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GERRY BOYLE SEGRETI DI FAMIGLIA (Pretty Dead, 2003) A Vic, come sempre Personaggi principali JACK MCMORROW giornalista del "New York Times" ROXANNE MASTERSON assistente sociale DAVID CONNELLY presidente della Sky Blue Foundation MADDIE CONNELLY moglie di David MAEVE CONNELLY figlia di David e Maddie ANGEL MORETTI impiegata della Sky Blue Foundation MONICA VITALE amica e collega di Angel TIM DALTON capo del personale della Sky Blue Foundation KATHLEEN KIND amministratrice della Sky Blue Foundation MICK EGAN E VINCENT TUCCI ex detenuti Procedettero silenziosamente in auto, allontanandosi dalle coste scintillanti del Maine, in una giornata in cui l'aria estiva era fresca e il cielo sembrava un grande telo azzurro lacerato dalle nubi. Non c'era un percorso particolare, non c'era un piano, si trattava solo di guidare verso occidente finché non si fosse presentato il luogo adatto. Perciò abbandonarono la Statale 1 e imboccarono una strada più stretta, che si arrampicava sui crinali e costeggiava pareti rocciose contornate di abeti rossi. Le fronde assumevano diverse sfumature di verde, e a mano a mano che la strada si faceva sempre più angusta, fasci di luce dorata penetravano fra gli alberi come raggi di sole filtrati da vetri colorati. L'auto passò velocemente attraverso quelle splendide chiazze scintillanti; poi la strada divenne un sentiero, quindi un paio di solchi nell'erba. I solchi svanirono e il sentiero girò e salì, per poi ridiscendere. L'auto si fermò. Il motore fu spento e per un attimo non si udì altro che il fruscio del vento e il canto degli uccelli, delle cince bigie che svolazzavano nel bosco. Il luogo però non era adatto, era ancora troppo aperto; perciò il viaggio continuò a piedi, lungo quello che restava del sentiero, e infine in una radura che conduceva in un boschetto di ciliegi anneriti, e poi in una mac-
chia più fitta di pioppi e betulle. Addentrandosi per una trentina di metri tra le betulle, c'era una piccola radura assolata piena di aster, un posto da prendere in considerazione nonostante sembrasse ancora troppo esposto. Ma valse la pena penetrare ulteriormente tra gli alberi in una zona buia e fresca, dal terreno morbido e ricoperto di foglie cadute l'anno prima. Quello sembrava il luogo adatto. Era arrivato il momento di fare ritorno all'auto, dove lei stava aspettando, sdraiata sul sedile posteriore, i capelli lucenti, al sole. Il badile era nel baule. 1 Era un martedì mattina d'agosto, molto presto. Gli uccelli schiamazzavano nell'alba che si andava dissolvendo; Roxanne se ne stava raggomitolata vicino a me, il mio braccio sotto il suo seno, il mio torace contro il calore della sua schiena levigata. «Santo cielo!» imprecò, mentre il cercapersone suonava sul comodino. «Sparagli, a quel coso» biascicai. Roxanne si staccò da me e allungò il braccio verso il cercapersone, disinnescandolo come fosse stato una bomba a mano. Esaminò i numeri, sospirò stancamente e scivolò fuori dal letto. Attraversò il soppalco e discese le scale. Sentii suonare il suo cellulare, e poi la sua voce. «Sì... Be', non pensavo di farlo io. Avrei dovuto essere in ferie. Eh, sì... Cosa? Chi? Starai scherzando... Oggi? Oh, Dio... Sarà... Sì, una cosa tremenda... Va bene... Dammelo adesso.» Sentii il fruscio della carta. Stava scrivendo. «No, ci vado io. Ti chiamo... Sì, mi serve.» Riattaccò. Sentii i passi sulle scale e le tenni sollevata la trapunta. Scivolò dentro, la coprii e mi avvolsi di nuovo attorno a lei. «Addio giornata di ferie?» chiesi. «Sì, accidenti.» Sospirai. «È una cosa grave?» domandai. «Mmh.» «Dove?» «Sulla costa.» «Cos'è successo?» «Oh, una bambina di cinque anni ha parlato con un'educatrice della chiesa, e ha detto di essere stata rinchiusa in castigo in uno sgabuzzino al buio
pesto. E per di più, porta dei segni di compressione: lividi che sembrano lasciati dalle dita.» «Dove?» «Sulle braccia e sulle scapole.» «Ed è per questo che ti chiamano alle cinque del mattino?» «Il peggio deve ancora venire.» «Ah sì?» «Sono ricchi» disse Roxanne. «E i ricchi si alzano presto?» «Questi sono ricchi di Blue Harbor.» «E allora?» «Non è nemmeno questo il peggio.» «E qual è?» «Non te lo posso dire» rispose. «Va bene.» «Ma è una cosa brutta» aggiunse. «Mi dispiace. Perché ci vai tu?» «Vogliono una persona esperta. L'addetta alla valutazione che ha parlato con l'educatrice della chiesa è alle prime armi, e questa gente andrà fuori di testa.» «Sguinzaglieranno gli avvocati?» Oh, Jack, se solo tu sapessi! «Sapessi cosa?» «Non te lo posso dire.» Non chiesi più nulla. «Questa volta me lo devi veramente giurare» disse Roxanne dopo un istante. «D'accordo.» «A nessuno, nemmeno a Myra. Se questa storia finisce sul "Times" o su qualsiasi altro giornale, sono finita.» «Va bene.» «Mi farebbero perdere il lavoro.» «Chi?» «I Connelly.» «Come i...» «Come i Connelly. I Connelly di Boston. Nella fattispecie, David e Maddie. Si trovano nella loro proprietà di Blue Harbor.» Le implicazioni mi balenarono in mente. Un sacco di soldi. I più potenti studi legali di Boston. Un potere politico enorme.
«Cercheranno d'insabbiare tutto.» «Eh, sì» confermò lei. «Sua eccellenza il caposervizio ti sosterrà?» «Spero di sì.» «Mi sa che lo sottoporranno a una pressione tremenda.» «Eh, sì.» «E allora, che fai?» «Mi devo incontrare con l'assistente sociale alle undici.» «Vuoi compagnia?» «No, lo sai che non puoi venire.» «Solo per il viaggio. Mi lasci in città. Potrei guardarmi attorno.» «Non so...» «Andrei in cerca di spunti per altre storie, naturalmente.» Roxanne non rispose, non fece altro che attorcigliare le gambe tra le mie. La tenni stretta e le baciai teneramente la nuca. Restò in silenzio per un istante e poi, mentre l'abbracciavo, rispose: «Sì, desidero compagnia.» «Adesso ce l'hai.» «Lo sai che contrattaccheranno» mi avvertì lei, la voce velata dalla preoccupazione. «Come animali braccati, ne sono sicuro.» «Animali braccati con milioni di dollari e tonnellate di potere.» «La peggior specie» aggiunsi io. 2 Partimmo alle nove. Roxanne aveva messo su una faccia risoluta; portava un paio di pantaloni sportivi e un blazer. Viaggiando verso est sulle strade secondarie da Prosperity in direzione di Belfast, passammo di fronte a casupole solitarie, piazzate ai limiti del bosco come rifugi lungo un. sentiero. Erano costruzioni cascanti, fatiscenti e assurde, abbarbicate alla strada a due corsie come erbacce asfittiche. Nei cortili circondati dalla boscaglia, auto e camion arrugginivano, inutilizzati ma non rottamati, perché là non si buttava via niente. Da quelle parti i periodi fortunati erano guardati con sospetto, e perciò si conservava tutto. In quella zona del Maine, la buona fortuna veniva sorvegliata attentamente come un cane che potesse rivoltarsi contro il padrone. Roxanne era pensierosa e fissava il nulla fuori dal finestrino. A mano a mano che ci avvicinavamo alla costa, le case apparivano sempre più nuove
e più grandi, e i bordi dei prati sempre più squadrati. I soldi scaturivano dall'oceano come una marea, soldi del turismo, soldi spesi dai pensionati che scendevano giù al Sud. Girai sulla Statale 1, e dopo alcune miglia planammo su Blue Harbor, riparata all'ombra degli olmi, dove le case del villaggio erano storiche, i terreni che costeggiavano l'oceano senza prezzo e tutto il denaro circolante guadagnato altrove. «È bello qui, eh?» disse Roxanne. «È come un country club, con la differenza che è una città intera.» «Con una lista d'attesa lunghissima» continuò. «Gente ricca da sempre!» affermai io. «I Connelly non sono ricchi da sempre.» «Ma i Connelly hanno soldi e potere. Se si riesce ad avere abbastanza di tutti e due, allora anche l'alta borghesia di bianchi protestanti è disposta a fare un'eccezione.» «Io no» affermò Roxanne, mentre l'Explorer si fermava con uno stridore. Dovevamo incontrare l'altra operatrice dei servizi sociali, Tara, nel parcheggio del Blue Harbor Grocery, un negozio singolare con bar annesso, circondato da Mercedes e da gerani. Tara aveva detto che sarebbe stata alla guida di una vecchia Subaru bianca. Parcheggiammo e rinfrescammo le nostre reminiscenze sulla leggenda dei Connelly. C'era il bisnonno di David, Patrick Connelly, appena arrivato da un'Irlanda inginocchiata dalla carestia, che si buttò avidamente su Boston come su una prugna grossa e matura. Intelligente, scaltro e senza scrupoli, accumulò soldi e potere grazie ad attività che sì sarebbero potute definire malavita organizzata - lotterie, contrabbando di alcolici, distribuzione di tangenti nel settore edilizio - se non le avesse svolte così bene. "Ruba poco e ti gettano in prigione" diceva Bob Dylan. "Ruba tanto e ti fanno re." Patrick Connelly fu incoronato e suo figlio Joe si procurò una parvenza di rispettabilità, passando allo sviluppo immobiliare e al gioco politico pesante, che andavano di pari passo nella città che si espandeva. Prima di tirare le cuoia, Joe Connelly aveva abbastanza quattrini e influenza politica per mandare un figlio nel Parlamento nazionale e un altro nel Senato federale. Quindi, la generazione successiva dei Connelly, quella che Roxanne stava per conoscere, non aveva bisogno di far nulla. «O almeno questa è la mia visione delle cose» conclusi. «Be', allora non fanno altro che giocare» affermò Roxanne. «È un lavoraccio» commentai io. «Un giorno a scalare l'Himalaya. Il
giorno dopo a Boston per un ricevimento in smoking. Elargire soldi attraverso... come si chiama?» «La Sky Blue Foundation.» «Sono soldi che appartengono a lui. Lei credo che non ne avesse.» «No, ma è una bella donna» disse Roxanne. «E ha stile.» «Hanno una bimba graziosissima. Dalle foto sui giornali sembrano una famiglia perfetta. Mi chiedo quanto tempo ci sarà voluto.» «Per cosa?» «Prima che lui cominciasse a cornificarla.» «Non devi credere a tutto quello che senti.» «Ti ricordi la storia della studentessa?» «Era ad Harvard, no?» «Certo, ci mancherebbe» ironizzai. «Dev'essere un gran bugiardo» aggiunsi. «È una caratteristica fondamentale per un seduttore» precisò Roxanne. Mi girai verso di lei. «Tieniti ben strette le mutandine.» «Farò del mio meglio» rispose. 3 Alle undici e due minuti, arrivò sferragliando la Subaru. Tara, una donna bassa e tarchiata con una gran capigliatura e la frangia sulla fronte, si guardò intorno in cerca dell'Explorer, scese e si diresse a piedi verso di noi. Da vicino sembrava più giovane, con i jeans neri e le scarpe da ginnastica. Roxanne scese e strinse la mano alla donna, che mi guardò. «Oh...» si sorprese. «Pensavo che fosse uno dell'Ufficio centrale.» «No, io sono solo l'autista.» «Questo è il mio amico Jack. Ha delle faccende da sbrigare quaggiù. Mi verrà a prendere quando avremo finito.» «Di che cosa si occupa?» chiese Tara. «Di diverse cose» risposi io. «Jack fa il reporter. Potrebbe scrivere un articolo sulle offerte turistiche in questa zona» spiegò Roxanne. «Tipo quali sono i bed & breakfast con le brioches migliori e roba del genere.» La guardai. Le brioches migliori? Sorrise. «Ti chiamo» disse.
«Non mi allontano.» «Pensi che ci lasceranno vedere la bambina?» chiese Tara, poi mi guardò e aggiunse: «Ops...» Le sorrisi e ingranai la marcia. «A volte non è quello che ti dicono» sentii affermare Roxanne mentre uscivo in retromarcia dal parcheggio. «Ma quello che non ti dicono. Ed è questo che voglio che tu...» Dopo una lenta processione di Suburban, Volvo, una Porsche e una Jaguar, uscii a marcia indietro. Procedetti lungo la strada principale, buttando l'occhio allo specchietto retrovisore. La Subaru partì e attraversò il paese nella direzione opposta. Esitai per un momento, quindi mi buttai nel parcheggio di una galleria d'arte e feci inversione. Non appena rientrai nel traffico, vidi la macchina bianca girare a sinistra e imboccare la strada che portava in collina, fuori città. Accelerai e la seguii. A un centinaio di metri, sulla destra, c'era una chiesa in legno dipinta di bianco, che risplendeva al sole. La Subaru era parcheggiata vicino alla porta laterale. Entrai nel parcheggio di una libreria e mi fermai. Doveva essere la chiesa in cui la bambina aveva vuotato il sacco. Forse Roxanne e Tara avrebbero interrogato la persona che aveva segnalato il caso. Quanto ci sarebbe voluto? Mezz'ora? Un'ora? Aspettai. Roxanne non sarebbe stata d'accordo, ma che altro avrei dovuto fare? Lasciare che se ne andasse in una tenuta sperduta in mezzo al nulla per annunciare a una coppia di genitori ricchi e arroganti che erano sotto inchiesta per maltrattamenti a minori? Volevo solo tenerla d'occhio. Uscirono, camminando a grandi passi, come se fossero state indaffaratissime, e rientrarono in macchina. La Subaru partì, io contai fino a dieci e la seguii. Discendemmo la collina dirigendoci in paese. Girarono a destra, passarono sotto gli olmi e poi svoltarono a sinistra vicino alla biblioteca di Blue Harbor. Quando girai anch'io a sinistra, non erano più visibili. La strada seguiva la costa, il porto alla mia sinistra, al di là del caseggiato. Poi, allontanandosi dall'acqua, saliva sulla collina, dove i viali d'accesso erano chiusi da muri di pietra e cancelli, e le ville facevano capolino tra gli alberi e i rododendri. Accelerai e vidi la Subaru girare a sinistra e sparire. Rallentai e, passando, sbirciai giù per il viale privato. Intravidi la loro auto e poi nient'altro. Mi fermai al viale successivo e feci inversione. Fre-
nai vicino all'entrata dei Connelly e mi accostai alla siepe. Il numero civico della tenuta era il 415. Dietro le siepi folte, c'era la casetta del custode, in pietra grigia; a fianco era parcheggiato un rimorchio da imbarcazioni vuoto. Il viale era ricoperto di conchiglie bianche frantumate. Non c'era nessuno in vista. Rimasi fermo un minuto, poi uscii a ritroso, feci inversione e percorsi il tratto di strada che portava a quello che sembrava essere il confine della tenuta dei Connelly. La linea di separazione corrispondeva a un punto in cui alle siepi si sostituiva una fila di cedri impassibili, come soldati di guardia. Il terreno della proprietà adiacente era più aperto e, da lontano, intravidi la casa bianca in stile coloniale con la rimessa per le carrozze e le scuderie. Le finestre del piano terra erano coperte da compensato dipinto di verde scuro intonato alle imposte. Parcheggiai l'Explorer dall'altra parte della strada e risalii il viale a piedi. Nel punto in cui i cedri si diradavano riuscivo a vedere il viale dei Connelly, poi intravidi il tetto di ardesia grigia. Vicino alla prima rimessa, controllai la strada e scivolai sotto gli alberi. Tenendomi dietro ai cedri e alle sponde ricoperte di rododendri vellutati che costeggiavano la tenuta dei Connelly, camminai lento e cauto. Al di là della casa bianca, gli alberi e i cespugli si diradavano; dalla parte dei Connelly, c'era una sorta di recinto di cedri intrecciati. La recinzione si spingeva fino al limite del prato, dove la scogliera ripida precipitava fino alla spiaggia del promontorio. In fondo alla recinzione, mi guardai intorno. Nella tenuta dei Connelly, un lungo pontile scavalcava le rocce e giungeva fino a una piattaforma galleggiante sulla quale si trovava un gommone rovesciato. Uno yacht da dodici metri vagamente simile a un'aragostiera e un'imbarcazione più piccola, un Boston Whaler, erano ormeggiati alle boe arancio. Spinsi avanti la testa guardandomi intorno e vidi la casa padronale: una villa enorme munita di torrette, comignoli in pietra e una veranda laterale schermata. I giardini di piante sempreverdi fluivano verso la riva come onde dai colori vivaci. La Subaru era posteggiata a sinistra, verso il retro della casa. Tara comparve vicino all'automobile, aprì lo sportello e s'infilò per prendere qualcosa dall'interno, poi si diresse di nuovo verso il retro della casa e scomparve. Rimanendo dietro la recinzione, mi avvicinai alla casa. Poi mi fermai e stetti in ascolto. Sbirciai tra le aperture. La Subaru era parcheggiata accanto a una Suburban nera e a una Volvo familiare verde scuro. Nel garage a tre posti, separato dall'edificio principale, c'era una BMW 750 nera. La
porta laterale della casa era chiusa. Trascorse mezz'ora. Osservavo la casa o, in alternativa, la baia luccicante. In lontananza vidi un wind-jammer dalle vele rosa, accanto al quale le barche a vela più piccole sembravano fazzoletti di carta sparpagliati. Più vicino si udiva il rombo minaccioso del motore di una grande nave; un peschereccio da aragoste virò alla boa successiva, un uomo al timone, un altro a poppa. In quel momento udii uno scatto. «Ha bisogno d'aiuto?» chiese David Connelly. 4 Lo riconobbi dalle foto sui giornali, anche se di persona era più alto e più bello. Indossava dei pantaloncini color cachi e una maglietta blu stinta su cui era scritto BARBADOS Y.C; aveva le braccia e la gambe abbronzate e muscolose. «Stavo solo guardando le barche» risposi. «Però, questa sarebbe proprietà privata...» mi fece osservare. «Mi creda, pensavo che fosse l'Acadia National Park.» Sorrisi e lui sbuffò piano, ricambiò il sorriso e guardò i pescatori di aragoste. Il tipo al timone lo salutò con la mano e luì rispose con lo stesso gesto. «Sono con Roxanne Masterson» precisai. «Immaginavo. Cos e? Avete messo la casa sotto sorveglianza?» «No, l'ho accompagnata in macchina fin quaggiù e mi sembrava un peccato perdermi il panorama.» «Lavora per lo Stato?» «No» risposi. «Stiamo...» Mi fermai. «Insieme?» domandò Connelly. «Sì.» «Antipatico, il lavoro della sua fidanzata!» «È per una buona causa» commentai io. «Verissimo. Però a me non piacerebbe.» «Per fortuna a qualcuno piace.» «Una gran fortuna!» Mi porse la mano. «Mi chiamo David.»
«Jack McMorrow.» Ci stringemmo la mano. Aveva gli occhi di un azzurro magnetico. Ci girammo di nuovo verso l'acqua. «Il mare» affermò. «Il grande equilibratore, fa vedere tutto nella giusta prospettiva.» «Sono le sue barche?» chiesi, accennando col capo alla coppia di natanti agli ormeggi. «Il mio rifugio. La grande si chiama Escape. È una Hinckley Talaria.» Lo guardai, indifferente. «Per chi s'intende di barche, significa qualcosa» mi assicurò Connelly. «Esco con qualsiasi tempo. A Maddie viene il mal di mare quando è molto burrascoso, invece a me piace da matti. Attraversiamo, doppiamo Mount Desert e andiamo verso Down East. Ci allontaniamo dagli escursionisti, sa. Quando si arriva lassù, ci sono tratti di costa che sono rimasti esattamente gli stessi dai tempi in cui i primi europei navigarono a vela fin qua, da nord, quattrocento anni fa. Davvero! Mi piacerebbe trovare un pezzo di costa così, gettare l'ancora e...» Mi diede un'occhiata e sorrise. «Fatemi parlare di barche e io comincio a vaneggiare.» «Non c'è problema. È interessante» dissi. E lo era. Lo guardai più da vicino. Questo non era il David Connelly dei rotocalchi. Dov'era finito il ragazzo gaudente e mondano? «Allora, che lavoro fai, Jack, se non lavori per lo Stato?» «Trascorro parte del mio tempo a fare la legna» risposi. «Vuoi dire... nei boschi? Abbatti gli alberi? Come un boscaiolo?» «Sì.» «Oh! Ecco una cosa che non ho mai provato. È pericoloso?» «Solo se cominci a pensare che non lo sia.» «Regola valida per molte cose!» esclamò Connelly. «Come quei pescatori. Effettivamente, il rischio aumenta a mano a mano che si prende confidenza. E allora succede che uno è uscito in mare, in inverno, e sta parlando, sta pensando a qualcos'altro, i figli, la moglie, le bollette, e gli s'impiglia una cima al braccio, alla caviglia...» «E ci rimane» conclusi io per lui. «È difficile restare sempre vigili» commentò. «Vero.» «E allora, cosa fai quando non tagli la legna?» «Sono un giornalista. Scrivo articoli per il "New York Times".»
Connelly mi guardò e cercò di fare l'indifferente, ma non ci riuscì. «Gesù!» esclamò. Puntammo entrambi lo sguardo sulla barca per la pesca di aragoste che girava su se stessa, manovrando vicino alla boa di una trappola. Restammo un attimo senza parlare e poi io precisai: «Non sono qui come giornalista.» Dapprima David non rispose, limitandosi a un breve sospiro sconsolato. «I giornalisti lavorano sempre, no?» «Non scrivo mai sul lavoro di Roxanne.» «Lo passi a qualcun altro?» «No.» «Mai?» «No.» «Ma sai di cosa si tratta in questo caso?» «So quello che sa Roxanne.» «Mia figlia ha dei lividi. Non li abbiamo notati subito. È una cosa che ti fa sentire stupido. Quella donna all'asilo infantile della chiesa li ha visti quando Maeve si è bagnata la maglietta e gliel'hanno tolta per asciugargliela. Per legge, sono obbligati a denunciare questi casi, credo. Avrei preferito che avessero avvisato noi, ma capisco.» «È una legge giusta» osservai io. «Anzi, sono sorpreso che abbia avuto...» «Il fegato? Quella donna è una che segue le regole.» «Anche con voi?» David si fermò e distolse lo sguardo. «Sì, be'... Direi di sì.» Poi si girò di nuovo verso dì me. «Sai, i lividi non sono stati provocati da percosse o colpi. È stata stretta con forza sulle spalle. Avevamo una ragazza irlandese alla pari. Abbiamo assunto spesso delle ragazze irlandesi. È una questione di radici, sai? E sono state tutte bravissime. Ma l'ultima, Devlin, aveva una vena di malvagità. Probabilmente per come è stata allevata. L'abbiamo licenziata e rispedita a casa.» «Ah!» commentai io. «E questo è quanto.» «Allora sono sicuro che Roxanne riuscirà ad aiutarvi.» «Adesso dobbiamo solo ritrovare questa ragazza perché possa confermare quanto è accaduto» chiarì Connelly.
«Non sapete dov'è?» «L'abbiamo rimandata a Shannon, quindi credo che adesso sia tornata a casa, nel West Cork, ma chi lo sa? Ha diciannove anni, non ha il ragazzo e le abbiamo dato mille dollari in contanti. Una specie di liquidazione. Potrebbe essere andata a Dublino, a Londra o addirittura in Francia o chissà dove, per quanto ne sappiamo.» «Sono sicuro che si risolverà.» «Si deve risolvere. E poi la Masterson sembra molto ragionevole.» «Lo è.» «Mi ha chiesto di lasciarla sola con Maddie. Cioè mia moglie.» «Lo so.» Connelly esitò, osservò i pescatori di aragoste spostarsi verso la trappola successiva. «Ma, da giornalista, sai sicuramente che a volte la mia famiglia viene trattata in maniera leggermente diversa» disse. «Meglio o peggio degli altri?» «Un po' e un po'.» «Così alla fine rientrate nella media?» Connelly sorrise. «Ci sono giorni migliori di altri» commentò. «E questo non è tra i migliori, mi pare.» «Un'assistente sociale in casa e il "New York Times" tra i cespugli» continuò Connelly. Fece una risata e aggiunse: «Oh, puoi scommetterci» e scosse la testa. Poi improvvisamente si girò verso di me e m'invitò: «Perché non entri?» «No, non mi sembra il caso...» «Davvero, devi conoscere tutti. Così potrai renderti conto che non siamo persone capaci di picchiare i bambini. Maeve è dai cugini a Northeast Harbor, quindi non è in casa. Ma vedrai che siamo gente normale e simpatica. Ehi, ti andrebbe un caffè? E magari anche qualcosa da sgranocchiare?» Mi prese per il braccio e mi condusse verso i cedri. Feci un paio di passi, mi fermai ed esitai. «Sei davvero gentile, ma queste sono cose che riguardano Roxanne. Non mi posso proprio far coinvolgere» dissi infine. «Ma sei coinvolto, Jack!» affermò Connelly, dimostrando di capire qual era il nocciolo della questione. «Che ti piaccia o no, conosci una parte della storia e hai bisogno di vedere il quadro completo, per poter constatare che siamo come tutti gli altri genitori.»
Mi mise una mano sulla spalla e mi spinse a proseguire. Girammo intorno alla fila di cedri e cominciammo ad attraversare il prato. Connelly mantenne la presa sulla mia spalla come un vecchio amico; mi chiesi se fosse lo stesso tipo di facile intimità che riservava alle donne. «Devi capire, Jack, e so che capirai» affermò, con il sorriso che riusciva ad attenuare solo in parte le sue parole. «Nostra figlia viene prima di tutto. Nessuno può fare del male alla nostra bambina.» 5 Erano in cinque, tre sulla trentina o sulla quarantina, e due donne molto più giovani, ancora in età da università, che davano l'impressione di essere le figlie di qualcuno di loro. Il trio più maturo era formato da due uomini e una donna. Gli uomini erano in forma e abbronzati, tenevano le gambe incrociate e gli occhiali da sole attaccati a una cordicella ciondolanti sul petto; la donna era bionda platino e aveva l'aria di città. Le due più giovani stavano sedute scompostamente sulle sedie, e una delle due era bruna e molto attraente. Connelly mi presentò come Jack, un amico della signorina Masterson. Gli altri lo guardarono in attesa dell'imbeccata, e quando lui sorrise e mi appoggiò una mano sulla spalla, sorrisero anche loro. Se mi fosse saltato addosso, gli avrebbero dato manforte. «Jack è di... dove nel Maine?» domandò David. «Prosperity» risposi io. «Oh, ma che stranezza» commentò la bionda. «Esiste veramente un posto del genere?» «Certo che sì» assicurai. «Esiste da centocinquant'anni.» «È prospero?» chiese un uomo con gli occhiali in tartaruga. «Oppure i padri fondatori hanno fatto dell'ironia pungente?» Risero compiaciuti. «Penso che fossero speranzosi» affermai, un po' risentito. «Questo è Tim Dalton» annunciò allora Connelly. «Tra le altre cose, dà una mano a gestire la Sky Blue.» Dalton indossava una polo verde con un logo che non riconobbi. Era basso e muscoloso, come un calciatore, con i quadricipiti nodosi in bella mostra sotto ai pantaloncini corti. Schizzò dalla grande sedia di pelle e tese la mano, in maniera schietta e virile. «Jack scrive per il "New York Times"» specificò Connelly.
«Ah, pensa un po'...» commentò Dalton. Sia lui che gli altri guardarono Connelly, di nuovo in attesa dell'imbeccata. «Ma oggi è la sua giornata libera» chiarì. Annuirono con sollievo. «Sei di New York?» chiese Dalton. «Lo ero secoli fa» risposi io, consapevole di aver acquistato un paio di punti ai suoi occhi, per non essere originario del Maine. Tara sarebbe stata assegnata a una casta inferiore. «McMorrow!» esclamò. «Come no, ho visto la tua firma. Scrivi le cronache sul Nord del New England. Ho degli amici al "Times". Gente che conosco dai tempi di Harvard.» Snocciolò un paio di nomi. Li conoscevo. Io e Dalton ci eravamo simpatici. «Kathleen, ti presento Jack» disse poi Connelly. «Kathleen Kind è una macina-numeri.» «Ma i numeri non sono l'unica cosa che macina, se i conti non tornano» aggiunse Dalton, e i ragazzi ridacchiarono. Kathleen si posò in grembo il "Wall Street Journal" e salutò vagamente con la mano da una delle poltrone. Era di una bellezza algida, i capelli biondi tagliati a caschetto immediatamente sotto le orecchie, i jeans e una maglietta nera, come la montatura degli occhiali appollaiati sulla punta aguzza del naso. Mi guardò da sopra le lenti, come se mi stesse valutando per Sotheby's. Dopodiché disse: «Ciao, Jack» con un'aria d'intesa, come se ci fossimo già incontrati a una festa e io non me ne ricordassi. L'altro uomo si chiamava Sandy qualcosa, era alto circa un metro e ottantacinque e allampanato. Portava dei pantaloncini corti e una camicia azzurra di denim, con le maniche accuratamente arrotolate. Un paio di Oakley sulla testa. Sembrava un fanatico dello sci, fuori stagione. Salutò: «Benvenuto a bordo» e mi sorrise con disinvoltura. «Sandy è il nostro uomo nel Maine» chiarì Connelly. «Si occupa soprattutto delle barche, ed è bravissimo. Sandy è un marinaio. Se mai deciderai di mettere insieme un equipaggio per una traversata transatlantica, rivolgiti a lui.» «Potrebbe stare a poppa sulla canoa» tentai di scherzare io. «Ci sono stato» confermò Sandy. «Fai discesa sulle rapide con la canoa?» «No» risposi. «Più che altro vago per le paludi e osservo gli uccelli.»
«È pieno di uccelli nella baia» precisò lui, disponibile come una cortigiana, come una persona le cui maniere si fossero affinate stando al servizio dei ricchi. «Ti ci posso portare.» Ci girammo verso le due ragazze, sedute vicino alla finestra. Una era davvero molto bella, l'altra no. Quest'ultima indossava un paio di sandali sportivi dell'Adidas e aveva le unghie dei piedi dipinte con uno smalto blu scuro. Portava un anellino d'oro sul mignolo sinistro del piede. «Questa è Monica» disse Connelly, con meno disinvoltura rispetto a quella avuta nel presentare gli altri, come se ci avesse dovuto pensare. La ragazza stava tirando indietro la massa di capelli bruni per imprigionarli con un fermaglio nero. Infine, una volta sistemata la capigliatura, salutò: «Salve.» E io feci lo stesso. Connelly spiegò che la ragazza lavorava per la Sky Blue: era una delle persone che restavano dietro le quinte e contribuivano alla gestione. Cominciai a farmi l'idea che si trattasse di una gita aziendale. «E, non ultima, questa è Angel» annunciò Connelly. Lei alzò lo sguardo su di me, gli occhi scuri e profondi, la pelle così fine da sembrare priva di consistenza, un colorito rosa pallido sulle guance e una folta chioma nera che ricadeva sciolta. Era perfettamente proporzionata. Provai quel balzo al cuore tipicamente maschile, e per un momento la lingua mi s'impastò. Poi però mi ripresi. «Ciao» dissi. «Lieta di conoscerti» rispose lei con aria da ragazzina, anche se qualcosa nella sua espressione tradiva una profonda consapevolezza del proprio fascino. Quella era la sua arma segreta: avrà avuto una ventina d'anni, ma era in grado di far cadere gli uomini ricchi ai suoi piedi. Mi sorrise, dopodiché rivolse la sua attenzione a Connelly. Il suo sorriso si fece molto più astuto, il suo sguardo sfrontato, come se fossero stati complici e a lei non importasse affatto che gli altri lo sapessero. Lui trasalì e distolse lo sguardo. «David!» lo apostrofò lei, la voce vagamente provocatoria, come i suoi grandi occhi che sembravano non battere mai le ciglia. «Pensi che usciremo in barca?» Lui la guardò nuovamente e sorrise, ma era un sorrisetto imbarazzato e sfuggente. «Spero di sì» rispose. «Tieniti forte!» «Sandy ha detto che posso... come avevi detto? "Prendere il timone"?»
Lei guardò Sandy e lui assunse un'aria piuttosto imbarazzata. «In mare aperto, naturalmente» precisò il marinaio. «Preferibilmente a metà strada tra qui e il Portogallo» ironizzò Connelly. Angel simulò un sorriso e chiese: «David, non ti fidi di me?» Con un tempismo perfetto, nel profondo della casa sbatté una porta. Udii dei passi, poi la voce di Roxanne e quella di un'altra donna. Allora Connelly disse: «Mi sembra che abbiano finito. Vieni che ti presento Maddie.» Tutti sorrisero e annuirono. David uscì dalla stanza e io lo seguii. Attraversammo un corridoio tappezzato di foto di famiglia che ritraevano i Connelly su grandi barche, a cavallo, in cima alle montagne. In fondo al corridoio, girammo a destra ed entrammo in uno studio rivestito di pannelli. Roxanne stava in piedi al centro della stanza; con lei c'era un'altra donna. Si voltarono entrambe. L'altra donna sorrise, ma stancamente. Anche Roxanne sorrise, mascherando la propria sorpresa. «Maddie» disse Connelly. «C'è una persona che ti vorrei far conoscere. Questo è Jack. È l'amico della signorina Masterson. L'ho incontrato mentre facevo una passeggiata e l'ho invitato a entrare per constatare di persona che i Connelly non hanno né coda né zanne.» Indugiò, poi guardò Roxanne. «Con questo non voglio sminuire il suo lavoro» proseguì Connelly, facendo marcia indietro. «Non intendevo dire quello che ho detto. Sono molto contento che lei si occupi di Maeve, e di tutti gli altri bambini. Lo sono davvero. Voglio dire, per la fondazione è una priorità, quella di proteggere i bambini. E nutrirli.» «Certamente» rispose Roxanne, «Volevo solo che Jack si rendesse conto che non siamo dei mostri.» «Nessuno sta dicendo che lo siate, signor Connelly» puntualizzò Roxanne. «David, ti prego. Capisco il tuo atteggiamento, ma sai benissimo che cosa pensa la gente quando sente parlare di maltrattamenti ai minori. E questa famiglia tende a essere...» David si rivolse alla moglie. «Maddie, questo è Jack McMorrow.» Maddie Connelly abbozzò un debole sorriso e rispose: «Salve, è un piacere.» Mi tese la mano e io gliela strinsi. La mano era piccola ma la stretta era forte e lo sguardo diretto. Era attraente, anche se in modo singolare, e seducente, anche se in modo sottile, non travolgente come Angel. Aveva i
capelli biondi tagliati corti, probabilmente per praticità, e una spruzzata di lentiggini sulle guance. «Non mi voglio assolutamente intromettere» precisai io. «Non avevo alcuna intenzione di entrare o di...» «È una questione estremamente riservata» aggiunse Roxanne. «Non vi dovete sentire obbligati a condividerla con...» «Ma non ci sentiamo obbligati» commentò David Connelly. «Però mi sembrava opportuno che Jack vedesse il quadro completo. Gli ho raccontato della ragazza alla pari, di quello che è successo e di come l'abbiamo rispedita a casa. Non volevo che si facesse un'idea sbagliata.» «Ma David...» attaccò Maddie, cercando di mantenere un tono affabile nonostante fosse visibilmente perplessa. «Eravamo fuori a guardare la baia, e Jack mi ha parlato del suo lavoro» raccontò David. Si fermò e guardò la moglie. «Jack è un giornalista, amore mio. Scrive sul "New York Times".» Il viso di Maddie Connelly divenne grigio. Trattenne letteralmente il respiro e poi cercò di sorridere, ma fu un sorriso afflitto. Vedevo che cercava la cosa giusta da dire, senza riuscirci. «Mi prendi per i fondelli?» esclamò. 6 Roxanne uscì per dire a Tara che poteva anche tornare in ufficio. Al suo ritorno nello studio, stavo ancora cercando di convincere Maddie Connelly che nessuna delle parole che aveva pronunciato in presenza di Roxanne sarebbe apparsa sul "New York Times" la mattina dopo. «Ma come riesci a non scrivere di qualcosa che sai?» domandò Maddie, appoggiandosi all'estremità di un divano. «I giornalisti non scrivono tutto quello che sentono dire» risposi io. «E questa faccenda riguarda me» precisò Roxanne. «Jack non farebbe mai qualcosa che potrebbe danneggiarmi.» «Però conosce il motivo per cui sei venuta.» Roxanne non rispose. «E poi David gliel'ha confermato» aggiunse Maddie, rivolgendosi a me. «Non ha alcuna importanza» risposi io. «Non credo che farebbe notizia. Nel Maine ci sono centinaia di denunce di questo genere ogni mese. Questa capita proprio...»
«A noi» finì Maddie. «Non si possono tirare indietro» aggiunse David. «Devono indagare. E se Devlin fosse ancora qui e continuasse i maltrattamenti? O se fossimo noi stessi a farlo?» «Ma di solito non si portano appresso i giornalisti, o sbaglio?» affermò Maddie. «È una pura coincidenza che, dopo la segnalazione del coinvolgimento della nostra famiglia, sia piombato qui un giornalista del "New York Times"?» «Sì» risposi io. «Sono venuto ad accompagnare Roxanne, per vedere se in città c'era qualcosa su cui scrivere un pezzo.» «E hai fatto centro, eh?» commentò Maddie, le braccia conserte sul petto. «No» puntualizzai io. «Non intendevo parlare con David. Non intendevo affatto farmi coinvolgere. Avevo semplicemente esaurito i posti da visitare e stavo aspettando Roxanne. Sono sceso dalla macchina per sgranchirmi le gambe e per osservare il mare e...» «Ma ne avreste comunque parlato una volta che Roxanne fosse tornata a casa. "Com'è andata a Blue Harbor? Cos'hanno detto per difendersi?"» «Normalmente, non discutiamo dei miei casi» precisò Roxanne. «Ma questo è diverso, non è vero?» «Niente affatto.» «E poi non è successo nulla di così grave» aggiunse David. «Vi abbiamo raccontato come sono andate le cose. Potete parlare con Maeve...» «David!» intervenne Maddie. «Roxanne dovrà parlare con la bambina» ribadì lui. «Non può accontentarsi della nostra parola.» «Non voglio che Maeve venga turbata. Soprattutto non voglio che ne faccia una questione più grande di quella che è.» «Farò del mio meglio per non turbarla» la rassicurò Roxanne. «E poi finalmente chiuderemo la faccenda?» domandò Maddie. «Con ogni probabilità, da ciò che ho sentito, sì» replicò Roxanne. «Ma non posso prometterlo, per il momento.» «Va bene» acconsentì David. «Allora facciamola riportare a casa» continuò Maddie. «Telefono subito. Sarà qui tra un'ora.» «A questo punto avrei ancora qualche domanda per voi» concluse Roxanne. David disse che sarebbe rimasto anche lui. Io guardai Roxanne e mi av-
viai verso la porta; avevo già la mano sulla maniglia quando David aggiunse: «Jack, perché non raggiungi gli altri? Vedrai come ti piacerà là fuori. E, per favore, di' a Sandy di andare senza di me.» Mi richiusi la porta alle spalle e, come svoltai nel corridoio, quasi mi scontrai con Angel. Era in piedi davanti alle foto come se si trovasse in un museo e avesse affittato le cuffiette con la guida registrata. «Ehi» disse. «Ciao» risposi io. «Guarda questa. Guarda che barca!» Era un'immensa barca a vela da competizione, sembrava provenire da un'antica edizione dell'America's Cup. Aveva le vele gonfie ed era molto inclinata, il parapetto praticamente tra le onde. «Pensi che appartenesse ai Connelly?» chiese, con un lieve accento del North End di Boston. «Non saprei» risposi io. «Chi è il tipo anziano?» domandò. Un'altra foto in barca, questa volta i Connelly nel pozzetto, David Connelly davanti a un timone largo come uno hula-hoop, un uomo anziano a fianco. «È Walter Cronkite» risposi. «Non era un presentatore del telegiornale?» domandò Angel. «Sì.» «Lo conosci?» Scossi la testa. «Però ti capita d'intervistare persone famose e influenti?» «Qualcuna» risposi. «Ormai non più così tante. Adesso lavoro principalmente nel Maine e nel New Hampshire.» «Chi hai intervistato di famoso?» «Non saprei» replicai. «Jimmy Carter. Rudy Juliani, che però allora non era famoso. David Dinkins e anche Ed Koch.» «Gli ultimi due non li ho mai sentiti.» «Sindaci di New York. Che te ne pare di Bruce Springsteen?» chiesi. Angel si girò verso di me, gli occhioni spalancati. Si allungò, mi posò la mano sul braccio, e lì la tenne. «Davvero? E com'era?» «Simpaticissimo» risposi. «Un tipo molto normale.» «Non voglio che le persone famose siano normali» protestò Angel. «Voglio che siano misteriose e diverse. Posso incontrare tutta la gente nor-
male che voglio.» Lasciò cadere la mano. «Di dove sei, Angel?» «Di Boston, da tutta la vita. È una città che amo.» «Alcuni a Boston direbbero che i Connelly sono famosi, tuttavia sembrano abbastanza normali.» «Oh, non saprei» rispose Angel. «Sono simpatici, ma hanno un bel peso da tirarsi dietro.» «L'eredità familiare?» «La storia. Voglio dire, il semplice fatto di chiamarsi Connelly. Tutti che ti guardano come se fossi di stirpe reale.» «In un certo senso, lo sono. Una famiglia di reali americani.» «Sai, c'è stata un'altra persona che mi ha detto la stessa cosa.» «Chi?» «Barbara Walters. Sono stata a una cena di beneficenza con David e Maddie, al Ritz. Barbara Walters era seduta al nostro tavolo, e, dopo aver saputo che lavoro facevo, mi ha chiesto com'era lavorare con una "famiglia reale". Io le ho risposto che cercavano in tutti i modi di non darlo a vedere. Troppo, secondo me.» «Troppo?» «Sì. Come con questo problema della bambina... Io avrei sbattuto fuori tutti e avrei chiamato subito l'avvocato. Quella donna ha avuto il coraggio di presentarsi qui e mettersi a comandare su questo e su quello! Insomma, con chi diavolo pensa di parlare?» «Soltanto con un'altra famiglia in cui c'è un bambino che potrebbe subire maltrattamenti» risposi. «Ma a chi credi di raccontarla, Jack?» domandò, girandosi verso di me e inclinando la testa. «Questa non è soltanto un'altra famiglia neanche un po'.» «E allora che cos'è?» «È una famiglia straordinaria. Ieri abbiamo stanziato cinquecentomila dollari per un'organizzazione che garantisce la formazione dei genitori a cui vengono affidati i figli delle donne che usano il crack. Proprio così. L'anno scorso, David e Sandy sono andati in Sudafrica in aereo, hanno preso un'enorme barca a vela e hanno navigato attorno alla punta dell'Africa. Non mi ricordo come si chiama.» «Il Capo di Buona Speranza.» «Comunque sia. Loro le cose le fanno.»
«E questo ti piace, vero?» Si voltò verso di me. «Sì che mi piace. Vivono alla grande. Se decidono che una cosa è importante, la fanno. Gli altri si limitano a parlare.» «Da che ambiente provieni, Angel?» le chiesi. Si girò nuovamente verso una fotografia di David in cima a una montagna innevata. «Niente di particolare. Boston. North End. Famiglia normale.» «Qualcosa di speciale dovranno averlo! Hai tanti fratelli e sorelle?» «Oh, sì. Un fracasso. Sono attaccati alle loro radici come piante.» «E tu no?» «Io non passo la vita a voltarmi indietro, Jack» rispose. «Io guardo avanti. Ogni istante.» Si girò e si chinò verso di me, come se stesse per raccontarmi un segreto. Sentii l'odore del suo shampoo, il suo profumo, e il mio polso accelerò, mio malgrado. «E c'è un'altra cosa» aggiunse Angel, la voce roca. «Queste non sono cose da pubblicare.» «Non sono qui per lavoro» affermai. «Jack» disse, toccandomi il dorso della mano con le dita. «Piantala, dai!» In quel momento comparve Dalton in fondo al corridoio, un maglioncino appoggiato sulle spalle. Angel scostò le dita e disse: «Timmy, Jack e io stavamo chiacchierando. Sai che ha intervistato Bruce Springsteen?» Gli andò incontro, ruotando su se stessa come se sfilasse in passerella; lui le lanciò uno sguardo rapido ma significativo: lei era sua e lui ne era orgoglioso. 7 Sandy e io raggiungemmo la grande barca su una lancia tutta in legno trattato con vernice trasparente e ottone tirato a lucido, Sandy fece accostare la lancia sulla fiancata dell'Escape, mentre io restavo in piedi guardingo, quindi scavalcò il parapetto superiore della grande barca e mantenne la lancia appoggiata contro i parabordi in plastica. Il marinaio salì a bordo e legò la lancia a una galloccia a poppa. La lancia si allontanò alla deriva, restando però legata all'ormeggio, mentre Sandy si avviava verso la cabina
di comando. Avviò i motori e li portò rumorosamente al minimo, dopodiché montò sul ponte parallelo alla cabina. A prua si accucciò, allentò la cima d'ormeggio e la srotolò dalla galloccia. Sandy si arrampicò di nuovo sulla cabina di comando, prese la leva e accostò la barca alla piattaforma galleggiante. Salirono a bordo uno a uno, come animali caricati sul treno di un circo. La Kind si piazzò su una delle panche ricoperte da cuscini, di fronte al timone, incrociò accuratamente le gambe e prese una copia del "New Yorker" dalla borsa. Monica, incurante della brezza fredda che proveniva dal mare, prese posto a poppa e si sfilò la giacca, mostrando il reggiseno del bikini, rigonfio fino a scoppiare. Angel e Dalton cominciarono a salire la scaletta che portava al secondo piano della barca, sopra la cabina. «È uno schianto, non trovi?» disse Sandy. Lo guardai, sbigottito. «La prima Talara 44 costruita con la controplancia.» «Ah, davvero? E cos'è la controplancia?» «È la piattaforma superiore. T'intendi di barche?» mi chiese Sandy. «Direi proprio di no.» «Be', allora credimi sulla parola. Della sua categoria, questo è il miglior yacht che esista al mondo. E, comunque, David ha anche il Southwester 51...» «Questo qui è molto bello» osservai io. Sandy sciorinò tutti i pregi della barca, cadendo in una sorta di trance, come fa talvolta la gente quando parla di barche, di auto o di religione. Ascoltai educatamente. «Si possono percorrere trecentocinquanta miglia con un pieno di carburante» spiegò Sandy. «Si può navigare da qui a New York a ventotto nodi.» «Mai fatto?» domandai. «No, ci mancherebbe. David non usa l'Escape per andare in mezzo alla folla. La usa per fuggire.» Sandy guardò gli indicatori, premette dei tasti e io mi sentii come su un aereo. Osservai la Kind, che aveva posato il giornale e rivolgeva lo sguardo fuori, verso la costa. Lei se ne accorse e sorrise. «Non m'interessano i dettagli tecnici» affermò. «Ma ti consiglio di venire a vedere di sotto.» La donna si alzò in piedi, mi chiamò piegando il dito a uncino e anch'io
mi sollevai. Aprì la porta di un corridoio e si fece strada all'interno. La seguii in una zona pranzo e una cucina di bordo dotate di più accessori di quanti non ce ne fossero in tutta casa mia, e poi mi condusse in una cabina con un enorme letto al centro. Tutto risplendeva di un rosso ciliegia. La Kind si sedette su una trapunta rosa, si appoggiò all'indietro e si guardò intorno. «Questo è il modo di vivere la barca che piace a me» commentò lei. «Stare seduta nel porto a leggere un bel libro e scendere a terra per andare in un ristorante di lusso.» «Dev'essere bello» assentii. «Non saprei neanche immaginare quanto possa costare una barca del genere.» «Lo sai, non si domandano queste cose!» rispose lei. «Così la famiglia non dà tutti i soldi in beneficenza...» osservai. «I Connelly hanno tutti i diritti di godersi la vita.» «Vero! E mi pare che se la godano!» «Cosa te lo fa dire?» chiese. «Le barche, le case, quello che si legge, soprattutto su di lui.» «Oh mio Dio! Se la gente sapesse quante schifezze pubblica la stampa, non comprerebbe mai più un giornale.» «Forse non lo dovrei chiedere, ma non è tutto vero? I flirt, la droga e quello che si dice abbiano fatto in gioventù?» «Dio Santo! Non hanno fatto mai nulla che non facesse anche l'altra gente, a quei tempi. E i flirt sono al novanta per cento pure illazioni. David Connelly che esce con la tale attrice. David Connelly che esce con la tale bellissima da rotocalco. Sai che un giornale aveva addirittura scritto che usciva con me? Ci avevano visti mentre lasciavamo un hotel di Boston la mattina presto. Eravamo lì per una colazione di lavoro con una Onlus, per l'amor di Dio! Abbiamo preso lo stesso taxi per rientrare in ufficio. E quella che è qui con te, è tua moglie?» «No.» «Però state insieme?» «Sì.» «Da molto tempo?» «Da un certo punto di vista. Non come le coppie del mio paese che celebrano le nozze d'oro nelle ville di campagna.» «Ma... è una cosa stabile?» «Sì.» «Il che solleverà degli interessanti problemi di riservatezza, no?»
«Occasionalmente» risposi. «Cosa prevale? La tutela dei bambini o il diritto dell'opinione pubblica di sapere?» «È il suo lavoro. Io non mi lascio coinvolgere.» «Ah, davvero?» Sorrise. «Non intendevo partecipare. Sono stato...» «Trascinato dalla generosità di David? Benvenuto fra noi. Siamo qui per un legame d'amicizia obbligatorio. Facciamo i turni. Questa è la squadra A.» «Alcuni sembrano più legati di altri» osservai. Ci fu una pausa. «Cosa intendi dire?» chiese la Kind. «Non so. Tu e Monica non siete esattamente amiche per la pelle, no?» «Non esattamente. E non socializzo nemmeno con il parcheggiatore.» Lasciai cadere il discorso. «A che servono i numeri che elabori?» «Qualcuno dovrà dire loro quanto possono spendere. Non è un pozzo senza fondo, per quanto a qualcuno piaccia pensare che lo sia.» «E Tim Dalton, che fa?» «È il capo del personale. David è il presidente e Maddie la vicepresidente.» «E Monica, che ruolo svolge?» La Kind esitò, ed ebbi l'impressione che alzasse leggermente gli occhi al cielo. «È l'amica di Angel Moretti. L'anno scorso sono venute insieme alla fondazione come interinali.» «E avete deciso di assumerle a tempo indeterminato?» «Non per mio volere. È stato qualcun altro ad assumerle.» «E Angel che incarico svolge?» «È la...» La Kind esitò. «...assistente amministrativa del signor Dalton.» «Ah» commentai io. La Kind mi guardò e non mostrò nient'altro che un sorriso distaccato. «Quindi ti piace il tuo lavoro» conclusi. «Ti permette di aiutare tantissime persone su larga scala.» «Si spera di fare la cosa giusta, di dare un contributo, nel tempo. Il no-
stro lavoro ha una certa importanza. Non ci occupiamo di bazzecole. Voglio dire, se promettiamo mezzo milione di dollari a dei poveri bambini ammalati, poi dobbiamo darglieli.» «E perché non dovreste darglieli?» «Si può perdere di vista l'obiettivo, si possono sopravvalutare i fondi disponibili e si può cominciare a spendere i soldi in cose superflue, voci di bilancio...» La Kind si fermò. Si udirono dei passi nel corridoio ed entrarono Dalton e Angel, che esclamò: «Oh Dio! Ma è stupendo!» La Kind si alzò dal letto, il sorriso gelido ancora sulle labbra. «...improprie» concluse sottovoce. 8 Ci addentrammo rombando nella baia di Blue Harbor, su entrambi i versanti della costa rocciosa pullulavano piante di picea e altri abeti. Era meraviglioso; il mare quasi piatto, il sole che illuminava il granito. Salii sulla controplancia con Sandy e lui mi elencò i nomi delle isole di fronte alle quali passavamo. «La gente si mette nei guai, qua in mezzo» disse. «Poco più di sessanta centimetri di profondità e tutta scogliera a pelo d'acqua. Cerca di tagliare quell'angolo e addio barca.» «Coli a picco?» «È più facile che ti adagi sul fianco e che lo scafo si riempia d'acqua mentre speri che qualcuno risponda all'SOS.» «È un posto dove non ci si può distrarre» commentai. «Ehi, nella nebbia, la notte, con l'acqua gelida, c'è da rimanerci, proprio come ci si rimaneva duecento anni fa.» «È per questo che a David piace così tanto?» «Dovresti chiederlo a lui...» S'interruppe e lasciò la frase in sospeso. «Comunque immagino che dipenda dal fatto che l'acqua tratta tutti allo stesso modo» rispose Sandy. «È per questo motivo che siete venuti qui?» domandai. «Sì. Anche se io sono spinto da una motivazione diversa: l'unica cosa importante è che io riesca a portare la barca dal punto A ai punto B.» «E che cosa non è importante?» «Tutto il resto» replicò Sandy, lapidario.
