BRIGITTE AUBERT FUNERARIUM (Funérarium, 2002) I LUOGHI DEL DELITTO
La cappella Bellini Chi si trovasse oggi a passeggia...
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BRIGITTE AUBERT FUNERARIUM (Funérarium, 2002) I LUOGHI DEL DELITTO
La cappella Bellini Chi si trovasse oggi a passeggiare per la Croisette, il celebre boulevard di Cannes, faticherebbe forse a immaginare che la regina della Costa Azzurra era un tempo solo un tranquillo borgo abitato da operosi pescatori e monaci salmodianti. Certo, l'invidiabile posizione sulle sponde del Mediterraneo e il clima mite ne hanno favorito l'elezione a rifugio fra i più esclusivi del mondo per tutta quella variopinta e festante fauna che ne anima da quasi due secoli i giorni e le notti insonni durante la stagione. Ma in tempi più remoti i suoi abitanti, lungi dal ritrovarsi invasi da danarosi viveur, avidi di mondanità, subirono i ben più perniciosi e aggressivi assalti dei pirati saraceni che imperversavano per il mare nostrum, temuti e imprevedibili razziatori. Il che convinse i miti monaci a spostarsi dalle isole di fronte alla costa, Sainte-Marguerite e Saint-Honorat, sulla terraferma e precisamente nel Souquet, ancor oggi cuore della città vecchia. Nell'XI secolo Cannes, feudo dei Principi d'Antibes, fu ulteriormente dotata di una fortezza, a difesa di quell'angolo di costa tanto ambito e strategicamente appetibile. Nei secoli successivi le acque in cui si specchiava il tranquillo borgo, al centro di nuovi e prosperi commerci, videro accendersi le fiammate dei cannoni dei francesi opposti agli spagnoli prima, e degli inglesi
poi. Le isole passarono attraverso diversi proprietari nel corso dei secoli e soprattutto quella di Sainte-Marguerite divenne celebre per la sua fortezza utilizzata come prigione in cui furono rinchiusi noti personaggi come ad esempio la Maschera di Ferro e Lestang.
Fort Royal, nell'isola di Sainte Marguerite Col tempo il commercio marittimo rese sempre più prospera l'economia cittadina, finché intorno alla metà dell'Ottocento, Cannes non venne scoperta, per così dire, anche come possibile meta turistica. Fu grazie a un aristocratico inglese, Lord Henry Brougham and Vaux che, capitatovi quasi per caso, nell'impossibilità di proseguire il suo viaggio verso l'Italia per un'improvvisa pestilenza, decise di trascorrervi l'inverno anche negli anni successivi, se Cannes in breve tempo diventò il buen retiro di nobili e regnanti, altoborghesi e parvenu di tutto il Vecchio Continente, sedotti dal clima e dalla crescente raffinatezza del luogo. La leggenda vuole che il citato nobiluomo, per la verità inizialmente indeciso se restare in quel placido borgo di pescatori o riprendere il viaggio, venisse definitivamente conquistato da una zuppa di pesce, meglio nota come bouillabaisse, piatto ormai irrinunciabile nei menù della Costa e della regione fino a Marsiglia. Fatto sta che nell'incantevole paesaggio circostante cominciarono a sorgere come funghi le lussuose dimore dei nuovi colonizzatori stagionali, fra i quali vale la pena di annoverare la medesima Imperatrice di Russia che qui
veniva a ristorare la salute malferma, portandosi appresso tutta la corte. Verso la fine del secolo iniziò la costruzione del celebre Hotel Carlton e del Casinò Municipale, fulcro delle vivaci serate del bel mondo che vi affluiva spensierato. Solo la Grande Guerra interromperà questa festa mobile, ma superati gli orrori e le miserie della parentesi bellica, Cannes tornò ad essere quel che era prima: un luccicante luna park per il divertimento esclusivo di coloro ai quali la guerra non aveva strappato vita e privilegi. L'estate lentamente soppiantò l'inverno come stagione favorita dagli affezionati della Còte che, sempre più numerosi, scendevano nei lussuosi alberghi e animavano gli spumeggianti party nelle notti di baldoria. Alla fine degli anni Trenta la municipalità di Cannes decise di creare un festival del cinema da contrapporre a quello di Venezia, ma ancora una volta la guerra irruppe fra i lustrini e spazzò via le illusioni mondane. Al termine del conflitto però, il progetto accantonato venne ripreso con rinnovato entusiasmo e il 20 settembre del 1946 fu inaugurata la prima edizione di quella che col tempo sarebbe diventata non solo la più importante e prestigiosa rassegna di cinema al mondo, ma addirittura la seconda manifestazione planetaria per importanza, dopo i Giochi Olimpici. Le due settimane di maggio in cui si svolge il festival trasformano Cannes nella ribalta delle maggiori star di celluloide e il Palais des Festivals, non a caso soprannominato "bunker" dai locali, nel più impenetrabile dei monumenti cittadini per chi, suo malgrado, non fa parte della rutilante giostra che accende le sue luci solo su pochi e invidiati personaggi e che trasforma la Croisette in un lungo e vellutato tappeto rosso. E in questo caso, non le stelle, ma i comuni mortali, stanno a guardare.
La celebre Croisette
Brigitte Aubert, che a Cannes è nata, con il salace umorismo di brevi istantanee, inserisce nella nerissima vicenda di Funerarium sprazzi di questa fiera delle vanità, affacciandosi in rumorosi locali ed esclusivi ristoranti, per poi ambientare la maggior parte del racconto fra le colline sopra la cittadina, celate fra gli olivi secolari e i fitti boschi. Accolte in angoli da cartolina, nascoste fra gli ammalianti profumi di erbe aromatiche e i giardini rigogliosi e curatissimi, altere dimore di antica e aristocratica sobrietà, le bastide provenzali, con le loro pietre bianche che ne accentuano l'appartata solennità, sono rifugi abitati dal silenzio opaco di giornate che paiono succedersi a distanza siderale dal brulicante affanno dei signori del jet-set. E fra sapienti dosaggi di suspence, graffianti notazioni di costume e orrori da grand guignol stemperati da felici riflessioni ironiche, Aubert apre uno squarcio di spietata ferocia nella serenità apparentemente inattaccabile di una nobile famiglia che in tanto paradiso occulta invece indicibili segreti. Il contrasto fra questo bucolico scenario, affogato nella perfetta immobilità, e il sanguinoso trascorrere degli eventi, crea un effetto narrativamente assai efficace, accentuato dall'angolazione soggettiva dello spaesato protagonista, tranquillo impagliatore, generalmente avvezzo a committenze di vecchie signore abbrustolite dalla sempiterna abbronzatura, e imbalsamate da vive negli azzardati ritocchi chirurgici, che gli chiedono di applicare la sua antica arte alle amate spoglie di fedeli barboncini o di altre vittime della loro inconfessabile solitudine. Il fatto è che stavolta il povero tassidermista sarà sì ammesso a varcare la soglia di una di quelle inavvicinabili magioni, ma per farsi carico di un ben più pietoso servizio che lo allontanerà definitivamente dalle luci della città della fiesta, perdendolo nella notte immutabile della follia e del delitto che allunga la sua ombra sulle montagne alle sue spalle. E anche questa, forse, sarà una notte che non conosce alba. Bouillabaisse (per 6 persone) 6 kg di pesce (scorfano, pesce San Pietro, rana pescatrice, gallinella di mare, grongo, granchi di scoglio, pescetti da zuppa) - 2 cipolle - 3 pomodori maturi - 4 spicchi di aglio schiacciati - timo, finocchio selvatico, prezzemolo - un pezzetto di scorza d'arancia non trattata - 1 g. di stimmi di zafferano - 1 dl. di olio extravergine d'oliva - sale e pepe macinato al momento - pane casereccio a fette. Pulite i pesci, separando quelli dalla carne più soda da quelli con la car-
ne tenera. Pelate le cipolle, rosolatele in una pentola capiente e dal fondo largo, aggiungete l'aglio, la scorza d'arancia, poi gli odori, quindi i pomodori tritati grossolanamente e lo zafferano. Quando le verdure cominciano a bollire, aggiungete i pesci dalla carne più soda e il restante olio. Abbassate la fiamma, fate cuocere per 10 minuti circa e aggiungete circa 3 litri di acqua bollente. Salate e pepate, quindi fate cuocere a fiamma vivace per 5 minuti. Unite alla cottura i pesci dalla carne più delicata e fate cuocere per altri 8 minuti. Tagliate il pane a fette, abbrustolitelo e servitelo con la zuppa, e la rouille (tipica salsa provenzale a base di olio, aglio e peperoncino, così chiamata per il colore: in francese il termine significa "ruggine"). "La tua anima, io non la conosco dal tuo corpo, né te da me, né il nostro amore da Dio ". Dante Gabriele Rossetti, La speranza del cuore Sotto il cielo in fiamme Lontana una vela, nella mia anima Una vela. Seichi Vedi, nessuno è tornato che non se ne sia andato una volta. Iscrizione funeraria, Egitto, Basso Impero. Prologo Cane. Cane. Cane, muso fremente Corri corri corri. Ansiti, terra umida, collare, rami, gemiti. Bau, bau, soffro tanto! Cane e me Cane oh Cane e Re Cane toh
E me oh e Re toh M.O.R.T.O. Ma niente eiaculazioni sul corpo. Allora niente mandragola, mandragola di terra a forma di osso di gomma? Loro, come i cani, tutto il tempo "Ah ah ah ah! È buono." Il cane impiccato come un negro. Luce rossa, croce di fuoco. Mi piacerebbe proprio inchiodare un uomo sulla croce, torcia di pece che brucia. Loro loro loro, tutto il tempo con le lingue di fuori, grida di agonia come se bruciasse. Loro loro loro come dei cani. Anch'io l'ho fatto, lei ha pianto. Luce rossa, croce di sangue, gambe incrociate e cuore spezzato. Capitolo 1 Completamente nudo, braccia e gambe divaricate, il vecchio era stretto da cinghie sul ripiano di piastrelle bianche, sporco di sangue e di materie organiche. I pochi capelli grigi erano stati accuratamente pettinati all'indietro, mostrando il viso scavato dai tratti spigolosi. La bocca dilatata rivelava un ponte impeccabile. Gli occhi riposavano al suo fianco in una ciotola d'acciaio inox, due globi blu e viscosi. Léonard "Chib" Moreno si tolse i guanti di plastica extra sottile tutti macchiati, li appallottolò e li gettò nel cestino dell'immondizia da cui fuo-
riuscivano dei tamponi d'ovatta imbevuti di sangue. Infilò un paio di guanti nuovi e tese la mano verso la collezione di strumenti chirurgici che scintillavano appesi al muro, a fianco del piano d'appoggio ingombro di fiale, barattoli sigillati con la cera, siringhe e tubetti. Scelse un bisturi, lo fece sobbalzare nella sua mano scura mentre canticchiava His Jelly Roll is Nice and Hot. Poi, senza smettere di canticchiare, afferrò il pene flaccido tra le gambe villose e bianche del vecchio e lo tranciò via di netto. Appoggiò il pezzo di carne sanguinolenta nella bacinella smaltata predisposta appositamente. Il ronzio del climatizzatore pareva uno sciame di mosche. Doveva fare bel tempo di fuori. Bello e caldo. Una lieve brezza fra le palme. Il mare punteggiato di bianco. Materassini. Martini con ghiaccio. Corpi stravaccati sulla sabbia. Ma lì faceva freddo, un freddo dall'odore di formalina e sangue. Portò la temperatura del climatizzatore al massimo prima di indossare il gilet smanicato in Gore-tex. Poi colmò il cucchiaio di catrame caldo e si chinò nuovamente su quel corpo nudo. «Vedrai, sarà un lavoro perfetto!» mormorò mentre inseriva lo strumento nelle narici arrossate dall'uncino di ferro di cui si era servito qualche istante prima. Il catrame sfrigolò a contatto con la carne, Chib inclinò il cucchiaio con molta cautela, attento a non versare fuori nulla. Ripeté l'operazione più volte, concentrato sul suo lavoro, canterellando a bocca chiusa On the Killing Floor. Il catrame doveva riempire tutta la cavità cerebrale. La suoneria del telefono non lo fece sobbalzare, tuttavia emise un breve sospiro di scontento e posò il cucchiaio fumante sull'addome peloso per prendere il cellulare nella tasca del camice bianco. «Hi! Chib! Oye como va?» «Ho da fare, Greg.» «Due tipe, superfighe, alle otto stasera, al Navigator. Conto su di te.» «Non credo che potrò. Ho una cosa da finire.» «Ehi, non ti sto parlando di cadaveri, qua, parlo di donne vive e vegete.» «Esiste altro nella vita oltre che scopare, Greg.» «Cazzo! Non assumere quel tono da prete pedofilo con me, ok? Andiamo, dai, a dopo!» Greg aveva già riattaccato. "Ma per quale motivo continuo a frequentarlo?" si chiedeva Chib per l'ennesima volta mentre si turava le narici fumanti con dell'ovatta. Un tipo, quello, col quale la conversazione non ver-
teva che su una sola parola: "culo", e la sua traduzione in trentasei lingue. Un arrapato che gli guastava l'esistenza con il pretesto che avevano fatto il liceo insieme in un periodo in cui Leonardo il bastardo era stato molto felice di avere Greg il ricco a prendere le sue difese contro tutti quei cristoni della Banda dei Centauri, degli stronzi in motorino tatuati con le decalcomanie, ma terrificanti per un ragazzino magrolino e conciato con dei ridicoli occhiali. La riconoscenza doveva dunque essere eterna, Signore? Avrebbe dovuto ascoltare quelle oscenità fino alla morte? Non che avesse nulla contro il sesso e le sue delizie, ma con Greg non si trattava più di sesso, era "cazzofica" a volontà e alla fine uno si rompe. Guardò l'orologio, una nuova versione del Pilot's Watch 1938 della Omega, una piccola pazzia che si era appena regalato. Le sei, quattro minuti e diciotto secondi. Bisognava ancora immergere il cervello ridotto in poltiglia nella vaschetta con gli aromi e pulire tutto. E cosa si sarebbe messo? Tre quarti d'ora dopo suonò il videocitofono. Si diresse verso l'apparecchio incastrato nella parete e premette il pulsante video. Comparve un volto di donna, sui settanta ben liftati, grandi occhi scuri truccati con cura, bocca leggermente gonfiata artificialmente, capelli bruno rossicci raccolti in uno chignon non troppo stretto, collo ricoperto da fondotinta cremoso, ma sul quale si distinguevano i segni della vecchiaia e le rughe scavate dall'eccessiva esposizione al sole. Il collo mentiva raramente, si disse mentre si accingeva a parlarle attraverso il citofono. «Arrivo. Si accomodi.» Diede un buffetto al piede del cadavere che recava un'etichetta con scritto "Antoine Di Fazio, 1914-2002", si tolse il camice, lo lanciò sulla piccola lavatrice, si passò un guanto da toilette sul corpo prima di indossare una camicia bianca di popeline, dei pantaloni di alpaca neri e di salire al piano. La contessa Di Fazio era seduta nella piccola sala d'attesa high-tech, in equilibrio sul bordo del canapè in cuoio nero, sotto il De Staël grigio e blu, molto a suo agio nel suo tailleur pantalone in velluto smeraldo di Gucci. Due bracciali del Bénin in oro a tortiglione le tintinnavano al polso sinistro. Al destro sfoggiava solo il suo Tiffany First Lady, notò Chib. S'inchinò leggermente verso la contessa che si era servita un bicchiere d'acqua dal distributore e beveva a piccoli sorsi. «Come sta?» fece lei. Era una domanda idiota trattandosi di un morto, ma lui si mostrò cortese.
«Come meglio non potrebbe, madame.» «Ha finito?» «Sarà pronto fra quarantott'ore.» La contessa sospirò, Chib le allungò subito un kleenex con cui la signora si tamponò delicatamente gli occhi. «Il mio povero caro Antoine!» Uno sporco vecchio coglione che aveva bruciato uno stop con la sua Bentley, uccidendo una ragazzina che stava attraversando, prima di sfracellarsi contro un palo della luce. «Lo metterò nel salone blu» riprese lei mentre tirava su col naso «con Lady Choupette ai suoi piedi.» Chib aveva impagliato Lady Choupette l'autunno precedente, una femmina di bulldog ringhiosa quanto il suo padrone. «Non teme che... i suoi ospiti...» azzardò lui mentre guardava di nascosto l'orologio. «I nostri antenati riposano nelle catacombe del convento dei Cappuccini, a Palermo» gli ribatté la signora, altezzosa. «È una nostra usanza quella di esporre le spoglie dei nostri cari defunti.» Per quanto ne sapeva Chib, l'unica usanza conosciuta nella famiglia della contessa era quella della prostituzione d'alto bordo, grazie alla quale era riuscita a farsi sposare dal conte Di Fazio, ricchissimo armatore siciliano di venti anni più vecchio di lei. E si stupiva del fatto che la contessa riprendesse così le tradizioni della famiglia di suo marito. Dopotutto, il sarcofago di Antoine Di Fazio non sarebbe stato così male nel salone blu, colmo di ninnoli vittoriani e bambole di porcellana. «Starò via una decina di giorni» riprese la contessa. «Il matrimonio di nostro nipote a New York. Lo farò venire a prendere al mio ritorno.» «Nessun problema.» La signora tirò fuori dalla borsetta di Chanel un pezzo di carta ripiegato e lo posò sul tavolino basso di plexiglass. Dopodiché si accomiatò e uscì con fare solenne nella frescura del crepuscolo. Chib aprì l'assegno. Era la cifra convenuta. Una bella sommetta. I suoi servizi costavano cari. Non c'era quasi più nessuno capace di esercitare quel mestiere tanto secondo i metodi all'ultima moda che secondo gli antichi rituali. Si riempì un bicchiere d'acqua fresca, ne bevve la metà e se ne versò il resto sulla testa rasata. Neanche il tempo di farsi una doccia. Abbottonò il colletto italiano, si annodò una cravatta di maglia nera, indossò una giacca
in alpaca nera abbinata ai pantaloni, si sistemò in testa il suo piccolo e stretto feltro nero. Stava per uscire quando si rese conto che aveva ancora ai piedi le pantofole da chirurgo sopra i mocassini neri. Le tolse e le lanciò nel cestino vicino alla scrivania di legno e acciaio dove teneva i conti e passò nel suo laboratorio di tassidermista, di fronte. Era una stanza dalle tinte smorte, piena di volpi, donnole, cervi e cinghiali, qualche tonno e pesce spada di notevole taglia, appesi alla parete. Sul banco di lavoro troneggiava un piccolo squalo pescato dal Rule Britannia, uno yacht ancorato nel porto vicino. Fuori, il mare scintillava negli ultimi riflessi rossastri del tramonto. La sua Ouabet, il Luogo Puro, come gli egizi chiamavano i locali adibiti alla cura dei defunti, si trovava in un quartiere decentrato e dava sulla spiaggia, all'uscita est della città. Saltò sulla sua Floride verde acido, modello decappottabile del 1964, e mise in moto. Il boulevard du Midi era pieno di gente e impiegò dieci minuti buoni prima di riuscire a sistemarsi sotto un cartello che diceva "Attenzione deposito auto". Raggiunse rapidamente il Navigator, il ristorante preferito di Greg, un locale chic con camerieri solleciti e desolante arredamento giallo e salmone. Greg stava accanto alla sua 4x4 rossa metallizzata. Ancora infagottato nella sua muta in neoprene blu Savoia, sorta di grosso pacco di muscoli abbronzati, capelli biondi decolorati dal sole e tirati all'indietro con una coda di cavallo, intento a ripiegare la vela fluorescente della sua tavola da surf sotto lo sguardo placido di due ragazze appollaiate su suole ortopediche di quindici centimetri, con le braccia incrociate sulle loro camicette neo-seventies, Chib si avvicinò osservandole nei dettagli. Quella più alta era sulla trentina, capelli rossi ispidi, piercing al naso e alle sopracciglia. La più piccola, grassottella, pettoruta, con i capelli tinti biondo platino e bizzarramente irti di pinzette di plastica. Greg doveva averle rimorchiate sulla spiaggia, si disse Chib, mentre lanciava un gentile "Ciao". «Ah, eccoti!» esclamò Greg togliendosi la muta, fiero dei suoi addominali d'acciaio e dei suoi pettorali da pesista. «Ragazze, vi presento Chib.» «Chip?» ridacchiò quella alta. «Come cipollata?» «Chib come chibre¹, bella!» la corresse Greg mentre si infilava i suoi jeans Liberty. La ragazza scoppiò di nuovo a ridere e Chib sentì che stava arrossendo fino al midollo. Greg calzò le sue Timberland scalcagnate, infilò il maglione senape Marlboro, si pettinò con le dita e buttò là un "In marcia,
compagnia!" passando un braccio sotto quello di ciascuna ragazza. «Cazzo! Ma ci vuoi rovinare la serata o cosa con questo abbigliamento da beccamorto?» sbuffò Greg. «Perché non metti mai la Lacoste che ti ho regalato?» Una maglietta rosa? No grazie. La fantasia segreta di Chib erano gli anni Cinquanta, il jazz nero. Lui era Lester Young e andava a letto con Billie Holiday, mentre suonava magici assolo nei locali immersi nel fumo, sempre in bianco e nero per via delle foto. Niente magliette rosa per Lester Young. Greg aveva riservato il tavolo migliore, nell'angolo vicino alla finestra, con vista sul mare al di sopra delle capote delle macchine parcheggiate lungo il marciapiede, e boschetto di palme all'angolo della strada, breve scorcio del Porto vecchio e del blocco del palazzo dei Congressi. Quella alta si chiamava Sophie, la tombolotta Pam. Pam! Chib ingurgitò il suo succo di pomodoro senza schiudere i denti mentre Greg ne raccontava una bella. L'aveva fatto apposta a prendere il succo di pomodoro, sapendo che dava fastidio a Greg che si scolava il suo secondo pastis e incoraggiava le due ragazze a ordinare ancora qualcosa, nell'attesa dei frutti di mare. Come se si fosse ancora all'epoca in cui bisognava far ubriacare le donne per poter abusare delle loro grazie. Come se si fosse ancora all'epoca in cui tre marinai neri in prolungata libera uscita avevano violentato Ida Moreno in un vicolo cieco, Ida Moreno che aveva vent'anni e che aveva accettato di bere un bicchiere con loro dopo aver terminato il lavoro come maschera al cinema. Dal che, nove mesi più tardi, nascita di Léonard Moreno, di padri ignoti. Nome in omaggio a Leonard Bernstein: Ida era una melomane e suonava il violino nell'orchestra locale. Chib, glielo avevano affibbiato in seguito, quando aveva cominciato a occuparsi di morti. Un sollecito cameriere poggiò al centro della tavola un grande piatto guarnito di ostriche, cozze, cappe, cuori di mare, granchi, granseole, ricci e uova di mare. Greg si buttò su un cetriolo di mare il cui aspetto glabro e lucido ricordò a Chib il vecchio pene di Antoine Di Fazio. Pam e Sophie parlavano di Metz, loro città natale. Erano venute in treno e pensavano di spingersi fino a Genova, in Italia, per un piccolo giro2 sulla Riviera. Greg iniziò a sciorinare la sua interminabile lista dei posti migliori dove andare, mentre tagliava il cetriolo di mare che stillava bollicine come un uomo che affoga. Chib prese delle ostriche non troppo grasse, una chela di granchio, tre ricci, il tutto abbondantemente innaffiato di limone. Doveva smetterla di
farsi tiranneggiare da Greg. Doveva smetterla di passare le serate cercando di essere carino con le effimere conquiste di Greg. Non era Greg, non aveva il carisma volgare di Greg, non sarebbe mai stato alto, biondo, bello e coglione in una botta sola. Era troppo basso, un metro e sessantacinque, troppo magro, neanche cinquantacinque chili, troppo scuro, ma neanche sufficientemente nero, con grandi occhi da husky, di un azzurro pallido, che stonavano sul suo viso bruno dorato. Gli occhi di Ida. Uno dei suoi padri violentatori doveva avere un gamete azzurro. Ida aveva voluto sporgere denuncia, ma la USS Constellation aveva già preso il largo. Un vecchio poliziotto dai denti giallastri le aveva consigliato di metterci una pietra sopra. Era giovane, si sarebbe ripresa. Giovane, senza una famiglia, e madre di un bastardo di colore. Nel 1959 a Cannes non era davvero il massimo, questione di integrazione sociale. Ida aveva trovato un posto dove stare, ai piedi della città, al Suquet, un vecchio palazzo i cui primi due piani era occupati da Mme Hortense, la madre di Greg, che gestiva il più celebre american bar della città, un club con accompagnatrici e per incontri di coppie la cui insegna campeggiava di fronte al porto. Al terzo piano alloggiava Monsieur El Ayache, che aveva trasformato una stanza del suo appartamento in un laboratorio dove praticava il mestiere di impagliatore, come si diceva a quei tempi. «Rosso o bianco?» «Hmmm?» Greg gli stava indicando due bottiglie di sancerre. Chib optò per il rosso, a caso, immerso ancora nei suoi ricordi. Sophie inghiottiva le sue ostriche con degli "slurp" entusiastici, Pam combatteva con la sua granseola. Greg inanellava un aneddoto dopo l'altro, provocando le risate delle ragazze, molto a suo agio come sempre, come se avesse infilata fra i denti la sua carta di credito platino, che gli assicurava un eterno sorriso. Il piccolo Léonard aveva cominciato ben presto a passare le sue serate con il vecchio egiziano, che lo aveva iniziato alla sua arte. Era dotato, apprendeva rapidamente e si appassionava. Quando aveva compiuto dodici anni, El Ayache gli aveva donato un libro molto antico in pelle, cucito a mano, coperto di segni incomprensibili. Lui, Farid El Ayache, apparteneva alla confraternita dei Misteri, era uno degli ultimi discendenti dei sacerdoti imbalsamatori, aveva confidato ancora al ragazzino, sbalordito. Aveva un cancro, stava per morire e voleva trasmettere i suoi segreti a Léonard affinché lui riprendesse quella professione millenaria. Era come una fiaba, un eroico romanzo di fantascienza di cui Léonard
era diventato all'improvviso il protagonista. Aveva accettato, naturalmente, e aveva giurato di mantenere il segreto più assoluto, scarnificandosi dodici volte la pancia con il coltello di silice. Poi aveva bevuto il decotto di erbe e sangue di batrace, si era fatto ungere con mirra e incenso, e, alla morte di Monsieur El Ayache, sopraggiunta due anni dopo, era diventato ufficialmente, e clandestinamente, gran sacerdote imbalsamatore e maestro dei misteri, rappresentante dell'ordine di Amon Ra per tutta la Costa Azzurra. A quattordici anni pensava che non fosse poi così male, anche se purtroppo non bastava per respingere quei porci stronzi razzisti del liceo. Greg era assi più efficace per questo, ed era sufficiente fargli i compiti in cambio. «Può aprirmela?» «Hmmm?» Pam gli stava allungando una chela riottosa, chitinosa e aguzza. Chib la inserì nella pinza di metallo e la ruppe, liberando la polpa bianca e gustosa. «Cosa fa di lavoro?» s'informò Pam mentre addentava la sua granseola. «Ho un piccolo laboratorio di tassidermia» rispose Chib versandole un po' di sancerre bianco. «Si occupa di animali» interruppe Greg. «È un naturalista.» «Ah!» esclamò Pam. «Mi piacciono molto gli animali.» «Anche a lui... eh, Chib? È un uomo molto sensibile!» Chib si sentiva ridicolo. Pam attaccò a parlare di Greenpeace, poi del naufragio della petroliera sulle coste bretoni e della morte degli uccelli a causa della nafta. Chib pensò alla stessa fine per Antoine Di Fazio. La contessa aveva fatto preparare un sarcofago dorato con oro fino, con la sua effigie, dove sarebbero state rinchiuse le sue spoglie. «Andiamo a ballare?» propose Greg mentre chiedeva il conto. «Conosco un locale veramente cool. Il proprietario è un amico. È lì che vanno tutte le star durante il Festival.» Sophie e Pam si scambiarono un'occhiata del tipo "Bene, bene, amica mia" mentre Greg firmava il conto. Chib si sentiva stanco, aveva voglia di andare a dormire. Ma già si figurava le proteste di Greg. Fuori, alcuni tizi facevano rombare le loro motociclette, un vento tiepido soffiava dal mare, portando con sé il fragore delle onde che si frangevano in basso sulla spiaggia deserta. Un tipo suonava un pezzo di McLaughlin con la chitarra elettrica, neanche poi così male, vicino ai tavolini all'aperto della pizzeria accanto... Chib tentò di congedarsi, ma come previsto Greg protestò vivacemente.
Accettò di seguirli fino al Sofa, il covo notturno di Greg. Nella Rover le ragazze non la smettevano più di ridacchiare, squadrando i curiosi che se ne andavano a zonzo per il molo, estasiate dagli yacht ben lucidati. Passando di fronte al casinò gettarono dei gridolini d'eccitazione e Greg, gran signore, fece inversione con la sua 4x4 e si fermò davanti al guardiamacchine, con gran stridio di pneumatici. Clac, lanciare le chiavi al tipo in tenuta blu e oro, "Tieni, caro", hop, aiutare le signorine a scendere, "Muoviti un po', Chib", e via si entra, tranquilli e con aria da dominatori, come se si stesse a casa propria. Musica soft, un po' jazzata, ambiente Art Deco, acquario gigante guarnito di pesci esotici, la sala delle macchinette, vibrante di ticchettii, suonerie, lucine tintinnanti, faretti e clamori. Un immenso brusio si levava in ampie volute sotto gli alti soffitti decorati. Greg tirò fuori una grossa mazzetta di pezzi da cento euro dalla tasca, tutta stropicciata. Ne allungò uno a ciascuna delle ragazze. "Divertitevi un po', bellezze." Riridacchiata. Consigli di Greg lo stratega esperto sulle macchinette buone e quelle da evitare, "Oplà, andiamo dritti dritti a quelle da 2 euro, noi non giochiamo con i cafoni, e toh, io mi faccio un bel giretto con quelle da 10 euro a botta, che ne dici Chib?" Chib assentì: "Come vuoi tu, Greg, andiamo Greg, sperperiamo la tua grana." Greg con la sua cassettina piena di grossi gettoni, un Monte Cristo infilato all'angolo della bocca, intento a studiare la macchinetta, occhi strizzati, stile "Vedrai, con me comprenderai cos'è la sofferenza, razza di baldracca." Pam e Sophie nel frattempo si stavano scolando le coppe di champagne offerte dalla casa. Chib, lui pensava ad Antoine Di Fazio. Aveva abbastanza segatura? Si era dimenticato di controllare in magazzino. La macchinetta mangiasoldi sparava un ritornello travolgente a ogni giro di rullo e delle note trionfali a ogni colpo vincente. Ben inteso, Greg vinceva. Le uniche volte che Chib aveva giocato, aveva perso. Perso di brutto. Invece Greg vinceva sempre. Greg era il simbolo dell'ingiustizia dell'esistenza umana. Non aveva mai fatto il minimo sforzo per arrivare là dove si trovava, non pensava ad altro che a divertirsi, se ne fregava altamente di tutto ciò che lo circondava, e gli diceva sempre tutto bene. "Il successo materiale è solo un'illusione, un pugno di sabbia che si perde nel vento dell'eternità" sussurrò Monsieur El Ayache all'orecchio di Chib. Sì, beh, forse. Sbadigliò, con discrezione. Nessuna voglia di ritrovar-
si a letto con una Pam piena di entusiasmo, olezzante di granseola, oppure con una Sophie che magari avrebbe cavillato criticando l'arredamento. Piuttosto aveva voglia di tornare a casa e buttarsi a letto da solo ad ascoltare l'ultimo disco della No Smoking Orchestra, che si era appena comprato, scolandosi una Bud ghiacciata. Approfittò del momento in cui Greg andò a cambiare l'enorme mucchio di gettoni seguito dalle ragazze a quel punto adoranti, per eclissarsi. Ritornò verso la sua Floride, miracolo: era ancora lì. Tirò fuori il mini lettore laser dalla tasca della camicia e lo infilò nel pannello del cruscotto. Tom Waits, Lowside on the Road. Una volta di fronte a casa spense il motore e rimase qualche istante ad ascoltare il mare e i gabbiani. Si sentiva stanco. Avvertì il desiderio che qualcosa accadesse. Entrato in casa, accarezzò con gesto meccanico la testa di Foxy la volpe, la sua prima opera in assoluto. Una povera vecchia volpe sdentata, il cui pelo si staccava a ciuffi. Salì al mezzanino, si sdraiò sul futon sistemato direttamente sulle mattonelle verniciate. Il segnale intermittente della segreteria emetteva la sua lucina rossa. Bip. «Buonasera» disse una voce di donna, bassa e profonda. «La prego di richiamarmi al numero 06 07 12 31 14.» Chib inarcò le sopracciglia: niente nome. Sicuramente si trattava di lavoro. Ma che ora era? Le undici. Fece il numero. Tre squilli. Poi la donna, con la sua voce grave. «Sì?» «Sono Léonard Moreno, mi ha lasciato un messaggio.» «Ah, monsieur Moreno, la ringrazio di aver richiamato. Mi hanno consigliato di rivolgermi a lei per un lavoro un po' particolare.» «La ascolto» disse Chib, soave come un sacerdote che incoraggi una confessione. «Abbiamo da poco perduto il nostro piccolo angelo» proseguì la donna con un lieve fremito di basso. «La nostra cara piccola Elilou.» «Desolato» borbottò Chib, chiedendosi se si trattava di una cagnetta. «Mai quanto noi» replicò la donna. «Quel povero piccolo tesoro aveva appena otto anni.» Tirò su col naso. Dio santo, non si trattava pur sempre di una piccina? «Quella maledetta scala... mi scusi...» Ora si era messa a piangere, dei singhiozzi discreti, irrefrenabili. Seduto
sul futon, Chib si grattava gli stinchi, a disagio. «Dovremmo incontrarci» riprese la donna dopo essersi soffiata... «Abito al 128 di boulevard Gazagnaire» fece lui. «Può passare quando vuole.» «Preferirei che ci incontrassimo al bar del Majestic, se non le è d'incomodo, domattina alle dieci.» Riattaccò senza attendere risposta. Una donna disperata, ricca e abituata a essere obbedita senza discussioni. Il genere di cliente pronta ad allungare una bella somma. Per far imbalsamare la sua piccina. Capitolo 2 Il vento si era alzato, un mistral freddo e tagliente che rendeva il mare irto di bianche creste. Chib alzò il colletto della giacca e infilò le mani in tasca. Sotto il sole scintillante la città aveva l'aria di essere stata lucidata con la varechina, i colori erano come ravvivati, i contorni netti e affilati. Non c'era nessuno ai tavolini all'aperto del Majestic. Entrò nel bar buio, cercando a colpo d'occhio la sua cliente. Doveva essere sulla cinquantina, piuttosto di classe, si disse. I tre quarti della sua clientela "speciale" rientravano in quella categoria. Persone di una certa età, con buona disponibilità finanziaria e sensibili al tenero romanticismo. Due vecchiette ciarlavano sorbendo il tè, con qualche briciola di croissant all'angolo delle labbra. Un uomo d'affari in completo blu scuro, auricolare del cellulare nell'orecchio sinistro, organizer nella mano destra, leggeva Le Monde. Una ragazza bionda in gonna e cardigan verde bottiglia sgridava a mezza bocca una bambina che si rifiutava di bere il suo bicchiere di latte freddo scuotendo rabbiosamente la testa. Una coppia di turisti, già bardati di cartine e macchine fotografiche, chini sopra una guida, discutevano a voce bassa. Beh, si disse Chib, non è ancora arrivata. Ordinò un espresso ben ristretto facendo scrocchiare le dita. Si sentiva nervoso. Il caffè era buono. Lo bevve lentamente, osservando la sala nello specchio appeso al di sopra del bancone. Le dieci e dieci. Sarebbe venuta? Qualcuno gli sfiorò le spalle e lui si voltò bruscamente, versando un po' di caffè. La ragazza in verde lo fissava con i suoi grandi occhi grigi a mandorla. Più o meno della sua taglia, una magrezza aristocratica, un po' curva, doveva avere sui trentacinque anni. Un volto fine e affilato, zigomi alti, lab-
bra ben disegnate. Ricordava un po' l'attrice Vivian Leigh, si disse. «Monsieur Moreno?» domandò lei con quella voce terribilmente grave, sorprendente per quel corpo così fragile. Chib mormorò "Ehm... sì" scendendo dallo sgabello. Rannicchiata nella grande poltrona in cuoio, la bambina, di cinque o sei anni, giocava con uno scacciapensieri elettronico che scuoteva in ogni direzione. La giovane donna fece segno a Chib di seguirla. Si sedettero. Lei bevve un sorso di Perrier prima di parlare: «Mi chiamo Blanche Andrieu» disse. «E lei è Annabelle. Di' buongiorno, Anna.» «Na!» grugnì Annabelle, ricacciandosi nella poltrona. «Papà non vuole che si parli con i goulou-goulou.» Goulou-goulou era il soprannome dato agli africani che vendevano conterie sulla spiaggia. Léonard si pizzicò leggermente la linea del naso. E quella, per di più, si chiamava Blanche... «Anna!» esclamò la donna. Poi, girandosi verso di lui, aggiunse: «La deve scusare, è così turbata in questo momento.» «Paf, e poi faccio centro nel pif!» gridò Annabelle premendo freneticamente i pulsanti del giochino elettronico dove si contorcevano dei lottatori di karatè. «Siamo amici della contessa Di Fazio» riprese Blanche. «Jean-Hugues, mio marito, gioca, o meglio giocava, a golf con Antoine.» «Anche suo marito è un armatore?» domandò Chib. «No, è nella finanza.» Grana. Bel mucchio di grana in vista... «E in cosa posso esserle utile?» «Alé, sei morto!» urlò Annabelle, trionfante. «Piano, tesoro. Prende un altro caffè?» «Volentieri, grazie.» Il cameriere si era materializzato al fianco della donna prima ancora che Chib avesse finito di rispondere. Lei ordinò due caffè e tornò a concentrarsi sul suo bicchiere di Perrier vuoto. «Siamo sposati da quindici anni. Abbiamo avuto sei figli. Siamo cattolici» aggiunse, come se questo potesse giustificarlo. Che età poteva avere? Difficile a dirsi con questo genere di donne così ben curate. In ogni caso, meno di quaranta. Non riusciva a immaginarsela con sei marmocchi attaccati alle gonne. La donna frugò nella sua borsetta
di Hermès e tirò fuori una foto. «La prenda» disse. Davanti a cespugli di rododendri in fiore, tagliati a regola d'arte, la famiglia Andrieu si era messa in posa. «Ecco Jean-Hugues» fece lei. Il padre, alto, magro, capelli color platino tagliati corti, mascella quadrata, occhi azzurri dallo sguardo penetrante, vestito con una tuta sportiva bianca così pulita da far male agli occhi, scarpe Air Max Sphere. Teneva fra le braccia una bambina di circa due anni. «Eunice, la nostra ultima piccola» spiegò lei. Attorno al padre, altri quattro bambini biondi come il grano. Riconobbe Annabelle, aggrappata alla gamba del padre, mentre faceva una smorfia verso l'obiettivo. «Questo è Charles, nostro figlio maggiore» proseguì la giovane donna puntando un dito su un adolescente con i capelli a spazzola. Pure lui in tuta, come il padre, di cui era il sosia. Alto e grosso, molto pallido, con delle labbra sottili e rosse e l'aria triste. «Louis-Marie» continuò lei indicando un altro ragazzo, più mingherlino, in blazer blu scuro, capelli lisciati all'indietro, smorfia sdegnosa, due dita a V al di sotto della testa di una bambina dal sorriso luminoso... «Ed ecco qui, questa è la nostra Elilou» mormorò lei illividendo «la nostra Elisabeth-Louise.» Chib sprofondò nella contemplazione della foto per poter riprendere un contegno. "Elisabeth-Louise". La piccola sorrideva a tutta bocca, esibendo l'apparecchio per i denti, i lunghi capelli biondi volteggiavano al vento. Aveva le lentiggini, un'autentica pubblicità da famiglia modello... «Dio mio, se solo avessimo potuto prevedere...» aggiunse Blanche Andrieu in un soffio. Tossì, quindi riprese: «Ho scattato questa foto il mese scorso. Il 17 marzo. Il giorno del compleanno di Louis-Marie.» L'altezzoso in blazer. Chib stava per renderle la foto quando vide che pure il giovane Charles aveva una foto fra le mani che mostrava all'obiettivo, il ritratto di un bambino in mutandine, biondo e riccio, pieno di fossette. Lei carpi il suo sguardo. «Léon, il nostro terzo figlio. È annegato in piscina nel 1992, aveva diciotto mesi» spiegò con calma.
Chib rischiò di strozzarsi e diede un colpo di tosse prima di chiederle: «Cosa posso fare per lei?» La donna lo fissò senza battere ciglio. «Voglio tenere Elilou con noi, monsieur Moreno, è fuori questione lasciarla tutta sola sotto terra come il suo povero fratellino.» Il cameriere posò i due caffè e scomparve. «Cosa ne pensa suo marito?» chiese Chib mandando giù un sorso bollente. «Jean-Hugues è d'accordo, naturalmente. Non avrei mai preso una decisione del genere senza il suo consenso. Non ho l'abitudine di agire all'insaputa di mio marito.» Lui la osservava mentre sorseggiava il suo espresso. Una piccola croce d'oro le oscillava sul collo, nessun altro gioiello a parte la fede, pochissimo trucco. Cattolica di buona famiglia fino alla punta delle unghie, non troppo lunghe, impeccabilmente smaltate color madreperla. Il genere di donna algida che detestava. Come pure quella borsetta di Hermès, cui avrebbe avuto voglia di tirare una pallonata. Un modello molto elegante, detto "porta documenti", che doveva essere costato ben più di duemila euro. E poi l'idea di lavorare sul corpo di una bambina lo ripugnava. Avrebbe rifiutato recisamente. «Dove si trova... Elilou, in questo momento?» si sorprese suo malgrado a domandare. «C'è una cappella attigua alla bastide3» spiegò la donna. «Lei... lei ci ha lasciato l'altro ieri. Il nostro medico è venuto a constatarne il... il decesso...» «Li fotto tutti!» ringhiò la bambina. «Annabelle! Non voglio mai più sentirti dire frasi del genere! Starai senza televisione tutta la settimana.» Annabelle si mise a piagnucolare, martellando la poltrona con i piccoli pugni rabbiosi. «La prego di scusare il suo comportamento, è in stato di choc come tutti noi» riprese Blanche, con le labbra tremanti. Belle labbra, sode, piene. E il corpo di una bambina dentro una cappella. Svuotarla del suo sangue. Togliere le viscere. E quella donna così irreprensibile, che esprimeva tutta la sua afflizione tanto freddamente... «C'è bisogno di un'autorizzazione...»
«Mio marito se n'è occupato. C'è un cimitero privato all'interno della tenuta» precisò lei, con gli occhi sempre fissi su Annabelle imbronciata che si era alzata con un balzo. «È un intervento costoso» aggiunse Chib a voce bassa. «Questo non ha alcuna importanza. Voglio che il nostro angelo resti con noi, voglio poter vedere il suo visino, toccare le sue piccole mani...» Il suo corpicino freddo e rigido. Che non crescerà mai. Che col tempo somiglierà meno a una bambina addormentata che alle spoglie polverose di una nana raggrinzita. «Procedimento IFT, allora?» chiese ancora Chib, sempre a bassa voce, mentre Annabelle rincorreva un piccione tra i tavolini all'aperto. «Conservazione chimica?» Blanche parve trattenere un conato, dopodiché assentì. «Qualcosa che la faccia rimanere... viva il più possibile.» La voce inciampò sul "viva". Chib scrollò la testa in silenzio, poi: «Ascolti, le consiglio di rifletterci ancora un po'. Fino a stasera. E poi mi richiami.» «Non sono venuta a chiederle un consiglio, monsieur Moreno» replicò lei scandendo le parole «ma per pregarla di eseguire un lavoro per il quale è pagato abitualmente, e anche profumatamente stando alle mie fonti.» Ma come si permetteva quella donna di parlargli con quel tono? Che la facesse cremare allora la sua bambina! Si alzò con la ferma intenzione di dirle in faccia "Non sono mica il suo servo", ma fu solo un "Non sono certo di poter accettare" assai gentile a uscirgli dalla bocca traditrice. Lei alzò verso di lui i suoi grandi occhi grigi, lui scorse le piccole rughe, le nere occhiaie nascoste sotto un leggero fondotinta, l'impercettibile tremolio delle labbra e la vena che batteva sulla tempia. «La prego» disse lei. «La prego.» Lui sospirò, gli occhi fissi sui lauri in fiore sotto il sole scintillante... «Quando posso venire da voi?» «Venga alle due. La aspettiamo.» La strada saliva a serpentina sulla collina, odore di resina, di lavanda e di gelsomino selvatico. Consultò ancora una volta le indicazioni: prendere a destra dopo la cabina della luce, poi la prima a sinistra. Ok. Ingranò la seconda e le gomme stridettero sulla ghiaia. Aveva tolto la capote, offrendo il viso al vento e al sole d'aprile. La strada costeggiava ora un vecchio muro in pietra, coperto di edera. Si
trovò davanti un cancello arrugginito, con a lato una casella per le lettere in acciaio nuova fiammante e un'apertura automatica con codice. Frenò, si sporse per leggere. La casella recava una semplice etichetta sotto la plastica: "Andrieu de Glatigny". Hmm, hmm. Nobili. Poco desiderosi di far mostra del loro lignaggio. Discreti o molto snob? Spense il motore, scese, si stirò sospirando. Poi, non potendo fare altrimenti, premette il campanello di rame. E attese. Le foglie stormivano. Il vento aveva rinfrescato. Si udiva in lontananza il rumore sordo di una spalatrice. Guardò l'orologio: le 13 e 57. Il cancello si aprì cigolando, facendo apparire una giovane magrebina con lunghi capelli neri raccolti in uno chignon. Indossava un vestito scamiciato a fiori, sotto un grembiule blu di tela. «Monsieur Moreno?» chiese strizzando gli occhi. «Sì, ho un appuntamento con Mme Andrieu de Glatigny» disse Chib. «Lasci stare il De Glatigny, non lo usano.» La ragazza si tirò indietro per farlo passare. «La attendono nel salone d'inverno» precisò. «Se vuole seguirmi...» «Lei vive qui?» chiese Chib seguendola da presso. «Non sono la signorina di casa, se è quel che vuol sapere» ribatté lei risalendo un vialetto fiancheggiato da ibiscus in fiore. «Mi chiamo Aïcha, sono la serva.» Una puledra impetuosa, avrebbe detto Greg. «Sono gentili?» domandò Chib torcendosi una caviglia su una radice. «Abbastanza. Lei è un dottore?» «No, perché?» «Oh! Credevo fosse venuto per lei, lei sta così male!» «Ma chi?» «Mme Andrieu! Sta perdendo le staffe, si imbottisce di calmanti. È orribile, qui, dopo quel che è successo alla piccola...» La sua voce si ruppe. «Le voleva bene?» s'informò Chib. Lei si voltò così bruscamente che quasi gli si avventò contro. «Non so niente, che io le volessi bene o meno, non è certo questo il problema, ma lei era tanto piccola, non credevo che un bambino potesse morire così...» «Anche lei ha subito uno choc...» Aïcha fece scrocchiare le dita. «Sono io che l'ho trovata. In fondo alle scale. Credevo fosse svenuta, ho
cercato di rialzarla, ma la sua testa... la sua testa, si è girata, così, al contrario... oh, porca!» La ragazza ebbe un conato e si sporse, sputando bile. Chib ebbe voglia di fuggire. Poi alzò gli occhi e gli apparve davanti la casa. Una classica casa di campagna provenzale del XVIII secolo in pietra bianca di Baux. Un giardino all'italiana fiancheggiava l'ala destra e si poteva scorgere l'azzurro chiaro della piscina dietro un eucalipto secolare. Arredi da giardino in ferro battuto davanti alle grandi porte finestre. Una bici da bambini abbandonata sul lastricato in cotto. Un portico con altalena all'ombra di un pino a ombrello. Nella corte coperta di ghiaia, due auto parcheggiate l'una a fianco all'altra, una Chrysler Sebring cabriolet bordò e l'ultima Jaguar X-type, grigio metallizzata. Chib ne sfiorò la carrozzeria con la mano, con ammirazione. Aïcha si era ripresa e lo stava conducendo verso un padiglione ottagonale a vetri vicino all'ala destra dell'edificio. Spinse la porta e annunciò: «Monsieur Moreno.» Appoggiata a una cortina di bambù giganti, Blanche Andrieu de Glatigny era seduta su uno sgabello giapponese in ceramica verde acqua, di fronte ad altri due sgabelli e un tavolino rotondo sopra il quale era poggiato un servizio da tè in argilla scura. C'erano tre minuscole tazze. Il padiglione ospitava cactacee e piante tropicali d'ogni specie, una profusione di colori e di profumi, che davano l'illusione di trovarsi in una giungla in miniatura, addirittura abbellita da una cascatella che scorreva lungo una parete in mattoni. Aïcha se ne riuscì senza che la padrona di casa avesse proferito verbo. Chib rimase impalato, con le mani in tasca. «Si sieda» disse la donna di colpo con la sua voce sorprendente. «Mio marito arriva subito.» Chib prese posto sul sedile in ceramica che lei gli aveva indicato, e ne accarezzò il profilo dolce e levigato. «Tè verde» disse la donna riempiendo la sua tazzina da bambola, con quei suoi occhi grigi, opachi quanto uno stagno ghiacciato. Lui assentì in silenzio. Azalee fiammeggianti lungo le vetrate, in un profumo di terra innaffiata di fresco. Rumore di passi felpati. Chib si voltò a metà. Jean-Hugues Andrieu gli stava di fronte. Un metro e ottantacinque, ventre piatto, spalle massicce, capelli biondi ben tagliati, completo blu scuro Daniel Cremieux, camicia
grigio chiara, cravatta di seta Vuitton, Berluti nere ben lucidate, viso glabro dalla bellezza classica. Nessun gioiello, fuorché la fede e l'Omega Moon Watch al polso sinistro. Chib portava il suo Reverso Gran'Sport al destro. Un'abitudine che aveva sin da ragazzo. Si alzò, strinse la mano che gli veniva tesa. Ben salda, quella mano, ovviamente. E curata. «Mia moglie mi ha riferito del vostro incontro di ieri.» Voce elegante. Lievemente baritonale. «Suppongo che abbia stabilito il suo prezzo» proseguì con naturalezza. Un po' disorientato, Chib si lasciò sfuggire la cifra abituale. «La contessa Di Fazio ci ha parlato molto bene del suo lavoro» riprese Andrieu, come se stesse parlando di arredi o di ebanisteria. «Io sto molto attento alla qualità.» Sì, sì, e sei pure sicuramente un grande esperto in materia di imbalsamazioni di bambine, si disse Chib trattenendo una smorfia. Andrieu non gli piaceva. Troppo pulito. Troppo ben vestito. Una voce troppo normale, quel tanto virile da non risultare volgare e quel tanto raffinata da non apparire dell'altra sponda. Un tipo perfetto. Ben assortito con la sua sposa perfetta. Una coppia perfetta per una sitcom. «Se vuole avere la bontà di seguirmi» proseguì Andrieu «possiamo passare nella cappella. La signora ci aspetterà qui.» La signora non fiatò, continuando a bere il suo tè verde a sorsi piccoli quanto la tazza. Loro uscirono nel giardino abbacinato dal chiarore della luce, passarono sotto un glicine in piena fioritura ed entrarono in una piccola cappella in pietra da taglio, di stile romanico, chiusa da una porta in ferro battuto che il signor Perfetto spinse. La porta non cigolò. Nessun pipistrello si levò in volo. L'interno della cappella era in penombra e molto fresco. Volta a botte spezzata, una navata unica su cui si aprivano strette finestre decorate con vetrate naif e colorate su cui era rappresentata la Passione, qualche fila di banchi in noce da poco lucidati, un altare sormontato da un crocifisso a grandezza naturale su cui pativa un bel Cristo in legno d'olivo, una fila di stalli che correva lungo il muro, un san Francesco d'Assisi policromo, qualche nicchia vuota che doveva aver ospitato alcune statuette o altri oggetti di culto, degli antichi stendardi coperti di stemmi e d'iscrizioni dorate in latino appesi ai muri. Il pavimento in cotto, diseguale e sbalzato, testimoniava l'antichità del luogo. Davanti all'altare, erano stati sistemati dei
cavalletti. E su questi riposava una piccola figura coperta da un drappo bianco. Chib fece un respiro profondo mentre Jean-Hugues Andrieu sollevava il drappo con un gesto brusco, i lineamenti contratti. «Mia figlia Elilou» disse prima di voltare la faccia dall'altra parte. La bambina non sembrava affatto addormentata. Pareva morta. La pelle venata di blu, le guance incavate, le narici strette. I suoi lunghi capelli, della stessa sfumatura bionda del padre, erano stati accuratamente spazzolati e ornati con un fiocco di velluto rosso. Vide le due piccole manine incrociate sul petto, le unghie livide. Indossava un vestito blu di velluto, e scarpette di vernice nere con la cinghietta. Chib avvertì un senso di oppressione. Gli piacevano i morti, gli piaceva occuparsi di loro, ma non quella lì. Faceva troppa pena. Impossibile tirarsi indietro. Impossibile straziare ancor di più quelle persone rifiutando l'incarico. «Bisognerà farla trasportare nel mio laboratorio» disse. "Laboratorio": una parola neutra, per evocare un lavoro neutro. «Quando?» chiese Andrieu. «Oggi stesso sarebbe meglio. Il tempo riveste una certa importanza.» «Lo so» lo interruppe Andrieu. «Ancora una cosa: io non voglio sapere nulla di ciò che le farà, me ne frego dei particolari, mi rifiuto di conoscere il minimo dettaglio, sono stato chiaro?» «Assolutamente. Può fare in modo che la lascino al mio indirizzo nel tardo pomeriggio? Eccole il numero di una ditta specializzata in questo genere di trasporti.» Andrieu prese il biglietto che Chib gli stava allungando quasi che si trattasse di un numero del videotel erotico. «Molto bene. Me ne occuperò immediatamente.» Si voltò verso la porta e Chib lo seguì, lo sguardo fisso sul pavimento antico. Una volta fuori, Andrieu non gli propose di salutare la moglie. Sfilò un cercapersone dalla cintura di coccodrillo e chiamò: «Aïcha, per favore, può venire per accompagnare monsieur Moreno?» Aïcha sbucò fuori quasi all'istante, lisciandosi il vestito. «Mia moglie la chiamerà domani» continuò Andrieu stringendo la mano di Chib. «Grazie per essere venuto.» E hop, eccolo scomparire nel padiglione con le cactacee. Chib seguì Aïcha fino al portale. Era messa bene, bel sedere flessuoso,
seni arroganti, chissà se il buana se la sbatteva? si chiese furtivamente. Come se gli avesse letto nel pensiero, quella si girò. «Il signore è molto preoccupato per la signora. Teme che possa avere una ricaduta...» «Che ricaduta?» «Ha sofferto di una grave depressione dopo la morte del loro primo figlio. Sa, quello che è annegato in piscina. Ha dovuto seguire una terapia per molti mesi.» «Sembrano molto uniti l'uno all'altra» arrischiò Chib, distrattamente. «Sì, non litigano mai. Io lo troverei un po' noioso, ma, beh, ognuno ha i suoi gusti...» «Deve essere uno che piace alle donne, lui. Alto, biondo, muscoloso...» Come Greg. La ragazza rise, un gentile riso cristallino. «È geloso? Prenda me, non mi piacciono i biondi. Preferisco i mori villosi, dall'aria torva» aggiunse lei aprendo il cancello Chib indurì le mascelle e gonfiò i bicipiti «Spiacente, ma lei non mi pare proprio un duro, sa'!» «Ah si? E che tipo le sembro, allora? Avanti, non abbia timore, adoro scherzare.» «Beh, lei pare piuttosto il tipo piccolino e carino, sa'.» «Si fermi, non dica altro!» protesto lui saltando sulla Floride «Avrà il mio suicidio sulla coscienza» grido ancora mentre si avviava e lei richiudeva il cancello ridendo Poi Chib si vergogno di aver scherzato come un idiota mentre una bambina morta giaceva a qualche metro di distanza, e per poco non manco l'incrocio "Piccolo e carino"! Un piccolo bel soldatino nero in miniatura con la faccia dei suoi papà. Un piccolo soldatino nero per Blanche! Cazzo, perché l'aveva pensato? Non gli piaceva neanche, lei Aïcha era cento volte più sexy Di ritorno al laboratorio, si mise a preparare il materiale e sistemo il signor Di Fazio nel compartimento refrigerato C'era un messaggio di Greg che lo informava che si era ripassato Sophie e Pam, "Super, muy caliente, saresti dovuto venire", e che erano partiti per Monaco, pranzo all'Hotel de Paris Cancello il messaggio chiedendosi cosa avrebbe detto Greg di Blanche Andrieu "Da scongelare urgentemente, amico, chiama il Pronto Intervento Mediculo!" A parte il fatto che una donna in lutto, e quale lutto atroce do-
veva essere quello per la perdita di un figlio, non si presentava certo nella forma migliore Beh, ne aveva abbastanza di Blanche Andrieu Entro qualche ora la sua figlioletta sarebbe stata stesa lì, in attesa che qualcuno intervenisse sulle sue livide carni Inspiro profondamente e si mise nella postura da meditazione Un po' di vuoto interiore sarebbe stato il benvenuto Ma al posto del vuoto, cominciò a udire le urla. L'urlo della piccola Elilou che cadeva dalla rampa delle scala. L'urlo di Aïcha quando trova il corpo. "Signora, signora, venga, presto. È spaventoso!" Le urla di Blanche Andrieu, rauche, quasi un ringhio animalesco, e il volto livido di JeanHugues Andrieu, pietrificato, col suo bicchiere di succo d'arancia fresco in mano. Lo scalpiccio di talloni sul pavimento di cemento all'antica, la sirena in lontananza, i gemiti degli altri bambini, presto, chiuderli nelle loro stanze, "Aïcha mi aiuti". Ordinò agli Andrieu di uscire dalla sua mente, coi loro drammi, il loro dolore, le loro grida. Ma si rifiutavano, piantavano le tende, s'incollavano alle pareti del suo cranio gemendo, e dovette fare una lunga doccia gelata per ricacciarli via. Quando suonarono alla porta, era pronto. Gli strumenti erano pronti. Lo stereo era pronto, il lettore CD inserito, Tom Waits era pronto per cantare "Cold was the night, hard was the ground... ". Lucas e Michel entrarono bisticciando. Quei due gli ricordavano sempre Stanlio e Ollio. Lucas, un colosso pelato, era prossimo alla pensione. Michel, un roscetto sveglio, non doveva pesare più di sessanta chili. Facevano gli straordinari per arrotondare lo stipendio utilizzando il carro funebre del padrone. Lucas aveva costantemente mal di schiena e Michel beveva troppo, il dottore l'aveva messo in guardia. «Lo lasciamo come al solito?» s'informò Lucas che portava il piccolo feretro piombato sotto il braccio enorme, come fosse una grossa valigia. «Ecco la ricevutina!» buttò lì Michel togliendosi il berretto. «Non è che ha qualcosa da bere? Sto morendo di sete.» Chib offrì loro delle birre belle fresche, li pagò in contanti e poi chiuse la porta con sollievo, a un tratto desideroso di mettersi subito al lavoro. Di nuovo il campanello. Era Pageot, l'agente delegato della polizia funeraria, un biondino dinoccolato. In virtù dell'articolo R 363 comma 1 e seguenti del Regolamento comunale, era stabilito che egli fosse presente al momento di ogni intervento. Chib lo trovò ancora più affaticato del solito. Pageot passava tutti i momenti liberi e tutte le notti a costruire una barca a vela, la
sua barca a vela, con la quale sarebbe partito un giorno per fare il giro del mondo, lontano dalle cure somatiche e dall'odore di formalina. Chib gli passò il campione della miscela che aveva intenzione di utilizzare e la busta che conteneva la somma convenuta. A Pageot faceva orrore assistere al lavoro di Chib. Si mise due dita fra le ciocche bionde, lo ringraziò e approfittò delle tre ore di libertà clandestina per correre al suo amato cantiere. Finalmente solo. Chib indossò i guanti e si sgranchì le mani, come un pianista prima di un concerto. Cominciò col verificare che il liquido d'imbalsamazione fosse pronto e in quantità sufficiente. "Ci x Vi= Cfx Vf". Concentrazione iniziale in formaldeide, Volume di prodotto nel recipiente d'iniezione, Concentrazione della miscela contenuta nel suddetto recipiente, Volume del recipiente d'iniezione. Dopodiché sollevò il coperchio piombato. Un misto di eccitazione e di angoscia di fronte alla presenza di colpo tangibile della morte. Alla vista di quel visino cereo, provò di nuovo la sensazione di repulsione che aveva avvertito nella cappella. Lo si sarebbe detto un piccolo vampiro addormentato, con quelle guance incavate, i capelli ben pettinati, le piccole ciglia abbassate, le mani, soprattutto le mani, incrociate sul piccolo petto, con quelle unghiette ricoperte di smalto trasparente. Si cominciava a sentire. Era ancora tenue, ma innegabile, l'odore caratteristico dei morti. Sollevò la testa, vaporizzò nelle narici due spruzzi di una miscela aromatica a base di pino e lavanda, e sospirò... El Ayache non avrebbe approvato. Comunque, bisognava anzitutto spogliare il corpo. Scostò le mani, fredde e secche, e cominciò a sbottonare il. vestitino blu che scricchiolava sotto le dita. Uno dei bottoni fece resistenza prima di rimanergli in mano. Lo appoggiò vicino al lavandino, terminò di denudare la bambina, poi prese il grosso ago tubolare che le doveva infilare nello stomaco per procedere all'evacuazione dell'acqua e dei vari fluidi corporei. Una grande cicatrice le correva dal fianco al ginocchio sinistro. La tastò con la punta delle dita. Una vecchia frattura. Ce n'era un'altra sulla caviglia destra. Incuriosito, girò la bambina a pancia sotto. Le macchie rosso violacee dovute alla posizione al momento della morte si frapponevano a ematomi senza dubbio causati dalla caduta. Un'altra cicatrice sulla spalla sinistra. Sollevò i lunghi capelli biondi che coprivano la nuca spezzata: nessun segno apparente, rimise la bambina sulla schiena.
Una marcata propensione agli incidenti, sorprendente per una bambina così piccola. Era dunque rimasta uccisa giocando una volta di troppo da scavezzacollo, ahimè letteralmente parlando? Le prime note di Take the A Train della suoneria del cellulare lo fecero quasi sobbalzare. Posò l'ago e rispose nervosamente. «Salve, parlo con il re degli spazzacamini?» Greg. «Cosa vuoi? Sto lavorando.» «Fermati, o mi farai piangere! Di', ti va di farei un indiano, ha, ha, ha?» «Con chi?» «Nessuno, solo io e te, un bel tête à queue4, ha, ha, ha.» «Ti credevo a Monaco con... insomma...» «Lascia stare, quelle stronze se la sono filata con due italiani in moto.» «A dire il vero, sono parecchio stanco.» «Cazzo, ma te sei sempre stanco morto, c'è da credere che sia una malattia professionale...» «Vabbè, ok, ti raggiungo verso le otto.» «Al Taj. E ti prego, non vestirti da becchino, che c'è sempre qualche bella scorfanetta al Taj...» Eccolo là. Fregato un'altra volta. Non hai rispetto per te stesso, Chib. Ti comporti da vittima. Reagisci. Trovati una donna, comincia a fare una vita normale, lontano dal mondo volgare di Greg. Una vita normale, sogghignò mentre affondava l'aguzza punta d'acciaio nel ventre teso, cos'è una vita normale? Un tizio che macella cadaveri tutto il giorno può permettersi una vita normale? La compagnia dei vivi era troppo rumorosa, era questo il vero problema. Uno degli aspetti del problema. Bene. E adesso una bella operazione di ripulitura. Dal momento che la bambina aveva certamente subito un trauma cranico in conseguenza della caduta, strinse con una pinza emostatica la carotide sinistra, per iniettare attraverso la destra. Subito dopo avrebbe iniettato la formaldeide attraverso quella stessa arteria sinistra per trattare la parte sinistra della testa e tutto ciò al fine di evitare uno spiacevole rigonfiamento dei tessuti periorbitali. Poi incise la vena giugulare, dalla quale avrebbe evacuato i liquidi organici. Era il momento di procedere allo scambio. Sangue contro formalina. Un altro ago tubolare piantato stavolta nella carotide, e collegato al contenitore di fluido da imbalsamazione attraverso un lungo tubo di gomma. Sensazione sconveniente di fare il pieno di benzina a un veicolo molto particola-
re. Posò la mano sul pulsante d'accensione del compressore e s'irrigidì, sollevando leggermente la testa. Aveva avuto la sgradevole impressione che la piccola avesse aperto le palpebre. Ridicolo. La poverina non era altro che un ammasso di carne fredda e rigida. Premette. L'apparecchio si mise in moto con quella lieve familiare vibrazione, spingendo il liquido d'imbalsamazione nella carotide affinché si spandesse nel sistema circolatorio, eliminando il sangue che iniziò a sgocciolare attraverso la vena aperta dentro al tubo di drenaggio destinato a raccoglierlo. Bene. Posò il bisturi, divaricò delicatamente i bordi dell'incisione lunga una decina di centimetri attraverso la quale avrebbe tirato fuori il fegato, i polmoni, intestini e stomaco per poi lavarli e inserirli nei vasi canopi, i vasi sacri. Sebbene ciò non fosse necessario, con l'iniezione di formaldeide, preferiva operare all'antica, mischiando rito a modernità... Proseguì per una mezz'ora, poi ripose gli strumenti. Non era concentrato, non si sentiva nel feeling adatto. Inspirò, espirò, fece qualche esercizio di allungamento. Il nervosismo correva lungo le sue dita come una scarica elettrica. E questa non era affatto una buona cosa per il lavoro. Cos'era che lo contrariava a tal punto? Si mise nella postura di Anubi e iniziò a recitare le settantadue strofe del Superiore dei Misteri, salmodiando fra le labbra al ritmo del respiro volontariamente rallentato. Telefono. E che diamine! «Sono Blanche Andrieu.» «Sì?» «Volevo solamente sapere se... se stava andando tutto bene...» Strabene, signora, biggolo negro avere duddo dagliado, no broblema! «Ho appena iniziato, ma va tutto bene, non si preoccupi.» «Non mi preoccupo, ma è solo che... voglio dire...» «Blanche? Sei qui, tesoro?» «Mi scusi, mi stanno chiamando» Clic. Congedato, il paggetto cioccolato. Riappoggio il telefono sulla base un po' troppo bruscamente. Non avrebbe dovuto accettare. Come con Greg. Come tutti i giorni della sua vita. Aprì lo sportello del minifrigo e bevve a lungo dal collo della brocca di te alla menta, poi lo ripose e si giro verso Elilou Era in uno stato pietoso, nuda, le costole sporgenti, con quel grande ago conficcato nel collo Un'immagine da incubo che non aveva nulla a che vedere con la normale
serenità dei defunti. Si accorse che un modulo era scivolato a terra. Lo raccolse. Era il permesso d'inumazione. Firmato dal dottor Gerard Cordier. "Frattura delle vertebre cervicali conseguente a una caduta accidentale per le scale del domicilio parentale". Tre piccole ossa. La cui rottura era risultata fatale. E già, una vera scavezzacollo, la piccola Ehlou, si andava ripetendo amaramente Chib. Due minuti dopo, si rese conto che stava facendo il numero del dottor Cordier, col guanto sporco che schiacciava con decisione i tasti silenziosi. La voce tremante per l'emozione, la segretaria gli comunicò che, Dio che fortuna, aveva appena ricevuto una telefonata che annullava un appuntamento e dunque il dottore - seguì respiro rauco ed estasiato - poteva riceverlo entro un'ora Chib la ringraziò tanto e si rimise al lavoro, stranamente sollevato. Aspetto quasi una mezz'ora nella sala d'attesa bianca e grigia, seduto fra un tipo bello grosso che si soffiava il naso ogni due minuti e una donna in tuta sportiva dai lineamenti tirati Sfoglio le riviste sul tavolino basso di vetro Le Revenu, Valeurs Actuelles, La Croix, Maisons et Jardins Si stava giusto chiedendo se avrebbe dovuto ridipingere il suo loft di un color mandarino quando si aprì la porta e apparve un cinquantenne barbuto in camice bianco che gli fece segno di entrare. Lo studio era arredato sobriamente quanto la sala d'attesa. Due riproduzioni di Kandinsky sulla parete sinistra, uno Chagall a destra, una scrivania di vetro e acciaio molto ordinata, penna MontBlanc, un bloc-notes. «Si sieda. Cosa la porta qui?» «Un dolore alla mano destra, si anchilosa facilmente. È stata Mme Andrieu a darmi il suo indirizzo» aggiunse facendo finta di ammirare lo Chagall, quantunque fosse totalmente indifferente a quel genere di pittura. «Blanche?» fece il dottor Cordier inarcando un sopracciglio grigio. «Lei conosce gli Andrieu?» proseguì afferrando il polso di Chib e manipolandolo dolcemente. «Ho avuto modo di incontrarli di recente. Dopo quella tragedia...» «Ah, dunque lei sa. Terribile, non è vero, gli scherzi che può riservarci il destino! Alzi il braccio, così... Le fa male, adesso?» «Un po'. Per la verità sono un tanatoprattore, sono io che mi occupo dell'operazione di conservazione. Ho bisogno inoltre che lei mi firmi il certificato medico-legale.»
«Nessun problema. Non vorrei essere al suo posto, amico mio. Già il mio lavoro non è particolarmente allegro, ma il suo... Respiri profondamente.» «Eh, sì, fanno male al cuore delle cose cosi. E poi i genitori si rimprovereranno ogni giorno per non aver fatto abbastanza attenzione.» «Ehm. Una caduta per le scale, sa... Non vedo cosa avrebbero potuto fare, salvo impedirle di vivere!» «Con i bambini vivaci bisogna stare sempre in allerta, è estenuante.» «Oh, ma Elilou non era particolarmente vivace. Non era il suo giorno fortunato, tutto qui. Bene, andiamo a fare una radiografia, per sicurezza.» «Sono caduto sugli sci l'anno scorso, ho avuto dei dolori per quindici giorni. Pensa che possa esserci stata una piccola frattura passata inosservata?» «Non c'è il rischio. Una frattura, se ne sarebbe accorto. Piuttosto, una lussazione.» Si ritrovò fuori, ricetta alla mano e munito di certificato controfirmato che attestava che Elilou non aveva malattie contagiose gravi che avrebbero potuto determinare il divieto di cure mortuarie. Una visita totalmente inutile, perciò. I tavolini all'aperto del Taj erano affollatissimi. Greg, ovviamente seduto al posto migliore, sorseggiava un whisky sorridendo in giro. Agitò la mano quando Chib entrò, come se avesse potuto rischiare di andarsi a sedere altrove. Appena si sistemò, gli sbatté il menu in mano, "Crepo di fame", criticò la sua camicia grigia, "Si direbbe che l'hai comprata ai grandi magazzini", e se la prese con lui perché non voleva l'aperitivo. Chib lasciò perdere concentrandosi nella lettura della carta mentre Greg non mancava di fare commenti sulle loro vicine di tavolo. «Io prenderei un Prawn Tandoori» decise Chib. Adorava i gamberetti piccanti. Greg optò per un biryani, "Una bella porzione, eh", ordinò una bottiglia di châteauneuf du pape e pretese degli stuzzichini. Il cameriere assentì educatamente, gli occhi fissi su un punto nello spazio. A disagio, come ogni volta che Greg faceva le sue scenette, Chib fissava lo specchio nell'angolo. Una chioma nera a un tavolo riparato vicino attirò il suo sguardo. Una mano bruna e sottile, adorna di un cabochon blu savoia, un profilo aquilino, una risata: Aïcha!
Del suo accompagnatore, seduto di fronte a lei, non riusciva a distinguere altro che una chierica di capelli grigi e le spalle chiuse in una camicia jeans. Suo padre? «Oh! Ti sei incantato o cosa?!» «Scusa.» «Toh, assaggiami questo châteauneuf, è favoloso!» «Delizioso.» «Sei esasperante, Chib, sul serio! Sembri il figlio di un prete! Hem... volevo dire... Toh, vuoi un naan? Mangia, sei troppo magro!» Chib masticò il naan cercando di scorgere il volto dell'uomo che cenava con Aïcha. Lei non pareva divertirsi in modo particolare, annuiva spesso, buttava occhiate a destra e a manca, beveva del rosé a piccoli sorsi, a volte sorrideva, con garbo. Uno scocciatore di cui si pentiva d'aver accettato l'invito, si disse cominciando a mangiare i suoi gamberetti tandoori mentre Greg gli raccontava nei dettagli gli ultimi pettegolezzi di città. Sapeva che Laetitia, la ragazza del notaio Seems, lo tradiva con Joël, il suo cinesiterapista? «Hmm.» All'improvviso l'uomo si voltò per chiedere il conto. Chib strabuzzò gli occhi. Era Cordier. Il fedele medico di famiglia che cenava tête à tête con la cameriera. E allora? Avrà pure avuto il diritto di rimorchiare, quel tizio, no? «È carina la piccola marocchina, là in fondo» sussurrò Greg in quel momento. «La prenderei come dolce. La conosci?» «No, perché?» «Perché sta venendo a salutarti.» «Eh?» «Sì, amico, ti ha appena fatto cenno, perciò, secondo me, o ha ceduto davanti al tuo invincibile fascino o tu la conosci.» «Ah, sì, vagamente...» «Vagamente? Cazzo, ma presentamela!» «È accompagnata.» «Il vecchio barbogio? Scherzi? Aspetta, si stanno alzando, vengono qui, sei pronto, avanti, avventati!» Chib si girò proprio nel momento in cui Aïcha e il medico erano arrivati alla sua altezza. Lei gli sorrise gentilmente e lui lesse la sorpresa negli occhi del dottore. «Buonasera» fece lei.
«Buonasera. Vi presento Gregory, un vecchio amico. Gregory, Aïcha e il dottor Cordier.» «Che coincidenza!» buttò là lui, facendo la mossa di proseguire verso l'uscita. «Possiamo offrirvi qualcosa?» disse Greg, sguardo di fuoco, sorriso d'acciaio. «Ma, beh...» Aïcha esitava. «Magari un'altra volta» tagliò corto Cordier con un sorriso educato, e poi uscirono. Greg si sporse verso Chib: «Voglio quella donna, hai visto che prua? Perché ha detto "Che coincidenza?", il nonnino? Conosci anche lui?» aggiunse ingollando una bella cucchiaiata di riso. «È il medico dei miei clienti. Mi ha visitato per un problema al polso.» «Te l'avevo detto che a forza di...» scoppiò a ridere Greg. «Ma secondo me, amico, il tuo problema non è il polso, sai...» Fuori faceva freddo, raffiche umide, nubi vorticose, fosforescenze delle onde. I passanti camminavano veloci, a testa bassa. Un cane faceva pipì contro un secchio della spazzatura, con l'aria beata. «Dammi un pizzico, sto sognando!» fece di colpo Greg saltando in aria. Chib seguì il suo sguardo. Lei aspettava alla stazione dei taxi, il colletto del cappotto verde sollevato, le mani infilate in tasca. Greg era già pronto all'attacco con l'eccitazione di un setter che abbia intravisto un coniglio selvatico. «La possiamo riaccompagnare da qualche parte?» Lei sobbalzò, poi si tranquillizzò scorgendo Chib, una lunghezza di ritardo dietro il biondone. «Abito lontano, monsieur Moreno lo sa...» «Ah, M'sieur Moreno lo sa...» ripeté Greg rivolgendo un'occhiata lubrica a Chib. «Beh, non importa, non la lasceremo certo a congelarsi qui, e poi non è prudente.» «Non vorrei disturbare.» «Ma non disturba affatto, vero Chib? Una piccola gita, non ci spaventa mica! Forza, venga.» Lei si mise fra loro. Greg portò la conversazione sul ristorante e lei si rilassò un po'. Chib superò la sua amata Floride facendo un sospiro. Non
sarebbe stato a casa prima di un'ora buona. Greg fece scattare la sua 4x4 come un pilota di rally. Aïcha si era rifiutata di montare davanti. Raggomitolata sul sedile posteriore, si aggrappava all'arco di sicurezza. Greg mise un cd nel lettore e le vibrazioni dei Daft Punk invasero l'abitacolo. "One more time..." «Le piacciono?» urlò. «Sì. Mi piace molto la techno.» «Anche a me. Conosce il Palladio? In rue Neuve?» «Sì, è favoloso.» «Il proprietario è un amico, potremmo andarci una sera tutti insieme, se le va.» "Non contate su di me", disse Chib a un olivo che scuoteva la sua chioma argentea nel vento. Il Palladio era sempre pieno di gente, non si riusciva a fare la minima conversazione, la roba da bere costava un occhio della testa e ne usciva ogni volta con l'impressione che il cuore stesse lì lì per esplodergli. «Il suo amico non poteva riaccompagnarla?» «No, ha ricevuto una chiamata, un intervento urgente.» Continuarono a scambiarsi insignificanti proposte, finché non apparve, ammantata da un raggio di luna, la grande casa di campagna. «Ecco è lì» strillò Aïcha, e Greg frenò slittando davanti al cancello. Nessun rumore proveniva dalla casa. Solo una finestra era illuminata, al secondo piano. «Lei abita qui?» Aveva l'aria incredula. «I miei padroni» chiarì lei. «È così che ho conosciuto monsieur Moreno.» «Mi chiami Chib» fece lui, senza pensarci. «Tu lavori per quelli che vivono qui?» domandò Greg con aria quasi pensierosa. «Hmm» tagliò corto Chib. «In un certo senso.» «Hanno appena perso la loro piccola, Elilou» aggiunse Aïcha mentre apriva lo sportello. «Questo fatto li ha maledettamente abbattuti.» «Mme Andrieu sta meglio?» s'informò Chib scendendo a sua volta. «No, per la verità no. Fa degli incubi ogni notte malgrado i sonniferi, la sento gridare. Hanno fatto venire il prete.» «Il prete?» «Padre Dubois: è un sacerdote, un cugino di suo marito. Non capisco
bene a cosa possa servire un sacerdote in certe situazioni, ma comunque... io non ne so molto di religione» aggiunse lei con un sorrisetto. «Neanch'io» disse Chib. «Di che state parlando?» chiese Greg che aveva appena finito di fare inversione... «Di religione.» «Cazzo! Ci avrei giurato. È l'unico uomo in grado di discutere di filosofia con Jennifer Lopez.» Aïcha rise. «Grazie per il servizio taxi. Beh, io vado, si è fatto tardi.» Greg schizzò giù dalla macchina. «Le lascio il mio telefono» fece lui, mentre le schiaffava un bel biglietto da visita in mano... Lei sorrise senza rispondere e aprì il cancello. La videro allontanarsi. «Bel culo» commentò Greg. «Poi è simpatica...» «Le piacciono i mori alti e villosi» buttò là Chib, mentre si appoggiava al sedile. «E allora vorrà dire che comincerà ad apprezzare i fusti alti e biondi. Credi che potrei portarla all'Alsacien?» La brasserie preferita di Greg. «Pensi che lo mangi il maiale?» aggiunse pensieroso. «Chi ti dice che accetterà di venire a cena con te?» «I suoi occhi. I suoi occhi me lo hanno fatto capire. Tu non vedi mai niente, ma è così. Io e lei, è fatta!» Lanciò la macchina sul pendio ghiaioso intonando a squarciagola Aïcha di Khaled. Cosa ho fatto io per meritare questo? chiedeva Chib alla luna. Non so niente e me ne frego, rispondeva quella scivolando dietro a una nuvola. Era proprio quello il problema. Capitolo 3 Lo scomparto refrigerato scorrendo emise un fischio che parve un sospiro. Il sospiro di tristezza della Morte mentre contempla la sua opera. Elilou, povera carcassa, con la bocca stretta come una ferita, le gote cerulee e tese a spaccarsi come carta di riso. Era ora di farle la toletta e di truccarla.
Lavare tutto il corpo e i capelli, spazzolarli e annodarli con il nastro rosso. Cipria, per evitare che la pelle sia troppo lucida, crema idratante per le labbra. Niente rossi sulle guance, niente fard, era troppo giovane. Alle tre del pomeriggio aveva finito. Si tolse i guanti, si lavò accuratamente le mani, bevve un bel bicchiere d'acqua ghiacciata. La bara vuota era appoggiata in un angolo della stanza, sugli appositi cavalletti. Vi avrebbe deposto la bambina imbalsamata e poi avrebbe avvisato i genitori che potevano venire a riprendersela. La rivestì con cautela, l'abitino di velluto blu scuro, i calzini bianchi, le scarpette di vernice, no, non era proprio come abbigliare una bambola, perché le bambole non sono fredde e grigie, le loro unghie non illividiscono, e poi non emanano un cattivo odore. Sollevò il corpo, lo sistemò con cura fra le tavole verniciate, la testa adagiata sul piccolo cuscino rosso, le mani incrociate sul petto, spazzolò i capelli biondi e richiuse il coperchio inossidabile. Bene. Prese il telefono sul frigo e compose il numero sforzandosi di respirare profondamente. «Pronto?» Blanche Andrieu. Merda. «Buongiorno. Sono Léonard Moreno.» Un respiro corto. Nessuna risposta. Proseguì: «Io... Suo marito è lì?» «No, aveva un appuntamento. Che succede? C'è qualche problema?» Che problema vuoi che ci sia? Lei è MORTA! «No, no, nessun problema. Al contrario. Infatti, ecco, volevo dire. Io avrei terminato...» Voce tremante all'altro capo del telefono: «Oh, lei voleva dire... avviserò Jean-Hugues. La richiamerà lui.» «Molto bene, la ringrazio. E scusi se l'ho disturbata.» «No, non fa nulla, è normale, io... Ma ce la riporta lei? O dobbiamo venire noi a portare la teca al suo studio?» La teca? Ma di cosa stava parlando? E poi "lo studio", come se lui fosse un medico! Quella stava vaneggiando completamente. Chib ripeté: "La teca", con aria idiota. «La teca di vetro, mio marito l'ha fatta venire direttamente da Torino, per tramite di nostro cugino, padre Dubois. Le fanno solo lì, ormai, presso i cistercensi di San Michele d'Oro. La conosce? È una magnifica abbazia sulle montagne.» Inesauribile, adesso. L'effetto montagne russe dei tranquillanti.
