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GILES BLUNT TEMPESTA DI GHIACCIO (The Delicate Storm, 2003) a Janna È così che queste pedine remote Fanno breccia nel desiderio umano, Frantumando un fragile paradiso. DONALD LORJMER, The Delicate Storm 1 Prima arrivò il caldo. Capodanno era passato da tre settimane quando il termometro fece quello che non fa mai a gennaio ad Algonquin Bay: superò lo zero. Nel giro di poche ore le strade diventarono nere e lucide per la neve liquefatta. Non c'era un barlume di sole. La cappa di nubi sopra il campanile della cattedrale aveva tutta l'aria di volerci restare. I giorni caldi si susseguirono in un crepuscolo opprimente che durava dall'ora di colazione fino al tardo pomeriggio, e tutti brontolavano di continuo contro l'effetto serra. Poi arrivò la nebbia. All'inizio si insinuarono sottili filamenti nei boschi che circondavano Algonquin Bay. Sabato pomeriggio densi banchi si estesero lungo la statale, e l'ampia distesa del lago Nipissing si ridusse a una forma indistinta prima di svanire del tutto. Poco per volta la nebbia filtrò in paese, andando a premere contro negozi e chiese. Una per una le case di mattoni rossi si ritirarono dietro quel sipario grigio sporco. Il lunedì mattina Ivan Bergeron non riusciva a vedersi nemmeno le mani. S'era alzato tardi, dopo avere bevuto più birra di quanto fosse consigliabile mentre guardava la partita di hockey, e adesso stava cercando di arrivare al garage di casa sua, a meno di venti passi eppure totalmente nascosto dalla nebbia. Quella roba gli si appiccicava alle mani e alla faccia come una ragnatela, la sentiva strisciare fra le dita. Come se non bastasse, giocava strani scherzi con i rumori. Il bagliore giallo dei fari delle auto passava lentissimo, seguito, dopo una pausa sinistra, dal fruscio delle gomme sulla strada bagnata.
Da qualche parte il cane stava abbaiando. Shep era un bastardino tranquillo che di solito si faceva i fatti suoi. E invece per qualche strano motivo, forse per la nebbia, era uscito ad abbaiare come un pazzo per i boschi. Quel baccano era come un chiodo che trafiggeva il cranio appesantito di Bergeron. «Shep! Vieni qui, Shep!» Attese nella penombra per qualche secondo, ma il cane non arrivò. Bergeron aprì la porta del garage per iniziare a lavorare sulla motoslitta scalcagnata che aveva promesso di aggiustare entro giovedì. Il suo proprietario si sarebbe rifatto vivo a mezzogiorno, e il mezzo era ancora lì smontato in officina. Quando accese la radio le voci della CBC riempirono la rimessa. Di solito quando faceva abbastanza caldo lavorava con la porta aperta, però oggi si sentiva oppresso dalla nebbia che gravava nel vialetto come una creatura da incubo. Stava per chiudere la porta quando i latrati del cane si fecero più forti, come se arrivassero dal cortile sul retro. «Shep!» Bergeron scrutò la nebbia, una mano tesa in avanti come un cieco. «Shep! Per l'amor di Dio, smettila!» Il latrare diventò un ringhio interrotto da guaiti. Il corpo smisurato di Bergeron fu attraversato da un brivido di inquietudine. L'ultima volta che era successa una cosa del genere il cane stava giocando con un serpente. «Shep, stai buono. Arrivo.» Adesso avanzava a piccoli passi, come un ginnasta sulla trave, strizzando gli occhi nella nebbia. «Shep?» Lo scorse a un paio di metri, abbassato sulle zampe anteriori per afferrare un oggetto per terra. Bergeron lo agguantò per il collare. «Buono.» Il cane guaì e gli leccò la mano. Bergeron si chinò a guardare. «Oh, Cristo.» Era bianco come il ventre di un pesce, con ciuffi di peli su un lato. Dalla parte del polso la carne aveva ancora il segno a zigzag di un orologio dal cinturino metallico. Anche se non c'era più la mano, la cosa nel cortile di Bergeron era senz'ombra di dubbio un braccio. Se Ray Choquette non avesse deciso di andare in pensione, John Cardinal non sarebbe stato seduto in sala d'attesa assieme a suo padre quando invece avrebbe dovuto essere in centrale a rispondere al telefono oppure,
meglio ancora, in giro a rendere difficile la vita ai cattivi di Algonquin Bay. E invece no. Era incastrato con il genitore ad aspettare un dottore che nessuno di loro due conosceva. Anzi, una dottoressa, come se Stan Cardinal fosse disponibile a seguire i consigli di una donna. Ray Choquette, vorrei tirarti il collo, pigro ed egoista, pensò. Il Cardinal più anziano aveva ottantatré anni... ma solo all'anagrafe. I peli dell'avambraccio erano diventati bianchi e aveva gli occhi acquosi del vecchio, ma sotto altri aspetti, almeno secondo suo figlio, aveva ancora quattro anni. «Quanto pensa di farci aspettare?» chiese Stan per la terza volta. «Sono seduto qui da tre quarti d'ora. Non ha rispetto per il tempo delle persone? Come fa a essere un buon medico?» «Papà, è come tutti gli altri. Un buon medico è sempre impegnato.» «Che stupidaggini. È solo avidità. Cento percento avidità capitalista allo stato puro. Sai, io mi accontentavo di trentacinquemila dollari all'anno in ferrovia. Dovevamo sudare sette camicie per portare a casa una cifra del genere, ma tenevamo duro, per Dio. Però nessuno studia medicina per guadagnare trentacinquemila dollari.» Ecco, ci siamo. Tirata numero 27D, pensò Cardinal. Sembrava quasi che il cervello di suo padre fosse fatto come una serie di audiocassette. «E poi c'è il governo che tira la cinghia, così diventano tutti avvocati o agenti di borsa per fare un sacco di soldi e noi restiamo senza un dottore» proseguì Stan. «Vai a lamentarti con Geoff Mantis, è lui che ha tagliato la mutua.» «Ti farebbero aspettare comunque anche se fossero in tanti. È una questione di classe sociale. Non solo devono esistere ma bisogna anche salvaguardarle, le classi. Facendoti aspettare ti dimostrano che loro sono importanti e tu no.» «Papà, c'è carenza di dottori. È per questo che ci tocca aspettare.» «Vorrei sapere quale ragazza può passare la giornata a guardare nella gola e su per il culo della gente! Io non lo farei mai.» «Signor Cardinal!» Stan si alzò con difficoltà. La giovane segretaria sbucò da dietro la scrivania con un fascicolo in mano. «Ha bisogno di una mano?» «Sto bene, sto bene.» Stan si girò verso il figlio. «Entri?» «Non sono tenuto a venire con te» rispose Cardinal. «No, vieni, voglio che senta anche tu. Se ritieni che io non possa più
guidare voglio almeno che senta la verità.» La segretaria aprì la porta dello studio per farli entrare. «Signor Cardinal? Winter Cates.» La dottoressa non poteva avere più di trent'anni, eppure si alzò e venne a stringere la mano con la brusca efficienza di una vecchia professionista. Aveva una bella pelle chiara in netto contrasto con i capelli corvini. Le sopracciglia scure erano aggrottate in un'espressione perplessa indirizzata al Cardinal più giovane. «Sono suo figlio. Mi ha chiesto di accompagnarlo.» «È convinto che non posso guidare, però so che adesso i piedi vanno meglio e voglio che lo senta dalla bocca della verità» spiegò Stan. «A proposito, quanti anni ha?» «Trentadue. E lei?» Stan lanciò un gridolino sorpreso. «Ho ottantatré anni.» La dottoressa Cates indicò una sedia di fronte alla scrivania. «Grazie, preferisco stare in piedi.» Rimasero tutti e tre impalati in mezzo allo studio mentre la dottoressa sfogliava la cartella di Stan. I capelli della donna erano trattenuti da un fermaglio senza il quale sarebbero schizzati da tutte le parti, neri e ribelli. Winter Cates emanava un'aura di incredibile vitalità, tenuta appena a freno dall'atteggiamento professionale. «Bene, vedo che è stato sempre in salute fino a poco tempo fa» disse alla fine. «Mai fumato. Mai bevuto più di una birra a cena.» «Anche furbo, allora.» «Alcuni non sarebbero d'accordo.» Stan scoccò un'occhiata al figlio che questi ignorò. «E soffre di diabete che tiene sotto controllo con i farmaci. Si fa i controlli da solo?» «Certo. Non mi diverte punzecchiarmi il dito ogni cinque minuti ma lo faccio lo stesso. Lo zucchero nel sangue è nella norma. Se vuole verificare.» «Lo farò.» Stan guardò il figlio come per dire "Visto com'è maleducata? Dio, quante maleducata..." «E il dottor Choquette segnala una grave neuropatia ai piedi.» «Adesso sto meglio.» «Aveva problemi alla deambulazione, persino a stare in piedi. Quindi era esclusa la possibilità di guidare.»
«Non è esatto. I piedi sembravano... non direi addormentati... però mi parevano avvolti nella spugna. Non mi impacciavano più di tanto.» Per favore, non permettergli di guidare, si ammazzerà o farà fuori qualcun altro e non voglio ricevere quella telefonata, stava intanto pensando Cardinal. La dottoressa Cates guidò Stan verso una porta sulla destra. «Si sieda in ambulatorio e si tolga scarpe, calzini e camicia.» «Camicia?» «Voglio auscultarle il cuore. Il dottor Choquette ha notato un'aritmia per cui le ha prescritto una visita da un cardiologo. È stato sei mesi fa ma non vedo alcun referto.» «Be', sa, non ci sono mai andato.» «Male.» La voce della dottoressa era diventata appena più dura. «Lui aveva da fare, io avevo da fare, sa com'è. Non è mai venuto il momento adatto.» «In famiglia avete una storia di cardiopatie, signor Cardinal, non può prenderla sottogamba.» La dottoressa si girò verso il figlio. Aveva quello sguardo glaciale che Cardinal trovava sensuale in una donna, senza dubbio perché non intendeva esserlo. «Sarebbe meglio se aspettasse fuori.» «Va bene.» Cardinal si sedette. Dopo un colpetto alla porta la segretaria entrò nello studio. «Scusate. Ce Craig Simmons. Insiste che le riferisca che sta aspettando.» «Melissa, sono con un paziente e ho visite prenotate per tutta la giornata. Non può farsi vivo di punto in bianco.» «Lo so, gliel'ho detto almeno cinquanta volte ma non mi dà retta.» «Bene. Digli che gli concedo cinque minuti dopo questo paziente, però che sia l'ultima volta... Scusatemi» disse la dottoressa Cates quando la segretaria uscì, gli occhi scuri non più tanto glaciali. «Certe persone non si danno mai per vinte.» Entrò in ambulatorio e chiuse la porta. Cardinal sentiva le voci all'interno ma non cosa si dicevano. Nell'attesa si guardò intorno nello studio. Ai tempi di Ray Choquette era tutto cromature e plastica, adesso vedeva poltrone di pelle, un ventilatore a pale al soffitto e due librerie con le ante di vetro piene di manuali di medicina. Un folto tappeto persiano regalava all'ambiente un aspetto caldo e invitante, più da studio di casa che da ufficio. Quindici minuti dopo la dottoressa usciva dall'ambulatorio, seguita dal vecchio con un'espressione battagliera in viso.
Estrasse il taccuino, parlando mentre scriveva: «Le faccio due ricette. La prima per un diuretico che le terrà pulito il torace, l'altra per fluidificare il sangue e abbassare la pressione.» Strappò i fogli e li porse a Stan. «Chiamo io il cardiologo, così saremo sicuri che ci andrà. La mia assistente la chiamerà per comunicarle l'orario.» «E per guidare?» chiese Cardinal. La dottoressa fece segno di no. Una ciocca nera si liberò dal fermaglio, arricciandosi attorno al collo. «Niente auto.» A parere di Stan quella donna aveva passato il segno. «Accidenti, cosa penserebbe lei se dovesse chiamare qualcuno ogni volta che vuole uscire? A trent'anni che ne sa della vita? Che ne sa di cosa posso o non posso sentire, ai piedi o in qualsiasi altro posto? Guidavo da vent'anni quando lei è nata. Mai avuto un incidente. Mai una multa. E adesso mi dice che non posso guidare? Che dovrei fare? Chiamare lui ogni cinque minuti?» «So che è spiacevole, signor Cardinal, e ha ragione. Non mi piacerebbe affatto. Però non deve dimenticare un paio di cose.» «Certo, adesso mi dice anche cosa devo pensare.» «Mi lasci finire.» «Che ha detto?» «Ho detto mi lasci finire.» Brava, si disse Cardinal. Un sacco di gente si lasciava mettere i piedi in testa dalle sfuriate di Stan, compreso suo figlio talvolta, invece quella donna non mollava la presa. «Non deve dimenticare un paio di cose. Primo: la neuropatia può migliorare. Lei tiene sotto controllo la glicemia, e non può fare nulla di più utile. Altri tre o quattro mesi possono cambiare molte cose. Secondo: tutti dipendono dagli altri. Dobbiamo imparare tutti quanti a chiedere.» «Per Dio, è come essere paralizzati.» «Non mi sembra la fine del mondo. A essere sincera sono più preoccupata per il suo cuore. Sento parecchio liquido nel torace. Prima pensiamo a quello e poi alla guida, d'accordo?» Quando Cardinal e suo padre uscirono in sala d'attesa, un uomo scattò dalla sedia e passò loro accanto. Aveva un'aria familiare con quella combinazione di capelli biondi e fisico palestrato, ma entrò nello studio chiudendo la porta prima che Cardinal riuscisse a riconoscerlo. Cardinal attese che la segretaria spiegasse la ricetta a suo padre. Nel frattempo dallo studio arrivavano rumori di litigio. «La dottoressa Cates riceve molti pazienti del genere?» chiese alla se-
gretaria. «Non è un paziente. È... mah, non saprei come definirlo.» «Possiamo andare? Che tu ci creda o no, non voglio passare il resto dei miei giorni in un ambulatorio» protestò Stan. Lungo la Algonquin Cardinal fu costretto a procedere a passo d'uomo. La nebbia che avvolgeva la regione da qualche giorno diventava impenetrabile in fondo ad Airport Hill. Era la fine di gennaio ma faceva caldo come ad aprile. Di solito in questa stagione ci si aspettava cieli limpidi e temperature polari. Invece sembrava che la nebbia fosse diventata una costante. «Naturalmente non esiste l'effetto serra» disse Cardinal, tanto per scuotere il padre dal malumore. «Aveva un tono quando mi parlava, come se fossi un bambino di sei anni» si lamentò Stan. «Diceva la verità. E dire la verità a qualcuno è una forma di rispetto.» «Come se tu non avessi di meglio da fare che scarrozzarmi in giro.» «Non fai che dirmi che il mio lavoro fa schifo.» «Certo. Cosa ti spinge a passare le giornate a dare la caccia agli svitati e ai vagabondi? Ai mariti tanto sbronzi da non tenersi in piedi? Sappiamo tutti e due che la gente si fa beccare solo perché è stupida... Dove stai andando, John? Quello è il mio vialetto.» «Scusa. Non vedo nulla con questa nebbia.» «Guarda, quello è lo scoiattolo.» Stan Cardinal teneva in giardino un enorme scoiattolo di rame, una banderuola antiquata recuperata anni prima e che la nebbia trasformava in un'apparizione da incubo. Suo figlio fece inversione con prudenza e infilò il vialetto. «Se mi chiami domani andiamo dal cardiologo. Se per caso io non posso, Catherine sarà felice di... Scusa.» Il cellulare stava trillando. «Cardinal, dove si trova?» Era Mary Flower, il sergente di turno. «Abbiamo un 10-47 tra Main e MacPherson e ci servono tutti gli uomini disponibili.» «Arrivo.» Chiuse il telefonino. «Devo scappare. Chiama Catherine più tardi per dirle a che ora domani» aggiunse rivolto a Stan. «Emergenza, eh? Un'altra lite in famiglia, immagino.» «In realtà si tratta di una rapina in banca.»
La Federal Trust era in pieno centro, sulla Main, una bassa struttura in pietra a vista che non faceva il minimo sforzo per confondersi con gli edifici secolari che la circondavano. Non era la sua banca, ma ricordava di esserci entrato con suo padre da bambino. Quando accostò di fronte all'ingresso, c'erano già tre volanti parcheggiate ad angolature improbabili rispetto al marciapiede. Ken Szelagy, grosso come un grizzly, un ungherese pazzo come lui stesso si definiva, era fermo sulla porta e stava parlando al cellulare, ma sollevò una mano appena vide arrivare Cardinal. «L'amico è sparito da un pezzo. In questo momento stiamo cercando di ottenere i nastri della sorveglianza. Sarà divertente cercarlo in questo pagliaio, eh?» «Qualche ferito?» «No. Solo qualche crisi di nervi.» «C'è anche Delorme?» «Già. Ha preso in mano la situazione.» Lise Delorme, oltre a essere un agente investigativo di prima classe, aveva un modo di fare talmente calmo e ragionevole da essere di grande aiuto nei rapporti con il pubblico. Aveva anche notevoli doti fisiche, per quanto in quel frangente contasse maggiormente il carattere. Cardinal aveva gestito parecchie rapine in banca, e di solito erano situazioni al limite della crisi isterica. Invece Delorme era riuscita a far sedere di nuovo gli impiegati alla loro scrivania in attesa di essere interrogati. Cardinal la trovò che discuteva con il direttore in un ufficio oltre una parete a vetri. Il direttore non aveva visto niente ma li accompagnò dalla giovane cassiera che dieci minuti prima stava guardando dritto dentro la canna di una pistola. Cardinal lasciò che fosse la collega a fare le domande. «Aveva una sciarpa sulla faccia. Una sciarpa scozzese, come i banditi dei film western. È successo tutto così in fretta» raccontò la cassiera. «E la voce? Come le è sembrata?» chiese Delorme. «Non l'ho mai sentita. Non ha detto una parola, almeno non mi pare. È rimasto lì a guardarmi un attimo, poi ha fatto scivolare un biglietto sul banco. È stato spaventoso.» «Ce l'ha ancora il biglietto?» La ragazza fece segno di no. «Se l'è portato via.» Cardinal si guardò intorno. Per terra vide un foglietto appallottolato. Lo raccolse e l'aprì tenendolo per i bordi per non rovinare le impronte digitali. Da un lato era battuto a macchina, dall'altro si leggeva, scritto sgrammaticato a matita: "Non dire niente o ti sparo. Non premere allarmi o ti sparo.
Passami tutti i soldi nel cassetto". «Ho svuotato la cassa e ho infilato i soldi in una busta. Dovremmo comportarci così in situazioni del genere. Lui ha infilato i soldi nello zainetto.» «Di che colore era?» «Rosso.» «È sicura che non abbia detto una parola? Capisco che è successo tutto molto in fretta, però ci ripensi un attimo» insistette Delorme. «Ha detto "Fallo", qualcosa del genere. E anche "Sbrigati".» «Aveva un accento particolare? Inglese? Francocanadese?» Delorme aveva un lieve accento francocanadese del quale Cardinal si accorgeva solo quando era arrabbiata. «Avevo tanta paura che mi sparasse che non ci ho fatto caso.» «Dio» fece Cardinal, osservando l'altro lato del biglietto. «È il Podam.» Si staccò dal banco, facendo segno a Delorme di seguirlo. «Che cavolo è un Podam?» domandò lei. Aveva lavorato alle Indagini speciali per sei anni prima di passare alle Indagini criminali, e la sua conoscenza della fauna locale era piena di lacune. «Podam sta per Più Ottuso Delinquente Al Mondo. Robert Henry Hewitt.» «Mi stai dicendo che sai che è stato lui?» Cardinal le porse il biglietto. «Tienilo per il bordo, così.» Quando Delorme guardò entrambe le facciate rimase senza fiato. «È un vecchio mandato di cattura. Scrive il biglietto per una rapina sul retro di un mandato intestato a lui? Non ci credo.» «Non vinci il titolo di Più Ottuso Delinquente Al Mondo se non ti impegni fino in fondo. Robert Henry Hewitt è un fuoriclasse, e guarda caso so dove abita.» «Anch'io. È scritto sul mandato.» Robert Henry Hewitt abitava nel seminterrato di una casetta fatiscente incassata in una parete di roccia alle spalle delle scuole medie riservate agli indiani ojibwa. Cardinal fermò l'auto in un mulinello di nebbia. Da quel punto scorgeva soltanto la fila di bidoni ammaccati in fondo al vicolo. «Sembra che siamo arrivati prima noi.» «Se non è ancora rientrato, cosa ti fa credere che verrà?» Cardinal si strinse nelle spalle. «È l'azione più stupida che mi viene in mente.» «Che auto guida?»
«Una Toyota arancione decisamente malridotta. Persino i finestrini sono arrugginiti.» Sentirono arrivare la macchina ancor prima di vederla, in una sequenza disincarnata di effetti sonori meccanici stile Uomo di latta. Poi l'automezzo li superò sferragliante, grattando il marciapiede con il tubo di scappamento penzoloni mentre entrava nel vicolo. «Apri lo sportello. Tieniti pronta a muoverti» disse Cardinal. «Ma è armato. Non dovremmo chiedere rinforzi?» Delorme lo squadrò con i suoi occhi limpidi. Cardinal pensava a quegli occhi sin troppo spesso. «Tecnicamente sì. Ma d'altra parte conosco Robert. Non rischiamo molto.» L'unica luce posteriore della Toyota si spense. Cardinal e Delorme scesero dall'auto lasciando aperti gli sportelli per non fare rumore e si avvicinarono alla Toyota con passi prudenti sull'asfalto bagnato. Il guidatore, un ometto con i capelli crespi rossicci e una sciarpa scozzese attorno al collo, scese, aprì il bagagliaio, estrasse un sacchetto di plastica del FoodMart rigonfio e uno zainetto rosso che si mise su una spalla, e infine chiuse con il gomito. «Robert Henry Hewitt!» L'ometto lasciò cadere zaino e spesa per tagliare la corda, ma Cardinal l'afferrò al volo per il giubbotto. I due crollarono al suolo in un groviglio di braccia e gambe. Alla fine Cardinal sollevò l'avversario di peso, e il più grande ladro di Algonquin Bay si trovò steso a faccia in giù sopra il bagagliaio della Toyota, a gambe divaricate. «Appena muove un dito stendilo» disse Cardinal mentre lo perquisiva. Da una tasca del giubbotto estrasse una pistola. «Dio mio, un'arma.» «È solo un giocattolo. Non volevo far male a nessuno» si giustificò Hewitt. «Dove non volevi far male a nessuno?» «Alla banca, santo Dio.» «Robert, cosa ti dico ogni volta che ci vediamo?» Il Podam si girò a guardare, e quando riconobbe Cardinal sorrise, mostrando alcuni incisivi ridotti in uno stato pietoso. «Ciao! Come va? Stavo appunto pensando a te.» «Robert, cosa ti dico ogni volta che ci vediamo?» Il Podam rifletté un istante. «Mi dici di stare alla larga dai guai.» «Sergente Delorme, nessuno mi dà mai retta. È un vero problema. Con-
trolla lo zaino. Direi che abbiamo una prova» disse Cardinal. Delorme estrasse dallo zainetto una busta gonfia con "Federal Trust" stampato in un angolo. L'aprì per mostrare a Cardinal il contenuto. Il suo partner lanciò un fischio. «Robert, che colpo. A quanto pare ti sei fatto qualche decina di dollari.» 2 Appena il Podam fu rinchiuso in una cella, Cardinal tornò alla scrivania per battere i suoi rapporti supplementari. Il bottino del Podam era irrisorio. Se l'avesse sottratto a un registratore di cassa se la sarebbe cavata con la libertà vigilata, ma Cardinal sapeva che la pubblica accusa avrebbe insistito per incriminarlo per rapina a mano armata, perciò stilò il rapporto di conseguenza. Aveva quasi finito quando il sergente di turno Mary Flower lo chiamò. «Ehi, Cardinal, le consiglio di venire a fare due chiacchiere con il Podam.» Era ferma sulla soglia della porta che conduceva alle celle. «Il Podam? È importante?» «Dice che ha delle informazioni su un omicidio.» Cardinal guardò Delorme a qualche scrivania di distanza. La collega levò gli occhi al cielo. «Sai che è di sicuro una balla?» chiese Cardinal. Flower si strinse nelle spalle. «Lo dica a lui, non a me.» Cardinal e Delorme tornarono nell'area di detenzione, composta da otto celle disposte a L tra l'area registrazione e il garage. Il Podam era rinchiuso nella penultima, l'unica occupata al momento. «Non canto gratis» disse subito, cercando di atteggiarsi a duro anche se sembrava disperato con quegli occhi da cane bastonato e la felpa puzzolente. «Io vorrei fare un patto. Tipo che esco su cauzione.» «Non la vedo tanto facile. Dipende da quello che hai da dirci. Non posso promettere niente» replicò Cardinal. «Però potresti mettere una parola buona per me. Dirgli che ho fatto il mio dovere di cittadino. Che ho dato una mano alla polizia.» «Se ci dai informazioni utili racconterò al procuratore che sei stato collaborativo.» «E anche dispiaciuto. Gli dirai che mi dispiace tanto per la banca. No so cosa mi è preso.» «Glielo dirò. Cos'hai da darci, Robert?»
«Cioè, sai che ci sto male, soprattutto visto che mi dici sempre di stare lontano dai guai, e te ne sono grato. Non voglio che creda che non ti do retta. Io ti ascolto, solo che mi dimentico. Sai, mi viene in mente un'idea e comincia a frullare come una centrifuga.» «Robert?» «Sì?» «Dicci cos'hai.» «Va bene. Il giorno prima che facessi finta di rubare in banca...» «Hai rubato dei soldi. Questo non è fare finta» precisò Delorme. «Va bene, va bene. Il giorno prima. Sono a Toronto dalla mia ragazza.» Cardinal prese un appunto mentale di fare un controllo su quella ragazza appena avesse trovato il tempo. Doveva essere una pazza o una santa. «Sono a Toronto dalla mia ragazza e decido di andare in un bar. Sai, una serata per conto mio. Così vado sulla Spadina... hai presente il Penny Wheel?» «Fin troppo bene.» Prima di Algonquin Bay Cardinal aveva lavorato per dieci anni nella polizia di Toronto. Ogni sbirro della città conosceva il Penny Wheel, un seminterrato umido sulla Spadina, il genere di locale in plastica rossa che soltanto un criminale può apprezzare. La cosa notevole era che, a differenza di tutto il resto della città, questo specifico ritrovo era riuscito a rimanere immutato negli anni. «Allora, sono al Penny Wheel quando chi ti vedo se non Thierry Ferand? Conosci Thierry, una specie di trapper e cazzate del genere?» «Conosco Thierry.» Ferand era un cacciatore di pelli del posto. Un paio di volte all'anno usciva dai suoi boschi per vendere la mercanzia all'asta delle pellicce e ogni volta veniva arrestato per ubriachezza molesta e schiamazzi, spesso per lesioni di vario grado. Si diceva in giro che ogni tanto facesse qualche lavoretto per la versione locale di Cosa nostra, ma non era mai stato provato nulla a suo carico. Era un piccoletto, ma cattivissimo e imprevedibile. Quando era arrabbiato, sulla sua manina lurida spuntava immancabile un tirapugni. «Be', io e Thierry ci conosciamo da una vita.» «Dai tempi del carcere di Kingston, se ricordo bene.» «Come fai a saperlo? Voi ragazzi siete incredibili. Insomma, vedo Thierry seduto da solo in un angolino così vado a farci due chiacchiere. Thierry è sbronzo marcio, totalmente andato, e inizia a dire certe cose.» Il Podam si avvicinò alle sbarre della cella per guardare in corridoio, quindi aggiunse con il tono di chi riferisce informazioni di importanza nazionale:
«Cose grosse». «Tipo?» «Oh, poca roba. Un piccolo omicidio. Saresti interessato?» Robert Henry Hewitt, qualsiasi altra cosa potesse essere nella vita, era sicuramente il peggior attore del mondo. Cardinal faticò a restare serio. Aveva persino paura di girarsi verso Delorme per evitare che scoppiassero entrambi a ridere. «Certo, Robert. Gli omicidi ci interessano sempre.» «E dirai alla pubblica accusa che vi ho dato una mano?» «Basta, me ne vado.» Cardinal si avviò verso l'uscita. «Aspetta! Aspetta! D'accordo! Te lo dico. Sei un testone. Ho conosciuto tizi più calmi al fresco.» Quasi per togliersi dalla testa l'impazienza di Cardinal, il Podam si infilò un dito in un orecchio e iniziò a trivellare. «Allora, come dicevo: Thierry è ubriaco fradicio e inizia a parlarmi di questa storia che gli fa accapponare la pelle. Finisce la decima birra circa e si china sul tavolo per dirmi cos'è capitato a un suo amico. Un certo Paul Bressard. Un altro trapper. Per farla breve, Paul Bressard s'è fatto ammazzare. Da un tale di città a cui doveva dei soldi. Forse la mafia, un padrino o simili. Hai mai noleggiato il film?» «Robert, possiamo restare in argomento?» In effetti Bressard era stato incriminato anni prima per lesioni aggravate dopo aver quasi ammazzato un tale che doveva dei soldi a Leon Petrucci. Forse era stato il suono agghiacciante della registrazione del sintetizzatore vocale di Petrucci (lascito del suo amore per i sigari cubani) mentre annunciava a Bressard che sarebbe stato pagato profumatamente se "spiegava la loro posizione", fatto sta che la giuria se l'era fatta sotto e sia Bressard che Petrucci non avevano scontato un giorno di galera. In effetti era possibile che i suoi legami con la mafia si fossero ritorti contro Bressard. «Ora ti spiego. Questo tale, un tipaccio, viene qui ad Algonquin Bay dalla città per far fuori Bressard, e Thierry sostiene di sapere dove il cadavere.» Cardinal si girò verso Delorme. «Abbiamo ricevuto una denuncia di persona scomparsa per Paul Bressard?» «Non che io sappia. Vado a controllare.» «Allora, Robert, dove sarebbe il cadavere?» «Devo saperlo prima che mi aiutiate?» «Diciamo che migliorerebbe la tua situazione. Intanto dicci, come fa Thierry Ferand a sapere dove si trova il presunto cadavere?»
«Non lo so! Non gliel'ho chiesto!» Il Podam inclinò la testa da un lato come il cane della RCA e si grattò la testa. «Mah, forse me l'ha anche detto però me lo sono scordato. Pure io mi sono scolato qualche birretta. Però vi sto parlando di un omicidio di cui non sapevate nulla, no? La Corona comincerà a indagare, no?» «Controllerò, e spero per te che non sia una perdita di tempo» disse Cardinal. «Non farei mai una cosa del genere.» 3 Cardinal passò davanti alla casa di suo padre alla periferia nord di Algonquin Bay, poi svoltò in Ojibwa Road. C'erano solo tre edifici in quella strada, due villini decrepiti e la bifamiliare in mattoni a vista di Bressard. Persino nella nebbia sembrava una casetta borghese come tante altre, non aveva nulla che potesse rivelare al passante che il proprietario viveva come avevano fatto generazioni di suoi antenati, prendendo in trappola gli animali da pelliccia. Quanto a Paul Bressard, che stava uscendo di casa quando Cardinal infilò il vialetto, era tutta un'altra storia. Non aveva per nulla l'aria del borghese. I cacciatori di pelli sono una razza a parte, con una tendenza all'eccentricità, per non dire al selvatico, che li fa spiccare nei luoghi conservatori come Algonquin Bay. E persino all'interno di questo gruppo bizzarro Bressard non poteva passare inosservato. Il trapper stava scendendo gli scalini con il suo cappello di castoro a tesa larga e un cappotto di procione lungo fino ai piedi, anche se era troppo caldo per entrambi i capi, i baffoni scendevano oltre il mento e gli occhi infossati erano talmente scuri da sembrare quasi neri. In quel momento li aveva inchiodati su Cardinal. Quando lo riconobbe gli rivolse un sorrisone che avrebbe reso invidioso un divo del cinema. «Adesso lavori per la Protezione ambientale? Mi vuoi inchiodare per bracconaggio?» «No, avevo solo sentito dire che eri morto e volevo scoprire se era vero.» Bressard si fece serio. Le sopracciglia grosse come la coda di uno scoiattolo si toccarono a metà fronte. «Non vorrei allarmarti, solo che gira una voce secondo la quale saresti deceduto. Mi sa che è l'inizio di una leggenda metropolitana» aggiunse
Cardinal. Bressard ammiccò esattamente due volte mentre metabolizzava l'informazione, poi fece balenare di nuovo il sorriso da divo del cinema. «Sei venuto sin qui per controllare se stavo bene? Sono commosso, amico. Davvero. E come sarei morto?» «Si dice che uno da fuori città, forse uno di quei turisti schifosi che porti a caccia, ti avrebbe ammazzato e sepolto nella foresta.» «Be', non si vedono molti turisti in questa stagione. E come puoi vedere sono ancora vivo.» «Lo vedo. Non sei nemmeno scomparso. Che delusione.» Bressard scoppiò a ridere. «Sono voci che girano attorno ai grandi. Almeno adesso puoi dire di avere qualcosa in comune con Paul McCartney» continuò Cardinal. «Stai scherzando? Sono molto più in forma di lui. E canto anche meglio.» Bressard salì sulla sua Ford Explorer e abbassò il finestrino. «Dovresti venire al Chinook la sera del karaoke. Mi chiederai l'autografo.» Cardinal lo seguì con lo sguardo mentre si avviava verso il paese, oltre il limite del bosco da cui ricavava di che vivere. All'incrocio tra Algonquin e lo svincolo della statale 11 fu bloccato da un incidente. Il rimorchio di un autoarticolato era finito nella corsia opposta. Non c'erano vittime ma il traffico era rallentato mentre spostavano il mezzo. Nell'attesa Cardinal ascoltò il notiziario. Il segretario provinciale del National Democratic Party spiegava la piattaforma del partito per le prossime elezioni: riforma della sanità, sussidi per le madri lavoratrici e aumento del salario minimo. Purtroppo quel tipo non gli piaceva, anche se era d'accordo con tutto quello che diceva. Poi venne la replica del primo ministro Geoff Mantis che tacciava l'avversario di essere "paladino della spesa e delle tasse". Nessun dubbio: quelli che scrivevano gli slogan dei conservatori erano più in gamba. Purtroppo erano convinti che il governo non dovesse fare alcunché per nessuno. Chiudi gli ospedali, sbarra le scuole e voilà, sono tutti contenti. Poi venne il meteo. Prevedevano che la nebbia sarebbe rimasta in gran parte dell'Ontario settentrionale, con qualche goccia di pioggia. Un esperto spiegava come mai quello strano clima caldo non era per forza indizio dell'effetto serra ma più probabilmente un'anomalia statistica. Il cellulare di Cardinal suonò. «Cardinal.»
Era Mary Flower e sembrava su di giri. «Cardinal, deve andare subito in Sackville Road, allo Skyway Service Centre. Delorme è già per strada.» «Perché? Che succede?» «Hanno trovato un cadavere. Quasi.» Cardinal tornò indietro verso Sackville Road, in direzione ovest. In quel settore della città la nebbia era più rada, poco più che una foschia. Alla fine arrivò a un distributore di benzina in disarmo, Skyway Service Centre, Riparazioni fuoribordo & motoslitte. I gusci ammaccati delle motoslitte erano ammassati contro un lato della palazzina come una catasta di legna multicolore. Quando scese dall'auto vide Lise Delorme che accostava subito dietro. «Lise, possiamo essere sinceramente grati al Podam. Potremmo chiedere al giudice di rincarare di una settimana la pena che prevede di appioppargli.» «Paul Bressard non è morto?» «Non solo non è morto, ma è in ottima forma.» «Be', questo invece dovrebbe essere un po' più interessante.» Un omone in tuta lercia uscì dal garage. Era largo di spalle e stretto ai fianchi, e un tempo doveva avere avuto un aspetto temibile. Però adesso la salopette era tesa sulla pancia come se avesse un pallone da basket nascosto sotto la pettorina. Il viso era mascherato da un folto barbone da boscaiolo dei cartoni animati, nero con qualche traccia di grigio. Ivan Bergeron era la metà dei fratelli Bergeron, due gemelli monozigoti che avevano dominato gli sport di squadra al liceo locale nei sei anni in cui l'avevano frequentato. Questo succedeva un po' prima dell'arrivo di Cardinal, che però ricordava ancora Ivan e suo fratello Carl come una coppia ottima e affiatata nelle squadre di hockey e football quando lui frequentava il primo anno. «Spiegaci cos'hai trovato, poi andiamo a dare un'occhiata» disse Cardinal. «Sono in officina che provo a resuscitare uno Ski-Doo del '74 che doveva essere gettato nella discarica vent'anni fa quando il cane comincia ad abbaiare. Di solito è molto tranquillo e invece stavolta s'è messo ad abbaiare come un pazzo. Gli grido di stare zitto, però lui insiste. Alla fine esco, e lo trovo nel cortile di dietro e... Ma perché non venite a vedere? Faccio strada» spiegò Bergeron. Dietro l'angolo, una casetta a due piani se ne stava accasciata contro il garage come se fosse svenuta. Bergeron li accompagnò sul retro. «Proprio
lì» disse indicando con la mano. «Ho portato quello stupido cane dritto in casa appena ho capito cos'era. Si aspettava che gli dicessi bravo o qualcosa del genere, e invece non riuscivo a credere ai miei occhi.» «Che ora era?» «Non saprei. Le dieci?» «E ci hai chiamato solo adesso?» «Be', perché dovrei sapere come devo comportarmi? Non mi sembrava un'emergenza. A essere sincero, non voglio nemmeno pensarci.» Cardinal aveva visto tante cose sgradevoli nei suoi vent'anni da sbirro, però mai un braccio umano totalmente staccato dal suo proprietario. S'erano fermati a circa tre metri di distanza. Ivan Bergeron non sembrava intenzionato a procedere oltre, rimase a qualche passo di distanza a gambe larghe e braccia conserte sulla pancia. Cardinal e Delorme si avvicinarono alla cosa. «Spero che ve lo porterete via.» «Non subito. Sei certo che sia stato il cane a portarlo qui? Non l'hai visto con i tuoi occhi, no? Sei uscito e l'hai visto che gli abbaiava contro?» domandò Cardinal. «Deve averlo tirato fuori dal cespuglio. Prima di tornare ci stava ronzando attorno da un po'.» Lo stomaco di Cardinal stava facendo strane capriole. C'era un non so che di sgradevole in un pezzo di corpo umano così fuori posto. Il braccio era posato su una crosta sudicia di neve, pallidissimo a parte i peli neri più folti presso il gomito, più radi verso il polso. Si notavano solchi profondi da artiglio ma pochissimo sangue. «Sembra che qualcuno abbia litigato con un orso» commentò Cardinal. «Un orso? Non sono in letargo in questo, periodo dell'anno?» chiese Delorme. «Possono confondersi se c'è qualche giornata più calda. È normale che si sveglino. E quando capita tendono a essere nervosetti. Sarà divertente identificare l'amico.» «Guarda quel pelo sull'avambraccio. È grigio» disse Delorme indicando. «Già. Dovremo cercare un uomo maturo tra le persone scomparse. Intanto vediamo di scoprire quel che resta del tipo.» «Vi portate via quella roba, vero? Non lavoro molto bene con un braccio nel prato» insistette Bergeron. Alla fine Ivan Bergeron fu costretto a lavorare con un braccio nel prato
per l'intero pomeriggio. Cardinal chiamò in centrale per farsi mandare tutti gli agenti liberi che Mary Flower poteva trovare, poi telefonò alla polizia provinciale dell'Ontario per ottenere anche da loro trenta uomini. Alla fine sentì il capo dei pompieri chiedendo altri trenta vigili di rinforzo che, soprattutto, erano accompagnati da tre cani da cadaveri; nulla a che vedere con i dalmata solitamente associati con le stazioni dei pompieri, ma pastori tedeschi addestrati a trovare i corpi negli edifici bruciati in cui è troppo pericoloso entrare per un uomo. Nel giro di un'ora Cardinal aveva una squadra di agenti rimpolpata da vigili del fuoco e poliziotti della OPP, la polizia provinciale, impegnata a battere la foresta, un piccolo esercito di uomini e donne in uniforme blu che avanzava adagio tra pini e betulle luccicanti. Nessuno fiatava. Sembrava un film con l'audio azzerato. Attraversarono la boscaglia fradicia, dove la terra emanava intensi odori di resina e foglie marcie. Dopo una decina di minuti l'agente Larry Burke fece la scoperta successiva, stavolta una gamba. Ancora una volta Cardinal provò quella strana sensazione allo stomaco. Avevano di fronte una gamba umana strappata all'altezza dell'anca, intera dalla parte del piede, con squarci tremendi nella carne della coscia. «Gesù» fece Delorme. «Sicuramente un orso. Guarda là. E là. Deve avere denti grandi come la tua mano.» Cardinal stava indicando le ferite. La nebbia rallentò la procedura. Ci vollero altre due ore prima di trovare gli altri pezzi del corpo: la seconda gamba parzialmente divorata e una parte inferiore del torace tanto masticata da essere riconoscibile a stento. Un cane da cadavere aveva ringhiato contro il tronco di un albero caduto sotto cui l'avevano trovato. Forse l'orso o gli orsi l'avevano nascosto in quel punto per finirselo in un secondo tempo. Poi Cardinal trovò un pezzo di orecchio e di scalpo con un paio di occhiali da aviatore ancora attaccati. «Ti sembra casuale questa distribuzione? O pensi che sia stato qualcuno a spargere i pezzi?» chiese a Paul Arsenault, che stava fotografando gli occhiali. «Intendi qualcuno che non è un orso?» «Qualcuno che non è un orso.» Arsenault era accovacciato e si stava masticando la punta di un baffo. «Se c'è uno schema, non credo che lo decifreremo dal basso. Servono foto dall'alto.»
«La nebbia si sta diradando, ma non si vede ancora niente attraverso gli alberi. Nemmeno usando contrassegni rossi.» Arsenault iniziò a masticare l'altro baffo. «Potremmo sganciare i palloni a elio. La scorsa settimana abbiamo festeggiato il compleanno di mia figlia e a casa ne abbiamo ancora un sacco.» Fu subito inviato a casa di Arsenault un agente che tornò venti minuti dopo con i palloncini. A ogni pallone attaccarono una trentina di metri di lenza legata a un peso posato accanto a ogni reperto, poi la OPP scattò le foto all'alto. Cardinal e Delorme erano appena tornati allo Skyway Service Centre per riorganizzare le forze impegnate nella ricerca quando videro arrivare una Lexus nera che Cardinal riconobbe all'istante, accasciandosi impercettibilmente. Il dottor Alex Barnhouse era il genere di fastidio di cui un'indagine non aveva bisogno. Certo, ottimo coroner, ma irritante, e non solo per Cardinal. Il medico legale abbassò il finestrino. «Diamoci una mossa, va bene? Non ho tutto il giorno da sprecare.» Cardinal lo salutò allegro. «Salve, dottore! Come va?» «Possiamo sbrigarci, per favore?» «Non è una giornata stupenda? Guardi che alberi! Che nebbia! Sembra uscita da una favola, non trova?» «Non riesco a pensare a nulla di più inutile.» «Ha ragione. Parcheggi la sua bella Buick, così cominciamo.» Barnhouse scese di macchina con la valigetta. «Che Dio ci aiuti quando la polizia locale non sa distinguere una Buick da una Lexus.» «Sei davvero fetente» sussurrò Delorme mentre andavano verso il cortile sul retro. «Quell'uomo tende a portare allo scoperto il mio lato immaturo.» Barnhouse esaminò il braccio mozzato, poi seguì gli altri nel bosco, sempre con la valigetta nera in mano. Le altre parti le degnò appena di un'occhiata, poi disse: «Agente Cardinal, è mia opinione professionale che un maschio non identificato abbia incontrato la propria sorte in modo innaturale. Un indicatore è la mancanza di vestiti presso il corpo. Un altro la scarsa presenza di sangue. Data la gravità delle ferite inferte da uno o più animali, questi alberi e le foglie dovrebbero essere coperti di sangue, e invece non lo sono.» «Però può semplicemente significare che gli orsi l'hanno ucciso altrove e
hanno sparso i pezzi dappertutto.» Barnhouse scosse il capo. «L'hanno mangiato, ma non l'hanno ammazzato. Lo si capisce dalle ossa più grandi. Ritengo che alcune ferite non siano state inflitte da un animale bensì da uno o più uomini con un'ascia o altro oggetto affilato. Le ossa sembrano tranciate, non strappate. Comunque non sono esperto in materia e immagino che vi avvarrete dei servigi del Centro di medicina legale di Toronto.» «Che tempi ci dà per la morte?» «Santo cielo, amico, come faccio a dare una data? Non abbiamo nemmeno lo stomaco per valutarne il contenuto.» «Allora, questa storia dell'ascia? Sono stati colpi inferti dopo o prima della morte?» «Dopo. Non c'è sangue sulle ossa, il che significa che il suo cuore s'era fermato prima che lo facessero a pezzi. E di questo siamo tutti grati, ne sono convinto.» Barnhouse scribacchiò un modulo, poi strappò il foglio dal blocco e lo diede a Cardinal. «Salutatemi il Centro di medicina legale. Ora, se qualcuno è tanto gentile da mostrarmi da che parte posso tornare, vi saluto tutti.» Cardinal fece segno a Larry Burke. «Di qua, dottore» disse Burke, poi i due si allontanarono nella nebbiolina. «Ormai avrei dovuto farci il callo» si lamentò Delorme. Il walkie-talkie di Cardinal lanciò un sibilo, poi una voce disse qualcosa di incomprensibile. «Cardinal. Può ripetere?» «Ho detto che abbiamo trovato una struttura. Mi sa che vorrai darci un'occhiata.» Era la voce di Arsenault. «Dove sei?» «A valle rispetto all'officina. Segui il torrente verso ovest.» Delorme si voltò verso il bosco, ridotto a un reticolo bigiolino. «Ovest? Sarebbe bello se ci fosse un sentiero.» Trovarono il ruscello e lo seguirono, e alla fine sentirono le voci e scorsero il vago profilo di una capanna. Arsenault era inginocchiato accanto a un cespuglio e stava usando un coltellino e una provetta. «Cos'hai trovato?» gli chiese Cardinal. «Tracce di vernice. Qualcuno è passato in macchina da qui di recente.» Arsenault indicò con il pollice una traccia appena accennata di pneumati-
co. «Potrebbero averlo scaricato lì. Cioè, prima che lo trovassero gli orsi.» Cardinal guardò meglio le tracce. «Credi di poterne ricavare un calco?» «No. Troppe foglie.» «L'immaginavo. Cos'è, un vecchio sentiero di taglialegna?» «Sì. Deve risalire a ottant'anni fa. Però si vede che è stato usato. Probabilmente dal proprietario di questo rudere.» Bob Collingwood, il collega di Arsenault, era all'interno della baracca. «Puah, che puzza» disse Delorme. La baracca, una decina di metri quadri in tutto, era di tronchi appena sgrossati che riuscivano a fare poco per tenere fuori il freddo e nulla per tenere fuori l'umidità. Dentro c'erano un frigo, una branda arrugginita, un banco di metallo con due lavelli e un'antiquata stufa a legna di ghisa con lo sportello penzolante da un cardine rotto. Il tugurio sapeva di decomposizione, muffa e legno marcio. «Non c'era lucchetto. La porta era aperta» disse Arsenault, fermo alle spalle di Delorme. «Non la usavano da un bel po'» replicò lei mostrando le gigantesche ragnatele attorno all'entrata. «È una capanna da trapper?» «Totalmente illegale, è ovvio» aggiunse Cardinal. «Le costruiscono dove cavolo gli pare. Il problema è di quale trapper. Devono esserci almeno una decina di signori che si guadagnano il pane da queste parti.» Collingwood era giovane, con le orecchie a sventola, pignolo e laconico. Cardinal poteva contare su una mano sola il numero di frasi compiute che erano uscite da quelle labbra nel corso di tutta la sua carriera visto che era solito parlare per fonemi puri, quando si scomodava a farlo. Adesso stava indicando in silenzio i lavelli, del genere con un manico di pompa al posto del rubinetto. Collingwood infilò nello scarico un dito coperto da un guanto di lattice, tirandolo indietro macchiato. «È ruggine o sangue?» chiese Cardinal. «Sangue.» «Quindi potrebbe essere stato ammazzato qua dentro. Però potrebbe anche essere solo sangue di animale.» Delorme s'era inginocchiata di fronte alla stufa. «Sembra che abbiano tentato di bruciarci dentro dei vestiti. Collingwood, hai un telo?» Collingwood aprì una valigetta di cuoio contenente tutti i ferri del mestiere, poi insieme aprirono un sottile telo di plastica su cui i reperti potevano spiccare meglio e usarono un paio di pinze per estrarre dalla stufa la massa annerita. Erano un paio di jeans, ridotti a poco più della cintola, un
colletto di camicia, parecchi bottoni, buona parte di un paio di scarpe e una massa bruciata di materiale non identificabile. Collingwood estrasse dalla borsa uno strumento per misurare le suole delle scarpe. «Quarantaquattro.» «Va bene. Ci serve la taglia della vita e anche del colletto, se ne resta abbastanza per prendere le misure» disse Cardinal. Delorme stava smuovendo delicatamente il materiale bruciato con le pinze. «Cos'è questo?» disse a se stessa più che agli altri. Aveva sollevato un piccolo grumo di metallo fuso, che posò sul telo. Su un lato era più lucido e recava ancora parte della figura incisa di un animale. «Sembra una strolaga» disse guardando gli altri due. Cardinal si chinò sulla sua spalla per vedere meglio. «Credo di sapere di cosa si tratta.» 4 La riva nord del lago Nipissing è uno dei luoghi più piacevoli dell'Ontario, ma Lakeshore Drive, la strada che corre lungo la parte superiore della baia che dà il nome ad Algonquin Bay, sembra essere stata progettata all'unico fine di tenere nascosto questo fatto alla popolazione, fungendo da tempo immemorabile da calamita per ogni tipo di pugni nell'occhio. Sul quel lato del lago si possono trovare fast-food, pompe di benzina e motel dal nome stuzzicante ma privi di fascino, di fronte, concessionari di auto e centri commerciali. Loon Lodge era al confine occidentale di tanta bruttezza. Non era un vero "lodge", un padiglione, bensì una decina di minuscole capanne bianche con le imposte verdi e tende in stile rustico, essendo stato costruito negli anni cinquanta, prima che venisse di moda lo stile capanne di tronchi. Molti abitanti di Algonquin sono convinti che questi esercizi siano chiusi in inverno, ma in realtà hanno due fonti di reddito stagionale, quella dei pescatori nel ghiaccio, dei dentisti e degli assicuratori che si concedono qualche giorno di ferie per andare al nord con gli amici a sbronzarsi a morte, e quella di chi cerca un posto economico in cui vivere, e fuori stagione non c'è nulla di più economico di una capanna in Lakeshore Drive. Cardinal era stato qualche volta al Loon Lodge, il "padiglione delle strolaghe". Ogni tanto un suo ospite spaccava la faccia alla moglie, oppure era la consorte a stancarsi delle sbronze del marito e gli infilava un coltello da
cucina tra le costole. Talvolta vi si insediava qualche spacciatore, ma poi in estate vi alloggiavano soltanto americani abbronzati, famiglie senza troppi soldi che approfittavano della relativa debolezza del dollaro canadese. Cardinal e Delorme erano entrati nella prima capanna di assicelle bianche del Loon Lodge, quella indicata da un cartello come UFFICIO, quattro volte più grande delle altre unità, in cui abitava il proprietario con moglie e figli. Si chiamava Wallace e assomigliava a un uovo, il volto paffuto dall'espressione dolente come se soffrisse di un perenne mal di denti. Un bimbo di quattro anni, altrettanto ovoidale e sconsolato, stava guardando i cartoni animati nella stanza accanto. L'odore della cena aleggiava nell'aria, ricordando di colpo a Cardinal che non aveva pranzato. Wallace estrasse il registro degli ospiti, trovò il nome e girò il libro sul banco. «Howard Matlock, 91a Est 312, New York» lesse Delorme ad alta voce. «Vorrei non averlo mai incontrato. La settimana scorsa è andata davvero a rilento, così sono stato felice di vederlo arrivare, anche se voleva fermarsi solo un paio di giorni» spiegò Wallace. «Ford Escort» lesse Delorme mentre copiava il numero di targa. «Già. Rossa. Però non la vedo da un paio di giorni.» «Quando è arrivato?» chiese Cardinal. «Giovedì, mi pare. Sì, giovedì. Avevo appena cacciato un paio di indiani che volevano una camera. Mi dispiace ma non m'interessa quanti bungalow liberi ho, io a quelli non affitto. Sono stanco di ripulire vomito e sangue. Ho una reputazione da mantenere.» «Deve solo sperare che nessuno la denunci per discriminazione razziale» disse Delorme. «La gente non sa come sono gli indiani. Se ne metti insieme due o tre con una bottiglia di liquore ti ritrovi un'unità inaffittabile.» «E adesso cos'ha, invece?» «Avete detto che avete trovato questa chiave su un cadavere?» Wallace indicò la massa fusa dentro il sacchetto che Cardinal aveva posato sul banco. «Più o meno.» «Immagino di avere un conto non pagato e un affittuario non più vivo.» Wallace scosse la testa, imprecando sottovoce. «Avete idea di quanto ci vuole per avviare un posto come Loon Lodge? La reputazione non te la procuri in un giorno.»
«Ne sono sicuro» disse Cardinal. «Il signor Matlock le ha spiegato come mai è venuto ad Algonquin Bay?» «Insomma, succede una storia del genere e tutti i tuoi sforzi, tutti quei tocchi in più che rendono un motel speciale, un posto dove la gente vuole tornare, finiscono in nulla. Tanto vale staccare l'insegna e dichiarare fallimento.» Cardinal si stava chiedendo come aveva fatto un pessimista come Wallace a tirare fuori abbastanza ottimismo per aprire un motel, ma preferì attenersi alla domanda iniziale. «Il signor Matlock ha spiegato perché è venuto ad Algonquin Bay?» «Mi ha parlato di pesca nel ghiaccio.» «È un po' presto per la pesca nel ghiaccio. A parte l'ondata di caldo.» «È esattamente quel che gli ho detto. Non si esce sul lago per altre due settimane almeno, anche senza questa ondata di caldo. Lui ha detto che lo sapeva ma stava solo controllando il posto per una comitiva che prevedeva di salire quassù verso fine febbraio.» «Da New York?» chiese Delorme. «Mi sembra un bel viaggio solo per venire a fare i sopralluoghi di una battuta di pesca.» Wallace si strinse nelle spalle. «Questi americani.» Staccò una chiave dal pannello dietro il banco, poi fece strada oltre parecchie capanne. «Non mi è mai sembrato un gran che come sport. I pesci sono storditi dal freddo e hanno fame. Dov'è l'abilità? Stare seduti sopra un buco in una baracca schifosa» disse Delorme al collega. «Dimentichi la birra.» «Oh, non dimenticate la birra» intervenne Wallace. «Non immaginate la quantità di casse che si portano dietro. In ogni unità tengo una slitta che in teoria serve per i bambini. Ma vedete forse qua in giro delle colline per scendere con lo slittino? Le usano per portare al lago le casse da ventiquattro.» «Ha detto che Matlock è arrivato giovedì. Quando si è accorto che l'auto era sparita?» «Mi pare sabato. Due giorni fa. Esatto. Perché gli ho chiesto di spostarla venerdì sera. Aveva parcheggiato nel posto della 4. Non che la 4 fosse occupata. Comunque sabato mattina non c'era più. È stato questo a insospettirmi. L'auto non c'è più e non vedo uscire fumo dal camino. Stamattina sono andato a bussare, non ho trovato nessuno e mi sono detto che gli avrei concesso qualche ora prima di cominciare a sospettare di essere stato
fregato.» «Ha fatto qualche telefonata? Lo saprebbe se ne avesse fatte?» chiese Cardinal. «Lo saprei se avesse fatto interurbane, ma non ce n'erano. Invece non controllo le chiamate locali.» «Grazie, signor Wallace, proseguiamo da soli.» «Fate pure.» Wallace gli aprì la porta. «Se dentro ci sono soldi, devo avere centoquaranta dollari.» L'interno dei bungalow del Loon Lodge non era cambiato dall'ultima volta che Cardinal ne aveva ispezionato uno. Letto matrimoniale in una rientranza, divano a fiori e un cucinino in un angolo con un piccolo frigo, piastra elettrica, lavello di alluminio. Gli tornò in mente un incidente del passato, una donna esagitata che gli lanciava addosso una padella piena d'olio perché era venuto ad arrestare il marito. Vide accanto a una finestra un tavolo coperto con una cerata gialla, con sopra una copia del New York Times. Data di cinque giorni prima, forse acquistata in aereo. Il letto (coperta di ciniglia lisa con lo stesso emblema del Loon Lodge riportato sull'anello della chiave) era in ordine, e accanto si vedeva una valigetta con le ruote contenente abbastanza vestiti per un fine settimana e un tascabile di Tom Clancy. «Ecco il portafoglio» disse Delorme mentre lo recuperava da sotto il tavolo, rischiando di rovesciare una lampada (disegno di strolaga sul paralume). «Ecco un primo problema. L'auto è sparita. Chi è che esce in macchina senza il portafoglio? Devi portarti dietro la patente, no?» «Forse l'assassino è venuto a bussare.» «Possibile. E lui perde il portafoglio nella colluttazione, anche se qui non rimane segno di lotta.» Delorme aprì il portafoglio. «Comunque penso che possiamo escludere la rapina come movente. Qui ci sono ottantasette dollari, tutti americani. Forse è uscito a comprare le sigarette e non aveva bisogno del portafoglio.» «Ne aveva ancora.» Cardinal indicò un pacchetto mezzo pieno di Marlboro sul comodino. «Howard Matlock è autorizzato a praticare l'attività di commercialista nello stato di New York» lesse Delorme con tono formale da un biglietto da visita.
«Pescatori nel ghiaccio... puoi scommettere che sono tutti commercialisti.» «È anche iscritto alla biblioteca pubblica di New York, a Blockbuster e ha una patente di New York.» La mostrò a Cardinal. Il morto che lo fissava dalla foto tessera portava gli stessi occhiali trovati nel bosco. Si guardarono attorno. «A parte il portafoglio per terra, sembra tutto in ordine. E aveva ancora in tasca la chiave della stanza ma non quella dell'auto. Il che mi fa pensare che l'assassino o gli assassini se ne siano andati con la sua macchina» concluse Cardinal. «Se devi rubare una macchina, perché una Ford Escort? E se stai coprendo un furto, mi sembra un tantino eccessivo fare a pezzi un cadavere nella foresta.» «Forse in auto c'era qualcosa di incriminante.» Passarono in rassegna il contenuto della valigia: tre camicie, tre paia di mutande, tre paia di calzini, due dei quali bucati. «Pensavo che i commercialisti guadagnassero un sacco di soldi, invece sembra che l'amico se la passasse malaccio» commentò Delorme. Sullo scaffale del bagno trovarono una scatola di antiacidi e confezioni da viaggio di lassativo e antidiarroico. «Bravo boy-scout, preparato a tutto» aggiunse. «A parte la caccia e la pesca, come noterai. Niente canna, niente mulinello, niente ami. Nulla. Lo so che stava solo facendo un giro preliminare, però...» «Forse li teneva in macchina. Quando la troveremo...» Erano fermi uno di fronte all'altro in mezzo al bungalow. In attesa di un'idea. Di una teoria, pensò Cardinal. «Che strano. Da quanto ne sappiamo, Howard Matlock, commercialista in vacanza, è venuto da queste parti per la pesca nel ghiaccio. Esce per fare un giro, senza portafoglio, e si fa ammazzare. Forse qualcuno ha tentato di derubarlo e l'ha ammazzato in preda alla rabbia vedendo che era privo di portafoglio» disse Delorme. «Grazie, agente. Questo spiega tutto. È chiaro che possiamo dichiarare risolto il caso.» «Lo ammetto, c'è qualche falla.» «Secondo me siamo tutti e due convinti che la versione della pesca nel ghiaccio non regge. E...»
«E cosa? Mi sembri preoccupato.» «Ho un brutto presentimento. Il mio guru nella polizia di Toronto diceva sempre che ci vogliono tre cose per risolvere un caso in cui il colpevole non è subito ovvio: talento, perseveranza e fortuna. Se manca una delle tre non lo porti in fondo. Dammi pure del presuntuoso ma non sono preoccupato per le prime due.» «Dai, Cardinal. Abbiamo appena iniziato.» «Lo so. Il problema è che, se non crediamo che Matlock sia venuto in perlustrazione per la pesca nel ghiaccio, allora non abbiamo la minima idea di cosa sia venuto a fare da queste parti, o chi sia venuto a trovare, per non parlare di chi desiderasse ammazzarlo.» Diramarono una segnalazione per la Ford Escort rossa di Matlock, noleggiata al banco Avis dell'aeroporto Pearson di Toronto. Le ricerche nei boschi proseguirono fino a sera. Tutte le parti di cadavere trovate furono raccolte e inviate al Centro di medicina legale di Toronto. Le foto aeree furono sviluppate e affisse alla bacheca della sala identificazioni. I palloni scintillavano tra alberi e nebbia, ma non si notava alcuno schema logico nella loro distribuzione. Tornato alla scrivania, Cardinal passò due ore buone a scrivere i rapporti di giornata e a pregare perché gli venisse un'idea decente su come procedere. Era stanco e affamato e non vedeva l'ora di tornare da Catherine, però non voleva rincasare sentendo che il caso era in un vicolo cieco. Doveva stare un po' da solo, lontano dai rapporti e dal baccano dei colleghi che urlavano, a riflettere su Howard Matlock e chiedersi come mai quell'americano era finito ad Algonquin Bay. Giù al lago la nebbia era ancora fitta, impigliata come ovatta grigia tra capanne e alberi. L'insegna delle camere libere al Loon Lodge brillava di un rosso smorto. Il parcheggio era deserto. Cardinal aprì il bungalow affittato a Howard Matlock e sgusciò sotto il nastro giallo. Una volta all'interno fece scattare l'interruttore ma la luce non si accese. Il proprietario doveva avere staccato la luce fino all'arrivo del successivo inquilino pagante. E non c'era nemmeno il riscaldamento. Accese la torcia elettrica e la puntò sul letto, sulla sedia, sul comodino. La Scientifica era stata tanto impegnata nel bosco che qua dentro avrebbe finito domani nella migliore delle ipotesi. Gli effetti personali di Matlock erano ancora lì, perfino il pacchetto a metà di Marlboro accanto alla lampada con la strolaga.
Nel buio e nel silenzio Cardinal tentò ancora una volta di visualizzare cos'era successo lì dentro. Immaginò l'americano seduto sulla poltroncina bianca di vimini a guardare il piccolo televisore mentre bussavano alla porta. Ma chi poteva essere venuto a trovarlo, e ammazzarlo, e portarlo via nella sua auto? Qualcuno che l'aveva seguito da New York? Cardinal era seduto sul bordo del letto. Cercare di sbrogliare questo caso era come cercare di afferrare il fumo. Metà delle volte, almeno in un posto grande come Algonquin Bay, era lo stesso omicida a chiamare la polizia sul luogo del delitto. E invece questo era un vero mistero in cui non aveva nemmeno una pista. Un cittadino americano era venuto in città e, se non era stato seguito, era riuscito in poco tempo a far arrabbiare qualcuno quel tanto da finire ammazzato. E l'altro non l'aveva solo ammazzato ma l'aveva gettato in pasto agli orsi. Perché? Sentiva che una teoria iniziava a prendere forma, ma non riusciva ad afferrarla. Guardò la porta dell'armadio a muro. Poche ore prima era aperta, ma adesso era chiusa, coperta di polvere dove avevano cercato le impronte. Si alzò per andare ad aprirla. Prima che si fosse spalancata del tutto una mano scattò dall'oscurità, serrandoglisi attorno alla gola, e un pugno gli affondò nella pancia, costringendolo a piegarsi in due. Cardinal barcollò all'indietro con il fiato mozzo. Un calcio esperto gli sfilò le gambe da sotto il corpo, poi finì faccia a terra, un braccio bloccato dietro la schiena. La fredda canna di una pistola era premuta contro la nuca. La sua Beretta ancora nella fondina affondava dolorosamente nel costato. «Non sei armato, vero?» Era una voce giovane, maschile, sconosciuta. Forse un bianco WASP. «No.» «E questa?» L'altro sollevò la giacca e gli prese la Beretta. «Stai commettendo un errore» riuscì a dire Cardinal prima che l'altro gli abbassasse la testa. Una mano sfilò il portafoglio dalla tasca interna. «Sei uno sbirro?» «Nel tempo libero. Quando non mi faccio picchiare nei motel.» Il peso sulla schiena si spostò. «Non posso credere che sia entrato come se niente fosse. Da solo? In piena notte? Potevo essere chiunque.» «In effetti volevo farti qualche domanda in proposito.» «Va bene. Senti cosa facciamo. Ti lascio andare. Mi tengo la tua pistola ma ti lascio andare. Comportiamoci da persone civili. Non tentare niente se non vuoi che ti stenda di nuovo.»
«D'accordo.» «Adesso ti alzi e ti piazzi mani contro il muro. Io intanto vado alla porta.» Lo sconosciuto gli si tolse di dosso. Cardinal prese un respiro profondo prima di alzarsi e scrollarsi. Cristo, che vergogna. Dietro la .38 canna corta che aveva puntata addosso scorse il più giovane pistolero che avesse mai visto, capelli biondi cortissimi, una peluria chiara sulle guance e sul mento. Indossava una giacca pied-de-poule, come se cercasse di atteggiarsi da persona più matura. Lo sconosciuto aprì un poco la porta per guardare nel parcheggio. «Sei venuto sul serio da solo.» Ogni volta che parlava nella sua bocca brillavano troppi denti. «Bene, girati e mettiti con le mani contro la parete. Conosci la posizione, gambe larghe, in punta di piedi.» La .38 scintillò nella luce che arrivava dalla finestra. Cardinal obbedì, mettendosi a fissare la parete. «Cos'hai, diciott'anni?» chiese. «Acqua. E poi abbiamo cose più importanti di cui discutere.» Il ragazzo lo perquisì, cercando una fondina da caviglia. «Tanto per cominciare, come risolviamo la faccenda?» «Cosa intendi parlando al plurale? Sei tu che hai aggredito un funzionario di polizia. Ho la sensazione che, a meno di non essere una Giubba rossa, tu non abbia la licenza per quella .38, piccolo.» «E tu sei un poliziotto che s'è appena fatto disarmare. Non credo che desideri che la voce giri in paese, vero?» «Sarebbe imbarazzante. Ridammela così mi sparo subito.» «Che cosa sai di Howard Matlock?» «Ti ha mandato Malcolm Musgrave? Agisce sempre per vie traverse, persino per essere una Giubba rossa.» «Ti ho fatto una domanda. Cosa sai di Howard Matlock?» insistette il ragazzo. «È americano. È commercialista. È morto. Come mai sei tanto interessato?» «Ho io le pistole, quindi è giusto che sia io a fare le domande. Perché sei tornato qua? Dovreste avere finito con la scena del crimine.» «Senti, è chiaro che sei della polizia a cavallo. Perché non mi dici chi sei e cosa vuoi?» «Ti ho chiesto perché sei tornato in questa capanna.» «Evidentemente per la stessa ragione che ha portato te, per scoprire altre cose su Howard Matlock. Quando un turista arriva nella mia città e finisce
in pasto agli orsi mi suona male. Solo che forse non era nemmeno un turista, e questo mi suona ancora peggio. Sono tornato perché ci sono tante cose ancora poco chiare. Perché al momento non ho una pista. Adesso, se non ti dispiace, vorrei continuare a lavorare.» Cardinal aspettò un istante, con le orecchie tese. Nessun rumore dalla porta. Si girò. La stanza era deserta. La sua Beretta era appoggiata sul tavolo del cucinino, meno il caricatore. Arrivò troppo tardi sulla soglia. Bestemmiò sottovoce. Sarebbe stato difficile spiegare il caricatore mancante. Accostò la porta del guardaroba e diede un'ultima occhiata al bungalow prima di chiudere a chiave. Doveva ammettere che quel ragazzo era in gamba. L'aveva colto di sorpresa, gli aveva sfilato la pistola e s'era dileguato manco fosse fatto di nebbia. Mentre tornava al parcheggio pensò se fosse il caso di segnalare un bianco biondo. Prima di salire in macchina trovò il caricatore posato sul tettuccio dalla parte del guidatore. Quando rientrò a casa, Catherine era seduta nella posizione del loto, perfettamente immobile. Una candela guizzava nell'aria smossa dall'entrata di Cardinal. Un filo di fumo saliva a spirale da un bastoncino d'incenso posato sopra il televisore. «Sei in ritardo» disse sua moglie. «C'è odore di Oriente.» Cardinal faceva sempre qualche commento sull'incenso, che Catherine ignorava. «Come sta la mia santona?» «Sembro più un Budda che una santona. Non mi libererò mai dei chili presi in ospedale.» «Non sei sovrappeso.» «Tutto quel pane e patate che mi hanno fatto ingozzare. Non entro più nei vestiti.» Era vero che Catherine aveva messo su qualche chilo durante la degenza all'ospedale psichiatrico dell'Ontario, come sempre, ma nel complesso Cardinal pensava che avesse un bell'aspetto. Era un po' più pesante sui fianchi, forse aveva un po' di pancetta, ma per essere una donna con una figlia ventiseienne era ancora splendida. Catherine si lasciò sfuggire un lungo sospiro mentre scioglieva le gambe. Cardinal era lieto di vedere che faceva yoga, anche a tarda ora. Non aveva mai crisi quando si prendeva cura di se stessa. «Ha chiamato tuo padre. Domattina ha appuntamento con il cardiologo. Lo accompagno io.» «Ottimo. Il suo nuovo dottore ci sa fare.»
«Mi sembri alterato. Tutto bene?» «Una brutta giornata al lavoro. Niente di grave.» «Hai voglia di parlarne?» «No.» Non ne aveva mai voglia. Nessuno degli agenti investigativi della squadra parlava con la moglie di quello che succedeva al lavoro. Una volta un amico aveva detto a Cardinal che era solo un esempio di cavalleria inutile, e forse aveva ragione, però lui non viveva con una maniacodepressiva. Cardinal non voleva aggravare il fardello della moglie, e poi in quel momento era troppo imbarazzato per la pistola sottratta. Si lasciò andare sul divano, annusando l'odore di legno di sandalo. Catherine gli aveva garantito che dava vibrazioni altissime. La casa era piacevolmente silenziosa. Il suo rifugio. Le ultime braci nel camino proiettavano un bagliore caldo. «È arrivato questo per te» disse Catherine, porgendogli una busta quadrata. «Una calligrafia molto disordinata.» E senza mittente, notò lui. La strappò, estraendo un biglietto ornato con un grande cuore rosso stampato sul davanti, a rilievo, "Sono passati dodici anni, tesoro...", e dentro "... però ti amo ancora come quando ci siamo incontrati!" Subito sotto una mano aveva scritto "A presto". Ovviamente non era firmato, come sempre, ma Cardinal sapeva da chi proveniva. Dodici anni prima aveva contribuito a far finire al fresco un tale che sarebbe uscito tra pochi mesi. Però il messaggio cruciale non era contenuto nel biglietto, bensì sulla busta, scritto fra le righe dell'indirizzo di casa sua: Sappiamo dove abiti. Catherine stava dicendo qualcosa che non inquadrava. Stava pensando ai fatti di più di dieci anni prima, il più grosso errore della sua carriera, anzi, della sua vita. Quel momento aveva gettato un'ombra su tutto, e anche se aveva tentato di correggerlo adesso stava portando una minaccia fin dentro casa sua. Sì, fin dentro al suo rifugio, tutt'altro che inespugnabile tra la fragilità emotiva di sua moglie e le esigenze della professione. «Scusami. Stavi dicendo?» chiese. «Ho detto che ha chiamato Kelly. Sei sicuro di star bene? Cos'era quel biglietto?» Cardinal se lo ficcò in tasca. «Nulla. Robaccia. Buffo come Kelly chiami sempre quando non ci sono. Deve aver messo casa nostra sotto sorveglianza.» «Non devi dire una cosa del genere, John. Ha chiesto di te. Non credo che Kelly sia capace di legarsela al dito. Almeno con te.»