Aggirammo l'ultima fila di scogli a fior d'acqua e ci dirigemmo a sudest, verso acque più aperte. Il vento prese vigore e la barca cominciò a ondeggiare sulle creste del mare. Compimmo un'ampia virata a sud-ovest dell'isola di Mount Desert. Le montagne dell'isola si ergevano davanti a noi come qualcosa di appena scoperto, con i picchi rocciosi che si levavano al di sopra delle coste alberate. Piegammo di nuovo verso nord, a est di Long Island. Ritornammo a risalire la baia e il mare si placò, mentre il sole tramontava in cielo, a occidente. Una volta raggiunte le acque basse che conducevano al porto, Sandy scese nella cabina di comando. La Kind leggeva il "New Yorker" nel salone. Monica era rientrata, Dalton e Angel stavano in piedi a poppa e lui le indicava qualcosa a riva. Sandy disse che sarebbe andato a prua per agganciare gli ormeggi e mi chiese di stare con le orecchie ben aperte e di mettere la leva in folle, al suo comando. «Credo che riuscirei a farti diventare un bravo marinaio, Jack» scherzò. «Mi sembri portato.» Presi il timone dello yacht da un milione di dollari, chiedendomi se fosse assicurato. Procedemmo lentamente tra le boe delle nasse da aragoste, dopodiché Sandy si spostò rapidamente sul ponte, intorno alla cabina e poi a prua. Lo vidi accovacciarsi, quindi esclamare: «Adesso!» e io riportai indietro la leva sentendo che la barca tornava in folle. Scarrocciò lentamente ancora per centocinquanta metri, finché Sandy non si rialzò con la lunga asta di una boa in mano. La sollevò, arrotolò la cima alla galloccia a prua, la fissò strettamente e tornò nella cabina di comando. La barca oscillò. «Ottimo!» commentò Sandy, regalandomi un grande sorriso disarmante. Mio malgrado, ricambiai il sorriso. Dalton cominciò a tirare la lancia e Sandy si mosse rapidamente, gettando i parabordi sul fianco. Monica e la Kind si misero in fila, come se la spia luminosa "allacciare le cinture" si fosse appena spenta. Nessuno sembrava particolarmente entusiasta dell'escursione; solo Angel si voltò, esaminò lo yacht e disse: «Mi piace questa barca, dobbiamo tornarci.» Poi guardò Sandy, che teneva ferma la lancia, e ordinò: «Sandy, la prossima volta voglio andare a Bar Harbor.» «Devi chiederlo al capitano!» rispose lui. «Va bene» disse lei. «Lo farò.»
9 Attendevano sulla piattaforma galleggiante: David, Maddie, Roxanne e Maeve, una bellissima bambina di cinque anni, abbronzata e con i capelli biondi, ricci e arruffati. Saltò sulla scaletta mentre la lancia si accostava, poi balzò di nuovo giù. «Ciao a tutti» salutò. «Avete visto i delfini?» Mi arrampicai sulla piattaforma e le risposi: «Nessun delfino, stavolta.» «L'ultima volta che sono andata con papà sulla barca piccola, quella là fuori, ne abbiamo visti sei. Ci seguivano.» «È vero» confermò David. «Ci sono rimasti affiancati per un paio di miglia.» «Erano bagnati, neri e lucidi» raccontò Maeve, poi si rivolse a Roxanne. «Ne hai mai visto uno?» «Direi proprio di no» rispose Roxanne, chinandosi su di lei. «Allora ti ci portiamo. Papà sa dove sono i delfini, e anche le foche. Delle volte, vediamo anche i cuccioli di foca.» «Sarebbe bello, Maeve» commentò Roxanne. «Andiamoci domani» propose Maeve. «Papà, Roxanne e il suo amico possono dormire qui e domattina ci alziamo presto e andiamo con la barca grande, perché fa freddo la mattina presto e tu puoi fare le uova con le focacce e possiamo bere la cioccolata in tazza, perché Roxanne non ha mai visto un delfino? È incredibile!» «Andiamoci subito» acconsentì entusiasta David. «Sandy, lascia acceso il motore. Tutto a posto con il carburante?» Saltò a bordo. Io guardai Roxanne e lei rispose: «Veramente non so se...» «Sì, sì, sì!» la esortò Maeve, poi le prese la mano e cominciò a tirarla verso la barca. Roxanne fece un sorriso e si arrese, quindi salirono a bordo. Gli altri erano sulla piattaforma; Sandy li raggiunse, e David disse: «Pensa tu a offrire da bere a tutti, qualsiasi cosa desiderino, Sandy. Dovrebbe arrivare presto anche da mangiare. Ho prenotato per le quattro. Noi dovremmo fare ritorno tra un'ora.» Salii a bordo e David prese il timone mentre Sandy ci spingeva per farci allontanare dalla piattaforma. I motori rombarono e ci muovemmo, oltrepassammo il Boston Whaler e le altre boe d'attracco, quindi David spostò la leva in avanti, lo yacht andò su di giri e decollò con un ruggito.
«Sono qui, amore» disse Roxanne avvicinandosi a me, che stavo in piedi di fronte a David. Lui si volse verso di lei e, facendole un sorriso, dichiarò: «Ti troveremo un delfino, Roxanne, te lo prometto.» Lei ricambiò il sorriso, lui girò lo sguardo nuovamente verso gli strumenti e tirò la leva con delicatezza. Il rombo diminuì, David si sistemò sul sedile del timoniere e si voltò verso di noi. «Sedetevi, ragazzi» c'invitò. «Mettetevi pure a vostro agio.» Ci accomodammo sui divani imbottiti di fronte a lui. Misi un braccio attorno a Roxanne e, mentre la costa si allontanava, mi chinai verso di lei e le chiesi piano: «Stai bene?» Lei si girò e insieme guardammo le isole a sinistra. «Sì, sto bene. La bambina è assolutamente deliziosa.» «Ha confermato la dichiarazione dei genitori?» «In pieno. Ha detto che Devlin l'ha stretta attorno alle spalle e l'ha rinchiusa al buio in uno sgabuzzino. L'aveva minacciata che se l'avesse raccontato ai genitori, le avrebbe buttato la bambola nel gabinetto insieme alla cacca e avrebbe tirato lo sciacquone.» «Simpatica!» «Eh sì. La dobbiamo ancora rintracciare.» «Ma i genitori ti sembrano a posto?» «Oh, sono molto affabili, molto sinceri. E Maeve è davvero molto affettuosa con loro. Non sembra anche a te?» «Sì, niente a che vedere con quello che mi aspettavo.» «Il cocainomane che dà la caccia alla domestica?» «Sì, anche se una caccia in corso c'è.» «Ah sì?» Le parlai di Dalton, l'ormai stagionato ex studente di Harvard eccellente nello sport, e di Angel, l'assistente. «Ma lei è ricettiva?» «Sì, anche se lo tiene a una certa distanza. Sa bene di averlo in pugno.» «È una cosa patetica» commentò Roxanne. «Un po'» confermai io, mentre David toglieva gas, chinandosi verso di noi. «Se si vuole vederli, a quest'ora del pomeriggio, questo è il posto migliore. Vanno a caccia di sgombri; li spingono dentro la baia e li fanno passare da questo stretto, tra le isole.» «Dobbiamo fermarci ad aspettare?»
«No, continuiamo a cercare. Io salgo sul ponte, si vede meglio da lassù. Salite anche voi, forza!» Lo precedemmo lungo la scaletta a pioli. Sul ponte c'erano dei sedili imbottiti disposti a semicerchio, e il timone, tutto tek e acciaio, a destra. Maeve era in ginocchio, rivolta a prua, le manine serrate alla barra d'acciaio inossidabile. Maddie raggiunse il timone e osservò il quadro degli strumenti, dopodiché toccò la leva e prese il comando. Ci sedemmo sul lato sinistro e osservammo l'oceano e la costa illuminata dal sole. Nel giro di un minuto, David spuntò dalla scaletta con le braccia colme di felpe in pile. Erano verde scuro, con la parola ESCAPE ricamata a destra sul petto. «Non scherza il freddo qua fuori» commentò. Si tolse gli occhiali da sole e, contorcendosi, indossò il pile. Roxanne e io lo imitammo. Quindi sostituì la moglie al timone mentre anche lei si copriva. Maeve, invece, dichiarò di non avere freddo e andò a sedersi al posto del timoniere, accanto al padre, una manina sui comandi. «A volte penso che mia figlia appartenga a una specie diversa» commentò Maddie, sedendosi accanto a Roxanne. «Un soldo di cacio, nemmeno un grammo di grasso addosso, e non ha mai freddo. Batte tutti a nuotare, è la prima a entrare in acqua e l'ultima a uscirne.» «Ci sono alcuni bambini fatti così» constatò Roxanne. «Dev'essere una semplice questione di metabolismo.» «Pensi che le darà dei problemi in futuro?» «Non me ne intendo» rispose Roxanne. «Ma mi sembra che ci conviva benissimo. È una bambina felice.» «Oh, sì che lo è. Però non voglio che si trascini dietro niente. Non voglio che sia perseguitata né dal senso di colpa né da nient'altro. Quindi ti voglio ringraziare davvero per averci reso le cose... be', non voglio dire facili, ma almeno... serene. Cioè, l'idea che lo Stato venga a verificare se siamo genitori violenti... So che era tuo dovere farlo, ma tu l'hai fatto nel modo giusto, per noi e per Maeve.» Si protese, toccando la mano di Roxanne. «Davvero, grazie.» «Non occorre che mi ringrazi» replicò Roxanne. «Vorrei chiederti un'altra cosa. Abbiamo un'amica psicoterapeuta infantile. È davvero bravissima. Pensavo di organizzare un colloquio con Maeve.» «Io non darei tanta importanza a quanto è successo» consigliò Roxanne. «Mi sembra che adesso stia benissimo.»
«Sì, ma non si può mai sapere che cosa nascondano nelle loro testoline» replicò Maddie. «E poi i bambini fanno di tutto per sembrare felici e normali. Lo fanno per se stessi e per i genitori. Vogliono che la vita torni a essere come prima e quindi, in un certo senso, la ricreano di sana pianta.» Roxanne si voltò verso di lei, interessata. «È una cosa che hai studiato?» «No» rispose immediatamente Maddie. «Ma quando le persone parlano, io le ascolto. David dice che sono laureata in osmosi.» Sì girò e si sporse davanti a Roxanne, verso di me. «Allora, Jack, ti occupi anche di problemi riguardanti le coste?» Risposi che scrivevo di qualsiasi cosa influisse sulla vita della gente. Lei mi suggerì di scrivere sull'acquicoltura, su una società che intendeva riempire la baia di allevamenti di pesce e di orribili bidoni azzurri. Maddie parlò di batteri, di escrementi ittici e di ossigeno disciolto. Disse che l'articolo pubblicato sul "Times" era scritto bene, ma che il problema non era risolto. «Ti terrò informato, Jack» promise. Si appoggiò sullo schienale mentre David, una mano sulla leva, ci raccontava la storia delle isole che oltrepassavamo. Poi Maddie si sporse verso di noi e, con naturalezza, ci chiese: «Pensate di avere dei figli?» Era una domanda poco opportuna, ma Maddie sembrava così sincera e premurosa che non c'era di che offendersi. «Potremmo anche averne» rispose Roxanne. «Ve l'ho chiesto perché abbiamo degli amici che hanno scelto di non averne. Io ho detto loro che perdono una delle cose più meravigliose e gioiose della vita. Noi probabilmente non avremo altri figli nostri, ma pensiamo a un'adozione per l'anno prossimo. Siamo in contatto con delle persone nella Repubblica Dominicana. Credo che potremmo essere una famiglia adatta per quasi tutti i bambini. Maeve non è gelosa né possessiva. Almeno per il momento. E poi saremmo in grado di offrire loro delle possibilità che molte famiglie non garantirebbero.» Maddie parlava in maniera estremamente concreta, senza darsi affatto delle arie. Mi chiesi per quale motivo questo aspetto dei Connelly non apparisse mai sui giornali, e perché si distaccassero così tanto dagli stereotipi. «Eccoli!» gridò Maeve, mentre con la manina minuscola indicava le acque che si stendevano di fronte a noi. «I delfini!» Saltò giù dal sedile, prese Roxanne per un braccio e cominciò a tirarla,
finché lei non si alzò. Maeve indicò la direzione in cui guardare. «Li vedi?» «Oh, sì!» esclamò Roxanne. «Guarda, saltano!» «Te l'avevo detto!» esultò Maeve, mentre io gettavo uno sguardo alla madre che la osservava. Maddie sorrideva, ma al tempo stesso la sua espressione trasmetteva preoccupazione o tristezza, come se tutto potesse finire da un momento all'altro. Era come se ci si aggrappasse saldamente, come se cercasse d'impedire che la scena davanti a sé scivolasse via. Roxanne era venuta a proteggere la figlia, ma in quel momento la più vulnerabile sembrava la madre. Maddie si volse improvvisamente verso Roxanne e me. «Che probabilità ci sono» domandò «che si venga a sapere questa storia?» 10 Quando rientrammo a casa, gli altri erano sotto la veranda, bicchieri e antipasti in mano. Maeve annunciò il bottino: tre delfini, sei falchi pescatori e un'aquila calva. «Brava, amore mio» approvò Angel, mentre tutti sorridevano radiosamente. «Hai fame? Ci sono i gamberetti, le aragoste e gli involtini California.» Condusse Maeve al tavolo su cui erano stati disposti il cibo e le bevande sopra a una tovaglia bianca. Poi si rivolse a Roxanne e a me chiedendo: «E voi, ragazzi, desiderate qualcosa da bere? Una birra? Un bicchiere di vino?» Declinai, ma David insistette: «Che ne diresti di una Guinness, Jack? Da bravo celta. E tu, Roxanne?» Lei scosse la testa, dicendo che avrebbe preferito un'acqua gassata. Comparve una ragazza, in età da scuole superiori, con un altro vassoio di gamberetti. «Potresti portarle una Poland Spring? Gassata» le ordinò Angel. «Sì, signora» rispose la ragazza, e di colpo capii perché ad Angel Moretti, del North End, piacesse tanto quella vita! Se fosse passato da quelle parti anche il giardiniere, gli avrebbe sicuramente ordinato di andare a scavare un buco. David mi mise una Guinness media in mano e la ragazza del servizio banchetti portò la minerale di Roxanne, che mi dedicò un brindisi con un'occhiata, levando appena il bicchiere. Maeve balzò in scena, afferrò Ro-
xanne per mano e le propose: «Andiamo a vedere la mia camera!» Maddie le raggiunse. «Ti andrebbe di vedere il resto della casa, Roxanne?» chiese. «Certo, perché no?» rispose Roxanne. Scomparvero tutte e tre all'interno. Angel rabboccò il bicchiere di vino e mi si avvicinò furtivamente. Toccandomi il braccio, mi chiese: «Allora, Jack, scriverai di questa escursione sul "New York Times"?» «Credo di no» replicai. «I Connelly non fanno notizia?» «Solo quando fanno qualcosa che faccia notizia» puntualizzai. «Andare a fare un giro in barca e mangiare i gamberetti non sono cose che fanno notizia.» «Ah, davvero? Ho letto articoli in cui succedeva molto meno. Una cena di beneficenza, qualcosa al Museo delle Belle Arti, ed ecco che finisci sul "Globe".» «Solo una foto, però. E poi, io non scrivo per la cronaca mondana.» «E perché no? Si va a un sacco di feste e si conosce un mucchio di bella gente.» «Io conosco tanta gente lo stesso.» «Non questo genere di persone. Su che cosa scrivi, là nel Maine? Su quelli che vivono nelle roulotte o roba del genere?» «Alcuni di loro» ribattei «sono brave persone. Sai, a pochi chilometri da qui c'è un mondo diverso. Dove abito io, c'è un mondo diverso.» «Com'è fatto? Ci siete tu e i poveri?» «Alcuni sono poveri, altri sono persone normali! Si guadagnano da vivere, amano la propria famiglia, conducono una vita dignitosa.» «Mmh... È così, come dire... deprimente. Dai e dai, all'infinito, la solita squallida routine.» «La maggior parte della gente in questo paese non sa nemmeno cosa significhi condurre una vita dura» replicai io. «Lo so. La gente che muore di fame in India e cose simili. Frequentavo una scuola cattolica dove invitavano sempre le suore che lavoravano in quei paesi a raccontarci delle storie terrificanti. Noi ragazzi avevamo dei bicchieri di carta chiusi, con una fessura sopra, che riempivamo di spiccioli; poi li mettevamo dentro a delle scatole che consegnavamo alle missionarie. Pensa che quelle scatole piene di monetine da un centesimo arrivavano a pesare anche venti chili. Non so cosa se ne facessero le suore. In
fondo, chi ha voglia di contare quarantamila centesimi? Mi sembra così...» «Futile?» «Sì.» «Sei sicura di aver scelto il lavoro giusto?» Mi guardò senza alcuna espressione, come se avesse dimenticato che lavoro faceva. «Voglio dire, alla fondazione.» «Oh, ma non sono mica scatole di monetine! Sono centinaia di migliaia di dollari! Facciamo moltissima beneficenza.» «Non ne dubito. E tu cosa fai, in particolare?» «Sono l'assistente di Tim. Lui è capo del personale, come alla Casa Bianca.» Proprio in quel momento, Dalton ci raggiunse. Posò una mano sul dorso di Angel, quasi a reclamare il suo diritto di proprietà, e poi la lasciò cadere. Controllai se portava la fede e, infatti, c'era una striscia di pelle più chiara sull'anulare sinistro. «Bel litorale, eh?» commentò Dalton. «Vieni spesso da queste parti?» «Di tanto in tanto» risposi io. «È uno Stato molto grande, questo. E io copro anche il Nord del New Hampshire e una parte del Canada.» «A noi piace moltissimo quassù.» «Noi chi?» chiesi. Diede un'occhiata ad Angel e rispose: «Oh, a noi tutti. David e Maddie c'invitano abbastanza spesso. Non possiamo passare tutto il tempo a sgobbare. E hanno anche un posto a Jackson Hole. Cerchiamo di andarci almeno una volta ogni inverno. L'anno prossimo ci devi venire anche tu, Angel.» «Ma non so sciare, Tim.» «Te lo insegno io. In un paio di giorni sarai già in grado di fare i diamanti doppi, le piste più difficili.» «Quando penso ai diamanti, non penso agli sci!» replicò lei, sorridendogli. «Le belle ragazze come te non credo abbiano dei problemi» attaccò Dalton, ma lei non lo stava a sentire. Guardava, dietro di lui, Connelly che si avvicinava. «Jack» mi propose David. «Perché non mangi qualcosa? Dai, non fare complimenti. Quello che non mangiamo noi se lo pappano i granchi la mattina. È incredibile come riescano ad avvertire la presenza del cibo!» «Sono i granchi che divorano i corpi in acqua» aggiunse Dalton. «Non i
pesci, come la gente è convinta che succeda.» «Bleah, Tim» disse Angel. «È disgustoso.» «Sì, però è la verità» ribadì lui, ma lei aveva di nuovo rivolto l'attenzione altrove. «David!» intimò Angel. «Domani andiamo con l'Escape a Bar Harbor!» «Bar Harbor?» si stupì Connelly. «In agosto? È di sicuro un inferno: barche che vanno e vengono, metà della gente non sa distinguere la poppa dalla prua. La folla che cammina su e giù per i marciapiedi. Come mai hai voglia di andarci?» «Per vedere gente» rispose lei. «Pranzare fuori, andare per negozi. Ci sarà senz'altro qualcosa da comprare. Dai, David» aggiunse. Quindi lo prese per il braccio e lo avvicinò a sé, alzando lo sguardo verso di lui. «Sarà divertente.» David ridacchiò, sorseggiò la Guinness, nonostante ci fosse qualcosa di sgradevole nel tono di voce di Angel. Era quasi come se non stesse tanto cercando di persuaderlo, quanto piuttosto d'impartirgli degli ordini. «Mi dispiace, Angel» disse David. «Domani Sandy deve preparare la barca. Facciamo un giro a Matinicus, se il tempo regge.» «Se partissimo presto, non potresti farla preparare nel pomeriggio?» «Oh Dio, Angel, immagino di sì, però...» «Bene» approvò lei, nel proprio elemento, circondata da uomini pronti a eseguire i suoi ordini. «Forse Sandy può fare le prenotazioni. C'è un ristorante di cui ho sentito parlare molto bene.» Distolsi lo sguardo, e sorpresi la Kind che osservava e ascoltava. L'occhiata che lanciò ad Angel era dura e gelida. 11 Gli sportelli dell'auto si chiusero. Ci fu un momento di silenzio e poi io cominciai: «Scusa, tesoro.» «Tu non devi...» «Lo so. Non volevo che le cose prendessero quella piega. Mi ha soltanto invitato a entrare e poi...» «E poi cosa?» «E poi ero preoccupato per te.» «Cosa? Pensavi che i Connelly avrebbero ucciso l'assistente sociale e l'avrebbero sepolta in cantina?» «In mare!»
«Ma cosa dici?» «Se io fossi in loro, porterei il cadavere molto al largo e lo butterei a mare.» «Grazie, Jack! Potresti suggerirglielo.» «Hai capito benissimo cosa intendo. E ti chiedo scusa.» «Va bene» rispose lei, mentre la rabbia sbolliva. «Direi che ci siamo dentro entrambi.» «Direi proprio di sì» confermai io. «Allora, come ti sembrano?» «Considerate le circostanze?» «Sì.» «Mi sembrano persone a posto» rispose Roxanne. «Effettivamente, sono molto simpatici.» «Sarebbe più facile se fossero due imbecilli?» «Molto di più» replicò. Mentre procedevamo in auto, Roxanne mi parlò del tempo che aveva trascorso con Maddie. Mi disse che la casa era stupenda, ma non alla moda, come se i cambiamenti fossero sempre stati apportati con riluttanza e prevalesse la tradizione. M'informò che Maddie faceva parte di un consorzio di fondazioni che si stava adoperando per utilizzare nel modo migliore i fondi destinati a combattere la violenza sui minori e l'abbandono. «Le ho detto che non è così facile come combattere altri problemi» aggiunse Roxanne. «Le ho spiegato che si tratta di un rapporto molto complesso tra elementi completamente diversi: la tossicodipendenza, l'alcolismo, l'autostima e genitori che proiettano l'odio per se stessi sui propri figli.» «E questo l'ha scoraggiata?» «No. Sembrava soltanto impegnatissima a cercare di capire quello che le stavo spiegando. Ha detto soltanto: "Va bene. Come ci muoviamo con questi presupposti?".» «Ti piace davvero.» «Sì, mi piace. Credo che sia una persona seria» replicò Roxanne. «E a te piace lui?» «Sì, ho cercato in tutti i modi di non farmelo piacere, ma è davvero una brava persona. Ha tanti interessi, è curioso di tutto. Vuole venire quassù, una volta o l'altra, per imparare a tagliare la legna. Ha detto che possiede cinquanta acri di terreno lungo la costa a sud di Blue Harbor, e che vorrebbe costruirci una specie di studio nel mezzo.» «A che gli serve uno studio?» mi domandò Roxanne.
«Mi ha detto che scrive. Lei invece dipinge.» Stavamo attraversando Knox Ridge e il sole era sceso dietro le colline boscose a ovest, lasciando in cielo chiazze rosate. Sembravano nuvole in arrivo per l'indomani, e mi chiesi se Angel sarebbe riuscita a farsi portare a Bar Harbor. «Sai, c'era molta tensione nel gruppo...» commentai. «Ho avvertito qualcosa, ma non sono stata con loro quanto ci sei stato tu.» «Quella Angel, per essere una dipendente... be', voglio dire, eccola là, un'assistente che con ogni probabilità si è fatta strada agitando il culo e sbattendo le ciglia, e si permette un atteggiamento quasi insolente con Connelly.» «Come una ragazzina viziata?» chiese Roxanne. «Sì.» «E lui è troppo gentile per metterla al suo posto?» «Non saprei. Voglio dire... tutto quel cibo e il vino, la barca, la casa. Senza contare che di sicuro li invita anche al ristorante. Dalton mi ha detto che, d'inverno, David li porta in aereo a Jackson Hole a sciare.» «Cosa vuoi che sia per lui! Ha un sacco di soldi!» «Lo so, però... Non è tenuto a farlo. Lei non dovrebbe essere così ingrata.» «Alcune donne sanno esattamente quali tasti toccare con gli uomini» osservò Roxanne. «E lei è davvero bella.» «Sì. "Fatti da parte, Maddie, lasciami prendere la mia fetta!"» «Forse l'ha già fatto» commentò Roxanne. «Questo spiegherebbe alcune cose» aggiunsi io. «Ma noi non vogliamo credere che sia così.» «E quindi non lo crederemo.» «Perché non pensiamo a qualcos'altro, allora?» propose. «Pensiamo a come ha fatto Maddie ad azzeccarci.» «Sul fatto che abbiamo...» «Sì» risposi. «Credi che lo sapesse?» «Ci sono delle donne che hanno un sesto senso per i bambini» disse Roxanne. «E tu?» «Questo non lo so. So solo che voglio avere un bambino con te.» Mi prese la mano e la strinse per tutto il viaggio. Sterzai con la mano libera, abbandonando la via principale per immettermi nella stradina di terra
battuta e poi infilarmi nel viottolo stretto, sotto la volta di alberi. Parcheggiai davanti a casa, mi chinai e la baciai a lungo. Raggiungemmo la casa a piedi, aprimmo la porta e Roxanne andò in cucina. Aprì il frigorifero e prese una bottiglia di Chardonnay. Ne versò due bicchieri. Me ne porse uno, mi prese l'altra mano e mi condusse di sopra, nel soppalco. Mi baciò in piedi accanto al letto e la camicia cadde a terra, seguita dai pantaloni, poi fummo travolti dalle onde; rovesciati e scaraventati, con i vestiti laceri, rotolammo sulla sabbia per riemergere, nudi, l'uno tra le braccia dell'altra, aggrappati alla vita preziosa. Quando tornammo in superficie, lei mi tirò a sé e mi tenne stretto. Con il mento mi fece pressione sulla spalla. «Forse è stata la volta buona» sussurrò. «Forse sì» risposi io. La sentii deglutire, poi avvertii qualcosa scorrermi sulla pelle. Era una lacrima. La strinsi forte a me. 12 Roxanne andò al lavoro, faceva la spola da Prosperity all'ufficio dei Servizi sociali di Rockland. Cercando di rintracciare Devlin in Irlanda, era riuscita a scovare una zia della ragazza nella contea di Kerry. La zia la informò che Devlin aveva, sì, una vena di violenza, ma non era colpa sua: il padre era una vera bestia. Comunque non sentiva la nipote da anni. Io lavorai con un mio vecchio amico e vicino di casa al disboscamento di una tenuta ad Appleton. Raccontai a Clair che avevo conosciuto i Connelly, visto che fra noi non c'erano segreti, ma non gli potei specificare le circostanze. «Va bene lo stesso» commentò, e poi cominciò a divagare sulle persone ricche che compravano la costa del Maine. «C'insegnano che si può comprare tutto quello che ha un valore, e che quello che possediamo è la nostra fonte di felicità» commentò, riponendo la sega nel camioncino. «Ma la felicità non arriva.» «Connelly sembrava piuttosto felice, date le circostanze» replicai io. «È una ricetta contro l'infelicità» ribadì Clair. «Passami l'olio per la catena.» «Vuole venire a tagliare la legna con noi.» «Basta che non ci sia d'intralcio!» Su quella nota, accaldati, sudati e puzzolenti di fumo di scarico, mon-
tammo sul camion di Clair e tornammo rombando a casa. Mi aspettava la tabella di marcia. Proposi un paio di storie al "Times" e aspettavo che Myra, dalla redazione di Boston, mi rispondesse quale scrivere per prima. La mia preferita era quella di due ragazzi di una cittadina del Nord che erano stati grandi amici fin dall'asilo. Crescendo erano diventati due alcolizzati violenti e uno dei due aveva ucciso l'altro con un'accetta; e, da quanto riferito, l'aveva fatto a pezzi. A Myra piaceva quella storia: l'idea che un'amicizia sfociasse nell'orrore. Voleva sapere perché, e voleva anche sapere quanti erano i pezzi. Dopo la doccia, cercai di scoprirlo. Telefonai all'ufficio del medico legale ad Augusta e mi rispose Nancy, la segretaria. In ufficio non c'era nessun altro, ma questo non era un problema. Nancy lavorava lì da trent'anni, sapeva tutto quello che succedeva ed era di una precisione infallibile. Il contenuto delle nostre conversazioni non era però sempre pubblicabile. «Il tipo dell'accetta su al Nord» precisai. «Ah sì, Paul Bunyan.» «Quanti pezzi?» «Cinque.» «Dio, ed erano grandi amici!» «Facciamo sempre male alle persone che amiamo» osservò Nancy. «E adesso ho io una domanda per te.» «Spara!» «Perché non sei sulla scena? La città di Monroe non è vicina a casa tua?» «A una ventina di minuti. Ma... la scena di che cosa?» «Una donna. In una buca poco profonda.» «Un omicidio?» «Non sono ancora rientrati, però qualcosa mi dice che non si è scavata una fossa da sola, e poi ci si è infilata dentro!» Attraversammo il crinale lungo strade secondarie, scivolando dentro la densità della foresta in estate, passando davanti ad aie in cui i bambini ci fissavano, in piedi, e costeggiammo pascoli in cui anche le mucche, la coda guizzante, ci fissavano. Clair guidava e io occupavo il posto del passeggero. Scendendo dal crinale, arrivati ai margini del paese, girammo a sinistra. Ci allontanammo dall'abitato e, dopo tre chilometri, vedemmo un'auto della polizia di stato
parcheggiata al margine del bosco. Appoggiato all'auto, c'era un poliziotto in uniforme che si raddrizzò quando accostammo. Io scesi e lui mi venne incontro, la testa rasata, giovanissimo. «Devo chiederle di andarsene, signore» attaccò. «Sono un giornalista» risposi, presentandogli il tesserino del "New York Times", Il poliziotto lo scrutò e poi scrutò me. «Ho bisogno di parlare con l'ispettore Cade.» Lui guardò di nuovo il tesserino, poi tornò a fissarmi. Quindi guardò oltre, in direzione di Clair, che teneva il braccio fuori dalla cabina di guida. Era muscoloso e abbronzato, con un tatuaggio che diceva SEMPER FI. «Chi è la persona sul camion, signore?» «Il mio assistente.» «Ah!» «L'ispettore Cade mi conosce» dissi. «È la verità?» chiese l'agente. Si girò e mormorò qualcosa alla radio, ascoltò la risposta e poi si voltò di nuovo verso di noi, deluso che avessi fatto pesare la mia autorità. «Dritto nel bosco, segua le tracce, signor McMorrow» mi spiegò. A mano a mano che ci addentravamo l'erba diventava più fitta, e poco più avanti si poteva notare che si era schiacciata col transito delle auto. Giungemmo in una piccola radura tra i cui cespugli erano parcheggiate cinque macchine della polizia e un furgone della Scientifica. Scendemmo e c'incamminammo giù per il sentiero, sempre più in fondo, tra il folto degli ontani e dei ciliegi. Dopo un centinaio di metri, incontrammo Cade che veniva in direzione opposta. «McMorrow!» attaccò. «Cosa sei, l'unico giornalista in tutto il Maine?» «Ogni tanto sembrerebbe proprio di sì» risposi. «Come va?» «Va.» «Questo è Clair Varney. Lavoriamo insieme.» Lui diede un'occhiata rapida a Clair e poi gli strinse la mano. «Di cosa si occupa?» gli chiese. «Logistica» rispose Clair. «Marines?» domandò l'ispettore, adocchiando il tatuaggio. «Esatto» confermò Clair. «Ho fatto quattro anni nell'esercito» disse Cade. «E lei?» «Ventidue anni, ma il tempo vola.» «Dove?» «Un po' qui e un po' là» rispose Clair.
«Reparto ricognizioni» aggiunsi io. «Davvero? Ah, questo sì che è fare sul serio! È stato in Vietnam?» Clair annuì. «Be', allora si sentirà a suo agio, qui. E con la faccenda sulla quale stiamo lavorando. Bisogna addentrarsi ancora, è tutto pieno di rovi e di rampicanti. Fittissimi, direi. Tutto un groviglio di rami grossi e contorti.» «Hanno scavato una fossa tra questi rovi?» «No, si trovava in una radura. Questa è una pista per trattori che probabilmente una volta portava a un pascolo. La radura in cui è stata sepolta sembra quasi un'isola, con tutto il resto attorno ricoperto dagli alberi. Però devono averla trascinata lungo il sottobosco, per riuscire a portarla fino a lì. Venite a dare un'occhiata.» Guidati da Cade, ci incamminammo lungo il sentiero. «A quando risale il decesso?» chiesi. «Poco tempo. Potrebbe essere un giorno.» «Giovane? Vecchia?» «Sulla ventina, a occhio e croce.» Camminando, prendevo appunti. «Vestita?» «Non proprio.» «Cosa significa "non proprio"?» «Indossava solo una cosa, non so dirti di cosa si tratta.» «Dove la indossava questa cosa?» «Intorno a sé... Dai, McMorrow, vacci piano.» «Lesioni? È stata picchiata o le hanno sparato?» «Niente di evidente. Se ne occuperà il medico legale.» «Del luogo?» «Credo di no.» «Perché no?» «Non lo so.» «È ancora lì?» «Eh, sì. Devo chiedervi di non avvicinarvi troppo alla scena.» «A che profondità si trova il cadavere?» «Una trentina di centimetri al massimo. Penso che si siano stancati di scavare, non è così facile come sembra in tivù..» «Chi l'ha scoperta?» «Non è un "chi"... è un "che cosa". L'hanno dissotterrata i coyote. Poi un tipo anziano è venuto fin qua con un bracchetto inglese, per dar la caccia ai
conigli.» «E allora, lei com'è?» «Bruna, bella. O almeno credo che lo fosse. Ovviamente, poteva venire da dovunque. È così recente che non ci saranno ancora denunce di persone scomparse. Non ha l'aspetto di una che mancava da casa da mesi.» «Allora diramerai una foto?» «No, un disegno. La foto è troppo forte per il pubblico.» «Immagino» asserii io. Cade mise la mano nella tasca posteriore dei pantaloni e ne estrasse una busta. Ci fermammo tutti e tre e lui me la porse. «Credo che non ci vorrà molto per identificarla» commentò. Aprii la busta, tirai fuori una Polaroid e la guardai. «Oh Dio!» esclamai. «Cosa c'è?» chiese Clair. Fissai il volto tumefatto, violaceo e deforme come un acino colpito dalla grandine. I capelli erano scompigliati e pieni di fili d'erba. «Cosa?» domandò Cade. «La conosco!» risposi. «È di qua?» «No!» replicai. «Di Boston.» Mi fermai, ancora scosso. «Allora, chi è?» chiese Clair. «Si chiama Angel» risposi. «Angel Moretti.» 13 Ci fermammo a parlare accanto alle macchine della polizia, lì nel bosco. «Ne sei sicuro?» domandò Cade. «È molto sfigurata.» «Sicurissimo!» «Come fai a conoscerla?» «L'ho conosciuta questa settimana.» «A Boston?» «No, qui, sulla costa. Era venuta da queste parti come ospite.» «Ospite dove?» «A Blue Harbor.» «Di chi era ospite?» Esitai, come se stessi per togliere il coperchio al vaso di Pandora. «Era a casa di David e Maddie Connelly. Hanno una residenza estiva da
quelle parti.» «Non saranno quei Connelly?» si stupì Cade. «Invece sì!» replicai. «Lo sono.» Cade borbottò. Poi tornò a guardare la foto, come se potesse suggerirgli qualcosa. «Allora si tratta di una donna ricca di Boston?» «No, ma ci stava lavorando» risposi. «E in che modo?» chiese Cade. «Con tutto quello che aveva» replicai. «E non era poco.» Riferii quanto ricordavo di Angel, di Monica e della Kind. Raccontai che Angel sembrava in un certo senso legata a Tim Dalton. Dissi che sembrava alquanto in confidenza con i Connelly, ma che si trattava di una confidenza a senso unico, nel senso che lei non capiva che lavorare per loro non significava automaticamente essere grandi amici. Gli sbirri mi fecero qualche domanda, ma non troppe. Eravamo a metà strada, quando i collaboratori del medico legale portarono fuori dal bosco il corpo di Angel, in un sacco verde, su una barella cromata con le ruote che sobbalzavano rumorosamente lungo il terreno scosceso. «Voglio che tu la veda» mi propose Cade. «Devi essere assolutamente sicuro.» «Va bene» assentii. Raggiunse a piedi il retro del furgone del medico legale e io lo seguii lentamente, non senza trepidazione. Attesi che uno dei periti abbassasse la lampo del sacco e ne ripiegasse all'indietro un lembo. Angel mi fissava, sporca e sbiadita. La fissai anch'io, incapace di distogliere lo sguardo. Poi mi chinai e abbassai ulteriormente l'orlo del sacco. Il perito si fece avanti nel tentativo d'impedirmelo, ma io riuscii a vedere ugualmente. Attorno al collo era arrotolata una sciarpa bianca. Era stata tirata con forza e i tessuti circostanti erano lividi. «Strangolata» commentai. «Non è roba da pubblicare!» esclamò Cade. «È seta?» chiesi io. «È di Hermès» rispose l'ispettrice. «Roba costosa! Voglio saperne di più sul tipo con cui stava.» Richiusero la lampo e fecero scivolare la barella nel furgone. Il mezzo fece marcia indietro con la sirena accesa e si diresse traballante in fondo al
sentiero. «Il tuo arrivo è stato davvero una manna dal cielo per noi» affermò Cade, e poi aggiunse, in tutta sincerità: «E adesso, come riuscirai a farci stare tutto nel tuo articolo?» Rimuginai la questione sul camion mentre ripercorrevamo rumorosamente la pista tra i boschi. Avevo composto il numero della redazione del "Times" a Boston sul cellulare, e stavo aspettando che qualcuno mi rispondesse. Mi chiedevo come avrebbe voluto gestire la situazione Myra. Come mai il cronista conosceva Angel? Come mai conosceva i Connelly? E il caso di Roxanne? Sarebbe saltato fuori anche quello, in un modo o nell'altro? Cadde la linea e tomai a digitare il numero. Quando sbucammo sul ciglio della strada, l'agente giovane era ancora in servizio. La troupe di un telegiornale si stava nel frattempo installando, con l'antenna satellitare che saliva dal tetto del furgone. Un fotoreporter saltò giù dall'auto e corse verso di noi, tirandosi dietro una cronista armata di taccuino. Quando ci fu vicino, si fermò e prese a scattare alcune foto di Clair e me, mentre lui risaliva con il camion sul manto stradale. «Sono sbirri?» sentii il fotografo chiedere alla cronista, quando gli si avvicinò. La donna si fermò e io la riconobbi: era del "Bangor Daily". «Ehi, quello è McMorrow del "New York Times"! Come ha fatto a entrare?» Clair si fermò in cima a Knox Ridge, nella speranza che ci fosse più campo di ricezione per il telefono. Digitai il numero, aspettai e, questa volta, Myra rispose. Aveva un tono indaffarato e, quando le raccontai del corpo rinvenuto nel bosco, rispose: «Otto centimetri.» Le dissi che l'avevano identificata: era una donna di Boston, e lei rettificò: «Va bene, fammi quindici centimetri.» Poi le riferii come si chiamava: Angel Moretti. Le raccontai che lavorava per la fondazione dei Connelly e che l'avevo conosciuta a casa loro, a Blue Harbor, all'inizio della settimana. Myra esclamò: «Oh, merda!» Quindi arrivarono le domande. Myra voleva sapere se i Connelly erano indiziati; con quanta esattezza avessero stabilito l'ora del decesso; che cosa faceva effettivamente Angel
alla Sky Blue Foundation; dove viveva a Boston; in che modo era riuscita a entrare nell'entourage dei Connelly; se la trattavano come loro protetta. «A proposito, Jack, cosa ci facevi là?» «È una storia lunga ~ risposi.» «Va be', me la racconti poi. Adesso chiamo New York. Portati il telefono.» Ridiscendemmo verso la valle, diretti a casa, più lentamente che all'andata. Quando ci fermammo in cortile, l'Explorer di Roxanne era parcheggiata accanto alla rimessa. Era tornata. «Ti lascio lavorare» disse Clair. «Entra per qualche minuto» gli proposi. «Tu e Roxanne mi potete aiutare a pensare.» Roxanne era in cucina, con la gonna e la camicetta da lavoro ancora addosso, e mangiava carotine intingendole nella mostarda Poupon. Mandò giù il boccone, mi diede un bacio alla mostarda sulla guancia e salutò Clair. «Ho una novità» annunciò Roxanne. «C'era una mamma cardinale rosso con quattro pulcini alla mangiatoia un minuto fa. I piccoli erano così teneri. Ma non è questa la novità.» «Anch'io ho una novità» dissi. «Ma non è una buona notizia.» «Cos'è successo?» «Angel è morta. La ragazza che abbiamo conosciuto dai Connelly.» Roxanne si paralizzò nel bel mezzo di un morso. «Cos'è stato? Un incidente?» «No, l'hanno assassinata.» «A Boston?» chiese Roxanne. Le raccontai dove avevano ritrovato Angel. Le dissi che, secondo me, non si sapeva dove l'avessero assassinata. «Monroe...» si stupì Roxanne. «Chi conosce i boschi di Monroe?» «Non è difficile trovare posti del genere» commentò Clair. «Basta guidare finché non finisce la strada.» «Mio Dio, ma chi...» Sollevai le spalle. «Come l'hanno uccisa?» Glielo spiegai. «Chi potrebbe essere stato?» domandò Roxanne. «Potrebbe essere stato qualcuno di qui» risposi. «Avrebbe attirato l'at-
tenzione ovunque. In panne sul bordo della strada, momento sbagliato, posto sbagliato, persona sbagliata.» «È stata...» m'interrogò Roxanne. «Credo che non lo sappiano. L'hanno appena ritrovata.» «Mi chiedo se qualcuno avrà avvisato David e Maddie» disse. «Ho parlato con Maddie questo pomeriggio stesso.» «Dov'era?» «A Boston.» «Anche David?» «Sì, c'era anche lui. Mi ha detto ciao in sottofondo.» Mi fermai a pensare per un momento, e Roxanne mi chiese: «Jack, pensi che lui sarà sospettato o qualcosa del genere?» «Chiunque la conoscesse può essere sospettato, immagino. Tenteranno di ricostruire i movimenti di Angel negli ultimi due giorni, cercheranno moventi, alibi, e cominceranno a escludere le persone, una a una.» Restammo brevemente in silenzio, dopodiché Roxanne intervenne: «Maddie mi ha chiesto di andare a Boston per parlare a un gruppo di rappresentanti delle fondazioni.» «Quando?» le chiesi. «Domani pomeriggio.» «Ci puoi andare?» «Ho un recupero. Però mi serve comunque il permesso.» «Perché?» «Perché c'è una specie di conflitto d'interessi.» «Dove dormiresti?» «Mi hanno invitato a restare da loro, a Back Bay. Credi che dovrei accettare?» «Non so» risposi. «Credo di sì. Anch'io devo venirci, se questo può fare qualche differenza.» «Per scrivere il pezzo?» «Il seguito. Per oggi pubblicano soltanto i fatti essenziali.» «Be', sarà una cosa un po' bizzarra. Dovrai intervistare anche Maddie e David?» «Sì, se accettano.» «Non credo che rifiuteranno.» «È un inchiesta su un omicidio» le feci notare. «Fa cambiare molte cose.» «Sì, butta tutto per aria» aggiunse Clair. «Le carte devono ricadere e bi-
sogna rimetterle in ordine. Chi è buono, chi è cattivo, chi conosciamo veramente e chi pensiamo soltanto dì conoscere.» «Mi piace, Maddie» commentò Roxanne. «È una brava persona. Abbiamo avuto una bella conversazione oggi pomeriggio, e lei vuole veramente capire se è possibile aiutare i bambini nel Maine.» «Non aveva avuto il minimo sentore che qualcosa non andasse?» chiesi. Roxanne scosse la testa. «No, stava bene. Non sono affatto come gli altri pensano che siano. Sembrava assolutamente sincera. E David, mi piace anche lui. Sono entrambi persone di buon cuore. Lo sai di chi dovrebbe sospettare la polizia? Di quel viscido di Dalton. Mi ha tenuto la porta aperta, quando eravamo a casa dei Connelly. E, quando gli sono passata davanti, mi ha sfregato il fianco con la mano. Giurerei che l'ha fatto deliberatamente. Stavo per mollargli una sberla.» «Avresti dovuto farlo!» esclamai io. «Se l'incontro non è stato disdetto, credo che chiederò il permesso di andarci» decise Roxanne. «Vengo con te» proposi io. «Allora pensi che non siano...» «Penso che Angel sia stata arrogante con Maddie e David» risposi. «E non mi sembra che Maddie abbia gradito.» «Non si uccidono le persone perché sono sgarbate!» esclamò Roxanne. «Di solito no» ribatté Clair. «Ma a volte sì?» chiese Roxanne. Clair non commentò. 14 L'incontro alla fondazione era previsto per l'una, al Marlborough Club, in Marlborough Street, nel cuore di Back Bay. Alle undici e quaranta avanzavamo un centimetro dopo l'altro lungo Congress Street in mezzo a orde di turisti. Roxanne si sporse in avanti sul sedile, raccolse le relazioni e le cartelline con i documenti e le ficcò in borsa. Io proseguii nel quartiere finanziario, sterzai a sinistra su Milk Street, percorsi e ripercorsi le strade dietro South Market, alla disperata ricerca di un parcheggio. Feci il giro due volte; alla fine lasciai perdere, parcheggiai in doppia fila in Chatham Street e corsi in redazione a South Market. Roxanne rimase in macchina.
Myra ce l'aveva messa tutta per cospargere l'ufficio di tazzine da caffè e cartocci di cibo da asporto. Avrebbe anche fumato, se gliel'avessero permesso. Quando entrai stava telefonando. Mi sedetti davanti alla sua scrivania mentre parlava con qualcuno a New York del mio servizio su Angel Moretti. «No, non può essere pronto per stasera, non il pezzo che vogliamo scrivere... No, credo che debbano essere le persone che la conoscevano veramente a parlare di lei... Esatto. Una questione culturale. Non proprio dalle stalle alle stelle, piuttosto dalla piccola borghesia al mondo della fama e della ricchezza... Certo, sarà pronto per l'edizione dì lunedì... Sì, ci sarò. E ci sarà anche Jack.» Riattaccò. «Così hai sentito la piega che sta prendendo l'articolo.» «Cercano qualcosa come un pezzo in prima persona?» «Non proprio in prima persona, ma impressioni di prima mano sì. La scena, la maniera in cui la Moretti ha trascorso gli ultimi giorni della sua vita, e una sbirciata al mondo privato di David e Maddie Connelly. La proprietà sull'oceano. Lo yacht milionario.» Ebbi un fremito. «Devo dire» ammisi «che quest'ultima parte mi mette a disagio.» «Si vede» rispose Myra. «Come mai?» «Non ci sono andato in veste di giornalista.» «In altre situazioni, questo motivo non ti ha fermato. Ma piuttosto, dimmi... come hai fatto esattamente ad arrivare così in alto?» «Senti, è una cosa che devi tenere per te.» «Jack, mi conosci!» Le raccontai di Roxanne e della segnalazione relativa a Maeve e della ragazza alla pari irlandese. «Quindi lo Stato del Maine sta indagando su una segnalazione di maltrattamento a minori riguardante la figlia di David e Maddie Connelly.» «Non più, adesso. Roxanne ha parlato con la bambina e con i genitori e," una volta che avrà rintracciato l'irlandese, con ogni probabilità il caso verrà chiuso definitivamente.» «E tutto questo è riservato.» «Riservatissimo.» «Voglio dire, non possiamo ottenerlo da un'altra fonte?» «No, se vuoi che continui a scrivere anche una sola parola in più per te!»
Lo affermai convinto. «Gesù! E se la ragazza alla pari dichiara di non aver mai sfiorato la bambina? Era la madre che la maltrattava di nascosto? Lo sai, casa Connelly è piena di scheletri. E Maddie non ha avuto certo la vita facile! Sapevi che il fratello maggiore si è ucciso quando lei era una bambina?» «Non lo sapevo. Però non significa che picchi sua figlia.» «Non volevo dire questo...» «Roxanne non pensa che Maddie sia in grado di fare del male alla figlia... e Roxanne si è occupata di centinaia di casi analoghi.» Myra distolse lo sguardo. Si levò il cerchietto di tartaruga che le teneva indietro i capelli biondo chiaro. Se lo rimise e tornò a guardarmi, «Visto che non ha portato a nulla, lasciamo stare. Accidenti, è una cosa che va contro il mio istinto, ma è una circostanza insolita. Senti, indaga su quella Moretti con tutti i mezzi che hai a disposizione. Poi ci servono anche i Connelly visti da tutte le angolazioni. E ci serve anche la descrizione del posto nel Maine, un ritratto della loro vita. Non è solo per curiosità morbosa, è per inquadrare la vita di questa ragazza del North End, la sua scalata verso...» Squillò il telefono. Myra si allungò per afferrarlo, io mi alzai e me ne andai prima che cambiasse idea, poi m'incamminai lungo State Street. Dopo che le ebbi riferito il colloquio con Myra e la mia risposta, Roxanne rimase in silenzio. «Ti fidi di lei?» chiese, un minuto dopo. «Sì» risposi. «Ma resta sempre la redattrice di un giornale, e per giunta brava!» «E se Devlin nega?» «Non so, amore» risposi. «Affrontiamo una cosa per volta.» Il Marlborough Club era uno stabile elegante in arenaria con una sobria targa in ottone e un bovindo in cui era stato collocato un vaso colmo di fiori dello stesso colore dell'edificio. La parola d'ordine del giorno era "sottotono". Parcheggiai in seconda fila e dissi al portiere che ci avrei messo solo un minuto; seguii Roxanne su per le scale dove un altro tizio aprì la porta. Entrammo e raggiungemmo lo sportello di accoglienza. Una ragazza alzò lo sguardo. Roxanne le disse che era attesa da Maddie e David Connelly e lei c'informò che i Connelly si trovavano nella sala Hotchkiss al quarto piano.