«Ah, molto bene, molto bene» assentì lui. Una bara di vetro, che orrore! La bambina esposta nella cappella come un trofeo di caccia accanto alla spoglia in legno del Cristo. «Hugues è molto tradizionalista, sa, e noi abbiamo voluto il meglio per lei.» «Ma certo, ma certo. Vedrò tutto quanto con lui, quando mi richiamerà.» «Oh, ma ora che ci penso, è a Parigi! Sì, me lo ha detto ieri sera. Ha preso il treno delle sette stamattina, rientrerà con quello delle otto, stasera.» «Non c'è problema.» «Perché non viene lei qui con... Elilou? Sarà più semplice.» Sì, allora venga a prendere il tè con la mia famiglia impagliata. «Eh, beh...» «Jean-Hugues è talmente carico di lavoro... E io non ho voglia di affidarla a degli sconosciuti.» Lacrime in sottofondo. Tira su col naso. Fazzoletto sgualcito che tampona le narici frementi. Rifiuta. Aspetta che il marito ti chiami stasera. «Se vuole, posso essere da lei fra un'ora, un'ora e mezza.» «Intesi, allora. A fra poco!» Nota innaturalmente frivola, frutto di un'antica abitudine alla cortesia briosa. E adesso, trasportare il feretro piombato fino a laggiù nel bagagliaio della Floride. Come un profanatore di tombe. Perché di norma avrebbe dovuto chiamare Lucas e Michel, perché non è previsto che uno se ne vada in giro con un cadavere su una decappottabile. Ma... "Sei a disagio perché sei impuro, Chib", gli suggerì la voce di El Ayache mentre toglieva la tuta per indossare un vestito grigio scuro. "Il tuo cuore è impuro. Il corpo della bambina ti disgusta perché quello della madre ti attira. Tu non sei sulla Via. Tu stai insultando la morte. Riprenditi. Purificati. Prega!" Non aveva nessuna voglia di pregare, piuttosto di bere una birra, voglia di sole, voglia di fare il giardiniere e far sbocciare i fiori sulle tombe. Si annodò la cravatta, di lino nero a righine blu, e uscì per prendere la macchina. La luce inondava il viale, costringendolo a strizzare gli occhi. Una luce cruda, scolpita dal mistral. Il mare, percorso da rapidi fremiti pareva trasparente e glaciale. Tavole a vela scivolavano in ogni direzione, macchie di colore filanti. L'aria sapeva di iodio e di alghe. Salato. Un salato secco e pulito. Riportò la macchina davanti al laboratorio, mise le quattro frecce il tem-
po di andare a prendere la bara avvoltolata in una coperta. Aprì il cofano quando si sentì bussare alle spalle. Ebbe un soprassalto e poco mancò che lasciasse cadere il suo fardello. Il padrone del ristorante accanto lo fissava sorridendo, con alito di buon pastis: «Mio nipote ha la stessa.» La stessa cosa? La stessa cassa di legno? La stessa cravatta? «Però grigia. Modello del '67. Non se ne vedono mica tutti i giorni, però. Bisognerà che glielo faccia conoscere. È un patito di questi vecchi trabiccoli. Io, personalmente preferisco il comfort moderno. La mia 350 SE, fantastica. Ma poi, eh, ognuno ha i suoi gusti.» Chib sorrise educatamente adagiando il feretro nel bagagliaio di cui abbassò lo sportello con decisione. «Ha ragione» buttò lì a casaccio. «Beh, io scappo, sono in ritardo!» «È come quelli con le 4x4» continuò il padrone del ristorante parlando al lampione, mentre Chib si avviava. «Io le trovo veramente pesanti da guidare...» Ingorgo. Abbassò il finestrino, respirò l'odore di mimosa in fiore, poi quello del tubo di scappamento di un motorino. Si riparte. Strada sgombra. Si stava immaginando la bara che traballava nel bagagliaio, Elilou sballottata sui tornanti, ma tutto ciò non lo infastidiva. Erano i morti che disturbavano i vivi, mai il contrario. Colline. Strada sinuosa attraverso gli oliveti. Montagne innevate, molto vicine. Toh, doveva giusto andare a sciare quel fine settimana, gli avrebbe schiarito le idee. E lei, Blanche, non crede che un po' di cipria le farebbe bene? Stop. Centralina della luce, biforcazione, cancello in ferro battuto, casa di campagna buia sotto un sole al tramonto di un tardo pomeriggio. Suonò. Passi sul sentiero ghiaioso, la silhouette giovanile di Aïcha, i suoi lunghi capelli neri riuniti in uno chignon. «Decisamente, non ci si lascia più! È solo soletto?» «Ahimè sì. Insomma, ho Elilou nel bagagliaio.» La ragazza strabuzzò gli occhi, sconvolta. «Che orrore!» «Mme Andrieu mi ha chiesto di riportarla. Suo marito è a Parigi, credo.» «Rientra stasera. Ma... come... la trasporterà dentro la cappella?» «Non è poi così pesante.» «Non la prenderà mica sottobraccio, così?» protestò vedendolo aprire il
bagagliaio e prendere un grosso pacco imballato dentro la coperta. «Cosa vuole che faccia? Che la metta in una carrozza trainata da cavalli bianchi?» L'allusione a Lo specchio della vita la lasciò di sasso. Con i palmi delle mani si lisciò nervosamente il grembiule bianco. «È disgustoso. La porti subito in chiesa prima che avvisi la signora.» «La morte è disgustosa. Io non ne ho colpa.» «Sì, ma lei ha tanto l'aria di fregarsene.» Lui? Lui, l'uomo incaricato di compatire? L'uomo incaricato di organizzare al meglio il passaggio nell'Aldilà, lui il grande ordinatore del trapasso, se ne fregava? Mentre quella bambina lo corrodeva giorno e notte, quasi fosse stato lui a essere stato riempito di acido? Forse è questo che gli rimproverava Greg, in fondo, di essere inespressivo. S'incamminò sulla ghiaia in direzione della cappella, il piccolo feretro appoggiato al fianco, il respiro di Aïcha alle spalle. Lei deviò senza dire una parola verso il giardino d'inverno. Ma bene, tienimi pure il broncio, certo è ovvio, io non sono certo il bel Greg-ti-faccio-sballare. Io sono lo Sciamano Nero, colui che porta le cattive ambasciate, colui che si vorrebbe gettare nel fuoco assieme alle brutte notizie. Colui che puzza di carne corrotta. Tu sei soprattutto una nullità con le ragazze, amico mio. Piantala di buttarla sullo psicologico e molla questa cazzo di cassa davanti all'altare. Eccoci qua. La cappella sapeva di freddo, di polvere fredda. La luce inondava la navata attraverso le vetrate, tingendo di rosa il pavimento lastricato. In un angolo, un oggetto voluminoso, sotto un drappo bianco. Ne sollevò un lembo, poi lo fece scivolare via del tutto. Era la teca di vetro. La esaminò con curiosità. Una bara di cristallo a grandezza naturale, del tipo detto "avello". Notò le chiusure ermetiche, conformi alle norme in vigore, il dispositivo, discreto, per l'epurazione dei gas. Il fondo era ricoperto di velluto bianco, con un piccolo cuscino bordò. Un piccolo letto da principessa, sotto vetro. Un piccolo letto da Bella Addormentata nella Cappella. Rimise a posto il drappo, si avvicinò all'harmonium, fece correre le dita sul legno verniciato tutto screpolato. Qualcuno aveva acceso una candela che si andava consumando sotto un'effigie della Vergine, dalle braccia dischiuse e il sorriso accogliente. La nuova mamma di Elilou. La Buona Madre che non rimprovera mai e perdona sempre. Al suo fianco, suo figlio grondava sangue sulla croce di legno. Chib sospirò. Trovava assurdo tanto adorare un uomo che si credeva essere allo
stesso tempo padre, figlio e spirito santo, quanto un uomo dalla testa di falco. Poteva darsi che suo padre avesse praticato i riti vudù? Poteva darsi che il sangue di un grande re africano gli scorresse nelle vene? Accarezzò il legno ben lucidato di uno di quei piccoli banchi e si piegò per inspirare il buon odore di cera. «Buongiorno.» Non l'aveva sentita arrivare. Si voltò, troppo rapidamente, nervoso. Lei portava una gonna di lana grigio cenere e un maglione girocollo nero, niente gioielli, niente trucco, giusto la catenina con la crocetta d'oro. Pallida, tanto pallida, le mani incrociate sul grembo come una statua di cera. «Posso vederla?» Chib fece un passo, quasi a trattenerla. «Io... io credo che sarebbe meglio attendere l'arrivo di suo marito, forse... È, è sempre abbastanza difficile.» «È sfigurata?» «No, ma, mi creda, sarebbe meglio se foste insieme.» Lei si torse le mani, le labbra le tremavano, voltò il capo, prese un respiro profondo, poi gli si mise di nuovo di fronte. Quegli occhi così chiari, grigio pioggia, grigio orizzonte senza speranza. Lui si rese conto con stupore che la sua mano destra aveva abbozzato un movimento, per sfiorarle la guancia, e riuscì a fermare il suo gesto in extremis. Lei non parve accorgersene, i suoi occhi erano fissi sulla bara dove riposava la sua bambina. Polvere che svolazzava in un raggio dorato. Silenzio. I loro respiri. Il suo, oppresso. Blanche Andrieu cambiò bruscamente espressione, gli occhi le scintillavano, quasi bruciassero di collera, e lui pensò che stesse finalmente per far esplodere tutta la sua rabbia e la sua disperazione. «Posso offrirle una bibita fresca?» Sconcertato, Chib tentennò la testa e uscirono dalla cappella. «Ha visto, i lauri sono in fiore» gli fece osservare lei mentre prendevano il viale che portava al giardino d'inverno. Lui assentì. Non c'era da sorprendersi che quella donna avesse degli incubi tutte le notti se continuava a recitare una parte in ogni istante. Sarebbe stato meglio se avesse iniziato a singhiozzare, a graffiarsi le guance, a strapparsi i capelli, a urlare alla luna come una lupa in lutto. Il giardino d'inverno odorava di terra smossa di fresco e d'insetticida, si disse Chib mentre varcava la soglia. Poi segnò una battuta d'arresto. I bambini erano tutti là: Charles, Louis-Marie, Annabelle e Eunice, seduti
sugli sgabelli giapponesi, intorno a uno dei tavolini bassi in ceramica verde, intenti apparentemente a prendere il tè. «Salutate monsieur Moreno, bambini» disse Blanche precedendolo fino alle due poltrone di giunco sistemate sotto la vetrata. Scarica di "Buongiorno" tristi e fugaci. Passando, Chib vide che non stavano bevendo tè, bensì cioccolata calda accompagnata da scones5. Mangiavano senza far rumore, senza bisticciare né azzuffarsi, semplicemente sogghignando di quando in quando. Intimiditi? Ammaestrati come barboncini? «Si sieda.» Obbedì con l'impressione che quattro paia d'occhi ostili si fossero appuntati sulla sua nuca. «Tè, caffè, o gradisce un cordiale?» disse Blanche come se stesse recitando l'elenco telefonico! Un cordiale! Per la miseria, ma copiava le sue battute dai libri degli anni Venti o che? «Un tè andrà benissimo» rispose lui cercando di distendersi sulla poltrona rigida e stretta. Comparve Aïcha che spingeva un tavolino a rotelle sul quale troneggiavano una teiera in ceramica color ocra e minuscoli bicchierini assortiti. Tè verde, dunque. Ambiente giapponese, tè giapponese, ma fornicazione francese a giudicare dal numero di figli. Bravo, Chib, si direbbe che sei uguale sputato a Greg! Bevve un sorso di tè, ovviamente bollente, mancò poco che facesse cadere l'extraincantevole tazzina, la rimise sul non meno incantevole piattino. Aïcha sparecchiò il tavolino dei bambini. Chib riconobbe gli striduli suoni del giochino elettronico di Annabelle. Charles scarabocchiava su un quaderno, Louis-Marie aveva aperto un libro, un Harry Potter, e la piccola Eunice, seduta per terra, discuteva con un coniglietto di peluche dai pantaloni rossi. Chib richiamò la sua attenzione sulla donna seduta di fronte a lui, il cui profilo di gesso si stagliava in controluce. Di una bellezza così fredda, così classica e così terribilmente fragile al contempo... una combinazione pericolosa, Chib, come il fuoco e il ghiaccio, ti fonderà il cervello e tutto il resto e ti ritroverai a essere niente più che un mucchietto liquido ai suoi piedi. Poi ti spingerà via con la punta delle sue pantofoline di vaio sbuffando: "Puaf, mi tolga di mezzo questo affare, Aïcha." Ancora un sorso di tè. Piuttosto aveva voglia di una bella birra ghiaccia-
ta! Blanche beveva, gli occhi persi nel vuoto, una vena le batteva sulla gola, impulso pressoché irresistibile di posarvi le dita dicendo: "Ssst, passerà." Ma non passerà. No, per niente. Elisabeth-Louise non resusciterà, come nemmeno il piccolo Léon. Blanche avrebbe fatto un altro bambino, avrebbe preso sempre più tranquillanti, si sarebbe messa a bere di nascosto, sarebbe finita in terapia per disintossicarsi, magra, scarmigliata, ma sempre così distinta, la mente definitivamente a ruota libera. Come te in questo momento, caro Chib. «M'mmina.» Silenzio, poi: «Sì, tesoro?» Louis-Marie stava lì davanti a loro, jeans stirati, maglione blu scuro e scarpe da ginnastica Blanche. «Pierre mi ha invitato per il suo compleanno, sabato pomeriggio.» «Temo proprio che tu non ci possa andare, tesoro.» «Ma perché? Sarà sabato, non c'è scuola e poi ci saranno tutti.» «Sabato pomeriggio Josselin viene per la benedizione.» «Oh, m'mma, non può venire domenica?» «Sei veramente un idiota, Louis!» La voce di Charles si era fatta sentire, colma di disprezzo. «Te, nessuno t'ha chiesto niente!» gli controbatté il fratello minore, con astio. «Basta!» s'intromise Blanche duramente. «No, non può venire domenica, tuo padre gli ha chiesto di essere qui dopodomani, e...» «Ma perché devo esserci anch'io?» Blanche fece un respiro profondo e Chib credette che stesse per urlare: "Perché benediremo la bella bara di vetro della tua bella sorellina prima di sigillarla in quella fottuta cappella così fresca e perché voglio che siate tutti lì presenti, e perché è anche la tua fottuta sorella, Louis-Marie!", ma disse semplicemente: «Tuo padre te lo spiegherà stasera. Non insistere, ti prego!» Il ragazzo sospirò nervosamente, rivolse un'occhiata a Chib, amichevole quanto quella di un cane furioso strangolato dal guinzaglio, poi batté in ritirata, con i pugni contratti. Altro tè. La piccola Eunice si era avvicinata e, accovacciata ai piedi di sua madre, giocherellava col suo coniglietto, un bel pupazzone rosa con una carota ficcata in gola. «Si chiama Bunny!» confidò a Chib che abbozzò un sorrisetto. «Mangia
solo ca'ote e dolcetti, quelli con la ma'mellata di ciliegia dent'o. Sa anche pa'lare» aggiunse, la faccia seria. «Ah!» fece Chib che non sapeva mai cosa dire ai bambini. Eunice schiacciò il coniglietto che mugolò: "Sono tuo amico!" «Lascia in pace monsieur Moreno.» «Qual è il tuo nome, M'sieur Mo'eno?» «Léonard, Léonard le canard!» Buon Dio, Chib, ma sei posseduto o che? «Léona'd le cana'd?» ripeteva Eunice ridendo. «Ma tu non sei un'anat'a.» «Ma sì! Qua qua!» E lei ridacchiava, scuotendo Bunny. «Hai capito Bunny? Di' buongio'no all'anat'a! Qua qua!» «Mi piacciono le carote» dichiarò Bunny con accento giapponese. Tra il coniglio, la bambina e la Regina di Cuori, mancava solo il cappellaio matto perché quell'incubo si trasformasse nel Paese delle Meraviglie. «Dove abiti, Anat'a?» s'informò Eunice. «Nello stagno, alla fine del parco.» «E le tue piume, allo'a?» «Le ho sistemate sotto la camicia.» «Bugia'do. P'ima di tutto, le anat'e ci bevono mica il tè con mammina!» Perché doveva sempre andare male? «Eunice, stai buona. Si sovraeccita subito» confidò la madre a Chib, con un sorriso da straccio. «Toh, prendi un biscottino per Bunny.» Eunice s'impadronì del biscotto e lo schiacciò sul muso del coniglietto con astio, bisbigliando: "Mangia, Bunny teso'o, mangia, è buono, è la Mamma che te lo dà!" Chib si rallegrò una volta di più di non essere sposato. «Non la voglio trattenere, dovrà avere un sacco di cose da fare...» azzardò. «In genere a quest'ora ascolto il concerto di musica classica di France Musiques» replicò lei. «Vede come sono occupata!» Che bella atmosfera! Ok, ma che ti aspettavi? Che ti proponesse di andare a trastullarti allegramente in piscina con Elisabeth-Louise a fare da materassino? Stoop! Tornare a una conversazione normale. «Padre Dubois è vostro parente, se non sbaglio?» «Josselin è cugino primo di mio marito per parte di sua zia, Camille Dubois d'Anvers. E mio cugino acquisito, da parte della sorella del mio bi-
snonno, Eugénie Fantin d'Auron.» Ancora dei nobili. Una caterva di nobili, cattolici, impettiti. Beh, e poi? «Lavora con i ragazzi» proseguì lei. «Viaggia molto. È lui che si è occupato del... di... per Elilou. Jean-Hugues ci teneva a che...» E il tempo? Se parlassimo del tempo, eh? Eccolo là, troppo tardi, fazzoletto all'angolo degli occhi, subito il naso nel tè, occhi fissi ai piedi, attesa. Nel silenzio, Eunice continuava a ciangottare. «Ma sì, non piange'e, Bunny, anche tu and'ai in cielo. Tutti and'emo in cielo e fa'emo un pic-nic con Elilou!» Un incubo. Era finito da sveglio in un incubo altrui. La vena sulla gola di lei, pulsante. Le labbra tremanti. Non la si poteva lasciare in quello stato, merda! Chib si alzò, d'impulso, e Eunice si scansò facendo un balzo. «Posso... vuole che le chiami Aïcha?» sussurrò, chino su di lei, la mano appoggiata sulla spalliera della sedia, su cui le sue spalle fremevano di dolore. «No, è tutto a posto, la ringrazio.» Chib si raddrizzò, riprese posto non senza aver prima sorpreso lo sguardo di ghiaccio di Charles posato su di lui. Il ragazzo sbatteva le ciglia e faceva finta di rituffarsi sui suoi scarabocchi. Louis-Marie era scomparso. Annabelle era sempre inchiodata al suo giochetto, in pieno trip elettronico. «Cattivo!» inveì Eunice sbattendo la testa del coniglietto per terra. «Cattivo, cattivo, cattivo!» E se riprendessimo un po' di tè, eh, Chib? Se ne servì ancora, senza guardarla. Lei si era ripresa, fazzoletto stretto in una palla nel pugno chiuso, su cui scintillava la fede in oro, fine, sobria. Che ora poteva essersi fatta? Non osava guardare l'orologio. Occhiatina discreta. 18 e 22. E Andrieu sarebbe tornato verso le otto? Non era possibile. Non poteva restare incastrato lì, con i bambini nevrotici e la madre prostrata. Accennò un movimento per alzarsi. «Quando Leon e mancato, mi volevo uccidere» Si lascio ricadere sulla sedia Lei aveva buttato lì la cosa senza girare la testa, come se stesse bisbigliando all'indirizzo della felce nel vaso Era il caso che lui dicesse qualcosa? E lei, era cosciente della sua presenza? «Ma non si ha il diritto di togliersi la vita quando si hanno dei bambini La sofferenza fa parte della vita, no?» Sul tono di un "Prende un altro po' di torta, mia cara?" Dal momento che la felce non rispondeva nulla, Chib mormoro un "Sì,
ahimè" abbastanza pietoso. «La nonna e qui!» Chib sobbalzo Charles si era avvicinato senza far rumore «Scusa, Charles?» «La nonna e qui.» «Ah, e vero Siete pronti? Passano la serata e la notte da mia suocera» aggiunse lei rivolgendosi a Chib «Blanche, mia cara!» Una donna alta e spigolosa fendeva la stanza, capelli corti grigi e di bel taglio, tunica color crema, di seta, e pantaloni assortiti, cintura larga di cuoio, foulard e braccialetti di Hermes, la copia di suo figlio con trent'anni di più, quasi niente trucco, una fede semplicissima in oro, due diamanti bianchi alle orecchie Si fermò vicino a loro, strinse Eunice fra le braccia «Allora, mio tesoro, stai bene?» «Mi po'to Bunny, vuole vede'e la cassetta della Ca'ica dei 101» rispose la bambina agitando il suo coniglietto di peluche «Ah, ma non so se potrà, vedremo. Sbrigati a prendere le tue cose» Eunice scomparve, i suoi fratelli e sorelle erano già andati via La donna volto allora il suo elegante viso grinzoso verso Chib «Leonard Moreno» si premuro di spiegare Blanche. «È lui che…» Ancora una frase lasciata in sospeso, questa gente pareva comunicare per puntini di sospensione. «Ah, spiacente di fare la sua conoscenza in queste circostanze, monsieur Moreno, ma Jean-Hugues mi ha assicurato che lei era assolutamente...» Chib scrollò il capo. Blanche si era alzata. «Mi scusi, Belle-Mamie6, vado a vedere se i bambini sono pronti.» Belle-Mamie la osservò mentre si allontanava senza una parola, quindi lanciò un'occhiata azzurro pallido a Chib. «So di essere un po' all'antica, come mi rimprovera sovente mio figlio» sospirò «ma a dire il vero, non ero per... Trovo tutto ciò abbastanza... come dire... vede...» «È una questione sulla quale le persone hanno delle opinioni molto...» le assicurò Chib, che cominciava a conformarsi a quel modo di parlare. «Ma comunque, ci tenevano, adoravano così tanto quella bambina, e la povera Blanche... colpita due volte da una disgrazia così crudele...» Chib sospirò all'unisono, mani incrociate, occhi bassi, un becchino mo-
dello. Belle-Mamie si picchiettava gli occhi con il dorso della mano ben curata, sospirò ancora una volta, poi vedendo arrivare la nipote: «Annabelle, pulcino mio! Vieni a darmi un bacio!» «Louis-Marie non fa che brontolare perché non trova la sua tuta blu» disse con voce squillante la piccola. «"La tuta", pulcino. Non ha che da prenderne un'altra.» «Vuole quella. Dice che gli porta fortuna.» «Ma è solo superstizione, gli oggetti non portano fortuna, pulcino. Dai, andiamo a cercarla! Buonasera, monsieur Moreno. Non se la prenda per quel che le sto per dire, ma spero proprio di non rivederla più.» «Capisco perfettamente, signora.» Rimasto solo, fece un giro delle piante leggendo le targhette senza veramente guardarle, osservando il parco in cui un lampione all'antica diffondeva un alone giallastro. Una 606 blu notte era parcheggiata sul viale e i bambini ci si infilavano dentro mentre Belle-Mamie discuteva con Blanche, che stringeva le braccia attorno al busto minuto, come qualcuno che ha freddo. «Vede il suo amico, stasera?» Aïcha. «No, non credo. Perché?» «Così. Vi conoscete da molto tempo?» «Eravamo a scuola insieme.» «Uao!» «Come si chiama, Belle-Mamie?» «Louise. È per questo che avevano dato quel nome alla piccola.» «Ed Elisabeth?» «È il nome della madre della signora. Elisabeth-Louise è nata dopo la morte del bambino, allora immagino che ce l'abbiano messa tutta, per portarle fortuna o non so... Certo non si può dire che abbia avuto successo... Ho l'impressione che lei le faccia bene, alla signora, ha l'aria meno... meno da zombie quando parla con lei.» «Pensa quel che deve essere il resto del tempo! È simpatica, BelleMamie?» «Secondo lei?» Chib sorrise senza rispondere. «Non vedo l'ora che sia domani, è il mio giorno libero, mi farà bene prendere un po' d'aria» aggiunse lei.
«E ieri sera? Non era in libertà?» «Solo una cena al ristorante. Non è la stessa cosa. Vuole sapere se vado al letto col dottore, è questo?» «Ma...» «No, non ci vado a letto, ma a lui piacerebbe parecchio, e dal momento che mi aveva invitato col pretesto di portarmi a vedere una mostra sulla Cabilia, mi hanno dato il permesso di andarci. Alibi culturale.» «Lei è della Cabilia?» «Pare. A dire la verità me ne frego, è mia madre che mi rompe con questa storia. E lei?» «Mio padre era americano. Un marinaio di scalo qui. Non l'ho mai conosciuto.» «Il mio ha avuto un infarto cinque anni fa. Sul martello pneumatico. L'avrei fatta piuttosto nigeriano, o roba simile.» «Forse sono una roba simile.» «E Greg?» «Provenzale pura razza. È nato con una ciotola di aïoli7 in una mano e una palla per le bocce nell'altra.» Aïcha sorrise, facendo volteggiare la folta treccia nera. «Attenzione, sta tornando.» La ragazza era già filata via spingendo il tavolino a rotelle, inchinandosi per recuperare un giochino, senza uno sguardo indietro. «Gli fa bene andare da Belle-Mamie, cambiano aria» dichiarò Blanche, rimettendosi a sedere. «Sto per lasciarla, è tardi» fece Chib. «Ma resti a cena, suvvia! Jean-Hugues non tarderà.» «Vuol dire che... Non vorrei disturbare.» Lei si voltò bruscamente verso di lui, guardandolo negli occhi per la prima volta da quando era arrivato. «Lei non mi disturba affatto. Al contrario. Ho bisogno di parlare. Altrimenti credo che potrei fare una sciocchezza. Una sciocchezza qualunque. Lo so che lei ha voglia di andar via, le donne che piangono fanno orrore agli uomini, ma le assicuro che questa è un'eccezione, in genere sono molto in forma. Un autentico cavallino da circo.» «Ascolti... io...» «No, mi ascolti lei. Per una volta che ho un ostaggio. Ma cosa sto dicendo? Mi scusi, perdo la testa, con queste medicine...» «Non vorrebbe andare a riposare?»
«Non smetto mai di riposarmi. Questo mi sta facendo impazzire, assolutamente. Tutto questo riposo, questo eterno riposo...» La sua voce slittò e Chib le tese la mano, la poggiò sul polso, gelido, ma la ritirò immediatamente, arrossendo violentemente. Dov'era la vetrina con i liquori? Un cognac, triplo e secco, sarebbe stato l'ideale. E anche lei aveva bisogno di un tonico. «A che ora desidera cenare, madame?» Per la miseria, con tutta quella gente che entrava e usciva sembrava di stare a teatro. «Alle otto, grazie.» «Desidera un aperitivo?» «Volentieri.» Stridio di rotelle. Ancora un tavolino mobile, un altro, di mogano, pieno di bottiglie e bottigliette. «Prenderei un cognac» disse Chib ad Aïcha che gli versò una dose generosa di Delamain. «E per me una Suze» disse Blanche. «Hmm, il dottore ha detto che...» «Una Suze, grazie.» Sicuramente non ha il diritto di bere alcol. E se poi si fosse accasciata, lì, su quel fottuto pavimento a mosaico? Costretto a slacciarle la camicetta per farla respirare, a mollarle due sberle... Si scolò un bel sorso d'alcol. Bene! Un bel bruciore all'esofago, calore alla bocca dello stomaco. Blanche ingoiò una sorsata di Suze, tossì, poi vuotò il bicchiere d'un fiato. Cominciamo bene! Aïcha era scomparsa, di certo nell'oscurità dei suoi uffici. Blanche si allungò verso la bottiglia di Suze e si versò un altro bicchiere, così, con grande naturalezza, con un vago gesto all'indirizzo di Chib, come a dirgli "Prego, si serva pure come vuole". Lui scosse la testa e si versò ancora un po' di Delamain, per farle compagnia. Lei vuotò il secondo bicchiere d'un fiato, lo sguardo perso nel vuoto, una mano contratta sul bracciolo della poltrona. E lui, doveva forse dire o fare qualcosa? A parte centellinare il suo buon cognac. Silenzio. Fuori moriva il giorno. Una farfalla contro la vetrata, verde e gialla. Le ali colpivano delicatamente il vetro. Il rumore dei ghiaccioli che si scioglievano nel secchiello d'argento. Un sospiro. Chib fece girare l'alcol nel bicchiere, lo annusò, bevve ancora un po'. Secondo sospiro. Poi:
«Lei ha figli?» Domande in sequenza. «No. Non sono sposato.» «Non ne vorrebbe?» «No, in verità. Non credo che sarei un buon padre» aggiunse lui spontaneamente... «Perché?» «Non ho conosciuto il mio. Non so come si fa ad essere un buon padre.» Lei posò il bicchiere. «Io non so come si fa ad essere una buona madre» replicò lei, le palpebre abbassate. «Oh no, proprio non lo so, perché una brava madre non lascia morire i suoi figli, non è vero?» Perché se ne era uscito con quella cazzata? Perché?! «Quel che è successo non è colpa sua.» «Che cosa ne sa lei?» Bella domanda. Ma... «Nessuno è responsabile di un incidente così, se non il caso, la sfortuna...» «Non mi sarei dovuta fidare... fare attenzione... rimanere all'erta. Una buona madre, è come un marinaio di vedetta, non deve mai distogliere lo sguardo, capisce?» Come si poteva vigilare sul destino! Il cognac gli stava dando alla testa, Chib aveva voglia di andarsene. Si sporse verso di lei: «Lei non è responsabile del movimento dell'universo. Non può passare il tempo a colpevolizzarsi.» Lei alzò le spalle. «Lo so, dovrei stare qui a guardare i fiori, ad ascoltare il cinguettio degli uccelli, rallegrarmi di avere ancora quattro bei figli vivi, di essere una moglie felice, di avere un buon tenore di vita e un fisico passabile, è così?» «Lei non pensa mai ad altri che a se stessa? Anche suo marito starà soffrendo... i suoi figli...» «Ma come si permette!» Si era alzata, tremante. Lui pure si alzò a sua volta. «Lei mi parla. Io le rispondo. Ma farebbe meglio a comprarsi un registratore, così potrebbe distruggersi in stereo.» «La cena sarà servita fra mezz'ora.» «Monsieur Moreno non può trattenersi.»
«Ah? Molto bene, vado ad avvisare Colette.» Aïcha uscì, visibilmente sorpresa. Chib poggiò il suo bicchiere sul tavolino a rotelle. Ok, che liberazione, niente fottuta cena con questa stronza mezza suonata! «Lei è molto suscettibile» si lasciò sfuggire lui di colpo. «Quel che volevo dire è che crogiolarsi nel senso di responsabilità per il destino altrui significa sguazzare nel peccato d'orgoglio.» «Ah, ecco. Dovrebbe discuterne con mio cugino, apprezzerebbe molto tutto ciò.» «Sono spiacente di averla ferita.» «Perché mai? Cosa le importa? Tornerà al suo funerarium8 o come diavolo si chiama, guarderà un bel film alla tivù pensando: "Uff, sono riuscito a fuggire da quella pazza isterica."» Era una medium o che? Ma lui non aveva voglia di sghignazzare. Aveva voglia di prenderla fra le braccia e consolarla. E anche di schiaffeggiarla. Troppe voglie contemporaneamente. Questa donna ti sta scombussolando, Chib, letteralmente. «Io non penso che lei sia isterica. Penso che sia molto triste e che abbia bisogno d'aiuto.» «Ho già un marito, un dottore e un prete, mi serve forse anche uno psichiatra? O un cane?» Un amante. «Non so cosa debba fare, non ho consigli da darle, credo solo che non possa continuare ad affondare in questo modo.» «Mi lanci un salvagente, una buona parola per consolarmi, sa, una di quelle frasi fatte che si buttano là ai funerali.» «Io...» Fece un bel respiro, si avvicinò a lei, un passo, solo un passo. «Posso aiutarla?» Lei si avvicinò. Un passo. Solo un passo. «No, non credo. Ma la ringrazio.» «Ah, Moreno, è ancora qui!» Cazzo, gli aveva quasi fatto venire un infarto! «Sono riuscito a prendere il volo delle cinque e un quarto, una fortuna» diceva Andrieu tendendogli la mano. «Va', prendo qualcosina anch'io. Stava andando via» aggiunse mentre si serviva un dito di Glenmorangie. «Sì, stavo congedandomi.» «Tutto... è andato tutto bene?»
Blanche voltò la testa dall'altra parte. «Nessun problema. Lei... lei è nella cappella. Se vuole andare a vederla...» «Bene.» Vuotò il bicchiere con un gesto secco. Fuori faceva freddo, un freddo pungente. Nella cappella, Andrieu accese una luce, una lampadina da sessanta watt che diffondeva una luce giallastra. Chib si diresse verso il feretro, ne sollevò il coperchio, indietreggiò per far sì che Andrieu si avvicinasse, tossicchiasse, si sporgesse, le mascelle contratte, e si facesse da parte dopo una breve occhiata. «Molto bene, molto bene. Bisognerebbe trasferirla nella teca.» «Posso farlo adesso, se lei vuole» propose Chib. «Perfetto, perfetto» fece Andrieu con voce attutita e tremante. Chib posò il feretro per terra e si diresse verso la teca da cui tolse il drappo. Come se si fosse svegliato di colpo, Andrieu lo raggiunse, l'aiutò a sollevare la fragile bara di vetro e ad appoggiarla sui cavalletti. «Grazie» gli disse Chib «ora posso sbrigarmela da solo, la raggiungo fra dieci minuti.» Andrieu fu sul punto di protestare poi, cambiando idea, lasciò la cappella con passo deciso. Chib sollevò il coperchio della bara piombata, afferrò Elilou alla vita e la depose nella sua nuova dimora. I morti sembrano a volte così pesanti, si disse asciugandosi la fronte. Intento a mormorare in maniera meccanica la Dichiarazione d'Innocenza, "Non ho afflitto, non ho affamato, non ho fatto piangere, non ho ucciso... sono puro sono puro sono puro", cominciò a sistemarla un po', lisciandole le vesti, verificando che le membra fossero in ordine, così come i capelli, sfiorando le palpebre e le labbra sigillate dalla colla. Dopodiché richiuse lentamente il coperchio della tomba traslucida, spense la luce e ritornò nel giardino d'inverno. «Ci sarà una cerimonia dopodomani pomeriggio alle cinque. Sarei onorato se lei potesse intervenire» gli disse Andrieu quando lo vide. Oh, no! «Non vorrei... sarete in famiglia...» «Io voglio che ci sia più gente possibile, voglio che ci siano tutti, per salutare la mia piccola bambina!» L'uscita, Chib, guadagna velocemente l'uscita, sali sulla tua bagnarola e sparati la techno a tutto volume per schiarirti per bene la testa. Salutare, stringere la mano di Monsieur Andrieu, fare un cenno con la
testa a Mme Andrieu, allontanarsi sentendo il loro sguardo coniugale sulle tue spalle strette. Aïcha lo agganciò mentre passava: «Come mai non si trattiene più?» «Credo che vogliano restare soli.» «Hmm. Mi ha chiamato Greg. Dice che andrete in barca domani.» «Ah, sì, ehm, certamente, se farà bel tempo. Le ha proposto di venire?» «Sì, è il mio giorno di libertà. C'è bisogno che prenda una cerata o qualcosa di simile?» «No, ne ha un mucchio. Giusto un maglione di ricambio se dovesse cadere in acqua.» «Molto divertente. È pericolosa, la barca?» «Sballotta un po'. No, non si rischia nulla. Le ha detto qual è il programma?» «Ha detto che faremo un pic-nic alle isole. E che potevo portare un'amica.» «E?» «Vedremo. Non è che mi piaccia molto la cosa. Due ragazzi, due ragazze, è un po' pesante, no?» «Dipende dall'amica.» «Aïcha!» «Arrivo! Allora, a domani» aggiunse allontanandosi rapidamente. Fuori. Notte fresca, odorosa e ventosa. Sassolini di ghiaia che scricchiolano. Sportello che sbatte, motore che borbotta. Saint-Germain che pompano What's new?, i fari dipingono di bianco le siepi ben curate, discesa verso la città, il chiasso della vita, lontano da quel mausoleo pieno di frustrazioni. Ma Lei, impressa sulla retina, indelebile. Come un sortilegio. Che vi spinge ineluttabilmente verso l'abisso. Intermezzo 1 Omino nero saltella saltella guizza e riguizza come i micini nell'acqua di pozza
miagolan piano che manco si sente ma non è poi così divertente. Passare al più grande al più resistente è assai più eccitante come altre volte... Chi amerò allora in un volo d'ali taglienti e glaciali? Tranciare le carni e lacerarle, affondando per bene il muso Destrezza d'angeli È solo questione d'uso Basta rime Basta regole. Crepa crepa crepa oppure cammina Ah ah ah sì ficcamela per bene in fondo come l'attizzatoio nel fuoco o nella bocca. Capitolo 4 Il Riva fendeva i flutti a tutto gas, Chib aggrappato al parapetto di metallo, Aïcha e Gaëlle, la sua "amica", davanti, vicino a Greg, tutto muscoli e sorrisi, che girava il volante da fuoribordo con scioltezza, superando la cresta delle onde per far gridare le ragazze. Chib chiuse gli occhi. Aveva in ogni momento l'impressione che quella dannata lancia di mogano si sarebbe rovesciata, precipitandoli tutti in acqua e ricadendo di sicuro sulle loro teste come premio finale. Ma perché mai Greg aveva bisogno di andare così veloce? Era così piacevole cabotare lungo la costa, a una distanza ragionevole, quella che ad esempio una persona in buona forma potrebbe percorrere a nuoto in meno di mezz'ora, sì, ecco, avanzare tranquillamente in un dolce sciabordio, con le dita che scivolano sull'acqua fresca, e non sentire lo stomaco scalciare in ogni direzione ogni volta che lo scafo s'impenna e resta sospeso prima di ricadere pesantemente su un'onda ribelle. «Adesso ne prendiamo una grossa, si balla, tenetevi!»
Greg socchiuse un occhio per scorgere la poppa di un enorme yacht che filava a tutta birra lasciando dietro di sé una scia scintillante che loro stavano per prendere in pieno di traverso, ohhh, il Riva s'inclinò con grande eleganza su un lato, Aïcha riacciuffò per un pelo un cuscino di cuoio che correva sopra il bordo, Gaëlle gettò un urlo stridulo aggrappandosi al parabrezza, Greg scoppiò a ridere "Yaouh-ci-ammazziamo-dalle-risate" mentre Chib, il cuore sospeso al movimento oscillante della barca, pregava ardentemente che quella ricadesse di piatto, sul lato giusto. Pluf. Uf. Plaf plaf plaf, serie di sobbalzi, dove cazzo sono queste isole? Conto fino a cento, a cento, sarà tutto finito. Novantasette. Si rallenta. Grazie Grande Ra Horakhty, possa tu brillare ancora per cento milioni di anni, e dire che toccava sorbirsi pure il ritorno. Chib si raddrizzò, il Riva si stava infilando in un'insenatura circondata da grandi rocce Blanche, Greg dava ordini di manovra alle ragazze, armate di ganci d'accosto per evitare che le fiancate della barca urtassero contro gli irti scogli. Si fermarono nella caletta. Chib si sporse. L'acqua era di una trasparenza radiosa, le alghe si agitavano sulla sabbia, le macchie rosse delle stelle marine, i gomitoli neri dei ricci, le saette a righe dei pesci. Gaëlle estasiata batteva le mani. Ventiquattro anni. Studentessa di medicina. Alta, slanciata, chioma castana boccoluta, sorridente. Lei e Aïcha seguivano lo stesso corso di percussioni africane e avevano fatto amicizia. (Greg chiaramente sapeva suonare le congas, e Greg le aveva ovviamente invitate a suonare le congas a casa sua, nel suo appartamento a due piani con vista sul porto). «Tu ci aiuti o dormi?» Apertura del cestino del pic-nic, sistemazione della tovaglia, delle posate, cavatappi, vino bianco fresco, non un filo di vento, la fortuna è dalla nostra parte, chi vuole dell'astice? La polpa compatta dell'astice. Carne morta. Bianca e fredda. «Mi farò un bagno» annunciò Chib alzandosi. «Tu? Fermati! È ancora fredda!» Lui alzò le spalle. L'idea di starsene in ammollo nell'acqua limpida gli parve all'improvviso irresistibile. Si spogliò, mostrando il costume da bagno nero Calvin Klein - menomale che non si era messo il suo vecchio slip modello canguro - e scavalcò il passamano, immergendo un piede ritroso in acqua. Brr. Davvero brr. Beh. Tanto peggio. Bisognerà affrontarla. Fino alle ginocchia. Molto fredda. Le cosce. Sensazione di restringimento al basso
ventre. L'acqua sfiorò il costume. «Adesso ci si trasforma in un eschimese di cioccolata, l'idiota!» Bicipiti a sostegno per scendere dolcemente, un morso freddo sugli addominali, contrarre i pettorali, una spinta e hop, spalle, collo, immersione della testa, sì. Fece delle vigorose bracciate per allontanarsi dalla barca, assaporando la pressione ghiacciata e rivitalizzante sulla pelle. Qualcosa gli sfiorò la coscia e, per una frazione di secondo, ebbe la terrificante visione di Elisabeth-Louise che fluttuava fra le onde come un pesce morto, la bocca piena di bollicine, gli occhi colmi d'odio, i lunghi capelli spiegati a corolla. Ruotò su se stesso. Un ciuffo di alghe biancastre. Le allontanò con un calcio, tornò in superficie, si scrollò. Greg era già in piedi sulla prua, in calzoncini viola, e si stava tuffando. Schizzi d'acqua, risate, la muscolatura potente di Greg che fendeva l'acqua in un perfetto stile libero. Chib risalì a bordo, afferrò l'asciugamano che gli porgeva Gaëlle. Una bella giornata. Un buon pranzo. Una compagnia piacevole. Un retrogusto amaro in bocca che il sale marino non riusciva a estinguere. «Hai un'aria preoccupata.» Di nuovo Gaëlle, con un bicchiere di vino bianco in mano. «Problemi di lavoro, niente d'importante.» «Di cosa ti occupi?» La domanda trappola. «Sono un tassidermista.» Lei sollevò le sopracciglia. «L'impagliatore? Non è un lavoro comune. E cosa impagli? Gli yorkshire per le loro nonnine?» «Fra le altre cose. Pesci, cinghiali...» «Non puzzano da morire?» «Ci si abitua. E tu, con medicina?» «Puzza abbastanza...» «Non ho mai impagliato dei medici» osservò lui, con aria pensierosa. Lei sorrise, vuotò il bicchiere, gliene offrì uno che però lui rifiutò. Chib si sdraiò su uno dei sedili, lasciandosi scaldare dal sole. Greg era risalito a bordo, aspergendo d'acqua tutti quanti. Un altro bicchierino di bianco? E dai! Dopodiché le ragazze sistemarono i resti del pasto. La quiete che annunciava la siesta. Greg cospargeva Aïcha di crema solare, Gaëlle leggeva l'ultimo libro di Elizabeth George. Chib chiuse gli occhi. Approfittare di questo momento di riposo.
La barca beccheggiò leggermente. Greg s'infilò la muta da immersione, e prese il fucile con l'arpione. «Stasera si mangia polpo!» annunciò. Spruzzi. Brezza leggera. Dolce dondolio. Torpore. «Ti hanno invitato alla cerimonia, domani?» Aïcha. Erano passati al tu, salendo a bordo. Chib sospirò. «Purtroppo.» «Sarà una cosina sinistra... Hanno ingaggiato altri due camerieri per il ricevimento» aggiunse lei. «Che ricevimento?» «Il pranzo del funerale. Pare si usi, un'antica tradizione francese...» Breve visione della sala da ballo piena di vampiri incipriati vestiti da marchesi, che divorano il corpo della bambina. Hai visto troppi film, Chib. «Era molto vivace, Elisabeth-Louise?» «Elilou? No, era piuttosto tranquilla, il genere di bambina che se ne sta a giocare buona in un angoletto. Perché?» «Ho trovato tracce di varie fratture...» «O questo... non era molto fortunata, sai, era la classica bambina che si fa sempre male... Tanto che i suoi fratelli la prendevano spesso in giro per questo motivo.» Brivido sgradevole. «E con i genitori, andava tutto bene?» «Beh, aveva otto anni, dunque per forza andava tutto bene. Sono severi ma gentili. E poi lei era buona. Non come quella peste di Annabelle.» «Chi è il preferito?» «Va' a sapere. Il padre, Andrieu, tratta tutti allo stesso modo, come nell'esercito, tipo. E lei, lei si direbbe che il più delle volte è come se fosse assente. C'è una facciata, ma dietro non c'è nessuno.» «Si droga?» «Oh, ma sei un vero poliziotto, te! No, lei non si droga. Piuttosto tende a bere.» «E il prete?» «Il cugino? Non mi piace, quello. Con quei suoi sorrisetti affettati, e la voce zuccherosa, sembra un vecchio frocio mascherato da sacerdote.» Gaëlle alzò gli occhi dal suo libro. «Pensi che sia uno di quei preti pedofili?» «Ne ha tutta l'aria.»
«Ha già avuto dei comportamenti equivoci con i bambini?» chiese Chib sollevandosi su un gomito. «No» ammise Aïcha quasi a malincuore. «A dire la verità neanche ci parla con i bambini. Sta sempre rintanato con lei.» «Credi che se la sbatta?» domandò Gaëlle facendo finta di rabbrividire. «Mi stupirebbe, lei non ha occhi che per il suo Jean-Hugues. E poi, io, non mi divertirei a tradirlo, il caro Jean-Hugues. Non è il genere iper-cool, capito.» Gaëlle posò il libro e si girò verso Chib. «Perché stai facendo queste domande sulla bambina? Pensi sia stata maltrattata?» Ecco, l'aveva detto. «Non so, mi sono chiesto così, se...» «Maltrattamenti? No, dico, ma state dicendo sul serio?» protestò Aïcha. «Nessuno ha mai alzato le mani su Elilou.» «A volte uno non se ne rende conto, sono cose fatte di nascosto. L'altro giorno abbiamo studiato dei casi piuttosto inquietanti al corso» replicò Gaëlle, le sopracciglia aggrottate. «Donne che avvelenano subdolamente i figli, o che provocano sistematicamente degli incidenti. Sindrome di Münchausen, si chiama.» «Stai dicendo delle fesserie.» «Ma no, però la tua Blanche Andrieu ha tutta l'aria di essere un po' fuori di testa.» «Non farebbe mai del male a uno dei suoi bambini! È ultra cattolica.» «Una ragione in più, eh, Chib?» Lui fece spallucce. Chi poteva dire quel che una donna come Blanche Andrieu poteva o non poteva fare? E chi poteva dire ciò che a Chib Moreno sarebbe o non sarebbe piaciuto farle? «Ma anche gli altri bambini si fanno male così spesso?» insistette Gaëlle, visibilmente affascinata dalla questione. «No, non particolarmente.» «Qualcuno di loro si è mai rotto qualcosa?» Aïcha ci pensò su qualche istante. «Non credo. Ma questo non vuol dire nulla. Ti ho già detto che Elilou era molto maldestra.» Gaëlle si girò verso Chib, l'espressione complice. «È quel che si dice sempre dei bambini oggetto di maltrattamenti. "È scivolato, è caduto dalle scale..."»
«Smettila!» protestò Aïcha. «È così che si è ammazzata, quella povera piccola.» «Cordier ha esaminato il corpo?» s'informò Chib mettendosi a sedere. «È stato chiamato immediatamente, io stessa gli ho telefonato, mi passi un bicchiere di bianco Gaëlle, grazie.» Aïcha bevve un sorso e riprese: «Erano le sei e mezza del mattino, mi ero appena alzata, stavo andando verso la cucina per fare colazione, io non mi occupo del mangiare, c'è una cuoca, Colette. Beh, insomma, attraverso il grande atrio, era buio, non avevo acceso, e vedo qualcosa in fondo alla scala. Un mucchio di biancheria. Salvo che mentre mi dicevo questo sapevo che non era un mucchio di biancheria e ho avvertito un dolore al ventre, buffe, le cose. Quindi mi avvicino, sento il cuore che batte forte, ancora non so che si tratta di Elilou, ma mi sento male, ed ecco all'improvviso, la vedo. È stesa a pancia sotto, ma... oh merda... la sua testa... ha la testa al contrario, lei mi guarda, mentre è a pancia sotto, eh, e allora sento le gambe diventare tutte molli, perché penso a tutte queste cose nello stesso tempo, la testa al contrario, e il fatto che non mi sta guardando in realtà, perché i suoi occhi sono come due pezzi di vetro dipinto, appena aperti e immobili. Al solo ripensarci, mi viene voglia di vomitare.» Nessuno disse niente. Gaëlle riempì di nuovo i bicchieri. Le palme di Greg frustavano l'acqua. Aïcha si passò una mano fra i capelli, lisciandosi le tempie. Gaëlle si sporse verso di lei: «E tu che hai fatto? Hai urlato? Sei svenuta?» «No. No, non ho urlato, non sono svenuta. È buffo, ma mi sono calmata tutta d'un colpo, quando mi sono resa conto che era morta. Sono corsa anzitutto verso lo studio di Andrieu, per cercare il numero di cellulare di Cordier e l'ho chiamato. Si stava facendo la barba, ho sentito il rasoio. Ha detto: "Cazzo, non può essere!" e poi: "Arrivo!", e ho sentito che mormorava: "Oh, mio dio, povera Blanche!", dopodiché sono andata a dirlo a Colette che si è messa a gridare, e le ho detto di smetterla, che non era il momento, quindi sono salita di sopra. E lì, lì avevo così tanta strizza di dire quel che era successo, che ero, non so, come se mi stessi librando in aria capisci, sono salita al piano, tutte le stanze sono al primo piano, ho bussato alla porta della loro stanza, mi ha aperto lui, era in tuta, tutte le mattine corre per una mezz'ora nel parco, e mi ha detto: "Che succede?", con aria scocciata. "Elilou ha avuto un incidente, Monsieur."» «Che orrore!» commentò Gaëlle svuotando il bicchiere.
«L'hai detto. Deve aver capito che si trattava di una cosa grave, vedendo la mia faccia, e poi la voce mi tremava, è diventato tutto bianco, all'improvviso. "Che incidente? Cos'è successo?" "È una cosa molto grave. È caduta dalle scale, lei... credo che lei...", non sono riuscita a dire di più, lui mi ha spinto via, io sono quasi caduta per terra e lui si è messo a correre come un pazzo, e poi l'ho sentito gridare: "Elilou!", mi ha trafitto, e Blanche, si è alzata d'un balzo, è uscita tutta spettinata, e ha detto: "Cosa? Che succede?", e io non ho potuto risponderle, mentre lui urlava: "Elilou!", lei si è precipitata verso le scale, era in camicia da notte, quella coi coniglietti, e ha gridato: "Jean-Hugues?" e poi anche lei si è messa a urlare, io non sapevo cosa fare, i bambini hanno cominciato a uscire dalle loro stanze, ho cercato d'impedirgli di passare, ma Charles mi ha quasi fatto cadere, e a quel punto la confusione era totale, urlavano tutti, e Andrieu teneva la bambina fra le braccia come se la stesse cullando, è stupido, ma mi ha fatto pensare a Clark Gable in Via col vento, quando muore la sua piccola Bonnie Blue, mi sono messa a piangere, ma a piangere...» «M'immagino. Io credo che sarei svenuta» commentò Gaëlle, con gli occhi di fuori. «Beh, lei, lei è svenuta. Si è portata le mani al petto e bum, giù per terra. In quel momento hanno suonato, sono corsa ad aprire, era Cordier, per fortuna. Ha fatto indietreggiare tutti, ha detto ad Andrieu di stendere la piccola sul canapè. Si è chinato su di lei, le ha scosso la testa, così. Il padre, Andrieu, ha vacillato come se gli avessero mollato un pugno. Si è aggrappato a Charles che non diceva una parola. E quell'idiota di LouisMarie che chiede: "Elilou è morta, papà?" Gli avrei dato un ceffone. Cordier è stato molto bravo. Si è girato verso di loro e ha detto: "Dovete farvi coraggio, bambini, la vostra sorellina non è sopravvissuta alla caduta." Dopodiché ha fatto un'iniezione a Blanche che gemeva, ha passato una tavoletta di compresse ad Andrieu, ha detto a Colette di preparare un caffè, e quanto poteva piangere mentre lo faceva, povera vecchia!» «E te? Non ti ha dato nulla da fare?» «Io? Mi ha stretto a sé, il caprone.» «Magari un gesto di autentica compassione?» azzardò Chib. «Sì, bravo.» «È un vero e proprio maniaco o che?» s'informò Gaëlle mentre vuotava il suo bicchiere. «Abbastanza ossessionato dal mio corpo da sogno, è vero.» «Nessuno ha messo in dubbio la versione della caduta?» chiese Chib.
«Beh, io l'ho trovata in fondo alle scale, con la testa girata, una pantofola su un gradino, era evidente che era scivolata!» «Hmm... A dire la verità qualcuno potrebbe averle spezzato il collo chissà dove e poi averla messa lì, non è vero Gaëlle?» «Vero» rispose lei, aggrottando le sopracciglia. «Però perché immaginare un omicidio quando abbiamo a che fare con una bambina maldestra? Hai una mente un po' contorta, no?» «Non so» concesse lui. «Avverto delle vibrazioni negative in tutta questa storia.» «Oilà! Sei un medium?» «No, ma... aveva l'abitudine di alzarsi presto, la bambina?» «In genere li sveglio alle sette, per andare a scuola» spiegò Aïcha. «Aiuto Eunice e Annabelle a prepararsi. Ma Elilou potrebbe benissimo essersi svegliata prima e aver voluto scendere in cucina, è molto golosa.» «Era» corresse Gaëlle. «Lo faceva spesso?» insistette Chib. «A volte. Una volta l'ho pure trovata davanti alla tivù!» «E nessuno l'ha sentita alzarsi? Ha una stanza tutta per sé?» «Sì, ognuno ha la sua. Ad ogni modo, se si è alzata per fare una birichinata, si sarà mossa senza fare rumore.» «Più tranquillo, monsieur Chib?» chiese Gaëlle sorridendo. «Molto grato, signor dottore. Ma non sono del tutto convinto.» «Ecco a voi il risultato!» Un Greg tutto sgocciolante si stava arrampicando sulla scaletta, brandendo il suo arpione da cui penzolava un minuscolo calamaro. «Oh poverino, ma è un bebè!» esclamò Gaëlle. «Non lo vorremo mica uccidere.» «Rimettilo in acqua, ti prego!» rincarò Aïcha. «Siete pazze o che? È delizioso, alla piastra.» «Chi se ne frega, non ce lo mangeremo!» chiuse la questione Aïcha. «Siamo contro il genocidio delle piovre.» «Ma non è una piovra, è un fottuto calamaro! Questo si mangia, come il pollo!» Silenzio. «Oh e poi che palle» mormorò Greg sfilando il calamaretto dalla punta d'acciaio e ributtandolo in acqua. «Ecco qua, tutti contenti?» «Sei stato carino!» lo rassicurò Aïcha dandogli un bacio sulla guancia, e lui arrossii.
Toh, vecchio mio, ti farà rigare dritto questa qui, eh, diagnosticò Chib mentre si allungava, sorridendo... Rientrando a casa in compagnia di Gaëlle, dopo aver cenato tutti e quattro insieme al ristorante panoramico del Sofitel - grazie, Greg - Chib si sentiva un po' ubriaco. Aveva bevuto troppo. Anche Gaëlle non la smetteva più di inciampare e di ridacchiare guardando gli esemplari impagliati. Lui non aveva previsto di portarla a casa, ma era successo così, quando Greg e Aïcha li avevano salutati prima di infilarsi nella 4x4 di Greg. "Mi piacerebbe tanto vedere il tuo laboratorio - gli aveva detto lei - se non ti scoccia." Era carina, simpatica, intelligente. Perché no? Aveva fatto per caso voto di castità? No. Aveva per caso ogni sera delle belle ragazze di ventiquattro anni pronte a gettarglisi al collo? No. Perciò, vai, bellezza! Le propose un Despé o un cognac. «Cognac, grazie.» Anche lui se ne servì un bicchiere. Era buono, regalo della contessa Di Fazio. Mentre lei si beveva il suo cognac, lui andò ad accendere il suo ministereo. In the mood for love. «Ti è piaciuto il film?» chiese Gaëlle servendosi dell'altro cognac. «Molto. E a te?» «Fantastico. Balli?» Più tardi, distesa accanto a lui nel buio della stanza, mentre lui fumava, gli chiese d'un tratto: «Aveva delle ecchimosi sulla schiena?» «Prego?» «La bambina, aveva delle ecchimosi sulla schiena?» «Sì, perché?» «Accade spesso nei bambini vittime di sevizie. Dei lividi in zone dove di solito non si va a sbattere. "In zone di caduta non consuete, in punti poco accessibili da parte del bambino," espose lei a memoria. Mi fai fare un tiro?» Chib le passò una Marlboro, aveva il braccio tutto intorpidito. «Cos'altro sai tu lì?» «Parecchio, ma non volevo parlarne davanti agli altri, è abbastanza inquietante. Ma tu puoi avere accesso al corpo?» Lui rifletté un istante.
«Sì, penso. Con la scusa di un'ultima ispezione.» «Verifica se è vergine» buttò là Gaëlle con voce fredda. Chib si raddrizzò, e mancò poco che le cavasse un occhio. «Cosa?!» «Credimi, fai una verifica, starai più tranquillo.» «Ma è una cosa mostruosa!» «Sei tu che hai ventiquattro anni o io? Quanti anni hai, tanto per cominciare?» «Quarantadue.» «Ah, il vecchietto! Mi faccio saltare addosso da un vecchio negro!» «Sono io che mi sono fatto saltare addosso. Malgrado una resistenza accanita.» «Non mi è parso molto, ma, beh, se lo dici tu...» Tacquero un istante. Il vento faceva cigolare le imposte di legno. Si sentiva il mare, un sibilo calmo e regolare. «Credi sul serio che bisognerebbe...?» riprese Chib, schiacciando la cicca nella lattina di birra vuota che fungeva da portacenere. «Se vuoi metterti l'anima in pace, sì» assicurò Gaëlle sbadigliando. «Ehi, ehi! Domani mi devo svegliare alle sei. Devo essere in facoltà alle otto.» «Di sabato?» «Hmm. Abbiamo un'autopsia.» «Siamo fatti decisamente l'uno per l'altra» sorrise Chib abbracciandola. «Vuoi che ti mostri cosa so fare con il mio bisturi?» «Mi hai sventrato abbastanza per questa sera. Cantami una ninna nanna piuttosto.» «Dos gardenias para ti. Con ellas quiero decir...» Capitolo 5 La cerimonia era prevista per le cinque del pomeriggio. Chib frenò di fronte al cancello alle quattro e mezza, il respiro corto, dolore alla testa, bocca amara malgrado il chewing-gum. Afferrò la sua valigetta, un modello nero ad armatura metallica, cercò di respirare profondamente fino a venti, rinunciò alla dodicesima inspirazione, scese e suonò al campanello. Aïcha venne ad aprire, aveva i lineamenti tirati, gli occhi infossati. «Abbiamo veramente bevuto troppo ieri! Ho una di quelle nausee! Tu no?»
Lui scosse la testa. «Un po'.» «E Gaëlle, è tornata bene a casa?» «Penso, sì» fece lui, evasivo. «Non c'è bisogno di mentire, mi ha telefonato!» Questa smania di chiacchierare delle donne! Un'autentica tara ereditaria! La seguì lungo il viale chiedendosi quali potevano essere stati i commenti di Gaëlle. "Niente di straordinario", "Simpatico, ma un po' moscetto, sai...", "Volenteroso". Questo poi, era il peggiore di tutti. Bollato come "Alunno che si applica ma non molto dotato". Fece spallucce. Complessato no, il ragazzo, niente affatto! Parecchie macchine erano parcheggiate sul sagrato. Riconobbe la 606 blu notte di Belle-Mamie. «Chi è arrivato, a parte la nonna?» chiese a voce bassa. «Tutti, tranne Cordier. Il prete, i Labarrière, due amici loro, Chassignol, il socio di Andrieu, con la sua bagascia, e gli Osmond, dei vicini.» «E lei, non ha parenti, Blanche?» «Deceduti. Ha una vecchia zia che non si può muovere.» Chib posò la mano sul suo braccio, leggermente, indicando la valigetta con aria d'intesa. «Devo passare in cappella.» Il volto sottile di Aïcha si contrasse. «Un'ultima ispezione, non voglio che ci siano problemi, sarebbe troppo brutto» spiegò lui, vago. «Avvertili che sono lì e che è meglio che non vengano, ok?» «Ma se Andrieu...» «Non avrà certamente voglia di vedere la toletta funebre di Elilou, perciò digli che li raggiungerò quando sarà tutto pronto.» «Non gli piacerà...» «Mi ha pagato per fare un determinato lavoro, io lo sto facendo. Lei chiude a chiave la cappella?» Erano arrivati di fronte al battente scolpito. «C'è una grossa chiave all'interno, non so se funziona, i ladri di cappelle sono abbastanza rari» replicò Aïcha allontanandosi rapidamente verso la casa. Chib spinse la porta. Ancora una volta quell'odore di polvere, di terra, di freddo e di vecchio. Avevano ricoperto i Cavalletti con un velluto viola ornato di nappe dorate, e il feretro di vetro era deposto al centro, di fronte
all'altare preparato per la messa. Chib richiuse la porta dietro di sé, azionò la grossa chiave di ferro. Girava. Perfetto. Aveva poco tempo. Aprì la valigetta, ne tirò fuori l'astuccio dei trucchi per dare l'idea che era quel che stava realmente facendo, infilò i guanti di gomma con l'impressione di essere in procinto di commettere un crimine, dopodiché sollevò il coperchio che pesava una tonnellata. Elilou, le palpebre chiuse, distesa sulla schiena, coronata dai suoi boccoli biondi, le mani incrociate sul petto, le gambe unite, le labbra sigillate dalla colla speciale. La bocca secca, il cuore che batteva, evitando di guardare le palpebre chiuse, immerse la mano destra fra le esili cosce reprimendo l'impulso di fuggire, toccò le mutandine della bambina con un senso di disgusto, e fece scivolare la mano all'interno. Non puoi fare questo, Chib, non puoi fare questo sul cadavere di una bambina. Ma doveva sapere. Dei passi sulla ghiaia. Uno sportello che sbatteva. Veloce! Infilò il dito medio guantato nel sesso rigido della bambina che sembrava sigillato ermeticamente. Quanti anni si sarebbe potuto beccare per una storia come quella? Profanazione di cadavere? Cinque? Premette con più forza, i passi si avvicinavano, brusio di voci, veloce, dio santo, dio santo! Tirò via la mano, avvampando di vergogna, raddrizzò le piccole gambe, tese il vestitino, abbassò il coperchio, si precipitò verso la porta per girare senza fare rumore la chiave nella serratura monumentale, si tolse i guanti e richiuse la valigetta nel momento in cui entrava Andrieu, le mascelle contratte. «Aïcha mi ha detto che voleva effettuare un'ultima visita?» fece lui glaciale. «Sì, volevo assicurarmi che fosse tutto in ordine. A volte... dei dettagli... è sempre meglio...» Lasciò la frase in sospeso alla loro maniera e Andrieu assentì, tranquillizzato. «È bella, vero?» sospirò in direzione della bara. «Dio mio, sarebbe diventata una così bella ragazza!» Soffocò un singhiozzo, che veniva dal profondo del suo essere, e uscì con passo meccanico. Ingoiando la saliva, Chib lo imitò, la testa in fiamme. Non lo era! Non era vergine! Niente imene! Una bambina di otto anni!
Come poteva essere possibile? Una malformazione genetica? Una rottura prematura dell'imene in seguito a una caduta? Dovuta alla pratica del pony? È stata violentata, ecco la verità. Qualcuno l'ha violentata e l'ha uccisa. Avvisare la polizia? Greg doveva avere sicuramente un contatto al commissariato. Ma cosa dire? «Buongiorno, monsieur Moreno.» Era mancato poco che andasse a sbattere contro Blanche, livida nel suo vestito blu scuro senza alcun orpello, quasi nemmeno truccata, le spalle incurvate. La salutò, con lo sguardo fisso sul piccolo Cristo dorato che le dondolava al collo. «Mio cugino, padre Dubois» riprese lei presentandogli un ometto magro dal volto severo, in completo grigio scuro, con una croce d'argento appuntata sul risvolto della giacca. Il sacerdote accennò un inchino senza dir nulla. Chib notò che i suoi capelli e i suoi occhi erano della stessa sfumatura di grigio del suo abito. Il colletto da prete spuntava sotto un pomo d'Adamo prominente. Le sue labbra sottili non sorridevano. Aveva meno l'aria di un pedofilo che di un agente della Gestapo in pensione, si disse Chib, mentre Belle-Mamie lo salutava a sua volta, gli occhi gonfi, un fazzoletto in mano. Quindi Blanche gli presentò i loro amici, i Labarrière, signorili, sulla cinquantina, ben vestiti, ben pettinati, bei gioielli per lei, cravatta Breuer per lui, puliti, sani, rosei, Nulla da Segnalare. Gli Osmond, i vicini, press'a poco la stessa età, erano un po' meno scialbi. John Osmond aveva il ventre gioviale del bevitore di birra, e sua moglie, Clotilde, il naso arrossato degli alcolizzati. Lui aveva optato per una tenuta da gentleman di campagna sul verde oliva, lei per un vestito scamiciato di pessimo taglio che le conferiva un aspetto da suora laica. Per quanto riguarda gli Chassignol, erano tutt'altro genere. Rémi Chassignol, il socio, era sul tipo gran predatore, molto a suo agio nel suo magnifico completo Gilles Masson, folta chioma scura, sguardo d'acciaio, naso aquilino, mentre la sua bagascia - Aïcha dixit - sfoggiava seni rotondi e voluminosi, il tutto inguainato per bene in un vestitino scuro firmato, i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle e la bocca gonfia socchiusa in una smorfia di perpetua adorazione. Strette di mano cortesi, sorrisetti forzati, si parlava a voce bassa, ci si muoveva in silenzio, si scuoteva la testa con tristezza e compassione. Charles se ne stava in un angolo, gli occhi arrossati come se avesse pianto, braccia incrociate, molto impettito nel vestito scuro, perfettamente pet-
tinato, replica in miniatura di suo padre. Squadrò Chib senza salutarlo. «Cosa desidera bere?» chiese all'improvviso Blanche, dietro di lui. «Prenderò un po' d'acqua, grazie.» Lei fece segno al cameriere in giacca bianca, quello di cui aveva parlato Aïcha. Blanche... Chib guardò la linea sottile della nuca. Posarvi la mano. Stringerla a sé. Proteggerla. Proteggerla da che? Da chi? Dalla Morte? Ridicolo. Proteggerla dalla verità che lei ignorava? Che qualcuno aveva abusato della sua bambina? Era capace, lui, di dir loro una cosa simile? No. Allora, avrebbe lasciato un assassino in libertà? Sì. Perché non era sicuro. Non erano che delle morbose supposizioni. E il fatto che la bambina non fosse vergine? Un'allucinazione tattile? Mandò giù il suo bicchiere d'acqua minerale d'un sorso, la bocca secca. Voglia di chiamare Gaëlle. Esitò a uscire per andare a telefonare, ma in quel momento padre Dubois tossicchiò. «Signore, signori, se volete seguirmi...» Chib notò l'ombra di apprensione che si disegnava sul volto della Bagascia di cui non aveva ben inteso il nome. Qualcosa come Winnie. Winnie l'Orsacchiotta con la Permanente? Belle-Mamie portò la mano al petto stretto nel tailleur grigio e sospirò profondamente. Charles si avvicinò, posò la grande mano da adolescente cresciuto troppo in fretta sul suo braccio maculato. Lei gli carezzò la testa, con un sorriso commosso. Blanche si torceva le mani, stretta da Andrieu, la testa bassa. Gli Osmond guardavano ostinatamente per terra, i Labarrière ostentatamente in aria. La piccola processione raggiunse la cappella in un silenzio rotto unicamente dallo scalpiccio sulla ghiaia. Chib espirò lentamente, i nervi a fior di pelle. Entrarono nella cappella, presero posto fra i banchi verniciati di fresco per l'occasione. Ognuno tendeva il collo con discrezione per vedere meglio il feretro e il cadavere che vi riposava dentro. Quindi la Bagascia nascose il viso nel petto muscoloso di Chassignol. Noémie Labarrière abbozzò un segno di croce. Clotilde Osmond cominciò a sfogliare il messale posto di fronte a lei. Belle-Mamie, vicina a suo figlio, si tamponava gli occhi. Blanche stringeva il legno bucherellato dell'inginocchiatoio, tremante. Gli uomini, loro, non si muovevano, sguardo perso lontano, rigidi come sentinelle. Padre Dubois indossò la stola viola, e passò dietro l'altare. Fu allora che i bambini fecero il loro ingresso, in fila indiana, accompa-
gnati da un'Aïcha alterata. Eunice, tutta sorridente, seguita da Annabelle con gli occhi gonfi di lacrime, e da Louis-Marie, in blazer blu scuro, rigido e solenne. Charles chiudeva il gruppo, livido. Presero posto nel banco che era stato loro riservato, dietro i genitori, proprio davanti a Chib. Aïcha si sedette vicino alla piccola Eunice. «Miei cari fratelli, mie care sorelle, siamo qui riuniti...» «Pe'ché sta nella scatola di vet'o, Elilou?» guaì Eunice. «Ssst, zitta, tesoro, non si parla durante la messa!» disse Andrieu girandosi, un dito sulle labbra. «Siamo riuniti in questa triste circostanza...» «Devo fa'e la pipì!» «Chiudi il becco» le ingiunse sottovoce Louis-Marie. «Chiudi il becco o guai a te!» «Cattivo! Lo dico a mamma!» bisbigliò la piccola di rimando prima di rifugiarsi fra le braccia di Aïcha, che pareva essere sul punto di piangere. «...di Elisabeth-Louise, la cui anima pura e innocente è andata a raggiungere...» Pura e innocente... Chib strinse i pugni. «...il nostro dolore...» Un singhiozzo rauco si levò di colpo. Era Winnie la Bagascia, con gli occhi stralunati. Mormorò "Scusate" prima di soffiarsi rumorosamente. Belle-Mamie, dritta come un fuso, la fustigò con lo sguardo. Gli Osmond in quel momento fissavano i loro piedi con accanimento. Paul Labarrière aveva chiuso gli occhi. Noémie li teneva fissi su quelli del prete, senza dubbio per evitare di vedere la bara trasparente. Chib vide che le mani di Charles stavano tremando. Il ragazzo non piangeva, ma si era imporporato. Louis-Marie aveva assunto un'espressione granitica, le palpebre abbassate, le labbra serrate a disegnare appena una piega. Annabelle si dondolava sui piedi sempre più veloce, facendo sbattere i denti. Eunice, stretta ad Aïcha, si succhiava freneticamente il pollice, gli occhi sgranati. Blanche sembrava sul punto di svenire, scossa da fremiti. «...perché noi crediamo nella resurrezione...» Non io, si disse Chib, oh no, i macellai e i beccamorti non credono nella resurrezione. «Preghiamo! "Padre nostro che sei nei cieli..."» Concerto di voci di scarsa fermezza, raschiar di gole, tosse. Chib apriva la bocca in cadenza senza emettere in realtà alcun suono. Non gli piaceva
pregare. Si accorse che Charles non partecipava, le labbra ostinatamente chiuse, lo sguardo fisso sul grande Cristo di legno sospeso al di sopra dell'altare. Uno sguardo carico di risentimento e rabbia. Contro un dio così crudele? Dubois elevò l'ostia, quindi il ciborio contenente il vino della messa. "Grande è il mistero della fede", e quello della morte anche di più, si disse Chib che non poteva impedirsi di gettare occhiate frequenti a Elilou, così buona nella sua gabbia di vetro. Anche Louis-Marie guardava sua sorella, mentre borbottava. Chib quasi sobbalzò. Aveva appena letto distintamente sulle sue labbra "Fuck you''. Ma a chi si riferiva il ragazzo? A lui, Chib? Al prete? A Dio? O a colui che aveva ucciso sua sorella? Tu stai sprofondando nella demenza precoce, Chib. Fosse stato al corrente, ne avrebbe forse parlato ai suoi genitori, non credi? A meno che non fosse suo padre, lo stupratore assassino. Ma Jean-Hugues Andrieu che abusa di sua figlia e che le rompe il collo subito dopo come a un pollo, non pareva molto plausibile. Fecero la comunione. Tutti, tranne Chassignol, Clotilde Osmond, Aïcha, e, oh sorpresa, Blanche, prostrata sul suo banco, la testa reclinata. Andrieu si chinò su di lei, una mano sulla sua spalla. Sussurro. Nessuna reazione. "Blanche, insomma!" Lieve torsione del busto: "Lasciami!" Lui serrò i pugni prima di incamminarsi nella navata a sua volta, due pomelli rossi sugli zigomi. Belle-Mamie, gli occhi spalancati, tornando verso di loro: «Non stai bene, Blanche?» Nessuna risposta. Belle-Mamie, con aria risentita, che riprende il suo posto. Winnie la Bagascia che vacilla vicino alla bara e per poco non cade lunga distesa, e si aggrappa a Paul Labarrière. Noémie Labarrière che piange silenziosamente, piccole lacrime fitte che scorrono sulle sue guance abbronzate di cinquantenne in buona forma. Conosceva bene Elilou? O piangeva per il dolore dei parenti? Chib sentì Chassignol tossire alla sua destra, e poi soffiarsi. Aïcha si girò brevemente verso di lui, gli occhi colmi di lacrime. Lui si sporse e le strinse la spalla, in segno di conforto, mentre provava intensamente la sensazione che quel gesto era a Blanche che si indirizzava. Eunice si era addormentata, un po' di bava le colava sul mento. Annabelle, troppo piccola ancora per fare la comunione, dava piccoli calci sullo schienale del banco del padre, non abbastanza forti da farsi rimproverare. Padre Dubois riprese la parola, tutti si alzarono, congiunsero le mani, si
chiesero se finalmente si stava concludendo la cerimonia: che si portassero via quel corpo spezzato, impudicamente esposto, che la piantassero con quella tortura! Aïcha, con Eunice in braccio, che cerca di far raddrizzare Annabelle, la bocca imbronciata. Una sberla di Charles e la ragazzina si rialzò d'un balzo, tutta rossa. Louis-Marie le lanciò uno sguardo glaciale e lei si irrigidì. Blanche si era rialzata, anche lei, le mani serrate, tremava così forte che Chib aveva l'impressione di sentire la vibrazione che la attraversava. Andrieu tirò su col naso. Le mani che stringevano l'inginocchiatoio, Blanche alle articolazioni. "Requiem aeternam dona eis Domine. Et lux perpetua luceat eis." "Dona loro, o Signore, il riposo eterno e che la luce brilli senza fine per essi." Quella luce che non vedono più. Quel riposo di cui ne hanno fin troppo. Involucro di carne riempito di liquido asettico, hai tu accesso agli angeli? Musica. D'organo, naturalmente. Mozart. Il Requiem incompiuto. Scoppiarono i singhiozzi. Noémie Labarrière si nascose dietro un fazzoletto ricamato. Winnie la Bagascia uscì correndo, ansante. Chassignol la fulminò con lo sguardo, mentre si asciugava una lacrima furtiva. John Osmond era purpureo, Clotilde si tamponava gli occhi. Belle-Mamie aveva appoggiato la testa sulla spalla di suo figlio, scossa dai singhiozzi. Si girò verso Charles, gli strinse i polsi, cercò di baciare Louis-Marie che si divincolò, carezzò la guancia di Annabelle che si mise a piangere, rumorosamente. Suo padre la prese tra le braccia, mentre Dubois benediceva la bara. «Andate, nella pace del Signore...» Ite Missa Est. Non resta altro che continuare a vivere. Andrieu prese Blanche per un braccio, tirandola verso la fila centrale dei banchi. Lei oppose resistenza, debolmente, quindi lo seguì, la testa voltata verso sua figlia, abbandonata alle tenebre eterne. Processione verso l'uscita, la luce violacea del crepuscolo, l'odore dei gelsomini in fiore. Tirava vento. Tramonto sulla montagna. Passava un aereo, molto in alto, scia bianca. Il contatto fuggevole del fianco di Blanche col fianco di Chib. Aïcha portava le piccole verso casa, seguite lentamente dal resto dei presenti. Winnie, appoggiata alla BMW di Chassignol riprendeva a respirare. Si era ritoccata il trucco. Noémie prese Blanche fra le braccia, senza dire nulla, la strinse a sé. Immobilità rassegnata di Blanche. Paul Labarrière agguantò goffamente la spalla di Andrieu. BelleMamie, aggrappata a Charles, che aveva l'aria di un vecchio di sedici anni.
Louis-Marie calciò un sasso, tirando su col naso. Chib non sapeva che contegno adottare. Le parole di conforto sembravano così derisorie. Si chiese dove avessero sepolto l'altro figlio, il piccolo Léon. Blanche aveva alluso a una concessione privata. Una tomba nella cappella? Ma che te ne frega, Chib, andrai a disseppellirlo per verificare se l'hanno sodomizzato prima di affogarlo? «Lei ha fatto un lavoro davvero notevole, monsieur Moreno.» Si voltò. Padre Dubois lo guardava, la bocca sottile irrigidita in un accenno di sorriso. «Beh...» «Loro volevano così tanto conservare di lei un'immagine radiosa, l'immagine della bambina allegra che era» affermò quello con la sua voce flautata. Se trovava che il vampiro impagliato deposto nella bara aveva un'aria allegra, tanto meglio. «È stata una prova terribile...» si sentì pronunciare con voce tremula Chib. «La vita è un dono di Dio di cui l'uomo, ahimè, non può disporre. Mi scusi, Jean-Hugues mi sta facendo segno.» «Lei crede ai morti viventi?» Era Louis-Marie, pallido, con i suoi quattordici anni pieni di angoscia. «No. Assolutamente no. I morti non si risvegliano mai. Perché sono morti. Credimi, so di cosa parlo» gli assicurò Chib, sospirando. «È lei che ha imbalsamato mia sorella?» «Mmm.» «Sembra una bambola. Una bambola di carne» aggiunse il ragazzo con una smorfia nauseata. La miseria, che espressione orribile! «Sembra cattiva!» «Non è cattiva, è solo che non sorride più, non parla più, capisci? Ma non si risveglierà, di questo puoi star sicuro.» «Lo spero» concluse Louis-Marie sospirando, visibilmente non convinto. «Louis-Marie!» lo chiamò la nonna. Lui alzò le spalle e si allontanò con un'andatura a scatti. Capitolo 6
Il ricevimento si teneva in uno dei saloni, una vasta stanza dalle pareti ocra e dal pavimento ricoperto di piastrelle smaltate. Un grande tavolo rustico ne occupava il centro, stracolmo di cose da mangiare. Qualche quadro - dei preraffaelliti - un mazzo di camelie Blanche in un vaso di porcellana cinese, alcune sedie in ferro battuto. Pareva di stare in Toscana, si disse Chib sfiorando una grande anfora da cui spuntava un astuccio per il ricamo. I camerieri stappavano le bottiglie, e cominciavano a servire. Chib prese un piatto - uno quadrato giallo in ceramica - e un bicchiere, per darsi un contegno. Nessuno sembrava avere particolarmente fame, ma si servivano, tanto per avere le mani occupate, per avere un'aria indaffarata. Blanche restava vicino alla porta finestra. Chib seguì il suo sguardo e vide che contemplava la cappella. Jean-Hugues Andrieu beveva, del muscadet ghiacciato, metodicamente, rapidamente, senza mangiare. La madre appoggiò una mano inquieta sul suo braccio ed egli scosse la testa sospirando prima di posare il bicchiere. «Ho messo a letto Eunice, era stanca» venne a dire Aïcha a Blanche che assentì distrattamente. Poi uscì non senza aver prima lanciato uno sguardo a Chib. Annabelle, appollaiata su una sedia, giocava col suo scacciapensieri. I ragazzi erano scomparsi. Frammenti di conversazione fra Rémi Chassignol e Paul Labarrière, in disparte: «Allora caro vicepresidente, hai potuto parlare di me ai tuoi amici socialisti?» «Il consiglio regionale non è l'anticamera della corruzione, vecchio mio» ribatté Paul. «Ne discuteremo domani.» Sensazione di bruciore sulla nuca. Chib si voltò. Ancora padre Dubois. Le sue labbra sottili come una cicatrice. «Lei è cattolico, monsieur Moreno?» No, io essere grande sdregone vudù che mangia i Bianghi nell'inzalada la domeniga. «Sono stato battezzato, ma non sono praticante.» «Ha perduto la fede?» Che te ne frega? «A dire la verità, sono stato iniziato ad altri riti.» Gli occhi del prete si animarono: «Ha cambiato religione?»
«In un certo senso. Sono un adepto di Amon Ra.» Padre Dubois sbatté le palpebre, quindi la sua piccola bocca si smussò in una smorfia sarcastica. «Lei scherza.» Chib sorrise amabilmente. «Diciamo che mi interesso molto alle credenze degli antichi egizi.» «Sfrenato panteismo, senza alcuna elevazione spirituale.» «I concetti di Ka, Ba e Akh mi paiono invece testimoniare un grande scrupolo spirituale.» Clotilde Osmond, che mangiava un toast al pâté campagnolo, si girò verso di loro: «Lei si interessa di spiritualità, monsieur ehm...» «Moreno. Léonard Moreno. Un po', sì.» «E cosa sono dunque questi Ka, Ba, etc?» «Le tre componenti dello spirito dell'uomo. Ka è in un certo senso la sua riserva di forza vitale. Attraverso il suo comportamento, lei la alimenta lungo tutta la sua esistenza, costituendo un capitale d'immortalità per l'aldilà. Ba è un po' la nostra anima. Vola via al momento della nostra morte e può a volte tornare sulla Terra, abitare i luoghi amati, e Akh è una sorta di spirito luminoso e immortale con un piccolo lato diabolico.» «Sciocchezze!» fece padre Dubois. «Non lo trovo tanto più bizzarro del mistero della Trinità» gli replicò Chib, affabile. «Ah, la Santissima Trinità!» approvò Clotilde. «Che concetto sconcertante. Mio marito è anglicano, quanto a me, confesso che mi affascina il buddismo, mi scusi padre.» «Una religione senza Dio. Senza dubbio l'ideale per una società che si crede senza maestri» buttò lì il sacerdote. Clotilde aggrottò le sopracciglia. «Ecco un'osservazione da sociologo.» Chib allungò una mano verso una fetta di prosciutto di Parma guarnita con una rondella di kiwi e ne approfittò per scansarsi leggermente. Clotilde e padre Dubois si erano lanciati a quel punto in una discussione sul declino della spiritualità dell'Occidente. Lasciandosi abilmente andare verso la porta finestra, Chib si ritrovò accanto a Blanche, che non si era mossa, le mani contratte attorno a un bicchiere di mercurey che non aveva toccato. Lui si versò un bicchiere di vino e fece finta di rimanere assorbito nella contemplazione del quadro che aveva di fronte, una campagna toscana
piena di rovine e di olivi. «Ho sentito quel che ha detto a proposito delle anime. Di quel che ha chiamato Ba.» Aveva parlato senza quasi muovere le labbra. Lui bevve un sorso di vino senza sapere bene cosa dire. «Questa specie di anima immateriale che può ritornare nei luoghi amati. Ma è un fantasma? Oppure... solo una presenza?» Chib deglutì. «Lei non dovrebbe fantasticare su questo genere di cose.» «E lei non deve far altro che evitare di evocarle.» «I fantasmi non esistono. Non siamo nemmeno sicuri di avere un'anima.» «Il caro Dubois sarebbe lieto di sentirlo.» «Non si lasci trascinare nella giostra dello spiritismo.» «Dopo la scomparsa di Léon, ho consultato una veggente. Lo so che è sciocco, ma dovevo farlo. Mi ha detto che lui era felice, lassù, vicino a Dio. Che pensava a noi. Che ci amava. Ma un bambino non ama, non è così?» aggiunse lei voltandosi verso di lui. «Un bambino ha delle necessità, e basta. E quando è solo, soffre.» Chib tuffò lo sguardo in quello di lei. «I morti non soffrono. La sofferenza è per i vivi. I morti riposano in pace, perché non sentono più nulla.» «Cosa ne sa lei? Non è certo per il fatto di essere una sorta di macellaio dei defunti che detiene la verità.» Chib sentì le sue dita contrarsi sul bel bicchiere giallo. Con che diritto osava parlargli a quel modo? Il dolore la sconvolgeva! Il dolore o la tracotanza altoborghese? «Blanche, cara, non mangi nulla?» Andrieu la sovrastava con tutta la sua altezza, gli occhi infossati, gli zigomi chiazzati di rosso. «Non ho fame. Stavamo discutendo di religione.» «Ah! Bene, bene. La fede è la nostra unica consolazione. Ma in questo momento avrei voglia di mandare tutto al diavolo» aggiunse lui, a denti stretti. Nessuno dei due poteva aver ucciso la figlia, si disse Chib. La amavano, con ogni evidenza, l'amavano e soffrivano in modo atroce. Come aveva potuto solo immaginare... Vibrazione del cellulare contro il fianco.