«Sicuro.» «Ha trovato un nuovo alloggio. Divide un appartamento nell'East Village. Dice che è fetente ma vivibile.» «Dio solo sa perché ci tenga a vivere a New York. Io non ci abiterei per nulla al mondo. Mi è bastata Toronto.» Cardinal andò in bagno a farsi la doccia più calda che riusciva a sopportare, poi la portò pian piano sul freddo. Il morso dell'acqua lo rimise parzialmente in forma, tuttavia continuò a pensare ai fatti di dodici anni prima. Aveva varcato una linea, e quando cercava di tornare all'ultimo momento in cui era stato il suo vero io, il suo sé integro, scopriva che non si trattava di una linea ma di un baratro. Si costrinse a pensare al presente, alla farsa del Loon Lodge. Poco prima di venire aggredito stava iniziando a formulare una teoria. Poi, mentre si asciugava, si ricordò. Riguardava il Podam. Si avvolse nell'accappatoio e andò in soggiorno a telefonare. «Delorme? Sono Cardinal.» «Cardinal, lo sai che ora è? Che tu ci creda o meno, ho una vita privata.» «Non è vero. Stavo pensando al Podam. Ci ha detto che Paul Bressard si è fatto ammazzare e seppellire nella foresta.» «Il Podam è un ritardato. Lo sanno tutti che è scemo. Mi stupisce che tu perda tempo a controllare la sua favoletta.» «Però guarda cos'abbiamo adesso. Un americano sbranato nella foresta, giusto? Vicino a una vecchia capanna di trapper, giusto? E Paul Bressard è un trapper.» «Giusto. E il Podam ha detto che Paul Bressard è stato ammazzato, ma si sbagliava.» «E perché? Perché è il più ottuso criminale al mondo. E come mai? Perché ha bevuto troppo la sera che ha sentito la storia. Però immagina che abbia capito al contrario. Immagina che Paul Bressard abbia ammazzato un turista e l'abbia abbandonato nella foresta. Avrebbe più senso, no? Forse l'ha ammazzato involontariamente e ha cercato di nascondere il misfatto.» «Io non credo che gettare un tale in pasto agli orsi sia involontario. Anche solo per insabbiare.» «Però è il genere di trovata che verrebbe in mente a un trapper. Uno che sa esattamente dove sono gli orsi.» «Credo. Sì, forse hai ragione.» «Lo dici solo per accorciare la telefonata?» «No. Però mi sembrava avessi già parlato con Bressard.»
«Infatti. E me parso innocentissimo. Però in quel momento stavo solo controllando se era ancora vivo.» «Forse dovremmo parlarci di nuovo. Oh, scusa... tu e Malcolm Musgrave. Matlock era americano. Significa che dobbiamo collaborare con la polizia a cavallo.» «Non ricordarmelo.» Cardinal andò in bagno ad asciugarsi i capelli. Adesso almeno aveva un'idea. Una direzione. Quando tornò in camera, Catherine era già sotto le coperte, profondamente addormentata. Poco lontano era appoggiato un volumone della biblioteca, New York e i newyorchesi, aperto su una foto dell'East Village. Cardinal si infilò nel letto accanto alla moglie e spense la luce. Rimase in ascolto del ritmo del suo respiro, il rumore della pace, dell'amore e della sicurezza. E poi gli tornò in mente il biglietto d'auguri. 5 Il sergente investigativo Daniel Chouinard stava ancora tentando di sbarazzarsi del fantasma del suo predecessore alla guida delle Indagini criminali. Il sergente Dyson, oltre a essere un corrotto, era un uomo incredibilmente ordinato, perciò Chouinard si sforzava in tutti i modi di tenere il suo ufficio in uno stato di disordine permanente. Dalle finestre pendevano ad angoli allarmanti veneziane male installate, manuali di legge formavano torri precarie sul pavimento e gli scaffali improvvisavano una tettoia contro il muro. La sua scrivania ospitava un martello, una collezione di cacciaviti e un blocco formato protocollo su cui il sergente era solito prendere appunti illeggibili. Quando si era liberato il posto di sergente investigativo, in un primo momento era stato offerto a Cardinal, uno degli agenti investigativi più anziani, uno che aveva risolto alcuni dei casi più seri nella storia di Algonquin Bay. Invece Cardinal aveva rinunciato anche se avrebbe significato uno stipendio più alto e orari regolari. In quei giorni stava per dare le dimissioni (Delorme l'aveva fermato in extremis) e sentiva di non meritarsi la promozione. E poi c'era l'incontestabile dettaglio che diventare capo della squadra avrebbe significato finire dietro una scrivania. Non ci si vedeva. Stare per strada, trattare con la gente era la cosa più bella del lavoro di polizia, la sola che lo faceva sentire utile. L'unico fattore che l'aveva fatto esitare era stato il timore che offrissero
il posto a Ian McLeod. McLeod, in ferie in quel momento, aveva un talento così spiccato nel seminare zizzania che l'avrebbe trasformato presto in una calamità naturale. Alla fine il capo Kendall aveva offerto l'incarico a Daniel Chouinard, che era stato agente investigativo tanto a lungo da comprendere le esigenze delle Indagini criminali, aveva patito assieme agli altri sotto il tallone dell'imprevedibile Dyson e possedeva solide doti organizzative, ma soprattutto conosceva abbastanza bene tutti gli otto agenti investigativi da capire i punti forti che potevano compensare quelli deboli. Quando aveva saputo della promozione McLeod aveva dichiarato che era solo perché Chouinard era francocanadese e la sua nomina faceva apparire fortemente bilingue un dipartimento che non lo era affatto. Però nessun altro aveva motivo di sentirsi in conflitto con Daniel Chouinard. Il peggio che potevano dire di lui era che era moscio, soprattutto per essere un francocanadese. Era talmente noioso che potevi descriverlo davvero soltanto con le sue carenze, come la mancanza di senso dell'ironia e dell'umorismo in genere. Non portava rancori, non aveva ambizioni politiche né gravi problemi psicologici. Non aveva nemmeno l'accento francese. Nonostante l'ufficio in disordine, il nuovo sergente investigativo era soltanto, be', ragionevole. Talvolta in modo insopportabile. «Permettetemi di riassumere» disse. Delorme e Cardinal erano in piedi in posizione di riposo, dato che le sedie di Chouinard erano coperte da pile di piastrelle insonorizzanti. «Abbiamo trovato nei boschi un maschio americano sulla sessantina che è stato mangiato da un orso.» «Ucciso da persone sconosciute e poi mangiato da un orso» lo corresse Delorme. «Il fatto che sia americano significa che dobbiamo passarlo alle Giubbe rosse, tutto quanto è internazionale è roba loro. Il che significa che lavoreremo con Malcolm Musgrave. Perciò non credo che avremo bisogno di Delorme per ora.» «In realtà Delorme è la persona più indicata per lavorare con Musgrave» obiettò Cardinal. «Hanno già collaborato e vanno d'accordo. Faciliterà le operazioni.» «Forse. Però non voglio troppi cuochi in cucina.» «Sergente, voglio esserci. Sarei felice di lavorare con Musgrave» intervenne Delorme. «Scusa, Cardinal, ma tu sei il più alto in grado e dovresti essere tu a coordinare con lo stimato sergente.» «A essere sincero non ritengo consigliabile che io lavori con Musgrave
in questo momento.» «Perché? Ce l'ha con te? Perché una Giubba rossa di stanza a Sudbury dovrebbe essere incazzata con un agente di Algonquin Bay?» «Dimentica che un anno fa mi ha messo contro l'intero dipartimento.» «Oh, non è giusto» eccepì Chouinard con il suo solito fare assennato. «Aveva ottimi motivi per sospettare che ci fosse una fuga di notizie nel nostro dipartimento e aveva ragione. Solo che ha sospettato la persona sbagliata.» «Una stupidaggine. Chissà perché mi ha tanto scocciato.» Tuttavia quello che lo scocciava di più in quel momento era che un giovane poliziotto a cavallo gli aveva sfilato la pistola la sera prima. Chouinard rimase in silenzio qualche istante, muovendo appena il viso molliccio come se stesse risolvendo più equazioni in contemporanea, quindi, quasi che i calcoli fossero diventati un problema fisico, ruotò sulla poltroncina girevole e trasferì parecchi manuali giuridici da un davanzale a un altro, controllando attentamente il dorso di ciascuno prima di appoggiarlo. Quando si voltò di nuovo, sembrava più allegro. «Insomma, non corre buon sangue fra te e la polizia a cavallo» disse. «Che peccato. Però il fatto è che non può esserci occasione migliore per appianare le cose con i nostri colleghi in rosso. Quindi tu lavorerai con le Giubbe, e ricordati di dargli tutto, capito? E in men che non si dica diventerai amicone di Musgrave. Farà bene al caso e anche agli interessi a lungo termine del dipartimento.» «Sergente, non mi pare abbia capito quanto sono gravi i problemi di comunicazione tra Musgrave e me.» «Ragione in più. Hai un problema, perciò sei la persona più indicata per risolverlo, no?» Anche se in teoria doveva essere in cima alla sua scaletta di impegni, Cardinal lasciò in sospeso la telefonata a Musgrave, e invece chiamò il Centro di medicina legale di Toronto per parlare con Vlatko Setevic del settore Chimica. C'erano due cose su cui potevi contare con Vlatko. Era un maniaco del lavoro, il primo ad arrivare in ufficio, l'ultimo a uscire, felice solo quando aveva sgombrato la scrivania. La seconda caratteristica era l'umore imprevedibile. Viveva in Canada dagli anni sessanta ed era sempre parso abbastanza equilibrato fino a quando la Iugoslavia si era frantumata durante gli anni novanta. Da quel momento il suo carattere era diventato tempestoso e incostante. Certe volte riusciva a essere divertente, certe altre
un vero bastardo, e non sapevi mai cosa aspettarti. Cardinal gli chiese del campione di vernice che gli avevano mandato, tenendosi stretto in attesa della sfuriata in arrivo. «Campione di vernice? Mai ricevuto. Non da Algonquin Bay.» «È meglio che lo trovi se no sono casini grossi. Mi stai dicendo che non avete mai...» Una risata slava esplose nella linea con Toronto. «Rilassati, agente, stavo solo scherzando. Ce l'ho proprio qui il tuo prezioso campione.» «Molto divertente, Vlatko. Con un senso dell'umorismo del genere dovresti andare in televisione.» «Voi del nord siete sempre tanto tesi. Fate un po' di yoga, diventerete più centrati, più calmi, tutt'uno con l'universo.» «Parli come mia moglie. Cos'hai da dirci?» «Colpo di fortuna. La vernice corrisponde al cosiddetto marrone noce che la Ford ha iniziato a usare sulle sue Explorer dall'anno scorso. Un nuovo modello. Devi cercare una Explorer di quest'anno, con un brutto graffio.» «Vlatko, mi scaldi il cuore. Continua.» «D'altra parte sei anche sfortunato. Soltanto in Canada ne hanno vendute trentacinquemila, una più una meno.» «Fammi indovinare. È il colore più diffuso?» «Certo. Color noce.» Solo quando non poté più farne a meno Cardinal telefonò al distaccamento di Sudbury. Il civile che rispose gli disse che Musgrave era fuori città. Cardinal agganciò sollevato, solo per sentire subito uno squillo. Era Musgrave. «Noi due dobbiamo parlare» disse il sergente della polizia a cavallo saltando i preliminari. «Di un certo Howard Matlock.» Si scoprì così che Musgrave si trovava già ad Algonquin Bay, presso l'edificio federale a pochi isolati da lì, sulla MacPherson. Un tempo la polizia a cavallo vi teneva un distaccamento, ma anche le Giubbe rosse vivevano nell'era dei tagli di bilancio come chiunque altro e adesso la loro sede più vicina era a Sudbury, a centoventi chilometri di distanza. Cardinal arrivò al palazzo federale e parcheggiò in uno spazio riservato ai veicoli delle Poste. Trovò Musgrave in un ufficio arredato soltanto da una scrivania di metallo, un telefono e tre seggiole di plastica. Il sergente aveva l'atteggiamento di sicurezza dell'uomo che può contare sul fatto di essere sempre il maschio più grosso e cattivo nella stanza. Era
fatto a V e sembrava ricavato da uno strato di roccia del precambriano. Cardinal sospettava che se gli avesse lanciato contro una pietra c'erano buone probabilità che questa finisse in mille pezzi. «Siediti» disse Musgrave indicando le seggiole. «Voglio che tu sappia che non serbo rancore per l'anno scorso.» «Fantastico. Visto che mi hai quasi fatto cacciare.» «Cerca di essere obiettivo. Stavo solo seguendo il regolamento.» «Sai che ti dico del regolamento?» Cardinal si era preparato il discorsino in macchina. «L'omicidio di un cittadino straniero su suolo canadese potrà ricadere sotto la giurisdizione della polizia a cavallo, però non ti dà carta bianca per pestare i piedi a un'inchiesta locale. Se vuoi esaminare una scena del crimine nel mio distretto, devi chiedermelo. Se vuoi informazioni sul caso, chiedile a me. Non mandarmi i tuoi tirapiedi non annunciati, altrimenti la prossima volta li sbatto in prigione.» Musgrave lo scrutò con il suo gelido sguardo azzurro. «Non ho la benché minima idea di cosa tu stia dicendo.» «Ti credo.» «Senti, Cardinal, ho un cittadino americano morto. Un americano. Come hai detto tu, è materia nostra. Quanto avevi intenzione di aspettare prima di dirmelo?» «Se fosse stato a me decidere, mai. Sei una persona sgradevole. Ma visto che la legge è quel che è, ti avevo chiamato stamattina prima che mi telefonassi tu.» «Allora come mai l'ho appreso dalla nostra divisione di Ottawa?» Musgrave gli lanciò una copia del fax. Era una voce minuscola in un elenco sterminato. Howard Matlock, americano, trovato assassinato ad Algonquin Bay. Cardinal fissò la pagina. Come aveva fatto la sede centrale della polizia a cavallo a essere informata tanto in fretta? E se il ragazzo che gli aveva sottratto la pistola non era di Musgrave, chi era allora? Bussarono alla porta. Musgrave indicò con il capo. «Una persona che voglio farti conoscere.» Cardinal staccò gli occhi dal fax. «Agente investigativo John Cardinal, Calvin Squier. L'agente Cardinal è della polizia di Algonquin Bay. Il signor Squier è un agente del CSIS.» Il biondino sulla soglia, in giacca sportiva e cravatta, sembrava un adolescente che provava i vestiti del padre. Nulla in lui faceva sospettare che fosse in grado di sfilare la pistola a un poliziotto in un bungalow.
«Piacere di conoscerla» disse, allungando una mano pallida. «Altrettanto» riuscì a dire Cardinal, sentendo il rossore affiorare da sotto il colletto per risalire la gola. «Ha fatto un gran lavoro con il Windigo. L'ho letto stamattina» disse Squier. «È del CSIS?» «Canadian Security Intelligence Service» confermò Musgrave. «So cosa significa, grazie.» «Esatto. Sto con loro da cinque anni.» «Devono averla assunta da bambino.» Cardinal si accomodò sulla sedia celeste che scricchiolava come una scarpa nuova, poi si rivolse a Musgrave. «Allora?» «Ti spiega tutto lui.» Squier aprì la valigetta e posò un portatile argentato sulla scrivania, aprendolo in modo che lo schermo fosse visibile a tutti e premendo un pulsante. Il computer prese vita con uno scampanellio. Poi il giovane estrasse di tasca un oggettino grande quanto uno stick di rossetto e lo puntò. Apparve un grafico che mostrava la struttura di comando del NORAD, la difesa aerospaziale nordamericana. «Come saprete, il NORAD è una struttura congiunta tra Canada e Stati Uniti nata durante la guerra fredda per salvarci dai russi.» Quando Squier premette il telecomando apparve il grafico delle installazioni congiunte di comando. «Ogni paese ha costruito quello che viene chiamato un ambiente sotterraneo, in pratica una palazzina di tre piani dentro una montagna. Gli americani hanno la loro nel Colorado, a Cheyenne Mountain, noi la nostra ad Algonquin Bay, presso il Trout Lake.» «Sono cresciuto qui. Non ho bisogno di sentirmelo dire» protestò Cardinal. «Se vuole pazientare, preferisco essere scrupoloso. E poi il sergente Musgrave non è cresciuto da queste parti.» «Il sergente Musgrave vorrebbe continuare. Facciamo finta che conosciamo a menadito la base CADS» disse la Giubba rossa. «D'accordo. La guerra fredda sarà anche finita, ma il sistema canadese di difesa aerea, il CADS, è tuttora in piedi. In quella montagna ci sono ancora centocinquanta persone con gli occhi incollati in permanenza sugli schermi radar. E quegli schermi mostrano ancora ogni oggetto che entra nello spazio aereo canadese.» «Ho sentito dire che vogliono chiuderlo. Algonquin Bay non ha più
nemmeno la base aerea» disse Cardinal. «Potranno spostarlo, però, mi creda, non lo chiuderanno mai.» Furono interrotti da un cicalio soffocato. «Ho dimenticato di cambiare schermata.» Squier puntò il telecomando verso lo schermo per passare su una lettura radar. Alcuni oggetti bianchi a forma di aereo pulsarono nell'angolo in alto a destra. «Il sistema CADS segue il traffico commerciale. Questa è solo una simulazione, è chiaro, per mostrare il traffico normale. Con la fine della guerra fredda la base ha trovato nuove finalità. Tengono d'occhio i voli dei narcotrafficanti, per esempio. Di recente abbiamo dato una mano a bloccare venti milioni di dollari in eroina semplicemente passando la segnalazione di un Cessna sospetto a una squadra antidroga della RCMP.» Un clic del telecomando e lo schermo cambiò di nuovo. Un oggetto che non sembrava un aereo spuntò dal bordo sinistro, in alto. Era rosso e a un certo punto iniziò a lampeggiare lanciando un bip rauco. «Dopo l'11 settembre la parte più importante del mandato del CADS, almeno per quanto riguarda la mia struttura, è l'antiterrorismo. Questo oggetto potrebbe essere qualsiasi cosa, da un velivolo dirottato a un missile sfuggito al controllo. Ecco cos'abbiamo adesso sullo schermo.» «Simulato, è ovvio» precisò Musgrave. «Certo. Non esiste che io me ne vada in giro con una vera schermata CADS. Immagino vi chiederete come mai sono qui, quindi vengo al sodo. Venerdì mattina il CSIS ha ricevuto una telefonata dalla base CADS. La loro unità di sorveglianza ha beccato un tale con un binocolo in cima alla collina. In apparenza non faceva nulla. Quando l'hanno interrogato ha detto che era solo un turista che faceva birdwatching. Non indossava il turbante e non avevano nulla per fermarlo o anche per chiamare voi.» Squier rivolse un cenno a Cardinal. «E così hanno controllato i documenti e gli hanno detto soltanto di sloggiare, poi ci hanno passato la notizia. Procedura di routine. Abbiamo controllato questo Howard Matlock ma non risultava nulla su di lui. Poi, sto parlando della stessa giornata, il tipo si rifà vivo in piena notte. La sorveglianza del turno di notte lo becca lungo il perimetro con quel binocolo inchiodato alla faccia.» «Lungo il perimetro. Se era una spia doveva essere la peggiore del mondo. Sono stato alla base e non c'è assolutamente nulla da vedere fino a tre chilometri nel cuore della montagna. Laggiù è solo alberi e roccia, punto» disse Cardinal. «Esatto. Ma forse il suo obiettivo non era l'installazione in sé e per sé ma la sorveglianza. Forse voleva controllare quanto era efficace proprio fa-
cendosi beccare. Chi lo sa? Il guaio è che la sorveglianza ha scazzato. Di brutto. Si sono dimenticati di controllare sul registro in cui avevano già preso nota del tizio, perciò non sapevano che era lo stesso. Incredibile ma vero, l'hanno lasciato andare. Quando hanno capito l'errore commesso era troppo tardi. Ci hanno richiamati, e da quelle parti c'erano molte facce imbarazzate.» Squier spense lo schermo con il telecomando e chiuse il portatile. «Il mio superiore mi ha chiamato alle sei del mattino per dire che dovevo prendere il volo delle sette per Algonquin Bay. La sorveglianza aveva comunque preso nota della targa dell'auto di Matlock, noleggiata all'aeroporto di Toronto, e del suo recapito presso il Loon Lodge. Purtroppo sono arrivato tardi. Non c'era, poi tutto d'un tratto siete arrivati voi al suo bungalow.» «Cosa avrebbe fatto se l'avesse trovato?» «L'avrei seguito, è evidente. Non io direttamente, per queste cose usiamo intermediari.» «Sì. Usiamo i poliziotti» aggiunse Musgrave. «Peccato non averlo trovato prima che si facesse ammazzare. Personalmente sospetto che non sia nulla di grave, non ci sono legami con al Qaeda o simili. Però il fatto di non avere controllato e che sia morto dopo due tentativi contro la sorveglianza della base CADS... be', fa scattare qualche allarme. E così siamo entrati in ballo noi.» «Mah, forse potremmo coinvolgere la polizia dell'Ontario» propose Cardinal. «Oh, non credo che la OPP abbia giurisdizione.» «Stava scherzando» spiegò Musgrave. «Oppure le dame di san Vincenzo. E anche la Confraternita degli Alci. Insomma, ormai abbiamo abbastanza gente per una squadra di curling» proseguì Cardinal. «Sì, immaginavo che non vi sarebbe piaciuto» disse Squier. «Il vostro territorio, menate del genere. Volevo solo farvi sapere che sono qui, che il CSIS è qui per darvi ogni possibile assistenza. Vorrà vedere i miei documenti.» Estrasse una tessera con foto. «Può chiamare questo numero per conferma.» «Credimi, ho già provveduto» disse Musgrave a Cardinal. «È quel che dice e le cose stanno così. Fai pure le tue chiamate, ma dopo. Perché non ci spieghi a che punto siete con le indagini?» Cardinal pensò se fosse il caso di chiamare Chouinard per scatenare un
casino ma aveva il forte sospetto che non avrebbe ricavato nulla. Tra l'altro era grato che Squier avesse finto di non averlo mai incontrato prima. «C'è poco da dire. La Scientifica non ha molto su cui lavorare, un braccio, un orecchio, pezzi di gamba e di bacino. È stato ammazzato e poi fatto a pezzi e lasciato agli orsi. Matlock ha detto al proprietario del Loon Lodge di essere venuto in avanscoperta in previsione di una battuta di pesca nel ghiaccio. Non c'erano altri ospiti e finora l'unica pista è una traccia di vernice trovata nel punto in cui è stato fatto a pezzi. Stiamo cercando una Ford Explorer ultimo modello, color noce. Sul Lode di stasera uscirà un annuncio in cui chiediamo aiuto a chi ha eventualmente parlato con questo Matlock.» «Dimmelo se sono maleducato. Avete esaminato la sua auto? Il CSIS sostiene che ha noleggiato una Escort rossa» intervenne Musgrave. «La stiamo cercando. Abbiamo finito? Vorrei procedere con le indagini.» «E il lato americano? Come ci comportiamo?» chiese Squier. Musgrave si mise a osservare dalla finestra fuligginosa il traffico sulla MacPherson, come se la domanda non avesse alcun interesse per lui. «La prima cosa da fare a New York è informare i familiari, se ne ha, e interrogarli» rispose Cardinal. «Dovremo fare le solite domande, se aveva nemici, litigi recenti, eccetera...» «Posso pensarci io» propose Squier con buona volontà infantile. «Lasciatelo a me. Tanto devo gestire un sacco di roba americana, i contatti con l'FBI e compagnia bella.» Musgrave si voltò, rivolgendosi al giovane. «Ci faccia un favore. Lo affidi a un'ex Giubba rossa. Cosa ne sapete voi sbarbatelli dei servizi segreti delle indagini per un omicidio? O sulle indagini in genere?» «Quasi tutti i pezzi grossi del CSIS sono ex Giubbe rosse dei bei tempi dei servizi di sicurezza, però nella truppa ne abbiamo pochi. E francamente non credo che il mio superiore voglia affidargli questo caso.» «Voi stronzetti con il computer e il cellulare credete di essere i padroni dell'universo, vero?» «Sergente Musgrave, sicuramente saprà che le ex Giubbe rosse del CSIS non sono mai state investigatori criminali ma agenti di sicurezza come me.» «Davvero? E sono sicuro saprà, o saprebbe se si premurasse di controllare, che un sacco di loro hanno fatto dieci o quindici anni nella divisione criminale prima di finire alla sicurezza. Purtroppo, quando i giornali hanno
fatto partire la caccia alla Giubba rossa, è scattata l'operazione di facciata, così Ottawa ha approvato una nuova legge e abracadabra: voi coglioni fate esattamente quello che faceva la polizia a cavallo, solo che adesso è legale. Oh, certo, povero me, che peccato, spero che non le dispiaccia... e hanno cacciato un sacco di bravi ragazzi.» Nella voce di Musgrave si percepiva un tremolio che tradiva emozioni più complesse della rabbia. Cardinal non l'aveva mai visto tanto alterato, ed era stupito nel provare l'accenno di una vaga forma di simpatia nei confronti di quell'uomo. Squier, stizzito, fece per replicare, poi parve ricredersi e riprese da capo. «Non posso cambiare il passato e, che ci creda o meno, non sono qui per causare guai. Però ci serve la vostra collaborazione e io non sono uno che chiede. Se volete litigare rivolgetevi al mio superiore a Toronto o alla sede CSIS di Ottawa. Avete il numero. Quando sarete pronti a collaborare chiamatemi. Sono all'Hilltop Motel.» Poi infilò il portatile sottobraccio e uscì dall'ufficio. Cardinal emise un fischio sommesso. «Dio mio, qualcuno mi spari» disse Musgrave. 6 Cardinal andò al Trianon Hotel, lungo lo svincolo. Ammesso che ad Algonquin Bay potesse esistere il locale adatto per un pranzo di lavoro, questo era il Trianon (comunque nessuno avrebbe dato al cibo più di un paio di stelle) semplicemente perché era di gran lunga il più caro tra i pochi esercizi di classe in città. Tuttavia, doveva ammettere che il Trianon aveva un certo fascino da Vecchio continente difficile da trovare ad Algonquin Bay. Quando fece il suo ingresso lo trovò scintillante di argenti, lampadari e candelabri. Poteva permettersi di venire in quel locale solo nelle occasioni speciali, l'ultima delle quali era stata la laurea di Kelly. «Quale tavolo?» chiese il direttore di sala, cercando di imitare la puzza sotto il naso tipica dei parigini. «Devo vedere R.J. Kendall.» Il capocameriere lo guidò lungo l'affollata sala da pranzo. Cardinal riconobbe un viceprocuratore e salutò con un cenno un giudice provinciale. Kendall, il capo della polizia, era nascosto in una saletta comoda che Cardinal non aveva mai visto.
«Il nostro uomo del Windigo» disse vedendolo entrare. Il viso del capo era rubizzo non per aver bevuto bensì per la pressione arteriosa alle stelle. «Conosce Paul Laroche? Della Immobiliare Laroche?» «Certo. Nel senso che so chi è» disse Cardinal, stringendo la mano dell'uomo che si era alzato per salutarlo. Laroche non era più alto di lui ma dava l'impressione di essere enorme, torace massiccio, spalle ampie, un uomo che sapeva difendersi. La sua stretta di mano era forte senza essere esagerata. «Ci siamo visti al circolo?» chiese. «Il Blue Heron Club. Paul è il proprietario» spiegò R.J. «Assieme a qualche socio. Gioca a golf?» «No, non ho abbastanza pazienza. Mi interessa solo far finire la palla in buca» rispose Cardinal. «Allora non è un golfista. Quindi che fa? Caccia? Scia?» «Nulla di tutto questo. In estate vado in barca. Guardare le partite di hockey è il massimo di sport che pratico. A meno che non consideri sport la falegnameria.» Laroche sorrise. Aveva alcuni fili di grigio tra i capelli scuri, tagliati corti in modo da esaltare la forma elegante del cranio. Indossava un bel completo gessato che doveva essere costato quattro volte più del miglior abito di Cardinal. Sembrava un banchiere. «Ha detto che è un tipo impaziente. E dire che pensavo che la pazienza fosse una virtù necessaria nel suo lavoro» precisò mentre si sedeva. «L'agente investigativo Cardinal è uno dei nostri campioni. Ricordi il caso Windigo?» intervenne R.J. «Davvero? Roba grossa. Due serial killer in un colpo solo. Che trionfo. E deve aver salvato un sacco di vite.» «Mi hanno aiutato. È stata Lise Delorme a...» Laroche sollevò una mano. «Lise Delorme. Conosco questo nome...» «Be', è finita spesso sui giornali con la storia del Windigo. Ha...» «No. È quella che ha fatto cadere il sindaco Wells.» «Esatto. Quella volta ha fatto un grande favore alla città.» «Crede?» «Scusatemi, signori, non voglio essere maleducato ma faremmo meglio a ordinare. Che c'è di buono, Paul?» li interruppe il capo della polizia. «Vi consiglio il cervo glassato con sciroppo d'acero. Però dovete lasciare scegliere il vino a me.» Il Trianon riesce quasi sempre a scimmiottare l'eleganza europea, ma il
suo punto debole è il servizio. Invece di essere professionisti stagionati, i camerieri sono fanciulle piacenti ma non obbligatoriamente preparate. Laroche si dimostrò gentile ma reciso con la creatura lentigginosa dalle gambe storte che li stava servendo. Ovviamente gli immobili erano un settore redditizio. Tutto in Laroche emanava soldi come il corpo di un atleta irradia salute. Quell'uomo brillava, dai gemelli d'oro che risplendevano sulla perfezione immacolata dei polsini francesi fino alla perfetta sfumatura di abbronzatura del viso, secondo Cardinal una tintarella da sciatore. Dopo avere ordinato, Kendall disse: «Agente Cardinal, non deve contraddire Paul in politica, è una delle eminenze grigie del primo ministro Mantis». «Certo. È il responsabile della sua campagna locale» disse Cardinal. «Ed è appunto il motivo di questo incontro. Questo fine settimana i conservatori organizzano una grossa raccolta fondi e Paul chiede una maggiore presenza di poliziotti.» «In borghese? Non dovrebbe parlarne con Chouinard?» «Sono già d'accordo. Stiamo pensando anche a due agenti investigativi, Delorme e lei.» «Non sarà troppo oneroso» si inserì Laroche. «La serata si terrà al nostro nuovo circolo dello sci, l'Highlands, e sarà una cena elegante, glielo garantisco. A parte stare attenti agli individui sospetti, credo che ve la spasserete.» «Ci vogliono più di due agenti per coprire una serata del genere.» «Naturalmente abbiamo la nostra sorveglianza. Staranno alle porte e dietro le quinte. Però, francamente, sulla scia dell'11 settembre, non credo possa bastare un servizio privato. Mi sentirei molto più tranquillo se avessi un paio di professionisti tra i tavoli. Il primo ministro Mantis è una figura eminente.» «Avremo anche tre o quattro agenti all'esterno» aggiunse R.J. «Lo faremo anche per liberali e NDP?» domandò Cardinal a Kendall. «Certo. Se ce lo chiedono.» «Non credo. La loro popolarità politica è tanto bassa ultimamente che una raccolta fondi sarebbe un tonfo. Del resto noi siamo l'unico partito con un premier provinciale candidato» precisò Laroche. Quando arrivò, il cervo si dimostrò il migliore che Cardinal avesse mai mangiato. Era tentato di annaffiarlo con il Bordeaux, il capo non avrebbe certo protestato, però nel pomeriggio voleva essere lucido.
Mentre discutevano i vari aspetti della sicurezza della serata, cercò di non far trasparire l'impazienza che provava. Un servizio di sorveglianza era l'ultima cosa a cui voleva pensare mentre indagava su un omicidio. Laroche aveva portato una piantina del nuovo circolo, perciò discussero su dove appostare il personale di sicurezza all'interno, gli agenti all'esterno e i due agenti investigativi tra gli ospiti. Durante il caffè Laroche disse a Cardinal: «Allora mi pare di capire che non è affatto dispiaciuto per quanto è accaduto al sindaco Wells. Sa, è stato un grande sindaco». «Sì... se dimentichiamo i brogli elettorali. Non crede che se lo sia meritato?» Laroche squadrò il poliziotto, concedendosi un po' di tempo prima di rispondere. «Nella nostra società la gente ha deciso che i brogli sono un crimine. E questo lo rende un crimine. In altri posti non lo sono oppure non gli si dà molto peso. Non sono intrinsecamente malvagi. E non bisogna dimenticare tutte le cose positive che il sindaco Wells ha fatto per la città.» «Ha costruito l'aeroporto. Il sovrappasso. Poi ha fregato alle elezioni.» «Non facciamone un Richard Nixon» disse Kendall. «C'è del buono e del cattivo in ogni uomo, non trova?» disse Laroche. «Per esempio, lei ha salvato la città da una serie di omicidi ma sono disposto a scommettere che nel suo passato ci sono stati episodi che sembrerebbero meno eroici se finissero sulla prima pagina del Toronto Star.» «Ha ragione.» Cardinal ripensò al biglietto d'auguri. Sappiamo dove abiti. «E Wells aveva carattere. La gente tende a dimenticare quanto è importante in un capo. È per questo che io non potrei mai ricoprire una carica pubblica anche se mi piacerebbe. Sono troppo anonimo.» «Invece a me sembra che non passi inosservato. Ci siamo appena conosciuti e mi ha già favorevolmente impressionato. Siamo già a metà dell'opera, no?» Laroche rise, mostrando i denti perfetti. «Sono uno da dietro le quinte fatto e finito, agente. Mi dia un candidato come Geoff Mantis e farò tutto il possibile perché venga eletto. Riscuoto crediti, faccio pressione, dica lei. Però candidarmi? Non esiste.» Laroche parlava come se stesse esponendo una tesi in un seminario, con voce molto educata. Cardinal si chiese se avesse mai vissuto all'estero. In quel momento Laroche gli strinse lievemente un braccio. «Mi perdoni la
franchezza. Mi sto ponendo molte domande, probabilmente per via delle elezioni imminenti.» «Geoff Mantis ce la farà anche stavolta?» «Certo, farò in modo che succeda.» Dopo l'interno lussuoso del Trianon, il parcheggio parve ancora più freddo e umido. Le luci dell'auto scivolavano attraverso la nebbia lungo lo svincolo. C'era aria di pioggia. Laroche si mise al volante di una Lincoln Navigator parcheggiata presso l'entrata del ristorante, abbassò il finestrino e disse: «R.J., dimenticavo di chiedere. Come procedono le indagini sul cadavere nella foresta?». Kendall si strinse nelle spalle. «È il caso dell'agente Cardinal. Abbiamo qualche pista. Facciamo progressi. Vero, agente?» «Non quanti vorrei. Però ho questa sensazione tutte le volte.» «Non si preoccupi. Se devo basarmi sul caso Windigo, risolverà presto anche questo.» Laroche si allontanò nella nebbia, mettendo la freccia in direzione della città. «Simpatico» disse Cardinal. «Ricco. Mica male per uno che è cresciuto in orfanotrofio. Insomma, gestisce la campagna del premier.» «Io non ho votato Mantis.» «Per fortuna tanti altri sono stati più intelligenti» concluse Kendall. Mentre tornava in centro Cardinal chiamò suo padre al cellulare. «Aspetta un attimo. Sto tirando fuori dal forno i biscotti al cioccolato.» Da quando sua moglie era morta, dieci anni prima, Stan aveva cominciato a interessarsi alla cucina. Cardinal era ancora sconvolto ogni volta che vedeva suo padre, il tosto, muscoloso Stan Cardinal dagli avambracci possenti e dal petto erculeo, in grembiule che si toglieva la farina dalle mani. I biscotti erano la sua specialità. «Sei andato dal cardiologo?» «Mi ha accompagnato Catherine stamattina. La dottoressa Cates mi dà sui nervi, ma sa il fatto suo, devo ammetterlo.» «E il cardiologo che dice?» «Mi ha prenotato una serie di esami in ospedale. Ritiene che abbia un'insufficienza cardiaca.» «Cosa? Papà, perché non ci hai pensato sei mesi fa?» «John, non è grave. Si tratta solo di qualche esame. E mi ha dato tonnellate di farmaci. Mi sa che stanno già funzionando.»
«Però hai il cuore malato. Vorrei che tu non vivessi in un posto così sperduto.» «Sciocchezze. Sono venuto ad abitare qui solo perché tu non stessi in pensiero per me. Perché cavolo pensi che mi sia preso un bungalow? Non ci sono scale su cui rompermi l'osso del collo, ecco perché. Questo è uno dei posti più facili da tenere puliti e in ordine. Ho pace e silenzio e aria pulita. Ho lo stereo e il videoregistratore e il miglior microonde in commercio. Qui vivo come un re, te l'assicuro.» «Be', se la nebbia peggiora forse accetterai di venire a stare da noi finché dura.» «Lascia perdere, John.» Cardinal svoltò sulla MacPherson, costeggiando un cantiere ingombro. «Al notiziario hanno detto che avete trovato un cadavere sbranato nei boschi. Mi sembra un tantino più interessante della solita merda» disse Stan. Fantastico, ci siamo, pensò Cardinal. «Quegli straccioni delle roulotte che si sparano addosso di continuo. Spacciatori. Rapinatori. Ubriaconi. Non so perché non ti sei scelto un lavoro più decente. Eppure avevi un titolo di studio. Io e la mamma abbiamo mandato te e tuo fratello all'università. Potevi fare il lavoro che volevi.» «Papà, è esattamente quello che ho fatto. Ho scelto la professione che volevo. Un lavoro che incide sulla vita della gente. Molti miei colleghi non sono andati all'università, ma non significa che sono stupidi. Guarda quelli con cui lavoravi tu.» «Coglioni, tutti quanti! A parte Mark McCabe. Mark era il tipo più sveglio che ho mai conosciuto. Aveva letto più libri di tanti professori universitari. Faceva divisioni complicate a mente. Però era un sindacalista fin nel midollo. E sono stati quelli come te, i tuoi colleghi tanto intelligenti, che hanno pensato bene di sfondargli la testa perché aveva indetto uno sciopero contro i grassi fetenti che governano questo paese. Quando quel manganello si è abbattuto sulla sua testa... l'ho sentito, eccome. Sembrava una tavola di legno che cade sul cemento. Ha spaccato la testa di Mark, che nei tre anni successivi non ha fatto molto altro che sbavare e poi è morto. Un gran brav'uomo.» La linea tacque. Cardinal sentì Stan tirare su con il naso, e capì che stava piangendo. Suo padre, che per gran parte della sua lunga esistenza aveva mostrato poche emozioni oltre l'irritazione, adesso diventava piagnucoloso quando parlava del passato. Non sembrava autocommiserazione, era un
dolore più profondo, più duraturo. Le lacrime sarebbero scese per un minuto, poi sarebbero sparite di colpo. «Stai bene, papà?» Una sonora sniffata all'altro capo del filo. «La nebbia sta diventando pioggia. Forse in primavera pianterò qualche zinnia» disse Stan. 7 «Senti, ne ho già parlato con il mio comandante regionale. Non lavorerò con quel babbeo computerizzato del CSIS» disse Musgrave. «Squier non mi è parso tanto male» ribatté Cardinal. «Non hai mai lavorato con i servizi segreti, eh?» «No.» «Povero scemo. E intanto ho perso quarantacinque minuti della mia vita» disse Musgrave consultando l'orologio. «Spiegami meglio cosa stiamo facendo da queste parti.» Erano a bordo di un'auto priva di contrassegni parcheggiata sulla Main East. Finalmente la nebbia s'era condensata in una vera pioggia che stava tamburellando sul tettuccio. Nel momento stesso in cui Cardinal aveva terminato la conversazione con suo padre il cellulare gli era suonato in mano. Era Arsenault che voleva comunicargli che avevano identificato l'impronta trovata nella capanna da trapper: Paul Bressard. Cardinal era andato dritto a casa del cacciatore di pelli. La moglie di Bressard, che puzzava di whisky già all'una e mezzo del pomeriggio, gli aveva detto che Paul doveva essere alla sala biliardi di Duane. Cardinal non aveva spiegato che era uno sbirro, né la donna era abbastanza sobria per capirlo. E così adesso era seduto con Musgrave su un'auto civetta sulla Main East a sorvegliare l'ingresso diroccato del Duane's Billiard Emporium. «Duane è un classico ritrovo dei malviventi che non sono mai passati al giro grosso. Motociclisti che non hanno superato l'esame di ammissione ai Satan's Choice, italiani troppo scemi anche per la mafia» spiegò Cardinal. «E la signora ti ha dato questa informazione? Come mai, ha un debole per te?» «In whisky veritas.» «In whisky minchiate, piuttosto.» «Dimmi una cosa, Musgrave. Tua moglie sa sempre dove ti trovi?» «Potrei riempire una montagna di CD-ROM con quello che non sa. Con
lei è un punto d'onore.» «Bene. Diamogli un'altra mezz'ora.» Rimasero altri dieci minuti ad ascoltare la pioggia che batteva, poi videro spuntare la Explorer. «È quello con i baffi?» «È lui. L'altro è Thierry Ferand, trapper anche lui.» Bressard parcheggiò a mezzo isolato, poi tornò ingobbito sotto la pioggia assieme a Ferand verso la sala biliardi. Ferand era grosso la metà dell'amico, ed era costretto a trotterellargli accanto come un barboncino. «Bressard è un vero elegantone. Guarda che cappotto» commentò Musgrave. «Deve solo sperare che gli animalisti non arrivino mai ad Algonquin Bay.» I due trapper entrarono. Cardinal e Musgrave scesero dalla macchina per andare a esaminare la Explorer. I due sportelli dal lato del passeggero erano sfregiati da un graffio irregolare. «Dovremmo farci lavorare i tecnici della scientifica, però così su due piedi sembra fresco. Non trovi?» chiese Cardinal. «Sì. Credi che sarà un problema?» «Bressard? Impossibile. Ci seguirà senza ribellarsi.» Musgrave scoppiò a ridere. «Cristo, Cardinal, non ti facevo tanto ottimista.» Mentre imboccavano le scale buie che scendevano nel locale di Duane, Cardinal disse: «Stai attento a Ferand. È piccolo, ma è cattivissimo e adora i tirapugni.» «Me lo lavoro io.» Musgrave si sollevò la cintura. «I piccoletti sono sempre i più fetenti.» Quando Cardinal era ragazzo la sala biliardi era una specie di società segreta. Assieme agli amici giocava partite interminabili di snooker, boston, high-low, fumando una Players e una du Maurier dopo l'altra come un gangster degli anni trenta, e il fumo restava sospeso come un cumulonembo sopra un panorama di feltro verde. Perciò rimase sorpreso quando entrando da Duane scoprì che l'aria era trasparente. Anche i giocatori di biliardo erano diventati più attenti alla salute. Duane era dietro il banco dal quale serviva gli hamburger peggiori della città al doppio del prezzo corrente. Era un ciccione ambiguo che emanava un'aura di marciume anche senza essere mai stato accusato di nulla a parte qualche multa.
Quasi tutta la clientela era attorno ai vent'anni, tutti maschi, tutti che provavano a vari livelli di credibilità a sembrare duri. Con una sola occhiata Cardinal riconobbe due spacciatori e un ladro d'auto. Bressard e Ferand avevano iniziato una partita in un biliardo d'angolo. Il primo, chino per tirare un colpo, guardò Cardinal da sopra la stecca senza alzarsi mentre i due poliziotti si avvicinavano. Ferand stava bevendo una Dr Pepper e se ne versò buona parte sulla camicia quando li vide. Cardinal l'aveva arrestato un paio di volte per aggressione, anche se una sola volta si era arrivati a incriminarlo. Il piccolo trapper bestemmiò, ripose la stecca nella rastrelliera e afferrò il soprabito. «Tranquillo, Thierry, dobbiamo solo parlare con il tuo amico» disse Cardinal, mostrando il distintivo. «Non mi dire. Sei venuto a verificare che non sono morto» borbottò Bressard. «Oh, no, lo vedo da solo che non sei morto, Paul. Ho solo bisogno di una mano per chiarire alcune banalità della storia che ti ho citato ieri.» «Che hai da guardare?» chiese Ferand. Musgrave era fermo davanti all'uscita di servizio, le braccia incrociate sul petto massiccio, e guardava Ferand con un sorrisino ironico, una tensione appena impercettibile dell'angolo della bocca. «Sai, c'è sempre questa faccenda di un omicidio nella foresta» proseguì Cardinal rivolto a Bressard. «Adesso abbiamo perfino un cadavere, ovviamente non il tuo, ma forse l'hai già sentito dai notiziari.» «E allora?» «Be', sei l'unica persona il cui nome sia saltato fuori. Perciò speravo che ci avresti accompagnato in centrale per aiutarci a chiarire.» «Che cazzo hai da guardare? Sei frocio?» esclamò Ferand. Musgrave restò piantato come una sfinge sulla porta, sempre con il suo sorriso da Monna Lisa indirizzato a Ferand. «Digli che la smetta di guardarmi.» «Chiudi il becco, Thierry. Sta solo cercando di farti saltare i nervi. E tu gli dai corda» disse Bressard. «Allora, Paul? Se vieni in centro con noi ci facciamo una chiacchierata per capire come mai è saltato fuori il tuo nome. Sono sicuro che non è nulla che non...» Una forma piccola e indistinta sfrecciò in direzione di Musgrave. Prima che Cardinal potesse girarsi, la forma rimbalzò all'indietro, andando ad atterrare sul biliardo. Le palle schizzarono dappertutto, la lampada appesa al
soffitto iniziò a oscillare follemente. Qualcosa d'oro o d'ottone brillò in mano a Ferand steso a lamentarsi sul tavolo, poi scivolò a terra con un rumore metallico. «Aggressione a un agente di polizia. È anche più scemo di quel che sembra» disse Musgrave. 8 Ferand fu registrato e sbattuto in cella non appena il Podam fu per prudenza trasferito in carcere, nel caso Ferand si fosse ricordato con chi aveva parlato dell'omicidio. Musgrave era favorevole a torchiare Bressard, motivo per cui Cardinal preferiva condurre da solo l'interrogatorio. La Giubba rossa si strinse nelle spalle. «Torno a Sudbury. Fammi sapere cos'ha da dire l'habitant.» Cardinal fece accomodare Bressard nella stanza per gli interrogatori. Il trapper stravaccato sulla sedia stava cercando di sembrare calmo, però non faceva che giocherellare con la cannuccia della lattina di Coca. Cardinal tentò di sembrare incalzante ma abbastanza amichevole, come se fosse un collega che tenta di risolvere una strana catena di incidenti insieme al partner. «Paul, spero che tu sia in grado di darmi una mano perché devo ammettere che qui si mette male. Come mai abbiamo trovato un cadavere vicino alla tua vecchia capanna nei boschi? Puoi aiutarmi a spiegarlo?» Bressard bevve un sorso di Coca, osservò per un attimo la parete, poi tornò a rigirare la cannuccia. «A proposito, sappiamo che è stato fatto a pezzi nella tua capanna. Non ci sono dubbi. C'è sangue in tutti gli angoli e una lunga sfilza di prove.» Bressard prese un respiro profondo, sospirò e scosse il capo. «Vedi, sarei propenso a credere che tu non c'entri. Forse qualcuno ha litigato e si è sbarazzato del corpo nel tuo tratto di bosco. Però c'è una cosa che mi dà da pensare, e spero tu sia in grado di spiegarla.» Fece una pausa, ma Bressard non lo degnò nemmeno di uno sguardo. «Paul, dimmi solo una cosa. Come ti sei procurato quel graffio dal lato del passeggero?» Nessuna risposta. «Paul, ti conviene rispondere perché il nostro tecnico e il Centro di medicina legale e la Ford sono concordi nel sostenere che la vernice che abbiamo trovato su un tronco nel bosco corrisponde alla tua Explorer.»
Bressard succhiò la cannuccia della Coca fino a farla gorgogliare. «Paul, penserai che non so niente di te, ma in realtà ho una mezza idea di come fai a campare. Primo: la caccia per le pelli. Hai anni buoni e anni cattivi, come tutti. Secondo: i lavoretti per Leon Petrucci.» L'angolo della bocca di Bressard si sollevò come l'inizio di un sorriso, ma il trapper non abboccò all'amo. «Leon Petrucci. È acqua passata, diciamo, ma sappiamo che a suo tempo hai lavorato per lui. Terzo: il lavoro come guida. So che buona parte del tuo reddito la ricavi accompagnando i cacciatori novellini nei boschi per trovare un orso o due a cui sparare. E sappiamo anche che non ti basi sulla fortuna. Se piazzi qualche bistecca sulla pista nel momento giusto dell'anno un orso lo trovi per forza, soprattutto se sai dove vivono, cosa che sono sicuro un professionista come te saprà. «Howard Matlock ha detto a quelli del Loon Lodge di essere interessato alla pesca nel ghiaccio e non ha portato fucili o coltelli. Non ha mostrato il minimo interesse per la caccia. Non vorrei sembrare maleducato, ma come ha fatto a finire sbranato dagli orsi vicino alla tua vecchia capanna, Paul?» Bressard fece un rutto soffocato, raccolse la lattina e iniziò a leggere la parte in francese dell'etichetta. Cardinal faceva quel mestiere da abbastanza tempo per capire che non stava approdando a nulla. Un altro tentativo, si disse. Un solo tentativo e poi basta. «Hai litigato per qualcosa. Forse è stato lui ad aggredirti. Forse gli hai sparato per sbaglio, non faccio nemmeno finta di sapere come, e poi hai deciso di sbarazzarti del corpo. Devo ammettere che sei stato originale. Ma comunque sia andata, a meno che tu non mi dia una spiegazione qualsiasi, ci sono buone probabilità che punterò sull'omicidio di secondo grado. Ci vorrà del tempo per mettere in piedi la causa, ma intanto siamo partiti con il piede giusto.» Bressard posò la Coca sul tavolo, girandola adagio. Cardinal afferrò la lattina e la gettò nel cestino, dove atterrò con grande fracasso. «D'accordo, io sto cercando di aiutarti, invece ti stai scavando la fossa da solo» disse alzandosi in piedi. «A meno che non mi dia un motivo contrario, ti incrimineremo per omicidio. La Corona ha già pronte le carte. Sta solo aspettando di sentire quanto collabori.» Bressard non mosse un muscolo. «Santo Dio, andiamo» disse Cardinal. Allungò la mano verso il gomito di Bressard, ma prima che potesse afferrarlo il trapper volse verso di lui gli occhi tristi e disse: «Ho un grosso
problema». Era un eufemismo da primato mondiale, secondo Cardinal, che però non lo fece notare, ma si sedette di nuovo, rispondendo soltanto con un: «Dimmi». «Se non canto voi raccogliete i pezzi sparsi che avete e mi sbattete all'ergastolo... forse.» «Paul, l'hai gettato in pasto agli orsi. Non credo che qui ci siano molti forse.» «Però avrei una domanda da fare.» «Spara.» «Cosa potete offrire in tema di protezione dei testimoni? Otterrei un nuovo nome e una casa?» Cardinal sospirò. Da quando il Canada aveva avviato nel 1996 il programma di protezione dei testimoni, ogni malavitoso con un rapporto anche solo minimo con la criminalità organizzata sognava di potersi riciclare nelle vesti di informatore, nel caso in cui la sua gang fosse sgominata, in cambio di una nuova identità e di un simpatico villino su un lago sperduto. «Paul, non ho controllo sulla protezione testimoni. Decide la polizia a cavallo chi ha i requisiti, e attualmente anche loro sono a corto di soldi. Io non mi aspetterei troppo.» «Allora perché diavolo dovrei darti Petrucci?» «Stai dicendo che hai fatto fuori quel tizio per Leon Petrucci?» «Io non ho ammazzato nessuno. Sto solo facendo una domanda. Se finisco in prigione almeno mi salvo la pelle. Con Petrucci, finisco in fondo al lago Trout.» «Quindi sei disposto a pagare per lui? Vuoi scontare la pena al suo posto? Paul, sei molto più altruista di quanto pensassi. Pochi sacrificherebbero la vita intera per uno come Petrucci. Sei davvero molto premuroso, e mi chiedo quanto te ne sarà grato.» «Cardinal, continua pure a blaterare. Tu non hai niente da perdere, io tutto.» «Ti sbagli su Petrucci. Io non sono uno specialista della criminalità organizzata, grazie a Dio a quella pensano le Giubbe rosse, però una cosa posso dirtela: Leon Petrucci non è Vito Corleone. Ha un vago, e sottolineo vago, rapporto con la famiglia Carbone di Hamilton che lo sostiene in alcune attività da queste parti in cambio di una percentuale, ma non è disposta a stendere la gente per lui, e non credo che gli mancherà molto se finisce dentro.»
«Allora io cosa ci ricavo se canto?» «Concentrati su quello che succederà se non lo fai. Finirai dentro per omicidio. Un omicidio che affermi di non avere commesso. Se ci aiuti a inchiodare Leon Petrucci, sarai sempre complice, ma chiederò alla pubblica accusa di ridurre l'imputazione a occultamento di cadavere o cosa diavolo dice il codice.» «Occultamento? Cristo, non sono un pervertito.» «Significa solo che l'hai nascosto. L'hai dato in pasto agli orsi, no?» «Va bene, l'ho dato agli orsi, però non voglio che si dica che l'ho occultato.» «A seconda di quello che ci dai su Petrucci, sono disposto a chiedere alla Corona di proporre la custodia cautelare. E parlerò con Musgrave riguardo la protezione testimoni.» Bressard abbassò lo sguardo imprecando. «Come dicevo, io non ho ammazzato nessuno. Domenica, alle nove del mattino, io e mia moglie stiamo facendo colazione quando suona il campanello. Mia moglie va ad aprire ma non vede nessuno, solo una grossa busta infilata nella buca delle lettere, con su scritto che è riservata a me, nient'altro. Quando l'apro ci trovo cinquemila dollari in contanti e un biglietto.» «Cosa diceva?» «"Nella tua capanna troverai una fornitura fresca di esche. Ci saranno altri cinquemila quando gli orsi avranno la loro cena."» «Era firmato?» «Solo P. Iniziale di Petrucci. Gli tocca scrivere tutto, non ha più la laringe.» «Lo so. Era a macchina o scritto a mano?» «Battuto a macchina. Stavo per gettarlo ma non si sa mai come si mettono le cose. Ho pensato che forse mi sarebbe venuto utile.» Bressard tolse di tasca il portafoglio. «Aspetta. Non toccarlo più del necessario. Fallo cadere sul tavolo.» Bressard rovesciò il portafoglio in modo che un foglietto ripiegato cadesse sul ripiano assieme a qualche moneta e a una mezza dozzina di biglietti della lotteria. Con attenzione, usando solo le unghie, Cardinal aprì il foglietto senza spianarlo. Le parole erano più o meno quelle riferite da Bressard: "C'è una nuova provvista di esche nella tua vecchia capanna. E arriveranno altri cinquemila quando gli orsi avranno la loro cena". Era firmato solo "P." Sembrava una stampata di computer. Quindi non si poteva risalire a una
macchina da scrivere. «Potrebbe essere di chiunque. E l'ultima volta che ho sentito parlare di lui, Leon Petrucci si era trasferito a Toronto per essere più vicino all'ospedale Mount Sinai» osservò Cardinal. «Certo. E tu credi che intralci gli affari? Non sono molti quelli che possono infilare cinque cucuzze nella cassetta delle lettere e hanno un morto del cazzo da eliminare. Te l'ho detto. Petrucci non parla. Non ha la laringe. Da chi cavolo credi che venga?» «Come faccio a sapere che non l'hai scritto tu per pararti il culo?» «Cristo, Cardinal, sei sospettoso da far schifo.» «Sono pagato per farlo.» «Come fai a stare al mondo? Ad attraversare un incrocio? Cioè, come fai a sapere che la strada non franerà quando ci posi il piede sopra? A certe cose devi credere, se capisci cosa intendo, altrimenti non ha senso vivere.» «Va bene. Allora tu cos'hai fatto?» «Sono andato alla capanna, quella vecchia che non uso da sette od otto anni. A proposito. È così che ho conosciuto Petrucci, l'ho portato a caccia di orsi una decina d'anni fa. Insomma, trovo questo grande fagotto per terra davanti al capanno. Tipo sacca da viaggio. E ho capito subito cosa c'era dentro, non ho nemmeno avuto bisogno di aprirla. È un morto. È la prima volta che so di sicuro che è un cadavere. Secondo te cosa dovevo fare, chiamare l'ufficio d'igiene?» «Potevi chiamare la polizia.» «È chiaro che conosci bene Leon Petrucci. E poi mi sono detto che il tizio era morto, e io non facevo male a nessuno.» «Sappiamo già che hai portato il corpo dentro la capanna. Ferand ti ha aiutato?» «No.» «Era coinvolto anche lui? Non ci guadagni niente se ti ha aiutato e non ce lo dici.» «Thierry non c'entra niente. Gliene ho parlato solo dopo.» Infatti quelli dell'identificazione non avevano trovato prove che potessero collegare Ferand al delitto. «Hai fatto a pezzi il corpo da solo o ti hanno dato una mano?» «Da solo. È uscito parecchio sangue. A essere sincero la prima cosa che ho fatto quando sono entrato è stato vomitare. Non capisco, ho visto milioni di animali morti, non mi dà fastidio, però c'è un non so che in una persona morta, anche se non la conosci. Capisci cosa intendo?»
«Oh, sì.» «Comunque non volevo sporcarmi tutto di sangue. Ho raccolto i pezzi in un fagotto e ho attaccato una corda per trascinarlo fino alla pista degli orsi. Sapevo che erano svegli e sarebbero stati affamati. Non pensavo sarebbe rimasto molto del tizio.» «Era nudo quando l'hai trovato?» «No, l'ho spogliato io. Non volevo segarlo attraverso i vestiti e non credevo nemmeno che gli orsi sarebbero stati interessati al poliestere.» «Abbiamo trovato del materiale nella stufa. C'era qualcos'altro assieme al corpo, documenti o effetti personali che hai conservato?» «Non ho tenuto nulla. Non c'era niente da tenere. Ho buttato tutto nella stufa.» «Hai riconosciuto la vittima?» «Mai visto prima.» «Francamente sono ancora lontano dal bermi la storia del padrino. Sai perché Petrucci voleva far fuori quel tipo?» «No, e non ero interessato a chiederglielo.» «Paul, hai un buon lavoro. Una moglie. Una bella casa. Perché fai una cosa del genere a uno che non conosci nemmeno?» «Perché?» Bressard iniziò a fissare la parete opposta della stanza per gli interrogatori. Dopo qualche secondo di riflessione si voltò verso Cardinal. «Per due motivi. Primo: Leon Petrucci. Secondo: Leon Petrucci. Cosa credi che avrebbe fatto se gli dicevo grazie ma non posso? Credi che me l'avrebbe fatta passare liscia? Non direi.» «E poi c'erano i diecimila.» «Cinque. Gli altri li sto ancora aspettando.» Cardinal fece firmare a Bressard una breve dichiarazione, quindi lo riportò in cella. Nel pomeriggio sarebbe stato incriminato ufficialmente e sarebbe uscito su cauzione, in modo che potesse essere sorvegliato. Cardinal telefonò a Musgrave, che era ancora per strada. «Credi sia stata la mafia?» chiese la Giubba rossa. «Il biglietto significa che l'ordine è arrivato da Petrucci?» «Be', Bressard ha già lavorato per Petrucci. Credo sia successo quando tu non c'eri ancora, circa otto anni fa.» «Già, in quel periodo ero a Montreal.» «Bressard ha conciato per le feste un tale per ordine di Petrucci. Non siamo mai riusciti a inchiodare il don perché Bressard aveva troppa fifa per
tirarlo in ballo, però mentre conducevamo le indagini preliminari molti protagonisti hanno citato il padrino. E uno di loro aveva un biglietto firmato "P." Sapevamo che Petrucci s'era fatto asportare la laringe anni prima e che di solito scriveva biglietti. Però Bressard potrebbe mentire su tutta la linea.» «A ogni modo, mi stupisce che tu sia riuscito a farlo cantare. Però sai bene che Leon Petrucci s'è trasferito a Toronto.» «Sì, l'ho sentito dire.» «Quindi è solo plausibile. Sai che ti dico? Perché non lasci che mi lavori io la parte Petrucci? Ci metto sopra qualcuno del nostro distaccamento di Toronto. Hanno a che fare tutti i giorni con la criminalità organizzata.» «Ci sto.» Musgrave bestemmiò. «Che c'è? Tutto bene?» «Un maledetto camionista mi ha appena tagliato la strada. La polizia non c'è mai quando ne avresti bisogno.» 9 La procura della Corona era in Macintosh Street in un palazzo di cemento brutto e opprimente che ospitava anche gli uffici locali del ministero della Comunità e dei Servizi sociali. Si trovava dritto di fronte alla sede dell'Algonquin Lode, perciò estremamente comodo quando Reginald Rose, il procuratore della Corona, desiderava esternare le sue opinioni, il che capitava spesso. Tutto in Reginald Rose era lungo. Era alto e magro, con una lieve gobbetta che gli regalava un'aria da studioso. Aveva anche lunghe dita che maneggiavano con grazia documenti e reperti e talvolta il nodo della cravatta. Rose era fanatico di cravatte rosse, camicie bianche inamidate e bretelle rosse che lo facevano sembrare una bandiera canadese nuova di zecca quando non indossava il solito blazer blu. In quel momento si stava rivolgendo a un gruppetto riunito attorno a un lungo tavolo di quercia, a parere di Cardinal una congrega eterogenea. A parte l'allampanato Rose c'erano Robert Henry Hewitt, alias il Podam, il quale tendeva ad afflosciarsi sul tavolo come un ghiro. Bob Brackett, avvocato d'ufficio, in apparenza un uomo grassottello dall'aria innocua, in realtà penalista micidiale, e infine lo stesso Cardinal, sicuro di apparire sulle spine quanto si sentiva realmente perché, pur avendo di solito perfettamen-
te chiaro da quale parte schierarsi, in quel momento covava qualche dubbio. «Vi dico subito che non sono favorevole a un patteggiamento in questo caso» disse Rose. «Perché dovrei? Stando alle prove, e ne abbiamo una montagna, Robert Henry Hewitt è colpevole di rapina a mano armata. E non soltanto un po', ma assolutamente, sicuramente, schifosamente colpevole. Abbiamo la sua ammissione di colpa...» «Come no? Ottenuta in assenza del suo legale.» «Mi lasci finire, signor Brackett. Abbiamo l'ammissione di colpa del suo cliente. Abbiamo i contanti nel suo zaino. Abbiamo la sciarpa scozzese che s'era messo sulla faccia. Abbiamo il biglietto della rapina scritto con uno stile agghiacciante ma inconfondibile, e per giunta sul retro di un precedente mandato di cattura, che per pura combinazione ci fornisce nome e indirizzo. Perché dovremmo patteggiare?» Bob Brackett si piegò sul tavolone. Era vestito con un gessato impeccabile, come sempre del resto, anche perché regalava linee rette a una figura per il resto ricchissima di curve. Bisogna ammettere che il gessato non era insolito nella professione forense, mentre lo era l'anello d'oro che pendeva dal lobo sinistro di Bob Brackett, un ciccione pelato sulla cinquantina abbondante. Non s'era mai sposato, e in un posto piccolo come Algonquin Bay ciò bastava a innescare pettegolezzi. Se aggiungiamo un orecchino d'oro le dicerie crescevano ulteriormente. Non che contasse più di tanto: per quanto riguardava i suoi clienti, Bob Brackett poteva anche presentarsi vestito in tutù fino a quando lo avevano nel loro angolo. «Su, signor Rose, non avete un minimo d'orgoglio nel vostro lavoro? Sta cercando una vittoria con tanta disperazione da essere costretto a incastrare un giovane mentalmente svantaggiato e sbatterlo al fresco per una quindicina d'anni?» domandò con voce dolce, ragionevole, amichevole. «Se ammette la colpa... chiederò dieci anni.» Brackett si girò verso Cardinal, pronto a riferire sul caso Matlock e sul contributo del Podam. Purtroppo l'avvocato aveva altro in mente. «Agente Cardinal, se non sbaglio alla centrale di polizia il mio cliente è noto con un soprannome.» Cardinal tossì, in parte per la sorpresa, in parte per guadagnare tempo. «Non credo che serva entrare nello specifico. Pensavo che avremmo...» «Avete o non avete un soprannome per il mio cliente alla centrale?» La voce di Brackett non deviò dall'intonazione tipica della richiesta educata. «L'agente Cardinal non è sul banco dei testimoni. Non deve controinter-
rogarlo» disse Rose. «Non è un controinterrogatorio. Se ne accorgerà quando lo controinterrogherò sul serio. Sto solo facendo una semplice domanda.» «Abbiamo soprannomi per tanti nostri clienti, ma non sono di pubblico dominio» rispose Cardinal. «Non sono interessato agli altri clienti, come li definisce lei. La prego, qual è il soprannome del mio patrocinato?» «Podam.» «Podam. Che strano nome. E cosa significherebbe?» «Preferirei non dirlo in presenza di Robert.» Brackett sorrise. Un sorriso di grande magnanimità che non cedeva un millimetro di terreno. «Agente, aspettiamo ancora la sua risposta.» «Sta per Più Ottuso Delinquente Al Mondo. Scusa, Robert.» «Non c'è problema.» Hewitt era accasciato sul tavolo, il mento posato sulle mani giunte. Mentre pronunciava queste parole la sua testa ballonzolò. «Il più ottuso delinquente al mondo. E come mai lo chiamate in quel modo?» La faccia rotonda di Brackett era priva di malizia, tipo "lo chiedo tanto per sapere". «Pensavo che ne avremmo parlato solo noi tre.» «Oh, no, non è mai stato in discussione. La prego, ci spieghi perché chiamate il mio cliente "il più ottuso delinquente al mondo"» insistette Brackett. «Perché non è soltanto incapace, ma commette errori stupidi.» «Be', certo, il signor Rose avrà il biglietto della rapina come Reperto A.» Rose batté sul taccuino con la gomma della matita. «Il suo cliente è già stato trovato in precedenti processi abbastanza capace di intendere e di volere da poter contribuire alla propria difesa e da capire la natura dei propri crimini. Crede che questo possa cambiare di colpo?» Il sorriso di Brackett era angelico. «Signor Rose, com'è accanito nella persecuzione dei ritardati. Forse preferirà spedire il mio cliente negli Stati Uniti. Laggiù li sbattono sulla sedia elettrica.» «Da quanto mi risulta non per una rapina.» «Posso continuare?» «Magari.» «Agente Cardinal, nonostante i limiti intellettuali del mio cliente, mi pare che di recente sia stato di grande aiuto alla polizia. Sbaglio?» Finalmente, pensò Cardinal. «Non è stato precisissimo nei dettagli. Ci ha
riferito una conversazione con un noto pregiudicato, Thierry Ferand, il quale gli avrebbe detto che un uomo venuto dal sud avrebbe ammazzato Paul Bressard sbarazzandosi del cadavere nella foresta.» Il procuratore gettò la penna sul taccuino con tanta forza da farla rimbalzare per terra. «Paul Bressard è vivo e vegeto. L'ho visto stamattina. Santo cielo, è inconfondibile con quel cappotto di procione.» «Come dicevo, Robert si sbagliava nei dettagli.» «Dettagli? Era un'affermazione totalmente infondata.» Brackett alzò le mani paffute. «Basta. Potremmo sospendere, per favore, e passare alla parte delle informazioni del signor Hewitt che si è dimostrata corretta?» «Mah, una volta che abbiamo capito che aveva solo fatto confusione con i nomi, s'è scoperto che aveva ragione. Cioè, Paul Bressard non è stato ucciso e sepolto nella foresta, bensì ha ammesso di aver scaricato un cadavere nella foresta. E il cadavere è effettivamente quello di una persona arrivata dal sud, un americano, Howard Matlock. Come potete vedere, Robert ha solo invertito i ruoli.» «Grazie, agente, è stato straordinariamente utile.» Brackett si tolse gli occhiali e li pulì con il retro della cravatta, un altro gesto che doveva sottolineare la sua cristallina bonomia. «Sarebbe altrettanto corretto dire che non avrebbe mai saputo di questo omicidio senza l'aiuto del mio cliente?» «Non è esatto. È vero che ce ne ha parlato prima che lo scoprissimo da soli, ma poco dopo siamo stati informati dalla persona che ha trovato il corpo, almeno in parte. Però è stato Robert a fare il nome di Paul Bressard, rendendolo sospetto prima del dovuto. Insomma, sì, direi che è stato molto utile e collaborativo.» «Grazie, agente.» Brackett si girò verso il procuratore. «Perciò, signor Rose, sembra che la procura possa scegliere se incriminare un giovane mentalmente svantaggiato oppure offrire un patteggiamento a un cittadino estremamente utile.» Rose si rivolse a Cardinal. «Avete un sospetto nel caso Matlock?» «Parecchi individui, ma non posso dire che sarà un arresto imminente.» Rose sollevò le braccia in direzione di Brackett in un gesto di impotenza. «Vede quanto è stato utile?» «Signor Rose, non facciamo i bambini. Non sono venuto qua per far perdere tempo a lei o a un ufficiale di polizia. La procura della Corona vuole o no incoraggiare la collaborazione degli imputati?» «Se si dichiara colpevole di rapina a mano armata sconta dieci anni.»
«Dieci anni per una pistola giocattolo e un quoziente d'intelligenza di 78? Preferisco correre il rischio al processo.» Brackett gettò gli incartamenti nella valigetta che chiuse di scatto. «Ammette il porto d'arma nascosta, anche se è un regalo visto che stiamo parlando di un giocattolo. Due anni, non un giorno di più.» Rose scosse il capo. «Restiamo con i piedi per terra. Rapina, sei anni.» Brackett si girò verso il suo cliente scuotendogli delicatamente una spalla. «Robert?» Hewitt si drizzò, battendo le palpebre. «Oh, salve. Stavo riposando.» «La Corona ti offre sei anni. Con la buona condotta sarai fuori in quattro.» «Va bene. Mi sembra buono. Ehi, ho fatto un sogno pazzesco.» Prima di uscire Cardinal dovette sopportare una miniramanzina di Rose sulle responsabilità che la polizia condivideva con la pubblica accusa affinché i criminali venissero puniti. «Il dipartimento di polizia non è posto per anime belle. Se vuole mettersi nei loro panni si dia al volontariato.» Nel parcheggio Bob Brackett agitò le dita grassocce per salutare Cardinal. Due poliziotti in uniforme stavano facendo salire Robert Henry Hewitt sul retro di una volante. «Rose le ha fatto la paternale?» «Più o meno.» «Al poveretto dispiace mollare un caso tanto facile. L'autostima di certe persone dipende da quanti anni fanno scontare alla gente. Che tristezza.» La volante si fermò alla loro altezza e la recluta alla guida disse: «Il cliente vorrebbe parlarle». «Che c'è, Robert?» «Volevo ringraziarti. Grazie, grazie, grazie, agente Cardinal. Il signor Brackett dice che mi hai fatto risparmiare dieci anni di vita. Non lo dimenticherò mai. Mai.» «Robert, la maniera migliore per ringraziarmi è stare fuori dai guai.» «Oh, lo farò. Sarò tanto bravo che mi rimanderanno subito a casa. Davvero, grazie, grazie, grazie.» L'ultima immagine che Cardinal poté godere di Robert Henry Hewitt fu lui girato sul sedile posteriore dell'autopattuglia che continuava a ringraziarlo mentre il veicolo si immetteva sulla Macintosh per dirigersi a nord, nel suo viaggio di ritorno verso il carcere di Algonquin Bay. 10
Lise Delorme era scocciata per essere stata esclusa dal caso Matlock. Cardinal aveva ragione: lei aveva già lavorato con Musgrave ed erano andati d'amore e d'accordo, anche se quell'uomo era un incubo maschilista. E invece no, Chouinard voleva Cardinal sul caso Matlock, e Cardinal doveva essere, il che significava che mentre lui sarebbe stato impegnato nell'indagine più succulenta da un anno a questa parte, Delorme sarebbe rimasta a gestire la robetta di tutti i giorni denunciata per telefono. Stava mangiando alla scrivania quando chiamarono dal Saint Francis Hospital per un caso di persona scomparsa. Appuntò i particolari e promise che sarebbe arrivata in venti minuti. Persone scomparse. Il problema delle persone scomparse è che di solito non sono affatto scomparse. Non gli adulti. Quasi sempre sono solo individui nauseati, dal compagno, dal lavoro, dalla vita, e hanno deciso di tagliare la corda. Un periodo sabbatico non annunciato. Però in questa "perscomp" c'erano alcuni dettagli che imponevano un'indagine immediata, anche se il soggetto, una single sulla trentina, era sparito da meno di ventiquattrore. «Sto cercando la dottoressa Nita Perry. Me la può chiamare?» chiese all'infermiera al banco. Andò ad aspettare nel solarium. Sul televisore nell'angolo Geoffrey Mantis, il premier dell'Ontario, stava spiegando perché gli insegnanti dovevano lavorare di più. «Certo, come se tu lavorassi di più» disse Delorme allo schermo. Mantis non sembrava fare altro che votarsi aumenti di paga e andare in vacanza. Prima del suo avvento Delorme non aveva mai pensato al golf come a uno sport che puoi giocare tutto l'anno. Comunque aveva imparato a tenere per sé le sue opinioni in ufficio. Una riserva di conservatori, a parte Cardinal. Da quanto le risultava, loro due erano gli unici sbirri del corpo che non consideravano Mantis un eroe locale. Una giovane in camice usa e getta arrivò nel solarium. Era piccolina, di cinque centimetri buoni più bassa di Delorme, e teneva i capelli rossi scostati dal viso con due forcine dall'aria austera. «Ho pochi secondi. Sto entrando in sala operatoria» si scusò la dottoressa Perry. «È chirurgo?» chiese Delorme. «Anestesista. Non possono cominciare senza di me.» «Ha segnalato lei la scomparsa della dottoressa Winter Cates?» «Esatto. Ho la foto che mi ha chiesto. Sono riuscita a sottrarla alla sorveglianza.»
