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MURRAY LEINSTER EROI SU COMMISSIONE (Space Captain, 1966) CAPITOLO I. Era l'ultimo di una lunga dinastia di comandanti, e questo forse spiega tutto. Suo nonno era stato quel capitano Trent che aveva scoperto il passaggio nel Sacco di Carbone, la mostruosa nube di polvere cosmica che si trova tra Syrts e l'intero settore Galliano, eliminando di conseguenza un ritardo di mesi nelle comunicazioni tra questo settore e le nuove colonie scoperte oltre il Sacco di Carbone. Un suo bis-bis-bis-bisnonno era stato quel capitano Trent che aveva catalogato gli sciami meteorici interstellari del gruppo stellare Enid, rendendo disponibili così per l'occupazione umana non meno di otto soli dalle caratteristiche ideali, uno dei quali era stato poi denominato Trent in suo onore. Andando ancor più a ritroso nel tempo, un suo bis-bis-bis- (e si dovrebbe continuare ancora per molto) -bisnonno aveva comandato la seconda astronave di coloni che aveva raggiunto Delva. Al suo arrivo aveva trovato i membri della prima spedizione, pazzi di terrore, che lo avevano supplicato piangendo di riportarli subito indietro, la qual cosa era impossibile perché l'astronave era già sovraccarica. Ma quel capitano Trent si era addentrato nelle giungle con otto spaziali e aveva scoperto il segreto del ciclo vitale dei giganteschi sauriani la cui apparizione aveva reso impossibile la fondazione della colonia. Ora c'era una riserva per quegli animali, e molti sorveglianti impedivano con ogni sforzo che i cacciatori di frodo facessero estinguere quella specie interessantissima. C'erano stati molti altri capitani Trent, fino a quello che aveva comandato un mercantile nel diciottesimo secolo, quando le navi solcavano oceani fatti di semplice acqua, e un viaggio lungo la costa da Londra alla Scozia richiedeva lo stesso tempo ora necessario a percorrere la distanza tra Rigel e Punt, e un veliero raggiungeva le Azzorre nel tempo ora necessario a percorrere i sessanta anni luce tra Deneb e Kildare. Ma le somiglianze tra gli antichi viaggi e i moderni tragitti interstellari non si arrestano al tempo che separa i vari porti. Ai tempi antichi, come oggi, una nave che lasciava il porto era un piccolo mondo indipendente fi-
no a quando non gettava di nuovo l'àncora. A quei tempi, come oggi, l'unica comunicazione tra i porti era costituita dalle navi. Una volta un carico, richiesto quasi disperatamente la settimana prima in un dato porto, poteva risultare del tutto inutile la settimana dopo, perché nel frattempo erano giunte altre due o tre navi, con a bordo la stessa preziosa merce. Così accade oggi, come allora, che tutti i comandanti di navi sono mercanti. Comprano saggiamente e vendono con astuzia, perché la loro ricompensa è costituita da una percentuale sui guadagni della nave loro affidata. Inoltre, oggi come allora, delle navi lasciano un porto e scompaiono senza lasciare traccia. Un tempo alcune urtavano contro una scogliera nascosta, e altre affondavano in una tempesta. Ma altri pericoli erano di origine umana, e quel capitano Trent del diciottesimo secolo non era certo di cuore tenero nei riguardi degli uomini che si trovavano all'origine di questi pericoli. Di lui si racconta che una volta era entrato in un porto inglese con le vele bucate da molti colpi di cannone, falle arginate alla meno peggio nello scafo, e molti uomini impiccati che dondolavano appesi alla nave. Egli aveva spiegato brevemente che una nave pirata aveva assalito il suo veliero, e che, non potendo sprecare uomini preziosi per sorvegliare i pirati che si erano arresi, li aveva impiccati, A quel tempo egli era stato molto ammirato. Ma ora è stato dimenticato. Eppure un pro-pro-pro- (e così via) -pronipote di quel capitano Trent divenne il comandante del mercantile spaziale Yarrow, l'uomo che fece il viaggio più vantaggioso che finora sia stato registrato negli annali della navigazione mercantile. All'inizio il viaggio non sembrò tanto promettente. Lo Yarrow era un mercantile antiquato, dalle dimensioni che con l'andar del tempo erano diventate terribilmente antieconomiche. Il suo stato di servizio, malgrado ciò, era onorevole. Era alimentato dai motori Lawlor, vecchi e fidati, che lo proiettavano fedelmente attraverso il vuoto a buona velocità nello spazio normale, ma a una velocità molte volte superiore a quella della luce quando un campo iperspaziale circondava il suo scafo. L'atmosfera interna era sempre stata prodotta senza alcuna difficoltà, e al quarantesimo anno di servizio il mercantile era stato ispezionato e dichiarato abile a percorrere qualsiasi distanza nella galassia. Ma le sue dimensioni erano contro di esso. Un comandante capace di guadagnare a bordo dello Yarrow sarebbe stato impiegato molto più utilmente a bordo di un'astronave di dimensioni maggiori. Sarebbero state necessarie delle condizioni molto particolari perché l'inviarlo nuovamente nello spazio fosse di-
ventato un buon affare. Ma quelle condizioni esistevano. Gli armatori dello Yarrow le spiegarono al capitano Trent. Lui ascoltò. Gli armatori dissero che il commercio nel settore delle Pleiadi era quasi alla fine. Era molto spiacevole che un'astronave corsara avesse ricevuto dal governo di Loren il compito di occuparsi del commercio con quel pianeta alquanto povero. Era molto spiacevole... legale, forse, ma niente affatto desiderabile. Ma la pirateria era stata esercitata a tal punto che ormai perfino i pirati delle Pleiadi si lamentavano del pessimo stato degli affari. Ed ecco che da questa situazione si presentava la possibilità di fare ottimi guadagni e l'offerta del mercantile al capitano Trent. Gli armatori dello Yarrow decantarono gli enormi guadagni che perfino un'astronave delle dimensioni dello Yarrow avrebbe potuto ottenere nel settore delle Pleiadi se, innanzi tutto, questa astronave avesse avuto come comandante un uomo dell'abilità del capitano Trent e, in secondo luogo, se fosse stata fornita di un'arma difensiva anti-pirati realizzata da uno dei migliori progettisti della Compagnia. Trent fece notare che la sua fiducia nelle nuove invenzioni era piuttosto scarsa. Gli armatori alzarono la loro offerta. Quindici per cento dei guadagni dell'astronave al comandante, invece del solito dieci per cento. Scelta dei porti e degli scali assolutamente libera. E libertà più completa autonomia nella selezione dell'equipaggio. Una garanzia di tanto e tanto per la semplice effettuazione del viaggio, anche in caso di mancato guadagno. Erano delle concessioni molto insolite. Il capitano Trent ascoltò, apparentemente riluttante. Gli armatori sudarono. In tono disperato, spiegarono che lo Yarrow era un peso morto finché rimaneva inattivo. Erano ansiosi di inviarlo nuovamente nello spazio. Come ultima lusinga, aggiunsero che avrebbero mandato McHinny in qualità di ingegnere di bordo, per manovrare l'invenzione antipirata. McHinny era l'inventore. Per manovrare l'invenzione, nessuno sarebbe stato meglio di lui. Lo Yarrow sarebbe stato al sicuro dai pirati, che avevano praticamente bloccato ogni commercio tra le varie stelle delle Pleiadi. Cosa poteva desiderare di più? Diritti di ricupero? Poteva avere anche quelli. Era abitudine degli armatori offrire i diritti di ricupero, quando volevano convincere un comandante mercantile della loro generosità. Diritto di ricupero voleva dire che se il capitano Trent avesse avuto l'opportunità di compiere qualsiasi ricupero, nello spazio o a terra, avrebbe potuto servirsi dello Yarrow per compiere il lavoro, a patto che pagasse una piccola cifra
stabilita per l'uso dell'astronave durante le operazioni di ricupero. Il capitano Trent sorrise amabilmente e, dopo qualche istante di riflessione, accettò l'offerta. Gli armatori dello Yarrow gli diedero amichevoli pacche sulla schiena e si congratularono con lui della loro generosità, e poi febbrilmente eseguirono le operazioni necessarie alla partenza dello Yarrow. Nel giro di tre giorni le operazioni di carico furono completate, e il carico ricevette l'approvazione del capitano Trent. I dispositivi di partenza sollevarono l'astronave nello spazio. E gli armatori si rilassarono, grati e felici. Perché quello era il giorno prima della data in cui il tasso di assicurazione per le astronavi e i carichi con destinazione Pleiadi sarebbe stato portato al ventiquattro per cento. Gli armatori dello Yarrow avevano voluto farlo partire prima che il tasso fosse aumentato. Secondo Trent, se lui avesse fatto il viaggio e fosse tornato sano e salvo, ci sarebbe stato un buon guadagno per gli armatori. Ma se non fosse tornato indietro, gli armatori avrebbero incassato l'intero importo dell'assicurazione sullo Yarrow e sul suo carico. Trent si rendeva conto che gli armatori, tra le due soluzioni, preferivano l'assicurazione. Questo non gli dava il minimo fastidio. I prezzi dovevano essere alti e i guadagni ottimi in un settore dello spazio in cui il commercio era diventato così rischioso da scoraggiare perfino i pirati. Trent controllò la posizione dello Yarrow riferendosi al pianeta Gram, quando questo fu abbastanza vicino. Ma non atterrò. Ritornò nell'iperspazio e fece passare l'astronave vicino alla Nuvola Beta... un isolato scoglio spaziale dell'estensione di un anno luce, provocato dalla esplosione di una stella al centro dell'ammasso... e fece il suo primo scalo su Dorade. Apprese che la situazione della pirateria e del commercio nelle Pleiadi non era affatto mutata. Su Dorade concluse astutamente due affari. Il primo fu la vendita di una parte del carico, che non reputava utile, e l'altro fu l'acquisto di armi leggere e attrezzature di polizia, fabbricate su quel pianeta per l'esportazione su altri pianeti le cui forze dell'ordine avessero necessità di rinnovamento. Fu un affare concluso alla pari. Trent apprese che la situazione nelle Pleiadi era peggiore di quanto fosse possibile immaginare. Quasi tutti i comandanti di mercantili stavano alla larga dalle Pleiadi. Il
commercio interstellare tra i pianeti delle Pleiadi era diminuito del novanta per cento. Alcuni armatori locali avevano spedito le loro astronavi su mondi lontanissimi, con l'ordine di non tornare indietro fino a quando le comunicazioni spaziali fossero rimaste così pericolose in patria. Alcuni armatori avevano cessato ogni attività. L'unico mezzo di comunicazione nel settore delle Pleiadi era costituito da piccole astronavi, assolutamente indegne dell'attenzione di pirati e corsari. Ma anche queste erano in numero molto ridotto. Trent trovò lo stato delle cose molto promettente. Partì da Dorade. Proseguendo il viaggio, istruì l'equipaggio nell'uso delle armi appena acquistate. In particolare erudì l'equipaggio sulla nobile arte di combattere nel labirinto costituito dall'interno di un'astronave, con il suo dedalo di compartimenti, corridoi, stive, e mille altri posti poco avanti, che gli uomini dell'equipaggio non avrebbero mai considerato luoghi adatti al combattimento. Gli uomini trovarono affascinanti quelle istruzioni. Trent li mise a conoscenza di alcuni metodi pratici ma inconsueti, coi quali degli uomini a bordo di astroscialuppe potevano abbordare un'altra astronave, facendo uso di esplosivi per penetrare nello scafo metallico. Queste istruzioni, naturalmente, erano impartite per preparare l'equipaggio all'eventuale attacco dei pirati. Gli uomini dello Yarrow ne furono affascinati. Ne trassero la piccante conclusione che il capitano Trent si stesse preparando a sua volta a compiere qualche impresa piratesca particolarmente lucrosa. Studiarono la nuova lezione con entusiasmo e speranza. Lo Yarrow proseguì il viaggio. Il bis-bis-bis- (e così via) -bisnonno di Trent avrebbe fatto lavorare la ciurma sulle vele e sul ponte, perché, se si trattava di una ciurma di marinai, essi avrebbero dovuto già conoscere ogni segreto del combattimento. Ma Trent fece esercitare il suo equipaggio nell'uso delle armi. Gli uomini dell'equipaggio si misero a sognare affascinanti conseguenze del loro duro periodo di tirocinio. Guardavano Trent con occhi ansiosi, aspettando che il comandante annunciasse loro che stavano per catturare un'astronave di linea con un tesoro a bordo e femmine spaventate ma pronte a diventare docili. Il capitano Trent non diede loro questo annuncio, ma li tenne occupati. Poi lo Yarrow atterrò su Midway. Il capitano Trent scese a terra, solo. Pose delle domande. Ammise che era sua intenzione dedicarsi al commercio nel settore delle Pleiadi.
Gli ufficiali di Midway lo misero in guardia, con parole cariche di preoccupazione. Solo un'astronave aveva lasciato Midway con destinazione Pleiadi, nel giro di molti mesi. Nessuna astronave era giunta di laggiù. L'unica astronave che aveva osato partire per quella destinazione era stata la Hecla, ed era partita il giorno prima. Il suo comandante aveva concluso, prendendo visione dei più recenti rapporti riguardanti le astronavi scomparse, che i pirati erano all'opera dalla parte opposta del gruppo delle Pleiadi. Si era diretto verso Loren. Trent avrebbe fatto bene a non imitarlo. Ma Trent lo imitò. Dopo tre sole ore di scalo fece decollare lo Yarrow da Midway. Non appena il mercantile fu nuovamente nello spazio, il capitano distribuì nuovamente le armi leggere. Dopo il decollo da Midway lo Yarrow continuò a procedere regolarmente in iperpropulsione, e, naturalmente, nell'isolamento più assoluto. Il mercantile era circondato dal suo campo iperspaziale. La luce non poteva attraversarlo, e così pure nessun genere di messaggio, all'infuori di uno. A bordo del mercantile ogni strumento, il cui compito riguardasse la misurazione dello ambiente esterno, segnava zero. Era come se non ci fossero più né cosmo, né galassia, né esistenza all'esterno dello scafo dello Yarrow. Gli oblò non mostravano nulla. Lo Yarrow era isolato, in un isolamento che le generazioni passale non avrebbero potuto immaginare neppure lontanamente. In iperpropulsione un'astronave si trova praticamente in un universo nuovo e vuoto, nel quale non accade mai nulla. Ma durante il quarto giorno di viaggio da Midway uno strumento isolato fornì un'indicazione. Un ago vibrò, nella sala di comando. Una luce si accese. Lo spaziale che si trovava di guardia nella sala di comando segnalò la cosa a Trent, attraversò l'impianto di comunicazione. «Signor capitano, l'ipersegnalatore sta registrando qualcosa.» «Arrivo subito,» rispose Trent. E così fece. La sua cabina distava non più di cinque iarde dalla sala di comando, ma Trent si affrettò ugualmente. Il grande quadro degli strumenti gli si parò dinnanzi non appena egli entrò, con tutti i suoi manometri e i suoi indicatori che si stendevano al di sopra dell'altrettanto ampio ma meno disordinato pannello di comando. Sotto ogni strumento una luce o verde o color ambra indicava che ogni dispositivo dell'astronave o stava funzionando regolarmente, o era pronto a entrare in funzionando regolarmente, o era pronto a entrare in funzione non appena il mercantile fosse uscito
dall'iperpropulsione. Ma la luce sotto l'ipersegnalatore era rossa. «Finora nessun mutamento, signore,» disse lo spaziale di guardia. Trent grugnì. Sedette al posto di pilotaggio. Quasi immediatamente schiacciò un pulsante. Il mercantile cominciò a diminuire di velocità, dalla inimmaginabile velocità dell'iperpropulsione a migliaia di miglia al minuto, poi a centinaia, poi a decine. Il segnalatore continuò a indicare, con chiarezza sempre maggiore, la presenza di un altro campo d'iperpropulsione in azione all'interno di un'altra astronave che si trovava... in quel momento... a un numero di miglia relativamente trascurabile dallo Yarrow. Doveva trovarsi a bordo di un'astronave, naturalmente. E quell'astronave doveva essere informata, da un ipersegnalatore che si trovava nella sua sala di comando, dell'esistenza e della vicinanza dello Yarrow. Trent girò un interruttore. Un pannello si illuminò. Gli analizzatori entrarono in funzione. Trent cominciò a manovrarli. Il silenzio era quasi assoluto, a eccezione dei consueti rumori prodotti da un'astronave in movimento. E questi rumori volevano dire che l'astronave si stava muovendo, si dirigeva da qualche parte, e che alla fine del viaggio sarebbe arrivata da qualche parte. Un'astronave in porto, con tutti gli strumenti spenti, sembra spaventosamente morta. Pochissimi spaziali riescono a resistere a bordo di un'astronave, quando essa si trova in un astroporto. Il silenzio è troppo opprimente. L'analizzatore emise un ticchettìo. Aveva determinato l'origine dell'altro campo iperspaziale. Il dato venne registrato mentre gli altri strumenti cercavano di scoprire altri particolari. Il campo iperspaziale che era stato individuato era molto debole. La sua origine si trovava a una angolazione dieci e quaranta dalla rotta dello Yarrow. La rotta dell'oggetto era... Non aveva rotta. Se si escludeva il movimento dello Yarrow, l'altra astronave doveva essere immobile. Ma si era a molti anni luce di distanza da Midway, e Midway era ancora il pianeta più vicino. Non era normale che un'astronave fosse immobile tra le stelle. Trent fece qualcosa di ancor più anormale. Fece dirigere lo Yarrow verso l'origine del segnale iperspaziale. Schiacciò il bottone dell'allarme generale. Gli altoparlanti diffusero per tutta l'astronave il rauco suono che indicava il probabile stato di emergenza. Parlò al microfono, e tutti gli altoparlanti ripeterono all'unisono le sue parole, con uno strano effetto corale.
«Caricate le armi leggere,» ordinò brevemente. «Occupate i posti di combattimento. Lanciarazzi vicino ai portelli. Nessun lancio senza il mio ordine.» Si sistemò più comodamente sul sedile di pilotaggio, e lo spaziale di guardia si voltò e cominciò a estrarre le tute spaziali che gli occupanti della sala di comando avrebbero potuto indossare in caso di necessità. Trent continuò a osservare il quadrante dell'analizzatore. Per il momento aveva soltanto delle lancette e dei manometri sui quali basarsi, ma a ogni altro effetto la situazione che si era presentata durante il viaggio dello Yarrow era uguale all'avvistamento di un'altra nave, ai tempi in cui uno dei suoi remoti antenati aveva comandato un veliero sui mari della Terra, nel diciottesimo secolo. L'indicazione di uno strumento del quadro di comando equivaleva al grido di "Nave in vista!" lanciato dalla vedetta di un veliero. L'impiego faticoso degli strumenti, da parte di Trent, equivaleva alla faticosa ricerca del suo antenato, il quale, con un cannocchiale, dopo l'allarme aveva continuato a inquadrare un minuscolo puntino che aveva interrotto la linea compatta dell'orizzonte. Ciò che sarebbe seguito avrebbe potuto ripetere, in condizioni diverse, quanto solitamente avveniva sui mari ai tempi della navigazione a vela. Il secondo di bordo entrò nella sala di comando. «Tute spaziali, signore?» domandò con aria imperturbabile. «Meglio indossarle, certo,» dichiarò Trent. Non distolse gli occhi dagli strumenti. Il secondo impartì l'ordine. Indossò a sua volta una tuta spaziale, estratta dal ripostiglio interno della sala di comando. «Altri ordini, signore?» «Eh? Sì. Assicurati che l'apparecchio dell'ingegnere sia pronto a entrare in azione. Potremmo avere bisogno di collaudarlo. Ma siccome l'ingegnere è uno di quei tipi che cercano sempre di apportare miglioramenti e modifiche, se per caso ha combinato qualcosa, fallo smettere, e che la macchina sia pronta all'uso.» «Sì, signore,» disse il secondo. «È meglio che tu sappia cosa succede,» continuò Trent. «C'è un campo iperspaziale, là fuori. È a un livello appena sufficiente all'identificazione; non è sufficiente a far muovere l'astronave che lo origina. Ma questo significa che anche il nostro campo iperspaziale è stato identificato. Pure, ci stiamo dirigendo verso quell'astronave e quella non si è mossa. Cerca di immaginare cosa significa.» Le astronavi avvolte da un campo iperspaziale sì evitano con ogni pre-
cauzione, per motivi evidenti. Però lo Yarrow si stava dirigendo verso un'astronave immobile, ma che doveva avere avvistato il mercantile. Il campo della seconda nave era debolissimo, tanto debole da rendere impossibile qualsiasi cosa, all'infuori dell'avvistamento e dell'identificazione dello Yarrow. Ma la seconda nave non si era mossa! I secondo ammiccò e cercò di affrontare il problema. «Forse faremmo meglio a stare alla larga, signore.» Trent terminò di indossare la sua tuta spaziale. Indossò il casco, e sollevò la visiera: «Controlla se l'invenzione dell'ingegnere è pronta,» ordinò. «Ne avremo bisogno.» Il secondo se ne andò. Trent si strinse nelle spalle. Nessuna astronave rimaneva immobile in una zona infestata dai pirati, emettendo un debole campo iperspaziale che costituiva un invito vero e proprio per i pirati stessi. Il fatto che un'astronave facesse esattamente così indicava che un avvenimento ben determinato si era verificato. Il secondo non lo capiva, e questo forse spiegava per quale motivo era ancora un secondo. Lo Yarrow continuava ad avvicinarsi alla sorgente del campo iperspaziale, che era debolissimo, tanto debole da poter funzionare soltanto, a quell'intensità, come segnalatore di altre astronavi. Ma l'avvicinarsi dello Yarrow non la faceva spostare di un millimetro, né per evitare il mercantile, né per attaccarlo. E anche questo era illogico. Dava l'idea che l'equipaggio dell'altra astronave fosse alle prese con qualche compito che lo assorbiva a tal punto da renderlo inconsapevole di qualsiasi altro avvenimento esterno. L'espressione di Trent divenne subito minacciosa e assorta. La minaccia era la cosa più visibile. Le sue labbra formavano una linea dura e ferma. Dal sedile di pilotaggio, osservò nuovamente il quadro di comando. L'analizzatore continuava a lavorare, rielaborando i dati che erano tutto ciò che la macchina poteva prendere in considerazione. L'origine del segnale debolissimo si trovava a mille miglia di distanza. A cinquecento. A duecento. A cento. Trent disse, con voce tesa. «Sala macchine! Quell'apparecchio è pronto all'uso?» La voce del secondo rispose, attraverso un altoparlante. «Un istante solo, signore. L'ingegnere dice che c'era da eseguire un ultimo perfezionamento. Ma lo sta rimettendo assieme, signore.» Trent imprecò, a bassa voce. Fece avanzare nuovamente lo Yarrow nell'infinita oscurità dell'iperspa-
zio. L'altra astronave doveva trovarsi nello spazio normale. Il segnale era debolissimo, solo un accenno, e questo significava che il campo iperspaziale dell'altra astronave poteva soltanto identificare altri oggetti in avvicinamento. Quell'altra astronave poteva riflettere la luce della Via Lattea e di mille altre stelle. Lo Yarrow, avvicinandosi a essa, navigava alla cieca, nell'oscurità. Era come uno dei leggendari sottomarini delle guerre terrestri. Era cieco e invisibile perché si trovava nell'iperspazio, ma si avvicinava sempre di più alla sua preda invisibile. Trent disse brevemente: «Tutti gli uomini abbassino le visiere. Aprite l'impianto di respirazione autonomo delle tute. Sto per uscire dall'iperspazio. Sala macchine, è pronto quell'aggeggio?» La voce del secondo, preoccupata: «Un altro istante, signore! Non più di un minuto!» Trent disse con la voce più gelida: «Entriamo nello spazio normale adesso. Fammi sapere quando dovrò iniziare a caricare l'apparecchio. Lanciarazzi, pronti, ma aspettate ordini.» Poi abbassò l'interruttore che regolava il passaggio dall'iperpropulsione allo spazio normale. Avvertì, ovviamente, quelle sensazioni spiacevoli che sempre accompagnano il passaggio dall'iperspazio allo spazio normale e viceversa. Per una frazione di secondo ci si sente nauseati e storditi. Si ha la terribile sensazione di cadere in una spirale senza fine. Poi, improvvisamente, tutto finisce. Lo Yarrow si ritrovò nello spazio normale. Ma un quadrante segnalò la presenza di un oggetto incredibilmente vicino. Lo schermo frontale mostrò ciò che Trent aveva immaginato di scorgere. Mostrò l'altra astronave, e spiegò per quale motivo era ferma. Mostrò anche per quale motivo nessuno prestava attenzione ai dati relativi all'avvicinamento dello Yarrow. A venti miglia di distanza dal punto in cui lo Yarrow era uscito dall'iperspazio, un grosso mercantile era immobile nello spazio. A due miglia da esso un'astronave più piccola e leggera era in attesa. Uno sciame di astroscialuppe partivano dall'astronave più piccola in direzione del grosso mercantile. La situazione era evidente. Una nave pirata, o corsara, aveva fatto saltare l'impianto di iperpropul-
sione del mercantile, molto probabilmente l'Hecla, partito da Midway con destinazione Pleiadi, e precisamente Loren. Il mercantile era stato evidentemente danneggiato, in modo che fosse impossibile per esso riprendere la navigazione. E mentre restava immobile e impotente, le astroscialuppe pirate si muovevano all'abbordaggio della loro vittima. E l'equipaggio della nave pirata era troppo assorbito dall'operazione per prestare attenzione agli strumenti di segnalazione. CAPITOLO II L'improvvisa emersione dello Yarrow dall'iperspazio, senza dubbio, doveva avere provocato un allarme generale a bordo di entrambe le astronavi, assalita e assalitrice. Dal soffitto della sala di comando, l'impianto di comunicazione esterno cominciò ad abbaiare disperatamente: «Emergenza! Emergenza! Chiediamo aiuto! Una nave pirata ha fatto saltare il nostro impianto di iperpropulsione e ci ha bloccati! Emergenza! Emergenza! Aiu...» Ci fu un frastuono stridente nell'altoparlante. La richiesta di aiuto dell'astronave fu soffocata e distrutta da un'orribile ondata di suono allo stato puro: veniva dalla astronave più piccola. Qualcuno, nella sua sala di comando, era stato richiamato all'azione dall'improvvisa apparizione dello Yarrow. Aveva visto, finalmente, il segnale di allarme visivo, e automaticamente aveva reagito facendo emettere agli strumenti un'ondata di puro suono. Aveva cancellato il resto del messaggio di soccorso dell'astronave attaccata, e avrebbe reso impossibile ogni ulteriore contatto tra lo Yarrow e l'Hecla. se mai qualsiasi collaborazione fosse stata possibile. L'altoparlante emise degli altri suoni, provenienti dalla sala macchine. Trent imprecò. Spense l'impianto esterno per avere le comunicazioni provenienti dall'interno della nave. Giunse la voce del secondo, incredibilmente chiara. «Apparecchio pronto per la carica, signore. Lo ha detto l'ingegnere. Può cominciare a caricare l'apparecchio.» Davanti allo Yarrow, dove si trovavano le altre due astronavi, le astroscialuppe provenienti dalla nave pirata continuavano a trasmettere la loro ondata di suono lacerante. Il mercantile continuava a chiedere disperatamente aiuto. «Proceda, signore,» ripeté il secondo, dalla sala macchine dello Yarrow. «È pronto alla carica.»