Indicò l'apparecchio e uscì in giardino. Era Gaëlle. «Come stai?» «Bene. E tu, l'autopsia?» «Un vecchio barbone. Un fegato come un'oca ingozzata. Da vomito. E la bambina?» Sentì i polsi accelerare. Non aveva voglia di rispondere. Ma rispondeva: «Credo che... insomma voglio dire... non ho sentito l'imene.» «Se non l'hai sentito, vuol dire che non c'era.» «Ma non è possibile!» «Hai prelevato degli organi? Dei tessuti?» «Sì, perché?» «Vorrei esaminarli. Posso passare da te, domani?» «Ok. Sarà allegra come domenica.» «Dopo il dovere, il piacere. Mi occuperò io di te.» Lei aveva già attaccato. Ecco qua, uomo-oggetto per giovane studentessa sfacciata. Rientrò nella sala da pranzo. Blanche sorrideva cordialmente a John Osmond che le faceva i complimenti per le sue piante. Qualcuno aveva messo della musica. Vivaldi. Distensivo. Noémie Labarrière discuteva con Winnie la Bagascia delle grazie comparate della Twingo e della Smart. Le aggirò. Rémi Chassignol, Paul Labarrière e Andrieu commentavano l'ultima vittoria di Tiger Woods. "Francamente, è davvero l'unico nero che conosca che sia dotato per il golf, diceva Andrieu. "In genere, sono più portati per l'atletica", confermò Chassignol. "È una questione di morfologia." Cool, Chib, vedi di propellere la tua morfologia fino al buffet e versati ancora un sorsetto di mercurey premier cru. Belle-Mamie chiacchierava con Annabelle. Clotilde e padre Dubois erano sempre immersi in una conversazione animata... Lei non la smetteva più di tracannare bicchieri di muscadet e stava diventando rubizza a vista d'occhio. Il prete beveva Perrier, aprendo e chiudendo quella sua boccuccia con affettazione. Chib consultò con discrezione il suo Type XX, un Breguet del 1954 scovato in un mercatino delle pulci. 18 e 30: si sarebbe potuto eclissare di lì a poco, si disse, quando fecero il loro ingresso Charles e Louis-Marie. Charles si servì un toast con crema di melanzane. Louis-Marie, walkman nelle orecchie, s'impossessò di un bicchiere di limonata. «Louis-Marie!» disse di colpo suo padre. «Cosa fai con quel coso?» «Ascolto il pezzo di Debussy che devo suonare per il saggio di pianoforte» replicò il ragazzo sollevando una cuffietta.
«Via quell'affare» gli ribatté Andrieu, visibilmente contrariato. «Via quell'affare immediatamente!» «Ma papà...» «Senza discutere!» Louis-Marie illividì, dopodiché si tolse il walkman e lo lasciò lì per terra. «Bene, papà» disse. E uscì. Chassignol tossicchiò, Paul Labarrière s'inchinò per recuperare l'oggetto e lo poggiò sul tavolo. «I ragazzi...» sospirò. Andrieu gli restituì un sorriso contratto, ma prima che potesse replicare intervenne sua madre: «I bambini mi preoccupano, Jean-Hugues... Sono rimasti molto colpiti, lo sai. Dovresti chiedere a Dubois di intrattenersi un po' con loro.» «Oh, mamma! Come se ai nostri giorni i ragazzi si confidassero ancora con i preti!» sibilò fra i denti Andrieu prima di vuotare il suo bicchiere. «Dubois ha una certa consuetudine con i giovani, ti ricordo che organizza incontri ecumenici.» «Cordier potrebbe forse consigliarvi qualcuno?» suggerì Labarrière sottovoce. «L'anno passato, quando Noémie ha avuto quella... depressione senza motivo, lui l'ha indirizzata ad Aymet, il neurologo, sapete quello che viene sempre al circolo col papillon? Ecco, dopo qualche seduta tutto si è sistemato.» «I bambini non hanno bisogno di uno psichiatra, andiamo!» esclamò Belle-Mamie. «Neurologo, non psichiatra» corresse Labarrière. «È la stessa cosa!» tagliò corto lei girandosi verso il figlio. «Ciò di cui hanno bisogno questi bambini è un sostegno morale.» «Stai insinuando che non assolvo bene il mio ruolo di padre?» le ribatté repentino Andrieu, i lineamenti del volto induriti. Chassignol prese Labarrière per un braccio: «Alla fine, non ti ho ancora presentato Winifred...» «Charles e Louis-Marie sono completamente smarriti. Hanno bisogno di te, Jean-Hugues.» «E cosa vuoi che faccia? Non la posso mica resuscitare, lo sai!» «Ti proibisco di bestemmiare!» «Puoi impedirmi quel che ti pare, cosa cambia?»
«Sei tu che hai bisogno di vedere uno psichiatra.» «Oh, mamma, ti prego! Non è il momento...» «Tu e soprattutto lei! Lei sta perdendo la testa» aggiunse a voce così bassa che Chib dovette quasi sporgersi per sentire. «Mamma!» «Sono desolato, ma sono stato trattenuto... Un infarto nella mia sala d'attesa, immaginatevi! Fortunatamente ho potuto...» Si girarono verso Cordier che s'inchinò e baciò la mano di Belle-Mamie, poi si voltò prontamente verso Andrieu. «Blanche sta reggendo bene?» «Ha solo bisogno di essere lasciata in pace» sibilò Andrieu fra i denti. «Come me.» «Vi ho portato il...» Cordier tirò fuori dalla tasca un piccolo flacone di compresse che mise in mano ad Andrieu. Lui lo ringraziò con un cenno della testa prima di allontanarsi bruscamente. Belle-Mamie lasciò il suo toast al salmone appena iniziato. «Non riesco a ingoiare nulla!» confessò. «È normale» la rassicurò Cordier mentre guardava il suo orologio. «Mi scusi, bisogna che faccia una telefonata... l'infarto...» «Non crede che Blanche dovrebbe prendersi un periodo di riposo?» «Certamente.» «No, voglio dire, riposo... in una casa di cura, per esempio...» Lui la squadrò all'improvviso con attenzione. «Evitate semplicemente che resti sola con le piccole, non è in grado di occuparsene, soprattutto Eunice» lasciò cadere lì Cordier, prima di svignarsela nella sala accanto. Chib aveva l'impressione che le sue orecchie fossero puntate come quelle di un cane da caccia ed era così teso che aveva male alle mascelle. Andrieu aveva dei problemi di autorità con i suoi figli. Sopportava visibilmente con fastidio l'ingerenza della madre nelle questioni familiari. Belle-Mamie voleva far internare Blanche. Cordier li imbottiva tutti di ansiolitici, antidepressivi, ipnotici vari. Bene, bene. Si entrava dietro le quinte del bel teatrino sociale. Si scoprivano il baule dei travestimenti, le finte prospettive, gli attrezzi. Quanto a padre Dubois che lavorava con i giovani, aggravava la sua posizione. Da sorvegliare da vicino. E Noémie Labarrière, che aveva avuto una "depressione senza motivo"? Si era forse accorta che suo marito violentava la piccola Elilou? Quel Paul Labarrière così per-
bene, non aveva forse lo sguardo torbido e il mento molle? Mmm. Una sospetta aria di onestà borghese. «La famiglia...» sospirò Belle-Mamie che gli parve di colpo vecchissima. «Tante gioie, tante pene...» «Nelle circostanze estremamente dolorose che state vivendo, si ha la tendenza a perdere di vista tutte le ragioni che ci danno la forza di continuare. Ma questo non vuol dire che non ve ne siano più.» «Come ha ragione!» esclamò lei ad un tratto. «È quel che cerco di far capire a Blanche. Ma...» «Si dice che il dolore di una madre sia più profondo del mare e più nero della notte.» Chib Moreno, il crooner dei luoghi comuni! «Una madre ha dei doveri verso coloro che restano» fece osservare Belle-Mamie con un falso sorriso destinato ad attenuare i suoi propositi. «Una madre non può permettersi di perdersi nell'oceano del suo dolore, come dice lei, perché altrimenti è tutta la famiglia che sprofonda!» «Quando ha un istante, Louise, mi piacerebbe parlarle della prossima missione in Africa...» Padre Dubois era spuntato senza preavviso, il bicchiere di Perrier in mano. Sapeva di acqua di Colonia. I suoi piccoli occhi scrutatori correvano lungo il volto di Chib che ebbe voglia di cacciarli via come una mosca inopportuna. «Vi ho interrotto, scusate» aggiunse tranquillamente. «Stavamo parlando dell'importanza dei valori familiari» gli ribatté BelleMamie. «Monsieur Moreno vi è molto legato, come noi.» "Ma ti rendi conto, il negretto!" «Va tutto a suo merito, Moreno, lei permette che la chiami Moreno? Ai giorni nostri, le persone hanno la tendenza a non pensare più autonomamente, a farsi trascinare alla deriva dal pensiero dominante come tappi di sughero.» Chib assentì senza compromettersi. Aveva molto spesso l'impressione di essere un tappo d'ebano sballottato dalle proprie emozioni e dai rischi della vita, incapace di decidere la direzione da prendere. «Tutto è assoggettato al denaro» aggiunse il sacerdote fra i denti. «Ancora queste sue ossessioni egalitarie, Josselin!» lo fulminò BelleMamie. «Lei dimentica che sono i nostri valori ad aver fatto la Francia così come noi l'amiamo.» «Una prostituta che si rotola nel letto delle multinazionali» grugnì Du-
bois stringendo il suo bicchiere. «Non parli di ciò che non conosce...» La vecchia strega! Con la coda dell'occhio, Chib vide Clotilde Osmond scolarsi d'un sorso l'ennesimo bicchiere di vino bianco che ririempì nuovamente. Suo marito aveva finalmente lasciato andare Blanche ed era assorbito in quel momento nella contemplazione dell'impianto hi-fi mentre rosicchiava uno spiedino di pollo al limone. Chib abbozzò un passo in direzione del buffet, lasciando Dubois e Belle-Mamie alle loro baruffe. Dopo aver esitato il tempo necessario a localizzare le posizioni di ciascuno, ricominciò a lasciarsi andare verso Blanche, che continuava a restare nel vano della vetrata, socchiusa malgrado il freddo che scendeva assieme alla notte. Tremava, le braccia incrociate sul petto, gli occhi puntati sulle prime stelle. Lui pure alzò gli occhi. Era più facile immaginare che tutti quei bagliori vacillanti fossero piccole anime scintillanti piuttosto che enormi globi di fuoco che si stavano autodivorando. Lei non girò la testa verso di lui. «Perché s'interessa a me?» Era arrivata così, diretta, fredda. Perché? Eh, beh... «Non so.» «Lei è il genere di sciacallo che ama nutrirsi dell'infelicità altrui?» «Lei è il genere di borghese narcisista che pensa che si possa giudicare tutto secondo il metro del proprio piccolo gretto mondo?» «Sciacallo e aggressivo.» «Hmm. È a causa del mio complesso d'inferiorità. Sa, il colore della mia pelle...» «A me piace il colore della sua pelle.» L'aveva detto come se avesse chiesto "Mi passi il sale", mentre il suo sandalo in cuoio grezzo tracciava dei cerchi sul pavimento. Si sentì all'improvviso come sospeso con lei in una bolla spaziotemporale, separato dal resto del mondo da una sottile membrana invisibile, una sfera dove parlavano una lingua che potevano capire solo loro. Fesserie, Chib! Ti sta manipolando. È pazza, Belle-Mamie ha ragione. Eppure non aveva voglia di andarsene. Aveva voglia di rimanere lì, a toccarla, sotto quel cielo troppo stellato che sapeva di lillà. «Ah! Moreno! Lei che si interessa all'Egitto... noi abbiamo una conferenza mercoledì... "Amenhotep IV e la tentazione monoteista", tenuta da
padre Rosières, uno dei nostri teologi più acuti, nonché infaticabile viaggiatore. Dovrebbe partecipare...» Con un assegno per un'opera buona qualsiasi in terra africana: non vorrai mica lasciare i tuoi poveri fratelli senza aiuti, comunque! Chib scosse la testa. «Tenterò» disse. «Sarà alle otto, al centro culturale, route des Ormeaux. Blanche lo conosce» aggiunse padre Dubois. «Facciamo parte dell'associazione "Terra del Nilo"» fece lei. Un'accolita di baciapile con redditi a sei zeri. Bah, vedremo. Chib si girò e vide che gli invitati cominciavano a eclissarsi. Era ora di andarsene. «Io vi lascio...» Dubois, attaccato a Blanche, gli fece un segno con la testa. «Non dimentichi, mercoledì alle otto!» Blanche non si era voltata. Cominciò ad allontanarsi, turbato, quasi urtò contro Andrieu che lo salutò distrattamente, strinse la mano asciutta di Belle-Mamie e si ritrovò fuori, con la sensazione di scappare da un universo stregato. Quanto viva sembrava la sua Floride! Si adagiò sul sedile in cuoio con riconoscenza. Ogni volta che se ne andava da lì, aveva l'impressione di fuggire. Ma cos'è che fuggi tanto, Chib? Capitolo 7 Gaëlle sollevò la testa, scansò una ciocca che le ricadeva sugli occhi, ripose il fegato di Elilou nello scompartimento refrigerato. «Nulla di anomalo, apparentemente.» «Cosa stai cercando?» «Segni di lesioni alle viscere conseguenti a dei colpi. Se la bambina è stata vittima di gravi sevizie che potevano portarla alla morte, come un ematoma cerebrale per esempio, il suo torturatore ha magari preferito ucciderla e dare al decesso l'apparenza di un incidente che evitasse il ricorso all'autopsia, capisci?» «Non pensi di esagerare un po'? E che invece la povera ragazzina è semplicemente caduta per le scale?» «Ascolta, ho seguito un corso sulle violenze domestiche, e ti assicuro che sono molto più frequenti di quanto non si creda.» «Ok, ma questo non vuol dire che tutti i bambini morti lo siano a causa
di questo genere di cose!» «Nel caso di una bambina deflorata all'età di otto anni, uno può anche farsi venire dei dubbi. Passami i reni.» «Per la miseria, non potremmo andare in spiaggia, piuttosto?» «Smettila di brontolare, sembri lo zio Tom.» «Simpatica, grazie. Toh, buon divertimento.» «Tu pensi che diventerò come te, pure io, invecchiando?» «Vuoi dire affascinante e beneducata? Ci sono poche speranze, secondo me.» Lei rise, mentre affondava il bisturi in un rene congelato. Disteso sulla sabbia, Chib guardava Gaëlle nuotare, uno stile libero sciolto e sicuro. Lui si era si era appena intinto nell'acqua troppo fredda. Alcuni ragazzi giocavano col frisbee, un cane faceva pipì su un tronco d'albero abbandonato lì dall'ultima mareggiata. Gli esami non avevano mostrato nulla di particolare. La piccola pareva in buona salute. Gaëlle si sarebbe dedicata ad analisi più precise in facoltà, eppure... Chib oscillava senza requie fra la tesi dell'omicidio e quella dell'incidente. Senza tralasciare la possibilità che la bambina avesse potuto avere dei rapporti sessuali con qualcuno ed essere allo stesso tempo caduta per le scale. I suoi fratelli e le sue sorelle sapevano forse qualcosa? Ma come interrogarli? Erano ragazzini arroganti, sicuri di sé, poco propensi a parlare con degli adulti... Sarebbe andato poi a quella maledetta conferenza sull'Egitto? Si era informato, quel padre Rosières era effettivamente un eminente studioso, uno specialista della materia. Valeva dunque la pena di andarci? Blanche sarebbe stata presente? Ma certo. Avrebbero tutti fatto in modo di condurcela per evitare che restasse chiusa nel suo dolore. "Bisogna cambiare aria, Blanche, bisogna reagire." "Il negretto aggressivo sarà lì, questo la distrarrà un poco." Gaëlle spuntò accanto a lui. «Gela!» Iniziò ad asciugarsi per bene, poi si distese vicino a lui. «Che facciamo stasera? Se sei libero, ovvio...» Sì, era libero, libero come l'aria, libero come una corrente d'aria fra due porte. «Vuoi andare a mangiare una pizza?» «Originale! Vuoi che ti cucini io?» «Tu sai cucinare?» «Mio caro Chib, so fare tutto. Come nei film americani, hai presente. Tu
ti bevi un buon bicchiere di chardonnay bello fresco mentre io faccio rosolare grosse bistecche succulente e intanto ci intratteniamo in un'arguta conversazione piena di eleganti doppi sensi a sfondo sessuale...» «Sarà dura, ma voglio tentare» approvò lui, incrociando le braccia dietro la nuca. Le bistecche erano grosse e succulente. Il vino piacevolmente ghiacciato. La conversazione divertente. E la sua conclusione alquanto torrida, si disse Chib raccogliendo i jeans appallottolati sulla tivù. Gaëlle, a pancia sotto fra le lenzuola in disordine, gli sorrise. «Te la cavi mica male per essere un vecchio nonnetto.» Le tirò i jeans in faccia. Lei gli fece una linguaccia. «Crepo di sete.» «Champagne o acqua minerale?» «Champagne, mio signore!» Lui che praticamente non beveva quasi mai, eccolo che aveva costantemente voglia di ubriacarsi. Aprì il frigo. Blanche stava dormendo? Si stava forse rigirando nel letto madido, le mani ad artigliare le lenzuola? Cercava forse di pregare, pregare fino a dimenticarsi di pensare, fino a non sentire più le urla strazianti della sua bambina dalle labbra sigillate con la colla? Fece saltare il tappo del pommery e innaffiò Gaëlle con quel liquido schiumoso. Che bello sarebbe potersi ubriacare senza essere spiati da suo marito o da sua suocera, senza dover rendere conto a nessuno! «A cosa stai pensando?» «A niente. Alla mia età non si pensa più, si tenta appena di respirare.» «Sai, mio fratello ha un amico che lavora alla buoncostume.» «Non ho mica intenzione di spedirti sul marciapiede.» «Sarebbe interessante sapere se c'è qualcuno schedato, tra i familiari e gli amici di famiglia della piccola.» Lui sospirò. Questa storia stava assumendo proporzioni deliranti. «Sì, sarebbe il caso» si sentì rispondere. Il vento era tornato a soffiare, un vento da est carico di nuvole nere. Chib verificò ancora una volta l'indirizzo. Centro culturale "I Cedri", al 1027 di route des Ormeaux, in direzione Cabris. Ai suoi piedi la città vecchia scintillava, ocra e rosa. Città dei Profumi. Non gli piaceva Grasse, malgrado la sua decrepita bellezza. Aveva la sensazione di soffocarci. Troppo lontana dal mare. Troppo chiusa, troppo concentrica. Accelerò leggermente. Blanche aveva detto: "La prima a destra dopo la stazione di
servizio." Blanche. L'aveva chiamata per chiederle l'indirizzo esatto. Gli era parso che i due giorni durante i quali non aveva avuto sue notizie fossero in realtà durati due anni. Ma dal momento in cui lei aveva iniziato a parlare, era stato come se fosse sempre stata lì. "Ah, dunque verrà?" aveva detto, e lui si era sentito imbarazzato, magari importuno. "Ma, non so ancora." La risposta le era sprizzata fuori in un: "Venga..." seguito da un: "Sì, Belle-Mamie, arrivo! Mi scusi." Fine della comunicazione. Se l'era forse sognato quel "Venga"? Perché mai lei glielo avrebbe detto? Perché aveva riattaccato senza aggiungere altro? Ma dov'era questa cazzo di stazione di servizio? Si era perso l'incrocio? Individuò la stazione di servizio, un vecchio affare con due pompe arrugginite e un tipo con berretto uscito dagli anni Quaranta, quindi svoltò a destra come da indicazioni. Che bell'idea del cavolo un centro culturale in quel deserto! Un centro culturale pieno di borghesi viziosi. In realtà no, alla fine, se le informazioni avute da Gaëlle erano corrette. Il collega di suo fratello, quello che lavorava alla buoncostume, aveva spulciato per benino i suoi dossier in cambio di un pranzo con lei. Niente che riguardasse padre Dubois, gli Andrieu, né alcuno dei loro amici. «Almeno lo sappiamo!» aveva commentato Gaëlle al telefono. «E il pranzo, è andato bene?» aveva chiesto Chib. «Sì, bene, abbiamo mangiato all'Ondine, sulla spiaggia, e poi siamo andati a farci una canna a casa sua.» Lieve puntura ridicola. Non sarebbe stato geloso di quella ragazza! Non ne era neanche innamorato! «Non mi chiedi se ci sono andata a letto?» «Che vuoi che me ne freghi? Sei libera!» «Sei davvero un vecchio sessantottino, te!» «Avevo nove anni nel sessantotto, bambina.» «Unione libera e tutto il resto... Faccio fatica a immaginarti con i capelli afro e una camicia a fiori.» «Ho sempre portato dei completi, e occhiali da vista.» «In effetti, siamo andati a letto insieme» aveva ricominciato lei, abbassando la voce. «Ma non è stato granché, io ero troppo sballata.» «Così impari a voler fare la signorina grande!» «Beh, ti lascio, ho il corso che comincia fra due minuti.» Che cervello aveva, per prima cosa, quello sbirro, che si fumava quella roba? Un ceffo da combattimento con la giacca di cuoio e le Nike ai piedi? Ai suoi tempi, nessuno si sarebbe sognato di andare a letto con uno sbir-
ro!Frenò. Il centro culturale dei Cedri si stagliava dietro una siepe di mimose. Un grande edificio moderno, bianco e vetrato. Ma non il benché minimo cedro in vista. Dei lauri rossi, agavi, una palma. Una ventina di macchine al parcheggio. Avanti, si balla! Le conferenze si tenevano nella sala cinema, una piccola sala da un centinaio di posti, poltrone riciclate in velluto blu savoia, sipario rosso, pareti tinte di blu scuro. Due grandi schermi a diaframma per ogni lato dello schermo centrale. Un proiettore per le diapositive era posizionato davanti al proscenio, al lato di un microfono. C'erano già una cinquantina di persone sparse per la sala. Chib aveva fatto in modo di arrivare all'ultimo minuto per evitare le conversazioni prima dell'inizio della conferenza. Prese posto nell'ultima fila, vicino all'uscita. Aveva individuato Belle-Mamie, con Charles e Louis-Marie, in seconda fila. I Labarrière, una fila dietro. Padre Dubois, in piedi, conversava con un vecchio in tonaca, dai tratti marcati. Padre Rosières, senza dubbio. Non riusciva a vedere né Blanche né Andrieu. Ondata di delusione, come un riflusso. «Ma perché se ne sta tutto solo in un angolo buio e nero?» Sobbalzò. Lei lo stava squadrando, in piedi, sventolandosi con il programma. «Tutto solo nel nero ci sto da sempre» azzardò lui. (O miracolo, le sue labbra avevano un fremito, un'ombra di sorriso.) «Non ho visto suo marito» aggiunse con disinvoltura. «Un impedimento dell'ultimo minuto... È dovuto partire per Bruxelles. Gli affari... A fra poco.» Lei stava già scendendo, e si andava a sedere accanto a Belle-Mamie che si voltò meno di un minuto dopo, rivolgendogli un salutino con la mano. Padre Rosières conosceva la materia, eppure Chib aveva avuto parecchia difficoltà a concentrarsi. Pensieri a ruota libera, che rasentavano cimiteri fioriti. Applaudirono il conferenziere che stava spegnendo il proiettore e scendeva dalla pedana. Che fare? Andarsene? Raggiungere il gruppetto che si era formato attorno al prete viaggiatore e partecipare alla discussione? «C'è un rinfresco nel foyer.» Padre Dubois era appena sbucato fuori, silenzioso come al solito. «La conferenza le è piaciuta?» «Molto interessante. Si capisce che conosce la materia a fondo.»
Mentre continuavano a parlare, seguivano il movimento generale, che si dirigeva verso il foyer. Bottiglie di coca cola, succo d'arancia, vino rosso. Noccioline, olive, salame. Il cocktail base. Un ragazzo coperto d'acne faceva da cameriere. «Tutto bene, Romain?» gli fece Dubois. «Bene, grazie.» «Romain è uno dei giovani del centro d'accoglienza» sussurrò Dubois a Chib. «Storia familiare dolorosa...» «Lei è educatore?» «No, ma noi assicuriamo un servizio permanente di aiuto spirituale per coloro che lo desiderano. Io organizzo incontri filosofici una volta al mese.» «Viaggia molto?» «Abbastanza, sì. Nel mio caso, portare la parola del Signore non è solo un'immagine.» Erano arrivati vicino a Blanche che sorseggiava un bicchiere di rosso, con aria assente. Chib chiese lo stesso, mentre padre Dubois prese una coca cola. Il giovane Romain piroettava dietro il bancone, attento a che tutti fossero serviti. I Labarrière intavolarono una conversazione con Blanche mentre Belle-Mamie veniva a salutare Chib. «Hanno ritrovato il loro cane?» s'informò Dubois dopo un attimo, aggiungendo all'indirizzo di Chib: «Il terrier dei Labarrière è scomparso da tre giorni.» Belle-Mamie si pizzicò le labbra e abbassò la voce: «L'hanno ritrovato appeso a un ramo, povera bestia. Noémie pensa che stesse rincorrendo un gatto, sapete come li detestava, che è scivolato e si è strangolato con il collare.» «Oh, allora sarà forse meglio evitare di menzionare l'incidente davanti a Blanche e ai bambini» fece il sacerdote, pensoso. «È evidente!» bofonchiò Belle-Mamie mentre si allontanava. Dubois si scostò a sua volta per parlare con due anziane signore aggrappate alle loro borsette. Rosières continuava a discutere con un gruppetto di appassionati che avevano raggiunto Belle-Mamie e i Labarrière. Chib si girò verso Blanche. «È riuscita a riposare un po'?» Che esordio brillante, Chib! «Non è proprio il mio scopo, monsieur Moreno» disse lei stancamente. «Ok, buonasera.»
«Lei è meno suscettibile quando si tratta di incassare i suoi assegni.» «Lei è meno sgradevole quando si tratta di trovare una spalla su cui piangere.» «Va tutto bene, mamma?» Louis-Marie li stava fissando, alto quasi quanto Chib, in jeans e blazer blu scuro, come Charles. «Sì, tesoro.» «Vuoi un po' di succo d'arancia?» le propose il figlio con cortesia. «Grazie, sì. E tu, non bevi niente?» «Bah... Lei è mai stato in Egitto?» chiese il ragazzo voltandosi verso Chib. «Sì, varie volte. È un paese magnifico.» «Ha visto delle mummie?» «Hmm, al museo del Cairo.» Blanche era impallidita un'altra volta. «È divertente pensare che sono dei veri morti, che uno va a vedere come delle opere d'arte...» Ma il ragazzo era deficiente o cosa? «Quel che mi è veramente piaciuto è stato ridiscendere il corso del Nilo in feluca» buttò lì Chib per cambiare discorso. «Ci sono i coccodrilli?» «A volte. È meglio evitare di farsi il bagno.» «In tivù abbiamo visto dei documentari su delle persone divorate dagli squali, quelli bianchi.» Bene, tagliare corto con questa conversazione prima che si arrivi a parlare dei vampiri e dei morti viventi. «Scusate, torno subito.» Si allontanò in direzione della toilette. Lei lo avrebbe preso per un incontinente, incapace di aspettare la fine di una conversazione per alleggerire la vescica. Uscendo, vide che Charles parlava con Romain e che quello era diventato rosso fino alla radice dei capelli. Perché? Charles se ne era già andato con un mucchietto di noccioline in mano mentre Romain si era messo a sistemare febbrilmente alcune bottiglie. Traffici di "roba"? Charles s'iniettava forse l'eroina tutte le sere mentre Louis-Marie rileggeva La Regina dei Dannati per la quindicesima volta? E proprio Louis-Marie si stava avvicinando a Charles, al quale comunicava qualcosa a voce bassa. Il volto di quello si irrigidì, dopodiché afferrò
il polso del fratello e articolò in silenzio, ma molto distintamente: "Pezzo di merda!" Fantastico, l'ambientino! Louis-Marie si era liberato con una torsione e sorrideva, con l'aria cattiva, sotto lo sguardo in tralice di Romain. Nessuno aveva notato niente, essendo la scenata durata meno di cinque secondi. I due ragazzi raggiunsero gli adulti, tranquilli e deferenti. Chib si rese bruscamente conto del fatto che Blanche non era più lì. «Mamma è uscita a prendere una boccata d'aria» gli fece al volo LouisMarie passandogli davanti. «Ah, bene, io tra poco devo rientrare. Ho del lavoro.» «Oh! Vuole dire...» «Un doberman che il suo padrone vuol fare impagliare» spiegò Chib, imbarazzato. Gli occhi del ragazzo si spalancarono. «Favoloso! Lei ha visto il film? Doberman?» «No.» «Io nemmeno. Papà non ha voluto. A starlo a sentire, andremmo a vedere solo i cartoni della Disney. Tutti i ragazzi a scuola l'hanno visto.» «E Charles?» «Charles? Vuole scherzare? A Charles piacciono solo i film intellettuali. E quelli della Disney» aggiunse sorridendo. «Andate d'accordo tu e Charles?» «Sì, perché?» «Mi pareva che steste litigando poco fa.» «Oh, quello... Non mi piace che Charles rimorchi in pubblico, ecco tutto.» «Prego?» «Charles è frocio, non lo sapeva?» «Stai scherzando?» «Perché, la turba la cosa?» «No, sono solo un po' sorpreso... I tuoi genitori lo sanno?» «Papà l'ha beccato con Costa, il giardiniere, ma non ha detto nulla alla mamma. Non faccia gaffe.» «Non c'era bisogno di parlarne, se tua madre non sa nulla.» «Mi fido di lei.» «Ma se nemmeno mi conosci.» «Mi sbaglio di rado sulle persone. Non è vero, Charles?» aggiunse vol-
tandosi verso suo fratello spuntato fuori senza far rumore. Lo sguardo grave, quasi adulto di Charles si appuntò alternandosi su Chib e su Louis-Marie. «Di cosa parlavate?» chiese con una punta di diffidenza. «Della mamma» rispose Louis-Marie allontanandosi. «Non prenda sul serio quel che racconta, è un mitomane.» Andiamo bene. «Non hai paura che si inventi cose pericolose? Cose che potrebbe venire a sapere vostra madre?» «Che lei potrebbe riferirle, per esempio?» Charles lo stava squadrando, arrogante. «Per esempio» accondiscese Chib, sostenendo il suo sguardo. L'adolescente fece un sorriso sprezzante. «Lei è innamorato di mamma, non può avere intenzione di farle del male.» Chib quasi si strozzò con la sua fetta di salame. «Ma cosa vai dicendo? Stai parlando a vanvera?» «Tutti gli uomini sono innamorati di mamma.» «È ridicolo, ragioni come un ragazzino.» «Io sono un ragazzino, monsieur Moreno. E lei è innamoralo di mia madre, anche se non lo sa ancora.» «Allora, si discute, si discute?» Belle-Mamie picchiettò il braccio di Charles che si irrigidì. Chib abbozzò un vago saluto: «Io andrei, un appuntamento... ma è stato davvero coinvolgente!» «Dirò a Dubois di avvertirla, per la prossima...» «Molto gentile da parte sua.» Le porse la mano che la signora strinse con decisione, quindi batté leggermente sulla spalla di Charles. «Ci vediamo uno di questi giorni!» Salutò Dubois da lontano e salì rapidamente la scala che portava all'uscita, ancora sbalordito dalla conversazione che aveva appena avuto con i due ragazzi. Blanche era seduta sul cofano della Floride e fumava. Da quando fumava, poi? Non l'aveva mai vista con una sigaretta. Si avvicinò, a disagio. «Mi scusi, è la mia macchina...» «Lo so. Non tema, non le ho fatto nulla.»
«Non ha freddo?» «Non credo.» «Ha tutta l'aria di essere congelata.» Lei buttò via la cicca che crepitò sul cemento e si lasciò scivolare a terra lisciando il vestito di lino color crema. Era così vicina... Lui poggiò la mano sul suo braccio nudo, con la sensazione di commettere un grave peccato. «Lei è gelata.» «A dire il vero, me ne frego.» «Anch'io» replicò lui. La donna sollevò la testa. Chib aveva sempre la mano sul suo braccio. Troppo a lungo. Troppo a lungo per un semplice gesto insignificante. Lei non se ne liberò. Lo guardava negli occhi, senza dire niente. Lui lasciò ricadere la mano sulla coscia. «Mamma?» Era Charles, in piedi sulla soglia della porta, il collo teso verso la semioscurità del parcheggio. Lei sospirò: «Sono qui, arrivo.» «D'accordo» gridò il ragazzo senza muoversi di un passo, lo sguardo fisso nella loro direzione. Chib sussurrò: «Arrivederci, Blanche. Abbia cura di sé. Anche se se ne frega.» «Vorrei rivederla.» Cosa? Incredulo, la fissò come un idiota. «Vorrei... vorrei vedere il suo... laboratorio.» «No.» «Per favore.» «È una cosa malsana.» «La pagherò. La voglio vedere... mentre lavora.» «No» ripeté lui scuotendo la testa. «Mi lascia cadere, allora? Perché io sto cadendo. E lei lo sa.» «Non la lascio cadere, la voglio aiutare, ma non così.» «Così. La prego. Solo una volta.» «Accidenti, lei mi sta incastrando!» «Domani, alle undici.» «Ma io...» «È il mio unico momento di libertà.»
Lei si stava già allontanando verso la luce e verso Charles che batteva i piedi. Domani alle undici, Blanche da lui! Purché quel frocio di Charles non abbia sentito nulla! Charles, frocio! Con Costa, il giardiniere! Ma che credito dare alle parole di Louis-Marie, il mitomane? Gli adolescenti sono spesso tali inventori di storie! Elilou poteva aver scoperto il segreto di Charles e minacciato di rivelare tutto alla madre? Ma perché ucciderla quando Andrieu stesso era al corrente di tutto? Ma forse Andrieu aveva pensato che si trattasse solo di un momento di smarrimento del figlio più grande mentre Elilou sapeva, lei, che quella del fratello era un'inclinazione radicata? O l'aveva sorpreso con altri? Chassignol o Labarrière, per esempio... Qualcuno pronto a uccidere per assicurarsi il silenzio della piccola... Ma che relazione c'era allora con lo stupro? Si aveva a che fare forse da una parte con un violentatore di bambini e dall'altra con un assassino omosessuale e vergognoso di sé? E Blanche che voleva venire a trovarlo, che aveva lasciato che la toccasse così a lungo, cosa voleva veramente, Blanche? E Charles, ancora lui, che gli aveva assestato con tranquillità quel: "Lei è innamorato di mia madre", che idiozia, visto che francamente, fosse stato innamorato, lo avrebbe saputo, no? Ok, lo sapeva. Era innamorato. Ok. Ecco, detto. Era innamorato di quella stronza borghese pretenziosa. Sì, d'accordo, molto bene. E che si fa adesso? Si tradisce Andrieu con la moglie in lacrime, e Andrieu ti spedisce un killer russo che ti scortica vivo? Ad ogni modo, non ci sarebbe potuto nemmeno andare a letto con lei, gli faceva troppa paura, sarebbe diventato impotente, ne era sicuro. E poi, perché diavolo voler andar a letto con quella donna che non rappresentava nulla per lui?! Mio Dio... Gaëlle doveva passare l'indomani? No, aveva il corso. Verificare comunque che non ci fosse un messaggio sul cellulare. Intermezzo 2 Baldracca da negro "ah ah ah ah!" occhi di cagna coperta tu m'hai snervato l'uccellino le cuoia ha tirato il collo spezzato
Io l'ho smembrato e l'ho mangiato crudo, sanguinante, carne contro i miei denti Un giorno i tuoi seni strappati, con un sol morso e le tue sciocche figlie a brandelli molto presto molto presto... Capitolo 8 Sette del mattino. Chib, a piedi nudi in cucina, la fronte appoggiata contro il vetro. Insonnia. Impossibile riaddormentarsi. Impressione che le palpebre pesino tre tonnellate. Fuori, mare agitato, battuto da una pioggia diluviale. Frecce Blanche di gabbiani al pelo delle onde. Burrasche di vento che sferzano le nubi come lazos da gaucho. Il vecchio pontile di legno sommerso dall'avida schiuma. Immagini di marinai in cerata gialla, grosse onde d'acqua in piena faccia, pescherecci che beccheggiano sui cavalloni, "Uomo a mare!", "Falla a tribordo!", quanti film, libri, cieli grigio piombo e uomini ingoiati dalle procelle? Si scostò dalla finestra e dalla luce radente, bevve un sorso di pompelmo grattandosi il busto. Si sarebbe preparato delle uova e un caffè. Una buona combinazione con quel tempo. Il caffè e la pioggia, caldo e freddo. Aveva voglia di perdere tempo, desiderava che quel tempo non avanzasse. Che la mattina si fissasse in quel grigio chiarore, solcato da livide striature. Aveva paura. Telefono. Sobbalzò. Inciampò sulla sedia, stava quasi per cadere. «Cazzo! Pronto?» «Stai dimenticando la buona educazione, amico mio!» «Greg! Ma non sono neanche le otto!» «Sì, sì, lo so, ma avrei bisogno della tua carretta.» «Cosa?» «La mia è in garage e devo andare a trovare Aïcha.» «Stamattina?» «E sì, mamma Andrieu va a far compere in città e i ragazzi stanno dalla vecchia.» «E cosa dirà alla cuoca?»
«La cuoca, quella non viene quando non ci sono i marmocchi.» «E il giardiniere?» «Il giardiniere sta dai vicini. Cos'altro vuoi sapere? Oggi è il giorno dello spazzacamino, punto e basta!» «Ok, ce l'hai sempre il doppione delle chiavi?» «Certo.» «È parcheggiata davanti a casa mia. Non mi disturbare, devo lavorare.» «Sai che sei simpatico? Te la riporto verso le tre. Vabbè, a più tardi e grazie.» "Il mio unico momento di libertà". I ragazzi da Belle-Mamie, niente giardiniere, niente marito, niente cuoca, Aïcha ben contenta di restarsene sola soletta con il bel Greg-Randello. Che riporta la macchina verso le tre. Quindi Mme Andrieu non ha intenzione di tornare a casa per pranzo. E dove vuole pranzare, Mme Andrieu? Nell'obitorio in miniatura di M. Moreno? "Avrei bistecche di doberman, le assaggi, poi mi saprà dire, mia cara." A proposito, avrebbe fatto bene a lavorarci un po', sul doberman, se voleva finire per tempo. Il padrone, un pensionato delle poste, era così impaziente di portarlo a casa. "Il mio Tarzan! Avvelenato! È ignobile! Una bestia così dolce e gentile! La gente è veramente crudele." Tarzan era coricato su un fianco, gli occhi vitrei. Splendido animale di razza! Lunghe zanne gialle e acuminate. Il collare chiodato con la medaglietta con il nome inciso sopra era poggiato accanto a lui. Tarzan avrebbe abbellito il bilocale del suo padrone cui arrivava praticamente alla cintola. Deve fare un bell'effetto mangiare i ravioli in scatola davanti a "Domande per un campione" con le fauci di un doberman impagliato alle vostre spalle. Il cane puzzava. Bisognava svuotarlo con urgenza. Incidere sotto il ventre e dietro le zampe, scuoiarlo con cura, mettere la pelle da parte, asportare la minima quantità di carne dalle ossa che si volevano conservare, essendo il resto dello scheletro costituito dal manichino di resina morbida che aveva già modellato e che attendeva tranquillo di essere ricoperto con la pelle dell'animale raschiata e trattata. Alla fine era un'operazione ben più lunga e difficile che non se si fosse dovuto occupare di un essere umano, dal momento che gli umani, salvo eccezioni, certo, non erano destinati a essere esposti su un basamento. 10 e 30. Ripose i suoi strumenti, buttò i guanti imbrattati nel cestino.
Farsi una doccia, vestirsi. 10 e 55. In piedi, nel laboratorio, pantaloni neri, camicia bianca, cravatta grigia di maglia. Un autentico mormone. Impossibile restare fermi. Tamburellò sul cranio di Rouky, la volpe, diede un buffetto alla civetta, soffiò via la polvere immaginaria dal pesce spada. E se la invitassi a pranzo? In un posticino calmo, rilassante. Il cimitero, Chib, sarebbe perfetto. E se lei avesse cambiato idea e non venisse più? Se non avesse più voglia, così, all'improvviso, di vedere cadaveri sviscerati riempiti di formalina? Se non avesse più voglia di vedere te, Chib. Se fosse volata via? Imbottita di calmanti al volante della sua auto, niente più riflessi, uscita in una curva, uscita di scena. Driiin. Lei lo guardava, le braccia lungo il corpo, borsa a tracolla, tailleur beige, camicetta color crema, occhi cerchiati, capelli bagnati di pioggia... «Vuol bere qualcosa? Una coca, Suze...» «Un bicchier d'acqua, grazie.» Chib si mosse verso la cucina, lei lasciò vagare lo sguardo sugli esemplari impagliati. «Hanno dei nomi?» «Certamente. Lei è Rouky, questa è Héra. Tenga.» Le porse l'acqua. «Ha ritrovato facilmente?» «Hmm.» «Non ha un ombrello?» «Piove?» Lui lanciò un'occhiata ai vetri grondanti. Lei seguì il suo sguardo. «Ah!» L'acqua tremò nel suo bicchiere. «Si sieda» disse Chib. Lei gettò uno sguardo attorno a sé, si appoggiò sul canapè nero, bevve un sorso. «I bambini sono da mia suocera.» Stava per dire "Lo so" ma si trattenne appena in tempo. «È riuscita a dormire un po'?» «Un po'. Abbastanza per avere degli incubi. Le capita mai di avere degli incubi? Si ha sempre l'impressione che gli uomini non ne facciano.» «Mi capita.»
«Che genere di incubi?» «Mah, il classico incubo banale, arrivo in ritardo a scuola, mi perdo i pantaloni in pubblico...» «Ah, questo... No, io parlo di incubi veri. Ha presente, un nodo alla gola, i sudori freddi, le fitte allo stomaco, l'impressione che quella cosa debba assolutamente cessare prima che non si riesca più a respirare...» «Credevo che Cordier le desse qualcosa per dormire.» «Non abbastanza forte. Cordier non mi vuole inebetire. Cordier vuole il mio bene, come tutti.» «A volte si avrebbe voglia di schiaffeggiarla.» «Non faccia complimenti. A me piace.» Lui s'irrigidì. Lo stava prendendo in giro? Non ne aveva l'aria, lì seduta di sbieco sul cuoio nero, il bicchiere d'acqua in mano, che lo fissava tranquilla. Della serie: la famiglia Pazzerelloni, ecco a voi la mamma sadomaso? Finì la sua coca cola, appoggiò il bicchiere sul tavolo. «Suo marito sa che lei è qui?» «No.» «Glielo dirà?» «No.» «Perché è venuta?» «Gliel'ho detto. Per vedere.» «È un lavoro abbastanza nauseante. Non ha nulla di romantico.» «Io non ho nulla di romantico. Non si fermi alle apparenze.» «È così, lei è dura, solida, decisa...» «Sono matta, è diverso, ma non romantica.» «Ha parlato con Dubois del suo compiacimento per la mortificazione?» Si era alzata e gli indicava la porta laccata di bianco con scritto "Accesso riservato". «È per di là?» Chib si alzò a sua volta, le passò davanti avendo cura di non sfiorarla, e aprì la porta. Tarzan riposava sul ripiano, sotto un lenzuolo bianco. Gli strumenti chirurgici scintillavano sul piano d'appoggio. C'era odore di sangue, di prodotti chimici, di carne frollata. Aveva acceso il climatizzatore e faceva freddo. La donna fece un passo in avanti, pallidissima. «È il cane su cui sta lavorando?»
«Hmm.» Tolse il lenzuolo, scoprendo la pelle del cane stesa sul tavolo come uno scendiletto, con la bocca ancora intatta, le labbra rialzate, gli occhi vitrei. Lei spalancò gli occhi, si portò una mano alla bocca, e svenne. La vide piegarsi, vacillare e accasciarsi su se stessa come una bambola di stracci, gli occhi rivoltati. La riacciuffò un attimo prima che toccasse terra, la agguantò alla vita. Ottimi riflessi, Chib! Svenuta su di lui. Si fosse piegato cinque centimetri, le sue labbra avrebbero toccato quelle di lei, lievemente dischiuse. Non si piegò. Sentiva il petto di Blanche contro il suo busto, un contatto dolce e serico. Niente reazioni intempestive, Chib! Troppo tardi. Reazione intempestiva! Imbarazzato, la distese dolcemente sul pavimento a piastrelle, andò a prendere un bicchiere d'acqua con ghiaccio, e ne fece colare un po' tra le sue labbra. Lei deglutì, tossì, sussultò, sbatté le ciglia. «Ha perso conoscenza. Tenga, beva ancora un po'.» Lei sbatté ancora le palpebre, bevve, mentre lui le sosteneva la testa. «Respiri lentamente. Ecco. Va meglio?» «Sì. Sono ridicola, non è vero?» «Totalmente...» «Mi aiuti a rialzarmi.» La rimise in piedi facilmente, era leggera, e si spazzolava i vestiti col palmo della mano, evitando di guardare il cadavere del cane. Ogni volta che respirava, il petto le sfiorava il braccio. Indietreggiò d'un passo. «La posso invitare a pranzo?» «Non ho molta fame.» «Le farà bene mangiare un po'...» «Come vuole. Dov'è il bagno?» «Di là.» Appena lei richiuse la porta, ebbe la sensazione di ricominciare a respirare. Quella donna lo metteva in uno stato d'agitazione inimmaginabile. Le piaceva davvero essere schiaffeggiata? Andrieu la prendeva forse a botte? La legava, la frustava? Mentre Chassignol sodomizzava Charles e Labarrière violentava Elilou? Degli scambisti sadomaso pedofili? Deliri. Puri deliri. Lei stava tornando verso di lui, si era ripettinata. Dove l'avrebbe portata a mangiare? La visione del ristorante sulla spiaggia gli si stagliò in mente: si mangiava bene, era un posto tranquillo, al chiuso e con vetrate. Non troppo di lusso, ma...
La pioggia sferzava i vetri. Le onde si rompevano sulla sabbia, a tre metri da loro. Sensazione di mangiare su una barca. La giornata era cupa, piacevolmente cupa. C'erano pochi clienti. Una coppia di una certa età con uno yorkshire che rispondeva al nome di Philomène e non la smetteva di elemosinare un po' di cibo. Una coppia un po' più giovane, con la donna che sfoggiava quella tinta bruno rossiccia così tipica delle cinquantenni, e l'uomo con camicia a righe, che parlava di bilanci e conti di gestione. Tre ciclisti loquaci e sfiancati, con le loro bici appoggiate al muretto. Il padrone si avvicinò, tovagliolo bianco sulla spalla. «Schifo di tempo piovoso! Prendete un aperitivo?» «Una Suze, grazie.» «E una birra alla spina.» «Bene!» Restarono in silenzio nell'attesa che arrivassero le consumazioni, un silenzio riempito dal fragore delle onde. Lei diede un'occhiata al menu, lo rimise a posto. «Non le è mai venuta la nausea, all'inizio?» «La prima volta ho vomitato» concesse lui. «Poi ho imparato ad amarli. Con la tenerezza, il disgusto si è dileguato.» Bevve un sorso della sua birra. Lei fece fuori metà della sua Suze. Il padrone ritornò. Chib ordinò un carpaccio di pesce spada, lei prese una spigola alla griglia. Senza salsa. Una bottiglia di muscadet. Acqua minerale. Chib si sorprese a sminuzzare un pezzo di pane e lo rimise a posto. Il vento era aumentato ancora. In certi momenti le vetrate vibravano. Il giorno dopo, la spiaggia sarebbe stata ricoperta di varecchi. Il padrone tornò con le ordinazioni. Il muscadet era buono. Lei vuotò il suo bicchiere. Lui gliene servì dell'altro e bevve a sua volta. La birra a digiuno gli aveva fatto già girare un po' la testa. Tanto meglio. Che si ubriacassero. Senza pensieri. Senza troppe domande. Il primo lampo la fece sobbalzare. "Adesso scoppia!" fece il padrone mentre li serviva. Philomène si mise a guaire, il muso nascosto fra i polpacci del suo padrone che le continuava a ripetere "Smettila di fare la bambina!" senza troppa convinzione. Blanche girò la testa verso il rumore, quindi, tastando la sua spigola con la punta della forchetta, buttò lì: «Noémie Labarrière la chiamerà certamente, per il suo cane.» «Prego?» «Scotty, il suo terrier. Si è strangolato con il collare, sicuramente mentre
inseguiva un gatto. L'hanno ritrovato appeso a un ramo di pino.» Chib si ricordò della breve conversazione fra Dubois e Belle-Mamie. Qualcuno aveva pensato bene di mettere al corrente Blanche. Senza dubbio la stessa Noémie Labarrière. «Dicono che la città sia pericolosa per gli animali, ma trovo che sia peggio in campagna. È il quarto cane che viene a mancare quest'anno» proseguì lei... «Spesso vengono investiti» ammise Chib dicendosi che lei non stava mangiando nulla. «Hmm.» Posò la forchetta, lo guardò: «Lei crede che si possa amare un animale quanto un figlio?» «Philomène, piantala di fare i capricci, va bene!» Lui ricambiò lo sguardo. «Certamente. Credo che si possa amare qualsiasi cosa, un oggetto, un animale, un essere umano, un luogo, con la stessa intensità.» «Lei vuol dire che quel che conta non è ciò che amiamo, ma il fatto di amarlo?» No, lui non voleva dire nulla. Voleva mangiare il suo carpaccio guardandola. Voleva stendersi vicino a lei ascoltando la pioggia. Voleva che lei si sentisse al sicuro. Per sentirsi al sicuro, lei ha suo marito, Chib, non ha bisogno di un negretto tascabile. Un'onda più forte delle altre venne a frangersi contro il basamento in cemento della terrazza, inzaccherando le vetrate di schiuma. «Sono solide le vetrate?» gridò uno dei ciclisti ridendo. «Altrimenti, qui, fra cinque minuti mangiamo coi piedi a mollo.» «Non vi preoccupate! È stasera che ci sarà da aver paura, già a novembre è stato tutto spazzato via! Ne abbiamo avuto per quindici giorni coi lavori.» «Oh! Guardate il gommone!» gridò all'improvviso la signora dai capelli rossicci sollevandosi a metà sulla sedia. Un gommone aveva appena rotto gli ormeggi e, sospinto dal vento, andava alla deriva sotto i loro occhi in direzione della diga. «Si fracasserà!» predisse uno dei ciclisti. Le onde trascinavano la piccola imbarcazione, facendone affondare il muso sott'acqua come per affogarla, quindi la rigettavano in aria, disinvolte. «Sembra che lo stiano torturando...» lasciò cadere a mezza voce Blan-
che, facendo eco ai pensieri di Chib. Il gommone filava dritto verso la diga, mezzo sommerso, trascinato, stropicciato fra le dita di schiuma. Di colpo si raddrizzò, naso al vento, come un cane da circo che cammini sulle zampe posteriori. Tutti tacquero. Un'ultima onda lo spinse violentemente all'indietro e il gommone volò via, una manciata di secondi, sospeso sotto le nuvole come un insolito collage, prima di ricadere contro la diga, ed esplodere contro il suo ventre roccioso e acuminato. «Porca puttana!» commentò sobriamente uno dei ciclisti. Il padrone si voltò verso di lui per rispondergli, ma nessuno seppe mai cosa gli avrebbe detto, perché una raffica strappò di colpo una parte della tettoia di plastica, riversando una doccia fredda su Philomène e i suoi padroni che si misero a guaire all'unisono. Chib si chiese fuggevolmente se era davvero possibile che si trovasse in mezzo a una micro-tempesta sulla sua bella vecchia spiaggia tranquilla in compagnia di una donna della consistenza di un fantasma, ma uno spruzzo di pioggia gelata sul viso lo convinse che sì, era proprio così, e che era meglio filarsela prima che la struttura tutta intera crollasse. Si alzò. Blanche lo guardava, un vago sorriso sulle labbra. «Lei non è davvero un avventuriero, si direbbe.» «Non sono masochista, no. Forza, venga!» La donna si alzò lentamente, prendendosi il suo tempo, malgrado la pioggia che le scorreva sulla schiena attraverso lo squarcio aperto nel telone. «Ma puttana la miseria, non smetterà mai di romperci i coglioni questo tempo!» urlava il padrone del ristorante cercando di turare le falle. I ciclisti avevano inforcato le loro biciclette. Philomène tremava per la paura in braccio al suo padrone che correva verso l'uscita, mentre sua moglie inveiva contro il ristoratore. Blanche girò intorno al tavolo. L'onda crebbe nel campo visivo di Chib. Cresceva davvero. Davvero troppo. Tipo onda gigante da film catastrofico. Tese le braccia verso Blanche. La afferrò bruscamente per il gomito. L'onda ostruiva l'orizzonte. Si tirò Blanche dietro senza troppi riguardi. Lei emise un gridolino di protesta.
Ci fu un leggerissimo rumore di vetri rotti. Uno sfregio sul vetro? Uno sfregio che si trasformò in una tela di ragno. Dopodiché la vetrata si ruppe in mille pezzi. Una massa di schiuma fremente circondò i loro piedi, li risucchiò, cercando di trascinarli con sé, e Chib si aggrappò al montante di ferro. L'onda si ritirò quasi a malincuore, con un ringhio sordo. C'era sabbia ovunque. Blanche si mise a ridere, un riso isterico. «Divertente, da sbellicarsi, eh, povera idiota?» sbraitava il padrone. «Ma porca puttana! La diverte tutto questo?!» Chib la spinse verso l'uscita, lei si lasciò portar via, non rideva più, lanciava solo delle specie di strilletti, dei guaiti da cucciolo. I canaletti di scolo straripavano, inondando la strada d'acqua salmastra. La abbracciò, attirando la testa di lei al suo petto. Sentì le sue mani contrarsi sulle spalle, come a resistere, poi gli si abbandonò, mentre la pioggia veniva giù torrenziale, il mare muggiva senza posa e lui teneva fra le braccia una Blanche piangente. Le accarezzò le spalle, i capelli, esitante, un po' goffamente. Lei rannicchiò il viso contro il suo collo, le labbra attaccate, lui sentiva il suo respiro corto che gli faceva venire la pelle d'oca, la strinse fra le braccia, un po' più forte. I singhiozzi di lei a poco a poco svanirono. Tirava su col naso. Indietreggiò lievemente. Rialzò la testa, si asciugò il naso col dorso della mano. Le era colato il trucco. Striature nere intorno agli occhi. La camicetta le si era incollata alla pelle, zuppa, aderente al busto minuto, i capelli le gocciolavano, con delle ciocche appiccicate alla fronte... Chib si passò una mano sulla testa, togliendosi una miriade di goccioline dai capelli a spazzola. Blanche indietreggiò ancora, si schiarì la gola, aprì la borsa come se volesse trarne fuori qualcosa, la richiuse. Lui la prese fra le braccia. «Venga.» Gli rivolse un'occhiata, diffidente, ostile. Lui alzò le spalle e lei lo seguì. «Tenga.» Le porse un asciugamano, tenendone uno per sé. Lei si mise a tamponare i suoi vestiti fradici. Chib si tolse la giacca inzuppata d'acqua e la camicia e si asciugò con decisione. Mentre camminava, le scarpe scricchiolavano con un effetto pozzanghera. Lei si tolse le sue, iniziò ad asciugarsi le gambe, in equilibrio su un piede solo.
«Devo essere a casa al più tardi per le tre» disse. Non lo stava guardando. Guardava il cielo sconvolto, attraverso la finestra. Lui poggiò il suo asciugamano di spugna sul frigo. Era l'una e mezza. Non farlo, Chib. Non farlo. È assolutamente l'ultima cosa da fare. Lo fece. Avanzò fino a lei e le appoggiò una mano sulla spalla umida. Appoggiò una mano sulla spalla e la attirò verso di sé. La attirò verso di sé e posò le labbra su quelle di lei, fredde, bagnate. Baciò le sue labbra fredde e lei gli restituì il bacio. Perché fai questo, Chib? Non siete degli animali. Fai un passo indietro, scansati, scansala, fermatevi finché siete in tempo. Ma ovviamente non si fermarono, si lasciarono scivolare nel baccano della pioggia, si lasciarono affondare sotto il cielo lacerato, impazienti di affogare. 14 e 15. Lei era sdraiata sulla schiena, del tutto immobile, nuda, le mani lungo il corpo come una figura in un monumento sepolcrale, di pietra bianca e tenera. Un braccio di lui, caramello scuro, poggiato al suo fianco. Un lembo del lenzuolo fra la punta delle sue dita e l'anca. Chib si rialzò, infilò gli slip, i pantaloni. Blanche si mise a canticchiare, a voce bassa. "Mammina, le barchette hanno le gambe..." Lui rabbrividì. Non avevano scambiato una sola parola tutto il tempo che era durato. Lei era pazza e lui era un pazzo a seguirla nella sua follia. Raccolse le scarpe. «Sono le due e un quarto» fece lui. Lei sospirò, si sedette lentamente, nascondendo i seni sotto l'avambraccio. Lui le passò i vestiti. Lei se li infilò, girata verso il muro. Poi: «O mio dio, ho la testa ridotta in condizioni spaventose. Posso usare il bagno?» Lui stava finendo di annodarsi la cravatta, un autentico modello anni Cinquanta, quando lei uscì, impeccabile come quando era arrivata quella mattina, nell'altra vita, quella che lui aveva appena abbandonato sconsideratamente. La donna strappò via le chiavi della macchina dalla borsa, le fece saltare sul palmo della mano dalle unghie delicatamente rosate. «Pensa che io sia una troia?» Ma no, assolutamente, era stato lui, il peggiore dei maiali, approfittare
dello smarrimento di una donna in lutto... «No. Io... io non penso nulla.» Tacque, incapace di dire altro. Lei richiuse la mano sulle chiavi, e si diresse verso l'uscita. «Le chiedo scusa» aggiunse ancora lei, la mano sulla maniglia. «Le chiedo scusa, Léonard, ma io non potrò amarla. Non ho più amore dentro di me.» «Lo so. Non ha alcuna importanza.» Aveva aperto, era uscita, la porta si era richiusa e Chib la guardò ancora per dieci minuti, una porta bianca con una serratura di sicurezza. Toh, non si era mai accorto che la vernice cominciava a scrostarsi. Capitolo 9 «...e allora la faccia di Andrieu quando m'ha visto uscire tutto nudo dal cesso!» Greg prese una grossa manciata di olive nere e fece segno al cameriere del bar di portarne delle altre. Aveva smesso di piovere, il sole era tornato nel cielo sgombro. C'era odore di ozono, di bagnato, tutto sembrava come pulito, lavato. Seduto ai tavolini all'aperto del Chelsea, Chib sentiva arrivare il mal di testa. «Cosa diavolo stavi combinando tutto nudo nel cesso?» s'informò conoscendo già la risposta... «Sottolineo che era il gabinetto della stanza di Aïcha, ok?» gli ribatté Greg stirandosi. «Allora prima di tutto, quell'Andrieu dei miei coglioni dà appena un colpetto alla porta e entra, così, senza alcun imbarazzo, come se fosse a casa sua...» «È a casa sua» sospirò Chib afferrando un'oliva che rigirò fra le dita. «Aspetta! Si presumeva che il tipo dovesse rientrare prima di sera, e guarda un po' si presenta alle due, della serie "Volevo fare una sorpresa a mia moglie", grossa cazzata questo genere di sorprese. Fortuna che Aïcha aveva indosso il suo grembiule, dal momento che stavamo giocando un po' al dottore, e lui, con la bocca a culo di gallina: "Chi è quest'uomo, Aïcha?"» Greg s'interruppe per bere un sorso di birra, e fischiare a una ragazza che passava, inguainata in pantaloncini ultracorti. Senza nemmeno voltarsi, la ragazza gli rivolse un gesto col dito alzato. «Mi piacciono le donne che hanno carattere» riprese lui sbadigliando.
«Beh, dov'ero rimasto?» «Andrieu è rientrato prima del previsto e ti ha trovato nudo nella stanza di Aïcha.» «Ah, sì. Allora lei gli fa: "È il mio fidanzato, monsieur." E lui: "Sareste potuti andare in albergo!" E Aïcha, con grande classe: "Non avevamo previsto quel che è successo... non mi sarei mai permessa... sono davvero desolata"» recitò Greg con la voce in falsetto. «Insomma, lei se l'è infinocchiato, un altro po' si scusava lui di averci disturbato, il tipo. L'unica cosa che gli interessava era sapere dove si trovasse la sua brava mogliettina.» Stretta allo stomaco. Greg si dondolò sulla sedia, fece scrocchiare le dita. «Vuoi altro? Io sto morendo di sete.» «No grazie. E poi?» «E poi? Niente. Lui è uscito, io mi sono fatto una doccia, mi sono rivestito e ho tagliato la corda, proprio mentre arrivava sua moglie.» «E che cosa le ha detto lui?» chiese Chib fissando la sua oliva con l'intensità di un tragico antico. «Beh, "Sei andata a fare spese?", una cosa così. "Che hai comprato?", e lei: "Ma com'è che sei già qui?", "Volevo rientrare prima, volevo vederti", pareva uno di quegli spettacoli di teatro in tivù, mi sono chiesto se lei per caso non gli mettesse le corna.» L'oliva sfuggì dalle dita di Chib e rotolò sul marciapiede lucido. «E ti dirò» proseguì Greg, con la bocca piena «mi domando se non se lo chieda pure lui, se capisci quel che voglio dire. Lei non aveva un'aria troppo pulita, la signora. E lui ha un'aria francamente da rompipalle. Del genere che gli piacerebbe proprio tenerla al guinzaglio.» L'immagine di Blanche a quattro zampe legata a un guinzaglio di cuoio borchiato si disegnò sgradevolmente nella mente di Chib. «Spero che Aïcha non abbia problemi» disse. «Ma no, mi ha assicurato che sarebbe andato tutto bene. Hanno troppo bisogno di lei, coi marmocchi e tutto il resto... Cazzo, mi ha fatto vedere la piccola nella bara di vetro, è una cosa orribile, amico mio, c'è mancato poco che vomitassi. Toh, guarda, al solo pensiero mi vengono i brividi!» Mostrò il suo avambraccio muscoloso con i peli biondi dritti. «Peggio di un film dell'orrore. Avevo come l'impressione che fosse pieno di pazzi furiosi, tutti dietro di me con delle tronchesi in mano. Bisogna essere suonati per fare una cosa simile.» «Cosa? Imbalsamare la propria figlia?»
«Già... ma soprattutto metterla in bella mostra, come se fosse un, non so io, come la migale sotto vetro che mia madre ha riportato dal Messico, capisci? Un cazzo di souvenir del grande viaggio!» Greg tacque, finì la sua birra, i lineamenti segnati da questo suo rovello esistenziale. Chib mandò giù un piccolo sorso del suo Martini, lo stomaco contratto dall'ansia. E se Andrieu avesse sospettato qualcosa... ma Andrieu doveva avere ben altri pensieri per la testa che un possibile tradimento di sua moglie. Andrieu era un padre prostrato dal dolore. Un padre che aveva appena perso il suo secondo figlio, dopo la scomparsa del piccolo Léon, dieci anni prima. Alto tasso di mortalità per una famiglia facoltosa. E unita. Talmente unita che Blanche faceva l'amore con l'imbalsamatore di sua figlia, neanche quindici giorni dopo averlo conosciuto. Turbamento psicologico passeggero? O invece instabilità caratteriale permanente? Cosa c'era dietro la facciata di rispettabilità degli Andrieu? Un ragazzo omosessuale, due piccoli cadaveri, una madre ninfomane? «...ad ogni modo è vero che il dottore, quel Cordier, è follemente innamorato di Aïcha» diceva Greg, scolandosi la sua seconda birra. «Scusa?» «Ma mi ascolti, qualche volta? Ti stavo dicendo che il dottore è passato, verso mezzogiorno. Ha suonato. Noi non abbiamo risposto. Hai capito il tipo, che passa guarda caso proprio il giorno in cui Aïcha è sola in casa... Ha insistito come un matto, poi se n'è andato con l'aria furibonda.» «Ti faccio notare che ha sicuramente visto la Floride attraverso il cancello. E lui sa che quella è la mia macchina.» «Cazzo! Avrà sicuramente pensato che eri tu che ti stavi facendo Aïcha, ti odierà, quel vecchio vizioso!» Chib si rese conto all'improvviso che anche Andrieu aveva visto la Floride parcheggiata nella corte. Dunque aveva dovuto dedurne che Greg era un amico del buon Moreno. E il buon Moreno era altrettanto lubrico quanto quel biondocrinito? Si dividevano forse quei due le donne di casa? Il biondo con la bruna, il bruno con la bionda... partizione incompiuta per coito meccanico9. Ma no, perché diavolo Andrieu si sarebbe dovuto immaginare delle cose simili? Bzzz. Vibrazione nella tasca posteriore. Il cellulare. Lo tirò fuori e lo fissò senza alcun brio. L'apparecchio vibrava e lampeggiava. «Pronto?» «Monsieur Moreno?»
«Sono io.» «Sono Noémie Labarrière. Ci siamo incontrati a... al...» «Sì, ma certo, ricordo perfettamente.» «Avrei bisogno di lei. Ho perduto il mio piccolo Scotty e...» «Vuole che fissiamo un appuntamento per parlarne?» Greg gli fece delle smorfie, alzando le spalle massicce, levando gli occhi al cielo. Chib fissò il sole. «Beh...» esitò la donna. «Io sono in città e...» «Alle sei al Majestic?» «Benissimo. A più tardi.» «Uaho, ma che bella conversazione! Un'altra delle tue pollastrelle?» «Una signora che vuol fare impagliare il suo cane.» «Quando sarò morto, potrai impagliare il mio cazzo per regalarlo al museo di antropologia» sghignazzò Greg mentre fissava con sguardo da domatore due ragazze che si erano appena sedute al tavolino accanto. «Nordiche» sentenziò. «Roba buona.» «Bene, ti lascio.» Chib si era alzato. «Puoi finirti il mio Martini, non mi va più.» «Sì, ciao, divertiti con la vecchia. Ti chiamo.» Si era già voltato verso le ragazze, sorriso da seduttore sulle labbra. Bzzz. Ancora! «Salve, nonnino!» Gaëlle. «Sei al corso?» «Sì, c'è la pausa. Finiremo tardi stasera. Passo a trovarti domani, se sei libero.» «Non c'è problema. Ceniamo insieme?» «E poi magari altro. Non hai l'aria di uno in gran forma.» «Sono un po' stanco.» «E poi?» «E poi cosa?» «Tu mi stai nascondendo qualcosa!» «Greg si è fatto sorprendere da Andrieu, nudo nella stanza di Aïcha.» «Che idiota! Ma che cosa era venuto a combinare nella stanza di Aïcha, papà Andrieu?» Bella domanda.
«Forse sperava di farsela» proseguì Gaëlle. «Se la moglie non era in casa...» «Era in città. È per questo che Greg era andato, non c'era nessuno alla villa. Andrieu non sarebbe dovuto rientrare prima di sera, ma in effetti è arrivato nel primo pomeriggio.» «Non lo trovi strano? Arriva molto prima, e si dirige direttamente in camera di Aïcha, proprio nel giorno in cui non c'è nessuno...» «Per te, tutti i maschi sono dei maniaci sessuali.» «Beh...» «Secondo Greg, aveva piuttosto l'aria di essere contrariato per il fatto che Blanche non fosse in casa.» «Sì, vabbè, il classico giochino. Non vuol dire nulla. Gli uomini sposati, sono i peggiori. Ti lascio, devo andare.» Andrieu che vuole sedurre Aïcha? Che rientra prima a questo scopo? Quanto lo avrebbe sollevato un'ipotesi del genere! Noémie Labarrière si era seduta a un tavolino d'angolo, in un punto tranquillo, non troppo illuminato. Stava bevendo un cappuccino mentre sfogliava una rivista. «Spero di non essere troppo in ritardo» fece Chib tirando una sedia di vimini verso di sé... Erano le sei in punto. «No, affatto, sono io che sono arrivata in anticipo» si scusò lei molto cordialmente. Chib si sedette, lei ripiegò il giornale. Lui ordinò un'acqua minerale. Non aveva sete. Noémie scosse la crema del suo cappuccino dal dorso del cucchiaino. «Eravamo molto affezionati al nostro Scotty, era davvero un bravo cagnolino. Ma ha sempre avuto la brutta abitudine di attaccare i gatti, non li poteva sopportare, lo facevano diventare pazzo!» «Abbiamo tutti i nostri difetti» commentò Chib, il re dei beccamorti. «È mio marito che l'ha trovato. Appeso a un ramo, poverino. Questi maledetti collari... E Blanche che aveva appena perduto Elilou... non ho neanche osato piangere, mi vergognavo, lei capisce, un cane...» «L'amore non fa distinzioni fra le diverse forme di vita.» «Crede davvero?» Io non ne so niente. Mi sono appena scopato Blanche, non penso a nient'altro, sono completamente rincretinito.
«Mio marito aveva già fatto imbalsamare Coquette, il suo cane da caccia. Dunque perché non Scotty? Lo metteremo con lei, nella biblioteca di Paul, sotto la testa di cinghiale.» «Suo marito è cacciatore?» «Appassionato. Lui e Chassignol sono dei grilletti provetti. Andrieu, beh, lui preferisce il tiro con l'arco.» «Sono molto amici?» «Quanto possono esserlo gli uomini» sorrise lei scoprendo degli impeccabili denti falsi. «Sa, tutte quelle storie di testosterone, di competizione, di territorio... come il mio povero Scotty. Una donna non sarebbe certo corsa dietro a qualcuno che passeggia nel giardino. Gli avrebbe piuttosto offerto una bibita fresca.» «Lei dunque non va a caccia?» «Certamente no! Blanche, Clotilde ed io giochiamo a tennis, è meglio per la linea. Chassignol vorrebbe che presentassimo Winnie al circolo così che anche lei potrebbe iscriversi al country-club, ma...» Tacque, mandò giù un sorso di cappuccino. «È un po' troppo...» azzardò Chib. «Sì, esattamente... Rémi ha sempre avuto dei gusti piuttosto... stravaganti. Quando penso che stava per sposare Blanche! Sarebbe stato un disastro!» Chib sentì le dita serrarsi attorno al bicchiere. «Lei lo ha conosciuto prima di conoscere Andrieu?» «Sì, erano insieme all'università. A legge.» «Faccio fatica a immaginare Blanche a giurisprudenza...» «Oh, lei voleva fare l'avvocato, sa com'è, l'idealismo delle ragazze... È stato Chassignol a presentarle Jean-Hugues. Lui se n'è innamorato follemente. Sono quindici anni che sono sposati, lei ha avuto Charles a ventitré anni. Io non ho mai potuto avere figli. Volevo adottarne, ma Paul non ne ha mai voluto sentir parlare. Allora, mi occupo di quelli degli altri. Faccio la zietta buona che vizia i nipotini.» «Belle-Mamie non lascerà molto spazio agli altri, ha tutta l'aria di adorare i suoi nipoti» si arrischiò Chib. «Ne va completamente matta!» assentì Noémie buttando la testa all'indietro, mettendo in risalto il suo raffinato collier di Carrier. «Non deve essere sempre facile, per Blanche... una suocera così presente» osò Chib. «Ah, l'ha notato? Di solito gli uomini non si accorgono mai di questo
genere di cose. Io ho dovuto sopportare la madre di mio marito per dieci anni senza che lui riuscisse mai a capire perché io mettessi il muso! Il problema di Blanche è che lei non dice mai nulla. È una tale sognatrice, sempre perduta nel suo mondo interiore... Tutto il contrario di Jean-Hugues. Una roccia!» «Gli opposti si attraggono» buttò là, mellifluo, Chib. «A patto che le loro differenze non si trasformino in un abisso insormontabile» sottolineò Noémie Labarrière che aveva appena letto un articolo intitolato "Quando il vostro rapporto si incrina". «Hanno tutta l'aria di andare molto d'accordo.» «Ma certo. È solo che... oh, ma sono davvero troppo chiacchierona! Paul si chiederà dove mai sono stata. Quando può venire a prendere Scotty? È dal nostro veterinario, ecco il suo biglietto.» Chib se lo mise in tasca. Altri dieci minuti e avrebbe saputo tutto della coppia Andrieu. Noémie si alzò, raccogliendo i suoi pacchetti. «Voialtri, voi sì che sapete parlare alle donne!» gli fece lei, sbarazzina. Voialtri? Ma chi? I meticci? I bastardi? «Come mi ha detto il mio parrucchiere: "È perché noi non abbiamo paura di far emergere la nostra parte femminile."» Il suo parrucchiere? Parte femminile? Ma cosa...? Doveva avere un'aria sbalordita, tanto che lei aggrottò le sopracciglia mimando una certa confusione: «Oh, mi deve scusare, sono desolata, sono così indiscreta, senza dubbio lei non ha alcuna voglia che si venga a sapere! È quel cattivone di Charles che... oh, cielo, devo scappare.» Charles? Poco mancò che la acciuffasse per la ciccia del braccio per dirle a brutto muso: "Ma cosa vai blaterando, sporca strega?", ma si contenne mentre lei trotterellava verso la porta girevole. «Mi chiami!» La vide precipitarsi verso la stazione dei taxi. Cosa mai era andato a raccontare Charles sul suo conto? Ma che nido di vipere! D'altra parte, se tutti pensavano che lui fosse gay sarebbe stato più facile con Blanche... Con Blanche, cosa? Era stato un colpo di testa, Chib, non certo l'inizio di una relazione piena di passione. Già tutto dimenticato. Non c'è mai stato nulla. Vuotò il suo bicchier d'acqua con rabbia. Perturbati o meno, Charles e Louis-Marie non erano altro che due piccoli stronzi che si meritavano un bel fracco di botte. Immaginava già i commenti: "Conoscete Chiiib More-
no? L'imbalsamatore gay, sapete, il negretto lezioso? Un amore, davvero, di una sensibilità, mia cara... Viene da chiedersi come possa fare quelle cose orripilanti... Brrr!" Lasciò degli spiccioli sul tavolino rotondo e uscì. Sarebbe passato a prendere il cane e poi sarebbe tornato a casa a lavorare. Abbrutirsi di lavoro nelle viscere del quadrupede ascoltando i Portishead. Il veterinario rimise su gli occhiali che gli scivolavano. Il terrier, imballato in una custodia di plastica refrigerata, riposava sul lettino. «Ecco qua, il povero vecchio Scotty, vittima del suo cattivo carattere!» Quello si raschiò la gola, si tolse gli occhiali, si massaggiò gli occhi. Sulla sessantina, l'aria stanca, pantaloni di velluto nero a costine, una Lacoste grigio perla. Ai piedi, delle Dr. Martens nere. Al polso, un Patek Philippe. Chib lasciò correre lo sguardo sulle foto con dedica dei suoi clienti più famosi, che ornavano lo studio. Due stelle del cinema, il sindaco precedente, una top model, un giocatore di football... «Bella clientela...» buttò là Chib con faccia ammirata di circostanza. «Hmm. Sono trent'anni che esercito da queste parti, conosco tutti.» La clinica veterinaria era situata dentro un parco, in mezzo alle colline dei miliardari. «Non so perché, ma pensavo che non andasse più di moda far impagliare gli animali da compagnia» riprese il dottor Chabot, ripettinandosi i pochi capelli grigi. «Non va più di moda» confermò Chib. «Ma ci sono sempre degli appassionati. Buon per me.» «Certamente. Guardi, non le mancherà certo il lavoro se continua così, lassù!» «Come?» «Trovo che ci sia stato un tasso elevato in maniera abnorme di decessi violenti quest'anno, in questo posto. Tra Opio e Valbonne. Mi sono chiesto addirittura se per caso non abbiamo a che fare con un maniaco che si divertirebbe a trucidare i cani. Ma in genere questo genere di folli utilizza le polpette avvelenate. Mentre qui... è semplicemente la frequenza insolita degli incidenti che mi preoccupa. Non ne ho fatto parola con nessuno, chiaramente, sarebbe inutile spaventare tutti.» «E far vivere la gente nella paura, soprattutto quando non ci si può far niente» concluse Chib con comprensione. «Certamente! Chiunque sia, pareva essersi dato una calmata, da un paio
di mesi. E poi ecco che Scotty... In fondo, è sempre meno grave di quello che è successo agli Andrieu... Che tragedia atroce!» Chib scosse la testa con aria compassionevole. «Lei non fa un lavoro proprio allegro! Io, almeno, assisto alle nascite, poi ci sono gli animali che uno riesce a salvare, questo compensa la sofferenza, ma lei...» «Oh, beh, i miei non soffrono più. E mi auguro che il mio lavoro aiuti i loro cari a ritrovare la serenità.» «Certamente! Eppure io troverei abbastanza sinistro il fatto di avere dei cadaveri in casa... Ma in fondo, a ciascuno il suo mestiere!» Decessi di cani in numero innaturalmente elevato. Quella frase gli girava in testa mentre tirava fuori il terrier imballato dal bagagliaio della Floride ed entrava in casa. Un assassino di cani? Assassino di cani e di bambini? Roba da cinema di serie B, lascia stare! S'impose di non pensarci più, senza risultato, dopodiché tentò di dare il tocco finale a un Tarzan irrigidito, le zanne scoperte su una lingua artificiale di gomma. Quella vera giaceva nel cestino della spazzatura, assieme alle viscere e agli occhi dell'animale. Un tocco di smalto sui denti, di lucido sul pelo, gli occhi acquistati in un negozio specializzato, accuratamente fissati nelle orbite vuote e ripulite, le zampe sobriamente avvitate al basamento in legno con il nome inciso sopra. Sudando sette camicie, sollevò l'animale ricostruito, che pesava una buona trentina di chili, e lo appoggiò su una tavola a rotelle rossa e blu che sarebbe servita per trasportarlo giusto fino alla macchina del suo padrone. L'effetto era abbastanza sorprendente, riconobbe Chib mentre contemplava il cane impagliato pronto a fare skateboard. Era un lavoro ben riuscito. "Ecco fatto, il tuo papà può venire a prenderti", disse a quelle spoglie proprio mentre suonavano alla porta. Una volta che il suo cliente se ne fu andato col suo doberman a rotelle, Chib cercò di cominciare a lavorare su Scotty. Smembrarlo, raschiare accuratamente la pelle e le ossa che contava di riutilizzare, trattare la pelle e metterla a seccare sotto la lampada artificiale. Ore di lavoro in vista. Ma meglio abbrutirsi di lavoro che di alcol, perché quello di cui aveva voglia, davvero voglia, oltre che telefonare a Blanche, tenerla fra le braccia, andare a prenderla con la Floride e portarla via nella notte stellata come un ladro, come un barbaro, ciò di cui aveva veramente voglia, era di bere, bere fino a crollare privo di sensi, la testa vuota come una zucca di Halloween...
Intermezzo 3 Lei puzzava. Puzzava del suo odore. Puzzava di schiava. Negli occhi, nella bocca. L'odore sporco. L'odore dei gemiti fra le lenzuola. L'odore bagnato. Che fa male. Le sue labbra di baldracca sulle guance dei bambini. Le sue labbra. Io le voglio. Io le taglierò Le applicherò sul mio collo. Fatica fatica fatica Puttana. Capitolo 10 Il sole entrava a fiotti nella stanza. Chib socchiuse un occhio, lo richiuse. Che ora era? Cercò a tastoni l'orologio sulle mattonelle, poi si accorse che lo aveva al polso. 11 e 12. Fantastico. Aveva dormito come un bambino. Se solo non avesse avuto un mal di testa così forte... si rigirò sulla schiena, avvertì qualcosa di duro sotto i reni, ritrovò fra le lenzuola attorcigliate una bottiglia di vodka vuota. Ecco allora cos'era. Avrebbe giurato che la sera precedente era ancora piena per tre quarti. L'Herbe de bison, la sua preferita. Aveva d'altronde l'impressione che un'intera mandria di bisonti gli stesse pascolando in bocca. E che facessero a gara a chi ci defecava di più. Lavarsi i denti, di corsa. E pisciare. Si alzò, vacillò, ebbe un capogiro. Aveva avuto l'intenzione di farsi appena un cicchettino prima di andare a dormire, mentre la pelle di Scotty, ben tesa, riposava sull'essiccatoio. Non certo prendersi la sbornia dell'anno. Quella che ti fa venire voglia di fare la cura del sonno per quindici anni. Si trascinò fino alla doccia, si mise sotto il getto ghiacciato. Aghi puntuti sulla testa, sul petto. Conta fino a cento. Risciacquati la bocca, forza bisonti, squagliatevela! Tremando, si asciugò alla bell'e meglio, dov'è questo cazzo di collutorio
alla menta? Fece vari gargarismi mentre urinava. Una bella pasticca di vitamina C 1000, un succo di frutta fresco, e tutto si sarebbe sistemato. L'acqua fredda gli sgocciolava piacevolmente lungo la nuca. Si sdraiò ancora un attimo, tanto per praticare un poco di respirazione zen. E si riaddormentò. L'aereo rombava. Stava atterrando, stava atterrando lì, sul suo cuscino, ma quell'idiota del pilota non vedeva che quella non era la pista. Chib si alzò di soprassalto. Il cellulare gli vibrava lungo la guancia. Stravolto, premette il tasto OK. «L'hanno rubata! Hanno rubato mia figlia!» Sì, sì, l'aereo era proprio atterrato, sul pianeta Matto. Chib si umettò le labbra e si sentì articolare un: "Prego?", con una voce roca, da maggiordomo di classe, eppure, malgrado il suo cervello annebbiato si rifiutasse ancora di ammetterlo, aveva capito bene. «Hanno rubato Elilou!» gridava Jean-Hugues Andrieu all'altro capo del telefono. «Ma...» mormorò Chib «ma perché..» «Come vuole che lo sappia?» «Ha avvertito la polizia?» «Per far finire la notizia sulle prime pagine dei giornali? È proprio per questa ragione che l'ho chiamata. La contessa Di Fazio mi ha detto una volta che lei conosceva un'agenzia seria.» Un'agenzia di cosa? Un'agenzia matrimoniale? Immobiliare? Ma di cosa stava parlando quell'uomo? Improvvisamente l'illuminazione: si sentì inondare di sudore. Quell'imbecille di Greg! Era lì da lui un giorno in cui era venuta la contessa, e l'aveva corteggiata come un matto e quella, a sessantotto anni suonati, si era sciolta di fronte a una tal mostra di ardore virile. "Quel suo amico tanto simpatico", diceva sempre la donna chiedendo notizie della bestia. Greg le aveva rifilato il suo biglietto da visita "Search Agency. Investigazioni di ogni genere" che si era fatto alla macchinetta automatica della stazione, col suo numero di telefono, nel caso in cui... «Allora?» si stava spazientendo Andrieu, la voce rotta. Allora, allora... L'evidenza della situazione fu di colpo chiara a Chib. Greg investigatore privato era l'occasione tanto sperata, la via maestra per condurre l'indagine su quello che veramente succedeva lassù. A meno che... chi avrebbe potuto credere davvero per più di due secondi - fuorché una vecchia signora liftata e sessualmente frustrata - che quello zuccone era un detective? Tanto
peggio. «In effetti, io conosco una persona» disse. «Un po' stravagante, ma molto efficiente. A dire il vero lei lo conosce già.» «Prego?» «L'ha visto ieri. A casa sua. Gregory Donatello.» «Quel tipo li?» «È molto bravo nel suo campo. Non molto distinto, questo è vero...» Respiro irregolare, quindi un sospiro. «D'accordo. Lo chiami. Gli dica di venire qui il prima possibile. Bisogna ritrovarla. Se non la ritroviamo, io... io potrei morirne, capisce? Sapere che il corpo di mia figlia è nelle mani di un maniaco! Oh, mio Dio, mi scusi, mi viene da vomitare...» Anche a me, si disse Chib correndo verso il bagno. Dopo essersi liberato, si sentì meglio. Mangiare. Bisognava assolutamente mangiare. Riequilibrare lo stomaco. Aprì il frigo, inghiottì d'un fiato due fette di prosciutto, uno yogurt magro, un bel pezzo di gruviera, succo di pompelmo, un cosciotto di pollo sotto vuoto, e una barretta di cioccolato nero. E ora un buon caffè, perché senza caffè non valeva nemmeno la pena cercare di capire cosa stava succedendo. Avevano rubato il corpo di Elilou. Senza senso. Era una cosa senza senso... L'autore del "furto" era lo stesso che le aveva spezzato il collo? Che l'aveva violentata? Venuto a riprendersi il corpo per saziare appetiti ancor più abominevoli? Ebbe un altro conato che gli fece sputare un po' di bile. Mai più vodka. Mai più per almeno un mese. Cominciò a vestirsi mentre chiamava Greg per metterlo al corrente della situazione. «Ma sei suonato?» gli fece quello. «Mi ci vedi a recitare la parte del tenente Colombo con la famiglia Addams? E poi ho il torneo di beachvolley, quindi, spiacente, caro mio, ma non contare su di me per cercare bambine morte nel bosco.» «Greg!» «No e poi no! Lasciami perdere con questa storia, chiedilo a Gaëlle, lei sarà felicissima. Dici a quelli che è la mia socia ed ecco fatto. Beh, ti saluto, perché devo giocare fra un quarto d'ora e vincerò, amico mio!» Gaëlle... ma sì!