La fotografia mostrava una bella donna sui trent'anni, con capelli scuri e ricci e un sorriso sghembo che le regalava un'aria sardonica. «Non le rende giustizia, mi creda.» «Quando è stata l'ultima volta che ha sentito la dottoressa Cates?» «Ieri sera, verso le undici e mezzo. L'ho chiamata per dirle che trasmettevano Interceptor sul tardi. È una patita di Mel Gibson... be', lo siamo tutte e due. Però per la serata aveva affittato una cassetta. Mi sembrava a posto. Senza un pensiero al mondo.» «Mi sembra un'ora tarda per chiamare qualcuno. Anche se è una buona amica.» «Oh, no, Winter è un animale notturno, come me. Non la chiamo certo all'una di notte, ma un po' prima sì. Chiacchieriamo spesso alla sera. Stavamo scherzando sulla "visitina alla nonna", il nostro modo di dire per quando guardiamo la tele ingozzandoci di Biscotti della Nonna. Winter aveva appena aperto il pacchetto quando ho chiamato.» «Quand'è che ha cominciato a preoccuparsi?» «Stamattina. Avevamo un'operazione alle otto e non si è fatta viva. Sarebbe strano per chiunque, ma soprattutto per una coscienziosa come Winter. È affidabile, a differenza di tanti altri.» Un'ombra attraversò gli occhi azzurrissimi della dottoressa Perry, come se stesse ricordando l'esercito di persone di cui non poteva fidarsi. «Sa, siamo buone amiche Winter e io. Intime. Non è assolutamente da lei non avvertirmi. Ho telefonato un paio di volte ma non mi ha richiamato. Non ha nemmeno sentito i messaggi, da quanto posso capire. Anche questo non è da lei.» «Ha provato a rintracciarla?» «Dopo l'intervento l'ho chiamata in ambulatorio, ma la sua assistente non l'aveva vista. E ho telefonato ai suoi. Abitano a Sudbury, e spesso Winter va a trovarli nei fine settimana, ma nemmeno loro l'avevano sentita. Non sapevo chi altri contattare. È qui in città da appena sei mesi, non conosce molta gente. Stavo per richiamarla in ambulatorio, ma non volevo scocciare.» «In realtà la sua assistente ci ha chiamato poco dopo la sua telefonata.» «Oh, no.» La dottoressa Perry si coprì la bocca con una mano. «Non facciamoci prendere dal panico. Fin qui non abbiamo motivo di temere disgrazie.» «Le spiego cos'è che mi preoccupa sul serio. Sono passata da casa sua all'ora di pranzo e ho visto la sua auto. Se non è in casa dov'è andata? E come ci è arrivata? E perché non ha avvertito nessuno?»
«Ha motivo di sospettare che qualcuno voglia farle del male? Aveva nemici, che lei sappia?» «Non posso credere che qualcuno abbia voglia di fare del male a Winter. Non ha un nemico al mondo. È la persona più carina che si può sperare di incontrare. Brillante, divertente, affidabile, un ottimo medico. Lo chieda a quelli che lavorano con lei. Non c'è nessuno che preferirebbero avere in sala operatoria al suo posto.» «Parleremo con gli altri colleghi» garantì Delorme. «Fidanzati? Che lei sappia vede qualcuno?» La dottoressa Perry abbassò gli occhi, rimettendo a posto con un gesto distratto il berretto da chirurgo che aveva iniziato a scivolare. «Winter ha un ex fidanzato, un tipo un po'... problematico. Di Sudbury. Craig Vattelapesca. L'ho visto solo una volta e non credo che mi abbia detto come fa di cognome. Ero a casa di Winter una sera, stavamo uscendo per andare a cena fuori e poi al cinema, quando è capitato questo Craig. Winter gli ha detto che non poteva vederlo in quel momento perché stava uscendo. Lui allora si è proposto di accompagnarci. È stata dura liberarsene.» «Le è parso pericoloso?» «Oh, no. Ho solo trovato un tantino strano che si presentasse così all'improvviso. Winter ha spiegato che era tipico di lui. Sembra che gli abbia detto da un pezzo che è tutto finito ma lui fa finta di niente. La aspettava a Sudbury dopo la laurea, ma lei non aveva la minima voglia di tornare.» «Per colpa di quell'uomo?» chiese Delorme. «Non saprei. Non voglio farlo passare per il cattivo del caso. Penso più che altro che Winter non volesse restare in un piccolo paese. Sono sicura che mi capisce.» In realtà Delorme non aveva mai desiderato vivere in un altro posto che non fosse il paese natio. Anche quando era andata all'università a Ottawa, e poi all'accademia di polizia ad Aylmer, aveva sentito la mancanza di Algonquin Bay. C'era qualcosa nel vivere nel posto che ti ha formato, in quella sensazione di agio e continuità, che nessun'altra città per quanto affascinante o cosmopolita poteva rimpiazzare. Però sapeva che tante persone non la pensavano alla stessa maniera. «La dottoressa Cates ha problemi con altre persone? Le ha raccontato qualcosa?» «Be', aveva un litigio in corso con il dottor Choquette, ma nulla di serio.» «Che genere di litigio? E per cosa?»
«Winter ha rilevato l'ambulatorio di Ray Choquette quando è andato in pensione, e ci sono state delle incomprensioni sul contratto.» «Le ha venduto l'attività?» «No, non si vende un'attività medica, non nell'Ontario. Doveva riguardare le attrezzature o roba del genere. Comunque era turbata.» La dottoressa Perry si alzò dopo avere consultato l'orologio. «Devo andare. Senta, Winter è una brava persona. Davvero speciale. Rende felice la gente. Non so come reagirei se le fosse successo qualcosa.» «Non sono passate nemmeno ventiquattrore. Non saltiamo troppo in fretta alle conclusioni» disse Delorme nel suo miglior tono conciliante. La dottoressa Cates abitava in un appartamento del Twickenham Mews, un lussuoso residence in fondo a una stradina alle spalle dell'Algonquin Mall. Delorme ricordava ancora la fila di villini intonacati che erano stati rasi al suolo una decina d'anni prima per far spazio al nuovo complesso. Con i suoi mattoni a vista e le rifiniture di cedro, il Twickenham Mews era uno dei punti più piacevoli del quartiere. Aveva un'aria accogliente, per essere un condominio, e invogliava a entrare, soprattutto adesso che la nebbia si era di nuovo trasformata in pioggia. Delorme suonò il campanello della custode, tale signora Yvonne Lefebvre. Era una donna segaligna, sui quarant'anni, gli occhi rossi e un fazzoletto perennemente accostato al viso. «Allergie. Inverno, estate, primavera e autunno. Non so se è questione di muffe, so solo che non mi lasciano mai in pace» si giustificò, concludendo con uno starnuto. Appena Delorme ebbe spiegato chi era e perché si trovava lì, la signora Lefebvre impiegò due minuti d'orologio, fermandosi due volte per starnutire e soffiarsi il naso, per compiere il tragitto fino in fondo al corridoio, pescare un mazzo di chiavi e tornare da Delorme alla porta, un'escursione che la lasciò stremata, accasciata contro la parete. «Come fa a gestire un intero palazzo da sola?» le chiese Delorme. «Oh, non sono io, cara. È mio fratello che segue le riparazioni e la manutenzione. Io riscuoto solo l'affitto. Senta, le dispiace se non salgo di sopra con lei? Non mi sento esattamente in forma smagliante.» «Mi deve scusare ma preferirei che venisse con me. Se la dottoressa Cates torna e manca qualcosa non voglio che sospetti che l'ha preso la polizia.» Attraversare l'atrio, entrare in ascensore e arrivare all'appartamento della dottoressa durò cinque volte il normale, e per quasi tutto il tragitto la si-
gnora Lefebvre si concesse parecchie soste appoggiandosi alle varie pareti. «Che auto guida la dottoressa Cates?» «Una PT Cruiser. Di solito non le distinguo una dall'altra, solo che la sua è tanto carina che gliel'ho chiesto un giorno mentre scaricava i sacchetti della spesa. È ancora nel suo spazio sul retro.» La signora Lefebvre, ansimante e rossa in viso, si appoggiò allo stipite mentre apriva l'appartamento, poi si accasciò su una seggiola di legno nell'ingresso. «Io mi fermo qui. Mi avverta quando ha finito.» Appena entrò Delorme notò che le luci erano accese. E che le tende non erano tirate. Una vetrata si affacciava sul lago Nipissing, una cupa presenza grigia sotto la pioggia. L'appartamento aveva un'aria di comodo disordine. I mobili erano nuovi, in uno stile rustico che Delorme aveva visto soprattutto nei cataloghi. Un tappeto multicolore era raccolto in fondo al divano, e sul tavolino erano accatastate varie videocassette di film. Le riviste, New Yorker, Maclean's, Scientific American, traboccavano da una cesta. Gli scaffali erano stracolmi, soprattutto di gialli tascabili incastrati a tutte le angolazioni. Tazze di caffè ancora semipiene e bicchieri di vino erano sparsi ovunque, assieme a oggetti incongrui, un ferro da stiro sul tavolino, una racchetta da squash in zona pranzo, un reggiseno appeso allo schienale di una sedia. Non è proprio una maniaca dell'ordine, si disse Delorme. Ma l'essenziale era che non si notava nulla di rotto o rovesciato, nessun segno di colluttazione. Avanzò adagio nel soggiorno, con le mani in tasca per evitare di toccare alcunché, fermandosi presso il tavolino. Mel Gibson la guardò dalla copertina di una cassetta: Ipotesi di complotto. C'erano due telecomandi sul divano, uno per il televisore e uno per il videoregistratore. Lo schermo della tv era spento, ma la spia di stand-by era accesa. Sul tavolino vide un piatto di biscotti, due per l'esattezza, accanto a una tazza di tè quasi piena. In cucina, nel lavello c'era una montagna pericolante di pentole e padelle. Delorme sollevò il coperchio di una piccola teiera marrone. Era piena a metà. Accanto vide un pacchetto di Biscotti della Nonna, con i primi quattro mancanti. Anche lei aveva un rituale identico: video, bicchiere di latte, biscottini, il sonnifero perfetto. A quanto pareva la dottoressa era a metà spuntino quando qualcuno o qualcosa l'aveva chiamata. Un paziente? Un parente? Un fidanzato? «Ha visto sconosciuti nel palazzo negli ultimi giorni?»
«No, il solito. Non che io tenga l'elenco. Anzi, sono la persona meno ficcanaso che ci sia. Per non parlare del fatto che il mio alloggio è a metà edificio e non si affaccia sul davanti o sul parcheggio.» «Chi erano i visitatori regolari della dottoressa Cates?» La signora Lefebvre tirò sul con il naso e si asciugò gli occhi. «Non saprei dire. Abita qui solo da pochi mesi. Paga l'affitto con puntualità, non si lamenta. A me interessa solo quello. Non equivochi, io li seguo gli inquilini. Però di solito conosco solo quelli al mio piano. Sa, ci sbatti contro quando prendono la posta eccetera.» «L'ha mai vista con qualcuno?» «Una volta sono venuti a trovarla i suoi genitori. E l'ho vista un paio di volte con una donna dai capelli rossi.» «Piccolina? Occhi chiari?» «Possibile.» Doveva essere la dottoressa Perry. «L'ha mai vista con un uomo?» «Adesso che me ne parla sì. Non alto. Capelli cortissimi e molto educato. Mi ha tenuto aperta la porta. Me lo ricordo bene perché mi sono detta: "Tesoro, sposatelo". È tanto carina che mi domandavo come mai non aveva un amico. Certo, i dottori sono molto impegnati...» Delorme scivolò in camera da letto. Vide un telefono sul comodino e una segreteria che lampeggiava il numero quattro in rosso. Premette il pulsante di avvio con la punta di una biro. La voce asmatica di un computer annunciò il primo messaggio, 10.15 di quel mattino stesso, seguita dalla voce della dottoressa Perry che chiedeva a Winter dov'era finita e come mai non s'era presentata in sala operatoria. Secondo messaggio, sempre della Perry. Terzo messaggio, una certa Melissa, forse l'assistente della dottoressa Cates, che voleva sapere dov'era finita perché la sala d'aspetto si stava riempiendo. Anche il quarto messaggio era di Melissa. Delorme premette il pulsante per sentire i vecchi messaggi. Non erano segnalati data né orario. La voce di un giovanotto: "Winter, sono io. Mi dispiace per l'altro giorno, ero sconvolto. Devo vederti. Non posso andare avanti mese per mese come te. La parte peggiore sono i fine settimana. Ti prego, chiamami... Dio, sembra quasi che stia implorando. Sto implorando. Ti prego chiamami. Ti amo". Messaggio seguente, la stessa voce: "Winter, lo so che ci sei. So che filtri le chiamate. Perché non mi richiami? Sai, certe volte ricevo venti o tren-
ta chiamate in un pomeriggio, molte da sconosciuti, e rispondo a tutte. Mi tratti peggio di come io tratto gli estranei. Non tratterei nessuno come tu tratti me". Terzo messaggio. Adesso nella voce si sentiva una nota di disperazione: "Winter, non so che dire. Sto impazzendo. Sto andando fuori di testa. Non so che fare. Non riesco a mangiare, a pensare, a stento respiro. Ecco che effetto mi fai. Io... io non so che dire. Ti prego, chiamami. Sul cellulare". La dottoressa Perry aveva citato il nome dell'ex ragazzo, Craig qualcosa. «Mi sembra che Craig stia esagerando. Mi sembra che abbia perduto qualche rotella» disse Delorme tra sé e sé. Ma perché una donna conserva questi messaggi? Perché non li cancella? Li tiene come prova di un qualche genere di molestie? Di solito capita che semplicemente non ci si pensa. Il letto era un unico groviglio di trapunta, cuscini e coperta. Delorme li scostò con cautela. Nessun segno di attività sessuale. Andò al guardaroba. La dottoressa non sembrava una fanatica della moda. Metà dei capi appesi alle grucce erano jeans, e gli scaffali erano pieni di felpe. C'era un piacevole sentore di profumo delicato e cuoio da scarpe. Da sotto le felpe estrasse una foto incorniciata: una versione più giovane della dottoressa Cates tra le braccia di un giovane. Lei era elegante, ma fu quanto indossava il giovanotto a lasciare senza fiato Delorme: il colletto alto, le spalline, la giacca di serge rossa. Delorme tornò in soggiorno per mostrare la foto alla signora Lefebvre. «È lui che ha visto con la dottoressa Cates?» «Accidenti.» Poi la custode si concesse una pausa per soffiarsi il naso. «Certo che è lui. Però non avrei mai pensato che era della polizia a cavallo.» 11 L'Healing Arts Building è una scatola di mattoni gialli come andavano di moda negli anni sessanta, piazzata in cima ad Algonquin Avenue poco oltre lo svincolo della statale 11. L'esercizio più importante del piano terreno è lo Shoppers Drug Mart, attorniato da una lavanderia a gettone, un lavasecco e parecchi altri piccoli negozi. Sopra ci sono cinque piani di medici, dentisti e chiropratici. Delorme era entrata spesso in quel palazzo da ragazzina. I suoi la portavano da un dentista che in seguito, quando le avevano sostituito le ottura-
zioni, aveva giudicato l'incompetenza fatta persona. Il tabellone del palazzo indicava la dottoressa Cates al primo piano. Il cartello attaccato alla porta diceva: CHIUSO PER EMERGENZA. PREGO TELEFONARE PER SPOSTARE L'APPUNTAMENTO. Delorme bussò con decisione, e fu fatta entrare da una donna di bassa statura con i capelli biondi corti come quelli di un ragazzo e cinque orecchini per lobo. Era Melissa Gale, l'infermiera della dottoressa Cates. «È l'agente che ha telefonato?» La voce flautata della giovane aveva un vago vibrato. «Sì, sono l'agente investigativo Delorme.» «Entri così chiudo la porta. Non ce la faccio ad affrontare altri pazienti. È dall'ora di pranzo che mi tocca rimandarli indietro.» «A che ora doveva venire la dottoressa Cates?» «Il suo primo appuntamento era alle undici. Alle undici e mezzo ho iniziato a preoccuparmi. Deve sapere che non è mai in ritardo. Ho chiamato un paio di volte a casa sua, e perfino in ospedale. Quando hanno detto che non s'era vista nemmeno lì sono andata nel panico. E vi ho telefonato.» «Ieri l'ha vista?» «Sì. È stata qui tutto il giorno. Abbiamo finito verso le sette.» «È l'ultima volta che l'ha sentita?» «Ieri sera. Sì.» «Com'era? Le sembrava preoccupata o particolarmente tesa?» «Affatto. Winter è una persona molto solare. La gente combina cose che mi fanno venire voglia di urlare per la rabbia e invece lei non batte ciglio. Mi sembrava a posto. Un comportamento del genere non è da lei. Non so dove possa essere finita.» «Ci sono state telefonate fuori dalla norma?» La signorina Gale inclinò la testa di lato per riflettere un istante. «Nessuna.» «E stamattina, quando ha aperto? Ha trovato messaggi che sembravano...» «Ce n'era una mezza dozzina. Sa com'è, persone che chiamano per prendere appuntamento o per sapere i risultati degli esami, cose del genere.» Delorme si guardò attorno. La sala d'attesa era piccola e anonima, appena ingentilita da un vecchio divano di pelle e da qualche grande pianta in vaso. Le sedie vuote sembravano in ordine, le riviste erano allineate sui tavolini. «Quando ha aperto ha notato qualcosa di strano nell'ambulatorio? Qualcosa fuori posto?»
«No, era come al solito. Ho chiuso io ieri sera, e quando sono tornata stamattina ogni cosa era esattamente come l'avevo lasciata.» Delorme indicò con la testa il computer dell'assistente. Un modulo di assicurazione tremolava sullo schermo. «E il computer? Qualche mail strana?» «Nulla. Solo le solite cose del settore, promozioni delle case farmaceutiche e delle assicurazioni. Riceviamo tonnellate di spazzatura.» «Le dispiace se guardo in giro?» «No. Di qua, prego.» Accanto alla sala d'attesa c'era uno studio: grande scrivania di quercia, librerie con vetrine e un tappeto orientale. Delorme esaminò il ripiano della scrivania: telefono, bloc notes, un blocco di carta protocollo, penna e matita, schedario, nessuna fotografia. Tanto ordine sembrava in netto contrasto con il disordine dell'appartamento della dottoressa Cates. «La scrivania è sempre così ordinata?» Indicò i blocchi per gli appunti. «Nemmeno uno scritto? Una lista di cose da fare?» «Winter è il genere di persona che non torna a casa fino a quando ha rimesso tutto in ordine. Ogni mattina vuole cominciare da capo, perciò quando chiudiamo il posto è più o meno in questo stato.» La porta che dava sull'ambulatorio adiacente era aperta. «Adesso che ci penso, c'era una cosa insolita. In ambulatorio» disse la signorina Gale. «Mi faccia vedere. Però non tocchi niente.» «Oh, Dio. È un'indagine per omicidio?» «Solo per precauzione.» L'assistente l'accompagnò in ambulatorio, che sembrava quello di qualsiasi dottore: neon accecanti, contenitori di ovatta e abbassalingua, un manifesto nutrizionale appeso alla parete, uno anatomico su un'altra e un piccolo orologio di ottone con la targhetta PROZAC. Melissa Gale indicò il lettino. «Vede il lenzuolino di carta? Dopo ogni paziente Winter lo srotola, strappa l'ultimo pezzo e lo getta nella pattumiera. Così ogni nuovo paziente ha un telo pulito.» «Come adesso» fece notare Delorme. «Non era così quando sono arrivata. Era accartocciato e mezzo strappato. Così l'ho srotolato e l'ho staccato per metterlo nel bidone.» «Questo?» Delorme indicò una pattumiera aperta sotto il banco. «Sì. È quello.» «E non c'era altro fuori posto?» Delorme indicò i contenitori con l'ovatta
e gli abbassalingua. «Mah, solo piccole cose. Ho trovato sul banco un rotolo di garza che di solito sta nell'armadietto, e un flacone di disinfettante.» «E non c'erano quando ha chiuso ieri sera?» La donna fece una piccola smorfia. «Sa, non ne sono sicura al cento percento. I lunedì sono lunghi e certe volte non vedo l'ora di uscire. Mi dispiace.» Delorme si avvicinò a un bidoncino cromato e premette il pedale. «Quando lo svuotate?» «Ogni sera. Certe volte anche durante il giorno.» «E la roba che c'è dentro adesso?» «Non dovrebbe esserci niente.» La signorina Gale si avvicinò per guardare. Il bidone conteneva un incarto per fasciature. «Non c'era ieri sera, ne sono sicura.» «Quanto sicura? Ricorda di averlo vuotato ieri sera?» «Sì. Stavo portando fuori proprio quello quando Winter mi ha salutato.» «E se un paziente ha avuto un'emergenza sul tardi? Mettiamo a mezzanotte. Che succede in questi casi?» «Intende se hanno telefonato a Winter? Lei gli avrebbe consigliato di andare al pronto soccorso. Uno studio medico non è attrezzato per le emergenze.» «Mettiamo che qualcuno l'abbia chiamata dicendo che era a corto di medicinali, qualcosa del genere.» «Non l'avrebbero comunque chiamata a casa perché non figura sull'elenco. E anche se fossero riusciti a telefonarle la segreteria gli avrebbe consigliato di andare al pronto soccorso.» «Va bene. Torniamo in sala d'aspetto. Non voglio toccare troppe cose.» «Quindi sospetta che le sia successo qualcosa.» «Potrebbe essere un'inezia, però chiederò ai nostri tecnici della Scientifica di venire a dare un'occhiata. C'è un altro ufficio dove può aspettare il loro arrivo?» «Certo, posso andare dal dottor Bisson qui accanto.» Delorme uscì con lei in corridoio e la guardò mentre chiudeva a chiave. «Che lei sappia, qualche paziente ce l'aveva con la dottoressa Cates?» «Oh, ci sono sempre pazienti contrariati. Non ha idea di quanti svitati ci sono in giro. Winter dice che sono persone sole che appena ottengono l'attenzione di qualcuno non riescono più a smettere, anche se significa commettere qualche stupidaggine. Sa, prendono il doppio delle medicine che
dovrebbero assumere, poi si arrabbiano se il dottore non vuole scrivere un'altra ricetta dopo cinque giorni. Oppure vogliono che la dottoressa firmi un certificato di malattia fasullo. Ho visto uno perdere le staffe per una storia del genere, s'è messo a urlare e battere i pugni sulla scrivania, e ha perfino rovesciato una pianta con un calcio. Temevo che saremmo state costrette a chiamare la polizia.» «Come si chiama?» «Glenn Freemont.» La mano di Melissa Gale salì alla bocca. «Oh, adesso finisco nei guai per averglielo detto. Questa è roba riservata.» «Quando è successo?» «Un paio di settimane fa. Posso controllare.» «C'era qualcun altro che dava qualche grattacapo alla dottoressa? Un amico? Un parente?» «Be', ha un ex fidanzato. Craig Simmons. Non è violento o che, da quanto ne so, però chiama di continuo. Quasi sempre devo dirgli che Winter è con un paziente e lo richiamerà. Però lei non trova sempre il tempo per telefonargli e allora lui si arrabbia. Certe volte viene perfino qui in ambulatorio. È successo ieri, in effetti. Winter era imbufalita. Li ho sentiti che urlavano.» Delorme le mostrò la foto della dottoressa Cates con la giovane Giubba rossa. «È lui?» «Esatto. Però non sapevo che fosse nella polizia a cavallo. Sembra un attore.» «Come mai lo pensa?» «Non saprei. È piccolino, ma palestrato come gli attori di oggi. E così sopra le righe.» Delorme lasciò Melissa nello studio medico adiacente dicendole di aspettare lì la Scientifica, poi chiamò Arsenault e Collingwood con il cellulare e scese in macchina a fare altre due chiamate. La prima ai genitori della dottoressa Cates, durante la quale ripeté che era solo una telefonata di routine, non c'erano indizi di un delitto. Si dimostrò brusca e puntuale: c'era qualcuno che loro figlia poteva andare a trovare all'improvviso? (Nessuno.) Aveva amici o frequentatori sospetti? (Sì, Craig Simmons.) Cercò di rinfrancarli, ma i signori Cates sapevano perfettamente che un poliziotto non li avrebbe mai chiamati se non ci fosse stato motivo per temere qualcosa, e quando Delorme appese sembravano entrambi sconvolti. La telefonata successiva fu a Malcolm Musgrave. Il quale le disse: «Craig Simmons è uno dei migliori sbirri che ho mai
visto, e sono in questo mestiere da una vita». «Non lo metto in dubbio, però qui ho una dottoressa scomparsa e ho motivo di credere che Simmons fosse irritato con lei.» Il tono di Musgrave mutò. «Non sarà Winter Cates?» «Sì. Perché? Eravate già in pensiero?» «No, però Simmons parla di lei da una vita. Quando è arrivato al nostro distaccamento pensavo che stessero per sposarsi, ma non ci ho messo molto a capire che se lo stava solo sognando. Appena li vedi insieme capisci che Craig per lei è solo un amico, o al massimo un fratello.» «Mentre per lui...?» «Non è né amica né sorella.» «Allora mi dà l'indirizzo?» «Sì, glielo do. Però adesso non è in casa, è nella villetta di famiglia a Mattawa. Un posto incredibile... sembra una casa di bambola. Però si pesca alla grande.» «Che ci fa da quelle parti in pieno inverno?» «È soprattutto in questa stagione che i ladri ti si infilano nella casa delle vacanze. Ha da scrivere?» Musgrave le diede indicazioni precise. «Mi stia a sentire. Con Simmons ha scelto la preda sbagliata. Vada a Mattawa se questo sazia la sua curiosità, lo interroghi finché vuole, però prima lo elimina dalla sua lista meglio è» concluse. La vecchia cittadina di Mattawa è a una sessantina di chilometri a est di Algonquin Bay, al confluire dei fiumi Mattawa e Ottawa. Questa posizione privilegiata ne ha fatto un incrocio di importanza fondamentale per i viaggi in canoa ai tempi di Samuel de Champlain, e tale è rimasto. Le gare di canoa di luglio sono un evento molto atteso e quanto ai pesci, il persico salta praticamente fuori dall'acqua chiedendo di essere portato a casa. È una piccola comunità, per lo più impegnata con le migliaia di turisti che arrivano in estate a godersi i fiumi, le colline alte e le capanne di tronchi annidate tra ruscelli e foreste. La patria dei bungalow. Delorme non era molto sensibile al panorama, però doveva ammettere una certa atmosfera in quel paesaggio. Le colline verdeggianti si profilavano attraverso la pioggia, e il sentore dei pini invadeva l'abitacolo della macchina. Lembi di nebbia penzolavano dagli alberi accanto alla carreggiata, e la statale luccicava come un nastro di seta nera. Durante il viaggio ascoltò i notiziari. Il nuovo sindaco stava parlando del
carnevale anche se mancava ancora un mese e l'ondata di caldo aveva sciolto tutta la neve. Geoff Mantis si scagliava contro la proposta dei liberali di alzare la tassa sui capital gains, dopodiché veniva un profilo del nuovo segretario del Parti Québécois, assieme a un'analisi grossolana del "problema francofono". Da quanto lei poteva ricordare, il Québec era sempre stato il più grosso problema della nazione e giornali e teste d'uovo non la smettevano un attimo di discutere di questa onnipresente perturbazione, la delicata tempesta dei rapporti anglo-francesi. «Non deve entrare in città, ma girare a destra sulla LaFramboise. Poco dopo il concessionario Chevrolet» le aveva consigliato Musgrave. «Sempre ammesso che riesca a vederlo» si disse Delorme. Lo vide spuntare meno di un chilometro dopo, sulla destra. Dopo la svolta passò davanti a un deposito legname, a un deposito rivestimenti edili e a un canile, brutti posti resi ancora più squallidi dalla pioggia. Un'officina sulla sinistra, poi il cartello malconcio per Sandy Point con una freccia. Delorme strizzò gli occhi nella pioggia, cercando di scorgere i villini tra gli alberi. Qualche minuto dopo arrivò a quella che sembrava la fine della strada e si fermò. Pochi metri più in là vide una cassetta delle lettere contrassegnata "Simmons". Fece avanzare l'auto verso il vialetto. In fondo alla discesa c'era una Jeep Wrangler. Prese nota del numero di targa. La jeep era parcheggiata accanto a una villetta che sembrava uscita dalla fiaba di Hansel e Gretel, una miniatura vittoriana in marzapane fatta per lo più di rivestimento di materia plastica color malva. Il tetto spiovente brillava per la condensa, e la metà superiore di ogni finestra era di vetro colorato. Il camino esalava pittoreschi ghirigori di fumo. Delorme salì sulla veranda lillà di legno intagliato a svolazzi. Quando Musgrave l'aveva definita una casa di bambola era stato preciso al millimetro. C'erano perfino il ferro battuto per pulirsi gli stivali in cima ai gradini e sulla porta un battente di ottone a forma di testa di leone. Quando l'uscio si aprì le si parò davanti un giovane in jeans e maglietta. Muscoloso, come aveva detto Melissa, uno che passava parecchio tempo in palestra. «Posso aiutarla?» Aveva i capelli più lunghi che nella foto, una frangia color grano spiovente sulla fronte. E sembrava parecchio più piccolo senza l'uniforme della polizia a cavallo. Però, nonostante l'abbigliamento casual, era pulito e in ordine: i jeans e la maglietta erano stirati.
«Craig Simmons?» Delorme mostrò il distintivo. «Sono l'agente Lise Delorme, polizia di Algonquin Bay.» «Mi sembra un po' fuori dalla sua giurisdizione.» «Le dispiace se entro un minuto? Qui fuori è un tantino umido.» Simmons spalancò la porta. L'Ontario settentrionale ospita due scuole di pensiero di proprietari di villette. La prima le usa come una specie di solaio da riempire di scarti, divani sfondati, poltrone graffiate dai gatti, vecchi videoregistratori e qualsiasi oggetto indesiderato nella prima casa. La seconda scuola considera il villino una seconda casa e fa di tutto per renderlo grazioso, comodo e invitante, spesso investendoci più soldi che nella prima abitazione. A queste due tendenze Delorme ne aggiunse una terza: gli abitanti del regno della fantasia. Casa Simmons era dedicata alla rievocazione di un'era vittoriana mai esistita, incarnata nei candelieri d'ottone, negli armadi con le vetrine incise, nei pizzi alle finestre. Ammiccava e brillava ovunque, dai paralume di perline, dalla zuccheriera d'argento e dalla pendola in ritardo di una buona mezz'ora. Sopra un massiccio tavolo da pranzo di quercia, una fotografia scolorita della regina Vittoria rimuginava in una cornice di vetro molato. «È la villetta di mia madre» spiegò Simmons, indicando il ciarpame. «Un giorno, lo giuro, cambio tutto. Si accomodi.» Indicò una serie di sedie da pranzo, ciascuna ornata di balze barocche. Delorme decise di non perdere tempo con le ciance. «Caporale Simmons, so che è del distaccamento di Sudbury della RCMP. Che ci fa qui a Mattawa in questa stagione?» «La polizia dell'Ontario mi ha telefonato per avvertirmi di un'effrazione. Qui capitano di frequente.» «Il posto mi sembra in perfetto ordine.» «Sono entrati nella rimessa delle barche e si sono presi un paio di fuoribordo 95 Merc.» «E dov'era ieri sera?» «Ieri sera? Sempre qua. Perché?» «Sempre qua? E cosa faceva? «Ho imbiancato in camera da letto. Mi sono detto che visto che ero qui potevo fare qualcosa. Ho lavorato quasi tutta la sera, poi ho guardato la fine della partita di hockey. Riguarda un'indagine?» «Chi ha vinto?» chiese Delorme. In quanto poliziotto a cavallo, il caporale era senza dubbio più abituato a
fare domande che a rispondere. In quel caso parve scosso dalla richiesta. Aprì la bocca un attimo, poi la chiuse e infine distolse lo sguardo. «La partita. Ha detto che ha guardato la partita di hockey» aggiunse Delorme. «Ha vinto Detroit. 5 a 4.» Esatto, Delorme ne era al corrente, però sembrava il classico alibi preconfezionato. «Sicuro di non essere andato a far visita a Winter Cates?» «Winter? No. L'avevo vista in giornata.» «Lo so. E avete litigato.» «Abbiamo discusso. Senta, agente, sta ficcando il naso nella mia vita privata. Come fa a sapere di me e Winter? Di cosa si tratta?» «Almeno un testimone afferma che le vostre voci erano alterate. Arrabbiate. Mi sta dicendo che non è vero?» «Winter era scocciata perché ero capitato in ambulatorio.» «Però doveva, vero? Winter non le ha lasciato scelta, non rispondeva alle sue chiamate.» Il volto di Simmons cambiò, passò dalla rabbia incipiente al timore. «È successo qualcosa a Winter? È ferita?» «Me lo dica lei, signor Simmons.» «Non so di cosa sta parlando. Mi dica, Winter sta bene?» «Winter Cates non è più stata vista dopo ieri sera. Non in ospedale, non dai pazienti, non dai genitori.» «Sa, è medico. Potrebbe essere stata chiamata per un'urgenza.» «Che urgenza poteva essere? L'auto è ancora a casa sua.» Simmons parve trasalire mentre incamerava l'informazione. «"Mi fai sentire come se ti stessi implorando. Mi tratti peggio di come io tratto gli estranei"» citò Delorme a braccio. «Parole forti, non trova?» La faccia di Simmons era diventata paonazza, e Delorme sospettava che non fosse a causa dell'imbarazzo. «Sta alludendo che avrei fatto del male a Winter?» «Dov'è finita, caporale Simmons? Sospetto che si sia fatto vivo un'altra volta senza annunciarsi. Pare sia una sua abitudine. Winter non rispondeva alle telefonate, l'ha cacciata dall'ambulatorio e lei voleva farsi ascoltare. Per Winter è una storia finita ma lei non l'accetta.» «Ma chi crede di essere? Non sa niente di me.» «Dov'è, signor Simmons?» Simmons era basso e doveva avere passato a stento i limiti di altezza della polizia a cavallo, eppure afferrò il bordo del tavolo di quercia e lo ri-
baltò di colpo con tanta violenza da mandarlo ad atterrare non su un lato ma capovolto, con i piedi a zampa di leone che artigliavano l'aria. «Tranquillo. Risponda alla domanda, piuttosto» disse Delorme, più scossa di quel che si sforzava di lasciar trasparire. «Chi crede di essere?» ripeté Simmons. «Una troietta mangiarane appena arrivata dalla fattoria. È così che ha avuto il posto, no? I vecchi posti riservati per il bilinguismo? Mi dica una cosa: come andava nel combattimento corpo a corpo ad Aylmer?» «Signor Simmons, non siamo qui per parlare di me. È la sua ragazza che è scomparsa. Ex ragazza. E lei non ha un alibi.» La verità era che Delorme era stata bocciata nel corpo a corpo, e anche la seconda volta era passata per un pelo. In seguito aveva passato un bel po' di ore con un allenatore personale, però non era ansiosa di battersi con una Giubba rossa infuriata. Si chiese se fosse il caso di estrarre la pistola. Simmons stava recitando? Oppure era davvero uscito di senno? «Caporale Simmons, basta un semplice sì o un no. Sa dove Winter in questo momento?» Simmons si avvicinò di un passo. «Risponda alla domanda. La smetta con questa commedia da macho.» «Forse sono una persona emotiva.» La voce della Giubba rossa si era fatta molto riflessiva. «Una persona passionale.» «Forse anche violenta. Forse un omicida» aggiunse Delorme. Simmons la fulminò con lo sguardo, poi scosse il capo. «Non sa niente di me. E a essere sincero sono piuttosto disgustato che non conceda il beneficio del dubbio a un collega.» Andò alla porta e la tenne aperta. «Non ho la minima idea di dove possa essere Winter. Questa risposta potrà anche non piacerle però è la verità, agente. Se è veramente scomparsa, allora sono molto più preoccupato di quanto mai potrà esserlo lei. E se ha altre domande da farmi, dovrà aspettare il mio avvocato.» «Caporale, abbiamo sentito i suoi messaggi nella segreteria telefonica di Winter. È un amore non corrisposto, a cui dobbiamo aggiungere il suo temperamento irascibile e il suo alibi non confermato. Se la dottoressa Cates non salta fuori molto presto, avrà davvero bisogno di un avvocato.» Simmons spalancò ancora di più la porta. Delorme indicò con il capo il tavolo rovesciato. «Potrebbe essere il momento adatto per cambiare anche i mobili.» Tornata in macchina pensò che Melissa Gale aveva ragione: l'amico era
un attore. Oh, come sono duro. Passionale. Ma fammi il piacere. Mentre tornava verso la statale, con la foresta verde opaco che le sfrecciava accanto, tra le colline sfumate dalla pioggia, ebbe qualche ripensamento. E se Simmons era un pazzo genuino? Cambiava forse qualcosa? Se stava facendo la scena, sembrava quasi che volesse coprire una coscienza sporca. Se invece era sincero, allora questo lo rendeva capace di... be', sperava che in seguito non si scoprisse che si trattava di omicidio. 12 La mattina seguente Delorme riferì a Cardinal della dottoressa scomparsa. Erano nella sala della squadra e stavano bevendo il caffè arrivato dal Tim Hortons. «Non può essere sparita da molto. L'ho vista lunedì» disse Cardinal. «Conosci Winter Cates? Se me l'avessi detto ieri.» «Non me l'hai chiesto. Spero che non le sia successo nulla di grave.» «Purtroppo non sta andando bene. È scomparsa da quasi trentasei ore ma l'auto è ancora a casa sua.» Cardinal ripensò ai modi spicci della donna, a come aveva trattato suo padre, severa ma amichevole. Ricordò gli occhi scuri, i capelli domati a stento. «L'ho vista per la prima volta lunedì quando ha visitato mio padre. Però c'era un tale in studio, un giovanotto biondo che sembrava in lite con lei.» «Craig Simmons. L'ho già sentito. È un ex, oltre a essere una Giubba rossa.» Cardinal fece schioccare le dita. «Ecco dove l'avevo visto. Lavora per Musgrave, vero? Che cosa ha detto?» «Diciamo che se la Cates non si rifà viva torno subito a fare due chiacchiere con il caporale Simmons. Quel ragazzo ha un pessimo carattere e nessun alibi.» Delorme posò il caffè, poi andò a bussare alla porta dell'ufficio di Chouinard. Squillò il telefono. Quando Cardinal rispose, la voce all'altro capo del filo cancellò qualsiasi preoccupazione di sorta per la dottoressa scomparsa. Pochi uomini sono in grado di dire con esattezza la cosa peggiore che hanno mai fatto, invece Cardinal lo sapeva alla perfezione. Era successo quasi tredici anni prima, durante il suo ultimo anno alla Antinarcotici di Toronto. La sua squadra aveva fatto una retata a casa di uno dei tre mag-
giori narcotrafficanti dell'Ontario, un porco violento che rispondeva al nome di Rick Bouchard. Mentre i colleghi di Cardinal avevano il loro da fare con Bouchard e scagnozzi, compreso l'elfo malefico Kiki B., Cardinal era incappato dentro il guardaroba della camera da letto in una borsa grigia da ginnastica piena di contanti. A sua imperitura vergogna se n'era andato con duecento testoni. Gli altri cinquecento erano serviti come prova, e contante e droga erano bastati a far condannare tutti i fermati. Adesso aveva Kiki B. al telefono. «Spero che tu abbia ricevuto la cartolina di Rick. Non voglio che pensi che ci siamo scordati di te.» «Kiki, te lo dico una volta sola: se tu, o qualcuno collegato a te, si fa vivo a casa mia, ve la faccio pagare per il resto dei vostri giorni. Capito?» «Dodici anni, Cardinal. Capisci questo? Bouchard è rinchiuso a Kingston Pen da dodici anni. Ha altri sei mesi da scontare, poi esce e vuole i suoi soldi sull'unghia. La considera una specie di liquidazione che gli hai tenuto da parte.» «Digli di non aspettarsi interessi. Ultimamente la Borsa è andata a rilento.» «Vuole i suoi duecento, Cardinal. Sa che li hai presi tu e li rivuole se non desideri fare testamento.» «Non ho tutti quei soldi, Kiki. Sarà difficile fartelo entrare in testa ma è la verità.» Cardinal desiderava sentirsi calmo quanto sembrava. «Ah-ah. Cos'hai fatto, li hai dati in beneficenza?» «Hai mai sentito parlare della Sunrise?» «La Sunrise Foundation? Li hai dati ai tossici? Oh, ragazzi, Rick apprezzerà la tua ironia, Cardinal. Si scompiscerà dalle risate.» Era effettivamente vero che gli ultimi soldi erano finiti lì, però prima Cardinal li aveva usati per le spese ospedaliere di Catherine negli Stati Uniti, dove i genitori di lei avevano insistito per mandarla a curarsi, e per far studiare Kelly a Yale. Aveva confessato la faccenda alla moglie e alla figlia solo l'anno prima, quando non ce l'aveva più fatta a convivere con la cattiva coscienza. Privata del contributo alle rette scolastiche, Kelly era stata costretta a lasciare gli studi prima dell'ultimo semestre, e Cardinal era sicuro che sua figlia non gliel'aveva mai perdonato. Lui aveva persino tentato di dare le dimissioni dal corpo, ma Delorme aveva intercettato la sua lettera prima che arrivasse nelle mani del capo della polizia. "Sei un bravo sbirro. Perché danneggiare il dipartimento andandotene?" gli aveva detto. In quei giorni Cardinal era in ospedale con due ferite da arma da fuoco e
non aveva avuto la forza di insistere. «Kiki, perché non ti trovi un nuovo datore di lavoro? Scriviti un curriculum. Non sei più tanto giovane.» «Cardinal, è l'ultimo avvertimento. Secondo te Bouchard dovrebbe uscire di galera al verde? Non gli andrà giù.» «No che non l'accetterà. In tal caso...» «D'accordo, ho tentato di aiutarti. Se non vuoi starmi ad ascoltare è un tuo problema. E non credere che Bouchard non possa sistemarti anche stando in prigione. Può. La prossima volta non sarà un biglietto o una telefonata.» Cardinal appese. Rimase per un po' a guardare la sua mano posata sopra la scrivania. Tremava. Poi si sentì crescere in corpo la vergogna perché stava mettendo a repentaglio casa sua per qualcosa che aveva fatto, anche se tanto tempo prima. Per la millesima volta maledisse la propria stupidità. L'interfono ronzò. Era Mary Flower che l'avvertiva dell'arrivo di Calvin Squier. Cardinal uscì dalla sala. «È fantastico rivederti, John. Come va?» disse Squier, allungando la mano. Soltanto gli americani stringono tanto la mano, pensò Cardinal. Gli americani, i truffatori e Calvin Squier dei servizi segreti canadesi. «È già tornato da New York? Ma se è partito appena ieri.» «Non vedevo l'ora di tornare. New York non è una città in cui amo fermarmi.» Cardinal lo accompagnò nella sala delle Indagini criminali. Era un passo avanti considerevole rispetto alla centrale precedente con i suoi schedari ammaccati e la puzza di fumo e sudore e altri odori meno gradevoli. Eppure Cardinal era sicuro che Squier, con il suo sorriso da boy scout e i troppi denti, lavorasse nel più splendido ufficio che il bilancio federale potesse permettersi, il tutto a suon di fondi neri. «Ehi, che bel posticino che avete» disse Squier. Abbracciò con un gesto le scrivanie e i divisori, la parete a vetrate, i pannelli di plastica mezzo scollati sul soffitto. Delorme, che stava arrivando da chissà dove, li guardò per un attimo, poi andò alla sua scrivania. Squier si girò ad ammirarla. Cardinal andò a recuperare una sedia nel cubicolo di McLeod, che era ancora in vacanza in Florida. «Si sieda.» «Dicevo di New York. Troppo grande, troppo sporca e troppo schifosamente americana. Capisco che c'è stato l'11 settembre, però non sono passato nemmeno vicino alla zona. Non ci sono alberi in quella città. Niente
verde. Niente aria. Ammetto che è impressionante da vedere. È Toronto moltiplicata per cento. Mai stato da quelle parti?» Cardinal scosse il capo. «Ha parlato con i familiari di Matlock?» Squier annuì. «Con la moglie. Era sconvolta, ovviamente.» «Cos'ha scoperto?» «Secondo lei Howard Matlock non aveva un nemico al mondo.» «Le ha detto questo?» «Oh, non solo la moglie. Ho parlato con i vicini, con la parrocchia, con un paio di clienti. Come ricorderai, era un commercialista iscritto all'albo. I suoi clienti avevano da dire solo cose positive su di lui: pignolo, ti faceva risparmiare soldi però era onesto. Purtroppo non corrisponde a quanto ha detto l'FBI.» «Davvero? Cos'hanno detto i federali?» «Stavano seguendo da vicino un'organizzazione locale antigovernativa, la WARR, che sta per Waco e Ruby Ridge, due posti in cui i federali hanno ucciso altri cittadini americani. Per farla breve, la WARR è una cricca di bianchi incazzati la cui massima priorità sembra essere, come dicono loro, "accecare il nemico". Vogliono sabotare la capacità americana di sorvegliare la popolazione. Spediscono pacchi bomba alla NSA, roba del genere.» «Il che spiegherebbe l'interesse per la base CADS, ma non chi l'ha ammazzato.» «Il Bureau ha fatto risalire fino a Matlock un ordigno esplosivo inviato alla sua sede di Washington. Fortunatamente non è esploso. Comunque Matlock sembrava alquanto interessato a dissociarsi, e pare che i suoi compari siano venuti a saperlo.» «In parole povere, un movente solido per un omicidio.» Un trapano ad alta velocità si mise in azione al piano di sopra, tanto che dovettero urlare per farsi sentire. «Molto solido.» «E la moglie? È anche lei militante del gruppo di invasati?» «No, era un hobby personale di Matlock, a quanto risulta.» «Andavano d'accordo?» «Nella media, direi. I genitori di lui sono morti, però ho parlato con la famiglia della moglie, e dicono che avevano alti e bassi come tutti, però nessuna crisi o liti vere e proprie. I vicini non li hanno mai sentiti urlare o cose del genere. Ehi, credi che la moglie lo volesse morto?» Quando il trapano si fermò la pace improvvisa parve eccessiva.
«So solo quello che mi racconta lei.» «Be', posso dirti che non aveva una grossa assicurazione sulla vita, se è a questo che stavi pensando. È la prima cosa che ho controllato. Del resto trovo più promettente la pista WARR, non trovi?» «Forse. Però mi dica una cosa, Squier: perché dovevano ammazzarlo in Canada?» «Perché sarebbe stato molto più difficile ricollegarlo a loro. Ti prego, diamoci del tu.» «Però preferisco Squier a Calvin. Ha una sonorità da torneo medievale.» Squier lo guardò pensieroso, poi si inclinò in avanti sulla sedia e disse in tono confidenziale: «Non sarai ancora arrabbiato per l'altra sera, vero? Sono più giovane di te di una ventina d'anni e avevo il vantaggio della sorpresa, alla grande.» «Squier, nessuno ti ha mai detto che parli troppo?» L'altro annuì. «Me l'hanno detto. Se devo essere onesto, non mi giova.» «In effetti» confermò solenne Cardinal. «La lingua lunga può far danni.» Squier si guardò attorno nella sala della squadra Indagini criminali, posando gli occhi un po' troppo a lungo su Delorme. «E tu e Musgrave avete fatto progressi?» Cardinal gli riferì la versione di Bressard completa di orsi. Il giovane prese nota su un palmare con una matitina di metallo. «E chi l'avrebbe pagato per sbarazzarsi del corpo?» «Un gangster, Leon Petrucci.» Squier trascrisse il nome sul palmare. «Perché un mafioso locale doveva interessarsi a un terrorista americano? Non capisco.» «Nemmeno io. Mi hai chiesto a che punto eravamo arrivati. A questo.» «Immagino sarebbe stato più facile mettere un contratto sulla sua testa.» «Petrucci non è Al Capone. Mi stupirebbe se l'avessero mai sentito nominare negli Stati Uniti.» «Comunque sia, forse non ti resterà molto altro da indagare. Tutte le risposte arriveranno da parte americana e dalla pista del WARR. Non preoccuparti, ti terrò aggiornato.» Squier infilò il palmare in una custodia di pelle che mise in tasca. «Fammi sapere se c'è altro che posso fare per te. Ho già sentito il Centro di medicina legale sulla procedura per rimandare i resti negli Stati Uniti. Intanto puoi trovarmi all'Hilltop.» «Vedo che non sei rimasto con le mani in mano. Fammelo sapere se posso restituirti il favore.» «Contaci, John.» Squier sottolineò il sorriso smagliante con il gesto del
pollice all'insù. «Potresti portarlo in banca.» Mentre Cardinal lo accompagnava verso l'uscita aggiunse: «Era quella Lise Delorme? Quella donna un paio di scrivanie più in là?». «L'agente investigativo Delorme. Squier, quella ti spezza un braccio.» «Perché? Non ha la fede.» «È una ragazza molto seria.» «Be', anch'io, John. Anch'io.» Lasciato Squier, Cardinal tornò alla sua scrivania per comporre il numero delle informazioni abbonati di New York, dal quale ottenne il recapito telefonico di Howard Matlock, 312 91a Est. Cominciò a pensare a cosa dire alla povera vedova, nel caso fosse in casa. «Pronto?» Aveva risposto un uomo. «Pronto, casa di Howard Matlock?» «Sì.» Un parente venuto a consolare la moglie, pensò Cardinal. Poi la voce aggiunse: «Sono io». Il sergente Daniel Chouinard stava cercando qualcosa sotto una pila di scaffali ancora da montare, perciò sbatté la testa quando Cardinal gli annunciò che voleva andare a New York. «Non c'è alcun bisogno di andarci. Ci sta andando il CSIS.» «È già tornato. Calvin Squier mi ha appena esposto una teoria molto plausibile per l'omicidio di Howard Matlock. Secondo lui l'hanno beccato mentre spiava la base CADS.» «Certo. Allora?» «Ho appena telefonato alla base. Il capo della sorveglianza non ha mai sentito parlare di un Howard Matlock. Non gli risultano segnalazioni di un incidente del genere.» «Mah, forse il CSIS gli ha detto di restare abbottonato per qualche oscura ragione.» «Calvin Squier si è anche dimenticato un altro piccolo particolare.» Cardinal riferì la telefonata a New York. «Mi stai dicendo che Howard Matlock è vivo?» «Howard Matlock è vivo e non ha mai sentito parlare di Algonquin Bay.» «Quindi non abbiamo la minima idea di chi possa essere il morto.» «Nemmeno uno straccio.» Chouinard recuperò un Walkman Sony da sotto gli scaffali e lo lasciò
cadere nella sua cartella. «D'accordo, andrai a New York. Non si discute. Non prevedo problemi a convincere R.J.» 13 Cardinal prese il volo da Algonquin Bay quel mattino stesso. Compreso uno scalo di un'ora a Toronto, riuscì ad atterrare a New York due ore più tardi. Sul taxi che lo portava dal LaGuardia percepì vagamente l'immensità della metropoli, la grandezza brutale del suo panorama, le abitudini allarmanti dei suoi tassisti, tuttavia rimase concentrato sul da farsi, deciso a non prestare a New York più attenzione dello stretto necessario. Howard Matlock, quello vero, non aveva mai sentito nominare il Loon Lodge, come del resto non aveva mai sentito nominare Algonquin Bay. Anzi, non aveva più posato piede su suolo canadese dal 1996, quando aveva passato una settimana a Québec (tanto affascinante! tanto europea! tanto a buon mercato per un americano!), né dimostrava il minimo interesse per la pesca attraverso il ghiaccio. Le uniche cose giuste tra quelle che risultavano a Cardinal riguardo Howard Matlock erano nome, indirizzo e professione. Matlock abitava al primo piano di una palazzina nell'Upper East Side di Manhattan. «Un po' troppo upper, a nord, per essere alla moda, ma fino a quando non farò il primo milione dovrà bastare» disse a Cardinal sulla porta. Era un uomo snello sulla cinquantina suonata con i capelli cortissimi per nasconderne la scarsità. Il suo primo milione non sembrava imminente. L'appartamento era un bilocale parcamente arredato in vetro e cromo. Sembrava più un ufficio che un'abitazione. «Ovviamente questa sua visita speciale richiede un caffè. Ne vuole?» chiese. Cardinal accettò. Poi, mentre Matlock era impegnato nel cucinino, chiamò Malcolm Musgrave. L'aveva aggiornato la sera prima sull'inchiesta simulata di Squier. Musgrave aveva risposto con l'eloquio tipico. «Quella merdina. Inchiodiamolo subito.» A quel punto Cardinal gli aveva chiesto di sfruttare le sue conoscenze tra i dinosauri delle Giubbe rosse attualmente in forza al CSIS per scoprire il vero nome e indirizzo di "Matlock". Era chiaro che i servizi segreti na-
scondevano quelle informazioni per motivi noti soltanto a loro. «C'è uno dei nostri che ci lavora da ieri sera. Dammi un'altra ora» gli stava dicendo adesso Musgrave. Mentre Cardinal appendeva, Matlock gli portò una tazza di caffè fumante con un piatto di biscotti e un tovagliolino infilato ordinatamente sotto un cucchiaio. «Non è una Giubba rossa, vero?» «No, sono della polizia di Algonquin Bay.» «Ho un amico che morirebbe d'invidia se gli dicessi che ho conosciuto una Giubba rossa. Ne assaggi uno, li ho fatti con le mie mani.» Erano all'avena e uvetta. «Eccezionale. Dovrebbe produrli in serie.» «Lo so, ci ho pensato. Peccato che odio la produzione in serie.» «Senta, Howard, può controllare nel portafoglio per vedere se le manca un documento o una carta di credito?» «Ho controllato mentre lei era al telefono. Non manca niente. Non ho la patente. Sa, a Manhattan non guida nessuno. Ma le carte di credito? No, no, no. Ho un rapporto molto intimo con le mie carte di credito.» Quindi o il morto si era procurato documenti nuovi usando i dati di Matlock oppure era in grado di ottenere dei falsi. Contraffazioni eccellenti. «L'uomo che ha sfruttato la sua identità ha scelto lei perché era più o meno della sua stessa età. Le viene in mente nessuno che abbia potuto accedere nell'ultimo anno ai suoi dati personali?» «Be', tutti quelli che si fanno fare da me la dichiarazione dei redditi hanno accesso al mio numero della previdenza sociale riportato in fondo al modulo. Però ho un sacco di clienti.» «Avrà la loro data di nascita. Può controllare in archivio i maschi che hanno tre anni in più o in meno di lei?» «Stia comodo mentre do un'occhiata al database. Mangi pure qualche altro biscotto.» Qualche minuto dopo Howard Matlock era di nuovo sulla soglia con una stampata in una mano e un biscottino nell'altra. «Ho tre clienti di quasi sessant'anni, nome, indirizzo e numero di telefono, però non glieli vorrei dare. Sarebbe poco corretto.» «Non ho giurisdizione a New York e non posso costringerla a darmeli, e del resto è assai improbabile che chi le ha rubato l'identità le abbia dato il vero nome e indirizzo. Li conosce tutti e tre, sono vecchi clienti?» «Due sì. Uno è un produttore di documentari, l'altro un ricercatore di location per gli esterni dei film. I miei clienti sono quasi tutti artisti. En-
trambi vengono da me da più di dieci anni.» «E il terzo?» «Be', dipende» disse Matlock con un sorriso. «Ha qualche impegno per cena?» Cardinal non seppe cosa rispondere mentre sentiva il rossore risalire la linea della mandibola. «Questi canadesi. Non conosce anima viva in città e le sto offrendo la possibilità di cenare in un ristorante chic con un affascinante professionista come me. Dio, amico, ho cinquantotto anni, sono innocuo.» «È molto gentile, però ho pochissimo tempo» riuscì a balbettare Cardinal. «Oh, be', io ci ho provato.» «Me lo vuol dare quel nome?» «È stato solo un trucchetto ridicolo, temo. Erano solo due.» Cardinal si fermò in uno Starbucks presso la fermata della metropolitana dell'86a per chiamare Musgrave al cellulare. «Ho un vecchio amico al CSIS di Ottawa» gli disse la Giubba rossa. «Deve avere circa sessantacinque anni e lavora da una vita nella sicurezza. Un mangiarane, Tourelle. Se non fosse stato per la commissione McDonald sarebbe ispettore da anni, invece adesso deve lottare per conservare un cubicolo nella madre di tutte le burocrazie. Comunque zio Tourelle ha una bella storiellina da raccontarci. Il CSIS, come forse saprai, sorveglia i principali aeroporti e ha un ufficio fisso al Pearson, come la dogana o l'Immigrazione.» «In quanti sono, un paio?» «Diciamo sei. Tourelle non sa se è stata una soffiata. Penso di sì, altrimenti sarebbe stata una coincidenza bestiale. Insomma, stavano guardando i felici passeggeri che sbarcavano da un volo per New York quando hanno fatto bloccare dall'Immigrazione il sedicente Matlock per un minuto. L'amico non ha smesso un attimo di protestare, doveva prendere una coincidenza, le solite menate. Per farla breve, ignorano la patente che hanno in mano ma non le impronte.» «Il CSIS le aveva in archivio?» «I dati criminali li ottengono da noi o dalle polizie locali come la tua. Però hanno i loro fascicoli. Non si tratta di fedine penali perché di solito sono sospettati, non si tratta di reati veri. In fondo stiamo parlando di sicurezza, di paranoia, di marcio, no?»
«E hanno trovato le sue impronte.» «Eccome se le hanno trovate. Nome: Miles Shackley. Professione attuale: sconosciuta. Professione precedente... tienti stretto: agente della CIA nel Québec.» «Dove nel Québec? Quando? Quanto tempo fa?» «Tourelle parla di trent'anni fa. Be', per la precisione nel 1970. Montreal.» «Trentatré anni fa. Quindi la sua precedente occupazione non ha nulla a che vedere con il suo assassinio ad Algonquin Bay?» «Forse no.» «Quando ha lasciato la CIA?» «Nel 1971, secondo il fascicolo.» Cardinal provò un'improvvisa sensazione di disfatta. «Sembra proprio un vicolo cieco.» «Sono d'accordo con te. Trent'anni sono tanti. Ti conviene che la fortuna giri, d'ora in poi.» «Ma perché Squier ha mentito sul nome? Perché i servizi segreti volevano tenere segreta l'identità di Shackley?» «Perché Calvin Squier è un fessacchiotto pretenzioso con il computer portatile. Perché lavora per la più inutile agenzia del pianeta. Non saprei. Tourelle ha potuto dirmi solo quello che ha ricavato dall'intestazione, non è stato autorizzato ad accedere al vero dossier che ti dice l'affiliazione, la localizzazione, l'ultima data di attività conosciuta e quello che Tourelle chiama il livello di temperatura. Miles Shackley era codice rosso. Ecco perché controllavano ogni sua mossa. Tourelle non sa perché fosse codice rosso né ha l'autorizzazione dall'alto per scoprirlo. Però si sta dando da fare. Credimi, non gli dispiacerebbe fregare uno di questi dementi con il palmare.» «Quindi credi che sia stato il CSIS ad ammazzare il nostro amico?» «Il CSIS lavora nel ramo incompetenza, non in quello omicidi. Anche se volesse far fuori qualcuno non userebbe un agente come Squier, un loro dipendente. Quelli vogliono almeno tre gradi di separazione. No, io credo che abbiano seguito Shackley fin qua, ed essendo quel che sono se lo sono visto ammazzare e gettare agli orsi sotto il naso da qualcun altro.» «Allora perché non sfruttare quelli come noi che indagano sull'omicidio? Perché depistarci?» «Ottima domanda, e propongo di porla a Portatile alla prima occasione.» «Shackley aveva una fedina penale?»
«Cardinal, cosa credi che faccia per vivere? Ho sentito i miei contatti statunitensi. Ti faccio sapere appena ho qualche risposta.» «Grazie.» «Intanto che tu allarghi i tuoi orizzonti culturali nella capitale del degrado globale, io sono riuscito a procurarmi un'informazione utile.» «Il vero indirizzo di Shackley?» «Tombola. New York, al 514 della 6a Est.» Cardinal prese appunti. «Fantastico. Ho già parlato con la polizia locale e non sembra che gli interessi quel che combino.» «Stai attento con quelli. Sono gelosi del loro orticello.» «Naturalmente sono stato un amore.» «Cardinal, ho già lavorato con te. Non sei affatto un amore.» Hector Robles, il custode del 514 sulla 6a Est, era un ispanico quarantenne assai amichevole che sembrava sapere poco o nulla del signor Shackley. Continuò a parlare mentre salivano lungo una tromba delle scale vertiginosa, fermandosi ogni tanto per sottolineare un dettaglio con un dito teso o con un colpo di taglio della mano. «Sa, non si lamenta mai, non come certa gente. Cioè, si lamenta di continuo, del quartiere, dei teppisti, del rumore, dell'edilizia. Si lamenta della città, però mai del palazzo. Non mi dava problemi, così non gli prestavo molta attenzione. Amico, c'è gente che ha un problema ogni cinque minuti, il rubinetto, il water, l'intonaco, come se fossi il loro domestico personale.» «Andava d'accordo con i vicini? Si sono mai lamentati di lui?» «Non esattamente. Però ha litigato un paio di volte, non con i vicini, con i ragazzi delle consegne. Sa, ogni volta che fanno una consegna infilano i menu sotto tutte le porte del palazzo. Non piace a nessuno, ma Shackley ci diventa letteralmente pazzo. Ha affisso un cartello sulla porta che dice "niente menu", però quasi tutti i fattorini non parlano inglese. E i ristoranti per cui lavorano li spingono a farlo. Fatto sta che un paio di volte è uscito di corsa incazzato, rosso in faccia, a gridare come un pazzo a quei cinesini. Li ha presi a spintoni, sa. Io gli ho detto che non si fa così. Non tollero violenze nel mio palazzo.» «E lui cos'ha risposto?» «Di farmi gli affari miei. Ero imbufalito. Però il giorno dopo è venuto a scusarsi, dicendo che non ne può più dei menu per terra e della cartaccia per strada. Lo sanno tutti che è un problema, ma lui esagera. La seconda volta non l'ho visto con i miei occhi, ma un altro inquilino mi ha racconta-
to che ha inseguito il ragazzo all'esterno e ha iniziato a tirargli pugni e a strozzarlo. Se l'avessi visto avrei chiamato la polizia. A proposito, cos'è successo al signor Shackley?» «È stato divorato dagli orsi.» «Sta scherzando? Qui a New York?» «In Canada. Non tema, qui siete al sicuro.» «Orsi. Madonna, e io che pensavo fossero pericolosi gli scarafaggi.» «Abitava qua da molto?» «Abitava già qui quando ho iniziato a lavorare, e ci sono da dodici anni.» Intanto erano arrivati al secondo piano. Cardinal seguì Robles fino in fondo al corridoio. Il custode estrasse le chiavi di tasca senza smettere di camminare, controllandole con occhio miope. Sulla porta del 3B campeggiava un cartello di mezzo metro quadro scritto a mano che intimava "niente menu". Quando finalmente Robles trovò la chiave giusta poté aprire la porta. «Se ha bisogno sa dove trovarmi.» Cardinal spalancò la porta e si fermò sulla soglia. L'aria puzzava di moquette sporca. Tutti i posti abbandonati da una persona appena deceduta hanno un'atmosfera triste, disperata. Cardinal era stato in tanti posti del genere, e nessuno l'aveva mai messo di buon umore, ma il monolocale di Shackley era uno dei luoghi più deprimenti che avesse mai visto. Esaminò la modesta scrivania di pino ridipinto su cui erano posati un telefono, una tazza crepata piena di penne e matite e un calendario dove era cerchiato il giovedì precedente, il giorno in cui Shackley era partito per Toronto. Lo scrittoio, anzi, l'intera stanza, era in ordine ma sporco. Sotto le scarpe si sentiva scricchiolare il terriccio. C'era però un tratto di scrivania pulito vicino alla lampada, grande quanto un portatile. O Shackley se l'era portato dietro e poi era sparito oppure Squier era già passato di lì. Aprì il cassetto di mezzo dello scrittoio: altre penne e matite e cartoleria. In un cassetto laterale trovò solo buste, un rotolo di francobolli e un bloc notes quasi finito. Lo sollevò alla luce ma non notò tracce di scrittura sulla prima pagina. Il cestino sotto la scrivania era vuoto. Sollevò la lampada, il telefono, la tazza delle penne. Nulla. Anche una ricerca sotto la scrivania e i cassetti non fruttò nulla. Una veloce perquisizione in bagno e nella credenza del cucinino fu altrettanto deludente. Sembrava che Shackley si nutrisse solo di cereali. La credenza ne conteneva quattro scatole diverse con gli angoli smangiucchiati dai topi.
Di rado Cardinal aveva incontrato una vita così grigia. Certo, poteva essere voluto, la copertura di cui si legge sempre nei romanzi di spionaggio, però non credeva fosse quello il caso: la disperazione era troppo palpabile. Rimase immobile ad ascoltare. Passi di un inquilino al piano di sopra, forse tacchi a spillo. In corridoio Van Morrison a tutto volume. Più in là abbaiava un cane. Andò allo schedario. Due cassetti semivuoti. Qualche fascicolo: tasse (dichiarazioni non curate da Howard Matlock, come notò), moduli della previdenza sociale, banca. L'unica fonte di reddito di Shackley sembrava la pensione sociale, qualche centinaio di dollari al mese. Bollette: tv via cavo, elettricità, telefono. Estrasse le ultime tre bollette telefoniche. Riportavano chiamate a tre diversi numeri con il prefisso di Montreal, il vecchio territorio di caccia di Shackley. Le infilò nella valigetta. Passò l'ora seguente a frugare in ogni libro, foglio e lettera che trovò. Nulla. Aprì il televisore, la radio e controllò persino il frigo. Poi si fermò in mezzo alla stanza per cercare di individuare l'elemento fuori posto. Ci volle un po' ma alla fine il suo sguardo si posò sulla griglia dell'aerazione. Era un rettangolino poco sopra la stufa che a differenza di tutto il resto sembrava immacolato. In un palazzo vetusto come quello si sarebbe aspettato invece un pozzetto di ventilazione in condizioni penose. Trovato un cacciavite, staccò la griglia dalla parete. E quando venne via si portò dietro una busta di plastica trasparente attaccata a un corto tratto di lenza. Conteneva una busta più piccola da cui Cardinal estrasse un rotolo di negativi. Accese la lampada sulla scrivania per guardare i fotogrammi alla luce. Non si capiva granché a parte che si trattava di un gruppo di persone, tre uomini e una donna. Infilò i negativi nella valigetta assieme alle bollette telefoniche. Poi uscì e si fermò in piena Sesta strada. Aveva finito molto prima del previsto. Pensò se fosse il caso di chiamare Kelly, aveva perfino il telefonino in mano, pronto a fare il numero. Aveva fatto soffrire sua figlia con la sua crisi di coscienza dell'anno prima. Era convinto di aver preso la decisione giusta scegliendo di non tenere il resto dei soldi di Bouchard, però era stata Kelly a pagarne lo scotto. L'idea di starle seduto di fronte in un silenzio opprimente gli spezzava il cuore. Invece chiamò Catherine. Era stato come un segugio in caccia fin dal mattino, ma il suono della voce della moglie risvegliò in lui un sentimento più tenero. E la tenerezza evocò la paura. «Catherine, non vorrei allarmarti però sarebbe meglio se tenessi gli oc-
chi aperti attorno a casa. E nella nostra strada. È successo qualcosa di insolito?» «Tipo? Cosa intendi?» «Non so, strane telefonate. Gente che riattaccava senza dire nulla.» «No, niente del genere. Perché?» «Nulla. È il passato che riaffiora. Dovremo stare attenti per un po'.» «John, abbiamo ben altro di cui preoccuparci. Vengo a prenderti in aeroporto.» «Perché? Che succede?» «Sono appena tornata dall'ospedale. Tuo padre è in rianimazione.» 14 Quando Cardinal decollò da New York, Lise Delorme aveva appena finito di progettare e scrivere i volantini di segnalazione per una persona scomparsa con la foto della dottoressa Cates e la scritta "Avete visto questa donna?" In basso era riportato il numero di telefono di Delorme. Szelagy stava passando la mattinata a interrogare i vicini della dottoressa al Twickenham. Delorme lasciò i volantini sulla scrivania del collega, poi andò alla sezione identificazioni. Fra tutte le stanze della centrale era quella che stava patendo di più nella fase di transizione. Il soffitto era sparito, e gli agenti avevano improvvisato alcune tende di plastica sopra scrivanie e schedari per proteggere i loro macchinari. Purtroppo la plastica impediva ogni genere di circolazione d'aria e non teneva fuori il baccano dei lavori. «Come fate a lavorare qua dentro? Non c'è aria» disse Delorme ad Arsenault, cercando di sovrastare il rumore di un trapano. «Aria? Ho i timpani sfondati e tu ti preoccupi dell'aria?» si lamentò Arsenault. Collingwood guardò un attimo Delorme, poi tornò al suo computer, imperturbabile come un bonzo. Delorme e Arsenault uscirono in corridoio. «Trovato qualcosa nello studio della dottoressa Cates?» «È uno studio medico, tenuto pulito. Spero non ti aspettassi un miliardo di impronte o roba simile.» «Ne basterebbe una.» «Be', ne abbiamo anche di più, però sono quasi tutte della dottoressa e della segretaria. Stiamo controllando le altre ma per adesso non c'è nulla.»