Procedemmo con passo felpato in quel silenzio funereo finché non udimmo delle voci sommesse. Sul pianerottolo del quarto piano ci guardammo intorno. David Connelly si girò dalla finestra e ci rivolse un sorriso stanco. Senza i pantaloncini corti e la maglietta, con quell'abbigliamento serio e sobrio, da signore, sembrava più vecchio. «Salve, ragazzi» ci salutò, affrettandosi a venirci incontro. Abbracciò per un attimo Roxanne e poi mi strinse forte la mano, battendomi sulla spalla. Mi sentivo come se ci fossimo presentati a una veglia funebre. In quell'istante si aprì una porta in fondo al corridoio e si udì il tintinnio della porcellana, poi Maddie uscì, ci vide ed esclamò: «Ce l'avete fatta! Roxanne, sei un tesoro!» Indossava un completo blu scuro con la gonna al ginocchio e le calze chiare. «Grazie per aver fatto tutta questa strada» disse Maddie. «L'ho fatto volentieri» replicò Roxanne. «Ci dispiace molto per Angel» aggiunsi io. «Oh Dio!» esclamò David. «Due giorni prima se ne va allegra e spumeggiante, e due giorni dopo...» «Non riesco ancora a crederci» commentò Maddie. «Mi sembra di essere sul punto di svegliarmi e dire a David: "Ho fatto un sogno orrendo!".» «Un incubo!» confermò David. «Ho letto il tuo servizio, Jack. La polizia ha qualche idea?» «Ieri brancolavano ancora nel buio, ma avevano appena cominciato. È stato un bene averla trovata così presto.» «Non è granché, come lato positivo» commentò Roxanne. «No» aggiunse David. «Neanche un po'.» «Oh, è una tragedia!» affermò Maddie. «Stava appena cominciando a sbocciare. Una ragazza bellissima, e con un grande potenziale!» Volse lo sguardo altrove, e per un attimo sembrò lasciarsi andare alla deriva. Pensai a quello che mi aveva riportato Myra riguardo al suicidio del fratello. Mi chiesi se una cosa del genere potesse provocare un flashback postraumatico. «I genitori sono gente all'antica» spiegò David. «Italiani, del North End, una famiglia davvero grande. A quanto dice Tim Dalton, era l'unica femmina tra parecchi fratelli maschi. Conduceva una vita quasi monastica.» «E come sta Monica?» domandai. «Tim e Kathleen Kind hanno cercato di telefonarle a casa. La madre ha
detto che era a letto in stato di choc. Si conoscevano dalla scuola elementare. Erano amiche per la pelle.» «Che è successo?» chiesi. «Voglio dire, dopo che hanno lasciato Blue Harbor?» «Sono rientrati tutti mercoledì sera» rispose David incrociando le braccia sul petto, come per difendersi, pensai. «Siamo stati a Bar Harbor, secondo i desideri di Ange!, e mi sembra che si siano divertiti tutti. Lei e Monica sono rientrate insieme con la macchina di Angel, l'Audi color argento. La sua prima macchina. Tim le aveva trovato un'occasione.» Si aprì la porta e un signore canuto fece un cenno a Maddie. Lei gli sorrise e si rivolse a Roxanne: «Allora, hai voglia di entrare a conoscere tutti? Magari ci prendiamo caffè e biscotti o qualcos'altro.» «Tu resti, Jack?» «No, ho del lavoro da fare. In effetti, sto scrivendo un articolo su Angel. Anzi, se non costituisce un problema, vorrei parlarne con uno di voi due o con entrambi, in veste ufficiale.» «Fallo tu, David» si lasciò uscire di bocca Maddie, con una velocità tale da sorprendersene lei stessa. Poi aggiunse: «David la conosceva meglio di me.» Maddie prese Roxanne sottobraccio e David mi batté sulla spalla rispondendo: «Senz'altro, molto volentieri, Jack.» Dissi che sarei tornato a prenderla, guardando Maddie per cercare di capire quanto sarebbe durato l'incontro. Mi consigliò di andare a fare il mio lavoro e di passare più tardi a casa loro, quando Roxanne avesse finito, perché le avrei trovate lì. Guardai Roxanne e lei non obiettò. Mi strinse la mano e, con Maddie Connelly al fianco, oltrepassò la porta della sala riunioni. L'uomo dai capelli bianchi la tenne aperta, le teste si girarono dai tavoli e la porta si richiuse. David mi toccò delicatamente sulla spalla, e mi fece un largo sorriso. «Non ti preoccupare» mi rassicurò, accompagnandomi alle scale. «Maddie te la tratterà bene.» 15 David suggerì di parlarne davanti a un drink o a un caffè. Prendemmo l'auto di Roxanne e attraversammo Newbury Street. Avanzammo di un altro isolato e David m'indicò un parcheggio; io entrai nel retro dell'Harvard
Club e posteggiai. Un addetto uscì salutando: «Ehi, signor Connelly.» E David rispose: «Ehi, Luis, amico. Che ne dici dei Sox, bello? Cosa t'avevo detto? È o non è l'anno giusto, questo?» Si diedero un cinque mentre s'incrociavano, poi entrammo e attraversammo un labirinto di corridoi per riemergere nel grande bar adiacente all'atrio. Il barista salutò: «Salve, signor Connelly, è da un po' che non la vedo.» «Sono stato nel Maine, Gregory» rispose in tono confidenziale David. «A fare la vita sana, in barca. Questo è un mio caro amico, Jack. Lavora per il "New York Times", Gregory, quindi bada bene a quello che dici. Jack, cosa prendi?» Ordinò qualcosa di cui mi sfuggì il nome. Io dissi che avrei preso solo una Sam Adams e il barista si allontanò. Quando arrivarono i drink, David prese il suo, mi passò la birra e mi propose di andarcene in un posto più tranquillo. Lo seguii attraverso l'atrio. Salutò con la mano il portiere, ci avvicinammo alle scale e salimmo. A sinistra, poi a destra, finché non ci trovammo in un salottino. C'erano un divano di pelle nera e un tavolo con un segnapunti per il gioco del cribbage e le carte. Premetti il tasto del registratore e presi il taccuino. «Allora. Da quanto tempo Angel lavorava per la fondazione?» «Non so con esattezza. Tim lo sa. Un anno, forse. O forse di più. Meno di due anni, comunque.» «Con che frequenza la vedevi?» «Oh, be'... Una volta la settimana, direi. Almeno per farle un saluto. Era gentile, aveva sempre qualcosa da dire.» «Aveva degli amici alla fondazione?» «Be', c'era Monica, naturalmente. E comunque conosceva tutti. Tim e Kathleen l'avevano presa sotto la loro ala protettrice, quando arrivò alla Sky Blue. Si trattava di spiegarle che abiti indossare in determinate situazioni e cose del genere. C'era un non so che di Liza Doolittle in lei, ma questo preferirei che non lo scrivessi. Non sapeva esattamente cosa mettere per un concerto dell'Orchestra sinfonica di Boston o per una colazione al Ritz.» «La portavate a iniziative del genere?» «Sì, se ci andava tutto il gruppo, in rappresentanza della fondazione. Cerchiamo di trattare tutti allo stesso modo, quando si tratta di concedere delle gratifiche, se le vogliamo chiamare così. Io preferirei starmene a ca-
sa, ma ad alcuni piace vestirsi bene, amano quell'ambiente.» «Cosa ne pensa Maddie?» «Non le piace molto. Abbiamo mentalità assolutamente simili, io e lei. Preferiremmo andare nel Maine, se potessimo scegliere. Oppure spingerci a ovest, d'inverno. Intendo dire, e resti fra noi, che far parte della mia famiglia alle volte inibisce le conversazioni. Spesso la gente si limita a stringerti la mano e a fissarti, senza rivolgerti la parola.» «Torniamo alle cose pubblicabili.» «D'accordo.» «Così, Angel ha lasciato Blue Harbor mercoledì sera?» «Sì, sulle sette.» «Lavorava giovedì?» «Non so. Non c'ero. Ho fatto una capatina giovedì mattina per controllare delle cose, ma non l'ho vista in quell'occasione.» «Era di buon umore, quando è partita mercoledì sera?» Esitò, come se stesse cercando di visualizzarla. «Sì, come ho detto si era divertita a Bar Harbor. Avevamo pranzato, era andata a visitare i negozi con Monica e Tim e credo che avesse comprato un gioiello. Comunque sì, stava bene, proprio come quando l'hai vista tu.» «Guadagnava molto alla fondazione?» «Be', credo che fosse pagata adeguatamente. In realtà non lo so. Sono cose di cui si occupano gli altri.» «Lo so, ma l'Audi, i gioielli, i bei vestiti?» David sollevò le spalle, con un gesto quasi eccessivo. «Be', ma non aveva il ragazzo e viveva a casa con i suoi.» «Dove?» «In Michelangelo Street, nel North End. La prendevo sempre in giro per questo.» «Sai come si chiama il padre?» «Sì, l'ho conosciuto. Si chiamava Rocco. Be', immagino che si chiami ancora così. Simpatico, un italiano all'antica, una bravissima persona. Era come se, per uscire con Angel, si dovesse chiedere il suo permesso o qualcosa del genere. Ma non pensare...» «Non lo penso. Detto tra me e te, sperperava soldi per la figlia?» «Non saprei. Non è che fosse una persona con molti mezzi, anche se gli immobili nel North End sono andati alle stelle. Mi è sembrata una famiglia della media borghesia: gente attaccata al lavoro. Comunque, in fondo, l'Audi non era nuova.»
Sorrise. Ingollò quanto rimaneva del suo scotch. Io presi un sorso di birra e lui guardò l'orologio. Lo guardai anch'io: era un Rolex. «Non saprei che altro raccontarti, Jack. Siamo davvero addolorati, le volevamo bene e pensavamo che avesse davanti a sé una vita splendida. È una tragedia, e spero ardentemente che trovino l'assassino e lo mettano in galera.» «O la mettano» precisai. Mi guardò, mentre si alzava. «Certo!» assentì Dave. «Pensi che basti?» Ebbi la sensazione che dovesse bastare. «Sì, direi di sì.» «Sai dove trovarmi, se hai delle altre domande. Ma adesso devo tornare a casa per Maeve. Dovrebbe rientrare dall'asilo alle due.» Mi alzai, raccolsi il registratore e presi un'ultima sorsata di birra. Ridiscendemmo e David salutò Gregory con la mano, poi scandì: «Viva i Sox!» rivolto a Luis. Sulla strada del ritorno rimase in silenzio, parlando solo per darmi le indicazioni per Marlborough. All'angolo di Exeter Street, mi salutò con un gesto della mano davanti a un palazzo gigantesco in arenaria. Prese il mio taccuino dal sedile e scarabocchiò un numero. «È il mio cellulare» specificò; poi chiuse la portiera, mi salutò con la mano e si palpò le tasche. Tirò fuori un telecomando per il cancello elettronico, spinse il bottone e un pannello d'acciaio si aprì scorrendo. David si girò di nuovo. «Ehi, Jack!» mi disse, mentre stavo per ripartire. «Quando andiamo a tagliare la legna?» Mi guardò con l'affetto di un fratello minore. «Presto» risposi. «Stupendo!» esclamò David. «Non sto nella pelle!» E giuro che sembrava veramente così. E, mio malgrado, anche io non vedevo l'ora. 16 La cartina indicava Michelangelo Street come laterale di Charter Street, dietro l'angolo tra la Old North Church e la casa di Paul Revere. Dopo diversi tentativi, mi ritrovai in fondo alla strada. Era costeggiata da case a schiera, in mattoni, con qualche albero occasionale. Le auto erano parcheggiate con i paraurti a contatto, come elefanti che sfilano al circo. Feci un primo giro per studiare bene il numero civico 28. Lo stabile era ben tenuto, ma non trasformato in edificio signorile, come alcuni palazzi
vicini. C'era un furgone parcheggiato di fronte con il nome di Rocco Moretti scritto sulle fiancate; sotto il nome, era specificato che si occupava di piastrelle in ceramica e marmi per uso residenziale e commerciale. Posteggiai all'angolo, incuneando l'auto a metà davanti a un idrante, e risalii la strada a piedi. Raggiunsi la porta anteriore. Era aperta. Dentro c'era un ingresso minuscolo con quattro cassette della posta e quattro campanelli. Moretti era il numero 1. Inspirai profondamente e suonai. Attesi qualche istante. Non vi fu alcuna risposta. Pigiai di nuovo il dito sul bottone e la porta venne aperta con un ronzio. Entrai in un corridoio stretto che odorava di cucina. La porta a destra si aprì con uno scatto e una voce di donna chiese: «Hai visto arrivare David? Dovrebbe essere...» Sporse fuori la testa. Aveva i capelli e la carnagione scuri e doveva essere tra i cinquanta e i sessanta. Mi vide e indietreggiò con un sobbalzo, come un animale che si rintana. Udii delle voci da dentro e poi si fece silenzio. Un uomo uscì nel corridoio, un quarantenne di bell'aspetto, jeans e polo attillata, il petto gonfio sotto una catena d'oro, gli occhi stretti. «Lei chi è?» «Buonasera, mi chiamo Jack McMorrow. Sono un cronista del "New York Times". Sono venuto a chiederle se è disposto a parlare con me di...» «L'abbiamo già detto agli altri: nessuna dichiarazione.» «Mi ascolti un attimo, io ho conosciuto Angel, nel Maine, dai Connelly. Abbiamo chiacchierato abbastanza a lungo. Vorrei parlarne nel mio articolo. Era molto simpatica e vorrei scrivere un pezzo che lo metta in evidenza.» «Conosceva Angel?» chiese. «Abbiamo conversato un volta, e basta. Ero dai Connelly per altre faccende. Senta, sono veramente dispiaciuto della perdita che avete subito e le chiedo scusa per il disturbo.» «Può chiamare domani.» «Grazie, ma purtroppo devo rientrare nel Maine e preferirei fare l'intervista personalmente, piuttosto che al telefono. È una questione troppo grave per parlarne via cavo.» L'uomo mi guardò, fece un respiro profondo ed espirò lentamente. «È un parente?» domandai. «Sono il fratello maggiore di Angel» rispose, poi rientrò e chiuse la porta. Restai in piedi ad aspettare nel corridoio vuoto.
Poi la porta si riaprì. Il fratello di Angel mise fuori la testa e m'invitò: «Prego.» Quindi rientrò, facendomi strada. Fui introdotto in una stanza piena di parenti dagli occhi arrossati e lo sguardo torvo. Il fratello di Angel mi fece segno di prendere posto sul divano accanto a una donna, ultraquarantenne, con un fazzoletto davanti al viso, come un burka. Il fratello di Angel si presentò come Joey. La madre si chiamava Maria. Il padre, Rocco Moretti, era un uomo basso e tarchiato, con delle mani enormi ripiegate in grembo. Sedeva alla mia destra. Accanto a lui c'era un altro fratello, Georgie, che mi guardò come se fossi stato un molestatore di bambini. Per il resto, la stanza era occupata da zii e zie, numerosi cugini e cugine di ogni età e una nonna. Joey stava in piedi davanti a me. «Cosa vuole sapere?» mi chiese. «Com'era Angel.» «Era una ragazza straordinaria.» «L'unica femmina?» domandai, cominciando ad annotare sul blocco. «Angel era la più piccola» intervenne improvvisamente la madre, la voce remota, come se fosse stata completamente sola, a parlare tra sé e sé. «Era una bambina bellissima. Non ci ha mai dato la benché minima preoccupazione.» Teneva una foto incorniciata in grembo, capovolta. La voltò, si morse il labbro e soffocò le lacrime. Girò la foto verso di me. Era Angel Moretti, a diciott'anni circa. Era bellissima, ma nel suo sguardo c'era un velo di rassegnazione. Forse intuiva già che esisteva un mondo più grande, là fuori? «Sempre pronta a dare tutto a tutti» dichiarò Rocco Moretti. «Lo metta nel suo articolo. Se qualcuno era affamato, gli offriva il suo pranzo.» «Com'era la sua vita da adulta?» chiesi. I genitori esitarono e Georgie intervenne. Raccontò che Angel aveva frequentato il corso di economia del Bunker Hill Community College e aveva lavorato prima nel settore informatico e poi come segretaria. «Posti diversi» aggiunse la madre. «Si spostava sempre.» «Negli Stati Uniti?» Mi guardò inorridita. «No, non lasciava mai Boston. Faceva vari lavori per un'agenzia. La mandavano in posti differenti di volta in volta. Poi è finita alla Sky Blue, dai Connelly, ed è rimasta lì, dove le volevano bene.» «L'ho conosciuta, sa?»
«Allora sa anche com'era. Una bellissima ragazza, dolcissima.» «Lei è amico dei Connelly?» chiese il padre, con una vena di diffidenza nella voce. «No» risposi. «Avevo appena conosciuto anche loro. Mi sono sembrate brave persone.» «Oh, sì. Il signor Connelly la trattava molto bene.» «E il signor Dalton, il suo capo?» Un fremito cupo attraversò la stanza, come l'ombra di un uccello. I genitori si guardarono e Rocco Moretti esordì: «Il signor Dalton...» «Ha offerto a mia sorella molte opportunità» si affrettò a concludere Joey. «Le volevano bene, alla fondazione.» Guardai i genitori di Angel e feci un sorriso che speravo fosse di conforto. «Sembrava che le cose le andassero benissimo: bella macchina, bei vestiti... Era felice?» «Oh, sì che lo era» rispose la madre. «Le cose le stavano andando stupendamente. Però doveva lavorare parecchio: un mucchio d'incombenze, i fine settimana passati a lavorare. Incontri e conferenze a Providence e nel Connecticut. Lavorava moltissimo. Una volta è dovuta andare anche a New York.» «Era rimasta in contatto con gli amici del quartiere, anche se era entrata, come dire... in questo mondo da favola.» «Angel non aveva dimenticato quali erano le sue origini» rispose Joey, «Aveva trovato lavoro a Monica nello stesso posto, perché Monica era disoccupata.» «Ho conosciuto anche Monica» precisai. «Angel era stata davvero generosa.» «Era una bambina meravigliosa» confermò Maria Moretti. «Angel non si dimenticava degli amici o di noi. Raccontagli della crociera, Rock.» «Sì, ecco che tipo di ragazza era. Aveva cominciato a guadagnare bene e cosa ci fa coi soldi? Ci manda i genitori in crociera.» «Davvero premurosa! Viveva ancora in casa?» «Oh, sì, certo. Eravamo molto uniti» rispose Maria Moretti. «E Monica? Vive ancora nel quartiere?» «Sì. Abita con i genitori a Snowhill Street, dall'altra parte del parco giochi. Angel stava da lei delle volte, se i genitori di Monica si dovevano assentare. La zia di Monica a Rhode Island soffre di un cancro incurabile e volevano passare con lei quanto più tempo possibile prima che...» Smise di parlare e cominciò a singhiozzare. I fratelli saltarono in piedi e
ognuno si portò accanto alla madre. Quello arrabbiato, Georgie, esclamò: «Forse è ora che lei se ne vada!» «Senz'altro. E vi chiedo scusa per il disturbo. Soltanto un paio di domande ancora. Angel era molto bella. Aveva un ragazzo fisso? Qualcuno con cui usciva?» Il padre si girò verso di me con gli occhi profondi e tristi. «Lei ha dei figli?» mi chiese. «No, ma spero di averne.» «Be', lei è un uomo intelligente, con il lavoro che fa! Lavora per il "New York Times" e scrive sulla gente importante. Noi siamo persone semplici. Io ho la mia attività, la mia famiglia. E basta. Quindi, a meno che non abbia dei figli suoi, lei non può capire come mi sento dentro.» Si fermò, la stanza era piombata in un silenzio di morte, poi qualcuno tirò su col naso e una donna piagnucolò sommessamente. «L'uomo che ha fatto questo alla mia Angel dovrà pagare. Brucerà all'inferno, ma prima dovrà pagare. Faremo in modo...» «...che la polizia lo trovi e che venga condannato a morte» intervenne Georgie. «Adesso c'è la pena di morte, nel Massachusetts.» «Ma non nel Maine» precisai io. «Nessuno nel Maine ha ucciso la mia bambina. Angel non conosceva nessuno nel dannato Maine.» «Conosceva i Connelly» rettificai io. «Sì, ma nessun altro. Era andata lassù per fare una gita con loro in barca a vela. Le avevo detto: "Cosa ci vai a fare? Il tuo bisnonno è arrivato fin qui con una nave e per poco non ci è restato. E se quella dannata barca affonda?". Ma lei mi ha risposto: "Papà, è così bella e silenziosa". Una dannata barca che avrà un centinaio d'anni!» «Intende dire il motoscafo?» «No, una grande barca a vela» specificò Maria Moretti. «Angel ci raccontò che aveva un albero da ventiquattro metri o giù di lì. Si spostavano di porto in porto, lassù, e poi raggiungevano il molo a remi e cenavano fuori. Aggiunse che la barca era silenziosa e tranquilla.» Fece una pausa. «Tornata da quel viaggio sembrava molto felice» continuò dopo qualche istante. «Vi ricordate quanto era felice, quando andava a lavorare, sempre elegantissima. E adesso...» «Questo è il succo della storia: uno stronzo ha ucciso la mia bellissima bambina» sbottò Rocco Moretti, alzando la voce, fissandomi negli occhi come se stesse lanciando una sfida.
«Papà!» lo interruppe Joey. «Lascialo parlare, Joe» intervenne Georgie. «Lo metta nel suo pezzo» continuò il padre, la voce tremante di rabbia e di dolore. «Qualcuno ha ucciso la figlia di Rocco Moretti. Ma noi lo troveremo quell'animale e...» «Va bene, papà» affermò Georgie, tranquillizzando il padre. «Troveremo quel figlio di puttana e ci penseremo noi.» «Chi?» chiesi. «La vostra famiglia?» Georgie mi guardò senza rispondere. Il vecchio smise di parlare e fissò un punto davanti a sé, chiuso nel proprio dolore, con i pugni serrati come se stesse stringendo una gola immaginaria. 17 Snowhill Street costeggiava il parco giochi che si trovava un paio di isolati più avanti dei Moretti, verso il porto. Parcheggiai, ancora una volta in sosta vietata, e domandai alle prime tre persone che vidi dove viveva Monica Vitale. Una donna anziana se ne andò di fretta senza rispondere, una ragazza dichiarò di essersi trasferita lì da poco e che non la conosceva, infine un ragazzino m'indicò una casa su per la strada e concluse: «Fanno venti dollari.» Sorrisi e continuai a camminare nell'afa cittadina. Era un edificio grigio rivestito di assicelle di legno, con delle vasche di gerani sul marciapiede accanto alla porta. Raggiunsi la soglia e suonai. Attesi, sentii armeggiare e battere, poi la porta scricchiolò e si aprì quel tanto che le permetteva la catena di sicurezza. Una porzione di donna fece capolino. Riuscivo a vedere i capelli violacei permanentati, il rossetto rosso e un occhio socchiuso con diffidenza. Le dissi come mi chiamavo, aggiunsi che ero del "New York Times" e che stavo lavorando a una storia su Angel Moretti. Le raccontai che Monica mi aveva conosciuto nel Maine. Eravamo stati dai Connelly. Non le rivelai che Monica non aveva aperto bocca, in quell'occasione. «Non so» rispose la donna. «Io sono la madre.» Cominciai con le solite suppliche, ma non funzionarono finché non le raccontai che pensavo a un articolo su Angel che sottolineasse quanto fosse una brava ragazza, così da esercitare una certa pressione sugli inquirenti affinché lavorassero con il maggior impegno possibile per trovare l'assassino.
«Oh, erano buone amiche» precisò la signora Vitale. «Fin da bambine. Sono queste le cose che le interessa sapere?» «Sì, esatto» risposi. «Certo che deve essere molto difficile per sua figlia!» «Come perdere una sorella» commentò lei. «Posso parlare con Monica?» La signora Vitale chiuse la porta. Aspettai. Nel giro di poco, si riaprì, le catene sferraglianti come quelle del fantasma di Marley. «Come ha detto che si chiama?» Glielo ripetei. «Adesso glielo chiedo» annunciò. «Ma, si ricordi, è una situazione sconvolgente per Monica, è quasi come se si sentisse in colpa.» Aspettai Monica sul divano del salotto. La stanza era buia e fredda, con drappi merlettati che adornavano i mobili in mogano nero e le fotografie di famiglia appese alle pareti. Si udì un trapestio per le scale, poi un mormorio e infine entrò la signora Vitale. «Eccola!» esclamò. Monica entrò dopo di lei, l'aria da bambina spaventata, gli occhi spalancati e insicuri, rintanata come una tartaruga nella grande felpa grigia. «Ciao, Monica» la salutai. «Mi fa piacere rivederti, anche se non vorrei che fosse in queste circostanze.» La ragazza riuscì a malapena ad annuire. «Possiamo sederci e parlare?» Monica raggiunse una sedia, si sedette e strinse la gambe; le unghie dei piedi erano dipinte di smalto argento, questa volta, e affondavano nella punta degli stesso si sandali dell'Adidas che indossava quando l'avevo conosciuta. La mamma si sedette accanto a lei, pronta a tradurre. «È difficile, lo so» esordii. Lei non reagì. «Ma devo chiederti queste cose. Sto cercando di creare un'immagine positiva di Angel nel mio articolo. Comunque, mi sembra di aver capito che trascorrevate molto tempo insieme...» Lasciai il taccuino sulle ginocchia, come una macchina fotografica nascosta in un osservatorio per uccelli. «Sì, molto.» «Anche dopo la scuola?» «Sì» rispose Monica. «Come due sorelle» aggiunse la madre.
«Quindi, Monica» chiesi «tu e Angel non siete tornate a casa insieme?» «No, io volevo tornare prima. Sono tornata con la signora Kind.» «Come stava Angel, quando sei partita?» «Bene.» «Era contenta?» «Sì.» «Le piaceva lavorare per la fondazione?» «Sì, le piaceva. La trattavano bene, là.» «Trattavano bene anche te?» «Direi di sì.» «È stata lei a trovarti il lavoro, vero? Almeno così mi è stato detto da qualcuno.» «Chi è stato?» «I suoi genitori.» «Ha dovuto fare domanda come tutti gli altri» specificò la signora Vitale, improvvisamente sulla difensiva. «Angel le aveva semplicemente detto che c'era quel posto libero.» «Con chi hai sostenuto il colloquio?» Vidi l'insicurezza calare su di lei come un lenzuolo che le fosse stato gettato addosso. «Non so.» «Quanto tempo fa è successo? Cerco solo di farmi un'idea di quanto tempo Angel è rimasta alla fondazione e di quando ti ha aiutata.» «Circa sei mesi fa.» «È riuscita a mantenere quel posto da sola» intervenne la madre. «Ha ottenuto dei riscontri positivi, vero, amore?» «Sì, andavo d'accordo con tutti.» «La signora Kind?» «Era carina.» «Il signor Dalton?» «Era gentile.» «Tu e Angel trascorrevate molto tempo con i Connelly in persona? Con David e Maddie?» «Non molto» rispose Monica. «Angel più di me, comunque.» «Come mai?» «Non so. Andava semplicemente così. Il signor Dalton... lei lavorava direttamente per lui, che partecipava a un sacco di eventi, feste, spettacoli di beneficenza, e dava ad Angel dei biglietti extra.»
«Andavi con lei?» «Ci sono andata due volte.» «Ma Angel ci andava spesso?» «Più di me.» «Si vestiva bene?» «Oh, sì. Abito lungo e tacchi alti.» «Dove trovava gli abiti da sera? Li comprava?» Sì, credo di sì. Non gliel'ho mai chiesto. Due ventunenni, di cui una va a una festa in abito da sera, non parlano del vestito per l'occasione? Non mi sembrava credibile. «Ma Angel era riuscita a entrare nel giro dei Connelly.» «Immagino di sì» rispose. L'intervista cominciava a prendere la piega dell'interrogatorio. Sorrisi e cercai di farla sentire a suo agio. «Monica» dissi «ti spiego quello che sto cercando di capire: ho in mente l'immagine di questa ragazza cresciuta nel North End di Boston che viene introdotta in un altro ambiente della vita cittadina e comincia a prenderci gusto. Ti sembra corretta questa immagine?» Monica volse lo sguardo altrove e cominciò ad armeggiare con i capelli. «Be', direi di sì. Non sei d'accordo?» le chiese la madre. «Voglio dire, i vestiti, la macchina... e poi una volta la sua foto è stata pubblicata sul giornale.» Cominciai a scrivere. La signora Vitale si fermò, si sporse e mi bloccò la penna. «Questo non lo scriva, ma il padre è un vero taccagno!» sussurrò. «È il proprietario di quell'edificio e di altri due che affitta. Voglio dire, quanto gli renderà di questi tempi? Un buco frutta mille dollari al mese. È una follia. E lei non aveva mai un soldo. Scommetto che non ha mai tenuto un biglietto da cinquanta in mano. E poi, improvvisamente, si ritrova circondata dal denaro.» «Quindi è una cosa che faceva colpo su di lei?» «Sì, in un certo senso» rispose Monica. «Era veramente coinvolta. Per quanto riguarda me, non saprei. Io mi stufo di quella gente.» «Era un lavoro impegnativo?» «Non troppo.» «Lavoravi molto, invece!» ribatté la madre. «E i pernottamenti fuori e le conferenze?» Monica mi guardò assente per un attimo, poi sembrò aver afferrato la domanda.
«Be', per me erano meno di quanto non fossero per molti altri.» «Non è mai dovuta andare fuori città.» aggiunse la madre. «Non avrei avuto piacere. Adesso sarei addirittura contraria, dopo tutto quello che è successo.» «Ma Angel ci doveva andare?» «Sì» replicò Monica, poi esitò. «A volte.» «Davvero?» domandò la madre. «E perché a te non lo chiedevano?» «Non so, mamma» rispose la ragazza. «Non me lo chiedevano e basta. Io e Angel facevamo dei lavori diversi.» «Pensavo che faceste lo stesso lavoro!» insistette la madre. «In un certo senso, ma erano diversi. Gesù! Come faccio a saperlo? Non eravamo alla stessa scrivania, accidenti!» La signora Vitale sembrò essere stata colta alla sprovvista. «Non ti preoccupare, amore» la rassicurò. «Hai subito un sacco di stress e di tensione.» Fece una pausa. Poi, volgendosi verso di me, assunse un'aria seria e disse: «Signor McMorrow, penso che possa bastare per oggi.» Ma io non mollai, visto che non sapevo se ci sarebbe stata un'altra volta. «Però Angel in generale era contenta, no?» ripresi. «Le erano piaciuti i giri in barca la settimana scorsa. Ho sentito dire che era andata anche in barca a vela con i Connelly.» Monica mi guardò distante. «Non ti hanno invitata ad andare in barca?» domandò la madre. «Perché non hanno invitato tutte e due?» «Non sapevo nulla del giro in barca!» esclamò Monica. «Io sono andata solo sul cabinato, quello grosso.» «Questa settimana?» «Sì.» «Non hai sentito parlare del giro in barca a vela?» «No, ma spesso non li stavo neanche ad ascoltare.» «Com'era Angel, se tu dovessi descriverla rapidamente?» Monica cominciò a piangere. Sembrava fatto di proposito, ma la madre se la tirò vicino. «Non è niente, bambina mia.» «Era una ragazza meravigliosa» singhiozzò Monica, tra le lacrime. «Siamo sempre rimaste ottime amiche, nonostante tutto.» «Intendi dire nonostante avesse un mucchio di soldi, vestisse bene e
bazzicasse gente ricca?» «Non bazzicava... lui!» esclamò, mentre una lacrima le scorreva giù per lo zigomo e gocciolava sul braccio della madre. «Chi bazzicava?» «Non faceva nessuna differenza. Io lo so che non faceva nessuna differenza. Eravamo ancora amiche per la pelle.» «Certo che lo eravate!» confermò con forza la madre. «Signor McMorrow, credo sia ora che lei se ne vada. Non capisco qual è lo scopo di tutte queste domande. Non credo che il padre di Monica sarebbe d'accordo.» «Perché?» chiesi. «Perché lei sta sconvolgendo Monica.» «Ma l'omicidio è una cosa sconvolgente, signora Vitale!» controbattei. «Non c'è scappatoia.» 18 Tornai in auto a casa Connelly durante l'ora di punta, percorrendo a passo d'uomo Tremont Street: era come se fosse successa una catastrofe e avessero ordinato di evacuare la città. Una coppia ben vestita mi oltrepassò a piedi in gran fretta con le valigette dondolanti; il tipo doveva avere la mia età, mentre lei quindici anni di meno. Angel e Dalton. Pensai a loro per tutto il tragitto che mi separava dalla casa dei Connelly, chiedendomi cosa avesse inteso Monica dicendo: "Non bazzicava... lui". Cosa voleva dire? Che si limitava ad accettare i suoi regali, si faceva invitare fuori a pranzo, e poi lo scaricava quando finiva il lavoro? La mia impressione era che lei lo avesse incoraggiato abbastanza da mantenere il fuoco acceso. Era andata a letto con lui, forse durante uno dei loro viaggi del fine settimana. Ma dove potevano essere andati, se non dovevano davvero lavorare? In un bell'albergo? Avrebbe dovuto essere un luogo molto riservato, per poter entrare e uscire inosservati. Un posto così. Parcheggiai in seconda fila davanti a casa Connelly, raggiunsi il cancello e premetti il bottone. Una donna rispose al citofono, io m'identificai e lei mi chiese se avevo l'auto. Risposi di sì. Lei disse che andava bene e, dopo un istante, il cancello grande che chiudeva il viale d'accesso si aprì scorrendo. Poi cominciò a richiudersi. Si riaprì, quindi si chiuse e si aprì di nuovo.
Mi affrettai a raggiungere la macchina e aspettai che ci fosse spazio sufficiente per passare. Varcai il cancello, mentre i passanti sul marciapiede sbirciavano dentro. Il cancello si richiuse su di loro e io rimasi solo, nella tana dei Connelly. Era un cortile acciottolato all'ombra di alti ippocastani. Due delle auto con la targa del Maine erano parcheggiate lì: la BMW nera e la Suburban. Dentro al garage della rimessa si vedevano una moto BMW e quella che pareva un'auto sportiva coperta da un telo. Al di là della rimessa, sul prato, c'erano una porta da calcio, un'altalena in legno di cedro e una piccola bicicletta con le ruotine ai lati per principianti. Smontai dall'auto e David emerse da una porta laterale della casa, accogliendomi con un sorriso aperto, come se fossi stato un vecchio amico di Harvard. «Scusa per il cancello. La signora Donovan è bravissima, è con me da quando ero un bambino, ma non se la cava molto bene con la tecnologia.» «Non importa, mi è bastato aspettare e passare al momento giusto.» Mi strinse la mano e mi diede di nuovo una pacca sulla spalla. «Ben trovato. Roxanne è in casa. Ma credo che stiano ancora parlando di lavoro.» «Non importa» dissi. «Aspetto che sia pronta.» «Pronta per cosa?» «Pronta per andare.» «Andare? Ma è stato già deciso: voi restate. E non in albergo, restate da noi. Ci prendiamo un aperitivo e poi ceniamo.» Cercai di declinare l'invito, ma non ne volle nemmeno sentir parlare e insistette per portare dentro le valigie. Lo seguii per un sentiero di ciottoli fino alla porta laterale. «È una bella oasi, qui in città» commentai. «La chiamo Fort Apache» replicò David. «Ho detto a Maddie che voglio costruire le passerelle lungo i muri così Maeve e io possiamo montare la guardia.» Sorrisi. Lui aprì la porta, pesante come quella di un caveau, ed entrammo. L'interno era fresco e silenzioso. Ci trovavamo in un ingresso e David mi pregò di posare le valigie: avrebbe provveduto la signora Donovan a portarcele in camera. Aggiunse che le ragazze erano in cucina e mi scortò. Era come un museo: i soffitti alti e i pavimenti lastricati, fotografie e quadri inframmezzati da stampe. Mentre seguivo David, udii l'eco dei nostri passi e poi la voce di Roxanne. Quando entrammo in cucina, Roxanne
e Maddie erano sedute a un tavolo lungo di legno scuro. Tra di loro c'erano una bottiglia di vino bianco e una di San Pellegrino. Una donna robusta, dai capelli bianchi, stava scartocciando un pezzo di formaggio sul banco che si trovava dall'altra parte della stanza. «Jack, questa è la signora Donovan, la distruggi-macchine» scherzò David, al che lei si voltò, sorrise e replicò: «David, questa è un'accusa molto pesante da parte tua.» «Va bene, ammacca-macchine» si corresse lui. Maddie mi salutò: «Ciao, Jack.» E Roxanne fece lo stesso. David raggiunse il frigorifero e prese due bottiglie di Sam Adams, le aprì e me ne offrì una. «Com'è andato il tuo pomeriggio?» mi domandò Roxanne. «Interessante» risposi. «Ma triste.» «Dove sei stato?» domandò David, molto attento. «Sono andato a parlare con i Moretti. Riempivano una stanza intera. E anche a trovare Monica e sua madre.» «Come stanno i Moretti?» domandò David. «Addolorati» risposi. «Il padre è furibondo.» «È comprensibile» commentò Maddie. «Anche perché non si tratta soltanto di una morte tragica, ma di un omicidio. E la persona che l'ha commesso è ancora a piede libero.» «E poi le cose potrebbero anche restare così» precisò Roxanne. «Mi sono occupato spesso di omicidi irrisolti» intervenni io. «La cosa più triste è quando i genitori muoiono senza che sia stata fatta giustizia.» «Dev'essere terribile!» affermò David. «Come riescono ad accettare una cosa del genere? Gesù! Che peso da trascinarsi nella tomba!» Maddie lo guardò. David incrociò lo sguardo della moglie e sembrò momentaneamente a disagio, poi tornò a illuminarsi non appena volse lo sguardo di nuovo su di noi. «Maddie!» chiamò. «Adesso puoi iniziare il giro. Stava aspettando te, Jack.» «Ti piace la roba vecchia?» chiese Maddie. «Sì, certo» risposi. «Oh, a proposito, Mad» scherzò David. «Se non ho vostre notizie entro un paio di giorni, vi mando i soccorsi.» Fu così che noi tre ci avviammo; David disse che sarebbe andato a controllare se Maeve era sveglia. Attraversammo un paio dì locali fino a raggiungere un corridoio centrale e, da lì, il soggiorno di rappresentanza, a si-
nistra della porta anteriore. Un enorme caminetto in marmo, finestre dal pavimento al soffitto e un pianoforte a coda da concerto. «Amo la roba vecchia» confessò Maddie, come se avesse parlato della porcellana della nonna. «Rischio di farvi morire di noia, se non me lo impedite. Questo è un divano Giorgio III. E questo è un cassettoncino Chippendale, costruito a Philadelphia nel 1770. La fattura è stupefacente. Qualcuno l'usava già il giorno della Dichiarazione d'Indipendenza!» L'argomento la rendeva più animata, intensa e allegra. C'era qualcosa di stranamente dolce in quella sua passione, niente di blasé. David entrò nella stanza, portando Maeve in braccio. La bambina batteva le palpebre assonnata, le gambe penzoloni. «Chi è stato a mettere insieme la collezione?» domandai. «Mia nonna» rispose David. «Anche lei era un pezzo d'antiquariato.» «A David non interessa niente di tutto ciò» chiarì Maddie. «Sono mobili» rispose lui. «È storia» replicò lei. «Come puoi amare le barche così tanto e non provare nessun interesse per queste cose?» «Non si può navigare su un sofà!» rispose lui in tono schietto. Lei gli strinse il braccio per un attimo e sorrise. «Caro il mio filisteo.» David ricambiò il sorriso e lei lo attirò a sé, in modo tale che i loro fianchi si toccassero. Sembrava un momento inopportuno per giocare alla coppia felice, ma pensai che ognuno reagisse a modo suo di fronte alla morte. Così procedemmo: Maddie che illustrava pezzi d'antiquariato senza prezzo, e David che si trascinava in fondo alla fila. Mentre lui restava indietro, ci trasferimmo in una sorta di salone nel retro della casa. A un muro erano appese le foto incorniciate dei Connelly con gente famosa: David bambino ai suoi primi passi accucciato accanto a Lyndon Johnson; David e Maddie da giovani con Bill e Hillary altrettanto giovani; David sui dodici-tredici anni che guardava John Kennedy Jr, quest'ultimo con i capelli lunghi, e altri cugini Kennedy con loro. «Conoscevi John Kennedy?» lo interpellai. «Allora non molto bene» rispose lui. «Lo conobbi meglio alcuni anni dopo. I suoi progetti e i nostri a volte si sono incrociati. Un tipo simpaticissimo.» «Che vicenda triste, la sua!» affermai. «Davvero triste» confermò lui. «Se penso a tutte le tragedie che hanno colpito quella famiglia» aggiun-
si. «E chissà quante altre... Sono sicuro che ci sono vicende che non hanno mai reso pubbliche.» Mentre mi uscivano le parole di bocca, notavo che Maddie assumeva un'espressione singolare. Deglutì e sembrò ritirarsi in se stessa, come se la sua mente avesse cominciato a vagare lontano da quelle fotografie, da quella stanza e da noi, verso un luogo di angoscia e tristezza. David fece una proposta: «E se andassimo a cena al Mistral?» Lui aveva la voce allegra, un po' sopra le righe, e Maddie parve ritornare fra noi, anche se lentamente. Gettai un'occhiata a Roxanne e mi accorsi che anche lei la stava osservando. «Certo!» approvò Maddie. «Sarebbe bello, David! Perché non telefoni?» Poi si rivolse a noi. «Siete stanchi? C'è un bellissimo mobile del Seicento nello studio al primo piano.» «Sembra che l'abbiano tagliato con l'accetta» scherzò David. «Dove sei cresciuta, Maddie?» le domandai. «Nella parte occidentale dello Stato» rispose. «Mia madre e mio padre insegnavano tutti e due ad Amherst.» «Dev'essere stata una vita interessante, per una ragazzina» commentò Roxanne «crescere nell'ambiente di un college.» Maddie non rispose. Invece distolse lo sguardo e, impercettibilmente, riassunse quell'espressione distante che avevo già notato in lei. «Sì» rispose subito David. «Lo è stata. Per una ragazzina era una bella vita poter scorrazzare per il campus. Vero, Mad?» Maddie tutta un tratto si riprese, gli occhi luminosi tornarono a mettere a fuoco. «Eh sì!» esclamò, con voce stonata. «Era una bella vita.» Ci girammo per lasciare la stanza, Maddie in testa. Toccai la mano di Roxanne con la mia e lei me la strinse forte. 19 Il Mistral si trovava su Columbus Avenue, proprio di fronte a Berkeley. Ci fermammo in fondo a una fila di macchine di rappresentanza, gli sportelli ci furono aperti, tutti e quattro. Il responsabile dei parcheggiatoli assomigliava ad Antonio Banderas. «Ehi, signori Connelly!» salutò. «Come va?»
David rispose che stava bene. Maddie invece non disse nulla. La gente stava in fila in attesa di un posto, ma noi la oltrepassammo, mentre tutto il personale salutava i Connelly come vecchi amici. Il cameriere, che era francese, chiese quando l'avrebbero portato nel Maine a catturare le aragoste. Loro risposero: «Presto, Jacques, presto.» Lui enunciò i piatti del giorno, quindi ordinammo. Maddie scelse il vino senza consultare la lista: si trattava di un Pinot nero sudafricano. Roxanne chiese dell'acqua minerale gassata italiana. Quando arrivò il vino, David fece un brindisi: «Ai nostri nuovi amici del Maine!» esclamò. «E alla città di Prosperity!» Arrivarono gli antipasti. Mangiammo, bevemmo, chiacchierammo e i Connelly fecero molte domande. Erano entrambi interessati al funzionamento interno del "Times". David chiese a Roxanne come gestiva i genitori, quando li affrontava da sola, e se aveva mai paura di farlo. Roxanne rispose che aveva sviluppato un sesto senso quando si verificavano casi del genere, che le permetteva di evitare situazioni rischiose. Tutti toccammo ferro. La minestra era squisita. Molto prima che arrivassero le entrée, David ordinò dell'altro vino. La stanza intorno a noi si fece più chiassosa, le fiamme dei candelabri sul tavolo guizzarono, e io pensai che Roxanne era bellissima. Anche David la osservava. Chiesi loro delle informazioni sulla fondazione, se erano subissati di richieste. Risposero che lo erano, per quello avevano bisogno del personale. Occorrevano dei professionisti che fungessero da filtro, precisò David. Altrimenti non si sarebbe mai potuto dire di no. «E Tim Dalton... è bravo nel suo lavoro?» domandai. «Molto bravo» rispose Maddie. «Ben organizzato ed efficientissimo. Sa quali sono le persone che contano in città, chi agisce davvero.» «C'è un sacco di gente che ti vuole fregare, nel settore delle organizzazioni senza scopo di lucro» aggiunse David. «Scusate l'espressione.» «E Kathleen Kind?» «Una professionista in tutto e per tutto» rispose David. «Non occorre mai spiegarle quali devono essere le priorità.» «Sono sposati?» «L'uno con l'altra?» domandò Maddie, lanciando un'occhiata fulminea a David. «Cèrto che no! La moglie di Tim, Diana, fa l'avvocato in città. È una stimata civilista. Un pezzo grosso, in effetti.»
«E la Kind?» «Divorziata. È successo prima che la prendessimo a bordo, tre anni fa.» «Esce con qualcun altro?» Questa volta David sembrò imbarazzato. Erano arrivati i primi, nel frattempo. «In effetti, lei e Tim sono usciti insieme per un periodo. Lui è stato separato per circa sei mesi; un altro caso in cui le carriere prendono il sopravvento sul matrimonio, ma i Dalton sono riusciti a salvare la situazione.» «E Angel?» «Ehi, si sente che fai il cronista, Jack!» scherzò David. «Cerco solo di mettere tutti bene a fuoco nella mia mente» replicai io. «Angel era una bellissima ragazza» sottolineò Roxanne. «E aveva pure un gran bel fisico» aggiunse Maddie «per dirla schietta. Non le mancavano gli attributi.» «Mi è sembrato che i genitori la trattassero come una quattordicenne» continuai. «Molto protettivi. Non avevano piacere che lavorasse fuori città.» «Per noi?» chiese David. «Forse è per quello che appariva ancora un po' immatura» commentò Maddie. «Non che fosse timida, ma sembrava esitante all'idea di iniziare una relazione vera e propria.» «Quindi preferiva civettare qua e là senza impegnarsi?» domandai io. Maddie guardò David. Lui fece spallucce. «Tutti siamo stati giovani. Si fanno delle stupidaggini, da cui poi s'impara. E si va avanti così» rispose David. «Ma Tim Dalton non è più un ragazzino» constatai. Roxanne mi diede un calcio sotto il tavolo. «Ed è sposato, no?» «Sì» rispose David. «Immaginavo che l'avessi notato, su nel Maine. Maddie e io ne parlammo la sera in cui partirono. Be', presumo che fosse successo qualcosa, ma uno cerca di convincersi che sia tutto frutto dell'immaginazione, o che siano solo sciocchezze, innocue sciocchezze. La crisi di mezza età che imperversa! Ma le cose gli stavano sfuggendo di mano. Decidemmo che avrei chiesto a Tim di darsi una calmata.» «Invece io ne avrei parlato ad Angel» aggiunse Maddie. «E gliel'avete detto?» le domandai. «Sì, certo!» rispose David. «Anch'io l'ho fatto!» aggiunse Maddie. «È stato... Be', sono quelle cose
che odio fare.» «E come hanno reagito?» domandai. «Se non vi dispiace che ve lo chieda.» «Be', preferirei che tu non ne parlassi nel tuo articolo, Jack. Per rispetto verso la famiglia di Angel.» «E anche per Tim» aggiunse Maddie. «Sua moglie sarebbe in grado di rovinarlo nel giro di un attimo.» «Non vi preoccupate. Non dirò che l'informazione l'ho avuta da voi» li rassicurai. «Se la polizia dovesse tirare fuori la questione, in quel caso mi limiterei a riferirla.» «Tim mi garantì che non facevano altro che flirtare, e che non l'aveva nemmeno baciata» raccontò David. «Angel mi guardò come se fossi pazza» disse Maddie. «Rispose che erano solo amici, che facevano gli sciocchini; mi chiese se non avevo mai fatto la civetta anch'io da giovane...» «Ahi!» commentai io. «Lo so» ammise Maddie. «Quella sfacciata!» «Forse aveva ragione, le cose si erano fermate lì» osservò Roxanne. «Ormai non lo possiamo più sapere» aggiunse David. «Non ci conterei» specificai io. «La polizia non lascerà perdere.» «E sai cosa, Jack?» dichiarò David, il sorriso smagliante, mentre si preparava a chiamare il cameriere. «Non credo che siano i soli a non mollare. Anche tu mi sembri un mezzo investigatore. Però fa' attenzione, si tratta di un omicidio. E... cos'è che dicono nei polizieschi?» «Non so...» risposi. «Che il secondo omicidio è sempre più facile?» domandò lui. «Non so se è più facile» risposi. «Ma a volte è inevitabile.» «Innesca una reazione a catena...» puntualizzò Maddie. La guardai. «Che poliziesco è, questo?» chiesi. «Oh, non ricordo» rispose Maddie. «Sono tutti uguali, no? I buoni prendono i cattivi e finisce tutto bene.» In quel momento alla sua voce si era aggiunta una curiosa punta di amarezza. «Le cose non vanno così nella vita reale?» domandai. «Solo nei film» replicò lei. «Ordiniamo un'altra bottiglia?» si affrettò a chiedere David. «Maddie, cosa ne pensi? Preferisci continuare con il vino sudafricano? Dov'è il ca-
meriere? Voi due siete mai stati in Sudafrica?» Scossi la testa. «No» rispose Roxanne. «È davvero meraviglioso, in alcune zone» asserì lui. «Ma ha un passato talmente drammatico. Non è strano che possano succedere delle cose terribili in luoghi splendidi?» «Come il Maine» commentai. «La splendida costa del Maine!» Maddie e David mi guardarono. «Ti riferisci ad Angel?» chiese David. «Sì. Non credo che ci fosse andata per esplorare i boschi.» «No di certo!» esclamò Maddie. «La campagna non le interessava proprio. Era una che amava la città. La domanda è: "Chi l'ha portata in quel luogo sperduto?".» «Proprio così» confermai. «È questo il nocciolo della questione.» 20 Restammo parecchio tempo: dessert, caffè, cognac. David parlò per un po' di Angel, ma soprattutto di barche e di velismo. Gli chiesi se avevano mai portato Angel in barca a vela e lui disse di no; raccontò che Angel lavorava per loro da un anno e la Serendipity, lo sloop Hinckley di famiglia, era fuori dall'acqua già da prima per essere sottoposto a un raddobbo completo. «Aveva raccontato ai genitori di una gita in barca a vela» chiarii io. «Aveva anche raccontato che l'albero era alto ventiquattro metri e che la barca era silenziosissima.» «Non con noi!» replicò Maddie. «Ma sono sicura che, fra i suoi conoscenti, non siamo gli unici ad avere una barca a disposizione.» Non ci portarono il conto. David spiegò che conoscevano i proprietari e che se ne sarebbero occupati dopo. Roxanne guidò fino a casa e ci augurammo la buonanotte in cucina. Ci fu tutto un scambio di pacche sulla schiena; David baciò Roxanne sulla guancia, forse per colpa del vino. Maddie salì a controllare Maeve mentre David ci accompagnava nella nostra stanza, quella che lui chiamava la suite da luna di miele. Si trovava al quarto piano, con vista sul Charles e sulle luci di Cambridge, oltre il fiume. Il letto era a baldacchino, con i drappi rosso scuro e il piumino con l'orlo ripiegato. Le nostre valigie erano state posate su una cassapanca accanto alla parete.
Ci lasciò soli nella stanza. Roxanne si sfilò le scarpe con un calcio, sbottonò la camicetta e la gettò sul cassettone. Tolse i calzoni e gettò da qualche parte anche quelli, poi prese l'astuccio del trucco e si avviò verso il bagno. Si sentì scorrere l'acqua, quindi Roxanne tornò. Prese una camicia da notte e se la infilò dalla testa, sospirando: «Oh Dio, quanto sono stanca!» Aprii le tendine in modo che si vedesse la luce dal letto, quindi spensi la lampada, mi spogliai fino a rimanere in boxer e le scivolai a fianco. «Giornata positiva?» chiesi. «Sì, mi pare che sia andata bene.» «Sei contenta di essere venuta?» «Sì.» «Ti sono simpatici?» «Sì. E a te?» «Mmh...» risposi. «Sono molto cordiali, molto schietti. Maddie, però, ha una vena di malinconia.» «È vero» confermò lei. «Come se questa vita fatata non fosse poi così bella come la si dipinge.» «O come se ci fosse qualcosa di triste che la vita fatata non riesce a cancellare.» «Sai, Maddie non è come me l'ero immaginata» disse. «Lui lo è, in un certo senso, anche se non è così pieno di sé come me l'aspettavo. È uno che non si prende mai troppo sul serio.» «Forse è una difesa contro tutto quello che comporta essere un Connelly.» «Forse, ma lei non ha la stessa sicurezza.» «Lei non è una Connelly!» Roxanne si girò supina e fissò il baldacchino sopra di noi. «Non è solo quello» spiegò. «C'è un qualcosa di molto fragile in lei. Qualcosa che ho visto nei bambini che hanno subito un trauma. Lo si percepisce anni dopo, quando sono ormai affidati a buone famiglie e sembra che vada tutto bene. C'è qualcosa di diverso in loro, per quanto possano stare bene. È una cosa che intuisco anche in Maddie.» «Forse la morte del fratello.» «Non saprei.» «Mi verrebbe da pensare che sia per Angel, ma l'avevo notato anche prima che morisse, questo suo lato malinconico.» Restammo in silenzio per un minuto. Roxanne intrecciò le gambe con le
mie, si sporse e mi baciò sulla spalla, poi ricadde. «Pensi che ci verranno a trovare?» «Perché no?» «Ma dove potremmo farli dormire?» «Nella stanza nuova.» «Quale stanza nuova?» «Quella del bambino!» risposi io. Sentii che Roxanne stava sorridendo. «Sai, oggi mi è sembrato di sentire un fremito.» «Davvero? Ma è quello che succede di solito?» «Non so. Forse è stata la mia immaginazione, ma mi sono proprio sentita diversa, tutta un tratto.» Le diedi un bacio sulla guancia. Trascorse un minuto e pensai che si fosse assopita, ma quando la guardai, mi accorsi che aveva gli occhi spalancati. Fuori si udì una sirena e lo stridore di pneumatici. «Jack, pensi che facciamo bene a fidarci di loro?» «Cioè dopo che qualcuno della loro cerchia è stato ammazzato?» «Sì.» «Non credo che siano dei pluriomicidi.» «Non mi sembrano nemmeno sconvolti dal dolore!» replicò Roxanne. «No, ma forse non la conoscevano poi così bene.» «Se Angel si fosse fatta avanti con te, se ti avesse fatto veramente delle avances... tu avresti saputo resistere?» «Sì, certo. E avrei cercato di non scoppiare a riderle in faccia.» Roxanne sorrise, mentre si tirava le coperte fin sotto il mento. «Non credo che avresti riso, se non altro per non ferire i suoi sentimenti.» «Vero.» «Allora non riderai se ti chiederò una cosa io?» «Non credo proprio.» «Chiuderesti la porta a chiave? C'è un catenaccio che devi girare.» Mi alzai e attraversai la stanza. La casa era silenziosa. Girai il pomello che faceva scorrere il catenaccio e non mi sfiorò nemmeno l'idea di ridere. 21 Sognavo di essere in un ufficio: c'era una sirena d'allarme che suonava, ma io non riuscivo a uscire da dietro la scrivania.
Poi mi svegliai ed era mattina: la luce grigia si riversava nella stanza, Roxanne dormiva al mio fianco. La sirena era il mio cellulare che suonava, lo cercai a tentoni sul comodino e risposi. «Il signor McMorrow?» La voce di una ragazza, molto giovane. Disse di chiamarsi Annie e di essere una praticante dell'ufficio del "Times". «Ci sono due uomini che la cercano» mi avvertì. «Che cosa vogliono?» «Dicono che le devono parlare di Angel Moretti.» «Sono sbirri?» Esitò. «Non hanno detto di esserlo. Se lo sono, non sono come tutti gli altri che ho visto.» «Perché?» «Uno è veramente grosso e ha un tatuaggio sul collo, l'altro è più basso e, non so, non mi sembrano proprio poliziotti...» «Dove sono?» «Sono seduti davanti alla reception, a leggere il giornale.» «Hanno fatto il mio nome o hanno semplicemente chiesto di parlare con un giornalista?» «Hanno chiesto di lei. Gli ho detto che non c'era, che non lavora quasi mai in ufficio. Mi hanno chiesto se potevo chiamarla e io ho risposto che pensavo di sì; allora hanno detto che avrebbero aspettato ed è quello che stanno facendo.» «Sono stati educati?» «Sì. Quello grosso è un simpaticone.» «Sei sola?» «Sì, sono venuta presto perché ho da fare.» «Arrivo subito!» Erano quasi le otto quando le porte degli uffici della redazione mi vennero aperte con un ronzio. I due uomini alzarono lo sguardo. Erano bianchi e dovevano aver passato i trenta. Uno era grosso e col torace a botte, portava una maglietta, jeans neri e un berretto dei Sox. I capelli rossi spuntavano da sotto il cappellino come un gatto nascosto sotto uno zerbino. Si era fatto tatuare un trifoglio irlandese sul collo e portava un diamante nel lobo sinistro. L'altro era più piccolo, aveva i capelli neri e il viso lungo e spigoloso. Fu quello grosso a parlare.