«Non sono molto sicura che sia una buona idea...» disse lei tamburellando le dita sul cruscotto della Floride che s'inerpicava lungo la costa in seconda. «Non abbiamo scelta.» «La gendarmeria mi sarebbe parsa un'opzione quantomeno preferibile. Si tratta comunque di una profanazione di cadavere. Voglio dire che c'è un autentico psicopatico nascosto da qualche parte...» «Credevo di essere io il nonnino pantofolaio.» «Chib, se questa bambina è stata sul serio assassinata e violentata, e adesso hanno rubato il cadavere, bisogna avvertire la polizia! Non stiamo parlando di Fantômette e Razibus che risolverebbero il caso in un battibaleno.» «Chi sarebbe questo Razibus?» «Lascia stare. Cazzo, ma hai gli occhi pesti! Che hai fatto ieri sera?» «Mi ero sempre detto che doveva essere deprimente uscire con un medico» sospirò Chib, strofinandosi il profilo del naso... «Bene, ricapitoliamo. Tu sei la socia di Gregory. Tuo padre era uno sbirro. Tu sei specializzata in casi che hanno a che fare con i bambini.» «E se lui mi chiede il tesserino?» «Primo, fino a nuove disposizioni di legge basta una semplice dichiarazione di attività fatta alla prefettura; secondo, la gente raramente pretende di vedere queste cose. Hai mai chiesto il diploma al tuo parrucchiere? Andrieu conosce la contessa Di Fazio che mi conosce e gli ha raccomandato Greg: è un ambiente che funziona per cerchi concentrici. E a questo proposito, tu sei discreta e beneducata. Estremamente beneducata» sottolineò lui. «Sì, capo. E tu, tu chi saresti? Il Gran Marabutto degli Oggetti Perduti?» Chib fece spallucce senza rispondere. Non poteva scuotere la testa, gli faceva troppo male. Va bene, stavano cazzeggiando. Va bene, bisognava avvertire la polizia. E ok, lui non l'avrebbe fatto. Andrieu stava in piedi davanti alla cappella, i lineamenti del volto tirati, gli occhi gonfi e arrossati, la tuta bianca chiazzata di sudore e di polvere. Chib, stretto nel suo miglior completo antracite, fece le presentazioni, pregando che il suo alito non tradisse la sbronza che si era preso. «Gaëlle Holzinski. La socia di Donatello. Purtroppo è stato trattenuto in Italia, ma Gaëlle si occupa in particolare di tutto ciò che riguarda i bambini.» «Non stiamo cercando un pedofilo, per la miseria!» ringhiò Andrieu
mentre stringeva la mano di Gaëlle, molto elegante in un abito La City beige e rosa preso in prestito dalla sua vicina del campus. «Cerchiamo un individuo di sicuro molto disturbato che ha profanato la tomba di una bambina» gli replicò Gaëlle col suo miglior accento NeuillyAuteuil-Passy. «Cosa è successo esattamente?» «Sono venuto qui verso le undici e mezza per... per salutarla e... e lei non c'era più!» Sembrava sul punto di scoppiare in singhiozzi. Con un gesto rabbioso spinse i battenti della porta della cappella, rivelandone l'interno scuro e fresco. Il feretro vuoto troneggiava sopra l'altare. Gaëlle si avvicinò con passo deciso, seguita da un Chib nauseato. «La porta della cappella non era chiusa a chiave?» s'informò lei mentre esaminava la bara di vetro. «No. Ma come immaginare che... se soltanto...» «È normale, lei non ha nulla da rimproverarsi» disse chinandosi su una striscia di goccioline rapprese. Volgeva la schiena ad Andrieu, e Chib la vide tirar su col naso e fare una smorfia. Si raddrizzò, esaminando l'ambiente. Sembrava che avesse fatto sempre quel lavoro, si disse Chib con ammirazione. Un'autentica figlia di sbirro. «Ha per caso trovato tracce di passi?» «Sulla ghiaia? Impossibile.» «Qualcosa fuori posto? Si sono portati via degli oggetti?» «No, nulla. Era tutto come al solito, salvo... salvo questo! Hanno spostato la cassa e...» «Dove si trovava in realtà?» «Lì, sui Cavalletti, al lato di San Francesco d'Assisi.» Andrieu indicò una bella statua in legno policromo. Chib si chiese perché avevano messo la cassa di vetro sull'altare. Un'intenzione blasfema? «Sua moglie ne è al corrente?» stava dicendo Gaëlle. «Sì. Insomma, non so. Gliel'ho detto, ma... lei aveva preso la sua Mepronizine e si è riaddormentata.» «E i suoi figli?» «Charles mi ha sentito telefonare a Moreno.» Moreno. Ma sì, lasciamo perdere il "monsieur". «Sarebbe forse meglio che non dicesse nulla ai fratelli e alle sorelle» fece osservare Gaëlle...
«È quel che gli ho detto. Non riesco a capire» riprese lui stringendo i pugni. «Non riesco a capire!» «Lei ha dei nemici?» «Dei nemici?» «Qualcuno che la odia? Dei vicini incattiviti? Dei concorrenti sfortunati?» «Non che io sappia. E francamente, se pensate che un piccolo speculatore di Borsa possa venire a rubare il corpo di mia figlia per vendicarsi di un'OPA qualunque...» «Monsieur Andrieu, non ci sono che due soluzioni» asserì Gaëlle con voce chiara e posata. «O abbiamo a che fare con l'azione appositamente preordinata di una persona che odia lei o la sua famiglia, oppure abbiamo a che fare con un folle. Ma dovrà ammettere che ci sono scarse probabilità che un folle passi proprio per la sua cappella privata e decida di sottrarne il corpo di sua figlia.» Andrieu la squadrò per un istante in silenzio, le sopracciglia aggrottate. «Quel che ha appena detto è terribile. Lei ha appena sostenuto che qualcuno mi odia al punto tale da compiere un atto così barbaro!» Gaëlle scosse la testa, quindi posò brevemente la mano sul polso di Andrieu. «Io credo che sia un fatto molto grave, monsieur Andrieu. Io credo che lei dovrebbe avvertire la polizia.» «Non ancora! Mia moglie è già sufficientemente sconvolta... Se dovessimo... se mai... delle foto sui giornali, lo scandalo... questo per lei sarebbe il colpo di grazia. Voi sapete bene che la stampa è sempre al corrente di... delle notizie più morbose» aggiunse lui con una smorfia di disgusto e di rabbia assieme. «Ci sono cose che non devono uscire dalla ristretta cerchia familiare» concluse in un sussurro. «Come vuole lei» replicò la ragazza senza battere ciglio. «Bene. Come si esce dalla villa? Voglio dire, oltre che dal cancello? Perché suppongo che qualcuno lo avrebbe altrimenti sentito aprirsi e richiudersi. Ho notato che cigola parecchio.» «Sì, credo che Aïcha lo avrebbe sentito, ha il sonno leggero e la sua stanza è nell'ala della villa più vicina al cancello.» Pareva stesse riflettendo intensamente. «A sinistra, la tenuta confina con quella dei Labarrière» riprese. «E finisce al fiume. Dall'altro lato, abbiamo gli Osmond, dai quali siamo separati da un muretto in pietra alto due metri.»
«La cosa più pratica sarebbe stata dunque scendere fino al fiume, attraversarlo e...» Gaëlle lasciò la frase in sospeso. «Ritrovarsi sulla D9» completò Andrieu stringendo le mascelle. «La D9 che è sempre deserta di notte.» «Quando è entrato nella cappella l'ultima volta?» La domanda era mal formulata, si disse Chib, ma Andrieu capì perfettamente ciò che voleva dire Gaëlle: "Quand'è l'ultima volta che ha visto Elilou?" «Ieri sera, verso mezzanotte. Non riuscivo a dormire. Abbiamo giocato a scacchi io e Louis-Marie, poi ho cercato di leggere qualcosa, ma... Era così bella, pareva che stesse dormendo, solo dormendo...» Bella quanto un bue sul banco di un macellaio, bella quanto un vampiro che si è fatto di formalina, yeah man! «Papà!» Apparve Annabelle, con l'eterno giochino in mano, il viso imbrattato di salsa. «Mamma è caduta!» disse, con aria sconvolta. «Merda!» si lasciò sfuggire Andrieu. «È venuta a trovarci in cucina, ha salutato Colette, e poi ha fatto così...» Annabelle si portò le mani al volto e alzò gli occhi al cielo. «...e poi è caduta e Colette ha detto di venirti a chiamare.» «Arrivo.» Era già fuori, con Annabelle che gli correva a fianco cercando di prendergli la mano, ma lui non la guardava nemmeno. Gaëlle si fece sfuggire un fischio. «C'è tanta energia elettrica dentro a quell'uomo quanta dentro un cavo ad alta tensione! Ho l'impressione di avere tutti i capelli dritti.» Chib assentì, distrattamente, bruciando dal desiderio di correre da Blanche svenuta. «Vedo che la cosa ti sta appassionando» gli fece lei. «T'interesserebbe di più se ti dicessi che il ladro di cadaveri ha pisciato sopra la bara?» Lui sussultò. «Ah! "Chib Moreno, la resurrezione!"» ironizzò lei. «Vuol dire che chi ha fatto tutto questo odiava la piccola?» «Forse.» «Ma se la odiava, perché portarsi via il corpo?» si ostinò Chib. «Per distruggerlo, smembrarlo, mangiarlo, non ne ho idea, ma di sicuro
per qualcosa di molto brutto. A dire il vero questa cosa mi fa una strizza» concluse lei, andando verso l'uscita della cappella. Chib si avvicinò all'altare, alla bara profanata. Nessuna cicca di sigaretta, nessun pezzetto di carta fortunosamente caduto dalla tasca, anzi di agenda o di patente malauguratamente smarrite, nemmeno il tradizionale bottone della giacca di tweed confezionata solo da X, che, coincidenza, tiene un registro con tutte le false identità dei suoi clienti serial killer... no, solamente il pavimento consumato, in cui l'erba cresceva fra gli interstizi sconnessi. All'improvviso notò, per la prima volta, la lapide in marmo bianco, sotto la statua di San Francesco. Una piccola lapide rettangolare, pulita, in buono stato, che recava incise sulla pietra queste semplici parole: "Leon Henri Enguerrand Andrieu - 17 gennaio 1991-23 luglio 1992. Riposi in pace". C'era dunque una tomba di famiglia. Si abbassò, guardò sotto l'altare. Scuro e polveroso. Andò avanti con la testa e un geco gli schizzò sotto il naso, provocandogli quasi un infarto. Si rialzò, furente per aver avuto paura. «"Gesù che la mia gioia dimori..."» Un altro colpo. Sonoro stavolta. L'organo risuonava potente fra le spesse mura. L'organo? Non ce n'era. Si girò su se stesso. La Cantata BWV 147 di Bach seguitava a sgranare le sue note, con le sue terribili parole di gioia. Individuò un altoparlante vicino a un pilastro. Seguì il cavo fino al minilettore ed incastonato in una piccola nicchia, vicino alla porta d'ingresso. La raggiunse con due balzi. La lucetta verde del "play" era accesa. Premette "stop", tornò il silenzio. Qualche cd. Bach, il Requiem di Mozart, Tesori della musica barocca... Chi aveva acceso lo stereo? Uscì. Nessuno in vista. Dov'era finita Gaëlle? «Toh, ancora qui, lei?» Cordier, in piedi accanto a una Volvo verde, lo fissava senza particolare simpatia, la valigetta in mano. «Blanche sta meglio?» fece il dottore incamminandosi verso la casa. «Mah, non saprei...» Cordier alzò le sopracciglia e poi le spalle prima di infilarsi nella bastide da cui usciva in quell'istante Gaëlle. «È distesa sul canapé in salone» gli comunicò lei. Quindi, rivolgendosi a Chib: «Trovato niente?»
«No. Sei tu che hai messo un cd nella cappella?» «Un cd? Sì, ma certo. Mi sono detta: "Toh, visto che non abbiamo niente da fare, perché non ci mettiamo tranquilli ad ascoltare l'ultimo di Manu Chao?"» «Qualcuno ha messo su un cd. Bach.» «E allora?» «E allora?! E allora io non ho visto nessuno, nessuno ha parlato, solo che qualcuno è entrato senza far rumore e ha messo quel cazzo di disco mentre io rovistavo sotto l'altare!» «Tu mi stai diventando nervosetto.» «Nervoso?! Non sono nervoso, semplicemente fra poco ti strangolo se continui ad avere quell'aria di superiorità.» Appoggiò la punta delle dita contro la fronte, le fece scrocchiare: «E Blanche?» «Ha ripreso conoscenza. Ha chiesto dov'era Elilou, e poi ha cominciato a sbattere la testa contro il muro.» Chib chiuse gli occhi. Visione di un'ambulanza che porta Blanche verso la notte senza stelle dell'ospedale psichiatrico. «E che facciamo adesso?» chiese Chib con rabbia alla Volvo del dottor Cordier. «Facciamo schioccare le dita per far riapparire il corpo?» «Andiamo al fiume.» «Stai pensando a Ofelia? Una macabra messa in scena?» chiese Chib con gli occhi spalancati. «Penso che il ladro sarà pur andato da qualche parte col suo bottino.» «Vado da Blanche un momento. Ti raggiungo.» Lei sospirò. Lui arrossì. Cordier si rialzò, con una siringa in mano. Andrieu teneva quella di sua moglie, abbandonata, gli occhi chiusi, la tempia sinistra rossa e gonfia. «Diventerà blu, poi gialla, niente di grave» disse Cordier. «Ma penso che dovremmo farla seguire.» Andrieu fece un gesto di diniego. «Cordier, è normale che ceda, con tutto... tutto questo.» «Lo so, ma sta cominciando a diventare pericolosa per se stessa. Le lascio il numero di uno bravo» proseguì quello frugando nella cartella sformata... «Quello che si è occupato di Noémie?» s'informò Andrieu. «Mmm. Tenga. Lo chiami senz'altro.»
Senza aggiungere altro, si diresse a grandi passi verso la porta finestra nel vano della quale stava Chib, a disagio, e uscì, senza salutarlo, come andasse di fretta. Blanche ebbe un sussulto, le palpebre si contrassero, la mano strinse quella di Andrieu, che le carezzava la fronte. Vattene, Chib, guardali mentre si amano e fila via in fretta. Riuscì fuori, a testa bassa, intoppando in una camicia blu scuro. Charles. «Mamma sta meglio?» «Sì, è venuto il dottore.» «Lo so, l'ho visto andar via» rispose il ragazzo i cui occhi erano all'altezza dei suoi. Occhi di un blu molto scuro. Ostili. Scrutatori. «Hai parlato di me con Noémie Labarrière?» s'informò Chib, bruscamente. «Ci diamo del tu?» gli replicò Charles. Due occhi insolenti. «T'ho fatto una domanda.» «Perché avrei dovuto parlare di lei?» «Dunque, lei ha mentito.» Charles abbozzò un sorriso. «Tutti mentono... Lei non mente mai? Farebbe meglio a ritrovare mia sorella invece di ascoltare le chiacchiere. Dubois dice che i pettegolezzi sono la porta aperta sulle brutture dell'anima.» E tu, a chi apri la tua porta, eh?! si disse Chib mordendosi le labbra. «Charles! Vai a prendere un bicchiere d'acqua fresca per tua madre, per favore.» «Sì, papà.» Si scansò con un saluto disinvolto. Chib si sforzò per prendere un bel respiro. Non lasciarsi destabilizzare. Tornare alla situazione attuale. Charles aveva visto Cordier. Charles si trovava dunque nel parco? Uscì per osservare il luogo. Il capanno degli attrezzi del giardiniere gli balzò improvvisamente agli occhi. Mezzo nascosto dietro un eucalipto secolare. Ne stava uscendo un uomo, a torso nudo, in calzoncini di tela beige. Lunghi muscoli affusolati. Capelli neri legati a coda di cavallo. Un viso segnato, dagli occhi sorprendentemente chiari. Costa, il giardiniere? Sicuro. Portava un tubo per innaffiare sulle spalle abbronzate. Non guardava né Chib, piazzato in mezzo alla corte, né la casa.
Charles che esce dal capanno del giardiniere? O Charles e il cd misterioso? Mordicchiandosi le labbra, girò intorno alla piscina su cui non galleggiava nessuna foglia morta per raggiungere Gaëlle. Un piccolo sentiero correva attraverso la pineta, lungo una siepe di ligustro dietro la quale si sentiva il sibilo di un arganetto idraulico. Percorse un centinaio di metri prima di scorgere Gaëlle, china sul terreno tappezzato di aghi di pino, l'aria corrucciata. «Trovato niente?» «Nulla. Non sono mai stata troppo brava a seguire una pista nel bosco.» «E il fiume?» Lei indicò l'argine dietro di sé. Chib si avvicinò. Un fiumiciattolo sinuoso si addentrava sotto i salici piangenti. Alcune rocce affioranti permettevano di raggiungere facilmente l'altra riva, un po' più scoscesa, cosparsa di echinati. «Mica facile arrampicarsi senza aggrapparsi ai rovi» fece osservare lui. «Uhf. Basta fare attenzione.» Lui si girò verso di lei: «Ascolta, tutta questa storia non regge. Un tipo arriva qui. Ruba il corpo di una bambina. E se la squaglia in macchina? Per portarlo a casa sua? Ti immagini, un minimo controllo degli sbirri...» «Chib, se la gente facesse questo genere di ragionamenti non farebbe poi tutte le cazzate che si leggono sui giornali, no?» Lui scrollò la testa: «Se chi ha fatto tutto ciò lo ha fatto per odio verso Andrieu, il corpo verrà fuori di nuovo. Mutilato, sfigurato, quello che ti pare, ma riapparirà, per fargli ancor più del male!» «Spero proprio di no» sospirò Gaëlle, le mani sui fianchi... «Ah, tu preferiresti che fossimo in presenza di un necrofilo che ha deciso di fare di Elilou la sua fidanzatina eterna?» «Io non preferisco un bel niente. A dire la verità, quel che preferirei sarebbe tornare a otto giorni fa, quando non ti conoscevo.» «Eppure tutto questo sembrava eccitarti parecchio, fare la parte dei poliziotti dilettanti, e tutto il resto. Sei tu che mi hai spinto in questa direzione, o no?» s'innervosì Chib sforzandosi di non alzare il tono. «Ok, mi sono sbagliata, ti sta bene?» Gaëlle si passò la mano fra i folti ricci castani sospirando. «Lo vedevo come un gioco, e adesso... Andrieu aveva un'aria talmente
sconvolta...» Un fruscio. Sottile. Chib si irrigidì. Scricchiolio di rami secchi. «Esaminiamo un po' la riva del fiume» riprese lui chinandosi verso il terreno erboso. Ancora quel fruscio. Qualcuno si stava nascondendo nei cespugli, si disse Chib, il cuore che batteva. Fece due occhi tanti in direzione di Gaëlle per avvertirla. Lei fece spallucce. «A che stai giocando? Non mi sembra il momento di fare l'imitazione di Armstrong! A volte, sinceramente, mi chiedo se per te non stia iniziando la fase del rimbecillimento senile!» Scricchiolio, fruscio. Lì, a sinistra. E quell'idiota di Gaëlle che insiste con le sue pessime battute. Chissà che la canna di una pistola non sia magari puntata su di loro? Chib si portò meccanicamente le mani fra i capelli a spazzola. A meno che... il corpo di Elilou buttato dietro un cespuglio? Smangiucchiato da una volpe che ne ha fatto razzia? O dei topi? Piccoli denti di topolini di campagna piantati nella carne rigida? Si chinò di nuovo, seguendo una pista immaginaria. Gaëlle sospirò. «Non sei divertente, Chib!» Lui s'immobilizzò vicino al cespuglio, mentre il sudore gli colava lungo la schiena. Difficile sapere fino a che punto uno sia pauroso prima di avere l'occasione di avere paura, eh, caro vecchio Chib? Qualcuno stava respirando. Qualcuno respirava dall'altra parte di quei fottuti folti rami. Chib si voltò ancora una volta verso Gaëlle che contemplava il fiume con aria fremente e cocciuta. Così, senza averlo deciso. Chib, il leopardo delle ville provenzali. Non sentì i graffi dei rovi. Colpì una massa che emise un urlo sconvolto, travolse un corpo che tentò subito di schiacciare sotto di sé, afferrò una manciata di capelli biondi e strappò violentemente prima di raggelarsi. «Razza di pazzo furioso!» Winnie la Bagascia lo guardava, ansimante, gli occhi di fuori, le labbra carnose a cinque centimetri dalle sue. «Che sta succedendo?» Spuntò fuori Gaëlle. Chib si rialzò, spolverandosi i pantaloni mentre Winnie si metteva a sedere lentamente, una mano fresca di manicure di traverso nella canotta di seta verde. «Ho sentito dei rumori, ho pensato che...» «Lei mi è saltato addosso! Avrebbe potuto... potuto spezzarmi una gamba!»
«Chi è lei e cosa faceva dietro questo cespuglio?» le chiese bruscamente Gaëlle. «Stavo facendo una passeggiata. È proibito?» «Lei è in una proprietà privata.» «Esattamente, sono da degli amici, i Labarrière.» «No, spiacente» la corresse Gaëlle. «Qui si trova dalla parte degli Andrieu.» «Conosco altrettanto bene gli Andrieu e non credo che starebbero a cavillare per un maledetto cespuglio di more!» ringhiò Winnie alzandosi a sua volta. «Gaëlle, ti presento Winifried» s'intromise Chib. «La fidanzata di Rémi Chassignol» aggiunse ossequioso. «Questo non spiega cosa stava facendo nascosta là dietro, a spiarci...» proseguì Gaëlle con tono secco. «Io piuttosto mi stavo chiedendo cosa voi stavate combinando!» protestò la ragazza. «Io non vi stavo affatto spiando! All'inizio ho creduto che eravate venuti qui a cercare un po'... d'intimità... e poi ho inteso la vostra conversazione, mi ha incuriosito, ecco tutto!» concluse lei, esaminandosi le lunghe unghie arancione vivo. «Chassignol è a pranzo dai Labarrière?» chiese Chib, tanto per distendere l'atmosfera. Winnie si oscurò in viso. «No, ero venuta giusto a fare un saluto.» Sta mentendo, si disse lui. Ma perché? A che scopo? Winnie guardò l'orologio, un Twenty 4 ornato di brillanti. All'improvviso terribilmente di fretta. «Oh cielo! Devo andare. Bye bye!» Stava già balzando con agilità sui massi, quasi avesse indossato delle espadrillas piuttosto che delle scarpette, e risaliva il pendio rivolgendo loro un salutino cordiale. «Perché se ne sta andando da quella parte?» borbottò Gaëlle. «Non ti pare a posto, neanche a te?» «Difficile essere più vaghi, se vuoi sapere il mio giudizio. Non è il genere di ragazza che uno s'immagina andar per funghi ascoltando il canto delle cinciallegre. Se non mi sbaglio, la sua specialità è piuttosto la caccia al piccione, o no?» «Rimango sempre sbalordito dalla velocità con cui una donna scopre la cortigiana che c'è in un'altra donna!»
«"Cortigiana", come sei carino! Nessuno parla più così, nonnino!» «Ciò non toglie che sia stato il nonnino a scovare la Winnie. Una Winnie senza il suo Chassignol, ma magari a caccia di Labarrière...» concluse Chib pensieroso. Gaëlle seguiva con lo sguardo il pendio erboso. «Potrebbe forse essere coinvolta nella faccenda di cui ci stiamo occupando?» «Non lo so» confessò Chib. «Mi sembrerebbe poco probabile. Winnie la Bagascia complice dell'Assassino Violentatore Ladro di cadaveri? Non ce la vedo una donna implicata in una storia così.» «Macho!» fece Gaëlle con una smorfia beffarda. «Forse» concesse Chib, irritato. «Ma ce la vedi, tu, una donna che se ne va a zonzo col cadavere di una bambina? Che aiuta un uomo a fare una cosa del genere? Non ci credo. È un atto da uomo. Da maschio.» «Ah! Senti, senti, ecco a voi la grande teoria di Léonard Chib Moreno sugli atti con le palle e gli atti vaginali!» «Proprio così. Esempio: io ho voglia di rifilarti un ceffone mentre tu colpisci con la lingua.» «Non mi pare che ti dispiaccia sempre...» Si avvicinò e gli piantò un bel bacio sulla guancia. Quindi riacquistò quell'aria preoccupata. «Propongo di tornare alla Floride e di farci un giro sulla D9.» «Ok.» Tornarono lentamente indietro, persi nei loro pensieri. «Aspetta!» disse di colpo Chib. «E se facessimo un giro dai Labarrière? Tanto per verificare le frottole di Winnie. Potremmo benissimo esserci persi anche noi nel bosco.» Gaëlle scosse la testa e insieme superarono la siepe con la sensazione di commettere un delitto. La parte dei Labarrière e quella degli Andrieu si assomigliavano come due gocce d'acqua. Dei pini perfettamente sfrondati, qualche olivo ben potato, boschetti di oleandri e un prato ben tosato e una grande piscina turchese bordata di lastre rosate. Si sentiva il battere ritmato che produceva il nuotatore che fendeva l'acqua ad andatura sostenuta. Si avvicinarono. «Non ci sono cani?» chiese Gaëlle a bassa voce. «Ne avevano uno. Lo sto impagliando.» «Stai diventando davvero il beniamino del jet-set, a quanto pare!» «Ehi, ehi» fece Chib senza risponderle. «C'è nessuno?»
Schizzi. Silenzio. Poi una testa emerse dalla piscina. Labarrière, ansimante, i radi capelli incollati al cranio. Un torso massiccio, coperto da riccioli grigi. Si tirò su dal bordo con la forza dei bicipiti. «Cosa diavolo ci fa lei qui?» «Ci scusi, stavamo facendo una passeggiatina, abbiamo sbagliato strada» spiegò Chib. «Le presento Gaëlle, la mia fidanzata.» «...cere. Mia moglie non c'è» fece Labarrière afferrando un grande asciugamano di spugna blu scuro. «Lei non è per niente freddoloso!» osservò Gaëlle con ammirazione. L'uomo accennò un sorrisetto modesto e soddisfatto. «No, non molto. Cerco di nuotare tutti i giorni, da febbraio a novembre. Siete stati a pranzo da Andrieu?» aggiunse frizionandosi il petto. «Ehm, solo un bicchiere» rispose Chib. «Mme Andrieu ha avuto un lieve malessere. Beh, non vogliamo disturbarla ancora» si affrettò ad aggiungere. «Dica a sua moglie che mi sto occupando di Scotty: sarà pronto dopodomani.» «Povero vecchio cane!» mormorò Labarrière infilandosi un grosso accappatoio abbinato all'asciugamano. «Costa mi ha detto che la stessa cosa era appena successa alla bassottina dei Doglione, dall'altra parte della collina. La legge delle serie...» «Costa? Il giardiniere degli Andrieu?» s'informò Chib con aria anodina. «Hmm. Viene a fare delle riparazioni da noi, il nostro vecchio Luigi non è più molto in forma. E Costa lavora anche per i Doglione. È davvero un gran lavoratore, vuole guadagnare abbastanza per poi andarsene in pensione in Portogallo. Fra cinque anni. Si fa una casa laggiù.» «Bello...» borbottò Chib di rimando. «Bene, noi andiamo. Buona giornata.» «Grazie. Faccio uno squillo a Jean-Hugues e avverto mia moglie per Scotty. Arrivederci, mademoiselle.» Sorrise a Gaëlle, petto in fuori, le mani nelle tasche del suo lussuoso accappatoio. Cinque minuti dopo, non erano più a portata di voce. «Era solo, senza la moglie!» sussurrò Gaëlle. «In slip, nella piscina» sogghignò Chib. «Con quella Winnie come invitata a sorpresa.» «Stai pensando quello che penso io?» «Lo penso!»
Capitolo 11 Erano tornati nella corte inghiaiata dove Aïcha stava passando con un grande cesto di vimini sotto il braccio. «Greg ha vinto! Gli hanno dato la coppa!» esclamò lei vedendoli. Si avvicinò e aggiunse a voce bassa: «Mi ha detto, a proposito della piccola. L'avete ritrovata?» «No» mugugnò Chib. «Andrieu ti ha parlato di qualcosa?» «Di nulla. Ufficialmente, Blanche ha avuto un malessere, è tutto. Ho fatto una fatica del diavolo per impedire a Belle-Mamie di accamparsi ai piedi del letto coi suoi ricami. Ma li ho sentiti litigare. Lei ha rimproverato Andrieu per avervi chiamato. L'ha trattato da irresponsabile. Ha detto che avrebbe telefonato al comandante non so chi, un amico di suo marito, e Andrieu le ha urlato che era una cosa fuori discussione, che doveva tornarsene in camera sua, e punto. Bell'ambientino, eh.» «E i bambini?» chiese Gaëlle. «Inchiodati davanti a Fourmiz nella sala della tivù. Vado alla lavanderia» spiegò lei indicando la biancheria nel cesto. «Meglio non perdere tempo, visto che sono già abbastanza nervosi.» Se la svignò rapidamente, curva sotto il peso della biancheria. Loro si avvicinarono, buttarono un occhio nel salone ocra. Nessuno. Avanzarono sul lastricato. Chib tossicchiò. Frammenti di dialoghi allegri e scoppi di voci infantili sprizzavano da dietro una porta chiusa. La sala tivù, di sicuro. Passarono in un altro salone, con un grande caminetto, profondi divani inglesi di cuoio, tavolo da biliardo e biblioteca a muro alta fino al soffitto. Vecchi marinai alle pareti. L'impressione di entrare in una scenografia vista mille volte nei film. Mancava solo il fedele valletto, dall'aria impassibile e dall'accento inglese. Una scacchiera su un tavolino rotondo vicino alla finestra. Andrieu era chino sugli scacchi e li contemplava in silenzio, gli avambracci poggiati sulle ginocchia. «Ci scusi...» esordì Gaëlle. Andrieu sollevò lentamente la testa, come qualcuno profondamente assorto nei suoi pensieri, e si alzò altrettanto lentamente. «Suppongo che non abbiate trovato nulla» buttò lì. «Paul Labarrière mi ha chiamato per avere notizie di Blanche. M'ha detto che siete passati da lui.» «Abbiamo seguito il sentiero fino al fiume, senza risultato» rispose Gaëlle con un sospiro.
«Ci siamo imbattuti in Winifried» aggiunse Chib... «Winnie?» Andrieu li fissò, un sopracciglio alzato. La palpebra sinistra fremette. «Sì, era in visita dai Labarrière» spiegò Chib con la sua aria innocente. «Doveva aver parcheggiato sulla D9, se n'è andata dal bosco.» Andrieu aprì la bocca, la richiuse. Le parole di Chib fluttuavano nel salone con la loro puzza di assurdità. Perché diavolo parcheggiarsi su una provinciale, avanzare a fatica in un bosco pieno di rovi e attraversare un fiume per far visita a degli amici la cui villa possedeva evidentemente un accesso diretto? Soprattutto quando una è una ragazza graziosa e coi tacchi alti. «Questa Winifried è l'amante del suo vicino?» chiese senza mezzi termini Gaëlle col suo tono più professionale. «Winnie? Con Paul?!» balbettò Andrieu. «Ma no, certo che no! I Labarrière sono degli amici, andiamo, e Winnie è la... fidanzata del mio socio, Rémi Chassignol.» «E non c'è alcuna controversia fra lei e questo Chassignol?» «Chass... ma cosa va immaginando? Conosco Rémi da più di vent'anni!» «Anche Abele conosceva Caino» si limitò a rispondere freddamente Gaëlle. «È ridicolo.» «Jean-Hugues!» lo interruppe all'improvviso una voce autoritaria. «Oh! Sei occupato, non sapevo...» Belle-Mamie era sulla soglia, in tailleur grigio-blu a doppia abbottonatura, un ricamo in mano. «Sì, mamma?» Lei si fece avanti, fissando i visitatori con occhio inquisitore, e li salutò brevemente. «Monsieur Moreno, mademoiselle...» «Holzinski» disse Gaëlle. «Hai bisogno di me, mamma?» interruppe Andrieu. Il tono voleva dire chiaramente: "Mi stai disturbando." Ma, lungi dal battere in ritirata, quella avanzò ancora. «Dubois è qui» annunciò con tono risoluto. «Sono occupato. Vi raggiungo fra un quarto d'ora.» «È al corrente» aggiunse Belle-Mamie, con tono di sfida. «Che cosa...! Perché gliene hai parlato?» «Tutti questi misteri non servono a nulla, Jean-Hugues.»
«Mamma!» "Non si lavano i panni sporchi in piazza, andiamo!", tradusse fra sé Chib. «Dubois ha sempre dato buoni consigli» argomentò Belle-Mamie, affrontando gli occhi arrossati di dolore di suo figlio. «Me ne infischio, capito?» ringhiò quello. «Sono io che prendo le decisioni dentro casa mia, capito!» Lo squadrò con fare severo: «Non ti innervosire così, è puerile. E non risolve nulla. Dopotutto si tratta pur sempre di mia nipote, mio caro.» Andrieu nascose un attimo il viso fra le sue grandi mani, poi scosse la testa. «Fallo entrare» capitolò improvvisamente. Reprimendo un sorriso di trionfo, Belle-Mamie riaprì la porta a doppio battente e chiamò il sacerdote che subito entrò. Portava il solito abito grigio scuro e sfoggiava dei sottili baffi assortiti, che accentuavano quella sua aria da donnola. Dubois salutò con la testa, avanzò fino a Jean-Hugues al quale strinse le mani fra le sue. «Una terribile prova, una nuova terribile prova» gli sussurrò con compassione. Andrieu si liberò. «Qualcuno vuol bere qualcosa?» domandò prendendo una bottiglia di Glenfidish nel mobiletto bar a vetri. Chib e Gaëlle fecero di no con la testa, Belle-Mamie sospirò esasperata e Dubois rifiutò con la mano, impaziente: «No, grazie. Ebbene, a che punto siamo?» Andrieu si versò un dito di whisky prima di fargli il sunto della situazione. Dubois ascoltava, sopracciglia aggrottate, carezzandosi i baffi sottili con la punta dell'indice. «Un atto empio. Una volontà blasfema!» dichiarò convinto appena Andrieu ebbe concluso il suo breve racconto. «È così, un complotto di matrice islamica» sghignazzò quello servendosi un secondo dito di whisky. «Non ho detto questo» protestò Dubois. «Ma abbiamo a che fare con un'anima estremamente disturbata.» «Un indemoniato?» Belle-Mamie aveva l'aria perplessa...
«Un indemoniato!» sputò Andrieu. «È tutto chiaro!» Vuotò il bicchiere con gesto rabbioso. Dubois fece spallucce. «Sei sempre stato un materialista, Jean-Hugues. Ma non si può ridurre tutto al denaro.» «Che c'entra con mia figlia?» Dubois riunì Andrieu, Chib e Gaëlle con un gesto del braccio: «Voi state cercando una spiegazione razionale a un atto che rientra in un altro tipo di coscienza.» «Devo far venire un esorcista, è questo che vuoi dire?» chiese Andrieu, sempre in tono sarcastico. «Io sono abilitato a praticare l'esorcismo superiore» lo interruppe Dubois. «Per questo so di cosa parlo.» «Tu? Ma tu non ce ne hai mai...» «Non è certo il genere di cose che uno grida ai quattro venti. Non è né un soggetto di conversazione né una cosa divertente, Jean-Hugues. È un rito terribile, terrificante.» Gaëlle osservava il prete, affascinata. Pareva d'improvviso invaso da una forza interiore che faceva brillare i suoi piccoli occhi grigi. Chib si disse che stava diventando di colpo più grande e più... potente, sì, potente era la parola... Ci fu un momento di silenzio, durante il quale tutti si guardarono. Un silenzio improvvisamente rotto da un urlo. «DOV'È?» Blanche era nel vano della porta, vacillante, una mano sulla cornice, avvolta in una vestaglia di raso bianco mezza sbottonata che lasciava intravedere una camicia da notte in cotone écru, i capelli sugli occhi. L'ematoma sulla tempia virava al blu scuro. «DOV'È MIA FIGLIA?» «Blanche, mia cara...» «Perché non mi hai detto niente? Perché?!» Lei fece un passo verso di loro, mancò poco che cadesse, si aggrappò allo schienale di una poltrona. «Mi sono svegliata, l'avevo sognata, mi chiamava, voleva che andassi da lei, aveva freddo, tanto freddo, capisci... Mi sono alzata, sono andata fino alla cappella, e... LEI NON C'ERA! Che cosa ne hai fatto? Con quale diritto?» «Blanche! Non sappiamo dove sia. Qualcuno ha...»
Andrieu s'interruppe, incapace di proseguire. «Qualcuno ha rubato il corpo» terminò Dubois al posto suo avvicinandosi a Blanche. Lei lo fissò, incredula. Si girò verso sua suocera, poi verso Chib. «È assurdo!» articolò lei con voce impastata. «Completamente assurdo.» «Suo marito ci ha incaricato di indagare» spiegò Gaëlle. «Faremo tutto il possibile.» «Indagare? Ma lei ha freddo, non capite?! Bisogna portarle un cappotto.» «Le medicine...» spiegò Andrieu in un sussurro. «Sta delirando. Bisogna riportarla a letto.» «Me ne occupo io.» Belle-Mamie abbracciò Blanche che si dibatteva debolmente. «Vieni mia cara, vieni...» Passarono accanto a Chib, sconcertato. Blanche puzzava indubitabilmente di alcol. Lei gli rivolse uno sguardo smarrito, lui vide la mano tremante accennare il gesto di afferrare la sua, no, non ora! poi ricadere sul fianco, mentre la suocera la trascinava fuori dalla stanza sussurrandole vaghe parole di conforto. «Noi proseguiamo le nostre indagini» disse Gaëlle volgendosi verso Jean-Hugues. «Molto bene» borbottò quello, lo sguardo fisso sulle due donne che si allontanavano. Anche Chib e Gaëlle uscirono a loro volta, mentre Dubois diceva ad Andrieu: «Dovremmo pregare. La preghiera è forza, la preghiera è speranza.» «La preghiera è un'illusione!» gli replicò Andrieu. «A che diavolo sono servite tutte le tue preghiere?!» «"Credo in un solo Dio, Padre Onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili...".» «Decisamente, sono stati tutti colpiti!» commentò Gaëlle sbucando fuori all'aria aperta. «Pareva una riunione di psicopatici in un film dell'orrore anni Cinquanta.» «È vero che all'inizio sorprende un po'» le concesse Chib. «E il prete? Dovrebbe piuttosto recitare il ruolo di Satana, mi fa una paura. E la tua Blanche! Una evasa dal manicomio! Il povero Andrieu è l'unico ad avere un'aria normale.»
«Blanche è imbottita di calmanti, ha appena perso sua figlia, avrà pure il diritto di perdere un po' le staffe, no?!» Chib si sentiva invadere dalla rabbia. «Non mi venire a dire che quella donna si trova in quello stato solo a causa della morte di sua figlia» gli replicò Gaëlle. «Sa di nevrosi cronica lontano un miglio. Ed è pure alcolizzata. Ne ho visti un sacco all'ospedale.» Chib le voltò le spalle senza rispondere. Ok. Blanche diceva un sacco di scempiaggini, ok, era malata, e allora? Cosa sapeva mai della vita, Gaëlle, a parte le illusorie certezze della sua giovinezza? Chib si diresse verso la cappella, sentendo con piacere le suole delle scarpe schiacciare i sassolini di ghiaia. Si sentiva in collera col mondo intero, un mondo che permetteva che si violentassero e uccidessero delle bambine, che si rubasse il loro cadavere, un mondo che permetteva che il vile Chib Moreno non accennasse un solo gesto verso la donna di cui era innamorato, malgrado il suo evidente sconforto, perché suo marito è a due passi e perché lui crepa dalla paura, il codardo Chib Moreno, il re dell'adulterio cotto e mangiato. Cazzo! Blanche stava colando a picco e lui se la faceva sotto nelle mutande! Spinse i battenti della vecchia porta intagliata senza neanche pensarci. Il gesto era piacevole: spingere. Buttare le braccia in avanti. Colpire quella fottuta porta innocente. I battenti si schiusero docilmente ed egli fece un passo in avanti. Uno soltanto. Perché il secondo restò come in sospeso, stranamente inchiodato, quasi che avesse urtato un muro invisibile. Il muro invisibile che gli impedì per un lungo istante di dire qualcosa su ciò che vedeva. Elilou era tornata. Ecco cosa gli stava dicendo il suo cervello, inebetito. Elilou era tornata. Ma non nella sua bella bara di vetro da racconto delle fate, non nel suo bel feretro, no. Era crocifissa sopra l'altare, a testa in giù. Crocifissa sulla grande croce di legno da cui era stato schiodato il Cristo policromo. Il Cristo policromo, buttato per terra, a faccia in giù. Chib strizzò gli occhi. Vedeva tutto con una tale nettezza. La croce ca-
povolta, il viso di Elilou ottanta centimetri sopra l'altare. I suoi sottili capelli biondi che pendevano lungo il muro, a corolla, le sue guance livide, le labbra rimaste chiuse grazie alla colla. Il vestitino, che le ricadeva sulla pancia, scoprendo le mutandine Blanche. Le piccole ginocchia storte. I chiodi, la capocchia scura dei lunghi chiodi infilzati nei piedini minuti, in mezzo alle calzette, contro la cinghia delle scarpe di vernice. Senza rendersene conto, Chib si appoggiò allo schienale di un inginocchiatoio. Dubois aveva parlato di possessione demoniaca. E ciò che aveva sotto gli occhi era proprio opera del demonio. Avanzò verso l'altare. Tremava. La bocca era secca come il cartone. Gli costava ogni singolo passo. I chiodi nelle mani, neri occhi che luccicavano nei piccoli palmi illividiti. E la cosa peggiore, la cosa peggiore erano gli occhi. Aperti. Le palpebre scollate. Occhi morti stralunati che lo guardavano avvicinarsi al contrario. Due occhi demoniaci, si disse Chib, cazzo! Quegli occhi gli facevano paura! Strinse i pugni. Tutta quella messa in scena mirava proprio a questo, a provocare la paura, il malessere, il disgusto. Chi poteva odiare gli Andrieu fino a quel punto? Per poco non inciampò contro il Cristo gettato sul pavimento. Lo rigirò. Si accorse che gli avevano infilato un reggiseno di pizzo nero traforato. Era ridicolo, si disse lui, ridicolo, eppure spaventosamente osceno, quel Cristo di legno conciato così, con un reggiseno sexy, con le sue lacrime scolpite che colavano sulla sua barba da uomo. Arricciò le narici. Pure quello, puzzava d'urina. Avevano pisciato sul Cristo. Rabbrividì. Un cartellino bianco era appeso al reggiseno. Qualche parola battuta a macchina. Si chinò, decifrò: "Figlio di Puttana". Aveva sinceramente freddo adesso. Rialzò la testa. Elilou pendeva sempre dall'altra parte dell'altare, i suoi occhi senza sguardo fissi su di lui. Non poteva chiamare gli Andrieu, non poteva lasciar loro vedere un simile orrore! Indietreggiò e corse bruscamente verso l'uscita. Avvertire Gaëlle e Dubois, Dubois doveva essersi già imbattuto in cose del genere... Chiudere la porta, impedire a chiunque di entrare nella cappella... Chiuse a chiave dietro di sé e si mise la chiave in tasca. Era in un bagno di sudore, benché completamente gelato. Vide Gaëlle che stava discutendo con Costa, vicino al capanno degli attrezzi. Le fece un segno. Lei fece sì con la testa, seguitò a parlare per qual-
che istante, dopodiché lo raggiunse. «Non ha visto nulla di particolare, nessun estraneo che si sia intrufolato nella tenuta né...» «Gaëlle, è tornata!» «Prego?» «Elilou. È lì dentro!» Lei seguì il suo sguardo. «Nella cappella?» «Sì. Ti avverto. È una cosa veramente orripilante.» «L'hanno smembrata, è così?» «No, ma è sul genere.» Lei indietreggiò, lo guardò con attenzione. «Cazzo, sei così pallido!» «Ti dico che è una cosa mostruosa. Bisogna avvertire Dubois. Ma soprattutto non Andrieu.» «Vado a vedere» disse lei in tono risoluto. «Aspetta!» Tirò fuori la chiave dalla tasca. «Non fare entrare nessuno, chiudi dietro di te.» «Mi stai facendo venire una paura tremenda» protestò lei impossessandosi prontamente della chiave. La guardò togliere il chiavistello, spingere i battenti e... Mettersi a vomitare. Corse verso di lei. Si girò bruscamente. Costa li osservava, gli occhi strizzati. Lui richiuse i battenti dietro di sé. Gaëlle riprese fiato, si asciugò la bocca con un kleenex pescato dalla borsetta. «Non avevo ancora mai vomitato, neanche durante un'autopsia» si scusò lei. «Sono più allenato di te» le disse posandole carinamente una meno sulla spalla. «Che gli diciamo ad Andrieu? Se vede una cosa del genere, finisce che gli mettono la camicia di forza a vita.» Chib si morse le labbra. «A meno che non la rimettiamo dentro la bara» bisbigliò lui. «Cosa? Così... semplicemente?» «Lo hai appena detto anche tu, non potrebbero sopportare di vedere una cosa simile, Gaëlle, nessun familiare sopporterebbe di vederla senza uscire pazzo.»
Lei si mordicchiava l'unghia del pollice, indecisa. Lui accentuò la pressione sulla sua spalla. «Lo so che bisognerebbe avvertire la polizia, ma gli Andrieu non lo supererebbero!» Sì, Blanche ne sarebbe morta di sicuro, si sarebbe buttata sotto a un treno. Si sarebbe tagliata le vene con un pezzo di vetro trasparente come il suo sguardo. Blanche che si perde per sempre nei corridoi sbiaditi di un reparto psichiatrico, borbottando parole sconnesse, le unghie spezzate per aver grattato i muri come si può grattare il coperchio di una tomba in cui si venga sepolti vivi. «Vai ad avvertire Dubois» diceva Gaëlle. «Decideremo con lui il da farsi. Meglio stare sicuri.» Chib sospirò. «Riesci a stare sola qua dentro?» «Sì, va già meglio. Scatto delle foto.» Chib la guardò con un'espressione da stupido. «Così, anche se rimettiamo tutto a posto, potremo cercare degli indizi» gli spiegò lei tirando fuori dalla borsa una piccola digitale di cui mise in funzione lo zoom. Come allertare Dubois senza che Andrieu se ne accorga? Chib scivolò in casa sotto lo sguardo di Costa che stava innaffiando le aiuole di ortensie blu e Blanche. Andrieu, visibilmente turbato, saliva la scala che portava alle stanze. Chib aveva avuto fortuna. Filò verso la sala biblioteca. Dubois, con gli occhi chiusi, le mani giunte, borbottava in sordina. «Deve venire immediatamente, è successa una cosa gravissima!» gli fece Chib a voce bassa. Il sacerdote aprì gli occhi. Disgiunse le mani. «L'avete ritrovata, è così?» Chib assentì. «Non c'è bisogno che gli altri della famiglia lo vengano a sapere, non c'è bisogno che vedano quella cosa» aggiunse con tono pressante. «La seguo.» Dubois lo seguì da presso, le labbra serrate. Costa era sempre intento ad innaffiare e Chib si sforzò di attraversare la corte lentamente, senza mostrare alcuna agitazione. Col prete incollato alle spalle, bussò piano alla porta che si aprì mezzo minuto dopo. Gaëlle apparve nel vano della porta, con la macchina fotografica in mano. Si scansò
per lasciarli passare e richiuse poi la porta dietro di loro. Dubois non disse nulla. Assolutamente immobile, fissava il corpo suppliziato di Elilou. Quindi le si avvicinò, lentamente. Le scarpe di cuoio gli scricchiolavano a ogni passo. Alzò la mano destra e tracciò un ampio segno della croce. Chib trattenne il fiato, si aspettava più o meno che la testa della bambina girasse su se stessa, in un remake dell'Esorcista, o che il Cristo di legno si alzasse con un balzo per schiaffeggiare il prete. Ma non accadde nulla di tutto ciò. La statua lordata restò a terra. La bambina crocifissa continuò a dardeggiare le sue pupille morte su di loro. «Cosa dobbiamo fare?» chiese Gaëlle. «Tirarla giù e rimetterla nel feretro» rispose il sacerdote con voce profonda. «Non devono vedere questo. Non sono abbastanza forti.» «È quel che pensavamo di fare anche noi» disse Gaëlle. «Ma volevamo il suo permesso.» «Forza.» Avanzò con passo risoluto. Chib spinse il Cristo fra i banchi e lo raggiunse. Il sacerdote lo fermò con un gesto. «C'è una scala?» Chib si guardò attorno. Niente scale. La croce misurava circa un metro e mezzo e il chiodo che la sosteneva era a tre metri e trenta centimetri da terra. Inaccessibile senza scala. «Forse di fuori?» suggerì lui. «Vado a vedere» disse Gaëlle. «Il giardiniere ti chiederà perché hai bisogno di una scala nella cappella» obiettò Chib. «E poi c'è il rischio che Andrieu arrivi da un momento all'altro. O anche sua madre se si accorge dei nostri traffici. Credo che ci potremmo arrivare arrampicandoci sull'altare» aggiunse associando il gesto alla parola. Dubois parve voler protestare, ma non disse nulla. In piedi sull'altare, Chib si sporgeva in avanti, con le braccia tese. Mancavano almeno sessanta centimetri per raggiungere il chiodo. Poteva sempre tentare di afferrare con tutte e due le braccia la croce - e il corpo inchiodato sopra - per staccarla dalla parete. Sì, poteva provarci, si disse con disgusto. «Non è così che ha proceduto quello» fece all'improvviso Gaëlle. «Guardate.» In piedi su un banco, si arrampicò d'un balzo su una delle ogive laterali, quindi, da lì, approfittando degli anfratti nel muro, si issò fino al rosone centrale, al di sopra dell'empia croce. Lì, seduta, sul bordo, dovette solo
sporgersi leggermente per toccarne il vertice. «Deve aver avuto bisogno di una corda» disse lei. «Per sostenere la croce mentre la calava e per rimetterla dopo al suo posto.» Chib e Dubois ispezionarono la cappella con lo sguardo. «Deve averla portata con sé» mugugnò il prete. «Beh, Moreno, mi aiuti, solleveremo la croce con l'aiuto dei bracci laterali.» «Ok.» Afferrarono ciascuno una delle barre trasversali, avendo ben cura di non sfiorare i piccoli polsi trafitti. «Uno, due, tre!» Insieme, spinsero verso l'alto e il gancio scivolò fuori dal chiodo, con l'aiuto di Gaëlle che si era sporta in avanti. Non era poi così pesante, si disse Chib, sorpreso. Una trentina di chili in tutto, forse. Ma l'insieme oscillava pericolosamente. «Giù!» gridò Dubois abbassandosi. Il legno urtò il pavimento con un rumore sordo, i capelli di Elilou svolazzarono. Appoggiarono rapidamente l'asse verticale contro il muro mentre Gaëlle li raggiungeva. «Stendiamola!» «Come facciamo a tirar via i chiodi?» chiese Chib mordendosi le labbra. «Aspettate!» Gaëlle frugò nella borsa. Ne tirò fuori delle tronchesine. «Ecco qui, ci servirà come cacciachiodi.» "Il Circolo dei Tre e il Mistero della Cappella Maledetta", disse fra sé Chib, amaramente, mentre guardava Dubois impossessarsi del tagliaunghie e cercare di estrarre un lungo chiodo a testa piatta dalla carne color marmo. La visione era talmente surreale che perdeva di pathos. Come un film troppo esagerato. Già Dubois si accaniva con l'altro polso, le labbra sottili ben serrate. Chib guardava con attenzione il chiodo imbrattato sulle lastre di pietra del pavimento. «I piedi, ora» borbottò il sacerdote, il sudore acido che gli colava lungo le tempie. Un solo chiodo per i due piedi incrociati. Lungo venti centimetri. Impregnato dell'odore di formalina. «Moreno! Ci aiuti anziché starsene col naso per aria!» Dubois stava sollevando il corpo di Elilou dal busto, mentre Gaëlle aveva afferrato le gambe. Chib li raggiunse, sostenendo la bambina sotto i reni, sgradevolmente cosciente della vicinanza del suo volto.
La poggiarono dolcemente nel feretro di vetro e Gaëlle sistemò la cinghia delle scarpine, assestando le calzette di modo che non si vedessero i due fori giallastri lasciati dal chiodo. Chib le ripiegò le mani sul petto, ripettinò rapidamente i capelli secchi che scricchiolavano, e sporse una mano in avanti per richiudere le palpebre. «Gliele ha tagliate!» esclamò. «Cosa?» domandò Dubois occupato a raddrizzare il Cristo. «Le palpebre... Io le avevo incollate! Questo porco le ha tagliate per riaprire gli occhi! Non possiamo più richiuderli, non c'è abbastanza pelle!» spiegò. «Tanto peggio. Aiutatemi a rimettere Nostro Signore a posto.» «Ha letto l'etichetta appesa al reggiseno?» «Blasfema! Ve l'avevo detto che chi ha fatto tutto questo è un'anima perversa, diabolica. Ha lordato Nostro Signore con l'urina, Lo ha ridicolmente conciato con questo indumento intimo, per deriderlo. Riti satanici» concluse in un soffio sollevando la statua. Chib lo aiutò a rinchiodarla, grazie ai suoi mocassini "Capri". La Arfango, così chic, non aveva di certo previsto un utilizzo del genere per il mocassino più costoso del jet-set degli anni Sessanta. Stavano finendo di raddrizzare la croce, ansanti, quando qualcuno cercò di aprire la porta. Poi dei colpi violenti ne fecero tremare i pannelli. «Ecco!» fece Chib andando ad aprire. Un Andrieu stravolto, il colletto della camicia aperto, lo fissava. «Perché vi siete chiusi qui dentro?» «Elilou è di nuovo qui» intervenne Dubois con voce rassicurante. «Ti saremmo venuti ad avvertire.» «Che cosa stai dicendo?» ringhiò Andrieu strattonandoli. Rimase di sasso vedendo il corpo di sua figlia nella bara. «Com'è possibile? Chi l'ha riportata?» balbettò. «Non lo sappiamo. È stato comunque compiuto un atto vandalico» aggiunse Gaëlle indicando la croce addossata al muro. «Cos'è tutta questa storia?! Cosa significa, alla fine!» Andrieu serrava i pugni tanto da far diventare bianche le giunture. «Il corpo è stato... è stato... profanato?» esalò chiudendo gli occhi. «Apparentemente no» rispose fermamente Gaëlle. Ecco qua, si disse Chib, se un esame renderà evidente la deflorazione di Elilou, questa verrà messa in conto al ladro di cadaveri. "A meno che non accusino te", gli sussurrò di colpo un'orribile vocina
interiore. L'imbalsamatore pervertito dai guanti e dal pene di gomma. Strizzò gli occhi. Andrieu si chinò sul corpo della sua bambina, strinse le pareti di vetro. Bruscamente, si irrigidì, e si voltò. «Ha aperto gli occhi!» balbettò. «Mio Dio, Dubois, ha aperto gli occhi!» «È un effetto riflesso» si affrettò a dire Chib. «Senza dubbio quando abbiamo mosso il corpo.» Andrieu lo guardò, l'aria totalmente persa, dopodiché, passandosi una mano nei capelli: «Un effetto riflesso, si. Per un momento, ho creduto... è stupido, ma... vado ad avvertire Blanche.» «Ti accompagno» fece Dubois prendendolo per il gomito. Non appena furono usciti, Gaëlle si lasciò cadere su un banco. «Non ne posso più! Sono più spossata che se avessi corso la maratona.» «Lo stress» borbottò Chib. «Il peggio, è dover ammettere che c'è qualcuno capace di fare una cosa simile! Che è andato a letto con la bambina, l'ha uccisa e ha rubato il cadavere per poi profanarlo. Riesci a immaginare la dose di odio che tutto questo rappresenta?» «E perché odiare così tanto gli Andrieu?» Chib si picchiettava il mento, pensieroso. «Un vecchio amante di Blanche?» propose Gaëlle sbadigliando. «C'è qualcosa che non quadra.» Chib andava su e giù. «Primo» riprese «siamo in presenza di un pervertito che ha avuto dei rapporti sessuali con Elilou, quindi l'ha uccisa nel timore di essere scoperto. Secondo, di un profanatore di cadaveri. Manca un legame.» «Come sarebbe a dire?» «Rubare un cadavere, aprirgli gli occhi, inchiodarlo al contrario su una croce, è un atto aggressivo compiuto contro delle persone vive che saranno costrette a contemplare un tale spettacolo. Ora, il pedofilo che ha abusato della bambina non l'ha fatto per fare del male agli Andrieu, altrimenti non l'avrebbe uccisa per occultare la violenza.» «Può darsi che l'abbia uccisa per sbaglio» obiettò la ragazza. «La bambina magari tentava di sfuggirgli, non so. Beh, ne ho avuto abbastanza per oggi. Andiamo?» Chib assentì mentre continuava ad arrovellarsi con pensieri confusi. Il sole era alto nel cielo. Abbagliante. Troppo abbagliante. I fiori troppo colorati. L'erba troppo verde. Ogni sassolino di ghiaia aveva la lucentezza
di un ciottolo in un giardino zen. Tutto sembrava scolpito in della plastica splendente. Era difficile immaginare che degli esseri umani lividi e coi volti coperti di lacrime errassero per la casa. Costa era scomparso. Louis-Marie e Charles stavano aprendo un tavolo da ping-pong. In presenza della morte ogni atto appariva incongruo, disse fra sé Chib mentre seguiva Gaëlle nella penombra fresca del salone grande. Eco di voci tese provenienti dal piano superiore. Dalla stanza di Blanche? Dubois apparve di colpo in cima alla scala, e andò loro incontro. «È molto agitata» bisbigliò. «È meglio lasciarli soli. Abbiamo pregato per il riposo di Elilou, ma questo non è bastato a tranquillizzarla.» «Ce ne stavamo andando» gli rispose Gaëlle con lo stesso tono. «Proseguiremo le nostre indagini domani, se la famiglia lo desidera.» «Molto bene.» Li accompagnò fino alla porta. «Spero che tutto questo circo finisca presto!» disse Belle-Mamie dal giardino d'inverno dove stava facendo fare merenda a Eunice e Annabelle. «Ci voglio anda'e al ci'co, io!» gridò Eunice battendo le mani. «È un modo di dire, tesoro, mangia il biscottino» le ingiunse la nonna mentre loro uscivano. «Io, voglio fare la boxe!» buttò là Annabelle rovesciandosi sulla sedia. «Finisci la tua cioccolata anziché dire sciocchezze.» «Non sono sciocchezze! Voglio diventare un pugile e spappolare tutti!» «Annabelle, insomma!» «A domani.» Dubois richiuse la porta, impedendo loro di sentire il resto della conversazione. «Una bella doccia, una bistecca con patatine fritte e un doppio whisky, presto, autista!» Chib scosse la testa scivolando stancamente dentro la Floride. Non aveva più voglia di rimanere in quell'ambiente morboso e non aveva voglia di allontanarsi da Blanche. Non aveva voglia di nulla di ciò che gli stava accadendo in quel momento. Aveva voglia di vivere altro che non quella realtà lì, si sentiva frustrato, nervoso, ansioso, con un principio di sinusite e di bruciori di stomaco. «Posso dormire da te?» chiese Gaëlle accendendo il lettore cd. «Dormire, sì» ribatté Chib mentre Cab Calloway intonava Hard Times. Intermezzo 4
Il tempo Mi attende Respiro ghiacciato Polsi legati Ustioni dorate. I suoi occhi chiusi Io li apro. La sua bocca chiusa Io la forzo. Il suo ventre nudo Io lo scassino Come un ladro. Un ladro di morte. Loro hanno paura adesso. Finalmente. Cominciano a capire Che li attende il tempo. Il tempo del castigo. Il dolce tempo del dolore. Capitolo 12 «Pronto? Ma che stai combinando? Non mi dire che stai ancora scopando! Sei peggio di un coniglio australiano!» Greg, che berciava nella segreteria. «Sei con Gaëlle? Cucù, Gaëlle, tira fuori la testa dalle lenzuola!» «È uscita, aveva il corso» mugugnò Chib mentre posava l'ago con cui aveva appena terminato il suo lavoro su Scotty. «E se fossi stato con qualcun'altra, eh?» «Tu non hai mai più di una ragazza all'anno» sghignazzò Greg. Ti sbagli, vecchio mio. Il nuovo Chib è un autentico rubacuori. «Aïcha mi ha informato» continuava Greg. «È davvero folle, la storia, lì.» «Se lo dici tu.» «Sai che ne penso?» «Sai che ti fa male pensare?» «Smettila con le tue cazzate, sai che ne penso? Penso sia il padre, con
quel suo look Wall Street, come il tizio che ammazzava le puttane in Hollywood Night, l'insospettabile, beh, è sempre lui.» «Greg, stiamo parlando di persone reali. Di una bambina vera.» «E che è veramente morta, la tua bambina vera. E che non è uscita certo tutta sola dal suo barattolo di conserva per andare a saltellare nella foresta con Bambi, eh? Ti dico che è stato lui, l'ha violentata e uccisa, e ora la cosa l'ha reso pazzo.» «Scusa, ho un'altra chiamata, potrebbero essere loro.» «Ricordati quel che ti ho detto, io ho naso!» Chib riagganciò mentre prendeva il cellulare poggiato sul tavolino basso. «Buongiorno, la chiamavo a proposito di Scotty. Noémie Labarrière.» «Ho finito» disse Chib, passando la mano sulla testa ricomposta del terrier. «Glielo posso portare quando vuole.» «Perfetto. Facciamo fra un'ora?» Diede un'occhiata all'orologio: le 10 e 45. «Perfetto, arrivo.» Ascoltò la segreteria mentre si vestiva. Nessuna chiamata. Apparentemente gli Andrieu avevano deciso di fare a meno dei suoi servigi. Il che portava con sé la dolorosa domanda susseguente: con quale scusa rivedere Blanche? Poteva sempre chiamare per avere notizie, d'altronde era del tutto normale chiamare per avere notizie dopo quel che era successo. Sì, avrebbe aspettato un po' e quindi avrebbe chiamato, disse fra sé sbadigliando. Si era alzato alle sei per "finire" Scotty, imbottirlo di resina e rivestirlo con la sua pelle trattata, e perciò aveva gli occhi che gli bruciavano un po', per la stanchezza e i prodotti tossici. Un giretto fuori gli avrebbe di certo giovato. Noémie Labarrière era distesa su una sedia a sdraio verde oliva, vicino alla piscina. Indossava un sari cangiante dai toni aranciati, e raffinati sandali Cucci in cuoio intrecciato. Si alzò vedendo Chib e il contenitore oblungo di metallo che portava sottobraccio. «Oh... è lui? È...» «Sì, vuole vederlo?» «Qui? No, entriamo in casa.» Lui la seguì. Grande salone con mobili bianchi, pavimento in marmo rosa, pareti tap-
pezzate di carta telata color salmone, due quadri di Vasarely, un Hopper, tv digitale con casse, una pila di Vogue sul tavolino basso in legno di rosa. Noèmie sembrava agitata, si frizionava le braccia come se avesse freddo. «Ho bisogno di un bicchierino, credo. È la prima volta... Io...» «Le consiglio un goccio di cognac» disse Chib. «È più efficace.» «Ah, davvero?» Lei si chinò su un mobiletto intarsiato, prese una bottiglia di cristallo lavorato. «Ne vuole anche lei?» «Una lacrima, grazie» rispose lui untuoso come un servo. Lei prese due bicchieri da cognac, li riempì a metà. Ne porse uno a Chib e bevve un sorso dal suo prima di dire: «Andiamo.» Chib posò il bicchiere sul tavolo, aprì il grande contenitore metallico con gesti precisi. Ed ecco venir fuori Scotty, in piedi sul basamento, una zampina in alto, la coda dritta. «Oh! È...» Noémie contemplava il suo cane imbalsamato, con una mano sul cuore. Si sedette, bevve un altro sorso. «È abbastanza sorprendente, non è vero... Vederlo così... come se stesse venendo a salutarmi, tesorino! Oh, mio Dio! Quando papà ti vedrà...» disse lei al cane. Quindi, voltandosi verso Chib, aggiunse: «Ha fatto un lavoro superbo, monsieur Moreno.» Altro sorso di cognac. Chib mandò giù un po' del suo per tenerle compagnia. Si sentiva ancora rivoltare lo stomaco dopo la sbronza e gli avvenimenti del giorno prima. Noémie si era alzata e stava rovistando nella borsetta, da cui alla fine tirò fuori il libretto degli assegni. Chib le porse la nota spese cui lei diede una rapida occhiata, tenendola a distanza. «Ho dimenticato gli occhiali in piscina, vediamo... mmm...» Poggiò la nota senza dire altro e cominciò a scrivere l'assegno, con gli occhi strizzati. «Mio marito mi ha detto che lei è passato ieri in compagnia di un'incantevole ragazza. La sua fidanzata?» «Un'amica» fece Chib con un sorriso, mettendo in tasca l'assegno. «È divertente, la sua amica Winifried mi ha fatto la stessa domanda.» «Winnie?» «Hmm» assentì Chib. «L'abbiamo incontrata nel bosco.»
«Cosa ci faceva Winnie nel bosco? La poverina ha orrore degli aghi di pino.» «Credo fosse venuta a farle un saluto.» «Ma io non ero qui!» esclamò Noémie inarcando le sopracciglia. «È per questo che se n'è andata» spiegò Chib riavviando un ciuffo sulla testa di Scotty. Noémie pareva sconcertata. Poi le sue labbra si strinsero. «È un nome poco comune, Winifried» riprese Chib. «Infatti lei è di origine tedesca. Rémi l'ha conosciuta durante un congresso a Francoforte.» «Ah, lavora anche lei nel mondo della finanza?» «No, veramente lei serviva il caffè» sogghignò Noémie. «Era la segretaria di uno dei partecipanti. Rémi l'ha distolta dal lavoro10, letteralmente!» La donna emise una risatina acuta, lieta per la sua battuta. «Danno l'impressione di essere molto presi l'uno dall'altra» disse Chib il re della conversazione mondana. «Paul pensa che Rémi farebbe meglio a riflettere prima di impegnarsi troppo. Lei sa com'è... le ragazze giovani senza particolari fortune hanno la netta tendenza a invaghirsi di uomini più vecchi e più ricchi... Deve essere un fatto genetico...» Chib sorrise cordialmente. Lei sfiorò la testa di Scotty, quindi ritrasse rapidamente la mano. «Un po' mi nausea» confessò. «È superbo, ma...» Ma è morto. Stai tastando un cadavere e te ne stai rendendo conto. «Oh, cielo, già mezzogiorno, ho una partita di tennis fra un quarto d'ora!» Chib si accommiatò. L'alta siepe di cipresso gli nascondeva alla vista la proprietà degli Andrieu. Ma sapeva che Blanche era dall'altra parte. Come un'ombra gettata su un materasso gelato. Prese il cellulare e compose il loro numero. «Sì, buongiorno?» Aïcha. «Salve, sono Chib, volevo avere notizie.» «No, non abbiamo bisogno di nulla, grazie.» «Richiamami sul cellulare.» «Arrivederci.» Si mise al volante della Floride e si avviò mentre Noémie Labarrière s'infilava dentro una Twingo bordò. Lei gli diede un colpetto di clacson
passando e lui le fece un segno con la mano prima di procedere con calma. La D9 serpeggiava tra i pini. Un cartello segnalava un dosso. Rallentò ulteriormente e intravide il fiume più in basso. Accostò alla banchina laterale e scese dalla macchina. Il pendio scosceso portava dritto alle due proprietà, distanti un centinaio di metri. Nel folto del fogliame poteva distinguere il profilo elegante della bastide degli Andrieu e l'azzurro della piscina dei Labarrière. Chiunque avrebbe potuto accedervi in pochi minuti. Non molto sicuro, come posto. E l'assenza di cani feroci rendeva l'operazione ancora più semplice. Il giardiniere Costa dormiva forse in loco ed era magari armato? Ma in tal caso, come poteva darsi che non avesse sentito nulla due giorni prima? Chib si ricordò all'improvviso del piccolo occhio installato nel montante della vetrata dei Labarrière. La casa era sotto sorveglianza elettronica. Più discreta ed efficace di un cane da guardia. Soprattutto in quel periodo di moria canina, come aveva sottolineato il veterinario. La bastide era certamente dotata di un dispositivo simile, il che spiegava l'assenza di recinzioni invalicabili. Portò bruscamente la mano alla tasca, il cellulare stava suonando. «Sono Aïcha. Sono nella lavanderia. Non potevo parlare, Belle-Mamie era accanto a me.» «Allora?» «Andrieu ha un consiglio d'amministrazione molto importante a Londra, starà via fino a domani, è molto preoccupato, ma Blanche si rifiuta di accompagnarlo. Ieri sera è voluta andare a vedere Elilou, è rimasta in ginocchio in cappella per almeno due ore, le ho portato uno scialle, pareva sorda e cieca, come se non esistessi! Lui è venuto a prenderla con la forza verso le dieci e l'ha riportata in camera. L'ho sentita gridare stanotte. Eunice aveva un attacco d'acetone stamattina, Cordier è dovuto tornare, e quella peste di Annabelle ha rovesciato un vasetto di marmellata sul divano, ci ho messo almeno mezz'ora per ripulire tutto.» «E Charles e Louis-Marie?» «Sono tornati a scuola.» «Ma Costa dorme in villa?» «A volte, nel vecchio padiglione di caccia, ma quasi sempre torna a casa sua, a Châteauneuf.» «Mmm. E Belle-Mamie, è andata via?» «Finalmente! Si è presa le due piccole, le tiene fino a domani, non voleva lasciarle con Blanche.»
Chib guardò l'orologio. 12 e 30. «A che ora tornano i ragazzi?» «Verso le cinque, perché? Oh no, è troppo pericoloso!» «Cosa è troppo pericoloso?» «Venirla a trovare.» «Bisognerà pur scoprire chi ha fatto tutto questo!» «Senti, non ci conosciamo ancora bene, ma non prendermi per una cretina.» «Pronto?!» fece Chib. «Pronto, non sento nulla.» Interruppe la comunicazione. Via libera. Aïcha venne ad aprire senza particolare entusiasmo. Aveva i lineamenti tirati e il pesante chignon le pendeva pericolosamente da un lato. «Desidera?» disse a voce alta mentre si faceva da parte per lasciarlo passare. Con la coda dell'occhio, Chib notò il profilo di Costa. Arrampicato su una scala, stava potando la siepe di alloro. «Sono venuto per avere notizie di Mme Andrieu. Suo marito mi ha detto che aveva un lieve malessere.» «Mi segua, vado a sentire se Madame può riceverla.» Lui la seguì da presso con la sensazione di recitare nella parodia di uno sceneggiato per il quale avessero distribuito a ognuno una parte non adatta. Aïcha lo lasciò nella sala ocra. Qualcuno stava usando un mixer elettrico, di sicuro la cuoca. Chib stava ammirando il Turner, in procinto di annullarsi nelle sue volute verde pallido, quando la sentì. «Cosa fa lei qui?» Si voltò. Lei lo stava fissando appoggiata a una delle poltrone alte, vestita molto rigorosamente con un tailleur di cachemire pied de poule, pettinata in maniera impeccabile e con un trucco molto leggero. La crocetta d'oro risaltava sulla camicetta grigio pallido. Chib si sentì uno stupido. «Ero venuto per avere sue notizie.» «Ah, davvero? Vedere come sta quella cosina fragile che perde la testa, eccetera, eccetera.» «Non avevo intenzione di disturbarla» replicò lui dirigendosi verso la porta.
«Non ho detto che lei mi disturba.» Lei aveva alzato il mento e sosteneva il suo sguardo. Lui si disse che se ne sarebbe andato, lì, seduta stante, e si avvicinò subito a lei. «Non così vicino» gli fece lei gettando uno sguardo verso il giardino. «Mi inviti a pranzo, desidero parlarle.» «Non ho fame. E il nostro ultimo pranzo è finito piuttosto male.» Chib si sentì un miserabile. Doveva andarsene. Ma non poteva. Non mentre lei era così vicina a lui. E la vedeva respirare troppo veloce. E le mani gli bruciavano dal desiderio di toccarla. Come potevano le mani bruciare a tal punto senza produrre delle fiamme? Come faceva lei a non sentirlo? Lei si raddrizzò leggermente, incrociò le braccia in un gesto di difesa derisorio, e gli rivolse un accenno di sorriso, davvero penoso. «Non voglio rivederla mai più» mormorò la donna. In quell'istante le sue mani divennero più fredde del corpo di Elilou. Come potevano delle mani diventare così fredde senza congelarsi? Come poteva lei dirgli una cosa simile, con quel sorriso da idiota che la faceva tremare e inclinare come una nave in pericolo? Chib avanzò di un passo, costringendola a indietreggiare verso l'atrio buio, contro un angolo, lontano dallo sguardo di Costa. La casa era immersa nel silenzio appena turbato dalla conversazione tra Aïcha e la cuoca, lontano dietro le porte del mondo normale. Lui alzò le sue mani gelide e le posò sulle spalle di lei, attirandola verso di sé. Lei alzò le braccia, brutalmente, per liberarsi. «Lasciami.» La carezza di quell'improvviso darsi del tu lo graffiò come una rasoiata. Volle rinserrare la stretta e lei lo schiaffeggiò, con la mano destra, uno schiaffo secco, pieno, che si posò sulla sua guancia senza fargli male e vi si attardò, mutandosi in carezza lungo la mascella serrata. Lui le afferrò il polso. «Adesso grido.» «È normale, per una cosina che perde la testa.» «Idiota!» Finalmente una scintilla di vita! La lasciò. Sentiva improvvisamente la voglia di essere crudele. «Non ero venuto per scoparla, ero venuto per sapere se dovevamo proseguire le indagini.»
Lei s'imporporò, accusando il colpo. «Mio marito non è qui.» «Lo so.» «Non voglio più sentir parlare di quest'incubo.» «Perfetto. Si tappi le orecchie e dorma bene.» «Non è mica un gioco per me» sibilò con furore trattenuto. «È come se ogni giorno perdessi un po' di fluido vitale, quello che lei raccoglie nei suoi secchi di plastica e che getta nella spazzatura. E in cambio, vengo riempita di terra, di terra fredda, a palate, e lei, lei si sporge, guarda, e mi chiede quanto tempo ancora penso di poter respirare, con un'aria piena di biasimo, il biasimo del ricco verso il povero che crepa di fame!» Chib vide le lacrime imperlarle gli angoli degli occhi grigi, poi iniziare a colare, dolcemente. Sentì le proprie lacrime, alla bocca dello stomaco, pesanti, opprimenti, risalire di colpo in superficie e inumidirgli le palpebre, con sua grande vergogna. «C'è qualcuno?» Dubois! I suoi passi sulla ghiaia. Con un gesto inconsulto, lei attirò a sé Chib, infilandosi in una stanzetta buia e minuscola. Uno sgabuzzino, disse fra sé Chib, urtando un aspirapolvere. Mio Dio, se li avessero trovati lì, erano perduti, li avrebbero impiccati, linciati. La mano di lei sulla sua bocca, la mano di lui sul collo di lei, le loro bocche l'una contro l'altra, nell'odore di varechina e di prodotti per le pulizie, l'umidità delle lacrime di lei sulla sua guancia, lui la stringe così forte... «Blanche non c'è? Le avevo detto che sarei passato.» «Deve essere di fuori, con Monsieur Moreno...» «Ho visto la Floride, effettivamente. Vado a vedere.» Chib sentì la sua bocca seccarsi. Aïcha deve essere impazzita, che si fa, me ne frego, io ti voglio, ci troveranno, sarà tremendo, me ne sbatto, ti voglio ancora, così, abbandonata. «Madame?» Voce esitante di Aïcha. «Padre Dubois è qui, la sta cercando.» I passi di Aïcha che si allontanano, indecisi. Il silenzio. Le dita di Blanche si strinsero sulle sue spalle, con violenza. Quindi socchiuse la porta, e scivolò fuori. Tacchi che risuonano sul pavimento piastrellato. «Josselin!» «Ah, è qui! Buongiorno, Blanche.»
«Ero nella mia stanza. Ha visto Moreno?» «No, credevo fosse con lei...» «Mi ha chiesto il permesso di dare un'occhiata in giro.» Chib era scivolato fuori a sua volta, era avanzato senza far rumore fino al salone d'inverno, lo aveva attraversato, il cuore che batteva all'impazzata, e si era ritrovato in giardino. Respirò profondamente. Si strofinò meccanicamente le labbra per cancellare una traccia di rossetto. Ma lei non ne metteva affatto. Li vedeva di spalle, mentre si dirigevano verso la piscina: Dubois, gli occhi fissi a terra, una borsa a tracolla di cuoio marrone che gli dondolava al braccio, e Blanche, le braccia incrociate come d'abitudine, la testa lievemente inclinata di lato, il lato opposto a Dubois, che l'ascoltava parlare. Chib decise di fare il giro della casa da dietro e di raggiungerli un po' più in là, come se stesse ritornando dal bosco. Un vialetto lastricato serpeggiava nell'erba impeccabilmente tosata. Passò di fianco a una carriola appoggiata vicino a un cespuglio di ibiscus in fiore, la oltrepassò. Si fermò. Una carriola, era un oggetto pratico per trasportare un corpo, un corpicino di bambina. E se fosse stato molto semplicemente Costa, il colpevole? Costa, che Louis-Marie accusava di intrattenere delle riprovevoli relazioni sessuali con Charles. Charles, malgrado quella sua aria da adulto, era comunque solo un minorenne. Costa, il pedofilo discreto, che opera a domicilio... Chib si avvicinò alla carriola. Un innocente mucchio di ferraglia grigia, con due manici inguainati di legno. Si chinò. Non conteneva altro che un telo di plastica blu appallottolato, e delle cesoie con le impugnature arrugginite. Anzi, macchiate, corresse, distinguendo del verde mela sotto le chiazze rossastre. Avanzò una mano verso il telo che lo attirava irresistibilmente. Ne sollevò un lembo. Un po' di più. Ancora un po'. Di nuovo quella sensazione di paura, di pericolo imminente. Girò su se stesso, convinto di essere osservato. Nessuno. Un pettirosso si alzò in volo pigolando. Chib afferrò con forza un pezzo di plastica e tirò. Qualcosa rotolò sul fondo della carriola. Qualcosa di peloso. Un peluche, disse fra sé, uno dei peluche di Eunice. Poi vide le goccioline sulle sue mani, le minuscole goccioline rosse. Ne era pieno il telo. All'interno. Si chinò ancora, le mani leggermente scostate dal corpo. Gli occhi del peluche pendevano fuori dalle orbite. Erano scivolati fuori,
lasciando consistenti tracce gialle lungo il muso pieno di sangue. Di sangue? Occhi di peluche che scivolano fuori? Oh no! Fece avanzare ancora un po' l'indice teso verso la piccola massa di peli, afferrò una zampa, tirò. Il ventre tagliato del cucciolo brulicava di grossi vermi bianchi. Chib tirò indietro la mano, la scosse come per sbarazzarsi di un oggetto disgustoso. Il sangue era schizzato ovunque. Comprese bruscamente a cosa erano servite le cesoie. Qualcuno aveva aperto il petto dell'animale in due, come un pollo. Un setter bianco e rosso di circa tre mesi. Sventrato e sbudellato. Nauseato, strofinò le mani sui pantaloni per togliersi quelle immonde macchie di sangue. «Mme Andrieu la sta cercando. Sono nel giardino d'inverno.» Sussultò. Costa lo fissava, dall'angolo del muro. «Arrivo» disse lui rimettendo il telo sul cadavere. «È molto che non usa quella carriola?» Costa strizzò gli occhi. «Quella carriola?» Aveva un leggero accento, melodioso, piacevole. «Sì, quella lì.» «In questo momento non la uso, è stagione di potatura, quella carriola, beh, serve dopo, per trasportare la terra. Avrebbe dovuto dirmelo che le occorreva» aggiunse quello alzando le spalle, come a significare che le stravaganze dei suoi padroni e dei loro amici non lo meravigliavano affatto. «L'ho trovata qui» spiegò Chib. «C'è... c'è un cadavere di cane, dentro.» Costa aggrottò le sopracciglia. Avanzò rapidamente fino alla carriola. Chib sollevò ancora una volta il telo. Costa si sporse, guardò a lungo il cucciolo, con calma, da uomo avvezzo a osservare le cose con attenzione. «È uno dei piccoli di Nilda» disse raddrizzandosi. «Nilda?» «La cagna degli Osmond. Ha avuto un cucciolata di sei piccoli a Natale. Loro ne hanno tenuti tre, per la caccia. Questo qui, era Tobias. La punta delle zampe posteriori rossa» spiegò. «Bisogna che li chiami» concluse allontanandosi. «Non gli piacerà, a M. Osmond, che gli abbiano ammazzato il cane.» «Sembra che accada spesso ultimamente: il veterinario di Opio teme che ci sia un maniaco in zona» disse Chib, allontanandosi insieme a lui. «Quello che ha ucciso questo cane, sicuro che è un maniaco» assentì
Costa. «Ed è vero che ci sono stati un bel po' di cani che hanno avuto degli incidenti, quest'anno.» «Osmond potrà sporgere denuncia, in questo caso non si tratta di un incidente!» «Sì, sì. Vedrà lui sicuramente con la polizia. Mi scusi...» Deviò verso la rimessa, lasciando Chib fermo di fronte al giardino d'inverno. Avrebbe forse dovuto parlarne con Blanche e Dubois? Ad ogni modo, Blanche lo avrebbe saputo dagli Osmond. Che un sadico aveva sventrato il loro cagnolino Tobias e ne aveva poi abbandonato le spoglie martirizzate nella carriola degli Andrieu. Il giorno dopo che qualcuno aveva sottratto e profanato il cadavere di Elisabeth-Louise Andrieu. Un fermento omicida in deciso contrasto con il signorile e sereno quotidiano di quelle colline borghesi. Come un pugno rabbioso in un'illustrazione di Epinal11, si disse Chib entrando nel salone verde. Un colpo di forbice sanguinante in una sit-com sciropposa. Ma perché? Dubois se ne stava appollaiato sul bordo della sedia, una tazza di tè in equilibrio sulle ginocchia; Blanche, rovesciata indietro sulla sua poltrona, teneva le mani strette ai braccioli. «Disturbo?» Dubois si voltò bruscamente, versando un po' di tè, Blanche abbozzò un sorriso. «Ah, Moreno! La sua amica non è con lei?» chiese il sacerdote. «No, lei...» Stava per dire "aveva lezione", ma si trattenne giusto in tempo: «Ha molto lavoro. Un altro caso in corso... mi ha chiesto di darle una mano, date le circostanze...» Blanche osservava il cielo attraverso la vetrata. «Com'è pesante quella nuvola» disse con voce atona. Alzarono meccanicamente gli occhi. Un ammasso grigio, simile a una grossa manciata di stoppa strappata da un materasso, correva al di sopra delle loro teste, una nave di cotone dalla prua contorta. Dubois posò la sua tazza sulla tavola di ceramica. «La lascio, Blanche, ha bisogno di riposare.» «E anche lei, vero?» ironizzò lei. Dubois si era alzato, senza rispondere. «Ho chiesto alle suore di Sainte-Eulalie di pregare per lei, e per la famiglia.» Fu il turno di Blanche di non rispondere.
