo per dar tempo ad Harding. È chiaro che quello doveva dare un segnale concordato, come un colpo di tosse, per far sapere a Chesney di essere tornato nella stanza da musica. Allora Chesney avrebbe posto fine allo spettacolo chiudendo le porte. Harding poteva metter più o meno tempo a suo piacimento nel rompere il cranio di Emmet, venti secondi o centoventi, ma Chesney non avrebbe concluso la scena fino al suo ritorno fra il pubblico.» «Maledizione!» sbottò Joe Chesney, battendo il pugno sul tavolino da gioco e facendolo traballare. «Allora è andato a colpo sicuro per tutto il tempo?» «Sì.» «Avanti» incitò il professor Ingram, calmo. Il dottor Fell respirò forte: «Allora, stamattina questa era la situazione e, come capirete, ero molto ansioso di vedere il filmetto; il filmetto che, pensavo, aveva preso Emmet. Harding, proprio prima che incominciassi a ricredermi, stava assumendo un aspetto curioso, se pure non ancora sinistro; era un chimico di laboratorio e poteva aver prodotto acido prussico in qualunque momento e, solo fra tutte le persone coinvolte nel caso, poteva conoscere la maniera di mettersi e togliersi i guanti di gomma in un secondo. Non so se vi ci siate mai provati; metterli è relativamente facile, basta che abbiano del talco dentro, ma toglierli in fretta è quasi impossibile, a meno che non conosciate il trucco. Non bisogna sfilarli tirando le dita come al solito, perché si riesce solo a farli a pezzi o a perdere del tempo bestemmiando: bisogna invece arrotolarli dal polso e i nostri sono stati trovati proprio così, arrotolati con cura, tanto che ho manifestato nei loro riguardi un interesse che sembrava sorprendere l'ispettore Elliot. «Tuttavia l'immagine di Harding come assassino si è manifestata in modo netto e definito anche prima che vedessimo il film, e cioè da una con-
versazione fra Elliot e la signorina Wills nella stanza sopra il negozio di Stevenson. Io, signori, ho udito quella conversazione e l'ho ascoltata senza dignità e senza vergogna; c'era un lenzuolo steso fra le porte doppie nel passaggio dal salotto alla camera da letto e là dietro io mi sono nascosto (se pensate che la cosa sia possibile). «Fino a quel momento non sapevo niente di Harding, salvo quanto riferitomi da Elliot, ma ora, per Giove, cosa apprendevo! Elliot mi aveva assicurato che Harding non aveva mai sentito parlare di Sodbury Cross fino a quando aveva incontrato la signorina Wills durante un viaggio nel Mediterraneo e invece venivo a sapere che la conosceva da molto tempo, e soprattutto prima dell'avvelenamento nel negozio della signora Terry e che la ragazza era solita andare a Londra per incontrarlo. Per favore, signori, non fate quella faccia» disse il dottor Fell bruscamente. «E frenate l'impulso di darmi le molle del camino in testa, dottor Chesney; perfino le cameriere lo sanno qui in casa, chiedeteglielo. «Ma la cosa più importante era il nuovo punto di vista sul carattere del signor George Harding; non si poteva condannarlo, naturalmente, perché aveva scelto una via traversa per nascondere alla famiglia della ragazza la loro lunga conoscenza, anche se sembrava un modo, il suo, piuttosto complicato di comportarsi. Non potevo condannarlo, ma lo condannavo invece, e l'ispettore Elliot lo avrebbe ucciso, per aver detto mellifluamente che aveva bisogno di una vacanza, che si sarebbe adattato a un viaggio all'estero e che era meglio che le spese fossero sostenute da Marjorie. Non è tutto. Signori, stavo nella camera del farmacista e mi mancava il fiato: vedevo delle immagini e sentivo delle voci, mi pareva di odorare i riccioli profumati di Wainewright, sembrava che il fantasma di Warren Waite sedesse sulla sedia a dondolo, credevo di scorgere fuori dalla finestra gli occhi magnetici di Richeson e il grande cranio calvo di Pritchard. «E un altro aspetto della faccenda mi colpiva: chiunque George Harding fosse, era anzitutto un magnifico attore. Ora, avevo sentito parlare di quella scenetta svoltasi a Pompei: un momento, non importa come ma, se quello che avevo appreso origliando dal farmacista era vero, pensate solo un momento al significato di quella scenetta! Pensate ad Harding, innocente, strenuo, eroico in mezzo a voi intanto che gli raccontate di Sodbury Cross, pensate al modo con cui ha introdotto l'argomento degli avvelenatori, sollecitandovi fino a che gli avete detto: "Penso che fosse facile a quei tempi cavarsela con avvelenamenti all'ingrosso". Pensate al suo moto di sorpresa e alla premura nel metter via la guida scusandosi, quando ha finito di ren-