Trent allungò una mano verso uno dei due nuovi comandi sistemati sul pannello degli strumenti. Il primo serviva a trarre energia per migliaia di kilowatt dai circuiti di propulsione, per alimentare le batterie del nuovo dispositivo anti-pirata Questa prima parte del lavoro durava alcuni minuti. Poi, schiacciando il secondo pulsante, si sarebbe liberata l'energia accumulata in una unica esplosione di energia capace di fare saltare il sistema di propulsione dell'astronave pirata e di lasciarla impotente nello spazio normale. Questo era possibile soltanto con entrambe le astronavi nell'iperspazio. Trent era sicuro di potere costringere la nave pirata a immergersi nell'iperspazio, e fare funzionare là la nuova apparecchiatura, facendo poi ritornare i pirati nello spazio normale, dove sarebbe stato più semplice sistemarli a dovere. A dire il vero, aveva semplicemente razzi in dotazione alla polizia, ma c'erano molti altri mezzi. In ogni caso, nella peggiore delle ipotesi, avrebbe potuto trasportare a bordo i passeggeri e l'equipaggio dell'Hecla, portarli al sicuro e quindi ritornare con armi migliori e più efficaci, per sistemare definitivamente i pirati. Avrebbe potuto farcela benissimo, prima che i pirati fossero stati in grado di riparare il sistema di iperpropulsione. Le sue dita raggiunsero il pulsante di carica. Una volta schiacciato, avrebbe dato il via all'operazione di carica. Dopo qualche minuto, il nuovo ordigno sarebbe stato pronto. La nave pirata sarebbe stata attirata nell'iperspazio. I pirati, senz'altro, sarebbero stati sicuri di potere far saltare, una volta nell'iperspazio, il sistema di iperpropulsione dello Yarrow. Ma, una volta là, avrebbero scoperto che i loro stessi generatori saltavano, e magari bruciavano e si fondevano. Schiacciò il pulsante di carica. Si udì un'esplosione rumorosa e lacerante nella sala macchine. Un acre odore di metallo fuso e di materiale isolante bruciato si diffuse in tutto lo Yarrow. Si udirono delle grida. Il secondo entrò nella sala di comando. Sulla sua tuta spaziale si vedevano le tracce dell'esplosione. «Quell'aggeggio,» disse, con incredibile stolidità. «È esploso. Non ha funzionato. È saltato quando lei ha cominciato a immettere energia.» Trent era troppo furioso per riuscire perfino a imprecare. Aveva provato a usare il dispositivo sul quale gli armatori dello Yarrow avevano giurato e spergiurato. Aveva gettato al vento il vantaggio della sorpresa. Ora si trovava a poche miglia di distanza da una nave pirata, sen-
za dubbi armata, terribilmente consapevole della presenza dello Yarrow. Sarebbe stato perfettamente logico se si fosse strappato i capelli dalla testa uno a uno, e questa reazione sarebbe stata mutile come qualsiasi altra. Ma egli osservò le astroscialuppe che tornavano velocemente verso la nave pirata. Avrebbero impiegato tanto per raggiungere l'astronave, e tanto per rientrare nelle loro posizioni. La nave pirata avrebbe potuto fare saltare il sistema di iperpropulsione dello Yarrow, una volta nell'iperspazio. Lo Yarrow non poteva fare saltare quello della nave pirata. Trent poteva semplicemente dare il via a una battaglia nello spazio normale, con tutti i favori del pronostico per i pirati. C'era una sola cosa a suo favore, cioè che la nave pirata non avrebbe potuto immergersi nell'iperspazio fino a quando le astroscialuppe non fossero tutte rientrate. Non avrebbe potuto seguire lo Yarrow. E lui poteva manovrare in maniera molto simile a quella di un sottomarino... una delle armi favolose delle ultime guerre sulla Terra... immergendosi per scomparire alla vista, ma solo fino a quando le astroscialuppe non fossero tutte rientrate. Fece uso di quella manovra antiquata. Lo Yarrow svanì, per riapparire dopo pochi secondi nello spazio normale, e molto più vicino alla nave pirata. Ormai le astroscialuppe erano quasi rientrate. La nave pirata sobbalzò, e apparve uno di quegli sbuffi di fumo incredibilmente fugaci, di quelli che appaiono soltanto quando un'esplosione avviene nel vuoto. Apparve del vapore, e subito evaporò follemente nel nulla. Un proiettile partì a velocità folle verso il nulla. La nave pirata aveva un cannone. L'Hecla aveva detto di essere stata bombardata. Trent riportò lo Yarrow nello iperspazio. I sintomi di nausea e stordimento e caduta a spirale aumentavano a dismisura, ripetendosi a così brevi intervalli. L'intervallo di tempo prima del ritorno allo spazio normale fu brevissimo. Una questione di secondi, ma le astroscialuppe erano già sul fianco della nave pirata e le aperture a conchiglia dalle quali erano uscite si stavano nuovamente aprendo ad accoglierle. Ma ora lo Yarrow era appena a poche centinaia di iarde di distanza, e Trent mise in azione la propulsione di emergenza, avanti tutta. Lo Yarrow si avventò sulla nave pirata come un mostro infuriato e micidiale. Si trattò della più improbabile di tutte le manovre possibili. C'erano stelle da tutte le parti, e sopra e sotto. C'erano solo distanze immateriali che nessun uomo era mai stato capace di comprendere, o semplicemente di afferrare. Con tutto lo spazio, in cui manovrare, o tentare di fuggire, con un
nemico venuto dalle stelle più vicine, Trent stava tentando di mettere in pratica la più primitiva e senza dubbio la prima delle tattiche di combattimento navale. Caricare. E in parte ottenne un certo successo. La nave pirata, in preda al panico, cannoneggiò lo Yarrow. Mancò il bersaglio. Prima che il cannone potesse sparare un altro colpo, lo Yarrow era già arrivato sulla nave pirata. Lo scafo d'acciaio gridò e si spezzò. La nave più grossa colpì con violenza quella più piccola, mentre si udiva un unico grido di segnali di allarme. E la nave pirata svanì. Era entrata nell'iperspazio all'ultimo istante, mentre lo scafo si stava spezzando. Lo Yarrow penetrò nel vuoto che la nave pirata aveva lasciato dietro di sé. Si voltò e caricò ancora, e ancora, e ancora, come un grosso toro inferocito che tenta disperatamente di colpire un avversario più piccolo e più agile. Erano rimaste soltanto due astronavi nello spazio normale. Una, naturalmente, era lo Yarrow. L'altra era il mercantile impotente, l'Hecla. Per il momento Trent decise di ignorare l'altra astronave. Continuò a fare girare lo Yarrow intorno al punto in cui si era trovata la nave pirata. Tenne in funzione l'ipersegnalatore della sua astronave, cercando di localizzare il nemico. Lo aveva semplicemente danneggiato nello spazio normale, ma se lo avesse seguito nell'iperspazio... così come erano andate le cose... la nave pirata avrebbe potuto far saltare il sistema di iperpropulsione dello Yarrow, e continuare poi a bombardarlo fino a quando ogni traccia di vita a bordo fosse scomparsa. Se gli uomini che si trovavano nella sala di comando della nave pirata fossero stati in guardia, i pirati avrebbero saputo immediatamente il momento dell'attacco dello Yarrow. Ma per il momento, la nave pirata rimase nell'iperspazio, nel raggio dell'ipersegnalatore, e vi rimase per un periodo considerevole. I pirati probabilmente stavano valutando i danni provocati dallo Yarrow. E Trent rimase in ascolto, freddo ed efficiente, e udì il segnale allontanarsi sempre più, fino a quando sparì in lontananza. Poi, la nave pirata avrebbe potuto trovarsi o nello spazio normale... ma a distanza considerevole... o nell'iperspazio, a una distanza quasi inimmaginabile. Fu dopo più di un'ora che Trent diresse lo Yarrow verso l'Hecla. Aveva staccato l'impianto di comunicazione esterno, per ascoltare i rapporti che giungevano dall'interno della sua astronave. Poi lo rimise in funzione e una voce tremante e agitata si fece udire immediatamente: «Rispondete, per favore! Il nostro scafo è forato dai proiettili, e abbia-
mo dovuto indossare le tute spaziali, perché l'aria sta uscendo rapidamente. Un proiettile è entrato in sala macchine e ha distrutto il motore Lawlor, e l'impianto di iperpropulsione è saltato! La nostra situazione è disperata! Rispondete, vi prego!» Trent schiacciò il pulsante del trasmettitore. «Yarrow chiama Hecla,» disse con voce secca. «In queste circostanze, tutto ciò che posso fare per voi è prendervi a bordo e farvi sbarcare sani e salvi al più vicino scalo. Non posso restare qua attorno. La nave pirata è danneggiata ma, a quanto sembra, non è stata distrutta. È entrata nell'iperspazio quando l'abbiamo colpita, ed è fuggita. Non so se possa tornare indietro o meno. Volete fermarvi a eseguire le riparazioni, puntando sulla speranza che non torni?» La voce che giungeva dall'Hecla emise un grido strozzato e inintelligibile, tanta era la paura di dover prendere in considerazione anche l'idea di restare, e tanta era la fretta di accettare la proposta di Trent. Trent con poche parole concluse gli accordi relativi al trasferimento degli uomini del mercantile immobile sullo Yarrow. Fece ruotare lo Yarrow sul suo asse, in modo che, presentando la fiancata alla nave avariata, le operazioni di salvataggio potessero svolgersi con maggiore sollecitudine. Poi chiamò il secondo. «Tu resta qui,» ordinò. «E tieni d'occhio quel segnalatore! L'equipaggio della nave pirata era troppo occupato a seguire le astroscialuppe per accorgersi del nostro arrivo. Ma tu tieni d'occhio il segnalatore, e non pensare ad altro! E appena l'ago si appanna, segnalamelo immediatamente!» Si diresse verso il compartimento esterno che aveva fatto sgombrare per accogliere l'astroscialuppa dell'Hecla con a bordo gli scampati dell'astronave cannoneggiata. Dopo pochi minuti fu a bordo dell'Hecla. La pressione dell'atmosfera era bassa. Bassissima, anzi. Si diresse senza fermarsi in formalità verso il punto in cui il proiettile era entrato, accompagnato dal comandante dell'Hecla il quale, secondo la tradizione, doveva essere l'ultimo ad abbandonare la nave, ma che dava segni molto evidenti di non gradire affatto questo genere di consuetudini. «Benissimo,» disse Trent, quando ebbe ben valutato l'entità dei danni prodotti dalla nave pirata. «Solo un'altra cosa. Voglio dare un'altra occhiata in sala macchine.» «Se... se la nave pirata tornasse indietro...» «Sarebbe un vero peccato,» convenne Trent. «Ma fa lo stesso.» Entrò nella sala macchine dell'Hecla. L'attacco al mercantile era stato
fatto secondo tutte le regole. Con il sistema d'iperpropulsione fuori uso, il mercantile avrebbe potuto spostarsi solo facendo uso dell'incontrollabile motore Lawlor. In questo modo avrebbe potuto compiere tuffi e balzi disperati, nello spazio, solo per rimandare il momento della resa. Ma questo sarebbe stato fastidioso, per i pirati. Per questo portavano il cannone. Lo avevano usato, e così l'Hecla non aveva più potuto opporre la minima resistenza. In quel momento il comandante dell'Hecla stava sottolineando, con parole alquanto agitate, che la nave pirata avrebbe potuto rifarsi viva in qualsiasi istante. Trent non rispose. Era intento a lavorare in sala macchine, leggeva manometri, consultava strumenti, saggiava la resistenza dei pezzi sopravvissuti al disastro. Dopo aver dato il via a una sequenza ritardata, si avviò con il comandante dell'Hecla, che ormai stava tremando apertamente, verso il portello. La massa dello Yarrow torreggiava a non più di quaranta piedi di distanza, ma sotto e intorno si stendeva una distesa inimmaginabile di spazio. Le stelle splendevano sotto di loro. Si poteva cadere e cadere per milioni di anni senza mai arrestarsi. Uno spaziale dello Yarrow li issò a bordo, servendosi dei cavi tesi nello spazio tra le due astronavi. Dopo un istante Trent si trovava nella sala di comando, con la visiera sollevata, ma comunque pronto a rituffarsi nello spazio. Guardò dagli oblò. Cominciò a corrugare la fronte, poi aggrottò le sopracciglia. Il comandante dell'Hecla si lasciò cadere in un angolo della sala di comando. «Direi... direi...» disse tremando, «di andarcene... di qui... il più presto possibile.» «Questa è la mia astronave,» disse bruscamente Trent. «Qui sono io a dare gli ordini. Ah, ecco!» Non si era voltato dall'oblò. Era rimasto a guardare l'Hecla, privo d'aria e senza nessuno a bordo, rimasto, come un relitto immobile, tra le stelle. Ma ora la nave abbandonata improvvisamente si allontanò dallo Yarrow. Balzò nello spazio. Cominciò a rimpicciolire. Sparì nell'infinita distanza che separava i soli della galassia. Divenne una capocchia di spillo, la più minuscola di tutte le minuscole stelle della galassia. Sparì del tutto. Il comandante dell'Hecla spalancò la bocca. «Cosa...» «Non mi piacciono i pirati,» disse Trent. «Temo di non avere danneggiato quella nave pirata troppo gravemente, visto che è riuscita a rimanere
nell'iperspazio. Ma non voglio che torni indietro a spogliare l'Hecla. Così ho mandato via la sua astronave. Un dispetto puro e semplice, da parte mia.» «Ma che cosa stiamo aspettando?» domandò ansiosamente il comandante. «Adesso niente,» gli disse Trent. «Dovrei fare un salto in sala macchine, ma posso aspettare.» Esaminò l'ipersegnalatore con attenzione incredibile, ma lo strumento non segnalava nulla. Regolò nuovamente la posizione e la rotta dello Yarrow. Schiacciò il pulsante, e l'astronave riprese la sua marcia tra le stelle. Trent entrò nella sala macchine. Intorno gravava ancora il puzzo di metallo fuso e di materiale isolante bruciato. McHinny camminava furiosamente avanti e indietro, imprecando con ammirevole costanza e immutabile indignazione. Era stato lui a inventare la macchina che Trent aveva tentato di usare con così scarso successo contro l'astronave pirata. Ora l'invenzione, che avrebbe dovuto in teoria evitare ogni pericolo dei pirati, non era che un ammasso di ferraglia semifusa, bruciacchiata e irriconoscibile. Un nastro isolante continuava a emettere un pennacchio di fumo dall'odore insopportabile. «Non ha funzionato,» disse Trent, deciso. «Cos'è successo?» McHinny si mise istantaneamente e fieramente in guardia. La furia dell'inferno è nulla in confronto alla furia di un inventore che difende i diritti del suo genio. «Non l'ha fatta funzionare nel modo appropriato!» gridò in tono amaro. «Lei ha rovinato tutto! Ha immesso energia quando c'erano due astronavi nel suo campo d'azione! Due! Lei l'ha sovraccaricata!» Trent non disse nulla. Queste erano difese, non fatti. Il sistema di iperpropulsione dell'Hecla, era stato fatto saltare dalla nave pirata. Non avrebbe potuto sovraccaricare niente. «E il secondo mi diceva di affrettarmi!» esclamò furioso McHinny. «Continuava a dire che dovevo affrettarmi a rimetterla assieme! La stavo migliorando, e lui mi spingeva a rimetterla assieme!» Trent aggrottò le sopracciglia. «Può ripararla?» domandò, in tono distaccato. «Se possiamo fare in modo che funzioni di nuovo, si può riprovare.» «Dovrò ricostruirla!» tuonò l'ingegnere. «E non sopporto che nessuno mi dica quello che devo fare! L'ho inventata io! Ne conosco i minimi partico-
lari! Non farò nulla, se non mi verrà data carta bianca!» Trent sollevò un sopracciglio. «Benissimo,» disse, «ma siamo stati fortunati. La prossima volta si ricordi di essere su questa nave, insieme a tutti gli altri!» Si voltò e uscì nel corridoio, cercando di studiare la prossima mossa. I piani del capitano Trent dello Yarrow somigliavano stranamente a quelli del suo antenato del diciottesimo secolo. Era sicuro che i pirati non amavano il combattimento. Preferivano uccidere a tradimento. Sospettava che in caso di attacco esterno essi sarebbero rimasti sbalorditi, perché erano abituati ad attaccare loro per primi, in ogni circostanza. Ed era sicuro che un'azione violenta nel momento in cui i pirati non fossero stati pronti avrebbe portato a dei risultati molto interessanti. In breve, le sue idee non erano quelle del capitano mercantile medio, il quale entrava pieno di apprensione in una zona infestata dai pirati. Lui vedeva la possibilità di compiere qualche azione vantaggiosa. E le speranze non erano svanite, malgrado l'azione dell'Hecla, che lui considerava come un tentativo fallito. Il fallimento non lo spingeva a rinunciare ai suoi progetti, ma a modificarli. Quando rientrò nella sala di comando, trovò una ragazza. Il comandante dell'Hecla disse, con voce quasi rispettosa. «Capitano, la signorina Hale vuole parlarle. Suo padre è il presidente planetario di Loren.» Trent fece un cenno educato: «Volevo ringraziarla, capitano,» disse la ragazza, con voce ancora malferma. «Se non fosse stato per lei...» «È stato un piacere,» disse Trent, con impeccabile cortesia. «Sono felice di essere capitato nelle vicinanze.» «Io... io posso offrirle solo delle parole,» disse la ragazza. «Ma quando arriveremo a Loren, mio padre almeno...» «Mi spiace, ma non sto andando a Loren,» disse Trent. «Lo Yarrow è diretto a Sira. Lei potrà sbarcare laggiù.» Il comandante dell'Hecla disse, in tono di urgenza: «Ma, capitano, si tratta della signorina Hale! Suo padre è il presidente planetario. Era diretta a casa. Certamente lei potrà deviare dalla sua rotta quel tanto sufficiente a condurla a casa!» Trent scosse il capo, con aria dispiaciuta. Qualche ora prima, lui stesso aveva avuto l'intenzione di dirigersi a Loren. Ma gli ultimi avvenimenti gli avevano fatto cambiare idea. L'incontro con una nave pirata che aveva cat-
turato, ma non ancora depredato, un mercantile, non era terminato nel modo che Trent aveva desiderato. I suoi piani dovevano essere cambiati. Ora richiedevano un immediato scalo su Sira. «Sono davvero spiacente,» disse lui. «Ma devo andare a Sira. Per prima cosa, si trova a tre giorni di viaggio prima di Loren. E questi tre giorni per me sono molto importanti.» «Lei non capisce...» . La ragazza posò la mano sul braccio del comandante. «No! Se il capitano Trent è diretto a Sira, noi andiamo a Sira. Potrò arrivare benissimo a casa, di là! Certo, dobbiamo avvertire mio padre della nave pirata che fingeva di essere l'Orso. Ma il capitano Trent ha fatto anche troppo, salvandoci da... da quello che sarebbe accaduto se lui non fosse apparso, e, soprattutto, se non avesse agito come ha agito.» Trent piegò il capo, con aria interrogativa. «L'Orso?» «La nostra nave corsara,» spiegò la ragazza. «Siamo in una terribile situazione, su Loren. Per prima cosa, dobbiamo rifornirci di antibiotici, e di tutte le altre merci extraplanetarie che riusciamo a trovare. Ma gli antibiotici sono indispensabili! I batteri del nostro suolo sono mortali per i germogli di tipo terrestre. Senza antibiotici, moriremmo di fame! Così abbiamo autorizzato una nave corsara. Vede, con i pirati in azione nei paraggi, e con il commercio interstellare ridotto al nocciolo, le navi mercantili non ci raggiungono. Ma ci sono alcune cose indispensabili. Così la nostra nave corsara blocca le astronavi e requisisce le merci, e noi le paghiamo come possiamo, più tardi. È uno stato d'emergenza.» Trent disse, cortesemente: «Uhm!» «Stamattina,» continuò la ragazza, «quando i pirati sono apparsi nel campo d'azione dei nostri segnalatori, abbiamo spinto la velocità al massimo per evitarli, come facciamo con qualsiasi altra astronave. Ma i pirati erano più veloci e ci hanno raggiunto. Abbiamo cercato di sfuggire disperatamente, ma finalmente i pirati sono arrivati vicinissimi e hanno fatto saltare il nostro sistema d'iperpropulsione e noi non abbiamo più potuto far niente. Siamo usciti dall'iperspazio quando i motori sono saltati, e la nave pirata era ad aspettarci. E ha detto: "Corsara autorizzata Orso, di Loren, chiama nave sconosciuta. Identificatevi".» Il comandante dell'Hecla continuò fieramente il racconto. «Io ho risposto: "Andate al diavolo! Qui Hecla, e la signorina Hale è a
bordo. Vi troverete nei guai!".» La ragazza intervenne: «Era identico all'Orso!» Trent sollevò la mano. «Un momento! Siete stati chiamati dalla nave pirata, che pretendeva di essere l'Orso, che, a quanto sembra, è una nave corsara?» La ragazza annuì. «Sì. Proprio così.» «E non eravate spaventati? Ah, capisco. L'Hecla è registrata come nave di Loren. Siete stati fermati da una nave che affermava di essere una corsara di Loren. Naturalmente, eravate sicuri di non essere depredati da una nave corsara del vostro stesso pianeta. È andata così?» La ragazza annuì di nuovo. Era terribilmente tesa. Solo pochi minuti prima, aveva conosciuto attimi di completa disperazione. Ora il suo volto era calmo, ma le mani erano strette e le nocche bianche. Sembrava non rendersene conto. Lottava disperatamente per impedire alle sue labbra di tremare. Trent ne approvò il comportamento. «E lei,» si rivolse al comandante dell'Hecla. «Era tanto sicuro di non avere nulla da temere, che ha detto alla nave pirata che si stava cacciando nei guai. Era sicuro che si trattasse dell'Orso e che vi avesse fermati.» «E fatto saltare i nostri motori,» disse il comandante. «Certo che pensavo che si fosse cacciata nei guai! La signorina Hale era a bordo!» «E...» «L'uomo che parlava alla radio della nave pirata si è messo a ridere. Si è messo a ridere! Sì, allora abbiamo capito cos'era successo, e abbiamo cercato di fuggire, e loro ci hanno seguiti e raggiunti una, due, tre volte. Finalmente, hanno cominciato a prenderci a cannonate. Poi un proiettile è entrato in sala macchine, e così non abbiamo potuto neppure cercare di fuggire.» Trent riusciva a immaginare la scena con estrema chiarezza. L'Hecla, gonfio e mastodontico e sicuro della prossima fine, aveva cercato di sfuggire al proprio destino volando follemente, alla disperata. La nave pirata l'aveva inseguito. Forse per divertirsi, i pirati avevano raggiunto ogni volta il tozzo mercantile, fino a quando il divertimento non era parso sufficiente. In complesso, era stato come quando un uomo caccia un pollo, o come quando un maiale è giunto all'ultima ora. Doveva essere stato orribile! In ogni caso, la nave pirata aveva cannoneggiato l'Hecla per farne uscire l'aria, e un proiettile era penetrato in sala macchine e aveva colpito il motore
Lawlor, e poi le astroscialuppe erano partite per impadronirsi della nave sconfitta. I pirati sarebbero poi penetrati dai portelli per commettere i loro delitti. Alcuni avrebbero collaborato docilmente con i propri assassini, soltanto per ottenere qualche altro minuto di vita. Altrimenti, nel caso questo non fosse avvenuto, i pirati si sarebbero aperti la strada a cannonate nello scafo sventrato. Trent poteva dipingere la situazione benissimo, perché aveva udito molte storie del genere. «E poi, siamo arrivati noi,» fece notare. «Nulla potrà mai ricompensarla,» disse con calore Marian. «Io... io non ho mai creduto veramente che qualcosa di spaventoso potesse accadere proprio a me. Ma mi sbagliavo, e per poco non pagavo di persona. E lei mi ha salvata. Così... così volevo ringraziarla.» «Molto gentile,» disse Trent. «Ma non abbiamo ancora raggiunto Sira. Potremmo incontrare ancora dei guai. Mi permetta di dirle che lei è la benvenuta. Che ne dice di andare nella mia cabina a riposare e a calmarsi? Ha appena passato un'esperienza terribilmente sgradevole.» Lei gli sorrise e uscì. Il comandante dell'Hecla la seguì. Trent tornò a occuparsi del quadro degli strumenti. Osservò con particolare attenzione il segnalatore. Il secondo dello Yarrow disse con voce monotona: «Signor capitano, non importa come sia finita, non era posto migliore nel quale potessimo cacciarci!» «Sì,» ammise seccamente Trent. «Non bisogna mai fidarsi della parola degli armatori sulle nuove invenzioni. Neanche a me è piaciuta, la cosa. Ma se i fatti per te significano qualcosa, siamo degli eroi.» «Per me non significa niente,» disse con aria truculenta il secondo. «La prossima volta,» disse Trent. «Non saremo eroici. La prossima volta che ci imbatteremo nei pirati, lasceremo che ci taglino la gola senza provocare alcun disturbo.» Ma dopo l'incontro l'atmosfera a bordo divenne quasi euforica. L'astronave si sentiva al sicuro. Meravigliosamente al sicuro. Tutto funzionava alla perfezione. L'impianto dell'aria non aveva mai funzionato così bene. La temperatura a bordo era distribuita nelle diverse sezioni in diverse gradazioni, dal caldo alla temperatura mitigata, in modo che tutto fosse più naturale. C'erano diversi odori. C'erano perfino delle piante, che crescevano in una sezione adatta. E gli uomini dell'equipaggio provvedevano placidamente ai loro turni di guardia, e quelli che non erano di turno oziavano e
spettegolavano. Ma in quel momento, in un punto infinitamente lontano dallo Yarrow, un'astronave era uscita dall'iperspazio nello spazio normale. La luce delle stelle era riflessa dalla sua superficie. Le sue fiancate erano ammaccate. Un terzo dello scafo era privo d'atmosfera, e nessuno vi poteva entrare se non attraverso i portelli di emergenza, e senza tute spaziali chiunque vi fosse entrato sarebbe morto istantaneamente. Si trattava, naturalmente, dell'astronave che si era proclamata l'Orso quando aveva ordinato all'Hecla di arrendersi. L'equipaggio della nave pirata era non solo furioso, ma disperato. Gli uomini erano diminuiti, da quando la scorreria era stata iniziata. Quando l'atmosfera era uscita da quella parte dello scafo, all'interno c'erano stati degli uomini senza tute spaziali. In teoria, avevano avuto tredici secondi a loro disposizione per infilarsi nelle tute. Nessuno ce l'aveva fatta. Nessuno è mai riuscito a farcela. I sopravvissuti desideravano ferocemente vendicarsi dell'azione difensiva dello Yarrow. Ma per il momento, l'equipaggio della nave pirata lavorava con la fiamma ossidrica per riparare i danni provocati dall'attacco dello Yarrow. Erano necessarie riparazioni ampie, e provvisorie, per riuscire a far funzionare in qualsiasi modo la nave che si era autodefinita l'Orso. Ma anche dopo queste riparazioni, la nave non avrebbe potuto scendere in uno spazioporto fingendo di essere un innocente mercantile. Non si potevano eseguire delle riparazioni nello spazio senza poi spiegarle a terra. Ed era probabile che la notizia dell'impresa dell'Hecla facesse il giro delle Pleiadi alla massima velocità consentita dai mezzi di comunicazione. In breve, se prima di questo episodio la nave pirata era potuta scendere in uno spazioporto, facendosi passare per un onesto mercantile dalle occupazioni più che legali, questo ormai non sarebbe più stato possibile. C'era una sola possibilità. L'Hecla era stata immobilizzata e bloccata. Molto probabilmente, se quelli dello Yarrow avevano avuto il fegato di fermarsi a prelevare gli uomini dell'Hecla, era stata abbandonata. Ma se la nave pirata poteva ritrovare l'Hecla... Lo Yarrow volava verso Sira. E Trent formulava mille piani, cercando di prevedere quale sarebbe stata la prossima mossa dei pirati. Se uno solo dei suoi piani si fosse avverato, e se le sue idee erano giuste, i pirati avrebbero dovuto reagire con la massima ferocia.
CAPITOLO III. Marian Hale guardava da un oblò l'ingigantirsi del grande globo di Sira. Il comandante dell'Hecla, mentre lo Yarrow si avvicinava, indicò una delle tre lune e spiegò cosa fosse un'orbita troiana. Continuò a dare spiegazioni, man mano che Sira si avvicinava. Finalmente, l'astronave toccò il suolo. La ragazza, sorridendo, si rivolse a Trent. «Siamo a terra, e c'è stato un momento in cui ho creduto di dover restare per sempre lassù! Cos'ha intenzione di fare ora, capitano?» «È quasi mezzogiorno, qui,» disse Trent, «prima di sera dovrò concludere qualche affare, e devo sbrigare qualche affare personale. Poi decollò di nuovo.» «Quando?» «Il più presto possibile,» le disse, «non sono qui per divertirmi.» «Devo mettermi in contatto col mio rappresentante commerciale,» osservò lei. «Qui nelle Pleiadi non abbiamo ambasciatori. Solo rappresentanti commerciali. Non pensa che sarò perfettamente al sicuro, partendo da qui per Loren?» Trent si strinse nelle spalle. Non ne era affatto sicuro. Era sicuro che in quella zona si era trovata almeno una nave pirata e, anche se per un certo periodo di tempo quella particolare nave ben difficilmente avrebbe potuto continuare la sua attività professionale, avrebbero potuto essercene altre. Sicuramente alcune navi sarebbero partite per gli altri sistemi stellari, nella convinzione che l'impresa dello Yarrow avesse dato un duro colpo alla pirateria. Ma questo sarebbe stato un colpo di fortuna per i pirati, e il bottino sarebbe stato ampio e abbondante. «Non ho alcuna autorità per darle consigli. Direi di no, sebbene anch'io stia per partire. Se fossi suo padre, le direi di starsene tranquillamente quaggiù fino a quando il traffico interstellare non sia ripreso in piena tranquillità e senza incidenti.» Lei sorrise di nuovo. Tese la mano. Trent la strinse. «Ora scendo. Grazie, capitano. Devo aiutare quelli dell'Hecla nella stesura del rapporto sulla perdita della astronave e sulle circostanze nelle quali è avvenuta. Ma anche lei dovrà fare rapporto, vero?» Egli annuì. Lei non ritirò la mano. «Un'altra cosa. Potrebbe parlare col nostro rappresentante commerciale nel pomeriggio, prima del decollo?»
«Cercherò,» promise Trent. Le strinse formalmente la mano, e lei la ritirò. Sempre sorridendo, la ragazza uscì dalla sala di comando e scese a terra. Trent, corrugando la fronte, la seguì con lo sguardo fino a quando non fu entrata negli uffici dello spazioporto. Su quel pianeta era mezzogiorno. Era difficile riprendere il ritmo di giorni e notti, dopo un lungo periodo trascorso nello spazio. Marian su Sira era una persona molto importante. Se Trent avesse voluto, avrebbe potuto brillare per qualche tempo della luce di lei. Ma non avrebbe mai fatto questo. Disse bruscamente al secondo: «Devo parlare dell'Hecla negli uffici dello spazioporto. Poi devo parlare del carico con alcuni commercianti. Poi devo guardarmi attorno, nei paraggi dello spazioporto, per vedere che razza di uomini sono bloccati qui dal pericolo dei pirati.» «Nessun permesso a terra per i nostri uomini?» domando il secondo. «Uhm!» disse Trent. Ci pensò sopra. «Gli uomini dello spazioporto potranno occuparsi del carico o dello scarico di qualsiasi merce riesca a contrattare. Ma perderò tempo, parlando dell'Hecla. Concedi loro otto ore. Poi dovremo essere pronti al decollo.» «Avranno appena il tempo di ubriacarsi,» disse cupamente il secondo. «E non ce la faranno a farsi passare la sbronza.» «Se riesco, voglio arruolare altri uomini,» gli disse Trent. Fece per uscire dalla sala di comando. Il secondo disse: «Capitano?» «Che c'è?» «Quella signora,» disse stolidamente il secondo. «Si è fermata a parlare con me, ieri. Voleva scoprire qualcosa. Io non sapevo se dirglielo o no.» «Cosa voleva sapere?» «Se lei era sposato. Le ho risposto di no. È vero?» «Sì,» disse Trent. «È vero. Non sono sposato.» Scese a terra e si dedicò al compito alquanto noioso di rispondere a domande e domande sull'Hecla, e poi a lunghe contrattazioni con i commercianti accorsi all'astroporto non appena era stata passata parola dell'arrivo di un mercantile. Erano tutti famelici di merce. Trent si separò dalla quantità di merce che ritenne opportuno vendere. Era quasi il tramonto quando ritornò in vista dell'astronave. Domandò il permesso di decollare immediatamente. Aveva portato con sé altri dieci spaziali di buona tempra, da aggiungere all'equipaggio dello Yarrow. L'astronave era pronta a partire.
«Tutti gli uomini si preparino alla partenza,» disse la voce di Trent da dozzine di microfoni, con uno strano effetto corale. «Decollo tra dieci secondi. Tutti gli uomini ai loro posti. Cinque secondi... Inizia il decollo.» Lo Yarrow si sollevò verso il cielo notturno colmo di stelle, e l'astroporto svanì nel buio. Il pianeta Sira appariva come una grande distesa oscura nella quale puntini luminosi... le lampade che illuminavano le strade... rimpicciolivano continuamente, fino a scomparire. Poi ci fu soltanto l'oscurità stagliata sullo sfondo di un'infinita pioggia di stelle. Ma poi la parte illuminata di Sira apparve e tutto cambiò aspetto. Il mercantile Yarrow entrò nell'iperspazio dopo aver lasciato Sira, e Trent dormì per tutta la notte, e il mattino di bordo seguente il mercantile si trovava a milioni, miliardi, decine di miliardi di miglia dal pianeta. Trent ispezionò l'astronave e trovò tutto a posto. Perfino MoHinny gli mostrò la sua invenzione anti-pirata ormai prossima alla completa ricostruzione, Tre quarti del lavoro erano già stati svolti. Trent, in pace col cosmo intero, lo elogiò a tal punto che l'ingegnere parve quasi soddisfatto. I nuovi membri dell'equipaggio erano stati messi al lavoro... aveva provveduto il secondo... e guardavano Trent con rispetto e fiducia soddisfacenti. Trent lavorò duramente nella sala di comando su un problema matematico. Era difficile. Voleva ritrovare l'Hecla. Il cervello elettronico dello Yarrow aveva la registrazione di tutte le rotte, velocità e distanze dalla partenza dell'altro mercantile dal suo pianeta. Lo Yarrow poteva raggiungere, con una buona approssimazione, il punto in cui aveva lasciato l'Hecla. Ma l'Hecla non era più là. Era stata inviata lungo una rotta che Trent aveva annotato, servendosi del motore Lawlor. Ma una vera precisione, nelle posizioni degli oggetti nello spazio, era fuori discussione, E comunque, nessuno avrebbe potuto dire quale fosse il significato della parola precisione. Un tentativo di determinare una rotta con una certa precisione comportava la posizione e il movimento del sole locale... il sole dal cui sistema un'astronave era partita... la velocità individuale, in tre dimensioni, rispetto al movimento dell'astroporto di partenza, un calcolo esatto del funzionamento del motore, la massa totale dell'astronave e del carico, e qualche dozzina di altri fattori. E, partendo da questi dati, c'era il problema del ritrovamento dell'Hecla. Alla fine Trent calcolò un cono di probabilità. L'Hecla doveva trovarsi all'interno di quella immaginaria figura geometrica che abbracciava una certa porzione di spazio. Se ne usciva, le possibilità di ritrovamento diminuivano ancora. E poteva darsi che l'Hecla fosse in costante accelerazione.
Fece del suo meglio, poi andò a controllare lo svolgimento delle esercitazioni di combattimento. Tutto bene. Aggiunse qualche altro particolare. Uno dei nuovi acquisti diede un suggerimento. Era buono. Trent lo inserì nelle istruzioni. Sembrava sempre di più che Trent si stesse preparando a una carriera piratesca. Due giorni dopo la partenza sospese le esercitazioni con le armi per spostare il carico. Fece stivare la merce di valore relativamente basso a prua. La ragione, naturalmente, era costituita dal fatto che i pirati avevano e usavano un cannone. Trent aveva visto uno dei proiettili nella sala macchine dello Hecla. Aveva attraversato lo scafo esterno e interno del mercantile, ma aveva provocato all'interno danni minimi. Aveva spostato il carico in modo che un proiettile sparato da una posizione immediatamente davanti al mercantile avesse dovuto perforare non solo i due scafi dello Yarrow, ma anche numerose balle di merce, prima di poter fare qualche danno. Questo implicava, naturalmente, il fatto che lo Yarrow avrebbe dovuto avanzare direttamente su qualsiasi avversario munito di cannane, in eventuali combattimenti. Il secondo annuì nuovamente, ma la sua mente non riusciva ad afferrare il concetto di Trent altrove e di se stesso al comando dello Yarrow. Non riuscì ad afferrarlo neppure quando, osservando le annotazioni sul giornale di bordo della sala di comando... del tutto indipendente dalle registrazioni della sala macchine... trovò alcune righe scritte di pugno di Trent. "11-4-65 8 o.d.b. Conformemente agli accordi presi con gli armatori, lo Yarrow si trova ora impegnato in una operazione di ricupero a tasso stabilito fino al ritorno in porto commerciale". Era un atto coscienzioso, da parte di Trent. Passarono quattro giorni. Cinque. Sei. Trent fece uscire lo Yarrow dall'iperspazio. Le stelle furono una visione gradita a tutti. Lanciò un impulso radar d'emergenza. Uno. Attese mezz'ora. Niente di ritorno. Nell'iperspazio, modificò la posizione dello Yarrow. Poi lanciò di nuovo un impulso radar. Fu spiacevole. A bordo dello Yarrow, tutti provarono le sensazioni che accompagnavano i tuffi da e nell'iperspazio due volte in ogni mezz'ora. Dopo qualche tempo, i muscoli dello stomaco di ogni membro dell'equipaggio cominciarono a dolere per i crampi che ogni volta accompagnavano la sensazione di nausea. Su alcune astronavi, sotto alcuni comandanti, le proteste si sarebbero sprecate. Sullo Yarrow sotto Trent non ci furono proteste, ma solo domande angosciate sul periodo in cui si sarebbe protratta quella tortura.