«Sono francescane, donne impegnate con profitto sia socialmente che spiritualmente» spiegò Dubois mentre conduceva Chib verso la corte inghiaiata. «Bene, allora: cosa ha scoperto?» «Hanno ucciso un cane. Sta dentro una carriola, dietro la casa.» «Ucciso come?» «Con delle cesoie.» Il prete serrò le labbra sottili, gli occhi che scintillavano. «Questa cosa si aggira molto vicino a noi, non è così?» sussurrò. «Come un'ombra, un'ombra oscura e fredda. Ma io non Gli consentirò di seguitare a insudiciare questa casa!» aggiunse con determinazione. «Lei crede davvero che siamo in presenza di... di... di un essere soprannaturale?» farfugliò Chib. «Penso che abbiamo a che fare con una potenza soprannaturale e malvagia, incarnata in un corpo umano. Non mi dica che un iniziato ai misteri di Iside non crede alle forze della notte!» «Mah... tra l'avanzare delle supposizioni e il loro riscontro...» Dubois gli batté sulle spalle. «Gli uomini come lei credono solo a ciò che vedono. Allora, osservi. Il Male è all'opera. Mi faccia vedere questo cane.» Quando il prete finì di contemplare il piccolo corpo sbudellato, tornarono lentamente nella corte, Costa era sempre intento a potare la sua siepe di alloro, il sudore gli impregnava la T-shirt Mickey. Rivolse un gran sorriso a Dubois. «È uno dei suoi parrocchiani?» chiese Chib. «Uno dei più fedeli» assenti il sacerdote. «Non manca mai la messa del sabato sera. Un uomo pio e retto.» Che si batte la piccola di casa, sogghignò Chib tra sé, tanto per essere retto... Dubois sospirò. «Devo andare, ho una riunione con l'SDU. Mi tenga al corrente!» S'infilò nella sua vecchia Clio blu e si avviò. Blanche era sola. Andrieu non sarebbe rientrato che il giorno dopo. Chib avrebbe potuto tranquillamente nascondersi nella sua stanza e passare la notte con lei. Avrebbe potuto andare a parcheggiare la Floride sulla D9 e tornare attraverso il bosco, mai visto né conosciuto. L'idea di stringere a sé Blanche per una notte intera, di sentire il suo peso sulla sua spalla, la carne dolce di lei contro la sua, lo fece quasi fremere di desiderio. Ma era un'idea totalmente folle. Sarebbe
bastato che uno dei figli fosse entrato all'improvviso nella sua stanza in piena notte... a meno che lei non avesse chiuso la porta a chiave, ma certo. Hmm. Avanzò fino a lei. Stava ancora fissando il cielo, non aveva bevuto il suo tè. «Vorrei dormire con lei» disse. «Io vorrei dormire» rispose lei. «Stanotte» aggiunse lui. Lei si girò verso Chib. «È pericoloso.» «Me ne frego.» Blanche si alzò, lisciò la gonna. «Vado a letto alle dieci. Arrivederci, monsieur Moreno.» Gli tese la mano. Lui la strinse, brevemente. Fuori, faceva freddo adesso. Chib si abbottonò la giacca. Costa gli fece segno: «Ho visto M. Osmond. Il problema è che M. Andrieu non c'è.» «E allora?» «E beh, non penso che sarebbe troppo contento di vedere dei poliziotti piombargli in casa in sua assenza. Ho chiesto a Monsieur Osmond di aspettare domani per avvisarlo. Non cambierà granché per il cane.» «Ma per gli indizi, forse sì!» protestò Chib. «Qui, è M. Andrieu il padrone» obiettò Costa incrociando le braccia sul petto da sollevatore di pesi. «E mi auguro che lei non ne abbia fatto parola con Madame, lei è già abbastanza turbata di suo.» «Non sono mica scemo» si alterò Chib. Nello sguardo eloquente che gli rivolse Costa, Chib lesse che pure, ebbene sì, aveva tutta l'aria di esserlo. Decise di battere in ritirata. Inutile alienarsi le simpatie del giardiniere. Gaëlle gli aveva lasciato vari messaggi sul cellulare. Li ascoltò mentre procedeva al passo sulla D9. Non sarebbe potuta venire quella sera, troppo lavoro. Il che cascava a fagiolo. Provò una curiosa sensazione di irrealtà ascoltando Greg che gli parlava di un progettino di uscita in mare per il sabato seguente, con Aïcha. Lui era ormai talmente immerso in quell'universo glauco e sinistro della bastide che l'altra vita - la sua vita di tutti i giorni - non era altro che un ricordo importuno. Individuò un luogo tranquillo, l'ingresso di una tenuta circondata da platani. Il cancello arrugginito
e aperto che penzolava sui cardini ne denunciava lo stato di abbandono. Un'enorme magnolia gli garantiva una certa discrezione. Girò e riprese la strada per la villa. All'incrocio, un bus svuotò il suo carico di passeggeri. Scorse di colpo Charles e Louis-Marie. I due ragazzi non facevano chiasso, avevano un'aria preoccupata. Una volta di più rifletté sul fatto che Charles era il ritratto sputato di suo padre. Alto, viso squadrato, si avvertiva l'uomo che sarebbe diventato sotto l'insorgente peluria dei baffi. Louis-Marie, più piccolino, più magro, aveva preso dal lato gracile di sua madre, e aveva lo stesso viso sottile. Vedendo che aspettavano ad attraversare, Chib si fermò vicino a loro. «Volete che vi accompagni a casa?» Charles scosse la testa. Si sistemò davanti, lasciando a Louis-Marie lo stretto sedile di dietro. Notò che il ragazzo si rosicchiava terribilmente le unghie e vide dallo specchietto retrovisore Louis-Marie che si mordicchiava nervosamente l'interno delle guance. Avevano avuto un bel dire a cercare di fare gli sbruffoni, sostenendo la parte dei duri della situazione, ma era difficile superare lo choc della morte della sorellina, si disse Chib riavviando la macchina. «Venite da scuola?» Ancora uno scrollare di teste. «Dov'è che andate?» «Istituto Saint-Joseph» fece Louis-Marie. «Praticamente il medioevo!» «Stai dicendo un'idiozia» insorse Charles. «Preferiresti stare con tutti quei macachi del Jules Ferry?» «Cosa intendi per "macachi", Charles?» chiese Chib. «Quei piccoli segaioli, delinquenti, spacciatori, tutta quella gente che fa solo casino!» ringhiò Charles. «A Charles piace l'Ordine» ghignò Louis-Marie. «È monarchico.» «E allora? Te sei troppo piccolo per capire qualcosa di politica, povero cretino!» La Floride risaliva la costa come una vecchia habitué del posto. «C'è stato un piccolo incidente, oggi pomeriggio» disse Chib. «Oggi pomeriggio? Lei era da noi?» chiese Charles. «È successo qualcosa a mamma?» fece Louis-Marie. «No. A uno dei cani degli Osmond. Tobias. Qualcuno l'ha ammazzato.» Charles fece spallucce, quasi che la morte di un cane rispetto a quella di un essere umano... «Si sa chi è stato?»
«No. Abbiamo trovato il cadavere dentro una carriola, sotto un telone.» «Ucciso come?» volle sapere Louis-Marie, mentre si mordicchiava le labbra. «A colpi di cesoie» rispose Chib, poco desideroso di lanciarsi in spiegazioni dettagliate. «Cazzo!» sibilò Louis-Marie. «Era carino, Tobias.» «Clotilde voleva darlo a Elilou» mormorò Charles, pallidissimo. «Voleva farle una sorpresa per il suo compleanno, il mese prossimo.» «Chiudi il becco!» proruppe Louis-Marie. «Non dire cose del genere!» «Mio povero Loulou, tu stai male sul serio!» «Chiudi quella bocca, ti ho detto!» urlò Louis-Marie colpendo Charles sulla testa col suo zaino. Charles si voltò, e cercò di appioppargli una sberla. «Niente zuffe dentro la mia macchina!» gridò Chib. «E poi, siete arrivati.» Frenò davanti al cancello. I due ragazzi scesero lanciandosi sguardi feroci. «Arrivederci e grazie» disse Charles mentre sferrava un calcio a suo fratello che lo schivò. «Ciao Charlie, ciao Loulou!» gridò Chib ripartendo. Una pioggia di ghiaia schizzò sulla siepe, e Chib prese la svolta sorridendo, ben felice di aver innervosito i due piccoli mocciosi. Capitolo 13 Aveva piovuto tutta la notte. Una pioggia pesante e lancinante come un'emicrania. Chib si era parcheggiato all'entrata della tenuta abbandonata intorno alle dieci e mezza di sera. Aveva corso sotto la pioggia, aveva corso attraverso il bosco, impigliandosi fra i rovi, inciampando sulle foglie bagnate, col timore che i cani degli Osmond si mettessero ad abbaiare. Ma, tra la pioggia e la storia del cucciolo ucciso, dovevano essere rinchiusi, al riparo. La piscina brillava, come un faro per dei naufraghi, un rettangolo turchese dalla superficie bucherellata dalle gocce. Aveva costeggiato la bastide, ansimante, fradicio fino alle ossa, certo di finire dritto dritto fra le braccia di Costa, armato di fucile a pompa, o su una Annabelle in pigiama, pronta a urlare fino a farsi esplodere le corde vocali. La pioggia scorreva sulla cappella, inzuppava la ghiaia, crepitava sulla tettoia di lamiera della pensilina del giardino. La pioggia copriva il rumore
dei suoi passi esitanti. Si era afferrato alla grondaia e si era issato fino al primo piano. La stanza, la sua stanza, immersa nell'oscurità. La finestra era socchiusa. Era entrato. Se lei non aveva interrotto il circuito di sorveglianza, l'allarme si sarebbe messo a suonare e i vigilantes avrebbero chiamato, si era detto fra sé mentre si muoveva a tastoni nella stanza che odorava vagamente di medicinali. Etere. Odore di etere. Forse lei ne assumeva? Era inciampato nel letto matrimoniale, aveva sentito una coscia sotto la mano. Una coscia nuda. «Sei freddo» aveva detto lei. «Sei freddo e bagnato.» «Piove.» Le si era seduto vicino, le aveva accarezzato la fronte, la guancia. Lo sentiva il freddo, adesso, tremava. Lei lo aveva tratto a sé, all'improvviso, lo aveva fatto distendere accanto a sé. «Hai tolto l'allarme?» aveva chiesto lui. Lei non aveva risposto, la testa nascosta nel collo di lui. Chib non aveva più parlato. Aveva piovuto tutta la notte. Chib se n'era andato all'alba, con i vestiti ancora sgradevolmente umidi. Era scivolato nella decappottabile come un ladro ed era filato via lungo la strada sinuosa. Voglia di rientrare a casa, zero. Si era fermato a un bar notturno, vicino al porto, aveva ordinato un caffè, aveva letto il giornale che avevano appena consegnato, si era seduto in un angolo, vicino alla vetrata, fra il baccano dei camion della spazzatura e le strida incessanti dei gabbiani. Aveva piovuto tutta la notte, come se il cielo avesse pisciato sangue, come se avesse piovuto senza sosta nel cuore delle tenebre. Ora, il sole brillava nel cielo ripulito dalle sue ferite, le nubi si erano raggruppate sulle montagne, cappa scura e opaca. Sbadigliò. Aveva dormito due ore rientrando a casa, si era svegliato di soprassalto, la bocca impastata, la testa pesante. L'improvviso rendersi conto del fatto che ormai intratteneva una relazione con Blanche Andrieu l'aveva soffocato. Com'era possibile? La conosceva appena, lei era sposata, cattolica, madre di famiglia, innamorata di suo marito, aveva da poco perso sua figlia, come potevano andare a letto insieme? E perché con lui, poi? Si massaggiò le tempie cercando di fare chiarezza nei suoi sentimenti. Ma questi risultavano opachi come le nubi, laggiù. Il telefono squillò, stri-
dente. «Avresti anche potuto chiamarmi.» Gaëlle. «È successa una cosa...» Chib le raccontò della scoperta del cane mutilato. «E Elilou? Si è più mossa?» Non era neanche andato a vedere. Troppo occupato a adescare la madre, si disse, nauseato. «Beh, spero che la polizia riuscirà a mettere le mani sul malato di mente responsabile di tutto questo, perché secondo me è lo stesso che ha violentato e ucciso la bambina. A meno che non ci sia una concentrazione eccezionale di malati di mente in zona.» Chib assentì. Avrebbe proprio voluto che qualcuno fosse venuto a dirgli cosa stava provando esattamente, che lo avesse aiutato a fare una cernita, a etichettare quei sentimenti che si andavano sovrapponendo, sfilacciando, che di tanto in tanto lo pugnalavano. Si misero d'accordo per cenare insieme, una pizza al porto. Riagganciò. Il telefono squillò di nuovo. Era Greg. Aïcha aveva la serata libera, che programmi avevano lui e Gaëlle? Chib gli disse di unirsi a loro. Terzo squillo. «Cosa ha fatto a mia moglie?» Sentì le gambe liquefarsi sotto di lui. «Prego?» «Era tutta vestita quando sono arrivato. Truccata, pettinata, pulita. Intenta a mettere dei fiori in un vaso. Mi ha detto che avete avuto una lunga conversazione sulla morte e che questo le aveva molto giovato.» «Oh... questo...» Ma che diavolo era quella cazzata? «Non le avrà mica infarcito il cervello con quelle storie tipo vudù, mi auguro?» No, non è il cervello che le ho infarcito, amico mio... «Io sono nato qui, sa.» «Sì, sì, lo so, è solo che... dopo la morte di Léon, lei ha cominciato a dedicarsi allo spiritismo. Fortuna che Dubois è intervenuto con decisione!» «Né vudù né spiritismo, non si preoccupi.» Non si preoccupi di nulla. «Ok. Beh, per quanto riguarda il cucciolo degli Osmond, la polizia è qui. È per questo che la chiamavo, vorrebbero farle qualche domanda, dal mo-
mento che è stato lei a scoprirlo. Può venire?» «Arrivo.» «E soprattutto, non una parola sul resto, chiaro?» aggiunse Andrieu a voce bassa. «Non si preoccupi.» Chib si parcheggiò sospirando. Si sentiva nervoso. La prospettiva di vedere Blanche e suo marito contemporaneamente. L'autentica menzogna. Il vero tradimento. Il buon vecchio adulterio familiare che irrompeva nel dramma criminale. Una miscela di farsa popolare e grand-guignol. Ridicolo. La camionetta della gendarmeria era parcheggiata accanto alla Jaguar di Andrieu. Le girò intorno. Voci di uomini sul retro della casa. Un maresciallo osservava la carriola e il suo macabro contenuto, mentre un giovane gendarme prendeva degli appunti. Il maresciallo si girò verso Chib. Doveva essere sulla cinquantina, volto rubicondo, aria affabile. Chib si presentò. Parlarono qualche minuto. Il giovane gendarme prese la sua deposizione, il maresciallo deplorò l'aumento di violenza gratuita, l'inciviltà delle nuove generazioni, fece allusione agli immigrati, mentre Chib lo ascoltava con la sua aria più bianco-nera. «Lei non pensa che siano stati dei ragazzi a far questo?» chiese sistemandosi meccanicamente il nodo della cravatta. «No» sospirò il maresciallo a malincuore. «Credo che sia un drogato o qualcosa del genere. C'è della gente simpatica che si aggira per la campagna, sa. Pazzi inoffensivi, e altri che lo sono un po' meno.» «Il veterinario di Opio sospetta che vi sia una sorta di serial killer di cani.» «C'è un'indagine in corso» replicò il maresciallo. Con espressione ferma. «Noi facciamo del nostro meglio.» «Ma ne siamo certi!» fece la voce signorile di Andrieu alle loro spalle. Strinse la mano di Chib, e si voltò verso il maresciallo: «Immagino siate già stati da John Omond?» «Sì, ma non ci ha potuto dire nulla di più. Bene, portiamo via il corpo, nel caso il giudice istruttore volesse ordinare un'autopsia. La terrò al corrente, monsieur. E ancora, le mie condoglianze.» Andrieu sbatté le palpebre. «Grazie» rispose, le mascelle serrate. Un uomo di marmo, disse fra sé Chib, sta cercando di trasformarsi in un
uomo di marmo, ma le crepe sono dappertutto. Una volta andati via i gendarmi, Andrieu si voltò verso Chib: «Hanno trovato delle tracce nel bosco. Qualcuno apparentemente vi è passato di recente, ci sono segni di passi nel fango. Un uomo, a giudicare dalla misura delle impronte. Un uomo in scarpe da ginnastica.» Occhiata ai mocassini di Chib. «Il problema» proseguì «è che il cane è stato ucciso prima, quindi non è detto che la questione sia legata a questo visitatore notturno.» «Ma c'è comunque qualcuno che gironzola nel bosco» si sentì in dovere di dire Chib, ghiacciato per la paura. «Esattamente. Farò installare una recinzione elettrica. Inutile tentare il diavolo.» Letteralmente, se si voleva dar credito a Dubois. «Non sarebbe stato più saggio raccontare loro ogni cosa?» azzardò Chib con prudenza. «Le ho già espresso la mia posizione al riguardo, non voglio paparazzi, non voglio che mi rivolgano migliaia di domande, di sospetti, non in questo momento, non con mia moglie che è già tanto provata!» «Volevo solo essere certo...» sussurrò Chib. «Ebbene, può esserlo!» scandì Andrieu. «Desidero che Mlle Holzinski, dal canto suo, prosegua le indagini.» Perfetto, Gaëlle avrebbe ripreso servizio. «Perché i gendarmi erano qui?» Blanche era comparsa in silenzio, tailleur grezzo, un filo di perle al collo, trucco leggero, niente anelli salvo la fede, sguardo limpido. «Una semplice formalità» rispose suo marito riprendendo il controllo. «Uno dei cani degli Osmond è morto.» Lei aggrottò un sopracciglio. «E si spostano per un cane morto?» «Forse è stato... avvelenato» terminò Andrieu fissandosi la punta delle scarpe. «E visto che è stato ritrovato nella nostra proprietà...» «Non sospetteranno mica di noi!» esclamò lei. «Ma no, certo che no, è semplice routine.» Lei si girò verso Chib, tranquilla e gentile. «Resta a pranzo con noi, monsieur Moreno?» «La ringrazio ma sono atteso da amici.» «Molto bene. Ah, a proposito, ho sentito Noémie Labarrière. Sono assolutamente incantati dal suo lavoro.»
Il marito la fissava con un certo stupore misto a sollievo. Lo spettro del trattamento psichiatrico si stava allontanando in quella bella mattinata soleggiata. Alcuni passerotti pigolavano. L'innaffiatole automatico fece sentire il suo ronzio trattenuto. Andrieu posò una mano sulla spalla di sua moglie. Lei non brontolò. Chib aveva l'impressione che gli stessero sferzando il basso ventre a coltellate. Lui che non era mai stato geloso, sentiva all'improvviso il desiderio di strappare quella mano possessiva di Andrieu, di tranciarla con una scure. Doveva andarsene. Non tornare mai più, si disse per la centesima volta. Il cellulare di Andrieu si mise a squillare. «Ciao Rémi. Si...» Si allontanò, fuori dalla portata di orecchio. «Mi vuole accompagnare in cappella?» chiese Blanche guardandolo dritto negli occhi, senza la minima, minima traccia di un ricordo della notte appena trascorsa. «Se ci tiene...» «Grazie.» La seguì, lei si storse la caviglia sulla ghiaia, ma lui non si avvicinò, oh no! Entrando nella cappella si sentì pieno di apprensione, come se una qualche raccapricciante visione avesse dovuto assalirlo di nuovo. Ma no, Elilou riposava nella cassa traslucida, il Cristo era sempre appeso al muro. Solamente l'odore di urina, acre, testimoniava quel che era accaduto. «Deve essere entrato un gatto» fece notare Blanche. «Dirò ad Aïcha di venire a pulire.» Si avvicinò alla figlia, con le braccia incrociate, curva ma risoluta. «Comincio a capire» disse a voce bassa. «Comincio a rendermi conto che lei se n'è andata per davvero. Io non volevo... perché fa così male... Questo non significa che io lo accetti, penso che non riuscirò mai ad accettarlo.» Posò una mano esitante sul coperchio. «Mamma è qui, tesoro, mamma ti ama» bisbigliò. «Anche se M. Moreno pensa che mamma sia solo una puttana, mamma ti pensa.» Chib si irrigidì, scioccato. «Non dire assurdità, buon Dio!» «Mi pare che il buon Dio sia tristemente assente in tutta questa storia. Tu non pensi forse che io sia una puttana?» «Avrei voglia di picchiarti quando fai così» rispose lui.
«È vero che sarebbe più pratico se mi lasciassi scopare in silenzio.» Quelle parole, così crude, sembravano incongrue uscendo dalla sua bocca. Si guardarono, in piedi, immobili, il corpo di Elilou fra di loro. Poi lei distolse lo sguardo e si voltò. Stava arrivando Andrieu, rimettendo a posto il cellulare nella tasca della giacca. «Scusate, gli affari...» Chib si accommiatò, la mente corrosa dalle parole di Blanche. Lei lo stava corrompendo, dissolvendo, si stava facendo strada dentro di lui come la putrefazione nei corpi che preparava. Premette il tasto "play" nel lettore cd con gesto rabbioso, a tutto volume. "A house where nobody lives", cominciò a scandire Tom Waits. Qualcuno abitava davvero dentro Blanche? O non era forse lei una sorta di personaggio fatto di frammenti schizzoidi? La voce di Greg in testa: "Tu ti fai troppe domande, bello, e per di più non trovi mai le risposte, e questo non fa altro che rovinarti la faccia e rompere i coglioni agli altri." Decise di non pensarci più. La serata era stata febbrile, movimentata, una sarabanda infernale di domande e risposte sconnesse. Greg strabuzzava gli occhi sbigottiti, Aïcha colmava le sue lacune, Gaëlle faceva mille supposizioni contemporaneamente. Riposante, in realtà, si era detto Chib. Meglio avere la mente occupata, del tutto indisponibile per un'angosciosa introspezione. Aveva chiesto ad Aïcha quel che sapeva della sessualità di Charles. Lei aveva aggrottato le sopracciglia. «Non mi pare troppo limpido, quel ragazzo. Non mi si fila mai, quasi fossi di plastica, capito.» «Louis-Marie mi ha detto che è gay. Che aveva avuto dei rapporti con Costa.» «Cosa?! È per questo, allora! Che porco, quel Costa!» «Ma Charles dice che Louis-Marie è un mitomane.» «Louis-Marie non mente mai!» si era meravigliata Aïcha. «È l'unico che tiene testa a suo padre!» «Charles è molto attaccato a sua madre?» «Come tutti i ragazzi... Uno che è parecchio attaccato a Blanche è il vecchio Osmond. Un altro po' ci sbava dietro, ogni volta che la vede, poverino.» «Non va d'accordo con la moglie?»
«Clotilde? Non è una molto eccitante, l'hai vista.» John Osmond. Con quel suo nasone bulboso e la pancia da bevitore di birra. Che si fosse vendicato sulla figlia per non aver potuto sedurre la madre? A meno che... Blanche che si fa tutti gli uomini a portata di mano? Blanche, che geme sotto John Osmond, Blanche che partecipa a delle ammucchiate con Elilou? Doveva aver pensato a voce alta, perché Gaëlle gli stava dicendo: "Tu credi?", e Greg: "Se fanno delle ammucchiate, posso saperlo: mia madre conosce tutti in quell'ambiente. Oltre al club, organizza delle serate per scambisti da trent'anni" e Aïcha ridacchiava, nervosamente, imbarazzata all'idea che il cameriere potesse sentirli. Chib ripensava a tutto questo mentre si parcheggiava ancora una volta davanti alla bastide, l'indomani mattina. Una specie di routine. Gaëlle stava scendendo dalla macchina, si lisciava i capelli, soffocava uno sbadiglio. «A dire il vero, non capisco bene cosa stiamo andando a fare» gli sussurrò lei. «Non ho davvero più idee!» «Andiamo a ficcare il naso un po' dappertutto. A fare domande. A rovistare nella baracca.» «Ah, sì, è così. Ispezionare tranquillamente l'ufficio di Andrieu per scovare le foto di Costa intento a sodomizzare Charles o quelle di Blanche che si cavalca John Osmond sotto lo sguardo ammirato del marito.» «A proposito degli Osmond...» Chib le diede un discreto colpetto di gomito. John e Clotilde Osmond stavano entrando nella bastide. John teneva la moglie per il braccio, lei portava un grosso cesto di frutta. «Ah, ah, visitina espiatoria!» sogghignò Gaëlle. «Questa gonna mi va troppo stretta.» «Devi andarci piano con l'alcol e le pizze ai quattro formaggi...» «E tu devi andarci piano coi consigli. Avanti, in scena!» Presero ognuno un bel respiro e avanzarono, fianco a fianco. Blanche, con un vestito di lino color lavanda, stava ringraziando gli Osmond calorosamente. «Sono magnifiche!» diceva tastando una guaiava. «Non dovevate...» «Siamo andati al mercato, non abbiamo resistito alla tentazione di portarvene un po'. A Jean-Hugues piacciono così tanto i frutti esotici! Come a John!» Blanche strizzò gli occhi, quindi scorse Chib e Gaëlle, in piedi, nel vano
della porta finestra. «Oh, prego, entrate, mio marito non c'è, ma...» «È al corrente di tutto» la informò Gaëlle, della serie sbirro educato. «Non si disturbi per noi.» E, trascinandosi dietro Chib, avanzò verso l'atrio, lasciando gli Osmond di sasso, ma troppo educati per fare domande. Salutarono con discrezione Aïcha che stava spolverando nella sala tivù e si separarono. A Gaëlle, l'ufficio del padrone di casa, a Chib la biblioteca. Ma cosa stiamo cercando? si chiedeva Chib camminando per la stanza le cui imposte chiuse lasciavano filtrare raggi di luce giallognola. Passò la mano sui tagli di vecchi volumi rilegati in pelle. Shakespeare. Hmm. Osservò la scacchiera. Non sapeva giocare a scacchi. Altrimenti avrebbe potuto muovere uno dei pedoni della partita in corso, come si vedeva nei film, della serie: "Questa partita iniziata da due anni, io ve la risolvo in un minuto, e paf, scacco matto, vecchio mio!" Si avvicinò al biliardo, si divertì a tirare qualche palla, ma il rumore gli parve troppo forte nel silenzio circostante. Uno stipo, in un angolo. Tirò i cassetti in mogano. Pieni di cartelline cartonate - "EDF", 'Trance Télécom", "Vacanze", etc - pezzi di carta, volantini, agende dove Blanche aveva annotato appuntamenti insignificanti, date di compleanno. Aveva una piccola grafia appuntita, all'antica. "Elilou, dentista", lesse. Guardò la data: mercoledì 28 aprile 2002. Fra qualche giorno. Scorse ancora un momento le agende, ma ovviamente non vi era alcun riferimento del tipo "Elilou violentata un'altra volta da John Osmond" oppure "Seguiti da losco individuo nudo sotto l'impermeabile". Niente altro che la tranquilla vita di una famiglia come tante. Si tirò su, chiuse i cassetti. Una fotografia in una cornice d'olmo ornava la parte superiore del mobile. Dello stesso genere di quelle che Blanche gli aveva mostrato il primo giorno. Tutta la famiglia riunita, lei compresa, sorrisi scintillanti, chiome bionde al vento. La prese e quasi la fece cadere, sorpreso. La sua mano aveva toccato qualcosa di vischioso. Con precauzione, girò la foto. Il retro della cornice era impregnato di una sostanza bianca e appiccicosa che egli identificò a colpo d'occhio. Sperma! "Qualcuno" si era masturbato su quella foto, si disse mentre la riappoggiava, disgustato. Di nuovo quella sgradevole sensazione di essere osservato. Si girò d'un balzo. La stanza era vuota, scura e vuota. Riportò la sua attenzione sulla foto insudiciata. Una giornata di festa in famiglia. All'improvviso fu come se il violentatore prendesse realmente corpo. Non erano più solo supposizioni, si trattava di un uomo in carne ed ossa, qualcosa di pesante
che schiacciava la bambina, che si conficcava in lei, provocando dolore e paura, era un respiro ansimante, un fiato mozzo, che finiva per saziare i suoi appetiti bestiali nel momento in cui ne annientava l'oggetto. Un essere fatto di carne, sì, la cui anima evocava una foresta oscura, densa, fredda e soffocante al contempo, una foresta senza luce, senza via d'uscita, i cui alberi si piegano verso di voi per strangolarvi. Risollevò la testa, si asciugò la fronte. Stava traspirando. Come se avesse avuto di colpo un'illuminazione, una visione. Strizzò gli occhi a più riprese per sbarazzarsi di quella sensazione di soffocamento. La stanza tornò a riprendere la sua forma. La sua costosa banalità. Un uomo abbastanza intimo degli Andrieu da potersi ritrovare da solo nella sala della biblioteca. Che sappia di avere tempo a sufficienza per abbandonarsi a un atto sessuale clandestino. Difficile non pensare allo stesso Andrieu. O a padre Dubois. «Sta cercando qualcosa?» Belle-Mamie era rimasta sulla soglia. Irrigidita in una tuta sportiva di velluto color malva, e una fascia assortita fra i capelli. «Stavo aspettando che Mme Andrieu terminasse la conversazione con i suoi amici» improvvisò Chib mentre pensava con apprensione a Gaëlle che rovistava nell'ufficio di Jean-Hugues. «Doveva dirle qualcosa in particolare?» Sì, chiaro, volevo sapere quand'è che ci si poteva rivedere per una scopatina. «Suo figlio ha chiesto a Mlle Holzinski e a me di proseguire le nostre indagini a proposito di...» «Dubito che abbiate trovato nulla. Questo caso è di competenza della polizia.» «Certamente, ma non sono io che prendo le decisioni» le rispose lui mentre fra sé rifletteva sul fatto che l'ostinazione di Andrieu a non voler avvisare la polizia appariva a un tratto alquanto sospetta. Belle-Mamie sollevò l'aristocratico sopracciglio, gli occhi azzurri come quelli di suo figlio che lo fissavano per nulla affabili dietro gli occhiali bifocali. Quindi la donna si voltò, sentendo dei passi risuonare sul pavimento smaltato. Gaëlle. Uf. Che scuoteva la massa di capelli rossicci con disinvoltura, e tendeva la mano dalle unghie appena rosate a una Belle-Mamie interdetta. «Buongiorno. Sono lieta di trovarla qui. Avevo giusto bisogno di qualche precisazione.»
«A che proposito?» domandò Belle-Mamie incrociando le sue mani ben curate punteggiate di macchioline brune. «Lei è di certo un'attenta osservatrice» le replicò Gaëlle, molto a suo agio «e vorrei conoscere il suo parere sui nemici che potrebbe eventualmente avere suo figlio. Gli uomini hanno spesso la tendenza a fidarsi troppo degli altri.» «Sono d'accordo con lei!» approvò Belle-Mamie. «Jean-Hugues è letteralmente incapace di scorgere il male dove si nasconde!» Fatti da parte, Chib, queste due donne stanno per intavolare una discussione nella quale tu non avresti molto da dire. «Scusatemi, torno subito.» Lasciò la stanza senza che le altre due sembrassero darsene conto. Gaëlle era terribile, una commediante nata! Gli Osmond erano ancora lì, Chib poteva sentire l'eco della loro conversazione con Blanche. Peccato che Belle-Mamie non fosse un uomo. Sarebbe stata un colpevole ideale. D'un tratto gli venne in mente che lo sperma dietro la foto poteva essere analizzato. Bisognava portarlo via. Nel frattempo, dare comunque un'occhiatina alle stanze. Salì rapidamente la scala, in punta di piedi. Ogni porta era ornata da una piastrella in ceramica con il nome di chi la occupava e decorata con un disegno particolare. Un anatroccolo per Eunice, uno scoiattolo per Annabelle, un coniglio bianco per Elilou, una macchina sportiva rossa per Louis-Marie e un cavallo nero per Charles. Davvero niente di che, borbottò Chib mentre entrava nella stanza di Charles. Esaminò rapidamente l'ambiente. Un letto a una piazza coperto con un piumone a scacchi bianco e nero, un armadio moderno, bianco, una scrivania nera, su cui erano appoggiati dei raccoglitori ben allineati, un barattolo a forma di mano contenente delle penne, un bloc-notes, un computer portatile - un iBook bianco e verde. Sulla parete, alcuni poster. Dei corridori protesi nello sprint e un paesaggio innevato, incontaminato, calcato da un orso bianco. Chib prese il bloc-notes. L'inizio di un compito di matematica. Aprì i cassetti, rapidamente. Libri di scuola, dizionari, qualche numero di Première, due riviste d'informatica, una foto di Brad Pitt a torso nudo, chiaramente strappata da una rivista. Hmm. Niente Julia Roberts o Juliette Binoche, no: Brad Pitt. Hmm. Rimise a posto la foto, sotto un libro di storia, sollevò il coperchio dell'iBook. Lo schermo mostrava dei cubi multicolore che si muovevano su uno sfondo blu scuro. Uscì, chiuse la porta senza fare rumore, entrò da Louis-Marie. Anche
qui, il letto a una piazza, con un piumone decorato con i Simpson, l'armadio bianco, alcuni scaffali pieni di libri per bambini e ragazzi, la scrivania nera, sulla quale era spiegato, tutto aperto, un planisfero, accanto a un mappamondo luminoso, un astuccio con delle penne, un iBook bianco e blu, una copia dell'ultimo Harry Potter aperto al capitolo 3. Sulla parete, manifesti di film: Scary Movie, L'impero colpisce ancora, Jurassic Park. Sullo schermo acceso dell'iBook, uno Spiderman rosso e blu scalava un grattacielo di vetro. In un angolo, un sintetizzatore Aïwa di alta qualità. Rumori. Non molto lontano. Scivolò di fuori. Dabasso gli Osmond si stavano accommiatando. Ridiscendere. Andare a cercare la foto. S'infilò per la scala, incollato al muro, sbucò nell'atrio. Blanche e gli Osmond stavano di fronte allo studio, Clotilde stava ringraziando Colette che le porgeva un libro di cucina provenzale. Chib deviò verso la biblioteca, orecchiò un istante dietro la porta. Non un suono. Gaëlle e Belle-Mamie dovevano essere uscite. Chib abbassò la maniglia ma la porta rimase chiusa. Ritentò. Qualcuno aveva chiuso a chiave. Qualcuno dall'interno? Ma chi? Andrieu? Ancora una volta tornato all'improvviso? Chib bussò con delicatezza. Nessuna risposta. «Siamo qui!» fece la voce acuta di Belle-Maman alle sue spalle. «Nel giardino d'inverno.» Le raggiunse. Stavano bevendo del tè. «Ne vuole una tazza?» propose Belle-Mamie. «Non c'è niente di meglio che un buon Oolong. Non mi piace per niente quel tè verde giapponese di cui va pazza Blanche.» «No grazie» rispose Chib. «A me non piace proprio il tè.» Belle-Mamie strinse le labbra. «Gli inglesi sono ancora lì?» «Se ne stavano andando.» «Temevo che Blanche li invitasse a pranzo. Sono piacevoli, ma... Clotilde è un po' troppo dedita alla bottiglia e John...» «Louise mi stava spiegando che John è... affascinato da Blanche» completò Gaëlle portando la tazza alle labbra. Louise! Chiamava il drago per nome! Allucinante! Louise approvava, e si serviva un'altra tazza di tè: «Jean-Hugues dice che non ha alcuna importanza, ma non mi pare molto sano, non è vero? Bisognerebbe che questo individuo non si sentisse incoraggiato.» «Le avrà consacrato senza dubbio una passione del tutto platonica, il
classico capriccio romantico tipico degli uomini della sua generazione» disse Gaëlle con un sorriso disarmante. Ma a Belle-Mamie non piaceva troppo il concetto di disarmo. «Una passione della maturità, sì! Vecchio libidinoso! Mio marito non avrebbe tollerato un comportamento del genere.» «Di cosa si occupava?» chiese Gaëlle con lo stesso fervore che se stesse aspettando i risultati del lotto. «Enguerrand? Era nella finanza, è una tradizione di famiglia. Lui che detestava la contabilità!» aggiunse con un sorriso intenerito che la ringiovanì di vent'anni. Quindi riprese la sua espressione severa e aggiunse: «Povero caro Enguerrand, come sarebbe triste per tutte queste... queste...» Non terminò la frase e finì la sua tazza di tè. Chib si stava domandando dove fosse Blanche e come poteva fare per recuperare la foto. «Temo di aver dimenticato la penna nella biblioteca» fece, tastandosi le tasche. «Bene, vada a vedere» fece il drago senza degnarlo di uno sguardo. «È chiusa a chiave.» «Chiusa a chiave? Oh! Deve essere stata Aïcha che avrà voluto mostrarsi zelante. Si faccia aprire da lei.» Chib si allontanò e, senza essere riuscito a scorgere Blanche, si imbatté in Aïcha che stava passando l'aspirapolvere nella sala da pranzo. Lo accompagnò, con un grosso mazzo di chiavi in mano. «Non sono stata mica io a chiudere» gli sussurrò. «Sono sicura che è stata lei, per impedirti di curiosare negli affari del suo adorato figlioletto.» Chib afferrò la foto dalla parte superiore della cornice con l'intenzione di ficcarsela sotto la giacca, ma non serviva più: era stata ripulita. Il retro era liscio e secco. Incredulo, passò la mano sul cartoncino morbido. Riacciuffò Aïcha nel corridoio: «Hai fatto le pulizie in questa stanza?» «No, non ancora. Ci sto andando.» Qualcuno si nascondeva in casa? Salì le scale correndo, aprì le porte delle stanze in fretta e furia. Vuote. Verificò nei tre bagni, nei grandi armadi a muro, quindi ridiscese a controllare lo studio, la sala da pranzo in cui erano stati apparecchiati due posti sul lungo tavolo rustico. E Blanche? Corse di fuori. Blanche stava discutendo con Costa che le
stava mostrando un limone striminzito. Era assurdo! Qualcuno era entrato nella biblioteca nel lasso di tempo trascorso tra il momento in cui lui l'aveva lasciata e ora, ossia nell'ultima mezz'ora. E quel qualcuno aveva ripulito la foto e chiuso a chiave. John Osmond? Ma aveva visto Blanche riaccompagnarli fino al cancello. Tuttavia, Osmond avrebbe potuto dire a sua moglie di aver dimenticato qualcosa e tornare sui suoi passi. Ma Osmond certamente non aveva la chiave della biblioteca. A meno che Osmond non avesse l'abitudine di circolare per casa senza farsene accorgere e avesse fatto fare un doppione del mazzo di Aïcha. Osmond, con la sua goffaggine da pacioccone in pantofole, che si intrufola nell'ombra, tipo Arsenio Lupin. «Restate allora per pranzo!» intese Chib avvicinandosi alla vetrata. «Farà piacere a Blanche avere un po' di compagnia.» Chib si disse che al posto di Blanche lui non avrebbe gradito molto che venissero invitate delle persone a pranzare in casa sua senza che prima gli fosse chiesto se gli andava bene. Belle-Mamie voleva senz'ombra di dubbio dimostrare che era pur sempre lei la regina madre. «Stavo dicendo a Gaëlle che dovreste rimanere per pranzo» ripeté l'anziana signora. L'idea di sedersi di fronte a Blanche e di sostenere una conversazione mondana gli parve uno sforzo al di sopra delle sue forze. «Mi spiace, ma ho già preso un impegno» mentì. «Per quanto riguarda me, sarà un piacere» disse Gaëlle rivolgendo uno sguardo sorpreso a Chib che fece finta di non accorgersi di nulla e salutò. «Vengo a prenderti verso le due» fece alla ragazza. Blanche non stava più parlando con Costa. Era in piedi, nell'atrio, appoggiata alla parete, le braccia incrociate. «Non resta con noi, monsieur Moreno?» «No, non posso.» «Che vigliacco...» bisbigliò lei. (Poi, a voce alta:) «Ci farà almeno la cortesia di raggiungerci per il caffè?» «Tenterò» rispose lui con freddezza. Colette era uscita dalla cucina portando un piatto di farciti. Blanche si raddrizzò, Chib le strinse la mano, goffamente. Il palmo della mano di lei era asciutto e dolce. Lui uscì senza voltarsi. «Spero che il pranzo sia pronto, sto morendo di fame!» Charles stava attraversando il corridoio dondolando il suo zaino pieno di libri. «Tu e tuo fratello non dovevate mangiare alla mensa?»
«Mio fratello può essere, ma io sono stanco oggi. Ho lezione alle tre!» disse con disinvoltura prima di scomparire dentro casa. Chib lasciò la villa più perplesso che mai. Charles poteva benissimo essere arrivato di nascosto da un bel po'. Charles, l'adolescente omosessuale che stupra e uccide la sorellina? Era insensato... Tutto era insensato sin dall'inizio. Come se due trame differenti si fossero sovrapposte, ingarbugliate, offuscando la visione d'insieme. Cercò di ricapitolare gli avvenimenti. Fatti principali: una bambina muore. Forse è stata uccisa. La bambina non è vergine. Qualcuno ha rubato il suo cadavere. Poi lo ha restituito, dopo averlo crocifisso. Qualcuno ha profanato una statua di Cristo. Qualcuno ha sventrato un cucciolo di cane. Qualcuno ha eiaculato su una foto di famiglia. Fatti secondari: il figlio più grande avrebbe avuto una relazione sessuale col giardiniere. La madre ha una relazione sessuale con l'imbalsamatore di sua figlia. Il vicino è innamorato della madre della bambina. La suocera disprezza sua nuora. Un amico di famiglia ha probabilmente una relazione con la fidanzata del socio del marito. Il marito ha un'aria irreprensibile. Bilancio: uno qualsiasi dei vicini eterosessuale potrebbe essere il colpevole. Dunque, eliminare Costa e Charles? Ma se Louis-Marie avesse mentito? Quindi, continuare ad andare su e giù. E per quale motivo Charles avrebbe lasciato intendere a Noémie Labarrière che Chib stesso era omosessuale? E Gaëlle aveva forse intuito quel che era successo fra lui e Blanche nel corso di quella lunga notte bianca? Le Notti Blanche, versione originale in bianco e nero, vietata ai minori. Si rese conto di avere fame, si fermo a un McDonald's e fece una coda di un quarto d'ora prima di riuscire a ordinare due Big Mac a una studentessa svedese estenuata il cui sorriso fisso pareva essere stato disegnato da un caricaturista. Si sistemò nell'angolino più tranquillo - davanti a un tavolino rotondo vicino ai bagni - e masticò i suoi panini ripassandosi in testa ancora e ancora il film degli avvenimenti. Dopodiché tornò alla macchina, cercò di leggere un manuale di conversazione in olandese acquistato durante un viaggio ad Amsterdam, ripetendo le frasi a pappagallo, lo buttò sul sedile posteriore, incrociò le braccia dietro la testa e chiuse gli occhi dicendo fra sé: "Dormirò un pochino", ma li riaprì dopo cinque minuti, sfinito dalla tensione necessaria per tenere le palpebre chiuse, si massaggiò le tempie con gli indici fino a farsi venire
dei lividi, decise di dare una ripulita al contenuto del cruscotto, si arrese al quattordicesimo biglietto di autostrada, decise di andare a far lavare la macchina entro quella sera e far aspirare un po' tutta quella sabbia che si era depositata sui tappetini, scese per sgranchirsi le gambe, risalì subito e, accortosi che finalmente erano le due, ripartì in tromba. Un po' prima di arrivare alla bastide, vide una piccola Yaris grigia infilarsi per il sentiero asfaltato che portava dai Labarrière. C'era una donna alla guida, una donna con lunghi capelli biondo platino. Winnie, che andava a fare visita ai suoi cari amici. Chib frenò, tirò fuori il cellulare dalla tasca posteriore. Compose il numero dei Labarrière. Segreteria telefonica. «Buongiorno, sono Léonard Moreno. Ho dimenticato di darvi il prodotto di mantenimento per il pelo di Scotty, e dal momento che ero in zona...» Pausa. Nessuno alzò la cornetta. «Beh, richiamerò. A presto, buona giornata.» Apparentemente i Labarrière non erano in casa. Eppure la Yaris non tornò indietro. Blanche si era eclissata qualche istante dopo che Chib aveva accettato una tazza di espresso giamaicano, col pretesto di alcune telefonate che doveva fare. Avevano chiacchierato ancora un po' con Belle-Mamie, instancabile allorché la conversazione era caduta sulla Stagione Dorata precedente al Maggio '68, dopodiché erano riusciti a congedarsi, incrociando sulla strada la Jaguar di Andrieu che apparentemente non li aveva notati, lo sguardo puntato dritto davanti a sé, l'aria assente. Passando davanti alla stradina che portava a casa dei Labarrière, Chib aveva lievemente rallentato. La Yaris non c'era più. Gaëlle aveva ovviamente voluto sapere perché mai Chib non era rimasto a pranzo e lui si era dovuto inventare la storia di un cliente che aveva urgenza d'incontrarlo. Quindi aveva rapidamente sviato il discorso sulla scoperta della foto imbrattata e poi misteriosamente ripulita. «Charles?» aveva buttato là Gaëlle dopo aver riflettuto un istante. «Tu pensi che possa essere stato Charles?» «Non lo so. Tu sei sicura di non aver visto nessuno in casa?» «Sì, Dracula e i sette nani, ma mi sono dimenticata di dirtelo.» Aveva riportato Gaëlle alla stazione, lei doveva andare a teatro con alcune amiche, quindi era tornato a casa di pessimo umore, con la testa che gli ronzava, estremamente nervoso. La cassetta delle lettere straripava di volantini che gettò lì vicino, nel ce-
stino della spazzatura per strada. Sotto al mucchio delle pubblicità trovò una comunicazione delle tasse, una cartolina di un amico in vacanza a Cuba e un pacchetto della misura di un libro. Un libro? Lanciò le chiavi sul tavolino basso e iniziò a strappare l'involucro di carta kraft. Non era un libro, bensì un dvd. La copertina nera non recava alcuna indicazione. D'altronde lui non aveva ordinato nulla! Salì nella sua stanza, nel mezzanino. Inserì il dvd nel lettore. Dov'era il telecomando? Seppellito sotto al cuscino, chiaramente. Si attorcigliò a pancia sotto sul letto per recuperarla, quindi premette il tasto "play". Qualche secondo di buio, poi un'immagine, non molto chiara, anzi molto scura, tuttavia perfettamente identificabile: un uomo si stava arrampicando su una grondaia. Un uomo che gli somigliava come una goccia d'acqua e che guardava nervosamente sopra la propria spalla mentre si aggrappava al tubo. Chib deglutì. Non poteva essere! Non era possibile che qualcuno lo avesse filmato, cazzo! Sennonché era proprio così, visto che ora lo si poteva vedere passare dalla finestra e richiudere i battenti dietro di sé. E poi, grazie a dio, più nulla. Di nuovo il buio. La sola idea che qualcuno avesse potuto registrare i loro sollazzi gli faceva venire la nausea. Mandò avanti il disco rapidamente, ma non conteneva altro. Afferrò la custodia, la esaminò da ogni parte. Una banale custodia di plastica senza alcun segno particolare. Anche se c'erano delle impronte, ormai le aveva di sicuro cancellate maneggiandola. Ma ad ogni modo, non avrebbe mai fatto vedere quella cosa a nessuno... Chiunque avesse ripreso quella scena, di sicuro ne aveva una copia. Si aspettava quasi di sentire squillare il telefono e dall'altra parte una voce soffocata che gli ingiungeva di recarsi ai piedi del terzo lampione a sinistra con duecentomila euro in banconote di piccolo taglio in una busta di plastica. Avrebbe quasi preferito che il tutto fosse opera di un ricattatore, in realtà. Di una mente razionale cui piacesse il denaro. E non di un perverso pedofilo sadico che avrebbe certamente provato la più grande delle soddisfazioni nello schiaffare quel fottuto film nelle mani di Andrieu. Era assolutamente necessario avvertire Blanche! E che lei intercettasse la posta. E forse era già troppo tardi! Si precipitò verso il telefono e, nell'istante in cui lo afferrò, quello si mise a suonare. Il respiro corto, Chib esalò un "Pronto" rauco, in attesa del peggio. «Buongiorno, sono Noémie Labarrière. Mi spiace di non averla incontrata a mezzogiorno, ma sono passata a prendere Paul al Consiglio e siamo
andati a mangiare insieme, era una giornata così bella!» Paul non era in casa a mezzogiorno? Rispondere. «Oh, non fa niente, ve lo porterò domani se a lei va bene.» «Verso le undici, andrà benissimo.» «Benissimo, a domani.» Ma allora chi era andata a trovare Winnie? Che cosa ci faceva a casa dei Labarrière in loro assenza? Si serviva forse della loro villa per passare di nascosto dagli Andrieu? Era forse venuta a riprendere il suo complice dopo che questi era andato a ripulire la foto? Chassignol, il socio e amico d'infanzia degli Andrieu? Chassignol, l'innamorato respinto da Blanche? Chassignol, l'animale carnivoro senza emozioni? Si buttò sul letto, chiuse gli occhi. Troppe informazioni che si accavallavano contemporaneamente. Saturazione neuronale. Calma. Fare ordine. La questione più grave era il filmato. Andrieu poteva fargli la pelle con una cosa del genere. Letteralmente. Poteva fargli sparare come a un coniglio da un qualunque piccolo sicario. Non dubitava affatto che quel wonder boy avesse i contatti giusti per portare felicemente a termine un contratto di morte nei confronti dell'amante di sua moglie. Magari mediante Chassignol! Cercò di chiamare Gaëlle, ma trovò la segreteria. Fece il numero degli Andrieu. "La signora è uscita" gli fece sapere una compassata Colette. "Lei e la signora madre avevano un appuntamento al Soccorso cattolico." La signora madre! Buon Gesù! C'è davvero bisogno del tuo soccorso! Una birra. Aveva bisogno di una birra. Solo una. Niente birra nel frigo. Neanche una birra nel frigo, ovviamente. Quand'era l'ultima volta che aveva pensato di fare la spesa? La settimana addietro? O quella prima ancora? Non era possibile rimanere lì a girarsi intorno. Raccolse le chiavi, mise la giacca e uscì. Una birra. Un bar all'aperto. Gente normale. La gente normale gli passava accanto senza che lui nemmeno la vedesse. La birra svaporava nel bicchiere. Faceva freddo all'aperto ora che il sole era calato. Chib guardò il suo portachiavi, una tromba d'argento in miniatura, quasi che dovesse dargli il la di tutta quella storia. Chi lo aveva filmato possedeva una piccola videocamera digitale a infrarossi. Materiale assai costoso. Informarsi sull'equipaggiamento audiovisivo degli Andrieu. Mio Dio, sapere che qualcuno sapeva! Un sorso di birra tiepida. Divertente come la cosa oggettivamente meno importante, la ripresa filmata di un adulterio, prendesse di colpo il sopravvento su un omicidio o una profanazione di tomba, unicamente per la ragione che quella questione riguardava lui, in prima persona!
Non era neanche andato a dare un'occhiatina alla povera Elilou. Aveva voglia di un caffè ora, di un caffè bello forte, amaro, che potesse dissipare la confusione che regnava nella sua testa. Chiamò il cameriere, ordinò un espresso doppio, mandò giù un altro sorso di birra. Winnie non si poteva essere recata dai Labarrière senza motivo. Aveva forse le chiavi di casa? Appuntamento con uno dei domestici? Una relazione con Costa il giardiniere onnipresente? «Cazzo, amico, si direbbe che ti abbiano appena tirato fuori dalla tomba. Hai un aspetto da far paura!» Chib ebbe un sussulto. Greg lo stava squadrando, in calzoncini blu Billabong e maglione bianco di cotone con colletto a polo aperto sul petto ursino. Si sedette, ordinò una tequila con voce stentorea, quindi tornò a riesaminare Chib, accigliato. «Non mi starai mica uscendo pazzo, te, eh? Cosa diavolo combini con la nevrotica?» «Che?» mugolò Chib. «Ma di che parli?» «Di mamma Blanche. Aïcha pensa che te la fai.» Lievissimo arresto cardiaco. «E perché?» «Oppure che ti piacerebbe fartela. Sembra che vi giriate attorno l'un l'altro, sai, no, stile campionato del mondo di boxe tailandese, quando i due tizi si studiano e si fiutano.» «Blanche è una persona speciale» si sbilanciò Chib platealmente. «Sì, sì, speciale, è così, ma tu guarda, come Squadra speciale, no? Tu nella parte dello sbirro furbetto della buoncostume e lei della puttana sadotossica.» «Non darle della puttana!» «Uelà, è anche peggio di quel che pensavo. Il Grande Moreno è innamorato, amici!» gridò Greg, con le mani a megafono. «Stai zitto, sei un coglione, cazzo!» «Tranquillo, stavo scherzando! Vuoi una cicca?» «No.» «Mette il broncio, lui adesso. Cazzo, sei una vera lesbica, in realtà.» Greg aspirò la sua Camel, voluttuosamente. «Dai, seriamente, amico. Te la fai o no?» «Mi hai rotto! Ho altre cose a cui pensare. Al fatto che qualcuno ha crocifisso il cadavere di una bambina, tanto per fare un esempio. O che hanno sventrato un cane. O ancora, che qualcuno si è masturbato su una foto di
famiglia.» «Cosa? Ma che schifo!» «Appunto. Il problema è che non sappiamo chi è stato. Ecco, in realtà è esattamente questo, il problema.» «Secondo me, è stata lei.» «Si sarebbe masturbata sulla foto? Grandioso come ragionamento!» Le grosse dita di Greg gli tamburellarono il petto, con una certa insistenza. «Non essere scortese, Chib. Bene, ok, non è stata lei per quanto riguarda la foto, ma devi riconoscere che è una psicopatica.» «È una psicopatica. E allora?» «Quanti indiziati hai in lizza?» «Un mucchio. Andrieu, il marito. Gli amici: John Osmond, Paul Labarrière, Rémi Chassignol. Costa, il giardiniere. I figli Charles e Louis-Marie. Il cugino, padre Dubois...» «Il prete, non sarebbe male» mormorò con aria trasognata Greg. «In Scopa col Diavolo 2, era lui che uccideva e divorava i bambini...» «Scopa col Diavolo 2? È un film?» «Hmm. Una videocassetta. Davvero fantastica, a parte i pompini, dal momento che la vampira, beh, era davvero incapace e poi era una bionda finta. Te lo presto, se vuoi.» «No, grazie.» «Quanto sei triste, Léonard Moreno. Sei triste come una vecchia baciapile. Ad ogni modo, non lo troverai mai, il tuo uomo.» «Grazie, bell'incoraggiamento.» «E può darsi anche che ti faccia la pelle, se si accorge che lo stai pressando troppo da vicino. Faresti meglio a lasciar perdere, se vuoi il mio parere, e a lasciar perdere pure lei. È una storia che puzza. Tutto puzza di marcio, lì, la casa e quelli che ci vivono. Come nelle case stregate, hai presente? Nei film c'è sempre un coglione che vuole entrarci per forza alle due del mattino, in una notte di luna piena, malgrado le teste mozzate nel giardino e la carrozza tirata dai lupi mannari dagli occhi rosso fuoco. Non mi dire che tu vuoi fare la parte di quel coglione?» «Non bevi la tua tequila?» Greg sospirò e vuotò d'un fiato il suo bicchiere. Dopodiché il viso gli si irradiò in un largo sorriso. «Guarda un po' che bel bocconcino! Heilà, signorina, signorina... Posso avere un autografo?»
Chib si girò. La ragazza, una biondona in completo jeans rosso attillato, scuoteva la testa ridendo. Greg si era già alzato e l'aveva raggiunta, enorme e indolente, trascinando i suoi piedoni nei sandali neri Heschung pieni di sabbia. Chib finì il suo caffè, che si era freddato. Si accese una delle sigarette di Greg. Ispirò a fondo, immaginando compiaciuto il fumo che si spandeva nei suoi polmoni come una nebbia mortifera. Una nebbia che generava fantasmi. Fantasmi morbosi e crudeli. Si alzò, approfittando del fatto che Greg era ancora in fase di corteggiamento, e si allontanò lanciandogli un vago "A dopo!" Intermezzo 5 Ti è piaciuto il film Quanto ti è piaciuto scopartela? La sua pelle di marmo La sua bocca di quarzo I suoi occhi di specchio senza foglia È come copulare con la morte in persona Sentirsi scivolare dentro una faglia che si richiude Sopra le vostre teste Una fenditura senza fondo Ti piacerà ancor di più il seguito Sacrifici e Redenzione Un autentico romanzo d'appendice In cui si lacrima sangue da tutti i pori Porci. Capitolo 14 Era stata una notte agitata. Si era svegliato più volte tutto sudato, sconvolto da sogni di cui non ricordava nulla, fuorché una sensazione di caduta, e il breve flash di una macchina che si andava ineluttabilmente a spiaccicare contro un muro di cemento grigio. Lui era al volante e sapeva che sarebbe morto. Ma non si muore mai nei sogni, disse allo specchio mentre si rasava, ci si sveglia sempre un attimo prima. Perché? Lo specchio si contentò di restituirgli l'immagine di un uomo dai lineamenti confusi, quasi che stesse riflettendo all'improvviso la sua realtà interiore.
Alle undici in punto, Chib si presentò dai Labarrière. «Molto carino, il suo completo!» apprezzò Noémie invitandolo a entrare. «Smalto?» «Brioni» la corresse Chib dando una tiratina meccanica alla sua giacca beige. «È incredibile quanto gli uomini siano civettuoli di questi tempi!» gli fece lei con un sorriso malizioso. Lui assentì, a disagio, e la seguì nell'ampio salone bianco. Tirò fuori dalla valigetta un flacone senza etichetta. «Ecco qua. Questo mantiene la brillantezza del pelo ed evita che diventi troppo secco. Se vuole, posso far vedere alla vostra donna di servizio come si fa.» «Fernanda si è presa qualche giorno, è a casa della sua famiglia, il matrimonio della nipote... Tornerà dopodomani.» «Ad ogni modo, non è un'operazione complicata, le istruzioni per l'uso sono scritte dietro.» Fernanda non era dunque in casa il giorno prima. Una casa vuota. Una Winnie in gita. Ma con chi? Noémie gli offrì da bere, esaminandolo attraverso le palpebre socchiuse. Chib prese un Martini e lei si versò un bel bicchiere colmo di Campari. «Un bel ragazzo, educato, ben vestito... È strano che non si sia ancora sposato!» sussurrò lei ad un tratto. Ancora con quella storia del gay? «Gaëlle non ci tiene» le rispose lui cordiale. «Preferiamo conoscerci meglio.» Lei si raddrizzò. «Oh, ma allora è una cosa seria?» «Più o meno.» «Lei è come Paul. Bisogna cavargli le parole di bocca! Le conversazioni con noi donne sono dunque così noiose?» «No, ma è che io sono di natura piuttosto riservato» rispose lui con un sorriso franco. Soddisfatta, lei si rincantucciò nel divano, ripiegando le gambe sotto di sé. La sua bocca un po' stanca gli sorrideva. Una bella donna matura, si disse Chib, dai lineamenti un po' cadenti, e che va cercando cosa? Non stava cercando di rimorchiarselo, comunque? Posò il bicchiere, fece finta di alzarsi.
«Va già via? Avevamo appena cominciato a far due chiacchiere.» «Avrà molto da fare...» «Non dica sciocchezze! Mi dica piuttosto di dov'è originario.» La signora che fantastica sul negro dal grosso cazzo? Bevve un sorso. «Sono nato qui. Mia madre era impiegata al cinema. Non ho mai conosciuto mio padre.» «È lui che era...» Cioccolato? «Sì, era un marine americano.» «Oh! Ma che cosa romantica!» Sì, sì, farsi violentare da tre marines sballati in un vicolo cieco, deve essere stato molto romantico. Tant'è che sua madre aveva conservato un'aria sognante per tutta la vita. Come se non fosse stata là, in realtà. «E lei non ha mai cercato di ritrovarlo?» Ritrovarlo? Ritrovare tre marcantoni neri fra migliaia di marcantoni neri che solcano i mari con un berretto bianco in testa? «No. Non mi manca.» Lei si sporse verso di lui, strizzando gli occhi, l'espressione cospiratrice: «Paul pensa che Charles non possa essere figlio di Jean-Hugues.» Che vipera! Chib optò per un tono sinceramente stupito. «Lei vuol dire che sarebbe stato adottato? Ma è il ritratto sputato di suo padre!» «Paul trova che in realtà assomigli molto a Rémi» sussurrò lei portandosi il bicchiere alle labbra rosse. L'immagine di Blanche che si abbandona a orge sfrenate gli si impose di nuovo nella mente. Ma era ridicolo. Charles assomigliava davvero a JeanHugues. Che gusto ci provavano i Labarrière a elaborare simili ipotesi? Classica invidia nei confronti di una coppia di amici più giovani, più belli, più ricchi e dotati di prole, cosa che loro non potevano vantare? La guardò con maggiore attenzione. Gli parve più viscida, ora. Lei si leccò le labbra, un gesto furtivo da belva che si apposta. Una belva colma di veleno, eppure utile. Gli avrebbe detto tutto ciò che sapeva di tutti e anche tutto quel che non sapeva. Beh, lanciare l'esca. «Blanche ha una relazione con Rémi?» «Mah... non posso affermarlo con certezza, ovvio... ma Rémi è sempre stato innamorato di lei e...» Dare un po' di lasco: «Blanche sembra molto presa da suo marito.»
«Certamente. Ma Rémi ha un tale charme... la maggior parte delle donne lo trova irresistibile.» Piccolo giro di mulinello, adesso: «Anche lei?» Ridacchiò, nascondendosi dietro il suo bicchiere vuoto. «Cattivo! Cosa va insinuando, via? Ho semplicemente detto che Rémi piace molto e che ha certamente tentato di sedurre Blanche.» «Pur essendo il miglior amico di Jean-Hugues?» «L'amicizia non c'entra in faccende del genere, mio caro. E si ricordi che lui l'ha conosciuta prima di Jean-Hugues e che lei lo ha respinto preferendogli Andrieu.» «Una vecchia storia» obiettò Chib. «Per gli uomini qualunque sconfitta amorosa non è mai una vecchia storia. Avete tutti un piccolo Napoleone che sonnecchia dentro di voi. Oh, mi scusi, non volevo dire...» La donna scoppiò a ridere, la mano davanti alla bocca, vecchia ragazzaccia perversa. Chib sorrise, falsamente complice. Avrebbe avuto voglia di darle un bello strattone in realtà. Lei continuava a far moine, a corteggiarlo, forse meccanicamente, chissà. Le doveva piacere immaginare di avere un potere sugli uomini. Un rapporto da padrona provocante con dipendente sottomesso. Perfetto per te, Chib, l'impiegato modello, il nonplusultra dei leccapiedi. Lei si servì un altro bel bicchiere colmo, generoso quanto il primo. Lui rischiò il tutto per tutto. «Ed è a causa di un piccolo Napoleone qualunque che lei ha sofferto di depressione?» Vuotò il bicchiere prima di rispondere, l'espressione di colpo severa. «È oltremodo curioso, Moreno.» «Lei m'interessa.» «Davvero? Pensavo s'interessasse a Blanche piuttosto...» «A Blanche? Che idea!» Lo scrutò con attenzione, sporgendosi in avanti, arricciando il naso. «Piccolo adulatore...» Chib sostenne il suo sguardo e lei si riaffossò nel divano, sospirando. «Paul ha avuto un'avventura con Clotilde Osmond» fece lei tutto a un tratto. Clotilde dal naso rosso? Che cosa bizzarra. Non avevano proprio niente di meglio da fare tutti questi qui, che rotolarsi nei loro cespugli di oleandri.
Chib tossicchiò. «Riconosco che deve essere stato abbastanza sconvolgente... perché, Mme Osmond... insomma, voglio dire...» «Che è brutta e racchia, avanti, non abbia scrupolo di dire quel che pensa, Clotilde è brutta e racchia, ha un naso da pagliaccio, è grassa e malmessa. È proprio questo che mi ha depresso. Perché diavolo tradirmi con quella sguattera anglicana?» «Ha avuto risposta?» «No, non è mai stato capace di dirmelo. Devo pensare che la sua conversazione fosse più interessante della mia. Oppure che lei conoscesse meglio il kamasutra.» «Ne sarei sorpreso» lasciò cadere Chib con un sorriso seducente, mentre tentava d'immaginare come si potesse desiderare Clotilde Osmond. «In ogni caso, capisco che sia stato un colpo per lei.» «Non era la prima volta che Paul... è sempre stato un donnaiolo... È un uomo, in fondo, suppongo che per voi sia impossibile trattenervi... il bisogno di sedurre, di dominare...» Quella mania che aveva di cacciare sempre ogni cosa dentro categorie inappellabili. Un'adepta delle etichette preconfezionate. E quel buon vecchio Paul, col suo pancione e la calvizie incipiente, un fulmine della guerra dei sessi? Decisamente, mio caro Chib, ti stai spingendo un po' troppo in là! Noémie, ormai lanciatissima, seguitava a parlare, sembrava già un po' alticcia, e non la smetteva di umettarsi le labbra con la punta della lingua rosata. «Non so perché quella storia mi abbia provocato una botta così tremenda... Ho passato almeno tre sedute dall'analista a piangere, solo a piangere. È terribile sentirsi piangere in quel modo, senza riuscire a spiegare come sia possibile. Cerco di mantenermi, di rimanere una donna gradevole da guardare, faccio ginnastica, gioco a tennis, sorveglio la dieta, non voglio buttarmi via, lasciarmi andare, diventare una, una Clotilde Osmond per l'appunto, e... quanti anni mi dà?» La domanda fatale. Il minimo errore e ci si trova davanti al plotone d'esecuzione. Chib inspirò brevemente. Ogni esitazione sarebbe stata assimilata a un tradimento. «Quarantotto?» «Che carino! Fra poco avrò diritto alla carta d'argento, mio piccolo Moreno!»
«Non è possibile!» «Lei è un amore, lo sa. Mi serva da bere.» Versò due dita nel bicchiere, ma lei gli fece il gesto di versarne un po' di più. Si stava per ubricare. Purché non cominciasse a mostrarsi intraprendente. Gli sorrise, con quella linguetta puntuta fra le labbra, e un occhio maliziosamente strizzato. «John Osmond è al corrente della faccenda?» chiese Chib per ricondurre la donna sulla retta via di una conversazione seria. «Se ne frega, lui sogna di sedurre Blanche.» «Ma l'ha saputo?» insistette Chib, interessato a sbrogliare la matassa delle motivazioni di ciascuno. «Sono io che gliel'ho detto, se lo vuol proprio sapere. Gli ho bussato a casa, porgendogli un mazzo di rose che avevo appena raccolto in giardino e gli ho fatto: "John, lo sa che siamo due cornuti?" Lui ha sistemato le rose in un orribile vaso a forma di delfino e mi ha offerto del tè.» «E?» «Abbiamo preso il tè.» «E non ha fatto alcun commento?» «Sì, l'ha trovato troppo amaro.» Chib agitò l'indice in segno di rimprovero e lei si mise a ridere nascondendosi dietro un cuscino. Se si aspettava che le saltasse addosso... «No, sul serio, cosa ha detto?» «Che anche se era vero, non aveva alcuna importanza! "Queste cose capitano..." e bla bla. Un autentico pappamolle!» «Sembrava sincero?» «L'impressione che dava era quella. Quando gli ho proposto di ucciderli tutti e due a colpi d'ascia, mi ha guardato con aria orripilata.» Chib le sorrise, per compiacerla. «E lei, come lo ha saputo? È stato suo marito a dirglielo?» «Paul? Vuole scherzare? L'unica volta che ha ammaccato la macchina ha sostenuto di essere stato assalito da un rapinatore. Paul è un vile. No, l'ho intuito dai loro gesti, dai loro sguardi. Ho chiamato Paul in ufficio e gli ho detto semplicemente: "Clotilde...", e lui ha lanciato un "Cosa?" così strozzato che ho subito capito che quella era la triste verità.» Chib finì il suo Martini, pensieroso. Noémie si era tutta raggomitolata, le gambe scoperte, rannicchiate fra i cuscini bianchi. Diede un'occhiata all'orologio. «Oh! Devo assolutamente scappare! Grazie ancora di tutto!»
«Ragazzaccio! È venuto a carpire i segreti della povera Noémie e adesso se ne va lasciandola tutta sola...» «Vada a bere un tè da John» fece Chib dirigendosi verso la porta. Gli tirò un cuscino in testa, facendo finta di essere in collera, e lui le lanciò un bacio con la punta delle dita. Uf, pericolo scampato! Capitolo 15 Una volta fuori, Chib si fermò vicino alla piscina. Un sentiero scendeva attraverso gli alberi, verso il fiume più in basso. Se Winnie non era venuta a trovare Paul, dal momento che lui era a pranzo con sua moglie, era semmai possibile che fosse venuta per incontrare Jean-Hugues? Cosa c'era di più pratico della casa vuota dei vicini? Oppure Costa, che spuntava fuori ad ogni angolo del bosco. E quell'avventura di Paul Labarrière con Clotilde Osmond, poi! Poteva essere una prova indicativa dei gusti perversi di Paul? Eppure Clotilde non aveva veramente nulla di una bambina. Chib tornò alla macchina, di cattivo umore. Avanzò lentamente fino alla villa degli Andrieu, frenò davanti al cancello e osservò la corte attraverso le sbarre. Niente Jaguar. Niente 606. Solo la Chrysler di Madame. Spense il motore. Suonò. «Che ci fai qui?» chiese Aïcha aprendo il cancello. «Ero da queste parti. Tutto bene?» «Non c'è male. Cordier dovrebbe arrivare fra un quarto d'ora.» «Beh, faccio un salto alla cappella e me ne vado.» «Vuoi che l'avverta?» Si sentì arrossire sotto lo sguardo ironico della ragazza. «No, non ne vale la pena.» «Hmm. Se vedessi la faccia che hai fatto!» Lui alzò le spalle e si diresse verso la cappella facendo scricchiolare la ghiaia. «Aspetta, ti devo aprire, resta sempre chiusa, adesso.» Frugò nel grosso mazzo appeso alla cintura, cosa che a Chib evocò l'immagine di una governante di epoca vittoriana, e ne staccò la chiave. «Tieni, e riportamela prima di andartene.» La cappella odorava di varechina e cera per pavimenti. Il Cristo era stato rimesso al suo posto, il suo sangue di legno colava sempre lungo il fianco,
i suoi occhi bassi si rifiutavano di guardare questo mondo crudele. Un mazzo di gigli bianchi ornava l'altare. Chib si sforzò di abbassare lo sguardo su Elilou, aspettandosi di vedere un pugnale piantatole nel petto o un preservativo infilato in bocca. Invece riposava tranquillamente, per quanto possibile a una creatura riempita di formalina. Suo malgrado, lanciò un'occhiata ai piedi che erano stati trafitti dai chiodi. Un po' di liquido era stillato sulle calzette di cotone bianco. Le guance avevano l'aspetto, anzi, il colore della cera, gialla, lucente. Eppure, senza che si potesse spiegare come, si capiva al primo sguardo che non si trattava di una bambola di porcellana. L'aspetto lievemente raggrinzito delle sue carni, le labbra così vere, con le loro rughe sottili, le dita rinsecchite... "Una bambola di carne", l'aveva definita LouisMarie. Sì, una bambola mostruosa, a grandezza naturale, che un folle si era caricato sottobraccio, quasi fosse un pacco di biancheria sporca. Un cigolio. Si girò prontamente. La porta era socchiusa. Ma non se l'era chiusa con cura dietro di sé? Ritornò sui suoi passi, la spinse con un gesto brusco. Cordier doveva essere arrivato, la sua Volvo era parcheggiata vicino all'entrata. Chib aveva la nuca madida. «Pan!» Ahh! Un sussulto. Annabelle lo stava fissando, divertita, con una grossa pistola automatica in mano. «Hai avuto paura, eh?!» Chib si trattenne dal rifilarle un bel ceffone. «Sei tu che sei entrata in chiesa, cinque minuti fa?» Il viso della ragazzina si fece subito serio. «Non è una chiesa, è la navicella spaziale della Fata Turchina.» «Ma non dire idiozie» borbottò Chib, per nulla intenzionato a reggerle il gioco. «Io non dico idiozie, sei tu che sei un idiota, sporco negro!» Chib restò a bocca aperta. Dove poteva mai aver inteso quell'insulto, se non in casa? Oppure a scuola? Si chinò verso di lei, la prese per il polso. «Pensi che sia carino dire certe cose?» Lo fissò con un'espressione ostinata. «Me ne frego e poi me ne frego! Lasciami o t'ammazzo!» Gli brandì la pistola di plastica sotto il naso, e Chib era sul punto di darle una bella strapazzata, quando un particolare attirò la sua attenzione. La bocca della canna presentava delle rigature. Come se avesse effettivamente
già sparato. E sembrava pesante, davvero pesante, e minacciosamente d'acciaio, a ben osservare. E sì, minacciosamente vera, in realtà. E la sicura non era inserita. C'erano forse sicure nelle pistole giocattolo? Non è che per caso quell'orribile piccola peste aveva rubato la pistola di suo padre? Nel dubbio, comunque, la lasciò. «Tu sei molto maleducata. Fila via!» le sbottò lui col tono più autoritario possibile. «Sei tu il maleducato, e io ti annienterò!» gli urlò di rimando, rossa in viso per la rabbia. Come ingrandito al microscopio, Chib vide il suo piccolo indice rosato richiudersi sul grilletto. Si tuffò a pancia sotto, senti la ghiaia graffiargli la guancia ed entrargli in bocca. Clic. «Ti sta bene!» gli gridava Annabelle sopra la testa. «Sei morto!» Clic. Un giocattolo. Clic! Si raddrizzò, a quattro zampe, coperto di polvere. Risate. Si voltò. Vicino al cancello, Charles e Louis-Marie si tenevano la pancia dal gran ridere. «È carino da parte sua venire a giocare con Annabelle» gli fece Charles, divertito. Chib si rialzò, furioso e umiliato. «Resta a terra!» gli ordinò Annabelle. «Hai capito!» «Tu, piantala e lasciami in pace!» le urlò Chib strappandole la pistola dalle mani, fuori di sé, e buttandola in un cespuglio d'ortensie. Lo sparo gli mozzò il respiro. Una corolla di petali azzurrognoli si alzò sotto il cielo limpido, avvolta in una piccola nuvola di fumo. I ragazzi osservavano quel fenomeno, increduli. Annabelle si portò una mano alla bocca e si mise a correre in direzione della casa. Chib si chinò sul cespuglio di fiori. C'era odore di cordite. Recuperò l'arma. Era pesante, in effetti. La esaminò, con le gambe che gli tremavano. Una Baby Eagle, Luger calibro 9. Capacità: 15 cartucce. Peso: circa un chilo. Un bel pezzo. «Che cosa sta succedendo?» La voce di Blanche, sconvolta. «Non è niente, mamma, un incidente!» le rispose Louis-Marie senza togliere gli occhi di dosso a Chib e alla pistola. «Un incidente?» «Sembra che Annabelle abbia trovato una pistola» spiegò Chib porgendole l'arma ancora calda. Cordier era vicino a Blanche, la bocca tumida piegata in una smorfia so-
spettosa. «Cosa diamine è questa roba!» borbottò. «È di Jean-Hugues» rispose Blanche, strabuzzando gli occhi. «Come ha potuto Annabelle... Lui le tiene nella rastrelliera... nella cantina...» «Per poco non ammazzava M. Moreno!» La voce di Charles tradiva la sua sovreccitazione. «Mi spiace» fece Blanche distrattamente, gli occhi fissi sul cespuglio dilaniato. «Se permettete, io me ne andrei» disse Cordier smaneggiando le chiavi della macchina. «E un consiglio: rimettete quell'arma sotto chiave!» Il dottore si stava dirigendo già con passo deciso verso la macchina, la cartella ben stretta sottobraccio, quando Chib prese coscienza del fatto che se era ancora vivo era perché la Baby Eagle si era miracolosamente inceppata. Sentì che gli tremavano le gambe e si sforzò di respirare profondamente. «Andiamo a vedere questa rastrelliera» si accorse di dire con aria decisa. Blanche annuì e si diressero verso la bastide, seguiti dai ragazzi. «Aïcha, Annabelle è in punizione! Deve restare in camera sua!» «Sì, madame. Ma non l'ho più vista. Stava giocando di fuori...» «La cerchi e la faccia salire in camera. Le dica che sono molto arrabbiata.» «Sì, madame.» Scesero nella cantina, una grande cantina con soffitto a volta, ben illuminata, imbiancata a calce. Legna accatastata per il camino. Un banco ben ordinato e la famosa rastrelliera, di legno, dalla vetrina della quale era possibile notare due carabine, una Brno ZK 99 e una Norinco 22 a canna lunga, un bel Bernizan ad acciarino modello 318, una pistola da tiro sportivo Walther GSP 32 S&W lunga e lo spazio vuoto della Baby Eagle. La vetrina era aperta, il lucchetto sbloccato. «Non riesco a capire, Jean-Hugues ha sempre la chiave con sé...» «Forse papà si è dimenticato di chiudere» ipotizzò Louis-Marie. «Mi sembra strano. Papà non si dimentica mai nulla!» lo contraddisse Charles con astio. «Piano! Penso sia ora di andare a chiedere ad Annabelle come sono andate le cose» aggiunse Blanche lasciando correre le dita sul vetro. «Dirà una bugia! Dice sempre bugie!» fece duro Charles. «Basta! Siete insopportabili adesso!» Ma appena detto questo, Blanche arrossì e cominciò a mordersi le lab-
bra, provocando in Chib un desiderio pressoché insostenibile di prenderla fra le sue braccia e portarla lontano da lì. Là dove l'erba è più verde, nel Paese Incantato che non esiste. Rimisero l'arma al suo posto e risalirono. Aïcha si fece loro incontro. «Non sono riuscita a trovarla, madame, si deve essere nascosta!» «L'andiamo a cercare noi!» fece Louis-Marie, e i due ragazzi si lanciarono di corsa in due direzioni opposte. «Dov'è Eunice?» chiese Blanche mentre si frizionava le spalle, sebbene facesse caldo. «Sta guardando la cassetta che Monsieur le ha portato.» «Ah! Io e M. Moreno prenderemo un tè nel giardino d'inverno.» «Bene, madame.» Chib la seguì, fremendo per la sua fragile schiena, i suoi fianchi stretti, quel modo che Blanche aveva di passarsi le mani fra i capelli color cenere per nascondere una ciocca dietro l'orecchio. Aveva in ogni istante voglia di toccarla. Di stringerla a sé. Quasi che riuscisse a smuovergli un potenziale di tenerezza fino a quel momento mai sfruttato. Sgabelli giapponesi, tavolino di ceramica, grossi bambù verdi e neri: Chib si disse che decisamente non amava quell'odore di terra fresca che impregnava permanentemente l'angolo sotto la vetrata. Lei non lo guardava, accarezzava la superficie liscia del tavolino con la punta dell'indice. Chib avrebbe voluto parlarle del dvd. Ma restò muto, come lei. Paralizzato. Il silenzio pareva non finire più. Chib sentiva il proprio respiro e aveva l'impressione di essere un mantice di fucina. Inspirò, aprì la bocca e sentì che diceva: «Veramente non ho molta voglia di tè.» Ma perché poi se ne era uscito a quel modo? Altrettanto sciattamente lei gli rispondeva: «E allora prenda un'altra cosa.» Non era certo con quel genere di dialoghi che avrebbero messo su un Molière, disse fra sé Chib, disincrociando le gambe mentre Blanche incrociava le sue. In quella, spuntò Charles tutto affannato. «È scomparsa, mamma!» «Non dire sciocchezze.» «Ma è vero! Abbiamo guardato dappertutto! Tranne che nella cappella.»
Blanche contrasse la mascella. Il solito nervo iniziò a sussultarle vicino alla tempia. Chib si sentì in obbligo di alzarsi. «Vengo a cercarla con voi» disse. «Deve essersi nascosta per paura di essere rimproverata.» «Annabelle?» gli replicò Charles. «Lei non ha paura di niente! È una vera peste!» «Charles!» fece stancamente sua madre. «Andate, io resto qui.» Il cielo si era coperto, una densa nube grigia si distendeva sulle colline, divorando il cielo blu. Stava per piovere. Louis-Marie li aspettava nei pressi della piscina, mordicchiandosi l'interno delle guance, con le sopracciglia aggrottate. «Sono andato fino al fiume» disse a suo fratello. «Mi chiedo proprio dove possa essersi cacciata!» Chib passò in rassegna a voce alta le varie possibilità, dal capanno del giardiniere alla soffitta e alla lavanderia, ma apparentemente i ragazzi avevano frugato ovunque. Chib si immaginò d'un tratto la ragazzina che risaliva per il pendio cespuglioso che portava dai Labarrière. Poteva benissimo essersi rifugiata nel loro spogliatoio della piscina, confortevolmente fornito di materassini a righe. Li rese partecipi delle sue ipotesi, quindi si misero tutti in marcia, i due ragazzi frementi come cani da caccia. Il bosco esalava un effluvio di foglie, di linfa, di terriccio, quasi che l'avvicinarsi della pioggia acuisse gli odori. Chib cercava un indizio che potesse confermare il passaggio della bambina, ma senza successo. «Mi domando come possa aver fregato la chiave a papà!» fece LouisMarie saltando per potersi appendere al ramo di un pino. «E inoltre, sapeva perciò che si trattava di una pistola vera!» proseguì dondolandosi come una scimmia. Aveva ragione. Ma forse lei credeva che non fosse carica. E poi che imprudenza da parte di un padre di famiglia, il fatto che invece lo fosse. Chib iniziò a risalire per il pendio cespuglioso. Inciampò d'un tratto su una pietra nascosta dal muschio e poco mancò che cadesse. Charles scoppiò a ridere. Chib provò un vivo desiderio di torcergli il collo, ma se ne dimenticò subito. C'era qualcosa nel cespuglio di rose. Alla sua destra. Un piccolo oggetto che luccicava. Si chinò, immerse la mano fra i rovi, avvertì le spine aguzze sulla pelle tenera, lo afferrò. Un piccolo bottone quadrato d'argento. Il bottone di un polsino. Richiuse la mano e se lo fece scivolare in
tasca. «Cosa ha raccolto?» chiese Charles. «Niente. Dov'è tuo fratello?» «Sta giocando a fare Tarzan.» Louis-Marie spuntò fuori di colpo vicino a loro. «Tarzan! Quanto sei antico, povero Charles!» «Tarzan o Predator, è uguale, sono cose da mocciosi.» «Perché invece giocare con le Barbie non è una cosa da mocciosi?» Dopo aver lanciato questa frecciatina, Louis-Marie si buttò di corsa verso la cima del pendio. Chib scrutò con un'occhiata Charles, rosso di vergogna. Effettivamente, un adolescente di quindici anni che gioca con le bambole, beh, non è una cosa consueta, si disse, giocherellando col bottone da polsino nella tasca. Un grazioso bottone inciso. Con una bella A maiuscola. Andrieu l'aveva forse perduto nel bosco mentre cercava il corpo di Elilou oppure venendo a cercare Winnie? Cosa poteva esserci di più pratico della villa vuota dei vicini per venire a farsi una sveltina con la fidanzata del proprio migliore amico, e socio? Sbucò sulla terrazza dei Labarrière, aggrondato. Avrebbero dovuto chiamare Noémie. Probabilmente non avrebbe gradito il fatto di vederli arrivare così. Tirò fuori il cellulare mentre col mento in avanti interrogava Louis-Marie che stava uscendo dallo spogliatoio. «Non ci sta!» fece il ragazzo, con una sfumatura di esasperazione. «Cosa state cercando?» La voce grave di Costa. In piedi vicino a un boschetto di cipressi, il giardiniere li stava fissando senza particolare affabilità, le braccia nodose incrociate sul manico di un grosso badile piantato su una zolla di terriccio. «Annabelle è scomparsa» spiegò Charles guardando le sue scarpe da ginnastica. «Ci siamo detti che forse poteva essersi nascosta qui» aggiunse LouisMarie intingendo una mano nella piscina. «Brr, è fredda!» «Ho lavorato qui tutta la mattina. Non ho visto nessuno.» «Pazienza, allora. Ci scusi.» Costa chinò il capo, quindi impugnò il badile senza rispondere, Chib vide i muscoli tendersi mentre lo affondava nella consistenza della terra. Muscoli poderosi che Charles catturò con lo sguardo, la testa lievemente voltata. Ritornando alla bastide, Chib si fermò nei pressi della cappella. «Aspettatemi qui» ordinò Chib ai due ragazzi.