«E l'incarto della medicazione?» «Impronte della dottoressa. Nient'altro.» «Paul, mi spezzi il cuore. La carta sul lettino? La segretaria giura che lunedì sera è stata cambiata, ma l'ha trovata usata il martedì mattina.» «Purtroppo non c'erano capelli e fibre. Però abbiamo trovato tracce di sangue. AB negativo.» «È raro, vero?» «Piuttosto raro. L'abbiamo mandato al Centro di medicina legale per il DNA, però sai com'è la procedura, ci vorrà un po'.» Delorme guidò sotto la pioggerella ghiacciata fino al domicilio del dottor Raymond Choquette. Ray Choquette aveva praticato ad Algonquin Bay per trentacinque anni e abitava in una villetta di tre piani in pietra a vista sulla Baxter, una piccola laterale in salita a meno di quattro incroci dal Saint Francis Hospital. Delorme poteva citare a memoria almeno tre medici che vivevano sulla Baxter. I suoi genitori la portavano da un certo dottor Renaud che abitava in quella strada. Era un vecchio brontolone, uno specialista della gola che portava sempre la lampada riflettente sulla fronte e minacciava di continuo di asportarle le tonsille ma era morto prima di riuscirci. Presso l'ingresso di servizio di casa Choquette vide una Toyota RAV4 che con l'abbassarsi della temperatura s'era coperta di una leggera patina di ghiaccio. Delorme parcheggiò in coda, notando la targa prima di scendere dall'auto. Quando Choquette aprì il portone sotto il portico lei gli mostrò il distintivo e si presentò in francese. «È fortunata ad avermi trovato» rispose Choquette in inglese. «Domani a quest'ora io e mia moglie saremo a Portorico.» Era un uomo alto di meno di sessant'anni, con una carnagione rubizza che lo faceva sembrare simpatico (Delorme sospettava non lo fosse affatto) e un naso lungo e dritto che lo faceva sembrare snob, e Delorme era certa che lo fosse. Lei continuò in inglese. «Dottor Choquette, conosce una certa Winter Cates?» «Certo. Sta rilevando la mia attività. Ha rilevato, per la precisione. Ci sono problemi? Non mi dica che hanno rubato di nuovo e...» «Temo che sia scomparsa.» «Scomparsa? Che significa? Non si è presentata in ambulatorio?» «Non l'hanno vista e non l'hanno sentita dalla tarda serata di lunedì
quando era a casa a guardare la tv. Ieri mattina ha saltato un intervento in cui doveva assistere e non si è nemmeno presentata in ambulatorio nell'orario di apertura.» «Forse ha avuto un incidente. Tutta questa pioggia che diventa ghiaccio.» «È scomparsa la dottoressa Cates ma non la sua auto.» «Oh cielo. Sembra preoccupante. Ne è sicura? L'ho vista solo pochi giorni fa.» «Le dispiace se entro per farle qualche domanda?» Il volto paonazzo del dottor Choquette si afflosciò un tantino, ma riuscì ugualmente a sembrare entusiasta. «Ma certo. Venga, venga. Se posso fare qualcosa...» La guidò in una saletta della televisione, una stanzetta piccola, accogliente, piena di scaffali sovraccarichi di libri in inglese. Delorme ebbe l'improvvisa sensazione che Choquette fosse uno di quei francocanadesi dell'Ontario, rari di questi tempi, che si aggrappano alla cultura anglofona dimenticando le loro origini. Molti scaffali ospitavano video e trofei di golf. Sembrava che Choquette fosse un frequentatore regolare dei tornei locali. C'erano coppe grandi e piccole, omini dorati che brandivano mazze, placche, targhe, tazze e ammennicoli dei vari campi in cui aveva giocato. Una fotografia appesa alla parete mostrava Choquette in pantaloni scozzesi e cardigan giallo accanto a un famoso golfista. Delorme non capiva se era Jack Nicklaus oppure l'altro. A parte Tiger Woods tutti i golfisti per lei si somigliavano, tanti tizi in pantaloni ridicoli. «Spero che non le sia successo niente. Mi auguro che non sia nulla di grave» continuava a ripetere Choquette. «Ha detto di averla vista di recente. Quando, esattamente?» «Al Wal-Mart. Sì, al Wal-Mart, ed era giovedì.» «Le è parsa particolarmente tesa?» «Per nulla. Winter è una ragazza allegra. Coraggiosa, direi. Sa, una che non si fa abbattere.» «Sa di qualche nemico? Una persona di cui aveva paura? Che le dava grattacapi?» «Winter? Non riesco a immaginare che potesse avere un nemico al mondo. È qui da appena sei mesi e ha più amici in ospedale di quanti me ne sono fatti io in sei anni. E le rivelerò un segreto: adora assistere.» «Assistere?» «In sala operatoria. Ha fatto subito capire che le piaceva lavorare come
assistente nelle operazioni, ed è una cosa rara.» «Perché?» «Perché?» Choquette guardò Delorme come se fosse una ritardata. «Perché non si guadagna, ecco perché. Il governo dell'Ontario nella sua infinita saggezza ha strutturato gli emolumenti in modo tale che un medico generico guadagna molto di più visitando i pazienti in ambulatorio che non partecipando a un'operazione. Se passi due ore in sala operatoria guadagni quanto visitando due o tre pazienti. Ovviamente in due ore puoi visitarne molti di più. Di questi tempi il giuramento d'Ippocrate equivale a un voto di povertà. Sa quanto mi pagano se le sistemo un braccio rotto? Meno della metà di quanto chiede un veterinario per steccare il suo cane. Per favore. Non mi faccia parlare di questo argomento. Sappia soltanto che Winter Cates è molto amata nell'ambiente medico. Si dà poche arie e ha un grande senso dell'umorismo. Mi creda, il senso dell'umorismo è molto apprezzato in sala operatoria.» «Anche nella polizia» disse Delorme. Altre domande le fecero scoprire che la dottoressa Winter Cates aveva fatto un tirocinio in Pediatria e svolto un internato al Toronto General. «È una donna piuttosto attraente. Sa nulla della sua vita amorosa?» chiese Delorme. «Non ne so niente. Ho avuto l'impressione che avesse qualcuno a Sudbury, però oltre questo non posso esserle di aiuto. La dottoressa Cates ama il suo lavoro e con lei parlo solo di medicina.» «E le ha venduto il suo ambulatorio, se non sbaglio.» «Venduto? No, non si può vendere la pratica, almeno non in questa provincia. No, no. L'ho conosciuta al General di Toronto quando faceva l'internato e come tutti sono rimasto affascinato. Mi ha confidato che le sarebbe piaciuto trasferirsi ad Algonquin Bay, e ci ho pensato su un po'. Stavo programmando di andare in pensione da almeno un decennio. Alla fine le ho offerto di prenderla come socia per sei mesi prima di andarmene. Ed è andata così.» «Dottor Choquette, quando ha acquistato i biglietti per Portorico?» «Mesi fa. Non vedo cosa c'entrino i miei biglietti.» «Posso vederli, per favore?» Il dottore si alzò ancora più paonazzo in volto. Delorme capì che si sforzava di non esplodere mentre usciva dalla stanza. Tornò qualche secondo dopo con i biglietti e li consegnò senza dire una parola. Due andata e ritorno per Portorico, acquistati in novembre, permanenza di una settimana.
«Grazie.» Delorme li restituì. «Dove andrete a stare?» «In un complesso delizioso chiamato Palmas del Mar, sulla costa sud. Lo conosce?» «No.» Non essendo interessata alle vacanze caraibiche Delorme non sapeva nemmeno dove fosse Portorico, a parte che stava al largo della Florida. «Un posto magnifico. Perfetto, spiaggia piccola ma compensata da uno dei più bei percorsi da golf che abbia mai visto.» «E può dirmi dove si trovava lunedì sera? Verso mezzanotte?» «Giocavo a bridge con qualche amico. Abbiamo una partita fissa al lunedì sera... Non sospetterà mica che abbia qualcosa a che vedere con il fatto? Se scompare una giovane dottoressa io che c'entro, per l'amor di Dio?» Delorme non si affrettò a rispondere mentre osservava la vena che pulsava su una tempia di Choquette. «Ha un accordo economico con la dottoressa Cates. D'accordo, non le ha venduto l'attività, però c'è uno studio pieno di materiali. Mi pare di capire che avete avuto qualche dissapore su quanto andava incluso nel trasferimento della pratica. E lei si è arrabbiato.» «Oh bella.» Il dottor Choquette incrociò le braccia, squadrando Delorme. «Mi piacerebbe sapere chi gliel'ha detto.» «La dottoressa Cates si rifiuta di pagare quello che vale il materiale a suo parere?» «Temo non sia nulla di tanto melodrammatico. Avrei dovuto fare ricorso a un avvocato come faccio di solito in tutte le trattative d'affari, ma per qualche strano motivo non è successo in questo caso. Forse perché Winter è tanto... mah, tanto simpatica, diciamo. Stiamo ancora discutendo sul deprezzamento. Sa quanto viene un lettino nuovo? Io pensavo avessimo deciso una cifra a metà fra quel che otterrei se mettessi in vendita l'attrezzatura e quello che Winter pagherebbe se la comprasse nuova. Evidentemente mi sbagliavo. Insomma, lo chieda a lei se pensa che stia mentendo.» «Purtroppo la dottoressa Cates non è disponibile. Di che cifra si trattava?» «Non certo una fortuna. Un paio di migliaia di dollari. È più una questione di principio. Senta, dovrà restituire da ottanta a centomila dollari di mutuo universitario, e ogni centesimo pesa. Senza dubbio avrà pensato che c'eravamo accordati sulla cifra più bassa, però era solo un pio desiderio. E poi non è questa gran cifra. Adesso, se non ha altre domande da farmi...» «Nessun'altra domanda. Però mi servono i nomi dei suoi compagni di
bridge.» Prossima fermata: Glenn Freemont, paziente maleducato. Freemont venne ad aprire in accappatoio, un capo che sembrava essere appartenuto a parecchi proprietari, almeno uno dei quali ci era morto dentro. Era sulla trentina, con i capelli più unti che Delorme avesse mai visto. «Signor Freemont, sto indagando sulla scomparsa della dottoressa Winter Cates» disse dopo essersi presentata. «Posso entrare a farle qualche domanda?» L'ingresso del seminterrato di Freemont era sprovvisto di tettoia, e lei non aveva l'ombrello. Alcune gocce gelate di pioggia le stavano scivolando lungo il collo. «Perché?» Freemont era appoggiato allo stipite, come per bloccare ogni mossa. «Lei è paziente della dottoressa. Dovrei farle qualche domanda.» «Ha un milione di pazienti. Perché viene proprio da me?» «Signor Freemont, preferisce un esame approfondito delle sue indennità per infortunio? Potrei fare una telefonata su due piedi.» «Faccia pure. Tanto quegli stronzi mi hanno silurato. Ho un gran male alla schiena. Non ce l'avevo prima e invece ce l'ho adesso perché porto bidoni di vernice tutto il giorno su e giù per due rampe di scale. Ci provi qualche volta. Vediamo se le piace.» «Ha avuto una crisi di rabbia nello studio della dottoressa Cates. È successo perché non voleva certificare le sue affermazioni?» «Non è stata una crisi di rabbia. Abbiamo solo avuto una discussione.» «Secondo i testimoni lei ha sferrato un pugno sulla scrivania e ha rovesciato una pianta.» «Mi ha dato del bugiardo. Io non accetto queste stronzate. Da nessuno.» «Può dirmi dov'era lunedì sera? Verso mezzanotte.» «Lunedì sera? Sì, posso dirle dov'ero lunedì sera. Ero a Toronto.» «Come mai?» Freemont infilò l'indice nella guancia destra e la scostò dai denti. Un barlume di rosa attraversato da neri punti di sutura. «Intervento alle gengive. Martedì mattina presto. Sono arrivato il giorno prima per pernottare in albergo. Aspetti.» Freemont chiuse la porta. Delorme sollevò il cappuccio del parka. La pioggia si spiaccicò sul nylon. Sulle pozze ai suoi piedi si stava formando una pellicola di ghiaccio. Due minuti dopo Freemont tornò con una serie di fogli che le consegnò
uno per uno. «Ricevuta del Colony Hotel. Ricevuta della stazione di servizio sulla Spadina. Ricevuta del periodontista. Indossa un camice nero e si fa pagare una fortuna.» «Tiene sempre le ricevute con tanta cura?» chiese Delorme, appuntando nome e telefono del periodontista. «Solo quando prevedo di farmi rimborsare dal servizio sanitario.» «Sarà dura. La provincia non copre le cure odontoiatriche.» Freemont le strappò di mano le ricevute. «Questo dimostra quanto poco ne sa.» «Grazie, signor Freemont. Apprezzo molto la sua collaborazione.» «Oh, no. Grazie a lei, agente. Buona giornata.» Prima che Delorme arrivasse alla macchina sentì Freemont gridare da dietro la porta chiusa: «Troia!». Sia l'albergo che il periodontista confermarono la versione di Freemont. Delorme fece le telefonate di rito appena tornata in centrale, poi prese appunti sui colloqui svolti e consegnò a Szelagy i nomi dei compagni di bridge di Choquette per un controllo. Pranzò alla sua scrivania mentre contemplava la pila di volantini da cui la fissava il bel viso della dottoressa Cates. I muratori stavano martellando e trapanando al piano di sopra, rendendo difficile anche solo pensare. Guardò il parcheggio fuori dalla finestra. Aveva smesso di piovere, ed era diventata una giornata di sole. Persino gli oggetti più prosaici, gli alberi, i pali del telefono e le cassette delle lettere con la loro patina di ghiaccio, scintillavano come frammenti di una visione mistica. Mentre Delorme osservava il paesaggio, l'azzurro profondo del cielo parve lampeggiare sopra i tetti. Il telefono squillò. «Delorme, Indagini criminali.» Era un certo Ted Pascoe, un venditore di macchine fotografiche presso la Milton's Photo, fratello minore di un certo Frank Pascoe che Delorme aveva pizzicato per una truffa con carta di credito. Ted Pascoe era talmente affannato che si capiva a stento quanto diceva, qualcosa a proposito di un cadavere nella foresta. «Piano, signor Pascoe, piano. Dove si trova?» «Uhm, nella cabina fuori dalla North Wind Tavern. Ha presente il bar oltre l'Algonquin Mall?» Delorme lo conosceva alla perfezione. Un tempo stava con un ragazzo
che adorava la sua birra inglese. Andavano alla North Wind praticamente tutti i venerdì sera per mangiare pesce e patatine. Purtroppo era il momento più eccitante di quella storia d'amore. «Stavo scattando foto sulla collina verso Four Mile Bay. Ho preso il fuoristrada per andare a cercare una bella inquadratura, sa com'è. E ho trovato un corpo. Una donna. Sembrava morta assiderata.» «C'era qualcuno con lei?» «No, preferisco essere solo quando fotografo. Non sopporto che ci sia qualcuno che batte il piede mentre aspetta. Fai tutto più in fretta, non aggiusti l'inquadratura, non provi tutte le angolazioni. Non è molto...» «Com'è la strada? Un furgone ci può arrivare?» «No, no. È terreno da fuoristrada.» «D'accordo, signor Pascoe, resti lì dov'è. Non dica a nessuno cos'ha scoperto. Arriviamo tra pochi minuti.» Delorme andò a bussare da Daniel Chouinard ed entrò senza aspettare il permesso. Il sergente la ascoltò attentamente mentre lei riassumeva la telefonata. «Potrebbe essere la sua dottoressa scomparsa» disse alla fine. «Ci sono buone probabilità.» «Le servirà aiuto. Peccato che McLeod sia in ferie. Prenda Szelagy. E anche quelli dell'Identificazione.» Chouinard chiamò un interno. «Arsenault, smetti di leggere le pagine sportive. Tu e Collingwood avete un lavoro vero che vi attende. E usate la Land Rover. Sembra che il furgone della Scientifica non serva.» Dopo aver appeso disse: «Cosa aspetti? In marcia». «Non ho ancora avvertito il coroner.» «Ci penso io. Tu muoviti.» Poi Chouinard aggiunse pensieroso: «Un altro cadavere nei boschi. Vorrei tanto venire con te». «Peccato. Adesso è un pezzo grosso.» «Lo so.» Il sergente sospirò mentre gettava un mozzicone di matita nel cestino. «Che peccato.» Ken Szelagy aveva la tendenza a chiacchierare. Quando salirono in macchina fu quasi come se avessero premuto l'interruttore a una bambola parlante: sua moglie, i bambini, l'hockey. Delorme riuscì a deviarlo brevemente sull'argomento dei vicini della dottoressa Cates. «Attualmente molti sono via, alle Bahamas o altrove, quindi non c'era molta gente da sentire. È il classico condominio dove nessuno si conosce. Potresti morirci dentro che nemmeno se ne accorgerebbero. Insomma, nes-
suno ha visto o sentito nulla di insolito lunedì sera o martedì mattina. O stavano guardando la televisione oppure erano a letto, e non hanno sentito un accidente.» «Che strano» disse Delorme. «Se l'hanno rapita qualcuno dovrebbe aver sentito i rumori.» «Potrebbe essere uscita spontaneamente. Non lo sappiamo ancora. Potrebbe essere andata con qualcuno che conosceva, poi è successo un incidente e questo spiega perché nessuno l'ha più vista.» Szelagy cambiò di nuovo argomento iniziando a parlare della sua famiglia. Delorme cominciò a rimpiangere Cardinal, un individuo silenzioso quanto lei. Poi Szelagy passò ai cognati, al mutuo, ai massimali dell'assicurazione dell'auto. Era una forza della natura. «Szelagy!» «Sì?» «Stai buono, per l'amor di Dio.» «Facevo solo per tenere compagnia. Non sono mica come te.» Il fatto era che quanto a simpatia nessuno nel corpo poteva competere con Szelagy, il classico bravo ragazzo alla mano, e Delorme si sentiva in colpa a prendersela con lui. Pertanto percorse i cinque isolati successivi in un silenzio colpevole. «Scusa» disse al semaforo seguente. «Solo che stavo pensando alla dottoressa Cates.» «Non me la sono presa» la rassicurò lui, iniziando subito dopo a elencare i vantaggi del gatto delle nevi che aveva appena comprato per i figli. Davvero, quei nuovi Bombardier erano come schegge, veramente diabolici. Proseguirono lungo la Sumner e poi oltre lo svincolo fino alla statale 63. Il ghiaccio brillava sopra ogni tetto, ogni filo, ogni ramo. Il cielo era di un celeste purissimo. Il sole si rifrangeva sugli alberi e sulle case in accecanti raggi bianchi, se si guardava da vicino, mentre in lontananza ricordava più che altro il bagliore argenteo dei lustrini. Con la statale sgombra dal ghiaccio arrivarono alla North Wind Tavern in meno di venti minuti. Ted Pascoe era appoggiato alla sua Jeep Wrangler a fumare una sigaretta. «Non fumo più» disse al loro arrivo. «Ho smesso due anni fa, però questa cosa mi ha sconvolto. Non ho mai visto un morto... be', mio padre, ma era diverso. Sto tremando.» Allungò una mano tremolante per dimostrarlo. Delorme gli presentò Szelagy, poi chiese a Pascoe a che ora aveva trova-
to il corpo. «Circa tre quarti d'ora fa. Sono venuto subito qui a telefonare.» Indicò la cabina. «Ed era solo?» «Soltanto io e la macchina fotografica. Non capita spesso di avere un ghiaccio del genere. Volevo uscire prima che si sciogliesse. L'ho trovata su un viottolo di taglialegna a meno di un chilometro a est di qui.» Quando Arsenault e Collingwood arrivarono su una Land Rover, Delorme fece loro segno di pazientare un minuto. «Signor Pascoe, perché non ci accompagna sul posto mentre i tecnici ci seguono?» Vedendo una Lexus uscire dalla statale Delorme imprecò tra sé e sé. Il ruolo di coroner era coperto da parecchi medici a turno, era una vera jella beccare due volte di fila Barnhouse. «Dottore, salga con Arsenault e Collingwood. Non credo che la sua bella macchina possa arrivare dove stiamo andando.» «Fantastico, una meraviglia» disse il medico senza la minima punta di ironia. Tuttavia scese di macchina con la valigetta nera in mano. Nella regione di Algonquin Bay non si tagliava più un albero da mezzo secolo, ma ciò nonostante i vecchi sentieri non erano scomparsi. Dopo essere stati dimenticati per decenni, la mania dei fuoristrada li aveva resi di nuovo transitabili. La recente ondata di caldo aveva ridotto la neve nel bosco a pochi centimetri e il ghiaccio in superficie era solo una crosta sottile, garantendo così una tenuta di strada migliore che nelle vie urbane. Da quelle parti gli alberi erano soltanto pini dai rami inclinati, anche se il fusto, selezionato per millenni per quell'ambiente, restava perfettamente eretto. Dai carapaci ghiacciati partivano lampi di luce vividi come laser. «Qui è dove sono sceso. Non volevo rischiare di aggirare quello» spiegò Pascoe, indicando un albero caduto che bloccava la strada. Smontarono dall'auto mentre aspettavano Arsenault e Collingwood. Delorme domandò: «È tornato con l'auto per la stessa strada?». «Sì.» L'uomo indicò le impronte sulla neve. «Ecco le mie tracce. Non ne ho notate altre, però non facevo molta attenzione.» Delorme e Szelagy fecero strada, con Pascoe in scia, seguito da Arsenault, Collingwood e il dottor Barnhouse. Stavano camminando da meno di cinque minuti quando Pascoe disse da dietro: «Là davanti. Poco oltre quel ceppo. Ci sono quasi inciampato sopra». Avendo lavorato alle Indagini speciali per sei anni Delorme non era stata costretta a trovarsi di fronte a cadaveri. In precedenza, come semplice a-
gente, aveva ovviamente visto le solite vittime di incidenti stradali o annegamenti. Le varie scene, come molti luoghi di morte, avevano un'aria di disperazione, anche se la vittima era morta in un salotto allegramente arredato. Certe volte le situazioni erano volgari: uomini che si erano impiccati nudi, con immagini pornografiche sparpagliate attorno ai piedi. Certe volte erano terrorizzanti: un incendio, con i segni della ferocia del fuoco in ogni angolo. Certe volte erano inquietanti: il pozzo di una miniera abbandonata nel pieno di una notte d'inverno. Tuttavia Delorme non aveva mai visto in tutti quegli anni da poliziotta una scena tanto affascinante. Assieme a Szelagy e agli altri si fermò ai margini di un paesaggio che sembrava tratto da un racconto di fate. Tutto attorno a loro la foresta brillava come se gli alberi fossero fatti di pietre preziose. L'unico rumore era il crepitio dei rami e in lontananza il ronzio di un gatto delle nevi. Il sole si rifletteva su ogni superficie, regalando al panorama un aspetto da fiaba più che da tragedia, forse uno di quei racconti in cui le statue prendono vita. Purtroppo la figura che avevano di fronte non sarebbe mai tornata in vita. La donna morta era distesa sul fianco sinistro in posizione di riposo, un ginocchio e un braccio piegati come per bilanciarsi. Non c'erano segni evidenti di violenza, tagli o lividi. Fotografata da lontano sarebbe potuta sembrare addormentata. Però non c'è nulla di tanto immobile quanto un cadavere, ed è impossibile scambiarlo per qualcos'altro. Questo era nudo, coperto da una patina di ghiaccio. Persino i lunghi capelli neri che scendevano a ciuffi sul viso erano imprigionati nel ghiaccio. Sembrava preda di un incantesimo, vittima di un mago geloso, di una strega malvagia. «Non serve a nulla stare qua a bocca aperta» fece notare Barnhouse. «Si chiama valutazione della scena. Forse lei preferisce calpestare le prove, ma noi prima scattiamo qualche foto» ribatté Delorme. «Invece no.» Barnhouse non amava essere contraddetto, e se poi il rimprovero veniva da una donna aveva un effetto visibile sulla sua pressione arteriosa, facendo scattare la balbuzie. «Invece no. Sono il coroner e qui sono io il responsabile.» «A meno che non si sia accertato un reato.» «Che è quanto intendo fare se solo mi lasciaste lavorare.» «La vittima è nuda in mezzo a una foresta ghiacciata. Per quanto mi riguarda è già stato accertato il crimine.» Szelagy le lanciò un'occhiata che le consigliava di andarci piano, perciò Delorme cominciò a contare mentalmente fino a dieci. «Non sapevo che fosse una patologa diplomata. Forse non vi serve un
coroner» insistette Barnhouse. «Dottore, lei ci serve per darle un'occhiata, però ci lasci scattare qualche foto prima di distruggere gli eventuali indizi.» «Piazziamo la videocamera qui. In grandangolo» disse Arsenault. Collingwood era già partito armato di macchina fotografica e metro verso le impronte che portavano alla radura. A quanto pareva ce n'era solo una serie. Si girò verso Pascoe. «Scusi, potrebbe sollevare un piede?» L'altro obbedì goffamente, appoggiandosi a un albero. Collingwood scattò un paio di immagini ai suoi scarponi da trekking. Arsenault fotografò il cadavere, poi Delorme, Szelagy e il coroner si avvicinarono. Barnhouse aveva in mano un miniregistratore in cui borbottò mentre era chino sul cadavere: donna normonutrita, sulla trentina, chiazze attorno alla gola che indicano strangolamento. «Ecco i vestiti» disse Delorme. Erano gettati da una parte, congelati in una specie di natura morta. La patina di ghiaccio impediva un esame più accurato, però si notavano i bottoni strappati, il collo deformato di un maglione. «Sembra che sia stata ammazzata qua» osservò Szelagy. «Forse. Però guardate i lividi» aggiunse Barnhouse, indicando con un indice guantato la parte inferiore violacea della gamba e del braccio. «Il sangue si sposta secondo la gravità, in questo caso sul retro delle spalle e delle gambe. Non è morta in questa posizione. Potrebbe essere stata uccisa qui per essere poi spostata dopo la morte, oppure è stata uccisa altrove e portata qui.» «Ma i vestiti...» fece per obiettare Delorme. «Senza dubbio ci sarà una spiegazione, però non credo che sarà di ordine medico.» «Può darci una idea approssimativa dell'ora della morte?» «È coperta di ghiaccio, quindi doveva essere già qui mentre pioveva, prima che ghiacciasse. D'altro canto noto uno scarsissimo deterioramento. Quindi non è rimasta esposta a lungo durante l'ondata di caldo. Perciò direi che è stata scaricata nelle ultime ore di lunedì, al massimo martedì mattina. Però con gli effetti del congelamento sarà dura stabilire l'ora del decesso senza altre indicazioni. Adesso datemi una mano, vorrei girare il corpo.» Delorme infilò una mano guantata sotto il ginocchio esteso e lo sollevò. La patina di ghiaccio sulle membra si sgretolò rumorosamente e cadde a terra. I capelli scuri rimasero irrigiditi su buona parte dei lineamenti del viso.
«I lividi nell'area vaginale indicano un possibile stupro. Noto anche contusioni evidenti attorno alla gola. È possibile che si tratti di strangolamento. Dovranno aprirla per cercare emorragie petecchiali ai polmoni. Adesso ti guardiamo in faccia.» I capelli rigidi scricchiolarono quando Barnhouse li scostò. «Oddio, ma la conosco.» «Mi sa che possiamo evitare di affiggere i volantini» disse Szelagy. Delorme osservò i lineamenti congelati, la pellicola lattiginosa sugli occhi semiaperti, pensando a tutti i pazienti che la giovane dottoressa Cates avrebbe potuto aiutare, forse migliaia, se soltanto le avessero concesso di vivere. Si chiese quale persona poteva essere capace di fare una cosa del genere. E intanto la sua mente anticipò le cose da fare, la prima delle quali era informare i genitori della vittima. Si girò verso Barnhouse. «Sappiamo che la dottoressa Cates era a casa alle 23.30 di lunedì. Un'amica le ha parlato. Però sappiamo dalla segreteria telefonica che non ha risposto nelle prime ore di martedì.» «Coincide con quello che ho davanti. Di sicuro il patologo vi dirà qualcosa di più.» «Quanto crede che ci metterà il Centro di medicina legale?» «Siete fortunati. Avete mai lavorato con il dottor Lortie?» «No.» «È uno dei loro migliori patologi e guarda caso è qui in città per valutare le strutture regionali. Non credo che avrò problemi ad affidargli questo caso. Con la scusa di risparmiare il denaro dei contribuenti.» «Ci risparmierebbe un sacco di tempo» disse Delorme. «È il minimo che posso fare per lei» concluse Barnhouse, indicando con la testa la vittima. Rimasero in silenzio. L'unico rumore che arrivò dai boschi scintillanti fu il crepitio dei rami. 15 Mentre la squadra per le identificazioni era al lavoro nella foresta, Delorme si recò a Sudbury, circa centoventi chilometri a ovest di Algonquin Bay. I riflessi del ghiaccio rendevano più vivaci i pali del telefono, i fili curvi, le rocce spigolose che le sfrecciavano accanto, eppure stava pensando soprattutto allo spettacolo che aveva visto nella foresta. Un crimine passionale? Forse Craig Simmons era finalmente esploso nella furia dell'innamorato respinto. Di sicuro nella vita della dottoressa
Cates non c'erano altre persone sospettabili per questo genere di delitto. Un tale sostiene che era a casa a guardare la partita di hockey ma non può dimostrarlo. Bene, in assenza di prove contrarie che cosa fai? L'alibi di Choquette doveva ancora essere controllato, ma il bravo dottore era piuttosto in basso nella lista dei sospetti di Delorme. E due cadaveri trovati nei boschi a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro? Se escludeva Craig Simmons, era costretta a sospettare che la Cates fosse in qualche modo collegata con l'americano morto. Nel qual caso, perché uno veniva gettato in pasto agli orsi e l'altra no? Per il momento doveva pensare ai genitori della vittima. Li aveva già avvertiti per telefono, ma era essenziale incontrarli di persona. Parlare con i parenti in lutto era l'aspetto peggiore del lavoro alla Indagini criminali, l'unico che le faceva rimpiangere la relativa asetticità delle Indagini speciali. La pulizia emotiva. Almeno alla Speciali, dove aveva gestito qualche caso importante, non doveva comunicare a nessuno che la figlia era morta. Non doveva stare impalata in una stanza colma di dolore. Mezz'ora dopo, era esattamente quello che stava facendo. Sul ripiano del caminetto che aveva davanti era posata una foto di Winter Cates, con un sorriso che prometteva felicità e successo. La madre, una donna grassottella di oltre sessant'anni ma con qualcosa del volto vellutato della figlia nella fotografia, era ingobbita in una poltrona in un angolo, il fazzoletto appallottolato in mano. Il padre, un signore tarchiato dalla barba bianca e dai capelli canuti pettinati con la frangetta, docente di letteratura inglese alla Laurentian University, sembrava un senatore romano. «Quel Craig Simmons» disse il professor Cates. «Ho capito sin dal primo momento che non era a posto. Tutti e due l'abbiamo capito. Winter aveva solo sedici anni quando l'ha conosciuto, ed era bello, atletico e giocava a football e aveva tutte quelle doti che le sedicenni sono convinte che contino. Però qualsiasi adulto poteva capire che aveva qualcosa di strano. Era troppo carico. Troppo infatuato. Stava letteralmente aggrappato a Winter tutto il tempo. Se per esempio erano fermi lì nell'ingresso lui le stringeva il gomito come un vecchietto.» «E la fissava di continuo» intervenne con voce pacata la signora Cates. Aveva gli occhi arrossati, anche se al momento non stava piangendo. «La fissava in una maniera innaturale. Appena Winter apriva bocca lui le pendeva dalle labbra. La fissava come se ogni sua parola fosse questione di vita o di morte.» «Winter era una bambina» disse il marito. «Non capiva cosa stava suc-
cedendo. Immagino lo trovasse solo molto romantico. Però chiunque abbia un minimo di esperienza sa riconoscere un'ossessione quando ce l'ha di fronte. La cosa vergognosa è che oggigiorno sembra l'unica forma di amore che meriti attenzione. Nei libri e al cinema, intendo. Nelle canzoni. Nessuno ha più il diritto di amare tranquillamente. No, no, dev'essere sempre uno Sturm und Drang.» Secondo l'esperienza di Delorme l'amore era sempre questione di Sturm und Drang, però non era intenzionata a mettersi a discutere di passioni con il professor Cates. «Craig Simmons non ha mai amato nessuno che non fosse se stesso» proseguì Cates. «È come quel pervertito ossessionato che ha sparato a John Lennon. O come quei maniaci che non sopportano di essere respinti perché in realtà non amano nessun altro. I sentimenti dell'altro non contano. Crede che gli importasse un fico secco se Winter era felice? No. Quando ne abbiamo parlato con lei la settimana scorsa ci ha confessato che era stufa marcia di quell'uomo. Non gli rivolgeva più la parola e non accettava le sue chiamate. Vede, con i Craig Simmons di tutto il mondo è sempre Io, Io, Io. Con la I maiuscola. Non esiste altro. E quando qualcosa come un no secco li costringe ad ammettere che in realtà non sono i padroni dell'universo, per loro significa una specie di azzeramento che richiede una reazione. Ed è appunto quanto ha fatto quel bastardo.» La voce del professore si stava facendo sempre più accalorata. La moglie allungò una mano per sfiorargli un polso, ma lui non se ne accorse nemmeno. «Quell'idiota ha assassinato mia figlia e voglio giustizia, agente Delorme. Voglio vedere quel lurido assassino marcire in galera per il resto dei suoi giorni. Immagino che l'abbia violentata.» Le sopracciglia si inarcarono come se fosse una domanda retorica. Delorme aveva previsto quella domanda, eppure si fece trovare impreparata. «Temo che sia possibile.» Il professor Cates si girò dall'altra parte come se gli avessero sparato, poi crollò sul divano e si rannicchiò su se stesso. La signora Cates andò a sedersi accanto al marito, posandogli una mano sulla schiena. «La cosa buffa di Craig Simmons...» disse la donna con un filo di voce. «Tutto quello che ha detto mio marito è vero. Craig si comportava in quel modo. Eppure ho sempre avuto la sensazione che l'avesse imparato.» «Be', sì» aggiunse il professore. «L'ha imparato dai film, dai genitori, dalla sua infanzia, da Dio solo sa dove... e chi se ne frega?»
«Non è questo che intendevo. Volevo dire che l'ha imparato come un attore impara la sua parte. Come se avesse letto come ci si deve comportare e lui, accidenti, si comportava proprio così. Intuivi che Craig capiva che era poco adatto alla situazione, però lo faceva lo stesso... ed era davvero inquietante.» «Simmons ha mai minacciato vostra figlia?» La signora Cates levò gli occhi al soffitto, cercando di frenare le lacrime. «Mai. Mai una volta.» Il professor Cates si drizzò talmente in fretta che in circostanze diverse sarebbe stato uno spettacolo esilarante. «Cosa dici? Quel ragazzo si presentava a tutte le ore senza essere invitato. Arrivava qua per accompagnarla a scuola, il che sarebbe andato anche bene se fossero stati ancora insieme, invece lei aveva rotto. Mi diceva "Papà, rieccolo" e io dovevo uscire a intimargli di girare al largo. Però era tutto inutile. Lui ritornava puntuale una settimana dopo.» «Caro, non credo che fosse a questo che alludeva l'agente Delorme.» «Quante volte ha telefonato senza motivo? Cento? Mille?» «È vero, chiamava di continuo» confermò la signora. «All'inizio ci stavo male per lui. Sembrava tanto disperato.» «Non cominciare a compatire quel verme. Non osare nemmeno.» «No, caro, sto solo raccontando com'è andata. Non ha mai minacciato di fare del male a Winter. Voleva solo parlare con lei. Vederla. Come può immaginare, era eccessivo per una sedicenne.» «Certe volte lo trovavi lì fuori. Seduto in macchina.» Il professore indicò in strada. «Però sono passati anni in cui lui non le ha mai dato fastidio, sbaglio? Quando era al college?» chiese Delorme. «Esatto» rispose la signora Cates. «Non s'è mai lamentata di lui per tutto il tempo che è stata a Ottawa. Attenzione, in quel periodo lui è stato soprattutto all'ovest. Venne in licenza solo un paio di volte. Prima era al centro di addestramento della polizia a cavallo di Regina, poi è stato assegnato su al nord. Trovo inquietante che uno come Craig Simmons faccia il poliziotto. E armato, perfino.» «Winter ha accettato di rivederlo da amica? Una volta che si è laureata?» «Si sentiva dispiaciuta per lui» rispose il professore. «Dio solo sa perché. Io non ci riesco. Però deve tenere presente una cosa. Winter voleva aprire un ambulatorio a Sudbury e non l'ha fatto solo perché là c'era lui. Purtroppo Algonquin Bay non era abbastanza lontana. Forse nessun posto
poteva esserlo.» Delorme si trattenne un altro quarto d'ora senza ottenere altre informazioni. Il professor Cates la seguì sul portico. Le luci della periferia brillavano tutto attorno a loro. «Quando crede che l'arresteranno?» chiese il professore. «Non abbiamo ancora prove sufficienti.» «Però sapete che è stato lui, vero?» «Non abbiamo un sospetto sicuro, al momento. Il comportamento del signor Simmons sarà anche stato inquietante, ma non lo rende colpevole.» Il professore la squadrò dalla testa ai piedi come se dovesse valutare un'interrogazione. Delorme vide un'insufficienza in arrivo. «Mi dica una cosa. A che serve l'organizzazione per cui lavora se non può sbattere in galera un individuo del genere?» Il dolore dei Cates le rimase aggrappato addosso fino a casa. Cercò di immaginare cosa significasse la perdita di una figlia ma sapeva già di non esserne capace. Il viso della giovane dottoressa le stava sospeso davanti agli occhi. Si ripromise ancora una volta di beccare la persona che le aveva rubato il futuro. I suoi pensieri tornarono allora all'ossessivo caporale Simmons, ricordandole così un ossessivo ex fidanzato, René. Ogni tanto si faceva vivo per telefono, di solito verso le due di notte, ed era sempre ubriaco e stucchevole e pronto a uccidersi. Una volta si era presentato alla porta di casa sua quando lei era con un altro uomo. Loro due erano lì che si baciavano sul divano quando era suonato il campanello. René, barcollante in cima ai gradini, stava prendendo a pugni la controporta di rete. Il suo nuovo ragazzo era diventato estremamente nervoso e non si era mai più fatto vivo. L'ultima volta che Delorme aveva avuto notizie di René risultava residente a Vancouver, e volesse il cielo che ci restasse. Il problema era che non c'erano molti uomini ideali ad Algonquin Bay e lei non voleva farsi coinvolgere sentimentalmente con un collega. Sarebbe stato carino se uno come Cardinal (non Cardinal in carne e ossa, ovviamente) si fosse presentato alla sua porta. Cardinal era la persona meno ossessiva che avesse mai conosciuto. A proposito di costanza, caro professore. Nessuno poteva affermare che Cardinal fosse un uomo felice (era sempre cupo, forse persino depresso) però parlava di sua moglie solo con affetto. Non accennava mai alla sua malattia, mai. Eppure doveva essere una donna piena di problemi. Secondo McLeod, Cardinal aveva praticamente cresciuto la figlia da solo. In realtà era un collega difficile, commetteva er-
rori (bastava pensare a quella sfortunata storia con Bouchard), però potevi affidare la pelle a uno come lui, e non ti avrebbe mai deluso. Fu costretta a frenare per colpa di un camion che si era immesso in carreggiata presso Sturgeon Falls. Buon Dio, si chiese, perché penso a Cardinal? Lui di sicuro non pensa mai a me. Accese la radio. L'annunciatore la informò che un altro ordigno artigianale era esploso davanti a un ristorante di Montreal, gentile omaggio della Lega di autodifesa francese in segno di protesta contro l'insegna in inglese del locale. Passò su una stazione pop francese (Celine Dion si lamentava del perduto amore) e decise di bandire Cardinal dai propri pensieri. Quando tornò in centrale telefonò all'ufficio del coroner presso l'Ontario Hospital. Parlò prima con Barnhouse, il quale le passò il patologo in visita, il dottor Alain Lortie, che sembrava giovane ma molto sicuro di sé. «Non c'è alcun dubbio, quella donna è morta strangolata. Abbiamo riscontrato emorragie nei polmoni e agli occhi, per non parlare dell'osso ioide fratturato. Direi che è stata una persona robusta a ucciderla.» «E quanto allo stupro, dottore? Abbiamo trovato i vestiti a pochi passi, tutti strappati.» «I vestiti strappati potrebbero indicare violenza sessuale. I lividi vaginali, ne abbiamo alcuni, sono di solito un ulteriore indizio. Però tenderei a ignorare i vestiti perché il livore e il livello dell'attività degli insetti indicano che è stata uccisa altrove. In questo periodo dell'anno non ci sono mosche all'aperto, perciò dev'essere stata uccisa in un interno. Quindi i vestiti strappati vengono dopo. Non ho trovato sperma sopra o dentro il corpo, né lesioni vaginali o anali. A naso direi che non è stata violentata.» «Ne è sicuro?» «Non posso dimostrare quello che non c'è, agente. È solo una sensazione.» «Però l'hanno fatto passare per uno stupro?» «Sembra sia così.» «E l'ora della morte?» «Contenuto dello stomaco: due biscotti al cioccolato, poco altro.» «Sappiamo che stava mangiando biscotti alle 23.30 di lunedì sera. Era al telefono con un'amica.» «Se devo basarmi sul punto del tratto digestivo a cui sono arrivati, direi che è stata uccisa nel giro di un'ora da quella telefonata. Temo che non ci sia nient'altro di interessante. Le faxo la mia relazione definitiva.»
«La ringrazio moltissimo, dottore. So che non è venuto in città per fare autopsie.» «Sono sempre felice di dare una mano.» Delorme inserì l'ora della morte nella sua cartella mentale etichettata "fatti incontestabili", poi andò in dispensa. Presso il distributore della Coca c'era una bacheca che si fermò a consultare come sempre. Oltre ai Vendesi, notò una lista di numeri di targa presi al Northtown Mini-mall. La sala giochi del centro commerciale era diventata di recente una spina nel fianco del vicinato. I ragazzi ronzavano nei paraggi a tutte le ore, fumando droga e facendo baccano. I poliziotti di ronda avevano ricevuto istruzioni di prendere i numeri di targa di tutti i veicoli parcheggiati da quelle parti dopo le undici di sera, uno sforzo minimo e poco dispendioso per sbarazzarsi degli spacciatori che rifornivano d'erba i ragazzini. La lista delle targhe era affissa in dispensa sotto l'ironica intestazione "I ricercati di Algonquin Bay!". Questo controllo dei numeri di targa era un'attività assolutamente informale e ufficiosa, sempre ammesso che potesse essere definita attività. Era il genere di iniziativa che il capo poteva definire "sforzo in corso" per risolvere un problema marginale. "Stiamo seguendo con attenzione lo svolgersi degli eventi" poteva affermare R.J. riuscendo ancora a guardarsi allo specchio. In parole povere: nessuno prendeva sul serio l'elenco delle targhe affisso alla bacheca presso il distributore della Coca assieme alle macchine per fare ginnastica in offerta e ai villini da affittare per le vacanze. Eppure tutti ci davano un'occhiata. Delorme infilò una monetina nella macchinetta e premette il pulsante della Diet Coke, solo per vedersi servire una Coca normale che bevve dalla lattina mentre guardava la foto di un completo da hockey in vendita, un'uniforme completa da portiere per bambini a "soli" cinquecento dollari. Lesse un annuncio che offriva sei micetti tigrati e uno che cercava un portatile "regalato". "Prova da Nancy Newcombe", aveva aggiunto sotto uno spiritoso. Nancy Newcombe era la responsabile dell'archivio reperti. Mentre controllava il numero di calorie della Coca il suo sguardo scivolò sulla lista delle targhe. Eccola: PAL 474, abbastanza facile da ricordare. Sfogliò in fretta il taccuino per controllare. Tuttavia il dettaglio che le fece battere il cuore all'impazzata non fu il numero della targa in sé quanto la data e l'ora in cui il poliziotto di ronda aveva preso nota: lunedì, ore 23.00. Un cittadino che rispetti il limite di velocità può andare in auto da Al-
gonquin Bay a Mattawa in trentacinque minuti. Delorme ci riuscì in meno di venti. Il villino dei Simmons si stagliava come sempre in fondo al vialetto nel suo splendore vittoriano color malva. Alla patina tipo marzapane la pioggia ghiacciata aveva aggiunto recentemente uno strato cristallino. La Jeep di Craig Simmons c'era ancora. Nella mente di Delorme la sua targa spiccava come un'insegna al neon che proiettava la parola "colpevole" in lettere rosse sfolgoranti. Suonò il campanello, ma nessuno venne ad aprire. Trovò Simmons dietro la rimessa delle barche, impegnato ad attaccare alla porta un lucchetto dall'aria complicata. Il fiume Mattawa, in quel tratto nero e profondo, scorreva pieno di gorghi alle sue spalle. Il giovanotto lanciò a Delorme un'occhiata fugace, poi tornò al lavoro. «Caporale Simmons, avrei qualche altra domanda da farle.» «È morta. L'ho sentito al notiziario. Non ho voglia di parlare adesso.» «Lei è una Giubba rossa. Sa che è tenuto a farlo. Non lo renda più difficile di quel che è.» Simmons la guardò disgustato, poi lasciò cadere il cacciavite in una cassetta metallica e si avviò verso casa. Delorme lo seguì all'interno del villino, che odorava di caffè. Simmons se ne versò una tazza e l'offrì a Delorme. Al rifiuto dell'ospite, si portò la tazza in soggiorno, dove andò a sedersi sul bordo di un divano recamier, seppellendo la faccia tra le mani. Delorme si puntellò in attesa di un'altra sfuriata, ma quando il caporale scostò le mani dal viso le guardò come se reggessero un libro aperto. «Sapevo che era morta sin dal primo momento. Appena è scomparsa. Winter non è il tipo che scompare.» «Non sembra molto sconvolto.» «Dice?» Delorme si sedette sul bordo di una poltrona. «Meno dell'altro giorno, questo è sicuro.» «Lei è convinta che io abbia ucciso Winter. E che sono così calmo perché l'ho ammazzata io.» Delorme si strinse nelle spalle. «Lo sta dicendo lui...» «Non crede sia possibile restare calmo e provare ugualmente un dolore immenso?» Simmons bevve un sorso di caffè dall'elegante tazza floreale, incongrua in mano a un uomo tanto robusto. «Non capisce che sapere che Winter è morta è meno snervante che domandarsi dov'è finita? Domandarsi se è ferita da qualche parte? Sono distrutto, ma nello stesso tempo, sì, provo meno... tensione, non trovo un termine migliore.»
«Avrei pensato di trovarla molto più teso dato che non ha un alibi, se si eccettua la partita di hockey che ha guardato lunedì sera.» «Però so di essere innocente, no? Perciò questo fatto innervosisce più lei di me. Da quando ho incontrato Winter, e ormai sono più di dieci anni, ai tempi del liceo, voglio solo stare con lei. Invece per lei era diverso. Oh, le piacevo. C'erano cose in me che le piacevano. Però io volevo sposarla e lei non ci stava. Era una tortura continua.» Simmons cominciò a osservare il vapore che saliva dal caffè, lisciandosi i capelli biondi. Secondo Delorme sarebbe stato attraente se non fosse stato tanto fasullo, un vero attore. «Da quando la conosco è come se avessi dentro un motorino, devo averla, devo averla, devo averla.» Pronunciò quelle parole come se stesse mettendo in moto una macchina. «Giorno dopo giorno, anno dopo anno, ero concentrato esclusivamente su come farmi amare da Winter. Avrei fatto qualsiasi cosa. Quando ero al centro addestramento a Regina certe volte andavo in aereo fino a Ottawa, mi è costato una fortuna!, solo per stare con lei una giornata. Un giorno! «E le lettere. Le scrivevo lettere interminabili per dirle quanto l'amavo. Ho persino iniziato a leggere testi di medicina perché studiava quella materia. Se l'immagina?» «Senta, caporale Simmons, non è una novità che lei era cotto della dottoressa Cates. L'avevo già capito dalle sue telefonate.» «Sa com'è stato?» Simmons la guardò, ma Delorme capì che non esigeva una risposta. «È stato come correre al massimo dei giri per dieci anni. Di più. E sa una cosa? Adesso è finita. Perciò anche se sono distrutto dalla sua perdita mi sembra anche di essere stato liberato da un peso. Non devo sforzarmi più. È finita. Non posso farci niente e non devo più conquistarla, perciò in un certo senso è un sollievo.» «Bene, buon per lei. Sono sicura che la dottoressa Cates sarebbe stata contenta di morire se avesse saputo quanto le avrebbe giovato. Forse l'avrebbe anche fatto prima» ironizzò Delorme. «Agente, non può sospettare sul serio di me. Sono più onesto di quanto sarebbero tanti altri nella medesima situazione.» «Ma certo. Sono davvero impressionata. A proposito, stava guardando la partita di hockey la sera in cui è stata uccisa, vero? Almeno così ha affermato.» «Così ho affermato. Ed è la verità.» «Allora come mai la sua Jeep Wrangler, targata PAL 474, è stata vista al
Northtown Mini-mall lunedì sera? Poco prima che la dottoressa Cates fosse uccisa?» Simmons posò la tazza sul tavolo con lentezza tale da non fare il minimo rumore. Il suo viso perse ogni traccia di colore. Poi si piegò in avanti per affondare di nuovo la faccia tra le mani. «Un giudice avrebbe gravi problemi a riconoscere la sua presunta onestà, caporale Simmons. Ha detto che era qui quando hanno assassinato Winter, e invece non è vero. Lei era ad Algonquin Bay.» «Oddio» disse Simmons tra le mani. «Mio Dio.» 16 Nemmeno il ghiaccio poteva impedire ai ragazzini di bazzicare attorno al Northtown Mini-mall. Sei o sette di loro stavano oziando sotto il tendone della sala giochi a fumare, spingersi, ruttare e in genere a dare fastidio in tutte le maniere che gli adolescenti conoscono bene. Delorme si chiedeva come facevano a sopportarlo. Lei di sicuro non sarebbe stata molto contenta di trovarsi all'aperto in quel periodo dell'anno con l'ombelico al vento. Ma, a dire il vero, non l'avrebbe fatto nemmeno d'estate. Delorme e Craig Simmons erano arrivati su veicoli separati ma ora il caporale le era seduto accanto sul sedile anteriore dell'auto civetta. Non erano interessati alla sala giochi. Il centro commerciale ospitava anche un negozio di articoli elettrici, parecchi empori vuoti e il Fantasy XXX Video. Stavano sorvegliando il videonoleggio, la cui insegna al neon creava rubini sfumati sul parabrezza nei punti in cui si era sciolto il ghiaccio. Delorme mise in azione i tergicristalli, riportando a fuoco il negozio. «Non deve raccontarlo a nessuno. Mai. È chiaro che sarei bruciato nel mio reparto» disse Simmons. «Sempre che sia vero.» «Sto molto attento. Non lo faccio mai a Sudbury o a Mattawa, nei posti dove sono conosciuto.» «Attento? Se non sa nemmeno chi era quel... io non lo chiamerei stare attento.» Simmons disegnò una faccina sul finestrino del passeggero. «È un vizio, no? Non c'è bisogno di essere tanto bacchettoni. Lo fa un sacco di gente.» «Di uomini, vorrà dire.» «D'accordo, un sacco di uomini.»
Delorme controllò l'ora. «Faccio le undici e mezzo. Non c'è motivo di ritenere che l'amico si farà vivo. Sempre che esista.» «Ha detto che passa di qua tre o quattro sere alla settimana. Se volevo rivederlo potevo trovarlo qui.» «Tre o quattro sere alla settimana. Non deve tenere molto alla salute se...» «Eccolo, è lui» disse Simmons. Indicò un uomo di mezz'età in impermeabile beige che stava chiudendo una Caprice ammaccata. Il nuovo arrivato si guardò attorno nel parcheggio prima di puntare verso il videonoleggio. «Aspetti qua» disse Delorme, poi smontò e raggiunse l'uomo prima che arrivasse alla porta. «Mi scusi, signore, desidererei parlarle.» L'uomo si girò, rabbuiato. «Questo guanto è suo?» Delorme sollevò un guanto di pelle marrone, nuovo di zecca. L'altro si frugò in tasca, estraendo un guanto spaiato. «Sì, mi pare.» Fece per prenderlo, ma Delorme estrasse il distintivo. «Avrei qualche domanda da farle. Ci metteremo solo un minuto.» L'uomo fece un passo indietro. «Che succede? Perché dovrei rispondere alle sue domande?» «Perché è un testimone in un caso di omicidio.» «Omicidio? Non capisco di cosa sta parlando.» L'uomo fece per tornare alla macchina. «Ne sono certa. Però ha visto un giovanotto in questo parcheggio sabato sera. Siete saliti sulla sua auto. Una Jeep Wrangler, ricorda?» «Non ha il diritto di chiedermi niente. Non può importunarmi in questo modo. Ho un ottimo avvocato» protestò lui aprendo lo sportello. «E ha anche una moglie, come vedo dall'anello alla mano destra. Preferirà rispondere qua piuttosto che a casa, secondo me.» L'uomo incrociò le braccia, abbassando la testa e scuotendo il capo. «Non posso crederci.» Delorme si fece più vicina. «Senta, non sono minimamente interessata alla sua vita sessuale. Voglio solo che mi confermi certi particolari.» «Fantastico. Come se non avessi niente di meglio da fare.» «In questo momento è così.» Delorme fece segno a Simmons, che scese dall'auto e l'aggirò per fermarsi dalla parte del guidatore. Era a una ventina di metri. «Lo riconosce?» «Sì. Va bene? Si tratta di due adulti consenzienti. Posso andare adesso?»
«A che ora si trovava con lui sabato sera?» «Non lo so. Verso mezzanotte.» «Stiamo parlando di un omicidio. Cerchi di essere più preciso.» «L'ho notato verso le undici e trenta, quando sono entrato nel negozio, poi mi sono guardato attorno per un po'. Quando sono uscito era ancora lì. Poco dopo noi... abbiamo passato un po' di tempo insieme sulla sua Jeep.» «Da quando a quando? Deve essere preciso.» «Da mezzanotte e mezzo circa fino all'una. Dopo sono andato dritto a casa, e l'orologio sul caminetto segnava l'una e mezzo.» «Così se n'è andato verso l'una. Anche lui?» «Era ancora qui.» «Dovrei vedere un documento nel caso debba risentirla.» «Non capisco perché le serve un...» «Mi mostri un documento, va bene?» L'uomo mostrò una patente da cui Delorme raccolse i dati prima di restituirgliela. «Il mio guanto, per favore.» «No, ce lo teniamo. Comunque grazie per la collaborazione.» «Come se potessi scegliere.» L'uomo salì in macchina e sbatté lo sportello, sparendo dal parcheggio in dieci secondi netti. «Ha confermato la mia dichiarazione, vero? Cos'ha detto?» chiese Simmons. «Ha detto che una volta che hai provato una Giubba rossa non ti accontenti più del resto.» «Per fortuna si è scordato quel guanto sulla mia macchina. Altrimenti non avrebbe mai ammesso niente.» «Caporale Simmons, mi ascolti. Io non parlerò con nessuno di questo incidente a meno che non sia assolutamente necessario. In questo momento non immagino come. Però le consiglio di trovarsi un lavoro dove non conta essere gay.» «Molto astuto, agente. Ho sempre sperato di fare il parrucchiere.» «Pensi solo alla confusione che deve avere provato la dottoressa Cates. Le è stato aggrappato tutto questo tempo senza che lei sapesse che era solo una copertura. Però deve aver sospettato qualcosa.» «Agente, vedo che non vuole capire. Winter non era solo una copertura. L'amavo sul serio. E non mi considero gay.» Delorme lo seguì con gli occhi mentre se ne andava. Aveva ripreso a
piovere e persino i ragazzotti avevano deciso di entrare. Per qualche secondo si lasciò piovere addosso le grosse gocce ghiacciate mentre cercava di metabolizzare la giornata lavorativa. Tuttavia riusciva a pensare soltanto che non sarebbe mai riuscita a capire gli uomini, nonostante tutti gli anni in quella professione e nonostante tutti gli anni vissuti sulla faccia della Terra, e mentalmente sottolineò la parola mai. 17 Cardinal era riuscito a prendere l'ultimo volo da Toronto per Algonquin Bay di quel mercoledì. «Grazie a Dio sei tornato» disse Catherine appena suo marito scese sulla pista. Sembrava pallida, i solchi sulla faccia erano più profondi. «Come sta?» «Stazionario. Non so bene cosa significhi ma dicono che è stazionario.» Mentre scendevano lungo la luccicante Airport Hill verso l'ospedale, Cardinal cercò di non farsi travolgere dall'ondata di panico. «Aveva difficoltà a respirare» riferì Catherine. «L'ho accompagnato a casa e stava mettendo via la spesa quando all'improvviso si è sentito come se non riuscisse a prendere fiato. Ha chiamato il cardiologo, che grazie al cielo ha fatto arrivare l'ambulanza, così adesso è in terapia intensiva.» Per certi versi suo padre sembrava indistruttibile, ma Cardinal temette di colpo che restasse invalido, che fosse costretto a vivere con lui e Catherine i quali avrebbero dovuto accudirlo nei suoi ultimi mesi o anni, portandolo in giro in carrozzina, cambiandogli i pannoloni. Poi la coscienza cattolica di Cardinal si rivoltò, minacciandolo con le fiamme dell'inferno per quei timori egoistici. Nell'unità di terapia intensiva furono informati che Stan Cardinal era stato trasferito in cardiologia al quarto piano. L'infermiera spiegò a Cardinal che suo padre stava riposando serenamente. «Abbiamo bilanciato i farmaci, e adesso risponde bene. Penso che lo dimetteremo domani.» «Posso vederlo?» «Cinque minuti. Non voglio che si stanchi.» «In che stanza è?» «In una delle camere "Mantis", temo, le aree delimitate da tende in fondo al corridoio.» «Un attimo. Mio padre ha una crisi cardiaca e lei mi dice che l'avete parcheggiato in corridoio?»
«Mi dispiace. Sono i tagli del governo. Il massimo che possiamo dargli al momento è un letto in corridoio.» «Io l'ho già visto. Ti aspetto qui?» propose Catherine. Il padre di Cardinal era ricoverato nell'ultima delle tre "camere Mantis", le tende scostate per far arrivare luce da una finestra che dava sui binari e sul cortile del liceo Algonquin. La vetrata era sfumata dalla pioggia. Il letto era sollevato a un angolo di trenta gradi. Stan Cardinal era sprofondato sui cuscini, la testa penzoloni di lato come se il peso del tubicino di plastica trasparente attaccato alla narice fosse eccessivo. «Guarda chi c'è.» La voce di Stan sembrava più sana del suo aspetto. «Le forze dell'ordine.» «Come ti senti?» «Come se avessi un elefante seduto sul petto. Però adesso va meglio. Prima erano due elefanti e un rinoceronte.» «L'infermiera dice che probabilmente ti dimettono domani.» «Vorrei che mi mandassero a casa adesso.» «Sembrano soddisfatti del decorso.» Cardinal sentiva quanto era falsa la nota di ottimismo nella sua voce. «Mi sento bene. Davvero. Ho solo chiamato il cardiologo per la ricetta. Non mi aspettavo che mandasse un'ambulanza.» «Evidentemente ne avevi bisogno.» Suo padre scrollò le spalle e fece una smorfia. La pelle era grigia e incartapecorita, gli occhi acquosi. «Tutto bene? Ti chiamo l'infermiera?» «Sto bene, grazie a Dio. Voglio solo andare a casa. Come fanno a pretendere che migliori in un ospedale? Uno ha solo bisogno di essere circondato dalle sue cose, guardare la sua televisione, fare il tè nella sua teiera. In questo posto sei alla mercé di tutti. Piazzato in un corridoio come un fenomeno da baraccone. Suoni e suoni e loro vengono quando gli gira. A casa posso fare quello che voglio quando voglio, non devo aspettare che me lo portino le infermiere.» «È meglio che vada. Mi hanno consigliato di non trattenermi a lungo.» «Sì, fuori di qua. Ti chiamo appena mi hanno preparato le carte di dimissione.» Mentre lo portava a casa Catherine si piegò per sfiorargli una spalla. «Forse tuo padre dovrebbe venire a stare da noi per un po'. Sai, se i medici dicono che ha bisogno di qualcuno accanto tutto il tempo, può stare da noi. A me va bene, se ti va. Non lo direi se non fosse vero.»
«Tanto non credo che verrebbe» rispose Cardinal. «Sai, quando è morta la mamma non pensavo che ce l'avrebbe fatta, era talmente... distrutto. E invece si è ripreso e si è trovato quella casetta ed è andato a vivere da solo a settantun anni per la prima volta da quando ne aveva venti. Non l'ha mai detto a chiare lettere ma ne è molto fiero. L'autosufficienza. L'indipendenza. Per lui sono tutto.» «Lo so, caro. Sto solo dicendo che se ha bisogno di qualcuno accanto può venire a stare da noi.» Cardinal assentì. Trovava difficile guardare sua moglie negli occhi. Lei che aveva sofferto tanto gli stava offrendo una mano. Catherine gli chiese del lavoro. Lui fece un breve riassunto della gita a New York. «Sei riuscito a chiamare Kelly?» «Non ho fatto in tempo, dovevo tornare subito. Il guaio di questo caso è che la sorte è a nostro sfavore e a favore di colui che dovremmo prendere. Non sto cavando un ragno dal buco.» Cardinal entrò in casa con Catherine, ma solo quel tanto da verificare che fosse tutto in ordine. Cercando di non darlo troppo a vedere, controllò porte e finestre in cerca di segni di scasso. Non ne trovò. «Sono le dieci di sera e non ti sei tolto il cappotto. Spero che non tornerai in ufficio a quest'ora» disse Catherine. «Temo di sì. Però non ci metto molto.» La fermata successiva di Cardinal fu all'Hilltop Motel, un parallelepipedo di mattoni rossi situato, come indicava il nome, in cima all'Algonquin. Posteggiò in un angolo appartato. Nel parcheggio vide solo tre auto sull'asfalto luccicante di ghiaccio nero. Aveva già chiamato per verificare che Squier fosse ancora loro ospite, ma il posto davanti alla numero 11 era vuoto. Nell'attesa ascoltò il notiziario. La campagna elettorale nella provincia stava decollando. Il primo ministro Mantis aveva annunciato che si sarebbe candidato: era il momento di insistere, per non compromettere la tabella di marcia. L'avversario liberale, per non essere da meno quanto a luoghi comuni, affermava che era ora di una nuova alba. Qualche minuto dopo arrivò Calvin Squier. Cardinal scese dall'auto per gridare attraverso il parcheggio: «Ehi, Squier!». Il giovanotto davanti alla porta della numero 11 si voltò, chiavi in mano.
«Ehilà, John, come ti va?» «Bene. Sono stato via.» Cardinal si avvicinò con la mano tesa, ma quando Squier fece per stringerla gli ammanettò il polso. Fu fantastico su quel selciato scivoloso: Cardinal spinse in basso e Squier cascò come un alce accalappiato, mandando il cellulare a scivolare sul ghiaccio. Cardinal chiuse l'altra manetta prima che il giovane agente segreto avesse il tempo di riprendere fiato. «Su, dai, John. Che ti piglia?» «Calvin Squier, la dichiaro in arresto per ostacolo alle indagini, intralcio alla giustizia e per tutto quello che mi viene in mente prima di arrivare in procura.» «Oh, no, è assurdo» si lamentò Squier. «È sicuro di non preferire la resistenza a pubblico ufficiale? Mi migliorerebbe alquanto l'umore.» «Su, John, lasciami andare.» Cardinal tenne il ginocchio ben piantato nella schiena di Squier mentre gli leggeva i diritti, scandendo meticolosamente le parole. «Ha capito i suoi diritti?» «John, mi farai finire nei guai fino al collo. Non vuoi questo, vero?» «Squier, tu sembri convinto di essere amico mio. Non so da dove ti venga questa impressione. Non so se ho mai incontrato un individuo che mi stesse più antipatico, e dire che incontro un sacco di gente sgradevole.» Squier aveva qualche problema a rialzarsi in piedi con le mani ammanettate. Cardinal lo aiutò, poi lo accompagnò alla sua auto attraverso il parcheggio. «Quanto sei meschino. Vuoi solo vendicarti perché ti ho preso la pistola la prima volta che ci siamo incontrati» protestò Squier dal sedile posteriore. «Parla pure, Squier. Il suono della tua voce mi mette sempre di buonumore.» «Secondo me, se ragioni con un minimo di obiettività capisci che ti stai comportando in maniera scorretta.» «Cristo, come potevi pensare di farla franca?» «Non capisco a cosa ti riferisci.» «Fingere che la nostra vittima fosse un certo Howard Matlock quando è chiaro che sapevi che era un altro.» «Non ho mai detto che si chiamava Howard Matlock. Sei stato tu a trovare un portafoglio nella sua stanza e a dedurlo.»
«E tu l'hai confermato con il tuo fantomatico viaggio a New York. Fingendo di darci una mano nelle indagini mentre in realtà le intralciavi. Tutte quelle stronzate sulla base e la WARR. Era una balla, vero?» «John, capisco che la sincerità è l'anima del lavoro di squadra, però io lavoro per i servizi segreti e non sono ovviamente autorizzato a spiegarti ogni mia azione.» «Non me ne frega un accidente. Le spiegherai al giudice.» 18 Questo succedeva mercoledì. Giovedì Cardinal era seduto al tavolo della colazione davanti alla seconda tazza di caffè quando iniziò il notiziario locale alla radio. Il primo servizio era dedicato all'assassinio di Winter Cates. «Non è la nuova dottoressa di tuo padre?» gli chiese Catherine. Cardinal si allungò per alzare il volume. Il conduttore non aveva molte informazioni da dare. La dottoressa Cates, trentadue anni, era stata violentata e strangolata lunedì sera a un'ora imprecisata in un bosco a nord della città. La polizia non sospettava ancora nessuno. «Dio mio, non posso crederci. L'abbiamo vista proprio lunedì» disse Cardinal. «È orribile» disse Catherine. «L'ho incontrata solo una volta ma mi è piaciuta subito. Sembrava un medico eccellente.» Cardinal sollevò la cornetta del telefono e compose il numero di casa di Delorme. Sentendo la segreteria, attaccò. Mentre andava in città pensò alla giovane dottoressa che aveva gestito tanto bene suo padre facendogli avere subito una terapia adeguata. Gli era parsa molto intelligente e pronta a rendersi utile. Arrivò di buon'ora in ufficio, ma Delorme l'aveva preceduto. «Ho appena sentito di Winter Cates alla radio. Non riesco a crederci. E l'hanno anche violentata!» le disse. «C'erano segni di aggressione a scopo sessuale, però... il patologo è abbastanza sicuro che non sia stata violentata. Comunque qualcuno l'ha ammazzata. E non ho il minimo indizio su chi possa essere stato» replicò Delorme. «Pensavo puntassi sul caporale Simmons. A proposito, Musgrave come l'ha presa?»
«Bene. In realtà mi ha detto lui dove potevo trovarlo, e anche che non è stato Simmons, come ho potuto verificare.» «Ha un alibi? Di che genere?» Delorme si lasciò sfuggire una smorfia. «Preferirei non dirlo, ho fatto una promessa, però credimi, il caporale non ha tratto molti vantaggi dalle sue rivelazioni.» Aggiornò Cardinal, soffermandosi in particolare sull'ambulatorio. «La sua segretaria è sicura che il lenzuolo di carta che copre il lettino è stato usato dopo la chiusura di lunedì sera. Stiamo aspettando i risultati del DNA, però abbiamo trovato sangue AB negativo, un tipo raro.» Concluse dando voce ai pensieri di Cardinal. «Sai, due cadaveri nella foresta nel giro di tre giorni ti inducono a pensare che forse sono collegati.» «Mi sembra plausibile. Ma il legame qual è? Intanto ti spiego a che punto sono con Matlock così forse ci viene in mente qualcosa. Non si chiamava affatto Matlock, tanto per cominciare, e non era un commercialista.» Fu interrotto dal telefono. «Cardinal, Indagini criminali.» «Ed Beacom, della Beacom Security. Sembra che lavoreremo di nuovo insieme.» «Fantastico. A cosa stai alludendo, Ed?» Ed Beacom era un ex poliziotto che non avrebbe mai fatto carriera nel corpo. Non per incompetenza, solo che era arrabbiato con il mondo intero e perciò lavorare con lui era uno strazio. «Alla serata per la raccolta fondi di Mantis.» Cardinal coprì la cornetta. «Chouinard ti ha detto niente della serata elettorale a cui ci tocca partecipare?» «La festa dei conservatori. Sì, me l'ha detto. Proprio quel che desideravo nel mezzo delle indagini su un omicidio» rispose Delorme. «Senti, Ed, in questo momento siamo nella merda. Posso richiamarti?» disse Cardinal al telefono. «Ma certo. So quanto siete importanti. Non voglio mettere i bastoni tra le ruote della giustizia.» «Mi dai il tuo numero?» Beacom glielo diede e appese. «Dov'eravamo?» «Mi stavi dicendo che Matlock non è Matlock.» Le raccontò dei raggiri di Squier, del vero passato di Shackley e del suo viaggio a New York. Delorme non si perse una sillaba, tenendo per tutto il
tempo gli occhi marrone fissi sul partner. «Québec? 1970?» disse quando il collega ebbe finito. «Un secolo fa. Credi sul serio che ci porti da qualche parte?» «Appena avrò altre piste le seguirò.» «E come mai questo Squier ha mentito su Shackley? Perché il CSIS vuole tenere segreta l'identità di Shackley? Perché ti ha indirizzato su una falsa pista?» «È chiaro che vuole depistare il caso.» «Sì, ma perché?» «Ottima domanda. Propongo di farla a Calvin Squier.» Mentre passavano davanti al banco d'entrata, Mary Flower gridò a Cardinal: «Agente, può venire? Vorrei informarla di una cosa». Cardinal le fece segno di no. «Torno subito.» Assieme a Delorme passò nella zona di detenzione nel retro dell'edificio. «Credo che dovremmo cominciare chiedendo come mai i servizi segreti sapevano dell'arrivo di Miles Shackley all'aeroporto» propose Cardinal. «Come mai Miles Shackley era codice rosso. Potrebbe essere una banalità che escluderà qualsiasi collegamento con Algonquin Bay oppure potrebbe portarci alla dottoressa Cates.» Superarono la cella rosa in cui un ubriaco stava tornando sobrio, quella che era stata allagata di recente e puzzava di muffa, le celle che avevano ospitato Paul Bressard e Thierry Ferand prima della cauzione e alla fine arrivarono davanti all'ultima sulla destra, destinata a Calvin Squier del Canadian Security Intelligence Service. Era vuota. «Sarà in sala colloqui con l'avvocato. Torniamo all'ingresso» disse Cardinal. Tornarono al banco d'accoglienza. «Dov'è Squier? Non è nella sua cella» chiese Cardinal a Mary Flower. «Stavo appunto per dirglielo. Calvin Squier se ne andato. Ha salutato la compagnia. Libero come l'aria. Il procuratore generale l'ha fatto scarcerare ieri sera circa due secondi dopo che lei se ne andato.» «Mi dica che non ha calato le braghe davanti alla procura. Mi dica che non si è nascosto sotto la scrivania appena il CSIS ha iniziato a frignare» disse Cardinal a Chouinard. «Cardinal, non me lo merito. Hanno coinvolto il capo, la Corona, fai tu un nome. Non era più di mia competenza. Ammetto di non aver sollevato forti obiezioni. Stare alle regole non fa di te un verme, e infrangerle non fa
di te un eroe.» Erano nell'ufficio del sergente a capo delle Indagini criminali, il quale aveva appena appeso un grosso calendario dei Montreal Canadiens dietro la scrivania. «Parli a Calvin Squier di regole» ribatté Cardinal. «Ha depistato totalmente le indagini su un omicidio dicendo che aveva parlato con i parenti e indagato sul passato della vittima quando invece non aveva mosso un dito. Calvin Squier ha inventato una storia completamente falsa che riguardava la base del CADS e i terroristi americani. E ha anche evitato di condividere con noi e con la polizia a cavallo un'informazione chiave, la vera identità della vittima. Se questo non è intralcio alla giustizia non so cosa possa esserlo.» «Il CSIS è un servizio segreto. Lo sai. Non osserva le regole dei comuni mortali.» «Almeno ad Algonquin Bay, a quanto pare.» «Hai arrestato un agente di una organizzazione federale senza chiedere il via libera a me o al capo o alla procura. Reginald Rose schiuma di rabbia, e se fossi in te eviterei anche il capo. Ti andrà bene se non sarai denunciato a tua volta. Ti ripeto che Rose era furibondo. E aveva tutto il diritto di esserlo.» «Questo non dà a Squier il diritto di fuorviare le indagini. Se gli fosse andata liscia staremmo ancora cercando di capire chi ha ammazzato Howard Matlock, che non è affatto morto, invece di Miles Shackley, che lo è.» «D'accordo, Squier ha insabbiato le prove. Ma non è un reato per cui puoi arrestare senza mandato un pubblico ufficiale. Perché non sei andato prima dal procuratore?» «Perché era tardi. Calvin Squier tratteneva informazioni fondamentali per le mie indagini.» «Questo ne fa un testimone, non un criminale. Cardinal, abbiamo lavorato insieme in tanti casi. Devo ammettere che sono stupito.» «Altrettanto.» «Davvero?» Chouinard si alzò, e per un attimo Cardinal temette che fosse intenzionato a tirargli un cazzotto. Il suo predecessore l'avrebbe fatto. Invece Chouinard si limitò ad aggrapparsi al bordo della scrivania e a prendere alcuni respiri profondi. «Chi le hanno scagliato contro? Immagino uno piuttosto grosso» disse Cardinal. «Non è questione di chi, ma di chi ha ragione.»