«Sto cercando qualcosa,» disse amabilmente Trent. «Quando la troverò, allora avrò finito.» L'interrogante, un uomo dell'equipaggio, fu soddisfatto, anche se piuttosto infelice. Passò parola agli altri membri della ciurma. Le ipotesi sull'oggetto della ricerca di Trent si sprecarono. Era opinione generale che dovesse trattarsi di un'astronave, della cui rotta e probabile posizione Trent doveva essere informato. Ma, stabilito questo, le ipotesi andavano dall'incrociatore che trasportava coloni, donne incluse, alle loro nuove destinazioni, al trasporto bancario carico di metalli rari per bilanciare i conti finanziari tra i diversi sistemi stellari. Ma nessuno immaginò che si potesse trattare dell'Hecla. Però si trattava dell'Hecla. Naturalmente! Ma il ritorno di un impulso radar venne soltanto dopo molto tempo e molti falsi allarmi dalla domanda di quel membro dell'equipaggio. Quando l'impulso radar tornò indietro, lo Yarrow si diresse verso il punto in oggetto. Questo, evidentemente, doveva trovarsi nello spazio normale, tra le stelle. Pensando alle miglia percorse, la distanza era banale. Ma Trent doveva non soltanto raggiungerlo, ma calcolare la velocità di fuga e di avvicinamento. Ed era un problema faticosissimo. Ma finalmente anch'esso fu risolto. E finalmente lo Yarrow si trovò accanto all'Hecla, e Trent varcò l'abisso di vuoto che separava i due scafi. Una volta arrivato, strisciò lungo lo scafo dell'Hecla fino a raggiungere il portello che aveva lasciato aperto pochi giorni prima. Entrò e si tolse la cintura di sicurezza. Il portello si chiuse. Dopo qualche minuto l'Hecla smise di accelerare e lo Yarrow balzò avanti e il secondo fu costretto a tornare indietro e ad affiancarsi nuovamente al relitto. Poi ci fu una serie di complicate ed elaborate manovre. Finalmente i due scafi si toccarono. Le porte delle stive si aprirono, l'una di fronte all'altra. Il carico dello Yarrow salì a bordo del relitto. Gli uomini percorsero lo Hecla, cercando i punti in cui i proiettili erano penetrati. Bisognava provvedere. L'attività si sviluppò violentemente in diverse direzioni. A bordo dell'Hecla salirono contenitori di ossigeno, l'equipaggiamento di polizia acquistato su Dorade: esplosivi, bombe incendiarie, e inoltre, cibo e acqua. Trent ritornò a bordo dello Yarrow per un'ultima consultazione col secondo. «Ti dirigerai verso Sira,» ordinò. «Non abbiamo consegnato tutto quello, che avevo venduto su Sira. Potrai provvedere tu a questo. Poi puoi andare su Manaos. Qui ci sono gli elenchi delle merci e dei prezzi. Puoi scaricare
questa roba a questi prezzi. Capito?» Il secondo annuì. «Se va tutto bene,» gli disse Trent. «Ti raggiungerò su Manaos. Mi puoi aspettare lassù per tre settimane. Poi, se vuoi, puoi venirmi a cercare qui.» Indicò una zona su una carta tridimensionale di quel settore delle Pleiadi. «Se non ci trovi in un periodo ragionevole, torna su Manaos. Forse ce l'avremo fatta. Se non ci saremo, tu diventerai il comandante dello Yarrow. In questo caso, sta' attento a McHinny. Le sue intenzioni sono buone, ma è stupido. Non accettare mai i suoi consigli!» Il secondo annuì di nuovo. Aveva un'aria particolarmente infelice. Poco dopo, lo Yarrow cominciò ad allontanarsi dall'Hecla. Il panciuto mercantile sembrava intatto, ma non lo era. Il sistema di iperpropulsione era fuso, e il motore Lawlor poteva funzionare solo in caso di assoluta emergenza. Era privo d'atmosfera e sullo scafo si aprivano grossi buchi di proiettili. Lo Yarrow entrò nell'iperspazio. Svanì. L'Hecla rimase sola. In un certo senso, l'intera faccenda somigliava stranamente a un altro episodio, quando una goletta di un'epoca remota era stata trovata da un capitano Trent di una epoca remota, sforacchiata da palle di cannone, con l'albero maestro spezzato e le scialuppe di salvataggio perdute. Era accaduto in un oceano nel quale il capitano Trent era terribilmente malvisto, tanto che una nave da guerra era stata inviata appositamente alla sua ricerca, e non certo con intenzioni amichevoli. Ma quel capitano Trent era salito a bordo del relitto con alcuni membri della sua ciurma, mentre la sua nave era salpata lasciandolo ad affrontare come poteva la situazione. Era una situazione molto simile, tranne che per il fatto che il capitano Trent dello Yarrow si trovava a bordo di un relitto dello spazio, e la nave che voleva trovarlo con feroce determinazione era una nave pirata ormai quasi pronta a riprendere la sua attività professionale. CAPITOLO IV. Non c'erano fiamme ossidriche che brillavano durante la riparazione dell'Hecla. Non c'era nulla che le stelle curiose potessero vedere. Semplici sigilli di plastica avrebbero chiuso le falle che si aprivano nello scafo, ma per il momento Trent proibì anche questo. Tutte le altre riparazioni procedettero regolarmente. Non c'era motivo per far muovere le astroscialuppe dalle loro basi. Non c'era motivo per fare delle riparazioni visibili sullo
scafo dell'Hecla. L'astronave galleggiava apparentemente immobile in quel vuoto e silenzioso e remoto abisso che si stende tra le stelle. Che nuovi contenitori d'ossigeno fossero stati portati a bordo, strumenti, cibo, acqua e diversi strani dispositivi progettati per il servizio di polizia planetario; che queste cose, prima assenti, fossero ora presenti sul relitto, non poteva venire scoperto dall'esterno. L'Hecla galleggiava immobile e panciuta, goffa, incredibilmente rassegnata al suo destino. Le stelle la contemplavano senza interesse né curiosità. Trent isolò alcuni compartimenti dell'astronave, li riempì d'atmosfera presa dalle riserve dell'Hecla, e mise al lavoro i suoi uomini sul sistema di iperpropulsione. A sua volta riparò brillantemente un cavo spezzato nel motore Lawlor. Inoltre, con cura minuziosa, registrò sul giornale di bordo ogni atto compiuto dopo la rioccupazione del relitto. In complesso, non fu una faccenda molto difficile. Centinaia di astronavi nello spazio avevano avuto incidenti al sistema di iperpropulsione e l'avevano riparato nel corso di viaggi perfettamente legali. Migliaia avevano avuto guasti al motore Lawlor, ma come tutte le scoperte incredibilmente difficili il principio di quegli inarrivabili motori era così facile che nessuno si sentiva incapace di riparare qualsiasi guasto in qualsiasi momento. Trent si occupò di un certo numero di arrangiamenti scenici, però. L'equipaggio reclutato su Sira, e destinato all'Hecla, nutriva aspirazioni e speranze piuttosto inconsuete. Là nello spazio quegli uomini si aspettavano di trovare nuove emozioni, e sarebbe stato controproducente metterli al lavoro per un'operazione di ricupero alquanto diversa dalle solite, ma niente affatto pericolosa. E così Trent si occupò della regia. Fece circolare l'atmosfera solo in alcune sezioni della astronave. Il resto rimase come prima, privo d'aria e bucato dai proiettili. Con incredibile pignoleria guidò i suoi seguaci, due per volta, nelle sezioni dell'astronave meno usate, e che ora erano prive d'atmosfera. Gli uomini impararono a muoversi ovunque, attraverso i portelli a tenuta stagna, attraverso il dedalo di macchinari, fino a quando furono capaci di spostarsi in qualsiasi punto dell'astronave senza percorrere le sezioni di comune impiego. E in quelle occasioni Trent ordinò a tutti di portare delle armi leggere. Molto era dovuto alla finzione scenica, ma questo non era l'unico motivo. Trent doveva prendere in considerazione ogni possibilità. Non era del tutto sicuro del fatto che la nave pirata che aveva attaccato l'Hecla fosse stata distrutta. Si preparava a ogni possibile apparizione, affascinando i suoi uomini con la prospettiva di passare all'azione. Impararono e studia-
rono mille tattiche di battaglia, pensando di partecipare a chissà quale sordido attacco, e così facendo preparandosi a venir attaccati. Se la nave pirata fosse apparsa, Trent e i suoi uomini sarebbero stati pronti. In caso contrario, lui avrebbe mantenuto lo stato di allarme finché non avessero toccato terra, e allora un ragionevole compenso per il lavoro svolto e i disagi subiti avrebbe accontentato tutti. Una volta terminata la missione, non avrebbe avuto il dovere di spiegare il motivo delle precauzioni da lui prese. Nella faccenda entravano però alcune questioni personali. Aveva tirato fuori Marian Hale da una situazione molto spiacevole. Però nelle relazioni tra uomini e donne esiste qualcosa che obbliga un uomo, il quale abbia fatto un favore a una donna, a fargliene un altro, un altro ancora, e così all'infinito. Trent aveva deciso di ricuperare l'Hecla da quando la nave pirata era scomparsa nell'iperspazio, con il mercantile rimasto impotente nello spazio. Se Marian fosse stata un uomo, magari anche l'armatore dell'Hecla, Trent avrebbe potuto ammettere sinceramente le sue intenzioni e magari avrebbe discusso dei metodi e dell'economicità del lavoro. Ma una volta salvata Marian dai resti dell'Hecla, se i loro rapporti fossero diventati un contatto di reciproca e sincera amicizia, lui avrebbe dovuto compiere il ricupero al semplice prezzo di costo, perché la nave apparteneva al padre di Marian. Il fatto era illogico, ma era pur sempre un fatto. Passò un giorno di bordo. Un altro, poi un altro ancora. Il ripristino del sistema di iperpropulsione proseguì con soddisfacente continuità. In parte per motivi scenici, certo, ma in parte anche per motivi più solidi, Trent affidò ai suoi uomini la sorveglianza di certi strumenti, in ogni istante del giorno e della notte. Il radar dell'Hecla rimase inattivo. I suoi impulsi avrebbero potuto essere riconosciuti per quello che erano. Il segnale di riconoscimento iperspaziale non era neppure in discussione. Avrebbe potuto essere scoperto a una distanza molto maggiore della portata di un radar. Ma Trent tenne impegnati al massimo gli strumenti di avvistamento radar. Lo avrebbero avvertito immediatamente se qualcuno avesse colpito l'Hecla con un singolo impulso radar, come aveva fatto lui stesso quando aveva cercato il relitto. Stelle, nebulose e galassie splendevano intorno a quella che sembrava una sfera oscura, al cui centro si trovava l'astronave. Quel panciuto mercantile non esternava il minimo segno di vita. Galleggiava nel vuoto. Ed era tutto. Se osservato da una posizione fissa... e questo era impossibile, tra le stelle... il mercantile avrebbe rivelato un lieve movimento pendolare della prua. Ma neppure questo significava nulla. A
cento iarde di distanza, qualsiasi astronave avrebbe considerato l'Hecla un relitto assolutamente privo di vita. Ma Trent si preoccupava del fatto di doversi o meno preoccupare. E non poteva risolvere questo dubbio. Se la nave pirata era sopravvissuta, poteva essere seriamente danneggiata, o poteva essere rimasta quasi intatta. Se era rimasta seriamente danneggiata, lui non doveva preoccuparsi. In caso contrario, i danni avrebbero potuto convincere i pirati a ritornare alla loro base, oppure no. Se i pirati si erano diretti alla loro base, lui non doveva preoccuparsi. In caso contrario, i pirati avrebbero potuto mettersi alla caccia di un'astronave che avevano già trasformato in un relitto... l'Hecla... oppure no. Se i pirati non erano partiti alla caccia dell'Hecla, lui non doveva preoccuparsi. In caso contrario, avrebbero potuto trovare l'Hecla, oppure no. E se l'avessero trovata, avrebbero potuto fermarsi a buona distanza e bombardare di proiettili il relitto già bucherellato fino a quando anche la più remota possibilità di trovarvi una traccia di vita non fosse scomparsa. E sarebbe scomparsa. Così fu con preoccupazione che udì lo spaziale addetto alla sorveglianza radar annunciare, con voce incerta: «Signor capitano, mi è sembrato che un impulso radar ci abbia colpito in questo momento. Ma è stato uno solo.» Trent sospirò profondamente. «E così doveva essere. Continua la sorveglianza.» Parlò nel microfono collegato con tutti i punti d'ascolto. «Attenzione! Attenzione! Abbiamo visite in arrivo. Tutti gli uomini ripuliscano la nave. Fate sparire ogni cosa venuta da Sira. Indossate le tute.» Iniziò un'ondata di attività; gli uomini cominciarono a muoversi e a lavorare in tutta l'astronave. Alcuni indossarono subito le tute spaziali, poi si dedicarono a elaborati processi di pulizia generale. Altri ripulirono i pavimenti prima di indossare le tute spaziali. Altri fecero sparire munizioni e armi leggere. Altri ancora trascinarono faticosamente contenitori di ossigeno, di acqua e cibo provenienti dallo Yarrow. L'equipaggiamento di polizia che Trent aveva portato da Dorade e che gli uomini conoscevano ormai alla perfezione fu nascosto. Trent andò in sala macchine, dove i lavori di riparazione del sistema di guida iperspaziale stavano continuando. Stimò la quantità di lavoro che ancora rimaneva da svolgere. Disse, seccamente: «Se ci avessero lasciato soltanto altre due ore!»
L'uomo lasciato di sorveglianza al radar chiamò: «Capitano, un altro impulso. Qualcuno sta venendo da questa parte!» «Logico,» fece disgustato Trent. Aggiunse, per gli uomini che si trovavano in sala macchine. «Continuate il lavoro, ma tenete pronte le vostre tute. Cercate di far presto. È un maledetto contrattempo!» Fece un giro d'ispezione dell'astronave, seguito dallo sguardo interrogativo dei suoi uomini. Uno di loro disse, in tono speranzoso: «Sa di chi si tratta, signore?» «Dei pirati, spero,» disse cupamente Trent. «Quelli che hanno saccheggiato astronavi in tutte le Pleiadi. Forse non si tratta di una sola astronave. In questo caso, quella che sta arrivando è quella che ha ridotto così l'Hecla. Sta arrivando, e noi non siamo pronti!» Poi disse, bruscamente. «Guarda qui! Non sembra affatto una nave abbandonata. Fa' sparire questa roba!» Qualcuno raccolse delle coperte che erano state stese per terra, e che non erano certamente oggetti consueti in una nave, per di più abbandonata, e le fece sparire. «Aprite il portello della stiva,» ordinò Trent. «L'abbiamo lasciato aperto. Controllate che tutto sia a posto! Poi tenete pronte le armi, occupate i vostri posti e sparite!» Si udirono mille rumori soffocati. Con efficienza, gli uomini di Trent si dedicarono al completamento del compito più insolito che mai fosse stato affidato a un equipaggio di spaziali: trasformare un'astronave abitata e nella quale avvenivano lavori di riparazione in un relitto deserto da molto tempo. Gran parte dell'astronave non aveva bisogno di particolari attenzioni. Trent aveva fatto nuovamente circolare l'atmosfera nelle sezioni strettamente necessarie alle riparazioni dei motori Lawlor e dell'iperpropulsione, oltre a uno spazio vitale ragionevolmente limitato. Un'altra chiamata dalla sala di comando: «Un altro impulso radar, signore! Molto forte!» «Tutti gli uomini indossino le tute,» ordinò Trent. L'aveva già ordinato prima. Disse ai due uomini che lavoravano ancora sull'impianto di iperpropulsione. «Adesso facciamo uscire l'atmosfera. Continuate a lavorare nelle tute fino a quando potete. E poi sparite!» Controllò personalmente ogni spaziale, mettendo in evidenza che era necessario chiudere tutti i microfoni interni delle tute. Era desiderabile, però, mantenere in funzione i ricevitori. Poi si diresse verso la sala di comando. Di là poteva sorvegliare attraverso gli oblò le mosse della nave che si avvicinava. L'Hecla, evidentemente, non possedeva un armamento migliore
di quando la nave pirata l'aveva bloccata per la prima volta. Fino a che le riparazioni non fossero state completate, il sistema di iperpropulsione non avrebbe potuto funzionare, e se e quando fosse stato riparato, la nave pirata avrebbe potuto farlo saltare immediatamente. Trent fece uscire l'aria da tutte le sezioni dell'astronave nelle quali aveva fatto nuovamente circolare l'atmosfera. L'astronave fu priva di aria, un relitto, proprio come doveva apparire. Poi cominciò l'attesa. In un solo caso un uomo che si trova nella sala di comando di un'astronave tra le stelle può vederne un'altra. Normalmente, le astronavi nello spazio si trovano in iperpropulsione e si muovono troppo velocemente per essere viste, anche se l'iperpropulsione lo permettesse. È impossibile che due astronavi si trovino, in un punto precedentemente stabilito, a meno di qualche centinaio di milioni di miglia l'una dall'altra. Il punto d'incontro, per esempio una stella, è soggetto a variazioni dell'ordine infinitesimale, che però impediscono che le due astronavi si trovino anche a distanza di segnalatori. L'unico modo in cui una astronave può vederne un'altra è costituito da un colpo di fortuna. Più esattamente, quando un'astronave capta il segnale di un'altra che si trova nell'iperspazio, invece che allontanarsi, come vuole la prassi, può convergere sulla rotta dell'altra. Se riesce ad avvicinarsi abbastanza, guidata dall'ipersegnalatore, uno dei due sistemi di iperpropulsione salta. Allora la nave rimasta intatta può uscire nello spazio normale e rintracciare l'altra servendosi del radar. Ma questo procedimento è abituale soltanto ai pirati e ai corsari. Gli onesti astronauti lo evitano come la peste. Ma Trent, a bordo dell'Hecla, nello spazio profondo, vedeva un'altra astronave. Prima giunsero a intervalli decrescenti degli impulsi radar. Poi ci fu qualcosa che fece scomparire una stella per un istante, poi un'altra e un'altra ancora. Poi fu un continuo luccichio, e finalmente una forma oscura si avvicinò rapidamente, aumentando di dimensione. Il ricevitore spaziale ruggiva, e all'interno della tuta Trent poté ascoltare, per induzione. Nella sala di comando non c'era aria, per trasmettere i suoni. Non c'era aria da nessuna parte, tranne che nei serbatoi di riserva. «Chi siete?» Trent, naturalmente, non rispose. La chiamata fu ripetuta. «Chi siete?» domandò la voce proveniente dall'altra astronave, «Rispondete se non volete sopportare le conseguenze! Vi prenderemo a cannona-
te!» Trent attese. Non si aspettava un bombardamento. Sarebbe stato del tutto inutile. Provava un senso di distaccata attesa che, ma lui non poteva saperlo, somigliava molto alle reazioni di un suo antenato di alcuni secoli prima. Quell'altro capitano Trent aveva avuto accanto a sé un mezzo barilotto di polvere, e al momento giusto avrebbe acceso una miccia e lo avrebbe scaraventato nel bel mezzo di un gruppo di uomini armati che erano entrati a viva forza in un luogo che non apparteneva loro. Anch'egli aveva aspettato il momento con calma distaccata. Ma il capitano Trent dello Yarrow e dell'Hecla aveva molto di più da attendere. L'altra astronave si avvicinò e Trent vide ciò che soltanto le vittime precedenti dei pirati avevano potuto vedere con chiarezza. Vide la nave pirata alla luce delle stelle. Aveva un aspetto mortale. Girò attorno all'Hecla, e Trent poté vedere le saldature e le riparazioni che coprivano lo scafo della nave. Era senza ombra di dubbio l'astronave che lo Yarrow aveva speronato, riparata nello spazio da uomini che meritavano credito per quel lavoro. Ma a parte quello, non erano certo da ammirare. Girò nuovamente attorno all'Hecla. I pirati videro che il portello di destra era aperto. Nessuna astronave con uomini a bordo avrebbe avuto un portello aperto sullo spazio. Ma se un'astronave veniva abbandonata, l'ultimo ad abbandonarla ben difficilmente si sarebbe preoccupato di chiudere una porta di quel genere dietro di sé. Era una visione convincente. La nave si fermò, apparentemente, a mezzo miglio di distanza. Poi sembrò indietreggiare, e poi la posizione fu nuovamente corretta, e passò molto tempo prima che le due astronavi galleggiassero nello spazio quasi completamente immobili, l'una vicina all'altra. Poi si aprirono le "sacche" nelle quali si trovavano le astroscialuppe. Due astroscialuppe ne uscirono e si diressero verso l'Hecla. Trent mormorò qualcosa nel suo microfono. La comunicazione non sarebbe uscita dall'astronave. «Scialuppe in avvicinamento,» disse brevemente. «Non potrò più usare questo microfono dopo l'abbordaggio, altrimenti mi sentiranno. State pronti a eseguire i miei ordini, quando li impartirò.» Silenzio. Poi un fragore. Trent l'udì attraverso il metallo, per induzione, mentre percorreva il dedalo di passaggi del cui uso aveva istruito i suoi uomini. Appoggiò l'elmetto alla parete. Sì. Un'astroscialuppa era giunta sul
portello aperto. Udì il rumore di passi pesanti. Degli uomini stavano entrando nell'astronave. La paratia stagna funzionava ancora, anche se non c'era più aria da tenere imprigionata. Entrarono degli altri uomini. La seconda astroscialuppa galleggiava a poca distanza, in attesa che quelli della prima riferissero che tutto era tranquillo. Trent rimase completamente immobile, in ascolto. Si trovava in uno stretto passaggio che serviva a girare attorno alle stive dell'Hecla. Udì che i nuovi arrivati ispezionavano l'intera astronave. La sala di comando... senza aria. La sala macchine... senz'aria. Gli uomini che stavano riparando il sistema di iperpropulsione si erano eclissati, naturalmente. Avevano lasciato le bobine come se nessuno le avesse mai toccate, dopo l'incidente. Ma si trovavano in uno stretto passaggio, dietro alla sala macchine. I pirati entrarono nei quartieri dell'equipaggio, e li trovarono senz'aria, ripuliti e ordinati, proprio come erano stati quando l'Hecla era stata un'astronave mercantile con l'equipaggio e il carico al completo, in rotta tra i mondi delle Pleiadi. Ma allora, certo, all'interno c'era stata atmosfera. Si udirono delle voci nel ricevitore della tuta di Trent. I pirati riferivano di avere trovato vuoto il mercantile. Un uomo raggiunse il portello a tenuta stagna per aprirne anche la paratìa esterna, in modo di poter trasmettere all'altra astroscialuppa che tutto andava bene. Qualcuno cercò di usare l'impianto di comunicazione spaziale dell'Hecla per chiamare la nave pirata, in attesa a oltre mezzo miglio di distanza. Ma non c'era aria, e i suoni non potevano arrivare al microfono. «Forse un proiettile ha rotto un filo,» disse una voce autoritaria. «No!» disse un'altra voce. «Niente aria.» Poi un'altra Voce disse: «Nemmeno passeggeri.» Poi diverse voci riferirono: «Tutto libero a poppa.» «Nessuno a bordo.» «Tutto in ordine. Mi sembra che ci sia un po' d'aria a poppa, ma non ne sono certo.» La voce autoritaria disse: «Un po' d'aria a poppa? Guarda se riesci a ristabilire la pressione. Forse a poppa non ci sono falle.» Ascoltando tranquillamente, Trent sentì che l'interno dell'Hecla era diventato un luogo molto movimentato. I pirati giravano avanti e indietro, erano dappertutto e si scambiavano commenti via radio, ma non c'era alcun
motivo di sospetto. I commenti cessarono di riguardare le condizioni dell'astronave, e cominciarono a convergere sull'apparente lusso e sulla ricchezza delle riserve di cibo, e sulle stive che traboccavano letteralmente di merce, e così via. La voce autoritaria disse: «Fate venire l'altra scialuppa. Fate riferire alla nave che qui tutto è a posto, tranne il comunicatore spaziale. Quello funzionerà quando ci sarà di nuovo aria.» Trent rimase immobile, ascoltando con soddisfazione l'arrivo dell'altra astroscialuppa e dei suoi uomini. I serbatoi delle tute dei suoi uomini avevano un'autonomia di due ore buone. Stimò che lui e i suoi potevano restare nascosti tranquillamente, mentre i pirati la facevano da padroni a bordo dell'Hecla. Se poi la nave pirata accostava per ricevere a bordo il carico, nella convinzione di avere l'ormai assoluta padronanza dell'Hecla... Sfortunatamente, non andò così. Dopo pochi minuti dall'abbordaggio, i pirati avevano dimostrato al di là di ogni dubbio che l'Hecla era vuota di occupanti come di aria. Non c'erano stati dubbi sin dall'inizio. Doveva essere così! La seconda pattuglia di pirati entrò dalla stessa strada. I pirati... e questo sbalordì Trent... si misero al lavoro, turando le falle, riparando i danni provocati dal cannone, cercando di creare le condizioni per immettere nuovamente atmosfera. Ci volle un tempo considerevole. Poi i pirati aprirono le valvole dei serbatoi di riserva e riempirono d'aria l'astronave. L'Hecla si riempì di atmosfera respirabile, gelida, a causa della sua espansione dall'incredibile pressione dei serbatoi a quella di quattordici libbre per pollice quadrato, ma del tutto respirabile. E poi gli uomini che si credevano i nuovi proprietari dell'Hecla uscirono allegramente dalle loro tute spaziali e cominciarono a cercare gli oggetti di valore. Alcuni entrarono nelle stive e cominciarono ad aprire casse a casaccio. Questo non sarebbe stato molto comodo, con indosso le tute spaziali. Altri andarono nei quartieri dei passeggeri. Rimasero delusi nella loro ricerca di bottino, in quella sede, perché se il commercio all'interno delle Pleiadi era stato ridotto del novanta per cento, la diminuzione del traffico dei passeggeri era stata anche superiore. Ma la voce autoritaria grugnì qualcosa. Nominò due uomini e ordinò loro di scendere in sala macchine. Dovevano esaminare attentamente le bobine del sistema d'iperpropulsione. Inoltre, dovevano constatare l'entità dei danni prodotti al motore Lawlor.
Ascoltando, in attesa, Trent sentì il desiderio di bestemmiare. Aveva avuto grandi speranze. Ma chiunque avesse esaminato le bobine del sistema di iperpropulsione avrebbe notato che erano state quasi del tutto riparate. Una semplice occhiata al motore Lawlor avrebbe mostrato che esso era stato usato di recente. Quell'ordine significava che i pirati non volevano soltanto depredare e abbandonare il mercantile, ma che volevano usarlo. Magari, anche trasferirsi su di esso. C'era una sola cosa da fare. Parlò nel microfono del casco. I suoi uomini potevano sentirlo. I pirati che non indossavano le tute non potevano captare il messaggio. Disse: «Andiamo!» Poi apparve improvvisamente nei quartieri dell'equipaggio, dove due pirati sobbalzarono visibilmente e fecero per fuggire, in preda al panico che prende uomini che hanno abbandonato le loro armi con le tute, e devono affrontare un uomo che non le ha abbandonate. Trent si servì di un'arma da polizia. Era necessario per lui e per i suoi uomini di vincere, nel corso dell'imboscata che avevano teso ai pirati. Così quando Trent schiacciò il pulsante delle pistole a gas che portava alla cintura, esse non emisero fiamme o pallottole termiche. Emanarono nuvole di denso gas, una cortina fumogena combinata con i tipi più efficienti di gas lacrimogeno e starnutatorio. Nessuno avrebbe potuto sfidare quell'insidia. I due pirati caddero e cominciarono a contorcersi, in preda a convulsi starnuti che non erano assolutamente in grado di fermare. Le lacrime uscivano copiose dai loro occhi. Trent provò una stretta di delusione. Erano pirati, e quelli, in particolare, avrebbero assassinato Marian come già avevano assassinato molti altri. Ma invece di essere catturati in una battaglia aperta, lui li aveva intrappolati come topi ed essi erano indifesi e impotenti come semplici delinquenti nelle mani della polizia planetaria. «Come va?» domandò Trent, via radio. Si udì uno schianto, e una voce grugnì in tono soddisfatto: «Non c'è male! Questo è sistemato!» Si udirono altri suoni confusi. Trent, furioso a morte, udì il suono di piedi in corsa trasmesso dal materiale di una tuta al microfono all'interno del casco del proprietario della tuta stessa. Capì che il proprietario della tuta stava inseguendo qualcuno. Un'altra voce disse allegramente: «È mio!» Poi altrove... poteva orizzontarsi solo dal timbro diverso delle voci... un uomo imprecò e ansimò, e si udì il secco rumore di qualcosa, e dopo, solo
ansimare. Ma da qualche parte un'arma mortale crepitò, e si udì un ruggito, e Trent capì che un compartimento, laggiù, ovunque fosse, veniva inondato dal gas, e un uomo che aveva tentato di uccidere con un'arma comune era stato sconfitto dal suo stesso corpo, ed era costretto a starnutire e starnutire mentre i suoi occhi lacrimanti cercavano nella fitta nebbia che lo circondava un altro bersaglio. E Trent udì l'arma cadere, quando delle convulsioni di starnuto ancora più spasmodiche si impadronirono del disgraziato. Fu un conflitto incredibilmente deludente. La delusione di Trent era diffusa anche tra i suoi uomini. Si erano allenati, avevano fatto pratica, avevano faticosamente studiato ogni tattica di guerriglia nella giungla d'acciaio costituita dalle parti meno usate di un'astronave. Potevano, ne erano convinti, affrontare un nemico dieci volte superiore, in quel particolare campo di battaglia, e uscire dallo scontro vittoriosi. Ma, invece, avevano usato gas tossici in dotazione alle forze di polizia planetaria, creati per sedare rivolte, e non provavano più soddisfazione di quanta ne avrebbero provato sterminando un nugolo di fastidiosi insetti con nubi di insetticida. Presero uno per uno i pirati, che si contorcevano ancora in preda a incredibili parossismi di starnuti, e con disprezzo li ammucchiarono insieme, compatendoli per la loro ingloriosa fine. Più tardi li legarono, senza neppure quel rispetto astioso che si può provare per un borsaiolo catturato dopo un combattimento leale. «Adesso,» disse Trent, «c'è la nave pirata. Tenete le tute. Abbiamo preso questi tipi perché si erano messi comodi. Non vogliamo che quello che è capitato a loro succeda anche a noi. Cacciateli in qualche compartimento e chiudeteli sotto chiave. Dobbiamo allontanarci dalla loro nave.» Aggrottò le sopracciglia. Le cose non erano andate secondo i piani. Aveva pensato di far uscire i suoi uomini dai nascondigli quando la nave pirata e l'Hecla si fossero trovate in contatto per il trasferimento del carico. Aveva pensato a una completa sorpresa, e alla possibilità di catturare la nave pirata abbordandola... un abbordaggio dal nulla, mortale, in uno stile di lotta del quale i pirati non potevano sapere assolutamente nulla. Uno dell'equipaggio disse piano, via radio: «Non è stato molto difficile, capitano. Dobbiamo tornare al lavoro sulle bobine dell'iperpropulsione?»
Per molto tempo le due astronavi galleggiarono nello spazio, separate da non più di mezzo miglio. Nulla accadde, visibilmente. Il muso dell'Hecla fu puntato successivamente su una stella di ottava grandezza e poi su un punticino rosso a mezza via tra le Pleiadi e la nube galattica, e infine verso una stella verde dalla luce vivida. I movimenti del suo asse, verso soli remoti e impassibili, non avevano alcun significato. La nave pirata seguiva il mercantile in questi movimenti. Gli uomini rimasti a bordo della nave pirata aspettavano con impazienza che i membri delle pattuglie di abbordaggio riferissero i progressi nella riparazione del sistema di iperpropulsione e alcuni dati sull'entità del carico dell'Hecla. Poi avrebbero deciso se inviare l'Hecla alla base con un minimo d'equipaggio, o se arraffare il carico e lasciare il relitto al suo destino. Ma le informazioni non giunsero. La nave pirata chiamò via radio. Non giunse alcuna risposta. La nave pirata chiamò di nuovo. Nessuna risposta. Le astroscialuppe avevano riferito che tutto era andato come previsto e che gli equipaggi erano saliti a bordo. C'erano stati altri due rapporti. Ma ora non giungevano più notizie. I pirati aspettavano, impazienti. Le stelle guardavano dall'alto e dal basso, dagli incommensurabili abissi di vuoto nei quali galleggiavano. Da ogni direzione giungeva il loro sguardo impassibile. La nave pirata chiamò di nuovo. E di nuovo. Due terzi dell'equipaggio rimasto erano a bordo dell'Hecla. Avevano riferito che tutto era a posto. I pirati rimasti a bordo dell'astronave danneggiata costituivano soltanto uno scheletro di equipaggio, perché molti uomini erano morti quando lo Yarrow aveva speronato la nave pirata, e quasi tutti gli altri si trovavano a bordo dell'Hecla. L'astronave non poteva permettersi di mandarne altri a scoprire cosa era successo ai primi, e per quale motivo non rispondevano alle chiamate. L'Hecla era in mano loro. Era stata catturata e occupata. Ma non rispondeva alle chiamate! La reazione dei pirati non fu improntata all'ira. Fu quasi interamente stupore, stupore puro, attonito, superstizioso. Una cosa del genere non poteva accadere! Minuto dopo minuto, quarto d'ora dopo quarto d'ora, la nave pirata chiamò disperatamente, freneticamente i suoi uomini che avevano compiuto l'abbordaggio. Poi, improvvisamente, dall'Hecla uscirono fumo e vapori, lampi e nuvole di fumo denso. Il mercantile sembrò diventare il centro di una nube di vapore la cui esistenza era del tutto impossibile. La nuvola la celò quasi del tutto allo sguardo. Al centro di quell'incubo stellare avvennero lampi
ed esplosioni. E poi l'Hecla svanì. CAPITOLO V. Nella storia mai scritta della dinastia dei capitani Trent, non ci sono stati altri successi capaci di stare alla pari con questo. Naturalmente, questo perché nessun altro problema simile si era presentato in precedenza. L'Hecla era disarmata, tranne l'equipaggiamento leggero che anche un piccolo corpo di polizia di villaggio poteva possedere. Ma con esso Trent era riuscito a sfuggire alla nave pirata, che era stata riparata, con più di metà dei pirati prigionieri a bordo, senza essere inseguito, e senza neppure uno dei suoi uomini feriti. Ed era deluso, perché aveva sperato di catturare anche la nave pirata. Il vapore che aveva usato, era, ovviamente, tutta la atmosfera contaminata dai gas tossici dell'astronave, fatta uscire di colpo, con una nuova e robusta immissione di gas. I lampi erano stati provocati da bombe lacrimogene fatte esplodere sul lato dell'astronave nascosto alla nave pirata. E la scomparsa dell'Hecla era semplicemente dovuta al riattivato impianto d'iperpropulsione, messo a punto assieme al motore Lawlor mentre i pirati avevano rinnovato le loro disperate chiamate. L'elemento che i pirati non erano riusciti a comprendere era il vapore, senza dubbio. I gas liberati nello spazio fuggono in ogni direzione, verso il nulla. Ma si era vista una nube nello spazio. E i pirati non avevano pensato alla risposta: cioè, che quei gas tossici non erano vapori ma una sospensione di particelle ultramicroscopiche, che non si respingevano con la forza delle particelle gassose. Così l'astronave pirata era rimasta ferma, folgorata, a contemplare la nube di vapore che si trovava là dove era stata l'Hecla, e la nube cominciò a espandersi lentamente, a diradarsi, e infine scomparve. Quella nuvola, naturalmente, faceva parte di un altro espediente scenico. Il criminale medio è un individuo molto pratico, ma pauroso. Nutre una profonda diffidenza verso le cose che non riesce a comprendere, e Trent aveva organizzato una serie di avvenimenti che sarebbero stati inspiegabili per chiunque non avesse assistito ai preparativi. L'espediente scenico di Trent aveva confuso il comandante della nave pirata, e quando... incredulo e furioso, ed effettivamente preda di qualcosa di simile al timore reverenziale... quando il pirata finalmente si ricordò del segnalatore, e cercò di ve-
dere se per caso l'Hecla non fosse scomparsa nell'iperspazio, Trent aveva già compiuto il suo velocissimo tuffo nell'iperspazio, contando sullo sbalordimento dei pirati. Quando l'ipersegnalatore fu preso in considerazione dai pirati, Trent si trovava a migliaia di miglia di distanza, ma nello spazio normale, in osservazione, in attesa di un eventuale impulso radar. Quando i pirati inviarono un impulso radar, cercando una spiegazione alla mancanza di un campo iperspaziale nelle vicinanze, Trent era di nuovo nell'iperspazio, e seguiva una rotta completamente nuova. Poi, per un periodo abbastanza considerevole, Trent compì una serie di tuffi nell'iperspazio, e di riemersioni nello spazio normale. Mentre i pirati tentavano goffamente di rintracciare il mercantile fuggiasco, Trent adottò una tattica che i suoi antenati avevano messo in pratica con successo durante le ultime due guerre sulla Terra. Seguì una rotta a zig-zag, che ai tempi antichi era stata usata per sviare i sottomarini. Il capitano Trent dello Yarrow e dell'Hecla impiegò quella tattica per eludere i pirati dello spazio. Andò tutto bene. Al momento stabilito cominciò la discesa su Manaos, e al momento stabilito il campo di forza inviato dalla torre di controllo dell'astroporto afferrò l'Hecla e la condusse dolcemente a terra. E una volta giunto, Trent adottò i modi e gli atteggiamenti di un uomo d'affari. Agì con estrema ponderazione. Riferì alle autorità dell'astroporto di avere riportato a terra l'Hecla, della quale aveva effettuato il ricupero. L'astronave era stata attaccata dai pirati. Un completo resoconto degli eventi era stato registrato sul pianeta Sira. L'astronave era stata abbandonata dal suo capitano e dall'equipaggio perché era diventata un relitto, con il motore Lawlor e quello iperspaziale inutilizzabili, senza atmosfera, e il probabile ritorno dei pirati imminente. Anche questo era registrato su Sira. Lui, Trent, l'aveva trovata e l'aveva ricuperata. Ora l'affidava alla custodia della Corte dell'Ammiragliato di Manaos, avanzando regolare domanda di riconoscimento di ricupero dell'astronave e del suo carico. E poi con noncuranza accennò al fatto che in una stiva della sua astronave si trovavano dodici membri dell'equipaggio della nave pirata, i quali erano stati riforniti di cibo e acqua attraverso piccole aperture, dal momento della loro cattura in poi. Sarebbe stato lieto di venire sollevato dall'onere della loro custodia. E poi domandò se, per caso, la sua astronave, lo Yarrow, era arrivata a Manaos. Non era arrivata. La cattura dei pirati provocò grande entusiasmo su Manaos. Un importante spiegamento di polizia a bordo di automobili, con elicot-
teri che sorvegliavano le operazioni dall'alto, si recò all'astroporto a ricevere i prigionieri dalle mani di Trent. Le strade erano colme di folla, sul percorso delle forze dell'ordine. Una moltitudine di persone cercò di abbattere il recinto dell'astroporto, per osservare meglio, quando i poliziotti salirono a bordo dell'Hecla per prelevare i prigionieri. Trent e i suoi uomini li identificarono separatamente... avrebbero reso deposizioni formali in seguito... e poi lasciarono che i poliziotti li tirassero fuori dalia stiva. Dopo circa due settimane di prigionia non certo lieve, i prigionieri non erano particolarmente attraenti. Avevano la barba lunga, i vestiti in disordine, e ispiravano ribrezzo. Ma erano soprattutto carichi di un'espressione di sfida. Rabbiosamente, con voce stridula, annunciarono agli operatori della televisione che non sarebbero stati impiccati. I loro compagni e le altre astronavi pirate da quel momento avrebbero incominciato a radunare ostaggi per salvarli. Avrebbero catturato dozzine e dozzine di spaziali e di viaggiatori, e li avrebbero imprigionati. Se qualcosa fosse accaduto ai pirati prigionieri, molto di più e di peggio sarebbe accaduto ai prigionieri dei pirati. I mondi delle Pleiadi avrebbero avuto non meno di dodici abitanti uccisi per ogni pirata giustiziato. Sarebbero stati inviati dei documenti filmati sull'assassinio di alcuni prigionieri dei pirati, scelti come campioni, per documentare tutti i mondi delle Pleiadi sul destino che avrebbe atteso i loro figli se fosse stato torto un capello a uno solo dei pirati prigionieri. Queste parole di sfida, naturalmente, furono trasmesse in ripresa diretta su tutti i teleschermi del pianeta. Poi astronavi piccole e sottili decollarono e svanirono nell'iperspazio, portando con sé il carico più prezioso consentito alle loro dimensioni: notizie. Erano stati pagati così profumatamente per diffondere le notizie che i loro comandanti avevano accettato il rischio di essere presi prigionieri dai pirati. I dodici prigionieri vennero scortati, a bordo di un elicottero, in una prigione ufficiale, dato che le loro parole di sfida li avevano esposti al pericolo di un linciaggio, se fossero stati condotti per le strade. Poi la polizia dovette disporsi intorno all'Hecla per proteggere Trent dagli ammiratori e soprattutto dai giornalisti. Rimase praticamente assediato all'interno dell'Hecla per tre giorni. Poi il cordone di teleoperatori si diradò, perché gli uomini di Trent erano disseminati per la città ed erano una fonte di notizie migliore del loro comandante. Essi erano scesi dall'astronave con l'intenzione di spendere la loro
paga. Ma scoprirono di non poterci riuscire. Si trovarono circondati dappertutto da ammiratori che non avrebbero permesso loro di spendere un solo centesimo. La gente gioiva al pensiero che qualcuno era uscito vittorioso dallo scontro con una nave pirata, anche se la vittoria consisteva nell'essere fuggiti e nell'avere usato armi di polizia su una dozzina di pirati dell'equipaggio. Gli uomini che avevano ricuperato l'Hecla scoprirono di possedere innumerevoli amici desiderosi di offrire loro da bere e divertirsi in loro compagnia. Scoprirono anche di possedere un enorme fascino sulle signore che incontrarono nei paraggi dell'astroporto. Narrarono storie immaginose di pirati e prodigi di ardimento, e tutti si convinsero che l'epoca della pirateria era giunta alla fine. Trent aspettava lo Yarrow. Scoprì di essere meno popolare degli uomini del suo equipaggio. Loro, almeno, non dicevano nulla di scoraggiante a nessuno. Trent, invece, sì. Quando gli fu chiesto un parere sull'opportunità di inviare astronavi nello spazio, mise in evidenza che lui aveva sottratto a una nave pirata qualche uomo. Ecco tutto. Avrebbero potuto esserci molte astronavi pirate. Era propenso a credere, disse brevemente, che i pianeti di un certo gruppo stellare avrebbero dovuto collaborare nella creazione di una specie di esercito, allo scopo di rendere impossibile la pirateria. Non giudicava questa soluzione impossibile, diceva soltanto che l'avere ricuperato un mercantile attaccato dai pirati non significava che qualcuno decollasse di nuovo. Non ancora. La sua opinione era troppo sensata per diventare un buon servizio giornalistico. Durante la prima settimana della sua permanenza su Manaos, tre astronavi che erano rimaste fino ad allora a terra decollarono per cercare di riprendere le solite operazioni commerciali, a un prezzo più alto. Durante la seconda settimana, altre quattro astronavi partirono verso il nulla. Durante la terza settimana... quando Trent cominciò a preoccuparsi sulla sorte dello Yarrow... altre quattro astronavi decollarono. La stessa cosa senza dubbio stava accadendo in tutte le Pleiadi, man mano che la notizia della vittoria di Trent sui pirati si diffondeva. Questo lo angustiò. Quando finalmente lo Yarrow arrivò all'astroporto, molto dopo il tramonto, e con il secondo al comando, il secondo riferì, imperturbabile, di avere terminato gli scambi previsti da Trent su Sira. Era sicuro che avrebbe potuto concludere affari più vantaggiosi se non fosse stato per le notizie che minuscole astronavi stavano diffondendo in tutte le Pleiadi.