«Ping, ping, ping» mugolò Louis-Marie facendo finta di sferrare dei pugni a Charles. «Piantala, cazzo!» ringhiò quello. «Ping, ping, ping...» Chib fece rapidamente il giro dei banchi, guardando sotto, nel confessionale, sotto l'altare, con la fretta di andarsene da quel posto che gli metteva i brividi. Nessuna traccia di Annabelle. Ritornò nella corte giusto nel momento in cui cominciava a piovere. Gocce grosse, pesanti e molli, come mosche ostinate. Alzò la testa. Grandi nuvole nere si andavano accavallando, percorse da fremiti elettrici. I ragazzi erano scomparsi. Corse verso il giardino d'inverno. Il cielo scoppiò di colpo, appena entrò dentro. Blanche si alzò, angosciata. «Ma dove può essere mai?» «Non si preoccupi, la troveremo.» «Non dica cose inutili con aria rassicurante, mi esaspera.» «Allora non faccia domande che non hanno risposta!» «Lei...» Non seppe mai cosa lei voleva dirgli, perché irruppe Louis-Marie, zuppo fino alle ossa. «Mamma!» «Sì?» «Non abbiamo guardato nel pozzo!» «Quale pozzo?» fece Chib, colto da un'improvvisa vampata d'ansia. Questi svitati avevano pure un pozzo?! Allora perché non anche delle segrete con annessa sala per le torture? «Il vecchio pozzo, vicino al frutteto» gli spiegò Louis-Marie. «Di solito è chiuso da una tavola, ma quella che c'era era talmente vecchia e marcia che Costa l'ha tolta per sostituirla.» «L'ha tolta quando?» chiese Blanche in un soffio. «Ieri sera. Deve venire oggi pomeriggio.» «Oh! Mio Dio...» «Andiamo» disse Chib agguantando Louis-Marie. «Ma, insomma, lei lo sa, Annabelle, non è una bambina piccola...» Non terminò la frase, era già fuori. Sgradevole sensazione di acqua fredda sulla testa. Louis-Marie lo trascinava verso il frutteto, il cielo si stava scurendo, un tuono risuonò lontano. Ideale per un film dell'orrore, si disse Chib, scorgendo la vera del pozzo. Un metro di diametro, all'incirca. Di pietre grosse più o meno smurate. Con un nodo alle budella, Chib si sporse
d'un tratto, per guardarvi dentro. Non si vedeva niente. La pioggia gli stava grondando sul collo, lungo le guance, negli occhi, le viscere del pozzo non erano che tenebre. «Vai a prendere una torcia!» ordinò a Louis-Marie che si avviò correndo. Scrutò di nuovo la cavità buia. Un rumore. Rialzò la testa, in ascolto. Il fracasso della pioggia sugli alberi gli impediva di distinguere bene. Si sporse un'altra volta, cercando di isolarsi dal temporale. Sì, si sentiva un rumore. Come... eeeeeeee... come una voce umana, si disse stringendo la vera del pozzo fino a spezzarsi le falangi, eeeeeeee... come un lamento sordo e continuo. Oh no! «Ecco qui!» Louis-Marie gli stava porgendo una torcia. Chib la puntò verso il fondo. Lei era lì. A due metri da loro. Incollata alla ruvida parete. A testa in giù. Trattenuta nella caduta da un'asperità, qualcosa - un chiodo? - che si era agganciato nel vestitino di lana beige. Aveva gli occhi chiusi, non si muoveva. Solo quel gemito che sgorgava fra le labbra serrate. ""Eeeeeeee", aiutatemi, si disse Chib, aiutatela e aiutatemi, aiutateci un po', cazzo! Scavalcò la vera. «Mi serve una corda! Presto!» Louis-Marie guardava sua sorella con la bocca aperta. «Il tessuto si strapperà» bisbigliò. «Vai a cercare una corda, Dio santo!» urlò Chib. Forse era in grado di calarsi, facendo ben attenzione e agganciandosi alle pietre sconesse. Calarsi e afferrarla prima che quel fottuto vestito finisse di lacerarsi del tutto. Poggiò il piede in un anfratto, gli occhi fissi sul tessuto sfilacciato. Resisti ancora un po' lurido vestitino, resisti ancora un po'! Ansimi sopra la sua testa. «Ecco, tenga!» Un bel metro di corda bagnata lo colpì sul volto. «Agganciala bene!» gridò Chib. Un lampo aureolò la testa del ragazzo piegato verso di lui. «L'ho attaccata all'arancio!» gli replicò quello. «Vada!» Chib si avvolse la corda attorno alla vita, la annodò, quindi riprese la discesa. Louis-Marie aveva ripreso la torcia appoggiata sul bordo e gli faceva luce. La pioggia flagellava il volto della bambina, senza che lei battesse ciglio, gli occhi ostinatamente chiusi. Vide che Annabelle serrava i pugni, contro l'addome. Deglutì, scivolo sulla pietra bagnata, si aggrappò alla
corda che si tese con forza. Bene. Louis-Marie aveva fatto un buon lavoro. Avanzò con maggior decisione. "Eeeeeee ". Il suono rimbalzava fra le mura circolari, sordo e lontano come la sua eco. Gli parve che lo strappo si fosse allargato, che si stesse allargando lì, sotto i suoi occhi, e no, non era solo un'impressione, vedeva la maglia distendersi, la punta di metallo, una punta nerastra, la vedeva sempre più chiaramente, perché lo strappo si andava ingrandendo, e il vestitino stava per cedere e... Lei stava cadendo! Chib si tuffò, la mano tesa alla cieca, richiuse le dita su un pezzo di carne gelata. Un polpaccio. Che andò giù con uno strattone prima che le sue dita riuscissero a rinserrare la presa sulla caviglia. Chib sentiva il tessuto ruvido dei calzini della bambina. Tentò di tirarla verso di lui, ma era pesante. Troppo pesante per essere tenuta a penzoloni per le braccia. Un solo braccio. A tentoni, cercò l'altra caviglia, la afferrò. «Non aver paura, ti farò risalire, capito?» «Eeeeeee.» Stato di choc. Da quanto tempo stava sospesa là dentro? «Tiraci su!» urlò a Louis-Marie. «Tiraci su!» Il ragazzo scosse la testa e scomparve. Trazione sulla corda. Chib trovò appoggio sulla parete e spinse. Bisognava fare attenzione a che la testa di Annabelle non urtasse contro le pietre. Sarebbe stato davvero idiota da parte sua fracassarle il cranio contro una pietra, davvero idiota mio caro Chib. La pioggia gli cadeva direttamente negli occhi ogni volta che alzava la testa, impedendogli di distinguere Louis-Marie. Con un notevole sforzo, Chib riuscì a piegare le braccia, portando la bambina all'altezza della cintola. Bene. Passarle le braccia attorno alla vita, ecco fatto, rimetterla a testa in su. Ora era appoggiata contro il busto. Lei non aveva ancora aperto gli occhi. «È troppo pesante!» gridava Louis-Marie. «Vado a cercare aiuto.» «Ok! Va bene, la tengo.» Chib rimase lì, sospeso, un piede cacciato in un buco, sotto lo sferzare tenace della pioggia, Annabelle immobile contro di lui, "Eeeeeee", a guardare le nuvole nere sfilare sopra di loro. Un'armata grigia e nera alla carica. La corda si tese di colpo con violenza, staccandolo dalla parete. Scrutò l'apertura, strizzando gli occhi e vide delle sagome piegate verso di lui. La voce di Costa: «La tiriamo su. Si tenga forte!» «Ok!»
Uno strattone, poi Chib si sentì sollevare di mezzo metro. Pausa. Altro strattone. Si ritrovò ben presto all'aria aperta, porse la bambina a LouisMarie, bagnato come un pulcino e gocciolante, si sedette sulla vera del pozzo per togliersi la corda che gli segava il petto. Costa e Charles, senza fiato, si avvicinarono. «Com'è potuta cadere lì dentro?» biascicò Costa. «Proprio il giorno che ho tolto quella fottuta tavola!» «Annabelle?» diceva Louis-Marie scuotendola. «Stai bene?» La bambina cominciò a battere i denti senza rispondere, le palpebre sempre abbassate. «Dovreste chiamare Cordier» disse Chib, risollevandosi. «Già fatto!» gli fece Charles agitando il cellulare ultimo modello. «E ho anche avvertito mamma che è andato tutto bene.» «Vostro padre non è ancora rientrato?» «Non rientra mai così presto!» Costa si accigliò ancor di più sentendo menzionare Andrieu. Senza dubbio temeva di perdere il lavoro. Annabelle poteva morire, anzi, doveva morire, si corresse Chib mentalmente. Ritornarono alla bastide in silenzio, la ragazzina fra le braccia di LouisMarie. Blanche li stava aspettando sulla soglia di casa, le mani giunte con forza. Si gettò sulla figlia, strappandola dalle braccia del fratello. «Mio piccolo tesoro! È finita, va tutto bene, la mamma è qui!» Annabelle emise una sorta di singulto, poi si mise di colpo a singhiozzare, senza dire nulla. «Dovreste andare a cambiarvi o vi prenderà un accidente!» disse Aïcha ai due ragazzi non appena entrarono in casa. «Ho preparato una cioccolata calda per la piccola, madame.» Chib era rimasto goffamente piantato in un angoletto, gocciolante. Blanche si era seduta su una sedia con lo schienale alto, con Annabelle sulle ginocchia. Chib guardò l'ora sul suo orologio. Appena le tre, eppure il cielo era così scuro che si sarebbe detto il tramonto. Inoltre Aïcha aveva acceso la lampada Direttorio posta sul mobiletto bar. Adesso stava tornando con una tazza fumante e alcune barrette di cioccolata. «Aïcha, dia una delle tute di Monsieur a M. Moreno, così che si possa cambiare.» «Bene madame. Se mi vuole seguire...» Appena chiusa la porta, lei si girò verso Chib: «Ma cos'è successo?»
«Ma cosa ne so. Deve essere caduta facendo l'imbecille.» «Annabelle è piuttosto prudente, non ce la vedo molto a saltellare sulla vera di un pozzo!» Lui alzò le spalle. «A quanto pare, questa casa è una fonte di pericolo permanente per i bambini» la buttò lì Chib. «Tu pensi che...?» Lui fece di nuovo spallucce. Lei si fermò vicino a una grossa cassapanca di legno, ne tirò fuori una tuta bianca stirata di fresco, gliela porse, e gli indicò una porta. «Il bagno, puoi cambiarti lì» gli disse prima di sparire. Chib aveva l'impressione di passare il tempo a placare tempeste impreviste per poi doversi cambiare subito dopo. La corda gli aveva lasciato un segno rossastro sul torace e la pelle era scorticata qua e là. Si tamponò con della carta igienica e dell'acqua fredda, indossò la tuta che gli stava parecchio abbondante. Dovette arrotolare le maniche e l'orlo dei pantaloni e stringere al massimo il cordino sulla vita per evitare che non gli scivolassero sui fianchi. Si guardò nello specchio sopra il lavandino all'antica. Gli mancava solo il berretto a punta per sembrare un folletto ripassato col napalm. Annabelle aveva riaperto gli occhi, ma restava attaccata a sua madre che la cullava dolcemente. Cordier, chino su di lei, le esaminava le pupille, mentre le prendeva il polso. Aveva l'aria di essere di cattivo umore, stanco e gonfio, la barba incolta. I capelli bagnati e spettinati lasciavano intravedere un principio di calvizie. Sospirò: «È in piena forma. Si è solo presa un bello spavento. Una buona nottata di sonno e sarà tutto a posto. Datele allora un po' di sciroppo prima di metterla a letto.» Aveva già preso la borsa, lanciò una breve occhiata a Chib, e si lasciò sfuggire un sorriso: «Non si arrabbi, vecchio mio, però francamente...» Blanche seguì il suo sguardo, però non rise. In verità Chib non era sicuro che lei lo vedesse. Resistette alla tentazione di agitarle le dita davanti agli occhi mentre Cordier si eclissava continuando a ridacchiare. «Le ha chiesto com'è successo?» disse Chib che indicava la bambina con un cenno del mento. «Dice che non se lo ricorda. Correva ed è caduta» rispose Blanche con
voce stranamente distaccata. «La vera del pozzo è a mezzo metro d'altezza!» «Deve essere inciampata.» Sempre in tono monocorde. «Ha avvertito suo marito?» «Inutile preoccuparlo.» Chib sospirò. In effetti, era inutile mettere altra carne al fuoco, Annabelle era sana e salva. Eppure la sua intima convinzione era che avessero tentato proprio di farla fuori. Della sua intima convinzione ce ne sbattiamo, monsieur Moreno! Prove, ci porti delle prove! Allungò una mano e carezzò la testa della bambina che si rannicchiò contro sua madre. «Annabelle...» Nessuna risposta. «C'era qualcuno con te?» le bisbigliò Chib all'orecchio. Sentì Blanche irrigidirsi. «Cosa...» «Ssst! Annabelle, mi senti?» «Non è colpa mia!» farfugliò lei, in lacrime. «No tesoro mio, non è colpa tua, certo» disse Blanche baciandole la fronte. «Non l'ho rubata!» Di sicuro si riferiva alla pistola. «L'hai trovata, è così?» «Era nella stanza di Elilou! È lei che l'ha rubata.» Blanche ingoiò la saliva. Chib posò la mano sul polso contratto di Annabelle. «Nella stanza di Elilou? Ci sei entrata?» «Sì! Perché volevo i miei Pokemon, sono miei, e lei, lei li aveva presi!» «Ah, certo. E tu hai trovato la pistola grande?» «Era nel baule dei giochi. Volevo riportarla a papà. Elilou non era altro che una ladra!» «Non dire così, amore mio, oh! Non dire così...» Blanche aveva chiuso gli occhi e stringeva la bambina così forte che Chib ebbe paura che la soffocasse. «La stanza di Elilou non è chiusa a chiave?» chiese. «No. E perché? Per impedirle di tornare?» sibilò lei a occhi chiusi. Lui non rispose. Chi mai poteva aver nascosto la pistola nel baule dei
giochi di Elilou? E a che scopo? Immaginò improvvisamente Andrieu irrompere di notte in tutte le stanze in successione, gli occhi offuscati dalla follia. I figli dormono, il sonno profondo dei bambini, con qualche bollicina all'angolo della bocca o un sospiro. Lui li guarda con infinita tristezza, punta l'arma e spara: crani che esplodono, ultimi sguardi stupefatti di bestie innocenti, schizzi di cervello sui cuscini immacolati, dopodiché lui si ficca la pistola in bocca e... Andrieu o Blanche? Quanto tutto ciò sembrava assai più realistico con Blanche nel ruolo della folle... «Bevi la tua cioccolata, tesoro» diceva Blanche. «È calda calda.» «Non la voglio. Voglio la coca cola.» Beh, sembrava che la situazione stesse migliorando. Dei passi. Chib si raddrizzò. Andrieu lo stava fissando, interdetto, la valigetta hi tech in mano, l'aspetto affaticato. «Che sta succedendo? Aïcha ha un'aria completamente sconvolta. E cosa ci fa lei con la mia tuta?» «Niente, niente...» rispose Blanche che seguitava a cullare sua figlia. «Come sarebbe a dire, niente?» «C'è stato un piccolo incidente» iniziò a spiegare Chib. «Annabelle è caduta e...» «N'sono caduta, è lui che mi ha spinto!» urlò la bambina, i lineamenti del viso contratti dalla rabbia. «Lui chi?» «Eh? Cosa?» esclamarono simultaneamente Chib e Andrieu. «Lui, quello del film! È in casa e ci taglierà a tutti la testa!» Andrieu si girò verso Blanche. «Mi spieghi cosa significa?» «Io non ne so niente.» «Che film?» domandò Chib. «Il film dove c'è il grande mantello nero e la maschera bianca che grida!» «Potrebbe trattarsi di Scream» suggerì Chib. «Tu lasci che i ragazzi vedano i film dell'orrore?» s'informò Andrieu, l'espressione severa. «Secondo te?» Blanche si era alzata, Annabelle tendeva le braccia verso suo padre che la prese e la appoggiò al suo fianco.
«Vado a sentire Aïcha» fece lui, glaciale, prima di uscire. Blanche allungò una mano tremante verso la tazza di cioccolata, ne bevve un sorso. «Mi fa schifo» borbottò pensosa mentre riappoggiava la tazza sul tavolino. «È calda, zuccherata e nauseante come delle parole di conforto. Qualcuno voleva uccidere Annabelle, è così?» «Non lo so» disse Chib. «I bambini s'inventano tante di quelle storie.» «Qualcuno ha rubato la pistola di Jean-Hugues e l'ha nascosta nella stanza di Elilou. E poi ha cercato di uccidere la mia piccolina. Crede che lui me li ucciderà tutti, uno dopo l'altro?» «Chi "lui"?» «Il demonio, come direbbe Dubois. Il cane feroce che spunta fuori dall'Inferno» mormorò pensosa. Dubois. Che circolava per la bastide liberamente. Dubois, il buon cugino servizievole. L'esperto esorcista. Intimo delle Tenebre. Oh! E poi, cazzo, poteva essere chiunque. La follia e l'odio potevano benissimo assumere i volti, i sorrisi più diversi. «Non sente il suo respiro?» continuava Blanche. «Non sente il sapore del sangue fra i denti? Io, io lo sento in ogni momento, un sapore di acciaio arrugginito.» Chib prese d'un tratto coscienza di quel che lei aveva appena detto: "uccidermeli tutti, uno dopo l'altro". Si chinò verso di lei, le posò una mano sulla spalla, sempre fredda. «Blanche» sussurrò. «Blanche, tu credi che Elilou sia stata uccisa?» Alzò gli occhi verso di lui. Lo guardò. I suoi occhi grigi e immobili, come un mare ghiacciato. «Tu credi che sia stata io a ucciderla?» gli replicò lei, tranquillissima. «Ma no! Voglio solo sapere cosa tu, cosa pensi tu!» protestò Chib sorvegliando la porta con la coda dell'occhio. «Io credo che siamo vittime di una maledizione. Léon, Elilou, poco fa Annabelle... Credo che Dio mi odi come io odio lui. Dammi da bere.» «No. Jean-Hugues potrebbe tornare.» «Me ne sbatto. Sono stanca. Così stanca...» «Ascolta. Ho ricevuto un film. Un film in cui mi si vede entrare nella tua stanza.»
Lei chiuse gli occhi. Riflusso di onde, lontano, fuori portata, che lasciano solo la sabbia liscia del volto. Lei ripeté: "Un film?" come se fosse una parola sconosciuta. «Sì» insistette lui. «Qualcuno sa...» Chib vide un nervo tendersi lungo la guancia di lei. Blanche distese le labbra in un sorriso cattivo. «Qualcuno sa che il caro M. Moreno si scopa la cattiva Mme Blanche?» «Grazie, Moreno, non lo sapevo.» Chib sentì il suo cuore fermarsi. Andrieu gli stava di fronte, Annabelle ancora appoggiata al suo fianco. Chib aveva istintivamente incassato la testa fra le spalle, in attesa dei colpi che stava per ricevere, e invece niente, l'altro stava sorridendo. «Le ha salvato la vita» proseguì quello. «Sono in debito con lei, vecchio mio!» Avendo capito che si stava riferendo alla bambina, Chib esalò un lungo respiro e riuscì ad articolare un "Non è nulla, è normale" quasi decente. «Aïcha mi ha spiegato anche cosa è successo con la pistola. Non capisco come qualcuno possa aver aperto la rastrelliera.» Si era accigliato, l'aria preoccupata. «Vuole che chieda a Gaëlle di proseguire le sue indagini ancora per qualche giorno?» propose Chib. «Sì, credo sarebbe bene chiarire tutta questa faccenda, non è vero Blanche?» «Sì, certo. Scusate, vado a stendermi un momento.» Uscì, senza neanche rivolgere uno sguardo a Chib. Andrieu posò la figlia a terra. «Vai a giocare con Eunice, amore, papà ha da fare. E smettila di raccontare storie, a papà non piace!» la redarguì con l'indice in segno di rimprovero. Chib attese che la bambina fosse uscita per chiedere cosa ne era del "mostro" che secondo lei l'avrebbe spinta nel pozzo. Andrieu alzò le spalle, lisciandosi il vestito blu scuro. «Se l'è inventato per non farsi sgridare. Me lo ha confessato lei. Beh» riprese. «Qual è la sua opinione?» «A che proposito?» «La scomparsa di Elilou, l'uccisione del cane, e ora questo furto... Mi sembra evidente che sia collegato, non sono mica orbo!» Ahimè, pensò Chib mordendosi le labbra, se solo fossi cieco e paralizza-
to davvero, mi sentirei di gran lunga meglio! «Penso seriamente che qualcuno ce l'abbia con lei» disse ad alta voce. «Qualcuno che forse le è più vicino di quanto non creda.» «Cosa vorrebbe insinuare?» «Non lo so. Mi hanno detto che John Osmond era innamorato di sua moglie.» «E allora? Non vedo perché questo gli dovrebbe far venire in mente di rubare il corpo di mia figlia o di sventrare un cane, che per di più era suo. E poi, chi le ha detto che era innamorato di Blanche?» «Noémie Labarrière.» «Che linguaccia! Sempre a spiare tutti, quella là. Lo credo poi che il povero Paul ha ceduto.» Al punto di farsi Clotilde Osmond, eh sì, si poteva ben dire che aveva ceduto. E a quanto pare tutti ne erano al corrente. Si viveva in vetrina, sulle colline. Eppure doveva esserci per forza qualcuno che stava mentendo. Che portava in ogni momento una maschera. E il cui cuore bruciava di odio e di rabbia. Ma contro chi? E perché? Contro chi: evidentemente contro gli Andrieu. Perché? Finché non avesse capito "Perché", disse Chib fra sé, non avrebbe capito nulla. "Chi" non era che la conseguenza di "Perché". Lascia perdere i tuoi arguti ragionamenti, Chib, concentrati su Andrieu. Sai bene, sì, che razza di polveriera rischia di esploderti in faccia in ogni momento se solo qualcuno accende la miccia con un dvd, tanto per fare un esempio. Andrieu sembrava perduto nei suoi tetri pensieri, gli occhi cerchiati. Si era servito un bicchierone di scotch e beveva a piccoli sorsi passandosi la mano fra i capelli ben tagliati. Indicò la bottiglia con un cenno del mento, ma Chib declinò l'offerta. «Sono costretto ad andarmene» disse. «La chiamerò domattina.» «Sarò in ufficio. Ad ogni modo venga quando vuole, le lascio carta bianca. Ah, a proposito, ecco il codice per il cancello, è inutile che suoni ogni volta.» Gli porse un cartoncino sul quale aveva annotato quattro numeri. Chib si accommiatò, a disagio. Passando davanti alla sala tivù, sentì le voci dei ragazzi che stavano scherzando fra loro. La spensieratezza della gioventù. Era mai stato spensierato, lui? Gli sembrava di aver sempre conosciuto il dubbio, la paura, l'incertezza. Il vento soffiava ancora, in compenso non pioveva più. L'aria sapeva di
freddo, di umido, di cose seppellite sotto l'humus, del mondo delle tenebre e della notte. Seduto nella Floride, Chib rimase un istante immobile, le mani sul volante, a fare mente locale. Stava andando tutto troppo in fretta. I fatti si accumulavano, senza alcun legame apparente, senza la minima risposta. E la minaccia confusa si andava delineando. Annabelle era in pericolo. Qualunque cosa avesse potuto raccontare al padre, Chib rimaneva convinto del fatto che qualcuno l'aveva spinta nel pozzo. E chiunque fosse stato avrebbe certamente ritentato, magari in un'altra maniera. Ma perché qualcuno voleva uccidere Annabelle? Il fatto che quella bambina fosse davvero odiosa non era un motivo sufficiente, disse fra sé cercando di scherzarci su. Allora perché mai? Qualcuno abusava forse di lei? Questo avrebbe spiegato perché si era ritratta. Perché aveva paura, perché era sotto la minaccia del suo violentatore. Un pervertito che temeva di vedersi smascherato. E se fosse stato Cordier? Chi meglio di un medico poteva permettersi di palpeggiare delle bambine? E quasi davanti a tutti. E chi era nella posizione migliore per firmare dei certificati di morte? Cordier! Ma sì, rappresentava il colpevole perfetto! Cordier aveva ucciso il piccolo Léon, Elilou, e adesso se la prendeva con Annabelle. Ma perché non aveva toccato i ragazzi? Sebbene... Charles... Verificare da quanto Cordier era il loro medico di famiglia. Ma come? Tu non sei mica uno sbirro, Chib, tu non puoi arrivare a casa della gente con un bel taccuino a spirale succhiando la penna tipo tenente Colombo. Sensazione di bruciore alla nuca. Si stirò, si voltò. Costa lo stava fissando, assai da vicino, con una tavola sotto il braccio. Abbassò il finestrino. «Sì?» «Vado a sostituire questa maledetta tavola, perchè nessuno ci caschi più dentro.» Chib restò in silenzio. Quell'uomo pareva imbarazzato, esitante. «Devo parlarle» fece Costa all'improvviso. «A proposito del cagnolino.» Un'imposta sbatté. Improvvisamente interessato, Chib mise la testa fuori. «Avanti.» Rombo di motore. La 606 di Belle-Mamie virò davanti a lui sobbalzando e si parcheggiò a fianco della sua macchina. «Ancora qui, monsieur Moreno?» fece quella mentre con la mano toglieva le pieghe al suo tailleur-pantalone beige.
«Stavo andando via» le replicò lui accendendo il motore. Costa si era chiuso come un'ostrica e già si stava allontanando nell'ombra degli alberi. Chib si avviò, furibondo. Quella vecchia strega era arrivata nel momento più eccitante! Costa sapeva qualcosa sull'uccisione del cane. Qualcosa di cui non voleva parlare davanti a Belle-Mamie. E ora, avrebbe dovuto aspettare l'indomani per saperne di più. Diede un'occhiata al cellulare. Un messaggio di Gaëlle, che gli chiedeva se poteva passare quella sera verso le otto e mezza. Digitò "Ok". E dire che erano solo quindici giorni che tutta quella faccenda aveva avuto inizio. Due misere settimane. E l'impressione di precipitare verso la catastrofe. Come un piccolo battello in balia di rapide incontrollabili. Gaëlle era stanca morta. Accasciata sulla vecchia ampia poltrona di cuoio, una gamba sul bracciolo, sorseggiando una Bud, ascoltava docilmente il racconto degli ultimi avvenimenti. Sbadigliò a tutta bocca, si stirò, finì la sua birra. «Beh, se ho ben capito c'è il panico a bordo!» fece alla fine. «La sintesi mi sembra corretta.» «Quel che mi domando è come mai Paul Labarrière è andato a letto con Clotilde Osmond.» «Gaëlle, francamente...» «Sì, francamente. Forse lei possiede delle armi per tenerlo sotto pressione. Magari lo ricatta.» «O magari possiede dei talenti nascosti di cui lui va pazzo. A dire il vero questa cosa non ha molta importanza.» «Di questa cosa, non ne sappiamo un bel niente. Perché secondo me ci troviamo in pieno in un caso di perversioni varie: pedofilia, zoofilia, necrofilia, assortimento completo. Pensi che Costa sappia chi ha ammazzato il cane?» domandò lei di colpo. «Se lo sa, perché non l'ha detto ai poliziotti?» «Magari si tratta di uno dei suoi lavoranti» suggerì Gaëlle. «È quel che mi sono detto anch'io. Oppure si tratta di Charles, suo supposto amante.» «Perché allora Charles avrebbe dovuto avere dei rapporti sessuali con Elilou se preferisce gli uomini? Cazzo, stiamo girando in tondo.» Chib andò a prendersi un'altra birra. «Secondo me» cominciò lui mentre toglieva la linguetta dalla lattina «secondo me, siamo di fronte a due serie di azioni distinte fra loro. Oppure di fronte a due folli. Da una parte quello che ha avuto rapporti sessuali con
Elilou e che l'ha uccisa, che si è masturbato sulla foto e ha tentato di uccidere Annabelle, e dall'altra quello che obbedisce a pulsioni ancor più trasgressive, che ruba il corpo, urina sul Cristo, uccide il cane.» Gaëlle pescò una sigaretta dal suo pacchetto quasi vuoto. «Con tutte queste storie, fumo come un turco» fece notare lei mentre aspirava avidamente il fumo. «Due folli? Grazie mille, ne bastava già uno. E d'altra parte, nulla prova che qualcuno abbia spinto Annabelle. Quella bambina mi pare abbastanza turbata per poter mentire. Non dimenticare che ti ha sparato addosso, il caro angioletto, con un'arma che sapeva essere vera!» «A proposito. Chi ha rubato quella pistola? E per farci che?» «Ehi, nonnino, non è che sia proprio lucidissima! Che hai preparato di buono da mangiare per noi?» «Del niente, freschissimo garantito. Ci facciamo un cinese?» «Uhau, si folleggia stasera... E vogliamo parlare di calcio o di attualità, tanto per cambiare argomento?» «Impossibile» disse Chib prendendo le chiavi. «Tutta questa storia mi sta consumando la testa.» «È vero, infatti cominci ad assomigliare a una delle adorate mummiette.» Capitolo 16 Alle nove in punto, Chib frenò davanti alla villa. Aveva dormito in modo discontinuo, senza riuscire a smettere di rimuginare su tutti gli avvenimenti occorsi negli ultimi quindici giorni. Alle sei era già in piedi, aveva preparato la colazione e aveva accompagnato Gaëlle alla stazione. Lei sbadigliava ancora mentre lo salutava con la mano. Lui invece non si sentiva neppure stanco. Era troppo nervoso per esserlo. Sensazione di essere pieno di caffeina fino all'orlo. Rimase un istante a fissare la grande bastide, così elegante e sorridente nel sole del mattino. Un sorriso pieno di denti falsi, si disse. E che puzzava. E se invece si stava sbagliando? E se nessuno aveva violentato né ucciso Elilou? L'assenza di imene poteva essere niente di più che una malformazione congenita. E la bambina poteva benissimo essersi spezzata il collo semplicemente cadendo dalle scale. Unici fatti incontestabili restavano il furto del cadavere, le lordure sul Cristo, l'uccisione del cane, la polluzione sulla foto e il furto della pistola. Che chiaramente denunciavano la presenza di una mente gravemente disturbata, ma non ne-
cessariamente di un infanticida. Carne, urina, viscere, sperma, un'arma da fuoco. Questi cinque elementi, messi insieme, celavano forse un significato particolare? Costituivano un messaggio in codice? Chib sospirò, e abbandonò il tiepido conforto della sua decappottabile. Il vento continuava a soffiare, freddino: sollevò il bavero della giacca e digitò il codice per aprire il cancello. L'auto di Andrieu non c'era. La casa appariva silenziosa. I ragazzi dovevano essere a scuola. Blanche era sola. No, Chib, è sola con Aïcha e Colette, e questo non significa essere propriamente soli. Perciò adesso tu cerchi Costa e non ti azzardi ad avvicinarti alla casa. Girò i tacchi non senza sforzo, e si mise alla ricerca del giardiniere. La grande porta aperta del capanno degli attrezzi gli lasciò intravedere che era vuoto. Camminò per un po' sotto gli alberi, fino al frutteto. Una carriola e un badile erano appoggiati vicino a un arancio in fiore. Chib si stirò, sciolse i muscoli delle spalle tesi per lo stress. Fece il giro della bastide e camminò lungo la piscina coperta da una rete celeste senza incontrare nessuno. Situazione ideale per uno scassinatore. Stava gironzolando da un quarto d'ora senza che nessuno se ne fosse accorto. Tornò al capanno, ne esaminò l'interno ingombro di materiale da giardinaggio. Costa forse stava ancora lavorando al pozzo. Chib seguì il vialetto degli allori bianchi, con la sensazione di passeggiare in uno scenario vuoto. Le tavole nuove erano state accuratamente inchiodate per ostruire completamente il buco. Sfiorò la vera del pozzo. Lungi dall'essere fredda e scivolosa come la sera precedente, la pietra era secca e ruvida. In terra, accanto ai suoi mocassini, vide un martello e dei lunghi chiodi. Costa aveva lasciato i suoi attrezzi lì, dunque doveva trovarsi lì vicino. Chib si guardò intorno, rabbrividì. Era tutto così tranquillo, perché allora si sentiva tanto nervoso? Una farfalla gialla e blu si posò sul martello, quindi, delusa, svolazzò fino a un ibiscus fiammeggiante, vicino al quale serpeggiava un tubo tutto aggrovigliato. Costa aveva lasciato lì anche uno stivale. Uno stivale? Si tirò su. Uno stivale di gomma marrone. Sotto l'ibiscus. Non correre, cammina. Lo stivale era di notevole misura, almeno un 44, e proseguiva in una gamba. Una gamba coperta da una tuta da lavoro macchiata di terra. Chib serrò i denti e si chinò. Costa lo guardava, disteso sulla schiena, un braccio dietro la testa, l'altro lungo il corpo. Aveva la bocca socchiusa come qualcuno che stia facendo
la siesta e russi leggermente. La farfalla andò a posarsi sulle sue labbra, sfregando le zampette sottili contro la lingua. Costa non batté ciglio. La farfalla non accennava ad andarsene, a quanto sembrava soddisfatta del suo nuovo posatoio. Le ali sbattevano dolcemente. Chib toccò il polso villoso che fuoriusciva dalla manica blu. Freddo. Fece uno sforzo per chinarsi ancora di più. Vide un'ombra passare attraverso lo sguardo chiaro del giardiniere. Alzò la testa. Era solo una nuvola che si specchiava negli occhi del morto. Ora, vedeva anche il sangue, sotto la testa, una piccola pozza in parte bevuta dalla terra ispessita. E il bordo di pietre, appuntite, che circonadava l'ibiscus. Lo stivale, incastrato nel tubo. La testa sulla pietra dallo spigolo aguzzo. Una morte sciocca e istantanea sotto il sole nascente. Allungò una mano verso la farfalla ostinatamente aggrappata al labbro inferiore di Costa. Ne toccò le ali che sussultarono sotto le sue dita. Quindi si rialzò e si diresse verso la casa. Inutile ispezionare i dintorni, era certo che non avrebbe trovato nulla di anomalo. Un buon vecchio incidente, come se ne vedono tutti i giorni. Ovvio, Costa si era assai opportunamente fracassato la testa cadendo, guarda caso proprio il giorno dopo avergli parlato dell'uccisione del cane, eppure gli sbirri vi avrebbero forse visto altro che una semplice coincidenza? E poi, c'era effettivamente dell'altro? Lui e Gaëlle non stavano per caso sprofondando dentro la teoria del Gran Complotto? «Oh, non ti avevo sentito arrivare.» Aïcha era spuntata fuori nel suo campo visivo, trascinando un triciclo. «Sto facendo un po' d'ordine» spiegò lei. «Ma che succede? Hai una faccia.» «Costa s'è ammazzato cadendo vicino al pozzo.» «È caduto nel pozzo?» esclamò la ragazza lasciando cadere il triciclo che urtò una sedia in giunco, rovesciandola. «No, è caduto all'indietro su una pietra aguzza. Frattura del cranio, senza dubbio. Bisogna chiamare la polizia.» Lei rimase lì, indecisa. «Ma che ci facevi tu laggiù, a quest'ora poi?» «Volevo fargli alcune domande. A proposito del cane. Lui sapeva qualcosa.» «Ma Léonard... la polizia, cosa gli dirai? Per spiegargli il fatto che tu ti trovavi lì?» Non ci aveva pensato. «Mah, gli dirò... che avevo fatto amicizia con Costa, che doveva darmi delle talee per un amico.»
Lei fece una smorfia, dubbiosa. «Speriamo che Andrieu non decida di dir loro tutto quanto, altrimenti sarebbe difficile per voi giustificarvi del fatto che vi siete fatti passare per detective privati, non so se mi segui...» Sì, sì, la seguiva eccome. Dritto dritto verso guai seri. Il maresciallo osservava il corpo disteso ai suoi piedi, accigliato. «Non è stato molto fortunato, poveretto!» la buttò lì. «Allora, che combina quest'ambulanza, Théo?» aggiunse voltandosi verso il giovane gendarme che lo aveva accompagnato anche la volta precedente. Chib notò che il suddetto Théo si era fatto crescere i baffi che si lisciava mentre parlava. «Arriva, capo. Quel che mi chiedo è perché è venuto qui.» Il maresciallo gli restituì uno sguardo sorpreso. «Beh, voleva di certo innaffiare, è inciampato, e paf! Finita la commedia!12» «Sì, però non aveva sistemato i suoi attrezzi, laggiù» insistette il giovane Théo. «Si direbbe che non avesse finito il suo lavoro, che è stato disturbato, è venuto a vedere qualcosa e...» «I piedi gli sono rimasti incastrati nel tubo e bum!» concluse il maresciallo. «Questo non cambia nulla.» Questo cambiava tutto, invece. Théo aveva ragione. Qualcuno o qualcosa aveva attirato l'attenzione di Costa. Il quale si era spostato fino all'ombra dell'ibiscus, fuori della portata visiva della casa. E lì qualcuno gli aveva fracassato la testa prima di sistemare il corpo in maniera tale da indurre a credere all'evidenza dell'incidente. «Chiederete che venga effettuata l'autopsia?» «Un'autopsia? Ma come le viene in mente? Mica le facciamo così, tanto per farle, le autopsie! E ad ogni modo è il giudice a stabilirlo. Mi stupirebbe che sprecasse il denaro dei contribuenti per un incidente sul lavoro» concluse quello scansandosi per lasciar passare i barellieri. Chib risalì lentamente verso la bastide. Théo aveva trascritto la sua deposizione, sottolineato il fatto che lui si trovasse lì in occasione di tutte le varie tragiche evenienze, alla qual cosa Chib aveva ribattuto che la tragedia, beh, era il suo mestiere, il che aveva a sua volta suscitato una smorfia di disgusto nel suo interlocutore. Blanche era seduta nella sala da pranzo, davanti a una tazza di caffè freddo e a dei toast che non aveva più toccato da che Aïcha l'aveva infor-
mata della morte di Costa, una mezz'ora prima. Aveva accolto la notizia mantenendo la calma e aveva chiesto: "Siete sicuri che sia morto?" Avendoglielo Chib confermato, lei aveva girato il suo caffè senza aggiungere altro che un semplice "Mio Dio..." Come orazione funebre si poteva fare di meglio, si era detto Chib mentre si sedeva di fronte a lei. «Ha avvertito suo marito?» «Ho come l'impressione di sentirle ripetere questa frase senza posa» gli ribatté lei. «Aïcha sta facendo dell'altro caffè.» «Me ne frego. Le sto chiedendo se ha avvertito Jean-Hugues.» «E io le sto chiedendo se vuole del caffè.» «Ma a che gioco stai giocando?» le sibilò lui afferrandole un polso. Lei si liberò. «Ma a nessun gioco. Lei ha troppa immaginazione, Moreno, lei si lascia trasportare. Allora, caffè?» Aïcha era rimasta sulla soglia della sala, con una caffettiera fumante su un vassoio e due tazze. «Volentieri, grazie» fece Chib, con i denti serrati. Appena Aïcha uscì, lui si girò verso Blanche. «Per quale motivo sei così aggressiva?» «Non lo so. Perché non ho voglia di parlare. Ho voglia di restare da sola.» Pugno al basso ventre, freddo, duro. Chib si alzò. «Scusa, me ne vado.» «Te l'ho detto che non mi potevi aiutare.» «Perfetto. Rimani così, allora, va benissimo. Soprattutto non cambiare, non cambiare nulla. Continua a morire piano piano.» «Povero idiota!» Blanche non aveva alzato la voce e non lo stava guardando, continuava a fissare la sua tazza di porcellana verde acqua. Chib provò ad un tratto una sensazione di immensa stanchezza. E forse anche una gran voglia di piangere. Doveva agire, dire qualcosa, quella situazione non poteva... non così... in quella disfatta silenziosa, eppure non gli veniva in mente nessuna parola, restava solo quell'impressione di non essere altro che una terra desolata e battuta dal vento. Quasi che il rifiuto di quella donna gli sottraesse all'improvviso la sua qualità di essere umano. Quella donna. Blanche.
Ebbe voglia di gridare il suo nome, come un lupo, di urlare fino a farsi scoppiare la gola, di inondarla col suo sangue caldo, di picchiarla, sì, di picchiarla! No, di prenderla fra le braccia, lì, in quel momento, mentre il maresciallo si accommiatava, e li salutava cordialmente, una mano sul kepi: nessuno si rendeva conto che lui stava diventando pazzo? Che si riempiva di pietre, che era pietrificato?! «Ci sono forse delle formalità da espletare?» diceva Blanche. «Me la vedrò con suo marito, non si preoccupi. Andiamo ad avvertire la famiglia.» «Non era sposato. Aveva una sorella, a Lisbona, credo. Aïcha dovrebbe avere i suoi recapiti.» Il maresciallo la ringraziò, e infine uscì. E Blanche lo seguì. Guardò l'ambulanza allontanarsi, la camionetta. Guardò Colette che si segnava. Guardò una nuvola nel cielo stupidamente azzurro. Ma non guardava Chib l'invisibile, l'insignificante, il noioso M. Chib Moreno. E se lei lo avesse manipolato sin dall'inizio? Se non fosse stata altro che una sporca ninfomane? Comodamente confinata nella sua sofferenza? Vacci piano, Chib, ha comunque perso due figli. Non fa finta di soffrire, soffre. E ti fa soffrire. È come amare una lametta da rasoio che ti taglierà la gola perché quella è la sua natura. Si scosse. Un uomo era morto, senza alcun dubbio assassinato, e lui non pensava ad altro che alla sua avventura con la padrona del posto. Pietoso egoismo. Vibrazione del cellulare. Era Gaëlle. La informò della morte di Costa, a voce bassa, voltato di spalle. Quando riagganciò, Blanche non c'era più. Chib si mosse fino alla sala da pranzo. Vuota. Non l'avrebbe di certo rincorsa in giro per casa. Se ne sarebbe andato. Che andassero tutti a farsi fottere. Ritornò alla Floride, depresso e ancor più nervoso di quando era arrivato. Poi l'evidenza e la violenza della morte di Costa d'un tratto gli tornarono in mente. Colui che aveva sventrato il cane aveva di sicuro ucciso un uomo. Per assicurarsi che non potesse parlare. Non si trattava più di perversioni sessuali, bensì di omicidio. Premeditato. E la questione era sapere come aveva saputo l'assassino di Costa che questi aveva intenzione di parlare con Chib. Perché l'unica persona presente la sera precedente era Belle-Mamie. A dire il vero non il colpevole più
plausibile. A meno che non fosse un vecchio travestito, sogghignò mentre osservava la Clio di padre Dubois fare il suo ingresso nella villa. «Che brutta faccia!» esclamò il sacerdote uscendo dalla macchina. «Costa, il giardiniere, è morto!» «Cosa? Ma come?» Chib raccontò ancora una volta la versione ufficiale. «Un uomo così pio, andarsene senza potersi confessare...» sussurrò il sacerdote. «Appunto, mi aveva detto di sapere qualcosa, a proposito dell'uccisione del cucciolo degli Osmond.» Dubois rialzò bruscamente la testa, i suoi piccoli occhi puntati su Chib. «Cosa sta insinuando?» «Niente, faccio solo una costatazione. Ero venuto stamattina per incontrarlo. E lui è morto.» «In tal caso, anche lei è in pericolo» fece osservare il prete tamburellandogli il petto con la punta dell'indice. «Quando i demoni si liberano, non vanno tanto per il sottile, sa. Il male si nutre di se stesso come un fuoco che tutto divora. Come sta Blanche?» Chib si sentiva sconcertato. «Come al solito, credo.» «Non ho consigli da darle, Moreno, ma non penso che nel cuore di mia cugina ci sia spazio per altri che suo marito.» «Ma io...» Il sacerdote gli batté sulla spalla e s'allontanò con passo sostenuto. Chib, sbalordito, rimase piantato accanto alla macchina. Doveva essere diventato trasparente senza rendersene conto. Tutti gli altri vedevano girare gli ingranaggi del suo povero cervello sovraffaticato, battere dolorosamente il suo cuore bistrattato, contrarsi i suoi nervi irritati. Saltò sulla Floride, sbatté lo sportello e scattò a tutta birra, Telepopmusik a tutto volume, "Love can damage your health". Greg stava sorseggiando il suo pastis di mezzogiorno, le gambe comodamente distese davanti a sé, puntando le passanti. Chib, lui contemplava la sua Perrier con fettina di limone. Non sarebbe dovuto andare a prendere l'aperitivo, non aveva voglia di parlare. Ma neppure aveva voglia di restarsene a casa, e la telefonata improvvisa di Greg gli aveva offerto la possibilità di scappare dalla sua stanza, piena di ricordi del corpo di Blanche. «Cosa farai adesso?» chiese Greg pescando dalla ciottolina delle patatine
troppo unte. «Cioè?» «Beh, col giardiniere morto e tutto il resto.» «La polizia avvierà un'inchiesta, suppongo.» Chib mandò giù un'altra oliva, l'aria dubbiosa. «Sembri una vecchia piaga molle, amico» finì per dire Greg. «È la tua Blanche che ti tormenta?» «Lascia perdere.» «Cazzo, Chib, questa baldracca ti ha fottuto a morte!» «Non chiamarla mai più baldracca, capito?» «Ma guardati, cazzo! Non sei mai stato troppo divertente, ma adesso stai battendo tutti i record. Ma porca puttana, se l'amore deve ridurti in questo modo, non invoglia molto.» «Lei non mi ama.» «E perché dovrebbe? È sposata, amico, vorrei ricordartelo, si fa giusto un giretto extra ed è tutto. Non potresti semplicemente farti le tue scopate come tutti senza che la cosa si trasformi in una rottura di palle tipo film di Bergman?» «Ma tu, l'hai mai visto un film di Bergman?» «Sììì, un quarto d'ora almeno, aspettando l'inizio della partita di Coppa.» «E Aïcha, eh?» lo interrogò Chib, le dita strette attorno alla Perrier. «Cosa, Aïcha? Stiamo bene insieme, scopiamo bene ed ecco tutto.» «Ma tu cosa provi per lei?» «Ma che ne so!» protestò Greg vuotando il bicchiere. «Non passo mica il tempo a esaminarmi il cervello! Beh, andiamo a mangiare?» «Non ho fame.» «Oddio, che disgrazia, ci fa il depresso totale, adesso! Bisogna mangiare, vecchio mio, il cibo almeno è una cosa reale.» «Tu dovresti scrivere per la rubrica della posta del cuore. Il tasso di suicidi salirebbe alle stelle, una bella sfoltita.» Greg si era alzato, si stava stiracchiando. «Smettila con le tue cazzate. Andiamo, offro io. Polenta e stufato.» Chib sospirò. Polenta e stufato. Perché no? Vomitare quello o altro... Dovevano essere le quattro del pomeriggio. Steso sul futon, fissava il soffitto su cui danzava un moscerino, cercando di rilassarsi, mentre lo stufato e la polenta gli pesavano sullo stomaco come una valigia troppo pesante che non avrebbe saputo dove appoggiare. No, non era lo stufato, era
Blanche, la pietra al collo che lo stava trascinando verso il fondo, e gli impediva di respirare. La amava? si chiese bruscamente mentre si rialzava, era dunque quella cosa lì, amare? Merda, come fare a saperlo?! Lui era sempre stato un tipo solitario. Affettuoso, ma mai davvero innamorato. No, non doveva essere quello, perché... chi avrebbe voluto sperimentare un tale dolore? Si stava sbagliando. Era il suo ego che stava soffrendo, ecco tutto. Si sentiva ferito nella sua virilità. Si rovesciò di nuovo all'indietro. Il moscerino si era attaccato al lucernario, disperatamente desiderando quella luce inaccessibile. Il tuo clone, Chib, ostinato e perdente in partenza. Telefono. Sobbalzò, nella fretta lo fece cadere, riprendendolo al volo. Un respiro affannoso. No, due respiri affannosi. Irregolari. Ragazzini idioti che facevano uno scherzo. Stava per riagganciare quando la donna gemette. Un getto d'acido gli inondò l'esofago. Altro gemito. Lungo. Il respiro rauco dell'uomo. Cadenzato. Chib aveva la sensazione che avrebbe frantumato il telefono. La donna gridò, non troppo forte, un grido trattenuto, soffocato, che Chib aveva sentito quella notte, da lei. Poi il fruscio delle lenzuola. Lo sfregamento della pelle sudata l'uno sull'altra. Il crepitio classico di una sigaretta che viene accesa. E il silenzio. Chib cercò di capire se c'era qualcuno all'altro capo del telefono o se il nastro registrato si era semplicemente fermato. Uno scatto. Poi: «No, fa male, no!» Cosa diavolo era, adesso? Una voce di bambina. Chib sentì imperlarsi il labbro superiore, lo asciugò. «No, no, no!» Annabelle? Eunice? No, non erano le loro voci. Allora... Elilou, Dio mio, era Elilou. Stava singhiozzando ora, e di nuovo si sentiva un respiro, ritmato, uno due, uno due, sempre più forte. Chib corse al lavello, il telefono incollato all'orecchio, e rigettò i resti di stufato mentre lo stupratore portava a termine il suo misfatto e di colpo, assordante, risuonava l'Halleluja di Haendel. Chib si spruzzò d'acqua con una mano, si asciugò malamente con lo strofinaccio, mentre quella fottuta musica gli stava facendo scoppiare un timpano, dopodiché udì un clic e fu silenzio. Guardò il telefono, stravolto, sentendo il sudore che gli colava lungo la schiena, un sapore sgradevole in bocca. I pensieri si tamponavano come pianeti strappati al loro centro gravitazionale. Le grida della bambina. L'uomo e la donna che facevano l'a-
more. I gemiti di Blanche, il gridolino di Blanche. Ma Blanche fra le braccia di chi? Di Andrieu? Fra le sue? Chib non si era mai sentito mentre lo faceva, quindi come fare a saperlo? Tutte le ipotesi possibili erano sgradevoli allo stesso modo. Perché lui non poteva sopportare di sentire Blanche godere con un altro, avrebbe preferito addirittura che lo avessero registrato la notte in cui era andato da lei come un ladro. Oppure, ipotesi ancor più insopportabile, Blanche abbandonata sotto il peso dell'uomo che aveva violentato sua figlia? Si accorse che aveva ancora il telefono in mano, e lo ripose sulla base. Si sciacquò di nuovo la bocca. Avvertire Blanche del fatto che forse c'era un registratore nascosto nella sua stanza, una di quelle diavolerie minuscole che si attivano con la voce. E Gaëlle che era bloccata a Nizza, per gli esami. S'infilò le scarpe, prese la giacca e uscì. «Devo assolutamente parlare con Blanche.» Aïcha strabuzzò gli occhi mettendosi un dito sulle labbra. «Sei pazzo! Non gridare così! Belle-Mamie è qui, con Dubois. Stanno preparando la festa di san Giovanni.» «Avvertila con discrezione.» «Ma non posso! Che succede?» «Bisogna che le parli, e basta. O che vada in camera sua.» «Ehi, ma sei fuori? Greg me l'aveva detto che stai uscendo di testa, e comincio a pensare che sia vero. Ma t'immagini che cosa può succedere se ti trovano in camera sua?» «I ragazzi sono in casa?» «Sì.» «Aïcha... ah, toh, Moreno!» Dubois era appena spuntato fuori nel corridoio. «M. Andrieu ci ha chiesto di proseguire le ricerche» fece Chib con freddezza. «Lo so, lo so. Aïcha, l'elenco, per cortesia. Stiamo stilando la lista delle persone da contattare, per la festa» precisò rivolgendosi a Chib. «Se permette...» Chib indicò con un gesto vago la scala e l'atrio. «Prego. Ma mi dica, ha trovato qualcosa?» «No, purtroppo.» Il prete si avvicinò. «Blanche mi ha raccontato dell'incidente di Annabelle. E poi, subito do-
po, ecco che il povero Costa... Gli avvenimenti precipitano, Moreno. Il Male punta il suo orrido ceffo e mostra le zanne. E ho come l'impressione che lei si trovi sulla sua linea di tiro. Mi aspetti fra un'ora alla cappella» aggiunse in un soffio. «Tenterò di proteggerci un po' meglio.» «Prego?» «Ah, grazie, Aïcha.» Dubois rientrò nel salone senza aggiungere altro. «Io salgo!» lanciò Chib a un'Aïcha interdetta. Si fermò davanti alla porta chiusa della stanza di Charles, e incollò l'orecchio. Il ticchettio dei tasti del computer, che si mescolava alle classiche musichette elettroniche. Bene. Dalla stanza di Louis-Marie provenivano le note dei Giardini sotto la pioggia di Debussy. Interruzione. Ripresa. Stesso errore allo stesso passaggio. Da capo. Evidentemente si stava esercitando col sintetizzatore. Perfetto. Via libera. Appoggiò la mano sulla maniglia della porta della stanza matrimoniale con la sensazione di essere uno scassinatore ed entrò. La camera era immersa nella penombra, le imposte chiuse. Il letto era rifatto, il piumone celeste impeccabilmente teso, i cuscini blu con volant assortiti. Passò la mano sotto il materasso: non pensare a quel che è successo in quel letto, cerca, rapido ed efficace, lungo il bordo di legno, niente angoscia; si mise carponi, neanche un briciolo di polvere sulle mattonelle verniciate, si distese sulla schiena e scivolò sotto la rete. E lì, nell'angolo sinistro, contro il muro, mezza nascosta dalla sponda in legno, ecco una scatoletta cromata, non più grande di un pacchetto di sigarette. La afferrò con la sensazione di acciuffare un insetto pericoloso e schifoso. Un gioiellino miniaturizzato. Premette il tasto "eject", facendone uscire una minuscola cassetta. Quante volte erano stati registrati i trastulli degli Andrieu? Uscì, il registratore in tasca. E la stanza di Elilou, era forse anche quella "attrezzata" allo stesso modo? Ad ogni modo, era così buia. E il letto era rifatto. Piumone rosa ornato di orsetti bianchi. Tutti gli oggetti e i giochi della bambina erano rimasti lì al loro posto. Persino il libro socchiuso sul comodino. La pecora che voleva essere un lupo. Sulla copertina, una deliziosa pecorella bianca mostrava i denti cercando di assumere un'aria feroce. Lo aprì. La prima pagina recava una dedica "Per Annabelle, da parte della sua mamma". Ma era Elilou che lo stava leggendo. Un libro un po' "da piccoli" per i suoi otto anni. Elilou la ladra, secondo Annabelle. Ladra di amore materno? Desiderosa di tornare alla prima infanzia, di rifugiarvisi lontano da tutto quello che qualcuno la costringeva a subire? Il solo ricor-
do della registrazione dello stupro gli provocò di nuovo la nausea. Si sforzò di fare dei respiri profondi, quindi scivolò sotto al letto. Niente. "Qualcuno" era venuto a recuperare il suo gingillo. «Cosa sta facendo qui?» Chib ebbe un sussulto, batté la testa contro il montante in pino laccato. Charles lo stava squadrando, le braccia incrociate sul petto. «Tuo padre mi ha incaricato di indagare su vari fatti che si sono verificati in questa casa» rispose Chib rialzandosi. «Di che tipo?» «Non devo certo dirtelo io.» «La diverte venire a frugare nella stanza di mia sorella?» «E a te, ti divertiva farti frugare da Costa?» La replica gli era esplosa dalla bocca prima che se ne potesse rendere conto. Il ragazzo diventò viola per la vergogna, i suoi lineamenti si contrassero. «Sporco di un negro!» «Mio piccolo Charles, stai perdendo il controllo. Un ragazzo così ben educato... Farai dispiacere tua madre.» «Non tocchi mia madre!» «È vero che giochi con le Barbie? Eri la piccola Barbie di Costa?» «Stronzo!» Il pugno di Charles lo raggiunse al mento, scaraventandolo sul letto. Il ragazzo, con le labbra ritratte, schiumante di rabbia, si scagliò su di lui e Chib ebbe appena il tempo di rotolare su se stesso per evitare due pugni stretti come una mazza. Balzò in piedi e lanciò un cuscino in testa a un Charles scatenato, e approfittò del suo momentaneo accecamento per falciargli le gambe con un calcio, prima di metterglisi a cavalcioni sopra, inchiodandolo a terra a pancia sotto. Il ragazzo si contorceva sotto di lui, ma Chib lo teneva fermo per i polsi. «Smettila di contorcerti, sembri una ragazzina.» «Stia zitto! Lei non ha il diritto.» «Me ne frego, ne ho abbastanza della tua famiglia, ne ho abbastanza di te. Voglio la verità.» «Mi lasci!» Charles aveva smesso di dibattersi, piagnucolando e basta, e Chib si rese conto improvvisamente che quello stava ondulando i reni fra le sue gambe strette contro i fianchi del ragazzo. Lo lasciò e si scansò rapidamente. Charles si rigirò, rideva, e aveva un'erezione, come Chib poté constatare,
sotto il tessuto leggero della tuta di nylon blu scuro. «Che succede?» domandò Charles con aria cattiva. «Non insiste a interrogarmi? Non vuole sapere cosa facevamo con Costa? Quello che mi faceva lui? Quante volte? Dove? Vuole che le faccio vedere?» Fece scattare la mano verso il bassoventre di Chib, che si scansò indietreggiando. «Smettila con le cazzate. Dimmi la verità, e basta.» «Quanto può essere stupido, lei!» disse semplicemente Charles riguadagnando la porta. «Gretto e stupido. Un autentico piccolo borghese.» La porta sbatté, lasciando Chib sconcertato e in preda a un violento desiderio di uccidere. Beh, calma, vecchio mio. Un bel respiro. Analizziamo i fatti. Tu hai un registratore in tasca. Hai Charles che ha confessato la sua relazione con Costa. Hai a casa la prova vocale che Elilou è stata violentata. No, errore. Ti hanno fatto ascoltare una registrazione che tu sei il solo ad aver inteso. E a che ti serve tutto ciò, eh? A un bel niente, ecco la verità, a niente, se non ad aggiungere ulteriori elementi alla confusione generale. Richiuse piano la porta, sfiorò con la punta delle dita il coniglietto bianco che la ornava, ridiscese. Le voci di Blanche e Belle-Mamie che conversavano animatamente a proposito dei premi della tombola. «Chi è che l'ha pestata?» Louis-Marie usciva dalla cucina, una bottiglietta di yogurt da bere in mano. Chib si chiese per un istante di cosa stesse parlando, poi si portò una mano al mento. Non aveva sentito nulla sul momento. Ma il dolore era lì, improvviso, palpabile. «Sono caduto» disse. Louis-Marie sorrise. «Mi pare strano. Secondo me lei ha fatto a botte con qualcuno.» «A che ora sei uscito, stamattina?» «Ho preso l'autobus delle sette e tre quarti, perché?» «E Charles?» «Charles non aveva lezione prima delle nove. Di cosa siamo sospettati?» «Costa era già qui quando sei uscito?» Louis-Marie bevve un sorso di yogurt, si asciugò la bocca col dorso della mano. «Ah, ecco, è questo» fece con l'aria di chi la sa lunga. «Lei vuol sapere se io l'ho vista con lui.» Chib lo fissò, interdetto. Cosa diavolo si stava immaginando il ragazzo? «Ha litigato con lui, lui l'ha colpita, lei ha risposto e lui è caduto, eh?»
«Ma... ma niente affatto!» Louis-Marie gli rivolse un'occhiatina complice. «Non se la prenda, io me ne frego, era uno sporco coglione, così non potrà più fare del male a Charles.» «Aspetta un attimo!» Chib aveva l'impressione che lì tutti conoscessero il testo della commedia che si stava recitando tranne lui. Allora scandì per bene: «Non ho affatto avuto uno scontro con Costa, lui non mi ha colpito, io non l'ho fatto cadere, va bene?! Io sono semplicemente passato qui stamattina e Dubois potrà testimoniare che non ero ferito, ok?!» «Ma perché si sta arrabbiando?» «Ma perché tu mi stai accusando di omicidio!» esplose Chib, sforzandosi di contenere il tono della voce. «Omicidio colposo, senza che vi fosse intenzione di uccidere» rettificò il ragazzo. «È così che si chiama. Lei non guarda mai la tivù? Costa, è arrivato alle sette» aggiunse. L'omicidio era dunque avvenuto fra le sette e le nove e un quarto, ora in cui Chib aveva scoperto il corpo, il che non portava alcun nuovo elemento utile. Louis-Marie lo superò per dirigersi verso la scala. Chib lo trattenne per un braccio. «La cosa fra Charles e Costa continuava? Benché tuo padre ne fosse al corrente?» Lieve tremore sotto le sue dita. «Non ho voglia di parlarne.» Chib strinse ancora la presa, prossimo a esplodere. «Preferisci che ponga la questione a tuo padre? O a tua madre?» Louis-Marie rialzò la testa, piantando gli occhi grigi come quelli della madre in quelli blu di Chib. «Io non faccio la spia» dichiarò il ragazzo, con aria solenne. «Ma piantala! Ma se sei tu che mi hai raccontato che Charles e Costa avevano una relazione. Non è fare la spia, questo?» «Non è la stessa cosa. Ero arrabbiato con Charles.» «Io devo sapere, capisci?» «Sì, la cosa continuava. Ma se lo dice a mio padre, l'ammazzo» concluse puerile. «Con una pistola rubata nella sua rastrelliera, per esempio?» sogghignò Chib diminuendo la pressione sull'esile bicipite del ragazzo. Louis-Marie fece spallucce e salì i gradini della scala a quattro a quattro
senza rispondere. Ebbene, cosa aveva portato quella gentile breve conversazione amichevole con l'affascinante cadetto di casa? A parte la conferma delle colpevoli inclinazioni di Charles nei confronti del servidorame di sesso maschile della tenuta? Il che pareva escluderlo definitivamente dalla cerchia dei sospetti stupratori di Elilou, al pari di Costa. A meno che i gusti di Costa non fossero stati più eclettici e... Era ora di raggiungere Dubois in quella maledetta cappella. Il sacerdote lo stava aspettando vicino al feretro, una mano appoggiata sul coperchio, quasi che stesse intimando al cadavere l'ordine di rimanere in pace. Tirò fuori dalla tasca una piccola ampolla e fece cenno a Chib di avvicinarsi. «Siamo tutti in pericolo» gli sussurrò scuotendo l'ampolla. «Non sente che freddo fa?» Chib che trasudava nervosismo non rispose. «All'inizio il ghiaccio, poi il fuoco. È così che fanno. Raggelano e poi consumano.» "Raggelano e consumano": era proprio il degno cugino di Blanche, in fin dei conti. «Ho qui dentro di che allontanarli temporaneamente» diceva Dubois mentre scuoteva l'ampolla sopra la testa di Chib, che indietreggiava suo malgrado... Sentì una goccia di un liquido freddo scivolargli sul cranio. Quel vecchio pazzo lo stava forse aspergendo con dell'acqua benedetta? E subito dopo gli avrebbe rifilato un crocifisso d'argento e uno spicchio d'aglio? «Ed ecco l'aglio» disse Dubois mettendogli due capsule nel palmo della mano. «Il vescovo di Torino in persona le ha consacrate sfregandole contro la Sacra Sindone. Non serve a nulla portarlo attorno al collo, è solo superstizione» concluse quello con un'espressione da cospiratore. «Ciò che conta, vede, è che gli oggetti siano carichi, carichi positivamente, per combattere le scariche negative di coloro che ci stanno di fronte.» Chib tentò di sorridergli amabilmente mentre ingoiava le due capsule. Non bisognava contrariarlo, con ogni evidenza il povero vecchio folle era in pieno delirio. «Lei sta pensando che io sia pazzo? No, non sono pazzo, Moreno, ma ho visto cose che lei non può nemmeno immaginare, che non potrà mai immaginare, ho visto il demonio, l'ho visto come vedo lei ora, uscire dalla bocca di un bambino di sei anni. Ho visto un uomo piangere fiotti di san-
gue, sangue vero che ci lordava tutti. E una donna che vomitava materie fecali mentre rideva fragorosamente.» Possibile che lo sciagurato prete fosse abbonato allo stesso videoclub in cui si riforniva Greg? si chiese Chib mentre assentiva distrattamente. «E per la miseria poi» irruppe bruscamente Dubois dirigendosi verso l'uscita «lei non mi crede, nessuno mi crede mai, c'è da chiedersi che cosa ci provi a fare!» «Aspetti!» Chib lo afferrò per la manica. «Costa era l'amante di Charles» fece lui tutte a un tratto. «Il suo devoto Costa!» Dubois sbatté le palpebre. «È impossibile. Assolutamente impossibile.» «Charles in persona me lo ha confessato.» «Ha mentito!» «Perché se lo sarebbe dovuto inventare?!» Il prete strinse i pugni, mentre i suoi occhi lampeggiavano. «Allora, la situazione è peggio di quel che immaginassi. Tutta la casa è infettata.» «E poi qualcuno mi ha telefonato» proseguì Chib, che ormai non si poteva più trattenere. «Mi ha fatto ascoltare lo stupro di Elilou, l'ho sentita gridare, capisce?!» Dubois strinse lo schienale dell'inginocchiatoio con forza: «Elilou è stata violentata?» balbettò. «Ma lei non mi aveva detto nulla!» «Non ne avevo la certezza. È un incubo» aggiunse, facendo scrocchiare le dita. «No» disse il sacerdote con decisione. «Non è esattamente un incubo, è la realtà, la lotta fra Lucifero e Dio è la nostra realtà!» Chib scosse la testa stancamente, cosa gli aveva preso per spiattellare tutto a quell'illuminato? Un bisogno insopprimibile di confidarsi. E dire che Dubois fino a quel momento gli era sembrato un uomo solido e affidabile, anche se assolutamente antipatico. Tutte le ancore di salvezza cedevano una dopo l'altra, il Titanic-Moreno sarebbe stato ben presto trascinato dalle onde sbrigliate. Sentì la mano del sacerdote che gli si posava su una spalla. «Lei è stanco, Moreno, stanco, innamorato, scoraggiato e senza fede. In una situazione del genere, non si stupisca di andare a fondo.» «Sa forse qualcosa, lei?»
Chib aveva afferrato Dubois per il risvolto della giacca. Si rese conto della brutalità del proprio gesto e lasciò la presa immediatamente. Era arrivato al limite, si disse. "Fottuto a morte", secondo l'elegante espressione di Greg. «Non ne so niente più di lei» gli replicò Dubois aggiustandosi la croce appuntata al colletto. «Ma lei sospetterà pure di qualcuno?!» andò su tutte le furie Chib. «Non siamo che delle maschere, Moreno, delle maschere di carne applicate su delle anime che soffrono. Quale differenza c'è fra una maschera e l'altra?» «Io le sto parlando di stupro, di omicidio, di psicopatici, non di diavoli biforcuti!» «È proprio questo il problema. Lei mi parla di apparenze.» «Ok» sibilò Chib. «Allora, secondo lei, sotto quale apparenza si nasconde il nostro diabolico folle?» «Perché non la sua?» gli replicò Dubois con un sorrisetto cattivo. «Lei ha accesso a tutto, lei conosce tutti i protagonisti... La morte improvvisa di Elilou non ha fatto forse altro che amplificare i suoi fantasmi, l'ha precipitata nel caos mentale di un film di cui lei è l'autore, il regista e l'interprete?» «Non è divertente.» «Beh, la mia, allora? Un uomo di Dio che diventa l'inetto della tentazione, cosa c'è di più divertente per Satana?» Chib lo osservò con attenzione. Gli occhi penetranti del sacerdote brillavano, le narici fremevano, il pomo d'Adamo andava su e giù in maniera convulsa. Dubois era dunque più sconvolto di quanto non volesse far vedere. Oppure era totalmente uscito di senno. «Ma insomma, Dubois, dove si è cacciato?» squittì con voce esasperata Belle-Mamie dall'altro lato della porta. Il prete si girò, si schiarì la voce prima di rispondere: «Sono qui, arrivo!» Uscì, lasciando Chib in una mezza penombra. «La stavamo cercando dappertutto! Quel tipo del catering è intrattabile e...» Le voci si allontanarono. Chib si lasciò cadere su un banco. Il Cristo piangeva sempre sul suo pezzo di legno. Elilou lottava contro la putrefazione. Uno scarabeo mordoré fuggiva un raggio di luce. Danza di pulviscolo. Cigolio della porta alle sue spalle. Mosso da un riflesso incontrolla-
to, si lasciò scivolare a terra, fra due file di banchi. Alcuni passi, sul pavimento. Che arrivavano alla sua altezza. Due scarpe di cuoio blu scure con le stringhe, polpacci inguainati nel nylon trasparente, l'orlo di una gonna a pieghe, anch'essa blu scura. Chib senti il cuore fuori controllo. I passi lo superarono. Rialzò la testa, si contorse per scorgerla fra i banchi. Lei si era fermata vicino alla bara, le mani appoggiate di piatto sul vetro, la testa abbassata sulla figlia morta. I capelli chiari nascondevano in parte il suo volto. Chib vide le sue spalle curvarsi. Le sue labbra posarsi sulla superficie fredda e trasparente, implacabilmente trasparente e invalicabile. Poi rovesciò la testa all'indietro ed emise un lungo gemito. Qualcosa che stava fra il singhiozzo e la rabbia. Si voltò verso l'altare, spazzò via il vaso pieno di fiori freschi col dorso della mano, senza smettere di gemere, cadde in ginocchio sul pavimento sbalzato; Chib vide le sue dita aggrapparsi alla falda bianca e dorata del paramento d'altare, appallottolarne un angolo e infilarselo in bocca, soffocando il suo grido, vide le lacrime che grondavano, vide nei suoi occhi inondati il lamento eterno e mai inteso che vi fa quasi credere alla tenerezza della morte. Si rialzò e corse verso di lei, si lasciò cadere accanto a lei, l'attirò a sé, senza lasciarle la possibilità di difendersi. Resistenza. Le sue spalle gettate all'indietro, la testa che si scuote, lui tiene duro, stringe, lei lo morde, gli pianta i denti nella carne della spalla, lui se ne frega, la stringe, lei cede, cede all'improvviso come una diga che non può resistere oltre, devastata, erosa, lei cede, si accascia su di lui, sussulti, le mani di lui sulla gracile dolcezza delle sue spalle, lui la stringe, troppo forte, circondandola interamente con le sue braccia, le labbra di lei sul suo collo, il respiro tanto bruciante quanto la pelle è fredda, lui vorrebbe dire, non sa, vorrebbe dire cose che lei non ha voglia di sentire. Umidità della bocca socchiusa sul fremito dell'incavo della gola. Il Cristo li sta guardando, il sangue che sgocciola sulle sue guance infossate. Chib accarezza dolcemente la schiena di Blanche, i suoi fianchi. Lei incrocia le mani attorno alla sua nuca, lo attira a sé, con violenza. Sono perduti. L'acqua del vaso rotto è colata sul pavimento di pietra, loro si distendono nell'acqua, si distendono tra i fiori, fra le schegge di vetro, mentre Elilou continua indefinitamente a morire, loro si distendono, balbettano, si stringono e chiudono gli occhi.
Nell'istante in cui lei aprì la bocca per gridare, Chib la coprì con la mano, e lei lo morse di nuovo, brutalmente, fino a farlo sanguinare, mentre lui si liberava, e lei lo serrava con una tale violenza fra le gambe che lui ebbe la sensazione che gli avrebbe stritolato i reni. Rimasero un momento uniti, impegnati appena a respirare, a ritornare in superficie. O mio Dio! si disse lui riprendendo fiato e dandosi una riassettata, che cosa avevano fatto?! Chiunque sarebbe potuto entrare, sorprenderli, lì, in un luogo consacrato, davanti al corpo della bambina! Mezzo inginocchiato, le abbassò la gonna sulle gambe nude e lei gli restituì uno sguardo annebbiato. Le prese la mano, la costrinse a rialzarsi. Lei era fiacca e abbandonata, non accennava a reagire. «Blanche! Blanche, dobbiamo uscire di qui.» «Per andare dove?» «Dobbiamo andarcene, è troppo pericoloso. Alzati, vieni!» «Voglio dormire. Mi piace questo posto. Mi piace l'odore del pavimento.» «Blanche! Pensa se qualcuno ci scopre!» «Ti linceranno, non credi? Io ti guarderò mentre ti impiccano, da dietro le sbarre della mia stanza.» Chib la agguantò alla vita e la sollevò. Lei si lasciò ricadere e lui la riacciuffò appena in tempo. Le sue mutandine Blanche, lì per terra, Chib si abbassò senza lasciarla, afferrò gli slip e se li mise in tasca. Lei aveva chiuso gli occhi, non si muoveva più. La porta. Quella maledetta porta, la fine del mondo. «Ah, lei è... ma che cosa...!» «Ha avuto un malore, stavo venendo a chiamare.» Andrieu si precipitò verso di loro, Chib lasciò Blanche fra le sue braccia. C'era odore di sperma? Aveva richiuso bene la patta dei pantaloni? «Ho sentito dei rumori» improvvisò Chib, cosciente del fatto che era madido di sudore (grazie a Dio lei non portava il rossetto) «e l'ho vista vicino a Elilou, sembrava stesse piangendo e, all'improvviso, si è accasciata...» Blanche emise una sorta di singhiozzo che poteva passare per un singulto, o un riso, si disse Chib mordendosi l'interno delle guance. No, lei non si sarebbe comunque messa a ridere! «Stai bene, tesoro?» chiedeva Andrieu sostenendo sua moglie. «Vuole che l'aiuti a portarla fino a casa?» si premurò Chib. «No, andrà tutto bene. Sta tornando in sé.»
Effettivamente, Blanche li stava guardando. Si raddrizzò. Si appoggiò al torace di Andrieu. «È passato, un momento di stordimento, non so...» fece lei, una mano sulla fronte. «Fortuna che Moreno ti ha vista, avresti potuto farti male cadendo!» le disse Andrieu sollecito. «Davvero» aggiunse volgendosi a Chib «lei è sempre al posto giusto quando occorre!» Chib vide chiaramente il lieve sorriso di Blanche, un sorriso nauseato. «Vado a dire ad Aïcha di venire a pulire» riprese indicando con un cenno del mento il vaso rotto. Un miracolo che non si fossero tagliati, disse fra sé Chib, un miracolo: c'è da dire che quello era il luogo ideale per i miracoli, no? Andrieu si stava avviando verso l'uscita, la moglie al suo braccio, mentre Chib si fermava, testimone senza onore di una coppia alquanto singolare. Intermezzo 6 Né il fuoco Né l'acqua Né la terra Né il soffio dell'aria Niente altro che il ghiaccio Ancora e sempre Che mi brucia le viscere Io vorrei Io vorrei Ma tutti se ne fregano È per questo che io devo Che io devo. Per smettere di andare in pezzi Come un vaso rovesciato A ogni scoppio di risa. Capitolo 17 Dopo che Blanche si eclissò per andare a fare una toeletta sommaria prima di raggiungere Dubois e Belle-Mamie, Andrieu invitò Chib a bere un bicchiere nella biblioteca.
«Lei crede che Costa sia stato assassinato?» gli chiese a bruciapelo offrendogli un sigaro che Chib rifiutò con un gesto della mano. «Mi sono posto la questione» gli rispose Chib con prudenza. «Forse aveva scoperto l'identità del malato di mente che aveva... rubato Elilou» proseguì Andrieu rigirando fra le dita il suo havana panatela. «Qualcuno che lei in tal caso dovrebbe conoscere?» gli fece osservare Chib. Andrieu appoggiò il sigaro sul tavolino basso intarsiato. Si stropicciò gli occhi. «Che casino...» sospirò. «Che assurdo fottuto casino di merda!» Chib bevve un sorso di cognac senza rispondere. «Ah! Sei qui, mio caro!» Belle-Mamie veniva avanti verso di loro, occhiata di rimprovero ai bicchieri riempiti a metà. «Vorremmo il tuo parere per il galà in favore dei rifugiati afgani...» «Vi raggiungo fra dieci minuti.» «Veramente... è una cosa abbastanza urgente, Dubois è al telefono e...» «Dieci minuti.» «Ma insomma, cosa sono tutti questi misteri! Non la smettete mai di complottare, cosa mi si nasconde? Me lo dica lei, monsieur Moreno, cosa sta succedendo qui?» «Stiamo proseguendo le nostre ricerche per scoprire chi ha portato via il corpo di sua nipote e profanato la cappella, madame.» «Futilità! Bisognava avvertire la polizia, l'ho detto mille volte, ma JeanHugues ha sempre fatto di testa sua, o quella di Blanche» aggiunse con malcelata perfidia. «E poi cosa importa? A che pro occuparsi dell'ignobile gesto di uno squilibrato qualunque! È nella vita di ogni giorno che si affronta il dolore superandolo.» «Io, io ho bisogno di sapere» argomentò Andrieu vuotando il suo bicchiere sotto il sopracciglio aggrottato di sua madre. «Perché questa storia mi impedisce di dormire.» «Faresti meglio a prendere le pillole che ti ha dato Cordier.» «Imbottirmi di droghe? Mi meraviglio che un consiglio del genere venga proprio da te!» rispose lui afferrando la bottiglia. «E piantala di bere! Pensi sia un buon esempio per i tuoi figli?» «I miei figli...» sussurrò Andrieu. «Cosa ne sai tu dei miei figli?» Belle-Mamie inforcò gli occhiali e lo squadrò con attenzione, la testa leggermente piegata da un lato.