«Chi le hanno scagliato contro?» «Hai sbagliato arrestando un agente dei servizi segreti, e la sede di Ottawa ha pensato bene di farmelo notare.» «Ottawa. Be', dovrebbe suggerirle qualcosa. Squier è di Toronto. Perciò dovrebbe chiedersi cosa sta cercando di nascondere Ottawa.» «Stanno tutelando la loro giurisdizione sui casi di terrorismo. Non è solo loro diritto, è loro dovere. Ti stai dimenticando della base CADS.» «Gliel'ho detto: non ci sono state falle nella sicurezza della base. Si è inventato tutto Squier. E io non credo che Shackley fosse collegato a un gruppo americano. Se c'è del terrorismo in questo caso è successo nel Québec più di trent'anni or sono. Mi sembra che il nostro dovere di beccare un assassino debba venire prima.» Cardinal spalancò la porta. «Se mi sbrigo forse riesco ad arrestarlo prima che lasci la città.» «Cardinal, non pensarci nemmeno. Se lo fai ti distruggo! Le parole "arresto ingiustificato" ti dicono niente?» Cardinal fu seguito dalla voce del sergente fino al piano di sotto. In realtà non era intenzionato a dare di nuovo la caccia a Squier. Andò invece al Country Style più vicino a prendere un caffè, poi si sedette in macchina a berlo mentre cercava di calmarsi. La pioggia della sera prima aveva aggiunto un altro strato di ghiaccio a tutto quello che aveva toccato. Le auto nel parcheggio sembravano smaltate, tranne che nei punti in cui era stato grattato il ghiaccio per ottenere un minimo di visibilità. Un uomo calvo dal torace possente scese da una 4x4 per entrare nel Country Style. Cardinal lo scambiò per un attimo per Kiki B., e i suoi riflessi scattarono in stato di estrema allerta. Invece, quando il tizio si girò di tre quarti mentre apriva la porta, Cardinal poté verificare che non era Kiki. Cercò di dimenticare il terrore che provava, e il rancore per Chouinard, per concentrarsi piuttosto sul da farsi. Delorme stava scrivendo il rapporto su Craig Simmons. La parte più difficile era formularlo in modo da scagionare il caporale senza citare le sue preferenze sessuali. «Bù!» «Divertentissimo, Szelagy. Un giorno ti spareranno mentre fai lo scemo.» «Sembravi tanto concentrata che non sono riuscito a trattenermi.» Szelagy appese la giacca allo schienale della sedia su cui si gettò di peso. A Delorme Szelagy stava simpatico, ma certe volte desiderava che la sua
scrivania si trovasse in un'altra sezione dell'edificio. «Volevo solo comunicarti che ho fatto cilecca con i vicini della Cates» disse lui. «Sembra che siano tutti in vacanza o via per lavoro. Direi che è un posto piuttosto snob. La custode mi ha detto che il proprietario è Paul Laroche.» Delorme si girò per guardarlo in faccia. «Davvero? Paul Laroche?» «Sì. Perché "davvero"?» «Be', Laroche è un pezzo grosso, almeno nella comunità francofona. L'ha già sentito qualcuno?» «Credi che dovremmo? Non ci abita mica in quel palazzo.» Delorme compose il numero di cellulare di Cardinal. Quando il collega rispose gli chiese: «Ti stai ancora piangendo addosso?». «In effetti sì.» «Allora perché non andiamo a parlare con Paul Laroche? È il proprietario del palazzo in cui abitava Winter Cates.» «Non significa che la conoscesse.» «Non lo sapremo finché non chiediamo.» «Dimentichi una cosa. Io non lavoro sul caso Cates.» «No, però sei coinvolto nella sorveglianza della serata per la raccolta fondi di Laroche. Non nuocerà fare due chiacchiere con quel tipo.» Si incontrarono davanti all'Immobiliare Laroche, con sede in una bella magione edoardiana sulla Macintosh piena di finestre a oblò ed elaborate verande a L. Una giovane patinata li rimandò al quartier generale della campagna di Mantis a poche porte di distanza, in un negozio riconvertito dopo essere rimasto sfitto per anni. Era ammobiliato con vecchie scrivanie di metallo e un impressionante numero di telefoni, in buona parte presidiati da casalinghe di mezz'età. C'era anche un plotone di giovanotti smaniosi in camicia a maniche corte. Fu uno di costoro, un ragazzo di diciott'anni al massimo, che andò a cercare Laroche. Così giovane e così conservatore, pensò Cardinal. «Agente Cardinal, che piacere rivederla» disse Laroche quando uscì. Dopo aver consegnato un fascio di carte a un assistente brufoloso aggiunse rivolto al giovane: «Vanno bene». Cardinal presentò Delorme. «Il famoso agente investigativo Delorme. Dovrò stare attento a quel che dico» disse Laroche con un sorriso.
Poi li accompagnò in un brutto stanzetto con un'orrenda pannellatura di pino e scaffali di metallo pieni di videocassette. Una parete era dominata da un enorme manifesto in cui il sorridente presidente Mantis era sull'attenti davanti alla bandiera dell'Ontario. Sul davanzale un videoregistratore con monitor stava passando una cassetta in cui Mantis scherzava con i giornalisti davanti al Queen's Park. Il sonoro era azzerato. Una foto su uno scaffale mostrava Laroche e Mantis in tenuta da caccia, grandi sorrisi in mezzo al rigoglioso fogliame d'autunno. Gli unici sedili utilizzabili erano alcune seggiole spinte contro un tavolo con sopra tre computer e telefoni. «Accomodatevi. Non credo siate abituati a tanto sfarzo» disse Laroche. «Mi sento a casa» replicò Cardinal. «Mi pare di capire che ha sentito Ed Beacom. Avete deciso la disposizione della sorveglianza?» «Mi devo ancora vedere con Ed. In realtà non siamo venuti per parlare di questo.» «Oh.» Cardinal si girò verso Delorme. È il tuo caso. «Signor Laroche, conosceva Winter Cates?» chiese Delorme. «La giovane assassinata? Immagino me lo chiediate perché abitava in un mio palazzo.» «La conosceva?» «L'ho incontrata una volta. Ero al Twickenham il giorno in cui ha traslocato. Una ragazza simpatica. E anche un buon dottore, da quanto ho sentito. Che perdita terribile.» «Quando l'ha conosciuta ha visto qualcosa che le ha dato da pensare?» «Non so se ho capito bene.» «Forse c'era qualcosa di insolito nella sua domanda d'affitto. O era accompagnata da qualcuno...» «Solo un paio di facchini, mi pare.» «E non l'ha più rivista?» «Possiedo parecchi palazzi, non gestisco la manutenzione ordinaria.» «Lo so. Sono stata sua inquilina» disse Delorme. «Davvero? In che palazzo?» chiese Laroche. «Il Balmoral, sulla MacPherson. Però non per molto.» «Mi dispiace che se ne sia andata.» «Era troppo costoso. La città non mi paga abbastanza.» Laroche scoppiò a ridere, poi disse qualcosa in francese che Cardinal
non afferrò e a cui Delorme rispose. Cardinal intuiva che la collega trovava attraente Laroche, anche se doveva avere una ventina d'anni abbondante più di lei. Forse erano i capelli scuri appena ingrigiti. O forse la sicurezza che emanava da lui come un dopobarba costoso. «Sono proprio contento che siate passati» proseguì Laroche. «Stavo per chiamare R.J. per farmi un'idea. È la prima volta che viene assassinato un mio inquilino e devo ammettere che non mi piace nemmeno un po'. Mi stavo chiedendo se una taglia sarebbe utile. Cercate di capire» aggiunse, sfiorando la manica di Delorme, «non voglio intromettermi dove non sono desiderato. Però so che certe volte le taglie sono utili, e se è questo il caso allora sono pronto a sganciare un ventimila o giù di lì.» Delorme guardò Cardinal, che si limitò a stringersi nelle spalle. Che decidesse lei. «È davvero molto generoso. Comunque siamo ancora all'inizio. Cosa le fa credere che non prenderemo l'assassino anche senza una taglia?» ribatté Delorme. «Agente, non metto in dubbio la sua competenza. Dopo la storia del sindaco Wells, per non parlare del caso Windigo, chi oserebbe mai? Solo che la dottoressa Cates era giovane, promettente.» «Ed era una sua inquilina.» «Ovviamente sarebbe totalmente anonima. Però, come ho detto, non voglio interferire se pensate che non serva.» Delorme lanciò un'occhiata a Cardinal prima di tornare a Laroche. «Ho la sensazione che sia troppo presto. Questo non è un caso in cui sospettiamo un gruppo di persone. Se fosse una storia di bande o di droga direi di tentare. Se riesci a metterli uno contro l'altro hai risolto il caso. Invece qui stiamo cercando un criminale occasionale, quindi non credo che sarebbe molto utile, a meno che lei non offra la ricompensa all'assassino se si costituisce.» Laroche sorrise. «Non avevo in mente questo, agente. Immagino che il senso dell'umorismo le riesca utile in questo lavoro.» Delorme fece spallucce. «Ha chiesto la mia opinione. Gliel'ho data.» «Be', mi faccia sapere se cambia opinione. L'offerta è sempre valida» concluse Laroche. «Trovi strano che abbia offerto una ricompensa?» chiese Cardinal quando furono usciti. «Non proprio. Laroche è fatto così. Nella comunità francofona è una potenza, è molto impegnato nella chiesa e nelle raccolte di fondi eccetera. La
cosa che mi piace di quel tipo è che non si prende mai il merito di nulla.» «Lo trovi sexy?» «Tu non immagini nemmeno cosa penso» ribatté Delorme. Comunque Cardinal notò che non l'aveva smentito. Tornato in centrale andò dritto all'archivio reperti, dove prelevò dopo aver firmato la scatola degli effetti personali Matlock-Shackley presi dal bungalow del Loon Lodge e la portò alla sua scrivania, dove estrasse gli oggetti in ordine sparso. Non sapeva cosa stava cercando, sapeva solo che, una volta conosciuta la vera identità del morto, le cose rimaste potevano sembrare diverse, e forse portare in direzioni differenti. Estrasse un set da barba, un astuccio d'argento che diventava uno specchietto, con una maniglietta metallica che poteva essere avvitata per diventare manico di rasoio o spazzolino da denti. Aveva una precisione gradevole negli incastri, come le parti di una pistola. Non capiva se fosse un completo costoso, non ne aveva mai visti di simili. Il marchio del fabbricante era inciso nell'astuccio, sopra le parole "Made in France". Ovviamente non significava per forza che Shackley fosse stato da quelle parti. Il discorso del prezzo lo indusse a guardare meglio gli abiti. Estrasse un blazer Brooks Brothers, consumato ai gomiti e sfrangiato ai polsi. Anche le due camicie avevano etichette prestigiose ma sembravano lise, come se Shackley non comprasse più un capo da vent'anni. Cardinal estrasse un calzino bucato al tallone. A quanto pareva le pensioni della CIA erano da fame. Ancora una volta desiderò mettere le mani su quella maledetta automobile. Poteva contenere una prova essenziale. Anzi, Shackley doveva essere stato ammazzato in auto. Altrimenti perché l'assassino si sarebbe dato tanta pena a nasconderla o distruggerla? Una Escort rossa? Con adesivo Avis? Perché non era già venuta fuori? Estrasse dallo scatolone il biglietto d'aereo del morto: ritorno per New York via Toronto, American Airlines, cinquecento dollari. Shackley aveva prenotato un mese prima, un bell'anticipo. Perché gli era costato tanto? Controllò i codici. Ah sì, biglietto aperto. Shackley voleva essere sicuro di poter cambiare la data del ritorno. Il che indicava che non era sicuro di quanto sarebbe durata la sua permanenza. A qualsiasi cosa stesse lavorando l'esito non era scontato. E come mai aveva telefonato a Montreal? C'era forse da quelle parti un contatto che l'aveva portato ad Algonquin Bay? Si massaggiò la fronte. Aveva la sensazione che fosse necessaria una
deduzione fondamentale che una persona con la mente più agile avrebbe attuato all'istante, ma non riusciva ad arrivarci. «Non so» borbottò. «Parli di nuovo da solo?» chiese Delorme, che gli si era appena seduta accanto. «Sì, e non serve.» «Che mi dici delle telefonate? Hai detto che ha chiamato qualche volta Montreal, se non sbaglio.» «Non sono numeri che figurano sull'elenco. L'unico che ho ottenuto era un certo Beau Soleil Daycare Centre, un asilo nido.» «Un newyorchese sessantenne che chiama un asilo di Montreal?» «Lo so. Musgrave ha chiesto ai suoi colleghi di Montreal di rintracciare gli altri numeri.» Stava per raccontare a Delorme del negativo che aveva trovato in casa di Shackley quando arrivò Paul Arsenault. Cardinal gridò attraverso la sala: «Ehi, Arsenault, hai sviluppato il negativo?». «Che c'è? Non hai controllato nella posta?» Arsenault recuperò una busta dalla cassetta della posta interna di Cardinal e gliela gettò sulla scrivania. «E prima che me lo chieda: non c'erano impronte sulla pellicola.» Cardinal aprì la busta e fece scivolare fuori due stampe 20x25 della stessa fotografia, passandone una a Delorme. Bianco e nero. Una foto di gruppo di quattro giovani: una donna e tre uomini. Due di loro avevano basettoni e baffi lunghi, il terzo portava la barba. Cardinal la sollevò alla luce. Sembravano felici, sicuri di sé, sorridevano all'obiettivo, in posa di fronte a due finestre prive di tende. All'esterno si vedevano alberi e un campanile che scintillava al sole. «Capelli lunghi» notò Delorme, che stava guardando a occhi socchiusi la sua copia. «E guarda le camicie degli uomini, il colletto.» «Potrebbe essere degli anni settanta» disse Cardinal. «Sembrano boscaioli, a parte la ragazza.» «Salve a tutti.» Ken Szelagy fece capolino sulla soglia, strillando sopra i cubicoli. Aveva un cellulare all'orecchio. «È ora di sellare i cavalli. Sembra che abbiamo trovato la macchina.» La Ford Escort rossa era finita in fondo a una cava in disuso presso la statale 17. Era stata trovata da un escursionista, Vince Carey, un tipo rasato a zero, con una piccola aquila tatuata in cima al collo. «Che schifo» raccontò a Cardinal. «Insomma, non puoi abbandonare un'auto in piena foresta, anche se una volta era una cava.»
«Come mai è venuto a passeggiare qua in pieno inverno?» «Mah, è così bello sotto il ghiaccio. Ed era una zona interessante, sa? L'ultima volta che sono passato di qua, sarà stato tre anni fa, il deflusso in superficie aveva formato un bacino naturale, quasi un laghetto, alto fin lì.» Indicò una riga di muschio verde sulle pareti di granito. «Ha visto qualcuno in questo tratto oggi?» «Nemmeno un cane. Bello e tranquillo.» Carey si passò una mano sulla cute rasata. «Quando ho visto che non c'era più l'acqua ho pensato di scalare una parete, però non mi aspettavo di trovare un'auto sul fondo. Mi ha fatto incazzare. Così quando sono risalito per andare alla statale ho chiamato la Protezione ambientale per dirglielo, ma loro mi hanno detto che se si trattava di un veicolo dovevo sentire voi. Ed è ciò che ho fatto.» «Va bene, grazie per la collaborazione, signor Carey. La chiamiamo se ci serve altro» disse Cardinal. «Piacere mio.» L'uomo guardò il fondo della scarpata, dove Szelagy, Arsenault e Collingwood stavano ronzando attorno all'auto ribaltata, poi si girò di nuovo verso Cardinal. «Siete parecchi per un'auto abbandonata, eh?» «Ci piace essere pignoli.» Cardinal scese tra le pietre con estrema cautela, stando attento alla patina di ghiaccio, pensando che poteva rivelarsi una miniera d'oro. Forse finalmente la fortuna era girata dalla loro parte. L'auto era posata sul tettuccio, con il radiatore a mollo in un metro d'acqua. Buona parte della cappotta era rientrata al livello del resto della carrozzeria, ed era scomparsa una ruota. «Sembra promettente» gli disse Arsenault. «Si vede il foro d'uscita di una pallottola che ha bucato lo sportello del passeggero.» «E l'interno? L'acqua avrà rovinato tutto.» «Da come è messa adesso, nell'abitacolo non c'è quasi una goccia. Però non vogliamo avvicinarci troppo per non sbilanciarla. Forse l'acqua ha lavato capelli e fibre, però se c'è del sangue attorno a quel foro d'uscita dev'essere secco. La parte difficile sarà tirarla fuori. Il carro della rimozione non basta.» Cardinal osservò la cima della parete, almeno venticinque metri quasi interamente di granito scosceso. «Don Deckard. È l'unico» disse. Udirono la gru prima di vederla. All'inizio si percepì il rombo nel terreno, poi gli ingranaggi in azione, e alla fine il frastuono di un immenso mo-
tore a scoppio che si sforzava di conquistare la cima di una collina. E alla fine spuntò la macchina, un veicolo colossale composto quasi interamente da ruote enormi. Dalla cima spuntavano le colonne d'acciaio della gru, adesso ripiegata come un giocattolo per bambini. Il mezzo si fermò in vetta alla salita, poi Don Deckard saltò giù dalla cabina. Sembrava un relitto degli anni sessanta trascinato contro la sua volontà nel nuovo secolo. Indossava jeans neri con borchie lungo le cuciture e un giubbetto di daino con le perline e un elaborato orlo sfrangiato. I capelli ingrigiti erano raccolti in una coda di cavallo, e gli occhi erano rossi come se avesse appena fumato una canna. «Ehi amico.» Diede il cinque a Cardinal. Negli anni avevano lavorato insieme alcune volte. «È da un po' che non ci si vede. Cos'hai per me?» Cardinal lo guidò verso l'auto. «Da dove viene? Da Woodstock?» chiese Szelagy ad Arsenault. «Non conosci Deckard? È una leggenda. Lo vedi quell'oggettino?» Arsenault indicò la gru. Anche ripiegata, la struttura sembrava alta quanto un mezzo grattacielo. «Vale mezzo milione di dollari. È affondata dieci anni fa nel Lago Superiore. Non so più come intendessero utilizzarla prima che colasse a picco. Comunque la ditta proprietaria l'ha data per persa. E persino l'assicurazione. Invece Deckard è andato sul posto con sei tipi e una chiatta e l'ha tirata fuori da cento metri di acqua gelida.» Deckard impiegò poco meno di un'ora per posizionare la gru e prepararla, poi il braccio si sporse sulla cava e calò un cavo d'acciaio con un'imbragatura in fondo. Alcune gigantesche air bag usate di solito per il recupero dei battelli affondati furono incastrate tra l'auto e le rocce e poi gonfiate per stabilizzare la macchina. Alla fine l'imbragatura fu posizionata e pochi istanti dopo l'auto salì sopra il ciglio del burrone. Deckard manovrò le leve nella cabina della gru fino a quando l'auto si adagiò, sempre ribaltata, sul pianale di un camion, poi uscì all'esterno, applaudito dai quattro poliziotti. Fece un profondo inchino, quindi balzò giù dalla gru, dando un altro cinque a Cardinal. «Un gioco da ragazzi, amico. Un gioco da ragazzi.» Arsenault e Collingwood erano già saliti sul pianale e stavano azionando una specie di cric per aprire uno spazio tra cappotta schiacciata e sedili. «I finestrini erano abbassati quando è caduta» commentò Arsenault. «È evidente che chi l'ha buttata giù si aspettava che affondasse. Forse è venuto di notte e l'ha fatta precipitare oltre il bordo convinto che l'acqua fosse più profonda.»
Arsenault e Collingwood trovarono parecchi oggetti di scarso interesse: un modulo di noleggio a nome Howard Matlock, sbavato dall'acqua, un paio di lenti da sole rimuovibili e una lattina vuota di Coca ancora nel portabicchieri. Questi reperti e l'intero veicolo sarebbero stati fumigati in cerca di impronte, una volta asciutti. «Siamo interessati soprattutto al passeggero. Sappiamo qualcosa della vittima e nulla di chi l'ha ucciso» ricordò Cardinal. Collingwood, che stava ispezionando il retro del sedile del passeggero con un paio di pinzette, si girò verso Cardinal pronunciando una sola parola: «Sangue». «Sul lato del passeggero? Sicuro?» Collingwood non rispose, ma estrasse un cutter dalla sua cassetta e staccò la tappezzeria del sedile, scoprendo l'imbottitura. Non era possibile non notare la macchia marrone. «Non mi va di aspettare dieci giorni per avere i risultati del DNA. C'è un modo per essere sicuri che è del passeggero e non del pilota?» chiese Cardinal. «Possiamo stabilire subito il tipo. È possibile che siano identici, ma vale la pena tentare, no?» disse Arsenault, che poi andò a recuperare una macchinetta sul furgone. Nei quindici minuti seguenti si diede da fare con Collingwood sulle macchie. Cardinal attese, osservando il cielo di piombo dall'altra parte del lago. Montagne di nubi si stavano ammassando all'orizzonte, minacciando altra pioggia, quindi altro ghiaccio. Arsenault lo raggiunse, facendo scricchiolare il ghiaccio. «L'autista è 0 negativo» disse. «E il passeggero?» «Abbiamo anche il passeggero. AB negativo.» Cardinal estrasse il telefono per chiamare Delorme. «Mi avevi detto che il sangue che hai trovato nello studio della Cates era AB negativo?» «Esatto. L'abbiamo ricavato dalla carta sul lettino.» «Potrebbe collegare i due casi. L'assassino spara a Shackley, ma rimane ferito anche lui. Ha ancora la pallottola in corpo, però non può andare in ospedale perché là sono tenuti a segnalare le ferite da arma da fuoco. Quindi rapisce la dottoressa Cates e la costringe a medicarlo.» «Poi l'uccide perché non parli. Sembra plausibile. E ho altre novità per te.» «Davvero?» «È passato Musgrave. Non indovinerai mai a chi telefonava Shackley.»
Chouinard ascoltò la proposta di Cardinal senza dare segno di entusiasmo o anche soltanto di interessamento. Quando il suo agente ebbe concluso l'esposizione, rispose con la voce pacata che lo faceva sembrare molto più intelligente di quanto non fosse in realtà. «È chiaro che devi andare a Montreal, non si discute. Però non sono altrettanto sicuro di Delorme.» «Agente Delorme, come valuti il mio francese?» chiese Cardinal. «Quale francese? Ti ho sentito e non mi sembra francese. È più una variante Frankenstein del...» «Cos'è che ti preoccupa, Cardinal? Sai bene che a Montreal parlano tutti inglese.» «Non è vero. Nemmeno in parte» eccepì Delorme. «Be', forse è cambiata dall'ultima volta che ci sono stato. Portati un dizionario. Non sono convinto che i due casi abbiano lo stesso assassino.» «Sergente, rifletta» disse Cardinal. «La Cates è il secondo cadavere trovato nella foresta nel giro di tre giorni. Non dovremmo dare per scontato che sia collegata all'omicidio Shackley fino a prova contraria?» «Abbiamo un sacco di prove contrarie» ribatté Chouinard. «Un cadavere è di uomo, l'altro di donna. Uno è stato mangiato dagli orsi, l'altro no. Uno è un turista, l'altro abitava qui...» «Aspetti un attimo. Quante probabilità ci sono che due assassini in una cittadina come questa abbiano sangue AB negativo?» chiese Delorme. «Il tipo sanguigno non rappresenta un'identificazione positiva.» «Mettiamo che abbia sparato a Shackley e sia rimasto ferito. Una piccola ferita. Non abbiamo trovato molto sangue sul lato del passeggero» intervenne Cardinal. «Ok. Ha bisogno di un medico. Ma perché dare Shackley in pasto agli orsi e non la dottoressa?» «Ci sono varie possibilità. Primo: credo siamo tutti d'accordo che è improbabile che la dottoressa Cates sia stata assassinata a causa di suoi eventuali contatti con la malavita. Se è stata uccisa dalla stessa persona, significa che Bressard non è stato ingaggiato da Leon Petrucci per eliminare il cadavere di Shackley, è stato assoldato da uno che fingeva di essere lui. Petrucci è molto noto in questa città. Tutti sanno che non è più in grado di parlare e che scrive bigliettini. È diventato di pubblico dominio quando hanno processato Bressard per aggressione qualche anno fa, ne hanno parlato sull'Algonquin Lode. Forse il nostro assassino immagina di non poter
ingannare Bressard due volte. Forse non vuole pagarlo due volte.» «Comunque rimane ferito sabato sera durante la colluttazione con Shackley» intervenne Delorme. «Forse pensa di cavarsela da solo. Però lunedì gli fa un male cane, o forse sanguina ancora. A quel punto sa di aver bisogno di un medico.» «Perché la dottoressa Cates?» «Non lo sappiamo ancora» rispose Delorme. «Però avete controllato i pazienti e i colleghi.» «È per questo che dovrei andare a Montreal con Cardinal. In due riusciremo a controllare quei numeri di telefono più alla svelta. E se scopriamo chi stava seguendo Shackley sapremo anche chi è l'assassino.» «Dio, detesto prendere queste decisioni. Aspettate di essere costretti a pensare al bilancio e capirete come ci si sente» si lamentò Chouinard. «Allora vado anch'io?» «Non provate a starci un minuto più del necessario.» 19 Quartier generale della polizia a cavallo, divisione C, Montreal. Atmosfera serena e operosa, tutti educati. Cardinal si domandò se era per caso entrato per errore nel palazzo sbagliato. Era appena arrivato con Delorme dopo essere passato al Regent Hotel, una scatola di cemento assolutamente priva di atmosfera vicino alla superstrada, perciò gli interni relativamente sontuosi della divisione C erano un miglioramento gradito. «Sembra la sede di una compagnia di assicurazioni, non una stazione di polizia» commentò Delorme. Per il loro primo incontro con il sergente Raymond Ducharme avevano concesso loro una saletta interrogatori. Cardinal dava a Ducharme non un giorno di meno di sessantacinque anni con tutte quelle rughe sul volto rubizzo. Aveva il fisico del nuotatore e la testa del filosofo, fronte ampia, lineamenti affilati e bocca sottile e sarcastica. I denti sembravano troppo belli per essere veri. «Quindi siete amici di Malcolm Musgrave» disse Ducharme nel suo accento francocanadese. «Lo conosco da quando era alto così.» Indicò con la mano poco sopra il ginocchio. «Davvero? Non riesco a immaginarlo alto così» disse Cardinal. «Certo. Lavoravo con suo padre. Ai bei tempi andati. Era uno dei migliori. Accomodatevi, prego. Volete qualcosa da bere? Coca? Caffè? Sicu-
ri? Bene. Ho avuto modo di guardare le fotografie che mi avete inviato, però vorrei chiedervi se ricordate la Crisi d'ottobre.» «Ottobre 1970. Un paio di persone furono rapite dal Fronte di liberazione del Québec. Raoul Duquette, ministro provinciale, rimase ucciso. So solo questo» rispose Cardinal. «Io avevo sette anni, non ricordo niente» disse Delorme. Il sergente Ducharme sollevò un indice pedagogico. «Allora è il momento di fare un ripasso.» Cardinal prese la penna. «Provincia di La Belle, fine anni sessanta. Ci sono scioperi dappertutto: tassisti, studenti, persino i poliziotti scioperano. Alcuni dimostranti passano il segno e ci sono teste rotte, un paio di morti. Da tanta anarchia nasce un gruppo noto come FLQ, Front de libération du Québec, che inizia a piazzare bombe nelle cassette delle lettere a Montreal e Quebec City. Cosa vogliono? Vogliono un Québec separato dal Canada e autonomo. «Altre organizzazioni reclamano la stessa cosa. Il Parti Québécois, per esempio. La differenza sta nel fatto che il PQ vuole arrivarci tramite un processo democratico mentre all'FLQ non frega un accidente del processo democratico. Quelli vogliono l'indipendenza subito, e vogliono ottenerla con la violenza. «Così iniziano a scoppiare le bombe. Di solito sono a basso potenziale e non si fa male nessuno. Però continuano a sparire casse di dinamite dai cantieri della città. Anzi, gran parte della dinamite arrivava dai cantieri di Expo 67, che doveva celebrare il centenario del Canada come nazione. Per certi era la dimostrazione che l'FLQ aveva senso dell'umorismo, ma in realtà dimostrava soltanto che alcuni suoi militanti lavoravano nel settore edilizio. «Insomma, iniziano a mettere le bombe nelle cassette delle lettere, qualcuna a Quebec City, altre a Ottawa, ma soprattutto nelle cassette delle belle strade di Westmount, dove abitano i più ricchi anglo di Montreal. E anche sede della nostra divisione C della RCMP.» Ducharme indicò con la mano la finestra, oltre la quale fiocchi di neve sparsi planavano sui pendii verdi del Mount Royal. «Poi alcune persone cominciarono a rimanere uccise o mutilate. Un agente di una squadra artificieri perse entrambe le mani mentre cercava di disinnescare un ordigno. E un sorvegliante rimase ucciso in un palazzo che l'FLQ pensava fosse deserto. Si definivano paladini del proletariato, ma non credo che la vedova di quella guardia giurata sia d'accordo. Fatto sta
che a quel punto stavamo dando la caccia sul serio a quei bastardi. «5 ottobre 1970. Abitazione del console britannico per il commercio Stuart Hawthorne. Suona il campanello e la domestica va ad aprire. È un uomo con un grosso pacco. "Regalo di compleanno per il signor Hawthorne" dice. La cameriera fa per aprire la porta ma di colpo quattro uomini irrompono nel corridoio, il pacco viene aperto e la donna si trova una mitraglietta puntata contro la faccia. I quattro trascinano Hawthorne fuori dal bagno dove si sta facendo la barba e meno di cinque minuti dopo il console è bendato sul sedile posteriore di un'auto. «Arrivano i comunicati di rivendicazione e le richieste. La cosiddetta cellula Libération dell'FLQ presenta numerose richieste, ma soprattutto vuole la liberazione di ventitré sedicenti prigionieri politici, mezzo milione di dollari di quella che chiamano tassa spontanea e un salvacondotto per Cuba per rapitori e detenuti scarcerati. Qualcosa di meno porterà all'esecuzione di Hawthorne.» «Perché hanno rapito uno straniero?» chiese Cardinal. «Perché non qualcuno più vicino a noi?» «È esattamente quel che si sono chiesti gli altri militanti dell'FLQ. Il governo federale sta ancora formando la task force per il sequestro quando un'altra cellula, la Chénier, colpisce di nuovo. Stavolta sequestrano Raoul Duquette, ministro provinciale dell'educazione. «Il governo temporeggia per un po'. Allora ero con i servizi di sicurezza, e mettemmo insieme una squadra congiunta antiterrorismo, la CAT, formata da Giubbe rosse, polizia provinciale del Québec e polizia di Montreal. Nel giro di quarantottore sapevamo chi erano i rapitori. Non conoscevamo però il loro nascondiglio. Ero convinto allora e sono convinto ancora oggi che se avessimo avuto un paio di giorni in più li avremmo trovati. Però la popolazione era in preda al panico. «Il governo federale, quello di Pierre Trudeau, è letteralmente pronto a mandare l'esercito. Gli basta una lettera del sindaco di Montreal e del primo ministro del Québec in cui chiedono aiuto per risolvere una "presunta insurrezione". Sono le parole precise richieste dal War Measures Act per imporre la legge marziale. Be', Trudeau incarica un ministro di dettare le lettere e, guarda un po', due ore dopo le firme ci sono. Quella sera stessa, il 16 ottobre 1970, a mezzanotte, entra in vigore la legge marziale. «Di colpo non abbiamo più bisogno di mandati. Non dobbiamo incriminare formalmente nessuno prima di trenta giorni. Rastrelliamo chiunque, e intendo chiunque, dai tassisti ai cantanti dei night. Chiunque abbia detto
anche una sola parola a favore della secessione. Li sbattiamo dentro e gli chiediamo quello che sanno. «La cosa imbarazzante è che non sanno un bel niente. Delle cinquecentoquaranta persone che abbiamo preso, solo trenta sono state incriminate di qualcosa, e una decina al massimo sono state condannate, quasi sempre per detenzione illegale d'armi. Non troviamo nessun deposito di armi, nessuna immensa rete terroristica.» «Siamo arrivati alla sospensione dei diritti civili? Gli americani non l'hanno fatto nemmeno dopo l'11 settembre. Forse per gli immigrati, ma non per i cittadini normali» disse Delorme. «Ha ragione» confermò Ducharme. «Il governo Trudeau voleva mandare ai terroristi il messaggio che la violenza gli sarebbe costata troppo cara. La cellula Chénier recepì il messaggio diversamente. Capì che tutti i negoziati dei giorni precedenti erano stati una presa in giro. Il giorno dopo rispose, assassinando Raoul Duquette.» «Però avete liberato il diplomatico, Stuart Hawthorne, no?» disse Cardinal. «Abbiamo liberato Hawthorne. Ci vollero due mesi ma lo riavemmo vivo e vegeto. I suoi sequestratori andarono a Cuba, poi a Parigi, e alla fine quasi tutti sono tornati qui a scontare qualche annetto, non molti, e si sono calmati. «La gente che ammazzò Duquette fu presa e finì in prigione. Purtroppo non abbiamo mai potuto provare chi sia stato l'assassino materiale, così hanno scontato solo dodici anni. «E così arriviamo alla vostra fotografia.» Ducharme sollevò la foto di gruppo che Cardinal aveva trovato nell'incartamento di Shackley. «Quello a sinistra con i capelli ricci è Daniel Lemoyne, il capo della cellula Chénier. Il giovane davanti è Bernard Theroux. Nella sua prima confessione disse di aver tenuto fermo Duquette mentre Lemoyne lo strangolava. Poi ritrattò la confessione, e il suo avvocato la fece stralciare.» «E la giovane? Sembra una ragazzina» disse Cardinal. «Dev'essere stata un membro marginale, ammesso che fosse una militante. Non ho ancora nulla su di lei. Altrettanto vale per l'altro giovane, quello con la barba e la maglietta a righe. Conosco a memoria le facce dei protagonisti, ma quei due...» «Non sono militanti della cellula Chénier?» «Non credo. Non che io sappia. Mi dispiace. Di solito sarebbe un'infor-
mazione facile da reperire, ma è successo prima dell'era dei computer, e i dossier sono di ritorno da Ottawa, il CSIS se li è accaparrati tempo fa. È come per l'assassinio di Kennedy, sapete, ogni cinque anni un sapientone decide che è ora di riesaminare la Crisi di ottobre. Dovremmo riavere il tutto entro un paio di giorni, e allora avrete le vostre identificazioni.» «È difficile crederci. Sembra pazzesco» disse Delorme. «Sul serio?» fece Ducharme. «Solo l'anno scorso la Lega di autodifesa francese ha piazzato alcune bombe di fronte a bar e ristoranti perché esponevano insegne in inglese. Ancora oggi le passioni fanno male.» «E l'altra fotografia?» Cardinal indicò l'immagine di Miles Sheckley risalente a circa il 1970. Musgrave l'aveva mandata sia a lui che a Ducharme. Quando Cardinal gli aveva chiesto come l'aveva ottenuta, aveva risposto che era una Giubba rossa e aveva i superpoteri. «Miles Shackley era un americano che lavorava da queste parti nei giorni della crisi. C'erano anche agenti della CIA nella squadra CAT. Non fate quella faccia, era perfettamente naturale. Loro avevano le Pantere nere e i Weathermen, e il terrorismo stava diventando un problema internazionale. Sarebbe stato sciocco non chiedere loro aiuto. «Personalmente non m'importava un accidente di Shackley. Non che contassi qualcosa, allora ero molto in basso nella catena di comando. Lui lavorava con il tenente Fougère e con il caporale Sauvé. Fougère è morto qualche anno fa, purtroppo, ma potrete sicuramente parlare con Sauvé. Erano i pezzi grossi, quei tre, e andavano abbastanza d'accordo. Non ricordo altro di Shackley e, ovviamente, il suo fascicolo è assieme agli altri, però spero di riaverlo tra pochi giorni.» «Che funzioni svolgeva Shackley nella squadra CAT?» domandò Cardinal. «Probabilmente di collegamento. Forse anche di più, non saprei. Deve averci aiutato a seguire le fonti di finanziamento e a tracciare collegamenti tra i vari gruppi. Oh, credo anche che stesse cercando una Pantera nera nascosta da queste parti. L'FLQ riceveva armi dalle Pantere in cambio di rifugio per i loro militanti ricercati.» «Musgrave ci ha raccontato dei numeri di telefono» disse Cardinal. «Sì, i numeri di telefono. Qui si fa interessante.» Rispetto a quanto accadeva ad Algonquin Bay, Montreal e dintorni stavano godendo un inverno normale. La neve era alta circa un metro, e negli angoli e agli incroci era ammassata in mucchi talmente alti che Cardinal fu
costretto a far sporgere il muso dell'auto in pieno incrocio per vedere se arrivava qualcuno. Però anche lì la temperatura stava salendo. I rami erano carichi di neve bagnata e i ghiaccioli si scioglievano, e mentre Cardinal procedeva lungo la statale 20 verso i sobborghi orientali il nevischio diventò una pioggerella. L'umidità dipingeva di nero pece i tronchi degli alberi, tanto che il panorama, una volta usciti dalla città, diventò invernale e nebbioso al contempo, costellato di neri e bianchi netti. Il cielo era tanto buio da dare al giorno fatto una sensazione di crepuscolo, anche se Cardinal s'era appena alzato da tavola. Aveva diviso i compiti con Delorme: lei era rimasta in città per parlare con un ex militante del Fronte di liberazione, mentre lui stava andando a parlare con Robert Sauvé, ex numero due della squadra CAT. Quello di Sauvé era il primo numero che Shackley aveva chiamato da New York, più volte. «Le racconto tutto quello che deve sapere di Sauvé» aveva esordito il sergente Ducharme. «Qualche anno dopo la Crisi di ottobre, il 13 giugno 1973, per essere precisi, verso le tre e mezzo di notte, i cittadini di Westmount furono svegliati da una deflagrazione potentissima. Era esplosa una bomba davanti all'abitazione di Joseph P. Felstein, fondatore dei supermercati Felstein. Saltarono i vetri di tutta la strada. «Al suo arrivo la polizia trova un buco per terra, ancora fumante, e una scia di sangue che porta a un'auto parcheggiata a un isolato di distanza. Accasciato sul sedile vedono un tale con le mani straziate, mezzo viso mancante e le budella penzoloni. «Lo portano in ospedale dove lo operano. Per un po' sembra che non ce la farà, poi, lo chiami pure un miracolo della medicina di Montreal, è fuori pericolo. Ovviamente gli mancano alcune dita, la mandibola è stata ricostruita, ha perso l'occhio sinistro, però è vivo. Purtroppo non parla. Non vuol nemmeno dire come si chiama. «La polizia di Montreal non ci mette molto a scoprirlo. L'auto era a noleggio, così riescono a risalire al caporale Robert Sauvé della squadra antiterrorismo. Ricordate quando la polizia a cavallo è stata azzoppata dalla commissione Keable? Avevamo bruciato un fienile che l'FLQ usava per tenerci le sue riunioni, avevamo perquisito gli uffici di René Lévesque in cerca dei loro elenchi di indirizzi, piazzando microspie illegali. Secondo la commissione Keable eravamo dei cattivi soggetti.» «Ricordo. Ne parlarono tutte le sere al telegiornale per un mese» disse
Cardinal. «Successe tutto a causa del caporale Robert Sauvé. Se non fosse stato per lui le Giubbe rosse gestirebbero ancora i servizi di sicurezza di questo paese. Non sarebbe mai stato inventato il CSIS. Per settimane Sauvé non apre bocca. Gli sbirri di Montreal lo incriminano di tutto quello che gli viene in mente e lui ancora non collabora. «Al giudice questo comportamento non piace. Sauvé è dichiarato colpevole di tutte le accuse e il giudice gli dà dodici anni. Dodici anni per essersi fatto saltare in aria e aver rotto qualche finestra. Di colpo Sauvé ritrova la voce. «Dice: "Dodici anni. Dodici anni quando sono rimasto ferito solo io. Ho fatto ben di peggio quando ero nella squadra antiterrorismo. Ben di peggio". E così gli ingranaggi si mettono in moto. Il risultato finale di tutte le indagini e le commissioni fu la nascita del CSIS. Un sacco di brave persone perse il lavoro. Alan Musgrave, per dirne uno.» «Il padre di Musgrave?» chiese Delorme. «Alan fu silurato. I problemi con l'alcol si aggravarono, e sei mesi dopo si uccise. Quella storia mi ha spezzato il cuore.» «Cristo. Non mi meraviglia che Musgrave non sopporti il CSIS» disse Cardinal. «Ci sono molti motivi per odiarlo, ma questo mi sembra abbastanza valido.» «Ancora non capisco. Perché Sauvé voleva far saltare in aria il tipo dei supermercati?» «Non ne sono sicuri perché il figlio di puttana non ha mai collaborato. Sospettano che fosse un lavoretto indipendente per la malavita. La famiglia Cotroni controllava una catena rivale di supermercati e voleva mandare un messaggio. Sauvé era il messaggero.» «Un bel cambiamento di carriera. Come fai a passare dalla polizia a cavallo alla mafia?» chiese Delorme. «Questo dovrà chiederlo al signor Sauvé.» Il contatto di Sauvé con la mafia indusse Cardinal a chiedersi se non potesse diventare un collegamento anche con Leon Petrucci. In un certo senso non si figurava un mafioso di mezza tacca noto soprattutto per il suo controllo sui distributori di bibite di Algonquin Bay che d'un tratto ordinava l'eliminazione di un americano e di una dottoressa. Ciò nonostante decise di rimanere aperto anche a questa possibilità.
Si staccò dalla statale per seguire una secondaria che proseguiva per parecchi chilometri davanti a varie fattorie dall'aspetto disperato. Poi un cartello sghembo indicò la strada per Seguinville, che non era una "ville" ma al massimo un incrocio. Una lieve pioggerella cadeva sui campi deserti. Casa Sauvé si trovava altri tre chilometri più in là lungo la strada sconnessa e poco battuta che zigzagava verso nord. La casa era seminascosta dietro un boschetto di betulle dal sottobosco impenetrabile. Dalla strada sembrava una struttura a due piani, ma mentre arrivava nello squallido vialetto Cardinal poté notare che una parte del piano superiore era crollata. D'estate doveva avere un aspetto ancor più inquietante. L'inverno aveva fortunatamente ammorbidito gli spigoli delle mura con cumuli di neve. Un pick-up ammaccato sopra e sotto era parcheggiato davanti a un fienile scheletrico, la cui ultima parete rimasta in piedi consisteva praticamente di un cartellone arrugginito della birra Laurentide. Oltre il muro si scorgeva una barca sospesa a un paranco, la prua e il ponte coperti di neve. Non era il genere di battello che si vedeva di solito in un vialetto o in un cortile, come una barca da diporto. Era un rimorchiatore, vecchio almeno settant'anni, eppure si impennava come se stesse solcando le onde di un fiume invisibile. Cardinal non avrebbe dato per scontato che riuscisse a rimanere intero persino fermo a terra, figuriamoci sul San Lorenzo. Robert Sauvé in persona uscì sul vialetto prima ancora che Cardinal fosse sceso di macchina. L'ex caporale aveva imbracciato un fucile. Anche da lontano la parte sinistra del viso sembrava diroccata come casa sua. Un occhio sbirciò Cardinal mentre l'altro, quello di vetro, rimase fisso in modo inquietante. Non aveva la barba, ma erano passati parecchi giorni dall'ultima volta che il suo viso aveva incontrato un rasoio. Disse una parola sola, e sembrò una sfida più che un saluto. «Bonjour.» «Scusi, non parlo molto bene il francese. Lei parla inglese?» esordì Cardinal in francese. L'ex caporale non rispose. Cardinal rimpianse di non avere mandato Delorme. Tentò allora con l'inglese. «Le dispiace puntare altrove quel coso per un minuto?» Il fucile rimase al suo posto. Cardinal riprovò con il francese. «Senta, non sono qui per portare guai. Sono un poliziotto dell'Ontario che lavora su un...» Non riuscendo a trovare l'equivalente francese di "caso" optò per "affare". Che lavora su un affare dell'Ontario. Certo, funzionerà a meraviglia.
«Giubba rossa?» Sauvé aveva pronunciato quelle parole con un accento marcato, ma almeno erano in inglese. «Polizia locale. Di Algonquin Bay» rispose Cardinal, tenendo le mani ben discoste dal corpo. «Vuole vedere il tesserino? Devo mettere la mano in tasca.» «Molto adagio.» Cardinal estrasse dalla tasca il portadocumenti e lo mostrò. Sauvé fece due passi avanti, strizzando l'unico occhio buono. «Perché un poliziotto dell'Ontario mi cerca?» Il lato sinistro della bocca rimase immobile. Sembrava che non avesse parlato per molto tempo, ma forse era arrugginito soltanto con l'inglese. «Ho per le mani un americano morto, un ex dipendente della CIA, Miles Shackley, che è stato in Québec circa trent'anni fa. 1970, per l'esattezza. Ha lavorato con lei durante la Crisi di ottobre, e crediamo che il suo omicidio possa essere collegato a quei fatti. Sappiamo anche che l'ha cercata di recente.» «Allora? Un ex della CIA telefona a un'ex Giubba rossa, non è illegale.» «Devo sapere che cosa voleva. Signor Sauvé, possiamo toglierci dal freddo per qualche minuto?» Cardinal si massaggiò le mani con vigore. «Non sono abituato agli inverni del Québec, qui fuori è un tantino umido.» «Non è freddo» ribatté Sauvé, restando immobile. «Lei ha lavorato nella squadra CAT. E con Shackley.» «Ho lavorato con un sacco di agenti della CIA. Il giorno che rapirono Hawthorne arrivarono in massa. Trenta o quaranta solo al quartier generale.» «Che funzioni aveva Miles Shackley nella squadra?» «Non ricordo.» «Ci pensi pure qualche minuto.» «Non ho bisogno di minuti.» Sauvé si girò per zoppicare verso il rudere che chiamava casa. «Signor Sauvé, aspetti. Ho bisogno che mi aiuti.» Sauvé non si voltò nemmeno. «Non si ricorda com'è? Essere immerso fino al collo in un caso che non porta da nessuna parte? Sto cercando una minima crepa che faccia crollare il muro.» A quel punto Sauvé si girò di nuovo. «Ho parlato con tutte le commissioni del paese. Gli ho detto tutto quello che sapevo. E ho passato dodici anni della mia vita in prigione. Un ex Giubba. Che genere di trattamento
pensa mi abbiano riservato? Crede che ami molto le forze dell'ordine?» «Io non c'entro con la gente che l'ha sbattuta dentro. Sto solo cercando di risolvere un caso in una cittadina dell'Ontario.» Sauvé si issò sui gradini fatiscenti che salivano al portico. Mentre si piegava per aprire la porta i suoi denti scintillarono alla luce. Forse fu solo perché era sfigurato, la pelle tirata allo spasimo sulla mandibola ricostruita, ma Cardinal sospettò che l'ex caporale Robert Sauvé stesse ridendo. 20 «Bernard Theroux» aveva detto il sergente Ducharme. «Il secondo numero di telefono è intestato a Bernard Theroux. Nel 1970 aveva diciannove anni. Membro della cellula Chénier e rinchiuso assieme a Daniel Lemoyne per dodici anni in un penitenziario per il rapimento di Raoul Duquette. Sposato con Françoise Coutrelle, militante marginale dell'FLQ, simpatizzante più che vera terrorista. Non è mai stata accusata di nulla. Erano in contatto occasionale con una certa Simone Rouault, ma di Simone parleremo dopo. «Da quel che ne sappiamo noi, Bernard e Françoise Theroux non sono più collegati ad attività terroriste o ad attività criminali di alcun genere. Però questo è di sicuro il loro numero di telefono e c'è da chiedersi come mai il vostro americano li ha chiamati tre mesi prima di essere ritrovato cadavere.» Certo che te lo domandi, stava pensando Delorme mezz'ora dopo mentre cercava di avanzare in piena Montreal senza finire imbottigliata in un ingorgo gigante. La pioggia non cadeva tanto fitta, però sembrava sufficiente a spargere la confusione tra gli automobilisti locali. Al semaforo successivo chiamò Szelagy con il cellulare. «Cos'hai saputo su Choquette? Era dove sostiene lunedì sera?» «Ti dico, l'amico dovrebbe tenere un corso in una scuola per alibi. Non solo ha tre testimoni che giocavano a bridge con lui, ma sono tutti e tre più che affidabili. Uno è il direttore dell'Ontario Hospital, uno è nel consiglio scolastico e l'altro è un dirigente locale della Children's Aid Society. Se li metti in una stanza fai un consiglio d'amministrazione coi fiocchi» spiegò Szelagy. «Li hai sentiti tutti e tre separatamente?» «Tutti e tre. E sono stati estremamente gentili. Vorrei che i miei amici lo
fossero altrettanto.» «Figurati. I tuoi amici sono tutti sbirri.» Il cellulare di Delorme suonò ancor prima che lo riponesse. Malcolm Musgrave. «Allora, sergente Delorme, ha finito di disturbare il mio distaccamento? O vuole venire a interrogarci tutti?» «Non mi rompa con Simmons. Sa che dovevo verificarlo.» «E... non me lo dica, indovino... non è né un rapitore né un assassino, giusto? Sa, io cerco di escludere assassini e rapitori dalla mia squadra, se posso.» «Craig Simmons non è più sospettato in questo caso. Mettiamola così» asserì Delorme. «E staremo tutti molto attenti a come gestiamo la vita privata di un agente della RCMP, vero?» «Non so a cosa stia alludendo.» Un uomo in Saab nera le tagliò la strada, facendo una svolta vietata sulla corsia di sinistra, ed ebbe anche il fegato di mandarla a quel paese. Delorme provò l'impulso di farlo accostare, anche se a Montreal era fuori dalla sua giurisdizione. «Penso che sappia esattamente a cosa sto alludendo. Nessun agente di polizia al mondo vuole vedere pubblicizzata la sua vita privata, io no e nemmeno il suo partner o Craig Simmons, a meno che lei non costituisca un'eccezione» disse Musgrave. «Mi sta dicendo che lo sa? Cioè, sa delle abitudini del capor...» «Basta così, Delorme. So tutto quello che devo sapere sui miei uomini, e anche donne. Sto solo sottolineando un reciproco accordo che spero resti in vigore. Devo aggiungere altro?» «No, s'è fatto capire alla perfezione, come sempre.» «Si goda Montreal. È una bella città» concluse Musgrave. Theroux abitava in rue Saint-Hubert a Villeray, quasi nel centro esatto di Montreal. Anche se si trattava di un'area prevalentemente francese, Delorme notò insegne in italiano, portoghese e arabo. I pedoni sembravano un misto di studenti e proletari. Vecchi negozi polverosi di tessuti si alternavano a boutique nuove e piccoli bar. Parcheggiò l'auto della polizia a cavallo priva di contrassegni davanti a una bottega di passamanerie. Il numero 7540, l'indirizzo che cercava, era mezzo isolato più a sud, in un gruppo di casette squadrate allineate dietro una chiesa ortodossa come se cercassero protezione. Suonò il campanello,
notando le due targhette di ottone affiancate. Una diceva "Theroux", l'altra "Beau Soleil". Mentre aspettava iniziò a piovere. Venne ad aprire una signora paffuta di mezz'età dai capelli neri e ricci. «Oui?» «Madame Theroux.» «Oui.» Delorme spiegò in francese che era un agente di polizia della regione settentrionale dell'Ontario, aveva bisogno di aiuto per un caso e pensava che la signora Theroux potesse aiutarla. In sottofondo risuonavano grida e chiacchiericcio di bambini. Un piccolo schianto fu seguito dall'ululato di un piccino. «Scusi, ma mio marito non parla con la polizia» disse la donna. Un ometto magro dagli occhi e capelli scuri, con appena qualche filo di grigio, si materializzò alle sue spalle, infilandosi il cappotto. «Smamma, hai sentito cosa ha detto mia moglie» abbaiò a Delorme. «Nessuno sta indagando su di lei. Cercavo solo informazioni» disse Delorme. «Informazioni? Solo?» L'ometto la scostò per scendere le scale. «Le informazioni ammazzano la gente.» Poi salì sul camioncino e se ne andò. «Deve scusarlo» disse la donna. «Le avevo detto...» «Sì. Posso usare il suo telefono per chiamare un taxi? L'auto se l'è presa il mio partner.» La donna spalancò la porta. Delorme entrò in un ingresso con un pianoforte e una dozzina di seggiolini di plastica. Sulla destra, oltre un paio di porte a vetri, una giovane in jeans aderentissimi stava dirigendo un gruppo di bambini in età prescolare nell'esecuzione di Bonhomme, Bonhomme. «Il telefono è in cucina. Di qua.» Delorme agganciò appena composto il numero, ordinando un taxi al segnale di linea libera. «Quanto? Non potete fare prima? Sì, capisco che sta piovendo. Va bene, grazie.» La signora Theroux stava preparando un vassoio di succo di mela e biscotti che poi portò nella stanza a fianco. Le pareti erano coperte di disegni di bambini, parecchi contenenti dichiarazioni di devozione prescolare, "je t'aime, Françoise!", "ma deuxième mère" eccetera, con gli errori ortografici del caso. Quella casa odorava di brodo e di pane. Era difficile immaginarla come residenza di un terrorista, anche in pensione. «Il taxi arriva tra mezz'ora, temo» disse Delorme.
«È sempre così quando piove. Vuole una tazza di caffè?» «Oh, no, grazie. Faccia come se non ci fossi.» «Non posso, è in casa mia. Si beva un caffè.» «Grazie, molto gentile.» Mentre versava il caffè e aggiungeva il latte Françoise Theroux parve l'immagine personificata della vita domestica, paffuta, quasi matronale, il genere di signora che i giornalisti intervistano quando vogliono sentire il punto di vista di una madre a proposito del consiglio scolastico locale. Il caffè era scuro, una tostatura aromatica senza traccia di amaro. Delorme sentì la caffeina proiettare raggi di luce nel suo sistema nervoso. «Quand'è che sarebbe il momento giusto per tornare?» domandò. «Temo sia molto importante che io possa parlare con suo marito.» «La prego, non torni.» Il viso della donna fu attraversato da un'ombra. «Bernard non è coinvolto in nessun reato da trent'anni.» «Lo so. Devo discutere di trent'anni fa. L'FLQ, la Crisi di ottobre.» «Non torni. Bernard si arrabbia ogni volta che vede un poliziotto. Lo riporta a un passato che vuole dimenticare. Forse posso aiutarla io. Immagino saprà che anch'io ho fatto parte del Fronte.» «Però non è mai stata accusata di nulla.» «No, Bernard mi escludeva dalle attività più pericolose.» «Mi domando se può identificarmi le persone in queste foto.» Delorme le mostrò la fotografia di Miles Shackley tratta dalla patente contraffatta e quella fornita da Musgrave. «Può dirmi chi è quest'uomo?» «No, non è una faccia nota. Chi sarebbe?» «Torneremo dopo a lui. E questi?» La signora Theroux prese la foto di gruppo dalle dita di Delorme. «Oh, come sembrano giovani! Erano giovani! Quello davanti è Bernard, avrà avuto diciannove anni. Dio mio quanto è magro. Quello a sinistra è Daniel Lemoyne. La ragazza non la conosco. E quello in fondo, Dio, è Yves Grenelle.» «Yves Grenelle?» La mano della signora Theroux salì alla bocca. «Non è lui. Devo essermi sbagliata.» «Però era sicura che fosse Yves Grenelle. Perché non mi parla di lui?» «Non posso. Per favore, non posso più esserle utile.» «No, sono costretta a chiederle altre notizie di questo signore.» Delorme sollevò la foto di Shackley del 1970. «Il nome Miles Shackley le dice niente?»
«No, e non riconosco questa persona.» «Ci sono due cose che deve sapere prima di rispondere, signora Theroux. La prima è che quest'uomo ha telefonato qui a casa sua meno di un mese fa. La seconda è che è stato assassinato.» La signora Theroux fissò per qualche secondo il soffitto, respirando a fondo, poi si alzò per andare nell'altra stanza a raccogliere tazze e piattini di biscotti. Alcune voci infantili chiamarono il suo nome, implorandola di venire a disegnare con loro. Quando la donna tornò in cucina sbatté il vassoio sul banco, con violenza. «Bernard non ha mai ammazzato nessuno. Non è coinvolto in nessun omicidio» disse. «Mi scusi ma suo marito è stato condannato per la morte di Raoul Duquette. L'ha confessato.» «È stato condannato per sequestro di persona, non per omicidio. E la confessione non è stata messa agli atti.» «Signora Theroux, un uomo noto per essere stato coinvolto nella Crisi di ottobre vi ha telefonato il mese scorso. Adesso quell'uomo è morto. Suo marito è già stato coinvolto in un omicidio ed è possibile che lo sia di nuovo.» «Mi stia a sentire: mio marito non ha mai ammazzato nessuno, glielo ripeto. La prego, prenda appunti, lo scriva nel suo taccuino o lo batta al computer, lo incida nel legno, dove le pare, perché è la sacrosanta verità: mio marito non ha mai ammazzato nessuno.» «Si sta riferendo a Raoul Duquette?» La signora Theroux emise un lungo sospiro mentre si calava su una seggiola. «Sì, mi sto riferendo a Raoul Duquette.» «Gli esami di laboratorio hanno provato che è stato strangolato. Suo marito ha ammesso di aver tenuto fermo Duquette mentre Daniel Lemoyne lo strangolava.» «Ha qui la foto di Bernard. Aveva diciannove anni. Pesava cinquantacinque chili. Sa quanto era grosso Duquette? Era uno e ottantacinque per novanta chili, ex giocatore di football. Mio marito non l'ha mai tenuto fermo.» «Signora Theroux, il ministro aveva le mani legate. Era prigioniero da una settimana.» Un bambino entrò in cucina portando un foglio da disegno a mo' di regalo. «Françoise, ho fatto un disegno per te.» «Oh, che carino, Michel» disse la donna, chinandosi per esaminare la
macchia indistinta di acquarello azzurro. «Chi c'è nel disegno?» «Mio papà. È un poliziotto.» «Fallo vedere all'agente Delorme, anche lei è della polizia.» Il bambino guardò Delorme con due occhi che sembravano oceani di meraviglia. «Sei una poliziotta?» «Sì, anch'io sono della polizia.» «Mi sa che non ha mai visto una donna poliziotto. Michel, ti dispiace far vedere all'agente il tuo bel quadretto?» Il bambino si girò verso Delorme, mostrando tremante l'acquarello. Erano due ghirigori azzurri con una riga nera. «Molto bello. Sembra un agente davvero bravo» commentò Delorme. Il piccino tornò alla signora Theroux, d'un tratto dimentico del disegno. «Françoise, adesso leggi per noi?» «Tra un attimo, Michel.» La signora Theroux gli chiuse la porta alle spalle, poi offrì altro caffè a Delorme, che rifiutò, e se ne versò un'altra tazza e si risedette al tavolo, mescolandolo adagio. «Non voglio che lei torni» disse alla fine. «Qui la nostra pace è troppo precaria, troppo difficoltosa. Certi ricordi sono come terremoti. Le dirò tutto quello che so perché non voglio che disturbi mio marito. Poi non deve tornare mai più.» «Non so cosa mi racconterà. Non posso promettere niente.» «E io non le crederei. Però le dirò cos'è veramente successo tanti anni fa, poi lei non si farà più viva. Nessuno conosce la vera storia. È stato come se avessero già deciso la versione ufficiale prima di arrestare qualcuno. Però se lei mi ascolta le dirò la verità. «La prima cosa che deve capire è quanto erano leali uno con l'altro. Tutti i militanti del Fronte condividevano questa lealtà assoluta e infrangibile, ma Bernard e Daniel Lemoyne più degli altri. Si conobbero a una dimostrazione. Andavamo sempre alle dimostrazioni in quei giorni. Durante un corteo, forse era in sostegno ai dipendenti della Seven Up, non saprei, o forse per i tassisti, insomma, Bernard rimase ferito e sanguinava alla testa perché uno sbirro bastardo l'aveva colpito con il manganello. Scusi ma...» «Non c'è problema. Non amo nemmeno io i poliziotti violenti.» «Comunque Bernard è lì che sanguina nel retro di un cellulare e Daniel Lemoyne si strappa la camicia per fare una fasciatura.» «Compagni nella lotta» commentò Delorme. «Esatto, compagni. Divennero così.» Sollevò due dita incrociate. «Inseparabili. Però non passa giorno in cui io non desideri che non si siano mai incontrati. Non so l'altro, credo che sarebbe stato uguale con chiunque a-
vesse fatto coppia, però sono sicura che Bernard non avrebbe mai rapito nessuno se non avesse conosciuto Lemoyne. Bernard era sempre a favore dell'azione collettiva, per la mobilitazione delle masse. Non era uno da complotti individuali. Però in qualche modo quel sequestro divenne una follia collettiva.» «Una follia che condivisero con Yves Grenelle, vero? Come mai il suo nome non è mai saltato fuori?» «Yves Grenelle non è mai stato preso e accusato di nulla.» I modi della donna cambiarono di colpo. Si guardò le mani quasi stringessero un fragile schermo su cui venivano proiettati i fatti della sua giovinezza. «Sa, faceva parte del patto.» «Patto?» «Tra i membri della cellula. Erano come fratelli di sangue. Erano d'accordo che se li avessero beccati quello che si salvava non sarebbe mai stato citato, con la polizia, con la stampa, con nessuno. Come se non fosse mai esistito. «È successo appunto a Yves Grenelle. Non fu arrestato con gli altri e sparì dalla faccia della terra il giorno in cui fu ammazzato Raoul Duquette. Nessuno ha mai saputo più niente di lui da quel giorno. Forse è andato in Francia, come facevano in tanti quando buttava male. Quasi tutti sono tornati, però Grenelle non l'ha più visto nessuno.» «Come è stato reclutato questo Grenelle? Era amico di suo marito? Era un amico di Lemoyne?» «Dev'essere stato amico di Lemoyne. Bernard non lo conosceva. Credo che sia stato presentato a Lemoyne un paio d'anni prima da Simone Rouault. Ecco da chi deve andare se vuole sapere come reclutavano. Era tanto bella che se l'avessero messa sui manifesti le iscrizioni sarebbero triplicate di colpo. Portò un sacco di giovanotti. Regalò alla rivoluzione una bella faccia e un sorriso magnifico. E naturalmente scopava con tutti.» «Ho già sentito questo nome. Eravate intime?» «Eravamo abbastanza amiche. Non la vedevamo spesso a causa delle esigenze di separatezza, però era un tipo. Un gran personaggio.» La donna scosse il capo al ricordo. «Beveva solo champagne, francese, Veuve Clicquot, roba del genere. E fumava solo Gitanes. Le odio, puzzano come sigari. Se va a parlare con Simone le consiglio di portarle una bottiglia di Veuve Clicquot e quella le racconterà vita, morte e miracoli.» «Però Simone Rouault era con la cellula Libération, quella che rapì Hawthorne, no? Non poteva conoscere Grenelle.»
«Oh, poteva. Grenelle teneva i contatti tra le varie colonne. Faceva avanti e indietro. Era un gran chiacchierone, pieno di idee, sempre in cerca di azione, sempre desideroso di andare oltre. Bernard e persino Lemoyne erano, non saprei, più assennati di lui.» «Allora come ha fatto Grenelle a non farsi prendere?» «In parte grazie a mio marito. Bernard fa il falegname come suo padre. Prima di rapire Duquette avevano allestito un rifugio di riserva. Sulla costa sud. Bernard costruì una falsa parete in uno sgabuzzino. Era tutto il loro piano di fuga. Con il senno di poi sembra patetico, ma vede, non avevano previsto di ammazzare nessuno, quindi non avevano mai pianificato una fuga complessa.» «I comunicati hanno sempre annunciato che avrebbero ammazzato Duquette.» «Stavano negoziando. Usavano l'ostaggio per fare pressione. Vedo che non mi crede ma è vero, dopo trent'anni non ho motivo di mentire. Rimasero stupiti dalla reazione del governo. La sospensione dei diritti civili. La legge marziale. Nessuno se l'aspettava. Bernard e Daniel pensavano di avere discrete possibilità di far rilasciare un paio di prigionieri politici. Nessuno immaginava che il governo avrebbe permesso che l'ostaggio morisse. Nel peggiore dei casi si aspettavano di ottenere un salvacondotto per Cuba o per l'Algeria.» «Sarebbe andata a Cuba con suo marito?» «Certo. In Algeria. Dovunque.» La signora Theroux si strinse nelle spalle. «Ero giovane.» «E non ha mai creduto che avrebbero ammazzato qualcuno. Anche quando hanno rapito un ministro del gabinetto regionale come Duquette?» «No, non l'ho mai pensato. Nemmeno per un secondo.» La donna si alzò per andare a guardare fuori dalla finestra. Delorme pensò che era l'unico modo che le restava per non guardarla in faccia. «Il taxi ci mette molto.» «Sì. Se non arriva tra qualche minuto richiamo.» Si aprì la porta ed entrò una bambina disperata. «Sasha ha versato la pittura sul mio disegno!» «Oh, che peccato, Monique.» La signora Theroux si chinò per posare una mano sulla spalla della piccina. «Sono sicura che non l'ha fatto apposta.» «Sì! Sasha l'ha fatto apposta!» «Allora vai a parlare con Gabrielle. Puoi sempre dipingerne un altro, sai.»
«Non voglio!» «Parlane con Gabrielle.» Mentre la donna teneva aperta la porta per la bambina, dall'altra stanza arrivò una serie di voci infantili. Poi la signora Theroux tornò a sedersi di fronte a Delorme mescolando il caffè tanto meticolosamente da far temere che evaporasse. «Non ho mai pensato che Bernard potesse finire coinvolto in un omicidio. Conosco mio marito. Lo conosco oggi, lo conoscevo allora. Poteva far saltare in aria la sede di una multinazionale in piena notte, senza gente attorno e dopo una telefonata d'avvertimento. Però ammazzare una persona a sangue freddo, no, mai. Non è da lui.» Aggrottò la fronte e se la massaggiò come per cancellare i ricordi. «Dopo quattro o cinque giorni la pressione salì alle stelle. C'erano esercito e polizia dappertutto. I tre sequestratori dovevano decidere cosa fare. Grenelle, il chiacchierone, era per ammazzare Duquette, ma Lemoyne e Bernard avevano bisogno di tempo per riflettere. Un giorno vanno a casa di un amico, uno della rete di sostegno, per discutere, solo loro due, e lasciano Grenelle a fare la guardia al ministro. Dopo una lunga discussione decidono che non hanno nulla da guadagnare ad ammazzare l'ostaggio. C'era l'esercito dappertutto, il governo rifiutava di trattare, sembrava tutto perduto, capisce? Decisero di non ammazzare Raoul Duquette. «Quando tornano al covo per comunicare a Grenelle la decisione lo trovano in cucina che guarda fuori dalla finestra e non spiccica parola, cosa insolita per lui con la lingua che ha. E invece Bernard mi ha raccontato che se ne stava seduto guardando fuori dalla finestra come se avesse appena preso una martellata in testa. «Gli altri due gli riferiscono che hanno deciso di non ammazzare Duquette e gli spiegano il motivo. Tutti i pro e i contro. Gli spiegano che è stata una decisione difficile ma ritengono sia la più corretta. E Grenelle intanto non fiata, non dice una parola. Guarda fuori dalla finestra e basta. «Alla fine si gira verso di loro e li osserva dall'alto al basso scuotendo la testa deluso. «E loro dicono: "Che hai? Che ti prende? Se non sei d'accordo dillo. Non restare lì con lo sguardo perso nel vuoto come uno stupido. Di' cosa pensi". «"Troppo tardi" risponde lui. «"Troppo tardi? Cosa vuol dire troppo tardi?" «"L'ho ammazzato" risponde Grenelle, poi scoppia a piangere. Il ma-
schione tutto d'un pezzo, l'uomo d'azione, che piange come un neonato. Bernard e Lemoyne corrono nella stanza accanto e scoprono che è vero. Duquette è un fagotto inerte presso la finestra, non respira, non si sente il cuore e attorno al collo ha un livido orrendo. La finestra è rotta e la camera è in disordine come se ci fosse stata una lotta. «Tornano in cucina, dove Grenelle sta ancora piangendo. Alla fine riescono a calmarlo. «"Raccontaci cos'è successo. Ha cercato di scappare?" chiede Bernard. «Grenelle gli racconta che l'ostaggio è riuscito non si sa come a liberarsi dalle corde. Grenelle è in cucina ad ascoltare il notiziario quando sente un rumore, corre in camera da letto e vede Duquette quasi fuori dalla finestra. Lo tira dentro, ma l'altro lotta come una belva in gabbia. Grenelle fa vedere agli altri l'occhio che sta diventando nero. Insomma, lui e Duquette lottano, e alla fine Grenelle riesce a stenderlo e si aggrappa al maglione. Vuole solo calmarlo, metterlo fuori combattimento. Ma quando molla la presa Duquette ricomincia a dibattersi. Allora tira di nuovo il maglione. Stavolta è deciso a fargli perdere i sensi e ci mette tutto il suo peso, stringendogli il collo del maglione attorno alla gola. Tutto qua. Duquette sviene, Grenelle prende la corda e gli lega di nuovo i polsi. L'unico problema è che quello non è svenuto, è morto. «Grenelle spiega tutto, poi riprende a piangere. Il rivoluzionario tutto d'un pezzo diventa di colpo un poppante. Gli altri due sono sconvolti, però capiscono come è andata. Adesso devono decidere tra due possibilità molto diverse.» «Certo. Sostenere che la morte di Duquette è stata un incidente, e quindi fare la figura dei dilettanti pasticcioni? Oppure dire che è stata un'esecuzione, nel qual caso appariranno spietati, crudeli, ma rivoluzionari?» disse Delorme. «Esatto. Decisero di sembrare rivoluzionari. Si sarebbero attenuti al piano iniziale. La cellula avrebbe rivendicato l'azione collettivamente, indipendentemente da chi veniva preso e chi la scampava. Avrebbero affermato che si era trattata di un'azione di gruppo. «Quindi mettono il cadavere nel bagagliaio della macchina e la portano all'aeroporto di Saint-Hubert, raccontando alla stampa dove possono trovarla. Alla fine si rifugiano nel nascondiglio sulla costa sud. Tre settimane dopo la polizia trova la casa, ma i tre riescono a infilarsi nel doppio fondo dello stanzino. Restano lì per tutto il tempo che la polizia perquisisce la villa, e sentono tutto quello che dicono. Quando la polizia se ne va, aspet-
tano altre dodici ore, poi tagliano la corda in piena notte. La polizia non aveva lasciato nessuno di guardia, così sgattaiolano via dal retro. «Bernard e Lemoyne furono beccati una settimana dopo mentre erano nascosti in un fienile come due vagabondi. Grenelle se la cavò.» La signora Theroux fece un respiro profondo e si mordicchiò il labbro. «Fu l'unico a farcela.» Delorme chiese con voce dolce: «Perché non l'avete mai raccontato a nessuno?». «Intanto c'era il giuramento. E poi Bernard non voleva. Preferiva che la storia restasse quella.» Dall'altra stanza arrivarono le grida di un bambino arrabbiato. «Sasha, fai meno baccano! Ci sono persone che stanno parlando!» «Nessuno ha mai sospettato che Grenelle mentisse? Forse temeva che i compagni stessero vacillando, che si stessero indebolendo, secondo la sua ottica, e così potrebbe aver deciso di salvare la rivoluzione uccidendo Duquette di sua spontanea iniziativa?» «Oh, sì. Nonostante le lacrime l'abbiamo sospettato tutti. Grenelle era sempre la testa calda. Quello che voleva azioni più dure, esplosioni più potenti, più pagine sui giornali. Ne ho persino parlato con Bernard durante il processo. All'inizio lui non voleva nemmeno prenderlo in considerazione, poi una volta finito in prigione riteneva che fosse ormai inutile. Si ricordi che mio marito è stato condannato solo per sequestro, non per omicidio.» «C'è un'altra cosa che non mi torna. Se Grenelle era una tale testa calda, questo grande rivoluzionario, perché non si è preso la responsabilità dell'omicidio? Perché l'ha definito un incidente? In fondo ai suoi occhi era un'azione di guerra, no? Non sarebbe diventato un eroe?» «Certo. Si vantava di continuo delle sue bravate con le bombe e simili. Era sempre pronto a prendersi il merito delle azioni violente della colonna. Insomma, di solito era lui a istigarle, quindi perché non farlo?» «Ma invece di vantarsi dell'uccisione di Duquette scoppia a piangere. Da quanto mi ha raccontato non corrisponde al tipo.» La signora Theroux scrollò le spalle. «Forse è la reazione normale. Non saprei, non ho mai ammazzato nessuno.» Delorme sì. Una pluriomicida, Edie Soames. Ed era scivolata nella depressione, aveva pianto per settimane. «Questo taxi, sto cominciando a sospettare che non l'abbia chiamato.» «Non c'è problema, mi pare che la pioggia stia calando. Grazie per il caffè.» Delorme si infilò il cappotto. «Ha detto che suo marito non voleva
nemmeno pensare che Grenelle avesse ammazzato apposta Duquette. Perché? Si potrebbe pensare che l'avrebbe aiutato a consolidare la sua immagine di rivoluzionario.» La signora Theroux si era alzata insieme a Delorme, ma in quel momento si girò di tre quarti per raccogliere il grembiule, guardando fuori dalla finestra con il suo merletto di ghiaccioli. «Non le ha mai parlato di altre possibilità?» La donna scosse appena il capo. «Per esempio, che so, non ha mai parlato di quel posto? La camera da letto, quando è tornato con Lemoyne e ha trovato Duquette morto? Ha mai parlato dell'aspetto che aveva? Ha detto se corrispondeva a quanto aveva raccontato Grenelle del tentativo di fuga, della finestra sfondata, del parapiglia?» «Mio marito aveva diciannove anni. Era un falegname, non un tecnico della Scientifica.» «Sì, ma data la gravità della situazione, e gli effetti sulle loro vite private, per non parlare di quelli sulla politica del paese, forse volevano essere sicuri della verità. In fondo Lemoyne e suo marito si sono beccati dodici anni di carcere. Se non fosse stato per Grenelle se la sarebbero cavata con una vacanza a Cuba e un paio d'anni al fresco al loro ritorno. Voglio dire, sa se in quel posto c'era qualcosa che ha fatto sospettare a suo marito che Grenelle fosse diverso da quello che sembrava essere?» «Non capisco.» «Io credo di sì. Credo che ci stia pensando da trent'anni.» «È meglio che se ne vada. Bernard aveva ragione, non abbiamo nulla da guadagnare a parlare con gli sbirri, e tutto da perdere.» «Signora Theroux, perché Miles Shackley ha telefonato qui? Meno di un mese prima di essere ucciso.» «Le ho detto che non conosco nessun Miles Shackley. Però ha telefonato qualcuno un mese fa. Uno straniero. Si è presentato come un cugino di Yves Grenelle di Trois Rivières. Bernard mi ha confermato che Grenelle veniva da Trois Rivières, però chi lo sa se aveva un cugino? Comunque questo "cugino" dice che suo padre è morto e una parte della proprietà dovrebbe andare a Yves, sappiamo per caso dove abita? Eravamo sospettosi, ma chi poteva cercarlo dopo tanti anni? Le Giubbe rosse non sapevano nemmeno che era esistito.» «Cosa gli ha detto, allo straniero che cercava Grenelle?» «È stato Bernard a rispondere. Gli ha detto che non conosceva nessun
Grenelle.» Delorme si guardò attorno nella cucina, osservò i disegni dei bambini, impregnandosi dell'atmosfera domestica e innocua. «Grazie. Grazie mille.» «Mio marito non vorrà mai parlare con lei, e adesso le ho detto tutto quello che so. Spero che non si farà più vedere.» «No, non sarà necessario.» La signora Theroux, convocata da una delegazione di tre piccini perché facesse il suo dovere di prima lettrice all'asilo nido Beau Soleil, sparì nell'altra stanza. Delorme trovò da sola l'uscita. All'esterno la pioggia era calata, e le strade di Montreal sembravano nuove e pulite. 21 Mentre tornava in città dopo la visita inutile all'ex caporale Sauvé, Cardinal telefonò a Catherine, da cui seppe che suo padre era stato dimesso dall'ospedale ed era a casa. «Gli ho chiesto se voleva venire a stare da noi, ma non ha voluto sentire ragioni. Non ho insistito. Sai com'è fatto.» «Come ti è sembrato?» «Non male, tutto sommato. Un po' malfermo sulle gambe, ma è una vecchia quercia.» Cardinal le disse che prevedeva di essere di ritorno l'indomani. «Vedi di non partire troppo tardi. Sta piovendo e sembra che avremo un'altra ghiacciata. Viaggiare potrebbe essere difficoltoso.» Cardinal si era messo d'accordo con Delorme di vedersi in un bar sulla Saint-Denis, però era in anticipo e stava di nuovo piovigginando, pertanto si infilò in un centro commerciale sotterraneo sotto la Sainte-Catherine. Quasi tutte le città moderne sono provviste di simili gallerie commerciali particolarmente frequentate nelle città dai lunghi inverni. Tuttavia Montreal nasconde un'intera civiltà sotto le sue strade. Negozi di tutti i generi, farmacie, grandi magazzini, tabaccai, pellicciai, per chilometri e chilometri. In una giornata piovosa come quella Cardinal ne capiva il senso, soprattutto quando la temperatura poteva toccare i trenta sotto zero, però non era il suo ideale di divertimento. Stare sottoterra l'opprimeva, nonostante gli arredi vivaci, e l'illuminazione aggiungeva un'aria sbiadita e scontrosa a tutti i presenti. Raggiunto un incrocio delle dimensioni di un aeroporto prese nota dei
segnali stradali. Stare sottoterra lo disorientava. Un negozio di cosmetici catturò la sua attenzione. Rimase qualche secondo a guardare le vetrine domandandosi se ci fosse qualcosa che poteva portare a Catherine. Notò un'acqua di colonia chiamata Torso, con una bottiglia che teneva fede al nome, ma gli ricordava troppo le autopsie. All'una risalì a livello della strada per incontrarsi con Delorme, alla caffetteria Tasse Toi. Era una piccola crêperie per turisti, con bustine di fiammiferi ricordo provenienti da tutto il mondo attaccate al soffitto. La clientela sembrava formata interamente da enormi texane. «Dio se sono contento di vederti» disse alla collega. «So che non puoi vivere senza di me, Cardinal. Sono venuta solo per questo.» Ordinarono entrambi la crêpe del giorno e un caffè, decaffeinato per Cardinal. «Com'è andata con Bernard Theroux?» «A essere sincera ho parlato con Françoise Theroux. Forse è stato meglio così.» Cardinal ascoltò in silenzio, prendendo qualche appunto, la foto dei giovani militanti dell'FLQ appoggiata alla tazza. «Così si chiama Yves Grenelle e Miles Shackley stava cercando lui prima di morire. Sempre che madame Theroux sia credibile.» «È una donna di mezz'età con un asilo nido e vuole solo lasciarsi il passato alle spalle. Credo possiamo fidarci di lei. Cos'hai saputo da Sauvé?» «Un bel niente.» «Nulla? Dopo essere andato fin là?» «Non credo che gli sia piaciuto il mio francese.» «Sono d'accordo con lui.» «E non abbiamo nulla per far leva su di lui. Ha scontato la pena, si fa i fatti suoi, quindi che gli frega di cosa vuole una coppia di sbirri dell'Ontario? Farei lo stesso se fossi nei suoi panni, penso.» Quando arrivò il conto Cardinal aggiunse: «Mica male per due caffè. Come fanno?». «Il conto raddoppia se sei dell'Ontario.» Lasciarono un'auto alla centrale della RCMP, poi attraversarono la città per andare nel distretto di Hochelaga. Delorme consultò una carta stradale che teneva aperta sulle ginocchia mentre guidava Cardinal lungo una sequenza complessa di sensi unici. «Non potevamo proseguire dritto per la Sainte-Catherine?»