«Tutte le astronavi stanno decollando,» disse imperturbabile il secondo. «Stanno facendo una specie di gara di velocità, per raggiungere i mercati più vantaggiosi. Quella signorina... signorina Hale, ha trovato un passaggio a bordo del Cytheria, diretto prima a Midway e poi a Loren. Ha lasciato il pianeta lo stesso giorno in cui noi siamo partiti. C'è una lettera per lei.» La porse a Trent. Lui la lesse. Imprecò, furioso. Molto tempo prima, risalendo la dinastia dei capitani Trent, un certo capitano Trent, dopo una buona riflessione, aveva deciso di avere commesso un errore a proposito della giovane signora alla quale aveva detto compitamente addio poco prima, sul ponte di una nave posseduta dal padre di lei. Dopo averci pensato su, aveva deciso che la giovane signora non doveva, dopotutto, ritornare sotto la tutela del padre. Certamente, lui non avrebbe potuto esercitare una positiva influenza su di lei. Non era il compagno più adatto a lei. E senza dubbio non era qualificato a decidere su una questione dell'importanza della scelta del marito adatto alla giovane signora. Ed essendo giunto a queste conclusioni, quel capitano Trent immediatamente si era messo in mare per raggiungere l'altra nave. I soliti conservatori avevano detto che la sua mossa era stata molto azzardata, a causa della forza del vento. Ma era stato detto che quel capitano Trent non aveva concesso alcun indugio, tranne quello necessario a ricaricare i cannoni del suo veliero. Questo, comunque, ben difficilmente può essere considerato un parallelo delle azioni di Trent. I suoi motivi erano costituiti da una lettera educata e del tutto decorosa di Marian Hale. Caro capitano Trent, Sono appena venuta a conoscenza del suo meraviglioso successo nel ricupero dell'Hecla, strappata ai pirati che l'avevano abbordata, e del suo trionfale arrivo in porto a Manaos, con metà dell'equipaggio pirata in ceppi. Sono orgogliosa di conoscerla personalmente! Mi permetta però di suggerirle, la prego, di consentire a mio padre di farle un'offerta per il ricupero dell'Hecla. Non le frutterà certo meno della ricompensa della Corte dell'Ammiragliato, e le spese legali saranno di molto inferiori! Spero che vorrà acconsentire all'accordo e portare su Loren l'astronave. Sono ansiosa di fare in modo che mio padre la ringrazi per ciò che ha fatto per me, come io ora e sempre la ringrazio. Dato che la sua impresa ha reso nuovamente sicure le rotte
spaziali, parto per il mio pianeta su Cytheria, che decolla oggi per fermarsi prima su Midway e poi su Loren. Spero di poterla presentare a mio padre. Le deve tanto! E io pure. Con riconoscenza, Marian Hale Considerata freddamente, non era una grande lettera, sebbene la sua stesura avesse richiesto molto più inchiostro e carta di qualsiasi lettera normale. Ma Trent non la lesse freddamente. Marian era nello spazio, ora. E nello spazio c'erano navi pirate. Dopo aver letto l'ultima frase, esplose in alcune frasi irripetibili. Il secondo dello Yarrow sgranò tanto d'occhi. «Ho venduto un po' di merce dello Yarrow,» disse febbrilmente Trent. «Ma non ho ricevuto danaro, così è tutto a posto. Richiedo immediatamente il permesso di decollo per Loren. Mentre io faccio la richiesta, tu trasferisci le armi dall'Hecla.» Poi disse, fieramente. «E fa' in modo, costi quel che costi, di avere quelle armi e tutto il necessario a bordo, prima del mio ritorno!» Lasciò lo Yarrow e si diresse, di corsa, verso gli uffici dell'astroporto. Correndo, continuò a imprecare. Ragionando a mente fredda, avrebbe dovuto concludere che non era affar suo se Marian Hale si trovava su un'astronave in un momento che egli considerava pericoloso. Non era affar suo se nello stesso tempo delle astronavi decollavano da Manaos. Ma lui aveva tirato fuori Marian Hale dall'Hecla, quando le probabilità che qualcuno sentisse più parlare di lei o dei suoi compagni erano state addirittura inesistenti. Neppure ora sentiva responsabilità per i membri dell'equipaggio dell'Hecla. Potevano badare a se stessi. Ma Marian no. Trent aveva la spiacevole sensazione di sapere che soltanto lui era in grado di proteggere Marian dalla catastrofe. Lo aveva dimostrato. Ora molto probabilmente la ragazza era nuovamente diretta alla catastrofe, e ancora una volta lui solo sembrava capace di fare qualcosa per lei. Raggiunse l'ufficio dell'astroporto; erano già passate due ore dal tramonto. C'era un impiegato di turno, certo, ma quasi per formalità. Sedeva davanti a una lampada, e leggeva tranquillamente. Sollevò lo sguardo con aria interrogativa, quando Trent entrò nell'ufficio. «Permesso di decollo,» disse seccamente Trent. «Lo Yarrow. È arrivato un'ora fa. Io sono il comandante. Faccia presto!» L'impiegato riconobbe Trent. Non c'erano molte persone, su oltre mezza dozzina di pianeti delle Pleiadi, che non lo avrebbero riconosciuto quel
giorno, e il giorno dopo, e probabilmente anche dopo tre giorni. Ma la fama è fugace, e la notorietà lo è ancora di più, e Trent non possedeva né mai avrebbe posseduto quella stabile e incalzante notorietà fatta di citazioni ricorrenti nei notiziari, ciò che avrebbe fatto ricordare il suo nome a tutti, anche dopo tre giorni di silenzio. Ma quella sera l'impiegato lo riconobbe. Cercò perfino di essere cortese. Ma c'erano delle difficoltà. «Lo Yarrow è atterrato sotto il comando del secondo,» disse, a disagio, l'impiegato dell'astroporto. «Ora vuole farlo decollare nuovamente, con lei al comando. So che è tutto perfettamente in regola, capitano, ma non posso ordinare agli addetti alla torre di controllo di farla decollare a meno che...» Trent esplose. L'impiegato apparve spaventato, e cominciò a dipanare la lunga matassa della burocrazia. Trent percorse l'ufficio avanti e indietro, brontolando tra sé, mentre un impiegato fece una chiamata per visifono, e trovò qualcuno che avrebbe dovuto firmare qualcosa, e qualcun altro che avrebbe dovuto apporre un visto al tutto. E Trent di quando in quando si fermava ad ascoltare una particolare conversazione, poi riprendeva a camminare avanti e indietro. Non pensava a Marian con tenerezza. Era furioso, perché l'aveva salvata una volta da un grande pericolo nel quale si era cacciata di sua spontanea volontà, e dal quale nessun altro avrebbe potuto farla uscire. Ora qualcuno le aveva permesso di cacciarsi nuovamente in un pasticcio del quale lei non si era resa conto, e nessun altro sembrava comprendere. E neppure stavolta qualcuno sembrava in grado di farla uscire dai guai. Non era niente di romantico, secondo la concezione comune. Ma era una maledetta faccenda. Trent rabbiosamente strinse i pugni. La notizia si diffuse per tutta la città... anzi, per tutto il pianeta... e una ventata di eccitazione percorse tutte le agenzie d'informazione. Si diceva che lo Yarrow era giunto in porto, e lo Yarrow era quell'eroico mercantile che aveva speronato una nave pirata, danneggiandola, in modo che il capitano Trent, in seguito, aveva potuto ricuperare un mercantile che i pirati avevano catturato, e lo aveva fatto atterrare con l'equipaggio pirata prigioniero a bordo. La storia cominciava a venire distorta e ad arricchirsi di voli di fantasia. Uno spaziale che aveva contribuito al ricupero dell'Hecla la udì. Era partito a bordo dello Yarrow, alla ricerca di ciò che allora era stato un relitto. Adesso egli era un eroe, ed era anche leggermente ubriaco, e provava un nobile sentimento d'affetto per il vecchio Yarrow, sul quale era salpato alla
conquista della gloria. Generosamente, decise di andare a far visita ai suoi vecchi camerati e a raccontare loro qualcosa dei suoi trionfi. Iniziò una marcia non troppo marziale verso l'astronave. Incontrò un suo collega eroe del ricupero dell'Hecla. Quell'amico sapeva che ce n'erano altri due nei paraggi. Un giornalista venne a conoscenza di quel viaggetto sentimentale. Radunò tutti gli altri, e li accompagnò con la sua telecamera per immortalare quell'episodio di cameratesca amicizia tra eroi e registrare i loro piani per un'ulteriore attività anti-piratesca. Nel camminare gli eroi barcollavano un poco, ma le loro intenzioni erano ferme e nobilissime. Raggiunsero lo Yarrow, e trovarono il secondo con le mani nei capelli. Chissà come, si era sparsa la voce dell'imminente decollo dello Yarrow. Stavano assediando il secondo a bordo dell'astronave. Un esportatore, tra l'altro, offriva al secondo doppio compenso, più qualcosa di extra, per trasportare a Loren una cassa. Il secondo non sapeva se accettare o meno l'incarico. Gli uomini non erano ritornati con le armi, e il secondo non sapeva cosa fare. Trent non era uomo capace di rinunciare agli affari. Il secondo fu chiamato a rispondere a un messaggio proveniente dall'ufficio dell'astroporto. Era Trent, che insisteva sulla necessità di affrettarsi. La cassa fu issata a bordo. I membri della squadra di ricupero dell'Hecla andarono a prua, per abbracciare i loro antichi compagni. Quelli non c'erano. La squadra di ricupero sedette ad aspettarli, e tutti gli uomini si addormentarono quasi immediatamente. Un avvenimento inspiegabile e irritante scombinò tutti i piani di Trent. Un ordine diramato dalle più alte autorità planetarie aveva proibito qualsiasi decollo dall'astroporto fino a nuovo ordine. Arrivarono dei poliziotti e si fermarono, in modo che nessuno all'astroporto potesse infrangere l'ordine. Arrivarono degli altri poliziotti. Dopo qualche tempo, la polizia presidiava completamente l'astroporto. Trent protestò furiosamente, e siccome dopo la cattura dei pirati egli era diventato un personaggio di una certa notorietà, un alto ufficiale lo informò in via confidenziale che c'era stato un messaggio proveniente dalla parte opposta di quel sistema solare. Il messaggio diceva che un'astronave diretta a Manaos era stata fermata dai pirati. Poi era stata rilasciata, incredibile ma vero, per il semplice fatto che portava un messaggio dei pirati. Quell'astronave stava arrivando e sarebbe atterrata in nottata. Era rimasta nelle mani dei pirati per due giorni, mentre il messaggio era stato preparato. I pirati poi avevano tenuto prigionieri metà degli uomini dell'equipaggio, e in maniera sprezzante avevano lasciato an-
dare l'altra metà, per consegnare il loro messaggio. Gli uomini dell'equipaggio che erano rimasti a bordo stavano ultimando le riparazioni del sistema d'iperpropulsione. Sarebbero sbarcati a Manaos, per consegnare il messaggio. E all'astroporto erano venuti incontro ai messaggeri coloro che praticamente erano i governanti di Manaos. Perché Trent aveva portato su Manaos dei pirati catturati in flagrante pirateria, e costoro avevano minacciato ritorsioni da parte dei loro poco lodevoli colleghi di lavoro, e quel messaggio avrebbe potuto costituire un'altra minaccia. Trent strinse i pugni e poi li dischiuse. Un messaggio dai pirati poteva significare qualsiasi cosa. Avrebbe potuto anche contenere qualche accenno a Marian. La gola gli divenne secca. Attese. La notizia era giunta da un'astronave che era uscita dall'iperspazio. Stava ora dirigendosi a tutta velocità Lawlor verso Manaos, ma non poteva usare l'iperpropulsione nelle zone in cui un pianeta era esploso dando origine a una cintura di asteroide, o dove avrebbero potuto crearsi interferenze con le orbite ellittiche delle comete. Ma l'astronave sarebbe giunta prima dell'alba. E così fu. Era un piccolo mercantile segnato dal tempo, e il campo di forza dell'astroporto lo fece scendere a terra attraverso bassi banchi di nuvole che nascondevano tutte le stelle. Apparve nella sua lenta discesa, alla luce dei riflettori che squarciavano l'oscurità, e toccò terra, e le grosse automobili delle personalità si avviarono verso il punto in cui era atterrato. I poliziotti impedirono a chiunque altro, incluso Trent, di avvicinarsi. Il capitano si trovò circondato dai giornalisti, e amaramente si domandò come avessero fatto quelli a sapere cosa stava accadendo. I giornalisti non videro nulla. Trent non vide niente di più. Passò il tempo, e sembrarono secoli, e le automobili erano immobili intorno al piccolo mercantile. Si trovava ai limiti opposti dell'astroporto, quasi alla massima portata del campo di forza d'atterraggio. Finalmente le automobili se ne andarono, scortate dai veicoli della polizia. Soltanto una venne verso l'ufficio dell'astroporto, e i giornalisti ruppero il cordone di polizia per arrivare primi all'appuntamento. Trent si lasciò trascinare dall'ondata. Si trattava di una conferenza stampa. Si svolse all'interno dell'ufficio dell'astroporto, dove c'era un salone nel quale di solito si radunavano i passeggeri, con i relativi bagagli, prima d'imbarcarsi. Ora un uomo dall'espressione delusa era in piedi, dietro a un tavolo, per dare l'annuncio ufficiale dell'avvenimento. La sua voce disse: «Alcune ore fa,» annunciò, «un messaggio proveniente dall'estremità
opposta del sistema solare ha annunciato che l'astronave Castor stava arrivando con una comunicazione dei pirati delle Pleiadi a bordo. I pirati avevano catturato l'astronave, l'avevano trattenuta per due giorni, e poi l'avevano lasciato andare con metà dell'equipaggio a bordo. Il messaggio tratta dei pirati presi prigionieri e ora trattenuti in attesa di processo su Manaos.» Lampi di luce rischiaravano la scena a intervalli irregolari, quando i giornalisti scattavano delle foto che il mattino dopo sarebbero apparse su tutti i giornali. Di quando in quando, la luce continua delle macchine da ripresa dei giornali visivi, rendeva vagamente spettrale la figura dell'oratore. La luce sembrava rendere il suo corpo piatto, bidimensionale. Quando più di una macchina era in funzione, l'oratore si schermava gli occhi con la mano, rendendo così inutili le immagini prese. Continuò a voce alta: «Il messaggio era diretto al nostro governo, ed è stato consegnato racchiuso in una busta sigillata. Annunciava che i pirati sono all'opera, e prendono prigionieri dalle astronavi che fermano. In effetti, stanno fermando delle astronavi al solo scopo di catturare dei prigionieri. Giurano che se i loro compagni, che si trovano in prigione, verranno impiccati, loro impiccheranno... e faranno anche di peggio... dieci prigionieri per ogni pirata giustiziato. Il resto del messaggio tratta dei modi in cui potranno svolgersi le ulteriori comunicazioni tra noi e i pirati. Il testo della lettera verrà diramato più tardi. La proposta di metodi di comunicazione e di scambio dei prigionieri, ovviamente, non potrà essere resa pubblica.» Scese dalla predella, dietro al tavolo, sulla quale era rimasto nel corso della conferenza stampa. I giornalisti si buttarono su di lui, abbaiando domande alle quali non potevano sperare di ottenere risposta, a meno che l'oratore non si spazientisse per la loro insistenza. Ma questo non era probabile. La polizia lo aiutò a raggiungere la sua automobile, attraverso lo sciame di giornalisti che continuavano instancabilmente a formulare domande, e inutilmente continuavano a far scattare le macchine fotografiche e da ripresa, illuminando la scena di lampi bianchi abbaglianti. Trent ritornò sullo Yarrow. Al mattino, prima o poi, Trent pensava di riuscire a trovare qualcuno abbastanza in alto da potergli rilasciare, in via eccezionale, un permesso di decollo. Dopotutto, lui aveva combattuto contro una nave pirata, e aveva vinto la battaglia, sia pure limitatamente. Se un'astronave doveva ottenere il permesso di decollo, questa astronave non poteva essere che il suo mercantile, lo Yarrow. Avrebbe potuto anche affermare (e il semplice pensiero
gli provocò un accesso d'ilarità cupa e priva d'allegria) che doveva andare nello spazio a collaudare l'invenzione di McHinny. La scusa avrebbe potuto anche funzionare. Ma poi non ci fu alcun bisogno di scomodare l'invenzione di McHinny. Lo Yarrow aveva avanzato regolare domanda di permesso di decollo, con destinazione Loren. Il permesso venne concesso, con la clausola di consegnare della posta a quella destinazione. Nessuno menzionò una grande cassa, che conteneva un'unità iperpropulsiva, e che doveva essere consegnata anch'essa su Loren. Fu lo stesso messaggero a portare a bordo dell'astronave il permesso e un sacco della posta piuttosto sottile. Forse Trent avrebbe dovuto sommare due più due. Non lo fece, perché aveva tentato di scoprire se qualcuno della superstite ciurma del mercantile che aveva recapitato il messaggio dei pirati avesse saputo qualcosa del Cytheria. Non scoprì nulla. Così, Trent fu preso da una febbrile ansia di decollare. Non controllò diverse cose. La grande cassa. E non guardò a prua. Era appena l'alba, quando il campo di forza avvolse lo Yarrow e lo sollevò verso l'alto. Era un'alba magnifica, con un'infinità di colori e sfumature difficilmente visibili su quel pianeta. Ma lo Yarrow salì e salì, attraverso l'alba, e si tuffò nel nulla. CAPITOLO VI. Quando il campo di forza dell'astroporto abbandonò lo Yarrow, l'astronave si trovava a cinque diametri planetari da Manaos. Il mercantile aveva decollato all'alba, tempo dell'astroporto, e Manaos dallo spazio era un magnifico disco illuminato a metà. Dove il sole splendeva era verde e blu, dove la notte gravava ancora era abissalmente oscuro, alla luce delle stelle. Ma se si guardava per qualche minuto da un oblò si poteva vedere la parte oscura del pianeta vagamente rischiarata dalla luce delle stelle. Con una buona vista, si potevano vedere anche le assurde costruzioni, guglie e spirali, create dalle nuvole che gravavano nel cielo notturno di Manaos. Le formazioni di nuvole che galleggiavano nel cielo nella parte illuminata erano di un candore accecante. Ma Trent non era dell'umore adatto a contemplare le meraviglie del creato. Assestò la rotta dell'astronave su un asse che portava a una stella di quarta grandezza, calcolando la rotta da Manos a Loren. Fece scattare il sistema di comunicazione generale.
«Ingresso nell'iperspazio. Dieci secondi. Conteggio alla rovescia.» Eseguì il conteggio lui stesso, da dieci a nove a otto e così via fino a zero. Schiacciò il bottone del motore iperspaziale, e istantaneamente si trovò alle prese con nausea e stordimento, e subito dopo con quella spaventosa sensazione di caduta a spirale in un nulla ostile e frenetico, le sensazioni che accompagnano sempre l'entrata nell'iperspazio. Ma poi, bruscamente, si ritrovò sul sedile di pilotaggio, e l'oblò mostrava l'oscurità più assoluta, e i comunissimi rumori provenienti dall'interno dell'astronave diventarono amichevoli e consolanti in un universo ostile. Perché significavano che l'astronave era viva e funzionante e, di conseguenza, stava andando da qualche parte e, di conseguenza, prima o poi sarebbe arrivata a destinazione. Trent cominciò a fare dei rapidi calcoli mentali. Mentre si era trovato su Manaos, in attesa dello Yarrow, non meno di undici astronavi avevano decollato nella convinzione che l'impresa di Trent avesse sgominato la pirateria e, di conseguenza, le vie dello spazio fossero nuovamente sicure. I comandanti di quelle undici astronavi, partendo da questo presupposto, avevano pensato di poter ottenere alti guadagni prima che tutti gli altri mercantili delle Pleiadi avessero deciso di riprendere normalmente i traffici. E la stessa cosa era accaduta altrove. Gli armatori di una dozzina di pianeti, febbrilmente ansiosi di ottenere i guadagni che non erano giunti per tanto tempo, si erano convinti che il pericolo della pirateria era diminuito al punto di non dover essere più preso in considerazione. E quasi tutte queste astronavi avrebbero completato tranquillamente i loro viaggi, perché erano molte e i pirati erano pochi e potevano compiere solo un certo numero di catture. Ma questo non significava che il pericolo fosse minore. Significava soltanto che lo stesso pericolo era distribuito in un numero maggiore di astronavi. Trent considerò rabbiosamente il problema, seppure non fosse di sua pertinenza, a rigor di logica. Ma non poteva fare a meno di considerare di sua pertinenza la faccenda Marian Hale. L'astronave che la ospitava era, matematicamente, in un pericolo minore di quanto lo fosse stata l'Hecla, ma il miglioramento era nelle probabilità di essere catturati, non nelle conseguenze. Il destino di ogni astronave catturata era catastrofico come prima. Maggiore, se i pirati stavano deliberatamente fermando le astronavi per prendere prigionieri. Non poteva starsene seduto tranquillamente sul sedile di pilotaggio a
meditare su questi problemi. Si alzò e sollevò il pollice, per indicare al suo sostituto di occupare il suo posto. L'uomo si schiarì la voce: «Capitano.» «Sì?» «Abbiamo degli uomini in più a bordo.» Trent si fermò. «Quelli che abbiamo portato sull'Hecla, signore. Sono venuti a farci visita. Erano sbronzi, davvero. Non ce ne siamo accorti perché eravamo sull'Hecla a raccogliere le armi leggere. Si sono seduti ad aspettarci. Si sono addormentati. Non si sono ancora svegliati.» Trent corrugò la fronte e aggrottò le sopracciglia. Ma, dopotutto, non faceva alcuna differenza. Magari avrebbero anche potuto essere utili. «Quando si svegliano, li metterò subito al lavoro,» disse seccamente. Non c'era nient'altro da fare con i clandestini, soprattutto di quella razza. Trent non si preoccupava di faccende come le razioni e l'aria. Non erano tali da preoccuparlo. E quegli uomini erano stati istruiti nelle tecniche di combattimento. Avrebbero reso lo Yarrow pari nel numero di uomini, seppure non nell'armamento, a qualsiasi nave pirata. Ma questo non recava alcuna consolazione al capitano Trent. Marian Hale era nello spazio, diretta a Loren. In quel momento, doveva aver decollato da Midway... se c'era mai arrivata... e sarebbe ricomparsa solo su Loren... se mai ci fosse arrivata. Andò in sala macchine. McHinny lo gratificò di un cenno di saluto, con gesto magniloquente. «Ho ricostruito la mia invenzione,» riferì orgogliosamente. «Ed è migliore di quanto non fosse stata prima! Mi occuperò io di qualsiasi nave pirata!» «Ne è sicuro?» domandò Trent. «Conosco la mia macchina,» disse fiducioso McHinny, «sì, signore! Nessuno dovrà più preoccuparsi dei pirati.» Trent disse: «Sarebbe molto spiacevole se dovessimo dipendere da questa macchina, e poi magari non funzionasse.» «So quello che faccio!» insisté McHinny. «E so anche quello che sta facendo lei! Vuole far sembrare che la macchina non serva a nulla! La manovra nel modo sbagliato di proposito! Ma lei non potrà più farlo! Ah, no!»
Trent grugnì e si diresse verso la porta. McHinny disse, con aria sospettosa: «So quello che lei pensa! Ha preso nella stiva un'altra unità iperspaziale, perché pensa che la mia macchina possa far saltare l'unità della nave la prossima volta che sarà usata! Ha preparato tutto! Ma aspetti! Vedrà cosa succede!» Trent uscì. McHinny lo irritava, ma era piacevole avere qualcosa di cui irritarsi e che non riguardasse Marian. Era in uno stato di ansietà acuta e irritata nei suoi riguardi. Naturalmente, non poteva tracciare alcun piano d'azione. Non c'era la minima prova che ce ne fosse bisogno, e se ce ne fosse stato bisogno, lui non aveva la minima idea del modo più opportuno di agire, né del luogo. Era diretto a Loren perché non avrebbe potuto sopportare uno stato di perpetua incertezza. Se il Cytheria arrivava in porto a Loren con Marian a bordo, lui avrebbe saputo che la ragazza era in salvo e al sicuro. Magari lui sarebbe apparso uno stupido, perché a dire il vero, non aveva ragioni valide per andare su Loren, tranne che per tranquillizzarsi. Ma se il Cytheria non arrivava in porto con la ragazza a bordo... Non sarebbe stata colpa sua. Le aveva detto che non riteneva prudente andare nello spazio. Ma sarebbe stata colpa sua, perché era stato per lui che i mercantili delle Pleiadi avevano ripreso a viaggiare, nell'illusione che il pericolo dei pirati fosse svanito. E questo era accaduto perché lui aveva strappato la ragazza a un mortale pericolo. Per la qual cosa nessuno avrebbe potuto criticarlo. Ma se si fosse limitato a gettare i pirati prigionieri da un boccaporto, l'attuale situazione non si sarebbe verificata. Così incolpava se stesso di non averlo fatto. Lo Yarrow si trovava nell'iperspazio da otto giorni di bordo quando la nave fu attraversata dal segnale d'allarme. «L'ipersegnalatore segnala, signore,» disse l'uomo di guardia nella sala di comando. «Signor capitano! Il nostro ipersegnalatore sta segnalando!» Trent arrivò subito nella sala di comando. Sul quadrante dell'ipersegnalatore era accesa una luce rossa. C'era un'altra astronave nel raggio del segnalatore, e anch'essa si trovava nell'iperspazio. Trent sedette davanti al quadro di comando. Impartì rapidi ordini. Tutti pronti a indossare le tute. Distribuire le armi. Chiamò McHinny e gli disse che probabilmente la sua invenzione avrebbe dovuto superare un collaudo in un'autentica battaglia. Poi osservò, teso, ma un po' sollevato dalla prospettiva dell'azione che si sostituiva a quell'esasperante attesa.