«Jean-Hugues, tu mi preoccupi! Credo sinceramente che...» «Me ne frego di quel che credi tu!» gridò Andrieu scagliando il suo bicchiere che andò a rovesciarsi sul volume IX delle opere complete di Racine prima di rotolare per terra in un tintinnio cristallino. Belle-Mamie lo fissava, a bocca aperta. Andrieu si diresse a grandi passi verso la porta, la oltrepassò senza rivolgere uno sguardo alla madre rimasta basita e la sbatté violentemente dietro di sé. «Ma...» balbettò quella «ma... mi ha tirato il bicchiere in faccia!» «Beh, in realtà non proprio: lo ha semplicemente proiettato dritto davanti a sé» pensò bene di farle notare Chib Moreno, riparatore professionista specializzato in disastri familiari. «Non riesce più a controllarsi, ha visto? E di fronte a...» La donna si interruppe, mordendosi un labbro. "Di fronte a un domestico per di più" completò mentalmente la frase Chib. «E Blanche che... insomma lei sa...» riprese Belle-Mamie fregandosi nervosamente le mani. «Bisogna che parli con Dubois» concluse allontanandosi con passo deciso. Rimasto solo, Chib chiuse gli occhi e si rovesciò all'indietro. Giusto qualche minuto di tregua. Di silenzio. Silenzio, ordinò a tutti i personaggi che si affollavano urlanti nella sua testa, a tutte le battute che deflagravano e tornavano a sfracellarsi sulle sue tempie doloranti come dei boomerang. Giusto qualche secondo. Come se tutto quello non esistesse. Come se Blanche non esistesse. Come se lui non fosse mai sprofondato in quella carne così bianca. «Bunny è pa'tito!» Chib riaprì gli occhi stancamente. Eunice, sulla soglia, mordicchiava un piccolo delfino di peluche blu: aveva pianto. «Hai perduto il tuo Bunny?» le chiese gentilmente Chib che della cosa in realtà se ne infischiava altamente. «No, è pa'tito. Non mi vuole più bene! Andiamo bene.» «Perché non ti vuole più bene?» «Pe'ché sono cattiva!» «Te l'ha detto lui?» «Sì!» «E perché sei cattiva?» E per quale ragione deve esserci sempre qualcuno pronto a snervarti nei momenti meno opportuni? «Pe'ché io non voglio fa'lo! Ecco pe'ché sono cattiva» gli assicurò la
bambina. «Fare cosa?» Lei lo guardò senza rispondere e lui ebbe d'un tratto la sbalorditiva sensazione che Eunice gli stesse rivolgendo un'occhiatina lasciva. A tre anni. Chib sbatté le palpebre. Riaprì gli occhi. La bambina rosicchiava il suo delfino, i pugni stretti, gli occhi gonfi di lacrime. Lui le fece segno di avvicinarsi e lei si fece avanti con passo esitante. «Quest'estate, se sa'ò molto buona, and'ò a Disneyland!» gli disse lei improvvisamente. «Che significa, essere molto buona?» chiese Chib d'un tratto allarmato. «E anche Bunny ci ve'à a vede'e Topolino!» «Avevo capito che era andato via.» «Tu sei stupido!» Almeno un punto su cui tutti erano d'accordo. «Se sono molto buona, to'ne'à!» «Come farai per essere molto buona?» insistette Chib. Lei chiuse di colpo gli occhi, strinse le labbra e Chib vide le dita della bambina conficcarsi nel delfino, e appallottolarlo. E sentì le proprie dita conficcarsi nel bracciolo della poltrona. «Ne è al corrente, la tua mamma?» riprese Chib a voce bassa. Ultima stretta convulsa al delfino, dopodiché la bambina fece dietrofront correndo. Doveva lanciarsi all'inseguimento, ma a che pro? Lei non avrebbe detto nulla di più. Chib si lasciò ricadere sulla poltrona. Stava pensando proprio a ciò cui stava pensando? Il contesto pedofilo si andava profilando con maggior nettezza. Costa era stato il carnefice dei bambini? Fino a che uno di essi, esasperato, gli aveva fracassato la testa con una pietra? Dopotutto, era lui che aveva tolto la tavola dalla vera del pozzo. E sempre lui che diceva di sapere qualcosa sull'uccisione del cane. Ma chi poteva provare la veridicità di queste ipotesi? Forse il giardiniere voleva semplicemente allontanare i sospetti dalla sua persona. No, Chib, no, se era Costa, e Costa soltanto, ad abusare dei bambini, Eunice non avrebbe potuto dirti oggi che se si fosse comportata bene sarebbe andata a Disneyland. Ma Eunice sapeva che Costa era morto? E cosa poteva capirne poi lei della morte? E, in via del tutto accessoria, dove si trovava infine Bunny? Qualcuno le aveva sottratto Bunny come punizione per aver opposto resistenza a delle avance? Da quanto tempo era scomparso Bunny? Prima o dopo la morte di Costa? Dio santo, Chib, ma tu ti rendi conto del fatto che ti stai mettendo a
indagare sulla scomparsa di un coniglio di peluche? D'altronde, qualora Bunny fosse stato posseduto dal diavolo, allora questo poteva spiegare tutto. In realtà, era lui che si alzava la notte per andare a violentare i piccoli Andrieu. O per rubare il cadavere di Elilou. Può darsi anche che si facesse Blanche, il caro Bunny, muovendo le sue lunghe orecchie, hi ho, hi ho, no, l'asino sei tu, Chib, l'asino calzato e vestito, il Cadichon13 di servizio. Stop. Calma. Relax. Una tisana di nenufaro ben dosata, ecco quel che ti occorre. Zen e meditazione. Si alzò di scatto, scolò il suo bicchiere di cognac, e si mise in piedi davanti alla foto che era stata lordata. Ne contemplò i volti sorridenti. Una vera e propria reclame della famiglia e del matrimonio perfetti. Come se ci fosse la scritta sotto: "Fate come noi: siate sani e felici." Ma lo sperma sul retro aveva lasciato con l'inchiostro simpatico un messaggio di ben altro tenore: "Fate come noi: nascondete le vostre ferite." Chib rigirò la foto, per scrupolo di coscienza. Era pulita. Se soltanto avesse saputo chi era stato il veicolo di quella masturbazione. Che del resto non sarebbe potuta ricadere nel novero delle sue ipotesi di pedofilia. Se qualcuno abusava di uno o più d'uno dei bambini, perché poi venire a masturbarsi sulla loro foto? A meno che... John Osmond, mentre contemplava l'inaccessibile oggetto della sua passione? Difficile immaginare quel poveruomo grande e grosso darsi da fare in tutta fretta mentre Belle-Mamie s'intrattiene conversando con Clotilde. E tu, Chib, non dovresti farti una copia della foto, ad uso personale, hai presente no?, per quando ti svegli la notte afferrando il cuscino come se fossero i suoi fianchi? La riappoggiò bruscamente sul ripiano. Una partitina a biliardo, ecco quel che ci voleva per calmare un po' i nervi. Sistemò le palle sul tappeto verde, si concentrò per colpire la prima. Il fracasso che produssero sparpagliandosi gli procurò un senso di piacere, come anche la traiettoria rimbalzante della numero 8 contro le sponde, e la sua caduta in buca. Giocò per circa una mezz'ora, cercando di concentrarsi esclusivamente sui suoi bersagli, calcolando i rimbalzi. Per mirare alla 5, lì, bisognava... Un urlo. Un urlo, acutissimo. Che s'interruppe di colpo. Chib si stava già precipitando per le scale, i nervi a fior di pelle. Per poco non urtò Dubois che stava schizzando fuori dalla sala da pranzo, tallonato da Blanche e da Belle-Mamie. Vide Andrieu precipitarsi fuori dello studio. Soltanto la porta della sala della televisione, da cui provenivano i
rumori di una violenta sparatoria, restò chiusa. Si guardarono tutti fra loro, interdetti. La voce di Aïcha: " Che succede?" La voce spezzata di Colette: "Qui, qui!" Corsa verso la cucina. Colette, con una mano sul petto florido, indicava una pentola poggiata sulla piastra in vetroceramica. Una pentola da cui proveniva... una voce? Chib si chiese per un istante se la pentola fosse abbastanza grande da contenere il corpo di una bambina di tre anni. Andrieu, strattonando via tutti, aveva sollevato già il coperchio. Chib vice Blanche trattenersi vicino al frigo, terrea. Raggiunse Andrieu che aveva gettato il coperchio nel lavello, e si sporse, col cuore che tambureggiava. Effettivamente c'era qualcosa nell'acqua bollente. Una massa informe, provvista di gambe e braccia. E di grande orecchie. Bunny, intento a bollire in un miscuglio di odori. «Santo cielo, Colette» sibilò Andrieu «ma è solo un pupazzo! Ma si rende conto che si è messa a urlare per questo?» «Mi scusi, monsieur» balbettò l'infelice, scarlatta. «Ero nell'orto e tornando in cucina ho trovato questa pentola, e ecco, io... io ho... con tutta quella storia del cucciolo che è stato sventrato...» «Ma non è un cucciolo, questo, è il coniglietto di peluche di Eunice!» sbraitò Andrieu, fuori di sé. Mentre afferrava una delle orecchie di Bunny con la punta delle dita. Tirò fuori il coniglio dal suo bagnomaria e lo scosse. Il pelo tutto incollato e gli occhietti di plastica mezzi fusi, era uno spettacolo ripugnante, si disse Chib. «Uno schifoso coniglio di peluche» urlò Andrieu sbattendolo sul ripiano di marmo. Il coniglio si schiantò con un suono sordo, spruzzando goccioline d'acqua ovunque. «Chiiii vuole uuuuuna caroooota?» «Tu, sta' zitto!» gli rifilò Andrieu contemporaneamente a un bel pugno. «Tuuu seeei miiiio aaaamico...» ebbe ancora la forza di proclamare Bunny prima che la sua pila rendesse l'anima. Andrieu si passò una mano nei capelli. "Mai più una cosa del genere!" tuonò uscendo. Colette si mise a piangere. "Non è niente, non è niente, sono tutti nervosi!" la rassicurò Aïcha, gentile, prendendola fra le sue braccia. Dubois levò gli occhi al cielo e uscì. Belle-Mamie fissava il coniglio, ma Chib sapeva che in realtà non lo vedeva nemmeno. Piuttosto
guardava la collera del figlio. La sua violenza che esplodeva all'improvviso. Uscì a sua volta anche lei. Blanche pareva avere difficoltà a riprendere a respirare. Chib fece un passo verso di lei, ma lei agitò la mano come per dirgli "No, non ti avvicinare" e si allontanò con passo spedito. Allora lui si voltò verso Aïcha e Colette, e Aïcha gli rivolse lo stesso breve gesto con la mano: "Vattene, lasciaci sole, sei di troppo." Lui alzò le spalle. Si sporse ancora sul povero Bunny. Piccolo mugolio. Un ultimo sussulto della pila? No, veniva da dietro. Ancora un macabro scherzo? Si voltò. Altro mugolio. Da terra, sembrava. Abbassò la testa. Sotto il tavolo? E non proprio un mugolio. Piuttosto... un singhiozzo soffocato, concluse, mentre si accovacciava per ritrovarsi faccia a faccia con Eunice, rannicchiata fra le zampe d'acciaio cromato, imbrattata di lacrime, il delfino praticamente infilato tutto in bocca, le dita diventate bianche per il troppo stringerlo. Chib le tese la mano. «Vieni, è tutto finito, vieni.» Lei gli ricambiò uno sguardo smarrito, mentre seguitava a singhiozzare, con delle bollicine di bava che le scoppiettavano sul mento. «Vieni, tesoro, vieni, forza, esci di lì.» Chib si chiese cosa la bambina avesse visto esattamente. Qualcuno l'aveva costretta ad assistere alla "punizione" atroce inflitta al suo Bunny adorato? O magari lei lo aveva scoperto per caso? No, perché avrebbe dovuto sollevare il coperchio della pentola? Lui era sicuro che l'avessero obbligata a guardare. La piastra che comincia a scaldarsi. La pentola che viene tirata fuori con espressione golosa. Il coniglio sospeso sopra la pentola, agitato con la mano mentre l'acqua comincia a sobbollire. Le erbe che vengono aggiunte, come se si facesse sul serio. E come se realmente si stesse cucinando qualcosa, ecco la lenta immersione di Bunny che chiama la sua padroncina impotente e disperata. Un assassinio, commesso a sangue freddo e con sadismo. Chib scivolò sotto il tavolo, afferrò la bambina per la vita e la portò verso di sé: lei non faceva resistenza. Le ginocchia gli scrocchiarono quando si rialzò, con la piccola in braccio. Chib, l'uomo preposto ai salvataggi di bambini in pericolo, il sanbernardo color cioccolato. Aïcha strabuzzò gli occhi. «Ma... allora eri lì, tu, bambolina? Vieni subito in braccio a Chacha.» Gliela prese, mettendosela lungo il fianco e ricoprendola di piccoli baci. «Mia piccola bambolina, adesso lo asciughiamo per bene, il tuo Bunny, vedrai, gli mettiamo una pila nuova, e tornerà come prima!» «No!» balbettò Eunice. «È mo'to!»
«No, no, non è morto, è solo ferito, adesso lo ripariamo, non ti preoccupare. Eh Chib, è vero che ora lo aggiustiamo, Bunny? Chib è un dottore, sai.» Eunice tirò su col naso e gli lanciò uno sguardo velato di speranza. Chib si avvicinò al peluche e appoggiò la testa sul petto rosa zuppo d'acqua. «Mi sembra proprio che il suo cuore batta ancora!» dichiarò con tono professionale. «Infermiera, mi passi un panno pulito.» Colette, piagnucolante, gli passò uno strofinaccio ricamato con delle oche beige. Chib lo premette contro Bunny, gli strizzò le orecchie e le zampe, lo rigirò, tirò la chiusura lampo, scoprendo la capsula a tenuta stagna sul dorso. «Bisturi!» Una Colette ancora tremolante gli porse un coltellino tascabile. Chib lo inserì sotto la plastica, fece saltare la batteria annegata, asciugò con cura l'interno e il piccolo altoparlante. «Questo ragazzo ha bisogno di un cuore di ricambio!» disse. Colette aprì la bocca, smarrita. «Fortuna che ho con me il mio orologio magico!» riprese Chib slacciandosi il cinturino dell'orologio da cui estrasse la pila che inserì nella capsula. E voilà! "Abracadabra..." Premette il tasto "play" sussurrando: "Vedi di funzionare, stronzetto, vedi di funzionare!" «A me piacciono le carote e a te?» s'informò gentilmente Bunny, il naso contro il marmo. Eunice emise un gridolino di felicità, scivolando giù dalle braccia di Aïcha, lo sguardo illuminato, s'impadronì del coniglietto e se lo strinse sul cuore con tutte le sue forze. Chib le diede dei buffetti sulla testa. Se l'era cavata con poco, solo una pila da ricomprare. S'infilò in tasca l'orologio. Le due donne gli sorridevano come se avesse appena condotto a termine con successo una vera operazione chirurgica a cuore aperto e lui le ricambiò con una riverenza. «Beh, non è finita qui. Bisogna che mi metta a preparare il mio navarin d'agnello, io» gracidò Colette tamponandosi gli occhi. «Non lasciarla da sola» raccomandò Chib ad Aïcha indicando Eunice che cullava Bunny, gli occhi chiusi sulla felicità ritrovata. Bene. Adesso, una piccola conversazione supplementare con i ragazzi tanto per mettersi la coscienza a posto. Aprì la porta della sala tivù e si piazzò davanti allo schermo dove alcuni alieni sputavano con forza spruzzi
vischiosi color malva e verdi. «Ehi!» protestò Charles raddrizzandosi a metà sul divano su cui se ne stava sdraiato, con un joystick fra le mani. Louis-Marie, seduto per terra, premette sull'interruttore del suo. «Si tolga, siamo arrivati al quarto livello!» ringhiò. «Chi ha messo Bunny nella pentola?» tuonò Chib. I due ragazzi lo squadrarono, con aria sbigottita. «Bunny?» ripeté Louis-Marie. «Il coniglio di peluche di Eunice» precisò Chib. «Chi è stato, tu?» «Ma in quale pentola?» gli replicò il ragazzo. «Di cosa sta parlando?» «Sei stato tu, Charles?» «Ma lei non ha altro di meglio da fare che girarmi intorno?» fece Charles sospirando. «Per quale motivo avrei dovuto mettere uno stupido coniglio di peluche in una pentola?» «Per fare uno scherzo alla tua sorellina.» «Ho quasi sedici anni, ho passato l'età degli scherzi idioti.» «Non mi guardi così» protestò immediatamente Louis-Marie. «Neanch'io sono stato. Se lei pensa che ci mettiamo a perdere tempo a giocare con Eunice o Annabelle: sono solo delle bambine piccole!» sottolineò sdegnosamente. «Possiamo continuare la nostra partita, se non le dispiace?» chiese Charles, il dito sul bottoncino rosso. Chib richiuse la porta senza rispondere. Mentivano, forse, ma lui gli credeva. La coincidenza fra ciò che gli aveva detto Eunice poco prima e il ritrovamento del coniglietto nella pentola sul fuoco era troppo evidente. Qualcuno aveva voluto farle in un certo senso pressione. Per obbligarla a...? Si accorse di essere piantato nel bel mezzo dell'atrio. L'estraneo che non ha un suo posto. Andrieu si era ritirato nel suo studio. Belle-Mamie doveva essere intenta a scaricare tutto il suo rancore sulla spalla di Dubois, i cui piccoli occhi di faina stavano certamente captando il subdolo strisciare di demoniache presenze nei paraggi. Blanche probabilmente era tornata in camera sua, fluttuante nel cielo delicatamente azzurrato della trapunta, la testa che riposa fra le nuvole ricamate dei cuscini, lo sguardo alla deriva nella penombra come un vascello fantasma perduto nella banchisa. Esitante sul da farsi, uscì e si sedette su una delle poltroncine in ferro battuto. Faceva freddo. Il sole era quasi tramontato. Sollevò il colletto della giacca, infilò le mani in tasca. Una giornatina impiegata bene, caro Chib. Disputa sentimentale per cominciare, suspense telefonica col miste-
rioso corvo, un po' troppo sesso con la Dame Blanche, la tua droga personale, un sospetto di pedofilia mescolata a maltrattamenti sugli animali di peluche, una crisi di nervi del capofamiglia, un tentativo di esorcismo a colpi di pillole magiche, per non tralasciare le avance ambigue del figlio maggiore, insomma è normale che tu ti senta un po' stanco, vecchio mio. Di sicuro i morti si riposano più dei vivi. Anche Greg, qua in mezzo, avrebbe un aspetto riposante. Rovesciò la testa all'indietro: si distingueva uno spicchio di luna crescente, ancora pallida. Il tui tui di una sitta lo fece voltare. Riuscì a localizzare l'uccellino che scendeva a testa bassa lungo il tronco di un vecchio olmo, picchiettando senza posa la corteccia col becco per snidarne gli insetti. Tutto questo giardino è pieno di vita, si disse Chib, tutto un ciclo seguita a perpetrarvisi, indifferente alle nostre ansie. Sgradevole e familiare impressione di non essere altro che un po' di schiuma sulla superficie di un oceano impenetrabile. E di qui, senso di vuoto nel cuore, vero? Rumore di finestra che si apre. Crepitii, esplosioni, urla gutturali vennero a turbare le sue fantasticherie. Riconobbe il videogioco dei ragazzi, il volume al massimo, sgradevole quanto il ruggito di un jet-ski quando si ascolta il canto delle onde. Fra due detonazioni, passi sulla ghiaia. Chib non si voltò. Non aveva voglia di parlare. Di muoversi. Sicché il dolore fulminante dietro la testa lo colse totalmente di sorpresa. Ebbe giusto il tempo di dire a se stesso che era un idiota e precipitò in un profondo buco nero. Sentiva dolore. Poco ma sicuro. Un dolore che gli cingeva la testa come una mano poderosa che gli pressasse con violenza le ossa del cranio. Una mano piena di odio che stringeva per sgretolare. Batté le ciglia, aprire gli occhi gli provocava un senso di nausea, spandendo onde di dolore fin nei denti. Abbassò le palpebre, attese qualche istante. Le riaprì di nuovo, con calma, con molta calma. Vedeva tutto sfocato. Scuro e sfocato. Cercò di fare mente locale. Qualche cosa di color bruno si spostava davanti ai suoi occhi. Tentò di muovere le dita e la cosa gli toccò il naso. La sua mano. Chib guardava la sua mano. La allontanò, la poggiò sul...? Contatto freddo, tante piccole pietruzze secche. La ghiaia. La sua mano sulla ghiaia. Una sensazione di bagnato dietro la testa, sulla nuca. Sangue? Era forse paralizzato? Ordinò ai suoi piedi di muoversi, li sentì raschiare la terra: no, non era paralizzato. Muovere le dita dei piedi. Anche quello, faceva male. Riportò la mano vicino al volto. E l'altro braccio? Dov'era? A quanto pareva,
lungo il corpo. Era caduto a pancia sotto. Strizzò gli occhi un'altra volta. Vedeva degli pneumatici. Grossi pneumatici Michelin. Una formica si stava arrampicando sulla sua mano, trotterellava sull'unghia dell'indice. Ci soffiò sopra e quella ruzzolò via. Rialzarsi. Fece leva sui polsi, e si sollevò. Poco mancò che non ricadesse pesantemente a terra, tese i muscoli con tutte le sue forze, vibrando come un vecchio motore che perde colpi. Si ritrovò carponi. Vedeva il retro della 606 di Belle-Mamie adesso, magari con un po' di fortuna avrebbe finito per vederne il tetto. Sempre carponi, ruotò la testa sul proprio asse, prima a destra, poi a sinistra. Violento dolore a sinistra. Come se gli avessero strappato le carni con delle tenaglie. Si sforzò di respirare con calma, il tempo di far defluire un poco il dolore. Era quasi notte, l'alone di luce del lampione non riusciva a raggiungerlo, la sitta non cantava più. Nella bastide le luci erano accese. Da quanto tempo giaceva lì a terra? Cercò di guardare l'ora, si ricordò che il suo orologio senza la batteria si trovava in tasca. Interessante constatare quanto ci si preoccupasse della fine che aveva fatto. Si era accorto qualcuno che era scomparso? Moreno, l'ombra oscura, la corrente d'aria fatta uomo. Avanzò a quatto zampe fino alla macchina, fece leva sul paraurti, e rimase un momento appoggiato contro il portellone posteriore per riprendere fiato, e in attesa che le farfalline Blanche davanti agli occhi gli usassero la cortesia di disperdersi. Quindi si raddrizzò del tutto, inspirò a fondo, e stirò le membra con circospezione. Nulla di rotto. Giusto quel mal di testa lancinante. I Tambours du Bronx al gran completo. Guardò la sedia su cui si era seduto. Lo schienale risultava inciso in profondità. Dovevano averlo colpito con qualcosa di veramente pesante per ridurre il ferro in quel modo. Una barramina? Gli avevano forse fratturato il cranio. Vacillò, riprese l'equilibrio, avvertì un ticchettio metallico quando urtò la carrozzeria della macchina. Le sue chiavi, sicuramente. La cassetta! Mise la mano in tasca, ne tirò fuori l'orologio. Ma niente più cassetta. Il suo assassino era venuto a recuperarla! L'afflusso di adrenalina gli annebbiò la vista per una frazione di secondo e si dovette sforzare per calmarsi. Uno scintillio alla sua sinistra, vicino agli eucalipti. Uno sciabordio. Si diresse pesantemente verso la piscina, con il passo rigido e cadenzato di un morto vivente. The Attack of The Three Feet Black Zombie, technicolor
e dolore da veder le stelle garantiti. Era quasi certo di trovare Elilou fluttuante nell'acqua limpida, ma la piscina era vuota. Si disse che forse qualcuno aveva tirato un sasso in acqua per distrarre la sua attenzione. Ma da cosa? Si voltò. E vide l'ombra contro il muro. Enorme e deformata dai faretti incassati nell'erba per illuminare il giardino. C'era qualcuno lì, a un passo da lui, tra la luce e la casa. Ma dove? Accecato, cercò di mettere le mani davanti agli occhi. Non riusciva a distinguere altro che la massa oscillante degli alberi. L'ombra teneva le mani sui fianchi. Quindi le divaricò e gli rivolse un magnifico gesto dell'ombrello. Chib strizzò gli occhi, stupefatto. L'ombra era scomparsa. Era solo, sul bordo della piscina, tremava di freddo e di fatica. E aveva paura. Cominciò ad avanzare lentamente verso la casa, trascinando i piedi, le braccia ciondoloni. Molto elegante, Chib, sicuro che con un'andatura così goffa, tanto originale quanto sfasata, farai fondere quella calotta polare che funge da cuore a Blanche. Quale donna non ha mai sognato di essere la Fidanzata della creatura del dottor Frankenstein? Venti metri più in là, che a lui parvero un chilometro, giunse alla porta finestra della sala da pranzo. Erano tutti lì, Andrieu, Blanche, Dubois e Belle-Mamie, con un mucchio di carte davanti. Chib appoggiò le dita sul vetro e si accorse che vi lasciavano una macchia scura. Blanche alzò la testa e lui vide il suo sguardo inchiodarsi. Abbassò la mano per azionare la maniglia, la porta finestra si aprì, e per poco non gli fece perdere l'equilibrio: barcollò fino in mezzo alla stanza. «Cosa le succede?» Andrieu si era alzato, si avvicinava. «Ho ricevuto un colpo dietro la testa» articolò con cura Chib. «Cosa sta dicendo?» chiese Belle-Mamie, perplessa. «Ha ricevuto un colpo dietro la testa» ripeté Dubois. «Come il povero Costa?» fece lei poggiando il foglio che stava leggendo. «È caduto?» disse Andrieu mentre accompagnava Chib verso una sedia. «Mi hanno colpito.» Dubois a sua volta si alzò. Blanche non si muoveva, le labbra strette. Le sue mani tremavano. Andrieu prese la sedia: «Si sieda e ci racconti questa storia.» Chib si sedette lentamente, faceva tutto così lentamente, come se stesse nuotando sott'acqua zavorrato con una cintura di piombo. Appoggiò davanti a sé le mani coperte di sangue e vide che tutti lo fissavano con orrore.
Poi intese Andrieu sussurrare: "Oh, mio Dio!" Blanche alzò la testa verso suo marito, Dubois posò una mano sulla spalla di Chib mentre mormorava: "Chiami il pronto intervento, presto." «Non è necessario» disse Chib. «Va tutto bene.» «Sarà meglio sentire un dottore, vecchio mio» gli assicurò Andrieu con voce tesa. «Le garantisco che sto bene.» «Non penso proprio» replicò l'altro «dal momento che ha un buco sulla nuca.» «Un buco?» «A dire il vero» fece Dubois aumentando un poco la pressione sulla spalla «dalla mia esperienza come cappellano in Algeria, direi che lei è stato ferito da una palla.» «Da una palla?» ripeté Chib. Una palla da tennis? Andrieu si schiarì la gola. «Hmm... Credo che Dubois abbia ragione e... hmmm... beh, ecco, credo che sia ancora dentro.» «Dove?» chiese Chib che aveva voglia di dormire. «Nella sua testa» gli rispose con calma Dubois. Una palla da tennis gialla nella sua testa bruna, un girasole nel vaso. Non era il momento di scherzare, no davvero, gli voleva dire Chib, ma vide che Blanche aveva preso il telefono e parlava con voce affannata. Parlava di lui. "Venite, presto" diceva. Vide che Belle-Mamie si era alzata, il volto aristocratico su cui si andava disegnando un'espressione di orripilata incredulità. Blanche riagganciò. "Stanno arrivando," disse. "Bisogna che non si muova." Parlavano di lui. Era ferito. Una palla. I bambini giocano a palla. La palla è nel vostro campo. Tiro con palle vere. Una vera palla? Nella mia vera testa? Impossibile. Una palla in testa e uno è morto. Cranio in mille pezzi, le cervella schizzate fuori. Non cammini, non parli. Si guardò un'altra volta le mani, il sangue che gli colava sulle dita. Il suo sangue. Forse era già bello che morto e un imbalsamatore aveva cominciato a drenarlo. No, il dolore era troppo vivo. Bisognava pur arrendersi all'evidenza come ci si arrende al nemico, controvoglia ma ineluttabilmente. Bisognava dunque ammettere che un pezzo di metallo potenzialmente mortale era incastrato da qualche parte vicino al suo cervello. Chiuse gli occhi. «Riesce a vederla?» chiese Chib a voce bassa, quasi avesse timore di risvegliare il proiettile.
«No» rispose comunque Dubois «ma a quanto sembra non c'è foro d'uscita.» «Dov'è?» «Nella nuca, vicino alle vertebre cervicali.» Fra il suo prezioso bulbo cefalorachidiano e il suo amato cervelletto. Quanti millimetri fra la paralisi totale e il rincretinimento definitivo? «Qualcuno ha visto il mio spartito? Io...» Louis-Marie s'interruppe di colpo. «Quale spartito?» fece Andrieu, gli occhi inchiodati sul collo insanguinato di Chib. «Lo sai, il pezzo di Debussy» rispose il ragazzo del tutto meccanicamente. «Ma cosa gli è successo?» «Mi hanno sparato, ho una palla in testa» lo informò Chib con calma. «È uno scherzo?» «Louis-Marie!» tuonò il padre. «Ti pare uno scherzo?» «Ma... non possono...» «E invece sì, pare proprio che qualcuno abbia potuto!» tagliò corto Dubois. «Renditi utile, di' ad Aïcha di andare ad aprire il cancello, stiamo aspettando il Pronto Intervento.» «Ma come è successo?» «Ma sì, davvero» insistette Belle-Mamie. «Dov'è che si è beccato questo colpo, povero ragazzo?» «Su una sedia, nella corte.» «Mio Dio!» esclamò la donna in maniera teatrale. «Nella nostra corte?!» No, in quella del Re Sole, durante il mio ultimo viaggio nel tempo. Chib non disse nulla. Il suo desiderio era che Blanche gli posasse una mano sulla fronte e gli dicesse di non preoccuparsi. Ma non c'è pericolo che questo possa accadere, caro Chib, neppure se stessi sul punto di crepare. E peraltro tu stai crepando. E lei guarda fuori dalla finestra, bianca come la sua anima dilavata dalle lacrime che non versa mai e che la soffocano dolcemente, attimo dopo attimo. «Chi le ha sparato?» Tutti si voltarono verso il ragazzo che incassò la testa fra le spalle. «Beh, mi pare una domanda ovvia, no?» «Non lo so» disse Chib. «Non ho visto niente. Ho solo sentito qualcuno che si avvicinava.» Andrieu parve risvegliarsi di colpo. «Per la miseria, spero che...»
Uscì dalla stanza quasi correndo. «Papà?» fece Louis-Marie, seguendolo dappresso. «Papà?» L'eco lontana di una sirena che si avvicina. Chib sentiva il sudore colargli lungo il collo, il busto, mescolandosi al sangue, ma non voleva alzare la mano per asciugarlo. La sirena. Il dolce canto della sirena. Non era proprio stamattina che Costa era morto? Ma certo. Morto al mattino, triste destino. Morto di sera... «Mi sembra che stia molto male: ha gli occhi stralunati.» La voce di Belle-Mamie, una sfumatura di disapprovazione. Spiacente di non crepare in maniera decente. Una mano, sul polso. Chib cercò di fissare lo sguardo sul tavolo. Si era addormentato, appena qualche secondo? La sua mano. Le sue unghie, appena rosate. La sua mano pallida. Le sue dita che gli stringono dolcemente il polso, come prima il sesso. Chib fremette. «Sono qui» sussurrò. «È tutto al suo posto, non hanno preso nulla dalla rastrelliera!» affermò Andrieu rientrando, ansimante e sollevato. Scampanellata imperiosa. Brusio. Gente che entra di corsa. Voci maschili, una dal tono più autoritario. «Allora, vediamo un po'...» Lo toccavano, lo palpavano, gli prendevano il polso, la pressione, gli esaminavano le pupille, gli chiedevano di chinare la testa in avanti, dolcemente, ecco, gli stavano iniettando qualcosa, una barella nel suo raggio visivo, scarpe, uno stetoscopio. «Beh, vecchio mio, lei ha avuto una bella fortuna! Guardi un po'!» diceva il dottore, un giovane con la voce arrochita da gran fumatore. «Bene, credo che si renderà necessario estrarla qui. È troppo rischioso trasportarla fino in ospedale.» Un altro burlone. Lo avrebbero trapanato nella sala da pranzo degli Andrieu. Ah, ah, ah. «Ed è stato anche fortunato che io fossi di guardia! Adesso andremo fino al veicolo per l'intervento, d'accordo? Tranquillamente. No, niente barella: preferisco che resti in piedi» disse agli infermieri. «Ma... lo opererà nell'ambulanza?» disse meravigliata Belle-Mamie. «Si chiama unità ospedaliera mobile, un'ambulanza attrezzata per l'assistenza intensiva, se preferisce. Quando ci avete descritto quel che stava succedendo, abbiamo giudicato che fosse preferibile arrivare equipaggiati
per operare sul posto. Forza, andiamo, vecchio mio» aggiunse prendendo Chib per un braccio. Dio, come si sentiva le gambe molli! Dei veri spaghetti, non mancava nemmeno il ragù, ne aveva il collo pieno. Un infermiere gli afferrò l'altro braccio e cominciarono a incamminarsi verso l'ambulanza parcheggiata davanti alla porta finestra. Unità ospedaliera mobile. La bastide, invece, non era molto ospitale. No, non è proprio il caso di sghignazzare stupidamente, quando la morte se ne sta adagiata sul tuo orecchio sinistro, comodamente annidata nell'intreccio dei tuoi muscoli lacerati, centellinando tranquillamente il suo Bloody-Moreno serale. L'interno dell'ambulanza odorava di antisettico. Lo fecero distendere a pancia sotto sul tavolo operatorio. Numeri, voci, apparecchiature, sacche di sangue, mascherine, monitor su cui scorrono delle cifre, dei grafici. «A più tardi» gli disse il giovane dottore facendo cenno all'anestesista. Chib avvertì l'ago penetrargli nel braccio, sentì contare, poi non sentì più niente. Capitolo 18 Ancora un risveglio impastato. Ma il dolore era meno forte. Ed era giorno. E lui era vivo, senza alcun dubbio. E la cosa più strana era che questo gli sembrava del tutto normale. Tentò di alzare il braccio destro: crampo; vide l'ago inserito vicino al gomito; lo riappoggiò. Quello sinistro era libero. Mosse le dita davanti agli occhi. Vista limpida. Portò la mano alla testa. Benda. Spessa. Come un grosso berretto. Chib, il famoso nuotatore da combattimento che riemerge dall'Oceano dei Ghiacci Eterni. Che giorno era? Giovedì, sicuramente. Che bella giornata il giovedì. Un sibilo alla sua destra. Un vetro. La pioggia. Che bel giovedì piovoso. Giovedì, giorno di Giove, grazie Giò! Vide che avevano appoggiato il suo cellulare sul comodino e riuscì ad afferrarlo. C'erano quattro messaggi di Gaëlle, che passavano dall'allegria allo stupore e alla preoccupazione. La richiamò, trovò la segreteria e la informò di aver avuto un piccolo incidente ma che stava bene, che l'avrebbe richiamata appena possibile. Di sicuro Gaëlle aveva chiamato Aïcha e doveva al momento essere al corrente dell'aggressione che aveva subito. La porta si aprì e comparve il giovane dottore. Un piccoletto, coi capelli rossi troppo lunghi sul collo, coi denti storti, il camice aperto su una Tshirt della Nike, e delle grandi occhiaie.
«Buongiorno. Sono il dottor Flamel. Si sente meglio?» «Come se mi fossi tolto un peso, direi.» «La vuol vedere?» chiese il giovane medico ridendo. Gli porse un contenitore di plastica con un pezzo di cotone su cui riposava un pezzetto di metallo schiacciato e annerito. «Si è infilata sul lato della seconda cervicale, lungo il nervo pneumogastrico. Le ha sfiorato la rachide» aggiunse, bonario. «Il genere di carezza che la può rendere fresco come un ortaggio congelato per il resto dei suoi giorni.» «Grazie» disse Chib posando il contenitore sul comodino. «Quando potrò uscire?» «Dopodomani, se vuole. C'è solo una brutta ferita che deve cicatrizzarsi. Credo che lo schienale della sedia le abbia salvato la vita.» «Sarebbe a dire?» «Il ferro battuto ha assorbito gran parte dell'urto. La pallottola è rimbalzata sopra. Perdendo l'ottanta per cento della sua forza. Altrimenti, le sarebbe esplosa la testa: è una 8 millimetri, non perdona. Una 8x57 JS, tutta una storia! Lei va a caccia?» «No» fece Chib. «No, veramente no.» «Io nemmeno. Ma mio padre ci andava. Perciò, di fucili, ne so qualcosa. E gli incidenti capitano di frequente. Beh, la lascio... vado a dormire un po'. Per quanto riguarda la polizia, suppongo che i suoi amici l'abbiano avvertita» aggiunse tranquillamente. «È un compito che non spetta a me. Io ho semplicemente segnalato l'intervento. Estrazione di un corpo estraneo inserito sotto il lobo occipitale sinistro.» Rimasto solo, Chib si disse che il giovane dottore doveva aver sospettato di una lite familiare finita male. Un dramma della gelosia tragicomico. Si rincantucciò sul cuscino. Sarebbe venuta a trovarlo Blanche? Sogna, Chib, sogna. Chi gli aveva sparato e perché? Si stava forse avvicinando alla verità, quel tanto che bastava per preoccupare il colpevole? In ogni caso, non doveva trattarsi di un tiratore scelto. Aveva mancato il bersaglio pur essendosi dovuto trovare a meno di venti metri, dal momento che lui lo aveva sentito camminare sulla ghiaia. Perché non si era avvicinato di più? Per non trovarsi sotto la luce dei lampioncini che illuminavano la corte? E lo sparo? Perché non si era sentito lo sparo? Ebbe un moto di stizza: di sicuro doveva essersi confuso con il baccano del videogioco assai opportunamente in funzione in quel momento. Interesse a che ci fossero dei buoni effetti
sonori per le scene d'azione... Cercò una posizione più comoda, bevve un sorso d'acqua, sbadigliò. Si sentiva completamente intontito. Il contraccolpo dell'anestesia. Avrebbe riflettuto più tardi. Prima, meglio riposarsi un po'. Riposarsi. Lasciarsi trasportare dalla pioggia che sgocciolava sul vetro, attraversare quella cortina fluida che sibilava rassicurante, andare alla deriva sul filo dell'acqua, lontano dalle rive brumose dove le domande dai passi di piombo affondano nelle sabbie mobili. Stavolta, quando riprese conoscenza, non pioveva più. L'alba si levava sul parco che circondava l'ospedale, aureolando i pini secolari di un rosa delicato. Aveva fame. Sentiva il rollio di carrello nel corridoio, le voci degli aiuto infermieri, un campanello da qualche parte, porte che si aprivano e si chiudevano. Si mise a sedere, tastandosi la fasciatura. Lieve dolore diffuso. Girò la testa a destra e a sinistra e il dolore si fece più vivo. Fine delle indagini trepidanti dell'intrepido Moreno. A cuccia, nonno, si disse mentre gli portavano la colazione. Nel pomeriggio ricevette la visita dei maschi di casa Andrieu. Charles e Louis-Marie restarono col naso incollato alle apparecchiature, mentre Jean-Hugues cercava con impegno di conversare con lui. «Avete avvertito la polizia?» gli chiese Chib, interrompendolo nel bel mezzo di una frase. «Ehm, beh, a dire la verità, no» fece Andrieu. «Mi sono detto che avrebbe sporto denuncia lei stesso. Lei è il solo a sapere cosa è accaduto, non è così?» «C'era un uomo armato nella sua corte» gli replicò Chib. «Qualcuno che ha cercato di uccidermi all'interno della sua proprietà.» «Siamo sicuri che sia stato un tentativo di omicidio? Potrebbe essere stata una mossa falsa.» «Un cacciatore piazzato nel parcheggio di casa sua?» ironizzò Chib. «Abbiamo assistito a cose ben più inverosimili» protestò Andrieu. Eh sì, soprattutto a casa vostra, pensò Chib, che interrogò i due ragazzi. «Voi due, sapete sparare?» Andrieu aggrottò le sopracciglia, mentre Charles buttava lì un: "Dipende con cosa" e Louis-Marie affermava: "A volte andiamo a caccia con papà." «Cosa vorrebbe insinuare?» protestò Andrieu, irrigidito sulla sedia e rosso in volto. «Non vedo chi altri, a parte Charles e Louis-Marie» rispose posato Chib
«avrebbe potuto manipolare una carabina e, come dice lei, fare una mossa falsa.» «Ogni volta che gli succede qualcosa, lui ci accusa!» piagnucolò Charles. «Cosa lo paghi a fare, per niente.» «Charles!» gridò suo padre. «Un po' di correttezza, ti prego. Tuttavia, è vero, Moreno, che i suoi sospetti mi paiono poco costruttivi.» Chib si raddrizzò un poco. Si sentiva sempre meno paziente e gentile, in quegli ultimi tempi. Sì, la famiglia Andrieu aveva ampiamente intaccato la sua riserva naturale di dolcezza angelica. «Mi ascolti, stanno accadendo in casa sua delle cose davvero bizzarre, vecchio mio (e sottolineò il "vecchio mio"), e ho assolutamente intenzione o di scoprire chi ne è l'autore oppure di sporgere denuncia per tentato omicidio.» «Ma lei si rende conto dello scandalo!» «Cosa vuole che me ne freghi? È nella mia testa che è stata ritrovata quella porcheria!» urlò Chib indicando la pallottola nel contenitore. «Non nella sua!» «Uaho! Hai visto, Charles, è enorme!» gridò Louis-Marie, col naso incollato al bicchiere di plastica. «Bene, recuperiamo la calma» decretò Jean-Hugues alzandosi. «Sinceramente preferirei per il momento che lei proseguisse le sue indagini senza coinvolgere le forze dell'ordine. Abbiamo avuto a che fare con la polizia all'epoca della scomparsa del nostro piccolo Léon» aggiunse abbassando inconsapevolmente la voce «ed è stato molto difficile, tutte quelle domande... quei sospetti... Immagini che hanno interrogato i ragazzi per due ore. Charles aveva quanti anni? Cinque, e Louis-Marie quattro. E mia moglie! Ne è rimasta traumatizzata per mesi. Non voglio rivivere una situazione del genere, mi capisce?» «Per quanto mi riguarda, io semplicemente voglio vivere» gli replicò Chib, il che fece scoppiare a ridere i ragazzi. «Allora, tanto per cominciare, vorrei sapere se lei possiede un'arma calibro 8.» Andrieu fece di no con la testa. «Lei ha visto la rastrelliera, sa bene che non ne ho.» Chib passò mentalmente in rivista le armi assicurate col lucchetto, dalla 22 a canna lunga al Walther GSP calibro 32 S&W lungo. «Ok» concesse alla fine stancamente. «Continueremo le indagini, ma francamente penso che tutto ciò vada ben oltre l'ambito delle nostre competenze.»
Andrieu gli strinse la mano, visibilmente sollevato, prima di andarsene. Sulla soglia della porta, Charles si voltò e gli fece l'occhiolino, subito premiato da uno spintone da parte del fratello. Chib riposò la testa dolorante sul cuscino di schiuma. Sapeva per certo che si sarebbe dovuto recare alla polizia. Tutta quella storia stava diventando troppo pericolosa. Allora, perché non farlo? Perchè adottare quell'atteggiamento puerile? Per fare lo smargiasso? Ti metti a fare come Greg, o che? O perché hai paura di quel che potresti scoprire? gli sussurrò una perfida vocina. E se fosse stata Blanche ad aver maneggiato la carabina? E assassinato i suoi figli? È questo che temi, mio piccolo Chib alla crema? Blanche non è un'assassina, forse è un po' - parecchio, Chib, parecchio fuori di testa, ma non è "cattiva". Non ha potuto masturbarsi su una foto, né deflorare la figlia. A meno che non avesse un complice, ovvio. Oh, insomma, domani si vedrà. L'indomani è sempre felice, si sa. A volte anzi fischietta, come un proiettile tracciante. Alle otto, il sabato mattina, Chib era vestito, pronto a uscire. Il suo vestito non era stato lavato e aveva dovuto infilare con una certa ripugnanza la camicia che puzzava di sudore ed era tutta macchiata di sangue rappreso. Aveva sperato che Aïcha gli portasse dei vestiti puliti, ma lei gli aveva detto che non poteva assentarsi troppo a lungo per passarlo a prendere. Greg era in Italia, per la partita Genoa-Barcellona, e Gaëlle era impegnata all'università fino a sera. La solitudine del detective fondista. Si ritrovò fuori, strizzando gli occhi sotto il sole già alto. Aïcha sapeva che lui sarebbe uscito quella mattina e, mentre si dirigeva verso la fermata dell'autobus, per un istante s'immaginò di vedere arrivare e frenare accanto a lui la Chrysler Sebring di Blanche. Invece fu l'autobus a frenare cigolando, e Chib si beccò pure il rimbrotto dell'autista perché in tasca aveva solo una banconota da venti euro. La grossa fasciatura sull'orecchio sinistro gli prudeva e resistette una volta di più alla tentazione di toccarla mentre scendevano lentamente per le colline, bloccati nell'ingorgo mattutino. Dovette riconoscere di essere veramente di cattivo umore. Il minimo che si poteva fare nei confronti di un uomo che per poco non veniva ammazzato su una delle vostre seggiole da giardino, non sarebbe stato di andarlo a prendere all'uscita dall'ospedale? Si scrocchiò le dita, e le posò ben distese sulle ginocchia. Le vide molto chiaramente attorno al collo di Blanche, quelle dita, mentre stringevano
forte. Parla, parla: loro lo sfiorerebbero appena, subdole, per scendere dolcemente verso la dolcezza della gola. L'autobus lo lasciò alla fermata più vicina alla bastide, sulla nazionale. Duecento metri di salitella tra gli olivi. Respira profondamente, è aria pura. Ottima per rimettersi in salute. Malgrado il freddo abbastanza pungente del mattino, la salita lo faceva traspirare e così si tolse la giacca. Un passerotto lo salutò gioiosamente. Errore, Chib non ti sta salutando affatto. E nemmeno si sta rallegrando del bel tempo. Semplicemente avverte i suoi simili che quel territorio è occupato, che quella femmina gli appartiene e che se qualcuno cercherà di attaccar briga, lui è pronto a combattere. Come un Andrieu, ad esempio, quando ti parla amabilmente della sua donna. Giunse al cancello senza fiato, con l'impressione che la sua ferita sanguinasse di nuovo. Gli girava un po' la testa e sentiva il sangue palpitargli sul collo: sensazione sgradevole. Suonò. Aveva l'impressione di essere tornato tre giorni indietro, quando era venuto a cercare Costa. Stessa luce, stessa brezza leggera. Aïcha gli aprì, scortata da Eunice e da Bunny. Vedendolo ebbe un'espressione meravigliata e sbatté le ciglia. «Sono venuto a riprendere la Floride» disse Chib. «Gaëlle ha detto che passerà a trovarti stasera. Ti fa molto male?» «No, sto bene. Ho voglia di tornare a casa, di farmi un bagno e di mettermi a letto. E qui, come va?» «Niente di particolare.» «Mamma non fa alt'o che fa'e la nanna, è una noia!» Chib rivolse un'occhiata interrogativa ad Aïcha. «Non sta molto bene, no. Si direbbe che abbia una ricaduta. Non mangia niente.» Colpettino al plesso. Poteva darsi che si fosse preoccupata per lui? «È in casa?» «Sì. E anche lui» ribatté Aïcha, sottolineando il "lui". «Ok, ripasserò domani.» «Ma perché non lasci perdere?» «No. Non posso.» «Sei veramente matto!» «È matto?!» le fece eco Eunice, tutta contenta. «No tesoro, stiamo scherzando, ecco tutto.» «È matto, è matto!» Chib salì sulla Floride mentre Aïcha faceva una ramanzina a Eunice che ridacchiava. Spingendo a fondo sull'acceleratore, volante ben dritto davanti
a sé, avrebbe volentieri disintegrato completamente il delizioso giardino d'inverno. Sarebbe bastato togliere il freno a mano e affondare sul pedale. Invece sterzò e riguadagnò la strada salutando con la mano. Il cancello si richiuse su Eunice che correva ridendo, inseguita da Aïcha. Giunse a casa in un bagno di sudore, il collo dolorante, la bocca secca. Si abbandonò sul futon, come una foca che si arena su un lembo di scogliera familiare, le labbra cascanti. "Venite ad applaudire Fuck-Fuck, la graziosa Foca Ammaestrata di Mme Blanche, Fuck-Fuck, il re della Palla!" Neanche la forza di trascinarsi fino al frigo. E prendersi una birra. Di colpo il pensiero che qualcuno gli avesse davvero sparato lo fece rabbrividire ed ebbe una sensazione di freddo. Si appoggiò il cuscino sul ventre ghiacciato. Bisogno d'amore, aveva bisogno d'amore, come un bamboccio, cazzo non era possibile tutto questo, no, non era possibile, quello sbandamento improvviso della sua vita, riprenditi, sii uomo! Piantala di avere freddo, smettila di sudare, smettila di tremare, smetti di amarla! La suoneria del telefono interruppe le sue divagazioni e lui vi piombò sopra avidamente. Era solo Gaëlle, preoccupata, che gli disse che sarebbe arrivata lì il più rapidamente possibile, ma doveva prima finire l'esonero di tossicologia. Chib trascorse il resto del pomeriggio a rimuginare sugli avvenimenti delle due settimane appena trascorse, provando a immaginare tutto quello che sarebbe potuto essere e non era stato o che sarebbe potuto essere diverso se e se... scrutando i volti di ciascuno dei protagonisti come se disponesse di uno zoom mentale capace di estrarne la quintessenza, visualizzando i luoghi, gli ambienti, riascoltando i dialoghi, moltiplicando i fermoimmagine e i riavvolgi senza che però nulla di nuovo assumesse un senso. Eppure doveva esserci per forza una linea direttrice. Un progetto. Uno scopo. Un pensiero dietro le azioni. Perché era rilevabile un'organizzazione. E dunque una regia. Non si aveva a che fare con un pazzo furioso soggetto a pulsioni tanto improvvise quanto incontrollabili. E un pensiero capace di organizzarsi supponeva altrettanto la capacità di dissimulare, di mentire, il che rendeva l'autore dei misfatti quantomai difficile da identificare. Se soltanto le nostre emozioni potessero colorare la nostra pelle, si disse Chib, il verde per la paura, il blu per la gioia, il giallo per la riflessione, il rosso per il desiderio: fantastico, Chib, tu avresti proprio un'aria furba, tinto di rosso mattone ogni volta che dovessi vedere una ragazza i cui ferormoni ti provocassero una bella scossa. Forse è meglio che le emozioni se ne stiano rintanate sotto la nostra pelle o sotto i nostri vestiti: ghiandole
sudoripare, pelle d'oca, accelerazioni del polso, rossori, madori ed erezioni, niente che un po' di tessuto o di fondotinta non possa nascondere. Esaurito da quelle oziose fantasticherie, dormì quasi due ore, cercò di leggere il resoconto di un recente congresso di tanatoprassi che si era tenuto a Montreal, fece un bagno, indossò una tuta nera di cotone che in genere gli dava l'impressione di essere un feroce guerriero ninja, e si rimise a letto, il cuore gonfio e la mente surriscaldata. Gaëlle spuntò verso le sette, gli occhi sgranati: «Tutto lì?» «Come sarebbe, "tutto lì"?» «Beh, non so, ti immaginavo sfigurato stile Mummia 2, non so, qualcosa di più spettacolare.» «Spiacente di essere tanto ordinario, la prossima volta cercherò di beccarmene una in pieno petto.» «Non sembri di buon umore, eh!» fece lei saltando sul letto. «È vero» borbottò lui. «Non vedo proprio di cosa mi dovrei lamentare.» «Neanch'io» gli replicò lei. «Sei ancora vivo, con solo un buchino da niente e una ragazza incantevole pronta a giocare all'infermiera. Si potrebbe ben dire che è il tuo giorno fortunato» concluse lei carezzandogli una guancia. In effetti. Addossandosi alla parete, Gaëlle rannicchiata su di lui, Chib cominciò a raccontarle come erano andate le cose. La telefonata in cui si sentiva Elilou che veniva molestata, la scoperta di un registratore nascosto nella stanza dei suoi genitori, le provocazioni di Charles, le mistiche elucubrazioni di Dubois, l'incidente di Eunice e Bunny, il colpo che qualcuno gli aveva sparato e che era miracolosamente rimbalzato sullo schienale della sedia, e, per finire, l'ombra cinese che si era presa gioco di lui. Omise soltanto l'intermezzo "blasfemo-coitale" occorso nella cappella, che tanto non aveva nulla a che vedere con tutto il resto, no? Gaëlle, che gli accarezzava il petto, poco mancò che non lo graffiasse per quanto era sovreccitata. «Lo abbiamo in pugno, Chib!» «Ah sì? E chi sarebbe?» «Ma non vedi che va commettendo sempre più errori? È ormai nella fase in cui vuole essere preso.» «La famosa fase della pagina 300 quando l'autore del giallo ha bisogno di trovare un finale al suo libro» ironizzò Chib. «Quanto sei cretino: la storia dell'ombra cinese dimostra che vuole venir
fuori, è fiero di sé, ne ha abbastanza di rimanere anonimo.» «Ne ha abbastanza soprattutto di me.» «No, tu non sei altro che una pedina del suo gioco. Non ti dimenticare che non ha i nostri stessi sentimenti.» «Ma hai seguito un corso di identikit criminologico?» «Guarda dove ti ha portato il tuo modo di fare, questo dileggio continuo» gli replicò lei prendendo il suo pacchetto di sigarette. «L'accelerazione degli avvenimenti significa che la pressione sta salendo nella sua testa malata. Agire, per lui, è il solo modo per alleviare il dolore che lo tormenta.» «E anche un corso di poesia?» Lei gli tirò il pacchetto in faccia. «Ti farò vedere io, Moreno! Ascolta... io penso che lui si senta stretto alle corde e che questo lo ecciti. Credo che lo prenderemo» concluse lei «perché prima o poi farà qualche grossa cazzata.» «Tipo abbatterci tutti?» azzardò Chib triturando una sigaretta. «Quel che mi domando» proseguì Gaëlle, pensosa «è se fallisce le sue azioni perché non vuole riuscire oppure perché è meno scaltro di quanto non creda di essere. Ha fallito con Annabelle, ha fallito con te...» «Ma non con Costa, né con Elilou, né col cane.» «Hmm. Perché aveva veramente bisogno di sfogarsi sul cane e perché Costa sapeva davvero qualcosa di compromettente su di lui.» Chib disincrociò le gambe e sfregò le ginocchia anchilosate. «E spararmi, era così, tanto per divertirsi, è questo che vorresti dire?» «Non lo so.» Scampanellata. Trasalirono entrambi. «Aspetti qualcuno?» «No.» Gaëlle spinse il tasto del videocitofono. Buio. «Non si vede niente!» «Ma come no! O può essere che qualcuno abbia messo la mano davanti all'occhio della telecamera» sibilò Chib. «Chi è?» fece Gaëlle nervosamente. Respiro ansimante. Chib si raddrizzò a metà. «Chi è?» ripeté Gaëlle, intimorita. «Il... conte... Sa... Ta... Nerchia!» fece una voce sepolcrale. «Sei davvero troppo idiota!» gridò Gaëlle. «Togli la mano!» La faccia divertita di Greg apparve sullo schermo.
«Vi ho fatto cagare sotto, eh?» Rideva ancora mentre entrava, carico di tre cartoni di pizza. «Quattro formaggi, salsicce e ortolana» annunciò. «Vi dispiace se mangio con voi? Allora, come va il morto?» «Va» disse Chib, di mala grazia. «Sei talmente più bianco del solito» sogghignò Greg mentre rovistava i cassetti per prendere le posate. «Hai del vino rosso?» «Nel mobile sotto il lavello. È stata bella la partita?» «Grandiosa, amico, mi sono sgolato così tanto che non ho più voce.» «Non sembrerebbe» si lasciò sfuggire Gaëlle, maligna. «Bonbon al miele e calvados» spiegò Greg impossessandosi di un canovaccio. «Una ricetta di mio nonno.» «Quale nonno?» fece Chib stupito. «Il vecchio che si chiavava mia madre quando avevamo otto anni, hai presente: voleva che lo chiamassi nonnino. Un giorno mi ha chiesto di strofinargli il bastone, e io l'ho frullato dalla finestra, ti ricordi? Cazzo, le risate...» Gaëlle lo fissava, incredula. «Tu hai buttato un tipo giù dalla finestra?» «Dal primo piano, cocca, stai calma: si è solo rotto una gamba, quel vecchio porco. Bene, è pronto! Tu che fai, morto, mangi nella tua bara o vieni a tavola?» «Vedo che almeno questa storia diverte tutti» mugugnò Chib alzandosi. «Cos'è questa roba?» Greg indicava il bicchiere contenente la pallottola schiacciata e annerita che Chib aveva appoggiato sopra il frigo... «Indovina.» «Cazzo, fa paura, comunque.» Gaëlle si avvicinò a sua volta, contemplando il piccolo pezzo di metallo con rispetto e disgusto al contempo. «Dovresti farlo montare in un medaglione, stile san Cristoforo» suggerì Greg. «Guarda, nero su nero...» aggiunse mentre si sedeva. «Sei in forma, vedo» disse Chib sedendosi a sua volta. «Domani ci vado, dai tuoi mattacchioni» annunciò Greg con la bocca piena di formaggio. «Non continueranno a romperci le palle ancora per molto.» «E come pensi di fare?» sospirò Chib rimirando la sua pizza mal cotta. «Vedrai. Le bambine, lì, è sicuro che sanno qualcosa. E i due marmocchi
più grandi pure. Andrò a dargli una scrollatina.» «Si presuppone che noi lavoriamo per gli Andrieu, non contro» precisò Chib tastando la sua pizza pigramente. «Mangia o ti si fredda! Non ti preoccupare, me la giocherò con delicatezza, in modo raffinato.» Gaëlle soffocò una risatina dietro il tovagliolo di carta. Chib bevve un sorso di bordeaux. Gli ultimi giorni non erano stati di tutto riposo, ma presentiva che l'indomani sarebbe stato particolarmente faticoso. «Non la fanno una pizza all'aspirina?» chiese Chib respingendo il suo piatto. «Povera Gaëlle» ghignò Greg. «T'ha detto veramente male. Sta sempre a piagnucolare! Quando penso che sono trent'anni che lo sopporto, cazzo! Mi dovrebbero dare una medaglia! È buona, questa pizza. Fa' vedere un po' la tua, Chib...» Intermezzo 7 K.O. Caos. Adesso. Il grido di caccia. La caccia al negro come aperitivo prima di abbattere tutte queste carte che si credono persone. Carino. Il dito nella mia testa spinge vuole uscire dalla bocca bucarmi l'occhio come l'attizzatoio che ha frugato finché non sono esploso Raccogliere i pezzi, rincollarli, tutto il tempo, cercare di tenerli insieme per conservare un volto. Adesso In crescendo Non sono altro che palline colorate Che la coda fa ballare Sbattere e colpirsi
Colpito? Capitolo 19 Il Giorno del Signore era limpido e assolato, con una gradevole temperatura che sfiorava i diciannove gradi. Col cielo sgombro di nuvole, si distinguevano chiaramente le montagne innevate a nord e il mare mosso a sud. Un piacevole odore di agnello arrosto proveniva dalla cucina dove Colette attendeva ai riti della cucina preparando un grande pranzo: c'erano degli invitati, aveva precisato a Chib, mentre maneggiava pentole e tegami. Tutta la famiglia si era recata alla messa delle dieci, aveva detto loro Aïcha, e non sarebbero rientrati prima di mezzogiorno. Fantastico, aveva risposto Greg trascinandola verso la sua stanza, malgrado le sue proteste soffocate. In piedi davanti alla porta finestra, Gaëlle scrutava la ghiaia. «Stai cercando tracce di passi?» sogghignò Chib. «Tento di determinare il punto in cui era quando ha sparato» gli replicò lei. «Siediti sulla seggiola.» Lui ubbidì malvolentieri, nervoso. Come se ormai avesse inscritto nei propri riflessi che non bisognava mai più dare le spalle alla casa. E la vista della profonda incisione nel ferro battuto lo fece rabbrividire. «Bene» fece la voce di Gaëlle alle sue spalle. «Aspetta, prendo le misure.» «Misuri cosa?» «La tua altezza quando sei seduto così. La pallottola è entrata appena sotto il tuo orecchio sinistro. E apparentemente dall'alto in basso. Se fosse stata Annabelle, la pallottola avrebbe colpito dal basso in alto, ok? Se chi ha sparato fosse stato in ginocchio, la stessa cosa. Dunque il tipo doveva essere in piedi. Il fucile lievemente inclinato.» «Affascinante.» «Chiudi il becco! Visto l'angolo di tiro, doveva tenersi a quarantacinque gradi sulla tua destra...» «Magari porta calze Thermolactyl?» «Magari qualcuno si è occupato di cercare il bossolo?» Chib si alzò. «I bossoli di questo tipo di fucile, bambina mia, non vengono espulsi automaticamente.» «Grazie Professore, ma vede, io penso dunque dubito. Non si sa mai...»
Seguì una minuziosa ispezione della ghiaia, quindi Gaëlle volle esaminare il sentiero che circondava la casa, il capanno degli attrezzi, la carriola dove era stato ritrovato il cucciolo sventrato, i cespugli di fiori e per finire il prato che avrebbe avuto bisogno di essere tagliato, si disse Chib, mentre l'immagine del corpo senza vita di Costa disteso nell'erba gli tornava d'improvviso alla mente. Non trovarono né cartuccia, né fucile nascosto sotto il fogliame, niente di più che una foto con dedica dello sparatore dissimulata sotto la quarta pietra a destra. Stanco, Chib si sedette su una sedia a sdraio, guardando senza vederla l'acqua turchese in cui nuotavano alcuni ratti. Ratti? Chib si pizzicò la linea del naso. Nessuna voglia di andare a vedere quei topi da più vicino. Nessuna voglia d'immaginare che la tenuta fosse segretamente invasa da grossi topi dagli occhi rossi, nascosti sotto l'ombra fronzuta. Ma ovviamente si alzò, si avvicinò al bordo. Quattro piccole palle di peli andavano alla deriva pigramente sull'acqua. Afferrò la gaffa di metallo appoggiata in un angolo e la allungò fino a toccarne uno. Riportò la gaffa verso di lui. Avvertì quel senso di nausea ormai familiare che gli riempiva la bocca d'acido. Non erano dei ratti, ovvio, ma dei gattini. Quattro micini tigrati. Accecati. Li ripescò uno a uno, e li depose sul gres rosato. Nessuna ferita mortale apparente. Qualcuno doveva averli soffocati o avergli spezzato il collo. Oppure li avevano lasciati affogare nella piscina dopo avergli strappato gli occhi. Chib si voltò ed esalò un profondo respiro per eliminare l'eccesso di stress, ma senza grandi risultati. Gli girava un po' la testa. Rimase un istante immobile, lo sguardo fisso su delle primule da poco sbocciate. Lo riportò sui gattini che adesso sguazzavano in una pozza d'acqua, flaccidi mucchietti di pelo zuppo, labbra all'insù e irrigidite dalla morte, le orbite scavate e nere. Gaëlle aveva ragione, la storia stava subendo un'accelerazione, disse fra sé sentendola avvicinarsi. Ebbe appena il tempo di dire: "Cosa stai..." che s'interruppe ed emise un gridolino stupefatto. «A quanto pare non rispetta il riposo domenicale» fece Chib. Lei si sporse verso i corpicini martirizzati, sfiorandone uno con la punta delle dita. «Bisogna trovarlo, Chib.» «Lo so.» Chib si diresse verso la carriola, tornò con un sacco dell'immondizia in cui mise i gattini, malgrado la ripugnanza che provava nel toccarli. «Inutile che le bambine vedano questo spettacolo.»
Gaëlle posò una mano sul suo avambraccio. «Vive qui. È uno di loro. Oppure vive nascosto nella tenuta.» «Potrebbe essere uno dei vicini» obiettò Chib, con la sensazione scoraggiante di ripetere per la milionesima volta la stessa cosa. «Beh, allora, ci mettiamo... ehi, ma, avete una faccia!» Greg li stava osservando, le mani sui fianchi, i capelli bagnati di chi è appena uscito dalla doccia. «Ti sei abbottonato male la camicia» gli disse Gaëlle. «Eh? Ah sì. Allora, cosa sta succedendo? Avete visto il lupo mannaro o che?» Chib socchiuse il sacco dell'immondizia. Greg si sporse, con espressione circospetta. «Cazzo, cos'è questo macello?» esclamò indietreggiando con un balzo. «L'ultima trovata del lupo mannaro» gli ribatté Chib stancamente. «Aïcha ci ha detto che eravate qui» spuntò fuori Andrieu a sua volta in quel momento. «Novità?» «No, no, niente» si affrettò a rispondere Chib mentre Greg ruggiva: "Questo stronzo ha fatto fuori un'intera tribù di gatti!" Andrieu squadrò Chib, perplesso. «Lei ha ucciso dei gatti?» «Ma no, non lui! Il vostro stronzo» precisò Greg picchiettandogli il petto con la punta dell'indice. «Non afferro...» «Abbiamo trovato alcuni gattini affogati nella piscina» spiegò Gaëlle con tono posato, mentre scansava Greg con una gomitata. «Ascolti, la storia si va inasprendo, c'è in giro un soggetto davvero malvagio che imperversa in questa casa.» «Stile L'invasione dei profanatori di tombe» assentì Greg, malgrado la manata di Chib. Andrieu aggrottò le sopracciglia. «Succede spesso che qualcuno affoghi i micini di una cucciolata.» «Sì, sì, ma raramente nella sua piscina e altrettanto di rado dopo avergli strappato gli occhi!» borbottò Greg. Andrieu ebbe una sorta di tic, Chib lo vide sbattere le palpebre nervosamente. L'irruzione di Paul e Noémie Labarrière, vestiti da signori di campagna, gli impedì di rispondere. Saluti, effusioni. I Labarrière pranzavano dagli Andrieu, così come gli Osmond, incontrati tornando dalla messa. Un pranzo domenicale in vista della preparazione della prossima operazione
umanitaria "Terra del Nilo" che a quanto sembrava mobilitava in forze il clan degli Andrieu e i loro vicini. Noémie fece anche allusione al futuro matrimonio di Chassignol. Che doveva venire a prendere il caffè in compagnia della sua cara Winnie. Al che Greg sussurrò all'orecchio di Chib che tutta quella scena gli faceva venire in mente gli sceneggiati su TMC: "Hai presente, quelli con il detective ciccione coi baffi, mezzo frocio, e tutti che sono sempre riuniti alla fine e il tipo butta là il nome del colpevole, così, toh, mentre sta bevendo il caffè." Sì, si disse Chib, ma a differenza di quelle di Hercule Poirot, le mie piccole cellule grigie sono totalmente bianche, si potrebbe dire. Un autentico campo di neve vergine senza la minima traccia deduttiva utile. Si accorse che Noémie lo stava fissando con aria complice e fece lo sforzo di sorriderle. Quindi gli ospiti si diressero verso la casa. Greg si lasciò sfuggire qualche commento sull'ampio retrotreno di Noémie Labarrière prima di annunciare che cominciava ad avere una certa fame. «Non provare a farti invitare a questo pranzo!» lo avvertì Chib, minaccioso. «Eh? Ma di che stai parlando? Chiederei alla Colette di prepararci giusto dei panini. E voi, non avete fame?» «No» disse Gaëlle. «Siamo appena arrivati.» «Non vedo il nesso. Bah, tanto peggio per voi.» Lo videro allontanarsi a grandi passi, le mani nelle tasche dei pantaloni da paracadutista. «È vero che è rilassante, paragonato a te» fece Gaëlle. Chib alzò le spalle, il che risvegliò il dolore dovuto alla ferita. Moriva dalla voglia di entrare in casa per vedere Blanche. Di farsi vedere da lei con la fasciatura a riprova del fatto che aveva rischiato la vita. Come un ragazzino tutto orgoglioso di essersi battuto. Puerile, Chib. Concentrati piuttosto su quello che sta succedendo qui e ora, in questa fottuta villa. Si voltò verso Gaëlle: «Potresti stabilire da quanto sono morti?» «Difficile, vista la permanenza nell'acqua clorata. Fammi vedere.» Si chinò sul sacco, ne tirò fuori uno dei corpi e lo stese sulla sponda di pietra. Chib voltò gli occhi. Echi di voci provenivano dalla casa. Delle gazze gracchiavano. Qualcuno nei dintorni stava passando il tosaerba. Una serena domenica. «Non sono affogati» fece Gaëlle alle sue spalle. «Gli hanno spezzato il collo. Sono morti da qualche ora, direi.»
«Stanotte o stamattina presto?» «Per esempio.» «Prima dell'uscita per la messa, tanto per mettersi di buon umore» disse in tono canzonatorio Chib. «Sai a cosa stavo pensando?» fece di colpo Gaëlle richiudendo il sacco. «No, ma immagino che tu me lo stia per dire.» «Uccide un cucciolo, dei gattini, una bambina...» «Un uomo...» «Sì, ma quello non conta, non è stato per il suo piacere. Le sue "vere" vittime sono mammiferi prepuberi.» «In quanto mammifero postpubere, mi sento sollevato. Quello che hai detto è un'osservazione interessante.» «Grazie nonnino» gli ribatté lei facendo la riverenza. «Odia i bambini? Ciò che rappresenta l'infanzia?» «Pollo o prosciutto?» Greg agitava loro sotto il naso dei panini avvolti nella carta d'alluminio. «Ho sentito quello che stavate dicendo» riprese Greg azzannando il suo panino al pollo e bacon. «In realtà si sente tutto per via della finestra del seminterrato, lì.» Mostrò loro una piccola apertura con grata ad altezza d'uomo. «È la finestrella del cesso. Quando uno va a pisciare, si sente tutto quello che viene detto di fuori. Divertente, eh?» Bene, allora il nostro bastardo assassino detesta i marmocchi, li violenta e li ammazza, ma questo lo sapevamo già, no? Chib stava per rispondergli quando prese coscienza di quello che aveva appena comunicato loro Greg. Chiunque poteva seguire la loro conversazione dal bagno del pianterreno. Si avvicinò a Gaëlle. «Vado a vedere se c'è qualcuno nel bagno» le mormorò. «Tu continua a parlare con Greg.» «Dove vai, amico?» fece Greg mentre finiva di masticare un boccone gigantesco. «Credevo che dovessimo indagare, e tutto il resto... tipo trovare chi ha stuprato Biancaneve e silurato i micetti, etc.» «Torno subito, sto morendo di sete. Vi porto una coca?» «Sì, sì, fantastico, e una birra, per favore.» Greg si buttò su una sedia a sdraio. Anche Gaëlle si sedette e prese un panino. «Perché la chiami Biancaneve?» domandò. «Bah, sai, la bara di vetro, e tutto il resto, e nella favola lei viene am-
mazzata dalla matrigna, ti ricordi? Non voglio dire troppe cose davanti a Chib, ma sinceramente la madre di Andrieu non m'ispira molta fiducia, è più il tipo di donna che ti pianta un coltello da arrosto nel cuore piuttosto che nella carne cucinata, eh? Hanno proprio il look da adoratori del diavolo, qui, hanno pure il prete, e quando c'è un prete di mezzo puoi stare certa che il diavolo non è lontano: è come una bella bionda e un cazzo, si attirano.» In piedi davanti al lavandino, Chib sospirò. In effetti si sentiva tutto. Aveva raggiunto il bagno senza incontrare nessuno e la piccola stanza era vuota quando vi era arrivato. Ma qualcuno li aveva forse ascoltati da lì poco prima? E in altre occasioni? Esaminò rapidamente il contenuto del cestino. Un kleenex macchiato di rossetto, una gomma da masticare, la carta di una saponetta, senz'altro quella che si trovava sul lavandino, un campione di profumo vuoto, il bottone di un polsino. Lo soppesò nella mano. Un bottone identico a quello trovato nel bosco e che recava incisa la stessa "A". Trama plausibile: Andrieu è in bagno e si accorge di aver perduto uno dei bottoni dei polsini. A che pro tenersi l'altro? Lo stacca e lo getta nel cestino. Troppo poco maschile, mio caro Chib. Qualunque uomo in quel caso sarebbe andato a cercare la moglie per chiederle in tono lamentoso: "Cara, non hai per caso visto un bottone da polsino? Me ne ritrovo uno solo!" Sottinteso: "O dea della buona conduzione della casa, assolvi la tua funzione di riparatrice del focolare, e ripescami questo fottuto bottone." A meno che egli non desideri affatto che la moglie si accorga che gliene manca uno. Perché lui sa dove e con chi lo ha perduto, quel cazzo di bottone del posino. Specioso, Chib, specioso e aleatorio, si disse mentre spingeva la porta e per poco non prendeva Blanche che stava dietro. Si immobilizzò, piantato come un coniglio inquadrato dai fari di una macchina. «Mi stavo chiedendo se non si fosse sentito male» fece lei, gli occhi fissi sulla sua fasciatura sotto l'orecchio. «No, sto bene» le replicò Chib, il re della conversazione straordinaria. «E lei?» «Nessun malore, no.» «Volevo dire: "Sta bene?"» «Le ho risposto.» Fantastico. Non era possibile magari passare alla sequenza finale dell'abbraccio appassionato? Mmm, d'altronde gli pareva impossibile anche
solo sfiorarle la mano o guardarla senza strizzare gli occhi come un gufo sorpreso in pieno giorno. Controllati! Si riprese, piantando il suo sguardo su quello opaco di Blanche per poi fare un balzo indietro. Belle-Mamie veniva verso di loro decisa, con Eunice al rimorchio nella sua scia. «Ma insomma, dov'è finita Aïcha? Questo povero tesoro vagava tutta sola per casa!» disse mentre faceva entrare in bagno la bambina. «Non lo so» disse Blanche. «Davvero non lo so. Che ora è?» «Blanche, si sente bene?» Belle-Mamie la scrutava con l'intensità di un capitano in cerca della terra ferma all'orizzonte e che ahilui non scorge altro che banchi di nebbia. Blanche le sorrise, o almeno stirò le labbra con una smorfia irrigidita, le mani giunte sul grembo. «Vado a cercare Aïcha» propose Chib. Nessuno gli rispose. Si diresse verso l'ala est della casa e bussò alla porta della stanza. Anche in quel caso nessuna risposta. La porta non era chiusa a chiave. Entrò. Aïcha giaceva sul letto, le braccia incrociate, gli occhi chiusi. Si precipitò, pronto al peggio, ma notò immediatamente che il suo petto si sollevava con regolarità. Stava dormendo. Aveva fatto l'amore con Greg e si era addormentata quando invece avrebbe dovuto occuparsi delle bambine. Greg dunque spossava le sue partner fino a tal punto? La scosse, ma lei grugnì senza muoversi, un filo di bava all'angolo delle labbra. Pensò immediatamente alle compresse di Cordier. Rovistò sul comodino su cui si ammucchiavano riviste, un posacenere, sigarette, un accendino, una lampada beige, delle aspirine, orecchini creoli, una piccola sveglia di plastica, un pacchetto di kleenex, un bicchiere di coca cola quasi vuoto e una piastrina di Mepronizina da cui mancavano cinque compresse. Ben visto, Chib. A quanto pare le donne di casa hanno una particolare predilezione per le pilloline magiche. Ma, curiosamente, non aveva mai notato alcun sintomo rivelatore in Aïcha. E adesso, come fare a svegliarla? Con un bicchiere d'acqua fredda? Esitava, non sapendo bene come comportarsi, allorché la porta si aprì alle sue spalle. «Che succede ancora?» esclamò la voce fredda e stanca di Andrieu prima di salire di un'ottava: «Merda, che cosa...» «Dorme. Deve aver preso un sonnifero» spiegò Chib. «Un sonnifero? A mezzogiorno? Quando si presume che debba occuparsi dei bambini? E proprio quando abbiamo degli invitati a pranzo? Non ha senso.» Chib alzò le spalle. Insensato, sì. Greg lascia la stanza per raggiungere
lui e Gaëlle, e Aïcha pensa bene: "Toh, visto che non ho niente di meglio da fare, mi prendo una bella dose di Mepronizina e schiaccio un pisolino." La scosse un'altra volta e lei socchiuse le palpebre gemendo. «Aïcha! Svegliati!» «Non mi dite che questa ragazza sta dormendo?» Belle-Mamie, pugni chiusi sui fianchi, osservava la scena con aria incredula. «Vedo che il personale se la prende comoda in questa casa. Decisamente sta andando tutto a rotoli!» disse in tono canzonatorio mentre sfidava il figlio con lo sguardo. Apparentemente indifferente alle osservazioni della madre, Andrieu esaminò le compresse. «Sono quelle che Cordier ha prescritto a Blanche» fece notare. «E pure ladra! Chi l'avrebbe detto! Converrai con me che alla fin fine il sangue non è acqua» aggiunse Belle-Mamie, le labbra strette. A Chib, il proprio di sangue, provocò un tuffo al cuore tanto che dovette farsi violenza per non trattarla da vecchia idiota. Tanto più che BelleMamie si voltò verso di lui. «Le dia due o tre schiaffi, la sveglieranno.» «Mmmm» fece Aïcha ruotando gli occhi. «Mmmm.» «Temo che ne abbia preso più di quanto pensassimo» fece Andrieu raddrizzandosi, le sopracciglia aggrondate, un'altra piastrina di compresse iniziata in mano. «Faccio uno squillo a Cordier, per prudenza.» «Una bella doccia fredda e non se ne parla più!» borbottò sua madre. «Quanto può piacere a voi uomini creare complicazioni!» La voce di Greg nell'atrio: «Ma che sta combinando? Chib?» Quella di Blanche: «È con Aïcha, vuole bere qualcosa?» «Grazie no. Con Aïcha?» Dubois, ora: «Ah, lei deve essere il socio di Mlle Holzinski, io sono padre Dubois.» «...cere. ...scusi.» Dei passi, poi la figura massiccia di Greg che irrompe nella stanza, scostando Belle-Mamie senza alcun riguardo. «Porca puttana!» «Sta solo dormendo, non ti spaventare.» «Dorme? Mi prendi per il culo?»
Con la coda dell'occhio, Chib scorse Belle-Mamie che lasciava la stanza con aria indignata, e che con voce squillante chiamava: "Jean-Hugues!" «A quanto pare ha assunto dei sonniferi» proseguì Chib. «Abbiamo chiamato il dottore.» «Fai vedere» disse Greg afferrando le compresse. «Non è possibile, amico, ce ne sono a casa di mia madre» proseguì agitandole sotto il naso di Chib «e Aïcha mi ha detto che non le prenderebbe mai, perché è allergica a un affare che ci sta dentro, tipo metro-non so che.» «Meprobamato?» «Ecco sì, se lei prende questo coso che dici tu, può rimanerci.» «Cordier sta arrivando» esclamò Andrieu affacciandosi dal vano della porta. «Un momento, mamma, per favore!» «Gli ricordi che è allergica al meprobamato, gli chieda cosa bisogna fare!» ordinò Chib senza mezzi termini. «Va bene. Mamma, ti ho detto un momento!» La voce acuta di Eunice: «Dov'è, Chacha?» «Sta dormendo, tesoro, non bisogna disturbarla» le rispose quella, atona, di Blanche. «Ma stanno g'idando tutti!» «Io devo raggiungere i nostri invitati. Va' a giocare con Annabelle.» Grugnito esacerbato di Annabelle: «Ah, no, eh!» «Annabelle, gioca con la tua sorellina.» «No! Voglio finire il mio Silver Fight!» La voce di Dubois, amabile: «È un gioco?» «Sì, io sono Dirty Splash, vedi, posso dare cinquanta pugni di seguito, ta, ta, ta... ho già ucciso Bionic-Bionda e ScaryMan, sono troppo forte!» «Ma questi giochi non sono un po' troppo violenti, ad ogni modo?» chiese il sacerdote, senza dubbio a Blanche. «Sì. Ma a lei piacciono tanto, si sfoga. Venga, andiamo a pranzo.» «Ma...» Si allontanarono. Ritorno di Andrieu, abbastanza pallido. «Cordier ha inserito la segreteria» li informò. «È grave, questa storia dell'allergia?» «Forse» gli rispose Chib. «Greg, smettila di scuoterle il braccio, non
serve a niente.» «Cazzo, non è mica la tua donna che si è beccata un'overdose! Se becco quel frocio che le ha fatto ingoiare quest'affare, gli trancio i coglioni.» «È un programma molto allettante, ma nel frattempo non possiamo farci niente. Datti una calmata.» «Non mi dire quello che devo o non devo fare! Cazzo, sei un rompipalle come mia madre!» L'arrivo di un Cordier ansimante mise fine allo scambio. «Mi avete davvero preso al volo» disse mentre buttava la giacca sul cassettone in pino bruno. «Ho una partita di golf fra mezz'ora. Beh, vediamo un po' qui.» «Ha preso della Mepronizina ed è allergica al meprobamato» lo informò Chib, mentre il dottore cominciava ad auscultare Aïcha. «Merda, bisogna fare la lavanda gastrica.» Scansò il lenzuolo. Aïcha portava solo un body bianco e Chib ebbe un sussulto vedendo che i polpacci erano diventati blu e gonfi. «La faccio portare in ospedale, è più sicuro» annunciò Cordier. Ripose lo stetoscopio e compose un numero sul cellulare, mentre Greg si dondolava avanti e indietro come un grizzly che si chiede se deve aspettare la fine del numero per divorare il domatore. Impassibile, Cordier si risistemò il telefono sulla cinta. «Stanno arrivando. Uscite, c'è troppa gente qua dentro» aggiunse mentre esaminava le pupille di Aïcha. «E non fatevi prendere dal panico, non è in pericolo di vita.» «È sicuro di questo?» domandò Greg con la voce grossa. «Certo. Forza, fuori dai piedi.» Uscirono. Chib scorse Clotilde Osmond che si affacciava dalla sala da pranzo, visibilmente disorientata. Un pranzo decisamente movimentato, si disse Chib. E a che pro drogare Aïcha? Che senso aveva quella trovata nel gioco perverso e infantile che stava conducendo l'assassino? Dare prova della sua forza, della sua onnipotenza? Oppure un semplice avvertimento? Vide che Gaëlle discuteva con la sua amica Belle-Mamie e, fatto straordinario, quest'ultima aveva assunto un'aria quasi dolce e amabile. Blanche aveva sicuramente raggiunto i suoi scombussolati ospiti. Eunice era per mano a suo padre che era in attesa del Pronto Intervento sulla soglia di casa, in compagnia di Dubois. Annabelle pestava con furia sui tasti del suo giochino, gli occhi fuori dalle orbite. Greg le si avvicinò. «Hai Silver Fight?» le chiese con occhio goloso.
«Sì, ci sai giocare?» «Ma senti! Io sono un Maestro di Silver Fight. Che altro hai?» «Ne ho un mucchio!» gli ribatté lei porgendogli la scatoletta. Greg si mise a maneggiare la mini-console, scatenando una serie di bip elettronici e di ritornelli esasperanti per le orecchie di Chib. «Ehi» fece di colpo. «Ma cos'è questa roba qua?» Annabelle spalancò gli occhi, quindi scattò bruscamente per strappargli il giochetto dalle mani, ma Greg si limitò a tirar su le braccia al di sopra della testa e lei rimase attaccata al suo pullover, ringhiosa. «Ridammelo, è mio, ladro!» «Aspetta un momento. Chib, vieni a vedere una cosa.» «Ladro!» urlò Annabelle sferrandogli un calcio sullo stinco. «Ahi, ma sei deficiente o cosa? Rifallo e io ti mollo tante di quelle botte, hai capito?» grugnì ferocemente Greg gonfiando tutti i suoi muscoli. La bimbetta uscì correndo verso suo padre. Greg abbassò le braccia e mostrò la console a Chib. «C'è una bella sorpresina, qua dentro. Mi sa che siamo a cavallo.» «Spiegati.» Dal menù dei programmi accessibili, Greg puntò il suo enorme indice su uno dei nomi dei giochi: "Snake Kombat". «Guarda, vedi questo?» «E allora? Devi affrontare a mani nude dei serpenti a sonagli?» «No, amico mio, affronti a mani nude dei culetti in calore.» «Prego?» singhiozzò Chib, sicuro di aver capito male. «È un programma criptato. Il vero nome del gioco è "Sexual Conbat": è in vendita nei sexy shop e in Rete. Un negoziante mi ha spiegato che c'era un gioco di parole tra "Con", la fica, e "Bat", il pipistrello, il cazzo in americano. Secondo me, è una cazzata, ma non è questo il problema.» «Mi stai per caso dicendo che Annabelle ha un giochino porno dentro questo affare?» «Sì, esatto.» «Ma potrebbe imbattercisi chiunque!» «No, serve un codice per accedere t'ho detto. Altrimenti pensi che il gioco non funzioni, ecco tutto. Compare un messaggio d'errore, guarda: "Questo programma non è leggibile."» «Tu lo sai il codice?» «No, è chi l'ha messo qua dentro che lo conosce.» «Quindi, può darsi che la piccola non sappia nemmeno che c'è quel... co-
so.» «Può darsi. Ma mi dà l'idea che sia maledettamente viziosa...» «Greg, ha solo sei anni.» «Mia madre ha iniziato a battere a otto.» «Ma non c'entra niente, tua madre moriva di fame, sua madre stessa si prostituiva e suo padre era un ubriacone che la picchiava tutto il santo giorno!» «Ciò non toglie che nessuno l'ha obbligata!» «Ma sono le circostanze che l'hanno obbligata...» «Oh, insomma, basta! Chi se ne frega, ho solo detto che non è perché ha solo sei anni che deve per forza essere una santarellina, ok? Ah, ecco l'ambulanza.» Due barellieri, un medico, non lo stesso, uno più vecchio, baffuto. E i barellieri erano gli stessi che erano venuti a prenderlo? si chiese Chib mentre passavano davanti a lui alla svelta. La voce di Cordier che ragguaglia il collega, poi ecco di nuovo i barellieri che corrono verso l'ambulanza con Aïcha sulla barella, Annabelle incollata a suo padre, Dubois che rientra, visibilmente infreddolito, l'ambulanza si avvia e Andrieu resta a osservarla mentre si muove, senza ascoltare ciò che Cordier gli sta dicendo sul punto di andarsene, Greg che lo raggiunge e che vuole delle precisazioni. «Glielo avevo detto che la situazione avrebbe subito un'accelerazione» affermò Dubois rivolgendosi a Chib, col tono soddisfatto di chi ha visto bene nel gioco del nemico. «Chi sarà il prossimo?» «Cosa vuole dire?» «Che lo spirito maligno che turba gli abitanti di questa casa non se la prende mai due volte con la stessa persona» gli sussurrò il prete in confidenza. «Appone il suo marchio impuro su ciascuno volta per volta, "attraverso uno solo, insudiciarli tutti!". Non sente che le vibrazioni vanno aumentando? E il freddo, non sente il freddo?» Chib lo squadrò: effettivamente, il prete era livido e stava rabbrividendo. Eppure c'era una temperatura mite. «Mi sento congelare da stamattina» riprese Dubois. «Le Forze delle Tenebre portano con sé sempre il freddo, perché l'odio è compatto e tagliente come il ghiaccio. Iceberg di odio congelato vengono a sciogliersi e a sgocciolare sulle loro vittime paralizzate, ragni di ghiaccio che vi succhiano lentamente l'anima, ecco cosa sono!» «Di che ragni sta parlando?» Greg lo guardava perplesso.
«È una metafora. Come sta Aïcha?» «Dovrebbe cavarsela. Devo passare all'ospedale più tardi, per vederla. Cazzo, è un vero bordello, qui!» «Un'altra metafora» si affrettò a precisare Chib. «Confusione, ogni cosa non è che confusione, stanno solo cercando di traviarci!» proferì Dubois con enfasi. «Da che film è?» volle sapere Greg. Dubois gli rivolse uno sguardo interlocutorio. «Prego?» «Lasci stare. Ha tutta l'aria di intendersela con la regina madre, Gaëlle.» «Lei non mi sembra molto rispettoso nei confronti dei suoi datori di lavoro, ragazzo.» «Beh, quando al mio amico per poco non esplode la faccia per una fucilata e qualcuno avvelena la mia ragazza, diciamo che certe cose intaccano il mio capitale di rispetto. Come diceva quell'altro: "C'è del marcio nel regno di Oz."» «Di Danimarca. Oz è nel Mago di Oz» corresse Chib. «Sì, vabbè, è uguale. In ogni caso, questa storia puzza.» «Su questo punto sono d'accordo con lei» assentì Dubois. «Josselin, dovremmo forse raggiungere gli altri. Annabelle, smettila di fare la bambina piccola, va bene?» Andrieu cercava di staccarsi la figlia dalla gamba e Chib, vedendo la testa bionda sfiorare la patta dell'uomo, non riuscì a impedirsi di immaginare una nauseante scena di fellatio. Dubois afferrò la bambina per un braccio e la tirò indietro con un bello strattone. «Grazie» disse Andrieu. «Non so cosa le prenda, è infernale.» A quelle parole, il volto del sacerdote s'incupì ancora e rivolse uno sguardo insistente a Chib, come a dire: "Ah! Lo vede!", prima di seguire Jean-Hugues verso la sala da pranzo, imitato da Belle-Mamie. Chib si passò una mano sul viso. Si sentiva tanto scombussolato quanto stanco. «Allora, dicci un po'. La vecchia ti vuole adottare o cosa?» la canzonò Greg quando Gaëlle li raggiunse. «È abbastanza turbata e irritata per quel che sta succedendo e non ha nessuno con cui parlare. Non si fida di Blanche e suo figlio la sfugge.» «Si capisce!» sghignazzò Greg. Trascinandola da parte la misero al corrente di ciò che Greg aveva scoperto sul gioco elettronico di Annabelle, che provvide peraltro a infilare nella tasca della sua giacca da aviatore prima di annunciare che era ora di
andare all'ospedale e di eclissarsi senza salutare gli Andrieu. «Quando Greg se ne va, si ha sempre come la sensazione di uscire da una zona di forti turbolenze» fece osservare Gaëlle. «È sempre stato piuttosto irrequieto, è vero.» «Ma tu gli vuoi bene.» Non era una domanda. E qualora ce ne fosse stata una, Chib non avrebbe saputo fornire una risposta, non con ragionevole certezza. Forse era proprio il senso delle parole "amare, voler bene" ciò di cui non era mai stato sicuro. Alzò le spalle: «Che facciamo adesso?» «Davvero non saprei. In realtà, ogni nuovo avvenimento m'impedisce di riflettere sul precedente e mi dibatto nella confusione più totale» confessò lei sospirando. «Tu no?» «È sicuramente l'effetto voluto. Accumulare gli avvenimenti per destabilizzarci, per provocarci uno stato di stress, per buttarci polvere negli occhi. È come se avessimo a che fare con un equilibrista che insceni una figura dopo l'altra senza che si abbia nemmeno il tempo di apprezzare il suo numero.» «Un illusionista, piuttosto.» «Un illusionista funambolo.» «No, i funamboli siamo noi» ribatté Gaëlle. «Camminiamo sul filo teso fra la realtà e i suoi fantasmi, e restiamo in piedi per un pelo.» «Mio piccolo genio dotato, per dirlo gentilmente, sei sicura che stai parlando di noi? Io ho la tremenda impressione che tu diventi di giorno in giorno più intelligente e io di giorno in giorno più stupido.» «Non è un'impressione, nonnetto, è il processo degenerativo dei tuoi neuroni che va accelerando, uso troppo intenso, e in più tu hai letteralmente una rotella in meno adesso.» Preso da un accesso di tenerezza, Chib le sorrise e la baciò sulla guancia. Proprio nell'istante in cui Blanche si affacciava alla porta, il tovagliolo di lino color salmone in mano, per chiamare Colette. Doveva averli visti per forza, e intercettato il gesto di Chib. Li superò senza rivolgere loro la parola, e scomparve in cucina. «"Donna sotto influsso"» decretò Gaëlle. «Perché dici questo?» «Il suo modo di camminare. Troppo rigido. Troppo controllato. La sua voce. I suoi occhi. Fissi, luccicanti. Un po' come te quando la guardi» terminò con dolcezza.
