RESIDENT EVIL 6 S.D. PERRY CODICE VERONICA (Code: Veronica, 2001) Per Jay e Char, fedeli lettori e pazzi scatenati I fig...
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RESIDENT EVIL 6 S.D. PERRY CODICE VERONICA (Code: Veronica, 2001) Per Jay e Char, fedeli lettori e pazzi scatenati I figli del male sono certamente folli. JUDITH MORIAE Nota dell'autrice I fedeli lettori di questa serie probabilmente hanno già letto questa nota, ma per favore permettetemi di ripetermi. Potreste notare discrepanze temporali e/o nella descrizione dei personaggi tra i romanzi e i giochi (o tra libro e libro, per quel che importa). Poiché le novelization e i giochi vengono scritti, prodotti e rivisti in tempi differenti da persone diverse, una coerenza perfetta è pressoché impossibile. Posso solo fare le mie scuse a nome di noi tutti, e sperare che, malgrado gli errori cronologici, possiate continuare ad apprezzare la miscela di zombie creati dalle corporazioni e di malcapitati eroi che rendono la saga di Resident Evil così divertente... da scrivere e, se sono fortunata, da leggere. Prologo Di fronte alla possibilità di una morte immediata, circondato com'era da malati e moribondi, e mentre frammenti dell'elicottero in fiamme piovevano dal cielo, Rodrigo Juan Raval riusciva a pensare solo alla ragazza. A lei e al modo di fuggire da quell'inferno. "Morirà anche lei... muoviti!" Si tuffò al coperto di una pietra tombale senza nome mentre il piccolo cimitero tuonava, scosso da sussulti. Con il fragoroso clangore metallico di un'esplosione, un frammento fumante staccatosi dall'elicottero si schiantò nell'angolo lontano del piazzale, innaffiando i prigionieri in decomposizione e i soldati più vicini con una pioggia di carburante in fiamme. Incande-
scenti rivoli di benzina dilagarono sul terreno come lava appiccicosa. Quando Rodrigo toccò terra avvertì un lancinante dolore al ventre, mentre due costole si fratturavano picchiando contro una lastra di marmo scuro coperta di erbacce. Il dolore fu improvviso e terribile, paralizzante, ma, in qualche modo, l'uomo riuscì a non perdere i sensi. Non poteva permetterselo. La pala di un rotore si conficcò nel suolo a meno di sessanta centimetri da lui, scagliando una manciata di terreno sabbioso nel cielo notturno. L'uomo udì un coro di lamenti privi di parole: i contaminati gemevano sotto la pioggia di fuoco. Una guardia infettata si trascinava per il campo, i capelli in fiamme come una torcia umana, gli occhi che scrutavano senza vedere. "Non sentono il dolore, non sentono nulla" si rammentò Rodrigo con disperazione, concentrandosi per respirare; aveva persino paura di muoversi mentre l'intensità del suo dolore si riduceva da un grido a un me-ro gemito. "Non sono più umani." L'aria era pregna di fumi che stordivano e del lezzo di carne bruciata e in rapida decomposizione. Udì alcuni colpi d'arma da fuoco da qualche parte nella prigione del campo, ma si trattava solo di detonazioni isolate. La battaglia era terminata e loro avevano perso. Rodrigo chiuse gli occhi per tutto il tempo in cui il suo coraggio gli concesse di estraniarsi dal mondo, quasi certo che non avrebbe mai più visto sorgere il sole. Era proprio quello che si definisce un giorno maledetto. Tutto era cominciato dieci giorni prima, a Parigi. Quella ragazza, Redfield, si era infiltrata nel quartier generale amministrativo e aveva scatenato una battaglia d'inferno prima che lo stesso Rodrigo riuscisse a catturarla. La verità era che era stato fortunato... Lei aveva fatto la sua mossa e aveva perso. "Già, davvero fortunato" pensò amaramente. Se avesse saputo cosa lo aspettava nell'immediato futuro, si sarebbe comportato in modo completamente diverso. La ricompensa per aver presa viva la ragazza era stata la possibilità di mettere alla prova la sua unità con dei portatori di virus vivi e reali provenienti dall'impianto Rockfort, la base situata presso una remota isola del Sud Atlantico. La prigioniera sarebbe diventata un soggetto destinato ai test scientifici, o forse un'esca per catturare il suo dannato fratello e la sua banda di ribelli S.T.A.R.S. di cui Rodrigo continuava a sentire notizie. Diciassette persone erano rimaste seriamente ferite durante il balletto della
Redfield presso il quartier generale amministrativo, e altre cinque erano morte. La maggior parte erano spregevoli funzionari, a Rodrigo non importava un accidente di loro, ma catturare la ragazza per lui aveva significato l'opportunità di ottenere un considerevole aumento di paga. Per quel che gli importava, l'Umbrella poteva trasformarla in uno scarafaggio gigante e fosforescente, di certo aveva fatto cose peggiori. Era stato fortunato ancora una volta, a quanto pareva. Aveva avuto dieci giorni per preparare i suoi uomini, dieci giorni durante i quali gli esperti in interrogatori del quartier generale avevano sottoposto senza successo la prigioniera a un fuoco di domande. Il viaggio da Parigi a Città del Capo e da là a Rockfort era stato facile... i piloti erano stati tutti d'altissimo livello e la ragazza aveva tenuto saggiamente la bocca chiusa. I suoi uomini erano stati entusiasti di quell'opportunità, il morale era alto quando avevano toccato terra e avevano cominciato a prepararsi per le prime esercitazioni. Poi, meno di otto ore dopo aver raggiunto l'isola dove era solo la seconda volta che approdava, il campo era stato brutalmente attaccato da ignoti avversari, un assalto dal cielo, eseguito con precisione e senza preavviso. I loro nemici avevano a disposizione i fondi di una grande corporazione, questo era certo, tecnologia avanzata e riserve apparentemente illimitate di munizioni... elicotteri e aerei erano passati sopra le loro teste come un tonante incubo scuro, un assalto ben pianificato e portato a compimento senza pietà. Per quanto poteva giudicare lui, tutti i bersagli erano stati colpiti. La prigione, i laboratori, l'edificio adibito all'addestramento... pensava che la casa di Ashford potesse essere stata risparmiata, ma non ci avrebbe scommesso. Di per sé quell'assalto era stato devastante, ma era stato quasi immediatamente obliterato da ciò che era avvenuto dopo... dalla zona proibita dei laboratori distrutta erano fuggiti una mezza dozzina di contaminati con il T-Virus e un certo numero di ABO, armi bio-organiche. I virus della serie T trasformavano gli umani in cannibali con il cervello fritto, un disgraziato effetto collaterale, ma la malattia non era stata creata per le persone. Grazie a discutibili miracoli della scienza moderna, la maggior parte dei nuovi soggetti creati come armi biologiche non erano neppure remotamente umani, e il virus li aveva mutati in macchine di morte. Era scoppiato il caos. Il responsabile della base, quel maniaco da brividi che rispondeva al nome di Alfred Ashford, non aveva fatto una sola dannata cosa per organizzare la difesa, perciò era toccato ai graduati prendere il comando. I prigionieri erano ovviamente privi di utilità, ma era rimasto un
numero sufficiente di soldati semplici per tentare una difesa e lanciare un contrattacco, mosse che si erano rivelate disperatamente inutili. I suoi ragazzi erano caduti rapidamente come il resto degli altri, spazzati via sulla strada dell'eliporto da un trio di OR1, l'ultima specie di creature generate dal T-Virus. Con tutto il loro addestramento non avevano resistito che un paio di minuti. Gli OR1 erano particolarmente cattivi, violentemente aggressivi ed estremamente potenti. Fortunatamente ne erano scappati solo pochi... ma del resto, erano stati sufficienti. "Spazzabande" li chiamavano i soldati, a causa del loro allungo. Era ironico che la sua squadra, nonostante fosse stata così attenta a evitare l'infezione, tenendo addosso le maschere antigas d'ordinanza sin dall'esplosione delle prime bombe, fosse stata comunque annientata da una forma di virus, malgrado tutto. "Almeno è finita in fretta, sono morti ancor prima di rendersi conto in che guaio si erano cacciati" pensò Rodrigo, invidiando i suoi uomini per le speranze di salvezza che avevano nutrito. Provava dolori lancinanti, era esausto, e aveva visto cose che sicuramente l'avrebbero perseguitato per il resto della sua esistenza, indipendentemente dalla sua durata. "Sono stati fortunati." Rockfort era diventata un inferno in Terra. Il virus creato dall'uomo sopravviveva per poco tempo nell'aria e si era disperso rapidamente, infettando solo la metà della popolazione dell'isola... ma i nuovi contagiati si erano prontamente scagliati sulla restante metà, diffondendo il morbo. Alcuni erano riusciti a fuggire in tempo, però tra i contaminati e le ABO a piede libero, scappare era diventato impossibile. L'intera isola era stata invasa dai mostri. "Forse era così che doveva andare. Forse noi tutti abbiamo avuto ciò che meritavamo." Rodrigo sapeva di non essere un uomo malvagio, ma se voleva essere sincero, non era precisamente neppure dalla parte dei buoni. Aveva chiuso un occhio di fronte a ogni tipo di schifezza in cambio di un'ottima paga e, per quanto volesse scaricare la responsabilità, non poteva negare la sua parte nell'apocalisse che al momento lo circondava. L'Umbrella aveva giocato con il fuoco... ma anche quando Raccoon City era stata distrutta, persino dopo il disastro di Caliban Cove e dello stabilimento sotterraneo, Rodrigo non aveva mai creduto che qualcosa di simile potesse capitare a lui o alla sua squadra. Un altro morto vivente passò oltre il suo temporaneo rifugio, mostrando
una ferita di fucile relativamente recente nel punto in cui avrebbe dovuto trovarsi la mascella. Rodrigo si abbassò istintivamente e, ancora una volta, fu costretto a lottare per non perdere i sensi, poiché il dolore era di un'intensità sconvolgente. Si era già rotto delle costole in altre occasioni, ma questa volta il danno era differente, più interno. Forse si era lacerato il fegato, una ferita che lo avrebbe certamente ucciso, se non si fosse fatto medicare. Presumendo che la sua incredibile sfortuna avrebbe continuato il suo corso, probabilmente sarebbe morto per un'emorragia interna prima che qualche mostro lo divorasse... La sua mente vagava disordinatamente, il dolore era diventato profondo e, per quanto volesse riposare, c'era sempre la ragazza... non poteva scordarsi di lei. Adesso era vicino, molto vicino. Una delle guardie l'aveva stordita prima di portarla ai laboratori per l'esame medico o alla prigione, e ciò era avvenuto poco prima dell'attacco. Doveva trovarsi ancora nella cella d'isolamento, la cui entrata sotterranea si trovava appena dopo il relitto fiammeggiante dell'elicottero. "Ci sono quasi, poi potrò riposare." La maggior parte dei contaminati che ancora conservavano qualcosa della loro natura umana si erano allontanati dal luogo del terribile impatto, guidati forse da un istinto primordiale. Lui aveva perso la sua arma da qualche parte lungo la strada, ma se fosse corso riparandosi dietro le lapidi sino al muro occidentale... Rodrigo si mise seduto. Il dolore peggiorava, infondendogli una sensazione di nausea e privandolo di ogni energia. Doveva esserci un flacone di liquido emostatico nel cassettone del pronto soccorso, almeno avrebbe rallentato un po' l'emorragia interna... Benché pensasse di essere pronto ad accettare la morte, almeno quanto poteva esserlo chiunque altro. "Ma non prima di aver fatto uscire la ragazza. Io l'ho catturata, l'ho portata qui. È stata colpa mia, e se muoio io, muore anche lei." Malgrado tutto l'orrore di cui era stato testimone quel giorno, i compagni perduti e il costante dilaniante terrore di dover affrontare una fine orribile, non poteva smettere di pensare a lei. Claire Redfield aveva le mani sporche di sangue, era vero, ma non si era macchiata di quei delitti di proposito, come l'Umbrella. Come lui. Non aveva ucciso per avidità, non aveva, come lui, ignorato la propria coscienza per tutti quegli anni... Aver visto la sua squadra speciale trasformata in un piatto di spaghetti per quei mostri e aver trascorso il pomeriggio a combattere per la vita, gli aveva fatto capire che consegnare l'Umbrella alla giustizia era giusto. La ragazza meritava
qualcosa per avergli aperto gli occhi, doveva liberarla se non altro per non morire da solo nel buio. Per un caso, aveva con sé un mazzo di chiavi prese dalla cintura del guardiano morto ed era sicuro che una di esse avrebbe aperto la porta della cella. Dal relitto in fiamme schizzarono contro il cielo scuro getti di scintille, piccoli insetti luminosi che bruciavano nel nulla, e cadevano di tanto in tanto su uno degli zombie più vicini lacerandone le carni prima di spegnersi. Ai mostri non importava. Rodrigo serrò le mascelle e si mise faticosamente in piedi, cosciente del fatto che Claire da sola, probabilmente, non sarebbe sopravvissuta nemmeno per dieci minuti. Voleva disperatamente concederle una possibilità. Non era solo il minimo che potesse fare. Era l'unica cosa che gli fosse rimasta da fare. 1 Claire aveva male alla testa. Era rimasta immersa in uno stato quasi onirico sino a quando il lontano rumore di un tuono si era fatto strada nel buio, spingendola vicino alla soglia della veglia. Aveva sognato la follia che era diventata la sua esistenza negli ultimi mesi, e anche se una parte quasi cosciente di lei sapeva che era realtà, le sembrava tutto ancora troppo incredibile per essere vero. Lampi di quanto era avvenuto nella città di Raccoon dopo la fuga del virus continuavano a passarle per la mente, immagini di creature inumane che avevano dato la caccia a lei e alla bambina tra le strade devastate, ricordi della famiglia Birkin, dell'incontro con Leon, di preghiere rivolte al cielo per la salvezza di suo fratello Chris. Ancora tuoni, più potenti, e Claire realizzò che c'era qualcosa di sbagliato, anche se ancora non riusciva a destarsi, a fermare i ricordi. Chris. Suo fratello si era dato alla clandestinità, in Europa, e loro l'avevano seguito. Adesso lei aveva freddo, la testa le doleva e non sapeva perché. "Cos'è successo?" Si concentrò, ma la memoria riaffiorava solo a brandelli, immagini e pensieri delle settimane trascorse dall'inferno di Raccoon City. Non sembrava essere in grado di controllare i ricordi. E non riusciva a destarsi. Immagini di Trent sull'aereo, di un deserto, e il ritravamento di un disco con i codici che, alla fine, si erano rivelati inutili per ritrovare suo fratello. Il lungo volo verso Londra, l'ultima tappa in Francia... "... una telefonata. 'Chris è qui, sta bene.'" La voce di Barry Burton, pro-
fonda e cordiale. Aveva riso e si era sentita invadere da un'incredibile sensazione di sollievo, aveva sentito la mano di Leon sulla sua spalla. Quello era stato l'inizio e la portò al successivo ricordo cosciente... era stato fissato un appuntamento, presso uno dei punti di sorveglianza al quartier generale amministrativo, nel territorio dell'Umbrella. Leon e gli altri l'avrebbero aspettata nel furgone. "Controllo l'orologio, il cuore mi batte furiosamente per l'eccitazione, dov'è? Dov'è mio fratello?" Claire non si era resa conto di essere nei guai finché i primi proiettili non le erano schizzati vicinissimi, costringendola a fuggire nel sotterraneo disseminato di luci, nell'edificio. "... Scappo nei corridoi, assordata dal fragore delle armi automatiche e dall'elicottero all'esterno; corro, i proiettili rimbalzano sempre più vicino sino a spedirmi una pioggia di schegge taglienti di piastrelle nei polpacci... "... poi un'esplosione, soldati armati che caricano con furia, e... mi catturano." L'avevano tenuta prigioniera per una settimana, cercando con ogni mezzo di farla parlare. E lei aveva parlato, di quando andava a pesca con Chris, delle sue idee sulla politica, dei gruppi rock preferiti... ma, in fondo, non sapeva nulla di vitale. Stava cercando suo fratello, questo era tutto, e in qualche modo era riuscita a convincerli che non sapeva niente d'importante sull'Umbrella. Probabilmente l'aveva aiutata il fatto di avere solo diciannove anni, e di avere un aspetto letale quanto quello di una girl scout. Quel poco che realmente sapeva, le informazioni sull'infiltrato nell'Umbrella, Trent, o sul luogo dov'era custodita Sherry Birkin, la figlia dello scienziato, era riuscita a seppellirlo profondamente e a lasciarlo dov'era. Quando si erano resi conto che, come informatrice, era inutile, era stata portata via. Ammanettata, spaventata, dopo aver affrontato un viaggio su due differenti aerei privati e su un elicottero, si era ritrovata sull'isola. Non l'aveva neppure vista, perché le avevano infilato un cappuccio in testa, e una soffocante oscurità si era aggiunta alle sue paure. Rockfort Island, non era così che l'aveva chiamata il pilota? Era molto lontana da Parigi, ma le notizie di cui disponeva si fermavano là. Tuoni, sentiva un fragore di tuoni. Ricordò di essere stata spinta in una fangosa prigione vicino al cimitero in una mattina grigia, dopo aver avuto attraverso il cappuccio una breve visione delle fosse, contrassegnate da elaborate pietre tombali. Giù per una rampa di scale, "benvenuta nella tua nuova casa" e... boom... Il terreno vibrava, rombando. Claire aprì gli occhi appena in tempo per vedere una delle luci sul soffitto che si spegneva. Le spesse sbarre di me-
tallo della sua cella s'impressero nei suoi occhi improvvisamente come un'immagine in negativo prima di svanire, lasciandola nel buio più assoluto. Era distesa sopra un pavimento umido e sporco. "Non va bene, per nulla. Sarà meglio che ti alzi." Lottando contro il dolore lancinante alla testa, la ragazza si issò faticosamente sulle ginocchia, i muscoli rigidi e dolenti. L'oscurità che regnava nella camera fredda e umida era assolutamente immobile, a eccezione del rumore prodotto dall'acqua che sgocciolava producendo un suono lento e carico di solitudine. Sembrava che fosse davvero sola. "Non a lungo... oh, Dio, sono nei guai." L'Umbrella l'aveva catturata e considerando il macello che aveva suscitato a Parigi, era difficile pensare che l'avrebbe trattata con i guanti, permettendole di andarsene. La rinnovata coscienza della situazione le creò un nodo allo stomaco, ma Claire fece del suo meglio per scacciare la paura. Doveva ragionare con chiarezza, capire quali opzioni avesse a disposizione; e doveva prepararsi ad agire. Non sarebbe sopravvissuta a Raccoon City se si fosse lasciata prendere dal panico. "... peccato che adesso ti trovi su un'isola dominata dall'Umbrella. Anche se riuscissi a eludere le guardie, dove potresti andare?" Un problema alla volta. Per prima cosa, probabilmente doveva cercare di rimettersi in piedi. A eccezione del bozzo doloroso che quello stronzo che l'aveva colpita le aveva provocato sulla tempia destra, non pensava di essere ferita. Si udì un altro tuono, sommesso e lontano, e una nuvola di pietrisco scivolò dall'alto. Lo avvertì sulla nuca. Aveva identificato i fragori nei suoi sogni semicoscienti come tuoni, ma sembrava proprio che Rockfort Island fosse stata presa di mira da pezzi d'artiglieria pesante. "O magari da Godzilla. Cosa diavolo stava succedendo là fuori?" Con fatica si mise in piedi, serrando gli occhi per ignorare il dolore alla tempia, mentre si spazzolava via la polvere dalle braccia nude e stirava i muscoli intorpiditi dal gelo. Quella stanza sotterranea le fece rimpiangere di non avere indossato per l'incontro con Chris qualcosa di più caldo di un paio di jeans e una giacchetta con le maniche tagliate. "Dio, ti prego, fa che Chris sia al sicuro!" A Parigi aveva deliberatamente attirato le guardie dell'Umbrella lontano da Leon e da Rebecca e dagli altri agenti della S.T.A.R.S. di Exter. Se Chris non era stato catturato a sua volta, ormai doveva essere entrato in contatto con il resto della squadra. Se fosse riuscita a raggiungere un computer collegato in rete, forse avrebbe
potuto mandare un messaggio a Leon... Già, le sarebbe bastato semplicemente piegare quelle sbarre d'acciaio, trovare un paio di mitragliatrici e abbattere tutta la popolazione dell'isola. Oh, e poi avrebbe dovuto inserirsi in un sistema di comunicazione ad alta sicurezza, sempre che le fosse stato possibile trovare un computer libero. A quel punto avrebbe potuto comunicare a Leon che non sapeva dove si trovasse veramente Rockfort Island... Una voce interiore cominciò a raccomandarle con insistenza: "Pensa positivamente, maledizione, potrai riservare il sarcasmo per un momento successivo, sempre che tu riesca a sopravvivere. Qual è la situazione, piuttosto?". Bella domanda. Tanto per cominciare, non c'erano guardie. Era anche tutto estremamente buio, a parte un filo di luce che sembrava provenire da qualche parte sulla destra. Poteva costituire un vantaggio se... Claire si tastò le tasche improvvisamente, sperando con tutto il cuore che nessuno l'avesse perquisita quando era rimasta priva di sensi. Nella tasca interna sinistra della giacca... là, eccolo. — Idioti! — sussurrò, estraendo il vecchio accendino di metallo che Chris le aveva regalato tempo prima. Il suo peso confortante le riscaldò la mano. Quando l'avevano perquisita alla ricerca di armi, un soldato che puzzava di tabacco glielo aveva preso, ma glielo aveva reso quando lei aveva detto che fumava. Claire rimise l'accendino nella tasca, non volendo accecarsi proprio adesso che i suoi occhi si stavano abituando all'oscurità. C'era abbastanza luce nell'ambiente per poter distinguere i contorni della piccola stanza... un tavolo e un paio di cassetti posti direttamente davanti alla sua cella, una porta aperta sulla sinistra - la stessa attraverso la quale era entrata - una sedia e una serie di oggetti di vario tipo stivati sulla destra. "Okay, bene, adesso conosci l'ambiente. Cos'altro hai a disposizione?" Grazie al cielo, la sua voce interiore era molto più calma di lei. Rapidamente frugò nelle altre tasche, ricavandone un paio di elastici per i capelli e due mentine avvolte in una confezione di carta stropicciata. Fantastico. A meno che non volesse far fuori il nemico con un piccolo e rinfrescante proiettile alla menta, era davvero sfortunata... Dei passi, nel corridoio esterno alla cella, si avvicinavano. S'irrigidì. Improvvisamente, sentiva la bocca secca. Era disarmata e intrappolata nella cella, e gli sguardi che alcune guardie le avevano rivolto durante il viaggio... "Coraggio. Sono disarmata, ma non indifesa." Se qualcuno avesse voluto
aggredirla per violentarla o per qualche altro motivo, si sarebbe fatta un punto d'onore di provocargli in cambio qualche danno serio. Se doveva morire, non voleva andarsene da sola. Thump, Thump. C'era una sola persona, là fuori, decise, e chiunque fosse, era ferita. I passi erano radi e lenti, strascicati, quasi come... "No, no." Claire trattenne il respiro mentre la solitaria figura maschile entrava nella stanza fermandosi, le braccia tese davanti a sé. Si muoveva come uno degli zombie creati dal virus, come un ubriaco, vacillante e incerto sui suoi passi, e si gettò barcollando verso la porta della sua cella. Per un riflesso, Claire arretrò, spaventata a morte dalle implicazioni di quello che vedeva... se si era verificata qualche tipo di epidemia virale sull'isola, nella migliore delle ipotesi lei sarebbe morta di fame dietro le sbarre. "Gesù, un'altra epidemia?" Erano morte migliaia di persone a Raccoon City. Quando mai avrebbero compreso, i capi dell'Umbrella, che i loro folli esperimenti biologici non valevano il prezzo che era necessario pagare? Doveva vedere di cosa si trattava. Se era un guardiano ubriaco, almeno era solo, e lei sarebbe stata in grado di metterlo fuori combattimento. Se invece fosse stato un contaminato, per il momento dietro le sbarre era al sicuro. Probabilmente. Quei mostri non erano in grado di aprire le porte, o almeno quelli che aveva incontrato a Raccoon City non erano stati capaci di farlo. Trasse di tasca l'accendino, ne fece scivolare il coperchio e girò la rotellina con il pollice. Claire lo riconobbe immediatamente e lasciò sfuggire un gemito, mentre compiva un altro passo indietro. Alto e massiccio, forse di origini ispaniche, baffi e occhi scuri, spietati. Era l'uomo che l'aveva catturata a Parigi, quello che l'aveva scortata sull'isola. "Non è uno zombie, almeno." Non era un gran sollievo, ma doveva accontentarsi di quello che la sorte le riservava. Claire rimase ferma per un istante, come congelata, incerta su cosa aspettarsi. L'uomo era diverso da come lo rammentava, e non solo per il viso sporco di polvere e le macchie di sangue sulla maglietta bianca. Era come se avesse subito qualche fondamentale cambiamento interiore, e questo risultava evidente nella sua espressione. Prima le era sembrato un assassino senza pietà. Adesso... non ne era più sicura, e quando lui frugò nella tasca e ne sfilò un mazzo di chiavi, Claire pregò che fosse cambiato in meglio. Senza una parola, l'uomo aprì la porta della cella e fissò il suo sguardo
vacuo in quello di lei prima di reclinare la testa da un lato... il gesto universale per dire esci, se pure esisteva un cenno del genere. Prima che Claire potesse fare qualcosa, l'uomo si voltò e si trascinò via; dal modo in cui si teneva il ventre con una mano tremante era sicuramente ferito. C'era una sedia tra la scrivania e la parete posteriore della stanza. Lui vi si lasciò cadere pesantemente e con dita macchiate di sangue prese un flacone dal ripiano del tavolo. Scosse la bottiglietta, che aveva la misura di un rocchetto di filo, e poi la gettò stancamente attraverso la stanza, borbottando tra sé. — Perfetto... La bottiglia, presumibilmente vuota, rimbalzò rumorosamente sul pavimento di cemento, rotolando sino a fermarsi appena fuori dalla cella. L'uomo rivolse uno sguardo esausto alla ragazza e quando parlò la sua voce era greve per lo sfinimento. — Vai. Vai via di qui! Claire compì un passo verso la porta aperta della prigione ed esitò, chiedendosi se non si trattasse di una specie di trappola... la possibilità che le sparassero mentre cercava di scappare le attraversò la mente, e non le parve poi così improbabile, considerando per chi lavorava quell'individuo. Ricordava chiaramente il suo sguardo quando le aveva puntato la pistola in faccia, il freddo sogghigno che gli distorceva le labbra. Si schiarì la gola nervosamente, decidendo di provare a scandagliarlo per ottenere una spiegazione. — Cosa intendi dire, esattamente? — Sei libera — rispose lui, borbottando di nuovo tra sé mentre sprofondava ancor più sulla sedia, il mento chino sul petto. — Non lo so, dovevano essere delle truppe speciali, le nostre difese sono state completamente annientate... nessuna possibilità di fuga. — Chiuse gli occhi. L'istinto diceva a Claire che l'uomo desiderava davvero lasciarla andare, ma non voleva correre rischi. Compì un passo fuori dalla cella e raccolse la bottiglia che lui aveva gettato via, muovendosi con estrema lentezza e tenendolo d'occhio mentre si avvicinava. Sicuramente non stava fingendo di essere ferito: aveva un aspetto orribile e la pelle scura aveva assunto un pallore cinereo, come una maschera trasparente. Respirava anche con molta fatica e i suoi abiti puzzavano di sudore e fumo di vapori chimici. Claire osservò il flacone che in realtà era una fiala per siringa vuota, sulla cui etichetta era visibile un nome impronunciabile. Distinse la parola emostatico sulla scritta stampata in caratteri minuscoli. Che fosse uno stabilizzatore per arrestare l'emorragia? "Forse ha subito un danno interno"... Voleva chiedergli perché le stava
permettendo di fuggire, cosa stava succedendo all'esterno, dove avrebbe potuto andare... ma si rendeva conto che l'uomo era sul punto di perdere i sensi e le sue palpebre sbattevano rapidamente. "Non posso andarmene via, non senza aver provato ad aiutarlo... 'fanculo!" "Vattene , adesso!" "Potrebbe morire..." "Tu potresti morire! Scappa via" La lotta interiore fu rapida, ma la coscienza trionfò sulla ragione, come sempre succedeva. Chiaramente l'uomo non aveva deciso di liberarla a causa di qualche affinità personale, ma qualunque fosse stata la ragione, lei gliene era grata. Non era stato obbligato, ma l'aveva fatto ugualmente. — E tu? — gli chiese, domandandosi se c'era qualcosa che avrebbe potuto fare per lui. Di sicuro non poteva trascinarselo fuori, e non era un'infermiera... — Non ti preoccupare per me — rispose lui, sollevando il capo e fissandola per un istante. La sua voce suonava irritata semplicemente perché lei aveva osato sollevare l'argomento. Prima che Claire potesse chiedergli cos'era accaduto all'esterno, l'uomo perse conoscenza, crollando le spalle, mentre il suo corpo s'irrigidiva. Respirava ancora, ma senza un dottore Claire non avrebbe saputo dire quanto a lungo avrebbe potuto continuare a farlo. L'accendino si stava surriscaldando, ma la ragazza sopportò il calore per il tempo necessario a perquisire la piccola stanza, a cominciare dalla scrivania. Là trovò un pugnale da combattimento posato disinvoltamente su un blocco per appunti, poi un certo numero di fogli sparsi... riconobbe il suo nome sopra uno di essi e scorse il documento mentre agganciava il pugnale alla cinta. "Claire Redfield, prigioniero numero WKD4496, data di trasferimento, bla, bla, bla... scortata da Rodrigo Juan Raval, terza Unità di sicurezza co, Divisione medica Umbrella, Parigi." Rodrigo. L'uomo che l'aveva catturata per poi renderle la libertà e che adesso era in punto di morte di fronte a lei. Non poteva far nulla per evitarlo, a meno che non riuscisse a trovare aiuto. "Cosa che, qui, mi è impossibile" pensò, chiudendo l'accendino surriscaldato dopo aver concluso la perlustrazione della stanza. Nient'altro che spazzatura, per la maggior parte, una cassa di uniformi ammuffite per i prigionieri, un numero infinito di risme di carta stivate nella scrivania. Aveva trovato i guanti senza dita che le avevano sottratto, i suoi vecchi
guanti da guida, e li aveva infilati, grata per il pur limitato calore che le fornivano. Tutto quello che aveva per difendersi era un coltello da combattimento, un'arma mortale nelle mani giuste... quali, sfortunatamente, non erano le sue. "A cavai donato, non si guarda in bocca. Cinque minuti fa eri disarmata e rinchiusa in una cella, almeno adesso hai una possibilità. Dovresti essere felice che Rodrigo non sia venuto qui per sottrarti a questa valle di lacrime." Tuttavia, con il coltello era praticamente una schiappa. Dopo una breve esitazione, perquisì l'uomo, però questi non aveva armi addosso. Trovò un mazzo di chiavi ma non le prese, non volendo avere nulla con sé che potesse far rumore al momento sbagliato. Se ne avesse avuto bisogno, sarebbe tornata indietro a prenderle. "È il momento di lasciare questa topaia e vedere cosa c'è là fuori." — Muoviamoci — disse sottovoce, più che altro per costringersi a uscire, terrorizzata alla prospettiva di ciò che avrebbe potuto trovare... e alla consapevolezza di non avere altra scelta. Finché fosse rimasta sull'isola, sarebbe stata prigioniera dell'Umbrella... e finché non avesse capito cosa stava succedendo, non avrebbe potuto formulare piani di fuga. Impugnando saldamente il coltello, Claire uscì dalla prigione, chiedendosi se la follia dell'Umbrella avrebbe mai avuto fine. Solo. Alfred Ashford sedeva sull'ampia rampa di scale della sua casa, semiaccecato dalla rabbia. La distruzione aveva finalmente cessato di piovere dai cieli, ma la sua casa era stata danneggiata. La loro casa. Era stata costruita dalla bis-bisnonna di suo nonno - la brillante e magnifica Veronica, Dio l'avesse in gloria - su quell'oasi isolata che aveva battezzato Rockfort, dove aveva creato una magica esistenza per sé e la sua progenie, per generazioni... E adesso, in un battito di ciglia, qualche orribile gruppo di fanatici aveva osato cercare di distruggerla. Gran parte della struttura architettonica del secondo piano era stata danneggiata, le porte ridotte in pezzi, solo le loro stanze private erano rimaste intatte. "Rozzi, incivili, miscredenti. Non riescono neppure a rendersi conto della loro ignoranza." Alexia stava piangendo al piano di sopra, il suo delicato cuoricino di certo infranto da quella devastazione. Il mero pensiero dell'inutile sofferenza inflitta alla sorella alimentava la sua rabbia, facendole raggiungere un'intensità ancora superiore e infondendogli il desiderio di contrattaccare.
E invece non c'era nessuno verso cui indirizzare la sua ira, tutti gli ufficiali in comando e gli scienziati erano morti, persino il suo staff personale era deceduto. Aveva visto accadere tutto quello sui monitor, al sicuro nel suo studio privato. Ciascuno dei piccoli schermi gli aveva narrato una storia differente di binatale sofferenza e di patetica incompetenza. Erano morti quasi tutti, e i superstiti erano scappati come conigli in preda al panico. La sua cuoca personale era stata l'unica a sopravvivere nel salone da ricevimento della magione, ma si era a messa a gridare così forte che lui stesso era stato costretto a spararle. "Siamo ancora qui, però, al sicuro dalle impudenti mani del mondo esterno. Gli Ashford sopravviveranno e prospereranno, per danzare sulle tombe dei loro avversari, per bere champagne dai teschi dei loro tigli." Immaginò di danzare con Alexia, stringendola in un valzer scatenato con le urla dei loro nemici torturati come sottofondo musicale... sarebbe stato magnifico, lo sguardo della sua gemella nel suo, mentre condividevano la consapevolezza di essere superiori ai comuni mortali, alla stupidità di coloro che volevano cercare di distruggerli. La domanda era: chi doveva essere ritenuto responsabile di quell'attacco? L'Umbrella aveva molti nemici, dalle società farmaceutiche legittimate rivali agli azionisti privati - la perdita di Raccoon City si era rivelata un disastro per il mercato - sino ai pochi ma vicini rivali dell'Ufficio Bianco, il dipartimento segreto per la ricerca nel campo delle armi biochimiche. La Umbrella Pharmaceutical, creazione di lord Orwell Spencer e del nonno di Alfred, Edward Ashford, era una società estremamente redditizia, un impero industriale... ma il vero potere risiedeva nelle attività clandestine dell'azienda, sviluppatesi a un livello troppo ampio per poter restare completamente segrete. E c'erano spie dappertutto. Alfred serrò i pugni, carico di frustrazione, il suo intero corpo trasformato in un fascio di cavi in furiosa tensione... e improvvisamente una vaga traccia di gardenia nell'aria lo rese consapevole della presenza di Alexia alle sue spalle. Era stato così assorto nella confusione impadronitasi delle sue emozioni che non l'aveva neppure udita avvicinarsi. — Non devi permettere che la disperazione ti sconvolga, fratello mio — disse lei dolcemente, scendendo per mettersi seduta accanto a lui. — Vinceremo, abbiamo sempre vinto. Lo conosceva bene. Quando era stata lontana da Rockfort, anni prima, lui si era sentito così solo, così spaventato dall'idea di poter perdere quello speciale legame che condividevano. Se non altro, adesso erano più vicini
di quanto non fossero mai stati. Non parlavano mai della loro separazione, delle cose avvenute dopo gli esperimenti nel laboratorio in Antartico; erano talmente felici di essere di nuovo insieme che non osavano dire nulla per timore di rovinare quell'emozione. Lei provava gli stessi sentimenti, Alfred ne era sicuro. La osservò per qualche istante, rincuorato dalla sua presenza piena di grazia, sbalordito come sempre dalle profondità della sua bellezza. Se non l'avesse sentita piangere in camera da letto, non avrebbe mai immaginato che avesse versato una sola lacrima. La sua pelle di porcellana era radiosa, gli occhi azzurri come il cielo chiari e luminosi. Anche quel giorno, il più oscuro di tutti, la semplice visione di lei gli infondeva un tale piacere... — Cosa farei senza di te? — chiese Alfred sottovoce, cosciente che la risposta era troppo dolorosa per essere anche semplicemente presa in considerazione. Durante la sua assenza era quasi impazzito per il senso di solitudine che si era impadronito di lui, e a volte aveva ancora degli incubi strani, in cui era da solo e Alexia lo aveva lasciato. Era una delle ragioni per cui l'aveva incoraggiata a non lasciare mai la loro casa privata pesantemente sorvegliata, dislocata dietro la dimora riservata agli ospiti. A lei non importava, aveva i suoi studi, ed era consapevole di essere troppo importante, troppo raffinata per poter essere ammirata da chicchessia; le bastava poter godere delle attenzioni affettuose del fratello e si fidava di lui a tal punto da permettergli di essere il suo unico contatto con il mondo esterno. "Se potessi stare con lei per tutto il tempo, solo noi due, nascosti dal mondo..." Ma no, lui era un Ashford, responsabile della fetta dell'Umbrella appartenente alla sua famiglia, il capo dell'intera installazione Rockfort. Quando il loro genitore, Alexander Ashford, un uomo quasi totalmente incompetente, era stato dato per disperso quindici anni prima, il giovane Alfred si era fatto avanti per prendere il suo posto. Gli uomini chiave dell'Umbrella che si occupavano della ricerca sulle armi biochimiche avevano cercato di tenerlo fuori dal giro, ma solo perché lui li intimidiva, grazie alla naturale supremazia fornitagli dal nome della sua famiglia. Adesso gli inviavano rapporti regolari, spiegandogli rispettosamente le decisioni che prendevano in sua vece, rendendo chiaro che si sarebbero fatti sentire immediatamente se ce ne fosse stata la necessità. "Immagino che dovrei contattarli, per riferire loro cosa sta succedendo..." aveva sempre affidato tali incombenze al suo segretario personale, Robert Dorson, ma Robert aveva lasciato il suo posto alcune settimane
prima per unirsi agli altri prigionieri, dopo aver espresso una curiosità troppo insistente nei riguardi di Alexia. Adesso sua sorella gli sorrideva, il viso radioso di comprensione e ammirazione nei suoi confronti. Sì, si comportava molto più affettuosamente verso di lui dal suo ritorno a Rockfort, sinceramente devota al fratello quanto lui lo era sempre stato nei suoi confronti. — Mi proteggerai, non è vero? — disse con un'intonazione che non aveva nulla della domanda. — Troverai chi ci ha fatto tutto questo e mostrerai loro cosa si ottiene quando si tenta di distruggere l'eredità di gente potente come noi. Sommerso da una sensazione di affetto profondo, Alfred si protese per sfiorarla ma si fermò poco prima di toccarla, sin troppo consapevole che la sorella non amava il contatto fisico. Invece le rivolse un cenno di assenso, mentre parte della sua ira tornava ad avvampare dentro di lui al pensiero di coloro che avevano tentato di nuocere alla sua adorata Alexia. Mai, finché fosse rimasto in vita, avrebbe permesso che accadesse una cosa del genere. — Sì, Alexia — disse appassionatamente. — Li farò soffrire, lo giuro. Poteva leggerle negli occhi la sua fiducia, e il suo cuore si riempì d'orgoglio, mentre con il pensiero si concentrava sul nemico. Un odio assoluto contro quegli sconosciuti che avevano osato assalire Rockfort stava crescendo dentro di lui, per la macchia che avevano cercato di gettare sul nome degli Ashlord. "Li farò pentire, Alexia, e non dimenticheranno mai la lezione." Sua sorella si affidava a lui. Alfred sarebbe morto, piuttosto che deluderla. 2 Claire chiuse di colpo l'accendino in fondo alla scalinata coperta e trasse un profondo respiro, per farsi coraggio di fronte a ciò che poteva aspettarla. Il freddo del corridoio scuro alle sue spalle la sospingeva come una mano gelata, tuttavia esitava ancora, con l'impugnatura del coltello umida di sudore sotto le dita mentre faceva scivolare l'accendino in tasca. Non provava un particolare desiderio di affrontare l'ignoto, ma non aveva altra meta verso cui dirigersi, a meno che non volesse tornare in cella. Avvertiva un odore di fumo oleoso, e immaginava che le ombre intermittenti che vedeva in cima alla scalinata di cemento indicassero la presenza di un incendio.
"Ma cosa c'è, là sopra? Questa è una base dell'Umbrella..." Cos'avrebbe fatto se avesse trovato una situazione simile a quella di Raccoon City, e se l'assalto all'isola avesse liberato il virus, o qualche tipo di abominevole animale del genere che creava l'Umbrella? Oppure Rockfort Island era solo una prigione per i loro nemici? Forse i prigionieri avevano scatenato una rivolta, magari la situazione era brutta solo dal punto di vista di Rodrigo... "... forse potresti salire quelle dannate scale e scoprirlo invece di stare qui a fare congetture per tutto il giorno, eh?" Il cuore in tumulto, Claire si costrinse a compiere il primo passo verso l'alto, chiedendosi oziosamente perché nei film sembrava sempre una cosa facilissima gettarsi in una probabile situazione di pericolo. Dopo Raccoon però lei sapeva che non era così. Forse non aveva molta scelta sul da farsi, ma ciò non significava che non avesse paura. Considerate le circostanze, solo un completo idiota non ne avrebbe avuta. Salì lentamente, mettendo in allerta tutti i sensi mentre un nuovo flusso di adrenalina le scorreva nelle vene, richiamando a mente la rapida visione del piccolo cimitero che aveva colto quando le guardie l'avevano condotta là sotto. Quei ricordi non le erano di nessun aiuto: aveva visto solo poche pietre tombali, e rammentava che erano stranamente elaborate per essere lapidi del cimitero di una prigione. C'era sicuramente un fuoco che ardeva vicino alle scale, ma, apparentemente, non era di grandi dimensioni... non filtrava calore, solo una brezza umida e fresca che portava con sé l'odore diffuso del fumo. Sembrava tutto silenzioso, e mentre la ragazza si avvicinava all'estremità delle scale, udì gocce di pioggia che sibilavano incontrando le fiamme, un suono stranamente rassicurante. Emergendo dalla rampa, Claire vide l'origine dell'incendio, a solo qualche metro di distanza. Un elicottero era precipitato e un grosso frammento del velivolo stava allegramente scoppiettando in mezzo a una fitta nebbia di fumo. Alla sua sinistra c'era un muro, mentre un'altra parete si trovava subito oltre il relitto in fiamme. Sulla destra si allargava lo spazio aperto del cimitero, avvolto nel buio e ulteriormente oscurato dalla pioggia sempre più violenta e dalla notte incombente. Claire strizzò gli occhi scrutando il burrascoso crepuscolo e riuscì a distinguere alcune sagome scure: nessuna di esse sembrava muoversi. Altre lapidi, pensò. Un sospiro di sollievo si fece strada nell'ansia che la attanagliava; qualunque cosa fosse accaduta là fuori, adesso pareva tutto finito. Era sorprendente, pensò, che potesse sentirsi rincuorata di trovarsi da so-
la, di notte, in un cimitero. Solo sei mesi prima la sua immaginazione avrebbe evocato ogni sorta di orrori. Sembrava che fantasmi e anime dannate non fossero più in grado di spaventarla, non dopo i suoi scontri con l'Umbrella. Sul sentiero a forma di grande U prese la via che puntava a destra, e avanzò lentamente, ricordando di essere stata condotta attraverso il cimitero prima di venire spinta giù per le scale. Pensò di aver individuato quello che sembrava un cancello oltre la fila di lapidi al centro del cortile, o almeno uno spazio aperto nella parete posteriore... ... e improvvisamente si ritrovò catapultata in aria mentre il fragore di un'esplosione alle sue spalle le aggrediva i timpani. whump... un'ondata di calore infernale la gettò nel fango. L'umido crepuscolo si fece improvvisamente più chiaro mentre il fetore di prodotti chimici in fiamme le aggrediva occhi e narici. Atterrò malamente ma riuscì a non ferirsi con il pugnale. Era accaduto tutto così rapidamente che aveva avuto appena il tempo di registrare la confusa esplosione alle sue spalle. " Non credo di essere ferita... dev'essere scoppiato il serbatoio dell'elicottero..." — Unnnh... Claire balzò istantaneamente in piedi. Il sommesso, pietoso, inconfondibile gemito le infuse una capacità di reazione prossima al panico mentre al primo lamento se ne univano un altro e un altro ancora. Si voltò di scatto e vide la prima creatura barcollante che si trascinava verso di lei dai resti dell'elicottero in fiamme. Si trattava di un uomo, vestiti e capelli che bruciavano, la pelle del viso annerita e gonfia di pustole. Si girò di nuovo e vide altri due zombie che arrancavano strisciando sulla mota, i visi di un rivoltante colore grigio-biancastro; le loro dita scheletriche, artigliate verso di lei, graffiavano l'aria. "Merda!" Proprio come era accaduto a Raccoon, il virus sintetizzato dall'Umbrella aveva trasformato le sue vittime in zombie, sottraendo loro ogni umanità oltre che la vita. Non aveva tempo per incredulità o disgusto, non con quei tre che si avvicinavano, non dopo essersi resa conto che ce n'erano altri sul sentiero. Emersero barcollando dalle tenebre: visi sconvolti e martoriati rivolti lentamente verso di lei, le bocche spalancate, gli sguardi vitrei e immoti. Alcuni indossavano brandelli di uniformi, mimetiche o semplicemente grigie: guardie e prigionieri. Era scoppiata un'epidemia, dunque. — Unnnh...
— Ohh... I lamenti che si sovrapponevano gli uni agli altri esprimevano una brama insopprimibile, ciascun gemito era quello di un uomo affamato che desidera solo di potersi cibare. Fosse maledetta l'Umbrella per ciò che aveva creato! La trasformazione di esseri umani in creature morenti e prive di cervello, che camminavano pur essendo in decomposizione, andava oltre la semplice tragedia. L'inevitabile destino dei portatori del virus era la morte, ma Claire non poteva permettersi di provare dolore per la loro sorte, non in quel frangente; la pietà trovava un limite nella necessità di sopravvivere. "Vai, vai, vai, adesso!" La riflessione e l'analisi della situazione durarono meno di un secondo, poi Claire partì di corsa, senza alcun piano se non quello di levarsi di là. Con il sentiero bloccato in entrambe le direzioni, non le restò che balzare verso il centro del cimitero, arrampicandosi sulle lapidi di cemento che indicavano il luogo dove riposavano i veri morti. I jeans umidi e pieni di fango le si attaccavano alla gambe impedendole i movimenti, gli stivali scivolavano contro le pietre tombali sdrucciolevoli, tuttavia riuscì ugualmente a salire sopra due di esse e a tenersi in equilibrio, per il momento fuori portata dei mostri. Per quell'istante, almeno! "Devi andartene di qui, e in fretta." Il coltello era inutile, perché non osava avvicinarsi tanto da potersene servire... un unico morso netto di una di quelle cose e lei sarebbe finita a ingrossare i loro ranghi, se prima non l'avessero divorata. Il più vicino era quello con il viso annerito. I capelli si erano fusi, la camicia fumava ancora. Era sufficientemente vicino perché Claire potesse avvertire l'odore unto e nauseante della carne bruciata, coperto dal fetore del carburante che l'aveva cotta. Aveva dieci, quindici secondi al massimo prima che la creatura fosse abbastanza vicina da poterla ghermire. Scoccò uno sguardo all'angolo sudorientale del piazzale, allargando le braccia per mantenere l'equilibrio. C'erano solo due zombie tra lei e l'uscita, ma erano comunque di troppo. Non ce l'avrebbe mai fatta a passare tra loro. A Raccoon aveva imparato che erano lenti, e che non possedevano praticamente capacità di ragionamento; quando vedevano una preda, si spostavano verso di essa in linea retta, ignorando qualsiasi ostacolo sul loro cammino. Se solo fosse riuscita ad attirarli lontano dal cancello... Buona idea, salvo il fatto che erano troppi: sei o sette, e lei sarebbe stata circondata. "Non se cammini sulle lapidi."