«Non se vuoi arrivare in giornata. Eccoci.» Cardinal svoltò in un deprimente senso unico, «Ehi, è un paio di gradini sotto il quartiere di Theroux» commentò Delorme. Ricordava perfettamente cosa aveva detto loro il sergente Ducharme al mattino a proposito di Simone Rouault: secondo lui era una meraviglia. Era un'informatrice, tra le varie cose, un sacco di altre cose. Simone Rouault era, per così dire, complicata. Un momento stava dalla parte dei buoni, tutta legge e ordine e sbattiamo quei fetenti al fresco e buttiamo via le chiavi. Un attimo dopo piazzava candelotti di dinamite sul Mount Royal. Quella donna adorava far esplodere le cose. Una separatista militante che faceva l'informatrice per la squadra CAT, valla a capire. Ombrosa come pochi. Fougère tornava dagli incontri con l'aria di uno che aveva sostenuto cinque riprese con un gatto selvatico. Quanto ai lati positivi, il sergente gli aveva rivelato che bastava portarle da bere e Simone Rouault avrebbe venduto la madre. Era una bifamiliare con una balconata rossa arrugginita che si afflosciava al primo piano come un labbro leporino. Dopo un'eternità venne a rispondere al campanello una vecchia decrepita appoggiata a un deambulatore. Una sigaretta le penzolava all'angolo della bocca, tre centimetri di cenere che tremolavano sul labbro. «Scusi se la disturbiamo, stiamo cercando Simone Rouault» disse Delorme in francese. «Sono io. Che volete?» Il francese a raffica di Delorme superava le capacità di Cardinal. L'unica parola che riconobbe, più o meno, fu "Ontario". E la risposta della signora Rouault fu persino più indecifrabile. Cardinal si tenne defilato dietro la collega, cercando di sembrare impegnato nel suo ruolo ma non minaccioso. Alla fine la donna si fece da parte. Cardinal e Delorme entrarono in un monolocale appena più grande della camera da letto di Cardinal. «Che ti piglia? Sei sordomuto?» domandò la donna al poliziotto. «Temo di non parlare molto bene il francese.» «Ontario, eh? Va bene. Parliamo in inglese, lingua goffa ma ci adatteremo.» Si muoveva con lentezza dolorosa, piegata da un lato. Ogni passo, un gemito. La donna si sedette con cautela su una poltrona. L'unico altro posto in cui sedersi era il divano-letto che non si era scomodata a ripiegare.
Cardinal dubitava che ne avesse la forza. «Non c'è problema, posso stare in piedi» la rassicurò Cardinal. «Siediti, santo cielo. È solo un letto, non morde. Mi venisse un colpo se lo rimetto a posto per voi. Che marchingegno mostruoso.» Quando Cardinal e Delorme si sedettero, il letto si abbassò di parecchi centimetri. «Signora Rouault, il caso a cui stiamo lavorando coinvolge almeno una persona che ha militato nell'FLQ nel 1970, e vorremmo parlare con lei di quel periodo. Non deve preoccuparsi. Siamo qui solo per avere informazioni.» «Preoccupata? Tesoro, non sono affatto preoccupata. Ho piazzato decine di bombe, scritto venticinque rivendicazioni, ospitato latitanti, aiutato e favoreggiato nemici dello stato e organizzato sette rapine in banca. Faccia pure, mi arresti.» Allungò i polsi nodosi e tormentati. «Non siamo venuti per arrestarla.» «Certo che no. Dovreste arrestare l'intera RCMP, in tal caso. I miei complici sono finiti dentro. I miei amanti sono finiti dentro. Persino il mio migliore amico. Ma io sono ancora libera e c'è un motivo per questo.» «Capisco. In realtà mi chiedevo come mai abita ancora a Montreal e sotto lo stesso nome.» «Guardami. Cosa possono farmi, ormai? Entrano a sparare a una vecchia? Che vengano, per quel che mi frega.» «Be', speravamo che lei...» La vecchia l'interruppe. «Sapete che non dovrei parlare convoi?» «I fatti che ci interessano sono accaduti trent'anni fa. Non credo che a questo punto possa mettere a repentaglio la sicurezza nazionale.» «I servizi segreti non sarebbero d'accordo. Il CSIS mi ha telefonato questa mattina per dirmi di non dirvi niente.» «Era Calvin Squier?» «Non mi ha detto il nome. Un tipo anziano. Francocanadese. Mi ha detto che avrei messo in pericolo la sicurezza nazionale se vi avessi fornito informazioni. Ha persino minacciato di togliermi la pensione. Non mi sento tenuta alla minima lealtà verso di loro. Vedete come vivo. Dubito che il tenente Jean-Paul Fougère vivesse in questo modo nel New Brunswick o dove cavolo era a godersi la pensione prima di crepare. Il CSIS è la stessa cricca sotto un nuovo nome. Se non avessero telefonato per minacciarmi forse non avrei aperto bocca con voi, ma adesso possono andare affanculo per quanto mi riguarda.»
Delorme estrasse dalla borsetta una scatola rettangolare. «Françoise Theroux mi ha detto che le piace questa roba.» La donna afferrò la scatola e l'esaminò come se fosse un oggetto prezioso. Poi con qualche difficoltà estrasse la bottiglia e la cullò tra le braccia come un neonato. «Se la passano bene i Theroux?» «Abbastanza.» «Dio è dotato di senso dell'umorismo, non trovate? L'assassino se la passa bene mentre io vivo con la pensione sociale.» «Dovremmo parlare con lei di questa persona» disse Cardinal, porgendole la foto di Shackley da giovane. Lei l'esaminò inespressiva per qualche secondo prima di restituirla. Un sorriso si formò sulle labbra secche, screpolate, poi scosse il capo adagio. «Che storia potrei raccontarvi.» Indicò la bottiglia di champagne. «Le dispiace aprirmela?» Cardinal raccolse la bottiglia e rimosse la stagnola. «Sempre un gran piacere, eh? Guardare un uomo forte che usa le mani» disse la vecchia a Delorme. Delorme lasciò perdere. «I bicchieri sono lì, caro.» Indicò una fila di armadietti metallici sopra un piccolo frigorifero. «Mi fate compagnia?» «Mi piacerebbe» rispose Cardinal. «Ma purtroppo...» «Sì, sì. Che tristezza. Non possiamo avere Giubbe rosse ubriache per strada, vero?» «Non siamo Giubbe rosse» precisò Delorme. «Parlavo per metafora, cara. Non essere così fiscale.» Cardinal portò la bottiglia e un calice da champagne appannato. Versò per la donna, poi posò la bottiglia. La vecchia tenne il calice sotto il naso per un attimo, inalando. «Veuve Clicquot. La vedova più amata.» «Veuve significa vedova» spiegò Delorme a Cardinal. «Grazie. Avevo capito.» «C'è stato un periodo in cui non bevevo altro.» La signora Rouault bevve un goccio, tenne il bicchiere davanti agli occhi per esaminarne il colore, poi assaggiò un altro sorso. «Non è affatto cambiato... diversamente da me.» Cardinal e Delorme attesero. «Ero bella. Questo dovete ficcarvelo in zucca. Ero bellissima.»
«Ci credo» disse Cardinal. Per quanto coperti di capillari viola, gli zigomi alti risaltavano ancora come lo splendido arco delle sopracciglia. Gli occhi grigi, adesso seminascosti dalle pieghe della pelle, erano tanto distanti che da giovane doveva essere sembrata più saggia delle ragazze della sua età. «Possedevo una forza speciale» disse la donna in tono pratico. «Un'aura passionale unita al necessario distacco che la gente trovava irresistibile.» Allungò a fatica una mano verso uno scaffale per prendere la fotografia di una giovane che rideva all'obiettivo. Aveva denti magnifici, un labbro superiore carnoso e invitante, e gli occhi grigi distanti erano luminosi. «Al mare. Estate 1970. Avevo trentun anni.» Quindi adesso ne aveva più di settanta. Ne dimostrava ottanta. «Osteoporosi, artrite, dite una malattia a caso» aggiunse, leggendo nella mente del poliziotto. «Non mi è mai piaciuto il latte. E ho sempre amato queste.» Estrasse un pacchetto di Gitanes per accenderne una, poi riprese la foto nella mano incartapecorita e puntò l'indice non verso il viso giovane ma verso le nuvole sullo sfondo della foto, sulla collina a sinistra, sulla vegetazione a destra. «Lo vedete? Sapete cos'è? O meglio, cos'era?» Cardinal fece spallucce. «Ha detto che era al mare.» «Di nuovo di vedute ristrette. Voi due dovreste sposarvi. Indicavo il mio futuro. Ne avevo ancora uno in quei giorni. Le dispiace?» Allungò il calice verso Cardinal che glielo riempì, poi bevve un sorso incerto e si posò il bicchiere in grembo. «Il mio futuro» ripeté. «Che strano pensare che questo corpo, questa faccia, questa stanza... che strano pensare che era questo il mio futuro. Naturalmente, se l'avessi saputo mi sarei impiccata. Non avete fretta, vero?» Cardinal e Delorme fecero segno di no. «Avere tempo a disposizione è un grande lusso. Bon. Ho la vostra attenzione, una sigaretta, il bicchiere pieno. Adesso una vecchia signora vi racconta dov'è andato il suo futuro. «Avevo ventinove anni. Non ero tanto vecchia. Però a quei tempi la giovinezza era tutto. Essere giovane era considerato un onore, proprio come una volta essere vecchi era considerato un successo. Tutte due cazzate. La tua età è la tua età e non la controlli. Ma allora, sto parlando del 1968, 1969, se avevi più di trent'anni eri andato. I Beatles erano all'apice della loro fama. C'era la trudeaumania, e perché? Perché il primo ministro Trudeau era giovane e bello, come Kennedy. Perfetto in televisione. C'era persino una compagine governativa chiamata la Compagnia dei giovani cana-
desi. Ovviamente era un'iniziativa progettata ad hoc per nascondere l'alto tasso di disoccupazione, però suonava tanto romantica. «Il cinquanta percento della popolazione era sotto i trenta, e questo significava che avevamo noi il potere. Con numeri del genere i politici erano tenuti ad ascoltarci. Nelle università gli studenti scioperavano per cambiare i corsi di studio, e persino per poter dire la loro in tema di assunzioni e licenziamenti nelle cattedre. E c'erano ovviamente le infinite marce contro la guerra del Vietnam. Erano tempi estremi. «Se andavi a una manifestazione o a un sit-in non vedevi un cane oltre i trenta, o comunque pochissimi. Era entusiasmante essere circondati da migliaia di persone come te. Tutte che dicevano le stesse cose, cantavano le stesse cose, credevano alle stesse cose. Naturalmente c'era anche un risvolto spaventoso: tanta gente che indossava le stesse cose, giubbotti e jeans, magliette psichedeliche e jeans, seta indiana e jeans, e diceva le stesse cose. George Orwell avrebbe avuto qualche commento in materia.» Bevve un sorso di champagne e tirò a lungo dalla sigaretta. Esalò adagio, contemplando il filo di fumo. «Ero terrorizzata dal passare degli anni. Non era una mia fobia, erano gli anni in cui vivevo. Punto numero uno. Punto numero due: mi ero sposata giovane e male. Mio marito si riteneva un grande artista senza che il resto del mondo fosse d'accordo, e si rifaceva su di me. Per fortuna finì anche quello, e quando compii i trent'anni ero alla frutta. «Ero troppo vecchia per partecipare alle attività studentesche. Avevo frequentato un paio d'anni l'università di Montreal ma avevo mollato quando mi ero sposata. Dopo la separazione mi rimisi in sesto molto adagio. Mi trovai un lavoro in una compagnia petrolifera, noioso come potete immaginarvi, e cominciai a interessarmi seriamente alla politica, anche per fare vita sociale. «Allora ero separatista. René Lévesque aveva fondato il Parti Québécois e ci credevo con una passione sconfinata. Il Québec sarebbe diventato uno stato sovrano restando legato al resto del paese in una comunità economica, come l'Unione europea di oggi. E il partito vi sarebbe arrivato democraticamente: prima conquistando il governo provinciale, poi indicendo un referendum pro o contro la separazione e alla fine fondando la nuova nazione. «Mi sentivo sola, avevo un bisogno disperato di riempire le ore vuote. Ero felice di fare il lavoro di gambe, incollare le buste, leccare i francobolli, portare i volantini porta a porta. C'erano tanti altri giovani del Québec
che lavoravano per il partito, così mi feci un sacco di amici. Mi alzavo alle sei del mattino per andare davanti alla fermata del metrò con il nostro candidato, facevo altrettanto la sera dopo il lavoro, e più tardi c'erano le interminabili riunioni di preparazione. «Ovviamente, essendo giovani, pensavamo che sarebbe successo da solo. Quando il nostro candidato perse e anche René Lévesque perse ne fui totalmente annichilita. E vi posso dire uno dei motivi per cui perdemmo: FFLQ. I liberali associarono subito il Parti Québécois con le bombe che esplodevano a Westmount, e la gente si spaventò. Non contava quante volte Lévesque avesse condannato gli atti di violenza e che il partito difendesse la democrazia, il Fronte spaventava la gente e così noi perdemmo, e male. «I militanti reagirono in vari modi. Uno dei giovani con cui lavoravo, Louis Labrecque, disse che era deciso a unirsi all'FLQ e mi chiese persino se volevo unirmi a loro, e io ero tanto depressa che non dissi di no. Non pensavo che ne sarebbe venuto fuori qualcosa. A essere sincera, me ne scordai completamente. «Bon. Circa sei mesi dopo arrivò alla mia porta a chiedere se ero disposta ad aiutare la rivoluzione, cioè l'FLQ. Io risposi che non volevo aver nulla a che fare con la violenza. E lui, no, no, niente violenza. A loro servivano soldi, e così mi domandò se lavoravo ancora alla compagnia petrolifera. Non so perché, un giorno gli avevo parlato del mio lavoro. Una volta al mese la compagnia consegnava grosse somme di denaro alle varie sedi per le buste paga. Eravamo prima che inventassero i bonifici elettronici, ovvio. Però non usavano i camion della Brinks o che altro. Ero io che andavo in macchina con il principale a consegnare queste grosse buste ai vari uffici. Lui restava in macchina mentre io entravo. «Gli spiegai che non ero minimamente intenzionata a rubare all'azienda per cui lavoravo, e lui, certo che no, sarei stata solo la vittima. Loro avrebbero derubato me e il mio boss mentre facevamo le consegne. Ci sarebbe stato un altro giorno di paga tra due settimane, e pensavano di colpire allora. Io risposi che avevo bisogno di rifletterci. «A quel punto mi guardò in modo diverso. Non gli piaceva quello che avevo detto. E lessi nei suoi occhi cosa stava pensando esattamente: se non ci sta, significa che mi sono scoperto troppo con questa troia. Avrebbe avuto problemi con gli altri militanti. Vi confesso che mi spaventò. Mi concesse tre giorni. «Non riuscivo a dormire tanto ero terrorizzata. Se non ci stavo temevo
che mi uccidessero, e se ci stavo temevo di finire in prigione. Così due sere dopo mi infilai una parrucca bionda e in piena notte andai dalla polizia a raccontare che avevo informazioni sull'FLQ. E fu così che conobbi il sergente investigativo Jean-Paul Fougère, che riposi in pace.» Diede una lunga tirata alla sigaretta. «Jean-Paul Fougère... Jean-Paul Fougère aveva trentacinque anni, era magro, non tanto alto e aggraziato, se aggraziato è una parola che si può usare riguardo a un uomo. Si muoveva in un modo che mi affascinava. Guardarlo accendere una sigaretta era un piacere, come la teneva mentre parlava o la batteva sul posacenere, era una specie di balletto. «Nei mesi successivi mi raccontò molte cose di sé, ma a voi questo non interessa adesso. Dovete solo sapere che era un pezzo grosso della CAT e cercava in tutti i modi di infiltrare l'FLQ. Gli sbirri non sapevano quando avrebbero colpito né avevano idea di quanto potesse essere grave la minaccia. Sapevano chi erano molti militanti, gente di estrema sinistra, gente del Partito comunista, sindacalisti. Però non potevano provare nulla. Avevano bisogno di un infiltrato. «I loro tentativi di reclutare informatori erano pietosi e Jean-Paul impazziva di rabbia. Sapete come facevano per reclutare? Lo rapivano per strada, lo portavano in un qualche alberghetto squallido e lo terrorizzavano per ore. Spianavano la pistola e robe del genere. Come se questo potesse rendere il poveraccio ben disposto verso i tutori della legge. Oppure minacciavano un ragazzino di farlo passare per omosessuale, il che avrebbe funzionato se avessero mai preso qualcuno vicino al Fronte, e invece toppavano di continuo. Le bombe esplodevano in tutta Montreal e a Québec City e la squadra CAT non cavava un ragno dal buco. Il superiore di Jean-Paul voleva sangue, il primo ministro voleva sangue, e loro non avevano nulla per le mani. Fu in quel momento che arrivai io con il mio problema riguardo la rapina.» «È stata la manna dal cielo» disse Cardinal. «Oh, Jean-Paul non voleva credere al colpo di fortuna. Io guaivo: "Cosa devo fare con la rapina? Mi ammazzeranno se non ci sto" e lui: "Oh, deve starci, questo è sicuro". Cose del genere. Io pensavo fosse pazzo. Nemmeno per idea mi sarei fatta rapinare. E se sparavano a me o al mio capo?» Si fermò un istante per versarsi altro champagne, riempiendo il bicchiere fino all'orlo, scrupolosa come un chirurgo affinché nemmeno una goccia schiumasse oltre l'orlo. Si accese un'altra sigaretta, anche se l'ultima fumava ancora nel posacenere e Cardinal si sentisse bruciare gli occhi. Sorseg-
giò pensierosa per qualche secondo, poi, il calice in grembo, fissando il liquido biondo come se fosse una sfera di cristallo, aggiunse sottovoce: «Fu l'inizio della mia carriera di informatrice». Delorme si sporse in avanti. Cardinal si era pressoché dimenticato della sua presenza. La sua partner aveva la capacità di rimanere talmente immobile che si dimenticava di averla accanto. «Non hanno avvertito la sua compagnia della rapina?» chiese Delorme. Simone Rouault fece segno di no, spargendo cenere sul petto e sul grembo. «Non sapeva nulla. Fougère si mise d'accordo con la banca di dargli solo banconote segnate, ma a parte quello procedette tutto come al solito. Viene il giorno delle paghe e il capo e io facciamo il nostro solito giro.» «E chi ha compiuto la rapina?» «Erano in tre: Labrecque, un tizio più vecchio, Claude Hilbert, e un esaltato, Grenelle. Yves Grenelle, l'unico aspetto dilettantesco del piano. «Alle tre in punto il capo e io stiamo per consegnare il contante al primo ufficio. Ci fermiamo davanti, al solito posto, e prima che io possa scendere con la busta arrivano due uomini, uno da ciascun lato della macchina. Ce ne un terzo, Hilbert, come ho saputo dopo, pronto con un'auto dall'altra parte della strada. Tanto per cominciare ci chiedono portafoglio e borsetta, per non farlo sembrare preparato, e poi, come per ispirazione improvvisa, Labrecque afferra la busta che ho in mano. «Fino a quel punto era andato tutto liscio. Poi, senza alcun motivo, Grenelle colpisce alla testa il mio principale. Non aveva fatto nulla, non stava facendo resistenza. Eppure Grenelle lo manda nel mondo dei sogni. Sapete, era una cosa stupida perché diventava rapina a mano armata aggravata, senza alcun motivo. Quanto al mio boss, be', non mi stava molto simpatico, mi palpeggiava di continuo e mi stava sempre addosso, ma non lo odiavo nemmeno. Non volevo che finisse all'ospedale per tre giorni come invece successe. Sapete, non è come nei film, quando ti colpiscono alla testa e dopo due minuti stai benone.» «Come ha reagito l'FLQ al suo coinvolgimento?» domandò Cardinal. «Oh, sono entrata a vele spiegate. Labrecque disse che non li aveva mai visti tanto su di giri. Lui ci guadagnò parecchio con il mio reclutamento, chiaro, e il Fronte ci ricavò cinquemila dollari, senza sapere naturalmente che erano banconote segnate. Mi adoravano.» «Ha rivisto Grenelle?» «La prima cosa che ho detto quando Labrecque mi ha annunciato che mi
avevano accettato è stata che non volevo più lavorare con Yves Grenelle. Che violenza inutile.» La signora Rouault si versò altro champagne. «Nei mesi seguenti mi usarono soprattutto per reclutare. Non mi chiesero mai di fare nulla di estremo. Per lo più stavo al Chat Noir, un bar frequentato da tutti gli attivisti, ad aspettare che arrivasse un giovane separatista. Parlavamo di rivoluzione e un attimo dopo lui era legato al Fronte. È incredibile in quanti guai ti ficchi per una cotta. «Però la cosa veramente buffa è che non avevo la minima idea di quello che stavano facendo a me. Vedete, sin dalla prima sera l'agente Fougère mi trattò come se fossi il grande amore della sua vita. Con me era delizioso, premuroso, preoccupato per la mia sicurezza. Naturalmente correvo continuamente pericoli con quella doppia vita. Alla sera andavo alle riunioni del Fronte e due ore dopo riferivo ogni parola alla squadra CAT. Ero sempre spaventata, avevo i nervi a pezzi, facevo fatica a dormire, non mangiavo. Gente come Hilbert, come Grenelle, faceva sul serio, non ho il benché minimo dubbio che mi avrebbero ammazzato se avessero saputo. «Be', finì che m'innamorai perdutamente di Fougère.» Abbassò il capo per qualche secondo. Cardinal stava per sollecitarla con una domanda quando la testa scattò di nuovo su, e gli occhi grigi lampeggiarono. «Vivevo solo per quando ci vedevamo, l'unico momento in cui potevo essere vera, capite, in cui potevo dire la verità senza paura. Dopo qualche mese non vi dico che sollievo fosse.» «Riesco a immaginarlo. Dev'essere stata una specie di dipendenza» disse Cardinal. «Esatto, caro.» La signora Rouault annuì, spargendo altra cenere. «Entrambe le parti innescavano una dipendenza. Con quella vita provavo come un senso di onnipotenza. Che importanza mi davo! Dopo essere stata una piccola massaia incompresa stavo rischiando la pelle e nello stesso tempo salvavo il mio paese. Fougère sapeva che ero una separatista, certo, ma non gli importava. Volevamo entrambi fermare il Fronte, anche se per ragioni differenti. «Ed era tanto gentile con me. Così tenero.» Si fermò di nuovo, la sigaretta a mezz'aria. Gli occhi grigi guardavano nel vuoto, come se il viso di Fougère fosse sospeso in mezzo al fumo. «Solo tenerlo per mano significava tantissimo per me. Mi sentivo così sicura, protetta. Mi stava suonando come un violino. «Bon. In tutti quei mesi Jean-Paul non parve interessato a Labrecque.
Era un pesce troppo piccolo. E nemmeno a Grenelle, una testa calda, secondo lui. Non era importante. Voleva che mi avvicinassi a Claude Hilbert. Non era sospettato di atti violenti, però era diventato capo della cellula informazioni, o se preferite l'ufficio pubbliche relazioni dell'FLQ. Era tenuto ad avere contatti con le altre colonne. Perciò io avevo due missioni: guadagnarmi la fiducia di Claude Hilbert e diventare capo della mia cellula. «Per essere un capocolonna convincente dovevo ovviamente essere in grado di stilare comunicati e far saltare in aria le cose. Chiesi a Hilbert di procurarmi la dinamite ma lui si rifiutò, dicendo che non ero pronta. Gli chiesi allora la carta intestata del Fronte. Non abbiamo mai scoperto dove l'avevano prodotta. Aveva una filigrana che copriva tutta la pagina, l'immagine di un patriota con la pipa tra i denti e il fucile in mano. La CAT non vedeva l'ora che mettessi le mani sul materiale originale. Allora non capivo perché. «Comunque continuavo a tempestare Hilbert di richieste di esplosivi e carta intestata e lui continuava a dire che ci provava. Fougère non ce la faceva più. Poi una sera, di colpo, mi portò in un ristorante esclusivo, Ma Bourgogne, il migliore della città. Di solito non potevamo permetterci cose del genere perché non potevamo rischiare di essere visti insieme. Ma quella volta Jean-Paul prese un sacco di contromisure, c'erano non so quanti uomini che ci sorvegliavano e controllavano la zona attorno al ristorante. Voleva rassicurare il mio ego, dimostrarmi quanto ero considerata importante dalla squadra, e sfruttò alla perfezione anche l'atmosfera romantica. «Ormai sapeva che ero pazza di lui, facevo tutto questo per lui almeno quanto per il Québec. Lo amavo incondizionatamente. E lui cominciò la serata dicendo, già all'aperitivo, quanto mi adorava. Mi teneva per mano e mi guardava negli occhi. Io vi leggevo soltanto adorazione. Sapete, mi illudevo che stesse per chiedermi di sposarlo. Ah!» L'esclamazione diventò un colpo di tosse che scosse il fragile corpo di Simone. Cercò un Kleenex. Finì il bicchiere. Accese una sigaretta. «Cenammo. Una cena magnifica: bisque di astice seguita da chateaubriand. Naturalmente champagne. E alla fine Armagnac. Ancora oggi credo sia il miglior pasto che mi sono mai concessa. E dopo, arrivati al brandy, Jean-Paul mi prese per mano. Era serio in viso e sapevo che stava per dire qualcosa che avrebbe cambiato la mia vita per sempre. "Mi riesce difficile dirlo, Simone" iniziò. "Hai già fatto tanto. Stai rischiando la vita giorno dopo giorno. Però, Simone, vorremmo sapere fino a che punto sei
disposta ad arrivare per proteggere i tuoi ideali." «"L'hai già visto. Lo vedi fino a dove arrivo. Cosa vuoi che faccia? Che ammazzi qualcuno?" gli dissi io. «Lui disse di no, però gli tremava la voce. «A quel punto avevo paura. Non so cosa stava per propormi, però il mio stomaco lo sapeva perché cominciai ad avere la nausea. D'un tratto il bisque non sembrava più questa grande idea. Il mio cuore smise di battere e iniziai a sudare. Appoggiai il bicchiere sul tavolo e non riuscii a guardare Jean-Paul negli occhi. "Vuoi che scopi con qualcuno" dissi. «"Non vogliamo che faccia nulla che non ti senti" si affrettò a rispondere lui. "Naturalmente devi valutare tu la situazione. Però pensiamo che Hilbert sia arrivato a fine corsa e abbiamo bisogno di qualcosa che, ehm, spezzi la situazione di stallo." «Non ce la facevo a guardarlo in faccia. Mi sporsi in avanti, mi dondolai avanti e indietro, mi strinsi nelle braccia. «Lui mi chiese se stessi bene. Ve l'immaginate? Se stavo bene? Lo ripeté non so quante volte. Stai bene? Stai bene? Dio, ma come faceva a chiedermelo? Se stavo bene? «Gli risposi che ero in fermissima. «"Lo farai?" «"Se tu vuoi." Lo guardai negli occhi mentre lo dicevo. Volevo vederlo in faccia. «"Non lo voglio. Simone, è l'ultima cosa che vorrei. Lo sai. Ma in questo lavoro non possiamo scegliere." «"Lo farò" ripetei, molto decisa, come se stessi parlando a un sordo. "Lo farò. Se è questo che vuoi. Vuoi che lo faccia? «Jean-Paul assentì. Adesso era lui che non riusciva più a guardarmi in faccia. Sapete, se lui aveva il fegato di chiedermi di fare una cosa del genere, non c'era motivo per non farla. Era chiaro che per lui non significavo nulla. Da quel momento non mi importò più un accidente di cosa facevo, con chi andavo a letto. Non avevo niente da perdere.» «Però poteva mollare. Non potevano costringerla a farlo» disse Delorme. «Dopo quello che mi aveva detto Jean-Paul volevo solo morire. Sul serio, la morte non mi faceva più paura. E infiltrarmi nel Fronte sembrava un buon modo per suicidarsi. Così la volta successiva che rimasi sola con Hilbert andammo a letto insieme, e poi non mi parve più di essere in procinto di morire. Ero già morta. Non provavo più nulla.
«Cercavo di ferire Jean-Paul quando gli facevo rapporto. Gli raccontavo che straordinario amante era Hilbert, quanto ce l'aveva lungo, com'era premuroso. Tutte balle, tra l'altro. «Jean-Paul non batteva ciglio. "Atteniamoci ai fatti importanti, Simone" diceva sempre. «Quella di andare a letto con Hilbert si rivelò una buona mossa. Adesso doveva decidere se temere di stare scopando con un'informatrice oppure fidarsi totalmente di me. Decise di fidarsi, e una settimana dopo avevo una risma di carta intestata e tre casse di dinamite. «Con la carta sfornai comunicati inventando di continuo nuove colonne e cellule. Annunciavo "attentati dinamitardi", per esempio, e poi piazzavamo l'esplosivo. Il culmine della mia carriera lo toccai portando a casa mia otto nuove reclute. Battevamo a macchina i comunicati in una stanza mentre due di loro fabbricavano una bomba nella vasca da bagno.» Cardinal si agitò. «Mi sta dicendo che le Giubbe rosse e la polizia di Montreal le lasciavano fabbricare ordigni nel suo appartamento? Non ci credo.» «Manipolavano gli esplosivi in modo che fossero inerti. Certe volte sostituivano la dinamite dopo che l'avevamo piazzata, se volevano che ci fosse un'esplosione. Altre volte ci lasciavano piazzare un ordigno. Per esempio, ci permisero di far saltare un tratto di binari della CPR, ma sostituirono il nostro ordigno con una carica a basso potenziale che fece pochi danni. In questo modo riuscivo a mantenere una credibilità. Dopo quell'attentato arrestarono quattro persone.» «Tutti reclutati da lei?» «Sì, tutte reclute mie. Si beccarono quattro anni.» Cardinal guardò Delorme, che però stava fissando Simone Rouault a sopracciglia inarcate. «Non guardatemi in quel modo. Credete che fossero tanto innocenti? Erano gente che se fosse entrata in una vera cellula avrebbe ammazzato qualcuno. Li abbiamo tolti di mezzo prima che facessero danni. Sentite, ho sbattuto ventisette persone in prigione, e forse non più di tre erano già del Fronte prima che le conoscessi. E mi sa che gli ho fatto un favore.» Certo, dobbiamo tutti mentire a noi stessi ogni tanto, pensò Cardinal. Dio solo sapeva quante se ne era raccontate. Estrasse di nuovo la foto di Shackley. «Riconosce quest'uomo?» «Shackley» rispose lei senza un attimo di esitazione. «Si chiamava Miles Shackley. Lavorava con Jean-Paul. L'ho incontrato qualche volta.
Era americano, quindi davo per scontato che fosse della CIA, anche se ero troppo educata per chiederlo. Dovevano essere colleghi, però Shackley si comportava sempre come se fosse l'istruttore di Jean-Paul. Era più esperto, e avevo l'impressione che disponesse di un informatore annidato in una colonna FLQ. Era un essere gelido, una specie di macchina, sembrava ticchettare mentre camminava. Non mi piaceva per niente. Quando lo richiamarono non provai la minima nostalgia di quell'uomo.» «Lo richiamarono?» fece Cardinal. «Una sera doveva cenare con me e Jean-Paul. Quando arrivò solo JeanPaul gli chiesi dov'era Shackley, e lui rispose che non credeva lo avremmo mai più rivisto. Aveva avuto una specie di scontro con gli alti papaveri.» «Quando successe esattamente?» «Il 17 agosto 1970. Me lo ricordo perché quel giorno il Fronte fece esplodere quattro bombe in città. Rimase uccisa una persona, una guardia giurata, e c'era polizia dappertutto. Per la prima volta si sentiva la crisi nell'aria.» «Ha mai rivisto Shackley?» «Mai. So che la squadra speciale CAT lo cercava dopo il rapimento di Hawthorne. Be', cercarlo non è la parola esatta, batterono la città da cima a fondo. Io ricevetti istruzioni precise di non immischiarmi con lui. Se mi avesse contattato in qualsiasi modo dovevo chiamare subito la sede centrale. Non so cos'abbia combinato, però lo cercavano almeno quanto cercavano quelli del Fronte.» «E queste persone? Riesce a identificarle?» Simone Rouault inforcò gli occhiali e prese la fotografia con le dita tremanti. «Oddio. È Madeleine. Madeleine Ferrier. Oh, quanto mi piaceva. Era l'unica felquiste che mi stava simpatica. Era così giovane. Diciott'anni, mi pare, diciannove al massimo. Non ho mai fatto il suo nome a nessuno. Certo, gli agenti appostati la notavano e Jean-Paul mi faceva domande, però gli dicevo sempre che non era nessuno, la cugina di un tale, faceva solo da mangiare. In effetti il suo coinvolgimento si limitava a quello. Era pazza di Yves Grenelle e faceva la terrorista solo per stargli accanto. Pendeva dalle sue labbra. Però era solo una bambina. Non ha mai maneggiato esplosivi, pistole o cose del genere. Povera Madeleine. Avrebbe cinquant'anni adesso.» «Avrebbe? È morta?» «Non è morta, è stata assassinata. Quando presero i sequestratori di Hawthorne fu condannata per favoreggiamento, non a causa della mia te-
stimonianza, e si fece sei mesi dentro. Poi cambiò ambiente. Andò all'università, diventò insegnante e si rifece una vita. Dodici anni fa si è trasferita nell'Ontario. Non eravamo amiche, però siamo rimaste in contatto negli anni. Mi piaceva parecchio, era l'unica a cui sarei stata disposta a dire la verità sul mio ruolo, però non ebbi mai il coraggio. Comunque mi telefonò per dire che si trasferiva nell'Ontario, non ricordo dove, e la volta successiva che ho ricevuto sue notizie era morta. Da quanto ne so non hanno mai trovato l'assassino.» «Ricorda dove è stata uccisa?» «Non so, su al nord. Ci vuole del coraggio per conoscere l'Ontario.» «E dice che aveva una passione per Yves Grenelle?» «Sì. Quello è Grenelle.» Un dito nodoso rimase sospeso sul giovane che rideva vicino al bordo della foto. I capelli ricci e folti e la barba gli davano l'aria da desperado in un film di serie B. «L'ha più rivisto dopo la prima bravata?» «Poco. Frequentava Lemoyne e Theroux, gente che c'era dentro sin dai primi giorni. Voleva comandare il Québec una volta liberato dalle grinfie di Pierre Trudeau. Scalò in fretta i ranghi dell'organizzazione.» «Ha mai saputo che è stato lui ad ammazzare quel ministro? Raoul Duquette?» «Ne era capacissimo: era violento, rabbioso, assetato di azione e potere. Ne era capace, sicuro. Però il delitto l'hanno confessato Daniel Lemoyne e Bernard Theroux. Lemoyne è quello.» Il dito ossuto rimase sospeso sul giovane grassoccio dall'altro lato della foto. «Era molto amico di Grenelle, se ben ricordo. Mi ha sempre stupito che non abbiano preso Grenelle assieme a lui e a Theroux. Ho saputo che è scappato a Parigi.» Chinò il capo, e cadde il silenzio. Cardinal e Delorme si guardarono mentre aspettavano. Cardinal aveva l'impressione che la vecchia stesse cercando di ricordare un particolare o forse piangesse il suo amore perduto. Poi sentì un fruscio sommesso e capì che stava russando. Delorme disse sottovoce: «Mi pare che abbiamo finito». Cardinal spense la cicca e tolse il bicchiere di champagne dalle vecchie dita. La bottiglia per terra era vuota. 22 Cardinal e Delorme andarono al Regent Hotel, nelle loro camere separate, Delorme al piano terra, Cardinal al secondo. Quando vide che la trappo-
la che chiamavano ascensore ci metteva troppo ad arrivare, infilò le scale piene di umidità. A quel punto desiderava solo una doccia e un sonnellino prima di cena, ma si era appena sfilato le scarpe quando sentì bussare alla porta. Andò ad aprire e si trovò davanti Calvin Squier che sorrideva come un amicone perduto da anni. «Senti, John, prima che tu dica una parola lascia che mi scusi. So che ho causato grossi problemi su al nord, e voglio solo che tu sappia che...» Cardinal chiuse la porta. «John, sono venuto a darti una mano.» Cardinal disse attraverso la porta: «Come mai ogni volta che mi aiuti finisco nella merda?». «Davvero, stavolta sono al tuo fianco al cento percento. E non posso credere che dopo i colloqui di oggi non ti servano le mie informazioni. Del resto ci sono novità di cui ti dovrei parlare.» Cardinal aprì la porta. «Come sai dei miei colloqui?» «Non posso parlare qui in corridoio.» Cardinal si spostò e Squier s'infilò nella camera sbottonandosi il soprabito. «Tienilo pure. Non ti fermi a lungo. A proposito, come hai fatto a trovarmi? Immagino che avrete piazzato anche qualche microspia» disse Cardinal. Squier assunse un'aria ferita. «Certo che no. Vedi, ti rifiuti di accettare che io mi fido di te anche se tu non ti fidi di me.» Il giovanotto sollevò le mani per respingere le accuse. «Lo so, lo so, ti ho creato qualche problema. Sono venuto appunto per questo. Per sistemare quel che posso.» «Puoi cominciare dicendomi chi ha chiamato Simone Rouault per cercare di farla tacere.» «Non sono stato io, ti assicuro.» «Francocanadese. Anziano. Sosteneva di essere del CSIS. Puoi capire che dal mio punto di vista è facilissimo crederlo.» «Poteva essere un capoccia di Ottawa. Non posso saperlo. Sai, è questa la novità che volevo annunciarti: mollo.» «Molli?» «Mi hai sentito. Calvin Squier e il CSIS hanno divorziato.» «Sono sicuro che sarete entrambi più felici.» Squier si sedette sul letto più vicino, lasciandosi sfuggire un sospiro, come se fosse in preda alla disperazione.
«John, ci sono momenti nella vita di tutti in cui dobbiamo stringere i denti e fare la cosa giusta. Il fatto è che non ero molto contento di come il CSIS aveva gestito la vicenda sin dall'inizio. Io cerco di fare il bravo soldatino, di fare il mio dovere e non porre troppe domande, ma quando significa letteralmente sabotare un'indagine su un omicidio in corso, allora lì pongo un limite.» «E cos'è che ha propiziato questo mutamento?» «Credo sia stato quando mi hai arrestato. Mi è caduto il velo dagli occhi. Lavoro... lavoravo per un'organizzazione importante e volevo credere che i miei superiori si comportassero secondo una morale. Però è incredibile come riconsideri la tua posizione quando sei ammanettato faccia a terra. Di colpo ho capito che stavo lavorando per gente a cui non frega un fico secco di quisquilie come verità e giustizia.» «E il sogno americano?» «Adesso mi prendi in giro, e forse me lo merito, però hai capito cosa sto dicendo. Sono entrato nei servizi segreti perché credo in certe cose. E ho compreso che i miei superiori non condividono le mie idee. Sai, non sei stato l'unico tenuto all'oscuro. Non mi lasciavano nemmeno vedere i dossier su Shackley. Soprattutto volevo sapere come mai era codice rosso. Nessuno mi dava la minima informazione, e non volevano nemmeno mollare il fascicolo, ammesso che esistesse ancora. Abbiamo divorziato per questo.» «E adesso sei venuto a chiedere scusa.» «E aiutarti, se posso.» «Scuse accettate, Squier. Addio.» Cardinal aprì di nuovo la porta. «Aspetta, John. Lasciami finire quello per cui sono venuto e poi mi tolgo di mezzo. Oggi sei andato da Sauvé. Sono sicuro che l'ex caporale non ti è stato molto utile.» «Non puoi avermi seguito fin là» disse Cardinal, richiudendo la porta. «No, però tu ragioni in modo logico, e Sauvé era l'uomo logico da cui cominciare. Non ha scucito niente, eh? Scommetto che è stato come parlare a una statua.» «Più o meno.» Squier prese nota sul palmare. «Bene. Torniamo a Sauvé. Scommetto che hai fatto cilecca anche con Theroux.» «Abbiamo parlato con la moglie. È stata molto utile.» «Davvero? Ti ha detto che suo marito non ha ammazzato Raoul Duquette?»
«Come fai a saperlo?» «John, leggiti il dossier. Non fa che ripeterlo da quando Theroux è stato condannato.» «Non in pubblico. Ha detto che è stato Yves Grenelle ad ammazzarlo.» «Non servirà a molto. Ufficialmente nessuno ha mai sentito parlare di Grenelle. E tutti quelli della squadra CAT ti diranno che è un'ipotesi assai improbabile. Yves Grenelle non era nessuno. Non era militante della cellula Chénier né della Libération. Nel migliore dei casi fungeva da collegamento tra le due. Non devi credermi sulla parola, basta che controlli nel dossier.» «Simone Rouault non ha avuto problemi a credere che è stato Yves Grenelle ad ammazzare Duquette. Le risultava che fosse un violento che voleva comandare il mondo, o per lo meno il Québec.» «Hai incontrato anche Simone Rouault. Amico, dovresti vedere la roba che ha il CSIS su quella donna. Si merita una medaglia. Sai quanta gente ha sbattuto in galera?» «Lei sostiene ventisette.» «È quello che le risulta. È stata tenuta all'oscuro di un sacco di dettagli.» «Certo» disse Cardinal, ricordando l'espressione del viso della donna mentre ripensava al tenente Fougère. «Una gran donna senza dubbio, ma non è in condizione di dire chi ha ammazzato Raoul Duquette.» «Però conosceva Miles Shackley.» «Certo che lo conosceva. Era molto vicino a Fougère, e Fougère gestiva Simone. Però la Rouault era un'informatrice di basso livello, John. Efficace ma di basso livello.» «Avevano informatori di alto livello? Mi stai dicendo che Daniel Lémoyne lavorava per la CIA?» Squier sorrise. «Le solite vecchie panzane.» «Da quanto mi risulta Simone Rouault era il miglior informatore che le Giubbe abbiano mai avuto.» «Voglio solo dire che può aiutarti solo entro certi limiti. Il tenente Fougère è morto e Lemoyne e Theroux non parleranno.» «Io devo parlare con Yves Grenelle.» «Yves Grenelle è sparito dalla faccia della terra nel 1970 e non si è mai più saputo nulla di lui. Lavora con quel che hai in mano. Sauvé è il tipo giusto. Era nella squadra speciale. Cavoli, praticamente la dirigeva, la CAT. E nonostante le sue tendenze criminali sa tutto quello che c'è da sa-
pere sul Fronte.» «Purtroppo è anche muto.» «Fagli vedere questo.» Squier estrasse dalla sacca una busta commerciale piegata in due. Cardinal la prese e l'aprì. «Una videocassetta?» «L'ho tenuta come regalino d'addio del CSIS. A differenza di loro io non credo che quando un cittadino americano viene ucciso sul nostro territorio non dobbiamo muovere un dito. Forse questa ripagherà parte dei guai che ti ho causato. Comunque appena Sauvé la vedrà mi sa che troverai il nostro ex Giubba e galeotto molto più disponibile a collaborare.» Squier si alzò. «Sono lieto di aver potuto lavorare con te, John. Sai, mi prendo una vacanza per riflettere sul futuro. E penserò seriamente se sia il caso di entrare in polizia. Tutto questo per colpa tua.» «Non saprò mai perdonarmi.» «Nel mio prossimo lavoro voglio essere sicuro di aiutare veramente la gente. Basta con queste menate del tenere tutti all'oscuro. Se Ottawa vuole questo, non starò più al gioco.» Cardinal sospettò che Squier stesse per fare il saluto militare, e invece si allacciò soltanto i bottoni del cappotto e gli strinse la mano un'ultima volta. «Continua a lottare dalla parte giusta» disse. E se ne andò. Cardinal attese qualche secondo, poi scese da Delorme e bussò alla porta. La collega venne ad aprire in jeans e maglietta, i capelli ancora bagnati dalla doccia. «Che c'è? Pensavo che avessimo appuntamento per cena» disse. «Calvin Squier, ex del Canadian Security Intelligence, voleva passare a salutare. E ha portato un regalino.» Cardinal mostrò la videocassetta. «Magnifico. Dove la guardiamo?» Tornarono al quartier generale della RCMP. Il sergente Ducharme era andato a casa, e questo era un problema. La giovane Giubba rossa al banco non sembrava entusiasta di far entrare due poliziotti di un'altra provincia, per non parlare di un'altra agenzia. Dopo aver consultato non uno ma due superiori, telefonò a casa al sergente Ducharme che diede il via libera. Ci fu poi una lunga ricerca di un ufficio disponibile. Alla fine Cardinal e Delorme furono messi in una stanza per gli interrogatori fornita di televisore e videoregistratore. La cassetta era lunga poco meno di mezz'ora, e quando finì Delorme si voltò verso Cardinal: «Sembra che il tuo amico dei servizi segreti una volta tanto sia stato ai patti».
«Ritiro tutto quello che ho detto. Andiamo a mangiare, e a cena sarò lieto di brindare a Calvin Squier.» Venti minuti dopo erano seduti in uno scomparto dell'Embassy di Peel Street. Esattamente come "albergo" era un termine un po' troppo pomposo per il Regent, "ristorante" sembrava eccessivo per l'Embassy. Sì, c'erano tovaglie e tavoli, una direttrice di sala e luci soffuse, cameriere in uniforme attillata e un cartello che diceva "Per favore, aspettare di essere accompagnati al tavolo". Però tutto il resto del locale, dal menu alla tappezzeria vinilica fino agli acquari grandi come bare ma privi di pesci, puzzava di ultima categoria. «Cosa pensi sia successo ai pesci rossi?» chiese Delorme mentre studiava il menu. «Si saranno trasferiti in un ristorante migliore. Ti va bene qui o preferisci andare da un'altra parte?» «Sono stanca e affamata. Restiamo qui.» «Hai deciso cosa vuoi? Io mi faccio una bistecca.» «Mi prendo il piatto speciale di frutti di mare.» «Attenta. Potrebbe essere pieno di pesci rossi.» «Non m'interessa. Tanto lo affogo con un sacco di birra.» Ordinarono la cena a una giovane sgarbata le cui aspirazioni nella vita non includevano il servire clienti. Per lo meno Cardinal era felice che si fosse rivolta a loro in inglese. Quando arrivarono le birre bevve un sorso della sua Labatt's e guardò accigliato la bottiglia. «Ha un sapore strano.» «La fanno diversa per il mercato del Québec.» «Perché?» «Perché i francocanadesi hanno gusti più sofisticati.» «Oh, certo, sono famosi per questo.» Delorme gli rivolse una smorfia. Aveva sciolto i capelli che cadevano in folte ondate sulle spalle, e indossava una maglietta rossa che aveva un aspetto decisamente migliore di quello che di solito hanno le magliette. In corrispondenza del cuore c'era ricamato un gatto nero. Quando arrivarono le pietanze si rivelarono stranamente gustose. La bistecca di Cardinal era tenera e cotta a puntino, un po' al sangue come piaceva a lui. E dalla faccia di Delorme era evidente la sua soddisfazione. «Il pesce è buono?» «Buono? È meraviglioso.» Il buon cibo li mise di buonumore. Mentre mangiavano discussero dei
progressi della giornata e di quelli che speravano di ottenere nella successiva. Non avevano ancora un movente preciso per l'omicidio Shackley, ma se l'indomani la fortuna fosse girata dalla loro parte forse ne sarebbe spuntato uno. Dopo un po' passarono ad argomenti più personali. Cardinal le chiese di un ragazzo che lei aveva nominato un paio di volte. «Eric... come faceva di nome? Da quanto mi hai detto sembrava un tipo a posto.» «Oh, certo, era a posto, a parte che scopava tutto quello che si muoveva. Certe volte capisco come mai alcune donne diventano lesbiche.» Una pausa. Delorme distolse lo sguardo un attimo, poi si chinò in avanti un tantino. «John, non ne abbiamo più parlato da quando stavi per dare le dimissioni l'anno scorso, ma adesso te lo chiedo da amica: Rick Bouchard e soci ti stanno ancora addosso?» «Un po'.» «Lo sapevo. Che succede?» «Ha mandato una cartolina. Conosce il mio indirizzo.» «Di casa? Cosa vuoi fare?» «Bouchard deve scontare ancora qualche mese. Posso sempre sperare che faccia una cazzata e si becchi un prolungamento di pena.» «Però non puoi contarci.» «Allora potrebbe bluffare per fare il duro. È dentro da dodici anni. Vuole davvero rischiare di tornarci per avermi fatto del male? È possibile che siano solo spacconate da penitenziario.» «Lo spero. Informami se posso fare qualcosa.» «Grazie, Lise. Possiamo cambiare discorso?» «Di cosa parliamo?» «Del tuo peggior appuntamento galante.» «Oh, è dura. Ce ne sono stati tanti.» Delorme si lanciò in un resoconto di un appuntamento al buio con un asso del volante iniziato con una multa per eccesso di velocità e finito con una gomma a terra sotto una pioggia scrosciante. Durante la cena Cardinal non poté fare a meno di notare quant'era diversa fuori dal lavoro. Aveva un viso meravigliosamente espressivo. In centrale adottava un'efficienza brusca che teneva lontana la gente e la rendeva anche difficile da interpretare. Ma adesso, fuori dall'orario d'ufficio e in un'altra città, abbassava la guardia. I suoi gesti erano diventati più sciolti, gli occhi strabuzzati mentre descriveva la corsa con l'asso del volante, la voce abbassata in un biascichio da illetterato mentre lo imitava. Cardinal era felice del fatto che la collega
gli mostrasse un lato più spontaneo, più femminile e forse, chissà, più francese. Una volta sparecchiato, rimasero in silenzio. «Vuoi una birra?» chiese Cardinal. Delorme fece spallucce, mettendo per un attimo in evidenza i seni, poi fece segno alla cameriera. «Un'altra birra. E un'altra Labatt's per mio padre!» Quando rientrarono in albergo, una ragazza al banco li chiamò. Parlava in francese. «Signora Delorme, mi dispiace ma abbiamo avuto un problema. È scoppiato un tubo al piano terra che ha allagato tutte le stanze. Temo che non sia possibile farla rimanere nella sua camera.» «Va bene, trasferitemi in un'altra.» «Purtroppo siamo al completo. Non ci sono camere libere.» «Hai capito?» chiese Delorme a Cardinal. «Più o meno.» «La prossima volta vado al Queen Elizabeth, lo giuro.» Si girò verso l'impiegata, sempre parlando in francese. Cardinal non afferrò tutto, ma notò ammirato che Delorme non perdeva la calma e non alzava la voce, anche quando la situazione degenerava. Alla fine lei si girò di nuovo verso il compagno. «C'è un Holiday Inn a un paio di chilometri. Mi pagheranno il pernottamento.» «È sicura di non avere altro?» chiese Cardinal all'impiegata. «Nell'intero albergo deve...» La risposta della ragazza arrivò fortemente accentata. «Di solito non sarebbe un problema, ma stanotte abbiamo una squadra liceale di hockey che occupa un intero piano. Mi dispiace.» Cardinal era preoccupato per Delorme, che d'un tratto gli parve molto piccola e stanca. «Perché non prendi la mia stanza? Ci vado io all'Holiday Inn» propose. «Non esiste, non posso sfrattarti.» «Allora l'altra possibilità è che ci stiamo in due. Ho due letti matrimoniali.» Delorme fece segno di no. «Cerchiamo di dimostrarci adulti. Non ti salterò addosso» aggiunse lui con calma. «Poi tutto il dipartimento ci prenderà in giro? No, grazie.»
«Chi lo verrà mai a sapere? Io non lo vado a raccontare a nessuno.» «Dovrei andare altrove.» «È stata una giornata lunga. Sei stanca. E domattina ci alziamo presto. Vieni nella mia camera.» «John, fammi il piacere. Se lo scopre qualcuno, e intendo chiunque, non ti rivolgo più la parola.» Cardinal s'infilò sotto le coperte mentre Delorme si lavava i denti in bagno. Voleva telefonare a Catherine ma si sentiva a disagio con Delorme tra i piedi. Così prese un tascabile e cercò di leggere qualche pagina. Quando la porta del bagno si aprì tenne gli occhi incollati sulla pagina, ma vide con la coda dell'occhio che Delorme era ancora vestita. Si girò su un fianco dalla parte opposta, poi sentì il rumore di lei che si svestiva, della lampo dei jeans. Un respiro profondo mentre si infilava nel letto. La stanza era soffocante. Cosa indossava sotto le coperte? Cardinal si rimise di schiena domandandosi cosa poteva dire. Non voleva di sicuro dire nulla di troppo personale, che potesse essere equivocato come provocazione, però non voleva nemmeno tornare a parlare del caso. Delorme provava qualcosa di pur lontanamente simile? Si stava chiedendo che dire? Immaginava cose? Quasi volesse rispondergli, Delorme gli diede la schiena e spense la luce. Certo, poteva essere un gesto da interpretare. Sperava che facesse lui la prima mossa? Gli piaceva la sua chioma che pioveva in boccoli sul cuscino, i fianchi in rilievo sotto le coperte. A cena l'aveva fatto passare per suo padre. Mi ha rimesso al mio posto, si disse, mi ha ricordato dei dodici anni e più che ci separano. Spense la sua luce e decise di non pensare più a lei. Non funzionò, e rimase sveglio a lungo. Delorme era alzata e vestita prima che la sveglia scuotesse Cardinal dal sonno. «Sono giù al bar» gli disse, e sparì. Andarono nei sobborghi, fino alla strada di tronchi che portava a casa Sauvé. Era spuntato il sole, e i campi erano spazzati da un vento insistente. Sembravano paludi mentre scintillavano come metallo al sole. Cardinal fece un paio di telefonate sul cellulare al consolato britannico. Una giovane
educatissima garantì che avrebbe portato avanti le richieste del caso e l'avrebbe fatto chiamare al più presto. «Tutto bene? Sembri un po' a terra» disse Delorme a un certo punto. «Sono stanco. Non ho dormito bene.» «Davvero? Io ho dormito come un ghiro.» Cardinal si chiese se stesse cercando di sottolineare la sua totale indifferenza fisica nei suoi confronti, era però più probabile che stesse solo affermando un dato di fatto: l'attrazione fisica non le era mai passata per l'anticamera del cervello. Infilarono il vialetto d'ingresso di Sauvé, bloccando il padrone di casa che stava uscendo in retromarcia. Sauvé si attaccò al clacson, facendo volar via dagli alberi i corvi e le ghiandaie. Visto che Cardinal non si muoveva, aprì lo sportello del furgone e gli andò incontro claudicante. «Le ho detto che non ho nulla da dire alle Giubbe, alla Sûreté e alle altre polizie. Adesso fuori dalla mia strada.» «Signor Sauvé, ha un videoregistratore? Se non lo possiede ne abbiamo portato uno noi.» L'interno della casa era in uno stato ancor più pietoso del suo occupante. Alle finestre erano appesi teli di plastica nel vano tentativo di tenere all'esterno l'inverno del Québec. Una parete del soggiorno era costituita soltanto da colonnine di sostegno e il corridoio era cosparso di pezzi d'intonaco. Nel soggiorno c'era un divano sfondato con sopra una coperta di lana su cui si sedettero Cardinal e Delorme. Sauvé occupò una poltrona che sputava imbottitura da un bracciolo. Un gatto nero con chiazze di alopecia venne a ronzargli attorno ai piedi. L'ex caporale teneva una bottiglia di birra in mano e stava seduto tutto storto per poter guardare il televisore con l'occhio buono. Il nastro era stato registrato di sera, da diverse angolazioni, in un parcheggio. Sauvé era sceso dal suo camioncino per scaricare alcune scatole etichettate "Ministero dei Trasporti". Poco dopo due uomini scesero da un furgone e controllarono le scatole prima di consegnargli una busta; poi Sauvé se ne andò con il pick-up mentre gli altri caricavano la merce nel furgone. Finito il nastro Sauvé scagliò la birra dall'altra parte della stanza, mandando la bottiglia a infrangersi contro una parete. L'odore di luppolo riempì la stanza, unendosi al sentore di muffa. «Certe persone sono disposte a dimenticare questo episodio se lei collabora con le nostre indagini. E ovviamente sempre che lei smetta di fornire esplosivi alla Lega di autodifesa francese» disse Cardinal.
Sauvé si massaggiò le guance non rasate. Gli mancavano tre dita da una mano. L'occhio sano era un pozzo di rabbia allo stato puro. «Agente, mi dica una cosa. Crede sul serio che passi una gran differenza tra le Giubbe e quelli che stanno dietro le sbarre?» «Finora non ho mai conosciuto Giubbe rosse che hanno dato in pasto agli orsi le loro vittime. Però faccio una vita ritirata.» «Qualche giorno fa Miles Shackley è venuto ad Algonquin Bay. Pensiamo che lei conosca il motivo» aggiunse Delorme. «Sai una cosa, sorella? Non lo so. Non vedo Shackley da trent'anni. «Eppure le ha telefonato tre settimane fa. Perché mai?» «Era una vecchia spia che non sopportava la pensione, va bene? Provava nostalgia, telefonava ai vecchi amici. Tornava nei posti di una volta. Ci raccontavamo le battaglie della nostra giovinezza. Perché non doveva telefonarmi?» «Lavoravate insieme nella squadra CAT, vero?» «Sì, ed eravamo assegnati a trovare informatori dentro l'FLQ. E lo facevamo.» «E lavoravate a fianco del tenente Fougère?» «Non da subito. Io ho lavorato con Fougère dopo che ha pestato la merda. Oh, dovete scusare, parlo male di un morto. Mi dispiace tanto. Il tenente Fougère ha avuto la brillante idea dell'Opération Coquette. Soprattutto perché si chiavava la coquette.» «Sta parlando di Simone Rouault?» «Già. Una gran troia. Fougère recluta l'amichetta per infiltrare il Fronte e passa i primi mesi a indurla a blandire un certo Claude Hilbert. C'è solo un problema: Hilbert era il mio informatore.» «Lavorava già per il CAT?» «Era il mio informatore da prima che io entrassi nella squadra. Era mio da diciotto mesi. Fougère e la sua putain hanno gettato nel cesso interi mesi di lavoro. Così io e Shackley siamo stati costretti a prendere in mano la situazione. Shackley era della CIA, un tipo davvero a posto. Una delle poche persone al mondo su cui potevi contare. Quando abbiamo costituito la forza congiunta antiterrorismo lui si è offerto volontario. Non era tenuto. Prima aveva un impiego comodo a New York. «Ed era pieno di risorse. Non come Fougère. Quando Shackley è venuto a cercarci aveva già un agente sul posto. Le regole della CIA imponevano che non doveva dirci chi era o dov'era. Poteva condividere i risultati e incrociarli per maggior precisione, ma il resto era strettamente riservato.»
«Però ovviamente dovevate disporre di quelle informazioni. Altrimenti rischiavate di commettere lo stesso errore di Fougère.» «Vada a dirlo a Langley. Alla fine non contò più nulla perché Shackley e Langley non ingranavano su tutta una serie di cose. Però mi disse chi era il suo infiltrato: un certo Yves Grenelle.» «Yves Grenelle ha ammazzato Raoul Duquette?» «Leggete i dossier. Sono stati Daniel Lemoyne e Bernard Theroux ad ammazzare Raoul Duquette. L'hanno confessato.» Cardinal si alzò in piedi. «D'accordo. Lei ha una gran fretta di tornare in prigione. La vendita di esplosivi a un gruppo terrorista dovrebbe bastare per almeno altri otto anni. E, naturalmente, in quanto ex sbirro sarà molto popolare nel braccio.» «Sto dicendo la verità. Sono stati Lemoyne e Theroux a...» «Lo sanno tutti che hanno confessato l'uccisione di Duquette. Sappiamo anche che c'era una cosa che si chiamava solidarietà di gruppo. Chi veniva preso si assumeva la colpa e chi la faceva franca la faceva franca. E Yves Grenelle l'ha fatta franca, no?» «Sì, e allora?» «Ed era l'agente di Shackley, no?» «Sì, era l'agente di Shackley. E allora?» «E ha ammazzato Duquette, no?» «Se è stato lui io non c'entro.» «Però forse Shackley sì. Di colpo in piena Crisi di ottobre l'intera squadra CAT è stata impegnata nelle ricerche di Shackley. Perché?» «Forse perché ha giocato duro. Era uno che pestava parecchi piedi.» «Cosa significa? Che Grenelle non era solo un informatore? Era un provocatore, ecco cosa. Come Simone Rouault. Commetteva più crimini di quelli che sventava?» «E se fosse?» «Be', se Fougère ha spinto la sua amichetta a derubare compagnie petrolifere e piazzare bombe, immagino che l'uomo di Miles Shackley fosse capace di ben altro. Come ammazzare Raoul Duquette.» Sauvé alzò le spalle. «Possibile.» «Non poteva essere la politica della CIA. Che interesse avevano a fomentare un'insurrezione in un paese amico?» «Ha ragione. La CIA non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Potrebbe dirglielo qualsiasi cileno. O può andare a chiedere ai guatemaltechi.» «Sta dicendo che era la loro politica?»