Alcuni secoli prima, un capitano Trent aveva attirato una nave corsara fuori da una rada nella quale era stata protetta dal cannone di un forte. Attaccò alla sua nave un'improvvisata àncora galleggiante. A causa di essa, la sua nave sembrava lenta, e poco maneggevole. Così la nave corsara era uscita dal suo covo per catturare la preda. Nella lotta ormai dimenticata che ne seguì, in uno dei mari della Terra, al momento giusto Trent tagliò l'ancora, e simultaneamente scoprì dei cannoni di portata e potenza maggiore di quelli della nave corsara. Rivelò anche che la nave, che era sembrata lenta e impacciata, poteva superare la nave corsara in velocità. Di conseguenza, la nave corsara aveva dovuto arrendersi. E quel capitano Trent aveva lasciato l'equipaggio corsaro nelle scialuppe, con cibo e acqua, e aveva salpato con il bottino scomparendo oltre l'orizzonte, mentre i corsari a bordo delle scialuppe lo avevano maledetto con tutto il cuore. Ma il capitano Trent dello Yarrow non poteva contare su una soluzione così felice dei suoi problemi. Non aveva cannoni più potenti di quelli dell'altra astronave. Non aveva affatto cannoni. Inoltre, non aveva una nave veloce come l'altra. Lo Yarrow non era stato costruito per volare a grande velocità, per fuggire, E il suo motore iperspaziale non possedeva la potenza di quello pirata. Nell'iperspazio, i pirati avrebbero potuto far saltare le bobine dei motori dello Yarrow con la massima facilità. Ma questa, malgrado tutto, era azione, dopo almeno duecento ore di inattività. Qualsiasi mutamento era il benvenuto. Trent osservò il quadrante del segnalatore. L'altra astronave avrebbe potuto allontanarsi. In questo caso, si sarebbe trattato di un onesto mercantile il quale, avvertito della vicinanza di un altro mercantile dai suoi strumenti, avrebbe obbedito alle convenzioni. Se non si allontanava... Non si allontanò. La forza del segnale rilevato aumentò costantemente. L'altra astronave si dirigeva verso lo Yarrow, per bloccarlo. A quanto sembrava, l'altra astronave si sarebbe avvicinata fino a giungere a distanza pericolosa, malgrado qualsiasi manovra potesse tentare lo Yarrow. Il segnale diventò ancora più forte. Trent cambiò rotta. Il segnalatore continuò a indicare l'avvicinamento costante dell'invisibile inseguitore. Aveva mutato rotta anch'esso. L'ago si avvicinava alla fascia rossa, che indicava il raggiungimento della distanza pericolosa tra due astronavi in iperpropulsione. Quando l'ago avesse toccato il margine rosso, uno dei due campi iperspaziali vicini sarebbe saltato, se fossero stati di potenza pari. Ma all'interno
della fascia rossa c'era una banda nera. Se l'ago avesse raggiunto quella banda, le bobine dell'iperpropulsione dello Yarrow sarebbero saltate. Senza dubbio alcuno. Trent parlò brevemente nel microfono che si trovava davanti a lui. «Sala macchine,» esclamò, «McHinny, sto per caricare la sua macchina. Va bene?» La voce di McHinny, acuta e petulante, rispose: «Avanti! Accidenti, è pronta!» Trent posò il dito sul bottone che avrebbe dato inizio all'operazione di carica, facendo affluire migliaia di kilowatt nei condensatori del ritrovato anti-pirata, accumulando energia che sarebbe stata scaricata in un solo lampo di potenza incredibile della durata di un quarantesimo di micron. Nulla avrebbe potuto resistergli. Nulla! Qualsiasi motore iperpropulsivo nel suo campo d'azione sarebbe saltato con incredibile violenza. Trent aveva cominciato a premere il bottone, poi si fermò. Se l'invenzione funzionava, l'altra astronave sarebbe stata bloccata. Le bobine dei suoi motori sarebbero state irreparabilmente rovinate, e il suo equipaggio non avrebbe potuto ripararle in alcun modo. E non era probabile, ma poteva anche darsi che l'altra astronave non fosse una nave pirata. Avrebbe potuto essere un onesto mercantile, con un uomo di guardia nella sala di comando, un uomo incredibilmente distratto e sbadato. L'incuria è una cosa che può accadere. Sollevò la mano. Disse, nel microfono di comunicazione generale: «Prima usciamo dall'iperspazio. Preparatevi. Tre, due, uno, zero!» Ci fu un momento di stordimento e di nausea, e la sensazione orribile di caduta a spirale. Poi le stelle apparvero all'esterno dell'astronave, negli oblò e sugli schermi. Lo Yarrow ondeggiò per un istante, quasi salutando l'universo nel quale era ritornato. C'erano milioni e milioni di stelle, isolate e a grappoli, ovunque. E c'era una stella doppia, gialla e splendente, a dritta, vicina quel tanto che bastava a fare apparire le due stelle come due dischi visibili. Se una stella doppia avesse potuto possedere un sistema planetario, lo Yarrow vi sarebbe riemerso proprio in mezzo. Ci fu un lampo di luce accecante, insopportabile, che durò fino a quando i filtri automatici degli oblò non entrarono in funzione. Trent disse: «Penso che abbiamo trovato compagnia. Se quell'altra astronave procede senza fermarsi, il suo comandante dovrà gettare fuori dai portelli l'uomo di
guardia in sala di comando, per trascuratezza. Se non se ne va...» Il secondo disse, placidamente: «Lei ha spento i motori e anche il segnalatore, capitano.» Trent annuì. «Entro pochi istanti, o i nostri motori o i loro dovevano saltare. Ho spento i nostri per far sembrare che fossero saltati. Ma se avessi mantenuto in azione il segnalatore, avrei rivelato la verità. Spero...» Allungò una mano e spense anche il motore Lawlor. Dentro o fuori dell'iperspazio, il motore Lawlor spingeva lo Yarrow sulla sua rotta. Ma in casi del genere, ovviamente, un motore Lawlor aveva la stessa utilità di un paio di remi. «Ci comportiamo come un relitto, una nave bloccata, comunque. Vediamo cosa fa l'altra astronave. Nel frattempo, carica quell'aggeggio.» Questa volta schiacciò il pulsante di carica, per accumulare migliaia di kilowatt nella macchina, kilowatt che sarebbero stati emessi in un unico lampo di pura energia elettrica in un preciso momento. Si udì uno schianto e un ruggito assordante. L'odore di metallo vaporizzato e di isolante bruciato si diffuse in tutta l'astronave. Lo schianto fu così forte che per alcuni secondi Trent non udì più nulla. Il primo suono che il capitano udì, quando riacquistò l'udito, fu la voce stridula di McHinny che gridava a pieni polmoni imprecazioni. Poi udì l'impianto di depurazione dell'aria che lavorava a pieno regime per eliminare il fetore. Fe' cenno al secondo. Il secondo sparì. Trent rimase seduto, in ansiosa attesa, al sedile di pilotaggio. Mentre l'udito ritornava alla normalità udì un crepitìo continuo, che poteva essere provocato dalle radiazioni congiunte dei due soli vicini. La voce del secondo giunse dall'altoparlante: «Signor capitano, l'aggeggio è saltato di nuovo!» Trent non credeva di poter raggiungere uno stato di tensione maggiore a quello di pochi istanti prima, ma i suoi muscoli ora sembrarono scricchiolare. Eppure lo Yarrow non si trovava in una situazione peggiore di quella che si era verificata prima del salvataggio degli uomini dell'Hecla... e di Marian. Il crepitìo delle radiazioni solari fu interrotto da un altro suono. Proveniva dallo spazio, e non era naturale. Cominciava con una nota altissima, e continuava ad aumentare. Era un impulso radar, che nelle Pleiadi imitava il
grido di piccole creature alate e pelose della Terra, chiamate pipistrelli. «A tutto l'equipaggio,» disse Trent, «indossate le tute e caricate le armi. Siamo stati colpiti da un impulso radar. Nessuno, all'infuori dei pirati, avrebbe avuto motivo di seguirci fuori dall'iperspazio e di cercarci servendosi del radar.» Si udì un frenetico movimento a bordo dell'astronave. Il secondo ritornò e disse: «La sua tuta, capitano.» Trent si alzò e infilò la tuta. Giunse un altro impulso radar. Era più forte. Per qualche tempo sullo Yarrow regnò il silenzio. Certo, l'impianto di aerazione ronzava leggermente. Il sistema di controllo termico faceva un rumore diverso dal solito. Ora stava assorbendo il calore sprigionato dalla stella doppia vicina, invece di mantenere in maniera autonoma la temperatura interna di tanti gradi Kelvin sopra al gelo dello spazio infinito. E c'erano altri suoni indefinibili, che venivano dalla stessa presenza di uomini a bordo del mercantile. Giunse un terzo impulso radar. Se il primo era stato un suono gracchiante, questo somigliava a un grido. Poi uno schermo che mostrava lo spazio, dalla parte opposta alla stella doppia, inquadrò l'ammiccare di alcune stelle. Una voce giunse dal comunicatore spaziale. «Qui nave corsara Orso di Loren. Chi siete?» Trent, naturalmente, aveva previsto la domanda. Ma voleva formularne una anche lui. Marian si trovava da qualche parte, nello spazio, a bordo di uno dei tanti mercantili che avevano spiccato incautamente il volo. Non tutti potevano sperare di sfuggire alla cattura da parte dei pirati. Ma nemmeno i pirati potevano sperare di catturarli tutti. Così la domanda alla quale Trent desiderava una risposta era questa: la Cytheria era stata catturata da quella particolare astronave? In caso contrario, la mancanza di qualsiasi precauzione era giustificata. Lo Yarrow, speronando la nave pirata, non avrebbe rischiato di ferire o uccidere Marian. D'altra parte, se la Cytheria era stata catturata e Marian era prigioniera su quell'astronave, allora diventava necessaria l'audacia più folle. La necessità più disperata di Trent sarebbe stata quella di distruggere la nave pirata, perché Marian era a bordo. L'altoparlante inserito nel soffitto ruggì: «Chi siete? Rispondete, se non volete sopportare le conseguenze!» Trent grugnì: «Qui Cytheria, diretto a Loren. E se voi siete dell'Orso, farete meglio ad
andarvene per i fatti vostri! Avete fatto saltare i nostri motori iperspaziali!» Mentre aspettava la risposta, il suo volto si coprì di sudore. Se quell'astronave pirata aveva catturato il mercantile Cytheria, i pirati avrebbero saputo per certo che lo Yarrow non era il Cytheria. Ma la voce proveniente dall'astronave pirata era soltanto leggermente canzonatoria: «Era il solo modo in cui potevamo salutarvi. Avete cercato di fuggire. Qual è il vostro carico?» Trent snocciolò un elenco di merci a caso. Non aveva alcuna importanza. Non pensò alla grossa cassa che era stata caricata a bordo dello Yarrow su Manaos. Non ci pensò. Lo schermo mostrava un veloce ammiccare di stelle, che ben presto diventò la forma oscura di un'astronave. La voce del pirata disse allegramente: «Possiamo adoperare qualcosa. Verremo a bordo.» Gli occhi di Trent bruciavano, ora. Marian non era a bordo di quell'astronave. Così, qualsiasi cosa potesse essere fatta per ingannare, danneggiare o distruggere la nave pirata sarebbe stata fatta per semplice odio di tutto ciò che essa rappresentava. E Marian non c'entrava. Comunque, sembrava che non ci fosse niente da fare. Trent protestò, fingendo di essere indignato. L'altra astronave aveva una forma aerodinamica. Lui discusse rabbiosamente, come se pensasse veramente di avere a che fare con la nave corsara Orso di Loren, il cui armatore era il presidente planetario che era anche il padre di Marian. In effetti, poteva anche trattarsi dell'Orso. O forse l'Orso era l'astronave che aveva attaccato l'Hecla. Ma a lui non importava nulla. Marian era in pericolo, e di conseguenza a lui non importava di avere a che fare con una nave corsara, quasi legale, o con una nave pirata. Voleva cercare di distruggerla, legalmente o illegalmente, con qualsiasi mezzo. Nel frattempo, continuò a protestare. L'argomento che adduceva come giustificazione era che lo Yarrow (che lui chiamava Cytheria) era diretto a Loren, e il carico che esso trasportava doveva essere consegnato comunque laggiù. Come nave corsara, insisté Trent, l'Orso era obbligata a rispettare i mercantili diretti all'astroporto del quale batteva bandiera. Aveva già fatto danni a sufficienza! Aveva fatto saltare le bobine dell'iperpropulsione. Aveva... «Vi rilasceremo una ricevuta di tutto quanto potremo prendere,» disse la voce del pirata. Ormai il suo tono era quasi apertamente di scherno. «Avrete quanto vi spetta. Tutto ciò che dovrete fare sarà andare su Loren a
chiederlo.» Trent spense il comunicatore, e si voltò. «Durante il viaggio di ricupero dell'Hecla,» disse freddamente al secondo. «Ti avevo fatto stivare delle balle di merce a prua, nell'eventualità che ci prendessero a cannonate. Non è stato spostato niente, vero?» «No, signore,» rispose tranquillamente il secondo. «Tutto è ancora al suo posto. Lei gli ha fatto credere che il nostro sistema d'iperpropulsione sia saltato, signore.» «E se fossimo rimasti nell'iperspazio,» disse acidamente Trent, «avrebbero potuto farlo saltare sul serio, limitandosi a seguirci!» Schiacciò il bottone che azionava il sistema di comunicazione generale. «A tutto l'equipaggio! Siamo stati fermati da una nave che proclama di essere l'Orso, di Loren. Dicono che dobbiamo essere abbordati. Tutti gli uomini si preparino, a sparire, e a ricomparire al mio ordine.» Fece spostare lo Yarrow, in modo da farlo affrontare la nave che si stava avvicinando. Desiderava violentemente la sua distruzione, ma per il momento le prospettive sembravano minime. Per prima cosa, la prima nave pirata che aveva incontrato aveva avuto un cannone, che sparava proiettili di solido metallo. In un certo senso, era stato un oggetto antiquato. Probabilmente si trattava di un'invenzione del ventesimo secolo, quando i cannoni avevano raggiunto la massima perfezione, prima di venire sostituiti quasi universalmente dai missili teleguidati. I proiettili del cannone potevano attraversare i due scafi dell'Hecla, e l'avevano fatto, ma i danni all'interno erano stati relativamente pochi. Uno dei proiettili dell'altra nave pirata era penetrato nella sala macchine dell'Hecla senza provocare danni degni di nota. Ma quei proiettili potevano far uscire da un'astronave l'atmosfera. Forse anche quella seconda nave pirata possedeva un cannone. Contro quell'arma del ventesimo secolo, per quanto antiquata, Trent aveva preparato una difesa del diciannovesimo secolo. C'era stata una guerra civile in una nazione chiamata Stati Uniti, sulla vecchia Terra, e durante quella guerra molte battaglie avevano avuto luogo sui fiumi del continente. Per questa forma di combattimento altamente specializzata, le navi traghetto fluviali erano state trasformate in navi da battaglia per mezzo di balle di una rozza sostanza tessile allora molto usata. I traghetti fluviali diventavano cannoniere "cotonate", in contrapposizione a quelle corazzate, e rendevano ottimi servizi. Trent aveva imbottito la prua dello Yarrow con materiali simili. Avrebbero limitato la forza di penetrazione dei proiettili sparati
da una posizione frontale. L'altra astronave era ormai chiaramente visibile. Aumentava velocemente di dimensioni. Non c'erano segni di riparazioni o di danni sullo scafo, e di conseguenza non poteva trattarsi dell'astronave che aveva fermato l'Hecla. Era più grande, tra l'altro. Dunque, c'erano almeno due astronavi che operavano nello spazio, partendo da una base sconosciuta. Avrebbero potuto essercene molte altre. L'altra astronave raggiunse un punto a circa un miglio di distanza, a dritta, e poi si fermò. Le aperture dello scafo fecero uscire delle astroscialuppe. Trent esclamò, nel microfono interno: «Uomini con lanciarazzi ai boccaporti. Assicuratevi alla nave, e siate pronti ad aprire i portelli esterni e a fare fuoco!» Sogghignò. Aveva comprato delle armi leggere su Dorade, ma erano state progettate per un servizio di polizia. Sarebbero state del tutto inutili contro un'astronave, ovviamente. Ma avrebbero potuto danneggiare un'astroscialuppa. Ristabilì il contatto con l'esterno. La voce del pirata stava gracchiando: «Vi sto dicendo... di aprire il portello della stiva! Aprite i portelli! Sta arrivando una pattuglia d'abbordaggio!» «Ricevuto,» disse Trent. Coprì il microfono con la mano e impartì brevi ordini. Aprì un portello della stiva. Rimane aperto. Un secondo portello cominciò ad aprirsi e, apparentemente, restò bloccato. Si richiuse. Si riaprì parzialmente e si richiuse. Dalla nave pirata la scena poteva essere seguita. Sarebbe stata scambiata per un tentativo di obbedienza. Un portello esterno si aprì. Un altro. All'interno, non si vedevano figure rivestite di tute spaziali. Le astroscialuppe pirate, che erano tre, uscirono dai loro ripari. Avanzarono verso lo Yarrow. Le due astronavi erano due scintille minuscole nell'immensità del cosmo. Solo l'immensa stella doppia appariva gigantesca. Sembrava vicinissima. Le astroscialuppe erano ancora più piccole delle astronavi. Tutto il resto della galassia sembrava fatto di innumerevoli puntini luminosi di ogni sfumatura immaginabile e delle più svariate gradazioni di luminosità. Per qualcuno che avesse avuto il senso delle proporzioni e dei confronti, quell'azione aveva luogo in un isolamento, in una solitudine, in un immenso nulla che non avevano riscontro, e che anzi facevano sembrare la solitudine di un'astronave nell'iperspazio un fatto puramente immaginario.
Le astroscialuppe erano a metà strada dallo Yarrow. Trent abbaiò nel microfono: «Abbassate le visiere! Agite secondo gli ordini!» E mentre parlava, agì a sua volta. Lo Yarrow compì una giravolta per fronteggiare la nave pirata, e balzò verso di essa alla massima velocità consentita dal motore Lawlor. Ma il movimento sembrò orribilmente lento. Vite intere passarono in intervalli che erano solo battiti del cuore. Lo Yarrow avanzò verso la nave pirata... ma non proprio esattamente. Doveva prima abbassarsi a distruggere la prima astroscialuppa. I pirati avevano un cannone, effettivamente. Il cannone sparò, e si levò quella nube di fumo di un centesimo di secondo, prima che il vuoto infinito dello spazio assorbisse il fumo e lo facesse scomparire nel nulla. Un proiettile colpì lo Yarrow. Il colpo fu avvertito in tutta l'astronave. Nei portelli aperti apparvero improvvisamente degli uomini vestiti di tute spaziali. Razzi... solo razzi di polizia, ma sempre razzi... uscirono dai portelli aperti. Quattro... otto... una dozzina. Uno colpì un'astroscialuppa. Ci fu un lampo senza suono. Una bomba esplose all'interno dell'astroscialuppa. Era stata portata dai pirati per distruggere lo Yarrow, se il suo equipaggio avesse opposto resistenza all'ingresso dei suoi assassini. Ma una astroscialuppa aveva cessato di esistere. La prua dello Yarrow si impennò, per rendere più facile la mira agli uomini che ora minacciavano la seconda astroscialuppa. I razzi uscirono dai portelli aperti. Uno di essi esplose proprio un attimo prima che un altro arrivasse nello stesso identico punto. Fu pura fortuna, ma l'astroscialuppa presentò una larga falla a poppa, e altri razzi penetrarono dalla stessa parte. Non fu possibile valutare dallo Yarrow i danni complessivi. Il vecchio mercantile continuò ad avanzare a tutta velocità verso la nave pirata. Il cannone lampeggiò ancora. Fece centro. E poi, un altro centro. E un altro ancora. Ogni proiettile colpiva il bersaglio. Ogni proiettile entrava a prua e svaniva all'interno delle balle di stoffa e delle casse di altra merce stivate per fornire uno scudo improvvisato. Nella sala di comando, il pannello degli strumenti indicava che tre compartimenti di prua perdevano aria. Ma lo Yarrow aumentava la sua velocità a ogni istante. Il cannone dei pirati lampeggiava, e ogni lampo era seguito dal colpo sordo del proiettile. Ma lo Yarrow poteva sopportare questo genere di bombardamento, almeno per qualche tempo. La nave pirata non poteva affrontare la furia che le si stava abbattendo addosso. Entrò nell'iperspazio mentre lo Yarrow si trovava ancora a due-
cento iarde. Trent guidò la sua astronave attraverso lo spazio vuoto nel quale fino a pochi istanti prima si era trovata la nave pirata. Fece voltare lo Yarrow e si diresse, come un nume vendicatore, verso la terza astroscialuppa. Lo Yarrow passò a cento iarde da essa, e cominciò la pioggia di razzi. I razzi passarono accanto all'astroscialuppa, in piccola parte, ma la maggior parte vi entrò. Quello che rimase non somigliava più a un'astroscialuppa. A quanto pareva, lo Yarrow era ritornato padrone dello spazio. Il secondo pareva compiaciuto. Disse, in tono sollevato: «Devo mandare degli uomini a turare quelle falle, capitano?» «Non servirebbe a molto,» disse freddamente Trent. «Se entriamo nell'iperspazio le nostre bobine salteranno, a meno che quella nave pirata non se ne vada. Ma finché avrà il cannone e i proiettili, non se ne andrà. Però abbiamo eliminato un bel po' di pirati, a bordo di quelle scialuppe!» Il secondo apparve a disagio. «Allora cosa facciamo, capitano?» «Bisognerà cercare,» disse ironico Trent, «di pensare a qualcosa.» Ma la faccenda non sembrava promettente. La nave pirata possedeva un cannone. Lo Yarrow no. La nave pirata aveva un sistema d'iperpropulsione intatto, che le permetteva di apparire e scomparire, di partire e tornare, e che avrebbe fatto automaticamente saltare la corrispondente unità dello Yarrow, se Trent avesse cercato di farne uso. I pirati avevano perduto almeno metà dell'equipaggio sulle scialuppe. Forse anche due terzi. Sicuramente, non se ne sarebbero andati lasciando lo Yarrow al suo destino. Trent li aveva sorpresi, mostrando decisione e volontà di combattere, la qual cosa costituiva una sorpresa tattica. Ma la sorpresa era passata, ormai. La nave pirata riapparve. Con furiosa deliberazione, si fermò a circa due miglia dallo Yarrow e cominciò a scagliare una pioggia di proiettili. Quando lo Yarrow caricò, la nave pirata ritornò nell'iperspazio. Lo Yarrow avrebbe potuto seguirla, ma le sarebbero saltate le bobine dell'iperpropulsione prima che il tuffo fosse stato completato. Poteva soltanto restare alla luce terribile della stella doppia. Quando la nave pirata riapparve, lo Yarrow si gettò verso di essa. Ma lo Yarrow non aveva altre armi all'infuori della sua massa, e le sue difese erano soltanto parziali, e funzionavano solo quando rivolgeva il muso all'arma dei nemici. Prima o poi, i pirati ce l'avrebbero fatta. La sequenza di una carica disperata mentre i pirati martellavano di proiettili lo scafo, e la sparizione dei filibustieri nell'iperspazio, quindi la loro riapparizione da qualche altra parte, e l'inizio di un nuovo cannoneg-
giamento, divenne quasi una routine. Trent affidò i comandi al secondo, e andò a rendersi conto personalmente dei danni. È sempre interessante e a volte utile cercare di mettersi nei panni del nemico. Cominciò a immaginare vagamente quello che avrebbe potuto fare delle astroscialuppe, usandole diversamente da come le avevano usate i pirati. Cominciò a enumerare le possibilità. Le astroscialuppe sarebbero state un bersaglio piuttosto elusivo per un cannone. Ma avrebbero dovuto entrare in contatto col bersaglio, per poter fare esplodere una carica esplosiva in maniera utile. E se la nave pirata sceglieva quel momento per tuffarsi nell'iperspazio, avrebbe portato con sé la astroscialuppa. E l'astroscialuppa avrebbe potuto ritrovarsi nello spazio normale a molti anni luce di distanza da astronavi, pianeti e... qualsiasi cosa. Non sarebbe mai più stata vista, ne si sarebbe più sentito parlare di essa, in tutti i secoli a venire. Trent avrebbe personalmente corso il rischio. Ma c'era lo Yarrow, e il suo equipaggio... La sala macchine conservava ancora la sua atmosfera. Trent si diresse alla paratia di emergenza, che doveva funzionare nel caso uno o più compartimenti dell'astronave fossero rimasti senza atmosfera. Si trovò nella prima stiva. Vide la grande cassa che l'esportatore aveva praticamente gettato là dentro, mentre il secondo era in uno stato di assoluta confusione mentale. La guardò. E se il suo molte-volte-bis-bisnonno, il capitano Trent del periodo napoleonico, o qualsiasi altro dei suoi infinite-volte-pro-pronipoti, avessero potuto vedere la situazione e seguire il ragionamento di Trent, ebbene, gli antenati del capitano Trent ne sarebbero stati compiaciuti. CAPITOLO VII. Lo Yarrow fremeva di attività; era iniziata non appena Trent aveva deciso la sua linea d'azione. Era la soluzione più semplice del suo problema, una volta presa in considerazione. Soltanto l'ingegnere dello Yarrow la accettò con amarezza. Aveva tentato due volte di usare la sua invenzione. Ogni volta l'invenzione era saltata in aria, con perseveranza degna di nota, non appena Trent aveva cercato di caricare i suoi accumulatori. Ora Trent aveva messo i suoi uomini al lavoro, intorno a quella grossa cassa che conteneva un'unità iperspaziale, che doveva essere consegnata su Loren. Trent aveva avuto l'idea, piuttosto ironica, secondo la quale l'unità avrebbe dovu-
to essere sistemata su una nave corsara, destinata a essere la compagna dell'Orso. Lui disapprovava. Ma d'un tratto gli era venuta anche l'idea di poter usare l'unità in maniera migliore. Un proiettile colpì la prua dello Yarrow. Il motore Lawlor lavorava al massimo per spingere l'astronave verso la nave pirata. Il secondo dello Yarrow non era un individuo dotato di grande immaginazione, ma sapeva eseguire gli ordini che comprendeva. Gli ordini da eseguire adesso erano perfettamente comprensibili. Guadagnare tempo. Parti dell'unità iperspaziale vennero esposte. Trent aiutò personalmente ad aprire la cassa. L'ingegnere, brontolando amaramente tra sé, estrasse dei cavi dal ripostiglio della sala macchine. Mentre Trent osservava con occhi penetranti, egli eseguì tutti i contatti necessari, con perfezione assoluta. Collegò i cavi dell'unità che si trovava nella stiva all'unità che si trovava in sala macchine. Installò un interruttore di sicurezza. Lo Yarrow adesso possedeva due unità iperspaziali collegate tra loro. Ciascuna di esse doveva eseguire un compito particolare, che si poteva esprimere chiaramente, anche se non in modo eccessivamente preciso, dicendo che le unità dovevano fare un buco nel cosmo intorno all'astronave, rinchiudere l'astronave in quel buco, e poi chiudere il buco. Quando due unità simili venivano fatte funzionare insieme, aprivano un buco molto più grosso. Insieme, avrebbero sprigionato maggiore forza di quanto potesse sprigionarne l'unità installata a bordo della nave pirata. Se la nave pirata e lo Yarrow si fossero trovate insieme nell'iperspazio, alla medesima distanza attuale, una bobina avrebbe dovuto saltare. Prima, avrebbe dovuto saltare quella dello Yarrow. Ma adesso, sarebbe sicuramente saltata quella della nave pirata. Trent ritornò nella sala di comando. Il secondo lo accolse con sollievo. «Un altro compartimento di prua perde aria, signore,» disse in tono preoccupato. «Il vecchio Yarrow non resisterà a lungo. Ho mandato un uomo a prua a controllare, ma sembra che se speronassimo adesso quella dannata nave, ci rimetteremmo le penne... se potessimo speronarla.» «Possiamo farlo,» disse brevemente Trent. Osservò quale fosse la situazione. Sembrava la stessa di prima. La nave pirata appariva là dove fino a un istante prima non c'era stato nulla. Girava su se stessa, in modo da orientare il cannone sullo Yarrow. Lo Yarrow caricava. Il cannone sparava tre proiettili nella prua dello Yarrow, poi i pirati svanivano nell'iperspazio. Là non potevano venire raggiunti. Trent disse, deliberatamente:
«Tuffo nell'iperspazio. Tre, due, uno, zero.» Lo Yarrow svanì nell'iperspazio. La stella doppia gialla riversava la sua luce intollerabile e il suo calore insopportabile. Essendo una stella doppia, non poteva avere pianeti né satelliti di qualsiasi tipo. Non c'erano comete, né asteroidi, né sciami di meteore. Gli unici oggetti che potevano orbitare intorno a essa, seppure temporaneamente, erano le astronavi. Pochi istanti prima ce n'erano state due. Ora, d'un tratto, ne era rimasta una sola. Era uscita dal nulla. Per molto tempo rimase sola. Poi l'altra uscì dal nulla. Questa seconda astronave si fermò, a diverse miglia da quella che era uscita per prima. La seconda astronave era danneggiata. Lo scafo, a prua, era abbondantemente perforato dai proiettili. Diversi fori si univano. Un proiettile che non era penetrato all'interno dello scafo aveva provocato una profonda depressione che interrompeva la sua linea. Era, naturalmente, lo Yarrow. Era entrato nell'iperspazio subito dopo l'astronave pirata. Era rimasto nell'iperspazio. Il segnalatore che indicava la presenza di un'altra nave nell'iperspazio aveva tremolato e poi aveva cessato di segnalare. Questo significava, ovviamente, che nelle vicinanze non c'era alcun campo iperspaziale operante. L'unità dei pirati era saltata. Poi lo Yarrow era uscito dall'iperspazio, ma avrebbe potuto ritornarvi a piacere. La nave pirata si trovava nello spazio normale, e non avrebbe più potuto lasciarlo. Ma aveva ancora un cannone. L'arma fiammeggiò furiosamente e i proiettili si mossero nello spazio in direzione dello Yarrow. Trent spostò la posizione dello Yarrow. A quella distanza, i proiettili avrebbero impiegato alcuni secondi per raggiungere il luogo occupato dallo Yarrow. I proiettili raggiunsero quel luogo. Lo Yarrow si era spostato. Continuarono il loro volo, per sempre. «È saltata,» disse brevemente Trent, rivolto a tutto l'equipaggio. «Adesso potremmo speronarla, perché non può più entrare nell'iperspazio. Ma siamo ridotti a un colabrodo. Meglio lasciar perdere.» Un debole rumore giunse dall'altoparlante installato nel soffitto. Era una voce. Balbettava. Gridava. Supplicava in tono patetico. Balbettava di nuovo. Era una tuta spaziale sospesa nel vuoto, e grida inintelligibili giungevano da essa. Il secondo disse: «Sa, capitano, non credo che quei pirati avrebbero raccolto uno di noi che fosse rimasto nello spazio dopo la distruzione della sua astroscialuppa, come quel tipo.»
«No!» assentì deciso Trent. «Non lo avrebbero fatto. Ma non avrebbero avuto bisogno di interrogarci sulla nostra base, né sul numero delle astronavi che vi si trovano. E non avrebbero avuto bisogno di chiederci se eravamo a conoscenza di qualcosa su un'astronave chiamata Cytheria.» Così rintracciò il possessore della voce che giungeva da una tuta spaziale che si era trovata in un'astroscialuppa ormai distrutta. L'uomo che si trovava all'interno di quella tuta si era trovato sospeso nel nulla più assoluto. Durante le cariche confuse e furiose dello Yarrow contro la nave pirata, i due contendenti si erano allontanati di molte miglia dal luogo in cui si era trovata l'astroscialuppa. Effettivamente, la nave pirata era a più di cento miglia dalla voce che gridava frasi insensate. Il disgraziato non avrebbe potuto scorgerla a occhio nudo, sullo sfondo di miliardi di stelle. Era solo, come nessun uomo può restare solo e conservare la sua ragione. E le sue grida avevano una causa specifica. L'uomo nella tuta spaziale poteva vedere la stella doppia, gigantesca, gialla, e avvertire il suo calore mortale. Gridava perché credeva di vedere le due porte rotonde che erano i portoni dell'Inferno. E sentiva di cadere verso di esse. Lo Yarrow lo tirò a bordo, dopo un'ora di ricerca, ma non si riuscì a estrarre da lui nulla di comprensibile. Era impazzito di terrore. Lo Yarrow arrivò a Loren dopo due giorni di volo. Venne fatto atterrare dal campo di forza dell'astroporto, che si sollevava ad oltre mezzo miglio di altezza, dalla piatta pianura di quel mondo di coloni. Trent scese a terra e fece un ingresso ciclonico nell'ufficio dell'astroporto. La sua prima domanda riguardava il Cytheria... se era già arrivato. La risposta fu negativa. Lui disse freddamente: «Fareste meglio a dire al vostro presidente planetario che sua figlia è a bordo. Fareste bene a dirgli anche che la sua nave corsara si è data alla pirateria, e che deve preoccuparsi. Lui e tutto questo pianeta potranno trovarsi nei guai, per questo motivo. Inoltre c'è una nave pirata, con il sistema d'iperpropulsione fuori uso, il cui equipaggio sta lavorando per ripararla, a due giorni di viaggio, nella direzione di Manaos. L'astronave si trova probabilmente in un'orbita instabile intorno a una doppia gialla, ma può darsi che, prima del momento critico di caduta, i pirati riescano a ripararla.» Poi aggiunse: «E anche la mia astronave ha bisogno di riparazioni. Ma mi basteranno delle lastre d'acciaio e delle buone saldatrici. Dove posso procurarmele?» Ci fu una notevole agitazione all'astroporto di Loren, soprattutto dopo
che l'equipaggio dello Yarrow fu sbarcato ed ebbe invaso le miserabili bettole che circondavano i cancelli dell'astroporto. Il pianeta non era certo una delle grandi colonie umane delle Pleiadi. La colonia era stata fondata, all'inizio, a causa di un particolare tipo di pianta locale, che aveva un grande valore. Per un certo periodo aveva prosperato, producendo materiale tessile morbido e bello, addirittura favoloso. La popolazione era aumentata a dismisura, e c'era stato un periodo durante il quale l'astroporto era stato pieno di navi venute da ogni parte della galassia per procurarsi il favoloso ghil. Allora, un certo disagio ecologico era sembrato trascurabile. La vegetazione di tipo terrestre non attecchiva su Loren. I batteri del suolo originari del pianeta erano eccellenti per la pianta del ghil, ma non per le patate, per il grano e per tante altre piante indispensabili. Per far crescere le piante necessarie all'uomo, ormoni e composti vitaminici avevano dovuto essere importati dagli altri pianeti, oltre, e soprattutto, a una robusta quantità di antibiotici. È naturale che gli uomini, in qualsiasi parte della galassia, debbano portare con loro la vegetazione di tipo terrestre, quando fondano una colonia, per ottenere la dieta eccessivamente complessa che è necessaria all'alimentazione umana. Loren fu prospero per molto tempo. Ma era un mondo che produceva un solo genere, ed era soggetto ai disastri possibili in un'economia basata su unica produzione. E adesso si trattava di un pianeta miserabile, senza commercio e praticamente avviato verso la fine. L'arrivo dello Yarrow eccitò alcune persone, su Loren, perché si trattava pur sempre di un mercantile e il commercio era altamente desiderabile. Neppure una nave corsara che requisiva le merci e rilasciava ricevute... pagabili in ghil su Loren... poteva soddisfare i bisogni di cinque milioni di abitanti. E così, anche un solo carico di merci assortite poteva dare una scossa incredibile al commercio, su Loren. Molti abitanti di Loren rimasero sconvolti, perché avevano creduto che il loro pianeta venisse boicottato a causa della sua nave corsara, e ora scoprivano che il commercio interstellare languiva a causa dei pirati, e perfino una nave corsara non poteva trarre buoni frutti dal suo lavoro. Lo Yarrow, in effetti, era la prima astronave extraplanetaria giunta su Loren da quattro mesi. Alcuni abitanti di Loren provarono un particolare disagio al pensiero della nave pirata con il sistema d'iperpropulsione fuori uso, della cui presenza aveva parlato Trent. Ai tempi moderni non esistevano cose come eserciti e flotte. Gli ufficiali di polizia dovevano occuparsi di diversi compi-
ti un tempo affidati ai militari. Alcuni di loro andarono da Trent a chiedere informazioni sul conflitto avvenuto vicino alla stella doppia. «Ce l'abbiamo fatto,» disse loro Trent, «perché avevamo stivato delle casse a prua, e i loro proiettili non hanno potuto provocare danni eccessivi. Se volete inseguire la nave pirata, dovreste riuscire a rintracciarla servendovi del radar, e non dovreste avere molti fastidi. Sono a corto di uomini. Per merito nostro. Abbiamo distrutto tre astroscialuppe piene di pirati, che stavano venendo ad abbordarci. I vostri medici sono riusciti a tirar fuori niente da quel pirata che abbiamo portato qui?» Non c'erano riusciti. Stavano registrando tutti i suoi balbettii, e li studiavano con esasperante minuzia. Senza dubbio era stato un pirata. Ma siccome il suo attuale stato mentale era stato provocato da un'intollerabile tensione emotiva di orrore e disperazione, i suoi balbettii riguardavano soltanto questioni emotive. Dalle sue frasi incoerenti era stato dedotto che almeno tre navi pirate erano al lavoro, e sei mercantili erano stati presi prigionieri, ma non si riuscì a identificarli. Né si riuscì a trovare il minimo indizio sulla base dei pirati, né una descrizione del loro mondo natale, né qualsiasi dato che potesse costituire un'informazione utile. Il pirata balbettava, piangeva e supplicava che non lo riportassero nello spazio dove dei grandi soli gialli erano le porte dell'Inferno che lo attiravano irresistibilmente verso di loro. Trent mostrò dei documenti portati da Manaos. Erano fotografie e impronte digitali e impronte della retina di dodici pirati catturati da Trent a bordo dell'Hecla. Erano gli uomini per la cui esecuzione... se fosse avvenuta... gli altri pirati avevano giurato di vendicarsi. La loro cattura aveva fatto partire innumerevoli comandanti d'astronave verso lo spazio, nell'illusione di un ritorno alla sicurezza, e non c'era alcun dubbio sul fatto che i pirati avevano catturato viaggiatori e spaziali in numero sufficiente da attuare le loro minacce più sanguinose. Trent accennò cupamente al fatto che Marian e il comandante dell'Hecla avevano riferito concordemente che la nave pirata somigliava all'Orso, il nome dichiarato dai pirati quando avevano fermato il mercantile. Trent suggerì alla polizia di dare un'occhiata alle schede conservate all'astroporto e riguardanti l'equipaggio dell'Orso. Dopo qualche tempo i poliziotti ritornarono, terribilmente sconvolti. I pirati in attesa di processo, o di liberazione, su Manaos, erano stati membri dell'equipaggio della nave corsara di Loren. Che cosa dovevano fare? «Se viene qui,» disse in tono selvaggio Trent, «fatela a pezzi! Ma io l'ho speronata. Ci sono alcune riparazioni difficilmente spiegabili. Probabil-