«È lei McMorrow?» L'altro continuava a osservarmi. «Sì.» «Stupendo!» proruppe il grosso. «Proprio l'uomo che siamo venuti a cercare. Siamo qui per parlare con lei.» Si alzarono entrambi ma quello più grosso fu velocissimo, scattò dalla sedia come un giocatore di football di prima linea. Mi porse la mano. «Mi chiamo Mick. Questo è il mio socio in affari, Vincent.» Vincent mi guardò, ma non aprì bocca. «Ehi, mi piace il lavoro che fa! Ho letto il suo articolo, quello sulla ragazza che hanno dissotterrato nel Maine. Roba buona. Niente balle, capisce cosa intendo? Arriva dritto al punto.» «Grazie» risposi. Lui sorrise; uno dei denti davanti incapsulato d'oro luccicò. «Sì dà il caso che abbia un amico che desidererebbe parlare con lei di quella ragazza.» «Davvero? A proposito di cosa, precisamente?» «Questo è meglio che glielo dica lui di persona, capisce?» «Capisco, ma non so perché siate venuti.» «Posso accompagnarla da lui.» «Perché non è lui a venire qui?» «Preferirebbe mantenere una certa riservatezza. Occupa una posizione che potremmo definire... "sensibile". Però è in possesso di informazioni che lei troverebbe estremamente interessanti. Conosceva la ragazza.» «Come tanti altri.» «La conosceva davvero bene.» «Era il suo ragazzo?» «No.» «Fratello? Padre? Secondo cugino?» «Non glielo posso proprio dire.» «Non le credo. Gli dica di chiamarmi, se vuole parlare.» «Vuole parlare ora. La sta aspettando.» «Dove aspetta?» «In un posto dove ci possiamo prendere un caffè o qualcos'altro. Le vuole offrire la colazione. Sarebbe venuto qui, ma l'innervosiva l'idea che qualcuno lo vedesse entrare o uscire. Quello sì che sarebbe un problema! Fanno uno più uno, e poi sa anche lei come va a finire.» «Senta, sono indaffaratissimo» dissi. «Gli posso telefonare più tardi.»
«Lo so, Jack. Anzi, signor McMorrow. Ma questo tipo ci ha detto che è importante per lui riuscire a parlarle subito, prima che lei scriva un nuovo articolo su quella ragazza.» «Non so.» Ma poi pensai tra me e me per un attimo. Che cosa sapeva di Angel? Sapeva chi l'aveva uccisa? Aveva sentito qualcosa per strada? Feci un cenno con la testa alla praticante, Annie, che sbirciava dall'ufficio di Myra. Uscimmo dalla porta, tutti e tre, aspettammo l'ascensore ed entrammo. La porta si chiuse e calò il silenzio. 22 L'ascensore si aprì e uscimmo. Mick davanti, io in mezzo e Vincent dietro: mi sentivo sotto scorta. Mick ci condusse a una Cadillac blu scuro posteggiata in Chatham Street, dietro all'edificio. Uscimmo agevolmente da Congress Street. Io ero seduto davanti con Mick, mentre Vincent stava dietro. L'auto puzzava di sigaretta e Mick guidava come un tassista newyorchese, spingendo sul gas e sui freni e girando il volante con un dito. Mi raccontò di aver cominciato a scrivere, che non l'aveva mai fatto prima, ma si era trovato un po' di tempo a disposizione e poi era meglio che guardare la tivù. «E dove questo?» chiesi. «Si chiama Cedar Junction. AKA Walpole. Penitenziario di Stato. Mai sentito? Io e Vincent eravamo in cella insieme.» Rimasi impassibile. «Da quanto tempo sei fuori?» «Un paio di settimane.» «Quanto sei stato dentro?» «Io? Otto mesi, due settimane e quattro giorni. Vincent un po' di più.» Mick si diresse a sud, tagliando i vicoli, finché non spuntammo su Summer Street. Oltrepassò il ponte, poi ci addentrammo nel paesaggio spoglio di Southie. Parcheggiammo davanti a un bar che si chiamava Double Diamond Lounge. Eravamo seduti in macchina, tutti e tre. Mick appoggiò il braccio sullo schienale del sedile dietro di me, come un ragazzo a un appuntamento che sta per compiere la sua prima mossa. «Conosci Southie?» mi chiese. «Non proprio.»
«Io ci sono cresciuto. Ne conosco ogni centimetro quadrato. Come il North End per Vincent. Il mio vecchio veniva dalla madrepatria, Donegal. Fece subito comunella con tutti gli altri fottuti irlandesi che stavano qui. Ce ne sono ancora. Vedi quel bar dall'altra parte della strada? Tutti permessi di soggiorno per lavoro. Penseresti di essere nella dannata Limerick.» «Dici davvero?» «Dovresti fare un servizio su Southie. Nessuno ha mai fatto un bel servizio su Southie. Il posto sta cambiando. Cioè, guarda quel muso giallo!» Un uomo camminava lungo il marciapiede nella nostra direzione. Sembrava cambogiano. «Dieci anni fa, quel tipo non avrebbe mai osato farsi vedere in questo quartiere. Adesso, invece, guardalo lì. Cammina per strada come se fosse a casa sua. Naturalmente non ci viene qui, di notte. Non è mica scemo. Ehi, ma non voglio disprezzare quella gente! Neanche per sogno! Però, quando sono in gruppo, quegli schifosi musi gialli diventano delle vere carogne. Non è vero, Vincent?» L'assenso di Vincent era scontato. Uscì lui per primo e noi lo imitammo, ci alzammo in piedi e aspettammo che il cambogiano ci oltrepassasse. Guardava dritto davanti a sé, ma Mick gli fece un gran sorriso e disse: «Che te ne pale, Jackie Chan?» Mick si girò verso di me mentre attraversavamo il marciapiede. «Ti hanno già tagliato la gola ancor prima che tu ti accorga che sono entrati nella stanza» affermò. «Sono bravissimi.» Mick tenne aperta la porta. Mi fermai davanti a lui e gli chiesi: «Anche il tuo amico era a Walpole?» «Accidenti, certo che no!» rispose. «È un uomo molto prudente.» 23 Ci sedemmo in un separé sul retro, oltre i tavoli da biliardo. Una donna non più giovane, con i capelli rossi che formavano un'alta pila sulla testa, e il resto del corpo impacchettato in una maglia e un paio di jeans attillati, si diresse verso di noi. «Mick, che piacere rivederti!» lo salutò, come se fosse un figlio tornato a casa dal college. «Te la sei cavata bene?» «Sì. Devi trattare gli altri come vorresti che gli altri trattassero te, Terry.»
«È la regola fondamentale.» Mick «sentenziò lei. Mick ordinò una colazione abbondante e la donna se ne andò.» «Allora, dov'è?» chiesi. «Non so. L'avranno trattenuto.» «Avevo capito che ci stava aspettando.» «Sì, ci stava aspettando. L'avranno chiamato col cercapersone.» «Che lavoro fa, per avere bisogno di un cercapersone?» «Un po' di questo...» rispose Mick. «Un po' di quello...» La cameriera ritornò con il caffè. «E voi, di che settore vi occupate?» domandai. Mick mi guardò. «Sono nel commercio» rispose. «Ingrosso, dettaglio. Compro dei camion carichi: lavatrici, televisori, frigoriferi. A volte è difficile sapere qual è l'origine della merce.» «Allora è così che sei finito a Walpole?» «Un rischio professionale.» «E sconti la pena e poi tiri avanti?» «Mi accontento di poco. Non sono uno che approfitta degli altri.» «Non ti dispiace?» «Ehi, dentro è come qualsiasi altro posto: se hai i soldi, vivi bene. C'è uno spaccio fornitissimo. Metti i soldi sul tuo conto, e ti puoi comprare i vestiti. Puoi pagare qualcuno che ti lavi il bucato e ti rifaccia il letto. Ti puoi comprare delle scarpe da ginnastica decenti, pure delle confezioni di scatolette di tonno. Le confezioni di tonno sono enormi. Tutti si allenano coi pesi e il cibo della prigione non contiene un cazzo di proteine.» «Davvero?» «Sì. Dovresti scrivere un pezzo sul carcere. Nessuno ha mai scritto un bell'articolo su Walpole.» «No?» «È un mondo a sé. Capisci cosa voglio dire? E poi torni a casa. Entri in questo bar ed è come se non te ne fossi mai andato. Strano, eh?» «Non devi far altro che rimetterti a lavorare.» «È proprio quello che sto facendo in questo momento.» «Ah, sì?» ironizzai. «Non mi serve un frigorifero nuovo.» «Ho anche delle altre linee di prodotti» rispose Mick. In quel momento arrivò la rossa con tre piatti di salsicce, patate e uova. Se ne andò e fece ritorno con un cestino di pane tostato e una bottiglia di ketchup.
«Buon appetito, ragazzi!» augurò. «Sei un tesoro, Terry!» rispose Mick. Vincent prese la forchetta con una mano e il tovagliolo con l'altra e cominciò a mangiare. Io piluccai dal mio piatto e sbocconcellai un po' di pane tostato. Mick s'ingobbì sulle uova e non alzò lo sguardo prima di aver ripulito il piatto. Poi lo spinse da parte, si pulì il viso con il tovagliolo e guardò il mio piatto. «Non ti piace la colazione all'irlandese?» «Non ho più fame.» «Ah, davvero?» «Mi sto chiedendo di che genere di affari ti occupi. Mi sto chiedendo dov'è andato a finire il tipo. Mi sto chiedendo se mi state prendendo in giro!» «Ma neanche per sogno, Jack! Devo fare una consegna.» «Che cosa devi consegnare?» «Un messaggio.» «Da parte del tuo amico?» «Sì. Credo che ormai non arrivi più, quindi ci penso io, visto che ti ho fatto fare tutta questa strada.» «E allora sputa!» sbottai. «Ho altro da fare!» Strinse gli occhi. Il sorriso si trasformò in ghigno, la curva del labbro superiore atteggiata a predatore. «Qualcuno preferirebbe che tu lasciassi stare i morti; non andare a rovistare nelle tombe!» Rimanemmo tutti e tre in silenzio, poi feci una domanda: «Di che tomba si tratta?» «Della tomba di Angel Moretti!» rispose Mick. «E chi me lo manda a dire?» «Degli amici di Angel. Vorrebbero che tu rispettassi la defunta.» «La rispetto, ma se una persona viene assassinata, merita più del rispetto.» «Infatti questi amici apprezzano quello che hai fatto, pensano solo che tu abbia fatto abbastanza.» «E quindi?» «Quindi lascia stare. Per amore di Angel.» «È questo il messaggio?» «Sì. Be', non dirai che è irragionevole.»
«Chi vi ha mandati? La famiglia?» «Non è rilevante.» «E quindi i Moretti mandano un irlandese?» «Gestisco un'azienda dove si garantiscono pari opportunità.» «È per questo che lavori con Vincent?» «Vincent ha delle conoscenze nel North End.» Mi fermai e guardai le uova che si stavano congelando sul piatto. La donna dai capelli rossi ritornò, si chinò su di me e mi chiese: «Non ti è piaciuta la colazione?» «Non si è sentito molto bene» ghignò Mick. «Non importa, tesoro» mi rassicurò la donna, e tolse i piatti. Mick posò le mani enormi sul tavolo. «Quindi la può considerare una visita di cortesia, signor McMorrow. Ci sono delle persone per cui questi articoli sono dolorosi, e queste persone sono già state ferite. Lei ha dei figli?» Non risposi. «Non è difficile immaginare come si possano sentire i genitori. Sangue del loro sangue, massacrato in quel modo.» «Non dipende da loro.» «Cosa?» «Che io scriva o non scriva l'articolo.» «Be', capisco come si possa sentire. Ha dello spazio da riempire. Ehi, perché non scrive sul carcere di Walpole? Com'è visto da dentro, per esempio. Potrei raccontarle delle storie che venderebbero bene. Ma, le ripeto, quel servizio sulla ragazza non è proprio una buona idea.» «Per loro o per me?» «Per tutti.» «Non sono d'accordo.» «Allora temo che dovremo convincerla a prenderci sul serio. Vero, Vincent?» «Potrei ucciderti» minacciò Vincent, la voce come uno strano sussurro dalla tonalità acuta. «Me ne vado» annunciai. «Grazie per la colazione e per la conversazione gradevole.» Mi alzai e loro fecero lo stesso. Fuori l'aria era ferma e pesante, aveva cominciato a piovigginare. Presi a camminare lungo l'isolato e Mick e Vincent mi raggiunsero, uno per ogni lato. «Ehi, ascolti, McMorrow» mi interpellò Mick. «Diamoci una calmata.
Forse sono stato un po' pesante... Credevo di avere una clientela diversa! Però, anche lei deve pensare ai genitori di quella povera ragazza!» «Be', come funziona?» chiesi, continuando a camminare. «Prendete un tanto per consegnare il messaggio? E il resto se io accetto?» «Quando accetta» rispose Mick. «Sì, ho capito» dissi, ma avevo già la sua zampa gigantesca sotto l'ascella, mentre Vincent mi afferrava dall'altro braccio. «Ehi!» esclamai, ma ero ormai sollevato da terra e, trascinandomi i piedi, mi ritrovai in un vicolo, sospeso e schiacciato contro il muro, i mattoni freddi sulla nuca. 24 «Te lo sto chiedendo educatamente» minacciò Mick, inchiodandomi al muro per le spalle. Lo fissai negli occhi. «Perdi tempo» sibilai, tra i denti serrati. «Ti potrei spezzare quei maledetti polsi.» «Allora ne metteremo due, di cronisti, a lavorare all'articolo.» «E io potrei mandare qualcuno a incendiarti la casa.» «Tre cronisti» lo provocai. «E poi riuscirei a scovarti.» «Sei sicuro?» «Sì!» Sostenni il suo sguardo. Poi, improvvisamente, sorrise. Si calmò, mi liberò dalla presa, e io mi sentii scivolare giù, lungo il muro. «Credo che il tuo amico dovrebbe recapitarseli da solo, i messaggi.» «Allora quanto vuoi?» «Quanto vuoi per cosa?» «Per abbandonare questo maledetto servizio. Per lasciar perdere.» Scossi la testa. «C'è una persona che vuole risparmiare questo trauma alla sua famiglia.» «Ma quale trauma? È morta. L'hanno già subito, il trauma.» «È per questo che non ne possono affrontare un altro.» «Di che si tratta?» domandai. «Non vogliono che il mondo sappia che scopava in giro?» Mi guardò. «Chi lo dice, questo?»
«Che stava con un tipo sposato?» «Gesù! Ma chi racconta tutte queste stronzate?» Si chinò su di me. «Ti stai mettendo in un bel casino così, McMorrow. Non ne vale la pena, amico: ti possono succedere delle cose veramente brutte. Hai delle persone care? Vuoi che ti perdano? Non ti sto minacciando, McMorrow. Sto solo cercando di metterti in guardia.» «Contro che cosa?» «Contro quello che ti può succedere se dai fastidio alla gente sbagliata.» «Se io...» «Se trascini nel fango il nome di questa famiglia.» «Perché? Forse non vogliono che l'assassino venga preso?» Mi guardò, sorrise e il dente d'oro baluginò. «Sveglia, McMorrow! Il solo fatto che gli sbirri non lo trovino non significa che non sia già stata fatta giustizia.» Per la prima volta nel corso di quella conversazione, ebbi paura. «Quand'è successo?» chiesi. Mick non rispose. «I Moretti lo stavano ancora cercando, ieri, quando ho parlato con loro.» Ancora nessuna risposta. «Allora avete trovato l'assassino?» lo interrogai di nuovo. Mick mi fissava negli occhi, come se alla fine fosse riuscito a intrappolarmi, come se alla fine avesse trovato il punto su cui far leva. «Allora... come rimaniamo d'accordo, McMorrow?» chiese, la voce stridula si era ammorbidita. Lo guardai, il dente, gli occhi scintillanti da lupo. Vincent osservava e attendeva. «Che scrivo tutto quello che mi va di scrivere» replicai. Il sorriso di Mick si sciolse. «Non è quello che vorranno sentirsi dire. Non potrò garantire per la tua sicurezza, dopo che avranno ascoltato quello che mi hai raccontato sul conto della ragazza.» «E tu prova ad avvicinarti a me o a qualcuno a cui voglio bene, e io non potrò garantire per la tua» sibilai. «E non scherzo.» Mi voltai, uscii dal vicolo e mi avviai lungo l'isolato. Mentre camminavo, stavo con le orecchie aperte. Mi aspettavo di udire il rumore sordo di passi. Niente. Attraversai la strada. Passai davanti al bar irlandese e girai a sinistra.
Varcai Congress Street e mi guardai indietro. La Cadillac mi veniva incontro. Il finestrino del passeggero si abbassò e Vincent si sporse fuori, appoggiò il polso destro sull'avambraccio sinistro. Mi sparò due volte con una pistola immaginaria, poi ritirò la mano atteggiata ad arma dentro la macchina e soffiò sulla punta delle dita. Mick continuò a guidare. 25 Rientrato in auto, accesi il telefono. Chiamai Cade nel Maine. Annotò il mio numero e disse che mi avrebbe richiamato. Quando lo fece, ero già in Beacon Street, vicino al Common. Raccontai a Cade di essere stato strapazzato da due tipi che mi avevano intimato di non scrivere più su Angel Moretti. Mi suggerì di chiamare un ispettore di Boston, si chiamava Sullivan. Gli feci notare che il solo cognome non mi avrebbe facilitato la ricerca, e lui rispose che l'ispettore di nome faceva Sinead: era una donna, e molto tosta. Mi diede il numero. Domandai se lavorava il sabato mattina e lui rispose che lavorava sempre. Il marito l'aveva lasciata per la sua migliore amica, e da allora lei lavorava ventiquattrore su ventiquattro. «E poi oggi c'è il funerale, ci vai?» Risposi che pensavo di non essere gradito. Chiamai il numero della Sullivan: era un cercapersone. Digitai il mio numero di cellulare e rischiai di tamponare un'auto all'angolo di Charles Street. Due isolati dopo, l'ispettore Sullivan mi richiamò. «Lei era sulla mia lista» esordì. «Dove si trova adesso?» Glielo spiegai e lei mi chiese se ero in grado di raggiungere la State House. Risposi di sì, quindi lei mi disse di farmi sul lato di Hancock Street e aspettare. Presi a destra e risalii in direzione di Beacon Hill, poi mi aggirai nel labirinto di strade alberate a senso unico. Accostai e parcheggiai accanto a un idrante. Nel giro di cinque minuti, una Sable blu si fermò dietro dì me. Ne uscì una donna, e io feci lo stesso. Aveva i capelli rossi e corti, la pelle chiara e il viso rotondo. L'andatura era tutta fermezza e determinazione, come anche l'espressione. Ci presentammo e ci scambiammo una stretta di mano. Raggiungemmo la sua macchina e salimmo. «Eccoci qua!» esordì. «Allora a qualcuno non piace che lei faccia domande sulla nostra defunta!»
«No. O almeno non vogliono che pubblichi degli articoli su di lei.» «Mi riferisca tutto, fin dalla prima volta in cui l'hanno contattata.» Glielo raccontai e lei mi ascoltò, guardando davanti a sé, senza prendere appunti. «Mick Egan e Vincent Tucci» disse, quando ebbi finito. «Spezzaossa.» «È quello che fanno?» «Sì. Si fanno valere con la forza. Se uno deve dei soldi a un allibratore ed è in ritardo con i pagamenti, lui gli manda gente tipo Mick e Vincent.» «Ha detto che commerciava. Elettrodomestici o qualcosa del genere.» «Fa un po' di pedinamenti, se gli capita, ma i muscoli sono la sua attività principale. C'è uno che non ti vuole concedere l'appalto per il trasporto dei rifiuti? Gli bussano alla porta. Non l'ammazzano, ma se una chiacchierata non ha effetto, tornano e lo gonfiano di botte o gli bruciano la casa. Vincent è un sociopatico, bisogna tenerlo al guinzaglio. Mick, invece, è nel giro già da un po', conosce gente, e parla per entrambi. È ben consapevole delle probabili reazioni delle persone. I tipi come lui conoscono la natura umana, soprattutto la paura. È quella la loro arma vincente.» «Capisco.» «Allora, cosa gli ha risposto?» «Di andare al diavolo.» Mi guardò, sbuffando. «L'ispettore Cade me l'aveva detto che lei è una testa dura.» «Non so se ci azzecca.» «E dunque, Mick è passato alle mani?» «Mi ha attaccato al muro, ma poi ha cercato di far passare tutto per uno scherzo.» «Ha voluto metterla alla prova» concluse la Sullivan. «Se lei fosse crollato, tutto bene. Non avendo lei ceduto, ha dovuto capire fino a che punto si poteva spingere. Un cronista... è come scherzare col fuoco!» «Gliel'ho detto!» «Lo sa bene. E così ritornerà dal suo mandante: "Il tipo non ha ceduto. Cosa volete che faccia?".» «Chi potrebbe volere che io abbandoni il servizio?» chiesi. «Tra quelli con cui lei ha parlato, chi si è mostrato ostile?» «La famiglia. Non erano molto contenti che bussassi alla loro porta.» «Ma hanno parlato.» «Sì. Hanno detto che avrebbero trovato il colpevole e se ne sarebbero occupati da soli. Crede che ne sarebbero capaci?»
«E chi lo sa? Non è che abbiano dei legami diretti... ma sono sicura che uno dei Moretti potrebbe fare un giro dell'isolato e potrebbe mettersi d'accordo con qualcuno in grado di occuparsene, sempre che abbia un nome.» «I fratelli mi hanno dato da intendere che si sarebbero arrangiati da soli.» «Chiacchiere» disse la Sullivan, tirando su col naso. «Li fa stare meglio.» «Anche Mick ha accennato a qualcosa del genere.» «Fumo negli occhi» commentò lei. «Lei sa chi potrebbe cercare di impedirle di fare domande su Angel Moretti?» «Non so. Dipende da cosa pensano che potrei trovare.» «Con chi andava a letto, tra quelli dell'ufficio?» La guardai. «E lo viene a chiedere a me?» «Credo di essermi fatta l'idea giusta, ma non ho frequentato il gruppo dei Connelly come lei.» «E lei come fa a saperlo?» «Via, Jack! Sono uno sbirro. Scoprire le cose è il mio mestiere.» «Sono stato con loro solo un pomeriggio, nella loro villa nel Maine.» «Ma adesso è ospite di David e Maddie Connelly.» «Li conoscevo da prima che succedesse quello che è successo.» «Li conosce da prima che la sua amica andasse a casa loro nel Maine?» Esitai. «No.» «Quindi sono amici recenti.» «Diciamo di sì.» «Con che gente poco raccomandabile esce!» «A me non è sembrato che lo fossero.» «Dieci anni fa abbiamo beccato un paio di amici dì David Connelly. Noi e l'Antidroga. Stavano rientrando dalla Giamaica con una grossa barca strapiena di marijuana.» «E David cosa c'entra?» «Gli aveva prestato una parte dei soldi, circa seicentomila. Ha dichiarato che pensava servissero per comprare un bar. Magari era la verità, non abbiamo potuto provare il contrario, ma a quei tempi aveva senza dubbio la tendenza a collezionare amicizie discutibili.» «Adesso sta sempre con sua moglie e sua figlia» replicai. «Parla spesso di barche.»
La Sullivan alzò le spalle, poi guardò fuori dalla finestra. «Forse...» disse. «Le persone crescono. E a volte non crescono. Allora, secondo lei da chi si faceva sbattere Angel?» «Sbattere?» ironizzai. «In che scuola ha studiato le buone maniere?» «Va bene. A chi era legata in particolare?» «Non saprei, l'ho vista una sola volta.» «E chi, in quel gruppo di persone, sembrava interessato alle sue notevolissime competenze nell'inserimento dati?» Esitai di nuovo. «Lei a chi pensa?» le domandai. «Be', fra gli uomini? Direi Tim Dalton. Lei cosa ne dice?» «Sono diventato un informatore, o qualcosa del genere?» «Se vuole...» «Credo di poterla aiutare.» «Allora? Dalton?» «Le stava sempre addosso. Era imbarazzante. È sposato e ha quarant'anni.» «Per il novantanove per cento della popolazione maschile, la cosa non ha alcuna importanza» commentò la Sullivan. «Nessun altro sembrava interessato?» «Gli altri uomini eravamo io, Sandy e Connelly. Quindi direi di no.» «Le donne?» «Interessate ad Angel in quel senso? Non che io abbia notato. Kathleen Kind, dell'ufficio, la disprezzava. La scena era tutta di Tim e Angel.» «Litigavano, o qualcosa del genere?» «No, lui le teneva sempre una mano addosso. Lei stava al gioco, come se fosse stata consapevole di averlo al guinzaglio e di poterlo tenere legato o lasciarlo andare a suo piacimento.» «Crede che lei gli avrebbe potuto chiedere dì andare a fare un giro a piedi, quella sera o il giorno successivo?» «Credo che Angel fosse piuttosto sicura del potere che esercitava sugli uomini. Forse per lei era una novità, la consapevolezza di poter far cadere ai suoi piedi i ragazzi ricchi, ma se ne rendeva conto. Credo che fosse...» «Una giocatrice.» «Forse.» «Pensa che abbia scopato con Connelly?» «Non saprei. David non sembrava particolarmente interessato a lei da quel punto di vista. Invece Angel...»
Sopraggiunse uno sbirro di sorveglianza al Campidoglio, e rallentò accanto a noi. Vide la Sullivan e annuì, mi guardò incuriosito e procedette. «Stronzo d'un ficcanaso!» esclamò la Sullivan. «Non lo sopporto quando fa così. Allora, Connelly non sembrava interessato e invece lei sì?» «No, non era proprio così. Era come se lui cercasse di essere gentile, mentre lei aveva un atteggiamento quasi arrogante. David questo, David quello. Mi sembrava un tono presuntuoso. Il tipo è il grande capo e lei è all'altra estremità della catena alimentare, ma si comportava come se...» «Andassero a letto insieme?» «Come se avesse avuto dell'autorità su di lui.» «Ma andare a letto con lui le avrebbe dato quel potere» incalzò la Sullivan. «Però lui non si comportava affatto come se le cose fossero state così. La trattava come qualsiasi altra dipendente dell'ufficio.» «Ma c'era anche sua moglie! Non se la poteva mica portare sul cassero di poppa o chissà dove, con la moglie tra i piedi!» «No, ma si riesce a capire se c'è qualcosa tra le persone. Lei non crede?» domandai. «Immagino di sì» rispose la Sullivan. Sì sistemò la pistola a canna corta sul fianco destro. «Quindi, per riassumere, non sappiamo chi l'ha uccisa. Per il momento. Non sappiamo chi nasconde qualcosa e non vuole che lei ficchi il naso. Per il momento. Tra i sospettati, la famiglia Moretti è quella che ha maggiori probabilità di conoscere dei malviventi. Ma Connelly ha un certo potere e ha avuto a che fare con dei trafficanti di droga. Dalton, adesso che Angel è morta, non vorrà certo che il mondo sappia che scopava con una ventenne.» «Aveva vent'anni?» «Per la precisione, ne aveva ventuno. Ma la differenza di età resta la stessa. Allora, su chi scommetterebbe, lei, Jack?» «Per cosa? Per Mick o per l'omicidio?» «Per entrambi.» «Non saprei» risposi. «Dalton non mi piace perché non mi piacciono i bugiardi. Ma allora anche Kathleen Kind, quella dell'ufficio, in barca ha lanciato ad Angel un'occhiata che l'avrebbe potuta uccidere.» «Magari è stata respinta» ipotizzò la Sullivan. «Forse lei stessa si sarebbe fatta Connelly, forse lo teneva d'occhio da anni, e poi arriva ancheggiando questa ragazzina che, con le sue mediocri doti da dattilografa, se lo porta via.»
«Oppure potrebbe essere stato soltanto un maniaco qualunque che ha messo le mani addosso ad Angel sul ciglio della strada, nel Maine.» «Forse. L'ispettore Cade segue sempre quella pista, ma mi sembra poco plausibile. Trovo più realista pensare a qualcuno su cui Angel avesse affondato quei suoi piccoli artigli delicati. Qualcuno che lei stava in qualche modo spremendo, finendo per esagerare.» Prese un blocco e una penna dal cruscotto. Mi chiese i miei numeri e io glieli diedi, ma, mentre snocciolavo le cifre, pensavo ad Angel, a qualcosa che aveva detto e alla maniera in cui l'aveva detto. Continuava a ronzarmi in testa: non erano solo le parole, ma anche l'atteggiamento e quel tono di voce presuntuoso e petulante. "David, domani andiamo con l'Escape a Bar Harbor..." 26 Chiamai prima di arrivare. Quando accostai di fronte alla casa, il cancello si aprì scorrendo. Entrai: la BMW c'era ancora, ma la Suburban se n'era andata. Aveva smesso di piovigginare e Maeve era sul bordo del prato retrostante la casa, in piedi, dietro a un tavolo sul quale era fissato col nastro adesivo un cartone con la scritta: BIBITE A 10 CENTESIMI. Le lettere si erano stinte. Maeve cominciò a saltare. «Mamma, un cliente!» Maddie, in pantaloncini corti e a piedi nudi, sedeva all'ombra su una sedia a sdraio con un libro sulle ginocchia. Attraversai il selciato fino alla bancarella e mi frugai le tasche in cerca di spicci. Li rovesciai tutti in una tazza lunga e stretta che serviva da registratore di cassa. Maeve prese la tazza e sbirciò dentro. Indossava un pagliaccetto con le bretelline che le lasciavano le spalle e le braccia scoperte. Cercai di scorgere i lividi. Ce n'era uno sulla clavicola minuscola, ma stava sbiadendo, era rimasta una macchia a malapena visibile. «Costa solo dieci centesimi!» esclamò. «Ho molta sete» risposi. «Non ho così tanto punch!» «Comincerò con un bicchiere e poi vediamo come va.» «Va bene, Jack» acconsentì. «Jack e il fagiolo, come nella favola.» Ridacchiò. «È l'unico Jack che conosco, oltre a te.» «È uno dei miei preferiti» affermai io.
«Ha sconfitto il gigante!» dichiarò lei. «È per quello che mi piace. Mi piace quando i buoni sconfiggono i cattivi.» «Ti piace, vero, Jack?» intervenne Maddie. Maeve mi versò il punch in un bicchiere di carta. La bibita era rosa: l'assaggiai e aveva un blando sapore di succo di pompelmo. Ne aveva rovesciato un po', così corse a prendere un tovagliolo di carta. Io, intanto, raggiunsi Maddie e presi posto nella poltrona accanto alla sua. Lei si tolse gli occhiali e se li mise sulla testa. «È un tema ricorrente» disse. «A cosa ti riferisci?» «Ai tuoi servizi. Ho fatto una ricerca negli archivi del "Times". Scrivi sull'ingiustizia e, a volte, sulle persone che riparano le ingiustizie.» «Però non succede spesso, nella vita reale» commentai. «No, è vero, non succede spesso» confermò Maddie. «La vita è una roulette continua. C'è chi vince e c'è chi perde.» Guardai intorno alla casa, i terreni, il muro di cinta e l'abbondanza che proteggeva quella famiglia dalla maggior parte delle cose sgradevoli del mondo, come dentro a una luminosa bolla di sapone. «Ti consideri una vincitrice, Maddie?» le domandai, cercando i suoi occhi. Mi guardò, stupita da quella domanda. Esitò, e poi rispose: «Talvolta ho vinto, direi. Il problema è vincere in ciò che conta di più. Sei fortunato negli affari e sfortunato in amore? Ha un grande successo professionale, ma i tuoi figli sono incasinati? Le persone impazziscono per i tuoi libri, i tuoi film o qualcos'altro, ma tuo marito sta morendo di cancro?» «Oppure sei giovane e bella eppure qualcuno ti ammazza.» Maddie si voltò e mi dedicò una lunga occhiata. «Esattamente» confermò. Maeve uscì di casa seguita dalla signora Donovan, con i tovaglioli di carta tra le mani. «David e Roxanne sono andati a fare un giro in barca a vela» m'informò. «Quando lui ha sentito che Roxanne non saliva su una barca a vela da una decina d'anni, non c'è stato più nulla da fare. Sono andati alla darsena. Torneranno per mezzogiorno. Il funerale è fissato alle due.» «Giornata adatta!» constatai. «Per cosa?» domandò Maddie. «Per la vela o per il funerale?» «Per la vela.»
Alzò lo sguardo verso gli alberi. «Un brezza accettabile, a David non piace andare a vela a meno che non tiri un vento da burrasca.» «Roxanne si divertirà» affermai. «Ha lavorato troppo e troppo intensamente.» «Per la sua infinita crociata, eh? Siete molto simili, voi due. Capisco perché state insieme.» «È uno dei motivi» specificai, e Maddie mi guardò e sorrise. «Vi siete conosciuti a New York?» «Nel Maine, poco dopo il mio trasferimento.» «Un incontro deciso dal cielo?» «Qualcosa del genere.» «Che bella cosa!» esclamò Maddie. «Sai, ho veramente visto quel motivo ricorrente nei tuoi servizi. E quest'articolo su Angel è perfetto per te. La fanciulla viene assassinata e il cavaliere non avrà pace finché il malfattore non sarà consegnato alla giustizia.» «Non credo che le persone debbano farla franca in casi del genere.» «Nemmeno io. Penso a quella ragazza, agli ultimi momenti di vita segnati dall'orrore. È importante che trovino il colpevole e lo rinchiudano per sempre.» Maeve e la signora Donovan avevano finito di asciugare la bibita versata. La Donovan rientrò e Maeve riprese posto dietro al tavolo. «Quindi lavori al tuo pezzo e niente ti potrà fermare» concluse Maddie. «Due tipi hanno cercato d'impedirmelo, stamattina» dissi. «Davvero?» chiese Maddie. «Com'è andata? Glielo raccontai.» «Dio Santo!» esclamò. «Chi potrebbe fare una cosa del genere? Intendo dire, ti fa soltanto venire ancora più voglia di scrivere l'articolo.» «Hai ragione.» «Be', dev'essere stato l'assassino. Chi altri potrebbe avere interesse a impedirti di scriverlo? Chiunque l'abbia ammazzata teme che tu trovi qualcosa che possa rivelare la sua identità. Il che significa quindi che non è stato un pazzo nel Maine. Se fosse stata una vittima casuale, allora il fatto che tu scriva su Angel non avrebbe nessun legame con l'assassino. A meno che tu non scrivessi sui bar che frequentava o sui locali in cui andava a pranzare.» «Verissimo!» «Allora non è una vittima casuale» concluse Maddie. «Sai, speravo di sì. Cioè, se fosse in qualche modo collegato al suo lavoro alla fondazione, o alle persone che ha conosciuto tramite noi... Dio mio! Alle feste di benefi-
cenza era come il pifferaio magico, con tutti quegli uomini che le correvano dietro! L'hai vista anche tu: immaginatela con i capelli tirati su e in abito da cocktail. Erano come farfalle attirate dalla luce!» «E ha vinto Dalton?» «Non credo che abbia vinto qualcuno in particolare. Credo che le piacesse semplicemente farsi correre dietro.» «Ma Dalton era il più accanito.» «Non saprei. Così sembrava. Be', c'eri anche tu lo scorso fine settimana.» «È quello che pensa la polizia.» «Sospettano seriamente di Tim? Oh, Gesù! Questo non farà certo bene alla Sky Blue.» «Mi pare che sia una cosa che sfugge al vostro controllo.» «Lo so, però...» Restammo in silenzio. Maeve continuava a muoversi senza tregua dietro il banco della limonata. «Naturalmente, la fondazione non crollerebbe» rifletté Maddie, quasi fra sé e sé. «La nostra attività continuerebbe. Noi non siamo responsabili della vita privata delle persone.» «A meno che la famiglia non decida di farvi causa, sostenendo che non l'avete difesa contro le molestie sessuali o qualcosa del genere. Solo per il cognome "Connelly"...» Maeve sopraggiunse saltellando e balzò in grembo a sua madre. Maddie l'avvolse tra le braccia come per proteggerla, poi la strinse forte e la bimba l'abbracciò a sua volta. Quando Maddie si girò per baciarla sulla guancia, notai che aveva gli occhi pieni di lacrime. Si calò gli occhiali scuri sul viso e strinse Maeve in un altro abbraccio. «Oh, no!» esclamò Maeve, guardando verso il tavolo, dove una vespa volteggiava sulla caraffa del punch. Si liberò contorcendosi e corse a cacciarla via. «Allora, Maddie» ripresi. «Mi sembri divertita dal fatto che io vada a caccia di storie del genere.» «No, anzi, credo che tu faccia un ottimo lavoro.» «Allora di che cosa si tratta?» «Be', nulla. Si tratta della necessità di fare giustizia e d'impedire che qualcuno la faccia franca. A volte mi viene da pensare che sia possibile passarla liscia dopo aver commesso qualcosa di terribile, e continuare a vivere come se niente fosse. Per alcune persone forse è possibile: per dei so-
ciopatici incalliti. Ma la maggior parte della gente continuerebbe a portare quel peso per il resto della vita.» «Vuoi dire sulla coscienza?» chiesi. «Con ogni singola cellula del proprio essere» rispose Maddie. «Incombe come una nube nera che nessun altro riesce a vedere. Ma la persona interessata la vede ed essa trasforma qualsiasi cosa faccia quella persona, anche la cosa più normale, in una farsa. Come se si trascorresse tutta la vita a interpretare il ruolo di qualcun altro.» «Immagino di sì» confermai dolcemente. La guardai incuriosito: era diversa da come l'avevo immaginata e si rivelava, un foglio dopo l'altro, come le pagine di un libro. «Sono sicura che, alla fine, per molte di queste persone la cosa migliore sia essere scoperte» aggiunse Maddie. «Ci hai pensato su parecchio» commentai io. Si girò verso di me e s'illuminò, mi dedicò una versione di quel sorriso che probabilmente aveva conquistato il cuore di David Connelly: delizioso, incantevole e con un tocco di malizia. «Eh, sì» replicò Maddie. «Penso a tante cose. David me lo dice sempre. Mi dice: "Maddie, è incredibile la quantità di roba che ti passa per la testa!".» Si aprì il cancello e il muso della Suburban fece capolino. «Mamma!» gridò Maeve dal tavolo. «Arrivano clienti!» Maddie sorrise e si alzò dalla sedia, tutti i pensieri che le passavano per la testa blindati per un altro giorno. 27 Il cadavere non era stato esposto, quindi il funerale fu l'unica apparizione in pubblico di Angel. Andammo nel North End con due auto separate: David e Maddie presero la BMW. David continuava a fermarsi per non lasciarci indietro. Durante il viaggio, ragguagliai Roxanne e lei mi raccontò del tempo trascorso con i Connelly. «È stato divertente» commentò Roxanne, mentre li seguivamo lungo Washington Street. «Sai, David è proprio un tipo simpatico, è dotato di un lato dolce, paziente e gentile.» «La Sullivan continua a considerarlo uno degli indiziati» aggiunsi io. «È una brava persona» replicò Roxanne. «Ci scommetterei il lavoro.» «Roxanne» le dissi «credo che il lavoro ce lo siamo già scommesso tutti
e due.» La messa era al Sacro Cuore, una chiesa in mattoni senza campanile in North Square. Era evidente che il legame con i Connelly fosse di pubblico dominio, poiché c'erano tre troupe televisive e gli inviati di almeno due testate che sostavano davanti alla chiesa, nel momento in cui svoltammo L'angolo con il resto dei parenti e degli amici. Si potevano distinguere i familiari perché erano quelli che mandavano all'inferno i giornalisti. Georgie, il fratello di Angel, uscì dalla chiesa e diede uno spintone a un operatore televisivo. Mentre il cameraman inciampava, continuando a girare, il cronista che lo accompagnava riconobbe Maddie e David e l'assembramento di giornalisti e telecamere confluì su di noi. Io mi feci subito da parte per non essere visto. Roxanne si trovava con Maddie e David nel momento in cui le telecamere cominciarono a girare, e gli inviati dei giornali a sparare domande a raffica. Una telecronista giovane e truccata, con i capelli pieni di lacca, divincolandosi, riuscì ad avvicinarsi a David e gli domandò: «Signor Connelly, perché si trova qui oggi?» «Non abbiamo nessuna dichiarazione da rilasciare» rispose Maddie. «Signor Connelly» incalzò la donna, trattenendo David per la manica della giacca sportiva. «Angel Moretti era stata ospite nella sua residenza estiva nel Maine, prima che fosse rinvenuto il suo cadavere. Si sente in qualche modo responsabile della sua morte?» «La prego, ci scusi» rispose David, sorridendo pazientemente. «Dobbiamo entrare.» La giornalista ci riprovò, sbattendo il microfono in faccia a Maddie. «Signora Connelly, conosceva bene la signorina Moretti? Era anche lei nel Maine, quando suo marito ha ospitato la signorina Moretti?» «Gliel'ha già detto» rispose Roxanne. «Nessuna dichiarazione.» Spinse da parte il microfono, dopodiché ci fu un movimento frenetico proveniente dal portone della chiesa. Due uomini alti e robusti, in abito scuro, si fecero strada tra la folla e si piazzarono di fronte alle telecamere, dichiarando che alla stampa non era consentito l'accesso in chiesa. «Chi era quella donna?» domandò la telecronista all'operatore. «È una Connelly? L'hai ripresa?» Attesi fuori con la stampa e alcuni turisti curiosi. Una volta che tutti furono entrati, uno dei due uomini in giacca e cravatta assunse la posa da sentinella di fronte al portone, con le braccia incrociate sul torace ampio. Un organo cominciò a suonare e io mi feci un giro alla ricerca di qual-
cuno che mi sapesse dire qualcosa sulla ragazza che giaceva senza vita in una bara dinanzi la chiesa. Ecco cosa rastrellai nel giro di una mezz'ora. Un prete in pensione che conosceva i Moretti e che sosteneva di ricordare di aver battezzato Angel vent'anni prima. "Che bella bambina!" ricordò, in piedi sulla porta posteriore della canonica attigua alla chiesa. "Sa, il diavolo al giorno d'oggi, nel mondo, è più forte e attivo che mai." Una donna delle pulizie che conosceva la nonna di Angel mi rivelò che era distrutta. "Prego per tutta la famiglia" dichiarò la signora, all'angolo, in attesa dell'autobus. "In questi giorni non si può far altro che pregare." Non era granché, ma anche questi frammenti minimi contribuivano ad approfondire. Mentre stavo in piedi sul marciapiede, dietro la chiesa, mi compilai un elenco mentale: Roxanne mi poteva raccontare qualcosa dello scenario dentro la chiesa. Io avevo già gli sbirri, David Connelly, e anche il padre di Angel. In quel momento, Monica, vestita con un corto abito nero, uscì dalla porta laterale della chiesa, cercando di pescare il pacchetto di sigarette da dentro la borsa. Mi avvicinai e lei mi vide mentre buttava fuori la prima boccata. «Ciao, Monica» la salutai. «Ehilà» rispose lei. Aveva gli occhi arrossati, tirò su col naso e se lo strofinò col dorso della mano. «Come stanno tutti gli altri?» Alzò le spalle. «Malissimo. La mamma di Angel è una fontana, piange anche il padre, ma silenziosamente. Georgie ha cercato di leggere una delle letture, ma non è riuscito a spiccicare parola e una signora della chiesa ha dovuto finire per lui.» «Dev'essere dura!» «È un momento davvero terribile!» rincarò Monica. «Dio mio! Avrei bisogno di bere qualcosa, devo distrarmi da tutta questa situazione.» «C'è un posto qua vicino?» Mi guardò. «Un bicchiere di vino veloce?» mi propose. «Certo!» risposi. Raggiungemmo la piazza a piedi e prendemmo Hanover Street. All'angolo c'era un ristorante con il bar nella parte anteriore. Entrammo, Monica posò la borsa sul banco e ci sedemmo. Estrasse un'altra sigaretta e fece per
accenderla quando vide il divieto di fumare. Lasciò cadere la sigaretta sul banco. Il barista, un ragazzo di bell'aspetto con due orecchini ad anello, chiese: «Ehi, Monica, come sta andando il funerale?» «Uno strazio» rispose lei. «Avrei voluto venire, ma non posso lasciare il lavoro» aggiunse lui. «Non c'è problema» fece lei. «È venuta un sacco di gente.» Ordinò un vino bianco. Io chiesi una Budweiser. C'era un tipo all'altro capo del banco, che guardò attentamente Monica mentre si appollaiava sullo sgabello. Il tipo si accorse che l'osservavo e distolse lo sguardo. Quando ci servirono da bere, Monica ingollò metà bicchiere in un'unica lunga sorsata, chiuse gli occhi e sospirò. «Immagino che sia difficile per te» commentai. «Non mi era mai successo niente del genere. Non so se mi spiego» chiarì lei. «Mi è morta la nonna, ma questa è un'altra cosa: il giorno prima parlo con lei, e il giorno dopo è sepolta in una maledetta buca nel Maine.» «Le volevi molto bene, vero?» «Lei aveva dei fratelli; io non avevo nessuno. Mia madre ha avuto un parto molto difficile e si è fatta legare le tube.» «Ah!» esclamai io. «Quindi eravamo come sorelle, capisci? Quando avevamo otto anni, e anche a dodici e a quindici, era come se fosse stata mia sorella oltre che amica, con la differenza che non litigavamo come fanno le sorelle. Parlavamo e basta, anche quando i ragazzi cominciarono a ronzare tutti intorno a lei, tornava sempre da me per parlarne.» Cominciò a piangere, prese il tovagliolino che aveva sotto il bicchiere e si tamponò gli occhi. «Anche adesso?» «Adesso cosa?» «Intendevo dire recentemente. Parlavate ancora?» «Sì. Cioè, parlavamo di cose che riguardavano lei, non me. Io non avevo uno di quei tipi pieni di soldi che mi voleva sposare, capisci cosa ti voglio dire? Sono del North End, non sono bella. Magari mi sposo, e mi trasferisco poco lontano, se sono fortunata. Sono messa così.» «E Angel?» «Bella com'era, aveva delle possibilità. Forse un tipo zeppo di grana avrebbe deciso di sposarla e si sarebbero trasferiti in Francia o chissà dove. Poteva finire come quella Maddie Connelly, sposata con un bel mucchio di soldi, a cazzeggiare in una delle sue case enormi e ad andarsene in giro sul
suo yacht. Sapevi che non era ricca neanche un po', prima di accalappiare David?» «Questo lo sapevo.» «I genitori erano insegnanti, mi pare. Ma lei era bella e sveglia. Lo è ancora. Lei sì che è riuscita a fare il grande salto. Anche Angel era sveglia, ce l'avrebbe potuta fare.» «In che senso era sveglia?» «In diversi sensi. Era veloce: io alle cose ci devo pensare, lei ci arrivava subito. Anche nelle questioni di soldi. Per via del posto in cui lavoravamo, si documentava sulle possibilità d'investimento, sulle questioni fiscali e tutte quelle altre robe pallose. Mi diceva cose del tipo: "Sai che ci sono dei posti in cui si possono mettere i soldi in banca e lo Stato non li può trovare?". Le isole Cayman e altri posti del genere. Quella volta le risposi che se fossi andata su un'isola, ci sarei andata per le spiagge, non per le banche. E poi a lei cosa gliene fregava di quelle stronzate? "Non si sa mai" mi disse. E io: "Sei stata troppo tempo in mezzo a quei ricchi bastardi". Lei precisò che anche quelli che si pensava non fossero ricchi avevano dei soldi. Credo che volesse dire che aveva una possibilità anche lei. Non avevi bisogno di essere un fottuto Connelly o chi sa chi.» «Come chi?» le domandai io. «Non so. Il signor Dalton, per esempio. Lavorava solo per i Connelly, eppure sua figlia aveva tipo... il cavallo e tutte quelle altre stronzate. O la signora Kind. Lei era soltanto, come dire, una specie di ragioniera, eppure Angel aveva trovato il suo passaporto mentre stava lavorando a qualche progetto nell'ufficio della Kind... Angel sapeva essere una gran ficcanaso! In ogni caso, mi raccontò che la Kind andava dappertutto. Andava in posti come le Isole Vergini Britanniche per un paio di giorni, poi tornava a casa. "Le Isole Vergini Britanniche..." disse Angel, come se avesse capito di cosa si trattava. Io le dissi: "Vorrà dire che le Isole Vergini Americane non sono abbastanza belle per quella stronza snob".» «È un viaggio breve» commentai io. «Devono essere belle» aggiunse Monica. «Feci ad Angel: "Perché non ci andiamo a godere la vita anche noi?". E lei: "Dai, andiamo". Saremmo dovute andare nell'isola di Grand Cayman, fra tre settimane, io e lei. Mi ero comprata il costume nuovo.» Monica sembrò sul punto di piangere ancora, ma sì trattenne. Sorseggiai la birra. «Quindi lei andava alla grande alla fondazione.»
«Non so, immagino di sì. Aveva un lavoro migliore del mio. Tutti sono maledettamente ricchi in quel posto. Aveva sempre denaro a sufficienza. Lo teneva nel porcellino.» Sorrise e bevve dell'altro vino. «Teneva i soldi in un salvadanaio?» «No, il porcellino era la sua cassetta in banca.» «Aveva una cassetta di sicurezza in banca?» «Sì. Le faccio: "Angel, e se la banca va a fuoco? Se un aereo ci si schianta dentro come l'undici settembre?". E lei mi fa: "Sì, Monica. E se un asteroide colpisce Boston?". Era spiritosa.» «E quindi, cosa faceva? Incassava l'assegno tutte le settimane e metteva i soldi in una cassetta di sicurezza?» «Non so. Non mi raccontava tutto. Sapeva che non m'interessava starmene seduta a parlare di soldi. Mi piaceva parlare di ragazzi o di vestiti. Certo che aveva veramente dei bei vestiti! Siamo andate a New York, un mese fa o giù di lì, e si è data alle spese folli.» «Come pagava? Con la carta di credito?» «No, in contanti. Ne aveva un fiume. E mi raccontò anche che aveva dei gioielli; teneva pure quelli nella cassetta di sicurezza. Sua madre, ieri, sai cosa m'ha detto? Mi ha chiesto se volevo un po' della roba di Angel. Io le faccio: "Gesù, grazie mille, ma preferisco di no". Sarebbe macabro portare i vestiti di un'amica morta.» Rabbrividì. Ingurgitò quello che rimaneva del vino lasciando una traccia di rossetto sul bicchiere vuoto. Raccolse la sigaretta e scivolò giù dallo sgabello. «Monica» le chiesi. «Angel aveva davvero molti soldi?» «Devo tornare» rispose, come se io non avessi parlato. «Ci sono i miei.» Sgattaiolò fuori dalla porta. Mi fermai a pagare il conto, uscii da quel locale freddo e fui avvolto dalla cortina afosa dell'aria estiva. Girai e mi diressi su per la strada, ma Monica era scomparsa da un pezzo. Si sentì suonare un clacson e volsi lo sguardo. La Cadillac. Si avvicinò e rallentò, il finestrino del passeggero sì abbassò, io mi fermai e Mick, sporgendosi di traverso rispetto a Vincent, mi apostrofò ad alta voce: «Ehi, McMorrow! Bella la tua signora! Se fossi in te non la lascerei sola, non da queste parti. Nemmeno nel Maine. Hai capito l'antifona? Scrivi su una ragazza morta e potresti finire per ritrovartene due.» Il finestrino si richiuse ronzando e l'auto si allontanò lentamente. Mi av-
viai verso la chiesa, accelerando il passo. Il carro funebre sostava davanti all'edificio, stavano caricando il feretro sul retro. Le telecamere entrarono in funzione mentre venivano chiusi gli sportelli e i parenti si riversavano fuori dalla chiesa, le donne si asciugavano gli occhi e gli uomini le sorreggevano. I guardiani della chiesa si aprirono la strada tra la folla, i familiari si accalcarono dentro tre limousine e il corteo si allontanò. Cercai Roxanne tra la folla e alla fine lei uscì dalla chiesa con David e Maddie. Le telecamere puntarono subito su di loro e i giornalisti cominciarono a chiamarli mentre si avviavano lungo il marciapiede, David con il braccio attorno alle spalle di Maddie, Roxanne accanto a lei. David ribadì: «Nessuna dichiarazione.» E continuò a camminare. Io superai la stampa e li raggiunsi all'angolo, dopo la chiesa. Toccai Roxanne sulla spalla e lei ebbe un sussulto. La presi per il braccio e le domandai com'era andata in chiesa. Mi disse che era stato molto penoso, che i genitori erano a pezzi e tutta la famiglia non aveva fatto altro che piangere e singhiozzare. «È stato molto difficile» aggiunse Maddie, strofinandosi un dito sugli zigomi per controllare il trucco. David scosse la testa, in silenzio. Svoltammo l'angolo della piazza e ci dirigemmo verso il parcheggio. Continuai a tenere il braccio di Roxanne e lei afferrò il mio, stringendoselo al fianco. Non sembrava esserci una maniera semplice per dirlo, così sputai fuori l'osso senza pensarci su. «Sono venuti quei tipi. Mi si sono avvicinati in macchina mentre ero nel quartiere a parlare con Monica. Mick mi ha detto di stare attento a scrivere su una ragazza morta perché potrei ritrovarmene due, di cadaveri.» David, Maddie e Roxanne sì fermarono. «Mi ha detto che ho una bella fidanzata.» «Chiama la polizia» mi esortò David. «Non lo può fare.» «No, non può, Jack» ripeté Maddie. «È un reato minacciare la gente.» «Ma si tratta della sua parola contro la mia» risposi io. Roxanne rimase in silenzio. Vidi che portava la mano libera sul grembo. «Io chiamerei lo stesso la polizia» dichiarò David. «Vuoi che faccia qualche telefonata? Mio zio sta in Florida, ma può mettersi al telefono per smuovere le acque. Conosce benissimo il capo della polizia.» «Non occorre, lo dirò all'ispettore Sullivan. Lei conosce questo Mick. Può parlarci lei.» «Parlarci?» si stupì Maddie. «Io non gli parlerei, lo metterei sotto chia-
ve. Non si può passarla liscia così.» Avevamo ripreso a camminare in mezzo ad altri che, come noi, ritornavano dal funerale. Roxanne tacque per un po', poi fece: «Ho preso degli appunti.» La guardai, sorrisi tenendola sempre stretta. 28 Chiamai la Sullivan dalla cucina dei Connelly e lasciai un messaggio, poi uscii sulla terrazza in pietra portandomi il telefono in attesa che mi richiamasse. Mi sedetti all'ombra e alzai lo sguardo al cielo. Un avvoltoio dal collo rosso volteggiava in alto e mi chiesi se avrebbe trovato qualche carogna in città. Pensai ad Angel sotto terra e a quanto ci avrebbero messo gli avvoltoi e i corvi a trovarla, dopo che i coyote l'avevano dissotterrata. Non molto. La Sullivan mi richiamò e io le parlai di Mick e di quanto mi aveva detto. Lei rispose che probabilmente per il momento erano solo parole, ma che a quel punto sarebbe stato meglio portarlo dentro e fargli fiutare seriamente l'odore della gattabuia. Disse che l'aveva cercato al funerale, ma non l'aveva visto. «C'era anche lei?» chiesi. «Sì» rispose. «L'ho vista andare via. Cos'è riuscito a farsi raccontare da Monica Vitale?» Le riferii tutto quello che aveva raccontato Monica sul fatto che Angel possedeva dei soldi: i vestiti, i viaggi e la cassetta di sicurezza. «Sapeva già tutto?» le chiesi. «Sono cose che pubblicherà?» mi domandò lei a sua volta. «Sì. Sa, devo cavarci fuori un servizio.» «Egan non le ha fatto prendere paura?» «Torniamo nel Maine!» replicai. «Se viene fin lassù, giocherà in casa mia e non l'aspetterò da solo!» «A titolo informativo, la sua fidanzata si sente tranquilla?» «Sì» risposi. «Vuole che l'omicida venga catturato.» «Pensavo che fosse compito mio, Jack» precisò la Sullivan. «Io mantengo viva l'attenzione del pubblico» replicai. «Io non smetto di fare domande perché qualcuno me lo vuole impedire. Io continuo a spazzare via la polvere da sotto i tappeti e poi arriva lei e si prende tutto il merito.»