C'erano numerosi zombie su entrambi i lati della fila centrale di tombe, ma in fondo alla linea di lapidi ce n'era solo uno, direttamente di fronte a lei... e quell'uno era appena in condizione di agire, con gli occhi fuori dalle orbite, un braccio rotto e penzolante. Era un piano rischioso, un solo scivolone ed era fritta, ma l'uomo carbonizzato stava già quasi per ghermirle la caviglia con le mani abbrustolite e tremolanti, mentre la pioggia sfrigolava sul suo viso massacrato. Claire saltò, agitando le braccia mentre atterrava con entrambi i piedi sulla stretta estremità della lapide successiva. Si protese in avanti, contorcendosi e ruotando il corpo per mantenere il controllo del suo centro di gravità, ma era inutile, sarebbe caduta... Senza pensare, saltò rapidamente di nuovo, e poi ancora una volta, usando le lapidi scivolose come rocce in un ruscello, utilizzando la mancanza di equilibrio per spingersi in avanti. Un contaminato dal viso cinereo tentò di avvinghiarsi alle sue caviglie, con un gemito di febbrile bramosia, ma Claire era già distante, sulla lapide successiva. Non aveva tempo di considerare come avrebbe potuto fermarsi, il che era solo un bene... perché quell'improbabile marcia si protrasse ancora per un ultimo balzo che la portò in una maldestra capriola sul terreno fangoso un metro più sotto. Fu una brutta caduta, ma lei l'assecondò con il suo peso e tornò in piedi, anche se a stento, mentre le gambe scivolavano incerte sul fango. Lo zombie con un occhio solo si protese verso di lei, gorgogliando, a distanza sufficiente per ghermirla... tuttavia rapidamente Claire lo schivò, passando dal suo lato cieco, il pugnale già pronto. La creatura fece un tentativo di voltarsi e procurarsi ancora una volta il suo pasto, però la ragazza riuscì facilmente a rimanere oltre il suo campo visivo. Mentre eseguiva quel maldestro balletto strascicato, Claire arrischiò uno sguardo e vide che gli altri zombie si avvicinavano. La pioggia cadeva sempre più fitta, lavandole via il fango. "Funziona, ancora pochi istanti..." Frustrato dalla mancanza di risultati, il contaminato mezzo cieco percosse il vuoto con il braccio sano. Le unghie sporche e annerite le grattarono il petto e lo zombie gemette impazientemente artigliando la tela bagnata, ma non riuscì a ottenere una solida presa. "Dio, mi sta toccando..." Lasciando sfuggire un muto grido di paura e di disgusto, Claire aprì con il coltello dei profondi tagli sul polso del mostro che tuttavia quasi non sanguinò. Lo zombie continuò ad artigliare la mano verso di lei, chiara-
mente incurante del danno provocato dalle coltellate. Claire decise che era venuto il momento di andarsene. Tirò indietro le braccia, pugni chiusi, poi le protese in avanti contro il petto della creatura, spingendo più forte che poteva. Si voltò nuovamente verso la fila centrale di tombe mentre il mostro cadeva all'indietro; gli altri ormai erano molto più vicini. Come fu in grado di risalire in così breve tempo non lo seppe mai: un istante si trovava sul terreno, quello successivo era in piedi sulla superficie smussata di granito. L'uscita adesso era libera poiché gli zombie erano tutti radunati verso il muro occidentale. Il suo secondo percorso a balzelloni sulle lapidi fu solo leggermente più controllato del primo, ciascun salto era compiuto affidandosi alla fede, nella speranza di non cadere e ferirsi. La pioggia stava cessando, e la ragazza poteva udire con chiarezza i rumori umidi di risucchio provocati dalla barcollante caccia al rallentatore. A meno che uno dei mostri non rammentasse improvvisamente come si faceva a correre, erano troppo lontani per poterla prendere. "Devo solo pregare che la porta non sia chiusa" pensò con una sensazione di vertigine, mentre saltava giù dall'ultima lapide. Il cancello era aperto, la porta che si trovava subito dietro non lo era: se era chiusa a chiave, probabilmente lei era condannata. Con tre grandi balzi dal punto in cui era atterrata, Claire attraversò il cancello, la mano già serrata nel tentativo di abbassare la maniglia della porta di metallo ammaccato che costituiva l'uscita nel muro di cinta. Il battente si schiuse con facilità e la ragazza impugnò il coltello, sperando che, se davvero ci fossero stati altri contaminati dall'altra parte, almeno il rapporto di forze sarebbe stato più equo. Alle sue spalle i cannibali chimici si lamentavano per la perdita della loro preda, gemendo rumorosamente mentre lei varcava la soglia. Si ritrovò in una specie di cortile, nel quale erano ammassate pile di rottami di varia natura e dominato da una bassa torretta di guardia. Alla sua sinistra c'era un veicolo capovolto, in cui ardeva un fuocherello. La notte stava scendendo rapidamente ma, nel contempo, si stava anche alzando una luna quasi piena, e, mentre si chiudeva la porta alle spalle, Claire si rese conto di non correre immediati pericoli... non c'erano zombie che puntavano su di lei, perlomeno. Vi erano però dei cadaveri distesi nel cortile, nessuno dei quali si muoveva, e, mentalmente, la ragazza incrociò le dita nella speranza che almeno uno di essi avesse una pistola e qualche carica-
tore. Improvvisamente si accese una luce brillante, un riflettore sulla torretta di guardia, la cui potenza l'accecò di colpo. Mentre per istinto Claire distoglieva gli occhi, eruppe il lamentoso sfrigolio di una raffica di arma automatica e una sventagliata di proiettili fece schizzare il fango sui suoi piedi. Accecata e in preda al panico, la ragazza si tuffò alla ricerca di un riparo, mentre l'ozioso pensiero che sarebbe stata più al sicuro in quella cella si ripresentava nella sua mente sconvolta dal terrore. I combattimenti erano cessati: gli ultimi colpi erano stati sparati infatti più di un'ora prima, ma Steve Burnside pensò che forse gli conveniva rimanere dov'era per un po' ancora, per ogni evenienza. Del resto piovigginava, e si stava levando un pungente vento oceanico. La torre di guardia era una postazione sicura e asciutta, non c'erano morti-viventi né zombie che ci giravano attorno, e lui sarebbe stato in grado di vedere chiunque fosse arrivato con sufficiente anticipo da potergli far saltare la testa... con l'aiuto della mitragliatrice montata sullo stipite della finestra naturalmente; un'arma capace di prendere seriamente a calci in culo chiunque. Era stato in grado di abbattere tutti gli zombie nel cortile senza difficoltà. Aveva anche una pistola, una 9mm che aveva sottratto a una delle guardie passate a miglior vita, anch'essa un'arma potente, se non paragonabile alla mitragliatrice. "Perciò, resta qui ancora un'oretta, sempre che non si metta a piovere forte ancora una volta, poi Vattene da questo scoglio." Pensava di poter pilotare un aereo, sapeva il fatto suo... insomma era stato in cabina di pilotaggio un numero sufficiente di volte per poterlo fare, ma credeva che sarebbe stato meglio andarsene con una barca.... Visto che con quella non avrebbe potuto precipitare se, per così dire, avesse combinato un casino. Steve si addossò con disinvoltura contro lo stipite in cemento della finestra, scrutando il cortile alla luce lunare, e chiedendosi se avrebbe dovuto cercare di scovare una cucina prima di battersela. Le guardie non erano passate a distribuire il rancio, visto che erano tutte morte o moribonde, e sembrava che la torre non fosse rifornita di ciambelle o quant'altro. Stava morendo di fame. "Forse dovrei andare in Europa, e concedermi qualche buon pasto di cucina internazionale. Posso andare dovunque adesso, dovunque voglia. Non
c'è più nulla che mi trattenga." Quel pensiero avrebbe dovuto eccitarlo con tutte le possibilità che implicava, ma non fu così. Anzi, lo rese ansioso e un po' frastornato, perciò tornò a esaminare le possibilità di fuga. Il cancello principale che conduceva alle prigioni era chiuso, però immaginava che se avesse frugato nelle tasche di alcune delle guardie, sarebbe riuscito a trovare una delle chiavi con l'emblema. Era già inciampato nel secondino, il defunto Paul Steiner, ma questi non aveva più chiavi con sé. "E neppure gran parte della faccia" pensò Steve, notando che la cosa non gli dispiaceva particolarmente. Steiner era stato un vero coglione, con le arie che si dava, manco fosse stato Re Stronzo della Montagna di Merda, sempre con il sorriso sulle labbra quando veniva portato un altro prigioniero all'infermeria. Nessuno tornava mai dall'infermeria. Snick. Steve si immobilizzò di colpo, udendo la porta di metallo del cortile che si apriva. Dall'altra parte c'era il cimitero e lui sapeva per certo che era pieno di zombie. Aveva azzardato una sbirciatina quando aveva terminato di perquisire i cadaveri nel cortile. Gesù, adesso erano anche in grado di aprire le porte? Erano dei vegetali ambulanti con il cervello ammuffito, e non avrebbero dovuto essere capaci di aprire le porte. Se potevano farlo, di cos'altro sarebbero stati capaci? "Niente panico. Hai una mitragliatrice pesante, ricordi?" Dal momento che tutti gli altri prigionieri erano morti, se era una persona, uomo o donna che fosse, non era certo sua amica... e se non era un umano, o si trattava di uno zombie, lui l'avrebbe sottratto alle sue sofferenze. In ogni caso, niente esitazioni, e niente paura. La paura era una cosa da finocchi. Steve afferrò la manopola del riflettore con la destra, la sinistra già sul ponticello del grilletto della pesante mitragliatrice scura. Non appena la porta si aprì del tutto, deglutì a vuoto e accese il faro, sparando non appena il fascio inchiodò il bersaglio. L'arma vomitò una sventagliata di colpi e la manopola sussultò tra le sue dita mentre i proiettili sollevavano fontanelle di fango. Vide qualcosa di rosa, forse una maglietta, poi il bersaglio si tuffò fuori dalla sua linea di tiro, spostandosi troppo in fretta per essere uno dei cannibali. Aveva sentito parlare dei mostri che l'Umbrella aveva creato e, mitragliatrice o no, sperava che Dio gli risparmiasse l'incontro con una di tali creature. "Non ho paura, non ho paura..." Spostò il fascio del riflettore sulla destra
e continuò a sparare, con la fronte coperta da un improvviso sudore generato dall'ansia. La persona o la cosa si era riparata dietro il muro che spuntava vicino alla base della torre, fuori vista, ma se non era in grado di ucciderla, almeno poteva spaventarla e costringerla a scappare. Volarono schegge di cemento; il raggio di luce intensa illuminò la sezione inferiore della testa di una guardia morta, il fango, i detriti, ma nessun bersaglio. Improvvisamente qualcosa scattò fulmineamente da dietro il muro. Steve ebbe la rapida visione di un viso pallido e sconvolto. Bam, bam, bam! Il riflettore andò in pezzi e schegge incandescenti di vetro piovvero sul pavimento della torretta. Steve lasciò sfuggire un grido involontario mentre schizzava via dalla mitragliatrice. Qualcuno stava sparando a lui, e non gli importava se era una cosa da finocchi: stava facendosela addosso nei pantaloni. — Non sparare! — gridò con voce rotta. — Mi arrendo! Per alcuni istanti calò un silenzio mortale poi una voce femminile fredda e controllata venne dall'oscurità, bassa e quasi divertita. — Bel coraggio! Steve sbatté le palpebre incerto, confuso... poi ricordò come si faceva a respirare, sentendo le guance che s'imporporavano mentre la paura svaniva. "Mi arrendo, davvero moscio, come prima impressione." — Adesso scendo — disse, sollevato dal fatto che la sua voce, questa volta, non fosse rotta e decidendo che chiunque avesse ancora lo spirito per fare battute dopo che gli avevano sparato addosso non poteva essere poi cattivo. Se era una nemica, lui aveva la 9mm... ma amica o no, non l'avrebbe certo implorata di non sparargli una seconda volta. Avrebbe fatto un cattivo effetto. "Ed è una ragazza... forse anche carina." Fece del suo meglio per ignorare quel pensiero, inutile farsi delle illusioni. Per quel che sapeva, poteva avere novantotto anni, essere calva e fumare sigari... ma anche se non fosse stato così, anche se fosse stata una fichetta con i fiocchi, non voleva assumersi la responsabilità della vita di nessuno salvo che di se stesso, 'fanculo a tutti. Adesso era libero. Essere responsabili per qualcuno era seccante come dipendere da altri... Quel pensiero era fastidioso, e lo scacciò via. In ogni caso le circostanze non erano esattamente romantiche, visto che c'erano un branco di mostri malati a piede libero e la morte si celava dietro ogni angolo. Una forma di
morte brutta e sozza, oltretutto, del tipo che gira con vermi e pus. Steve scese i gradini sino al piano terra a due alla volta, con gli occhi che si adattavano al buio calato dopo la distruzione del riflettore mentre si avvicinava alla ragazza. Questa stava al centro del cortile, con una pistola in mano... e mentre le si accostava Steve non poté fare a meno di guardarla. Era coperta di fango e umidità ma era quasi certamente la più bella ragazza che avesse mai visto: viso da modella, grandi occhi e tratti fini e delicati. I capelli rossicci erano raccolti in una coda di cavallo che le ricadeva sulle spalle. Era di qualche centimetro più piccola di lui, e forse aveva la sua stessa età, pensò... lui ne avrebbe compiuti diciotto entro un paio di mesi e quindi la ragazza non poteva essere tanto più vecchia. Indossava jeans, stivali e una giacchetta rosa senza maniche sopra un'aderente maglietta tagliata corta in modo da rivelare il ventre piatto. L'intero abbigliamento sembrava concepito per mettere in evidenza il fisico magro e atletico... e benché sembrasse stanca e sfinita, gli occhi grigio azzurri avevano uno sguardo luminoso. "Di' qualcosa di tosto, comportati da duro, comunque vada..." Steve avrebbe voluto dirle che gli spiaceva di averle sparato addosso, spiegarle chi era e cosa era successo durante l'attacco, parlare in modo seducente, disinvolto e interessante... — Non sei uno zombie — balbettò, maledicendosi interiormente mentre pronunciava quelle parole. Brillante davvero. — Senza dubbio — disse la sconosciuta con voce pacata, e di colpo Steve si rese conto che la pistola era puntata contro di lui; la ragazza la teneva bassa, ma gliela stava dirigendo decisamente contro. Quando si fermò, lei compì un passo indietro sollevando l'arma, scrutandolo, il dito dietro il ponticello del grilletto e la canna a pochi centimetri dal suo viso. — E tu, chi diavolo sei? Il ragazzo sorrise. Se era nervoso stava facendo un buon lavoro per nasconderlo. Claire non allontanò il dito dal grilletto, ma si era quasi convinta che il nuovo arrivato non costituisse una minaccia per lei. Aveva sparato al riflettore, ma lui avrebbe potuto comunque facilmente spazzare il cortile con la mitragliatrice e ucciderla. — Rilassati, bellissima — disse lui sempre sorridente. — Mi chiamo Steve Burnside, io sono... ero prigioniero qui dentro. "Bellissima? Oh, fantastico." Non c'era nulla che la irritava di più che
essere trattata con condiscendenza. D'altro canto quel ragazzo era chiaramente più giovane di lei, perciò probabilmente stava solo cercando di affermare la sua virilità, di dimostrarsi un uomo e non un fanciullo imberbe. Dal suo punto di vista, però, c'erano poche cose sgradevoli come le persone che cercavano di essere qualcosa di diverso da quello che erano realmente. Lui la squadrò dall'alto al basso, nell'ovvio tentativo di valutarla, e Claire compì un altro passo indietro, la pistola saldamente tra le dita; non voleva correre alcun rischio. L'arma era una M93R, una 9mm italiana; era un'eccellente pistola e, a quanto pareva, d'ordinanza per le guardie della prigione. L'aveva trovata dopo essersi tuffata al coperto, vicino alle dita protese e prive di vita di una delle guardie uccise... e se avesse sparato al giovane signor Burnside a quella distanza, gran parte del suo bel viso sarebbe finito sparpagliato sul terreno. Il ragazzo aveva l'aspetto di un attore che aveva visto in un film, l'eroe di una storia su una nave che affondava. La rassomiglianza era stupefacente. — Immagino che neanche tu sia dell'Umbrella — osservò lui con disinvoltura. — Mi dispiace di averti sparato addosso a quel modo, comunque. Non pensavo che ci fossero altri sopravvissuti qui intorno, perciò quando si è aperta la porta... — Si strinse nelle spalle. — Comunque — riprese subito, inarcando un sopracciglio nell'ovvio tentativo di esercitare il suo fascino. — Come ti chiami? Impossibile che l'Umbrella avesse assoldato un ragazzino come quello, Claire se ne convinceva a ogni parola che usciva dalle sue labbra. Lentamente abbassò la semiautomatica, chiedendosi perché mai la società farmaceutica avesse voluto tener prigioniera una persona così giovane. "Volevano tenere in gabbia anche te, ricordi?" E lei aveva solo diciannove anni. — Claire. Claire Redfield — rispose. — Mi hanno portato qui solo ieri. Anch'io ero prigioniera. — Bel tempismo — commentò Steve e lei fu costretta a sorridere per la battuta, aveva pensato la stessa cosa. — Claire, è un bel nome — continuò lui, guardandola negli occhi. — Me ne ricorderò di sicuro. "Oh, ragazzi." Si chiese se avrebbe dovuto sparargli subito o più tardi... lei e Leon erano diventati piuttosto intimi... ma decise che forse era meglio aspettare ancora un po'. Non c'erano dubbi tuttavia sul fatto che avrebbe dovuto portarselo dietro mentre cercava un modo per scappare di là e non
voleva dover sopportare le sue uscite durante la strada. — Be', per quanto mi piaccia stare qui, ho un aereo da prendere — disse lui, con un sospiro melodrammatico. — Sempre che riesca a trovarne uno. Ti cercherò prima di lasciare quest'isola. Stai attenta, è pericoloso qui in giro. Fece per incamminarsi verso la porta accanto alla torretta di guardia, in posizione direttamente opposta a quella di Claire quando era entrata nel cortile. — Ci vediamo più tardi. — Steve, aspetta! Dovremmo restare uniti e... Lui si voltò e scosse la testa, con un'espressione di incredibile condiscendenza. — Non voglio che tu mi segua, okay? Senza offesa, ma riusciresti solo a rallentarmi. Le rivolse nuovamente un sorriso trionfante, mantenendo il contatto tra i loro sguardi il più a lungo possibile. — E saresti certamente un motivo di distrazione. Ascolta, tieni semplicemente occhi e orecchie aperte, e andrà tutto bene. Attraversò la porta e sparì ancor prima che lei potesse dire qualcosa. Confusa e seriamente irritata, Claire osservò la porta che si chiudeva, chiedendosi come avesse fatto quel ragazzino a sopravvivere sino a quel momento. Il suo atteggiamento suggeriva che fosse convinto di essere il protagonista di un videogame, dov'era impossibile restare feriti o uccisi. A quanto pareva tanta spavalderia aveva una sua utilità... un sentimento che gli adolescenti avevano in abbondanza. "Quello e il testosterone." Se sembrare tosto era la sua principale preoccupazione, non sarebbe andato troppo lontano. Doveva seguirlo, non poteva lasciarlo morire... Arooooo... L'orribile, solitario e feroce suono che improvvisamente lacerò il silenzio della notte le era familiare. L'aveva udito a Raccoon City e in quel momento veniva da dietro la porta che il ragazzo aveva appena varcato. Era impossibile confonderlo con qualcosa d'altro. Un cane, infettato dal TVirus, trasformato da animale domestico in un killer spietato. Dopo una rapida ricerca tra i cadaveri delle guardie nel cortile, Claire disponeva di altri due caricatori e mezzo. Non appena fu pronta, la ragazza trasse alcuni profondi respiri e lentamente schiuse la porta con la canna della 9mm, sperando che Steve Burnside fosse così fortunato da sopravvivere sino al suo arrivo... e che, incontrandolo, la sua fortuna non avesse preso una piega sbagliata.
3 Per quanto la distruzione di Rockfort Island fosse stata un'esperienza orribile e straziante, Alfred non poteva negare di aver provato soddisfazione ad abbattere alcuni dei suoi subordinati sulla strada della sala controllo principale dell'edificio di addestramento. Non aveva mai immaginato quanto sarebbe stato gratificante vederli malati e moribondi, mentre si protendevano verso di lui, posseduti dalla fame - quegli stessi uomini che avevano riso alle sue spalle, che lo chiamavano anormale, che fingevano di essere fedeli incrociando le dita - e poi ucciderli con le sue mani. C'erano apparecchi d'ascolto e telecamere nascoste in tutto il campo, installate da quel paranoico di suo padre, esisteva persino una sala video celata nella sua residenza privata. Alfred era stato ben cosciente di non essere amato, che gli impiegati dell'Umbrella lo temevano ma non lo rispettavano quanto meritava. Ma adesso la cosa non aveva più importanza, pensò, sorridendo mentre usciva dall'ascensore e scorgeva John Barton che, in fondo al corridoio, avanzava barcollando verso di lui con le braccia protese. Barton era stato responsabile dell'addestramento con le armi da fuoco della crescente milizia dell'Umbrella, almeno al campo Rockfort, e si era dimostrato un barbaro rumoroso e volgare... sempre a gironzolare spavaldamente con i suoi sigari a poco prezzo, a flettere i suoi muscoli ridicoli gonfiati di steroidi, sempre sudato e ghignante. La creatura pallida e sporca di sangue che si trascinava verso di lui aveva solo una misera rassomiglianza con quel bullo, ma era senza dubbio lo stesso uomo. — Non ride più, signor Barton? — osservò in tono mondano Alfred mentre alzava il fucile calibro 22, servendosi del mirino a infrarossi per accendere un piccolo punto nitido e rosso nell'occhio sinistro iniettato di sangue dell'istruttore di tiro. Barton, gemente e schiumante di bava, non se ne accorse neppure. Bam! Anche se avrebbe senz'altro apprezzato la mira eccellente e la scelta del proiettile di Alfred. Il calibro 22 era caricato con proiettili di sicurezza, cartucce progettate per schiacciarsi all'impatto. La definizione "di sicurezza" era determinata dal fatto che il proiettile non sarebbe passato attraverso il bersaglio con il rischio di ferire qualcun altro. Il tiro dì Alfred obliterò l'occhio di Barton e sicuramente anche buona parte del suo cervello, ren-
dendolo innocuo e definitivamente morto. L'omaccione crollò sul pavimento, mentre una pozza di sangue si allargava sotto di lui. Alcune delle creature mutate in armi biologiche lo preoccupavano e Alfred era lieto del fatto che la maggior parte di esse fossero rinchiuse in varie parti dell'edificio adibito all'addestramento o fossero state uccise immediatamente. Di certo non si sarebbe azzardato a girare se ce ne fosse stata qualcuna a piede libero, anche se non trovava i portatori del virus particolarmente spaventosi. Alfred aveva visto molti uomini, e anche un certo numero di donne, trasformati in quelle creature simili a zombie dal TVirus, esperimenti ai quali aveva assistito durante l'infanzia e che aveva diretto da adulto. In verità, non c'erano mai stati più di cinquanta o sessanta prigionieri vivi per volta a Rockfort. Tra il dottor Stoker, il ricercatore anatomico che lavorava presso l'infermeria, la costante necessità di bersagli destinati all'addestramento e le parti umane indispensabili agli esperimenti, nessun prigioniero al campo poteva godere dell'ospitalità dell'Umbrella per più di sei mesi. "E dove saremo noi, tra sei mesi, mi chiedo?" Alfred scavalcò il cadavere rigonfio di Barton, dirigendosi verso la sala controllo per chiamare i suoi contatti al quartier generale dell'Umbrella. Avrebbero deciso di ricostruire Rockfort? E lui, sarebbe stato d'accordo? Lui e Alexia erano stati perfettamente al sicuro dal virus durante la fase calda, poiché entrambi i sentieri che collegavano il resto dell'impianto e la loro dimora privata erano rimasti chiusi nel corso dell'attacco aereo, ma sapendo che il nemico senza nome dell'Umbrella era deciso a ricorrere a tali misure estreme, era davvero convinto di voler ricostruire un laboratorio così vicino alla loro casa? Gli Ashford non avevano paura di nulla, però non erano neppure degli incoscienti. "Alexia non accetterebbe mai di chiudere l'impianto, la fabbrica, non adesso, non quando è così vicina al suo obiettivo..." Alfred si fermò di colpo, lo sguardo fisso sulle apparecchiature radio e video, gli schermi vuoti dei computer che gli rimandavano occhiate morte e sbarrate. Guardò ma non vide, e uno strano senso di vuoto sorse dentro di lui, confondendolo. Dov'era Alexia? E quale era il suo obiettivo? "È andata. Non c'è più." Era vero, se lo sentiva nelle ossa... ma come avrebbe potuto lasciarlo sua sorella, come avrebbe potuto fare una cosa del genere sapendo che era il suo unico affetto, che lui sarebbe morto senza di lei? La mostruosità, cieca e urlante. Il fallimento. Ed era così fredda, così
fredda, la nuda regina delle formiche, sospesa nel mare, e lui non poteva toccarla, poteva solo sentire il freddo, rigido vetro sotto le sue dita bramose... Alfred gemette, quell'immagine d'incubo era così reale e così orribile che lui non sapeva più chi era, e cosa stesse facendo. Vagamente si accorse che le sue mani si stringevano sempre più saldamente intorno a qualcosa, mentre i muscoli delle braccia erano scossi da un tremito. Un'esplosione di energia statica provenne dalla consolle di fronte a lui, uno scoppio rumoroso e scricchiolante. Alfred realizzò che qualcuno stava parlando. — ... prego, se qualcuno può sentirmi... sono il dottor Mario Tica, mi trovo nel laboratorio del secondo piano — stava dicendo la voce, rotta di paura. — Sono chiuso dentro, e tutti i serbatoi si sono rotti... stanno emergendo... vi prego, dovete aiutarmi, non sono stato contaminato. Ho indosso la tuta, lo giuro su Dio, dovete tirarmi fuori di qui... Il dottor Tica, chiuso nella sala dei serbatoi per gli embrioni. Tica, che da lungo tempo inviava rapporti personali all'Umbrella sui suoi progressi nel progetto Albinoid, rapporti segreti diversi da quelli che mostrava ad Alfred. Alexia aveva suggerito che Tica dovesse essere mandato dal dottor Stoker già da diversi mesi... sarebbe stata contenta di sentirlo adesso? Alfred si protese e chiuse la linea per tacitare le implorazioni balbettate da quell'uomo, sentendosi improvvisamente molto meglio. Alexia lo aveva avvertito della possibilità di quegli attacchi più di una volta, lampi di intensa solitudine e confusione... Lo stress, aveva insistito, dicendogli che non doveva prenderli sul serio e che lei non lo avrebbe mai lascialo di sua volontà, che lo amava troppo per fare una cosa del genere. Pensando a lei, riflettendo su tutti i problemi e la sofferenza che gli incompetenti apparati difensivi dell'Umbrella avevano procurato a entrambi, Alfred decise di colpo di non effettuare la chiamata. In quel momento di sicuro il quartier generale era stato informato dell'attacco e presto avrebbe inviato una squadra di pulizia; in verità, non c'era alcun bisogno di parlare con loro... e, del resto, non meritavano di ascoltare le sue considerazioni sulla situazione, di conoscere i pericoli che avrebbero dovuto affrontare. Lui non era un impiegato, un ignorante lacchè costretto a far rapporto ai superiori. Gli Ashford avevano creato l'Umbrella, quindi erano gli altri a dover fare rapporto a lui. "E io ho parlato con Jackson solo una settimana fa, riguardo alla ragazza, quella Redfield..."
Alfred si accorse di aver sbarrato gli occhi, mentre il cervello cominciava a elaborare le informazioni freneticamente. Claire Redfield, sorella di Chris Redfield, proprio lui di tutti i rinnegati S.T.AR.S., era arrivata poche ore prima dell'attacco. Era stata catturata a Parigi, nell'edificio amministrativo dell'Umbrella, e aveva ammesso di essere sulle tracce del fratello... e loro l'avevano mandata sulla sua isola, perché la tenesse segregata sinché non avessero deciso che cosa fare di lei. Se il vero piano fosse stato di attirare suo fratello allo scoperto, per distruggere la sua ridicola forza d'insurrezione una volta per tutte, e i capi dell'Umbrella si fossero convenientemente scordati di comunicarglielo? E se la ragazza fosse stata seguita sino a Rockfort Island da Redfield e dai suoi compagni e la sua stessa presenza là fosse stato il segnale per scatenare l'assalto? E se addirittura si fosse fatta catturare apposta? Fu come se, di colpo, ogni tassello del puzzle fosse andato al suo posto. Certo che si era fatta catturare. Furba, aveva giocato bene la sua parte. Il fatto che l'Umbrella avesse o meno incoraggiato quell'attacco adesso non aveva importanza: con quella gente avrebbe trattato in seguito. La cosa che importava era che Claire Redfield aveva portato il nemico a Rockfort e poteva essere ancora viva, magari impegnata a rubare informazioni, a spiare, forse persino a pianificare di... di fare del male ad Alexia. — No — sussurrò mentre di colpo la sua paura diventava furia. Ovviamente quello era stato il suo piano sin dall'inizio, infliggere il maggior danno possibile all'Umbrella... e Alexia era senza dubbio la più brillante mente scientifica che si occupava della ricerca sulle armi biochimiche, forse la più brillante in ogni campo. Claire non ce l'avrebbe fatta. Lui l'avrebbe trovata... o, ancor meglio, avrebbe aspettato che venisse da lui, come sarebbe certamente accaduto. Poteva mettersi di guardia aspettando il suo arrivo, rimanere in attesa come un cacciatore, e la ragazza sarebbe stata la sua preda. E perché ucciderla subito, quando avrebbe potuto divertirsi un mondo con lei? Era la voce di Alexia quella che si faceva strada nei suoi pensieri, ricordandogli i loro giochi di bambini, il piacere che avevano condiviso durante i loro esperimenti, quando avevano creato scenari dominati dal dolore, per osservare le cose soffrire e morire. Condividere così intime esperienze aveva forgiato tra loro un legame d'acciaio. "Posso tenerla in vita, lasciare che Alexia giochi con lei... o meglio potrei inventare un labirinto apposta per lei, per vedere come se la cava con
alcune delle nostre bestiole..." C'erano un sacco di possibilità. Con poche eccezioni. Alfred era in grado di schiudere tutte le porte dell'isola con il computer. Poteva facilmente indirizzarla dovunque avesse voluto, e ucciderla a sua discrezione. Claire Redfield lo aveva sottovalutato, tutti loro lo avevano fatto, ma adesso era finita... se le cose si fossero messe nel modo in cui Alfred stava cominciando a sperare, il giorno sarebbe terminato su una nota molto più lieta della delusa sensazione di scoramento che ne aveva contrassegnato l'inizio. Se c'erano dei cani contaminati che scorrazzavano nelle vicinanze, si erano nascosti. Il cortile aperto in cui Claire era appena entrata era disseminato di cadaveri, le loro carni di un malato color grigio sotto la pallida luce lunare salvo nei punti in cui erano caduti innumerevoli schizzi di sangue. Niente cani, nulla che si muovesse al di fuori delle basse nuvole che correvano nel cielo notturno sempre più scuro. Claire rimase immobile per un attimo, scrutando le ombre per accertarsi che nelle immediate vicinanze non ci fossero pericoli, prima di lasciarsi alle spalle l'uscita. — Steve — sussurrò in tono brusco, riluttante ad alzare la voce per timore di quello che poteva celarsi nell'oscurità. Sfortunatamente, Steve Brunside era invisibile quanto il cane ululante che aveva sentito. Non si era limitato a dare un'occhiata là intorno, era partito di corsa, a quanto sembrava. Perché? Perché avrebbe dovuto voler procedere da solo? Forse si sbagliava, ma la pretesa di Steve di non voler essere rallentato da lei non sembrava una buona idea. Quando era finita senza saperlo nell'incubo di Raccoon, incontrare Leon aveva costituito una differenza fondamentale per il suo futuro; non erano rimasti assieme per tutto il tempo, ma semplicemente sapere che c'era qualcun altro sconvolto e impaurito quanto lei era stato importante. Invece di sentirsi impotente e isolata, era stata in grado di formulare obiettivi chiari, mete da raggiungere oltre la mera sopravvivenza... procurarsi un mezzo di trasporto in grado di portarli fuori dalla città, cercare Chris, prendersi cura di Sherry Birkin. "E considerando la cosa sotto il semplice profilo della sicurezza, avere qualcuno che ti guarda le spalle in un inferno del genere è molto meglio che procedere da soli, senza dubbio." Qualunque fosse la ragione di quel comportamento, avrebbe fatto del suo meglio per parlargli e convincerlo a seguirla, sempre ammesso che
fosse riuscita a trovarlo. Il cortile di fronte a lei era molto più grande di quello da cui era appena uscita, una lunga baracca a un piano sulla sinistra, forse era il retro di un più ampio edificio. Un fuocherello ardeva dietro una delle finestre fracassate, e tra i morti erano disseminati un gran numero di detriti, prova di un attacco in forze. Immediatamente alla sua destra c'era una porta chiusa a chiave, dall'altra parte un sentiero sterrato illuminato dalla luna al termine del quale c'era un'altra porta chiusa... e ciò significava che Steve si trovava dentro la baracca o che vi aveva girato attorno, servendosi del sentierino all'estremità del cortile che volgeva anch'esso a destra. Decise di dare per prima cosa un'occhiata alla baracca. Mentre compiva i primi passi su per il portico, delimitato da una ringhiera che correva per quasi tutta la lunghezza dell'edificio, si scoprì a chiedersi chi avesse attaccato Rockfort e perché. Rodrigo aveva detto qualcosa a proposito di una squadra speciale, ma se era così, a chi obbediva? Sembrava che l'Umbrella avesse un buon numero di avversari, e questa era decisamente una buona notizia... comunque l'assalto all'isola era ugualmente una tragedia. Insieme ai lavoranti erano morti anche molti prigionieri, e il T-Virus - fors'anche il G-virus, e Dio sa cos'altro - non faceva differenza tra colpevoli e innocenti. Claire aveva raggiunto la porta di legno senza contrassegni della baracca, e serrando in pugno la 9mm pronta a far fuoco, la schiuse delicatamente; ma poi la richiuse subito alla vista di un gruppo di contaminati, che giravano barcollanti intorno a un tavolo. Un istante dopo si udì un tonfo contro il battente mentre da là dietro filtrava un basso gemito pietoso. "Il sentiero, allora." Dubitava che quello sbruffone di Steve avrebbe lasciato qualcuno in piedi se fosse entrato nella baracca, e probabilmente lei avrebbe udito gli spari. "... a meno che non siano stati loro a farlo secco prima." A Claire non piaceva l'idea, ma la tetra verità era che non poteva permettersi di sprecare munizioni per accertarsene. Avrebbe seguito il sentiero, per vedere dove portava, e se non fosse riuscita a trovare il ragazzo neanche così, avrebbe dovuto cavarsela da solo. Lei voleva comportarsi correttamente, ma era anche piuttosto decisa a salvarsi il culo. Doveva tornare a Parigi, da Chris e dagli altri, cosa che certamente non avrebbe potuto fare se avesse sprecato i colpi per poi finire in pasto a qualche zombie. Tornò sui suoi passi lungo il portico, con tutti i sensi all'erta mentre si avvicinava all'estremità dell'edificio. Non aveva scordato la probabile presenza di uno o più cani-zombie, perciò tese le orecchie per essere in grado
di avvertire il raschiare delle zampe sul terriccio e il pesante ansimare che ricordava dalla precedente esperienza a Raccoon. La notte umida e fredda era silenziosa, una brezza che metteva i brividi soffiava leggera nel cortile, e l'unico respiro che sentiva era il suo. Un rapido sguardo oltre l'angolo della baracca; nulla, solo il corpo di un uomo che giaceva metà dentro e metà fuori dallo spazio esistente tra il terreno e il pavimento rialzato della costruzione, a circa cinque metri di distanza. Altri dieci metri più avanti e il sentiero girava nuovamente a destra con grande sollievo di Claire, che infatti aveva visto quel tratto attraverso il cancello chiuso e aveva constatato che era completamente vuoto. "Perciò deve essere passato da quella porta, quella che si apre sul muro occidentale." Essere certi di qualcosa era un altro motivo di sollievo, perché qualsiasi certezza, quando si trattava dell'Umbrella, era rassicurante. Cominciò a seguire il sentiero, pensando a quanto tempo ci sarebbe voluto per convincere quel ragazzino sbruffone a rimanere con lei. Forse se gli avesse parlato di Raccoon, spiegandogli che aveva una certa esperienza sui disastri causati dall'Umbrella... Claire stava per scavalcare la parte superiore del cadavere solitario quando questi si mosse. Compì un balzo indietro, la pistola puntata sulla testa sanguinante dell'uomo, il cuore che batteva furiosamente, e si rese conto che quell'individuo era effettivamente morto e che qualcuno o qualcosa, nell'ombra creata dallo spazio tra il terreno e il pavimento, lo stava tirando dentro per le gambe, con una forte e continua serie di strattoni. "Come un cane che arretra con un boccone troppo grosso stretto tra le fauci." Dopo quel pensiero non ne formulò altri, saltando istintivamente oltre il morto e schizzando via, cosciente che il cane, sempre che lo fosse, non sarebbe rimasto occupato per sempre col cadavere. Il pensiero che si trovava a meno di un metro di distanza diede impulso alla velocità delle sue gambe, mentre girava attorno a un angolo, gli scarponcini che calpestavano il terriccio umido e pressato, le braccia che l'aiutavano nello scatto. Gli zombie erano lenti e scoordinati, ma i cani che lei e Leon avevano incrociato erano dotati di una malvagia scaltrezza oltre a essere rapidi come il lampo. Anche se era armata, non aveva interesse ad affrontarne uno, un unico morso e sarebbe rimasta contaminata. Aroooo! Il gorgogliante ululato veniva da un punto oltre la baracca, da qualche parte nella sezione frontale del cortile.
"Merda, ma quanti sono?" Non importava la salvezza era davanti a lei sulla sinistra. Non osando guardarsi alle spalle, non rallentò di un passo finché non raggiunse la porta, afferrandone la maniglia che abbassò con forza. Il battente si aprì senza difficoltà, e poiché non vide nulla munito di denti direttamente di fronte a sé, compì un balzo in avanti e si richiuse violentemente la porta alle spalle... ... solo per udire una serie di lamenti di zombie. Il fetore febbrile di carne in putrefazione dei moribondi portatori di virus la investì nel momento stesso in cui qualcosa andò a sbattere sulla porta che si era chiusa dietro, cominciando a raschiare con un grugnito da bestia feroce. "Quanti cani e quanti zombie?" Il pensiero passò come un lampo nella sua mente in preda al panico, poiché la necessità di risparmiare colpi si era inculcata dentro di lei in profondità dopo Raccoon insieme alla preoccupazione di "cosa faccio se finisco in un vicolo cieco?" Fu quasi tentata di tornare sui suoi passi malgrado il rischio, finché non vide dov'erano gli zombie. Il passaggio dov'era approdata era avvolto nell'oscurità, ma poteva vedere, intrappolati in una sezione chiusa da sbarre sulla sua destra, diversi uomini che si agitavano barcollando, quasi tutti praticamente decomposti. Uno di essi stava picchiando sul pavimento grigliato, con le mani scheletriche infiocchettate di tessuto decomposto penzolante, senza badare al dolore che provava il suo corpo disgregato. "Dev'essere il canile..." Claire compì alcuni passi in avanti, concentrandosi con preoccupazione sul chiavistello semplice e in qualche modo inconsistente che teneva chiusa la porta... e vide tre zombie a piede libero quasi nell'istante in cui il primo stava per metterle le mani addosso, la bocca spalancata che colava saliva e un altro fluido scuro, le dita ossute protese per toccarla. Era stata così assorta a osservare le creature nella gabbia che non si era resa conto che ve n'erano delle altre. Seguendo un riflesso abbassò il peso e spedì un piede nel petto della creatura, un violento ed efficace calcio laterale che spinse lontano il mostro. Ebbe la sensazione dello scarponcino che affondava nella carne in decomposizione, ma non aveva tempo per provare disgusto. Stava già alzando la 9mm quando, con un clangore metallico, la porta della gabbia cedette e improvvisamente Claire si trovò di fronte un gran numero di zombie invece dei tre che aveva pensato di dover eliminare sino a quel momento. Affluirono verso di lei, superando con passo maldestro un bidone dell'im-
mondizia, alcune botti e i corpi senza vita dei loro simili. Bam! Sparò al più vicino senza pensarci, aprendogli un foro netto nella tempia destra, tuttavia, mentre la creatura crollava abbattendosi sul terreno, si rese conto di essere condannata. Erano troppi e troppo raggnippati, non ce l'avrebbe mai fatta. "I barili! Uno di essi aveva un'etichetta che diceva 'materiale infiammabile', lo stesso trucco che ho usato a Parigi..." Claire si tuffò alla ricerca di un riparo dietro il bidone dell'immondizia, passando la pistola nella sinistra mentre atterrava dietro di esso. Con il bersaglio fisso nell'occhio della mente, si rialzò per sparare, lasciando emergere solo il braccio da dietro il bidone mentre gli zombie vacillavano confusi alla sua ricerca emettendo grugniti famelici... Bam! Bam! Ka-blam! Il bidone dell'immondizia le picchiò contro la spalla destra, scaraventandola indietro. Claire si raggomitolò su un fianco, le orecchie che ronzavano mentre schegge di metallo taglienti e in fiamme piovevano dall'alto, ricadendo fragorosamente sul bidone e sulla sua gamba sinistra. La ragazza le cacciò via, quasi incredula che il trucco avesse funzionato, e che lei fosse ancora viva. Si mise a sedere e si raggomitolò, scrutando ciò che era rimasto dei suoi assalitori. Solo uno degli zombie era ancora intero, appoggiato pesantemente al canile, vestiti e capelli in fiamme. La parte superiore del corpo di un secondo mostro stava cercando di strisciare verso di lei, perdendo brandelli di pelle annerita e piena di vesciche mentre procedeva di pochi centimetri per volta. Il resto del gruppo era finito in pezzi, il terreno che bruciava proteso a reclamare i loro patetici resti. Claire liquidò rapidamente i due rimasti in vita, anche se provava un vago smarrimento all'idea della misera fine che era spettata a quelle persone. Dai tempi di Raccoon City i suoi sogni erano infestati di zombie, di putride, sgocciolanti creature che cercavano carne viva per nutrirsi. L'Umbrella aveva creato senza volerlo quei particolari mostri da incubo, simili a morti viventi usciti da un film, e con essi si trattava di uccidere o essere uccisi, non c'era nessun'altra scelta. "Peccato che, fino a poco tempo fa, erano persone anche loro." Gente con una famiglia, una propria esistenza, che non aveva meritato di morire in modi così orrendi, a dispetto dei crimini che poteva aver commesso.
Abbassò lo sguardo sui poveri corpi bruciati, provando una sensazione di pietà che quasi la fece star male... e sentì crescere dentro di sé un sommesso ma insistente odio febbrile contro l'Umbrella. Claire scosse il capo e fece del suo meglio per allontanare quel pensiero, consapevole che portarsi dentro tutta quella sofferenza poteva farla esitare al momento cruciale. Come un soldato in guerra non poteva permettersi di umanizzare il nemico sebbene non avesse dubbi sulla vera identità del suo avversario e sperasse ardentemente che i capi dell'Umbrella sarebbero bruciati all'inferno per ciò che avevano fatto. Steve sobbalzò quando udì l'esplosione all'esterno, guardandosi in giro per un riflesso condizionato nel piccolo ufficio sottosopra come se si aspettasse che le pareti potessero crollare. Qualche istante dopo si rilassò, immaginando che fosse solo un'altra esplosione provocata dal calore, nulla di cui preoccuparsi. Dal momento dell'attacco, gli incendi erano divampati senza controllo in tutto il campo di prigionia, raggiungendo di tanto in tanto qualche deposito di carburante, una bombola di ossigeno o un bidone di kerosene o di qualcos'altro, e poi... ka-boom, un'altra esplosione. Era stata proprio una di quelle deflagrazioni che gli aveva salvato la vita, per la verità... Era stato scaraventato a terra privo di sensi da un frammento di muro scagliato in aria dall'esplosione quando era saltato un bidone di benzina, e i detriti l'avevano coperto completamente, nascondendolo. Quando finalmente ne era emerso, il banchetto degli zombie era praticamente finito e la maggior parte dei prigionieri e delle guardie erano morti. Brutto filo di pensieri. Lo scacciò e riportò la sua attenzione sullo schermo del computer e alla directory che aveva consultato nel tentativo di trovare una mappa dell'isola. Un cretino aveva scritto la password su un foglietto adesivo che aveva poi attaccato all'hard disk, consentendogli un facile accesso a materiale ovviamente segreto. Peccato che, per la maggior parte, si trattasse di roba inutile quanto risciacquatura di piatti... budget della prigione, nomi e date che non riconosceva, informazioni su una lega particolare che i metal detector non erano in grado di riconoscere... quella notizia in realtà poteva avere un certo interesse, considerato il fatto che era stato costretto ad attraversare un passaggio sorvegliato da una serratura funzionante con il metal detector per entrare nell'ufficio, però un paio di proiettili ben sistemati avevano risolto il problema. Un'altra cosa positiva. Aveva trovato una delle chiavi dell'ingresso, contrassegnata da un emblema e nascosta nel cassetto della scrivania, che avrebbe azionato la serratura quando se ne fosse andato.
"Ho bisogno solo di una dannata mappa per raggiungere la più vicina nave o un aereo, poi la mia visita qui sarà storia passata." Avrebbe preso con sé la pollastra dopo aver trovato una strada sicura, sì, così avrebbe potuto giocare il ruolo del cavaliere dalla scintillante armatura. E senza dubbio lei lo avrebbe apprezzato, forse a sufficienza da voler... Un nome nella directory dei file attirò il suo sguardo. Steve aggrottò la fronte, avvicinandosi allo schermo per vedere meglio. C'era una cartella con un nome, Redfield, C... come Claire Redfield? L'aprì, incuriosito, e stava ancora leggendo, totalmente assorbito, quando udì un rumore alle sue spalle. Afferrò la pistola dal ripiano della scrivania e si voltò di scatto, maledicendosi interiormente per non aver prestato più attenzione. Davanti ai suoi occhi c'era Claire, con la sua arma rivolta al pavimento, lo sguardo vagamente irritato. — Cosa stai facendo? — gli chiese con disinvoltura, come se non si fosse accorta di avergli fatto prendere una paura del diavolo. — E come hai fatto a superare gli zombie qui fuori? — Ho corso — rispose lui, irritato per la domanda. Lo credeva un totale incapace o cosa? — E stavo cercando una mappa... ehi, tu sei parente di un certo Christopher Redfield? Claire aggrottò la fronte. — Chris è mio fratello. Perché? "Fratelli. Questo spiega tutto." Steve indicò il computer, chiedendosi vagamente se l'intero clan dei Redfield fosse composto da fieri combattenti. Di certo suo fratello lo era: ex pilota dell'Aviazione e membro della S.T.AR.S., campione di tiro a segno e una vera spina nel fianco dell'Umbrella. Non lo avrebbe certo ammesso ad alta voce, ma Steve era realmente impressionato. — Forse vorrai informarlo che l'Umbrella lo ha messo sotto sorveglianza — rispose, facendosi indietro in modo che Claire potesse vedere cosa c'era sullo schermo. Apparentemente Chris si trovava a Parigi, anche se l'Umbrella non era stata in grado di identificare esattamente il suo nascondiglio. Steve era contento di essere finito su un file che aveva qualche valore per la ragazza, un po' di gratitudine da parte di una bella pupa faceva sempre piacere. Claire scorse le informazioni e premette un paio di tasti, tornando a fissare lui con uno sguardo sollevato. — Ringrazio Dio per averci fornito i satelliti privati. Posso contattare Leon, un mio amico, che ormai dovrebbe essersi riunito a Chris.
Aveva già cominciato a digitare, spiegandosi con voce assente mentre le dita continuavano a muoversi sui tasti. — ... c'è una casella di posta elettronica che possiamo usare... qui, vedi? 'Contattaci al più presto possibile, la banda si è riunita.' L'ha inviato la notte che mi hanno preso. Steve si strinse nelle spalle, per la verità poco interessato alle vicissitudini degli amici di Claire. — Torna al file principale, ci sono riportate longitudine e latitudine di questo scoglio — disse, sorridendo appena. — Perché non mandi a tuo fratello le indicazioni necessarie perché ci venga a prendere? Si aspettava un altro sguardo irritato ma Claire gli rispose solo con un cenno del capo, l'espressione mortalmente seria. — Buona idea. Comunicherò che c'è stata una fuga del virus a queste coordinate. Capiranno cosa significa. Era piuttosto carina, certo, ma anche piuttosto ingenua. — Era una battuta — disse scuotendo la testa. Erano nel mezzo del nulla. Claire lo fissò. — Divertente, lo riferirò a Chris quando arriverà. Senza alcun preavviso una rabbia furente salì dentro di lui, un tornado d'ira e disperazione e un mucchio di altre sensazioni che non poteva neanche cominciare a capire. Ciò che comprendeva, invece, era che la piccola miss Claire aveva torto, era una stupida mocciosa e si sbagliava di grosso. — Vuoi scherzare? Ti aspetti veramente che arrivi, con tutto quello che sta succedendo qui? E guarda quelle coordinate! — Le parole gli venivano alle labbra più roventi, rapide e forti di quanto avesse voluto, ma non gli importava. — Non fare l'idiota... credimi, non puoi far conto sulle persone a quel modo, finirai solo per farti del male, e potrai rimproverare solo te stessa. Adesso lei lo guardava come se fosse uscito di senno, e quando l'ira raggiunse il suo culmine, Steve si sentì investire da un'ondata di vergogna, realizzando di aver fatto una scenata senza ragione. Poteva anche sentire le lacrime che minacciavano di scendergli sul viso, aumentando ulteriormente il senso di umiliazione che provava. Non poteva assolutamente mettersi a piangere di fronte a lei come un bambinetto, assolutamente no. Prima che Claire potesse dire qualsiasi cosa, si volse e corse via, avvampando. — Steve, aspetta! Il ragazzo si sbatté la porta alle spalle e continuò a correre, desideroso solo di uscire di là, di allontanarsi. "Al diavolo la mappa, ho le chiavi, e penserò a qualcosa per andarmene. Ucciderò chiunque cerchi di fer-
marmi..." Corse lungo il corridoio, superò il metal detector fuori uso, l'arma impugnata, mentre una parte di lui era amaramente contrariata. Passò rapidamente oltre il canile, inciampando quasi un paio di volte sopra parti di cadaveri umide e fumanti. Non c'era nulla a cui sparare, nessuno da cacciare nell'oblio a furia di colpi, nulla che potesse aiutarlo a fermare le sensazioni che stava provando in quel momento. Attraversò come una furia la porta che usciva sul retro della camerata e cominciò a girare attorno al lungo edificio, sudando, il cuore in tumulto, i folti capelli appiccicati al cranio malgrado l'aria fredda... ed era così concentrato sulla sua strana follia, sul suo desiderio di correre, che non vide né udì nulla venire verso di lui finché non fu quasi troppo tardi. Wham, qualcosa lo colpì alle spalle, gettandolo a terra a braccia larghe. Steve si rigirò istantaneamente sulla schiena, mentre un mortale terrore cancellava in lui ogni altro pensiero. Vide due di loro, due dei cani da guardia della prigione. Uno di essi gli girava intorno dopo averlo scaraventato a terra, e l'altro emetteva dei profondi grugniti gutturali, le zampe rigide e la testa bassa mentre si avvicinava lentamente. "Gesù, guardali... " Un tempo erano stati dei rottweiler, ma adesso non era più possibile classificarli come tali. Erano stati contaminati, lo capiva dai loro occhi sbarrati iniettati di sangue e dalle fauci sgocciolanti, dalle nuove bizzarre masse muscolari che si flettevano gonfiandosi sotto la pelle ridotta quasi a una pellicola trasparente. E, per la prima volta dall'inizio dell'attacco, l'immensità della follia dell'Umbrella - i suoi esperimenti segreti, la ridicola mentalità da cappa e spada - si manifestò con chiarezza nella sua niente. A Steve piacevano i cani, molto di più di quanto non gli piacesse la maggior parte della gente, e quello che era capitato a quei poveri animali non era giusto. "Non è giusto, certo. Posto sbagliato e momento sbagliato. Io non merito tutto questo, non ho fatto nulla di male..." Non si era neppure accorto che l'oggetto della sua pietà era mutato, che stava ammettendo con se stesso quanto le cose fossero andate in merda, quanto malamente fosse finito lui. Non aveva tempo per notare una cosa del genere. Era passato meno di un secondo da quando era rotolato sulla schiena e i cani stavano preparandosi ad assalirlo. Finì tutto nello spazio di un altro secondo, il tempo che impiegò a premere il grilletto una volta, rotolare e sparare di nuovo. Entrambi gli anima-
li caddero istantaneamente, il primo colpito alla testa, il secondo al petto. Quest'ultimo lasciò sfuggire un unico guaito di dolore o paura o forse di sorpresa prima di crollare nel fango. L'odio che Steve provava per l'Umbrella si moltiplicò in maniera esponenziale udendo quel verso strangolato, e la sua mente cominciò a ripetersi all'infinito quanto fosse ingiusto tutto quello mentre si alzava faticosamente in piedi e si allontanava correndo in maniera scoordinata. Aveva le chiavi del cancello della prigione; non sarebbe stato vittima di quei pazzi. "È il momento di una piccola vendetta" pensò cupo, sperando improvvisamente, pregando per la verità, di poter incrociare la strada con uno di quei bastardi, figli di puttana malati di mente che prendevano le decisioni nell'Umbrella. Forse, se li avesse uditi implorare di ucciderli, avrebbe potuto sentirsi un po' meglio. 4 Chris Redfield e Barry Burton stavano rifornendo i caricatori per le armi nello sgabuzzino della casa-sicura di Parigi, in un silenzio teso nel quale nessuno dei due aveva voglia di parlare. Erano stati dieci giorni tremendi, senza avere notizie di Claire, né sapere se l'Umbrella la manteneva in vita... "Stop" disse con fermezza a Chris la sua voce interiore. "È viva, deve essere così." Qualsiasi alternativa era impensabile. Si stava ripetendo quel ragionamento da dieci giorni, con sempre minore convinzione. Come se non fosse stato sufficiente apprendere che si era trovata a Raccoon City quando si era verificata l'esplosione che aveva distrutto la città, e che vi era andata per cercarlo. Leon Kennedy, il suo giovane amico poliziotto, gli aveva fornito i dettagli del loro primo incontro. Sua sorella era sopravvissuta a Raccoon solo per essere praticamente sequestrata da Trent mentre stava dirigendosi in Europa. Lei, Leon e altri tre agenti S.T.A.R.S. Alla fine si erano ritrovati a fronteggiare un altro gruppo di mostri creati dall'Umbrella, presso uno stabilimento nello Utah. Chris non ne aveva saputo nulla, e, incoscientemente, aveva presunto che sua sorella fosse al sicuro, all'università, impegnata a completare gli studi. Apprendere che era rimasta invischiata nella lotta contro l'Umbrella era una brutta notizia, giusto... ma venire a sapere che la società farmaceutica l'aveva catturata, che la sua sorellina a quell'ora poteva essere già morta... lo uccideva, divorandolo dall'interno. Faceva quel che poteva per trattener-
si dal piombare al quartier generale della società con un paio di mitragliatrici per informarsi a qualsiasi costo sulla sua sorte, anche se sapeva che sarebbe stato un suicidio. Barry doveva inserire i caricatori nelle armi, Chris invece era occupato a caricare i serbatoi con le pallottole mentre l'acre odore della polvere da sparo, ormai familiare, stagnava nell'aria. Chris era lieto che il suo vecchio amico comprendesse il suo bisogno di silenzio. Il continuo ripetersi degli scatti metallici dei caricatori era perciò l'unico rumore nella piccola stanza. Comunque, provava sollievo ad avere qualcosa da fare dopo un'intera settimana trascorsa ad aspettare e a pregare, nella speranza che Trent li contattasse con delle novità o con un'offerta di aiuto. Chris non aveva mai incontrato Trent, ma il misterioso sconosciuto aveva già aiutato gli agenti della S.T.A.R.S. in diverse occasioni, fornendo loro informazioni sull'Umbrella. Sfortunatamente aspettare Trent si stava rivelando una lunga attesa, l'uomo li contattava solo quando ciò s'inseriva nei suoi piani, e poiché loro non avevano modo di raggiungerlo, la prospettiva di poter ricevere un suo ausilio sembrava sempre meno probabile. Click-click. Click-click. Il rumore ripetitivo in qualche modo riusciva a calmargli i nervi, un'operazione meccanica sommessa nel silenzio della casa-sicura che avevano affittato. Ognuno di loro aveva un compito preciso nella lotta contro l'Umbrella, incarichi che cambiavano di giorno in giorno a seconda delle necessità. Chris aveva aiutato Barry nella manutenzione delle armi nell'ultima settimana e mezza, ma di solito si occupava della sorveglianza al quartier generale. Aveva ricevuto un messaggio da Jill poche settimane prima. La giovane era in viaggio verso Parigi, e Chris sapeva che i suoi turbolenti trascorsi giovanili di ladra sarebbero stati molto utili quando si fosse trattato di eseguire una ricognizione all'interno della base nemica. Leon si era rivelato un hacker di discreto livello, e si trovava nella stanza vicina, attaccato al computer. Dormiva a stento da quando Claire era stata catturata, e trascorreva quasi tutto il suo tempo a spiare i movimenti della Umbrella tramite il computer. Per quel che riguardava i tre agenti arrivati in Europa con Claire - Rebecca, dell'ormai disciolta squadra S.T.A.R.S. di Raccoon, David e John - si trovavano a Londra in quel momento, per incontrare un mercante d'armi. Dopo tutto quello che avevano passato insieme, avevano formato un'ottima squadra. "Non siamo molti, ma possediamo abilità e determinazione. Claire, però..."