mente non verrà. Andrà alla sua vera base. Si è servita di voi per informarsi sui viaggi e le linee spaziali, onde agevolare la sua attività piratesca. Di quando in quando vi portava qualcosa. Ma voi l'avete aiutata con tutte le vostre forze!» Gli ufficiali di polizia se ne andarono di nuovo. Erano terribilmente a disagio. Trent sorvegliò personalmente l'inizio dei lavori di riparazione della prua bucherellata dai proiettili. Non erano molto difficili. Alcune piastre dello scafo dovettero essere sostituite del tutto, ma le paratie danneggiate potevano essere riparate in modo soddisfacente a terra, e le falle potevano essere turate senza il minimo rischio. Le falle dello scafo interno non richiedevano maggiore attenzione. Le balle di merce danneggiate dai proiettili vennero scaricate. Furono sostituite da altre. I mercanti di Loren si offrirono di acquistare le balle danneggiate. Le presero a un prezzo sufficiente a pagare due volte il costo delle riparazioni. Speranzosi, offrirono ghil in pagamento, e Trent accettò la proposta. Un'astronave partì da Loren verso lo spazio. Anch'essa apparteneva al padre di Marian. Aveva un cannone. La prua era corazzata da numerosi sacchi di sabbia. C'erano missili teleguidati a bordo. L'equipaggio era composto da volontari, appartenenti alla polizia planetaria, ansiosi di catturare o distruggere una nave pirata per celare il loro imbarazzo dovuto alla scoperta di essere stati i soci attivi di un'altra. Il Cytheria non arrivò in porto. Secondo la lettera di Marian, l'astronave avrebbe dovuto lasciare il pianeta Sira il giorno in cui era stata scritta la lettera. La lettera era stata portata a Trent, su Manaos, dallo Yarrow. Immediatamente dopo, era arrivata la nota di minaccia dei pirati. Trent era partito da Manos meno di dodici ore dopo, quando il Cytheria avrebbe dovuto raggiungere Midway. Poi avrebbe dovuto lasciare quasi immediatamente il pianeta, con destinazione Loren. Era possibilissimo che, stando ai calcoli, il Cytheria raggiungesse Loren anche prima dello Yarrow. Non era stato così. E ormai aveva diversi giorni di ritardo. Il ritardo era del tutto ragionevole. Il Cytheria avrebbe potuto raggiungere Midway seguendo una rotta più lunga. Non era necessario che avesse seguito la rotta regolare da Sira a Midway. Se esisteva la possibilità d'incontrare i pirati, era del tutto logico seguire una rotta tortuosa. I pirati tendevano ad attendere le astronavi ai margini delle linee stellari conosciute, con i segnalatori in azione, pronti a registrare la presenza della preda. Se il comandante del Cytheria aveva intelligentemente scelto una rotta più lun-
ga, questo significava che avrebbe impiegato anche più tempo. Il Cytheria avrebbe potuto essere in perfetto orario, una volta conosciuta la rotta scelta dal suo comandante. Inoltre, su Midway avrebbe potuto esserci stato uno stato d'allarme... lo Yarrow l'aveva trovato... e il Cytheria avrebbe potuto decidere di restare in porto fino a quando il pericolo dei pirati non fosse davvero scomparso. Avrebbe potuto essere tranquillamente a terra. Avrebbe potuto essere tutto un falso allarme. Eppure, poteva anche darsi il contrario. Cause perfettamente ragionevoli avrebbero potuto trovarsi all'origine del ritardo del Cytheria. Ma d'altra parte, l'astronave avrebbe potuto essere stata catturata dai pirati. In questo caso, Trent non sapeva dov'era accaduto l'incidente e dove si trovava ora Marian, prigioniera. I giorni passarono, e ne passarono altri, e altri ancora. Trent ricordò a se stesso tutte le cause possibili del ritardo del Cytheria... viaggio per vie traverse, del tutto ragionevole. Pericolo di pirati, ordine di restare in porto... del tutto ragionevole, perfettamente possibile, quasi convincente. Ma non del tutto. Trent comprese improvvisamente di non credere a uno solo di questi motivi. Semplicemente, non aveva la minima speranza che Marian potesse mai arrivare a Loren a bordo del Cytheria. Non aveva la minima speranza che la ragazza potesse mai arrivare da qualsiasi parte. Era semplicemente, disperatamente, e arbitrariamente convinto che il Cytheria fosse stato catturato dai pirati. Magari dall'Orso, che certamente non era la nave corsara che lui aveva incontrato vicino alla doppia stella gialla. Non manifestò esteriormente la sua decisione. Non c'era nulla da fare. Certo, lo Yarrow poteva decollare di nuovo. Certo, il presidente planetario aveva fatto sapere, diverse volte, che gli sarebbe piaciuto avere un colloquio con Trent. Ma le toppe non avevano alcuna importanza, e Trent non voleva parlare al presidente planetario. Non voleva, ecco tutto. Con i pirati all'opera nelle Pleiadi, suo padre l'aveva lasciata viaggiare. Era l'armatore di una nave corsara, e coloro che avrebbero dovuto essere i meglio informati... Marian e il comandante dell'Hecla... avevano affermato che la nave pirata che aveva fermato l'Hecla non solo aveva preteso di essere l'Orso, ma ne aveva avuto l'esatto e identico aspetto. Giunse la notizia secondo la quale il presidente planetario stava venendo a visitare lo Yarrow, che aveva sconfitto una nave pirata nelle vicinanze della doppia gialla. Era preoccupato, perché l'astronave spedita a distrug-
gere la nave dei predoni non era ancora ritornata. Trent disse al secondo: «Puoi dirgli che la sua astronave deve riparare il sistema d'iperpropulsione della nave pirata, anche se essa si è arresa, se vuole riportare in porto i prigionieri. E questo richiede tempo. Puoi dirgli che forse hanno usato contro di essa un missile teleguidato, e ci vuole tempo per le riparazioni. Digli tutto quello che vuoi. Io non desidero parlargli!» Il secondo domandò: «Cosa gli posso dire della signora? Di sua figlia?» «Quello che ti pare,» grugnì Trent. «Lei dovrebbe avergli scritto quanto è accaduto all'Hecla. Ma loro affermano che la nostra è la prima astronave ad atterrare, da molti mesi a questa parte. Così non hanno ricevuto posta dagli altri pianeti, all'infuori di quella che abbiamo portato noi. Forse lui non sa nulla dell'Hecla. In questo caso, tu puoi parlargliene, se vuoi. Io richiedo i diritti di ricupero per averla riportata in porto, dopo che era stata abbandonata. Probabilmente lui non mi apprezzerà troppo, per questo. Comunque, non voglio parlargli!» «Dove va?» domandò il secondo. «Da qualche parte, fuori, finché lui non se ne è andato,» rispose Trent. Si strinse nelle spalle, «ho accettato di prendere del ghil in cambio del danaro dovutoci per quanto ho venduto qui. Mi hanno suggerito di andare a vedere una piantagione di ghil. In origine, era un atto di cortesia; adesso io me ne servirò come di un alibi.» Il secondo non disse nulla. Trent prese un'automobile e lasciò l'astroporto prima dell'arrivo del presidente planetario. Non era educato da parte sua, ma Trent da un bel pezzo aveva cessato di badare all'educazione. Il Cytheria era in ritardò di otto giorni, qualsiasi calcolo potesse essere fatto, a meno che il suo comandante non avesse deciso di rimanere su Midway, Se era stato catturato dai pirati all'inizio del viaggio, poteva darsi che fosse stato preso da ventidue giorni, molto tempo prima che un piccolo mercantile avesse portato la lettera dei pirati su Manaos. Marian poteva essere morta da tre settimane. Oppure no. Trent guidò furiosamente verso la piantagione di ghil. Non gli interessavano le piantagioni. Era insopportabile pensare a Marian morta o prigioniera di pirati che avevano promesso di uccidere dieci tra passeggeri e spaziali per ogni loro uomo impiccato. Era il momento di passare all'azione. Certo, era impossibile agire in modo appropriato, ma lui doveva agire lo stesso! Così decise di decollare non appena il presidente planetario avesse
lasciato lo Yarrow. Non era stato in possesso d'informazioni, ma quando aveva preso il comando della sua astronave aveva avuto un programma in mente. Gli armatori gli avevano offerto i diritti di ricupero. Ne aveva fatto uso, come l'affare Hecla stava a dimostrare. Gli avevano lasciato la scelta dei porti e molti altri privilegi. Ne aveva fatto uso, sebbene non nel modo che si sarebbe potuto immaginare. Aveva avuto delle idee ben precise sulla caccia ai pirati, che avrebbe potuto rivelarsi un affare molto vantaggioso, se non succedeva di lasciarci la pelle prima. L'aveva considerato un primo passo verso un'operazione di ricupero su grande scala. Avrebbe preferito essere in possesso di informazioni precise prima di cominciare, ma siccome ora si era convinto improvvisamente e irrevocabilmente della morte di Marian, aveva deciso di mettersi con ogni mezzo alla caccia dei pirati, e cercare di punire chiunque le avesse fatto del male. Nel frattempo, guidava verso la piantagione di ghil per stare dove non era il padre di Marian. Essendo un visitatore extraplanetario che aveva effettivamente acquistato il ghil, fu accolto con tappeti dorati alla piantagione. Vide campi su campi, e le macchine preposte alla semina, alla coltivazione e al raccolto. Vide gli strumenti di lavorazione, e un piccolo laboratorio nel quale si compivano ricerche sulle possibilità di miglioramento dei semi di ghil. Il laboratorio era diretto da un anziano scienziato piuttosto quadrato, il quale partiva dal presupposto che chiunque avesse visto una coltivazione di ghil rimanesse immediatamente affascinato dagli esperimenti sulle mutazioni dei semi. Allo scopo originale delle sue ricerche aveva aggiunto la ricerca di un'altra pianta, sulla quale stabilire una nuova economia unilaterale su Loren. Aveva delle minuscole serre nelle quali coltivava campioni assortiti di vegetazione di altri trenta mondi. Nelle serre manteneva le condizioni ambientali più appropriate per ogni gruppo di piante. Riuscì quasi... quasi... a destare l'interesse di Trent, quando gli spiegò che poteva descrivere il pianeta dal quale era giunta una pianta, esaminando una sola pianta e a volte una sola foglia. Avrebbe potuto dire la composizione dell'atmosfera, la forza del suo campo gravitazionale, il clima, la temperatura, e perfino i mutamenti stagionali, solo esaminando un campione botanico sconosciuto. Trent ascoltò con qualcosa di simile all'interesse. Ma improvvisamente qualcosa lo fece distogliere da quella conferenza per fissare l'orizzonte, dietro di lui. Il campo di forza d'atterraggio del pianeta poteva essere visto anche da quella distanza, ma c'era una traccia di
fumo bianco che si allontanava rapidamente da esso. Qualcosa balzò fiammeggiando verso il cielo. Raggiunse l'azzurro, lo attraversò. Rimpicciolì e rimpicciolì. Poi sparì. Mezz'ora dopo un'automobile si arrestò con grande stridore di freni davanti alla piantagione di ghil. Era venuta a prendere Trent. Il secondo dello Yarrow aveva spedito un uomo dell'equipaggio a informare il capitano. Stava sbrigando tutte le pratiche e si preparava a prendere lo spazio non appena Trent fosse arrivato. Perché il Cytheria era arrivato in porto. Un'ora prima aveva chiamato l'astroporto per chiedere le coordinate di atterraggio. L'operatore del campo di forza le aveva fornite, e aveva manovrato verso lo spazio, fino a quando il campo di forza non aveva trovato e afferrato il mercantile. Il mercantile era disceso sicuramente e rapidamente. Proprio al centro dell'astroporto. Un uomo... un uomo solo... era uscito da un portello e si era diretto verso l'ufficio dell'astroporto. Era entrato a chiedere se c'era posta per il Cytheria. Ce n'era. Una lettera. Aveva un aspetto ufficiale. Era giunta nel sacco portato a bordo dello Yarrow poco prima che il mercantile avesse ricevuto il permesso di decollo da Manaos. La singola figura uscita dal Cytheria era tornata a bordo del mercantile, portando la lettera dalla busta dall'aspetto ufficiale. Era entrata dal portello. Il portello si era chiuso alle sue spalle. Il Cytheria aveva domandato per spaziofono il permesso di decollo immediato. L'addetto alla torre di controllo era rimasto sbalordito. Era tutto così lontano dalla normalità, che l'addetto domandò con voce atona il perché. Che succedeva? Non c'era alcun carico? Non c'erano passeggeri? Non c'era, in particolare, una passeggera? L'operatore avrebbe dovuto concentrare il campo di forza intorno all'astronave, come se avesse deciso di farla decollare. Poi avrebbe dovuto tenerla ferma a terra, malgrado le proteste o le minacce. Purtroppo non ci pensò neppure lontanamente. Una cosa del genere non era mai stata necessaria o desiderabile. Era... impensabile. E il Cytheria improvvisamente aveva emesso delle fiamme. Si allungarono verso i margini della pista. Il Cytheria decollò per mezzo dei suoi razzi d'emergenza, e si tuffò verso il cielo. Quando Trent arrivò all'astroporto, furioso per la sorpresa, la delusione e il dolore, il Cytheria... che avrebbe dovuto avere a bordo Marian, diretta a casa... era ormai da tempo sparito nello spazio. Da molto tempo era già entrato nell'iperspazio. Era già a milioni e milioni di miglia di distanza, e sta-
va viaggiando a una velocità di molto superiore a quella della luce. E non c'era il minimo indizio intorno alla sua destinazione. CAPITOLO VIII. Le cose si sommavano fino a dare un totale di pura frustrazione. Il Cytheria era stato catturato dai pirati in un momento che poteva risalire anche a ventidue giorni prima. Al momento della cattura, i pirati avevano già saputo che alcuni dei loro compagni erano prigionieri in attesa di processo, e che senza dubbio sarebbero stati giustiziati su Manaos. Di conseguenza, il Cytheria non era stato depredato e abbandonato nel nulla. Era stato riservato per l'incarico che era stato appena eseguito, di ottenere la risposta ufficiale all'ultimatum. I suoi passeggeri e l'equipaggio avrebbero potuto essere stati assassinati in qualsiasi momento dalla cattura, oppure no. Non era possibile saperlo. Questi dati si completavano a vicenda. Domandando uno scambio di prigionieri, i pirati dovevano avere proposto un modo in cui lo scambio avesse potuto avere luogo. E un modo in cui avessero potuto ottenere una risposta. Questo non era stato rivelato su Manaos, ma lo Yarrow aveva ottenuto un permesso di decollo per Loren, alla condizione di trasportare un sottile sacco di posta, prima che a qualsiasi altra astronave fosse permesso di lasciare il pianeta. Una lettera sottile, piatta e dall'aspetto ufficiale era probabilmente l'unica contenuta dal sacco. Con ogni probabilità, era la risposta del governo di Manaos alla minaccia. C'erano altri particolari che calzavano. Se l'Orso era un'astronave sia corsara che pirata, il suo equipaggio doveva conoscere l'astroporto di Loren e il suo personale. Doveva sapere che il Cytheria, una volta catturato, poteva essere mandato laggiù a prelevare la posta senza alcun vero pericolo di essere bloccato. Il fatto che tutte le comunicazioni interstellari si svolgevano per mezzo di astronavi rendeva una soluzione del genere l'unica veramente pratica. L'altro tentativo di fermare lo Yarrow vicino alla doppia gialla dimostrava semplicemente che a grande distanza i pirati non potevano comunicare tra loro. Ottenevano le informazioni e consegnavano il loro bottino... e adesso i prigionieri... in una base, che si trovava da qualche parte. Non erano tutti informatori nello stesso tempo. L'astronave che si era trovata vicino alla doppia gialla non era stata informata. Ma la mancanza di qualsiasi informazione sull'ubicazione della base pi-
rata... e una base era indispensabile... era terribilmente frustrante. Trent domandò informazioni, quasi con ferocia, sui contatti dell'equipaggio dell'Orso con la popolazione di Loren, quando, come nave corsara, si era trovata in porto. Se la ciurma veniva reclutata tra la popolazione locale... Niente da fare. L'Orso era apparso su Loren due anni prima. Il suo comandante aveva proposto un affare alle autorità locali. L'Orso si era proposto di agire come nave corsara per Loren, fornendo forzatamente il pianeta di prodotti extraplanetari. Loren avrebbe pagato in ghil alla presentazione delle ricevute che i membri dell'equipaggio corsaro avrebbero rilasciato alle loro vittime. Sarebbe stato un modo di costringere il commercio a ritornare su Loren, dopo che la crisi l'aveva allontanato. Per avere le caratteristiche della legalità, naturalmente, una nave corsara doveva essere posseduta dal pianeta per il quale svolgeva il suo lavoro. Così il padre di Marian aveva formalmente acquistato l'Orso, ma si trattava semplicemente di finzione legale. Il comandante dell'Orso era il vero proprietario dell'astronave. L'Orso aveva portato della merce su Loren. Otteneva su Loren informazioni e provviste. Ma nessun membro del suo equipaggio era originario del pianeta. Non c'era nulla da scoprire sulla sua vera base, da indizi lasciati cadere casualmente. Non avevano lasciato cadere alcun indizio. Era una ricerca senza uscita. Era un vicolo cieco. Ma nessun altro, su Loren, aveva pensato di porre neppure queste domande. Trent consegnò la lettera di Marian alle autorità. Dimostrava che la ragazza avrebbe dovuto trovarsi a bordo del Cytheria. Il comportamento di quella astronave dimostrava che era stata catturata, sicuramente con la ragazza a bordo. Suo padre fu colpito da quel terrore che Trent si ripeteva di non avere. Tutte le risorse di Loren divennero improvvisamente disponibili per qualsiasi ricerca. E Trent diventò automaticamente l'uomo al quale si facevano proposte, si offrivano suggerimenti, si ponevano domande. Anche lui aveva delle domande da porre. Ordinò di studiare ogni informazione reperibile su ogni pianeta che si trovasse in un raggio di cento anni luce. Il Manuale Galattico non diceva se ne esisteva uno i cui coloni avevano cessato di avere comunicazioni spaziali normali con il resto delle Pleiadi... a causa dei pirati... e neppure se su uno di essi avesse potuto trovarsi una base pirata. La seconda alternativa non era molto probabile. Le imprese criminali sono eminentemente distruttive. Una base appositamente costruita sarebbe stata un'impresa costruttiva. Avrebbe voluto dire investimento di capitale, in una parola, costruzione. La semplice idea di costruire qualcosa sarebbe stata del tutto aliena alla mentalità piratesca. Non sa-
rebbe stato possibile attuarla. La ricerca di dati fu un'idea ragionevole, ma era basata sull'idea che i pirati avessero mantenuto le loro navi secondo i metodi degli armatori planetari, facendole riparare. Ma i pirati non facevano riparare le astronavi. Invece, le abbandonavano per le astronavi migliori che avessero potuto catturare. Così la disperata ricerca di dati era apparentemente inutile. Ma la notizia di questa ricerca condusse un membro dell'equipaggio dello Yarrow da Trent con un'osservazione che egli aveva fatto quando il Cytheria si era trovato a terra. Aveva sentito parlare, naturalmente, della ricerca di una colonia probabilmente piccola il cui campo di forza di atterraggio era al servizio dei pirati. Era uno dei membri della squadra di ricupero che Trent aveva reclutato per l'Hecla. Quando il Cytheria aveva toccato il suolo, lui stava compiendo alcune riparazioni sulla prua dello Yarrow. Aveva visto delle tracce di fango congelato sugli alettoni del mercantile. Era così andato da Trent a riferire che, dovunque fosse stato il Cytheria, non aveva toccato un astroporto delle Pleiadi. Conosceva gli astroporti delle Pleiadi. Avevano una pavimentazione solida. Il Cytheria era atterrato da qualche parte, dove non esisteva un campo di forza. Era atterrato servendosi dei razzi, che vengono usati comunemente come un sistema d'atterraggio d'emergenza. Gli alettoni avevano toccato il suolo. Poi aveva decollato di nuovo. C'era del fango sugli alettoni. Così era inutile cercare un astroporto regolare del quale i pirati si fossero impadroniti. Trent abbaiò degli ordini. Non aveva alcuna autorità per emanare degli ordini, ma nessun altro aveva degli ordini da dare. Fu obbedito. Spedì un'automobile a tutta velocità verso la piantagione di ghil che aveva visitato solo poche ore prima. Bisognava prelevare lo scienziato che possedeva campioni di vegetazione di almeno trenta pianeti, e portarlo subito all'astroporto. Trent uscì sulla pista dell'astroporto per vedere se per caso almeno qualche traccia del fango rimasto sugli alettoni del Cytheria fosse caduta sulla pista. Arrivò, fortunatamente, appena in tempo per impedire ad alcuni sorveglianti eccessivamente amanti della pulizia di eliminare come rifiuti le tracce di fango lasciate dal Cytheria. Questo accadde circa un'ora prima che lo scienziato dai capelli bianchi giungesse dal laboratorio di ricerca della piantagione di ghil.
Trent continuava a camminare avanti e indietro, chiudendo e schiudendo i pugni, preso dall'ira, per non essersi trovato all'astroporto quando era arrivato il Cytheria... in questo caso, il mercantile non avrebbe mai potuto decollare senza combattere... e la più cupa disperazione all'avverarsi dei suoi più neri sospetti. Nel frattempo i campioni di suolo provenienti dagli alettoni del Cytheria si scioglievano. Esposta al vuoto, l'acqua bolle, e bollendo perde calore, in modo che quando una certa porzione di essa ha bollito evaporando, il resto diventa ghiaccio. Il primo ghiaccio artificiale creato dall'uomo era stato fatto servendosi di una pompa a vuoto pneumatico in una fiaschetta d'acqua. Dovunque fosse atterrato il Cytheria prima di raggiungere Loren, i suoi alettoni si erano immersi nel fango, che era rimasto attaccato a essi ed era stato portato nello spazio, congelando. Era rimasto solidamente attaccato agli alettoni finché la scossa dovuta all'atterraggio non l'aveva fatto cadere. I frammenti non più congelati ammontavano a circa uno staio di suolo e frammenti organici. Arrivò l'automobile che portava a bordo lo scienziato della piantagione di ghil. Trent rimase seduto, nervosissimo, mentre lo scienziato esaminava il materiale che per poco non era stato gettato via. L'esame fu sfibrante, fatto con labbra strette e un'espressione di interesse intenso ma accademico. Alla fine, egli scosse il capo. «Ho campioni vegetali di trenta mondi,» disse con aria di rimpianto. «Ma non di questo. Molto interessante! Questi campioni fibrosi sono, in sostanza, un equivalente delle erbe. Si tratta di una pianta che ricopre il terreno. Questo... non ho mai visto una conformazione simile, né un picciuolo del genere, e questo...» Scosse il capo. «Sembra che faccia parte di un'unità simbiotica. Forse il suo compagno di simbiosi...» «Da dove viene?» domandò Trent. «Non ne ho la minima idea,» disse dispiaciuto lo scienziato. «Non ne ho proprio la minima idea. Ma spero che lei mi lasci questi esemplari. Sono stati congelati, ma forse sono rimaste delle spore oppure... oppure qualcosa che in un ambiente adatto potrà rivivere e svilupparsi. Sono davvero interessanti!» «Dobbiamo sapere da quale pianeta vengono!» esclamò Trent, minaccioso. «Dobbiamo saperlo!» L'ometto tornò a scuotere il capo. «Nessuno conosce tutte le piante della galassia,» disse, con un blando tono di difesa. «Nessuno! Ma, naturalmente... vengono da un pianeta dalle
dimensioni molto simili a questo. Gli steli sarebbero più sottili su un mondo più piccolo, e più spessi là dove la gravità fosse maggiore. Il sole è di tipo G, perché la colorazione della clorofilla lo dimostra chiaramente. La forma delle cellule suggerisce una traccia di diossido di zolfo nell'atmosfera; non molto, ma una traccia. E il suolo indica chiaramente che esiste una forte attività vulcanica, perché contiene cenere vulcanica in ogni stadio di disintegrazione, dalla cenere fresca a... ehm... alla melma. Ma io la sto annoiando.» «Vada avanti!» disse Trent. «La temperatura,» disse l'ometto, «dovrebbe variare dai quindici ai quarantacinque gradi centigradi, la qual cosa si riconosce dal grado di evaporazione sulla superficie delle foglie. L'asse planetario deve essere quasi ad angolo retto sul piano dell'eclittica, perché non esistono praticamente delle stagioni, e io valuterei le precipitazioni in circa due metri all'anno.» Poi l'ecologo disse in tono di scusa. «Ma questo è tutto. Mi spiace di non poterle dire nulla di veramente utile. Ma non esiste semplicemente nessuna informazione capace di indicare da quale pianeta sia giunto questo materiale.» «Si sbaglia,» disse Trent, «me l'ha detto lei!» Trenta minuti dopo lo Yarrow decollò, sorretto dal campo di forza dell'astroporto di Loren. Quando furono in volo regolare, Trent lesse accuratamente il Manuale Galattico di quel settore. Aveva studiato ogni pianeta nel raggio di cento anni luce, senza poter sceglierne uno o un altro, fino a quando il vecchio scienziato non gli aveva dato una traccia. Lesse: ...massa approssimativa 1/325000 sol. Accelerazione gravitaz., 975 cm./sec. Costante solare 1,94 min. Press. Barom. 794 mm. mercurio. Periodo di rotazione ore 26,30. Atmosfera 72,6% I; 27,5% 0; 0,08% CO2; 0,04% SO2... La descrizione sul Manuale indicava un pianeta che non possedeva un nome proprio, ma era noto come Kress Tre, perché percorreva la terza orbita esterna del sole Kress. Era l'unico pianeta, nel raggio di cento anni luce, le cui caratteristiche rispondessero alla descrizione fatta dallo scienziato di Loren.
Lo Yarrow si dirigeva verso di esso alla massima velocità che due bobine d'iperpropulsione in un'astronave rendevano possibile. Riferisce uno degli esploratori più antichi, ai tempi della vecchia Terra, che quando si trovava in quello che allora era creduto un oceano senza fine, aveva incoraggiato il suo equipaggio spaventato scoprendo rami galleggianti nell'oceano. Dovevano venire da una terra, e l'unica terra vicina doveva per forza essere davanti a loro. Il capitano Trent dello Yarrow aveva informazioni migliori e un proposito del tutto diverso. Ma fu altrettanto sollevato quando, il secondo giorno di viaggio, l'ipersegnalatore dello Yarrow registrò la presenza di un'altra astronave in iperspazio. L'altra nave si trovava davanti allo Yarrow. Il capitano Trent diminuì la velocità, e seguì l'altra astronave ad andatura turistica. Si avvicinò a essa, ma a rispettosa distanza, lateralmente. Niente sistemi d'iperpropulsione saltati. Lo Yarrow avanzò, lentamente, anche se leggermente più veloce dell'altra astronave. L'altra astronave non si allontanò e non si avvicinò. Se fosse stata un mercantile, probabilmente si sarebbe allontanata. Una nave pirata si sarebbe avvicinata. Non facendo né l'una, né l'altra cosa, eppure procedendo sulla stessa rotta, ciascuna identificò l'altra con reciproca soddisfazione. Trent fu sicuro del fatto che l'altra astronave era il Cytheria, diretto verso la base pirata d'operazioni. Molto probabilmente, il Cytheria. aveva identificato lo Yarrow come quella nave pirata che presumibilmente stava ricevendo le attenzioni di una nave armata di Loren, nelle vicinanze della doppia gialla. Lo Yarrow procedette. Superò il Cytheria e lo lasciò a dritta. Al momento giusto l'ipersegnalatore del Cytheria cessò di registrare la presenza dello Yarrow. Trent non aveva fatto il minimo gesto ostile, eppure fino a poco tempo prima avrebbe abbandonato qualsiasi altra cosa e si sarebbe diretto verso il mercantile. Avrebbe fatto saltare il suo sistema d'iperpropulsione e si sarebbe aperto la strada nello scafo mediante esplosivi, se ci fosse stata la minima esitazione nella resa, e l'avrebbe percorso con la furia della morte. Ma questo sarebbe accaduto quando lui credeva che Marian fosse a bordo del Cytheria. Adesso era sicuro del contrario. Infatti il Cytheria aveva atterrato da qualche parte, nel periodo intercorso tra la sua cattura e la sua richiesta di posta su Loren. Avrebbe dovuto atterrare, naturalmente, per scaricare i prigionieri, la qual cosa era probabile, e il carico, la qual cosa era sicura, perché nel corso della sua missione a-
vrebbe dovuto essere "pulita" nel caso di ispezioni o sorprese. Perciò Trent era sicuro del fatto che, se Marian era sopravvissuta alla cattura del Cytheria, doveva essere stata sbarcata sul pianeta dal quale veniva il fango rimasto sugli alettoni del mercantile. E sorpassandolo come aveva fatto, Trent aveva ottenuto un esatto riferimento sulla rotta da seguire per giungere a destinazione. Ma non aveva ancora finito di occuparsi del Cytheria. Conosceva il pianeta che molto verosimilmente costituiva la destinazione del mercantile. Ma aveva bisogno di essere guidato fino a un punto esatto, la località precisa, il punto preciso in un'estensione di migliaia di chilometri quadrati, nel quale si fermavano le navi pirate. Trovare un granello di sabbia nero in una spiaggia sabbiosa, in confronto, era un compito promettente e agevole. Ma Trent lasciò dietro di sé il Cytheria e si diresse su Kress Tre. McHinny entrò nella sala di comando, umiliato e disperato. Voleva che Trent gli promettesse di provare un'altra volta la sua meravigliosa invenzione anti-pirata. Durante il periodo d'attesa su Loren, egli non aveva partecipato ai lavori di restauro. Aveva lavorato disperatamente per ricostruire la sua macchina. Era stata collaudata due volte; e adesso era stata ricostruita, per affrontare un terzo collaudo in combattimento. Non si poteva dire che McHinny fosse deciso. Era frenetico nel tentativo di costringere Trent ad accettare il suo genio. Era feroce e insinuante e amaramente sulla difensiva, ma aveva ricostruito l'invenzione completamente. Adesso, disse con aria di sfida, aveva scoperto il punto debole della sua forma precedente. L'errore era costituito dal fatto di non avere preso in considerazione la presenza di un motore Lawlor funzionante sull'astronave che l'invenzione avrebbe dovuto agli armatori dello Yarrow, l'invenzione era stata collaudata su un'astronave nell'iperspazio, ma non in movimento. Si era trovata in un campo iperspaziale che la manteneva fuori dello spazio normale. Con un motore Lawlor funzionante nell'iperspazio, la macchina saltava in aria. Ma, con la nuova modifica, avrebbe fatto saltare non solo i motori iperspaziali, ma anche il motore Lawlor. Il punto debole non era stato soltanto eliminato, ma aveva permesso alla macchina di diventare uno strumento mille volte migliore, da opporre ai pirati. Non era nella sua natura l'essere umile o il domandare favori. Era molto più avvezzo a essere sgradevole e a domandare. Ma stavolta sembrava quasi umano. Domandò quasi con le lacrime agli occhi di collaudare un'ul-
tima volta la sua macchina, e di conseguenza anche il suo genio. «Benissimo,» disse Trent. Era impaziente. «Se si offre l'opportunità, tenteremo di nuovo. Ma solo se si offre l'opportunità! Quello che ci aspetta è troppo pericoloso perché ci si possa concedere di correre qualsiasi rischio che potremmo altrimenti evitare.» McHinny non riuscì a trattenere un'affermazione truculenta: «Questa volta lei non correrà alcuni rischio!» Trent annuì. Era impaziente. Era molto, molto occupato. Doveva trattenersi dal coltivare speranze sul conto di Marian. Doveva ricordare a se stesso che lei era indubbiamente morta. Doveva tenere la sua mente furiosamente al lavoro, per impedirle di aggrapparsi ad assurdi motivi di speranza. E quello che doveva fare non era un compito adatto a un uomo che ingannasse se stesso, in qualsiasi modo. Doveva essere pensato ed eseguito a sangue freddo, con un unico scopo, la distruzione senza regole e senza pietà di qualsiasi uomo fosse sia pure lontanamente collegato alle operazioni dei Pirati delle Pleiadi. Accadeva, comunque, che lui ingannasse ugualmente se stesso. Veramente a sangue freddo non avrebbe provato l'odio profondo e la smania di uccidere che lo riempivano. Non avrebbe vissuto momenti nei quali la sua voce era sconvolta dall'ira, sebbene lo negasse, e le sue mani tendevano a chiudersi e a schiudersi come se smaniassero dal desiderio di una vittima. Ma riusciva a credere che questo non fosse soltanto a causa di Marian. Era sacro fuoco, odio normale: la reazione di un uomo d'onore al fatto che i pirati facessero dell'omicidio un lavoro a loro esclusivo profitto. E, a sangue freddo o a sangue caldo, il suo cervello funzionava abbastanza bene. Fece entrare in orbita lo Yarrow, intorno a Kress Tre, senza provocare alcun segno di identificazione o scoperta. Trovò perfino un buon nascondiglio, in una strana formazione contorta di planetoidi che giravano intorno al pianeta nebuloso come un satellite. Fino a quel momento, tutto era stato incredibilmente semplice. Il pianeta Kress Tre era il classico terzo pianeta delle stelle di tipo G. Era un po' più piccolo di Manaos, e un po' più grande di Sira, e quasi uguale a Loren. Naturalmente, i quattro pianeti avevano delle gravità quasi uguali. Kress Tre avrebbe dovuto avere delle calotte polari. Non le aveva. Il suo asse era parallelo all'asse del suo sole, e di conseguenza ad angolo retto sul piano dell'eclittica, e in nessun punto di esso c'erano delle stagioni distin-
guibili tra loro, come estate e inverno. La sua atmosfera aveva una percentuale piuttosto alta di CO2, così che l'effetto imprigionante del diossido di carbonio nei riguardi del calore solare avrebbe agito come in una serra. Doveva essere molto caldo. Inoltre, nell'atmosfera c'erano tracce notevoli di diossido di zolfo. Questo significava che i mari dovevano essere acidi, la qual cosa modificava tutto. E c'erano molti vulcani. Trent osservò quel mondo con occhi indagatori e colmi d'ira dal nascondiglio della Yarrow tra i planetoidi che procedevano confusi lungo la loro orbita. Il pianeta ruotava sotto di lui. Trent nervosamente cercava di controllare la sua impazienza. I rivelatori radar indicavano che il cielo del pianeta nebuloso e spiacevole non era percorso da impulsi radar. Trent non si era aspettato di trovare il contrario. I radar hanno bisogno di essere sorvegliati coscienziosamente. Nella base pirata non poteva essere così, se non altro perché i pirati non potevano immaginare di trovare qualcosa nelle vicinanze di un piccolo pianeta spiacevole, lontano dai mondi colonizzati e dalle rotte spaziali. Soltanto degli strumenti passivi, come gli ipersegnalatori, sarebbero stati davvero utili, visto che richiamavano essi stessi l'attenzione quando c'era qualcosa da segnalare. Così Trent aveva occupato la sua posizione procedendo con i motori Lawlor, e non aveva dato fastidio a nessuno. In iperpropulsione, sarebbe stato molto diverso. La prova giunse prima che il pianeta avesse compiuto una completa rivoluzione sotto al nascondiglio spaziale dello Harrow. Lo spaziofondo incorporato nel soffitto della sala di comando scattò, e poi una voce disse: «Chi siete?» Il secondo dello Yarrow sobbalzò visibilmente. Trent annuì. Indicò il commutatore dello spaziofono. Indicava che potevano essere ricevute comunicazioni dalle altre astronavi che si fossero trovate nelle vicinanze, ma che nessuna trasmissione era in atto. Il ricevitore aveva trasmesso una voce che veniva dal pianeta e la cui domanda doveva essere diretta a un'astronave appena uscita dall'iperspazio. «Chi deve essere?» domandò rabbiosamente un'altra voce. «Stiamo arrivando.» Una pausa. Poi, nuovamente la prima voce: «Chi è che parla?» La seconda voce, rabbiosamente come prima: «Va' all'inferno. Qui è il Cytheria. Con la posta da Loren. Dove devo atterrare?» «Lo stesso posto da cui sei decollato. Fastidi?»
«L'operatore cominciava a fare delle domande. Ci siamo serviti dei razzi per il decollo. Abbiamo captato il segnale di un'astronave in iperpropulsione, venendo qui. Ne sapete qualcosa?» «No, niente!» disse la prima voce. «Lanciate un bengala.» Trent respirò profondamente. Questa era un'occasione. Aveva battuto il Cytheria. Stava per atterrare, naturalmente, nello spazio normale. Non c'era nessun altro riferimento. E così stava per lanciare un bengala, per permettere all'operatore a terra di localizzarlo, in modo da poter essere guidata via radio, non essendoci un campo di forza d'atterraggio, ma essendo necessario raggiungere una determinata località d'atterraggio. Vide il bengala, una risorsa di emergenza, da usarsi solo quando un'astronave non veniva trovata dall'operatore di una torre di controllo nel punto in cui avrebbe dovuto essere. Si trattava di una sfera di fuoco di un rosso livido, che emanava luce per milioni di candele. Trent l'inquadrò su uno schermo e fece ingrandire l'immagine. Vide il Cytheria, una lucente forma arrotondata nel nulla. Udì le voci. «Sei troppo a est.» Si trattava dell'est galattico, naturalmente, non l'est del pianeta che appariva come un disco gibboso al di là del Cytheria. «Va meglio così... un altro poco.» Poi. «Basta così. Aggiusteremo la posizione quando sarai a bassa quota. Comincia la discesa.» Trent osservò l'immagine ingrandita del Cytheria. Era sempre piccolissima. Si muoveva rapidamente verso la superficie del pianeta. Era il motore Lawlor che permetteva all'ex mercantile di scendere e rallentare e modificare la rotta, mentre quelle operazioni non sarebbero state possibili servendosi dei razzi frenanti. Trent disse al secondo, senza voltare la testa: «Usa l'impianto fotografico automatico. Avremo bisogno di prendere delle foto.» Osservò, carico di tensione. C'era un promontorio che affondava nel mare. Era un ottimo riferimento. Nell'interno, c'erano delle montagne. Una di esse fumava. Il Cytheria continuò a scendere. La prima voce che Trent aveva udito faceva di quando in quando brevi commenti. La voce apparteneva all'operatore a terra. La voce proveniente dal Cytheria rispondeva. I commenti erano irriferibili. Udì gli scatti della macchina fotografica. Il secondo stava immortalando le immagini che apparivano sullo schermo, l'immagine di un'astronave minuscola che rimpiccioliva sempre di più mentre discendeva verso il pianeta.
Poi apparve il fumo provocato dai razzi frenanti. Fumo bianco. I razzi del Cytheria stavano rallentando la sua discesa, per farlo atterrare dolcemente. Fino a quel momento avevano semplicemente rallentato la sua discesa. Ora dovevano fermarlo. Il motore Lawlor diventava più importante. Non poteva far decollare né atterrare un'astronave, ma unito ai razzi frenanti dava risultati ammirevoli. Il Cytheria atterrò. Il fumo dei razzi si dissolse. Lo spaziofono disse, ironicamente: «Benvenuto nella nostra città! È un piacere vederti!» La voce del Cytheria imprecò stancamente. Si udì uno scatto. La comunicazione era stata tolta, o a terra o sul Cytheria. Trent scoprì che l'ira lo stava divorando. Poi disse, con decisione: «Spero che quelle foto siano riuscite bene. Ne avremo bisogno.» Il secondo estrasse la lunga striscia di pellicola. Staccò la striscia di carta sulla quale erano state sviluppate le foto. Vi diede un'occhiata e porse la striscia a Trent. «Vanno bene,» disse Trent. «Falle sviluppare bene. Sono la nostra mappa.» Il secondo scomparve. Sembrava dubbioso. Ma sarebbe riuscito a riprodurre le minuscole positive che erano state sviluppate automaticamente dall'apparecchio. Nel normale corso degli affari, si facevano fotocopie di ogni comunicazione scritta. Ora il secondo doveva occuparsi delle copie. Trent schiacciò il bottone del comunicatore generale, e la sua voce si udì in ogni compartimento dell'astronave. «A tutto l'equipaggio,» disse freddamente. «Scendo a terra. Ci sarà da lottare e ci sarà del bottino. Chiunque voglia essere un semplice spazzacorridoi rimanga a bordo. Non avrà né lotta, né bottino. Chiunque voglia dell'azione, si prepari, avrà la lotta, e avrà il bottino.» Non fece alcun accenno a ragioni più nobili di un atterraggio su un pianeta occupato dai pirati, sul quale si trovavano certamente più pirati del gruppo di uomini che lo Yarrow avrebbe potuto inviare a terra. Non parlò del possibile salvataggio dei prigionieri che i pirati avrebbero altrimenti ucciso. In effetti, fece appello soltanto agli istinti combattivi e mercenari degli spaziali. Ma questi erano immediatamente comprensibili. In effetti, un appello uguale, fatto da un altro capitano d'astronave, avrebbe potuto anche rimanere inascoltato. Ma Trent, alla fine, si trovò costretto a scegliere due uomini da lasciare a bordo con il secondo. E a bordo rimase anche McHinny.