«Si sente in gamba, Jack, vero?» «Se lo dice lei» risposi. «Allora, state seguendo la pista dei soldi, o no?» «Non posso dirle niente che rischi di compromettere le indagini.» «Via, ne so già un bel po'.» «Scriva quello che sa, McMorrow» tagliò corto la Sullivan. «Ma mi lasci fuori da tutto.» «La domanda è: una persona come Angel da dove prendeva tutto quel denaro?» «Per quella gente, il denaro cresce sugli alberi» rispose lei. «Si guardi attorno, McMorrow...» «Cosa intende dire? Mi state pedinando?» «Non lei» rispose, e riattaccò. Mentre riattaccavo anch'io, David uscì di casa portando un vassoio da tè con tre tazze dai bordi alti, due grandi e una piccola, e un piatto di biscotti. Posò il vassoio, Maeve balzò fuori di casa, prese la tazza più piccola e un biscotto, poi trotterellò fino all'altalena. Ringraziai David, presi il tè e lo sorseggiai. Guardò in cielo ed esclamò: «Ehi, un avvoltoio!» «L'ho visto» risposi io. «Sai che ne ho visti tre sul bordo della strada, a Weston, l'altro giorno? Mangiavano un cervo che era stato investito. Sembrava di essere tornati ai tempi del selvaggio West.» «A volte si ha quell'impressione» confermai. «Quanto vi fermate a Boston?» «Quel che basta per scrivere l'articolo. Fra poco vado in ufficio.» «Noi partiamo, ma tu e Roxanne potete rimanere.» «No, dai, non mi sembra il caso.» «Per favore, restate. C'è la signora Donovan, vi tratterà come principi, vi farà da mamma, vi aspetterà alzata la sera.» «Grazie» dissi. Bevvi un altro sorso di tè. «David... Posso farti una domanda? Per l'articolo.» «Certo!» Appoggiò la tazza, mi guardò e attese. «Angel guadagnava molto alla fondazione?» «Angel? No, cioè, di sicuro le pagavamo lo stipendio corrente e anche un po' di più. Crediamo fermamente che occorra avere un salario che permetta di vivere dignitosamente, il che non è poco, a Boston. Gli alloggi costano una follia.»
«Prendeva abbastanza da comprarsi i biglietti per Grand Cayman? La crociera per i genitori? Guadagnava tanto da permettersi di spendere e spandere nei negozi di New York? Per non parlare del fatto che custodiva anche dei contanti nella cassetta di sicurezza. E poi quella macchina...» David rimase in silenzio, portò la tazza alla bocca, accostò le labbra al tè e la riabbassò. «Lo so dove vuoi andare a parare.» «Dalton» tagliai corto io. «Non so. Be', non ha una quantità illimitata di soldi. Se ha un lavoro, c'è un motivo. E poi c'è sua moglie: lei si accorgerebbe subito se lui prosciugasse il conto corrente.» «Però non si è accorta di Angeli» commentai. «L'ho conosciuta» spiegò David, prendendo un biscotto. «Diciamo che probabilmente sta più attenta ai conti che a Tim. E questo non scriverlo nell'articolo, ma io credo veramente che entrambi abbiano delle cosiddette attività extraconiugali. Alcuni matrimoni evolvono in questo modo.» «Non avrebbe potuto dare ad Angel qualche migliaio di dollari?» «Immagino di sì, ma non riesco neppure a pensare a un'eventualità del genere. Perché avrebbe dovuto fare una cosa del genere?» «Se Angel fosse stata la sua amante...» «Non so, Jack. Forse hanno avuto solo un'avventuretta. Quanti soldi pensi che avesse Angel?» «Non saprei. Credo che ne avesse più di quanto lasciasse intendere. Aveva parlato a Monica di banche estere in cui si potevano occultare fondi allo Stato. Diceva che erano informazioni che aveva imparato in ufficio.» David sorrise e scosse la testa. «Probabilmente erano solo fantasie, Jack. In ufficio la vedevo leggere giornali come "Forbes" o "Fortune". Le questioni di soldi sul lavoro erano una novità per lei, all'inizio può essere qualcosa di molto attraente.» Non ne ero convinto, ma non commentai. «Quanto al fatto che la pagassimo bene, penso di sì. E forse, vivendo a casa con i suoi, che probabilmente la coccolavano il più possibile... Facciamo che si portava a casa, che ne so, cinquecento dollari la settimana; si sarà sentita piena di soldi, si sarà fatta qualche carta di credito, sulla quale addebitare i viaggi e i vestiti. Forse fingeva di possedere più soldi di quanti ne avesse.» «Una cassetta di sicurezza piena di contanti?» «Era il suo modo di metterli sotto il materasso. Era davvero ingenua, per
molti aspetti. Forse le piaceva scendere ad aprirla per affondare le mani tra le banconote da un dollaro.» «Non vuoi credere al peggio a proposito di Angel, vero?» gli chiesi. «No» rispose lui. «Cerco sempre di pensare che la gente sia onesta, a meno che non si dimostri il contrario.» «Ti capiterà di rimanere scottato, ogni tanto.» «Ehi!» esclamò, allungandosi per prendere un altro biscotto. «Preferisco scottarmi di quando in quando, piuttosto che passare la vita a essere diffidente e cinico.» «Credi che sia stata uccisa da qualcuno che conosceva?» David si fermò e deglutì. «Non voglio pensare neanche questo» rispose. Mi diede una pacca sulla spalla e chiuse la discussione, poi chiamò Maeve e le annunciò che dovevano prepararsi a partire. «È per questo che abbiamo bisogno di uscire in mare di nuovo, Jack» spiegò lui. «Ci allontaniamo da tutta questa tristezza, tutti e quattro. Ci prendiamo una settimana, andiamo in Canada in barca. Sei mai stato a Campobello?» «Escape, la fuga» commentai. «È il nome appropriato.» «Sì, proprio così» confermò David. «Anche se a volte ci sono cose da cui non si può scappare» precisai io. «Si può guardare altrove, ma quando lo sguardo torna dov'era, quelle cose sono ancora lì, davanti a noi.» Gli occhi gli si offuscarono ed emise un breve sospiro, poi si riprese, come se avesse respinto un malessere: la mente che dominava la materia. «Ma non ci si può crogiolare nella tristezza per tutto il tempo. Soprattutto riguardo a ciò che sfugge al nostro controllo. Le cose succedono, sai? E appartengono al passato.» «Non ancora» precisai. Mi guardò, poi mi batté sulla spalla e rientrò in casa. Stavo imparando che quello era il suo modo di essere. Se si trovava di fronte a qualcosa di spiacevole, sorrideva e se ne andava. Rimasi seduto al tavolo del terrazzo, scrivendo tutto quello che ricordavo del mio colloquio con Monica. Scribacchiavo da una quindicina di minuti quando uscì di casa Roxanne. Le comunicai che sarei andato in ufficio per scrivere l'articolo, se per lei andava bene. Lei rispose che andava bene, naturalmente, ma poi aggiunse che aveva un paio di cose da raccontarmi. Si accovacciò accanto a me, appoggiandomi una mano sulla gamba. «Maddie è davvero molto agitata» sussurrò Roxanne. «Sono passata da-
vanti alla loro stanza da letto, mentre scendevo, e l'ho sentita piangere.» «Piangeva davvero?» «Sì, singhiozzava. E David le diceva che non era niente.» «Forse conosceva Angel meglio di quanto non pensiamo.» «Ma lui le diceva: "Andrà tutto bene. Andrà tutto a posto". Come se ci fosse qualcosa da sistemare. Com'è possibile rimediare al fatto che Angel è stata assassinata?» «Prendendo il colpevole, direi» risposi io. «Forse ha paura. Ha paura che tocchi a qualcun altro, e lei fa parte della ristretta cerchia di persone che conoscevano Angel.» «Forse» dubitò Roxanne. «E forse le è crollato tutto addosso troppo all'improvviso» continuai io. «Angel, il funerale, quello che è successo a Maeve. Pure quello dev'essere stato stressante, anche se si è risolto.» «L'altra cosa che ti volevo dire riguarda proprio la storia dei maltrattamenti.» «Come?» «Ho appena controllato i messaggi. Ha chiamato Devlin.» «Dall'Irlanda?» «No, Jack, dal Maine. Ha detto che non se n'è mai andata, che non ha mai lasciato il Maine.» 29 Roxanne mi riferì di aver controllato al centralino il numero di Devlin: era un numero di Castelton, un gruppo di case all'incrocio di due strade a circa dieci miglia da Blue Harbor. Quando Roxanne aveva telefonato, le aveva risposto una segreteria il cui messaggio informava che Gary non era in casa. Roxanne si chiedeva cosa ne avesse fatto Devlin del biglietto d'aereo per l'Irlanda, e io le suggerii che probabilmente l'aveva rivenduto per un centinaio di dollari. Perché non era tornata a casa? Forse per lo stesso motivo per cui se n'era andata. Ne stavamo parlando, quando David e Maddie uscirono di nuovo con Maeve, portando un paio di borse da viaggio e una valigia. Maddie dava l'impressione di essersi truccata per cercare di nascondere gli occhi gonfi e arrossati. David disse che erano diretti nel Maine, che la signora Donovan sarebbe stata lieta di prepararci la cena e di non esitare a chiederle qualsiasi cosa di
cui avessimo bisogno. Non era un disturbo, per lei. Mi invitò a usare la BMW, se mi serviva un'auto e non volevo lasciare Roxanne a piedi. Le chiavi erano nel primo cassetto in alto della cucina. Lo ringraziai. Ebbi l'impressione che Roxanne si stesse chiedendo se le conveniva informarli riguardo a Devlin, ma poi ci fu tutto un fermento di strette di mano e di abbracci e di "chiamateci subito non appena arrivate nel Maine", infine David portò i bagagli in macchina. Maeve si arrampicò sul sedile posteriore e si allacciò la cintura, Maddie ci salutò con la mano e salì sul sedile anteriore. Il cancello scorrevole si aprì e uscirono in Marlborough Street, come soldati di pattuglia che lasciavano il forte. «Pensi che dovremmo restare?» chiesi. «Siamo rimasti fino a ora» rispose Roxanne. «Ma con Devlin ancora nel Maine, il caso non è forse più aperto di prima?» «Non lo so» disse. «Preferisco pensare che sia più vicino alla conclusione.» «Sì» confermai io. «L'alternativa sarebbe...» «Inquietante. Significherebbe che non sono affatto capace di giudicare il carattere delle persone.» «Questo non è vero.» «Ma cosa c'è sotto tutta questa faccenda, Jack?» m'interrogò Roxanne. «Più di quanto ne sappiamo noi, credo.» «Ma non sono sicura che nemmeno David e Maddie ne sappiano di più.» «Sembrano proprio degli agnellini.» «Circondati dai lupi?» «No, direi piuttosto dai cani che rubano il cibo dalla tavola.» «È il tuo argomento, questo, no?» commentò Roxanne. «È il pezzo che desidero scrivere.» «In un certo senso racconterebbe la storia che io stessa spero sia vera: che David, Maddie e Maeve sono tutte vittime, a modo loro.» «Allora dobbiamo verificare se è reale, questa storia» conclusi io. La signora Donovan ci preparò una cena deliziosa: salmone alla griglia con fagiolini e patate arrosto, serviti sul grande tavolo della cucina e conditi dalla radiocronaca della partita dei Red Sox. La signora Donovan si sedette con noi a chiacchierare, senza abbassare la guardia, data la sua fedeltà granitica verso la famiglia. Ci raccontò che lavorava per i Connelly da
quasi quarant'anni, che dei tre fratelli, Patrick Jr che viveva ad Aspen e Michael che abitava a Londra, David era quello più allegro, e che era sempre disposto a spendere una buona parola, Maddie era un tesoro e Maeve aveva preso da entrambi, allegra come il padre, ma con un tratto più taciturno, come la madre. Le chiesi se era stato difficile per Maddie entrare nella famiglia Connelly e lei rispose di no, che non lo era stato, ma non approfondì. Roxanne le domandò dove si erano conosciuti David e Maddie ma la signora Donovan disse che non lo sapeva con precisione; quindi ci chiese se avevamo voglia di un tè o di un caffè. Fine della conversazione. Dopo cena, tentammo di dare una mano in cucina, ma la signora Donovan ci scacciò. Allora andammo di sopra, e Roxanne si fermò lungo il tragitto per sbirciare dentro le stanze. Dalla camera degli ospiti tentò di contattare il numero di Devlin, ma le rispose la stessa segreteria, quindi lasciò un altro messaggio. Io telefonai al servizio elenco abbonati per farmi dare il numero di Dalton. T.A. Dalton III era registrato come residente in Pride Crossing, una città del North Shore, abitata da gente ricca da generazioni. Telefonai e mi rispose un'adolescente che sembrò delusa dal fatto che fossi soltanto io a chiamare. Disse che il padre era in ufficio, io la ringraziai e mi feci dare il numero della Sky Blue Foundation dall'operatore. Chiamai e mi rispose una segreteria, la quale m'informò sugli orari d'ufficio; così telefonai a David, che era ancora in macchina. Gli chiesi il numero diretto di Dalton ma lui mi rispose che non lo sapeva. Gli domandai se lo conosceva Maddie, e lui coprì il ricevitore per un minuto buono. Poi si rifece vivo. Mi diede il numero, ma sembrava distratto. «Tutto bene?» chiesi. «C'è un traffico infernale» rispose. «E per di più è sabato sera, sembra che mezzo mondo stia andando nel Maine.» Fece una pausa. «Sai, Tim potrebbe non avere troppa voglia di parlare» riprese. «Non importa» dissi io. «Può sempre dire di no.» Lo informai che avrei provato anche con Kathleen Kind. David allora rispose che il numero della Kind era sulla rubrica. Riattaccai, e cominciai a comporre il numero. Mi fermai. Appoggiai il telefono e guardai Roxanne, distesa sul letto, che sfogliava una rivista. «Ci vado di persona» annunciai. «Non vuoi proprio lasciartelo sfuggire, vero?» commentò lei. «No.»
«Credi che David cercasse di proteggerlo?» «Non saprei, credo solo che mi stesse avvertendo che potrei non essere accolto calorosamente. Tieni presente che a nessuno fa piacere che la propria organizzazione venga coinvolta in un caso di omicidio, David o Dalton che sia.» «Pensi che ti sarebbe utile la mia presenza?» chiese Roxanne. «Forse, se gli parlassi nel suo ufficio, tu potresti guardarti attorno.» «In cerca di qualcosa in particolare?» «Qualsiasi cosa sia legata ad Angel» risposi. Quindi informammo la signora Donovan che saremmo usciti per due o tre ore. Lei sarebbe andata alla festa di compleanno di un nipotino, ci avvertì, e avrebbe potuto essere ancori fuori casa al nostro ritorno. Ci procurò un telecomando per il cancello e la chiave per aprire la porta laterale. Non ci avrebbe aspettati alzata, ma c'erano comunque dei biscotti nel vaso sul banco della cucina e della birra nel frigorifero in dispensa. Prendemmo l'Explorer e attraversammo la città fino al quartiere finanziario, con le sue torri di uffici vuote, ma illuminate, come delle navi fantasma alla deriva prive di equipaggio. Cercavamo Batterymarch Street, una traversa di Milk Street, tra le stradine anguste in cui le società d'intermediazione mobiliare gestivano miliardi di dollari, lontano dagli sguardi del gregge di gente che si riversava in città. Il 268 si trovava a destra: era un edificio art-déco, con un piccolo ingresso racchiuso da vetrate. Parcheggiai di fronte e tentai di aprire la porta, ma era chiusa; allora tornai in auto e telefonai. Dalton rispose al quarto squillo. «Pronto?» «Tim?» «Chi parla?» «Jack McMorrow, Il tuo numero me l'ha dato David. Avrei bisogno di parlare con te di Angel. M'interessano le tue impressioni generali su di lei in quanto suo superiore.» «Non ero il suo superiore diretto» precisò. «Allora diciamo suo superiore indiretto» dissi io. «Nonché amico.» «Senti, Jack, veramente mi stavo preparando per tornare a casa...» «Sono proprio qui fuori. Roxanne e io eravamo in giro da queste parti e mi è venuto in mente di provare a contattarti.» «Quanto tempo ci vorrà?» chiese Dalton. «Non molto» risposi. Seguì una lunga pausa. Lo sentivo respirare. Alla fine disse: «Ti apro.»
E così fece. Parcheggiammo l'auto in doppia fila con le quattro frecce accese, ed entrammo nel freddo ingresso di marmo. Secondo l'elenco degli inquilini esposto in una vetrinetta chiusa a chiave, la Sky Blue era all'undicesimo piano. Prendemmo l'ascensore e ci ritrovammo in un piccolo atrio rivestito di moquette, davanti a un'altra serie di porte in acciaio dai finestrini blindati. Udimmo un ronzio e spingemmo la porta che ci condusse in un'anticamera fiocamente illumini nata. Alle pareti bianco avorio erano appesi dei quadri: impressionisti americani. Sul pavimento ricoperto da un tappeto orientale c'erano poltroncine e divani d'antiquariato, forse riproduzioni. Aspettammo. Si udirono dei passi, infine Dalton svoltò l'angolo e ci venne incontro, sorridente. Indossava una polo verde scura e un paio di pantaloni color cachi, gli occhiali da sole appesi al collo con una cordicella. «Jack, Roxanne, benvenuti» sussurrò nella stanza vuota e ovattata. «È un piacere vedervi.» «È una triste circostanza.» «Sì, terribile. Non riesco ancora a capacitarmene. Siete stati al funerale?» «C'è andata Roxanne» risposi io. «La stampa non era ammessa in chiesa.» «Ah, sì. Giusto. È strano, non riesco a immaginarti nelle vesti di giornalista. Prego, entrate.» Lo seguimmo mentre ci conduceva oltre piccoli uffici vuoti disposti come loculi in una tomba. Attraversammo una porta e ci ritrovammo in un ufficio dal rivestimento scuro, a pannelli, con due divani, un paio di grandi sedie, tutto in pelle nera. La scrivania era di legno rosso scuro, tipo mogano, e dietro, sulla sinistra, c'era una libreria. Vidi una foto di Dalton con una donna bionda che assomigliava a Martha Stewart. In un'altra foto c'era una bambina in groppa a un grande cavallo, la bocca atteggiata a un'espressione risoluta, come se stesse per andare in battaglia. In una terza foto, erano tutti e tre insieme, vestiti elegantemente a una festa. Sorrideva soltanto Dalton. Ci sedemmo. «Bene» esordì Dalton. «Ero venuto in ufficio giusto per smaltire un po' di lavoro. Tra il Maine e tutto il resto... le cose hanno finito per accumularsi. Sembra incredibile che siamo stati tutti insieme lassù a divertirci. Angel... sembra che sia passato un anno.»
«Chi l'avrebbe immaginato?» commentai io. «È incredibile. Voglio dire, ma che bestia può aver fatto una cosa del genere a una ragazza così? Mia figlia lavora in un campeggio nel Maine, su una delle isole. A questo punto siamo seriamente preoccupati, te l'assicuro.» «Quindi pensi che sia successo là?» domandò Roxanne. «E voi no?» «Non saprei proprio» risposi. «Be', non vedo perché qualcuno avrebbe dovuto compiere l'omicidio quaggiù per poi fare tutta quella strada in mezzo ai boschi.» «Forse pensava che non l'avrebbe ritrovata nessuno» propose Roxanne. «Mi sembra troppo rischioso. Ma, accidenti, non senti come stiamo parlando? Neanche fosse un giallo televisivo» Sorrisi, sforzandomi di assumere un'espressione comprensiva. «Hai ragione» dissi. «Bisogna ricordare che si tratta di avvenimenti reali che coinvolgono persone in carne e ossa, con sogni e speranze... oltre a tutti quelli che volevano loro bene.» «Proprio così» confermò Dalton. Poi sembrò fare un passo indietro. «Quei poveri genitori! La madre al funerale...» «Il che ci riporta al mio servizio.» Roxanne si alzò e annunciò che avrebbe atteso fuori dalla porta principale; Dalton non protestò. Una volta uscita, spiegai a Dalton quello che intendevo fare. Lui ascoltò attentamente, le braccia abbronzate conserte davanti a sé, sulla scrivania lucidissima. Gli spiegai che volevo che Angel fosse più di un semplice nome e un volto in un articolo di cronaca. Gli raccontai che stavo intervistando i colleghi, la famiglia, David, Maddie e Monica. «Che cosa ti ha raccontato Monica?» chiese, con tono pacato. Tirai fuori il taccuino e lo aprii. «Vediamo un po': che ad Angel piaceva lavorare qui e che sembrava inserirsi facilmente in un mondo completamente diverso da quello in cui erano nate entrambe.» «È vero, per lei era un mondo nuovo, ma imparava con grande rapidità. Era molto versatile. Sarebbe riuscita senz'altro a conquistarsi una buona posizione. Cioè, quando la mettevi in una situazione nuova, c'era questo breve periodo di adattamento durante il quale si notava che cercava di capire come funzionavano le cose, sembrava di vedere gli ingranaggi che le giravano in testa. Poi, una volta capito, era come se si fosse trovata da
sempre in quel posto. Ci fu una volta in cui alcuni di noi andarono a una cerimonia di beneficenza dell'Orchestra sinfonica di Boston: a un certo punto mi guardo attorno e Angel è lì che chiacchiera con Derek Bok. Poco dopo le domando: "Sapevi che è stato il rettore di Harvard?". E lei risponde: "Certo che io sapevo! Gli stavo giusto chiedendo che cosa fa in realtà il rettore di un'università, se si occupa dei corsi o se è solo una questione di soldi". Angel era in grado di comportarsi in questo modo, quasi si dimenticasse che quello non era il suo ambiente.» «Forse lo dimenticava davvero.» «Probabilmente sì. Come ho detto, imparava in un attimo.» «Ma c'era chi l'aiutava.» «Cioè?» «Monica mi ha raccontato che Angel aveva dei bellissimi vestiti nuovi, dei gioielli, e che riceveva inviti a feste che non venivano estesi anche a lei.» «Sono diverse. Cioè, Monica... insomma, l'hai conosciuta anche tu.» «Sì.» «Che resti tra noi, ma non ha la stessa mobilità sociale che aveva Angel.» «La stessa classe» precisai io. «Non mi fraintendere, Monica è una brava ragazza, solo che è molto più radicata al suo ambiente. Angel desiderava esplorare, e questo lavoro era una grande occasione per lei.» «E tu l'hai aiutata?» Mi guardò con diffidenza. «Cosa intendi dire?» «Be', Monica ha dichiarato che la portavi ai ricevimenti, le compravi dei vestiti, dei gioielli.» «Qui scatta un po' di gelosia, o invidia» disse Dalton. «Comunque è vero, ma resti fra noi! Le ho comprato qualche cosa. Be', vedi, l'alternativa sarebbe stata mandarla a una cerimonia in abito da sera con il vestito da ballo di fine anno scolastico. Non volevo che quella povera ragazza fosse umiliata.» «Non si è fatto avanti nessun altro per aiutarla?» «No, che non ti sfugga di bocca, ma alcune delle donne in questo ufficio, be', sai come riescono a essere, un po' dispettose, ti pugnalano alle spalle. E David, lui la invitava a uno spettacolo di beneficenza senza neppure pensare che Angel avrebbe potuto trovarsi in difficoltà. Lui è fatto così, sol-
tanto perché è socialmente dotato, grazie alla sua famiglia e a tutto il resto, dimentica che alcune persone si fanno mettere in soggezione da questi eventi mondani.» «E quindi hai dato una mano tu ad Angel?» «Sì. Un paio di vestiti, delle scarpe. Spiegavo a quelli del negozio il tipo di evento al quale dovevamo partecipare, e loro le procuravano tutto quello che le serviva.» «Sei stato veramente gentile» commentai io. Lui sembrò riprendersi un pochino. «Sì, be', non è stato poi un granché. Le consigliavo di essere spontanea; di sorridere, di chiacchierare, di non masticare la gomma. E di andarci piano con il trucco.» «Allora eri un po' come il suo pigmalione!» «Oh, Dio, non metterla in questa termini. Se anche ne dovessi parlare, fallo con tatto. Non voglio offendere la famiglia di Angel, è brava gente. Il fatto è che si trovava a giocare un nuovo gioco e le serviva l'uniforme adatta.» «E come le stava l'uniforme?» «Come un milione di dollari!» sbottò Dalton, per poi riprendere il controllo di sé. «Stava davvero bene. Era una bellissima ragazza, l'hai vista anche tu.» «Quindi si faceva notare, anche a una festa piena di bella gente?» «Oh, sì. Diciamo che il suo carnet di ballo era pieno, insomma, i ragazzi facevano la fila. Anche lei si divertiva moltissimo, divorava il nuovo scenario con avidità. Era aperta alle nuove esperienze. È un vero peccato, quello che è successo.» Mi fermai, completai i miei appunti e poi aggiunsi: «A proposito del milione di dollari, mi risulta che Angel avesse un sacco dì soldi, relativamente parlando.» «Davvero? E chi te l'ha detto?» «Una sua amica. Mi ha detto che Angel si era data alle spese folli a New York, si era addirittura comprata dei gioielli. I genitori mi hanno riferito che li aveva mandati in crociera. Fra poche settimane sarebbe dovuta andare nei Caraibi portandosi appresso Monica.» «Non saprei proprio. Be', quando l'ho aiutata, comprandole i vestiti e tutto il resto, presumevo che vivesse dello stipendio che le pagavamo noi.» «Che ammontava a quanto?» «Non lo so con esattezza. Lo dovresti chiedere a Kathleen o a qualcun
altro. Kathleen sì occupa della supervisione delle spese. Comunque, sono sicuro che fosse uno stipendio adeguato, ma che senz'altro non le sarebbe bastato per pagarsi la crociera e il resto. Naturalmente, avrebbe potuto benissimo cominciare ad accettare tutte le offerte di carte di credito che le venivano proposte: si possono mettere insieme fino a un paio di centinaia di migliaia di dollari in quel modo, lo sapevi?» «Non sei il primo a formulare questa ipotesi. Però, da una delle mie fonti, risulta che tenesse il denaro in una cassetta di sicurezza.» «Ah! Non ne sapevo nulla.» Lo osservai, ma mi era difficile dire se fosse sorpreso dal fatto che Angel avesse dei soldi o dal fatto che io lo sapessi. «Be', c'è anche un'altra cosa, Tim» incalzai. «E te la dico senza tergiversare tanto. Qualcun altro mi ha riferito che tu e Angel eravate più che amici.» Si fece rosso in viso e si sporse in avanti. «Cazzate!» sbottò. «Chi te l'ha detto?» «Preferirei non dirlo.» «Non lo scriverai sul giornale?» «Sto solo cercando di scrivere un articolo che racconti la verità.» «Senti» minacciò Dalton. «Pubblicalo e ti trascino in tribunale prima che l'inchiostro sia asciutto. E poi farò in modo che tu non scriva mai più né per il "New York Times" né per nessun altro giornale. Mi sono spiegato?» «Quindi non c'era nulla fra di voi da quel punto di vista?» «No» sputacchiò. «Neanche per sogno. Quale di quelle stronze ti ha raccontato una cosa del genere? È una calunnia.» Continuai a scrivere e lui batté il pugno sulla scrivania. «Non lo puoi stampare, è un atto di diffamazione!» «Ho il dovere di chiedertelo.» «Ma è assurdo!» esclamò Dalton. «Capisco.» Ruotò sulla sedia e prese una foto della sua famiglia dalla libreria, si girò di nuovo e la sbatté sulla scrivania. Lui e la moglie mi fissavano con distacco dalla cornice. «Questa è mia moglie. Diciannove anni di matrimonio felice. Conosceva Angel, anzi, era stata lei a dirmi di procurarle un vestito adeguato, la prima volta. Mi aveva detto: "Non puoi permettere che quella povera ragazza si presenti come se venisse da una passeggiata nel centro commerciale, la farebbero a pezzi". Questo era il tipo di rapporto che c'era tra me e Angel.»
«Forse dovrei parlarne con tua moglie» azzardai io. «Sì» rispose lui. «Cioè, no. Il "New York Times" le si presenta per chiederle se suo marito avesse una relazione con una ragazza dell'ufficio? Una che per di più è stata assassinata?» «Non formulerei la domanda così.» «Non importa. Le verrebbe subito un infarto. Con metà di questo maledetto paese che legge l'articolo, tutti i suoi amici? E mia figlia? Santo cielo! Amico mio, non puoi farmi questo!» «Non so se ne parlerò nell'articolo. Stasera ne devo andare a discutere con la mia redattrice» risposi. «Ma, vedi, Tim, dovevo farti quella domanda. E se tu mi avessi risposto che avevi una relazione con Angel? Che l'amavi e che avresti lasciato tua moglie per sposarla? Finché non chiedo, non so come stiano le cose.» «Te l'ho raccontato, come stavano le cose.» «Capisco» risposi. «E quello che mi hai raccontato mi aiuta a ricostruire un ritratto di Angel, di questa ragazza che divorava tutte le nuove possibilità, e della gente come te e come i Connelly che l'aiutavano a navigare in questo mondo nuovo.» «L'abbiamo aiutata. Io l'ho aiutata, David e Maddie l'hanno aiutata. Le volevano bene, noi tutti le volevamo bene.» Esitai, poi gli domandai: «Perché?» «Perché le volevamo bene?» «Sì.» «Perché era brava nel suo lavoro, perché era allegra, perché era molto bella e...» «Forse sbaglio a dirtelo» cominciai io «ma quel giorno in barca mi era sembrata un po' impertinente, presuntuosa. Era gentile, ma c'era qualcosa di superbo in lei, come se avesse ricoperto qualche incarico importante. Come quando voleva che David la portasse in barca a Bar Harbor.» «Oh, ma lei era fatta così. Quello era il suo modo di fare.» «Vuoi dire che era sempre così?» «No. Ricordo l'episodio a cui ti riferisci. Credo anch'io che avesse calcato troppo la mano con David. Ma, di solito, era molto carina. Forse era stato il vino.» Presi nota e poi alzai lo sguardo su di lui. «E forse sbaglio a dirti anche questo» incalzai «ma ti ho visto in barca con lei. Posso capire che qualcuno potesse avere l'impressione che ci fosse qualcosa fra di voi, al di là di un platonico rapporto di lavoro. Sembrava-
te...» Esitai. «In confidenza.» «E dai, Jack! Facevamo gli stupidi, per Dio! Faceva la civetta.» Non risposi. Lui si sporse in avanti e mise le mani sulla scrivania, come se stesse scoprendo le sue carte. «Senti, posso raccontarti una cosa che deve restare tra noi?» Non risposi, e lui lo prese per un assenso. «È vero, le piaceva civettare. E io, be', sono un uomo di mezza età, o quasi. Sono in forma, ma i capelli si vanno diradando, ho messo su un po' di pancetta e non riesco a buttarla giù. Non ce la faccio più a tenere il passo con i giovani sul campo di lacrosse, e non credere che non mi secchi.» Si fermò. «L'hai vista, Jack. Era davvero attraente.» «Sì, senz'altro.» «E allora, forse, sono stato un po' troppo al gioco. Forse mi sentivo adulato dalla situazione. L'ego maschile, hai presente? Ma questo è quanto. L'ho aiutata un pochino. Forse le ho ronzato un po' troppo attorno. Ma sono veramente costernato per quello che le è successo.» «E non sai da dove le fosse piovuto tutto quel denaro?» «No.» «Non le avevi mai dato delle grandi quantità di liquidi?» «Scherzi? Mia moglie non è per niente scema. Anche con i vestiti, era stata lei a dirmi: "Mandala in un posto tipo Saks, Tim. Non è il caso di spendere e spandere".» «Un discorso sensato, il suo.» «Esatto. Tutto ha un senso.» «Tranne l'omicidio.» «Certo. Quello non ha alcun senso.» «Non ancora» precisai io. 30 Alla fine del colloquio avevo riempito alcune pagine del taccuino. Dalton mi chiese quando sarebbe uscito il servizio e io gli risposi che mi sarei fermato in ufficio quella sera stessa per controllare, ma che probabilmente l'avrebbero pubblicato martedì. Si alzò dalla scrivania e fissò fuori dalla fi-
nestra, ma all'esterno era buio e sembrava che guardasse la sua stessa immagine riflessa: forse controllava il girovita, chiedendosi a cosa l'avesse portato la sua vanità. Uscii. Quando giunsi nella sala d'attesa con i divani, Roxanne se ne era già andata. Aprii la porta d'acciaio, ma non si trovava nemmeno nell'ingresso esterno. Raggiunsi la finestra, guardai di sotto e vidi soltanto la macchina in strada con le quattro frecce che continuavano a lampeggiare. Ripercorsi il corridoio, verso l'ufficio di Dalton, ma la porta era chiusa e lui parlava, sicuramente al telefono. Lo sentii dire: «Tra un'ora. Dillo alla mamma.» Roxanne non c'era. Nella parete opposta della sala d'attesa si apriva un altro corridoio. Era buio, ma lo imboccai lo stesso. Mi fermai a metà strada ad ascoltare. Udii delle voci, poi della musica. Procedetti e girai l'angolo, dopodiché vidi una porta aperta a metà sulla destra, da cui scaturiva la luce azzurra di un televisore. Mi avvicinai alla porta e sentii una donna che diceva: «So che non è politicamente corretto, e Dio solo sa quanto io sia dispiaciuta per quello che è successo, ma quella ragazza praticamente si stava facendo strada passando da un letto all'altro.» «Essere attraenti non è un crimine punibile con la pena di morte» osservò Roxanne. «E invece lo è, sai? Se la signorina Moretti fosse stata una ragazzetta tozza e insignificante, pensi che sarebbe stata invitata al ritiro del personale dell'ufficio, nel Maine? E se non si fosse trovata nel Maine, se non fosse stata così brava a sbattere le ciglia per convincere gli altri a portarla a Bar Harbor, a cena o a soddisfare qualsiasi altro suo capriccio, allora sarebbe rimasta a casa. Sarebbe stata al sicuro, con la sua famiglia di modesta estrazione, avrebbe finito per incontrare un bravo ragazzo attaccato al lavoro, di Dorchester o di un altro posto del genere, si sarebbe accasata, avrebbe avuto dei bambini e sarebbe arrivata a ottant'anni. Invece è finita qui, e da cosa è nata cosa.» «Ma, Kathleen!» obiettò Roxanne. «Non sono state la bellezza e l'aria maliziosa ad ammazzarla, è stato qualcuno.» «Invece sì, Roxanne. Immaginiamo che sia stata assalita nei boschi del Maine. Che cosa potrebbe aver attirato l'assassino, se non il suo aspetto e il suo abbigliamento?» «Com'era vestita quando è partita?» domandò Roxanne.
«Jeans a vita bassa, come vanno di moda adesso, il ventre scoperto, peraltro non che non fosse piatto come una tavola, e una maglia attillata che lasciava ben poco spazio alla fantasia. Immaginala con una gomma a terra vestita in quel modo, mentre sopraggiunge un furgone pieno di buzzurri. Prova a pensarci un attimo. Ci sono uomini che non esiterebbero ad aggredire una ragazza così.» Partì una videocassetta, si udì la musica e la voce fuori campo: "E se nessuna di noi fosse bella?". Entrai nella stanza. Kathleen e Roxanne si girarono e sorrisero. «Jack!» esclamò Roxanne. «Ehi» risposi io. «Te l'ho rubata» dichiarò Kathleen Kind. «C'è un'organizzazione finanziata da noi che produce materiale didattico per le ragazzine. Lo stavo mostrando a Roxanne.» «Prego, continuate pure.» «Ma dovrai andare avanti con il tuo lavoro» disse Kathleen. «Hai delle altre interviste?» «Devo andare a consultarmi con la mia caporedattrice» risposi. «Ecco, tieni» concluse lei. «Portalo pure a casa, Roxanne. Se t'interessa, fammi una telefonata.» Roxanne rispose che l'avrebbe fatto. Kathleen tolse il nastro dal videoregistratore e glielo consegnò, poi prese una cartellina dalla libreria e le passò anche quella. Chiesi a Kathleen se aveva un po' dì tempo da dedicarmi e lei mi assicurò che non c'era problema, ma solo pochi minuti, fintanto che non fosse arrivata la macchina che doveva venire a prenderla. Le assicurai che sarei stato rapido e lei mi fece accomodare. C'erano due sedie davanti alla scrivania, e prendemmo posto lì. Roxanne si sedette a distanza, vicino alla porta, aprì la cartellina e cominciò a leggere. Lanciai un'occhiata alla Kind: gonna cachi, maglioncino nero a maniche corte e scarpe nere a tacchi bassi. E un sorriso distaccato, impenetrabile come una maschera. Presi il taccuino dalla tasca posteriore dei pantaloni e lo aprii con un colpetto. Lei non batté ciglio. Le dissi che mi dispiaceva per Angel e lei rispose che era una cosa terribile, che si era sempre sentita al sicuro in campagna, ma che adesso non era più così. Cominciò a tergiversare sull'infondatezza dell'idea che le zone rurali fossero più sicure della città. La interruppi per chiederle quanto veniva pagata Angel. La Kind apparve leggermente seccata, ma ingoiò la rabbia e il sorriso
tornò a far capolino sulle labbra, come un rossetto da mettere e togliere a suo piacimento. «Aveva cominciato con dodici dollari l'ora, dopo due mesi era passata a quindici e dopo sei mesi a diciassette e cinquanta.» «Settecento la settimana?» le domandai. «Che bravo!» esclamò la Kind. «Un cronista che sa far di conto.» «A volte la fortuna ci sorride» risposi. «Non è un granché per vivere a Boston, non ti pare?» «È molto se uno ha soltanto un diploma, mediocri competenze da segretaria e nessuna esperienza nel settore degli enti di beneficenza.» «L'avevi assunta tu?» «No, l'aveva assunta Tim» rispose, come se non occorresse aggiungere altro. «E Monica è venuta insieme a lei?» «Qualche settimana dopo. Una volta che Angel si era... insediata.» «Com'era Angel come dipendente?» «Brava» rispose la Kind. «Si presentava molto bene.» «Mi risulta che abbia partecipato a eventi sociali insieme ad altri che lavorano qui.» «Sì.» «E che le piacessero.» «E a chi non sarebbero piaciuti? Champagne gratis e tutte le aragoste che uno vuole.» «Mi hanno detto che era socialmente... non mi viene la parola.» «Disinvolta?» «Sì.» Non disse nulla. «Sei d'accordo?» «La signorina Moretti era diventata molto sicura di sé, dopo essere stata qui per un po'.» «E subito dopo essere arrivata?» «Molto meno. La sua sicurezza era aumentata in maniera esponenziale mentre lavorava per noi.» «Come mai?» «Dovresti chiederlo alle persone che si trovavano gomito a gomito con lei.» «Tu non lavoravi a stretto contatto con lei?» «Non proprio. Lavorava per Tim, che si occupa principalmente della va-
lutazione delle sovvenzioni: il tale progetto corrisponde agli obiettivi della fondazione? Che traguardo è in grado di raggiungere? Io invece mi occupo degli aspetti finanziari.» «Le avevi spiegato nulla di queste faccende?» «Direi di no. Non occorreva. E poi non avrebbe comunque capito, la maggior parte dì quelli che lavorano qui non capisce quello che faccio, anche se ormai svolgo questo incarico da qualche anno.» «Be', ecco allora una domanda che fa per te. Monica mi ha riferito che Angel le aveva parlato di conti esteri e della maniera d'imboscare i fondi. Come poteva essere informata su questo genere di cose?» «Non ne ho la minima idea. E posso assicurarti, Jack, che non può esserne venuta a conoscenza qui. Il denaro, da noi, segue la direzione opposta; il mio compito è garantire che non ne venga elargito troppo tutto in una volta.» «Ma chi le avrà messo in testa quelle idee?» Il sorriso della Kind si trasformò in una sorta di ghigno. «Forse la televisione» ipotizzò. «I personaggi più malvagi sono sempre lì a nascondere soldi nei conti cifrati delle banche svizzere o roba del genere.» «Mi hanno raccontato che, improvvisamente, sembrava che le fosse arrivato un diluvio di soldi. Ne teneva una parte in una cassetta di sicurezza, la chiamava il suo porcellino.» «Che dolce!» «Come sarebbe potuta riuscire a mettere le mani su un bel gruzzolo?» «Dipende da cosa intendi per bel gruzzolo.» «Diciamo qualche migliaio di dollari.» «Qualche migliaio di dollari non è un bel gruzzolo, Jack!» «Lo è per qualcuno come Angel.» «Nel giro che frequentava, anche se solo marginalmente, si tratta di spiccioli. Le persone di cui faceva conoscenza agli spettacoli e alle cerimonie di beneficenza... insomma, c'è gente in città di fronte alla quale gli stessi Connelly sembrano decisamente borghesi.» Con la coda dell'occhio, vidi che Roxanne alzava lo sguardo. «Ma come aveva potuto fare Angel a racimolare quei soldi?» insistetti. La Kind non rispose subito: ci fu una lunga pausa carica di allusioni. «Posso assicurarti che non lo so proprio» rispose. «E non mi lancio in congetture. Ma ci sono persone con questi livelli di reddito che non badano a spese, se s'invaghiscono di qualcuno...»
Ancora una volta il sorriso distaccato. «Ma, a meno che qualcuno non le avesse dato una borsa piena di soldi... non lavorava da nessun'altra parte» obiettai. «Da quanto ne so, era completamente assorbita da questo lavoro. Quindi dove avrebbe potuto trovare tutto quel denaro?» «Non qui. Si tratta di un punto sul quale sono assolutamente intransigente. E devo esserlo perché c'è gente che pensa che questo sia un pozzo senza fondo. Voglio dire, e resti tra noi, loro sono cresciuti in un mondo in cui non ci sono limiti, e il denaro è stato guadagnato due generazioni prima, quindi non pensano alla fatica che è costato. Pensano che cresca sugli alberi. Io invece provengo da una famiglia modesta. I miei erano arrivati dalla Polonia con cinque dollari, fra tutt'e due. Hanno lavorato incessantemente, ogni giorno dalla mattina alla sera, per mandarmi a scuola e farmi prendere una laurea in economia e commercio a Wharton. Mio padre lavorava in un'azienda che produceva tubi di gomma, e li fabbricava proprio con le sue mani, tant'è che tornava a casa sporco e puzzolente. Mia madre compilava le dichiarazioni dei redditi per gli immigrati di Quincy. A loro non è mai piovuto nulla dal cielo, a differenza di altri. La fondazione fa moltissima beneficenza, non mi fraintendere, ma io non dimentico che il denaro è frutto del sudore. Sotto la mia sorveglianza, si giustifica ogni singolo centesimo che la fondazione si è impegnata a investire. E tali assegnazioni sono soggette a regolamenti severissimi.» Si raddrizzò sulla sedia. «Abbiamo finito?» «Mi pare di sì» risposi. «Se ho qualche domanda, ti chiamo.» Si alzò e si lisciò la gonna. Mi tirai su anch'io e infilai il taccuino nella tasca posteriore dei pantaloni. Roxanne si avviò verso la porta. «Allora, cosa pensi che sia successo?» domandai a Kathleen, con un tono più confidenziale. «Alla signorina Moretti?» «Sì.» «Credo che abbia incontrato la persona sbagliata nel Maine, in quella zona disabitata che bisogna attraversare per rientrare da Blue Harbor, e che sia stata ammazzata. Purtroppo sono cose che succedono continuamente in questo mondo, le donne sono facili prede. Tutto questo, naturalmente, non toglie che si tratti di una tragedia.» Mi fermai. Non sembrava particolarmente turbata, ma non era nemmeno nel suo stile esserlo.
«Aveva ricevuto qualche indennità o qualche pagamento straordinario?» «No, per lo meno a quanto risulta dai conti operativi.» Devo aver avuto un'aria perplessa. «Jack» disse la Kind, raccogliendo una borsa e una valigetta dalla scrivania. «Dovresti andare a una di quelle cerimonie, quelle importanti. E questa è una cosa che non deve uscire da questa stanza. I musei, la sede dell'Orchestra sinfonica... sono pieni zeppi di uomini dai capelli d'argento e di donne molto più giovani. Gli uomini sono straricchi e hanno un ego maschile da competizione. Le donne, per la maggior parte, sono la seconda o la terza moglie, ex assistenti amministrative che hanno intravisto una possibilità e l'hanno colta al balzo. E poi ce ne sono alcune che entrano in gioco per la prima volta, come Angel, e vengono per lo spettacolo.» «Intendi dire per assistere allo spettacolo?» «No, Jack» mi corresse lei, fermandosi sulla porta. «Sono loro lo spettacolo, tutte agghindate in quei vestiti attillati. C'è un'espressione che calza a pennello, anche se un po' grossolana. Oh, non mi viene in mente...» «Carne fresca?» propose Roxanne. «Una bella ragazza che si fa vedere in giro con uomini famosi?» «Proprio così» confermò la Kind. «Fatti un giro all'Oak Bar alle cinque e vedrai i sessantenni con le ragazzine.» «Stai dicendo che Angel si comportava come una di quelle ragazzine?» «Resti fra noi, Jack. E so benissimo che è una cosa terribile da dire in queste circostanze, ma è la verità.» Aprì la porta e passammo nel corridoio, chiuse la serratura dietro di sé con una chiave che teneva in borsa. «Ma tutto questo cosa c'entra con i soldi?» le domandai. «Oh, via Jack!» disse la Kind mentre percorrevamo il passaggio. «Queste ragazze saranno anche dei trofei, ma quelle più sveglie si assicurano di ottenere qualcosa in cambio.» «E Angel?» chiesi. «La signorina Moretti» rispose «non era una stupida.» 31 Un taxi di lusso, una Town Car, prelevò Kathleen Kind di fronte all'edificio per accompagnarla a casa a Cambridge. Io e Roxanne entrammo in macchina mentre il taxi partiva. «Cosa ne pensi?» le chiesi.
«Non è certo una gattina» rispose. «Immagino che abbiano bisogno di qualcuno che tenga a freno i cuori troppo teneri.» «E poi non dimenticare che non elargiscono soldi suoi.» «Comunque, non è male come lavoro!» dissi io. «Purché uno ci sappia fare con i numeri e con le normative fiscali, oltre a essere un po' spocchioso.» La Town Car girò l'angolo e scomparve dalla vista. «E Angel?» chiesi. «Per una brava ragazza, senz'altro aveva osato un po' troppo.» «Forse è questa la pista che devo seguire» commentai. «È quello che emergerà dal servizio, vero?» «Informerò Myra che le cose stanno cambiando.» «Sì» rispose Roxanne. «Non è certo una Cenerentola che viene uccisa sulla strada del ritorno dal ballo.» Chiamai la redazione dall'auto, ma la linea di Myra era occupata, il che significava che era in ufficio. Girai su State Street e mi ritrovai in mezzo al traffico, senza un parcheggio libero nel raggio di due isolati. C'era un concerto jazz al Marketplace, da quanto annunciavano le locandine, e si sentiva la musica in lontananza. Cominciai a cercare un posteggio, compiendo dei cerchi sempre più ampi, e finii oltre McKinley Square e l'hotel Custom House. La zona al di là dell'albergo era buia e deserta, Roxanne mi tenne a braccetto mentre ci dirigevamo a piedi verso South Market. La musica era alta e rimbalzava sui palazzi come mosche su un vetro. Suonai al citofono e Myra ci aprì. Era in piedi alla scrivania e sbraitava al telefono. «Va bene, lo avrai per domani pomeriggio, presto... D'accordo. McMorrow ci sta lavorando sopra da quando hanno dissotterrato il cadavere. Sì, c'è un collegamento stretto con i Connelly. Lavorava con David, cioè, con la fondazione della sua famiglia che fa capo a lui direttamente. Gli altri non fanno altro che occupare un posto nel consiglio d'amministrazione. Certo, sì, nel Maine, ma non vicino alla casa dei Connelly... Be', senti, Jack è appena arrivato, resta in linea.» Mise la mano sul ricevitore. «È Alice. Vogliono un occhiello per la pagina nazionale.» Pensai per un attimo, non di più. «Con i Connelly come padrini, la vittima dell'omicidio si stava per tuffare nel turbine della vita sociale di Boston.»
«Mi piace» commentò Myra. Ripeté la frase al telefono, riattaccò, si girò verso di me e m'interrogò: «Dunque, a che punto siamo?» Roxanne andò in bagno e io riferii a Myra con quali persone avevo parlato e quello che mi avevano raccontato. Lei mi ascoltò, appoggiata al bordo della scrivania. Quando ebbi concluso, mi chiese: «Gli sbirri hanno trovato la cassetta di sicurezza?» Le risposi che non lo sapevo, ma che avevo intenzione di scoprirlo. «Quindi la questione è: chi era il vecchio babbione che la foraggiava?» «Dalton nega di esserlo.» «Nah... è un impiegatuccio. M'immagino qualcuno con tanti soldi, qualcuno che potesse promettere ad Angel un appartamento ad Antigua e un giro giù a Citation Two, qualcuno che la potesse prender su come una caramellina all'uscita del ristorante. "Tieni bella, eccoti diecimila dollari. Va' a prenderti qualcosa di carino."» «E se invece non le avesse dato niente nessuno?» domandai. «Cioè, se li avesse rubati?» «Sì, o qualcosa del genere. E se avesse messo le mani su uno di quei ricconi per poi minacciarlo di andare a spifferare tutto alla moglie?» «Lui avrebbe sganciato i soldi, oppure...» «E se ci avesse provato con il tipo sbagliato?» chiesi io. «Allora l'avrebbe ammazzata» rispose secca Myra. «Potrebbe essere, perché no?» «Dunque, gli spilla un po' di grana, ma ne vuole dell'altra. Spinge un po' troppo, quell'altro decide che è un problema, e la fa ammazzare. Io comincio a fare delle domande in giro e quello mi manda qualcuno per farmi smettere.» «E se non la smetti?» «Come ha detto la Sullivan, sono degli spezzaossa, non dei killer.» «Chissà perché, ma quest'informazione non mi sembra poi così confortante» commentò Myra. Tornò Roxanne e discutemmo dell'articolo. Myra disse che le sarebbe piaciuto citare la moglie di Dalton che parlava del vestito da ballo di fine anno scolastico. Sarebbe servito a distogliere l'attenzione dei lettori dal fatto che Dalton appariva come l'amante di Angel. Myra pensava che bisognasse mettere anche Maddie Connelly e aggiungere qualcosa sulla famiglia Moretti, per sottolineare che Angel stava salendo la scala sociale.
E poi avevamo bisogno di tutti i dettagli possibili sulle cause e il luogo del decesso, il quantitativo di denaro e tutte le altre cose contenute nella cassetta di deposito. Le promisi che avrei cercato di intervistare Maddie e la moglie di Dalton quella sera stessa, e mi sarei occupato del resto la mattina dopo. Poi passammo alle chiacchiere da salotto: Myra parlò con Roxanne del suo lavoro, Roxanne raccontò a Myra del gruppo che aveva convocato Maddie per occuparsi dei minori maltrattati. Alla fine Myra mi chiese com'era effettivamente David Connelly. Le dissi che era una brava persona, molto interessante e tutt'altro che brutto. «Ho l'impressione che sia un tipo focoso» commentò Myra. «Lo pensa anche sua moglie» risposi io. «Se fossi stata in Angel, sarei corsa dietro proprio a lui» continuò Myra. «Non pensi che...» «No!» risposi io. «Ma è ricco.» «No, è una brava persona.» «Con una moglie e una figlia, e qualcosa da perdere» insistette Myra. «No!» confermai. «Maddie e David sono molto affiatati.» A quel punto mi venne in mente Maddie che piangeva dopo il funerale, e David che le diceva che sarebbe andato tutto bene. «No!» ribadii. «Forse era riuscita a saltargli addosso al ritorno dalla festa di Natale dell'ufficio. Minaccia di andare da Maddie e di spiattellare tutto se lui non le dà un bel po' di contanti e un lavoro per la sua amica del North End.» «E anche un giro in barca fino a Bar Harbor?» Suonò il telefono e Myra rispose, cominciò a discutere delle pagine di cronaca dal New England. Presi un paio di taccuini e delle penne, dopodiché Roxanne e io scendemmo e uscimmo. L'atrio era deserto, ma si sentiva la musica a tutto volume e la piazza del mercato pullulava di gente. Uscimmo su State Street e c'incamminammo. A mano a mano che la folla si diradava, rimanevano solo alcuni universitari che procedevano trascinando i piedi con il berretto da baseball girato con il frontino dietro, e un vagabondo che rovistava in un bidone dell'immondizia come un orsetto lavatore. Ci trovavamo vicino al Custom House quando udii qualcuno dietro di noi, mi girai e vidi tre ragazzi e una donna: pantaloncini, camicie attillate, berretti da baseball.