Poiché i loro genitori erano morti, lui e Claire avevano sviluppato uno stretto rapporto, perciò Chris pensava di conoscerla piuttosto bene. Era scaltra, dura e piena di risorse, lo era sempre stata... ma era anche una studentessa di college, accidenti! A differenza del resto del gruppo, non aveva sostenuto nessun corso di addestramento per affrontare il combattimento. Lui non poteva fare a meno di pensare che fino a quel momento era stata sin troppo fortunata, ma quando si trattava di combattere l'Umbrella, la fortuna non bastava. — Chris, vieni qui! Era Leon, e, dal tono di voce, sembrava una cosa urgente. Chris e Barry si guardarono in faccia, e il giovane vide la sua stessa apprensione riflessa sul viso dell'amico. Si alzarono. Il cuore che pulsava in gola, Chris fece strada nel corridoio che portava alla stanza dove Leon stava lavorando, ansioso e pieno di timore al tempo stesso. Il giovane poliziotto era in piedi vicino al computer, con un'espressione indecifrabile. — È viva! — annunciò semplicemente. Chris non si era reso veramente conto di quanto si fosse messa male la situazione per lui finché non aveva udito quelle parole. Fu come se, improvvisamente, il suo cuore fosse stato liberato dopo essere stato imprigionato in una morsa per dieci giorni. Il senso di sollievo fu fisico quanto emotivo e la sua pelle s'imporporò. "Viva, è viva!" Barry gli picchiò sulla spalla, ridendo. "Naturalmente, è una Redfield, dopotutto." Chris sorrise, poi rivolse la sua attenzione verso Leon... e sentì il sorriso svanire di fronte all'espressione cautamente neutra del poliziotto. C'era qualcos'altro. Prima che avesse modo di parlare, Leon indicò lo schermo, traendo un profondo respiro. — L'hanno portata su un'isola, Chris... e c'è stato un incidente. Chris si gettò sul computer con un unico balzo. Lesse due volte di seguito il breve messaggio, mentre il suo reale significato penetrava lentamente dentro di lui. Problemi infettivi approssimativamente a 37 Sud e 12 Ovest in seguito ad attacco, responsabili ignoti. Nessun cattivo in piedi, penso, ma al momento bloccata. Guardati le spalle, fratello, conoscono la città, se non la strada. Cercherò di tornare a casa presto.
Chris si rizzò in piedi, cercando in silenzio lo sguardo di Leon mentre Barry leggeva a sua volta il messaggio. Il poliziotto sorrise, ma la sua espressione sembrava forzata. — Tu non l'hai vista, a Raccoon — disse. — Sa come cavarsela, Chris. Ed è riuscita a raggiungere un computer, giusto? Barry distolse gli occhi dallo schermo cogliendo l'allusione di Leon. — Ciò significa che non è stata messa fuori combattimento — osservò con voce seria. — E se l'Umbrella è occupata a contenere un'altra fuga del virus, i suoi uomini non avranno tempo per badare a nient'altro. La cosa importante è che sia viva. Chris assentì con aria assente, già assorto nel calcolo di ciò che sarebbe loro servito per il viaggio. Le coordinate che Claire aveva comunicato individuavano un angolo di mondo particolarmente remoto, in una zona isolata dell'Atlantico del Sud, ma lui disponeva di un amico che lavorava presso l'aviazione, un tipo che gli era debitore e che poteva farlo arrivare sino a Buenos Aires, magari sino a Città del Capo. Se da là avesse potuto affittare una barca, materiale di sopravvivenza, funi, kit di pronto soccorso, e una vagonata di armi pesanti... — lo vengo con te — annunciò Barry, interpretando con esattezza il significato della sua espressione. Erano amici da molto tempo. — Anch'io — aggiunse Leon. Chris scosse la testa. — No, assolutamente no. Entrambi i suoi compagni fecero per protestare, e Chris alzò la voce coprendo le loro frasi con la sua replica. — Avete letto il suo messaggio. L'Umbrella mi dà la caccia, è sulle nostre tracce — disse con fermezza. — Ciò significa che dobbiamo stabilire un'altra base operativa, forse in una delle proprietà fuori dalla città... qualcuno deve stare qui in attesa del ritorno della squadra di Rebecca, e qualcun altro deve cercare una nuova base. E non dimenticate una cosa: Jill arriverà da un momento all'altro. Barry si rabbuiò e si grattò la barba mentre serrava le labbra sino a formare una linea sottile e tesa. — Non mi piace. Andare da solo, non è una buona idea... — Siamo entrati in una frase cruciale, e tu lo sai — disse Chris. — Qualcuno deve pensare alla logistica, Barry, e non c'è nessuno più indicato di te. Hai l'esperienza necessaria e conosci tutti i nostri contatti. — Bene, ma almeno porta con te il ragazzo — disse Barry, indicando
Leon. Per una volta questi non protestò per quella definizione, limitandosi ad annuire e trattenendosi, impettito e a testa alta. — Se non lo fai per te, pensa almeno a Claire — proseguì Barry. — Cosa le succederà se ti fai ammazzare? Hai bisogno di qualcuno che ti guardi le spalle, qualcuno che sia in grado di raccogliere la palla se ti dovesse cadere dalle mani. Chris scosse il capo, irremovibile. — Sai meglio di me, Barry, che dobbiamo muoverci senza attirare la minima attenzione. L'Umbrella può aver già inviato una squadra per fare pulizia. Una persona sola è meglio: dentro e fuori prima che qualcuno possa anche semplicemente rendersi conto che sono arrivato là. Barry era ancora perplesso, ma non insistette. E nemmeno Leon volle forzarlo anche se Chris si rese conto che il giovane stava pensando a un modo per convincerlo. Chiaramente il poliziotto e Claire erano diventati molto uniti. — La riporterò indietro — disse Chris, addolcendo il tono della voce, mentre guardava Leon. Questi esitò, poi annuì, avvampando d'imbarazzo, circostanza che spinse Chris a chiedersi quanto quei due fossero diventati intimi. "Più tardi. Potrò preoccuparmi delle sue intenzioni, se riusciremo a tornare vivi..." "Quando torneremo vivi" si affrettò a correggersi. Se non era un'opzione accettabile. — Allora è deciso — dichiarò Chris. — Leon, scovami una mappa dettagliata della zona, una carta politica, geografica, tutto quello che trovi, non si sa mai cosa potrebbe essermi d'aiuto. E rimani in attesa di altri messaggi di Claire, in caso abbia ancora l'occasione di contattarci... se succede, comunicale che sono in viaggio. Barry, voglio qualcosa di realmente efficace, ma non troppo pesante, qualcosa che possa portarmi dietro senza incontrare grossi problemi, forse una Glock... sei tu l'esperto, decidi tu. I suoi compagni annuirono, si voltarono per cominciare a darsi da fare e Chris chiuse gli occhi solo per un istante, formulando rapidamente una preghiera silenziosa. "Ti prego, ti prego stai al sicuro finché non arrivo, Claire." Non era molto... ma del resto, Chris aveva la sensazione che avrebbe pregato molto più intensamente nelle lunghe ore di viaggio che lo aspettavano.
La stanza segreta dei monitor era nascosta dietro una parete interamente ricoperta di libri nella residenza privata degli Ashford. Al suo ritorno nella loro casa, celata dietro la dimora ufficiale adibita ai ricevimenti, Alfred mise in spalla il fucile e immediatamente si avvicinò alla parete, toccando le coste di tre volumi in rapida successione. Sentiva centinaia di occhi che l'osservavano dalle ombre del corridoio, e per quanto da molto tempo si fosse abituato alla collezione di bambole di Alexia, si scopriva spesso a desiderare che non lo guardassero con tale intensità. C'erano occasioni in cui pretendeva un po' di privacy. Mentre il muro ruotava su se stesso, udì il sibilante stridore provocato dalle ali dei pipistrelli che si agitavano nelle nicchie soprastanti e si rabbuiò, sporgendo le labbra. Sembrava che nell'attico fosse stata aperta una breccia durante l'assalto. "Non importa, non importa. Sono problemi che affronterò in seguito." Adesso c'erano affari più importanti che richiedevano la sua attenzione. Alexia si era ritirata ancora una volta nei suoi appartamenti a quanto pareva, e questo andava bene. Alfred non voleva sconvolgerla ulteriormente, e la notizia della presenza di un possibile assassino a Rockfort Island di certo l'avrebbe turbata. Si fermò nella stanza segreta e spinse la parete accuratamente bilanciata alle sue spalle perché si chiudesse. In circostanze diverse avrebbe potuto scegliere tra settantacinque differenti telecamere le immagini da proiettare su ciascuno dei dieci piccoli monitor nella saletta... ma gran parte delle attrezzature del campo erano state danneggiate o distrutte e ciò gli lasciava solo trentun inquadrature utilizzabili. Conoscendo gli sciocchi piani di Claire, cercare di rubare informazioni e localizzare Alexia, Alfred decise di concentrarsi sulla strada che la ragazza avrebbe usato per avvicinarsi dalla prigione del campo. Non aveva dubbi che sarebbe apparsa sugli schermi entro breve tempo, sempre che non avesse avuto la buona creanza di morire durante l'attacco e gli avvenimenti immediatamente successivi... sebbene, con il trascorrere del tempo e l'aumentare delle sue aspettative per quella partita, cominciasse a sentirsi ansioso di fronte alla possibilità che fosse realmente morta. Grazie al cielo, la sua ipotesi iniziale era stata corretta. Un altro dei prigionieri attraversò per primo l'ingresso principale, ma fu seguito poco tempo dopo dalla Redfield. Divertito dal loro procedere cauto, Alfred osservò Claire che cercava di raggiungere il giovane - il prigioniero numero 267 secondo la cifra stampata sul retro della sua uniforme - che a quanto pareva non aveva idea di essere seguito.
Quando il giovane arrivò in cima alle scale che conducevano fuori dall'area adibita a prigione e si fermò con aria incerta mentre scrutava tra il terreno della villa e la zona di addestramento, Alfred digitò il numero 267 sulla tastiera sotto la sua mano sinistra e trovò un nome, Steve Burnside. Per lui non aveva alcun significato, e nel tempo in cui il ragazzo esitava indeciso, Alfred scoprì che la sua attenzione era tornata alla preda principale, curioso di apprendere delle informazioni sulla giovane donna che, per breve tempo, sarebbe diventata sua compagna di giochi. Claire si accinse a superare il malridotto ponte che attraversava il fossato intorno alla villa solo un paio di istanti dopo Burnside, appoggiandosi sugli avampiedi come un'atleta. Sembrava molto sicura di sé, cauta ma al tempo stesso priva di scrupoli di fronte alla possibilità di attraversare quel confine. Comunque era molto attenta a non guardare giù tra le tenebre fitte di nebbia le pareti del dirupo che scendevano per diverse decine di metri, e a non soffermarsi troppo. Nella calda sicurezza della sua dimora, Alfred sorrise, immaginando la deliziosa paura che doveva provare la giovane in quel momento... e si scoprì a ricordare lo scherzo che una volta lui e Alexia avevano giocato a uno dei guardiani. Dovevano aver avuto sei o sette anni, e François Celaux allora era capoturno, uno dei favoriti di suo padre. Era uno smaccato adulatore, un leccapiedi, ma solo con Alexander Ashford. Dietro le sue spalle aveva osato persino ridere apertamente di Alexia un pomeriggio in cui l'aveva vista correre sotto la pioggia scrosciante, macchiandosi di fango il vestito azzurro appena indossato. Un'offesa del genere non poteva essere perdonata. "Oh, come abbiamo pianificato bene la vendetta, discutendo sino a tarda notte sulla punizione adeguata per quell'imperdonabile comportamento, le nostre piccole menti eccitate e turbinanti di possibilità..." Il piano definitivo era stato molto semplice, e l'avevano messo in atto perfettamente solo due giorni dopo, quando François era di guardia di fronte all'ingresso principale. Alfred aveva implorato il cuoco di lasciargli portare a François il suo espresso mattutino, un compito che spesso svolgeva per i dipendenti prediletti... e lungo la via per il ponte levatoio, Alexia aveva aggiunto qualcosa che avrebbe dato un sapore più forte alla bevanda: poche gocce di una sostanza simile al curaro che lei stessa aveva sintetizzato. La droga era in grado di paralizzare la carne ma consentiva al sistema nervoso di continuare a funzionare, in modo che chi l'avesse bevuta non avrebbe potuto muoversi o parlare, tuttavia sarebbe stato in grado di capire cosa gli capitava. Alfred si era mosso lentamente alle porte della
prigione, così lentamente che l'impaziente guardiano francese si era avvicinato per venirgli incontro. Sorridendo, certo che Alexia fosse ormai tornata alla loro residenza per vedere e ascoltare ciò che stava per succedere dalla sala video - Alfred aveva addosso un piccolo microfono - si era avvicinato al parapetto prima di offrire la tazzina a François con mille scuse per il ritardo. I due gemelli avevano osservato con segreto diletto il guardiano che beveva il caffè e, dopo pochi istanti, ansimava soffocato, appoggiandosi pesantemente al parapetto. Chiunque avesse visto la scena avrebbe detto che si trattava solo di un uomo e di un bambino che guardavano nel fossato... salvo Alexia, naturalmente, che in seguito aveva detto al fratello di aver applaudito la sua performance d'innocenza. "Alzai lo sguardo verso di lui, osservando l'espressione di paura come congelata sui suoi rozzi lineamenti, e gli spiegai cosa gli avevamo fatto. E cosa stavamo per fare." François, per la verità, era riuscito a emettere un tenue gorgoglio dalle mascelle serrate quando finalmente aveva compreso che era incapace di difendersi da un bambino. Per quasi cinque minuti, Alfred aveva insultato con espressione gioviale il francese dicendogli che era figlio di una coppia di maiali, un contadino ignorante, e l'aveva colpito nella coscia con un ago da cucito un numero di volte incalcolabile. Paralizzato, François Celaux aveva potuto solo subire dolore e umiliazioni, rimpiangendo sicuramente il suo comportamento degno di una bestia nei riguardi di Alexia mentre soffriva in silenzio. E quando Alfred si era stancato di quel gioco, aveva sferrato una serie di calci alle caviglie dei sozzi stivali del francese, descrivendo ad Alexia la sensazione che aveva provato quando l'uomo era scivolato sotto il corrimano senza poter far nulla ed era precipitato verso una morte certa. "Quindi gridai, fingendo di piangere quando le altre guardie arrivarono di corsa sul ponte, cercando disperatamente di consolare il padroncino mentre si chiedevano come mai fosse potuta accadere una cosa così orribile. E poi, molto tempo dopo, Alexia venne in camera mia e mi baciò sulle guance, le labbra morbide e calde, le sue trecce di seta che mi solleticavano la gola..." I monitor lo distolsero bruscamente da quei dolci ricordi. Claire si trovava adesso nello stesso punto in cui si era fermato Burnside. Seccato con se stesso per la mancanza di attenzione, Alfred trascorse qualche attimo d'incertezza a cercare il ragazzo, passando da una telecamera e l'altra, e infine lo individuò sulla gradinata che portava alla dimora riservata ai ricevimen-
ti. Rapidamente Alfred consultò i pannelli di controllo della consolle per assicurarsi che tutte le porte della magione fossero aperte, sospettando che il ragazzo vi sarebbe entrato con facilità. Fu sopraffatto dalla gioia quando vide che Claire lo seguiva, dopo aver scelto lo stesso sentiero preso dal suo giovane amico. "Quanto sarà squisito il suo terrore, quando implorerà di aver salva la vita inginocchiata nel sangue del signor Burnside..." Se voleva accoglierli degnamente, doveva muoversi subito. Alfred si alzò e aprì il passaggio nella parete ancora una volta. La sua eccitazione crebbe ulteriormente mentre se la richiudeva alle spalle ed entrava nel grande corridoio. Avrebbe voluto davvero raccontare i suoi piani ad Alexia, per scambiare con lei le sue idee, ma era preoccupato dal fattore tempo... — Ti osserverò, mio caro — disse lei. Colpito, Alfred alzò lo sguardo e la vide in cima alle scale, non lontana dalla bambola a grandezza naturale appesa alla balconata soprastante, uno dei suoi giocattoli preferiti. Fece per chiederle come sapesse, ma realizzò quanto era stupida tale domanda. Certo che sapeva, perché lei conosceva il suo cuore, era lo stesso che batteva nel suo petto candido come la neve. — Vai, adesso, Alfred — disse la sorella, concedendogli la grazia di un sorriso. — Divertiti con loro per tutti e due. — Lo farò, sorellina — rispose lui, sorridendole a sua volta, nuovamente grato di essere il fratello di un simile miracolo della creazione, ritenendosi fortunato che lei fosse in grado di cogliere ogni suo desiderio e necessità. Era una sorta di bizzarro mutamento della realtà, decise Claire chiudendosi alle spalle i portali della magione. Dal freddo e confuso ammasso colmo di cadaveri dei cortili oscuri della prigione al luogo dov'era approdata... era difficile da credersi, eppure si trattava di una cosa così in stile con l'Umbrella che non aveva altra scelta. "Ma, dannazione. Voglio dire, è strano davvero." L'enorme atrio, elegantemente adorno di sculture, dilagava davanti a lei, sporcato solo da una serie di impronte fangose sul pavimento di piastrelle fatte a mano e da alcune macchie di sangue schizzate sulle pareti di un delicato color guscio d'uovo. C'erano anche diverse crepe di ampie dimensioni nel soffitto e un'unica impronta scura, lasciata da una mano, che si stava seccando su una delle spesse colonne decorative che si allineavano sulla parete occidentale. Sottili rivoletti rossi gocciolavano dalla base del
palmo. "Perciò non sono stati solo i prigionieri ad avere un pomeriggio di merda." Era un'osservazione classista e indegna di lei, lo sapeva, ma si sentiva un po' meglio sapendo che anche gli alti ranghi dell'Umbrella avevano preso calci in culo come tutti gli altri. Rimase dov'era per qualche istante, sollevata dal fatto di essere lontana dal freddo eppure un po' turbata dalle differenti facce della Rockfort Island, mentre prendeva confidenza con la planimetria del luogo. Dietro una delle colonne alla sua sinistra c'era una porta blu, una seconda si trovava nell'angolo nordoccidentale della spaziosa stanza d'ingresso. Proprio davanti a lei, Claire scorse un banco di ricevimento di legno lucidato accanto a un'ampia rampa di scale davanti alla parete destra, che conduceva alla balconata del secondo piano, alla quale era appeso un ritratto stranamente danneggiato. Il viso della figura dipinta era stato cancellato per qualche ignota ragione. Claire avanzò nell'atrio, si chinò e fece scorrere un dito sulle impronte di fango; erano ancora umide. Le tracce conducevano verso la porta sull'angolo. Non poteva essere certa che si trattasse di Steve, ma pensava che le possibilità fossero a favore. Aveva lasciato una scia di impronte dietro di sé dalla prigione oltre che un paio di bossoli fuori dalla magione, e un altro paio di cani morti. Per essere un ragazzo così ovviamente turbato, era un tiratore sorprendentemente preciso... "Allora perché mi do tanta pena per aiutarlo?" pensò cupamente Claire, alzandosi in piedi. "Non vuole il mio aiuto, non sembrava averne bisogno, e non è che io non abbia niente di meglio da fare." Quando era scappato via di corsa, Claire non lo aveva seguito immediatamente, volendo inviare un messaggio a Leon il più presto possibile; si era sentita anche in dovere di eseguire una rapida perquisizione dell'ufficio alla ricerca di medicinali, qualcosa con cui aiutare Rodrigo, anche se non aveva trovato niente di utile. — Aiuto... aiuuutoo! — il grido soffocato provenne da qualche patte nell'edificio. Steve? — Fatemi uscire! Ehi, qualcuno mi aiuti! Claire stava già correndo verso la porta sull'angolo, l'arma in pugno. Andò a picchiare con la spalla contro il pesante battente di legno che si aprì su un lungo corridoio. Steve urlò di nuovo, dall'estremità del tunnel. Claire esitò quel tanto che bastava per
rendersi conto che i tre corpi distesi sul pavimento piastrellato non si sarebbero alzati, poi cominciò a correre, diretta alla porta di fronte a lei. — Aiuto! "Gesù, cosa gli sta succedendo?" Sembrava in preda al panico, la voce gli veniva meno. Raggiungendo l'estremità del corridoio, Claire spalancò la porta e irruppe nella camera successiva con la pistola in pugno... e non vide nulla, solo una stanza dov'erano allineate delle teche e alcune poltrone imbottite. Da qualche parte stava suonando un allarme, ma non fu in grado di stabilirne l'origine. Movimento sulla sinistra. Claire si voltò di scatto, alla disperata ricerca di un bersaglio e vide un'immagine proiettata su un piccolo schermo a muro, senza audio e intermittente. Due bei bambini biondi, un maschietto e una femminuccia, che si guardavano intensamente negli occhi. Il bimbo teneva tra le dita qualcosa, qualcosa che si agitava... "è una libellula... e lui sta..." Involontariamente Claire distolse lo sguardo, disgustata. Il ragazzino stava strappando le ali alla libellula che si torceva tra le sue dita. Sorrideva, tutti e due i bambini sorridevano. — Steve! — Perché aveva smesso di gridare? Dov'era? Era entrata nella stanza sbagliata, doveva... — Claire! Claire, da questa parte! Apri la porta! La sua voce veniva da dietro lo schermo di proiezione. Claire attraversò di corsa la camera, controllando il muro, vagamente consapevole del fatto che, nel film, i due bimbi biondi avevano gettato la libellula torturata in un secchio pieno di formiche e stavano osservando l'insetto mutilato colpito a morte. — Quale porta, dove? — gridò la ragazza, passando ansiosamente le mani sulla parete e scostando una teca di vetro. Lo schermo si sollevò scomparendo in una nicchia dietro la quale c'erano una consolle, una tastiera e sei riquadri allineati in due file. Sotto ciascuno di essi c'era un interruttore. — Claire, fai qualcosa, sto bruciando! — Cosa devo fare? Come sei finito là dentro? Steve! Nessuna risposta. Claire aveva potuto avvertire la crescente disperazione nella voce del ragazzo, un terrore che le divorava il cervello. "Concentrati. Fallo adesso!" Claire scacciò via il panico che si stava impadronendo di lei, aiutata dal-
la voce della ragione che le parlava con chiarezza. Se si fosse lasciata prendere dal panico, Steve sarebbe morto. "Non ci sono porte. Solo una consolle con i riquadri." Sì, e quella era la chiave. Steve lanciò un altro appello disperato, ma Claire aveva occhi solo per i riquadri. Concentrata pensò: "Sono tutti diversi: contengono immagini di una nave, una formica, una pistola, un coltello, di nuovo una pistola e un aereo..." Quindi non erano tutti diversi, perché c'erano due pistole, una semiautomatica e un revolver a tamburo. Sotto di esse i pulsanti erano contrassegnati con le lettere C ed E. Non c'era null'altro che si potesse accoppiare, e il suo primo pensiero fu di trovarsi di fronte a uno di quei test di ammissione della scuola, in cui bisognava abbinare due oggetti uguali. Senza interrogarsi sul suo ragionamento, Claire si protese in avanti e premette i due pulsanti, illuminando i riquadri. Alla sua destra una teca scivolò fuori dalla parete. Il segnale d'allarme si fermò e dall'apertura eruppe un'esplosione di calore secco e rovente che la investì. Mezzo secondo dopo Steve uscì barcollando dalla fessura e cadde in ginocchio con le braccia e il viso arrossati. Aveva in pugno una coppia di pistole identiche che sembravano Luger placcate d'oro. "Immagino di aver scelto le foto giuste." Claire si chinò sul ragazzo cercando di rammentare quali fossero i sintomi del colpo di calore... vertigine e nausea se ricordava bene: — Come stai? Steve alzò gli occhi verso di lei. Con le guance arrossate e un'espressione vagamente imbarazzata, sembrava un ragazzo rimasto troppo a lungo esposto al sole. Poi sorrise, e l'illusione svanì del tutto. — Perché ci hai messo tanto? — sogghignò, rimettendosi in piedi. Claire si rizzò, contrariata. — Prego? Il sogghigno del ragazzo si addolcì mentre chinava il capo, scostando spesse ciocche di capelli dalla fronte. — Scusami... e mi scuso anche per prima. Grazie, davvero. Claire sospirò. Proprio quando aveva deciso che era uno stronzo totale, lui decideva di comportarsi gentilmente. — E guarda cosa ho preso — disse alzando di colpo le mani per indicare una delle teche. — Erano appese al muro qui dietro. Cariche e perfettamente funzionanti. Fico, vero? Lei fu costretta a sopprimere l'improvviso impulso di afferrarlo per le spalle e scuoterlo per cercare di mettergli in testa un po' di buon senso.
Aveva fegato, questo bisognava riconoscerglielo, e di sicuro aveva almeno una certa capacità di sopravvivenza... ma non si rendeva conto che sarebbe sicuramente morto, se lei non avesse udito il suo richiamo d'aiuto? "Questo posto è probabilmente pieno di trappole mortali, oltre tutto. Come posso impedirgli di scappare ancora?" Lo osservò fingere di sparare a una delle teche, chiedendosi oziosamente se quell'atteggiamento da macho non fosse il suo modo di contenere la paura... e improvvisamente le sovvenne un modo diverso per trattare con lui, un metodo che pensava potesse realmente funzionare. "Vuol giocare a Mister Duro, si accomodi. Compiacciamo il suo ego." — Steve. Mi rendo conto che non vuoi un compagno, ma io sono... — disse lei facendo del suo meglio per sembrare sincera — ... io non voglio restare sola qui dentro. Fu davvero in grado di vedere il petto del ragazzo che si gonfiava e provò un gran senso di sollievo, sapendo che il trucco aveva funzionato ancor prima che lui parlasse. Si sentì anche un po' in colpa per averlo manipolato, anche se solo un pochino. Era per il suo bene, alla fine. "Del resto non sto mentendo del tutto. È vero che non voglio restare sola qui dentro." — Immagino che tu possa seguirmi — disse lui, espansivo. — Voglio dire, se sei così spaventata. Lei rispose solo con un sorriso, a denti stretti, cosciente del fatto che se avesse aperto bocca per ringraziarlo, sarebbe potuto venirne fuori di tutto. — E, in ogni caso, so come uscire da questo posto — aggiunse Steve, mentre il suo atteggiamento baldanzoso svaniva. — C'è una piccola mappa sotto il banco all'ingresso. Secondo la carta, c'è un dock proprio a ovest di qui, e anche un campo di aviazione poco oltre. Significa che abbiamo una scelta, ma visto che sono un po' arrugginito come pilota, suggerirei di andare per mare. Possiamo anche muoverci immediatamente. Forse lo aveva davvero sottovalutato. — Davvero? Fantastico, è davvero... — Claire s'interruppe. Rodrigo, non poteva scordarsi di Rodrigo. "Insieme forse potremo trasportarlo sino al molo..." — Prima torneresti con me un attimo alla prigione? — chiese quindi. — Il tipo che mi ha fatto uscire dalla cella è rimasto laggiù ed è ferito piuttosto gravemente... — Uno dei prigionieri? — domandò Steve, riprendendosi d'animo. Uh-oh. Avrebbe anche potuto mentire, ma lui avrebbe presto scoperto la verità. — Non credo... ma mi ha lasciato andare, e penso di dovergli qual-
cosa. Steve stava rabbuiandosi, perciò Claire si affrettò ad aggiungere: — ... e mi sembra che l'unica cosa onorevole da fare, uhm, sia almeno prestargli le prime cure, sai? Non se la sarebbe bevuta. — Scordatelo. Se non è un prigioniero, lavora per la Umbrella, quindi merita quel che gli è capitato. Del resto puoi scommettere che manderanno presto delle squadre di soccorso; è un problema loro, lasciamo che se la sbrighino da soli. Allora, vieni con me o no? Claire lo squadrò negli occhi scuri, leggendovi rabbia e sofferenza, di certo provocate dall'Umbrella. Non poteva biasimarlo per come si sentiva, ma non era d'accordo con lui. Non riguardo a Rodrigo. Ed era sicura che questi sarebbe morto senz'altro prima dell'arrivo dell'Umbrella se non avesse ricevuto aiuto. — Penso di no — disse. Steve le voltò le spalle, compì alcuni passi verso la porta poi si fermò con un sospiro pesante. Quindi tornò a rivolgersi verso di lei con un'espressione chiaramente esasperata. — Non pensare neanche per un attimo che io voglia rischiare il collo per salvare un impiegato dell'Umbrella, e, senza offesa, credo che tu sia completamente impazzita se intendi farlo davvero... ma ti aspetterò, d'accordo? Porta a quel tizio i cerotti o quant'altro vuoi e raggiungimi al molo. Sorpresa, Claire assentì. Meno di quello che aveva sperato ma più di quanto si fosse realmente aspettata, soprattutto dopo i vaneggiamenti del ragazzo sull'aiuto che ci si poteva aspettare dai propri simili. A quel punto le sovvenne la ragione per cui Steve poteva aver detto quelle cose: probabilmente stava cercando di negare il trauma di quanto era avvenuto, e di ciò che stava ancora succedendo. Era là da solo, dopotutto... come poteva non provare sensazioni di abbandono... Claire gli scoccò un sorriso caloroso, ricordando quanto si era sentita piena di rancore quando da bambina era morto suo padre. Essere rapiti dalla propria famiglia non doveva essere una sensazione molto migliore. — Sarà bello tornare a casa — disse pacatamente. — Scommetto che i tuoi genitori saranno felici... Il sogghigno con cui Steve l'interruppe fu improvviso e non ammetteva replica. — Ascolta, che tu venga o meno al molo, non ho intenzione di aspettare tutta la giornata, ci siamo capiti? Trasalendo, Claire rispose con un silenzioso cenno affermativo, ma l'al-
tro stava già lasciando la stanza. Avrebbe voluto non aver detto niente, però ormai era troppo tardi... e almeno adesso sapeva che cosa non avrebbe mai dovuto dire. Povero ragazzo, probabilmente sentiva una terribile nostalgia dei genitori. Avrebbe dovuto cercare di essere un po' più comprensiva. Dopo un'ultima occhiata a quello strano rifugio, Claire fece per tornare alla porta principale, chiedendosi cosa avrebbe potuto fare per Rodrigo. Steve aveva ragione, l'Umbrella probabilmente aveva già inviato una squadra di soccorso, perciò avrebbero potuto pensare loro a curarlo, ma voleva almeno stabilizzare le sue condizioni prima di andarsene. Aveva bisogno di trovare una fiala di quel liquido emostatico; non sapeva molto di pronto soccorso, ma l'uomo pareva ritenere che quel medicinale gli sarebbe stato d'aiuto. Sulla via del ritorno all'atrio Claire aprì entrambe le porte che si trovavano nel corridoio, fermandosi brevemente sulla prima che si affacciava su una raccolta di ritratti, una sorta di museo storico di una famiglia di nome Ashford. Sul pavimento c'era un'urna fracassata, ma nient'altro d'interessante. Dietro la seconda porta si apriva una sala conferenze vuota, nella quale vide solo qualche foglio sparso e null'altro. Claire arrivò sino all'atrio d'ingresso, decidendo che forse avrebbe dovuto fare un tentativo di sopra prima di tornare sui suoi passi, oltre il ponte sino alla prigione. Non che avesse una gran voglia di tornare su quell'incubo di assi scricchiolanti. Ricordava una porta che aveva tralasciato per seguire le tracce di Steve. Una piccola luce rossa sul pavimento attirò la sua attenzione, simile a quella emessa dai puntatori al laser che era solito usare il suo professore di geometria. La lucetta schizzò nella sua direzione e Claire alzò lo sguardo seguendo un raggio sottilissimo sino a... Gah! Si tuffò alla ricerca di un riparo nel momento stesso in cui il primo colpo morse le piastrelle a pochi centimetri dalla sua precedente posizione, facendo schizzare schegge di ceramica. Finì dietro uno dei pilastri ornamentali mentre un secondo colpo rimbombava nell'atrio, mandando in frantumi altre piastrelle. A fatica si rimise in piedi, cercando di farsi più piccola possibile, e domandandosi se avesse visto davvero quello che le era parso di vedere... un giovane biondo con un fucile dotato di mirino al laser, vestito con una giacca rosso scuro che pareva l'uniforme di uno yacht club, completa di cravattino bianco e alamari d'oro. Un abbigliamento che sicuramente un
bambino avrebbe scelto per vestire una persona d'alto rango. — Mi chiamo Alfred Ashford — dichiarò l'uomo con voce stridula e un tono snob. — Sono il comandante di questa base... e le chiedo di dirmi chi è e cosa sta cercando qui! Come? Claire avrebbe voluto avere qualche frase brillante con cui rispondere, una battuta tagliente, ma non riuscì a trovare null'altro. — Cosa? — chiese, questa volta a voce alta. — Oh, è inutile che finga di non sapere — proseguì l'uomo. La voce canzonatoria sembrò avvicinarsi, come se stesse scendendo le scale. — Miss Claire Redfield, so cos'ha in mente. L'ho saputo sin dal principio... ma lei non ha a che fare con una persona qualunque, Claire. Sta parlando con un Ashford. In verità stava ridacchiando, come una ragazzina, e Claire fu immediatamente certa che fosse pazzo. Stava parlando con un dannato pazzo. "Già, e continua a farlo parlare, non vuoi che cambi posizione." Poteva vedere lo sfavillio rosso sulla parete alle sue spalle mentre scandagliava il colonnato con il mirino. — Okay A-Alfred, cos'è che ho in mente? — Tirò indietro il carrello della semiautomatica il più silenziosamente possibile, assicurandosi che ci fosse un proiettile in canna. Fu come se non avesse parlato. — Il nostro retaggio di cultura, supremazia e capacità di creare innovazioni è fuor di dubbio — declamò Alfred con voce altera. — Possiamo tracciare la nostra linea genealogica sino alla nobiltà europea, mia sorella e io, vantando legami con alcune delle menti più brillanti della storia. Ma, del resto, non penso che i suoi padroni glielo abbiano detto, vero? "I miei padroni?" — Non ho idea di cosa stia dicendo — esclamò Claire, che nel frattempo teneva d'occhio lo sfavillante puntolino rosso, decidendo di poter azzardare un'occhiata da dietro l'altra estremità del pilastro, o forse addirittura sparare un colpo prima che l'uomo avesse la possibilità d'inquadrarla. Più Alfred parlava, più lei si convinceva che un incontro faccia-afaccia sarebbe stato una pessima idea. Nella migliore delle ipotesi, le persone che soffrono di una pericolosa alterazione mentale si rivelano imprevedibili. Aveva parlato di una sorella... i bambini di quel filmato, quello con la libellula? Non aveva prove, ma l'istinto le urlava un sonoro sì. Sembrava che l'uomo avesse mantenuto le sue inclinazioni trasformandosi da un bambino inquietante in un adulto da brivido.
— Naturalmente, se adesso vuole arrendersi a me — soggiunse lui, mellifluo — potrei lasciarmi convincere a risparmiarle la vita. Sempre che lei sia pronta a tradire i suoi superiori... "Adesso!" Claire protese il capo oltre il pilastro, pistola in pugno. Bam! Legno e intonaco esplosero vicinissimi al suo viso. Il proiettile aveva mandato in pezzi il rivestimento del pilone mentre lei si ritraeva. Si addossò con tutto il suo peso alla colonna, respirando in fretta e con difficoltà. Se il tiro fosse stato più preciso solo di un filo... — Lei è davvero veloce come un coniglio — disse Alfred, con un tono indiscutibilmente divertito — o forse dovrei dire come un topo? Ecco cos'è lei, Claire, un topo. Solo un topo in gabbia. E ancora una volta la ragazza udì quella risata malsana, innaturale... che adesso sembrava allontanarsi, seguendo l'uomo che risaliva le scale. Passi, e poi una porta che si chiudeva, un istante dopo Alfred era sparito. "Be', non quadra tutto perfettamente? Cos'è una catastrofe biologica senza almeno un paio di dementi?" Sarebbe stato divertente se lei non fosse stata totalmente terrorizzata. Alfred era davvero pazzo oltre ogni possibilità di recupero. Claire aspettò un momento per assicurarsi che se ne fosse andato, poi esalò pesantemente, sollevata ma incapace di rilassarsi. Non voleva, non poteva rilassarsi, finché non fosse stata ben lontana da Rockfort Island, lasciandosi alle spalle l'Umbrella, i suoi mostri e il suo carico di follia. Dio, se era stanca di quella merda. Era maggiorenne da due anni, le piaceva ballare, andare in motocicletta e bersi un buon latte caldo nei giorni di pioggia. Voleva ritrovare Chris, voleva tornare a casa... e poiché nessuna delle due possibilità le pareva realizzabile al momento, decise di essere sull'orlo di un sano crollo nervoso, completo di urla e pugni sferrati istericamente sul pavimento. Era quasi una tentazione, ma anche quello avrebbe dovuto aspettare. Sospirò interiormente. Alfred era salito al piano di sopra, perciò pensò che fosse meglio dare un'occhiata alla porta che aveva tralasciato vicino al ponte, per vedere se vi trovava qualcosa con cui aiutare Rodrigo. "Almeno la situazione non può peggiorare" pensò cupamente, provando uno strano senso di déjà vu mentre apriva la porta d'ingresso alla villa. Tutto quello assomigliava molto a Raccoon City... anche se quella era stata una catastrofe di proporzioni immani, e non un disastro avvenuto in un luogo isolato dal mondo.
"Una grossa differenza. Davvero." Claire non aveva modo di sapere che, al confronto di ciò che l'aspettava, le cose non avevano neppure cominciato a peggiorare. 5 Quello che avrebbe dovuto essere un molo, in realtà non lo era per nulla e, con grande disappunto di Steve, non c'era una barca in vista. Si era aspettato un lungo pontile con piloni e gabbiani, tutto quel genere di stronzate, e una mezza dozzina di imbarcazioni tra cui scegliere, ognuna equipaggiata con dispense ben fornite e morbide cuccette. Invece aveva trovato una piccola e malmessa piattaforma che galleggiava su una laguna grigiastra dall'aspetto sgradevole, protetta dall'oceano da una muraglia di scogli frastagliati che, al buio, era quasi impossibile distinguere. All'estremità della piattaforma c'era una sorta di pulpito con una ruota incastrata dentro, probabilmente un "monumento al mare" o qualche scenata del genere, un tavolo decrepito ingombro di spazzatura e, agganciato in un angolo, un vecchio e ammuffito salvagente, che un tempo era stato arancione e adesso aveva assunto una colorazione sporca simile alla senape. Nessuna imbarcazione più grande di una canoa doveva essere mai venuta a ormeggiarsi a quel molo; in altre parole, un fiasco. "Grande. Come avrebbero fatto tutte quelle persone a lasciare l'isola: nuotando a dorso? E se c'è davvero un campo di aviazione, dove diavolo è?" Non bastava il fatto di dover trovare un'altra via di fuga, aveva anche detto a Claire che l'avrebbe aspettata là. Non poteva certo andarsene, ma non voleva neppure soffermarsi in quel posto. "Potresti sempre scaricarla." Steve si rabbuiò, irritato, sferrando un calcio a un mucchio di macchinari arrugginiti. Forse la ragazza era un po' troppo chiacchierona, un po' troppo ingenua... ma gli aveva salvato il culo, su questo non c'era dubbio, e il fatto che volesse tornare ad aiutare quel tipo dell'Umbrella ferito solo perché l'aveva liberata... era... be', era bello, era una cosa bella da fare. E lasciarla indietro non gli sembrava giusto. Incerto sul da farsi, Steve si avvicinò a quella specie di volante montato sul pulpito (non c'era un termine marinaresco per indicare una cosa del genere, una di quelle parole in gergo da velisti? Non se lo ricordava) e gli diede una spinta. Fu sorpreso che girasse così facilmente, considerate le
condizioni pietose del "molo". Con un sommesso ronzio meccanico, la piattaforma sotto i suoi piedi si staccò di colpo dal resto del molo e scivolò sull'acqua mentre bolle gigantesche cominciarono ad agitare la superficie del mare davanti a lui. "Cristo!" Steve si tenne alla ruota con una mano puntando una delle Luger dorate verso l'ammasso di bolle che si alzavano con l'altra. Se era una delle creature dell'Umbrella, avrebbe presto respirato del piombo caldo. Un piccolo sommergibile emerse dall'acqua come un oscuro pesce metallico, mentre il portello si apriva convenientemente proprio davanti ai suoi piedi. Una scala a pioli portava all'interno del sommergibile che sembrava vuoto. A differenza del rugginoso molo circostante, il piccolo sommergibile appariva solido e ben tenuto. Steve lo osservò meglio, sbalordito. Cos'era quella merda? Sembrava una specie di parco a tema, così bizzarro che lui non sapeva più cosa pensare. "È davvero la cosa più bizzarra che hai visto oggi?" D'accordo. La mappa che aveva visto nella magione era piuttosto vaga: un paio di trecce e le parole "molo" e "campo di aviazione"... A quanto pareva era necessario affrontare un viaggio in sommergibile per lasciare l'isola. L'Umbrella era davvero un'associazione di pazzi. Si avvicinò tastando con il piede il primo piolo, poi esitò, la pelle ancora arrossata dall'ultima volta che si era spinto in una camera senza sapere cosa contenesse. Non voleva annegare più di quanto avesse desiderato essere arrostito vivo. "Ah, cazzo... non lo saprai, finché non provi." D'accordo, ancora una volta. Steve scese lungo la scala e quando la lasciò azionò una piastra a pressione sul pavimento del sommergibile. Sopra di lui il portello si chiuse. Rapidamente il ragazzo rimise i piedi sulla piastra e il portello si riaprì. Era confortante sapere che, almeno, non sarebbe morto soffocato. L'interno del sommergibile era molto semplice: ampio forse quanto una grande camera da bagno, diviso in due dalla stretta scaletta. C'era una panchetta imbottita da un lato, poi si distinguevano l'area posteriore e una semplice consolle di controllo posta nella sezione anteriore. — Vediamo un po' cosa c'è qui — borbottò Steve, avvicinandosi ai comandi. Erano ridicolmente semplici, una singola leva con due posizioni; la manopola era spostata verso l'alto, dove era evidenziata la scritta "controllo principale". La posizione inferiore era marcata con la scritta "trasporto"
e Steve sorrise, divertito che fosse tutto così facile. A proposito di facilità d'impiego. Premette la piastra a pressione ancora una volta, chiudendo il portello, e, mentre abbassava la leva, si chiese se Claire sarebbe rimasta impressionata dalla sua scoperta. Udì un sommesso scatto metallico, poi il sommergibile cominciò a muoversi, verso il basso. C'era un unico oblò, ma era troppo scuro per vedere qualcosa oltre le bollicine che si alzavano verso la superficie. Quella corsa priva di emozioni sembrò esaurirsi in una decina di secondi. Il sommergibile parve fermarsi e Steve udì un tonfo secco e metallico provenire dal portello come se stesse urtando qualcosa... di certo non era un suono prodotto sott'acqua. "Avanti e in alto." Il portello si aprì mentre il giovane cominciava a salire la scala con la pistola saldamente in pugno. Approdò a una piattaforma metallica le cui pareti erano di vetro o plexiglas, circondata da ogni lato da un muro di acque scure. C'erano delle scale che conducevano a un condotto bene illuminato, di cui si vedeva solo la parete sinistra delineata dalle acque. "Sì." Gli ricordava le sale di esposizione di un acquario, quelle dove si potevano vedere i pesci attraverso le pareti di vetro di una galleria. Non gli erano mai piaciuti quei posti, perché per lui era sin troppo facile immaginare la parete che andava in pezzi se uno squalo... o qualcosa di peggio avesse deciso di passarvi attraverso. Basta. Steve avanzò lungo la galleria e la seguì per due curve, mantenendo lo sguardo deliberatamente di fronte a sé. Era la prima volta dall'attacco all'isola che si sentiva davvero nervoso, non tanto per la sensazione di claustrofobia, quanto per un'impressione di paura allo stadio istintivo, il timore che qualcosa avrebbe potuto schizzare fuori dalle acque buie verso il vetro, un animale o qualcos'altro... una mano pallida, forse, o magari un viso bianco e privo di vita che premeva contro la finestra, per sorridergli... Non riuscì a trattenersi. Scappò via di corsa quando il corridoio arrivò a una porta che, apparentemente, immetteva in un ambiente separato da quella vasca sotterranea. Ammise che stava comportandosi come una donnicciola ma, ciò nonostante, si sentì grandemente sollevato. Spalancò di colpo il battente e vide due, tre... quattro zombie al massimo, tutti piuttosto ansiosi di condividere la sua compagnia. I mostri si voltarono e cominciarono ad avanzare zoppicando o barcollando nella sua direzione, con i vestiti a brandelli, senza dubbio uniformi dell'Umbrella, che
pendevano dalle braccia tese. Nell'aria c'era odore di pesce morto. — Unnnh — gemette uno di essi, e gli altri si unirono al coro, producendo lamenti che, in un certo modo, avevano un suono dolce, sommesso e triste. Considerando la posizione in cui l'Umbrella lo aveva cacciato, Steve non era incline a provare molta simpatia verso quel gruppo di disgraziate creature. Nessuna simpatia. La stanza era divisa in due da una parete, perciò i tre zombie sulla sinistra non potevano vedere il cavaliere solitario sulla destra, o forse avrebbero potuto farlo, pensò Steve, scrutando meglio. Ciascun membro del trio aveva gli occhi che parevano brillare di una strana sfumatura rossastra. A Steve venne in mente un film che aveva visto tempo prima, su un uomo con la vista a raggi X in grado di vedere ogni genere di stronzate. "Immagino che non sapremo mai cosa vedono." Il ragazzo prese di mira il più vicino, chiuse un occhio e bam!: proprio in mezzo al lobo frontale, sulla fronte grigiastra come per magia apparve un foro netto. Gli occhi rossi della creatura parvero affievolirsi e spegnersi mentre il mostro cadeva, picchiando prima sulle ginocchia e poi finendo di faccia sul pavimento. Che schifo. I suoi compagni non sembrarono accorgersene e proseguirono la marcia. Quello che Steve aveva istintivamente soprannominato "il cavaliere solitario" era stato bloccato da una scrivania, ma continuò a camminare ugualmente, senza mostrare di accorgersi che non sarebbe andato da nessuna parte. Steve liquidò il secondo proprio come aveva fatto con il primo, con un unico colpo mortale, ma, per qualche strana ragione, non si sentì granché sollevato da ciò. Abbatterli a quel modo... Prima di allora la cosa non lo aveva mai turbato, anzi, quando stava uscendo dalla prigione, lo aveva fatto sentire bene, persino potente. Era rimasto sepolto in quel buco sufficientemente a lungo per essere più che giustamente incazzato, e poter recuperare almeno parzialmente il controllo lo aveva fatto sentire felice, grande... potente. Un regalo di Natale a un bambino che si aspettava i doni per tutto l'anno, come era accaduto a lui, un tempo. "Silenzio!" Steve non voleva pensare a tutto ciò, erano solo stronzate. Non si sentiva più al settimo cielo ogni volta che ne tirava giù uno, e allora? Significava solo che cominciava ad annoiarsi a quel gioco. Sparò in fretta agli ultimi due, e le detonazioni gli parvero più fragorose che in precedenza, praticamente assordanti. Un rapido sguardo in giro per vedere se c'era qualcosa di utile - se ritagli di carta e vecchie tazze da caffè
sporche potevano essere utili, era messo davvero bene - e fu pronto a proseguire. Nella parete in fondo alla stanza si aprivano due porte. In linea generale Steve prendeva sempre la strada a sinistra. Aveva letto da qualche parte che la maggior parte della gente invece, quando si trova di fronte a un bivio, sceglie la destra. Dopo aver controllato la sua riserva di munizioni, superò un'enorme vasca per i pesci che dominava il lato sinistro della sala e cautamente aprì la porta, cercando di rendersi conto di cosa si trattava con un unico sguardo. Il luogo era scuro, cavernoso, odorava di acqua salata e carburante. Tutto era fermo. Vi entrò, muovendo davanti a sé la canna della Luger in un ampio semicerchio e subito scoppiò in una sonora e rie-cheggiante risata, una manifestazione di pura gioia che gli scosse il sistema nervoso. Era finito in un hangar per un idrovolante e, proprio di fronte a lui, c'era un velivolo grande e grosso. O almeno a lui sembrava grosso, visto che aveva volato solo con un piccolo bimotore privato. Realmente compiaciuto, Steve si avvicinò al velivolo, che era ancorato proprio sotto la piattaforma di metallo a griglia su cui posava i piedi. Era un pilota privo di esperienza, ma era certo di saperne a sufficienza per non mandare a sbattere quell'affare. "Prima le cose importanti. Sali a bordo e controlla il carburante, le condizioni generali del velivolo, e vedi di imparare come funzionano i comandi..." Si fermò al margine della piattaforma e guardò verso il basso, corrugando la fronte. Si trovava almeno a tre metri di distanza dal portello frontale che pareva chiuso a chiave. Alla sua sinistra c'era un complesso di macchinari, e qualche pannello era acceso. Steve vi si avvicinò e li osservò, sorridendo quando individuò un comando che azionava la piattaforma d'imbarco. Lo stesso sistema avrebbe provveduto anche a sbloccare il portello di accesso all'idrovolante, secondo il piccolo diagramma posto sotto il pulsante. — Presto — disse, premendo l'interruttore. Un rumore profondo e cigolante echeggiò nell'hangar facendolo sobbalzare. Il fragore, però, si arrestò dopo pochi istanti, quando la piattaforma si fermò. Steve vi salì a bordo, studiò la colonnina con i comandi e cominciò a imprecare, ripetendo due volte ogni parolaccia che gli veniva in mente. Accanto a tre spazi esagonali c'erano le parole: "Inserire le chiavi di comando qui". Niente chiavi, niente energia. Potevano essere dovunque in quella dannata isola! E quali erano le possibilità che tutte e tre quelle dannate chiavi fossero assieme?