dersi conto di aver toccato un tasto falso. Pensate a... «Bene, non c'è bisogno di insistere ma tenetevi a mente la scena come un simbolo di tutto ciò che è venuto dopo, poiché dà un'idea esatta della mentalità di Harding. Per la completa e minuziosa ipocrisia di tutto quanto aveva detto e fatto quel giorno, lo vedevo (nella mia compagnia di fantasmi) benvenuto accanto a Holy Willie Palmer. «Diventerò meno metafisico; in seguito abbiamo proiettato il filmetto ed è stato il colmo: l'errore era così madornale che per Harding non c'era più niente da fare. «Ora, avete tutti visto quel film ma, quando l'abbiamo proiettato la prima volta, una cosa ci è sfuggita, ed è questa. Se credevamo alla storia di Harding, che egli l'aveva ripreso; se tenevamo per buono il suo alibi, senza sospettare di nulla, quel filmetto testimoniava ciò che Harding aveva visto. «Mi seguite?» chiese il dottor Fell con forza «Quello che aveva visto e tutto quello che aveva visto: era la sua versione dei fatti accaduti nello studio e, pertanto, potevamo vedere solo ciò che Harding stesso aveva visto. «Invece, per testimonianza degli altri presenti fra il pubblico e per sua testimonianza, cosa era successo? Torniamo indietro all'inizio della rappresentazione di Chesney: la grottesca figura dal cappello a cilindro entra dalla finestra e, mentre avanza, Harding bisbiglia "ssst! L'Uomo Invisibile". E quello si volta e guarda fra il pubblico. «Nel film cosa succede invece? La prima volta che vediamo il dottor Nemo è quando si volta per guardarci: appare e si volta. E allora come diavolo Harding poteva aver pronunciato quella frase? Infatti fino a quel momento noi non avevamo potuto vedere l'Uomo Invisibile e quindi neanche lui. «Harding non poteva scorgere la finestra, era troppo spostato a sinistra, e così non potevamo vederla noi; non potevamo vedere quel figuro entrare, non potevamo vederlo fino a quando non si voltò a guardarci. E allora (chiediamoci) come poteva Harding sapere a chi assomigliava? Come poteva dare una definizione appropriata di lui, ancora prima che il dottor Nemo entrasse nella sua visuale? «La risposta non è complicata: chiunque stesse là acquattato con la macchina da presa, era un complice della rappresentazione e sapeva già a chi assomigliava il dottor Nemo, gli era stata data quella frase da bisbigliare, aveva visto la testa di Chesney voltarsi, sapeva che era tempo e l'ha bisbigliata alcuni secondi troppo presto quando gli altri, a differenza di lui, vedevano già il dottor Nemo. Poiché Harding più tardi ha giurato di aver
pronunciato quelle parole, era un complice, sia che il film l'avesse preso lui, sia che l'avesse preso Emmet; la mia supposizione precedente che Emmet si fosse messo fra il pubblico e Harding avesse fatto la parte del dottor Nemo risultava confermata. «Alla proiezione di oggi nel pomeriggio, ero sul punto di sbottare con queste constatazioni, avevo già incominciato ad emettere alcune esclamazioni, quando il maggiore Crow intuì la verità dicendo che Marcus Chesney in persona aveva studiato il modo di farsi uccidere dall'assassino: era vero, anche se Crow si riferiva ad altro. Ma in quel momento le mie deduzioni rovinarono di colpo. «Potevamo veder bene il dottor Nemo nel film. «Ed era alto uno e ottanta. «Non solo era alto uno e ottanta ma, per il modo di camminare, era identificabile senza esitazione con Wilbur Emmet. «Ne ricevetti un urto tale in pieno stomaco da dover lasciar passare alcune ore prima di riavermi. «Vi raccomando la virtù della modestia, è una salutare virtù; ero stato così maledettamente sicuro di aver ragione, non solo nel costruire la mia torre, ma nel mettere cemento fra i mattoni per saldarli insieme... Solo