«Cristo, non venite su svegli nell'Ontario, eh? Per la cronaca, no, non credo che fosse politica della CIA fomentare insurrezioni in Canada. La politica ufficiale.» «Però?» «Niente però. Fine.» «Secondo lei che effetto farà questa cassetta al notiziario delle sei? Lo verifichiamo?» «Va bene, per Dio! Mi chiedete cose che non posso sapere. La politica non ufficiale della CIA? Operazioni supersegrete? Come posso saperlo? Cristo santo, ero una Giubba rossa. Se volete sapere come la penso, ve lo dico gratis. Però sono solo si dice e supposizioni, e l'unico motivo per cui posso farlo è perché conoscevo bene Shackley. Eravamo amici perché eravamo entrambi pecore nere e piaceva a tutti e due fare il nostro dovere.» «Bene. Sto ascoltando.» Sauvé fece un lungo sospiro, poi iniziò a parlare con voce monotona, come se avesse già tenuto molte volte una conferenza sul tema. «Gli Stati Uniti di Nixon erano estremamente irritati con il Canada. Primo: gli avevamo suggerito di togliere l'embargo a Cuba. Gli yankee vedono rosso quando si parla di Cuba. Secondo: accettavamo tutti quelli che evitavano la leva per il Vietnam, e questo non ci garantiva molte simpatie a Washington. Terzo, siamo all'apice della guerra fredda quando Trudeau ci dichiara zona denuclearizzata. Denuclearizzata! Non abbiamo nemmeno un vero esercito. Gli Stati Uniti spendono miliardi di dollari per la difesa e vedono che noi non sganciamo un soldo. E quarto: Trudeau ha i capelli troppo lunghi. Penserete che stia scherzando ma stiamo parlando di Richard Milhous Nixon, il re della paranoia. «La cricca di Nixon voleva che il vicino su a nord cambiasse atteggiamento, e lo voleva subito. Desideravano un governo conservatore, uno da guardare negli occhi su cosucce come il Vietnam o la guerra fredda o le testate nucleari. E la maniera migliore di riuscirci, stando a questi tipi pratici, era terrorizzare a morte la popolazione canadese perché votasse qualcun altro. Però avevano un grosso problema.» «Pierre Trudeau.» «Pierre Trudeau. Erano i giorni della trudeaumania. Come potevano far rinsavire i canadesi? Escogitarono questa idea. Il Québec sta diventando caldo. Perché non renderlo incandescente? Così il resto del Canada se la fa sotto. E quando la gente vedrà che mammoletta è in realtà Pierre Trudeau, lo caccerà e al suo posto metteremo un conservatore purosangue. Dovete
capire che non è una politica, è solo un "se", un'ipotesi. «Il compito di Shackley doveva essere quello di valutarne la fattibilità. Lo si fa di continuo nei servizi di sicurezza, giochi un wargame, metti alla prova una teoria. Così Shackley piazza un uomo nell'FLQ. In un posto superprivilegiato. E poi quando è pronto per avviare le danze la gente a Langley ci ripensa. Gli dice no grazie tante. Purtroppo Shackley fa sul serio, non so se mi spiego, e continua a manovrare Grenelle per conto suo. Ecco perché è scomparso, e perché quando furono sequestrati Hawthorne e Duquette ogni sbirro di Montreal che cercava Daniel Lemoyne e Bernard Theroux cercava anche Miles Shackley.» «Crede che abbia ordinato a Grenelle di ammazzare Duquette?» «Che importa?» Sauvé sputò sulla stufa a gas, creando un crepitio che ricordava i disturbi in una trasmissione radio. «Raoul Duquette è morto da trent'anni.» 23 Cardinal e Delorme si fermarono per pranzare in una piccola tavola calda sulla strada, Chez Marguerite. Cardinal recitò mentalmente l'ordinazione in francese, ma Marguerite, un donnone enorme con occhiali grandi come piatti, quando prese l'ordinazione scoppiò a ridere. «Perché sghignazzava? Pensavo di aver detto giusto.» Delorme scosse il capo. «È il tuo accento. Tu trovi buffo l'accento dei francocanadesi, però credimi, non è nulla in confronto a un anglo che tenta di parlare francese.» «Va bene, non parlerò più francese.» «Non fare lo sciocco. Te la sei cavata bene.» «Maledetti francesi. Poi si domandano perché il resto del paese non li sopporta.» «Basta, mi sembri McLeod.» «Scherzavo.» Delorme guardò dalla finestra i campi dall'altra parte della statale. Il sole era ancora basso in cielo e la luce traeva riflessi ramati dai suoi capelli. «Credi che Sauvé abbia detto la verità?» chiese. «Aveva solo da guadagnare dicendo la verità. E tutto quello che ha detto combacia con quanto abbiamo sentito dagli altri. Credo sia il massimo che possiamo ottenere dai contatti telefonici di Shackley.» La proprietaria portò il cibo, hamburger per Cardinal e un piatto di pou-
tine, una sbobba francocanadese a base di patate fritte, salsa e formaggio fuso, per Delorme. «Dio, Delorme, come fai a mangiarlo?» «Lasciami in pace. Lo mangio solo quando sono nel Québec.» «Ah, ricordo. I sofisticati gusti francocanadesi.» Delorme gli inchiodò addosso i limpidi occhi marrone. «Dovresti dire prendre. Vuoi ordinare da mangiare? Je vais prendre.» Erano sulla statale 20, quasi in città, quando suonò il cellulare di Cardinal. La voce all'altro capo del filo era molto educata. «Buon pomeriggio. Posso parlare per favore con l'agente Cardinal?» «Sono io.» «Ah. Credo che mi stesse cercando. Mi chiamo Hawthorne. Stuart Hawthorne.» Stuart Hawthorne dimostrava poco meno di settant'anni, ma era magro ed energico. I capelli folti e argentati sulla sommità conservavano tracce del vecchio color sabbia verso la nuca, ed erano pettinati all'indietro in modo da formare come due ali dietro le orecchie. Cardinal si sarebbe aspettato un doppiopetto gessato, ma ovviamente Hawthorne era ormai in pensione e non aveva motivo di mettersi in ghingheri. Indossava invece una camicia bianca morbida con i bottoncini sul colletto, pantaloni kaki senza risvolto e un paio di scarponcini Kodiak. Sembrava una persona a suo agio in un safari, in uno studio televisivo o a fare giardinaggio sul retro. «Sa, agente, mi ha chiamato il CSIS. Sembravano molto ansiosi che non vi dicessi niente» spiegò quando Cardinal e Delorme passarono a prenderlo presso la sua abitazione di Westmount. «Non vogliono che nessuno parli con noi. Ci sono aspetti di questa indagine che non gioverebbero molto alla loro vecchia guardia» disse Cardinal. «Io non ho problemi. Per quel che mi riguarda hanno combinato un bel casino durante la Crisi di ottobre. Se si fossero comportati in modo diverso Raoul Duquette sarebbe ancora vivo.» «La persona che le ha telefonato ha detto come si chiamava?» «No. E questo mi ha subito insospettito. Era più vecchio di me, be', prevedibile se è della vecchia guardia, forse francocanadese. Comunque non sono disposto a ostacolare un'indagine su un omicidio in base a una telefonata anonima.» Guidarono in silenzio per un breve tratto, poi Hawthorne disse: «Sapete,
ricevevo parecchie richieste del genere ma ho smesso di parlare con la stampa più di dieci anni fa. L'ultima volta che mi hanno cercato è stato nell'ottobre 2000, nel trentesimo anniversario dei fatti. E io gli ho detto di no, che si dimenticassero di me. Voglio dimenticare il 1970, il mio ruolo per lo meno. D'altro canto non passa giorno che non pensi a Raoul Duquette sepolto sul Mount Royal». Delorme guidava, mentre Cardinal era seduto dietro, una disposizione decisa in anticipo presumendo che Delorme potesse fornire un orecchio più comprensivo, per non dire più attraente. E funzionò. Una volta per strada Hawthorne proseguì senza bisogno di essere sollecitato. «Maledetti giornalisti» disse. «Mi sa che quelli della CBC speravano che tirassi fuori qualcosa di clamorosamente cristiano e perdonassi i miei rapitori, mi dispiace però io non li perdono. A parte quello che mi hanno fatto, la gente dimentica quanto ha passato la mia famiglia. Sapete, a un certo punto i giornali hanno annunciato la mia morte, lo stesso giorno in cui hanno ammazzato Duquette. Ve l'immaginate come c'è rimasta mia moglie? Avevo un bambino di quattro anni, ci pensate? Perdonarli? Assurdo. Mia moglie non è più tornata la stessa. È stata più dura per lei che per me. Ecco cosa non posso perdonare.» Delorme svoltò verso nord su un'arteria principale, seguendo il percorso che avevano deciso in precedenza. Hawthorne osservò la vita di strada, che sembrava composta soprattutto da ragazzini in skateboard e donne arabe che spingevano passeggini. Al telefono non era parso molto contento dell'incontro, e aveva detto: «È successo trent'anni fa. Voglio andare avanti con la mia vita». Eppure, stranamente, non aveva lasciato il Canada dopo il sequestro, nemmeno il Québec. Quando era andato in pensione nel 1988, aveva deciso di spostarsi a Montreal, il luogo dove si era svolto il suo dramma. Cardinal gli chiese il perché. «In realtà ho cercato di tornare in Inghilterra, ci sono rimasto due anni, però uno dopo un po' si abitua alla mentalità diversa, alla vita diversa. A essere sinceri, ho trovato la Gran Bretagna insopportabilmente tediosa di questi tempi, nonostante il modernismo superficiale di Tony Blair. Ha ancora quell'aria di paese arretrato di vent'anni rispetto al resto del mondo.» Si girò verso Cardinal. «E poi, nonostante quello che ho passato, mi sono sempre piaciuti i canadesi. Quelli che mi hanno rapito erano estremisti. Avevo, e ho ancora, molti amici canadesi. In genere i canadesi sono una felice via di mezzo tra i gretti inglesi e gli americani estroversi. Questa al-
meno è la mia esperienza. Forse non sarete d'accordo.» «Non saprei. Alcuni miei parenti sono disgustosamente conservatori. Certe volte mi fanno spavento. Votano per gentaglia come Geoff Mantis» disse Delorme. «Noterà che non mi sbilancio. Gli automatismi della diplomazia sono duri a morire.» Cardinal era incuriosito dall'accento di Hawthorne. Oxford o Cambridge, questo lo capiva, ma non sapeva quale. Le parole più banali sembravano stupende. Era un tantino invidioso e si chiedeva se Delorme provava la stessa sensazione con le persone venute dalla Francia, ammesso che ne avesse mai conosciute. Hawthorne era elegante, mellifluo, rifinito, gli venivano in mente solo quelle parole, in un modo sconosciuto ai canadesi. Lui ci chiama una felice via di mezzo tra americani e inglesi, ma a dirla tutta entrambi ci intimidiscono, si disse. «Non sono mai tornato» proseguì Hawthorne. «In quella casa, intendo. La CBC mi chiede spesso di andarci. Ogni cinque anni, puntuale, qualche giovane produttrice intraprendente, si chiamano sempre Mindy se sono anglo e Lise se sono francesi...» «Io mi chiamo Lise» l'interruppe Delorme. «Nel qual caso dovrebbe lavorare per la CBC.» Delorme scoppiò a ridere. «Insomma, come dicevo, il telefono suona ogni cinque anni e Mindy o Lise vuole sapere se mi dispiacerebbe ritornare sui fatti passati. Rievocare i giorni trascorsi fra i terroristi e casomai fare un passaggio dalla casa. Ovviamente con riprese in diretta. «Io, alla Bartleby, gli rispondo che preferirei di no. Loro lo prendono come una conferma e diventano come cuccioli a cui un rifiuto fa crescere l'entusiasmo. Per quattro settimane chiamano di continuo, mi invitano a pranzo, a cena, suggeriscono di passare a trovarmi, come se fosse un grande incentivo, e manca poco che mi offrano il primogenito in cambio di un'intervista e un ritorno a quella maledetta casa. E io non ci sto mai» aggiunse, scivolando nel silenzio mentre svoltavano sulla Delavigne, una stradina di villette. «Non ci sto mai.» «Mi dispiace se lo trova sgradevole, ma come dicevo per telefono siamo alla disperata ricerca di informazioni. Non lo facciamo per divertimento ma per prendere un assassino» disse Cardinal. «Sì, certo, altrimenti non sarei qui. Attenti, è questa la strada. Non è la... Delavigne? Sì, è questa. Chiaramente in quei giorni non la vidi mai, la
strada.» «Era bendato?» chiese Delorme. «In auto sì. Sapete con cosa mi hanno bendato? Con una vecchia maschera antigas. Con i vetri oscurati. Non ci vedevo un accidente. Però posso garantirvi che era terribile. Non sapevo che fosse una specie di benda. Temevo che stessero per gasarmi o qualcosa di simile, mi hanno gettato sul sedile di dietro e mi minacciavano, poi mi hanno messo quella cosa di gomma puzzolente sulla faccia. Non incoraggia certo un atteggiamento ottimistico.» «Eccoci» annunciò Delorme, accostando nel vialetto di un villino bianco in coda a un minivan marrone. «Mio Dio» sospirò Hawthorne. Cardinal fece per scendere dalla macchina. «Aspetti un attimo» disse Hawthorne. «Le dispiace restare seduti qui un minuto? È un tantino...» Cardinal chiuse la portiera. «Mio Dio» ripeté Hawthorne. «Sapete, se fossi passato di qui per caso non avrei mai riconosciuto il posto. Nemmeno in un milione di anni. Certo, non l'ho mai vista bene essendo bendato, cioè, sì e no. Quel primo giorno ho scorto qualcosa attraverso l'orlo della maschera. E l'ultimo giorno, quando finalmente mi portarono via, sono uscito e sono salito sul retro della loro auto scassata, così l'ho vista mentre partivamo. Però sembrava diversa.» «È questa. Il numero è lo stesso. E ho visto le vecchie foto. L'unica differenza è che hanno aggiunto un garage.» «Oh, ha ragione, certo. Sono sicuro che è questa. Solo che nei miei ricordi è diventata una cosa da incubo. Adesso ovviamente meno, è stato così soprattutto nei primi cinque anni, quando la sognavo. Ci pensavo di continuo. Ma il fatto è che per me ha preso una certa forma nella mia mente. E non è questo posto che stiamo guardando adesso.» «Mi dispiace farle rivivere questa esperienza, signore.» Cardinal non sapeva come mai continuava a chiamarlo signore. Non lo faceva con nessuno. Colpa di quel maledetto accento. «No, no, affatto. Anzi, forse mi gioverà. Sarà come uccidere il drago. È solo una casa in una strada tranquilla. Non è una camera delle torture. No, no, sono sicuro che mi farà bene.» Hawthorne si diede un colpetto sulle ginocchia. «Forza, andiamo.» Gli andò incontro sulla porta Al Lamotte, l'attuale proprietario della vil-
letta. Delorme gli aveva parlato per telefono quando aveva preso accordi. Come lei, era poco più che trentenne e non aveva ricordi precisi dei fatti del 1970. La casa era passata di mano una decina di volte nel frattempo. Lamotte ci abitava con la moglie e il figlio da due anni. Adesso lei e il bambino erano fuori. «Io sto fuori dai piedi, va bene? Voi andate dove volete, rimango in cucina» disse il padrone di casa dopo le presentazioni di rito. «Grazie, signor Lamotte, è molto gentile» disse Cardinal. Lamotte fece un gesto come per dire che non era un disturbo, prima di andare in cucina. Hawthorne era rimasto con le mani sui fianchi a osservare il posto, sembrava a suo agio. Fuori dalla finestra del soggiorno gli alberi e un campanile lontano scintillavano al sole. Cardinal lo guardò ansioso. «Non ho mai visto il soggiorno fino alla fine. Era quasi totalmente spoglio. Qualche sacco a pelo, un paio di seggiole. Era evidente che non si aspettavano che il sequestro durasse più di un paio di giorni. Mi hanno sempre tenuto in camera da letto. C'era sempre una sentinella armata a guardia della porta. Non mi ricordo molto di questa stanza. Il posto era circondato dalla polizia e dai militari. Io volevo solo andarmene prima che cominciassero a volare le pallottole.» La voce dell'ex console tremò appena. Una crepa nella patina levigata. «Mi tenevano sempre in camera tranne quando dovevo andare in bagno. Persino lì volevano entrare assieme a me. Che umiliazione!» Hawthorne si girò verso gli altri. «Dovete capire, non credo di avere grandi rivelazioni da farvi. È passato tanto tempo. E naturalmente non volevo ricordare, volevo solo dimenticare.» «Possiamo dare un'occhiata in camera da letto?» Era stata Delorme a parlare, e Cardinal ne fu felice. Era penoso veder tremare un uomo così padrone di sé come Hawthorne. L'inglese chinò la testa. Era la cosa più vicina a un cenno di assenso che gli riusciva. Poi Delorme si voltò, e lui la seguì come un bambino nel corridoio in penombra. Cardinal rimase in corridoio, dove la luce proveniente dalla camera tagliava un riquadro luminoso. Hawthorne era in fondo alla stanza, ingobbito, le mani in tasca, il mento incassato come se stesse sfidando una folata di vento. Adesso era una camera di bambino, il regno, a giudicare dall'attrezzatura
sportiva, di un maschio di dieci o undici anni. Un enorme orsacchiotto era seduto un po' storto in un angolo. Sulla parete era appeso un aquilone variopinto in attesa dell'estate, accanto a un manifesto dei Montreal Canadiens. Un comò giallo con parecchi cassetti aperti era carico di videogame, fumetti e figurine con immagini di maghi e streghe. Su uno scrittoio c'era un computer, il cui salvaschermo mostrava un Tyrannosaurus rex ruggente. Si percepiva un vago odore di scarpe da basket nuove. «Oddio» disse sottovoce Hawthorne. Cardinal e Delorme attesero. L'inglese spostò il suo peso da un piede all'altro mentre si guardava attorno. «Sono contento che sia diventata la cameretta di un bambino» disse senza spiegare. Comunque Cardinal non era del tutto convinto che stesse parlando con loro. «È come ritornare su un campo di battaglia. Gettysburg o Poitiers. Ci siete mai stati? Qualche collina, fiori ed erba che ondeggiano al vento. Non indovinereste mai cos'è successo in quei posti. «Ovviamente adesso sembra tanto piccina. Due sequestri, un morto. Un banale disturbo sullo schermo rispetto a quanto è successo l'11 settembre. Però è tremendo essere sequestrati.» Si girò verso Delorme. «Due mesi ho passato qui dentro. Due mesi.» «È tanto.» «All'inizio non era così terribile. Intendo dopo lo choc iniziale. Erano gentili, facevano di tutto perché stessi comodo... quanto puoi esserlo con le caviglie legate e un cappuccio sulla testa. Era una federa aperta lungo una cucitura. Potevo guardare davanti ma non di lato. Per due mesi ho goduto dello splendido panorama di una parete. Loro continuavano a garantirmi che non mi avrebbero fatto del male, che ero solo una pedina eccetera, una merce di scambio. Immagino che a loro modo fossero abbastanza educati.» Si girò verso la finestra. «Era sbarrata con assi. Sognavo di allentare una tavola e di saltar fuori, però c'era sempre una guardia. Mi portavano libri da leggere, all'inizio roba politica e poi gialli tascabili.» Emise un sospiro, inframmezzato da un tremito. «Quanti erano?» chiese Cardinal, ma Hawthorne non parve sentire mentre proseguiva lungo la sua visita nel passato, un momento indicando un angolo, l'attimo seguente accennando a una parete. «Il letto era una brandina. Abbastanza comoda, credo, ma strettissima. In quel modo per loro era più facile legarmi alle sbarre.» Si voltò, un cenno. «Una sdraio presso la porta. E c'era sempre qualcuno seduto sopra. Era-
no sempre armati ma non puntavano mai la pistola. Gli bastava averla.» Si girò nuovamente, un cenno. «Lì c'era un tavolino da picnic aperto. Due seggiolini pieghevoli. Era dove mangiavo. Molto cibo da asporto, ovviamente. Però ogni tanto c'era una donna che cucinava, Madeleine, ecco come si chiamava. Faceva una buona tourtière e altri piatti. Certe volte anche cibi cotti al forno. Sembrava sentirsi in colpa per quello che avevano fatto e ogni tanto mi sussurrava: "Non si preoccupi, non si preoccupi. Andrà tutto bene".» I ricordi parvero far vibrare una corda emotiva fino a quel momento muta. Hawthorne si strinse la radice del naso tra pollice e indice. «E... stavo bene. Bene davvero. Avevano la televisione o la radio sempre accese e mi tenevo aggiornato. E sembrava che il governo provinciale stesse facendo il possibile per trattare una soluzione. Poi però Ottawa mandò l'esercito. Il momento in cui imposero la legge marziale fu come se avessero aspirato tutta l'aria da questa stanza. I sequestratori non se l'aspettavano, dovete capire. Pensavano che fossero in corso negoziati. Ma adesso che era subentrata Ottawa...» Con la punta dello scarpone Kodiak Hawthorne seguì il profilo della tigre sul tappeto ai suoi piedi. «Una volta capito che i negoziati erano falliti, erano terrorizzati. Be', avete visto cos'è successo all'altra colonna. Il giorno dopo la dichiarazione della legge marziale uccisero Raoul Duquette...» La punta dello scarpone seguì il muso della tigre attorno alle orecchie prima di tornare alla mascella. «Quel poveretto è nella tomba da trent'anni. È solo questione di fortuna. Lui fu preso dal gruppo più violento. Alcuni pensano che abbia litigato con i rapitori, però sono sicuro che non è stato tanto sciocco da opporsi a loro. No, ha avuto solo la sfortuna di essere preso da gente disposta a uccidere. I miei rapitori non erano così, e io non lo attribuisco alle mie capacità diplomatiche. Anche se scherzavo con loro e roba del genere il più possibile. «La cosa più importante era rendermi umano ai loro occhi, senza però prostrarmi. Bastava che continuassero a vedermi come una persona, non come un oggetto. Di cui potevano disfarsi. Mi ricordo che una volta uno di loro fece una scoreggia tremenda e io dissi: "Ah, votre arme secrète, la vostra arma segreta. Risero tutti.» «Quanti erano?» domandò Delorme. «Quattro. Jacques Savard, Robert Villeneuve, la ragazza, Madeleine, e un tale che andava e veniva, un certo Yves. Era l'unico che mi minacciava. Diceva: "Non illuderti che non lo faremo. Posso spezzarti il collo così!" e
schioccava le dita. Un vero selvaggio. Il mondo è pieno di gente del genere, purtroppo.» «Non sa come faceva di cognome?» «No. Lui insisteva che gli altri lo chiamassero compagno o soldato, però la ragazza si è sbagliata un paio di volte e l'ha chiamato Yves. Non si fermava mai più di mezz'ora, grazie a Dio. Credo che portasse soprattutto messaggi.» Hawthorne si girò di scatto per andare verso la porta. «Non ce la faccio più a stare qua dentro. È troppo.» In soggiorno Hawthorne si appoggiò allo schienale di una poltrona, ansimante. «Tutto bene?» gridò il padrone di casa dalla cucina. «Certo. Tra un minuto ce ne andiamo» rispose Cardinal. «Perché non si siede? Si conceda una pausa» propose Delorme. «No, sto bene. Tutto a posto. Mi dispiace per la scena.» Hawthorne si sforzò di sorridere, ma aveva la fronte coperta di sudore. Cardinal estrasse la foto di Miles Shackley. «Lo riconosce?» «No. Dovrei?» «Non proprio. E questi?» Cardinal gli mostrò la foto dei quattro terroristi sorridenti davanti alla finestra. «Be', riconosco Lemoyne e Theroux dagli articoli di giornale. Non sono mai venuti qua, da quanto ne so. Erano impegnati ad ammazzare Duquette. Quella è Madeleine, la ragazza che ogni tanto cucinava.» «E quello in fondo?» Cardinal indicò il giovane con i riccioli scuri e la maglietta a righe. «Difficile che possa dimenticarmi di lui. Era quello che chiamavano Yves. Il duro del gruppo.» «Pensiamo si chiamasse Yves Grenelle.» «Possibile. Dovete capire che non volevo sapere nulla. Volevo rappresentare per loro la minore minaccia possibile. Non volevo dargli un motivo per ammazzarmi, a parte quello polìtico. Se voi mi dite che era Yves Grenelle vi credo. Non ho mai sentito il cognome. Sapevo solo che era un vero bastardo, se mi perdonate il termine tecnico.» «Come ha fatto a vederlo in viso? Era bendato, no?» domandò Delorme. «Non gli importava se lo vedevo in viso. Ed era questo a terrorizzarmi. Una volta mi tolse il cappuccio in presenza di Madeleine.» «È venuto per tutto il periodo della sua reclusione? Faceva visite regolari?» «No. È venuto tre o quattro volte all'inizio, poi non l'ho più visto. Non
significa che non sia tornato. Io ero chiuso in camera.» «Però non l'ha più rivisto dopo la seconda settimana?» «Non mi pare. C'era sempre qualche notiziario in onda, e so di non averlo più visto dopo la morte di Duquette. Me ne ricorderei perché quel fatto mi ha spaventato. Dopo la morte di Duquette avevo paura di tutti loro. Temevo che Yves tornasse a fomentarli, però se lo ha fatto io non l'ho visto.» Hawthorne scattò in piedi. «Senta, agente, penso di non poter essere più utile di così. Adesso se volete scusarmi vorrei tornare a casa mia.» Cardinal andò in cucina a ringraziare il padrone di casa. «Non c'è di che» rispose Lamotte. «Che guaio che è successo qui. Che guaio. Sono felice che non sia, ehm, l'altra casa. Quella dove...» «Certo. Grazie ancora» disse Cardinal. «Era il tipo che sequestrarono? Il diplomatico?» «Temo di non poterle rivelare nulla. Le indagini sono in corso.» «Trent'anni dopo? Non mi sembra un gran corso.» «Sa, chi va piano va sano e va lontano.» «Come no. E se pensate che... Che le prende?» «Quella finestra. Quel campanile laggiù» rispose Cardinal, in realtà parlando tra sé e sé. «Sainte-Agathe. È ancora la struttura più alta del quartiere.» Il profilo neogotico della torre si stagliava contro le nubi. Cardinal prese dalla tasca la fotografia dei giovani terroristi sorridenti. Il panorama fuori dalla finestra sembrava diverso. Allora era estate e gli alberi erano verdi, ma per il resto la visuale della strada era identica: una villetta di legno scuro stile ranch con un grosso cedro all'esterno, e sulla destra, sopra i tetti, il campanile di Sainte-Agathe. «L'hanno scattata qui. La foto è stata scattata in questa stanza» disse. «Certo. Quella è la casa di fronte. E là c'è la chiesa» confermò Lamotte, che stava sbirciando da sopra la spalla. Cardinal non vedeva l'ora di dirlo a Delorme, ma quando salì in auto trovò Hawthorne che singhiozzava come un bambino sul sedile anteriore e Delorme che una volta tanto non sapeva che pesci pigliare. Aspettarono un paio di minuti. Hawthorne estrasse un fazzoletto e si asciugò gli occhi, si soffiò il naso meticolosamente e infine si appoggiò esausto allo schienale. «Dio» disse scrollando il capo. «Volete sapere la cosa più stupida?» «Certo» rispose Cardinal. «Glielo dissi il primo giorno. Mi fecero sedere e mi infilarono il cappuc-
cio, avevo i polsi ammanettati alla brandina. Loro si erano appena congratulati a vicenda per la magnifica vittoria e compagnia bella. Quando tacquero e rimasero solo due di loro nella stanza gli dissi: "Mes pauvres amis, ho pessime notizie per voi, temo. Il fatto è che non sono nemmeno inglese. Perciò se pensate che il governo di Sua Maestà muoverà un mignolo per salvarmi vi sbagliate di grosso.» Delorme lo guardò. «Non è inglese?» «No, signora. È questa la cosa ridicola.» Hawthorne scosse il capo di fronte alla vastità dell'umana follia, e la frase successiva uscì con un tono di stupore. «Sono irlandese.» 24 Il resto della giornata fu dedicato a quella squallida faccenda che sono gli spostamenti. Prima andarono sotto la pioggia all'aeroporto di Dorval, poi ci fu la lunga attesa resa più sgradevole dal rifiuto dell'Air Canada di fornire informazioni oltre a una generica "gelata nell'Ontario". Entrambi impugnarono il cellulare. Cardinal chiamò Musgrave. «C'è una novità che puoi catalogare sotto fatti assodati» disse Musgrave. «Leon Petrucci non ha ordinato l'eliminazione del tuo uomo e non ha ordinato a Paul Bressard di darlo in pasto agli orsi e non ha scritto quel biglietto.» «Perché no?» «Perché Leon Petrucci è morto.» «Morto?» «Sì. Leon Petrucci è interamente, totalmente, definitivamente morto. Dopo aver subito un'altra operazione al Toronto General due mesi fa è andato in coma e non si è più svegliato. È morto una settimana fa, martedì, molto prima che la tua vittima arrivasse ad Algonquin Bay.» «Com'è che i giornali non l'hanno riportato?» «Lo faranno. Non era ricoverato sotto il vero nome.» «Ne sei sicuro?» «Cardinal, lavoro per le Giubbe rosse. Noi seguiamo la malavita organizzata. Credimi, chi ha ammazzato Miles Shackley non si chiamava Leon Petrucci. E giacché siamo in argomento collaborazione interagenzie, vorrei ringraziarti per avermi informato subito delle dimissioni di Squier. Che bravo a tenermi aggiornato minuto per minuto.» «Scusa. Davvero, non ho avuto occasione. Sai, alla fine Squier si è di-
mostrato utile.» «Di sicuro è stato per puro caso. Però devo dirti che il mio uomo presso i servizi segreti mi ha spiegato che le pressioni sono arrivate da molto in alto. Ieri mattina hanno ricevuto una visita, non una telefonata, una visita di persona da parte di Jim Coulter. Sai chi è Jim Coulter?» «Mi suona familiare.» «Vicedirettore delle operazioni del CSIS a Ottawa, e un vero bastardo oltre a essere un'ex Giubba, perciò so di cosa sto parlando. Comunque, Jim Coulter parla un po' con il CSIS di Toronto e due ore dopo Calvin Squier è in mezzo a una strada. Fai tu i conti. Lui forse si sarà dimesso, ma io credo sia stato silurato.» «Credo di aver capito perché i servizi seguivano Shackley. Non vogliono si sappia che Raoul Duquette fu ucciso da un informatore della CIA, un informatore gestito da un agente che lavorava per la squadra speciale CAT.» «In effetti non migliorerebbe la loro immagine.» «Stai a sentire. Voi avete qualcuno che può invecchiare una foto?» «Certo. Può fartelo Tony Catrell.» «Hai il telefono?» Una pausa. «Ci sei ancora?» chiese Cardinal. «Ci sono. Stavo solo pensando a questa cosa dell'invecchiamento. Sai una cosa? Non serve Tony. Lui è un tecnico. Sa tutto quello che c'è da sapere sul software però, come dire, è un po' troppo tecnico, freddo. No, credo ti convenga portarla a Miriam Stead della polizia di Toronto.» «Credevo di fare prima usando uno dei vostri.» «Miriam Stead è il guru dell'invecchiamento. Ci lavora da trent'anni. È la migliore. E anche la più veloce. Tony può darti le fattezze, però Miriam... Miriam è un'artista. Non so come ci riesca, però se dai una fotografia a Miriam Stead, lei ti restituisce un essere umano. È anche una drogata del lavoro che passa i fine settimana in ufficio. A proposito. Hai idea di come è il tempo quassù?» «Che fa, nevica?» Musgrave ridacchiò e appese. L'aereo decollò alle quattro del pomeriggio. Cardinal dormì per quasi tutto il volo per Toronto. «Ragazzi, che dormita. Ti senti bene?» disse Delorme quando lui si sve-
gliò, massaggiandosi gli occhi. «A malapena. Non ho dormito bene stanotte.» «Sì, la stanza era troppo calda.» «A essere sincero era per colpa della tua presenza.» «Dai, Cardinal, non essere ridicolo.» «Non fare finta di essere sorpresa. Pensi che solo perché sono sposato non mi piacciano le donne? Ti sembro un chierichetto?» «No.» «Allora cos'è che non capisci?» «Nulla. Sono solo stupita. Mi è permesso essere stupita?» «Cristo. Facciamo finta che non abbia aperto bocca, va bene?» «Certo. Dimenticato.» Quando atterrarono a Toronto scoprirono che la coincidenza con Algonquin Bay era stata cancellata. Ancora una volta con una spiegazione laconica: tempesta di ghiaccio. «Non voglio passare un'altra notte in una metropoli» si lamentò Delorme. «Chiamo Jerry Commanda, forse riusciamo a farci dare un passaggio su un elicottero dell'OPP. E poi c'è un lato positivo.» «Davvero? Dimmelo.» «La sede della Scientifica di Toronto è sulla Jane and Wilson, qui a due passi. Possiamo prendere un taxi.» «Favoloso» commentò Delorme «Favoloso.» Presso il banco della sede della Scientifica Miriam Stead li stava aspettando. Non era come Cardinal se l'aspettava. Aveva i capelli bianchi, corti e ispidi, e anelli d'argento ai lobi delle orecchie. Indossava un dolcevita verde sopra jeans neri e un paio di scarpette rosse da jogging. Non aveva un filo di grasso, e se non fosse stato per i capelli non le avrebbe dato più di quarantacinque anni. Deve essere una maratoneta, pensò Cardinal. Miriam Stead li accompagnò alla sua postazione, un cubicolo occupato da macchinari che Cardinal non riconobbe e da due Mac a schermo gigante, uno dei quali mostrava un teschio spolpato. «Carino» commentò Delorme. «Scusate» disse Miriam Stead, facendo sparire l'immagine con un clic del mouse. «È un progetto di ricostruzione, ovviamente. Faccio soprattutto questo, ricostruzioni e bambini scomparsi. Però mi pare di capire che avete una cosa un po' diversa da offrirmi.» Cardinal le consegnò la foto di gruppo spiegandole cosa volevano. Men-
tre lui parlava, Miriam Stead infilò la foto nello scanner facendola apparire pixel per pixel sullo schermo del Mac alle sue spalle, quindi si girò per lavorare con il mouse, tagliando, allargando, fino a quando la testa e le spalle di Yves Grenelle occuparono tutto lo schermo. «Se non sapete il vero cognome immagino che non mi darete le foto dei genitori e dei nonni, vero?» «Mi spiace.» «Usiamo soprattutto quelle, è logico. Nel caso di un bambino scomparso se vuoi sapere che aspetto avrà sette anni dopo lo invecchi basandoti sui genitori. Senza questo genere di input non sappiamo se sarà grasso o magro, glabro o villoso.» «Forse non è stata una grande idea» disse Delorme. «No, posso darvi una mano lo stesso. Si riduce tutto alla lotta degli esseri umani contro la forza di gravità. In pratica, tutto tende verso il basso, la carne pende, le cartilagini si allungano, il naso inizia a calare. È un terribile difetto nel progetto iniziale. In situazioni del genere, in cui non possediamo un input genetico, vi diamo parecchie alternative, usando le variabili che vi ho detto e aggiornando anche la capigliatura e il resto. Cosa potete dirmi del modo di vivere dell'amico? Beve? Fuma? Solleva pesi? È un salutista? Tutti questi aspetti influenzano l'invecchiamento delle persone.» «Adesso mi fa sentire stupido. Non ho chiesto a nessuno questi dettagli. Siamo venuti qui sperando in un'ispirazione improvvisa» si giustificò Cardinal. «Non c'è problema. Sarò anche una civile, però capisco che non fate apposta a rendere più difficile il mio lavoro, anche se va a finire sempre così.» «Che possibilità ci sono che una delle sue varianti si approssimi alla persona reale?» chiese Delorme. «Se è grasso e calvo, allora la versione grasso e calvo gli somiglierà parecchio. Non appena, parecchio. Ovviamente non potete usarlo in aula senza impronte digitali, DNA o simili, però il fatto è che le proporzioni del viso non cambiano. Ecco perché, anche se non avete più incontrato una persona per trenta, quarant'anni, nel momento stesso in cui vi avvicinate e iniziate a parlarle e la guardate negli occhi, capite che è lei.» «Per darci tutte le varianti ci metterà dei giorni, immagino» disse Cardinal. «Dovreste averle entro domani.» «Davvero? Musgrave ce l'aveva detto che lei è in gamba.»
«Il sergente Musgrave la Giubba! Come mi piace! Sono sicura che quando è nato era già vestito da clown.» «Quella donna ha ragione a dire che la gente invecchia in maniera differente. Spero di somigliarle quando avrò la sua età» disse Delorme una volta tornati al banco d'ingresso. «Continua pure a mangiare poutine» fece Cardinal. «Hai visto la targa nel suo cubicolo?» «Sì. Miriam Stead è arrivata tra i primi venti senior nella maratona di New York dell'anno scorso.» Dopo quelle che parvero mille telefonate da e per Jerry Commanda presso la polizia provinciale dell'Ontario («Cristo, Cardinal, resta a Toronto. Qui la città è congelata, non scherzo»), Cardinal riuscì a trovare un passaggio in elicottero gentilmente offerto dalla OPP. Una cosa era aver sentito della gelata e un'altra vederla con i propri occhi. Il pilota gli spiegò che la situazione ad Algonquin Bay era "un tantino spinosa", però da quelle parti lo dicevano sempre del clima. «Prevedono che smetterà di piovere per due o tre ore, perciò non avremo problemi. Però le piste sono inutilizzabili per gli aerei» disse. Poi il rumore delle pale rese difficile la conversazione, ed era troppo buio per vedere qualcosa dal cielo. Mentre sorvolavano Bracebridge, Delorme indicò verso il suolo e gridò a Cardinal che non si notavano auto. Era vero. La statale si snodava come un nastro grigio pallido tra le colline, totalmente deserta. Una strada fantasma. Ciò nonostante il volo fu tanto tranquillo che non riuscirono a capire come mai avevano cancellato i voli di linea... almeno fino all'atterraggio. Il pilota scese per primo, e subito cadde di faccia. L'asfalto era un'unica lastra di ghiaccio. A parte due guardiani e un solitario addetto alla manutenzione, l'aeroporto era deserto. «Che strano. Sembra un sogno che facevo di continuo» disse Delorme. La moglie del pilota aspettava nel parcheggio con il motore acceso. Cardinal e Delorme declinarono l'offerta di uno strappo, una mossa stupida, come scoprirono presto. L'auto che Delorme aveva lasciato nel parcheggio si era trasformata in una scultura di ghiaccio e impiegarono mezz'ora solo per aprire le portiere usando un paio di martelli prestati dal tecnico della manutenzione. Fu un lavoro frustrante. Cardinal cadde più volte in ginocchio, e il suo
desiderio di arrivare a casa al calduccio divenne più forte ogni minuto che passava. Delorme, non si sa come insensibile alla forza di gravità, riuscì a lavorare senza mai cadere, anche se si lasciò sfuggire parecchie imprecazioni, le prime parole in francese che Cardinal aveva imparato, nel cortile della scuola ovviamente, non in classe. La strada che portava in città era insidiosa, nonostante fosse stata generosamente coperta di sale. Le vetture abbandonate in posizioni approssimative su banchine e canaletti di scolo. Non si vedeva nemmeno un pedone in giro. Incrociarono soltanto un'auto lungo tutto il tragitto, un minivan rosso che li precedeva e minacciò più volte di uscire di strada. Delorme imboccò Madonna Road alle nove e mezzo. Meno di cento metri dopo la svolta fu costretta a fermarsi a causa di un ramo gigantesco caduto da un pioppo congelato. Cardinal conosceva bene quell'albero. In estate, dopo un acquazzone, era sempre il ramo più basso, e in agosto certe volte gli sfiorava il tetto della macchina quando passava. Niente di strano che si fosse spezzato, avvolto com'era in due centimetri di ghiaccio. Mentre lo spostava a lato della strada, gli parve di sentire il rumore di mille ossicine che si frantumavano. «Senti. Quello che ho detto... di stanotte» disse quando risalì in macchina. Delorme continuò a guardare accigliata la strada, il volto pallido illuminato dalla luce della luna. «Non starci a pensare.» «Mi dispiace di averlo detto. Mi ero appena svegliato da una sonora dormita e non avevo le idee chiare. È stato poco professionale e non voglio che interferisca.» «Non succederà. Almeno da parte mia.» Delorme rallentò poco per volta fino a fermarsi. «Non credo che proverò il tuo vialetto con questo ghiaccio.» «Allora siamo a posto?» «A posto» confermò Delorme. Cardinal attese che la collega aggiungesse qualcosa, ma lei guardò dritto davanti a sé in attesa che il passeggero scendesse. «Allora ci vediamo domani» disse lui. «Certo. A domani.» Catherine aveva sparso sale sul vialetto, ma anche così fu difficile percorrerlo senza cadere. Alla fine Cardinal fu costretto ad aggrapparsi alla ringhiera delle scale sul retro. «Catherine?» chiamò una volta entrato in cucina.
Catherine corse ad abbracciarlo. «Temo che la casa sia ormai ridotta a un dormitorio. Ci sono Tess e Abby. A Ferris sono rimasti senza elettricità, così ho invitato Sally da noi.» «Dormono qua?» «A casa loro non c'è il riscaldamento. Grazie a Dio noi abbiamo la stufa a legna. Mezza città è priva di riscaldamento.» «Ciao, John.» Sally Westlake, una bionda robusta che indossava un maglione con le renne, lo salutò dal soggiorno. «Scusa se siamo piombate all'improvviso.» «No, no, siete sempre benvenute, Sally. Restate quanto volete. Da quant e che siete senza luce?» «Da ieri sera. Ogni volta che la ripristinano non regge più di mezz'ora.» «Solo a Ferris? Sulla Airport Road c'era ancora corrente.» Si sentì uno scoppio terrificante all'esterno. «Che diavolo è stato?!» «Un ramo» rispose Catherine. «Cadono dagli alberi e vanno in mille pezzi facendo quel rumore incredibile. Dormire è un bel problema.» «Ogni volta mi viene un colpo» aggiunse Sally. Cardinal prese da parte Catherine. «Hai sentito papà?» «Un paio d'ore fa. Sembrava in forma. E naturalmente non vuole venire a stare qua da noi.» «È meglio se vado a controllare. Altrimenti non chiudo occhio. A proposito, qui non è proprio lo Sheraton. Immagino che Sally e le piccole possano stare nella camera di Kelly, e se convinco mio padre a venire dormirà sul divano letto.» «Lo odia. Se viene, dovremo pensare a qualcos'altro.» Cardinal era in cima ad Airport Hill quando mancò la corrente. Senza il minimo rumore la statale piombò nel buio più assoluto, come se qualcuno avesse gettato un telone sull'auto. Accostò e attese che gli occhi si abituassero prima di ripartire. La Camry scavalcò la collina, i fari che ritagliavano coni nel buio, poi prese la Cunningham. La sterrata fu ancora più dura da percorrere. La superficie non era stata trattata con il sale, e sembrava di guidare su un campo da hockey. Tenne marce basse. Il buio fuori dalla vettura era talmente impenetrabile che non era sicuro di poter scorgere il villino di suo padre, ma mentre superava l'ultima curva della Cunningham la luna spuntò da dietro una nube e il profilo bianco del bungalow prese forma sullo sfondo
degli alberi. Lo scoiattolo verderame era una sagoma nera contro una nuvola illuminata dalla luna, con i ghiaccioli che scendevano dal naso e dalla coda. La casa era al buio. Cardinal fece il giro fino al portico sul retro. Da dentro filtrava un bagliore fosforescente. Sentendo il rumore Stan venne alla porta, con indosso la giacca. «Che cavolo ci fai qui?» «Piacere mio, papà. Sono venuto a vedere come te la cavavi.» «Bene, grazie.» Suo padre lo guardò dalle ombre della cucina. Alle sue spalle una lampada a gas sibilava sul tavolo di cucina. «Però sei senza corrente.» «Che tu ci creda o no, John, me ne ero reso conto anche prima che arrivassi.» «Papà, sei senza riscaldamento. Perché non vieni da noi perla notte?» «Perché qui sto bene. Non fa tanto freddo, la lampada funziona e ho un bel libro. E anche una radio a pile e una stufetta, nel caso debba scaldare l'acqua.» «Non puoi usare la stufetta, il monossido di carbonio ti ucciderebbe.» Stan strizzò l'occhio. «Lo so. La uso sotto il portico.» «Papà, vieni a stare da noi. Potresti rimanere senza corrente per ore.» «Qui sto bene. Adesso, a meno che tu non abbia bisogno...» «Papà...» «Buonanotte, John. Oh, com'è andata a Montreal?» «Bello. Sai, solo perché passi una notte da noi non significa che sei invalido. È una tempesta di ghiaccio, santo Dio. Non credi di essere un tantino ostinato?» «Non mi è mai piaciuta Montreal, forse perché non parlo francese. Non ho mai visto la necessità di impararlo. Bene, grazie per essere passato, John. Immagino che ci vedremo a pranzo martedì.» «Papà, per l'amor di Dio, cosa fai, dormi sotto venti chili di coperte?» «È esattamente quello che prevedo di fare. Forse non sotto venti chili ma ho il giaccone imbottito e un piumone, e dormirò davanti al camino.» «Su cosa?» «Sul materasso, ecco su cosa. È tutto sistemato e non c'è nulla da temere.» «L'hai spostato da solo? Il tuo cuore non regge più questi strapazzi.» «Sei simpatico a ricordarmelo. Però se ti avessi chiesto di darmi una
mano mi avresti fatto la paternale perché non venivo a stare da te. Non lo vedi che qui sto bene? È tanto difficile da credere? Sai, ho badato a me stesso trentaquattro anni prima che nascessi tu, e sono perfettamente in grado di dimostrarmi autonomo adesso. La luce tornerà tra un paio d'ore e questa discussione sarà superflua. Non che sia molto utile adesso. Buona notte.» «Porto la legna sotto il portico» disse Cardinal, ma Stan stava già chiudendo la porta. Mentre svoltava dalla Airport Hill sulla Algonquin, la città ai suoi piedi, che di solito brillava come una scatola di strass, era una pozza di buio. Il sentore di legna da ardere era ovunque. Quando spuntò la luna, Cardinal vide sbuffi di fumo piegati come ramoscelli verso est, come se tutta la città fosse appena salpata verso ponente. Persino i semafori erano spenti. Cardinal contò sei diverse squadre di manutenzione tralicci durante il tragitto fino a Madonna Road. Ritornato a casa, rimase per un po' accanto alla villetta, in ascolto, non sapeva per quale motivo. Se Bouchard avesse deciso di colpire, non sarebbe stato in una notte del genere. Eppure drizzò ugualmente le orecchie. Gli unici rumori erano gli scricchiolii dei rami gelati. «Non è voluto venire?» chiese Catherine quando Cardinal arrivò alla porta. «No. Preferisce gelarsi le chiappe là piuttosto che passare la notte a casa di suo figlio. L'unica fonte di riscaldamento è il camino. E progettava di cuocere sulla stufetta, un modo molto efficace per suicidarsi. Comunque gli ho piazzato la legna presso la porta della cucina. Dovrebbe essere a posto per stanotte.» «John, domani ci parlo io. Perché non ti siedi mentre ti riscaldo del chili?» «Sally dorme?» «Spero non ti dispiaccia se le ho invitate.» «Certo che no. Fai sempre la cosa giusta.» Catherine gli posò davanti una scodella di chili mentre lui le raccontava di Montreal, dei colloqui con i protagonisti della crisi di trent'anni prima, della sua sensazione di essere entrato in una distorsione spaziotemporale, di quanto gli era mancata. «Oh, a momenti dimenticavo. A Montreal sono andato a letto con un'altra donna» concluse. «Cosa?»
«Cioè, eravamo nella stessa stanza. Delorme è stata cacciata dalla sua da un allagamento e in albergo non c'erano più camere libere. Io avevo un letto in più.» «Lise è molto carina.» «Eccome.» «Dev'essere stata una bella tentazione.» «Di sicuro non è stato come dormire con McLeod.» 25 La pioggia riprese a cadere nelle prime ore del mattino in grosse gocce che precipitavano attraverso lo strato di aria fredda che aleggiava al suolo. All'impatto con lo strato di ghiaccio ogni goccia veniva trasformata all'istante in un altro frammento di gelo. La pioggia si congelò sui tetti, sulle auto, sui lampioni e sulle strade, si congelò sui tronchi degli alberi e sui rami più sottili, sui fili della luce, sulle cassette delle lettere e sui lampioni. Ghiacciò sul tetto della cattedrale, glassando le guglie e la croce, ghiacciò sulla cima di legno della sinagoga modernista e sull'arcata di pietra di Ferris Park su cui si legge la scritta "La porta del Nord". Cardinal aveva visto molte tempeste di ghiaccio ma mai una come questa. Il lunedì andò in paese guidando con lentezza. La città intorno a lui era stata trasformata in un gigantesco lampadario. Arrivato in ufficio, naturalmente in ritardo, scoprì che la tormenta aveva sigillato la stazione di polizia di Algonquin Bay non solo dentro un carapace di ghiaccio ma anche in una bolla di tranquillità. Parecchi non si erano presentati al lavoro quel giorno, tra questi i muratori e la centrale era immersa in un silenzio gradevole. Da qualche parte qualcuno stava fischiettando, forse Chouinard, e Nancy Newcombe, la responsabile dell'archivio reperti, stava ammonendo non si sa chi di inserire la data (leggibile, grazie) accanto alla firma. Alla scrivania accanto a quella di Cardinal, Delorme stava sussurrando nel telefono. Era sempre stupefatto di come riusciva a lavorare senza far rumore. Sembrava sempre stesse confidando segreti a un amante, e invece stava semplicemente facendo il suo dovere come tutti gli altri. La corrente elettrica era tornata sulla Airport Hill e in Cunningham Road, come aveva subito verificato Cardinal. Tuttavia aveva resistito all'impulso di andare a trovare suo padre. Catherine avrebbe chiamato Stan da casa e in quel modo il vecchio Stan non si sarebbe arrabbiato, almeno
secondo lei. Il ritorno a casa aveva regalato a Cardinal una strana quiete (fugace, lo sapeva) che assaporò mentre stava seduto nel silenzio del primo mattino. Quel silenzio finì in mille pezzi quando una voce rimbombò dal banco all'ingresso. «Disgustoso! Chi ha ordinato questo clima ridicolo? Me ne vado per due settimane e la città casca a pezzi.» La domanda era espressa al massimo dei decibel dalla voce capace di scuotere i vetri delle finestre di Ian McLeod, talvolta partner di Cardinal, collega anziano e individuo insopportabile afflitto da complesso di persecuzione. McLeod andava verso i sessanta ed era una massa di muscoli dal torace voluminoso e dal linguaggio colorito con una zazzera corta di capelli rossi ingrigiti. Ultimamente, e per motivi noti soltanto a lui, aveva iniziato a chiamare "dottore" tutti i colleghi. Cardinal lo trovava lievemente irritante, ma del resto quasi tutto in McLeod era irritante. «Vedo che il dottor Cardinal è di turno. Oppure ha in programma un'operazione chirurgica per estrarre confessioni da un criminale in coma profondo?» «Magari. Com'era la Florida?» «La Florida era meravigliosa. Tanto sole. Il sole da quelle parti scalda per davvero! Cibo fantastico! Purtroppo è piena di cubani e vecchiacci. Ti garantisco che tornare qui è favoloso: ti guardi intorno e vedi gente che cammina da sola, o almeno ci prova. Metà dello stato del sole è sopra gli ottanta e l'altra metà non parla inglese.» Delorme coprì la cornetta del telefono. «Santo cielo, McLeod, sto cercando di lavorare.» «E poi ci sono i francocanadesi.» McLeod puntò il mento in direzione della collega. «Arrivi là e ti sembra di non essere mai partito. Maledetti mangiarane. Sembrava di stare in ufficio.» McLeod calò il corpaccione sulla seggiola accanto a quella di Cardinal e chiese di essere aggiornato sui casi. A quel punto Delorme aveva finito la telefonata, così gli raccontarono tutto, finendo con il viaggio a Montreal. «Maledizione» ripeté più volte McLeod con tono meravigliato. E alla fine: «Non mi va giù la storia degli orsi. Cioè, ho sentito parlare di gente che si sbarazza delle prove, ma questo è troppo». Alla fine andò alla propria scrivania, dove cominciò a strillare nella cornetta. Squillò il telefono di Cardinal. Era Musgrave. «Sono finalmente riuscito a strappare informazioni all'FBI. Non so cosa facciano quelli per vivere, ma di sicuro la divulgazione di informazioni
non è compresa» disse. «Ti hanno detto nulla su Shackley?» «Ho scoperto che in fin dei conti il signor Shackley ha una fedina penale. Sembra che il nostro ex duro della CIA sia stato pizzicato per una piccola estorsione nel 1992. Ha cercato di ricattare un loro ex agente, un certo Diego Aguilar, che portava la cocaina dalla costa del Golfo, e nel frattempo, ovviamente una pura coincidenza, lavorava per l'agenzia. Shackley faceva parte della squadra che gestiva la cosa. Quando se le vista brutta è andato a chiedere aiuto ad Aguilar. Visto che Aguilar non si è dimostrato generoso, Shackley ha minacciato di rivelare il suo passato di narcotrafficante. Aveva a suffragarlo persino le immagini delle videocassette della sorveglianza.» «E la vittima ha risposto picche? È andata dagli sbirri?» «Meglio ancora. Shackley ha sbagliato i suoi calcoli con Aguilar. Non ha tenuto presente che l'amico non aveva mai smesso di lavorare per la CIA, anche se adesso è un consulente delle reti di comunicazione con i paesi latinoamericani. Quindi si è limitato a lamentarsi con Langley che ha mandato la polizia del posto a prendere Shackley. Questo scherzetto gli è costato sei anni.» Cardinal andò alla scrivania di Delorme per posare sulla sua tastiera la foto dei militanti del Fronte. «Musgrave mi ha appena riferito che Shackley è stato dentro perché ha cercato di estorcere soldi a un duro che lavorava per la CIA. Forse abbiamo un movente. Credo che abbia fatto di nuovo ricorso ai vecchi trucchi, usando questa fotografia, e che stavolta il bersaglio sia Yves Grenelle.» «Intendi Yves Grenelle nella sua nuova identità.» «Sotto altro nome e trent'anni dopo. Forse con cognome francocanadese. Anzi, forse è lui che ha cercato di impedire a Rouault e Hawthorne di parlare con noi. Forse non sono stati i servizi segreti.» «Hanno detto entrambi che era un uomo più anziano, ma Hawthorne non era sicuro che fosse francocanadese» disse Delorme. «Simone Rouault lo era. Quindi chi abbiamo?» «Paul Bressard? L'hai scagionato, no?» «Bressard non è abbastanza anziano. Avrà avuto nove o dieci anni nel 1970. Certo, c'è sempre il dottor Choquette. Ha l'età giusta, ed era arrabbiato con Winter Cates.» «Non è lui. Ha parecchi testimoni che giocavano a carte in sua compagnia quando è stata rapita la dottoressa Cates. E sono testimoni credibili.»
«Be', Miles Shackley viene qui per ricattare Yves Grenelle, chiunque egli sia, che vive sotto nuova identità da Dio solo sa quanto. Si mette d'accordo per vedersi, gli mostra quello che ha, e scoppia un parapiglia. Shackley rimane ucciso, ma anche Grenelle è ferito.» «Se stessi ricattando uno lo terrei sotto tiro.» «Pure io. Forse Grenelle cerca di afferrare la pistola e si fa sparare, ma alla fine riesce a uccidere Shackley. Scarica il cadavere nella foresta e affonda l'auto, poi cerca di continuare con la sua vita normale ma ha una pallottola in corpo, o ha almeno un buco abbastanza brutto da non riuscire a curarlo da solo.» «Ha capito che deve trovare un medico. Il che ci riporta alla medesima domanda: perché Winter Cates?» «È la domanda più difficile. La donna è nuova di queste parti, quindi restringe i sospetti a vicini e parenti, tutti risultati puliti. Ma stavolta almeno sappiamo che faccia aveva l'assassino trent'anni fa. E avremo anche quello che ci manderà Miriam Stead.» «Io lo so quanto ero diversa trent'anni fa: andavo in giro in tutina e orecchie di Topolino. E tu?» «Io avevo i capelli lunghi fino alle spalle.» «Non ci credo.» «È vero. Portavo i capelli alla John Lennon.» McLeod fece il giro del divisorio con aria pensosa. «Che c'è? Sembra che tu abbia avuto una rivelazione mistica» disse Cardinal. «Il caso Cates... hai detto che hanno fatto in modo che sembrasse uno stupro ma non era stata violentata?» «Era nuda con i vestiti strappati, ma non c'era segno di penetrazione. Naturalmente non è decisivo. Perché? A cosa stai pensando?» «A un mio vecchio caso. Forse di dieci anni fa. Un caso di donna assassinata trovata all'aperto, nuda, con i vestiti strappati ma senza segni di penetrazione.» «Non può essere stato dieci anni fa, me ne ricorderei.» «Allora dodici. È successo prima che tu arrivassi da Toronto. Ragazzi, ci siamo fatti il culo su quel caso senza un briciolo di fortuna. Non abbiamo scoperto nulla. Assolutamente nulla. Ci ho lavorato sopra con Turgeon.» Dick Turgeon era uno della vecchia guardia che era stato partner di McLeod per anni. Era morto di attacco cardiaco esattamente due settimane dopo la festa di pensionamento, un incidente che a McLeod suscitava tuttora pa-
recchie riflessioni morbose. «Immagino che non ti ricorderai il nome della vittima, vero? O altri dettagli utili?» «Mi verrà in mente. Aveva poco più di trent'anni, una bella donna. Viveva in città da un paio di mesi al massimo.» McLeod schioccò le dita. «Ferrier. Ecco come faceva di nome.» «Madeleine Ferrier?» «Madeleine Ferrier. Come fai a saperlo?» «Ce l'ha detto una coquette» rispose Delorme, che aggiornò subito McLeod sull'informatrice della squadra speciale CAT. «Secondo Simone Rouault, Madeleine Ferrier militava nel Fronte nel 1970. Ha recitato una parte marginale, è stata dentro per reati minori, poi sembra si sia pentita. E si è trasferita nell'Ontario.» «Esatto» disse McLeod. «Ricordo che aveva un passato equivoco. Ce l'abbiamo messa tutta per trovare un collegamento tra l'omicidio e il Fronte, ma non c'era niente. Nada.» «Senti questa. Madeleine Ferrier era cotta di Yves Grenelle» disse Cardinal. «Mi sto perdendo un passaggio. Perché è importante?» «Perché è improbabile che si fosse scordata che faccia aveva, anche dopo quasi vent'anni, il tempo passato tra la sua militanza nel Fronte e l'arrivo ad Algonquin Bay.» Cardinal e Delorme riuscirono a trovare negli archivi il fascicolo Ferrier. Era alto quasi dieci centimetri. In quanto omicidio irrisolto non era stato sfoltito per essere archiviato anche dopo dodici anni. Tornarono a sedersi alle rispettive scrivanie, con metà del fascicolo ciascuno. Passarono mezz'ora in silenzio. A parte la vittima e il modo in cui era stata uccisa, non c'era nulla in quel caso che sembrasse collegarlo all'attuale. Madeleine Ferrier, età trentasette anni, si era trasferita ad Algonquin Bay dodici anni prima. Insegnante di lettere e geografia al liceo, era in città da due mesi quando era stata uccisa. L'avevano trovata in un tratto di foresta tra l'Algonquin Mall e Trout Lake Road, nuda, come aveva detto McLeod, e strangolata. A parte i vestiti strappati, la Scientifica non aveva trovato prove di stupro. Sospetti? Nessuno. Non viveva sul posto da abbastanza tempo per crearsi nemici, o amici, del resto. Il bosco in cui era stata trovata era una scorciatoia battuta dal centro commerciale al suo quartiere. Chiunque avrebbe potuto vedere facilmente il cadavere.
Dal momento che non c'erano sospetti, la pila di rapporti supplementari era enorme. Non c'era stato nulla che potesse indirizzare le ricerche. Avevano interrogato chiunque si trovasse nel centro commerciale quella sera, i proprietari degli esercizi, gli inquilini del palazzo in cui la vittima aveva affittato un appartamento. Soltanto questi ultimi costituivano un intero fascicolo a sé. «Sai, in dossier così grossi dovrebbero mettere l'indice. Faciliterebbe le cose.» «Certo. A meno che non sia tu quello che deve compilare l'indice» commentò Cardinal. «Ecco una cosa.» Delorme mostrò un rapporto intitolato "Colloquio con inquilino Paul Laroche". «Paul Laroche è il proprietario del palazzo in cui abitava la dottoressa Cates, no?» «Possiede un sacco di palazzi.» Cardinal fece scivolare la poltroncina accanto a quella di Delorme. «Be', non lo era di questo. I Willowbank Apartments di Rayne Street. Dà come occupazione agente immobiliare, ma lavora per la Mason & Barnes Real Estate. Allora era un pesce piccolo.» «Forse era un pesce piccolo ma non lo era la Mason & Barnes. Ed è il primo nome ricorrente in entrambi i casi.» Lessero in silenzio. Paul Laroche, allora quarantacinquenne, aveva raccontato all'agente Dick Turgeon di non avere informazioni utili sulla vittima. L'aveva incrociata un paio di volte nell'atrio, tutto qua. La notte in cui era stata uccisa lui era a casa a installare lo stereo che aveva appena comprato. Turgeon non aveva motivo di porgli altre domande. Squillò il telefono di Delorme, che rimase in ascolto qualche secondo, poi incastrò la cornetta tra orecchio e spalla mentre digitava. «Sì, è arrivato. Sì, ci sono anche gli allegati. Grazie mille per il suo aiuto. Le siamo veramente grati.» Cardinal accostò la poltroncina. «Miriam Stead. Ha mandato tutto per e-mail. Sarà più definito di un fax» disse Delorme. Nel frattempo aveva cliccato su un allegato che si stava aprendo sullo schermo. «Ehi, spero che abbia migliorato i gusti nel vestire» disse Cardinal. L'immagine mostrava un uomo di oltre cinquant'anni con una corona di capelli sale e pepe tipo pagliaccio. L'effetto comico era accentuato dai ve-
stiti larghi e dal cravattone. Delorme cliccò su un altro allegato, che si aprì in pochi secondi. «Ragazzi, adesso abbiamo il look Kojak.» Gli stessi lineamenti, non addolciti dai capelli, gli davano l'aspetto di un pirata o di un sicario. «Ecco perché Dio ha inventato i capelli. Vediamo la prossima» disse Cardinal. Delorme cliccò di nuovo. Stavolta non dovettero nemmeno aspettare che l'immagine si aprisse del tutto. Non attesero che comparisse il collo taurino e le spalle larghe. I capelli cortissimi, con fili di grigio simili a pagliuzze di ferro, furono sufficienti per dargli vita. Ma la verosimiglianza toccava il massimo nella linea della bocca, nel mento lievemente pronunciato e soprattutto nella sicurezza dello sguardo. Ancora prima che apparissero la cravatta e la giacca da uomo facoltoso, entrambi dissero: «Paul Laroche». «Incredibile. Sembra scattata la settimana scorsa» aggiunse Delorme. 26 Cardinal lasciò la centrale alle sei e mezzo del pomeriggio, ma era buio come a mezzanotte. Dal parcheggio sentiva i clacson sullo svincolo. Di regola gli autisti di Algonquin Bay erano silenziosi, però il ghiaccio provocava ovunque ritardi e la proverbiale pazienza degli abitanti del Nord stava iniziando a perdere colpi. Salì in auto, ma prima che infilasse la chiavetta d'accensione una voce alle sue spalle disse: «Sembra che pioverà». «Kiki, che piacere vederti.» Cardinal era stupito per quanto era stato svelto il suo cuore a raddoppiare la frequenza dei battiti. Ci siamo, allora. Non ci saranno altri avvertimenti. «Sì, ho pensato di passare a trovarti.» «Sai, solo perché è una macchina non significa che devi salirci.» «Era aperta. Sono solo salito a schiacciare un pisolino.» Kiki sbadigliò, e quando si sgranchì le braccia il giubbotto di cuoio scricchiolò. «Facciamo un giro. Sono stanco di stare in un parcheggio.» «Kiki, hai visto che tempo? Il pianeta è coperto di ghiaccio. Non è la giornata adatta per farsi un giro. Se vuoi spararmi, dovrai farlo qui nel parcheggio della centrale.» «Non c'è problema. Ho il silenziatore.» «Devi esserne molto orgoglioso.» Cardinal stava infilando la mano sotto la giacca. Non sarebbe stato facile prendere la Beretta bloccata dal cin-
ghietto nella fondina ascellare a sinistra. «Era solo un'affermazione. Non significa essere fiero o meno. Sto solo indicando cosa potrebbe succedere. Sarebbe imbarazzante per te venire ammazzato davanti all'ufficio.» «Non potrò certo vergognarmene, essendo morto.» «Vero.» La fondina sembrava lontanissima. Cardinal pensò se fosse il caso di tentare di estrarre la Beretta. L'alternativa era smontare dalla macchina, anche se l'idea di una pallottola nella schiena prima che si aprisse lo sportello non sembrava molto allettante. Oppure poteva girarsi ad afferrare l'arma che Kiki gli stava puntando addosso attraverso il sedile. Almeno in quel modo sarebbe stato un bersaglio più difficile. «Conosci un certo Robert Henry Hewitt?» Il Podam. Neanche in mille anni Cardinal avrebbe mai ipotizzato il collegamento tra il Podam e Kiki B. e la banda Bouchard. «Sì, lo conosco. Non sapevo che foste amici.» «Non lo siamo. È nello stesso braccio di Ricky. Era.» «Cosa significa "era"? Gli è successo qualcosa?» «Ecco perché non sei un bravo sbirro, Cardinal. Non sai giudicare le persone.» «Ammetto che spesso sono stato preso in contropiede.» «Il problema è che al fresco non puoi tenere un segreto. Chissà come, il tuo amichetto tonto ha saputo che Bouchard ha messo una taglia sulla tua testa. E questo lo turba profondamente. Va da Bouchard per convincerlo. Avrei voluto esserci.» Anche Cardinal lo desiderava. «Per prima cosa gli dice che si sta sbagliando di grosso. John Cardinal non ruberebbe mai niente, questo è vangelo per Hewitt. Ecco un altro pessimo giudice di persone.» «Sì, il Podam non è la mente più acuta del gruppo.» «Come l'hai chiamato?» «È una vecchia storia.» «Naturalmente Rick si è permesso di polemizzare sulla parte dello sbirro onesto. Come ben sappiamo sulla base di duecentomila verdoni. Poi il tuo amico espone una seconda tesi: John Cardinal non è il solito sbirro. Hewitt sostiene che l'hai pizzicato e poi hai convinto la Corona a non sbatterlo dentro per molto. A proposito, è vero?» «In effetti sì. So che suona strano.»
«Non hai mai fatto una cosa del genere per me.» «Kiki, tu non sei simpatico.» «Questo Hewitt è il tuo genere di persona simpatica?» «Non ha i vantaggi che hai tu. Comunque immagino quanto sia riuscito a commuovere Bouchard. È un tale tenerone.» «Esatto. Ha detto al tuo amico di farsi un giro prima che lo scorticasse vivo, ma il tuo amico ha risposto che aveva un altro punto a tuo favore. "Oh? Non vedo l'ora di sentirlo" fa Rick. E il ragazzo dice che se Bouchard non revoca la taglia entro il giorno dopo lui lo ammazza.» «Immagino quanto ha iniziato a tremare Bouchard.» «Gli ha spaccato la faccia. L'altro è finito in infermeria per una settimana. Hai idea di quanto devi essere conciato male per andare in infermeria a Kingston? Devi essere mezzo morto. Ma quando esce, ridotto da schifo, Hewitt torna a lavorare in cucina e all'improvviso aggredisce Bouchard con una mannaia. Mi hanno raccontato che è stato uno spettacolo. Sono ancora dispiaciuto per Rick. Crepare in quel modo.» «Mi stai dicendo che Robert Henry Hewitt ha ammazzato Rick Bouchard? È uno scherzo. Robert è assolutamente innocuo.» «Telefona a Kingston. Ti diranno loro quanto è innocuo.» «Il Podam ha ammazzato Bouchard e tu sei venuto a pareggiare il conto, eh?» «Cosa intendi? Una vendetta?» «Certo, Kiki.» «Ma no. Non me ne frega un cazzo. Bouchard non mi stava nemmeno simpatico. Se vuoi sapere la verità mi stava sulle palle.» «E allora perché sei stato con lui per tutti questi anni?» «Era un buon datore di lavoro. Tu vuoi bene al tuo capo?» «Hai ragione.» «Oh, ho capito!» Kiki abbatté un pugno sullo schienale del sedile anteriore. Cardinal ebbe l'impressione di essere stato tamponato. «Pensavi che fossi tornato a farti fuori!» Cardinal si voltò. Kiki lo stava guardando sinceramente meravigliato e contento, come un bambino al circo. Aveva meno denti di un portiere di hockey. «Pensavi fossi venuto a riscuotere quello che dovevi a Rick? Fantastico! No, non sono qui per quello. Sono solo venuto a riferirti cos'era successo. Per dirti che è finita. Non hai più una taglia sulla testa, Cardinal. E poi nessuno mi pagherebbe anche se riuscissi a riscuotere da te i soldi di Bou-
chard.» «Ovviamente potresti tenerteli. Sempre che riuscissi a estorcerli da me, cosa impossibile.» «No, no. Intanto non erano soldi miei. Era solo un dente avvelenato di Rick. Morto Rick, morto il problema. Cardinal, sei un uomo libero. Sono venuto solo per dirtelo.» «Sei venuto fin qui da Toronto per dirmi questo?» Kiki si tolse il berretto di lana e si grattò la peluria chiara sul cranio, poi se lo rimise, allungando una mano oltre Cardinal per aggiustare lo specchietto in modo da controllare il risultato. «Se devo essere sincero, stavo pensando di trasferirmi da queste parti.» «Ti prego, non farlo. Ci vedremmo troppo spesso per i miei gusti» implorò Cardinal. «Sai, sono stanco di tutto questo vivere per la carriera.» Cardinal non aveva mai pensato che i criminali avessero una carriera, però capiva come mai trovavano stressante Toronto. Anche più degli altri. «Che fai, ti dai alla canoa? Alla pesca?» «No. Cose che prevedono una barca? Tremendo. Però quassù mi piace. È pulito. Sa di buono. Per me significa molto. Naturalmente questo schifo di tempo mi sta facendo ricredere. Volevo solo chiederti se sai di lavori da queste parti.» Non c'era il minimo accenno di sarcasmo nella facciona piatta di Kiki. «Pensavi allo strozzinaggio o alle estorsioni?» «Dai, Cardinal, dico sul serio. Sto parlando di lavori legali, sai? Ho il patentino di operatore di macchinari pesanti.» «Fammici pensare, Kiki. Sento in giro.» «Davvero? Sarebbe fantastico. Forse il tuo amico non si sbagliava su di te.» «Non mi hai detto cos'è successo a Robert. Ci è rimasto secco nella rissa?» «Stai scherzando? Avevano tutti una strizza che non ti dico.» «Però immagino che i compari di Rick lo faranno a pezzi alla prima occasione.» «Non ci scommetterei. Rick non era molto benvoluto. La lealtà nei suoi confronti non è certo radicata. Il tuo amico ha appena fatto fuori il bastardo più duro di Kingston, quindi direi che se la passerà bene. Ovviamente quando uscirà dall'isolamento.» «Certo.» Cardinal infilò la chiave e mise in moto. «Ti lascio da qualche
parte?» «No, sono a posto, ho un'auto a nolo.» Kiki aprì lo sportello di dietro. «Sono al Birches Motel. Chiamami se vieni a sapere di qualcosa, va bene?» «Appena so di qualcosa adatto a te ti telefono, Kiki.» «E stai attento mentre guidi. La strada è infida come una troia.» La minaccia era sparita. Cardinal non doveva più aspettarsi problemi da Bouchard e soci. Eppure non riusciva ancora a provare un sollievo definitivo. Mentre tornava a casa pensò al Podam, che si sarebbe beccato probabilmente altri vent'anni per pura lealtà nei suoi confronti. Erano stati altri a pagare per il suo errore di tanti anni prima, lui no, e probabilmente non avrebbe mai pagato. Quando arrivò a casa, Catherine era davanti alla stufa del soggiorno a mescolare il contenuto di un pentolone di stufato. La corrente mancava ancora, e le fiamme dietro lo sportello della stufa proiettavano nella stanza un riflesso arancione scuro. Sally e le due bambine erano sul divano a pelare le patate. La vecchia signora Potipher era addormentata nella poltrona di Catherine, la bocca spalancata. Il barboncino nano grigio steso per terra accanto a lei, Totsy, guardò Cardinal con disprezzo e iniziò a tremare dalla testa alla coda. Due sedie di cucina erano state trasferite in soggiorno per ospitare i capaci posteriori dei signori Walcott, i vicini di fronte, dritti come due bambole gemelle, ognuno con un libro appoggiato sulla pancia e gli occhiali attaccati a una cordicella. «Manca la corrente in tutta questa parte della città» disse il signor Walcott vedendo entrare Cardinal. «Lo so. La statale è buia come il pozzo di una miniera. A giudicare dalla pioggia non migliorerà presto.» «Abbiamo resistito finché potevamo» aggiunse la signora Walcott, poi si rivolse al marito. «L'anno scorso ti avevo detto di comprare una stufa a legna, ma no, tu eri contrario.» «Ho solo detto che costava troppo. Non puoi andare in vacanza nella Repubblica dominicana e comprarti una stufa a legna nello stesso inverno.» «Non hai detto questo. Hai detto che dovevamo aspettare i saldi. Poi naturalmente non ti sei mai deciso.» «Continua pure, fammi fare la parte del fesso. Va bene, se ti fa sentire meglio.»
Cardinal si sbottonò la giacca, ma poi si ricredette. Il soggiorno era al caldo, ma nel resto della casa la temperatura era quella della strada. «Non dovremmo tenerla aperta?» Indicò la parte anteriore della stanza dove Catherine aveva tirato una tenda su un panno da bucato per separare la veranda dal resto della stanza. «Isola dal calore.» «Vai a dare un'occhiata» propose Catherine. Cardinal scavalcò le gambe allungate dei Walcott, ignorò un ringhio di Totsy e superò la tenda. «Soddisfatto?» Suo padre lo stava guardando dai recessi della reclinabile, e da sotto un piumone rosso vivo. «L'hai avuta vinta. Immagino che ne sarai fiero.» Cardinal sorrise. «Sono contento di vederti, papà. Non volevo che ti surgelassi laggiù da solo. Però la tenda ti toglie del calore. Dovremmo aprirla per un po'.» «Non toccarla. Non capisco ancora perché non avevo il diritto di morire a casa mia.» «Papà, non è per sempre. Resti solo fino a quando non passa la tempesta di ghiaccio.» «Vedrai se ti piacerà quando sarai vecchio. Non mi reputo nemmeno vecchio. L'estate scorsa sono passato davanti al ricovero e ho visto quelle vecchiette e mi sono detto: guarda quelle carampane. Non ho pensato che hanno la mia età. Dentro di me io ho sempre quegli anni, solo che ho questi sciocchi problemi al cuore che non mi permettono di fare quel che mi pare.» «Hai tutto quel che ti serve? Posso portarti qualcosa?» «Che cosa? Ho il libro, il piumone, il catetere...» «Cosa?» «Scherzavo, John.» «Perché non vai su da Kelly?» «Dai la stanza a qualcun altro. Sto meglio qui. Respiro meglio seduto. Buffo come la storia si ripete.» Cardinal gli lanciò un'occhiata perplessa. «Mio padre. Ha avuto gli stessi identici problemi. Allora però non avevamo le medicine e ricordo che dormiva in salotto, seduto. Adesso so perché.» «D'accordo, ma avvertimi se vuoi la stanza di Kelly.» Cardinal stava per accomiatarsi, ma suo padre sollevò una mano per fermarlo. «John, questa storia della dottoressa Cates. È terribile. Stava ap-
pena cominciando. Spero che beccherai il colpevole.» «Certo, ci stiamo lavorando.» «Era una bella persona. E anche un buon medico.» «Che dici, papà? Se la odiavi.» «Lo so, lo so. Certe volte sono proprio stupido.» Poco dopo la serata si trasformò in un campeggio attorno al fuoco quando tutti, a parte Stan Cardinal, andarono a sedersi davanti alla stufa a ricordare le loro esperienze con il clima. I Walcott litigarono su una tormenta che un inverno li aveva bloccati all'O'Hare tre giorni buoni, o erano forse due giorni al LaGuardia? La signora Potipher rievocò una tremenda tempesta nell'Atlantico del Nord mentre lo attraversava cinquant'anni prima. La luce guizzante illuminava i volti con varie sfumature di marrone e ambra. Catherine sembrava bellissima sotto gli strati di maglioni e la lunga sciarpa scozzese. Mentre curava gli ospiti imprevisti, il suo viso aveva un'espressione di attenzione assoluta, e Cardinal capì che era felice. Per tutta la sera le chiacchiere furono inframmezzate dal sibilo rauco della stufa ogni volta che Cardinal l'apriva per aggiungere legna. Si sentiva il tamburellare della pioggia ghiacciata contro le finestre, e ogni tanto si udiva uno schianto tremendo perché era crollato un ramo all'esterno e allora tutti saltavano in piedi gridando come a una partita. Cardinal e Catherine furono costretti a dormire con la porta della camera da letto aperta per far arrivare tutto il calore possibile dal soggiorno. Nonostante ciò, Cardinal aveva indosso i mutandoni. Catherine gli si addormentò rannicchiata contro, invece lui rimase sveglio a lungo, pensando a suo padre e a Paul Laroche. Ormai era certo che Laroche fosse Yves Grenelle, e anche se non aveva ammazzato il ministro Raoul Duquette di sicuro aveva ammazzato Madeleine Ferrier per tenere segreto il suo passato. E Miles Shackley. E Winter Cates. Ripensò alla fotografia nell'ufficio di Laroche in cui era vestito da caccia assieme al premier. Poteva collegarlo a Bressard. Però provarlo in tribunale era un altro paio di maniche. In seguito fu svegliato da un rumore, anche se non capì quale. Un altro ramo? Un fusibile saltato? Rimase immobile, in attesa. Qualcuno lanciò un gridolino nell'altra stanza, uno strano rumore in falsetto, mezzo urlo mezzo gemito. Cardinal scese dal letto e s'infilò la vestaglia, poi recuperò nel cassetto la torcia elettrica e andò in soggiorno. Il fuoco nella stufa si era ridotto a poche braci che proiettavano un ba-
gliore rosso opaco sui volti addormentati di Sally e delle bambine che spartivano un gigantesco sacco a pelo in un angolo, e sui coniugi Walcott dall'altro lato. La signora Potipher era in camera di Kelly con la stufetta a cherosene. Era stato suo padre a gridare, un richiamo soffocato rivolto al figlio, che superò svelto i corpi addormentati e attraversò la tenda. Suo padre era quasi caduto dalla sedia e adesso stava accasciato su un fianco. Quando Cardinal lo sollevò vide che era coperto da una patina di sudore, il viso pallido e scivoloso. «Dove sono le pillole?» gli chiese, spostando il raggio della torcia. «Papà, dove sono le tue pillole?» Stan si lamentò, dondolando la testa contro lo schienale. Dai polmoni usciva un rantolo. Cardinal trovò le pillole su un tavolino e versò qualche capsula nel palmo della mano. Fece piegare in avanti suo padre, tenendo la testa nella piega del gomito per infilargli una capsula in bocca, poi chiamò Catherine. «È la gamba. Mi fa male la gamba» disse suo padre. Interpretando il linguaggio stoico di Stan, Cardinal capì che stava malissimo. «Catherine!» Catherine spuntò nel varco della tenda, sciogliendosi i capelli con una mano mentre con l'altra teneva chiusa la vestaglia. «Chiamo un'ambulanza» disse. Prese il telefono e compose il numero. Alla fine lo porse a Cardinal. «Forse a un poliziotto rispondono prima.» Si inginocchiò accanto alla poltrona. «Come va, Stan? Possiamo aiutarti?» Lui si strinse la coscia dolorante ed emise un lamento, terreo in volto. «John sta chiamando un'ambulanza. Arrivano tra un attimo.» «Questa gamba mi uccide. Spero non alla lettera» disse Stan. Cardinal diede l'indirizzo per telefono. «Signore, mandiamo qualcuno appena possibile, ma purtroppo stanotte le strade sono impraticabili.» Cardinal appese, quindi compose il numero del pronto soccorso al City Hospital. L'infermiera al telefono gli chiese di descriverle attentamente i sintomi, poi: «Bene, con un passato di insufficienza cardiaca dovrebbe essere un trombo alla gamba. È doloroso ma trattabile con farmaci che fluidificano il sangue». «John, secondo me ha una crisi cardiaca!» Cardinal mollò il telefono. Suo padre si drizzò, tenendosi il petto come se ci fosse conficcata una freccia, poi si accasciò svenuto.