Trasse un profondo respiro, cercò di riprendere un po' la calma e trascorse i successivi minuti a immaginare come potessero essere agganciati al resto del sistema i comandi dell'idrovolante, alla ricerca di un modo per ovviare alla mancanza delle chiavi. Dopo un'attenta e deliberata riflessione, ricominciò a imprecare. Quando, infine, si stancò anche di quello, si rassegnò all'inevitabile. Si volse e cominciò a setacciare la zona, sbirciando in ogni fessura buia, formulando teorie sull'ubicazione delle chiavi mentre passava le mani tra i cassetti unti e sporchi di polvere. Quindi decise che avrebbe ballato sulle ossa del prossimo impiegato dell'Umbrella che avrebbe ammazzato, per il solo fatto di aver progettato un luogo così inutilmente complicato. Chiavi, emblemi, strumenti di controllo e sommergibili: era un miracolo se erano riusciti a tarlo funzionare, quel posto di merda. Il portatore di virus indossava un camice da laboratorio e aveva perso da qualche parte la mascella inferiore, o forse gli era stata rotta. Gorgogliava sputacchiando in maniera rivoltante e la sua lingua, simile a un verme, penzolava libera sul collo. Claire non poteva stabilire se era stato un uomo o una donna, anche se immaginava che, in realtà, la cosa non avesse importanza. Pietoso quanto ributtante, il contaminato fu sottratto alle sue sofferenze da Claire con un unico colpo alla tempia, poi la ragazza cominciò a perlustrare la zona - gli uffici di un laboratorio, un piccolo magazzino - prima di entrare nel corridoio, scoraggiata e sopraffatta dall'insuccesso delle sue ricerche. L'ingresso che aveva varcato di ritorno dalla magione si apriva su un cortile ragionevolmente grande, coperto di terra battuta e disposto in maniera assolutamente funzionale. Era più simile alla prigione che al palazzo, e dopo aver ispezionato alcune stanze era in grado di capire esattamente dov'era finita: una sorta di edificio per i test, forse, o un terreno d'addestramento per guardie o soldati. "Forse solo un edificio concepito per distruggere ogni speranza" pensò crudamente, mentre rivolgeva lo sguardo in direzione della porta d'ingresso. Vi era entrata da circa dieci minuti, sperando che Rodrigo non fosse già morto, che Steve avesse trovato un'imbarcazione e che Alfred il Pazzo e sua sorella non avessero in mente di far saltare in aria l'isola... e, nello spazio di soli dieci minuti, tutte le sue speranze erano crollate. Tutto ciò che voleva era una dannata fiala di medicinale, perché ciò avrebbe significato
trovarsi di un passo più vicina a lasciare quel posto. Per prima cosa aveva provato ai piani superiori, intraprendendo un'esaltante avventura che le aveva tolto qualche anno di vita. Aveva trovato solo un piccolo laboratorio chiuso a chiave con il pavimento coperto di schegge di vetro cadute da quelli che sembravano dei contenitori in frantumi. Aveva visto i danni attraverso una finestrella di osservazione ed era stata sul punto di andarsene, quando un poveraccio sanguinante con una tuta protettiva si era gettato attraverso il vetro. Era stato il suo ultimo gesto: la tuta ovviamente non lo aveva protetto granché, poiché la sua testa era esplosa spruzzando la parte interna del casco di materia cerebrale e sangue. Quello spettacolo l'aveva spaventata a morte. L'esperienza era poi stata completata da una saracinesca d'emergenza che si era chiusa di colpo, apparentemente azionata dal tipo con la tuta. Claire aveva praticamente dovuto tuffarsi giù dalle scale per non restare intrappolata. Fantastico! Fino a quel momento aveva abbattuto nove zombie, tre con camici da laboratorio o tute da lavoro, e non era riuscita a procurarsi neppure un batuffolo di cotone. Niente negli spogliatoi... e aveva guardato praticamente in ogni dannato armadietto, ricavandone sospensori e riviste porno, ma poco altro... niente neppure nella doccia, stranamente piccola e angusta. Aveva immaginato che una società farmaceutica avesse dei medicinali in giro, ma ormai cominciava a nutrire dei dubbi. Claire tornò nel lungo corridoio che si dipartiva dal primo piano dell'edificio, aprendosi su un cortile esterno. Aveva sperato di trovare qualcosa per poter curare Rodrigo senza dover lasciare l'edificio vero e proprio, ma non poteva fare diversamente. "Se mi perdo, posso sempre seguire la scia di cadaveri fino all'esterno" pensò, percorrendo rapidamente il corridoio privo di particolari segni distintivi. Non era una gran bella cosa da dire, ma in quel momento non riusciva a vedere la situazione diversamente. Stava cominciando anche a essere a corto di munizioni, il che le rendeva ancor più difficile conservare uno stato d'animo positivo. Passò dall'ambiente relativamente caldo del corridoio a un cortile avvolto nella nebbia, mentre gli odori dell'oceano permeavano la fredda notte grigia. Un fuocherello bruciava vicino a una parete. La base di Rockfort era disposta stranamente, rifletté, un bizzarro miscuglio di vecchio e di nuovo. Inefficiente, ma interessante. Il cortiletto, in verità, era pavimentato a lastroni di pietra e di certo non era stato aggiunto al blocco principale di
recente. Claire si fermò di botto. Il sottile raggio rosso di un mirino al laser fendette la nebbia davanti a lei, scivolando nella sua direzione da una posizione soprelevata, una bassa balconata alla sua destra alla quale si poteva accedere attraverso una scala posta contro la parete orientale. "Scale, copertura!" Fu tutto ciò che ebbe tempo di pensare prima che il puntolino rosso raggiungesse il suo petto. Claire si gettò fuori tiro nell'attimo in cui il primo colpo echeggiò nell'aria fredda, andando a conficcarsi in una fontanella di schegge di pietra. Con una capriola si rimise in piedi e scattò verso le scale, mentre la luce rossa si muoveva a scatti avanti e indietro nel tentativo di inchiodarla. Bam, un secondo sparo la mancò, ma le passò sufficientemente vicino perché Claire potesse sentirlo fendere l'aria con un sibilo acutissimo. Colse una rapida visione del tiratore prima di trovare rifugio dietro la bassa balaustra di pietra, e non fu affatto sorpresa di vedere i capelli biondi pettinati indietro e una giacca rossa con alamari d'oro. Era più furiosa che spaventata, soprattutto per il fatto che, dopo tutto quello che aveva passato, non era stata in grado di prestare maggior attenzione... e che aveva rischiato di venire uccisa da un tale demente. "Allora finisce qui." Claire sollevò la pistola oltre il bordo di pietra e sparò due colpi nella direzione di Alfred. Fu immediatamente gratificata da un grido di oltraggiato sbalordimento. "Non è così divertente quando i bersagli rispondono al fuoco, eh?" Rapida a trarre vantaggio dalla sorpresa, Claire risalì di tre gradini e rischiò un'occhiata oltre la ringhiera... giusto in tempo per vedere l'uomo scappare attraverso una porta che si apriva sulla parete occidentale e chiudersi violentemente il battente alle spalle. Con un balzo arrivò in cima alla scalinata e si gettò all'inseguimento, sfondando con una spallata la porta e atterrando in un corridoio illuminato dalla luna in cui lame di luce fredda fendevano le ombre. Non lo stava inseguendo per una decisione consapevole, lo stava facendo e basta, per non finire un'altra volta in una delle sue imboscate. Dalla sua posizione era in grado di vedere quella che sembrava una macchinetta distributrice di bibite in fondo alla galleria. Poteva sentire i passi di Alfred che si allontanavano di corsa. Udì un battente chiudersi con forza un istante prima di raggiungere l'estremità del corridoio, dove si trovava una stanzetta con due decrepiti distributori automatici e due porte tra le quali scegliere. Claire esitò osser-
vando entrambi i battenti poi appoggiò le mani alle ginocchia per riprendere fiato e decise di abbandonare l'inseguimento. Per quel che ne sapeva, Alfred poteva trovarsi dietro una di quelle porte, in attesa che lei ci passasse attraverso. , "Un punto al matto da legare." Non era una gran vittoria, comunque. Se aveva un po' di fortuna, presto lei avrebbe lasciato l'isola e Alfred Ashford sarebbe stato solo un altro brutto ricordo. Dopo un attimo riprese la posizione eretta e si avvicinò ai distributori automatici per esaminarli: uno conteneva merendine, l'altro bibite. Improvvisamente realizzò di essere affamata e di provare una sete incredibile. Quando aveva mangiato l'ultima volta? I distributori erano rotti entrambi, ma un paio di buoni e solidi calcioni superarono il problema senza difficoltà. La maggior parte della roba faceva schifo ma c'erano diverse buste di noccioline miste e qualche lattina di succo d'arancia. Non era esattamente un pasto sostanzioso, tuttavia, considerate le circostanze, costituivano un ricco raccolto. Mangiò in fretta, riempiendosi le tasche in vista del prossimo spuntino e provò quasi istantaneamente la sensazione che la sua mente fosse più lucida... "Allora, porta numero uno o porta numero due? Ambarabà-cicì-cocò..." La porta grigia a destra del corridoio. Dubitava che Alfred avesse la pazienza di restare ancora in attesa, ma si avvicinò al battente con cautela in caso lui fosse in agguato, e l'aprì con la canna della 9mm. Claire si rilassò. Si trovava in una stanzetta dall'aspetto confortevole, arredata con un paio di divani, una vecchia macchina per scrivere su un tavolo e un grande contenitore polveroso in un angolo. Sembrava abbastanza sicura. Alfred doveva essere passato dalla porta numero uno. Claire entrò nella stanza per perquisirla, attirata da un mucchietto di oggetti posti su uno dei divani e il respiro le si bloccò in gola, mentre sbarrava gli occhi. "Grazie tante, Alfred!" Qualcuno aveva rovesciato una giberna d'emergenza sul divano; la confezione era accartocciata sopra la pila di oggetti che comprendevano due aghi sterili, una siringa, un pacchetto di fiammiferi idrorepellenti, mezza scatola di proiettili 9mm... e un flacone pieno a metà dello stesso liquido emostatico che Rodrigo aveva cercato invano, esattamente quello che voleva. C'erano altri diversi utensili in quel kit di sopravvivenza: una penna, un piccolo cacciavite, un preservativo nella sua confezione di carta stagnola... di fronte a quell'ultimo oggetto, Claire roteò gli occhi con un sorriso. Era interessante scoprire cosa certe persone valutassero generi di assoluta
necessità. Il sorriso svanì quando notò le macchie di sangue sul contenitore accartocciato, tuttavia si sentì meglio di quanto non si fosse sentita da giorni. Rimise il tutto dentro la giberna e l'agganciò alla vita, trasferendovi alcune delle cose che aveva nelle tasche strapiene del suo giubbotto. Non riusciva quasi a credere alla fortuna che le era capitata. Il medicinale era la cosa di cui si era maggiormente preoccupata, ma era stato anche un incredibile sollievo trovare altre munizioni. Ogni singolo caricatore in più era un dono di Dio. Una rapida perquisizione nel resto della stanza non le fruttò null'altro; non che le importasse, ormai. Aveva l'impressione di essere in vista della fine, del termine di quella tenibile notte di orrore. "Torna alla prigione, inietta la medicina a Rodrigo, e poi vedi se Steve ha avuto la fortuna di trovarti un passaggio verso casa" pensò con soddisfazione uscendo dalla stanza. Era stata dura, ma, confronto a Raccoon, si era rivelato un picnic... Il pesante cigolio di una saracinesca che si abbassava la costrinse a voltarsi di colpo e l'attimo di felicità che aveva provato fu spazzato via mentre il corridoio, la sua unica via d'uscita, veniva bloccato con un tonante fragore metallico. "No!" Claire corse alla saracinesca di metallo e vi picchiò contro il pugno, già sapendo che non c'erano possibilità di abbatterla. Era chiusa dentro, e l'unica opportunità di fuga era la porta che non aveva ancora provato. Quella attraverso la quale era scappato Alfred. — Benvenuta, Claire — la chiamò una voce, altezzosa e arrogante come la ricordava, con la stessa intonazione falsa di prima. Sopra uno dei distributori automatici c'era un altoparlante fissato all'angolo superiore del corridoio. "Ehilà, Alfred" pensò piena di sconforto, non volendo concedergli la soddisfazione di recepire la rabbia e la paura che provava. L'intero complesso era probabilmente collegato con microfoni e lei era stata una sciocca a non immaginarlo; e solo perché non vedeva telecamere non significava che non ve ne fossero. — Stai per entrare in un particolarissimo campo giochi — proseguì Alfred — e c'è un amico che vorrei davvero che tu incontrassi. Penso che vi divertirete insieme. "Fantastico, non vedo l'ora." — Non morire troppo in fretta, Claire. Voglio godermela.
Rise, di nuovo quella demente, irritante risatina chiaramente innaturale... poi ogni suono cessò. Claire osservò con sguardo vacuo la porta attraverso la quale avrebbe dovuto passare, valutando le possibilità di scelta. Era probabilmente il miglior insegnamento che Chris le avesse impartito. C'erano sempre diverse possibilità. Poteva trovarsi in una situazione di merda, ma aveva sempre di fronte una scelta, malgrado tutto, e pensare a un'alternativa in quel momento aveva un effetto calmante su di lei. "Posso nascondermi nella stanza sicura, sopravvivere con merende e lattine mentre aspetto che arrivi l'Umbrella. Posso starmene seduta qui e pregare che qualcuno venga miracolosamente in mio aiuto. Posso provare a passare attraverso la saracinesca d'acciaio, o attraverso una delle pareti... con quel cacciavite e un po' di olio di gomito potrei farcela in diecimila anni circa. Magari potrei uccidermi. O posso attraversare quella porta ed entrare nel parco giochi di Alfred e scoprire quello che c'è da vedere." C'era ancora un certo numero di varianti, ma fondamentalmente pensava di aver riassunto le opzioni disponibili... e solo una aveva qualche senso. "Tecnicamente, nessuna di esse ha senso!" gridò una parte di lei. "Dovrei trovarmi nella mia stanza al dormitorio dell'università a ingozzarmi di pizza mentre mi rompo la testa per passare un esame!" "Obiezione accolta" pensò amaramente, frugando nella giberna per prendere un caricatore nuovo e infilarne un altro nel reggiseno, pronto all'uso. Era venuto il momento di vedere se Alfred e i suoi scagnozzi erano davvero là ad aspettarla e verificare se finalmente l'Umbrella aveva realizzato la formula per creare il perfetto guerriero bio-organico. Claire si avvicinò alla porta e si fermò, chiedendosi se dovesse affrontare la lotta con qualche profonda meditazione sulla sua esistenza, o sull'amore, domandandosi se fosse pronta a morire... e decise che a quella roba avrebbe pensato in futuro. Se non ci fosse stato un futuro, non avrebbe dovuto preoccuparsene, no? — Ragazzi, se sono furba — mormorò e aprì la porta prima di perdere il controllo dei suoi nervi. 6 Era tutto perfetto. Le telecamere erano disposte in modo tale da permettergli di vedere da differenti angolazioni, tutte a colori, l'arena di combattimento bene illuminata e la sua poltrona era confortevole. Rimpiangeva
solo di non avere avuto il tempo di tornare alla loro residenza privata, per vedere lo spettacolo al fianco di Alexia... sebbene ciò si fosse rivelato vantaggioso, una comodità in più. La sala controllo dell'edificio adibito all'addestramento era dotato di telecamere in grado di essere riposizionate con un semplice tasto, assicurando in quel modo la visione più dettagliata possibile. Alfred sorrise osservando come Claire esitava di fronte alla porta, piuttosto compiaciuto del modo in cui si era sviluppato il suo piano. Lei lo aveva inseguito come aveva sperato, entrando nella sua trappola senza opporre troppe difficoltà. In verità lui non si era aspettato che la ragazza gli sparasse, ma si trattava di un dettaglio trascurabile, in retrospettiva. In verità, rendeva ancor più dolce pregustare la sua prossima dipartita, aggiungendo la vendetta personale al mix. L'ORI, l'arma biologica specificatamente progettata per il combattimento sul campo, era una delle creazioni preferite di Alfred. Il verme di terra An3 era impressionante, certo, il predatore Hunter 121 modello standard era letale e rapido, ma gli OR1 erano davvero speciali... la struttura scheletrica umana era ancora riconoscibile, particolarmente nella faccia e nel torso, e conferiva loro l'aspetto classico della Morte. I volti scheletrici spuntavano sotto spessi grovigli dì tendini, reali o sintetici, come un modello aggiornato del Tristo Mietitore. Non erano esseri semplicemente pericolosi, il loro aspetto ispirava terrore a un livello primordiale, istintivo. I lavoranti dell'isola li chiamavano Spazzabande, una parola priva di senso presa da una raccolta di versi che era stranamente adeguata, considerando il loro aspetto unico e le loro funzioni. A Rockfort Island ce n'erano trenta, metà dei quali in condizione di stasi, benché Alfred fosse stato in grado di verificare le condizioni solo di otto di loro dal momento dell'attacco. Oh! Claire stava aprendo la porta. Eccitato, Alfred concentrò completamente la sua attenzione sulla ragazza, la mano sinistra sui comandi delle telecamere, la destra sospesa sopra i controlli delle serrature dell'area di reclusione dei mostri. Claire entrò sulla balconata di un grande scompartimento aperto con la pistola in pugno, cercando di scrutare in ogni angolo nello stesso momento. Alfred zoomò sul suo viso, ansioso di apprezzare pienamente la sua paura, ma rimase deluso dalla sua mancanza di espressione. Dopo aver dedotto di non essere in condizione di pericolo immediato, era vigile, null'altro.
"Quando però avrò premuto questo pulsante..." Alfred ridacchiò, incapace di contenere l'entusiasmo, e sollecitò con la punta delle dita i pulsanti che avrebbero sbloccato le serrature dei magazzini dello scompartimento, uno sulla balconata, uno vicino al montacarichi al piano inferiore. La vita di Claire dipendeva solo da un suo capriccio. Vero, lei non era importante, la sua morte sarebbe stata priva di significato quanto lo era stata certamente anche la sua esistenza... ma era il controllo che contava, il suo controllo. "E il dolore, la squisita tortura, l'espressione dei suoi occhi quando si renderà conto che la sua vita è al termine..." Alfred esercitava sul proprio corpo un controllo severo quanto quello sulla sua esistenza, e si vantava della propria abilità nel frenare i desideri sessuali, del fatto di non provare alcuna emozione salvo quelle che lui stesso voleva sentire... ma il solo pensiero della morte di Claire gli ispirava una passione che andava oltre la lussuria, oltre le parole, persino oltre i limiti della consapevolezza umana. "Alexia lo sa" pensò Alfred, sicuro che la sua magnifica sorella stesse a sua volta osservando quello spettacolo e che fosse in grado di comprendere quello che le parole non erano in grado di spiegare. Con la morte di Claire sarebbero stati vicini quanto potevano esserlo due esseri umani; era il prodigio della loro relazione, il fattore principale dell'eredità degli Ashford. Non riuscì a trattenersi oltre. Mentre Claire compiva un altro cauto passo verso il centro della sala, Alfred sigillò la porta da cui era passata, bloccandole ogni via di fuga, quindi premette il pulsante che apriva la saracinesca del magazzino del secondo piano. Istantaneamente la stretta lastra di metallo a meno di tre metri dalla posizione della ragazza si mosse, scivolando verso l'alto. Mentre Claire arretrava scompostamente cercando di allontanarsi dall'ignota minaccia, uno Spazzabande completamente formato uscì dalla sua tana, pronto al combattimento. Era magnifica, la creatura. Alta tra i due metri e i due metri e mezzo, il viso come un teschio ghignante, il capo basso e minaccioso. La parte superiore del corpo, sproporzionatamente grossa, sosteneva la sua arma principale... il braccio destro, spesso come una delle cosce simili a tronchi e più lungo della metà del suo corpo disteso; la mano di una larghezza tale da poter coprire il busto di un uomo normale. Il braccio sinistro era rinsecchito, piccolo e deforme, ma allo Spazzabande ne serviva solo uno. Alfred aveva sperato che la ragazza si lasciasse sfuggire qualche escla-
mazione, un'imprecazione o magari un grido, ma Claire rimase silenziosa mentre arretrava sino a raggiungere quella che riteneva una distanza di sicurezza e apriva il fuoco quasi immediatamente. Lo Spazzabande ruggì, un verso rauco e gutturale, e si esibì nella sua specialità. Alfred aveva visto quell'esibizione una dozzina di volte, ma non si annoiava mai di fronte a un tale spettacolo. Il gigantesco braccio destro scattò verso Claire che si trovava, probabilmente, a cinque metri di distanza, mentre i muscoli modificati dall'ingegneria genetica si estendevano a dismisura e i tendini e legamenti sintetici si allungavano. Sbatté Claire a terra senza sforzo. La ragazza finì distesa sul pavimento ancor prima che il braccio del mostro tornasse indietro. "Sì, oh sì!" Claire si ritrasse più velocemente che poté, fermandosi solo quando sentì il muro dietro alle spalle. Alfred zoomò a sufficienza per rendersi conto che un velo sottile di sudore le aveva imperlato il viso, tuttavia lei non mostrava ancora nessuna espressione oltre a uno stato di estrema vigilanza. Si rimise in piedi e si spostò lateralmente lungo la parete, muovendosi con rapidità, chiaramente per evitare di essere scaraventata giù dalla balconata dal successivo colpo della creatura. Alfred sorrise, ignorando il disappunto per l'apparente mancanza di terrore sul viso della ragazza. Avrebbe raggiunto l'estremità del muro entro un paio di secondi, stretta in un angolo. E poi una serie di colpi che l'avrebbero uccisa, schiacciandola contro la parete... o forse una semplice frattura del collo, quando il mostro avesse afferrato la sua testa impartendole un'unica secca torsione... oppure si sarebbe divertito a sbatacchiarla in giro come una delle bambole di pezza di Alexia? Alfred si protese ansioso, cambiando angolazione a una delle telecamere, osservando la ragazza condannata che sollevava la sua arma, prendendo la mira con cura malgrado la posizione disperata. Bam! Lo Spazzabande urlò ancora più forte della detonazione, scuotendo la testa selvaggiamente, mentre dal suo viso allungato scorrevano rivoli di fluido scuro. Sprizzò le pareti della balconata con un liquido simile a icore, misto di sangue e di altre sostanze, cercando disperatamente di sollevare il braccio per proteggersi o per tamponarsi la ferita. Tutto ciò avvenne così rapidamente e con tale violenza che fu come osservare un geyser che im-
provvisamente erompe dalla superficie di un lago. "Gli occhi. Ha mirato agli occhi." Bam! Claire sparò ancora una volta, e un'altra ancora, e lo Spazzabande strillò di rabbia e di dolore, sempre tentando di afferrarsi la testa ferita mentre girava in tondo oscillando. Quindi, con grande sconvolgimento di Alfred, il mostro crollò sul pavimento, lamentandosi con sempre minor frenesia, sino a quando la sua implorazione divenne una rauca protesta rantolante. Sbalordito, Alfred fu infine in grado di cogliere un'emozione sul viso di Claire... la pietà. La ragazza si avvicinò fino a sovrastare il cadavere della creatura e sparò una volta ancora, freddandola del tutto. Quindi si voltò e s'incamminò verso la scala, procedendo con disinvoltura come se lasciasse un pranzo con le amiche. "No-no-no-no!" Era sbagliato, sbagliato, tutto sbagliato, ma non era finita, no, non ancora. Furibondo, Alfred premette con forza l'altro pulsante, liberando la seconda creatura dalla sua cella. La saracinesca scivolò dietro una serie di container a livello del montacarichi. "Non sarai così fortunata questa volta" pensò con disperazione, ancora incredulo di fronte a ciò che aveva appena visto. Claire aveva udito la seconda serranda aprirsi, ma la pila di container le oscurava la visuale, nascondendo la nuova minaccia. Si era fermata in fondo alle scale, immobile, alla ricerca dell'esatta provenienza del rumore. Il secondo Spazzabande sgusciò fuori dalla sua tana e si protese senza fatica, alienando una grande cassa di metallo in cima a una pila di container alta tre metri. Vi si issò sopra, apparentemente senza sforzi, e si protese per ghermirla senza che Claire se ne accorgesse, poiché la sua attenzione era completamente concentrata sull'angolo in ombra di fronte alle scale. La ragazza lo vide arrivare all'ultimo istante, troppo tardi per potersi sottrarre. La creatura strinse le dita muscolose sul suo capo e la sollevò da terra, studiandola come un gatto osserva un topo. "O un ratto" pensò Alfred, riacquistando un po' della precedente allegria alla vista della ragazza che lasciava cadere l'arma e si divincolava per liberarsi, cercando di allentare con le sue mani la morsa d'acciaio dell'OR1. A quel punto però l'attenzione di Alfred fu distolta dal rumore di un vetro che andava in frantumi da qualche parte fuori dall'inquadratura. Qualcuno cominciò a sparare. L'improvvisa detonazione e l'azione imprevista
strapparono un verso allo Spazzabande che lasciò cadere la ragazza. "Cosa...? La finestra" si rispose Alfred, osservando con orrore il giovane prigioniero, Burnside, che si tuffava nel campo visivo della telecamera. Sparava con due pistole alla volta, inondando di piombo la creatura sorpresa, che un istante dopo, urlava in agonia mentre Claire raccoglieva la sua pistola e si univa alla mischia. Lo Spazzabande tentò un assalto, agitando il braccio verso il nuovo avversario, ma fu annichilito dal numero di proiettili che lo trafissero, scaraventandolo infine contro la parete di container. Morto. Senza avere deciso consapevolmente di farlo, Alfred si protese verso i controlli del montacarichi, ricordando vagamente che doveva esserci almeno un altro OR1 di sotto, oltre a un certo numero di contaminati. I due giovani persero l'equilibrio mentre la piattaforma sotto i loro piedi cominciava a scendere, portandoli verso il sotterraneo dell'edificio adibito all'addestramento. Non c'erano telecamere funzionanti là sotto, ma godersi le loro morti non era più la preoccupazione principale di Alfred ... almeno non quanto la loro dipartita vera e propria. "Non può essere, questo non sta accadendo davvero." Gli OR1 avrebbero dovuto liberarsi di Claire e di quell'impiccione del suo amico senza difficoltà, invece quei due erano ancora vivi e i suoi animaletti erano morti tra mille sofferenze. Cercò di convincersi che i due intrusi sarebbero presto deceduti nel sotterraneo che era stato chiuso e sigillato sin dalla prima fuga del virus, ma improvvisamente niente gli sembrava più sicuro. — Alexia — sussurrò Alfred, sentendo il sangue defluirgli dal volto, mentre il suo essere avvampava di vergogna. Doveva dimostrarle che non era stata colpa sua, che la sua trappola aveva funzionato perfettamente, che era accaduto l'impossibile... e lui avrebbe dovuto accettare la conseguente freddezza del suo sguardo, la vena di contrarietà nella sua dolce voce mentre lo rassicurava di aver compreso. L'unica cosa che superava la vergogna era l'odio rinnovato per Claire Redfield, che bruciava ancor più rovente di diecimila stelle in fiamme. Nessun sacrificio era troppo grande per assicurarsi il suo tormento, il suo e quello del suo cavaliere dalla scintillante armatura. — Steve, dall'altra parte — disse Claire, nell'istante in cui il montacarichi cominciò a muoversi. Il ragazzo assentì. La giovane ricaricò mentre Steve saliva sopra due pesanti casse con le Luger sollevate. Come per un tacito accordo nessuno dei due parlò durante la discesa del montacarichi,
concentrati su ciò che li aspettava. "Mi ha salvato la vita" rifletté pensosamente Claire con gli occhi fissi sulle pareti macchiate di morchia che scorrevano verso il basso, mentre il sangue continuava a ribollirle nelle vene dal momento in cui si era resa conto di essere a un passo dalla morte. E Steve Burnside, che aveva liquidato come un ragazzino ben intenzionato ma disturbato, vanaglorioso e incompetente, aveva impedito che ciò accadesse. "Anche se forse ha solo ritardato l'inevitabile..." Non sapeva cosa avesse in mente Alfred in quel momento, ma non era ansiosa di incontrare nessun altro dei suoi amici. Due mostri con il viso simile a un teschio e le braccia di gomma erano più che sufficienti. Era stata incredibilmente fortunata a uscirne con un paio di lividi e il collo gonfio. Claire si era aspettata che il montacarichi li scaricasse in una specie di serraglio per armi biologiche, ma fu piacevolmente delusa. L'enorme ascensore si fermò semplicemente. C'era una sola uscita che fosse in grado di vedere, e sebbene non nutrisse illusioni su quanto sarebbe stata sicura la situazione dall'altra parte di quella porta, sembrava che, per il momento, fossero fuori pericolo. — Ehi! Claire, guarda un po' qui! Steve scese da sopra le casse con un oggetto tra le mani che poteva essere solo una sorta di mitragliatore, compatto, scuro, con un aspetto letale e un caricatore allungato. — Era dietro una delle casse — esclamò il ragazzo, tutto contento. Aveva già infilato le Luger nella cintura. — Nove millimetri, come le Luger e le armi delle guardie. Oh, in ogni caso, prendi. Frugò in una delle tasche esterne dei pantaloni mimetici e ne trasse tre caricatori per la M93R che passò alla ragazza. — Sulla strada del ritorno dal molo ho perquisito un paio di guardie. Io preferisco le Luger e adesso ho questa... — sollevò la nuova arma, sorridendo. — Non ho bisogno di altre armi. Puoi prenderti anche la pistola. Claire accettò con piacere i caricatori e la pistola. Non sapeva bene come ringraziarlo per ciò che aveva fatto, ma era determinata a provarci, almeno. — Steve... se non fossi arrivato quando... — Lascia perdere — rispose lui con una spallucciata. — Adesso siamo pari. — Be', grazie lo stesso — disse Claire, con un sorriso caloroso. Lui le restituì il sorriso e la ragazza notò un lampo di autentico interesse nel suo sguardo, una sincerità piuttosto differente dal suo precedente at-
teggiamento. Incerta su come interpretare quel cambiamento nei loro rapporti, Claire riprese il discorso. — Pensavo che mi avresti aspettato al molo — disse. — In realtà non è un vero molo — replicò Steve, raccontandole ciò che era avvenuto da quando si erano separati. L'idrovolante era una magnifica notizia, tuttavia aver nuovamente a che fare con la mania dell'Umbrella per le chiavi non era altrettanto piacevole. — ... e quando non sono riuscito a trovarle, ho pensato di venire qui per vedere se per caso tu avessi scovato qualcosa di simile — concluse, stringendosi nelle spalle e sforzandosi nuovamente di sembrare disinvolto. — È stato allora che ho udito gli spari. E tu? Qualcosa di interessante? Oltre all'incontro con un paio di mostri dell'Umbrella, voglio dire. — Ti racconterò. Sai niente di un tipo che si chiama Alfred Ashford? — Solo che lui e sua sorella sono totalmente pazzi — disse prontamente Steve. — E che le guardie sono... insomma avevano paura di lui. L'ho capito dal modo in cui evitavano di parlarne. Aveva mandato il suo stesso assistente all'infermeria, ho sentito. C'era un dottore pazzo che ci lavorava, immagino. Un sacco di prigionieri sono stati mandati all'infermeria e non sono mai tornati. Non ci vuole un genio per capire la situazione, no? Claire assentì, affascinata malgrado tutto. — Che cosa sai della sorella? — Non ne ho mai sentito parlare molto, salvo che è una specie di reclusa — spiegò Steve. — Nessuno sapeva neanche che aspetto avesse. Penso che si chiami Alexia... Alexandra, forse, non ricordo. Perché? Claire lo aggiornò raccontandogli i suoi incontri con Alfred, proseguendo con un breve riassunto dei posti in cui era stata e di cosa aveva visto. Quando gli accennò di aver trovato i medicinali che stava cercando, Steve rispose con una smorfia... poi sbatté gli occhi con un'espressione che manifestava un improvviso cambio di atteggiamento. — Forse quel tipo dell'Umbrella... — Rodrigo — intervenne Claire. — Okay, comunque si chiami — disse lui con impazienza. — Forse lui sa qualcosa su quelle chiavi, magari sa dove sono. — Buona idea. Vorrebbe dire setacciare l'intera isola, vero? — disse Claire. — Sei pronto a tornare sino alla prigione? Sempre che riusciamo a uscire di qui, voglio dire. — Oh, ci penso io a sgombrare la strada — assicurò Steve, senza la minima traccia di dubbio nella voce. — Lascia fare a me. Claire aprì la bocca per fare un commento sui rischi che comportava u-
n'eccessiva sicurezza in se stessi, soprattutto quando era coinvolta l'Umbrella, ma poi decise di tacere. Forse era stata proprio la fiducia nelle sue capacità a portare il ragazzo sin là... forse era riuscito ad assicurarsi la vittoria proprio negando la possibilità della sconfitta. Bello in teoria, pericoloso in pratica. Lei comunque sarebbe stata là a coprirgli le spalle, almeno. — Eravamo al primo piano dell'edificio adibito all'addestramento — proseguì il ragazzo. — Il che significa che adesso ci troviamo nei sotterranei, me lo dice il mio... Steve scosse il capo, imbarazzato per qualche ragione, ma prima che Claire potesse chiedergli spiegazioni, il giovane proseguì il discorso come se niente fosse. — C'è una sala caldaie, un'area per gli scarichi... perciò, andiamo da quella parte — disse indicando la porta. Claire decise di non sottolineare che, visto che quella era l'unica porta, era arrivata alla medesima conclusione. — Ti seguo. — Stammi vicina — disse Steve ruvidamente, e si avvicinò al battente, scoccandole uno sguardo da sopra la spalla, nel tentativo di apparire duro, la mascella contratta e gli occhi stretti a fessura. Claire era combattuta tra irritazione e divertimento, e alla fine scelse di considerare la situazione con condiscendenza. L'attimo successivo Steve stava già aprendo la porta, e la realtà della loro condizione tornò a sopraffarla, aleggiante nell'odore di tessuto canceroso. La ragazza smise di pensare alle sciocchezze e ricominciò a concentrarsi su ciò che era necessario fare per sopravvivere. Le nozioni di Steve sulle armi da fuoco si potevano riassumere in cinque secondi, ma sapeva ciò che voleva. E decise immediatamente di premere il grilletto della sua nuova arma perché davanti a loro, senza alcun dubbio, si profilavano guai seri. Uscì dalla piattaforma del montacarichi pronto a prendere a calci in culo qualche cadavere in decomposizione e ne vide l'opportunità a meno di tre metri di distanza. Ce n'erano cinque in tutto... be', cinque e mezzo, compresa la massa che si trascinava sul pavimento tra gli scaffali... e tutto ciò che doveva fare era premere il grilletto. Un istante dopo fu costretto a cercare di trattenere tra le mani con ogni briciola di energia l'arma che rischiava di sfuggirgli. Bam, bam, bam, bam, bam, bam... Agitò l'arma da sinistra e destra controllandone a stento il rinculo, la-
sciando il grilletto quando il cervello ridotto a gruviera dell'ultimo zombie schizzò via dal cranio a sua volta trasformato in un pezzo di formaggio svizzero. Terminò tutto in pochi secondi, così rapidamente da sembrare irreale... come se l'intero edificio fosse crollato per un suo colpo di tosse o qualcosa del genere. Mentre lui spazzava via quelli in piedi, Claire si era presa cura di quella specie di pizza distesa sul pavimento e quando Steve si voltò trionfante rimase un po' sorpreso nel vedere che lei non sorrideva... Finché non ci pensò su un attimo e provò un po' di vergogna. Per quel che lo riguardava, quelli non erano più esseri umani. Sapeva che se mai fosse stato infettato avrebbe voluto che qualcuno lo abbattesse, per impedirgli di fare del male agli altri... senza parlare del fatto di garantirgli una morte rapida, piuttosto che lasciarlo a marcire in un angolo. "Ma, una volta, erano esseri umani. E ciò che è accaduto loro è disgustoso e ingiusto, su questo non ci sono dubbi." Vero, e forse avrebbe dovuto mostrare un maggior rispetto nei loro confronti... ma, d'altro canto, quel mitra era davvero fico, e loro erano zombie. Era un argomento delicato, non si sentiva preparato ad affrontare un simile casino, tuttavia decise che avrebbe potuto evitare di ridere di fronte a Claire quando faceva a pezzi quei mostri. Non voleva che lo ritenesse un figlio di puttana assetato di sangue. Indicò la porta davanti a loro sulla destra, abbastanza sicuro che quella fosse la direzione giusta, almeno grossomodo. Da come l'immaginava lui, sarebbero usciti abbastanza vicino al cortile principale dell'edificio di addestramento. Claire assentì, e Steve fece strada nuovamente, spingendo il battente e attraversando la soglia. Si ritrovarono in cima a una rampa di scale aperte, che portavano a una sala caldaie. Si trattava di una stanza zeppa di grandi macchinari dall'aspetto macilento, che, comunque, sibilavano. Steve non sapeva veramente a cosa assomigliasse una caldaia. C'erano quattro zombie che vagavano tra la loro posizione e le scale che portavano di sopra e fuori dalla camera, dal lato opposto di quell'ambiente freddo e ronzante di attività. Steve aveva alzato la mitragliatrice e stava per sparare quando Claire gli picchiò su un braccio, spostandosi per mettersi al suo fianco. — Guarda — sussurrò e puntò la 9mm verso il gruppo di zombie. Anzi, come il giovane ebbe modo di vedere, la giovane stava prendendo di mira qualcosa più in basso oltre i mostri.
Boom, tre delle creature crollarono, annerite e fumanti. Dietro di loro c'erano i resti di un piccolo container, ovviamente di combustibile, ridotto a un mucchio di frammenti di metallo arricciati, disseminati sul pavimento e circondati da un pinnacolo di oleoso fumo tossico. Il quarto zombie era stato colpito dall'esplosione ma non molto gravemente. Claire lo eliminò con un unico proiettile alla testa prima ancora di parlare. — Risparmia i colpi — disse semplicemente, e scivolò accanto a Steve per scendere la scalinata. Il giovane la seguì, un po' sbalordito dal commento di lei, ma fingendo indifferenza, come se ci avesse già pensato lui stesso. Se c'era una cosa che sapeva delle ragazze, era che non gradivano i ragazzi che si comportavano goffamente. "Non che me ne freghi un accidente di ciò che pensa di me" si disse fermamente. "È solo che lei è... piuttosto tosta, ecco tutto." Claire arrivò alla porta per prima, e aspettò finché lui non la raggiunse, facendole cenno di essere pronto. Non appena l'aprì si rilassarono entrambi. Steve si accorse che la sua compagna abbassava le spalle e sentì il proprio cuore riprendere un ritmo regolare. C'era un camminamento di pietra scura, completamente vuoto, aperto su un lato. Di sotto, da qualche parte, scorreva dell'acqua, e, davanti, si intravedeva un cancello dall'aspetto normale, che chiudeva una specie di vecchio ascensore. — Sta cominciando a sembrare un po' troppo semplice — disse sottovoce Claire. — Sì — convenne Steve sussurrando a sua volta. Troppo, visto che si trovavano ancora nel parco giochi di Alfred. Erano arrivati a metà del camminamento quando udirono un suono echeggiante provenire da un punto tra le acque scure che scorrevano di sotto... un sibilo acuto, penetrante, inumano ma non simile a un verso di un animale. Qualunque cosa fosse, sembrava estremamente irritata... e, a giudicare dal rumore prodotto dagli schizzi d'acqua, si stava avvicinando. Steve era pronto a sparare ma Claire lo afferrò per un braccio e cominciò a correre, trascinandolo praticamente a forza. Raggiunsero l'ascensore in due secondi, Claire aprì di scatto la grata e spinse il suo compagno nell'angusta cabina, saltando dietro di lui prima di chiudere il portello con violenza. — Okay, non c'è bisogno che mi spingi — protestò Steve, massaggiandosi il braccio con aria indignata. — Scusa — disse lei, ricacciandosi una ciocca ribelle dietro a un orec-
chio, con un aspetto sconvolto come non mai. — È solo che... ho già udito quel rumore. Hunter, i cacciatori. Penso che li chiamino così e ti assicuro che si tratta di pessime notizie. Ce n'erano un branco in giro per Raccoon. Gli indirizzò un sorriso scosso, che improvvisamente suscitò nel ragazzo la tentazione di passarle un braccio intorno alle spalle, per stringerla o confortarla. Ma non lo fece. — Mi suggerisce dei brutti ricordi, capisci? — insistette lei. Raccoon... si trattava di quel posto che era stato distrutto alcuni mesi prima, se ricordava bene, proprio prima che lui finisse a Rockfort Island. Era stata colpa del capo della polizia. — L'Umbrella ha qualcosa a che fare con Raccoon? Claire sembrava sorpresa, poi sorrise, un po' più rilassata, rivolgendo la sua attenzione ai comandi dell'ascensore. — È una lunga storia, te la racconto quando usciamo di qui. Allora, primo piano? — Sì — rispose Steve, poi cambiò idea. — In verità, forse dovremo salire al secondo. In quel modo potremo avere una visione del cortile dall'alto e vedere gli ostacoli che dovremo superare. — La sai una cosa? Sei più furbo di quello che sembri — affermò Claire provocandolo, mentre premeva il pulsante. Steve stava ancora cercando una risposta pungente quando l'ascensore si fermò e la ragazza aprì la porta. Sulla loro destra si trovava una porta bloccata con un chiavistello, per cui procedettero a sinistra, lungo un breve corridoio vuoto. C'era solo una porta in quella direzione, ma furono fortunati perché la maniglia girò quando Claire provò ad aprirla. Ancora una volta, niente brutte sorprese. La porta si apriva su una malridotta balconata di legno coperta da uno spesso strato di polvere, che si affacciava su un'enorme stanza ingombra di rifiuti: un'arrugginita jeep militare, pile di vecchi bidoni di carburante sporchi di grasso, casse in frantumi e roba del genere. Sembrava più che altro un magazzino, e sebbene fosse ben illuminato, era talmente ingombro che diventava quasi impossibile vedere se c'era qualcuno. Si avvertivano delle presenze, comunque, Steve poteva udire dei fruscii. Fece qualche passo sulla sinistra, cercando di scrutare l'angolo sotto la balconata, e Claire lo seguì. Le assi scricchiolarono spostandosi sotto il loro peso. — Non sembra molto solido... — cominciò la ragazza, ma fu interrotta
da un fragore assordante mentre la balconata cadeva in pezzi e i due giovani precipitavano verso il basso. "Merda..." Steve non ebbe neppure il tempo d'irrigidirsi in attesa dell'impatto, perché il volo terminò in un istante. Cadde sul fianco sinistro, urtando malamente una spalla, mentre il ginocchio picchiava su un frammento di legno. Quasi immediatamente una piramide di bidoni vuoti precipitò alle sue spalle, crollando fragorosamente sul pavimento... e Steve udì il lamento affamato di uno zombie. — Claire? — chiamò, rimettendosi faticosamente in piedi e voltandosi, alla ricerca della ragazza e dello zombie. Claire si trovava in mezzo ai barili, a terra, e si stava massaggiando una caviglia. La pistola le era caduta a circa tre metri di distanza. Steve la vide sbarrare gli occhi e seguì il suo sguardo sino a uno zombie solitario che si trascinava verso di lei... L'unica cosa che fu in grado di fare fu restare a guardare, la mente improvvisamente a un milione di miglia di distanza. Claire disse qualcosa ma lui non poté udirla, troppo concentrato sul portatore di virus. Era stato un omaccione, quasi un obeso, ma qualcuno gli aveva fatto a pezzi parte delle viscere. Le ferite aperte e gocciolanti di materia appiccicosa grondavano e la camicia nera era ancora più scura a causa di uno strato quasi uniforme di sangue che aveva inzuppato il tessuto. Il mostro aveva il viso grigio e gli occhi infossati, come tutti gli altri, e si era morso la lingua, o forse qualcuno gliel'aveva mangiata, la sua bocca era lorda di sangue. Claire urlò ancora, ma Steve stava rammentando qualcosa, un flusso di ricordi, vivido e improvviso, così reale che fu quasi come tornare indietro nel tempo. Aveva avuto quattro o cinque anni quando i suoi genitori l'avevano portato alla sua prima parata, in occasione del giorno del Ringraziamento. Era seduto sulle spalle di suo padre a guardare i pagliacci che passavano per strada, circondato dalla folla urlante e rumorosa e aveva cominciato a piangere. Non riusciva a ricordare perché, rammentava solo che suo padre aveva alzato lo sguardo verso di lui, con gli occhi preoccupati e pieni d'amore. Quando gli aveva chiesto cosa non andasse, la sua voce gli era giunta così familiare e affettuosa che Steve gli aveva allacciato le braccine intorno al collo nascondendo il viso contro di lui, sempre in lacrime ma sentendosi al sicuro, certo che niente di male avrebbe potuto accadergli finché suo padre fosse stato con lui... — Steve! Claire aveva praticamente urlato il suo nome e il giovane vide che lo
zombie le era quasi addosso, con le dita grigiastre che si stringevano sul suo giubbotto, pronto a trascinarla verso la bocca grondante di sangue. Steve urlò a sua volta e aprì il fuoco: un tornado di proiettili si abbatté sul viso e sul corpo di suo padre, strappandolo via da Claire. Continuò a sparare e a urlare finché suo padre non giacque immobile e il tornado cessò, e dal mitra scarico provennero solo degli scatti secchi. Poi Claire gli sfiorò la spalla, costringendolo a voltarsi mentre lui chiamava il genitore, in lacrime. Rimasero seduti in silenzio per un po'. Quando il ragazzo fu di nuovo in grado di parlare, le raccontò la sua storia, parte di essa almeno, abbracciandosi le ginocchia, a testa bassa. Le narrò di suo padre, che aveva lavorato come camionista per l'Umbrella ed era stato beccato mentre cercava di rubare una formula da uno dei laboratori. Le parlò di sua madre, che era stata uccisa a fucilate da tre agenti della società, a casa loro, e quando Steve era tornato da scuola l'aveva trovata distesa a soffocare nel suo sangue, rantolante sul pavimento del soggiorno. Gli uomini dell'Umbrella avevano portato via lui e suo padre, sino a Rockfort Island. — Pensavo che fosse rimasto ucciso durante l'attacco aereo — concluse Steve, asciugandosi gli occhi. — Avrei voluto essere arrabbiato con lui per questo, e in realtà lo ero veramente. Continuavo a pensare alla mamma, al suo aspetto in punto di morte, ma non volevo che morisse, non volevo, io... io gli volevo bene. Dirlo a voce alta lo costrinse a piangere di nuovo. Claire gli passò un braccio intorno alle spalle, però lui se ne accorse appena. Era così triste che pensò di essere sul punto di morire. Sapeva però che doveva alzarsi, trovare le chiavi e seguire Claire, quindi far decollare l'idrovolante, anche se nulla di tutto ciò sembrava più avere importanza. Claire, durante il suo racconto, era rimasta quasi sempre in silenzio, limitandosi ad ascoltarlo e ad abbracciarlo, ma a quel punto si alzò e gli disse che doveva rimanere dov'era, che sarebbe tornata presto e che avrebbero potuto andarsene. E quella decisione andava bene, perché lui voleva stare un po' solo. Si sentiva più stanco di quanto si fosse mai sentito in vita sua, così sfinito e pesante da non volersi più muovere. Claire si allontanò e Steve decise che sarebbe andato a cercare le chiavi presto, molto presto, non appena avesse smesso di tremare. 7
Nella fredda oscurità che lo avvolgeva, Rodrigo aveva riposato con difficoltà. Adesso udiva un rumore all'esterno, nel corridoio. Si costrinse a riaprire gli occhi, per prepararsi al pericolo. Sollevò la sua arma e puntellò il braccio sulla scrivania, ma si rese conto di non avere la forza necessaria per tenerla alzata. "Ucciderò chiunque osi venire a rompermi i coglioni" pensò, più per abitudine che altro, felice di poter avere un'arma anche se si considerava già un uomo morto. Una guardia-zombie era caduta giù dalle scale e aveva strisciato verso le celle poco dopo che la ragazza se n'era andata, ma Rodrigo l'aveva uccisa con un calcio alla testa e le aveva sottratto l'arma, ancora custodita nella fondina assicurata al fianco maciullato. Attese, desiderando solo di poter tornare a dormire e sforzandosi di stare allerta. La pistola gli aveva infuso coraggio, spazzando via gran parte della paura. Sarebbe morto presto, era inevitabile... ma non voleva diventare uno di loro, in nessun caso. Il suicidio nella sua religione era considerato un peccato terribile, ma lui non sapeva se sarebbe stato in grado di far secco un portatore di virus che si avvicinava; e si sarebbe mangiato un proiettile piuttosto che lasciarsi toccare da uno di quei mostri. Passi. Qualcuno stava entrando nella stanza, troppo velocemente. Uno zombie? I sensi non funzionavano correttamente, non poteva stabilire con esattezza se le cose si muovevano veloci o lente, ma sapeva che presto avrebbe dovuto tirare il suo colpo, o ne avrebbe persa l'opportunità. Improvvisamente una luce, fioca ma penetrante... ed eccola là, di fronte a lui come in un sogno. La ragazza, la Redfield, viva, con un accendino tra le mani. Lasciò che la fiamma avvampasse poi lo posò sulla scrivania come una minuscola lanterna. "Cosa ci fa qui?" borbottò Rodrigo, ma la ragazza stava già frugando dentro una giberna che teneva allacciata al fianco. Senza guardarlo. Rodrigo lasciò cadere la pesante pistola dalle dita, chiudendo gli occhi per un istante o forse ancor di meno. Quando li riaprì, la ragazza era protesa sul suo braccio con una siringa in mano. — È il liquido emostatico — spiegò, le mani e la voce gentili, la puntura dell'ago rapida e appena percettibile. — Non ti preoccupare, non c'è pericolo di overdose o roba del genere, qualcuno ha scritto il dosaggio sul retro della bottiglietta. Dice che questa medicina rallenterà ogni emorragia interna, così potrai sopravvivere sino all'arrivo degli aiuti. Ti lascerò qui l'accendino... è quello che mi ha regalato mio fratello. Porta fortuna. Mentre la ragazza parlava, Rodrigo si sforzò di destarsi completamente e
di scrollarsi di dosso l'intorpidimento che l'aveva invaso e rischiava di sopraffarlo. Le parole della ragazza non avevano senso, lui l'aveva lasciata scappare e quindi lei se n'era andata. Perché avrebbe dovuto tornare ad aiutarlo? "Perché l'ho liberata." Comprendere tale verità lo commosse, riempiendolo di confusi sentimenti di vergogna e gratitudine. — Io... sei molto gentile — sussurrò, desiderando poter fare qualcosa per lei in modo da ricompensarla per la compassione dimostrata. Cercò nei suoi ricordi qualche notizia sull'isola. "Forse potrà scappare..." — La botola a ghigliottina — disse, sbattendo gli occhi, mentre la guardava e tentava di parlare senza pronunciare le parole in modo troppo confuso. — L'infermeria si trova dietro di essa, la chiave... nella mia tasca... sembra che là dentro ci siano dei... segreti. Lui sa cose, parti del puzzle... sai dov'è la botola a ghigliottina? Claire assentì. — Sì, grazie, Rodrigo, quest'informazione mi è di grande aiuto. Adesso riposa, d'accordo? Allungò un braccio e gli scostò una ciocca di capelli scuri dalla fronte, un gesto semplice, ma così dolce e affettuoso, che a lui venne voglia di piangere. — Riposa — gli raccomandò nuovamente e Rodrigo chiuse gli occhi, più calmo, in pace con se stesso come mai si era sentito durante la sua esistenza. Il suo ultimo pensiero prima di perdere i sensi fu che se lei poteva perdonarlo per tutto ciò che aveva fatto, mostrandogli una pietà che lui non aveva meritato, forse non sarebbe andato all'inferno, dopotutto. Rodrigo aveva ragione riguardo ai segreti. Claire si trovava ora all'estremità del corridoio nascosto nel sotterraneo, cercando di farsi coraggio prima di aprire la porta senza contrassegni che aveva davanti. L'infermeria in se stessa era piccola e sgradevole, non certo quello che ci si sarebbe aspettati per una sezione clinica dell'Umbrella... in verità non c'erano in giro apparecchiature mediche e il tutto sembrava alquanto antiquato. C'era solo un tavolo da esami nella sala principale, sistemato su un pavimento scheggiato macchiato di sangue; poco distante si trovava un vassoio sul quale era posata una serie di strumenti chirurgici dall'aspetto medioevale. La stanza adiacente era bruciata a un punto tale da togliere ogni possibilità di riconoscerne la funzione; Claire non ne era assolutamente in grado, ma le sembrava un incrocio tra uno sgabuzzino e un forno crematorio. Ne aveva anche l'odore, comunque.