quando abbiamo trovato la scatola della lampada da riflettore nel cassetto della signorina Wills, più tardi nel pomeriggio, mi sono reso conto che ancora una volta eravamo stati giocati da Marcus Chesney con un altro trucco; era l'ultimo, ma rendeva il piano di Harding tre volte sicuro. «Naturalmente, un particolare ci aveva resi perplessi per qualche tempo: non importa chi sia stato l'assassino, ma chiunque fosse, perché non ha distrutto il film? Aveva avuto ogni occasione di farlo senza farsi sorprendere poiché era qui alla sua portata in una stanza vuota e avrebbe potuto annullarlo in cinque secondi con una esposizione alla luce. Nessun assassino, neppure un pazzo, poteva volere che la polizia avesse agio di studiare la ripresa filmata della sua azione omicida. Ma la pellicola era intatta e, se avessi avuto il buon senso di interpretare questo semplice dato, mi sarei accorto che il filmetto era stato messo nelle nostre mani con ogni cura, perché non riproduceva per niente le azioni del vero assassino. «Era, infatti, la ripresa di una prova che Chesney, Emmet ed Harding avevano messo in scena quel pomeriggio, il pomeriggio prima dello spettacolo, con Emmet nella parte del dottor Nemo. «La lampada da riflettore aveva fatto la spia; già, per curiosità e intuizione, ma piuttosto perplesso, avevo fatto domande su queste lampade,
poiché mi aveva sconcertato la sorpresa della signorina Wills che, come mi era stato riferito, non si aspettava che la lampada bruciasse così presto. Perché se ne era sorpresa? Forse la cosa non aveva importanza, ma mi sbagliavo proprio come una persona che gira una maniglia quando una porta è ostinatamente chiusa. Ora, Marjorie aveva comperato la lampada quella mattina e non era stata usata fino a notte alta. Quanto tempo era servita? «Era abbastanza facile da stabilire. Lo spettacolo di Chesney era incominciato (pressappoco) a mezzanotte e cinque; la lampada era stata accesa ed aveva continuato a splendere fino all'arrivo della polizia a mezzanotte e venticinque, quando (ricordate) fu spenta. Sono venti minuti, tanto per cominciare. Di nuovo era stata accesa, per pochissimo tempo, quando la polizia ha dato un'occhiata alla stanza prima di essere interrotta da voi, professor Ingram, e di nuovo spenta dopo cinque minuti, anche meno. La terza e ultima volta era stata accesa di nuovo quando sono arrivati il medico della polizia e il fotografo, ancora per un breve periodo, quanto è bastato a Elliot per spiegare al maggiore Crow cosa sia una borsa a molla e per esaminare un orologio sul caminetto; poi è bruciata: diciamo altri cinque minuti. «Anche ammettendo che si tratti di tempi approssimativi, c'è sempre una bella differenza, poiché la lampada è bruciata dopo un uso complessivo di solo mezz'ora e, come il farmacista Stevenson mi ha assicurato, si tratta di materiale che resiste bene anche più di un'ora. «Era bruciata dopo mezz'ora perché qualcuno l'aveva usata prima. «Fatto molto semplice, di cui mi sono reso conto di colpo quando ho trovato l'astuccio di cartone nel cassetto: la signorina aveva comperato la lampada quella mattina e l'aveva messa là. Poi non l'aveva usata lei, perché abbiamo saputo dalle cameriere che era andata dal professor Ingram quella mattina stessa, rimanendovi fino al tardo pomeriggio e, in ogni caso, ci è stato ripetutamente confermato che non si occupa di fotografia. «Dovevamo credere che nessuno l'avesse usata fino al momento in cui Pamela era andata di sopra a cercarla a mezzanotte meno un quarto quella sera ma, come ho appena spiegato, non poteva esser così e un'altra ragione lo sottolineava. Abbiamo trovato l'astuccio di cartone; ora, se a Pamela era stato detto di andar di sopra a prender la lampadina e quella fosse stata ancora chiusa nel suo astuccio, l'avrebbe portata giù così. Invece l'ha portata da sola, il che vuol dire che l'astuccio era già stato aperto e la lampada o era stata messa semplicemente nel cassetto o era riposta nell'astuccio aper-