Procedevano a balzi; due dei ragazzi si prendevano a spintoni, l'altro ragazzo e la donna si tenevano per mano. Si spintonarono e risero, dopodiché due dei ragazzi si misero a correre, come se facessero a chi arrivava primo in macchina. Mi voltai, scostandomi dalla loro traiettoria, e udii il ritmo dei passi che si avvicinavano. Stavo per girarmi di nuovo. Le spalle. Qualcosa mi colpì. Incespicai, lasciai la mano di Roxanne e caddi. 32 Sentii un fruscio di stoffa dietro di me, dei passi affrettarsi e Roxanne che gridava: «No!» Mi ero a malapena rialzato quando qualcuno si gettò su di me, facendomi rotolare sulla strada, cingendomi le spalle con le braccia e inerpicandosi sulla mia schiena. Vacillai, tentai di scrollarmelo di dosso ruotando su me stesso, cercai a tentoni dietro di me di colpirlo in volto, ma in quel momento l'altro mi fu addosso. Adesso indossavano entrambi il passamontagna e mi spinsero dietro l'angolo, in una specie di vicolo di servizio. Faceva buio e colpii il muro con la spalla, menai alla cieca con il braccio sinistro e presi uno dei due in piena faccia. Questi tirò indietro la testa, cercò di afferrarmi il braccio, ma io mi liberai con uno strattone, mi girai e mi feci scudo con il tipo che mi si era abbarbicato alla schiena. A quel punto mi spinsero entrambi contro il muro, facendomi scorticare il viso contro i mattoni duri. Gridai, ma qualcuno mi torse la testa all'indietro con uno strattone e m'imbavagliò. Cercai di bloccare il fazzoletto appallottolato con i denti, quindi loro spinsero più forte finché non mi si conficcò in bocca, soffocandomi. Qualcuno mi sfilò il portafoglio dalla tasca posteriore dei pantaloni e ordinò: «Controlla!» Poi udii l'altro che rispondeva: «È lui!» Roxanne spuntò da dietro l'angolo; il tizio e la donna la stringevano saldamente, lui le teneva una mano sulla bocca mentre lei si dibatteva, scalciava e calpestava i loro piedi. In quel momento si trovavano dietro di me e qualcuno gridò: «Usa questo.» Poi lei urlò forte finché la voce non si smorzò. «Lasciatela stare!» riuscii a gridare con la bocca imbavagliata. Loro cominciarono a prendermi a calci. Tentai di rigirarmi e sferrarne uno anch'io, ma caddi sul fianco contro il basamento del muro. Roxanne era in ginocchio, e la donna alle sue spalle le serrava il collo con un braccio. Mi diedero un'ultima scarica di calci, poi qualcuno mi salì sul torace. Rotolai e
me lo scrollai di dosso, gli afferrai le gambe con le braccia e gliele torsi facendolo cadere pesantemente sul marciapiede: la testa produsse un suono vuoto, come una noce di cocco. Due di loro si gettarono su di me, afferrandomi i polsi. La donna adesso si era portata davanti a Roxanne, mentre il tipo le teneva ferme le mani dietro. La donna le diede un schiaffo in viso e poi le agguantò la parte superiore della camicetta e gliela strappò. Vidi il reggiseno di Roxanne e la donna che si allungava di nuovo. Gridai e riuscii a rialzarmi faticosamente in piedi, sollevando con me anche il tizio che mi si era aggrappato alla schiena. Mi girai e caricai all'indietro, verso il muro: sentii la sua testa che cozzava contro i mattoni e i denti contro le mie spalle. Correndo m'infilai tra gli altri due, colpii la donna da dietro e lei volò oltre Roxanne, stramazzando a terra. Roxanne si scansò e io centrai il tipo dietro di lei in pieno volto, sentii i denti e qualcosa di bagnato, poi lui roteò e cadde. Un altro dei ragazzi ordinò: «Le mani, afferrategli le mani.» Ma ormai mi ero liberato, e anche Roxanne, che si strappò il bavaglio e corse in State Street, gridando aiuto. Udii delle voci lontane, qualcuno che chiedeva: «Cosa succede?» Mi si gettarono addosso, ma io mi divincolai e uno di loro inciampò e gli sferrai un calcio in pancia mentre, con il gomito, colpivo l'altro che mi aveva preso i polsi e stava cercando di spezzarmi le dita. C'era quasi riuscito, quando con l'altra mano mirai agli occhi, graffiai e strappai, facendolo sanguinare. Si udirono le voci che si avvicinavano. Come uno stormo di passeri, i quattro si staccarono all'unisono e incominciarono a correre lungo la strada, allontanandosi dalla piazza. Uno di loro si girò e gridò: «Verremo nel tuo Maine di merda e ti faremo secco!» In quel momento due uomini girarono l'angolo, uno con una scritta del Custom House sulla camicia, entrambi con i pugni alzati, il più anziano ansimava forte. Mi guardarono, il sangue mi scorreva giù per il viso, poi fissarono gli altri, girati di spalle, che svanivano nel buio. Uno dei due chiese: «Come si sente? Cos'è successo?» Intanto Roxanne svoltò l'angolo, tenendosi la camicetta strappata con una mano, mentre una donna dai capelli grigi si affrettava al suo fianco per aiutarla. Roxanne mi si avvicinò, piangendo. «Stai bene? Ti hanno fatto male alle mani?» mi chiese. Scossi la testa, togliendomi il fazzoletto che avevo ancora conficcato in
bocca. «Ci hanno provato» risposi. «Non vogliono che tu scriva il pezzo» commentò lei, ancora ansimante. «Invece scriverai il più bel pezzo che tu abbia mai scritto, schifosi bastardi!» Cominciò a singhiozzare rumorosamente. «Lo scriverai quel pezzo, lo scriverai, Jack McMorrow. Lo scriverai, lo scriverai, lo scriverai!» 33 Fuori dal pronto soccorso del Mass General c'era un andirivieni di ambulanze, come vespe attorno al nido. Eravamo in piedi, in cerchio, nel parcheggio di Fruit Street, Roxanne, io, Myra e la Sullivan. Il mio mignolo sinistro era fissato con una stecca all'anulare e tutta la mano pulsava. «Be', poniamo che Mick non volesse farsi vedere, ad esempio» ipotizzò la Sullivan. «Poteva subappaltare il lavoro pagando dei ragazzini perché si piazzassero davanti al suo ufficio ad aspettare. Inoltre, lei mi ha riferito che quelli che lavorano dai Connelly sapevano dove sarebbe andato. Chi altri ne era a conoscenza?» «Non lo so. Mick stesso ci avrebbe potuti seguire già da casa Connelly e avrebbe potuto fare una telefonata.» «Potrebbe aver accompagnato lui stesso i ragazzini» azzardò la Sullivan. «Sguinzagliandoli come cani.» «Pensa di riuscire a trovarlo stanotte stessa?» «Lo andrò a cercare. Scommetto che sarà in uno dei soliti bar e tutti confermeranno che è rimasto lì tutta la notte.» «E cosa pensa di fare?» «Questo non lo scrive, vero?» «No» la rassicurai. «Devo stare all'occhio quando parlo con i giornalisti, non vorrei che qualcosa di quello che dico mi si ritorcesse contro.» «Non c'è pericolo» confermò Myra. «Be', in questi casi si cerca di trovare qualcosa con cui far leva. Si trova qualcuno che è stato aggredito da Mick e con il quale abbiamo un conto in sospeso, e gli si propone di sporgere denuncia in cambio di una riduzione della pena. In questo modo ci si procura un capo d'accusa contro Mick che lo potrebbe far tornare in galera, e si conducono le trattative su quella base.
Oppure possiamo provare con Vincent, visto che ha un fratello in libertà provvisoria su cauzione per aggressione. Forse riusciamo a negoziare qualcosa.» «Un'aggressione a scopo di omicidio?» domandò Myra. «Bisogna sempre avere un forte potere di negoziazione» sentenziò la Sullivan. «Quindi lei pensa che il mandante di Mick sappia chi ha ucciso Angel?» «Sa qualcosa che noi non sappiamo.» Parlai, e la mia voce suonava aspra e stridula, il tono impaziente. «Che cosa sa esattamente, ispettore? Per la stampa, per l'articolo!» Tutti mi guardarono, ma nessuno disse nulla. Tirai fuori il taccuino e passai velocemente in rassegna le pagine con la mano fasciata. La Sullivan esitò, poi sfilò il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans, si girò e si allontanò di qualche metro. Roxanne si volse verso il Charles e le luci sul versante di Cambridge. «È proprio bella la città, vero? Uno non immaginerebbe mai che possano succedere tutte queste cose.» «L'altro giorno parlavo con una donna che insegna ad Harvard» disse Myra. «È una che studia tutti i bacherozzi che vivono nella sabbia dell'oceano e mi ha spiegato che, se la gente sapesse cosa c'è là sotto, non camminerebbe mai più sulla spiaggia.» Fui sul punto di sorridere. La Sullivan stava parlando e io per caso sentii che diceva: «Anche noi abbiamo bisogno di lui.» Poi si girò verso di noi e affermò: «Va bene, Jack. Ho delle cose da raccontarle.» Ci accomodammo sui sedili anteriori della sua auto, solo io e lei. Mi diede un portablocco su cui appoggiare il taccuino: mentre parlava, io scrivevo. Mi riferì che l'Audi era stata ritrovata su una stradina laterale a Chelsea: il finestrino era in frantumi e il lettore CD era stato rubato. Quelli della Scientifica avevano verificato la corrispondenza delle tracce d'erba e di altri vegetali prelevati dal sottoscocca della macchina con quelle del sentiero che conduce al luogo dove era stato ritrovato il cadavere, a Monroe, nel Maine. Inoltre, c'era una penna di gabbiano appesa allo specchietto retrovisore, come se la ragazza fosse appena tornata dalla costa. Invece, i genitori avevano dichiarato che la figlia era tornata a casa subito dopo aver lasciato
il Maine, il che significava che chiunque l'avesse uccisa era tornato di nuovo al Nord. Stavano controllando le videoregistrazioni dei caselli dell'autostrada del Maine, ma per il momento non avevano trovato niente di rilevante. Quindi l'auto poteva aver viaggiato sulla Statale 1, con un cadavere nel baule. Angel era morta per strangolamento. L'arma del delitto era la sciarpa stessa. I vestiti erano stati ritrovati sparpagliati sul sedile posteriore dell'automobile. Era stata uccisa durante un rapporto sessuale? Prima? Non lo sapevano. Non c'era alcuna prova che fosse stata vittima di uno stupro, né che avesse avuto rapporti nei giorni precedenti al decesso. Non era stato un omicidio casuale? Non sapevano nemmeno questo. Poteva essere stata aggredita al ritorno dal Maine. Non sapevano perché avrebbe dovuto farvi ritorno. Mercoledì, il giorno precedente al ritrovamento del cadavere, aveva telefonato in ufficio dandosi malata, ma poi era uscita per andare al lavoro come sempre. Secondo i familiari, Angel non aveva detto né fatto nulla che facesse immaginare che non fosse diretta alla Sky Blue, quel giorno. Doveva incontrarsi con qualcuno? Dalton era in ufficio quel giorno? «Le indagini sono ancora in corso» rispose la Sullivan. «Coraggio!» la incalzai. «Gesù, McMorrow!» rispose lei. «La maggior parte delle informazioni che le ho passato sono freschissime. Ci sono alcune cose che non sanno nemmeno al "Globe".» Queste notizie ci avrebbero permesso di scrivere un articolo di appoggio: questo lo decidemmo io e Myra, fermi in piedi nel parcheggio dopo che la Sullivan era partita in macchina. Le promisi che sarei andato in redazione il mattino dopo, presto, per scrivere entrambi i pezzi. Lei mi chiese quanto presto, e io le risposi molto presto. Allora mi disse di telefonare e aggiunse che ci saremmo visti in redazione. Alla fine mi domandò se il pezzo era cambiato e io le risposi di no. Ma non era del tutto vero. «Che c'è?» domandò Roxanne mentre uscivamo in auto da Storrow Street, le file di lampioni da una parte, le sponde del fiume dall'altra. Guardai il parco immerso nel buio, la distesa luccicante delle acque scure, le luci sull'altra sponda che brillavano, ma senza illuminare nulla. «Pensavo di sapere molto riguardo Angel» ammisi. «Credevo di averli inquadrati tutti.»
«E adesso invece non sei più così sicuro» continuò lei. «Mi sembra di capire sempre meno.» «No, Jack» mi consolò Roxanne; le belle mani, graffiate e scorticate, stringevano il volante. «Probabilmente, quanto più scopri, tanto più capisci che ti manca il pezzo centrale del puzzle per vedere il quadro completo.» «Siamo sempre più vicini» aggiunsi io. «Ma non so a che cosa.» «Non a che cosa» mi corresse Roxanne. «Ma a chi, Jack.» 34 Qualcuno si mosse dietro la finestra sul fianco della casa, nel momento in cui rientrammo. Le luci comandate dalla fotocellula si erano subito accese e il cancello si era richiuso alle nostre spalle. Scesi dalla macchina e tornai a guardare la casa, ma la persona non c'era più. Pensai che fosse la signora Donovan e, quando aprimmo la porta laterale con la chiave ed entrammo, la trovammo lì, in accappatoio e ciabatte. «Ho dovuto disattivare l'allarme» ci confessò, come se ci stesse rivelando un segreto. «E adesso, se rimanete in casa per tutta la notte, lo riaccendo.» Premette un tasto nel pannello sul muro e si accese una luce verde. La ringraziai per averci aspettati fino a quell'ora e lei mi rispose che era appena rientrata. Era andata alla festa di compleanno del nipotino, ad Arlington: aveva compiuto tre anni ed era un tesoro. Poi era rimasta fino a tardi perdendosi in chiacchiere. Notò la mia mano e mi domandò cos'era successo. Le raccontai che eravamo stati vittime di un'aggressione per strada e lei si mostrò turbata e scossa. Chiese se stavamo bene, io risposi di sì, e lei aggiunse che non sapeva dove sarebbe andato a finire il mondo di quel passo; quando era giovane lei, si poteva passeggiare per Boston a qualsiasi ora del giorno o della notte senza la minima preoccupazione. Stavo per dire che si trattava solo di un episodio fortuito, ma mi arrestai. «Signora Donovan» cominciai «c'è qualcuno che non vuole che faccia domande su Angel Moretti per il giornale.» «E perché mai?» domandò lei. «Non lo so con sicurezza.» «Era così una bella ragazza... Che disgrazia!» «La conosceva?» le domandò Roxanne, con un sorriso. «Oh, era venuta qui a casa. Una volta il signor Datton l'aveva mandata a prendere qualcosa; un'altra volta venne con David perché dovevano prepa-
rarsi per una riunione. Aveva una pelle meravigliosa, come quella di un neonato. Perché qualcuno non dovrebbe volere che si facciano delle domande sul suo conto? A meno che... oh, Dio mio!» «È vero» confermai io. «C'è di che avere paura, quindi faccia attenzione, caso mai qualcuno telefonasse o cercasse di entrare.» «Certo che farò attenzione, ci mancherebbe!» «L'aveva vista recentemente?» «Sì, qualche settimana fa. Le piaceva questo posto, sembrava che si sentisse veramente a casa sua. Comunque era solo una bambina. Che cosa terribile!» Guardai Roxanne e i nostri sguardi s'incontrarono. Mi chiesi per quale genere di riunione si fossero dovuti preparare Angel e David, e udii ancora una volta quella frase. "David, andiamo con l'Escape a Bar Harbor." La signora Donovan ci avvertì che c'erano delle fettuccine in frigo. Latte e biscotti. Birra e bibite in fresco nella dispensa, oltre al vino rosso nello stanzino del retrocucina. C'era un cavatappi nel cassetto a sinistra del grande lavabo in ardesia. In camera nostra era tutto pronto, ma aveva lasciato aperte le finestre del quarto piano per aerare i locali che si scaldavano durante il giorno e, a quell'ora, forse si era fatto un po' freddo. La ringraziammo molto e le augurammo la buonanotte, dopodiché io aprii il frigorifero e tirai fuori una Beck's. Ebbi l'impressione che Roxanne mi si afflosciasse sotto gli occhi, mentre perdeva colore. La raggiunsi e l'abbracciai, la ringraziai per essermi stata vicina, aggiunsi che mi dispiaceva di averla trascinata in quel guaio. Le promisi che avrei scritto il pezzo e che ce ne saremmo andati entro mezzogiorno, dritti a casa, nel Maine. Le chiesi se aveva provato ancora quelle fitte, lei fece un sorriso flebile e rispose di no, ma era stata troppo occupata per accorgersene. Infine andammo a letto. Roxanne andò in bagno, poi uscì e si sfilò i vestiti, infilò una maglietta e scivolò sotto le coperte. Chiuse gli occhi e sospirò, al che io affermai: «Lo so.» E, goffamente, cominciai a togliermi la camicia. Squillò il telefono. Non risposi e quello smise, così io riuscii a levarmi la camicia, ma in quel momento si sentì bussare alla porta, mentre la voce della signora Donovan mi avvertiva: «Jack, caro, la telefonata è per lei.» Guardai Roxanne, che aprì gli occhi. «Myra, la Sullivan o Clair?» mi chiesi. «Sono le uniche persone a cui ho dato questo numero.»
Ringraziai la signora Donovan e guardai il telefono portatile sul comò, ma era scarico. Aprii la porta proprio nel momento in cui la signora Donovan si apprestava a scendere le scale, e le chiesi se c'era un altro telefono in quel piano. Lei mi rispose di no e aggiunse che, però, ce n'era uno nello studio di David al terzo e che mi ci avrebbe accompagnato. M'infilai di nuovo la camicia e la seguii. Mi condusse al piano di sotto, lungo un corridoio, aprì una porta e accese la luce. Lo studio era rivestito da pannelli scuri e da libri; sulla scrivania c'era un telefono. Si vedeva la luce lampeggiare. La signora Donovan tornò a letto. Era un telefono con la segreteria, l'interfono e chissà che altro. Presi il ricevitore e risposi, ma dava il segnale di linea. Esaminai i tasti e vidi che c'erano tre linee telefoniche. Spinsi un altro bottone e non si sentì più nulla, allora ne premetti un altro e la segreteria cominciò a riprodurre i messaggi: informava che i Connelly ne avevano sei, ma io non sapevo fermarla. Sei messaggi. Afferrai un foglio di carta da un vassoio di ottone e una penna dal portamatite abbinato. Cominciai a trascrivere i messaggi e i numeri, mentre una parte di me sentiva che non avrei dovuto ascoltare, ma era troppo tardi. Kip voleva che David lo chiamasse per il viaggio all'inseguimento delle balene a sud di Baja, tre settimane a ottobre. Cassandra voleva parlare con Maddie per far giocare insieme Dylan e Maeve, ma se erano già partiti per il Maine, pazienza. John, quello del cantiere navale, telefonava per chiedere una cosa sulla Serendipity, li avrebbe cercati nel Maine. Patrick aveva avuto sentore di un affare molto interessante riguardo a dei terreni fuori Jackson Hole, e chiedeva di essere richiamato. Qualcuno telefonava dall'ufficio di John Kerry per cercare David o Maddie, e disse scherzosamente che continuavano a dar loro la caccia, ma non li trovavano mai. Il messaggio successivo iniziò con un sibilo e un crepitio, poi si sentì una voce. Non era una voce umana, ma quella di una macchina. "Salve Maddie e David" recitava, monocorde, con una strana inflessione, come un robot. "Vi state rilassando? Be', non mi sembra il caso, perché non siete ancora sfuggiti all'amo. Conosco il vostro segreto, ho il libro." Fui percorso da un brivido. Smisi di scrivere e subito ricominciai. "Non lo racconterò, non ancora. Voglio essere buono e darvi la possibilità di trovare un accordo. Ne parleremo. E non chiamate la polizia, perché lo verrò a sapere e divulgherò il vostro segreto."
Ci fu un breve sibilo, poi un'auto che accelerava, e rumore di traffico. Un robot in una cabina telefonica? Un nastro riprodotto in un telefono pubblico. Rimasi lì in piedi, fermo, la penna in mano. La segreteria produsse una musichetta squillante che indicava che i messaggi erano finiti. Mi domandai se li avrebbe salvati automaticamente, e la osservai per capire se c'era un modo per farlo. Volevo che Maddie e David sentissero il messaggio. Oppure volevo che sapessero che l'avevo ascoltato "Non siete ancora sfuggiti all'amo. Conosco il vostro segreto." Fui sopraffatto dalle domande. Quale segreto? Quale amo? Che genere di accordo? Un ricatto, non poteva essere altro. Perché sarebbero dovuti sfuggire all'amo? Per via di Angel? Rimasi in piedi nella stanza immobile e mi si chiuse lo stomaco, quella sensazione nauseabonda di essere stati traditi. Guardai la segreteria, ma ormai era tornata muta, le luci spente, come un serpente velenoso che si raggomitola dopo aver sferrato un attacco. Mi allontanai dalla scrivania indietreggiando e spensi la luce. Con il foglio in mano, tornai al piano di sopra, attraverso i corridoi dalla luce soffusa, e rientrai in camera, mi richiusi la porta alle spalle e girai la chiave. «Chi era?» chiese Roxanne dal letto. «Non lo so» risposi io. 35 Continuammo a parlare fino a notte inoltrata, sdraiati nel buio, le mani intrecciate, il nostro mondo circoscritto a quella catena di parole riprodotte da una macchina. Spiegai a Roxanne che si trattava della voce prodotta dalla lettura computerizzata di un testo, disponibile nella maggior parte dei programmi di videoscrittura. Probabilmente qualcuno aveva battuto il messaggio al computer, l'aveva inciso avvicinando un registratore alla cassa e poi l'aveva riprodotto nel ricevitore di un telefono pubblico. «Pensi che dovremmo chiamare la polizia?» chiesi io. «Non saprei» rispose Roxanne. «David e Maddie sono amici, forse dovremmo parlarne prima con loro.» «Forse hanno bisogno d'aiuto» supposi. «Se non sono "sfuggiti", allora significa che erano già stati presi all'amo precedentemente.» «E qualcuno conosce il loro segreto.»
«Che cosa potrebbe essere?» «Non saprei» risposi. «Potrebbe essere il tuo rapporto sui maltrattamenti. Forse è trapelato qualcosa.» «Ma praticamente quella è una faccenda conclusa. E poi ricorda che Maddie piangeva e David le prometteva che sarebbe andato tutto bene.» «Temo che adesso le cose non andranno più tanto bene, però.» «Dobbiamo dirglielo, non credi?» domandò Roxanne. «Il fatto è che non so se il messaggio è stato salvato. Non possiamo far finta di non averlo sentito.» Parlammo ancora un po', ma non trovammo una soluzione più facile. Poi ci addormentammo, l'uno vicino all'altra. Quando mi svegliai, la stanza era inondata di luce e si sentiva il rumore del traffico, all'esterno. Guardai l'orologio, erano quasi le sette e mezzo. Uscii lentamente dal letto e mi alzai in piedi: mi faceva male dappertutto, la schiena, le gambe, le spalle, persino i piedi. Contemporaneamente alle fitte di dolore, il ricordo degli avvenimenti della sera precedente mi aveva messo ancora una volta di fronte al dilemma: come raccontarlo a David e Maddie, e quando? Raggiunsi il bagno, chiusi la porta e aprii la doccia. Ci restai per un bel po' di tempo, tenendo le dita fasciate fuori dal getto d'acqua, e il dolore si placò leggermente. La situazione restava immutata. Uscii dalla doccia e mi asciugai. Mi stavo radendo quando Roxanne aprì la porta, si sfilò la maglietta e aprì la doccia. «Vengo con te» annunciò, mentre stendeva il braccio per sentire la temperatura. «Non voglio restare qui da sola.» Facemmo colazione con le focacce e il tè che ci aveva preparato la signora Donovan e ascoltammo il suo racconto della festa di compleanno. Cercammo di sostenere la conversazione, ma eravamo distratti; dopo mezza tazza di tè, io salii di sopra, presi le valigie e le portai giù. Ringraziammo la signora Donovan per tutte le premure che ci aveva riservato e lei rispose che non era nulla, che sperava saremmo tornati. Le consegnai il foglio di carta con i messaggi trascritti la notte precedente. Tutti tranne uno. Fu una mattinata caotica, trascorsa alla scrivania, in redazione, gli appunti sparsi davanti a me. Lavorai ancora al telefono. Contattai la moglie di Dalton, Sylvie, che fu molto condiscendente nei miei riguardi e nei riguardi di Angel. Comunque, confermò di essere stata lei a suggerire a "Ti-
mothy" di vestire la ragazza in modo che non mettesse tutti in imbarazzo a cena. Se pensava che il marito avesse avuto una relazione con Angel, non lo lasciò certo trapelare. Riuscii a comunicare con la signora Moretti, ma lei non sembrava in grado di capire dove volevo andare a parare con le mie domande relative al fatto che Angel stesse facendo carriera e se la passasse piuttosto bene. Alla fine le chiesi cosa ne pensava del fatto che sua figlia avesse a che fare con della gente così agiata; lei rispose che le persone erano persone e che i soldi non contavano. Poi parlai di nuovo con la Sullivan. Mi chiese come mi sentivo e mi riferì che stavano ancora cercando Mick e i ragazzini che ci avevano assaliti. Le domandai della cassetta di sicurezza e lei mi disse che le inchieste procedevano. Ufficiosamente, mi raccontò che avevano localizzato una cassetta intestata ad Angel, ma che era vuota. Stavano verificando se ce n'erano delle altre. A quel punto fu la Sullivan a farmi una domanda: «E lei ha qualcosa da raccontarmi?» Aprii la bocca, sentii che le parole erano sul punto di scaturire spontaneamente, ma poi risposi di no, che per ora non avevo nulla da raccontarle. Lei insistette, mai io tenni duro. Poi mi fermai e scrissi per due ore buone, le parole sgorgavano a fiotti, nonostante il dito rotto e, sullo sfondo, un groviglio di segreti. BOSTON - Nei mesi precedenti il giorno in cui fu assassinata e sepolta in una buca poco profonda nei boschi del Maine, Angel Moretti aveva cominciato a esplorare un mondo vicino e contemporaneamente distante anni luce dalla vita trascorsa crescendo nel North End. "Ti guardavi attorno e la vedevi parlare con il rettore di Harvard o con qualche grande filantropo" ci ha raccontato Timothy Dalton, il capufficio della Moretti alla Sky Blue Foundation, l'ente di beneficenza guidato da David e Maddie Connelly. "Era il posto adatto a lei. Imparava subito." E la Moretti, dotata di una bellezza che non passava inosservata, si trovava altrettanto a suo agio nei seri uffici della fondazione, nel quartiere finanziario, a una cerimonia di beneficenza in abito da sera o con i Connelly stessi. Proprio la settimana scorsa, David e Maddie Connelly avevano invitato la Moretti e altri membri
dell'organico della fondazione nella casa di villeggiatura della famiglia, sull'oceano, a Blue Harbor, nel Maine, un soggiorno che prevedeva anche delle gite sullo yacht dei Connelly, l'Escape, la fuga. Ma, sebbene il suo accesso all'alta società di Boston le offrisse una via di fuga, la Moretti non aveva dimenticato le proprie radici. Continuava a vivere a casa con i genitori a Prince Street, e aveva procurato un posto di lavoro alla fondazione anche alla sua più grande amica d'infanzia. "Era una persona stupenda" ha dichiarato Monica Vitale. "Continuavamo a essere grandi amiche, indipendentemente da quello che era successo." Per il momento, la polizia brancola nel buio. Consegnai il pezzo a Myra alle dodici e mezzo. Gli diede una prima scorsa e le piacque, individuò qualche punto debole e alcune costruzioni ambigue. Colmai le lacune e sistemai i periodi poco chiari. Myra disse che avrebbe spedito l'articolo e che mi avrebbe chiamato se la redazione nazionale avesse chiesto dei chiarimenti. Roxanne, che aveva lavorato nella sala delle interviste, racimolò le sue cose e lasciammo Boston, ma non gli interrogativi che erano scaturiti. I dubbi ci accompagnarono fino al Maine. Ma quale segreto nascondevano i Connelly per poter essere ricattabili? Bastava una bambina con un livido? Un'inchiesta nazionale su un caso di maltrattamento ai minori. Forse sì, se il ricattatore non sapeva che il caso era praticamente chiuso. Ci aggrappammo a questa supposizione ed elaborammo una teoria. E se qualcuno nel dipartimento di Roxanne avesse visto la denuncia e avesse notato il nome dei Connelly? E se questa persona avesse deciso che valeva la pena provarci? E se i Connelly non avessero voluto che la storia fosse rivelata? Ma quando Roxanne cercò di pensare se qualcuno del suo ufficio potesse anche solo contemplare l'idea di fare una cosa del genere, finì per escludere tutti. Li conosceva e si fidava di loro. D'altra parte, ci sembrava di conoscere anche Maddie e David e di poterci fidare anche di loro. Ma forse ci sbagliavamo? Potevamo ancora contare sul nostro istinto? Che cosa ne facevamo del nostro segreto se non conoscevamo il loro? Eravamo piuttosto turbati e, quando attraversammo il ponte di Piscataqua alle porte del Maine, le guglie di Portsmouth, il New Hampshire, le
barche che solcavano il fiume, non provammo alcun senso di sollievo. Di solito, quando rientravamo nel Maine, ci sentivamo togliere un peso di dosso. Ma questa volta, invece, il problema incombeva sempre più, a ogni passo avanti che facevamo. «Ci siamo andati a ficcare in un bel guaio» dissi, mentre puntavamo dritti a nord. Roxanne guardò il mio dito steccato, appoggiato in grembo. «Credi che ti verranno a cercare lassù?» mi domandò. «Spero di sì.» «Davvero?» «Sì, sono gli unici nemici che conosciamo» affermai. «E poi ce ne sono altri là fuori.» «Sì» confermai. «Sappiamo anche questo.» 36 Ci fermammo a South Portland, nell'appartamento di Roxanne, ma solo il tempo strettamente necessario per prendere dei vestiti e ritirare la posta prima di proseguire. Erano quasi le cinque quando lasciammo la Statale 3 nella contea di Waldo e cominciammo a farci strada su per le colline verso la nostra valletta silenziosa. Procedemmo senza parlare, attorniati dai boschi che sfilavano davanti ai nostri occhi. Dopo il periodo trascorso a Boston con i Connelly, le roulotte sembravano ancora più trasandate. Le fattorie sgangherate sembravano più vicine al crollo definitivo; le loro macerie sarebbero state inghiottite dal sommacco e dai pioppi che avevano già colonizzato i pascoli. Ma le colline apparivano più selvagge, i boschi più rigogliosi, i luoghi ancor più carichi di quel senso di mistero senza tempo che mi aveva attirato e trattenuto lì. Mi chiesi cosa avrebbero pensato Maddie e David Connelly, se avrebbero capito. «Pensi che David verrà lo stesso a tagliare gli alberi con te e Clair?» mi domandò Roxanne, mentre procedevamo rumorosamente sulla ghiaia. «Non so» risposi. «Ha detto che lo voleva fare.» «Pensi che fossero solo discorsi?» «No, non ho creduto che lo fossero.» «Ma adesso, invece, non ne sei più così sicuro.»
Quando entrammo in casa, la segreteria faceva lampeggiare il suo unico occhio rosso. La guardai, mi fermai e presi un respiro, non volevo sollevare il coperchio di un altro vaso di Pandora. Roxanne dava la caccia a un ragno sulla scrivania, lo inseguiva con un tovagliolino accartocciato, mentre quello scappava per salvarsi la vita. Lo spiaccicò e io sperai che non creasse un karma negativo. Premetti il pulsante e mi chinai per ascoltare. Clair ci dava il bentornato. Ci aveva ritirato la posta dalla buca sulla strada e sarebbe passato a portarcela. Il superiore di Roxanne diceva che qualcuno molto in alto gli aveva posto delle domande sul caso di Blue Harbor. Cade, lo sbirro, voleva incontrarmi al mio ritorno, per confrontare gli appunti. E David Connelly, la voce allegra persino sulla segreteria. Annunciava che si era comprato una motosega e sperava che io e il mio amico non lo avremmo deriso, come un ragazzino che scende a giocare con le scarpe da ginnastica bianche nuove di zecca. Diceva di chiamarlo una volta sistemati. «Vedi» commentò Roxanne. «Non erano solo discorsi.» «Sì» confermai. «Forse sono brave persone, come pensavamo noi.» Roxanne salì sul soppalco con una borsa, io ne portai un'altra in bagno per fare il bucato. Una volta finito, salii anch'io di sopra: Roxanne stava togliendo le cose che non aveva usato. Una camicetta di seta. Una maglia bianca. Un pagliaccetto verde scuro. Lo guardai, steso sul letto. «Quello non l'avevo mai visto prima» dissi. «Sei sicuro?» «Me lo ricorderei.» «Pensavo che avremmo avuto più tempo per noi a Boston» confessò Roxanne. Sorrise e prese il pagliaccetto dalle spalline, che erano due nastri sottili. Ammirai il pizzo mentre Roxanne lo appoggiava sul petto. «Ti piace?» «È difficile dirlo, sei tutta infagottata come un eschimese!» «Vuoi che lo indossi per te?» «Non sei obbligata, se hai altro da fare.» «Chiudi gli occhi» m'invitò lei. Li chiusi. Sentii il suono lieve della stoffa che scivolava sulla pelle. Poi Roxanne annunciò: «Adesso li puoi aprire.» Era bellissima: i capelli neri sulla pelle bianca delle spalle nude, gli occhi bruni che scintillavano, il seno avvolto dalla ragnatela di pizzo. Si pie-
gò, raccolse gli abiti dal letto e li gettò sul pavimento. Abbassò le coperte, s'infilò sotto e si adagiò. «Sei sicura?» le chiesi. «Ti sembro indecisa?» «No.» «E allora vieni da me.» Mi spogliai e m'infilai a letto anch'io, accanto a lei, e la guardai, feci scivolare la mano lungo la curva del suo fianco. Mi baciò dolcemente e io trattenni il respiro, stregato dal suo tocco proprio come se fosse stata la prima volta. «Non mi sembri affatto indecisa» dissi. «Non possiamo permettere che niente o nessuno ci fermi. Non adesso.» «No.» «Perché è questa la cosa più importante.» «Sì, lo è.» Mi baciò di nuovo. «Lo sai che tutto si riduce a noi due soltanto, Jack McMorrow» asserì lei. «Lo so.» Un altro bacio, questa volta più lungo. «E forse, fra qualche mese, non mi vorrai più vedere indossare questo» aggiunse Roxanne. «Invece sì che vorrò» risposi io. Le sfilai una spallina, feci scivolare la mano su di lei, la stecca del dito era fredda contro la sua pelle. Sussultò, poi sorrise e mi cinse con un braccio, mi strinse a sé e mi diede un bacio lungo e intenso. Quando si staccò da me, sussurrò, quasi a se stessa: «Non possono fermarci.» Prima che riuscissi a rispondere, mi attirò a sé e ci stringemmo, fondendoci l'uno nell'altra, dopodiché il pagliaccetto cominciò a scivolare via. «Ma l'ho appena messo» mormorò Roxanne, la seta raccolta attorno al suo busto, mentre le mie braccia l'avvolgevano. C'eravamo appisolati. Sognavo che un picchio batteva sul lato della casa e mi svegliai; Roxanne accoccolata contro di me, e il sogno svanì, ma il suono martellante continuò. Qualcuno bussava alla porta. Riprendendo lentamente coscienza, mi concentrai sulla luce grigia del crepuscolo che entrava dal lucernario. Mi
distaccai piano da Roxanne e uscii dal letto, presi i pantaloncini e la maglietta e li indossai. Balzai giù per le scale e raggiunsi l'entrata. Udii dei passi sulla ghiaia e aprii la porta proprio nel momento in cui Clair stava entrando nella cabina del furgone. Smontò, si sporse all'interno e ne estrasse un fascio di lettere. La busta più in alto era in un sacchetto di plastica. «Dai un'occhiata a quella lì» disse Clair. Così feci, tenendola sollevata alla luce dei fanali del furgone. L'indirizzo era scritto con caratteri grandi: ROXANNE MASTERSON, PROSPERITY, MAINE. L'indirizzo del mittente era scritto più in piccolo e dovetti avvicinare la busta per riuscire a leggerlo. Restai impietrito. «Oh!» esclamai. «Eh sì» rispose Clair. Il nome di Roxanne era scritto in nero, l'indirizzo del mittente era scritto con un pennarello rosso sangue: ANGEL MORETTI, BOSTON, MASS. 37 Faceva buio quando arrivò Cade. Entrò in cucina e scrutò la busta, ancora nel sacchetto di plastica, appoggiata sul tavolo della cucina come un serpente addormentato. «Il timbro è di Boston» constatò. «Di venerdì» precisai io. «Non eri anche tu laggiù?» chiese Cade. «Sì» risposi. «C'eravamo entrambi. Siamo tornati oggi stesso, poco dopo le cinque.» «Vi avrebbero potuto consegnare il messaggio di persona» osservò lui. «Qualcuno l'ha fatto» risposi, mostrandogli il dito steccato. «Non gli piace il tuo stile giornalistico?» chiese Cade. «Non gli piace il soggetto, piuttosto» risposi io. Raccolse il sacchetto con la busta e la girò e rigirò fra le mani. «L'inchiostro rosso è inquietante» commentò. «Melodrammatico» corresse Roxanne. «Anche questo è vero» rispose lui. Schiacciò la busta e l'agitò. «Non credo che esploderà» cercò d'ironizzare Cade. «Vediamo cosa c'è
dentro, se non le dispiace che leggiamo la sua posta, signora.» Aprì il sacchetto, lo scosse in modo da far uscire la lettera, poi sfilò un coltellino tascabile dai jeans. Tenendo la busta dai bordi, ne tagliò un lato. Entrò con due dita e ne estrasse un foglio di carta ripiegato. Aprì il foglio e ne caddero dei ritagli di giornale sul tavolo. Uno era il mio primo articolo sul "Times" riguardante il ritrovamento di Angel. L'altro era il suo necrologio sul "Globe". Il nome di Angel era stato cancellato e sostituito con quello di Roxanne. Dove il necrologio elencava i sopravvissuti, i nomi dei parenti dei Moretti erano stati cassati e qualcuno ci aveva scritto "nessuno". «Che dice la lettera?» chiese Roxanne, la voce aspra e cupa. Cade la posò sul tavolo e noi potemmo leggerla da soli. Signora Masterson, sono riuscito a ottenere la sua attenzione? Bene. Ecco il messaggio. Quel che è troppo è troppo. Dica al suo "amico" di lasciar riposare in pace Angel, e di permettere che i suoi genitori possano almeno serbarne il ricordo intatto. Forse non era così perfetta come pensavano loro, ma se non altro cercava di essere una brava persona. Quindi dica a Jack McMorrow "no, grazie". Pubblicherà il prossimo pezzo sul giornale solo quando verrà presa la persona che ha ucciso Angel. Quando succederà, lo verrà a sapere. P.S. Il solo fatto che lui sia un giornalista o che abitiate insieme non significa che non vi possa accadere qualcosa di brutto. E intendo dire molto brutto. Non è una minaccia, è un fatto. Un omicidio basta, non le pare? E si ricordi che l'ultimo è avvenuto nel Maine, proprio dalle sue parti. Potrebbe succedere ancora, magari dietro casa sua, a Prosperity. Solo che questa volta potreste finire entrambi dove nessuno sarà più in grado di ritrovarvi. Dica a Jack McMorrow che anche se non gli interessa salvare se stesso, potrebbe morire pure lei, se lui non smette di fare domande, perché questi assassini non lasciano testimoni. Un amico di Angel. «La famiglia!» esclamai. «Oppure qualcuno che vuole farti credere sia la famiglia» rettificò Clair.
«O Monica» aggiunse Roxanne. «Ma se ho parlato con lei proprio ieri, quando la lettera era già stata spedita!» «Era in vena di chiacchiere?» «Sì, abbastanza, direi. Ne ho parlato anche con la Sullivan.» Cade mi chiese di riferirgli quanto avevo raccontato alla Sullivan sulla mia conversazione con Monica. La Sullivan l'aveva chiamato, ma lei andava sempre di fretta e lui voleva sentire la versione originale. Ci sedemmo al tavolo, tutti e quattro, loro presero un caffè, io un tè e, nel frattempo, raccontai che Angel aveva improvvisamente ricevuto un mucchio di soldi. Cade prese qualche appunto. Mi chiese se pensavo che Monica fosse stata sincera, io gli risposi che ritenevo che lo fosse stata, fino a un certo punto, ma che era anche leale nei confronti di Angel. Poi volle sapere se stavo preparando un altro articolo e io guardai Roxanne, che rispose: «Sì.» «Scriverai anche di queste minacce?» «Penso che sia arrivato il momento» dichiarai. «Ma il "Times" probabilmente affiderà il pezzo a qualcun altro.» «Ah sì?» disse Cade. «Allora vi consiglio di essere prudenti, tu e Roxanne. Questa lettera sembra un po' una stupidaggine, ma Angel Moretti è morta stecchita e quella non è una stupidaggine.» «Resto io con lei» intervenne Clair, e Roxanne non declinò la sua offerta. Prima che Cade se ne andasse, fotocopiai la busta, il messaggio e i ritagli. Cade rimise tutto nel sacchetto di plastica, raccontando che nel Maine c'era stato un caso in cui avevano prelevato il DNA dalla saliva lasciata dal tizio che aveva leccato la colla. «Non spargete la voce» aggiunse. «Altrimenti cominceranno tutti a usare quelle spugnette.» Dissi che me ne sarei ricordato e lo seguii all'esterno. Ci fermammo per un momento accanto alla sua auto, la radio gracchiava nell'aria ferma dell'estate. Le falene, attirate dai campi e dai boschi oscuri, urtavano insistentemente contro la luce della rimessa come fiocchi di neve, e i pipistrelli si fiondavano sulle prede, uscendo dal buio. «Allora cosa ne pensi?» gli chiesi. «Penso che parlo sul serio quando dico di essere prudenti» rispose lui, con una mano sulla maniglia dello sportello. «È proprio vero che è molto più facile uccidere dopo la prima volta! Soprattutto se si tratta di coprire il primo omicidio. Magari non c'è stato un movente per il primo assassinio, ma ce n'è sicuramente uno per il secondo.»
«Me ne ricorderò. Nient'altro?» «Su questo caso? Resti fra noi, ma alla fine si ridurrà tutto a una questione di denaro o di sesso, o a entrambi. Credo che Angel Moretti prendesse denaro in cambio di sesso, e che si sia spinta troppo avanti. Tu cosa ne pensi?» Osservai le falene e i pipistrelli, e la voce al computer mi risuonò nella mente. "Non siete sfuggiti all'amo." Quando volsi lo sguardo verso Cade, vidi che mi stava fissando, cercava un indizio sul mio viso. «Credo di aver bisogno di parlare con te.» «Quando?» «Domani. Probabilmente nel pomeriggio.» «Sapevo che avresti detto una cosa del genere, Jack» mi rispose, aprendo lo sportello della macchina. «Come mai?» domandai. «Perché hai una coscienza, amico mio.» «Ti chiamo.» «No» disse asciutto lui, lasciando intravedere un barlume dello sbirro indurito che si nascondeva dietro la maschera dell'ispettore ragazzino. «Ti chiamo io.» 38 Clair disse che non era passato a sorvegliare la casa durante la notte. Pur non credendogli, mi dovetti fidare della sua parola perché non l'avremmo sentito nemmeno se se fosse stato ai piedi del letto. La maggior parte delle volte, erano capacità inutili, diceva lui. Era in grado di muoversi in silenzio nei boschi, in una casa o in un campo nemico, di uccidere qualcuno prima che uccidesse lui. Ma a volte queste capacità di Clair si rivelavano davvero preziose. Partimmo alle nove, tutti e tre. Roxanne aveva chiamato il numero lasciato da Devlin; questa volta aveva risposto un uomo, riferendo che Devlin non poteva venire all'apparecchio, ma che desiderava vederci. Roxanne rispose che eravamo già in cammino; l'uomo, che si presentò come Gary, ci diede le indicazioni per raggiungere la città di Castleton, venti minuti a nord di Blue Harbor. Con Clair al volante, seguimmo le indicazioni fino alla costa, un banco di nuvole che scaricavano fulmini ci inseguiva mentre ci spingevamo a est. Sulla baia c'era il sole, il cielo era azzurro e l'acqua blu e verde. Le isole ri-
coperte di vegetazione e le barche per la pesca delle aragoste facevano la spola tra di esse. Ci facemmo strada verso nord dietro ai turisti che erano venuti a visitare questo luogo dove va tutto bene, il paesaggio non è stato deturpato e le persone conducono un vita semplice che le lascia soddisfatte. Mi chiesi come fosse sembrato a Devlin, quel Maine che esisteva al di là del mondo protetto e privilegiato dei Connelly. Clair constatò che evidentemente le era piaciuto abbastanza da indurla a rimanere. Le indicazioni ci condussero oltre il Quik-Stop di Castleton, un emporio a un incrocio, con due case e un pollaio sgangherato il cui tetto in metallo era stato piegato dal vento. Proseguimmo ancora per otto chilometri, girammo a destra al cortile del rigattiere e seguimmo una strada secondaria. Dopo circa tre chilometri e mezzo, cercammo un'insegna con scritto R&S e svoltammo in una strada d'accesso tra i boschi. Dopo un centinaio di metri c'era un garage e accanto una roulotte azzurra. Di fronte era parcheggiata una vecchia Volkswagen a cui era attaccata una barca da aragoste su un rimorchio con una gomma a terra. Delle trappole per aragoste in filo di ferro erano ammassate su un fianco della barca. Si aprì la porta a zanzariera della roulotte e apparve una donna, in piedi sulla soglia. Era giovane, con il viso rotondo, di carnagione chiara, e i capelli biondi corti con due centimetri buoni di ricrescita scura. Indossava una salopette a cui erano state tagliate le gambe dei pantaloni, e una maglietta bianca con le maniche arrotolate. Scendemmo tutti e tre e ci avvicinammo alla porta. «Lei dev'essere Devlin» esordì Roxanne. «Sì» rispose scocciata lei. «E non ho fatto niente di male.» Devlin si girò e rientrò, e noi tre la seguimmo. La roulotte era buia sotto gli alberi, ma era in ordine, pronta per accogliere ospiti. Accanto alla porta erano allineati degli stivali e delle scarpe da ginnastica da uomo, un fucile e una carabina erano riposti su una rastrelliera di plastica avvitata al muro. Mi accorsi che Clair li aveva notati, si era spostato di fianco e si era messo ad ascoltare. «Siete venuti in massa, vedo» commentò Devlin. «Credete forse che io sia una criminale pericolosissima?» «Questo è il signor McMorrow, e questo è il signor Varney» ci presentò Roxanne. «Lavoriamo insieme.» Noi salutammo e lei annuì. Non feci in tempo a sentire l'odore di sigaretta stagnante nella roulotte, che Devlin estrasse un pacchetto dal tavolo ro-
tondo e se ne accese una con un accendino di plastica. Il televisore funzionava, trasmettevano un talk-show, e la ragazza si avvicinò a piedi nudi e lo spense. Era di corporatura robusta, le gambe muscolose e le spalle abbronzate; mi chiesi se era andata anche lei a pescare le aragoste. «Allora, so che mi avete cercata.» «Sì» confermò Roxanne. «Ma pensavamo che lei fosse tornata in Irlanda.» «Non esiste!» reagì Devlin. «Non ho fatto tutta questa strada per tornarmene indietro con la dannata coda fra le gambe.» Devlin raggiunse il banco della cucina e ci si appoggiò sopra. Roxanne prese un taccuino da lavoro e una penna dalla borsa e si accomodò al tavolo. Appoggiò la penna trasversalmente sul taccuino. «Quindi sa quello che dicono sul suo conto?» chiese Roxanne. «Perché non me lo racconta lei?» controbatté Devlin. Roxanne glielo riferì, e poi aggiunse che lei stessa aveva visto i lividi. «Non bisognava essere Sherlock Holmes per vederli» commentò Devlin. «Cioè, so che ci sono e so che li ho provocati io.» Roxanne, abituata a estrarre con pazienza la verità dalle persone, alzò lo sguardo verso di lei, sorpresa. «Be', quella bambina basta guardarla che si riempie di lividi. L'ho afferrata per le spalle perché mi desse retta, tutto qui. Le è andata bene che non l'abbia presa a sculaccioni. Quand'ero una bambina io, se mia madre mi diceva di smettere di fare qualcosa, smettevo. Non la guardavo negli occhi continuando a fare quello che stavo facendo solo per il gusto di vedere come andava a finire.» «È quello che faceva Maeve?» «Certo. Mi metteva alla prova. Dice: "Non sei mia madre, non mi puoi dire quello che devo fare". E io dico fra me e me: "Questa bisogna stroncarla subito". Le faccio: "Non sono tua madre, ma sono sempre il capo. E adesso è ora di togliersi quel costumino bagnato prima di rovinare tutti i mobili". Maddie era appassionatissima di mobili, di preziosissimo antiquariato e roba del genere. Allora Maeve attacca con: "Tu non sei il mio capo!". Io allora la prendo per le spalle, la porto in bagno e lei scalcia, le tolgo il costume bagnato e la metto nella vasca.» «È stato un episodio isolato?» chiese Roxanne. «Be', sì. Quando ho visto che bastava toccarla per lasciarle tutti quei segni... D'altronde sembra fatta di creta. Li ha visti anche lei quei lividi.» «Sì.»
Roxanne aveva raccolto la penna e aveva cominciato a prendere appunti. «Quindi, quella sera, era come se la bambina sapesse di avermi in pugno, per via dei lividi. Le chiedo di mettere a posto i pennarelli e lei risponde: "Perché non lo fai tu?". E io ribatto: "Perché lo devi fare tu". E lei mi fa: "Michaela...". È così che si chiamava la ragazza alla pari di prima. E dunque mi fa: "Michaela non mi ha mai fatto raccogliere i pennarelli". Io le faccio: "Adesso ci sono io e io te lo faccio fare". Allora lei si alza dal pavimento dove sta colorando, e fa per andarsene. Io la fermo, ma ormai so che non la posso stringere. Sa, per i lividi. Così la porto nello sgabuzzino e la metto in castigo.» Roxanne scriveva. Clair si girò verso la porta, attento al rumore di un furgone che si avvicinava, fuori, sulla strada principale. «Era buio, nello sgabuzzino?» chiese Roxanne. «Be', sì. C'è una luce, ma non credo che arrivasse all'interruttore.» «Ha pianto?» «Sì, ma solo per qualche minuto. Ma se non le facevo capire chi comandava, mi avrebbe incastrata. Mi avrebbe messo i piedi in testa per tutta l'estate, senza dubbio.» «Quindi ha pianto, e poi cosa?» «Poi ha smesso, allora l'ho fatta uscire. Pensavo che fosse finita lì, insomma, non l'ho picchiata. Se avessi parlato con quel tono a mia madre, non sarei stata nemmeno in grado di alzarmi da terra, dopo.» «E poi cos'è successo?» chiese Roxanne, la voce calma e distaccata. Devlin si voltò e spense la sigaretta in una conchiglia sul banco. «Be', Maddie mi ha fatto venire la sera dopo. Maeve aveva fatto la spia. Io le dico: "L'ho solo presa per la spalla. Sai che si riempie di lividi con niente". E lei mi fa: "Ah sì? E allora cosa ne dici del fatto che l'hai chiusa nello sgabuzzino al buio? Si è spaventata da morire". Io le dico: "Era una punizione, come mi avevi detto di fare tu". Lei fa: "Non intendevo dire che la dovevi rinchiudere nello sgabuzzino. Pensa ai traumi psicologici che puoi provocare". E altre stronzate del genere. Capii che non era il caso di stare a discutere.» «Ah, no?» «Be', aveva già una busta pronta. E anche tutto il resto del mio compenso in contanti.» «E un biglietto per tornare a casa?» «No, quello è arrivato il giorno dopo. Quindi mi dà i soldi e mi tratta gentilmente. Insomma, non ha detto che ero una che picchiava i bambini.