Subito dopo la prima sala, c'era un piccolo ufficio ingombro di materiali, di fronte al quale era disteso un unico cadavere, un uomo con il camice da laboratorio macchiato e uno sguardo carico di orrore sul viso stretto e cinereo. Non sembrava essere stato contaminato, e poiché non v'erano portatori del virus nella stanza e sul suo corpo non si notavano ferite evidenti, Claire immaginò che avesse avuto un attacco di cuore. O qualcosa del genere. L'espressione contrita sui lineamenti affilati, gli occhi sbarrati e sporgenti, la bocca spalancata, suggerivano che fosse morto di paura. Con estrema cautela Claire lo superò e, quasi per caso, scoprì il primo segreto dell'infermeria nel piccolo ufficio. Lo stivale aveva urtato qualcosa mentre procedeva, un frammento di marmo o una pietra rotolata sul pavimento... che alla fine si dimostrò la più inusuale delle chiavi. Era un occhio di vetro, che apparteneva alla grottesca faccia di plastica della statua anatomica dell'ufficio, appoggiata in equilibrio instabile contro un angolo. Riflettendo sulle parole di Steve riguardo al fatto che nessuno era mai tornato dall'infermeria e considerando ciò che già sapeva sul genere di follia di cui l'Umbrella sembrava circondarsi, Claire non fu sorpresa di trovare un passaggio nascosto dietro la parete dell'ufficio. Quando la ragazza ripose l'occhio di vetro al suo posto, apparve una serie di scalini di pietra consunta, un altro fatto che non riuscì a sorprenderla del tutto. Era un segreto, un trucco, e l'Umbrella era tutta fatta di trucchi e segreti. "Perciò apri la porta. Vai avanti." Giusto. Non poteva stare là tutto il giorno. Non voleva neppure lasciare solo Steve per troppo tempo. Era preoccupata per il ragazzo. Era stato costretto a uccidere suo padre e non riusciva a immaginare il danno psicologico che una cosa del genere avrebbe inflitto a una persona. Claire scosse il capo, irritata per essersi lasciata distrarre da quei pensieri. Non importava se si trovava in un luogo spoglio e spaventoso dove, a quanto pareva, era morta un sacco di gente, un ambiente dove poteva cogliere l'atmosfera di tenore avvolgente, emanata dalle pareti fredde, che cercava di avvilupparla come in un sudario. "Non ha importanza" si ripeté e aprì la porta. Immediatamente tre barcollanti portatori di virus si mossero nella sua direzione, impedendole di distinguere i dettagli della grande sala in cui erano rimasti intrappolati. Tutti e tre erano malamente sfigurati, avevano perso alcuni arti e lunghe irregolari strisce di pelle sotto le quali si vedeva la carne in putrefazione. Si muovevano con lentezza, trascinandosi dolorosamente verso di lei, e la ragazza notò che sulla carne esposta c'erano altre
cicatrici. Nel momento in cui prese di mira il primo, il nodo di terrore che le bloccava lo stomaco si espanse, provocandole un profondo malessere. Almeno, finì tutto in fretta... Ma il terribile sospetto che le era cresciuto in testa, e che aveva sperato potesse rivelarsi falso, fu confermato da una singola occhiata accurata all'ambiente che la circondava. "Oh, Gesù." La stanza era stranamente elegante, illuminata da una luce soffusa proveniente da un candeliere appeso al soffitto. Il pavimento era piastrellato, con una passatoia costituita da un tappeto finemente ricamato che portava dalla porta sino a una sorta di salottino all'estremità opposta della camera. Là si trovavano una poltrona imbottita di velluto e un tavolino di ciliegio. La poltrona era rivolta in modo che chi vi fosse seduto potesse vedere l'intera stanza. Era peggio di quanto lei avesse immaginato, persino peggio del labirinto sotterraneo del capo Irons, nascosto sotto le strade di Raccoon. C'erano due pozzi costruiti su misura per l'acqua. Nella ringhiera che circondava il primo era inserita una gogna mentre al corrimano dell'altra era sospesa una gabbia. Alle pareti erano fissate delle catene, alcune delle quali mostravano delle manette consunte, altre dei collari di cuoio... e altre ancora avevano degli uncini alle estremità. C'erano poi alcuni attrezzi più elaborati che Claire non osò neppure guardare da vicino, dotati di meccanismi di qualche tipo e spuntoni metallici. Ricacciando in gola la bile, Claire focalizzò la sua attenzione sull'area riservata alla poltrona. L'eleganza stessa dell'arredamento della stanza in qualche modo rendeva ancor più agghiacciante la situazione, aggiungendo un tocco di egocentrismo all'evidente psicosi del suo creatore. Come se questi non solo godesse a torturare le persone, ma volesse osservare tali sofferenze circondato dal lusso, atteggiandosi da aristocratico. Vide un libro sul tavolino e si avvicinò per raccoglierlo, mantenendo lo sguardo fisso davanti a sé. Zombie creati dal virus, mostri e morti inutili erano fenomeni orribili, tragici, spaventosi o tutte quelle le cose messe assieme... ma il genere di follia rappresentata dalle catene e dagli strumenti intorno a lei la scuotevano sin nell'anima, perché la spingevano ad abbandonare ogni fiducia nell'umanità. Il libro, in verità, era un diario, rivestito in pelle, con pagine di carta spessa di qualità molto fine. Sul frontespizio era scritto che apparteneva al dottor Enoch Stoker e non vi erano titoli o altre iscrizioni di nessun genere. "Lui conosce delle cose, frammenti del puzzle.
Claire non avrebbe voluto toccare quella cosa e tantomeno leggerla, ma Rodrigo sembrava pensare che potesse esserle d'aiuto. Ne sfogliò qualche pagina, non vide nessuna data segnata e cominciò a scorrere la scrittura minuta e contorta alla ricerca di un nome o di una parola che le suonasse familiare, qualcosa che riguardasse il puzzle magari. Là, c'era un'annotazione che faceva più volte riferimento ad Alfred Ashford. La ragazza trasse un profondo respiro e proseguì nella lettura. Finalmente oggi abbiamo parlato dettagliatamente delle mie preferenze e delle cose che mi danno piacere. Il signor Ashford non mi ha rivelato le sue inclinazioni, ma si è dimostrato molto incoraggiante con me, come sempre dal mio arrivo sull'isola sei settimane fa. Era stato informato fin dall'inizio del fatto che le mie necessità erano poco convenzionali, ma ora sa tutto, anche i dettagli. Da principio era un po' a disagio, ma il signor Ashford - Alfred, ha insistito che lo chiami Alfred - si è dimostrato un pubblico ansioso di ascoltare. Mi ha rivelato che sia lui che la sorella sostengono vigorosamente la necessità di spingere la ricerca ai limiti estremi. Mi ha detto di considerarli degli spiriti affini, e che qui io sono libero. È stata una strana esperienza esprimere ad alta voce sensazioni, sentimenti e pensieri che non avevo mai condiviso con nessuno. Gli ho narrato come tutto ciò ha avuto inizio, quando ero ancora un bambino. Gli ho raccontato degli animali sui quali avevo cominciato a condurre alcuni esperimenti che, in seguito, avrei poi fatto anche su altri bambini. Allora non sapevo di essere capace di uccidere, ma ero cosciente che la vista del sangue mi eccitava, che causare dolore riempiva uno spazio vuoto e solitario dentro di me con profonde sensazioni di potere e di controllo. Penso che capisca l'importanza delle urla, di quanto siano fondamentali per me e... "Basta." Non era quello che stava cercando, e leggere quelle farneticazioni le faceva venire voglia di vomitare. Girò alcune pagine e trovò un'altra annotazione su Alfred e sua sorella che scorse alla ricerca di notizie sulla loro residenza privata... poi tornò indietro corrugando la fronte. Alfred, oggi, ha assistito a una delle mie autopsie, e in seguito mi ha detto che Alexia ha chiesto di me, che voleva sapere se avevo tutto ciò
che mi serviva. Alfred adora Alexia e non permette a nessuno di avvicinarla. Non gli ho ancora chiesto di incontrarla, e non ho in mente di farlo. Alfred vuole che la loro dimora rimanga privata, e che la sorella sia tutta per lui. Si tratta di un rifugio costruito dietro la loro residenza comune, mi ha rivelato, e i più non sanno neppure che esista. Alfred mi svela cose che nessun altro sa. Penso che mi apprezzi per il fatto che prediligo i suoi stessi interessi. Mi ha detto che Rockfort Island è dotata di molti posti per accedere ai quali è necessario possedere delle strane chiavi simili all'occhio che mi ha dato; alcune di esse sono nuove, altre molto antiche. Edward Ashlord, il nonno di Alfred, a quanto pare era ossessionato dalla segretezza, un'ossessione condivisa con l'altro fondatore dell'Umbrella, secondo Alfred. Mi ha rivelato che lui e Alexia sono le uniche persone ancora in vita a conoscere tutti i nascondigli segreti di Rockfort. Alfred possiede un set completo di chiavi fabbricato appositamente per loro quando prese il posto di suo padre. Ha scherzato dicendo che era opportuno averne una doppia copia nel caso si fosse chiuso per errore fuori dai nascondigli, e ha riso. Ha detto che Alexia lo avrebbe sempre lasciato entrare comunque. Credo che i gemelli abbiano spesso un rapporto più stretto di quello esistente fra normali fratelli... e che, in senso figurato, se si ferisce uno, l'altro sanguinerà. Mi piacerebbe realmente sperimentare tale teoria in maniera più letterale, a proposito dei livelli di dolore. Ho scoperto che riempiendo una ferita recente con frammenti di vetro e ricucendola si ottiene un... Sconvolta, Claire gettò via il libro e si asciugò le mani sui jeans, convinta di aver appreso informazioni sufficienti per poter procedere. Sperò con tutta sincerità che il cadavere al piano di sopra appartenesse al dottor Stoker, che il suo cuore oscuro lo avesse tradito e che il pensiero di essere diretto all'inferno gli avesse gelato il viso in una maschera di terrore. Improvvisamente si rese conto che non ne poteva più di quell'atmosfera, che, se fosse rimasta nell'infermeria per un minuto ancora, avrebbe davvero vomitato. Si voltò e raggiunse rapidamente la porta, prendendo a correre quando arrivò alle scale. Salì i gradini a due alla volta. Attraversò rapidamente la sala al piano di sopra, senza guardare il corpo ed evitando qual-
siasi pensiero che non riguardasse la necessità di lasciare quel luogo. Quando raggiunse il sentiero esterno che conduceva sino alla porta a ghigliottina, si accasciò contro una parete e respirò lunghe boccate d'aria, concentrandosi sulla necessità di non rimettere. Ci vollero un paio di minuti prima che il suo stomaco si riprendesse. Quando si sentì pronta, Claire inserì un caricatore nuovo nella semiautomatica e tornò verso l'edificio di addestramento. Si rese conto di aver perso la seconda arma che Steve le aveva dato da qualche parte tra la camera di tortura e l'ingresso principale, ma niente avrebbe potuto persuaderla a rimettere anche un solo piede là dentro. Sarebbe andata a prendere Steve, insieme avrebbero trovato quelle dannate chiavi, e poi sarebbero fuggiti di corsa dal manicomio che l'Umbrella aveva costruito a Rockfort Island. Steve pianse per un poco, dondolandosi avanti e indietro, vagamente consapevole di avere appena fatto una Cosa Molto Brutta... Nella sua esperienza c'erano sempre state piccole stronzate, grandi stronzate e poi le Cose Molto Brutte con la maiuscola. Si trattava di cose che cambiavano per sempre la vita di una persona, e questa era proprio una di quelle. Era stato costretto a uccidere suo padre. E adesso entrambi i suoi genitori, che per lui avevano contato moltissimo, erano morti. Perciò al mondo non c'era più nessuno che gli volesse bene, e quel pensiero che continuava a ripetersi lo costringeva a piangere dondolandosi avanti e indietro. Fu la presenza delle Luger che, alla fine, lo sottrasse al suo personale inferno emotivo, e lo costrinse a ricordare dov'era e cosa stava succedendo. Si sentiva ancora in una condizione orribile, pieno di dolore dentro e fuori, ma cominciò a sintonizzarsi sull'ambiente circostante e sentì la mancanza di Claire. Inoltre avvertiva prepotente il bisogno di bere un bicchier d'acqua. Le Luger. Steve si massaggiò gli occhi gonfi e trasse entrambe le pistole dalla cintura, osservandole. Era una cosa stupida e priva d'importanza... un particolare che risiedeva in un angolo della mente. Infine tuttavia ricordò che il momento in cui aveva preso la coppia di pistole dalla parete era stato l'attimo in cui il calore era iniziato. Una trappola. Per quanto poteva immaginare, l'unico motivo di una simile trappola poteva essere quello di impedire che qualcuno prendesse le armi. "Il che significa che forse servono a qualcos'altro oltre che a sparare." Già, erano placcate d'oro, avevano un aspetto fico e probabilmente erano
molto costose, ma agli Ashford ovviamente non interessavano i soldi... e se le armi avevano qualche sorta di valore sentimentale, perché erano state usate come parte di una trappola? Decise di tornare sui suoi passi e dare un'occhiata più attenta alla parete dove le aveva trovate, per vedere se, rimettendole a posto, succedeva qualcos'altro. Per andare e tornare dalla casa padronale non ci avrebbe messo più di cinque minuti. Se fosse arrivata per prima, Claire lo avrebbe aspettato. "E se rimango qui, continuo semplicemente a piangere." Voleva fare qualcosa, in realtà ne aveva bisogno. Steve si alzò in piedi, scosso, e provò una sensazione di vuoto mentre spazzava via la polvere dai pantaloni. Nonostante un enorme sforzo di volontà, il suo sguardo si fissò sul luogo dov'era morto suo padre. Provò un'ondata di sollievo quando si accorse che Claire l'aveva coperto con un telo. Era una ragazza in gamba... anche se, per qualche ragione, provava improvvisamente una strana sensazione di disagio nei suoi confronti, per il fatto di averle raccontato i suoi problemi. Non era certo di come si sentiva al riguardo. Uscì dalla stanza e fu vagamente sorpreso di scoprire che non si trovava nel cortile principale dell'edificio destinato all'addestramento. Inoltre con grande stupore vide che nel piccolo spiazzo cinto da alte mura in cui era entrato c'era quello che sembrava un carro armato Sherman della Seconda guerra mondiale. Era gigantesco, con i cingoli coperti di fango, e dotato di una torretta semovente armata con un pesante cannone, insomma un vero carro armato da guerra. In precedenza forse la cosa lo avrebbe interessato, o almeno lo avrebbe fortemente sorpreso - non c'era assolutamente ragione per cui un carro armato avrebbe dovuto trovarsi a Rockfort Island - ma ormai tutto quello che desiderava era controllare la trappola delle Luger, per vedere se poteva contribuire in qualche modo alla loro fuga dall'isola. Si sentiva un po' a disagio all'idea che Claire si fosse dovuta arrangiare da sola a interrogare l'uomo dell'Umbrella ferito, anche se dopotutto era stata un'idea sua. Dall'altro lato del carro armato c'era una porta che si apriva veramente sul cortile principale. Almeno, il suo senso delle direzioni non era totalmente sballato. Sembrava più buio di prima. Steve alzò lo sguardo e vide che il cielo si era nuovamente rannuvolato e la luna e le stelle erano quasi del tutto oscurate. Aveva raggiunto all'incirca la metà del cortile quando udì un tuono, tanto potente che il terreno sembrò tremare sotto i suoi piedi.
Quando arrivò all'estremità opposta, aveva nuovamente cominciato a piovere. Steve accelerò il passo, tenendosi sulla destra per raggiungere l'uscita, poi si diresse di corsa verso la villa. La pioggia era fitta e gelida ma il giovane l'accolse con piacere, aprì la bocca e volse il viso al cielo, permettendo all'acqua di scorrere su di lui. In pochi attimi era zuppo. — Steve! "Claire!" Nel vederla sentì lo stomaco contrarsi. La ragazza lo raggiunse fuori dalla porta del giardino con un'espressione preoccupata. — Stai bene? — gli chiese, scrutandolo incerta mentre sbatteva gli occhi per liberarli dall'acqua. Steve avrebbe voluto dirle che andava tutto alla grande, che si era lasciato il peggio alle spalle ed era pronto a fare polpette degli zombie, ma quando aprì la bocca non emerse nulla di tutto ciò. — Non lo so, credo di sì — disse invece con sincerità. Riuscì a fare un mezzo sorriso, non volendo preoccuparla troppo, tuttavia non desiderava raccontarle altri particolari di sé. Claire sembrò comprendere, e cambiò rapidamente argomento. — Ho scoperto che i gemelli Ashford hanno una residenza privata dietro la villa principale — disse. — Non ne sono sicura al cento per cento, ma le chiavi che cerchiamo potrebbero essere là. Penso che ci siano buone possibilità. — Hai scoperto tutto questo attraverso... uhm... Rodrigo? — chiese Steve dubbioso. Era difficile credere che un impiegato dell'Umbrella avrebbe dato tali informazioni al nemico. Claire esitò, poi assentì. — In maniera indiretta — disse, e improvvisamente Steve ebbe l'impressione che ci fosse qualcosa di cui lei non voleva parlare. Tuttavia non la forzò. Avrebbe aspettato che Claire glielo dicesse spontaneamente. — Il problema è riuscire a entrare nella casa — proseguì lei. — Sono sicura che il passaggio è chiuso saldamente. Pensavo che potremmo frugare ancora un po', per vedere se riusciamo a trovare un percorso... Claire si scostò le ciocche gocciolanti dagli occhi e sorrise. — ... e magari potremmo toglierci da sotto la pioggia prima di bagnarci completamente. Steve ne convenne. Attraversarono l'ingresso che immetteva nei giardini ben curati, superando alcuni cadaveri. Il ragazzo la mise al corrente dell'intuizione che aveva avuto riguardo alle Luger e Claire si dichiarò assolutamente d'accordo a seguire quell'idea... tuttavia osservò, dal momento che
erano gli Ashford a dominare l'isola, i bei puzzle dell'Umbrella non avrebbero dovuto necessariamente essere logici. Si fermarono di fronte alla porta principale per rimediare alla meglio ai vestiti bagnati, ma ne risultò che c'era poco da fare. Erano entrambi fradici, benché facessero il possibile per strizzare gli abiti che indossavano. Fortunatamente, i piedi erano rimasti asciutti, cercare di muoversi con gli stivali umidi sarebbe stata una vera pena. Armi in pugno, Steve aprì la porta. Rabbrividendo entrarono nella villa... ... e udirono una porta chiudersi, al piano superiore, sulla destra. — Alfred — disse Steve tenendo basso il tono di voce — ci scommetterei. Che ne dici se gli aprissimo qualche buco nuovo nel culo? Fece per dirigersi verso le scale. Quel pazzo doveva morire per un numero di ragioni superiore a quelle che Steve potesse enumerare. Claire lo raggiunse ponendogli una mano sulla spalla. — Ascolta, alcune delle cose che ho trovato nella prigione... non si tratta solo di un individuo gravemente disturbato: è completamente pazzo. Una specie di serial killer. — Sì, ho capito — disse Steve. — Tutte buone ragioni per eliminarlo al più presto. — Solo... stiamo un po' più attenti, eh? Claire sembrava preoccupata, e Steve tornò a sentirsi protettivo nei suoi confronti, tutto d'un tratto. "Oh, sì, lo abbatterò" pensò cupamente, e a Claire rispose con un cenno del capo. — Puoi contarci. Salirono rapidamente le scale, fermandosi fuori dalla porta che avevano sentito chiudersi. Steve avanzò davanti a Claire che inarcò un sopracciglio ma non disse nulla. — Al tre — sussurrò il ragazzo, abbassando molto lentamente la maniglia, sollevato di trovare la porta aperta. — Uno... due... tre! Aprì il battente con una spallata violenta, e irruppe nella stanza coprendola con la mitragliatrice, pronto a sparare alla prima cosa che si fosse mossa... ma non accadde nulla. La camera, un ufficio soffusamente illuminato stipato di librerie, era vuoto. Claire era entrata a sua volta, volgendosi verso sinistra, e aveva superato un divano e un tavolino da caffè verso la parete nord. Contrariato, Steve la seguì, aspettandosi di trovare un'altra porta che conduceva a un secondo corridoio, veramente seccato di dover procedere in quel labirinto... Si fermò a guardare, esattamente la stessa cosa che stava facendo Claire. A forse tre metri di distanza c'era una parete, un vicolo cieco alla quale era
appesa una lastra con due spazi vuoti ad altezza d'uomo, dai contorni simili alle sagome delle Luger. Steve provò un flusso di adrenalina nelle vene, una sensazione di trionfo. Non aveva nessuna ragione logica per immaginare che avessero appena trovato una strada d'accesso alla residenza privata degli Ashford, ma ne era comunque convinto. E, a quanto pareva, anche Claire. — Penso che ci siamo — disse lei a mezza voce, — ci scommetterei. 8 "Oh, uau" pensò confusamente Claire. — Uau — sussurrò a sua volta Steve e la ragazza gli rispose con un cenno di assenso, sentendosi completamente spaesata mentre penetravano in quel nuovo ambiente. Aveva definito Alfred un serial killer? Be', quella là dentro sembrava la sede di una convention di serial killer. Avevano incrociato un nuovo puzzle dopo che le Luger avevano aperto la porta, un enigma che riguardava delle combinazioni di numeri che bloccavano il passaggio, ma i due giovani l'avevano ignorato completamente... con un po' di spinta, il condotto non era rimasto bloccato a lungo. Nuovamente all'esterno, avevano visto una residenza privata appollaiata su una collinetta come un avvoltoio in agguato sotto la pioggia scrosciante. Era una villa, in realtà, ma assolutamente differente da quella che si erano appena lasciati alle spalle... era molto, molto più antica e oscura, circondata dalle rovine decrepite di quello che un tempo era stato un giardino adorno di sculture. Cherubini di pietra con occhi ciechi e dita spezzate li osservarono mentre si avvicinavano alla casa. Gargoyle dalle ali corrose, schegge di marmo sotto i piedi. "Inquietante, assolutamente... in verità tutto questo va oltre la definizione di inquietante, non appartiene nemmeno alla stessa categoria." Si fermarono nell'atrio, un ambiente buio con alcune candele disposte strategicamente. Nell'aria stagnava un odore di muffa, un sentore stantio simile a polvere e a pergamena sbriciolata. Sul pavimento si estendeva un folto tappeto, almeno a quanto era dato loro di vedere, ma così vecchio che in diversi punti era consunto e lacerato. Era difficile identificare qualsiasi colore al di fuori di una generica sfumatura scura. Di fronte a loro quella che un tempo era stata una grande scalinata saliva sino alle balconate del secondo e del terzo piano. Osservando il corrimano annerito dal tempo e gli scalini scheggiati si potevano scorgere ancora tracce di una sorta di lo-
gora eleganza e lo stesso valeva per la libreria polverosa posta sulla destra e gli sbiaditi dipinti a olio appesi alle pareti cascanti. La parola infestata avrebbe descritto perfettamente quella casa... se non fosse stato per le bambole. Da ogni angolo li osservavano piccoli volti. Bambole cinesi di fragile porcellana, molte delle quali scheggiate o scolorite, vestite per il tè con abiti di taffettà macchiati d'acqua. Bambini di gomma con occhi di plastica roteanti e sporgenti boccucce rosa. Bambole di stracci con strane facce ornate con i bottoni e frammenti di stoffa che spuntavano dalle membra consunte. Ce n'erano pile ammonticchiate alla meglio, delle vere cataste, e persino alcuni bambolotti di pezza senza lineamenti, impalati su piccole aste. Claire non riusciva a distinguere alcun ordine logico nella loro disposizione. Steve la sfiorò indicandole i piani superiori. Per un istante Claire pensò di trovarsi di fronte ad Alexia, appesa alla balconata... ma naturalmente si trattava di un'altra bambola, a grandezza naturale, vestita per quel bizzarro linciaggio con un semplice abito da sera dagli orli fioriti che fluttuavano intorno alle sue snelle caviglie sintetiche. — Forse dovremmo... — cominciò Claire, poi si fermò di colpo, in ascolto. Dalle scale di sopra giunse loro il rumore di qualcuno che parlava, una voce di donna. Sembrava irata, la cadenza delle frasi rapida e dura. Alexia. La voce furiosa fu seguita da una specie di implorazione, un tono lamentoso che Claire riconobbe subito come appartenente ad Alfred. — Andiamo a fare una chiacchierata — sussurrò Steve e, senza attendere risposta, si diresse verso le scale, Claire si affrettò a seguirlo, anche se non era certa che fosse una buona idea; tuttavia non voleva lasciarlo andare da solo. Le bambole li osservarono salire in silenzio, guardandoli con i loro occhi privi di vita, vigili e quiete come erano state per tanti anni. Alfred non si sentiva mai così vicino ad Alexia come quando si trovavano insieme nelle loro camere private, dove avevano riso e giocato da bambini. Anche adesso si sentiva vicino a lei, ma era distrutto dalla sua rabbia e desiderava disperatamente farla di nuovo felice. Era colpa sua, dopotutto, se lei era così contrariata. — ... semplicemente non capisco perché questa Claire e il suo amico si dimostrino avversari così difficili per te — stava dicendo sua sorella e,
malgrado la vergogna, lui non poté impedirsi di continuare a guardarla con occhi adoranti, mentre si muoveva leggiadramente per la stanza con il suo abito di seta. Pur contrariata, la sua gemella possedeva una raffinatezza da mozzare il fiato. — Non ti deluderò di nuovo, Alexia, te lo prometto... — Infatti non lo farai — tagliò corto lei ruvidamente — perché intendo occuparmi io stessa del problema. Alfred era sbalordito. — No! Non devi rischiare, cara, io... non lo permetterò! Alexia lo gelò con lo sguardo per un istante... poi sospirò, scuotendo il capo. Si avvicinò a lui, con un'espressione dolce e piena d'amore. — Ti preoccupi troppo, fratello — disse. — Ricordati, ricordati di affrontare sempre le difficoltà con orgoglio e vigore. Noi siamo Ashford, dopotutto. Noi... La donna sbarrò gli occhi, impallidendo. Si voltò verso la finestra che si affacciava sul corridoio esterno, alzando le dita sottili alla gola. — C'è qualcuno nel corridoio. "No!" Alexia doveva essere tenuta al sicuro. "Nessuno deve toccarla, nessuno!" Era Claire Redfield, naturalmente, finalmente giunta là per portare a termine la sua missione: uccidere la sua amata. Con un frenetico desiderio di proteggere la sorella, Alfred si voltò di scatto, cercando... là, il fucile era appoggiato vicino alla toilette, dove l'aveva lasciato poco prima di aprire il passaggio verso l'attico. Vi si precipitò, avvertendo la propria paura quanto quella di lei, condividendone l'ansia come se fossero stati una sola persona. Alfred si protese per impadronirsi dell'arma... ed esitò, confuso. Alexia aveva insistito per prendere in pugno la situazione personalmente, avrebbe potuto arrabbiarsi se lui avesse interferito... ma se le fosse accaduto qualcosa, se l'avesse persa... Improvvisamente la maniglia della porta vibrò rumorosamente, e in quello stesso momento Alexia si fece avanti, afferrando lei stessa il fucile. Ebbe appena il tempo di sollevarlo prima che il battente si spalancasse con fragore. Era la prima volta, da almeno quindici anni, che il loro sancta sanctorum veniva violato e Alexia rimase così sconvolta da quell'intrusione che non sparò immediatamente, per timore che Alfred rimanesse ferito e spaventata dalla possibilità di morire lei stessa. I due prigionieri erano armati e puntavano direttamente le armi su di lei. Alexia si riprese, rifiutando di lasciarsi terrorizzare da due ragazzini...
che la guardarono con un'espressione strana, mentre le loro facce da paesani esprimevano confusione e sorpresa. Non dovevano essere abituati a trovarsi in presenza di persone di un rango superiore al loro. "Sfrutta questo vantaggio. Prendili di sorpresa." — Signorina Redfield, signor Burnside — disse Alexia, il mento in alto, il tono pieno di dignità come richiedeva il nome degli Ashford. — Infine ci incontriamo. Mio fratello dice che avete causato un bel mucchio di problemi. Claire avanzò verso di lei, abbassando di un pelo la canna della pistola mentre le scrutava il viso. Alexia arretrò involontariamente, provando repulsione per i vestiti sgocciolanti degli intrusi e per il loro modo di comportarsi sfacciato, ma mantenne gli occhi puntati sull'arma di Claire. La ragazza era troppo concentrata nel suo esame e così anche il giovanotto che la seguiva da vicino. Alexia si ritrasse di un altro passo. Era circondata, intrappolata tra la toilette e i piedi del letto, ma ancora una volta ciò poteva rivelarsi vantaggioso. "Quando saranno tratti in inganno pensando che io non sia un pericolo..." — Tu sei Alexia Ashford? — chiese il ragazzo, ammirato o sbalordito, la bocca spalancata. — Sono io. — Non avrebbe potuto sopportare ancora a lungo una tale rudezza, non da un individuo di rango tanto inferiore. Claire assentì lentamente, sempre fissandola negli occhi con arroganza e aria di sfida. — Alexia... dov'è tuo fratello? Alexia si voltò per scoccare uno sguardo ad Alfred... e trasalì quando vide che lui non era più nella stanza. L'aveva lasciata da sola ad affrontare quella gente. "No, non è possibile. Non mi ha mai abbandonato così..." Notò un movimento alla sua destra, ma voltandosi si rese conto che era solo il riflesso in uno specchio e... e... Alfred la stava guardando. La faccia era la sua, labbra dipinte con il rossetto e ciglia allungate, ma i capelli e la giacca erano quelli di lui. Alexia sollevò la mano destra alle labbra, in preda allo shock, e Alfred compì il medesimo gesto, osservandola. Era evidente che anche lui provava lo stesso sbalordimento. Come se fossero una sola persona. Alexia urlò, lasciò cadere il fucile e dimenticò i due intrusi mentre correva scostandoli, senza badare alla possibilità che le sparassero. Corse ver-
so la porta che univa la sua camera a quella del fratello, urlando mentre notava la lunga parrucca bionda sul pavimento, il suo magnifico vestito accartocciato lì vicino. Piangendo attraversò la soglia, un pannello scorrevole, e fuggì nella camera di Alfred. "... la mia camera." Non sapendo bene dove stava andando, inciampò nel corridoio, correndo verso le scale. Era finita, era tutto finito, era andato tutto in rovina, era stata tutta una menzogna. Alexia se n'era andata e non sarebbe tornata mai più e lui aveva... lei era... I gemelli seppero improvvisamente cosa era necessario fare, la risposta sfavillò nelle tenebre turbinanti della loro mente, mostrando loro la via. Raggiunsero le scale e scesero al piano inferiore mentre già una serie di piani andavano formulandosi, mentre realizzavano che era venuto il momento, che adesso sarebbero stati davvero insieme perché, finalmente, era venuto il momento. Ma prima, avrebbero distrutto ogni cosa. — Merda — esclamò Steve e quando si rese conto che non gli veniva in mente altro da dire, ripeté l'imprecazione. — Così Alexia non è mai stata qui — osservò Claire, con la stessa espressione confusa che Steve sospettava di avere sul suo viso. La ragazza avanzò e raccolse la parrucca, scuotendo il capo. — Pensi che sia mai esistita? — Forse da bambina — replicò Steve. — In prigione c'era quell'anziano guardiano che raccontava di averla vista una volta, circa vent'anni fa. Quando Alexander Ashford comandava la baracca. Per alcuni secondi si limitarono a guardarsi in giro per la stanza. Steve ripensò all'espressione di Alfred quando aveva visto se stesso allo specchio. Era stato così patetico, che quasi si era sentito male per lui. "Pensare per tutto questo tempo che sua sorella fosse qui... probabilmente l'unica persona al mondo che non lo considerasse un totale coglione... e poi salta fuori che era tutta un'illusione..." Claire fu scossa da un brivido come se fosse stata improvvisamente colpita da una ventata gelida e tornò alla realtà. — Faremo meglio a cercare quelle chiavi prima che uno dei gemelli torni indietro. La ragazza indicò con un cenno del capo la scaletta alla testa del letto. Portava a una botola squadrata aperta sul soffitto. — Io vado a vedere las-
sù, tu dai un'occhiata qui intorno. Steve assentì e mentre Claire scompariva attraverso l'apertura sul soffitto, cominciò ad aprire i cassetti frugandovi all'interno. — Non crederesti mai cosa c'è qui sopra — gridò Claire dall'alto, nel momento in cui Steve scopriva un cassettone pieno di lingerie di seta, mutandine e reggiseni e un mucchio di altre cose delle quali non poteva neanche cominciare a immaginare la natura. — Anche qui — le rispose, chiedendosi fino a che punto Alfred si fosse spinto per giocare al ruolo di Alexia. Decise di non volerlo realmente sapere. Udì i passi di Claire rimbombare da sopra mentre si avvicinava al tavolo dello spogliatoio e cominciava a passarlo in rassegna alla ricerca delle chiavi. Un sacco di accessori per il trucco, profumi e gioielli, ma nessuna chiave o emblema, neanche una semplice chiave di casa. — Ehi, c'è un'altra scala! — urlò Claire. "Bene" pensò Steve che aveva appena trovato una scatola di articoli di cancelleria con fogli di carta a fiorellini bianchi. Cominciava a preoccuparsi che Alfred potesse tornare e voleva uscire dalla folle camera dedicata alla psicosi per la sorella il più in fretta possibile. C'era un cartoncino bianco in cima alle buste contenute nella scatoletta di articoli di cancelleria. Steve lo raccolse, notando una marcata calligrafia femminile. Carissimo Alfred ... tu sei un coraggioso e brillante soldato, sempre impegnato a combattere per ristabilire la gloriosa posizione del nome degli Ashford. Il mio pensiero è sempre con te, mio amato. Alexia Steve lasciò cadere il messaggio con una smorfia. Era un'idea sua o Alfred aveva creato una relazione seriamente innaturale con la sua sorella immaginaria? "Già, ma non era reale, non potevano fare qualcosa di... fisico." Ancora una volta, Steve decise di non voler sapere... — Steve! Steve, penso di averle trovate! Adesso scendo. Sopraffatto da un'istantanea ondata di speranza e ottimismo Steve sorrise, volgendosi verso la scala; quelle parole erano musica per le sue orecchie. — Davvero? Le gambe tornite di Claire apparvero dalla botola e la sua voce divenne
più chiara. Mentre lei scendeva la scala, il ragazzo riconobbe nella sua risposta la sua stessa eccitazione. — Niente scherzi. Lassù c'era una piccola giostra con sopra un attico che... oh, e devi vedere questa chiave fatta come una libellula... Improvvisamente cominciò a squillare un allarme che echeggiò nella gigantesca magione, rumoroso e insistente. Claire saltò giù dal letto, tenendo in mano tre chiavi e un sottile oggetto di metallo. Si scambiarono uno sguardo di confusa paura e Steve si rese conto che l'allarme si udiva anche all'esterno, il suono profondo e metallico di un annuncio diffuso da un sistema sonoro di scarsa qualità. Sembrava che il messaggio venisse ripetuto in tutta l'isola. Prima che potessero dire una sola parola, una voce calma cominciò a parlare coprendo il lamento delle sirene, una voce fredda e femminile, la voce di un annuncio registrato ripetuto all'infinito. — Il sistema di autodistruzione è stato attivato. Tutto il personale deve evacuare immediatamente l'isola. Il sistema di autodistruzione è stato attivato. Tutto il personale... — Bastardo — sbottò Claire. Steve non poteva che essere d'accordo con lei, e cominciò a insultare silenziosamente quel pomposo demente... ma solo per un paio di secondi. Dovevano arrivare a quell'aereo. — Via — esclamò Steve, raccogliendo il fucile di Alfred. Appoggiò la mano alla schiena di Claire sospingendola verso la soglia. La base di addestramento e il centro di detenzione di Rockfort, il luogo dove Steve aveva pianto la morte di sua madre e perso suo padre, dove l'ultimo discendente degli Ashford era silenziosamente impazzito e gli avversari dell'Umbrella avevano scatenato il principio della fine... stava per andare in mille pezzi e lui non aveva particolarmente voglia di essere in giro quando ciò fosse accaduto. Claire dal canto suo non aveva bisogno di stimoli in merito. Insieme i due giovani attraversarono la porta e cominciarono a correre, lasciandosi alle spalle i tristi resti della fantasia malata di Alfred. Dopo aver attivato la sequenza di autodistruzione presso la residenza comune, Alfred e Alexia corsero alla sala controllo principale, dove la sorella prese il comando della complicata consolle. Intorno a loro cominciarono a lampeggiare decine di luci e il computer iniziò a impartire istruzioni coprendo il fragore delle sirene. Fu una confusione quasi totale, irritante per lei ma certamente terrorizzante per gli assassini.
Alexia aveva un piano di fuga, una chiave per raggiungere la caverna sotterranea dov'erano custoditi gli idrovolanti, ma sapeva che così facendo avrebbe dovuto lasciarsi alle spalle quei due contadinotti. E finché non fosse stata certa che fossero morti, lei e Alfred non avrebbero potuto andarsene. "Oh, moriranno di certo" pensò, sorridendo e sperando che non fossero colti in pieno da una delle esplosioni. Sarebbe stato meglio se fossero rimasti feriti dai detriti scagliati dagli scoppi, se fossero stati costretti a giacere in preda al tormento mentre le loro vite scivolavano via lentamente... o forse i predatori sopravvissuti sull'isola avrebbero potuto dar loro la caccia e li avrebbero uccisi, inghiottendoli con grandi bocconi grondanti di sangue. Alexia accese le telecamere di sorveglianza nella magione comunitaria e nei giardini circostanti, ansiosa di vedere Claire e il suo piccolo cavaliere scappare in preda al panico o urlare di terrore. Invece non vide nessuna delle due cose: la villa era deserta, luci e suoni che annunciavano l'imminente disastro si ripetevano inutilmente, diffondendo l'allarme nei corridoi spogli e nelle camere chiuse. "Forse sono ancora nella nostra casa, troppo spaventati per osare allontanarsi, nella disperata speranza che la distruzione li risparmi se rimangono là"... Naturalmente non sarebbe accaduto, nulla sull'isola si sarebbe salvato... Alexia li vide e sentì tutto il suo buon umore svanire mentre l'odio tornava a ribollire dentro di lei. Lo schermo li mostrava nel molo sottomarino, il ragazzo intento a spingere la ruota del timone. Il cielo cominciava a schiarirsi, mutando sfumatura dal nero al blu scuro, e la pallida luce della luna metteva in evidenza il loro astuto e furtivo piano di fuga. No. Non avevano possibilità. Vero, il velivolo da carico vuoto era ancorato, il ponte sollevato, ma Alfred aveva gettato le chiavi in mare dopo l'attacco aereo. Non poteva credere che avessero avuto la possibilità... "... però sono stati nelle mie stanze private." — No! — strillò Alexia picchiando il pugno sulla consolle, furiosa. Non lo avrebbe permesso, non avrebbe accettato una cosa simile! Li avrebbe uccisi lei stessa, gli avrebbe strappato gli occhi, li avrebbe fatti a pezzi! "C'è il Tyrant" le sussurrò Alfred all'orecchio. L'ira di Alexia si trasformò in passione, in esaltazione persino. Sì! Sì, c'era il Tyrant ancora in condizione di stasi! E quel mostro aveva intelligenza sufficiente per seguire delle istruzioni, sempre che queste fossero
semplici e lo guidassero nella giusta direzione. — Non mi scapperete! — urlò Alexia, ridendo, piroettando su se stessa in preda a una sensazione di gioia e trionfo. Dopo un istante, Alfred si unì a lei, incapace di negare quanto profondamente e magnificamente soddisfacente sarebbe stata la vendetta, mentre il computer cambiava tono e cominciava il conto alla rovescia finale. La corsa verso l'aereo fu un susseguirsi di eventi confusi... una fuga precipitosa dall'orribile casa degli Ashford giù per la collina resa scivolosa dalla pioggia, poi attraverso la magione e lungo scale e scalinate sino a un piccolo molo dove Steve richiamò il sottomarino. A ogni passo di quel percorso, gli allarmi li stimolavano ad andare più in fretta, ricordando loro l'ovvio finale attraverso il ritornello registrato. Nel momento preciso in cui stavano salendo sul piccolo mezzo di trasporto, la monotona voce femminile smise di ripetere il suo annuncio e cominciò a recitare un nuovo messaggio... e benché le parole non fossero esattamente le stesse, Claire ebbe un vivido ricordo di ciò che era accaduto a Raccoon, quando si era trovata su quella piattaforma sotterranea mentre un altro annuncio ripeteva in continuazione che la fine si avvicinava. — La sequenza di autodistruzione è stata attivata. Mancano cinque minuti alla detonazione iniziale. — Be', fantastico — disse Steve. Era la prima cosa che diceva da quando avevano lasciato la residenza privata. E malgrado il timore di non fare in tempo, malgrado la spossatezza e gli orrendi ricordi che sapeva di dover scacciare da lei, la semplice osservazione di Steve la fece ridere. "Certo, fantastico, vero?" Claire cominciò a ridere e benché si imponesse di smettere immediatamente, quasi non ci riuscì. Sembrava che neppure la prospettiva di una morte imminente fosse in grado di fermare le sue risa. L'isteria si era rivelata molto più divertente di quello che si era aspettata... e lo sguardo sul viso di Steve non l'aiutava di certo. Che fosse stata in preda o meno a un attacco isterico, sapeva di doversi muovere. — Andiamo — disse quasi soffocata, facendogli cenno di precederla. Sempre guardandola come se avesse perso il senno, Steve l'afferrò per un braccio e la tirò dietro di sé. Dopo alcuni passi claudicanti - e rendendosi infine conto che se avesse continuato a ridere avrebbero potuto ammazzarsi entrambi - Claire si riprese.
— Sto bene — disse, con un respiro profondo, e Steve la lasciò andare, con un'espressione di sollievo sul viso pallido. Scesero di corsa lungo una scaletta e poi in una specie di tunnel sommerso. Quando raggiunsero la porta alla sua estremità, il computer li informò che era trascorso un altro minuto e che ne restavano solo quattro. Se ci fosse mai stata qualche possibilità che Claire riprendesse a ridere, quell'annuncio la bloccò sul nascere. Steve spalancò la porta e cominciò a correre verso sinistra. I due giovani scavalcarono con pochi balzi un trio di cadaveri, tutti portatori di virus, tutti con le uniformi dell'Umbrella. Claire pensò improvvisamente a Rodrigo, e il suo cuore saltò un battito. Sperava che, dovunque si trovasse in quel momento, fosse al sicuro, o che almeno fosse riuscito ad arrivare a distanza sufficiente dal campo... ma non poteva ingannare se stessa sulle sue reali possibilità. Silenziosamente gli augurò buona fortuna poi allontanò il pensiero, seguendo Steve attraverso un'altra porta. La loro fuga terminò in un'enorme caverna scura con infissi metallici, un hangar per idrovolanti, e la loro speranza di salvezza apparve là, proprio di fronte a loro... un piccolo idrovolante da trasporto che galleggiava sotto la piattaforma metallica sulla quale erano approdati. Non molto distante sulla destra, la luce azzurra che precedeva l'alba delimitava l'enorme ingresso che si apriva sul mare. — Da quella parte — esclamò Steve e la sospinse verso un piccolo montacarichi al limitare della piattaforma, dotato di una colonnina di controllo. Claire lo raggiunse, traendo le tre chiavi a emblema dalla giberna. — La sequenza di autodistruzione è stata attivata. Mancano tre minuti alla detonazione iniziale. Sulla tastiera di controllo c'era un pannello nel quale erano inseriti tre spazi esagonali. Insieme, i due giovani inserirono tutti e tre gli emblemi al loro posto. "Oh, Dio, ti prego, ti prego, ti prego..." Si udì uno scatto chiaramente distinguibile... e gli interruttori del pannello si accesero, mentre un profondo ronzio proveniva dal corpo principale del macchinario. Steve rise e Claire si rese conto di aver trattenuto il respiro solo quando fu nuovamente in grado di respirare ancora. — Forza — disse il ragazzo, e fece passare la mano sul pannello, premendo tutti gli interruttori. Con un piccolo sussulto, il montacarichi cominciò ad abbassarsi e il portello semicircolare dell'idrovolante si aprì, in modo da creare una passerel-
la d'ingresso. Claire aveva l'impressione che tutto si svolgesse al rallentatore, in uno stato irreale, mentre il montacarichi toccava la base degli scalini fermandosi nuovamente con un sobbalzo. Era difficile convincersi che alla fine stesse accadendo davvero, che stavano realmente per lasciare la maledetta isola dell'Umbrella. "Al diavolo quello che è credibile, vai e basta!" Salirono a bordo. Steve corse avanti per completare i preparativi del volo mentre Claire rapidamente controllava il resto dell'apparecchio... la maggior parte del velivolo era costituita da un'ampia zona di carico, divisa dalla cabina di comando da un portello di metallo insonorizzato. Non c'erano generi di conforto a parte un ripostiglio con un giubbotto salvagente dietro il posto del pilota, ma c'era una cambusa in fondo alla cabina di comando che conteneva due taniche d'acqua, con grande sollievo di Claire. Anche se arrivava attutito, erano ancora in grado di udire l'allarme registrato che echeggiava nell'hangar mentre Steve trovava i controlli del portello. Questo si sollevò chiudendoli ermeticamente nel momento in cui il conto alla rovescia arrivava a due minuti. Claire si affrettò al suo fianco, con il cuore che realmente cominciava a batterle forte nel petto, due minuti erano un tempo infinitamente breve. Avrebbe voluto essere d'aiuto, chiedere cosa poteva fare, ma Steve era totalmente concentrato sul pannello degli strumenti. Ricordava che il ragazzo aveva accennato di essere un po' arrugginito come pilota, ma visto che lei non era assolutamente in grado di guidare un aereo, non era il caso di intervenire. I secondi scorrevano ticchettando e Claire fu costretta a imporsi di non balbettare nervosamente, di non far nulla che potesse distrailo. I motori del velivolo iniziavano a rombare producendo un fragore che diventava sempre più regolare e potente. I nervi di Claire si stavano tendendo per affrontare... quando l'orribile voce femminile parlò di nuovo, la ragazza si scoprì con le mani avvinghiate al sedile di Steve, le nocche sbiancate. — Manca un minuto alla detonazione iniziale. 59... 58... 57... "E se è troppo complicato? E se non ce la fa?" pensò Claire, quasi certa che sarebbe morta nell'esplosione. — 44... 43... Steve si rizzò di colpo sul sedile stringendo quello che sembrava il comando del cambio nella destra e spingendolo in avanti prima di porre entrambe le mani sulla cloche. Il fragore dei motori aumentò d'intensità e lentamente, molto lentamente, l'idrovolante cominciò a muoversi.
— Sei pronta? — chiese il ragazzo con una sfumatura felice nella voce, e Claire quasi crollò per il sollievo, le ginocchia tremanti. — 30... 29... 28... L'aereo si mosse in avanti lentamente sotto un basso ponte di metallo, abbastanza vicino alla soglia da permettere alla ragazza di vedere le onde che si frangevano contro le porte di metallo. Sopra di loro si udì un tonfo sordo, come se avessero sfiorato il ponte con il tetto del velivolo, tuttavia continuarono a muoversi, adagio ma con regolarità. — 17... 16... Mentre Steve virava dirigendosi verso il mare aperto, il conto alla rovescia arrivò al dieci... poi fu troppo lontano per poter essere udito. I motori raggiunsero un fragore impossibile e il mezzo acquistò velocità, finché la dolce corsa si trasformò in una serie di sobbalzi. Cominciarono a cavalcare sulle onde. Adesso in cielo c'era luce sufficiente perché Claire fosse in grado di vedere la costa dell'isola alla loro destra, irta di scogli traditori. La maggior parte di Rockfort Island era cinta da basse formazioni rocciose che spuntavano dalle acque come mura di una fortezza rozzamente scolpite. Un istante prima che Steve cominciasse a tirare verso di sé la cloche per sollevare l'aereo e allontanarsi, Claire vide le prime esplosioni, poi fu raggiunta dal loro fragore... una serie di profonde, tonanti deflagrazioni che in poco tempo si fecero lontane, scomparendo mentre Steve sollevava dolcemente l'aereo. Quando ormai il velivolo si librava verso l'alto, giganteschi pilastri di fumo nero si alzarono nell'alba appena spuntata, proiettando ombre sul campo distrutto. Il fuoco si stava allargando in ogni dove, e benché Claire non conoscesse l'esatta planimetria di quello che vedeva, le sembrò di scorgere la dimora degli Ashford avvolta dalle fiamme, un'immensa luce arancione che saliva dai resti della villa. C'erano ancora delle strutture in piedi, ma improvvisamente gran parte di esse andò perduta, trasformata in polvere e detriti. La ragazza trasse un profondo respiro e poi lo lasciò esalare lentamente, mentre i muscoli contratti cominciavano a rilassarsi. Era finita. Un'altra base dell'Umbrella era stata distrutta, per colpa di quei pazzi che continuavano a violare l'integrità della scienza, con la loro assoluta mancanza di moralità. Sperava che l'anima torturata e contorta di Alfred Ashlord avesse finalmente trovato una sorta di pace... o qualsiasi altra cosa meritasse realmente.