Ma per chissà quale ragione, l'equipaggio dell'Hecla, la squadra di ricupero, e l'equipaggio dello Yarrow, erano pronti a seguire Trent ovunque. Erano stati con lui in azione già altre volte, ma la loro fiducia in lui non derivava da questo. La vera ragione era da ricercarsi nel fatto che Trent li aveva guidati in una stupenda rissa, nei bassifondi vicino all'astroporto di Sira. Fece un elenco dell'equipaggiamento che ogni uomo avrebbe dovuto portare. Bombe, due per ciascuno. Erano bombe a carica esplosiva, ed erano utilissime per la demolizione. C'erano bombe a detonatore, usate dalla polizia per l'effetto psicologico del loro rumore. Trent parlò di alcune modifiche che potevano essere loro apportate per renderle più efficaci, anche se magari meno psicologiche. Si trattava di chiodi e ferraglia simile. Dovevano portare con loro anche le armi leggere. Fucili, naturalmente. Pistole, assolutamente. Mentre gli uomini dello Yarrow si bardavano di tutto questo armamentario, cominciò a crearsi una straordinaria atmosfera di allegria ed entusiasmo. Ordinò di portare delle maschere, per proteggersi dalle bombe che essi stessi avrebbero potuto lanciare, e insisté sulla necessità di portare abbondanti munizioni. Quando si radunarono, tutti insieme, per salire sulle astroscialuppe dello Yarrow, l'aspetto delle cose parve curiosamente simile a un incidente ormai dimenticato che era occorso durante la vita di un capitano Trent degli ultimi anni del diciottesimo secolo. Quel capitano Trent aveva guidato tre quarti del suo equipaggio nelle scialuppe della sua nave, ed era entrato in un porto con loro, nella oscurità incredibile di una notte senza luna, senza stelle, di un buio abissale. Quel capitano Trent aveva allora guidato una spedizione che nessun altro avrebbe neppure iniziato. Ed egli giunse al successo. Il nostro capitano Trent si infilò in tasca le carte, piegate, che in effetti mostravano la zona del pianeta nella quale dovevano atterrare. Salì sulla prima scialuppa, dopo aver impartito istruzioni a tutti i suoi uomini. Le astroscialuppe cominciarono la discesa verso il pianeta. L'espressione del capitano Trent cambiò, quando furono ormai quasi a metà strada. Intorno a lui, c'era attesa ansiosa e rapace. Ma nel buio dell'astroscialuppa, il volto di Trent assunse un'espressione cupa. Egli stava pensando, naturalmente, che quell'azione era giunta in ritardo. Se si fosse trovato a bordo di quella scialuppa, al comando dei suoi uomini, in quella stessa missione, molto, molto tempo prima, forse avrebbe po-
tuto ancora concludere qualcosa. Forse. Ma adesso... Adesso era ormai troppo, troppo tardi. Marian, si disse amaramente, cercando di convincersene, era morta. Doveva essere morta. Era arrivato troppo tardi. Non poteva essere altrimenti. CAPITOLO IX. Le astroscialuppe atterrarono in un arco di circa cento iarde, sotto un cielo plumbeo. Avevano compiuto, praticamente, l'intera discesa dalla parte opposta del pianeta, dove il radar non dovrebbe potuto individuarle, anche se il radar fosse stato usato dalla popolazione pirata di quel mondo. Non lo era, ma Trent non voleva correre il rischio di essere individuato, se qualcuno avesse azionato il radar per qualsiasi motivo accidentale. Poi avevano volato sopra le cime basse e arrotondate di una catena montuosa, e in mezzo alle montagne avevano visto delle valli, a volte piene di fumo. Finalmente si erano abbassati sul mare acido, quasi sfiorandone le acque. Trovandosi a poche centinaia di piedi dalla superficie delle acque, si erano imbattuti in un punto in cui il circolo del cratere di un vulcano si sollevava dalle onde di pochi metri. Sembrava un atollo, con la sua laguna molti metri al di sotto del livello del mare, pieno di lava invece che d'acqua. Dai bordi del cratere, attraverso numerose spaccature, torrenti d'acqua si riversavano all'interno del vulcano, e prima di colpire la lava si trasformavano in vapore. Le tre astroscialuppe lasciarono dietro di loro l'apocalittico spettacolo. Trent si teneva in contatto con le altre scialuppe servendosi di un antico sistema di comunicazione, che veniva usato solo negli astroporti, dove le interferenze erano continue, tra astronavi o tra un'astronave e la torre di controllo. Dovette interrompere il contatto solo una volta, quando le tre astroscialuppe attraversarono una nube densissima di vapore, che usciva dalle acque, senza dubbio originata da qualche sorgente termale sottomarina. Trent ordinò ai suoi uomini di abbassarsi sempre più, fino a quando davanti all'esigua pattuglia apparve la terraferma. Finalmente si trovarono davanti a un'insenatura quasi circolare, una rada che presentava uno sbocco sul mare estremamente stretto. C'era della vegetazione, rada e con quell'aspetto stentato di ogni tipo di vegetazione che sopravvive in condi-
zioni ambientali oltremodo disagevoli. Le astroscialuppe atterrarono, sollevando nubi di cenere vulcanica. Gli uomini di Trent sbarcarono. L'aria aveva un greve sentore di zolfo. Dove esisteva attività vulcanica su così larga scala, ogni boccata d'aria respirata conteneva un'alta percentuale di zolfo. Un uomo starnutì. Poi un altro, e un altro ancora. «Usate le maschere,» ordinò Trent, «serviranno. Forse ci abitueremo all'atmosfera, prima o poi. Guardate, adesso!» Spiegò le copie ingrandite che il secondo aveva tratto dalle fotografie scattate durante la discesa del Cytheria. Gli uomini si radunarono intorno al capitano, e osservarono. Erano un gruppo dall'aspetto straordinario. Alcuni di loro avrebbero spaventato qualsiasi onesto cittadino, se questi li avesse incontrati in qualche vicolo oscuro. C'erano tipi grossi e magri, alti e bassi. Ma tutti avevano l'aspetto caratteristico di chi è abituato a badare a se stesso. E avevano tutti un'immensa fiducia in Trent. Trent mostrò dei particolari delle fotografie. «Ecco il Cytheria,» fece osservare, «che discende su questo punto. Questa valle è una specie di marmitta, circondata quasi completamente dalle montagne. Qui, e qui, vedete delle cose che sembravano mucchi di pietrisco. Non sono mucchi di pietrisco. Sono astronavi.» Gli uomini si strinsero ancora di più, e osservarono attentamente gli oggetti indicati da Trent. «Le ho contate,» disse Trent, «e ce ne sono circa trenta, compreso il Cytheria. È atterrato servendosi dei razzi frenanti combinati con il motore Lawlor, naturalmente. In questa foto, non è ancora sceso a terra. In quest'altra, invece, l'atterraggio ha già avuto luogo. Ecco l'area bruciata dai raggi frenanti, durante le operazioni di atterraggio. Vedete?» Ci furono diversi mormorii di assenso. Guardarono attentamente, facendo a turno. Avevano un aspetto molto più piratesco di qualsiasi pirata. Ognuno aveva due bombe a carica esplosiva che gli pendevano dalla cintura, e la cintura era carica di granate, e portavano sulle spalle bandoliere colme di munizioni. Ognuno aveva delle pistole e un fucile. «Il fatto,» disse Trent, «è che dove il Cytheria è atterrato, i suoi razzi hanno bruciato tutta la vegetazione. Ci sono altre sette astronavi... hanno l'aspetto di rocce aguzze... circondate da aree bruciate. Intorno alle altre, non ci sono tracce di bruciature. Sapete cosa significa?» Attesero la spiegazione. Non che non fossero capaci di pensare: sempli-
cemente, erano soddisfatti del fatto che il capitano pensava anche per loro. Un uomo starnutì. Si era tolto la maschera. La rimise precipitosamente. «Quando un'astronave atterra servendosi dei razzi frenanti,» spiegò Trent, «si ferma al centro di una zona bruciata. Se non decolla nuovamente, dopo qualche tempo la vegetazione ricresce. C'è una ventina di astronavi che sono circondate dalla vegetazione. Sono rimaste a terra per molto tempo, alcune magari per anni.» Uno spaziale massiccio grugnì. Aveva una cicatrice sulla guancia. «Le hanno portate qui dopo averle catturate,» disse, convinto. «Le hanno spogliate a loro piacimento. Poi le hanno lasciate dove stanno ora.» Trent annuì. «La qual cosa significa,» aggiunse, «che non ci troviamo di fronte agli equipaggi di trenta navi pirate. Quelle venti astronavi sono carcasse, portate qui per essere spogliate e poi lasciate ad arrugginire. E neppure tutte le astronavi atterrate negli ultimi tempi sono pirate. Alcune sono state portate qui di recente per essere spogliate. La percentuale può essere di uno contro due, o al massimo tre, ma non di più. E abbiamo la sorpresa dalla nostra. Non dovremmo avere troppi fastidi.» Gli spaziali si scambiarono dei sogghigni fiduciosi. Non ci furono parole, ed era un buon segno. Nessuno aveva bisogno di assicurarsi del proprio coraggio. «Ora, ecco la nostra strada,» disse Trent. «Questa.» La mostrò. L'aveva scelta accuratamente. Poteva essere seguita abbastanza facilmente di giorno, ma per un viaggio notturno aveva mentalmente annotato che per un paio di miglia avrebbero seguito la costa, e che poi un vulcano in attività avrebbe illuminato il percorso, e che poi... «Vogliamo attaccarli subito, prima dell'alba,» disse Trent. «Potremo riposarci, penso, prima di affrontarli. E adesso... andiamo!» Dopo pochi minuti, Trent stava guidando la fila di circa trenta uomini, e si allontanava dal luogo dell'atterraggio. Le astroscialuppe erano parzialmente nascoste dalla cenere vulcanica sulla quale erano atterrate. Stabilendo la direzione dai segni di riconoscimento che incontrava, si diresse verso sud. Era, naturalmente, carico e armato come tutti i suoi uomini. Li guidò su una specie di ponte roccioso, un'altura, e poi ridiscesero dall'altra parte. Là trovò una macchia di fiori. Erano, come avrebbe scoperto più tardi, gli unici fiori che avrebbe visto sul terzo pianeta di Kress. Erano bianchi, ed enormi, e avevano uno strano aspetto artificiale. Ricordavano la morte. Il cielo era fumoso, e il sole sembrava più rosso di quanto non fosse
sembrato, visto dallo spazio. L'aria conservava il sentore di zolfo, del quale una minuscola quantità sembrava capace di attraversare le maschere, ma col passare del tempo gli uomini si abituarono a esso. Dopo la prima ora di cammino, tutti usarono le proprie maschere a intervalli regolari. Ma l'odore di zolfo dava fastidio. Naturalmente, veniva dai vulcani. Camminarono, e si riposarono, e camminarono ancora. In alcuni punti si alzavano degli alberi scheletrici, dalle forme contorte e aggrovigliate, che raggiungevano un'altezza massima di sette o otto piedi. C'erano altri punti in cui una pianta fibrosa, di colore verde... ma non del verde caratteristico alle piante di tipo terrestre... copriva completamente il terreno, e si frantumava sotto i piedi degli spaziali, che si lasciavano così alle spalle una traccia chiaramente identificabile. Non videro animali. Non bisognava dubitare però dell'esistenza di animali, naturalmente. Lo stesso Trent scorse diverse volte dei rapidi movimenti, guizzi e balzi improvvisi, con la coda dell'occhio, anche se non riuscì mai a distinguere delle forme che potessero essere definite animali. Verso il crepuscolo, però, attraversarono un piccolo corso d'acqua... Trent assaggiò l'acqua e, anche se aveva un lieve sapore d'uova marce, era potabile... e videro delle cose che avrebbero probabilmente potuto essere considerate pesci. E dopo circa un miglio videro una piccola creatura dalle molte gambe, che fuggì provocando un rumore stridente. Somigliava più a un granchio che a qualsiasi altra creatura conosciuta, e di solito non si considera animale un granchio. Quando il sole calò dietro un orizzonte fumoso, essi marciavano vicino a un mare placido, che emanava un pesante sentore di zolfo. La spiaggia era fatta di cenere vulcanica. In lontananza una catena di montagne gigantesche eruttava nubi di fumo che andavano a creare una coltre oscura che nascondeva il cielo. Cadde la notte, e l'odore del mare li costrinse a indossare le maschere quasi in continuazione. Quelli che non le indossavano starnutivano. Trent accese lo spaziofono che aveva tolto da una tuta spaziale. Ascoltò; se ci fosse stata qualsiasi comunicazione in corso, l'avrebbe captata. Avrebbe sentito, se il secondo dello Yarrow avesse tentato di comunicare con lui, dall'astronave. Ma non udì né voci, né suoni di alcun genere. Quando si tolse gli auricolari, però, trovò che c'erano degli altri suoni da udire. Rumori ai quali le sue orecchie si erano abituati divennero improvvisamente forti e distinti. L'esigua pattuglia si stava riposando dove si trovava, a un'altezza di circa mille piedi sul mare, quando giunse di sotterra
un brontolìo profondo. Poi, prestando orecchio ai rumori che prima aveva ignorato, Trent riuscì a identificare un continuo tremito che scuoteva la roccia sulla quale si trovavano. E improvvisamente udì uno strano tuono che veniva dal mare. Si avvicinò. Divenne un fragore insostenibile e poi un ruggito e infine un tuono possente. Il mare si sollevò sotto di loro. Un'ondata vulcanica balzò verso la spiaggia. Il rumore era lacerante. Significava che una forza scatenata e irresistibile e migliaia di milioni di tonnellate di acqua marina impregnata di zolfo si stavano proiettando contro la spiaggia. L'ondata colpì. Per molto, molto tempo si udì il rumore delle onde che si insinuavano tra le rocce che si trovavano tra il mare e gli uomini di Trent. Poi la grande ondata cominciò a ritirarsi. L'odore di zolfo era insopportabile. Se Trent e i suoi uomini si fossero trovati sulla strada dell'ondata apocalittica, ora nessuno di loro sarebbe stato vivo. «Succede sempre qualcosa, qui, vero?» disse Trent, con la gola secca. «Possiamo anche andare avanti.» Continuò a guidare i suoi uomini nella notte. Marciarono, e spesso inciampavano, e di quando in quando Trent guardava l'orologio. Allora riposavano per una decina di minuti. Videro bagliori nel cielo, e la terra brontolava sotto di loro, e di quando in quando si avvertivano delle scosse di terremoto. E il tempo passava, e le stelle si muovevano verso occidente nel cielo fumoso. Ma passavano anche le miglia. E dopo molto, molto tempo essi discesero in una gola. Erano rimasti per tanto tempo nell'oscurità che ormai la luce delle stelle era loro sufficiente per orizzontarsi. Il ritrovo dei pirati era stato scelto molto bene. C'erano montagne quasi su tutti i lati, ma non sembravano vulcani. Il loro profilo contro il cielo dava l'idea di un sollevamento così apocalittico che non una sola montagna ne era risultata, bensì una catena. Le astronavi pirate erano ferme in una valle incredibilmente piatta, tra le montagne. Verso sud però c'era uno sbocco, e a moltissime miglia di distanza qualcosa sembrò esplodere. Il rumore dell'esplosione giunse, sebbene la distanza lo avesse affievolito. La terra tremò, e poi apparve una fiamma. Ma invece di salire, cadde verso il basso. Era lava incandescente che scendeva dal fianco di una montagna. Anche a quella distanza, gettava sulla valle un chiarore rossastro, e le silenziose navi dello spazio, con le punte rivolte verso il cielo, apparvero chiaramente alla vista degli attaccanti. Trent disse, pianissimo: «Vi ho fatto vedere le astronavi sulle quali dovete lavorare. Potete assi-
curarvene anche al buio, dalla superficie che li circonda. Se sentite sotto i piedi qualcosa di simile all'erba, saprete che si tratta dell'astronave sbagliata. Quelle giuste sono circondate soltanto da cenere. Preparatevi. Vi darò tempo. Quando esploderà la mia prima bomba, attaccate!» Si allontanò, cercando la strada più oscura, sotto la fievole luce delle stelle, con un solo compagno, l'uomo grosso dalla guancia segnata da una cicatrice. Gli altri membri della pattuglia si separarono. Poi per molto, molto tempo, non ci furono rumori che potessero venir loro attribuiti. La montagna lontana esplose di nuovo. Rocce di color rosso uscirono dal suo cratere, bombe incandescenti lanciate verso il cielo dalle forze titaniche al lavoro nel sottosuolo. Là dove le astronavi pirate erano ritte sullo sfondo delle montagne, si videro alcuni bagliori. Il bagliore dell'eruzione giungeva fin nella valle. Trent e l'uomo dalla cicatrice avanzarono silenziosamente nella notte. Non era probabile che il fragore lontano del vulcano fosse un evento inconsueto. Quel pianeta aveva un'attività vulcanica simile a quella di tutti i pianeti conosciuti che ruotano nella terza orbita dei soli di tipo G; era un tratto caratteristico, come la loro maggiore densità nei confronti dei pianeti di altri sistemi. I pirati che avevano scelto quella località per stabilire la loro base dovevano avere accumulato le astronavi depredate in un periodo considerevole di tempo. Ormai dovevano essere abituati a quei fenomeni. Quelli che dormivano non si sarebbero certo svegliati. Poco prima dell'alba, ben pochi dovevano essere svegli. Ovviamente, la disciplina tra i pirati doveva essere piuttosto rilassata. Sicuri nel loro nascondiglio, avrebbero potuto essere costretti a sorvegliare attentamente solo i loro prigionieri. E molto probabilmente, i prigionieri erano stati messi nella stiva di un'astronave catturata, della quale erano stati chiusi ermeticamente i portelli. Imprigionati a questo modo, i disgraziati avrebbero potuto trovare da soli il cibo necessario, e sbrigare le loro necessità: se poi il cibo fosse terminato, o qualcosa fosse mancato, non ci sarebbe stata per loro la possibilità di chiederlo ai pirati. Sì, doveva essere proprio così, si disse Trent. I prigionieri erano senz'altro rinchiusi in una nave, abbandonati del tutto al proprio destino. Trent trovò un'astronave circondata da cenere, e cenere soltanto. Lui e il suo compagno confabularono brevemente sottovoce. Trent sistemò una bomba a carica esplosiva. Quando sarebbe esplosa, avrebbe fatto saltare uno dei tre alettoni di coda dell'astronave. Sostenuta soltanto da due sup-
porti, l'astronave non avrebbe più potuto conservare la posizione eretta, si sarebbe inclinata e sarebbe caduta. E allora avrebbero potuto passare all'azione più decisamente. L'esplosione della prima bomba sarebbe stato il segnale d'attacco per gli altri membri della pattuglia di sbarco. L'impresa non era stata dipinta loro come un'alta e nobile avventura, così essi non avrebbero agito né nobilmente, né moralmente. Non avrebbero compiuto gesti romantici ed eroici. Ma erano fiduciosi e ansiosi, e gran parte di questa fiducia veniva dal fatto di avere Trent a guidarli. Questo sentimento era separato da qualsiasi desiderio di guadagno. Seguivano Trent. Sarebbe stato anche più soddisfacente, questo attacco, della rissa all'esterno dell'astroporto di Sira. Molte stelle brillavano nel cielo fumoso. Si udirono lontane esplosioni attutite. Trent regolò il meccanismo a orologeria della bomba. Lui e il compagno si ritirarono. Passarono alcuni secondi. La bomba esplose. La sua carica esplosiva provocò un lampo di luce azzurra, e produsse un rumore così secco e lacerante che sembrò colpire fisicamente gli uomini che l'ascoltavano. Poi, adagio, con un moto rallentato impressionante, lo scafo dell'astronave si inclinò. Dapprima fu una cosa molto lenta. Ma poi la velocità aumentò. Mentre la prima astronave si stava ancora inclinando, esplosero altri lampi azzurri. Come lampi al magnesio di una macchina fotografica di potenza inimmaginabile, quei lampi illuminarono la valle e le montagne che la circondavano. Se i lampi fossero stati continui, la vista sarebbe stata impressionante. Dodici astronavi, che puntavano verso il cielo, formavano un gruppo indefinito. Sette di esse si inclinarono e caddero. Si urtarono a vicenda. Colpirono altre astronavi che erano rimaste dritte. E caddero insieme, provocando una specie di tuono. E tutto questo accadde in una frazione di minuto. Per un istante ci fu una strana immobilità. Le esplosioni provenienti dalla montagna a sud aumentarono. Divennero praticamente un unico scoppio continuo. Sembrava che in lontananza fosse in corso un cannoneggiamento, ma nessun uomo di quella generazione aveva mai udito una cannonata, se non nelle registrazioni delle antiche guerre terrestri. Le astronavi cadute produssero strani rumori, mentre le vibrazioni del terreno le facevano cambiare continuamente posizione. Qualcuno gridò: «Capitano! Capitano Trent!»
Trent non rispose. Si diresse verso il punto dal quale era giunta la voce. Due volte, nel sorpassare astronavi cadute, e una volta, di sotto un grande cilindro che era caduto su un altro, udì dei colpi. Gli uomini erano stati svegliati dalla caduta delle loro astronavi. Quelli che non erano morti cercavano istericamente di scappare. Ma erano in molti a essere rimasti in trappola. Un buon numero di essi era rimasto ucciso. E qualsiasi cosa fosse accaduta a Trent e ai suoi uomini, quelle astronavi contorte, ammaccate, squarciate, e in alcuni casi addirittura spaccate in due, non avrebbero mai più potuto riprendere le vie dello spazio sotto la guida dei pirati che le avevano portate lassù. Per prima cosa, avrebbero dovuto essere rimesse in posizione verticale. E non si poteva improvvisare l'equipaggiamento necessario a un'operazione simile. La voce gridò di nuovo: «Capitano! Capitano Trent!» Era vicinissima. Trent domandò: «Cosa succede?» «Capitano,» disse ansiosamente la voce. «Abbiamo abbattuto un'astronave, e quella si è spaccata in due, e dentro c'era una donna!» Poi una granata esplose a poca distanza. Un fucile sparò. Un uomo gridò. E dappertutto giungevano altri rumori che indicavano l'esistenza di un combattimento. Da una distanza sufficiente a permettere la visione collettiva di tutte le astronavi abbattute, sarebbe sembrato che in quella specie di campo di battaglia non si svolgesse un'attività rimarchevole. Di quando in quando, si udiva il crepitìo delle armi da fuoco. Provocavano minuscole scintille. Di quando in quando... ormai, molto raramente... si udivano altre esplosioni. E le esplosioni erano accompagnate da lampi. Alcune erano bombe. La maggior parte di esse erano granate. Trent disse, con voce tremante: «Marian! Sta bene? Gli altri...» Marian disse, con voce strana, come se non riuscisse ancora a credere a quanto stava accadendo intorno a lei: «Ci hanno messi... come ostaggi in quell'astronave e hanno chiuso i portelli. Hanno distrutto i motori. Ci hanno detto che se il Cytheria non portava... l'accettazione delle loro condizioni, loro... ci avrebbero portati fuori e... avrebbero filmato... quello che ci sarebbe accaduto... prima che moris-
simo. E avrebbero spedito le pellicole, avvertendo che avrebbero preso altri prigionieri e... avrebbero fatto lo stesso, fino a che...» La gola di Trent era secca e minacciava continuamente di strangolarlo. Nello stesso tempo, la sua voce era sconvolta dall'odio: «Le ho chiesto se state bene... tutti?» «Stiamo bene,» disse Marian, con voce malferma. «Solo che... non ci crediamo ancora.» C'era un gruppo di una decina di donne e tre uomini, uscito da un'astronave che si era aperta nella caduta. Era strano notare che, essendo prigionieri in attesa di essere vittime di atrocità accuratamente filmate, avevano avuto paura dei continui tremiti di quella valle. Invece di restare nelle cabine e nei quartieri di prua, si erano radunati nei quartieri di poppa, vicino alla superficie. La prua di un'astronave si trovava a centinaia di piedi di altezza, e cadendo avrebbe potuto distruggersi completamente. Ma la sezione di poppa poteva soltanto rovesciarsi. L'astronave era stata fatta saltare perché era atterrata di recente e il terreno intorno a essa era bruciato. I prigionieri che si trovavano all'interno di essa, essendo soltanto leggermente scossi dalla caduta, che per loro era stata minima, erano usciti da un portello che si era spalancato malgrado fosse stato ermeticamente chiuso. Erano usciti, in attesa di essere ripresi o magari uccisi. Non avevano avuto nessuna speranza; soltanto paura. Ma gli uomini di Trent non erano propensi a uccidere delle donne. Lo avevano chiamato non appena i prigionieri erano stati scoperti. «Restate qui,» ordinò Trent ai suoi uomini. «Badate a loro, fino a quando non avremo sistemato tutto.» Si allontanò nuovamente. L'oscurità regnava ancora ovunque, ma verso oriente il cielo cominciava vagamente ad assumere una sfumatura rosata. Si udì il crepitìo di un fucile automatico, a sinistra. Trent si diresse da quella parte. Una granata scoppiò ancora più in là. «Che succede?» domandò. Era pervaso da emozioni violente. Marian era di nuovo uscita da un terribile pasticcio nel quale la stupidità di altri uomini l'avevano cacciata. Lui, e lui solo, aveva dimostrato di potere agire per salvarla. Stava riuscendo. «Che succede?» domandò, quasi allegramente. Un membro dell'equipaggio dello Yarrow sputò, con grande deliberazione. «Alcuni tipi in questa astronave stanno cercando di uscire. Ne sono usciti tre quarti. Li abbiamo sistemati. Adesso gli altri stanno strillando come
dei matti. Vogliono sapere chi è che spara.» «Di' che è santa Claus,» disse Trent, «perché non usate una granata?» Si allontanò. Udì esplodere la granata alle sue spalle. Qualcosa di enorme torreggiava davanti a lui. Era il muso di un'astronave caduta. Udì dei suoni uscire da esso. Il portello della sala di comando, o quello che era stata, si era fracassato nel corso della caduta. E adesso un altoparlante, incredibilmente, si udiva. Una voce selvaggia, isterica, stava gridando: «Qualcuno è riuscito ad atterrare qui! Raggiungete lo Jocunda! Aprite la strada fin qui, e fate presto!» In qualche punto della valle una nave pirata occupata non era caduta. In qualche punto della valle una nave pirata era rimasta in posizione verticale, e il suo equipaggio si era reso conto che i rumori che giungevano dall'esterno non erano provocati da qualche remoto vulcano, ma da bombe esplose nelle vicinanze. Stava rivolgendo un appello ai pirati superstiti. Quasi certamente, l'appello sarebbe stato del tutto inutile. Ma Trent aveva trovato un obiettivo specifico contro cui rivolgere il suo odio. Quell'astronave doveva essere il quartier generale dei pirati delle Pleiadi. Era rimasta a terra, per tanto tempo che l'erba era ricresciuta intorno alla sua base. Doveva essere stata costantemente rifornita di carburante e serbatoi d'aria, in modo che nell'impossibile eventualità di un attacco, la fuga fosse garantita. E ora chiamava a bordo tutti i pirati sopravvissuti. La maggior parte di essi non avrebbe potuto ascoltare l'appello. Quasi tutti gli spaziofondi dovevano essere rimasti fracassati dopo le terribili cadute. E nelle cabine in cui lo spaziofono era rimasto in funzione, molto probabilmente non c'era più nessuno ad ascoltare. La caduta doveva avere ucciso o gravemente ferito i pirati che si erano trovati a prua, dove si trovava la sala di comando, e quelli che erano sopravvissuti dovevano essere scesi a poppa, nel disperato tentativo di uscire da quelle trappole infernali. Ma qualcuno, forse, aveva udito prima che Trent fosse riuscito a captare il messaggio. Se Trent avesse mantenuto in funzione il suo spaziofono, avrebbe udito lui stesso il messaggio, subito. Inoltre, il secondo dello Yarrow, nascosto tra quei planetoidi che avrebbero dovuto essere un satellite, sicuramente aveva udito a sua volta l'isterico messaggio. Si sarebbe preoccupato, ma per lo meno avrebbe saputo che gli attaccanti erano a terra ed erano in azione contro i pirati. Il cielo a oriente si faceva sempre più rosso. Trent vide un uomo che correva follemente. Non era armato come i
membri dell'equipaggio dello Yarrow. Stava fuggendo. Passò accanto a una carcassa che fino a mezza ora prima era stata un'astronave, per lo meno capace di sollevarsi verso lo spazio. Uscì allo scoperto, correndo verso un gruppo di astronavi immobili e silenziose che sorgevano in una zona di terreno coperta di vegetazione. Un fucile, da una posizione imprecisata, crepitò. L'uomo che correva cadde. Trent grugnì. Si diresse da quella parte. Un altro uomo. Altri due. Erano stati avvertiti per spaziofono, ma non avevano neppure tentato di combattere. Correvano come cervi verso le guglie che erano astronavi a terra. Un fucile crepitò. Crepitò di nuovo, e poi un'altra volta. Un uomo cadde di schianto, con le braccia allargate. Il fucile solitario ricominciò a crepitare. Trent non poteva fermarlo, e così rimase immobile, cercando di distinguere, nella luce dell'alba che aumentava impercettibilmente a ogni istante, qual era l'astronave verso la quale i fuggitivi stavano correndo. Quell'astronave non doveva decollare. Non doveva! Un fuggiasco cadde. Diversi fucili concentrarono il loro fuoco sull'ultimo pirata rimasto in piedi. Crepitarono. L'uomo cominciò a correre a zig-zag, follemente. Sapeva che le pallottole che gli sibilavano vicino erano dirette contro di lui. Doveva essersi accorto che numerosi uomini stavano sparandogli con lo spirito competitivo di un'allegra gara sportiva. Cadde, e rotolò a terra, e poi giacque immobile. Ma Trent aveva identificato l'astronave che probabilmente aveva costituito la speranza di rifugio del morto. Cominciò a radunare i suoi uomini, per attaccare la base pirata. C'era una spaventosa mancanza di bombe a carica esplosiva. Erano state usate quasi tutte con mirabile effetto. Fece per dirigersi verso il gruppo di astronavi abbandonate, delle quali una doveva chiamarsi Jocunda e contenere per lo meno alcuni dei pirati che fino a mezz'ora prima avevano russato, immersi nel sonno e nei loro peccati, mentre Trent e i suoi uomini stavano avanzando silenziosamente verso la valle. Ci furono delle fiamme. Fiamme mostruose uscirono dalla base di uno scafo arrugginito. Doveva essere il Jocunda.
Si sollevò da terra, sputando le fiamme dell'inferno. Le fiamme erano azzurre e così intense che per qualche istante sembrò che il giorno fosse giunto anzitempo nella valle. Con il motore Lawlor che cercava di fare del suo meglio per aiutare i razzi, l'astronave vibrò, poi salì, poi sembrò cadere verso il cielo fumoso. Trent la seguì rabbiosamente con lo sguardo, mentre l'astronave rimpiccioliva e diventava un punto minuscolo sul quale giocava la rossa luce dell'aurora. Poi mise in funzione il suo spaziofono. Cominciò a chiamare: «Yarrow! Yarrow! Trent chiama Yarrow!» Quasi immediatamente la voce del secondo gli rispose. Il secondo sembrava sollevato. «Avanti, capitano! Ho sentito un bel po' di roba, di laggiù. Tutto bene?» «Sì. Alcuni stanno salendo, ma dimmi, l'invenzione di McHinny è pronta all'uso?» «Sì, signore. Tutto pronto.» «C'è un'astronave in arrivo,» disse Trent. «Ci è sfuggita. Di' all'ingegnere di collaudare su di essa la sua invenzione. Afferma che adesso agisce anche sul motore Lawlor. Se non funziona, usa le nostre due bobine per far saltare il loro sistema d'iperpropulsione.» «Sì, signore. Nient'altro?» «Nient'altro,» disse Trent. In quel momento, e sembrò che fosse scaturito dal nulla, il sole si mostrò nel suo splendore, accendendo di fuoco il cielo. Le cime delle montagne splendevano, e mille colori si riflettevano e si rincorrevano nella valle che era stata il quartier generale dei pirati delle Pleiadi. Sembrò di nuovo tutto tranquillo. Trent ritornò verso i suoi uomini. Ne scelse mezza dozzina. Li condusse in un'astronave abbattuta. Impiegarono tutti i trucchi che lui aveva insegnato, sulle tattiche di combattimento nei recessi e nei corridoi e negli angoli delle sezioni meno usate di un'astronave. Quando uscirono... erano entrati dalla stiva, ma uscirono da un portello... portavano con loro tre feriti e dietro di loro lasciavano degli altri che avrebbero avuto bisogno di sepoltura in seguito. Entrarono in una seconda astronave. Dall'interno di questa giunsero due spari. Poi un terzo. Trent fu soddisfatto del comportamento dei suoi uomini. Sembrava che in sua presenza fossero imbarazzati, per depredare le a-
stronavi. Li lasciò e prese con sé un altro gruppo di sei uomini per lavorare su altre astronavi. Finalmente ritornò da Marian. Aveva un aspetto teso, ma i suoi occhi si illuminarono quando vide Trent. Si tolse un casco spaziale che un membro dell'equipaggio dello Yarrow aveva tirato fuori da un'astronave. Gli ex prigionieri ne avevano uno ciascuno, e l'uomo che Trent aveva lasciato a occuparsi di loro aveva un aspetto compiaciuto e cupo a un tempo. Compiaciuto, a causa della loro gratitudine, cupo, per non avere potuto godere fino in fondo la sua parte di combattimento. «Penso,» disse Trent, «che tutto vada bene. Lei sa di altri prigionieri?» «Ci... è stato detto che ce n'erano altri,» disse Marian. «Sono chiusi in uno di quegli scafi. Stanno aspettando, come noi aspettavamo... di essere uccisi se il Cytheria non portava l'accettazione delle condizioni dei pirati.» Trent fece cenno ai suoi uomini. «Prendete una pila, se riuscite a trovarne una,» ordinò, «e date un'occhiata a quelle astronavi. Aprite tutte quelle che trovate chiuse, e fate uscire i prigionieri. Naturalmente, potranno essere rimasti due o tre pirati. Li lascio alla vostra discrezione.» Gli uomini di Trent se ne andarono, speranzosi. Avrebbero trovato dei prigionieri in tre delle venti astronavi intatte. I prigionieri non si erano resi conto di ciò che era accaduto nella valle prima dell'alba. E quando gli uomini di Trent li fecero uscire, ne furono terrorizzati, credendo che fosse giunto il momento della tortura e della morte. E naturalmente, una volta scoperto che si trattava invece della salvezza, la loro gratitudine non ebbe limiti. Poi lo spaziofono appeso al collo di Trent si fece sentire. «Capitano Trent! Capitano Trent! Yarrow chiama capitano Trent!» Trent rispose, e la voce del secondo manifestò un grado di esultanza che Trent non aveva mai udito prima. «L'invenzione ha funzionato, capitano! Ha funzionato! McHinny l'ha manovrata personalmente, mentre l'astronave pirata stava salendo, visibilissima e proprio davanti a noi. Ha spento i razzi ed è entrata in iperspazio, e noi abbiamo schiacciato il bottone dell'iperpropulsione mentre McHinny manovrava l'invenzione, proprio un attimo dopo! E l'astronave pirata è sbucata fuori dall'iperspazio! Sta ancora salendo, ma non può più accelerare! Il motore Lawlor e quello iperspaziale sono fuori uso, e sta
perdendo velocità! Salirà ancora un po', e poi comincerà a cadere verso il pianeta! Penso che cadrà in un punto dell'oceano, tra due ore e mezzo. Ma al momento della caduta sarà già mezza fusa, e quello che resterà non potrà mai più sollevarsi da terra!» «Credo proprio di no,» ammise Trent. «Benissimo. Bel lavoro! Ti richiamerò più tardi.» Si rivolse a Marian. Lei lo fissò con occhi splendenti. Trent disse: «Bisognerà occuparsi di un sacco di cose. Dobbiamo assicurarci di eliminare tutti i pirati che sono ancora in libertà, se ce ne sono ancora. Io non credo che ce ne siano molti. Poi dovremo organizzare i prigionieri, in modo che possano occuparsi loro stessi del cibo, e così via. Sono più di un centinaio. E dobbiamo scoprire se ci sono ancora delle astronavi pirate nello spazio al lavoro. Non credo che ce ne siano, ma lo Yarrow può far saltare il sistema d'iperpropulsione di qualsiasi astronave si trovi nello spazio, con due bobine congiunte. Non dobbiamo preoccuparci di loro!» Non era esattamente il discorso che ci si sarebbe potuto aspettare da un uomo, in circostanze simili. Era un discorso molto professionale. E, in effetti, stava parlando di lavoro. «Poi,» disse, aggrottando le sopracciglia, «devo formulare la richiesta di ricupero per ognuna di queste astronavi. Devo redigere una formale deposizione del fatto che tutte queste astronavi sono state rese disponibili per riparazione e ricupero a causa della mia azione, e registrarla nel giornale di bordo... gli armatori mi hanno accordato i diritti di ricupero... onde ottenere i benefici per me e per gli uomini che si trovano al mio servizio. In effetti, posso vendere queste astronavi dove si trovano, facendo giungere qui gli acquirenti, i quali si occuperebbero delle riparazioni e del trasferimento di ognuna di esse. Questo potrei farlo se avessi bisogno di fondi. Ma quasi tutte saranno ricuperate come l'Hecla, e io richiederò i diritti di ricupero per ognuna di esse, come ho fatto con l'Hecla.» Lei ascoltava. Ma la sua espressione diventò incerta. Sconcertata. Lo guardò, senza comprendere. «Lei mi ha chiesto,» disse Trent, in tono piuttosto formale, «di venire a trovare lei e il suo rappresentante commerciale su Sira. Io ho risposto che avrei fatto il possibile, e invece ho decollato senza venire. Devo chiederle scusa.» Lei apparve sinceramente sbalordita.