to. «Risultava già sicuro, lo ammetto, che Chesney, Emmet e Harding dovevano aver provato a lungo e con grande cura quella breve rappresentazione, poiché doveva filar via perfettamente. La domanda era: quando era avvenuta questa prova? Nel pomeriggio, senza dubbio: Chesney si era procurato la lampada comperata quella mattina, la signorina Wills lo stesso pomeriggio era assente e poiché voi, dottor Chesney, non vivete qui, non c'era ragione di pensarvi in casa, mentre Harding c'era rimasto, come abbiamo saputo dalla cameriera. «Ora intuite la natura del trucco finale di Chesney, la sua ultima presa in giro dei testimoni; intendeva ingannarvi anche quando sembrava non ci fossero più appigli. Facendo riprendere a Harding il filmetto della rappresentazione in anticipo, una rappresentazione che in parecchi piccoli particolari doveva essere completamente diversa da quella vera, si garantiva un asso nella manica. Avrebbe detto: "Bene, avete risposto; ora vedete ciò che è realmente successo: la macchina da presa non può mentire". Invece poteva mentire poiché era Emmet a fare la parte del dottor Nemo e le parole dette da Chesney erano completamente diverse, anche se il numero delle sillabe era pressappoco lo stesso. Oscuramente sono portato a credere che aveva concepito questo inganno al mio indirizzo poiché entro pochi giorni mi avrebbe invitato qui a veder la rappresentazione e mi avrebbe detto: "Ora guardate la ripresa che ne abbiamo fatta l'altra notte". E, presumibilmente, ci sarei caduto anch'io, mentre lui per tutto il tempo, con gran divertimento, avrebbe continuato a dire dallo schermo: "Non mi piacete dottor Fell". Quasi lo dichiara nella sua lettera: "Mostrate poi loro un'immagine in bianco e nero dell'avvenimento e vi crederanno, ma anche allora non saranno capaci di interpretare esattamente ciò che vedono". «Scambiando i due film allo scopo di ingannarci, Harding ha commesso un grandissimo errore; naturalmente c'erano due macchine da presa e ha lasciato che Emmet facesse la ripresa con una di esse, mentre cortesemente ci ha fatto avere la seconda con l'altra pellicola documentaria. Probabilmente vi tranquillizzerà il fatto di sapere che Bostwick ha trovato una macchina nascosta nella sua stanza, con il filmetto miracolosamente intatto: una alzata d'ingegno che lo farà certamente impiccare. «E la soluzione dei due film ci ha fornito l'ultima risposta chiudendo le indagini. Per molto tempo mi ero vagamente chiesto: il fatto che George Harding avesse ripreso il film da così lontano a sinistra era solo un'indicazione che voleva esser vicino alla finestre? Invece c'era un'altra ragione.
Non si era posto in modo da poter fotografare le finestre dello studio attraverso cui appariva Nemo, perché non osava farlo; avrebbe mostrato la luce pomeridiana mentre Nemo entrava, durante la prova. Le finestre dello studio sono rivolle a ovest e ieri era una giornata di sole brillante, così ha preferito stare da un lato ed Emmet ha dovuto mettersi nella stessa posizione durante la rappresentazione serale». Il dottor Fell, che aveva finito la pipa, prosciugò il boccale di birra. «Ora consideriamo il penoso affare di George Harding e Marjorie Wills. Harding ha progettato alcuni mesi fa una serie di abili delitti condotti a sangue freddo per un solo motivo: il guadagno finanziario. Prima di tutto voleva far credere che, chiunque fosse l'avvelenatore di Sodbury Cross, non poteva essere George Harding: metodo d'attacco non nuovo e già sperimentato prima. Tempo fa abbiamo citato il caso di Christiana Edmunds nel 1871. «Marcus Chesney era un uomo ricchissimo, e la signorina Wills era sua erede, ma fino a che Chesney, uomo di tempra forte sotto ogni aspetto, non moriva, Harding non poteva sperare neanche in un penny. Lo sapeva da un pezzo e mi è stato riferito che Chesney gliel'ha anche detto chiaro. Harding voleva davvero lanciare il suo processo elettrolitico su larga scala e, per quanto ne so, può darsi sia un principio molto interessante, anche se diverso da quello che mi piacerebbe veder applicato su di lui. Si credeva un grand'uomo che doveva raggiungere il suo scopo, così occorreva toglier di mezzo Marcus Chesney. «Ci pensava, credo, fin dal primo momento in cui ha incontrato Marjorie e pertanto