— Quindi, dove andiamo? — chiese Steve con disinvoltura. Sottratta alle sue elucubrazioni, Claire distolse gli occhi dal finestrino laterale, sorridendo, pronta a baciare il pilota. Steve ne intercettò lo sguardo cogliendo il suo pensiero e sorrise a sua volta... e mentre si guardavano negli occhi, per diversi secondi, Claire pensò per la prima volta che Steve non era solo un ragazzino. Nessun ragazzino l'avrebbe guardata nel modo in cui lui la stava guardando adesso... e malgrado la sua ferma decisione di non incoraggiarlo, non distolse gli occhi. Era un bel ragazzo, questo era certo, ma lei aveva trascorso la maggior parte delle ultime dodici ore considerandolo una sorta di fratello minore sbruffone... e non era una cosa su cui si potesse passare sopra facilmente, benché desiderasse farlo. D'altro canto, dopo tutto ciò che avevano passato insieme, si sentiva molto vicina a lui, legata da un solido affetto che sembrava perfettamente naturale e... Claire distolse gli occhi per prima, guardando altrove. Erano salvi e liberi da appena un minuto e mezzo, lei voleva assaporare quella condizione ancora per un po' prima di prendere qualsiasi altra decisione. Steve riportò la sua attenzione ai comandi, con un'aria un po' imbarazzata, quando udirono un altro colpo sul tetto, com'era avvenuto nell'hangar. — Cos'è? — domandò Claire, alzando lo sguardo come se si aspettasse davvero di vedere qualcosa attraverso il metallo. — Non ne ho idea — replicò Steve corrugando la fronte. — Sopra non c'è nulla, per cui... Cruunch! L'aereo sembrò sobbalzare nell'aria e Steve si affrettò a compensare mentre Claire istintivamente guardava alle loro spalle. Il fragore veniva dalla stiva. — Si è aperto il portello di carico — disse il ragazzo, picchiando il dito sulla piccola luce che lampeggiava sulla consolle e premendo un altro pulsante. — Non riesco a chiuderlo. — Controllo io — propose Claire e, di fronte all'espressione poco convinta di lui, sorrise. — Tu pensa solo a tenere quest'affare in volo, okay? Ti prometto di non saltare di sotto. Si voltò verso la stiva e, non appena Steve distolse gli occhi, s'impadronì senza darlo a vedere del fucile appeso dietro il sedile del copilota, l'arma che Alfred aveva perso. Aveva ancora con sé la semiautomatica, ma il mirino al laser di cui il fucile era dotato le avrebbe permesso di mirare con maggior precisione... e poiché non voleva riempire l'aereo di buchi, il cali-
bro 22 era la scelta migliore. Sull'isola c'erano stati un paio di mostri, e forse se n'erano portato dietro qualcuno, ma Claire non voleva che Steve si preoccupasse, o venisse coinvolto nell'eventuale scontro. Per la salvezza di entrambi lui si doveva concentrare sui comandi. "Qualunque cosa sia, devo occuparmene io" pensò cupamente, protendendosi per afferrare la maniglia del portello. In realtà, probabilmente la sua era una reazione esagerata di fronte a un'avaria di scarsa importanza, un pannello del tetto che si era allentato o un cardine rotto. Aprì il portello e saltò dentro la stiva, chiudendoselo dietro prima che Steve potesse udire il rumore. Alla faccia della piccola avaria... L'intera parte posteriore della stiva era andata, il portello di carico era stato strappato via e, attraverso il foro, era possibile vedere sfrecciare cielo e nuvole a un'incredibile velocità. Confusa, Claire fece un passo avanti e vide qual era il problema. "Mr X" pensò in preda a un panico selvaggio ricordando la cosa mostruosa che aveva visto a Raccoon, l'implacabile inseguitore con il lungo pastrano nero. Ma la gigantesca creatura che avanzava barcollando lungo il condotto idraulico era diversa. Aveva un aspetto umanoide, una specie di gigante glabro come il mostro chiamato X; anche la pelle era simile, di una sfumatura grigio scuro quasi metallica, ma era più alto e muscoloso, con la struttura di un sollevatore di pesi di due metri, le spalle incredibilmente larghe, l'addome intrecciato di fasci muscolari. Era privo di sesso, con una semplice protuberanza arrotondata al posto dell'inguine, e le mani non erano umane, bensì molto più letali. Il pugno sinistro era una mazza dotata di punte metalliche, più grande dell'intera testa, la mano destra un ibrido di carne e lame ricurve, due delle quali erano lunghe almeno trenta centimetri. "E non ha neppure il pastrano" pensò distrattamente, mentre il mostro volgeva i suoi occhi vitrei per osservarla un istante prima di gettare indietro la testa ed emettere un ruggito, un esplosivo ululato che esprimeva sete di sangue e rabbia. In preda al terrore ma determinata a reagire, Claire sollevò la sua arma che, improvvisamente, le sembrava patetica mentre la creatura stava per lanciarsi su di lei e diresse il puntolino rosso sul suo occhio destro incolore. Premette il grilletto... ... e udì lo scatto secco della camera di sparo vuota, assordante anche tra i venti furiosi che spazzavano l'aereo semidistrutto.
9 Non esisteva un'imprecazione abbastanza forte per esprimere la sua contrarietà. Claire lasciò istantaneamente cadere l'arma inutile e cominciò a correre, sgusciando sulla destra per evitare di finire intrappolata in un angolo, incapace di credere alla propria stupidità: come aveva potuto dimenticare di controllare quel dannato fucile? Vicino alla parete adiacente alla cabina di comando erano ammassate sei o sette casse, ma non riusciva a individuare nessun punto dove trovare riparo. Non c'èra scampo da nessuna parte, quella cosa l'avrebbe inchiodata. "Vai, vai, vai!" Mentre scivolava lungo la parete destra e la gigantesca creatura si voltava lentamente per seguirla, Claire strappò la semiautomatica dalla cintura e levò la sicura a tentoni, per paura di distogliere gli occhi dal mostro. Questo si trascinò verso di lei sulle gambe grosse come tronchi d'albero, sempre più spaventosamente concentrato sulla sua preda a ogni passo che compiva. La stiva di carico non era poi così vasta, doveva essere circa lunga dieci metri e larga quattro. Sin troppo rapidamente Claire raggiunse la coda del velivolo, e l'aria gelida improvvisamente cominciò a trascinarla verso l'esterno, risucchiandola tra le nuvole. China sulle ginocchia, mentre tentava disperatamente di non pensare a un eventuale passo falso, Claire schizzò attraverso lo spazio aperto e raggiunse la parete opposta, afferrandosi con dita tremanti a un bordo di metallo contorto. La creatura si trovava ancora a quasi sei metri di distanza. Claire si tenne salda al suo appiglio, aspettando che il mostro si avvicinasse per scappare di nuovo. Almeno era lento, ma era arrivata alla conclusione di non poter semplicemente continuare a fuggire in cerchio. Osservò meglio la creatura, e ciò che apparve di fronte ai suoi occhi un istante dopo le sembrò frutto di un'illusione ottica. Il mostro chinò appena il capo argentato e improvvisamente si trovò a soli tre metri da lei, divorando la distanza in una frazione di secondo. Abbassò quindi il braccio destro fendendo l'aria con un sibilo fragoroso mentre le lame scintillavano. Claire non si fermò a pensare. Si mosse, il cuore in gola, le azioni che compiva confuse persino per lei. Per un istante fu solo un corpo che si abbassava e scattava, poi si ritrovò dall'altra parte dell'aereo, sopra le casse ammonticchiate, a guardare la creatura che si voltava lentamente, molto lentamente.
"Oh, merda!" L'aereo sarebbe sopravvissuto a qualche foro. Aprì il fuoco e spedì otto proiettili da 9mm in una rosa serrata di fori nel petto del mostro, tutti i colpi andarono a segno. Vide dei buchi orlati di nero aprirsi vicino al punto in cui la bestia avrebbe avuto il cuore se fosse stata umana: non ne schizzò fuori sangue ma una materia umida e appiccicosa, e il tessuto scuro esposto dalle ferite formò protuberanze spugnose intorno alle lacerazioni. La creatura si fermò di botto, ma un paio di secondi dopo riprese la sua avanzata, un lento passo dopo l'altro, sempre concentrata sul bersaglio. Una staffilata di panico colpì Claire. "Devo uscire di qui o mi ucciderà. Devo cercare Steve, un'altra arma forse..." No, non poteva e non le sarebbe servito comunque, avrebbe solo peggiorato le cose. Mr X era stato programmato per un unico scopo, per ottenere un campione di virus. Sospettava, invece, che quel mostro fosse stato programmato specificatamente per dare la caccia a lei, perciò se lei avesse lasciato la presa, la creatura avrebbe fatto a pezzi il portello, poi avrebbe ucciso lei e Steve. Almeno in questo modo, lui avrebbe avuto una possibilità. E la 9mm era l'arma più potente che avessero a bordo... se il mostro poteva sopravvivere a otto colpi al petto, disporre di un'altra arma non avrebbe fatto alcuna differenza. "Prova a ucciderlo con un colpo alla testa, come hai fatto con il mostro con un braccio solo." Poteva tentare, ma aveva la sensazione che una creatura che non sanguinava, probabilmente, non sarebbe nemmeno rimasta accecata. I suoi occhi avevano uno strano aspetto, forse non servivano neppure per vedere... oltre a questo si trovavano su un aereo in movimento, scosso continuamente da tremiti e beccheggi; senza un mirino telescopico come poteva sperare di individuare il bersaglio, o addirittura centrarlo davvero? Tutti questi ragionamenti le passarono per la testa in un secondo, poi si ritrovò di nuovo in movimento, diretta alla coda dell'aereo un'altra volta. Aveva paura di correre, ma era anche troppo spaventata per restare ferma. Si chiese quanto tempo avesse ancora a disposizione prima che la creatura si avventasse di nuovo verso di lei e come avrebbe potuto reagire in quel momento... La bestia abbassò il capo come aveva tatto in precedenza e, nuovamente, il corpo di Claire reagì. In testa le si stava formulando un'idea. Si diede slancio contro la parete e corse verso il mostro, angolando la sua traiettoria. "Se non funziona sono morta..."
Avvertì il gelo della sua strana pelle mentre la creatura schizzava oltre la sua posizione, così vicina che Claire fu persino in grado di sentirne il lezzo di carne in decomposizione... poi si ritrovarono alle estremità opposte dello spazio aperto. Il mostro si stava voltando con lentezza. Aveva funzionato, ma solo per un soffio. Se fossero stati un centimetro più vicini, se lei avesse corso appena un po' più lentamente, sarebbe di certo finita male. Le armi erano inutili e logicamente lei non poteva gettarsi di sotto, per cui era la creatura a doversene andare, ma come? La corrente d'aria vicino alla coda aperta sul vuoto era potente, ma se lei fosse riuscita a passarci sotto e superarla, sicuramente avrebbe trascinato via quella pesantissima mostruosità... avrebbe dovuto farle perdere l'equilibrio, forse attirarla verso l'apertura e farla inciampare in qualche modo, però lei non era forte a sufficienza per poterla spingere... "Pensa, dannazione!" Il mostro aveva ripreso ad avanzare verso di lei. Un passo, due. Claire distolse lo sguardo per il tempo necessario a scandagliare il pavimento vicino all'apertura, alla ricerca di qualcosa su cui quell'orrore avrebbe potuto inciampare, forse la corsia idraulica... La corsia idraulica. Serviva per spingere carichi pesanti verso la coda dell'aereo e scaricarli. In realtà, due delle casse vuote erano appoggiate sulla piattaforma di metallo che si trovava in fondo alla corsia. A pochi passi dal portello che immetteva nella cabina di comando. I controlli erano posti sulla parete opposta della stiva, proprio di fronte al portello. "Troppo lento, non c'è possibilità." Però il meccanismo era lento perché trasportava carichi pesanti; se ci fossero stati solo un paio di container vuoti sulla piattaforma, quanto rapidamente si sarebbe mossa? Doveva raggiungere i comandi, doveva vedere... Avvertì un movimento confuso, quindi la mazza ferrata arrivò verso di lei, diretta alla sua tempia. Claire balzò in avanti e d'istinto si spostò lateralmente, tuttavia non fu sufficientemente veloce. Le punte non la raggiunsero, ma il potente avambraccio riuscì ugualmente a urtarla, picchiando dolorosamente contro il suo orecchio e mandandola a gambe levate. Istantaneamente la creatura si rannicchiò e abbassò il braccio destro, ma Claire era già in movimento, e rotolò via nell'attimo preciso in cui toccò il pavimento. La mano dotata di lame picchiò sul ponte liberando un getto di scintille; la creatura ululò di rabbia mentre Claire scattava nuovamente in piedi, cercando di non far caso al pulsante dolore all'orecchio o ai puntolini neri che sciamavano al limitare del suo campo visivo. Invece corse ai con-
trolli della corsia idraulica, mentre la creatura si alzava in piedi, spostandosi nuovamente con gesti meccanici, priva di emozioni quanto qualche istante prima era stata piena di rabbia. Pochi passi di corsa e Claire si ritrovò a fissare un semplice pannello di controllo composto da un interruttore di energia, una tastiera attraverso cui inserire il peso approssimativo del carico, i pulsanti per regolare il movimento avanti e indietro, un piccolo schermo e un comando di arresto di emergenza. Claire premette l'interruttore di accensione, regolando il peso al massimo, appena sotto le tre tonnellate. Scoccò uno sguardo alla creatura, che si trovava ancora a distanza di sicurezza, e vide che era posizionata solo a un paio di passi dalla traiettoria diretta che avrebbe preso la piattaforma. La mano della ragazza rimase sospesa sopra il pulsante blu che avrebbe messo in moto il meccanismo facendo partire la piattaforma lungo la stiva a incredibile velocità. Con un carico costituito solo da un paio di casse vuote invece delle tre tonnellate previste, avrebbe frantumato la creatura come se fosse stata una lastra di vetro. "Quasi... quasi ci siamo... adesso!" Quando il mostro si trovò direttamente sulla corsia, Claire premette il tasto... ma non accadde nulla. Proprio nulla! "Merda!" Nuovamente Claire premette disperata l'interruttore di accensione: forse non lo aveva azionato correttamente. A quel punto lesse ciò che appariva sul piccolo schermo di controllo lasciando sfuggire un gemito sonoro. La semplice istruzione diceva: "Caricato il peso, aspettate il segnale". La creatura si trovava ancora a circa sei metri di distanza e procedeva praticamente seguendo la corsia idraulica. Claire non avrebbe potuto avere un'occasione migliore, perché se avesse ricevuto un altro colpo quasi certamente sarebbe morta... tuttavia se fosse rimasta dov'era e il mostro l'avesse raggiunta prima che la piattaforma fosse pronta all'impiego, sarebbe rimasta intrappolata tra la parete e le casse. "Meglio scappare. No, meglio star fermi." Claire esitò un istante di troppo e la creatura si mise nuovamente in moto. Scivolò verso di lei come un tornado e di colpo fu troppo tardi. La ragazza non aveva neppure il tempo di girarsi e scappare nella cabina di comando. Ping! La bestia abbassò la mazza ferrata nell'istante stesso in cui Claire pre-
meva con violenza l'interruttore, gli occhi stretti a fessura, sicura che il mondo sarebbe scomparso in una tempesta di dolore... La creatura schizzò lontano da lei, ruggendo, travolta dalle casse vuote, spinta verso la coda dell'aereo. Prima ancora che Claire potesse cominciare ad accettare l'idea che il suo piano aveva funzionato, il mostro si servì di uno dei suoi incredibili scatti di velocità e balzò oltre le casse che gli rovinavano addosso quel tanto che bastava per ottenere un punto di appoggio e spingere nella direzione opposta. Claire non aspettò di vedere quale delle due forze fosse superiore. Aprì il fuoco nuovamente: due, tre, proiettili colpirono il capo del mostro, rimbalzando senza produrre alcun danno sul suo cranio corazzato... ma distraendolo comunque. La creatura lottò per un altro mezzo secondo poi lei e le casse scomparvero, scagliate nel cielo ancora scuro. Claire rimase a fissare il flusso d'aria per qualche istante, convinta che avrebbe dovuto sentirsi svenire per il sollievo... che aveva ucciso il mostro ed era sopravvissuta a un altro disastro provocato dall'Umbrella. E che erano finalmente, finalmente, in salvo, ma si sentiva semplicemente troppo esausta, e ogni emozione era volata via attraverso la coda dell'aereo con il fratello maggiore di Mr X. — Dio mio, ti prego, fa che sia finita — disse a mezza voce, poi si voltò e aprì la porta per tornare nella cabina di comando. Mentre compiva i due passi necessari per avvicinarsi all'area riservata al pilota, Steve le rivolse un'occhiata, preoccupato. — Cos'è successo? Va tutto bene? Claire assentì, lasciandosi cadere sul sedile accanto al giovane, completamente esausta. — Sì. Un altro punto per i buoni. Oh, il portello della stiva è andato. — Vuoi scherzare? — chiese il ragazzo. — Assolutamente no — disse Claire, lasciandosi sfuggire un grosso sbadiglio, improvvisamente sopraffatta dalla fatica. — Ehi, chiuderò gli occhi per un istante. Se mi addormento, svegliami tra cinque minuti, okay? — Sicuro — disse Steve con un'aria ancora confusa. — Hai detto che il portello è andato? Claire non gli rispose, mentre già l'oscurità si sollevava intorno a lei per calmarla, e il suo corpo sembrava fondersi con il sedile. Poi Steve la scosse, ripetendo più volte il suo nome. — Claire! Claire! — Sì? — borbottò lei, sicura di non aver dormito e chiedendosi perché il
ragazzo dovesse torturarla a quel modo... poi notò la sua espressione e si destò provando un brivido allarmato. — Cosa? Cosa c'è? — chiese, mettendosi ritta a sedere. Steve sembrava davvero preoccupato. — Circa un minuto fa abbiamo cambiato direzione e i controlli si sono improvvisamente bloccati — rispose. — Non so di cosa si tratti, ed eccetto la radio tutto il resto funziona normalmente. .. solo che non posso virare o cambiare altitudine o velocità. È come se i comandi fossero passati sull'automatico e non fosse possibile tornare al manuale. Prima che Claire potesse dire una sola parola, un gracchiare di energia statica provenne dal piccolo monitor montato sul soffitto della cabina di pilotaggio, quello che Claire aveva notato precedentemente. Sullo schermo sfavillò a intermittenza una serie di linee distorte, ma quando l'immagine apparve sullo schermo, fu abbastanza chiara. "Alfred!" Sembrava che anche lui stesse volando, assicurato al sedile di comando di un aereo a due posti, o qualcosa del genere. Aveva ancora delle macchie di trucco sul viso, gli occhi orlati di nero, e quando parlò, lo fece con la voce di Alexia. — Le mie scuse — disse con una vocetta affettata — ma non potevo lasciarvi fuggire proprio adesso. Sembra che siate riusciti a eludere un altro dei miei cuccioli... cattivi, cattivi... — Brutto mostro travestito — sbottò Steve, ma Alfred non lo udì, o non fece caso all'insulto. — Buon viaggio — disse con una risatina, e, dopo un'ultima scarica di energia statica, lo schermo si spense. Claire guardò il ragazzo che le restituì un'occhiata inespressiva. Poi entrambi rivolsero la loro attenzione all'esterno, verso il mare di nuvole, osservando silenziosamente i primi raggi di sole che lo attraversavano. Steve stava sognando suo padre quando si destò di soprassalto, spaventato, senza sapersene spiegare la ragione. Mentre ricordava dov'era, il sogno scivolò via. Claire emise un suono basso, assonnato e gutturale e si accoccolò più vicina a lui, posandogli la testa sulla spalla, il respiro caldo contro il suo petto. "Oh" pensò Steve, timoroso persino di muoversi per non svegliarla. Erano crollati per il sonno, uno accanto all'altra, addossati alla paratia della cabina di pilotaggio e, a quanto sembrava, a un certo punto si erano invo-
lontariamente avvicinati. Lui non aveva idea di che ora fosse né di quanto tempo avessero dormito, ma erano ancora in volo e una soffusa luce solare filtrava dai finestrini. Avevano discusso per un po' dopo che Alfred aveva preso il controllo del velivolo, ma non di quello che avrebbero fatto al termine di quel volo dirottato. Claire aveva fatto notare che, poiché non c'era nulla che potessero fare, non c'era ragione di preoccuparsi. Così avevano mangiato qualcosa, Claire aveva agguantato alcuni pacchetti di noccioline da un distributore, e avevano fatto del loro meglio per mandar giù quel misero pasto con una bottiglietta d'acqua, infine avevano parlato. Parlato davvero. Lei gli aveva raccontato di essere andata a Raccoon City per cercare Chris, riassumendogli tutto quello che vi era accaduto e quello che sapeva sull'Umbrella e Trent, la spia... inoltre gli aveva confidato un sacco di altre cose. Che andava al college, e che aveva due anni più di lui, che amava andare in motocicletta anche se probabilmente avrebbe smesso perché era troppo pericoloso. Le piaceva ballare, amava la disco music, ma anche il grunge e riteneva che la politica, nella maggior parte dei casi, fosse una faccenda noiosa, inoltre gli aveva confidato che i cheeseburger erano il suo cibo preferito. Era una ragazza totalmente, incredibilmente tosta, la più tosta che avesse mai incontrato... e, ancor meglio, si era mostrata interessata a ciò che lui aveva da raccontare. Aveva riso delle sue battute, aveva apprezzato il fatto che lui praticasse il jogging e quando le aveva parlato dei suoi genitori, aveva ascoltato senza forzarlo. "Ed è così intelligente, e bella..." Abbassò lo sguardo su di lei, osservandone i capelli scompigliati e le lunghe ciglia e scoprì che gli batteva forte il cuore anche se cercava di rilassarsi. Claire si spostò nuovamente, muovendosi nel sonno e inclinando un po' la testa... e le sue labbra appena socchiuse si trovarono improvvisamente così vicine che Steve avrebbe avuto l'opportunità di baciarla. Non avrebbe dovuto far altro che abbassare il viso di pochi centimetri... lo desiderava a tal punto che fece davvero per compiere quel gesto, avvicinando la bocca a quella di lei... — Mmmm — mormorò la ragazza, ancora completamente addormentata. Steve si fermò, ritraendosi, con il cuore che batteva ancor più furiosamente. Lo desiderava moltissimo, eppure non voleva che accadesse a quel modo; non l'avrebbe baciata a meno che lei non lo avesse voluto. Lui pensava che anche lei lo desiderasse, ma gli aveva parlato di quel suo amico, Leon, e non era certo che fossero semplicemente amici.
Per lui era una tortura averla così vicina ma non sua. Steve si sentì sollevato quando la ragazza si scostò da lui qualche istante dopo. Si alzò in piedi, sgranchendosi le gambe irrigidite, e si avvicinò alla sezione anteriore del velivolo, chiedendosi se il carburante fosse già arrivato in riserva, mentre l'idea di dover affrontare ancora una volta quel pazzo bastardo di Ashford cancellava l'ultimo residuo di positività dai suoi pensieri. Sperava che Claire avrebbe dormito ancora un po', era così stanca... ... poi guardò fuori e ricavò la rotta che stavano seguendo, realizzando che l'altitudine si era considerevolmente abbassata. L'aereo stava cominciando a beccheggiare, sobbalzava, e non c'era da meravigliarsene. Sul lettore della mappa vicino alla bussola apparve un calcolo approssimativo della latitudine e della longitudine della loro posizione. — Claire! Svegliati! Vieni a vedere qui. Pochi secondi dopo la ragazza era al suo fianco, massaggiandosi gli occhi... che spalancò quando guardò fuori dalla finestra. Stava infuriando una tempesta di neve e ghiaccio, estesa sino a dove arrivava la vista. — Siamo sull'Antartico — disse Steve. — Al polo Sud? — chiese Claire, incredula. Mentre il velivolo veniva scosso da una paurosa vibrazione si afferrò al sedile del pilota. — La dimora di pinguini e orche, vero? — Non so nulla della fauna, ma ci troviamo a 82 gradi e 17 primi di latitudine Sud — osservò Steve. — Decisamente nel culo del mondo. E non ne sono sicuro, ma direi che stiamo per atterrare. In ogni caso, stiamo rallentando. Forse il piano di Alfred era di scaricarli nel mezzo del nulla e di farli morire congelati. Non era una morte rapida, ma certamente avrebbe funzionato. Steve desiderò avere tra le mani quel tipo anche solo per un attimo, solo uno. Non era un gran combattente, ma Alfred si sarebbe sciolto come panna. — Dobbiamo essere diretti là — osservò Claire, indicando un punto sulla destra e Steve strizzò gli occhi, appena capace di distinguere qualcosa attraverso la tempesta di neve. Poi vide altri aerei e i lunghi bassi edifici che la sua amica aveva notato, a pochi minuti di distanza da loro. — Pensi che sia una stazione dell'Umbrella? — domandò Steve, conoscendo la risposta ancor prima che lei gli rivolgesse un cenno affermativo. E dove altro potevano essere finiti? L'aereo continuò a scendere, portandoli verso la destinazione voluta da Alfred, ma Steve in verità ne fu un po' sollevato. Scontrarsi nuovamente
con l'Umbrella, ovviamente, era una seccatura, ma almeno al comando dell'installazione ci sarebbe stato qualcun altro e non tutti gli impiegati di quella società erano fuori di testa quanto Alfred. Non riusciva neppure a immaginare che la persona che comandava laggiù fosse agli ordini di quell'individuo. Forse lui e Claire avrebbero potuto trovare qualcuno con cui trattare, o magari cercare di corromperlo... Si stavano avvicinando per un primo passaggio, e il volo stava diventando agitato, le ali probabilmente coperte di ghiaccio... quando Steve si rese conto che erano troppo bassi e troppo veloci. Il carrello di atterraggio a un certo punto era sceso, ma era impossibile che potessero toccare terra normalmente con quella velocità e quell'altitudine. — Portalo più su... portalo più su — sussurrò Steve osservando gli edifici che si ingrandivano troppo rapidamente e avvertendo brividi di sudore in tutto il corpo. Scivolò sul sedile del pilota, afferrò la cloche e tirò indietro... ma non accadde nulla. "Oh, ragazzi." — Allaccia la cintura, andiamo a sbattere! — urlò Steve, affrettandosi a sua volta a stringere la propria cinghia mentre Claire saltava sul suo sedile e faceva scattare la fibbia nell'attimo in cui toccavano terra... Gli allarmi cominciarono a squillare, i carrelli di atterraggio si accartocciarono schizzando via e il ventre dell'aereo urtò rudemente sul terreno. La cabina fu scossa selvaggiamente e solo le cinture di sicurezza impedirono ai due giovani di essere scaraventati contro il tetto. Claire si lasciò sfuggire uno strillo mentre un'ondata di neve s'infrangeva sul parabrezza e, con un rumore assordante, la coda e un'ala venivano strappati dietro di loro. Poi dal lunotto fu spazzata via una quantità sufficiente di neve vorticante da permettere loro di vedere l'edificio contro il quale si stava dirigendo l'aereo fuori controllo. Da qualche parte si levava del fumo, stavano per andare a sbattere e... 10 Claire aveva di nuovo male alla testa. Qualcosa stava andando a fuoco, poteva sentire l'odore del fumo e, inoltre, aveva un freddo incredibile. Improvvisamente ricordò cos'era accaduto... la neve, l'edificio, lo schianto. Alfred. Aprì gli occhi e sollevò la testa, un gesto che le risultò goffo e difficile perché era ancora assicurata al sedile ora inclinato in avanti con un angolo di 45 gradi... e vicino a lei, sulla
sua poltroncina c'era Steve, immobile. — Steve! Steve, svegliati! Il ragazzo grugnì e borbottò qualcosa, e Claire cominciò a respirare con maggior facilità. Dopo alcuni tentativi fu in grado di sganciare la cintura di sicurezza e di scivolare in posizione accucciata, i piedi appoggiati su quello che era stato il pannello di controllo. Non riusciva a vedere granché oltre al lunotto nell'angolazione in cui si trovavano, ma sembrava che fossero finiti all'interno di un edificio di grandi dimensioni. Davanti a loro, a quindici o venti metri di distanza c'era un binario di smistamento grigio e attraverso il foro aperto sul fianco dell'aereo poteva vedere un tratto di passerella con una ringhiera forse due o tre metri più in basso. "Dov'è la gente che abita in questo posto? Dove sono?" Se era davvero una base dell'Umbrella, perché non c'erano dozzine di soldati venuti a trascinarli fuori dal relitto? O almeno avrebbero dovuto esserci alcuni guardiani molto incazzati... Steve stava riprendendosi, benché Claire notasse un brutto bozzo al limitare del cuoio capelluto. Alzò la mano e scoprì di averne uno simile proprio sopra la tempia destra, un centimetro più in alto di quello con cui si era risvegliata... il giorno prima? O il giorno prima ancora? "Mio Dio, come vola il tempo quando perdi i sensi." — Cosa sta bruciando? — domandò Steve aprendo gli occhi ancora confusi. — Non lo so — rispose Claire. C'era solo un filo di fumo in cabina perciò immaginò che il fuoco venisse da qualche altra parte dell'aereo. In ogni caso, non intendeva rimanere là dentro, per vedere se qualcosa fosse esploso. — Dovremmo andarcene di qui. Pensi di riuscire a camminare? — Questi stivali sono fatti per camminare — borbottò Steve e Claire sorrise, aiutandolo a slacciare la cintura. Recuperarono ciò che poterono dall'armeria accatastata ai loro piedi: il mitra di Steve e la 9mm di Claire. Sfortunatamente, avevano poche munizioni, e un paio di caricatori erano andati persi. Lei aveva a disposizione ventisette colpi, lui quindici. Se li divisero e, visto che non c'era null'altro che li trattenesse a bordo, Steve si calò sulla passerella compiendo un salto per coprire le ultime decine di centimetri che gli mancavano. — Cosa c'è qui fuori? — domandò Claire, sedendosi sul bordo del foro mentre infilava la pistola nella cintura. Era sufficientemente freddo perché potesse vedere il suo respiro vaporizzato, ma pensava di potercela fare per un po'.
— Non granché — le rispose Steve, guardandosi in giro. — Ci troviamo in un grande edificio circolare... penso sia costruito intorno a una miniera o qualcosa del genere, e al centro c'è una specie di pozzo che scende direttamente. Nessuno in giro. Si voltò verso di lei e sollevò le braccia. — Salta giù, ti prendo io. Claire ne dubitava. Visto che si allenava a correre era in buona forma, ma aveva il fisico del podista, non eccessivamente muscoloso. D'altro canto lei non poteva stare tutto il giorno su quell'aereo e, visto che detestava saltare da qualunque posizione superiore a pochi centimetri di altezza, aveva decisamente bisogno di una mano... — Scendo — annunciò e si sospinse oltre il foro, mantenendo la presa più a lungo che poté. Poi scivolò, Steve emise un — Oof — ed entrambi finirono a terra, Steve disteso sulla schiena con le braccia avvinghiate intorno a Claire che gli stava sopra. — Bella presa — osservò lei. — Un gioco da ragazzi — rispose Steve, sorridendo. Era caldo. E carino e dolce, ovviamente interessato a lei, e per qualche istante nessuno dei due si mosse. Claire era contenta di essere tenuta tra le braccia del ragazzo... ma Steve desiderava di più. Lei glielo lesse negli occhi quando i loro sguardi s'incontrarono. "Per carità di Dio, non siamo in vacanza! Muoviti!" — Probabilmente dovremmo... — ... capire dove ci troviamo — terminò per lei il giovane, e sebbene Claire notasse un lampo di disappunto nel suo sguardo, Steve fece del suo meglio per nasconderlo, sospirò in maniera melodrammatica e lasciò cadere le braccia fingendo di arrendersi. Con riluttanza Claire si alzò e lo aiutò a fare altrettanto. Sembrava il condotto di una miniera, lungo più o meno una ventina di metri e la passerella sulla quale si trovavano formava una curva circa a metà. C'erano un paio di scale e dalla loro posizione Claire notò almeno due porte, tutte e due più in basso sulla loro sinistra. C'era solo un uscio al loro livello, sulla destra, ma Steve provò ad aprirlo e scoprì che era chiuso. — Dove credi che siano andati a finire tutti? — chiese lui, a voce bassa. C'era la probabilità di un chiaro effetto eco, considerate le dimensioni dell'ambiente in cui si trovavano. Claire scosse il capo. — Stanno facendo i pupazzi di neve? — Ah, ah — disse Steve. — A questo punto non dovrebbe saltar fuori
Alfred con un lanciafiamme o qualcosa del genere? — Già, probabilmente — ammise Claire. Stava pensando anche lei la stessa cosa. — Forse non è ancora arrivato, o non si aspettava che andassimo a sbattere, e perciò si trova in uno degli altri hangar dove riteneva che saremmo atterrati... perciò dovremmo muoverci. Se riusciamo a salire su uno altro aereo prima che arrivi... — D'accordo — disse Steve. — Vuoi che ci dividiamo? In tal modo potremo controllare una maggior porzione di terreno, e fare più in fretta. — Con Alfred che sta da qualche parte qui intorno? No — disse Claire e Steve assentì, con aria sollevata. — Perciò... da quella parte — decise la ragazza, e cominciò ad avviarsi alla prima scala, seguita da Steve. Dopo aver percorso rapidamente la rampa si trovarono di fronte a una porta, che in realtà era un doppio set di battenti a qualche distanza dalla passerella. Chiusa anche quella. Steve si offrì di prenderla a calci, ma Claire suggerì di provare prima le altre. Si sentiva sempre più nervosa di fronte a quel silenzio, e non riteneva opportuno creare rumore sfasciando una porta e annunciare a quel modo la loro presenza. "Anche se per non aver udito il fracasso dello schianto gli eventuali abitanti della base avrebbero dovuto essere in coma." Poco più avanti c'era l'altra porta e subito dopo un'apertura nella parete che immetteva su una rampa di scale che scendeva di sotto. Claire girò la maniglia che cedette con facilità; i due giovani prepararono le armi nell'eventualità che ce ne fosse bisogno... e a un cenno del ragazzo, Claire spalancò il battente. Sentì la mascella cadere, completamente sconvolta. "Cosa diavolo succede?" Era una camerata, scura e maleodorante e, al rumore della porta che si apriva, tre, quattro zombie si voltarono e cominciarono a dirigersi verso di loro. Erano tutti infettati da poco, e gran parte della loro pelle era ancora attaccata al corpo. Almeno uno di essi aveva cominciato a incancrenirsi diffondendo un pestilenziale lezzo di tessuto in decomposizione nell'aria fredda. Steve era impallidito e, mentre Claire chiudeva di colpo la porta, deglutì a forza con un aspetto e una voce che tradivano il suo malessere. — Uno di quei tipi lavorava a Rockfort, faceva il cuoco. Naturalmente! Sulle prime Claire aveva pensato che ci fosse stata una fuga del virus anche là, ma sarebbe stata davvero una coincidenza troppo
grossa. Almeno uno degli aerei che aveva intravisto all'esterno era venuto dall'isola e a bordo dovevano aver viaggiato dei lavoranti - probabilmente non degli scienziati - che non si erano resi conto di essersi portati dietro la malattia. "Nuovi malati e cannibali moribondi... cos'altro ci aspetta?" Claire rabbrividì, cercando di immaginare il genere di soldato che l'Umbrella poteva aver creato per l'ambiente artico... e quali tra gli animali locali potessero essere rimasti infettati prima del loro arrivo. — Dobbiamo assolutamente andarcene di qui — annunciò Steve. "Be', forse Alfred è stato mangiato, dopotutto" pensò Claire. Pio desiderio, benché di certo loro meritassero un colpo di fortuna. — Andiamo. L'ultimo luogo da controllare, una rampa di scale, delimitava l'estremità della passerella, scendendo nella quasi totale oscurità. Ricordandosi dei fiammiferi che aveva trovato a Rockfort, Claire porse la pistola a Steve e li trasse dalla sacca consegnandogliene la metà prima di riprendersi l'arma. Lui comprese e, dopo averne accesi due, li tenne con il braccio proteso a metà della galleria. Non facevano molta luce, ma era meglio di niente. Raggiunsero il fondo e cominciarono a spostarsi verso uno stretto cunicolo. Mentre le tenebre si richiudevano su di loro, Claire si tenne in stato di massima allerta. C'era qualcosa che emetteva un pessimo odore, come di cereali andati a male, e sebbene non vedesse nulla muoversi, aveva l'impressione che non fossero soli. Di solito l'istinto non la ingannava, ma era tutto così silenzioso e tranquillo... Non si udiva neppure un sussurro, né si avvertiva un indizio di movimento. "Uno scherzo dei nervi" pensò speranzosa. Riuscivano a vedere solo a un metro davanti a loro, ma si muovevano il più rapidamente possibile, spinti dalla sensazione di essere totalmente esposti e vulnerabili. Pochi passi ancora e Claire si rese conto che il corridoio si divideva. Potevano procedere diritti o girare a sinistra. — Cosa ne pensi? — sussurrò. All'improvviso il condotto esplose in un turbine di movimento. Decine di ali cominciarono a sbattere mentre un odore di marcio li sommergeva. Steve imprecò quando i fiammiferi si spensero di colpo piombandoli in una totale oscurità. Qualcosa sfiorò il viso di Claire, una superficie piumata, leggera, che passò senza produrre rumore, e di riflesso la ragazza sollevò le braccia per allontanarla con la pelle d'oca, incerta sul bersaglio a cui sparare. — Andiamo! — urlò Steve afferrandola per il bicipite e trascinandola in
avanti. Claire lo seguì inciampando e, ancora una volta, qualcosa che fluttuava nell'aria le sfiorò il volto, un oggetto ruvido e polveroso. Poi Steve la tirò attraverso una soglia della quale chiuse violentemente il battente alle loro spalle. I due giovani vi si addossarono con tutto il peso. Claire rabbrividiva, sopraffatta dal disgusto. — Falene — annunciò Steve. — Gesù, erano enormi, le hai viste? Grandi come uccelli, come falchi... — Sputò, come se stesse cercando di liberarsi la bocca. Claire non rispose, frugando le tasche alla ricerca di un fiammifero. La stanza era immersa nell'oscurità e lei voleva essere certa che non ci fosse più nessuno di quegli affari che sbatteva le ali in giro. "Falene, cribbio!" In qualche modo le parevano anche peggio di qualsiasi genere di zombie, perché potevano sfiorarle il viso, volarle sino alla faccia... rabbrividì nuovamente e accese il fiammifero. Steve l'aveva condotta in un ufficio, un ambiente apparentemente libero da falene giganti o da ogni altro genere di spiacevolezza creata dall'Umbrella. Vide un paio di candele in un contenitore alla sua destra e se ne impadronì immediatamente, accendendone gli stoppini mezzo consumati. Ne porse una al ragazzo, prima di guardarsi in giro. La luce soffusa delle candele illuminava il loro rifugio creando ombre intermittenti. Una scrivania di legno, scaffali, un paio di quadri incorniciati... la stanza era sorprendentemente elegante, considerato l'aspetto pragmaticamente spoglio del resto della costruzione. Non era neppure fredda. Eseguirono una rapida ricerca di armi e munizioni, ma non ne ricavarono nulla. — Ehi, forse qui c'è qualcosa che può servirci — disse Steve avvicinandosi alla scrivania. C'erano dei fogli e quella che sembrava una raccolta di mappe spiegate sul ripiano... ma Claire di colpo si scoprì più interessata alla protuberanza biancastra che notò dietro alla spalla destra del ragazzo. — Fermo dove sei — disse, ponendosi dietro di lui. La cosa era avvolta da una specie di ragnatela spessa e grumosa. La protuberanza stessa sembrava lunga una decina di centimetri e aveva una forma irregolare come un uovo di gallina allungato. — Cos'è? Toglimelo — ordinò Steve con voce tesa, e Claire avvicinò la candela, accorgendosi che la forma biancastra non era completamente opaca. Poteva vedere cosa c'era dentro, almeno in parte... Distinse un bozzo di grasso biancastro che si muoveva racchiuso da uno strato di gelatina trasparente. Era un guscio d'uovo, una delle falene gli aveva lasciato addosso un uovo...