«Ma... ma questo non ha importanza!» protestò. «Io...» «Naturalmente, devo sempre occuparmi delle cose che ho enumerato,» disse Trent. Il suo tono era di chiaro disagio. «Ma...» «Ma...» «Ma poi mi dirigerò verso Loren,» le disse. «Dovrò fare in modo che altre astronavi vengano a prendere coloro che non potrò portare con me. Io... io sarò felicissimo, se lei vorrà venire sullo Yarrow, quando io partirò per Loren. Posso prendere qualche passeggero con me. Può scegliere lei i passeggeri, se vuole. E... ehm... non avrò affari da sbrigare, durante il viaggio da qui a Loren.» Lei lo guardò. «A dire il vero,» disse il capitano Trent, chiaramente in imbarazzo, «a dire il vero io... trovo che... ebbene... sarei molto lieto di averla mia ospite sullo Yarrow. Mi piace il modo in cui lei... reagisce nei casi di emergenza. Mi piacerebbe che ci... conoscessimo meglio. Non mi sono mai trovato di fronte a... questa situazione prima d'oggi e non so come spiegare quello che voglio dire. Certamente, fino a ora non ci sono affatto riuscito!» L'espressione di Marian cambiò. Dallo sbalordimento, passò all'improvvisa e compiaciuta comprensione. «Ma io penso il contrario!» lei gli sorrise. «Penso che lei l'abbia detto in maniera meravigliosa! Io... sarei lieta di dire le stesse cose, bene come le ha sapute dire lei. Non vorrà che lo faccia, vero?» Trent apparve subito terribilmente a disagio ed enormemente sollevato. «Ne riparleremo durante il viaggio per Loren.» Poi se ne andò. Marian sorrise, mentre lui se ne andava. E non aveva affatto un aspetto perplesso. Sorrideva, estremamente fiduciosa. Durante il viaggio verso Loren, McHinny fece sapere con insistenza che desiderava mostrare a Trent come funzionasse meravigliosamente la sua invenzione ricostruita per la terza volta. Spiegò che un pezzo che aveva usato nella costruzione dell'unità da installare sullo Yarrow aveva richiesto una certa quantità di induzione. La teoria era che la corrente che passava dai motori agli accumulatori doveva vincere una certa resistenza durante i primi istanti della operazione. Di conseguenza, gli accumulatori venivano caricati gradualmente, senza sovraccarico dei fili che li alimentavano. Ma il pezzo installato sull'unità a bordo dello Yarrow era stato difettoso. Senza resistenza induttiva a con-
trollare la corrente che entrava nell'unità, veniva a crearsi un corto circuito. La macchina era saltata ogni volta. E non c'era niente da fare. Ma durante il viaggio verso la base dei pirati, spiegò ferocemente McHinny, gli era venuta in mente quella possibilità. Aveva installato nella sua invenzione un'altra unità induttiva. E, di conseguenza, aveva distrutto l'astronave pirata che, altrimenti, sarebbe riuscita a fuggire. Trent aprì la bocca per fare una correzione. I pirati fuggiaschi non sarebbero riusciti ad andarsene. Il secondo aveva ricevuto l'ordine di far saltare il sistema d'iperpropulsione della nave pirata con le due bobine dello Yarrow, se l'invenzione di McHinny non avesse funzionato. Poi Trent si strinse nelle spalle. Non importava. E adesso McHinny voleva mostrare a Trent il funzionamento della sua invenzione. Trent portò con sé Marian ad assistere alla dimostrazione. McHinny trasudava dell'importanza e della fiducia, proprie di un genio. Schiacciò il pulsante di carica. E l'invenzione saltò. MURRAY LEINSTER Harry Harrison GESTO DA CRIMINALE Harry Harrison non ha bisogno di presentazioni, essendo troppo noto il suo eccellente Un eroe galattico, ai nostri lettori, per dovere ancora spendere parole in elogi. Ma Galassia, che ha valorizzato in Italia Harrison come meritava, non aveva ancora presentato racconti di questo autore (che tra l'altro, adesso dirige la rivista inglese Impulse, con notevole successo). E così ci siamo fatti spedire da Harrison questo suo racconto, ancora inedito, e lo presentiamo ai nostri lettori, non senza sottolineare ancora una volta l'eccezionale abilità che spesso dimostra Harrison, un autore forse discontinuo, ma senza dubbio di capacità e possibilità non facilmente valutabili. Il primo colpo di martello fece vibrare violentemente la porta, e il secondo fece rimbombare il legno sottile come un tamburo. Benedict Vernall spalancò la porta prima che un terzo colpo potesse essere vibrato, e pre-
mette la sua pistola contro lo stomaco dell'uomo che aveva il martello. «Avanti. Fuori di qui,» disse Benedict, con voce più alta di quanto avesse desiderato. «Non faccia l'idiota,» disse tranquillamente il magistrato, facendosi da parte, in modo che le due guardie che si trovavano dietro di lui, nell'atrio, si vedessero chiaramente. «Io sono il magistrato e sto facendo il mio dovere. Se vengo assalito, questi uomini hanno l'ordine di sparare a lei e a chiunque altro si trovi nel suo appartamento. Ragioni. Il suo non è il primo caso del genere. Queste cose sono previste.» Una delle guardie tolse la sicura della mitragliatrice che portava, e ammiccò a Benedict, nel farlo. Benedict lasciò cadere lentamente sul fianco la mano che teneva la pistola. «Molto meglio,» disse il magistrato, e colpì un'altra volta il chiodo col martello, in modo che l'avviso fosse fissato saldamente sulla porta. «Porti via quel dannato affare,» disse Benedict, con voce strozzata. «Benedict Vernall,» disse il magistrato, aggiustandosi gli occhiali sul naso per leggere il proclama che aveva affisso, «questo è per informarla che, in conformità all'Atto della Nascita Criminale del 1993, lei è colpevole di nascita illegale e di conseguenza è proscritto e non più protetto dalle ingiurie fisiche dalle forze di questo stato sovrano...» «Lei permetterà al primo pazzo di uccidermi... che razza di legge schifosa è questa?» Il magistrato si tolse gli occhiali e fissò freddamente Benedict. «Signor Vernall,» disse, «abbia il decoro di accettare i risultati delle sue azioni. Ha o non ha un bambino illegale?» «Illegale... affatto! Un bambino indifeso...» «Ha raggiunto o no il massimo legale di due bambini?» «Ne abbiamo due, ma...» «Lei ha rifiutato l'assistenza della clinica locale per il controllo delle nascite. Lei ha cacciato con la forza l'ufficiale dell'assistenza prenatale che è venuto da lei. Ha respinto l'offerta della clinica per gli aborti...» «Assassini!» «...e il parere del Comitato di Pianificazione Familiare. Sono trascorsi i sei mesi prescritti, senza che lei agisse, in un senso o nell'altro. Ha ricevuto tre avvertimenti e li ha ignorati. La sua famiglia comprende ancora un consumatore in più di quanti ne sono previsti dalla legge, per questo è stato affisso il proclama. Lei solo è responsabile, signor Vernall, non può dare la
colpa a nessun altro.» «Posso dare la colpa a questa stupida legge.» «È la legge del paese,» si irrigidì il magistrato. «E né io, né lei possiamo metterla in discussione.» Estrasse di tasca un fischietto e se lo portò alle labbra. «È mio dovere legale ricordarle che lei ha ancora una strada aperta, anche adesso, all'ultimo momento; e può ancora ricorrere ai servigi della Clinica dell'Eutanasia.» «Vada all'inferno!» «Già. Mi è stato detto altre volte.» Il magistrato si portò il fischietto alle labbra e soffiò. Quasi sorrise, quando Benedict chiuse la porta dell'appartamento. Si udì un basso brontolìo animale dalle scale, quando i due poliziotti si fecero da parte. Un gruppo di uomini si fece avanti, correndo e lottando allo stesso tempo. Uno di essi giunse a precedere gli altri, ma fu abbattuto da un pugno alla tempia; gli altri lo calpestarono. Urlando e bestemmiando gli scalmanati avanzarono, e la lotta sembrò incerta, ma a pochi metri dalla porta uno di coloro che si trovavano in testa cadde, trascinando con sé nella caduta altri due. Un ometto grasso in seconda fila scavalcò i loro colpi e piombò sulla porta dell'appartamento di Vernall con tanta violenza che la penna a sfera che teneva impugnata come un'arma bucò la carta dell'avviso e si conficcò nel legno. «Un volontario è stato scelto,» gridò il magistrato, e i poliziotti bloccarono la strada agli altri scalmanati, respingendoli con violenza verso le scale. Uno degli scalmanati rimase disteso a terra, con un filo di saliva che gli scendeva dalla bocca che masticava spasmodicamente un lembo del tappeto. Due infermieri vestiti di bianco erano pronti al verificarsi di cose del genere, e uno di loro infilò con mossa esperta un ago ipodermico nella nuca dell'uomo, mentre l'altro preparava una barella. Sotto lo sguardo attento del magistrato, il volontario scrisse con estrema nitidezza il suo nome nello spazio apposito del proclama, poi con gesto studiato ripose la penna nel taschino del panciotto. «Lieto di accettarla come volontario per questo importante servizio pubblico, signor...» il magistrato allungò il collo per osservare il foglio. «Signor Mortimer,» aggiunse. «Mortimer è il mio nome,» disse l'uomo, a bassa voce, asciugandosi il sudore dalla fronte con il fazzoletto che aveva estratto dal taschino della giacca. «Comprensibile, signore; la sua anonimità verrà rispettata, com'è nei di-
ritti di tutti i volontari. Devo presumere che lei sia al corrente di tutte le altre norme?» «Certo! Paragrafo 46 della Legge sulle Nascite Criminali del 1993, comma 14, con oggetto la selezione dei volontari. Primo, mi sono offerto come volontario per il periodo massimo di ventiquattro ore. Secondo, non tenterò né attuerò alcun atto di violenza su altri membri del pubblico durante questo periodo, e se lo farò sarò ritenuto responsabile a norma di legge per ogni mia azione.» «Ottimo. Ma non c'è altro?» Mortimer piegò accuratamente il fazzoletto e lo ripose nel taschino. «Terzo,» disse, e lisciò il fazzoletto perché ritornasse di aspetto impeccabile, «non sarò ritenuto perseguibile a norma di legge se sopprimerò l'individuo proscritto, certo Benedict Vernall.» «Perfettamente corretto.» Il magistrato annuì, e indicò una grossa valigia che era stata posata a terra e aperta da un poliziotto. L'atrio era stato sgomberato. «Se vuole venire qui a compiere la sua scelta...» Guardarono entrambi l'interno della valigia, che era traboccante di strumenti di morte. «Spero che lei capisca che anche la sua vita sarà in gioco durante questo periodo, e che se lei verrà ferito o ucciso non sarà difeso dalla legge!» «Non mi prenda per stupido,» disse brevemente Mortimer, poi indicò la valigia. «Voglio una di queste granate a percussione.» «Non può averla,» gli disse il magistrato con voce tagliente, ferito dalle maniere dell'altro. C'era un modo prestabilito e corretto di espletare quelle formalità. «Queste possono venire usate soltanto all'aperto, là dove un innocente non possa venire colpito. Non in un edificio ad appartamenti. Comunque, lei può scegliere qualsiasi arma a corta portata.» Mortimer intrecciò le dita e rimase immobile a capo chino, quasi in una posizione di preghiera, esaminando le armi. Pistole automatiche, granate, coltelli, fruste, rasoi, pugni di ferro, vetri rotti, fiale d'acido, aculei avvelenati, mazze, bombe a gas e fiale di gas lacrimogeno. «Esistono delle limitazioni?» domandò. «Prenda ciò che può servirle. Ricordi soltanto che dovrà firmare una ricevuta e restituire ogni cosa.» «Voglio la pistola mitragliatrice Reisling con cinque dei venti caricatori e il coltello con gli aculei e la penna stilografica con la carica di gas lacrimogeno.» Il magistrato faceva velocissime annotazioni su una microlista, mentre Mortimer parlava.
«È tutto?» domandò. Mortimer annuì, prese il registro che il magistrato gli porgeva e firmò senza guardare quanto era scritto sul foglio, poi iniziò subito a riempirsi le tasche con le armi e le munizioni. «Ventiquattro ore,» disse il magistrato, guardando l'orologio e riempiendo un altro spazio bianco dell'avviso. «Lei ha tempo fino alle 17,45 di domani.» «Va' via dalla porta, ti prego, Ben,» supplicò Maria. «Zitta,» mormorò Benedict, tenendo l'orecchio contro la porta, «voglio sentire quello che dicono.» Il suo volto si concentrò nel tentativo di distinguere le parole attutite. «Non serve a niente,» disse, allontanandosi. «Non riesco a capire niente. Non che serva a qualcosa. So benissimo cosa sta succedendo...» «C'è un uomo che viene a ucciderti,» disse Maria, con la sua voce infantile. Il bambino cominciò a gemere, e la donna lo strinse a sé. «Ti prego, Maria, ritorna nel bagno, come abbiamo stabilito. Là c'è il tuo letto, e il cibo, e non ci sono finestre. Finché te ne starai contro la parete, lontano dalla porta, non potrà accaderti nulla. Fallo per me, tesoro... così non dovrò preoccuparmi per voi due.» «E tu resteresti qui da solo?» Benedict sollevò le sue spalle strette e strinse con fermezza la pistola. «Devo restare qui, qui davanti, a difendere la mia famiglia. Questo è antico come la storia dell'uomo.» «Famiglia,» disse lei, e si guardò intorno, apprensiva. «E Matthew e Agnes?» «Sono al sicuro da tua madre. Ha promesso di badare a loro, finché non ci faremo vivi. Potresti essere anche tu con loro, vorrei che avessi fatto così.» «No, non potevo. Non potevo essere da nessuna parte, all'infuori di qui. E non potevo lasciare laggiù il bambino, avrebbe avuto fame.» Guardò il bambino, che stava ancora vagendo, e cominciò a sbottonare la camicetta. «Ti prego, amore,» disse Benedict, ritraendosi dalla porta. «Voglio che tu vada nel bagno col bambino, e che rimanga là. Devi farlo. Adesso, quello può venire da un momento all'altro.» Lei obbedì, riluttante, ed egli attese che la porta fosse chiusa a chiave. Poi cercò di dimenticare la loro presenza, perché erano solo una distrazione che avrebbe potuto pericolosamente interferire con quello che doveva
essere fatto. Aveva elaborato il suo piano difensivo nei minimi particolari già da molto tempo, e compì lentamente un giro dell'appartamento, per assicurarsi che tutto fosse come doveva essere. Per prima cosa la porta d'ingresso, l'unica porta che dava nell'appartamento. Era chiusa a chiave e sprangata e la catena era al suo posto. Rimaneva soltanto da spingere contro di essa il massiccio armadio. L'assassino ora non avrebbe potuto entrare senza produrre molto rumore, e se tentava, Benedict sarebbe stato pronto a riceverlo. Questo sistemava la faccenda della porta. Non c'erano finestre né in cucina, né nel bagno, e così lui poteva lasciar perdere i due locali. La camera da letto invece aveva una finestra che dava sulla scala antincendio, ma anche questo l'aveva previsto. La finestra era chiusa e dall'esterno poteva venire aperta soltanto rompendo i vetri. Avrebbe sentito e avrebbe avuto il tempo di spingere il divano, all'esterno, contro la porta. Non voleva farlo adesso, nel caso gli fosse stato necessario rifugiarsi in camera da letto. Restava una sola camera, il soggiorno, e si preparava a montare la guardia proprio là. Nel soggiorno c'erano due finestre, e dalla prima si poteva accedere alla scala antincendio. L'assassino avrebbe potuto giungere da quella parte. L'altra finestra non poteva essere raggiunta dalla scala antincendio, sebbene fosse un facile bersaglio per un tiratore appostato dietro alla finestra che si trovava dall'altra parte del cortile. Ma l'angolo del soggiorno nel quale avrebbe montato la guardia non si trovava sulla linea del fuoco. Aveva messo la poltrona contro la parete e, dopo avere controllato per l'ultima volta che entrambe le finestre fossero chiuse, sedette. Teneva la pistola sulle gambe, puntata contro la finestra che dava sulla scala antincendio. Se qualcuno avesse tentato di entrare da quella parte, avrebbe sparato. L'altra finestra era vicina, ma non gli sarebbe potuto capitare nulla, a meno che non fosse rimasto davanti a essa. Le leggere tendine di stoffa erano tirate, e quando fosse stato buio avrebbe potuto vedere attraverso di esse senza essere visto. Bastava spostare di poco la pistola per coprire anche la porta. Se dalla porta d'ingresso fosse giunto qualsiasi rumore, avrebbe potuto raggiungerla in pochi istanti. Aveva fatto tutto il possibile. Si appoggiò allo schienale. Quando la luce cominciò a impallidire, all'esterno, il soggiorno divenne piuttosto buio, ma la luce esterna che filtrava dalle tendine gli permise di vedere abbastanza bene. Il silenzio era quasi assoluto, e muovendosi poteva udire il rumore delle molle della poltrona. Dopo poche ore si rese conto
di una dimenticanza nei suoi piani. Aveva sete. Dapprima riuscì a ignorare la cosa, ma alle nove si ritrovò con la gola secca. Sapeva di non poter resistere in quelle condizioni per tutta la notte, era una distrazione troppo forte. Avrebbe dovuto portare con sé una bottiglia d'acqua. La cosa più saggia da fare sarebbe stato alzarsi e andare a prendere da bere, facendo tutto in fretta. Ma non voleva lasciare la protezione offertagli da quell'angolo. Non aveva più saputo nulla dell'assassino, e questo lo rendeva ancora più preoccupato. Poi udì Maria che lo chiamava. Dapprima molto piano, poi sempre più forte. Era preoccupata. Stava bene? Lui non aveva il coraggio di risponderle, non da dove si trovava. L'unica cosa da fare era andare da lei, mormorare dietro la porta che tutto andava bene e che lei doveva tacere. Forse allora si sarebbe addormentata. E lui avrebbe potuto prendere dell'acqua in cucina, e portare con sé una bottiglia. Il più silenziosamente possibile si alzò e mosse le gambe intorpidite, tenendo gli occhi fissi sul grigio quadrato della seconda finestra. Senza piegarsi si tolse le scarpe, poi attraversò il soggiorno in punta di piedi. Maria stava chiamando più forte, ora, e picchiava contro la porta del bagno, e lui doveva farla tacere. Perché non si rendeva conto del pericolo in cui lo stava mettendo? Quando varcò la porta, la luce dell'ingresso si accese. «Che stai facendo?» gridò a Maria, che era accanto all'interruttore. Batté le palpebre, all'improvviso bagliore. «Ero così in pensiero...» Lo schianto di vetri infranti proveniente dal soggiorno fu sottolineato dal rumore martellante della pistola mitragliatrice. Fitte di dolore colpirono Benedict, ed egli si gettò sul pavimento del corridoio. «Nel bagno!» gridò, e sparò a sua volta nel soggiorno, attraverso la porta aperta. Si rese conto solo vagamente del grido attutito di Maria, che aveva chiuso la porta e, momentaneamente, dimenticò la sofferenza che le ferite gli provocavano. Si avvertiva il sentore della polvere da sparo, e nell'aria aleggiava una nebbia azzurrina. Qualcosa si mosse nel soggiorno, ed egli sparò ancora nel buio. Sobbalzò quando dal soggiorno fu risposto al fuoco, e le pallottole penetrarono nella parete di fronte alla porta. Il fuoco cessò, ma egli tenne puntata la pistola, comprendendo che gli spari dell'assassino non potevano raggiungerlo dove si trovava, appiattito
contro il muro, lontano dalla porta spalancata. L'altro avrebbe dovuto uscire in corridoio per ucciderlo, e se lo faceva, Benedict avrebbe potuto sparare per primo e ucciderlo. Altri proiettili si conficcarono nella parete, ma lui non si scomodò a rispondere al fuoco. Visto che il silenzio si prolungava per più di un minuto, decise di correre il rischio e silenziosamente aprì la pistola, estrasse dal caricatore le cartucce già sparate, e le sostituì. Ai suoi piedi c'era una pozza di sangue. Tenendo puntata la pistola sulla porta, goffamente sollevò il bordo dei pantaloni con la mano sinistra, e diede una rapida occhiata alla gamba. C'era dell'altro sangue che gli scendeva dalla caviglia e inzuppava il calzino. Una pallottola era penetrata nel polpaccio aprendo due buchi rotondi e nerastri dai quali usciva il sangue. La vista del sangue lo stordì per un istante, poi riprese il controllo di se stesso e puntò nuovamente la pistola, che aveva tremato, sulla porta aperta. Il soggiorno era immerso nel silenzio. Anche il fianco gli doleva, ma, sollevando la camicia, si rese conto che, sebbene la ferita fosse dolorosa, non era seria come quella alla gamba. Una seconda pallottola lo aveva colpito di striscio al fianco, lasciando una ferita poco profonda. Non sanguinava molto. Ma bisognava fare qualcosa, per la ferita alla gamba. «Sei stato veloce, Benedict, devo congratularmi con te...» Il dito di Benedict si contrasse automaticamente, e sparò due colpi nella stanza, nella direzione dalla quale era giunta la voce dell'uomo. L'altro rise. «Nervi, Benedict, nervi. Il fatto che io sia qui per ucciderti non significa che non si possa parlare.» «Sei uno schifoso animale, un animale lurido e ottuso!» Le parole uscirono dalle labbra di Benedict e furono seguite da una serie di oscenità, espressioni che non aveva usato, e neppure udito, dai giorni di scuola. Si fermò bruscamente, quando ricordò che Maria poteva ascoltarlo. Lei non lo aveva mai sentito parlare a quel modo. «Nervi, Benedict?» Di nuovo la risatina dell'altro. «Insultandomi non cambierai la situazione.» «Perché non te ne vai? Io non tenterò di fermarti,» disse Benedict, «non voglio vederti e non voglio conoscerti. Perché non te ne vai?» «Temo che non sia tanto semplice, Ben. Tu hai creato questa situazione, in un certo senso, sei stato tu a chiamarmi qui. Come uno stregone che evoca uno spirito maligno. Una bella similitudine, non ti sembra? Permetti che mi presenti. Mi chiamo Mortimer.» «Non voglio sapere il tuo nome, specie di... immondizia.» Lentamente,
Benedict cominciò a togliersi la camicia. Dopo essersi sfilato la manica sinistra, prese per un istante la pistola con la mano sinistra, per sfilarsi l'altra manica. La ferita alla gamba gli provocò un dolore lancinante, mentre avvolgeva la camicia intorno a essa e Benedict ansimò, poi parlò in fretta per nascondere il rumore. «Sei venuto qui perché l'hai voluto... e per questo io ti ucciderò.» «Benissimo, Benedict, è anche meglio di come speravo. Dopotutto, sei quello che può avvicinarsi maggiormente, ai nostri giorni, a un grande criminale, all'individualista antisociale che agisce da solo, che continua la tradizione dei Dillinger e dei fratelli James. Sebbene essi portassero la morte, e tu la vita, e la tua arma sia molto più umile delle loro pistole...» Le parole si conclusero con una risatina soffocata. «Hai una mente contorta, Mortimer, proprio quello che avrei dovuto aspettarmi da un uomo che ha accettato una licenza di uccidere. Sei malato.» Benedict voleva continuare a farlo parlare, per lo meno per qualche minuto, fino a quando fosse riuscito a fasciare la gamba. La camicia era appiccicosa per il sangue, e lui non avrebbe potuto completare la fasciatura senza servirsi della mano destra. «Devi essere malato, per essere venuto qui,» disse, «quale altro motivo avresti potuto avere?» Posò silenziosamente la pistola, poi si affrettò a fasciare la ferita. «La malattia è una cosa relativa,» disse la voce nell'ombra. «Come il delitto. L'uomo inventa delle società e le regole delle società che lui ha inventato determinano il delitto. O tempora! O mores! Gli omosessuali, nella Grecia periclea, erano uomini onorati, e rispettati per il loro amore. Gli omosessuali nell'Inghilterra industriale erano vilipesi e perseguitati come criminali. Chi è che commette il crimine... la società o l'uomo? Chi di loro è il criminale? Tu puoi cercare di opporre un'autorità più alta dell'uomo, ma questa sarebbe soltanto una considerazione astratta, e qui noi stiamo discutendo di cose reali. La legge afferma che tu sei un criminale. Io sono qui per imporre la legge.» Il tuono della sua pistola aggiunse forza alle parole, e schegge di legno schizzarono dalla porta. Benedict strinse il nodo e riprese in mano la sua pistola. «Io invoco un'autorità più alta,» disse, «la legge naturale, la santità della vita, l'inviolabilità del matrimonio. Sotto questa autorità mi sposo ed amo, e i miei bambini sono la benedizione di questa unione.» «Le tue benedizioni... e le benedizioni del resto della umanità... stanno consumando questo mondo come locuste,» disse Mortimer, «ma questa è
un'osservazione. Prima devo affrontare i tuoi argomenti. «Primus. La sola legge naturale è scritta nelle rocce sedimentarie e negli spettri dei soli. Ciò che tu chiami legge naturale è una legge fatta dall'uomo e varia con il variare delle religioni. Argomento non valido. «Secundis. Vita è prolificare e le generazioni di oggi devono morire affinché quelle di domani possano vivere. Tutte le religioni hanno le facce di Giano. Guardano biecamente l'omicidio e nello stesso tempo sorridono alla guerra e alla pena capitale. Argomento non valido. «Ultimus. Le forme d'unione maschio e femmina sono diverse come le società che le ospitano. Argomento non valido. La tua autorità più alta non si applica al mondo dei fatti e delle leggi. Credi in essa se vuoi, se ti dà qualche soddisfazione, ma non invocarla per farti condonare la pena del tuo gesto da criminale.» «Criminale!» gridò Benedict, e sparò due colpi, per poi ritrarsi quando una pioggia di pallottole rispose a quei colpi. Vagamente, dalla porta del bagno, gli giunsero i vagiti del bambino. Il rumore lo aveva svegliato. Tolse le cartucce vuote e infilò nel cilindro le nuove, rabbiosamente. «Tu sei il criminale che sta cercando di assassinarmi,» disse, «tu sei lo strumento dei criminali che invadono la mia casa con le loro malefiche leggi e mi dicono che non posso avere altri bambini. Non potete darmi degli ordini, su questo.» «Che stupido sei,» sospirò Mortimer. «Tu sei un criminale sociale, e non esiti ad accettare i benefici della tua società. Tu accetti le cure mediche, in modo che i tuoi bambini possano vivere oggi, mentre in passato essi sarebbero morti, e accetti una razione di cibo per nutrirli, cibo che ti giunge senza che tu debba guadagnartelo col lavoro. Questo ti sta bene, e così tu accetti. Ma non accetti una programmazione sulla tua famiglia, e tenti di rifiutarla. È impossibile. Devi accettare tutto o rifiutare tutto. Devi lasciare la tua società... o adeguarti alle sue leggi. Se tu mangi il cibo, devi pagarlo.» «Non chiedo altro cibo. Il bambino ha il latte di sua madre, divideremo le nostre razioni di cibo...» «Non essere fatuo. Tu e la tua irresponsabile genìa avete riempito fino a scoppiare questo mondo, e non volete ancora fermarvi. Siete stati affrontati a parole, con lusinghe, con minacce, con punizioni... tutto inutile. Ora dovete essere fermati. Tu hai rifiutato ogni aiuto, per impedire che un'altra bocca venisse ad aprirsi in questo mondo affamato e, siccome l'hai fatto, devi essere considerato responsabile di avere chiuso un'altra bocca e di a-
verla tolta da questo stesso mondo. La legge è umana, e giunge dalla nostra storia d'individualismo e di spirito di frontiera, e ti dà la possibilità di difendere con una pistola i tuoi ideali. E la tua vita. Chiudi la mia bocca, se puoi, Benedict, perché io aspetto con piacere di chiudere la tua e il tuo incredibile egoismo.» «Pazzo!» sibilò Benedict, e strinse i denti, «feccia della società. Questa legge oscena porta a galla il fondo più pazzo dell'umanità e lo arma e gli concede la licenza di uccidere.» «Fa questo, ed è un sistema utile. I non adattati si mettono in evidenza e possono essere sorvegliati. Meglio che il folle assassino si mostri pubblicamente e chiaramente, piuttosto che insidi e massacri tuo figlio nel parco. Oggi egli rischia la vita e chiunque venga ucciso serve l'umanità con la sua morte.» «Ammetti di essere pazzo... un assassino autorizzato?» Benedict fece per alzarsi in piedi, ma il corridoio cominciò a girargli intorno, e la vista gli si annebbiò; ritornò come era prima, pesantemente. «Non io,» disse Mortimer, con voce atona, «io sono un uomo che vuole aiutare la legge ed estirpare la vostra genìa abietta e proliferante.» «Allora sei un invertito, che odia l'amore tra uomini e donne.» L'unica risposta fu una fredda risata che fece infuriare Benedict. «Malato!» gridò. «O pazzo. O sterile, impotente a generare figli tuoi, e di conseguenza pieno d'odio per coloro che possono...» «È abbastanza! Ho parlato abbastanza con te, Benedict. Ora ti ucciderò.» Benedict poté udire l'ira nella voce dell'altro, per la prima volta, e seppe di avere colpito l'assassino col pungolo della verità. Tacque, debole e confuso, mentre il sangue filtrava dalla sua fasciatura improvvisata e cadeva sul pavimento. Doveva conservare le poche forze che gli restavano per premere il grilletto quando l'assassino fosse apparso nel vano della porta. Dietro di sé udì l'impercettibile rumore provocato dall'aprirsi della porta del bagno, e il fruscio di passi silenziosi. Sollevò lo sguardo, impotente, e vide il volto di Maria, rigato di lacrime. «Chi c'è con te?» gridò Mortimer, dal suo rifugio dietro la poltrona. «Ti sento bisbigliare. Se c'è tua moglie con te, Benedict, mandala via. Non voglio essere responsabile della sicurezza della vacca. L'hai voluto tu, questo, Benedict, ed è giunto il momento di pagare il prezzo dei tuoi errori, e io sarò lo strumento della legge.» Si alzò in piedi e vuotò il resto del caricatore sulla porta, poi schiacciò il bottone per espellere il caricatore e lo gettò dietro alle pallottole, facendo
scivolare in posizione subito un altro. Poi si preparò all'attacco. Era pronto. Non avrebbe avuto bisogno del coltello. Fare qualche passo avanti. Sparare attraverso la porta, poi lanciare la penna con il gas lacrimogeno. Avrebbe accecato l'altro, o gli avrebbe fatto mancare il bersaglio. Poi, camminare decisamente, tenendo il pulsante schiacciato, con i proiettili che sgorgano come acqua, e l'uomo sarebbe stato un cadavere. Mortimer respirò profondamente, con un lieve tremito... poi si fermò e boccheggiò alla vista della mano di Benedict che appariva sulla parete dietro la porta e procedeva a tentoni, cercando qualcosa. Fu un'apparizione così inattesa che per un istante egli non sparò, e quando sparò mancò il bersaglio. Una mano è un bersaglio difficile, per un'arma automatica. La mano raggiunse l'interruttore della luce e svanì, quando dal soffitto si sprigionò nel soggiorno una luce violenta. Mortimer imprecò e sparò dove era stata la mano e sparò nella parete e attraverso la porta, senza colpire che legno e plastica, e si sentì terribilmente esposto sotto il bagliore della luce. Il primo colpo di pistola fu sommerso dal frastuono della sua mitragliatrice ed egli non comprese di essere sotto tiro fino a quando la seconda pallottola non si conficcò nel pavimento, davanti ai suoi piedi. Smise di sparare, si voltò di scatto e ansimò. Sulla scala antincendio, all'esterno, accanto alla finestra rotta, c'era la donna. Tremante, come se un forte vento la scuotesse, a occhi sbarrati, puntava su di lui la pistola, stringendola con entrambe le mani, e tirava il grilletto spasmodicamente. Le pallottole si avvicinavano ma non lo colpivano, e terrorizzato sollevò la pistola mitragliatrice e seminò pallottole lungo un arco che si avvicinava alla finestra. «Non farlo! Non voglio farti del male!» gridò mentre sparava. L'ultima pallottola colpì la parete e si udì uno scatto. Il caricatore era terminato. Gettò via il caricatore vuoto e cercò di inserirne uno nuovo, e la pistola sparò di nuovo e un proiettile lo colpì al fianco facendolo barcollare. Quando cadde, la pistola gli cadde di mano. Benedict, che aveva strisciato lentamente e dolorosamente sul pavimento verso di lui, lo raggiunse in quel momento e gli strinse la gola con dita tremanti. «No...» gracchiò Mortimer, e cercò di dibattersi. Non aveva mai imparato a battersi, e questa gli sembrava l'unica cosa da fare. «Ti prego, Benedict, non farlo,» disse Maria, entrando dalla finestra e correndo verso di loro. «Lo stai uccidendo.» «No... no,» ansimò Benedict, «non ho forza. Le mie mani sono troppo
deboli.» Sollevò lo sguardo e vide la pistola vicino a lui e allungò una mano e la strappò dalle mani di lei. «Una bocca di meno, adesso!» gridò, e premette la canna rovente contro il petto di Mortimer e tirò il grilletto e lo sparo attutito si udì e il proiettile penetrò nell'uomo che scalciò violentemente una volta e morì. «Tesoro, ti senti bene?» gemette Maria, inginocchiandosi e stringendolo a sé. «Sì... benissimo. Debole, ma penso che sia a causa della perdita di sangue, che adesso si è arrestata. È tutto finito. Abbiamo vinto. Ora ci daranno la razione di cibo, e non ci daranno più fastidio e tutti saranno soddisfatti.» «Sono così felice,» disse lei, e riuscì a sorridere tra le lacrime. «Non volevo dirtelo prima, davvero, non volevo disturbarti con tutto questo pasticcio. Ma avremo...» Abbassò gli occhi. «Che cosa?» domandò, incredulo, «non vorrai per caso dire...» «Ma è proprio così.» Si carezzò il vestito che le stringeva all'altezza del diaframma. «Non siamo fortunati?» Tutto ciò che lui poteva fare era di guardarla, con la bocca spalancata e boccheggiante come un pesce impotente, trascinato sulla spiaggia. HARRY HARRISON Titolo originale : A CRIMINAL ACT © 1966 by Harry Harrison FINE