ha collocato un avvelenatore a Sodbury Cross secondo i suoi principi noti. Una visita al negozio della signora Terry, con qualunque travestimento, gli avrebbe dato la pianta e la posizione delle scatole di cioccolatini. Ha usato la stricnina a ragion veduta: perché è uno dei pochi veleni che un chimico di laboratorio non maneggia. «Non sappiamo neanche quale fosse la sua idea originale per eliminare Chesney ed ecco che, come un dono del cielo, gli piomba addosso l'occasione di avvelenarlo proprio con l'incoraggiamento e la cooperazione della vittima. Inoltre, Chesney aveva capito il trucco delle scatole di cioccolatini e Harding doveva fare in fretta. Per ironia, Chesney non ha mai sospettato per un momento la colpevolezza di Harding, ma forse non sarebbe passato molto tempo e ne avrebbe saputo fin troppo. Ora, c'era una cosa a preoccupare specialmente Harding: se doveva procedere all'assassinio in quel modo, doveva usare un veleno che colpisse e uccidesse all'istante, cioè uno
dei cianuri. Egli lavorava con cianuro di potassio e l'avrebbero immediatamente sospettato. «È riuscito a girare l'ostacolo con grande abilità; oggi nel pomeriggio ho dichiarato di esser spiacente di dirvi che Harding non aveva alcun veleno nel suo laboratorio: vero, poiché l'aveva preparato qui. La casa, come avrete notato, e specialmente i terreni intorno, sono impregnati da un leggero odore di mandorle amare. È difficile nascondere acido prussico per l'odore che emana anche chiuso in bottiglia, ma quell'odore non si sarebbe notato a Bellegarde se qualcuno non aspirava profondamente dal flacone aperto. Così ha preparato l'acido prussico e apposta ne ha lasciato un po' nell'armadietto della stanza da bagno. L'ha fatto per poter insistere di fronte a voi sul fatto che era facile per chiunque, con scarse conoscenze di chimica, fare acido prussico e che qualcuno cercava di far cadere i sospetti su di lui. Senza dubbio l'aveva pensata bene». «Davvero» disse il maggiore Crow. «Non credo avesse idea, sul principio, di stornare i sospetti su Marjorie, sarebbe stato pazzo e dannoso; poteva volere il denaro della ragazza, ma non certamente il suo arresto. Ha solo cercato di far sospettare Wilbur Emmet, mettendogli la scatoletta della capsula in tasca. Il caso tuttavia pose gravi sospetti su Marjorie e Harding vide il modo di servirsene a proprio vantaggio. Infatti stava allarmandosi di qualcos'altro: la ragazza era meno entusiasta. «Tutti l'avete notato. Da alcune settimane il suo ardore stava senz'altro svanendo: non lo guardava più con occhi incantati, forse cominciava a capire che tipo era, se la prendeva volentieri con lui, aveva perfino considerato l'opportunità del suicidio. Harding, anche con tutta la sua vanità, sospettava qualcosa e non poteva perderla ora, o avrebbe corso parecchi rischi orribili per niente, un brutto affare. Quanto prima poteva indurla al matrimonio, tanto meglio. «Ci è riuscito con una combinazione di tenerezza e terrore: l'assassinio di Wilbur Emmet, parte necessaria del suo piano, commesso con un ago ipodermico rubato a voi, dottor Chesney. E il giorno dopo l'ha piantato nel doppio fondo di una scatola di gioielli. La ragazza era già fuori di sé per la paura e Harding, senza perdere un'occasione, l'aveva ridotta in uno stato tale da farle desiderare di attaccarsi a lui per il semplice e insensato sollievo di avere qualcuno con cui condividere i suoi affanni. Lei stessa ci ha detto di essersi sposata allo scopo di evitare l'arresto per assassinio: Harding, non ne dubito, le ha fatto presenti molte probabilità, fra cui quella