Claire avvertì il bisogno di vomitare ma si trattenne, guardandosi in giro alla ricerca di un oggetto con cui afferrare quella cosa. Vicino al contenitore delle candele si trovava un cestino della carta straccia dentro il quale c'erano dei fogli accartocciati. Ne prese uno. — Aspetta un istante — disse, sbalordita da quanto indifferente suonasse la sua voce mentre levava l'uovo dalla spalla di Steve. L'involucro di ragnatela era tenacemente attaccato al tessuto e non voleva staccarsi, ma alla fine Claire ne ebbe ragione, gettandolo istantaneamente sul pavimento. — Fatto! Steve si voltò e si accucciò vicino al foglio di carta tenendo alta la candela, poi si alzò di scatto con un'espressione schifata quanto quello della ragazza. Sollevò lo stivale e lo pestò violentemente, schiacciando la gelatina chiara sotto la suola. — Oh, ragazzi — disse con un'espressione di disgusto. — Ricordami di dar fuoco a tutto, dopo. E la prossima volta che entriamo là dentro, niente fiammiferi. Le controllò la schiena che, grazie a Dio, era pulita, poi sparpagliarono le carte sulla scrivania. Steve si occupò delle mappe, seduto sul pavimento. Claire, invece, frugò il resto dei fogli sul ripiano. "Una lista di inventari, fatture, fatture, un'altra lista..." Claire sperava che Steve avesse miglior fortuna. Da quello che poteva capire si trovavano in un luogo che l'Umbrella definiva un "terminal di trasporto" qualunque cosa fosse, costruito su una miniera abbandonata. Non sapeva stabilire con precisione quale materiale vi avessero estratto ma c'erano diverse ricevute per nuove e costose attrezzature e per una gran quantità di materiali da costruzione. Quasi sufficienti a costruire una piccola città. Trovò una serie di memorandum scambiati tra due persone estremamente noiose sugli stanziamenti del budget dell'Umbrella per l'anno successivo. Tutto diventava sempre più monotono, soprattutto perché appariva perfettamente legale. L'ufficio apparteneva a uno dei due uomini, Tomoko Oda, e fu proprio in una nota di quest'ultimo che finalmente Claire vide qualcosa che attirò la sua attenzione: un post scriptum a uno dei suoi lunghi rapporti, datato solo una settimana prima. PS. Ricordi la storia che mi hai raccontato la prima volta che sono venuto qui, quella sul mostro prigioniero? Non ridere, ma alla fine l'ho sentito anch'io, due notti fa, proprio in questo ufficio. Era spaventoso proprio come dicevano, una sorta di urlo gemente e famelico che sali-
va echeggiando dai livelli inferiori. Il mio responsabile del personale mi ha riferito che gli operai lo sentono da almeno quindici anni, quasi sempre a notte fonda... la voce più diffusa afferma che urli in questo modo perché qualcuno si è scordato di dargli da mangiare. Ho anche sentito che si tratta di un fantasma, di uno scherzo della natura, un esperimento scientifico finito male, addirittura un demone. Non mi sono fatto un'idea precisa e poiché nessuno di noi ha il permesso di scendere in basso, immagino che il mistero continuerà a rimanere tale. Devo confessarti, però, che dopo aver udito quell'orribile folle ululato, non nutro alcun interesse a scendere sotto il livello B2. Fammi sapere le novità su quell'attrezzatura per l'imbullonatura. Saluti, Tom Sembrava che gli operai ai piani superiori non sapessero granché di ciò che avveniva sotto di loro. Meglio per loro, probabilmente, pensò Claire... sebbene, considerando la situazione attuale, non ne era più sicura. Improvvisamente Steve cominciò a ridere, uno scoppio rapido di entusiasmo, e si alzò con un ampio sorriso. Sbatté la cartina politica dell'Antartico sulla scrivania. — Siamo qui — disse, indicando un punto rosso che qualcuno aveva segnato con la matita — circa a metà strada tra l'avamposto giapponese, la Cupola Fuji, e il polo stesso, che si trova in territorio australiano. E proprio qui c'è una stazione di ricerca australiana... ci troviamo a dieci, quindici miglia al massimo. Claire sentì il cuore che saltava un battito. — Fantastico! Diavolo, potremmo probabilmente arrivarci a piedi, se riuscissimo a trovare l'attrezzatura adatta... "... e se riuscissimo a uscire da questo sotterraneo," pensò, mentre parte del suo entusiasmo svaniva. Steve aprì una seconda mappa dispiegandola sul ripiano. — Aspetta, non è questa la parte migliore. Guarda qui. Era la fotocopia di uno schizzo. Claire studiò i diagrammi tracciati a mano, spaccati e visioni dall'alto di un edificio e di tre dei suoi piani, i livelli e le stanze indicati con chiarezza... e si rizzò a sua volta, troppo sollevata per restare ferma. Era una mappa completa dell'edificio in cui si trovavano, una costruzione non molto alta, ma che scendeva in profondità. — Questo è il punto in cui siamo adesso — annunciò Steve, indicando
un piccolo rettangolo etichettato come "ufficio del direttore" al livello B2. Tracciò con il dito una linea che andava giù a sinistra e poi ancora giù, fermandosi presso un'area dalla forma singolare in fondo al diagramma, simile a un'enorme virgoletta distesa sul fianco. A piccole lettere scure si leggeva "area mineraria" e c'era un modesto tunnel tracciato a matita che partiva da essa con la scritta "Per la superficie/non terminato" sempre a matita. — E questo è il punto che dobbiamo raggiungere — terminò Claire, scuotendo la testa sbalordita. La mappa che Steve aveva appena trovato probabilmente avrebbe risparmiato loro ore di ricerche, e con la scarsità di munizioni che avevano, avrebbe anche potuto salvare le loro vite. — Già, se incontriamo dei portelli chiusi, possiamo sempre abbatterli o sparare alle serrature, forse — disse allegramente Steve. — E mi sembra che sia a circa un minuto di cammino da qui. Saremo liberi in un battibaleno. — Dice che il tunnel non è stato terminato... — affermò Claire, ma Steve l'interruppe. — E allora? Se stavano ancora lavorandoci, probabilmente hanno lasciato in giro dell'attrezzatura — osservò allegramente. — Voglio dire, c'è scritto "area mineraria" giusto? Claire non aveva nulla da eccepire a quel ragionamento logico, e non voleva farlo. Era quasi troppo bello per essere vero, lei era più che pronta ad accettare una buona notizia... e sebbene significasse un'altra escursione a falenaville, questa volta sarebbe stata pronta ad affrontarla. — Hai vinto il primo premio — gli disse cedendo al suo stesso entusiasmo. Steve inarcò le sopracciglia con aria innocente. — Oh, davvero? E qual è il premio? Lei stava per rispondere di essere aperta a qualunque suggerimento quando un rumore inaspettato e allarmante glielo impedì, penetrando nell'ufficio dal nulla e da ogni luogo. Per un istante pensò che si trattasse di una sirena di allarme per i raid aerei, tanto era potente e penetrante, ma nessuna sirena cominciava con un tono così basso e profondo, o saliva d'intensità a quel modo, e neppure riusciva a evocare una tale sensazione di paura. C'era della rabbia in quel suono, un'ira cieca tanto totale da essere quasi incomprensibile. Paralizzati, i due giovani ascoltarono l'incredibile e spaventoso grido che dilagava e finalmente moriva. Claire si chiese quanto tempo fosse trascor-
so dall'ultima volta che la creatura aveva mangiato. Non aveva dubbio infatti che si trattasse di una delle creazioni dell'Umbrella. Nessuno spettro poteva produrre un suono talmente viscerale e nessun'anima umana poteva concepire una simile rabbia. — Adesso andiamocene — disse Claire con voce calma e Steve assentì, occhi sbarrati e carichi d'ansia mentre ripiegava le mappe e le infilava in tasca. Prepararono le armi, stabilirono un rapido piano d'azione e, dopo aver contato sino a tre, Steve spalancò la porta. Mentre il ruggito del mostro andava affievolendosi, Alfred sorrise attraverso le spesse sbarre di metallo della cella umida e spoglia, ammirando il capolavoro di sua sorella. Lui l'aveva aiutata, ovviamente, ma era lei il genio che aveva creato il T-Virus Veronica, a soli dieci anni di età... e, sebbene lei avesse considerato il suo primo esperimento un fallimento, Alfred non ne era convinto. Il risultato era profondamente gratificante sotto un certo profilo personale. Le cose gli si erano chiarite in testa, sin dal momento in cui aveva lasciato Rockfort. I ricordi erano tornati, cose che aveva sepolto o dimenticato, sentimenti che si era scordato di aver persino provato. Dopo quindici anni di grigiore, di fangosa confusione e di instabili fantasticherie, Alfred sentiva che il suo mondo stava finalmente acquisendo un certo ordine. .. Comprendeva perché la loro casa era stata attaccata e quanto fosse stato fortunato che ciò fosse avvenuto. — Sapevano anche loro che era venuto il momento, vedi — disse Alfred. — Se non fosse stato per l'assalto, avrei potuto continuare a credere che lei fosse insieme a me. Osservò con un certo divertimento il mostro che protendeva il suo capo sporco verso la soglia, in ascolto. Era incatenato alla sedia, bendato, le mani legate dietro la schiena... e sebbene non fosse stato in grado di formulare nulla di simile a un vero pensiero per quindici anni, reagiva sempre al suono delle parole. Forse, a un livello primordiale, animalesco, riconosceva persino la sua voce. "Dovrei nutrirlo" pensò Alfred, non volendo che il mostro morisse prima del risveglio di Alexia... ma ciò sarebbe avvenuto presto, molto presto... forse il processo era già cominciato. Il pensiero lo riempì di meraviglia, per il fatto di poter essere presente alla miracolosa rinascita della sorella. — Mi è mancata tanto — disse Alfred con un sospiro. Così tanto che ne aveva creato un'immagine riflessa, per dividere con qualcuno i solitari anni
di attesa. — Ma presto emergerà con la potenza di una regina, io sarò il suo fedele cavaliere, e nessuno potrà mai più dividerci. Gli tornò in mente il suo ultimo compito, l'ultimo obiettivo da raggiungere prima di poter cominciare tranquillamente il periodo di attesa conclusivo. La sua felicità di fronte all'aereo distrutto era durata poco quando aveva scoperto che il velivolo era vuoto, ma dopo essersi rinfrescato la memoria sullo schema del terminal, si era reso conto che la coppia di contadinotti poteva essere finita solo in un paio di posti. Aveva preso un fucile da cecchino dall'armeria in uno degli altri edifici, un Remington ad avancarica .30.06 con un cannocchiale capace di ingrandire molte volte il bersaglio. Si trattava di un magnifico giocattolo ed era deciso a provarlo. Non poteva permettersi che Claire e il suo giovane amico spuntassero nel momento sbagliato, rovinando la celebrazione... Improvvisamente Alfred cominciò a ridere, mentre un barlume di idea faceva capolino nella sua mente. La mostruosità doveva mangiare... perché non darle quei due paesanotti? Claire Redfield aveva portato la distruzione a Rockfort, aveva tentato di infangare il nome degli Ashford, proprio come aveva fatto la mostruosità, in un certo modo. "Distruggerà gli agenti nemici, un rito in onore del ritorno di Alexia... e poi faremo una riunione di famiglia privata, tutti e tre." Al suono della sua risata la mostruosità si agitò, tirando sulle catene con tale forza che Alfred smise di ridere. L'essere prigioniero lasciò sfuggire un altro tremendo urlo, lottando per liberarsi, ma Alfred pensò che i legami avrebbero resistito ancora un poco. — Tornerò presto — promise, sollevando il fucile e allontanandosi, mentre si chiedeva cosa avrebbe pensato Claire all'idea di incontrare il padre di lui e Alexia in tali circostanze inusuali... la sua morte cruenta. La mostruosità era attirata dal calore corporeo e dall'odore del terrore, almeno così piaceva credere ad Alfred, che non vedeva l'ora di vedere l'inerme Claire inseguita nel buio. Mentre Alfred cominciava a salire le scale che portavano al secondo livello del sotterraneo, Alexander Ashford urlò ancora, come aveva fatto quindici anni prima quando la sua stessa figlia lo aveva drogato per sottrargli la vita. 11 Si avventurarono nelle tenebre, Steve davanti a Claire, lasciandosi alle
spalle la porta dell'ufficio ancora aperta. C'era luce a sufficienza per vedere dove il corridoio girava a destra e quella era tutta l'illuminazione di cui avevano bisogno. "... destra, avanti, porta sulla destra, avanti, gradini sulla sinistra..." Continuava a ripetersi il percorso nella mente. Era semplice, ma Steve non voleva fare neppure il più piccolo errore. L'immagine della cosa che Claire gli aveva strappato dalla schiena era ancora fresca nella sua mente, e non sapevano cos'altro fossero in grado di fare le falene. Due passi in avanti e la prima falena piombò su di loro, un lampo confuso e biancastro. Steve aprì il fuoco. Bam-bam-bam! Tre colpi e la cosa alata si disintegrò, producendo dei sommessi plop quando i suoi pezzi toccarono il pavimento, poi arrivò il resto del gruppo, sciamando fuori dal corridoio in cui volevano entrare lui e Claire. Volavano in una polverosa nuvola puzzolente, forme oscure, pesanti... Cos'era quella cosa grande quanto un uomo, e altrettanto voluminosa, appesa con una ragnatela al soffitto? "... Non pensarci, ora, continua a correre..." — Adesso! — esclamò Steve, e Claire lo superò di corsa scattando sulla destra giù per il condotto, mentre il ragazzo apriva nuovamente il fuoco scaricando raffiche di due o tre colpi. Mentre sparava alle forme che turbinavano sopra di lui, gli piovvero addosso dei frammenti pelosi di ali e una specie di muco caldo e repellente, che lo schizzò suscitando in lui un conato di vomito. Le falene morivano tanto silenziosamente quanto taciturno era il loro attacco. Ne sentì una nei capelli, avvertì qualcosa di caldo e umido sfiorargli lo scalpo, e freneticamente spazzolò l'estremità della testa, scagliando via un appiccicoso guscio d'uovo, senza tuttavia cessare di sparare. — Aperta! — gridò Claire più vicino di quanto si aspettasse, e sebbene avesse pianificato di arretrare nel condotto sparando per coprirsi, decise che quella schifezza che gli si era appiccicata ai capelli era stata l'ultima goccia. Si chinò, coprendosi la testa con un braccio, e partì di corsa. Individuò la sagoma della sua compagna davanti a una soglia sulla destra e vi si tuffò a capo chino, finendo direttamente tra le sue braccia protese. Claire lo afferrò per la camicia e lo trascinò dentro, chiudendo con violenza la porta alle loro spalle... poi si voltò e cominciò a sparare bloccando il suo corpo con il proprio. — Ehi, cosa? Bam! Bam! La stanza era enorme e gli spari echeggiarono da angoli lon-
tani. C'era una traccia di luce che veniva da qualche parte, ma Steve li udì ancor prima di vederli. Zombie. Ansimavano e gemevano, tre o quattro già sul punto di raggiungere la loro posizione. Riusciva solo a distinguerne le sagome che avanzavano barcollando e oscillando. Ne vide cadere due, ma altri due si mossero per prendere il loro posto. — Sto bene! — gridò tra uno sparo e l'altro e Claire si fece da parte, urlandogli di coprire il fianco destro. Steve mirò e aprì il fuoco, sbattendo le palpebre e strizzando gli occhi nel buio, nel tentativo di piazzare i colpi alla testa dei loro assalitori. Ne abbatté tre, poi un quarto, così vicino che sentì il suo sangue schizzargli sulla mano. Immediatamente l'asciugò contro i pantaloni, pregando di non avere alcuna ferita aperta, e di non finire i colpi; ma c'era già un altro zombie che incombeva su di lui, e un altro ancora... Poi Claire lo trascinò via di nuovo e il ragazzo smise di sparare, lasciandosi condurre da lei attraverso l'oscurità verso il punto in cui si doveva trovare l'area mineraria. Alle loro spalle, gli zombie si trascinavano mugolando, braccandoli con il loro grottesco passo rallentato. Steve inciampò su un corpo caldo e camminò sopra un altro cadavere, schiacciando qualcosa sotto il piede. Ma per quanto si sentisse impotente e spaventato, non era nulla a confronto di quello che provò quando improvvisamente Claire lanciò uno strillo lasciando la presa sul suo braccio. — Claire! — In preda al terrore, Steve si protese per afferrarla, ma trovò solo il vuoto. — Attento a dove metti i piedi! Mi hai pestato un dito — esclamò irritata Claire, a non più di un metro di distanza e il ragazzo sentì venir meno le ginocchia. Riusciva ad avvertire anche la presenza di una ringhiera di metallo gelido contro la spalla destra... i gradini che portavano all'area mineraria. Ce l'avevano fatta. Insieme, salirono alcuni scalini, Claire sempre in posizione avanzata... e quando aprì la porta, la luce vera sfavillò a fasci, lacerando il buio. — Grazie a Dio — borbottò il giovane, tenendo la porta mentre Claire entrava. Prima che fosse in grado di seguirla, Steve udì quel folle risolino da ragazzina che aveva imparato a riconoscere e odiare. Claire aveva proteso la mano indietro facendogli cenno di fermarsi immediatamente. Steve lasciò andare la porta e la ragazza rimase immobile, permettendo che il battente
si fermasse contro il suo fianco mentre Alfred diceva qualcosa e lei lentamente alzava entrambe le mani. Sembrava che Alfred avesse inchiodato Claire... "... ma non me" pensò Steve, inconsapevole di avere sulle labbra un sorriso cupo e tirato. Alfred aveva un sacco di domande alle quali rispondere, ma era quasi certo che, entro un paio di minuti, non avrebbe più avuto molto da dire su nulla. L'aveva in pugno. Come aveva immaginato, la ragazza era venuta a ispezionare il tunnel, l'unica uscita dal terminal che non richiedesse una chiave particolare. Non era una stupida, sotto nessun profilo, ma lui era un individuo superiore, per intelletto e capacità strategiche. Tra le altre cose. Sempre ferma sulla soglia, Claire sollevò le mani, l'espressione priva di emozioni in maniera irritante. Perché non aveva paura? — Getta l'arma — le intimò Alfred, il dito sul grilletto del fucile. La sua voce, naturalmente amplificata dalla caverna mineraria che occupava la maggior parte del livello, riverberava nella sala gelida, e suonava autoritaria e un po' crudele. Gli piaceva il suo suono potente, e si rese conto che aveva avuto effetto quando vide Claire lasciar cadere senza esitazione la pistola dalle dita. — Avvicinala a me con un calcio — ordinò, e lei obbedì. L'arma scivolò sferragliando sul cemento. Non la raccolse, cacciandola a sua volta con un calcio sotto la rotaia alla sua sinistra. Entrambi rimasero ad ascoltare l'unica speranza di Claire che rimbalzava tra le rocce, persa nelle profondità della gelida fossa. "Che cosa magnifica, esercitare il controllo!" — Cosa è successo al tuo compagno di viaggio? — chiese Alfred con un sogghigno. — Ha avuto un incidente? Oh, già che ci sei allontanati dalla porta, se non ti dispiace. Tieni le mani dove possa vederle. Claire avanzò lentamente, mentre il battente si chiudeva quasi completamente alle sue spalle. Alfred riuscì a distinguere un lampo di contrarietà sul suo volto e seppe immediatamente di aver messo a segno un punto. Sembrava che suo padre avrebbe dovuto accontentarsi di qualcosa di meno di un pasto caldo, ma dubitava che la mostruosità si sarebbe lamentata. — È morto — disse lei semplicemente. — Cos'è successo ad Alexia?... sai, vi assomigliate molto... — Chiudi il becco, ragazzina — sibilò Alfred con una smorfia. — Non sei degna neppure di pronunciare il suo nome. Sai già che è venuto il mo-
mento del suo ritorno, è per questo che i tuoi amici hanno attaccato Rockfort, per attirarla all'esterno... o speravate di ucciderla subito, per mozzare il suo primo respiro? Claire reagiva confusamente. Probabilmente era decisa a mantenere la sua finzione, ma Alfred non voleva udire nessuna delle sue bugie. Il gioco stava cominciando a perdere di interesse per lui. Di fronte alla prospettiva dell'imminente trionfo di Alexia, ogni altra cosa impallidiva. — So già tutto — sbottò. — Perciò non ti preoccupare. Adesso, se vuoi essere così gentile da seguirmi... Claire improvvisamente sollevò lo sguardo verso destra, in direzione della piattaforma sopraelevata poco distante dall'imboccatura del tunnel. — Attento! — urlò gettandosi a terra mentre Alfred si voltava di scatto, ma vide solo la gigantesca macchina per scavare nel ghiaccio, l'ingresso scuro del tunnel... La porta dietro Claire si spalancò di colpo, e il ragazzo si precipitò dentro al suo fianco, puntando la pistola su di lui, su di lui. Furioso, Alfred girò il fucile e premette il grilletto, tre, quattro volte, ma non ebbe tempo sufficiente per mirare correttamente e i proiettili esplosivi andarono a vuoto. Fu come se una mano gigantesca avesse scaraventato improvvisamente Alfred indietro, mozzandogli il respiro, mentre il ragazzo continuava a sparare, ma di colpo la sua pistola emise uno scatto, terminando le cartucce. Alfred arretrò di un altro passo inciampando e aprì la bocca per ridere, pronto a ucciderli entrambi, però si accorse che non aveva più il fucile tra le mani; per qualche ragione l'aveva lasciato cadere, e le sue risa erano solo un colpo di tosse umido e doloroso. Qualcosa cedette alle sue spalle e un istante dopo precipitò nella fossa mineraria. Cadde su una spessa crosta di ghiaccio e fece per risollevarsi, ma provò un immenso, atroce dolore al petto. Era possibile che lo avessero colpito? Con un suono appena udibile il ghiaccio intorno a lui cedette e Alfred urlò, precipitando nuovamente. Doveva vederla ancora una volta prima di morire, doveva toccarla, ma riusciva a udire solo suo padre che gridava, mentre veniva verso di lui. Poi tutto fu annullato dal dolore e dall'oscurità. Il fragore dell'orrendo, mostruoso ululato salito a incontrare Alfred che precipitava li costrinse a muoversi. Claire si fermò il tempo necessario per
afferrare il Remington prima di montare dietro a Steve sulla piattaforma rialzata. Visto che il ragazzo aveva esaurito i colpi e lei aveva perso la sua pistola nella fossa, il fucile era la loro unica arma. Si arrampicarono nella cabina dell'enorme macchina gialla parcheggiata all'ingresso del tunnel inclinato verso l'alto. Steve si mise al volante... e di nuovo udirono quell'urlo profondo e demente, questa volta decisamente più vicino. Il mostro prigioniero si era evidentemente liberato e si trovava all'interno del complesso. Steve premette una serie di interruttori, assentendo e borbottando tra sé durante l'operazione. Claire si mise in ascolto mentre controllava il fucile solo sei colpi - supponendo che il macchinario per scavare nel ghiaccio, un'apparecchiatura gigantesca che sembrava una trivella, in verità si riscaldasse per scioglierlo. Non le importava come facesse, purché li portasse fuori prima che il mostro li venisse a cercare. Mentre la ronzante macchina entrava in azione, Steve le spiegò che probabilmente il tunnel non era stato completato perché gli operai avevano dovuto procedere lentamente e senza potersi servire del calore per timore di allagare metà dell'impianto. — Ma noi non abbiamo questa preoccupazione — disse sorridendo. — Che ne dici di creare un lago? — Sono d'accordo — rispose Claire, rispondendo al suo sorriso e desiderando sentirsi più entusiasta di quello che era in realtà. Dio, stavano uscendo, e visto che Alfred Ashford era morto definitivamente, non c'era nessuno a sbarrare loro la strada. E allora perché era ancora così preoccupata? "Colpa di quelle stronzate che stava blaterando su sua sorella..." Follie, già, ma avevano sollevato una domanda per la quale ancora non aveva una risposta... perché era stata attaccata Rockfort Island? Steve spinse la cloche della macchina e questa si mosse in avanti. Non esistevano cinture di sicurezza, perciò Claire appoggiò una mano sul tetto, poiché la scavatrice vibrava quasi quanto il loro aereo prima di andare a schiantarsi. Per la maggior parte la visuale era ostruita dalla gigantesca trivella, ma quando finalmente raggiunsero l'estremità del tunnel se ne resero immediatamente conto. Il fragore era incredibile, assordante, come quello prodotto dai sassi in un frullatore amplificato cento volte. Si era diffuso un vapore bruciante, e mentre procedevano con lentezza nella totale oscurità, Claire riuscì a udire il suono del ghiaccio che si scioglieva anche sopra quello della trivella e
torrenti d'acqua cominciarono a scorrere sulla cabina. I fragori raschianti della cascata sembrarono proseguire all'infinito mentre loro continuavano a salire, poi la macchina iniziò a vibrare, sobbalzando, i cingoli lottarono per mantenere la presa e una luce improvvisa inondò la cabina, grigiastra, ancora fosca eppure meravigliosa. La trivella si trascinò fuori dal foro appena aperto vicino a una torre, e Claire riconobbe la piattaforma elicotteri mentre Steve indicava i gatti delle nevi parcheggiati vicino alla base. Stava nevicando, grossi fiocchi umidi che piovevano dal cielo grigio. La fredda umidità cominciò a filtrare nella cabina prima che fosse trascorso un minuto da quando erano emersi in superficie. Il vento ululava, facendo cadere la neve con una leggera angolazione... non era molto forte, ma regolare. — Elicottero o gatto delle nevi? — chiese Steve con tono leggero, ma la ragazza si accorse che il suo compagno stava cominciando a rabbrividire. E anche lei. — Decidi tu, pilota — rispose. Un elicottero avrebbe viaggiato più in fretta ma rimanere sul terreno le pareva più sicuro. — Possiamo decollare con questo tempo? — Se non peggiora — rispose lui, alzando lo sguardo verso la torre, ma non sembrava sicuro. Claire stava per suggerire di prendere uno dei gatti quando il ragazzo si strinse nelle spalle, spalancò il portello e scivolò fuori, urlandole da sopra la spalla: — Direi di dare uno sguardo in cima alla torre, ragazzina — annunciò. — Possiamo almeno vedere se abbiamo davvero la possibilità di scegliere. Claire uscì a sua volta, alzando la testa, ma neppure lei fu in grado di scorgere la sommità della torre. Ed era freddo, mortalmente freddo. — Qualunque sia la decisione, muoviamoci — esclamò Claire, passando il fucile a tracolla. Steve corse verso la scala e Claire lo seguì, rabbrividendo per il freddo ma sollevata, improvvisamente esaltata dalla prospettiva di essere libera di scegliere, di decidere cosa fare, e come farlo. E d'altra parte, erano a circa un'ora dalla stazione australiana, dove sarebbero stati avvolti nelle coperte e avrebbero bevuto qualcosa di caldo raccontando la loro avventura. "Be', almeno le parti più credibili" pensò, salendo sui gradini recentemente cosparsi di sabbia dietro il ragazzo. Anche le persone dotate della mentalità più aperta del mondo non avrebbero creduto alla metà di quello che avevano passato. La sua felicità si andava riducendo a mano a mano che si avvicinavano
alla sommità della torre, a tre piani di distanza, mentre le mascelle sbattevano per il freddo, e quando Steve si volse, con aria preoccupata, Claire non pensava veramente a null'altro che a riscaldarsi. — Non ci sono elicotteri — annunciò lui, mentre la neve cominciava ad addensarglisi sui capelli. — Immagino che dovremo... Vide qualcosa dietro di lei e il suo viso si contrasse improvvisamente in una smorfia di onore e di sorpresa. Si protese per afferrarla ma Claire si stava già muovendo. — Vai! — urlò la ragazza e Steve si voltò e schizzò su per la scala, con Claire a meno di mezzo passo di distanza. Non sapeva cosa avesse visto il suo compagno... "Sì, che lo sai." ... ma dalla sua espressione era certa di non voler avere quell'essere dietro di sé. "È la cosa, il mostro, si è liberato e adesso sta venendo a prenderci" le suggerì la paura. Steve l'afferrò per un braccio trascinandola su per gli ultimi scalini. Claire inciampò in una gigantesca piattaforma vuota, le cui segnalazioni di atterraggio erano state per la maggior parte coperte dalla neve appena caduta. Una luminescenza grigiastra di nebbia anomala rendeva difficile vedere con chiarezza. — Dammi il fucile — esclamò lui senza fiato ma la ragazza lo ignorò, e si voltò per vedere se era vero, se avrebbe riconosciuto la cosa che aveva urlato in maniera così orribile... ... e mentre il mostro raggiungeva la piattaforma, Claire comprese che era vero, che riconosceva senza ombra di dubbio la creatura. Imbracciò il fucile e arretrò, facendo cenno a Steve di rimanere alle sue spalle. Alfred si destò in un mondo di dolore. Riusciva appena a respirare, aveva del sangue sul viso, nel naso e nella bocca, e quando cercò di muoversi si sentì istantaneamente sopraffatto da una sensazione di agonia. Ogni centimetro del suo corpo presentava fratture, tagli, contusioni o abrasioni, e si rese conto di essere prossimo alla morte. Non poteva far altro che arrendersi all'oscurità. Aveva molta paura, ma provava anche un tale dolore che forse il sonno gli avrebbe portato un po' di sollievo. Alexia... Non poteva cedere, non quando era stato così vicino alla vittoria... non quando era a un sol fio dal successo. Fece uno sforzo per aprire gli occhi, e si accorse, attraverso una nebbiolina rossa, di trovarsi sopra una piattafor-
ma dei livelli inferiori che si protendevano sulla fossa mineraria. Era caduto per almeno tre livelli, forse anche cinque. — Aa... lexi... aa — sussurrò, e sentì il sangue sgorgargli dal petto, le ossa che scricchiolavano mentre tentava di spostarsi, provando un improvviso terrore di fronte alla prospettiva del dolore che avrebbe dovuto sopportare... Però avrebbe raggiunto Alexia perché lei era il suo cuore, il suo grande amore, e lui si sarebbe sostenuto sussurrando il suo nome. — Dammi il fucile — ripeté Steve, osservando la cosa compiere il primo passo zoppicante nella loro direzione, ma Claire non lo ascoltava. Aveva già l'occhio sul cannocchiale, e vedeva ciò che vedeva lui, ingrandito... era un abominio. Bendata, la creatura aveva le mani legate dietro la schiena e indossava solo uno straccio di cuoio sformato e macchiato stretto intorno ai fianchi. La cosa doveva aver sofferto orribilmente, questo era ovvio. Steve poteva vederne le cicatrici gonfie, i solchi nella carne, i segni sanguinanti lasciati dai ceppi alle caviglie. Aveva un aspetto quasi umano, se non fosse stato per le dimensioni gigantesche del corpo e la strana carne... grigia e chiazzata, che si afflosciava sopra muscoli lunghi che a tratti apparivano lacerati, lasciando scorgere il tessuto sotto la pelle. Il torso era nudo, e Steve riusciva a intuire una sorta di massa rossa e pulsante al centro del petto, un bersaglio esposto... Per pochi istanti, il ragazzo pensò che malgrado tutto erano salvi. "Il mostro non ha armi..." Poi si udì un suono scricchiolante, simile a uno schizzo fragoroso, e quattro appendici asimmetriche simili alle zampe articolate di un insetto, la più lunga delle quali raggiungeva facilmente i tre metri, si distesero partendo dalla schiena e dalla parte superiore del torso come la coda di uno scorpione. Il mostro si trascinò avanti di un altro passo. Un liquido scuro cominciò a sprizzare dal suo corpo, dal petto e forse anche dalla schiena. Quando le gocce cadevano sul pavimento gelato della piattaforma, da esse cominciava a salire sibilando un gas verde-purpureo, diffuso dal vento nevoso prima in una direzione poi in un'altra. Il mostro lasciò sfuggire di nuovo un verso privo di parole e compì un altro pesante passo verso di loro, con le nuove membra che sciabolavano intorno al suo capo glabro, facendolo oscillare da un lato all'altro. Riusciva appena a mantenere l'equilibrio e, mentre formulava quel pensiero, Steve stava già correndo. "Corri rannicchiato, testa in basso, fallo cadere finché è ancora sul bordo
della piattaforma..." — Steve! — urlò Claire piena di paura, ma il ragazzo era già là, abbastanza vicino perché l'odore acre e pungente del gas prodotto dalla creatura gli aggredisse le narici. "Dev'essere velenoso, devo starne alla larga." Un istante prima che andasse a sbattergli addosso, qualcosa di vischioso lo urtò, colpendolo alla schiena e mandandolo a gambe levate con una spinta. — Steve! — urlò nuovamente Claire, questa volta in preda a un orrore totale, perché il ragazzo stava scivolando di fianco sul cemento ghiacciato, e benché cercasse di fermarsi, afferrandosi alla piattaforma gelata con le dita altrettanto gelate, improvvisamente non ci fu più nulla a cui aggrapparsi. Steve si trovava solo a poche decine di centimetri dal mostro quando lo strano arto calò con violenza e lo colpì alla schiena rivoltandolo sul fianco. — Steve! Il giovane scivolò sulla piattaforma gelida come fosse stata una pietra liscia sull'acqua e scomparve oltre il margine. "Oh, mio Dio, no!" Claire si piegò in due, colpita dalla sofferenza emotiva come da una percossa fisica, dura e penetrante all'altezza dello stomaco. Il ragazzo aveva cercato di proteggerla e ciò gli era costato la vita. Per un istante non fu in grado di muoversi o respirare, non riuscì a sentire il freddo e non le importò neppure più del mostro. Ma solo per un istante. Tornò a guardare l'animale barcollante che si trascinava con fatica verso di lei. Comprese senza alcun dubbio che la furia delle sue urla derivava da lunghi anni di abusi, di esperimenti, ma non provò nessuna compassione. Il suo cuore si era chiuso, la mente all'improvviso gelida come il corpo. Si rizzò in piedi, inserendo un nuovo proiettile in canna, e valutò la situazione con chiarezza. Ovviamente poteva correre più veloce della creatura e lasciarla sulla piattaforma. Sarebbe stata a un miglio di distanza prima che il mostro trovasse un modo per discendere... ma non era un'opzione accettabile, non più. La morte del mostro sarebbe stata un atto di pietà, ma anche quel pensiero non faceva parte dei suoi calcoli. "Ha ucciso Steve, e adesso io ucciderò lui" pensò freddamente e si avvicinò all'angolo nordoccidentale della piattaforma, quello più distante dalle
scale. Con le appendici vibranti intorno alla testa, il mostro si trascinò compiendo cerchi dolorosamente lenti, il viso bendato che finalmente si volse nella sua direzione. La creatura lasciò sfuggire un altro folle suono ansimante e rauco, e il suo corpo eruttò nuovi schizzi di liquido fumante, una sorta di acido o di veleno. Claire si chiese chi avesse creato una simile aberrazione, e come... quello non era uno zombie, frutto del T-Virus e, a giudicare dal suo stato sofferente e tormentato, non era neppure un'arma biologica. Immaginò che non l'avrebbe mai saputo. Claire alzò il fucile e guardò attraverso il cannocchiale, focalizzando lo sguardo sul tessuto pulsante al centro del petto, poi sollevò le coordinate del bersaglio al viso grigio biancastro. Non sapeva che ne sarebbe stato del cuore, ma era certa che il mostro non sarebbe sopravvissuto a un colpo alla testa calibro 30.06. Non voleva perdere tempo a dar la caccia a quell'orrore vivente o infliggergli sofferenze non necessarie, voleva semplicemente che morisse. Mirò al centro della fronte. Il mostro aveva una mascella pronunciata e un naso sottile e diritto che spuntava dalla pelle chiazzata, come se un tempo si fosse trattato di una persona bella, aristocratica. "Forse è un altro Ashford" pensò a mo' di scherno, e sparò. La testa del mostro si spappolò, sembrò quasi disintegrarsi quando il proiettile trovò il bersaglio. Schegge d'osso e brandelli di materia cerebrale schizzarono tutt'intorno, grigie come il cielo, e un getto di vapore cominciò a salire dalla ciotola spezzata del suo cranio mentre il mostro cadeva sulle ginocchia, le braccia mutanti scosse da spasmi nell'aria nevosa. Poi la creatura si abbatté sul viso massacrato. Claire non provò nulla, né piacere, né contrarietà, neppure pietà. Il mostro era morto, questo era tutto, ed era tempo che lei se ne andasse. Ancora non avvertiva il freddo, ma il suo corpo stava tremando violentemente, i denti sbattevano e sapeva di doversi scaldare... — Claire? La voce era debole e tremante ma senza dubbio apparteneva a Steve e veniva dal margine orientale della piattaforma. Claire guardò verso lo spazio vuoto per un istante, completamente sconvolta poi corse, cadendo su mani e ginocchia sotto la dolce carezza della neve. Si protese e lo vide malamente aggrappato intorno a un pilone di supporto, afferrato al metallo gelato con entrambe le braccia e una gamba. Il suo viso era quasi blu a causa del freddo, ma quando la scorse, i suoi
occhi si illuminarono, e sui pallidi lineamenti apparve uno sguardo di incredibile sollievo. — Sei viva — disse. — Mi hai rubato la battuta — rispose lei, lasciando cadere il fucile e afferrandosi al bordo della piattaforma, mentre si protendeva verso il basso per stringergli il braccio con una mano. Fu una lotta durissima, ma un istante dopo Steve era in salvo e i due giovani si trovarono in ginocchio, abbracciati, troppo infreddoliti per fare qualsiasi cosa se non stringersi l'uno all'altra. — Mi dispiace tanto, Claire — disse lui con voce mesta, il viso appoggiato alla spalla di lei. — Non sono riuscito a fermarlo. Il cuore della giovane si era schiuso quando lo aveva visto sano e salvo e adesso si strinse dolorosamente. Aveva solo diciassette anni, la sua esistenza era stata distrutta dall'Umbrella e aveva rischiato di morire per salvarla. Ancora una volta. E diceva di essere dispiaciuto. — Non ti preoccupare, questa volta l'ho fatto fuori — gli disse, decisa a non piangere. — Tu penserai al prossimo, okay? Steve assentì, sedendosi sui talloni per guardarla. — Lo farò — rispose con tanta veemenza che lei fu costretta a ridere. — Fico — ammise la ragazza e si rimise in piedi, protendendosi per aiutarlo. — Mi risparmierà un po' di lavoro. Adesso andiamo a prendere un gatto, okay? Sostenendosi a vicenda e stando vicini per riscaldarsi, si avviarono verso le scale, senza decidersi a staccarsi l'uno dall'altra. 12 Alexia Ashford osservò il suo gemello morire ai suoi piedi coperto di sangue e con grande sofferenza, proteso verso il serbatoio di stasi con un lampo di adorazione negli occhi rantolanti. Non era mai stato un ragazzo particolarmente brillante o competente, ma lei gli aveva voluto davvero molto bene. La sua morte le causava un'enorme tristezza... ma rappresentava anche il segno che stava aspettando. Era tempo di uscire dalla stasi. Da alcuni mesi si era resa conto che la fine era vicina... o meglio era prossimo l'inizio, la nascita di una nuova vita sulla Terra. La sua stasi era rimasta stabile per la maggior parte dei quindici anni che aveva dovuto trascorrere in quella condizione, il corpo e la mente inconsapevoli della vita... senza rendersi conto di essere sospesa in un liquido amniotico congelante,
mentre le sue cellule cambiavano lentamente per adattarsi al T-Virus Veronica. Nel corso dell'ultimo anno, tuttavia, qualcosa era cambiato. Aveva ipotizzato che, trascorso un tempo sufficiente, il T-Virus Veronica avrebbe innalzato la consapevolezza a nuovi livelli, espandendo aree della mente che avrebbero superato quelli dei semplicistici sensi degli uomini, e aveva avuto ragione. Negli ultimi dieci mesi aveva cominciato a provare coscienza di se stessa malgrado la stasi, mettendo alla prova la sua consapevolezza... ed era stata in grado di vedere attraverso i suoi occhi umani quando lo aveva desiderato. Alexia si protese con la mente e spense i macchinari di supporto. Il serbatoio cominciò a svuotarsi mentre lei guardava il suo amato fratello provando un grande dolore di fronte alla sua dipartita. Avrebbe potuto scegliere di non esercitare le sue emozioni, ma aveva vissuto tutta la sua vita umana al suo fianco, perciò le sembrava adeguato cedere ai sentimenti. Quando il serbatoio fu vuoto del tutto, Alexia lo aprì entrando nel suo nuovo mondo. C'era potere ovunque, a sua completa disposizione, ma per un poco rimase seduta di fronte al serbatoio con il capo di Alfred sulle ginocchia, provando solo tristezza. Cominciò a cantare, una filastrocca da bambini che suo fratello aveva amato, spazzolandogli via i capelli dal viso sofferente. C'era un'ombra di tristezza nelle linee che circondavano gli occhi e la bocca di Alfred e Alexia si chiese come fosse stata la sua esistenza. Si chiese se era rimasto a Rockfort Island nella villa di Veronica, nella dimora dei loro avi. Sempre cantando, Alexia si protese per cercare suo padre e rimase sorpresa di non trovarlo: era morto anche lui o comunque oltre il raggio delle sue capacità di percezione. Aveva sfiorato la sua mente solo recentemente, studiando cosa fosse rimasto del proprio genitore. In un certo senso, lui era responsabile di ciò che era diventata; il T-Virus Veronica gli aveva ridotto il cervello in poltiglia, facendolo impazzire... come avrebbe fatto con lei, se Alexia non lo avesse provato prima sul padre. Ampliò i confini della sua consapevolezza, trovando malattia e morte ai livelli superiori del terminal. Un peccato, era stata ansiosa di riprendere i suoi esperimenti immediatamente ma, senza i soggetti per i test, non aveva ragione di restare là. Scoprì la presenza di due persone non lontano dallo stabilimento dell'Umbrella e decise di provare il suo effettivo controllo sulla materia, per vedere quanto sforzo le occorreva... e scoprì che in verità non compiva
quasi alcuna fatica. Si concentrò solo per alcuni istanti, vide un uomo e una donna dentro un veicolo da neve, e desiderò che tornassero al campo. Istantaneamente scie di materia organica eruppero dal ghiaccio, scavandosi una via verso il veicolo. Divertita, Alexia osservò con tutti i suoi sensi mentre un gigantesco tentacolo che saliva arricciandosi intorno al veicolo lo sollevava nell'aria senza sforzo... e scaraventava i due nuovamente verso la base. La macchina rotolò più volte su se stessa e il motore esplose in una fiammata, andandosi a fermare contro uno degli edifici dell'Umbrella. Entrambi i passeggeri erano ancora vivi, pensò Alexia, e ne fu compiaciuta. Avrebbe potuto usare uno di essi per un esperimento al quale andava pensando da settimane, e sicuramente avrebbe trovato un impiego adeguato per l'altro a tempo debito. Alexia continuò a cantare per il fratello morto, stimolata dai cambiamenti che vedeva profilarsi, impaziente di ottenere una completa padronanza dei suoi nuovi poteri. Gli accarezzò i capelli, con aria sognante. 13 La situazione peggiorò quasi subito quando finalmente raggiunse l'isola. Alle prime ombre della sera Chris si trovava in piedi in cima alla scogliera, cercando di riprendere a respirare normalmente e maledicendosi sonoramente. Tutte le sue cose erano in quella borsa... le anni e le munizioni, l'equipaggiamento per l'arrampicata che sarebbe servito loro per calarsi sull'imbarcazione, la torcia elettrica, una cassetta per il pronto soccorso, tutto insomma. "Non tutto per la verità. Hai ancora tre granate alla cintura" gli suggerì distintamente la sua mente. Fantastico. A metà della salita su per la scogliera aveva mollato la presa sulla borsa lasciandola precipitare in mare, ma sembrava che avesse ancora il senso dell'umorismo. "Già, sarà dura salvare la vita di Claire. Barry aveva ragione. Avrei dovuto portare qualcuno per coprimi le spalle." Bene. Poteva starsene là tutto il giorno ad augurarsi che le cose andassero in maniera differente, o poteva cominciare a muoversi. Scelse la seconda possibilità. Si protese in avanti ed entrò in una bassa caverna che aveva scelto come primo accesso, un'area isolata ma sicuramente collegata con il resto del campo... c'era un'antenna radio sul lastrone di roccia esterno e quando si alzò e compì un paio di passi dopo l'ingresso, si trovò in un ambiente gi-
gantesco, con pareti e soffitto di roccia ma il pavimento artificialmente spianato. Più avanti, da qualche parte, c'era una luce e Chris cominciò a dirigersi in tale direzione, incrociando le dita nella speranza di non capitare nel bel mezzo dell'esercito dell'Umbrella. Ne dubitava. Da quanto aveva visto dell'isola, l'attacco di cui aveva parlato Claire era stato particolarmente brutale. Aveva compiuto meno di una dozzina di passi all'interno della camera avvolta nell'ombra quando un debole tremore scosse la caverna, facendogli piovere sulla testa polvere e ciottoli... e chiudendo l'ingresso attraverso cui era passato poco prima. Le rocce, quando cadevano, producevano un rumore assai particolare. Sembrava che l'assalto all'isola avesse reso le condizioni della struttura piuttosto instabili. — Oh, magnifico — borbottò, ma improvvisamente si sentì un po' più lieto di avere le granate ancora con sé. Non che gli potessero essere di grande aiuto là dentro. Anche se fosse stato in grado di far saltare l'ingresso senza farsi crollare in testa il resto della caverna, questa si trovava ancora a un'altezza che avrebbe reso impossibile passare di sotto, e la fune era rimasta nella sacca che aveva perso. A meno che, nel frattempo, non avesse preso lezioni, Claire non era ancora una scalatrice sufficientemente esperta per poter scendere senza l'aiuto di una cima... — Cosa? — giunse la voce roca di qualcuno e Chris si accucciò di colpo in posizione difensiva. Scandagliando le ombre. Vide un uomo sul fondo della caverna, accasciato contro la parete. Indossava una maglietta bianca strappata e sporca di sangue, pantaloni e stivali militari... era un uomo dell'Umbrella, e non in ottima forma, a quanto pareva. Nondimeno, Chris gli si avvicinò rapidamente, pronto a prenderlo a calci appena avesse compiuto un gesto sospetto. — Non sapevo che ci fosse ancora qualcuno in giro — disse debolmente lo sconosciuto, tra un colpo di tosse e l'altro. — Pensavo di essere rimasto l'ultimo... dopo l'autodistruzione. Tossì di nuovo; chiaramente non gli rimaneva molto da vivere. Le sue parole penetrarono nel cervello del giovane provocandogli una morsa allo stomaco. Autodistruzione? Si chinò sul ferito cercando di mantenere la voce tranquilla. — Sto cercando una ragazza, si chiama Claire Redfield. Sai dove si trova? Sentendo nominare Claire l'uomo sorrise, anche se non a Chris. — Un angelo. Se n'è andata, fuggita. Io l'ho aiutata... l'ho lasciata andare. Ha cer-
cato di salvarmi, ma era già troppo tardi. Nuovamente la speranza tornò a far capolino. — Sei certo che se ne sia andata? Il moribondo assentì. — Ho udito degli aerei che decollavano. Ho visto un jet partire dai sotterranei, sotto il... — un colpo di tosse — serbatoio. Dovresti andartene anche tu. Non è rimasto nulla, qui. Chris sentì almeno parzialmente lo stress e la tensione svanire, e la tensione al collo che si allentava. Se davvero se n'era andata, era in salvo. — Ti ringrazio per averla aiutata — disse con sincerità. — Come ti chiami? — Raval. Rodrigo Raval. — Io sono il fratello di Claire, Chris — disse. — Lascia che ti aiuti, Rodrigo, è il minimo che possa fare... Eaaaaa. Un verso assordante e animalesco riempì la caverna e, nello stesso istante, la grotta tremò nuovamente; il terreno vibrò a tal punto che Chris perse l'equilibrio. La terra eruppe. Sulle prime Chris pensò che si trattasse di un'esplosione. Una fontana di polvere e pietre schizzarono verso l'alto, ma il getto continuò a salire e il giovane fu in grado di vedere un enorme essere schifoso coperto di sporcizia sotto il geyser di terriccio, ne avvertì l'odore di zolfo e materia decomposta. Infine distinse un enorme cilindro di gomma che continuava a salire. Poi la cosa emise nuovamente il suo verso stridulo. L'estremità dell'essere cilindrico si contorceva mentre dalla gola ululante e spalancata emergevano tentacoli simili a vermi. Chris si rimise faticosamente in piedi e afferrò una granata dalla cintura. Il gigantesco verme-serpente si abbatté al suolo con le fauci spalancate e inghiottì Rodrigo tutto intero ancor prima di cadere sul suolo sabbioso dove Chris si era trovato solo un istante prima. Il mostro scivolava sul terreno come un nuotatore nell'acqua, inarcando il corpo incredibilmente lungo, e inseguiva il giovane. Gesù! Chris si allontanò faticosamente mentre il terreno continuava a vibrare e la creatura scostava con violenza rocce, pietrisco, sabbia tutt'intorno a sé. Il giovane si rese conto che doveva ucciderla in fretta o levarsi di là, perché altrimenti gli sarebbe stata addosso in un attimo. Corse sino alla parete opposta della caverna, compiendo uno scatto un istante prima che il verme-serpente spuntasse dal terreno alle sue spalle,
spalancando la sua folle bocca mentre la testa esitava, e si inarcava in cima al corpo arcuato, pronta a piombare su di lui, scatenando una pioggia di pietre. Chris sfilò l'anello di sicurezza della granata, strappando via la linguetta e l'assicura e si mise a correre direttamente verso la parte bassa del corpo della creatura emersa dal terreno. "Follia, è una follia..." Si chinò un istante prima di andare a colpire il lurido e muscoloso mostro piazzando la granata sul terreno di fronte a esso, per poi riprendere la corsa, ben attento a non farsi bloccare, quindi si nascose dietro il corpo del verme-serpente che si contorceva. Si coprì la testa mentre la creatura cominciava a discendere urlando... Boom, l'esplosione scosse il terreno in modo ancor più violento di quanto non avesse fatto l'animale, al quale mozzò il verso in gola. La detonazione fu quasi coperta dal rumore prodotto da mezza tonnellata di viscere del verme che schizzavano in ogni direzione, calde e appiccicose, imbrattando le pareti della caverna con ammassi di liquido vischioso. Chris rotolò sulla schiena, fradicio, e vide la metà superiore della bestia scossa da convulsioni e spasmi, già morta. Quando i suoi muscoli si tesero e si rilassarono per un'ultima volta, il verme-serpente espulse un getto di acidi gastrici e pietra dalle fauci spalancate, vomitando l'ultimo pasto. Rodrigo! Prima che l'enorme corpo si fosse immobilizzato del tutto sul terreno, Chris fu al fianco di Rodrigo, pieno d'orrore e incapace di intervenire di fronte a quell'uomo sconvolto dallo shock e dal dolore. Era coperto di bile giallastra e Chris notò alcuni punti in cui il liquido era già penetrato bruciando la carne attraverso la pelle. Rodrigo lasciò sfuggire un gemito flebile, troppo debole per essere udito e sconvolto da quello che doveva essere un dolore indescrivibile. Chris si strappò la giacca, per asciugargli la faccia, cosciente che Rodrigo sarebbe morto entro pochi minuti, forse entro pochi secondi. Continuò a parlargli, con un tono pacato malgrado il suo stesso dolore. Rodrigo aprì gli occhi e benché fossero pieni di sofferenza, erano anche umidi, vitrei, con lo sguardo distante di chi si è lasciato ogni cosa alle spalle, una persona libera dal dolore e dalla paura. — Tasca... destra... — sussurrò l'ex uomo dell'Umbrella. — L'angelo... dato... portafortuna. Rodrigo trasse un lento e profondo respiro poi lasciò sfuggire l'aria len-
tamente, un'esalazione che parve protrarsi per sempre, quindi morì. Con un gesto automatico Chris gli chiuse gli occhi semiaperti, triste e nello stesso tempo sollevato per la sua dipartita, che segnava il termine di un'esistenza ma anche la fine di tanta sofferenza. "Riposa in pace, amico." Con un sospiro, frugò nella tasca di Rodrigo e trovò un oggetto di metallo riscaldato dalla pelle. Il malandato e pesante accendino che lui stesso aveva regalato a Claire, molto tempo prima. Come portafortuna. Chris se lo serrò al petto, improvvisamente sopraffatto da un moto d'affetto per la sorella. Claire aveva portato con sé quell'accendino dappertutto per anni, ma lo aveva ceduto per dare conforto a un moribondo, forse uno dei responsabili della sua cattura. Lo fece scivolare in tasca e si rizzò in piedi, augurandosi di avere al più presto l'opportunità di poterglielo rendere... e dirle che aveva reso più accettabili le ultime ore di Rodrigo. Anche se Claire non doveva più essere portata in salvo, il viaggio di Chris sino all'isola aveva avuto uno scopo. Il lezzo della caverna coperta di schizzi stava per sopraffarlo, e adesso che sapeva che sua sorella era in salvo, non gli restava che tornare a casa. L'ingresso attraverso cui era passato era stato sepolto dalla roccia e lui non aveva un'arma degna di definirsi tale, ma se qualcuno aveva attivato il sistema di autodistruzione dell'Umbrella - sembrava che tutte le loro installazioni illegali fossero costruite con tali sistemi di sicurezza, un modo scaltro per distruggere le prove se qualcosa fosse andata per il verso sbagliato non avrebbe avuto molte difficoltà a trovare il sotterraneo di cui aveva parlato Rodrigo, per vedere se c'era un altro jet con cui lasciare l'isola. — Da dove sono venuto non si torna — disse mestamente, e dopo un'ultima silenziosa preghiera in cui augurò a Rodrigo di trovare la pace, andò a vedere cosa avrebbe potuto trovare. Stava per scoppiare un combattimento su uno dei monitor di ciò che restava della sala controllo e Albert Wesker, frustrato da una giornata intera di ricerche senza successo e non certo ansioso di affrontare un nuovo, lungo volo, prese una cassa e vi si sedette per guardarlo. Aveva già rimandato indietro i ragazzi ed era rimasto solo... peccato che, a quanto pareva, aveva dimenticato qualcuno, e questo qualcuno stava ancora vagabondando sull'isola. "Non per molto tempo ancora" pensò allegramente, augurandosi che la trasmissione sul monitor fosse migliore. Grazie a quel perdente di Alfred
Ashford, il sistema di autodistruzione aveva mandato praticamente tutto in malora... e, alla fine, qualcosa di interessante stava veramente per accadere. "Cristo, ma è disarmato!" Folle, stupido o totalmente ignaro di cosa fosse realmente quell'isola, senza dubbio. Wesker sorrise. L'uomo disarmato stava attraversando l'edificio adibito all'addestramento appena un piano sotto di lui, e stava per incontrare una delle più recenti creazioni dell'Umbrella in fatto di armi bioorganiche, una creatura rimasta intrappolata nelle fogne sinché non era entrato in scena Wesker a liberarla. Erano a un corridoio di distanza, e quando quel cretino avesse girato l'angolo successivo, sarebbe morto. Wesker si aggiustò gli occhiali da sole sul naso, piacevolmente divertito dai prossimi guai che si sarebbero presentati. "Scandagliatori" così l'Umbrella aveva chiamato quel nuovo genere di mostri, anche se fondamentalmente si trattava di Hunter dotati di artigli velenosi... giganteschi esseri anfibi, violenti come l'inferno stesso. Secondo l'opinione di Wesker, gli Hunter, quelli della serie 121, erano terrificanti anche senza quel tocco velenoso in più. Ma non era tipico dell'Umbrella sprecare le proprie risorse, fare sempre giochetti quando avrebbe potuto vincere delle guerre? Sì, era tipico, ma sarebbe stato un bagno di sangue in ogni modo. Wesker accantonò il disgusto che provava per la società farmaceutica e si mise comodo per assistere allo spettacolo. L'idiota disarmato... un ragazzo alto, con capelli castano rossicci, a giudicare da ciò che l'energia statica gli permetteva di vedere sullo schermo... stava per finire in bocca ai guai e lo Scandagliatore lo aspettava proprio dietro l'angolo. Improvvisamente il ragazzo si fermò e arretrò di un passo, addossandosi a una parete danneggiata. Wesker corrugò la fronte. L'intruso cominciò a tornare su suoi passi, con lentezza e cautela, sempre strisciando rasente al muro. Okay, forse non era un completo idiota. Aveva ripercorso per metà il corridoio da cui era arrivato quando finalmente lo Scandagliatore si spazientì e decise di entrare in azione. Il sistema sonoro era completamente distrutto, ma la creatura aveva inarcato indietro la testa e stava evidentemente urlando. Quel grido folle, stridulo, fluttuò sino a Wesker attraverso l'edificio in rovina appena una frazione di secondo dopo. — Prendilo — lo incitò senza fiato Wesker, tornando a guardare quel
povero idiota, ormai condannato... in tempo per vederlo gettare qualcosa, qualcosa di piccolo e scuro. Lo Scandagliatore balzò fuori da dietro l'angolo, sempre urlando mentre l'oggetto gli cadeva tra i piedi. L'edificio fu scosso da un'esplosione, gli schermi divennero prima bianchi poi completamente neri, e la profonda detonazione degli esplosivi si ripercosse attraverso il pavimento. Wesker era sbalordito. E furioso. Quella creatura era stata un miracolo della scienza, un guerriero creato per la battaglia... chi era lo stronzo che vi si era appena imbattuto facendola a pezzi? "Uno stronzo morto" pensò Wesker cupamente, spingendo via la cassa e dirigendosi verso le scale. Scese i gradini due alla volta, superando alcuni fuocherelli ancora accesi, consapevole che stava canalizzando tutte le sue frustrazioni e contrarietà verso quello sconosciuto soldato, ma non particolarmente preoccupato per quel fatto. Alexia non si trovava a Rockfort, il che significava che doveva portare il culo in Antartico, tra tutti i posti del mondo. Si trattava dell'unica base in cui Alexia avrebbe potuto trovarsi oltre quella. Perché mai Alfred ci sarebbe andato se non fosse stato così? E se Wesker non se ne fosse impossessato prima che lei si svegliasse, avrebbe dovuto tornare a casa a mani vuote.... Tutto ciò avrebbe aumentato l'entità del suo fallimento, e se c'era una cosa che Wesker detestava era proprio essere sconfitto. Marciò tra i resti fumanti dell'edificio di addestramento e raggiunse il corridoio che cercava, avanzando più silenziosamente a mano a mano che procedeva. C'era ancora del fumo nell'aria quando pervenne all'angolo dove si era svolto lo scontro, ma dello Scandagliatore restava ben poco. La maggior parte del mostro era spiaccicato sulle pareti e sul soffitto. Là, davanti e a sinistra, poteva cogliere l'odore dell'intruso, poteva sentire il sudore e l'ansia che emanavano dal piccolo laboratorio in cui si era rifugiato. "Questo ti danneggerà più di quanto infastidisca me" pensò, mentre in qualche modo il suo umore si risollevava all'idea di una piccola interazione di carattere personale. Non desiderando affatto saltare in aria, Wesker non esitò, né diede all'avversario l'opportunità di farsi prendere dalla paranoia. Irruppe nella stanza, vide il futuro cadavere che gli voltava le spalle e si mosse. Lo fece nell'unico modo in cui poteva farlo... un istante prima stava varcando la soglia, in quello successivo girò di colpo l'intruso afferrandolo per la gola... ... e si ritrovò a guardare negli occhi Chris Redfield.
"Oh, santo cielo." Chris, che aveva fatto parte della squadra S.T.A.R.S. di Raccoon, e che era stato condotto, agli ordini di Wesker stesso, sino alla residenza Spencer, dove aveva considerevolmente contribuito al fallimento dei suoi progetti. Chris Redfield gli era costato soldi, e per poco non gli era costato anche la vita... ma, cosa peggiore di ogni altra, era stato responsabile del principale fallimento nella sua esistenza. Wesker si riprese rapidamente, mentre nel suo corpo dilagava una oscura e magnifica sensazione di gioia. — Chris Redfield, vivo e vegeto... Cosa ti porta a Rockfort, se non ti dispiace...? Wesker non terminò la frase. Teneva gli occhi fissi sul viso sempre più rosso di Redfield, che cercava vanamente di allentare la presa delle sue dita sulla gola. La ragazza, naturalmente! Lui non aveva saputo neanche che Chris avesse una sorella, ma la lettera demente che Alfred Ashford si era lasciato dietro spiegava ogni cosa... compresi i suoi piani per la giovane Claire. — Non è qui — disse ridendo Wesker. Con la mano libera si rimise a posto gli occhiali da sole. — Tu... tu sei morto — ansimò Chris, e Wesker sorrise ancor più compiaciuto, senza curarsi di rispondere a un'osservazione così stupida. — Non cambiare argomento, Chris, non vuoi sapere dove si trova Claire, eh? Sai che il suo aereo ha subito un piccolo cambiamento di rotta verso l'Antartico? Chris stava rapidamente soffocando, ma Wesker poteva rendersi conto che le novità riguardanti sua sorella lo stavano colpendo più profondamente della sua imminente dipartita. "Magnifico!" — Ci fanno degli esperimenti, in quel posto — sussurrò Wesker con fare cospiratorio, come se gli stesse rivelando un segreto. — Ho in mente di andarci io stesso, per vedere se riesco a realizzare anch'io un paio di test... dimmi, tua sorella è carina? Pensi che sarebbe interessata a provare qualche giochetto? Perché, vedi, ho in testa alcune cose che non immagineresti mai... Chris agitò le braccia cercando di colpirlo e la furia impotente che si leggeva nei suoi occhi era assolutamente divina. Lo percosse in viso, facendogli cadere gli occhiali... e Wesker rise, sbattendo le palpebre lentamente e lasciandogli vedere gli occhi. Lui stesso non si era ancora abituato del tutto al suo aspetto. Gli occhi rossi da gatto di tanto in tanto lo coglievano di sorpresa quando si guardava allo specchio... e sortirono esat-
tamente l'effetto che aveva sperato. — Cosa... cosa sei? — domandò Chris con voce rauca. — Sono un essere migliore, ecco cosa — disse Wesker. — Nuovi principali, sai. Dopo ciò che è successo alla residenza Spencer, ho avuto bisogno di un po' d'aiuto per rimettermi in carreggiata, e questi signori sono stati così gentili da provvedere. Pensi che a Claire piacerà? — Mostro — sbottò Chris. "Ti farò vedere io chi è il mostro, stronzo." Wesker fece per serrare la mano, osservando gli occhi di Chris che strabuzzavano e una vena sulla fronte che stava per esplodere. Fu fermato dal suono di una risata, una risata fredda e femminile che riempì la stanza avvolgendoli. — Vuoi giocare con me? — disse una voce. La stessa donna con un tono basso, sexy e pericoloso riprese a ridere, producendo un suono senza pietà ma al tempo stesso magnifico che alla fine terminò nel nulla. Alexia! Dio, si era destata... e il genere di potere che stava usando per vederlo là, per proiettarsi così distante... Wesker gettò Chris da un lato, udendo appena il muro intonacato creparsi sotto il suo cranio inutile, il pensiero completamente rivolto ad Alexia. Doveva andare da lei immediatamente. Doveva averla, e non solo come campione... sebbene si ripromettesse di ricavarne tutto il possibile. — Sto arrivando — disse, raccogliendo gli occhiali da sole e muovendosi, spostandosi rapidamente nell'edificio in rovina sino al punto in cui l'aspettava il suo aereo privato. Chris Redfield era storia passata, il futuro era Alexia Ashford. Chris si mise faticosamente in piedi poco dopo che Wesker se n'era andato, provando un terribile dolore alla gola. Non sapeva cosa fosse accaduto, con esattezza, non sapeva chi fosse la donna e perché Wesker gli era sembrato così ansioso di raggiungerla... ma adesso capiva chi aveva attaccato Rockfort e ne sospettava la ragione. Albert Wesker avrebbe dovuto morire quando la residenza Spencer era bruciata, ma sembrava che avesse venduto l'anima a qualcun altro al prezzo della sua stessa esistenza, qualcuno che chiaramente era malvagio e amorale quanto l'Umbrella... qualcuno che avrebbe ucciso per ottenere ciò che cercava, o meglio per qualcosa che l'Umbrella possedeva. A Chris non importava. Al momento, tutto ciò che gli importava era
Claire, e raggiungere la base in Antartico. Sapeva che l'Umbrella vi possedeva una sede dedicata ad attività legittime... doveva essere proprio quella e, se non fosse stato così, qualcuno laggiù avrebbe saputo dove si svolgevano con precisione gli esperimenti. Gli restava una granata. Se avesse potuto scovare l'aeroporto sotterraneo, non avrebbe avuto difficoltà a penetrarvi, inoltre sapeva far volare qualunque cosa possedesse un paio d'ali. Una volta in viaggio avrebbe cercato di avere notizie sulla base dell'Umbrella via radio, e se non fosse riuscito a trovare un'arma per tirar fuori sua sorella di là, l'avrebbe fatto a mani nude. Gli importava solo di Claire. E ormai stava per raggiungerla. 14 Si trovavano solo a poche ore di distanza da lei. Due uomini uniti da una lunga storia, uno era il suo nemico, l'altro... Alexia non sapeva nulla dell'altro; non ancora, ma era certa che volesse reclamare la ragazza che aveva preso dalla macchina da neve. Probabilmente anche il ragazzo. Nessuno di essi avrebbe lasciato la base, naturalmente... ma lei non vedeva l'ora di assaporare i piccoli intrighi, i laceranti drammi personali che la loro umanità avrebbe portato nella sua dimora. Avrebbe goduto dell'opportunità di considerare la situazione: possibili futuri, la sua prossima trasformazione, i cambiamenti strutturali e psicologici che il virus che aveva sintetizzato avrebbe creato negli umani, come avrebbe accolto i nuovi ospiti... Le sovvenne che la sua casa, posta nelle profondità sotto il ghiaccio e la neve, poteva essere difficile da raggiungere per loro. Immediatamente formulò il desiderio che le porte si aprissero, che gli ostacoli venissero rimossi... e udì, vide e sentì nello stesso istante il risultato manifestarsi in cento posti contemporaneamente, mentre le serrature si spezzavano e le pareti venivano trascinate a terra, i detriti erano spazzati via e le aperture si allargavano. Era pronta. Le cose si sarebbero svolte in fretta da quel momento in avanti... e ciò che sarebbe avvenuto nelle ore successive, a un certo livello, avrebbe determinato le sue scelte sul futuro a venire. Era ancora tutto così nuovo, le date fondamentali della sua nuova esistenza erano scritte solo sulla sabbia... Sorridendo di fronte alla liricità dei suoi stessi pensieri, Alexia si preparò a vedere l'effetto della prima serie di iniezioni sul ragazzo.