«Aiutami a sdraiarlo per terra.» Cardinal sollevò il padre per le ascelle, mentre Catherine lo teneva per i piedi. «È gelato. I piedi sono ghiacciati» disse. Lo stesero sul pavimento, poi Cardinal iniziò a premere sul torace. Ogni sei pressioni si chinava per fare la respirazione bocca a bocca. «Catherine, prendi il telefono. Chiedigli cosa dobbiamo fare adesso.» Continuò a premere il petto di Stan mentre Catherine domandava istruzioni. «Dicono di continuare così. Resisti fino a quando arriva l'ambulanza.» «Per Dio, non respira. Forse non ci conviene aspettare l'ambulanza. Forse è meglio se lo portiamo noi. Chiedile quanto ci vorrà.» «Con un po' di fortuna, dieci, quindici minuti.» «Catherine, vai a mettere in moto la macchina.» «Posso fare qualcosa?» Sally era arrivata alla tenda. «Aiuta Catherine a togliere il ghiaccio dall'auto.» Catherine e Sally uscirono, e qualche istante dopo Cardinal sentì il rumore dei raschietti che attaccavano il ghiaccio duro. Suo padre si lamentò, quindi aprì gli occhi. Cardinal smise di premere per appoggiare un orecchio sul torace. Sentì un pulsare ritmico, ma i polmoni sembravano pieni di liquido. «Papà. Papà, mi senti?» chiese sottovoce, posando una mano sulla guancia di Stan. «Sì.» «Qual è il diuretico? Dobbiamo far calare il liquido nei polmoni.» «Le pillole arancioni.» La voce era ormai ridotta a un bisbiglio. Gli occhi sembravano guardare un punto oltre il soffitto della stanza. Cardinal trovò le pillole tra parecchie boccette sul tavolino. Ne fece scendere due sulla mano e iniziò a sollevare il capo del padre. «No, basta pillole» sussurrò Stan. «Hai i polmoni pieni di liquido. Ti aiuteranno a respirare.» «Basta pillole.» «Papà, è solo per respirare.» «Basta pillole.» Gli occhi di Stan fissavano ancora il soffitto, il respiro era ridotto a una serie di corti rantoli pieni di scariche. Catherine rientrò tutta inzuppata, portando nella stanza una nuvola di aria gelida. «Il ghiaccio è inattaccabile. Non riusciamo nemmeno ad aprire lo sportello» disse. Si sentì una sirena in lontananza.
«Va bene lo stesso, questa dev'essere l'ambulanza. Papà non vuole prendere le pillole.» Catherine si inginocchiò all'altro lato di Stan. «Cosa sento? Non prendi le pillole?» Le labbra deboli e umide di Stan Cardinal si piegarono nell'accenno di un sorriso. «Non mi sgridi, vero?» Catherine fece segno di no. I suoi occhi si riempirono di lacrime che riuscì a ricacciare. Trovata la mano del vecchio la prese tra le sue. Cardinal strinse l'avambraccio del padre. «La sola cosa giusta che hai fatto» disse Stan. Le parole uscirono lente, come note talmente separate che ogni linea melodica era andata persa. «Cosa intendi?» chiese Cardinal. Non voleva mettersi a piangere di fronte al padre. «Cathy.» «Lo so.» Cardinal strinse più forte l'avambraccio. «Papà, stammi a sentire, lo so che ne è passato del tempo dall'ultima volta che sei andato in chiesa, ma...» «Niente preti.» «Sicuro? Possiamo chiamare la Corpus Christi, se preferisci.» «Niente preti.» Cardinal sentì l'ululato della sirena scivolare dietro casa. Avevano sbagliato a svoltare. Comunque non pensava che un barelliere potesse fare granché a questo punto. O anche un dottore. «John.» «Sì, papà?» «John.» «Dimmi, papà. Sono qui.» «Siamo andati bene, vero?» Quando Cardinal deglutì la saliva, il pomo d'Adamo parve grosso il triplo del normale. «Siamo andati bene.» Non capì la frase successiva del padre. La sirena stava tornando verso Madonna Road. «Mi dispiace per quello che ho fatto. Sai...» «Papà, non devi scusarti di nulla.» «Qualsiasi cosa...» «Lo so. Dispiace anche a me.» «Di cosa ti scusi?» La domanda parve restare sospesa a mezz'aria. «Per non aver fatto in modo che avessi quel che desideravi, sai, perché ti
succedesse a casa invece che...» «No, no.» Stan tossì. Le sue mani scattarono come per afferrare un oggetto sopra di lui, poi ricaddero sul pavimento. «Papà?» Cardinal massaggiò con forza il braccio, quasi volesse stimolare la circolazione che avrebbe rianimato l'intero corpo del moribondo. «Papà?» Suo padre si stava sforzando di dire qualcosa. Cardinal e Catherine si piegarono per sentirci meglio, ma le parole si disintegrarono in povere vocali affannose, in tanti suoni senza significato. Poi l'ultimo respiro uscì dal corpo, e quasi all'istante gli occhi si opacizzarono. Catherine si piegò scossa dai singhiozzi. Cardinal rimase accucciato, stordito. Le luci lampeggiarono alle finestre, poi si sentì il rumore di portiere e scarponi sul ghiaccio. E alla fine gli infermieri entrarono, controllando i segni vitali e confermando che Stan Cardinal era morto. «Mi dispiace che non siamo arrivati prima ma stanotte le strade sono un vero problema. Ci sono code lungo tutta la Trout Lake» disse uno di loro. «Lo so» fece Cardinal. «Dovrei telefonare. Deve venire il coroner a confermare la morte.» «D'accordo.» Il barelliere stava già parlando al cellulare. «Sì, è la crisi cardiaca di Madonna Road. Arresto, nessun segno vitale. Potete mandare subito il coroner? Grazie.» Cardinal sentiva Catherine muoversi alla luce delle braci. Qualcuno doveva avere gettato altra legna nella stufa. Non ricordava di averlo fatto lui. In qualche modo sua moglie era riuscita a portare le bambine nella camera di Kelly senza svegliare la signora Potipher e adesso stava bollendo dell'acqua per fare il tè per Sally e per gli uomini dell'ambulanza, che entravano e uscivano dal campo visivo di Cardinal, profili senza volto in un mondo sotterraneo in cui tutte le distanze erano immense, tutte le voci echi. Cardinal bevve un sorso di tè, bruciandosi la lingua. Ci fu una folata di aria fredda quando il dottor Barnhouse fece irruzione, aggrappato alla valigetta nera. Si inginocchiò accanto a Stan, ascoltando a lungo con lo stetoscopio, poi alla fine disse: «Non sento battito cardiaco. Né respiro». Controllò l'orologio. «Ora della morte: 2.57.» Barnhouse ripose lo stetoscopio e chiuse la valigetta nera con uno schiocco secco, poi si fermò davanti a Cardinal con la mano tesa. Cardinal la strinse, sentendo il palmo bianco e arido del medico in tutta la sua forza. «Agente Cardinal, mi dispiace molto per questa perdita.»
C'era una scintilla implorante nei suoi occhi, come per dire: "Aiutami! Non sono tanto bravo in queste cose!". Mentre l'accompagnava alla porta, Cardinal ebbe quasi voglia di consolarlo, di dirgli che andava tutto bene. I barellieri si avvicinarono al cadavere. Cardinal gli disse: «Potete concederci qualche minuto?». Catherine era già accanto a suo padre, afflosciata, esausta. Cardinal le si inginocchiò di nuovo di fronte. Era stupefatto dall'immensità del suo dolore. «Cosa stava cercando di dire? Prima di spirare. Stava cercando di dire qualcosa che non ho capito.» «Stava rispondendo.» «A cosa?» «Tu hai detto che ti dispiaceva. Ti dispiaceva che non aveva potuto morire a casa sua.» «E lui?» «Ha detto "qui sono a casa".» 27 Tutta la notte e parte del mattino seguente la pioggia continuò a cadere in gocce pesanti che colpivano ogni superficie con uno schiocco sonoro. Forse "cadere" non era il termine adatto. La pioggia si scagliava con furia su ogni auto, ogni casa e ogni strada, feriva dove colpiva la pelle, e si notavano i cristalli di ghiaccio in ogni goccia, li si vedeva aggrapparsi in un istante in ogni parabrezza ghiacciato o marciapiede. Gli spargisale furono dispiegati in forze fino a quando le strade diventarono una distesa di ghiaccio nero che crepitava sotto i piedi come ghiaia. Le catene da neve tintinnavano sulle poche auto che vagavano al rallentatore per le vie. I fili della luce erano sempre più curvi sotto il peso del ghiaccio. Lungo le strade maestre i tralicci penzolavano ad angolature pazzesche come se fosse in corso una crocifissione di massa. Alle nove la corrente mancava ancora in tutta la città. La polizia e i vigili del fuoco disponevano di generatori di riserva, ma quello della centrale continuava a saltare e un paio di tecnici indaffarati andavano su e giù dal tetto bestemmiando in francese. A metà mattinata il cielo si rasserenò, svelando un sole accecante. Un fronte freddo aveva finalmente cacciato il fronte caldo e la pioggia, facendo precipitare le temperature verso i -20°. Senza elettricità, senza riscaldamento, gli abitanti di Algonquin Bay erano ormai alle strette. Le scuole
chiuse erano diventate dormitori improvvisati. Morirono due persone, un uomo che aveva cucinato la cena dentro casa ed era rimasto ucciso dal monossido di carbonio, e un'altra persona perita in un incendio in Christie Street innescato da una stufa a cherosene rovesciata. In centrale ogni permesso era revocato. L'intero corpo era mobilitato per andare di porta in porta a evacuare bambini e anziani nelle scuole. Gli ululati di protesta di McLeod erano udibili dall'ufficio di Chouinard al secondo piano fino alla sala pesi nel seminterrato. «Sono un agente, santo Dio, non un boy scout. Adesso cosa facciamo, tiriamo giù i gatti dagli alberi?» Cardinal si alzò tardi. In un primo momento pensò di avere un cane che gli dormiva sul petto, poi capì che era il peso della morte del padre. Telefonò a Chouinard per comunicargli la disgrazia, e il sergente si dimostrò comprensivo dicendogli di prendersi tutto il tempo di cui aveva bisogno, quello era il momento di stare in famiglia. Come se Cardinal non se ne fosse già accorto. Così decise di starsene a casa. Chiamò le pompe funebri per gli accordi preliminari, poi telefonò a suo fratello nella Columbia britannica. Catherine avvertì Kelly. I Walcott erano riusciti a dormire durante tutta la crisi della notte precedente, nonostante gli andirivieni dell'ambulanza. Appena lo seppero da Catherine, afferrarono subito i loro libri e iniziarono a leggere. Gli altri furono tanto gentili, soprattutto la signora Potipher, e persino le bambine si dimostrarono convenientemente compunte. Ma dopo un'ora di quella lagna, Cardinal cominciò a pensare che lì a casa era solo un manichino impagliato e che sarebbe stato più utile altrove. Ripensò a Paul Laroche e alla montagna di dossier che doveva arrivare in mattinata in elicottero. Delorme lo abbracciò forte quando arrivò nella sala della squadra. «Mi dispiace. Promettimi che mi avverti se posso esserti utile.» La sua partecipazione mozzò il respiro di Cardinal, che riuscì ugualmente ad annuire. Chouinard fu sorpreso nel vederlo, ma già che era lì era deciso a metterlo al lavoro con Delorme. Cercò quindi di assegnarli al lavoro porta a porta, tuttavia Cardinal non ne volle sapere e guidò il sergente alla sala riunioni destinata ai dossier. L'OPP aveva mandato via elicottero cinque casse di fascicoli delle indagini della CAT sui sequestri targati Fronte. Adesso erano sistemate nella sala come un gruppo di cassetti aperti. «D'accordo, avete una montagna di roba da esaminare. Fate prima che
potete, poi ci servirete in strada come tutti gli altri.» R.J. Kendall ficcò dentro la testa. «Voglio tutti subito di sotto. Perché siete ancora qui?» Chouinard si intromise. «Ehm, capo, forse non è informato. Il padre di Cardinal è morto la scorsa notte.» R.J. guardò il sergente come se fosse appena sbarcato da un disco volante. Poi guardò Cardinal. «È vero?» «Sissignore.» «Condoglianze. Però, se non va a casa, la voglio di sotto. Abbiamo un'emergenza assoluta.» Quindi parve rilassarsi un tantino. «Mi dispiace per il suo vecchio» disse, posando una mano sulla spalla di Cardinal. «Si prenda tutti i giorni che le servono. È un brutto colpo perdere un genitore.» «Grazie, capo. Per ora preferisco lavorare su questo caso.» «Bene. Lavori su quello che vuole. Però adesso mi servono tutti gli uomini disponibili» concluse Kendall uscendo. «L'azienda elettrica dell'Ontario ci aggiornerà sulla situazione. Non è tanto male, almeno ci sono le ciambelline» aggiunse Chouinard. «Perché sempre quelle?» si lamentò Delorme mentre scendevano di sotto. «Ti sembro una che mangia ciambelline? Promettimi che se comincio mi spari.» Cardinal si prese un caffè nero e andò a parcheggiarsi presso l'uscita. L'uomo dell'azienda elettrica era Paul Stancek, un suo ex compagno di liceo. L'unico ricordo che aveva Cardinal di lui erano le perfette imitazioni del professore di storia, il signor Elkin, fino all'accento australiano. Questo quando Stancek, e in teoria anche Cardinal, era un ragazzino magro magro senza la minima traccia di peluria sulle gote. Adesso era alto uno e ottanta con due baffi da tricheco che sarebbero stati perfetti per uno sceriffo del selvaggio West. «So che siete indaffarati quindi vengo subito al sodo. Il sistema idroelettrico dell'Ontario è costruito per reggere di tutto a parte le catastrofi. In questo momento la tempesta di ghiaccio ad Algonquin è una di queste catastrofi» esordì Stancek. «Algonquin Bay riceve corrente da due fonti diverse. Perché la città rimanga al buio entrambe le fonti devono essere interrotte. Avete presenti i tralicci che vengono da est lungo le colline attorno alla statale 17 presso Corbeil? Quelli portano la corrente dai fiumi Ottawa e Mattawa. «L'altra fonte è a nord verso Sudbury, i tralicci che seguono lo svincolo in direzione inversa. Le probabilità che entrambi i sistemi collassino in si-
multanea più di una volta ogni cento anni sono quasi pari a zero. «Perciò benvenuti all'anno cento. Di solito quando c'è una gelata ci basta alzare l'amperaggio lungo i fili, e questo li riscalda abbastanza da sciogliere il ghiaccio. Purtroppo stavolta non funziona. I fili possono reggere tre volte il peso che dovrebbero sostenere ufficialmente, poi alcuni si spezzano. Ecco cosa dovete fare se vi trovate nelle vicinanze di un filo caduto.» McLeod urlò facendo trasalire tutti quanti: «Perché non spegnete quei cosi finché non è finita? Tanto la corrente salta ogni dieci minuti». Stancek non batté ciglio. «Non togliamo la corrente dalle linee principali per tre motivi. Primo, perché se non portano carico non possiamo capire dov'è l'interruzione, quindi come facciamo a ripararli? Secondo: perché rimettere corrente sarebbe più pericoloso che lasciarla scorrere. Potremmo ammazzare gente che non sappiamo nemmeno che è in pericolo. E terzo: perché è così che agiamo.» «Bella risposta. Dovresti fare il piedipiatti» disse McLeod. Stancek proseguì. «Ogni traliccio regge sei linee, ognuna delle quali porta quarantaquattromila volt. Quarantaquattromila volt, roba che ammazza. Ti fa fuori dieci volte.» Uno dei primi incidenti di cui si era occupato Cardinal quando era tornato ad Algonquin Bay: un ragazzo era salito per sfida su un trasformatore di una centralina di scambio. Quando le squadre di riparazione erano arrivate sul posto era ridotto in cenere. Mentre lo staccavano dal metallo la testa carbonizzata si era staccata rotolando fino ai piedi di Cardinal. «Quarantaquattromila volt» ripeté Stancek. «Ma se uno di quei fili cade a venti passi da voi non vi fa fuori per forza. Non se sapete come comportarvi. Quindi prestate attenzione. «Se cade un filo sulla macchina non muovetevi. Restate in auto a meno che non ci siano motivi pressanti per uscire, tipo che sta andando a fuoco. Se dovete scendere non posate soltanto i piedi per terra. Saltate. Quello che vi ammazza è la differenza di voltaggio tra l'auto e il terreno. Se volete diventare conduttori, andate a scuola guida e prendete la patente C. Non diventatelo solo scendendo dall'auto. «L'ipotesi più probabile? Un filo cade vicino a voi.» Stancek si avvicinò a un tabellone ed estrasse un pennarello. Mentre parlava, tracciò frecce e circoli rossi. «Allora, dovete capire due cose. La prima è la radianza del suolo. Come tutte le fonti di energia, il voltaggio di un filo elettrico diminuisce con la distanza. E quando è la terra il materiale conduttore, diminuisce alla svelta. In parole povere, se un filo casca a un metro da una persona
l'ammazza quasi di sicuro. A quindici metri la lascia illesa. «Quindi vi allontanate, no? Sbagliato. Avete afferrato? È un no. Voi non vi allontanate, restate esattamente dove siete. E ricordatevelo perché quanto sto per dirvi ha salvato molti tecnici: se cade un filo accanto a voi tenete i piedi uniti, non fate un passo. È la differenza di voltaggio tra il punto A e il punto B quella che vi ammazza. Quando siete nei pressi di un filo elettrico che spara quarantaquattromila volt nel terreno, può esserci una variazione letale anche in una distanza ridotta come mezzo metro. È l'aspetto sconosciuto della radianza al suolo. Perciò tenete i piedi uniti. «Se nessuno arriva a salvarvi, l'unica maniera per cavarsela è avere un solo piede per terra alla volta. In questo modo non conducete energia attraverso il corpo. Purtroppo siamo nel pieno di una tempesta di ghiaccio. Le possibilità di riuscire a scappare senza cascare a quattro zampe diventando uno sbirro alla brace sono molto, molto scarse. Quindi il mio consiglio è: restate dove siete, tenete i piedi uniti e non muovetevi. «Un'ultima cosa che dovete sapere prima che io risponda alle vostre domande. Quei fili hanno un limite. Se un filo vi cade vicino e siete circondati da lampi azzurrini, sappiate che succederà solo tre volte. I fusibili sono fatti in modo che appena vanno in corto la terza volta si disattivano. Muoiono.» Fedele alla promessa, Stancek era stato breve. Quando iniziarono le domande, Cardinal e Delorme tornarono di sopra. Cardinal aveva un messaggio in attesa dal Centro di medicina legale di Toronto. Telefonò dalla sala riunioni, mettendo in viva voce. Len Weisman era come sempre comprensivo. «Amico mio, non hai in mano un accidente di niente. Sull'auto? Nulla. Niente capelli, niente fibre, nulla. L'acqua ha portato via tutto.» «Sembra impossibile» disse Delorme. «Secondo la legge delle probabilità...» «Lasci perdere le probabilità. La legge dice che nessuno dovrebbe mai vincere alla lotteria, nessuno dovrebbe essere ucciso da un fulmine. In questo lavoro c'è un piccolo fattore chiamato fortuna, e il vostro assassino ne è sin troppo fornito.» Cardinal e Delorme selezionarono i fascicoli in mucchi preliminari, separando quelli che avevano più probabilità di contenere informazioni su Grenelle. «Non sono affatto ottimista, da come si stanno mettendo le cose» disse
Delorme. Trovarono una miniera di relazioni di informatori, però Grenelle non lavorava per la polizia bensì per la CIA, o almeno la versione privata di Miles Shackley della CIA, e non c'era un solo rapporto a suo nome. Decine di relazioni lo citavano soltanto "presente", semplicemente uno dei tanti nomi citati, in un dato posto un dato giorno. «Così non arriveremo a nulla. Nessuno di questi rapporti parla di Grenelle come di un informatore o un soggetto pericoloso, è solo uno dei tanti presenti alle riunioni» disse Delorme. «Senti, se vuoi dimostrare che non so cosa sto cercando risparmia pure il fiato. Forse non sapremo cosa stiamo cercando ma lo capiremo quando lo vedremo. Sei d'accordo o preferisci fare il porta a porta ad aiutare le vecchiette a salvare i cagnolini dal maltempo?» Quando gli occhi di Delorme guardarono altrove, Cardinal si pentì della propria reazione. Poi lei si voltò di nuovo verso il partner per dire con voce dolce: «John, forse faresti meglio a tornare a casa. Tuo padre è morto. Non puoi far finta di niente». «Non sto facendo finta di niente. In questo momento ho una casa piena di sfollati e preferisco stare qui con te.» Sentendosi arrossire, chinò di nuovo la testa sugli incartamenti. Un buon ottanta percento della cartaccia che aveva di fronte era inutile, e buona parte del rimanente conteneva le medesime informazioni ripetute più volte sotto diverse intestazioni. Il loro interesse si risvegliò quando Cardinal trovò un fascicolo etichettato "5367 Reed Street", l'indirizzo presso il quale Duquette era stato tenuto prigioniero e ucciso. Estrasse il documento catastale che descriveva l'edificio: allegati c'erano una piantina del piano terra e una serie di foto dell'incursione della polizia. «Questo è interessante» disse Delorme, mostrando una sbiadita copia carbone con attaccata una copia del contratto d'affitto. «Cento al mese. Com'è cambiato il mondo. E guarda la firma.» Cardinal prese la copia carbone. Nello spazio riservato all'indirizzo attuale il richiedente aveva dato un recapito di Saint-Antoine. Occupazione: tassista, Lasalle Taxi Company. Era firmato Daniel Lemoyne. «Lemoyne. Esatto. Hanno usato un taxi per rapire Duquette, però mi pare che fosse di un'altra compagnia» disse Delorme. Un altro momento di entusiasmo quando Cardinal trovò i fascicoli "Co-
quette", documento numero 16790/B, come era nota. Era chiaro che quella donna era stata di inestimabile valore per la squadra CAT, i suoi rapporti erano estremamente dettagliati. Nelle relazioni quasi romanzate di Simone Rouault, Grenelle cominciava a emergere come personaggio in carne e ossa. L'informatrice descriveva come si vestiva (più curato degli altri felquistes) e come si comportava (scatenato, appassionato, egoista). In una riunione aveva proposto di piazzare una bomba in municipio, in un'altra una serie di bombe con i chiodi durante le ore di punta. Poi aveva puntato su un attacco di uomini rana al porto. Nel giugno 1970, appena quattro mesi prima dei sequestri, Grenelle aveva proposto di rapire un dirigente americano della Pepsi-Cola, e in luglio un ambasciatore israeliano. Quando Cardinal controllò l'orario erano passate due ore. Delorme gettò il suo ultimo dossier fra quelli già letti. «Nulla» disse Cardinal. Lei si stirò, sbadigliando. «Tutta questa carta e nemmeno una voce utile. È incredibile.» «Quindi non abbiamo nulla nei dossier, d'accordo. Però Shackley è venuto qui per ricattare Paul Laroche. Ha organizzato un incontro e Laroche si è spaventato abbastanza da farlo fuori.» «Possiamo collegare Laroche a Bressard?» «Laroche è un cacciatore, dove conoscere per forza Bressard. E se lo ricordano tutti il processo di Bressard. È stata la prima volta in cui i giornali hanno ammesso che può esistere una mafia ad Algonquin Bay. Laroche doveva solo fingere di essere Petrucci, una commedia abbastanza facile visto che il padrino comunicava solo per iscritto.» «Quello che mi dà da pensare è che Shackley doveva avere qualcosa di più convincente di quella foto di gruppo per minacciare Laroche» disse Delorme. «Sono d'accordo. Qualcosa che lo inchiodava. E vorrei averla in mano adesso.» «Però sai già che fine ha fatto. Qualunque cosa fosse, ormai Laroche l'avrà ridotta in cenere.» «Lo so.» «Abbiamo ispezionato la capanna centimetro per centimetro. John, non c'era niente.» «Lo so. E non ho trovato nulla nemmeno a casa di Shackley. Forse perché se l'era portato dietro. Da usare. Era la sua arma migliore.» «L'avrà nascosto in macchina.»
«Esatto. La macchina.» «Che è stata controllata dai ragazzi dell'identificazione. E anche dalla Scientifica. Non c'è nulla. Non è rimasto nulla.» «Lo so.» «Sai cosa succede adesso, vero?» Cardinal scosse il capo. «Non posso accettarlo. Ci servono impronte digitali, ci servono testimoni, DNA. E invece non abbiamo nemmeno un testimone. Non ci sono per la Cates e nemmeno per Shackley. Niente capelli, niente impronte, niente DNA. In macchina, nella capanna di Shackley. L'unica cosa che abbiamo è il sangue nell'ambulatorio della Cates che combacia con quello dell'auto.» «Quando avremo il DNA potremo confrontarlo con quello di Paul Laroche.» «Soltanto se lui si offre volontario per darci un campione, cosa che non farà, o dietro mandato. Altrettanto improbabile.» Cardinal batté il palmo della mano sul tavolo. «Non posso crederci. Quello ammazza quattro persone e la fa franca.» «È come mi hai detto l'altro giorno. Talento, perseveranza e fortuna. Peccato che non abbiamo avuto fortuna. Non stavolta.» «Lo so.» Cardinal chiuse l'ultimo dossier. «Non ti fa vomitare?» Le luci sfarfallarono un attimo, poi si spensero. Il silenzio imbottì la stanza come ovatta. Nella sala riunioni arrivava abbastanza luce dalle vetrate, ma il corridoio si riempì all'istante di gente che correva da tutte le parti. McLeod fece capolino, con la torcia elettrica in mano. «Odio questo posto. Ve l'ho già detto oggi? Odio questo posto.» Il giudice William Westly era alto e ossuto con un volto grifagno. La sua camminata, una particolare commistione di gobba pronunciata e passo elastico, era fonte di ilarità per quasi tutti i legali, e la voce, roboante e pastosa, era oggetto di numerose imitazioni. Westly sollevò gli occhi dall'informativa compilata da Cardinal e la firmò. «Ha idea di chi è Paul Laroche?» «È il principale sospettato di un'indagine per omicidio.» «Paul Laroche non è solo una colonna della comunità. Possiede metà dei palazzi della città. Dirige la campagna locale del primo ministro di questa provincia, nel caso non se ne sia accorto. E nel caso che non se ne sia accorto, è il suo compagno di golf e confidente.» «Lo so, Vostro onore. Però ha visto cos'abbiamo trovato» disse Cardinal.
Westly appoggiò il mento ossuto su una mano altrettanto ossuta fingendo di ascoltare con estrema pazienza. Più Cardinal tentava di far sembrare stringenti i collegamenti, più suonavano vuoti. «Le vostre indagini assommano a questo? Sono le prove fino all'ultima virgola?» «Be', speriamo che salti fuori qualcos'altro.» «Agente, in base a queste prove non emetterei un mandato di comparizione per un barbone. A essere sincero, mi inquieta che si sia perfino scomodato di venire da me.» «Sono fatto così, un inguaribile ottimista» disse Cardinal. «Mi convinca con il DNA, un paio di impronte digitali, qualche prova balistica.» «Lei mi dia il mandato per avere un campione di sangue da Laroche e avrà il suo DNA.» «Non ha materiale sufficiente per un mandato. Ha solo l'immagine realizzata da una disegnatrice della polizia dell'aspetto ipotetico di un ex militante dell'FLQ. Mi dispiace, agente. Mi porti la pur minima prova credibile che lega Paul Laroche all'uccisione di Winter Cates o di Miles Shackley e le garantisco il mandato. Fin qui non ha nulla.» «E Madeleine Ferrier?» Cardinal si apprestò a unire i puntini dal 1970 fino all'omicidio della vicina di Laroche. Westly non lo lasciò finire. «Che lei ci creda o meno, agente, capisco a cosa vuole arrivare. Le sto solo dicendo che non ci siamo ancora. Non a mio parere e di sicuro non a parere di qualsiasi giudice dell'Ontario.» «Però sappiamo che è stato lui, Vostro onore. D'accordo, è un uomo potente, però sappiamo che è stato lui.» «Temo che non regga. Da quanto mi ha detto, ci sono buone probabilità che Yves Grenelle abbia ucciso Raoul Duquette. Quello che non può provare... mi correggo, quello che è mille miglia dal provare è che Paul Laroche sia Yves Grenelle.» «Andiamo da un altro giudice» disse Delorme quando Cardinal le riferì dell'incontro. «Scommetto che Gagnon ce lo dà un mandato.» «Mi piacerebbe, credimi, ma se andiamo per giudici e poi lo scoprono, il processo viene invalidato.» «Mettiamo che recuperiamo un bicchiere a cui Laroche ha bevuto. Un sigaro che ha fumato.» «Senza mandato? È illegale.»
«Metti che lo pediniamo. Prima o poi getterà qualcosa o lascerà, che so, al ristorante, qualcosa dal quale possiamo ricavare il DNA. Un luogo pubblico dove non si applica la privacy. Non servirebbe un mandato per quello.» «Chouinard non ci permetterebbe di pedinare Laroche. Non con quello che abbiamo in mano.» «Io glielo chiedo.» Delorme entrò da Chouinard. Quando tornò qualche minuto dopo aveva un'espressione tanto trasparente in volto che Cardinal non ebbe il coraggio di chiederle cos'aveva risposto il sergente. Dopo pranzo passarono il pomeriggio a indagare sul passato di Laroche, cercando di farlo coincidere con quello di Grenelle. Stando agli articoli di giornale e al suo numero della previdenza sociale, risalirono alla Société d'aide à l'enfance di Trois Rivières. Aveva vissuto in istituto fino ai sedici anni, quando la Société aveva chiuso il fascicolo e perso di vista il ragazzo. No, non avevano fotografie, risposero all'istituto quando Delorme li contattò. Il polso di Cardinal cominciò ad accelerare quando seppe che l'istituto aveva avuto sotto la sua tutela, nello stesso gruppo famiglia, un ragazzo appena più grande, Yves Grenelle. Anche qui niente foto e nessun dato dopo i sedici anni. Dopo essere scappato in seguito ai fatti dell'ottobre 1970, Yves Grenelle poteva avere invitato a Parigi Laroche, l'aveva ammazzato e gli aveva rubato l'identità, come se Yves Grenelle non fosse mai esistito. D'altro canto era possibile che una terza persona li conoscesse entrambi e avesse usato i due nomi. In mancanza di fotografie quella pista era un vicolo cieco. La Beacom Security si trovava in un negozio vuoto sulla Main Street. Gli eventuali guadagni di Ed Beacom nella sua carriera di ex poliziotto non erano stati investiti nell'arredamento. A parte le vetrinette piene di vari tipi di serrature e allarmi, era in pratica un loft deserto che non era stato migliorato dall'aggiunta di un linoleum da poco prezzo e di qualche neon potente. Beacom accompagnò Cardinal e Delorme nel suo ufficio su Main Street, stesso linoleum, stessa illuminazione da supermercato. «Che ne dite del tempo, eh? Speriamo che abbassi il tasso di criminalità.» Beacom era un omone sulla cinquantina dal torace erculeo. Le cuciture del suo blazer blu erano messe a dura prova. Mentre staccava due seggiole
di plastica dalla parete aggiunse: «Scusate la situazione, non tutti possono guadagnare miliardi». «A essere sincero non sono del tutto sicuro del perché siamo venuti» disse Cardinal. «Il servizio di sicurezza della serata dovrebbe essere roba di routine.» «Sono d'accordo. Nemmeno io so perché siete venuti, ma qui comanda Paul Laroche e quel che vuole Paul Laroche, l'ottiene.» Beacom estrasse da un cassetto un fascicolo smilzo che sfogliò mentre parlava. «Sono stato in contatto con il CSIS e francamente non mi pare che questa serata di raccolta fondi possa essere un bersaglio per i gruppi terroristi di cui si occupano loro.» Cardinal scoppiò a ridere. «Lo trovi divertente?» fece Beacom. «Se è tanto divertente spiega la barzelletta anche a noi.» Prese una piantina dell'Highlands Ski Club e l'aprì sulla scrivania, iniziando a indicare con un ditone. «Io sto dietro le quinte. C'è un buon punto qui dietro da cui posso coprire quasi tutta la sala. Mantis sarà accompagnato da un paio di guardie del corpo. E si dice che ci sarà anche un ex primo ministro. Distaccheremo un paio di ragazzi per lui. Ho già coordinato con il responsabile.» «E tu quanti uomini hai?» chiese Delorme. «Quattro me compreso. Metterò i ragazzi qui, qui e qui. Alle porte, notate, non ai tavoli. Mica tutti siamo in confidenza con i ricchi e potenti.» «Pensi che ci piaccia partecipare a questa maledetta cena? Credi che non abbiamo niente di meglio da fare?» sbottò Cardinal. Delorme gli lanciò un'occhiata che l'invitava a calmarsi. «A me non interessa cos'altro avete da fare» disse Beacom. Durante la lunga pausa Cardinal prese in considerazione la possibilità di andarsene. «Credo che questi siano i vostri tavoli» continuò Beacom, indicando due tavoli d'angolo ai lati opposti della sezione anteriore del salone. «Devo comunicare oggi dove vi metto, perciò se avete obiezioni ditelo subito.» «A me va bene» rispose Delorme. Cardinal fece spallucce. «Basta che siamo rivolti verso il palco.» «Lo pensavo anch'io.» Beacom riarrotolò la piantina. «Lo segnalo al loro coordinatore e vi faccio sapere se ci sono cambiamenti. Personalmente, pensavo che avreste avuto auricolari e microfoni, però Laroche ha posto il veto. Avrebbe annullato il vantaggio di avere un paio di piedipiatti tra gli invitati. Ha ragione.»
Qualche minuto dopo Beacom li presentò ai soci che sarebbero stati presenti alla serata. Uno era un pompiere in pensione con cui Cardinal aveva lavorato in altre occasioni, gli altri due erano ragazzi freschi di liceo. Delorme riassunse i pensieri del collega quando salirono in macchina per tornare in centrale. «Che lavoro. Certe volte rimpiango di non avere scelto qualcosa di più gratificante, che so, la nettezza urbana.» 28 La frustrazioni sul lavoro unite alla morte del padre iniziarono a fare effetto su Cardinal, che non andò in ufficio per i due giorni seguenti, preferendo seguire i tristi obblighi del funerale. Ci fu la camera ardente alle pompe funebri, e quindi la cerimonia alla cattedrale, seguita dalla cremazione. Kelly avrebbe desiderato essere presente, e anche il fratello di Cardinal, ma il maltempo aveva picchiato duro sull'aeroporto e non c'erano voli da e per Algonquin Bay. Nonostante le condoglianze di amici e colleghi e le attenzioni della moglie, Cardinal era sempre più depresso. Il venerdì tornò al lavoro, dove Delorme l'aggiornò sui progressi nelle indagini, mettendoci appena trenta secondi perché non ce n'erano. Medicina legale non aveva nulla da segnalare, un secondo controllo presso i vicini della dottoressa Cates non aveva portato novità, e nemmeno l'esame al microscopio degli effetti personali di Shackley. «Va bene, mettiamola così, stavolta non lo becchiamo, ma succederà qualcosa, forse tra un mese, forse tra un anno, commetterà un errore, e allora faremo progressi. Purtroppo non adesso» concluse Delorme. Cardinal chiuse il dossier. Aveva voglia di dargli fuoco. «La cosa grottesca, quella che mi fa impazzire, è questa maledetta serata, per Dio» disse. «Lo so. Ho chiesto a Chouinard se poteva esentarci, ma non ha voluto.» «Chouinard. Non so cosa succede alla gente quando diventa direttore, ma succede alla svelta.» Cardinal posò il fascicolo nel cassetto e lo chiuse con violenza. «Sai, anche se Laroche non fosse il principale indiziato, non vorrei ugualmente aiutare il suo candidato di merda. Grazie a Mantis e ai suoi tagli mio padre ha passato la degenza ospedaliera in corridoio.» Delorme gli posò una mano comprensiva sulla spalla. Quella sera, mentre attraversavano le strade nere e vuote, videro tre trasformatori di seguito esplodere in splendidi lampi azzurrini.
A ovest di Sumner Street le luci erano ancora accese, però i lampioni erano stati falcidiati. Parecchi erano crollati e giacevano sulla statale come arti amputati, alcuni ancora accesi. Le squadre di riparazione erano impegnate a toglierli di mezzo. I centri commerciali e i negozi lungo la statale erano deserti e le corsie verso nord sgombre di macchine, tuttavia verso Marshall Road serpeggiava una lunga fila di auto. A quanto pareva, la serata per la raccolta fondi di Laroche sarebbe riuscita a sopravvivere alla tempesta. «Viene da chiedersi quanta gente voterebbe per il premier se sapesse che il responsabile locale della sua campagna è un assassino» disse Delorme. «Parecchi, mi sa. Un politico americano ha detto una volta che l'unica maniera per perdere quell'elezione sarebbe stato farsi trovare a letto con una ragazza morta e un ragazzo vivo.» «È questo che mi piace di te, Cardinal, vedi sempre il lato positivo delle cose.» La strada che portava al circolo dello sci era stata coperta di sale con tanto scrupolo che sembrava di guidare sulla ghiaia. La fila di fanalini di coda serpeggiava sopra le colline e nei boschi, avanzando adagio come un verme rossastro. Alla fine arrivarono a una serie di semafori spenti dal gelo, e a un grosso cartello che annunciava HIGHLANDS SKI CLUB. Mentre Cardinal aspettava che la coda avanzasse, lesse il resto del cartellone alla luce dei fanali. Nel progetto era stata coinvolta una serie di aziende, in primis la Laroche Development. Sotto la lista di imprese, in caratteri ancor più piccoli, c'era una precisazione: "Questo progetto è stato in parte finanziato dai fondi per lo sviluppo del Nord". Cardinal imboccò il vialetto, e un attimo dopo fu costretto a scalare in seconda lungo la salita. Dopo una cinquantina di metri le betulle si aprirono permettendo la visione della spianata d'argento dell'Highlands. Il circolo era composto da due sezioni: una struttura piramidale a cinque piani disposta ad angolo rispetto a un padiglione lungo e basso. Il rivestimento di cedro regalava quell'atmosfera calda e rustica tanto amata nei circoli di sci, e il tetto a forte pendenza aggiungeva un che di alpino. Il parcheggio era quasi pieno. Giovani inappuntabili con i copriorecchie indirizzavano le auto verso i pochi spazi rimasti. Cardinal posteggiò parecchio lontano dall'entrata del padiglione. Dietro l'edificio del club, le pendici delle Laurentiane si perdevano verso l'orizzonte in ondate di ghiaccio rilucenti come panna. Una fila di tralicci
alti quindici metri stava sull'attenti lungo il crinale. Sulla soglia un omone barbuto in smoking aspettava accanto a una corda di velluto per controllare gli inviti. Cardinal e Delorme mostrarono il tesserino. Cardinal doveva ammettere che era un posto spettacolare. Dal soffitto degno di una cattedrale pendevano bandiere canadesi e stendardi dell'Ontario. Tre camini ardevano con il genere di fuoco che doveva aver riscaldato i castelli medievali nelle fredde serate invernali come quella. Dalla parte opposta del salone una parete di vetro alta tre piani si affacciava sulle colline ghiacciate. Cardinal scrutò la folla, soprattutto presso i tavoli delle prime file, ma non vide traccia di Laroche. Delorme avanzò verso le prime file da quel lato. Sarebbe rimasta vicina ai gradini che portavano al palco, con visuale sulle quinte dalla parte opposta. Cardinal puntò invece al tavolo dall'altra parte della sala. Sentì la temperatura calare man mano che avanzava verso l'immensa vetrata. A un certo punto udì un rumore, come un applauso lontano, poi trecento teste si girarono a guardare: aveva ricominciato a piovere e le gocce gelate stavano tamburellando contro il vetro. Cardinal riconobbe molte facce nella folla: consiglieri comunali, il sindaco, parecchi avvocati, un giudice, il proprietario di una grande impresa edile e almeno cinque immobiliaristi. Verso le prime file notò alcuni politici scafati di Toronto e un paio di deputati federali conservatori, e anche l'ex primo ministro. La squadra di Beacom, completa di auricolari, era appostata presso le varie uscite. Una fanfara squarciò l'aria, gentilmente offerta dal moderno impianto audio dell'Highlands. Tutti si voltarono verso il fondo quando il portone si spalancò e fece il suo ingresso il primo ministro dell'Ontario, Geoff Mantis, affiancato dalla solita corte di uomini e donne eleganti, tra i quali anche Paul Laroche. I nuovi arrivati marciarono lungo la corsia centrale, con Mantis che salutava tutti, sorridendo come avesse vinto alla lotteria. La folla si alzò in piedi applaudendo all'impazzata, lanciando anche qualche fischio sporadico. Mantis strinse le mani degli invitati nei primi tavoli, poi si sedette. Cardinal notò che sua moglie non c'era. Charles Medina, magnate immobiliare e presidente locale del partito conservatore, salì sul palco. Medina ringraziò tutti per essere venuti, quindi fece un paio di battute sul clima, e parecchie altre sui liberali e neodemocratici, lodando Geoff Mantis e ricordando i benefici del suo governo: tasse più basse, clima più
adatto agli investimenti, profitti maggiori. Sì, raccontaci delle scuole chiuse e delle file sempre più folte di senzatetto, per non parlare del sistema sanitario a pezzi, pensò Cardinal. Medina fu interrotto più volte dagli applausi. E quando alla fine presentò il premier, la folla scattò di nuovo in piedi con un boato di applausi mentre Mantis lasciava il suo tavolo e si univa a Medina sul palco. Si strinsero la mano, si afferrarono le spalle e finsero di raccontarsi una battuta da vecchi amiconi, poi Mantis si girò verso la folla, sollevò le mani per ringraziare del benvenuto e fece segno di sedersi, senza smettere di sorridere, fino a quando il pubblico si tranquillizzò e si sedette. Cardinal era in piedi accanto al palco. Da lì vedeva il posto a lui riservato al terzo tavolo, ma per il momento preferiva restare contro la parete. Paul Laroche era spuntato dietro le quinte dalla parte opposta. Cardinal si ricordò che forse durante la serata avrebbe bevuto un goccio lasciando il suo DNA su un bicchiere. Tuttavia non sembrava molto propenso a sedersi a un tavolo. In quel momento era in piedi, a gambe larghe, le braccia incrociate sul petto, un mago che guardava realizzarsi la sua magia. Intanto al microfono Mantis stava ponendo una serie di domande retoriche. «Vi piacerebbe una sfilza di tasse più alte? Vi piacerebbe vedere più persone pagate per non fare nulla? Vi piacerebbe vedere i nostri intraprendenti uomini d'affari e maghi della tecnologia azzoppati da leggi sempre più numerose?» Cardinal aveva già sentito quella solfa, come tutti i presenti del resto, però agli altri piaceva. Si spostò verso i primi tavoli. Delorme lo guardò accigliata mentre lui le passava davanti diretto verso la porta del palco. «Dove vai?» gli chiese, ma Cardinal le rispose solo con un gesto vago. Laroche non era più dietro le quinte, né lo si vedeva nella prima fila di tavoli. Cardinal ispezionò la folla, i volti che guardavano adoranti il loro premier, il ragazzo di paese che aveva fatto strada. Poi uscì da una porta laterale e sbucò nell'atrio. Laroche stava andando verso l'uscita. «Non resta per il trionfo?» Laroche si voltò, ombrello in mano. «Non è il mio momento, agente, è quello del premier.» «Però è stato lei a propiziarlo. Ha fatto qualche pressione? Tirato le fila?» «È quello che fa un responsabile della campagna. Il mio lavoro è finito, almeno per oggi. E sono sicuro che il signor Mantis gestirà la folla dal professionista che è. R.J. mi ha detto che vi fermate per tutta la cena.»
«Non credo. Non ho più l'appetito di una volta.» «Mi dispiace. E le sue indagini fanno progressi?» «Certo. Sappiamo più cose di una settimana fa. Intanto sembra che i due omicidi siano collegati. E in un certo senso riguarda il suo lavoro.» «Cosa? L'immobiliare o lo sviluppo economico?» «La politica.» Laroche scoppiò a ridere. Una risata grassa e di cuore, la risata di un uomo che sa di essere troppo importante perché qualcuno gli dica che sta ridendo troppo rumorosamente. «Certo, la gente che non sa nulla di politica accusa sempre i politici di essere violenti. Però di solito non sono accusati di violenza carnale.» «La dottoressa Cates non è stata violentata.» «Davvero? Il Lode s'è sbagliato come al solito?» «È stata assassinata, poi l'assassino ha cercato di farlo passare per uno stupro.» «Non ha senso. Se ammazzi qualcuno, come pensi di migliorare la situazione facendolo sembrare anche uno stupro? Puoi solo aggravare il reato.» «Possibile. Ma forse stai mascherando il movente.» «Certo, non ci avevo pensato. Il capo Kendall mi aveva detto che lei è in gamba. Io, che sciocco, ho pensato che fosse solo per esprit de corps.» Laroche si spostò dall'uscita indicando l'ascensore. «Non credo abbia visto il resto del circolo. Vuole fare un giro privato?» Cardinal si strinse nelle spalle. «Certo.» Entrarono in un ascensore che li portò senza rumore al secondo piano. «Le mostro l'angolo di nordest, dove c'è il panorama migliore, sempre che non salti la corrente.» Laroche lo guidò lungo un corridoio. Le pareti di cedro e la folta passatoia rossa davano una sensazione di assoluta comodità, di lusso unito a sobrietà. «Siamo prenotati per le prossime due settimane. Mi creda, nulla in cielo o in terra impedirà a questo posto di essere funzionante passata la tempesta. Voilà. Prima scelta.» Stavano guardando attraverso una parete di vetro. Le luci della sciovia permettevano la visuale delle colline, e al sud si vedeva fino al lago Nipissing. Il lato opposto della città era immerso nel buio. «Bello. Non credo che avrete problemi a fare il pienone» disse Cardinal. «Se non l'avessi pensato non l'avrei mai costruito.» «Ed è riuscito a ottenere i fondi per lo sviluppo della regione. L'ho letto sul cartello all'ingresso.»
«Oh, senza dubbio. Il progetto rientra interamente nei loro parametri. Impiegherà persone? Sì. Favorirà il turismo? Assolutamente.» «Immagino non faccia male avere dalla propria parte il primo ministro provinciale.» «Geoff Mantis è mio amico e farò tutto il possibile, purché sia legale, per farlo eleggere, però non è tanto stupido da cercare di influenzare a mio favore i ministeri dell'Ontario.» «Certo che no. E nemmeno il CSIS.» «Non capisco.» «Ne dubito» eccepì Cardinal. «Scendiamo? Ho promesso a mia moglie che sarei tornato per mettere i bambini a letto.» L'ascensore li riportò al piano terra. Dall'auditorium arrivò uno scoppio di risate, seguita da un applauso. Quando furono all'uscita Cardinal disse: «Sa, ci sono rimasto non vedendo sul cartellone del progetto il nome di Yves Grenelle». «Chi?» Nel volto carnoso di Laroche non si notava alcun segno di paura o nervosismo. Le sopracciglia folte si toccarono per lo stupore, null'altro. «Yves Grenelle. Militava nella colonna FLQ che rapì Raoul Duquette. Scusi, che assassinò Raoul Duquette. Grenelle riuscì a scappare poco prima che prendessero gli altri, senza dubbio aiutato dal suo amico della CIA Miles Shackley.» «Agente, lei ha talento e insistenza, due qualità che ammiro molto. Però lo stress del suo lavoro dev'essere enorme, e francamente mi sembra che stia facendo effetto. Queste allusioni sconnesse. Non ha la minima idea di cosa sta dicendo.» «Poco dopo aver ucciso Raoul Duquette...» «Ah, buona questa, agente. Adesso arriva Oswald.» «Poco dopo aver ucciso Raoul Duquette, Yves Grenelle scappò a Parigi dove rimase una ventina d'anni. Adottò una nuova identità. Perse parecchi delle asperità che uno si aspetta da un giovane di Trois Rivières. Si dette un'istruzione, si rifinì e poi, forse verso la fine degli anni ottanta, tornò in Canada. Attenzione, non è stato così sciocco da tornare a Montreal. Nossignore. È andato dove nessuno avrebbe cercato un terrorista francocanadese in pensione: nell'Ontario. Ad Algonquin Bay, per essere esatti. Willowbank Apartments, per essere ancor più esatti. So che conosce i Willowbank Apartments.» «Affascinante. Racconti mentre andiamo alla mia macchina.»
Laroche aprì l'ombrello e lo tenne in modo da coprire entrambi. La sua auto, una Lincoln Navigator nera e lucente, era a pochi passi, ma il vento soffiava la pioggia di taglio e Cardinal fece in tempo a ritrovarsi le gambe fradice. Laroche prese di tasca le chiavi della macchina, aprendo con uno squittio le portiere della Lincoln. «Salga! Salga! Altrimenti si busca un raffreddore.» Salirono in auto, il cui abitacolo aveva le dimensioni di un monolocale. La pioggia cadeva assordante sul tetto. Laroche mise in moto e azionò i tergicristallo. «Tutto stava andando a gonfie vele per il nuovo rispettabile Monsieur Grenelle» proseguì Cardinal. «Aveva ottenuto un buon impiego presso la Mason & Barnes Real Estate, gente con agganci politici, quella che gli piace. Era un uomo in ascesa, e sembrava che nulla potesse fermarlo. Ma un giorno successe una cosa tremenda. Si fece viva una vecchia amante. «Non sembrava affatto una terrorista. Piccola, carina, belle ossa francesi. E non era nemmeno una gran terrorista, cucinava ogni tanto, portava qualche messaggio, non faceva male a una mosca. Però era cotta di Yves Grenelle. O per lo meno lo era stata, vent'anni prima. Nel 1990 uno penserebbe che si fosse scordata di lui. E forse era così, peccato che andò ad abitare negli stessi maledetti Willowbank Apartments. Quante probabilità ci sono, secondo lei?» «Le coincidenze capitano di continuo. Dove saremmo altrimenti?» «Come è successo? Le ha sbattuto contro in ascensore? È quello che hai raccontato alla polizia. Hai detto: "Non la conoscevo. L'ho vista una volta o due in ascensore. Non sapevo nemmeno come si chiamava". Così hai raccontato all'agente Turgeon. "Madeleine Ferrier? Si chiamava così? Mai saputo".» «Ho detto la verità a quell'agente. Non la conoscevo.» «Yves Grenelle invece sì. Era Madeleine Ferrier e lui la conosceva molto bene. Era stata innamorata pazza di lui, e senza dubbio Yves si era divertito a sfruttare l'adorazione per l'eroe. Deve essere stato un gran momento quando voi due vi siete ritrovati faccia a faccia in ascensore per la prima volta dopo vent'anni. Cos'ha detto lei? "Yves, mio Dio! Dove sei stato tutti questi decenni?" «Quali che siano state le esatte parole, lei era assolutamente certo che la donna l'aveva riconosciuto. Era sufficiente. Era stato tanto attento, tanto paziente. E le cose cominciavano a mettersi per il meglio. Come poteva mettere a repentaglio questa nuova identità? Impossibile. Così Madeleine
Ferrier doveva essere sacrificata. E fu strangolata con la sua sciarpa e poi i vestiti furono strappati per simulare uno stupro.» Laroche accese il lettore cd. La musica classica li avvolse. «Povero agente, non ha proprio fortuna in questo caso, vero? Ovviamente non ha impronte, DNA, nessuna di quelle magnifiche prove schiaccianti che rendono più soddisfacente il vostro lavoro. Cioè, sembra accusarmi di essere un terrorista in pensione, come lo definisce, questo Yves Grenelle, ma se potesse dimostrare un'affermazione del genere non ne staremmo a discutere, almeno non qui. Saremmo alla stazione di polizia e lei mi agiterebbe le prove davanti al naso. Però non ha nulla da sventolare e sta facendo ricorso a isterismi poco piacevoli.» «Anche la dottoressa Cates abitava in un suo stabile. Quando Miles Shackley ha minacciato di denunciare Grenelle, lei, Laroche, ha accettato di incontrarlo. Forse nella sua auto. Gli ha sparato, però è rimasto ferito, quasi di sicuro da un'arma da fuoco. Perché se no avrebbe avuto paura di andare in ospedale? Ha cercato di tenersi la ferita per un paio di giorni, ma non ce l'ha fatta. Aveva bisogno di un dottore, uno che poteva convincere a non segnalare la ferita. E sapeva dove trovarlo. L'aveva conosciuta il giorno che ha traslocato in un suo palazzo.» «Nei miei palazzi abitano centinaia di persone. Forse un migliaio. Sa che anche la sua partner è stata mia inquilina?» «Però quei nomi non compaiono in due differenti inchieste per omicidio. Entrambe le vittime strangolate, entrambe fatte passare come se fossero state violentate. Miles Shackley amava infrangere le regole, vero? Le infranse quando inscenò per davvero l'ipotesi teorica dell'assassinio dell'ostaggio. E le ha infrante venendo qui trent'anni dopo per ricattare un vecchio socio in provocazioni, Yves Grenelle. Perché ovviamente lei non è mai stato un terrorista di sinistra, era un conservatore di estrema destra, come oggi.» «Crede che fosse la CIA a dirigere l'FLQ? La facevo più intelligente.» «Non dirigeva il Fronte, dirigeva lei. Poi avete imboccato strade diverse. Quella di Shackley fu tutta in picchiata. Fuori dalla CIA e a corto di fortuna, poi non si sa come... Vecchi contatti dei servizi? Internet? Dopo trent'anni ha scoperto dove stava Grenelle. Si è fatto vivo con la prova che lei ha ucciso Raoul Duquette chiedendo una quantità oltraggiosa di soldi per tenere la bocca chiusa.» «Su. Le mostro il panorama dalla cima. Con un altro veicolo non ci proverei, ma questo può farcela.»
Laroche procedette adagio lungo il bordo del parcheggio e oltre il cartello, poi svoltò a destra lungo la salita, tenendo la Navigator in seconda. Dopo pochi minuti gli alberi ai due lati si diradarono. Laroche accostò e spense le luci. Stavano ammirando il padiglione dell'Highlands, un bagliore giallo in lontananza. Le luci sui tralicci dell'elettricità ammiccavano, un segnale per gli aerei. Una torre era a meno di trenta metri da loro. Persino con la pioggia battente sul tetto della macchina Cardinal sentiva il ronzio soffocato dei cavi. «Ha imbastito una bella favoletta, agente. Ovviamente pura fantasia.» «Crede che sia fantasia?» Cardinal estrasse la foto di tasca. Laroche la guardò senza reagire. «Quale sarebbe il sottoscritto, secondo lei? La ragazza? Crede che abbia cambiato sesso?» «La ragazza è Madeleine Ferrier. L'ha ammazzata, non ricorda? Lei è quello sulla destra, con la maglietta a righe.» Laroche gliela restituì. «Potrebbe essere chiunque.» «Davvero?» Cardinal estrasse la stampata del lavoro di Miriam Stead. «Ecco una versione di un'artista della polizia, trent'anni dopo. Tolga qualche capello, la barba, aggiunga una trentina di chili...» «Artista è un termine significativo, agente. È un'opera di fantasia, come la sua storia.» «Sa, la pallottola è uscita dall'auto di Shackley presso la maniglia del passeggero. Immagino che l'abbia colpita poco sotto il gomito. Circa qui.» Cardinal afferrò il gomito di Laroche e lo strinse. Laroche lanciò un grido, sottraendo il braccio. «Immagino sia anche questo frutto della mia immaginazione» aggiunse Cardinal. «Mi ha solo colto di sorpresa. Non mi piace essere toccato.» Laroche riacquistò l'aplomb, però aveva il labbro superiore imperlato di sudore. In lontananza i trasformatori sembravano piccole stelle azzurre quando esplodevano con schiocchi come fucilate. E c'era un altro rumore, uno strillo da maialino che Cardinal sapeva essere quello del metallo che cedeva. «Consiglierei di spostare l'auto. Quel traliccio potrebbe crollare da un momento all'altro» disse Cardinal. Laroche guardò le colline argentate, la linea di tralicci. «Fra due settimane uno skilift ultimo grido porterà centinaia di persone su quei versanti. Le colline saranno invase dalle risate dei vacanzieri che si divertono. Che spendono i soldi duramente guadagnati ad Algonquin Bay. Le ricerche di
mercato parlano di un milione a stagione.» «Come ho già detto, sono impressionato.» «Non so cosa si aspetta avanzando queste accuse. Si aspetta che la corrompa?» «È troppo furbo.» «Mi sta registrando? Spera che crolli e confessi tutto?» «Perché no? Si sentirà meglio.» «Sono sicuro che la confessione fa bene a tanta gente. Altrimenti non sarebbe diventata un'ossessione culturale. Ma temo che la sensazione di pulizia sia di breve durata. E sono sicuro che anche lei condivide questa obiezione.» «Non stiamo parlando di me.» «No? Mi sembra fissato sull'idea che gli uomini non sono quello che sembrano. Mi domando perché. Certo, spesso gli uomini non sono quel che sembrano. Geoff Mantis costituisce un'eccezione, ed è uno dei motivi per cui lo ammiro. Suo padre può essere stato un'eccezione (condoglianze, a proposito), un sindacalista, una persona che aveva una fede sincera nella dignità del lavoro, della contrattazione collettiva. «Poi prenda me, un orfano di Trois Rivières che si fa strada con le sue sole forze. Quante probabilità ci sono? Quasi quasi non la critico perché cerca di fare a pezzi una parabola tanto assurda. Ma poi prenda lei. Lavora per la città. So esattamente quanto guadagna. Sembra così poco plausibile che un poliziotto locale abbia mandato la figlia a Yale.» «Volevo. Alla fine non sono riuscito a permettermelo» precisò Cardinal. «E la Tamarind Clinic di Chicago. La migliore che ci si può comprare per la cura della depressione. Ottima soprattutto per le donne, mi dicono. Purtroppo negli Stati Uniti le cure mediche non sono gratuite. Persino una breve degenza in un posto del genere viene sulle decine di migliaia, di dollari americani, non canadesi. Sta registrando, a proposito?» «Non glielo direi comunque.» «E non lo userebbe, con quel che ho appena detto.» Cardinal spalancò lo sportello del passeggero per scendere. La pioggia gelata l'inzuppò all'istante. Laroche abbassò il finestrino. «Sta pensando di tornare a piedi sotto la pioggia?» «Credo di sì. Gli unici assassini con cui parlo sono quelli che arresto. Forse parliamo un altro giorno.» Laroche si strinse nelle spalle. «Quanta strada crede di fare in questo modo, agente?»
«Probabilmente poca. Come ha detto lei: se avessi le prove ormai l'avrei ammanettata.» Il metallo urlò di nuovo, quindi, con un gesto lento, aggraziato, il traliccio si inclinò su un fianco. Un filo si spezzò e tagliò l'aria a una velocità sufficiente da mozzare la testa a una persona, colpendo il ghiaccio con un rumore che liquefece i visceri di Cardinal, un colossale rutto intergalattico. Era a una ventina di metri. Cardinal rimase a piedi uniti, assolutamente immobile. «È sicuro di non voler tornare in macchina?» «Grazie, preferisco restare qui.» Un vento forte iniziò a soffiare da est. Sulle maniche di Cardinal si stavano formando ragnatele di crosta di ghiaccio. «Eccoci qua. Non sono andato nel panico. Non sono crollato confessando tutto. Cosa sono?» disse Laroche. «Non faccio finta di saperlo. Non la capisco.» «No. Siamo diversi. Insomma, mi guardi: sto costruendo questo posto, ho abbastanza soldi per trenta esistenze, possiedo più palazzi che camicie. E sono in ottimi rapporti con il capo della polizia e la procura, per non parlare del premier. E poi...» Indicò Cardinal, come se mostrasse uno squallido edificio che non si sarebbe mai azzardato a vendere. «Guardi se stesso.» Il cavo crepitò ancora e colpì il ghiaccio. Ghirlande di scintille azzurre danzarono in direzione di Cardinal. Laroche sollevò il finestrino e si avviò sulla Navigator. Cardinal guardò i fanalini rossi scendere la collina, lampeggiando ogni tanto quando Laroche frenava. La pioggia gli martellava la pelle come una doccia di biglie. Tre volte, aveva detto Stancek. Un filo della luce muore dopo tre corti. Cardinal era già inzuppato e tremava dalla testa ai piedi. Aveva una voglia matta di mettersi a correre, però ricordava cos'era successo a quel ragazzo sul trasformatore tanti anni prima. Il filo della corrente stava scivolando in scattanti esse sul ghiaccio. Chiuse gli occhi e si irrigidì in attesa del colpo. Il cavo si avvicinò ancora, sibilando mentre tagliava l'aria e colpì il terreno con un boato e uno spruzzo di scintille azzurre. Poi ci fu solo la pioggia e il crepitare e gemere del metallo. 29 Era quasi mezzogiorno del lunedì seguente quando Chouinard convocò Cardinal nel suo ufficio.
«Sei fuori dal caso Shackley-Cates. Sai perché» disse senza preliminari. «Senza dubbio perché qualcuno le ha detto di rimuovermi.» «Vai a parlare con Kendall, se ci tieni. Non otterrai nulla.» Il capo era di umore ancora più nero di Chouinard. «Ha totalmente ignorato le consegne, un semplice incarico per incentivare la sicurezza in una pubblica manifestazione. Ha lanciato accuse pazzesche a un importante uomo d'affari. Sta infrangendo tante regole procedurali che non comincio nemmeno a enumerarle. E poi viene da me a chiedere come mai è stato tolto dal caso?» «Capo, ha visto cos'abbiamo contro Laroche?» «Vedo solo quello che non abbiamo. Non abbiamo accuse serie contro Paul Laroche. Tanto per cominciare non possiamo dimostrare che è Yves Grenelle, perciò non abbiamo il movente. In secondo luogo, nessuno l'ha visto a casa della dottoressa Cates o al Loon Lodge, perciò non possiamo dimostrare l'occasione. In terzo luogo, non abbiamo l'arma del delitto, perciò non possiamo dimostrare che abbia avuto i mezzi.» «Capo, in questo caso non ci sono altri sospetti. Il DNA del sangue nell'ambulatorio della dottoressa Cates corrisponde a quello dell'auto. Sappiamo che l'uomo che ha ammazzato la Cates ha ucciso anche Shackley, e sappiamo che Laroche ha un movente per ucciderlo.» «No, invece. Sapete che Yves Grenelle aveva un movente per ucciderlo.» «Ci serve solo un mandato per controllare il DNA di Laroche. So che corrisponderà. Delorme lo sa. Lo sa anche lei.» «Io so quello che le prove mi dicono. E la Corona le ha già spiegato che non abbiamo abbastanza prove per un mandato. Sembra che lei l'abbia preso per un via libera per importunare Paul Laroche.» «Capo, è un assassino. Dovrebbe essere dietro le sbarre.» «Non ce lo sbatterà ignorando la realtà. E la realtà adesso è che lei è fuori dal caso. A essere sincero, se non fosse che è appena morto suo padre, la sospenderei. Diremo che era sotto stress e confuso. Cosa pensava di fare, di scuoterlo perché confessasse?» «Sono successe cose ancora più strane. L'intero delitto Cates dimostra un certo panico.» «Cardinal, era confuso. Via di qua prima che cambi idea.» Alla fine la tempesta di ghiaccio se ne andò. Le nuvole e la nebbia furono rimosse come attrezzeria di scena e il sole tornò a splendere sui boschi
luccicanti. Poco per volta le colline gelate e le strade furono liberate dai tralicci caduti, dai rami spezzati, dagli alberi crollati. L'inverno tornò subito con un più normale intervallo di nevicate e temperature a -30°. La popolazione di Algonquin Bay si infagottò nell'eskimo e alzò la manopola del riscaldamento al massimo, appena le fu restituito. Quell'anno la primavera arrivò in anticipo. Furono fatte le solite scommesse su quando si sarebbe rotta la crosta di ghiaccio sul lago Nipissing, ma nessuno si avvicinò alla data giusta. A metà aprile le ultime bianche isole in miniatura si erano sciolte. A maggio restava solo un ultimo relitto dell'inverno. In fondo a Bradley Street, dove gira attorno a una sequenza di basse collinette che abbracciano la riva nord del lago Nipissing, i camion spazzaneve di Algonquin Bay lasciano i loro carichi grandi come dune. Alla fine della stagione la discarica è diventata una montagna piatta di neve cristallizzata, scura di fuori per la ghiaia, il sale e gli altri detriti, e all'interno traforata di lunghi cristalli bianchi. Questa montagna artificiale è talmente densa che non si scioglie fino a metà luglio. Cardinal e Catherine potevano vederla stando in mezzo al lago mentre scintillava al sole nei punti in cui si erano staccati blocchi di ghiaccio. Lungo la costa i germogli delle betulle e dei pioppi erano verde smeraldo. Altri alberi che Cardinal non riusciva a riconoscere dall'acqua erano esplosioni di fiori bianchi. Il sole era caldo sui loro visi e sulle mani, però un venticello pungente s'infilava sotto la giacca a vento, e la bandiera canadese sulla prua schioccava allegra nella brezza. La barca di Cardinal era un piccolo fuoribordo in fibra di vetro che suo padre aveva comprato quando John era ancora al liceo. Il motore era soltanto un 35 Evinrude, incapace di smuovere le canoe con la sua scia, però poteva portarlo dall'altra parte del lago Nipissing in un attimo. La cosa strana del lago, la più grande distesa d'acqua dell'Ontario a parte i Grandi laghi, è che è anche una delle meno profonde, poco più di tredici metri nei punti più alti. Persino un vento moderato come quello che stava mordicchiando il viso di Cardinal in quel mattino di maggio poteva scatenare una maretta notevole. Le onde schiaffeggiavano con violenza lo scafo dell'imbarcazione. Erano partiti dal molo di West Ferris scivolando adagio davanti alla città. La cattedrale di arenaria era bianca come un osso e i parabrezza delle auto catturavano il sole brillando come specchi. Gli sportivi che facevano jogging in tute variopinte si muovevano a coppie sulla riva.
«Guarda quei poveri alberi» disse Catherine indicandoli. Molti aceri e pioppi erano stati segati di netto in cima, una scelta resa necessaria dai tronchi spezzati e dai rami rotti lasciati in eredità dalla gelata. Ci sarebbero voluti anni perché riassumessero la forma originale. «Sto guardando i palazzi» rispose Cardinal. «Là. Là. E là.» Indicò i mattoni rossi del Twickenham, la torre bianca del Balmoral. Da lì si vedeva perfino lo chalet principale dell'Highlands Ski Club. «Tutti proprietà di Paul Laroche, un tale che non dovrebbe andare libero per strada.» «Be', non va più per strada, almeno ad Algonquin Bay.» «E noi non abbiamo avuto fortuna nelle nostre ricerche. Pensiamo che sia in Francia.» «Puoi ritenerla una parziale vittoria, no? È stato costretto a lasciare tutto quello che ha costruito negli anni.» Cardinal puntò la barra lontano dalla città e virò di bordo la poppa al vento, poi ridusse il gas. «Vuoi farlo qui?» chiese Catherine. «Un posto vale gli altri. Puoi tenere il timone un attimo?» La barca dondolò sotto di loro mentre si scambiavano di posto. Cardinal estrasse un contenitore scuro dal sacco di tela fornitogli dalle pompe funebri. «Pensavo fosse proibito spargere ceneri nel lago. Severamente» disse Catherine. «Esatto. Severamente.» Cardinal stava cercando di capire come aprire la scatola. Era un pesante oggetto romboidale nero fatto di caucciù o simili, senza maniglie o linguette da tirare. E non si vedeva nemmeno niente da ruotare. «Cosa credi ti facciano se ti prendono?» «Gli sbirri? Ti costringono a raccoglierle.» «No, dico sul serio.» «Sarà una piccola multa. Temo che mi servirà un apriscatole» disse Cardinal. «Vuoi che provi io?» «Non preoccuparti, ho la tecnologia adatta.» Cardinal estrasse il coltellino e si applicò per far saltare il coperchio. Un attimo dopo si staccò, rivelando un involucro di plastica trasparente tipo sacchetto della farina da due etti, pieno di ceneri grigio chiaro. Quasi tutti i frammenti erano più piccoli dell'unghia del mignolo. «Non posso credere che non ci sia più. Era una persona tanto... vitale»
disse Catherine. Cardinal sciolse la cordicella di plastica e aprì il sacchetto, tenendo il contenitore ancora tra le ginocchia. Un momento prima avevano il lago tutto per loro. Adesso sembravano esserci barche dappertutto. Una barca a vela a una cinquantina di metri. Un battello a motore che procedeva di buona lena verso di loro. Persino una canoa, vicino alla riva. «È meglio aspettare che passino» propose Cardinal. «Non dici niente? Quando le spargi?» chiese Catherine. «Non saprei. Sembra che dovrei. Cioè, lo voglio, solo che non sono tagliato.» «John, di' solo quello che ti senti. Sai che ti voleva bene.» Cardinal annuì. Fece due respiri profondi per calmarsi. Intanto la barca a motore si allontanò. Una famigliola di quattro persone. I bambini a poppa salutarono lanciando richiami. Catherine rispose. «Bene, eccoci qua» disse Cardinal alla fine. Si girò sul sedile, in ginocchio. «Non voglio tirarla per le lunghe, le spargo al vento e che sia finita.» «Bene. Io tengo la barca diritta.» Il vento si era fatto più forte. Cardinal fu costretto a tenersi basso perché le ceneri non ritornassero indietro. Mentre era chinato, le onde del battello a motore fecero dondolare il battello, costringendolo a reggersi al bordo. «Mi manca solo di cadere in acqua. A papà piacerebbe.» «Sì.» Si rimise in equilibrio, poi fece uscire il sacchetto dalla scatola e lo scosse delicatamente con due mani, come se stesse seminando un giardino. Le ceneri formarono un mucchietto grigio vorticante sull'acqua. Ci mise un minuto per svuotare il sacchetto, e a quel punto la barca si era lasciata una densa scia grigia alle spalle. Molti dei fiocchi più leggeri rimasero a galla mentre le particelle più minute furono portate dal vento. «Credo di voler solo dire... voglio dire al lago "Prendi queste ceneri e sii gentile. Era un brav'uomo".» Cardinal fu costretto a riprendere fiato. «Era un buon marito e capofamiglia. Un buon uomo... so che mi sto ripetendo. Era mio padre.» Si voltò di nuovo verso prua, stremato. Catherine gli afferrò il braccio. Spense il motore, poi si piegò per posargli la testa sulla spalla in silenzio. Cardinal la sentì tremare mentre piangeva. La barca proseguì alla deriva nel vento, girandosi in modo che si ritrova-
rono a guardare i riflessi del sole su Algonquin Bay. Andarono alla deriva per un quarto d'ora senza dire nulla, poi Catherine strinse il braccio al marito dicendo: «Mi è piaciuto quello che hai detto». Cardinal sciacquò il sacchetto di plastica e il barattolo nel lago prima di posarli sul sedile posteriore. «Vuoi che riprenda il timone?» «No, sto bene» rispose Catherine. Riavviò il motore, e insieme tornarono verso West Ferris, le onde che borbottavano contro lo scafo. Il vento si impigliò nei capelli castani di Catherine scagliandoli da tutte le parti. Il sole le restituì colore alle guance, e così sembrò di nuovo la giovane che Cardinal aveva sposato quasi trent'anni prima. Lui si sporse per toccarle una spalla. Catherine si girò a guardarlo. «Che c'è?» «Nulla. Riportala a casa, capitano.» Ringraziamenti Ho un debito di riconoscenza con le seguenti persone che hanno letto le prime, problematiche, stesure del romanzo e hanno dato consigli cruciali per tagli e miglioramenti: Anne Collins, la mia editor alla Random House Canada; il mio agente Helen Heller; la mia editor alla HarperCollins, Julia Wisdom; e la mia editor alla Penguin Putnam, Marian Wood. Ringrazio anche il sergente Rick Sapinski della polizia di North Bay, per le sue informazioni sulle procedure della polizia; a Daniel Johnson, che ha fatto ricerche accurate; e alla Writers Room di New York. FINE