Ha solo detto che avevamo idee diverse sul concetto dì "corretta disciplina".» «Quindi vi siete lasciate in buoni rapporti?» «Pensavo di sì, ma poi mi vengono a dire che mi ha denunciata. Che bel gesto! E che mi state cercando in Irlanda come se fossi un'assassina.» «Chi gliel'ha detto?» «Mia zia.» «Pensavo che sua zia non la vedesse da anni.» Devlin sorrise con aria sorniona. «Sì, be', ma non tradisce certo una della sua famiglia.» Roxanne la guardò a lungo e poi parlò: «Le cose non sono andate proprio così: qualcun altro ha notato i lividi e ha sporto denuncia alla mia agenzia, così sono andata a controllare. È stato allora che Maddie mi ha raccontato l'accaduto. Ma avevo bisogno anche della sua versione.» «Ecco, è quello che le sto fornendo. Però la sa una cosa? Neanche loro sono stinchi di santo.» «Cosa intende dire?» chiese Roxanne. Ascoltammo. «Sì, a lei sembrerà una famiglia felice del cavolo, vero? A me non è proprio sembrata. Lei, Maddie, non so se ci sta tutta con la testa. Voglio dire, quanto sarò stata da loro? Un paio di mesi? E li ho sentiti litigare come cane e gatto.» «Per cosa litigavano?» domandò Roxanne. «Non lo so con esattezza. Penso che litigassero per i soldi. Lui diceva: "Paga, e basta". E lei: "No, non è giusto". Questo è tutto quello che ricordo. Forse le riserve di danaro non sono poi così infinite come pensa la gente. Lo sa quanto costa quella barca?» «Sì, lo so» intervenni io. «Ma cosa intende quando dice che la signora Connelly non ci sta con la testa?» «Non so. Mi ricordava una delle mie cugine in Irlanda. Cade in depressione, si fa risucchiare dal buco nero della disperazione. Maddie era un po' così. A volte stava bene, ma altre volte, quand'era da sola, uno entrava e si rendeva subito conto che c'era qualcosa che non andava.» «Come se fosse stata triste?» «Sì, molto. Ma questa non è la cosa peggiore. Mi denunciano perché sono una bambinaia incompetente o non so che, e lui si porta a casa delle ragazze a farsi qualche galoppata quando non c'è la moglie.» Roxanne alzò gli occhi dal blocco, io ebbi la sensazione di ricevere un
pugno. «In base a che cosa afferma questo, Devlin?» domandò Roxanne senza scomporsi. Devlin si fermò, accese un'altra sigaretta, diede un tiro e soffiò fuori una nuvola azzurra. «Perché lì ho sentiti» rispose, sferrando il colpo di grazia. «Li ha sentiti fare cosa?» «Li ho sentiti... insomma... farlo.» Sorrise maliziosamente. «Vede, Maddie e Maeve erano andate nella loro casa di Boston perché Maeve aveva un appuntamento dal medico. David sarebbe dovuto andare in viaggio in barca per un paio di giorni, quindi avevo il fine settimana libero e lo volevo passare qui, con questo ragazzo che avevo conosciuto, Gary. Cioè, avevo bisogno anch'io di stare con della gente vera di tanto in tanto. Sarà stato quando? Sei settimane fa? Però avevo dimenticato qualcosa, qualcosa d'importante. Allora prendo il camioncino di Gary e torno indietro. C'era una macchina, fuori, davanti ai garage, ma io non ci ho fatto caso più di tanto. Poi però entro in casa e, mentre vado in camera mia, li sento. Cioè, si sentivano in tutta la casa. Luì, tutto un gemito e un lamento. Lei, praticamente urlava. "Oh Dio! Oh Dio!" E io mi dico: "Bene, bene, che carino. La moglie se ne va e il gatto se la spassa alla vecchia maniera". Comunque, secondo me, lei faceva finta, se lo vuole sapere.» «Non era Maddie?» «No, si sentiva che era molto più giovane di lei.» «E dopo cos'è successo?» chiese Roxanne. «Me ne andai. Ero schifata, davvero. Il signor "casa e famiglia", il signor "padre perfetto", che invece si prende una pollastrella sicuramente conosciuta a una festa chic e se la porta di nascosto a casa a farsi una cavalcata quando non c'è sua moglie. Si fa una bella scopata, e per di più nel letto di sua moglie. Non è grandioso?» Ero nauseato, deluso. Questo era il David Connelly che corrispondeva allo stereotipo, non quello che avevo conosciuto io. O forse non lo conoscevo proprio per niente. «E poi mi cacciano via per aver calcato un po' la mano con la bambina? E poi vi fanno chiamare mia zia come se l'avessi presa a bastonate?» «E allora cos'ha fatto dopo?» continuò Roxanne. «Quando?» «A casa, quel giorno.»
«Niente, mi sono detta: "Certo che questi sono davvero dei ciarlatani. Ciarlatani ricchi e famosi". E sgattaiolai via, cercando di fare il meno rumore possibile. Non hanno mai nemmeno saputo che ero passata quel giorno.» «Che cosa era accaduto per primo?» chiesi io. «Per primo cosa?» domandò lei. «Il litigio o la scappatella a casa?» Si dovette fermare a pensare per un attimo. «Loro due a casa» rispose Devlin. «Li avevo già sentiti litigare altre volte, ma il litigio di cui parlavo è avvenuto proprio pochi giorni prima che me ne andassi.» «E che macchina era quella del giorno in cui è tornata a casa dei Connelly?» domandai. «Quella di Gary? Una Chevy. Ci trasporta le trappole per le aragoste. Torna fra poco, se non mi crede... Gliel'ho raccontato quando sono tornata qui da lui, ho detto: "Non ci crederai, ma...".» «No» chiarii. «Quella parcheggiata vicino ai garage quel giorno. Che tipo di macchina era?» «Ah, quella!» esclamò Devlin. «Era un'Audi. Bella macchina davvero. Aveva una targa del Massachusetts e c'era una piuma appesa allo specchietto. Era bianca.» «La macchina?» chiesi. «No» rispose lei. «La penna. La macchina era color argento.» 39 Imboccammo la strada principale, subito dopo il Quik-Stop di Castleton; Clair al volante, io davanti, Roxanne dietro che lavorava. Le nubi ci avevano superato da ovest e l'aria era ferma. «Un caso chiuso» affermò Roxanne. «E un altro che si apre come una voragine» aggiunsi io. «Ci sono parecchie Audi argento nel Massachusetts» notò Clair. «Non con una piuma!» ribatté Roxanne. «Non si può mai sapere per certo» feci io. «Forse dovremmo solo andarlo a chiedere a lui» propose Clair. «È vero, forse dovremmo» assentii io. «Ma non oggi.» Pensavo al messaggio telefonico nella casa di Back Bay, e a quello che mi aveva raccontato Devlin a proposito di David e Maddie e della loro lite.
David che diceva: "Paga e basta". Maddie che protestava: "No, non è giusto". La voce al computer che minacciava: "Non siete ancora sfuggiti all'amo". Cominciò a piovere, scrosciava come se un aeroplano avesse spruzzato qualcosa, e io presi il telefono. Cercai Myra, a Boston. Mi rispose e io le chiesi se conosceva il bibliotecario del "Globe". Affermò che lo conosceva abbastanza bene, in effetti. Le dissi che era una cosa positiva, perché mi serviva un favore. Mi occorreva tutto quello che avevano in archivio su Maddie Connelly, via fax. Volevo anche una ricerca Nexus-Lexus al computer. Myra disse che della ricerca se ne sarebbe occupata lei stessa. Mi chiese se il pezzo di martedì reggeva ancora. «Sì» risposi. «Ma ho l'impressione che sia solo la punta dell'iceberg.» E riagganciai. «Perché Maddie?» chiese Clair. «Non parlavano della bolletta della luce» commentai io. «E c'è qualcuno che conosce il loro segreto, che ha il libro» aggiunse Roxanne. «Quindi, se dovessero essere messi alle strette, quale dei due nasconderebbe un segreto?» «Pensa alla vita di David Connelly» dissi io. «L'ha trascorsa principalmente sotto o vicino ai riflettori. Quando se la spassava ad Harvard, se ne sentiva parlare. In seguito, non poteva dare appuntamento a una donna senza finire su qualche rotocalco. Kathleen Kind ha detto che le avevano attribuito una relazione con lui solo perché li avevano visti uscire insieme da una colazione di lavoro. Quindi, quanti segreti credi che possa nascondere?» «Almeno uno» rispose Roxanne. «Allora forse è Devlin quella del messaggio computerizzato?» domandò Clair. «L'ex bambinaia frustrata che decide di prendersi un po' di soldi dai Connelly.» «Allora perché raccontarlo a Roxanne?» gli domandai. «Un segreto non vale più niente, una volta svelato. No, credo che, a meno che non abbia ammazzato qualcuno, David Connelly non si faccia spaventare molto facilmente. Una relazione? Non farebbe notizia.» «E Maddie?» chiese Roxanne. «Lei è la chiave dell'enigma» risposi io. «È quella la cui vita non è come un libro aperto.»
C'erano fogli ovunque, sputati fuori dal fax e sparsi sulla scrivania e sul pavimento. Li raccolsi e controllai la posta elettronica, ma i risultati della ricerca non erano ancora arrivati. Mentre Roxanne parlava al telefono con qualcuno dei servizi sociali, in cucina, Clair preparava il pranzo. La pioggia tamburellava all'esterno. Riordinai i ritagli. Erano per la maggior parte articoli estratti dal "Globe", e riguardavano soprattutto Maddie e David. Apparivano sulla pagina degli avvenimenti mondani almeno un paio di volte l'anno: David in smoking, con il suo ampio sorriso amabile rivolto a qualche comune mortale meno fortunato di lui. Maddie in abito da sera con un sorriso appena abbozzato, mentre salutava qualcuno, l'espressione seria e meditabonda durante le conversazioni. In alcuni articoli si parlava esclusivamente di lei, di solito quando si annunciavano sovvenzioni e inaugurazioni di programmi. Infine c'era un pezzo del "Times" che ritraeva Maddie come qualcosa di più di una semplice appendice al bello della famiglia Connelly. Descriveva il suo impegno verso i minori e l'affidamento, nonché verso l'offerta di servizi psicologici per i giovani disagiati. Si faceva riferimento al suicidio del fratello Clinton, ad Amherst, nel Massachusetts, e al successivo divorzio dei genitori. Maddie aveva dichiarato che era stata una prova tremenda e che non credeva che il fratello avesse veramente voluto togliersi la vita. "Clinton era un fratello meraviglioso, e io lo adoravo" aveva affermato Maddie. Clair portò in tavola dei sandwich di tonno e un'insalata di pasta. Roxanne aveva smesso di parlare al telefono, ci raggiunse e pranzammo, mentre io passavo loro gli articoli a mano a mano che li finivo. Alla nascita di Maeve il "Globe" dedicava un articolo intero, il "Times" solo un trafiletto. Il matrimonio di David e Maddie era il tema di un lungo articolo sulle pagine del "Globe" dedicate alla vita mondana e ai passatempi. Erano entrambi giovani e belli, ma quando esaminai più da vicino la foto, notai che lo sguardo di Maddie sembrava velato di tristezza, anche quando sorrideva. Esaminai con estrema attenzione tutte le foto. Indipendentemente dal soggetto dell'articolo, restava la solita traccia di malinconia. «Che bella sposa!» esclamò Roxanne. «Oh, ma guarda Maeve, che bella bambina!» Mi allungai verso di lei e le passai un braccio attorno ai fianchi. «Sì, però guarda gli occhi di Maddie» le feci notare io.
Roxanne alzò lo sguardo da uno dei ritagli. «Sì» confermò. «È come se sapesse che è troppo bello per essere vero.» «Come se fosse in un certo senso tutto costruito su fondamenta di sabbia.» «Ma è una cosa che hai notato anche conoscendola di persona?» mi chiese Roxanne. «Un po'» risposi. «A volte è come se fosse malinconica.» «Ci sono persone tristi di natura» disse Clair. E Maddie aveva di che essere triste. Il padre, professore di matematica ad Amherst, era morto in un incidente stradale sulla Statale 2 quando Maddie frequentava il secondo anno ad Harvard. La madre, che insegnava antropologia ad Amherst, era morta per insufficienza epatica due anni dopo, all'età di cinquantadue anni. Mi chiesi se, rimasta vedova, si fosse data all'alcol per fronteggiare la solitudine, se si fosse mai ripresa dalla morte del figlio. Passai loro i ritagli e si misero a leggere. La pioggia cadeva più fitta; mi alzai, raggiunsi la portafinestra scorrevole e la chiusi, per evitare che gli schizzi entrassero in casa. Rimasi in piedi e guardai il cielo fuori, che adesso si era fatto più scuro, coperto di nubi rigonfie che sembravano dipinte. Gli alberi, ai bordi del bosco, erano di un verde scuro splendente, un silenzioso groviglio di foglie che nascondeva tutto ciò che si trovava dietro. Per un momento provai un insolito brivido di paura, la sensazione che ci fossero così tante cose ignote intorno a me. Me la scrollai di dosso. «È davvero triste» commentò Roxanne. «È come se qualcuno dall'alto avesse deciso di concedere a Maddie tutta la buona fortuna della famiglia.» «Mi chiedo se questa cosa la turbi» disse Clair. «Il fratello si spara davanti a lei in camera da letto. Il padre si schianta contro un albero. La madre che può essere morta di morte naturale, o che più probabilmente si è ammazzata a forza di bere.» «E poi lei si aggiudica uno dei migliori partiti di tutto il New England» conclusi io. «Non so» disse Roxanne. «Non è stata lei a far succedere tutte quelle disgrazie.» «No» confermai. «Un senso di colpa ingiustificato» dichiarò Clair. «Si tratta di uno dei sintomi più comuni dello stress postraumatico. Il soldato che sopravvive mentre i suoi compagni muoiono.» «Maddie Connelly affetta da una sindrome da stress postraumatico?»
domandai. Roxanne era appoggiata al tavolo e leggeva l'articolo sul matrimonio. Tornai al computer e controllai di nuovo la posta elettronica. Questa volta erano arrivati i risultati della ricerca, inoltrati da Myra. Il messaggio diceva: BUONA CACCIA! Feci scorrere il testo sullo schermo. Per la maggior parte, si trattava di notizie che avevamo già. Ma avevano incluso nella ricerca pure la Sky Blue Foundation, perciò c'erano anche delle informazioni sulle sovvenzioni e sugli altri Connelly che erano solo marginalmente in rapporto con la fondazione. E poi c'erano degli articoli più vecchi, recuperati da qualche banca dati. Maddie che entrava negli annali dei migliori studenti ad Harvard, come riferiva il "Daily Collegian" di Amherst. Il fidanzamento di Maddie sul "Berkshire Eagle". E poi un ultimo articolo, in ordine cronologico. Era estratto dal "Collegian" del 4 marzo 1977. Era un pezzo breve, di cinque paragrafi, in cui si diceva che il decesso di Clinton Archer Boswell era stato giudicato come suicidio. L'ultimo paragrafo raccontava che il coroner della contea dello Hampshire non aveva convocato Madeline "Maddie" Boswell, di sette anni, come teste per l'inchiesta sulla morte del fratello, pur essendo l'unica testimone oculare. Un portavoce dell'ufficio del coroner ha dichiarato che, per la giovane età e per il trauma subito, la bambina "non è del tutto credibile" come teste. "I suoi ricordi della morte del fratello non sono confermati dalle prove materiali" ha dichiarato il portavoce "e possono essere stati indotti da una reazione isterica e dai farmaci somministrati in seguito all'incidente." Lessi il paragrafo a Roxanne. «È terribile» commentò lei. «Povera bambina!» «Mi chiedo cosa avesse immaginato.» «Probabilmente che era entrato un aggressore misterioso che aveva ucciso il fratello e poi era fuggito» suppose Clair. «O qualsiasi altra invenzione che le impedisse di credere che l'amato fratello la volesse abbandonare.» «Sì, ma non mi sembra un segreto» notò Roxanne. «È pubblicato sul giornale.» «È vero» ammisi. «Io scommetterei che è il marito che scopa in giro» sentenziò Clair. «Adesso è più maturo, ha una figlia che potrebbe venirne a conoscenza, quin-
di la cosa potrebbe danneggiarlo.» «E poi mi sembra impossibile che Devlin abbia tenuto tutto per sé» continuò Roxanne. «Magari il ragazzo di Devlin, il pescatore di aragoste, ha deciso di scuotere i Connelly come un albero della cuccagna per vedere che cosa ne cade» aggiunse Clair. «Questa potrebbe essere una mossa sbagliata.» «Spero di no» risposi io. «Perché?» domandò Roxanne. «Perché i prossimi a scuotere l'albero saremo noi.» 40 Telefonai ai Connelly, a Blue Harbor, per informarli che saremmo passati da quelle parti e che pensavamo di andarli a trovare. David sembrò sinceramente lieto, ci comunicò che era una giornata particolarmente burrascosa in mare e che erano appena rientrati con la barca prima che si scatenasse la tempesta. Aggiunse che gli faceva piacere che ci fosse anche Clair, e che aveva bisogno di qualche dritta per la nuova motosega. Mi propose di fare così: potevamo berci un paio di birre, mangiare qualcosa per cena e poi osservare il temporale sulla baia. Cosa me ne sembrava come programma? Risposi che andava bene. Roxanne ci avvertì che dovevamo chiamare la polizia al più presto, e io risposi che l'avremmo fatto quella sera stessa, non appena ce ne fossimo andati da casa loro. Mi sentii in colpa, ma poi pensai ad Angel, morta e malamente sepolta, e il senso di colpa si placò. Ci dirigemmo dritto a est, in direzione di Blue Harbor, dove la pioggia continuava a scrosciare, i negozi avevano acceso le luci e le persone si affrettavano da un negozio all'altro indossando impermeabili di plastica verdi e gialli. L'enoteca era piena di gente, ma ci fermammo lo stesso e comprammo due bottiglie: una di bianco e una di rosso, entrambe ben al di sopra del nostro solito limite di dieci dollari. Clair andò in ferramenta e acquistò dell'olio lubrificante, delle lime e una guida per arrotare le lame. Roxanne comprò un mazzo di fiori freschi. Quando rientrammo in auto, mi girai verso entrambi e domandai: «Non abbiamo perso tutta la fiducia in loro, vero?» «Sei un irriducibile ottimista» commentò Clair. Roxanne cercò di sorridere e tacque. Al cancello, le luci erano accese, e lo erano anche quelle della rimessa. Il
vento sferzava l'acqua dell'oceano, rendendo salata la pioggia, il bosco odorava di mare. Dal viale d'accesso, si riuscivano a vedere le onde spumeggianti alzate dal vento che soffiava verso terra, poiché la tempesta arrivava turbinando da nord-est. Corremmo piegati fino alla porta e suonammo la campana, che già rintoccava a causa del vento. Passato un minuto, Maddie ci aprì e ci esortò a entrare subito, prima d'inzupparci completamente. Le porgemmo il vino e i fiori. Clair disse che il suo regalo aveva a che fare con la motosega, e lei rispose che a David sarebbe piaciuto sicuramente, poi gli tese le mano e io li presentai. Maddie si dichiarò lieta di conoscerlo e felice di vederci tutti. Mi chiese cosa mi era successo al dito e io risposi che era una lunga storia. Dopo pochi minuti ci ritrovammo in piedi nel salotto sul davanti, con un drink in mano, mentre guardavamo l'Escape e il Whaler che si agitavano agli ormeggi. David corse giù per le scale con Maeve alle costole. «Ho vinto io!» esclamò lui. «Hai barato!» strillò Maeve divertita, cingendogli le gambe. La trascinò, ridacchiarne, sul pavimento. «Salve» disse, rivolto a Clair. «Io sono David, e questa è Maeve, mia figlia, nonché mio prolungamento.» «Clair Varney» rispose Clair. «Clair è un nome da femmina» sentenziò Maeve, ancora sdraiata sul pavimento. «È un nome da maschio e da femmina» precisò Clair. «Come Maeve» aggiunse David. «Maeve è solo un nome da femmina» dissentì la bambina. «Ma sei una femmina, tu?» scherzò David. «Se l'avessi saputo, ti avrei chiamata Lucy.» Anche lui mi chiese cosa mi era successo al dito e io risposi che era stato un piccolo incidente. In quel momento, entrò Maddie con un vassoio di gamberi, cozze e altri frutti di mare crudi. Maeve si alzò e agguantò un gambero. David si liberò e diede a Roxanne qualcosa tra l'abbraccio e la pacca sulla spalla. Mi sembrò di vederla irrigidirsi, ma forse fu solo la mia immaginazione. «Be', stavolta fa sul serio, là fuori, eh?» disse David. «La radio prevede delle folate fino a quaranta nodi, nella prossima ora o giù di lì. Volevo uscire con la barca nella baia, ma Maddie me l'ha impedito. Sandy non c'è, se no l'avremmo avuta vinta.» Maddie gli allungò una bottiglia di birra scura inglese.
«Per fortuna sono a casa anch'io, altrimenti sarebbe uscito in mare. Non lo si può lasciare da solo un istante.» Questo c'era già stato detto. Osservammo la tempesta da dietro al vetro su cui si riversava la pioggia battente, bevendo birra e ascoltando il bollettino meteorologico alla radio. David c'indicò i punti di riferimento sulla carta geografica e c'intrattenne raccontandoci la storia delle barche che avevano cercato di entrare nella parte più interna del porto, ma non c'erano riuscite; un paio si erano addirittura arenate lì davanti. «Naturalmente ero uscito con una luce, a fare segnali» scherzò David. «Pensate che in realtà era un'abitudine largamente diffusa nel diciannovesimo secolo nei Maritimes, e non solo lì. Guidavano appositamente le barche a vela contro gli scogli, era un'industria fiorente.» Clair raccontò la storia dei pirati vietnamiti, e quello fu solo l'inizio: David narrò di aver navigato a vela in Indonesia, con un solo marinaio in coperta, su un AK-47. I racconti si susseguirono e Maddie, a un certo punto, si voltò verso Roxanne, si chinò su di lei e sussurrò qualcosa circa il fatto che non beveva. Roxanne, sorseggiando dell'acqua minerale, rispose qualcosa e sorrise. Maddie la strinse con un braccio, dicendo: «Ne sarei così felice.» Poi si girò verso gli uomini e intimò: «Badate agli...» «Affari vostri» finì Maeve. Era tutto piacevole, ma il nostro compito incombeva come una tempesta in avvicinamento. Alla fine, Maeve chiese a Clair se voleva vedere la sua tartaruga. La bambina disse che sarebbe andata a controllare se era sveglia, e corse su per le scale. Contemporaneamente, stava scendendo una ragazza, un'altra ragazza alla pari, che ci venne presentata come Katie, la quale fece dietrofront e seguì Maeve di sopra. David prese un vassoio di gamberi e me ne offrì. Dissi che avevamo qualcosa di cui parlare, e il mio tono di voce era quello di un insegnante che entra in una classe indisciplinata. Tacquero, si fece silenzio, esitai e poi cominciai. «Mentre eravamo a casa vostra, ieri notte...» esordii. «Ho ricevuto una telefonata.» Raccontai che avevo risposto nello studio e avevo inavvertitamente schiacciato il pulsante della segreteria telefonica. Riferii che c'erano diversi messaggi, ma che era l'ultimo, quello di cui dovevamo parlare. Tirai fuori il foglio di carta e lessi a voce alta. «Salve Maddie e David! Vi state rilassando? Be', non mi sembra il caso, perché non siete ancora sfuggiti all'amo. Conosco il vostro segreto, ho il
libro.» Presi respiro. David e Maddie erano come pietrificati ai loro posti. Poi proseguii: «Non lo racconterò, non ancora. Voglio essere buono e darvi la possibilità di trovare un accordo. Ne parleremo. E non chiamate la polizia, perché lo verrò a sapere e divulgherò il vostro segreto.» Eravamo tutti e cinque in piedi, i Connelly distolsero lo sguardo. Il vento soffiava violentemente contro la casa e la pioggia scrosciava sulle finestre. «La persona ha lasciato un numero a cui richiamare» dichiarai io. David si schiarì la gola e Maddie disse: «Oh!» con una vocina flebile e triste. Poi aggiunse: «David, non ce la faccio più! Quando finirà?» «Tesoro, vedrai che risolveremo tutto» la confortò David, ma lei si premette una mano sulla bocca e soffocò un singhiozzo. Poi corse a lunghi passi nello studio adiacente. David si voltò verso di noi, cercò di sorridere, una volta, e ancora un'altra volta, ma era come un motore che non ne vuole sapere di partire, così alla fine lasciò perdere. «Di che cosa si tratta?» gli chiesi. Distolse lo sguardo. «Oh, è una storia vecchia, Jack. Vecchissima. Ma continua a tornare a galla, sai? Come un qualcosa che non vuole restare sottoterra. È una maledizione, come un fantasma, che ci ossessiona, che ossessiona Maddie. Proprio quando pensi che sia...» Si girò nella nostra direzione. «A chi l'hai raccontato, Jack?» «A nessuno, per il momento» risposi. «Volevo che foste voi i primi a saperlo. Come atto di cortesia, diciamo.» «Grazie. Sei stato davvero gentile. Senti, è il caso che vada a vedere come sta Maddie. Sedetevi, per favore, e non scappate via, mi raccomando.» Si precipitò fino alla porta dello studio, l'aprì, entrò, e gridò: «Maddie, no!» Udimmo uno schiantarsi di mobili, balzammo verso la porta, Clair in testa. Quando entrammo, Maddie era in piedi vicino al camino e si puntava una pistola alla tempia. David era in piedi a un metro e mezzo da lei, con entrambe le mani alzate davanti a sé, in segno di resa. «Nessuno si muova, o tiro il grilletto! Tiro!» esclamò Maddie. «È facile, sapete, il dito si muove e bum! Basta un ditino minuscolo per farlo.» Aveva la voce da bambina, quasi cantilenante. Gli occhi erano puntati su di noi, ma nel contempo distanti. Sorrideva, come una persona malata che non vuole che gli altri si preoccupino.
«Maddie, stai tranquilla, va tutto bene» la rassicurò David. «Mettila giù, dai. Risolveremo tutto.» Avanzò di un passo, e lei rispose: «No!» Premette con forza la pistola sul cranio, tanto che la punta della canna le segnò un solco sulla pelle. David raggelò. «È questo il problema, tesoro. Non va affatto bene. È ancora in giro. Pensavamo che fosse tutto risolto, e invece no. È esattamente come prima.» «Risolveremo la faccenda anche stavolta, tesoro, vedrai...» disse calmo David. «Non l'hai risolta tu, l'ultima volta. Si è risolta da sola. Quella è stata una grande fortuna, ma adesso è ricominciato tutto, e tu credi davvero che saremo di nuovo così fortunati? Ora lo sa tutta questa gente e lo scriveranno sui giornali, e Maeve lo verrà a sapere e... oh, Dio mio!» «Ma sono nostri amici, Maddie» la confortò David. «Sei tra amici. Non l'hanno raccontato a nessuno. Non lo sa nessuno! Quindi ce ne occuperemo noi, e ci metteremo una pietra sopra.» «Ma non sappiamo chi sia, David! Non sappiamo cosa ne abbiano fatto né chi lo stia leggendo. Probabilmente lo stanno facendo leggere a tutti. Un film per la tivù. Il diario di Maddie Connelly.» La mente mi galoppava. Di cosa stava parlando? Il braccio di Maddie si andava stancando e la canna della pistola scivolava verso il basso, sullo zigomo, lasciando una traccia rosa, come un gesso sulla lavagna. Vidi David irrigidirsi, ma immediatamente il braccio di Maddie tornò a sollevarsi. Lui restò immobile. La pistola, una sorta di pezzo d'antiquariato, era pesante e ricominciò a scivolare. «E Maeve...» «Esatto, tesoro. Pensa a Maeve. Ha bisogno di te. Sei una madre stupenda.» «Non è vero.» «Sì che lo sei. Ti vuole bene. Anch'io ti voglio bene. Tutti ti vogliamo bene e ti aiuteremo.» Al mio fianco, vedevo Clair spostarsi impercettibilmente in avanti. C'era un divano tra Maddie e noi, e lui si stava spostando verso la sua destra. David aveva girato intorno al divano a sinistra e si era fermato a un estremo. «Cosa ci vuoi fare?» chiese Maddie. «È solo una questione di...» Clair compì un balzo e Maddie urlò: «No!»
L'arma le scivolò via dalla tempia e puntò verso Clair, ma lui l'afferrò per la canna, la strappò dalle mani di Maddie, si girò e la gettò sul divano. Io la raccolsi, mentre Maddie crollava, floscia e singhiozzante, tra le braccia di David, poi cominciò a cadere. Lui roteò insieme a lei, come in un giro di danza, e l'adagiò sul divano, inginocchiandosi accanto a lei. Roxanne si voltò e chiuse la porta, poi girò intorno al divano e posò la mano sul braccio di Maddie. Improvvisamente, Maddie parlò: «Sto per vomitare.» David e Roxanne l'aiutarono ad alzarsi, attraversarono la stanza fino a una porta, si fermarono e le due donne entrarono. Roxanne chiuse la porta dietro di sé e sentimmo Maddie che cominciava ad avere i conati. David si voltò, lasciandosi la porta alle spalle, e si asciugò il sudore dalla fronte. Concentrò l'attenzione su di noi e si rivolse a Clair: «Grazie mille!» «È un tipo di rivoltella che deve essere armato, per sparare» spiegò Clair. Tenevo ancora la pistola in mano e la consegnai a Clair. Lui aprì il tamburo e fece cadere fuori sei grosse cartucce, delle quarantaquattro, puntualizzò. Poi raccomandò a David di custodirla sotto chiave e lui rispose: «Non potresti tenerla tu? E farla scomparire da qui una volta per tutte?» Clair gli chiese se c'erano altre armi da fuoco in casa e David rispose di no, non cariche. Clair avvertì che avrebbe messo la rivoltella in macchina, si girò e lasciò la stanza. David mi parlò, senza guardarmi: «Ti aspetterai una spiegazione, immagino.» «Sì» replicai. «Voglio sapere se sai chi ha ucciso Angel.» Si voltò verso di me e, con un'espressione tra il sollevato e il triste, scosse la testa. «No, Jack» rispose. «Ma conoscerai anche tu quel vecchio detto: "Stai attento a quello che desideri". In un certo senso, è stata la risposta alle mie preghiere.» 41 Roxanne e Maddie uscirono dal bagno. Roxanne teneva il braccio attorno alle spalle di Maddie, che stringeva un asciugamano al petto ed era pallida, i capelli umidi e arruffati. David le si avvicinò e lei dichiarò che stava bene e che voleva cambiarsi d'abito.
«Sto bene» ripeté. «Mi dispiace.» S'incamminarono fuori della stanza e David le seguì, ma Maddie lo fermò: «No, scendo giù io.» L'avrebbe accompagnata Roxanne. David raggiunse una credenza e si versò un bicchiere di brandy, lo alzò e lo posò. Maeve fece capolino con una piccola tartaruga in mano, chiese dov'era Clair e David le rispose che era uscito. Se ne andò, e i suoi piedi produssero un rumore sordo sul pavimento. «Bene» disse David. Io non risposi niente. Mi porse il bicchiere di brandy, ma io scossi la testa. Questa volta lui ne prese un sorso e poi propose: «Usciamo in veranda.» La tempesta imperversava, il vento deviava la pioggia, e noi ci fermammo in piedi contro il muro della casa, al riparo dall'acqua. Luì sorseggiò il brandy, guardò le barche che scalpitavano come cavalli imbizzarriti legati alla cavezza, e poi cominciò: «Angel aveva qualcosa di nostro, qualcosa di Maddie.» «Un diario?» chiesi. «Sì. Ci sono scritte delle cose personali, come avrai immaginato. Roba che sarebbe seriamente imbarazzante per Maddie, se fosse divulgata.» «Fin lì avevo capito.» Mi guardò, poi volse di nuovo lo sguardo verso il mare. «Dire che sarebbe imbarazzante è troppo poco, immagino, forse la parola più giusta è devastante. Cioè, non ha alcuna importanza per nessun altro, ma per lei sì. E poi sai anche tu che qualsiasi cosa su cui sia appiccicato il nome dei Connelly sembra acquistare un valore aggiunto, per un qualche motivo che non ho mai capito.» «Ed è un segreto. È così che recitava la voce nel messaggio.» «Be', sì, nel senso che è roba che non ha mai letto nessun altro.» «E Angel ci aveva messo sopra le mani.» «Sì, cioè, non so come avesse fatto. Era in bagno, in un cassetto, sotto una montagna di altre cose. Deve essere salita e deve aver cominciato a frugare finché, casualmente, se lo sarà ritrovato tra le mani. Era venuta solo due volte, il fine settimana in cui c'eravate anche voi e in autunno, quando avevamo invitato tutto il personale della Sky Blue per una sorta di scampagnata. Fu una giornata meravigliosa.» «E quel giorno è venuta a letto con te!» David mi guardò, stordito. «No, non è vero» balbettò.
«Sì che è vero!» controbattei io. «Me l'ha raccontato Devlin. È successo sei settimane fa, ha detto lei. Maddie e Maeve erano rientrate a Boston per andare dal medico. Tu saresti dovuto essere in barca, ma quando Devlin è rientrata, tu e Angel eravate a letto insieme.» «Io e Angel? Devlin ti ha raccontato una cosa del genere?» «Sì. Ha detto che vi ha sentiti, come dire... al lavoro. Ha aggiunto anche che c'era un'Audi color argento parcheggiata sul viale, targata Massachusetts.» David guardava da un'altra parte, l'occhio chiuso a fessura. «Invece io sono uscito davvero in barca» mi assicurò. «Sono stato a Matincus con Sandy.» Lo guardai, scettico. «Jack, mi sembra incredibile che tu addirittura me lo chieda. Angel? Io non avevo davvero alcun interesse per lei.» «Conosci forse qualcun altro con un'Audi color argento?» «Argento? Nessuno, no» rispose lui. «Ma non ero io. Dev'essere stato...» A quel punto si bloccò e rimase in silenzio per qualche minuto. «Dalton?» gli suggerii allora io. «Non saprei dire. In effetti, lui ha le chiavi. Immagino che, come dire, le ronzasse un po' attorno. Ma non pensavo che...» «Che fossero andati nel tuo letto.» «Santo cielo! È una cosa abbastanza meschina. Quindi se l'è portata qui? Ed è stato allora che...» Non finì di esprimere il pensiero, così lo feci io. «Che cosa ne aveva fatto Angel, del diario?» «Aveva... aveva cercato di rivendercelo.» «Un ricatto?» «Sì, ma lei non l'aveva messa così. Diceva che si trattava dì una restituzione dietro compenso: sosteneva di averlo trovato e di meritare una ricompensa per questo.» «E avete pagato una volta?» David si fermò, e si volse verso di me. «Stiamo parlando da amici?» «Non so» risposi. «Dipende da quello che mi devi dire.» David Connelly si portò il bicchiere alle labbra, ma era vuoto. «Sì, cioè, credo che non avremmo dovuto, ma non erano tanti soldi.» «Quanti?» «Ventimila, la prima volta.»
«E non ve lo restituì?» «No. Immagino che avesse cominciato a pensare a quanti soldi abbiamo. Oppure siamo stati noi a cedere troppo facilmente. Non so. Comunque, disse che voleva un'altra rata. Me lo annunciò con un gran sorriso, come se avesse chiesto una sedia nuova per l'ufficio, dritto in faccia. Disse che aveva fatto delle copie di... di una parte del contenuto del diario e le aveva messe in alcune buste indirizzate ai telegiornali, ai quotidiani, al "Newsweek". Tutte pronte per partire, aggiunse.» «Pensi che le renderebbero pubbliche?» gli domandai. «Qualcuno lo farebbe» rispose. «E allora tutti gli altri si butterebbero nella mischia.» «A quanto ammontava il secondo pagamento?» «Cinquantamila. Un borsone di Kenneth Cole pieno di contante.» «Ciononostante, non vi ha dato il diario.» «Sì. D'altronde, perché restituirlo? Era come un biglietto della lotteria sempre vincente.» «Ma poi l'hanno uccisa.» David esitò. Si girò e appoggiò il bicchiere vuoto sul davanzale della finestra. Poi si volse di nuovo in avanti. «Sì. Come ho detto, è stata la risposta alle mie preghiere. Non che avessi desiderato che le succedesse qualcosa del genere, speravo solo che se ne andasse, lasciandoci in pace.» «Quindi non l'hai uccisa tu?» David si girò verso di me e ci fissammo. «Spero che sia una domanda retorica, comunque no. Non potrei uccidere nessuno. Dio santo!» «Non l'hai fatto fare a qualcun altro? Gente tipo Mick o Vincent.» «Santo cielo, no! Sarei stato ricattabile anche da parte di qualcun altro. Un delinquente di Southie: ci mancherebbe!» «Non hai fatto niente.» «No.» «Ti aveva chiesto degli altri soldi?» «Il giorno in cui c'eravate anche voi, feci del mio meglio per evitarla come la peste. Non volevo starle vicino, e lei: "E David questo, e David quell'altro". Alla fine riuscì a mettermi con le spalle al muro mentre eravamo in barca, a Bar Harbor. Disse che voleva altri cinquantamila dollari. Le dissi che non li potevo ritirare perché qualcuno si sarebbe accorto di tutti quei prelievi. E lei rispose: "Sei uno che sa il fatto suo, Jack. Trova un
modo". E poi, due giorni dopo, non c'era più.» «Forse l'hanno uccisa per prenderle il diario» ipotizzai. «Forse sì. Forse hanno mangiato la foglia e si sono presi il biglietto della lotteria. Fatto sta che adesso ce l'hanno. E ricomincia tutto daccapo. Credo che sia stato questo a far crollare Maddie: l'idea che non finirà mai.» Si voltò, pronto a rientrare in casa, ma io lo fermai, toccandolo sulla spalla. «David» domandai. «Che cosa c'è in quel diario che vale così tanto? Forse tanto quanto una vita umana?» «Non sta a me dirtelo, Jack» rispose lui. «Ma è stata una prova durissima per Maddie, tutta questa situazione.» «Non mi basta, come risposta» replicai io. «Mi dispiace, Jack. Mi dispiace che tu sia stato coinvolto.» «Riguarda il fratello di Maddie, vero?» David impallidì, per un attimo, come se stesse anche lui per vomitare. «Riguarda quello che ha visto Maddie quando è morto suo fratello, e quello che è emerso dall'inchiesta. Si tratta di due cose molto diverse, non è vero? Oltre al suicidio, come può succedere che qualcuno venga ferito mortalmente? Ci sono altre due possibilità, David, solo due.» «Cosa?» «Potrebbe essere un incidente. Oppure potrebbe essere...» «Dio, Jack!» esclamò David. «Cosa stai cercando di dire?» Poi si allontanò ed entrò in casa. Lo seguii, vidi Maddie che scendeva le scale e si gettava tra le sue braccia. Rimasi in piedi nella veranda, a guardare da dietro i vetri della porta, lui parlava. Lei ascoltò e il suo viso assunse un'espressione incredula. Mi guardò diritto. Maddie si avviò verso il portico e David l'afferrò per il braccio, ma lei respinse la sua mano, aprì le porte, si fermò per un attimo, si girò, e le richiuse. Mi guardò, gli occhi arrossati e i capelli scompigliati dal vento. «Come facevi a saperlo, Jack?» disse, scuotendo il capo. «Come lo sapevi?» «Ho semplicemente tirato a indovinare, Maddie» risposi io. «Sapevo di tuo fratello. Ho letto un articolo in cui si diceva che non avresti testimoniato per l'inchiesta. Non potevo pensare a nient'altro che ti avesse potuta ferire così tanto.» «E adesso cosa succederà? Adesso lo sapranno tutti, Jack? Lo sapranno tutti?» Si sporse in avanti e prese le mie mani tra le sue, come una persona che
supplica un medico per ottenerne l'aiuto. «No» risposi. «L'ho detto a David, ma è stata, come dire, una pura illazione. Non sapevo che fosse vero, fino a questo momento.» «Avevo sette anni» iniziò, sfregando le mie mani tra le sue, come se stesse cercando di scaldarmi. «Gli volevo un bene infinito. Era mio fratello maggiore e mi adorava. Non volevo farlo. Non credo di averlo voluto fare. È da venticinque anni che mi chiedo: "Ma volevi davvero sparare a tuo fratello?". Lui aveva tirato fuori la pistola. Era di mio padre. Era una pistola piccola, di quelle che si usano per dare il via a una gara. "La posso prendere?" gli chiesi. E lui rispose di no. Io allora mi allungai e gliela strappai, per gioco... gliela puntai contro e tirai il grilletto. Sai cosa volevo fare?» «No, Maddie» dissi io. «Non lo so.» Aveva gli occhi spalancati, gli angoli della bocca piegati in giù, increduli. «Volevo dire "bang".» Le presi le mani e lei si scostò da me, guardò la baia sferzata dal vento come se stesse per gettarvisi dentro. «Fu così che mia madre e mio padre presero la pistola, la ripulirono e la misero in mano a mio fratello. Dissero che non volevano perdere entrambi i figli. Furono le uniche parole che pronunciarono, dopodiché mi fu vietato di parlarne, e nemmeno loro vi accennarono mai più. Non una sola parola. Nemmeno una, tant'è che, qualche volta, pensavo di avere immaginato tutto. Ma non l'avevo immaginato. Mantenemmo tutti questo segreto che li ha corrosi come un cancro, fino a ucciderli. Io ho continuato a correre. Ho faticato così tanto per diventare perfetta che il segreto non è riuscito a raggiungermi.» «Non è colpa tua, Maddie» la rassicurai. «È stato un incidente.» «Lo dicono tutti, ma non lo è stato. Fui io a prendere la pistola, a puntargliela contro e a tirare il grilletto. Lui mi aveva avvisata che era carica.» «Ma eri una bambina.» «E non sono mai stata punita. Fino a oggi, sono rimasta impunita. Forse sarà questa la mia punizione. Quando si saprà tutto e mia figlia avrà sette anni, allora apprenderà che sua madre ha fatto una cosa così orrenda e si chiuderà il cerchio.» Si voltò di nuovo verso di me, con una strana espressione allegra. «Ma se non possiamo rimanere qui, potremmo andare a vivere in Italia, forse. Adoro Siena. Oppure potremmo vendere queste case e partire in barca, vagare. Ma, stavo pensando, credi che mi metteranno in carcere? Hai
visto anche tu come hanno dato la caccia a quel cugino dei Kennedy per un vecchio omicidio, ed era solo un bambino!» «Maddie...» le feci notare, mentre David apriva la porta. «Non l'ho detto a nessun altro.» Mi guardarono entrambi. «Non potresti darci almeno una possibilità di riprenderlo, Jack» mi supplicò David. «Ma Angel...» replicai io. «Chiunque l'abbia uccisa...» «È ancora là fuori» concluse David. «Lo so, ma non sarebbe giusto nei confronti di Maddie rendere pubblica tutta la storia. Diventerebbe una prova e sarebbe consegnato alla stampa, non credi anche tu? Ce lo faremo restituire e andremo alla polizia per parlare... per parlare di cosa preoccupa Maddie riguardo a quanto è successo.» «Se Angel vi ricattava, la faccenda verrà fuori.» «Allora potrai scriverlo tu, Jack» propose David. «Ma lasciare che il diario finisca tra le mani di quegli squali della tivù... Jack, io non l'ho letto, ma...» Immaginai il pezzo, nella maniera in cui l'avrei scritto io. La pistola era carica. Seduta con il fratello Clinton, in camera da letto, nella casa ombreggiata di Amherst, nel Massachusetts, Maddie Boswell ne era consapevole. Tuttavia, nella sua mente di bambina di sette anni, pensava che se avesse tirato il grilletto, avrebbe dovuto dire "bang". «Non so» risposi. «Jack, il diario faceva parte della mia terapia... quindi ci sono delle cose che riguardano mio fratello, la sua morte, Maeve e David, nel periodo in cui il nostro matrimonio era in crisi. E poi ci sono tutti i dubbi sulla mia capacità di essere una brava madre.» «Sei una madre bravissima, Maddie!» le dissi per confortarla. «Il diario riguarda un periodo in cui mi sentivo particolarmente, come dire, devastata. Non pensavo che fosse il momento di dare alla luce un bambino. E... ho scritto che lo volevo dare in adozione, ho scritto che volevo togliermi la vita quando ero incinta. Ho scritto, oh Dio... che volevo abortire. In effetti, avevo preso appuntamento. Se Maeve dovesse leggere una cosa del genere... Allora stavo davvero male e ho scritto delle cose terribili, che la ferirebbero. E poi ho scritto cose su Clinton e su quello che è
successo e...» La guardai, guardai quella donna che sembrava avere tutto, eppure era fragile come un fiore che appassisce. Un tocco, e i petali cadono. «Forse posso aiutarvi anch'io a recuperarlo» annunciai lentamente. «Poi andremo dalla polizia.» «Come puoi aiutarci?» chiese David. Si era avvicinato a Maddie, l'aveva circondata con le braccia, per proteggerla dal vento e da tutto il resto. «Ho una certa esperienza» risposi. «Ne parlerò con Clair. Lui si è già occupato di questioni del genere, in guerra e anche in seguito. È molto bravo.» «E Roxanne?» domandò David. «A lei lo devo raccontare» affermai io. «Non abbiamo segreti l'uno per l'altra.» «E allora cosa facciamo?» chiese lui. «Parlo io con loro.» «E se accettano?» «Chiami il numero e cominciamo da lì.» «Sei un vero amico, Jack» disse David, avvolgendo Maddie con il suo corpo. «Non sono molti quelli che farebbero una cosa del genere.» Per un buon motivo, pensai, mentre David si protendeva verso di me e mi porgeva la mano, io gliela stringevo e lui mi fissava negli occhi. Premette il viso contro quello di Maddie. «Vedi, tesoro. Te l'avevo detto che avremmo risolto tutto» la rasserenò. Invece avrebbe fatto meglio ad aspettare prima di parlare: era come annunciare la fine del ciclone proprio nel momento in cui si navigava nel suo occhio. 42 Andammo a fare un giro in macchina, noi tre, e finimmo in un viottolo che partiva dal punto in cui la strada dei Connelly raggiungeva l'estremità del promontorio. Ci fermammo e restammo seduti sotto la pioggia battente, mentre i gabbiani cavalcavano le folate di vento, sospesi in cielo come aquiloni. Spiegai che avevamo tre opzioni: andare subito dagli sbirri, lasciare che David e Maddie se la cavassero da soli o aiutarli a risolvere la cosa una volta per tutte. «Quindi gli credi?» chiese Roxanne.
«Sì» risposi. «Gli credo al cento per cento. Lei non stava di certo mentendo, era come se avesse messo a nudo l'anima. E lui cerca di proteggerla.» «Forse ha ucciso Angel per difendere la moglie» ipotizzò Clair. «Forse era andato a letto con Angel e voleva salvare la moglie e se stesso.» «No» replicai io. «E perché no?» chiese Clair. «Ha detto che era andato a Matinicus con Sandy, si fa presto a verificare.» Mi passò il telefono. Mi feci dare il numero del segretario comunale dell'isola, telefonai e mi procurai il numero della Capitaneria di porto. Composi le cifre e mi rispose la voce di un uomo anziano. Inventai che cercavo un amico e pensavo che avesse preso ormeggio lì. La barca si chiamava Escape. L'uomo mi informò che l'Escape non c'era più già da una settimana. Chiesi in che giorno c'era stata, adducendo la scusa che forse mi era sfuggita, visto che ero stato fuori per un po'. L'uomo mi rispose che era stata in porto giovedì e venerdì, e che era una barca di tutto rispetto! Aggiunse che la Hinckley era molto più robusta di quanto non avesse immaginato, forse per il pescaggio ridotto. Gli chiesi se sapeva se David Connelly era a bordo e lui rispose di no. «Ho visto la barca e ho sentito un uomo alla radio.» Lo ringraziai e riattaccai. «La barca c'era e mi ha confermato che c'era un uomo a bordo, ma non sa chi fosse.» Rimanemmo in silenzio, a rimuginarci sopra. Avrebbe potuto essere Sandy. «Talvolta si ha fiducia in ciò che si crede a proposito di qualcun altro» commentai io. «Sono rimasta sola con Maddie» raccontò Roxanne. «E mi ha detto che non riusciva a credere che stesse succedendo tutto questo, che lei non ha niente a che fare con questa situazione.» «Niente e tutto» commentai io. «Era solo una bambina. Non è difficile capire com'è andata. Pensi che sia un giocattolo, lo prendi su e... bum: la tua vita cambia per sempre. Basta tirare una levetta di metallo.» Guardammo i tergicristalli oscillare come le dita di qualcuno che disapprova. La baia era gremita di onde spumeggianti e di una maretta confusa che sembrava giungere da più direzioni contemporaneamente. «Li voglio aiutare» asserii. «Credo a quello che mi hanno raccontato e
penso che abbiano bisogno di aiuto. Sono come bambini smarriti nel bosco.» «Io ci sto» disse Clair. «Se può servire a prendere la persona che ha ucciso la ragazza.» «Non voglio che si faccia male nessuno» aggiunse Roxanne. «Non in questo momento.» «Non ci succederà nulla» promisi io. «Cercheremo solo di far sì che non rovinino tutto, facendo da soli.» «Cosa posso fare?» domandò Roxanne. «Occupati di Maddie. Assicurati che non perda la testa.» «E se fosse un tipo come quel Mick?» domandò. «Tanto meglio» rispose Clair. «Sarebbe o bianco o nero» aggiunsi io. «C'è di che preoccuparsi se si entra in qualcosa di simile all'acqua là nella baia: un milione di sfumature di grigio.» Era il numero di un cercapersone. Ci trovavamo nello studio, la stessa stanza in cui Maddie si era puntata la pistola contro. Era seduta sul divano, avvolta in una coperta. David aveva preso la linea: il messaggio di risposta gli richiese di digitare il proprio numero a dieci cifre. Compose il numero e ci sedemmo, in attesa. Il telefono suonò e David sollevò il ricevitore, spinse il bottone che attivava il viva voce del telefono superaccessoriato. Si udì di nuovo la voce del robot. Recitava: "Comporre il numero seguente". E poi sciorinava il numero, di cui non riconobbi il prefisso. David lo annotò su un blocco. Poi lo digitò e attese: il telefono suonò e partì una segreteria telefonica, di nuovo una voce digitale. David lasciò un messaggio. Disse che voleva parlare con la persona che aveva lasciato un messaggio a casa sua. Riattaccò. Restammo seduti in silenzio, tutti e cinque, tesi e contratti. «È un ciclo» spiegò Clair. «Ascoltano la segreteria, scrivono la risposta al computer, la registrano dal computer, telefonano, e te la fanno ascoltare. Non c'è nessun contatto umano.» «Ma noi abbiamo bisogno di un essere umano» osservai io. «No, noi no» mi corresse Clair. «Ne hanno bisogno loro.» Lo guardammo. «La prima cosa da fare» spiegò «è convincerli che non sei disperato. Che ci stai ripensando. Che sei stanco di tutta la situazione e che forse possono
anche tenerselo, il diario. Li convinci che quello che hanno in mano è a breve scadenza, che potrebbe perdere valore. Questo ti garantisce del potere fin dall'inizio, ti permette di stabilire le regole: sei tu che comandi, non loro.» «Ma noi invece lo vogliamo proprio.» «Con tutte le nostre forze.» «Sì, ma non ditelo a loro» raccomandò Clair. «Hai già fatto una cosa del genere?» Clair esitò, poi annuì. «Con che cosa?» domandò Maddie. «Con un ragazzo» rispose. «Un soldato di diciannove anni.» «L'hai salvato?» chiese David. «Sì.» «Cosa ne è stato delle persone che l'avevano rapito?» chiese Maddie. «Niente di bello» rispose Clair. «Sono finiti in prigione?» domandò David. «Non era né il momento né il luogo per cui la prigione fosse una possibilità» dichiarò Clair. Nessuno pose altre domande. Alla fin fine, il piano consisteva nel far sembrare che David non avesse alcuna intenzione di pagare. Poi gli avrebbe dovuto comunicare che Maddie non era disposta ad allontanarsi dalla casa del Maine e che lui non intendeva lasciarla sola. Bisognava far venire i ricattatori da noi, piuttosto che accettare di andare a Boston, in modo da render loro più difficile la fuga. Se s'impuntavano, occorreva prendere tempo. Aspettammo. Parlammo del più e del meno. Maeve entrò per dare la buonanotte. La madre la baciò e in quel momento squillò il telefono. Maddie fece cenno alla figlia di uscire. David rispose. Era ancora una volta la voce del robot: ordinava di mettersi al computer e di collegarsi in linea, di connettersi con AOL Instant Messaging, registrarsi con nome e password "gattone 33" e attendere le istruzioni. «Qualcuno di voi sa come si fa?» chiese David, dopo aver riattaccato. «Io lo so fare» rispose piano Maddie. «Me l'ha insegnato Devlin.» Mi domandai se Devlin conoscesse Angel. Poteva aver preso lei il diario. Ci mettemmo al computer sulla grande scrivania dello studio. Maddie
aggiunse che l'indirizzo di Instant Messaging era memorizzato nel segnalibro del programma di navigazione. David entrò nel sito e si registrò. Nel giro di pochi secondi, comparve il primo messaggio. Il nome che avremmo dovuto usare online era Maddie 666. Lei era rimasta seduta sul divano. Non glielo dicemmo. David digitò, attese la risposta, digitò ancora. GATTONE 33: Il libro è in vendita a duecentocinquantamila. MADDIE 666: È una follia. GATTONE 33: Ok, allora finisce ai media, alla tivù. Ogni singola pagina. MADDIE 666: Lascia che ci pensi su. GATTONE 33: Non c'è più tempo per pensare. Decidi adesso. MADDIE 666: Quando finisce tutto questo? GATTONE 33: Quando te lo ricompri. È un prezzo onesto. MADDIE 666: Pensavamo di andare alla polizia e di farla finita una volta per tutte. GATTONE 33: La vostra vita sarà un inferno. David si rivolse a me. «Hanno ragione loro, sai?» commentò. «Non sono d'accordo» dissentì Clair. «Rispondigli che Maddie non ne può più, che non vuole più andare avanti.» David digitò le parole e attese. GATTONE 33: Per lei è quasi finita. Un'ultima transazione. «Abbiamo spostato l'ago della bilancia» spiegò Clair. «Adesso devi far sì che siano loro a venire qui.» GATTONE 33: Ti devi trovare a Boston domani mattina. MADDIE 666: Non possiamo, Maddie non intende lasciare Blue Harbor e io non l'abbandono qui da sola. GATTONE 33: Non hai scelta. MADDIE 666: Sì che ce l'ho. Resto qui. GATTONE 33: Allora il libro parte. MADDIE 666: Fa' pure. Posso procurarmi il denaro anche qui, ma se non t'interessa...