che la polizia potesse scoprire le sue visite al laboratorio dove c'era del veleno; se veniva arrestata dopo il matrimonio, egli non avrebbe dovuto testimoniare contro di lei in un tribunale. Signori, quando tralasciate di considerare l'impudenza...» Il dottor Fell si fermò, con aria colpevole; il maggiore Crow lo sollecitò e poi si misero tutti a fissare intensamente e molto imbarazzati il fuoco. Marjorie era entrata. Elliot non l'aveva mai vista così pallida e cogli occhi così brillanti, ma aveva le mani ferme. «È esatto» disse Marjorie «continuate; sono cinque minuti che ascolto alla porta, voglio sentire.» «Ehm!» esclamò il maggiore Crow; saltò su dalla sedia e cominciò a darsi da fare. «Devo aprire la finestra? O una sigaretta? O del brandy? O qualcos'altro?» «Prendi un cuscino» suggerì il dottor Chesney con premura. «Forse, cara, se vi sdraiaste...» iniziò il professor Ingram. Marjorie sorrise. «Sto bene» rispose. «Non sono così fragile come credete e il dottor Fell ha ragione. Si è comportato in quel modo, ha perfino preso i libri di chimica che ho di sopra in camera mia e li ha usati contro di me. Li ho presi per leggerli e cercare di interessarmi in modo intelligente al suo lavoro; ma lui mi ha detto: "Cosa avrebbe pensato la polizia a trovarli là?". Per di più, sapeva... sapeva che l'ispettore Elliot era al corrente del mio tentativo di comperare cianuro di potassio a Londra...» «Cosa?» gridò il maggiore Crow. «Non lo sapevate?» lo guardò. «Ma... ma l'ispettore ha detto... almeno, ha fatto cenno...» Questa volta Elliot si sentiva la faccia così bollente che non sperava di ingannare nessuno. «Capisco» notò il maggiore Crow educatamente «lasciamo andare.» «E... e ha perfino detto che potevano sospettarmi di aver qualcosa a che fare con lo spettacolo in cui è stato ucciso lo zio Marcus. Sapeva che lo zio Marcus aveva scritto una lettera al dottor Fell, in cui diceva di tenermi d'occhio...» «È vero» ammise il dottor Fell. «"Voglio essere leale e darvi un'informazione diretta: tenete d'occhio mia nipote Marjorie." Per questa ragione ho tenuto la lettera lontana con cura dall'impressionabile sovrintendente Bostwick fino a che non ho potuto indicare il vero colpevole: l'avrebbe so-
lo condotto in direzione sbagliata.» «Un momento, per favore» chiese la ragazza, tormentandosi le mani «non pensate che ci sia pericolo di farmi svenire dicendomi la verità. Quando ho visto George nel pomeriggio, cioè quando pensava di essere stato colpito dalla pallottola, mi son sentita quasi male dal disgusto, Ma volevo sapere: gli è stato sparato per caso?» «Fosse stato il contrario!» disse il dottor Chesney dal profondo del cuore. «Ma il dottor Fell ha detto...» «Mi spiace» ribatté il dottor Fell, muovendosi a disagio. «Non vi ho mai fuorviato con una parola o una suggestione, ma ho dovuto farlo allora. C'erano troppe orecchie aperte e mi riferisco specialmente a Pamela e Lena, ancor più furba, di certo attente dietro la porta: si sarebbe fatto un gran parlare e l'ammirazione ovvia di Lena per Harding l'avrebbe probabilmente indotta a riferire qualunque cosa dicessi e, se Harding mi avesse sentito dire che non era un incidente, avrebbe pensato di essere al sicuro più di quanto avesse osato sognare.» «Grazie al cielo» disse la ragazza. «Avevo paura che il colpevole fossi tu.» «Io?» domandò il dottor Chesney. «L'assassino, voglio dire. Naturalmente, dapprima ho pensato al professor Ingram...» Gli occhi bonari del professor Ingram si spalancarono. «Sono piuttosto sorpreso» dichiarò. «Sono lusingato, ma...» «Oh, erano le vostre chiacchiere sul perfetto assassinio psicologico; e poi, quando son venuta a casa vostra e ci son rimasta tutto il pomeriggio per chiedervi se dovevo sposare George, e mi avete psicanalizzato, dicendomi che non lo amavo e non era il tipo per me, oh, non sapevo cosa pensare. Ma avevate ragione.» Il dottor Fell si guardò attorno. «L'avete psicanalizzata?» chiese. «E che tipo dovrebbe sposare?» Marjorie arrossì violentemente. «Non voglio» disse a fior di labbra. «Non voglio vedere un altro uomo per tutta la mia vita.» «Esclusi i presenti, spero» disse il professor Ingram. «Non possiamo lasciarvi diventare neurotica: ho spesso pensato che in una comunità ben ordinata una neurosi come la vostra si dovrebbe curare con lo stesso principio che si usa quando gli aviatori cadono senza ferirsi. Allo scopo di far lo-
ro riprendere il sangue freddo, si mandano immediatamente indietro su un altro aeroplano. Il vostro tipo? Direi, fatte le debite considerazioni, è quello le cui inibizioni corrispondono a...» «Oh, storie» disse il maggiore Crow. «Il suo tipo è un poliziotto.» FINE