15 C'era qualcosa di profondamente sbagliato nella base antartica dell'Umbrella, ma Chris non era in grado di stabilire di cosa si trattasse. Il quinto livello sotterraneo del campo base era deserto e avvolto nel buio. A centinaia di metri sotto la superficie coperta di neve, il giovane si fermò di fronte a quella che sembrava una villa in piena regola costruita in mattoni bianchi. Dietro di lui c'erano una fontana, piante in vaso e persino una giostra decorativa. Era arrivato sin là, presumibilmente, perché qualcuno voleva che lui entrasse, ma non sapeva chi o perché. Il suo istinto gli diceva di mandare tutto al diavolo, ma lui ignorò l'avvertimento. Doveva farlo, poiché non sapeva se stava giocando il ruolo dell'agnello sacrificale o se era Claire che, in qualche modo, lo attirava. Sin da quando il suo jet era atterrato nell'hangar sul tetto, si era sentito guidato passo dopo passo lungo la via. Aveva proceduto nei corridoi mentre le porte alle sue spalle venivano chiuse e altre davanti si aprivano; era accaduto per due volte. Inoltre aveva trovato dei gioielli sui freddi pavimenti di cemento che lo avevano indirizzato in una specifica direzione, e in un'occasione, dopo aver preso una strada sbagliata, tutte le luci si erano spente. Si erano riaccese quando era tornato indietro a tentoni dal punto in cui aveva sbagliato. Era già stata una bizzarra esperienza arrivare alla base, dopo un volo apparentemente senza fine in una grigia distesa di neve e ghiaccio... per poi vedere per la prima volta la base, che emergeva dalle pianure spoglie come un miraggio. "Ma essere condotto in un luogo preciso come un animale, sospinto senza una ragione..." Chris era spaventato, più di quanto volesse ammettere. Aveva cercato di fermarsi, di guardarsi in giro alla ricerca di un'arma o di qualche indizio, ma ogni soglia gli era stata sbarrata, ogni porta che aveva provato ad aprire era stata chiusa a chiave... salvo quelle attraverso le quali doveva passare, ovviamente. Le telecamere che sicuramente avevano seguito ogni suo movimento dovevano essere così ben celate che lui non ne aveva notata nemmeno una... Ma gli era sembrato quasi che il suo pastore gli leggesse nella mente, che conoscesse quali segnali fornirgli, e sapesse come farlo procedere. Inizialmente aveva immaginato che si trattasse di Wesker, che fosse una trappola per incastrarlo... ma perché darsi tanto pensiero? Wesker avrebbe potuto strangolarlo sull'isola, se lo avesse voluto. No, lui era
stato guidato là sotto per qualche ragione precisa, e sembrava che non avesse scelta se non proseguire... se voleva trovare Claire. Trasse un profondo respiro e aprì la porta d'ingresso della villa, accingendosi a entrarvi. Era una dimora magnifica, stravagante come la facciata dell'edificio aveva suggerito, con grandi scalinate, pilastri ad arcate... Risultava stranamente familiare, tuttavia Chris impiegò qualche istante a comprendere perché, visto che i colori e le decorazioni erano diversi. Lo schema delle stanza, la planimetria di base dell'atrio si presentavano identici a quelli della residenza Spencer. Era un ambiente surreale, ma così perfettamente in armonia con tutte le altre bizzarrie che il giovane non batté ciglio. Chris rimase un istante immobile, in attesa, guardandosi in giro alla ricerca di un nuovo segnale, poi udì quella che gli parve una risata venire da dietro le scale. Era la stessa risata che aveva udito alla base di Rockfort, quella della donna. Cosa aveva detto? Qualcosa riguardo alla possibilità di giocare? Decisamente gli sembrava un gioco di qualche sorta, come se lui fosse un personaggio spostato per il divertimento di qualcuno... e la cosa cominciava a irritarlo seriamente. Il fatto di aver paura lo rendeva solo più nervoso. Chris raggiunse la parete più distante a grandi passi, pronto ad affrontare la donna, a porle alcune domande, ma quando girò attorno a uno dei pilastri decorativi, vide che non c'era nessuno. — Cosa diavolo succede? — borbottò, volgendosi. Davanti a sé vide Claire. Imprigionata da una rete sul retro delle scale come da un ragno gigantesco, gli occhi chiusi e la testa che pendeva inerte. Wesker non si sorprese di scoprire che alcune sezioni della base antartica erano state costruite in modo da riprodurre la residenza Spencer. Quella stravaganza sotterranea era uno spreco incredibile, ma, come aveva già notato in numerose occasioni, era anche tipica dell'Umbrella. Quella gente viveva di intrighi, sin dal principio. Prima che tutto si trasformasse in un brutto film di spionaggio. Oswell Spencer ed Edward Ashford erano stati responsabili della creazione del T-Virus, ma era stato il loro unico vero risultato raggiunto con successo, il resto erano solo soldi buttati. In verità, l'intera base - salvo forse i laboratori - era semplicemente un gioco costosissimo, concepito da vecchi e bambini con poca fantasia e troppi soldi a disposizione.
Cosciente che Alexia probabilmente stava in guardia, Wesker si mosse con calma, spostandosi da un livello all'altro, aprendosi la strada ed eliminando gli zombie che vagabondavano per la base quando li incontrava. Non aveva armi con sé, semplicemente spezzava loro il collo lasciandoli ad asfissiare. In due occasioni era stato notato da altre creature, cose che aveva percepito ma non visto, ma queste non lo avevano assalito, forse riconoscendolo come uno della loro stessa razza. Wesker continuò a muoversi, certo che Alexia l'avrebbe trovato quando fosse stata pronta. Aveva fatto atterrare il suo jet a qualche distanza dal campo, aspettando che lei si rendesse conto della sua diversità, del fatto che gli elementi non avevano effetto su di lui, che era fisicamente più forte di cinque uomini messi insieme, dotato di una miglior resistenza e sensi più acuti. Voleva anche farle capire che rispettava il suo spazio, che voleva essere paziente... e che era estremamente determinato. "Tutto quello che desideri, mia cara" pensò, attraversando un freddo corridoio al quinto piano del sotterraneo. Aveva già percorso quella sezione, ma sapeva che la "Villa" era là e sospettava che lei volesse riceverlo in pompa magna. La cosa non gli importava, poteva spuntar su da una tazza del bagno per quel che gli fregava, ma era convinto che fosse vanesia e sciocca quanto suo fratello. Per quanto fosse potente e brillante, era pur sempre una ricca venticinquenne che aveva trascorso dieci anni della sua vita a dormire. Ricca, magnifica... piena di voglia di giocare. Probabilmente non aveva neppure l'esatta percezione dei suoi poteri, ma l'attesa non sarebbe stata ancora molto lunga, lo sentiva. Lasciò la gelida immobilità del freddo corridoio e ancora una volta si diresse verso la villa. Claire si destò lentamente, il corpo dolorante sostenuto da mani calde che la sollevarono aiutandola. Fu deposta al suolo. Il pavimento freddo la riportò alla realtà e, quando aprì gli occhi, vide suo fratello che le sorrideva. — Chris! — Balzò a sedere e lo abbracciò, ignorando il dolore muscolare, così felice di vederlo che per un istante dimenticò qualsiasi altra cosa. Era Chris, finalmente! — Ehi, sorellina — disse lui stringendola forte, mentre il suono familiare della sua voce le infondeva una sensazione di caldo e sicurezza. Desiderò che, dopo tanto tempo, quell'attimo si prolungasse all'infinito. — Claire... credo che adesso dovremmo andarcene di qui — disse lui e
la ragazza riuscì ad avvertire una sfumatura di preoccupazione dietro le sue parole. Si destò del tutto, ricordando ciò che era avvenuto. — Non so esattamente cosa sta succedendo, ma non credo che qui sia sicuro. — Dobbiamo trovare Steve — disse lei, e fece per alzarsi in piedi, preoccupata. Chris l'aiutò, sostenendola mentre riguadagnava una posizione stabile. — Chi è Steve? — Un amico — rispose Claire. — Siamo fuggiti insieme da Rockfort, e stavamo anche per andarcene di qui... ma qualcosa... una specie di creatura ha afferrato la nostra motoslitta e l'ha scagliata in aria... Sollevò lo sguardo verso Chris, improvvisamente molto preoccupata. — Prima di svenire l'ho sentito urlare il mio nome... È vivo, Chris, non possiamo lasciarlo qui. — Non lo faremo — asserì con fermezza il fratello e Claire si sentì venir meno per il sollievo. Chris era venuto a prenderla, sapeva la verità sull'Umbrella, quindi sarebbe stato in grado di rintracciare Steve e portarli entrambi lontano da quel luogo. Risa. Una donna stava ridendo, con un suono acuto, crudele. Chris uscì da dietro le scale, seguito dalla sorella, entrambi guardarono verso la balconata e là sopra la videro. Era... Alfred? No, non Alfred. E questo voleva dire... — Allora esiste realmente un'Alexia — sussurrò Claire. — avrei dovuto immaginarlo, maledizione. Sempre ridendo Alexia Ashford si voltò e scivolò via, uscendo dalla porta in cima alle scale. — Lei dovrebbe sapere dove si trova Steve — disse Chris con un senso di urgenza, nel momento in cui lo stesso pensiero sovveniva a Claire, e un istante dopo entrambi stavano correndo su per le scale. Rapidamente la ragazza superò il fratello, pronta a strappare a schiaffi la verità alla sinistra sorella di Alfred. Crash, alle sue spalle le scale cominciarono a precipitare. Claire rotolò sul pavimento mentre un enorme tentacolo erompeva nella balconata, "com'era successo con il gatto delle nevi..." Un istante dopo era scomparso, ritrattosi attraverso il foro che aveva creato e lasciandosi alle spalle una sezione delle scale in frantumi. La scala principale era ancora intatta, ma Claire era bloccata al secondo piano su un'isola di legno fracassato. Avrebbe dovuto discendere aggrappandosi al
corrimano. — Claire! Faticosamente si rimise in piedi e vide Chris che si contorceva dolorante, con una gamba incastrata tra frammenti di legno e intonaco. — Stai bene? — chiese la ragazza e il fratello le rispose con un cenno di assenso. Poi si udì un urlo, e la ragazza sentì il sangue gelarsi nelle vene. Il grido veniva da dietro la porta che Alexia aveva usato per fuggire, ed era sicuramente di Steve, di questo Claire non aveva dubbi. Era Steve e stava soffrendo. "Non posso lasciare Chris, ma..." — Chris, è lui — disse Claire, spostando lo sguardo tra suo fratello e la porta, incerta sul da farsi. — Vai, io me la caverò — gridò questi. — Ma... — Vai! Io ce la farò, stai solo attenta! In preda al terrore, Claire si voltò e corse, sperando che non fosse troppo tardi. Wesker entrò nell'enorme salone d'ingresso della villa sotterranea e si accorse che non era più grandioso come un tempo. Era accaduto qualcosa sulle scale, e parte della balconata soprastante era precipitata sul pavimento. Udì qualcuno muoversi dietro un enorme frammento della balconata che ancora era appeso al tappeto lacerato e fece un passo per avvicinarsi. Eccola là! In cima alle scale, con un lungo abito scuro, i capelli serici e biondi legati sulla nuca, il viso pallido e bellissimo. — Alexia Ashford — sussurrò Wesker, sorprendendosi di essere in qualche modo meravigliato adesso che era finalmente venuto il momento. Aveva un aspetto umano, delicato e indifeso, ma lui sapeva che non era così. "Stai attento a ciò che fai, e sarà meglio per tutti." Wesker si schiarì la gola, avanzando ancora mentre si sfilava gli occhiali da sole. — Alexia, il mio nome è Albert Wesker. Rappresento un gruppo che da molto tempo ammira il suo lavoro, ed era molto ansioso del suo... uhm... ritorno. Lei lo fissò impassibile, con il capo leggermente reclinato, la schiena ritta e rigida. Sembrava una debuttante al suo primo ricevimento in società. — E, devo aggiungere, per me è un onore incontrarla personalmente — disse Wesker con sincerità. — I miei superiori mi hanno detto tutto di lei.
So che suo padre le ha iniettato i geni della sua bis-bis nonna, Veronica... mi hanno spiegato che con quelli, appartenenti alla fondatrice della linea genealogica degli Ashford, ha creato lei e Alfred con lo scopo di donarvi il massimo della genialità. Di certo Veronica ne sarebbe entusiasta. "So anche che lei ha creato il T-Virus Veronica in suo onore..." disse con cautela. Probabilmente avrebbe fatto meglio a non menzionare ciò che era accaduto a loro padre. "Meglio non irritarla". — Inoltre so che lei è l'unica... ehm l'unico essere vivente ad avere accesso al virus." — Io sono il virus — disse freddamente Alexia, scrutandolo con gli occhi a fessura. — Sì, naturalmente — replicò Wesker. Dio, odiava tutte quelle stronzate diplomatiche, era un disastro in tali occasioni, ma voleva impressionarla, farle capire quanto fosse ritenuta importante per alcune persone. — Perciò — continuò, pensando a quanto sarebbero state più facili le cose se l'avesse trovata ancora in condizione di stasi. — Vorrei... apprezzeremmo molto se lei accettasse di accompagnarmi a un incontro privato con i miei superiori, per discutere una specie di accordo. Posso assicurarle che non ne resterà delusa. La donna aspettò di vedere se Wesker aveva terminato il suo discorso, poi scoppiò a ridere, a lungo e sonoramente. Wesker si sentì avvampare. Era chiaro dal suo tono cosa pensasse della sua richiesta. "Bene. Il tempo delle cortesie è finito." Wesker fece un passo avanti e alzò una mano. — Vogliamo un campione del T-Virus Veronica — spiegò mentre ogni gentilezza spariva dalla sua voce. — E devo insistere che lei me lo dia. Mentre Alexia cominciava a scendere le scale, per un istante Wesker pensò che stesse per farlo davvero... poi la donna cominciò a cambiare e lui smise di pensare a qualsiasi cosa. Fu solamente in grado di guardare, il suo sbalordimento decuplicato. Un ulteriore passo verso il basso e il vestito di lei bruciò in scie laceranti di luce dorata, proveniente dal suo corpo. Un altro passo e la sua pelle mutò, assumendo un colorito grigio scuro, mentre i capelli sparivano, e ciocche di carne grigiastra spuntavano dalla sommità della testa scendendo a incorniciarle il viso. La sua nudità mutò al gradino successivo, intorno a una gamba e all'inguine si avviluppò un'armatura bitorzoluta, rozza, che si arricciava per supportare il pettorale arrotondato e saliva sino a coprire il braccio destro. Quando raggiunse il fondo della scalinata, la donna non as-
somigliava più ad Alexia Ashford. Senza fiato, Wesker si protese verso di lei. Con il dorso della mano lei lo colpì e un istante dopo lui volava ricadendo in un ammasso vicino alla porta d'ingresso. "Quale potenza!" Wesker si rialzò, comprendendo quale forza ci sarebbe voluta e preparandosi a muoversi, a usare il suo stesso potere. Con un sorriso, lei agitò una mano e il fuoco divampò dal pavimento di marmo, circondandolo con una barriera di fiamme richiamate alla vita dalle sue dita affusolate. Alexia abbassò la mano e le fiamme si affievolirono senza morire, continuando ad ardere sulla pietra nuda del pavimento. Wesker sapeva che era finita. Sarebbe stato fortunato se lei avesse scelto di risparmiarlo. Senza un'altra parola, si voltò e uscì, correndo via non appena la porta si fu chiusa alle sue spalle. La creatura solo in parte umana se ne andò e, solo pochi attimi dopo, il giovane la seguì convinto di non essere stato notato. Alexia li guardò scappare, divertita, ma anche leggermente delusa. Si era aspettata qualcosa di più. La creatura in parte umana non costituiva una minaccia, perciò Alexia decise di risparmiarla. La sua arroganza, se non la sua patetica "offerta" l'aveva compiaciuta. Il giovane, però... era coraggioso e pronto a sacrificarsi, leale, capace di compassione. Fisicamente era un ottimo esemplare. E amava sua sorella, la quale stava per morire... Tutto questo avrebbe scatenato una interessante reazione psicologica. Alexia decise che avrebbe creato un confronto tra loro perché potessero interagire. Avrebbe messo alla prova una nuova forma di se stessa per vedere se il dolore lo avrebbe reso più coraggioso, o si sarebbe rivelato una debolezza. Rise, immaginando improvvisamente una forma conveniente, adatta da assumere. A eccezione di Alfred, nessuno era stato a conoscenza del semplice segreto che il T-Virus Veronica era basato sulla struttura chimica di un'ape regina. Avrebbe provato ad assumere la configurazione di un insetto, per sperimentare i punti di forza e i vantaggi che una tale forma le avrebbe offerto. Il disappunto era svanito. La ragazza e il suo giovane amico sarebbero morti, poi si sarebbe concessa un po' di svago con il ragazzo. 16
Claire aveva corso lungo corridoi e camere della magione timorosa al tempo stesso di sentir urlare Steve e di non udirlo più e quindi di non riuscire a stabilire dove fosse. Dopo aver superato alcuni corridoi riccamente adornati, si ritrovò in un'area destinata a prigione, con celle che si aprivano su entrambi i lati. Un ambiente freddo e ancora più scuro. Un solitario portatore di virus si protese verso di lei da oltre le sbarre alle sue spalle, gemendo. — Steve! La sua voce echeggiò, piena di tensione e di paura, ma il ragazzo non rispose. Sulla sua destra si trovava una spessa porta di metallo, diversa dalle altre, rinforzata da sbarre di acciaio. Claire la schiuse, facendo il suo ingresso in una piccola stanza spoglia che si apriva su una camera più ampia. — Steve! Ancora nessuna risposta, ma la stanza più vasta era lunga e scarsamente illuminata, una sorta di enorme corridoio, e lei non riusciva a vedere cosa ci fosse sull'altro lato. Tuttavia, tra la piccola stanza e il corridoio si alzava una cancellata, e questo la costrinse a fermarsi per riflettere. Si guardò in giro e trovò un frammento di legno sul pavimento. Lo inserì a cuneo tra la porta esterna e lo stipite, per evitare di restare intrappolata. Si affrettò nel gigantesco corridoio lungo le cui pareti scure erano poste minacciose figure di enormi guerrieri. La sua ansia aumentava di secondo in secondo. Dov'era Steve, perché aveva gridato? Aveva raggiunto quasi la metà del condotto quando lo vide, accasciato su una sedia al termine della galleria, trattenuto da una specie di sbarra di costrizione intorno al petto. "Oh, Dio..." Claire cominciò a correre e mentre si avvicinava riuscì a rendersi conto che la sbarra era un'enorme ascia, un'alabarda, con la lama saldamente incastrata nella parete vicino a lui. Steve sembrava molto piccolo e molto giovane, gli occhi chiusi e la testa china... ma riuscì a rendersi conto che respirava e sentì l'ansia diminuire. Arrivò al suo fianco e tentò di strappare via l'ascia gigantesca che, tuttavia, non cedette. A quel punto Claire si accucciò vicino al ragazzo toccandogli il braccio. Steve si mosse appena, schiudendo gli occhi. — Claire! — Steve, grazie a Dio stai bene, cosa è successo? Come sei arrivato qui? Steve fece l'atto di allontanare il lungo manico dell'ascia ma non riuscì a
muoverlo neppure lui. — Alexia, deve essere stata Alexia, sembrava proprio uguale ad Alfred... mi ha iniettato qualcosa, mi ha detto che mi avrebbe fatto ciò che aveva fatto a suo padre, ma che questa volta si sarebbe preoccupata che funzionasse bene, questa volta... Spinse nuovamente sul manico, sforzandosi con tutte le energie, ma non c'era modo di farlo spostare. — In altre parole, è completamente pazza. Immagino che lei e Alfred fossero molto simili, dopotutto... Steve lasciò in sospeso la frase, mentre le gote gli si arrossarono improvvisamente. Le mani cominciarono a tremare, il corpo fu scosso come da uno spasmo. — Cosa c'è? — chiese Claire, provando una terribile paura, perché il corpo di Steve cominciava a incurvarsi in avanti, le dita serrate a pugno, gli occhi folli e pieni di terrore. — Cla... Claire... La sua voce calò di un ottavo, e il nome di lei divenne un grugnito. Un istante dopo cominciò a contorcersi sulla sedia, mentre i vestiti gli si strappavano. Aprì la bocca e lasciò sfuggire un gemito liquido, sulle prime spaventato poi carico d'ira. Furioso. — No — sussurrò Claire mentre iniziava ad allontanarsi. Steve, afferrata l'asta dell'alabarda, la strappò via dal muro e si alzò. Il suo corpo continuava a curvarsi in avanti, la testa ricadeva sul petto, i muscoli erano gonfi sotto la pelle che stava assumendo un colorito verde grigiastro. Dalla sua spalla sinistra emersero delle punte, due, tre, mentre le mani si allungavano e sulla sua schiena si apriva un'enorme ferita priva di sangue, e gli occhi assumevano una sfumatura rossastra, animale. La cosa che era stata Steve Burnside spalancò la bocca e urlò, piena di rabbia. Claire si voltò di scatto e schizzò via, provando una sensazione di malessere per la perdita dell'amico e per il terrore, decisa a correre per quanto ciò potesse rivelarsi utile. Il mostro la inseguì, agitando l'enorme ascia, facendone sibilare nel vuoto il filo tagliente. Claire riusciva persino a percepire lo spostamento d'aria provocato dalla lama e in qualche modo fu in grado di accelerare mentre le gambe si muovevano come pistoni, sospingendola a una velocità sempre maggiore. Il mostro menò un altro fendente e colpì qualcosa, producendo un suono fragoroso e assordante. Più veloce, più veloce, la piccola stanza davanti a lei... Il cancello cominciò a scendere, stava per bloccarla nel corridoio con il
mostro. Non importava come, ma doveva accelerare, altrimenti sarebbe morta. Con un ultimo scatto violento, Claire si tuffò sotto lo spazio che andava restringendosi tra il fondo della cancellata e il pavimento, scivolando sullo stomaco un istante prima che la grata piombasse fragorosamente alle sue spalle. Il mostro ruggì, cominciò ad agitare l'ascia senza più controllo, facendo schizzare scintille ogni volta che la lama colpiva la cancellata di metallo. In preda allo shock, Claire lo vide aprirsi una breccia tra le sbarre che piegò con la ferocia dei suoi colpi, prima di rendersi conto che poteva andarsene. "La porta, ho lasciato la porta aperta" pensò in preda alla più totale confusione. Si alzò, e compì un passo verso la via d'uscita... Poi qualcosa irruppe attraverso la parete con un tonfo; non era il mostro, ma qualcosa che si avvolse intorno a lei come un boa, sollevandola da terra... un altro di quei dannati tentacoli! Il mostro intanto continuava ad accanirsi contro le sbarre d'acciaio, attraverso le quali sarebbe passato nel giro di pochi secondi, ma il tentacolo gommoso la serrava nella sua morsa. Destata dallo stordimento in cui era piombata, Claire colpì la creatura che l'aveva afferrata, cercò di liberarsene, ma non ci riuscì. La cosa si limitava a imprigionarla, aspettando che il mostro abbattesse la cancellata. Voleva colpirla e lacerarla, voleva farla a pezzi, perciò picchiò l'arma contro le sbarre senza darsi pace e, alla fine, riuscì ad aprire una fenditura sufficiente per passarvi attraverso. La ragazza emetteva degli strilli nella morsa della cosa che la imprigionava, rumori ansimanti che gli facevano ribollire il sangue e lo eccitavano, un insieme di sensazioni che lo spinsero a sollevare l'ascia, bramoso di assaporare la sua fine. Abbassò l'arma con violenza, ricordando cosa lei gli aveva detto, ciò che lui le aveva promesso. "Tu penserai al prossimo mostro, okay?" "Lo farò." ... e la cosa, Steve, si fermò di colpo, quando la lama già lambiva il cranio della ragazza. Il tentacolo aspettò, stringendo con maggior vigore, e finalmente il mostro rammentò. Claire. Steve sollevò nuovamente l'ascia, con forza, perché si sentiva potentis-
simo, e l'abbassò sul tentacolo, lacerandolo. Con un getto di fluido verdastro, lo spesso tentacolo schioccò e lo colpì al petto, scaraventandolo contro la parete prima di ritrarsi. Steve sentì le costole scricchiolare, si rese conto che si rompevano e avvertì il sangue raffreddarsi mentre la forza svaniva dal suo corpo. Poi venne il dolore, sordo e pungente, diffuso dappertutto, ma riuscì ad aprire gli occhi e la vide là, in salvo, che protendeva la mano verso la sua... Claire Redfield tendeva la mano verso di lui con gli occhi pieni di lacrime. Il mostro era sparito. Claire gli tese la mano e lui la prese sollevandola sino al suo bellissimo viso morente, appoggiandola contro la guancia. — Sei calda — sussurrò. — Tieni duro — disse lei, implorandolo, con un nodo alla gola che rischiava di soffocarla. — Ti prego, è arrivato mio fratello, ci porterà via con lui. Ti prego, non morire! Steve sbatteva le palpebre come se stesse cercando con grande sforzo di restare sveglio. — Sono felice che tuo fratello sia qui — sussurrò, mentre la voce diventava sempre più flebile. — E sono felice di averti incontrato, io... io ti amo. Pronunciata quell'ultima parola, crollò il capo in avanti. Il petto si abbassò e non riuscì a rialzarsi. Poi Claire fu sola. Steve se n'era andato. 17 Chris si mise a correre, sapendo che avevano poco tempo a disposizione dal momento che Alexia Ashford era viva, terrorizzato dall'idea che avesse già messo le mani su sua sorella. — Claire! — urlò, picchiando i pugni contro ogni porta vicino alla quale passava. Non importava, anche se urlava forte: se Alexia disponeva solo della metà della potenza che sospettava, sapeva già dove si trovava... e dov'era Claire. "Ti prego, ti prego non farle del male" pensò, e quell'implorazione si ripeteva nella sua mente durante la corsa attraverso un corridoio, un'altra porta e poi un nuovo corridoio e un altro ancora. Non sapeva se esisteva qualcosa in grado di fermare Alexia, ma se fosse riuscito a trovare Claire e a raggiungere insieme a lei l'ascensore di evacuazione, avrebbe tentato di attivare il sistema di autodistruzione prima di andarsene. Alexia era a metà strada per raggiungere la completa onnipotenza e il male supremo, era u-
n'apocalisse che aspettava solo di essere scatenata e doveva essere fermata. — Claire! Attraverso un corridoio che gli sembrava familiare, anch'esso una copia della proprietà Spencer, imboccò una soglia che si apriva in una sorta di oscura prigione nella quale c'erano celle su entrambi i lati. Doveva trovarla perché, altrimenti, non avrebbe potuto andarsene. Voleva che Alexia morisse, ma non poteva mettere in pericolo la vita di Claire, per nessuna ragione al mondo e portarla fuori di là era una priorità assoluta. Qualcuno gridava oltre una delle porte chiuse. Chris smise di correre e si mise in ascolto, cercando persino di non respirare e ignorando l'inarrestabile serie di colpi di un portatore di virus chiuso in una delle celle. Un altro gemito ansante. "Claire, oh, grazie a Dio è viva!" Aprì la porta di scatto, pronto a colpire qualsiasi cosa si fosse trovata vicino a sua sorella. La vide seduta sul pavimento, in singhiozzi, le braccia avvolte intorno a un giovane, il cui corpo nudo era pietosamente coperto di ferite. Il ragazzo era morto. "Ah, merda!" Poteva trattarsi solo di Steve, l'amico di Claire, e benché fosse dispiaciuto per quel ragazzo che non aveva mai incontrato, il cuore di Chris soffriva per lei. Aveva un'aria così fragile, così sola... un altro conto da saldare con Alexia... Chris non aveva dubbio che Steve fosse morto per causa di quella puttana demente. Ma per quanto desiderasse sedersi e confortatore Claire, tenerle la mano e permetterle di piangere il suo dolore, sapeva che dovevano lasciare rapidamente quel posto. — Dobbiamo andare, Claire — disse il più dolcemente possibile... Si sentì sollevato quando la sorella gli rispose con un cenno del capo, mentre adagiava delicatamente il corpo dell'amico, chiudendogli gli occhi con una mano tremante. Lo baciò sulla fronte e poi si alzò. — Okay — disse, con un nuovo cenno di assenso. — Sono pronta. Non si guardò indietro, e malgrado tutto, Chris si sentì fiero di lei. Era una ragazza forte, più di quanto sarebbe stato lui se gli fosse stato chiesto di abbandonare una persona a cui voleva bene. Insieme i due fratelli ripercorsero rapidamente il corridoio. Chris pensò che dovevano trovarsi all'angolo sudovest dell'edificio, dove era atterrato con il jet e aveva visto l'ascensore per l'evacuazione. Il sistema di autodistruzione doveva presumibilmente essere lì vicino, per rendere la fuga più rapida possibile. Se solo fossero riusciti ad arrivare a quell'ascensore, a-
vrebbe controllato ogni punto sulla via della fuga. C'era una rampa di scale nella sezione meridionale del corridoio e Chris corse da quella parte. Claire era al suo fianco. Il giovane poteva sentire i secondi ticchettare mentre salivano rapidamente i gradini, come se il tempo stesse chiudendosi su di loro, ed era convinto che Alexia avesse smesso di giocare. Attraversarono la porta in cima alle scale, poi approdarono a una grande piattaforma di metallo grigliato... e Chris scoppiò a ridere rumorosamente quando si guardò alle spalle e vide le porte senza contrassegni dell'ascensore di emergenza. — Cosa c'è? — chiese Claire. Lui le indicò le porte, sorridendo. — Arriveremo direttamente al jet. Claire assentì, senza sorridere ma con un'aria comunque sollevata. — Bene, andiamo. Chris si era voltato e osservava la parete di fronte all'ascensore. — Devo prima controllare una cosa — disse, con l'intenzione di dare un'occhiata più da vicino alla botola d'angolo che gli pareva un'uscita di sicurezza. — Tu vai, io ti raggiungo subito. — Scordatelo — rispose Claire con fermezza. Lo seguì, gli occhi rossi di pianto, ma il mento fermo in un'espressione determinata. — Non voglio che ci dividiamo più per nessun motivo. Chris si chinò per esaminare il meccanismo di chiusura del portello e sospirò alzandosi e arretrando dì un passo. Probabilmente erano già arrivati al sistema di autodistruzione. La serratura era unica nel suo genere e molto complessa, e richiedeva una chiave che lui non possedeva. Del resto, sulla destra del portello c'era un lanciagranate inchiodato a terra, di un modello che non conosceva e sulla cui canna c'era una scritta: "Usare solo in caso di emergenza". "Dovremmo andarcene, fintanto che possiamo" pensò, ma la cosa non gli piaceva. A quale livello di potenza sarebbe arrivata Alexia prima che potessero avere un'altra simile opportunità? — Ehi... ehi, aspetta un attimo — disse Claire e cominciò a frugare nella giberna che aveva assicurata alla cintura. Prima che suo fratello potesse chiederle spiegazioni, stava estraendo una sottile chiave di metallo, a forma di libellula. Non c'era dubbio che si adattasse alla serratura. — L'ho trovata a Rockfort — annunciò, mentre si chinava e la infilava nella toppa. Vi si inseriva alla perfezione, e la serratura fu sbloccata con un sonoro scatto metallico.
— Hai intenzione di azionare il sistema di autodistruzione, vero? — osservò Claire, con una domanda assolutamente retorica. — Hai il codice? Chris non rispose realmente, pensando che nella vita si poteva verificare uno straordinario numero di coincidenze e che talvolta, alcune di esse risultavano favorevoli. — Codice Veronica — disse sottovoce e aprì il portello, pronto a distruggere tutto, rendendosi conto che era proprio quello il significato del codice. 18 Il giovane era morto, ma la ragazza non ancora. E adesso l'altro giovanotto stava cercando di distruggere la sua casa. Non si trattava di un gioco, di un esperimento o di qualcosa da osservare, doveva morire, tra dolore e sofferenze. Come aveva osato anche solo pensare una cosa del genere? Quel ragazzo avrebbe dovuto trovarsi in ginocchio di fronte a lei, a supplicarla invano e a prometterle che avrebbe fatto tutto ciò che lei avesse desiderato. Come osava? Alexia vide i due fratelli che si allontanavano dopo aver commesso il misfatto, avvertì la loro volontà di andar via di là mentre la sequenza di autodistruzione iniziava, tra sfavillii di luci e sirene d'allarme e in tutto il terminal i sistemi si spegnevano uno dopo l'altro. La loro perfidia era inutile, ovviamente. Lei sarebbe stata in grado di arrestare la sequenza con un minimo sforzo, servendosi del controllo che possedeva sulla materia per tranciare ogni connessione del campo, ma era il pensiero all'origine di quell'atto che la faceva infuriare. Il ragazzo era stato testimone dell'estensione del suo potere glorioso, l'aveva visto ed era fuggito pieno di tenore... come poteva ritenersi degno di recidere una vita come la sua? Alexia si riprese, evocando tutto il suo potere e completando la sua riserva di energia. Sapeva che il giovane uomo aveva raccolto un'arma che si trovava vicino alla tastiera, un revolver che qualcuno si era lasciato dietro. Non aveva nulla da obiettare sapendo che un'arma da fuoco gli avrebbe concesso una speranza, e che, per essere totale, una vittoria richiede che il vincitore prenda tutto. Lei gli avrebbe sottratto ogni speranza, avrebbe reciso la vita di sua sorella e alla fine avrebbe preso anche la sua esistenza. Quando si sentì al massimo delle sue possibilità, Alexia immaginò di diventare liquida, di viaggiare attraverso la struttura che la circondava con la stessa facilità con cui potevano farlo le sue estensioni organiche, poi lo fe-
ce realmente, spostandosi per affrontare gli intrusi. Rimasero sbalorditi, quasi si fossero davvero aspettati di avere successo. Lei scivolò fuori dal suo portatore organico, distendendosi, volgendosi per guardarli nei loro occhi stupiti, per vedere le loro facce spaventate distorte in smorfie di terrore. Li osservò guardarla, curiosa malgrado la rabbia che la pervadeva. I due cominciarono a discutere di fronte a lei. Il ragazzo insisteva di potersi occupare della situazione, intimando alla sorella di scappare. La giovane accettò, ma con riluttanza, insistendo a sua volta che lui doveva sopravvivere. In seguito a quel ridicolo scambio di battute, la ragazza si voltò e corse verso l'ascensore. Alexia si mosse per intercettarla, sollevando la mano per percuoterla ... Nella sua carne si aprì un foro, distraendola. Un proiettile era entrato nel suo corpo. Si voltò e sorrise al ragazzo, alla pistola che reggeva in mano, e frugò dentro di sé, estraendo il proiettile che gettò verso di lui. Per quanto trovasse gratificante l'espressione del giovane, Alexia si accorse che, quando tornò a voltarsi, la ragazza era scappata. Era venuto il momento di estendere i confini del suo potere, decise Alexia, di mostrare a quei due chi era realmente, cosa era capace di fare... e di mettergli un po' di timor di Dio. Perciò Alexia chiuse gli occhi, immaginando, desiderando, smettendo di essere Alexia Ashford per diventare l'Ira in persona, divina e senza pietà. 19 — La sequenza di autodistruzione è stata attivata — intonò un nastro registrato, che echeggiò nella sala, affrettandosi poi a trasmettere il resto del messaggio. — Avete quattro minuti e trenta secondi per raggiungere la distanza minima di sicurezza. Insieme alle sirene di allarme e ai lampi delle luci di emergenza, Chris ebbe l'impressione di un'overdose di stimoli sensoriali ancor prima di iniziare il combattimento. Alexia sollevò una mano per colpire Claire e lui aprì il fuoco. La .357 sussultò nella sua mano e la detonazione si ripercosse fragorosamente sopra gli allarmi del sistema di autodistruzione con un'esplosione assordante. Sì! Un colpo preciso, proprio nel ventre. Intanto Claire aveva raggiunto l'ascensore, aveva premuto il pulsante ed era salita in cabina. Ma invece di sanguinare, invece di arretrare anche solo di un passo, A-
lexia gli sorrise. Sollevò una mano grigia e affusolata e se la ficcò nel ventre, tra la carne che si sfaldava senza difficoltà, scorrendo via come acqua. Un istante dopo ne trasse il proiettile che lui le aveva cacciato in corpo e lo gettò nella sua direzione con un gesto aggraziato. "Male, questo è male, molto, molto male" pensò stolidamente Chris. Poi Alexia cominciò a cambiare. La piccola donna grigiastra si accosciò sulla griglia di metallo e la sua carne liquida cominciò a tremare, formando piccole protuberanze e fossette sul corpo, mentre il tessuto si gonfiava di pustole, espandendosi. Le protuberanze divennero montagne, le fossette valli e tutto il suo corpo divenne grigio e gonfio mentre gli arti cominciavano a ripiegarsi su se stessi. Le braccia si torsero in avanti unendosi alla massa in espansione, le gambe scomparvero dentro di essa, l'epidermide si trasformò in una superficie ruvida e striata, su cui affioravano vene spesse come cavi, e l'intero essere iniziò a gonfiarsi. La testa roteò indietro e divenne parte del gigantesco corpo tondeggiante, il grigio assunse la tonalità rossastra del tessuto muscolare, coperto da una marea di vasi sanguigni blu e purpurei. — Avete quattro minuti per raggiungere la distanza minima di sicurezza — disse qualcuno, ma Chris udì a malapena l'annuncio. Stava arretrando, sempre più convinto che non sarebbe finita bene. L'ascensore era bloccato e Alexia diventava sempre più grossa. Da sotto quella massa elefantiaca emersero spessi tentacoli che oscillarono come onde, dilagando sulla piattaforma. Chris era ormai spalle al muro, non poteva più fuggire da nessuna parte, e la cosa, l'enorme essere tumoroso, si alzò improvvisamente come se si rizzasse su fianchi inesistenti, allargando ali gigantesche, da libellula, e sollevando un faccia contorta e deformata, per metà ancora umana. La faccia apri la bocca, lasciando sfuggire un fragoroso ruggito che fece vibrare persino le sue ali per l'acuta potenza del suono, poi sputò addosso a Chris, un sottile getto di bile verde giallastra che si schiantò sulla piattaforma ai suoi piedi, e cominciò a corrodere il metallo. — Merda! — urlò il giovane, evitando a malapena uno dei tentacoli che sciabolò nella sua direzione. Doveva stare attento alla bocca e ai tentacoli allo stesso tempo. Dalle sfere piccole e vibranti che erano cresciute intorno alla base del corpo enorme, emersero delle cose semoventi. Chris corse verso l'angolo più lontano dal mostro-Alexia e sollevò la .357 incerto su cosa colpire per prima. Le piccole subcreature stavano at-
terrando sulla piattaforma, simili a ciottoli tondi dotati di tentacoli; alcune ricordavano scarafaggi, altre erano diverse da qualsiasi altra cosa avesse mai visto, e venivano tutte verso di lui, velocissime. "Gli occhi, forse posso accecarla se non ucciderla..." Ma gli occhi erano già ciechi, fori grigi e circolari oltre i quali c'era solo il buio, e lui sapeva già quanto fossero efficaci i proiettili contro la sua carne. Fu quella constatazione a decidere per lui. Chris prese la mira e sparò... La creatura pulsante e gonfia tornò a gridare, questa volta di dolore, mentre una delle sue ali cadeva fluttuando sulla piattaforma. Alcuni dei piccoli organismi l'avevano raggiunto, una delle creaturescarafaggio saltò sulla sua gamba cercando di risalirla. Disgustato Chris la spazzò via, ma subito un'altra venne a prendere il suo posto e poi una terza. Un tentacolo vibrò nel vuoto verso il suo viso schizzando da uno dei mostriciattoli che sembrava una pietra arrotondata. Chris riuscì a bloccarlo ma con grande difficoltà. "Scappa!" — Avete tre minuti e trenta secondi per raggiungere la distanza minima di sicurezza. Chris corse lungo la parete in fondo alla stanza, raggiunse l'altro angolo di fronte alla creatura e la prese nuovamente di mira, cercando di centrare l'altra ala. Il primo colpo andò alto, ma con il successivo la raggiunse. Il mostro ululò, mentre l'ala strappata pendeva dal tessuto lacerato. Poi la cosa sputò di nuovo e il getto di bile mancò il viso del giovane di pochi centimetri. Adesso il mostro aveva solo le ali superiori, e sebbene Chris fosse certo di averle fatto del male, non sembrava aver subito nulla di neanche lontanamente paragonabile a una ferita grave. "Mi rimangono solo due colpi." Il mostro rigonfio lasciò sfuggire un urlo stridulo. Altri scarafaggi stavano balzando verso Chris che tuttavia li ignorò. Dovette solo volgere il capo per vedere l'arma inserita vicino al portello, quella con la sbarra che la bloccava. Un lanciagranate o un lanciarazzi. Di qualunque cosa si trattasse era magnifica, ma la barra era ancora abbassata e l'arma bloccata. — Avete due minuti per raggiungere la distanza minima di sicurezza. Ka-chunk. La sbarra scattò verso l'alto. Chris afferrò di scatto l'arma, sollevandola e mirando al ventre gonfio della creatura. Non sapeva che effetto avrebbe avuto, ma sperava che servisse a qualcosa, si augurava proprio che avrebbe abbattuto quella puttana. Non c'era sicura, niente per mettere il colpo in canna. Chris si limitò a
premere il grilletto. Una terrificante luce bianca accompagnata da un lampo di calore schizzò dalla canna, andando a esplodere nel ventre grasso come una freccia scagliata in un pallone. L'effetto fu devastante, l'esplosione mostruosa. Una fontana di sangue e gelatina grigia schizzò dal foro slabbrato inondando il viso del giovane, ma lui aveva solo occhi per la bestia-Alexia che urlava mentre la sua sagoma di carne e ossa si disintegrava come sgonfiandosi... La parte superiore del corpo della creatura stava cercando di liberarsi dalla massa morente, le ali si agitavano freneticamente nel vuoto, ma visto che gliene erano rimaste solo due non poteva far molto. Stava morendo. Chris se ne rese conto perché poteva vedere il sangue che colava via, perché il colore della sua orrida carne stava trasformandosi e assumeva una sfumatura cinerea, perché le subcreature cominciavano a tremare. Lo comprese anche dall'odio assoluto sul viso della creatura... associato a una totale sorpresa. Mentre il mostro-Alexia smetteva di urlare iniziando ad afflosciarsi e i lineamenti si liquefacevano, Chris udì l'avvertimento che restava solo un minuto. Claire. Lasciò cadere il lanciagranate incendiarie e cominciò a correre. 20 Claire si sentiva di merda e non c'era nulla che potesse fare al riguardo. Steve era morto e Chris poteva raggiungerla o meno, ma, in ogni caso, molto presto l'intera base sarebbe esplosa, e lei non aveva modo di interferire in nessuna di queste circostanze. — Avete due minuti per raggiungere la distanza minima di sicurezza — la informò educatamente il computer e Claire rispose estendendo il dito medio in un gestaccio rivolto all'altoparlante più vicino. Se esisteva un inferno, aveva scoperto cosa trasmettevano negli ascensori al posto della musica. Rimase a guardare, in attesa, mentre l'ansia le cresceva dentro, una parte di lei assolutamente convinta che suo fratello non sarebbe arrivato mentre gli allarmi rimbombavano riecheggiandole nelle orecchie nell'hangar semivuoto. "Non lasciarmi, Chris" pensò, afferrandosi saldamente a un appiglio. Le venne in mente Steve, l'attacco di risa che lui le aveva provocato sull'isola,
il modo in cui l'aveva guardata come se fosse pazza. "Andiamo, su, Chris." Chiuse gli occhi e desiderò vederlo arrivare con quanta forza aveva. Non poteva perdere anche lui, il suo cuore non avrebbe potuto sopportarlo. Mancava un minuto per raggiungere la distanza minima di sicurezza. Quando l'edificio cominciò a tremare sotto i suoi piedi, pensò di essere sul punto di scoppiare a piangere, ma nei suoi occhi non c'erano lacrime. Invece tornò a guardare l'ascensore, certa che suo fratello fosse morto... così sicura che quando la porta si schiuse, e lui ne uscì, pensò di avere un'allucinazione. — Chris? — chiese, la voce ridotta appena a un sussurro. Un istante dopo lui correva nella sua direzione, con il viso e le braccia sporchi di sangue e di qualcos'altro, e fu in quel momento che comprese che era tutto reale. Un'allucinazione non avrebbe avuto quel muco sul viso. — Chris! — Sali — le ordinò lui, e Claire saltò sul secondo sedile, felice, spaventata e piena d'ansia. Provava solitudine e sollievo al tempo stesso, desiderava intensamente che Steve fosse con loro e si sentiva triste per la sua mancanza. C'erano altri sentimenti, decine le pareva, ma, in quel momento, non poteva affrontarne nessuno. Li accantonò e smise completamente di pensare, provando unicamente un senso di speranza. Chris li allacciò stretti con le cinghie di sicurezza e cominciò a premere i pulsanti mentre il piccolo jet ruggiva riprendendo vita. Sopra di loro il soffitto scivolò di lato, e nel cielo apparve una coltre di nuvole tempestose. Il giovane sollevò il velivolo dall'hangar, con facilità e dimestichezza. Pochi istanti dopo, stavano schizzando via, lasciandosi dietro la mortale base antartica. Le spalle di Chris si rilassarono e il giovane si deterse la fronte con il dorso della mano, cercando di togliere il puzzolente muco che vi si era appiccicato. — Dovrei fare una doccia — disse con tono leggero, poi le lacrime finalmente riempirono gli occhi della sorella, sgorgando copiosamente dalle ciglia. "Chris, pensavo di aver perso anche te..." — Non lasciarmi più sola, d'accordo? — chiese, facendo ciò che poteva per tenere il pianto lontano dalla sua voce. Chris esitò e di colpo lei ne comprese la ragione: non era ancora la fine dell'incubo, per nessuno di loro. Sarebbe stato chiedere troppo.
— L'Umbrella — disse lei e Chris assentì. — Dobbiamo farla finita, una volta per tutte — dichiarò lui a denti stretti. — Dobbiamo farlo, Claire. Claire non sapeva cosa rispondere, e alla fine decise di non fare commenti. Quando un attimo dopo avvenne l'esplosione, non si voltò a guardare. Chiuse gli occhi invece, appoggiandosi allo schienale, e sperò che quando finalmente si fosse addormentata, non avrebbe sognato. Epilogo A diversi chilometri di distanza, Wesker udì l'esplosione, e poco dopo riuscì a vedere il fumo che cominciava a salire in cielo formando densi piumaggi neri. Pensò di far compiere una virata al jet e tornare indietro, ma decise di non farlo. Era inutile. Se Alexia non era morta, la sua gente l'avrebbe scoperto molto presto, al diavolo, il mondo intero lo avrebbe scoperto molto presto. — Spero che tu sia rimasto là dentro, Redfield — disse sottovoce con un leggero sorriso. Naturalmente era là; Chris non era sveglio abbastanza per esserne uscito in tempo. "Però potrebbe essere stato abbastanza fortunato..." Wesker doveva concederglielo, Redfield aveva una fortuna del diavolo. Era un peccato che Alexia avesse rifiutato la sua offerta. Era stata davvero un esemplare eccezionale, terrificante e malvagio, ma decisamente eccezionale. I suoi capi non sarebbero stati felici quando fosse tornato indietro senza di lei e lui non poteva biasimarli; avevano impiegato un sacco di energie per l'assalto a Rockfort Island, e lui aveva praticamente assicurato loro dei risultati. "Sopravviveranno. Se non saranno contenti, potranno sempre trovarsi un altro uomo. Trent, d'altro canto».." Wesker sogghignò, ansioso di partecipare al loro prossimo incontro. Doveva qualcosa a quel tipo. Dopo il fiasco alla residenza Spencer, Trent gli aveva, letteralmente, levato il culo dalle fiamme provvedendo a che fosse curato, ricostruito meglio di prima. E l'aveva anche presentato ai suoi nuovi committenti, uomini con una vera aspirazione al potere, e i mezzi per ottenerlo. E... E, anche se non lo avrebbe mai ammesso a voce alta, Trent gli faceva paura. Era così educato, così a modo, e con dei tratti talmente raffinati...
ma nei suoi occhi c'era un lampo ironico che faceva sempre pensare a una specie di scherzo di cui lui fosse l'unico a comprendere il senso. Secondo l'esperienza di Wesker quelli che ridevano erano i più pericolosi, non credevano di aver nulla da dimostrare e, di solito, alla fine risultavano sempre un po' pazzi. "Ma dovrei essere contento che siamo dalla stessa parte" si rassicurò Wesker, convinto di ciò perché lo voleva. Mettersi contro uno come Trent era davvero una brutta, pessima idea. Bene. Avrebbe potuto preoccuparsi di Trent in seguito, dopo che avesse rivolto le scuse adeguate alle persone giuste. Almeno quel boy scout di Redfield era morto, e lui era ancora vivo e vegeto, e lavorava per la fazione che, in ultima analisi, avrebbe vinto. Wesker sorrise, aspettando con ansia la fine della lotta. Sarebbe stata spettacolare. Il sole era sorto e si stava riflettendo sulla neve, creando una irradiazione brillante, accecante nella sua perfezione. Il piccolo aereo schizzò via, inseguito dalla propria ombra sulle pianure sfavillanti. FINE