Ci fu una pausa. Aspettavamo una risposta. GATTONE 33: Quando? David guardò Clair. «Di' alle undici.» David eseguì. GATTONE 33: Registrati alle undici per ricevere le istruzioni. Questa parte mi piace, potrebbe vendere milioni di copie: "Mi sembra di vedere il sangue che cola fuori dal cadavere come sciroppo caldo. Mio fratello giaceva a terra e mi guardava incredulo. Mi disse: 'Maddie, perché l'hai fatto? Muoio, Maddie. Mi hai sparato. Maddie, ma cosa ti ho fatto io?'". Gran bella roba. Ehi, ma ci sei? David deglutì, gli occhi pieni di lacrime. Scrisse sì. GATTONE 33: Una bella favola da leggere alla piccola Maeve per farla addormentare, non ti sembra? Mi piace la parte con il sangue e lo sciroppo. Compralo, il diario, altrimenti sogni d'oro per la tua bambina. Resterà a letto chiedendosi a chi farà saltare il cervello la mamma la prossima volta. Va bene? David restò senza fiato e mi guardò. Io annuii. MADDIE 666: Va bene. 43 Quella sera rientrammo a casa. Roxanne scrisse un rapporto sul suo colloquio con Devlin, compresa la parte in cui raccontava di aver sentito un uomo, che lei riteneva fosse David Connelly, avere un rapporto sessuale con qualcuno che non era la moglie. Non trascurò nemmeno il riferimento alle liti tra David e Maddie, né il fatto che Devlin aveva dichiarato che Maddie sembrava emotivamente instabile. Roxanne si voltò verso di me.
«Devo mettere anche il resto» disse. «Quando devi consegnare il rapporto?» chiesi. «Non domani» rispose Roxanne. «Allora abbiamo tempo» osservai io. «Spero di sì» confermò lei. «Intendo dire che avremo tempo per gestire questa parte della faccenda.» «Io non intendevo la stessa cosa» controbatté lei. «Volevo dire, tempo per noi.» «Avremo tempo anche per noi.» «Spero di sì» ribadì lei. «A volte mi sento come se fossimo trascinati, come se una cosa ne tirasse un'altra, senza il minimo controllo. Sai, come le tessere del domino che si mettono in fila...» «Andrà tutto bene» la tranquillizzai, e mi chiesi chi stessi cercando di rassicurare, in realtà: Roxanne o me stesso? Dormimmo poco o niente, restammo entrambi svegli per buona parte della notte. Poco dopo le tre, passò un'auto sulla strada e la sentii fermarsi. Mi alzai, scesi al piano di sotto e mi misi ad ascoltare dalla finestra davanti. Si sentivano degli uomini che parlavano. Erano soci di Mick o semplicemente dei ragazzi del posto con un pacco da dodici birre? Andai nel ripostiglio, tirai fuori il fucile e lo caricai, in cucina, con le cartucce nascoste nella scatola in fondo al cassetto dell'argenteria. Tornai alla finestra e mi sedetti su una sedia, con il fucile in grembo. Si chiuse uno sportello e la macchina partì lentamente, senza accendere le luci. Aspettai cinque minuti, stetti ad ascoltare il canto dell'allocco, i milioni di grilli e lo scalpiccio leggero dei pipistrelli sulla grondaia della rimessa. Sentii battere un colpo alla porta del retro. In boxer, mi avvicinai e mi misi ad ascoltare. «Jack» chiamò Clair. Aprii la porta. Era in piedi, indossava i jeans e una maglietta nera e stringeva tra le braccia il suo Mauser. «Volevo solo dirti che se ne sono andati.» «Come facevi a sapere che ero in piedi?» «Ti ho sentito respirare.» Io non l'avevo nemmeno udito avvicinarsi. «Gente del posto?» «Targa del Maine, lattine di Budweiser.» «Non avranno scaricato qualcuno?»
«No, solo i vuoti della birra.» «Allora ci vediamo alle sette.» «Pensavo di prendere il mio furgone e seguirvi» rispose. «È tutto pronto per la partenza.» Sapevo cosa significava: Clair si era messo al lavoro, aveva portato gli attrezzi del mestiere. Tornai a letto e ascoltai il respiro lieve di Roxanne, sentii l'alone di tepore che l'avvolgeva e l'abbracciai, chiedendomi se stavamo facendo la cosa giusta. Poi arrivarono le sei e la stanza fu inondata dalla luce gialla che penetrava dai lucernai, come raggi divini. Era ora di mettersi in moto. Continuavo a pormi delle domande. Dovevo proteggere il mio bambino, sempre che ci fosse, o dovevo preoccuparmi per la figlia di qualcun altro? Erano David e Maddie ad avere bisogno di me, o ero io ad avere bisogno di loro, sedotto dalla loro promessa di collaborare a un articolo che raccontasse tutta la faccenda? A un certo punto non ci fu più tempo per porsi delle domande. Ci ritrovammo in strada, diretti a est, in una gloriosa mattina d'estate, nel Maine, dove l'aria era pulita, le foreste incontaminate, e i valori semplici resistevano. Il Maine: la vita come dovrebbe essere! Mi chiesi quanti fucili avesse Clair sul furgone. Facemmo strada noi, oltre le colline della contea di Waldo e quindi a est, lungo le rive del fiume Penobscot, che poi attraversammo, per spingerci ulteriormente a oriente. Quando finalmente cominciammo a intravedere l'oceano, era di un colore azzurro-verde. Nel cielo limpido, delle nubi paffute si affrettavano verso l'Ovest, sospinte dalla brezza di terra. Quando arrivammo a Blue Harbor, l'aria era fresca e frizzante. I turisti portavano il maglioncino sulle spalle, con le maniche annodate al collo, come se fossero strangolati da fantasmi dai colori pastello. Pensai ad Angel e alla sua sciarpa di Hermès. Mi domandai se la stoffa l'aveva ferita. Mi chiesi quanta forza fosse occorsa per stringere la sciarpa così vigorosamente e lungamente. E mi chiesi anche chi, tra tutte quelle persone, sarebbe stato in grado di farlo, e per quale motivo. Per soldi? Per nascondere una relazione? E poi i pensieri cominciarono a insinuarsi. Per fermare un ricattatore e tenere nascosto un terribile segreto? Per impedire alla propria figlia di venire a sapere che non sei stato perfetto, che hai fatto una cosa terribile? Così arrivammo, superammo il cancello, percorremmo il viale d'accesso e Maeve ci venne incontro per salutarci, attraversando il cortile come una saetta. Alcuni dei miei dubbi svanirono, e Roxanne mi strinse la mano.
«È per lei che facciamo tutte queste cose» mi fece notare, dopodiché smontammo dall'auto. Il furgone di Clair si stava fermando dietro di noi, e David e Maddie stavano uscendo dalla porta; intanto il primo domino era caduto. Maddie mise su il caffè e ci offrì dei dolci della pasticceria che c'era in paese. David aveva telefonato alla sua banca a Boston, si era fatto fare un bonifico sul conto aperto presso una filiale a Blue Harbor. Alle otto, aveva telefonato al direttore della filiale, inventandosi che doveva comprare una barca e che il proprietario era un po' eccentrico e voleva essere pagato in contanti. Il direttore rispose che non aveva duecentocinquantamila dollari in contanti, ma che per il signor Connelly li avrebbe procurati in un paio d'ore. Il denaro arrivò per corriere. Uscì dalla banca in un borsone sdrucito con sopra stampata la parola ESCAPE. Prendemmo la Suburban con i vetri scuri. Clair si era seduto sul sedile posteriore. Alle undici eravamo già tornati a casa. Elaine, la ragazza alla pari, accompagnò Maeve alla biblioteca di Blue Harbor per l'ora della favola; da lì poi sarebbero andate direttamente a pranzo. Ci riunimmo nello studio come se dovessimo attendere l'estrazione dei numeri di una lotteria alquanto bizzarra. David avviò il computer. Si registrò con il nome Maddie 666, facendo una smorfia di disgusto nel momento in cui digitò il nome della moglie e, accanto, il numero del diavolo. Non c'era nessuno. Aspettammo dieci minuti. Ancora niente. Quindici minuti, sempre niente. Passati venti minuti, Maddie cominciò ad agitarsi e a fare congetture su quello che poteva significare. «Hanno cambiato idea... Quanto pensi che ci vorrà, Jack, prima che la stampa cominci a telefonare? Questo numero non c'è sull'elenco, David, ma telefoneranno alla fondazione. Cosa diranno alla centralinista? Un giornalista deve qualificarsi, giusto? E quando la centralinista gli domanderà di che cosa si tratta?» Dopo mezz'ora, David chiese a Clair cosa ne pensava. Clair rispose che non lo sapeva, ma che avrebbe aspettato ancora prima di andarsene. David assicurò che lui non intendeva andarsene, ma quanto tempo avrebbero dovuto ancora attendere? Non potevamo rimanere seduti davanti al computer tutto il santo giorno... Proprio in quel momento arrivò. Gattone 33.
44 GATTONE 33: Salve, famosi Connelly. Ci siete ancora? MADDIE 666: Sì. GATTONE 33: Bene. Volevo assicurarmi che faceste sul serio. Altrimenti, potremmo cominciare dal "Globe" per scendere giù fino alla stampa-spazzatura. Oppure volete ancora fare affari? MADDIE 666: Sì. GATTONE 33: Allora prendete la macchina, Maddie e David, la BMW. Portate il pacchetto. Andate al distributore della Mobil che c'è in paese e chiamate questo numero. Non usate il telefono per fare niente altro. Comparve un numero e Gattone 33 si scollegò. «Vi vogliono far girare intorno per un po'» spiegò Clair. «Assicuratevi di non avere la polizia alle calcagna.» «Ma come faremo a esserne sicuri?» domandò Maddie. «Ci saremo noi» risposi io. «Come farete?» chiese David. «Avremo bisogno di altre macchine» gli spiegai. «Il furgone di Clair e... di chi è la Toyota in fondo al viale?» Era della ragazza alla pari. Le avevano dato la Suburban perché Maddie pensava che la Toyota non fosse abbastanza sicura. Chiesi se avevano le chiavi e loro risposero di sì. Clair disse che era ora di andare. Maddie chiese: «Significa che sono davvero qui?» Maddie e David partirono per primi, poi, un minuto dopo, Clair. Roxanne e io aspettammo ancora qualche minuto, poi prendemmo la Toyota. Quando raggiungemmo il villaggio, la BMW era parcheggiata nel distributore della Mobil. Clair si era fermato davanti a una galleria d'arte dall'altro lato della strada, il grosso furgone scoperto era entrato di sbieco tra una Mercedes cabriolet e una Lexus, come un mastino tra due barboncini. Passammo di lì in macchina e posteggiammo nel parcheggio di un ristorante poco più avanti. Regolai lo specchietto per osservare David e Maddie, mentre Roxanne raggiungeva la porta del ristorante e leggeva il menù. Quando tornò in macchina, la BMW stava ripartendo. Uscii in retromarcia e li seguimmo.
Clair era il fanalino di coda, tre macchine indietro. Passammo sotto gli olmi, davanti alla biblioteca, dov'era parcheggiata la Suburban. Vidi Maddie che si girava come se avesse desiderato tornare indietro, prendere Maeve e scappare. Ma David continuò a guidare, fuori dal paese e verso sud, giù per la penisola. Percorso un chilometro dall'ingresso della cittadina, girò a destra. Girai anch'io, cercando di restare indietro. Guardai lo specchietto per controllare se qualcun altro a parte noi aveva voltato: effettivamente, c'era una macchina, una Volvo familiare e, dietro, Clair. Guardai avanti e vidi Maddie e David che avevano accostato in un viale d'accesso. Passai davanti a loro e la Volvo non mi abbandonò. Clair era scomparso. Dopo un chilometro scarso mi fermai presso un chiosco di frutta e verdura sul bordo della strada. Roxanne guardò la merce e scosse la testa, come se l'insalata fosse stata avvizzita. Uscii in retromarcia e tornai indietro. In lontananza, vedevo il furgone di Clair. Quando raggiungemmo l'incrocio, la BMW era tre macchine avanti. Procedemmo così per due ore buone. Attraverso Brooklin e Sedgwick, e poi fino al ponte di Deer Isle. Chiamai Clair sul furgone e lui mi riferì che li aveva superati, stavano facendo inversione di marcia, verso il continente. Mi fermai in una traversa, girai la macchina e attesi. Quando mi oltrepassarono, Maddie e David guardavano dritto davanti a loro, il viso teso, le mascelle serrate. Tornammo a Blue Harbor e procedemmo verso Castine. A Cape Rosier, entrammo in una riserva naturale, dove le nostre sarebbero state le uniche auto visibili. Pensai che dovesse essere quello il posto: disabitato, nel profondo del bosco, raggiungibile da sentieri tortuosi. Roxanne tirò fuori una cartina dal cruscotto della Toyota e scoprì che c'erano due punti in cui la strada che attraversava la riserva permetteva di uscire. Noi ci avvicinammo a uno dei due punti e parcheggiammo dall'altro lato, sul viale d'accesso di una fattoria. Tre quarti d'ora dopo, una donna uscì dalla casa colonica e s'incamminò nella nostra direzione. Squillò il telefono. Era Clair. Erano usciti dall'altra parte della riserva e si dirigevano di nuovo verso Blue Harbor. Partimmo lasciando la donna in piedi in mezzo al prato. A quindici chilometri da Blue Harbor, passammo davanti a Clair, che aveva accostato sul ciglio della strada. Al telefono, m'informò che erano poco più avanti, e un chilometro e mezzo dopo scorgemmo la BMW che s'inerpicava lentamente sulla strada ripida e tortuosa. Giunti su una piazzo-
la di sosta panoramica in cima a un crinale, accostarono e si fermarono. Noi li superammo, arrestandoci in un cortile dov'era parcheggiata una roulotte. Clair chiamò e disse che si trovava sotto di loro. «Li dobbiamo chiamare?» chiese Roxanne. «Hanno detto di no.» «Cosa stanno facendo?» «Non so» risposi. «Dove diavolo è questa gente?» «Non so nemmeno questo» aggiunsi. Restammo fermi ad aspettare. Clair telefonava ogni quindici minuti circa. Ripeteva che la BMW era semplicemente parcheggiata lì. Due ore e venti minuti dopo, David e Maddie improvvisamente accesero il motore e partirono. Ci oltrepassarono e riuscimmo a scorgere Maddie, spossata e con lo sguardo torvo. Passò Clair, dopodiché contammo fino a cinquanta e partimmo anche noi. Nel giro di un quarto d'ora, eravamo di ritorno al paese di Blue Harbor. Maddie e David si trovavano sulla strada verso casa. Clair telefonò per informarci che da un po' di tempo a quella parte nessuno ci stava osservando, ma che ci sarebbe stato qualcuno di guardia nel momento in cui fossimo arrivati nella zona circostante la casa. Aggiunse che avrebbe parcheggiato in un altro viale d'accesso e avrebbe proseguito a piedi lungo la costa, fino ad avvistare la casa dei Connelly. Ci ordinò di oltrepassare l'entrata della loro proprietà e aspettare. Seguimmo le sue istruzioni, parcheggiammo sotto un gruppo di cedri che costeggiava il viale d'accesso a un'altra proprietà. La baia luccicava in lontananza, come un giacimento di diamanti, ma a chi poteva interessare? Eravamo affamati, assetati e stanchi. Poi telefonò di nuovo Clair, per avvertirci che Maddie e David stavano salendo sul gommone. Avevano la borsa con i soldi. Stavano per uscire con una delle due barche, la più piccola, il Boston Whaler. «Li abbiamo persi!» protestai, rivolto a Roxanne. In quel momento ci passò davanti un'auto, una Chevy blu non meglio definibile, o qualcosa del genere, con due persone sedute davanti. «Oh, Dio mio!» esclamò Roxanne. «Alla guida di quella macchina...» «Cosa?» «C'era Monica!»
45 Partimmo all'inseguimento. Le diverse possibilità trovavano infine la loro collocazione. Monica e Angel entrambe implicate. Monica uccide Angel per appropriarsi della sua parte del denaro estorto. O qualcun altro uccide Angel, e Monica decide di concludere da sé la faccenda dei Connelly. «Chi era l'altra persona in macchina?» chiesi. «Non sono riuscita a vedere» rispose Roxanne. Filammo a tutta velocità sotto gli alberi mentre Roxanne telefonava a Clair. Lui rispose e lei gli riferì quello che aveva visto e dove si dirigevano le due persone. Luì ci avvertì che era dietro di noi. Accelerai nel tentativo di raggiungere la macchina, facendo serpeggiare la Toyota sulle curve della strada costiera. Procedemmo per un due o tre chilometri senza riuscire ad avvistare l'auto. Aumentai la velocità, ma Roxanne esclamò: «Rallenta! Là!» Indicò alla nostra sinistra, si girò sul sedile mentre oltrepassavamo l'entrata della strada d'accesso a una proprietà. «Sono là. Li ho appena intravisti.» «Girano l'auto?» «No, si stanno addentrando nella proprietà in macchina.» Mi fermai e feci inversione, mentre Roxanne informava Clair. Raggiungemmo l'accesso e, passandovi davanti, sbirciammo dentro. La recinzione era in pietra. Tra gli abeti rossi che costeggiavano la strada, il sottobosco era stato tagliato e il prato si estendeva fino una grande casa in pietra e stucco, dietro la quale si scorgeva il mare. Si poteva passare in macchina sul prato e tra gli alberi, se necessario. Non c'era modo di tagliar fuori la strada d'accesso. Parcheggiammo sul ciglio della strada. Clair sopraggiunse nel giro di pochissimo ed entrò a marcia indietro tra gli alberi con il furgone. Uscì, raggiunse l'auto e montò dietro. «Allora è l'amica» ipotizzò. «Oppure l'ha uccisa qualcun altro e ha lasciato in sospeso questa faccenda» propose Roxanne. «Non riesco a immaginarmela, Monica, come assassina» commentai io. «Me la vedo molto di più nei panni dell'avvoltoio.» «L'obiettivo è sempre quello, vero?» domandò Clair. «Recuperare il libro e aiutare i vostri amici.»
«E far sì che nessuno si faccia male» aggiunse Roxanne. «Intendi dire dei nostri, no?» disse Clair. «Chiunque» replicò lei, lo sguardo pensieroso. «Hai dei dubbi?» le chiesi. «Sì» rispose. «Perché mi chiedo cosa succederebbe se nessuna di queste persone fosse quello che sembra.» Non seppi cosa ribattere. Occorreva che qualcuno rimanesse sulla strada, nel caso in cui Monica avesse tentato di uscire in auto. Roxanne si offrì di restare. Io e Clair saremmo entrati a piedi per vedere dove e con chi si trovava Monica, e verificare se la barca dei Connelly era in vista. Chiesi a Roxanne se era sicura di sentirsela e lei rispose di sì. Le spiegai che, se Monica fosse tornata indietro, avrebbe dovuto partire a tutta velocità e dirigersi in paese, In caso di emergenza, avrebbe dovuto semplicemente attaccarsi al clacson. Mi strinse la mano e gliela strinsi anch'io di rimando, dopodiché uscimmo dall'auto. Clair ritornò al furgone, aprì lo sportello della cabina ed estrasse un binocolo dal cruscotto. Me lo passò mentre si sporgeva dietro il sedile. Dai foderi appesi allo schienale tirò fuori una doppietta, chiuse lo sportello e si portò velocemente sotto gli alberi. Lanciai un ultimo sguardo a Roxanne e lo seguii. Percorremmo la fila di picea e abeti canadesi che segnavano il confine con la tenuta parallela. Il sole alle nostre spalle era ormai basso sulla linea della cima degli alberi, ed eravamo in ombra. Io seguivo i passi di Clair. Quando ci avvicinammo agli edifici - la casa, i garage e una piccola rimessa - lui si addentrò ulteriormente fra gli alberi. Camminammo tra i grossi rami nudi più interni, mantenendoci dietro quelli più esterni, sottili e frondosi. Quando ci trovammo all'altezza del primo edificio, ci avvicinammo al bordo della zona coperta dagli alberi e osservammo. La casa era vuota, il compensato verniciato di grigio era ancora avvitato alle finestre del piano terra. C'era un lungo pontile privato, si vedeva a malapena la balaustra della scaletta per l'imbarco, ma non c'era nessuna barca. L'auto di Monica non era in vista, ma poi comparve e parcheggiò in retromarcia accanto a uno dei garage. Si videro i fanalini degli stop illuminarsi, poi si udì il motore che si spegneva. C'erano due figure sul sedile anteriore. Le due teste si girarono mentre
parlavano. Misi a fuoco il binocolo e vidi le due sagome, ma non riuscii a capire chi fosse il passeggero. Dovevamo avvicinarci prima che facesse buio. Con il calar del sole, le zanzare cominciavano ad agitarsi tra i rami degli alberi. Ci ronzavano già intorno alla testa, quando le due figure nell'auto sobbalzarono. In mare, molto al largo, passava una barca da aragoste, la chiglia bianca splendeva all'ultima luce del sole. Un grosso ketch navigava a motore verso il pontile, una minuscola figura gialla al timone, un gommone al traino come un cagnolino al guinzaglio. Non c'era nessun Boston Whaler in vista. Sull'auto, Monica e il passeggero rimasero momentaneamente fermi. «Dobbiamo riuscire a vederli» dissi io. Clair rispose che li avrebbe aggirati passando dalla costa, e che sarebbe risalito tra gli alberi dall'altro lato della casa per cercare di vederli in faccia. S'incamminò e, nel giro di un minuto, scomparve tra la vegetazione. Io aspettai. Osservai. Cercai di non scacciare le zanzare con le mani. Mi chiesi se Roxanne stesse bene. Sentii odore di fumo e vidi la brace incandescente di una sigaretta in macchina, dalla parte di Monica. Guardai l'orologio: Clair era partito da nove minuti, ma sembrava un'ora. Erano le sette e due minuti. Guardai di nuovo in direzione della strada, si udiva un veicolo procedere rumorosamente. Il mezzo avanzò velocemente lungo il viale, verso la casa, a fanali spenti, una sagoma scura dietro gli alberi. Poi uscì allo scoperto, era un furgoncino che rallentò nel punto in cui il viale si allargava davanti alla casa. Si accesero gli stop nella macchina di Monica e il motore si avviò rombando, ma il furgone curvò a sinistra, sollevando la ghiaia, e si arrestò, sbandando, davanti all'auto. Lo sportello del furgone si aprì immediatamente. Un uomo balzò fuori dal mezzo, con un passamontagna sul volto e una pistola in mano. Corse verso l'auto che cominciava ad arretrare, aprì con la forza lo sportello del pilota e puntò l'arma verso l'interno dell'abitacolo. Si udirono due botti, più sordi di un petardo, poi altri due, e poi ancora due. Mi ricordai del binocolo, lo sollevai e guardai. Il tizio ritirò la pistola e con la sinistra spense il motore. Quindi chiuse lo sportello anteriore e aprì quello posteriore. Si allungò di nuovo e io scorsi il suo braccio che si muoveva, rovistando. Poco dopo uscì dall'auto con una scatola scura in mano. Chiuse lo sportello, riaprì quello davanti, si sporse all'interno dell'abitacolo; sembrava che spingesse.
I cadaveri. Li stava spingendo sul sedile. Infine sbatté la portiera, si affrettò a raggiungere il furgone, saltò all'interno e chiuse lo sportello con uno strattone. Il pilota, anche lui con il passamontagna, ingranò la retromarcia, poi fece inversione nel viale e si avviò in direzione della strada. Ancora accovacciato, mi alzai in piedi vacillando, e cominciai a correre tra gli alberi. I rami mi sferzavano il viso e il binocolo ondeggiava attaccato alla cinghia. Zigzagai a destra e a sinistra, tra i rami più grossi e i tronchi, poi udii qualcosa. Qualcuno veniva verso di me. Mi nascosi dietro un albero e aspettai, scrutando nell'ombra. Ci fu uno schiocco, si ruppe un ramo, e vidi una sagoma spostarsi, la testa che avanzava schivando le fronde. Mi sporsi in avanti, cercando a tentoni un grosso ramo e lo trovai. Lo tenni basso, parallelo alla gamba, e rimasi immobile. 46 Era Roxanne. Ansimava, e il sangue le colava lungo una guancia per un graffio che si era procurata sulla tempia. Mi vide ed esclamò: «Oh, grazie a Dio!» Poi si acquattò accanto a me. «Li hanno uccisi» le annunciai sottovoce. «Gli uomini del furgone? Hanno ucciso Monica?» Annuii. «Ti hanno vista?» le chiesi. «Sì, mentre il furgone girava per entrare dal cancello, il guidatore ha guardato indietro e mi ha vista in macchina. Ha inchiodato, ma io sono partita e mi sono spinta nella direzione opposta. Poi ho pensato a te e sono tornata indietro.» «Che aspetto aveva il guidatore?» «Era grosso. Sembrava rosso di capelli, ma portava un berretto scuro, di quelli fatti ai ferri. Difficile vederlo bene.» «Mick Egan» supposi. «Non saprei.» «Hai visto qualcun altro?» «C'era qualcuno sul sedile posteriore, ma i finestrini erano scuri. Non sono riuscita a vedere nient'altro, a parte il fatto che c'era un'altra persona.» «Vincent» conclusi. «Dev'essere stato lui a sparare.» «Dov'è Clair?» domandò Roxanne. «Sono qui» rispose una voce tra gli alberi.
Clair avanzò verso di noi, la pistola puntata a terra. «Hai visto tutto?» gli chiesi. Lui annuì. «Un vero professionista» commentò. «Bisogna chiamare subito la polizia. Sei andato a vedere?» «Sì, ma solo un attimo.» «Chi era l'altra persona?» «Una bionda, sulla cinquantina, capelli corti, occhiali dalla montatura scura.» «Kathleen Kind?» domandai. «Perché sarebbe dovuta venire anche lei?» chiese Roxanne. «Forse avevano architettato tutto insieme.» «E perché qualcuno le avrebbe uccise per poi fuggire?» domandò lei. «Ha preso qualcosa dalla macchina. Certamente il diario» risposi io. «Hanno rapinato e ucciso Monica e l'altra persona che si trovava in macchina.» «Hai chiamato la polizia?» chiesi. «Ci ho provato» rispose Clair. «Ma non avevo campo.» «Dov'è il tuo telefono?» domandai a Roxanne. «In auto» rispose lei. «Se vuoi posso andare a prenderlo.» «No, non andare!» ammonì Clair. «Non credo che siano partiti. Saranno andati a controllare la strada, per vedere se ci sei ancora. Dove hai lasciato la macchina?» «Nel viale accanto.» «Noteranno il tuo camion, Clair» avvertii. «Sì, ma non significherà nulla, per loro» ribatté Roxanne. «Ma Prosperity, Maine, gli suggerirà qualcosa» precisai. «L'adesivo della tassa della discarica» ricordò Clair. Poi si sentì il rumore soffocato di un mezzo che scendeva lungo il viale a motore spento. Il furgone procedeva senza luci verso la casa. Compì un cerchio e poi curvò verso il lato opposto della proprietà, di fronte alla macchina di Monica. Vedemmo i fanalini degli stop lampeggiare una volta, poi più niente. Rimasero seduti nel crepuscolo che avanzava, a osservare il mare. «Aspettano David e Maddie con i soldi» dissi io. «E se hanno ucciso le altre due, è probabile...» accennò Clair. «Devono lasciare questa penisola e anche il Maine» affermai. «E hanno bisogno di tempo.»
«Uccidere i Connelly gliene farebbe guadagnare parecchio» continuò Clair. «Uccidere noi» aggiunsi «gliene farebbe guadagnare ancora di più.» «Ma non possiamo permettere che David e Maddie vengano uccisi» obiettò Roxanne. «No» confermai. «E non sappiamo nemmeno se Vincent sia sceso sulla strada.» «Io credo di no» disse Clair. «Ma non si può mai sapere.» Avanzammo tra gli alberi, molto lentamente, Clair in testa apriva il sentiero. Quando giungemmo all'altezza della macchina di Monica, Roxanne rimase indietro, accovacciata in una cavità sotto i rami cadenti di un abete rosso, come un cerbiatto nascosto dalla madre. Roxanne faceva la guardia, era lei che sarebbe corsa in cerca di aiuto. Clair e io volevamo arrivare dietro il furgone attraversando il fronte della proprietà lungo la costa, immediatamente al di sotto dell'argine roccioso che percorreva la riva del mare. C'erano circa novanta metri di prato aperto tra gli alberi e la riva del mare; aspettammo per un attimo ai bordi del bosco, dopodiché Clair procedette. Avanzò supino strisciando sul prato come una lucertola, portandosi oltre il limite dell'erba, sugli scogli. Io aspettai e ascoltai. Non si sentiva nessun rumore, nessuno sportello aprirsi. Contai fino a dieci, poi scivolai fuori e ruzzolai sulle rocce. Attraversammo il fronte della proprietà acquattatati, lungo gli scogli, sotto il pontile, saltando di roccia in roccia, cercando le chiazze più scure ricoperte di alghe e cozze, e quindi bagnate e silenziose. La superficie era scivolosa e per mantenerci in equilibrio ci servivamo delle mani, scorticandocele. In seguito allo sfregamento, il cerotto si staccò dal mio dito fasciato; mi strappai definitivamente la stecca e l'abbandonai sugli scogli. Una volta percorsa la distanza necessaria, ci apprestammo a oltrepassare la scogliera per nasconderci di nuovo nella boscaglia. Raccolsi una pietra grossa come una palla da baseball, sufficiente per rompere la testa dura di Mick. Ne nascosi una più piccola in tasca. Clair si accovacciò dietro di me, pronto a usare la pistola. Mi girai per dirgli che stavo per scattare, ma in quel momento notai qualcosa che si avvicinava. Era una luce verde, a dritta della prua di una barca, un'altra luce bianca a poppa. Sì trovava un quarto di miglio al largo e si avvicinava; il motore fuoribordo ronzava sommessamente. «Eccoli!» esclamai, mentre sopra dì noi si apriva lo sportello di un'auto. «Troppo tardi per arrivargli alle spalle» osservò Clair. «Sta' giù!»
Ci acquattammo contro gli scogli mentre il motoscafo si avvicinava. Udii il fruscio dei passi sull'erba, poi apparve una figura sul pontile, alla nostra sinistra: era Mick. Percorse una trentina di metri e si tirò giù il passamontagna, se lo aggiustò sugli occhi, e fece lampeggiare una torcia. Un segnale lungo e due brevi. Le luci del natante si avvicinarono, lo scafo bianco del Whaler era ormai visibile, ma non le persone a bordo. Restammo a guardare mentre Mick faceva lampeggiare di nuovo la torcia, e questa volta lo stesso segnale fu inviato in risposta dall'imbarcazione. Mick si girò e avanzò lungo il pontile, voltò le spalle all'acqua e parlò al telefono. «Vi trovo bene, amici miei» esordì. «Abbiamo sostituito i giocatori, ma la partita è sempre la stessa. Lascio l'oggetto sull'orlo del molo. Voi mi lanciate il dovuto. Io resto in piedi sulla banchina e aspetto, controllo velocemente, e voi fate lo stesso. Quando entrambe le parti avranno constatato il rispetto degli accordi, potremo tornare a casa. Tutto qui. Una semplice e amichevole transazione.» Sentimmo che apriva lo sportello del furgone e lo richiudeva. Non c'era alcun segno di Vincent. Mi chiesi se fosse sul sedile posteriore, se avrebbe sparato il colpo con una pistola o con qualcosa di più potente. O forse quello era il patto: prendere i soldi, abbandonare i due cadaveri e scappare. L'imbarcazione era ormai a poco meno di cinquanta metri di distanza, e continuava ad avvicinarsi. Riuscivo a vedere David in piedi al timone, un cappellino da baseball scuro calato sul capo. Maddie, al suo fianco, si aggrappava al quadro di comando davanti al timone. Il motore emise un gorgoglio e il natante si accostò tanto che presto riuscii a distinguere la loro espressione, tesa e spaventata. A quel punto erano vicini, Maddie prese il timone e David si girò, si chinò e raccolse la borsa. Poi si portò a prua e rimase in piedi, lì, come un passeggero in attesa di scendere dal treno. Il motore era al minimo e l'imbarcazione andò alla deriva sull'acqua scura. Mick passò sopra le nostre teste, sul pontile, e discese la scaletta d'imbarco, fino alla piattaforma galleggiante. Collocò la scatola scura che aveva prelevato dalla macchina di Monica sul bordo, quindi arretrò di alcuni metri. La barca accostò e David si sporse in basso per prendere la scatola, mentre il natante continuava ad andare alla deriva. Aprì la lampo della custodia ed estrasse quello che sembrava essere un libro, a cui diede subito una scorsa veloce. Poi lanciò la sacca in direzione di Mick. La borsa gli atterrò vicino e lui si chinò per raccoglierla. Aprì rapidamente la lampo della sacca e ci affondò dentro le mani. David aveva rimesso il diario nella cu-
stodia. In quel momento, Mick sfilò la pistola dalla cintura e annunciò: «Mi dispiace, Connelly, ho cambiato idea.» Ma prima che potesse sollevare l'arma, Clair gridò: «Lasciala cadere o ti faccio secco!» Mick non lasciò cadere la pistola. Clair si alzò e sparò un colpo al di sopra della barca, il fuoco fuoriuscì dal fucile e lo scoppio risuonò sull'acqua. Infilò immediatamente un'altra cartuccia nella camera di caricamento. «È l'ultima possibilità» l'ammonì Clair. Mick si abbassò, la pistola nella mano destra, impugnata dalla canna. L'appoggiò sul molo e poi si girò lentamente. «Cristo santo!» sbottò da dietro il passamontagna. «Ancora quel maledetto McMorrow! E questa volta si è portato anche uno scagnozzo. Mi sei sempre più simpatico. Jack, lo sai? Mi piace la gente come te!» «Jack!» gridò David. «Oh Dio!» esclamò Maddie. «Oh, Dio mio!» «Che cosa devo fare?» chiese David. «Stai fermo e non fare nulla» ordinò Clair. «Dov'è Vincent?» domandai io. Eravamo risaliti sul prato e avanzavamo verso il pontile. Clair portava il fucile appoggiato alla spalla, puntato contro Mick. «Vincent?» rispose Mick. «Non gli piace la campagna, Jack. Odia gli insetti.» «L'ho visto uccidere Monica» ribattei. «E anche Kathleen Kind, credo.» «Oh no!» gridò Maddie, attaccando a singhiozzare. «Dov'è andato?» chiesi. Mick non rispose. David saltò giù dalla barca e fissò una scotta alla galloccia, poi fece una corsa e raccolse la pistola di Mick, la impugnò e la puntò contro di lui. «L'hai uccisa tu?» domandò. «Attento con quel giocattolo» ammonì Mick. «O farai del male a qualcuno.» «Allontanati da lui, David» l'avvertii. «Non avvicinarti troppo.» Stavamo scendendo la scaletta d'imbarco; Clair davanti, io, dietro di lui, sempre con la mia pietra stretta nel pugno. Maddie singhiozzava al timone, entrambe le mani sulla bocca, tutto il corpo tremante. Clair ordinò: «Tieni le mani in alto. Ben al di sopra della testa. Adesso sdraiati supino, le mani sempre in alto.» Mick scosse la testa e si raccomandò: «Non lasciare che questo dilettante
mi spari. Credo che abbia tolto la sicura.» «Giù» intimò Clair. «Uno. Due...» «Mettilo giù!» minacciò una voce alle nostre spalle. «O l'ammazzo subito.» 47 Era Vincent, coperto dal passamontagna. Teneva il braccio intorno al collo di Roxanne, la pistola premuta contro la sua gola. La costringeva ad attraversare il prato, allontanandosi dagli alberi. Camminavano rigidi, come in una corsa a tre gambe. «Mettilo giù, ho detto!» gridò Vincent. «Mettilo giù!» Clair abbassò il fucile, David spostò la pistola all'altezza del busto. Mick raggiunse Clair e gli prese il fucile, si girò e lo puntò verso David, appoggiandoselo sull'anca. «Anche tu, mucchio di grana» gli ordinò. David si piegò sulle ginocchia e posò la pistola davanti ai piedi. Roxanne e Vincent ora si trovavano sul pontile, e guardavano in basso, verso di noi. Vidi piangere Roxanne e strinsi con forza la pietra dietro la schiena. «Va tutto bene» li rassicurai io. «Cerchiamo di mantenere la calma.» «Certo che va tutto bene» rispose Mick. «Continua a raccontartela. Va tutto a meraviglia. Getta la pietra in acqua, Jack, e andrà ancora meglio.» Buttai la pietra, che produsse un tonfo sordo e uno spruzzo d'acqua. Mick fece cenno a Clair e a me di metterci in piedi in fondo alla piattaforma, con David. La piattaforma oscillava leggermente mentre ci camminavamo sopra. La barca si alzava e si abbassava, il motore fuoribordo sempre al minimo. Maddie adesso tremava e si mordeva il labbro. «È come buttare a mare i prigionieri» ironizzò Mick. «Come ai tempi dei pirati. Da ragazzino, mi piacevano i pirati. Ho letto tutto su di loro: Barbanera e il Capitano Kidd. Ehi, Jack! Mi sa che non riusciremo a scrivere il pezzo su di me, eh? Peccato... Be', io ti avevo dato una possibilità, ma tu hai preferito stare dalla parte di quegli stronzi pieni di soldi. Restano dei pidocchiosi irlandesi, sotto sotto, per quanto si possano ripulire. È così che diceva sempre quella santa donna di mia madre.» Vincent spinse Roxanne giù per la scaletta e si fermò in fondo. «Teniamoli separati» decise Mick. «Un bel po' di lavoro da fare per duecentocinquanta pezzi, non ti sembra? Gliel'avevo detto a quella Kathy che non mi sparavo un viaggio fino al Maine per diecimila, diamo i numeri? E
poi le ho anche detto: "Bellezza, solo perché hai ucciso una gallinella del North End, non credere di potermi comandare a bacchetta".» «Angel?» chiesi. «Oh Dio!» intervenne David. «Perché avrebbe dovuto?» «Che cosa vuoi che ne sappia io. Però fa comunque piacere sapere per chi lavori, lo dico sempre. Ho dovuto saltare un paio di intermediari e ho scoperto che c'era lei. Fra l'altro, era anche una bella donna. Cos'era? Svedese, o qualcosa del genere? In ogni caso, da quello che mi sembra d'aver capito, Angel spremeva voi, e ha funzionato tutto alla perfezione, allora ha deciso di spremere anche la signora di ghiaccio. Al posto vostro, ci sarei stato un po' più attento a quel diario. Secondo me, la signora aveva le mani lunghe. Ma per quella ragazza non è stata una buona idea mettere sotto torchio anche lei. Se fosse stato per me, il prezzo sarebbe stato almeno mezzo milione. Che cosa avrebbe cambiato per te, Connelly? Non sai nemmeno tu quanti soldi hai. Valevano il silenzio circa il modo in cui hai fatto fuori tuo fratello, eh? Signora Connelly?» «Sta' zitto» sibilò David. «Ehi, non sapevo di che si trattava fino a un attimo fa, quando mi sono seduto dentro la macchina e ho letto il diario. Uccidere il proprio fratello, mica roba da poco! Cioè, io e Vincent non siamo certo stinchi di santo, però non abbiamo ucciso mai nessuno della nostra famiglia. Be', bisogna avere le palle quadrate, a parte il fatto che tu non ce le hai, le palle. Vorrà dire che avrai...» «Sta' zitto, schifoso pezzo di merda!» gridò David furibondo. Misi la mano in tasca ed estrassi la pietra. «Per farla breve, Connelly, voglio sapere che cosa sei disposto a pagare per riavere quel libro. Cioè, si viene a sapere che la tua signora non solo ha fatto secco suo fratello, ma che gli ha anche fatto fare la figura della femminuccia, con tutta la messinscena del suicidio. Ne va della reputazione del ragazzo. Cioè, chi si sparerebbe sotto gli occhi della sorellina? La gente avrà pensato che fosse davvero fuori di testa, mentre invece non lo era affatto. Be', ma chi avrebbe mai pensato che la sorellina l'avesse...» «No!» gridò Maddie. Aveva una pistola lanciarazzi di plastica, color arancio sgargiante, e la puntò verso Mick. Vincent urlò: «No!» Ma lei tirò il grilletto. Un colpo e Mick gridò portandosi una mano sul viso, mentre qualcosa sibilava e bruciava sulla piattaforma. Clair gli fu addosso, e Vincent sparò un colpo che mandò in frantumi il parabrezza del motoscafo. Maddie si abbassò e Ro-
xanne diede una spinta a Vincent, ma questi l'afferrò per la testa e la gettò contro la ringhiera. Lei cadde violentemente e lui fece una piroetta all'indietro, vacillando, mentre gli cadeva in acqua l'arma. Mick afferrò la canna del fucile, Clair si girò e gli sferrò un calcio all'inguine, ma l'altro tenne duro. Io mi scagliai su di lui, calciando inavvertitamente la pistola che si trovava sulla piattaforma; lui l'agguantò, tenendo nel frattempo la canna del fucile. Lo presi per la gola e luì mi puntò la pistola sulla tempia. Clair sferrò un calcio sul braccio di Mick, l'arma si spostò e Mick fece fuoco, aprendo uno squarcio nero nella camicia di Clair, sotto la scapola. Clair boccheggiò e ricadde sulle ginocchia mentre io rigiravo Mick sulla schiena. Lo colpii in viso con la pietra e gli sgorgò del sangue dalla bocca e dal naso. Luì gridò e mi cinse da davanti; il suo sangue mi colò lungo il viso, e rotolammo entrambi giù dalla piattaforma, contro la barca. L'acqua era fredda e buia, di un'oscurità terrificante; io ruotai su me stesso, mentre Mick mi restava sempre aggrappato, trascinandomi sotto. Sbattemmo sul fondo con la testa. Dovevo assolutamente respirare, ma lui mi strappò la camicia, mi prese a calci e mi spinse giù nel tentativo di risalire in superficie, coprendomi di graffi. Riuscì a rimontare per primo, le sue ginocchia mi colpirono al ventre, al mento, finché non mi girai e lui mi colpì sulla colonna vertebrale, paralizzandomi le gambe. Risalii sotto di lui, mentre continuava a percuotermi, a graffiarmi, finché non andò a sbattere contro qualcosa e si bloccò. Lo spinsi da un parte e nuotai con le mani in obliquo, mentre mi scoppiavano i polmoni. Proprio quando ero sul punto di esplodere per la mancanza d'ossigeno, urtai qualcosa di duro, chiaro e liscio: la chiglia dell'imbarcazione. Mi feci strada artigliandomi allo scafo e riemersi, ansimando affannosamente per riprendere fiato. Un respiro, poi riaffondai; le gambe prive di forza, pesanti, come due sacchi appesi sotto di me. Cercai di risalire con tutta la forza che mi restava in corpo, ma qualcosa di tagliente mi ferì la testa. Mi scansai e il motore cominciò a girare, l'elica agitò l'acqua, a pochi centimetri dal mio addome. Nuotai all'indietro, andai a sbattere con la testa contro la barca, mentre il sangue tiepido mi colava sulla fronte. Mi trovavo sul fianco esterno della barca rispetto al molo, e non riuscivo a vedere gli altri. «Tiratemi fuori!» gridai. «Qualcuno mi tiri su!» L'imbarcazione oscillò, come se qualcuno fosse improvvisamente saltato fuori. Poi di nuovo, come se qualcuno fosse balzato a bordo. Maddie si
sporse e mi vide, ma il natante si stava muovendo e io mi gettai in avanti, riuscendo ad aggrapparmi al parapetto. «Fermatevi!» urlai. «Fermatevi!» Poi cominciai ad affondare. Il motore andò su di giri e fui sormontato dalla scia d'acqua, fredda e scura, ma nel contempo bollente. Annaspavo con le braccia nel tentativo di mantenere la testa fuori dall'acqua. In quel momento la barca partì, poi virò e ritornò indietro, sommergendomi con un'altra scia d'acqua che mi entrò in bocca. Tossii ed ebbi dei conati di vomito, poi gridai: «Aiuto!» mentre la prua dell'imbarcazione mi passo rasente. Io afferrai un anello sotto la chiglia, riuscii a infilarci un dito e mi tenni saldamente. Il motore rallentò e io li sentii parlare... «Quei due sono morti» stava dicendo David a Maddie. «Quello grosso non è nemmeno riemerso. Clair potrebbe non farcela, e Roxanne è là, distesa a terra e...» «David!» lo interruppe Maddie. «Non lo deve sapere nessuno!» incalzò lui. «David, Dio mio! Ma cosa stai dicendo?» «Sono morte delle persone per questa storia! Anche Angel e Monica! Dio santo! Se ne parlerà dappertutto» le rispose lui. «Aiuto!» gridai. «Tiratemi fuori!» «Tesoro, non voglio che tu sia costretta ad affrontare tutto questo. Ce ne andremo. Andremo in Messico, in Costa Rica, o da qualche altra parte. Conosco delle persone che ci possono aiutare. Non ti devi accollare la responsabilità di tutto, ancora una volta. Nessun altro ha visto il diario, né quello che è successo. Nessun altro ne è al corrente.» «David, non posso convivere con un altro segreto. Mamma e papà avevano cercato di proteggermi e guarda quello che è...» «Ma sarebbe un incubo, Maddie! Un incubo!» «Non potrà essere peggiore dell'incubo in cui ho vissuto tutti questi anni.» «Maddie...» «David» lo contraddisse lei. «È una cosa che non puoi fermare. Prendi la scaletta e va' a tirare fuori Jack!» Ci fu una pausa nella quale nessuno dei due parlò, poi sentii sferragliare e comparve la scaletta sulla fiancata della barca. «Prendi un telefono, Maddie» la esortò David. «Chiama un'ambulanza. Chiama la polizia.»
48 Roxanne stava bene. Clair non tanto, ma ce l'avrebbe fatta. Mick e Vincent morirono sulla riva della baia, pagando il prezzo per aver infranto la loro regola d'oro: non giocare mai fuori casa. Monica non sopravvisse, ma Kathleen Kind sì, anche se, come succede nella maggior parte dei colpi di fortuna, non le andò tutto liscio. La sua versione dei fatti, riferita a Cade e alla Sullivan in una stanza d'ospedale al Mass General, era che David doveva aver ucciso Angel e che quest'ultima aveva cercato di ottenere la complicità della Kind stessa in un piano volto a sottrarre del denaro dai conti della fondazione dei Connelly. Di fronte al rifiuto della Kind che aveva annunciato l'intenzione di rivolgersi alla polizia, Angel aveva minacciato di farla uccidere dalla mafia. La Kind raccontò che era stata Monica a trovare il diario tra gli oggetti di Angel. Quest'ultima l'aveva a sua volta scovato rovistando nella stanza da letto dei Connelly, dove aveva fatto l'amore con Tim Dalton, da quanto aveva riferito Monica. Questa aveva deciso che la miglior vendetta sarebbe stata far scucire degli altri soldi ai Connelly, e poi rendere pubblico il segreto. La Kind dichiarò che l'aveva accompagnata nel Maine nel tentativo di dissuaderla in qualche modo durante il tragitto. Di certo non si aspettava che sarebbero comparsi anche gli amici criminali di Monica. La versione tenne per una settimana circa, ma poi i revisori contabili scoprirono che la Kind faceva da anni la cresta sulle sovvenzioni, poche migliaia di dollari alla volta, fino ad accumulare oltre quattrocentoventimila dollari. La Scientifica verificò la corrispondenza del DNA estratto dalla cute prelevata da sotto una delle unghie di Angel con quello del sangue della Kind. La polizia si rivolse di nuovo alla donna, che era ormai in riabilitazione, e le chiese se voleva modificare la sua versione. Lei rifiutò. Dissero che il DNA sarebbe comunque bastato a incastrarla. La Kind dichiarò che i Connelly non avevano mostrato alcun rispetto nei suoi confronti, che loro usavano le persone come se fossero elettrodomestici; tutti quegli anni trascorsi a sgobbare per la fondazione, e loro sembravano non vederla neppure. Era invisibile, disse. Poi chiese di parlare con il suo avvocato. Cade commentò che la Kind era una persona fredda e calcolatrice, che
gli sembrava quasi di vedere gli ingranaggi girare dentro il suo cranio rasato. Tim Dalton cedette molto più facilmente. Ammise di essere stato a letto con Angel nella casa dei Connelly a Blue Harbor, ma aggiunse che non aveva fatto del male a nessuno. Sua moglie non fu d'accordo e chiese il divorzio. Dalton dichiarò anche di non sapere che Angel avesse preso qualcosa dalla camera dei Connelly, ma Cade e la Sullivan minacciarono di accusarlo di complicità. Quanto a Clair, non avrebbe più potuto tagliare la legna. La pallottola gli aveva attraversato la spalla immediatamente sotto la clavicola, danneggiando l'apparato muscolare di quella zona. Era in fisioterapia, si allenava per riuscire ad alzare il braccio destro più in alto del mento. Diceva che non era niente di grave e poi, se non fosse venuto anche lui, i Connelly sarebbero senz'altro stati uccisi. Quanto a me, andai zoppicando per qualche giorno con un bastone, visto che una gamba era rimasta semiparalizzata in seguito al colpo alla colonna vertebrale. Venne pubblicato tutto l'accaduto, ma io non scrissi nemmeno due righe sull'argomento. Però, con il beneplacito di Myra, concessi tre interviste, ai giornalisti del "Times", del "Globe" e del "Portland Press Herald". Parlai di David e Maddie, Mick e Vincent. Roxanne, ottenuta una dispensa speciale da parte dei suoi superiori, raccontò al cronista la storia di Maeve e di Devlin. Il titolo in prima pagina del "Globe" recitava: "Malviventi truffatori e un terribile segreto: fantasmi del passato e del presente infestano la Camelot dei Connelly". Sul "Times", il titolo era in basso in prima pagina, in tutte le edizioni: "Il segreto dei Connelly miete quattro vittime e perseguita una famiglia". La scelta del "Press Herald" fu la seguente: "Ricchezza e potere non bastano a nascondere lo scheletro nell'armadio". Maddie e David vennero intervistati lungamente. Si dichiararono dispiaciuti della tragica perdita di vite umane, ma sollevati in seguito alla rivelazione del segreto circa la morte del fratello di Maddie. Lei confessò che era stato un fardello terribile da portare per così tanti anni. Venne fotografata nella casa di Boston, nello studio del terzo piano, proprio dove avevo risposto al telefono quella fatidica notte. Maddie commentò che la lezione da trarre era che la verità è sempre preferibile alla menzogna, anche se quest'ultima viene raccontata a fin di bene. David annunciò che la Sky Blue avrebbe stanziato cinque milioni di dollari a favore dell'ospedale infantile di Boston, per la costituzione di un centro specializzato nella terapia
dei minori vittime di traumi psicologici. Mi domandai se Maeve sarebbe stata la prima paziente. Il procuratore distrettuale della contea dello Hampshire dichiarò che non avrebbe proceduto, e che considerava chiuso il caso Clinton Archer Boswell. Alla fine dei conti, raccontai solo a due persone il contenuto della conversazione intercorsa tra i Connelly sulla barca, mentre io ero in acqua: a Clair e a Roxanne. Clair commentò che succedeva la stessa cosa anche in guerra. Un soldato scappava o si bloccava, facendo sì che il compagno venisse colpito. Il primo soldato doveva chiamare aiuto e ammettere il proprio errore, oppure voltarsi e andarsene, lasciando che il suo vergognoso segreto s'infiltrasse nel terreno insieme al sangue del compagno? «A conti fatti, David ha preso la decisione giusta» decretò Clair, rivelando la propria filosofia zen. «Il resto io glielo perdonerei.» I Connelly chiesero di essere perdonati, anche se non esplicitamente. Ci scrissero una breve lettera da Boston, nella quale si dichiaravano estremamente costernati per averci coinvolti in quella situazione. Chiedevano di non essere giudicati negativamente, e ci promettevano eterna gratitudine per avergli salvato la vita. Io dichiarai che mi sembrava stessero cercando di fare la cosa giusta. Roxanne non fu d'accordo. Era stata appena dimessa dall'ospedale. Fu scandalizzata dal fatto che David avesse anche solo pensato una cosa del genere, che avesse considerato anche per un solo nanosecondo la possibilità di lasciar morire Clair, di abbandonarla svenuta sul molo e di lasciarmi annegare nell'acqua gelida. Non si trattava solo di noi, aggiunse, mentre ci trovavamo in piedi in cucina, a Prosperity, quella sera. Si trattava anche del nostro bambino. «Ne sei sicura?» chiesi. «Sì» affermò Roxanne. «Quando mi hanno ricoverata per il trauma cranico, li ho informati che forse ero incinta e loro mi hanno sottoposta al test.» «Che bello!» esclamai. «Bello o bella» chiarì Roxanne. La strinsi e la baciai, lei mi abbracciò e mi tenne stretto a lungo. Udivo i grilli, i rumori della notte, e sentivo il cuore di Roxanne che palpitava, come se il mondo brulicasse di vita, e lì ce ne fosse una in più. Dove prima non c'era nulla, avevamo creato qualcuno. In mezzo a tanta morte, nasceva una nuova vita.
«Sai cosa mi fa paura?» chiesi. «Cosa?» sussurrò Roxanne. «Che non possiamo proteggere davvero la persona che stiamo mettendo al mondo. Non sempre, non da tutto. E alla fine non ci saremo più, e questa persona resterà sola.» «È giusto così» sostenne Roxanne. «Pensa alla famiglia di Maddie, e a tutto quello che è successo.» «Faremo del nostro meglio» affermò lei. «Sì, faremo del nostro meglio.» «Così mi piaci, Jack McMorrow. E per quanto riguarda il resto, dovremo avere fiducia.» «In noi stessi» aggiunsi io. «E nel fatto che il mondo sia fondamentalmente un posto buono» specificò lei. «Sono solo alcune persone a non esserlo.» «Non tutti» conclusi «sono angeli!» RINGRAZIAMENTI Numerose persone mi hanno generosamente aiutato nelle diverse fasi della creazione di questo libro. Tra gli altri, Walter "Mitty" Robinson, che sa dove sono sepolti i veri scheletri a Boston; Chip Gavin e Andrea Krasker Gavin, che mi hanno fatto conoscere la città; Jim Scott, che mi ha fornito la consulenza gastronomica; e Mary Grow, attenta lettrice a China Village, nel Maine. FINE