Chib si sentì arrossire mentre Blanche ripassava nell'altro verso, il suo ghigno cortese stampato in faccia, con un vago cenno del mento in direzione di Gaëlle. Affacciandosi nell'atrio, Andrieu li chiamò improvvisamente: «Allora, venite a prendere il caffè con noi.» Capitolo 20 Nella sala da pranzo dove risuonavano in sordina le romantiche note del Concerto n°1 di Chopin, i convitati avevano un'aria impacciata da automi intenti a cimentarsi nella conversazione mondana. Era stata rispettata la disposizione tradizionale, un uomo, una donna. Jean-Hugues, Blanche, Josselin Dubois, Belle-Mamie, John Osmond, Noémie Labarrière, Clotilde Osmond, Paul Labarrière, Charles, Annabelle, Louis-Marie, Eunice. John e Clotilde, le guance chiazzate di rosso, sembravano aver trincato non poco. Dubois contemplava il suo bicchiere d'acqua minerale quasi che si trattasse di una sfera di cristallo particolarmente rivelatrice. Paul Labarrière proseguiva con Andrieu una conversazione piuttosto indaginosa sulle rispettive prestazioni delle cartucce Fob Super chasse e Mary Arn per la caccia alla beccaccia e Chib si toccò istintivamente la fasciatura, mentre Noémie ascoltava Louis-Marie dissertare sul concerto dato da Kissin nel 1984 a Mosca, la versione che stavano ascoltando, e Belle-Mamie chiedeva a Charles notizie dei suoi studi. Eunice si dimenava sulla sedia sussurrando dei segreti all'orecchio di Bunny e Annabelle schiacciava con la forchetta palline di mollica di pane con aria feroce borbottando inudibili imprecazioni fra cui Chib credette di riconoscere la parola "ladro". Lui e Gaëlle si strinsero in fondo alla tavola, vicino ai bambini, coscienti degli sguardi che venivano loro lanciati furtivamente. Chib si sentiva a disagio, come un domestico invitato alla tavola dei padroni, si disse. Si sentì sollevato dal diversivo creato da Colette che arrivò spingendo il carrello con il caffè e i dolciumi. Stava mescolando il suo caffè con gesto meccanico sotto lo sguardo pieno di rimprovero di Belle-Mamie, quando fecero il loro ingresso Chassignol e Winnie, in tenuta da golf. «Ah, ecco gli eroi del giorno!» esclamò John Osmond levando in alto il suo bicchiere di Lynch-Bages del '91 ancora mezzo pieno. Chassignol rivolse un sorriso in circolo a tutti, con Winnie agganciata al braccio che sfoggiava la sua abituale aria estasiata. Si sistemarono alla
meno peggio e Winnie si ritrovò proprio di fronte a Chib, che salutò appena. «Abbiamo incrociato Cordier al club» raccontò loro Chassignol mentre si serviva un bicchiere di bordeaux. «Ci ha informato della vostra giovane domestica... brutta storia!» «Un'autentica porcheria, queste allergie!» proseguì Paul Labarrière, riempiendosi il bicchiere a sua volta. «Ma le donne ne soffrono più spesso degli uomini, non è così, cara? Ti ricordi di quando ti ricopristi di quelle orribili chiazze rosse?» Noémie gli lanciò uno sguardo velenoso: «Si chiama orticaria: è stato necessario fare una tale massa di esami prima di scoprire da cosa dipendesse.» «Che era?» s'informò Clotilde Osmond col bicchiere in mano. «Le piume.» «Le piume?» esclamarono gli astanti come un coro antico ben preparato. «Noi abbiamo dei cuscini di piuma d'oca, all'antica, e io ero allergica.» «Secondo me, era Paul che tentava di soffocarti durante il sonno!» sghignazzò Rémi Chassignol abbracciando Winnie. «Anziché dire stupidaggini, non dovremmo piuttosto brindare?» ribatté amabilmente Paul. «Ah, è vero.» Chassignol alzò il suo bicchiere, un braccio attorno alle spalle della sua fidanzata. «Ebbene, la data del matrimonio è fissata per il 26 giugno e spero che ci farete tutti l'onore di assistervi.» Esclamazioni, congratulazioni, Blanche che sorrideva vagamente, una statua di nebbia, un fantasma di carne, Andrieu che faceva un brindisi, Dubois che dava la sua benedizione, Louis-Marie e Charles che sghignazzavano stupidamente scambiandosi occhiate lascive in direzione di Winnie, mentre Eunice e Annabelle ne approfittavano per arraffare il maggior numero di dolci e ingoiarli in fretta. "Che ci faccio qui?" si disse Chib. "Che ci faccio in mezzo a questa famiglia, in mezzo a queste persone che trovo antipatiche e inutili, per sorridergli come una docile marionetta, per contemplare il vuoto di Blanche come un precipizio sull'orlo del quale cammino in equilibrio precario, cosa ci sto a fare io qui a cercare di capire perché qualcuno vuole male a questa gente, vuole far loro del male? Come potrei mai capire, sono così distanti da me."
Improvvisa sensazione di calore ostile. Voltò la testa, in cerca dello sguardo bruciante dardeggiato su di lui, ma tutti i manichini erano intenti a recitare il loro ruolo con impegno. Il gioco pornografico nella console di Annabelle lo assillava. Soltanto qualcuno della famiglia poteva avercelo inserito. Osservò Andrieu, il suo viso maschio rasato di fresco, i suoi capelli così biondi e ben tagliati, il suo sguardo limpido e franco, le sue mani pulite e curate, con unghie quadrate e curve. Quelle mani si erano forse smarrite su corpicini spaventati? Chib bevve un sorso di caffè, lo trovò amaro. Amaro quanto quel pranzo fintamente allegro che si teneva qualche giorno soltanto dopo il funerale di una bambina spezzata. Chissà se avevano festeggiato anche dopo la morte del piccolo Léon? Aveva forse visto bene Greg quando scherzando aveva parlato di setta satanica? Mentre si dannava per massacrare un mini millefoglie, Annabelle gli diede una brusca gomitata, e per poco Chib non rovesciò la tazzina, non riuscendo comunque a trattenere il cucchiaino che cadde per terra. Lanciandole un'occhiata furibonda alla quale la bambina rispose facendogli una linguaccia, Chib si abbassò rapidamente per recuperarlo. Breve scorsa sotto il tavolo, folgorazione istantanea. Un piedone con calzino blu scuro scivolava lungo un pantalone grigio, incollandosi nello spazio fra le cosce di detto pantalone e nessuno brontolava. Chib si rialzò, cucchiaino in mano, cercando di individuare il posto di ciascuno in relazione a ciò che aveva appena visto. Charles. Charles intento ad accarezzare surrettiziamente Chassignol! O santo cielo! Chib provò come un senso di vertigine e chiuse un istante gli occhi per riprendersi. Charles e Rémi Il Supermaschio Chassignol! Chassignol che concionava, la fidanzata al suo fianco, che annunciava il suo matrimonio senza battere ciglio proprio mentre Charles lo tastava sotto il tavolo?! Quasi avesse letto nei suoi pensieri, Chassignol si girò verso di lui, un bel sorriso ammaliatore stampato sul volto spigoloso. «Che le è successo?» s'informo accennando alla voluminosa fasciatura di Chib. «Oh, niente, una calibro 8 in testa» gli replicò lui con un sorriso altrettanto smagliante. Winnie scoppiò in una risata al contempo squillante e cristallina, scuotendo i suoi bei boccoli da principessina; Chassignol aggrottò le sopracciglia. «Non sapevo che andasse a caccia...» «Sì, ho un modello speciale, il boom-boom boomerang. È ottimo per au-
to-trapanarsi.» Ci fu un istante di silenzio, sorrisetti imbarazzati, una generale titubanza che Belle-Mamie provvide ad ovviare esclamando con voce stentorea: "Ai futuri sposi!", al che tutti brindarono di nuovo, con la precipitazione di un gruppo di naufraghi che si afferrino ai cavi dell'elicottero di salvataggio. Chib sentì il dolore pulsante aumentare di una tacca, e diventare pungente come un ago infuocato. O almeno quanto l'idea che si poteva fare di un ago infuocato, giacché, fino ad allora, non aveva ancora mai avuto occasione di sperimentarlo di persona; anche se, vista la piega che andavano prendendo gli avvenimenti, poteva ben darsi che la cosa si concretizzasse di lì a breve. Una nuova esperienza da inserire nel lungo collare chiodato della vita. Riportò la sua attenzione su Charles e Chassignol, spiandoli discretamente mentre parlavano con Gaëlle e Winnie dell'ultimo film di successo che peraltro lui non aveva visto. Dopodiché ci fu un movimento generale e la gente cominciò ad alzarsi, rosea e satolla. Andrieu propose una partita a biliardo, cosa che gli uomini accolsero con piacere, lasciando le donne a fare un giro in giardino. Chib si eclissò con discrezione per andare in bagno. Aveva mal di testa, era stremato e sentiva freddo. Sì, freddo. Strano come quella sensazione di freddo fosse arrivata, insidiosa e penetrante. Uscendo, fu agganciato da Gaëlle. «Ho sentito Greg, tutto bene. Tu, invece, hai un'aria sfinita. Dovresti stenderti un po'.» «Sì, sì, devo chiedere dov'è la stanza degli ospiti. Oppure potrei condividere la bella cassa di Elilou.» «Davvero sfinito. Hai tirato troppo la corda. Dovresti essere a casa, a letto! Comunque sono sicura che nessuno troverà da ridire se ti allunghi un attimo nella stanza di Aïcha.» Sentendo che la testa gli girava, Chib assentì mollemente. Stendersi qualche minuto. Un po' di tregua... Si lasciò guidare fino alla stanza, si stese sul letto con una sensazione di sollievo, sentì Gaëlle che gli toglieva le scarpe e gli solleticava amichevolmente la pianta dei piedi senza che lui reagisse in alcun modo e quindi sprofondò di botto in un sonno fitto come cotone. Cotone. Tre uomini vestiti di stracci, chini su arbusti con delle palline bianche. Vortici di polvere. Campi di terra rossa. L'odore denso della terra che fuma. L'odore acre dell'asfalto che si scioglie. L'odore pungente del sudore sui torsi nudi, lungo le braccia, attorno alla bocca. Gesti lenti. Di
quando in quando un grido gutturale. La polvere che sale, spirali rosse contro il cielo blu e i volti neri. Un carretto che cigola in una nuvola ocra. Le bocche piene di polvere e sempre quelle braccia che si alzano per poi ricadere, e raccolgono le palline bianche. Il tono rauco dei respiri, lenti, costanti, fra i campi di terra rossa. La mano passata sulla fronte per cacciare il sudore che sgocciola. La carretta che cigola. I tre uomini in stracci, gli occhi pieni di sudore o di lacrime, che alzano la testa, e che lo guardano, senza emozione, come tre pietre deposte in un campo di cotone. Impossibile sostenere il loro sguardo di pietra. Indietreggiare, correre all'indietro verso la strada che si sta sciogliendo e affonda nel cielo. Indietreggiare, fuggire, il cigolio del carretto e i passi dei buoi, il sudore meccanico, l'odore infame del cotone, fuggire... Chib si risvegliò di soprassalto, la bocca così secca che ebbe difficoltà a deglutire, il cuore che batteva, gli occhi umidi. Umidi? Si portò una mano alle palpebre, sentì le tracce umide sulle guance. Sangue? Si guardò le dita. Non era sangue. Sembrava colare, così, dall'angolo degli occhi. Si asciugò, lentamente. Il sudore degli schiavi ha attraversato la notte per arrivare nei miei occhi, si disse, il sudore dei miei padri. Si sedette lentamente, si asciugò la nuca e il viso con un lembo del lenzuolo. La piccola sveglia indicava le 15 e 10. Aveva dormito una mezz'ora. Si sentiva dolorante come se avesse corso, corso lungo una strada inghiaiata e dissestata dalle buche. Si stirò e sgranchì i muscoli della schiena e delle gambe. Serie di respiri profondi, espirazioni prolungate. Si alzò, andò verso il piccolo bagno con doccia per bere a lungo dal rubinetto, quindi si sciacquò la bocca con un collutorio alla menta. La ferita gli tirava. L'inizio della cicatrizzazione? Si rifece il nodo alla cravatta, indossò la giacca grigio antracite, si passò la mano bagnata sui capelli crespi e tagliati a spazzola, dopodiché uscì. Trambusto in cucina. Voci maschili provenienti dalla biblioteca. Riconobbe il timbro sonoro di Chassignol. Doveva assolutamente parlare con Gaëlle a proposito di ciò che aveva scoperto guardando sotto il tavolo. Intontito e indeciso, esitava, fermo nel bel mezzo dell'atrio, obnubilato da una serie di pensieri contraddittori, quando qualcuno lo chiamò. «Lei non gioca a biliardo?» Si voltò. Louis-Marie a metà strada sulle scale, appollaiato sulla rampa, indossava un elmetto militare arrugginito. «E tu?» gli ribatté Chib. «A che stai giocando?» «Sono in missione dietro le linee nemiche» gli confidò il ragazzo con
una strizzatina d'occhio. «Come lei.» «È per questo che ti proteggi?» gli fece Chib abbozzando un cenno all'elmetto. «Oh, questo. Era del nonno. Riportato dalla seconda battaglia sulla Marna. Fantastico, no? C'è pure una scheggia di granata incrostata dentro, guardi.» Si lasciò scivolare fino alla fine della rampa e porse l'elmetto a Chib perché potesse ammirare il frammento di metallo incastratovi dentro. «Sì, sì, davvero super» assentì Chib portandosi di riflesso una mano alla ferita. «L'hai conosciuto, tuo nonno?» «Poco. È morto che avevo cinque anni. Era molto vecchio. Tossiva sempre, era uno schifo.» Chib procedette a un rapido calcolo. Louis-Marie aveva quattro anni e mezzo alla morte del piccolo Léon, nel '92. Enguerrand Andrieu era dunque morto in quel periodo e Jean-Hugues aveva così perduto suo padre poco tempo dopo aver perduto suo figlio. D'altra parte, se l'avo aveva partecipato alla battaglia della Marna, pur avesse avuto diciotto anni, doveva essere di gran lunga più anziano di Belle-Mamie che dimostrava all'incirca una settantina d'anni. Chib rialzò la testa e si accorse che Louis-Marie lo stava fissando divertito. «Nella sua collezione di bambole indossatrici, Charles ne ha una che le assomiglia» fece il ragazzo. «Si chiama Jim. È pieno di bei vestiti.» «È vero allora che Charles gioca con le bambole?» «Adesso dice che è una cosa da stupidi, però ci ha giocato per un bel po'. Inventava sempre un sacco di storie, veri e propri sceneggiati.» «E che parte aveva Jim?» «Usciva con Allan, quello alto e rosso, per la disperazione di quella cretina di Barbie che andava a piangere per ore dalla sua amica Madge...» «Emozionante.» «Vero? Beh, io vado, il dovere mi chiama.» Salendo su per la rampa a quattro a quattro, il ragazzo scomparve al primo piano. Chib si trascinò fino alla sala da pranzo abbandonata e si sedette, di fronte al giardino. Il sole aveva girato dietro l'ala ovest e le ombre comincivano ad allungarsi. Riconobbe il canto della sitta, il picchio muratore, ancor prima di prendere coscienza del fatto che lo stava sentendo: un leggero brivido gli rizzò i peli dell'avambraccio. Era lo stesso canto stridente che aveva percepito prima che gli sparassero. Il suo corpo ne conservava
memoria. Notando un taccuino e una penna sulla mensola, li prese entrambi e cercò di concentrarsi per fare il punto della situazione. Da una parte le certezze, dall'altra le supposizioni, si disse. CERTEZZE - Elilou era morta, il collo spezzato. - Elilou non aveva più l'imene. - Il corpo di una bambina morta era stato rubato e crocifisso. - La cappella era stata profanata. - Un cucciolo era stato sventrato. - Qualcuno si era masturbato su una foto di famiglia. - Qualcuno aveva filmato Chib mentre entrava nella stanza di Blanche in piena notte. - Annabelle lo aveva minacciato con una pistola carica appartenente ad Andrieu. - Annabelle era caduta nel pozzo. - Costa era morto, col cranio fracassato. - Un registratore era nascosto sotto il letto matrimoniale. - Bunny era stato messo a bollire dentro una pentola. - Qualcuno aveva sparato in testa a Chib. - Un 'ombra gli aveva fatto il gesto dell'ombrello mentre era gravemente ferito. - Alcuni gattini erano stati uccisi ed erano stati loro strappati gli occhi. - Aïcha aveva assunto dei sonniferi cui era allergica. - C'era un gioco porno all'interno della console portatile di Annabelle. - Charles aveva tastato Chassignol sotto il tavolo.
SUPPOSIZIONI Omicidio? Stupro? Necrofilia?
Spinta? Assassinato?
Intimidazione?
Lo sparatore?
Avvelenamento? Pedofilia?
Chib fece scrocchiare le dita. A voler guardare solo i fatti senza alcuna malizia, si otteneva comunque il quadro di un'impressionante serie di atti
"al di fuori della norma". Poteva anche darsi che immaginando che Elilou fosse stata assassinata, egli avesse aperto il vaso di Pandora in cui si rintanava una mente disturbata avida di distruzione. Magari la bambina era morta naturalmente, ma questo non escludeva il fatto che vi fosse in giro e all'opera un malato di mente, un sadico perverso, nel senso clinico del termine. E anche potenziale assassino, cosa della quale era visibile testimonianza la ferita che Chib aveva in testa. Si mise allora a stilare una lista dei fatti connessi e di quelli per sentito dire. FATTI CONNESSI
PER SENTITO DIRE - Charles ha avuto rapporti con Costa. - Andrieu ne è al corrente. - Paul Labarrière ha avuto una relazione con Clotilde Osmond
- Winnie è andata dai Labamère in loro assenza. - Winnie è stata sorpresa net bosco. - Winnie sta per sposare Chassignol. - Chassignol era innamorato di Blanche quando erano studenti. - John Osmond è innamorato di Blanche Trovato bottone di un polsino di Andrieu nel bosco. - Trovato l'altro nel cestino del bagno. - La foto insozzata è stata pulita la mattina stessa in cui l'ho scoperta. - Charles ha accarezzato Chassignol sotto il tavolo.
Osservò i fogliettini vergati con le sue zampe di gallina. Beh, e allora? Nessun diagramma significativo si disegnava improvvisamente sotto i suoi occhi abbagliati. Rilesse con attenzione ciascuna frase. La profanazione del corpo e della chiesa stavano a indicare un necrofilo blasfemo. Il dvd e il registratore, un guardone. Il cucciolo e i gattini, un sadico. La pistola fornita ad Annabelle e il proiettile sparatogli addosso, un assassino. Necrofilo, guardone, sadico e assassino. Uno psicopatico, dunque: sorprendente, non è vero? Credette di avvertire uno scricchiolio dietro di sé e si voltò di scatto. Si rese conto di essere da solo. Come l'altra sera. Andiamo, nessuno gli avrebbe sparato come a un coniglio, in pieno giorno. Ah davvero? E perché no? Si alzò, s'infilò i foglietti in tasca senza perdere di vista la porta socchiusa, aspettandosi a tal punto di vedere una mano guantata posarglisi sulla faccia che quando si materializzò, e per di più armata di un paio di cesoie, provò appena una contrazione allo stomaco. Ma non era che la mano sinistra infilata in un guanto di spesso tessuto verde di Clotilde Osmond, la cui mano destra invece era occupata da un mazzo di peonie. La donna sussultò leggermente nello scorgere Chib. «Mi ha fatto paura» disse lei bonariamente. «Ho colto queste per Blanche, sono meravigliose, vero?» Posò i fiori sul tavolo. «Vado a chiedere un vaso a Colette. Lei invece mi sembra un po' giù di spago» aggiunse la donna esaminandolo con sguardo critico. «Corda» la corresse lui prima di precisare: «Sono un po' stanco. Dove sono gli altri?» «Gli uomini stanno giocando a biliardo, le signore ciarlano nel giardino d'inverno: entusiasmante, vero? Io adoro questa casa, è così elegante! La nostra è troppo moderna, l'ho detto a John, manca di, come dite voi, ah sì, di stile. La ferita non le fa troppo male?» «Sto bene.» «Ma come è successo? Non ho capito molto bene.» Lei lo guardava, la testa leggermente piegata da un lato, gli occhi strizzati, le cesoie sul fianco rotondo. «Una pallottola vagante. Non si sa chi ha sparato.» Lei arricciò il suo naso sempre un po' arrossato, smorfia che la rendeva ancor più brutta. «Ma che strano! D'altronde qui tutto è strano, non è vero?»
«In che senso?» «Non so, è... l'ambiente... le persone... Tutta la regione sembra una cartolina, con personaggi da romanzo. Viene da chiedersi dove sia la gente reale!» concluse ridendo. «Lei conosce Blanche e Jean-Hugues da molto tempo?» «Da quando ci siamo trasferiti, saranno, vediamo, nove anni, appena dopo la morte del bambino... A me piace molto fare giardinaggio e Blanche voleva imparare, e allora siamo diventate amiche.» «E suo marito non si interessa di botanica?» «A John non interessano altro che i suoi incunaboli: è un collezionista, sa.» E gli piacerebbe tanto aggiungere Blanche alla sua collezione di originali, sogghignò Chib in cuor suo, mentre a voce alta disse: «No, non lo sapevo, deve essere una cosa affascinante!» «Sì, se uno ama gli antichi manoscritti polverosi che cadono a pezzi. A me la polvere fa venire la tosse, io preferisco stare fuori. Il vecchio Andrieu gli ha lasciato qualcuno dei suoi tesori.» «Lei lo ha conosciuto?» «Per qualche mese appena. Si ammazzò cadendo da una scala mentre cercava di potare una siepe. Faceva sempre di faccia sua.» «Testa.» Sorrise come una ragazzina colta in fallo e riprese: «Era impressionante, malgrado l'età, un autentico colosso, gli si davano tranquillamente dieci anni di meno. Lo credo che per Jean-Hugues non è facile farsi valere con sua madre» aggiunse abbassando la voce. Impaziente di passare ad argomenti di più stretta attualità rispetto a Enguerrand Andrieu, Chib cambiò soggetto: «E lei allora avrà senz'altro ben conosciuto lo sfortunato Costa.» «Ovviamente. Costa era un giardiniere senza pari. E amava davvero il suo mestiere. L'unico problema...» Esitò, s'interruppe. Chib sentì le dita stringersi sullo schienale della sedia su cui si stava appoggiando. «Sì?» «Ebbene, Costa era un bravuomo, ma aveva avuto dei problemi da giovane... lui... era molto incline verso la cosa, mi capisce» terminò lei, con gli occhi bassi sulle grosse scarpe di cuoio con le stringhe, molto poco femminili. «Credevo fosse omosessuale» si lasciò sfuggire Chib, sconcertato.
«Costa? Ma neanche per sogno! Ci ha provato anche con me, se vuol saperlo!» gli ribatté sollevando fiera quel suo volto sgraziato. «So di non essere proprio una cannonata, come dite voi, dunque questa è la riprova di quanto gli piacessero le donne, no? Noémie mi ha raccontato che l'aveva importunata a tal punto che l'aveva quasi dovuto licenziare.» Chib sentì il bisogno di risedersi. Se tutte le persone coinvolte in quella storia passavano il loro tempo a cambiare gusti sessuali come cambiavano il telefonino, come si poteva ragionevolmente sperare di vederci chiaro? «Lei è decisamente una donna molto corteggiata» azzardò Chib con prudenza. «Ho sentito dire che anche Paul Labarrière... con lei...» «È una falsità!» protestò lei immediatamente con veemenza. «Noémie si è messa in testa questa cosa, è pure andata a parlarne con John, povero caro. Ci è rimasto di ferro!» «Di sasso» corresse Chib meccanicamente. «Non importa. Tra me e Paul non c'è altro che una... grande amicizia. Non so proprio perché Noémie si sia inventata questa storia!» «E non le ha detto che si stava sbagliando?» «Ma certo! Ma non mi ha voluto credere! È di una gelosia morbosa!» «E Paul non le ha mai fatto proposte... o fatto intuire che...» Lei si girò verso i fiori, i suoi lunghi capelli grigi a nasconderle in parte i lineamenti. «No! Paul è un vero gentleman.» Insomma. «E John? Cosa pensa lui?» «Se ne frega. Gliel'ho già detto che a lui non interessano altro che i suoi vecchi libri. Potrei tradirlo con un'armata di cosacchi senza che lui dica altro che: "Prenderemo ugualmente il tè, darling?"» Chib si sorprese a ridere, ma lei non sorrideva: aveva un aspetto indurito e infelice. «E lui? È di temperamento fedele?» si azzardò a domandare Chib. «Quanto lo si può essere quando si preferiscono i personaggi da romanzo alle persone vere. È un innamorato cronico, ma di donne di carta» concluse senza sorridere. Chib ardeva dal desiderio di abbordare la questione di Blanche ma non sapeva come. Clotilde lo osservava, le sopracciglia aggrottate. «Io lo so a cosa sta pensando» fece bruscamente. «Soprattutto se ha parlato con Noémie. Ma anche quella storia è falsa.» «A cosa si riferisce?» fece lui il più innocentemente possibile.
«Al fatto che John sia innamorato di Blanche. La trova seducente, è vero, ma niente di più. Come le ho detto, John è un uomo appassionato di libri: la carne non è il suo hobby!» concluse levando gli occhi al cielo. «Mi sta dicendo...» «Sì, le sto dicendo. È stato operato per un cancro alla prostata dieci anni fa e non può più avere rapporti sessuali, se vuole i particolari.» Affascinante come le persone gli rivelassero i loro segreti più intimi, si disse: doveva avere un volto affabile da confessore, o magari era il colore della sua pelle e il suo stravagante mestiere a dar loro l'impressione di confidarsi a un essere immaginario? In ogni caso, John Osmond non poteva aver insozzato la foto. Né violentato Elilou. Questo bastava a eliminarlo dalla lista dei sospetti? «A cosa sta pensando con quell'aria assorta?» volle sapere Clotilde agitandogli sotto il naso le cesoie. «E cosa fa lei qui, esattamente?» «Qui?» «Non assuma quell'aria melliflua...» «Melliflua.» «Appunto! Mi dica, c'è dell'altro.» «Non posso. Sono legato al segreto professionale.» «Oh, ha a che fare con la morte di Elisabeth-Louise, è così?» bisbigliò con sguardo di colpo febbrile. «Pensa che non sia stato un incidente?» «Ma perché dice questo?» mormorò Chib, stupefatto. «Per via di Léon. La polizia ha indagato per mesi.» «Sia più chiara.» «Non sto accusando nessuno, ma il fatto è che Blanche è stata più volte ricoverata in clinica...» «Credevo foste amiche...» si meravigliò Chib. «Essere amici di qualcuno non significa che uno diventi cieco nei suoi riguardi.» «Ma la sta accusando di omicidio!» «No, questo lo pensa lei!» lo contraddì la donna. «Io non ho fatto altro che evocare la possibilità di una mancanza di accortezza, di un errore involontario. Dimenticare di sorvegliare il proprio bambino che gioca vicino alla piscina, per esempio, oppure spingere troppo violentemente una figlia piagnucolosa perché ci sta facendo venire i nervi, perché siamo in uno stato di quasi assenza...» «Elilou era una bambina piagnucolosa?» «Sì, la tipica bambina gelosa, vendicativa, cattiva insomma.»
«E crede che fosse colpa di Blanche? Che non l'amasse abbastanza?» «Io non ho mai avuto figli. Non so come li si ami» rispose lei con franchezza. «Santo cielo, come mai stiamo parlando di questo?» «Perché lei è preoccupata.» «Senza dubbio. Vado a cercare quel vaso» concluse dirigendosi verso la porta. «Jean-Hugues è un buon padre?» «Certamente. Ma è soprattutto un bravo uomo d'affari. Non è in casa troppo spesso. Ed è molto autoritario. Un padre all'antica. Come lo era il suo.» Al che la donna si eclissò, lasciando Chib un po' più disorientato. John Osmond era impotente. Paul non era stato a letto con Clotilde. Costa non era omosessuale, anzi. Il che comportava le seguenti domande: Perché Noémie si era dovuta inventare una relazione fra Clotilde e suo marito? Perché Charles aveva lui stesso fatto allusioni ai suoi rapporti con il giardiniere? Chi stava mentendo? Tutti? Qual era la vera storia che si stava sviluppando fra quelle mura? Chib attese qualche istante, pensando che Clotilde sarebbe dovuta tornare con il vaso, ma non tornò. Quindi uscì a sua volta, e si recò nella biblioteca che risuonava sempre di voci maschili. Avrebbe visto Gaëlle più tardi, non aveva alcuna voglia di affrontare la visione di Blanche che prendeva il tè. Blanche che la sua amica e vicina accusava di omicidio. Blanche la Picchiatella. Un bel nome da principessa medievale. Se la immaginava abbastanza bene in cima a un'alta torre, bianca ovviamente, intenta a scrutare un orizzonte confuso e deserto, la fronte cinta da un diadema d'ossidiana di un nero brillante, una corda di canapa stretta attorno al gracile collo, mentre si chiedeva tranquillamente se si sarebbe dovuta appendere a uno di quei graziosi merli o semplicemente gettarsi nel vuoto. A meno che non arrivino in tempo i soccorsi. Léonard il Moro, appollaiato sul suo destriero dalle gualdrappe di titanio, la sua nobile spada laser sguainata, così carino nel suo farsetto di velluto color granata. Dio santo, Chib, stai dando i numeri di brutto. Spinse la porta ed entrò. Intermezzo 8 Tempus fugit
Lupus Exit Il lupo che mi divora ha fame L'uscita di sicurezza è fuori servizio I ballerini hanno perduto il tempo il tempo a poco a poco si restringe per l'uso. È l'ora della fuga strain stretto, straight boy band. Non ci sono altre soluzioni che renderli tutti solubili Liofilizzati Da consumarsi con moderazione una tazza in memoria e lasciar ben riposare in pace Che parola strana. Capitolo 21 Jean-Hugues, Rémi, Paul e Dubois stavano giocando a biliardo, concentrati, febbrili, i bicchieri pieni a metà poggiati vicino. John stava studiando la biblioteca propriamente detta. Occhiali sulla fronte, era intento a esaminare un librone antico. Chib gli si avvicinò senza che lui alzasse gli occhi, il libro appoggiato sul ventre pingue, i pantaloni di velluto a costine verde bottiglia che pendevano sulle sue grosse natiche piatte, i capelli grigi scarmigliati. Brutto quanto sua moglie, si disse Chib, poco caritatevole. Gli chiese cosa stesse leggendo. «Oh! Un antico manuale di araldica» gli rispose John come un'eco alle sue recenti divagazioni. «Molto interessante!» Molto poco per me, disse fra sé Chib, scorgendo un'incomprensibile accozzaglia di simboli vivacemente colorati. Fece "Mmm" e si diresse verso il biliardo. Qualcuno di sopra stava suonando il pianoforte. Mephisto Walz di Liszt. Sicuramente Louis-Marie. Diede un'occhiata alla partita un momento. Andrieu era visibilmente deconcentrato e tuonava a ogni colpo sbagliato. Paul giocava senza smettere di parlare, facendo commenti briosi su tutto. Rémi squadrava le palle quasi fossero nemici da domare: studiava
a lungo i suoi colpi e si smaneggiava l'arnese con un certo vigore. Molto concentrato, Dubois non parlava e sfoggiava l'aria soddisfatta e sorniona del vecchio veterano a suo agio in un terreno a lui noto, e segnava spesso dei punti. Chib adocchiò la bottiglia di cognac, poi si ricordò che era meglio evitare di mescolare alcol e analgesici. Il che gli fece tornare in mente Aïcha. Chi aveva sciolto le pasticche nella coca cola? E quando? Con un tale rosario di domande, poteva recitare novene all'infinito. «Vuole giocare?» gli chiese Chassignol. «Io lascio.» «No, no, grazie» mormorò Chib accennando con gesto vago alla ferita. Isolandosi in un angolo della stanza, vicino alla finestra, telefonò a Greg che gli confermò che Aïcha si era risvegliata, ancora un po' inebetita, ma in buono stato. No, non si ricordava di aver preso delle pasticche, perché avrebbe dovuto farlo nel bel mezzo della mattinata? Ed essendo allergica? scandì Greg battendo sempre sullo stesso tasto. Mentre sistemava il cellulare nel taschino della giacca, Chib scorse Charles che camminava nel parco, accompagnato da Eunice e Annabelle, in sella ai loro tricicli. Il ragazzo portava un lungo fodero a tracolla. Un fucile? Un arco? Stava per appuntare le sorelle a uno dei pini secolari? Charles si sfilò il fodero dalle spalle, lo aprì sotto lo sguardo teso di Chib, ne estrasse una mazza da golf e iniziò a manovrare l'attrezzo nel vuoto. Chib tornò a osservare i giocatori. Dubois aveva appena vinto e sorrideva con modestia. Chassignol diede un'occhiata all'orologio ed esclamò che era ora di andare. Paul accettò un altro goccio di scotch e si sedette su una delle grandi poltrone capitonné. Seduto di fronte a lui, Andrieu aveva gli occhi molto lucidi, gli zigomi chiazzati di rosso. Si versò un bel bicchiere colmo e lo buttò giù quasi d'un sorso. John Osmond era sempre immerso nel suo libro antico, catturato. Dubois si avvicinò a Chib che faceva finta di essere intento a contemplare il mappamondo. «Ulan Bator» esclamò puntando il dito sulla Mongolia. «Significa "l'Eroe Rosso". Triste eroe. Ci sono stato una quindicina di anni fa. Una città sinistra. Ma tutto attorno... un paesaggio favoloso. Novità?» continuò bruscamente. «Per ora no. Cosa sa di Costa, precisamente?» Il sacerdote strizzò gli occhi. «Come sarebbe a dire?» «Mi hanno detto che ha avuto dei problemi quando era giovane. Di cosa si trattava?» «Ah... le lingue sciolte!» sospirò Dubois. «Non essendo più in vita quel-
la povera anima, non sono più tenuto al segreto, suppongo. Era stato condannato per stupro.» «Cosa?!» «Un istante di smarrimento che aveva pagato con sette anni di prigione. Aveva abusato della moglie del suo datore di lavoro, un imprenditore nel settore dei lavori pubblici. È così che l'ho conosciuto: era venuto a un laboratorio di reinserimento per ex detenuti.» «E lei che gli ha trovato lavoro?» «Più o meno. Quando mi sono convinto del suo pentimento e della sua volontà di rimanere sulla retta via, l'ho raccomandato a Jean-Hugues. Aveva eccellenti referenze professionali.» «Uno stupratore? Non temeva che Blanche...» «Non avrebbe potuto essere tanto sciocco da ricominciare per buscarsi vent'anni! E le posso garantire che era molto pentito del suo gesto. All'epoca dei fatti beveva, ma non ha più toccato un goccio da allora. E poi io ero qui, passavo regolarmente a controllare che tutto andasse bene.» «Eppure sembra che abbia seriamente importunato Noémie Labarrière.» Dubois alzò le spalle. «Non so chi ha potuto importunare chi» sibilò fra i denti. «Quella farebbe smancerie al Papa. Ma che c'entra il passato di Costa con quel che sta succedendo qui?» «Non so, mi sto solo informando. Conosce qualcuno che possieda una 8 millimetri?» «Io non tiro più da molto tempo. Ecco la sola arma che porto addosso ora!» aggiunse mostrando la sua piccola croce d'argento. «No, non conosco nessuno che abbia un'arma del genere. Ma questo non vuol dire che non ce l'abbia nessuno.» «Si parla di caccia?» s'intromise Labarrière, il cui fiato sapeva di whisky. «Si parla di calibro 8» ribatté Chib fissandolo dritto negli occhi. «E più precisamente di munizioni 8x57 JS.» Labarrière aggrottò le sopracciglia senza turbarsi minimamente. «8x57 JS? È un collezionista?» «Spero proprio di no» gli replicò Chib accennando ancora una volta alla sua fasciatura. Labarrière strizzò gli occhi, stupito. «Ma pensa tu! È una cartuccia che non viene fabbricata più da anni! È entrata in commercio nel 1905, per rimpiazzare la 8x57 J, che caricava il
Mauser 98G. Ha presente, il fucile dell'esercito tedesco... La fabbrica le ha riutilizzate a quell'epoca per ricaricarle e punzonarci sopra una S. Da cui la nuova denominazione della cartuccia: 8x57 JS. Cartuccia con palla di rame da 154 grani, 8,22 mm di diametro, bossolo scanalato da 54 mm, spinto a 820 m/s» sciorinò quello tutto d'un fiato. «Lei è sicuro che sia una di quelle?» «È stato il medico dell'ospedale a identificarla.» «Me la porti, la esaminerò. Sono abbastanza esperto di vecchie munizioni.» «Lei possiede un fucile di questo tipo?» s'informò Chib cercando di assumere un'aria disinvolta. «No, non colleziono armi, solo le munizioni. Faccio parte di un club di pirotecnofili» aggiunse pomposamente. In quel momento li raggiunse Andrieu, l'aria da raffinato beone. «Non ve ne starete già andando via? Vi volevo proporre un bridge.» «Non mi sembri in condizione di giocare a bridge» obiettò Labarrière. «Semmai dovresti andare a riposare un po'.» «Tu quoque, Brute!» esclamò teatralmente Andrieu con gli occhi al cielo. «Ma andiamo, fatemi il piacere! E tu, Josselin, ci stai per un bridge?» «Lei gioca, Moreno?» «Spiacente, ma non so giocare.» Andrieu si girò verso John che annuì, e i quattro si misero al tavolino, ricoperto da un panno verde, optando alla fine per un poker. Chib si riavvicinò alla finestra. Charles si stava sempre allenando. Il sole era calato. Eunice e Annabelle giocavano ad acchiapparella gridando. Le vide precipitarsi nel giardino d'inverno. Un merlo si alzò in volo fischiando. Un fine pomeriggio domenicale dall'odore di foglie morte, si disse. Sentì d'un tratto il bisogno di respirare un po' d'aria fresca. Colette doveva essersene andata, non vi era segno di attività in cucina. Chib uscì, ma si fermò accanto alla porta, con lo sguardo ineluttabilmente attirato dalla sedia in ferro battuto. Una gazza andò a posarsi sullo schienale che gli aveva salvato la vita e lanciò il suo grido bellicoso prima di saltare sul prato e di mettersi a frugare l'erba con determinazione. La luce che s'infiochiva intristiva le cose, che parevano abbandonate. La porta del capanno degli attrezzi era spalancata. Il tosaerba era fermo in mezzo a un vialetto. Qualcuno aveva lasciato lì una bombola di gas che giaceva accanto alla cappella. Avrebbero dovuto assumere qualcuno al più presto per rimpiazzare Costa.
Chib si girò verso Charles che gli volgeva le spalle e si esercitava sempre nel suo swing, con delle palline vere adesso. Stava ammirando il gesto sciolto e trattenuto del ragazzo quando questi colpì improvvisamente la pallina con eccessiva forza, lanciandola lontanissimo. Andò a perdersi ben oltre il pozzo. Charles sospirò ostentatamente e scomparve dietro gli alberi. Senza pensarci su, Chib lo seguì a distanza e capì il perché di tanta improvvisa goffaggine da parte di Charles quando scorse l'orlo di un pantalone da golf fra due cespugli. Bel colpo! Un incontro quanto più discreto e naturale non si potrebbe coperti dal fogliame. Winnie dunque non era che un alibi sociale per Rémi? Era per questa ragione allora che se ne andava a zonzo sola soletta nel bosco? Per incontrarvi l'uomo con cui andava davvero a letto? Labarrière o Andrieu, non rimanevano altri candidati, John essendo fuori competizione. Ma Noémie era a pranzo con suo marito il giorno in cui Winnie stava andando a casa loro di soppiatto. Perciò, Andrieu. Ecco spiegata allora la storia del bottone del polsino. Sì, procediamo bene, disse fra sé Chib. Charles e Chassignol, Winnie e Andrieu, si scoprono le coppie. Ebbe d'un tratto la folgorante intuizione che se Noémie aveva accusato suo marito di avere una relazione con Clotilde, era perché lei stessa lo tradiva con Costa. Ma certo! Un sistema abile e indaginoso per sviare i sospetti, quello di trasformarsi in moglie virtuosa e indignata, esattamente come Costa era servito a Charles da paravento per coprire la sua relazione con Chassignol. Chib strizzò gli occhi, come per perfezionare il nuovo quadro della situazione che gli si veniva rivelando. Un gioco di maschere dove ciascuno aveva mantenuto il proprio ruolo a qualunque costo per preservare le inviolabili apparenze. Se Andrieu tradiva Blanche con Winnie, questo voleva dire che la loro unione non era poi proprio quell'esempio di coppia modello che sembrava a prima vista, e voleva anche dire, caro il mio Chib l'adultero filo, che esisteva forse una chance che Blanche... Ma poi no. Il problema di Blanche non è Andrieu e tu lo sai fin troppo bene: il problema di Blanche è Blanche, è quella neve nella sua testa, quella coltre nella sua anima, quel buco bianco nel suo cuore. Voci. Le donne, che stavano uscendo dal giardino d'inverno. Chib tornò indietro nell'atrio, senza riflettere, mosso dall'unico impulso di evitare Blanche. Quasi che d'un tratto il vederla non significasse altro che sofferenza. Brusio nella sala da pranzo. Le voci acute delle bambine. Il soprano di
Gaëlle. Il contralto di Blanche. Il solito e ormai familiare colpo allo stomaco al suono della sua voce. I toni sostenuti di Belle-Mamie, il riso cristallino di Winnie, il timbro che adesso trovava lievemente volgare di Noémie, l'accento inglese di Clotilde. Ritratto di signore in gruppo. Scivolò nella stanza di Aïcha, ascoltando quel che succedeva attraverso la porta socchiusa. Scalpiccio per le scale. Voci di uomini che si mescolavano al coro delle donne. Scambi di cortesie, battute, strette di mano, pacche sulle spalle, a presto, etc. Chib attese che quel rumore si allontanasse, diede un'occhiata: le auto degli invitati stavano lasciando la villa in fila indiana, ultimi a uscire i Labarrière, con Noémie già al volante e Paul ancora sulla scalinata. Chib gli si avvicinò, mosso da un impulso irresistibile, il famoso "Moreno Impulse". «Ah, lei è ancora qui!» Paul gli sorrideva, un po' alticcio. «Perché sua moglie ha avuto un periodo di depressione? Perché ha lasciato che si credesse a una relazione fra lei e Clotilde?» Paul strizzò gli occhi, picchiettò il petto di Chib con l'indice in segno di rimprovero, ma tutto sommato con aria amichevole. «Un buon cane da caccia di razza» buttò lì con un sorriso obliquo. «Un autentico segugio! Noémie ha avuto un periodo di depressione perché quel porco di Costa la voleva lasciare, se proprio le interessa saperlo» riprese. «Quanto a Clotilde, Noémie era gelosa della nostra amicizia, non riesce a comprendere come un uomo possa provare piacere a discutere con una donna, s'immagini con una brutta! Perciò ha preferito ricondurre la cosa a una storia di sesso. Attaccare per difendersi, ha presente...» Bravo, si felicitò Chib, avevi colpito nel segno, amico mio! «E di Costa, a lei non importava nulla?» Paul vacillò leggermente senza spegnere quel suo sorrisetto da bravo bambino. «Assolutamente. A me, a me piacciono le puttane. Non la vecchia puttana con le vene varicose, no, mi piace la squillo da cinquecento dollari: mia moglie è molto simpatica, ma manca un po' di... di "quello", capisce» proseguiva facendo schioccare le dita sotto il naso di Chib. «Lei si starà domandando perché le vengo a raccontare tutte queste cose. Perché sono ubriaco fradicio e perché lei ha una bella faccia. Si ricorda il tiro al barattolo, al luna park, quando eravamo piccoli? Ecco, lei mi fa pensare proprio a uno di quei vecchi tiri al barattolo. Beh, mi scusi, ma bisogna che vada,
abbiamo il teatro stasera e altrimenti quella mi mette il broncio.» Si allontanò con passo lievemente titubante e Noémie si avviò rabbiosamente non appena montò in macchina. Chib raggiunse Gaëlle alla Floride. Lei lo apostrofò senza alcun garbo: «Ma che diavolo stavi combinando?» «Stavo curiosando...» «Mi sembri proprio uno che va curiosando, toh! Ce ne andiamo? Ne ho piene le scatole di stare qui, è un luogo sinistro.» «Non ti sei divertita con la tua amichetta Louise?» «Ma smettila, mi ha attaccato un bottone tutto il pomeriggio con il suo Enguerrand.» La ghiaia scricchiolò ed entrambi si voltarono contemporaneamente per vedere Blanche che si dirigeva verso la cappella, apparentemente senza notarli. «E alé, una visitina al mausoleo, tanto per chiudere la giornata in bellezza» fece con tono sarcastico Gaëlle. «Beh, apri o abbiamo deciso di restare qui a fare le belle statuine?» Chib aprì gli sportelli senza perdere di vista la cappella. Gaëlle tamburellava sul bracciolo. Chib si sedette a sua volta, e avviò il motore. Facendo retromarcia, scorse Andrieu e Dubois, quindi Belle-Mamie accompagnata da Eunice e Annabelle, che andavano anche loro verso la cappella. E infine Charles e Louis-Marie, che trascinavano i piedi. La famiglia al gran completo. Chib oltrepassò il cancello con la fastidiosa sensazione che ci fosse qualcosa che non quadrava in quella scena. E la nozione stessa di scena partecipava di quel fastidio. Pressato dalle domande di Gaëlle, le fece un riassunto di quel che aveva scoperto, scosse la testa alle sue esclamazioni, per poi ripiombare nei propri morbosi pensieri. Il manipolatore, il burattinaio, doveva proprio divertirsi un mondo. No, falso, Chib, non è mai divertente far del male agli altri, ti infanga come acido, brucia, corrode, in risposta a quel fuoco interiore che ti spinge e ti divora. «Deve essere stato tremendo, comunque, dover fare la guerra dalla parte dei tedeschi» stava dicendo Gaëlle. «Scusa?» «È davvero un piacere parlare con te. Stavo dicendo che Enguerrand Andrieu de Glatigny ha fatto la guerra del '14-'18 con i tedeschi, perché viveva in Alsazia. Alla fine della guerra è venuto nel Midi, per via dei suoi
polmoni, ed è qui che ha conosciuto Louise, dieci anni dopo. Lei aveva diciotto anni, lui quasi trenta.» Chi è che gli aveva parlato della Germania di recente? si chiese Chib mentre affrontava una curva a gomito. Ma certo! Frenò così bruscamente che mancò poco che Gaëlle si rompesse il naso sul parabrezza. «Ehi, ma sei matto!» «Il fucile dell'esercito tedesco!» Lei lo fissò con una certa inquietudine. «Non sono matto! La pallottola che mi sono beccato è un proiettile tedesco, fabbricato per i Mauser dell'esercito tedesco, capisci? Mi hanno sparato con il fucile di Enguerrand Andrieu! In casa c'è tutta la panoplia del vecchio, me l'ha detto Louis-Marie.» Aveva già compiuto un mezzo giro, e Gaëlle chiuse gli occhi vedendo scendere a tutta velocità un enorme peso massimo che li sfiorò clacsonando rabbiosamente. «Stavolta lo incastro» grugnì Chib accelerando, senza essersi accorto di nulla. Il cancello era rimasto aperto e lui si parcheggiò sollevando schizzi di ghiaia. Regnava il silenzio. Anzi no, si corresse subito, si sentiva una musica: il Salve Regina di Pergolesi giungeva fino a loro attraverso le spesse pareti della cappella. «Vai a vedere cosa stanno facendo, tienili occupati, io vado a perquisire la casa. Forse ci sono delle impronte su quel fucile.» Gaëlle alzò le spalle e avanzò in direzione della cappella con aria rassegnata. Chib stava già entrando a passo deciso dentro lo studio di Andrieu. Si ricordò della grande cassa d'ordinanza appoggiata in un angolo. Ne alzò violentemente il coperchio, ne tirò fuori un'uniforme pulita e ben stirata che odorava di naftalina, una camicia bianca bucata in più punti, l'elmetto arrugginito che aveva sfoggiato Louis-Marie, una cartucciera pulita di recente, un vecchio messale dalla carta molto fina, un manuale di strategia militare in tedesco, e lì, sotto lo zaino regolamentare, un fucile Mauser in perfette condizioni. Evitando di toccare l'arma con le sue mani, l'afferrò con l'aiuto della camicia rattoppata e mentre la stava appoggiando sulla scrivania di Andrieu con un senso di tetra soddisfazione, udì l'esplosione. Pensò a una marmitta di scarico che perdeva colpi, diede un'occhiata dalla finestra e rimase pietrificato. Del fumo usciva dalla cappella. Una densa fumata grigia che strisciava sotto la porta chiusa come una coltre di
nebbia al crepuscolo. Cosa stava succedendo ancora? Si precipitò fuori, corse fino all'antico edificio, malgrado il dolore di nuovo improvvisamente acuto e il cuore che batteva troppo forte. La cortina di fumo era adesso così fitta che lo fece tossire mentre la attraversava per girare la maniglia. Che era inaspettatamente calda e si rifiutava di girare. Interdetto, Chib provò ancora, spinse con violenza la porta, ma invano. E fu allora che udì le grida. Indietreggiò precipitosamente, giusto in tempo per vedere una lingua di fuoco fuoriuscire da una vetrata rotta. Il fuoco! Sentì che le gambe gli cedevano. La cappella stava bruciando e quelli erano chiusi dentro. Blanche era chiusa dentro. Avvertì un invincibile desiderio di vomitare che lo piegò in due, ma non vomitò. Una scala! Salire fino a una delle strette finestre, andare a prenderli, farli uscire di lì. Si voltò, con gli occhi che gli lacrimavano per il fumo, un tamburo che gli martellava il cranio, e corse verso il capanno degli attrezzi di Costa. Prese la grande scala di alluminio appoggiata a una delle pareti, vicino a una tanica che puzzava di benzina, vacillò sotto il peso della scala, le mani madide di sudore. Riuscì tuttavia a mettersela sulle spalle, uscì ondeggiando come un marinaio ubriaco. I circa venti metri che dovette percorrere lo lasciarono trafelato. La scala urtò le pietre con fragore, e ansando Chib si disse che non sarebbe mai riuscito a montarla contro il muro. Chino in avanti, le mani sulle ginocchia, cercando di riprendere fiato, scorse d'un tratto Charles sotto il salice piangente, dietro la siepe di rose. «Presto!» urlò Chib. «Vieni ad aiutarmi!» Il ragazzo continuava a guardarlo senza battere ciglio, contorcendosi leggermente e Chib sentì che stava per strangolarlo: cosa diavolo stava combinando quell'imbecille appeso a un ramo?! Ramo. Appeso. Pietrificato, ora vedeva la corda che avvolgeva il giovane collo al ramo del salice. La bocca aperta. La lieve torsione del busto. Gli occhi di fuori. Accusò il colpo. Charles era morto, Charles si era impiccato. Era stato dunque lui che aveva appiccato il fuoco alla cappella? E dunque lui che...? Pensieri sotto sopra, una colonia di formiche rosse, che pungevano, rodevano, scavavano l'humus delle sue sensazioni. Un urlo. Un grido infantile, terrorizzato, stridente. Come punto da uno spillone arroventato, lo sguardo offuscato, il sangue che gli colava dalla ferita riaperta per lo sforzo, Chib riuscì ad appoggiare la scala sotto una delle finestrelle, mentre dalla vetrata rotta sprizzavano fiamme blu e aran-
cioni. Il gas! Era la bombola che poco prima stonava nella scena! Afferrò un piolo e iniziò a salire, avvertendo il calore attraverso le pietre. Un urlo dietro di lui quasi gli fece perdere la presa. Si voltò. Blanche era sulla soglia della bastide, gli occhi spalancati, una mano alla gola. Blanche non era lì dentro! Blanche non stava per morire, si disse Chib seguitando a salire, con la sensazione che la gioia che provava era oscena. Raggiunse la finestra come trasportato da un'onda, si sedette sulla cornice, si tolse la giacca fradicia di sudore, se la appallottolò attorno al braccio e frantumò una magnifica Salita al Calvario, liberando una nuvola di fumo che lo fece tossire. A quel punto si annodò la giacca attorno al viso per proteggersi. Quindi si sporse di sotto. L'inferno, le fiamme e i dannati. Un muro di fuoco alimentato dagli stalli e dai banchi in fondo bloccava l'accesso al portale di ferro, ad ogni modo chiuso a chiave. Il focolaio aveva rapidamente divorato gli stendardi appesi alle pareti, il che spiegava le fiamme sputate fuori dalla vetrata andata in pezzi. Rannicchiati contro la bara di vetro, sotto la statua del Cristo, Dubois e Andrieu osservavano la progressione dell'incendio attraverso le file dei banchi, il volto contratto dallo spavento. Il calore era già molto intenso, il fumo ricopriva ogni cosa, facendo tossire tutti spasmodicamente. Chib vide che Andrieu teneva Eunice, mentre Dubois sorreggeva Annabelle. Belle-Mamie era caduta in ginocchio. Chib si chiedeva perché non si erano arrampicati fino alle vetrate per fuggire, poi vide che gli stalli di legno contro le pareti erano anch'essi in fiamme, impedendo loro di passare, e allora pensò fuggevolmente che qualcuno doveva averli cosparsi di benzina perché prendessero fuoco in maniera tanto rapida e violenta. La tanica?! Individuò a un tratto Gaëlle che era salita fino alla nicchia sopra all'altare, sicuramente per tentare di rompere il rosone, ma l'apertura era protetta da una grata. La chiamò con tutte le sue forze. Lei si voltò verso di lui, il viso stravolto, purpureo. «Sto arrivando!» urlò di nuovo Chib. Si sporse fuori. Blanche era lì sotto, tanto pallida che lui si chiese se avesse ancora una goccia di sangue nelle vene. «Mi aiuti, sollevi la scala, bisogna che la passi all'interno» gridò senza dare altre spiegazioni, e senza alcuna allusione a Charles impiccato all'albero, a meno di dieci metri di distanza. Blanche non fece domande, non disse una sola parola. Afferrò i montanti scorrevoli della scala e la sollevò con tutte le sue forze mentre Chib tirava verso di sé. Il piolo superiore lo oltrepassò ed egli afferrò il secondo,
spingendo la scala verso l'interno della cappella, poi il terzo e così via, finché la scala non si trovò sospesa per metà nel vuoto. Il sudore lo inondava come se fosse appena uscito dalla doccia, accecandolo quasi come il fumo, ma rinfrescandolo. Il cerchio di fuoco si andava restringendo, le bambine non piangevano più, fissavano le fiamme con occhi vuoti. Chib non poteva permettersi di commettere errori. Sarebbero riusciti con quella scala a passare al di sopra degli stalli in fiamme e a saltare fino a lui? O bisognava farla scivolare fino a Gaëlle, come un ponte sospeso? Sì, era la soluzione migliore. Gaëlle aveva già capito e gli faceva cenno. Chib s'inarcò contro il muro e cominciò a far avanzare la scala verso di lei mantenendola allo stesso tempo orizzontale: se lei si fosse sporta sarebbe caduta, lui non avrebbe avuto la forza per trattenerla, bisognava assolutamente che restasse in equilibrio, si disse Chib tendendo le gambe davanti a sé per reggersi, gli addominali tesi al massimo. In equilibrio sul coccige come un seggiolino basculante, aveva l'impressione che i suoi bicipiti si sarebbero strappati. Ma la cappella in compenso non era poi così ampia, e vide Gaëlle tendere le sue gambe, agganciare un piolo con i piedi, tirare verso di sé, poi l'urto della scala contro il muro, lei che afferrava i montanti, rischiando per un attimo di precipitare, e che li appoggiava sul bordo. Chib fece lo stesso. Dalla parte di Gaëlle i montanti affondavano fino in fondo alla nicchia, ossia una quarantina di centimetri. Dalla sua parte non erano bloccati dalla parete. Giù in basso, i naufraghi del fuoco seguivano i loro movimenti, sfigurati dall'angoscia. All'improvviso Andrieu si issò sull'altare e cominciò ad arrampicarsi lungo il muro, con Eunice in braccio, aiutandosi con la statua del Cristo. Non appena poté, tese la bambina a Gaëlle e ridiscese. Chib si sedette su un piolo, incrociò i piedi sul successivo e, allargando le braccia all'indietro, le mise fuori, afferrandosi ad ambo i lati della finestra. Gaëlle stava parlando ad Eunice, e le indicava Chib. La bambina scuoteva la testa. Poi all'improvviso si avviò sulla scala, carponi. Chib resistette alla tentazione di chiudere gli occhi. La bambina sarebbe caduta. Caduta fra le fiamme. La piccola avanzava lentamente, piolo dopo piolo, il volto bagnato dalle lacrime, gli occhi fissi su Chib che la incoraggiava dolcemente. Sotto di lui, l'ardente sussurro delle fiamme, il loro vorace crepitio, le oscene contorsioni delle loro lingue. Chib le vide appressarsi al feretro di Elilou, lambirlo a lungo, cercare di insinuarvi le loro dita incandescenti, finché di colpo la bara esplose, scagliando schegge di vetro ovunque, e le fiamme si precipitarono sul corpo senza vita, coprendolo di baci roventi.
Vide la carne morta scoppiare, i capelli andare in fiamme. Le vesti, il cuscino di velluto: Elilou non era altro ormai che una torcia umana che spandeva un atroce odore di formalina. I suoi grandi occhi aperti continuavano tranquillamente a fissare il nulla. Come in uno spettacolo tonitruante pieno di fumogeni, Chib vide che Belle-Mamie batteva le braccia, si portava una mano alla gola su cui brillava una scheggia di vetro e si accasciava al suolo, vicino a un inginocchiatoio mezzo carbonizzato: vide il sangue colare sulle lastre del pavimento, le fiamme correre sulla superficie del sangue (immagine assurda di una crêpe flambé), e poi Belle-Mamie fu avvolta da un sudario incandescente. Eunice! Ce l'aveva quasi fatta, ma Chib non osava tenderle le braccia per il timore di far scivolare la scala: doveva aspettare che la bambina arrivasse al bordo. Ci siamo: Eunice appoggiò le mani sulla pietra, il mento imbrattato di moccio, "Passa dietro di me, ecco, bene così, siediti, guarda, la tua mamma è di sotto, adesso scendiamo". Andrieu aveva perso tempo con Annabelle che si dibatteva, folle di paura, e Chib vide l'uomo sconvolto alzare un pugno e scaricarlo sulla testa della figlia, stordendola. Poi se la mise sulle spalle e cercò di arrampicarsi di nuovo. Dubois, immobile dietro l'altare, pareva stesse pregando, con gli occhi chiusi, scosso da violenti accessi di tosse. Andrieu era quasi arrivato in alto quando il Cristo avvampò fra le fiamme e allora Chib fu sicuro del fatto che ogni cosa era stata cosparsa di benzina. Una strage premeditata. Il culmine di quel pandemonio. Il finale spettacolare del dramma concepito da una mente schizoide. Le fiamme si erano inizialmente avventate ai piedi del crocifisso, quindi erano balzate alle ginocchia, avevano allacciato il panno, e bevevano adesso al fianco insanguinato. Andrieu gettò un solo sguardo al di sotto di lui, avvertì il calore delle fiamme sotto le scarpe e, con un ultimo slancio, spinse la bambina verso Gaëlle che la afferrò per un pelo. Poi l'uomo tentò di scivolare di fianco, ma i suoi pantaloni avevano preso fuoco, e lui si contorceva contro il muro per spegnerli (come se stesse danzando verticalmente lungo la pietra della parete), ma non vi riuscì: allora si lasciò con una mano per cercare di togliersi i vestiti in fiamme, ma perse la presa e cadde. Il tempo di un battito di ciglia e non fu altro che un tappo in un mare ruggente di onde color cinabro. Dubois aprì gli occhi. Si voltò tubescente verso Chib, e gridò qualcosa come: "...gliel'avevo detto!" C'era tanto di quel fumo attorno a lui che non
riusciva quasi più a respirare, piegato in due. Morirà asfissiato, si disse Chib. Di fronte a lui, Gaëlle tossiva terribilmente e le fiamme che stavano divorando il Cristo l'avevano quasi raggiunta. Lei gli urlò di venire a prendere Annabelle. Quanto tempo aveva per decidersi? Un microsecondo? Il tempo di andare a prendere Annabelle e le fiamme avranno avvolto Gaëlle. La vedrà morire, accartocciata nella sua nicchia di pietra. Chib fece cenno di no con la testa. "No, vieni" le urlò di rimando. "Vieni!" Si fissarono attraverso la cortina di fumo e l'odore di formalina e di carne bruciata, sapendo ciascuno esattamente cosa era in gioco. Salvare la bambina o salvare Gaëlle. Una scelta impossibile. "Vieni con lei!" urlò ancora una volta Chib, "presto!", preferendo all'improvviso vederle morire e cadere insieme, piuttosto che dover prendere una decisione in favore dell'una o dell'altra. Perché non ne era capace. Gaëlle strinse i denti, e agguantando Annabelle alla vita, si avviò sulla scala rovente. Chib aspirò una boccata di fumo e fece altrettanto. La scala beccheggiò leggermente. Gaëlle strisciava, con Annabelle inchiodata al suo fianco, sotto il braccio sinistro: le gambe della bambina ballonzolavano nel vuoto. Era pesante e Chib lo sapeva bene per averla issata fuori dal pozzo, Chib il salvatore accreditato della famiglia Andrieu, Chib a quattro zampe sopra un pozzo di fiamme che gli sorrideva avido. Gaëlle avanzò ancora di due pioli, era a metà del percorso. Chib vedeva il suo viso grondante, poteva sentire le contrazioni impazzite dei suoi muscoli, tieni duro, sei una lottatrice, tieni duro, avanza, avanza, cazzo! E lei avanzava, centimetro dopo centimetro, riusciva a vederla sempre meglio, le spalle scosse da fremiti, il braccio sinistro che tremava, che stava per mollare la bambina troppo pesante, il destro coperto di vesciche che si aggrappava a ogni piolo come una mano tesa al di sopra dell'abisso. Chib avanzò a sua volta. Ebbe l'impressione che la scala stesse scivolando. Non si mosse oltre. Frammenti di pensieri, frammenti di visioni. Blanche là fuori, in attesa di sapere, blocco di paura, Gaëlle sulla graticola, Annabelle che cade, sfracellandosi sul corpo di suo padre. Mormorò dentro di sé: "Se Tu salvi Gaëlle e Annabelle, non andrò più a letto con Blanche." Sacrificio ridicolo. E bugia. Non sei nemmeno capace di mantenerlo un voto del genere, Chib Moreno, tu non sei che un codardo, roso dal desiderio malato di una donna malata, svuotato di te stesso. Dov'era Louis-Marie? La domanda gli schioccò d'improvviso nella testa come un elastico trop-
po teso. Charles era morto, ma dov'era suo fratello? Come mai era il solo assente del grande olocausto? Come mai l'incendio era scoppiato mentre solo Louis-Marie e sua madre erano fuori della cappella? Chi poteva amare Blanche al punto di odiare tutti coloro che godevano del suo amore? Al punto di masturbarsi sulla sua foto, al punto di uccidere la propria sorella, in un accesso di folle gelosia? Chi aveva spinto il piccolo Léon nella piscina? Mio Dio, Chib, quanto sei stato stupido! E dire che appena qualche ora fa se la rideva di te con l'elmetto di Enguerrand. Ma era davvero possibile? Un ragazzino così giovane... Non c'era tempo di farsi troppe domande. Gaëlle stava facendo uno sforzo disumano per far passare la bambina davanti a sé, con la forza di un braccio. Chib agguantò un pugno di capelli, poi il colletto della camicetta, tirò verso di sé, con la sensazione di ripetere all'infinito gli stessi gesti: avrebbe dovuto farne il suo mestiere, Chib Moreno, cane da slitta. Indietreggiare recuperando un'Annabelle inerte, non troppo velocemente, altrimenti la scala scivola; caldo, molto molto caldo; sentire il bordo della finestra così duro, così deliziosamente duro e saldo; sentire la schiena minuta di Eunice; appoggiare Annabelle di fianco; sporgersi verso Gaëlle... la scala scivolò. La sentì andar via, la bloccò con le gambe, si aggrappò al vano della finestra, squartato, le lacrime di Eunice nelle orecchie, il corpo inanimato di Annabelle di traverso sul ventre, la scala che voleva scivolare via, voleva precipitare Gaëlle nella fornace, sussulti, vicinissimi, una mano sulla caviglia, poi sul ginocchio, un viso contro la gamba, odore di capelli bruciati, un corpo sopra il suo, che sa di bruciaticcio, di legno, di pelle ustionata, di paura. Indietreggiare, liberarsi dalla scala, spingere Gaëlle di fianco, sporgersi di fuori, era così bello, fuori. Blanche era andata a cercare uno sgabello e cercava di arrampicarsi lungo il muro, ricadeva, ricominciava, con l'ostinazione maniacale di un gatto che va dietro a una farfalla. La farfalla nella bocca di Costa. Chib, ricomponiti, asciugati quel sangue sul collo, bisogna tirare fuori la scala, recuperarla, Blanche sembra aver capito, tende le braccia, ne afferra un'estremità senza apparentemente rendersi conto che è rovente, aiuta a farla scivolare in basso, poi d'improvviso si volta, scende dallo sgabello e se ne va correndo. Stai per caso sognando, Chib? Hai perso conoscenza? Ma per quale motivo se ne sarebbe andata? Beh, poco importa, bisogna proseguire, è come nella vita: finché uno non è morto, continua. Adesso, la scala che ti brucia le dita poggia sull'erba, l'erba verde, fresca, dolce. Eunice inizia a
scendere, non ha chiesto nulla, ha agguantato subito i montanti e hop, ecco che scende tirando su col naso. Poi è la volta di Gaëlle, con gesti da vecchia signora: manca un piolo, urta col mento quello sopra, il sangue stilla dal labbro spaccato, ma lei sembra non accorgersene, ricomincia a scendere. Sta a te, Chib. Un ultimo sguardo verso il fuoco in cui si stanno consumando due corpi. E di colpo la porta si aprì, provocando un risucchio d'aria e un vortice di fiamme. Sbigottito, Chib vide una silhouette titubante che avanzava nel nartece. Louis-Marie! Ma allora, se era lui, se stava entrando per venirli a cercare, non era stato lui a... Mentre continuava a pensare, sentì se stesso urlargli "Vattene, esci!": strano come le sue labbra funzionassero da sole. Vide Louis-Marie alzare la testa verso di lui, con stupore, vide il sangue che gli macchiava la faccia, no, perché del sangue? Lo vide indietreggiare verso la porta, lentamente, come ubriaco, sempre voltato verso di lui, con un'espressione di tristezza e rimprovero, ma le fiamme avevano già deciso che lo avrebbero amato con tutta la loro forza, lo stavano già stringendo, accarezzavano i suoi capelli, facendolo urlare, un grido muto che Chib non udì, ma che vide nei suoi occhi, nella sua carne che cominciava a cuocere. Poi non vide più nulla, se non un fumo denso, un velo gettato sull'agonia di quel giovane ragazzo, fantoccio di fuoco che danzava una giga infernale nella navata devastata. A quel punto, Chib afferrò Annabelle e iniziò a scendere. Non mancò nessun piolo, posò la bambina sull'erba, strinse Gaëlle e svenne. Capitolo 22 Aveva freddo, ma la mano sulla sua fronte era calda. Aprì gli occhi. Gaëlle era china su di lui. Aveva pianto, e aveva il viso coperto di bolle. Chib tese la mano, le carezzò la guancia, e si raddrizzò lentamente. Era disteso sull'erba, un po' in disparte. Il camion rosso dei pompieri brillava nella notte, la cappella fumava e rosseggiava come un mostro medievale incollerito. «Ti abbiamo trascinato qui con Blanche. Non credevo fossi così pesante! I pompieri hanno spento l'incendio, stanno ispezionando le macerie. Sono tutti morti, Chib. Jean-Hugues, Belle-Mamie, Louis-Marie... E Dubois...» Gaëlle deglutì. «Lui era ancora vivo, si era asperso con l'acqua dei fiori, rifugiato sotto
l'altare. Ustionato al 70% l'hanno portato alla Timone. Ma non c'è praticamente speranza, a meno di un miracolo.» Le pillole magiche all'aglio, chissà? Chib si passò una mano sulla ferita, la riportò verso di sé, nero su nero. Cercò con lo sguardo il salice piangente, e vide dei pompieri dall'aria stremata. Il rumore dell'acqua che sfrigolava sulle braci. «Charles...» «Anche Charles, lo so...» lo interruppe Gaëlle. «Blanche?» «È dentro, con Eunice e Annabelle.» «La polizia?» «Lei mi ha chiesto di aspettare prima di chiamarli. Ha tolto il corpo di Charles e l'ha gettato nel fuoco! Capisci che vuol dire?» Chib fece uno sforzo ma non riusciva a capire niente, aveva male alla testa e sete, tanta sete. «Non vuole che si sappia che si è impiccato! Non vuole che si sappia che era un assassino!» Chib si mise a sedere. Rivide il corpo di Charles che girava dolcemente su se stesso fra le foglie. Rivide Louis-Marie, i suoi occhi grigi stupiti, sballottato fra le fiamme come un fragile tappo di carne. Troppe immagini, sussultanti, incerte. «Ha cosparso tutto con la benzina, ha fatto saltare la bombola di gas, la bombola che Aïcha avrebbe dovuto mettere a posto se non fosse stata drogata, e poi, quando è stato sicuro che sarebbero morti tutti tranne la sua adorata mammina, si è impiccato!» proseguiva Gaëlle, le cui ciocche bruciacchiate gli solleticavano il naso. Chib sussurrò: «Gli sbirri perquisiranno tutto.» «Sì, ma cosa troveranno su dei cadaveri carbonizzati? La stessa Elilou ha preso fuoco, non ci sono più indizi, niente prove, nulla.» «Devo vedere Blanche.» «Pensi che abbia voglia di fare quattro chicchiere?» «Gaëlle, io...» Lei si rialzò bruscamente. «Lo so, non mi prendere per un'idiota. Lo so che ne sei innamorato. Per quale motivo pensi che non abbia chiamato immediatamente la polizia? Perché non mi avresti perdonato di non averle lasciato il tempo. Il tempo per mettersi l'anima in pace con la follia di tutta questa famiglia.»
«Bisogna assolutamente che io la veda. Prima della polizia.» «Stanno ancora esaminando il luogo del sinistro, come si suol dire. Sbrigati.» Chib si rialzò in piedi. Il sangue che gli batteva nel collo, bruscamente, la crosta fredda che gli tirava la pelle. Il gradevole e ingannevole odore di fuoco di legna. Il lampeggiante sul mezzo dei pompieri lanciava i suoi chiari lampi blu, come un faro ai confini del mondo. La fine del mondo di prima, si disse Chib, dirigendosi verso la bastide. Era tutto silenzioso. Brillantemente rischiarato, freddo e silenzioso. Come una camera mortuaria. Un lieve rumore proveniente dal primo piano. Chib salì le scale, le viscere attorcigliate dall'apprensione, il cuore a 180. Aveva paura di vederla, paura della sua voce, paura di sapere. Lei era nella sua stanza, seduta sul letto con la coperta blu, di quel blu cielo eternamente senza nuvole. Semplicemente seduta, guardava la finestra e la cappella che finiva di bruciare. «Ho messo a letto le bambine» disse senza tradire particolari emozioni. «Stanno bene?» «Sicuro. Perché non hai risposto alla mia chiamata?» Sconcertato, Chib ripeté: "La tua chiamata?" «Prima. Ho cercato di raggiungerti sul cellulare. Perché restaste a cena con noi. Avevo voglia di vederti.» Con gesto meccanico, portò la mano alla cintura, guardò il telefono: «Merda, si è scaricata la batteria!» esclamò mentre le parole "voglia di vederti" traballavano sullo sfondo, dietro i corpi carbonizzati. «Facciamo sempre conversazioni ridicolmente triviali, non è vero?» gli sussurrò con dolcezza. La vita è triviale e se avessi ricevuto quella chiamata vi avrei raggiunto nella cappella e sarei morto, adesso, pensò lui con una certa tranquillità... «E poi sono uscita per cercare ancora di raggiungerti. È per questa ragione che non sono bruciata con loro» riprese Blanche mentre accarezzava una piega sul lenzuolo. «L'insolente fortuna della donna infedele, senza dubbio.» «Blanche, sono spiacente...» «Spiacente di che? Tu non puoi farci niente, nessuno può. A parte me, ovviamente. Perché io sapevo.» Chib si sentì invadere da un grande freddo, il freddo di cui parlava Dubois, un freddo che tranciava le ossa. «Cosa vorresti dire?»
«Quel che ho detto.» Fuori, due tizi col giubbotto parlavano con Gaëlle. Restava così poco tempo. Blanche alzò le spalle: «Per quale motivo pensi che io beva? Perché credi che per me sia così difficile vivere? Lo so da quando è piccolo. È per quello che gli ha fatto lui.» Chib scosse la testa come un animale caparbio, impaziente di capire: «Fatto cosa? A chi?» «Io l'ho sorpreso mentre...» «Mentre cosa?!» «Le percosse, i palpeggiamenti... Come un'idiota, mi chiedevo come mai fosse così timoroso... Quel vecchio porco non ci stava più tutto con la testa, l'aveva preso in antipatia... ho ringraziato Iddio quando è morto.» Chib capì improvvisamente. «Enguerrand?» «Enguerrand Andrieu, Legion d'onore, seviziatore di bambini. Se non fosse morto poco dopo, l'avrei denunciato alla polizia. Avevo detto a JeanHugues che volevo che ce ne andassimo. Ma Jean-Hugues...» «Jean-Hugues?» ripeté Chib come un'eco. «Era debole. E io, ero vuota. Sono sempre stata vuota, sai.» Chib sentì che gli bruciavano gli occhi. Perché lei non lo avrebbe amato mai. Non poteva, ecco tutto. «Comunque sia» proseguì Blanche «non è mai più stato lo stesso. Era come se ci fosse una bestia feroce dentro casa, una belva celata nel corpo di un ragazzino. A volte, sorprendevo il suo sguardo quando credeva che nessuno lo vedesse. Lo sguardo vuoto e fisso di un predatore. Ne sono stata sicura quando Léon...» «E tu non hai detto niente? Non hai fatto niente?» «Sì, ho cercato di convincermi che mi stavo sbagliando. Che non era lui che uccideva i gatti e i cani del vicinato. Che non era possibile che ci fosse tanto odio sotto quel suo sorriso gentile. Che era un ragazzino come tutti gli altri, solo un po' più sensibile, ma non un mostro, non quella, quella... cosa senz'anima.» «Ma bisognava portarlo da uno specialista!» Che frase ridicola. «Ah davvero? "Ecco mio figlio: lui è stato, diciamo cosi... brutalizzato da suo nonno e io sospetto che abbia assassinato il suo fratellino... Sì, gli Andrieu, sì."»
«E chi se ne importava, della famiglia, di fronte a una cosa del genere!» «Belle-Mamie mi aveva minacciato di portarmi via i bambini se me ne fossi andata. La sentenza di divorzio avrebbe sancito che era colpa mia. Li avrei persi.» Belle-Mamie, il cui corpo accartocciato si andava consumando adesso a causa della sua dannata buona creanza. Chib si schiacciò le tempie fra le dita intorpidite. «Allora, tutti sapevano, di Léon, di Elilou...» «No. Tutti avevano dimenticato. Tutti possedevano quel dono meraviglioso che consiste nell'occultare quel che non si ha voglia di vedere. Tutti erano come in buona fede colpiti da cecità. Ci sono le cose possibili e quelle impossibili, Léonard. Quella faceva parte delle cose impossibili. Come me e te» aggiunse con una dolcezza che gli incise la carne fino al cuore. Chib scosse la testa, per sbarazzarsi della tristezza, per riagganciarsi ai fatti: «Ma perché prendersela con i fratelli e le sorelle?» «Lui... lui aveva sviluppato una sorta di fissazione su di me, non sopportava di non essere l'unico, io... io credo che fosse innamorato di me» concluse con un brivido. «Come un animale.» «E tu, tu lo amavi comunque?» «Certo. Era mio figlio. Sì, lo amavo. E ne avevo paura. E mi disgustava. Ma lo amavo. Tu non capisci, vero?» «Ci provo.» «È vero» disse guardandolo per la prima volta. «Tu sei un uomo che prova. Grazie per questo.» Chib deglutì. Non doveva parlare di loro due o altrimenti si sarebbe messo a piangere. «E Jean-Hugues sapeva che Charles...» «Charles, cosa?» Chib aggrottò le sopracciglia. «E beh, che Charles era uno psicopatico.» Lei sorrise, un sorriso triste come una lama di rasoio che tagli un polso delicato. «Charles» sottolineò il nome, e poi riprese a respirare «Charles non lo è affatto, poverino, è di Louis-Marie che sto parlando.» Chib sussultò come per effetto di un rumore violento e inaspettato. E di colpo rivide Louis-Marie a cavalcioni della rampa, quel suo sorriso beffar-
do, "Sono in missione dietro le linee nemiche". Louis-Marie che giocava con gli effetti personali del nonno carnefice. Louis-Marie che si era impadronito del suo fucile per uccidere l'amante di sua madre. Ma certo, Charles non aveva violentato Elilou, né costretto Eunice a degli atti contro natura, a Charles non piaceva il sesso femminile, era Louis-Marie che violentava e terrorizzava le sue sorelle, che aveva spinto Annabelle nel pozzo travestito da assassino da film, di quei film di paura e sangue che doveva essersi ripassato tante volte mentalmente. Fesso. La parola non assumeva più la sua connotazione volgare, bensì tutto il suo significato di incrinatura, di frattura pur minima, ma che va approfondendosi e provoca la rottura, il distanziamento fra il continente degli altri e la sofferenza dell'io, allorché l'atto, l'atto più esecrabile, diventa il solo passaggio verso l'altro... Ma tutto ciò non quadrava, si disse Chib immediatamente scuotendo la testa per chiarirsi le idee: «Ma aspetta un momento... io l'ho visto... è entrato nella cappella per cercare di...» «Léonard, tu sei un uomo buono. Louis-Marie non è entrato nella cappella per cercare di... come dici tu.» Flash accecante. Gaëlle: "Blanche ha gettato il corpo di Charles dentro." Quindi lei aveva potuto aprire la porta. Vacillò, impercettibilmente, ma vacillò, mentre Blanche proseguiva, col suo tono monocorde: «È entrato perché io l'ho mezzo stordito con il grosso annaffiatoio di ferro e l'ho spinto all'interno.» Il sangue sul volto sconvolto di Louis-Marie. «Tutta questa storia doveva fermarsi, capisci? L'ho stordito, ho preso la chiave nella sua tasca, ho socchiuso la porta e l'ho spinto dentro, perché morisse» concluse semplicemente. Chib cercò di respirare. L'aria era bloccata sotto il pomo d'Adamo. Alla fine riuscì a inspirare una grossa boccata. Blanche aprì la mano sinistra. Un pugno di foglietti spiegazzati. Glieli porse. «Aveva questi in tasca, vicino alla chiave.» Qualche foglietto vergato con una scrittura a zampe di gallina. «Eunice e Annabelle sono al sicuro adesso» riprese lei, voltandosi nuovamente verso la finestra e verso la notte piena di ceneri. I due uomini col giubbotto si stavano allontanando da Gaëlle, e stavano entrando in casa. Voci. «Ma cosa gli dirai?» chiese Chib febbrilmente.
«Niente. Sei tu che gli dirai.» «Come?!» «Sei tu che ci parlerai, Léonard. Io, io me ne vado.» «Ma...» Allora vide cosa nascondeva sotto il lenzuolo così blu. Il Mauser. Chib fece un passo in avanti, ma lei aveva già la canna in bocca. Lui si immobilizzò. Non bisognava trattarla in modo brusco, non bisognava muoversi. Chib vide i suoi occhi grigi, una coltre di nebbia senza alcuna speranza di sole, vide il dito sul grilletto, un dito di donna, fine, bianco, con l'unghia curata, sconveniente su un fucile da guerra. Pensò fugacemente che non l'aveva presa fra le sue braccia, non l'aveva toccata, che lei se ne sarebbe andata senza che lui avesse potuto toccarla ancora una volta... Non muoversi, dirle di posare l'arma, dolcemente, dirle che tutto si sarebbe sistemato, che no, questo no, non doveva, era una cosa stupida, dirle di vivere, per le sue figlie, dirle... Passi per le scale. Pesanti. Rapidi. Blanche gli sorrise ancora una volta e premette il grilletto. Fu la prima volta che Chib morì. Note 1 Voc. gergale che indica il membro maschile. 2 In italiano nel testo. 3 Tipica casa di campagna provenzale. 4 Gioco di parole fra tête à tête e tête à queue (testa-coda), dove queue indica anche il membro maschile. 5 Biscotti al burro inglesi. 6 Nomignolo che nasce dalla fusione di belle-mère (suocera, anche matrigna) e mamie (nonna, nonnina). 7 Tipica salsa provenzale all'aglio. 8 Sala adiacente un cimitero, in cui si riuniscono i parenti di un defunto. 9 Gioco di parole sul titolo del film Partitura incompiuta per pianola meccanica (1976) di Nikita Michalkov (in francese partition vuol dire sia partizione che partitura). 10 Débaucher in francese significa distogliere dal lavoro, ma anche tra-
scinare via: di qui il sottile doppio senso della battuta. 11 Illustrazione di Epinal: stampa o illustrazione tipica dell'iconografia popolare, destinata un tempo soprattutto al pubblico illetterato delle campagne. Vendute per strada dagli ambulanti, devono il loro nome al loro inventore e primo stampatore, J.C. Pellerin, che viveva nella cittadina di Epinal. Nel linguaggio corrente un'image d'Epinal designa una visione naif della vita, che mostra solo il lato buono delle cose. 12 In italiano nel testo. 13 Asinello protagonista di alcune storie del libro per ragazzi Martine et Vane Cadichon di G. Delahaye e M. Merlier. FINE